Edorel

di compulsive_thinker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


NdA: Buondì!
Piccolissima precisazione prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo-prologo: l'idea per questa ff mi è venuta guardando il film tratto da Lo Hobbit. Quando si parla del Negromante, Saruman lo liquida come un "comune" mago: da lì mi è venuta l'idea che Sauron potesse assumere anche una forma pseudo-umana, che in qualche modo gli permettesse di passare inosservato. Ecco, da cosa nasce cosa e sono partita per la tangente.
Fatemi sapere cosa pensate della storia...recensioni e critiche sono decisamente ben accette! *-*



Capitolo 1

 

Anno 1200 della II Era

 

L’Est iniziava appena a ingrigirsi, annunciando una nuova alba a Eregion. Il cielo era velato da spesse nubi, che gettavano un’ombra sul giorno nascente. Un’ombra cupa e pesante come quella che sembrava strisciare lentamente verso la Terra di Mezzo, come a volerne inghiottire e sfumare pian piano ogni contorno.
Incosciente di tutto ciò, Meridan pensava solo a correre non vista verso il palazzo, stringendosi al petto un fagotto leggero, che a lei però pesava sul cuore come un macigno. L’imponente costruzione in pietra chiara aveva un aspetto maestoso, segno visibile della regalità e sapienza del Re Celeborn e della sua sposa Galadriel, di cui si diceva fosse una veggente e la creatura più saggia di tutta la Terra di Mezzo.
Purtroppo, quel giorno Meridan non cercava il consiglio dei suoi sovrani, ma doveva portare terribili notizie. La sua sicurezza per un istante vacillò, quando passò davanti all’imponente portone. Ebbe la tentazione di tornare sui suoi passi e scegliere una via più semplice: dopotutto, chi avrebbe mai saputo che se n’era liberata?
Un rumore dietro di lei dissipò i suoi dubbi e la spinse a muoversi più in fretta. Strinse più forte l’involto al petto, sgattaiolò non vista attraverso una porta laterale e, finalmente, nel palazzo. Conosceva quei corridoi, aveva avuto tempo per organizzare il suo piano: sapeva quali vie imboccare per evitare le guardie e giungere nella sala del trono, dove presto sperava d’incontrare la regina. Si nascose dietro una colonna, appoggiandovi la schiena con la speranza di far sorreggere alla pietra anche il peso delle sue preoccupazioni. Un lieve singhiozzo si levò dal fagotto che portava e Meridan scostò la stoffa, scoprendo il bellissimo viso di una bimba di alcuni mesi che dormiva beatamente. L’Elfa le accarezzò le guance con la punta delle dita, bagnandole con una lacrima di disperazione: non poteva fare altro che disfarsi di quella meravigliosa creatura. La piccola sollevò le palpebre, rivelando due grandi occhi neri, profondi come l’oceano dell’Ovest, che subito si misero a scrutare il volto della madre. Meridan si sentì braccata da quelle iridi avide che sembravano volerle carpire il segreto che tentava di nascondere, e distolse lo sguardo da quella figlia che avrebbe potuto causare solo del male.
In quel momento, un vociare sommesso annunciò che la regina era entrata nella stanza, seguita dalle sue guardie. L’Elfa baciò la piccola prima di riavvolgerla nelle sue coperte, la nascose alla meglio sotto il proprio mantello e uscì allo scoperto, dicendo:
“Maestà, vi prego di concedermi udienza. Si tratta di una questione delicata.”
La nobile Galadriel voltò lo sguardo su di lei, non lasciando trasparire alcuna emozione dai suoi occhi glaciali. Meridan si obbligò a sostenere quello sguardo: persuadere la regina ad ascoltarla era la sua unica via di scampo e l’unica speranza per sua figlia. La sovrana si limitò a fare un cenno alle guardie, che si allontanarono in silenzio, quindi tornò a guardare Meridan invitandola a parlare. L’Elfa scostò delicatamente il mantello e le coperte che avvolgevano la bambina, mostrandola alla regina avvolta nel semplice abito azzurro che le aveva cucito di persona, durante la lunga e terribile attesa della sua nascita. Galadriel la guardò un istante e capì.
Il sangue del Male scorrerà in eterno,
chi è senza colpa ne reggerà il fardello.
Piangerà una madre la figlia perduta,
il suo cuore muterà in fredda pietra
Piangeranno le genti la stirpe maledetta
che pure  il loro biasimo non avrà meritato.
Disperazione nel cuore di Gondor.
Gli occhi le si velarono d’ombra: dunque era giunto il tempo dell’avverarsi della profezia. Il Male era in fermento, persino tra le mura di Eregion, la regina lo avvertiva come una vaga inquietudine, come una sottile foschia che sale dai campi e si tramuta in impenetrabile nebbia prima che l’ignaro viaggiatore abbia avuto il tempo di mettersi in salvo. Un pericolo imminente incombeva sulla Terra di Mezzo e quella bambina non ne era che un’ulteriore prova.
“Come si chiama?”
Domandò, prendendo delicatamente tra le braccia la piccola, che stringeva forte le piccole mani come se fosse arrabbiata perché non capiva cosa succedesse.
“Edorel, mia signora. È mia figlia. Suo padre non è un Elfo, lui…”
“Non dire altro, io so. E qual è il tuo nome?”
“Meridan. Vi chiedo perdono, maestà, io non sapevo dove altro andare! Da quando è nata, sono spaventata dalla mia stessa figlia! Pensavo che suo padre fosse un Uomo, ma lo sguardo di questa bambina non ha nulla di umano!”
“Non era un Uomo, ma una creatura ben più temibile e capace d’ingannare.”
“Siete l’unica con cui io potessi parlare, mia signora. Ho pensato a lungo di…liberarmi della bambina, ma non ne ho avuto la forza. È pur sempre mia figlia!”
“Hai preso la decisione giusta, Meridan, poiché questa bambina non ha nessuna colpa. Tuttavia, dovrò portarla via.”
Gli occhi di Meridan si riempirono di lacrime. Immaginava che sarebbe successo, ma non poteva impedirsi di soffrire all’idea di perderla per sempre.
“Dove la porterete?”
“Non posso dirlo, ma ti prometto che non le sarà fatto alcun male. È una creatura innocente, la lasceremo vivere lontano da qui. Non saprà mai nulla.”
Meridan annuì piangendo e prese la bambina tra le braccia. Osservava ogni minimo dettaglio attorno a sé, con gli occhi spalancati come per bere ogni meraviglia che vedeva e le piccole labbra schiuse. La strinse a sé e la baciò più volte, sussurrandole dolcemente:
“Perdonami, Edorel!”
“Il momento è giunto, lasciala qui. E non parlare mai a nessuno di lei!”
Le parole della regina, per quanto pronunciate con delicatezza, furono come una pugnalata del cuore di Meridan, che decise di fare un ultimo dono alla piccola. Si sfilò il bel ciondolo che portava e lo mise al collo della figlia, sperando in quel modo di rimanerle sempre accanto. Depose quindi la bambina nelle braccia della sovrana e corse via, per paura di tornare sulla sua decisione.
Galadriel sorrise per un istante alla bimba, poi alzò lo sguardo davanti a sé. Il sole stava ormai iniziando la sua scalata al cielo, ricacciando le nubi verso Ovest e illuminando ogni istante di più l’inizio di quella giornata. C’era ancora speranza, per tutti loro. Richiamò le guardie e le mandò a cercare poche persone fidate.
 
Umyen era intento a lustrare la sua spada, seduto sul davanzale di una grande finestra, ammirando distrattamente lo spettacolo del giorno nascente. Una sottile brezza agitava i suoi lunghi capelli ramati, che si scostava continuamente dal viso.
“Umyen, la nostra sovrana Galadriel vi manda a chiamare!”
L’arrivo improvviso di due guardie lo distolse da quella pace. Li seguì fino alla sala del trono, dove c’erano soltanto la regina e un’altra Elfa, molto anziana, di cui aveva molto sentito parlare: Asenath, nutrice della regina stessa. La sovrana gli fece un cenno di saluto, quindi esordì, raccomandandosi:
“Nessuno oltre a noi dovrà sapere ciò che sarà qui detto. Il Male striscia lentamente verso Eregion e non so per quanto ancora potremo respingerlo. Il Nemico è tornato nella Terra di Mezzo e sento che sta tramando qualcosa di malvagio, oltre ogni immaginazione. Inoltre, sono giunta a conoscenza dell’avverarsi di una delle antiche profezie.”
Così dicendo scostò l’orlo del suo abito, rivelando una bambina sdraiata placidamente su una coperta dietro di lei, intenta a guardarsi intorno mangiucchiandosi le dita.
Asenath ebbe uno stanco sussulto, come se si sentisse improvvisamente troppo vecchia per occuparsi anche di quel fardello. Quasi dando voce ai suoi pensieri, Galadriel le si rivolse:
“Mia cara Asenath, so bene che da molto tempo ormai desideri partire per Valinor e intendo concedertelo. Tuttavia, devo chiederti ancora un ultimo favore: cresci questa bambina per qualche anno, finché non sarà abbastanza grande per partire.”
“Mia signora, acconsentirò alla vostra richiesta, ma voglio sapere cosa sarà della piccola quando me ne andrò.”
“Non permetterò a nessuno di farle del male, se è questo che temevi. Ma nemmeno posso concederle di vivere qui, sarebbe un pericolo troppo grande per noi e per lei!”
S’interruppe e si voltò verso l’Elfo, che guardava deliziato la bambina, continuando:
“Sarà a questo punto che chiederò il tuo aiuto, Umyen. Il mio sposo Celeborn dice che sei uno degli Elfi più valorosi e leali che abbia mai conosciuto, per questo ho pensato a te: la accompagnerai nel suo lungo esilio e veglierai su di lei.”
“Esilio? Maestà, non capisco…”
“Dovrai condurla via da qui, attraverso la Terra di Mezzo, dove ti sembrerà più opportuno. Nessuno dovrà mai sapere chi siete o da dove venite. Confido che verrà un momento in cui vi sarà consentito di tornare a vivere con noi, ma non posso prometterlo!”
Umyen si sedette a terra, inspiegabilmente attratto dalla bambina, e la sollevò delicatamente tra le sue braccia. La piccola rivolse a lui i suoi occhi neri e sembrò quasi sorridergli.
“Qual è il suo nome, mia signora?”
“Edorel.”
Umyen era un Elfo piuttosto giovane e nei suoi appena centocinquant’anni di vita non aveva mai visto nulla di così perfetto come quella creatura. Edorel. Si alzò in piedi con un movimento aggraziato, attento a non far dondolare troppo la bambina, e si rivolse di nuovo alla regina:
“La proteggerò a costo della mia vita, ma chiedo di sapere la verità. Chi è?”
Galadriel lo osservò un istante mentre stringeva Edorel: la guardava come se fosse il suo Silmaril, qualcosa di prezioso e bellissimo. In quel momento la regina capì che davvero la avrebbe protetta anche conoscendo il terribile fardello che rappresentava.
“È la figlia di Sauron.”

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


NdA: Eccomi di nuovo qui, con il secondo capitolo (un po' cortino, perdonatemi xD)
Ringrazio chi segue la mia ff, spero apprezzerete! Buona lettura! :)


Capitolo 2
 

 
Trascorsero sette anni, durante i quali la piccola Edorel fu amorevolmente cresciuta da Asenath a palazzo. Viveva in un’ala separata, poteva ricevere solo Umyen e, di tanto in tanto, la regina stessa che non riusciva a sopire la propria curiosità verso quella creatura.
Era una bambina piuttosto carina, con capelli scuri e vispi occhi dalle iridi quasi nere. Vivace e intelligente, aveva imparato prestissimo a parlare e adorava ascoltare per ore chiunque fosse disposto a raccontarle storie e fiabe. Imparava a memoria lunghissimi poemi e antiche canzoni, che si ripeteva continuamente quando giocava, durante le lunghe ore di quasi totale solitudine. L’assenza di altri bambini come lei non pareva turbarla, così come nemmeno si stupiva del continuo andirivieni delle solite facce, senza mai un volto nuovo che venisse a giocare con lei. Appariva pienamente consapevole, per quanto piccola, di essere diversa dagli altri Elfi che guardava affaccendarsi in cortile, nascosta dietro i vetri della finestra di una torre.
Una mattina, giunse la neve. I bianchi fiocchi volteggiavano lentamente nell’aria, prima di posarsi a terra ed esserne silenziosamente inghiottiti. La regina sedeva su uno scranno, silenziosa, contemplando il paesaggio mentre Edorel giocava con una bambola di pezza sul davanzale, distraendosi di tanto in tanto per guardare fuori dalla finestra.
“Galadriel, posso fare una domanda?”
“Edorel, quante volte ti ho detto di rivolgerti in maniera appropriata alla regina?”
Il rimprovero di Asenath giunse secco alle orecchie della bimba, che però sapeva bene di avere un certo ascendente sulla nutrice, per cui si permise di rispondere:
“Perché non chiamare ogni cosa con il suo nome? La neve è neve, io sono Edorel e lei è Galadriel!”
La regina la guardò, negli occhi una scintilla di ammirazione: raramente aveva conosciuto una creatura tanto precoce e brillante.
“Chiedi pure, Edorel!”
“Io sono come questa bambola di pezza, vero?”
Galadriel la guardò con aria interrogativa e la bambina proseguì.
“Mi trattate come se fossi delicata da maneggiare, ma mi guardate come se fossi qualcosa che metterete via quando sarete diventati troppo grandi per giocare.”
Lo disse con un sorriso, senza traccia di rabbia o timore, come se stesse constatando che il giallo è il colore del Sole.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Tante cose. Ma non sono triste, sai, Galadriel?”
“E perché no?”
“Perché so che nessuno mi farà del male. Qui non esistono creature cattive, come nelle fiabe di Asenath!”
Affermò ridendo, e alla regina si strinse per un istante il cuore. Quella bambina era tanto innocente quanto condannata a un’esistenza solitaria e infelice. Le creature malvagie esistevano, persino a Eregion, ma Galadriel decise che Edorel meritava di restarne all’oscuro.
“Hai ragione, Edorel, non ci sono! Ora metti il mantello, Asenath ti porterà a vedere la neve.”
La piccola lanciò uno strillo e gettò le braccia al collo della regina, ringraziandola confusamente prima di correre via felice.
Un rumore alle sue spalle fece voltare Galadriel: Umyen era appena entrato da una porticina secondaria.
“Da quanto eri lì?”
“Ho sentito abbastanza, mia signora.”
“Bene. Dunque è deciso: domani partirete.”
L’Elfo annuì e s’inchinò alla sovrana che usciva. Poi si sedette alla finestra e prese a giocare con la piccola bambola abbandonata da Edorel, avvertendo forte su di sé la sensazione che presto, troppo presto, la vita stessa della piccola sarebbe stata nelle sue mani.
L’indomani mattina il cielo era ancora buio, quando Asenath svegliò la sua protetta, che si stropicciò gli occhi e chiese, per nulla spaventata:
“Devo partire?”
L’Elfa annuì semplicemente: nonostante la sua tenera età, Edorel aveva una straordinaria capacità di leggere i sottintesi negli altri.
“Tu vieni con me?”
“No, êl[1]. Io andrò al Valinor.”
Le labbra della piccola si schiusero in una “O” di meraviglia: aveva sentito così tante magnifiche storie sul Valinor, la dimora eterna degli Elfi al di là del mare, da non riuscire a credere che la sua Asenath ci sarebbe andata davvero.
“E potrò venirci anch’io, quando avrò vissuto tanti anni come te?”
“Certo, verrai al Valinor e ci ritroveremo lì. Ora vai a vestirti, coraggio!”
La guardò correre via ridendo, confondendosi nel buio della stanza, da cui non era affatto spaventata. Si asciugò una lacrima dalla guancia: sapeva che non avrebbe mai più rivisto quella adorata bambina, a cui il destino avrebbe probabilmente riservato solo sciagure.
 
Pur avvolta in un pesante mantello da viaggio, Edorel non poté evitare di rabbrividire quando uscì dalla sua calda stanza per attraversare i corridoi di pietra del palazzo, fino alle scuderie. Respirò profondamente e rise del suo fiato che si condensava in piccole nuvolette. Prese in mano il ciondolo che portava al collo e alitò sulla pietra per renderla opaca e lucidarla, finché non le sembrò abbastanza pulita e brillante.
“Guarda, Asenath, si potrebbe quasi disegnare qualcosa soffiando!”
Commentò, entusiasta, indicando gli sbuffi dei cavalli che salivano verso il soffitto assottigliandosi in strisce tutte diverse. L’Elfa annuì con un sorriso e condusse la bambina accanto ad un maestoso cavallo baio, già sellato e carico, intento a masticare con piacere dell’ottima biada. Da dietro al cavallo, spuntò Umyen, anch’egli avvolto in pesanti vesti di lana.
Non appena lo vide, la piccola gli corse incontro e lui la prese in braccio, facendola volteggiare senza fatica sopra la sua testa.
“Umyen, tu vieni con me?”
“Certo, Edorel.”
“Asenath mi ha detto che non verrà, andrà al Valinor. E mi ha detto che ci ritroveremo lì quando anch’io avrò vissuto tanto. Ci verrai anche tu con noi?”
I due Elfi si scambiarono lo stesso sguardo rassegnato e triste, poi Umyen sorrise e rispose, issando la piccola in sella:
“Naturalmente! Sarò io stesso a mollare gli ormeggi e condurre la nostra nave in porto!”
Edorel rise rapita e salutò con la mano Asenath, mentre Umyen saliva a cavallo dietro di lei e partiva al galoppo lungo le deserte strade di Eregion.
L’Elfa, rimasta sola, salì sulla torre del palazzo, dove trovò la regina alla finestra che scrutava le buie vie cercando di seguire il percorso dei due viaggiatori.
Galadriel temeva di aver preso la decisione sbagliata. Se Umyen non fosse riuscito a proteggere la bambina? Se Sauron avesse scoperto della sua esistenza, la avrebbe cercata? Per distruggerla o per farne un’alleata? La regina di Eregion aveva visto crescere Edorel per sette anni, un tempo così ridicolo se paragonato al resto dell’eternità che la attendeva, ma aveva percepito un potere in quella bambina, un potere che prometteva di crescere. Cosa sarebbe successo se un simile dono fosse caduto nelle mani dell’Oscuro Signore?
“Mia signora, c’è qualcosa che posso fare per voi?”
“No, cara Asenath, purtroppo no. Spero soltanto che Umyen la protegga.”
“Non vi preoccupate, so che lo farà. Quella creatura è e sarà tutto per lui, anche se forse non se ne rende ancora pienamente conto.”
“Dici davvero?”
Asenath sorrise e per un attimo le parve di avere di nuovo di fronte la piccola Galadriel, che aveva cresciuto come una figlia.
“Ho visto negli occhi di Umyen ben più che lealtà e devozione. Crescerà la bambina, la proteggerà come nessun altro potrebbe, poiché da lei dipende la sua stessa felicità.”
Galadriel tornò a guardare fuori dalla finestra e scorse in lontananza il luccichio del manto del cavallo sotto la luna crescente. Fu un istante, poi tutto tornò placido e addormentato.




[1]stella

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


NdA: Buon venerdì, carissimi!
Torno con un nuovo capitolo (un po' più lungo del precedente xD) ambientato finalmente ai tempi de "Il Signore degli Anelli". Fatemi sapere cosa ne pensate.. Buona lettura!!
:*
C.



Capitolo 3
 
 

Anno 3018 della III Era

 

In quel freddo pomeriggio d’ottobre, gli Erenbrulli erano cupi e umidi, avviluppati in una pesante cappa di foschia grigiastra e umida, che sembrava volersi avvinghiare a ogni cosa. L’innaturale silenzio vischioso fu interrotto da una risata soffocata, proveniente da una macchia di alberi dai tronchi ricurvi. Una ragazza si era appena rannicchiata dietro un cespuglio, cercando di trattenere le risa e scostandosi le lunghe ciocche di capelli scuri dal viso.
“Edorel, dove sei? Disgraziata, ti aspettavo un’ora fa per cuocere i conigli!”
Un Nano corpulento si aggirava frugando tra la boscaglia, borbottando di tanto in tanto qualche parola nella sua lingua. Edorel attese che fosse proprio accanto a lei, quindi saltò fuori dal suo nascondiglio con un roco grido. Il poveretto fece un salto e snocciolò imprecazioni che avrebbero fatto arrossire qualsiasi ragazza “per bene”. Edorel, però, era ben abituata agli scoppi d’ira del Nano e sapeva come placarlo.
“Dursin, caro, perdonami! La tentazione di spaventarti era troppo forte!”
“Non mi hai affatto spaventato, ragazzina! I Nani non si spaventano mai!”
“Ma certo, dimenticavo! Comunque, per ripagarti di questa sorpresa che ti ho fatto, prometto che riceverai il taglio più grande di carne, questa sera.”
“Le tue moine non mi convincono, signorinella! Qualcuno avrebbe dovuto farti assaggiare la frusta quando eri piccola!”
La ragazza rise: il Nano non era cattivo, ma la considerava un po’ scapestrata e aveva un’idea piuttosto precisa sui metodi per disciplinarla.
“Dimentichi che sono più vecchia e saggia di te!”
“Sul più saggia ho i miei seri dubbi. Quanto al più vecchia, questa è proprio una bella diavoleria! Dovresti essere un’Elfa per essere così longeva, c’è sicuramente qualcosa di strano in te!”
Edorel sbuffò e si allontanò tra gli alberi. Era consapevole del fondo di verità nascosto tra le parole del Nano, c’era qualcosa di strano in lei. Non era un’Elfa, né un’umana. Aveva ormai quasi cinquemila anni e da un paio di secoli viveva con gli Incantatori[1] nelle fredde e inospitali terre a Nord del Fiume Bianco. Nei millenni precedenti non aveva fatto altro che viaggiare, sin da quando aveva memoria. Sognava un palazzo, a volte, una dolce Elfa che si occupava di lei, una magica regina dalle bianche vesti, ma raramente riusciva a conservarne impressi i tratti al risveglio.
Si fermò un attimo tra gli alberi ed estrasse da sotto l’abito il ciondolo che portava al collo da sempre. La pietra era ancora perfettamente liscia e lucida, senza un graffio, di un colore indefinito tra verde e grigio. Indefinita. Proprio come l’immagine che Edorel aveva di se stessa.
Sbuffò tra sé e lo nascose di nuovo: non desiderava certo passare un’altra giornata ad arrovellarsi sul mistero delle proprie origini. Riprese a camminare nel bosco e presto arrivò in vista di un gruppo di casette di pietra, scarne ma accoglienti, dove la piccola comunità d’Incantatori era già riunita attorno a un vivace fuoco, su cui arrostivano patate e conigli. Si guardò intorno e vide subito la persona che stava cercando, l’unico volto che era rimasto una costante in tutta la sua esistenza. Umyen era seduto accanto al fuoco e stava medicando una ragazza. Edorel gli si avvicinò e chiese:
“Cos’è successo?”
“L’abbiamo trovata qualche ora fa che girovagava qui intorno, è spaventata a morte!”
La ragazza, infatti, si stringeva nel mantello e teneva gli occhi fissi sul terreno, prestando pochissima attenzione agli unguenti che Umyen spalmava sulla sua caviglia gonfia e violacea.
“Cosa le è successo?”
“Credo sia solo slogata, l’osso non mi sembra rotto. Dovrebbe poter camminare di nuovo.”
Edorel si sedette accanto alla giovane e le diede un bicchiere d’acqua, che fu preso con sospetto ma presto bevuto.
“Sei al sicuro adesso, nessuno ti farà del male.”
Le parlava con voce bassa e calma, sperando di spingerla a raccontarle cosa le fosse successo. I suoi sforzi furono ricompensati, perché la ragazza finalmente parlò e chiese:
“Chi siete voi? Amici dei Cavalieri Neri?”
“Noi siamo Incantatori, non conosciamo questi Cavalieri Neri. Tu chi sei?”
“Mi chiamo Eva, signora, e sono la figlia del guardiano del cancello di Brea.”
Brea doveva essere una cittadina al confine con la Contea, piuttosto a Sud del logo in cui vivevano, a Ovest, ben oltre Collevento.
“Come sei arrivata fin qui?”
“Non lo so, ricordo solo di aver corso e corso, per giorni, finché non sono caduta e mi sono fatta male. I Cavalieri Neri hanno ucciso mio padre perché si era rifiutato di aprire il cancello, così sono scappata più in fretta che ho potuto!”
I singhiozzi le impedirono di continuare. Edorel le mise un braccio attorno alle spalle, sperando di farle capire che con loro sarebbe stata al sicuro. Non aveva mai saputo nulla dei suoi genitori, ma sapeva cosa significasse temere di perdere la persona più cara della propria vita. Avvertì una mano posata sulla sua spalla, si voltò e vide proprio Umyen accanto a lei, che sembrava volerle dire “non mi perderai mai”.
Fece per parlargli, ma un rumore di zoccoli nella radura la distrasse. Due Elfi a cavallo, in vestiti da viaggio, irruppero nel cerchio di case, provocando l’accesa reazione di Dursin:
“Cosa volete da noi, spilungoni? Via, tornatevene da dove siete venuti, non abbiamo nulla che possa interessarvi.”
“Non è per i nostri interessi che siamo qui, mastro Nano, ma per quelli di tutta la Terra di Mezzo. Il nostro signore Elrond di Imladris ci manda ad annunciare che si riunirà un Consiglio di tutte le razze. Siete invitati a inviare vostri rappresentanti.”
I pochi Incantatori scrutavano i nuovi venuti con diffidenza: erano abituati a essere considerati diversi, a volte persino mostruosi, dati i loro poteri, perciò si erano ritirati a vivere in quel luogo apparentemente inospitale. Si erano ricavati il loro spazio e avevano potuto dedicarsi alla loro vocazione: padroneggiare la Magia. E così vivevano da tempo in quelle terre abbandonate e lontane da tutti, dove aveva il coraggio di avventurarsi solo qualche Ramingo di passaggio, con cui avevano un tacito accordo di reciproca noncuranza.
Ma Edorel, che tanto aveva viaggiato, cominciava a sentirsi prigioniera di quell’esistenza monotona, ogni giorno uguale al precedente e al successivo, e in cuor suo sperava che quella sarebbe stata l’occasione perfetta per tornare a vedere il mondo.
Umyen si era avvicinato agli Elfi e aveva iniziato a discutere con loro, con tono di voce impercettibile, suscitando la disapprovazione di molti Incantatori.
“Che cosa cono quelli?”
Edorel aveva quasi dimenticato la presenza della giovane umana seduta accanto a lei, che fissava in nuovi arrivati con manifesta curiosità.
“Sono Elfi! Porteranno soltanto guai, ve lo dico io!”
Rispose qualcuno cui fece eco un generale mormorio d’assenso.
“Non sappiamo nulla di loro, perché dovrebbero portare guai?”
“Parli così perché sei come loro!”
“Io sono un’Incantatrice, esattamente come voi, ma credo che non possiamo ignorare il loro invito! Dicono di parlare per il bene della Terra di Mezzo, non ne facciamo forse parte anche noi?”
“La Terra di Mezzo non ci ha mai dato nulla, le nostre stesse razze ci scacciano!”
“Non m’interessa, io andrò con loro!”
Edorel parlò per ripicca nei confronti di quelle frasi sciocche e infondate, non capacitandosi di come si potesse arrivare a curarsi così poco della propria terra.
La sua voce venne chiaramente udita dai tre che discutevano. Umyen si voltò a guardarla, cercando di nascondere ai suoi occhi l’espressione di sollievo che gli illuminava il volto: aveva appena ricevuto il permesso di tornare a casa dopo un lungo esilio.
“Se vorrai partire, io verrò con te!”
I due messaggeri sembrarono soddisfatti dell’esito della loro missione, quindi montarono nuovamente in sella, congedandosi così:
“Dunque è deciso. Non possiamo accompagnarvi a Imladris perché dobbiamo ripartire immediatamente e consigliamo a voi di fare altrettanto. Preghiamo i Valar di essere con voi!”
I saluti furono più toccanti del previsto, poiché, nonostante il suo spirito combattivo e la sua incapacità di tenere a freno la lingua, tutti volevano bene a Edorel e la rispettavano. Persino il burbero Dursin insistette per salutare la ragazza in privato nella propria capanna.
“Sai che non mi sono mai piaciuti gli Elfi, ragazzina, ma tu non sei come loro. La prima volta che ti ho vista, mi facevi quasi paura, non riuscivo a guardarti, ma ora so che c’è molto di buono in te. Perciò voglio farti un dono!”
Così dicendo, scostò leggermente il letto, rivelando due assi mobili nel pavimento, posate sopra una piccola botola. Ne trasse una scatola di pietra intagliata e la aprì. Il contenuto emanava un debole bagliore argenteo e si rivelò essere un vero tesoro, che il Nano estrasse con cura e posò sul letto, orgoglioso di mostrarlo a Edorel. Vi erano due splendidi bracciali, adatti a coprire l’intero avambraccio, e una cintura, tutti decorati con figure di draghi. Vi era inoltre una spada a doppio taglio nel suo fodero di pelle, con l’elsa intarsiata e un’iscrizione sulla lama che recitava Ranc en Hiril[2]. Ogni pezzo di quella singolare collezione era stato realizzato in mithril.
“Dursin, non posso accettare un simile dono! Devono valere una fortuna.”
“Potresti barattarci un regno! Li fece un mio antenato per una donna che non li meritò mai. Tu li meriti: sono sicuro che li custodirai e saprai utilizzarli al meglio.”
Edorel abbracciò commossa il Nano e ai suoi ringraziamenti fecero eco dei rochi singhiozzi mascherati da colpi di tosse.
Uscì nel sole ormai alto, Umyen già la aspettava con i cavalli pronti, appesantiti solo da un leggero bagaglio. Edorel ripose con cura la scatola nella propria borsa da viaggio e partì, con un ultimo cenno di saluto a colui che le aveva donato un simile tesoro.
 
