I was made for you di AnAngelFallenFromGrace (/viewuser.php?uid=22478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** But you'll always be my hero, even though you lost your mind ***
Capitolo 2: *** The truth and the lie, with dirt in my eyes ***
Capitolo 3: *** You need to get lost before you get found ***
Capitolo 4: *** I'll never let you go ***
Capitolo 1 *** But you'll always be my hero, even though you lost your mind ***
All these lines across my face
Tell you the story of who I am
So many stories of where I’ve
been
And how I got to where I am
But these stories don’t mean
anything
When you’ve got no one to tell
them to1
1.
Even angels have their wicked schemes
and
you take death to new extremes.
But
you'll always be my hero
even
though you lost your mind.2
“Ha
cercato di ucciderti” la voce di Gale
risuona troppo forte nelle mie orecchie, nel mio cervello, ancora e
ancora “Due
volte”.
Chiudo
la porta dello stanzino delle scorte,
sperando in qualche modo di arginare i suoi rimproveri e la sua
preoccupazione.
Ma è tutto inutile: continuano a perseguitarmi, mentre mi
accoccolo contro la
parete spoglia e respiro forte, cercando di riprendere il controllo.
Avrei
voluto trovare qualcosa da ribattere,
avrei voluto trovare le parole giuste per farlo tacere una volta per
tutte. Ma
quello che fa veramente male è sapere che, in fondo, non
c’è nulla da
ribattere, perché Gale ha ragione.
L’
hanno riportato indietro, l’hanno rapito dalle
grinfie di Capitol City, lo hanno fatto per me, dopo aver commesso il
grave
errore di non salvarlo dall’arena al mio posto: se volevano
il simbolo di una
rivoluzione, un sollevatore di popoli, avrebbero dovuto scegliere lui
fin
dall’inizio, lui e la sua capacità di smuovere i
cuori con le sole parole. Ma
forse sarebbe stato troppo pericoloso per Coin.
Serro
i pugni per la rabbia, così forte che le
unghie lasciano marchi scarlatti sulla mia pelle: forse per il
distretto 13 e i
capi della rivoluzione non è poi un gran male che Peeta sia
tornato così
cambiato da Capitol City. Del ragazzo del pane, così gentile
e buono verso
chiunque, resta soltanto un involucro, gli occhi azzurri ora freddi e
un
sorriso sardonico. Una macchina programmata per uccidere. Me.
Ogni
volta che lo guardo non posso fare a meno
di pensare a quella notte sul tetto, agli albori dei miei primi Hunger
Games.
“Non
so bene come
dirlo. Solo non voglio... perdere me stesso. Ha un senso? Non voglio
che mi
cambino, là dentro. Che mi trasformino in una specie di
mostro che non sono.”
Ricordo
che quella notte non ero riuscita a
capire, mi ero chiesta come avrebbe potuto perdere se stesso. Adesso so
che il
suo peggiore incubo è diventato realtà.
Lo
hanno cambiato e hanno trasformato il suo
amore per me, quell’illusione che potesse esserci del buono
anche in Katniss
Everdeen, in odio e
paura.
I
medici hanno detto che potrebbe non esserci
alcuna possibilità di portarlo indietro, almeno non del
tutto. Ma non sono
sicura che ci stiano nemmeno veramente provando. Ci sono stati dei
progressi,
certamente, ma non molti nei miei riguardi.
Io
continuo a crederci: dentro di me sento che
il ragazzo del pane è ancora lì, da qualche parte.
Stamattina
l’ho visto di nuovo: ci stavamo
allenando, in preparazione all’ultimo attacco alla capitale,
e stavo correndo
con il mio arco, cercando di colpire più bersagli mobili
possibili, quando in
preda alla stanchezza sono inciampata in un uno degli ostacoli
sparpagliati per
la pista.
Prima
ancora che chiunque altro potesse
soccorrermi, prima ancora di trovare la forza per rialzarmi, prima
ancora che
le guardie che non lo abbandonano mai potessero fermarlo, Peeta era
già a
terra, accanto a me.
Non
ci eravamo mai toccati, dal nostro primo
incontro dopo il suo ritorno, quando aveva tentato di strangolarmi. I
nostri
incontri da allora sono sempre stati sorvegliati e si sono evoluti da
terribili
insulti, invettive e minacce ad insulti velati da meschine battute o
indifferenza, che in qualche modo riescono a trafiggermi ancora
più a fondo. Ma
da allora non ci siamo nemmeno più sfiorati per sbaglio.
Ho
sentito il sangue ribollirmi nelle vene,
quando le sue braccia forti mi hanno sollevato senza sforzo e mi hanno
sostenuto mentre riprendevo l’equilibrio. Le guance in
fiamme, ho alzato il
capo per guardarlo negli occhi ed è allora che
l’ho visto: il mio Peeta, il
ragazzo che aveva promesso a se stesso di mantenermi in vita a
qualunque costo,
convinto che così tante persone avessero bisogno di me e che
la sua vita non
avrebbe più avuto alcun senso dopo la mia morte.
Lo
stupore sul mio viso si specchiava sui suoi
tratti, quando mi aveva domandato se stessi bene. L’ho
ringraziato appena, non
sicura della mia voce, continuando a fissarlo.
Ed
è allora che, senza preavviso, Peeta ha
cercato di piantarmi una delle mie frecce nel cuore. Ed io
l’ho perso di nuovo.
Forse
Gale ha ragione: dovrei smettere di
tentare, lasciar perdere per sempre prima che uno dei due possa farsi
del male
sul serio. Forse, se sparissi dalla sua vita, Peeta potrebbe
riprendersi,
tornare ad un’esistenza quasi normale.
Ma
non posso: non so se il mio sia soltanto
egoismo, ma una parte di me è convinta che sia giusto
rispettare il suo più
grande desiderio.
Capitol
City l’ha cambiato, si è perduto ed io
lo aiuterò a ritrovare se stesso, a ritrovare quel ragazzo
che mi ha donato il
suo cuore e la cui vita è ormai legata alla mia.
**
“Perché
lo stai facendo, Katniss? E’ tutto
inutile”.
