Il ragazzo tentatore

di Eliessa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Palermo 1997 ***
Capitolo 3: *** Amici? Questi sconosciuti. ***
Capitolo 4: *** Addio Sicilia. Benvenuta Buenos Aires. -Parte prima- ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il Ragazzo Tentatore 
Prologo.





Palermo 1997.
Marco 17 anni, Alice 7 anni.
Una bambina, un ragazzo, un incontro ed a seguire sette anni di silenzio.
La famiglia di lui è odiata dai palermitani poiché mafiosa e odiata dalla famiglia di Alice per aver ucciso alcuni membri di essa. Odiata dalla famiglia ma non da lei, che non ha mai dimenticato, nonostante la tenerissima età, quegli occhi azzurri come il cielo d’estate; azzurri come la pietra acquamarina; azzurri come il colore degli occhi dei principi delle sue fiabe preferite.
Un incontro e dopo il silenzio.
Palermo 2004.
Sette anni dopo lei non è più una bambina e lui non è più un adolescente.
Chi e cosa sono diventati Marco e Alice?
Cosa sarà successo negli anni del silenzio?
 
 

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Buonasera a tutti,
questa storia è abbastanza complessa (forse!) e non è mia abitudine pubblicare se prima non finisco di scriverla per intero, ma spero che vi vada bene se non sarò costante negli aggiornamenti.
Un capitolo a settimana (spero!) lo troverete sempre.
Vi auguro buona lettura, e grazie per aver aperto la mia storia.
~Eliessa

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Capitolo 2
*** Palermo 1997 ***


Palermo, 1997. 




Giornale di Sicilia. Prima pagina:
Trovato morto questa notte l’imprenditore Farderi.



 
Il signor Pierluigi Saluri stava leggendo, come il suo solito, il giornale a tavola mentre era intento a fare colazione con il suo caffè.
Pierluigi era un uomo sulla cinquantina, altro, fisico palestrato, capelli brizzolati, occhi neri, più neri del carbone e vestiva sempre elegante.
Accanto a lui sedeva un ragazzino di 17 anni, intento a fare colazione insieme al padre.
Marco era un ragazzo, un adolescente, forse un uomo per volere del padre; Marco era tutto, ma non un criminale. Non voleva essere un mafioso, nonostante tra i mafiosi ci fosse cresciuto e una parte del suo sangue apparteneva a quella razza.
Marco era alto, magro, ben piazzato, capelli castani ed occhi azzurri come il mare cristallino.
Era domenica mattina, e Marco dopo aver fatto colazione decise di uscire per andare in giro con Federico, il suo amico di sempre, quello con cui, purtroppo sempre per volere del padre, è dovuto crescere.
Appena uscito il figlio, Perluigi prese il suo telefono, girò fra i vari contatti che aveva in rubrica fino ad arrivare alla L. La L di Lallo.
-Lallo, sono Pieluigi. Ci vediamo a pranzo per parlare di ciò che sai bene.- dopodichè senza neanche attendere una risposta chiuse la chiamata e ripose il telefonino nella tasca interna della sua giacca.
Finito di assaporare il suo caffé, si alzò per dirigersi nel suo studio al piano superiore della villa in cui abitava.
Intanto quella domenica mattina, in un parco della città di Palermo, una bambina insieme alle sue amichette giocava alle principesse.
Tra le bambine vi erano anche due maschietti, che non sopportavano i giochi esclusivamente femminili, così uno dei due prese le due Barbie che la piccola Alice teneva tra le mani e le scaraventò via, fino ad arrivare ai piedi di Marco. Lui, molto gentilmente le prese e andò a restituirle alla piccola che nel frattempo si era messa a piangere.
-Ehi, queste sono le tue, vero.- chiese Marco. –Tieni.- la bambina senza dire niente prese le sue bambole e Marco tornò dal suo amico, ma la piccola gli corse dietro.
-Scusa, sono stata maleducata e le principesse sono educate. Dovevo dirti grazie prima.-
-Tranquilla.- rispose lui accarezzandole il viso.La madre della piccola Alice si avvicinò alla bambina.
-Scusami, ti ha dato fastidio?-
-No signora, non si preoccupi.-
-Come ti chiami?- chiese Alice.
-Alice dai andiamo, non disturbiamo oltre il ragazzo.- Marco invece si abbassò all’altezza della bambina e le rispose.
-Mi chiamo Marco e tu bella bimba?-
-Alice.- Luca le prese la mano come da cavaliere per farle il baciamano.
-Principessa Alice.-
-Principe Marco.- rispose lei. –Vuoi giocare con me?- Luca le rispose con un sorriso.
-Devo andare via, ma questo pomeriggio mi trovi qui, se tua madre vuole.-
-Mamma, è vero che veniamo, è vero, ti prego, ti prego.- insisté a bambina.
-Vediamo.- rispose la madre.
-Allora ci vediamo dopo.- rispose la piccola. Marco le annuì, e vide Alice e sua madre allontanarsi mentre lui continuava ancora a salutarla con la mano. Pochi secondi dopo Marco fu raggiunto da Federico.
-Ora mi giochi anche con queste bambine?!-
-Federico, quante volte ti ho detto che non devi rompere il cazzo?-
-Hai ragione scusa. Scommetto che pensavi che quella bambina tra qualche anno potrebbe essere sottoposta al nostro rito e far parte del gruppo.- Rispose Federico finendo la frase con una risata. -Comunque non puoi abbassati ai livelli della gente comune.-
-E perché? Perché non hanno il nostro cognome? Sai cosa c’è? Io parto, non voglio più avere nulla a che fare con persone come le nostre famiglie.-
E quelle furono le ultime parole pronunciate da Marco nella città di Palermo perché Federico, il suo fedele amico aveva fatto la spia con il padre.
Lui e Pierluigi non potevano accettare che Marco non fosse un mafioso, così la sera stessa padre e figlio partirono per l’Argentina chiudendo tutti i contatti con l’Italia e Marco pian piano aveva accettato l’idea di essere un Saluri.
Un mafioso della cosca Saluri.

