I was made for you

di AnAngelFallenFromGrace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** But you'll always be my hero, even though you lost your mind ***
Capitolo 2: *** The truth and the lie, with dirt in my eyes ***
Capitolo 3: *** You need to get lost before you get found ***
Capitolo 4: *** I'll never let you go ***



Capitolo 1
*** But you'll always be my hero, even though you lost your mind ***


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All these lines across my face

Tell you the story of who I am

So many stories of where I’ve been

And how I got to where I am

But these stories don’t mean anything

When you’ve got no one to tell them to1

 



 

1.

Even angels have their wicked schemes
and you take death to new extremes.
But you'll always be my hero
even though you lost your mind
.2

 

“Ha cercato di ucciderti” la voce di Gale risuona troppo forte nelle mie orecchie, nel mio cervello, ancora e ancora “Due volte”.

Chiudo la porta dello stanzino delle scorte, sperando in qualche modo di arginare i suoi rimproveri e la sua preoccupazione. Ma è tutto inutile: continuano a perseguitarmi, mentre mi accoccolo contro la parete spoglia e respiro forte, cercando di riprendere il controllo.

Avrei voluto trovare qualcosa da ribattere, avrei voluto trovare le parole giuste per farlo tacere una volta per tutte. Ma quello che fa veramente male è sapere che, in fondo, non c’è nulla da ribattere, perché Gale ha ragione.

L’ hanno riportato indietro, l’hanno rapito dalle grinfie di Capitol City, lo hanno fatto per me, dopo aver commesso il grave errore di non salvarlo dall’arena al mio posto: se volevano il simbolo di una rivoluzione, un sollevatore di popoli, avrebbero dovuto scegliere lui fin dall’inizio, lui e la sua capacità di smuovere i cuori con le sole parole. Ma forse sarebbe stato troppo pericoloso per Coin.

Serro i pugni per la rabbia, così forte che le unghie lasciano marchi scarlatti sulla mia pelle: forse per il distretto 13 e i capi della rivoluzione non è poi un gran male che Peeta sia tornato così cambiato da Capitol City. Del ragazzo del pane, così gentile e buono verso chiunque, resta soltanto un involucro, gli occhi azzurri ora freddi e un sorriso sardonico. Una macchina programmata per uccidere. Me.

Ogni volta che lo guardo non posso fare a meno di pensare a quella notte sul tetto, agli albori dei miei primi Hunger Games.

“Non so bene come dirlo. Solo non voglio... perdere me stesso. Ha un senso? Non voglio che mi cambino, là dentro. Che mi trasformino in una specie di mostro che non sono.”

Ricordo che quella notte non ero riuscita a capire, mi ero chiesta come avrebbe potuto perdere se stesso. Adesso so che il suo peggiore incubo è diventato realtà.

Lo hanno cambiato e hanno trasformato il suo amore per me, quell’illusione che potesse esserci del buono anche in Katniss Everdeen, in odio e  paura.

I medici hanno detto che potrebbe non esserci alcuna possibilità di portarlo indietro, almeno non del tutto. Ma non sono sicura che ci stiano nemmeno veramente provando. Ci sono stati dei progressi, certamente, ma non molti nei miei riguardi.

Io continuo a crederci: dentro di me sento che il ragazzo del pane è ancora lì, da qualche parte.

Stamattina l’ho visto di nuovo: ci stavamo allenando, in preparazione all’ultimo attacco alla capitale, e stavo correndo con il mio arco, cercando di colpire più bersagli mobili possibili, quando in preda alla stanchezza sono inciampata in un uno degli ostacoli sparpagliati per la pista.

Prima ancora che chiunque altro potesse soccorrermi, prima ancora di trovare la forza per rialzarmi, prima ancora che le guardie che non lo abbandonano mai potessero fermarlo, Peeta era già a terra, accanto a me.

Non ci eravamo mai toccati, dal nostro primo incontro dopo il suo ritorno, quando aveva tentato di strangolarmi. I nostri incontri da allora sono sempre stati sorvegliati e si sono evoluti da terribili insulti, invettive e minacce ad insulti velati da meschine battute o indifferenza, che in qualche modo riescono a trafiggermi ancora più a fondo. Ma da allora non ci siamo nemmeno più sfiorati per sbaglio.

Ho sentito il sangue ribollirmi nelle vene, quando le sue braccia forti mi hanno sollevato senza sforzo e mi hanno sostenuto mentre riprendevo l’equilibrio. Le guance in fiamme, ho alzato il capo per guardarlo negli occhi ed è allora che l’ho visto: il mio Peeta, il ragazzo che aveva promesso a se stesso di mantenermi in vita a qualunque costo, convinto che così tante persone avessero bisogno di me e che la sua vita non avrebbe più avuto alcun senso dopo la mia morte.

Lo stupore sul mio viso si specchiava sui suoi tratti, quando mi aveva domandato se stessi bene. L’ho ringraziato appena, non sicura della mia voce, continuando a fissarlo.

Ed è allora che, senza preavviso, Peeta ha cercato di piantarmi una delle mie frecce nel cuore. Ed io l’ho perso di nuovo.

 

Forse Gale ha ragione: dovrei smettere di tentare, lasciar perdere per sempre prima che uno dei due possa farsi del male sul serio. Forse, se sparissi dalla sua vita, Peeta potrebbe riprendersi, tornare ad un’esistenza quasi normale.

Ma non posso: non so se il mio sia soltanto egoismo, ma una parte di me è convinta che sia giusto rispettare il suo più grande desiderio.

Capitol City l’ha cambiato, si è perduto ed io lo aiuterò a ritrovare se stesso, a ritrovare quel ragazzo che mi ha donato il suo cuore e la cui vita è ormai legata alla mia.

 

**

 

“Perché lo stai facendo, Katniss? E’ tutto inutile”.

