Just a Landing di Dreamer91 (/viewuser.php?uid=165089)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Appartamento ***
Capitolo 2: *** Di sfuggita ***
Capitolo 3: *** Qualcuno come te ***
Capitolo 4: *** La maschera del principe ***
Capitolo 5: *** 2113, Lower East Side ***
Capitolo 6: *** Il codice etico del buon vicinato ***
Capitolo 7: *** Vino bianco e pesce al cartoccio ***
Capitolo 8: *** Stagisti seccanti e ragazzini annoiati ***
Capitolo 9: *** Coinquilini ***
Capitolo 10: *** Il linguaggio di Marc Jacobs e l'irritabilità delle star ***
Capitolo 11: *** Imparare a splendere ***
Capitolo 12: *** Giacche eleganti e pianoforti bianchi ***
Capitolo 13: *** Una soluzione apparente ***
Capitolo 14: *** Thè verde in tazza rossa ***
Capitolo 15: *** Parenti serpenti ***
Capitolo 16: *** Una giornata nera ***
Capitolo 17: *** Quando New York diventa la tua migliore consigliera ***
Capitolo 18: *** Il ragazzo sul dondolo ***
Capitolo 19: *** Dietro lo spioncino della porta... ***
Capitolo 20: *** Il principe triste e l'ascensore malvagio ***
Capitolo 21: *** Il curioso caso di Artie Abrams ***
Capitolo 22: *** Rompere gli schemi ***
Capitolo 23: *** Quando la realtà supera l'immaginazione ***
Capitolo 24: *** La tazza sorridente ed il ninja sul terrazzo ***
Capitolo 25: *** Il conforto di un amico ***
Capitolo 26: *** Lacrime di nostalgia e torta al cioccolato ***
Capitolo 27: *** Proposte decisamente indecenti ***
Capitolo 28: *** Le sue dita sulla chitarra ***
Capitolo 29: *** Ad essere coraggiosi ci si guadagna sempre ***
Capitolo 30: *** La resa dei conti ***
Capitolo 31: *** Senza respiro ***
Capitolo 32: *** Le Emozioni di una Notte ***
Capitolo 33: *** Direttamente proporzionale ***
Capitolo 34: *** In un modo o nell'altro ***
Capitolo 35: *** Paura di cadere e voglia di rialzarsi ***
Capitolo 36: *** Intrusi indesiderati e confidenze tra amici ***
Capitolo 37: *** Afferrare un'occasione ***
Capitolo 38: *** Il Volo della Farfalla e il Potere di Cupido ***
Capitolo 39: *** Per sempre e anche oltre ***
Capitolo 40: *** Timori infondati e Sogni a portata di mano ***
Capitolo 41: *** Quando è impossibile svegliarsi ***
Capitolo 42: *** Soltanto un pianerottolo ***
Capitolo 43: *** Epilogo n°1 ***
Capitolo 44: *** Epilogo n°2 ***
Capitolo 45: *** Epilogo n°3 ***
Capitolo 46: *** Epilogo n°4 ***
Capitolo 47: *** Epilogo n°5 ***
Capitolo 48: *** Epilogo n°6 ***
Capitolo 49: *** Epilogo n°7 ***
Capitolo 50: *** Epilogo n°8 ***
Capitolo 51: *** Epilogo n°9 ***
Capitolo 1 *** L'Appartamento ***
fff
Buongiorno a
tutti, anime innocenti appena capitate (forse per sbaglio? ^_^) su
questa storia... Bene, credo che le presentazioni in certi casi siano
d'obbligo... mi chiamo Fabiana, alias Dreamer91 e lo so, fino a questo
momento non ho pubblicato nulla, neanche una misera OS.. mi sono
limitata ad essere lettrice silenziosa delle meravigliose storie che
circolano nella sezione "Glee" del sito. Il fatto che io sia fan
sfegatata della serie (e della Klaine, nello specifico!) è
un dettaglio abbastanza scontato, ma spiegare cosa mi abbia spinta a
dedicarmi ad una storia tutta mia... beh, è un pò
più complicato... diciamo che mi piace sperimentare, mi
piace mettermi alla prova, mi piace mettere nero su bianco
ciò che mi passa per la testa, e cosa più
importante di tutte, mi piace scrivere ^_^ eh già! Se
potessi farei solo questo nella vita, ma.. ora non divaghiamo che
altrimenti c'è gente che si annoia (tipo me XD)... cosa
stavo dicendo? ah sì, la storia... beh, non ho molto da
dire... mi è venuta così, mentre osservavo dal
balcone di casa il mio vicino traslocare nell'appartamento di fianco al
mio e booom... la lampadina dell'ispirazione si è accesa.
^_^ adesso, non starò qui ad assillarvi sul resto,
perché voglio che vi godiate serenamente questo primo
capitolo e poi sono curiosa di sapere cosa ne pensate e se vale la pena
continuare (avrei già scritto parecchi capitoli ed avrei
anche in mente l'esatta trama nella mia mente, però a voi
l'ultima parola ^_^) quindi, buona lettura e fatemi sapere ;)
p.s.
Aggiornerò una volta a settimana, sempre lo stesso giorno
(quindi il Giovedì...)
ma vi prometto che appena la sessione estiva sarà finita
aumenterò la frequenza a due volte a settimana. Scusate...
colpa dell'università, io non c'entro -__-'
New
York City. 11 Marzo 2012. Ore 10.32 A.M. (Domenica)
Erano
quasi quaranta
minuti che stavo seduto in quella macchina, a guardare il paesaggio
fuori dal finestrino cambiare gradualmente da un quartiere all'altro di
New York, in maniera talmente tanto continua, da sembrare quasi un
effetto cinematografico, e a chiedermi inevitabilmente quando, il mio
accompagnatore non che guida turistica, e - ahimé - mio
migliore
amico, si sarebbe deciso a fermarsi.
"Durerà ancora molto questa tortura?" domandai dopo
l'ennesimo sospiro frustrato.
"Ci siamo quasi!" mormorò lui, procedendo lentamente a causa
del
traffico. Incredibile come a New York il traffico fosse permanente. A
qualsiasi ora del giorno e della notte ci si rimaneva imbottigliati.
Inevitabilmente.
"Ascolta Bas... anche se sono qui soltanto
da sette anni, conosco New York come le mie tasche... quindi non
capisco cosa stiamo..."
"Un pò di fiducia ok? Ti chiedo solo questo Blaine!" mi
implorò girandosi un attimo a guardarmi, distogliendo la sua
attenzione dalla guida. Sbuffai, tornando a concentrarmi sui
marciapiedi - anch'essi trafficati - e le vetrine allestite. Eravamo
sulla 14th strada, costeggiando l'East River e non avevo la minima idea
di dove stessimo andando.
"C'entra qualcosa con l'appartamento che sto cercando per caso?"
domandai qualche istante dopo fissandomi a guardare una vecchietta con
un cappello a fiori che attraversava la strada davanti a noi. Lo sentii
sorridere
"Forse!" mormorò divertito
"Mi sembrava di averti detto di tirartene fuori... non voglio
ritrovarmi ad abitare in una bettola piena di topi, con vicini
chiassosi e prostitute che dispensano servigi fuori dalla mia
finestra... e per quanto apprezzi il
tuo adorabile interessamento alla questione io credo sia meglio..."
"Siamo arrivati!" esclamò entusiasta fermando finalmente la
macchina accanto ad un lato della carreggiata. Sbigottito, lanciai
un'occhiata al palazzo davanti al quale ci eravamo appena fermati e
quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Lentamente mi girai verso
il mio - ormai ex - migliore amico e gli lanciai un'occhiata di sbieco
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per
strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho
interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East
Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la
cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e
quando avrò terminato gli organi, mi toccherà
scendere in
strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!"
gli spiegai concitato. Essere il figlio di un noto industriale
dell'Ohio, aveva fatto sì che Sebastian non avesse mai avuto
problemi di soldi. Chiedi e ti sarà dato, questo era il
motto in
casa Smythe. In un certo senso i suoi genitori compensavano l'affetto
che non riuscivano a dargli con un sostanzioso conto in banca a sei
cifre. Soltanto che io di cognome non facevo Smythe ed il mio conto in
banca era come il film di Dario Argento... Profondo Rosso. Chiedere i
soldi ai miei era fuori discussione. Per quanto non navigassimo
nell'oro, possedevamo comunque una buona risorsa, eppure non mi ero mai
permesso di chiedere loro di attingervi. Perché per me
sarebbe
stata un'atroce sconfitta... dopo tutte le battaglie con mio padre, per
ottenere un pò di libertà, lasciare l'Ohio e
approdare a
New York, non era proprio il caso di tornare all'ovile soltanto per
chiedergli di firmarmi qualche assegno. Probabilmente mia madre lo
avrebbe fatto, ma per il quieto vivere avrebbe scosso la testa anche
lei. Era per questo motivo che, da quando avevo messo piede a New York,
ormai sette anni prima, avevo iniziato a lavorare per tirare avanti.
Non interessava la natura dell'occupazione... l'importante era avere a
fine mese il portafoglio quanto meno in uno stato soddisfacente.
Per
l'alloggio, fino a quel momento avevo vissuto con Sebastian, mio
migliore amico, ed eterno punto di riferimento. Forse l'unico in
realtà. Eravamo andati a scuola assieme e avevamo perfino
condiviso la stanza. Lo conoscevo meglio di quanto potessi conoscere me
stesso ed era stato quasi automatico andare a vivere assieme una volta
trasferiti nella grande mela. Le premesse erano buone: tu non rompi le
scatole a me, io non le rompo a te, facciamo a metà con le
spese, e ognuno cucina per l'altro a giorni alternati. Ed era andata
bene per i primi tempi, giusto fino a che i soldi che mia madre mi
aveva infilato di nascosto in una valigia prima di partire, non erano
finiti. Dopodiché dal dividere le spese al cinquanta e
cinquanta, eravamo passati a farlo al trenta e settanta, al dieci e
novanta fino a che l'affitto per me non era rimasto che un lontano
ricordo e Sebastian non aveva iniziato a pagarmi perfino la spesa. Era
stato allora che avevo iniziato a lavorare sodo, anche per diciotto ore
al giorno, a dormire veramente poco e male, a sbalzare da una parte
all'altra di New York, a stare a casa sempre meno, a dimagrire. E a
Sebastian quella situazione non piaceva. Si era perfino offerto di
prestarmi dei soldi
"Me li ridarai appena portai, B... non sono di certo un regalo!" mi
aveva detto quel giorno, ma io, un pò per orgoglio, un
pò
per la stanchezza che avevo addosso - erano ventisette ore che non
dormivo - avevo rifiutato. Dovevo farcela da solo, dovevo dimostrarlo a
mio padre, a mia madre, ma soprattutto a me stesso. Diciamo che
nell'ultimo periodo le cose stavano iniziando a funzionare. Avevo tre
lavori - la mattina presto davo una mano in un forno a legna a fare il
pane e le focacce, subito dopo, scappavo in un supermercato di TriBeCa,
dove lavoravo come magazziniere, dopodiché, ormai distrutto
fisicamente e mentalmente, correvo a casa per una doccia e per
togliermi i vestiti che avevo indossato la mattina alle cinque per poi
correre verso l'unico lavoro che davvero mi dava soddisfazioni: cantavo
e suonavo in un pub sulla riva occidentale di Manatthan. Certo, era
stancante, a volte mi veniva da piangere per la mole di lavoro che ero
costretto a sostenere e per la voglia di dormire che incombeva
minacciosa sulla mia testa, ma avevo imparato che se volevo ottenere
qualcosa, dovevo combattere, stringere i denti e andare avanti. E
magari intanto accordare la chitarra e suonare qualcosa. Quello
sicuramente avrebbe aiutato.
Proprio perché ultimamente gli affari andavano notevolmente
meglio, avevo deciso di lasciare l'appartamento di Sebastian -
perché era inutile girarci intorno... anche se ormai potevo
permettermi l'affitto di quel trilocale, il mio amico mi avrebbe
lapidato piuttosto che accettare i miei soldi - e trovare qualcosa per
me, a misura di Blaine Anderson, magari più vicino ai tre
luoghi
dove lavoravo. Quando lo avevo detto a Sebastian per la prima volta,
lui aveva alzato la testa dal libro di diritto privato - sì,
Sebastian Smythe stava seguendo il praticantato dopo essersi laureato
brillantemente in legge, l'unica facoltà adatta ad uno come
lui
- e mi aveva guardato malissimo.
"Cosa c'è che non va in questo appartamento?" mi aveva
chiesto.
Io ero stranamente arrossito. Mi sentivo un mostro ingrato
"Non c'è niente che non va, lo sai... anzi... non
smetterò mai di ringraziarti per quello che fai ogni giorno
per
me, soprattutto quando arrivano le bollette e l'avviso per l'affitto,
però, ecco... ho soltanto bisogno di qualcosa di... mio.." avevo
risposto con estrema difficoltà. Lui aveva spalancato gli
occhi in maniera quasi indecente
"Ma questa é casa
tua Blaine!" mi aveva fatto notare
"No Sebastian... io sono soltanto un parassita che vive alle tue
spalle, in una delle tre camere da letto di questo appartamento, che fa
la spesa al supermercato con i tuoi soldi, che ti cucina italiano ogni
giovedì sera e che passa l'aspirapolvere al posto tuo quando
tu
devi andare in studio... questa casa non
è mia!" avevo sbottato iniziando a camminare nervosamente
per la
cucina, sotto il suo sguardo preoccupato. Lui si era sfilato gli
occhiali che usava per leggere e li aveva poggiati sul libro con un
sospiro
"Credevo ne avessimo già parlato, B!" iniziò con
un tono
particolarmente stanco, non seppi se a causa della mole di lavoro che
gli avevano assegnato o se per colpa del discorso che stavamo
nuovamente affrontando "Io i tuoi soldi non li voglio... non voglio
niente da te. Mi basta saperti da qualche parte in giro per
casa,
anche se soltanto per un paio d'ore al giorno, trovare le tue magliette
colorate nella lavatrice assieme alle mie camicie bianche e soprattutto
dover apparecchiare la tavola per due persone. Del resto non mi
interessa!" e mi si era stretto il cuore.
"Bastian..."
"Davvero Blaine... prima o poi troverai il modo per sdebitarti con me
di tutta questa gentilezza, perché lo sai che non faccio mai
niente per niente... ma ora non è il momento. Limitati a
goderti
New York e prendi la vita come ti viene... imparando ad evitare le mie
lavatrici magari!" e mi aveva sorriso. Sbuffai. Era successo una
volta... e che cavolo, non c'era bisogno di puntualizzarlo
continuamente. Il discorso era morto lì, anche
perché
avrei dovuto attaccare il turno al pub e quindi ero scappato via, come
al solito. Ma per i mesi successivi non avevo fatto altro che pensarci,
senza riuscire a togliermi dalla testa che, andare a vivere da solo,
sarebbe stata la scelta migliore, per entrambi. E difatti, ero stato
ascoltato.
Il karma aveva voluto che Sebastian conoscesse un ragazzo, Daniel, due
anni più piccolo di lui, che lavorava presso lo stesso
studio
legale, con una grande voglia di imparare e una infinita
vitalità. Era stato come un ciclone entrato nella sua vita.
Da
semplici colleghi erano diventati pian piano grandi amici, amanti e poi
fidanzati ufficiali. E stavano insieme ormai seriamente da quasi due
anni. Per me che lo conoscevo, immaginare Sebastian fidanzato era
davvero strano. Lui, il più libertino e promiscuo
dell'intera
costa occidentale, aveva messo la testa a posto e aveva deciso di
diventare monogamo. E a conti fatti ci stava riuscendo alla perfezione.
Daniel era un ragazzo straordinario, e non ci avevamo messo molto a
diventare grandi amici. Con in comune la passione per la musica e per
Katy Perry, avevo stretto un bel rapporto d'amicizia ed era nata una
sorta di convivenza a tre. Ormai Daniel passava più tempo da
noi
che a casa sua, dove viveva con i suoi genitori, tanto che un giorno
Sebastian, non seppi se scherzando o seriamente, gli buttò
lì la frase
"Non capisco cosa ci torni a fare a casa dei tuoi... faresti prima a
invaligiare una manciata di vestiti e venire a stare direttamente qui.
Lo spazio nel mio letto per te ci sarà sempre!" Daniel era
quasi
scoppiato a piangere dalla gioia saltandogli in braccio ed io mi ero
limitato a trattenere un sorriso intenerito e a sgattaiolare via dalla
stanza, perché immaginavo che dopo una richiesta del
genere...
beh, volessero stare quantomeno da soli. Quindi ormai erano cinque mesi
che io Sebastian e Daniel vivevamo sotto lo stesso tetto - sempre a
spese del secondo che si era rifiutato categoricamente di far pagare le
spese al suo ragazzo nonostante quest'ultimo lo avesse minacciato
più volte con tanto di lama affilata tra le mani - e ormai
la
situazione iniziava a diventare insostenibile. Durante quelle poche ore
che mi trovavo a casa mi sentivo terribilmente di intralcio, anche se
tornando li trovavo innocentemente accoccolati sul divano a guardare un
film, o li sorprendevo in bagno insieme - uno intendo a farsi la barba,
l'altro ad asciugarsi i capelli. Ed era per questo che per la seconda
volta mi ero ritrovato a sospirare e ad esordire a gran voce entrando
in cucina, dove, neanche a dirlo, Sebastian stava studiando
"Da domani inizio a cercarmi un appartamento!" avevo esclamato
risoluto. Lui per la seconda volta aveva alzato la testa ma quella
volta non si era tolto gli occhiali, né aveva sospirato.
Buon
segno? Dopo quelli che erano sembrati secoli, era scoppiato a ridere,
lasciandomi interdetto ed aveva risposto
"Ed io sarò lieto di darti una mano!" dopodiché
ci
eravamo trovati a sorriderci a vicenda come due idioti e a ridere
assieme subito dopo.
Ed era iniziata così la mia caccia. Trovare un appartamento
accettabile a New York, non esageratamente costoso, possibilmente in un
quartiere tranquillo, in una posizione ottimale tra il pub, il
panificio e il supermercato. Era chiedere troppo? Sebastian si era dato
davvero da fare, forse iniziando a sentire davvero la fretta di
liberarsi di me, solo che i suoi canoni di ricerca erano estremamente
discordanti dai miei. Fino ad allora mi aveva fatto vedere ben cinque
appartamenti il migliore dei quali aveva una vista incredibilmente
caratteristica su un vicoletto pieno di negozi a luci rosse e locali
notturni alquanto equivoci. Era per questo che avevo sentitamente
pregato il mio amico di tirarsene fuori e di limitarsi a darmi una mano
nella preparazione delle valigie con la semplice promessa che, dopo
aver trovato l'appartamento giusto, mi avrebbe aiutato con il trasloco.
Ma in quel momento, in quella macchina, davanti a quel palazzo, in quella
Lower East Side, mi sembrava di aver parlato al vento per giorni
interi. Eppure lui continuava a sorridermi incoraggiante, orgoglioso di
chissà che cosa.
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il
posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi
incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a
gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli
ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e
all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani
davanti a noi. Sebastian scoppiò a ridere cacciando un mazzo
di
chiavi dalla giacca e aprendo il portoncino di metallo
"Ok, ammetto che quella forse non è stata una grande idea..."
"Forse?" feci io ironico
"Ma ti assicuro che questa volta sarà diverso. Questa volta
ho
fatto centro!" ed entrammo nel portone, elegantemente decorato, seppure
abbastanza sobrio. Prendemmo l'ascensore, mentre il mio amico non la
smetteva di sorridere e di rigirarsi le chiavi tra le mani ed io,
ansioso e impaurito, lo guardavo con sospetto. Ci fermammo al quarto
piano, l'ultimo, e Sebastian si diresse spedito verso la porta alla
nostra sinistra ed inserì la seconda chiave nella toppa.
"Ehm... Sebastian?" lo chiamai incerto, mentre apriva la porta ed
entrava tranquillamente dentro l'appartamento
"Sì?" finalmente si voltò verso di me e mi
guardò curioso, ancora immobile sullo zerbino
"Questa cosa non dovrebbe farla, che so... un agente immobiliare in
giacca e cravatta, magari in maniera ufficiale e soprattutto in un
altro giorno che non sia la domenica?" gli domandai allora. Lui
scoppiò a ridere addentrandosi di più nei meandri
a me
ancora sconosciuti dell'appartamento
"Coraggio B, non essere timido... in via del tutto ufficiosa, oggi
sarò il tuo personalissimo agente immobiliare, senza
cravatta
né la pretesa di un extra bonus vista
l'eccezionalità della giornata!" e
mi fece l'occhiolino invitandomi ad entrare con la mano. Deglutii
dopodiché feci come mi aveva detto chiudendomi la porta alle
spalle.
Subito mi guardai intorno. Mi trovavo in un piccolo ingresso,
relativamente spoglio, fatta eccezione per un paio di ganci per i
cappotti, sulla destra ed un porta-ombrelli dal discutibile gusto alla
sinistra. Davanti a me si apriva un enorme, forse esagerato, soggiorno,
con un grande divano ad angolo, coperto da un lenzuolo, un tavolo
rettangolare, una libreria a muro vuota e piena di polvere ed un paio
di quadri poggiati per terra, che probabilmente un tempo erano stati
appesi alle pareti. Sulla sinistra la porta della cucina, che da
lì non riuscivo a vedere, mentre sulla destra la
porta-finestra
che si affacciava su quello che sembrava un balcone. Di fronte alla
porta di ingresso, in linea d'aria, un altro piccolo corridoio, nel
quale riuscivo a scorgere altre tre porte, probabilmente due delle
quali erano il bagno e la camera da letto.
"Puoi anche staccarti dalla porta, Blaine... il parquet non ti mangia!"
mi ammonì Sebastian diretto in cucina. Sbalordito, mi
riscossi
dal momento di trance e lo seguii. La cucina in questione era piccola,
ma carina, sviluppata ad angolo retto su due pareti continue, e perfino
con un bel tavolo di legno poggiato sulla parete opposta.
"Bene, questa è la cucina... direi abbastanza decente, quasi
abitabile... finestra con vista sulla strada da cui siamo saliti,
fuochi
perfettamente funzionanti, e frigo nella norma... diciamo che
è
su misura di un single distratto e affamato come te!" spiegò
fingendosi davvero un esperto, mostrandomi meglio la stanza con un
gesto plateale. Sbattei più volte le palpebre senza riuscire
a
parlare. Dopodiché mi spinse di nuovo nel salone, che
sembrava
ancora più grande visto da quella angolazione, e entusiasta
mi
fece notare che i mobili erano quasi nuovi e che quella libreria appesa
al muro era perfetta per tutti i miei libri e i miei spartiti. Senza
neanche chiedermi niente, mi spinse verso il corridoio, ed
aprì
la prima delle tre porte che si rivelò uno stupendo bagno,
con
tanto di doccia, vasca, sanitari e finestra discreta che dava sulla
facciata orientale del palazzo. La porta di fianco era la camera da
letto, anch'essa particolarmente grande, dominata perlopiù
da un
letto matrimoniale, coperto da un altro lenzuolo bianco, un armadio
nero
a tutta altezza e un settimino dello stesso colore, poggiato sotto una
finestra che rimandava la stessa immagine di quella della cucina.
Lì Sebastian mi aveva sorriso complice facendomi notare che
il
letto matrimoniale era un input perfetto per rimettere in riga la mia
vita sentimentale. Oppure mi sarei potuto prendere un cane, su quello
mi lasciò carta bianca. Mi spinse poi verso la terza porta,
lo
sgabuzzino - perfetto per riporre il mio caos creativo e la ciotola del
cane. Ed infine, proprio quando credevo di aver visto tutto, entusiasta
come solo un bambino di cinque anni può esserlo dopo aver
ricevuto i complimenti dalla maestra, mi guidò fino al
balcone
che aprì. Quello che vidi mi lasciò senza fiato:
quello
che erroneamente avevo creduto un semplice balcone, era in
realtà un terrazzo, circondato su due lati da un
cespuglietto
ben curato che si affacciava su una stupenda vista dell'East River e la
costa meridionale della città. C'era un piccolo dondolo
bianco
poggiato alla parete, e il pezzo di muretto che non era decorato con le
piante, comunicava armoniosamente con il terrazzo di fianco. La vista
era a dir poco fenomenale e non potei fare a meno di immaginarmi seduto
su quel dondolo, la sera, magari con la chitarra in grembo, la matita
in bocca e gli spartiti sparsi sul pavimento. Quella zona di New York
illuminata solo dai fari delle auto e dai lampioni della strada,
sarebbe stato tanto suggestiva quanto d'ispirazione per il sottoscritto.
"Allora... che te ne pare?" mi domandò finalmente,
guardandomi con un sorriso speranzoso
"Sebastian... io..."
"Lo so, lo so... stai cercando il modo migliore per ringraziarmi e non
sai da dove iniziare. Ti do una mano io... Sebastian, luce della mia
vita, ti sono debitore.. mi hai appena regalato la gioia più
grande con questo appartamento, ed hai ragione, è proprio
adatto
per me... e sai cosa facciamo ora per festeggiare... chiamiamo anche
Daniel e andiamo tutti insieme a pranzo dal thailandese sulla 7th
strada, ah è chiaro... offro io!" e mi sorrise entusiasta
"Sebastian!" lo chiamai lentamente, distogliendo finalmente lo sguardo
dal dondolo e puntandolo su di lui
"Cosa c'è?"
"Ribadisco... spero tu stia scherzando..." biascicai incerto. Fargli
capire che neanche tra mille anni mi sarei potuto permettere un
appartamento del genere, doveva essere un'impresa titanica a quanto
pareva.
"Non capisco, B... ma l'appartamento ti piace oppure..."
tentò lui incerto
"Sì, Sebastian, mi piace... e anche tanto..." risposi
esasperato alzando gli occhi al cielo
"Bene! E allora qual'è il problema?" domandò con
un sorriso
"Il problema..." iniziai perdendomi in un sospiro, dopo essermi accorto
di aver alzato inconsapevolmente il tono della voce. Adesso il vicino
rumoroso ero diventato io, senza neanche abitarci in quel palazzo.
Abbassai la voce e continuai "Lower East Side, Sebastian..."
"Cazzo, Blaine, se ripeti ancora una volta il nome di questo quartiere
giuro che ti lancio giù dal balcone!" sbottò lui
passandosi una mano tra i capelli, perfettamente sistemati
all'insù. Si prese qualche secondo per calmarsi, mentre io
incrociavo le braccia al petto e lo guardavo malissimo. Ci sarebbe
arrivato da solo prima o poi alla soluzione del mistero
"D'accordo siamo a Lower East Side... e allora?" mi domandò
finalmente sbuffando appena
"Non posso permettermelo... e lo sai!" risposi stizzito. Era
atrocemente crudele mostrarmi cosa esattamente volevo, e
contemporaneamente farmi capire che tanto non avrei mai potuto averlo,
perché non avrei trovato i soldi necessari per pagarlo.
Neanche
tra mille anni, appunto!
Lui alzò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso
"Se solo mi avessi lasciato finire di parlare, ti avrei spiegato il
perché mi sono permesso di mostrarti un appartamento tanto
bello, in un quartiere tanto prestigioso, nonostante tu non abbia
grandi risorse da parte!" mi fece allora, affondando le mani
nelle tasche dei jeans
"Sarebbe?" domandai scettico. Cosa diavolo si era inventato
quell'idiota?
"Vedi, uno dei soci dello studio legale presso il quale lavoro,
è il proprietario di questo grazioso appartamento, e cerca
affittuari da quando la sua adorata e viziatissima figliola ha pensato
bene di rifiutare questo modesto regalino che suo padre le aveva
concesso per i suoi ventun anni... un quartiere troppo sputtanato,
parole sue!" mi spiegò divertito
"Aspetta... il tuo capo ha regalato questo appartamento... a sua figlia
per il suo compleanno?" domandai sbigottito
"Esatto!"
"E lei lo ha.. rifiutato?"
"Già... più si ha e più si pretende di
avere!" fece lui alzando le spalle
"D'accordo... e cosa c'entro io con questo tizio?" domandai allora
sempre più confuso
"Beh, te l'ho detto.. lui cerca qualcuno a cui affittare
l'appartamento, dato che ormai rivenderlo sul mercato sarebbe un
pessimo affare, e guarda caso l'altro giorno mi ha chiesto se
conoscessi qualcuno interessato!" e mi fece l'occhiolino in maniera
complice. Incredibile come certe cose capitassero davvero a fagiolo.
Peccato che continuassimo a parlare di un appartamento di
chissà
quante migliaia di dollari in pieno centro. Eravamo a meno di venti
minuti da Broadway, ce ne rendevamo conto?
"E quanto ti avrebbe chiesto di affitto?" chiesi sull'attenti, dato che
ormai mi aspettavo che la batosta arrivasse da un momento all'altro. E
fu lì che il suo sorriso si allargò notevolmente
"A tua discrezione!" esclamò soltanto
"P-prego?"
"Ma sì... lui non ha problemi di soldi, e di certo non gli
cambierebbe la vita ottenere degli introiti straordinari nell'affittare
questo posto... vuole semplicemente una cifra simbolica per non
sentirsi ancora di più in colpa per aver sprecato
all'incirca
mezzo milione di dollari per fare un regalo non gradito! Lui ha detto
che andrebbero bene anche cento dollari al mese, bollette e condominio
esclusi, l'importante è che gli assicuro di mettergli in
casa
una persona tranquilla e fidata! E tu fai al caso suo!" mi
spiegò soddisfatto. Non ci potevo credere, non poteva essere
vero. Avevo trovato davvero l'appartamento perfetto a... cento dollari
al mese? Ed era davvero stato Sebastian a trovarmelo? Era uno scherzo?
C'era una telecamera nascosta dietro uno di quei perfettissimi
cespugli?
"Allora... che ne dici? Sono o non sono il migliore?" mi
domandò
con un sorriso contagioso che non riuscii a non ricambiare con
trasporto. Pochi istanti dopo mi ritrovai con le braccia attorno al suo
collo, in uno strepitio di gioia
"Non ci posso credere, Bas... non ci posso credere!" urlai
infischiandomene dei vicini - i miei futuri vicini - ma non riuscivo a
contenere la contentezza e l'emozione. Lui ridacchiò
ricambiando
la stretta
"Quindi che faccio?... dico al proprietario di bloccare
l'appartamento?" mi domandò retorico scostandomi un
pò
per guardarmi negli occhi. Io, che probabilmente ero talmente tanto
scioccato da avere perfino gli occhi lucidi, gli sorrisi
"E me lo chiedi... fallo immediatamente!" risposi scoppiando in una
sonora risata liberatoria contagiando anche lui. Prese il telefono
dalla tasca dei jeans e compose un numero
"Signor Fabrey? Salve sono Sebastian Smythe.. la chiamavo per via di
quell'appartamento..." qualche secondo di pausa in cui mi ritrovai
inconsapevolmente a sudare freddo. E se avesse cambiato idea? E se
avesse deciso di aumentare l'affitto? E se mi avesse ritenuto non
idoneo per abitarci? Il sorriso di Sebastian ebbe il potere di farmi
calmare all'istante
"Esatto.... avrei appena trovato il suo futuro inquilino!"
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Capitolo 2 *** Di sfuggita ***
(2). Kurt
Salveeeee...
Lo so, so che avevo detto che avrei aggiornato Giovedì e bla
bla bla... ma oggi fa davvero caldo (39 maledettissimi gradi -__-) e
non ho proprio voglia di studiare... pertanto mi sono detta, ma, quasi
quasi un altro capitolo lo pubblico tanto per distrarsi un
pò ed eccolo ^^... prima di tutto i ringraziamenti... sono
stata davvero contenta nel vedere che tutto sommato la storia piace e
ringrazio le 19 persone che l'hanno inserita tra le
preferite/seguite/ricordate. Ma soprattutto ringrazio le tre anime pie
che si sono premurate di lasciare una recensione. Siete state davvero
dolcissime e spero che qst secondo capitolo non deluda le vostre
aspettative (sì, sono parecchio in ansia in effetti ^^)
allora.. in questo capitolo si sveleranno un pò di cose ma
soprattutto... ehhhh... ma soprattutto non ve lo dico perchè
se no vi tolgo tutto il bello (me cattivaaaaa XD) vi dico solo che
abbiamo cambiato narratore, che effettivamente siamo ancora nella
stessa giornata (controllate sempre le date e gli orari che sono
importanti!) e che qualcosa inizia ad intuirsi
già da ora, anche se mi rendo conto sia ancora presto. Bene,
gente io vi lascio al capitolo, con la speranza di ritrovare lo stesso
tipo di affetto, magari sempre in crescendo ^^... Kisses
P.s. A questo punto, avendo aggiornato oggi, ci vediamo
Venerdì invece di Giovedì... poi per il futuro
vedremo ^^
New York City. 11 Marzo 2012. Ore 11.13 A.M.
(Domenica)
Ero in
ritardo, neanche a
dirlo, come al solito. Eppure, ripercorrendo mentalmente la mia tabella
di marcia che il giorno prima avevo stilato per essere perfettamente
preciso e puntuale a tutti i miei appuntamenti, non pensavo di aver
fatto errori. Mi ero svegliato alle sei e trenta come ogni mattina, mi
ero vestito, avevo fatto colazione ed ero scappato in studio per
ritirare i campioni per la sfilata della settimana successiva da
portare subito dopo in sartoria. Dopodiché mi ero dovuto
incontrare con il mio capo, per selezionare tre modelle nuove per la
campagna di costumi da bagno del 2013, ed ero corso in redazione per
assistere ad una rassegna stampa nella sala congressi dell'edificio. E
in quel momento mi ritrovavo a correre come un forsennato in direzione
casa, perché dovevo recuperare dei bozzetti che mi ero
dimenticato la mattina e portarli con estrema urgenza all'atelier "Yves
Saint Laurent" di Chelsae, prima che il mio capo mi tagliasse le gambe
con un'affilatissima spada antica. Dove diavolo avevo la testa?
Perché non riuscivo ad essere efficiente come una volta?
Più andavo avanti e più mi rincoglionivo?
Attraversai un paio di incroci senza neanche guardare, tanto che la
seconda volta un taxi mi aveva evitato davvero per miracolo -
evidentemente ero protetto dall'aurea maligna del signor Chang, il mio
principale, che nella sua asiatica compostezza, mi impediva perfino di
ammazzarmi liberamente sotto qualche macchina - ma riuscii
incredibilmente ad arrivare al mio palazzo e a trovare la chiave giusta
da inserire nella toppa del portone. Mi precipitai a chiamare
l'ascensore, che neanche a dirlo era all'ultimo piano e spazientito
iniziai a pigiare senza sosta il pulsante rosso, invano,
perché
non si decideva a scendere. Era rotto per caso? Eppure quella mattina
ricordavo... no, come non detto, ero sceso a piedi! Beh, ma in quel
momento ne avevo bisogno per fare prima e perché ormai avevo
un
polmone e la milza fuori uso. Non sarei riuscito a salire neanche mezzo
gradino prima di stramazzare al suolo. Pigiai altre due volte il
pulsante della chiamata scalpitando sul posto, impaziente
"Coraggio, stupido aggeggio... coraggio... mi farai fare tardi!" lo
pregai, e sembrò funzionare, perché il piccolo
monitor
colorato indicò che era iniziata una lenta discesa.
Sospirai,
evitando accuratamente di guardare l'orologio, altrimenti mi sarei
messo addosso altra inutile ansia - e come insegnavano gli antichi
maestri giapponesi, o coreani, o quello che erano, la gatta
frettolosa aveva fatto i gattini ciechi - ed iniziai a saltellare da un
piede all'altro impaziente. Cavolo, erano soltanto quattro piani. Se ne
avesse dovuti fare quindici, quanto tempo ci avrebbe impiegato? Come
facevano le persone che abitavano nei mastodontici grattacieli della
città, quando avevano fretta, ad aspettare che un ascensore
facesse ben centotredici piani fino a fermarsi al pianterreno per
accoglierli? C'erano anche bar e centro benessere in quelle cabine?
Perché altrimenti non si spiegava.
Finalmente il familiare "ding" delle porte scorrevoli che si aprivano
mi fece sospirare e inconsapevolmente sorrisi. Feci per entrare ma fui
bloccato da due figure che erano intente invece ad uscire dalla cabina.
"Ops... chiedo scusa!" mormorai arrossendo. Che idiota che ero. Non mi
ero neanche accorto che fosse occupato, tanto ero preso dal mio ritardo
- appunto, sei in ritardo, spicciati!
"No, figurati, nessun problema!" mi rispose uno dei due, quello
più alto, con un sorriso, mentre i suoi occhi verdi si
fermavano
per un istante a scrutarmi incuriositi. Se possibile arrossii ancora di
più, chiedendomi cosa diavolo avessi in faccia da destare
tutta
quella curiosità in quello sconosciuto. Certo, i miei
colleghi e
il mio ragazzo me lo dicevano spesso... a quanto pareva ero uno che
sapeva facilmente attirare l'attenzione, perfino rimanendo fermo in un
angolo a bocca chiusa, ma arrivare addirittura a scatenare quella
reazione... quel tipo mi stava forse... analizzando?
I due ragazzi uscirono finalmente dalla cabina, e diedi un'occhiata
veloce al più basso, che se ne stava con la testa abbassata
sul
suo telefono a digitare un messaggio alla velocità della
luce.
Non riuscii neanche a guardarlo negli occhi, tanto era preso da quello
che stava facendo - avvertiva per caso i suoi cari che la fine del
mondo era appena iniziata? - ma distinsi senza problemi una massa
informe, eppure stranamente ordinata di ricci neri, che si
muovevano con lui, quasi a tempo di musica. Accennando un saluto
educato entrai nella cabina e subito venni investito da una scia di
profumo, evidentemente lasciata da uno dei due. Sgranai gli occhi,
riconoscendolo all'istante: era 212 di Carolina Herrera, uno dei miei
preferiti, e la cabina ne era completamente satura. Dio Santissimo,
quale dei due ragazzi avrei dovuto ringraziare per quel dono gradito a
metà mattinata?
Alzai lo sguardo un'ultima volta, questa volta trovando il ragazzo
più alto di spalle intendo a parlare, e il più
basso, che
aveva riposto il cellulare e si era girato verso l'ascensore ancora
aperto. Proprio mentre le due porte automatiche stavano per chiudersi
vidi l'ennesima cosa che quel giorno mi fece bloccare il respiro in
gola: un paio di occhi dal colore indefinito, - oro, verdi, castani -
eppure ugualmente bellissimi, si erano inchiodati nei miei e non li
avevano lasciati fino a che il "ding" dell'ascensore che ripartiva non
ci aveva divisi, facendomi ritornare bruscamente alla realtà.
New York City. 11
Marzo 2012. Ore 03.25 P.M. (Domenica)
"Cioè,
tu non puoi capire... è stata davvero
un'atrocità!"
esclamò schifata la modella, mentre una truccatrice era
impegnata a stenderle il phard sulle guance e l'hair stylist
provvedeva a farle dei morbidi boccoli su tutta la testa
"Sì, Santana, ti credo... in effetti deve essere stato un
trauma
non indifferente!" mormorai seccato, mentre prendevo appunti su cosa il
mio capo - dopo avermi ripreso per il mio ritardo, sempre molto zen,
mai esagerando - mi aveva dato da fare. Santana intanto, la modella
ispanica che avevamo scelto per il nuovo servizio di intimo della
nostra agenzia, sbuffava e continuava a raccontarmi nel dettaglio la
sua traumatica esperienza dopo una sfilata di moda a Milano. Ma io,
sinceramente, non le prestavo la minima attenzione.
Quando avevo iniziato quel lavoro, ormai cinque anni prima, pieno di
allegria e buoni propositi, mi sarei venduto un braccio pur di
discorrere tranquillamente con una di quelle svampite modelle tutte
tette e culo, che poi puntualmente finivano su qualche copertina
importante, soltanto per correre alla prima edicola, sventolare la
copia del giornale in questione e gridare "Io questa qui la conosco, ho
parlato con lei, poco prima che facesse questa foto qui!". Ma
fortunatamente l'euforia era sempre stata qualcosa di passeggero, e
infatti come tale era destinata a svanire. Ormai niente mi entusiasmava
come prima, nonostante facessi il lavoro che avevo sempre sognato -
lavoravo presso un'agenzia di moda nel centro di New York - eppure mi
sentivo incompleto. Certo, facevo ciò che volevo,
ciò per
cui avevo abbandonato il mio insulso paesino senza alcun futuro...
tuttavia, sentivo che c'era qualcosa, qualcosa che ancora non avevo ma
che volevo disperatamente. Forse perché in fin dei conti,
nonostante lavorassi nel mondo della moda, non avevo mai visto un mio
bozzetto prendere forma e consistenza, né tanto meno avevo
mai
ricevuto risposta alle innumerevoli lettere di presentazione che mi ero
prodigato ad inviare nelle varie agenzie. La verità era che
volevo creare
la moda, non
farne parte. Volevo rivoluzionarla e volevo piangere come un bambino
durante la mia prima grande sfilata mentre tutto il pubblico si alzava
applaudendo e io avanzavo con accanto le mie modelle ed i miei
preziosissimi abiti. E allora il marchio Kurt Hummel sarebbe diventato
una leggenda.
Ma ben presto mi ero scontrato faccia a faccia con la dura
realtà ed avevo capito che, per quanto bravo e talentuoso
una
persona potesse essere, rimaneva un emerito sconosciuto, un semplice
tuttofare nelle mani di chi, sapendo armeggiare bene i contanti, aveva
fatto strada. Ma io avevo la passione cosa che a loro ovviamente
mancava e credevo di aver almeno un pò di talento
necessario.
Loro possedevano soltanto i soldi. Ma, ovviamente, mi rendevo conto che
ormai contavano soltanto quelli.
Ero stato fortunato a trovare lavoro presso l'agenzia del signor Chang,
un noto industriale di origine orientale e a tempo perso capo
dell'agenzia di moda "Sogni di tessuto". Mi ci ero trovato da subito
bene soprattutto perché in quell'ambiente la mia
sessualità non rappresentava un limite, anzi... era un
incentivo, una sorta di marchio che faceva immediatamente capire a
tutti che io ero un intenditore perché, insomma,
diciamocelo, i
ragazzi gay sono nati per fare moda e per seguirla, giusto?
Era in questo via vai di modelle, truccatrici e stilisti che avevo
conosciuto David. Aveva trent'anni, faceva il fotografo di moda e
all'inizio era perfino fidanzato
con una ragazza, una certa Eleonor. Poi non seppi cosa era scattato in
lui, perché da un giorno all'altro mi ero ritrovato le sue
labbra incollate alle mie e da allora erano quattro anni che stavamo
assieme. Tra alti e bassi, tra litigi, presunte separazioni e tanto,
tantissimo sesso pacificatore. Lui era stato il mio primo ed unico
ragazzo. Sì, perché trovare un ragazzo gay nel
posto da
cui venivo io sarebbe stata un'autentica impresa, tuttavia sotto quel
punto di vista New York aveva portato fortuna. Non ero certo di amare
David. Sapevo di stare bene con lui, sapevo di piacergli - e anche
tanto - ma soprattutto sapevo che lui fosse l'unico essere vivente
rimasto al mondo, dopo la morte di mio padre, ad interessarsi davvero
al
sottoscritto. Mi bastava sapere di essere ogni tanto nei suoi pensieri,
di ricevere qualche suo messaggio sdolcinato ogni tanto, per sentirmi
sollevato. Non felice, semplicemente sollevato. Un pò come
per
il lavoro. Tendevo - forse a torto - ad accontentarmi, forse nella
fiabesca speranza che prima o poi avrei ottenuto tutto ciò
che
desideravo, un ragazzo che amavo davvero, ed un lavoro gratificante su
scala internazionale.
"Kurt.. ma mi stai ascoltando?" mi chiese Santana, la modella ispanica,
scuotendomi appena il braccio. Ecco, mi ero incantato un'altra volta a
fantasticare
"Sì... Santana, scusa... mi ero un attimo distratto. Stavi
dicendo?" le domandai mentre la truccatrice recuperava la sua valigetta
e spariva e l'hair stylist le spruzzava la lacca fissante
"Mi chiedevo se della serata di beneficenza del Gansevoort te ne
occupassi tu! Ho sentito dire che ci saranno i migliori stilisti della
piazza e poi cantanti, attrici famose, industriali..."
"E ovviamente vorresti esserci anche tu, dico bene?" le chiesi
divertito, facendola arrossire appena
"É chiaro! Questo sarebbe un buon modo per farsi notare!" mi
rispose accennando un sorriso e ammirandosi estasiata allo specchio e
scuotendo appena la testa per ravvivare i boccoli
"Santana... tu non hai bisogno di un evento mondano per farti notare.
Ti ricordo che il tuo manager ti ha scoperta mentre camminavi
tranquillamente al supermercato, con tanto di tuta e carrello al
seguito e non ci ha pensato neanche un minuto prima di scritturarti!"
le dissi mettendomi dietro di lei e osservandola attraverso lo
specchio. Lei mi sorrise grata per poi girarsi verso di me
"Sei bellissima San, e se il mondo ancora non lo ha capito, dopo questo
servizio, rimarrà senza fiato, parola di intenditore!" e le
feci
l'occhiolino. Lei scoppiò a ridere, aggiustandosi un
pò
le bretelle del piccolo bikini di scena con il quale avrebbe
dovuto fare le foto
"Grazie Kurt, sei davvero un amico. E a volte stento a credere che tu
sia veramente gay. Come mio fidanzato saresti perfetto!"
scherzò
alzandosi
"Mmm... ci penserò... magari se domani mi riscopro
magicamente
etero, ti faccio uno squillo!" e con un'ultima risata la lasciai andare
al suo lavoro, avvicinandomi ad un'altra truccatrice per darle le
direttive sulla successiva ragazza.
Santana era una delle poche modelle simpatiche dell'ambiente. E
nonostante fosse bella da mozzare il fiato - ero gay, mica cieco - non
era affatto stupida né sprovveduta. Aveva una testa
funzionante
ancorata perfettamente al resto del corpo, e non era mancata occasione
che fosse riuscita a ribellarsi alle angherie del mestiere: solita
roba, qualche direttore di moda pronto a promettere fama e fortuna a
giovani modelle ancora in fasce, per una semplice e squallida scopata.
Ma lei si era rifiutata spesso e non si era mai abbassata a questi
livelli. Quello che aveva, se lo era guadagnato con l'impegno e il
naturale talento, anche grazie al suo manager, un veterano
dell'ambiente, un certo Sam Evans. Un tipo particolare, con un'enorme
bocca da trota - denominazione a cura di Santana stessa - e uno strano
ciuffo che faceva tanto boy band di altri tempi. Ma nonostante il
discutibile gusto nel vestire e l'ambigua natura sessuale - io ero
convinto fosse gay, per Santana era semplicemente troppo indaffarato
per dedicarsi a qualsivoglia relazione - era una persona brillante e
capace ed era riuscito a portare alla ribalta numerose modelle, molte
delle quali erano perfino arrivate a sfondare oltreoceano. Se non era
bravura quella.
In quel momento il mio cellulare prese a squillare e chiedendomi chi
fosse a disturbarmi a quell'ora, risposi senza neanche guardare lo
schermo
"Sì?"
"Kurt... sono io!"
"Oh, ciao, Mercedes... che bello sentirti!" e lo pensavo davvero. Lei
era una delle poche persone con cui avevo frequentato il liceo e che
avevo ancora il piacere di rimanere in contatto
"Scusa se ti disturbo, magari starai lavorando e sarai
impegnatissimo..."
"Ma no, figurati... dimmi pure..." la incitai mentre indicavo alla
truccatrice i colori che avrebbe dovuto usare sulla modella biondissima
e - neanche a dirlo - svampita che aspettava sul suo sgabello
"Ecco, mi stavo chiedendo se questa sera avessi da fare. Avevo pensato
di cenare con te, sai, come ai vecchi tempi. Tranquillo è un
posto ok, niente confusione né troppe pretese. Mi basta
sapere
che hai voglia di fare quattro chiacchiere con una vecchia amica!" e la
voce le si intenerì sull'ultima parte lasciandomi senza
fiato.
Sorrisi, ricordando con piacere tutte le nostre chiacchierate durante
il liceo, a casa
sua, davanti ad una scodella di pop corn, o le nostre serate film. Mi
mancavano quei tempi, ed era incredibile, pensandoci, come fossero
passati ben sette anni dall'ultima volta che effettivamente lo avevamo
fatto. Mercedes aveva ragione, dovevamo rimediare.
"Ma certo, tesoro, per te ho sempre tempo. Ci vediamo alle otto?" le
chiesi mentre procedevo spedito verso il set, dove intravedevo una
Santana completamente trasformata, mettersi in posa poggiata con la
schiena al cofano di una macchina d'epoca
"Perfetto. Ti vengo a prendere io. Ti posto in un posto speciale!" era
entusiasta a dir poco
"Dimmi almeno come devo vestirmi!" le chiesi divertito
"Credo che il classico stile alla Kurt Hummel vada più che
bene!" mi rispose ridacchiando dopodiché delle voci in
sottofondo la chiamarono e lei fu costretta a lasciarmi, promettendomi
di rivederci quella stessa sera.
New York City. 11
Marzo 2012. Ore 08.40 P.M. (Domenica)
"Allora, Kurt... ti
piace?" mi domandò la mia amica, una volta seduti ad un
tavolino di legno del locale.
Diedi un'occhiata in giro sorprendendomi di ritrovarlo quasi del tutto
pieno, nonostante a conti fatti fosse un luogo quasi del tutto
sconosciuto. Dovevo ammettere però, che era arredato bene.
Era
una sorta di Irish Pub, con tanto di bancone di legno lungo tutto una
parete, pieno di distributori di birre e un piccolo palco esattamente
di fronte a noi. Molto discreto, dovevo ammetterlo.
"Sì, mi piace... su queste cose ci sai davvero fare, non
c'è che dire!" esclamai sorridendo, mentre una giovane
ragazza
con una coda di cavallo bionda, le lentiggini e due splendidi occhi
celesti si avvicinava a noi e sorridendoci ci diceva
"Buonasera ragazzi... io sono Brittany, ma potete chiamarmi anche
Britt, e sarò la vostra personale cameriera della serata!"
esclamò mentre cacciava un taccuino dalla tasca del
grembiule
che aveva in vita
"Ah però... abbiamo anche la cameriera personale... hai
visto
che figata, Kurt?" mi fece Mercedes divertita. La ragazza - Britt -
scoppiò a ridere
"In realtà ci sono soltanto io che servo ai tavoli qui
dentro,
quindi..." e l'ingenuità con cui lo disse o il sorriso che
usò per farlo ci fece ridere di gusto. Ordinammo un paio di
panini e due birre dopodiché Brittany sparì in
cucina.
Intanto il locale si era del tutto riempito e iniziavano perfino ad
arrivare persone in eccesso, che però aspettavano
imperterrite
che qualche tavolo si liberasse
"Dimmi... come ti vanno le cose?" mi chiese qualche istante dopo
Mercedes, distogliendomi dalla mia abituale analisi di ogni luogo
frequentassi
"Solita vita...tanto lavoro, poco tempo per me... però in
compenso la scorsa settimana ho avuto il piacere di incontrare
Valentino in persona... tu non puoi immaginare quanto il suo viso sia
tirato.. ormai è diventato la caricatura di se stesso!" e
ridacchiai al solo ricordo. Ormai incontrare stilisti famosi non mi
faceva più effetto. Non più.
Mercedes mi sorrise, mentre Brittany si avvicinava per posare le due
birre e lasciarci un altro sorriso cordiale
"E David? Lui come sta?" mi domandò cauta qualche istante
dopo.
Trattenni il fiato per alcuni secondi osservando distrattamente la
schiuma della mia birra, iniziare a sfumare
"Lui... lui sta bene!" biascicai in risposta. Lei annuì, e
distolse lo sguardo.
Solo in quel momento mi tornò in mente l'effettivo motivo
che ci
aveva allontanati gradualmente, nonostante durante il periodo delle
superiori io e lei fossimo praticamente inseparabili. David e Mercedes
non si erano mai sopportati. Non avevo mai capito se si trattasse di un
istinto a pelle o se fosse successo qualcosa tra di loro di cui io non
ero a conoscenza. Sapevo soltanto che, da quando la mia relazione con
Dave era diventata ufficiale, ufficiale era diventata anche la mia
"rottura" con Mercedes. E quello fu uno dei tanti motivi per cui ogni
tanto mi sentissi mancare la terra sotto i piedi. Una volta soltanto
avevo provato a chiedere alla mia amica come mai non volesse mai uscire
con noi a cena o perché declinasse sempre gli inviti a
venire a
casa mia quando c'era anche David. Lei - mi ricordo come se fosse ieri
- mi aveva guardato con una luce strana negli occhi e mi aveva detto
"Non lo so Kurt... David mi inquieta... e quello che mi spaventa
più di tutto è che tu ti sia attaccato
così tanto
a lui. Sono preoccupata per te!"
"Preoccupata per me? Mercedes ma cosa..."
"Soltanto una cosa, Kurt... stai attento!" e aveva liquidato
lì
il discorso, inventandosi una scusa, e scappando via da casa mia,
letteralmente di corsa. Questo era successo tre anni prima. E da allora
io e Mercedes ci eravamo visti sì e no dieci volte in tutto.
La
scusa era sempre la stessa: io sono impegnato con il mio lavoro e lei
con il suo - Mercedes lavorava in teatro, faceva la coach
vocalist per
una nota compagnia - e nessuno dei due sembrava dispiacersi poi tanto.
Dovevo ammettere però, quando potevo permettermi due minuti
di
tempo per pensarci, che mi mancava, terribilmente. Mi mancava il suo
essere estremamente protettiva nei miei confronti, il suo sorriso
sincero, la sua strabiliante energia, la sua grinta e soprattutto la
forte autostima che aveva di sé, grazie alla quale molte
volte
ero riuscito a rialzarmi anche io. Mercedes era stata l'unica vera
amica che avessi mai avuto, l'unica che mi aveva apprezzato
già
prima, quando non ero ancora l'assistente del signor Chang, quando ero
un semplice adolescente gay, che aveva avuto la sfortuna di capitare in
una scuola fatta solo di sportivi pompati e omofobi del cazzo. Non
avrei smesso un solo istante di ringraziarla per tutto quello che aveva
fatto per me. Ma, in un certo senso, non riprendendo più in
mano
quel famoso discorso iniziato ben tre anni prima, era come se lo avessi
al tempo stesso messo da parte e cancellato, con la precisa intenzione
di non ricordarlo più. Forse era la paura a fottermi. In
fondo,
lo aveva sempre fatto.
"Chissà se qualcuno canterà stasera!" si chiese
lei ad un
certo punto, indicando il piccolo palco, e l'asta del microfono
poggiata sopra. Sorrisi spontaneamente mentre un altro vago ricordo si
faceva strada nella mia testa. Un ricordo che sapeva di un'aula grande
e luminosa, di tante sedie rosse, di un professore che a tempo perso
insegnava spagnolo pur non sapendo neppure parlarlo, ma soprattutto
sapeva di migliaia di speranze e di sogni espressi attraverso
bellissime canzoni.
"Puoi sempre farlo tu!" buttai lì, sorseggiando un
pò di
birra. Lei spalancò gli occhi e arrossì, per
quanto la
sua carnagione meravigliosamente scura glielo permettesse
"Stai scherzando spero... Kurt, lo sai che io non canto
più!" mormorò abbassando lo sguardo
"Sì, Cedes, lo so... quello che non ho ancora capito
è il
perché!" ammisi con un sospiro. Lei scosse la testa, alzando
di
nuovo lo sguardo verso il microfono
"Non lo fai più neanche te, per quanto io ne sappia!"
rispose poco dopo. Persi un paio di battiti. Cantare. Cantare. Cantare.
"Il motivo lo conosci bene!" sbottai infastidito. Su certi argomenti
ero particolarmente sensibile e lei lo sapeva. Mi meravigliai di come,
nonostante questo - nonostante lei quel
giorno fosse stata con me, a piangere - avesse trovato il coraggio per
chiedermelo.
"Kurt... sono passati sei anni... possibile che tu continui a
nasconderti dietro questo alibi?" mi domandò scioccata
poggiando
i gomiti sul tavolino. Sentii gli occhi bruciarmi
"La morte di mio padre non è un alibi, Mercedes!" scandii
bene
con un sibilo "É un dato di fatto, punto!" e stizzito presi
un
altro sorso di birra
"Questa non è una giustificazione, Kurt!" mi riprese. Avrei
voluto dirle che non era una giustificazione che stavo cercando. Non
volevo semplicemente parlarne. Era vero, erano passati sei anni, ma per
me, ogni singolo giorno faceva male e bruciava come fosse una lama
affilata nel cuore. E cantare - fare quello che avevo sempre fatto con
leggerezza, prima che tutto... cambiasse - mi faceva stare solo peggio.
Così avevo semplicemente smesso di farlo. Fine della
questione
"Io non canto, mi dispiace!" esclamai allora risoluto, riacquistando un
pò della calma che stava iniziando a vacillare
"Beh, dispiace più a me credimi!" borbottò, forse
nella
speranza di non farsi sentire. Intanto Brittanny, sempre sorridendo, ci
aveva appena lasciato i panini ed era volata verso un altro tavolo.
Fantastico, mi era passata anche la fame.
"Vado un attimo in bagno, torno subito!" biascicai, non preoccupandomi
neanche di recepire la sua risposta. Mi alzai dal tavolo afferrando il
cellulare e mi rifugiai di corsa nel bagno degli uomini. Una volta di
fronte allo specchio sospirai: avevo una pessima cera. Un pò
per
la stanchezza accumulata, un pò per via delle numerose
preoccupazioni che mi portavo dietro, ma più che altro erano
ancora evidenti i segni della mia discussione con Mercedes. Ero partito
da casa con tutte le migliori intenzioni: passare una serata tranquilla
con un'amica, magari mangiando qualcosa di particolare e facendo
quattro chiacchiere a cuor leggero. Invece in meno di mezz'ora tutto
era andato in rotoli. E volevo scappare, letteralmente, rifugiarmi nel
mio appartamento e provare a cancellare con qualche crema idratante le
tracce delle lacrime che mi avrebbero devastato da lì a
breve.
Pensavo di averle finite, e invece, erano sempre in agguato, pronte a
venire fuori all'improvviso. Peccato che quello fosse il momento meno
opportuno.
All'improvviso il mio I-Phone prese a suonare e mi affrettai a vedere
chi fosse, dando le spalle allo specchio.
"Pronto?"
"Ehi Kurt... dove sei?" la voce preoccupata, e anche un pò
innervosita del mio ragazzo mi fece stringere gli occhi
"David... ciao... sono... in un locale con... con Mercedes... era tanto
che non ci vedevamo e allora abbiamo pensato di..."
"E ti costava tanto avvisarmi?" mi domandò nervoso, mentre
in
sottofondo avvertivo il rumore del motore della sua macchina sfrecciare
a chissà quale assurda velocità verso
chissà quale
posto
"Sì, scusa hai... ragione... non so proprio dove ho la testa
ultimamente!" mormorai atono, passandomi una mano sul viso. Ecco,
quella era un'altra conversazione di cui avrei fatto volentieri a meno
"Sicuramente non dove ci sono io!" borbottò, facendomi
alzare gli occhi al cielo
"Su coraggio Dave... non iniziare..."
"A fare cosa Kurt? A farti presente che sono ben dieci giorni che non
ci vediamo... dieci fottutissimi giorni in cui tu non sei capace
neanche di prenderti un paio d'ore di tempo da dedicare a
quello
stronzo del tuo ragazzo? É di questo che stiamo parlando
Kurt?"
mi chiese fuori di sé, e intanto il motore continuava a
ruggire
in sottofondo
"No, immagino di no..." biascicai, poggiando la schiena al lavandino e
maledicendomi per aver deciso di uscire quella sera
"Però, in compenso il tempo per la tua amica, lo trovi
sempre... dico bene?" sputò ancora acido, e quello fu troppo
anche per me
"Dio Santo, David... è soltanto una stupidissima serata con
una
mia vecchia amica... cosa devo fare? Chiudermi in casa e aspettare che
tu venga per la solita scopata e rimanere placidamente disteso mentre
tu raccatti le tue cose e mi lasci passare da solo la notte, come
sempre?" urlai senza riuscire più a trattenermi. Al diavolo
il
luogo pubblico e al diavolo pure il Kurt placido e tranquillo.
Solo in
quel momento mi resi conto di una cosa, in quel bagno non ero solo.
All'improvviso una delle due porte alla mia destra, si aprì,
molto lentamente ed un ragazzo con la testa bassa ne uscì.
Arrossii all'istante.
Cazzo, cazzo, cazzo...
Il ragazzo si avvicinò al secondo lavandino e sempre a testa
molto bassa prese una piccola quantità di sapone ed
aprì
l'acqua corrente. Abbassai istintivamente gli occhi anche io,
puntandoli sui suoi jeans stretti e scuri e sulle converse blu
consumate. Che figura di merda che avevo fatto. Intanto David aveva
preso ad urlare dall'altro capo del telefono, improperi in ogni lingua
e probabilmente il motore aveva ruggito ancora, ma in quel momento non
mi interessava. Mi sentivo sprofondare nell'imbarazzo perché
avevo appena buttato nel cesso anche la mia integrità, di
fronte
ad un perfetto sconosciuto.
Il ragazzo in questione finalmente alzò gli occhi e ci
ritrovammo a poche spanne di distanza, occhi negli occhi. E per poco
non spalancai la bocca come un idiota. Quegli occhi. L'oro, il verde ed
il castano mischiati insieme. Di nuovo.
Lui con molta discrezione mi sorrise - un piccolo sorriso dolce e
comprensivo, non schifato, disgustato per quello che aveva appena
sentito - dopodiché prese un paio di salviette dal
distributore
a muro e si asciugò con molta cura le mani. Aveva le maniche
della maglia tirate fino sopra i gomiti, e ad un braccio luccicavano
decine e decine di braccialetti di ogni forma e colore. Ma per la
seconda volta quel giorno non ebbi modo di analizzarlo davvero nei
dettagli perché lui, dopo un canestro perfetto dei
fazzolettini,
nel cestino del bagno, ritornò nel locale.
Solo allora ripresi a respirare regolarmente.
"Kurt? Kurt, dannazione... mi senti? Telefono del cazzo..."
"Sì... si.. ti sento!" mormorai allora
"Kurt... dobbiamo parlare, subito!" mi ordinò perentorio. Io
sospirai, mentre una lacrima mi sfuggiva incontrollata. Mi affrettai ad
asciugarla con la mano libera
"No, David non stasera. Domani!" e detto questo chiusi il telefono che
per sicurezza spensi, tornandomene anche io nella confusione
rassicurante di quel maledetto pub.