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Capitolo 3
*** Amici? Questi sconosciuti. ***


Amici? Questi sconosciuti.



 
-Marco Saluri!-esclamò il padre del ragazzo non appena mise piede in casa.
-Papà?! Come mai questo tono?-
-Federico mi ha raccontato tutto. Figlio mio, potresti avere la bambina giusta per il rito, per essere finalmente rispettato da tutti e tu che fai? Rifiuti? Non sai a cosa vai incontro.-
-Sai cosa c’è? Che io in questa vita non ci sto più bene. Non sono fatto per essere come te.-
-Mi deludi dicendo così, sei una vergogna non solo per me e la nostra famiglia ma anche per le persone che credono in me. Loro si aspettano che mio figlio cresca a mia immagine e somiglianza, non il contrario di me.-
-E sono fiero di esser diverso da te. Sai, finalmente posso dirtelo: papà mi fai schifo.-Il padre, sentendo quelle parole tirò uno schiaffo al figlio facendolo piegare in due. –Bravo, picchiami, tanto solo questo modo conosci per far passare qualcuno dalla tua parte: o la si pensa come te, o si è uccisi. Ricordi 5 anni fa chi mori? Giovanni Falcone. Tu esultavi perché la mafia aveva “vinto” la giustizia, mentre io a 12 anni seguivo la vicenda di questa persona che aveva avuto il coraggio di mettersi contro le persone come te. Lui affermava: “la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine” ed io voglio continuare a credere in queste parole.-
-Sei totalmente una delusione Marco. Io pensavo di averti dato tutto ciò che potessi desiderare, e tu mi ripaghi così?-
-Si. Sei uno stronzo! Ti meriti questo ed altro.-Perluigi aveva tirato il secondo schiaffo al figlio. –Dai, continua. Continua pure a prendermi a calci e pugni fino a quando magari non mi alzo da terra. Sai che ti dico? Fammi uccidere da uno dei tuoi uomini, così io non vedrò più te e tu non avrai più nessuno a cui fare da balia.-
-Non mi tentare perché mi conosci e sai che lo faccio.-
-Cosa aspetti allora? Chiama Lallo. O anche Giuvannuzzi, Maddalena, Franchino. Hai solo l’imbarazzo della scelta, puoi farmi fuori come e quando vuoi.-
-Fila in camera tua.-
-Te lo scordi.-
-Ora!-gridò imbestialito Pierluigi. Marco, invece, senza tener conto del tono di voce del padre uscì dalla stessa porta da cui pochi minuti prima era entrato.
-Se esci da quella porta di ammazzo.-affermò il padre prendendo tra le mani la pistola che teneva dietro la schiena.
-Avanti.-rispose il figlio senza voltarsi. -Scommetto che non aspetti altro.- Pierluigi era fortemente tentato di premere il grilletto ma non aveva il coraggio di uccidere il suo unico figlio. Marco era il suo punto debole. Nonostante in quel momento lo odiasse, lo amava. Erano due sentimenti fortemente contrapposti ma era anche la pura verità.
Intanto Marco uscì di casa e il padre poggiò la pistola sul tavolo davanti a lui.
Ora doveva prendere un’importante decisione: rimanere in Italia, rischiando di non essere più il boss della Sicilia, o andare via, scappare, iniziare tutto daccapo in un’altra città?
 