I due viaggiatori si fermarono solo a notte inoltrata per far riposare i cavalli. Guidati dalla vista di Umyen, si accamparono tra le radici di un grande albero, stendendo una coperta sotto di loro. Edorel si sdraiò raggomitolandosi su se stessa, calandosi il cappuccio sulla fronte per proteggersi dal freddo pungente. Sentì che Umyen si era steso accanto a lei, con le braccia incrociate dietro la testa a guardare le stelle, e si strinse a lui sperando di scaldarsi un po’.
“Odio questi tuoi trucchi da Elfo! Come fai a non congelare?”
Borbottò la ragazza battendo i denti. Umyen si voltò verso di lei e la guardò un istante: anche alla debole luce della luna poteva vedere benissimo i suoi occhi scintillare sotto il cappuccio, velati di lacrime per il freddo.
“Cosa pensi che si debba decidere a Imladris? Ci saranno problemi?”
“Non lo so, Edorel, spero di no. Possiamo solo cercare di dare il nostro aiuto!”
“Per questo siamo partiti!”
Dopo qualche istante di silenzio, rotto solo dal debole rumore del vento, Edorel aggiunse:
“So che l’idea di partire è stata mia, ma ora ho paura, Umyen. So che è sciocco, ma non posso evitarlo.”
“Paura di cosa?”
“Che tutto cambi! Ho la sensazione che qualcosa di orribile stia per accadere.”
Umyen non rispose, si voltò semplicemente verso di lei stringendola a sé. Non sopportava il vederla così abbattuta, ma sapeva che ne aveva ogni ragione. Gli Elfi giunti da Imladris avevano menzionato con attenzione un grande pericolo incombente sulla Terra di Mezzo e Umyen temeva si trattasse dell’Unico: aveva avuto notizie ed echi di ombre a Est, una nuova potenza stava risorgendo a Mordor. Si stava avvicinando il momento per un’altra battaglia, la più temibile di tutte, le cui conseguenze sarebbero state drammatiche, soprattutto per Edorel.
La guardò tremare stretta a sé e le posò una mano sul fianco, come a volerla proteggere e tenere con sé, come aveva fatto fino a quel momento.
Sin dal primo istante in cui l’aveva guardata, era stato certo che non avrebbe amato nessuna creatura quanto lei. Mantenere il segreto sulle sue origini per tutto quel tempo era stato difficile, ma Umyen sapeva di proteggerla più con le menzogne che con una verità terribile da affrontare.
“Non pensare a questo, ora. Raggiungeremo Imladris tra alcuni giorni e lì sapremo cosa sta succedendo!”
Le diede un bacio sulla fronte e, qualche minuto dopo, il respiro della ragazza si era fatto più profondo e regolare. Umyen si voltò nuovamente verso le stelle, sperando di trovare in loro la risposta alle domande che affollavano la sua mente.
 
*
 
“Il guado del Bruìnen! Ci siamo.”
L’entusiasmo di Umyen contagiò anche Edorel, che gli sorrise raggiante, nonostante accusasse la stanchezza della cavalcata. Si erano riposati solo lo stretto necessario, per poter giungere a Imladris in appena cinque giorni.
Il fiume scorreva placido e trasparente, e i due vi spronarono i cavalli con impazienza. Gli zoccoli innalzavano spruzzi e sollevavano la fine sabbia del basso fondale, ma tra acqua e sassi Edorel scorse qualcosa che luccicava ai raggi del sole alto nel cielo. Arrestò il cavallo e smontò agilmente, incurante dei richiami di Umyen che già era giunto sull’altra sponda. Tuffò entrambe le braccia nell’acqua e ne estrasse un guanto di metallo. Era grigio e freddo, non solo per la permanenza in acqua, come se esalasse esso stesso un refolo di malvagità.
Edorel fissava quell’oggetto, inspiegabilmente affascinata.
“Cosa stai facendo? Sire Elrond ormai saprà che siamo qui, ci staranno aspettando tutti a Imladris!”
La voce di Umyen spezzò l’incantesimo che la teneva avvinta a quell’oggetto. Edorel lasciò andare in fretta il guanto, che tornò al suo posto volteggiando pesantemente nell’acqua, e si affrettò a risalire in sella, precedendo l’Elfo nel bosco per evitare di doversi confrontare con il suo sguardo.
Cavalcarono per poco tempo prima di giungere in vista delle eleganti mura della città, perfettamente armonizzate con gli alberi circostanti, che protendevano le chiome diradate e ingiallite al vento dell’autunno. Attraversarono il portone aperto e trovarono due Elfi ad attenderli. Li salutarono con un sorriso, ma a Umyen non sfuggirono i lunghi archi e i pugnali che portavano: evidentemente la prudenza e la diffidenza erano arrivate anche alla corte di Elrond, segni tangibili della nuova ascesa del Signore Oscuro.
Edorel si lasciò sfuggire un sospiro di meraviglia: non ricordava di aver mai visto una città elfica in tutto il suo viaggiare, anche se spesso Umyen gliene descriveva molte, ma provava un senso di familiarità per le costruzioni alte, sorrette da colonne affusolate, come se risvegliassero in lei reminiscenze sconosciute.
“Il nostro Sire Elrond vi dà il suo benvenuto a Imladris, stranieri.”
Esordì una delle guardie. Doveva essere il più giovane dei due: stava saldo sui piedi, il mento proteso in avanti nel tentativo di apparire più imponente, il tono di voce cortese ma esageratamente misurato. La ragazza trattenne una risatina, mentre Umyen gli rivolse un cenno di ringraziamento. L’altro Elfo lo guardò per qualche istante, come se cercasse di riportare alla luce immagini di un tempo lontano, poi un fugace sorriso gli illuminò il volto e aggiunse:
Mae govannen[3], Umyen. Molto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti, in un luogo ben lontano da qui.”
Edorel guardò il suo compagno, interdetta: Umyen non le aveva mai parlato di chi era stato prima di lei. Era come se tra loro ci fosse sempre stato il tacito accordo di fingere che per entrambi il tempo fosse iniziato dai loro vagabondaggi. Ma tutto stava cambiando: non erano più soli, o isolati con gli Incantatori, da sempre restii a mescolarsi con gli altri popoli della Terra di Mezzo, si trovavano a Imladris, circondati da Elfi come Umyen.
“Quel momento è ancora vivo nella mia memoria, Lothir gwador nìn[4]. Sono felice di incontrarti di nuovo!”
“Avremmo entrambi preferito altre circostanze, temo, ma non è questo il tempo di parlarne. Questa sera parlerete con Elrond, ora dovete pensare a riposare.”
A quelle parole apparvero altri Elfi, emergendo lentamente da dietro gli alberi vicini. Alcuni presero i cavalli per condurli alle scuderie, altri fecero loro strada verso il palazzo. Lothir rimase al suo posto, gettando appena uno sguardo curioso a Edorel, di cui ignorava ogni cosa.
Percorsero un viale sinuoso e lastricato, che saliva ripido fino alla sommità di una collinetta da cui si dominavano il corso del Bruìnen e tutti i boschi circostanti. Si sentiva il placido mormorare di un ruscello in lontananza, i cinguettii degli uccelli tra gli alberi e il vento tra le foglie: sembrava che nulla potesse turbare la pace di quel luogo, quasi fosse un’isola a sé stante in quel mare in tempesta che era la Terra di Mezzo.
“Ti senti bene?”
Domandò Umyen alla ragazza, sfiorandole una spalla.
“Non potrei sentirmi meglio. Credo che, se solo potessi, rimarrei qui per l’eternità.”
L’Elfo le sorrise, come a volerle dimostrare il suo accordo, ma ben altri pensieri si agitavano dietro il suo sguardo impenetrabile. La regina Galadriel in persona aveva decretato che per Edorel non c’era posto nel mondo degli Elfi, certo Elrond non avrebbe dato parere diverso. Nonostante la ragazza desiderasse rimanere in quel luogo, avrebbe presto scoperto che sarebbe stato impossibile.

 


[1]Popolazione della Terra di Mezzo, frutto della mia mente (malata! :D). Verranno descritti meglio in seguito.
[2]Braccio della Dama
[3]Benvenuto
[4]Amico mio

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


NdA. Eccomi di nuovo, con la continuazione della mia ff... Ringrazio chi legge e segue questa storia, in particolare EdieSedgwick e IamtheRevolution che mi hanno lasciato magnifiche recensioni!
Buona lettura!
:*
C.


Capitolo 4
 
 
La Sala dei Banchettidi Imladris scintillava, illuminata da centinaia di candele che giocavano con le ombre delle colonne affusolate. Le volte dell’alto soffitto in pietra chiara erano decorate con ghirlande di fiori, da cui qualche petalo volteggiava leggero sul lungo tavolo di legno, sontuosamente imbandito. Sotto un arco stavano quattro Elfi, per allietare la cena reale con musiche e canti: le loro dita si muovevano rapide sugli strumenti e le loro voci si armonizzavano alla perfezione, narrando di contrade lontane e di amori struggenti e impossibili.
Pur immerso in quell’atmosfera delicata ed eterea, Frodo contemplava con soddisfazione la ricchezza di vivande davanti a sé: per la prima volta da quando aveva lasciato la casa di Tom Bombadil sentiva che si sarebbe saziato completamente, fatto ben raro per uno Hobbit considerato il suo smodato appetito. Le espressioni raggianti sui volti di Sam, Merry e Pipino gli diedero la netta impressione che stessero pensando lo stesso.
Comodi sui loro scranni – ben rialzati da morbidi cuscini – i quattro si erano appena lanciati sul cibo, quando la porta del salone venne aperta per fare entrare due nuovi ospiti.
Essi colpirono a tal punto Frodo da farlo smettere di mangiare, abbandonando nel piatto la forchetta ancora piena, e spingerlo a fissarli, del tutto incurante delle buone maniere.
Uno era un Elfo, meraviglioso come tutti quelli della sua razza, con lunghi capelli biondo-rossicci sciolti sulle spalle e occhi verdi. Portava pantaloni di pelle marrone, in parte coperti da una leggera tunica verde, stretta in vita da una cintura d’argento da cui pendeva un corto pugnale ricurvo. Era lavorato in un metallo scuro, quasi nero, e Frodo non aveva mai visto un’arma simile, nemmeno a Granburrone, dove le stranezze certo non gli erano mancate.
L’altra creatura era ancor più affascinante ed enigmatica. C’era in lei qualcosa di elfico, nella carnagione diafana e nelle movenze delicate, ma sicuramente non era un’Elfa. Non poteva essere nemmeno una Mezzelfa come i membri della casa di Elrond, poiché non sembrava esservi in lei nulla di umano, nulla di così familiare e rassicurante come in Grampasso. I capelli le ricadevano fin sotto le spalle, morbidamente arricciati come serpenti, ed erano di un color bruno intenso, quasi violaceo. L’ovale del viso era evidenziato da un naso dritto e da due occhi così scuri che pupilla e iride sembravano confondersi. Portava un vestito molto semplice, di velluto grigio come la superficie di una laguna in un mattino di nebbia, ma sembrava maestosa e potente anche in quell’abito.
Elrond si avvicinò immediatamente a loro e scambiò poche parole prima d’indirizzarli ai loro scranni. Non appena si furono seduti, Gandalf gettò un’occhiata al re poi, come se nulla fosse, sorrise ai nuovi venuti e cominciò a ciarlare allegramente.
Il banchetto fu succulento e Frodo conversò tutta la sera con il Nano seduto alla sua destra, il re Gloìn, non senza gettare qualche sguardo alla misteriosa ospite. La vide quasi sempre intenta a discutere con il suo compagno, ma un paio di volte intercettò lo sguardo di Grampasso, anch’esso puntato su di lei con un misto di curiosità e istintivo timore.
Dopo cena, Elrond pregò gli ospiti di trasferirsi nella vicina Sala del Fuocodove i tre Hobbit si sedettero in disparte: Bilbo nella speranza di concentrarsi sui suoi versi, Sam per schiacciare un pisolino, Frodo perché desiderava osservare gli invitati.
“Perdonatemi, posso farvi una domanda?”
La domanda gli fu rivolta a bassa voce, ma al Mezzuomo sembrò che fosse stata gridata in una valle rocciosa e rimandata indietro mille volte dall’eco, tanto era delicata e cristallina. Si voltò e vide la misteriosa ritardataria alla cena del Re sorridergli in un lieve inchino.
“Prego, mia signora, chiedete pure!”
“Siete per caso uno Hobbit?”
“Sì, sì. Siete una dei pochi qui a conoscere noi Hobbit, vedo!”
“Molto tempo fa, il mio compagno ed io ci siamo recati a vedere porti elfici dell’Ovest…”
Spiegò con aria distante, quasi si stesse perdendo in un dolce ricordo, ma si riscosse subito e aggiunse, con un sorriso:
“Abbiamo attraversato la Contea e visto molti Mezzuomini come voi.”
“Vengo proprio dalla Contea, mia signora.”
“Vi prego, non chiamatemi più in quel modo. Il mio nome è Edorel.”
“D’accordo, Edorel. Io sono Frodo Baggins.”
“Lieta di conoscerti, Frodo della Contea.”
“Perdona la mia sfacciataggine, ma vorrei fare una domanda: oltre ad essere stata ai porti dell’Ovest, dove altro hai viaggiato?”
“Ho attraversato quasi tutta la Terra di Mezzo, sono stata molto tempo nelle Terre Selvagge.”
“Sei forse una specie di Ramingo?”
Domandò Frodo con gli occhi sbarrati.
“Certo che no! Sono un’Incantatrice!”
Gli occhi del piccolo Hobbit si spalancarono ancora di più: credeva che gli Incantatori fossero soltanto una leggenda! Il vecchio Gaffiere ne parlava, di tanto in tanto, e tutti lo prendevano per matto. Raccontava di un bizzarro gruppo di creature che infestavano i lontani Erenbrullli e padroneggiavano la Magia al punto da potersi servire a proprio piacimento di qualsiasi cosa avessero attorno.
“Non conosci gli Incantatori?”
“Sì… cioè, ne ho sentito parlare, ma non credevo certo che esistessero davvero!”
“Sono le storie più fantasiose a essere le più vere, molto spesso!”
Frodo ripensò alle recenti vicende in cui si era trovato invischiato e sorrise amaramente alla verità di quelle parole. Moriva dalla curiosità, avrebbe voluto rivolgere ancora mille domande, ma proprio in quel momento, Bilbo s’intromise nella conversazione.
“Incantatrice, avete detto? Ho sempre sognato di conoscere uno di voi, ma non mi era stato possibile fino a ora. So di voi solo ciò che narrano i nostri racconti per spaventare i bambini.”
“Spero di essere meno spaventosa di quel che si crede!”
“Mio nipote Frodo non è certo uno Hobbit galante, mia cara, e deve aver dimenticato di sottolineare quanto poco voi corrispondiate a quelle descrizioni!”
Frodo arrossì fino alla punta delle orecchie, ma Edorel gli strizzò l’occhio e concesse un’elegante riverenza a Bilbo, prima di ribattere:
“La vostra galanteria sembra quasi peggiore della sua, se avete omesso così platealmente di dirmi il vostro nome!”
“Perdonatemi, davvero, ma l’età comincia a giocare brutti scherzi anche a me! Sono Bilbo Baggins, della Contea.”
“Molto lieta di conoscervi, messer Bilbo Baggins. Io sono Edorel.”
“Da dove venite?”
“Dagli Erenbrulli, dove vivono gli Incantatori.”
“Intendevo prima, quando ancora non eravate un’Incantatrice, secoli e secoli fa. Andiamo, si vede subito che non siete umana, dovete avere quasi l’età del Sire Elrond!”
Edorel esitò: nemmeno lei aveva una risposta a quella domanda, nella sua mente c’erano solo paesaggi in continuo movimento, senza sosta e senza radici. Più cercava di andare indietro con il ricordo, più la sua mente si chiudeva e diventava impenetrabile, lasciando di tanto in tanto sfuggire qualche immagine nel sonno, quasi sempre persa al risveglio.
“Ho viaggiato più a lungo di chiunque altro, messer Baggins, per gran parte della mia vita che non avete di molto sbagliato a stimare. La partenza del mio viaggio mi è ignota, così come la destinazione e in questo modo posso concentrarmi molto di più sul percorso.”
Bilbo meditò qualche istante poi esclamò con un sorriso ispirato:
“Avete ragione, siete un genio! Mi permettete di utilizzare questa frase per il mio libro?”
“State scrivendo un libro?”
Bilbo si lanciò nel suo racconto e Frodo sospirò: suo zio aveva la capacità d’emozionarsi come un bambino ogni volta che raccontava le sue avventure e in quell’occasione sembrava aver trovato un’ascoltatrice particolarmente interessata. Sarebbe stato un resoconto lungo e dettagliatissimo. Il giovane Hobbit chiuse gli occhi e in men che non si dica si ritrovò a far compagnia a Sam nel mondo dei sogni.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


NdA:
Buon pomeriggio!! :) tra sole e libri, eccomi di nuovo qui a postare... Finalmente il Consiglio di Elrond, chissà cos'avrà da dire Edorel??
Ringazio, come sempre, chi segue e chi recensisce, soprattutto la "new entry" Anaire_Celebrindal.
Enjoy!
C.


Capitolo 5
 
 
La mattina seguente iniziò nel migliore dei modi, con un sole tiepido e senza vento, ben più simile all’estate ormai trascorsa che all’autunno sempre più avanzato. Umyen aveva passeggiato per tutta la notte lungo i sentieri della città, assecondando i pensieri che vagavano senza sosta nella sua mente.
La sera precedente aveva avuto modo di parlare con Sire Elrond in privato ed era stato interrogato a lungo su Edorel. Il signore di Imladris conosceva bene le sue origini, così come Mithrandir, ed entrambi erano ansiosi di essere messi a conoscenza di quanto accaduto in seguito. Condensare in poche ore di parole più di cinquemila anni di vita era stato difficile, ma aveva aiutato Umyen a vedere più chiaramente. Non era più il tempo delle continue peregrinazioni: Sauron stava tornando a essere una minaccia, anche se lo si era creduto distrutto per sempre, e ciò metteva Edorel in grande pericolo. Una volta assistito a questo Consiglio, qualunque decisione si fosse presa, Umyen la avrebbe portata al sicuro, al Valinor. La aveva protetta per tutta la vita, la amava e non avrebbe rischiato di perderla: avrebbe ignorato qualsiasi ordine pur di nasconderla su una nave e portarla via, lasciando per sempre la Terra di Mezzo.
Dirigendosi verso il luogo della riunione, Umyen sorrise al vedere le foglie ingiallite coperte di fresca rugiada: entro quella sera, sarebbe stato di nuovo in viaggio con Edorel, finalmente diretto a Casa. Quel proposito lo riempì di gioia. Non la misurata felicità tipica della sua razza, un’allegria più profonda e impulsiva, proprio come quella della piccola Edorel, quando ancora amava fare ghirlande di fiori e cantare, sotto il suo sguardo vigile e dolce. Lo colse all’improvviso un’irrefrenabile voglia di canticchiare.
Se ti chiedessi di mostrarmi il sole…
Prenderei uno specchio e ti farei guardare!
Edorel lo aveva visto arrivare ed era corsa fuori dal palazzo per salutarlo. Quante volte le aveva cantato quella canzone, per farla addormentare quando era piccola? Ricordava quel misto di paura ed eccitazione ogni volta che arrivavano in un posto nuovo. La stessa scena si ripeteva pressoché identica moltissime volte: Edorel pestava i piedi perché non voleva dormire, Umyen le prometteva di cantarle una canzone. E così faceva, accompagnando pian piano la bimba nel mondo dei sogni.
“Era troppo tempo che non ti sentivo cantare.”
Disse Edorel e Umyen le rispose con un sorriso. Si avviarono insieme verso l’ampia terrazza in cui si sarebbe svolto il Consiglio. Presero posto sugli scranni a loro destinati, dopo un inchino di rito a Sire Elrond.
Edorel si mise a osservare con attenzione tutti i presenti, che man mano si accomodavano sugli alti sedili di legno disposti in cerchio. Umyen, sussurrando, le indicava i principali attori di quel dramma che stava per avere inizio davanti ai loro occhi.
“Quelli sono Gloìn e Gimli, con alcuni altri Nani. Non ce ne sono più molti, dopo che i loro Anelli sono andati dispersi.”
“I loro Anelli? Parli degli Anelli del Potere? Credevo che fosse una specie di favola che avevi inventato per me!”
“Vorrei che lo fosse, ma si tratta di storia, remota e sanguinosa, ma ancora pericolosa per noi. Poi, accanto ai Nani, siede il principe Legolas di Bosco Atro, il figlio di re Thranduil. Non conosco gli altri Elfi presenti, ma di lui so che è un guerriero valoroso e leale. Poi c’è Mithrandir, lo stregone, che ha parlato con noi ieri.”
“Chi sono gli uomini?”
“Un Ramingo amico di Mithrandir, non conosco il suo nome ma tutti lo chiamano Grampasso. L’altro porta le armi di Gondor, ma di più non so dirti.”
I presenti rimanevano per lo più silenziosi, guardandosi attorno nervosamente o contemplando con finto interesse le venature del pavimento in pietra. Solo Gandalf parlava a bassa voce con il Ramingo ed entrambi sembravano piuttosto alterati. Erano poco distanti da lei, e la ragazza carpì qualche brandello sussurrato.
“Non essere sciocco, dì la verità!”
“La verità è quella che vedi, non c’è altro in me.”
“Sei cocciuto come un bambino, perché continuare a fuggire?”
In quel momento, l’arrivo di Frodo e Bilbo interruppe la discussione tra i due. Elrond si guardò intorno per qualche istante, attendendo il silenzio, quindi si sedette ad ascoltare la voce del consiglio.
Molti presero la parola, aggiungendo ciascuno una tessera a un mosaico che si andava componendo davanti ai loro occhi, cupo e minaccioso. Il ritrovamento dell’Unico, la caduta della guarnigione di Osgiliath, il tradimento di Saruman, la fuga di Gollum. Ogni avvenimento sembrava accrescere le speranze di vittoria di Sauron.
“La nostra unica possibilità è di distruggere l’Anello.”
Queste le gravi parole di Elrond, accolte da un mormorio indistinto. Gimli il Nano si alzò e, brandita l’ascia, sferrò un poderoso colpo contro il cerchietto di metallo, posato su un ceppo di pietra al centro dell’assemblea. Il contraccolpo lo scaraventò contro il suo scranno, assieme ai frammenti della lama dell’ascia.
“Non possiamo distruggerlo qui, Gimli figlio di Gloìn. Dev’essere portato a Mordor e gettato nelle fiame dell’Orodruin in cui è stato forgiato.”
La discussione si animò. Perché non usare il potere dell’Unico contro il suo stesso creatore? Perché non tenerlo nascosto a Granburrone o portarlo al di là del mare? Chi mai avrebbe potuto portarlo?
Una domanda si levò improvvisamente sopra le altre:
“Se distruggiamo l’Anello, chi sconfiggerà Sauron? Che ne è della stirpe di Isildur?”
Legolas fece per intervenire, ma fu preceduto dal Ramingo che disse, quasi con rabbia:
“Quella stirpe è distrutta, non è a lei che si può richiedere salvezza!”
Il vociare ricominciò, più acceso e sconnesso di prima.
“Porterò io l’Anello a Mordor.”
Esclamò gravemente Frodo, sovrastando con la sua voce di Hobbit la confusione del Consiglio. Poi aggiunse, quasi imbarazzato:
“Tuttavia, non conosco la strada. Mi serve una guida.”
“Ti serve ben più di questo, Frodo. Ti servono diversi compagni, volontari ad accompagnarti e sostenerti nel portare questo fardello.”
Rispose Elrond, facendo cenno a tutti di sedersi nuovamente ai propri posti. Gandalf rimase in piedi e disse:
“Ho già fallito nell’accompagnarti in questa prima parte di viaggio. Sarò con te per quanto ne resta!”
Un gran sollievo conquistò Frodo: era certo che il viaggio, per quanto tremendo, sarebbe certo stato più agevole e sicuro con Gandalf al suo fianco. La sua gioia crebbe ancor di più al vedere Grampasso alzarsi e avvicinarsi a lui, posandogli semplicemente una mano sulla spalla.
Dopo di lui, si unirono al gruppo, il Nano Gimli e l’Elfo Legolas.
“Se questa è la decisione del Consiglio, Gondor la seguirà. Ma è una follia sprecare questo dono e spero che il Portatore dell’Anello se ne renda conto!”
Così anche l’altro uomo, Boromir di Gondor, figlio del Sovrintendente, si unì alla Compagnia sotto gli sguardi di Gandalf e Aragorn, l’uno impercettibilmente preoccupato, l’altro apertamente diffidente.
Dall’inizio di quella disputa, Edorel era rimasta silenziosa e composta sul suo scranno, riflettendo. Ogni parola pronunciata quel giorno aveva avuto un enorme effetto su di lei: si era resa davvero conto, per la prima volta, che il suo continuo viaggiare la aveva, sì, tenuta lontana dai pericoli ma le aveva anche impedito di fare qualcosa per la sua Terra. Per tremilacinquecento anni era stata lontana dal Male e dalle sue opere, grazie a Umyen, ma in quel momento sentiva di non potersi più nascondere dietro la sua protezione. Doveva mettere anche le proprie capacità al servizio di quella missione.
“Io accompagnerò Frodo, in rappresentanza degli Incantatori.”
La sua voce giunse limpida e chiara. Frodo le sorrise, sempre più fermo nella decisione d’intraprendere quel terribile viaggio. Elrond e Gandalf si scambiarono un brevissimo sguardo di preoccupazione, poi entrambi guardarono a Umyen, che pareva sbigottito quanto loro, nonostante cercasse di nasconderlo. La ragazza fece per avvicinarsi a Frodo, quando il Ramingo avanzò verso di lei sguainando la spada e le domandò, con una vaga aria di sfida:
“Siete certa che sia saggio? Dopotutto, la missione che dobbiamo intraprendere è piuttosto rischiosa, potreste esserci solo d’impaccio.”
Edorel avvampò e si alzò di scatto, lasciando scivolare a terra il mantello. Sguainò a sua volta la spada di mithril, ma non la mosse. Chiuse semplicemente gli occhi e sussurrò qualche parola a mezza voce.
Subito, i tranquilli rami d’edera che si arrampicavano lungo le pareti della terrazza parvero destarsi e strisciarono verso di lei. A un suo gesto, i rami e le foglie si tramutarono in fiamme e si attorcigliarono tra loro come serpenti, formando un anello di fuoco sul pavimento intorno ai piedi dell’uomo, da cui si levavano alti guizzi che lambivano la lama della sua spada. Non appena Edorel riaprì gli occhi, le fiamme si ritrassero, tornando rami che dondolavano placidi nella brezza mattutina.
“Come vedete, posso essere utile alla Compagnia. Anche senza usare una spada.”
L’uomo non replicò, si limitò ad alzare le braccia in segno di resa con un sorriso appena accennato. Edorel raccolse il mantello, lo indossò nuovamente e si unì al piccolo gruppo intorno a Frodo. Un brusio di foglie spostate rivelò la presenza di Sam, che saltò fuori da un basso cespuglio, strillando:
“Padron Frodo non andrà da nessuna parte senza di me!”
Prima che Elrond avesse avuto tempo di dir nulla, anche Pipino e Merry erano sgattaiolati fuori dal nascondiglio da cui avevano origliato l’intero Consiglio, dicendosi ben decisi a partire con gli altri Hobbit.
“E sia. Sarete voi, i dieci membri della Compagnia dell’Anello a dover portare a termine la missione da cui dipenderanno le sorti della Terra di Mezzo.”
Nonostante la gravità delle parole del Sire, tra i compagni c’erano sorrisi di speranza e orgoglio.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


NdA:
Buon lunedì!!
Scusate il ritardo, ma sono stata assolutamente sommersa di cose da fare.. -.-'' comunque, alla fine, eccoci di nuovo qui. Avviso che il capitolo è un po' "di collegamento" (quindi non aspettatevi troppa azione xD) ma era necessario per chiarire un po' meglio le relazioni tra i personaggi e dare un po' di suspence prima della partenza!
Buona lettura
:*
C.