Le
sue parole fanno scattare un campanello
nella mia testa, mi riportano nell’arena, davanti ad un Peeta
ferito e
febbricitante. Ricordo i baci, così finti, per le
telecamere. Il mio stomaco si
stringe un po’ di più, mentre mi rendo conto che
adesso, proprio adesso, darei
di tutto per poter poggiare le mie labbra sulle sue. Per fargli
ricordare
quello che provava in quel momento, per me stessa. Ma scaccio
immediatamente
anche la sola ipotesi dalla mia testa.
“E’
inutile” ripete Peeta “Finirò solo per
farti del male”. Tiene gli occhi bassi, sulla cena che non ha
quasi toccato.
Ma
non l’ha ancora fatto. E’ passato quasi un
mese dall’ultima volta che la mia vita è stata
effettivamente messa a rischio.
E più di due settimane da quando ha soltanto tentato di
farmi del male.
In
tutto questo tempo io ho continuato a fare
quello che mi riesce meglio in assoluto: disobbedire agli ordini. Mi
era stato
chiesto di stare il più possibile lontano da Peeta, ed io ho
cercato ogni
occasione per stargli vicino, per ricordargli che per lui ci
sarò sempre:
proteggerci e salvarci a vicenda, è questo quello che
facciamo.
Alcuni
giorni sono stati difficili,
tremendamente difficili, non pensavo che le parole, le sue parole,
potessero ferirmi
così tanto. Ma ho continuato a perseverare, testarda,
confidando in qualcosa
che per molto tempo avevo dimenticato perfino che esistesse: la
speranza.
La
speranza mi ha permesso di aggrapparmi ai
piccoli miglioramenti quotidiani e a superare le crisi altrettanto
frequenti. I
ricordi stanno tornando, piano piano, ma sono spesso confusi ed
è difficile per
Peeta riconoscere la realtà dalla finzione.
“Prima
devi riuscire a prendermi” lo prendo in
giro, addentando un panino.
Lui
non sorride della mia battuta, continua a
fissarmi con quel misto di serietà, preoccupazione e
dispiacere.
Ingoio
molto lentamente, abbassando lo sguardo,
e prendo un respiro profondo.
Mi
azzardo a sfiorare la sua mano con la punta
delle dita, un tocco lieve e quasi invisibile, che però lo
fa irrigidire.
Tuttavia, non allontana il braccio, ma continua a fissare il suo
sguardo
incerto su di me.
“Perché
mi fido di te” sussurro appena “perché
voglio riportarti indietro.”
Per
quelli che mi sembrano secoli restiamo in
silenzio, mi sembra quasi che anche il mio stesso respiro faccia troppo
rumore
e così trattengo il fiato. Le sue labbra si schiudono quasi
impercettibilmente,
sembra voglia dire qualcosa ma forse non riesce a trovare le parole.
Faccio
un salto sulla sedia, strappata al mio
mondo di speranze e illusioni, quando Peeta si alza di scatto in piedi,
lanciando il vassoio con la sua minestra contro la parete. Pezzi di
vetro e
ceramica volano per la stanza.
“Non
dovresti” mi urla in faccia “Non dovresti
fidarti di me. Non dovresti continuare ad illudere. Il ragazzo che ti
amava non
esiste più”.
Si
avvicina a grandi falcate alla porta.
“E
poi perché ti interessa così tanto? Tu non
mi hai mai amato a tua volta” si ferma un attimo sulla
soglia, prima di
chiedere con voce strozzata “Real or not real?”.
Non
riesco a trovare le parole per rispondere e
lui se ne va, sbattendo la porta alle sue spalle. Solo allora mi
accorgo del
frammento di vetro che si è conficcato nel mio polso, che
ora sanguina
copiosamente.
**
Non
mi stupisco di trovare Gale seduto su uno
dei lettini, quando mi dirigo in infermeria per disinfettare la ferita.
Solo da
poco sono riuscita a convincere Coin e gli altri capi di poter restare
da sola
con Peeta senza correre rischi, ma, sebbene le sue guardie siano state
finalmente allontanate, i nostri incontri sono sempre sorvegliati per
evitare
l’irrimediabile. E a buon giudizio, sembrano ricordarmi gli
occhi di Gale nel
momento in cui entro nella stanza.
Dopo
aver congedato una delle solerti
infermiere, si offre di pulire e fasciarmi la ferita.
Accetto
di malavoglia, convinta che presto
arriverà una delle sue solite ramanzine e al momento non so
se il mio animo,
molto più sanguinante del mio polso, potrebbe resistere. Ma
Gale rimane in
silenzio per tutto il tempo, come se sapesse, senza nemmeno una parola,
che non
è il momento.
Osservo
le sue mani e la sua espressione
concentrata e un moto di immensa gratitudine mi pervade, mentre mi
ricordo
perché lui sia il mio migliore amico e la persona che mi
conosce e riesce a
capirmi meglio di tutte.
Per
questo non dovrebbe sorprendermi quando
inizia a leggermi dentro, come se fossi un libro aperto davanti ai suoi
occhi.
“Non
ti arrenderai mai, non è vero?” ha il
suono di una domanda, ma Gale non sta cercando veramente una risposta.
Scuote
la testa, con un sospiro: “L’avrei dovuto capire
molto tempo fa, ma la speranza
e la tua confusione mi hanno accecato”.
Accarezza
piano il dorso della mia mano, le sue
labbra piegate in un raro sorriso che non riesce però a
raggiungere i suoi
occhi.
“Dal
momento in cui ci siamo incontrati in quel
bosco, anni fa, abbiamo iniziato ad appartenerci in un modo a cui
nemmeno il
legame di sangue potrebbe dare un significato, so che riesci a sentirlo
anche
tu”.
Annuisco
brevemente, sentendomi sempre più una
Avox.
“Mi
ero ormai convinto che le nostre vite
fossero destinate anche a concludersi insieme, come amanti, almeno fino
a
quanto non sei finita in quell’arena e qualcuno ha deciso che
fossi destinata
ad un altro. Mi sono ripetuto che quei baci fossero solo una finzione e
la tua
voce che lo confermava non faceva che alimentare il fuoco della mia
speranza. E
le tue labbra, le tue labbra sulle mie non potevano fare a meno
incendiare
quelle braci”.
Non
riesco più nemmeno a guardarlo in faccia:
vorrei scappare, ma la mia mano è ancora tra le sue.
“Ma
ora mi rendo conto che è stata soltanto
un’illusione. Perché tu non mi ami e mai potrai
amarmi come io amo te. Senza
accorgetene hai dato il cuore ad un altro e, sebbene tu lo voglia
nascondere
perfino a te stessa, lo sai anche tu”.