Indecisione.
Indecisione.
Indecisione.
 
E mentre Marco ritornò al parco, raggiunto in seguito da Federico, il padre aveva ricevuto un messaggio sul suo cellulare: “Ci è giunta voce che tuo figlio non è alla tua altezza, iniziamo a dubitare di te”.
Partire era l’unica soluzione dopo quel messaggio.
Partire e iniziare tutto in un altro posto del mondo dove c’erano degli amici disposti ad aiutarlo.
 
-Sei un gran cazzone, altro che amico.-iniziò la discussione Marco appena vide Federico.
-Sai come la penso su certe cose.-
-E sai anche come la penso io e nonostante tutto siamo amici. Perché l’hai fatto?-
-Perché sono ancora convinto che tu un giorno accetterai, come ho fatto io, l’idea di vivere in una delle più potenti famiglie mafiose della Sicilia e dell’Italia intera.-
-Hai sbagliato tutto. Io non sarò mai come te, come voi.-Nel frattempo al parco arrivò anche Alice.
–Tutto sommato, se non vuoi fare il rito con quella bambina, lo farò io.-
-Ma se l’hai già fatto?-
-Beh, magari farlo due volte vuol dire dimostrarsi forte.-
-Ma se c’avrà 8 anni massimo.-
-E qual è il problema? La seguo insieme alla madre, la rapisco e aspetterò, come sempre, come fanno tutti.-
-Tu sei un coglione e se farai qualcosa a quella bambina, ti uccido con le mie stesse mani, lo giuro.-
-Questo è tutto da vedere.-
-Stronzo!Ah, con me hai chiuso e per sempre.- a questo punto Marco si alzò dalla panchina e si avvicinò alla bambina.
-Ciao.-
-Alice cara. Guarda cosa ti ho portato!-esclamò il ragazzo togliendo dal cappotto una confezione di caramelle gommose alla frutta.
-Alice, come si dice?-chiese la madre.
-Grazie Marco.-lui le rispose sorridendo.
-Sai, pensavo che non saresti venuto, so chi sei! Ho rischiato a venire e non ho ancora capito se aver paura di te.- continuò la madre della piccola.
-Lei purtroppo più che conoscere me, conosce il mio cognome.-la donna annuì. –Io non sono come mio padre, e non ho nulla per dimostrarlo se non la mia parola. Se non gradisce la mia compagnia vado via in questo preciso istante.- Alice che aveva sentito l’ultima parte della fase si mise a gridare.
-No, non andare via. Per favore.-
-Ma guarda che non sta andando via.-replicò subito la madre senza dare il tempo di rispondere al ragazzo.
-Dai, fammi vedere come sai andare in bicicletta.-disse Marco rivolto alla piccola. Appena la piccola era distante da loro, il ragazzo continuò a parlare. –Un consiglio però voglio darglielo: non parli mai con quel ragazzo.-
-Perché?-chiese la donna.
-Ha presente quel detto meno si sa meglio è? Ecco in questo caso ci sta a pennello.-La donna annuì senza replicare nulla.
-E quei lividi sul volto? Oggi non li avevi.-
-Diciamo che mio padre conosce solo un metodo per parlare, immagino abbia capito quale.-
-Non andate d’accordo?-
-Ultimamente no. La pensiamo in modo diverso. Siamo gli opposti.-
-Non dev’essere facile vivere nella tua famiglia.-
-Esistono solo due soluzioni: o divento come mio padre o vengo ucciso; e mi creda la morte non mi fa neanche paura perché almeno sono consapevole del fatto che una volta morto non ho più nulla a che fare con quella vita.-
-Come fai a dire questo? Hai ancora una vita davanti.-
-Una vita che può finire molto presto. Questa sera ci sono e domani no.-
La donna rimase impietrita a quelle parole ed ai racconti che si susseguirono.
I due continuavano a chiacchierare, alternando anche momenti di giochi con la bambina, fino a quando l’orologio non segnava le 20.30.
-Ora devo andare Ali.-
-E domani pomeriggio torni?-
-Vedremo.-
-Ti prego.-
-Facciamo così, lascio il mio numero a tua madre e quando vuoi mi chiami, ok?-la bambina gli sorrise e lo abbracciò forte.
-Ehi, così ti fai male.-disse Marco per via della stretta della piccola.
-Ciao Marco.-
-Ciao principessa. Signora, arrivederci.-
-Ciao Marco.-
Una volta tornato a casa, il ragazzo trovò il padre seduto sulla sua poltrona in soggiorno intento a bere un drink mentre fissava le valige a terra.
-Papà, abbiamo ospiti?-
-No, sono le nostre. Partiamo tra tre ore per Buenos Aires.-
-Cosa?-
-In fondo l’hai voluto tu. Ti do un anno di tempo per cambiare, per essere diverso ed ora sta zitto, prendile e andiamo.-
-Io non vengo da nessuna parte con te.-
-Marco, non rompere il cazzo e fai quello che ti dico.-
-No!-esclamò.
-Sei sempre stato testardo, ma con delle buone idee. Alla fine ho chiamato Franchino. Ottima mira, nessuna pietà.-Franchino gli apparì davanti.
-Prendi le valige e andiamo prima che ti ficchi un proiettile nel cranio.-affermò il killer.
-Non è finita qui.- rispose Marco.