Le sue parole fanno scattare un campanello nella mia testa, mi riportano nell’arena, davanti ad un Peeta ferito e febbricitante. Ricordo i baci, così finti, per le telecamere. Il mio stomaco si stringe un po’ di più, mentre mi rendo conto che adesso, proprio adesso, darei di tutto per poter poggiare le mie labbra sulle sue. Per fargli ricordare quello che provava in quel momento, per me stessa. Ma scaccio immediatamente anche la sola ipotesi dalla mia testa.

“E’ inutile” ripete Peeta “Finirò solo per farti del male”. Tiene gli occhi bassi, sulla cena che non ha quasi toccato.

Ma non l’ha ancora fatto. E’ passato quasi un mese dall’ultima volta che la mia vita è stata effettivamente messa a rischio. E più di due settimane da quando ha soltanto tentato di farmi del male.

In tutto questo tempo io ho continuato a fare quello che mi riesce meglio in assoluto: disobbedire agli ordini. Mi era stato chiesto di stare il più possibile lontano da Peeta, ed io ho cercato ogni occasione per stargli vicino, per ricordargli che per lui ci sarò sempre: proteggerci e salvarci a vicenda, è questo quello che facciamo.

Alcuni giorni sono stati difficili, tremendamente difficili, non pensavo che le parole, le sue parole, potessero ferirmi così tanto. Ma ho continuato a perseverare, testarda, confidando in qualcosa che per molto tempo avevo dimenticato perfino che esistesse: la speranza.

La speranza mi ha permesso di aggrapparmi ai piccoli miglioramenti quotidiani e a superare le crisi altrettanto frequenti. I ricordi stanno tornando, piano piano, ma sono spesso confusi ed è difficile per Peeta riconoscere la realtà dalla finzione.

“Prima devi riuscire a prendermi” lo prendo in giro, addentando un panino.

Lui non sorride della mia battuta, continua a fissarmi con quel misto di serietà, preoccupazione e dispiacere.

Ingoio molto lentamente, abbassando lo sguardo, e prendo un respiro profondo.

Mi azzardo a sfiorare la sua mano con la punta delle dita, un tocco lieve e quasi invisibile, che però lo fa irrigidire. Tuttavia, non allontana il braccio, ma continua a fissare il suo sguardo incerto su di me.

“Perché mi fido di te” sussurro appena “perché voglio riportarti indietro.”

Per quelli che mi sembrano secoli restiamo in silenzio, mi sembra quasi che anche il mio stesso respiro faccia troppo rumore e così trattengo il fiato. Le sue labbra si schiudono quasi impercettibilmente, sembra voglia dire qualcosa ma forse non riesce a trovare le parole.

Faccio un salto sulla sedia, strappata al mio mondo di speranze e illusioni, quando Peeta si alza di scatto in piedi, lanciando il vassoio con la sua minestra contro la parete. Pezzi di vetro e ceramica volano per la stanza.

“Non dovresti” mi urla in faccia “Non dovresti fidarti di me. Non dovresti continuare ad illudere. Il ragazzo che ti amava non esiste più”.

Si avvicina a grandi falcate alla porta.

“E poi perché ti interessa così tanto? Tu non mi hai mai amato a tua volta” si ferma un attimo sulla soglia, prima di chiedere con voce strozzata “Real or not real?”.

Non riesco a trovare le parole per rispondere e lui se ne va, sbattendo la porta alle sue spalle. Solo allora mi accorgo del frammento di vetro che si è conficcato nel mio polso, che ora sanguina copiosamente.

 

**

 

Non mi stupisco di trovare Gale seduto su uno dei lettini, quando mi dirigo in infermeria per disinfettare la ferita. Solo da poco sono riuscita a convincere Coin e gli altri capi di poter restare da sola con Peeta senza correre rischi, ma, sebbene le sue guardie siano state finalmente allontanate, i nostri incontri sono sempre sorvegliati per evitare l’irrimediabile. E a buon giudizio, sembrano ricordarmi gli occhi di Gale nel momento in cui entro nella stanza.

Dopo aver congedato una delle solerti infermiere, si offre di pulire e fasciarmi la ferita.

Accetto di malavoglia, convinta che presto arriverà una delle sue solite ramanzine e al momento non so se il mio animo, molto più sanguinante del mio polso, potrebbe resistere. Ma Gale rimane in silenzio per tutto il tempo, come se sapesse, senza nemmeno una parola, che non è il momento.

Osservo le sue mani e la sua espressione concentrata e un moto di immensa gratitudine mi pervade, mentre mi ricordo perché lui sia il mio migliore amico e la persona che mi conosce e riesce a capirmi meglio di tutte.

Per questo non dovrebbe sorprendermi quando inizia a leggermi dentro, come se fossi un libro aperto davanti ai suoi occhi.

“Non ti arrenderai mai, non è vero?” ha il suono di una domanda, ma Gale non sta cercando veramente una risposta. Scuote la testa, con un sospiro: “L’avrei dovuto capire molto tempo fa, ma la speranza e la tua confusione mi hanno accecato”.

Accarezza piano il dorso della mia mano, le sue labbra piegate in un raro sorriso che non riesce però a raggiungere i suoi occhi.

“Dal momento in cui ci siamo incontrati in quel bosco, anni fa, abbiamo iniziato ad appartenerci in un modo a cui nemmeno il legame di sangue potrebbe dare un significato, so che riesci a sentirlo anche tu”.

Annuisco brevemente, sentendomi sempre più una Avox.

“Mi ero ormai convinto che le nostre vite fossero destinate anche a concludersi insieme, come amanti, almeno fino a quanto non sei finita in quell’arena e qualcuno ha deciso che fossi destinata ad un altro. Mi sono ripetuto che quei baci fossero solo una finzione e la tua voce che lo confermava non faceva che alimentare il fuoco della mia speranza. E le tue labbra, le tue labbra sulle mie non potevano fare a meno incendiare quelle braci”.

Non riesco più nemmeno a guardarlo in faccia: vorrei scappare, ma la mia mano è ancora tra le sue.