Capitolo 6
 
 
Dieci giorni erano ormai passati dal Consiglio e si avvicinava la data della partenza, prevista per il mese di novembre.
Quella mattina, al suo risveglio, Edorel percepì qualcosa di strano: non era stata destata dai delicati raggi del sole che filtravano dalle tende della sua stanza. Spalancò la finestra e fu investita da un soffio di aria fredda e umida. Per la prima volta da quando era giunta a Imladris il cielo era coperto di nubi da cui gocciolava una spessa pioggia. La città di Elrond sembrava ancora più misteriosa: i tetti degli edifici più alti erano avvolti dalle nuvole, che ne rendevano sfocati e appena percettibili i contorni, il giallo degli alberi risaltava ancor di più in tutto quel grigiore, al punto che le fronde sembravano piccoli cristalli di topazio, incastonati in una spessa piastra di ferro.
Qualcuno bussò alla porta e, dalla scarsa delicatezza, la ragazza intuì che si trattasse degli Hobbit. Trascorreva molto tempo con loro dal giorno in cui si era costituita la Compagnia e riuscivano continuamente a sorprenderla. Per tutta la sua vita aveva conosciuto moltissimi luoghi, ma poche persone, poche creature viventi oltre a Umyen e agli Incantatori. In quel momento, invece, cominciava a provare il piacere di condividere con altri le proprie giornate.
I colpi sulla porta si ripeterono, più forti.
“Un momento!”
La ragazza si cambiò rapidamente e si legò i capelli in una bassa crocchia sulla nuca. Si sciacquò il viso, cercando di lavare via i segni di una notte tormentata da incubi, quindi aprì.
“Buongiorno, Edorel! Che freddo qui dentro, ti prenderai un malanno!”
Merry si era lanciato nella stanza, precipitandosi a chiudere la finestra senza smettere di ciarlare allegramente. Dietro di lui veniva Pipino, mangiucchiando qualcosa come al solito. Poi Sam e Frodo, quest’ultimo con il volto tirato e due leggere occhiaie.
“Merry, stai tranquillo, nessuno si è mai ammalato per un po’ d’aria fresca! Avete già fatto colazione?”
Il viso di Sam divenne una maschera di meraviglia e il Mezzuomo rispose:
“Ma certo! Una prima, abbondante colazione. Ma siamo venuti qui appunto per farti compagnia.”
“Favorendo nuovamente della buona tavola del sire Elrond, immagino!”
Pipino le strizzò l’occhio in risposta, mettendo in bocca l’ultimo pezzo di un pane al miele e leccandosi allegramente le dita. Edorel alzò gli occhi al cielo, divertita: erano davvero senza fondo, pur essendo così piccoli!
I cinque si avviarono verso la Sala da Pranzo loro riservata, una stanza piccola e accogliente, che pareva traboccare di graziosi mobili in legno pieni di raffinata argenteria, e la trovarono stranamente affollata. A un capo del corto tavolo, Gimli beveva da un grande boccale parlottando con Boromir, mentre al lato opposto sedeva il Ramingo di fronte a una meravigliosa Elfa.
“Quella è Arwen, la figlia del Sire Elrond!”
Sussurrò Merry e Pipino gli fece eco aggiungendo:
“È seduta lì con Grampasso, in silenzio, da questa mattina!”
Edorel osservò per un istante i due, immobili come statue di granito, e incrociò per caso lo sguardo di Dama Arwen Undòmiel, che la apostrofò aspramente:
“Desiderate forse qualcosa da me, Incantatrice?”
“No, Signora, mi stavo solo guardando intorno.”
“Bene, allora cercate di guardare lontano da me, d’ora in avanti. È già un privilegio per voi essere stata accolta qui, non abusate della mia bontà!”
“Veramente, Signora, credo che sia la bontà di vostro padre Elrond di cui non dovrei abusare. E mi pare di non dargli motivo di biasimo!”
Rispose Edorel con voce sarcastica, ostentando un inchino. L’altra si alzò di scatto e si portò di fronte a lei, gridando:
“Non avete idea di ciò che dite! Dovreste ringraziare solo l’animo degli Elfi se siete ancora viva, ricordatelo! E non rivolgetevi mai più a me con simili parole! ”
Così dicendo, se ne andò a grandi passi dalla stanza, il viso leggermente sollevato e il passo impettito, seguita dal Ramingo, che lanciò a Edorel uno sguardo di scuse prima di sparire dietro all’Elfa. Tutti stavano in silenzio, imbarazzati.
“Magari ha smesso di piovere, cosa ne dite di uscire in terrazza? Ho voglia di erba pipa!”
Edorel ringraziò la prontezza di spirito di Pipino nello sciogliere quella situazione. Seguì gli Hobbit fuori dalla stanza, sotto gli sguardi curiosi di Boromir e Gimli che si chiedevano cosa potesse aver scatenato l’ira della Stella del Vespro. Il problema stava nel fatto che Edorel stessa non ne aveva idea, né riusciva a capire il significato delle strane parole dell’Elfa.
La pioggia cadeva ancora copiosa dal cielo, ma quello che era nato come diversivo aveva allettato al punto gli Hobbit che non desideravano null’altro che fumare un po’. I cinque si accomodarono su una terrazza coperta da una tettoia di pietra, su cui la pioggia scrosciante produceva un suono delicato che ricordava a Edorel i ruscelli delle Terre Selvagge, che aveva visitato molto tempo prima con Umyen.
“Mi sono sempre chiesto una cosa, Edorel: cosa sono esattamente gli Incantatori?”
Frodo la guardava curioso, ma la ragazza scorse ben altro nei suoi occhi: stanchezza, tormento, incubi. Il portatore dell’Anello cominciava a rendersi conto del peso della sua missione, prima ancora di averla cominciata. Perciò, Edorel si preparò a raccontare la storia meglio che poteva, nella speranza che le sue parole suonassero meravigliose e piene di speranza, come fiabe, e risollevassero il morale di Frodo.
“Gli Incantatori sono creature che posseggono una grande sensibilità per la magia. Sono Elfi, Uomini, persino qualche Nano.”
“Hobbit?”
“Non ne ho mai visti, ma non escludo che ve ne possano un giorno essere. Non si può imparare a essere un Incantatore, badate bene. Si può imparare a dosare la potenza della magia, a indirizzarla ai propri scopi, ma solo se la si possiede già dentro!”
“Umyen non è un Incantatore?”
“No, non lo è.”
“Perché viveva con gli Incantatori, allora?”
Merry fu zittito da una gomitata di Sam, l’unico dei quattro ad aver intuito che parlare di lui a Edorel non era cosa da fare alla leggera. Perciò, tentò coraggiosamente di sviare la conversazione:
“Ed è vero che tramutate i bambini in rospi?”
“No, Sam, assolutamente no. Non possiamo agire sulle persone, solo sugli elementi. E ciascuno di noi ha un elemento prevalente, che riesce meglio a controllare e che può sperare di padroneggiare completamente con il tempo e l’esercizio.”
“Qual è il tuo?”
“Io sono il fuoco!”
Così dicendo, la ragazza chiuse gli occhi e posò una mano a terra, mormorando “naur[1]. Dalle sue dita scaturirono piccoli rivoli dorati, simili a lava purissima, che colarono sulle lisce pietre della terrazza, raccogliendosi in cinque pozze rotonde. A un suo gesto, dalle pozze salirono fiamme sinuose di forma quasi umana, simili a Elfi danzanti. Salirono volteggiando per qualche metro, sotto gli occhi sbalorditi degli Hobbit, quindi si dissolsero in nuvolette di vapore e sparirono nella pioggia.
Nessuno parlò per qualche istante, poi Frodo ruppe il silenzio:
“Potresti farlo ancora?”
“No, purtroppo. Vedete, padroneggiare la magia richiede concentrazione ed energia: ci sono incantesimi che potrebbero addirittura uccidermi se li usassi impropriamente. Ora sono molto stanca.”
In quel momento, dalla porta alle loro spalle uscì sulla terrazza Umyen, che si annunciò con un sorriso dicendo:
“Stavo proprio cercando te, Edorel!”
“Edorel è molto stanca per un incantesimo, è meglio se la lasciate riposare!”
Sam saltò subito su in difesa della ragazza, che gli sorrise e aggiunse:
“Puoi rimanere con noi se vuoi, Umyen. Ho voluto mostrare loro cosa sono in grado di fare, ma devo aver esagerato un po’.”
L’Elfo le si sedette accanto e passò lentamente le dita sulle sue guance pallide.
“Cosa ti preoccupa?”
“Che vuoi dire?”
“Un semplice incantesimo non avrebbe dovuto stancarti tanto, deve esserci dell’altro.”
“Ombre. Popolano i miei sogni, come mai prima d’ora.”
Pronunciò queste parole con gli occhi chiusi e la fronte posata sulla spalla di Umyen, che disse quindi agli Hobbit:
“Perdonateci, ma sarebbe meglio se Edorel riposasse un po’ ora. La accompagno nella sua stanza.”
Sorresse delicatamente la ragazza, che allungò una carezza al viso corrucciato di Pipino, come a dirgli di non preoccuparsi, e la riaccompagnò dentro.
Poco dopo, seduta sul letto e avvolta in una coperta, Edorel sorseggiava un infuso caldo. Umyen era seduto accanto a lei e leggeva. O meglio, fingeva di leggere: i suoi sensi erano all’erta poiché coglieva una strana inquietudine nell’aria, come se la ragazza fosse sul punto di dirgli qualcosa ma si trattenesse. All’ennesimo, debole sospiro, posò il libro e le si rivolse, domandando:
“Qualcosa non va?”
Edorel lasciò la coppa ormai vuota e si raggomitolò accanto a lui, posandogli la testa sul petto.
“Vorrei chiederti tante cose, Umyen, ma in qualche modo so che non potresti rispondermi. Ma nemmeno posso semplicemente ignorare i miei dubbi.”
“Dubbi?”
“Oggi ho incontrato, se così posso dire, Dama Arwen. Mi ha accusata di essere viva solo grazie alla benevolenza degli Elfi, ma di non meritarlo affatto. Come può dire una cosa del genere, non mi conosce!”
Umyen, preso alla sprovvista, rimase in silenzio: Arwen sapeva, forse? E quanti altri?
“Elrond e Gandalf ti hanno guardato quando ho detto che sarei partita con la Compagnia. Credevi che non me ne fossi accorta?”
Altra pausa di ostinato silenzio. Stizzita, Edorel continuò:
“L’Elfo che abbiamo incontrato quando siamo arrivati ti conosceva, ha detto di averti visto l’ultima volta in un altro luogo, mentre tu non mi hai mai parlato di chi fossi prima di me, è come se la tua vita fosse iniziata quando abbiamo iniziato a viaggiare!”
“Tu ricordi chi eri prima che cominciassimo a viaggiare?”
“Vagamente, vedo soltanto immagini sconnesse, brandelli di sogni e tu lo sai. Ero solo una bambina, per questo devo farmi delle domande! Mi sento come se tutti sapessero di me qualcosa che io invece ignoro!”
“Ti prometto che ci sarà un momento in cui saprai tutto, Edorel. Magari non da me, magari non nel modo che vorresti, ma conoscerai la verità.”
“Umyen, mi fido di te, ma non so se voglio aspettare. Ho diritto di sapere!”
“Lo so, ma non spetta a me dirti nulla. Ti assicuro, però, che qualsiasi cosa succeda tu mi ritroverai alla fine di questa missione. Io ci sarò sempre.”
La ragazza sospirò, non del tutto soddisfatta, ma gli sorrise, cingendogli la vita con le braccia. Nonostante tutto, desiderava ardentemente di non doversene andare.

 


[1]Fuoco

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


NdA:
Bonsoir!! :)
Finalmente un po' di azione...non vi rubo più tempo e aspetto di sapere cosa ne pensate! *trattiene il fiato*
Buona lettura..
C.


Capitolo 7
 
 
Gandalf camminava pensieroso avanti e indietro lungo l’ampio balcone, con Elrond che gli faceva da contraltare stando perfettamente immobile, lo sguardo fisso all’Est che si rabbuiava ogni minuto di più. Il tramonto stava per segnare la fine di quel giorno, l’ultimo della Compagnia a Imladris. La mattina seguente, all’alba, avrebbero varcato le porte del regno di Elrond, con pochissime speranze di farvi ritorno vivi, ancora meno vittoriosi.
“Qualcosa ti preoccupa, Mithrandir?”
“La stessa cosa che preoccupa anche te. Il tradimento di Saruman giunge in un momento peggiore del previsto, spero soltanto che la Breccia di Rohan sia ancora aperta.”
La porta della stanza cigolò sommessamente, annunciando l’inatteso arrivo di Umyen, che s’inchinò rapidamente a Elrond prima di parlare.
“Mio signore, Edorel vuole partecipare alla missione della Compagnia, a qualunque costo. Ho tentato, ma non riuscirò a convincerla a rinunciare.”
Elrond gli fece un cenno, come a dispensarlo da future scuse, e si rivolse a Gandalf:
“Cosa dobbiamo fare?”
“Mi sembra chiaro, dobbiamo permettere a Edorel di venire con noi.”
“Ma Mithrandir, la missione sarà pericolosa!”
Umyen non poté trattenersi, nemmeno in presenza del Sire di Imladris. Avrebbero davvero concesso a Edorel di partire per Mordor? Se anche fosse sopravvissuta alle insidie del viaggio, la verità che inevitabilmente avrebbe scoperto la avrebbe annientata.
“Lo sarà per tutti noi in eguale misura, Umyen, non c’è ragione di preoccuparsi!”
“Invece c’è! Come potete ignorare la realtà, tutti quanti! Cosa succederà quando scoprirà la verità su Sauron?”
“Potrebbe non scoprire nulla, questa è la mia speranza e m’impegnerò perché rimanga sempre all’oscuro di tutto!”
“Nessuno può garantire questo, nemmeno il potente Mithrandir! Già troppi sembrano conoscere l‘identità di Edorel, non voglio che corra il rischio di scoprire qualcosa durante il viaggio.”
“Spero che tu non voglia accusare me o la tua regina di leggerezza.”
Intervenne Elrond, guardandolo con disapprovazione. L’altro Elfo chinò rispettosamente il capo, ma non risparmiò di far conoscere il suo pensiero:
“Dama Arwen ha apostrofato Edorel in merito, suscitando in lei molti dubbi. Chi altro sa?”
“Nessuno, Umyen, non temere. E coloro che sanno non parleranno mai, puoi esserne certo.”
Gandalf intervenne, posando una mano sulla spalla dell’Elfo, quindi aggiunse:
“Edorel è più forte di quanto tu creda, l’ho visto nei suoi occhi! Penso che potrebbe reagire meglio di quanto ci aspettiamo alla notizia. E ha scelto il bene.”
“Non si può voltare le spalle al proprio sangue!”
Così dicendo, Umyen uscì, furibondo. Gandalf rimase perfettamente tranquillo e accese la sua pipa, aspirando con un mezzo sorriso ampie boccate di fumo.
“Cosa dobbiamo fare con lui?”
“Assolutamente nulla, Elrond. È chiaro che non è la propria missione a fargli desiderare così ardentemente di restare con lei. Sarà la ragazza stessa a convincerlo a lasciarla andare.”
“E pensi che dovremmo lasciarla andare così verso Mordor? Forse ha ragione lui! Hai visto cosa sa fare, non puoi negare che ha già più poteri di quanto pensassimo. Se conoscesse la verità, cosa ti fa credere che non cederebbe al Male?”
“L’ho osservata in questi giorni. Se solo ti fossi dato anche tu la pena di spendere qualche minuto del tuo prezioso tempo, avresti capito quello che ho capito io. Ha scelto il bene, Elrond, con tutta se stessa ed è qui solo per aiutare Frodo. Dovresti vedere quand’è con gli Hobbit, la adorano e sai bene che sono creature estremamente restie nel concedere fiducia a uno sconosciuto, soprattutto a qualcuno della Gente Alta.”
“Non sono ancora convinto, ma mi fido di te. Cerca di tenerla d’occhio.”
“Sono sicuro che sarà lei a tenere d’occhio tutti noi.”
 

*

 
Nel frattempo, del tutto ignara di quanto si stesse dibattendo sul suo conto, Edorel era seduta in un padiglione da ore, con la testa appoggiata a una colonna. Si era calata il cappuccio sugli occhi, come se quel semplice e banale gesto potesse nasconderla all’indagatore sguardo del mondo.
Sarebbe partita per Mordor l’indomani: non poteva che immaginare i pericoli che avrebbero corso e sentiva che in qualche modo questo era un bene. Le era capitato al massimo di dover uccidere qualche cervo e qualche lupo selvatico, per difendersi durante i suoi viaggi, al resto aveva sempre pensato Umyen.
Inaspettatamente, provò un moto di rabbia nei suoi confronti: perché aveva sempre cercato di proteggerla, da tutto e da tutti? Chi era? In fondo, non le aveva mai chiaramente raccontato nulla della loro identità, tranne che era più sicuro viaggiare. Sicuro per lui? O per lei?
“Tra qualche settimana gli alberi saranno completamente spogli. Sarà uno spettacolo molto triste, per fortuna non lo vedremo.”
Sentì la voce di Grampasso, da qualche parte sotto di lei. Si sporse leggermente e vide che era con Boromir.
“Non m’importa nulla di piante, Ramingo! Voglio sapere quali sono le tue intenzioni.”
“Le mie intenzioni? Accompagnare Frodo a Mordor e distruggere l’Anello.”
“Dopo aver aiutato il Mezzuomo a rischio della vita, per non parlare della possibilità di far arrivare l’Unico direttamente tra le mani di Sauron, cosa intendi fare? Tornare a Gondor?”
“Non è Gondor che desidero, non l’ho mai desiderata!”
“Potresti comunque pretenderla quando più ti aggrada! Dopo che la tua stessa stirpe ci ha gettati nella situazione in cui ci troviamo!”
“Perciò l’ultima cosa che voglio è reclamare il trono! A meno che le circostanze non consentano altrimenti.”
“Certo, sempre meglio tenersi aperta una possibilità di soddisfare il tuo desiderio di gloria! Avresti fatto meglio a restare con i Raminghi, Aragorn, o qui: fregiati pure del tuo titolo di Amico degli Elfi, perché certo non sei amico degli Uomini.”
Così dicendo Boromir se ne andò, infuriato. Edorel si ritrasse, temendo di essere vista. Non era un Ramingo, dunque, quello era Aragorn, erede di Isildur. Era stato un Ramingo tutta la sua vita, aveva parlato contro la sua stessa stirpe durante il Consiglio, tutto per non doversi confrontare con il peso della sua nascita. Inspiegabilmente, gli occhi della ragazza si velarono di lacrime, come se riuscisse esattamente a capire il tormento che quel peso doveva provocare nel cuore dell’uomo.
“Sei qui da molto?”
La voce di Aragorn la fece sussultare. Si asciugò velocemente il viso e rispose, schiarendosi la voce:
“Da un po’, veramente.”
“Cos’hai sentito?”
“Non intendo intromettermi. Non dirò nulla di quello che ho sentito.”
“Perché lo fai?”
“Perché faccio cosa?”
“Seguire la Compagnia.”
Edorel si voltò a guardarlo, cercando di capire le ragioni di quella domanda. Era appoggiato con la spalla a una delle colonne del padiglione e dava la stessa impressione di solidità e forza. Nonostante fosse vestito con i grezzi abiti dei Raminghi, tutto in lui mostrava un alone di regalità che ne rivelava la vera identità: i lineamenti marcati, la barba e i capelli ben curati, l’espressione. I suoi occhi chiari erano fissi in quelli di Edorel, al punto che lei avrebbe potuto specchiarvisi dentro. Istintivamente, la ragazza capì che poteva fidarsi e gli disse semplicemente la verità:
“Desidero aiutare Frodo. E parlare con Gandalf.”
“Di cosa?”
“Spero di scoprire da lui qualcosa sulle mie origini. Ho provato a chiedere a Umyen, ma ha deciso di non dirmi nulla e non cambierà idea: è dannatamente cocciuto e sembra convinto di aiutarmi tacendo.”
“È davvero interessante, il tuo compagno. Sarei curioso di sapere dove ha preso quel pugnale di Eregion!”
“Eregion?”
“Sì, l’antico regno di Dama Galadriel, dove furono forgiati i tre Anelli degli Elfi.”
“Anelli degli Elfi? Vuoi dire Anelli come quelli dei Nani e degli Uomini?”
“Conosci la storia degli Anelli, ma non l’esistenza degli Anelli elfici né di Eregion? Direi che è piuttosto strano.”
Quelle parole, pronunciate con leggerezza e un sorriso, ebbero l’effetto di far provare a Edorel quel senso di frustrazione che la accompagnava da quando aveva cercato di parlare con Umyen. Tutto ciò che la riguardava appariva strano agli occhi degli altri: sarebbe stata destinata anche lei a capirne prima o poi la ragione?
“Puoi raccontarmi di Eregion?”
“Faresti davvero meglio a parlare con Gandalf, potrà dirti quello che vuoi sapere, ma attenta: non menzionare mai Eregion qui a Imladris. Gli Elfi non amano ricordare quella parte della loro storia, l’unica in cui il loro potere e la loro integrità sembrarono vacillare.”
“Questo è ciò che pensa l’erede di Isildur?”
L’arrivo di Umyen obbligò Edorel a staccarsi da quegli occhi color del cielo e a voltarsi verso di lui con un sorriso. Il viso dell’Elfo, tuttavia, era deformato da una glaciale rabbia.
“Rispondetemi, è questo che pensate?”
“Io non nascondo le debolezze della mia stirpe, che furono molte. Perché gli Elfi non dovrebbero fare altrettanto?”
“Non fu debolezza degli Elfi!”
“Furono i fabbri di Eregion a forgiare i primi Anelli, cedendo alle lusinghe di Sauron! Ma non devo certo essere io a dirvelo, visto che è proprio da lì che provenite e dovete aver vissuto in prima persona quanto sto narrando.”
Umyen, impassibile, fece per mettere mano al pugnale, ma Edorel lo bloccò sbalordita, domandando:
“Sei impazzito?”
“Non sopporto che sia proprio lui a giudicare! Non ha idea dei sacrifici che io ho…”
Si bloccò all’improvviso, come un burattino a cui vengano di colpo recisi tutti i fili che ne guidano i movimenti: lasciò scivolare la mano dall’elsa e si appoggiò stancamente alla balaustra davanti a sé, lasciando vagare lo sguardo e la mente oltre l’orizzonte sempre più buio.
“Umyen, ti prego, dimmi cosa ti succede.”
“Sai bene che non posso.”
“Non sai dirmi altro?”
“Quel poco che ti ho detto ti è bastato per più di cinquemila anni. Se ora non ti è sufficiente, è perché Imladris ti sta cambiando, più di quanto non credessi.”
“Certo, mi sta cambiando! Ho scoperto cose che nemmeno immaginavo, sono decisa a scoprire la verità ad ogni costo e non so se tornerò dal viaggio che ho scelto d’intraprendere. Credi che possa rimanere indifferente a tutto questo?”
“È stata una tua scelta.”
Il gelo che traspariva da quelle parole colpì Edorel più dello schiaffo di Arwen. Stava per rispondere, ma fu preceduta. Aragorn si parò tra lei e Umyen, sospingendola delicatamente indietro con un braccio, per poi rivolgersi all’Elfo:
“Sei adirato per le mie parole, non con lei!”
Umyen gli lanciò uno sguardo di malcelato livore, poi lo spinse via bruscamente per portarsi davanti a Edorel, che gli disse:
“Questo è tutto ciò che mi sai dire? Sei la sola persona che mi sia sempre stata accanto. Sei stato un padre, un fratello, un amico, sei stato tutto. Cosa ti ho fatto perché mi parli così?”
L’Elfo la guardò qualche istante, negli occhi una scintilla di disperato desiderio. Avrebbe dato qualsiasi cosa per impedirle di partire, avrebbe rischiato di spezzarle il cuore pur di farla rimanere. La spinse contro la colonna, tenendole la gola con una mano e affondando le labbra in quelle di Edorel. Si ritrasse rapidamente, come se avesse paura di non riuscire a staccarsene più, e si allontanò in fretta, lasciandosi dietro poche parole:
“Hai scelto di lasciarmi.”
Edorel rimase a guardare la sua sagoma che si allontanava, senza realmente vederla, senza percepire nulla di quanto aveva intorno, quasi fosse immersa in un’acqua densa e gelida. La riportò alla realtà una mano calda, che si posò delicatamente sulla sua spalla, seguita da una domanda:
“Stai bene?”
Edorel annuì accennando un sorriso, poi corse via a sua volta. In quel momento gli ultimi raggi del sole sparirono dietro all’orizzonte e l’oscurità sembrò fare un balzo in avanti, inghiottendo lentamente ogni cosa attorno alla ragazza, che corse ancora più veloce verso il palazzo, vedendo – o credendo di vedere – occhi verdi e azzurri che scrutavano i suoi passi dalle ombre.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


NdA:
Ciaoooo!!
Nuovo capitolo, fresco fresco per voi... Finalmente la Compagnia parte!!! *squilli di tromba e rullo di tamburi* La nostra povera Edorel si ritroverà tutta sola soletta, senza il suo Umyen: se la caverà? ;)
Un grazie di cuore a chi recensisce, segue o semplicemente passa a dare un'occhiata a questa ff!
Besos
C.


Capitolo 8
 
 
Un sole roseo si faceva lentamente strada attraverso il cielo terso quando la Compagnia si radunò alle porte di Imladris per iniziare il viaggio. A salutarli, l’intera corte di Elrond: una miriade di Elfi scintillanti nei loro splendidi abiti, ma con i volti incupiti, come di chi si prepara per dare l’estremo saluto a un caro amico.
Di fronte a quella moltitudine di Elfi, con le spalle all’imponente portone spalancato, stavano gli Hobbit, stretti l’uno all’altro nella speranza di darsi coraggio a vicenda per affrontare quel viaggio di cui non volevano nemmeno immaginare i pericoli.
Accanto a loro stavano da un lato Gimli, che appariva più imponente nella sua pesante armatura e brandiva l’ascia, Legolas dall’altro, splendido e quasi abbagliante nella sua giovinezza eterna. I due parevano il simbolo visibile della distanza ostile che si frapponeva da tempo immemore tra Elfi e Nani, che forse quella missione comune avrebbe finalmente annullato.
Boromir si teneva in disparte, cercando di non mostrarsi per nulla impressionato da quella corte di creature eterne, desideroso soltanto di portare pace e benessere alla sua terra, di cui si sentiva l’unico legittimo difensore.
Gandalf stava ritto accanto a Elrond, di fronte alla Compagnia, e scrutava i volti di ognuno. In tutti coglieva coraggio: per alcuni era più manifesto, altri dovevano ancora trovarne la fonte dentro di sé prima di potervi attingere per dimostrarsi degni del compito che avevano assunto.
Dietro agli Hobbit, quasi a voler essere per loro un sostegno da quel momento in avanti, Edorel e Aragorn erano vicini al punto da potersi toccare, ma entrambi si sentivano altrove. La ragazza teneva gli occhi bassi, guardando di tanto in tanto in direzione di Umyen, sperando e temendo d’incontrare il suo sguardo: non l’aveva più visto dalla sera precedente e avrebbe avuto così tante cose da chiedere e da spiegare. Pensò a tutte le parole che avrebbe voluto dirgli, soppesandole attentamente e godendo del loro suono, quindi le ripose accuratamente in un angolo della propria mente, assieme alla speranza di avere in futuro l’occasione di pronunciarle. L’uomo, invece, aveva gli occhi ben fissi davanti a sé tentando di evitare uno sguardo che si sentiva puntato addosso, carico di orgoglio e aspettativa, non privo di preoccupazione per il suo destino. Non le aveva mai chiesto una promessa, eppure l’aveva ricevuta e l’avrebbe portata con sé fino alla fine della missione. La sua determinazione vacillò per un istante soltanto, sufficiente a fargli voltare lo sguardo quel tanto che bastava ad incrociare quello di Arwen e a illudersi che non l’avrebbe dimenticato mai.
“Affidiamo la vostra missione alla protezione dei Valar, che rivolgano ancora lo sguardo su questa Terra e vi concedano di salvarla dalla minaccia di Sauron.”
L’augurio del Sire Elrond rinfrancò i compagni, ma pure ne accentuò le preoccupazioni: se persino il potente custode di Vilya, l’anello d’aria, invocava l’aiuto dei Valar forse la missione che si preparavano a compiere era davvero senza speranza.
Tutti gli Elfi presenti chinarono leggermente il capo in segno di saluto e Gandalf si portò in testa alla Compagnia, al fianco di Frodo, per guidare i suoi passi. Gli altri li seguirono, quasi in fila indiana. Edorel si voltò un’ultima volta e, finalmente, incontrò gli occhi di Umyen.
L’Elfo la guardava allontanarsi da lui per la prima volta: era preoccupato per la sua salvezza, da cui sapeva che sarebbe dipesa la propria felicità, ma allo stesso tempo si sentiva stranamente sollevato di non dover essere responsabile per lei, di non dover portare quel fardello di aspettative almeno per un po’. Edorel non riuscì a leggere nemmeno un accenno di questo su quel viso immortale, sempre imperturbabile come lucente alabastro, e voltò lo sguardo in avanti, verso il viaggio imminente.
 