La
verità di quelle parole distrugge anche le
mie ultime difese: Gale ha ragione, ho cercato di nascondere la testa
sotto la
sabbia, di non abbandonarmi a quel sentimento che avrebbe finito
soltanto con
il consumarmi e rendermi più debole. Ma la paura di aver
perso Peeta per sempre
non mi ha permesso di continuare quella farsa ancora più a
lungo, almeno agli
occhi della persona che mi conosce meglio al mondo.
E
la paura di perdere anche Gale mi ha
mantenuto in questo limbo per mesi, ma il suo sguardo disperato e
disilluso mi
ricorda che è il momento di lasciare andare, per non farlo
soffrire ancora di
più.
Così,
quando dalla sua bocca esce quella stessa
domanda a cui non sono riuscita a trovare un risposta neanche
un’ora prima,
questa volta la mia voce risuona nel silenzio.
“Real or not real?”
“Real”.
Non
posso trattenerlo ancora al mio fianco,
impedirgli di vivere la sua vita per un’illusione. Su
un’altra cosa ha ragione:
noi ci apparteniamo e in qualche modo resterà per sempre
nella mia vita.
Gale
lascia andare la mia mano e mi dà un
leggero bacio sulla fronte.
“Tornerà
da te”.
**
Quella
notte mi permetto di piangere silenziose
lacrime. Per Gale. Per me. Per la mia stupidità.
Stringo
la perla che Peeta mi ha regalato
nell’arena. Adesso mi sento così fragile. Cosa mi
serve ammettere di essere
innamorata di qualcuno che non potrà più amarmi?
Che continuerà a vedermi
soltanto per quello che sono.
Violent.
Distrustful.
Manipulative. Deadly.
1=
‘The story’, Brandi Carlile
2
= ‘Love the way you lie’, Rihanna solo
Era
da un po’ che non mi dedicavo ad una
fanfiction, soprattutto una fanfiction su un libro, ma ho sentito
l’esigenza di
dare sfogo alla mia piccola ossessione per questi libri (la mia
speranza è di
estinguerla, ma non sono proprio sicura che riuscirò nel mio
intento…).
Ad
ogni modo, per quanto in fin dei conti abbia
realizzato di aver apprezzato la conclusione della trilogia e il modo
in cui
sono stati sviluppati i personaggi, ho voluto dare un po’
più spazio a Katniss
e ai suoi sentimenti (per questo temo finirà per essere un
po’ OOC…).
Grazie
per aver letto questo primo capitolo J
Franci
|
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Capitolo 2 *** The truth and the lie, with dirt in my eyes ***
2.
There is a ghost deep
in my throat
Shoving it down, speak and you choke
Somewhere between dirty and clean
The truth and the lie, with dirt in my eyes...1
Ha
ricominciato a
sorridere. Non avrei mai potuto immaginare che rivedere quel sorriso
avrebbe
potuto turbarmi tanto.
Mi
sono sentita come
rinascere, un calore sconosciuto che risaliva dalla bocca dello stomaco
fino al
mio viso, passando dal cuore. Ma il piacere si è trasformato
ben presto in
un’altra sensazione, altrettanto estranea ma in qualche modo
più forte.
Gelosia. Perché quel sorriso non era più rivolto
a me.
So
che è stupido,
dannatamente stupido essere gelosa di Annie: lei è
felicemente sposata con
Finnick, sono la coppia più dolce del mondo e di sicuro
Peeta non ha nessuna
intenzione di rovinare tutto questo. Eppure… eppure non
posso fare a meno di
essere gelosa di quello che Annie rappresenta, il candore,
l’ingenuità, la
bontà: qualità che non saranno mai mie.
Quando
Peeta ha
incrociato il mio sguardo non ho potuto fare altro che nascondermi
dietro ad
una tazza di latte, in imbarazzo. Ho intravisto la confusione sul suo
viso, ma
ho fatto finta di niente e ho accolto con forse troppo entusiasmo il
tentativo
di Delly di fare conversazione.
**
Non
sono soltanto
sorrisi. Peeta ha riacquisito la sua migliore qualità:
trovare sempre le parole
giuste, al momento giusto, per far sentire meglio chiunque. Perfino
Johanna.
Lo
osservo di
nascosto aiutare Annie ad uscire da una delle sue crisi e le parole di
Haymitch
tornano vivide nella mia memoria.
“Non
lo meriterai neanche in un milione
di anni”
Ho
sempre saputo che
questa è la verità. Vorrei soltanto ritornare al
momento in cui Peeta non se ne
rendeva conto.
**
Non
c’è più tempo
per allenarsi, non c’è più tempo per
cercare di aggrapparsi ad un passato che
forse non esiste più. E’ arrivato il momento di
attaccare Capitol City. E’
arrivato il mio momento di vendicarmi ed uccidere Snow.
Mi
sento una sciocca
nel mio costume da Mockingjay, vorrei soltanto indossare una semplice
armatura.
Vorrei soltanto essere un semplice soldato.
Per
la prima volta
non sarò nella stessa squadra con Gale, il mio compagno di
caccia non sarà lì a
coprirmi le spalle: il solo pensiero mi fa sentire sempre
più piccola, ma cerco
di fare buon viso a cattivo gioco quando lo saluto augurandogli buona
fortuna.
“Anche
a te, Katnip”
mi sorride lui, scompigliandomi appena i capelli.
Nella
mia squadra
non ci sarà nemmeno Peeta, naturalmente: sarebbe troppo
pericoloso per la mia
sicurezza. Ma non è della mia sicurezza che mi preoccupo:
chi veglierà su di
lui, se io non sarò presente? Chi lo proteggerà?
L’ho perso di vista solo una
volta nell’arena e sappiamo tutti come è andata a
finire. Peeta, nelle mani di
Capitol City.
Cerco
di convincerlo
in tutti i modi a restare nel distretto 13, a non entrare in battaglia.
E’
allora che mi
rivolge un sorriso, e questa volta è tutto per me.
“Stai
ancora
cercando di proteggermi, Katniss?” mi domanda, scuotendo
leggermente la testa,
prima di imbracciare il suo fucile.