“Ma ora mi rendo conto che è stata soltanto un’illusione. Perché tu non mi ami e mai potrai amarmi come io amo te. Senza accorgetene hai dato il cuore ad un altro e, sebbene tu lo voglia nascondere perfino a te stessa, lo sai anche tu”.

La verità di quelle parole distrugge anche le mie ultime difese: Gale ha ragione, ho cercato di nascondere la testa sotto la sabbia, di non abbandonarmi a quel sentimento che avrebbe finito soltanto con il consumarmi e rendermi più debole. Ma la paura di aver perso Peeta per sempre non mi ha permesso di continuare quella farsa ancora più a lungo, almeno agli occhi della persona che mi conosce meglio al mondo.

E la paura di perdere anche Gale mi ha mantenuto in questo limbo per mesi, ma il suo sguardo disperato e disilluso mi ricorda che è il momento di lasciare andare, per non farlo soffrire ancora di più.

Così, quando dalla sua bocca esce quella stessa domanda a cui non sono riuscita a trovare un risposta neanche un’ora prima, questa volta la mia voce risuona nel silenzio.

“Real or not real?”

“Real”.

Non posso trattenerlo ancora al mio fianco, impedirgli di vivere la sua vita per un’illusione. Su un’altra cosa ha ragione: noi ci apparteniamo e in qualche modo resterà per sempre nella mia vita.

Gale lascia andare la mia mano e mi dà un leggero bacio sulla fronte.

“Tornerà da te”.

 

**

 

Quella notte mi permetto di piangere silenziose lacrime. Per Gale. Per me. Per la mia stupidità.

Stringo la perla che Peeta mi ha regalato nell’arena. Adesso mi sento così fragile. Cosa mi serve ammettere di essere innamorata di qualcuno che non potrà più amarmi? Che continuerà a vedermi soltanto per quello che sono.

Violent. Distrustful. Manipulative. Deadly.

 

 

 

 

1= ‘The story’, Brandi Carlile

2 = ‘Love the way you lie’, Rihanna solo

 

Era da un po’ che non mi dedicavo ad una fanfiction, soprattutto una fanfiction su un libro, ma ho sentito l’esigenza di dare sfogo alla mia piccola ossessione per questi libri (la mia speranza è di estinguerla, ma non sono proprio sicura che riuscirò nel mio intento…).

Ad ogni modo, per quanto in fin dei conti abbia realizzato di aver apprezzato la conclusione della trilogia e il modo in cui sono stati sviluppati i personaggi, ho voluto dare un po’ più spazio a Katniss e ai suoi sentimenti (per questo temo finirà per essere un po’ OOC…).

Grazie per aver letto questo primo capitolo J

Franci

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Capitolo 2
*** The truth and the lie, with dirt in my eyes ***


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2.

 

There is a ghost deep in my throat
Shoving it down, speak and you choke
Somewhere between dirty and clean
The truth and the lie, with dirt in my eyes...1

 

Ha ricominciato a sorridere. Non avrei mai potuto immaginare che rivedere quel sorriso avrebbe potuto turbarmi tanto.

Mi sono sentita come rinascere, un calore sconosciuto che risaliva dalla bocca dello stomaco fino al mio viso, passando dal cuore. Ma il piacere si è trasformato ben presto in un’altra sensazione, altrettanto estranea ma in qualche modo più forte. Gelosia. Perché quel sorriso non era più rivolto a me.

So che è stupido, dannatamente stupido essere gelosa di Annie: lei è felicemente sposata con Finnick, sono la coppia più dolce del mondo e di sicuro Peeta non ha nessuna intenzione di rovinare tutto questo. Eppure… eppure non posso fare a meno di essere gelosa di quello che Annie rappresenta, il candore, l’ingenuità, la bontà: qualità che non saranno mai mie.

Quando Peeta ha incrociato il mio sguardo non ho potuto fare altro che nascondermi dietro ad una tazza di latte, in imbarazzo. Ho intravisto la confusione sul suo viso, ma ho fatto finta di niente e ho accolto con forse troppo entusiasmo il tentativo di Delly di fare conversazione.

 

**

 

Non sono soltanto sorrisi. Peeta ha riacquisito la sua migliore qualità: trovare sempre le parole giuste, al momento giusto, per far sentire meglio chiunque. Perfino Johanna.

Lo osservo di nascosto aiutare Annie ad uscire da una delle sue crisi e le parole di Haymitch tornano vivide nella mia memoria.

“Non lo meriterai neanche in un milione di anni”

Ho sempre saputo che questa è la verità. Vorrei soltanto ritornare al momento in cui Peeta non se ne rendeva conto.

 

**

 

Non c’è più tempo per allenarsi, non c’è più tempo per cercare di aggrapparsi ad un passato che forse non esiste più. E’ arrivato il momento di attaccare Capitol City. E’ arrivato il mio momento di vendicarmi ed uccidere Snow.

Mi sento una sciocca nel mio costume da Mockingjay, vorrei soltanto indossare una semplice armatura. Vorrei soltanto essere un semplice soldato.

Per la prima volta non sarò nella stessa squadra con Gale, il mio compagno di caccia non sarà lì a coprirmi le spalle: il solo pensiero mi fa sentire sempre più piccola, ma cerco di fare buon viso a cattivo gioco quando lo saluto augurandogli buona fortuna.

“Anche a te, Katnip” mi sorride lui, scompigliandomi appena i capelli.

Nella mia squadra non ci sarà nemmeno Peeta, naturalmente: sarebbe troppo pericoloso per la mia sicurezza. Ma non è della mia sicurezza che mi preoccupo: chi veglierà su di lui, se io non sarò presente? Chi lo proteggerà? L’ho perso di vista solo una volta nell’arena e sappiamo tutti come è andata a finire. Peeta, nelle mani di Capitol City.

Cerco di convincerlo in tutti i modi a restare nel distretto 13, a non entrare in battaglia.

E’ allora che mi rivolge un sorriso, e questa volta è tutto per me.

“Stai ancora cercando di proteggermi, Katniss?” mi domanda, scuotendo leggermente la testa, prima di imbracciare il suo fucile.