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Capitolo 3 *** Qualcuno come te ***
(3). Canzone (B)
Buon
Venerdì a tutti e come promesso rieccomi con il terzo
capitolo. Altro cambio di narratore gente, ma ancora una volta la
giornata è la stessa (sì a New York le giornate
sono fatte da 72 ore ^^) attenti perchè gli incontri frugali
non sono finiti ma soprattutto qst capitolo credo spieghi un
pò di più il rapporto tra Sebastian e Blaine (che
fortunatamente in molti avete apprezzato - inclusa me ^^) e qualcosa
del passato sentimentale di Blaine... so che potrà sembrare
un pò triste quello che dirà, ma vi prego di
avere fede perchè tanto non tutto è perduto! Ci
terrei, prima di lasciarvi al capitolo, a specificare un paio di cose:
numero uno, come forse avrete notato dalle foto che sclgo per i front
dei vari capitoli, lo "stile" di questo Blaine è
più simile allo stile di Darren piuttosto che del Blaine
della Fox... mi spiego, non perché io non adori come si
veste nella serie (i suoi papillon rimarranno impressi nella mia mente
per sempre *___*) è solo che x questo tipo di Blaine, il suo
carattere e la sua vita ce lo vedevo più come Darren...
quindi vestiti più etero (per modo di dire,
perché si sa, Darren è tutto tranne che etero XD)
e niente gel per capelli (perché diciamocelo... quel
maledetto gel un pò lo rovina... quei ricci sono
meravigliosi al naturale *___*). Numero due: non l'ho specificato
prima, ma in questa storia cercherò di far entrare comunque
tutti i personaggi della serie: avete già incontrato
Sebastian, Mercedes, David, Santana... e qui sotto ce ne saranno altri
due... quindi dietro la storia principale cercherò di far
nascere tutte le altre coppie, con un unico filo conduttore che
è la Klaine ^^... bene, avevo detto di non dilungarmi
troppo, ma ovviamente... ^^ beh, che dire? Grazie ancora a tutti per le
seguite/preferite/ricrodate ma soprattutto per le magnifiche
recensioni. Spero il capitolo piaccia e non vedo l'ora di leggere i
commenti (sperando ce ne siano ^^) un bacione a tutti e un grazie
speciale alla dolce Tamara e ai nostri scleri su fb :*
p.s.
Aggiornamento a Giovedì prossimo (scusate sono completamente
fusa per l'università e prima mi sarebbe praticamente
impossibile. Abbiate solo un pò di pazienza
perché dal 24 in poi sarà tutto finito *__*) un
bacioneeeeee
New
York. 11 Marzo 2012. Ore 08.45 P.M. (Domenica)
Da quando
ero arrivato al
pub quella stessa sera, mi ero subito meravigliato di quanta gente ci
fosse. Certo, era domenica, un qualsiasi locale si sarebbe aspettato un
pienone, ma non.. quello. Era ancora quasi del tutto sconosciuto, il
proprietario era ancora alla ricerca di personale, e se riempivamo
dieci tavoli in tutto, in una serata, era per carità di Dio,
non
di certo per fortuna.
Mi avvicinai elettrizzato al bancone, e mi sporsi alla ricerca del
proprietario
"Ehi Puck... ci sei?" lo chiamai allora e pochi istanti dopo ricomparve
di scatto da sotto lo scaffale facendomi saltare sul posto
"Mi cercavi?" mi domandò divertito posando sul bancone un
bicchiere pulito. Mi portai una mano al cuore, cercando di riprendere
fiato
"Brutto stronzo.." borbottai mentre lui, ridendo come un pazzo mi
riempì il bicchiere con una birra bionda e me lo
posò con
un leggero tonfo davanti
"Tieni, questo te lo offro io per farmi perdonare!" e mi fece
l'occhiolino tornando ad affaccendarsi sotto il bancone. Iniziai a
sorseggiare la mia birra dando un'occhiata all'orologio che avevo al
polso. Mancavano ancora tredici minuti.
"Ehilà bel brunetto! Che piacere riaverti qui!" mi
salutò
Brittanny, la cameriera, nonché unica aiutante di quel
locale,
oltre ai due ragazzi che lavoravano in cucina. Io le sorrisi
"Il piacere è tutto mio!" le risposi facendola ridacchiare.
Puck, il proprietario con la cresta, sbucò nuovamente
all'improvviso, quella volta spaventando anche la povera ragazza
"Tutte le volte che vi vedo flirtare così spudoratamente mi
sorge spontanea una domanda..." iniziò pulendo con una pezza
bianca il fondo di un bicchiere. Io alzai un sopracciglio in attesa
dell'imminente cazzata che avrebbe sparato
"Ma se voi due vi piacete così tanto... perché
diavolo
non vi concedete una sana scopata?" e mise su un'aria pensierosa, quasi
credibile. Scoppiai a ridere di gusto mentre Brittany, per niente
imbarazzata dalla domanda del suo principale, scuoteva la testa e
rispondeva
"E chi ti dice che non lo abbiamo già fatto?"
domandò
divertita, posando un ordine sul bancone e prendendo un vassoio per
poggiarvi due bicchieri di birra e una lattina di Coca. Fu il turno di
Puck per scoppiare a ridere
"Beati voi, ragazzi miei... beati voi!" e sparì in cucina
per consegnare l'ordine che Brittany gli aveva consegnato
"Non cambierà mai!" mormorò la ragazza
sistemandosi
meglio il vassoio tra le mani. Mi ero sempre chiesto come facesse a
tenerlo su perfettamente dritto, senza alcuna paura di rovesciarlo. Io,
forse, ero troppo goffo e maldestro e quel vassoio, in mano mia, non
sarebbe sopravvissuto neanche vuoto.
"Lo spero proprio, Britt!" esclamai poggiando il bicchiere ormai vuoto
sul bancone e puntando gli occhi sul palco. Il mio palco. Brittany
intercettò il mio sguardo e sorrise
"Sei pronto?" mi domandò con un sorriso incoraggiante
"Sempre!" mormorai, per poi sorriderle di rimando e dirigermi spedito
verso il palco. Recuperai la chitarra, la mia fedelissima compagna di
vita, da dietro una cassa e iniziai a collegarla all'amplificatore.
Intanto il vociare continuo invadeva il locale. Mi ero sempre chiesto
cosa si provasse a cantare di fronte ad una platea attenta e partecipe.
Chissà se quella sera avrei avuto l'onore di scoprirlo
finalmente. Sì, perché nonostante fossero quasi
tre mesi
che lavorassi lì dentro, nessuno mai aveva prestato troppa
attenzione a quel piccolo ragazzo che si uccideva a cantare sul palco,
strimpellando con amore la chitarra. Nessuno. Troppo impegnati a
mangiare, a bere, a chiacchierare, a sovrastare con le loro voci la
mia. Ed io puntulamente mi avvilivo. Solo che poi Puck mi dava una
pacca sulla spalla e con un sorriso incoraggiante mi assicurava di
essere stato fenomenale e di non essersi perso neanche una canzone.
Dopodiché mi dava appuntamento alla sera successiva. Era un
grande, dovevo ammetterlo. Credeva in me e mi dava la
possibilità di sfogarmi nell'unico modo che ritenevo
possibile:
la musica.
La gente non voleva ascoltarmi? Poco male, avrei cantanto ancora una
volta per me, soltanto ed esclusivamente per me.
Presi un profondo respiro, riempiendomi i polmoni d'aria, e guardai per
la prima volta la gente rumorosa che tranquillamente continuava a
mangiare. Solo qualcuno sembrava essersi accorto di me,
perché
incuriosito aveva alzato la testa nella mia direzione e mi scrutava,
forse in attesa che cominciassi a cantare e decretare così
che
non meritavo attenzione. Ero meno importante del loro panino farcito,
insomma.
Da quell'angolazione tutta quella gente faceva ancora più
impressione. Non avevo mai avuto attacchi di panico nella mia vita,
né mi ero mai vergognato a cantare davanti a tanta gente. Lo
avevo fatto durante le competizioni canore a scuola - con Sebastian e i
Warblers - lo avevo fatto già mille volte in quel locale.
Eppure, quella sera, mi sentivo stranamente agitato. Forse la
consapevolezza di aver finalmente trovato l'appartamento perfetto mi
faceva stare così.
In quel momento, alzando lo sguardo verso il bancone, trovai a fissarmi
un paio di occhi verdi, divertiti ed intensi, e il loro proprietario,
accompagnato dal suo inseparabile ragazzo, mi fece un gesto
incoraggiante sollevando il suo bicchiere di birra e mimando un "In
bocca al lupo!". Non riuscii a trattenermi dal sorridere, forse un
pò arrossendo.
Mi avvicinai al microfono, stringendo forte la mia chitarra,
dopodiché picchiettai l'indice per vedere se era acceso e
presi
posto sullo sgabello alto dietro di me. Un bel respiro e si comincia
"Ehm... buonasera a tutti..." esordii catturando l'attenzione generale
del locale e fu quasi spaventoso vedere come una settantina di teste si
fossero girate in contemporanea verso di me, attirante dalla mia voce.
Mi trattenni dal sussultare e continuai
"Io sono Blaine e spero di diventare un piacevole sottofondo per la
vostra serata... grazie!" mormorai sorridendo, mentre un tavolo di
quattro ragazze ridacchiava coinvolto e un altro paio di tavoli aveva
perfino applaudito. Waw... forse non sarebbe andata poi tanto male
quella sera.
Iniziai a pizzicare dolcemente le corde della chitarra, ricevendone in
cambio i primi accordi della canzone. Il tavolo delle ragazze riconobbe
il motivo immediatamente e accenno un applauso entusiasta. Con un
sorriso lanciai un'occhiata verso Sebastian che se ne stava
placidamente appoggiato al bancone, a sorridermi. Chissà se
quella canzone gli avrebbe fatto ricordare qualcosa.
I
heard
That
you're settled down
That
you
Found
a girl
And
you're
Married now
Sì, era una canzone da donna. Era una canzone di Adele. Ed
io
ero un uomo. Ma dopo aver cantato per tutta la mia adolescenza cover di
Katy Perry e di P!nk, me ne infischiavo altamente. Io le canzoni le
sceglievo per quello che mi trasmettevano. Per quello che volevo
esprimere. Non certo per il sesso del cantante.
I
heard
That
your dreams came true
I
guess she gave you things
I didn't give to you
Alzai per un istante gli occhi sul mio migliore amico al bancone.
Continuava a sorridermi, segno che avesse capito perfettamente il
perché avessi scelto di cantare quella canzone. Non ero
stato io
il primo a cantarla. C'era stato un tempo, tanto lontano da sembrare
quasi irreale, in cui un altro Blaine - con la testa piena di gel - e
un altro Sebastian - che aveva fama di essere un grande stronzo - erano
stati insieme. C'erano stati baci - tanti, tantissmi baci - c'erano
state nottate insonni, passate ad esaminare nel dettaglio ogni minima
porzione del corpo nudo dell'altro, c'erano state liti infinite, bronci
infantili, confessioni che erano costate tanto, soprattutto l'orgoglio.
E poi, proprio quando avevo iniziato a credere di aver rovinato tutto,
amicizia compresa, con le parole, era arrivata la canzone. Una specie
di preghiera implicita. Una supplica che il mio amico mi rivolgeva,
nella speranza che lo perdonassi, che cancellassi quei mesi passati a
far finta di essere fidanzati, e a ricominciare la storia da dove ci
eravamo interrotti: semplicemente Blaine e Sebastian, amici, colleghi,
fratelli.
Ed io, ascoltanto quelle parole, che per la prima volta sembravano
assumere un nuovo significato mi ero ritrovato a sorridergli grato per
avermi aperto gli occhi. Io e lui non eravamo fatti per stare assieme.
Potevamo essere grandi amici, ma non di certo fidanzati. E lui, per il
mio bene, aveva provato a dirmelo in tanti modi. Il migliore che alla
fine aveva trovato, e che aveva fatto più effetto, era stato
senza dubbio con quella canzone.
Old
friend, why are you so shy?
It ain't like you to hold back
or hide from the lie.
Era inutile continuare a mentire. Ci saremmo fatti male a vicenda.
Questo era chiaro ad entrambi. Quello che mi aveva fottuto, era stato
l'essermi innamorato di lui. O almeno credevo di averlo fatto. Forse
era stata semplicemente la voglia troppo grande di trovare qualcuno
troppo in fretta. Aver trovato Sebastian che provava qualcosa per me -
anche del semplice affetto - era stato come trovare un appiglio, al
quale aggrapparmi con tutte le forze e la speranza di non cadere mai
giù. Ma io il fondo lo avevo toccato lo stesso, certo, non
grazie a lui. Ma dopo di
lui.
I
hate to turn up out of the blue uninvited,
But
I couldn't stay away, I couldn't fight it,
I
had hoped you'd see my face,
And that you'd be reminded that
for me it isn't over.
Dopo Sebastian era arrivato Jeremiah. Un commesso della Gap, faccia
pulita, ragazzo rispettabile e gentile. Una sorta di piccolo Daniel
della mia vita. Solo che io avevo ancora diciassette anni e non mi
chiamavo Sebastian Smythe. E già questo avrebbe dovuto
essere
per me un campanello dall'allarme.
Never
mind, I'll find someone like you,
I
wish nothing but the best for you, too,
Don't
forget me, I beg,
I
remember you said,
"Sometimes
it lasts in love,
But
sometimes it hurts instead,"
Sometimes
it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,
yeah.
Era stato fin troppo facile e veloce. Conoscerlo, invaghirmene,
conquistarlo, finire nel suo letto. Il passo successivo sarebbe stato
quello di presentarlo ai miei genitori e a mio fratello.
Dopodiché sarebbe toccata la parte peggiore. Farlo conoscere
a
Sebastian.
You
know how the time flies,
Only
yesterday was the time of our lives,
We
were born and raised in a summer haze,
Bound by the surprise of our
glory days.
Ma a quel punto non ci eravamo mai arrivati. Il suo passo successivo
era stato quello di farsi trovare a letto con un altro. Nel nostro
letto. Lo stesso dove aveva giurato di provare qualcosa per me che
fosse un gradino sopra il semplice affetto. Lo stesso in cui io gli
avevo detto di amarlo. Probabilmente l'errore che avevo nuovamente
fatto, era stato quello di dare per scontate troppe cose, ma
soprattutto di aprire il mio cuore all'ennesima persona che non aveva
intenzione di afferrarlo e prendersene cura. Solo che Jeremiah non
aveva avuto pietà di me. Non aveva provato a spiegarmi,
né a corrermi dietro, né mi aveva cercato
più dopo
quell'episodio. Semplicemente era sparito. Neppure una canzone ad
accompagnare i titoli di coda della nostra storia.
I
hate to turn up out of the blue uninvited,
But
I couldn't stay away, I couldn't fight it,
I
had hoped you'd see my face,
And that you'd be reminded that
for me it isn't over.
Dopo Jeremiah, fatta eccezione per un paio di ragazzi conosciuti per
caso e con i quali mi ero limitato a trascorrere una piacevole serata a
beneficio reciproco, non mi ero più permesso di cedere.
Avevo
eretto un muro a difesa personale ed avevo impedito a tutti, perfino a
quello che sembrava più serio e raccomandabile, di
avvicinarsi
troppo a me. Mi conoscevo d'altronde: sotto quel punto di vista ero
fatto male, tendevo ad affezionarmi troppo. Lasciarsi andare oltre un
certo limite, equivaleva a perdere la bussola e la ragione. Ed io mi
ero già smarrito due volte. Credevo fosse più che
sufficiente per un ragazzo di venticinque anni.
Never
mind, I'll find someone like you,
I
wish nothing but the best for you, too,
Don't
forget me, I beg,
I
remember you said,
"Sometimes
it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"
Sebastian, al contrario di tutti gli altri, c'era sempre stato. Segno
che della nostra amicizia davvero gli importasse qualcosa. E infatti da
allora non aveva smesso un attimo di cercare qualcuno che andasse bene
con me. Ed era stato un pò la stessa questione
dell'appartamento: lo avevo pregato di tirarsene fuori, altrimenti
avrei corso il rischio di finire tra le grinfie di qualche pazzo con la
fissa del sadomaso. Tuttavia, pensandoci, mi aveva salvato la vita
quella mattina, sorprendendomi con quell'appartamento, tirato fuori dal
cilindro. Chissà se il suo capo aveva anche un figlio gay da
presentarmi. In tal caso, ci avrei messo la firma, avrei eretto un
monumento a Sebastian. Ed avrei impedito perdonalmente ai piccioni di
deturparlo.
Nothing
compares,
No
worries or cares,
Regrets
and mistakes, they're memories made,
Who would have known how
bittersweet this would taste?
Il pubblico, con mia grande sorpresa, non mi ignorava. O meglio. La
maggior parte di loro mi seguiva rapita - incluse le quattro ragazzine
esagitate - e qualcuno aveva già applaudito un paio di
volte. Mi
sentivo euforico. Quella era una giornata da inserire nel memorandum
della mia vita. Ad un tratto l'occhio mi cadde su un tavolo, quasi di
fronte al palco, nella zona più estrema, poggiato al muro,
con
due persone sedute, intente a guardarmi. Erano una ragazza di colore,
abbastanza in carne che batteva il tempo della canzone con la mano sul
tavolino di legno, ed un ragazzo, all'apparenza più giovane
di
lei, che mi guardava come rapito. Mi si bloccò qualcosa in
gola
e ne approfittai della pausa nella canzone per ingoiare un
pò e
mandarla giù. Quel ragazzo... era lo stesso che avevo
trovato in
bagno poco prima. Quello che avevo sorpreso ad urlare come un
indemoniato a colui che avevo intuito fosse il ragazzo - lo
aveva
chiamato David e aveva fatto capire in maniera molto esplicita che la
loro fosse una relazione fisica e a quanto pareva duratura. Mi ero
sentito uno spione, costretto in quel piccolo bagnetto, dopo aver
involontariamente assistito a quella sfuriata telefonica. E quando ero
stato costretto ad uscire - dovevo cantare, causa di forza maggiore -
non ero riuscito a sopportare il peso del suo sguardo. Avevo immaginato
di trovarci accusa e fastidio. Per questo mi ero limitato a lavarmi in
fretta le mani e a scappare via di lì. Certo, non ero
riuscito a
trattenere un sorriso colpevole e dispiaciuto, incrociando per un
attimo uno splendido paio di occhi azzurri, ma era stata davvero
questione di secondi, e ormai non ricordavo neanche più come
fosse fatto. Amen.
Nevermind,
I'll find someone like you,
I
wish nothing but the best for you,
Don't
forget me, I beg,
I
remember you said,
"Sometimes
it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"
A quella distanza e con quella luce pessima non riuscivo a distinguerne
bene i lineamenti. Se poi ci mettiamo che ero anche senza lentine,
facevamo bingo. Per la fretta quella sera avevo dimenticato di
metterle. D'altronde, la musica dovevo sentirla, mica vederla.
Così, decisi di lasciar perdere, facendo vagare lo sguardo
per
la sala, ammiccando alle ragazzine impazzite e sorridendo ancora a
Sebastian e Daniel - quest'ultimo con il braccio intorno alle spalle
del primo.
Nevermind,
I'll find someone like you,
I
wish nothing but the best for you, too,
Don't
forget me, I beg,
I
remember you said,
"Sometimes
it lasts in love,
But
sometimes it hurts instead,"
Sometimes
it lasts in love,
But
sometimes it hurts instead.
Terminai la
canzone,
proprio nel momento in cui uno scrosciante applauso si disperdeva nel
locale. Ero strabiliato. Mai, da quando suonavo lì, avevo
ottenuto tale reazione. Forse qualcosa del genere la potevano ricordare
le competizioni canore con il mio Glee Club. Eppure lì, gli
applausi dovevano essere spartiti tra venti ragazzi che cantavano.
Quella sera, quel fragore era tutto per me.
Sorrisi
imbarazzato, grattandomi la nuca
"Vi
ringrazio... siete
troppo buoni!" mormorai al microfono suscitando un'altra ondata di
applausi. Il tavolo delle ragazze - ormai mie fans sfegatate - chiese a
gran voce un bis e non me lo feci ripetere due volte, sorridendo e
ritornando a concentrarmi sulle corde tese della mia chitarra. Quella
volta mi concessi una cover di Katy Perry - neanche a dirlo - ovvero
"Hot N Cold", per la gioia di Sebastian la cui risata cristallina mi
arrivò limpida alle orecchie nonostante la musica e la
confusione. Quella volta, vuoi per via del ritmo più
movimentato, vuoi perché ormai mi ero conquistato il mio
piccolo
fanclub, ottenni ancora più successo, tanto che quasi tutto
il
locale aveva smesso di dedicare attenzione a panini e bibite, per
concentrarsi su di me. Mi sentivo così potente. Era quella
la
meravigliosa sensazione che avrei voluto provare tutto il tempo.
Rendere quella soddisfazione permanente e duratura, e possibilmente
anche proficua. Chissà... magari a sopresa una sera, dal
pubblico, si sarebbe fatto avanti un talent scout che porgendomi il suo
biglietto da visita mi avrebbe assicurato il disco di platino. Magari
era proprio quella la mia sera. Dopo l'appartamento e la standing
ovation... era chiedere troppo?
La terza canzone che cantaii fu quella di un uomo, ovvero Bruno Mars
con "Just The Way You Are" e anche quella fu un successo. Dopo quella
mi congedai un istante con la scusa di dover rinfrescare un
pò
la gola e scesi dal palco. Raggiunsi il bancone, mentre il vociare
confuso riprendeva a dominare il locale.
"Eccola qui, la nostra piccola star!" esclamò Sebastian
allargando le braccia in un gesto ammirato, facendomi ridere
"Cavolo, Blaine... li hai letteralmente conquistati!" si unì
Daniel dandomi una pacca sulla spalla. Intanto Puck si era avvicinato a
noi e mi stava porgendo una bottiglietta d'acqua
"Ancora un paio di pezzi come quelli... e li avrai tutti ai tuoi
piedi!" esclamò soddisfatto il ragazzo con la cresta
facendomi
l'occhiolino. Ero contento di vederlo così allegro. La
serata
stava andando bene. Lui aveva ottenuto il suo pienone - il primo forse
da quando aveva aperto - ed io la mia platea urlante. Avevamo fatto
entrambi centro quella sera, poco ma sicuro.
"Dì, la verità... li hai drogati prima di salire
sul
palco?" mi domandò divertito Daniel mentre Sebastian
ridacchiava
osservando le ragazzine del famoso tavolo, sbracciarsi per ottenere la
mia attenzione
"Credimi Dan, normalmente non sarebbe bastato neanche quello... non so
cosa sia successo questa sera. Forse siete voi due a portare fortuna!"
e bevvi un lungo sorso d'acqua avvertendo le corde vocali sospirare
sollevate
"E allora verremo molto più spesso, vero Seb?" chiese
conferma
al compagno con un sorriso ma lui era troppo impegnato a formulare
l'ennesimo pensiero malefico per assecondarlo. Mi accigliai confuso
seguendo il suo sguardo e notando come le quattro ragazze fossero
particolarmente su di giri. Qualche istante dopo la voce di Sebastian
tornò a farsi sentire
"Scommetto cinquanta dollari che prima della fine di questa serata, una
di quelle quattro oche ti chiederà il numero!"
esclamò
malizioso e scoppiai a ridere.
"Probabile!" confermò Daniel annuendo. Io scossi la testa
sorseggiando un altro pò dalla mia bottiglia e in quel
momento
lo vidi per la terza volta quella sera: il ragazzo del bagno, il
ragazzo di David. Mi passò accanto seguito a ruota dalla
ragazza
di colore e chiese a Puck, con voce molto più tranquilla
rispetto a quella usato per parlare al telefono, il conto. Senza
neanche accorgermene lo seguii con lo sgaurdo, soffermandomi ad
analizzarne il corpo slanciato e perfettamente definito - seppure non
in maniera esagerata - e il profilo del viso vagamente infantile e
dolce. Aveva qualcosa di... regale quasi. Qualcosa difficile da
spiegare a parole, ma ugualmente calamitante. Mi resi conto di essermi
messo a fissarlo troppo tardi, nello stesso istante in cui se ne
accorse anche lui. Alzò lo sgaurdo su di me e rimanemmo
incatenati per alcuni istanti prima che mi sorprendesse con un piccolo
sorriso ed un lieve cenno del capo - era un saluto quello? -
dopodiché uscì dal locale, ancora seguito dalla
ragazza.
A scoppio ritardato sorrisi di rimando, proprio quando non ce n'era
più bisogno.
"Blaine... ti conviene tornare sul palco, prima che la folla inferocita
inizi a tirarti dietro il contenuto dei loro panini!" mi
avvertì
Puck, destreggiandosi abilmente dietro il bancone ed io, salutando i
miei due amici e ormai portafortuna, tornai alla mia postazione. Prima
di inforcare la chitarra però, un leggero tocco sulla spalla
mi
fece voltare e mi ritrovai due occhi marroni contornati da lunghe
ciglia da cerbiatto che mi scrutavano imbarazzati.
"Sì?" feci io sorridendole e aspettandomi magari una
richiesta
per il prossimo brano oppure dei complimenti diretti. Lei
deglutì a fatica dopodiché arrossendo ancora di
più parlò
"Scusa se ti disturbo... è che... io e le mie amiche ci
stavamo
chiedendo se... ecco... se sei già impegnato!" si
mangiò
un paio di parole ma il senso della frase mi arrivò chiaro e
limpido. Lanciai una veloce occhiata al famoso tavolo delle mie
accanite sostenitrici, non meravigliandomi di trovarne soltanto tre.
Così sorrisi, cercando di essere il più
tranquillo
gentile possibile e le risposi
"No, non sono impagnato!" esclamai e subito un sorriso speranzoso si
affacciò sul suo viso ma mi affrettai ad aggiungere
"Però
mi dispiace... non sono interessato... sono gay!" e con un ultimo
piccolo sorriso la vidi spegnersi lentamente, arrossire fino alla punta
dei capelli ed annuire delusa. Dopodiché tornò al
tavolo
dalle sue colleghe per comunicare l'amara notizia. Fu buffo vedere come
la reazione della prima fosse passata rispettivamente alle altre tre in
meno di cinque secondi. Quella volta non trattenni una risata,
risistemandomi sullo sgabello e abbracciando di nuovo la chitarra.
Probabilmente mi ero appena giocato quattro potenziali sostenitrici per
il futuro, però di una cosa ero certo - e lo pensavo mentre
alzavo la testa verso il bancone e sorridevo al mio amico che era
intendo a scuotere la testa divertito e a mormorare "Lo sapevo, ci
avrei giurato!" - che Sebastian Smythe non sbagliava mai!
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Capitolo 4 *** La maschera del principe ***
(4). Discorso con Dave
Buongiorno
a tutti e buon Giovedì miei cari... puntuale come un
orologio svizzero, e reduce da un esame all'Università ieri
eccomi qui a pubblicare per voi. Non vedevo l'ora, giuro... dunque,
qualche parolina sul capitolo: cambia di nuovo narratore (finalmente
cambia giorno, evviva!) e forse scoprirete qualcos'altro sulla sua vita
sentimentale che probabilmente non vi piacerà
(già non piace a me)So che è triste, so che non
se lo merita, so che è ingiusto, ma abbiate fede ^^ Inoltre,
inizieremo a scoprire che in questo famoso condominio c'è
tanta bella gente che sicuramente conoscerete già, con
annessa sorpresa^^... (come vi ho detto lo scorso capitolo, ci sono
tutti, nascosti ma... ci sono ^^) Beh, che altro dire? Grazie alle
magnifiche persone che inseriscono la storia tra
seguite/preferite/ricordate (waw siete in 49 *___*) ma soprattutto a
chi recensisce... sapere il parere di ognuno di voi mi farebbe
enormemente piacere, dico sul serio ^^ se avete voglia, io sono qui in
attesa. Un bacione grande e una 3X05 a tutti XD
p.s.
Ci vediamo mercoledì... ;)
New
York City. 12 Marzo 2012. Ore 10.02 A.M. (Lunedì)
Ero stanco,
a dir poco.
Completamente distrutto. Fortunatamente il mio capo mi aveva dato la
mattinata libera e dunque potevo prendermela comoda, e prendersela
comoda equivaleva a permettersi di essere ancora a letto alle dieci del
mattino. Nessun suono insistente della sveglia ad interrompere il mio
dolce sonno. Nessuna fretta incalzante. Nessun appuntamento che si
accavallava inevitabilmente con altri dieci. Niente di niente. Solo io,
il mio cuscino e le mie lenzuola profumate di lavanda. Lasciare quel
giaciglio caldo e confortevole sarebbe stato un vero peccato,
nonostante fossi già sveglio da un pò. Mi
limitavo a
starmene accucciato su un fianco, in una specie di posizione
fetale, ad occhi socchiusi, ad analizzare ogni oggetto della mia
stanza, reso quasi irriconoscibile dalla semi-oscurità. Che
goduria le tapparelle abbassate a fare schermo alla luce del sole. E
pensare che lì fuori c'era gente che lavorava, che correva,
che
portava avanti il mondo. Io, a conti fatti, lo facevo ogni giorno... se
per una volta mi fossi messo da parte, sospettavo che nessuno ci
avrebbe fatto poi tanto caso.
Proprio mentre l'ennesimo sospiro soddisfatto mi usciva dalle labbra,
il campanello di casa prese a suonare. Con insistenza anche. Con molta,
fastidiosissima insistenza. Chi diavolo era che osava interrompere il
mio dolce far niente tipico da mezza giornata libera? Il postino,
sicuro. Magari aveva un pacco per me. Ora che ci pensavo bene,
aspettavo un ordine fatto su un catalogo - un paio di splendidi
pantaloni neri, dei quali mi ero innamorato subito - e forse erano
proprio loro a bussare. Fretta di vedere come meravigliosamente mi
calzassero?
Con un verso frustrato, scalciai le coperte da un lato e, a piedi nudi,
mi incamminai verso l'ingresso. Venni colto all'improvviso da un
brivido, così tornai indietro a recuperare una felpa e
indossarla. Intanto il campanello aveva suonato altre tre volte.
"E per la miseria... sto arrivando!" urlai spazientito, sbattendo i
piedi ad ogni passo. Tolsi il chiavistello alla porta e l'aprii quasi
con violenza, interrompendo a metà un altro squillo.
Sorpreso da
ciò che vi trovai, spalancai per un istante gli occhi e
salutai
allo stesso tempo il mio bellissimo acquisto per corrispondenza, dato
che lì, si trattava di qualcosa di più importante
da
sbrigare.
"David!" lo salutai sorpreso, afferrando la porta blindata e
stringendola con forza. Primo passo: cercare di reprimere la rabbia, in
qualsiasi modo possibile
"Ah, ma allora ci sei!" esclamò ovvio, alzando un
sopracciglio.
Bene, era nervoso al punto giusto. Si prospettava come sempre, un
pessimo inizio di conversazione
"Sì, ci sono. Scusa se ci ho messo tanto per venire ad
aprire, ma sai... volevo approfittare della mia unica mattinata libera
che mi concedono in un anno intero, per riposare un pò!"
sputai
acido. Secondo passo: far fuoriuscire lentamente l'acido che si sente
distintamente in gola. Aiuta molto
"Non mi hai detto di avere la giornata libera!" mi accusò
stringendo gli occhi in tono di sfida. Sospirai stanco
"La mattina, David... soltanto la mattina. Alle tre devo tornare in
agenzia!" precisai. Avere a che fare con lui, a volte, mi faceva
sentire estremamente infantile. Forse, lo facevo perché
sapevo
fosse l'unico modo per farmi capire.
"Non mi hai detto niente ugualmente!" mormorò a sua volta
"E quando te lo avrei dovuto dire, sentiamo! Ieri sera, mentre al
telefono mi accusavi come al solito di essere un egoista?" domandai,
cercando di rimanere calmo. Più mi agitavo e peggio sarebbe
stato. Lui, come avevo immaginato, quella volta non rispose.
Abbassò la testa, puntando gli occhi sul mio zerbino e
scosse la
testa. Presi un profondo respiro, dopodiché mi scansai
appena,
per invitarlo ad entrare. Lui, confuso, mi guardò per
qualche
istante, per poi decidersi e muovere le gambe fino al mio appartamento.
Solo allora forse si rese conto del mio abbigliamento, della mia tuta
comoda che usavo per dormire, e forse dei miei capelli disordinati,
perché si passò una mano dietro la nuca e
arrossì
"Mi dispiace averti disturbato!" mormorò imbarazzato, del
tutto
diverso dal tono usato poco prima per aggredirmi. Eccolo lì,
un'altra versione di David. Più insicura e forse
più vera.
"Non preoccuparti... a breve mi sarei alzato comunque!" minimizzai
dirigendomi verso la cucina per mettere su un pò di
caffè. Sentii i suoi passi alle mie spalle e il rumore
pesante
di una sedia che veniva strisciata sul pavimento. Infatti, una volta
presa la moka lo ritrovai seduto al tavolo, con le mani incrociate e la
faccia distrutta. Solo in quel momento mi accorsi delle profonde
occhiaie che aveva sul viso, e degli occhi rossi.
"Dio Santo, Dave... ma hai dormito stanotte?" gli domandai
avvicinandomi. Lui sorrise e scosse la testa
"Soltanto tu sei capace di preoccuparti per me dopo quello che ho
fatto!" mormorò amaro. Sospirai poggiandogli una mano sulla
spalla e stringendogliela
"Quello che fai o non fai, non potrà mai cambiare quello che
provo per te, Dave... io ti voglio bene, davvero!" assicurai, e lui
finalmente sollevò lo sguardo puntando gli occhi nei miei,
un
pò spaesato
"Davvero, Kurt... tu mi vuoi bene?" mi chiese allora con un filo di
voce. Spiazzato sbattei un paio di volte le palpebre prima di rispondere
"Certo che te ne voglio... che domande!" avevo come l'impressione di
essere appena entrato in un campo minato. Di lì a poco
sarebbe
scoppiato l'inferno
"Kurt... io..." iniziò a parlare ma la suoneria del mio
telefono
lo interruppe. Mormorando uno "Scusa torno subito!" corsi nella stanza
a recuperare l'iPhone per rispondere
"Pronto?"
"Buongiorno bellissimo ragazzo del piano di sopra!" mi rispose una voce
allegra e distesa che mi fece immediatamente ridacchiare
"Buongiorno anche a te meravigliosa e giovanissima madre del piano di
sotto!" feci a mia volta divertito. Lei scoppiò a ridere,
seguita a ruota da qualcuno, probabilmente al suo fianco, la cui risata
pareva vagamente assomigliare ad un dolce scampanellio.
"Non ti ho visto uscire questa mattina... i casi sono due... o ti sei
calato giù dal terrazzo oppure..." ma la interruppi subito
"Oppure sono ancora a casa... sì, avevo una mezza giornata
libera e me la sono goduta tranquillamente tra le mie adorate
lenzuola!". Fino a che qualcuno non era arrivato per distruggere
l'idillio. Lei rise di nuovo
"Hai fatto bene, Kurt... non hai mai un momento libero per te... mi
domando come lo facciano a considerare lavoro quello che fai... sembra
più un lento e consecutivo massacramento di gruppo!" disse
allora, con un verso stizzito
"Lo so Rachel... ma che vuoi farci... è uno sporco lavoro,
ma
qualcuno dovrà pur farlo. Altrimenti come potresti tu,
giovane
madre senza carriera, sognare ad occhi aperti sulle riviste di moda che
segretamente ti fai consegnare a domicilio ogni mese?" la provocai
allora con un sorrisetto
"Ma... Hummel! Cosa fai... spii la mia posta adesso?"
domandò in un misto tra l'indignato e il divertito
"A tempo perso... sì!" ammisi e scoppiammo a ridere di
nuovo, insieme.
"Asp.. ahia... Lea... non si tirano i capelli di mamma in questo
modo... ne avevamo già parlato, o sbaglio?"
domandò lei,
mentre un'altra piccola risata mi arrivava chiara all'orecchio
"Ma io voglio dire ciao..." una vocina brontolò vicino
all'apparecchio, dopodiché la mia amica tornò a
rivolgersi a me
"C'è la tua fidanzata segreta che vuole salutarti... aspetta
un
istante!" mi informò mentre lentamente sul mio viso si
formava
un sorriso intenerito. Pochi istanti dopo la voce di una bambina
riempì il silenzio
"Zio Kurt!" gridò lei, tanto che dovetti allontanare il
telefono dall'orecchio, divertito fino all'inverosimile
"Tesoro mio... come stai?" le domandai, mentre sentivo in sottofondo
Rachel brontolare e chiedersi esasperata chi avesse insegnato a sua
figlia ad urlare in quel modo poco femminile
"Bene... sai, ieri ho perso un altro dentino!" mi informò
fiera,
probabilmente sorridendo per mostrarmi ingenuamente la sua mancanza
"E brava la mia principessina... questo significa che stai diventando
grande!" le dissi con tono disteso
"Grande come te e la mia mamma?" chiese lei subito, evidentemente molto
incuriosita dall'argomento
"No, Lea... molto, molto più grande!" le risposi ottenendo
un
gridolino eccitato da parte sua, al quale Rachel rispose con un altro
lamento. Ridacchiai ancora, ringraziando mentalmente la mia adorata
amica, e vicina, per il tempismo che aveva usato per chiamarmi. Se non
ci fossero state lei e la piccola Lea a distrarmi, in quel momento
sarei stato ancora in cucina ad iniziare un discorso poco facile con il
mio fantomatico ragazzo. Ed io in quel momento avevo soltanto bisogno
di rilassarmi e sorridere. E Rachel e Lea erano perfette per questo
"Su coraggio tesoro... saluta Kurt e fila a metterti le scarpe...
dobbiamo andare a prendere i nonni all'aeroporto!" esclamò
Rachel mentre la piccola sbuffava sonoramente
"Ciao zio Kurt... devo andare... mi prometti di venirmi a trovare
appena puoi?" mi chiese teneramente
"Ma certo, piccola... non vedo l'ora!" le confermai sincero mentre con
un altro verso emozionato, probabilmente lanciava il telefono alla
madre e correva a prendere le famose scarpe
"Non oso immaginare la delusione che proverà il giorno in
cui
verrà a sapere che non potete sposarvi perché sei
gay!"
mormorò Rachel qualche istante dopo divertita
"Non infrangiamo i suoi sogni per il momento. Lo sai che
continuerò ad essere il suo principe finché
vorrà
e ne avrà bisogno!" le assicurai, più che altro
per farle
capire che, come sempre, sia lei che sua figlia potevano fare
affidamento su di lei. Il versetto che le uscì dalla bocca,
mi
fece intuire che si fosse commossa. Maledetta Rachel sentimentale
"Adesso però devo andare sul serio.. ci sentiamo
più
tardi... un bacio Kurt... e grazie!" mi disse mentre le grida gioiose
di Lea mi arrivavano forti e chiare alle orecchie
"D'accordo, Rach... saluta i tuoi genitori... un bacione!" e con
un'ultima risata chiusi la comunicazione. Non feci in tempo a girarmi
che un paio di braccia particolarmente muscolose mi strinsero in una
presa ferrea ed il viso di David si poggiò delicatamente
sulla
mia spalla. Rimasi immobile, cercando di non dare troppo a vedere
quanto poco riuscissi a tollerare ormai quel contatto
"Chi è che ti fa ridere così tanto?" mi
domandò in
un soffio, diretto al mio orecchio. Sbuffai. Rieccolo, un implicito
modo per tenermi sotto controllo ed esprimere la sua innata gelosia
"Lea... la figlia di Rachel!" risposi atono, mentre le sue mani si
posavano sui miei fianchi, iniziando a massaggiarli lentamente
"Quella innamorata di te?" chiese allora, sfiorandomi il collo con il
naso. Ero sorpreso di come ormai neanche quello mi facesse
più
effetto. Eppure... la passione c'era sempre stata. Cosa diavolo mi
stava succedendo?
"Mmm... David... è una bambina di quattro anni... sei geloso
anche di lei adesso?" domandai esasperato, mentre sollevavo appena il
collo per dargli più libero accesso. Era più che
altro un
movimento spontaneo, fatto senza pensarci troppo.
"Chiunque metta gli occhi su di te, è da ritenere un
possibile
pericolo. Tu sei mio... mio e basta!" mormorò spingendo
volutamente il bacino verso il mio fondoschiena, provocandomi il primo
brivido di piacere. Ecco, forse qualcosa si stava svegliando.
Lentamente, ma lo stava facendo. Forse era colpa del sonno arretrato. O
forse, i discorsi lasciati ancora a metà tra di noi, mi
impediva
di lasciarmi completamente andare.
"Dave... pensavo dovessimo parlare!" sospirai, mentre la punta del suo
naso era stata sostituita dalle labbra umide. Lui sorrise, spingendo
nuovamente i fianchi in avanti. Quella volta mi scappò
chiaramente un gemito dalle labbra
"Ma infatti lo stiamo facendo, Kurt... soltanto... non c'è
bisogno di usare le parole!" mi rispose intrufolando la mano sotto la
felpa e la maglietta accarezzandomi la pelle del fianco. La pressione
dei suoi fianchi spalmati dietro di me, iniziava a diventare
insistente e insopportabile. Mi domandavo il perché di tutta
quella attesa. Normalmente saremmo già arrivati ad
intrecciarci
nel mio letto, e tanti saluti ai romantici e sognati preliminari. Il
fatto che stesse dedicando così tante attenzioni a me e al
mio
corpo, era davvero strano. Che quello fosse il suo modo per chiedere
scusa? Chissà perché, non mi meravigliai molto
del fatto
che per scusarsi, usasse ugualmente il sesso. Quello era l'unico
linguaggio che riusciva correttamente ad usare.
Io, però, stanco di quell'attesa, e per niente abituato, mi
girai nella sua stretta ed iniziai a sbottonargli la camicia con
impazienza
"K-Kurt..." mormorò cercando le mie labbra e trovandole poco
dopo. Accolsi quasi immediatamente la sua lingua impaziente, mentre
facevo scivolare la camicia dalle spalle e subito dopo iniziavo a
slacciare la cintura. Lui mugugnò qualcosa, ma venne colto
da un
gemito, quando feci scivolare casualmente la mano nei suoi jeans,
ancora sopra i boxer
"Kurt... co-cosa... cosa stai facendo?" mi domandò, confuso,
eppure particolarmente eccitato. Lo guardai parecchio male
"Mi sembra sia abbastanza chiaro!" risposi cercando di nuovo il
contatto con le sue labbra. Più ero impegnato con qualcosa,
qualsiasi cosa, e meno occasioni avevo per riflettere. Ormai far vagare
la mente era diventato pericoloso. Approfittare di un momento come
quello sarebbe valso come un sospiro di sollievo. E lui, per quanto non
sembrasse dello stesso avviso, si lasciò trascinare da me e
dalle mie labbra, riprendendo esattamente da dove avevamo interrotto.
Quello che successe dopo, fu come al solito, confuso e meccanico. Una
dei tanti ricordi sovrapponibili alle migliaia di altre volte in cui ci
eravamo trovati nella stessa situazione. Lui spogliava me, io spogliavo
lui. Ci ritrovavamo sul mio letto, completamente nudi e particolarmente
famelici fino a che, dopo una spinta leggermente violenta ed un gemito
più di dolore che di piacere, spezzato dalle sue labbra che
ancora un volta bloccavano le mie, non iniziavamo a prendere l'uno
dall'altro ciò che veramente stavamo cercando. In quei
momenti,
privi di emozioni vere e di sentimenti autentici, mi ritrovavo ad
odiarmi. Mi facevo quasi schifo, così diverso dal solito me,
così distante dal vecchio Kurt romantico e sognatore, che
aveva
desiderato per tutta la sua adolescenza di essere corteggiato,
ammirato, venerato e rispettato per ciò che era, non per il
suo
corpo. Non avevo mai capito cosa era successo. Cosa fosse cambiato
esattamente in me da quando ero capitato tra le mani di David. Quale
fosse l'effettiva causa scatenante di tutto. E forse, neanche me ne ero
preoccupato più di tanto a cercarla, perché sotto
sotto
mi andava bene così. Ed era proprio questo, che di me, mi
faceva
più ribrezzo. L'essermi trasformato così tanto e
l'aver
poi capito di esserne perfettamente cosciente e complice.
Kurt Hummel... ma che
fine hai fatto?
"Kurt... Kurt..." sentii ansimare David più forte nel mio
orecchio, segno che stesse per raggiungere il limite, come sempre prima
di me. Gli avvolsi i fianchi con le gambe, sperando che così
facendo avrei accelerato il tutto e saremmo passati direttamente al
momento in cui lui si rivestiva e andava via. Solo allora avrei
ricominciato a respirare.
Il suo respiro era sempre più veloce, così come
le sue
spinte. Mi ero sempre chiesto se si fosse mai realmente preoccupato di
cosa volessi io, di cosa mi facesse piacere e cosa detestassi in
momenti come quello. Il fatto che diventasse così
aggressivo, a
tratti anche un pò animalesco, non mi era mai piaciuto.
Avevo
provato a farglielo presente una volta, ma lui era troppo permaloso e
avevo lasciato perdere. Chi si accontenta gode, Kurt... e tu limitati
ad accontentarti per il momento.
"Dimmi che mi ami, Kurt... dimmelo..." sussurrò lui,
mordendomi
un lobo, forse nel tentativo di sembrare sensuale. Strinsi gli occhi
proprio perché temevo arrivassimo a quello. Le uniche volte
in
cui David se ne preoccupava, era quando si sentiva prossimo
all'orgasmo. Forse, gli serviva come incentivo per raggiungere l'apice,
una sorta di gratificazione personale. E d'altronde, chi ero io per
infrangere i suoi sogni di gloria?
"Sì... Ti amo..." mormorai con il tono più
coinvolto che
riuscissi a trovare, dopodiché sospirai sollevato,
sentendolo
affrettarsi ad uscire da me per dare forma al suo piacere.
Qualche istante dopo, si accasciò al mio fianco, con gli
occhi
chiusi e il respiro affannato, coperto da un leggero strato di sudore,
mentre io, per pudore, recuperavo il lenzuolo e me lo avvolgevo attorno
al corpo. Non volevo mi vedesse, per qualche strano motivo la mia mente
lo registrava come qualcosa di troppo personale, al quale lui non
poteva accedere. Evitai di guardarlo negli occhi, mentre con molta
discrezione mi allontanavo da lui, con il basso ventre in fiamme, dato
che come al solito lui non si era preoccupato di soddisfarmi.
Forse passarono cinque o sei minuti - un nuovo record in
realtà - prima che aprisse gli occhi e sorridesse
"Che ti avevo detto... le parole sono inutili!" esclamò
soddisfatto. Io alzai un sopracciglio scettico
"A noi servirebbero però, David. Eccome se ci
servirebbero..."
mormorai stringendomi le ginocchia al petto, mentre avvertivo la
voragine iniziare ad allargarsi lentamente, come ogni volta.
"Porca puttana quanto è tardi... ho un servizio fotografico
alle
undici dall'altra parte della città! Devo scappare!"
esclamò saltando giù dal letto e iniziando
velocemente a
rivestirsi. Io mi premurai di chiudere bene gli occhi. Come volevasi
dimostrare.
Alzai lo sguardo soltanto quando me lo ritrovai di nuovo al mio fianco,
tutto vestito e nuovamente di buon umore. Beato lui
"Ci sentiamo dopo, dolcezza... e questa volta vedi di non dimenticarti
di me, chiaro?" mi fece divertito, accennando un mezzo occhiolino.
Sorrisi amaramente
"E come potrei... suona tanto come una minaccia la tua!" borbottai
mentre con una risata si alzava e andava via. Il rumore della porta
d'ingresso che si chiudeva fu come una colpo di pistola diretto al
cuore.
Niente bacio, niente
carezze, niente grazie, niente... di niente.
Fu in quel momento che richiusi gli occhi e mi lasciai andare alle
lacrime. Calde e dolorose lacrime che scivolavano libere sulle mie
guance, ormai senza più freni, senza più dover
fingere.
Mi facevo schifo. Facevo schifo io, quello che avevo fatto, quello che
avevo detto. Ero dilaniato e non me ne rendevo conto. Più
andavo
avanti e più la voragine che avevo nel petto si ingrandiva,
mi
consumava e mi divorava. Prima o poi ne sarei stato risucchiato, me lo
sentivo.
Ancora scosso dai singhiozzi scesi dal letto e camminai verso il bagno
aprendo l'acqua della doccia e infilandomi dentro, senza neanche
aspettare che si riscaldasse. Avevo fretta di levarmi di dosso tutto lo
schifo accumulato quella mattina. Le impronte delle mani, i respiri
accelerati, le bocche fameliche. Volevo cancellare tutto quanto e
tornare ad indossare la maschera del solito Kurt, il ragazzo
infallibile e caparbio, quello sorridente e con la battuta sempre
pronta, sperando che nessuno come al solito facesse caso al buco che mi
si apriva nel centro del petto. Ero bravo a fingere o era la gente
troppo impegnata per notarlo.
Poggiai una mano al muro della doccia, scosso da altri singhiozzi, e
abbassai la testa, circondato da un getto d'acqua che andava lentamente
riscaldandosi.
Forse quel giorno sarebbe stato più difficile riuscirci.
Forse
dovevo seriamente iniziare ad amarmi un pò di
più.
Forse... dovevo semplicemente smetterla di fingere.
|
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Capitolo 5 *** 2113, Lower East Side ***
ss
Buon
mercoledì a tutti... ^^ prima di tutto vorrei rendervi
partecipi di una bella notizia: finalmente la sottoscritta ha terminato
gli esami della seduta estiva, ergo ora ho più tempo libero
per dedicarmi alle cose che amo e che reputo più importanti
(sì, l'Università passa sempre in secondo piano
^^). Bene, prima di tutto, vorrei ringraziarvi per l'affetto dimostrato
nello scorso capitolo e sono davvero contenta che la storia vi inizi a
piacere... ho sempre il timore di sbagliare qualcosa e rovinare tutto.
Lo so, sto torturando ingiustamente il povero Kurt con la storia di
David (la scena descritta nello scorso capitolo è stata
faticosa da scrivere, ve lo assicuro!) ma abbiate fede e pazienza...
per farmi perdonare qui sotto potrete leggere magari qualcosa che vi
piacerà ;) è già un inizio, no? Beh
ora vado... ci vediamo tra quattro giorni (non vi faccio più
aspettare una settimana ^^) ovvero Domenica. Un bacio a tutti e grazie
di cuore, davvero.
New York City. 15 Marzo 2012. Ore 07.36 P.M. (Giovedì)
"Ripetimi
ancora una volta.. perché sono qui e come mai sono
tutto sudato?" si lamentò Sebastian poggiando un cartone
particolarmente pesante sul pavimento e sospirando stanco. Io, che ero
dietro di lui, trascinando due piccoli trolley, ridacchiai
"Perché
sotto sotto mi vuoi bene e perché mi avevi
assicurato di aiutarmi con il trasloco una volta firmato il contratto..
indi per cui... eccoci qui!" e, con una pacca amichevole, mi diressi di
nuovo verso le scale per scendere verso la sua macchina e recuperare
altri scatoloni. Non ci avevo mai fatto caso di quanta roba avessi.
Qualcosa portata direttamente da Westerville dopo il diploma, altro
preso in seguito a New York. Quello sommato a questo, dava tanta
fatica per le nostre povere braccia stanche. Era più di
un'ora
che salivamo cartoni, valigie, buste. Eravamo esausti, ma dovevamo
approfittare per forza di quel pomeriggio che il supermercato mi aveva
dato libero. Mi sentivo in colpa per aver costretto il mio amico a
sfruttare a sua volta una giorno di ferie, ma senza il suo aiuto, sarei
ancora nella vecchia casa ad imballare la roba. Quattro braccia erano
meglio di due.
"Ti sei
accertato che non fossi ubriaco quando te l'ho detto?" mi
chiese pensieroso, mentre recuperavo dal cofano un cartone e glielo
passavo in maniera poco delicata. Lui infatti sussultò sotto
il
suo peso e mi guardò male
"Cosa cazzo
ci hai messo in questi scatoli? Pietre? Cadaveri fatti a
pezzi? Dillo che li selezioni in base al peso e che quelli
più
pesanti li riservi per me!" mi accusò con un'occhiataccia,
che
mi fece ridacchiare
"Ti vanti
tanto di essere
alto e muscoloso... usa la forza che madre matura ti ha donato e aiuta
il tuo povero amico in difficoltà!" scherzai facendolo
sbuffare
"Prega che dopo questa sfacchinata, non sarò più
in grado
di reggermi in piedi, altrimenti te lo darò io un vero
motivo
per essere in difficoltà!" borbottò imboccando le
scale
per risalire al quarto piano. Poi, la fortuna aveva voluto che
l'ascensore quel giorno fosse fuori uso. Secondo Sebastian era stata
una divinità superiore che cercava di dirci di rinunciare e
tornarcene a casa. Secondo me lui era fin troppo pigro e quell'aggeggio
infernale, troppo sensibile.
La suoneria del cellulare di Sebastian ci interruppe, proprio mentre
stavamo per ritornare giù
"É Daniel!" mormorò con un sorriso quasi
emozionato,
allontanandosi per rientrare nell'appartamento e parlare
tranquillamente. Scossi la testa divertito per poi riprendere a
scendere verso la macchina. Sebastian, quando si trattava del suo
ragazzo, cambiava drasticamente. Si trasformava in una sorta di panetto
di burro che con niente si sarebbe sciolto al sole. Era la classica
personalità multipla... normalmente faceva il figo della
situazione, scalfito da niente e da nessuno, sempre pronto a provocare
e a lamentarsi. Quando Daniel era nei paraggi, diventava un cucciolo di
Labrador, con tanto di coda scodinzolante. Forse era semplicemente
bisognoso di attenzioni e a quanto pareva, aveva trovato la persona
adatta. Mi ero chiesto spesso come facesse, un ragazzo così
tranquillo e pacato come Daniel a tenere il passo con Sebastian. Mi era
bastato vederli assieme, vedere come si guardavano, come si parlavano o
semplicemente come stavano seduti nella stessa stanza, per capirlo:
quei due si completavano a vicenda. Sebastian era per Daniel la parte
euforica e incontrollata, che lo trascinava nei locali equivoci
soltanto per ridere un pò, e che probabilmente gli stava
trasmettendo il brivido dell'avventura. Daniel invece, era per
Sebastian la parte riflessiva e paziente, quella che ogni tanto gli
faceva preferire un film da guardare a casa stretti nel divano sotto
una coperta di pile o che gli faceva semplicemente cambiare stile di
vita. Sebastian senza Daniel sarebbe tornato ad essere quel freddo
involucro che era sempre stato. E mai avrei augurato al mio migliore
amico una cosa del genere. Ero stato il primo ad essere felice per la
loro storia e sarei stato anche il primo a combattere per farla
funzionare. Per questo molte volte mi ero ritrovato a discutere
animatamente con Sebastian, per fargli capire che, abbandonare un
pò del suo caratteraccio permaloso e prepotente, non avrebbe
fatto altro che giovare al loro rapporto. Lui mi aveva dato retta, o
forse si era reso conto che, ormai, non poteva fare altrimenti. Daniel
rappresentava per lui qualcosa di troppo importante e lui di certo non
se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo.
E tu, Blaine... quando
ti deciderai a
fermarti un attimo per dare la possibilità a qualcun altro
di
affacciarsi nel tuo cuore?
Difficile... davvero
molto diff...
"Ma porca puttana porca..." gridai mentre un cartone - sicuramente
imballato da Sebastian - si apriva e tutto il suo contenuto si
riversava bellamente in strada. Ok, iniziavo a pensare che la
divinità superiore ce l'avesse proprio con me quel giorno.
Mi affrettai a recuperare i libri caduti a terra e gli spartiti che si
erano dispersi per tutto il marciapiede, imprecando a mezza voce e
sperando che Sebastian si desse una mossa. Complimenti spilungone,
aveva scelto proprio un bel momento per sparire.
"Ti serve una mano?" una voce alle mie spalle si intromise soavemente.
Aggrottai le sopracciglia, per poi girare appena la testa e vedere chi
avesse parlato. Mi ritrovai la luce del sole che stava tramontando
negli
occhi e il sorriso incerto di un ragazzo che mi osservava attentamente.
"Ehm... no, figurati... mi si è disintegrato un cartone tra
le
mani ma... adesso rimedio subito. Grazie lo stesso!" risposi tornando a
concentrarmi sulla mia roba, impilando i libri uno sull'altro. Con la
coda dell'occhio vidi lo sconosciuto inginocchiarsi accanto a me ed
allungare una mano per afferrare gli spartiti e sistemarli
ordinatamente in sequenza. Lo osservai, mentre, attento e concentrato,
se ne stava con le labbra contratte in una smorfia buffa.
"Sei gentile, davvero, ma... non ce n'era bisogno!" mormorai. Lui
ridacchiò per poi girarsi finalmente verso di me e guardarmi
negli occhi
"Ce n'era bisogno eccome, credimi. Quando mi sono trasferito, anche io
ho avuto lo stesso tipo di... incidente e avrei tanto voluto che
qualcuno mi desse una mano a recuperare le mie mutande sparse su tutto
il marciapiede!" esclamò divertito ma la sua risata si
bloccò a metà. Alzò un sopracciglio
confuso,
dopodiché lo vidi distintamente aumentare appena la presa
sugli
spartiti, stropicciandoli leggermente, ed intensificare lo sguardo
"Ma non è possibile... mi stai facendo stalking per caso?"mi
domandò, quasi sconvolto mentre un cipiglio confuso mi si
disegnava sul volto
"Prego?"
"É la terza volta che ci vediamo in meno di una settimana..
e
quando abiti in una città di otto milioni di abitanti non
può trattarsi di una coincidenza!" sbottò
infastidito,
squadrandomi da capo a piedi, per quanto la mia posizione rannicchiata
glielo permettesse. Aspetta... era la terza volta che... ci vedevamo?
Guardai meglio lo sconosciuto accanto a me, soffermandomi in
particolare sullo strano colore dei suoi occhi. Azzurri? Grigi? Verdi?
Dove li avevo già visti?
"Ma tu sei il ragazzo del pub?" domandai allora, colto da un'improvvisa
illuminazione "Quello che gridava nel bagno..." aggiunsi. Lui
arrossì all'istante abbassando lo sguardo e quella fu
l'ulteriore dimostrazione di quanto poco delicato fossi a volte.
Così mi affrettai ad aggiungere
"Comunque non ti sto facendo stalking... in realtà abito qui
e
come hai avuto modo di vedere, lavoro in quel pub. Quindi in teoria,
tra i due, sei tu che stai facendo stalking a me!" tentai di
alleggerire un pò la situazione con una risata distesa,
sperando
che non decidesse di arrabbiarsi ancora di più e andarsene,
lanciando in aria tutti i miei poveri spartiti. Lui alzò
finalmente la testa e mi guardò curioso
"Abiti qui?" mi domandò
"Sì... proprio in questo portone!" risposi indicandolo con
un cenno per poi aggiungere, senza motivo "Al quarto piano!"
Certo, Blaine, dai pure
le tue
coordinate bancarie a questo sconosciuto così abbiamo
completato
l'opera. Ma i tuoi genitori non ti avevano insegnato che non si parla
con gli estranei?
La notizia parve sconvolgerlo parecchio perché
spalancò
la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse subito, per aprirsi poco
dopo in un sorriso
"Dio che stupido che sono... ti prego di perdonarmi!" si
affrettò a dire, ricominciando a raccogliere i fogli caduti.
Lo
guardai male, particolarmente preoccupato e iniziando a prepararmi
mentalmente a dover sfoderare qualche mossa di boxe per difendermi. Lui
si accorse subito del mio sguardo stranito perché
scoppiò
a ridere ed aggiunse
"Tranquillo non sono un maniaco... abito anche io in quel palazzo... al
quarto piano!" e mi sorrise apertamente lasciandomi di stucco.
"Quindi tu sei il mio..."
"Vicino, esattamente!" completò lui la frase per me annuendo
piano. Sospirai rilassato, mettendo da parte pratiche di difesa
personale e paure inspiegabili per aprirmi in un sorriso cordiale
"Chi lo avrebbe mai detto!" mormorai compiaciuto. Se solo quella sera
avessi saputo di ritrovarmi il ragazzo urlante incontrato per caso in
un bagno, come vicino di casa, sarei scoppiato a ridere, senza dubbio.
Lui mi guardò confuso, probabilmente la mia esclamazione era
piuttosto ambigua così mi affrettai a porgergli la mano per
le
presentazioni
"In tal caso... piacere, Blaine Anderson!" e accompagnai il tutto con
un
bel sorriso che lui ricambiò immediatamente, stringendomi a
sua
volta la mano
"Kurt Hummel... benvenuto al 2113 di Lower East Side!" mi disse
divertito facendomi ridacchiare
"Ti ringrazio... mio nuovo simpaticissimo dirimpettaio!" e gli feci
l'occhiolino, più per abitudine che per altro e
involontariamente lo feci arrossire.
"Cosa cazzo hai combinato?" ad un tratto la voce di Sebastian
tornò a farsi sentire, spaventando sia me che Kurt
"Sebastian!" lo ammonii turbato. Quante volte gli avevo detto di non
arrivare così all'improvviso? Avevo il cuore debole per
certe
cose io.
"Non ti posso lasciare solo per dieci minuti e guarda che succede!"
sbottò indicando con un gesto seccato l'intero marciapiede
ancora pieno di fogli e libri
"Non l'ho fatto di proposito... si è aperto questo cartone
ed
è caduto tutto. Anzi... invece di startene lì
come un
idiota, dacci una mano!" abbaiai io. Se c'era una cosa che non
sopportavo, erano gli scansafatiche. E lui era il prototipo degli
scansafatiche.
"Dacci?" fece lui curioso, lanciando un'occhiata sorpresa - e anche un
pò compiaciuta - verso il ragazzo accanto a me. Kurt si
affrettò ad alzarsi e a sorridergli cordialmente
"Kurt Hummel... piacere!" e gli porse la mano che Sebastian accolse con
entusiasmo. "Sono il vostro vicino di pianerottolo...
cioè...
abiterai anche tu qui? Siete..."
"No, no... per carità!" intervenni io alzandomi in piedi -
constatando amaramente che come al solito ero il più basso -
"Abbiamo già provato a vivere insieme io e lui... una volta
basta e avanza!" e lanciai al mio amico un'occhiata di ammonimento dato
che continuava a guardare Kurt, come se volesse mangiarlo
"Non sputare nel piatto dove hai mangiato, nano!" mi
rimproverò
allora con un'occhiata stizzita per poi tornare a guardare ammirato
l'altro ragazzo senza avergli ancora restituito la mano
"Comunque io sono Sebastian Smythe... sono qui solo in veste di unico
amico decente, dotato di un briciolo di forza fisica, per aiutare il
pigmeo a traslocare!" spiegò indicandomi distrattamente con
un
cenno del capo. Kurt mi lanciò un'occhiata preoccupata alla
quale risposi con un sorriso rassicurante. Effettivamente Sebastian a
primo impatto faceva una strana impressione. Ci eravamo passati tutti.
"E allora vedi di renderti utile e recupera quei libri dietro di te!"
lo ammonii seccato, distraendolo dalla sua contemplazione
"Non posso mi dispiace. Daniel reclama la mia attenzione e non posso
far finta di niente!" mi annunciò con un sorrisetto
divertito,
ben poco raccomandabile
"Non esiste... mancano ancora una decina di scatoli, più due
borsoni da scaricare!" mi lamentai. Lo sapevo che prima o poi mi
avrebbe mollato lì, succube del mio destino
"Tranquillo scricciolo... ti lascio la macchina così puoi
fare
con calma. Passo a prendermela domani mattina!" mi diede quella che per
lui era un'amichevole pacca sulla spalla per poi recuperare la giacca
dal sedile posteriore ed allungare una mano verso di me, in attesa. Io
sollevai un sopracciglio confuso e anche leggermente infastidito
"Cosa vuoi adesso? La paga per il disumano sforzo che hai fatto fino ad
ora?" chiesi stizzito, guardandolo male. Lui scosse la testa
"Ti ho detto che ti lascio la macchina... secondo te io adesso come me
ne torno a casa?" mi domandò a sua volta, in tono retorico.
La
consapevolezza mi colpì come uno schiaffo. Bruttissimo pezzo
di
merda...
"No, Sebastian, scordatelo!" abbaiai
"Coraggio B... come faccio altrimenti?"
"Non me ne frega niente... prendi un autobus... o ti fotti a scendere
sotto terra e aspetti la metropolitana!" ringhiai incrociando le
braccia. Non avrei ceduto, neanche tra mille anni. Ero testardo e molto
anche.
"Sai che soffro di claustrofobia!" mi ricordò pacato
"Ne soffri solo quando decidi tu!" sbottai in risposta. Rimase in
attesa, con un fastidioso sorrisetto sulle labbra. Oh, al diavolo.