“Ti
prego,
ascoltami!” ritento, cercando di suonare il più
convincente possibile “Non è
prudente! Cosa accadrà se verrai catturato di nuovo?
Io… io non posso nemmeno
pen…”.
Mi
interrompe,
poggiando un dito sulle mie labbra: “Non
c’è nulla che tu possa dire per
convincermi Katniss. Hanno ucciso la mia famiglia, voglio esserci
almeno per
proteggere le persone a cui tengo che sono ancora in vita”.
Non
posso trovare
nulla da controbattere, è la stessa ragione che mi muove, o
almeno che ha mosso
i miei passi quel giorno, alla mietitura. La gelosia mi confonde di
nuovo: a
chi si sta riferendo? Chi sono le persone a cui tiene? So di non essere
su
quella lista.
“E
questa volta sono
stato ben attento a non bere assolutamente nulla: non volevo rischiare
che
qualcuno mi rifilasse uno sciroppo per dormire” aggiunge con
una smorfia, per
risollevare un po’ la tensione.
Riesce
a strapparmi
una mezza risata: “Non penso servirebbe a molto, ti
basterebbe partire con un
giorno di ritardo. Però potrei sempre incatenarti da qualche
parte e portare
via la chiave…”.
“Sai
che non sarebbe
ancora sufficiente”.
“Lo
so”.
Rimaniamo
a fissarci
ancora, consapevoli che quella potrebbe essere l’ultima
volta. Vorrei trovare
le parole giuste per un addio, ma sono sempre io, Katniss Everdeen, la
persona
che non imparerà mai a comportarsi nel modo corretto con le
persone.
Le
mie labbra si
stanno schiudendo per formulare un semplice e vuoto saluto, quando
sento le
braccia di Peeta avvolgersi intorno alla mia schiena. Prima incerte,
poi sempre
più strette, portandomi più vicina al suo petto.
Senza
che me ne
renda conto, le mi mani si sono già allacciate dietro al suo
collo e il suo
mento è appoggiato alla mia spalla.
Sento
il suo respiro
caldo sul mio collo.
Chiudo
gli occhi e
desidero che quel momento possa durare per sempre.
“Always”.
Quella
parola, che
ha continuato a risuonare nella mia testa quando ero sotto
l’effetto della
morfina, ha ancora una volta il suono dell’illusione e non
sono sicura di
averla immaginata o di averla sentita davvero uscire dalla sua bocca.
**
Freddo.
Riesco solo
a sentire un freddo terribile, fino al midollo delle mie ossa. Cerco di
stringermi in qualche modo nella coperta da campo, ma non ottengo nulla.
Come
spesso accade,
mi ritrovo catapultata di nuovo nell’arena. Quanto vorrei
accendere un fuoco
adesso! Ma sarebbe troppo pericoloso: non ci sono altri tributi pronti
ad
uccidermi per salvare se stessi, ma nel buio della foresta si nasconde
il
nemico e non posso permettermi di farmi scoprire.
Anche
il calore
corporeo di un commilitone andrebbe bene, ma sono rimasta da sola.
Nessuno dei
miei compagni è rimasto in vita e ho perso notizie delle
altre squadre da
almeno due giorni.
Batto
i denti,
mentre una lacrima solitaria scivola sulla mia guancia: non posso
domandarmi se
Peeta o Gale stiano bene. Deve essere così.
A
quanto pare la
sicurezza dei ribelli di arrivare a Capitol City senza particolari
difficoltà
si è rivelata assolutamente senza fondamento: non so se sia
stato il tradimento
delle talpe nella capitale, o semplicemente il problema è
stato sottovalutare
eccessivamente il nemico. Quel che so è che i nostri
tentativi di bypassare
tutte le trappole si sono rivelati inutili.
Per
caso, per sorte,
sono ancora una volta l’unica rimasta in piedi. Quando anche
l’ultimo dei miei
compagni è morto, per poco non mi sono lasciata sopraffare
dal panico. Ma poi
mi sono ricordata della mia missione, uccidere Snow, e il bisogno di
vendetta
mi ha dato la forza di alzarmi e continuare a camminare. Ora che ho
detto addio
a Peeta, ho chiuso per sempre la porta all’amore e la
vendetta è tutto ciò che
mi rimane.
Siamo
ormai quasi al
confine con Capitol City, un bosco e qualche casa abbandonata sono
tutto ciò
che mi separa dalla fine.
Sono
riuscita
finalmente a prendere sonno, quando lo sento.
E’
come un sibilo,
un suono indecifrabile a cui non riesco dare un nome, ma che mi fa
rabbrividire
ancora più a fondo.
Mi
sollevo di
scatto, già in posizione di battaglia, una delle poche
frecce che mi sono
rimaste tesa nel mio arco. Ma è già troppo tardi.
Una
decina di
ibridi, comparsi letteralmente dal nulla, mi hanno già
circondato. Sono
allibita e sconvolta: questo poteva succedere nell’arena, ma
questo è il mondo
reale, non è vero? Mostri sanguinari non dovrebbero
materializzarsi dal nulla.
Sono
come i lupi
della mia prima edizione degli Hunger Games, ma questa volta sono tutti
uguali:
manto chiaro, quasi biondo, occhi azzurri. Gli occhi di Peeta.
Rimango
pietrificata
sul posto per quelle che sembrano ore, paralizzata dalle implicazioni
di quella
visione: è un messaggio di Snow? Per comunicarmi che, alla
fine, ha deciso di
portarmelo via per sempre? O è semplicemente un trucco per
confondermi e farmi
cedere?
Gli
artigli di uno
degli ibridi sul mio polpaccio mi risvegliano dalla mia trance ed io
capisco
che per poter sopravvivere devo lasciare tutti i miei sentimenti da
parte.
Quello
che succede
in seguito resta confuso, come avvolto da una nebbia spessa nella mia
testa:
riesco ad arrampicarmi sull’albero più vicino,
inizio a scagliare le mie ultime
frecce, le mie ultime speranze.
La
prima freccia
manca il bersaglio, si conficca nella corteccia di un tronco lontano,
ormai
inservibile. Mentre gocce di sudore mi cadono dalla fronte, facendomi
bruciare
gli occhi, scaglio la seconda freccia e colpisco il primo ibrido, che
guaisce
in modo spaventoso e mi rivolge uno sguardo disperato prima di morire.
Mi mordo
le labbra fino a farle sanguinare, cercando di convincere me stessa che
è
soltanto un’illusione.