“Ti prego, ascoltami!” ritento, cercando di suonare il più convincente possibile “Non è prudente! Cosa accadrà se verrai catturato di nuovo? Io… io non posso nemmeno pen…”.

Mi interrompe, poggiando un dito sulle mie labbra: “Non c’è nulla che tu possa dire per convincermi Katniss. Hanno ucciso la mia famiglia, voglio esserci almeno per proteggere le persone a cui tengo che sono ancora in vita”.

Non posso trovare nulla da controbattere, è la stessa ragione che mi muove, o almeno che ha mosso i miei passi quel giorno, alla mietitura. La gelosia mi confonde di nuovo: a chi si sta riferendo? Chi sono le persone a cui tiene? So di non essere su quella lista.

“E questa volta sono stato ben attento a non bere assolutamente nulla: non volevo rischiare che qualcuno mi rifilasse uno sciroppo per dormire” aggiunge con una smorfia, per risollevare un po’ la tensione.

Riesce a strapparmi una mezza risata: “Non penso servirebbe a molto, ti basterebbe partire con un giorno di ritardo. Però potrei sempre incatenarti da qualche parte e portare via la chiave…”.

“Sai che non sarebbe ancora sufficiente”.

“Lo so”.

Rimaniamo a fissarci ancora, consapevoli che quella potrebbe essere l’ultima volta. Vorrei trovare le parole giuste per un addio, ma sono sempre io, Katniss Everdeen, la persona che non imparerà mai a comportarsi nel modo corretto con le persone.

Le mie labbra si stanno schiudendo per formulare un semplice e vuoto saluto, quando sento le braccia di Peeta avvolgersi intorno alla mia schiena. Prima incerte, poi sempre più strette, portandomi più vicina al suo petto.

Senza che me ne renda conto, le mi mani si sono già allacciate dietro al suo collo e il suo mento è appoggiato alla mia spalla.

Sento il suo respiro caldo sul mio collo.

Chiudo gli occhi e desidero che quel momento possa durare per sempre.

“Always”.

Quella parola, che ha continuato a risuonare nella mia testa quando ero sotto l’effetto della morfina, ha ancora una volta il suono dell’illusione e non sono sicura di averla immaginata o di averla sentita davvero uscire dalla sua bocca.

 

**

 

Freddo. Riesco solo a sentire un freddo terribile, fino al midollo delle mie ossa. Cerco di stringermi in qualche modo nella coperta da campo, ma non ottengo nulla.

Come spesso accade, mi ritrovo catapultata di nuovo nell’arena. Quanto vorrei accendere un fuoco adesso! Ma sarebbe troppo pericoloso: non ci sono altri tributi pronti ad uccidermi per salvare se stessi, ma nel buio della foresta si nasconde il nemico e non posso permettermi di farmi scoprire.

Anche il calore corporeo di un commilitone andrebbe bene, ma sono rimasta da sola. Nessuno dei miei compagni è rimasto in vita e ho perso notizie delle altre squadre da almeno due giorni.

Batto i denti, mentre una lacrima solitaria scivola sulla mia guancia: non posso domandarmi se Peeta o Gale stiano bene. Deve essere così.

A quanto pare la sicurezza dei ribelli di arrivare a Capitol City senza particolari difficoltà si è rivelata assolutamente senza fondamento: non so se sia stato il tradimento delle talpe nella capitale, o semplicemente il problema è stato sottovalutare eccessivamente il nemico. Quel che so è che i nostri tentativi di bypassare tutte le trappole si sono rivelati inutili.

Per caso, per sorte, sono ancora una volta l’unica rimasta in piedi. Quando anche l’ultimo dei miei compagni è morto, per poco non mi sono lasciata sopraffare dal panico. Ma poi mi sono ricordata della mia missione, uccidere Snow, e il bisogno di vendetta mi ha dato la forza di alzarmi e continuare a camminare. Ora che ho detto addio a Peeta, ho chiuso per sempre la porta all’amore e la vendetta è tutto ciò che mi rimane.

Siamo ormai quasi al confine con Capitol City, un bosco e qualche casa abbandonata sono tutto ciò che mi separa dalla fine.

 

Sono riuscita finalmente a prendere sonno, quando lo sento.

E’ come un sibilo, un suono indecifrabile a cui non riesco dare un nome, ma che mi fa rabbrividire ancora più a fondo.

Mi sollevo di scatto, già in posizione di battaglia, una delle poche frecce che mi sono rimaste tesa nel mio arco. Ma è già troppo tardi.

Una decina di ibridi, comparsi letteralmente dal nulla, mi hanno già circondato. Sono allibita e sconvolta: questo poteva succedere nell’arena, ma questo è il mondo reale, non è vero? Mostri sanguinari non dovrebbero materializzarsi dal nulla.

Sono come i lupi della mia prima edizione degli Hunger Games, ma questa volta sono tutti uguali: manto chiaro, quasi biondo, occhi azzurri. Gli occhi di Peeta.

Rimango pietrificata sul posto per quelle che sembrano ore, paralizzata dalle implicazioni di quella visione: è un messaggio di Snow? Per comunicarmi che, alla fine, ha deciso di portarmelo via per sempre? O è semplicemente un trucco per confondermi e farmi cedere?

Gli artigli di uno degli ibridi sul mio polpaccio mi risvegliano dalla mia trance ed io capisco che per poter sopravvivere devo lasciare tutti i miei sentimenti da parte.

Quello che succede in seguito resta confuso, come avvolto da una nebbia spessa nella mia testa: riesco ad arrampicarmi sull’albero più vicino, inizio a scagliare le mie ultime frecce, le mie ultime speranze.

La prima freccia manca il bersaglio, si conficca nella corteccia di un tronco lontano, ormai inservibile. Mentre gocce di sudore mi cadono dalla fronte, facendomi bruciare gli occhi, scaglio la seconda freccia e colpisco il primo ibrido, che guaisce in modo spaventoso e mi rivolge uno sguardo disperato prima di morire. Mi mordo le labbra fino a farle sanguinare, cercando di convincere me stessa che è soltanto un’illusione.