Le prime miglia percorse dalla compagnia furono veloci e silenziose: nessuno aveva voglia di parlare, persino gli Hobbit camminavano a testa bassa, guardandosi intorno di tanto in tanto con il timore che le forze del male fossero già lanciate all’inseguimento dei loro passi.
Il paesaggio cambiava lentamente man mano che avanzavano.
Si lasciarono dietro le rive del Bruìnen per avanzare verso Sud-Est, lungo le Montagne Nebbiose. Imladris non esercitava più il suo influsso benefico sulla natura, gli alberi si facevano più sempre più radi e il terreno sempre più brullo. A destra si poteva ancora scorgere il luccichio del fiume che proseguiva la sua placida corsa, mentre a sinistra incombevano su di loro i profili dei monti innevati, circondati alle loro pendici da macchie di alberi che sembravano essersi arresi a colonizzare quei fianchi inospitali. Tuttavia, il cammino procedeva tranquillo e nulla incontrarono sul loro tragitto, tranne forse qualche uccello e qualche volpe spaventata.
Fecero una prima sosta quando il sole era alto nel cielo, per mangiare e riposarsi. Nessuno sembrava voler rompere l’irreale silenzio che li avvolgeva, quasi che ciascuno stesse studiando gli altri, come un lupo diffidente, incerto se fidarsi o meno. Improvvisamente, però, Merry urtò Pipino facendogli cadere di mano la pipa, che riversò il suo contenuto ancora fumante sui calzoni dello Hobbit, da cui si levò una fiammella:
“Dannato d’un Brandibuck! Se non fossimo parenti, ti strangolerei proprio qui!”
I saltelli di Pipino e le sue colorite imprecazioni fecero scoppiare una risata generale. Furono proprio come la prima goccia di pioggia, coraggioso esempio per le compagne ancora arroccate tra le nubi, che scatena un acquazzone.
Sam si lanciò in un’appassionata difesa della famiglia Brandibuck – lontani parenti dei Gamgee, ovviamente! – accompagnato dalle precisazioni di Frodo, che riportava le attendibili ricerche di Bilbo.
“Dove avete preso questi meravigliosi oggetti?”
Gimli si era avvicinato a Edorel e osservava quasi con reverenza il debole scintillio del mithril.
“È stato un Nano a donarmeli, il suo nome è Dursin. È un Incantatore, come me.”
“Non sapevo che tra voi vi fossero dei Nani!”
“Ve ne sono molti, invece. I loro simili li guardano con diffidenza, una volta che vengono a conoscenza dei loro poteri, quindi non hanno altra scelta che andarsene. A dire la verità, è proprio così che sono nati gli Incantatori, esuli malvisti dalle loro stesse comunità.”
“E da chi potevate essere malvista, voi? Non sembrate certo pericolosa!”
La domanda di Boromir, abituato a parlare sempre in modo schietto e quasi irriverente, fece calare nuovamente il silenzio: anche se nessuno lo avrebbe ammesso, molti erano piuttosto curiosi di conoscere la storia di Edorel. Prima che la ragazza potesse rispondere, Gandalf intimò brusco:
“Dobbiamo rimetterci in marcia o non raggiungeremo l’Agrifogliere in tempo.”
La Compagnia si mosse e l’interrogativo fu presto dimenticato o accantonato in un angolo della mente dei più curiosi, che si ripromettevano d’indagare in un’altra occasione. Continuò, tuttavia, a vagare prepotentemente nella mente di Edorel: la risposta stava in ciò che Umyen era così restio a dirle, in ciò che anche Gandalf sembrava conoscere.
“Gli domanderai qualcosa?”
Aragorn si era affiancato alla ragazza e le aveva rivolto la parola, continuando però a guardare davanti a sé.
“Vorrei, spero di trovare il momento.”
“E il coraggio, immagino!”
La sfrontatezza di quelle parole infastidì non poco Edorel, che rispose un secco:
“Fa presto a parlare di coraggio chi non crede nemmeno in quello della propria stirpe.”
Uno strano sorriso increspò le labbra dell’uomo.
“Certo non ti mancheranno le parole adatte, Gandalf lo apprezzerà.”
“Sei piuttosto bravo a sviare i discorsi che non vuoi affrontare, ma così facendo non cambierai mai nulla.”
“Cosa ti fa credere che io voglia cambiare qualcosa?”
“Mi hai chiesto perché mi fossi unita alla Compagnia, ti ho risposto ma non ho avuto modo di rivolgerti la stessa domanda. Non che mi servisse chiederlo, perché credo di conoscere già la risposta. È proprio per cambiare le cose che sei qui.”
Il silenzio stupito che ricevette in risposta le fece capire di aver colto nel segno. Decise di prendersi una piccola rivincita, per il fatto che quell’uomo aveva dubitato di lei. Allungò il passo per raggiungere gli Hobbit in testa alla fila e, superandolo, gli sussurrò:
“Non sei impenetrabile come credi, Aragorn.”
Lo superò ridendo, facendo voltare Gimli, stupito, che colse solo un accenno di sorriso sul volto del Ramingo prima che questi abbassasse gli occhi verso terra, per impedirsi di seguire con lo sguardo il profilo della ragazza che si allontanava.
Passando accanto a Sam e Frodo, sentì quest’ultimo dire:
“Bilbo mi ha parlato dell’Agrifogliere, sai? Una volta si chiamava Eregion e vi regnavano gli Elfi.”
La ragazza ebbe un sussulto e non poté fare a meno d’intromettersi, sperando di non lasciar trasparire il suo profondo interesse.
“Hai detto Eregion? Ne ho sentito parlare qualche volta da Umyen, ma non mi ricordo molto bene… Mi sapresti raccontare qualcosa?”
“Mi dispiace, con tutte le storie che Bilbo mi raccontava ho una tale confusione in testa! Sono sicuro che Gandalf lo sa.”
Edorel sorrise fingendosi noncurante, ma in realtà la sua mente era in subbuglio: già in molti le avevano suggerito di chiedere a Gandalf, probabilmente era giunto il momento di tentare. Accelerò il passo e si affiancò allo stregone, fingendo di guardarsi attorno con aria trasognata.
“Desideri domandarmi qualcosa, Edorel?”
Tutta la spavalderia della ragazza venne meno nel momento in cui la tranquilla voce dello stregone le fece capire che Gandalf sapeva. Mentire non era nella sua natura, quindi la ragazza rispose:
“Vorrei sapere se sai qualcosa di Eregion.”
“Conosco la storia dell’antico regno, chi vi regnò, per quanto e come fu distrutto. Ma non credo che siano queste le nozioni che t’interessano.”
“Sbagli, invece. Mi interessa qualsiasi cosa, dal momento che non so proprio nulla di Eregion!”
Lo stregone parve interdetto, ma si riscosse immediatamente e domandò, sempre guardando la strada davanti a sé:
“Perché, allora, ti interessa proprio Eregion?”
“Sono sincera con te, Gandalf, perché non puoi concedermi lo stesso trattamento? Sai benissimo che è da lì che provengo, lo sai sicuramente meglio di me.”
“Hai ragione, Edorel, ti domando scusa. So che vieni da Eregion e, evidentemente, lo sai anche tu. Dunque cos’altro desideri conoscere?”
“L’ho scoperto appena ieri, per caso, dalle parole di Aragorn!”
Lo stregone sussultò percettibilmente quando il vero nome del Ramingo venne pronunciato da quella ragazza. Nessuno degli altri aveva potuto sentirlo, erano piuttosto indietro a causa della lenta andatura degli Hobbit, poco abituati a quelle marce.
“Come sai di lui?”
“L’ho sentito parlare con Boromir. Sa che il suo segreto è al sicuro con me, e non è di questo che stiamo parlando ora.”
Edorel si sforzava di rimanere calma, ma un bisogno di sapere s’impossessava di lei ogni istante che trascorreva a discutere con Gandalf. Era come essere affamati dopo una giornata di lavoro e trovarsi costretti a guardare una tavola imbandita da dietro un vetro: aveva a portata di mano ciò che desiderava di più, ma non riusciva a raggiungerlo.
“Non è il momento di narrare questa storia, figliola. Molti giorni di cammino ci attendono, ciascuno più difficoltoso del precedente. Ti chiedo soltanto di aspettare.”
La ragazza annuì, abbassando lo sguardo. Sentiva pungere in fondo agli occhi lacrime di rabbia, che inghiottì a fatica. Quei mesi di viaggio che la separavano dalla verità non sarebbero mai trascorsi abbastanza in fretta.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


NdA:
Premessa indispensabile: non odiatemi, please!
Il capitolo è vergognosamente breve (e lo sarà anche il prossimo: lettore avvisato... xD), ma iniziano a delinearsi alcuni fili conduttori del resto della storia. Spero che vi piaccia! Grazie mille a chi legge e recesisce, in particolare la fedelissima Anaire_Celebrindal :)
Godetevi la lettura! :*
C.


Capitolo 9
 
 
Come previsto dallo stregone, il cammino della Compagnia si faceva sempre più lungo e difficoltoso. Sembrava che ad ogni passo l’oscurità penetrasse in ognuno di loro, sottile e aguzza come il vento d’inverno che scava attraverso i vestiti con le sue sferzate gelide. Dopo molti giorni di viaggio, raggiunsero finalmente una prima meta.
“Eccoci nel luogo dove una volta sorgeva il regno di Eregion! Siamo a buon punto nella nostra marcia, presto potremo attraversare la Breccia di Rohan e passeremo attraverso le terre di Re Théoden.”
Il pacato buonumore di Gandalf contagiò tutti mentre si preparavano a consumare una cena frugale e a riposarsi. Stendendo alcune coperte sull’erba umida, Merry domandò:
“Pensate che potremmo arrostire qualche salsiccia?”
“Chiunque vedrebbe un fuoco, da miglia di distanza. Non possiamo permetterci di essere scoperti!”
Le parole di Boromir, per quanto sensate, provocarono un triste sospiro degli Hobbit, che avevano da tempo cominciato a sognare pasti degni della Contea, che certamente non si sarebbero potuti concedere ancora per un bel po’.
Edorel, invece, guardò Gandalf e, ricevuto da lui un sorriso accondiscendente, si mise ad accatastare pietre in cerchio. Vi si mise di fronte e, con un sorriso e un ampio gesto della mano, fece ardere un piccolo fuoco di color verde grigio, che quasi avrebbe potuto confondersi con la brulla terra.
Gli Hobbit, percepito il piacevole calore, si rianimarono all’improvviso.
“Mangeremo salsicce questa sera, Padron Frodo! Per fortuna ho preso anche qualche patata e le spezie del mio Gaffiere, vedrete che cenetta!”
Sam, entusiasta, aveva già cominciato a tirare fuori dal suo fagotto padelle e tegami, affettando e condendo mentre fischiettava. In un attimo, anche Merry e Pipino stavano pelando patate, lamentandosi ogni tanto della mancanza di un po’ di buona birra. Legolas narrava antiche leggende degli Elfi, guardando a tratti il cielo e a tratti il suo ascoltatore più attento, Frodo, che beveva ogni parola sperando di ricordarle per poterne discutere con Bilbo al suo ritorno. In disparte, anche Gimli e Boromir ascoltavano il racconto, fingendosi altrimenti indaffarati.
Tutti erano allegri, o cercavano di sembrarlo, nonostante le circostanze. L’unico che si teneva in disparte dal cerchio era Aragorn, seduto ad affilare la spada su una roccia poco distante.
“Qualcosa turba i pensieri del sire di Gondor?”
L’uomo si voltò verso Edorel e finse un sorriso poco convincente.
“Nulla. Tranne, ovviamente, la prospettiva di varcare i cancelli di Mordor!”
“Come ti ho già detto, non sei impenetrabile a uno sguardo attento. So che qualcosa ti preoccupa.”
Nient’altro che un sospiro provenne dall’uomo e Edorel temette di aver osato troppo con chi, evidentemente, non era incline a condividere i propri fardelli con altri. Poi l’uomo parlò, liberandola dal timore di aver esagerato, ma ponendola di fronte a un dubbio ancor più grande.
“Pensi mai a Umyen?”
Cosa sapeva Aragorn di Umyen? Nulla più di quanto aveva per caso visto qualche giorno prima, certamente, cosa che nemmeno la ragazza era ancora riuscita a spiegarsi.
“Sì, penso spesso a lui. Avrei ancora molte cose da dirgli e non so nemmeno se lo rivedrò.”
“Ne sei innamorata?”
Edorel lo guardò per capire se stesse parlando seriamente. Non l’aveva mai visto in quel modo: una profonda ruga solcava la sua fronte, guardava fisso nel buio davanti a sé come se vi stesse cercando il segreto della propria esistenza. Gli posò istintivamente una mano sulla spalla e lui sussultò a quel contatto. Edorel indietreggiò e fece per lasciarlo solo, ma prima di andarsene disse:
“Umyen era tutto il mio mondo, una certezza. Non posso dire di conoscere davvero cosa sia l’amore, ma so che, quando e se ritornerò da questa missione, sarà di nuovo con me. E mi basta questo.”
Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole, sentì di non credervi veramente. Aveva osservato quell’uomo nei giorni di cammino: era un enigma, un Re che lottava contro il proprio sangue fingendosi qualcosa che non era, e il desiderio di capirlo le faceva ribollire il sangue.
Era come trovarsi sull’orlo di un precipizio a guardare le stelle: fissando a lungo nell’immensità del cielo, questo sembra chinarsi per invitare a lasciarsi cadere nel vuoto. Provare cosa c’è oltre, mettendo a repentaglio se stessi.
Quella medesima sensazione di desiderio e paura s’impadroniva sempre più di Edorel e quasi la fece boccheggiare mentre si allontanava di corsa verso il fuoco, sperando che il calore delle fiamme la aiutasse a giustificare l’improvviso rossore che si sentiva sul viso.
Aragorn la osservò dirigersi verso gli altri e sedersi tra Pipino e Merry. La vide ridere con loro e scompigliare i capelli a Frodo, per distrarre la sua mente dal peso che portava, almeno per qualche istante. Quindi posò la spada e tornò a guardare le stelle, sfiorando con le dita il ciondolo che portava nascosto sotto la camicia domandandosi perché sembrasse perdere di significato per lui ogni giorno che passava.
 

*

 Dopo una cena più vivace e sostanziosa del solito, tutti cercarono di recuperare le forze, dormendo tranquillamente all’ombra delle stelle. Aragorn aveva scelto di fare il primo turno di guardia, poiché sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno quella notte. Una nuvola di fumo gli annunciò l’arrivo di Gandalf, che si sedette accanto a lui sulla roccia, aspettando con calma una sua parola.
“Chi è lei, Gandalf?”
“Un’Incantatrice di nome Edorel, Aragorn.”
“So benissimo che non è così. Mi credi uno sciocco?”
“No, affatto. Ma ti sei sempre fidato di me e vorrei sapere come mai ora tu non voglia farlo.”
Aragorn non rispose, ma sulle sue labbra spuntò un sorriso involontario. Gandalf lo notò e sorrise a sua volta, ma la sua gioia era velata dalla preoccupazione. Aragorn non conosceva la verità e non avrebbe mai dovuto conoscerla. Poteva permettergli di convivere con una simile menzogna? Per un istante, lo stregone pensò di essersi sbagliato ad accogliere la ragazza nella Compagnia: un simile fardello non doveva essere aggiunto a quello, già pesante, che si erano fatti carico di portare.
Poi gettò uno sguardo verso i compagni addormentati e capì di aver fatto la scelta giusta. Edorel dormiva placidamente, la testa completamente abbandonata di lato, e accanto a lei si erano raggomitolati gli Hobbit. Ciascuno di loro aveva in volto l’espressione di chi sta facendo sogni sereni, di quelli che non si ricordano al risveglio ma lasciano per tutto il giorno una sensazione di pace. Persino Frodo sembrava essere riuscito a liberarsi del suo peso per qualche momento e sorrideva beato, con il volto quasi nascosto contro il collo della ragazza.
Le profezie possono indicarci solo una via, non necessariamente e inevitabilmente quello che ci riserverà il destino. Gandalf ne fu convinto appieno in quel momento, quando realizzò che nemmeno una goccia di male poteva scorrere in quelle vene, che nulla di quanto era stato predetto su di le si sarebbe avverato, che Edorel avrebbe contribuito a distruggere la stessa forza che la aveva generata, in nome del bene in cui credeva.
Sorrise a quella nuova consapevolezza, ma fu presto raggiunto da parole piene di frustrazione:
“Voglio la verità, Gandalf, per smettere di farmi domande. Smettere di pensare a lei.”
“Anche se ti dessi ciò che mi chiedi, non otterresti ciò che desideri.”
“Invece devo.”
Negli occhi dell’uomo che aveva di fronte, Gandalf non aveva visto altro che ombre, sin dalla sua giovinezza. Che fosse proprio quella ragazza ad avere il compito di sapazzarle via per sempre? Ma la lealtà di Aragorn era troppa, non sarebbe mai venuto meno alla promessa fatta alla figlia di Elrond, se non altro per amore dell’Elfo che lo aveva cresciuto come un padre.
“Arwen ti starà aspettando, ma se vinceremo questa guerra non sarà troppo tardi per lei. Altre navi partiranno per l’Ovest e potrà lasciare questa terra con la sua stirpe. C’è ancora speranza per il suo destino di non essere eternamente legato al tuo.”
Aragorn estrasse con rabbia il ciondolo dell’Elfa e lo mostrò allo stregone, dicendo:
“Non sempre si può tornare indietro, Gandalf! Ci sono cose che non si possono cambiare.”
Così dicendo, rivolse di nuovo gli occhi all’orizzonte, relegando tutta la sua confusione dietro gli impenetrabili lineamenti di Ramingo che si era costruito in anni di solitudine.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


NdA:
Buonasera, carissimi/e!! :)
Come già detto per lo scorso capitolo, anche questo è un po' breve! Ho scritto questa "scena" in un momento d'ispirazione, dettata dal mio affetto profondo e smodato per i magnifici Hobbit!! *-* questo capitolo è dedicato a loro, e a tutti quelli che si sentono Hobbit inside (xD) anche se, chiaramente, ci saranno tutti i nostri cari personaggi, soprattutto la confusa-Edorel e il tormentato-Aragorn-Ramingo-Granpasso-Re (lo vedremo chiamato davvero in ogni modo! xD)
Fine del delirio, che è meglio! *insopportabile tono da Puffo Quattrocchi*
:*
C.



Capitolo 10
 
La neve cadeva in fiocchi spessi e copiosi, rendendo difficile vedere i compagni che pure erano vicinissimi. Gandalf e Gimli avevano discusso su quale fosse la strada migliore da prendere, dopo aver capito che la Breccia di Rohan era ormai in mano a Saruman, e alla fine Frodo era stato chiamato a scegliere. Aveva accettato di seguire lo stregone e tentare con la Compagnia la scalata del Caradhras.
In quel momento, però, iniziava a domandarsi se avesse fatto la scelta giusta. Insieme agli altri Hobbit, avanzava a fatica, cercando di farsi strada in quel soffice manto senza scivolare su lastre di ghiaccio nascoste. Edorel camminava immediatamente dietro di loro, aiutandoli per quanto riuscisse. Percorsero una minima distanza in molte ore, quando la voce di Boromir risuonò chiara nella tempesta:
“Dobbiamo fermarci, o moriremo tutti qui!”
Gandalf acconsentì, a malincuore. Sapeva che se avessero proseguito avrebbero potuto non farcela, ma l’alternativa al Caradhras gli pareva di gran lunga peggiore.
Un vento forte aveva iniziato a soffiare proprio contro di loro, incessante, concentrando contro la Compagnia tutta la neve che cadeva del cielo.
“Questa tempesta è malvagia, Mithrandir. Non è opera del cielo.”
La voce di Legolas si levò sul rombo del vento, velata di paura.
“È Saruman!”
Rispose lo stregone, avanzando verso il bordo del precipizio davanti a loro e brandendo il bastone.
Gli Hobbit si stringevano gli uni agli altri, annaspando contro la neve che minacciava di ricoprirli. Edorel si mise davanti a loro, di spalle, sperando di riuscire a ripararli. Strofinò le mani tra loro e da quel gesto caddero a terra tante piccole fiammelle azzurre, volteggiando come fiocchi di neve e sciogliendo appena il morbido manto che continuava a depositarsi attorno a loro.
“Puoi scioglierla?”
Le domandò Boromir, mettendosi accanto a lei per riparare i Mezzuomini.
“No, è troppa e continua a cadere. Dobbiamo tornare indietro, prima di rimanere del tutto bloccati!”
“Gandalf, rimanere qui è una follia!”
Gridò allora l’uomo, cominciando a scavare con il proprio scudo un varco per gli Hobbit. Lo stregone guardò i suoi compagni e capì che non avrebbero potuto sopravvivere alla montagna. Fece un cenno d’assenso e la Compagnia tornò faticosamente sui propri passi.
Riuscirono a ridiscendere dal fianco della montagna solo quando cominciava a calare la sera. Avevano perso un giorno di cammino ed erano esausti.
Sedevano riuniti attorno al fuoco, silenziosi e tesi, quando un fruscio tra gli alberi circostanti li fece voltare. Gli Uomini impugnarono le spade, Gandalf il suo bastone e Gimli la sua ascia. Gli Hobbit scattarono in piedi, atterriti. Per loro fortuna, solo una volpe sbucò dall’oscurità, trascinandosi verso la luce con deboli lamenti. Sui suoi fianchi, due profonde ferite simmetriche, a forma di mezzaluna. Legolas incoccò una freccia, così velocemente da non essere visto dagli altri, e sussurrò:
“Mannari!”
Il povero animale, intanto, si era avvicinato a Sam che aveva teso una mano per accarezzarle la testa. Per qualche minuto ci fu un silenzio totale, pareva che persino l’aria si fosse fermata.
“Questa bestiola deve aver corso per un bel po’ prima di arrivare qui, non credo che i Mannari siano nelle vicinanze!”
Concluse Gimli sbrigativo, poco avvezzo come tutti i Nani a quei lunghi silenzi inattivi.
“Ciò non vuol dire che non arriveranno. Spegniamo il fuoco e montiamo la guardia, da subito!”
Gli Hobbit parvero non sentire nemmeno le parole di Boromir, rimasero accanto all’animale morente anche quando i loro compagni cominciarono a preparare i giacigli.
“Non possiamo darle dell’athelas? A nessuno di noi serve più, ormai.”
Domandò Pipino, ma Aragorn rispose:
“Dobbiamo conservarla, non possiamo sprecarla per un animale che ha già il destino segnato. Non c’è nulla da fare.”
Soltanto Sam ebbe il coraggio di borbottare qualcosa, guardandolo in cagnesco, di cui si colse solo “senza cuore”. Aragorn voltò le spalle agli Hobbit e continuò a stendere a terra le loro coperte, ammonticchiandole con rabbia.
“Dunque, tu prendi decisioni tempestive e le imponi a chiunque, senza nemmeno tentare di mascherare la tua autorità. Mi verrebbe da constatare che ti comporti come un tiranno e non come un Re, ma eviterò di parlare di questo.”
“Se non hai niente da dirmi, perché sei qui allora?”
Rispose l’uomo a Edorel, volutamente senza alzare lo sguardo da terra.
“Ho molto da dirti, invece. Perché parli loro in questo modo? Non pensi di ferirli così?”
“Mi preoccupo per la loro vita, non per i loro sentimenti!”
“Loro non sono come te! Non riescono a fingere di essere di pietra.”
“Dovranno imparare, o non sopravvivranno a questa missione.”
“Come hai imparato tu?”
D’impulso, Edorel gli prese una mano, obbligandolo a fermarsi, per guardarlo negli occhi e riuscire a leggervi la risposta che desiderava.
“Cosa vuoi sapere da me, Edorel?”
“Se davvero hai deciso di essere fino in fondo un Ramingo, privo di radici e sentimenti, o se è solo una parte che reciti per chi non conosce la tua identità.”
“Ha importanza?”
“Ne ha per me! In questa Compagnia dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, non abbiamo scelta. Io mi sono fidata di te, ti ho dato risposte sincere e ho mantenuto il tuo segreto. Pensavo di meritare almeno una risposta.”
“Voglio solo portare a termine questa missione. Non sono un Re, né desidero esserlo.”
“Ma dovrai fare i conti con il tuo passato, prima o poi!”
“Stai ancora parlando di me o ti riferisci a te stessa?”
“Non sai quello che darei per avere un vero passato. Certo non scapperei come stai facendo tu!”
“Secondo te io starei scappando?”
“Non è forse così? Potresti guidare un esercito di Uomini contro la potenza di Sauron, potresti guidare questa Compagnia e invece accetti di rimanere nascosto dietro a un’identità che ti esula da qualsiasi responsabilità. Tu stai scappando, Aragorn!”
L’uomo non rispose e, nel silenzio che seguì alle sue parole, Edorel si voltò. Tutti si finsero nuovamente indaffarati, ma era chiaro che li avevano osservati per tutto il tempo, domandandosi di cosa mai stessero discutendo così segretamente. Per di più, la ragazza si accorse di tenere ancora la mano di lui tra le sue. La lasciò di scatto e si allontanò, sedendosi accanto al fuoco ed estraniandosi dal mondo fissando le fiamme. L’uomo continuò a sistemare le coperte, anche se erano ormai allineate fin troppo perfettamente, non riuscendo a togliersi dalla testa il suono della voce di Edorel che pronunciava il suo nome.
 
I quattro Hobbit si alternarono a vegliare l’animale ferito, alla debole luce delle braci che si spegnevano. Le stelle passavano nel cielo nero sopra di loro, sporgendosi appena per far luce su quella bizzarra quanto solenne scena. Nessuno riuscì a convincerli a dormire, né i rimproveri di Gandalf né le suppliche di Edorel, preoccupata che risentissero della stanchezza accumulata durante la scalata del Caradhras. Si sedettero in cerchio, senza dire una sola parola, silenziosi e composti tanto che li sarebbe potuti scambiare per piccoli Elfi.
La volpe si spense poco prima dell’alba, tra le braccia di Sam. Lo Hobbit la adagiò delicatamente su un fianco, si asciugò una lacrima, quindi prese a scavare come un forsennato una piccola buca nel terreno, prima che si svegliassero gli altri. Sapeva che Grampasso avrebbe tentato di dissuaderlo, forse persino Gandalf avrebbe detto che lasciare un segno evidente del loro passaggio avrebbe potuto portare i nemici sulle loro tracce. Ma Sam, che mai si era posto domande sulle ragioni della morte né su cosa ci fosse al di là, nondimeno la rispettava e riteneva necessario occuparsi di qualsiasi creatura, soprattutto se innocente e caduta a causa di quello stesso male che essi stessi stavano combattendo.
La partenza, alle prime luci dell’alba, non fu piacevole. Tutti si sentivano ancora stanchi e avviliti, Merry e Pipino faticavano a trattenere le lacrime di tristezza e stanchezza. La Compagnia si avviò così verso le Miniere di Moria, ultima possibilità per valicare le Montagne Nebbiose, dove Gimli sperava di poter godere dell’ospitalità di suo cugino Balin.
Alle loro spalle, soltanto il Caradhras innevato e un tumulo di pietre che copriva la piccola sepoltura.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


NdA:
Ciaooooo!!
Nuovo giovedì, nuovo capitolo... Entriamo un po' più nel vivo degli eventi!! (era ora, direte voi! xD) Fatemi sapere cosa ne pensate!!
Un grande grazie a chi legge e recensisce, soprattutto Anaire_Celebrindal e Yavannah!
Godetevi il capitolo!
:*
C.