Pochi
colpi, e le
mie frecce sono terminate; più della metà dei
lupi è ancora in vita. Li ho già
visti saltare e so che non potrò restare su
quell’albero per sempre, prima o
poi riusciranno a raggiungermi.
Stringo
le dita
intorno al coltello che è attaccato alla mia cintura, pronta
a saltare.
Nel
momento in cui
mi lancio nella mischia sento tutto ciò che resta della mia
umanità scivolarmi
via di dosso. Mi aggrappo ancora alla vendetta, a quel senso di
bestialità che
ora mi pervade mentre mi avvento contro un altro ibrido e conficco il
mio
coltello nel suo collo. Penso di aver soltanto sognato il suono degli
spari.
Poi
vedo cadere un
lupo a terra, e poi un altro. Poi sono io a cadere e picchio la testa
contro
una pietra.
Sto
già morendo? Mi
sto immaginando tutto? La mia vista è annebbiata e sento le
forze iniziare ad
abbandonarmi: quando un altro ibrido, morto, mi cade addosso con tutto
il suo
peso, cerco di scrollarmelo di dosso, ma è tutto inutile.
In
un momento di
completa lucidità mi accorgo dell’altro lupo che
si sta avvicinando troppo
velocemente, le sue fauci ormai a pochi centimetri dal mio viso. Serro
le
palpebre: non voglio che l’ultimo ricordo prima di morire
siano gli occhi di
Peeta, iniettati d’odio.
Chiudo
gli occhi e
aspetto la mia fine, mentre dentro di me fallimento e sollievo si danno
battaglia.
Ma
il morso non
arriva: un urlo di dolore, che sembra quasi umano, mi porta aprire gli
occhi di
scatto. Tra me e l’ibrido c’è qualcuno
adesso.
Sono
sicura di
essere morta nel momento in cui riconosco quella schiena e quelle
braccia che
mi hanno protetto dai mie incubi per così tante notti.
Non
posso fare altro
che rimanere immobile, mentre il mio soccorritore combatte contro il
lupo.
Un
altro guaito. E
nell’aria rimane soltanto quel lieve sibilo.
Peeta
si volta verso
di me, mi prende per le spalle, mi scuote, chiama il mio nome.
Vorrei
rispondere,
ma è tutto troppo confuso, come se fossi stata di nuovo
punta da aghi
inseguitori.
“Stai
tranquilla,
Katniss, ti ho trovato. Andrà tutto bene adesso”.
Ha
poggiato la mia
testa sulle sue ginocchia adesso: mi allontana i capelli dalla fronte
mentre
cerca di tamponarmi il sangue che fuoriesce dalla ferita alla testa.
Sento
le mie labbra
piegarsi in un sorriso: c’è qualcosa di sbagliato
in tutto questo, dovrei
essere io a salvargli la vita, non il contrario. Alla fine
sarò sempre io
quella in debito.
“Non
ti azzardare a
morire, hai capito?” mi intima, strappandosi un pezzo di
maglietta per farne
una benda.
Tento
di rispondere
qualcosa, ma la voce non vuole uscire. Anche la mia vista è
sempre più debole,
ma riesco a vedere dai muscoli tesi del suo volto che sta soffrendo.
Tutt’ad
un tratto il
sibilo, che ormai era diventato un sottofondo quasi soffuso, tanto che
mi ero
dimenticata della sua esistenza, si fa molto più intenso.
Lacerante.
Nel
volto di Peeta
non riesco più a leggere dolore, ma qualcosa di molto, molto
più terribile.
Odio.
I
suoi occhi si
confondono con quelli dell’ibrido che ha appena tentato di
uccidermi, quando le
sue dita si posano leggere intorno al mio collo.
Ora
vorrei gridare,
urlargli di non farlo, di non lasciare vincere Capitol City ancora una
volta.
Nessuno riuscirà veramente a cambiarlo, nessuno
riuscirà a cancellare il buono
che c’è nel suo animo.
Ma
non ne ho la
forza.
Solo
una parola esce
dalle mie labbra.
“Always.”
1= ‘Dirty and clean’
Stefanie Schneiderman
Hey
there J
Here
we are con il
secondo capitolo di questa storia! Un ringraziamento a tutti quelli che
hanno
recensito/preferito/ seguito ecc (Sono stata via un paio
d’anni da questo sito
ed è cambiato tutto! O.o E’ uno spettacolo ora u.u).
Hope to hear from you again! Non
sono particolarmente brava a
descrivere momenti di azione, di solito mi butto più sul
mondo interiore che su
quello reale, ma spero di non aver combinato un gran disastro!
Franci
P.s.
Ho appena notato che la storia dell'interlinea è colpa di
NVU che uso
per l'html!!! Probabilmente c'è un modo per fixare la cosa,
ma sono
troppo pigra per provare :)
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Capitolo 3 *** You need to get lost before you get found ***
3.
Why’s it always darkest right
before the dawn?
You have to stand up before fall down
You need to get lost before you get
found.1
Il
profumo. Il
profumo è la prima cosa di cui mi rendo conto. Profumo di
legna bruciata che mi
solletica le narici, profumo di casa. E il calore di un fuoco alle mie
spalle.
Devo
essere
sicuramente morta e finita direttamente all’inferno.
Non
pensavo che l’inferno
potesse avere un profumo così dolce.
Dischiudo
gli occhi
lentamente, abituandomi piano alla luce che mi circonda. Sbatto
lentamente le
palpebre, cercando di mettere a fuoco.
Sopra
la mia testa
non più il cielo oscuro, punteggiato di stelle, ma le travi
di legno scuro di
quella che sembra una baita.
Confusa,
mi alzò di
scatto, tentando di assumere una posizione di controllo: ma lo faccio
troppo in
fretta e la vista sembra di nuovo annebbiarsi per un istante, mentre mi
riappoggio al pavimento.
Due
braccia sono già
pronte a sostenermi.
“Fai
piano per
favore, hai preso una bella botta” mi sgrida una voce, ma nel
suo tono non c’è
vero rimprovero, il sollievo è così forte da
prevalere su ogni altra emozione.
Il
mio cuore manca
un battito o due, nel riconoscere quella voce.