Pochi colpi, e le mie frecce sono terminate; più della metà dei lupi è ancora in vita. Li ho già visti saltare e so che non potrò restare su quell’albero per sempre, prima o poi riusciranno a raggiungermi.

Stringo le dita intorno al coltello che è attaccato alla mia cintura, pronta a saltare.

Nel momento in cui mi lancio nella mischia sento tutto ciò che resta della mia umanità scivolarmi via di dosso. Mi aggrappo ancora alla vendetta, a quel senso di bestialità che ora mi pervade mentre mi avvento contro un altro ibrido e conficco il mio coltello nel suo collo. Penso di aver soltanto sognato il suono degli spari.

Poi vedo cadere un lupo a terra, e poi un altro. Poi sono io a cadere e picchio la testa contro una pietra.

Sto già morendo? Mi sto immaginando tutto? La mia vista è annebbiata e sento le forze iniziare ad abbandonarmi: quando un altro ibrido, morto, mi cade addosso con tutto il suo peso, cerco di scrollarmelo di dosso, ma è tutto inutile.

In un momento di completa lucidità mi accorgo dell’altro lupo che si sta avvicinando troppo velocemente, le sue fauci ormai a pochi centimetri dal mio viso. Serro le palpebre: non voglio che l’ultimo ricordo prima di morire siano gli occhi di Peeta, iniettati d’odio.

Chiudo gli occhi e aspetto la mia fine, mentre dentro di me fallimento e sollievo si danno battaglia.

Ma il morso non arriva: un urlo di dolore, che sembra quasi umano, mi porta aprire gli occhi di scatto. Tra me e l’ibrido c’è qualcuno adesso.

Sono sicura di essere morta nel momento in cui riconosco quella schiena e quelle braccia che mi hanno protetto dai mie incubi per così tante notti.

Non posso fare altro che rimanere immobile, mentre il mio soccorritore combatte contro il lupo.

Un altro guaito. E nell’aria rimane soltanto quel lieve sibilo.

Peeta si volta verso di me, mi prende per le spalle, mi scuote, chiama il mio nome.

Vorrei rispondere, ma è tutto troppo confuso, come se fossi stata di nuovo punta da aghi inseguitori.

“Stai tranquilla, Katniss, ti ho trovato. Andrà tutto bene adesso”.

Ha poggiato la mia testa sulle sue ginocchia adesso: mi allontana i capelli dalla fronte mentre cerca di tamponarmi il sangue che fuoriesce dalla ferita alla testa.

Sento le mie labbra piegarsi in un sorriso: c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo, dovrei essere io a salvargli la vita, non il contrario. Alla fine sarò sempre io quella in debito.

“Non ti azzardare a morire, hai capito?” mi intima, strappandosi un pezzo di maglietta per farne una benda.

Tento di rispondere qualcosa, ma la voce non vuole uscire. Anche la mia vista è sempre più debole, ma riesco a vedere dai muscoli tesi del suo volto che sta soffrendo.

Tutt’ad un tratto il sibilo, che ormai era diventato un sottofondo quasi soffuso, tanto che mi ero dimenticata della sua esistenza, si fa molto più intenso. Lacerante.

Nel volto di Peeta non riesco più a leggere dolore, ma qualcosa di molto, molto più terribile. Odio.

I suoi occhi si confondono con quelli dell’ibrido che ha appena tentato di uccidermi, quando le sue dita si posano leggere intorno al mio collo.

Ora vorrei gridare, urlargli di non farlo, di non lasciare vincere Capitol City ancora una volta. Nessuno riuscirà veramente a cambiarlo, nessuno riuscirà a cancellare il buono che c’è nel suo animo.

Ma non ne ho la forza.

Solo una parola esce dalle mie labbra.

Always.”

 

 

 

1= ‘Dirty and clean’ Stefanie Schneiderman

 

 

Hey there J

Here we are con il secondo capitolo di questa storia! Un ringraziamento a tutti quelli che hanno recensito/preferito/ seguito ecc (Sono stata via un paio d’anni da questo sito ed è cambiato tutto! O.o E’ uno spettacolo ora u.u).

Hope to hear from you again! Non sono particolarmente brava a descrivere momenti di azione, di solito mi butto più sul mondo interiore che su quello reale, ma spero di non aver combinato un gran disastro!

 

Franci

P.s. Ho appena notato che la storia dell'interlinea è colpa di NVU che uso per l'html!!! Probabilmente c'è un modo per fixare la cosa, ma sono troppo pigra per provare :)

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Capitolo 3
*** You need to get lost before you get found ***


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3.

 

Why’s it always darkest right before the dawn?

You have to stand up before fall down

You need to get lost before you get found.1

 

 

Il profumo. Il profumo è la prima cosa di cui mi rendo conto. Profumo di legna bruciata che mi solletica le narici, profumo di casa. E il calore di un fuoco alle mie spalle.

Devo essere sicuramente morta e finita direttamente all’inferno.

Non pensavo che l’inferno potesse avere un profumo così dolce.

Dischiudo gli occhi lentamente, abituandomi piano alla luce che mi circonda. Sbatto lentamente le palpebre, cercando di mettere a fuoco.

Sopra la mia testa non più il cielo oscuro, punteggiato di stelle, ma le travi di legno scuro di quella che sembra una baita.

Confusa, mi alzò di scatto, tentando di assumere una posizione di controllo: ma lo faccio troppo in fretta e la vista sembra di nuovo annebbiarsi per un istante, mentre mi riappoggio al pavimento.

Due braccia sono già pronte a sostenermi.

“Fai piano per favore, hai preso una bella botta” mi sgrida una voce, ma nel suo tono non c’è vero rimprovero, il sollievo è così forte da prevalere su ogni altra emozione.

Il mio cuore manca un battito o due, nel riconoscere quella voce.