Quello stronzo lo aveva fatto a posta. Era tutto calcolato, fin
dall'inizio. Feci un verso infastidito, per poi infilare le mani nella
tasca dei jeans e tirare fuori una chiave. Sebastian si
illuminò
all'istante
"Oh, adesso sì che ragioniamo!" esclamò
soddisfatto
allungando un pò di più il braccio per
afferrarla. Ma prima di dargliela vinta strinsi gli occhi e sussurrai
in
tono minaccioso
"Fammi ritrovare un semplice piccolo graffio ed io ti giuro, Sebastian
Smythe, ti giuro che ti farò pentire di essere nato!"
bisbigliai facendolo
ridacchiare. Mai che mi prendesse sul serio. Forse ero io a non
metterci la giusta intensità. O era lui a conoscermi fin
troppo
bene ormai.
"D'accordo mamma... starò attento!" mi rispose afferrando le
chiavi in un gesto secco e facendomi l'occhiolino. Cosa mi tratteneva
ancora dall'ucciderlo, non lo avevo capito.
Per tutto il nostro battibecco, il mio nuovo vicino, Kurt, non aveva
aperto bocca. Lo avevo sentito ridacchiare un paio di volte, ma era
rimasto fermo immobile a seguire il nostro piccolo siparietto. Forse da
fuori risultavamo buffi chissà. Si limitava a stringere
ancora
al petto i miei spartiti
"Bene io vado... Kurt Hummel... è stato un piacere
conoscerti.
Ci saranno altre occasioni per vederci ed approfondire il rapporto!"
fece Sebastian allegro
"C-certo... senza ombra di dubbio!" mormorò Kurt, arrossendo
appena, forse colto dal peso della malizia con cui Sebastian gli si era
rivolto
"Magari possiamo invitare anche Daniel... il tuo ragazzo... che te ne
pare, Seb?" domandai io, con un sorrisetto divertito sul volto,
stringendogli una mano sulla spalla per fargli capire di smetterla ed
andare via. Lui mi guardò male, di nuovo
"Sì, perché no!" mormorò atono, e
forse un
pò anche deluso. Gli stavo rovinando la piazzata dopotutto.
Sentii Kurt ridacchiare al mio fianco e inspiegabilmente sorrisi anche
io. Sbuffando appena e dopo avermi tirato uno schiaffetto dietro la
nuca per ripicca, Sebastian attraversò la strada per
recuperare
la mia moto - quella che non doveva permettersi di graffiare, per
intenderci - si allacciò il casco, vi salì sopra
e, dopo
un ultimo saluto partì.
"Ti fidi così tanto di lui, da lasciargliela guidare?" mi
domandò qualche istante dopo Kurt, una volta che la moto e
il
suo autista furono spariti dietro un angolo. Io sospirai e scossi la
testa, rassegnato
"É una specie di fratello per me... se non mi fido di lui,
di
chi dovrei farlo?" domandai con un sorriso, e tornai sospirando a
dedicarmi alla mia raccolta. Senza preavviso anche Kurt si
riaccucciò al mio fianco
"Dai lascia, faccio io... ti ho rubato fin troppo tempo!" gli dissi
cercando di afferrare gli spartiti dalle sue mani ma lui non me lo
permise
"Non pensarci neanche. Mi fa piacere. E poi adesso che il tuo amico ti
ha lasciato solo, qualcuno dovrà pur aiutarti, no?" mi fece
lui
sorridente, allungandosi un pò per recuperare altri libri.
Nel
farlo la camicia sottile che aveva addosso si sollevò
appena,
scoprendo una porzione di pelle di un'incantevole tonalità,
chiarissima, quasi trasparente, che alla luce di quel tramonto
newyorkese sembrava quasi eterea. Mi riscossi immediatamente da quel
momento di trance, per poi darmi immediatamente dello stupido. Cosa
diavolo mi prendeva? Sebastian mi aveva contagiato?
"Sì, ma..." provai a dire allora
"Niente ma... siamo vicini adesso. Dobbiamo aiutarci reciprocamente.
Consideralo il mio benvenuto nel palazzo!" e detto questo si
alzò per recuperare il cartone e provare a sistemarlo, ed io
gli
sorrisi grato.
Una decina di scatoloni dopo, e tante, tantissime scale salite e scese
in sequenza, ci ritrovammo nel mio appartamento esausti
"Non credo di aver mai fatto tante scale tutte insieme nella stessa
giornata in vita mia!" esclamò lui poggiando l'ultimo
cartone
nel salotto con un sospiro
"In questo condominio non sono tutti cordiali come te. L'ascensore ad
esempio mi si è subito ammutinato contro!" scherzai
dirigendomi
in cucina per prendere da bere. Almeno qualcosa di fresco gliela
dovevo, e per fortuna Sebastian mi aveva fatto la spesa - si sperava
per l'ultima volta. Lui mi seguì a ruota ridacchiando
"Tranquillo, non è sempre così. Diciamo che sei
stato
semplicemente sfortunato!" mi informò. Io gli passai una
birra e
lui la accettò con un accenno di sorriso. Ne bevvi un
pò
dalla mia bottiglia, dopodiché curioso mi ritrovai a chiedere
"Come sono gli altri condomini... cioè... cosa mi devo
aspettare?" lui mi guardò, colpito dalla domanda, ma mi
sorrise
poco dopo
"É tutta gente tranquilla.. molto educata e cordiale!" mi
informò allora giocherellando con l'etichetta della sua
birra
"Al piano di sotto abita una mia cara amica con sua figlia.
É
una ragazza madre.. il suo ragazzo l'ha abbandonata dopo che lei gli
aveva detto di essere incinta. Da allora non si è
più
fatto vedere, e credimi... in un certo senso è meglio per
lui!"
spiegò con una strana smorfia sul viso
"Perché dici che è meglio? Lei è
insopportabile?" domandai curioso
"No, no... se si facesse vedere, io lo ucciderei!" mi spiegò
con un sorriso che mi fece scoppiare a ridere.
"Logico!" mormorai
"Sempre al terzo piano abita una ragazzo... un pò strano in
realtà... una specie di gigante, uno sportivo mi pare. Non
facciamo molta conversazione e sinceramente mi incute un pò
di
paura. Quindi mi limito a salutarlo quando lo incontro nell'atrio e a
preferire le scale se per caso dobbiamo condividere lo spazio in
ascensore!" aggiunse divertito
"Devo preoccuparmi?" domandai agitato. Lui scoppiò a ridere
di gusto. Una bella risata distesa e contagiosa
"Non ha mai ucciso nessuno... che io sappia!" mi informò
"Non si sa mai... c'è sempre una prima volta!" mormorai
rabbrividendo al solo pensiero. Un gigante, eh? Bene, per me
già
Sebastian rappresentava un ostacolo insormontabile, figuriamoci questo
tizio del terzo piano. Nota mentale, procurarsi una scala molto lunga
ed usarla per salire e scendere direttamente dal terrazzo
"Al secondo piano abita una ragazza, un'orientale molto dolce ed
educata... fa la babysitter alla figlia della mia amica,
perché
in questa società ipocrita e razzista, a quanto pare non
c'è spazio per lei..." mormorò schifato con un
sospiro
"Mentre di fianco a lei c'è una famiglia... o meglio... una
coppia di novelli sposi da poco trasferiti!" e lo disse con un sorriso,
quasi emozionato. Sembrava molto affezionato a tutti gli inquilini di
quel palazzo, gigante compreso.
"E al primo piano... chi ci abita?" chiesi curioso dato che lui non
accennava a continuare. Si rabbuiò appena
"Mmm... il primo piano è tutto occupato da una ragazzo...
è un tipo un pò strano. Se ne sta tutto il giorno
chiuso
in casa, con le tende chiuse e le tapparelle abbassate. Non lo viene a
trovare quasi mai nessuno, non si sa perché. Non sappiamo
neanche che faccia abbia... sappiamo solo si chiami Abrams di cognome,
perché lo abbiamo letto sulla buca della posta. Niente di
più!" mi spiegò allora
"Forse è un tipo solitario... non ama la compagnia!"
affermai
senza pensarci. Io non osavo immaginare cosa avrei fatto da solo,
chiuso per tanto tempo in una casa, senza vedere nessuno. Sarei
sicuramente impazzito. O avrei iniziato a parlare con i muri e ad
addestare le tende del salone
"Non saprei... è una specie di mistero qui nel palazzo.
Tutti ci
chiediamo la stessa cosa!" aggiunse pensieroso. Sembrava molto turbato,
e ingenuamente mi chiesi perché. D'altronde non lo
conosceva, non sapeva nulla di più, eccetto il suo cognome,
e
allora come mai se lo prendeva così tanto a cuore? Sentii il
bisogno inspiegabile di cambiare argomento e provare a farlo sorridere
"E del quarto piano.. cosa mi sai dire?" domandai con un sorriso
sornione. Lui scoppiò subito a ridere facendomi sospirare
soddisfatto
"Il quarto piano è il migliore, te lo assicuro. L'interno
otto
è stato disabitato fino ad oggi... qui nel palazzo lo
chiamavamo
l'appartamento fantasma!" mi informò divertito
"E l'interno sette? Da chi è abitato?" domandai curioso di
conoscere un pò della sua storia. D'altronde eravamo appena
diventati vicini di casa, un minimo di cordialità era
d'obbligo.
E poi... sotto sotto avrei voluto trovare una spiegazione per quello a
cui avevo assistito qualche giorno prima al pub, anche se sapevo di non
averne alcun diritto. Lui mi lanciò uno strano sguardo,
dopodiché sorrise, mordendosi un labbro
"L'interno sette è occupato da un ragazzo di venticinque
anni
che si è trasferito qui sei anni fa e che lavora in
un'agenzia
di moda come segretario sbarra tuttofare di un noto imprenditore. In
pratica io faccio il lavoro sporco e lui ci mette la faccia!" mi
raccontò con una smorfia
"Waw... agenzia di moda... chissà quante ragazze mozzafiato
incontrerai ogni giorno!" mormorai, curioso di sapere come avrebbe
reagito. Volevo vedere se avrebbe approfittato di quel commento per
nascondersi dietro ad un dito oppure si sarebbe svelato per quello che
era in realtà, senza vergogna. Mi lanciò una
strana
occhiata divertita
"Scherzi? Allora non stavi ascoltando davvero l'altra sera in quel
bagno!" rispose scuotendo la testa. Bene, lo aveva ammesso. Aveva tutta
la mia stima
"Sono un tipo discreto... tendo a farmi i fatti miei!" risposi
ridacchiando
"Comunque a scanso di equivoci.. sì, sono gay... fin dalla
nascita credo.. e forse anche da prima!" e lo disse con tale
naturalezza da farmi sorridere sollevato. Tu guada quanto era piccolo
il mondo. Stavo giusto per farglielo presente quando intervenne,
anticipandomi
"Adesso tocca a te però... dimmi chi sei... credo di
meritarmelo
dopo averti aiutato a portare su dieci pesantissimi scatoloni, senza
ascensore!" esclamò finendo la sua birra e poggiandola sul
tavolo. Imbarazzato mi passai una mano tra i ricci e sorrisi
"Se proprio insisti... mi chiamo Blaine Anderson, ma questo
già
lo sai... ho venticinque anni e sono di Westerville, Ohio. Mi sono
trasferito qui a New York sette anni fa, dopo il diploma, per inseguire
i miei sogni discografici. Ma per il momento le uniche cose che sono
riuscito ad ottenere sono tre lavori sfiancanti e questo
bell'appartamento in centro!" ed indicai la stanza con un gesto
soddisfatto. Lui parve particolarmente attento, e anche un
pò
sorpreso ma non disse nulla. Si limitò a sorridere ed
abbassare
lo sguardo. Dopo quella che parve un'eternità, durante la
quale
nessuno dei due parlò, si decise a dire qualcosa
"Hai davvero una bellissima voce. L'altra sera ti... mi hai davvero
emozionato!" esclamò gentile e all'apparenza sincero
"Ti ringrazio... ma il merito è anche di Noah, il
proprietario
del locale, che mi da la possibilità di esibirmi ogni
sera...
altrimenti credo che impazzirei!" e sorrisi da solo
"Ho visto degli spartiti prima... componi anche?" mi chiese curioso
"Ogni tanto sì... ma sono solo strofe buttate giù
un
pò a caso, niente di che!" e imbarazzato mi grattai la nuca
e
distolsi lo sguardo. Quegli occhi erano magnetici e sembravano
scrutarmi nel profondo.
"L'intenzione sarebbe quella di far diventare la mia passione il mio
lavoro... ma mi sono scelto una strada lunga e difficile purtroppo!"
mormorai sorridendo distrattamente
"Io personalmente ai sogni che si realizzano come per magia, ho smesso
di crederci da un pezzo... però, chissà... magari
tu sei
più fortunato di me!" esclamò scrollando le
spalle, in un
tono decisamente amaro. Lo scrutai confuso, colpito da quella
esclamazione tanto cruda. Certo, io dalla vita non avevo avuto regalato
quasi niente, ma perlomeno continuavo a sperare di realizzare qualcosa.
Avevo solo venticinque anni ed un'intera città a mia
disposizione. A Kurt, a prima impressione, sembrava essere andata
decisamente meglio - per quanto riguardava il lavoro o il fatto che
potesse permettersi tranquillamente un appartamento di quella portata -
eppure sembrava mille volte più abbattuto di quanto avrei
invece
dovuto essere io. Cosa diamine gli era successo? Già
amaramente
deluso dalla vita a soli venticinque anni?
"Si chiamano sogni... è normale che debba volerci un
pò
di fortuna per farli avverare... ma, non bisogna smettere di
crederci... mai! Altrimenti che sogni sarebbero?" provai a
sdrammatizzare un pò, perché proprio non mi
andava
giù quella sua espressione dura e cinica. Ne ottenni solo
una
smorfia ed un'occhiata incerta
"Si chiamano sogni proprio perché sono destinati a rimanere
tali... altrimenti si chiamerebbero obiettivi... conquiste...
desideri..." e scrollò di nuovo le spalle. Inarcai un
sopracciglio colpito. Diamine, quel ragazzo era testardo.
"Woah... sono colpito... sei..." provai a descriverlo con una sola
parola ma non mi venne niente. Non volevo essere di certo offensivo,
anche perché nonostante tutto mi stava simpatico e volevo
mantenere buoni i rapporti di vicinato. Per mia fortuna non ci vide
nulla di male, scoppiò a ridere passandosi una mano sulla
guancia
"Sono strano, lo so. Ma ci farai l'abitudine, fidati!" e mi sorprese
facendomi l'occhiolino. Era soggetto anche a sbalzi d'umore? Ridacchiai
colpito, e feci sparire nell'immondizia le due bottiglie vuote. La sua
voce tornò a farsi sentire, nuovamente tranquilla e distesa,
qualche istante dopo
"Scommetto che non hai ancora avuto modo di vedere l'aspetto
più
sensazionale di questo appartamento!" esclamò ridacchiando.
Lo
guardai confuso
"E sarebbe?" lui si alzò e mi fece segno di seguirlo.
Attraversammo il salone e, ovviamente da esperto, aprì la
portafinestra del terrazzo e sparì all'esterno. Io lo seguii
senza dire niente e solo una volta che fui fuori anche io parlai
"Se ti riferisci al terrazzo... posso affermare con assoluta certezza
che è stato il motivo principale che mi ha permesso di
prendere
in affitto questo posto!" spiegai sorridendo, felice di ritrovare
dondolo, piante e tavolino nella stessa identica posizione della
domenica precedente, in cui li avevo visti per la prima volta. Kurt
scosse la testa con un mezzo sorriso
"Non mi riferivo a questo!" mormorò, per poi puntare gli
occhi
verso l'orizzonte e sospirare "Ma a quello!" ed indicò
davanti a
sé. Io curioso mi girai a guardare e ciò che vidi
mi
lasciò senza fiato: il sole era quasi del tutto tramontato
all'orizzonte e colorava il cielo di arancione e viola, rispecchiandosi
magicamente nel fiume e creando magnifici giochi di luce sulle vetrate
dei grattacieli. Non avevo mai visto niente del genere. Era intenso e
surreale, quasi da cartolina. Uno di quei paesaggi che riesci a vedere
solo su riviste, con la possibile spiegazione che si tratti di banali
ritocchi al computer. Eppure qualcosa di reale c'era, ed io stavo
assistendo in prima fila.
"Dio mio..." mormorai avvicinandomi al cespuglio per vedere meglio, con
gli occhi ancora sgranati e il cuore martellante nel petto. Era una
vista emozionante, davvero
"Già.." mi fece eco lui. Iniziavo a sentirmi un
privilegiato.
Aver avuto l'occasione di poter affittare un posto del genere e
contemporaneamente essere convinto di non meritarmelo affatto.
Chissà quanti sforzi avevano fatto Kurt e gli altri
condomini
per permetterselo, mentre io sganciavo al proprietario cento miseri
dollari al mese. Certo, di sacrifici ne facevo tanti anche io, ma
quell'appartamento era davvero un sogno.
Hai visto, Kurt, che ho
ragione io... Quando non smetti di crederci, i sogni si avverano sul
serio...
"Beh, mi scuserai, ma adesso devo proprio andare!" esclamò
lui
qualche istante dopo, infrangendo quel momento di contemplazione. Gli
sorrisi e lo accompagnai fino alla porta per salutarlo meglio e
ringraziarlo
"Non dirlo più, Blaine. Per me è stato un
piacere, almeno
abbiamo avuto modo di conoscerci un pò meglio!" e mi sorrise
sincero
"Certo, quello sì... ma spero avremmo modo in futuro di
approfondire..." risposi e lui fece un mezzo sorriso divertito, che mi
fece tornare in mente le parole del mio amico di poco prima "Non nel...
senso in cui intendeva Sebastian, tranquillo!" specificai divertito a
mia volta facendolo ridere
"Ottimo!" mi rispose voltandosi per raggiungere la sua porta. Ma prima
che andasse via, ci tenni a specificare una cosa, per evitare futuri
fraintendimenti tra di noi
"Sono gay anche io comunque!" affermai facendolo girare nuovamente
verso di me. La sua espressione mutò gradualmente da confusa
a
sorpresa, per poi sfociare in un sorriso
"Sai... lo avevo capito... ho un ottimo radar per certe cose!"
mormorò e scoppiammo a ridere assieme
"Io, ci tenevo a dirtelo così... sì, insomma...
puoi
contare sul mio... ehm... supporto morale?" ma che cazzo stavo dicendo?
Ero fuori di testa per caso? Supporto morale?
Con mia grande sorpresa non si offese affatto, né mi chiuse
la
porta in faccia. Scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con
la
mano e facendomi arrossire
"Scusa, non sto ridendo di te, davvero... è che... non ho
mai..
avuto un amico come... come me e mi sembra strano, ecco!" mi
spiegò scuotendo la testa
"C'è sempre una prima volta!" gli feci presente sorridendo e
poggiando una spalla allo stipite della porta. Lui mi scrutò
per
bene per qualche secondo per poi annuire felice
"Hai ragione... c'è sempre una prima volta!"
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Capitolo 6 *** Il codice etico del buon vicinato ***
(6) Inquilini (B)
Buona
domenica a tutti, popolo di EFP... dopo una mezza giornata di piscina,
durante la quale ho avuto l'assurda capacità di scottarmi
soltanto un braccio (divento sempre più brava ^^) eccomi con
l'aggiornamento... dunque, devo dire che a questo capitolo ci sono
molto affezionata perchè... nonostante a conti fatti non
succeda poi molto, lo trovo molto dolce, soprattutto per un particolare
che nello specifico Kurt introdurrà e che poi
diventerà una specie di filo conduttore per il loro rapporto
(vediamo se capite a cosa mi riferico ^^) e soprattutto conosceremo
meglio uno degli inquilini del 2113 di Lower East Side...
perché ricordiamoci che oltre a Kurt e Blaine il palazzo
ospita altre persone ^^ (che poi non ve l'ho chiesto, ma... le avete
riconosciute tutte???) dunque detto ciò, suppogo sia il caso
di lasciarvi al capitolo e darvi appuntamento a Mercoledì
(questa volta solo tre giorni, dai ^^) un bacione a tutti e vi
ringrazio per l'affetto, perché continuate a seguire la
storia ma soprattutto perché recensite... A presto ;)
p.s. Piccola
curiosità... la bambina che è nell'immagine qui
in basso (che poi sarebbe Lea, la figlia di Rachel, è
davvero Lea Michele da piccola... quindi, si somigliano molto mamma e
figlia XD
New York City. 16 Marzo 2012. Ore
09.55 A.M. (Venerdì)
Non mi sembrava ancora vero. Avere un così splendido
appartamento in centro con vista sull'East River, e potermelo
tranquillamente permettere senza dover cadere nelle mani degli
strozzini. Il sogno di una vita, praticamente. Avevo chiamato i miei
genitori la sera prima, dopo aver terminato il trasloco, e avevo
descritto loro l'appartamento nei minimi dettagli, accompagnato dai
gridolini di gioia di mia madre e le esclamazioni fiere ed
incoraggianti di mio padre. Quasi avevo le lacrime agli occhi per
l'euforia, mentre raccontavo loro della magnifica vista che si poteva
ammirare dal terrazzo - vista che era stato Kurt a farmi apprezzare
ancora di più nello specifico - e mentre soddisfatto li
invitavo
a venirmi a
trovare il prima possibile. E loro, neanche a dirlo, avevano accettato
entusiasti, mia madre soprattutto, mentre mio padre aveva chiuso la
comunicazione borbottando
"Finalmente quello spilungone disgraziato del tuo amico si è
dimostrato utile in qualcosa!" facendomi ridere. Ero troppo su di giri
perfino per rimproverarlo dell'astio che sembrava provare da sempre nei
confronti di Sebastian. Non era dovuto al fatto che fossimo stati
insieme e che mi avesse fatto soffrire per un periodo, né
che
fosse un altro ragazzo gay. Semplicemente lo odiava. Senza apparente
motivo. Ed io, per il quieto vivere, avevo preferito evitare sempre di
farli trovare nella stessa stanza.
Quella mattina, mentre il sole splendeva quasi fosse un segno
premonitore nel cielo, per la prima volta feci colazione nella mia
cucina nuova, seduto al tavolo, con la mia tazza di cereali e il mio
caffè, con un sorriso stampato in faccia, contento di non
dover
lottare contro nessun coinquilino scroccone per il possesso della
doccia o del tostapane.
Proprio mentre sciacquavo la tazza nel lavandino, canticchiando un
motivetto inventato sul momento, il mio cellulare iniziò a
suonare insistentemente sul tavolo. Mi affrettai ad asciugarmi le mani
bagnate e me lo portai all'orecchio senza neanche controllare chi fosse
"Pronto?"
"Ti pare normale che io debba venire a sapere da mio padre che mio
fratello è andato a vivere finalmente da solo?"
borbottò
una voce. Ridacchiai, bloccando il cellulare tra la spalla e l'orecchio
e sistemando cereali e latte nello scaffale e nel frigo.
"Sì, Coop, hai ragione, sono un mostro... e faccio ammenda
per questo!" risposi divertito
"E credi che questo basti? Come minimo mi devi una cena pagata da
Sardi!" propose subito
"Cooper... ho cambiato appartamento... non sono mica diventato ricco!"
gli ricordai, dirigendomi verso la camera da letto per prendere lo
zaino che mi portavo sempre dietro. Diedi un'occhiata alla radiosveglia
che segnava le dieci in punto e mancava un'ora esatta all'inizio del
mio turno al supermercato. Fortunatamente al forno il proprietario mi
aveva concesso una giornata di libertà per via del trasloco,
ma
il mio secondo capo non era stato tanto clemente.
"Ancora non riesco a spiegarmi come ha potuto uno squattrinato come te,
arrivare a permettersi un appartamento in un quartiere tanto lussuoso.
Ho fatto delle ricerche, sai... sembra che in quella zona ci abitino
ben quattro giorcatori dell'NBA e una decina di fotomodelle. Dimmi,
Blaine... tu cosa c'entri con queste persone?" mi chiese mio fratello
dopo un pò. Sempre il solito sbruffone, la solita ironia
senza
capo né coda. Ed io mi ritrovai a scuotere la testa
rassegnato
"Chiedilo a Sebastian... perché adesso devo lasciarti. Ho un
lavoro io, nel caso te lo fossi dimenticato, perché non mi
piace
vivere alle spalle degli altri!" sentenziai recuperando le chiavi e il
portafoglio ed infilandoli nella sacca
"Oh-oh... cosa sentono le mie povere orecchie... era per caso
dell'ironia quella?" domandò fintamente stupito, mentre il
rumore di un paio di clacson mi arrivava attraverso l'apparecchio. Feci
una smorfia. No, la fastidiosa presunzione di Cooper Anderson non mi
avrebbe rovinato la giornata.
"Ti auguro buona giornata, fratellone. Spero riuscirai a concludere
qualcosa di sensato prima che tramonti il sole. E anche se tanto non ci
crederai... ti voglio bene!" e chiusi la comunicazione, senza dargli
modo di replicare. Per mia fortuna, mio fratello aveva deciso di
cercare la gloria dall'altro lato degli Stati Uniti, a Los Angeles,
dato
che - secondo la sua modesta ma espertissima opinione - il cinema sulla
costa Atlantica era destinato a sprofondare nell'abisso del nulla,
accompagnato da Broadway. E dunque eravamo costretti a vederci solo due
volte l'anno: il giorno del Ringraziamento e a Natale. Per allora,
grazie alla distanza, riuscivo sempre a trovare il modo per ignorarlo o
per sopportare le sue battute fastidiose e pungenti. Non che non ci
volessimo bene, diavolo, eravamo fratelli dopotutto, era normale
volersene. Eppure, c'era qualcosa nel suo essere arrogante e credersi
sempre superiore, che mi infastidiva profondamente. Quando eravamo
piccoli ed io tornavo a casa tutto soddisfatto con qualche bella
notizia o con un voto positivo, lui era sempre pronto a screditarlo,
borbottando frasi come "Io avrei fatto di meglio!" o "Il genio degli
Anderson si è bloccato alla prima generazione!".
Probabilmente,
come si ostinava a dire mia madre, lo faceva per spronarmi. Io credevo
lo stesse facendo nel modo sbagliato.
Con un sospiro mi chiusi la porta di casa alle spalle - Diavolo.. il
mio nuovo appartamento! - e mi fermai davanti l'ascensore per
chiamarlo. Ma qualcosa catturò la mia attenzione. Sulla mia
porta d'ingresso c'era un piccolo post-it giallo canarino che sembrava
contenere un messaggio. Incuriosito lo staccai con un gesto secco e lo
lessi
*Salve, giovane ragazzo
gay! Mi sono permesso
questa piccola trasgressione al codice etico del buon vicinato, per
augurarti una buona giornata. Così si fa al 2113 di Lower
East
Side tra inquilini, o almeno... così faccio io! A presto!
Kurt*
Mi scappò una risata senza che riuscissi a trattenerla e
strinsi
delicatamente il post-it tra le mani, lanciando un'occhiata alla porta
chiusa di Kurt. A quell'ora era sicuramente già a lavoro,
però... sarebbe tornato prima o poi, o no? Così,
rischiando
di arrivare tardi, tornai dentro, cercai tra le cianfrusaglie ancora
sparse nei cartoni - che non avevo avuto tempo di sistemare - trovai un
blocchetto di post-it colorati ed una penna. Mi mordicchiai un pollice
pensieroso per poi scrivere di getto una risposta, staccare il
foglietto e correre fuori. Lo appiccicai bene sul legno della porta e
soddisfatto tornai a premere il pulsante dell'ascensore. Ma lo trovai
occupato, così, sconsolato, decisi di scendere a piedi per
fare
prima. D'altronde, dopo aver trasportato decine di scatoli su e
giù senza quel coso, potevo tranquillamente usare le scale
senza
particolari problemi.
Scesi le prime tre rampe fischiettando -
sì, il messaggio inaspettato di Kurt, mi aveva notevolmente
migliorato l'umore - ma mi bloccai al piano inferiore, trovandomi di
fronte una ragazza
con tre buste in mano che tentava disperatamente di tenere aperta la
porta dell'ascensore. Le sorrisi gentile e mi affrettai ad aiutarla
"Aspetta... altrimenti così ti cade tutto!" l'avvertii,
mentre lei, appena sorpresa si imbronciava
"Il giorno in cui avrò bisogno dell'aiuto di un uomo per
portare
dentro la spesa, ti farò un fischio, ok?"
borbottò. Io la
guardai sorpreso. Ma cosa diamine prendeva alla gente quella mattina?
"Woah... ti chiedo scusa... speravo solo di... esserti d'aiuto. Ma se
non vuoi, fa niente!" scrollai le spalle leggermente offeso. Lei
sospirò e finalmente alzò gli occhi su di me.
Ebbe una
strana reazione perché li spalancò appena ed
arrossì leggermente
"Scusa!" mormorò subito, poggiando finalmente le buste per
terra, e passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata "Scusami,
davvero... sono stata pessima. É che oggi sembra andarmi
tutto
male... mi hanno bloccato il bancomat, ho rotto le calze vicino ad un
cespuglio e il supermercato aveva terminato il mio yougurt integrale
preferito!" e scosse la testa desolata. Le diedi un'occhiata veloce:
era leggermente più bassa di me, nonostante portasse un paio
di
zeppe colorate, le calze a fantasia le arrivavano al ginocchio, la
gonna gialla intonata al cerchietto che le teneva ferma la frangetta,
un top bianco ed un borsa a tracolla rossa. Sembrava una bambolina di
porcellana, con i suoi lunghi capelli castani e i grandi occhi da
cerbiatto. All'istante collegai quel viso alla descrizione che Kurt mi
aveva fatto la sera prima: doveva trattarsi della sua cara amica che
abitava al terzo piano. Le sorrisi senza remore
"Tranquilla... non me la sono presa, davvero!" le assicurai. Lei
annuì e poi parve illuminarsi per qualcosa perché
si
aprì in un piccolo sorriso emozionato
"Tu devi essere il nuovo affittuario del quarto piano, immagino!"
"Esatto... Blaine Anderson, piacere!" e le allungai una mano. Lei me la
strinse subito, sistamendosi la tracolla sulla spalla
"Rachel Berry... piacere mio!" si presentò
"Kurt mi ha parlato di te!" aggiunsi sperando di farle piacere, e
difatti sorrise emozionata
"Spero non ti abbia detto nulla di diffamatorio!" scherzò
"Figurati, semmai il contrario!" e le feci l'occhiolino per
rassicurarla, facendola arrossire ancora un pò. Stava per
rispondermi quando una piccola furia ci interruppe
"Mamma, mamma... vieni a vedere.. dalla finestra della cucina si vedono
meglio!" gridò concitata tirando la gonna della ragazza per
richiamare la sua attenzione. Spostai lo sguardo verso il basso e vi
trovai una graziosa bambina, quattro o cinque anni al massimo, con due
lunghe trecce ed un vestitino rosa confetto. Il musetto tirato in una
smorfia davvero buffa ma tanto adorabile. L'aveva chiamata mamma,
giusto? Quanti anni aveva quella ragazza?
"Lea, tesoro mio, te l'ho già detto. Nessun mostro
preistorico
minaccia la nostra incolumità... puoi stare tranquilla!"
borbottò la ragazza accarezzandole la testa, in un misto tra
l'esasperato e il divertito. Sorrisi spontaneo.
"Ma mamma, io li ho visti... erano davvero tanti... e sembravano tanto
cattivi!" si lamentò lei stringendo le braccia al petto e
mettendo il broncio. La ragazza roteò gli occhi e mi
accennò un sorriso stanco
"Ti prego di scusare l'irruenza di mia figlia... è una
piccola
peste senza controllo. Coraggio, piccola... saluta Blaine!" le
picchiettò delicatamente l'indice sulla testolina e
finalmente
la bimba parve accorgersi di me. Mi squadrò dalla testa ai
piedi
con un cipiglio confuso. Io mi inginocchiai per avere gli occhi
esattamente alla sua altezza e le sorrisi
"Ciao principessa... io mi chiamo Blaine, piacere. Tu, come ti chiami?"
le domandai piegando la testa di lato. Lei arrossì
vistosamente
e fece mezzo passo indietro poggiando le spalle alle gambe della madre
"Lea!" mormorò timidamente, cosa che mi fece sorridere
ancora di
più. Dio, se c'era una cosa che adoravo da impazzire dopo la
musica, era l'innocenza e la purezza dei bambini. Erano così
limpidi, ogni emozione si leggeva perfettamente sui loro volti senza
doverla andare a cercare. Quella bambina in particolare sembrava
così tenera e timida. Eppure la luce che gli intravedevo
negli
occhi mi fece immediatamente capire quanto fosse intelligente e
sveglia, nonostante tutto.
"Lea..." ripetei "Lo sai che hai un nome bellissimo?" le feci
continuando a sorriderle. Lei si attaccò ad una treccia
accennando un sorriso
"Me lo ha dato la mia mamma... piace anche a me!" rispose fiera.
Lanciai un'occhiata verso l'altro, e trovai Rachel che accarezzava
teneramente i capelli della piccola.
"Tu abiti qui?" mi domandò la bimba, facendosi coraggio.
Annuii con vigore
"Certo... proprio al piano sopra il tuo!" confermai. Lei si fece
titubante
"Ma lì ci abita Kurt... vivete insieme?" domandò
ancora,
confusa. Io e Rachel scoppiammo a ridere. Ecco, l'innocenza di
cui parlavo, appunto.
"No, tesoro... Blaine abita nell'appartamento accanto a quello di
Kurt... sono vicini di casa, come lo siamo noi e il signore che abita
lì!" le disse la madre, indicando la porta chiusa di fronte
a
lei. La bimba annuì piano, per poi lanciarmi un'occhiata
furtiva
"E allora se abiti anche tu qui, sei in pericolo, come lo siamo noi!"
mormorò mordendosi un labbro. Quella volta fui io ad
incuriosirmi
"In pericolo?"
"Pff... ignorala... è da stamattina che le è
presa questa
fissa dei mostri che tentano di invadere il nostro palazzo! Pensa che
appena ho aperto la porta si è fiondata in camera a cacciare
il
kit per il pronto soccorso!" mi spiegò Rachel con mezzo
sorriso
mentre la bambina era tornata combattiva a tirarle l'orlo della gonna
"Ma mamma, è la verità... sono grandi ed hanno le
zanne
anche in testa!" e fece grandi gesti per spiegarsi meglio. Mi venne di
nuovo da ridere, ma provai a mascherare con un colpo di tosse
"Tesoro, smettila... inizi a diventare seccante!" la ammonì
agitando l'indice. La bimba, mise su una smorfia arrabbiata ed
incrociò le braccia al petto
"Dimmi un pò, Lea... dove sono questi mostri?" le chiesi,
provando a darle corda. I miei amici me lo dicevano spesso: in alcuni
casi ero davvero un bambinone, e mi divertivo da matti a seguire il
filone delle buffe idee tirate fuori dalla bocca dei bambini. Erano
imprevedibili. La bimba parve illuminarsi perché si
portò
una mano davanti la bocca, per sembrare cospiratoria e
borbottò
"Fuori dal nostro portone... ci stanno aspettando!" io annuii complice
e le feci segno con la mano di avvicinarsi e lei non se lo fece
ripetere due volte
"Ti svelo un segreto, Lea, ma tu devi promettermi di non dirlo a
nessuno!" le feci a bassa voce. Lei si incorciò le dita due
volte davanti la bocca e sorrise in attesa
"Io sono uno scaccia-mostri professionista e sono venuto qui per
proteggere te e i tuoi amici. Adesso scendo giù e li mando
via così non potranno più farvi del male!" e le
feci
un occhiolino complice. L'espressione sul suo volto parve aprirsi
lentamente: spalancò gli occhi e la bocca per poi illuminarsi
"Davvero sei uno scaccia-mostri? Come quelli della tv?" mi chiese
elettrizzata
"Certo... proprio come quelli della tv!" confermai
"E hai anche tu il lanciafiamme?" domandò sempre
più
contitata sbattendo velocemente le palpebre e saltellando sul posto. Io
mordendomi un labbro per mascherare un sorriso, pichiattai la mano
sulla sacca che avevo poggiato a terra
"Tutto qui dentro!" le dissi. Lei guardò attentamente la
borsa
spostando il peso da un piede all'altro, come se stesse decidendo se
darmi credibilità oppure no. Probabilmente il sorriso mite
che
le rivolsi parve rassicurarla perché gli angoli della bocca
le
si sollevarono all'istante
"Mamma, hai sentito? Blaine ci salverà da quei mostri con le
zanne in testa!" saltellò gioiosa, sbattendo le mani. Io e
Rachel ci sbambiammo uno sguardo d'intesa e lei mi ringraziò
con
un cenno
"Ora però, devo proprio andare... il mondo ha bisogno di
me!"
esclamai risollevandomi in piedi e recuperando la sacca. Lea
spalancò di nuovo gli occhi
"Perché... ce ne sono degli altri di mostri come quelli?"
domandò stupita. Io annuii
"Certo... in ogni angolo della città... ma tu devi stare
tranquilla! Ora che ci sono io, nessuno sarà più
in
pericolo!" e le feci un mezzo saluto militare che la fece ridere di
gusto. Poi, tornando imbarazzata mi allungò una manina che
io
strinsi all'istante
"Gra-zie!" mormorò per poi scappare di corsa all'interno
dell'appartamento. La risata di Rachel si unì ben presto
alla
mia.
"Oddio... non l'avevo mai vista così loquace con un
estraneo...
voglio dire... mostra sempre una certa diffidenza verso le persone di
sesso maschile. Sarà perché inconsciamente odia
suo padre
per averla abbandonata e quindi..." abbassò la testa e si
aprì in un sorriso amaro. Io, appena a disagio per quella
confessione, provai a sdrammatizzare un pò
"Beh in un certo senso, tua figlia non si è smentita...
forse le
stò simpatico perché ha capito che sono gay!" e
scrollai
le spalle con naturalezza.
Ti prego, fa che non sia
omofoba, fa che non sia omofoba...
"Sei... gay?" domandò quasi sconvolta. Un'improvvisa stretta
allo stomaco mi fece sentire come al solito fuori posto. Maledetta la
mia boccaccia
"Sì?" feci io in risposta, cauto e appena spaventato. Ecco,
una
possibile bella amicizia, stroncata sul nascere a causa del solito
pregiudizio del cazzo. Lei, dopo qualche altro secondo di incertezza,
scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca
"Dio, che sciocca... dovevo capirlo. Eri troppo gentile per essere un
ragazzo etero!" esclamò tra le risate. Beh, il fatto che
stesse
ridendo, era una cosa positiva, no? "Mi hai perfino chiesto se mi
servisse aiuto con la spesa... se non è gay questo!" e
scosse la
testa. Ok, ero confuso. Mi stava facendo un complimento, oppure le sue
erano cattiverie velate dal sarcasmo. Lei parve notare la mia
espresione titubante, perché si affrettò ad
agitare le
mani e a parlare
"No, no... non fraintendermi, non ho nulla contro gli omosessuali,
anzi... sono figlia di due padri gay e perfino il mio migliore amico lo
è, che tra parentesi sarebbe anche il tuo vicino di casa!"
spiegò con calma e con un bel sorriso sincero. Sospirai
"Oh meno male.. stavo decidendo con quale delle tante armi nascoste
nella mia sacca, colpirti!" scherzai unendomi poi alle sue risate. Lei
sospirò teatralmente dopodcihé
riafferrò le borse
della spesa con tutte e due le mani
"Certo che la vita è proprio ingiusta... mi piazza nel
palazzo
due bellissimi ragazzi educati e gentili, mi fa illudere e poi mi fa
amaramente scoprire che sono entrambi gay. Questo è il
karma,
senza dubbio... in una vita precedente devo aver fatto del male a
qualcuno.. altrimenti non si spiega!" borbottò mentre
entrava
nell'appartamento per depositare le borse. Io ridacchiai, imboccando la
rampa di scale per scendere
"Buona giornata Rachel e.. felice di averti conosciuto!" la salutai. La
sua risposta mi arrivò quando ormai ero arrivato al secondo
piano
"Buona giornata anche a te Blaine... a presto!"
Uscii dal portone, fischiettando allegro. Certo, mi aspettava un'altra
estenuante giornata passata a scaricare ogni sorta di genere alimentare
in magazzino, però... ero sereno, e lo avrei fatto con il
sorriso sulle labbra. Mi avvicinai alla mia moto - che Sebastian mi
aveva gentilmente portato la sera prima, quando era venuto a sentirmi
cantare come al solito al pub - e staccai il casco dal gancio. Qualcosa
però colpì la mia attenzione: un gruppetto di
ragazzi
erano seduti su una panchina del marciapiede di fronte, giubbotti di
pelle neri, anfibi, jeans strappati ed impressionanti creste colorate
sulla testa. E allora capii: quelli erano i mostri di cui parlava la
piccola Lea. Sorridendo mi avvicinai a loro
"Ehi dico a voi... quanto volete per andarvene all'istante da qui?"
domandai loro, sperando non avessere fumato troppo per non capirmi. Uno
di loro mi guardò incuriosito perché fu l'unico a
parlare
"Venti dollari!" esclamò pronto. Sorrisi vittorioso, era
stato più facile di quanto pensassi
"Io ve ne do cinquanta e voi mi promettete di non farvi mai
più
vedere da queste parti, intesi?" proposi loro tirando fuori dalla tasca
i soldi e porgendoli al ragazzo che aveva parlato. Lui, sorpreso, mi
guardò, mi strappò i soldi di mano e si
aprì in un
sorriso entustiata
"Oh, amico... ci smaterializziamo all'istante. Forza, ragazzi...
andiamo!" e i suoi compari, senza neanche protestare, si alzarono e si
avviarono verso la strada. Prima di allontanarsi il ragazzo
però
mi sorrise, furbo, quasi avesse fatto l'affare del secolo
"Grazie fratello!" e raggiunse gli altri. Io sorrisi divertito,
ritornando alla moto ed infilandomi il casco.
"Prego, fretello... tanto quei cinquanta dollari erano falsi... da
Sebastian con amore!"
New
York City. 16 Marzo 2012. Ore 09.45 P.M. (Venerdì)
Con un sospiro stanco mi accasciai allo specchio dell'ascensore e
premetti il pulsante con il numero quattro per salire. Ero distrutto.
Quel giorno Chang mi aveva fatto girare quasi tutti gli atelier
maschili, alla ricerca di un completo elegante che potesse indossare
per la laurea di suo nipote. E d'accordo che ero il suo punto di
riferimento per questo tipo di cose e che - come lui stesso aveva
affermato - si fidava ciecamente del mio gusto in fatto di abiti, ma
quando è troppo, è troppo anche per uno come me.
Prima o
poi sarei esploso.
Avevo urgente bisogno di un bagno caldo e di qualcosa di altamente
calorico da ficcare in bocca. E poi avevo bisogno del mio cuscino,
l'unico uomo della mia vita a non abbandonarmi durante la notte. La
cabina sobbalzò appena, arrivata al piano ed io uscii
automaticamente. All'improvviso nel mio campo visivo si
registrò
uno scatto e mi ritrovai la figura di qualcuno prepotentemente ferma
sul posto ad aspettarmi. Ero pronto a strillare, fino a richiamare
l'attenzione di tutta la zona, ma un'acuta voce familiare mi fece
bloccare in tempo
"Da quando tu e il nuovo vicino sexy e gentile, vi scambiate messaggi
sdolcinati tramite questi buffi bigliettini colorati?" mi
domandò Rachel curiosa, sbattendomi in faccia un pezzo di
carta
che non riuscii bene ad identificare. Riuscii soltanto a vederne il
colore - un fucsia acceso - dopodiché spostai confuso lo
sguardo
su di lei
"Aspetta... cosa?" domandai a mia volta seriamente perplesso. Rachel lo
sapeva che dopo un'intera giornata di lavoro non connettevo, eppure
ogni volta sembrava dimenticarsene. Sbuffò, per poi
indicarmi
con un cenno il biglietto e così confuso lo afferrai. Non
era un
semplice biglietto fucsia, ma si trattava di un post-it, con su scritto
qualcosa
*Buongiorno a te,
vicino! Devo dire
che la mia giornata è iniziata splendidamente... le notti a
Lower East Side sembrano più magiche! Non preoccuparti,
comunque... trasgredisci pure quando vuoi, io non mi offendo :) B.*
Quando finii di leggere quel messaggio un nome mi echeggiò
limpido nella mente.
Blaine...
Sorrisi inconsapevolmente, felice che avesse apprezzato il mio gesto e
che non se la fosse presa. Anzi, aveva addirittura ricambiato... meglio
di quanto mi aspettassi.
"E allora? Ti decidi a spiegarmi?" si lamentò Rachel,
sbattendo
nervosamente il piede per terra. Nascosi prontamente il biglietto in
tasca - certo, come se lei non lo avesse già letto - e la
scansai per aprire la porta
"Dove l'hai lasciata tua figlia? Non dirmi che è sola a casa
in questo momento!" sviai abilmente. Lei sbuffò
"Non ci provare, Hummel... non mi freghi!" mi ammonì
caparbia "E
comunque Lea è da Tina, puoi stare tranquillo!" accennai un
sorriso per poi entrare finalmente a casa, dopo ben dodici ore da
quando vi ero uscito. Sentii i passi svelti ma decisi di Rachel
seguirmi a breve distanza
"Quindi?" mi incalzò. Io intanto mi stavo liberando della
tracolla e della giacca con tutta la calma che dispondevo
"E quindi... cosa?"
"Cos'è questa storia dei messaggini segreti? David lo sa?"
domandò agitandosi. Era curiosa da matti, glielo si leggeva
in
faccia. Ma purtroppo per lei, non c'era alcuna storia su cui
spettegolare
"Rachel, per piacere, non iniziare le tue scenggiate da drama queen,
perché non c'è nessun messaggino segreto. E cosa
c'entra
David adesso?" chiesi confuso. Lei sorrise sorniona
"Suppongo che il tuo
meraviglioso e dolcissimo
ragazzo fotografo, debba
iniziare a preoccuparsi visto il bel pezzo di vicino che ti
è
capitato!" e fece un cenno verso il pianerottolo. Io alzai gli occhi al
cielo. Inutile, eccone un'altra che odiava a morte David. Rachel e
Mercedes si erano incontrate solo un paio di volte, ma sospettavo
sarebbero andate molto d'accordo.
"E tu come fai a sapere che ho un... bel pezzo di vicino?" domandai
sorpreso. Lei ridacchiò lisciandosi una lunga ciocca di
capelli
tra le mani
"Incontrato stamattina. Stop. Carino da morire. Stop. Davvero ottima
impressione. Stop. Lea è letteralmente impazzita per lui.
Stop!"
telegrafò divertita, strappandomi un sorriso
"Lea?" chiesi curioso. Lei annuì con vigore e si
avvicinò
"Sì, Kurt... dovevi vederlo... le sorrideva, la guardava
negli
occhi in maniera così dolce e pacata, le ha perfino tenuto
il
gioco.. è riuscito a conquistarsi la sua fiducia in
pochissimi
minuti. Mai visto niente del genere!" era sbalordita, e anche io.
Sapevo che Lea, per via della sua brutta esperienza personale, non
aveva mai dato troppa confidenza agli estranei, nonostante per la sua
età fosse una cosa normale e spontanea. Erano gli uomini in
particolar modo a crearle problemi. Gli unici che sembravano fare
eccezione erano i suoi adorati nonni materni e... beh, io.
"Ci sa fare... dobbiamo ricornoscerglielo!" mormorai con un sorriso.
Lei annuì convinta
"E tra l'altro... ho saputo, così per caso, che il tuo nuovo
vicino sembra interessato al sesso forte... siamo a cavallo, no?" e
entusiasta batté le mani in un piccolo applauso. Io confuso
la
guardai male
"Mi sono perso qualche passaggio, credo... cosa c'entra il cavallo con
Blaine adesso?" domandai grattandomi la nuca. Lei ridacchiò
"Pensaci Kurt... un magnifico ragazzo gay si è appena
trasferito
sul tuo stesso pianerottolo. E dopo neanche un giorno siete
già
così in confidenza da arrivare a lasciarvi bigliettini
colorati
attaccati alla porta, perché non negarlo... ci sono arrivata
perfettamente da sola che quel post-it è la risposta a
qualcosa
che gli avevi scritto tu per primo!" e mi puntò il dito
contro
con tono minaccioso. Io mi morsi la lingua e lei prese il mio silenzio
come una confessione
"Dovrà pur significare qualcosa, no? Io credo sia arrivato
il
momento giusto per mollare quella zavorra del tuo ragazzo e di cedere
ai fumi della passione travolgente che Blaine sembra spruzzare da ogni
poro!" esclamò maliziosa, con un piccolo occhiolino.
Indignato
spalancai gli occhi
"Rachel... per l'amor di Lady Gaga, ma ti ascolti quando parli?"
domandai scandalizzato. Mi sarei tappato le orecchie con le mani, ma mi
sembrava fin troppo esagerato
"Perché, che ho detto?"
"Non c'è nessun motivo al mondo per il quale io debba
lasciare
David per via di... un ragazzo vagamente carino che si è
appena
impiantato a meno di tre metri da me!" mormorai gesticolando.
"Vagamente carino?" sbottò lei, indignandosi a sua volta
Ecco, sì,
forse ho esagerato...
"Rachel!" gracchiai
"Kurt... sarei pronta a dartene mille di buoni motivi per cui tu debba
lasciare quel pallone gonfiato!" esclamò puntandomi ancora
l'indice contro. Glielo avrei tagliato un giorno o l'altro quel dannato
dito
"Sentiamo... sono davvero curioso!" le concessi alzando gli occhi al
cielo
"Partiamo dal primo? Beh... è maleducato e davvero, Kurt, io
non
so come tu faccia a sopportarlo. Due... è presuntuoso, vuole
stare sempre al centro dell'attenzione e te lo dice una che di
attenzione ne vorrebbe ricevere a vagonate ogni giorno. Tre...
è
un incapace, riuscirebbe a rovinare perfino la più perfetta
delle occasioni. Quattro... è ossessivo, sbarra
possessivo...
gli manca davvero poco così prima che diventi uno stalker...
dimmi, Kurt, devo continuare?" mi sfidò incorciando
teatralmente
le braccia al petto. Io sospirai. D'accordo, quattro su quattro, era
stata brava, bisognava concederglielo.
"No... credo sia sufficiente!" borbottai passandomi stancamente una
mano sulla faccia. Odiavo quando le persone dimostravano di avere
ragione. E odiavo ancora di più quando avevano ragione su
David.
Semplicemente confermavano qualcosa di cui io ero già a
conoscenza
"E considera che ho tralasciato di proposito il motivo più
importante..." aggiunse alzando un sopracciglio io la guardai eloquente
per farla continuare "Tu non lo ami!" sentenziò asciutta. Io
feci un profondo respiro per evitare di dare di matto. Quella
discussione mi agitava terribilmente. Ma la cosa che più in
assoluto mi turbava, era il fatto che non riuscissi a trovare alcuna
argomentazione per ribattere
"Rachel ascolta... non per essere scortese ma... ho passato una
giornata infernale e sono stanco. Vorrei solo rilassarmi un
pò... quindi ti spiacerebbe se rimandassimo questa
conversazione
ad un altro momento?" tentai esasperato. Lei sospirò
"D'accordo, ti lascio riposare. Ma non credere sia finita qui. Vi
terrò d'occhio... sia te che Blaine!" mi avvertì
con un
sorriso. Ricambiai e l'accompagnai alla porta. Ci scambiammo un breve
abbraccio prima di salutarci
"Kurt, io ti voglio bene e vorrei soltanto che al tuo fianco ci fosse
la persona giusta... quella che più ti merita. Non
prendertela
se mi preoccupo per te, ti prego!" mi sussurrò
nell'abbraccio.
Io sorrisi commosso
"Lo so, Rachel... e ti ringrazio!" le lasciai un bacio sulla guancia e
prima che potesse imboccare le scale per scendere al suo piano le dissi
"Ti voglio bene anche io, tesoro!" e lei semplicente sorrise e
andò via. Chiusi la porta con un sospiro e mi appoggiai al
legno, chiudendo gli occhi.
Quella si era rivelata una giornata infernale, ed ero letteralmente a
pezzi. Senza dubbio la chiacchierata con Rachel e la sua ennesima
ramanzina su quanto David fosse sbagliato per me e quanto fossi stupido
io a starci ancora assieme, non ci voleva proprio. Non aveva fatto
altro che aggiungere altro peso al già immane macigno che mi
portavo addosso. Ormai sospettavo che un semplice bagno caldo non
sarebbe bastato per rilassarsi.
Inconsciamente feci scivolare una mano in tasca e subito toccai il
biglietto. Lo tirai fuori e lo lessi per la seconda volta, facendo
attenzioni a particolari che prima non avevo notato: la grafia tonda e
morbida, le o paffute, le a non chiuse, le t tagliate esattamente a
metà. Il sorriso che aveva lasciato a fine messaggio diceva
tutto di lui: era solare, cordiale, gentile. Proprio come aveva detto
Rachel. E poi, si era firmato semplicemente con una B, sicuro che tanto
io avrei ugualmente capito.
Di B che mi sorridono e
mi fanno sorridere così solo per un banale post-it fucsia,
ce n'è soltanto uno...
Senza pensaci troppo, staccai un altro post-it giallo e scarabbocchiai
una frase dopodiché con un fulmineo scatto aprii la porta,
appiccicai il biglietto sulla sua, e mi richiusi in casa con il cuore a
mille, quasi avessi appena combinato un guaio irreparabile. Soltanto
che, invece di piangere e preoccuparmi, iniziai a sorridere con il
cuore un pò più leggero.
New
York City. 16 Marzo 2012. Ore 0.12 A.M. (Venerdì)
Parcheggiai la moto proprio sotto il portone, ringraziando qualunque
Dio di qualsiasi religione, mi avesse fatto quel regalo a fine serata,
e
strisciando i piedi entrai nell'ascensore. Quella sera non avrei
neanche mangiato. Avevo talmente tanto sonno e un dolore
così
intenso alle ossa - per via di quel maledetto trasloco del giorno prima
- che mi sarei direttamente fiondato nel letto, non appena avessi
aperto la porta. E l'intento era proprio quello, se solo qualcosa, una
volta uscito dalla cabina, non avesse attirato la mia attenzione. Un
altro post-it giallo.
*Visto che ho il tuo
benestrare per
quanto riguarda le trasgressioni, mi sento in dovere di augurarti anche
la buonanotte. E ricordati che le seconde notti a Lower East Side, sono
sempre le migliori. ;) K.*
Sorrisi lanciando un'occhiata alla sua porta ancora chiusa, avvertendo
uno strano calore al petto. Era davvero divertente quella sottospecie
di corrispondenza che avevamo iniziato quel giorno. Sinceramente
iniziai a sperare che non finisse mai. Mi serviva una piccola routine
in tutta quella novità. Entrai in casa per afferrare carta e
penna dopodiché attraversai il pianerottolo per attaccare il
biglietto, ma prima che potessi farlo la sua porta si aprì e
mi
ritrovai davanti un paio di splendidi occhi azzurri ed un piccolo
timido sorriso. Scoppiai a ridere, rimanendo perfettamente in silenzio
e con un gesto pieno di naturalezza, allungai la mano per appiccicare
il post-it - rigorosamente fucsia - sulla sua fronte. Lui - che io
avevo immaginato reagire nel peggiore dei modi, sbraitando per
quell'azione tanto spropositata e avventata - alzò gli occhi
verso il biglietto, quasi sperasse di leggerlo da lì, lo
staccò con un sorriso divertito e lo lesse.
*Così come
migliori sono i vicini! :P B*
c'era scritto. Lui, senza dire una parola, mi fece segno di aspettare,
corse in casa a prendere qualcosa e tornò poco dopo con un
post-it - giallo, ovvio - che senza pensarci, mi attaccò sul
petto, all'altezza del cuore. Prima di staccarlo e leggerlo gli lanciai
un'occhiata divertita che lui ricambiò all'istante
*Anderson non ci siamo
proprio... troppa confidenza già dal secondo giorno. Non va
affatto bene :P*
Mi portai una mano alla bocca per coprire la risata,
dopodiché
con un occhiolino mi allontanai. Potevamo decretare conclusa la
sessione di post-it giornaliera. Adesso potevo dire di non vedere l'ora
di alzarmi l'indomani per iniziarne un'altra.
"Buonanotte Kurt!" mormorai lanciandogli un ultimo sguardo dalla porta
d'ingresso, prima di chiudere
"Buonanotte a te, Blaine!"
E ora sì, che
la giornata può ritenersi conclusa...
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Capitolo 7 *** Vino bianco e pesce al cartoccio ***
(...) Cena
Buonasera
a tutti... dopo un'estenuante giornata passata fuori di casa (e di
conseguenza lontana dal mio adorato pc!) rieccomi per il promesso
aggiornamento del Mercoledì. Dunque... capitolo abbastanza
interessante, soprattutto perché "qualcuno"
inizierà a cedere un pò e a far capire qualcosa
di più del proprio passato.. chissà chi! Sono
davvero contenta che la storia dei post-it sia piaciuta così
tanto... io mi sono divertita immensamente a scriverla, Kurt, l'ha
messa in mezzo.. dovete ringraziare entrambi XD Non mi sembra di dover
dire molto altro, per questo ciancio alle bande, buona lettura. Grazie
come sempre a chi mi segue ma soprattutto a chi lascia un segno
tangibile con le magnifiche recensioni che leggo e che ogni volta mi
riempiono il cuore. Siete voi la mia ispirazione ;)
P.s.
Ci vediamo Sabato
(sono stata minacciata dalla mia stalker (Tamara ^^), quindi
ringraziate lei, perché io altrimenti avrei aggiornato
Domenica!) XD
New York City. 19
Marzo 2012. Ore 09.58 P.M. (Lunedì)
Ero
dilaniato,
dall'interno. Avevo un dolore insopportabile all'altezza del petto che
non riuscivo a scacciare via neanche più con le lacrime.
Avevo
discusso con David
- di nuovo - ero oberato di lavoro da più di due settimane,
non
riuscivo a dormire come avrei voluto e, dulcis in fundo, era arrivato
Max, il nuovo stagista tutto fare, il pupillo dell'agenzia e il
perfetto collaboratore di Mister Chang.
Quello era
uno di quei
momenti in cui avrei voluto mettere in valigia quattro vestiti,
prendere l'aereo e partire, per andare ad abbracciare qualcuno di
familiare che mi avrebbe potuto sorridere e far sentire meglio. Peccato
che subito dopo la solita amara consapevolezza mi colpiva
all'improvviso: io non avevo più nessuno, e quindi... chi
mai
avrei potuto raggiungere?
Dio, papà..
quanto mi manchi...
Mentre
camminavo
sul marciapiede che costeggiava la fila di palazzi della mia strada,
avvertii ancora la voglia di piangere. Era un periodo nero per me e in
più ci si metteva quella assurda voglia di contatto umano -
di
vero, genuino, complice contatto umano - talmente tanto forte da far
tremare le gambe. Mi vergognavo come un ladro per questo: avevo un
fidanzato che avrebbe potuto tranquillamente pensarci, ma l'unica cosa
che volevo era allontanarmi il più possibile da lui e dalla
sua
presenza tossica e asfissiante. Avevo sviluppato una sorta di costante
insofferenza nei suoi confronti che, più il tempo passava,
più si ingigantiva e peggiorava. Prima o poi avrei dovuto
fare i
conti con la realtà e decidermi ad affrontare il discorso
con
David. Glielo dovevo, ma soprattutto lo dovevo a me.
Entrai
nell'ascensore con
un sospiro e mi poggiai con la schiena allo specchio, chiudendo per un
istante gli occhi. Venni avvolto da una leggera nuvola di profumo che
mi fece inconsapevolmente sorridere
Blaine..
Doveva
essere passato da
lì poco prima perché il suo profumo era ancora
perfettamente intatto. Annusai avidamente l'aria, sospirando beato e
riaprii gli occhi solo quando una leggera scossa mi avvertii che
eravamo giunti al mio piano. Uscito dalla cabina, lanciai un'occhiata
alla mia destra e quello che vidi mi fece sorridere intenerito. Fermo
sulla soglia di casa sua, c'era Blaine, che mi dava le spalle, con un
enorme pacco tra le mani, la custodia della chitarra inforcata sulla
spalla, una busta trasparente legata al braccio e l'orecchio
schiacciato contro la spalla, impegnato in una telefonata. E in tutta
quella confusione cercava disperatamente di infilare la chiave giusta
nella toppa della porta senza farsi scappare nulla dalle mani. Era
così buffo, tutto storto e all'apparenza in
difficoltà
che mi venne spontaneo avvicinarmi
"Sì
mamma, te l'ho
detto.. puoi venire quando vuoi, anche se papà è
impegnato con il lavoro.. qui di posto per te ce n'è
sempre.."
stava parlando al telefono, con la voce affaticata. Forse quel pacco
enorme che stringeva al petto doveva pesare davvero. Gli picchiettai un
dito sulla spalla e lui finalmente si girò verso di me,
confuso.
Non appena mi vide si aprì in un sorriso a dir poco
incantevole
e limpido che mi fece tremare appena le gambe.
Dio, da
quant'è che non mi capita di provare una cosa
così? E si è limitato a sorridermi...
"Serve una
mano?"
domandai in un sussurro per non disturbare la sua conversazione. Lui
ridacchiò, arrossendo appena e mormorando un
"Magari!"
così io mi sbrigai a recuperare il mazzo di chiavi dalle sue
mani e aprii finalmente la porta dell'appartamento
"No, mamma,
non esiste
che io torni a Westerville per Natale quest'anno... Il panificio ed il
supermercato sono aperti fino al ventiquattro e il pub non chiude
neanche a capodanno! Non posso permettermi di assentarmi, non ora!"
spiegò concitato, arrancando a stento verso il tavolo del
soggiorno per posare il pacco e poi liberarsi della chitarra,
finalmente afferrando il cellulare in mano. Io molto discretamente
poggiai il mazzo di chiavi sul mobiletto dell'ingresso e gli accennai
un saluto con la mano, per fargli capire che me ne stavo andando. Lui,
però, mi fece segno di aspettare e mi rivolse un altro
incredibile sorriso che mi fece perdere un altro battito. Quel ragazzo
per caso frequentava dei corsi specifici per quello? Si allenava di
notte? Certo, lavorare in un locale frequentato da ragazzine in piena
crisi ormonale e donne attempate ormai disilluse dalla perfetta vita
coniugale, poteva aver sviluppato in lui una perfetta propensione
nell'arte del flirt. Ammiccare a chiunque, sempre e per qualsiasi
motivo. C'era gente al mondo che sarebbe andata avanti solo grazie a
quello. Blaine, rientrava perfettamente nella categoria.
"D'accordo,
prometto di
stare attento, di non fumare e di non seguire i consigli di Sebastian!
Adesso però devo lasciarti. A presto, mamma, un bacio!
Saluta
papà!" e con una risata distesa mise giù.
Dopodiché puntò gli occhi nei miei e mi sorrise
allegramente
"Dì
un po',
vicino.. Come fai a spuntare fuori dal nulla proprio al momento giusto?
È un caso oppure passi le tue giornate dietro la porta a
controllarmi dallo spioncino?" mi domandò divertito. Io
scoppiai
a ridere, per la prima volta dopo non so quanto tempo e il suono della
mia risata fu quasi surreale anche per me. Non riuscivo quasi
più a ricordarla
"Sinceramente
al caso io non ci ho mai creduto!" scherzai scuotendo la testa. Fu il
suo turno per ridacchiare
"Allora
siamo in due!" e mi fece l'occhiolino. Altra botta al cuore. Altro giro
altra corsa.