Peeta
sta sistemando
meglio il cuscino di ventura, che ha preparato per me con uno zaino e
una
coperta, dietro la mia schiena. Cerco il suo sguardo, ma lui sembra
troppo
impegnato per voltarsi nella mia direzione.
Pensavo
che non l’avrei
mai più visto. Gli avevo già detto addio e invece
adesso è veramente qui, a
prendersi cura di me. Forse sono davvero morta.
Allungo
una mano,
cercando il suo viso. Gli sfioro il mento e i suoi occhi finalmente si
posano
su di me.
“Sei
veramente qui?”
sussurro.
Mi
regala uno di
quei sorrisi senza tempo, anche se velato da una certa tristezza.
“Sono
qui”.
Ringrazio
gli dei,
il fato, chiunque l’abbiamo tenuto in vita per me.
Sembra
indovinare i
miei pensieri: “Pensavi mi avessero già fatto
fuori, non è vero?” mi rivolge
una smorfia un po’ risentito, prima di scuotere la testa.
“Io…”
mi mordo le
labbra, in imbarazzo “Ero solo preoccupata. Tutta la mia
squadra non ce l’ha
fatta”.
“Lo
so. Anche la mia
è stata decimata. Eravamo rimasti in tre, prima che mi
allontanassi…”
Lo
guardo senza
capire.
“Ho
deciso di
lasciare la mia squadra e continuare da solo” mi spiega,
stringendosi nelle
spalle.
“Hai
lasciato la tua
squadra di tua iniziativa?”.
Improvvisamente
la
rabbia prende il sopravvento e non riesco a trattenermi dal tirargli un
pugno
sul braccio più vicino: “Sei matto?”.
La
sua smorfia di
dolore e il gemito che si lascia scappare mi sconvolgono: non pensavo
di essere
stata così violenta.
Seguo
il suo sguardo
e solo allora mi accorgo della fasciatura orribile e rossa di sangue
che
circonda il suo braccio destro.
“Peeta!”
gridò,
sollevandomi di nuovo di scatto.
“Ti
ho detto di non
muoverti così in fretta” cerca di ricordarmi lui,
con un’espressione divisa tra
il dolore e la preoccupazione.
Ma
l’adrenalina che
mi scorre nelle vene non mi permetterebbe di svenire un’altra
volta.
Svolgo
rapida la
benda e trattengo il fiato davanti alla ferita: dopo gli Hunger Games e
la
guerra non sono più facilmente impressionabile, e tuttavia
sento lo stomaco
contrarsi quando osservo lo scempio dei denti che hanno penetrato la
carne
quasi fino al muscolo.
“Oh
Peeta” mormorò
questa volta, gli occhi che bruciano.
“Quei
mostri avranno
avuto anche i miei occhi, ma di certo non i miei denti. Non mi
farebbero male
quelle zanne, non pensi?” il suo tentativo di scherzare ha
soltanto il
risultato di farmi sentire ancora più in colpa.
Frugo
nel kit medico
che Peeta ha lasciato aperto sul pavimento, cercando
l’occorrente per
disinfettare di nuovo la ferita.
“Ho
fatto da me…”
cerca di protestare, ma la mia espressione risoluta fa cadere ogni tipo
di
resistenza.
“Non
hai fatto un
gran lavoro da queste parti…”.
O
almeno non verso
se stesso. Come al solito si è preoccupato soltanto di me.
Rimaniamo
per
qualche minuto in silenzio. I ricordi dell’arena si fanno di
nuovo più forti.
“Perché
hai lasciato
il tuo gruppo?” domando d’un tratto, questa volta
cercando di frenare la mia
irritazione per la sua incoscienza.
Sbatte
una volta le
palpebre e mi ritrovo ad osservare le sue ciglia biondissime alla luce
del
fuoco che brucia in un camino dietro di noi.
“Sapevo
che eri in
pericolo. Sono dovuto venire a cercarti”.
“Sapevi?”
chiedo,
confusa.
Lui
si stringe nelle
spalle, incapace di trovare una risposta razionale.
Gli
assicuro la
nuova benda con una spilletta e sospiro: “Ti devo la vita,
ancora una volta”
ammetto, lo sguardo fisso sulla fasciatura.
Peeta
usa la mano
del braccio sano per toccarmi il mento, e costringermi ad alzare di
nuovo il
capo.
“Proteggerci
a
vicenda, è quello che facciamo. Ricordi?” mormora,
sfiorandomi le labbra con il
pollice.
“E
poi ho un debito
che non potrò mai saldare: hai cercato di salvare la mia
anima, Katniss”
aggiunge “Potrei salvarti la vita un milione di volte e non
sarei ancora
nemmeno lontanamente vicino a pagare il mio debito”.
“Cercato?”
La
domanda lascia il
mio corpo ancor prima che il cervello possa davvero formularla.
Abbandona
il
braccio, preso dallo sconforto: “Non credo possa essere
davvero salvato.
Qualcosa in me…” si blocca, litigando con le
parole “E’ danneggiato per
sempre”.
Improvvisamente
il
ricordo di quello che è successo nel bosco, prima che
perdessi i sensi, si fa
vivido nella mia mente, come un quadro o una fotografia.
Le
mani di Peeta
intorno al mio collo e i suoi occhi carichi d’odio. Il mio
terrore e la
disperazione nel momento in cui mi ero resa conto che stavo per morire
per mano
della persona che amavo.
Ma
sono ancora viva.
Non proprio in forma, a causa di quegli stupidi ibridi, ma viva e
vegeta.
Nessuno
è venuto in
mio soccorso. Si è fermato da solo.
“Cosa
è successo?”
gli domando, con cautela.
Quando
inizia a
parlare tiene lo sguardo fisso sulle fiamme, il cui riflesso danza nei
suoi
occhi e sui tratti del suo viso.
“Avevo
appena ucciso
l’ultimo lupo e stavo cercando di aiutarti, quando quel suono
si è fatto più
forte, insopportabile”.
Sì,
questo me lo
ricordo.
“E
poi,
all’improvviso, non ero più me stesso. Mi stava
controllando, di nuovo. I flash
e l’odio mi hanno sopraffatto. Tutto quello che desideravo
era…” rabbrividisce
al solo pensiero “Era ucciderti. Le mie mani erano
già strette intorno al tuo
collo, sentivo il sangue già scorrere più lento,
il tuo battito farsi più lieve
e poi…”.
Scuote
il capo.