Peeta sta sistemando meglio il cuscino di ventura, che ha preparato per me con uno zaino e una coperta, dietro la mia schiena. Cerco il suo sguardo, ma lui sembra troppo impegnato per voltarsi nella mia direzione.

Pensavo che non l’avrei mai più visto. Gli avevo già detto addio e invece adesso è veramente qui, a prendersi cura di me. Forse sono davvero morta.

Allungo una mano, cercando il suo viso. Gli sfioro il mento e i suoi occhi finalmente si posano su di me.

“Sei veramente qui?” sussurro.

Mi regala uno di quei sorrisi senza tempo, anche se velato da una certa tristezza.

“Sono qui”.

Ringrazio gli dei, il fato, chiunque l’abbiamo tenuto in vita per me.

Sembra indovinare i miei pensieri: “Pensavi mi avessero già fatto fuori, non è vero?” mi rivolge una smorfia un po’ risentito, prima di scuotere la testa.

“Io…” mi mordo le labbra, in imbarazzo “Ero solo preoccupata. Tutta la mia squadra non ce l’ha fatta”.

“Lo so. Anche la mia è stata decimata. Eravamo rimasti in tre, prima che mi allontanassi…”

Lo guardo senza capire.

“Ho deciso di lasciare la mia squadra e continuare da solo” mi spiega, stringendosi nelle spalle.

“Hai lasciato la tua squadra di tua iniziativa?”.

Improvvisamente la rabbia prende il sopravvento e non riesco a trattenermi dal tirargli un pugno sul braccio più vicino: “Sei matto?”.

La sua smorfia di dolore e il gemito che si lascia scappare mi sconvolgono: non pensavo di essere stata così violenta.

Seguo il suo sguardo e solo allora mi accorgo della fasciatura orribile e rossa di sangue che circonda il suo braccio destro.

“Peeta!” gridò, sollevandomi di nuovo di scatto.

“Ti ho detto di non muoverti così in fretta” cerca di ricordarmi lui, con un’espressione divisa tra il dolore e la preoccupazione.

Ma l’adrenalina che mi scorre nelle vene non mi permetterebbe di svenire un’altra volta.

Svolgo rapida la benda e trattengo il fiato davanti alla ferita: dopo gli Hunger Games e la guerra non sono più facilmente impressionabile, e tuttavia sento lo stomaco contrarsi quando osservo lo scempio dei denti che hanno penetrato la carne quasi fino al muscolo.

“Oh Peeta” mormorò questa volta, gli occhi che bruciano.

“Quei mostri avranno avuto anche i miei occhi, ma di certo non i miei denti. Non mi farebbero male quelle zanne, non pensi?” il suo tentativo di scherzare ha soltanto il risultato di farmi sentire ancora più in colpa.

Frugo nel kit medico che Peeta ha lasciato aperto sul pavimento, cercando l’occorrente per disinfettare di nuovo la ferita.

“Ho fatto da me…” cerca di protestare, ma la mia espressione risoluta fa cadere ogni tipo di resistenza.

“Non hai fatto un gran lavoro da queste parti…”.

O almeno non verso se stesso. Come al solito si è preoccupato soltanto di me.

Rimaniamo per qualche minuto in silenzio. I ricordi dell’arena si fanno di nuovo più forti.

“Perché hai lasciato il tuo gruppo?” domando d’un tratto, questa volta cercando di frenare la mia irritazione per la sua incoscienza.

Sbatte una volta le palpebre e mi ritrovo ad osservare le sue ciglia biondissime alla luce del fuoco che brucia in un camino dietro di noi.

“Sapevo che eri in pericolo. Sono dovuto venire a cercarti”.

“Sapevi?” chiedo, confusa.

Lui si stringe nelle spalle, incapace di trovare una risposta razionale.

Gli assicuro la nuova benda con una spilletta e sospiro: “Ti devo la vita, ancora una volta” ammetto, lo sguardo fisso sulla fasciatura.

Peeta usa la mano del braccio sano per toccarmi il mento, e costringermi ad alzare di nuovo il capo.

“Proteggerci a vicenda, è quello che facciamo. Ricordi?” mormora, sfiorandomi le labbra con il pollice.

“E poi ho un debito che non potrò mai saldare: hai cercato di salvare la mia anima, Katniss” aggiunge “Potrei salvarti la vita un milione di volte e non sarei ancora nemmeno lontanamente vicino a pagare il mio debito”.

“Cercato?”

La domanda lascia il mio corpo ancor prima che il cervello possa davvero formularla.

Abbandona il braccio, preso dallo sconforto: “Non credo possa essere davvero salvato. Qualcosa in me…” si blocca, litigando con le parole “E’ danneggiato per sempre”.

Improvvisamente il ricordo di quello che è successo nel bosco, prima che perdessi i sensi, si fa vivido nella mia mente, come un quadro o una fotografia.

Le mani di Peeta intorno al mio collo e i suoi occhi carichi d’odio. Il mio terrore e la disperazione nel momento in cui mi ero resa conto che stavo per morire per mano della persona che amavo.

Ma sono ancora viva. Non proprio in forma, a causa di quegli stupidi ibridi, ma viva e vegeta.

Nessuno è venuto in mio soccorso. Si è fermato da solo.

“Cosa è successo?” gli domando, con cautela.

Quando inizia a parlare tiene lo sguardo fisso sulle fiamme, il cui riflesso danza nei suoi occhi e sui tratti del suo viso.

“Avevo appena ucciso l’ultimo lupo e stavo cercando di aiutarti, quando quel suono si è fatto più forte, insopportabile”.

Sì, questo me lo ricordo.

“E poi, all’improvviso, non ero più me stesso. Mi stava controllando, di nuovo. I flash e l’odio mi hanno sopraffatto. Tutto quello che desideravo era…” rabbrividisce al solo pensiero “Era ucciderti. Le mie mani erano già strette intorno al tuo collo, sentivo il sangue già scorrere più lento, il tuo battito farsi più lieve e poi…”.