"Come mai a casa a quest'ora? Non dovresti essere al pub?" domandai
curioso. Lui si morse un labbro, leggermente imbarazzato e si
grattò la nuca
"Ehm... se ti confesso un segreto, prometti... di non dirlo a nessuno?"
mi fece allora accennando un sorriso. Io annuii immediatamente e lui
sospirò
"Ho rifilato una bugia a Puck stasera... gli ho detto che non mi
sentivo molto bene e che preferivo rimanere a casa!" e
scrollò
le spalle.
"E perché mai lo avresti fatto?"
"Beh... ti capita mai di essere stanco di tutto e di tutti e di sentire
l'esigenza di... prenderti una pausa?" mi domandò
guardandomi
diritto negli occhi. Io spalancai appena i miei, perché,
diamine, era esattamente ciò che avevo pensato per tutto il
giorno. Possibile che io e Blaine ci fossimo trovati a provare la
stessa cosa nello stesso giorno? Era surreale, davvero.
"Mmmm..." biascicai a testa bassa. Non volevo di certo mettermi a
piangere di fronte a lui, ma quel giorno mi sentivo così
maledettamente vulnerabile, e l'aver capito che in fondo anche lui lo
fosse - lui con il suo sorriso genuino, la sua risata fresca, i suoi
occhi limpidi e sinceri - beh, ingenuamente mi fece sentire meno solo.
"Sì, lo so a cosa stai pensando... che sono uno
scansafatiche
irresponsabile, però ti posso assicurare di non aver
lasciato
Puck senza la sua musica... mi sono fatto sostituire da un amico e
prometto di farmi perdonare domani sera!" e mi rivolse un timido
sorriso, quasi volesse scusarmi. Mi ritrovai ad arrossire
inconsapevolmente
"Blaine, tranquillo... non c'è bisogno che ti giustifichi
con
me... ti capisco perfettamente. Non sai quanto vorrei prendermi una
pausa da... tutto questo, proprio come hai fatto tu!" ammisi sincero
"E allora fallo!" mormorò in risposta lui, automaticamente.
Sorrisi amaro
"Se potessi permettermelo, lo farei, credimi!" risposi con un sospiro.
Lui mi guardò attentamente per qualche secondo per poi
tornare a
sorridermi gioioso
"Ti
fermi a cena?" mi chiese cambiando discorso con tutta la
tranquillità di cui disponeva. Lì, su due piedi
rimasi di
sasso. Di certo non mi sarei mai aspettato un cambio di rotta del
genere e con quella naturalezza. Cioè... mi aveva davvero
invitato a cenare con lui? Eravamo già arrivati a quel
livello
di confidenza?
Senza sapere il perché mi ritrovai ad annuire e ad accettare
il
suo invito, rivolgendogli un sorriso mite che lui ricambiò.
"Chiudi la porta allora e accomodati!" mi disse recuperando la busta e
sparendo in cucina. Io, riprendendomi dal mio momentaneo attimo di
paralisi - maledetto sorriso! - mi richiusi la porta alle spalle e mi
liberai della tracolla posandola a terra, accanto al portaombrelli.
Con
un sospiro stanco mi affacciai in cucina, dove lui stava armeggiando
con un paio di padelle ed un tagliere
"Suona
troppo indiscreto
se l'ospite domanda al padrone di casa cosa intende cucinare?" domandai
infilando le mani nelle tasche dei jeans. Lui sorrise, le fossette ai
lati della bocca
"No, certo
che no... ma
se hai pazienza, preferirei non dirtelo e farti una sorpresa!"
affermò gasato, tirandosi su le maniche della maglietta e
lavandosi le mani nel lavandino.
"Il mio
vicino sa
cucinare?" domandai scettico per provocarlo un po'. In effetti me lo
immaginavo perfettamente in veste di cuoco, chissà
perché. Lui fece un sorriso divertito, asciugandosi le mani
con
una salvietta colorata e aprì la busta misteriosa che aveva
salito a casa assieme al pacco e alla chitarra.
"Scherzi? Io
sono un asso
ai fornelli. Pensa che Daniel, il ragazzo di Sebastian, si è
quasi messo a piangere quando ha saputo che avrei lasciato
l'appartamento, perché... parole sue... non potrebbe vivere
allo
stesso modo senza la mia cucina!" e soddisfatto tirò fuori
un
pacchetto di carta bianco accuratamente arrotolato
"Spero tu
non sia allergico a nulla!" esclamò lanciandomi uno sguardo
preoccupato
"Figurati!
Sono
sopravvissuto per sei anni alla mia pessima cucina... Potresti propormi
perfino uno scoiattolo, ed io lo apprezzerei ugualmente!" risposi
suscitando le sue risate. Incredibile quanto fossero belle e
contagiose.
Non hai nulla che ti preoccupa nella tua vita, vero Blaine? Altrimenti
come faresti ad essere così... dannatamente rilassato?...
"Niente
scoiattoli questa
sera, mi dispiace!" mi informò divertito "Stasera lo chef ha
previsto qualcosa di un tantino più... raffinato!" e mi fece
l'occhiolino, srotolando la carta con cura. Io curioso mi affacciai per
sbirciare cosa mai ci fosse e subito intravidi l'occhietto vitreo di un
bellissimo pesce, abbastanza grande, che mi fissava da sopra la carta.
Trattenni a stento un sorriso
"Dio... adoro il pesce!" mormorai mentre lo stomaco borbottava
allegramente, allettato da quella vista. Blaine aprì il
getto
dell'acqua per ripulirlo e ridacchiò sollevato
"Meno male... ti avrei negato il saluto in futuro se mi avessi detto
che non ti piaceva!" esclamò divertito
"Ti posso dare una mano? Ti prego... non farmi sentire un perfetto
idiota che ti guarda mentre cucini!" lo implorai avanzando di qualche
passo. Lui si guardò in giro, forse per trovarmi qualcosa da
fare, per poi rispondermi
"Puoi apparecchiare la tavola, se vuoi... guarda, trovi tutto nei primi
due cassetti lì sotto!" e mi indicò un mobile
accanto al
forno. Io recuperai la tovaglia, un pacco di tovaglioli di carta e le
posate e domandai
"Mangiamo qui in cucina?" lui si voltò a guardarmi per poi
guardare il piccolo tavolo, pensieroso. Il suo sguardo fece un breve
tragitto, prima posandosi su di me per poi spostarsi oltre la porta
della cucina
"C'è un tavolo anche fuori, sul terrazzo, se vuoi..."
mormorò con mezzo sorriso. Io annuii, sinceramente colpito
dalla
sua bella idea e mi diressi spedito verso il balcone. Effettivamente
c'era un bel tavolino di plastica, quadrato e quattro sedie impilate
l'una sull'altra. Lo ripulii un pò con dei tovaglioli per
poi
sistemare la tavola con cura e precisione. Certo, non sapevo cucinare,
ma almeno la soddisfazione di metterci un pò di classe nella
preparazione della tavola... era il minimo. Tornai dentro a recuperare
dei bicchieri, mentre Blaine era intento ad avvolgere il pesce nella
carta argentata. Anche vederlo ancora crudo metteva l'acquolina in
bocca. Provando ad ignorare il fatto che passando vicini ci eravamo
scambiati quasi inconsapevolmente un sorriso, ritornai sul terrazzo e
mi fermai ad osservare la città brillare nelle luci della
notte.
Tutti quei colori che risaltavano nonostante il buio, i fari delle
macchine, i rumori della vita. Quella era New York ed io mi rendevo
sempre più conto di viverci da ben sei anni, di averlo
sognato
da sempre, ma di non essermela mai davvero goduta a pieno. Potevo dire
di vivere a New York ma non di essere un newyorkese. Alcune volte,
soprattutto in momenti come quello, mi chiedevo se la voragine che
avvertivo nel petto, dipendesse dal fatto che sentissi davvero la
mancanza di Lima, del mio piccolo mondo circolare e chiuso,
così
stretto nelle sue mentalità, così maledettamente
ipocrita
e cattivo, eppure così familiare. Era da quando era morto
mio
padre che non ci tornavo. E non saputo dire con certezza se ci sarei
mai davvero tornato. Non avevo motivi per farlo, non c'era
più
nulla che mi legava a quel posto. Eppure... neanche New York aveva
nulla che sembrava trattenermi, ma vi rimanevo ugualmente. Era paura la
mia? Temevo di ripiombare nell'apatia che aveva caratterizzato la mia
intera adolescenza passata a Lima e soprattutto al McKinley,
allontanandomi dalla grande mela? Come potevo arrivare a provare
sentimenti così contrastanti nello stesso momento?
Questo è ciò che provano le persone che si
sentono
incomplete, suppongo... quelle che non riescono a trovare il loro posto
nel mondo...
Mi tornò alla mente quella voglia inspiegabile di contatto
umano
che avevo avvertito anche poco prima, tornando a casa. Ma di cosa avevo
esattamente bisogno? Di un abbraccio? Di un bacio? Di una carezza? Di
cosa, Kurt?
"Ci vogliono una quindicina di minuti e poi sarà pronto!" mi
avvertii una voce alle mie spalle che mi fece sobbalzare. Mi portai una
mano sul cuore mentre mi giravo a guardare Blaine avanzare con una
bottiglia di vino tra le mani. Mi lanciò un'occhiata
colpevole e
si affrettò a dire
"Oddio, scusa... non volevo spaventarti!" io scossi la testa con un
leggero sorriso
"No, tranquillo... capita a volte che mi estranei totalmente dal
mondo... non riesco a capire come, ma... succede molto più
spesso ultimamente!" mormorai scrollando le spalle. Lui mise su una
smorfia pensierosa, armeggiando con un apribottiglie di metallo
"Problemi sul lavoro?" domandò in tono leggero. Non sembrava
la
domanda di un impiccione. Più che altro sembrava un amico
sinceramente preoccupato per un amico. Ed io non ci ero molto abituato.
Certo, avevo Rachel che si impicciava spesso dei fatti miei, che
domandava, che indagava curiosa, ma... di amici maschi... beh, non ne
avevo mai avuti. Diciamo che fino a che avevo vissuto a Lima, nessun
sano di mente avrebbe osato avvicinarsi ad un ragazzo omosessuale, che
avrebbe rischiato di contagiarli con il suo male; da quando ero andato
a vivere a New York aveva pensato che tutto sarebbe cambiato, che avrei
potuto trovare anche io un gruppo di amici, di entrambi i sessi, ne
sentivo un disperato bisogno. Ma poi era arrivato David, e questo aveva
chiuso amaramente il cerchio.
Sospirai spostando di nuovo lo sguardo sull'East River illuminato dai
lampioni della strada e dei battelli ancorati a riva
"Alzi la mano chi non ha mai avuto problemi in quel campo!" scherzai
sollevando un sopracciglio. Mi resi conto troppo tardi di aver calcato
un pò la mano e che la voce mi era uscita fuori
eccessivamente
acida. Così, maledicendo me stesso, gli lanciai un'occhiata
allarmata. Lui mi guardava in un misto tra il sorpreso e l'imbarazzato.
Non riuscii neppure a sostenere troppo il suo sguardo,
perché mi
spostai a guardare la bottiglia che stringeva con una mano, alla quale
stava lentamente sfilando il tappo di sughero
"Mmmm... devo dire che è sempre un tantino scioccante
trovare
tanta amarezza nella voce di un ragazzo di soli venticinque anni!"
mormorò facendo pressione con l'apribottiglie e quello si
sfilò con un delicato "pop"
"Ma, ovviamente... questo non è affar mio e pertanto...
facciamo
finta di niente e pensiamo a goderci questo vino!" avvertii
distintamente la sua voce accompagnata da un sorriso e trovai il
coraggio di rialzare lo sguardo. Stava versando il vino - bianco! - nei
bicchieri e alla fine me ne porse uno. Io lo afferrai, rabbrividendo
appena nel momento in cui le nostre mani si sfiorarono per caso. E
sempre per caso mi ritrovai ad arrossire. Lui assaggiò un
goccio
di vino dal suo bicchiere e fece una smorfia di apprezzamento
"Maledizione... quello stronzo di Sebastian ha avuto ragione anche
questa volta!" e ridacchiò colpito, scuotendo il capo.
Evidentemente si riferiva ad un discorso fatto con il suo amico, quello
del trasloco, e per questo me ne rimasi in silenzio ad assaggiare il
mio bicchiere. Era buono, davvero... fresco ed effervescente, proprio
l'ideale da bere con il pesce.
"Vi conoscete da molto tempo tu e Sebastian?" me ne uscii fuori con
quella domanda, passandomi il bicchiere fresco sulla guancia
distrattamente. Lui mi guardò perplesso per qualche secondo,
facendomi arrossire. Perché mi guardava in quel modo? Che
avevo
detto?
"Fammi capire una cosa, Kurt... ma il nostro è un rapporto
unilaterale?" mi domandò perplesso
"C-cosa?"
"Parliamo solo ed esclusivamente di me, di quello che faccio, del mio
passato... io di te non so praticamente nulla, se non che lavori presso
un'agenzia di moda e che sei fidanzato con un certo David. E di certo
non ti costringerò mai a parlarmi di cose che non vuoi,
ma...
suppongo che un minimo di confidenza ce la possiamo permettere, visto
che ti ho appena invitato a cenare a casa mia, non credi?" mi fece
poggiando la schiena al tavolo ed incrociando le braccia. Io sorpreso,
spalancai appena gli occhi. Mai mi sarei aspettato una reazione simile
"Quindi tu... mi hai chiesto di rimanere a cena da te...
affinché io ti raccontassi i fatti miei?" domandai confuso.
Lui
fece una smorfia, quasi offesa
"Certo che no, Kurt, per chi mi hai preso? Però non ti
nascondo
che per una volta vorrei essere io a scoprire qualcosa di te...
qualcosa che non so!" e si strinse nelle spalle. Sembrava appena
deluso, ma non sembrava mi stesse accusando di qualcosa. All'improvviso
mi resi conto che in effetti non gli avevo raccontato praticamente
nulla di me. Probabilmente lo avevo fatto senza pensarci. O molto
più probabilmente ne ero consapevole e non volevo
ammetterlo.
Era difficile aprirsi con qualcuno che non si conosce. Eppure... lui lo
aveva fatto, mi aveva raccontato un pò della sua vita. Lo
avrei
trovato così facile anche io?
"Comunque, non importa dai... non roviniamoci la serata!" si
aprì in un sorriso e poi bevve un altro sorso di vino "E per
rispondere alla tua domanda... sì, io e Sebastian ci
conosciamo
dal secondo anno delle superiori.. abbiamo frequentato la stessa scuola
e siamo stati perfino insieme per un periodo.. Poi dopo il diploma ci
siamo trasferiti qui ed abbiamo convissuto sotto lo stesso tetto fino a
che io non ho preso in affitto questo appartamento!" spiegò
tranquillamente, come a voler sottolineare di non aver alcun problema a
parlare di sé, che non era poi così brutto. Forse
fu
questa consapevolezza, o molto più probabilmente il sorriso
che
mi rivolse, che mi fecero trovare il coraggio per aprire la bocca
"Io... sono nato e cresciuto a Lima... in Ohio!" mormorai stringendo
tra le mani il bicchiere ancora mezzo pieno. Lui mi guardò
confuso, aprendo un paio di volte la bocca senza emettere alcun suono.
Sì, immaginavo quella reazione
"Sei... sei anche tu dell'Ohio?" mi domandò sorpreso. Io
annuii
molto lentamente "Ma... perché non me lo hai detto subito?"
"Ecco io... non ho un bel ricordo di quella città e per
questo... preferisco evitare di pensarci, quando è
possibile!"
confessai, mordendomi un labbro, incredibilmente nervoso
"O-okay... credo di capirti... l'Ohio non è uno Stato
particolarmente famoso per la sua apertura mentale nei confronti
dell'omosessualità!" affermò cercando di trovare
da solo
un senso alle mie parole. Avrei voluto dirgli che non era soltanto
questo il motivo... ma non ebbi il coraggio di parlare
"Però... ci tornerai spesso! Voglio dire... per andare a
trovare
i tuoi genitori!" esclamò pratico. Avvertii distintamente
una
morsa stringermi le budella ed io automaticamente aumentai la presa
attorno al bicchiere rischiando di mandarlo in mille pezzi. Abbassai lo
sguardo, pregando una divinità alla quale non avevo mai
creduto
- seppure fosse mai esistita! - di non farmi piangere. Almeno non
davanti a lui. Sapevo essere forte per tante cose. Sapevo ignorare, far
finta di niente, stringere i denti e sopportare il dolore. Ma il
ricordo dei miei genitori rimaneva e sarebbe per sempre rimasto, il mio
tallone d'Achille.
"O-oh... merda! Mi sa che ho appena fatto una gaffe!"
mormorò
Blaine dopo qualche secondo di mutismo generale, così mi
ritrovai ad alzare lo sguardo e a ritrovarmi i suoi occhi preoccupati e
dispiaciuti, incollati ai miei "I tuoi sono...?" ma non
riuscì a
completare la frase ed io non riuscii a dire nulla, limitandomi
stupidamente ad annuire. Lui sospirò poggiando il bicchiere
sul
tavolo e passandosi una mano tra i ricci
"Mi dispiace, Kurt! Io... io sono inopportuno, l'essere più
inopportuno dell'intero universo e se non imparo a chiudere questa
dannata boccaccia..." si agitò, ma io mi ritrovai
stranamente a
sorridere intenerito e ad intervenire
"Tranquillo, Blaine... tu non c'entri nulla... non potevi saperlo!"
affermai con più serenità di quanto mi
aspettassi. Lui
mormorò qualcosa sottovoce, torturandosi le mani. E allora
decisi che era il caso di andare avanti. Glielo dovevo, e soprattutto
lo dovevo a me. Dovevo provare a fidarmi di qualcuno, e Blaine sembrava
adatto.
"Mia madre... lei è morta quando avevo otto anni circa. Da
allora sono cresciuto soltanto con la presenza di mio padre accanto che
ha cercato con tutte le sue forze di non farmi mancare mai niente. Mi
ha sempre... sostenuto e accettato nonostante la mia
sessualità
e beh... è stato il miglior padre che potessi chiedere!"
sorrisi
nostalgico, richiamando alla memoria il suo viso gioviale e la sua
espressione costantemente burbera ma maledettamente dolce. E ancora una
volta avvertii la voglia di mettermi a piangere
"Questo fino a che un secondo infarto non se l'è portato via
sei
anni fa!" conclusi amaramente, mandando giù un altro sorso
di
vino
"E sei figlio unico?" mi domandò ancora un pò
turbato dalle mie parole
"Esatto... praticamente non ho alcun legame con quella
città...
per questo non ci sono mai più tornato!" confermai.
"E ti mancano?" alzai gli occhi per puntarli nei suoi, così
stranamente espressivi e lucidi. Forse fu per quello che non riuscii a
frenare le parole
"Sempre... ogni maledetto giorno!" soffiai. Blaine
sospirò spostando lo sguardo verso la città
illuminata
"Certo che la vita è proprio strana... ci allontana dalle
persone che più amiamo senza alcun riguardo. Come se volesse
punirci per qualcosa che però non abbiamo fatto!"
mormorò
estremamente pensieroso, aggrottando appena la fronte
"Già... proprio strana!" mi accodai, perdendomi per un
attimo a
contemplarlo. C'era un leggero venticello fresco quella sera che gli
muoveva appena qualche riccio sulla testa. Sembravano così
morbidi, nonostante non avessero una piega sempre perfetta, non erano
mai in disordine. Avvertii l'assurdo desiderio di accarezzarglieli, e
di non limitarmi soltanto a quello. Scesi più giù
sulle
sopracciglia folte e con quella strana forma tutto sommato
interessante, gli occhi concentrati altrove, di quel colore ancora
indecifrabile, la bocca appena arricciata in una smorfia pensierosa.
Scesi ancora, accarezzando con lo sguardo il collo, le spalle
abbastanza larghe e ben formate, il petto largo, le braccia tese e
muscolose, lasciate scoperte dalle maniche sollevate, la pancia piatta,
i fianchi fasciati perfettamente dai jeans, il...
Il suono di un timer proveniente dalla cucina ci fece sobbalzare
entrambi e Blaine, allegro, mi rivolse un sorriso ed esclamò
"Preparati... è pronta la cena!" e sparì in casa.
Il non
averlo più davanti agli occhi mi fece immediatamente
realizzare
cosa avessi fatto: Dio, lo avevo seriamente radiografato dalla testa ai
piedi? Avevo sospirato davvero un istante prima che quel maledetto
timer suonasse? Avevo trovato affascinante e... sexy... ciò
che
avevo visto? Beh, a giudicare dal fatto che in quel momento avvertissi
chiaramente il cuore galopparmi nel petto, immaginai di sì.
Ma
d'altronde... Blaine era indubbiamente un bellissimo ragazzo, oltre che
estremamente carismatico e gentile, dunque era normale che mi fossi
perso in apprezzamenti su di lui. Certo... la prossima volta magari
avrei potuto evitare di concentrarmi così tanto e di
assumere
un'espressione beata. Giusto per non fare la figura dell'idiota. E
magari mi sarei perfino potuto ricordare di essere fidanzato, tanto per
dire qualcosa.
"Mmmm... c'è un profumo che neanche immagini!"
esclamò
tornando sul terrazzo e stringendo una teglia di alluminio ricoperta.
Io curioso mi avvicinai e subito mi colpì un odore
incredibilmente succulento che fece borbottare rumorosamente il mio
stomaco. Imbarazzato me lo coprii stupidamente con una mano, mentre
Blaine mi lanciava un'occhiata divertita e tentava di trattenere
malamente una risata
"Qui qualcuno è veramente affamato, eh?" mi
provocò con un sorriso divertito
"É colpa tua... mi hai riempito di aspettative... adesso io
e il
mio stomaco siamo davvero curiosi!" risposi disteso e presi posto su
una sedia di plastica. Lui sorrise e scoprì con un gesto
teatrale la teglia rivelando due splendide orate - ecco che pesce era!
- avvolte accuratamente in fogli di stagnola, circondate da patate al
forno tagliate a fette. Rimasi piacevolmente stupito dalla sorpresa e
gli lanciai un'occhiata di apprezzamento. Lui, senza smettere di
sorridere, mi posò una delle due orate nel piatto,
aggiungendo
delle patate e si servì a sua volta, prendendo posto a sedere
"A te l'onore di assaggiare per primo questa meraviglia!" mi
invitò versando ad entrambi un altro bicchiere di vino.
"Sfida accettata!" mormorai aprendo la stagnola - Dio, che profumino! -
e afferrando la forchetta. Con molta attenzione a tener ferma la lisca,
staccai un pò di pesce e me lo portai alla bocca. Il sapore
delicato e appena aromatizzato mi riempì all'istante,
facendomi
sospirare. Era a dir poco delizioso
"Dunque?" mi domandò lui, fingendosi disinteressato, mentre
scartava il suo pesce
"Non ho parole!" mormorai affrettandomi a staccarne un altro pezzo. Lui
ridacchiò illuminandosi. Gli occhi quando faceva
così gli
brillavano in maniera incredibile
"Meno male... confesso di aver temuto parecchio il tuo giudizio!"
esclamò portandosi la forchetta alla bocca
"Addirittura?" feci io assaggiando un paio di patate, anche quelle ad
una perfetta cottura. Lui annuì arrossendo deliziosamente
"Sì... cioè... mi sarebbe dispiaciuto..
deluderti!"
rispose infilzando crudelmente un paio delle sue patate, con lo
sguardo nel piatto. Io avvertii un moto di tenerezza nei suoi confronti
e mi ritrovai a sorridere al mio piatto. Bene, il mio vicino,
praticamente quasi un estraneo per me, aveva paura di deludermi con una
cena. Il mio ragazzo, dopo quattro anni di relazione, non si
era
mai fatto venire scrupoli a proposito.
"Tranquillo... un piccolo capolavoro come questo non può
assolutamente deludere!" lo rassicurai. Lui accettò di buon
grado i complimenti sorridendo, dopodiché afferrò
il suo
bicchiere pieno e lo portò verso di me
"Brindiamo!" propose su di giri. Io d'istinto afferrai il mio bicchiere
e lo avvicinai al suo
"A cosa?" domandai. Lui ci pensò su, grattandosi il mento
per poi lanciarmi un'occhiata divertita e dire
"A noi... a questa cena e alla nostra amicizia che può
ufficialmente iniziare!" io mi ritrovai a ridacchiare
"E sia!" sbattei il bicchiere con il suo e il suono del vetro si perse
nella notte, accompagnato dai nostri sorrisi silenziosi. Ne bevemmo
entrambi un sorso, senza mai abbandonare il contatto visivo con l'altro
e mi sentii gasato, carico, per la prima volta dopo tanto tempo,
sereno. Completamente un'altra persona dal Kurt che era ritornato a
casa meno di mezz'ora prima. I problemi con il lavoro erano spariti, le
discussioni interminabili con David non esistevano più, la
stanchezza sembrava essersi trasformata in energia da un momento
all'altro. E tutto per merito di un vicino che era appena diventato mio
amico e di una deliziosa e tranquilla cena, su un terrazzo. Sotto il
vigile sguardo di una splendida New York.
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Capitolo 8 *** Stagisti seccanti e ragazzini annoiati ***
Buon Sabato, miei
dolcissimi lettori... e mentre fuori il sole splende e l'anticiclone
africano non ci fa dormire (-___-) io sono qui che vi pubblico il
capitolo otto. Allora... con calma: le basi dell'amicizia tra i due
dirimpettai, sono state gettate, adesso però cosa
succederà? Sarà così semplice come
tutti noi speriamo? Ci sarà qualcuno (mmm tipo David?) a
dare fastidio? Arriveranno nuovi personaggi? Darren Criss la
smetterà di fingere di essere etero? XD Queste sono tutte
domande che dovrebbero perseguitarvi da qui fino alla fine della storia
(soprattutto l'ultima ^^) ed io vi prometto di non farmi scappare nulla
;) a parte... che in questo capitolo arriverà qualcuno di
mooooolto speciale. Tocca a voi fare le supposizioni ^^ Bene, detto
questo vi lascio alla lettura. Un bacione e un ringraziamento speciale
a chi recensisce e mi fa sorridere tutte le volte come una scema *___*
vi amo davvero <3
p.s. Doveroso
ringraziamento alla mia amata stalker che si è letteralmente
uccisa ieri a crearmi questa fantasticosa immagine di inizio
capitolo... a quanto pare Blaine le ha dato parecchi problemi (ma
è sempre lui che da fastidio, non avevamo dubbi XD) tesoro
mio, la adoro ed è giusto che stia qui in prima fila... un
bacio grande pure a te ^^ Ah, non te l'ho detto? Sei ufficialmente
stata assunta come mia artista ufficiale, quindi... mettiti l'anima in
pace ^^
New York City.
22 Marzo 2012. Ore 02.40 P.M. (Giovedì)
Essere gay in un ambiente come quello della moda, a volte era davvero
una bella
seccatura. Ogni giorno, nei backstages dei set fotografici,
gironzolavano modelle mezze nude, ed i pochi fotografi etero che
frequentavano l'ambiente, sembravano apprezzare in maniera particolare.
Uno di questi era senza dubbio David. Per quanto tutti sapessero che
stessimo assieme, lui non aveva mai nascosto il fatto che avesse ancora
un certo interesse per le donne. Lui si definiva bisessuale. Io credevo
semplicemente fosse un porco bugiardo. Ma quello lo potevo senza dubbio
aggiungere alla lista di difetti che Rachel si era premurata si stilare
per me qualche sera prima. Il numero cinque, direi.
"Kurt... hai visto per caso Ron da qualche parte? Avrebbe dovuto
sistemare l'acconciatura di Lorena per il servizio, ma è
sparito!" mi domandò una ragazza agitata, torturandosi tra
le
mani una cartelletta verde. Sospirai, stanco e seccato. Alcuni si
ricordavano di me, soltanto quando si perdevano qualche truccatore o un
parrucchiere. Poi, da quando Chang mi aveva affiancato quel maledetto
stagista - Max... che nome di merda! - ero diventato inservibile. Mi
stava attaccato come una cozza allo scoglio e potevo giurare di averlo
visto un paio di volte scodinzolare. Per fortuna il suo periodo di
prova era quasi terminato, per via del suo contratto settimanale. Poi
lo avrebbero spedito ad un'altra agenzia. Già provavo
pena per quel povero assistente che lo avrebbe preso in custodia.
Magari era un altro Kurt in un'altra parte di New York. Sperai almeno
per lui che le cose andassero meglio e che avesse almeno avuto la
fortuna di trovarsi un fidanzato - o una fidanzata - degno di questo
nome.
"Era vicino al guardaroba... stava parlando con il fotografo per
l'intimo!" rispose Max, efficiente e fastidioso come sempre,
anticipandomi. La ragazza annuì e lo ringraziò
senza
neanche degnarmi di un saluto.
Ancora un paio di
giorni, Kurt... resisti solo un altro paio di giorni...
"Senti, Max... me lo andresti a prendere un caffè allo
Starbucks
all'angolo? Ho voglia di tanta panna e di un pò di latte..."
mormorai con un mezzo sorrisetto divertito. Volevo la mia rivincita, in
un modo o nell'altro. Lui, sentendosi utile, ma soprattutto
perché quella era effettivamente la prima volta che gli
rivolgevo la parola da quando era arrivato, annuì con vigore
e
corse via per adempire al suo importante compito. Peccato per lui che
non ci sarebbe riuscito tanto presto.
Forse avrei dovuto
dirglielo, che lo Starbucks più vicino si trova a sette
isolati da qui?...
Soddisfatto e gongolante, mi avviai verso il set di intimo, per dare
un'occhiata alla situazione. Le modelle che avevamo scelto erano
davvero sensazionali. E una di queste ovviamente era Santana. In quel
momento stava posando su un set di una spiaggia finta, con tanto di
sabbia ed ombrellone colorato. Ed era davvero bellissima. Non bisognava
per forza essere etero per accorgersene. Ci fu un attimo in cui i
nostri sguardi si incrociarono e lei mi fece l'occhiolino complice.
Quel gesto, però, il fotografo parve non apprezzarlo molto.
David
si girò verso di me, stringendo la macchina fotografica tra
le
mani e mi lanciò un'occhiataccia di fuoco
"Kurt, ti dispiace?" mi ammonì infastidito. Io sbuffai
alzando
gli occhi al cielo e mi allontanai appena, per poggiarmi ad una colonna
e continuare a guardare il servizio indisturbato.
"Allora, Santana... sono gli ultimi venti scatti, vediamo di
movimentare un pò la scena... fai l'amore con la macchina
fotografica, da brava!" la incitò sorridendole sornione.
Bene, si era
perfino messo a provarci con le modelle, davanti ai miei occhi. Per
fortuna Santana non era il tipo di ragazza da raccogliere questo tipo
di provocazioni, soprattutto perché lei mi voleva bene, ma
quante altre ragazze sarebbero state come lei? Era mai capitato che in
quei quattro anni, ci avesse provato con qualcuna, riuscendo ad
ottenere poi le sue attenzioni? E perché diavolo non ci
avevo
mai pensato? Bene, ci mancavano le pulci nell'orecchio che io stesso
ero riuscito a mettermi
"D'accordo... dieci minuti di pausa, poi tocca a Jane!"
annunciò
David, sistemando la macchina fotografica a terra e dando un paio di
pacche di incoraggiamento ai suoi collaboratori. Provai ad ignorarlo,
girando la testa dall'altra parte, curioso di vedere se avesse avuto il
coraggio di avvicinarsi a me, per
rivolgermi quantomeno la parola. Quando era al lavoro si trasformava
completamente: diventava freddo e distaccato, quasi non ci
conoscessimo. Non che in intimità fosse molto più
dolce o
affettuoso, ma perlomeno non mi ignorava così esplicitamente.
Come immaginavo, si allontanò verso il backstage senza
neanche
rivolgermi un cenno, seguito da una piccola fila di assistenti.
Sbuffai, passandomi una mano sul viso
"Stanco?" mi domandò Santana avvicinandosi, e coprendosi con
un
accappatoio. Lei almeno aveva il pudore di coprirsi una volta finito il
lavoro. Altre modelle se ne infischiavano
"Seccato più che altro!" mormorai con mezzo sorriso
"Problemi con David?" provò stringendo le braccia al petto,
con
un'espressione comprensiva. Sospirai. Ed erano tre. Dovevo ricordarmi
di organizzare una serata di chiacchiere e poker tra lei, Mercedes e
Rachel. Come in una puntata di Desperate Housewives. Solo che invece di
sparlare dei vicini assassini, avrebbero condiviso le loro pessime
impressioni su David.
"No,
è tutto ok, tranquilla... niente di irrisolvibile!" mentii
spudoratamente. Ormai mi veniva così naturale. Ero talmente
tanto bravo
a farlo, da risultare quasi sincero perfino ai miei occhi.
"Come va
l'organizzazione della serata di beneficenza?" domandò
lei
curiosa, cambiando per fortuna argomento. Le sorrisi divertito. Mi
sembrava strano che ancora non avesse tirato fuori la questione della
festa quella settimana
"É tutto pronto. Manca solo da chiamare il
catering, ma se ne occupa la pr dell'agenzia!" risposi dando
un'occhiata ad una modella scheletrica che accarezzava placidamente il
braccio di un David sorridente a meno di due metri da noi
"E... per gli inviti?" domandò fingendosi indifferente.
Sbuffai una mezza risata, tornando a guardarla
"Li
ho spediti ieri mattina, sono già in viaggio!" risposi ed
era vero.
Avevo passato tutta la giornata a stampare inviti ed imbustarli. Nel
terzo millennio, l'era della tecnologia e della Apple, la mia agenzia
ancora faceva affidamento sulla posta ordinaria. Secondo Chang era un
ottimo modo per mantenersi legati alle proprie origini. Mmm... tanto
valeva allora ingaggiare dei piccioni viaggiatori. Oppure vendere i
suoi due graziosi iPad, e pagare un fattorino per consegnarle
direttamente a mano.
"Bene..." mormorò lei, mordendosi un labbro. Era in ansia,
si
vedeva da lontano, ed io ero sicuro di sapere anche il motivo
"Stai
tranquilla, bambolina... tra quegli inviti c'era anche il tuo!" la
informai con un sorriso e lei si illuminò all'istante.
Elettrizzata mi
buttò le braccia al collo e mi strinse forte, sotto le
occhiate
maliziose delle altre modelle e dei tecnici. Probabilmente era appena
partito il pettegolezzo che vedeva l'assistente personale di Chang,
portarsi a letto la modella ispanica.
"Oddio, Kurt... sei un tesoro.
Io ti adoro, letteralmente!" mi annunciò stampandomi un
sonoro bacio
sulla guancia, le labbra ancora piene di rossetto
"Calma,
signorina... stiamo dando spettacolo!" la ripresi divertito, ma
sinceramente me ne infischiavo. David poteva permettersi il lusso di
provarci con delle modelle taglia 36, ed io invece non potevo neppure
scambiare due chiacchiere con una cara amica?
"Ok, ok... reazione spropositata, hai ragione!" si calmò,
ancora tutta sorridente per poi accigliarsi di botto
"Cosa c'è adesso?" le domandai preoccupato. Lei mi
guardò
spalancando bocca ed occhi, quasi avesse visto un fantasma
"Maledizione, Kurt... è una catastrofe!" borbottò
portandosi una mano al petto. Ok, iniziavo a preoccuparmi seriamente
anche io
"Cosa,
Santana?... per l'amor del Cielo, mi stai facendo spaventare!" le dissi
agitato. Lei fece un lungo respiro per poi mormorare, quasi senza voce
"Non
ho il vestito adatto!" facendomi sbottare in una risata liberatoria.
Per un momento avevo davvero temuto il peggio. Dannate ragazze e le
loro manie da drama queen.
Senti chi parla...
"Tranquilla,
San... lunedì zio Kurt ti porta a fare shopping di classe!"
le
annunciai divertito, impettendomi appena. Lei sorrise illuminandosi
ancora ma, prima che potesse di nuovo saltarmi al collo, la bloccai
prontamente
"Ferma là... le smancerie rimandiamole ad un altro
momento. E corri a cambiarti, altrimenti il tuo fotografo se la
prenderà di nuovo con me!" le dissi con un sorriso e lei
senza farselo
ripetere, mi lanciò un bacio con la mano e corse via. Erano
momenti
come quello che mi rendevano fiero del mio lavoro. Il poter essere
utile veramente
a qualcuno,
poter renderlo felice con poco. E sapere di avere un'amica, nascosta
sotto chili di trucco e lacca, pronta ad abbracciarmi come
probabilmente non aveva mai fatto nessuno.
Me ne tornai dietro le
quinte, per dare un'occhiata al secondo turno di ragazze che avrebbe
posato quel giorno, ma venni bloccato da qualcuno
"Ti sembra il caso di metterti a flirtare con le modelle davanti a
tutti, nel luogo in cui io
lavoro?" mi domandò David acido fulminandomi con lo sguardo.
Sospirai, sentendomi nuovamente stanco all'improvviso.
Alla fine, quello che
flirta con le modelle sarei io...
"Tornatene
alla tua macchinetta fotografica, Dave... magari lei saprà
renderti più
felice di quanto non sappia fare il tuo ragazzo!" gli risposi senza il
minimo sentimento, liberandomi della sua stretta e sparendo dietro le
tende del backstage. Proprio in quel momento, all'improvviso venni
colto da un dubbio esistenziale: Dove
diavolo era finito Max?
New York City.
22 Marzo 2012. Ore 11.52 P.M. (Giovedì)
"Buonanotte, Noah... ci vediamo domani sera!"
"Buonanotte a te, Blaine... e grazie!"
Quella sera la temperatura esterna era particolarmente pungente.
Eravamo tecnicamente entrati in Primavera, nella stagione dei fiori e
dei primi caldi. In teoria. In pratica, invece, faceva ancora parecchio
freddo, almeno dopo una certa ora. Con un sospiro e stringendomi
maggiormente la sciarpa al collo, mi avviai verso il parcheggio, ormai
semivuoto, dato che la serata era quasi giunta al termine. Entro
mezz'ora Puck avrebbe chiuso il locale e perfino lui sarebbe tornato a
casa.
Quella serata si era rivelata particolarmente tranquilla, fatta
eccezione per un paio di tipi abbastanza loschi che per poco non si
erano messi a fare a botte nel locale. Era dovuto intervenire Puck in
persona per separarli e per cacciarli a calci fuori. Brittany si era
spaventata molto e Joe, dalla cucina, era uscito per calmarla un
pò. L'ambiente si era fatto acceso e stranamente elettrico
per
qualche minuto, fino a che, facendomi coraggio, non avevo stretto la
chitarra al petto e non avevo ripreso a suonare, tirando fuori una
canzone di Bob Sinclear. E la cosa era sembrata funzionare,
perché i
clienti non avevano abbandonato affatto i loro tavoli, anzi erano
rimasti
attentamente ad osservarmi e a seguire il tempo con la testa o
picchiettando le mani sul tavolo. Puck per la prima volta uscito da
dietro il suo bancone, mi aveva ringraziato con un gesto e perfino
Brittany si era ripresa, tornando a servire ai tavoli e lasciando
libero
Joe di tornare in cucina. Una serata da film, cose che si spera
capitino soltanto dietro uno schermo e mai nella vita reale. Ma
d'altronde quella era New York: se ne vedevano davvero tante, molte
cose davvero assurde o raccapriccianti. Credevo fermamente che
bisognasse avere del fegato per viverci o per sopravviverci. Quei sette
anni passati lì, me lo avevano fatto capire completamente.
E fu proprio in quel momento in cui capii che davvero non avevo ancora
visto tutto: all'improvviso, infatti, proprio mentre ero impegnato a
sganciare il casco dal manubrio per indossarlo, sentii un guaito
provenire da dietro un cespuglio, seguito immediatamente da dei
violenti colpi e da delle risate particolarmente sguaiate.
"Ma che cavolo.." per natura tendevo sempre a non ignorare nulla, ero
curioso e quello mi bastò per lasciare il casco e dirigermi
verso il cespuglio incriminato. Una volta aggirato l'ostacolo, vidi le
schiene di due ragazzi che mi coprivano a tratti la visuale ma da
lì vicino i guaiti si erano fatti ancora più
forti. Con
il cuore a mille, anche a causa della scarsa illuminazione, mi
avvicinai ancora di più e quello che finalmente riuscii a
scorgere ai piedi dei due giovani mi fece letteralmente gelare il
sangue nelle vene. A terra, raggomitolato come un fagottino, stava un
batuffolo di pelo grigio, tremante e dal quale provenivano i guaiti che
in quel momento si intensificarono tanto da diventare spaventosi. I due
ragazzi avevano dei bastoni tra le mani e continuavano a punzecchiarlo
ripetutamente sulla testa, sulla coda, sulla schiena tremante. Poi
all'improvviso uno dei due lo colpì più forte,
facendolo abbaiare
flebilmente e il cucciolo si spostò di qualche centimetro
forse
nella speranza di scappare da quei due mostri
"Guarda che cazzone... non riesce neanche a stare in piedi!" lo derise
l'altro, ricominciando a pungolargli la piccola coda. Le risate
sguaiate dell'amico non riuscii neanche a sentirle. Mi si era
annebbiata la vista e tutto ciò che feci dopo fu frutto
dell'istinto e della rabbia. Di paura non ne era rimasta la minima
traccia
"Ehi, pezzi di merda... che cazzo state facendo a quel cane?" gridai
facendoli sobbalzare entrambi. Si girarono a guardarmi e lì
mi
resi conto con amarezza e disprezzo che potevano avere sì e
no
sedici anni per uno. Uno dei due spalancò gli occhi
spaventato e
gettò a terra la mazza con la quale si era ampiamente
divertito
fino a quel momento
"Niente!" mormorò subito alzando le mani in segno di resa.
Avanzai di mezzo passo e lui conseguentemente arretrò,
incespicando in un sasso.
"E tu chi cazzo saresti?" mi domandò l'altro, per nulla
intimorito, con tono di sfida. Lo squadrai bene. Era un pò
più basso di me, mingherlino, viso scocciato e fin troppo
prepotente. Proprio il tipo di ragazzo che non riuscivo a digerire.
"Io sono quello che spaccherà la faccia ad entrambi se non
vi
allontanate immediatamente da quella povera bestia!" sentenziai in un
sibilo avanzando ancora. Quella volta anche il secondo ragazzo parve
spaventarsi appena perché fece mezzo passo verso l'amico che
mi
guardava ancora terrorizzato. Ma nessuno dei due parve recepire
pienamente il concetto
"O, se preferite, posso sempre chiamare la polizia... credo che gli
agenti saranno piuttosto curiosi di sapere la vostra piacevole storia!"
li minacciai con mezzo sorriso. Quelle parole ebbero l'effetto sperato,
perché il primo ragazzo, quello spaventato, si
affrettò
ad afferrare la manica della giacca dell'amico e a strattonarlo
"Cazzo, Dylan, andiamocene... questo la chiama veramente la polizia!"
esclamò terrorizzato. L'altro mi guardò con odio,
forse
ancora indeciso su cosa fare o su cosa potessi fare io
Sì, Dylan...
ascolta il tuo amichetto e va via... ma devi correre... correre molto
veloce...
"Non ci credo!" mormorò infatti. Feci una smorfia, colpito
dal
suo temerario coraggio e così afferrai il telefono dalla
tasca
dei jeans e feci scorrere il dito sullo schermo per sbloccarlo
"D'accordo... l'hai voluto tu..." dissi e, sperando di avere la meglio
quella volta, finsi di digitare il numero della polizia sul tastierino.
In realtà digitai dei numeri a caso, per temporeggiare. Far
venire la polizia avrebbe significato mettere in mezzo anche Puck che
stava lì davanti e farmi perdere altro tempo. Ero stanco,
volevo
solo tornarmene a casa a dormire.
Un movimento mi avvertì che i due ragazzi avevano
approfittato
della mia distrazione per darsela a gambe e difatti, alzando lo
sguardo non trovai più nessuno. Sorrisi soddisfatto e rimisi
il
cellulare in tasca. Con un sospiro mi avvicinai alla palla di pelo, che
ancora guaiva leggermente. Mi inginocchiai per poi passare
delicatamente un dito sulla schiena
"Ehi... piccoletto..." mormorai ma lui, spaventato, abbaiò e
si
spostò di nuovo. Faceva una tenerezza incredibile e ancora
sentivo il sangue ribollirmi nelle vene al pensiero che quei due
bastardi avessero osato fargli del male. Mi domandai immediatamente
cosa fare. Non potevo di certo lasciarlo lì, probabilmente
condannandolo ad una morta certa. Però, portarlo ad una
clinica
veterinaria avrebbe comportato dare spiegazioni ad un medico di turno,
e perdere di conseguenza altro tempo. Che cosa avrei dovuto fare?
Con un sospiro, e con molta lentezza, afferrai il cucciolo, che si fece
tirare su senza protestare - era davvero piccolissimo - e lo strinsi al
petto. Lui aprì appena gli occhi e mi guaì in
faccia
"Tranquillo, amico... ora sei al sicuro! Stasera sei ospite a casa
mia!" lo rassicurai
ritornando verso il parcheggio. Lui non provò neanche a
scappare, limitandosi ad accucciarsi meglio e a tremare ancora. Lo
infilai nel cappotto, stringendolo per bene e dopo essermi assicurato
che non potesse andare da nessuna parte, mi infilai il casco e partii
verso casa.
Venti minuti dopo, con il cucciolo stretto al petto, arrivai al mio
piano con l'ascensore, accarezzando distrattamente la testolina morbida
del cane. Era così indifeso e stava tranquillamente appeso a
me,
nonostante stesse ancora tremando. Arrivato davanti la porta, un nuovo
post-it giallo canarino mi sorprese facendomi sorridere
"Hai visto, piccoletto? Abbiamo posta!" gli feci spostandolo su un
braccio per poter staccare il biglietto e inserire le chiavi nella
toppa. Una volta dentro, mi concessi un momento per leggerlo
*Oggi non ci siamo visti
per tutto il
giorno.. è davvero triste abitare a due passi di distanza e
sperare in un colpo di fortuna per vedersi. Beh, spero che la tua
giornata sia stata migliore della mia. Poi mi racconterai... buona
notte, amico vicino. Kurt*
Sospirai felice, posando il biglietto sul tavolo e dirigendomi verso il
tappeto del salone. Vi poggiai il cucciolo, che subito si
accucciò, raccogliendo zampe e coda sotto il didietro.
Ridacchiai
intenerito e lo accarezzai ancora.
"Credo proprio di aver sbagliato prima... non sei affatto grigio... sei
solo molto sporco!" mormorai mentre lui, coraggiosamente mi annusava la
mano e decretava finalmente che andavo bene per le coccole. Non me lo
feci ripetere due volte. Mi liberai della giacca che lanciai sul divano
e iniziai ad accarezzarlo insistentemente sulla schiena. Pian piano il
cucciolo parve sciogliersi perché si allungò,
stiracchiandosi per bene, e si avvicinò di più a
me,
assecondando le carezze e cercando la mia mano. Avevo sempre desiderato
un cucciolo tutto per me, ma quella vita assurda che facevo non me lo
aveva mai permesso. Per di più secondo mia madre era una
stupida
perdita di tempo e di denaro. Ma forse lei lo diceva perché
i
suoi genitori non le avevano mai permesso di tenerne uno, e quindi per
dispetto, non ne aveva mai preso uno per me.
"Ok, campione... vediamo cosa c'è in cucina per te!" e detto
questo mi allontanai per cercargli qualcosa da mangiare. Non avevo idea
di quanto piccolo fosse quel cane, ma sperai vivamente che avesse
già fatto lo svezzamento, altrimenti non avrei davvero
saputo
come fare. Tornai poco dopo in salone con due ciotoline, una piena
d'acqua e l'altra con della mela cotta. Avevo letto da qualche parte
che i cuccioli, come i bambini, potevano mangiare frutta cotta o
passata da piccoli, a patto di non esagerare.
"Spero gradirai la cena, anche perché purtroppo non
c'è
molto altro!" mormorai ma non trovai nessuno ad aspettarmi. Confuso,
poggiai le ciotole in un angolo e mi accucciai sul pavimento per
cercarlo. Bene, quella sera mi mancava soltanto il nascondino con il
cane, in effetti.
"Ma dove ti sei..." un piccolo guaito mi fece sollevare la testa di
scatto e puntare lo sguardo verso il corridoio "No... non mi dire
che..." con uno scatto fulmineo, degno dei migliori centometristi,
corsi in camera da letto e scoppiai a ridere di gusto davanti alla
scenetta che mi si presentò davanti agli occhi: il cagnolino
era
intento ad abbaiare e a scodinzolare energicamente contro una piccola
piramide di vestiti che probabilmente aveva tirato giù dalla
sedia, dove li avevo poggiati dopo averli tirati dalla asciugatrice.
Probabilmente nella sua testa, quel piccolo cumulo rappresentava una
minaccia, e pertanto andava addomesticata. Avrei voluto filmarlo e poi
mandarlo a mia madre. Poi le avrei detto
"Guarda, mamma... non è adorabile? Possiamo tenerlo?"
Ridacchiando mi avvicinai al cucciolo e lo sollevai da terra. Me lo
portai con il musetto davanti al viso e gli sorrisi
"Senti, senti che voce che hai... abbiamo a che fare con un
tenore in fasce!" scherzai
e lui in risposta fece un mezzo bau. Lo riportai in salotto poggiandolo
davanti alle ciotoline e gliele indicai
"Questa è la tua cena, campione... vedi di fartela piacere!"
ma
non ci fu neanche bisogno di insistere perché lui parve
apprezzare. Si accanì contro la mela, divorandola in meno di
un
minuto, per poi bere lunghi sorsi d'acqua. E non smise neanche un
secondo di scodinzolare.
Recuperai il cellulare dalla tasca e composi un messaggio, continuando
a tenere d'occhio il cane che, finito il pasto, era partito alla
scoperta del mio soggiorno
*Sei ancora sveglio?*
"Ehi, cane... non lì, che ti fai male!" lo ammonii
riacciuffandolo prima che potesse arrampicarsi su una sedia. Era
davvero lesto per essere un cucciolo. Lo ritrascinai sul tappeto,
sedendomi accanto a lui per fargli altre coccole, nella speranza di
tenerlo buono. Un piccolo cinquettio, mi avvisò dell'arrivo
di
un nuovo messaggio
*Ancora per poco...
Daniel mi ha
costretto a guardare il dvd di Titanic... adesso so che quando la gente
si lamentava del fatto che durasse tre ore.. non scherzava affatto!*
Ridacchiai, rispondendo velocemente al messaggio, e contemporaneamente
bloccando la piccola peste pelosa che ritentava la fuga
*Hai tutta la mia
comprensione. In cambio però, pretendo un pò
della tua al momento!*
Il cucciolo tentò si mordermi la mano per liberarsi, ma
aveva
dei denti davvero piccoli, e più che altro finì
con il
farmi il solletico
*Che hai combinato?*
Sorrisi, immaginando la faccia di Sebastian leggendo la mia risposta.
Probabilmente perfino Daniel avrebbe messo in pausa l'idillio d'amore
tra Rose e Jack per concedersi il suo momento di confusione
*Ho un cane*
"Bene... e adesso guarda che succede!" mormorai al cane che mi
guardò piegando la testolina di lato e abbaiando piano. Come
immaginavo il mio telefono prese a suonare, facendolo spaventare appena
e facendo ridere me
Come volevasi
dimostrare...
Accettai la chiamata, lasciando libero il cane di scorrazzare un
pò
"Il transatlantico è già affondato?" domandai
portando il
telefono all'orecchio. La voce di Sebastian mi arrivò appena
assonnata ma perfettamente vigile
"Che diavolo significa che hai un cane? Sei impazzito per caso?" mi
aggredì sconvolto, ma la voce di Daniel si aggiunse alla
sua,
notevolmente più elettrizzato
"Dio che bello, Blaine... che razza è? Quanto è
grande?
Dove lo hai trovato? Ce lo farai vedere, vero?" mi tartassò
di
domande come sanno fare solo i bambini più piccoli. Scoppiai
a
ridere di gusto, attirando l'attenzione del cucciolo, impegnato ad
aggredire le frange del tappeto
"Daniel, tesoro mio, come diavolo fai ad avere tutta questa energia
dopo tre ore di un film del genere?" gli domandò Sebastian
sconcertato facendolo sbuffare
"Tanto lo so che ti è piaciuto.. ho visto perfettamente che
ti
sei commosso quando Jack è morto assiderato nell'Oceano!" si
difese il più piccolo, probabilmente colpendolo con qualcosa
perché sentii l'altro borbottare un 'ahia!'
"Non mi sono commosso... è colpa dell'allergia, lo sai!"
borbottò ancora e lì mi aggiunsi io
"Certo.. la tua allergia è parente della claustrofobia,
Bas...
compare solo quando ne hai bisogno!" esclamai facendo ridere Daniel
"Ben detto!" si accodò
"Molto divertente... ma vediamo di non cambiare argomento... allora,
nano... che diavolo è questa storia che hai un cane?" mi
domandò tornando confuso. Io lanciai un'occhiata al
cucciolo,
ancora nel pieno della sua lotta contro il tappeto sospetto
"Che ti devo dire, Seb... capita che a volte ti trovi davanti
qualcosa e pensi 'Ah
eccoti, ti cercavo da una vita!'
e così è successo stasera con questo cane!"
esclamai
teatrale, scatenando un momento di silenzio dall'altra parte del
telefono. Il silenzio fu interrotto dalla voce di Daniel, nuovamente
elettrizzata
"É maschio o femmina?" domandò facendomi ridere
"Non saprei... non ho controllato sinceramente!" risposi sincero
"Eh beh... che aspetti? Forza fallo ora!" mi incoraggiò e
allora, dopo aver messo il vivavoce e poggiato il telefono sul tappeto,
recuperai il cucciolo che guaì appena indispettito e me lo
portai in grembo. Ignorando i gridolini di gioia di Daniel che si
esaltava per aver sentito il suo verso tramite il telefono, iniziai la
mia ispezione. Ok, da dove si partiva per verificare il sesso di un
animale?
"Allora? É una signorina, ci scommetto!" mormorò
estasiato Daniel, probabilmente agitandosi sul divano per l'emozione
"Andiamo... se ha deciso di seguire Blaine, deve essere per forza un
maschio. Gli animali le percepiscono certe cose!" si oppose Sebastian
"E se fosse gay?" provò ancora il più piccolo,
pensieroso. Sebastian sbottò in una risata
"Tanto meglio.. un altro membro da aggiungere al club!"
esclamò
divertito. Io nel frattempo, ero quasi del tutto sicuro che fosse
maschio. O almeno credevo che quel piccolo affarino rosa in mezzo alle
gambe fosse... sì, insomma... era maschio, punto!
"Uno a zero per Sebastian!" risposi lasciando libero finalmente il
cane, che corse subito di nuovo verso le frange. Il ragazzo
esultò
"Lo sapevo. Buon sangue non mente!" esclamò soddisfatto.
Daniel sbuffò, ma non perse il suo entusiasmo
"Come hai intenzione di chiamarlo?" domandò ancora
"No, no... niente nomi. Domani lo porto al canile. Non posso tenerlo!"
sentenziai scuotendo la testa, provando a far capire allo stesso tempo
anche al cucciolo accanto a me di non affezionarsi troppo al tappeto,
perché non glielo avrei di certo fatto portare via.
"Come no? Ma questa è un'ingiustizia, Blaine... non puoi
fare
una cosa del genere a quella povera creatura!" si lamentò
Daniel
sconvolto. La sua voce mi arrivò particolarmente acuta
all'orecchio, segno che avesse rubato il telefono dalle mani di
Sebastian per parlarmi più chiaramente
"Daniel... lo sai che a casa ci sto poco e niente! Come pensi possa
accudire un cane se a malapena riesco a trovare del tempo per badare a
me stesso?" gli feci presente passandomi una mano tra i ricci, stanco
morto
"Per una volta sono d'accordo con il nano!" mormorò Sebastian
"Ti daremo una mano noi.. gli porteremo da mangiare quando tu sarai al
lavoro o potremmo perfino portarlo al parco, che ne dici Seb?"
domandò su di giri
"Ma neanche per idea... non faccio il baby-sitter di nessuno, figurati
se mi metto a perdere tempo dietro ad un sedere peloso... no Signore!"
sentenziò sconvolto e risoluto. Quello che accadde dopo
potei soltanto
intuirlo, perché la voce di Sebastian si fece sempre meno
dura
"No... è inutile che mi guardi con quegli occhi da
triglia...
quando dico no è no!" mormorò, ma sentivo anche
io quanto fosse
ad un passo dal cedere. Così, ridacchiando accarezzai il
cucciolo e mi beai degli ultimi lamenti di Sebastian fino a che
non cedette completamente
"Ok, ok... magari un paio di volte a settimana, si può anche
discutere!" si arrese e Daniel esultò
"Hai visto, Blaine? Non devi preoccuparti... saremo un trio di
papà
sensazionali e il cucciolo sarà il più fortunato
del
mondo!" esclamò entusiasta e per un attimo ci credetti anche
io.
Immaginai come sarebbe stato bello avere una presenza scodinzolante in
giro per la casa e di quale sensazione potesse trasmettere tutte le
volte che fossi ritornato. In fondo, era stato stesso Sebastian a
suggerirmi di prendermi un cane, quando mi aveva mostrato
l'appartamento, dunque... che male c'era se per una volta gli davo
retta?
"D'accordo, ragazzi... ne riparliamo domattina. Adesso sono stanco
morto e ho solo voglia di buttarmi nel letto!" informai con uno
sbadiglio
"Bene, la notte porta consiglio!" fece Daniel soddisfatto
"Ehi, B... chiedi al cane se preferisce stare sotto o sopra.
Così iniziate a porre le basi per una solida convivenza!"
scherzò Sebastian ma io non gli diedi retta, augurando ad
entrambi la buonanotte e chiudendo la conversazione. Sospirai alzandomi
- con molta fatica, lo ammetto! - e strisciando i piedi mi
diressi in bagno per lavarmi i denti. Era stata una lunga giornata e
l'indomani si prospettava nello stesso identico modo. La Domenica era
così lontana, maledizione. Se solo pensavo che la sveglia
sarebbe suonata soltanto dopo poche ore, mi veniva da piangere. Avevo
così bisogno di dormire, che avrei mandato volentieri al
diavolo
tutto, pane e casse d'acqua, per passare un'intera giornata nel letto a
fare niente. Avrei recuperato il sonno perso così, no?
Sbadigliando attraversai il corridoio ma l'abbaiare leggero del
cucciolo mi attirò di nuovo in salone. Il piccolo animale
aveva
abbandonato la sua guerra personale contro il tappeto per prendersela
con qualcos'altro. Mi avvicinai e gli strappai dalle zampe pelose
l'oggetto in questione. Era il post-it di Kurt, quello che avevo
trovato rientrando, probabilmente quella peste lo aveva fatto cadere
per terra.
"Ehi, campione... grazie per avermelo ricordato!" mormorai con un
sorriso. Recuperai un post-it arancione dal blocco e scrissi veloce una
risposta che poi corsi ad appiccicare alla sua porta, facendo il prima
possibile, onde evitare che il cane scappasse.
Dopodiché mi diressi in camera da letto, mi liberai dei
vestiti
e mi fiondai sotto le lenzuola, mugugnando soddisfatto. Quello era il
mio momento preferito della giornata, in assoluto. Liberarsi del peso e
della costrizione degli abiti, per abbandonarsi alla debolezza e alla
stanchezza. Durante il giorno non era concesso. La notte era perfetta
invece. Perfino uno come me, impegnato fino alla punta dei ricci,
poteva
concedersi questo lusso.
Non passò molto prima che un leggero guaito mi giunse
chiaramente dalla destra. Mi coprii la testa con il
cuscino, sperando di scacciarlo, ma niente, quello
continuò
fino a
diventare più insistente. Così, sbuffando mi
affacciai
dal bordo del letto ritrovandomelo seduto, con la coda arrotolata su un
fianco, la testolina rivolta verso il letto e gli occhi grandi e lucidi.
Dannazione... adesso so
cosa intende
Sebastian quando dice che ogni tanto tiro fuori lo sguardo da cucciolo
abbandonato per ottenere ciò che voglio...
Sorridendo divertito, lo afferrai e lo misi sul letto, al mio fianco,
accarezzandolo piano
"E d'accordo, piccolo... stasera dormi qui... domani decideremo cosa
farne di te!" mormorai con un sospiro mentre lui si accoccolava con la
testolina sulla mia mano e chiudeva gli occhi. Subito seguii il suo
esempio, e per la prima volta dopo tanto tempo, quel letto a due piazze
non mi sembrò poi tanto grande.
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Capitolo 9 *** Coinquilini ***
Buon
salve a tutti e soprattutto buon Mercoledì ^^ Fa un caldo
bestiale ma questo non mi ferma (niente mi ferma ormai XD) quindi
eccomi qui. Prima di tutto waw... quante belle recensioni ha ottenuto
lo scorso capitolo *__* (scommetto sia merito del piccoletto peloso,
eh? ^^) sono davvero lusingata grazie a tutti. Spero che anche questo
capitolo piaccia anche se.. ecco.. potreste come dire.. iniziare
seriamente a sviluppare un certo istinto omicida nei confronti di un
certo personaggio.. O__o spero che la vostra ira non si ripercuota su
di me (io non c'entro XD) e se volete un consiglio.. leggete con
attenzione la seconda parte... lì ci sono i primi segni di..
squilibri ormonali ^^ bene, non vi dico più nulla quindi mi
vaporizzo.. grazie ancora a tutti siete i miei angeli :* ci vediamo
Sabato con l'aggiornamento (fissiamo i giorni Sabato e
Mercoledì così nessuno si preoccupa.. nel caso
dovessi ritardare vi faccio sapere!)
p.s. Un grazie particolare alla mia artista (Tamara, sempre lei ^^) per
la magnifica immagine qui sotto.. ti adoro, lo sai <3
New York City. 23 Marzo 2012. Ore 08.40 A.M. (Venerdì)
Quella mattina stranamente David mi aveva chiamato e chiesto di fare
colazione assieme prima di andare a lavoro. Avrebbe dovuto portare a
termine il servizio fotografico dunque avremmo fatto la strada assieme
verso l'agenzia. Mi era parsa una richiesta assurda. Mai, in quattro
anni, mi aveva chiesto di fare colazione assieme, anche
perché
lui normalmente si svegliava non prima delle dieci ed io a quell'ora
ero già in pieno fermento. Quindi curioso al massimo, avevo
accettato, seppure titubante, e in quel momento stavo finendo di
prepararmi, perché a momenti sarebbe arrivato. Non seppi
dire
con certezza se fossi felice o meno. Probabilmente avrei potuto
stabilirlo soltanto una volta seduti al tavolino del bar, dopo averci
parlato. In teoria, dopo la semi-discussione avuta sul set fotografico
il giorno prima, io ero ancora arrabbiato con lui. Non ci eravamo
più detti nulla, né tanto
meno lui si era degnato di chiedermi scusa. Nessun messaggio della
buonanotte, nessuna chiamata pacificatrice. Un semplice messaggio -
molto freddo in realtà - il giorno dopo, in cui mi chiedeva
se
volessi fare colazione con lui prima del lavoro. Evidentemente la coda
di paglia gli era cresciuta troppo e iniziava ad essere fastidiosa.
Il suono del citofono mi sorprese proprio mentre stavo recuperando la
tracolla e così corsi a rispondere
"Sì... arrivo!" lo avvisai e lui grugnì in
risposta.
Perfetto... è già di ottimo umore a prima
mattina...