 





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P.S. Ogni riferimento a cose o persone È PURAMENTE CASUALE.

 

SOLO la frase di Giovanni Falcone 

“La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”

è affermata da lui stesso.

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Capitolo 4
*** Addio Sicilia. Benvenuta Buenos Aires. -Parte prima- ***




Addio Sicilia. Benvenuta Buenos Aires.
-Parte prima-

 
Marco, Pieruigi e Lallo uscirono dalla villa situata nella città di Palermo per dirigersi in uno dei campi di proprietà della famiglia Saluri dove ad attenderli c’era un elicottero.
Un elicottero per volare fino in Argentina, dall’altra parte del mondo.
Pierluigi aveva preso una scelta drastica per amor del figlio, pensava lui. Forse fargli cambiare aria era la soluzione giusta per fargli capire chi era veramente e quali fossero le regole da seguire ed anche se ci sarebbe voluto un po’ di tempo, era convinto che prima o poi avrebbe accettato la vita che gli era capitata.
In Argentina Pierluigi aveva qualche amico su cui poter contare, anche se non ci avrebbe messo molto a diventare il nuovo capo; sapeva come farsi rispettare e sapeva anche come farsi temere dagli altri.
Qualsiasi cosa voleva riusciva ad ottenerla.
-Sei uno stronzo, papà!-esclamò Marco.
-Ehi, porta rispetto. Ricordati che il colpo è in canna e posso spararti quando ne ho voglia, come ora ad esempio.-rispose Franchino.
-Beh, allora che aspetti? Se spari ci evitiamo questo viaggetto fino in sud America.-
-Smettetela!-esclamò Pierluigi. –Ormai ho deciso. Andremo in Argentina e rimarremo lì tutto il tempo necessario.-
-Che tradotto in numero di mesi, a quanto corrisponde?-
-E chi ha parlato di mesi?-rispose il padre con una domanda. –Potrebbero anche volerci anni e ricorda che se siamo in volo la colpa è tua.-
-Si, si, certo. Sai, non so se provare pena, disprezzo o odio.-
-Fai tu, per me è indifferente.-rispose il padre continuando a guardare la il mondo dall’altro.
Passarono molte ore e Marco finì per addormentarsi sentendo il padre e Franchino parlare.
-Allora siamo d’accordo?-chiese Pierluigi.
-Certo. Sarò la sua ombra. Lo seguirò ovunque e se sbaglierà non esiterò ad ucciderlo.-
-L’importante è che non passi dalla parte opposta. Dobbiamo tenerlo stretto a noi.-
-Vedrai che con il tempo si farà delle nuove amicizie e dimenticherà questo suo momento di sbandamento.-
-Speriamo.-
-Comunque dobbiamo atterrare qui.-
-Marco.-lo chiamò il padre. –Siamo arrivati.- Il ragazzo senza rivolgergli la parola scese dal’elicottero e poi si limitò a seguirlo. Quando arrivarono in un hotel a 5 stelle chiese di poter alloggiare da solo e almeno questo gli fu acconsentito.
Una volta rimasto da solo nella sua suite, tanto elegante e lussuosa, ma allo stesso tempo vuota e triste senza la compagnia di quelle due persone che aveva conosciuto solo qualche ora prima, prese il telefono e compose il numero di Federico.