Scuote il capo. Prendo la sua  mano, gli do una leggera stretta, sperando che possa aiutarlo a continuare.

“Poi ho visto la paura dipinta sul tuo viso e qualcosa è scattato dentro di me: ho rivisto il tuo volto, di bambina, la disperazione alla notizia della morte di tuo padre. E poi ancora tu, con le tue trecce, in piedi su quello sgabello a cantare per la classe. Ho risentito la tua voce, cantare quella vecchia ballata della valle e anche io sono tornato un bambino. Quel bambino che alla prima nota aveva capito di essere irrimediabilmente spacciato. Per sempre”.

Always.

Mi accorgo di aver iniziato a piangere solo nel momento in cui una lacrima inizia a scivolare lungo il mio collo, facendomi rabbrividire.

Mi scappa uno di quei terribili e imbarazzanti singhiozzi. Peeta si volta di scatto e quando mi vede piangere cerca subito di asciugarmi il viso.

“Oh Katniss, mi dispiace tanto. Non avrei mai dovuto venire a cercarti, sapevo che sarebbe stato pericoloso” inizia a parlare a raffica, accarezzandomi spasmodicamente il capo “Ma sentivo che dovevo aiutarti. Temevo che qualcosa di brutto stesse per accaderti e quando ho visto gli ibridi attaccarti, per un attimo, per un attimo ho pensato di aver ragione. Naturalmente non avevo pensato che in realtà ero il perico…”.

Non gli permetto di andare avanti, poggiando le mie dita sulle labbra per zittirlo.

Davvero, come può non riuscire a capirlo? A vederlo?

“Peeta” pronuncio una volta il suo nome, aspettando che si calmi “L’hai sconfitto. Ti sei fermato. Sei tornato in te e mi hai salvato la vita”.

Sembra rendersi conto delle implicazioni di questo fatto per la prima volta.

“Questa volta” mormora alla fine “Ma la prossima…”.

“Mi hai salvato” ripeto, risoluta “Hai salvato entrambi.”

So che sta per ricominciare ad attaccarsi a qualche altra stupida convinzione, nel tentativo di denigrare se stesso, così sfrutto l’unica arma che conosco per farlo tacere: è un’ottima scusa per non pensare troppo a mia volta a quello che sto facendo, soddisfacendo quel desiderio che scalpita in un angolo della mia testa da quando mi sono risvegliata e che ho cercato di ignorare per tutto questo tempo.

Mi piego in avanti, quel tanto che basta per poggiare le mie labbra sulle sue, in un bacio gentile, le punte dei nostri nasi che si sfiorano appena.

Potrebbe essere un suicidio, ma al momento non mi importa, non mi importa di nulla.

 

[to be continued…]

 

 

1 = ‘Lost and found’ A Rocket to the Moon

 

 

 

Hei there J

Mi spiace un sacco di aver interrotto il capitolo in questo modo :P

Ma tornerò presto con la seconda parte e spero di riuscire a farmi perdonare J

Thanks a tutti i lettori e soprattutto a chi ha trovato il tempo di commentare!

See you all soon!

Franci

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Capitolo 4
*** I'll never let you go ***


i was made for you photo Iwasmadeforyou.jpg

4.

 

I remember tears streaming down your face
When I said, I'll never let you go
When all those shadows almost killed your light
I remember you said, Don't leave me here alone
But all that's dead and gone and passed tonight1

 

Mi piego in avanti, quel tanto che basta per poggiare le mie labbra sulle sue, in un bacio gentile, le punte del nostro naso che si sfiorano appena.

Potrebbe essere un suicidio, ma al momento non mi importa, non mi importa di nulla.

Mi aspetto una qualche reazione, anche violenta, ma lui resta immobile ed il piacere di quel piccolo gesto si trasforma già in timore di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Mi allontano, maledicendo la mia avventatezza. In ginocchio di fronte a lui, mi accorgo che i suoi occhi sono ancora chiusi.

“Mi dispiace” mormoro, riportandolo alla realtà.

Porta una mano alle labbra e solo dopo qualche secondo mi domanda: “Perché l’hai fatto?”

Inizio ad andare nel panico: “Mi dispiace” ripeto “Non ho pensato, non volevo farti cadere in qualche flash…”

Scuote la testa, prendendo la mia mano e cercando di calmarmi.

“No, sto bene, Katniss, non è questo… Solo non capisco perché. Non ci sono telecamere, baciarmi non ci porterà nessun aiuto” mi ricorda, con una lieve punta di ironia che si insinua sotto la mia pelle, bruciando.

E’ davvero così inconcepibile per lui che segua l’istinto di baciarlo, solo perché ho voglia di farlo e non per ottenere qualcosa da un gruppo di sponsor? Sì, lo è, e non posso di certo dare la colpa al veleno degli aghi inseguitori. La colpa è mia.

E’ iniziata così, per lo meno. Non lo è più.

Vorrei tanto potesse leggermi dentro, come ha fatto Gale. Non riuscirò mai a trovare le parole per spiegare.

“Non l’ho fatto per le telecamere. L’ho fatto per me”.

Leggo la confusione sul suo viso: mi sembra di essere io ad avere pieno accesso ai suoi pensieri mentre cerca di capire se la mia risposta corrisponda davvero a verità, se ne sia sicura.

Entrambe le sue mani sono sul mio volto adesso, seguendo la linea delle ossa, dagli zigomi alla mandibola.

Questa volta sono io a restare immobile come una statua, timorosa anche di respirare troppo forte. Sento il battito del mio cuore risuonarmi nelle orecchie e mi domando se risulti così rumoroso anche alle sue.

Rimango ferma, anche se è una tortura terribile: quel cuore ribelle sembra deciso a fuggire dalla mia gabbia toracica da un momento all’altro.

Si è fatto più vicino, quasi impercettibilmente; sento il suo respiro caldo su di me.

“Real” sussurro, rispondendo alla sua domanda silenziosa, mescolando il mio respiro al suo. Finalmente, Peeta copre la distanza che divide le nostre labbra.