Capitolo 11

 
Tamburi nell’oscurità.
“Siamo quasi fuori dalla loro vista, correte!”
Non possiamo più uscire.
“Legolas, come sta?”
Il flagello di Balin.
L’intero mondo gli sembrava scorrere ovattato e confuso, un susseguirsi di voci, immagini e sensazioni. Il freddo buio del lago. L’oscurità calda e soffocante delle miniere. La luce del fuoco. Ghâsh1.
Aragorn aprì gli occhi e si mise a sedere di scatto. Il dolore lo ricacciò pesantemente a terra e gli annebbiò completamente la vista, sentì un rombo invadergli la testa e in quel brusio indistinto gli parve di cogliere la voce di Legolas.
“È sveglio, ma perde molto sangue.”
“Presto, nella sua borsa c’è ancora dell’athelas. Merry, prepara dell’acqua. Boromir, il fuoco!”
“Frodo e Sam sono feriti!”
“Pipino, pensa a loro!”
Tra il mormorio di voci che si sovrapponevano come ronzii di api operaie alla diligente ricerca del polline più dolce, una sola pareva catturare tutta l’attenzione e l’energia del ferito. Sentì una mano fresca posarsi sulla sua fronte, e dita sottili intrecciarsi alle sue.
“Aragorn, resisti. Starai bene, vedrai. Non arrenderti adesso.”
Se avesse potuto, il sovrano di Gondor avrebbe sfoggiato il suo miglior sorriso di sfida: l’ultima cosa che desiderava in quel momento era arrendersi. Lo doveva a tutta la Compagnia. Lo doveva a Gandalf.
La pietra tombale di Balin scintillava sotto l’unico raggio di sole che penetrava dall’esterno, fin dentro le viscere di quella maledetta miniera. Quella luce di un bianco accecante riverberava sulle lame delle spade che cozzavano. Gli Orchi erano giunti inaspettatamente, impazienti di gustare carne umana. La Compagnia non stava più combattendo per un grande ideale: lottavano per salvarsi la vita.
Il ricordo delle grida degli Orchi fu lentamente sostituito da deboli singhiozzi, che sembravano provenire da ogni angolo attorno a lui. L’uomo aprì gli occhi con grande difficoltà, e le sue pupille appannate videro la confusione sui volti dei suoi compagni. Frodo sedeva accanto a Sam, entrambi singhiozzavano. Tutti gli altri sembravano confusamente indaffarati, ma i loro contorni parevano sfocati. Un velo d’ombra cadde di nuovo sugli occhi di Aragorn.
Quel salone sembrava non finire mai. Le scure e spesse colonne si susseguivano senza sosta, illuminate solo debolmente dalla luce di Gandalf. Gli orchi scendevano dai pilastri come agili ragni, a centinaia. I dieci compagni non potevano far altro che tentare di sconfiggerli, anche se sembrava impossibile. Era dunque in quel luogo che si sarebbero compiuti tutti i loro giorni?
Una nuova fitta gli squassò il fianco, facendolo gemere e risvegliando davanti ai suoi occhi un altro brandello di ricordo.
Avevano quasi passato il ponte, ma il Balrog li inseguiva ancora e gli orchi li bersagliavano con le loro frecce. Guardava fisso verso l’uscita, sospingendo avanti gli Hobbit. Vide saettare la freccia e ne indovinò il tragitto in un attimo. Frodo correva pochi passi avanti a lui, poteva ancora salvarlo. Scattò in avanti e lo spinse con violenza a terra. Lo vide illeso e fece in tempo a sorridere, prima del dolore.
La mano di Edorel si mosse lungo la sua guancia, sfiorandogli le labbra e scese fino al petto. Quel contatto era come un sorso di miruvor dopo una giornata di neve, aveva il potere di sciogliere tutto il suo corpo e dargli pace. In meno di un istante, tuttavia, si ritrasse dal suo cuore come scottata, e tornò fredda a posarsi sulla sua fronte lasciandogli solamente il ricordo di una medicina più potente di qualsiasi rimedio elfico.
 
Edorel aveva già visto quel gioiello, non se lo sarebbe mai dimenticata. Era al collo di Arwen Undòmiel quando questa le si era scagliata contro a Imladris. E ora giaceva immacolato sul petto di Aragorn, freddo e splendente, come se non si curasse affatto della sorte dell’uomo cui era stato donato.
“Edorel, l’athelas non basterà mai per tutti, rischiano di non farcela!”
“Non pensarlo neanche, Pipino!”
Il piccolo Hobbit le si era avvicinato tenendo tra le mani quel poco che rimaneva della pianta di Granburrone, un ramoscello dalle foglie ingrigite e secche. La fissava con gli occhi velati di lacrime, come se avesse realizzato in quel momento che tutto quanto stavano vivendo era sbagliato e ingiusto, ma allo stesso tempo inevitabile. La ragazza lo strinse a sé e lo baciò sulla fronte, sperando di riuscire a tranquillizzarlo, poi aggiunse:
“Preparane un infuso con Boromir, vedrai che andrà tutto bene, te lo prometto!”
Si voltò nuovamente verso il ferito, cercando di impedirsi di piangere. Non voleva perdere la speranza di vederlo guarire.
Poco dopo, Legolas le porse un piccolo tegame e la ventata di quel delicato profumo riportò il sorriso sul suo volto.
“Sam e Frodo?”
“Se la caveranno: Frodo ha solo dei lividi, grazie alla cotta di Bilbo, Sam ha una brutta ferita, ma l’abbiamo medicato. Aragorn?”
“La ferita è profonda, ma devo vederla meglio per dire qualcosa. Aiutami a togliergli la camicia.”
L’uomo si lamentò debolmente, ma era ancora incosciente quando misero a nudo la ferita. Edorel osservò i lembi di carne lacerata e imprecò sommessamente.
“La freccia si è spezzata, una scheggia è ancora qui dentro. Cerca di tenerlo fermo, soffrirà.”
Esitò un istante prima di affondare le dita nella carne di Aragorn, guardando il suo bel viso deformato e contratto dal dolore. Si chinò a baciargli delicatamente la fronte, poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò:
“Mi dispiace.”
A quelle parole, egli riprese coscienza qualche istante, inclinò la testa e rispose in un sussurro:
“Grazie.”
Edorel poteva quasi sentire il suo dolore nel proprio petto, avrebbe dato qualsiasi cosa per non dovergli imporre ancora una sofferenza così grande. Una lacrima le scivolò lungo la guancia e si chinò a sfiorare le labbra dell’uomo con le proprie, per un solo istante.
Si riportò immediatamente davanti alla ferita, vi diede un’ultima occhiata e v’immerse le dita per estrarre dalla carne la punta di metallo. L’intera distesa di pietre e boschi, indietro fino ai Grandi Cancelli, risuonò per il grido di dolore del signore di Gondor.
 

*

 
“Non possiamo rimanere qui, o gli orchi ci troveranno!”
Boromir fu il primo ad avere il coraggio di dire ciò che tutti pensavano. Sedevano in quel luogo scoperto da troppo tempo ormai. Gimli annuì energicamente, imitato più timidamente dai due Hobbit illesi. Legolas aggiunse:
“Lothlòrien non è distante da qui. Potremo contare sulla protezione degli Elfi.”
“Si raccontano storie terribili su quel bosco, forse non è saggio rifugiarsi lì!”
Rispose il Nano, certamente poco entusiasta di ritrovarsi nel bel mezzo di un antico reame elfico.
“Non abbiamo altra scelta. Legolas, guidaci!”
Edorel rispose, secca, mentre asciugava con un lembo di stoffa la fronte di Aragorn, che ancora non accennava a riprendere conoscenza.
Sam rifiutò di essere trasportato, ma camminò con le sue gambe, sostenuto da Merry e Gimli. Boromir e Legolas improvvisarono una lettiga per trasportare Aragorn, mentre Edorel, Frodo e Pipino chiudevano la fila, assicurandosi di non essere seguiti.
La marcia fu difficile ed estenuante, ma tutti correvano al massimo della loro velocità, quasi che la prospettiva di trovare rifugio alla corte della regina Galadriel moltiplicasse le loro forze, per quanto provate. Verso il tramonto notarono il paesaggio mutare attorno a loro: gli alberi parevano più alti e vivi, le loro foglie viravano verso il colore del grano maturo e in lontananza si sentiva mormorare un torrente.
“Il sussurro del Nimrodel. Lòrien, finalmente!”
Legolas ascoltava rapito il mormorio dell’acqua, come se ne capisse le parole. Ne seguì il gorgoglio con la propria voce, cantando la triste storia di Nimrodel. A tutti era chiaro il dolore che emanava da quelle parole, anche se molti non ne comprendevano il significato, e tutti sentirono pungere un po’ più forte nel loro petto quella spina che li tormentava, la morte di Gandalf, caduto nell’ombra per salvarli. Si fermarono a riposare presso le radici di un grande albero, troppo stanchi persino per parlare. Boromir, invece, continuava a camminare nervosamente, guardandosi intorno.
“Non mi piace stare qui fermo, siamo ancora troppo vicini al limite del bosco!”
“Siamo esausti, non possiamo continuare.”
Replicò la ragazza, prendendo dai loro bagagli quelle poche provviste che rimanevano, le divise in parti uguali e le distribuì a ciascuno.
“Non pensi che dovremmo conservarle? Potremmo non trovare nulla di commestibile qui!”
Chiese Gimli, preoccupato di dover sopravvivere affidandosi alla dura corteccia di quei bizzarri alberi.
“Gli Elfi ci daranno cibo e ospitalità.”
Ribatté Legolas, come sfidando il Nano a sostenere altrimenti.
“Legolas ha ragione, dobbiamo mangiare e riposarci ora. Siamo al sicuro qui, aspettiamo che qualcuno ci trovi.”
Boromir non rispose alle parole di Edorel, prese soltanto la sua parte di razione andandosi a sedere accanto a Pipino e Merry, che sbocconcellavano il magro pasto, guardando verso Sam con aria preoccupata.
“E se non fossero gli Elfi a trovarci per primi? Se gli Orchi arrivassero fin qui?”
Frodo parlò per la prima volta da tempo, alzandosi dal posto che occupava accanto a Sam. Voleva fidarsi di Edorel, ma si era fidato prima di Gandalf, poi di Granpasso. Sembrava che fossero tutti destinati a cadere per colpa sua, desiderava solo evitare che succedesse ad altri.
“Non si avventureranno fuori dalla miniera fino al calare della notte. Riposate per qualche ora, non partiremo prima del tramonto.”
Così dicendo, la ragazza si chinò su Aragorn e constatò che ancora non accennava a riprendere conoscenza. I suoi occhi guizzavano rapidi sotto le palpebre, come se fosse immerso in un sonno profondo. Edorel sperò che almeno il sogno gli desse pace e desiderò trovare anche per sé un po’ di serenità. Si sentì pesare sul cuore tutto ciò che era successo nell’ultimo giorno e temette di esserne sopraffatta. Appoggiò la mano contro quella dell’uomo steso davanti a lei, sperando che entrambi potessero ricevere forza da quel gesto, e ne ricevette una stretta debole ma chiara, che riaccese la speranza nel suo cuore e un sorriso sul suo volto.
Uno dopo l’altro, i compagni caddero preda della stanchezza, che ebbe la meglio su dolore e paura. Edorel posò la testa sul petto di Aragorn e si lasciò sprofondare nel sonno, sperando di sentire ancora al risveglio quel debole battito sotto la guancia.
 
Un fruscio di foglie quasi impercettibile strappò Sam dal bel sogno in cui era immerso. La ferita non faceva più molto male, ma avrebbe preferito rimanere a dormire per giorni e giorni. Naturalmente, non l’avrebbe mai detto al padron Frodo, né l’avrebbe abbandonato per alcuna ragione. Sperava solo che decidesse di fermarsi per un po’ nel bosco.
Era buio, ma sembrava che tra gli alberi guizzassero delle deboli luci grigiastre. Lo Hobbit si alzò in piedi di scatto, e si trovò una mano posata sulla bocca. Era di Boromir, in piedi alle sue spalle con la spada sguainata, che lo lasciò andare, invitandolo a restare in silenzio. Accanto all’uomo c’era anche Gimli, che si guardava attorno con sospetto, brandendo l’ascia. Gli altri dormivano profondamente, ma non c’era traccia di Legolas da nessuna parte. L’uomo gli fece cenno di armarsi senza far rumore e Sam non ci pensò due volte. Quasi inciampò nel tentativo di prendere la piccola spada che gli avevano dato a Granburrone. Con mani tremanti, afferrò per sbaglio Pungolo e la estrasse dal fodero. Avrebbe voluto strillare di gioia: la lama era del tutto opaca, salvo che per i deboli riflessi lunari, ovattati dal fogliame. La mostrò a Gimli, che rispose con uno sguardo piuttosto eloquente: orchi e goblin non erano certo le uniche creature che potessero minacciarli!
Le luci si facevano sempre più vicine a loro, finché non li illuminarono completamente, rivelando anche coloro che le portavano. Si trattava di Elfi, senza dubbio, con lunghi mantelli grigi e volti coperti dai cappucci. Insieme a loro c’era Legolas, che subito disse:
“Non possiamo perdere tempo, dobbiamo andarcene. Stanno arrivando degli Orchi.”
A quelle parole, Sam si lanciò subito a svegliare gli altri Hobbit. Pipino impiegò un paio di minuti a capire cosa stesse succedendo, ma appena colse la parola “orchi” nel confuso blaterare di Sam scattò in piedi e quasi si scontrò con uno dei silenziosi Elfi. In pochissimo tempo, la Compagnia fu scortata fino a un albero da cui pendeva una sottile scala di corda, che venne innalzata subito dopo che tutti furono saliti, non senza qualche difficoltà.
Stremata e frastornata, Edorel si stese su un pavimento di legno ruvido e si raggomitolò su un fianco, desiderando soltanto di dormire ancora un po’, finché il sole non l’avesse svegliata con il meraviglioso spettacolo dell’alba. Chiuse gli occhi e si trovò sprofondata in uno strano sogno: Orchi correvano sotto di lei, inseguiti e braccati da figure leggere e invisibili. I loro acuti strilli e il passo pesante della loro disordinata fuga si affievolirono man mano, e fu solo il buio.



1Fuoco, linguaggio dei Nani

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Ciao!!
Buon inizio di settimana a tutti/e! La mia è iniziata particolarmente bene, quindi ecco un bel capitolo tutto per voi...
Finalmente entra in scena uno dei miei personaggi preferiti (che Tolkien non si fila tantissimo, ma a me piace! xD) che quindi avrà un bel po' di spazio... :) E, finalmente, siamo a Lòrien (dove rimarremo per un po' *spoilero perfidamente*), luogo che agirà pesantemente su tutti i nostri cari personaggi!
Fatemi sapere cosa ne pensate... :)
Buona lettura
C.


Capitolo 12
 
Il risveglio di Edorel non fu meno piacevole delle aspettative. Un baluginio di luce dietro le sue palpebre annunciò alla ragazza il sorgere del sole. Batté le ciglia per abituarsi alla luce e si alzò a sedere, guardandosi per la prima volta intorno.
La piattaforma sospesa su cui si trovavano era piuttosto in alto, perfettamente mascherata dalle fronde sottostanti. Gettò uno sguardo verso il terreno e vide l’erba calpestata e strappata, qua e là piccole chiazze di sangue scuro. Dunque non aveva sognato, c’erano davvero stati degli Orchi lì quella notte. Rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se gli Elfi non li avessero salvati. Osservò con un lieve sorriso i suoi compagni: dormivano ancora, godendo dello scomodo legno come di un materasso di piume, tanto era grande la loro stanchezza. Sentì tuttavia la voce di Legolas provenire dall’alto e notò una scala di corda, addossata al tronco. Vi salì e si ritrovò su un altro piano di legno, più piccolo del precedente, su cui si trovava un piccolo gruppo di Elfi. Avevano vesti del colore degli alberi che li circondavano, capelli argentei e occhi grigi come un cielo piovoso. Uno di loro stava discorrendo con Legolas, ma si voltò immediatamente verso di lei e la salutò con un sorriso:
“Benvenuta, Edorel. Il mio nome è Haldir e la venuta della vostra Compagnia mi rallegra molto. Disperavamo ormai di vedervi, dato che i messaggeri di Elrond con l’annuncio della vostra partenza hanno da tempo lasciato questa corte.”
Edorel rispose con un inchino, e domandò:
“Ci sono stati Orchi nel bosco, questa notte?”
“Speravamo di non avervi disturbati, ma quelle creature sono terribilmente rumorose! Ne abbiamo inseguito e distrutto un piccolo gruppo, ultimamente si sono fatti più audaci e penetrano sempre più spesso a Lòrien.”
“Come mai?”
“Per ricordarci che la mano del Signore Oscuro si stende fino ai nostri confini. Per dimostrare potere e seminare terrore. Li inseguiamo raramente al di fuori, ci limitiamo ad annientare quelli che sono così sciocchi da rimanere qui.”
Ragionevole e pratico. Haldir le piaceva, il suo modo di fare le ricordava Umyen.
“Come ci avete trovati?”
L’Elfo trattenne un sorriso compiaciuto e rispose:
“Siamo Galadhrim di Lòrien: trovare chiunque oltrepassi questi confini è il nostro compito.”
“Cosa ne sarà di noi, ora?”
“Ho visto che ci sono dei feriti. Saranno curati qui, poi vi scorteremo a Caras Galadhon dove incontrerete i nostri sovrani. Di quanto avverrà in seguito, non so nulla, saranno loro a decidere.”
“Vi ringrazio, Haldir, per tutto ciò che avete fatto. Vi dobbiamo molto.”
“Se la vostra missione andrà a buon fine, dovremo tutti molto a voi.”
Edorel guardò Legolas, interdetta: gli aveva forse detto dell’Anello?
“No, non dovete pensare che uno dei vostri compagni abbia tradito la vostra fiducia. Appartengo alla schiera di fedelissimi della nostra regina, è stata lei a mettermi al corrente di ogni cosa. Ma il vostro segreto è al sicuro con me, non ne dubitate.”
“Come faceva la vostra regina a saperlo? Forse Sire Elrond gliene ha parlato?”
Fu Haldir questa volta a guardare Legolas: non capiva come quella ragazza, nelle cui vene scorreva evidentemente del sangue elfico, potesse non conoscere la regina di Lòrien. L’altro Elfo rispose con un impercettibile cenno di chiaro significato: le domande su Edorel avrebbero dovuto aspettare.
“La nostra regina, Galadriel, ha il potere di vedere. Non era necessario che qualcuno la informasse, sapeva.”
Il cuore di Edorel sembrò fermarsi all’improvviso: Galadriel sapeva di lei. Fu immediatamente una certezza, capì che solo da quella misteriosa regina di Lòrien avrebbe potuto conoscere la verità. Desiderava arrivare a Caras Galdhon il prima possibile.
 
Man mano che il sole si levava, tutta la Compagnia si svegliò e godette dell’ospitalità dei Galadhrim di Lòrien: cibo e acqua in abbondanza. Nonostante fossero finalmente al sicuro, nulla pareva in grado di risollevare il morale dei compagni, abbattuti per la morte di Gandalf e preoccupati per le condizioni di Aragorn, che ancora non aveva ripreso conoscenza.
Poco dopo mezzogiorno, Haldir chiese a Legolas e Boromir se desiderassero unirsi a lui in un giro di perlustrazione. Gimli tanto insistette che alla fine fu ammesso a partecipare, complice anche la garanzia personale di Legolas sulla sua affidabilità. Gli Hobbit rimasero sul flet a dormicchiare e fumare la pipa, tristi e silenziosi, lanciando occhiate malinconiche al di là del limite del bosco, verso la cara Contea che si allontanava ogni giorno di più. Edorel si sedette accanto a loro e lasciò vagare lo sguardo. Vedeva meravigliosi rami, carichi di foglie dorate che parevano quasi cesellate. Catturavano e riflettevano i raggi del sole nascente, amplificandone il colore come migliaia di specchi, tanto che in quel pomeriggio soleggiato pareva di trovarsi a navigare nella luce. Data l’altezza a cui si trovavano, si poteva spingere lo sguardo fin verso il limite di Lòrien, dove i boschi dorati scemavano lentamente per far posto a tronchi cupi e antichi. Era il Bosco Atro.
Dol Guldur.
Quelle due parole risuonarono nella mente di Edorel, forti e chiare. Qualcosa nell’oscurità di quella foresta sembrò chiamarla, avrebbe giurato di poter sentire gli alberi pronunciare il suo nome, lo sentiva rimbombare fin dentro le sue ossa. Avvertiva il bisogno divorante di passare la mano su uno di quei tronchi antichi e intrisi di sofferenza, fino a scalfirne la corteccia e scorticarsi le dita.
Un debole gemito vicino a lei la strappò da quella vertigine di sensazioni. Aragorn si stava muovendo e riprendeva lentamente possesso dei suoi sensi dopo quasi due giorni d’incoscienza.
“Si sta svegliando!”
“Allora sta bene!”
“Diamogli qualcosa da mangiare, poverino!”
Gli Hobbit si lanciarono subito verso di lui, esprimendo tutta la loro gioia con centinaia di parole, come se non riuscissero a tenersi tutto dentro. Edorel condivideva la loro sensazione di traboccante felicità e rise come non le capitava da tempo. Fu però costretta a frenare il loro entusiasmo:
“Lasciatelo respirare, coraggio. Andate a chiedere agli Elfi acqua e cibo, svelti!”
Li guardò correre verso la scaletta e salire agilmente – tutti tranne Sam, che borbottava qualche imprecazione contro la necessità di tutte quelle scale decisamente poco sicure. Si sentì sfiorare il braccio e si voltò verso l’uomo, vedendo con gioia che aveva aperto finalmente gli occhi e si guardava intorno, confuso.
“Sei al sicuro, a Lòrien.”
“Come?”
“Pensa solo a riprenderti, avremo tempo per le spiegazioni.”
Aragorn non voleva aspettare, gli sembrava di aver già perso abbastanza tempo. Si puntellò con le mani a terra e si sedette a fatica.
“Proprio non sei in grado di seguire un ordine che non venga da te?”
Sentire la sua voce, anche se lo stava bonariamente rimproverando, lo fece sorridere e gli fece realizzare di essere davvero tornato da quell’incontro fin troppo ravvicinato con la morte. In quel momento sopraggiunsero i quattro Hobbit e l’uomo si scoprì davvero affamato. Mentre assaporava il leggero pasto elfico, Sam gli disse, con un sorriso:
“Siamo così contenti che stiate bene, Granpasso!”
Pipino aggiunse:
“Anche il nostro Sam, qui, è stato ferito per proteggere Frodo! Siete eroi alla pari!”
“Smettila, sciocco! Io sono solo un giardiniere, altro che eroe!”
“No, Pipino ha ragione. Sei stato davvero coraggioso.”
Ribatté Edorel, guardandolo con ammirazione e rendendosi conto che nessuno di loro era più come quando aveva lasciato Imladris. I Mezzuomini battibeccarono ancora un po’, poi scomparvero giù dalla scala, dicendo di voler fare due passi sulla terra.
Aragorn li osservò per qualche istante, poi si alzò lentamente, cercando di scacciare il torpore dalle sue gambe appesantite. Fece qualche passo e si appoggiò al parapetto del flet, sporgendosi per respirare l’aria fresca. Sentiva che Edorel lo stava guardando, aspettando pazientemente le sue domande, così la accontentò:
“Cosa mi è successo?”
“Sei stato ferito a Moria, per proteggere Frodo.”
Lampi d’immagini si fecero lentamente strada attraverso la sua memoria.
“E Gandalf? È stato un sogno, o sono ricordi tremendi le cose che vedo?”
“Ricordi, temo. Ci ha salvati ed è rimasto a Moria.”
La disperazione s’impadronì di Aragorn: come avrebbero fatto a completare la missione senza lo stregone? Era stato una guida per tutti, per lui in particolare, non sarebbero mai arrivati a destinazione senza di lui. Conosceva molte cose e sapeva leggere nell’animo umano, prendendo sempre la decisione migliore. Sentì di perdere l’unico riferimento certo su cui poteva contare nella frustrante incertezza di quella missione e si sentì invadere da una stanchezza profonda. Desiderava soltanto poter tornare un Ramingo e rimanerlo per il resto dei suoi giorni, fuggendo da tutto ciò che invece gli si profilava davanti.
Edorel colse qualche riflesso dei pensieri dell’uomo sulla sua fronte corrugata e sulle nocche che sembravano voler sbriciolare la sottile ringhiera in legno. Gli si avvicinò e posò una mano sulle sue, sperando che capisse di non essere solo a portare la responsabilità della Compagnia.
“Sei stata tu a occuparti di me?”
“Sì, ho usato quanto rimaneva della tua athelas di Imladris. Cominci a ricordare qualcosa?”
Aragorn ricordava. Ogni dettaglio. Le sue mani, la sua voce, le sue labbra. Ricordava come se tutto fosse avvenuto in tempi remoti ed egli non riuscisse a recuperare appieno le sensazioni provate. Sapeva che, se solo avesse potuto baciarla di nuovo, sarebbero tornate vivide nella sua mente, intense come nel momento stesso in cui le aveva sperimentate per la prima volta.
Quasi senza pensarci, si voltò verso di lei e avvicinò il viso al suo, chiedendo disperatamente il permesso di coprire quell’ultima distanza che li separava. Edorel si avvicinò a sua volta, istintivamente: non voleva pensare al ciondolo che luccicava ammiccante al collo dell’uomo, desiderava dimenticare che il suo cuore appartenesse già a una rivale imbattibile. Voleva soltanto baciarlo di nuovo.
“Maledetto Merry, mi ha di nuovo nascosto il tabacco, ma se lo trovo io…”
La voce di Pipino si spezzò bruscamente in una serie di monosillabi imbarazzati. Di scatto, i due si allontanarono e Edorel si limitò a guardare per un istante l’uomo, come a scusarsi di non poter rimanere, prima di voltarsi e scomparire dietro lo spesso tronco. Anche la testa del povero Hobbit, che spuntava solo per metà dall’apertura al centro del flet, sparì nuovamente verso il basso. Sotto il sole che proseguiva la sua corsa incurante di tutto, Aragorn rimase solo a guardare il bosco, sulle labbra ancora un desiderio insoddisfatto.
 