Con un sospiro recuperai le ultime cose e chiusi la porta. Senza
pensarci troppo sollevai gli occhi e sorrisi da solo alla vista
dell'ennesimo post-it di Blaine. Quella volta aveva optato per
l'arancione. Mmm... dovevo ricordarmi di comprare un nuovo blocchetto,
perché i miei erano soltanto gialli. Lui almeno aveva
più varietà. Lo staccai con il cuore in
gola, stranamente elettrico e lo lessi avidamente
*Buonasera/Buongiorno, amico vicino... facciamo dei lavori terribili,
rassegniamoci all'idea :( comunque sia, io questa sera non dovrei
andare al pub, quindi se tu ne hai voglia, ma soprattutto sei
libero, possiamo vederci a casa mia intorno alle otto. Se ci sei bussa
pure, mi trovi qui :) ah... devo presentarti qualcuno, vedrai... ti
piacerà ;) Buona giornata, sperando sia migliore di quella
di
ieri! B*
"Deve presentarmi qualcuno? E chi sarà mai?" mi domandai
curioso, accarezzando il biglietto con il pollice, e avvertendo sotto
i polpastrelli i leggeri solchi lasciati dalla penna. Sorrisi,
felice che
quella piccola ed innocente corrispondenza continuasse senza problemi e
mi infilai il post-it nella borsa. Credevo fermamente che quella cosa
ci rendesse estremamente più vicini di quanto non fossimo
già, e poi ci permetteva di tenerci sempre in contatto,
nonostante gli orari tanto diversi. Dovevo ricordarmi di chiedere il
suo numero, così... tanto per aggiungerne un altro alla
rubrica.
Entrando in macchina di David la prima cosa che mi colpì fu
l'assurda puzza di fumo, testimoniata da una densa nuvoletta grigiastra
"Ti sei messo a fumare adesso?" gli domandai infastidito, aprendo
immediatamente il finestrino per cambiare l'aria. Se c'era una cosa che
odiavo era la puzza di fumo impregnata sui vestiti. Mi disgustava e
questo David lo sapeva
"Dio, Kurt... che palle! Quando fai così sembri mia madre!"
si
lamentò mettendo in moto. Ecco, perfetto. Niente sorrisi,
niente
bacio del buongiorno, niente complimenti sul outfit scelto. Ma
d'altronde, cosa mi aspettavo? Stupido io a crederci ancora.
"Fa come vuoi, Dave... la vita è tua, ed hai tutto il
diritto di
rovinartela! Ti prego solo di risparmiare la mia!" sbottai
allacciandomi la cinta per poi portare il viso verso il finestrino
aperto per respirare aria pulita. Lui quella volta non rispose e
rimanemmo in silenzio per cinque isolati fino a che non
fermò la
macchina davanti ad uno Starbucks. Il mio stomaco esultò
riconoscente. Feci per scendere quando la sua mano mi bloccò
"Aspetta vado io... solito cappuccino decaffeinato in tazza grande?" mi
domandò. Io sgranai gli occhi, non tanto perché
finalmente era riuscito a memorizzare il modo in cui prendevo il
caffè - lo stesso da quattro anni - ma perché
avevo
finalmente realizzato che, fare colazione assieme, significava
consumarla in macchina. Durante il viaggio verso il set. Nessun
tavolino, nessun cameriere sorridente a prendere l'ordinazione, nessuna
fila al bancone dei dolci, o indecisione su cosa prendere. Solo uno
stupido cappuccino in tazza grande da consumare in auto. Con l'unica
magra consolazione che si sarebbe trattato di un decaffeinato.
Abbassai la testa, mentre avvertivo chiaramente il cuore perdere
qualche battito per la scottante delusione e gli occhi bruciare
fastidiosi.
"S-sì, grazie!" mormorai in risposta e non ebbi neanche il
coraggio di chiedergli almeno di portarmi anche un cornetto, che lui
sparì all'interno. Desolato, mi strofinai gli occhi per
asciugarli un pò, e mi accasciai ancora di più al
sedile.
Era amarezza quella che avvertivo chiaramente nello stomaco, bruciava
più di un acido. Era corrosiva, senza ombra di dubbio.
Con un sospiro mi persi qualche istante a contemplare le persone
comodamente sedute all'interno del locale, con il loro bicchieri con
logo del bar e i loro dolciumi ipercalorici. Avrei mandato al diavolo
la mia dieta ferrea per uno di quelli. Ma non era solo il cornetto a
mancarmi in quel momento. Mi mancava la complicità che la
coppia
sulla destra sembrava avere, la leggerezza che trasmetteva il gruppetto
di ragazze al centro del locale, il sorriso che si scambiavano mamma e
figlia al tavolo accanto al pilastro. Mi mancava tutto quello e a
quanto pareva dovevo farci il callo perché secondo David
meritavo semplicemente un misero cappuccino decaffeinato
in tazza grande. E forse, aveva ragione lui.
Inconsapevolmente infilai le mani nella borsa che avevo poggiato sulle
gambe e tirai fuori il post-it, appena stropicciato di Blaine. Mi
costrinsi a pensare ad altro, ad immaginare chi fosse la persona che mi
avrebbe presentato quella sera, e quanti sorrisi destabilizzanti mi
avrebbe rivolto. E quello parve aiutare perché mi ritrovai a
sorridere beato e a riempire con quel calore, un pò dello
spazio
nello stomaco, lasciato vuoto dal cornetto.
New York City. 23 Marzo 2012. Ore 07.50 P.M. (Venerdì)
Ma quanto diavolo arrivavano le otto? Era più di mezz'ora
che
fissavo impaziente l'orologio ma pareva scorrere a rallentatore quella
sera. Sicuramente lo faceva di proposito, non c'erano altre
spiegazioni.
Ero uscito dal lavoro facendo una corsa, con la paura di arrivare
tardi, ma la dea bendata sembrava essere dalla mia parte
perché
mi aveva fatto trovare in orario perfetto per entrambe le coincidenze
della metropolitana. Quindi ero arrivato a casa con mezz'ora di
anticipo e le otto sembravano ancora così lontane.
Ero tentato di infischiarmene e di correre al suo appartamento e
bussare ugualmente, ma mi trattenni. Se su quel biglietto mi aveva
scritto quell'orario, ci sarà stato un motivo, no? Magari
prima
era impegnato o avrebbe avuto ospiti. Magari uno di quegli ospiti
sarebbe stata proprio la persona che avrebbe dovuto presentarmi. Magari
era un ragazzo. Il suo ragazzo.
Ok, perché mi sto agitando all'idea? Perché sono
un idiota, ecco perché...
Impaziente lanciai un'altra occhiata all'orologio appeso in salotto che
mi annunciava ancora nove minuti alle otto. Per scrupolo controllati
anche l'orario sull'iPhone, ma il mio telefono si dimostrò
ancora più perfido perché di minuti lì
ne
mancavano addirittura dodici.
Sbuffando andai in bagno per specchiarmi ancora e controllare che i
capelli non si fossero ammusciati per l'ansia. Che poi, pensandoci...
non sarebbe stato troppo assurdo presentarsi esattamente alla sua porta
alle otto spaccate? Blaine avrebbe potuto pensare che mi fossi
impiantato
davanti all'orologio come un maniaco e fossi scattato allo scoccare
dell'ora x. Che poi in effetti era ciò che stava succedendo,
ma
non mi sembrava il caso di farglielo sapere. Quando solitamente si
danno gli appuntamenti - oddio, perché quello era un
appuntamento? - ci si aspetta sempre che l'altro ecceda un
pò
con l'orario. Si dice le dieci ma ci si vede alle dieci e dieci, no?
Quindi avrei dovuto inserire almeno qualche minuto altrimenti avrei
fatto una pessima figura. Frustrato tornai in salotto e ricontrollai
l'orario. Mancavano cinque minuti. Bene, se a quei cinque ne avessi
aggiunti... tipo... altri dieci? No, troppo... sarei passato per un
ritardatario e per uno poco interessato alla nostra amicizia e poi non
avrei resistito ancora così tanto. Quindi decisi di optare
per
una via di mezzo. Quattro minuti in più potevano anche
andare,
erano un ottimo compromesso.
Bene, alle otto e zero quattro busserò alla sua porta e...
Il campanello suonò all'improvviso facendomi sobbalzare e mi
scappò perfino il telefono dalle mani, che per fortuna cadde
sul
divano. Con il cuore in gola, sperando che non fosse né
Rachel né tanto meno David - delle sue improvvisate quel
giorno ne avevo
fin sopra i capelli - aprii la porta. Mi ritrovai davanti un paio di
occhi color caramello, ed un magnifico sorriso allegro.
"Ehi... ma allora ci sei!" esclamò contento. Persi un paio
di
anni e forse anche un pò di dignità a causa dei
suoi
occhi luminosi e del sorriso con tanto di fossette sulle guance e feci
una fatica immane per trovare la voce e i vocaboli grammaticalmente
esatti per rispondergli
"S-sì... sono... qui!" mormorai stupidamente facendolo
ridacchiare
"Lo vedo!" rispose indicandomi ed io arrossii dandomi dell'idiota.
Bene, ottimo inizio di conversazione
"Non ho trovato nessun post-it sulla porta tornando a casa quindi ho
immaginato che la tua fosse una risposta affermativa!" mi disse
allegramente stringendo appena gli occhi per permettere al sorriso di
allargarsi ancora di più. E permettere al suo viso di
diventare
ancora più bello.
"Oh... sì, certo, era... mi piacerebbe... insomma..."
maledizione, che diavolo di fine avevano fatto tutte le parole
immagazzinate nel mio cervello? Suicidate con i neuroni? Sarei riuscito
entro fine serata a mettere insieme un paio di sostantivi e qualche
verbo per una frase di senso compiuto, o avrei dato ulteriore
dimostrazione a Blaine di quanto fossi idiota?
Per mia fortuna si limitò a sorridermi incoraggiante e mi
indicò l'appartamento alle sue spalle
"Coraggio... chiudi tutto e seguimi!" e detto questo aspettò
che
recuperassi chiavi e telefono per poi entrare in casa sua.
Varcando la soglia, avvertii chiaramente un delizioso odore di
vaniglia, probabilmente bagnoschiuma che mi fece sospirare beatamente.
Blaine e la sua casa profumavano di buono, che bella scoperta che avevo
fatto. Mi guardai attentamente attorno, alla ricerca della misteriosa
persona della quale avrei dovuto fare la conoscenza. Ma, a parte me e
lui, in quella casa sembrava non esserci più nessuno
"Allora... sul biglietto mi hai scritto che avresti dovuto farmi
conoscere una persona..." indagai sorridendo e lui, che era
visibilmente
più elettrizzato di me, si aprì in un sorriso.
L'ipotesi del fidanzato nuovo
si faceva sempre più concreta.
"Sicuro... aspetta qui... lo rendo presentabile prima di fartelo
conoscere!" e con lo stesso sorriso splendido
scappò - letteralmente -
in camera da letto. Sospirai, leggermente a disagio. Ok, probabilmente
era andato a dire al suo nuovo ragazzo di rivestirsi
perché...
sì insomma, se era in camera da letto, era chiaro fosse
nudo.
Beh, si trovava a casa del suo fidanzato, sarebbe stato più
che
normale, no?
Che idiota... ed io che mi sono perfino messo a contare i secondi
sull'orologio...
"Bene... qui è tutto pronto!" annunciò la voce
elettrizzata di Blaine dal corridoio. Provai a mettere da parte
l'inspiegabile delusione che sembrava nascermi gradualmente nel petto,
e tentai un sorriso impaziente
"Kurt... sono lieto di presentarti il mio nuovo coinquilino..." e fece
un gesto teatrale, forse in attesa che qualcuno a quell'annuncio
uscisse dalla stanza. Cosa aveva detto? Coinquilino? Oh mio Dio. Era
più grave di quanto avessi pensato. Erano già
andati a
convivere. Progettavano già un futuro insieme. E da quando
andava avanti quella storia? Perché ne venivo a conoscenza
solo
ora? E perché diavolo mi sentivo tanto deluso? Blaine era
mio
amico, non doveva di certo rendermi conto di ciò che faceva,
della sua vita sentimentale. Ci conoscevamo da troppo poco per
pretendere molto altro rispetto a quello che già avevamo. E
quindi perché mi facevo tutti quegli inutili problemi?
"Cooper!" annunciò entusiasta, ma dalla porta non
uscì nessuno.
Mmm... Cooper...
già sento di odiarlo... davvero un nome pessimo...
"Coraggio... non essere timido!" lo incoraggiò Blaine, e fu
davvero strano perché i suoi occhi puntarono verso il basso.
Cosa diamine stava guardando? Proprio quando ormai avevo iniziato a
pensare seriamente male, qualcosa accadde. I miei occhi catturarono un
movimento, molto in basso, ed avvertii chiaramente il cuore fermarsi
nel petto e stringersi in una piacevole morsa.
Un piccolo cucciolo di Labrador bianco, con un buffo nastrino blu
legato al collo a mò di fiocchetto, avanzava timidamente nel
corridoio, sculettando leggermente e sbandando appena. Non appena mi
vide si bloccò, in mezzo al corridoio e si sedette
pesantemente
a terra per studiarmi. Piegò la testolina di lato, facendo
sì che il fiocco si spostasse verso l'alto e mosse una
zampetta
per grattarsi il fianco solleticato dal nastrino.
"Oh mio... Dio.." mormorai mentre le labbra mi si stendevano in un
sorriso intenerito ed emozionato. Non avevo mai visto un cucciolo tanto
piccolo e dolce. Era... oh mio Dio, era bellissimo.
"Forza, Coop... fatti vedere dal nostro vicino... non fare il
maleducato!" lo incoraggiò ancora Blaine spingendogli un
pò il fondoschiena con una mano. Il cane fece un verso
infastidito, ma si mosse avanzando verso di me. Istintivamente mi
piegai sulle ginocchia per poterlo accarezzare ma lui, molto diffidente
non si lasciò toccare, limitandosi a farmi un giro attorno,
annusandomi attento. Io lo lasciai fare, reprimendo l'impulso di posare
le mani su quel meraviglioso pelo lucido e straordinariamente bianco,
che sembrava morbidissimo. Finita la sua ispezione, si
accomodò
di fronte a me, ed abbaiò.
"Credo sia il suo modo per dirti che sei ok... che puoi accarezzarlo!"
mi informò Blaine avvicinandosi. Io non me lo feci ripetere
due
volte. Allungai una mano e gliela portai sulla testolina. Avevo
ragione... era morbidissimo. E dannazione, profumava. Era lui a
profumare di vaniglia, segno che fosse reduce di un recente bagnetto.
Mi sedetti meglio a terra, infischiandomene dei miei costosi jeans
firmati e della ipotetica polvere, e presi ad allisciargli il pelo
della schiena. Lui, soddisfatto si avvicinò, accoccolandosi
con
le zampe sulla mia gamba. Ridacchiai divertito
"Ma sei un coccolone allora..." mormorai colpito e alla mia risata si
aggiunse quella allegra e distesa di Blaine.
"Oh sì... vedessi le feste che mi ha fatto quando sono
tornato a
casa questo pomeriggio!" mi confermò poggiandosi allo
schienale del divano e
guardando teneramente il cucciolo
"Dio, Blaine è... bellissimo!" mormorai incantato
grattandogli un orecchio "Chi te lo ha dato?"
"Nessuno in realtà... l'ho trovato!" rispose scivolando a
sedere accanto a me a gambe incrociate
"L'hai trovato?" domandai alzando gli occhi. I suoi erano ancora fissi
sul cane, e ne sembrava completamente rapito.
"Ieri sera... sono uscito dal pub e me ne stavo tornando a casa quando
ho sentito dei rumori strani dietro ad un cespuglio. Sono andato a
controllare e ci ho trovato lui... insieme a due ragazzini..."
mormorò stringendo le mani a pugno. Sembrava nervoso. Come
se
qualcosa in quel ricordo lo infastidisse terribilmente. Lo guardai
stranito, cercando di capire, mentre il cucciolo gli si avvicinava per
farsi coccolare da un altro paio di mani. Blaine lo sollevò
da
terra e se lo posò in grembo. Era strano, sembrava non
volesse
continuare a raccontare, si era inspiegabilmente bloccato. Lo osservai
attentamente, la serenità che gli si leggeva sul volto era
leggermente sporcata da una strana durezza dei lineamenti, dovuta a
qualcosa che ancora ignoravo. Provai a capire da solo a cosa si stesse
riferendo. Aveva detto che il cucciolo era da solo, assieme a due
ragazzini, dietro ad un cespuglio, e che si sentivano dei rumori. Vuoi
vedere che...
"Oh Santo... gli stavano facendo del male, non è vero?"
domandai
in un soffio, sconvolto. Blaine mi guardò, con lo sguardo
colmo
di gratitudine, probabilmente per avergli risparmiato la fatica di
dirmelo. Annuì lentamente senza distogliere lo sguardo dal
mio.
"Non ci credo...." sussurrai disgustato. Guardai il cucciolo
accoccolato tra le gambe di Blaine, il piccolo muso schiacciato nella
sua mano e la coda che gli accarezzava distrattamente un braccio. Era
così piccolo e indifeso. Mi venivano i brividi al solo
pensiero
che qualcuno potesse anche solo pensare di fargli del male
"É la verità purtroppo... dovevi vederli, Kurt...
due
ragazzini annoiati e presuntuosi che credevano di divertirsi molestando
una povera bestia innocente che non avrebbe mai potuto difendersi!"
esclamò furente scuotendo la testa. Il cucciolo, forse
avvertendo il suo cambio d'umore, si agitò appena, ma io
prontamente allungai una mano per accarezzargli le orecchie e
tranquillizzarlo
"É orribile!" mormorai scioccato. Che male poteva mai
avergli
fatto quel cucciolo? Perché prendersela con lui se le loro
serate risultavano noiose e non sapevano come altro divertirsi?
Classici teppistelli da quattro soldi. Si inizia sempre
così,
torturando qualche lucertola, maltrattando un cane o un gatto e poi si
passa alle rapine a mano armata nei discount di periferia. Ma in che
razza di civiltà vivevamo? Che diavolo suggeriva loro il
cervello, se mai ne avessero avuto uno?
"Beh è stato fortunato, no? Alla fine ha trovato te!"
esclamai
sorridendo, cercando di risollevare un pò l'umore di tutti,
incluso il cane. Blaine per la seconda volta mi guardò
riconoscente e riuscì perfino ad aprirsi in un sorriso
"Oppure sono stato fortunato io a trovare lui!" rispose grattandogli la
pancia. Ridacchiai, intenerito dall'espressione buffa che il cucciolo
aveva messo su e per i leggeri guaiti di gioia che emetteva di tanto in
tanto
"Quindi hai deciso di tenerlo?" domandai in tono speranzoso. La
successiva domanda sarebbe stata, se e quante volte a settimana avrei
potuto fargli visita. Quel cane era troppo tenero per riuscire a
staccarsene. Blaine ridacchiò
"Non penso di aver avuto altra scelta. Tra i suoi occhietti teneri e le
richieste disperate di Daniel, non sono riuscito a tirarmi indietro!"
sospirò divertito. Trattenni un urletto di gioia, ma il
sorriso
vittorioso quello no, quello lo liberai senza problemi. Lui se ne
accorse e ricambiò all'istante
"Come hai detto che si chiama?" domandai curioso e lì
scoppiò di nuovo a ridere, completamente dimentico dei
ragazzini
e delle loro bravate
"Cooper!" esclamò fiero. Il cane, quasi avesse capito che
quello
era il suo nome, alzò la testa, la girò appena
per vedere
se c'era qualcosa di nuovo o di anomalo, ma non trovando niente,
tornò ad accucciarsi con un sospiro
"Cooper? Come... cioè... perché..." proprio non
mi
riusciva formulare una domanda sensata. Lui però non si
offese
affatto scoppiando in un'altra leggera risata
"Mio fratello si chiama così!" mormorò
tranquillamente. Aspetta... Blaine aveva un fratello?
"E tu chiami un cane... con il nome di tuo.. fratello?" ero confuso,
davvero. Cos'era quello.. un dispregiativo per il cane o un complimento
per suo fratello? Ridacchiò di gusto, passandosi una mano
tra i
ricci
"Sì, lo so, è strano... e ti sembrerà
anche
infantile, ma... in un certo senso credo di averlo fatto per
dispetto... nei suoi confronti!" mi spiegò serenamente.
Ovviamente non ci fu bisogno che specificasse per capire che si stesse
riferendo al fratello e non al cane.
"Dispetto?" domandai confuso. Probabilmente quelle erano questioni
personali ed io mi sarei dovuto fare i fatti miei. Ma sì sa,
la
curiosità era donna ed io in occasioni tipo quella tirava
fuori
la mia parte femminile
"Beh, vedi.. io e Cooper non abbiamo mai avuto un rapporto facile. Ci
sono parecchi anni di differenza a separarci e lui non ha mai perso
occasione per mettermi i bastoni tra le ruote o cercare di sminuirmi
agli occhi degli altri. Io per lui sono sempre stato l'eterno secondo,
il fallito di casa e questo ovviamente, crescendo, non è
affatto
cambiato, anzi!" si prese una pausa per concentrarsi nel ricordare
qualcosa "Pensa che... da quando mi sono trasferito qui a New York, non
è mai venuto una sola volta a trovarmi. Ha sempre trovato
scuse,
il più delle volte davvero assurde e non si mai nemmeno
degnato
di invitarmi giù in California da lui. Ormai ci si vede
soltanto
per le feste comandate e neanche con piacere a dirla tutta. Sembra...
sia costantemente infastidito da me, sembra non gli importi niente
della mia vita o delle mie emozioni. Non si è mai
risparmiato un
commento cattivo e mai, in venticinque anni gli ho sentito dire che ero stato bravo
o che mi voleva bene. Eppure dovrebbe essere.. naturale, immagino...
siamo fratelli, no?" e chiese conferma girandosi verso di me. Ero
letteralmente spiazzato. Non solo avevo appena scoperto che, in un
punto imprecisato della California, Blaine aveva un fratello di nome
Cooper, ma che quest'ultimo era tutto tranne che un fratello. Era
davvero strano, ma non riuscii neanche per un attimo di dubitare delle
sue parole. Le presi immediatamente per vere, ma per l'imbarazzo
abbassai gli occhi
"Non saprei... sono figlio unico!" mormorai stupidamente, arrossendo.
Blaine sospirò tornando a guardare il cucciolo ormai
addormentato
"Io però gli voglio bene... non riesco a non volergliene e
vorrei tanto che.. una sera di queste mi chiamasse per chiedermi come
me la passo o semplicemente per fare due chiacchiere. Io probabilmente
gli parlerei perfino del cane e del fatto che ha il suo nome.
Chissà come la prenderebbe..." si domandò con
mezzo
sorriso, per poi ridacchiare "Ci scommetto che inizierebbe ad urlarmi
improperi in ogni lingua... sarebbe davvero tipico di lui!" e scosse la
testa divertito. Lo guardai assorto, davvero dispiaciuto di vederlo
così triste e malinconico per la mancanza di un affetto che
gli
spettava di diritto ma che non aveva mai ricevuto. Si vedeva
chiaramente quanto il fratello gli mancasse, ma sospettavo che per lui
fosse stato già un grande sforzo ammetterlo. Le parole mi
scapparono dalla bocca prima che potessi controllarle
"Perché non lo chiami tu, invece di aspettare che sia lui a
farlo?" gli domandai arrossendo subito dopo. Ma io dico..
perché
non mi sigillavo le labbra e non mi limitavo ad annuire e a farmi un
pacchetto di cazzi miei? Gli occhi di Blaine saettarono nei miei,
facendomi arrossire ancora di più. E proprio quando avrei
giurato fosse sul punto di mandarmi al diavolo, lo vidi arrossire a sua
volta e mordersi un labbro
"Io... ecco... non saprei..." si mangiò un paio di parole,
ma il
senso più o meno era chiaro. Moriva dalla voglia di farlo ma
qualcosa pareva bloccarlo. Forse l'orgoglio o molto più
probabilmente la paura di un ennesimo rifiuto. Ma era chiaro che mai
nessuno avesse insistito più di tanto con lui
perché
altrimenti avrebbe ceduto molto prima. Provai ad immedesimarmi nei
panni di un amico di vecchia data - tipo Sebastian - e di trovare il
consiglio migliore da dargli. In quel momento, quello più
sensato, sembrava anche quello più rischioso
"Non pensarci troppo, Blaine... prendi il telefono e fallo!" suggerii
diretto e conciso. Lui mi guardò sgranando appena gli occhi
"Ora?" domandò confuso. Io annuì deciso e lui con
un
sospiro profondo mi passò il cane per poi alzarsi e sparire
in
camera da letto. Avevo immaginato volesse un pò di privacy,
come
era comprensibile che fosse, così abbracciando delicatamente
il
cane - il piccolo Cooper - mi alzai da terra e andai a sedermi sul
divano per stare più comodo, dato che immaginavo si sarebbe
trattata di una lunga conversazione. La voce di Blaine,
però, mi
arrivò proprio mentre mi accomodavo con il cane in braccio,
ed
esattamente dietro di me
"Ehià, Coop... come... come va?" chiese imbarazzato,
mordendosi
un labbro. Rimase in trepidante attesa, forse qualche secondo di troppo
"Deve esserci per forza un motivo se ho deciso di chiamarti? Non posso
aver avuto semplicemente voglia di sentirti?" sbottò
infastidito, alterandosi. Mi girai per guardarlo e tentare di ammonirlo
e parve funzionare perché arrossì appena e
moderò
sensibilmente la voce
"Sono contento che quel regista ti abbia dato la parte alla fine...
devi essere stato sensazionale!" mormorò per poi ridacchiare
e scuotere la testa "Sì, non lo metto in dubbio!" e
la
conversazione continuò così, per diversi minuti,
senza
dubbio molto più tranquillamente di come era partita. Ad un
tratto Blaine, dopo essersi fatto coraggio chiese
"Coop... ecco io mi chiedevo se... ti andrebbe di venire a stare un
pò da me... magari quando hai finito di girare, per qualche
giorno. Tanto qui di posto per te ce n'è!" rimase in
trepidante
attesa, torturandosi i ricci della fronte e anche io trattenni il
fiato. Lui sgranò all'improvviso gli occhi e lì
temetti
il peggio.
Ecco, gli ha detto di no. Lo sapevo, lo sapevo... è stata
una
pessima idea e adesso se la prenderà con me,
perché sono
stato un pessimo amico...
"Woah... è grandioso... certo... allora ci vediamo la prima
settimana di Aprile... è... fantastico, davvero!"
mormorò
con un sorriso luminoso e anche vagamente emozionato. Sospirai felice.
Per un momento avevo temuto davvero il peggio
"D'accordo, non vedo l'ora. Ah... Cooper? Devo dirti una cosa,
però!" buttò lì la frase, aggirando il
divano e
sedendosi accanto a me e al cane per accarezzarlo sulla testa "Ecco, io
non vivo più da solo... ho un coinquilino. É uno
splendido cucciolo di Labrador di tre mesi e indovina un
pò...
l'ho chiamato Cooper!" ci guardammo negli occhi per un istante mentre
dall'altro lato del telefono scendeva un assurdo silenzio. Scoppiammo a
ridere entrambi di gusto, comprendo quasi completamente le grida
indignate del povero Cooper. Quello vero però.
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Capitolo 10 *** Il linguaggio di Marc Jacobs e l'irritabilità delle star ***
(...) Marc Jacobs (K)
Ola
bella gente, eccomi qui puntuale e scattante.. dunque, siamo arrivati a
quota dieci e me essere felicissima ^^ Ho notato che il piccolo Cooper
(il cucciolo, non il fratellone che sclera al telefono XD) è
piaciuto a tutti e sono contenta... ci voleva un batuffolo
scodinzolante a casa di Blaine e a quanto pare le proteste di Daniel
hanno fatto effetto ;) Adesso bisogna vedere se con lui
cambierà qualcosa. Ribadisco, David è uno
stronzo, ma se può farvi stare meglio, per due o tre
capitoli dovrebbe sparire completamente quindi, dolci lettori, tirate
un sospiro di sollievo ^^ A questo capitolo ci tengo molto, l'ho
scritto quasi all'inizio (si lo so sono strana e non scrivo i capitoli
in ordine XD) perché apre una parte della storia importante
e perché mette le basi per qualcosa che leggerete fra
qualche altro capitolo, quindi un pò di pazienza ^^ Bene,
come sempre ringrazio con il cuore in mano tutte le anime pie che
mettono la storia tra seguite/ricordate/preferite ma soprattutto alle
splendide persone che recensiscono e che mi fanno battere il cuore di
gioia, come quando Kurt guarda Blaine, per intenderci ^^ Bene, vi
lascio al capitolo, sperando riesca a farvi fare qualche risata e... ci
vediamo Mercoledì... un bacione :)
p.s.
Una premessa... io non ho niente contro Bon Jovi... sappiatelo prima di
inveirmi contro.. ahahahah ;)
n.b.
E come sempre un grazie speciale alla mia artista Tamara... ti lovvo
<3
New York City. 26
Marzo 2012. Ore 12.50 P.M. (Lunedì)
Stare
seduto
e
riflettere, per uno come me era davvero un privilegio troppo grande,
una debolezza che non potevo permettermi. Eppure lo stavo facendo.
D'altronde, nessuno dei miei superiori mi vedeva e ad occhi esterni,
sarei risultato un semplice collaboratore in attesa di valutare un
altro capo proposto da una delle modelle dell'agenzia per cui lavoravo.
Per questo avevo deciso di accompagnare Santana presso l'atelier di
Marc Jacobs a Bleecker Street di Manatthan. La verità era
che
morivo dalla voglia di concedermi una pausa, bere un flûte di
champagne, e sbirciare qualcosa nel reparto maschile dell'atelier,
prima di uscire. Sì, la vita dell'assistente di moda era
davvero
faticosa.
"Come mi sta?" mi domandò ad un tratto Santana uscendo
finalmente dal camerino e mostrandomi un vestito che per poco non mi
fece prendere un infarto e sputare ovunque il mio prezioso champagne.
Cosa diavolo si era messa addosso? Era un vestito nero, anzi, delle
strisce di vestito nero messe a caso su una stoffa argentata, tutto
confuso, disordinato, sembrava un grande rotolo di carta igienica. E
questo era il commento più carino che riuscissi a trovare
"Oh mio Dio... dove diavolo lo sei andato a pescare questo?" domandai
quasi senza voce spalancando gli occhi. Lei, innocentemente si
guardò allo specchio non capendo
"Non ti piace?" mi domandò confusa
"Certo che no! Se mi vuoi un minimo di bene vai a togliertelo
immediatamente! Santo Cielo... deve essere capitato qui per sbaglio...
non può davvero appartenere alla collezione di Marc Jacobs!"
e
mi passai una mano sulla fronte, agitato e sconvolto. Santana mi
guardò perplessa per qualche secondo e dopo un'ultima
occhiata
sospettosa allo specchio fece come le avevo detto e sparì di
nuovo dietro la tenda del camerino. Con un lungo sospiro poggiai il
bicchiere sul tavolino accanto alla poltroncina sulla quale ero seduto,
e recuperai l'agenda personale che mi portavo sempre dietro. Mancavano
soltanto cinque giorni alla serata di beneficenza che la mia agenzia
aveva organizzato, e ormai tutto era pronto: gli inviti erano stati
spediti per tempo, il catering organizzato, la sala prenotata, il
cantante
ingaggiato. E a Santana mancava il vestito. Ed io ero lì per
aiutarla. Peccato lei cercasse di farmi fuori prima del tempo.
"Questo?" fece dopo qualche minuto, uscendo dalla tenda, un
pò
intimorita. Quella volta aveva indossato una specie di tunica dal
colore poco chiaro, con uno strano motivo quadrettato che le arrivava
quasi alle caviglie. Una specie di monaca con un cattivo gusto
estetico. Evitai di commentare e assunsi un'espressione piuttosto
eloquente
"Non va bene neanche questo, eh?" mi domandò triste, facendo
un
mezzo giro, forse nella speranza di convincermi. Scossi la testa e lei
sospirò
"Non troverò mai nulla che mi piaccia e che allo stesso
tempo piaccia anche a te!" mormorò mortificata
"Ti sbagli dolcezza... il tuo problema è che ti lasci
guidare da
una specie di radar difettoso verso l'orrido. Tu i capi non devi
vederli, ma sentirli... loro ti parlano, ti sussurrano dolcemente
all'orecchio, ti consigliano!" le spiegai alzandomi e fiancheggiandola
"Ah sì? Beh, forse parlano una lingua a me sconosciuta!" mi
rispose sconsolata
"Lascia fare a me!" le dissi facendole l'occhiolino. Lei mi sorrise
entusiasta e mi lasciò andare. Iniziai a vagare per il
salone,
guardando con occhio critico tutti i capi d'abbigliamento.
"Dunque, caro Marc Jacobs... abbiamo una splendida modella taglia 38 da
vestire, carnagione ambrata, capelli neri e un pessimo gusto in fatto
di vestiti. Cosa hai da propormi?" sussurrai sfiorando un abito nero da
cocktail di un elegante tessuto italiano.
"Posso aiutarla?" la voce squillante di una commessa in tailleur nero
mi fece sobbalzare. La guardai male, chiedendomi quale incosciente
avesse mai permesso ad un'oca del genere di entrare in un tempio
così sacro. Non le avevano mai insegnato che quando un
cliente
era assorto nella contemplazione, non bisognava disturbarlo, per nessun
motivo al mondo?
Coraggio, Kurt... cerca
di essere quantomeno educato...
"No, grazie... faccio da solo!" risposi ignorando il suo sorriso che
lentamente si spegneva deluso. Sapevo che in posti come quelli, le
commesse andassero a "commissione" ma purtroppo per lei io ero un
intenditore e me ne facevo davvero poco di una personal shopper.
Così tornai a dedicarmi alla mia scelta, colpito da un paio
di
miniabiti dai colori sgargianti. Il viola stava di incanto addosso ad
una come Santana.
Proprio quando credevo di aver trovato l'abito perfetto, il mio
telefono iniziò a suonare con insistenza. Ecco fatto, mi
sembrava strano che per una mattinata intera nessuno si fosse fatto
ancora sentire. Sembrava che il mondo non potesse davvero fare a meno
di me, per qualche ora. Così, con un sospiro frustrato
afferrai
il mio iPhone e senza neanche vedere chi fosse, accettai la chiamata
"Kurt Hummel!" esclamai secco, controllando la lunghezza del vestito
che avevo scelto e domandandomi contemporaneamente quali scarpe
stessero meglio.
"Kurt... sono Kristen... sono passata in sede, ma non ti ho trovato!"
mi rispose la voce della pr dell'agenzia.
"Sì Kris, scusa... sono in giro con una modella per una
commissione. Cosa volevi?" incastrai il telefono tra l'orecchio e la
spalla ed esaminai bene un paio di pochette dello stesso colore delle
scarpe che avevo scelto e che stringevo tra le mani
"É successo un mezzo casino, Kurt... anzi, per citare il tuo
ragazzo fotografo, siamo nella merda fino alla punta dei capelli!" mi
spiegò agitata e la cosa mi preoccupò
all'istante,
catturando la mia attenzione. Soprattutto perché aveva
tirato in
ballo David e la cosa non mi piaceva affatto
"Cosa è successo?" domandai allora
"Il cantante per la serata di beneficenza di sabato... ha disdetto
un'ora fa!" tagliò corto. Spalancai gli occhi, recuperando
finalmente il telefono che rischiava di cadere
"Bon Jovi ha disdetto?" gridai in preda al panico, attirando
l'attenzione di tutte le commesse e i clienti di quel reparto. Ma me ne
infischiavo, lì eravamo nell'emergenza più
totale, c'era
poco da essere gentili ed educati
"E perché avrebbe fatto una cosa tanto stupida?" domandai
allora
"Non so che dirti... il suo manager ha parlato di disaccordi con
l'agenzia e di malintesi irrisolvibili!" mi spiegò pratica.
Dalla voce affaticata che aveva, doveva sicuramente essere parecchio
indaffarata come al suo solito
"Malinteso un cazzo. Quel suo bel faccino del New Jersey sarebbe
costato trentamila dollari all'agenzia. Altro che disaccordi!" strillai
inviperito. Avevo trattato io stesso con il manager di quel bastardo,
perché il signorino era troppo famoso ed importante per
degnarsi
di presentarsi ad un incontro di lavoro. Lui - il manager - era
sembrato entusiasta e avevamo chiuso le trattative a trentamila dato
che non sarei riuscito a scendere di più. Eravamo entrambi
soddisfatti e perfino il mio capo mi aveva fatto i complimenti. Adesso
non poteva darmi buca, ne avrebbe rimesso il buon nome della mia
agenzia, ne avrebbe rimesso la serata di beneficenza, ma soprattutto ne
avrei rimesso io. Doveva quanto meno darmi una spiegazione plausibile,
e sarebbe dovuto venire Bon Jovi in persona a strisciare da me, per
convincermi.
"Sembrava pazzesco anche a me, Kurt... sono stata al telefono con lui
fino a dieci minuti fa per cercare di convincerlo, ma sembra
irremovibile!" mi spiegò mentre la confusione di New York
che la
circondava mi arrivava chiaramente attraverso l'apparecchio. Strinsi
con forza il vestito tra le mani ed emisi un verso frustrato. Lo
sapevo, sapevo che era filato tutto troppo liscio fino a quel momento.
Doveva per forza succedere qualcosa altrimenti sarebbe stato fin troppo
strano.
Prima di strappare per la rabbia quel prezioso - e costosissimo -
vestito, intercettai con lo sguardo l'oca di poco prima e le feci segno
di avvicinarsi. Lei obbedì all'istante
"Mi faccia un piacere... porti questo a quella ragazza mulatta che
aspetta nei camerini. La riconoscerà dal pessimo senso
estetico
che la caratterizza, non può sbagliarsi!" e le diedi tutto
ciò che avevo scelto fino ad ora. Lei sorrise e si
allontanò efficiente.
"Ascolta Kristen... facciamo così: inoltrami il numero di
questo
incompetente così ci parlo direttamente io. Voglio vedere se
ha
il coraggio di dire anche a me che ci sono stati dei... malintesi!"
masticai con rabbia le parole, poggiando una mano sul fianco
"D'accordo, dieci secondi e sarà tuo. Ah.. Kurt? Grazie...
sei
un tesoro, come sempre!" e mise giù. Con un sospiro attesi
che
mi arrivasse il suo messaggio con il numero, e lentamente tornai nel
camerino, incrociando la commessa bionda, sorridente e stranamente
elettrizzata
"Mi permetta di dirglielo. Ha fatto un'ottima scelta. Le sta
d'incanto!" esclamò poggiandomi una mano sul braccio, in un
eccesso di confidenza. Stavo per sollevare un sopracciglio infastidito
e farle presente che io e lei non avevamo mai mangiato allo stesso
tavolo, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Una
stupenda
versione di Santana, stretta in un miniabito bianco, un paio di
vertiginosi tacchi neri ed una borsetta coordinata, mi si era
materializzata davanti agli occhi e per qualche istante mi fece
dimenticare della rabbia, di Bon Jovi, del suo manager e di quella
stupida festa. Sorrisi inconsapevolmente, facendola arrossire
"Allora?" mi domandò avanzando verso di noi, appena
intimidita
"Questo... è Marc Jacobs!" esclamai fiero, applaudendo.
Scoppiammo a ridere di gusto, inclusa la commessa.
New
York City. 26 Marzo 2012. Ore 02.02 P.M. (Lunedì)
"Come sarebbe a dire che erano pochi? Ma lei si rende conto che una
cifra del genere potrebbe salvare cinquanta famiglie in Ecuador?"
sbottai spazientito, infilzando con la forchetta il mio gamberetto.
Santana mi guardava spaventata e divertita allo stesso tempo, gustando
l'ottimo vino che il cameriere ci aveva portato. Ci eravamo fermati a
mangiare da "Tello" un ristorante italiano con specialità di
mare, sulla 8th Avenue. Ma a me sembrava passato l'appetito. Era
più di mezz'ora che inveivo al telefono con l'agente idiota
di
Bon Jovi e l'unica cosa che avevo guadagnato, era una grande mal
di testa.
"Sì, capisco perfettamente la portata del nome del suo
cliente
ma capisco altrettanto perfettamente che lei si è trovato un
capo tirchio e estremamente stronzo! Ha presente cosa significano le
parole: evento di beneficenza? Beh, io non credo altrimenti non saremmo
qui a parlare di raddoppiare il prezzo per una misera serata!" sbattei
con forza il pugno sul tavolo facendo sobbalzare la povera Santana e un
altro paio di persone. Ok, forse stavo esagerando ma quel tipo e la sua
fottuta fedeltà verso un riccone del genere, mi davano sui
nervi
"No che non le chiedo scusa per quello che ho appena detto...
è
quello che penso e sarei disposto a ripeterglielo all'infinito anche
perché non so se lo sa, ma mi avete cacciato in un bel
casino
lei e il suo adorato cantante dei miei stivali. Adesso cosa dico alle
trecentottanta persone che tra cinque maledetti giorni arriveranno
all'evento aspettandosi di trovare un cantante ad intrattenerli e
troveranno soltanto un palco vuoto?" gli domandai furioso ottenendo
soltanto altri strilli sconclusionati. Quel tipo doveva ringraziare che
ci trovavamo a New York e che otto milioni di persone erano davvero
troppe. Altrimenti sarebbe finito veramente male.
"Bene, la ringrazio della pessima professionalità
dimostrata. E
stia sicuro, farò un'ottima pubblicità di lei e
del suo
cliente ai personaggi illustri che incontrerò questo sabato.
Addio!" e chiusi con forza il telefono scaraventandolo malamente sul
tavolino. Grugnii infastidito, e mi poggiai alla spalliera della sedia
incrociando le braccia al petto. Parlare con quel tipo ottuso ed
arrogante non era servito a niente, maledizione. Ero punto e a capo e
mancavano soltanto cinque fottuti giorni.
"Niente, eh?" mi domandò Santana con la forchetta a
mezz'aria indicando con il capo il mio telefono ormai muto
"Brutto stronzo bastardo... chi diavolo ti credi di essere? Solo
perché hai venduto qualche milione di dischi e hai vinto uno
o
due Golden Globe questo non ti autorizza a montarti la testa e ad
essere tanto taccagno!" inveii contro il mio stesso telefono, quasi
stessi ancora parlando con quel tipo
"Quanto aveva chiesto?" mi chiese lei, tranquilla e per niente
infastidita dal mio tono agitato
"Sessantamila dollari. Cioè, ti rendi conto? Vieni invitato
ad
un evento di beneficenza, già questo dovrebbe farti capire
che
in un certo senso non dovresti neanche pretendere di essere pagato. Ma
va bene, ti concedo dei soldi... e ovviamente trentamila dollari, no,
seriamente trentamila, non gli bastano perché lui non
può
di certo impegnarsi una serata intera per due miseri spicci. Ma dico,
siamo impazziti? Neanche gli avessimo chiesto di cantare in finlandese
mezzo nudo. Bastava strimpellare un pò la chitarra, cantare
due
canzoni e poi se ne sarebbe anche potuto andare al diavolo!" alzai le
braccia al cielo seccato al massimo. Non pensavo di perdere
così
facilmente il controllo. Normalmente ero una persona calma e
ragionevole. Bon Jovi era stato capace di trovarsi un manager che mi
aveva fatto perdere calma e ragione in un colpo solo.
"Dio, e adesso chi lo sente Chang!" mormorai in un lamento. Ero sicuro
che quella volta mi avrebbe ucciso. E al diavolo lo zen, l'incenso e la
buona educazione. Ci avevo messo l'anima e il cuore per organizzare
assieme a Kristen quell'evento, non potevo permettermi andasse tutto a
rotoli in quel modo. Non per colpa di uno stupido cantante viziato.
"Coraggio, Kurt... non c'è motivo di farsi prendere dal
panico,
una soluzione si trova sempre!" mi disse Santana, pulendosi la bocca
con il tovagliolo. La guardai estremamente male
"No hai ragione... che motivo c'è di disperarsi dopotutto!?"
feci allora sarcastico. Lei si aprì subito in un sorriso
soddisfatto
"Ecco appunto!"
"No, Santana, tu forse non ti rendi conto!" gridai allora, facendo
girare perfino un paio di persone al di fuori del locale, al di
là del vetro accanto al quale eravamo seduti "Chang mi ha
affidato questo evento perché si fida di me e
perché
vuole che tutto sia organizzato con cura e con eleganza. Adesso dimmi
tu come posso andare da lui e dirgli che all'ultimo momento il cantante
che avevo contattato ha disdetto e che per cercare di migliorare la
situazione sono arrivato a dargli dello stronzo per telefono!" ero
fuori di me, letteralmente
"Sì, in effetti questo avresti potuto risparmiartelo!"
mormorò con un sorrisetto divertito, bevendo un sorso del
suo
vino bianco. Mi lasciai andare ad un lungo sospiro mettendomi le mani
nei capelli. E al diavolo la lacca.
"Sono rovinato!" mormorai afflitto, sul punto di scoppiare a piangere.
Lo avrei fatto se solo non fossimo stati in un luogo pubblico in cui
già metà delle persone mi guardava preoccupata.
Santana
allungò una mano e mi accarezzò una guancia
"Kurt, ascolta, non sei rovinato. Troveremo una soluzione. Fidati di
me!" mi assicurò con un sorriso
"Cosa ti fa essere così sicura?" le domandai scettico.
"Credo in te e nelle tue capacità. Fino ad ora non hai mai
deluso nessuno e quello che hai fatto poco fa in quell'atelier ne
è stata l'ulteriore prova! Tu hai talento, devi soltanto
trovare
la forza di riprenderti da questa bella botta, rialzarti e tornare a
combattere!" mi disse dolcemente, stringendomi un avambraccio. Mi
ritrovai stranamente a crederle
"Trovare un vestito che ti stesse bene in un negozio così
fornito e alla moda, non mi sembra poi tanto difficile!" borbottai con
l'accenno di un sorriso ad incresparmi le labbra. Lei
ridacchiò
"Non contraddirmi Hummel, oppure torno indietro e cambio ciò
che
ho comprato con il primo vestito che ho visto!" mi minacciò
divertita, facendomi ridere.
"Grazie Santana... sei... davvero un'amica!" le mormorai commosso. Lei
fece una smorfia bevendo l'ultimo sorso del suo vino
"Non devi ringraziarmi. Lo sai che lo faccio con piacere. Adesso
riflettiamo... chi conosciamo che potrebbe sostituire senza problemi
Bon Jovi con un così breve preavviso?" domandò
pensierosa. Mmm... bella domanda.
Mi sarebbe servito un cantante, quanto meno accettabile e musicalmente
dotato, al quale sarebbe andato bene presentarsi ad una folla di
persone che acclamavano a gran voce un pezzo grosso come Bon Jovi e che
si sarebbe accontentato senza problemi dei trentamila dollari - i
famosi due spicci - che era disposta a sborsare l'agenzia. Bella
fregatura.
Stavo giusto per far presente a Santana che sarebbe stato
più
semplice richiamare l'agente di Bon Jovi e implorare a gran voce il suo
perdono, quando un'illuminazione mi colpì in pieno.
Ma certo...
"San... credo di aver trovato la persona che fa per noi!" mormorai
elettrizzato e incredulo mentre l'idea che mi era venuta iniziava a
diventare sempre più fattibile e geniale
"Enrique Iglesias?" domandò curiosa. Io scossi la testa con
un sorriso a trentadue denti
"No... meglio, molto meglio!"
New
York City. 26 Marzo 2012. Ore 03.50 P.M. (Lunedì)
"Non ho ancora ben capito Kurt... cosa ci siamo venuti a fare qui?" mi
domandò confusa Santana avanzando tra i reparti del
supermercato, con andatura sicura e disinvolta, mentre mi veniva dietro
e allo stesso tempo attirava incredibilmente tutti gli sguardi su di
lei. Ecco come aveva fatto Sam Evans a notarla. E meno male che quel
giorno non indossava la tuta ma uno splendido pantalone aderente rosso
fuoco ed una camicetta a fiori. Tutto firmato Giorgio Armani.
"Stiamo cercando la nostra star!" le risposi semplicemente scrutando
furtivo tra uno scaffale e l'altro
"Cerchiamo un cantante in un... supermercato?" chiese scettica,
abbassando la voce, quasi fossimo in missione segreta.
"Abbi fede!" mormorai, avventurandomi nel reparto macelleria. Non avevo
idea di dove lavorasse precisamente. Probabilmente me lo aveva anche
detto ma io ero stato distratto da qualcosa - dai suoi occhi o dal suo
sorriso - e non avevo memorizzato il concetto. Peccato che in quel
momento ne avessi seriamente bisogno.
Ero quasi tentato di chiedere informazioni ad un ragazzone alto e
muscoloso con la divisa verde del supermercato, quando una figura in
lontananza che trascinava un pesante carrello stracolmo di casse
d'acqua, attirò la mia attenzione.
"Bingo!" mormorai elettrizzato accelerando il passo nella sua
direzione. Avvertii il rumore dei tacchi di Santana dietro di me e da
un momento all'altro mi sarei aspettato una sua domanda. Ma quella
volta non arrivò. Ci avvicinammo al povero e affaticato
ragazzo
in divisa verde, piegato verso il ripiano dei fardelli dell'acqua. Da
vicino ne fui ancora più sicuro: quel ragazzo era bello da
mozzare il fiato perfino con quell'orrida divisa addosso. Altro che
rotoli della carta igienica. Dovevo ricordarmi di fargli fare un salto
nel reparto maschile di Marc Jacobs
"Mi scusi... posso chiederle un'informazione?" esclamai non riuscendo a
trattenere un certo sorriso divertito, mentre lui, richiamato
all'attenzione si alzava e si preparava a sorridere al cliente
"Cer..." ma si bloccò spalancando appena gli occhi, sorpreso
"Kurt? Che... ci fai qui?" e si lasciò scappare un sorriso
sorpreso e appena imbarazzato.
"Sono venuto a fare la spesa... cosa c'è, devo chiedere
prima il
permesso a te per farlo?" risposi provocandolo, facendolo ridacchiare
"No, certo che no... soltanto che TriBeCa è un pò
lontana
rispetto a Lower East Side e credevo ti fermassi al supermercato
all'angolo per rifornirti. Non ti ho mai visto prima da queste parti!"
mi spiegò allegro e cordiale. Come sempre d'altronde.
Ridacchiai
grattandomi la guancia
"Ok, sono poco credibile lo ammetto... ma speravo ti ci volesse un
pò di più per smascherarmi!" esclamai facendolo
ridere.
Lo avevo già detto che era particolarmente bello quel giorno?
"Ehm... Kurt?" la voce di Santana mi giunse alle spalle senza preavviso
e subito mi ricordai di lei, del manager di Bon Jovi e del motivo per
cui eravamo in quel supermercato di TriBeCa.
"Sì, giusto... Santana, questo è Blaine, il mio
vicino di
casa e nostro magnanimo salvatore!" esclamai entusiasta indicandolo con
la mano. Sia Santana che Blaine ebbero pressappoco la stessa reazione
di stupore: spalancarono gli occhi e mi guardarono confusi
"Il tuo vicino?"
"Il vostro magnanimo salvatore?" chiesero infatti prima una e poi
l'altro. Sorrisi non potendo farne a meno. Sarebbe stata una lunga
conversazione ma ormai il mio cervello era già partito per
la
tangente e aveva già organizzato tutto perfettamente. Che
lui
non avesse ancora detto di sì, era un dettaglio davvero
irrilevante per me.
"Tra quanto finisci il turno?" domandai a Blaine allora, per tagliare
corto. Lui, ancora confuso diede un'occhiata all'orologio che aveva al
polso e rispose
"Un'ora!"
"Perfetto. Ci vediamo qui fuori... dobbiamo parlare!" e dopo averlo
salutato e avergli augurato buon lavoro con un sorriso radioso che lo
lasciò alquanto interdetto, ci dirigemmo verso l'uscita.
Solo
allora Santana mi rese partecipe dei suoi maliziosi pensieri
"Vicino di casa, eh?" mi domandò con una voce fin troppo
divertita
"Sì... perché?"
"É un figo da paura... Dove lo hai nascosto fino ad ora,
Kurt?"
chiese scettica mentre attraversavamo le porte automatiche e tornavamo
nel caos della strada. Io mi inforcai gli occhiali da sole, pronto ad
infrangere un altro povero cuore caduto nella trappola caramellata
degli occhi di Blaine Anderson
"Mi dispiace dirtelo, bambolina... questo figo da paura, come lo chiami
tu... è gay!" le spiegai. Lei scoppiò a ridere
ravvivandosi i capelli con le mani
"Oh, ma questo lo avevo capito, Kurt... infatti mi stavo giusto
chiedendo cosa aspettassi a mollare David e a provarci con lui. Siete
semplicemente perfetti insieme!" esclamò allora. Io la
ignorai
bellamente recuperando il telefono per rendere partecipe anche Kristen
della mia geniale trovata. Il fatto che Blaine non sapesse ancora un
bel niente, rimaneva un dettaglio. Lo avrebbe scoperto a breve e avevo
come l'impressione che l'assegno a quattro zeri che gli avrei messo
sotto gli occhi, lo avrebbe convinto all'istante.
Beccati
questa Bon
Jovi...
|
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Capitolo 11 *** Imparare a splendere ***
(...) Chiacchiere al bar
Buon
Ferragosto a tutti.. mentre voi passate la giornata fuori tra mare e
montagna immagino, io sono qui inchiodata nella mia insulsa cittadina
che di "Potenza" non ha proprio niente, ad aggiornare e probabilmente
qst sarà l'unico momento bello della giornata, ma
sorvoliamo, va ;) dunque, poche parole per dirvi che in questo capitolo
vedremo la discussione tra Kurt e Blaine sulla festa (dove Santana
farà il terzo incomodo XD) e la successiva decisione del
nostro ricciolone preferito... chi ci scommette su di lui? ^^ Bene,
capitolo abbastanza lungo e cosa più importante, come vi
avevo già accennato.. niente David nei paraggi ;) bene, vi
lascio alla lettura, ringraziando come sempre le anime pie che leggono,
recensiscono e continuano a mostrarmi il loro affetto.. vi amo di bene
^^ Ci vediamo sabato per l'aggiornamento di uno dei miei capitoli
preferiti... vi avverto.. dal prossimo in poi... ci vorrà
taaaanto sangue freddo per leggere XD bacioni
p.s.
Mi stancherò mai di ringraziare la mia grafica ufficilae,
tale Tamara? No, probabilmente no... quindi, grazie tesoro mio :*
n.b
Spazio per la pubblicità occulta (che tanto occulta non
è, visto che è comunque roba mia ^^ (oggi sono
insofferente verso questo aggettivo possessivo Chissà
perchè...!): io avere scritto una piccola One Shot nella
sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe
piacere se ci deste unìocchiata.. ok, pubblicità
finita, mi dileguo... ancora auguri a tutti ;)
New York City. 26
Marzo 2012. Ore 05.03 P.M. (Lunedì)
Ero curioso.
Da morire.
Generalmente non avevo mai saputo trattenermi quando si trattava di
sorprese o cose di questo genere per questo chi mi conosceva tendeva a
non farmene. Ero un bambino di cinque anni che la maggior parte della
volta rischiava di rovinare tutto per una stupidaggine. La maledetta
curiosità. Per poco non schiacciai il piede ad un signore
con il
carrello dell'acqua, distratto com'ero a pensare al mio recente
incontro
con Kurt. Cosa mai avrebbe dovuto dirmi? Era importante? A giudicare da
quanto fosse emozionato ed esuberante avrei immaginato di
sì.
Non lo avevo mai visto tanto su di giri. E chi era quella ragazza che
lo accompagnava? A giudicare da fisico e dai vestiti costosi, doveva
trattarsi di una modella ben pagata. Ma d'altronde, con il mestiere che
faceva Kurt, era chiaro ne fosse sempre a contatto. E poi mi aveva
indicato e aveva detto che ero il loro salvatore? Sì, ma...
salvatore di cosa?
Non riuscendo più a trattenermi, alle cinque in punto, corsi
in
magazzino, mi liberai della divisa e come un pazzo recuperai la giacca
ed uscii dal supermercato. Feci un mezzo slalom tra la gente che
affollava il marciapiede e in un primo momento, non vedendo
né
Kurt, né la modella, temetti si fossero stancati di
aspettarmi e
se ne fossero andati. Ma proprio quando iniziavo ad abbattermi, sentii
un richiamo
"Ehi, Blaine? Blaine... siamo qui!" mi girai in direzione della voce, e
li vidi, seduti ad un tavolino esterno di un bar dall'altra parte della
strada, e sorrisi raggiante. Che sciocco che ero stato. Davvero avevo
creduto che Kurt mi avrebbe giocato uno scherzo del genere? Che motivo
avrebbe avuto poi? Era stato lui a venirmi a cercare, dunque...
Attraversai la strada secondo il più rigido insegnamento
civico, guardando prima a destra e poi a sinistra e li raggiunsi
"Scusaci... nell'attesa ci siamo presi un caffè. Ne vuoi uno
anche tu?" mi chiese Kurt indicando il suo bricco di cartone mentre la
modella era al telefono con qualcuno. Mi sedetti in mezzo a loro e
scossi la testa
"No, grazie, niente caffè dopo l'una!" risposi con un mezzo
sorriso, ricordandomi tutte le volte che Daniel mi aveva bastonato, per
via del mio eccessivo uso di caffeina. Lui sorrise pratico e rimase in
attesa che la sua amica terminasse la chiamata. Solo allora mi accorsi
di una cosa: quei due erano vestiti di tutto punto, sembravano appena
usciti da un set fotografico ed erano così perfettamente al
loro
agio in un ambiente tanto raffinato come quel bar. Mi sentii
estremamente fuori luogo con il mio insulso paio di jeans e la mia
maglietta blu con il cappuccio. Se solo mi avesse avvertito, sarei
scappato a casa a cambiarmi e ad indossare perlomeno una camicia. Kurt
Hummel mi faceva un brutto effetto.
La modella chiuse la chiamata e si scusò con un sorriso
particolarmente cordiale che mi fece sentire ancora più a
disagio
"Scusate era il mio manager... a quanto pare il mese prossimo si parte
per i Caraibi per un servizio fotografico in costume!"
spiegò
elettrizzata
"Sam è un grande!" esclamò Kurt bevendo un sorso
di caffè
"Sa il fatto suo!" rispose la ragazza annuendo. Io rimasi in silenzio a
sorridere imbarazzato. Ero fuori luogo e quei discorsi ne erano la
prova. La modella si sbarazzò degli occhiali da sole, che
incastrò nei capelli, e mi rivolse un sorriso luminoso -
dannazione come facevano ad essere così belle anche senza
trucco?
"Allora, direi che è giunta l'ora di presentarsi come si
deve, chico!"
e detto questo mi porse la mano che afferrai all'istante "Santana
Lopez. Modella superpagata da sei mesi!" e lo disse con tale
naturalezza che non riuscii a trovarla minimamente presuntuosa, ma
scoppiai a ridere
"Blaine Anderson. Commesso-schiavo, omino del pane e... a tempo perso,
strimpellatore da strapazzo!" risposi divertito facendo ridere sia lei
che Kurt. Santana alzò lo sguardo verso quest'ultimo e gli
sorrise maliziosa
"Ah, adesso capisco cosa intendevi prima!" esclamò
"Te l'ho detto, tesoro. Non potrei mai tirarti una fregatura!"
mormorò con un sorriso sornione il ragazzo. Io li guardai
confuso. Possibile mi fossi perso una parte della conversazione?
"Allora Blaine... come stai?" mi domandò Kurt su di giri.
Cosa
si era fumato? Non lo avevo mai visto così elettrico. Forse
Daniel aveva ragione, la caffeina non faceva affatto bene.
"Mmm suppongo bene... un pò stanco magari, ma... non posso
lamentarmi!" risposi e chissà per quale motivo il mio
commento
lo fece scoppiare a ridere di gusto.
"E tu Kurt... tu stai bene?" chiesi seriamente preoccupato inarcando un
sopracciglio
"Io? Sto magnificamente bene... la giornata non potrebbe andare meglio.
Dico bene Santana?" chiese conferma alla ragazza che sorrise a sua
volta divertita da qualcosa che ancora ignoravo
"Certo, mi amor!
Sorvolando
sul fatto che hai aggredito verbalmente un uomo e che hai dato del
tirchio a Bon.." ma la risata quasi isterica di Kurt si sovrappose alla
voce della ragazza
"Che simpatica la mia adorata Santana... sempre con la voglia di
scherzare!" e vidi chiaramente la modella sobbalzare, come se fosse
stata colpita da qualcosa ed il suo sguardo farsi aggressivo nella
direzione di Kurt, Ok, cosa stava succedendo?
"Kurt, io... credo di essere leggermente confuso al momento!" ammisi
osservandoli, quasi fossi stato messo davanti a due pazzi intenti a
litigare. Ok, forse non escludevo più il fatto che Kurt si
fosse
divertito ad organizzarmi uno scherzo, altrimenti non si spiegava il
suo comportamento
"Tranquillo, Blaine, adesso ti spiegherò tutto e ti prometto
anche che, quando avrò finito di parlare, ti
lascerò un
pò di tempo per riflettere e trovare il modo migliore per
ringraziarmi a dovere!" esclamò allegramente facendomi
l'occhiolino
"R-ringraziarti?" domandai sorpreso. Lui e la modella si guardarono per
un lungo istante, dopodiché scoppiarono a ridere
"Kurt, il pasticcino qui, ha ragione... forse dovresti prendertelo tu
del tempo, alla fine, per ringraziarlo come si deve!"
ridacchiò
Santana, ambiguamente maliziosa, poggiando la schiena alla sedia e
infilando di nuovo gli occhiali da sole.
Pasticcino?...
"Credimi San... con quello che ho da offrirgli, sono sicuro non ci
sarà neanche bisogno!" rispose lui divertito bevendo un
sorso
dal suo bicchiere e sorridendomi elettrizzato.
"Kurt?" lo chiamai preoccupato
"Allora, Blaine... direi di iniziare a parlare di affari!"
New York City. 26 Marzo 2012. Ore 05.17 P.M. (Lunedì)
"Ok, ricapitoliamo e vediamo se ci ho capito qualcosa di tutta questa
storia: il tuo capo ti ha affidato l'organizzazione di una serata di
beneficenza per questo sabato, serata per la quale avevi chiamato Bon
Jovi per esibirsi!" ripetei gesticolando nervosamente con
le mani. Alla fine il caffè me lo ero fatto portare anche
perché stavamo affrontando un argomento per cui un aiuto del
genere era davvero gradito. Poi tanto Daniel non sarebbe mai venuto a
saperlo.
"Esatto!" confermò Kurt, con le gambe incrociate e ancora
quel
sorriso soddisfatto sul volto, di chi ha già la vittoria in
tasca
"Ma lui ti ha dato buca!" aggiunsi
"Che il Cielo lo fulmini! Giuro sulla mia preziosa collezione di
foulard di Alexander McQueen che farò sparire tutte le sue
canzoni dal mio iPod appena torno a casa!" mormorò
stringendo il
pugno ed inveendo contro qualcuno.
"E tu adesso stai cercando un sostituto!" constatai allora
"Giusto anche questo!"
"E hai pensato a... me?" domandai non riuscendo più a
trattenere
lo scetticismo. Lo sapevo fin dall'inizio che quella situazione aveva
qualcosa di anomalo. Mentre Kurt me la spiegava nel dettaglio,
più andava avanti e più me ne convincevo.
"Sì... non è semplicemente geniale!?!" fece lui
in
risposta tornando allegro e gasato come lo era stato fino ad allora.
Quel lato del suo carattere in un certo senso mi spaventava. Mi faceva
venire la strana voglia di annuire cautamente e poi provare ad
allontanarmi con la speranza che non mi venisse dietro. Eppure,
abitavamo nello stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo. Sospettavo
mi avrebbe trovato all'istante. Presi un profondo respiro e finalmente
diedi voce al pensiero che mi premeva per uscire da quindici minuti a
quella parte
"Assolutamente no, Kurt! É un'assurdità! Io non
posso
cantare davanti a trecentottanta persone tra presentatori famosi,
attori e modelle! Non esiste proprio!" sbottai finalmente. E al diavolo
l'educazione e il buon senso. Non poteva davvero chiedermi una cosa del
genere.