Il mio stomaco si chiude in una stretta talmente forte che per un momento non capisco più nulla: il mondo tutto intorno scompare, il cuore ferma la sua folle corsa. Tremo, mi sento completamente sopraffatta da quello che provo: non avrei mai pensato di poter sentirmi così spaventata e felice allo stesso tempo.

Mi aggrappo alle sue spalle, cercando sostegno. Una delle sue mani è ancora appoggiata al mio viso, l’altra è scivolata sulla mia schiena, spingendomi dolcemente più vicina a lui.

Ricordo la mia mano nella sua, sul carro nella cerimonia di apertura degli Hunger Games, e ancora sul treno, al ritorno a casa, al nostro distretto: la sua stretta, sempre pronta a darmi conforto nel momento in cui non avrei potuto farcela da sola, ad impedirmi di cadere in pezzi.

Mentre la sua presa si fa sempre più sicura e il bacio più intenso, mi chiedo come abbia fatto per tutto questo tempo a non rendermi conto di essere così totalmente persa e dipendente da lui, la mia roccia, la mia ancora ad un mondo che così tante volte ha cercato di annientarmi.

Troppe emozioni per una persona che ha sempre chiuso tutti i sentimenti in una scatola, per paura di essere troppo debole e non riuscire a sostenere tutte le persone che contavano su di lei. Il danno è fatto, le lacrime scendono ancora lungo il mio viso e non posso nemmeno esserne imbarazzata.

Quando si accorge che sto ancora piangendo Peeta si ferma e si allontana, quel tanto che basta da potermi guardare negli occhi.

“Katniss” mormora il mio nome “Katniss, cosa c’è, cos’hai?”.

Non ho il coraggio di sostenere il suo sguardo. Lo abbraccio stretto, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo: “Pensavo di averti perso per sempre”.

Affonda il capo nei miei capelli, respirando forte: “Non me ne sono mai veramente andato” la sua voce è così lieve, quasi impercettibile, mi sembra quasi che sia il filo dei suoi pensieri a collegarlo direttamente alla mia mente e alla mia anima “Non ti lascerò mai andare”.

Mi aggrappo a quel momento con tutte le mie forze, sapendo che, comunque andranno le cose, non potrò mai dimenticare.

Lentamente lo lascio andare, trovando alla fine il coraggio di alzare lo sguardo perché possa leggere dentro i miei occhi tutto quello che non posso esprimere a parole.

Lo bacio ancora, prima di aiutarlo a sfilarsi ciò che resta della maglietta che ha usato per tamponarmi la ferita alla testa.

Faccio scivolare le mie mani sul suo corpo, soffermandomi sul suo petto, sorridendo appena contro le sue labbra quando mi accorgo che il suo cuore batte in maniera così irregolare, ma in qualche modo in perfetta armonia con il mio.

La sua bocca sembra conoscere ogni minimo segreto del mio corpo, facendomi sospirare ad ogni bacio, mentre mi spoglia dei miei vestiti e di ogni inibizione.

Non abbiamo bisogno di parlare, i nostri desideri e pensieri sono un tutt’uno. Non abbiamo bisogno di ricordare che questa potrebbe essere la nostra ultima, unica occasione. Il pericolo di renderci vulnerabili ad un possibile attacco non importa, perché niente ci spaventa tanto come la paura di perdere l’occasione di essere una persona sola.

Siamo al sicuro, uno nelle braccia dell’altro, in un mondo che è soltanto nostro. Il suo corpo caldo contro il mio, mentre si muove piano per paura di farmi male, il suo peso concentrato sul braccio sano per timore di schiacciarmi.

Sentire il suo respiro irregolare mi sta facendo letteralmente impazzire e il dolore che provo è soltanto un altro piccolo sacrificio alla luce dell’amore che cresce ad ogni istante dentro di me, che Peeta riesce ad esasperare ad ogni carezza sul mio viso.

E quando alla fine si abbandona per un momento su di me, indifeso come un bambino, lo stringo forte e lascio che la mia ultima lacrima solitaria sfugga ai miei occhi.

 

Dedichiamo l’intera notte a noi stessi, la stanchezza perde significato di fronte alla voglia di conoscerci, il dolore ormai solo un’ombra sbiadita in confronto al piacere e al desiderio.

La luce dell’alba, che inizia a filtrare dalla finestra, ci trova ancora abbracciati, la mia fronte appoggiata alla sua, le sue dita intrecciate alle mie.

Vieni luce del mattino, non ho più paura. Anche se il nostro corpo non dovesse superare le prossime ore, pedine cadute dalla scacchiera, le nostre anime saranno per sempre al sicuro, in un mondo solo nostro, che nessuno potrà mai violare.

Quel sorriso, il sorriso che addolcisce ancora di più i tratti del suo viso quando rompe il silenzio della stanza, rimarrà per sempre marchiato a fuoco nella mia mente.

“Mi ami quanto io amo te. Real or not real?”.

Real”.

 

 

 

You see the smile that's on my mouth

It's hiding the words that don't come out

All of the friends who think that I'm blessed

They don't know that my head is a mess
No they don't know who I really am

And they don't know what I've been through

Like you do

And I was made for you 2

 


The end

 

1 = ‘Safe and sound’ Taylor Swift ft Civil War

2= ‘The story’ Brandi Carlile

 

 

Heilà J

That’s it! La storia era nata nella mia testa con un altro finale, ma alla fine ha voluto, da sola, prendere un’altra piega ed ho deciso di chiuderla così, o meglio di non chiuderla esattamente. Lascio a voi decidere cosa succederà all’arrivo della luce del mattino J Solo una cosa è certa, almeno in questa storia Amor vincit omnia!

Grazie per aver letto! Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate :)

La mia ossessione per questi personaggi non si è ancora estinta, of course (e guardare e riguardare il promo di Catching fire don’t help at all…). Quindi è molto probabile che ritorni con un’altra storia.

Until then,

yours sincerely

Franci

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