*

 
La sera scendeva lentamente, come se il giorno volesse rimanere ancora a vagare in quel meraviglioso luogo. Il sole brillava, sempre più rosso, a Ovest e colorava di riflessi ramati le foglie di Lòrien, immobili nonostante una leggera brezza.
Dal flet dei Galadhrim si levavano piccoli sbuffi di fumo. Gli Hobbit erano soli: al termine di una piacevole cena, i loro compagni si erano uniti agli Elfi per un altro giro di perlustrazione, ma i quattro erano stati saggiamente lasciati a riposare, di nuovo. Già da qualche tempo, erano occupati a fumare e discutere.
“Vi giuro che si stavano per baciare!”
“Non essere sciocco, Pipino, avrai capito male!”
“Credo di saperne molto più di te sull’argomento, Sam!”
Frodo sospirò: quel discorso andava avanti da fin troppo, tra sussurri e sbotti d’ira, e presto Pipino e Sam se le sarebbero date di santa ragione, sotto lo sguardo divertito di Merry. Dal canto suo, Frodo non desiderava certo fare dei pettegolezzi su Edorel, o tantomeno su Grampasso. Non aveva mai visto né l’uno né l’altra completamente sereni, avvertiva sempre un sottofondo di tristezza, un languore nascosto che tanto glieli rendeva cari: sembrava che anche loro portassero continuamente sulle spalle un fardello.
“Già, ma Grampasso ha quel bel ciondolo che cerca sempre di nascondere: secondo me gliel’ha dato una donna!”
“E cosa importa? Le persone cambiano, i sentimenti anche!”
“Chi l’avrebbe mai detto? Nel profondo nascondi un animo romantico, Merry.”
Uno scricchiolio delle assi del pavimento fece zittire tutti: Edorel era saltata con grazia giù da un ramo, atterrando proprio accanto a loro. Sam arrossì fino alla punta dei capelli e Pipino si finse impegnato a scrostare il tabacco dalla sua pipa.
“Che vi prende, Hobbit? Potrei anche pensare che steste parlando di me!”
Un coro di voci sovrapposte la sommerse. Colse soltanto qualche “assolutamente no” e “non ci permetteremmo mai” che, assieme agli sguardi colpevoli, le tolsero ogni dubbio su quale fosse l’argomento della conversazione. Ma in quel momento non aveva alcuna voglia di stare da sola, perciò fece finta di credere alle loro parole e si sedette, domandando a Sam della sua ferita.
“Va molto meglio! Pensate che vedremo altri Elfi prima di ripartire?”
“Haldir ha detto che non appena ci saremo tutti ristabiliti ci condurranno a Caras Galadhon, la città dei signori di Lòrien.”
“Peccato. Sapete, desideravo tantissimo vedere gi Elfi, ma ora comincio proprio a…”
“E come sta Grampasso? Si riprenderà presto?”
Merry non riuscì a trattenere la curiosità e commise l’errore d’interrompere Sam, che subito si zittì e lo guardò in cagnesco.
“Migliora, e in fretta. Credo proprio che tra un giorno, al più tardi, saremo di nuovo in marcia.”
“Credi che ci fermeremo a lungo in questa città degli Elfi?”
“Proprio non so, Pipino, ma sicuramente dovremo incontrare i signori di Lòrien.”
“Chi sono?”
Domandò Frodo, combattendo l’impulso di portare una mano all’Anello, per tenerlo lontano da altri sguardi indiscreti.
“Non ho mai sentito parlare di loro da Umyen, e questo è piuttosto strano. Ti so dire soltanto una cosa che ho sentito da Haldir: la regina Galadriel è una specie di veggente, sa dell’Anello.”
“Come è possibile?”
“Non lo so, Frodo, ma non ti devi preoccupare. Gli Elfi non sono una minaccia per noi.”
“Non saranno una minaccia, ma comincio a essere un po’ stanco di tutto questo stare sugli alberi, preferisco un bel buco nel terreno!”
Intervenne Merry, sobbalzando ogni volta che il legno del flet scricchiolava, guardandosi attorno preoccupato.
“Ma come, voi Hobbit non avete mai sognato di volare, di lasciarvi trasportare dal vento e vedere le cose come sono da lassù?”
Nonostante Sam avesse deciso di non parlare più dopo la grave offesa ricevuta da Merry, quelle parole di Edorel lo fecero sbottare:
“Assolutamente no! Noi siamo creature di terra, né acqua, né aria, né tantomeno fuoco ci possono interessare!”
“Parla per te, Sam. Io e Merry siamo degli avventurieri nati!”
“Ma se non eravate capaci nemmeno a rubare carote dai vicini senza farvi scoprire?”
“Ehi, vi ricordate quella volta in cui sono arrivati correndo a Casa Baggins, inseguiti da quel cagnolino?”
Il racconto di Frodo, completato dalle alte proteste di Merry e Pipino, durò finché il sole non fu calato del tutto, segnando la fine del loro primo giorno nella foresta di Lòrien.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Hola!
Nuovo capitolo, fresco fresco... Il primo incontro tra Edorel e Galadriel (non aspettatevi grandi rivelazioni, mi piace farvi penare! xD), nonché una strana "scultura" che desterà non pochi dubbi nella nostra protagonista! Ma meglio lasciare a voi la lettura...e il giudizio! Fatemi sapere cosa ne pensate...
C.
PS. Un enorme grazie ad Anaire_Celebrindal per le sue recensioni! :*


Capitolo 13
 
La marcia verso Caras Galadhon fu molto diversa dalle tappe che avevano percorso prima di raggiungere Lothlòrien. Nessun timore di essere seguiti, nessuna fretta. Solo il monotono susseguirsi dei passi, protetti dalle mutevoli ombre del tetto di foglie sopra di loro e accompagnati dai deboli suoni della foresta. I Galadhrim non erano compagni di viaggio loquaci, ma amavano cantare storie del loro popolo. Edorel si unì a loro con piacere, lasciando salire verso le cime degli alberi la propria voce: era stato Umyen a insegnarle tutte quelle antiche melodie e inconsciamente sperava che lui cogliesse nel vento un’eco del suo canto e sapesse che stava bene.
Viaggiarono per una giornata intera, non vedendo attorno a loro altro che stupendi mellorn dalle foglie dorate. Quando il sole cominciò a calare, si accamparono per la notte e tutti gli Elfi scomparvero tra gli alberi. Soltanto Haldir rimase a vegliare sul riposo della Compagnia, spiegando:
“Temiamo che altri Orchi fuoriescano dalla miniera questa notte e che vengano qui. Daremo loro l’accoglienza che meritano.”
Gli Hobbit sussultarono al sentir nominare le orribili creature incontrate nelle miniere, ma non appena fu porto loro del cibo dimenticarono le preoccupazioni.
“Questa foresta non è poi così terribile, a dire il vero.”
Con un morbido lembas tra le mani e una coperta sulle spalle, Gimli concesse finalmente agli Elfi la sua approvazione. Legolas non perse l’occasione per stuzzicarlo, domandando:
“Terribile? Pensavo non esistesse nulla di terribile per l’ascia di un Nano.”
“Parla pure, finché sei nel tuo territorio. Ti darò una lezione, non scordarlo.”
Legolas alzò le mani in segno di resa e tutti risero. Persino Edorel, che cercava di liberare la mente per riposare, fu catturata dalle divertenti schermaglie tra i due. Tornò subito ad appoggiare la schiena al tronco dietro di lei, alzando lo sguardo per cercare d’intravedere qualche stella oltre le fronde buie.
“Mia madre le chiamava Velo di Sposa, perché diceva che glielo ricordavano.”
Aragorn si era seduto accanto a lei e indicava una sottile striscia di stelle con un sorriso malinconico.
“Ma non sento la sua voce da tanto tempo che comincio a dimenticarne il suono.”
Resosi conto di aver probabilmente rattristato la ragazza con quei pensieri, aggiunse:
“Perdonami, sono stato uno sciocco. Non avrei dovuto parlare di questo.”
“Non ho mai conosciuto mia madre né mio padre, e ho vissuto tanto da abituarmi a questa situazione. Nulla da perdonare, dunque!”
Si scambiarono un sorriso, poi Edorel aggiunse:
“Ricordo di aver giocato spesso con Umyen a dare nomi alle stelle, alle nuvole, alle montagne e persino ai rami degli alberi. Era la prima cosa a cui ci dedicavamo arrivati in un nuovo posto, potevo divertirmi per ore senza stancarmene mai.”
“Eri felice?”
“Sì, credo di sì.”
Poi ammise, abbassando gli occhi con un riso imbarazzato:
“Da quando siamo partiti per Mordor, l’ho fatto di nuovo, qualche volta. Per rendere meno spaventoso ciò che ci circondava, credo.”
“Stavo proprio per dirti che quel ramo somiglia un po’ alla testa di Sam.”
“No, direi piuttosto alla barba di Gimli!”
Non si resero conto del tempo che passava, finché non notarono che si era fatto stranamente buio. Il fuoco era stato spento e tutti già riposavano, sotto gli sguardi attenti di Haldir e Legolas che montavano la guardia ai lati opposti della piccola radura.
“Meglio dormire, altrimenti corro il rischio di addormentarmi nel bel mezzo della marcia di domani.”
Aragorn non le rispondeva, così si girò verso di lui. La stava guardando, negli occhi una luce che la fece tremare. Avrebbe potuto contare le screziature più scure nell’azzurro dei suoi occhi, e avrebbe desiderato farlo solamente per prolungare quello sguardo da cui non desiderava separarsi. Il silenzio le sembrò durare ore, quindi l’uomo rispose, distogliendo lo sguardo:
“Hai ragione, meglio riposare.”
Edorel fece per andare verso il suo giaciglio sull’erba, ma si bloccò al sentire la domanda di Aragorn:
“E ora, sei felice?”
“Come mai prima.”
Gli rispose, con un timido sorriso, prima di voltargli le spalle nella speranza di non rimanere ancora prigioniera del suo sguardo.
 
L’indomani arrivarono alla città. Si stupirono non poco del suo aspetto: le abitazioni erano costruite sui rami degli alberi, come il flet su cui avevano trascorso qualche giorno, ma erano squisitamente decorate, come vere e proprie case. Avevano sottili mura in legno intagliato, ampie finestre a ogiva e parevano tutte collegate tra loro da ponti sospesi, su cui si potevano veder passeggiare molti Elfi, a proprio agio nel vuoto come ragni avvinti alle loro tele.
Haldir e gli altri Elfi li scortarono su per una scalinata di legno che pareva non finire mai, salendo fin nel cuore dalla chioma dorata del più alto albero del bosco. Quasi sulla cima, si trovava il palazzo di Celeborn e Galadriel, che la Compagnia avrebbe presto incontrato.
Vennero condotti in un salone ampio e luminoso. Sul pavimento riverberava l’oro delle foglie circostanti e ampi tendaggi bianchi oscillavano alla debole brezza, instillando nel cuore dei viaggiatori una sensazione di pace e sicurezza, per la prima volta dopo lungo tempo.
“Venite avanti, poiché desideriamo parlarvi prima che vi concediate il meritato riposo.”
A parlare era stato un Elfo dall’espressione maestosa, con lunghi e lisci capelli argentei, alzandosi da uno dei due troni collocati in fondo alla sala. I compagni avanzarono verso sire Celeborn, alcuni con gli occhi bassi e reverenti, altri guardandosi intorno a bocca aperta, increduli.
Il sovrano rivolse qualche parola a ciascuno di loro, personalmente, ma quando giunse a Edorel fu interrotto da qualcuno che fino a quel momento era rimasto talmente immobile e silenzioso da passare quasi inosservato.
“Molte cose scoprirai durante questo viaggio, forse più di quante sarebbe bene che tu conoscessi. Tuttavia non ho il potere d’impedirlo, posso solamente invitarti a essere prudente e misurata. Parlo per il tuo bene, cara Edorel.”
La regina Galadriel aveva pronunciato queste parole lentamente, alzandosi dal trono. La ragazza ebbe conferma in quell’istante che la regina conosceva tutto di lei. Avrebbe voluto rispondere, porre mille domande, ma sembrava che il suo sguardo la bloccasse, impedendole di aprire bocca. Si limitò a fissare i propri occhi in quelli glaciali dell’Elfa, come a dire che non si sarebbe accontentata di quella parziale rivelazione, ma avrebbe preteso di più.
Terminati questi insoliti convenevoli, i Galadhrim li riaccompagnarono a terra, con grande gioia di Gimli e Sam, e indicarono loro il padiglione sotto al quale avrebbero potuto riposare nei giorni seguenti. Congedandosi, Haldir disse:
“Devo tornare a sorvegliare i confini. Spero che ci incontreremo nuovamente, magari in circostanze meno angosciose. Che i Valar siano con voi nella vostra missione.”
La Compagnia s’inchinò a colui che li aveva salvati, guardandolo allontanarsi e sparire tra gli alberi.
Al riparo del grande padiglione, proprio vicino a una graziosa fonte, erano stati preparati per loro dei morbidi giacigli. Erano dieci. Anche in quel luogo intriso di serenità in tutti i cuori era ancora greve il dolore per la perdita di Gandalf e quel letto in più non faceva che riportare alle menti di tutti ricordi dello stregone, velando i sorrisi di triste malinconia. Dopo una cena frugale, Legolas si congedò dicendo che sarebbe andato a passeggiare.
“Posso accompagnarti?”
L’Elfo acconsentì di buon grado alla richiesta di Edorel e i due si avviarono per le strade deserte della città. Echi di voci giungevano alle loro orecchie dall’alto, Edorel respirava la tranquillità di quel luogo e la sentiva scendere fin nel profondo del suo cuore inquieto. Provò l’istinto di guardare e toccare il ciondolo, così lo tirò fuori dal vestito.
“Dove hai preso quel gioiello?”
“L’ho sempre avuto, sin da quando ho memoria. Umyen non mi ha mai detto da dove venga.”
“Quella è una pietra elfica e proviene da Eregion.”
Di nuovo quel nome, Eregion, scatenò nella ragazza una vaga reminiscenza, le riportò alla mente immagini confuse di un tempo che esisteva solo nei suoi sogni.
“Come posso averla io?”
“Dama Galadriel lo sa. È stata regina di Eregion, prima che il regno venisse distrutto.”
“Come è successo?”
“Per colpa del Signore Oscuro, molto tempo fa. Ma non spetta a me parlarne, soprattutto non in questo luogo: chi ora vive qui ha sofferto anche troppo.”
L’Elfo si chiuse in un silenzio distante, come se contemplare le foglie dorate inghiottite dal tramonto lo facesse pensare a ben altro. Edorel si guardava intorno, quando scorse una figura in piedi sotto un albero, immobile. Si avvicinò, incuriosita, e notò che si trattava di una statua: era di una pietra grigia e liscia, ancora calda per i raggi del sole. Si trattava di una donna avvolta in un abito semplice, con lunghi capelli sciolti sulle spalle. La ragazza girò attorno alla scultura per ammirarne il voltò e gridò di spavento: quella statua era identica a lei!
Legolas, accorso al suo grido, non riuscì a trattenere un’espressione di profondo stupore. Edorel non perse tempo e corse indietro, verso il palazzo. Passò davanti alla Compagnia riunita e tutti si chiesero dove stesse andando con tanta fretta. Legolas, giunto subito dopo di lei, spiegò:
“Abbiamo visto una statua. Se non fossi certo del fatto che Edorel non ha mai vissuto a Lòrien, giurerei che raffigura proprio lei.”
“Ma dove sta correndo con tanta fretta?”
Domandò perplesso Pipino. Legolas e Aragorn si scambiarono uno sguardo, poi questi rispose:
“A cercare risposte. Sta andando dalla regina!”

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


NdA:
Ciao!!
Dunque dunque...evito troppi preamboli: capitolo abbastanza denso! Spiegazioni da Galadriel poche, ma in compenso un nuovo (o forse non proprio "nuovo" xD) arrivo! Grazie mille a tutti i lettori, spero vi piacerà!
C.


Capitolo 14
 
Edorel non si concesse nemmeno un attimo di pausa, salendo d’un fiato i gradini fino al salone. Entrò come una furia, ansimando per la fatica, e si avvicinò a grandi passi al trono. Galadriel, tranquillamente seduta e circondata da diverse Elfe, non si scompose affatto, come se già conoscesse il motivo della sua visita.
“Chi raffigura quella statua?”
Per qualche istante non ci fu che silenzio, disturbato unicamente dal respiro affannato di Edorel. Poi, giunse una risposta:
“Nessuno.”
“Non sono qui per ascoltare qualche altra frase incomprensibile, Maestà. Voglio delle risposte!”
Galadriel mantenne composta la propria maschera d’impassibilità ma il suo cuore ebbe un sussulto di qualcosa incredibilmente simile all’affetto: rivide la bambina che giocava nel suo palazzo, rivide i tempi di Eregion, quando ancora non aveva conosciuto la potenza di Sauron.
Negli occhi di Edorel vide lampeggiare una fiamma e, per un istante, temette di non riuscire a fingere ancora indifferenza.
Avrebbe desiderato amarla come una figlia, trascorrere con lei ore felici, pettinarle i lunghi capelli e ascoltare le sue confidenze sussurrate, fino al momento in cui la avrebbe lasciata nelle mani di un marito premuroso e caro. Aveva creduto di poterlo fare, in quei pochi lontanissimi anni che le avevano lasciato impresso un segno tanto profondo quanto invisibile.
Ma la realtà aveva deciso diversamente, condannandola a esiliare quella meravigliosa creatura. Nemmeno lei stessa, la potente Galadriel, era stata in grado di prevedere che Edorel sarebbe ricomparsa così inaspettatamente. Tuttavia in quel momento, avendola di fronte con il viso acceso da un lieve rossore per la salita e la rabbia, realizzò che sollievo fosse sapere che stava bene.
Le riflessioni della regina non occuparono che un attimo, prima che giungesse la sua risposta:
“Quella statua non rappresenta nessuno, perché è qualcuno. Un’Elfa che viveva qui.”
“Chi l’ha tramutata in pietra?”
“Si è tramutata in pietra da sola. Prima il cuore, poi le membra, da ultimi gli occhi quando ne è caduta anche l’ultima lacrima.”
Edorel era stupefatta: sentiva che la regina non stava mentendo, ma non riusciva a capire come un simile fenomeno fosse possibile.
“Quando è successo? Chi era?”
“Non posso dirti nulla di più.”
“Perché assomiglia a me in maniera così sorprendente?”
“Giorni lunghi e difficili attendono te e i tuoi compagni. Non aggiungerò altri pesi sulle vostre spalle.”
Così dicendo, fece un gesto inequivocabile e la ragazza si sentì costretta ad andarsene. Scese le scale con rabbia e si sedette sul letto, senza una parola, piegando le ginocchia e appoggiandovi la fronte. Sentì dei bisbigli provenire dagli altri, poi un secco sibilo, seguito dalle solite chiacchiere.
“Non hai avuto ciò che speravi?”
Aragorn si sedette ai piedi del letto, con apparente noncuranza. Sapeva che Edorel era troppo orgogliosa per chiedere aiuto, gli era chiaro dall’evidente sforzo che stava facendo per trattenere le lacrime davanti a lui.
“Chiedo solo di sapere chi sono, è così ingiusto?”
“No, non lo è. Ma forse non è il momento migliore.”
“Forse non m’interessa!”
“Edorel, ti prego, voglio solo aiutarti.”
La ragazza alzò la testa e si sfregò le guance, nella speranza che le sue lacrime non fossero così evidenti. L’uomo si avvicinò lentamente, come se volesse chiederle il permesso di rimanere con lei. Edorel catturò con la punta delle dita una lacrima che stava per cadere, tossì per schiarirsi la voce e rispose:
“Non credo che tu possa fare nulla per me.”
“Sin da quando riesco a ricordare, conosco la storia della mia stirpe, dal suo progenitore fino a me. Tutte le gesta gloriose e tutti i fallimenti. Devo confrontarmi con i miei antenati ogni giorno, consapevole che se solo Isildur fosse stato meno debole e avido, ora Sauron non esisterebbe.”
“Cosa vuoi dire con questo?”
“Non sapere, a volte, può essere un bene. E tu avrai sempre tempo per conoscere, quando tutto questo sarà terminato.”
“Se fosse troppo tardi? Gandalf è caduto, gli Elfi se ne andranno: se non trovassi più nessuno che sa chi sono?”
“Il tuo dovere è verso Frodo: puoi aiutarlo oppure puoi continuare la tua ricerca, puoi persino rimanere qui se lo desideri. Ma devi fare una scelta.”
“Non abbandonerei mai la Compagnia.”
Aragorn le accarezzò la guancia con un sorriso, poi aggiunse, nel tentativo di alleggerire l’animo della ragazza:
“Meno male, quel tuo fuoco invisibile mi sarebbe mancato.”
“Vi fareste ammazzare senza di me, Ramingo!”
Rispose Edorel ridendo, prima di essere interrotta da uno sbadiglio.
“Meglio che ti lasci riposare ora.”
Detto ciò, Aragorn si chinò rapidamente verso di lei e le lasciò un bacio sulla fronte, allontanandosi prima che la ragazza avesse tempo di dire qualcosa. Lo guardò raggiungere gli altri, quindi si raggomitolò sotto le coperte con un sorriso, addormentandosi senza più rivolgere un solo pensiero alla statua.
 

*

 
Trascorsero a Lòrien giorni piacevoli, che passarono rapidi eppure, per certi versi, sembravano non finire mai: potevano riposare dalle fatiche del viaggio, ma ogni giorno che passava avrebbero desiderato rimandare ancora la partenza, per sempre. Si sentivano come se in quel luogo non potesse penetrare alcun male, quasi fosse un’isola immune dall’influenza del Signore Oscuro.
Un pomeriggio, appena dopo aver consumato un buon pasto, la Compagnia sedeva in cerchio. Pipino stava imitando qualche buffo Hobbit della contea, mentre Gimli e Merry si godevano un po’ di buon tabacco da pipa.
In quel momento, una figura a cavallo irruppe nella placida quiete del piazzale della fontana. Istintivamente, Boromir e Aragorn misero mano alle spade. Il nuovo venuto smontò agilmente da cavallo e disse, in tono quasi sarcastico:
“Non credete che sia sufficiente la protezione dei Galadhrim?”
Ancor prima che si togliesse dal volto il cappuccio grigio, Edorel aveva capito perfettamente di chi si trattava. Si alzò di scatto e gli corse incontro, trovando posto tra le sue braccia già spalancate per lei e lasciandosi andare a un sospiro di gioia. Umyen.
Aragorn fissava le lunghe dita dell’Elfo intrecciate ai capelli di Edorel, i suoi occhi rivolti a lei con dolcezza e strinse più forte la mano sull’elsa della spada. Provò allora a rievocare tra i suoi ricordi il suono della voce di Arwen, il colore dei suoi occhi, il profumo della sua pelle, ma inutilmente. La sua mente sembrava occupata da un unico, irrazionale proposito: allontanare quell’Elfo da Edorel, per sempre, e prendersi finalmente quel bacio che desiderava da troppo tempo.
Dovette però relegare tutto in un angolo di sé, com’era purtroppo ben abituato a fare, quando i due si avvicinarono e si sedettero assieme alla Compagnia.
Umyen avrebbe desiderato evitare quei convenevoli e parlare immediatamente con Galadriel, ma Edorel gli aveva chiesto di farlo e non le avrebbe negato nulla in quel momento. Sapeva in cuor suo che, nonostante i terribili racconti giunti alla corte di Elrond, Edorel era viva, ma rivederla sana e salva fu una gioia oltre qualsiasi sua aspettativa.
“Che notizie da Imladris?”
Domandò Legolas.
“Le voci sul Balrog sono giunte fino a sire Elrond, credo sarà felice di sapere che la Compagnia è salva.”
“Non tutta la Compagnia, Gandalf è rimasto indietro!”
“La morte di Mithrandir mi rincresce, ma non posso evitare di ricordare che fu proprio lui a dirmi quanto questo viaggio sarebbe stato pericoloso: in egual misura per ogni membro della Compagnia. Mi rammarico che le sue parole si siano rivelate così vere!”
“Come puoi parlare della morte come se fosse solo un gioco del Fato? Gandalf ha scelto di rimanere indietro per salvarci!”
“Dunque siete vivi grazie al suo sacrificio e non al vostro valore?”
La discussione tra Umyen e Aragorn sembrava prescindere da ciò che si stavano realmente dicendo. I due si fronteggiavano con lo sguardo, nessuno disposto a cedere sulle sue posizioni. Era come se ci fosse un altro terreno su cui stavano combattendo, noto solo a loro due. Edorel guardava l’uno e l’altro, preoccupata. Sapeva di dover intervenire, ma fu preceduta da Gimli che saltò su dicendo:
“Non dobbiamo certo dare prova a te del nostro valore, Elfo! Se proprio vuoi saperlo, Sam è stato ferito per proteggerci. E Aragorn è stato vicino alla morte per noi!”
“Ritiro tutte le mie accuse, allora. Meno male che l’abilità guaritrice degli Elfi ti ha salvato.”
“Non sono stati gli Elfi a salvarmi. È solo grazie a Edorel se sono vivo!”
Lo disse guardandola negli occhi e lei fu costretta ad abbassare lo sguardo. Temeva di rivelare più di quanto avrebbe voluto: aveva paura che tutti capissero quanto aveva significato per lei vederlo sopravvivere.
Umyen non replicò, si limitò a scuotere la testa e sfiorare la mano di Edorel, che gli sorrise ma si ritrasse. Quasi stizzito da quell’atteggiamento, l’Elfo aggiunse:
“Ora dovete scusarmi, ma sono qui per vedere la regina.”
Si alzò senza altre spiegazioni e si avviò verso il palazzo. Edorel si alzò quasi automaticamente per seguirlo, ma si bloccò dopo pochi passi: non aveva alcuna voglia di parlare con lui. Si sentì sfiorare il braccio, si trattava di Aragorn che le disse, quasi sussurrando:
“Tutti la chiamano Naneth o Sarn[1] ma nessuno ne parla volentieri, credo che Galadriel non voglia. Non sono riuscito a sapere altro, ma proverò a chiedere ancora.”
Edorel lo ringraziò con un sorriso, poi aggiunse:
“Mi dispiace per quello che ha detto Umyen, non credo lo pensasse davvero.”
“Non m’interessa. Mi basta che tu sappia quanto ti sono riconoscente per avermi salvato la vita.”
“Non è stato solo merito mio.”
“Sì, invece. Ma non riuscirò mai a spiegartelo.”
Fece per tornare dagli altri, ma Edorel gli prese la mano e disse:
“Credo di capire. Avrei dato qualsiasi cosa per salvarti.”
“Avrei sopportato qualsiasi cosa per vederti di nuovo.”
Si voltarono entrambi per tornare dagli altri, evitando d’incrociare lo sguardo dell’altro per il timore di ciò che avrebbero potuto leggervi.

 

 


[1]Madre di pietra

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


NdA:
Ciao!! Scusate per il mostruoso ritardo, problemi con il computer... -.-''
Dove eravamo rimasti? Il nostro carissmo Umyen si è rifatto vivo, a portare un altro po' di scompiglio nella già scompigliata Compagnia. Chissà se Galadriel si deciderà mai a dire qualcosa di più alla nostra Edorel..........?
Grazie a chi legge e recensisce questa ff! :) Buona lettura!
C.