"Non considerando il fatto che ci sarà anche la moglie di
Obama!" mormorò Santana che fino a quel momento era rimasta
in
silenzio, sollevando gli occhi dal suo iPad e guardandoci con
un'assurda calma
"Che cosa?" quasi mi strozzai con la mia stessa saliva ma notai
chiaramente sul viso di Kurt dipingersi una smorfia di disappunto in
direzione dell'amica
"Ma no... figurati se Michelle si degnerà di farsi vedere
sabato
sera... con tutti gli impegni da first lady!" tentò di
sviare
lui con un sorriso tirato
First Lady?...
"Tu... chiami la moglie del Presidente... Michelle?" boccheggiai
sconvolto, con una mano tra i capelli. Ok, quello era davvero troppo.
Cos'altro mi serviva ancora per capire che tutto quello non aveva
niente a che fare con me e che dovevo alzarmi e andare a casa? Mi sarei
dovuto fare una doccia e cambiare per correre al pub di Puck eppure
rimanevo ancorato a quella maledetta sedia, in quel maledetto bar ad
ascoltare le fantasie di due pazzi che meritavano soltanto di essere
internati. Forse... era per colpa di Kurt se ancora rimanevo
lì,
nonostante tutto. E fu proprio lui a parlare e ad interrompere quel
momento di silenzio in cui eravamo capitati
"Spiegami Blaine.. perché non vuoi cantare?" mi
domandò
pragmatico, sporgendosi verso di me, poggiando i gomiti sul tavolo
"Perché no!" risposi in un lamento "Perché io non
sono
Bon Jovi, Kurt... non sono neanche un vero cantante!" risposi con
ovvietà, sperando che quello sarebbe bastato a farglielo
capire.
Ma, come imparai ben presto, io mi reputavo testardo, soltanto
perché non avevo ancora conosciuto bene Kurt Hummel
"Oh andiamo Blaine. Uno che ha una voce come la tua, non può
davvero credere di non essere un cantante!" mormorò
gesticolando
"Una voce come la tua!" sospirò Santana al mio fianco, in
tono
malizioso e fintamente sognante, che volli provare ad ignorare. Ma
Kurt no, Kurt reagì istintivamente, infastidito e
tirò un
altro calcio sotto il tavolo alla ragazza che incassò il
colpo
con un lamento
"Kurt..." lo chiamai esasperato passandomi una mano sulla faccia
"Strimpellare due cover di Katy Perry in un anonimo pub è
una
cosa. Cantare davanti a quasi quattrocento persone che forse ne possano
capire di musica, è un'altra! Che figura vuoi farmi fare?"
stentavo a credere che il suo fosse un piano ben congegnato per
rendermi ridicolo davanti ad una marea di gente. Una cosa del genere
Kurt non avrebbe mai potuto pensarla, no?
"La figura di un ragazzo che ha talento. Ma lo ammetto... hai una
pessima opinione di te stesso!" e mi indicò quasi offeso.
Sbuffai non sapendo più a cosa attaccarmi. Mettermi a
gridare in
un luogo pubblico sarebbe stato poco educato, eppure - con tutta la
stanchezza e la fretta che avevo addosso - in quel momento mi sembrava
l'unica soluzione.
"Facciamo così... devi esibirti al pub stasera, giusto?" mi
domandò
"Se riesco ad arrivarci!" borbottai
"Perfetto... io e Santana verremo a vederti e così anche lei
potrà constatare quanto sei bravo. Dopodiché, ti
propongo
un accordo... una specie di sfida..." e si aprì in un
sorriso
complice
"Di che si tratta?" domandai curioso
"Se riuscirai ad ottenere gli applausi di più della
metà
della sala per una singola esibizione... tu accetti di venire a cantare
sabato al posto di Bon Jovi!" ed allungò una mano verso di
me,
come a voler suggellare il patto. Mi lasciai scappare una risata
divertita, colpito dalla sua tenacia. Dovevo ammetterlo, ci sapeva
davvero fare.
"Coraggio Blaine... dai a me e a te stesso questa
possibilità.
Mi salveresti da un grande casino ed io ti sarei grato a vita. E se
tutto andrà bene come ho pianificato, ne ricaverai soltanto
cose
positive!" e mi incoraggiò con un sorriso. Lo guardai
attentamente negli occhi, colpito dalla sicurezza del suo tono e poi
abbassai lo sguardo fino al palmo della sua mano ancora aperta sul
tavolino. Beh, d'altronde... si parlava soltanto di farlo venire ad
assistere alla mia esibizione al pub quella sera e non era ancora detto
dovesse averla vinta. Ottenere gli applausi di più della
metà della sala? Mmm... questa sarebbe stata davvero bella
da
vedere, soprattutto considerando che era lunedì.
Così gli
sorrisi e gli strinsi la mano
"Affare fatto, Hummel. Vediamo chi la spunterà alla fine!"
esclamai divertito. Lui ridacchiò facendomi l'occhiolino
"Mi dispiace per te, Anderson... ma... me la sento buona stasera!"
New York City. 26 Marzo 2012. Ore 08.48 P.M. (Lunedì)
Seduto al bancone del pub, mi sfregai le mani sui jeans, sudate e
tremanti e controllai per l'ennesima volta la sala. C'era gente, molta
gente, più di quante ce ne si aspetterebbe per un
lunedì
sera. E pensare che Puck voleva decretare quel giorno come chiusura
forzata. Solo adesso capivo il perché non lo avesse fatto, e
contemporaneamente capii di essere fottuto: essendo ordinario giorno di
chiusura della maggior parte dei locali del quartiere, la gente si
riversava in quel pub, e per questo era così insolitamente
pieno. Ed io che avevo accettato
la sfida di Kurt, consapevole di avere già la vittoria in
pugno.
Essere ignorati da dieci tavoli sarebbe stato relativamente facile ma
con il locale pieno... diventava quasi un'impresa.
"Eccola, la mia gallina dalle uova d'oro!" esordì una voce
tremendamente vicina e girandomi di scatto mi ritrovai il volto
sorridente di Kurt a pochi centimetri dal mio. Arrossii all'istante e
ringraziai la semi-oscurità del locale che probabilmente mi
stava salvando
"Ah eccovi... siete venuti!" mormorai spostando lo sguardo nervosamente
da lui alla modella - che con quel semplice paio di jeans e quella
canotta blu, sembrava un'altra persona.
"Certo che siamo venuti, Blaine... avevamo un accordo mi pare. Ed io
non mi rimangio mai la parola data!" e mi fece l'occhiolino scrutando
la sala con fare cospiratorio. Vidi distintamente un sorrisetto
formarsi sulle sue labbra. Soddisfazione... era soddisfazione pura
quella che gli si dipingeva sul volto. Sì, ero decisamente
fottuto.
"É davvero carino qui... molto caratteristico!"
esclamò
Santana entusiasta scrutando a sua volta il locale. Puck, attratto dal
suo commento e, soprattutto, dalla sua fisicità, fece prima
un
mezzo fischio di approvazione che attirò la sua attenzione,
per
poi risponderle con tono orgoglioso
"Modestamente me ne prendo tutto il merito!" la ragazza
ridacchiò, ignara dell'effetto che stava avendo sul povero
Puck
e proprio in quel momento si avvicinò Brittany a noi
"Ehi artista... non ci presenti i tuoi amici?" domandò
posando il vassoio sul bancone e sorridendo cordiale.
"Britt... loro sono Kurt e Santana... ragazzi lei è
Brittany...
la factotum del locale!" e con gesti meccanici indicai prima un lato e
poi l'altro. Dannazione, da quando in qua ero così agitato
prima
di un'esibizione?
"Piacere Kurt e Santana!" fece lei allegra ed innocente come sempre,
scuotendo la mano a mò di saluto
"Britt me lo recuperi un tavolo per gli amici del nostro Blaine?" le
chiese Puck allora, lanciando un'occhiata speranzosa al locale. Forse
aveva paura che non trovando posto quei due se ne sarebbero andati. Con
Kurt però non c'era da meravigliarsi troppo... sarebbe stato
capace di attendere in piedi per tutta la serata pur di ottenere
ciò che voleva.
"Diamine, Noah... c'è un sacco di gente stasera, e siamo
arrivati a riempire perfino i tavoli accanto alla cucina, quelli che
non vuole mai nessuno!" rispose lei desolata scuotendo armoniosamente
la lunga coda bionda
"Addirittura?" fece lui sorpreso sporgendosi per vedere meglio.
Effettivamente c'era davvero tanta gente. Davvero troppa. E l'ansia era
a livelli storici
"Possiamo sistemarci anche qui al bancone, non è vero San?"
chiese allora Kurt - come volevasi dimostrare - interpellando l'amica
stranamente silenziosa. Alzando appena gli occhi la trovai intenta a
scrutare qualcosa e riprendersi con un piccolo sobbalzo alla domanda
del ragazzo
"Eh?... Oh... sì certo... sarebbe perfetto!" rispose
stranamente a disagio. Brittany sorrise sollevata
"Oh fantastico... vado a prendervi le tovagliette per i coperti e le
posate. Intanto... cosa posso portarvi da bere?" domandò
efficiente. Fu Santana ad aprire la bocca quella volta, ma Puck la
anticipò
"Tranquilla Britt, ci penso io... tu vai a portare queste birre al
tavolo diciotto!" e le passò il vassoio pieno con una certa
urgenza, per poi rivolgersi completamente ai due ragazzi - a Santana
più che altro - e chiedere
"Allora... Cosa vi posso dare?"
"Per me una coca light, grazie... per te, tesoro?" fece Kurt rivolto
all'amica. Lei, stranamente tornata assente, si perse qualche istante a
contemplare la sala per poi mormorare
"Una bionda..."
"Piccola... media... o grande?"
"Fai tu!" alzò le spalle sconsolata e prese posto sullo
sgabello. Quel suo strano atteggiamento mi diede da pensare. Era
entrata nel locale con un così bel sorriso luminoso, cosa le
era
successo in meno di dieci minuti? Le avances di Puck l'avevano turbata?
Oppure cenare ad un bancone anziché seduta comodamente ad un
tavolo, per lei era tanto fastidioso?
"Allora, caro il mio Blaine.. sei pronto?" mi domandò
allegramente Kurt, stringendomi l'avambraccio, distogliendomi dai miei
pensieri
"P-pronto?... Per cosa?" chiesi confuso
"Ma come per cosa... per cantare, no?" e si aprì in una
bella
risata distesa che mi fece tremare appena le gambe "E per farmi vincere
la scommessa!" e mi lasciò un occhiolino complice e
divertito.
All'improvviso ero a corto di salivazione. Possibile che Kurt avesse
iniziato a... flirtare con me? Quell'impressione l'avevo avuta
già durante la nostra chiacchierata d'affari al bar, ma
avevo
avuto altro a cui pensare in quel momento. Adesso, a mente, diciamo,
fredda, ci facevo più caso. Possibile che tutta quella
confidenza e quella gioia che gli leggevo negli occhi fosse legata
semplicemente alla storia del nostro accordo?
"Blaine, non per metterti fretta, ma se non ti decidi ad alzare il culo
da quello sgabello e a salire su quel palco, giuro che ti caccio a
calci dal mio locale. E stai sicuro che stavolta lo faccio!" mi
minacciò Puck in tono leggero, passando a Santana e Kurt le
bibite ordinate. Io annuii distratto e prima di allontanarmi, diedi
un'ultima occhiata al pubblico, per poi deglutire - neanche a dirlo, a
vuoto.
Racimolando tutto il coraggio di cui disponevo raggiunsi il palco,
avvertendo addosso non solo lo sguardo elettrizzato di Kurt, ma anche
quello curioso di tutta quella gente. La miseria... ero stato capace di
condividere la stanza prima e l'appartamento poi, per dieci anni con
Sebastian. Se non era coraggio quello!
Collegai la mia fedele ed insostituibile chitarra all'amplificatore e
provai due accordi a caso prima di decretarla pronta. Feci un lungo
sospiro e provai a trovare del positivo in quella faccenda: Sebastian e
Daniel non avrebbero fatto incursione nel locale, non quella sera. Si
trovavano a Harrisburg, in Pennsylvania, a fare visita a dei parenti di
Daniel. Ci mancavano soltanto i commenti idioti del mio migliore amico
idiota per completare la serata.
Feci un ultimo sospiro dopodiché, senza neanche preoccuparmi
di
salutare come al solito la sala - speravo stupidamente che
così
facendo li avrei fatti indispettire per la mia maleducazione ed
incentivarli ad ignorare me e la mia chitarra - iniziai a suonare.
Decisi di seguire la scaletta che mi ero prefissato, nonostante tutto.
Nonostante Kurt, Santana, e quella assurda scommessa
Are you calling
for.... our last dance?
I see it in
your eyes.... in your eyes
Same old
moves for... a new romance
I could use
the same old lines ...
But I'll
sing...
Chiusi
volontariamente
gli occhi, concentrandomi esclusivamente sulle note e sulle parole
della canzone. Quella che avevo scelto per iniziare la serata, era una
canzone davvero speciale per me. Era strano che uno che aveva sempre
decantato il suo straordinario e sconfinato amore per la musica
energica e sfrontata di Katy Perry, si affezionasse così
tanto
ad un'altra così lenta e malinconica. Ma quella di James
Blunt,
come quella di Adele che mi aveva dedicato Sebastian quando ci eravamo
lasciati, aveva per me un significato. Non riguardava però,
né lui né tanto meno Jeremiah. Riguardava
semplicemente
Blaine.
Shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out, but it paved the
cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I, just shone, just shone
Era strano in effetti che mi dedicassi una canzone. Ma, dopo tutte le
volte in cui mi ero sentito sommergere dall'irruenza e dalla presenza
opprimente delle altre persone - mia madre, mio padre, mio fratello,
Sebastian, Jeremiah - avevo deciso di smetterla. E di prendermi
più cura di me stesso. Di iniziare ad imparare a splendere.
Come
se fosse stata l'ultima volta.
And when silence greets... my last goodbye
The words I need are in you're eyes
And I'll sing .....
Stranamente mi ritrovai a sorridere. Sì, sorridere
perché
forse, quella storia di Kurt, non era tanto pessima, guardata ed
analizzata dal giusto punto di vista. Ammettendo che ero stato troppo
affrettato a giudicarla assurda, con il senno di poi, sembrava
allettante. Cioè... se la cosa fosse stata davvero un
successo,
come Kurt sembrava sicuro, allora ne avrei senza dubbio guadagnato.
Magari, tra quelle trecentottanta persone, si nascondeva un
discografico. Oppure un altro cantante, sentendo la mia voce, avrebbe
proposto al proprio manager di scritturarmi per formare una band. O
magari...
Shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out but it paid for
the cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I just shone, just shone
Certo che sognavo proprio in grande. Andava bene imparare a splendere,
ma... esagerare no. Quello era senza dubbio dannoso. Non imparavo mai,
d'altronde. Senza conoscere le mezze misure, ero sempre stato capace di
buttarmi a capofitto in qualcosa che ritenevo giusta per me anche se
quella alla fine si rivelava la più fallimentare scelta
della
mia vita. Era successo con Jeremiah dopotutto. E forse, stava
succedendo ancora. Senza neanche accorgermene mi ero ritrovato a
cantare quella maledetta canzone con più
intensità del
normale, quasi volessi a tutti i costi impressionare il pubblico. Quasi
volessi a tutti i costi impressionare Kurt. Avevo inconsapevolmente
accettato la sua proposta, pur senza aver ottenuto ancora il giudizio
del pubblico.
So shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out, but it paid for
the cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I just shone, just shone.....
Che poi, pensandoci. Perché diavolo mi tornava in mente
Jeremiah, soltanto mentre cantavo stucchevoli canzoni?
Perché
invece, mentre intonavo i Muse, o gli Evanescence sotto la doccia, non
pensavo mai a lui, a noi, al suo viso e a quello che mi aveva fatto?
Possibile, facesse ancora tanto... male?
Con un sospiro chiusi gli ultimi accordi della canzone e riaprii gli
occhi. Sarebbe stato decisivo: o dentro o fuori, quello era lo show
business. E non credevo Kurt mi avrebbe dato una seconda
possibilità. Cavolo, proprio quando mi ero deciso ad
accettare?
Il pubblico stranamente taceva. Non volava una mosca, fatta eccezione
per il rumore di alcune stoviglie della cucina, e il ronzio delle
casse. Mi ritrovai con il battito del cuore nelle orecchie e di nuovo
la gola secca.
Non alzare gli occhi
verso Kurt... non alzare gli occhi verso Kurt...
Diavolo, era andata peggio di quanto pensassi. E d'accordo, non ero un
cantante, ma non credevo di essere così pessimo. Dopotutto
le
mie standing ovation le avevo avute, non ultima quella della serata in
cui avevo incontrato per la prima volta Kurt. E allora... cosa diamine
succedeva?
All'improvviso il mio monologo interiore fu interrotto da qualcuno che
in fondo alla sala aveva iniziato ad applaudire. Non feci in tempo a
girarmi per ringraziarlo della clemenza, che subito ne partirono degli
altri, e poi altri ancora, fino a che tutta la sala non si
ritrovò ad applaudire e fischiare e gridare complimenti.
Senza
fiato. Ero semplicemente senza fiato.
Finalmente alzai lo sguardo verso il bancone, dove trovai Santana con
gli occhi sgranati e intenta ad applaudire vigorosamente. E Kurt... beh
lui aveva uno splendido sorriso aperto e luminoso sul volto. Ma non era
il sorriso di chi aveva vinto, e ottenuto quello che voleva. Era
più che altro il sorriso di un amico, contento del successo
che
avevo ottenuto.
E non potei fare a meno di sorridergli a mia volta ed annuire,
stranamente ed improvvisamente commosso realizzando che, sì,
mi
ero fottuto con le mie mani. Ma mai, prima di allora, ero stato
più contento di quel momento.
|
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Capitolo 12 *** Giacche eleganti e pianoforti bianchi ***
(...) Serata di gala (K)
Buon
Sabato a tutti... dunque dunque... Siete pronti ad indossare l'abito
elegante? Perché questa sera siete
tutti invitati ad una festa... smoking per lui, abito da sera per lei..
e.. occhio al musicista.. solo roba buona XD ahahahah, non sono
impazzita è che finalmente è arrivata la grande
serata e
vi avverto che sarà una cosa moooolto interessante ^^ come
vi
avevo promesso qualcosa inizia a muoversi e se io fossi in voi, non mi
perderei il prossimo capitolo, dico solo questo! Bene, detto questo vi
lascio alla lettura ringraziando come sempre le splendide persone
dall'anima d'oro che mi seguono e recensiscono con così
tanto
amore. Vi adoro tutti, uno per uno. Ci vediamo Mercoledì...
ciaoooooo ^^
p.s.
E nonostante la febbre e la stanchezza che sembra averla colta
preparatissima, la mia adorata tesora si è messa al lavoro e
mi
ha ugualmente creato questa meraviglia... tesoro mio, ti adoro, dal
profondo del cuore <3...
n.b
Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una
piccola One Shot nella
sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe
piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità
finita, mi dileguo ;)
New York City.
31 Marzo 2012. Ore 06.40 P.M. (Sabato)
Era arrivato
Sabato
finalmente. Era arrivata la tanto temuta serata di beneficenza, e
quella stessa sera si sarebbe deciso il mio destino: sarei stato
cacciato a calci dalla porta di emergenza, oppure mi avrebbero
acclamato tutti a gran voce, come il salvatore dell'evento?
Ero
stranamente sereno,
poco agitato, e non avevo neppure trovato problemi indossando il
completo elegante che mi ero fatto spedire dall'agenzia. Avevo
sistemato i capelli, mi ero spruzzato la mia colonia preferita ed ero
pronto a prelevare il mio adorato vicino - nonché vera star
della serata - per poi recarci assieme all'evento. Era il minimo che
potessi fare per sdebitarmi con lui dopo avermi letteralmente salvato,
accettando di cantare. Benché lui non ne fosse ancora
completamente convinto, perlomeno aveva smesso di guardarmi in cagnesco
tutte le volte che ne parlavamo. Lui mi diceva che era colpa
dell'agitazione se reagiva così. Ed io non potevo fare a
meno di
sorridergli incoraggiante, ricordandogli che, se avevo avuto fiducia in
lui e nella sua voce, non c'era alcun motivo per farsi prendere dal
panico. Ero fermamente convinto di aver fatto la scelta giusta ed ero
sicuro che a fine serata mi avrebbe ringraziato e saremmo finiti a
ridere come due pazzi, magari anche un pò brilli, sul
pianerottolo del nostro palazzo.
Suonai il campanello del suo appartamento e rimasi in attesa con un
sorriso rilassato sul volto. La voce di Blaine mi arrivò
ovattata, a causa della porta che ci divideva
"Ah... arrivo... un attimo!" gridò. Sentii il rumore di
qualcosa
di particolarmente pesante che cadeva per terra, il leggero abbaiare di
Cooper e l'imprecazione a
mezza bocca di Blaine, che mi fecero ridacchiare. La porta si
aprì
in quell'istante e per un attimo mi mancò il fiato in gola:
mi
sarei aspettato di ritrovarmelo davanti completamente vestito, magari
solo con la giacca da indossare e il papillon o la cravatta - a seconda
di ciò che alla fine aveva scelto - da annodare. Trovarlo
invece
mezzo nudo - oh Santo Cielo - con addosso soltanto una t-shirt nera ed
un paio di boxer - non guardare, Kurt, non guardare! - fu una specie di
botta al cuore.
Chissà
perché poi, quando hai bisogno della saliva, questa si
diverte a giocare a nascondino...
"Oh, Kurt... ciao!" mi salutò, come se nulla fosse "Scusa,
ho
fatto leggermente tardi... un casino al supermercato... ma prometto di
prepararmi in meno di cinque minuti!" e pensò bene di
stordirmi
un altro pò con un sorriso radioso. Ma diamine, non aveva
pudore
quel ragazzo? Si rendeva conto che aprire così la porta ad
un
ragazzo gay e sessualmente poco appagato e frustrato, equivaleva ad un
esplicito invito a...
"N-no no... tranquillo... fai pure con calma. Sono io che sono sempre
esagerato... tendo ad anticipare!" tentai di spiegare con la gola secca
ed un sorriso tirato.
"Vieni, entra. E fai come se fossi a casa tua!" mi invitò
dentro, sparendo in corridoio e poi in bagno. La tentazione di seguirlo
e chiedergli ingenuamente se avesse bisogno di una mano era tanta,
soprattutto perché, nonostante mi fossi imposto di non
guardare
- per preservare la mia sanità mentale - l'occhio mi ci era
caduto su... sotto... sì, insomma, avevo potuto constatare
che
Madre Natura dopotutto si era fatta perdonare ampiamente per
la
storia dell'altezza. E com'è che si diceva? Non tutti i mali
vengono per nuocere!
Ma che diavolo mi metto
a pensare?...
Solo in quel momento mi resi conto di essere ancora sulla porta, come
imbambolato, magari in attesa che tornasse e mi desse modo di ammirare
meglio il lato b. Morivo dalla curiosità di sapere se anche
lì la Natura avesse contribuito in maniera sostanziosa. Con
un
sospirò mi chiusi la porta alle spalle ed entrai nel salone.
La
casa di Blaine, per quanto fosse l'esatto riflesso della mia come
disposizione e grandezza, era esattamente il contrario: caotica,
calorosa, vissuta. Così incredibilmente simile a lui. Diedi
un'occhiata al tramonto che colorava il cielo newyorkese di arancione
dalla porta-finestra del soggiorno e ancora una volta ne rimasi
affascinato: New York era famosa per tante cose, una di queste era il
fatto che gli abitanti si lamentassero dell'altezza dei grattacieli che
impedivano la vista delle stelle, del sole, dei tramonti e delle albe.
Quella zona della città, più residenziale, con
un'aria
quasi europea, faceva senza dubbio eccezione.
"Sai... ancora non credo di aver realizzato completamente quello che
stiamo andando a fare!" mi gridò Blaine, probabilmente dalla
camera da letto ed io di riflesso, spostai lo sguardo in quella
direzione. Sorrisi leggermente
"Non ti starai tirando indietro proprio adesso, Anderson?!" scherzai
sedendomi sul divano e accavallando automaticamente le gambe. Il
piccolo Cooper sonnecchiava tranquillo sul divano, muovendo appena la
codina. Allungai una mano per lasciargli una carezza, mentre la
risata di Blaine mi arrivò chiara e cristallina, quasi fosse
nella stanza
con me
"Te l'ho già detto, Kurt... io non sono Bon Jovi!" rispose
facendomi ridere.
"No, infatti... tu non sei Bon Jovi!" gli feci eco "Sei molto meglio!"
ma la seconda parte l'aggiunsi in un tono troppo basso
perché la
sentisse
"Alla fine si è capito se la moglie del presidente
verrà
davvero oppure no?" mi domandò allegro, e la sua voce,
troppo
vicina, mi fece capire che era dietro di me. Mi girai ed una parte di
me - non mi vergogno ad ammetterlo - sperava fosse ancora mezzo nudo.
Ma rimasi deluso. Aveva indossato il pantalone nero del completo, la
camicia bianca infilata dentro e la cinta stretta in vita. La giacca la
teneva stretta tra le mani e il papillon era ancora slacciato sulle
spalle. I capelli, domati appena con il gel, rimanevano comunque
morbidi e ribelli e - prima non ci avevo fatto caso, troppo distratto a
pensare a... ad altro - si era fatto la barba e il viso liscio lo
faceva sembrare notevolmente più giovane. Ma non c'era
niente da
fare: rimaneva ugualmente bellissimo. Con quel vestito poi. Cercai di
fare mente
locale per ricordarmi come si respirasse e cosa diamine mi avesse
chiesto. Per colpa di quella vista mozzafiato che mi si era parata
davanti agli occhi, avevo dimenticato entrambe le cose. Dovevo
ammettere che, se avessi dovuto scegliere in che modo quel ragazzo
stava meglio - se mezzo nudo o se con indosso uno splendido vestito
elegante di Gucci - mi sarei trovato in grande difficoltà.
Pensandoci, per tagliare la testa al toro, avrei dovuto vederlo anche
completamente nudo per... giudicare meglio. Semplice indagine a sfondo
pedagogico, sia chiaro.
"C-come scusa?" domandai allora, optando per la tecnica, fare finta di
essere distratti e pensierosi. Lui sorrise scuotendo la testa,
legandosi con poche mosse in papillon alla gola. Era bravo, dovevo
ammetterlo.
"Nulla... ignorami! Quando sono nervoso, straparlo!" e
ridacchiò
aggiustando il fiocco, raddrizzandolo e lisciandolo per bene. Avrei
voluto avere un pò più di confidenza con lui. Mi
sarei
sicuramente alzato da quel maledetto divano e glielo avrei sistemato
personalmente. Tutto pur di mettergli le mani addosso.
Ok, detta così, fa tanto maniaco...
"Io quando sono nervoso comincio a ridere come una ragazzina isterica e
bevo... bevo un sacco!" cacciai fuori, pentendomene un secondo dopo.
Che cretino che ero stato. Tanto valeva dirgli anche che ero un fan
sfegatato di Lady Gaga e che avevo un piccolo altarino in suo onore
nell'armadio. Sembrava la serata delle confidenze imbarazzanti
d'altronde. Se non altro ebbi il potere di farlo ridere
"Dimmi solo se devo tenerti d'occhio stasera e se devo tenere il conto
di quanti bicchieri di champagne ingerirai!" mi disse infilando la
giacca
"Fino a tre bicchieri, sono ancora sotto controllo!" lo avvisai con un
sorriso alzandomi finalmente in piedi. Lui si guardò
enigmatico e anche leggermente imbarazzato
"Cosa c'è?"
"Quanti bottoni devo...?" indicò la giacca e lì,
finalmente, con un sorriso mi avvicinai a lui
"Lascia che ti spieghi una cosa..." iniziai con l'espressione di chi sa
il fatto suo "Quando si porta una giacca tipo questa, con tre bottoni,
di norma si chiude solo quello al centro!" e senza chiedergli il
permesso, mi allungai per farlo io stesso, ignaro del fatto che le mie
guance ed il mio cuore avessero deciso di ribellarsi automaticamente.
Infilato il bottone nell'asola, feci scivolare le dita più
su,
incredibilmente concentrato "Ma data l'importanza della serata e dato
che non hai un filo di pancia... puoi chiudere anche questo!" ed
infilai anche il primo bottone più in alto nell'asola della
giacca. Senza rendermene conto avevo smesso di respirare. Eravamo a
meno di mezzo passo l'uno dall'altro, potevo chiaramente sentirne il
profumo - quel meraviglioso Carolina Herrera che invadeva ogni giorno
la cabina dell'ascensore, per la mia gioia - e perfino il respiro
appena
accelerato. Avevo una fottuta paura di alzare lo sguardo e rimanere
intrappolato in quelle due splendide iridi cangianti, che senza dubbio
mi stavano fissando. Ne avvertivo perfettamente il peso addosso.
"E... l'ultimo?" mi chiese in un soffio. Che diavolo stava succedendo?
Perché l'atmosfera tutto ad un tratto era diventata
così
tesa ed elettrica e noi sembravamo così... turbati? O
almeno,
perché io lo sembravo? Scossi la testa
"No, quello rimane aperto... in ogni caso!" risposi con la voce
bassissima, ancora stordito dal suo profumo e dalla sua presenza. La
situazione iniziava a diventare pericolosa anche perché
sentivo
chiaramente che in me qualcosa si stava muovendo. Non mi ero mai
sentito prima in quel modo, così preso e maledettamente
vulnerabile. Ma era, piacevole... tutto sommato. Se non fosse che uno
come me, non poteva permettersi di perdere il controllo... mai!
Mi schiarii la voce, togliendo la mano che avevo poggiato sul suo petto
- Dio, potevo avvertirne il calore anche da sopra quegli strati di
vestiti - e mi allontanai di qualche passo con la scusa di osservarlo
meglio. Mi sentivo le guance in fiamme ma sperai non ci facesse troppo
caso. Alzai gli occhi per incontrare i suoi, ma me ne pentii
all'istante. Erano appena spalancati, lucidi e attenti. E mi guardava
in un modo.. maledizione!
"Bene.. direi che... sei perfetto!" esclamai nel tentativo di
stemperare la tensione e accennai un sorriso
"Anche tu lo sei!" mormorò in risposta ma più che
un
complimento rivolto al mio abbigliamento, mi parve un'esclamazione,
scivolata per sbaglio dalla sua bocca, colma di qualcosa che su due
piedi non seppi classificare. Ma sicuramente non era il genere di
complimenti che ci si sarebbe aspettati da un amico.
Quella volta fu lui a riscuotersi, distogliendo lo sguardo e
recuperando dal tavolo l'orologio che strinse al polso, il portafoglio
che infilò nella tasca interna della giacca e il telefono.
Fece
una veloce carezza a Cooper promettendogli di tornare presto,
dopodiché tornò a rivolgersi a me
"Vogliamo andare?" mi domandò con la voce leggermente tesa,
ma
appena più rilassato rispetto a qualche istante prima. Io
annuii, incapace di aprire bocca e lo precedetti fino al pianerottolo,
in silenzio e altrettanto in silenzio lo aspettai mentre chiudeva la
porta di casa e prendevamo l'ascensore. Nella cabina provai a
concentrarmi su qualcos'altro che non fosse il suo profumo, i suoi
occhi che ancora sentivo incollati a me, la sua voce roca, il suo
bellissimo...
"Come ci arriviamo alla festa?" mi domandò all'improvviso,
mentre le porte automatiche si aprivano e lui galantemente mi faceva
uscire per primo
"Useremo la mia macchina!" risposi con la voce ancora appena tremante
"Tu hai una macchina?" fece sorpreso affiancandomi. Uscimmo in strada e
lo guidai verso destra, fino alla fine della palazzina, per poi girare
ancora a destra, verso un piccolo cortile
"Sì, ma non la uso molto spesso... preferisco godermi la
città sulle mie gambe!" spiegai tirando fuori dalla tasca
dei
pantaloni il telecomando con il quale aprii le portiere della mia
Volvo. Ora che ci pensavo, Blaine era il primo ragazzo a salirci.
Neanche David aveva mai avuto l'onore, dato che, le poche volte che
eravamo usciti insieme lo avevamo sempre fatto con la sua. In un certo
senso quella considerazione mi mise ancora più a disagio.
Entrammo in auto, nuovamente in religioso silenzio,
dopodiché
misi in moto, feci manovra e tornai sulla strada principale, direzione
Meatpacking District
"Kurt?" mi chiamò lui, mentre era rapito dalle luci della
strada
che sfilavano fuori dal finestrino, la città ormai immersa
nel
buio della sera
"Dimmi!"
"Ora che ci penso... non ho ancora avuto modo di ringraziarti!"
esclamò aprendosi in un sorriso timido e si girò
a
guardarmi. Storsi la bocca in una smorfia confusa
"Ringraziarmi... per cosa?"
"Per questa opportunità che mi stai dando. Per aver pensato
subito a me e, soprattutto.. per la fiducia che sembri avere nei miei
confronti. Potrà non significare nulla per te, ma per me,
invece, vuol dire tanto, davvero!" mi disse serio ed intenso "Grazie!"
aggiunse allora. Io non potei trattenermi dal sorridergli sereno,
l'imbarazzo di poco prima appena scemato
"Non sei tu che devi ringraziare me, Blaine, semmai è il
contrario!" gli feci presente "Ma comunque ci penseremo a fine
serata... dopo potremmo parlarne e... risolvere la faccenda!" senza
volerlo avevo rincarato la dose, aggiungendo una nota appena maliziosa.
Sperai vivamente non ci facesse caso. Io, per "risolvere la
faccenda" intendevo dargli l'assegno per l'esibizione, dato
che
dopo la prima volta non ne avevamo più parlato. Ma, detta in
quel modo, poteva sembrare mi stessi riferendo alla scenetta poco
tranquilla che si era svolta nel suo soggiorno. Benché non
fosse
successo praticamente niente, entrambi ci eravamo accorti che qualcosa
fosse cambiato. Che l'atmosfera fosse diversa, che noi lo eravamo.
"Già... risolveremo la faccenda... dopo!" mormorò
allora
lui e per la seconda volta provai ad ignorare quel tono strano, ambiguo
che sembrava celare qualcosa di più.
Perfetto... la serata è appena cominciata eppure io mi sento
già estremamente esausto...
New York City. 31 Marzo 2012. Ore 07.27 P.M. (Sabato)
Arrivammo all'Hotel Gansevoort sulla 18 ninth Avenue, fortunatamente in
perfetto orario. La serata sarebbe iniziata alle otto precise,
così come prevedevano gli inviti che avevo fatto recapitare
agli
ospiti. Parcheggiammo in un'area riservata e raggiungemmo la sala
principale dell'albergo, sotto la reception, chiaramente indicata per
l'occasione tramite una miriade di eleganti cartelli. Era stata
Kristen, la pr dell'agenzia ad occuparsi di quello e dell'allestimento
interno della sala. Gli accordi erano quelli: io mi sarei occupato di
trovare la giusta location, ma per il resto doveva pensarci lei. Non mi
pagano abbastanza per fare tutto da solo.
Condussi Blaine fino alla grande sala dove si sarebbe tenuta la festa
e, una volta entrati, venimmo accolti da uno spettacolo a dir poco
fantastico: tavoli rotondi dominavano quasi tutto il grande salone,
oro, bianco ed avorio ovunque, un
palco nella parete opposta sul quale spiccava un microfono ed un
meraviglioso pianoforte bianco, un magnifico buffet già
perfettamente allestito, camerieri sparsi per la sala, in attesa di
iniziare il loro compito, alcuni invitati già arrivati,
seduti
attorno ai tavoli o raggruppati per la sala intenti a scambiarsi
quattro chiacchiere. Vista così, non sembrava un disastro,
dopotutto. Forse qualcosa la potevamo ancora salvare.
Individuai un paio di facce conosciute, tra cui qualche modella, che
salutai con gesti meccanici e mi avvicinai a Kristen, visibilmente
agitata
"Allora... come procede?" le domandai con un sorriso genuino. Lei
sbuffò, spostandosi un lungo boccolo che le ricadeva sulla
fronte, e strinse il suo blocco degli appunti al petto
"Alla grande... se non consideriamo il fatto che due camerieri non si
sono presentati e che il catering ha già servito i primi
piatti,
nonostante abbia espressamente chiesto di attendere fino all'arrivo
degli ospiti. Ah e quasi dimenticavo... la direzione dell'albergo ci ha
messo a disposizione solo un terzo dei posti auto che avevamo
richiesto. In pratica la maggior parte degli invitati dovrà
lasciare la macchina dove capita!" e con un verso frustrato,
schioccò le labbra. Le sorrisi incoraggiante
"Mmm... pensavo peggio in effetti!" risposi lanciando un'occhiata
all'entrata della sala, dalla quale provenivano una decina di persone
ben vestite. Solo allora mi resi conto di Blaine, ancora fermo al mio
fianco, con le mani in tasca e l'aria appena spaesata
"Kris, permetti... volevo farti conoscere Blaine Anderson... il nostro
intrattenitore musicale!" le dissi indicando Blaine - che
sobbalzò ed arrossì appena. La ragazza, appena
stupita,
lo esaminò a fondo prima di accennare un sorriso
"Non credo di averti mai visto, ma... se Kurt ti ha ritenuto tanto
bravo da poter sostituire Bon Jovi.. allora suppongo tu sia ok!"
affermò divertita, lottando nuovamente con quel ciuffo
ribelle.
Blaine ridacchiò
"Ti ringrazio per la fiducia!" mormorò in risposta lui
"Beh, scusate ma ora devo andare... vado a vedere se l'agenzia mi ha
recuperato qualche cameriere, altrimenti dovrò mettermi un
grembiule in vita e servire io stessa ai tavoli!" e con un'evidente
smorfia di disappunto, si allontanò. Io sbuffai una risata
"Perdonala... in questi giorni ha dovuto sopportare un livello di
stress non indifferente!" la giustificai allora, osservando come se la
stesse prendendo con uno dei camerieri proprio in quel momento
"Anche tu... eppure non stai gridando contro nessuno!"
esclamò lui divertito
"Sono molto bravo a gestire l'ansia ed il nervosismo!" risposi
semplicemente con un'alzata di spalle
"Sì ricordo... risata isterica e tanto champagne!"
commentò con un sorriso allegro che gli illuminò
il volto
e gli fece formare quelle stupende fossette ai lati delle labbra.
Scoppiai a ridere, colpito dalla sua prontezza di riflessi e dal suo
spiccato umorismo. Nonostante il nervosismo che immaginavo avesse
addosso, riusciva ugualmente a fare dell'ironia. In quel momento a noi
si aggiunse la voce profonda e divertita di Santana che
avanzò
nel suo splendido abito bianco di Marc Jacobs - più la
guardavo
e più mi convincevo di aver fatto la scelta giusta -
perfettamente truccata, con una lunga treccia laterale che le
accarezzava una spalla ed un sorriso radioso
"Eccoli qui i miei vicini preferiti!" esclamò infilando un
braccio sotto al mio e facendo l'occhiolino a Blaine
"Buonasera!" la salutammo io e Blaine in coro e quest'ultimo dopo
un'occhiata di apprezzamento aggiunse
"Sicuramente ne riceverai tanti di complimenti questa sera, Santana...
ma permettimi di dirti con tutta sincerità che sei
bellissima!"
e lo disse con tale naturalezza da farmi provare appena un
pò di
invidia per la modella. Ma giusto un pochino.
"Oh Blaine, ti ringrazio... che galantuomo!" e si aprì in un
sorriso appena imbarazzato, accarezzandosi la treccia "Si vede che
è il mio destino... quello di ricevere complimenti sinceri e
disinteressati soltanto da ragazzi gay!". La guardai male, spalancando
gli occhi. Non era il genere di commenti che era il caso di fare
così a cuor leggero. Non sapevo come lui avrebbe potuto
prenderla dopotutto. A Blaine poteva dare fastidio il fatto che lo
avessi detto a Santana, una perfetta estranea per lui. Ma mi sorprese,
come sempre. Scoppiò a ridere, per nulla infastidito o
imbarazzato
"Dovresti esserne fiera piuttosto... ricevere complimenti da ragazzi
gay, è come riceverne da altre ragazze... alcuni di loro
sanno
essere perfino più invidiosi!" e le fece l'occhiolino in
modo
complice facendo ridere sia lei che me. Più lo conoscevo e
più lo adoravo. Era un ragazzo fantastico, mai prevedibile e
incredibilmente dolce ed educato. Non so cosa avrei dato per poter
avere un ragazzo del genere sempre al mio fianco. Non come David. Ma
quella era un'altra storia
"A proposito di questo... posso approfittare della tua gentilezza per
chiederti una cosa?" domandò Santana facendosi stranamente
imbarazzata.
"Certo... dimmi pure!" acconsentì Blaine. La guardai
arrossire
appena sulle guance, cosa assai strana: quella ragazza non era mai
arrossita, neanche durante i più ambigui servizi
fotografici.
Cosa le stava succedendo?
"Ecco... mi stavo chiedendo.. quella.. quella ragazza che lavora in
quel pub... quello in cui canti la sera..." balbettò
attorcigliandosi la punta della treccia tra le dita
"Brittany?" domandò lui interrompendola. Lei
sussultò
appena e il rossore si fece più intenso. Assottigliai lo
sguardo. Iniziavo ad annusare qualcosa di strano. Possibile che... no,
ma dai... che assurdità...
"Sì, lei!" confermò con un sussurro "É
anche lei
una modella non è vero?" la risata di Blaine si distese
bassa ed
intensa, provocandomi qualche piccolo brivido sulla nuca
"Brittany una modella? No, certo che no... frequenta l'Accademia d'Arte
durante il giorno e la sera lavora nel pub di Puck... non ha mai fatto
la modella, anche se, pensandoci, la grazia e il portamento ce li
avrebbe!" e si passò una mano sul mento, pensieroso. Santana
si
aprì in un piccolo sorriso timido
"Accademia d'Arte?" domandai curioso, dando così il tempo
alla mia amica per riprendersi un pò
"Sì... è al terzo anno. Ho visto qualche suo
lavoro e
devo dire che è davvero brava. Una ragazza con la testa
sulle
spalle... lavora per mantenersi gli studi e per aiutare un
pò a
casa. Il padre ha perso il lavoro un paio di mesi fa e sua madre sta
attraversando un periodo molto... particolare. Tuttavia... non ha mai
dato segni di incertezza né l'ho mai vista abbattuta o
triste.
Sempre con il sorriso sulle labbra... sempre perfettamente disponibile
e gentile!" spiegò con un tenero sorriso. Si vedeva
quanto le volesse bene. Quella Brittany sembrava davvero una brava
ragazza, ma d'altronde aveva fatto quella impressione positiva anche a
me, pur avendola incontrata soltanto due volte. Santana strinse appena
la presa attorno al mio braccio e sorrise incerta. Quello fu il segnale
chiaro che qualcosa di strano stava accadendo. E sotto ai miei occhi
soprattutto
"Penso le farebbe enormemente piacere scambiare quattro chiacchiere con
un'amica... non l'ho mai vista uscire con nessuno da quando la
conosco!" aggiunse Blaine con una strana espressione complice sul volto
"E credo tu sia perfetta per questo, Santana!"
"Io?" domandò lei sbarrando gli occhi. Blaine sorrise
annuendo
"Certo.. l'altra sera, quando siete venuti al locale per vedermi
cantare, lei... beh, è rimasta particolarmente colpita da
te. Ti
ha trovata molto simpatica e.. si insomma... credo volesse conoscerti
meglio, ecco!" le spiegò annuendo convinto. Un sorriso mi si
aprì inconsapevolmente sul volto. A quanto pareva Blaine ci
era
arrivato prima di me. E pensare che ero io l'amico di Santana.
Possibile non me ne fossi mai accorto?
"D-dici sul... serio?" domandò lei senza fiato. Io e Blaine
incrociammo lo sguardo per un solo istante. Ma fu sufficiente per
comprenderci all'istante e sorriderci complici
"Certamente... anzi guarda facciamo così... ti lascio il suo
numero così potrai contattarla tu stessa e potrete iniziare
a
sentirvi.. sono sicuro le farebbe molto piacere!" Blaine
tirò
fuori il cellulare dalla giacca e iniziò a fare scorrere le
dita
sul display. Sanatana al mio fianco era letteralmente congelata.
Toccò a me scuoterla mentre Blaine attendeva in silenzio, un
sorriso disteso sul volto
"Ehm... tesoro... il cellulare!" le ricordai e lei, immediatamente si
frugò nella borsetta e tirò fuori il suo iPhone,
in
trepidante attesa. Blaine, nascondendo un sorriso divertito glielo
dettò e lei, con le mani leggermente tremanti, e sotto la
mia
sorveglianza, lo memorizzò. Avrei dovuto ringraziare Blaine
anche per quello come prossima cosa.
New
York City. 31 Marzo 2012. Ore 09.12 P.M. (Sabato)
La festa stava procedendo nel migliore dei modi. Gli invitati erano
arrivati, i piatti erano iniziati a girare, Kristen aveva recuperato un
paio di camerieri e perfino Chang sembrava soddisfatto. Ad un certo
punto si era perfino avvicinato a me e mi aveva mormorato
"Ottimo lavoro Hummel... ho fatto davvero bene a fidarmi di lei!" ed
io, sorridendo in maniera educata ma profondamente colpito ed eccitato,
gli feci segno di un brindisi con il bicchiere che lui colse al volo
prima di allontanarsi. Sospirai beato. Come avevo immaginato, ricevere
i complimenti dal capo, aveva un peso molto gratificante.
Diedi un'occhiata alla sala, ghermita di volti noti della televisione e
del grande schermo, modelle, personaggi importanti della finanza. E tra
questi, quasi spiccasse tra la folla illuminato da un faro invisibile,
c'era Blaine. Seduto ad un tavolo accanto a Santana e Sam, che ci aveva
raggiunti poco dopo la modella, intenti a chiacchierare animatamente,
come grandi amici. Santana, dopo aver ricevuto il numero di Brittany,
non aveva smesso un attimo di sorridere ed io, sarei stato pronto a
scommettere che probabilmente sarebbe stato così
ancora per
un bel pò.
Guardai l'orologio e decretai che era giunto il momento. Il suo momento.
Mi avvicinai al tavolo, senza togliergli gli occhi di dosso. Mi chiesi
se si fosse mai reso conto di quanto charme avesse e di quanto
magnetismo paresse circondarlo. Forse ero solo io a sentirmi
così attratto da lui, o forse era semplicemente bellissimo,
ed era
un dato di fatto.
"Blaine!" lo chiamai, distogliendolo dalla conversazione con Sam. Lui
si girò a guardarmi, facendomi appena tremare per il sorriso
che
involontariamente mi rivolse. Lui colse il mio sguardo all'istante e si
fece subito serio.
"É ora?" domandò soltanto, stringendo appena il
tovagliolo in un pugno. Io annuii lasciandogli un sorriso di
incoraggiamento
"Coraggio Blaine.. sono sicuro che farai scintille lì
sopra!" lo
esortò Santana dandogli una pacca sul braccio e Sam le si
accodò subito
"Infatti.. sono davvero curioso di sentirti cantare." lui
tentò
un sorriso, e si alzò. Insieme ci dirigemmo verso il palco e
ne
facemmo il giro fino alle scalette che erano sul retro. Prima di farlo
salire, lo bloccai per un polso e inchiodai gli occhi ai suoi. Ne lessi
immediatamente tutta l'ansia e il terrore che fino ad allora era
riuscito a mascherare. Mi fece incredibilmente tenerezza.
"Stai tranquillo, Blaine... andrà benissimo!" lo rassicurai
in
un sussurro. Lui deglutì, guardandosi le punte delle scarpe
"E se invece si dovesse trasformare in un autentico disastro?"
domandò tremando appena con la voce
"Non succederà. Ricordi? Io credo in te e nel tuo talento. E
non
puoi assolutamente fare nulla per deludermi, è chiaro?"
cercai
il suo sguardo sfuggente per imprimere meglio quelle parole e vidi i
suoi occhi luccicare e un sorriso timido aprirsi sulle sue labbra
"Kurt..." tentò di dire
"Ora sali su quel palco, e dimostra a tutte queste persone quanto vali!
Io sarò tra di loro a fare il tifo per te!" e con un gesto
forse
troppo azzardato, mi avvicinai per lasciargli un bacio sulla guancia.
Lui sorpreso spalancò gli occhi ma non disse nulla. Mi
allontanai all'istante con le guance rosse e il cuore a mille, spinto
da una forza incredibilmente potente, carico di adrenalina. Proprio in
quel momento sentii la tasca vibrare. Qualcuno mi stava chiamando.
Qualcuno mi disturbava durante la festa di beneficenza. Era David, ci
avrei scommesso.
Raggiunsi il tavolo di Santana e Sam, continuando ad ignorare il
telefono che vibrava imperterrito mentre con un sorriso emozionato
guardavo Blaine salire sul palco e ringraziare timidamente gli applausi
che erano automaticamente partiti. Poi si sedette al pianoforte e dopo
un lungo sospiro iniziò a suonare. E lì, in
momento, in
quella sala perfettamente allestita, in mezzo a quasi quattrocento
persone, mi sentii immediatamente a casa.
Mi dispiace, David...
ora non posso risponderti... sono impegnato ad ascoltare la voce di un
angelo...
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Capitolo 13 *** Una soluzione apparente ***
(...) Dopo Festa (B)
Sale
a tutti miei adorati cuccioli di Labrador... è finalmente
arrivato il tanto atteso Mercoledì, e oggi finalmente si
saprà cosa diavolo intendesse dire quella scimmia
dell'autrice dicendo che questo capitolo sarebbe stato "particolare"...
ehm ehm... probabilmente qualcuno di voi a fine capitolo mi
odierà, qualcun altro mi adorerà... state pur
certi che quello che succederà... cambierà
decisamente le carte in tavola. Bene... nascondete i bambini e...
sì insomma... tenetevi pronti per tutto ^^ detto questo vi
lascio e ci vediamo Sabato ;)
p.s.
Nonostante sia senza computer, la mia artista riesce comunque a farmi
queste meraviglie.. e devo dire che questa settimana si è
superata... spero che il capitolo valga come ricompensa, tesoro mio :*
n.b
Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una
piccola One Shot nella
sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe
piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità
finita, mi dileguo ;)
New York City. 01
Aprile 2012. Ore 09.45 A.M. (Domenica)
Mi sentivo
bene,
stranamente rilassato, in pace con il mondo. Con gli occhi ancora
chiusi, mi lasciai scappare un mugugno di beatitudine, strofinando il
naso sul cuscino. Perfino le lenzuola sembravano avere un profumo
diverso. Più buono, più dolce. Cercai di fare
mente
locale e ricordarmi se per caso avessi cambiato detersivo, ma l'unica
cosa alla quale volevo pensare in quel momento era il mio letto, mai
stato così comodo prima di allora, e le ore di sonno che mi
sarei potuto regalare quella mattina dato che forno e supermercato
erano chiusi. Il beneficio della domenica.
Mi stiracchiai lentamente, giusto per sentire ogni singolo muscolo
risvegliarsi. Ecco il mio programma: mi sarei alzato per andare in
bagno e per mettere qualcosa nel mio stomaco brontolante, poi sarei
tornato nel letto a dormire. Comodo, no?
Allungando il braccio urtai qualcosa: qualcosa di morbido e
incredibilmente liscio e caldo. Ed era tutto tranne che il manto peloso
di Cooper. Sembrava... sembrava...
Con la fronte aggrottata, girai la testa dall'altro lato e finalmente
aprii gli occhi. Quello che trovai mi fece bloccare il respiro in gola
e contemporaneamente la mia mente fu invasa dai ricordi.
New York City. 01 Aprile 2012. Ore 02.15 A.M. (Domenica)
"E perché... quando James Lipton mi ha detto di
essere
sicuro di avermi sentito cantare al Fillmore di San Francisco e io gli
ho risposto di non essere mai neppure stato in California... l'hai
vista la sua faccia stupita?" feci, incapace di trattenere le risate
"No, quella devo essermela persa... ero ancora sotto shock dopo che
Paris Hilton ti è quasi saltata addosso, confessandoti il
suo
amore!" si passò una mano sulla faccia ridendo a crepapelle.
Ricordai perfettamente la scena e il sorriso della ragazza che
diventava quasi spaventoso. Ma in quel momento mi sembrava la cosa
più esilarante del mondo
"Penso avesse esagerato un pò con lo champagne la
poveretta!" commentai scuotendo la testa
"Questo è sicuro... vedrai che figura ci farà
domani
quando sulle migliori testate di gossip, uscirà il suo bel
didietro al vento, quando è inciampata nel vestito di quella
modella svedese!" e detto questo scoppiammo a ridere di nuovo, quasi in
sincrono. Mi accarezzai una mano distrattamente
"Oddio... mi fanno male le mani tante sono state le persone a cui le ho
strette stasera..." mormorai con un sorriso felice
"Ti hanno assalito, letteralmente!" annuì Kurt guidando
tranquillamente tra le strade trafficate di New York senza alcun
problema. Neanche tutte quelle risate sembravano distrarlo. "Ma per
fortuna questo non ti ha impedito di suonare il pianoforte in quel modo
quasi divino!" e si girò appena per sorridermi ammirato.
Nonostante le risate, non riuscii a trattenermi dall'arrossire
"Divino?" lo scimmiottai
"Dico sul serio, Blaine... sei stato... Dio... mi hai fatto venire la
pelle d'oca. Ma d'altra parte, se ne sono accorti tutti in quella sala.
Pensa che Santana ha dovuto chiudere la bocca di Sam che era rimasta
spalancata e poi non ha smesso un attimo di ripetere quanto tu fossi
bravo e quanto belle fossero le canzoni che avevi scelto!" mi
raccontò entusiasta. Sinceramente non lo avevo ascoltato
completamente. Il mio cervello si era inceppato quando aveva sentito
"pelle d'oca". Era una cosa... buona, no?
"Mi sono affidato... all'istinto!" mormorai con mezzo sorriso. Lui
ridacchiò
"E hai fatto bene. I miei complimenti!" convenne, attraversando
l'incrocio e svoltando nella nostra strada. A quell'ora la
città
era ancora perfettamente viva. Quello era il bello di abitare a New
York: una città di questo calibro non andava mai a dormire,
neanche alle due di notte. C'era gente che passeggiava sui marciapiedi,
locali aperti, macchine che sfrecciavano frenetiche, sirene in
lontananza. Ma nessuno si accorse di quei due ragazzi che rientravano
nel loro condominio ancora scossi dalle risate, quasi fossero ubriachi.
Sarebbe stato difficile far capire loro che non ridevamo come due pazzi
a causa dell'alcool - io almeno, eccetto un bicchiere di champagne, non
avevo toccato più nulla - ma per via dell'adrenalina che era
salita a mille.
Continuammo a ridere per qualcosa di assurdo, perfino nell'ascensore,
seppure avessimo cercato di trattenerci, per evitare di svegliare tutto
il palazzo. Arrivati al nostro piano, ci ritrovammo uno di fronte
all'altro, esattamente in mezzo al pianerottolo.
Solo allora, guardandolo in uno strano ma intenso momento di
serietà, mi resi conto di una cosa
"Dobbiamo finire quel discorso, ricordi?" esclamai allora, non
riuscendo a trattenermi. Lui piegò la testa di lato,
pensieroso
"Quale... discorso?"
"Quello che abbiamo rimandato prima... quando eravamo in macchina!"
specificai mentre un'espressione di sorpresa si dipinse sul suo volto
"Oh... te ne sei ricordato!" fece sgranando appena gli occhi
"Certo che me ne sono ricordato... ed ero serio prima, quando ti
ringraziavo per l'opportunità e per la fiducia. Se non fosse
stato per te, Kurt... io non avrei..." ma mi bloccai, cercando le
parole adatte che non volevano arrivare. E dire che ero sempre stato
bravo con le parole. Ma forse ne avevo usate troppe per quella sera,
ringraziando per i complimenti che avevo ricevuto, e le avevo
miseramente esaurite. In quel momento, proprio quando mi sarebbero
servite di più... non ne avevo.
"Blaine!" mi chiamò lui stringendomi una spalla e
lì mi accorsi di aver abbassato lo sguardo imbarazzato
"Kurt, io..." ritentai
"Shhh... basta, ok? Va bene così!" mi rassicurò
con un
sussurro ed un piccolo sorriso che ebbe il potere di provocarmi un
brivido.
La famosa pelle d'oca...
"Tu hai salvato me dalla rovina... io ho permesso a te di realizzare
una specie di sogno... siamo pari, no?" esclamò sereno, fin
troppo vicino e diamine... profumava di buono! Per quanto ancora sarei
riuscito a resistere? Già prima, quando eravamo nel mio
soggiorno, a meno di un passo di distanza, avevo sentito un'urgenza
inspiegabile impossessarsi di me, e se fossi stato un pò
meno
coscienzioso e lui un pò meno fidanzato, non mi sarei fatto
troppi scrupoli e l'avrei baciato. E a proposito di David... come mai
lui non era venuto? Sapeva della serata di beneficenza? Sapeva che era
stato Kurt ad organizzarla? Sapeva che io avevo cantato e suonato?
Sapeva che James Lipton in persona mi aveva stretto la mano e fatto i
complimenti?
"Permettimi almeno di... offrirti qualcosa da bere... per festeggiare!"
tentai di aggrapparmi ad un piccolo appiglio, nel bel mezzo del nulla.
Mi diedi dello stupido, immediatamente. Cosa diamine credevo di fare,
invitando un mio amico, e mio vicino, a casa mia a quell'ora con la
banalissima scusa del bere insieme una birra? Quale sano di mente
avrebbe..
"Ok!" rispose lui, lasciandomi per la seconda volta senza fiato
"Ok?"
"Sì, ok... va bene... d'accordo... si può
fare..."
aggiunse ridacchiando e facendo ridere anche me. Con un sospiro mi
girai ed aprii la porta. Accesi le luci e con la coda dell'occhio mi
accertai che fosse davvero ancora lì, dietro di me. Avrebbe
benissimo potuto approfittare della mia distrazione per svignarsela,
chiudersi nel suo appartamento e poi urlare da dietro la porta che era
stanco, e che non era il caso per noi di continuare a stare insieme, se
nell'aria circolava quel genere di tensione. Ne andava della nostra
amicizia e del suo rapporto con David. O almeno, questo era quello che
una persona coscienziosa e molto fidanzata avrebbe fatto.
Salutai il piccolo Cooper, che sembrava molto più
interessato
alla sua preziosa coperta colorata per la nanna, per darmi retta, e
così mi limitai ad accarezzargli un orecchio ricevendone in
cambio un verso di ringraziamento.
"Sai a cosa stavo pensando?" mi fece ad un tratto Kurt, grattandosi il
mento e avanzando nel salone.
"No, cosa?"
"Stasera tra tutti quei manager e personaggi dello spettacolo... ci
potrebbe essere stato un talent scout o un agente in cerca della sua
prossima stella. Magari questo presunto tizio ti ha visto, ti ha
trovato sensazionale e domani mattina ti scritturerà per un
contratto discografico del valore di milioni di dollari!" e
aprì
le braccia per sottolineare la portata gigantesca della cosa. Io
scoppiai a ridere, di nuovo
"Mmmm interessante... e sentiamo, come farà a
chiamarmi se
non sa neanche il mio numero?" lo provocai avvicinandomi. Lui
accettò la sfida con un mezzo sorriso
"Chiamerà Kristen che poi chiamerà me ed io...
busserò alla tua porta per darti la meravigliosa notizia!"
spiegò entusiasta. Dovevo ammettere che l'idea era davvero
allettante. Peccato avessi altro di molto più interessante a
cui
pensare in quel momento. Ed avanzai ancora
"D'accordo, Hummel... ma pensandoci... se davvero ci fosse stato un
agente discografico lì in mezzo... perché non si
è
fatto avanti da solo per lasciarmi il suo bigliettino da visita?"
tentai ancora. Lui mi guardò male, divertito fino
all'inverosimile per i miei continui tentativi di sabotaggio
"Era troppo timido?" fece in risposta, facendomi ridacchiare. Altro
passo verso di lui
"Un agente discografico timido... sarebbe un pò come trovare
una
modella zoppa!" esclamai provocando un'altra ondata di risate.
"Aspetta ci sono..." si calmò, ponendo avanti le mani "Lui o
lei, volevano parlarti, ma la vista delle mutande fucsia di Paris li ha
scioccati talmente tanto che hanno preferito allontanarsi con
disappunto!" fantasticò. Ci guardammo per due secondi, seri,
dopodiché scoppiammo a ridere. Io mi tenevo la pancia,
iniziava
quasi ad essere doloroso. Se non altro le guance facevano male.
"Ma come fai?" domandai tra una risata e l'altra facendo un altro
passo. Ormai eravamo davvero vicini, forse più di prima.
Sentivo
perfettamente il suo respiro, accelerato a causa delle continue risate,
le guance erano appena rosse per lo stesso motivo e il suo profumo era
semplicemente delizioso. Nella mia testa feci finta che era per causa
mia se il respiro e le guance fossero in quelle condizioni. Ma il
profumo persisteva in ogni caso.
"A fare cosa?" mi domandò a sua volta. Mi morsi il labbro
per
evitare di rispondere di getto, senza pensare. Non potevo permettermi
di rovinare quell'atmosfera per una parola sbagliata. Avevamo fatto
tanto per ritrovarci di nuovo così, nonostante tutto. Lui
non
era ancora scappato ed io non volevo di certo dargli un valido motivo
per farlo. Soprattutto se David continuava a rimanere un particolare
nascosto della sua vita. Non riuscendo a trovare le parole adatte - per
la seconda volta in meno di dieci minuti - decisi di scuotere la testa
e tacere. Lo sentii sospirare. Mi sarei aspettato qualcosa di decisivo
a quel punto, tipo lui che seccato dalla mia vicinanza, mi salutasse e
andasse a dormire. Nel suo appartamento. Dall'altro lato del
pianerottolo. Ma non lo fece
"Blaine..." mi chiamò invece, in un sussurro che mi fece
chiudere gli occhi d'istinto "Sento il bisogno di dirti una cosa..."
No, ti prego, non farlo... vattene e basta, senza dire niente.
Altrimenti non lo sopporterei...
"Vorrei farti presente che stasera ho bevuto semplicemente una coppa di
sidro di mele e nient'altro!" esclamò con la voce appena
malferma, ma ugualmente soddisfatta. Confuso alzai lo sguardo
E... quindi?...
"Non capisco!" mormorai. Lui sorrise, arrossendo appena, prima di
avanzare di mezzo passo verso di me e rispondere in un sussurro
"Non voglio che pensi che ciò che sto per fare... sia
dettato
dall'alcool. Lo faccio, perché sono io a volerlo!" ma non
feci
in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, perché mi
ritrovai
prontamente le labbra bloccate dalle sue. Rimasi scioccato, senza
fiato, e con gli occhi spalancati. Le sue labbra erano semplicemente
posate sulle mie, in un caso bacio a stampo, ed io l'unica cosa che
riuscivo a pensare era:
"Dio... ha le labbra più morbide di quanto avessi
immaginato!"
Coraggio, Blaine...
mettici almeno un pò di impegno...
Provai a riprendermi il più in fretta possibile, iniziando
con
il chiudere gli occhi - altrimenti che figura ne avrei fatto? E adesso?
Cosa avrei dovuto fare?
Per la seconda volta Kurt pensò per entrambi, muovendo le
labbra
per venirmi incontro. Mi ritrovai a sollevare una mano e a posargliela
sulla guancia. Lui sussultò appena, ma rimase lì
fermo,
incollato fortunatamente a me. Quasi gli avessi dato, con quel gesto,
il permesso per muoversi, mi posò entrambe le mani sulle
spalle.