Prendo la sua
mano, gli do una leggera
stretta, sperando che possa aiutarlo a continuare.
“Poi
ho visto la
paura dipinta sul tuo viso e qualcosa è scattato dentro di
me: ho rivisto il
tuo volto, di bambina, la disperazione alla notizia della morte di tuo
padre. E
poi ancora tu, con le tue trecce, in piedi su quello sgabello a cantare
per la
classe. Ho risentito la tua voce, cantare quella vecchia ballata della
valle e
anche io sono tornato un bambino. Quel bambino che alla prima nota
aveva capito
di essere irrimediabilmente spacciato. Per sempre”.
Always.
Mi
accorgo di aver
iniziato a piangere solo nel momento in cui una lacrima inizia a
scivolare
lungo il mio collo, facendomi rabbrividire.
Mi
scappa uno di
quei terribili e imbarazzanti singhiozzi. Peeta si volta di scatto e
quando mi
vede piangere cerca subito di asciugarmi il viso.
“Oh
Katniss, mi
dispiace tanto. Non avrei mai dovuto venire a cercarti, sapevo che
sarebbe
stato pericoloso” inizia a parlare a raffica, accarezzandomi
spasmodicamente il
capo “Ma sentivo che dovevo aiutarti. Temevo che qualcosa di
brutto stesse per
accaderti e quando ho visto gli ibridi attaccarti, per un attimo, per
un attimo
ho pensato di aver ragione. Naturalmente non avevo pensato che in
realtà ero il
perico…”.
Non
gli permetto di
andare avanti, poggiando le mie dita sulle labbra per zittirlo.
Davvero,
come può
non riuscire a capirlo? A vederlo?
“Peeta”
pronuncio
una volta il suo nome, aspettando che si calmi
“L’hai sconfitto. Ti sei
fermato. Sei tornato in te e mi hai salvato la vita”.
Sembra
rendersi
conto delle implicazioni di questo fatto per la prima volta.
“Questa
volta”
mormora alla fine “Ma la prossima…”.
“Mi
hai salvato”
ripeto, risoluta “Hai salvato entrambi.”
So
che sta per
ricominciare ad attaccarsi a qualche altra stupida convinzione, nel
tentativo
di denigrare se stesso, così sfrutto l’unica arma
che conosco per farlo tacere:
è un’ottima scusa per non pensare troppo a mia
volta a quello che sto facendo,
soddisfacendo quel desiderio che scalpita in un angolo della mia testa
da
quando mi sono risvegliata e che ho cercato di ignorare per tutto
questo tempo.
Mi
piego in avanti,
quel tanto che basta per poggiare le mie labbra sulle sue, in un bacio
gentile,
le punte dei nostri nasi che si sfiorano appena.
Potrebbe
essere un
suicidio, ma al momento non mi importa, non mi importa di nulla.
[to
be continued…]
1 = ‘Lost and found’ A
Rocket to the Moon
Hei there J
Mi
spiace un sacco
di aver interrotto il capitolo in questo modo :P
Ma
tornerò presto
con la seconda parte e spero di riuscire a farmi perdonare J
Thanks
a tutti i
lettori e soprattutto a chi ha trovato il tempo di commentare!
See
you all soon!
Franci
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Capitolo 4 *** I'll never let you go ***
4.
I remember tears streaming down your face
When I said, I'll never let you go
When all those shadows almost killed your light
I remember you said, Don't leave me here alone
But all that's dead and gone and passed tonight1
Mi
piego in avanti,
quel tanto che basta per poggiare le mie labbra sulle sue, in un bacio
gentile,
le punte del nostro naso che si sfiorano appena.
Potrebbe
essere un
suicidio, ma al momento non mi importa, non mi importa di nulla.
Mi
aspetto una
qualche reazione, anche violenta, ma lui resta immobile ed il piacere
di quel
piccolo gesto si trasforma già in timore di aver fatto
qualcosa di sbagliato.
Mi
allontano,
maledicendo la mia avventatezza. In ginocchio di fronte a lui, mi
accorgo che i
suoi occhi sono ancora chiusi.
“Mi
dispiace”
mormoro, riportandolo alla realtà.
Porta
una mano alle
labbra e solo dopo qualche secondo mi domanda:
“Perché l’hai fatto?”
Inizio
ad andare nel
panico: “Mi dispiace” ripeto “Non ho
pensato, non volevo farti cadere in
qualche flash…”
Scuote
la testa,
prendendo la mia mano e cercando di calmarmi.
“No,
sto bene,
Katniss, non è questo… Solo non capisco
perché. Non ci sono telecamere,
baciarmi non ci porterà nessun aiuto” mi ricorda,
con una lieve punta di ironia
che si insinua sotto la mia pelle, bruciando.
E’
davvero così
inconcepibile per lui che segua l’istinto di baciarlo, solo
perché ho voglia di
farlo e non per ottenere qualcosa da un gruppo di sponsor?
Sì, lo è, e non
posso di certo dare la colpa al veleno degli aghi inseguitori. La colpa
è mia.
E’
iniziata così,
per lo meno. Non lo è più.
Vorrei
tanto potesse
leggermi dentro, come ha fatto Gale. Non riuscirò mai a
trovare le parole per
spiegare.
“Non
l’ho fatto per
le telecamere. L’ho fatto per me”.
Leggo
la confusione
sul suo viso: mi sembra di essere io ad avere pieno accesso ai suoi
pensieri
mentre cerca di capire se la mia risposta corrisponda davvero a
verità, se ne sia
sicura.
Entrambe
le sue mani
sono sul mio volto adesso, seguendo la linea delle ossa, dagli zigomi
alla
mandibola.
Questa
volta sono io
a restare immobile come una statua, timorosa anche di respirare troppo
forte.
Sento il battito del mio cuore risuonarmi nelle orecchie e mi domando
se
risulti così rumoroso anche alle sue.
Rimango
ferma, anche
se è una tortura terribile: quel cuore ribelle sembra deciso
a fuggire dalla
mia gabbia toracica da un momento all’altro.
Si
è fatto più
vicino, quasi impercettibilmente; sento il suo respiro caldo su di me.
“Real”
sussurro,
rispondendo alla sua domanda silenziosa, mescolando il mio respiro al
suo.
Finalmente, Peeta copre la distanza che divide le nostre labbra.