Capitolo 15
 
La sera a Lòrien era il momento che più infondeva malinconia nel cuore della regina. Osservare l’oscurità strisciare densa verso gli alberi e inglobarli, vincendo la lotta impari contro le deboli fiaccole degli Elfi che ben poco potevano contro di essa, costringeva Galadriel a interrogarsi dolorosamente sul proprio destino. Quella sera fu, se possibile, ancora più penosa per lei.
Aveva finalmente capito cosa intendesse la sua cara Asenath.
“Ho visto negli occhi di Umyen ben più che lealtà e devozione.”
Quelle erano state le sue parole, pronunciate una buia notte di un tempo che pareva ormai appartenere al sogno. E quel giorno Umyen era tornato a chiedere udienza alla sua regina, dopo più di cinquemila anni, per domandarle consiglio e presentarle una richiesta: impedire a Edorel di proseguire il suo viaggio con la Compagnia.
Con un sospiro, la regina si alzò dallo scranno su cui era, per prendere una brocca d’acqua e versarla nel bacile. Poco prima di sporgersi a guardare nello specchio, un rumore le fece sollevare gli occhi. Edorel stava scendendo la scala di pietra e si era bloccata incrociando il suo sguardo, come a volerle chiedere il permesso di proseguire.
“Cosa ti porta qui, Edorel?”
“Vorrei evitare di pensare, speravo che questo luogo mi desse la pace per farlo.”
Con un cenno, Galadriel la invitò accanto a sé e chiese:
“Desideri guardare nello specchio?”
“Cosa vedrò?”
“Nessuno lo sa con certezza, neppure io. Potresti vedere cose che sono state, cose che sono, cose che saranno.”
Con espressione appena titubante, Edorel si sporse verso l’acqua e fu subito catturata dallo specchio. La regina osservava i suoi occhi spalancarsi in una dolorosa sorpresa, le sue dita artigliare il bordo della vasca fin quasi a sanguinare. Temendo che quella visione potesse completamente annientarla, Galadriel la prese delicatamente per i polsi e la allontanò dall’acqua. La sostenne, ancora tremante, e la condusse a sedersi su una piccola panca.
“Cos’hai visto?”
“Mi trovavo a Minas Tirith, ma la città non era più bianca e maestosa, era solo un gigantesco ammasso di rovine fumanti. Tutto intorno sembrava desolato e triste, la terra era nera e solcata da profonde crepe, fin dove riuscivo a vedere. Ero sulla rupe, sola, e indossavo un’armatura scura e pesante, mi sentivo come se il freddo del metallo fosse dentro di me.”
Edorel s’interruppe con un sussulto, ripensando al guanto che aveva raccolto dal guado del Bruìnen: era la stessa sensazione di opprimente malvagità, da cosa proveniva dunque?
“Edorel, ti prego, continua. Io devo sapere.”
“A un tratto mi si avvicinava un’altra creatura. Non credo fosse un uomo né un Elfo, indossava un’armatura simile alla mia, che però su di lui sembrava ancora più scura e minacciosa. Stendeva il braccio davanti a sé e diceva soltanto: -Contempla la nostra vittoria! Allora cominciavo a scorgere, tra il fumo e la pietra, cumuli di cadaveri. Uomini, Orchi, tutti ridotti a un miscuglio di carne e sangue che sembrava estendersi fino ai confini del mondo. Sulla rupe, accanto a noi, c’era il cadavere di Aragorn, nelle vesti di Re.”
Un singhiozzo interruppe le parole della ragazza e una lacrima le rigò la guancia. Esitò a lungo prima di aggiungere:
“Per un istante, prima che voi mi portaste via da quel luogo orribile, ho provato una gioia incontenibile, come se rovina e devastazione fossero tutto ciò che desideravo. Mi sono sentita come quella creatura.”
Non riuscì a continuare, perché un doloroso nodo le stringeva la gola. La regina le prese le mani e domandò, con gentilezza:
“Non desideri essere come quella creatura?”
“Come potrei? Era causa della distruzione di Minas Tirith, della morte di Aragorn. Non potrei sopportare di esserne la responsabile.”
Un orribile rivelazione, tuttavia, le si affacciò alla mente.
“Mia Signora, se questo non è mai successo né certo sta succedendo ora, significa che succederà?”
“Lo specchio non può mostrare il futuro con esattezza, poiché esso ancora non è stato scritto. Così tante cose dipendono dalle nostre scelte, che qualsiasi previsione può risultare sciocca e infondata.”
“Ma era così vivido, così reale! Come posso sapere che non accadrà davvero?”
“Non puoi saperlo, devi fare in modo che non succeda. Insegui il bene con tutto ciò che fai, non c’è altro modo per decidere del tuo futuro, e di quello di molti altri.”
Edorel fece per parlare, ma tacque. Realizzò per la prima volta che sapere la verità sulle proprie origini avrebbe potuto rivelarsi doloroso e le avrebbe riversato addosso ancora più dubbi. Forse, Galadriel aveva ragione e aspettare la fine della missione della Compagnia era la scelta più saggia.
“Ricorda sempre ciò che hai visto, ma non attenderlo impotente come se si trattasse di qualcosa che non puoi controllare. È il tuo destino e ne sei la sola responsabile.”
Quelle ultime parole della regina le diedero una nuova consapevolezza: da quel momento in avanti avrebbe consacrato tutta se stessa alla missione, sarebbe stata la Compagnia. Avrebbe lottato per proteggere i suoi compagni a ogni costo e, se ne avesse infine ricevuto l’opportunità, sarebbe tornata da Galadriel, pronta finalmente a sapere. Il dolore che la visione le aveva causato era ancora vivido, ma non poteva lasciarsene sopraffare. Rispose all’Elfa con un sorriso e un inchino, prima di tornare quasi correndo al proprio letto.
La regina rimase accanto alla fonte, senza sporgersi per guardarvi dentro. Vedere era la sua dote e maledizione, non le occorreva certo l’ausilio dell’acqua per scorgere un ingannevole brandello di futuro. Sentì un lieve fruscio e vide avvicinarsi Celeborn, in compagnia di Umyen con cui sembrava conversare senza tuttavia profferire una parola. Giunti davanti a lei, il Re parlò:
“Hai preso una decisione riguardo alla ragazza?”
“Deve continuare la sua missione, poiché non è in nostro potere impedirglielo. È stata lei stessa a scegliere, prendendo un impegno che coinvolge tutta la Terra di Mezzo e prescinde dal volere degli Elfi. Persino dal mio.”
Umyen fece un inchino, chiedendo il permesso di parlare. Appena la sovrana glielo accordò, chiese:
“Mia Signora, che cosa ha visto Edorel nello specchio?”
“Nulla di vero, purtroppo.”
Celeborn si stupì di quelle parole al punto da intervenire, dicendo:
“Ti prego, Umyen, aspettami a palazzo. Presto ti raggiungerò portando ordini definitivi.”
L’Elfo s’inchinò e si allontanò, preoccupato da quella riservatezza che non sembrava preannunciare la conclusione che tanto aspettava. I due signori di Lòrien rimasero soli, in piedi l’uno di fronte all’altra, gli sguardi dolorosamente incatenati. Il silenzio durò minuti, poi Celeborn parlò:
“Quando vedesti l’Unico, non dubitasti nemmeno per un istante che la visione non fosse destinata ad avverarsi. Cosa è cambiato?”
“C’erano molti segnali, le parole di Mithrandir, tutto sembrava confermare la visione.”
“Dimmi che cosa ha visto.”
“Se stessa e l’Oscuro Signore. Sulle rovine di Minas Tirith e dell’intera Terra di Mezzo.”
La voce di Galadriel era ridotta a un sussurro stentato, come un rivolo d’acqua che cerca di farsi strada tra sassi e detriti.
“Non puoi continuare a tormentarti. Ancora.”
“Ho il dovere di preoccuparmi, così come ho il dovere di vedere. Non ho scelto questo destino, ma non posso cambiare ciò che sono.”
“E se non potesse cambiarlo nemmeno la ragazza?”
L’Elfa lasciò cadere la brocca, che rimbalzò con un pesante tintinnio sulle lisce pietre accanto alla fonte. Era la paura che tentava di nascondere persino a se stessa da migliaia di anni.
“Non posso credere che sia destinata ad appartenere a colui che l’ha generata.”
“Sua madre è stata sopraffatta dalla colpa e dal rimorso. Cosa ti fa pensare che il suo stesso sangue non la chiami prima o poi a unirsi alle forze di Mordor?”
“Non lo farebbe mai. Se non per amore della missione, lo farà per l’amore di Estel che anche un cieco potrebbe vedere.”
Disperazione nel cuore di Gondor. Non serve certo che sia io a ricordarti le parole che tu stessa pronunciasti.”
“Cosa vuoi dire con questo? Che avrei dovuto farla uccidere quando mi è stata affidata?”
“No. Cerco di dire che non puoi portare da sola anche questo peso. Devi metterne al corrente tutti coloro che viaggiano con lei.”
“Dovrei dirle la verità?”
“Non ho detto questo. Penso che almeno i suoi compagni debbano sapere chi realmente è.”
“Come potrei rivelare un simile segreto a tutti e non a lei?”
“Non capisci, Galadriel? È il tuo sciocco amore per quella creatura a parlare, non la tua ragione.”
Quelle parole disperate, gettate addosso alla regina quasi con rabbia proprio dalla creatura che più amava al mondo, ebbero il potere di far sorgere e cadere una lacrima da quegli occhi limpidi. Celeborn le si avvicinò e catturò con le proprie labbra quella lacrima, per poi aggiungere:
“Non voglio che tu debba vivere per l’eternità con il peso di una scelta sbagliata.”
“Salvarla dal suo destino non può essere una decisione sbagliata.”
L’Elfo le baciò delicatamente la fronte, quindi si allontanò da dove era venuto, lasciandola nuovamente sola, come sempre si era sentita. Sola a poter vedere, sola a dover lottare per impedire l’avverarsi di ciò che vedeva, sempre tormentata dal dubbio che le sue visioni non fossero che fantasmi e finzioni, destinate soltanto a confonderla. Galadriel raccolse la brocca e la ripose, prima di accomodarsi di nuovo sullo scranno in pietra, ritta e maestosa, ad attendere che il sorgere del giorno alleviasse i tormenti di quella notte.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


NdA:
Ciao!
Scusatemi (di nuovo) per il ritardo, ma tra ultime lezioni e primi esami sono presissima... Aggiornerò un po' qui e un po' là per le prossime settimane!
Annuncio sulla ff: mancano pochi capitoli alla conclusione, che avverrà entro la fine di questo mese! Ci sarà un seguito (su cui sto già lavorando di cervellino! xD) che non pubblicherò prima di agosto o giù di lì, posterò un avviso alla fine di questa ff per tutti i lettori interessati a continuare a seguirmi! :) Vi lascio al capitolo...
Buona lettura!
C.


Capitolo 16
 
La luna era solo una piccola falce nel cielo, accerchiata dalle stelle che desideravano brillare più di lei, almeno quella notte. Un leggero vento agitava i tendaggi della sala del trono. In piedi al davanzale di una delle alte finestre stava Umyen, osservando le braci del fuoco sotto di lui spegnersi lentamente. I membri della Compagnia dormivano profondamente, avvolti nelle loro pesanti coperte. Anche Edorel riposava, piuttosto serena nonostante la visione nello specchio, ignorando la ragione della sua venuta. Un fruscìo alle sue spalle annunciò l’arrivo del suo Signore.
“Non ho potuto fare molto, Umyen. La ragazza lascerà Lòrien insieme agli altri, partiranno tra qualche giorno.”
“Perché? È follia consentirle di correre tra le braccia di Sauron.”
“Lo penso anch’io. Ma dobbiamo fidarci di Galadriel, se dice di lasciarla andare.”
“Perdonatemi, ma sapete meglio di me quanto Dama Galadriel sia affezionata a Edorel. È cieca a qualsiasi cosa la riguardi!”
“Non spetta a noi giudicare. Quando saranno partiti, potrai scegliere se tornare a Imladris o rimanere qui. Il tuo esilio è finito.”
Dalle labbra di Umyen uscì un sospiro involontario e le gambe gli tremarono al punto che dovette appoggiarsi alla colonna dietro di sé. Aveva atteso millenni per potersi ricongiungere alla sua razza e ora ne aveva ricevuto finalmente il permesso. Chinò il capo in cenno di saluto e, dopo che Celeborn l’ebbe lasciato solo, si voltò nuovamente a guardare le stelle.
Rimanere a Lòrien, con la sua gente, fino al giorno in cui gli sarebbe stato accordato il permesso di imbarcarsi per il Valinor, dove trascorrere il resto dell’eternità nelle dimore dei suoi avi. Non aveva desiderato altro che questo, per tutta la sua vita, ma solo in quel momento realizzava appieno cosa avrebbe comportato: rinunciare a lei, per sempre. Edorel era stata felice di vederlo, ma Umyen aveva visto nei suoi occhi qualcosa che mai si sarebbe aspettato, che rendeva ancora più difficile accettare di vederla portare a termine la sua missione. 
Un debole fruscìo attirò la sua attenzione: una piccola figura si stava dirigendo verso gli alberi, camminando tranquillamente. Riconobbe Edorel e sorrise involontariamente, quando notò che qualcuno la seguiva a grandi passi. Si sporse leggermente, per osservare meglio e rimase in ascolto delle loro parole.
 
“Perché sei sparita, prima?”
“Volevo schiarirmi le idee.”
Edorel era ormai abituata all’improvvisa comparsa di Aragorn, quando meno lo aspettava, ma il tono con cui le si era rivolto non lasciava sperare nulla di buono.
“Dimmi la verità. Ho visto Celeborn e Umyen uscire poco dopo di te. Sono tornati a palazzo, ma senza Galadriel. Come mai?”
“Come mai sembra che tu stia spiando tutti quanti?”
“Non spio affatto, mi limito a osservare: troppe cose strane sembrano succedere. Rispondi alla mia domanda.”
“Quanto dice e fa la Signora di Lòrien è misterioso per me quanto per te.”
“Hai guardato nel suo specchio?”
Quella domanda colse Edorel alla sprovvista: come faceva Aragorn a conoscere lo specchio? Certo, data la sua intima conoscenza del mondo elfico, probabilmente ne era stato informato a Granburrone. Prima che se ne rendesse conto, il desiderio di ripicca aveva risposto in sua vece:
“Non è affar tuo.”
“Perché Umyen è qui?”
“Pensi che io lo sappia?”
“Dovrei credere che tu sia l’unica a ignorare del tutto cosa stia succedendo? Troppe circostanze sembrano indissolubilmente legate a te, sin da quando eravamo ancora a Imladris. Non puoi non sapere.”
“Invece ti dico che è così, lo è sempre stato. Non avevo idea che Umyen conoscesse Galadriel, né che provenissero entrambi da Eregion, nemmeno conosco quel luogo!”
Un mugolio sommesso proveniente dai giacigli dei compagni, la indusse ad abbassare il tono di voce. Non voleva che tutti venissero a conoscenza degli sciocchi dubbi di Aragorn.
“Ogni giorno che passa, qualcosa in cui ho creduto per una vita va in frantumi davanti a me. Non puoi immaginare come mi sento, tanto più che non ho alcuna idea di cosa stia succedendo.”
“Non ti credo, Edorel.”
“Come puoi non credermi? Ti ho sempre detto soltanto la verità.”
L’uomo non rispose, si voltò semplicemente tornando a stendersi sul suo giaciglio, incrociando le braccia dietro la testa senza degnarla di uno sguardo né di una risposta.
Edorel trattenne il pianto e corse via, alla ricerca di un angolo riparato dove non essere costretta a mostrarsi forte e distaccata.
Umyen aveva sentito ogni parola e si precipitò alla ricerca della ragazza. La trovò seduta di fronte alla statua, che guardava fisso negli occhi come a volersi far rivelare il segreto che nascondeva.
Edorel sentì arrivare qualcuno e fece per correre via, ma quando vide di chi si trattava cercò di fingere un debole sorriso prima di cadere nuovamente preda dei singhiozzi. L’Elfo le si avvicinò e si sedette accanto a lei, senza dire o fare nulla, conscio di non averne bisogno. Edorel trasse un profondo respiro e chiese:
“Perché sei qui?”
“Elrond era preoccupato per voi, mi sono offerto di raggiungervi.”
“Tornerai a Imladris, dunque?”
“Non lo so. Celeborn mi ha concesso di rimanere qui, ma…”
“Rimani, Umyen! Questo è il luogo a cui appartieni, me ne sono resa conto appena ti ho visto qui.”
“Credo che preferirei partire. Con te. Viaggeremo ancora, sarà tutto come prima. An ui.[1]
“Niente è più come prima, lo sai. E non dipende solo da me, né solo da questo viaggio. Perché mi hai baciata, alla vigilia della partenza?”
“Volevo che rimanessi, che ti rendessi conto di quello che avresti perso.”
“Ma tu ci sei ancora, sei qui.”
“Potrebbe essere per l’ultima volta! Pensa a cosa succederebbe, se…”
“Smettila, ti prego!”
Edorel si alzò di scatto, sperando di poter voltare altrettanto facilmente le spalle alle sue parole. L’Elfo le si avvicinò e le cinse la vita con le braccia, allungando la testa sulla sua spalla. La ragazza osservò i loro capelli ondeggiare pigramente nel vento, brillanti per i riflessi del sole nascente come rame e ossidiana.
“Non voglio pensare a quello che potrebbe succedere domani, Umyen.”
“Lo so, ma devi farlo. Ho rinunciato a tutto per proteggerti, vorrei solo che il mio sacrificio non fosse vano.”
“Chi ti ha chiesto un simile sacrificio?”
“Ho deciso di compierlo quando ho preso in braccio una bambina di pochi mesi, che già si guardava intorno curiosa e sorrideva a un mondo che non aveva nulla da offrirle. Tranne me.”
Edorel si voltò verso di lui, sempre stretta dalle sue braccia, per guardarlo negli occhi, velati dai ricordi che vi stavano scorrendo davanti.
“La mia regina mi ha chiesto di portarti via, io l’ho fatto. Ma ho anche giurato a me stesso che non ti avrei mai abbandonata, che almeno io non ti avrei mai voltato le spalle!”
“E hai mantenuto la tua promessa, Umyen! Seguire la Compagnia è stata una mia decisione, non una tua mancanza.”
“Lo so, ma non m’importa. Per me potrebbe essere distrutta l’intera Terra di Mezzo, se solo tu fossi al sicuro con me.”
Per un istante, Edorel desiderò poter tornare indietro a quando tutto le appariva semplice e ogni sua certezza era riposta nella stupenda creatura che le stava davanti. Ma non poteva abbandonare la Compagnia.
“Hanno bisogno di me!”
“Se mai esagerassi nell’usare il tuo potere, nessuno potrebbe salvarti.”
“Gandalf è morto per noi. Ci sono sacrifici che bisogna essere disposti a fare.”
Umyen la guardò con ammirazione. Non l’aveva mai vista così coraggiosa e determinata, si sentiva immensamente fiero di lei anche se una sottile angoscia gli impediva di esserlo appieno: non sopportava l’idea di perderla.
“Dimmi che starai attenta.”
“Lo farò. E gli altri veglieranno su di me come io su di loro, ci proteggeremo a vicenda.”
“Non sopporto che sia qualcun altro a doverti proteggere.”
“Li hai conosciuti, come puoi dubitare che sapranno proteggermi? Legolas, Gimli, Boromir, persino gli Hobbit farebbero di tutto per me, come io per loro.”
“Che mi dici di Aragorn? So che Mithrandir si fidava di lui, ma non mi piace.”
“Come puoi dire una cosa del genere? Sta facendo di tutto per Frodo, per la Compagnia e…”
Edorel esitò un istante, quanto bastava a far crescere in Umyen il dubbio che lo tormentava da quando la aveva rivista.
“Dunque è per lui che stavi piangendo.”
“Non capisco di cosa tu stia parlando!”
“Provi qualcosa per lui?”
“Affatto. Mi ha accusata di mentirgli e sai quanto questo mi faccia soffrire, perciò piangevo.”
“C’è davvero solo questo? Edorel, porta il gioiello di Arwen Undòmiel, il suo cuore le appartiene. Non c’è posto per te.”
La ragazza abbassò la testa. Sapeva che Umyen aveva ragione: qualsiasi sentimento provasse per Aragorn non era ricambiato né lo sarebbe stato mai, era solo un’illusione. Guardò l’Elfo e fece la sua scelta. Qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe portato a termine la missione e sarebbe tornata da lui, affidandogli il compito di custodire il proprio cuore e guarirlo dalle ferite causate da un Ramingo incontrato per uno scherzo del Fato. Edorel si sporse appena verso Umyen e lo baciò: suggellava così un patto con se stessa, la promessa di un ritorno.
“Io mi fido di te, Edorel. Sii prudente.”
Non ci fu bisogno di altre parole. Umyen non chiese giuramenti solenni o spiegazioni, forse perché non aveva visto, o aveva preferito non vedere, le ragioni di quella promessa, accontentandosi semplicemente di averla ricevuta.

 


[1]Per sempre

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


NdA:
Please non fucilatemi perché:
1) sono in ritardissimo con l'aggiornamento! Ma, ahimè, è iniziata la sessione d'esame estiva, quindi da qui alle prossime due settimane gli aggiornamenti saranno merce rara! :(
2) forse il capitolo non è dei migliori, ma l'idea di inserire una specie di "pausa" dagli avvenimenti principali mi allettava parecchio! Poi, adoro così tanto scrivere degli Hobbit che non sono riuscita a non dar loro un po' di spazio! *-*
Un grazie di cuore a chi recensisce, segue/preferisce, o legge semplicemente questa storia.. Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
C.


Capitolo 17
 
“Siamo quasi arrivati, promesso!”
Le parole di Pipino non sollevarono particolarmente il morale di Edorel, che ansimava leggermente per le centinaia di gradini saliti. Era una fresca mattina e gli Hobbit la avevano quasi sequestrata, pregandola di seguirli per vedere la loro ultima scoperta, a dir poco straordinaria. Poi, erano cominciati gli scalini di legno, una costante a Lòrien, ma quella volta parevano non dover finire mai.
“È un bene che questi Elfi non siano per nulla sospettosi. Nessuna guardia, nessun divieto. Siamo proprio fortunati.”
Sam tentò di dissimulare il respiro affannato dietro alla sua considerazione, con scarso successo. La ragazza stava quasi per domandare se fosse soltanto uno scherzo di pessimo gusto, quando i gradini cessarono improvvisamente davanti a una porta di legno. Era alta e sottile, decorata con splendide foglie in rilievo.
“Dopo di voi, mia signora!”
Esclamò orgoglioso Merry, spingendo la porta. Davanti a loro si aprì una stanza che fece spalancare gli occhi a Edorel: non aveva mai visto nulla di così meraviglioso e perfetto in tutta la sua vita. Si trattava di un ampio flet le cui pareti erano quasi interamente costituite da sottili vetrate, intervallate da colonne affusolate, che permettevano di ammirare il bosco dorato che si distendeva sotto di loro come un campo di girasoli. L’unica parete di legno, in cui si apriva la porta da cui erano entrati, ospitava scaffali fino al soffitto, gremiti di libri dalle copertine di pelle con caratteri elfici vergati in oro sui dorsi. Proprio nel centro della stanza, vi era un perfetto cerchio di pietre, evidentemente destinato a ospitare un fuoco, e attorno ad esso cuscini e morbide coperte.
Dopo che Pipino ebbe chiuso la porta dietro di loro, Frodo esclamò:
“C’è un’iscrizione qui. Edorel, cosa dice?”
Per l’amore che ho avuto e per quello che ho lasciato andare.
Perché un giorno tu possa ritornare.
Alla mia piccola êl1.”
Bastò il tempo di pronunciare quelle parole a gettarle davanti agli occhi le immagini dei suoi sogni. Una dolce Elfa che raccontava fiabe meravigliose. Una bambina. Êl. Quelle due lettere vorticarono per attimi interminabili nella sua mente, sovrastando ogni altra percezione, finché un leggero tocco sul braccio la fece voltare. Il caleidoscopio d’immagini scemò lentamente, senza darle il tempo di assegnare un volto o un nome a ciò che aveva visto.
“Tutto bene?”
“Certo, Sam. Ero sovrappensiero. Come avete scoperto questo posto?”
“Tutto è iniziato perché Merry ed io cercavamo le cucine.”
La ragazza scoppiò a ridere e intervenne:
“Non so perché, ma quest’inizio promette bene, Pipino!”
“Silenzio, o non racconterò più nulla. Dunque, cercavamo le cucine e ci siamo detti: saranno sicuramente in alto, dove i fumi possono disperdersi meglio. Spinti dalla fame siamo arrivati fin quassù. Ovviamente, in un primo tempo siamo rimasti molto delusi da quello che abbiamo trovato, ma poi ci abbiamo portato anche Frodo e Sam e siamo giunti a una conclusione condivisa: vorremmo che tu ci leggessi qualcuno di questi libri.”
“Leggervi dei libri?”
“Perché, ti sembra strano?”
La ragazza si fermò un attimo a guardarli: sembravano così entusiasti e desiderosi di ascoltare storie, nonostante la situazione. Li invidiò con tutta se stessa, perché erano capaci di gioire pienamente di ogni attimo di svago senza concedersi neppure un secondo per commiserare il proprio destino.
“Se volete che legga, leggerò, dunque. Scegliete un libro.”
Si scatenò un duello all’ultimo sangue tra gli Hobbit, ferocemente indecisi sul colore e la consistenza del libro da scegliere, pur senza capire nemmeno lontanamente cosa volessero significare i titoli. Fu Frodo a spuntarla, e a porgere orgoglioso la propria scelta alla lettrice.
Edorel si accomodò sui cuscini, incrociò le gambe e attese che i quattro si sistemassero accanto a lei, avvolti nelle coperte. Soffiò delicatamente nel cerchio di pietre e fece ardere una docile fiamma dorata, che di tanto in tanto sprizzava un nugolo di brillanti scintille verso l’alto.
Aprì il libro e cominciò a narrare.
 
Il sole aveva appena cominciato la sua discesa dallo zenit, quando terminarono il primo racconto.
“Per favore, ancora qualche pagina!”
Pregò Sam, gli occhi fissi al soffitto su cui non aveva smesso un attimo di figurarsi tutte le meravigliose immagini evocate dalla voce di Edorel.
“Siamo qui da ore, lasciatemi riposare.”
Rispose la ragazza con un sorriso, prima di alzarsi per risvegliare le gambe intorpidite.
“Cosa ne dite di cercare qualcosa da mangiare?”
La proposta di Merry fu ben accolta, Pipino e Sam lo seguirono di corsa, promettendo di tornare presto con le provviste per un intero pomeriggio di storie.
Frodo rimase sdraiato, raggomitolato su un fianco, a riposare. Edorel gli si avvicinò senza far rumore e s’inginocchiò per coprirlo meglio. Notò uno scintillio e vide, per la prima volta distintamente, l’Anello che sembrava riposare placidamente posato sulla mano del suo portatore. Avvertì un senso di profonda repulsione per quell’oggetto, e non capì come si potesse desiderarne il possesso al punto da uccidere. Non irradiava altro che male, nulla di buono ne sarebbe mai potuto scaturire. Frodo si mosse nel dormiveglia e la ragazza si allontanò di scatto da lui: non avrebbe certo voluto essere colta a fissare l’Anello.
Si allontanò silenziosamente, appoggiandosi al vetro di una finestra, che si appannò per il suo respiro. Edorel cominciò a disegnare linee affusolate nel vapore e si perse a pensare. Negli ultimi due giorni aveva tentato in ogni modo di evitare sia Umyen sia Aragorn. Temeva che il primo capisse la menzogna che si celava dietro il suo giuramento e che l’altro venisse a conoscenza di quella segreta promessa. Per quanto tentasse d’impedirselo, provava ancora l’irrazionale desiderio di vederlo tornare sui suoi passi, di sentire le sue scuse per aver dubitato di lei. Si sorprendeva a osservarlo di nascosto, sorridendo dolcemente della stretta che le serrava lo stomaco, e l’istante dopo si malediceva per la propria stupidità: si stava incatenando in una situazione che la avrebbe lentamente sbriciolata.
Un mugolio alle sue spalle la distolse da quelle riflessioni: Frodo si agitava nervosamente nel sonno, muovendo a scatti le piccole mani, come a voler scacciare invisibili insetti che ronzavano nei suoi incubi. Qualche istante dopo, lo Hobbit spalancò gli occhi e si tirò a sedere, guardandosi intorno stranito. Edorel gli si avvicinò lentamente, con un sorriso, gli posò una mano sulla spalla e disse:
“Sei al sicuro, nella biblioteca. Ricordi?”
“Era solo un incubo, allora.”
“Nulla potrà farti del male qui.”
Frodo tacque per qualche istante, poi spiegò:
“Ho incubi da giorni, da quando ho guardato nel suo specchio.”
“Anch’io, Frodo.”
“Ho visto solo distruzione, la Contea in fiamme ed è ciò che succederà se fallirò. Ho paura, Edorel.”
“Tutti abbiamo paura, ma stiamo lottando per qualcosa di più grande di noi.”
“Vorrei soltanto che non fosse toccato a me! So che non è la mia battaglia, anche se so di non potermi tirare indietro.”
Edorel si sedette accanto a lui e lasciò che posasse la testa sul suo petto. Gli accarezzò dolcemente i capelli, dicendo:
“Lo capisco. Per quanto possa valere, non credo ci sia una sola altra creatura in tutta la Terra di Mezzo che avrebbe accettato di buon grado di fare ciò che tu hai scelto coraggiosamente.”
“Per me vale, molto.”
Chiuse gli occhi e aggiunse, sforzandosi di sorridere:
“Sai, la Contea ti piacerebbe. Troveresti le nostre dimore forse un po’ bassine, ma nulla abbaglia più del verde dei nostri prati al sorgere del sole, quando da ogni filo d’erba bagnato di rugiada si levano piccoli arcobaleni.”
“Un giorno la vedrò, Frodo. Ho già viaggiato così tanto da non poterne fare a meno, e venire in visita a dei cari amici come voi mi sembra un ottimo pretesto.”
Edorel parlò con il volto appoggiato alla fronte dello Hobbit, perché non vedesse i suoi occhi farsi lucidi nell’immaginare un futuro che probabilmente non avrebbero mai vissuto. Quasi per un tacito accordo, Frodo stette al gioco e rispose:
“Merry e Pipino ti obbligheranno ad assaggiare ognuna delle nostre specialità – e sono molte, posso assicurartelo! – innaffiate dalla nostra miglior birra. Sam, invece, ti farà visitare ogni singolo giardino da lui curato, ne va così fiero.”
“E sarò io, finalmente, a sedermi comoda mentre voi mi racconterete le vostre leggende. Magari, anche qualcuna sugli Incantatori, ne sarei davvero curiosa.”
Frodo rise spontaneamente, quasi si fosse dimenticato che stavano soltanto fingendo di sperare. Poi si fece serio e domandò:
“Sarai sola?”
Per un momento, soltanto i deboli scoppi di scintille dal fuoco risuonarono nella stanza. Edorel non avrebbe saputo cosa dire. Aveva promesso di rimanere con Umyen per sempre e intendeva farlo, ma sarebbe stato abbastanza? Avrebbe saputo essere felice con lui, o si sarebbe trovata costretta a fingere ogni giorno, per non dargli il dispiacere di sapere che si stava allontanando da chi realmente desiderava?
Rise a sua volta e rispose:
“Sarò con voi!”
“Sarà sufficiente? Abbiamo tutti notato che…”
“Non avete nemmeno la più pallida idea di cosa è appena successo!”
L’arrivo degli altri Hobbit interruppe la loro conversazione, lasciando Edorel in preda al dubbio: che avessero visto ciò che tentava di nascondere anche a se stessa?
Non ebbe tempo di farsi troppe domande, perché Merry continuò imperterrito a raccontare:
“Siamo scesi a cercare da mangiare e abbiamo visto che tutti sembravano indaffarati. Elfi che salivano e scendevano dal palazzo, parlottando tra loro. Così abbiamo chiesto a Legolas, che ci ha detto della decisione dei sovrani di Lòrien: partiremo questo pomeriggio, prima che cali il sole.”
“Così presto?”
Interruppe Frodo, stringendo quasi involontariamente la mano attorno all’Anello che gli pendeva sul petto.
“Sì, dopotutto siamo qui da molto tempo. La decisione è stata presa da Galadriel in persona.”
“Gimli ci ha raccontato di aver sentito parlare Legolas e Aragorn. Da quel poco che ha capito, quando non confabulavano in elfico, sono giunte notizie poco confortanti da Isengard.”
Aggiunse Pipino, interrotto da Sam che continuò, concitato:
“Pare che Saruman stia attaccando il regno di Rohan e questo dev’essere un gran male per noi. Dobbiamo partire subito, evidentemente, prima che le forze del nemico siano troppo pericolose per noi.”
Quando non lo sono state? Si domandò Edorel, ma non diede voce alle sue preoccupazioni per non turbare i Mezzuomini. Disse soltanto:
“Coraggio, allora, andiamo a prepararci. Mi dispiace non poter leggere ancora per voi.”
I quattro scrollarono le spalle, cercando di fingere che non importasse granché, quando avrebbero fatto di tutto pur di rimanere al sicuro nella calda luce di quella torre, ad ascoltare avventure meravigliose senza l’angoscia di doverle vivere.
Ridiscesero la lunghissima scala e si ritrovarono nel bel mezzo di fervidi preparativi.