-Fede, sono io. Sentimi bene, sono in Argentina. Magari quando ho più tempo ti spiego tutto. Ma ora devi farmi un favore, devi andare dalla madre di Alice e devi farti dare il suo numero che poi tu, ovviamente, mi darai. No,non fare domande. Ah, segnati questo numero, è quello della mia suite. Ok, aspetto notizie. Ciao.-
Una volta riposto il telefono, Marco si buttò a peso morto sul letto. Aveva la mente piena di pensieri, provava odio per il padre, voleva continuare a stare con quella bambina che in un qualche modo era riuscito a stregarlo ed aveva anche paura che le parole di Federico fossero vere, aveva paura che avrebbe rifatto il rito con quella bambina.
Marco  non sapeva che fare, in questi casi, se fosse ancora a Palermo avrebbe chiamato Giulia, una sua amica, anzi la sua puttanella, disposta a qualche ora di sesso con lui pur sapendo che non sarebbe mai stato suo.
Quello per Marco, era l’unico modo che conosceva per tenere occupata la mente per qualche ora, per quel poco che bastava per rimettersi in sesto.
Ma ora Giulia non c’era. Lei era a Palermo e lui a Buenos Aires.
Ora la sua vita era cambiata e doveva imparare di nuovo a vivere.
-Marco, io sto uscendo, vuoi venire?-chiese il padre dopo aver bussato alla sua porta.
-Per te non esisto.-rispose lui senza alzarsi da letto. E così, mentre il padre andò a trovare un amico di vecchia data il killer rimase a piantonarlo come fosse un carcerato.
Ed effettivamente si sentiva così, rinchiuso in una gabbia d’oro, ma sempre rinchiuso.
 
Una settimana dopo.
 
Marco decise di mettere piede fuori.
Vagò per le vie di quella città senza una meta precisa fino a quando non si scontrò con una ragazza accanto ad un cancello di un abitazione. O meglio di una mini villa.
Marco dapprima non ci fece caso, ma quando guardò con più attenzione la ragazza vide che era alta, magra, bionda, occhi azzurri. La classica bella ragazza.
-Ehi, potresti fare attenzione. Questa maglia l’hanno fatta venire a posta per me da Milano.-Anche la ragazza guardò meglio l’uomo, e subito cambiò il suo atteggiamento da smorfiosetta a ragazza dolce, anche troppo. -Però se sali a casa mia a prendere un drink con me posso anche far finta di niente.- Marco, un po’ per impulso, un po’ per voglia baciò la ragazza con tutta la forza che aveva dentro di sé. Dopo essersi staccato dal bacio, si presentò.
-Comunque piacere, io sono Marco.-
-Ed io Safia.- continuò la ragazza. Marco riprese a baciare la ragazza ed entrarono dalla porta principale, lasciata aperta dalla ragazza che era uscita solo per prendere la posta. Continuò a baciarla, a stringerla a sé ed infine la scaraventò sul divano. Fecero sesso, e questo era solo quello che voleva Marco. Voleva mettere qualcosa tra la disperazione ed i suoi pensieri e quel qualcosa è stata Sofia.
Una volta capito l’errore, Marco si rivestì e scappò come un ladro da quella casa, lasciando Safia ancora nuda sul divano e incredula per quando accaduto.

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