Il
mio stomaco si
chiude in una stretta talmente forte che per un momento non capisco
più nulla:
il mondo tutto intorno scompare, il cuore ferma la sua folle corsa.
Tremo, mi
sento completamente sopraffatta da quello che provo: non avrei mai
pensato di
poter sentirmi così spaventata e felice allo stesso tempo.
Mi
aggrappo alle sue
spalle, cercando sostegno. Una delle sue mani è ancora
appoggiata al mio viso,
l’altra è scivolata sulla mia schiena, spingendomi
dolcemente più vicina a lui.
Ricordo
la mia mano
nella sua, sul carro nella cerimonia di apertura degli Hunger Games, e
ancora
sul treno, al ritorno a casa, al nostro distretto: la sua stretta,
sempre
pronta a darmi conforto nel momento in cui non avrei potuto farcela da
sola, ad
impedirmi di cadere in pezzi.
Mentre
la sua presa
si fa sempre più sicura e il bacio più intenso,
mi chiedo come abbia fatto per
tutto questo tempo a non rendermi conto di essere così
totalmente persa e
dipendente da lui, la mia roccia, la mia ancora ad un mondo che
così tante
volte ha cercato di annientarmi.
Troppe
emozioni per
una persona che ha sempre chiuso tutti i sentimenti in una scatola, per
paura
di essere troppo debole e non riuscire a sostenere tutte le persone che
contavano su di lei. Il danno è fatto, le lacrime scendono
ancora lungo il mio
viso e non posso nemmeno esserne imbarazzata.
Quando
si accorge
che sto ancora piangendo Peeta si ferma e si allontana, quel tanto che
basta da
potermi guardare negli occhi.
“Katniss”
mormora il
mio nome “Katniss, cosa c’è,
cos’hai?”.
Non
ho il coraggio
di sostenere il suo sguardo. Lo abbraccio stretto, nascondendo il viso
nell’incavo del suo collo: “Pensavo di averti perso
per sempre”.
Affonda
il capo nei
miei capelli, respirando forte: “Non me ne sono mai veramente
andato” la sua
voce è così lieve, quasi impercettibile, mi
sembra quasi che sia il filo dei
suoi pensieri a collegarlo direttamente alla mia mente e alla mia anima
“Non ti
lascerò mai andare”.
Mi
aggrappo a quel
momento con tutte le mie forze, sapendo che, comunque andranno le cose,
non
potrò mai dimenticare.
Lentamente
lo lascio
andare, trovando alla fine il coraggio di alzare lo sguardo
perché possa
leggere dentro i miei occhi tutto quello che non posso esprimere a
parole.
Lo
bacio ancora, prima
di aiutarlo a sfilarsi ciò che resta della maglietta che ha
usato per
tamponarmi la ferita alla testa.
Faccio
scivolare le
mie mani sul suo corpo, soffermandomi sul suo petto, sorridendo appena
contro
le sue labbra quando mi accorgo che il suo cuore batte in maniera
così
irregolare, ma in qualche modo in perfetta armonia con il mio.
La
sua bocca sembra
conoscere ogni minimo segreto del mio corpo, facendomi sospirare ad
ogni bacio,
mentre mi spoglia dei miei vestiti e di ogni inibizione.
Non
abbiamo bisogno
di parlare, i nostri desideri e pensieri sono un tutt’uno.
Non abbiamo bisogno
di ricordare che questa potrebbe essere la nostra ultima, unica
occasione. Il
pericolo di renderci vulnerabili ad un possibile attacco non importa,
perché
niente ci spaventa tanto come la paura di perdere l’occasione
di essere una
persona sola.
Siamo
al sicuro, uno
nelle braccia dell’altro, in un mondo che è
soltanto nostro. Il suo corpo caldo
contro il mio, mentre si muove piano per paura di farmi male, il suo
peso
concentrato sul braccio sano per timore di schiacciarmi.
Sentire
il suo
respiro irregolare mi sta facendo letteralmente impazzire e il dolore
che provo
è soltanto un altro piccolo sacrificio alla luce
dell’amore che cresce ad ogni
istante dentro di me, che Peeta riesce ad esasperare ad ogni carezza
sul mio
viso.
E
quando alla fine
si abbandona per un momento su di me, indifeso come un bambino, lo
stringo
forte e lascio che la mia ultima lacrima solitaria sfugga ai miei
occhi.
Dedichiamo
l’intera
notte a noi stessi, la stanchezza perde significato di fronte alla
voglia di
conoscerci, il dolore ormai solo un’ombra sbiadita in
confronto al piacere e al
desiderio.
La
luce dell’alba,
che inizia a filtrare dalla finestra, ci trova ancora abbracciati, la
mia
fronte appoggiata alla sua, le sue dita intrecciate alle mie.
Vieni
luce del
mattino, non ho più paura. Anche se il nostro corpo non
dovesse superare le
prossime ore, pedine cadute dalla scacchiera, le nostre anime saranno
per
sempre al sicuro, in un mondo solo nostro, che nessuno potrà
mai violare.
Quel
sorriso, il sorriso
che addolcisce ancora di più i tratti del suo viso quando
rompe il silenzio
della stanza, rimarrà per sempre marchiato a fuoco nella mia
mente.
“Mi
ami quanto io
amo te. Real or not real?”.
“Real”.
You see the smile that's on my mouth
It's hiding the words that don't come out
All of the friends who think that I'm
blessed
They don't know that my head is a mess
No
they don't know who I really am
And they don't know what I've been
through
Like you do
And I was made for
you 2
The end
1 = ‘Safe and sound’
Taylor Swift ft Civil War
2= ‘The story’ Brandi
Carlile
Heilà J
That’s
it! La storia era nata nella mia testa con un
altro finale, ma alla fine ha voluto, da sola, prendere
un’altra piega ed ho
deciso di chiuderla così, o meglio di non chiuderla
esattamente. Lascio a voi
decidere cosa succederà all’arrivo della luce del
mattino J Solo una cosa
è certa, almeno in questa storia Amor vincit omnia!
Grazie per aver
letto! Mi farebbe davvero piacere sapere
cosa ne pensate :)
La mia ossessione
per questi personaggi non si è ancora
estinta, of course (e guardare e riguardare il promo di Catching fire
don’t
help at all…). Quindi è molto probabile che
ritorni con un’altra storia.
Until then,
yours sincerely
Franci
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