1Stella

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


NdA:
*si nasconde per evitare lanci di pomodori* Sono in ritardo mostruoso, lo so, ma questi esami mi fanno davvero impazzire!
Comunque, eccoci qui... Addio Lòrien e addio a un sacco di altri personaggi! sigh sigh :( Ma ci aspettano ancora un paio di imprevisti prima della fine di questa ff (che avrà un seguito, lo dico già da ora xD)
Enjoy..
C.


Capitolo 18
 
Sam non avrebbe mai smesso di meravigliarsi per la grazia degli Elfi. Avrebbe desiderato rimanere per ore a guardarli, perché anche quando svolgevano banali occupazioni sembravano volteggiare nell’aria senza peso. Molti Galadhrim camminavano avanti e indietro, portando vesti e bisacce, impassibili nella loro serenità distaccata. A Hobbiville un’attività del genere sarebbe stata accompagnata da un vociare confuso, canti, risa mentre a Lòrien tutto si svolgeva nel più assoluto silenzio, quasi che anche il vento cercasse d’insinuarsi tra le foglie senza muoverle.
“Edorel, sei qui. Già pensavo di dover mandare i miei uomini a cercarti!”
La limpida voce di Haldir interruppe la magia dei pensieri dello Hobbit, che seguì i suoi compagni verso i loro giacigli, per fare i bagagli. La ragazza, invece, rispose all’Elfo con un sorriso:
“I tuoi Galadhrim avranno di certo compiti più importanti. E poi, avevo la mia personalissima scorta.”
Aggiunse con un sorriso, accennando ai Mezzuomini indaffarati.
“Dunque, il vostro tempo qui è giunto al termine.”
“Vorrei non dovermene andare.”
“Non sei l’unica a desiderarlo. Molti qui preferirebbero che tu restassi.”
“Se ti riferisci a Umyen, sappi che…”
“Non parlo di lui. Anche se è innegabile che sia uno di coloro che più ti desidererebbero salva sotto la protezione degli Elfi. Mi riferisco a qualcuno che addirittura consideri con sospetto.”
Edorel lo guardò, confusa: possibile che stesse parlando di Galadriel? Aveva dimostrato di conoscerla, era ormai evidente, ma arrivare a temere per la sua incolumità?
“Si tratta di qualcuno a cui sei vicino?”
“Sai a chi mi riferisco. Non ti parlerei, se non fossi preoccupato per la mia regina: c’è qualcosa in te che la preoccupa, posso percepirlo nel modo in cui si comporta, ma allo stesso tempo desidera che non ti succeda niente. Ha chiesto che scegliessi gli uomini migliori per accompagnarvi agli attracchi e che fossi uno di loro.”
“Perché?”
“Non lo so, speravo fossi tu a dirmi qualcosa che ancora ignoro.”
“Io so ancor meno di te! Ho appreso dell’esistenza di Galadriel solo quando sono giunta qui, posso giurarlo.”
“Ti credo, Edorel.”
“Almeno tu.”
Sussurrò lei, gettando un rapido sguardo ad Aragorn, impegnato a discutere sottovoce in elfico con una delle guardie di Haldir. Poi aggiunse:
“È a Umyen che dovresti parlare. Sono certa che sa più di quanto non dica, ma a me non rivelerà mai nulla.”
“Neppure a me. È anch’egli un suddito della regina e uno dei suoi più fidati, non parlerà mai. I segreti che custodisce per lei hanno radici profonde nel tempo.”
“Erano insieme a Eregion?”
“Sospetto di sì.”
“Tutto sembra ruotare attorno a fatti accaduti addirittura all’epoca della mia nascita! Se solo Gandalf non fosse caduto, avrebbe saputo dirmi qualcosa.”
“Mithrandir era al corrente di quanto sta succedendo?”
“Lo è anche Sire Elrond, ne sono certa. Eppure nessuno vuole dirmi nulla!”
“Sicuramente ciascuno di loro ha e ha avuto ottimi motivi per comportarsi così. Spero solo che tu scopra ciò che vuoi sapere, presto o tardi.”
“Ti ringrazio, Haldir.”
Rispose Edorel, con profonda gratitudine per quella creatura così gentile e sincera. L’Elfo rispose con un semplice inchino, poi si allontanò per radunare i suoi Galadhrim.
“Abbiamo sistemato quasi tutto, le tue cose sono in quella bisaccia.”
Quella voce alle sue spalle fece immediatamente svanire il sorriso dalle labbra della ragazza. Si voltò e replicò semplicemente:
“Le prenderò al momento di partire.”
“Ci dirigeremo fino agli attracchi sull’Anduin, al limitare del bosco. Da lì prenderemo delle barche e navigheremo lungo il fiume.”
“E dopo?”
“Ancora non so. Gandalf avrebbe voluto che ci dirigessimo direttamente a Mordor, attraverso l’Emyn Muil.”
Nessuna inflessione. Sembrava che entrambi stessero recitando una sciocca filastrocca, monotona e poco divertente. Si guardarono per qualche istante, la ragazza annuì con simulata accondiscendenza e l’uomo si allontanò senza una parola. Edorel si avvicinò a quello che era il suo giaciglio, dove di tutte le sue cose non rimaneva che una borsa in pelle grigia. Levò lo sguardo verso le cime degli alberi dolcemente mosse dal vento e chiuse gli occhi, per lasciare che quella brezza delicata le scorresse liberamente sul viso.
“Sei pronta per partire?”
Un’altra voce echeggiò nelle sue orecchie, delicata e melodiosa come gocce di pioggia su un tetto di foglie. Si ricordò di quando, anni e anni prima, lo prendeva in giro per la sua parlantina da Elfo, sempre così piacevole tanto che anche i suoi rimproveri non sembravano mai così severi.
“Sì. Almeno credo.”
Non si mosse né aprì gli occhi, non ne aveva bisogno. Sicuramente, Umyen aveva già letto dentro di lei tutto ciò che la preoccupava. O forse, non tutto. Edorel si girò a guardarlo all’improvviso, regalandogli il suo miglior sorriso: non aveva alcun diritto di nominare Aragorn.
“Te la caverai qui? Insomma, non è esattamente come essere tra gli Incantatori.”
L’Elfo rise e rispose:
“L’unica ragione per cui ho vissuto con loro così tanto eri tu, lo sai. Avevi trovato un posto in cui vivere, con creature che ti accettavano per ciò che eri.”
“Lo sono anche ora. La Compagnia è la cosa migliore che potesse capitarmi…”
Replicò Edorel. Dopo appena un attimo di esitazione aggiunse, con voce più dolce:
“Dopo di te, ovviamente.”
Umyen le si avvicinò e prese il suo viso tra le mani.
“Allora non andare.”
“Sai che partirò, qualsiasi cosa tu dica!”
“Non puoi biasimarmi per aver tentato.”
Il sorriso dell’Elfo contagiò anche la ragazza, che replicò:
“Non ho nessuna intenzione di lamentarmi, per questa volta!”
L’improvvisa sensazione di essere osservata le fece voltare impercettibilmente lo sguardo. Gimli discuteva con Legolas a poca distanza, sembrava piuttosto infervorato. Di nuovo quel brivido lungo la nuca, come se qualcuno stesse cercando di oltrepassare ogni sua difesa per arrivare a leggerle nel profondo della mente. Vide gli occhi di Umyen saettare rapidamente verso un punto dietro di lei e si voltò. Incrociò lo sguardo di Aragorn, fisso contro di lei, che non accennava ad abbassarsi, quasi volesse sfidare quello dell’Elfo. Umyen fece per scattare in avanti, ma la voce di Haldir lo fermò.
“È tempo di metterci in marcia. Raggiungeremo gli attracchi prima di sera.”
Gli Hobbit si avvicinarono timidamente agli Elfi, con i pesanti zaini sulle spalle e gli occhi fissi a terra per nascondere il luccichio delle lacrime. Il cuore di Edorel si strinse al vederli così abbattuti e desiderò raggiungerli per confortarli. Si voltò verso Umyen, che le disse:
“Lo so, devi andare. Ti prometto che ci rivedremo, qualsiasi cosa accada.”
La ragazza annuì e lo abbracciò, nascondendo per un momento il volto tra i suoi capelli sperando di ricordarne il familiare profumo fino alla fine di quel terribile viaggio. Poi si voltò e raggiunse i suoi compagni, incamminandosi con loro fuori dalla città, senza voltarsi indietro.
 
*
 
Camminare attraverso il bosco rese tutti tristi e taciturni, poiché sapevano che ogni passo li avrebbe portati più lontano da quella splendida quiete e più vicini all’ombra.
Giunti agli attracchi, vi trovarono tre imbarcazioni elfiche: erano lunghe e strette, di un magnifico legno grigiastro, con le prue intagliate da graziosi arabeschi.
“Troverete dei remi nelle barche, anche se la corrente del fiume è sufficiente a sospingervi verso la vostra meta.”
Disse loro Haldir, mentre con i suoi Galadhrim caricava gli scarni bagagli della Compagnia.
“Grazie, a te e ai tuoi soldati. Vi dobbiamo molto.”
Rispose Aragorn con un lieve inchino, parlando a nome dei suoi compagni che si stavano imbarcando senza una parola. L’Elfo rispose con un cenno del capo, soffermandosi a osservare per un istante quel bizzarro gruppo di viaggiatori da cui dipendevano le sorti della Terra di Mezzo. Certo, lui era un Elfo e avrebbe sempre avuto una dimora a cui fare ritorno, al di là del mare, ma il mondo in cui aveva vissuto per così tanto tempo era parte di lui. Vederlo scivolare giorno dopo giorno nell’abisso del male lo addolorava profondamente, tanto da indurlo a sperare in un esito positivo per quella missione disperata.
Mentre le barche venivano sospinte nell’acqua e il fiume ne prendeva possesso, facendole dolcemente scivolare incontro al loro destino, Haldir di Lòrien si addentrò nuovamente nel bosco, al sicuro sotto le dorate foglie ma con il cuore colmo di preoccupazione.
 
La Compagnia aveva appena lasciato gli attracchi, quando da un’ansa del fiume spuntò una meravigliosa imbarcazione in legno chiaro, che aveva la forma di uno splendido cigno dalle ali spiegate. A bordo, pochi rematori e i Sovrani di Lòrien, giunti per offrire un ultimo pasto e un augurio di buona sorte ai viaggiatori. Nonostante la squisitezza dei cibi elfici, persino gli Hobbit mangiarono controvoglia, sentendosi troppo oppressi dall’imminente partenza. Sulla tavola regnava uno strano silenzio, interrotto solo dalle comunicazioni indispensabili, che venivano sussurrate per non turbare la quiete del momento.
Poco dopo il banchetto, quando già la Compagnia si apprestava a risalire sulle grigie imbarcazioni per sfruttare le ultime ore di sole, la regina Galadriel parlò:
“Un lungo e oscuro cammino vi attende. È mio desiderio cercare di alleviarlo, con quanto è in mio potere fare.”
Li convocò quindi uno alla volta, presentando i propri saluti e un regalo a ciascuno di loro. Lasciò per ultima Edorel e, quando la ebbe davanti, si costrinse a dire:
“So bene ciò che vorresti da me, ma non posso darti la verità. Spero che un giorno saprai perdonarmi e capirmi. Questo è tutto ciò che posso fare per te.”
Le tese un sottilissimo foglio, che la ragazza srotolò con cura. Era un antico ritratto, eseguito da una mano forse non esperta, ma attenta a cogliere i dettagli e le emozioni. Raffigurava la regina Galadriel, con in braccio una bambina sorridente, di circa due anni, con folti capelli bruni e occhi neri. Poco dietro a quell’immagine di calma gioia, si stagliava un’altra figura: era senza dubbio la donna di pietra, ma aveva splendidi capelli argentei e occhi blu. La sua espressione era come incupita da una nube, velata da una profonda tristezza e i suoi lineamenti ricalcavano perfettamente quelli di Edorel.
“Questa sono io. E questa siete voi, Maestà. E la donna di pietra è…mia madre?”
“Il suo nome era Meridan, io la conoscevo.”
“Perché si è tramutata in pietra?”
“Soffriva di un dolore insopportabile, da troppo tempo.”
“A causa mia?”
“Tu non hai nessuna colpa. Mi auguro che questo ti basti, per il momento.”
La ragazza annuì con un inchino e fece per allontanarsi.
“Edorel, aspetta ancora un momento!”
Galadriel le si avvicinò e la abbracciò. Il delicato profumo delle bianche vesti della regina rievocò vividamente alla mente di Edorel un’altra scena, un altro abbraccio. Neve. Una bambola di pezza abbandonata sul davanzale.
“La neve è neve, io sono Edorel e lei è Galadriel.”
La voce della ragazza giunse incerta persino alle sue orecchie. La regina la guardò con un sorriso quasi commosso e disse:
“Dunque ricordi.”
“Chi sono, Galadriel?”
“Sei chi sceglierai di essere, Edorel.”
“La neve è neve, non può scegliere di essere pioggia o vento!”
“In te c’è tanto ancora da scoprire, nulla è deciso. Scegli con cura e potrai essere tutto ciò che vorrai!”
La ragazza strinse ancora per qualche istante le braccia attorno alle spalle della regina, con il volto appoggiato alla sua spalla, assaporando quel contatto quasi materno che aveva soltanto immaginato per tutta la vita, poi risalì sulla barca con gli altri, che si guardavano sbalorditi dalla scena a cui avevano appena assistito.
Ripresero immediatamente a navigare l’Anduin, trasportati dalla corrente, gli occhi fissi alle sagome di Celeborn e Galadriel che si facevano sempre più piccole e si confondevano con la foresta circostante.
“Cosa darei per poter tornare indietro!”
Esclamò Gimli, riponendo al sicuro il dono che gli aveva fatto Galadriel.
“Il tempo di Lòrien sta volgendo al termine, credo che nessuno di noi vi tornerà. Ne conserveremo almeno il ricordo.”
Aggiunse Legolas, guardando avanti per paura che rivolgere lo sguardo indietro avrebbe fatto mancare la sua determinazione a continuare la missione.
Su tutti quanti pesava la separazione da quel luogo così antico e pieno di pace, tanto che non poche lacrime vennero asciugate di nascosto o si persero nel calmo corso dell’Anduin.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Ciao a tutti!

Scusate, davvero, per la mia lunghissima assenza, ma ho avuto un blocco spaventoso. Ero completamente priva di idee su come aggiustare questa storia e come continuarla, ma poi, improvvisamente, sembra che si sia sbloccato tutto! :) Spero che continuerete a leggere e recensire questa fanfiction, per farmi sapere cosa ne pensate..

Vi preannuncio già che la storia avrà una continuazione, in pubblicazione prossimamente!!

Un abbraccio.

C.

Capitolo 19

Interruppero la loro navigazione solo al tramonto, tirando le barche in secco e accampandosi come meglio poterono. Boromir accese un piccolo fuoco e si sedette, immobile, a fissare le fiamme con sguardo vacuo. Nessuno osava fiatare: la paura del Nemico e dei suoi servi era calata di nuovo su di loro come una coltre di nebbia non appena si erano allontanati dall’influenza di Lòrien.

Gli Hobbit sedevano attorno al piccolo fuoco, sfregando le mani per scaldarsi, pur sapendo che il freddo non veniva affatto dalla notte incombente intorno a loro.

Le cime degli alberi persero pian piano gli sprazzi di rosso che ancora le coloravano, per scivolare rapidamente in un blu intenso. Non una nuvola offuscava il cielo e l’aria si era fatta più fredda, al punto che i loro respiri si condensavano in piccole nuvole grige, che subito si dissolvevano nel buio. Edorel si avvicinò agli Hobbit e si sedette dietro di loro, aprendo il mantello in modo da scaldarli almeno un po’.

“Non ce la faremo mai.”

Il bisbiglio uscì dalle labbra di Pipino quasi senza che se ne accorgesse, mentre si stringeva alla giovane per godere del suo calore.

“Gandalf non lo pensava, Pipino, aveva grandi speranze!”

Ribattè Sam, tirando su con il naso, per il freddo e la tristezza. Nessuno rispose. Era troppo doloroso ricordare lo stregone, era troppo doloroso pensare che, forse, le sue speranze erano state vane quanto i suoi tentativi di salvarsi dall’oscurità di Moria.

“Andrà tutto bene, coraggio.”

Edorel accarezzò la testa dei piccoli Hobbit ai suoi piedi, soffermandosi per la prima volta a pensare a come sarebbe stato avere dei bambini. Occuparsi di piccole creature innocenti, tutte sue. Sorrise amaramente: certo, non era proprio il momento di pensare a un simile quadretto. La guerra incombeva, con lo stuolo di morti che portava con sé, l’orrenda visione dello Specchio di Galadriel. Ma proprio quando le speranze sembrano vacillare, ecco che il desiderio prepotente di vita si fa sentire, nel profondo del cuore, come a ricordare che c’è sempre una speranza.

“Anche se di domani ancora nulla si sa, ti prometto che per te una speranza ci sarà.”

La sua voce era dolce e cristallina, come la pioggia in primavera. Aragorn conosceva quella canzone, gliel’avevano insegnata gli Elfi. Edorel doveva averla senz’altro appresa da Umyen. Non aveva mai desiderato tanto di poter credere a quelle parole. La promessa di una speranza.

“Giuro, ti prometto, che io sarò con te, affronteremo il mondo insieme.”

L’uomo si alzò, incapace di ascoltare oltre. Edorel gli aveva mentito, sicuramente lo aveva ingannato sin dal principio: perché, allora, desiderava solo unirsi a lei e cantarle quella promessa?

Un debole russare interruppe la giovane: Frodo e gli altri stavano dormendo. Smise di cantare e si appoggiò al tronco dietro le sue spalle, chiudendo gli occhi e sperando di dormire.

 

*

 

Uno scricchiolio risvegliò bruscamente Edorel, facendole spalancare gli occhi. Si voltò lentamente e scrutò nelle tenebre. Trasse un sospiro di sollievo nel vedere che si trattava di Boromir che avanzava risoluto verso Aragorn, appoggiato a un albero, di guardia. La ragazza finse nuovamente di dormire, ma tese le orecchie per cogliere ogni parola della conversazione poco amichevole che stava avvenendo tra i due.

“Una volta giunti alle Cascate, dovremo prendere una decisione. Dove intendi condurci, Aragorn?”

“Gandalf desiderava che prendessimo subito la via dell’Emyn Muil, intendo rispettare la sua volontà.”

“Non ti ho chiesto cosa voleva lo stregone, ma cosa intendi fare tu. Proprio non vuoi capire? Gondor sola può proteggere gli Uomini dalla minaccia del Signore Oscuro, ma ci serve l’Anello.”

“Non posso prendermi una simile responsabilità!”

“Lo stregone poteva? Gli Elfi possono? I Nani? Nessuno combatte più per la Terra di Mezzo, solo gli Uomini. Perché non dovremmo usare questo mezzo, che ci è stato messo a disposizione da un Fato più grande di tutti noi, persino di Sauron?”

“Sbagli, Boromir, gli Uomini non sono soli in questa guerra. Guardati attorno, ti basta osservare la nostra Compagnia. Non possiamo peccare di superbia ancora una volta, pensando di essere i soli a poter proteggere la nostra terra.”

“Quando avremo bisogno, nessuno verrà. E sarai tu a portare il peso di questa scelta, sappilo!”

Il soldato di Gondor si allontanò sprezzante da quell’uomo che non avrebbe mai considerato il suo re, lasciandolo solo.

La ragazza cercò di rimanere immobile e regolarizzare il suo respiro affannoso: distruggere l’Anello era ciò che Gandalf voleva, era la cosa giusta! Come si poteva desiderare di usarlo? Ne era stata ripugnata, l’unica volta che lo aveva visto, troppa malvagità di nascondeva dietro i bagliori di quell’oro. Aragorn avrebbe fatto la cosa giusta?

Edorel avrebbe voluto alzarsi e raggiungerlo. Rimanere semplicemente accanto a lui, dimostrargli che non era solo a portare quel fardello, che sarebbero stati tutti dalla stessa parte, che avrebbero fatto del loro meglio per salvare ciò in cui credevano. Ma rimase a fissare le stelle, nelle orecchie il rombo del suo cuore agitato, in attesa che il sonno tornasse.

L’indomani mattina, si svegliarono alle prime luci dell’alba e compirono una mezza giornata di navigazione. Quando il rombo delle Cascate arrivava già alle loro orecchie, accostarono le barche a riva e si fermarono per mangiare. Il momento della decisione stava per arrivare, presto si sarebbe dovuta decidere la strada da intraprendere.

Il silenzio opprimente spinse la ragazza ad allontanarsi per un attimo dal gruppo. Fece pochi passi tra gli alberi e tirò un sospiro di sollievo, prima di sedersi su una roccia a mangiare del pan di via.

 “Perdonami, Edorel, posso sedermi?”

Sam aveva osservato la ragazza da quando avevano lasciato Dama Galadriel e ciò che aveva visto lo turbava profondamente.

“Certo, mi fa piacere un po’ di compagnia.”

“Lo so che non dovrei intromettermi in faccende più grandi di me, ma sento di dover dire alcune cose.”

“Sam, hai dimostrato di avere il diritto di parlare di qualsiasi cosa tu voglia.”

“Si tratta, ecco, di una questione delicata. Ho visto come tu e Granpasso vi guardate. E ho visto anche che ora non parlate quasi più. Non sono l’unico a essermene accorto, anche gli altri Hobbit sono in pena per voi.”

Seduto accanto a lei, il piccolo Hobbit aveva un’espressione preoccupata, ma allo stesso tempo rassicurante: desiderava darle tutto il suo aiuto, solo per vederla felice. Fu in quel momento che Edorel realizzò quanto l’orgoglio, completamente estraneo a quelle meravigliose creature, fosse pericoloso e insensato. Lo guardò con un sorriso, che si spense non appena cominciò a raccontare:

“Non si fida di me e sembra che io non possa far nulla per convincerlo di non aver mai mentito.”

“Gli hai salvato la vita, non gli basta?”

“A me non basterebbe.”

“Siete così sciocchi e orgogliosi!”

Sbottò Sam, per poi aggiungere, abbassando lo sguardo:

“Non volevo essere sgarbato, ma…”

“Ma hai ragione. Non possiamo cambiare quello che siamo.”

“Vedo un Elfo e un Nano che viaggiano insieme senza tentare di uccidersi. Quattro Hobbit usciti dalla Contea per imbarcarsi in questo viaggio infernale. Direi che stiamo tutti cambiando quello che siamo!”

Erano così semplici e vere quelle parole, che Edorel non seppe cosa rispondere. Scompigliò ridendo i capelli dello Hobbit, dicendogli:

“Va’ a chiamare Frodo, non voglio che si allontani da solo!”

Li aspettò seduta sulla roccia, godendosi quel momento di tranquillità e lasciandosi invadere dalla speranza che, dopotutto, la situazione poteva ancora mutare prima della fine del loro viaggio.

Un fruscio tra le foglie la fece voltare di scatto, appena in tempo per evitare la freccia, che le ferì soltanto di striscio un braccio. Scosse la testa per scacciare il bruciore che avvertiva, impugnò la spada e si voltò per fronteggiare gli orchi.

Dagli alberi alle sue spalle ne sbucarono quattro, che si diressero di corsa verso di lei. La sua lama di mithril scintillò fulminea nell’aria, prima di cozzare contro quelle dei suoi assalitori. I fendenti si susseguivano, lasciandole appena il tempo di schivarne uno e pararne un altro. Il suo respiro si era fatto corto e pesante, sovrastato dai grugniti degli Orchi. Non erano come quelli che avevano affrontato nelle miniere, sembravano più alti e forti, come se non sentissero fatica. Edorel temette di soccombere, ma riuscì ad assestare un colpo fortunato alla gamba di uno di loro, recidendogli un’arteria. Un fiotto di sangue nero schizzò alto nel cielo, come un piccolo, macabro fuoco d’artificio e il ferito si accasciò a terra con alti strilli, quietandosi man mano che il sangue e la vita abbandonavano il suo corpo. Distratti dalla morte del loro compagno, anche gli altri tre caddero presto sotto i fendenti della ragazza, che si lanciò subito nella foresta, sperando di trovare i due Hobbit prima degli Orchi.

Vagò tra gli alberi, disperata, senza farsi vedere, ma senza successo. Avvertiva i passi pesanti di un’intera squadra di Orchi, non molto distanti da lei, ma improvvisamente un leggero sibilo attirò la sua attenzione. Nascosti dietro una roccia, vide finalmente Sam e Frodo che la guardavano con occhi colmi di terrore. Li raggiunse e disse:

“Non c’è tempo da perdere, raggiungiamo gli altri alle barche:”

Tornarono di corsa all’ormeggio, ma non trovarono nessuno. Dietro di loro, al rumore di passi si era aggiunto un fragore metallico, segno che qualcuno stava combattendo.

“Cosa possiamo fare? Li abbiamo visti, erano tantissimi, non potremo mai batterli! Ci troveranno!”

Sam fissava gli alberi aspettandosi da un momento all’altro di veder irrompere quelle disgustose creature pronte a prenderli.

“No, Sam, non vi troveranno. Salite su una barca.”

Il secco ordine di Edorel suonò come una condanna a morte alle orecchie di Frodo. Attraversato il fiume, il suo fardello si sarebbe fatto ancora più pesante e pericoloso. Non avrebbe avuto più una Compagnia di amici esperti cui appoggiarsi, sarebbe stato solo con Sam. Gli era grato con tutto se stesso per la sua dedizione, ma dove mai sarebbero potuti arrivare due Hobbit mai usciti prima dalla Contea?

“Cosa ne sarà di noi? Non possiamo farcela da soli fino a Mordor.”

Edorel smise per un attimo di accatastare provviste sulla piccola barca e si rivolse a entrambi gli Hobbit:

“Avete dimostrato di essere forti e coraggiosi, se qualcuno può riuscire in quest’impresa siete proprio voi.”

“Ma, Edorel, non sappiamo combattere, come raggiungeremo Mordor senza di voi?”

“La Compagnia non si scioglierà ora, Frodo. Rimarremo uniti con un unico obiettivo finché questa guerra non sarà finita. Non importa dove sarete, noi saremo con voi!”

Le parole della ragazza gli fecero velare gli occhi di lacrime, che si asciugò con il dorso della mano. Sbirciò Sam accanto a sé e lo vide fare lo stesso. Si sentivano piccoli e soli, davanti all’Anduin e alla prospettiva di fuggire da un pericolo soltanto per inseguirne uno ben più mortale.

“Tutto dipende da voi, piccoli Hobbit. Per quanto possa valere, io credo che possiate riuscire in quest’impresa, ma sappiate che, se mai doveste fallire, io ci sarò, fino alla fine. Questo non è un addio, ve lo prometto.”

Edorel li abbracciò teneramente e baciò loro la fronte, prima di farli salire sulla barca. Quando già la corrente li sospingeva verso la riva opposta, un movimento tra le foglie la fece voltare, pronta a difendere la loro fuga a costo della vita.

Aragorn sbucò dagli alberi, la spada e i vestiti imbrattati dal nero sangue degli Orchi. Vide la barca e capì che gli Hobbit erano ormai fuori dalla portata delle loro braccia, gettati loro malgrado verso la continuazione di quella missione. Accantonò per un istante questi pensieri, prendendo la ragazza per un braccio e dicendo:

“Dobbiamo tornare dagli altri, gli Orchi sono troppi.”

Edorel annuì e si concesse solo qualche secondo per osservare i piccoli Hobbit allontanarsi verso l’altra sponda del placido Anduin. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rimanere con loro, per poterli proteggere dai pericoli ben più grandi che erano sul punto d’incontrare, ma la sola cosa in suo potere era garantire loro un po’ di tempo per allontanarsi inosservati, combattere a costo della vita, per Frodo e Sam.

I due si addentrarono nel bosco verso la battaglia, senza il coraggio di guardarsi, poiché sapevano che negli occhi dell’altro avrebbero letto la stessa, impietosa domanda: due Hobbit avrebbero mai potuto trionfare contro le armate di Mordor?

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