Per un momento credetti volesse allontanarmi, ma mi sbagliavo. Cercava
semplicemente di avvicinarmi maggiormente, di aumentare il contatto
fisico. Ed io mi resi effettivamente conto di non essere nelle
condizioni più adatte per muovermi.
Spinto da una forza ed un coraggio che mai avrei creduto di avere,
provai ad aprire appena le labbra per far scivolare fuori la lingua.
Ecco, lì sarebbero arrivati gli schiaffi e le urla,
perché non mi sarei dovuto permettere e perché
noi
eravamo solo amici. A poco sarebbe valso fargli presente che era stato
lui a baciare me e non il contrario.
Ma non mi scacciò. Con un sospiro mi lasciò
passare e ad
accogliermi trovai la sua lingua pronta e dannatamente liscia
Se questo è
un sogno.. per favore non svegliatemi...
La mia mano rimase ferma, ancorata alla sua guancia accarezzandola
appena, per quanto quel momento di passione improvvisa potesse
ammettere della dolcezza del genere. Le sue invece, abbandonarono le
mie spalle per scivolare tra i miei ricci e stringerli appena, senza
provocarmi alcun dolore. Sentivo di essere sul punto di andare a fuoco.
Mi sentivo vivo, elettrico e straordinariamente appagato. E in tutte
quelle emozioni, riuscii perfino a sentirmi a casa, come mai prima di
allora. Il bacio continuò così, passionale ed
intenso
fino a che non avvertimmo entrambi la necessità di respirare
e
fummo costretti a separarci. Ma lui non scappò neanche
quella
volta. Rimase con le mani immerse nei miei capelli e riaprì
gli occhi
insieme ai miei. Li trovai incredibilmente chiari, limpidi, appena
lucidi per l'eccitazione. Fu una scarica di adrenalina diritta al
cervello. E non solo al cervello.
"Vorrei approfittare di questo momento per specificare che neanche io
ho toccato più di un bicchiere questa sera... dunque sono..
perfettamente sobrio e consenziente!" mormorai a pochi centimetri dalla
sua bocca. La voce roca
"Consenziente?" domandò divertito, la voce più
bassa del solito. Io sorrisi scuotendo la testa
"Consapevole... volevo dire consapevole!" mi corressi. Lui
annuì
e sospiro piano, accarezzandomi la nuca. Resistetti alla tentazione di
mettermi a fare le fusa come un gatto. Aveva un tocco così
delicato ma allo stesso tempo erotico. Poggiai la fronte alla sua,
perdendomi sotto le sue carezze e il suo profumo.
"Kurt..."
"Mmmh?"
"Cosa... cosa stiamo... facendo?" trovai il coraggio di domandare. Mi
sarei voluto prendere a pugni da solo. Che diavolo di bisogno c'era di
chiedere una cosa del genere? Non potevo semplicemente starmene zitto e
godermi il momento? Dovevo per forza dargli un valido motivo per
scappare? Perché le parole, che fino ad allora non venivano
fuori, tutto ad un tratto, sbucavano come funghi?
Lui sospirò, sfiorando la mia guancia con la punta del naso
"Non lo so, Blaine... non lo so davvero!" mi rispose in un sussurro,
direttamente nell'orecchio. Fu il mio turno per sospirare "So solo che
non voglio smettere!" aggiunse. Il cuore fece una mezza capriola nel
petto e tamburellò frenetico contro le costole.
Coraggio, Blaine, dillo... a questo punto cosa ci perdi?...
"E allora siamo in due!" risposi con mezzo sorriso, scendendo
lentamente con le mani sul suo petto. Spostò il viso, fino
ad
intercettare nuovamente il mio sguardo e questo contatto ritrovato fece
scattare qualcosa nella testa di entrambi perché un secondo
dopo
ci ritrovammo di nuovo incollati e smaniosi. Quelle labbra erano la
cosa più deliziosa e delicata che avessi mai assaggiato. E
la
cosa più meravigliosa, era stato scoprire come si
adattassero
perfettamente alle mie. Sembravano nate per rimanere unite.
Spinti dalla scia di questa insana passione, mi ritrovai a posare le
mani sul nodo della cravatta e a sfilargliela con pochi gesti. Lui
invece, quasi in risposta, mi sciolse il papillon ed iniziò
a
far scivolare le mani sui bottoni della giacca.
"Lascia che ti spieghi una cosa..." ... "Quando si porta una giacca
tipo questa, con tre bottoni,
di norma si chiude solo quello al centro!" ... "E... l'ultimo?" ...
"No, quello rimane aperto... in ogni caso!"...
Mi scappò un sorriso nel ricordare quel discorso quasi
assurdo che avevamo fatto poco tempo prima. A pensarci non era cambiato
praticamente nulla da allora: eravamo ancora noi due, incredibilmente
attratti l'uno dall'altro, con una strana adrenalina addosso e la
voglia di spogliarci il prima possibile. Troppi strati di abiti a
dividerci, e questo non andava affatto bene.
Mi fece liberare della giacca mentre le mie mani si erano
già
impossessate della sua camicia e l'avevano tirata delicatamente dai
pantaloni: non volevo rischiare di rovinargli un vestito che pareva
particolarmente costoso solo perché fremevo di sentire la
sua
pelle nuda e calda contro la mia. Dovevo provare a trattenermi, almeno
per il momento. Ma ero smanioso, volevo di più, volevo lui. E
tutta quell'attesa, tutta quella lentezza, mi stava uccidendo. Lo feci
indietreggiare di qualche passo, fino a fargli scontrare la schiena con
la spalliera del divano dove si appoggiò e io di conseguenza
mi
appoggiai a lui, tra le sue gambe. A quella distanza il minimo
movimento diventava pericoloso, e difatti me ne accorsi quasi subito
quando, dopo un suo millimetrico spostamento dei fianchi, i nostri
bacini entrarono in contatto, incandescenti, facendo sospirare
entrambi.
Dio Santo...
In poco tempo venne via anche la sua giacca e la camicia bianca,
seguita a ruota dalla mia. Non resistetti neanche un attimo alla vista
della sua pelle nivea e perfetta del petto e mi avventai con le mani,
accarez
zandolo
placidamente. Era liscio e maledettamente caldo e
nonostante fosse magro e non particolarmente muscoloso, ne sentivo
perfettamente gli addominali sotto il mio tocco febbrile. Abbandonai
per un istante le sue labbra per dedicarmi all'invitante collo
altrettanto bianco e liscio, iniziando a giocare con la pelle dietro
l'orecchio, accarezzandola con le labbra, baciandola e poi leccandola.
Era gustoso, aveva un buon sapore.
"B-blaine... potresti... potresti evitare di..." mi domandò
con
la voce tremante. Alzai lo sguardo per incontrare il suo e lo trovai
eccitato ed impaziente
"Di fare cosa?"
"Il collo... potresti, ecco... tenerti alla larga dal collo? Sai, non
vorrei che..." imbarazzato mi sorrise, ed io capii dove volesse
arrivare. Già, David. Gli sorrisi di rimando, lasciandogli
un
morbido bacio sulla guancia
"Non c'è problema!" sussurrai mentre scivolava con le mani
per tutta la lunghezza della mia schiena
"In compenso... c'è tanta altra pelle con cui divertirsi!"
sussurrò provocante nel mio orecchio facendomi perdere
completamente la ragione. Mi lasciai scappare un gemito, fiondandomi
all'istante sulle sue labbra e spingendo quasi in simultanea il bacino
in avanti. Mugugnò di sorpresa e per la pressione, ma si
adattò senza problemi al mio ritmo. Non so quanto ancora
saremmo
durati - quanto ancora io
sarei durato - ma mi rendevo anche conto di voler andarci piano con
Kurt. Sentivo che c'era qualcosa di profondo che in quel momento ci
stava legando, e non volevo ridurre tutto a del semplice contatto
fisico. Avevo un disperato bisogno di lui - in tutti i sensi - ma
dovevo controllarmi. Così rallentai il ritmo del bacio e
allontanai appena il bacino che iniziava a diventare insistente e fin
troppo spinto ed esplicito. Un altro pò e avrei rischiato di
fare una pessima figura, e venire nelle mie stesse mutande. Direi che
non era proprio il caso.
Scesi con le labbra sul petto, mentre le sue mani, ancorate ai ricci,
mi guidavano senza fretta. Aveva un sapore dolce, come di vaniglia
mista a qualcos'altro... un sapore mai provato prima. C'era stato un
tempo, tanto lontano, in cui avevo creduto che Sebastian avesse un
corpo meraviglioso ed un'incredibile capacità di usarlo.
C'era
stato poi, il tempo per credere che Jeremiah fosse nettamente
più bello e aggraziato nei movimenti. In quel preciso
momento,
mentre lentamente tornavo ad appropriarmi delle labbra di Kurt, iniziai
seriamente a dubitare di tutto ciò che avevo affermato prima
di
conoscerlo. Non c'era corpo, viso, odore, consistenza o calore,
migliori di quelli di Kurt. Lui era... l'essenza perfetta.
Le mani di Kurt abbandonarono i miei capelli, per scendere lentamente
sulle spalle, accarezzarmi il petto e poi sparire oltre i fianchi.
Soltanto quando avvertii una sua carezza particolarmente esplicita al
di sotto della cintura, mi resi conto di quanto fossi pericolosamente
vicino. Mi precipitai ad afferrargli il polso mentre un gemito mi
scivolava dalle labbra. Lui preoccupato mi guardò
"Ho fatto... qualcosa che non va?" domandò in un soffio. Io
sorrisi, scuotendo la testa e gli accarezzai la guancia con le labbra
"Affatto... mi stavo solo chiedendo se non fosse meglio... andare di
là... in camera!" mormorai prendendo coraggio. Temevo di
aver
osato troppo, nonostante a conti fatti fossimo entrambi mezzi nudi e
particolarmente eccitati. Ma un conto era spogliarsi e farsi prendere
dalla accecante passione nel salotto di casa, un'altra era spostarsi
volontariamente in camera da letto. Da lì in poi sarebbe
stato
un viaggio senza ritorno. Lui parve pensarci per qualche istante,
mordendosi un labbro. Stava forse cercando le parole più
gentili
per farmi capire di averci ripensato e che dovevo spostarmi e lasciarlo
passare? Dio... non lo avrei sopportato. Ma prima che potessi farmi
prendere ancora di più dal panico, eccola la sua voce
tornare a
farsi sentire
"Andiamo!" esclamò accennando un sorriso. E fu lì
che
effettivamente iniziai a non capirci più nulla. Risposi al
suo
sorriso e gli afferrai la mano per guidarlo nella mia stanza.
New
York City. 01 Aprile 2012. Ore 09.47 A.M. (Domenica)
Rimasi immobile a fissare il corpo nudo ed addormentato di Kurt per un
tempo indefinito. Mi sarei aspettato di risvegliarmi da un momento
all'altro e scoprire che in realtà nel mio letto non c'era
nessuno e che la mia fervida immaginazione mi aveva giocato un altro
brutto scherzo. Ecco a cosa portava il vivere da soli per troppo tempo,
il non aver contatti fisici per lunghi periodi. L'illusione ottica -
anche detta allucinazione - era il primo sintomo della pazzia.
Eppure... sembrava tutto così reale. La sua schiena liscia
che
si alzava e abbassava ritmicamente con il suo respiro, i capelli
disordinati e schiacciati sul cuscino, il braccio abbandonato lungo un
fianco, così vicino al mio. Provai a darmi un pizzicotto
sulla
pancia, ma non ce ne fu bisogno. Il constatare che sotto il lenzuolo
non portassi nulla, fu sufficiente. Arrossii appena, girandomi su un
fianco, ad osservare meglio la magnifica figura che mi dormiva accanto
e quasi inconsapevolmente sorrisi. Era così bello, indifeso
e
rilassato. Ed io sentii il petto riempirsi di orgoglio per il fatto che
probabilmente, parte di quella serenità che gli dipingeva il
volto era merito mio. Merito mio e della stupenda notte che avevamo
passato insieme. Stentavo ancora a crederci, eppure era
così. Lo
testimoniava il leggero intorpidimento che avvertivo alle gambe, le
lenzuola del mio letto sconvolte, il resto dei nostri vestiti sparsi
per il pavimento. Lo testimoniavano ancora più chiaramente
l'involucro ormai vuoto del preservativo sul comodino o la boccetta del
lubrificante lasciata aperta per via della foga del momento - nota
mentale: ringraziare Sebastian ed i suoi assurdi ed imbarazzanti regali
che mi avevano senza dubbio salvato la serata. Nella mia mente era
tutto ancora così confuso, ma ricordavo perfettamente la
sensazione che avevo provato, nel trattenere il respiro entrando nel
suo corpo. Era stato... come sentirsi completo, trovare l'esatta
collocazione nel mondo e contemporaneamente sentirsi tanto piccolo e
inutile di fronte a tale perfezione. Sì, perché
Kurt era
la perfezione. Tutto in lui era dannatamente esatto e speciale da
essere quasi doloroso. Non aveva abbandonato la mia mano neanche per un
attimo, l'aveva stretta forte, intensificando la presa mano a mano che
le spinte aumentavano, e probabilmente aveva continuato a stringerla
anche durante la notte, ma purtroppo i movimenti del sonno ci avevano
portati a separarci. Poco male, avrei potuto stringergliela io ora, se
solo non avessi avuto l'assurda e attanagliante paura che si potesse
svegliare, mettere a gridare sconvolto e scappare via. Assurdo come
avessi ancora paura che potesse avere una reazione del genere. In
fondo... dopo quello che era successo, non potevo ancora avere dubbi...
o no?
Indeciso su come comportarmi, se rimanere fermo a fissarlo e a
fantasticare su di lui, o svegliarlo - magari con un bacio, come nelle
favole - decisi di fare quello che sembrava essere più
indolore
possibile. Mi mossi lentamente, sgusciando fuori dal letto e pregando
le molle del materasso di non fare troppo rumore. Mi allungai verso la
sedia e recuperai il pantalone di una tuta e una t-shirt nera e,
facendo molta attenzione a non inciampare in scarpe e pantaloni
ammucchiai in varie parti del pavimento, uscii dalla stanza.
Il salone sembrava la fotocopia della camera da letto: vestiti sparsi,
camicie per terra, giacche abbandonate pigramente. Con il cuore
palpitante, raccolsi tutto e li depositai ordinatamente sul divano,
concedendomi qualche secondo di perdizione, annusando spudoratamente la
camicia di Kurt. Cooper per fortuna aveva fatto il bravo, non aveva
sbranato niente, limitandosi ad addormentarsi sulla mia giacca sul
pavimento. Lo scostai con delicatezza, accarezzandolo e lui,
infastidito si allontanò, diretto alle sue ciotole.
Dopodiché sospirai ed andai in cucina. Ci
voleva la colazione per tutti, urgentemente.
New
York City. 01 Aprile 2012. Ore 10.02 A.M. (Domenica)
Se c'era una cosa che odiavo della vita, era quell'assurda sensazione
che si provava appena svegli, quando arrivi a constatare seccato che
avresti avuto davvero bisogno di dormire un altro pò, eppure
qualcosa, magari un bisogno fisiologico impellente oppure il borbottare
dello stomaco vuoto, erano lì in agguato, pronti a
svegliarti.
Se poi le due cose si univano assieme, era la fine. Così,
estremamente frustrato, mi tirai a sedere, stropicciandomi gli occhi e
feci per alzarmi. Ma quasi immediatamente capii che qualcosa non
quadrava: che fine avevano fatto le mie preziose ciabatte di Alviero
Martini e, soprattutto, perché diavolo ero completamente
nudo?
Confuso diedi un'occhiata veloce alla stanza... niente armadio a tre
ante, niente specchio intarsiato, niente poltroncina di velluto, niente
di niente. Ma di chi diavolo era quella stanza, e perché era
così dannatamente simile alla mia? Qualcosa all'improvviso
intercettò il mio sguardo: una foto sul comodino, un
gruppetto
di ragazzi - cinque o sei - si abbracciavano sorridenti davanti
l'obbiettivo, uno diverso dall'altro, ma tutti con le stesse divise
blu e rosse. Tra tutti quei volti così giovani e allegri ne
riconobbi all'istante due: il primo, il più alto di tutti
era
senza dubbio Sebastian, con lo stesso ghigno sbruffone con cui si era
presentato a me la prima volta. Il secondo era...
Un rumore di stoviglie proveniente dalla cucina mi fece sobbalzare.
Merda, ora sì che ricordavo.
Mi affrettai a recuperare i miei boxer e i pantaloni dal pavimento,
ignorando quella piccola bustina strappata e quel tubetto che avevo
intravisto sull'altro comodino. Dopodiché mi concessi
qualche
secondo per calmarmi ed analizzare la situazione.
Ok, con calma... ero andato a letto con Blaine, il mio vicino di casa,
nonché amico, ed avevamo passato tutta la notte assieme. E
allora perché la cosa, invece di farmi uscire di testa, di
farmi
impazzire e sentire uno schifo, mi faceva sorridere e sentire una
strana ma piacevole morsa allo stomaco? Che diamine di reazione era
quella? Ero fidanzato, per Dio... avrei dovuto come minimo indignarmi o
sotterrarmi in qualche fossa per la vergogna e il disprezzo. Ma
invece... ad essere sinceri mi ero ricordato di David, solo
perché mi ero costretto a farlo. E, inoltre... sembravo
immune a
qualsiasi tipo di senso di colpa al momento. Cos'è che
dicevano
sempre nei film? La consapevolezza che ti prende il giorno dopo
è davvero brutta da sopportare? Che ci si sentiva dei
mostri,
delle persone sporche e insensibili? Non avevano mai parlato di pace
dei sensi, soddisfazione, beatitudine e calore alla bocca dello
stomaco? No?
Sistemandomi alla meglio i capelli, che sospettavo fossero un disastro
- ma benedetto ragazzo... non ce l'aveva uno specchio in camera? - mi
concessi un lungo sospiro ed uscii dalla stanza. Nel soggiorno i rumori
che avevo sentito poco prima si fecero più forti, e venni
investito da un delizioso profumo di pancakes e di caffè. Mi
tenni lo stomaco che brontolò di nuovo avanzando di qualche
altro passo. Con la coda dell'occhio vidi il resto dei miei vestiti
poggiato delicatamente sul divano e mi lasciai scappare un sorriso,
anche se non avevo un motivo reale per farlo. Mi era semplicemente
parso un gesto così... premuroso. Cooper, vedendomi, mi
trotterellò accanto, per annusarmi e soddisfatto
sparì in
camera. Era un cane furbo, avrebbe senza dubbio approfittato
della distrazione del padrone, per infilarsi nel letto.
Con mezzo sorriso sul volto, mi feci coraggio e mi affacciai in cucina.
La prima cosa che mi
colpì, oltre ad un'altra ondata profumata di cibo, fu il
leggero
e armonico canticchiare di qualcuno. Era un motivetto allegro e
ritmato, che non seppi bene identificare, ma che mi piacque
all'istante. Blaine mi dava le spalle e se ne stava davanti ai
fornelli, con una paletta in mano e il manico della padella dei
pancakes nell'altra. I fianchi gli si muovevano a tempo con la musica e
fu la cosa più esilarante e buffa che avessi mai visto e
difatti non potei trattenermi dallo scoppiare a ridere di gusto,
attirando la sua attenzione.
Si girò a guardarmi sorpreso per poi aprirsi quasi
immediatamente in un fantastico sorriso gioioso che gli fece comparire
di nuovo due stupende fossette sulle guance
"Spero tu non stia ridendo di me, Hummel... altrimenti niente colazione
per te stamattina!" mi minacciò divertito, prendendo un
piatto
dalla credenza - Dio, si era perfino sollevato sulle punte per farlo -
e posando il pancake appena finito con molta delicatezza e attenzione
"Scusa è che... eri... particolarmente buffo!" mi
giustificai indicandolo. Lui mi guardò confuso
"Buffo?"
"Stavi sculettando, Blaine... in cucina... davanti ai fornelli... con
in mano una paletta per girare le frittelle!" gli feci presente.
Ridacchiò divertito, posando il piatto sul tavolo e
spegnendo il
fuoco sotto la padella. Si girò nuovamente verso di me e mi
sorrise ancora, quella volta mite e sereno
"Buongiorno!" mormorò. Sospirai mordendomi l'interno di una
guancia
"Buongiorno!" gli feci eco
"Prego, accomodati..." e mi fece segno verso una sedia "Ti sarei venuto
a svegliare io tra poco... il tempo di finire di preparare la
colazione!" mi avvertii prendendo posto a sua volta. Mi sedetti anche
io, di fronte a lui e subito mi versai un pò di
caffè e
lo stesso feci per la sua tazza
"Quindi tu... prepari la colazione a tutti quelli con cui passi la
notte?" domandai curioso e divertito allo stesso tempo. Il mio intento
era quello di provocarlo. Semplice curiosità, nulla di
più. Lui spalancò gli occhi ed arrossì
appena
dietro la tazza. Si schiarì la voce e tentò un
sorriso
"No, certo che no... tu sei... non capita spesso, ecco!"
mormorò
imbarazzato, impugnando la forchetta e iniziando a tagliare il suo
pancake
"Mmmm... quindi sono un privilegiato!" lo provocai ancora. Lui colse
l'ironia e scoppiò a ridere
"In un certo senso sì. Diciamo che lo faccio anche per farmi
perdonare, sai... nel caso in cui non fossi stato un granché
durante la notte!" esclamò allusivo. Mi scappò da
ridere
ma a scapparmi dalla bocca furono anche le parole
"Oh, credimi... non hai nulla di cui farti perdonare!" ma subito me ne
pentii arrossendo fino alla punta delle orecchie. Ok, magari quello
avrei anche potuto evitare di dirlo. Fu il suo turno per ridacchiare
del mio imbarazzo e si ficcò in bocca un pezzo di pancake,
emettendo un leggero gemito di assenso.
Dio, i suoi gemiti...
Mi costrinsi alla calma, affondando la forchetta nel mio piatto e
staccando un pezzo. Sembrava davvero invitante. Lo portai in bocca
curioso e constatai all'istante che, nel caso in cui la notte con lui
si fosse dimostrata deludente, Blaine si sarebbe ugualmente fatto
perdonare con la colazione. Era sublime... mai assaggiato nulla di
più buono. E tra l'altro... pensandoci, avrei dovuto
aspettarmelo, dopo quella magnifica cena a base di pesce alla quale mi
aveva invitato due settimane prima. Era davvero bravo in cucina,
bisognava dargliene atto.
"Com'è? Ti piace?" mi chiese ansioso indicando il mio piatto
"Squisito!" risposi con un sorriso. Lui soddisfatto mi fece
l'occhiolino e bevve un altro sorso di caffè. Era quella
l'occasione migliore per parlare di quello che era successo durante la
notte? Era quello il momento per i mea culpa e le scuse?
"So a cosa stai pensando, Kurt..." mi fece ad un certo punto,
inghiottendo l'ultimo boccone di pancake. Io stupito inarcai un
sopracciglio
"Ah sì? E a cosa starei pensando, sentiamo!" lui prese a
giocherellare con la tazza prima di rispondere
"Stai cercando le parole più adatte da dirmi per farmi
capire
che dovrei dimenticare quello che c'è stato stanotte
perché è stato un grandissimo ed imperdonabile
sbaglio
che non dovrà mai più ripetersi!" disse a testa
bassa e
il suo tono abbattuto fu come una pugnalata al cuore. Davvero credeva
fossi tanto prevedibile?
"In realtà... quest'idea non mi ha sfiorato la mente neanche
per
un attimo!" mormorai in risposta facendogli scattare la testa e i suoi
occhi cangianti tornarono a concentrarsi nei miei "Non ho intenzione di
dimenticare nulla, né tanto meno di chiedere a te di
farlo...
sono perfettamente convinto che quello che è successo tra di
noi
la scorsa notte sia stato voluto da entrambi e pertanto non vedo
perché sia necessario cadere nei soliti cliché da
film in
cui due che sono stati a letto insieme fingono di odiarsi a morte e si
distruggono l'intera esistenza credendosi vittime del peccato carnale.
Abbiamo passato la notte assieme e se posso permettermi di dirti una
cosa senza sembrare troppo sfacciato... sono stato bene, molto bene e
per questo non considero quello che abbiamo fatto un errore!" spiegai
con calma. Lui annuì brevemente per poi rasserenarsi e
concedermi un sorriso rilassato
"E quindi... cos'è stato?" domandò. Io scrollai
le spalle
"Chiamiamolo un felice intermezzo delle nostre vite... ci siamo voluti
prendere una pausa dal resto del mondo. Direi che ce la siamo
ampiamente meritata, che dici?" e gli sorrisi complice. Lui
ridacchiò
"Sono perfettamente d'accordo con te!" mi fece sapere infatti "Con
tutto quello che hai detto... cioè... anche io sono... stato
molto bene con te stanotte!" confessò poi arrossendo appena,
gli
occhi limpidi ancora incollati ai miei e quella intensità mi
fece tremare appena. Diedi la colpa al fatto che fossi seduto a tavola
a petto nudo, e mi limitai a sorridergli.
Blaine è
stato bene con me.. cioè, gli è piaciuto...
Finimmo di mangiare in tranquillità, parlando nuovamente
della
serata di beneficenza, concedendoci l'ennesima risata nel ricordare
ancora una volta le mutande al vento di Paris Hilton.
"Bene, io direi che è giunta l'ora di tornare a casa. Ho
bisogno
urgente di una doccia e di un cellulare per telefonare Kristen e
leggere insieme le prime recensioni sulla festa!" esclamai dopo averlo
aiutato a lavare i piatti - nonostante lui avesse categoricamente detto
di non aver bisogno del mio aiuto. Tornammo in salotto dove recuperai
la camicia e la giacca ed indossai entrambe in maniera molto
approssimativa. Dovevo fare soltanto un paio di passi per raggiungere
il mio appartamento, ma di certo non volevo che qualcuno mi vedesse in
quello stato. Ci mancavano soltanto le voci di condominio.
"Fammi sapere cosa dicono queste famose recensioni... soprattutto
quelle che parlano di me!" scherzò lui affondando le mani
nelle
tasche del pantalone. Io ridacchiai recuperando la cravatta e
infilandola in tasca
"Ci puoi giurare... sarei proprio curioso di vedere che faccia
farà il manager di Bon Jovi quando tutta la critica
discografica
acclamerà a gran voce il talento straordinario di Blaine
Anderson. Si mangerà i gomiti per la rabbia ed io mi
crogiolerò nella soddisfazione!" ghignai divertito facendolo
ridere
"Aspetta a cantar vittoria... magari i critici non saranno
così
magnanimi e il tuo amico manager finirà con il farsi due
grasse
risate alle nostre spalle!" mormorò. Io scossi la testa
"Te lo ripeto, Blaine... hai una pessima considerazione di te... e la
cosa non va affatto bene!" gli dissi. Sistemai meglio la cravatta in
tasca e nel farlo toccai qualcosa. Un foglietto di carta, ripiegato. Lo
tirai fuori e all'istante mi ricordai di una cosa importante
"Oh... già che sciocco, quasi dimenticavo!" mormorai
porgendoglielo "Questo è per te!" lui lo afferrò
titubante
"Che cos'è?"
"Il tuo assegno per la serata... il compenso che ti spetta per
esserti esibito per la nostra agenzia!" gli spiegai. Lui lo
osservò a lungo, prima di aprirlo, ancora titubante
"Ma Kurt... non ce n'era bisogno... lo sai, l'ho fatto per fare un
piacere a te, non di certo per i soldi!" si lamentò
"Sì ed io non smetterò mai di ringraziarti per
questo..
ma i soldi ti spettano ugualmente e poi comunque l'agenzia sarebbe
stata disposta a cacciarli per Bon Jovi e quindi, visto che
tu ti sei esibito al posto suo, quei soldi sono tuoi di diritto!" lui
pensieroso si fermò ad analizzarlo per poi assumere un
cipiglio
confuso
"Ehm Kurt... credo ci sia un errore qui!" mi fece presente
"Mi sono dimenticato di cambiare il nome dell'intestatario?" domandai
avvicinandomi per guardare l'assegno. In cima in bella mostra c'era
scritto chiaramente Blaine Anderson, quindi non era quello l'errore
"La cifra, Kurt.. immagino ci siano un paio di zero in più!"
mormorò indicandomi i numeri. Controllai anche quelli,
perché forse la fretta mi aveva giocato un brutto scherzo e
avevo scritto male trentamila dollari. Ma gli zeri c'erano tutti, non
mancava nulla
"No, Blaine... la cifra è corretta!" gli feci notare allora.
Lui
spalancò gli occhi e si lasciò scivolare
l'assegno dalle
mani che, dopo un paio di giravolte, cadde a terra
"Blaine?"
"Oh porca puttana!" sbottò sbiancando di colpo.
"Salute!" feci io, sorpreso da tanta finezza mal tenuta, piegandomi a
riprendere l'assegno caduto, prima che potesse capitare per sbaglio
nella bocca di Cooper.
"Kurt... trentamila...!" boccheggiò sgranando gli occhi
"Eh lo so... l'ho compilato io stesso l'assegno per il signor Chang!"
gli feci presente, ma quella sua espressione scioccata iniziava a
preoccuparmi. Sembrava avesse perfino smesso di respirare. E non
credevo fosse un buon segno
"Dollari!" aggiunse ancora coprendosi la bocca con la mano
"Dollari, Blaine... in che valuta li volevi... in euro?" gli chiesi
divertito, posando l'assegno sul tavolo per tenerlo più al
sicuro. Avevo come l'impressione che Blaine non fosse molto pronto per
riprenderlo in mano
"E sono miei?" esitò portandosi la mano sul petto. Ok, avevo
detto che vederlo canticchiare e muovere i fianchi mentre preparava i
pancakes era buffo. Ma vederlo in quello stato, spaesato e quasi senza
la lucidità, era decisamente più esilarante. Ma
per
rispetto, provai a trattenermi dallo scoppiare a ridergli in faccia
"Certo, Blaine, sono tutti tuoi! Aspetta soltanto un paio di giorni
dopodiché potrai andare in banca ad incassarli!" gli diedi
un'amichevole pacca sulla spalla, più che altro per
scuoterlo un
pò. Ecco, quella era senz'altro una reazione genuina di una
persona normale alla vista di un assegno di tale portata. Per alcuni
quei soldi erano due spicci, per altri - per un ragazzo che per
mantenersi faceva tre lavori, alzandosi sei giorni su sette alle
quattro di mattina, dormendo poco e niente, con tanti sogni e
pochissime speranze di realizzarli - beh quei trentamila dollari
valevano molto di più. E sinceramente in quel momento ero
molto
più contento di darli a lui che ad una celebrità
già ricca sfondata. Blaine se li meritava tutti, fino
all'ultimo
centesimo.
Neanche a dirlo, mi ritrovai le sue braccia attorno al collo e il corpo
completamente schiacciato addosso al mio. E fu come tornare indietro di
sette o otto ore. Quando non c'erano ancora pancakes, o assegni a
distrarci.
"Dio, Kurt... io non so cosa dire..." mormorò direttamente
nel
mio orecchio e dal suo tono di voce, capii che si era commosso.
Sorrisi, stringendolo leggermente per le spalle
"Credo che un 'Ehi
amico, grazie mille!'
possa bastare!" risposi divertito. Lui ridacchiò contro la
mia
guancia per poi scostarsi appena e mormorare a pochi millimetri dalla
mia bocca
"Grazie Kurt... dal profondo del cuore!" e qualcosa mi si strinse nello
stomaco, ma non era la colazione.
"Adesso vado sul serio... Kristen sarà già in
piedi da
ore... quella ragazza non dorme mai... è una perfetta
newyorkese!" ridacchiai allontanandomi, prima di cadere di nuovo nella
tentazione di baciarlo e ricominciare da capo ciò che
avevamo
fatto durante la notte. Lui annuì, con gli occhi ancora
lucidi e
mi seguì fino alla porta. Attraversai il pianerottolo e
aprii
l'appartamento, ma prima di entrarci, mi girai ancora verso di lui, che
se ne stava appoggiato allo stipite, con un dolcissimo sorriso sulle
labbra e l'aria serena. La stessa espressione beata con cui mi aveva
augurato il buongiorno poco prima. Sembrava stesse guardando qualcosa
di meraviglioso e stentavo a credere che dall'altro lato ci fossi
davvero io. Così, tentai l'ultimo insensato e istintivo
gesto
prima di tornare alla routine quotidiana. Volevo chiudere il nostro
felice intermezzo - come io stesso lo avevo chiamato - nel migliore dei
modi. Ritornai velocemente sui miei passi ed azzerai la distanza
poggiando le mie labbra sulle sue. Lui quella volta non si fece
cogliere impreparato come la sera prima, rispose quasi immediatamente,
seguendo i movimenti lenti ma decisi della mia lingua. Dio... sapeva di
caffè e miele ed era così fottutamente buono. A
malincuore dovetti staccarmi, anche perché gli stessi vicini
che
mi avrebbero potuto vedere mezzo nudo, si sarebbero senza dubbio
scandalizzati nel vedere quello. Poggiai per un istante la fronte alla
sua e ad occhi chiusi mi presi un secondo per annusare il suo magnifico
odore. Sì, perché ormai il profumo di Carolina
Herrera
non si sentiva quasi più, ma il suo odore, l'odore del corpo
di
Blaine, della sua pelle, dei suoi capelli.. quello persisteva, e sperai
vivamente rimanesse anche incollato a me, per il resto della mia vita.
"Buona giornata, Blaine. E grazie di tutto!" mormorai
"Grazie a te, Kurt... passa una buona giornata anche tu!" mi rispose
accarezzandomi una guancia. Mi allontanai con un ultimo sorriso per poi
tornare a porre il solito pianerottolo di distanza tra noi, chiudendomi
la porta alle spalle con un lungo sospiro. Bene, il felice intermezzo
era finito. Da lì in poi ricominciava la vita vera. E
difatti il
mio telefono, che prese insistentemente a vibrare, me lo
ricordò
all'istante. Lo portai all'orecchio, improvvisamente stanco e frustrato
"Pronto?"
"Kurt... si può sapere dove cazzo sei finito?"
David, appunto...
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Capitolo 14 *** Thè verde in tazza rossa ***
Buon
Sabato a tutti miei carissimi e dolcissimi amici di Efp.. dunque
iniziamo con il dire che lo scorso capitolo, contro ogni previsone, ha
fatto il BOTTO ^^ chi se lo sarebbe mai aspettato.. ben 13 recensione
ed io che piangevo come una scema per la commozione
ç__ç davvero, non so come ringraziarvi.. ebben
si, Blaine e Kurt hanno ceduto ai fiumi della passione e come ognuno di
voi si è chiesto adesso cosa ne sarà di lui e
David? mmm.. non posso dirvi molto però, si accettano
scommesse.. la più fantasiosa vince un premio ;) in questo
capitolo come vi ho preannunciato vedremo l'opinione della serata da
parte di Kurt e anche l'inizio di un'altra questione importante che non
riguarda la Klaine, però... bene bene, vi lascio con un
comunicazione di servizio: io Sabato prossimo non dovrei essere a casa
perchè passo il week-end fuori ergo, niente pc e niente
aggiornamento :( tuttavia dovrei tornare Domenica sera quindi vi faccio
una domanda: cosa preferireste, che aggiornassi Lunedì
(perchè domenica non penso proprio di riuscirci)
però questo significherebbe slittare tutti fli aggioramenti
e fare quindi non più Mercoledì e Sabato ma
Lunedì e Giovedì... oppure che salti
l'aggiornamento e riprenda direttamente da Mercoledì 5
Settembre? Ditemi voi cosa preferite, io sono a vostra disposizione ;)
bene, vi lascio al capitolo e come sempre ringrazio tutti ma nello
specifico i 13 angeli che mi hanno fatta commuovere e sentire un
pò speciale.. vi amo di bene ^^
p.s.
Solito ringraziamento alla mia artista, che tuttavia non si sa come,
non è soddisfatta di questa immagine.. glielo dite voi che
è semplicemente perfetta ??? *__*
n.b
Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una
piccola One Shot nella
sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe
piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità
finita, mi dileguo ;)
New York
City. 01 Aprile 2012. Ore 11.35 A.M. (Domenica)
Uscire dalla doccia, freschi e profumati, sentendosi puliti ed in pace
con il mondo non aveva prezzo. Mi sentivo leggero, come non succedeva
da tanto, nonostante la recente chiamata, come al solito molto
poco
educata di David, fosse arrivata puntuale a cercare di rovinare
l'atmosfera. Aveva sbraitato attraverso l'apparecchio per
più di
trenta minuti ed io lo avevo semplicemente lasciato fare, attivando il
vivavoce, e provvedendo ad aprire l'acqua della doccia per farla
riscaldare e controllare perfino lo stato della mia faccia. Ero stato
sorpreso nel trovare ogni lineamento disteso e rilassato, nonostante a
conti fatti avessi saltato i miei rituali di cura estetica sia la sera
prima che quella stessa mattina.
Per mia fortuna le grida di David non riuscirono a rovinarmi l'umore,
soprattutto perché in quel momento lui si trovava a
Montréal per un corso di aggiornamento e quindi di
chilometri a
separarci ce ne erano abbastanza per farmi stare tranquillo. Infatti,
dopo avergli assicurato che ero vivo e che ero stato impegnatissimo per
la serata di beneficenza, chiusi la comunicazione con un sospiro e mi
buttai sotto la doccia. Ne ero fuoriuscito soltanto mezz'ora dopo, con
la pelle profumata di talco e i capelli gocciolanti. Avvertivo
perfettamente il sorriso stirarmi le labbra e non potei fare a meno di
provare il desiderio di guardarlo: per questo mi avvicinai allo
specchio del bagno, quello sopra il lavandino e rimasi senza parole: il
sorriso c'era, era aperto, sincero, mite e spontaneo. Quando era stata
l'ultima volta che avevo messo su un'espressione del genere? Che cosa
era successo di tanto sorprendente da farmi stare così?
La risposta arrivò quasi immediata: mi bastò
spostare lo
sguardo, sempre attraverso lo specchio, più giù,
all'altezza del petto: c'erano una decina di segni rossi,
inequivocabilmente provocati da un paio di labbra particolarmente
capaci e paradisiache. Con la punta delle dita, sfiorai quei segni
rossi, stringendo un labbro tra i denti, e avvertendo chiaramente una
piacevole fitta allo stomaco. Dio, non mi ero mai sentito
così..
sembravo un quindicenne appena reduce dalla sua prima volta e difatti,
pensandoci un pò era vero. Avevo fatto l'amore con Blaine,
il
mio vicino, nonché mio amico, ed era stata una delle
esperienze
più belle ed appaganti della mia vita. Come avevo notato,
una
volta svegliatomi nel suo letto, avvolto dal profumo delle sue
lenzuola, neanche il minimo senso di colpa si era impossessato di me:
l'unica cosa che avevo avvertito era stata una gradevole sensazione di
appagamento e di pace assoluta. Esattamente il genere di sensazioni che
avevo sempre immaginato di sentire dopo, nelle mie più
scabrose
fantasie adolescenziali. Il solo fatto che queste fossero state
malamente sostituite con le immagini e i ricordi del corpo di David
schiacciato addosso al mio, mi aveva sempre fatto provare uno strano
senso di inadeguatezza. Era come se per una vita intera, prima di
conoscere Dave, mi fossi semplicemente fatto dei film, costruito dei
castelli di carta immaginari, destinati a distruggersi inevitabilmente
al suolo. La mia prima volta con David non aveva avuto niente di tutto
ciò che avevo anche solo osato immaginare.
Non c'era stato il romanticismo, le carezze, la giusta preparazione -
anche se ammettevo, forse, fosse dipeso dalla scarsa informazione di
entrambi in merito, dato che comunque lui prima di me era sempre e solo
stato con delle ragazze - le giuste parole, le giuste motivazioni, la
reale carica emotiva, la minima volontà. Era stato tutto fin
troppo meccanico e semplice. Ero arrivato subito a pensare, una
volta terminato, che il sesso faceva schifo e che tutte quelle persone
che lo lodavano così tanto, erano degli ipocriti bugiardi.
Io
non avevo provato la minima soddisfazione - nonostante per fortuna la
prima volta David si fosse almeno preoccupato di fare venire anche me,
anche se con molto ritardo e in maniera affrettata - e non avevo mai
realmente provato la voglia di rifarlo. Avevo sentito dire che, una
volta provato, non ci si sarebbe più riusciti a staccarsene.
Evidentemente quelle erano parole provenienti dalle stesse persone a
cui il sesso piaceva così tanto.
Eppure, in cuor mio, sapevo - sapevo, così intensamente da
far
male - che non era così. Il contatto fisico era molto di
più, qualcosa di molto più profondo e intenso,
qualcosa
di inspiegabile a parole. Qualcosa per cui avrebbe sempre valso la pena
aspettare. Un pò come i miei sogni da adolescente
suggerivano. E
che forse - forse! - la colpa di tutta quella insoddisfazione e
delusione dipendeva esclusivamente da David. Da me e lui insieme. Dal
fatto che non ci fosse mai stato amore a legarci. Dal fatto che mai in
me ci fosse stato il minimo desiderio di provarlo. Di farci sesso.
E, a venticinque anni compiuti, finalmente avevo avuto la mia conferma.
Avevo capito cosa significava fremere sotto il tocco di qualcuno,
goderne ogni aspetto, ogni carezza, ogni sospiro. Avevo capito cosa
significava tremare come una foglia tra le mani di un ragazzo, forse
spaventato quanto me - se non di più - continuamente
accarezzato
dal suo sguardo intenso e vigile, e dalle sue labbra morbide. Avevo
capito cosa significava essere amato - anche solo fisicamente - e
rispettato per quello che si è. Perché questo era
tutto
ciò che Blaine quella notte era riuscito a fare. Gli era
bastata
soltanto una notte, in confronto ai quattro anni che invece aveva avuto
David, per farmi tornare la speranza e l'insana euforia di riprovare.
Era stato perfetto, e perfetto era anche riduttivo: Blaine era stato
dolce, passionale, intenso, delicato. Mi aveva tenuto per mano per
tutto il tempo e non aveva distolto i suoi occhi dai miei neanche per
un istante. Mi ero sentito vulnerabile, soggiogato da quelle
meravigliose iridi dorate, rese magnifiche dalla
semi-oscurità
della stanza - le luci di New York che entravano discretamente dalla
finestra alla nostra sinistra - ma allo stesso tempo mi sentivo al
sicuro, circondato dalle sue braccia e schiacciato appena sotto il suo
corpo caldo. Era stato un susseguirsi di baci umidi, di sospiri, di
sfioramenti casuali ma allo stesso tempo da togliere il fiato.
Preliminari infiniti, ai quali io non ero stato di certo abituato. Ci
eravamo trovati entrambi nudi - e Dio, lui era semplicemente da
togliere il fiato - eppure nessuno dei due aveva sentito la smania o la
fretta di raggiungere l'apice. Ci eravamo studiati, analizzati,
accarezzati lentamente. Ci eravamo sorrisi nella
semi-oscurità
rassicurante ed avvolgente della stanza e nessuno dei due aveva osato
dire una parola. Era senza dubbio stato molto meno imbarazzante di
quanto avrei mai potuto credere. Anche quella mattina, al risveglio e
durante la colazione: era stato naturale, come se non fosse la prima
volta.
Sorridendo repressi un piccolo brivido e mi diressi nella camera da
letto per vestirmi. Sciolsi il nodo dell'asciugamano attorno alla vita
e mi avvicinai alla cassettiera per recuperare un paio di boxer. Nel
farlo passai davanti al lungo specchio intarsiato che avevo nell'angolo
e lo sguardo cadde inavvertitamente sul mio corpo. Prima di allora
avevo sempre provato una sorta di avversione verso me stesso, quella
pelle eccessivamente chiara e fin troppo delicata, quei lineamenti
sottili e infantili, quei pochi muscoli affusolati che mi distendevano
le braccia e le gambe. Certo, avevo un bel sedere, ma il mio fascino
probabilmente finiva lì. Quella notte, così
completamente
tra le mani di Blaine, mi ero sentito semplicemente meraviglioso,
perché era stato lui a farmelo credere, anche senza parlare.
Scossi la testa, arrossendo appena e mi infilai l'intimo. Passando
davanti all'armadio non potei fare a meno di ritornare di nuovo alla
sera prima - volutamente o senza pensarci - e la cosa che in quel
momento mi colpì come uno schiaffo fu
ciò che realizzai: Blaine non era rimasto
completamente in silenzio per tutta la notte. No, lui aveva parlato,
esattamente quando le cose si erano riscaldate di nuovo, circa mezz'ora
di coccole più tardi. Si era avvicinato pericolosamente al
mio
viso, mi aveva sfiorato la guancia con la punta del naso e mi aveva
fatto una domanda. Una domanda che mi aveva spiazzato, mi aveva fatto
bloccare il cuore nel petto e spalancare gli occhi.
"In che modo
preferiresti continuare?"...
All'inizio credevo seriamente di aver capito male. Forse la sua era
soltanto una domanda frustrata e mi chiedeva di mettere fine a quella
tortura lunga che stava tramortendo entrambi e arrivare in fondo. Ma
c'era ben altro dietro quella semplice e intimorita domanda
"Eh?"...
Ricordavo perfettamente il rossore tingere le guance di Blaine e il suo
respiro solleticarmi il collo. I suoi occhi erano lucidi e appena
dilatati mentre mi rispondeva
"Intendevo... di solito,
come... preferisci... cioè... insomma... sotto o... o
sopra?"...
Il ricordo mi fece scoppiare a ridere mentre facevo passare la testa
nel buco del collo della maglia. Certo, in quel momento riuscivo a
ridere disteso e tranquillo. Durante la notte, con Blaine, sotto di
lui, che era rosso come un
peperone dopo avermi appena detto una cosa del genere... era stato un
altro paio di maniche. Mi si era completamente azzerata la salivazione
- non che prima ce ne fosse poi molta - e avevo sentito qualcosa
sciogliersi dentro. Davvero mi stava chiedendo dove preferissi stare?
Mi chiedeva cosa volevo? Chiedeva... il mio parere? David non lo aveva
mai fatto: era sempre stato un lui sopra ed io sotto, lui l'uomo forte
ed io la femminuccia debole e passiva. Non mi aveva mai lasciato
provare, non avevo mai neanche osato chiederglielo. Perché
forse
ingenuamente avevo creduto andasse bene così, che nella
coppia
ci fossero dei ruoli fissi e che quindi nel nostro caso lui dovesse
dare e io ricevere - anche se poi a conti fatti non ricevevo proprio
niente. Ecco perché quella sua domanda mi aveva sconvolto
tanto:
non era quindi poi tanto scontato che io nella coppia dovessi fare il
passivo, se Blaine era arrivato a chiedermi cosa preferissi fare.
Subito dopo, la sorpresa aveva lasciato lo spazio al sollievo e alla
trepidazione. Si era fatta strada in me la cocente curiosità
di
provare cosa significasse stare dall'altro lato, che sensazioni si
avvertissero nell'affondare dentro qualcuno. Dentro di lui, nello
specifico. Ma in quel momento, non so cosa, mi bloccò. Mi
sentii
inadeguato e impreparato per una cosa tanto importante così
mi
limitai a borbottare, arrossendo
"Sotto..."...
Lui aveva annuito e mi aveva perfino chiesto se ero sicuro. Io con un
sorriso e dopo avergli stretto le gambe intorno alla vita, gli avevo
fatto capire che sì, ero sicuro. E con il senno di poi, era
stata davvero una mossa saggia la mia.
Infilai anche i pantaloni della tuta e tornai in bagno a tamponarmi i
capelli bagnati. Una volta ritrovata la mia immagine riflessa nello
specchio, mi ritrovai a chiedermi se ci fosse mai stata una volta in
cui avessi provato una cosa del genere dopo aver fatto sesso con David.
Mi era mai passata per l'anticamera del cervello, l'idea di mettermi a
scandagliare ogni singolo istante del nostro momento di
intimità? Mi ero mai concentrato tanto? I ricordi erano
stati
mai così chiari e così maledettamente piacevoli?
La
risposta arrivò all'istante, scivolandomi perfino fuori
dalle
labbra
"No!"
Perfino in una situazione tanto passionale, Blaine era riuscito ad
andarci piano e ad essere estremamente delicato. Non avevo sentito il
minimo dolore - dato che lui aveva seguito tutte le procedure adeguate
del caso, per intenderci - ma solo un'avvolgente passione che mi aveva
sconvolto nell'esatto istante in cui, dopo aver frettolosamente
indossato il preservativo, era affondato lentamente in me. Neanche in
quell'occasione ero riuscito a distogliere gli occhi dai suoi,
così magnetici e meravigliosamente velati dal piacere.
Neppure a
distanza di ore da quel momento, seppi dire cosa scatenò
maggiormente in me l'eccitazione che in breve tempo mi aveva trascinato
fino all'orgasmo. Forse le sue labbra che continuamente cercavano le
mie, catturando i miei spropositati gemiti; forse i suoi occhi fatti di
oro liquido; forse la sua mano che era furtivamente scesa sul mio
ventre per aiutarmi ad aumentare il piacere. O forse fu semplicemente
un insieme di tante cose. Il risultato però non cambiava:
per la
prima volta dopo quattro anni, avevo scoperto il piacere del sesso.
Anzi, dell'amore.
E sono perfino venuto
prima di lui, pensa...
Con un sospiro, spensi il phon e lo riposi nel mobiletto, sistemai un
pò il ciuffo ribelle e tornai in salotto per recuperare il
telefono. Mi affrettai ad inviare una mail a Kristen in cui le chiedevo
dettagli sugli interventi dei critici in merito alla serata ed io
stesso spulciai qualche sito di gossip sul mio iPad, curioso da morire.
Trovai poco e niente e così mi arresi al fatto che dovessi
attendere la provvidenziale risposta della mia adorata pr. Lanciai
un'occhiata all'orologio e mi accorsi che era da poco passato
mezzogiorno e quindi l'ora di pranzo si avvicinava pericolosamente. Ma
non avevo la minima voglia di mettermi a cucinare. Indeciso su cosa
fare, afferrai il telefono e il mazzo di chiavi di casa ed uscii.
Lanciai un'occhiata furtiva alla sua porta e tentai inutilmente di
reprimere un sorriso.
Dietro quella spessa
porta di legno e acciaio c'è un magnifico
ragazzo dal corpo splendido che stanotte mi ha fatto sentire speciale...
Scesi al piano di sotto e bussai al campanello. Non ero per niente
sicuro di trovarci qualcuno ma avvertivo il disperato bisogno di
parlare con una voce amica, e lei era la persona adatta. La porta si
aprì lentamente rivelando una sconvolta Rachel con tanto di
pinza per capelli ancorata in testa ed una maxi felpa che le lasciava
scoperta una spalla ma in compenso arrivava a coprirle fino a
metà coscia.
"Kurt!" un piccolo sorriso stanco le si aprì sul volto
"Ehilà, Rach... disturbo?" domandai incrociando le dita e
tentando un sorriso speranzoso. Lei scosse la testa
"Tu non disturbi mai... accomodati!" e si fece da parte per farmi
passare. Entrai in salotto e notai che la casa non era ridotta tanto
meglio della sua proprietaria. C'erano giocattoli ovunque, la cucina
era letteralmente nel caos, alcuni vestiti colorati di Lea erano appesi
alle spalliere delle sedie e si sentiva un vago odore di disinfettante
nell'aria. Con la coda dell'occhio notai Rachel intenta a sistemarsi
frettolosamente la felpa e i capelli scombinati. Ero a dir poco
sconvolto. Non avevo mai visto quella casa, né tanto meno la
mia
amica ridotte in quello stato. E la cosa più strana in
assoluto
fu che si avvertiva chiaramente la mancanza di qualcosa. Per la
precisione di qualcuno.
"Lea?" domandai sollevando un sopracciglio e scrutando il corridoio,
magari sperando di vederla sbucare correndo da una delle stanze. Lei si
affrettò a raccogliere un paio di pupazzi dal pavimento per
poi
gettarli in un contenitore di plastica trasparente
"Con i miei genitori. L'hanno portata a fare un giro sul battello per
l'East River!" rispose atona, muovendo le mani. Feci un verso strano,
ancora non del tutto convinto di cosa stesse esattamente succedendo
lì dentro. Si avvertiva chiaramente una strana atmosfera,
non
solo per il disordine o la curiosa assenza di Lea - mi pareva assai
strano che Rachel l'avesse lasciata andare da sola su quel battello...
difficilmente riusciva a staccarsi da lei anche se si trattava dei suoi
genitori - era più che altro qualcosa che galleggiava
silenziosamente nell'aria. Qualcosa che si avvertiva.
"Rachel!" la chiamai insospettito. Il suo mormorio mi arrivò
ovattato,
mentre era accucciata per terra a raccogliere le bambole della figlia
"Rachel!" ritentai avvicinandomi "Tesoro, è successo
qualcosa?"
e fu in quel momento che il fragile equilibrio che sembrava pendere
sulle nostre teste in quella stanza disordinata, si ruppe. Dalla bocca
di Rachel uscì prepotentemente un singhiozzo che subito la
sua
mano corse a coprire, ma era troppo tardi. Mi accucciai immediatamente
al suo fianco, sgranando gli occhi spaventato e sorpreso mentre le
lacrime si rincorrevano frenetiche sulle sue guance. Non avevo mai
visto Rachel piangere. In quei quattro anni e mezzo in cui avevo avuto
il piacere di conoscerla e condividere il palazzo con lei, si era
sempre mostrata solare, irriverente, testarda, fastidiosa e
particolarmente egocentrica. Ma mai, neppure durante i mesi di
gravidanza, si era fatta vedere tanto fragile e vulnerabile. Stentavo
quasi a riconoscerla. Le posai una mano sulla spalla, impacciato ed
incapace di trovare le parole giuste per iniziare una conversazione.
Cosa avrei dovuto fare? Chiederle di nuovo cosa la tormentasse oppure
lasciarla prima sfogare e poi tentare una seconda volta?
Fu lei a quel punto a decidere per me. Si sporse e mi
abbracciò,
stritolandomi in una stretta ferrea, assai insolita ed inaspettata da
una ragazza tanto esile e minuta. Sorpreso ricambiai la stretta,
accarezzandole le spalle, scosse dai continui singhiozzi. Dio, era
straziante sentirla piangere in quel modo. Sembrava decisa a versare
tutte le lacrime che fino ad allora aveva trattenuto e
chissà
per quale motivo aveva scelto proprio quel momento per farlo. Con me.
Mi feci coraggio, dopo un lungo sospiro e ritentai
"Rachel..." la voce mi era uscita più instabile ed insicura
di
quanto non volessi "A me puoi dire tutto, lo sai. Qualsiasi cosa,
tesoro, qualsiasi. Sono pronto ad ascoltarti!" le assicurai allora,
incapace di dire altro. Sperai che la mia voce, nonostante fosse
tremolante, apparisse convincente e le facesse capire quanto fossi
stato sincero. Volevo davvero che lei si aprisse con me, che la
smettesse di fare la ragazza forte e combattiva e provasse ad essere
semplicemente una ragazza di ventiquattro anni, sola e fragile.
Dimostrasse di aver bisogno di aiuto. Per mia fortuna,
funzionò.
Si scostò appena e si affrettò ad asciugarsi il
viso
"Dio, Kurt, mi... dispiace. Ti sono saltata addosso così...
devo
essere in uno stato pietoso!" mormorò tra i singhiozzi,
fatti
più leggeri
"Diciamo che la tua faccia potrebbe aver visto giorni migliori!"
scherzai facendole l'occhiolino. Lei ridacchiò passandosi la
manica della felpa sotto il naso rosso
"Coraggio... alzati e vatti a dare una rinfrescata. Io metto su un
pò di thè, così tu con calma mi
racconti tutto,
ok?" le proposi serenamente accarezzandole una spalla. Il labbro
inferiore le tremolò appena e temetti fosse sul punto di
esplodere di nuovo. Quella volta però si limitò
ad
annuire, alzarsi in piedi e sparire in bagno. Io con un sospiro mi
diressi in cucina e, dopo una breve ricerca trovai tutto l'occorrente
per il thè - una ragazza metodica come Rachel Berry, poteva
essere anche molto prevedibile.
Proprio mentre l'acqua aveva iniziato a bollire, la mia amica fece il
suo ingresso in cucina e fui felice di trovarla con i capelli
ordinatamente legati in una coda di cavallo, la faccia pulita, anche se
ancora un pò rossa, e perfino un fuseaux addosso. Adesso
iniziava a somigliare un pò di più alla solita e
fastidiosa Rachel di sempre.
Con un sorriso incoraggiante le versai il thè verde nella
tazza
e ne preparai una anche per me, dopodiché mi sedetti sulla
sedia
di fronte. Lei non sembrava minimamente intenzionata ad aprire bocca ed
io ancora un volta mi ritrovavo senza parole. Ma mi dovetti fare
coraggio perché, se lei non aveva la forza di cominciare a
raccontare, io, volente o nolente, avrei dovuto cacciarle a forza le
parole dalla bocca.
"Dunque... questo tuo... stato d'animo, ha per caso qualcosa a che fare
con il padre di Lea? Si è fatto vivo?" tentai, temendo il
peggio. Lei sgranò gli occhi posandoli finalmente nei miei e
scosse energicamente la testa
"No, assolutamente!" rispose convinta ed io sospirai. Almeno il peggio
lo avevamo scongiurato
"Problemi con i tuoi genitori?" provai ancora riscaldandomi le mani con
la ceramica calda della tazza. Di nuovo scosse la testa
"Macché... loro sono sensazionali. Mi domando come facciano
ancora a sopportarmi!" mormorò sconsolata
"Forse perché ti amano, Rach?" le domandai retorico. Lei
ingoiò qualcosa di molto faticoso e spostò lo
sguardo sul
tavolo
"Già... sarà come dici tu!" biascicò
atona.
Sospirai sempre più frustrato. Non andava affatto bene.
Credevo
di aver fatto un passo avanti a portarla in cucina e preparale qualcosa
di caldo nella speranza che riuscisse ad aprirsi almeno un
pò.
Dovevo dire che il primo tentativo era miseramente fallito.
Così
tentai un'altra via
"Ascoltami bene Rachel Berry... io non sono uno strizzacervelli,
né tanto meno un veggente. Non possiedo la
capacità di
leggerti in quella piccola testolina incasinata che ti ritrovi,
pertanto gradirei che tu stessa ti decidessi a farmi capire cosa
accidenti ti sta succedendo! E gradirei anche che lo facessi nel
più breve tempo possibile, grazie!" sentenziai, cercando di
apparire duro e perentorio anche se dentro mi sentivo un mostro.
Volevo stringerla di nuovo e consolarla e di certo non credevo che
trattarla tanto duramente fosse giusto. Ma non sapevo come prenderla,
come gestire la situazione e quindi le avrei provate un pò
tutte. E proprio quando stavo per passare al piano c, lei parve
risvegliarsi. Tornò a guardarmi negli occhi e con un sospiro
iniziò a parlare
"Ieri sera sono uscita con Finn... ha portato me e Lea al cinema a
vedere il remake del Re Leone!" esclamò tutto d'un fiato,
lasciandomi interdetto
"Finn? Intendi... Finn Hudson... il gigante? Quello che abita qui di
fronte?" le domandai confuso. Lei annuì mesta
"Sì, proprio lui!" confermò
"Non... sapevo che tu e lui usciste insieme!" mormorai sconcertato. Lei
spalancò gli occhi ed arrossì
"No, noi... noi non usciamo insieme! O meglio, lo abbiamo fatto, ma...
è successo solo una volta... ieri sera!"
specificò
accaldata
"Mmm... d'accordo. Tu, Lea e il vostro vicino alto due metri siete
usciti insieme per andare a vedere un cartone animato al cinema... e?"
la esortai a continuare, perché era chiaro come il sole che
ci
fosse dell'altro. Si spostò appena la frangetta di lato,
imbarazzata
"E niente... abbiamo visto il film e lui ha insistito per offrire non
solo i biglietti sia per me che per Lea, ma all'uscita ci ha anche
comprato un gelato!" e accennò un mezzo sorriso
"Che galantuomo!" mormorai ironico
"É stato gentile!" ribatté in risposta, quasi
offesa ed io allora alzai le mani a mò di scusa
"D'accordo... abbiamo appena scoperto di avere un principe azzurro nel
palazzo. C'è altro degno di nota che ti senti di
aggiungere?" la
provocai con mezzo sorriso. Il mio intento era quello di cavarle dalla
bocca tutto il possibile. E con lei solo determinate tecniche andavano
bene. Provare a smontarle tutti i buoni propositi era una di quelle
"Non essere tanto prevenuto nei suoi confronti. É una
persona
piacevole, divertente e molto premurosa. Lea si è divertita
tanto e stamattina mi ha perfino chiesto se poteva invitare anche lui
alla escursione con i nonni!" spiegò concitata. Ci teneva
parecchio a mettere in luce gli aspetti positivi di Finn, eh?
Accavallai le gambe, sempre più curioso e colpito
"E la madre di Lea... cosa ne pensa lei di Finn Hudson?" domandai con
una punta di malizia nella voce. Rachel avvampò di nuovo, e
si
mosse nervosa sulla sedia, ondeggiando da una parte all'altra
"Te l'ho detto... è molto... piacevole!" rispose in un
sussurro
"Rachel!" la ammonii "Intendevo... cosa ne pensi veramente!"
specificai guardandola in maniera eloquente. Lei sgranò
appena gli occhi sorpresa, per poi mordersi un labbro
"Io... ecco..." borbottò indecisa ma qualcosa nel mio
sguardo
rassicurante e mite parve darle il giusto coraggio perché
sospirò e sputò finalmente il rospo
"Mi piace!" esclamò in un soffio "Tanto!" aggiunse e un
leggero
rossore le dipinse discretamente le guance. Un sorriso mi si
aprì sul viso e finalmente abbandonai la mia vaga aria
fintamente infastidita, per battere le mani contento
"Eureka... la Berry finalmente è capitolata!" esclamai
raggiante facendola ridacchiare
"Smettila, cretino... non è capitolato proprio un bel
niente!" borbottò divertita
"Ma come, Rach, non capisci? Hai finalmente trovato un ragazzo degno di
nota che sembra essere interessato non solo a te ma anche a tua figlia!
E per di più il ragazzo in questione ti piace... cosa vuoi
di
più?" domandai stringendo le spalle in una posa di
ovvietà. Lei mi guardò attentamente per poi
rabbuiarsi di
nuovo e sospirare
"Kurt... io ho... paura!" sussurrò imbarazzata, stringendo
la tazza tra le mani. Sgranai gli occhi sorpreso
"Paura... di cosa?"
"Di sbagliare, di nuovo!" specificò guardandomi
eloquentemente negli occhi. Quello bastò a farmi capire
"Rachel, tesoro, ascoltami. Il padre di Lea è acqua passata
ormai e non devi permettergli di rappresentare ancora un ostacolo per
te e per la tua vita. Sei giovane e bella ed hai soltanto ventiquattro
anni. É giusto e legittimo che tu voglia rifarti una vita e
non
devi in nessun modo precluderti nulla!" la incoraggiai convinto. Lei si
perse nell'ennesimo sospiro affranto
"Io non posso permettermi di fare di nuovo la stessa fine, lo capisci?
Adesso ho una figlia alla quale badare e l'ultima cosa di cui avrei
bisogno è l'ennesima fregatura che la vita sembra tanto ben
disposta a darmi!" spiegò abbattuta, con lo sguardo lucido.
Allungai una mano sul tavolo per stringere la sua e ne accarezzai il
dorso
"L'unica cosa che posso dirti è... goditi questa
opportunità. Goditi Finn e tutto quello che potrebbe
offrirti,
senza provare alcun tipo di rimorso. Fate le cose con calma,
coinvolgete sempre Lea, in ogni cosa che fate, rendetela partecipe di
tutto. E vedrai, Rachel... tutto si aggiusta, tutto prenderà
la
giusta forma. E anche una vita scombinata come la tua,
finirà
per somigliare a quelle delle favole!" le dissi con un sorriso mite.
Lei, con gli occhi velati di lacrime, si morse un labbro e mi rivolse
un mezzo sorriso commosso.
"E ricorda... sei molto più coraggiosa di quanto tu voglia
far
credere!" aggiunsi sincero. Si portò l'altra mano libera
sotto
gli occhi per asciugarli con un gesto veloce per poi rivolgermi un
sorriso radioso e finalmente disteso
"Dio, Kurt... tu sei..." provò a dire ma le parole le
morirono in bocca
"Sono il migliore amico del mondo... lo so, Berry... lo so!" scherzai
ghignando divertito e facendola ridacchiare
"Anche!" mormorò scuotendo la testa "Ma sei molto di
più... sei come... il fratello che non ho mai avuto e che
ogni
giorno dimentico di avere!" ammise in una smorfia commossa. Mi schiarii
la voce, sul punto, forse di commuovermi anche io. Bene, ecco la
versione 'ragazzina soggetta a frequenti piagnistei-Hummel'. Ridacchiai
imbarazzato
"Dio, Berry... non so se sarei mai sopravvissuto con una sorella come
te!" scherzai bevendo una sorso del mio thè, ormai freddo.
Rachel mise su una finta aria offesa che mi fece ridere di gusto
"Ma... ammetto di volerti un gran bene, Rachel. Non sai quanto!" ammisi
però, con il cuore in mano. Lo sguardo le si
addolcì di
nuovo e mi sorrise dolcemente
"Anche io, Hummel... ti voglio un bene dell'anima!" si
accodò
accarezzandomi un'ultima volta la mano per poi alzarsi e riporre la sua
tazza nel lavandino, decretando finita la nostra conversazione e
finalmente giunta l'ora del pranzo. Ovviamente mi chiese di rimanere a
farle compagnia ed io, ridacchiando mesto annuì felice,
incapace
di ammettere che quello era il mio obbiettivo fin dall'inizio. Tornare
a pensare al reale motivo che mi aveva spinto circa mezz'ora prima a
scendere nel suo appartamento, mi fece anche ricordare di un'altra
cosa, forse più importante. Guardai Rachel di sottecchi,
intenta
a sciacquare energicamente nel lavello le due tazze usate per il
thè e alla fine decisi di mettere in tavola un'altra patata
bollente. Forse la più bollente
"Rachel... avrei anche io una cosa da dirti!" iniziai posandomi con la
schiena allo sportello del frigo. Lei alzò un sopracciglio e
con
un sorriso curioso mi invitò a continuare. Io presi un lungo
respiro per poi finalmente esclamare
"Stanotte ho fatto l'amore con Blaine!" e... boom.
Quello fu più o meno il rumore che fece la tazza rossa di
ceramica che si schiantava per terra in mille pezzi.
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Capitolo 15 *** Parenti serpenti ***
(
Salve
a tutti miei patatini patatosi (sì, sono uscita di testa XD)
nonostante la connessione che oggi ha deciso di fare i capricci e la
fretta che ho addosso... eccomi ad aggiornare. Due parole prima di
lasciarvi al capitolo... dunque, se sbirciate l'immagine (gentilmente
offerta dalla mia adorata Tamara ^^) potrete vedere che questa volta
abbondiamo in bei faccini... eh sì, miei cari, arriva il
grande Anderson ^^ non so se essere felice o terrorizzata, giudicherete
voi (è un combinaguai, ve lo dico fin da ora XD) e per
quanto riguarda il biondo... beh, secondo voi chi può mai
essere??? eheheh ^^ prima o poi doveva avere un volto anche lui ;)
bene, lo scorso capitolo ha fatto scalpore, o meglio, l'ultima frase lo
ha fatto... ahahahah eh sì, Kurt non ha davvero il minimo
tatto, perdoniamolo... cmq sia, ora vado e vi lascio al capitolo.
Ringrazio le dieci magnifiche persone che hanno recensito e mi hanno
fatta stare bene con le loro fantastiche parole. Io vi adoro, oltre
ogni limite, siete la mia forza ;) Un bacio a tutti...
Comunicazione
di servizio: Aggiornamento spostato a Lunedì e a
Giovedì... quindi non ci vedremo Sabato 01 Settembre
perché come vi ho detto non ci sono, ma direttamente
Lunedì 03 Settembre, per poi continuare a fare
così: il lunedì e il Giovedì... lo
trovo più comodo diciamo ;)
p.s.
Tamara mia, so che con queste immagini ti ho fatto venire un colpo al
cuore però... ti ringrazio :*
New York City. 02
Aprile 2012. Ore 07.35 P.M. (Lunedì)
Generalmente
io nella mia
vita non ero mai stato tipo da odiare i lunedì. Certo, erano
giorni insulsi, che segnavano inesorabilmente l'inizio di una nuova
settimana, così vicini alla fine del week-end ma altrettanto
maledettamente lontani da quello successivo. La mia settimana, da
quando ero diventato newyorkese a tutti gli effetti, non aveva mai
avuto fine. Non c'erano state le domeniche di risposo, i sabati passati
a fare le ore piccole in discoteche, i venerdì spesi ad
ubriacarsi in locali scadenti. Erano stati semplicemente giorni sommati
ad altri giorni di inesorabile e stancante lavoro. Una ruota che
sembrava girare sempre nello stesso verso: l'unica differenza evidente,
era un'altra pagina che veniva strappata dal calendario appeso al muro
della cucina. Ma la differenza era solo quella.
Tuttavia, dovevo ammettere, per la prima volta nella mia vita - vita
è una parolone... diciamo i primi venticinque anni - di aver
iniziato ad apprezzare sul serio i lunedì. Quella mattina,
tutto
pimpante e pieno di motivazioni, ero arrivato al forno, dirigendomi
senza indugio da Matt, il mio capo e proprietario della baracca e avevo
esclamato a gran voce, mettendo le mani sui fianchi
"Matt... apri bene le orecchie perché questo baldo giovane
sta
per abbandonare la nave!" lui aveva sgranato gli occhi facendosi
scappare dalle mani un panetto morbido di pane che cadde sul bancone
"Beata Vergine... stai per morire ragazzo?" domandò
facendosi il
segno della croce. Fu il mio turno per sgranare gli occhi, scioccato e
per poco dimenticai di essere in compagnia di altre persone,
perché le mani stavano giusto per abbandonare i fianchi per
stringersi attorno a qualcos'altro data la sentenza appena pronunciata.
Ma per fortuna mi trattenni
"No, no.. ma che vai a pensare! Semplicemente... mi licenzio. Ti do il
preavviso di due settimane dopodiché... tanti saluti a pizze
e
focaccine!" e fiero e contento recuperai il grembiule per legarmelo in
vita. Matt sospirò per poi guardarmi curioso
"Hai vinto alla Lotteria per caso?" ridacchiai lasciandogli una pacca
sulla spalla
"Ancora meglio!" mormorai e la discussione finì
lì, con
il confuso Matt che era rimasto immobile a grattarsi il mento e me, che
avevo iniziato energicamente a stendere la pasta per la pizza. Poi
più tardi, esattamente alle undici, la scena si era
ripetuta, ma
l'ambiente e il datore di lavoro erano completamente diversi. Con
Margareth Steele, una delle proprietarie del gruppo alimentare presso
il quale lavoravo, il rapporto era notevolmente più formale
e di
certo non mi sarei mai permesso di dispensare sorrisi vittoriosi o
pacche amichevoli sulle spalle. Così, alle undici meno
cinque -
tanto per non rubare tempo prezioso al lavoro - mi ero recato nel suo
ufficio, avevo bussato ed ero stato accolto dalla solita gelida
professionalità. Le avevo comunicato che mi stavo
licenziando e
che da quel giorno iniziavano le due settimane di preavviso previste
dalla legge. Lei si era limitata ad annuire e ad augurarmi un buon
proseguimento di giornata. Con un sospiro stanco era iniziato il mio
turno ma neanche quello era riuscito a cancellare il mio sorriso.
Ero letteralmente al settimo cielo. Quasi avessi le ali sotto ai piedi,
distribuivo sorrisi a tutti i clienti - una vecchietta mi aveva perfino
detto che ero davvero un bel ragazzo. "Grazie mille, signora. Anche lei
è davvero una bella ragazza!" le avevo risposto facendola
arrossire - e quella
mattina neppure i fardelli delle bottiglie di plastica mi sembravano
poi così pesanti. I miei colleghi mi guardavano male, alcuni
divertiti, altri infastiditi da tanto entusiasmo. Uno, il
più
anziano e scorbutico tra tutti, mi aveva perfino mormorato un "Ti tengo
d'occhio, ragazzo!" sparendo dietro una pila di scottex da cucina. Ma
non mi interessava, minimamente. Io sapevo di avere un buon motivo per
essere così felice - oh, eccome se lo sapevo.
Vi dice qualcosa un assegno con ben quattro zeri, firmato da Micheal
Chang
Jr. intestato, niente di meno, che ad un certo Blaine Anderson?...
Come una furia alle cinque ero scappato verso casa per cambiarmi, fare
due coccole a Cooper - Daniel era passato da casa mia circa mezz'ora
prima, come promesso, per portarlo fuori - e lasciare un post-it per
Kurt in cui, a lettere cubitali e con tanto di faccine sorridenti, gli
spiegavo di aver dato il preavviso e che mi sarebbe piaciuto
festeggiare con lui quella sera. Quindi gli avevo chiesto di
raggiungermi al locale, o al massimo di vederci dopo il lavoro se fosse
stato ancora sveglio. Avevo un'insana voglia di condividere quella
euforia con qualcuno. No, rettifico. Avevo un'insana voglia di
condividere quella euforia con Kurt.
Non avrei voluto festeggiare con nessun altro al mondo se non con lui:
era stato Kurt a trovarmi quell'ingaggio alla festa di beneficenza ed
era stato lui a darmi l'assegno - che custodivo gelosamente nel primo
cassetto del mio comodino. E poi, dopo averlo salutato sulla soglia
della porta la mattina precedente, non ci eravamo più visti
né sentiti. In effetti quel post-it che in quel momento
stavo
attaccando sulla sua porta con tanta cura era il primo contatto dopo
un'intera giornata passata lontani e dovevo ammettere, anche se con uno
strano nodo alla gola, che mi era mancato. Mi erano mancati i suoi
occhi che mi scrutavano attenti e curiosi, mi era mancata la sua risata
ma più di tutto mi era mancato il calore del suo corpo nel
letto
quella notte. Lo so, era stupido da dire soprattutto perché
era
successo solo una volta e ci eravamo messi d'accordo sul definire la
cosa come una semplice parentesi piacevole nelle nostre vite. Ma mi
rendevo anche conto di provare una strana stretta allo stomaco ogni
volta che ripensavo a quei momenti trascorsi assieme - la notte, la
mattina successiva, la colazione, il bacio sulla porta - e che, come
Sebastian Smythe aveva sempre affermato, ero stato solo fin troppo a
lungo.
I miei pensieri furono interrotti dal rumore dell'ascensore che
annunciava il suo arrivo al piano con un leggero ding. Guardai
immediatamente l'orologio, sorpreso che Kurt fosse tornato
così
presto, ma mi preparai ad accoglierlo con il sorriso sulle labbra. Non
avrei potuto essere più fortunato. Così saremmo
andati
direttamente insieme al pub e avremmo festeggiato la mia...
"Oh, guarda tu chi si vede... stavi aspettando me per caso?" per la
sorpresa mi scivolò la borsa dalle mani che cadde a terra
con un
tonfo sordo
"Cooper!" esalai scioccato. Non ci potevo credere. Non poteva essere
vero. Mio fratello mi sorrise, lasciando cadere a sua volta un
voluminoso zaino rosso per terra - per quanto diavolo aveva intenzione
di fermarsi? - e allargando le braccia
"Su, coraggio, schizzo. Vieni qui ed abbraccia il tuo adorato
fratellone!" mi invitò. Io, ancora disorientato, mi
avvicinai
per stringerlo e le sue braccia per poco non mi soffocarono. A cosa
dovevo tutto quel trasporto?
"Dio, Coop... potevi avvisarmi che saresti arrivato oggi... mi sarei
perlomeno preparato a... ad accoglierti!" mormorai annaspando tra le
sue braccia, in cerca d'aria. Lui ridacchiò, assestandomi
due
pacche dolorose sulle spalle - era sempre stato molto più
forte
di me, oltre che più alto
"Ma, schizzo... se te lo avessi detto non ci sarebbe stato lo stesso
pathos... lo sai che io mi nutro di emozioni e questa..."
intensificò l'abbraccio mentre avvertivo con timore un paio
di
costole scricchiolare pericolosamente "Beh, questa è senza
dubbio una gran bella emozione!" sentenziò soddisfatto
Se non altro, hai
rischiato di farmi venire un infarto...
"Già, ehm..." finalmente mi liberai della sua stretta ferrea
e
potei guardarlo in viso, dopo mesi. Non era cambiato poi molto: bello e
luminoso come sempre. Sorriso aperto, quasi allucinato, denti
bianchissimi, ciuffo perfettamente tirato all'insù. Stentavo
ancora a credere che fossimo fratelli io e lui. Fisicamente, a parte
forse la forma degli occhi, non ci somigliavamo per niente. E
caratterialmente poi... il giorno e la notte, il bianco e il
nero,
l'Europa e l'Australia. Certo avevamo entrambi grandi aspettative per
la vita e dei sogni da realizzare. Ma io combattevo ogni giorno per
potermeli conquistare... lui si limitava a sorridere e a fingere di
saper fare qualcosa.
"Allora... questo famoso appartamento?" mi domandò curioso,
girando la testa verso la porta di Kurt. Da lì il biglietto
verde mela che avevo lasciato si vedeva alla perfezione e quindi, prima
che lui potesse leggerlo, mi affrettai ad afferrargli un braccio e a
trascinarlo verso la mia porta
"É questo qui. Aspetta adesso te lo faccio vedere!"
annunciai
con un certo imbarazzo. Aprii la serratura e gli feci segno di entrare.
Lui, mormorando qualcosa di incomprensibile, iniziò a
sondare
l'appartamento. Iniziò con il soggiorno,
accarezzò la
spalliera del divano, scrutò appena quel piccolo pezzo di
terrazzo che riusciva ad intravedere, si affacciò in cucina
controllando i mobili e poi si diresse in bagno. Controllò
dietro la porta, quasi stesse bonificando l'appartamento di un serial
killer, per poi annuire distrattamente e dirigersi in camera da letto.
Qui qualcosa lo bloccò e finalmente mi lanciò
un'occhiata
curiosa
"Immagino che quel coso lì sia..." mormorò
diffidente
indicando qualcosa nella stanza. Io mi avvicinai curioso per
controllare e subito la testolina pelosa di Cooper - il cucciolo - si
sollevò dal letto per scrutare entrambi. Io ridacchiai
avvicinandomi e presi il cucciolo in braccio che si lamentò
appena
"Bene... Cooper ti presento... Cooper... tranquillo non morde!"
assicurai accarezzando la testa del cane
"Vorrei ben vedere!" mormorò mio fratello scrutando entrambi
con un'aria stizzita
"Non ce l'avevo con te... parlavo con il cucciolo!" scherzai
avvicinandoglielo, ma mio fratello saltò quasi sul posto
facendo
due passi indietro
"Più tempo passa, e più le tue battute perdono di
efficacia, schizzo... dovresti seriamente pensare di frequentare un
corso... magari ne gioverà anche la tua autostima!"
esclamò con tono professionale, quasi fosse pane per i suoi
denti. Feci una smorfia infastidita rimettendo il cane sul letto e
dirigendomi in soggiorno. Mi era sembrato strano che non avesse ancora
tirato fuori nessuna delle sue frecciate al cherosene
E dannazione, odio
quando mi chiama schizzo...
"Ascolta Coop... mi dispiace, ma io devo andare a lavoro!" annunciai
dandogli le spalle
"E mi lasci qui?" domandò preoccupato "Da solo?" con la coda
dell'occhio lo vidi lanciare un'occhiata strana verso la camera da
letto.
"Di cosa hai paura? Che il cane ti aggredisca?" lo beffeggiai
divertito. Lui sbuffò, passandosi una mano tra i capelli
"Diamine, schizzo... credevo riservassi un'accoglienza diversa al tuo
adorato fratellone. Non puoi lasciarmi qui, come se niente fosse, dopo
avermi invitato! É davvero poco carino!" mi
ammonì
fingendosi offeso. Ok, dovevo ammettere che le sue doti di attore erano
notevolmente migliorate dall'ultima volta in cui ci eravamo visti. I
casi erano due: o si era messo seriamente a studiare recitazione,
oppure... diceva sul serio. Si era offeso?
Sospirai, già stanco e pentito di averlo invitato, e
sconsolato mormorai
"Puoi venire con me, se proprio vuoi..." ma non feci in tempo a dirlo
che lui era già fuori dalla porta, di nuovo raggiante e
propositivo
"Beh e allora che cosa stiamo aspettando? Usciamo di qui e andiamo a
conquistare New York!" esclamò elettrizzato premendo il
tasto
dell'ascensore. Con un sospiro, che più che altro pareva un
ringhio, mi chiusi la porta alle spalle e prima di entrare nella cabina
con un esagitato Cooper Anderson, lanciai un'occhiata distratta alla
porta chiusa di Kurt, sulla quale ancora faceva mostra di sé
il
mio biglietto.
Speriamo che almeno lui
venga... migliorerebbe notevolmente la mia serata...
New
York City. 02 Aprile 2012. Ore 08.42 P.M. (Lunedì)
Una volta arrivati al pub di Noah, iniziai quasi subito a
capire
che le cose, presa una brutta piega, difficilmente si sarebbero
sistemate. E difatti, se già sopportare mio fratello mi era
sembrata un'impresa titanica, avrei ben presto capito quanto ancora
poco avessi visto in quella singola giornata.
Erano quasi le nove, quindi a breve sarei andato sul palco a cantare,
quando nel pub aveva fatto il suo ingresso Sebastian, con al seguito il
suo Daniel. In quel momento avrei voluto morire. Mio fratello e
Sebastian si erano scambiati un lungo sguardo, dopodiché il
mio
amico aveva rotto il silenzio
"Non ci posso credere... Cooper Anderson a New York... a cosa dobbiamo
questo onore?" gli domandò con mezzo sorriso e una pacca
amichevole sulla spalla. Il più grande sorrise ed
ammiccò
- e in quel momento potei giurare di aver chiaramente visto una smorfia
di disappunto sul viso di Daniel
"Sono qui per allargare i miei orizzonti, per fare esperienze,
arricchire il mio bagaglio umano..." spiegò elettrizzato "E
ovviamente... anche per controllare il mio schizzo preferito!" aggiunse
stringendomi il braccio attorno alle spalle, nuovamente troppo forte.
Sebastian scoppiò a ridere di gusto, evidentemente contento
del
fatto che ci fosse qualcun altro a dargli manforte per prendermi in
giro. Lui e Cooper erano sempre andati stranamente d'accordo: avevano
due caratteri molto fastidiosi, e prima di farli conoscere, avrei
sempre dato per scontato che due così non si sarebbero mai
potuti sopportare. Ma ovviamente mi avevano sorpreso entrambi. Dopo un
primo scambio di battute acide, non so cosa era scattato in loro.
Probabilmente una sorta di tacito sodalizio ai miei danni. Avevano una
missione comune: rovinarmi la vita e dovevo ammettere che lo facevano
molto bene. Due così, nella stessa serata non si reggevano.
Dopo quel simpatico scambio di convenevoli, finalmente Sebastian
tornò a dare attenzione anche al suo ragazzo facendogli
segno di
avvicinarsi. Il viso di Daniel era ancora oscurato da una strana
smorfia. Sembrava... infastidito?
"Cooper, permetti? Devo presentarti una persona..." annunciò
e
mio fratello mollò la presa dalle mie spalle per guardare
meglio
"Lui è Daniel... il mio ragazzo! Dan, questo è
Cooper..
il fratello di... schizzo!" e mi sorrise divertito. Gli lanciai
un'occhiataccia di fuoco ma i suoi occhi erano ritornati immediatamente
sui due che in quel momento si stavano stringendo la mano
"Hai capito, Sebastian... sei diventato monogamo! Hai finalmente
attaccato gli attrezzi al chiodo e deciso di mettere la testa a posto?"
gli domandò esaminando attentamente Daniel, che
arrossì,
stringendosi appena più vicino al corpo del suo ragazzo.
Quest'ultimo ridacchiò
"Puoi dirlo forte... sembra strano, ma è così!"
esclamò fiero, poggiando il braccio attorno alle spalle di
Daniel che sembrò rilassarsi appena, eppure era evidente che
qualcosa non quadrasse. Il più piccolo non aveva ancora
aperto
bocca e la cosa era molto, molto strana. Daniel era come me... non
riusciva neanche sotto tortura a stare zitto. Quindi, era chiaro che
fosse successo qualcosa. Lui e Sebastian avevano litigato? Beh, se
davvero lo avessero fatto, che senso avrebbe avuto venire al pub quella
sera? Sarebbe stato più saggio rimanere a casa per chiarire,
no?
Eppure... guardai attentamente Daniel piegare la testa di lato e i suoi
occhi saettare da una parte all'altra, alternando tra Sebastian e
Cooper, per seguire il loro discorso. I suoi occhi erano... spenti, e
continuava a darmi l'impressione di essere particolarmente infastidito.
Ma da cosa?
La risata chiara e limpida di Sebastian che si diffondeva nell'aria
dopo l'ennesima battuta di mio fratello, fu come un'illuminazione per
me e all'istante capii: era geloso. Daniel era geloso di Cooper. Era
geloso del suo rapporto con Sebastian, della confidenza che sembravano
avere, delle battute che continuavano a scambiarsi, della mano di mio
fratello ancora poggiata sulla spalla del suo ragazzo. Mi lasciai
scappare un sorriso intenerito, perché era strano l'effetto
che
una gelosia così palese potesse fare. E allo stesso tempo
provai
un pò di invidia per Sebastian: anche a me sarebbe piaciuto
avere un compagno così geloso. Per me la gelosia era sintomo
di
amore. E Daniel in quel momento era pieno di amore per Sebastian.
Peccato che lui fosse troppo impegnato a far ridere mio fratello per
accorgersene.
"Coraggio, Blaine... è il tuo momento!" mi avvisò
Noah
toccandomi appena una spalla. Io annuì scendendo dal mio
solito
sgabello e mi premurai di passare accanto a Daniel prima di
allontanarmi, per stringergli un braccio e sussurrargli, in modo che
soltanto lui potesse sentire
"Stai tranquillo, Dan... mio fratello è innocuo!" e gli feci
l'occhiolino. Lui mi sorrise, arrossendo appena ma mi fece un piccolo
cenno con la testa che io interpretai come di ringraziamento.
New
York City. 02. Aprile 2012. Ore 11.35 P.M. (Lunedì)
*Per colpa di tuo
fratello, ora Dan ha messo il muso!*
Mi aveva scritto Sebastian ed io gli avevo risposto con
mezzo
sorriso, mentre rientravamo nel mio appartamento. Io stanco morto,
reduce da un'estenuante giornata di lavoro, Cooper pieno di
vitalità. In quel momento stava parlando a raffica, passando
tranquillamente da un argomento all'altro, senza cognizione di causa.
Mi aveva perfino fatto venire il mal di testa.
*Per colpa di mio fratello succedono tante cose spiacevoli, ormai
dovresti saperlo!*
risposi divertito, dispiaciuto che il malumore di Daniel dipendesse da
qualcosa che aveva combinato Cooper. In fondo lo avevo invitato io a
New York. Io lo avevo portato in quel pub. E io avrei potuto tirare
qualcosa di molto pesante o magari appuntito in testa al mio migliore
amico, non appena quei due avevano iniziato spudoratamente a flirtare
come se niente fosse. Mio fratello era fatto così, ed io
ormai
ci avevo perso ogni speranza: ci provava con qualsiasi cosa respirasse.
Era etero, ma non disdegnava di certo la compagnia dei bei ragazzi. E
Sebastian sembrava proprio essere il suo tipo. Quest'ultimo poi, aveva
sempre cercato solo la scusa per sfoderare le sue doti da seduttore e
mio fratello era l'ideale. Peccato che in mezzo a quel simpatico
quadretto ci fosse anche il povero Daniel che di certo non si meritava
di essere trattato in quel modo. Probabilmente Sebastian non lo aveva
neanche fatto di proposito - non volevo di certo credere che avesse
fatto qualcosa appositamente per far soffrire il suo Dan - ma dovevo
ammettere che delle volte esagerava senza neanche rendersene conto. Era
impulsivo o forse semplicemente ancora troppo legato ai suoi vecchi
modi di fare da stallone single.
*Già...
peccato che adesso Daniel mi abbia chiuso fuori dalla nostra camera!*
Sgranai gli occhi sorpreso, mentre il piccolo Cooper - il cane, non mio
fratello - scodinzolava ai miei piedi, così mi diressi in
cucina
per preparargli da mangiare. Mio fratello intanto continuava a parlarmi
del suo ultimo successo cinematografico. Successo che immaginavo
già, sarebbe accidentalmente stato un fiasco e i critici lo
avrebbero cancellato dalla programmazione.
*Mi dispiace, Bas... ma
quel poveretto non ha tutti i torti!*
Versai una generosa porzione di croccantini in una ciotola colorata -
quel cane iniziava seriamente a mangiare più di quanto
facessi
io, il che era davvero strano vista la mia fama da discarica ambulante
- e la posai in un angolo. Neanche a dirlo Cooper si avventò
con
la faccia dentro per ripulire tutto in tempo da record, soddisfatto.
*No, Blaine... forse non
hai capito la gravità. Mi ha chiuso fuori dalla nostra
stanza... a chiave!*
Ridacchiai, ricordandomi mentalmente di dover fare i miei
complimenti a Daniel prima o poi. Quando voleva tirava fuori
dal
sacco un bel caratterino. Era capace di tenere testa allo spavaldo
Sebastian. Se non era un merito quello.
*Se fossi in te,
inizierei a pensare
ad un modo per farti perdonare. E guai a te se metti in mezzo
spogliarelli o qualsiasi altra diavoleria legata al sesso. Daniel ha
bisogno di Sebastian
in questo momento, non solo del suo corpo!*
Dubitavo fortemente che il mio amico mi avrebbe dato retta, ma a
provare non costava nulla.
"Allora schizzo... penso di aver parlato fin troppo questa sera,
è ora che metta un pò a riposo le corde vocali!"
annunciò Cooper concludendo il suo ennesimo monologo da
star.
Sorrisi sollevato mentre le mie povere orecchie esultavano
"D'accordo, allora... dove preferisci dormire? Qui sul divano o nel
letto matrimoniale con me e il cane?" lo provocai divertito. Mio
fratello sconvolto lanciò un'occhiata al cucciolo, intento
ad
abbaiare flebilmente ad un laccio della sua scarpa
"Questo affare dorme con te?" mi domandò scioccato con una
mano sul petto, degno dei migliori attori di Hollywood
"Certo... siamo già costretti a stare lontani per un'intera
giornata. Almeno la notte la passiamo insieme!" esclamai tranquillo,
divertito dalla sua reazione spropositatamente sconvolta
"In tal caso, penso che il divano possa andare molto più che
bene!" mormorò grattandosi una guancia, infastidito.
Soddisfatto
mi diressi verso la camera per recuperargli un paio di lenzuola pulite
ed un cuscino. Per trovarle, dovetti arrampicarmi nell'armadio,
rischiando seriamente di spezzarmi l'osso del collo. Ci mancava
soltanto che per colpa sua finissi all'ospedale.
Il cellulare cinguettò, avvertendomi dell'arrivo di un nuovo
messaggio. Sebastian aveva capitolato?
*Ti pare normale che
quell'idiota del
tuo amico si sia messo a cantare "Sorry seems to be the hardest word" a
squarciagola nel corridoio?*
Sgranai gli occhi, controllando il mittente. Ovviamente non si trattava
di Sebastian ma di Daniel e... cosa diamine stava combinando quel
deficiente?
*Immagino sia il suo
bizzarro modo per chiederti scusa :)*
Scossi la testa divertito, mentre preparavo un altro messaggio per
Sebastian
*Sorry seems to be the
hardest word? Sebastian... sul serio?*
Immaginai perfettamente la scena: i due separati semplicemente dal
legno della porta. Uno che cantava disperato i versi della canzone di
Elthon John, l'altro che, disperato allo stesso modo, cercava di
trattenersi dall'aprire quella porta per saltargli addosso e
perdonarlo... pur di farlo smettere
*Beh, non sta
funzionando. Quindi digli di smetterla!*
Appunto!
*Perché non
glielo dici tu? Siete sotto lo stesso tetto, Dan... basta alzare un
pò la voce e lui ti sente!*
E contemporaneamente era arrivata anche la risposta di Sebastian
*Me lo hai detto tu di
cercare un modo per farmi perdonare che non contemplasse le avances
fisiche!*
Alla fine era colpa mia? Non feci in tempo a rispondergli che il
cellulare suonò di nuovo, con un altro mittente
*Non si merita niente.
Benché meno di sentirmi implorare di smetterla. Quindi,
Blaine... ti prego!*
Maledizione... mi avevano messo in mezzo. Per qualcosa che alla fine
non avevo fatto io. Certo, ero responsabile di aver portato Cooper al
pub con me, ma tutto il resto del casino lo aveva combinato Sebastian,
io non c'entravo nulla
*Fai così,
Bas... adesso
smettila di tediarlo con quella lagna. Auguragli la buonanotte e
vattene a dormire nella mia stanza. Domani mattina, prima di andare in
studio, gli prepari la colazione e gli offri un passaggio. In poche
parole: ti comporti da fidanzato! E fai un favore alla
comunità... rinnova il tuo repertorio!*
Neanche dieci secondi e un nuovo messaggio di Daniel mi
comparì sullo schermo
*Grazie :)*
Sorpreso e compiaciuto risposi
*Ha smesso?*
Sebastian mi aveva dato retta?
*Già...*
Mmm... però... ero bravo dopotutto. Ma la cosa che in quel
momento mi preoccupava di più, era il fatto che il mio amico
non
avesse ancora risposto. Si era offeso per caso? Dio, Sebastian depresso
era qualcosa di inguardabile ed atroce. Sarebbe stata troppo grande
come punizione, perfino per lui
*Bas?*
Quella volta la sua risposta arrivò immediata e netta. Quasi
fosse una fucilata
*Cosa?*
Ecco, era arrabbiato.
*Sono fiero di te :)*
Magari i complimenti lo avrebbero aiutato a sentirsi un pò
meglio
*Ne riparliamo domani,
B... e di a
tuo fratello che, per quanto bello da togliere il fiato, rimane un
grandissimo stronzo! Con affetto*
Ridacchiai, lasciando il cellulare sul comodino a caricare e,
recuperate le lenzuola, tornai in salotto. Sentii la voce di qualcuno,
ovattata e proveniente da un punto indefinito e mio fratello sembrava
sparito. Aveva deciso di tornarsene in California? Reputava di aver
fatto già abbastanza danni?
"Cooper? Che fine hai fatto?" lo chiamai ma invece della sua risposta,
ottenni un sonoro bau da parte del cane che mi fece sorridere.
Abbandonai le lenzuola e il cuscino sul divano e notai la
porta-finestra aperta. Così uscii sul terrazzo e
lì lo
trovai.
"Ah mai sei qui!" esclamai avvicinandomi. Lui si girò a
guardarmi, con una strana espressione in volto, un misto tra la
soddisfazione e il divertimento. Stranamente mi abbracciò di
nuovo, sollevandomi appena da terra
"Come sono contento che tu mi abbia fatto venire da te, Blaine!" disse
accarezzandomi la schiena
Blaine?...
"Aehm... figurati!" risposi confuso e sorpreso dal suo ennesimo cambio
d'umore. Era peggio di Sebastian sotto quel punto di vista
"Ma adesso... è meglio andare a letto. Abbiamo avuta una
serata
piuttosto... movimentata!" e ridacchiò, per
chissà quale
motivo sull'ultima parte. Mi scostai per guardarlo male
"Sì... io soprattutto!" mormorai facendolo ridere di gusto.
Mi
fece l'occhiolino e sparì all'interno. Rimasi qualche
istante
immobile, sconvolto. Ok, quella giornata era stata fin troppo lunga e
complicata e di certo non mi sarei dovuto meravigliare se avessi avuto
l'impressione che in quel momento mio fratello sembrava stesse
flirtando perfino con me, giusto? Ero solo stanco, tutto lì.
Così con un sospiro rientrai anche io, e dopo aver augurato
la
buonanotte a mio fratello, recuperai il piccolo Cooper e mi trascinai
fino in camera da letto. Mi spogliai lentamente e crollai a peso morto
tra le lenzuola. Le mie giornate a New York sembravano notevolmente
più lunghe da qualche tempo a quella parte. I tre lavori
massacranti, l'appartamento nuovo, la serata di beneficenza, l'assegno
da trentamila dollari...
Dio, è vero...
Scattai a sedere, come punto da qualcosa, facendo sobbalzare appena il
piccolo Cooper che si lamentò con un guaito
"Ma che fine ha fatto Kurt?"
|
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Capitolo 16 *** Una giornata nera ***
Buon
Lunedì a tutti... di ritorno dal mio week-end di mare (e
solo ora mi rendo conto che le zanzare maledette mi hanno praticamente
uccisa -_-) eccomi qui ad aggiornare come promesso.. dunque, un paio di
precisazioni prima di lasciarvi al capitolo: ho notato che non a molti
di voi il personaggio di Cooper vada a genio, ed ammetto di essere
stata una di voi un tempo... anche io non l'ho sopportato molto nella
serie per quello che faceva al povero Blaine.. ed ecco, io non credo di
esserci andata leggera neanche qui... quindi se a fine capitolo vorrete
uccidere lui avete la mia benedizione, se invece vorrete uccidere me..
beh.. in tal caso vado a nascondermi ^^ Ringrazio le mie dolci lettrici
che come sempre mi riempiono il cuore con le loro magnifiche recensioni
ma voglio ringraziare anche qui inserisce la storia tra
seguite/ricordate/preferite... e anche i lettori silenziosi.. lo so che
ci siete ;) bene, vi lascio al capitolo, ricordatevi che qualsiasi cosa
succeda... io vi voglio bene *corruzione mode on* XD ciao ciao... ci
vediamo Giovedì ;)
p.s. Nonostante sia sommersa dalle cose da fare, la mia adorata artista
ha creato questa opera d'arte qui sotto... *__* io non ho
più parole per ringraziarti tesoro mio :*
New
York City. 02 Aprile 2012. Ore 11.48 P.M. (Lunedì)
In cinque anni in cui avevo lavorato presso l'agenzia di Chang, mai
prima di quel giorno, avevo fatto così tardi. Era quasi
mezzanotte ed ero distrutto. Avevo male dappertutto, ogni muscolo,
anche quelli di cui ignoravo l'esistenza. Il mio capo era in
fibrillazione per l'uscita dei cataloghi autunno-inverno e quindi mi
aveva costretto a trattenermi ben oltre l'orario di lavoro, per
terminare l'istallazione dei set e programmare i nuovi cast. Per
fortuna aveva avuto il buongusto di affiancarmi un'altra ragazza,
altrimenti non sarei sopravvissuto neanche sotto effetto di sostanze
stupefacenti.
Finalmente però, dopo ben quattordici ore - quasi quindici -
che
mancavo da casa e ne avevo fin sopra i capelli di tutto e di tutti, ero
riuscito a fare ritorno all'ovile. Ero
elettrico, irritato e infastidito. Qualsiasi cosa mi avrebbe fatto
scattare, quasi fossi una donna in periodo di ciclo.
Con un sospiro frustrato uscii dall'ascensore e per un istante, l'unico
istante di tutta la giornata, avvertii l'inspiegabile desiderio di
sorridere. Di infischiarmene di tutto, della collezione, delle modelle,
di Chang, del ciclo, e semplicemente... sorridere. Perché
attaccato alla mia
porta, come d'abitudine ormai, c'era un magnifico biglietto color verde
mela, che pareva brillare in tutta la sua stravaganza
Dio, Blaine...
Lo afferrai accarezzandone la solita calligrafia morbida e lo lessi
avidamente
*Kurt, tieniti ancorato
allo zerbino
perché sto per darti una notizia fenomenale. Stamattina ho
dato
il preavviso al formo e al supermercato - il lavoro al pub me lo tengo,
non sono mica stupido :) - quindi sono "quasi" ufficialmente il ragazzo
più felice di questa terra. Ed il merito, neanche a dirlo,
è tuo! Quindi che ne dici se stasera festeggiamo? Se rientri
presto puoi raggiungermi al pub così ti offro qualcosa
lì, oppure, se ti è più comodo ci
vediamo qui
appena torno io. Aspetto il tuo post-it di risposta. A dopo. Un bacio
B. ;)*
Sorrisi intenerito ma profondamente fiero di lui. Immaginavo che con un
assegno del genere nelle mani, dopo essersi ripreso dallo shock
iniziale, avesse deciso di lasciare i due lavori che più lo
distruggevano fisicamente. Ed immaginavo anche che al pub di Puck non
avrebbe mai rinunciato. Aveva fatto bene, ero fiero di lui.
Un bacio... un bacio...
mi ha lasciato un bacio...
Sorridendo, aprii la porta, pronto a lasciare tutto sul divano e
precipitarmi da lui. Un'occhiata lanciata di sfuggita all'orologio,
però, mi fece bloccare. Dio, mancavano dieci minuti a
mezzanotte. E se fosse già andato a dormire stanco di
aspettarmi? Senza dubbio era già tornato a casa - mi pareva
di
aver visto la sua moto parcheggiata sotto il palazzo - e aveva anche
visto il suo post-it ancora sulla mia porta, quindi aveva intuito che
non fossi ancora tornato. Ma potevo davvero disturbarlo nonostante
fosse così tardi? Il fatto di essere stati a letto assieme -
ancora non riuscivo a reprimere un brivido se ci pensavo - mi dava
questa autorizzazione?
Decisi di verificare prima che fosse realmente sveglio, così
uscii sul terrazzo e mi affacciai discretamente dalla ringhiera che ci
separava, per vedere all'interno del suo appartamento. La luce del
salone era accesa e avvertivo chiaramente una voce provenire
dall'interno, seppure ovattata dai vetri chiusi. Aveva ospiti?
Mi avvicinai un pò di più, aggrappandomi alle
sbarre per
vedere meglio ma proprio in quel momento la porta-finestra si
aprì facendomi sussultare.
Eccolo...
Il sorriso che mi preparai a rivolgergli mi morì sul
nascere.
Quello non era Blaine. Era un altro ragazzo, alto, bel fisico, capelli
castani elegantemente curati, due occhi color ghiaccio e labbra
carnose. In una sola parola: bellissimo. Senza motivo mi sentii le
gambe venire meno e dovetti aggrapparmi con maggiore forza alla
ringhiera per non cadere. Il ragazzo - una specie di Dio greco - rimase
qualche istante a contemplare rapito il paesaggio di New York,
infilando le mani nelle tasche dei suoi strettissimi jeans. Chi diavolo
era e perché mai si trovava a casa di Blaine a quell'ora?
Quasi fosse stato attratto dal mio sguardo, si girò verso di
me
e sorpreso sgranò appena gli occhi, che diventarono perfino
più chiari
"Ciao!" esclamò. Perfino la sua voce sembrava armoniosa e
perfetta, come il resto del suo corpo. Il cuore prese a battermi
furioso nel petto, senza un apparente motivo
"Sei un amico di Blaine, non è vero?" mi domandò
girandosi verso di me, per mostrarmi ulteriormente quanto fosse bello e
fiero di esserlo. Avvertii qualcosa incrinarsi, ma preferii
concentrarmi
su altro. Dunque, cosa mi aveva chiesto? Se io e Blaine eravamo
amici... mmm... bella domanda.
No che non lo siamo...
io e lui... abbiamo fatto l'amore l'altra sera quindi.. non siamo
amici...
"Sì!" sussurrai con molta fatica, meravigliandomi del soffio
di
voce che mi era uscito. Non sembrava neanche provenire da me. Lui
sorrise, chissà per quale motivo
"Strano... lui non mi ha parlato di te!" esclamò spavaldo,
ridacchiando. Rideva di me? E perché diamine io me ne stavo
fermo immobile, come un invertebrato mentre quell'idiota si divertiva a
beffeggiarmi?
"Certo... io e lui non abbiamo parlato poi molto stasera... in
effetti!" e mi sorrise, malizioso, facendomi uno strano cenno verso
l'appartamento, quasi volesse farmi capire qualcosa. Ma io continuavo
ad ignorare. Anzi, a voler ignorare. La verità, immaginavo
fosse
troppo dolorosa da capire.
"Ma se lo stavi cercando, vado a chiamartelo. Sarà di certo
contento di fare una pausa prima di riprendere!" mi disse gongolante,
sempre più malizioso. Fare una pausa prima di riprendere?
No, non è
possibile...
"Il gatto ti ha mangiato la lingua per caso?" mi chiese divertito. Mi
sentivo strano. Tutto ad un tratto mi ritrovai debole e senza forze,
quasi non fossi più capace di controllare il mio stesso
corpo.
Avvertivo solo l'eco del mio battito nelle orecchie, ovattato, quasi si
trovasse a chilometri di distanza. Le mani ancora strette alla
ringhiera, imploravano pietà, non ce la facevano
più a
stringere. Faceva male e non solo quello. L'unica cosa che non riuscivo
a smettere di fare era guardare negli occhi quel ragazzo, spavaldo e
divertito, evidentemente a conoscenza di qualcosa che ignoravo ma che
stava lentamente - e atrocemente - prendendo forma nella mia mente
"Cooper?
Che fine
hai fatto?" all'improvviso la voce di Blaine e il successivo abbaiare
del suo cane mi fecero sobbalzare e in preda al panico girai la testa
verso la porta-finestra. Avevo il terrore che sarebbe uscito anche lui,
magari unendosi al suo amico per continuare quel siparietto. Avevo
davvero bisogno che anche Blaine mi facesse sentire uno schifo? No mi
era già bastato quel ragazzo, le sue parole maliziose e le
insinuazioni lasciate a metà, ma perfettamente chiare?
Quanta
considerazione possedevo ancora di me? Gli avrei permesso di farmi
anche quello?
Così, riacquistando finalmente un briciolo di forze per
reagire,
lasciai la ringhiera e feci un paio di passi verso l'appartamento,
nascondendomi al buio
"Ah mai sei qui!" quella volta la voce di Blaine - perché
nominarlo faceva tanto male? - mi arrivò più
vicina e per
un momento temetti di non essere stato abbastanza veloce e lui magari
era riuscito a vedermi. Ma scrutando meglio dalla mia posizione
riparata, mi accorsi che il destinatario delle sue attenzioni non ero
affatto io, ma il ragazzo bello e statuario che proprio in
quel momento
si era sporto ad abbracciarlo con trasporto. E quella fu un'altra botta
diritta al cuore. Istintivamente mi ritrovai a paragonare quel loro
abbraccio, con il nostro, la mattina precedente, quello che mi aveva
dato dopo aver parlato dell'assegno, quello che sapeva ancora di noi e
di quello che c'era stato durante la notte. E quindi era quello che
Blaine faceva? Abbracciava tutti i ragazzi con cui era stato a letto?
Li invitava nel suo appartamento, ci faceva sesso e magari sorrideva a
tutti nello stesso magnifico modo destabilizzante? Era questo il suo
segreto?
"Come sono contento che tu mi abbia fatto venire da te, Blaine!" disse
il ragazzo, ancora stretto a lui. Mi portai una mano alla bocca, mentre
il respiro accelerato iniziava a spaventarmi. Cosa diamine credevo di
fare ora? Mettermi a piangere? Per lui? Per un fottuto bastardo il cui
unico scopo fin dall'inizio era stato portarmi a letto? Cristo, avevo
tradito David per lui. Che stupido che ero stato. Per un momento avevo
perfino creduto che...
La voce del ragazzo sconosciuto mi arrivò di nuovo forte e
chiara all'orecchio, quasi ci provasse gusto a farmi ribollire il
sangue nelle vene
"Ma adesso... è meglio andare a letto. Abbiamo avuto una
serata
piuttosto... movimentata!" e ridacchiò, divertito come lo
era
stato fino a quel momento e quella per me fu la goccia finale, per cui
decisi di rientrare in casa prima di compiere un gesto spropositato e
magari afferrare qualche vaso per poi lanciarlo in testa ad entrambi.
Furioso e con le lacrime agli occhi, sbattei i piedi fino al bagno,
dove chiusi la porta con violenza e mi ci accasciai contro, esplodendo
in una serie di singhiozzi. Era la rabbia a farmi piangere in quel
modo, ne ero convinto. Quello che il ragazzo sconosciuto mi aveva
chiaramente fatto capire era che lui e Blaine avrebbero passato la
notte assieme, probabilmente dopo aver trascorso parte della giornata
nello stesso modo. Ed io in quel momento aggiungevo che lo avrebbero
fatto soltanto un giorno dopo quello che era successo con me. Si era
portato un altro ragazzo a casa, nello stesso letto, e non aveva
neanche avuto la decenza di nasconderlo o quanto meno aspettare almeno
qualche altro giorno.
Ma perché te
la prendi così tanto, Kurt? D'altronde, cosa ti aspettavi?...
E poi, che diavolo di senso aveva lasciarmi quel
post-it sulla porta, invitarmi perfino a casa sua per festeggiare, se
poi sapeva perfettamente che con lui ci sarebbe stato un altro ragazzo?
Forse, non ricevendo risposta da parte mia, aveva preferito trovarsi un
altro passatempo. Forse... lo avevo giudicato male, e lui non era
affatto il dolce e sincero ragazzo al quale io mi ero tanto
stupidamente affezionato. Lui era semplicemente un fottuto bastardo che
si portava a letto chiunque cadesse nella sua trappola. Era tutto
studiato: i sorrisi, le occhiate, le sue parole. E poi quella maledetta
sera dopo la festa.
E pensare che per me era
stata la più bella degli ultimi sei anni...
Mi feci coraggio, rialzandomi dal pavimento e raggiungendo il lavandino
per potermi dare una sciacquata, ignorando bellamente lo specchio. Ci
avrei trovato qualcosa che non mi sarebbe piaciuta affatto e potevo
farne sinceramente a meno. Ancora scosso da leggeri singhiozzi, mi
diressi in camera per liberarmi dei vestiti ed indossare una maglia
larga e sformata ed un pantalone morbido della tuta. Mi era passata
perfino la fame, nonostante a conti fatti avessi mangiato soltanto uno
yougurt per pranzo in tutta la giornata. Ero consapevole del fatto che,
se avessi ingerito qualcosa, anche una semplice mela, sarei scappato in
bagno a
vomitare anche l'anima. Quindi preferivo rimanere a stomaco vuoto,
tanto avevo già il cuore ed il cervello nella stessa
identica
situazione.
Passando per il soggiorno mi accorsi del suo post-it colorato che
ancora sostava sul mio tavolo e una nuova ondata di furia mi
attanagliò lo stomaco, così marciai verso il mio
blocco
Dio... e pensare che
avevo perfino comprato un nuovo blocchetto di post-it colorati per
lui...
Scrissi con rabbia una risposta, marcando bene le lettere e
sottolineandole di proposito con due righe nette. Volevo che afferrasse
chiaramente il messaggio e quello, in quel momento, mi pareva l'unico
modo. Così, una volta che fui soddisfatto della mia opera
corsi
ad attaccarlo - storto e appena decentrato - sulla sua porta.
Mi
affrettai a raggiungere il mio letto, mentre avvertivo una nuova ondata
di lacrime venire su, una volta passato il furore della rabbia.
Affondai la faccia sotto il cuscino per attutire i lamenti,
perché erano fastidiosi da sentire perfino per me. Quella
delusione a fine serata proprio non ci voleva. Mi era precipitato il
mondo addosso ed io, che forse un pò dovevo perfino
aspettarmelo, non avevo fatto in tempo a spostarmi. Mi aveva colpito
in pieno. Ma la cosa peggiore era che in fondo sentivo di non aver
alcun diritto per avercela con lui. Non eravamo fidanzati - io lo ero,
ma non con lui! - e quindi lui sarebbe stato libero di portare a casa
chiunque avesse voluto. Ma in quel momento, la trovavo una cosa
marginale, e riuscivo a pensare soltanto alla delusione e agli occhi
maliziosi di quel maledetto ragazzo dal fascino indiscutibile. Ed io
non potevo di certo competere con uno così.
Mi aggrappai al cuscino, stringendolo al petto e sperai che
l'incoscienza del sonno non tardasse troppo ad arrivare,
perché
in quel momento era davvero l'unica cosa di cui avessi bisogno.
Ho passato una giornata
d'inferno, ma
grazie a te, Blaine, ho capito che quella è stata niente in
confronto a quello che sei riuscito a farmi tu, in meno di trenta
minuti...
New
York City. 03 Aprile 2012. Ore 10.13 A.M. (Martedì)
Quella era senza dubbio una delle giornate più pesanti ed
insopportabili che avessi mai vissuto. Non riuscivo a concentrarmi su
niente, ero intrattabile e scostante e trovavo difficoltà
perfino a fare cose elementari come inviare le e-mail alle modelle per
confermare loro il servizio fotografico del giorno dopo. Chang mi aveva
già ripreso un paio di volte ed avevo versato il mio
adorato caffè sul costoso vestito di una modella che,
indignata aveva
gridato improperi per una buona mezz'ora.
Per questo mi ero nascosto nel mio piccolo ufficio ai piani alti del
palazzo, per sfuggire a chiunque avesse attentato al mio già
instabile equilibrio psico-fisico. Ma ovviamente...
"Eccoti finalmente... è tutto il giorno che ti cerco!" la
voce
allegra di Santana mi giunse fastidiosamente alta ed irritante alle
orecchie, e mi ritrovai a stringere con forza la penna tra le mani
"Mi stai evitando per caso?" mi domandò lei divertita,
sedendosi
con naturalezza sulla scrivania, accanto al mio braccio, sfidando la
mia precaria pazienza
"No, Santana... se non te ne sei accorta, sto lavorando! Di certo non
mi perdo dietro a queste bambinate!" sentenziai strappando con forza un
foglio
sul quale lei si era seduta. Avvertii il suo sguardo puntato sulla nuca
ma resistetti all'istinto di sollevare gli occhi
"Kurt... è successo qualcosa?" domandò dopo un
lungo
momento di silenzio. Strinsi forte gli occhi, reprimendo un verso
seccato
Ti prego, Santana...
vattene...
"No!" sputai fuori acido torturando il mouse per non prendermela
ulteriormente con lei. Passarono altri secondi di silenzio, prima che
la sua mano si avvicinasse a me e mi accarezzasse una guancia
morbidamente. Mi scansai riluttante
"Kurt..."
"Santana sono davvero molto impegnato al momento... potresti..."
finalmente alzai gli occhi e trovai i suoi appena spalancati e colmi di
preoccupazione. Mi guardò intensamente, combattuta, ma alla
fine
annuì e senza dire altro, scese dalla scrivania e
lasciò
il mio ufficio. Mi dispiaceva davvero molto di averla trattata in quel
modo, lei era l'ultima persona a meritarselo, ma aveva scelto davvero
il momento meno opportuno per entrare nel mio ufficio e per fare
conversazione. Avrei davvero voluto chiederle come stesse, con cosa
fosse
impegnata in quella settimana ma soprattutto se avesse contattato
Brittany, la ragazza del pub, e nel caso, cosa si fossero dette. Tutto
quello avrei potuto farlo se solo non fossi stato tanto nervoso ed
irascibile. Per questo avevo preferito mandarla via. Per la sua e la
mia sanità mentale e per non dire cose di cui poi mi sarei
senza
dubbio pentito in seguito.
Con un sospiro tornai alle mie mail, lanciando un'occhiata stanca verso
l'orologio a parete che segnava ancora le dieci e trenta. La giornata
era ancora dannatamente lunga.
Ero pronto a
digitare l'ennesimo testo formale e asettico per la successiva oca
senza cervello, quando un leggero bussare alla mia porta a vetri mi
fece ringhiare infastidito
"Si può sapere cosa diamine volete tutti quanti da me oggi?"
sbottai girandomi con la sedia verso la porta e per un istante mi
mancò il fiato in gola. Mi sarei aspettato chiunque, chiunque, ma non lui.
Il primo momento di sorpresa e panico fu sostituito dalla rabbia
più nera
"Che diavolo ci fai tu qui?" lo aggredii arrossendo all'istante,
perché, maledizione, nonostante fossi incazzato nero con
lui,
rimaneva semplicemente bellissimo. Molto di più di quello
sconosciuto sul suo terrazzo
"Buongiorno anche a te!" mormorò lui inarcando un
sopracciglio
sorpreso. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi dorati perché
iniziavano seriamente a destabilizzarmi e mi costrinsi a guardare verso
lo schermo del portatile
"Non lo è stato fino ad ora, figuriamoci adesso!" sbottai
infastidito, fingendomi impegnato con qualcosa. In realtà
non
stavo neppure prestando la minima attenzione alla pagina bianca della
mail. Semplicemente provavo a guardare da qualsiasi altra parte
rispetto ai suoi occhi. Forse però, se avessi prestato un
pò
più di attenzione a lui e un pò meno allo schermo
del pc,
mi sarei reso conto prima del movimento alla mia sinistra e della sua
mano poggiata accanto al mio braccio sulla scrivania
"Ti spiacerebbe spiegarmi questo?" mi chiese in un soffio spingendomi
più vicino, con due dita, il mio post-it arancione. Lanciai
un'occhiata di sbieco al biglietto in questione, lì dove
quello
che avevo scritto, ancora faceva bella mostra di sé.
"Cosa dovrei spiegarti? Non lo vedi... è un post-it!"
esclamai ovvio, reprimendo la voglia di prenderlo a schiaffi
"Oh questo lo vedo. Vorrei capire come mai, invece del solito
buongiorno, sopra c'è scritto... fottiti!" mi
spiegò
confuso. In quel momento mi sarei voluto complimentare con me stesso.
Che frase ad effetto che avevo trovato. Semplice e concisa. L'ideale,
in pratica. Certo, tecnicamente non era davvero una frase ma... non era
il caso di puntualizzare
"Non sono tenuto a darti spiegazioni!" sbottai alzandomi dalla sedia di
scatto, perché la sua vicinanza era eccessiva ed iniziava a
diventare insostenibile
"Perché ieri sera non sei più venuto da me?
Dovevamo
festeggiare!" cambiò discorso abilmente, spiazzandomi.
Annaspai
per qualche istante, fingendomi impegnato nella ricerca di qualcosa
sullo scaffale e decisi di seguire la sua stessa tecnica. Per sviare le
domande insidiose, basta attuare un astuto cambio di direzione
"Ma tu non dovresti essere al lavoro a quest'ora?" domandai infastidito
sbattendo con forza un paio di cataloghi presi a caso dai ripiani
"Mi sono preso un paio d'ore di permesso..."
"E chi ti ha detto dove trovarmi?" insistetti
"Ho mandato un messaggio a Brittany e lei.. ha chiesto a Santana!"
spiegò
Maledetta modella
ispanica... a quanto pare le cose tra lei e la cameriera vanno bene..
"Quanta premura!" borbottai disinteressato, sollevando un sopracciglio.
Praticamente finii con lo svuotare uno scaffale intero, solo per
tenermi occupato e una volta finito, ricominciai a sistemare i
cataloghi in ordine di altezza.
"Kurt... potresti... fermarti un attimo e darmi retta?" mi
domandò leggermente sorpreso, mentre i suoi occhi
continuavano a
vagare incerti su di me. Grugnii infastidito
"Quello che ho detto a Santana prima, lo ripeto anche a te adesso. Se
non riesci a vederlo da solo, sono molto impegnato al momento e
gradirei non essere disturbato!" abbaiai avvertendo le guance
arrossarsi per la rabbia. Sperai vivamente che la stessa reazione che
aveva avuto la mia amica, l'avesse anche lui, e che girasse i tacchi e
andasse via. Magari avrebbe perfino potuto cambiare appartamento e
tornarsene dal suo adorato Sebastian.
Adesso anche lui ti da
fastidio?...
Ma ovviamente qualcosa non andò come previsto, e mi ritrovai
bloccato dalla sua ferrea e decisa stretta su un braccio. Il catalogo
mi scivolò di mano e decine di fogli si persero sul
pavimento.
Alzai di scatto gli occhi e li incatenai con i suoi. Pessima scelta..
davvero pessima!
"Kurt..."
"Che diavolo vuoi da me, Blaine?" urlai senza riuscire più a
trattenermi, nonostante i suoi occhi fossero come incollati a me. A
quella mia esclamazione si allargarono appena sorpresi e la presa
attorno al mio braccio si allentò appena
"Cosa è successo, Kurt? Perché... mi tratti
così?"
domandò in un sussurro flebile e sconvolto. Tremai appena,
sotto
il peso di quello sguardo e strattonai il braccio per liberarmi
"Hai anche il coraggio di chiedermi il perché ti tratto
così... sei davvero assurdo!" mormorai con le guance in
fiamme,
abbassando di nuovo gli occhi
"Io... io non capisco!" aggiunse abbassando lentamente le braccia sui
fianchi
"Chiedi spiegazioni al tuo amico. Magari lui sarà
più
chiaro di me!" esclamai acido piegandomi per raccogliere i fogli caduti
"Amico? Quale amico?" domandò subito confuso. Sbuffai
furioso.
Aveva anche la faccia tosta per fare finta di niente.
Ma guarda tu...
"Quello che ieri sera era a casa tua... sul tuo terrazzo... e che si
vantava tanto della magnifica serata che avevate passato insieme e
della nottata che ne sarebbe seguita! Quel
ragazzo, Blaine!" spiegai con rabbia sollevandomi in piedi per
fronteggiarlo e puntargli un dito contro. Lui sgranò gli
occhi e
parve perfino sbiancare appena, mentre forse si rendeva finalmente
conto del fatto che io fossi a conoscenza della verità e che
lui
era stato davvero pessimo a nasconderla. Sempre con gli occhi
spalancati, come due fanali, si ritrovò a chiedermi
balbettando
"Co-sa ti ha... detto... esattamente?"
"Non ho voglia di ripeterti parola per parola quello che mi ha detto.
Sappi soltanto che grazie a te ho passato la notte peggiore della mia
vita e che sei perfino riuscito a farmi sentire uno schifo per aver
tradito il mio ragazzo! Quindi ti faccio i miei più sinceri
complimenti, Blaine, davvero. Sei stato bravo, devo ammetterlo
perché avevi una missione precisa in testa e sei riuscito
abilmente a portarla a termine. Ma
adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola,
perché ti assicuro che da questo momento in poi non
vorrò
più avere niente a che fare con te!" sentenziai acido ed
infervorato, sempre puntandogli il dito contro. Lui continuava a stare
muto e immobile, ancora gli occhi sgranati ed uno strano pallore
diffuso su tutto il viso. Se solo non fossi stato così
arrabbiato con lui mi sarei preoccupato di controllare che stesse
respirando regolarmente perché a prima vista sembrava in
apnea.
Decisi che la discussione era conclusa e che doveva andare via,
all'istante
"Adesso se non ti dispiace... avrei bisogno di lavorare" sibilai
asciutto "E chiudi la porta quando esci!"
Lui aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito,
dopodiché mi lanciò uno strano sguardo che non
riuscii a
decifrare, ma per mia fortuna mi ascoltò perché
si mosse
lentamente per uscire. Prima di chiudersi la porta alle spalle
però, mi guardò ancora una volta e lo sguardo che
nuovamente mi
rivolse ebbe il potere di scuotermi completamente e farmi tremare
appena.
Dio... i suoi occhi
sono...
Solo il rumore della porta chiusa mi fece riprendere con un leggero
sobbalzo. Lanciai un'occhiata alla stanza, il pavimento pieno di fogli
e la scrivania colma di cataloghi inutili. E senza accorgermene mi
lasciai scivolare sulla seria girevole, con le mani nei capelli e nuove
lacrime agli occhi. E il mio biglietto arancione ancora accanto al mio
braccio gridava a chiare lettere
*Fottiti!*
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Capitolo 17 *** Quando New York diventa la tua migliore consigliera ***
Aggiornamento
del Giovedì, signori.. fa strano aggiornare oggi ma,
vabbé sono dettagli ^^ dunque, oggi non ho molto da dire se
non... waw che reazioni che ha ottenuto lo scorso capitolo, ha quasi
fatto più scalpore di quello in cui sono andati a letto
assieme il che è tutto un dire XD davvero mi dispiace per
quello che è successo, so che molti non lo hanno apprezzato
e che avrebbero voluto eliminarmi in maniera lenta e dolorosa ma vi
prego solo di avere pazienza e di provare a comprendere gli
atteggiamenti (per quanto irrazionali!) di due ragazzi di 25 anni che
per la prima volta nella loro vita si trovano a fare i conti con dei
sentimenti inaspettati e forse per questo ancora più
intensi. Soprattutto per quanto riguarda Kurt, visto che per lui la
situazione è leggermente più complicata ecco...
ma diciamo che le cose si risolvono sempre prima o poi e che Cooper non
ha fatto un guaio irrisolvibile (anzi!) bene... vi lascio al capitolo
che immagino divorerete per la voglia di sapere cosa
succederà adesso ^^ ci vediamo Lunedì
con l'aggiornamento.. un mega bacio a tutti i miei adorati angeli.. vi
porto nel cuore.. uno per uno ^^
p.s.
Come sempre... l'immagine del capitolo è gentilmente offerta
dalla mia adorata tesora (che è diventata ufficialmente il
Daniel del mio Sebastian <3) quindi... godetevi anche quella ;)
n.b.
Qualcuno mi aveva chiesto se avessi una pagina Facebook... beh, grazie
alla sopracitata Tamara, sì ce l'ho ^^ vi lascio il link
perchè mi farebbe piacere se mi seguiste anche da
lì con magari qualche sorpresa tipo spoiler, immagini in
anteprima o qualche altra informazione legata agli aggiornamenti.
É una pagina nata da poco quindi.. è molto
spoglia ma se mi date una mano la ingrandiremo assieme ;)
New
York City. 03 Aprile 2012. Ore 08.34 P.M. (Martedì)
"Coraggio stupido uovo... vuoi deciderti a friggerti?" inveii contro la
padella, brandendo in mano una forchetta, quasi fosse una spada
leggendaria. Alla fine, dopo altre dodici ore di estenuante lavoro, il
mio stomaco aveva deciso per me e la fame aveva preso il sopravvento su
tutto il resto. Certo, non avrei fatto una cena da grandi chef, ma
perlomeno qualcosa l'avrei ingerita.
Proprio mentre ero ancora
impegnato a sputare sentenze poco felici sul mio uovo, il mio
portatile, collegato alla presa della cucina, e posizionato sul tavolo,
trillò.
Incuriosito mi avvicinai allo schermo, con la forchetta infilata in
bocca e sollevai un sopracciglio, sorpreso di trovare una sessione
della chat di Facebook aperta da Rachel Berry. Che diavolo di senso
aveva mandarmi un messaggio su Facebook, quando abitavamo ad un misero
piano di distanza?
*Ti è passata la rabbia?*
Confuso e anche parecchio seccato, mi affrettai a risponderle
*Prego?*
*Non fare il finto tonto, Hummel... ho incontrato Tina poco fa e mi ha
detto che stamattina le hai quasi tirato addosso la tua borsa, solo
perché aveva osato chiederti come stessi...*
Dio... com'era sensibile la gente a volte, e che diamine!
*Alla tua amica non capita mai di avere una giornata no?*
*Capita a tutti, immagino...*
*Appunto*
*D'accordo... cosa ti angoscia Kurt Hummel?*
*Nulla!*
*Kurt!*
*Rachel!*
*Coraggio.. non farti pregare!*
Uno strano odore di bruciato mi arrivò fino alle narici
facendomi scattare in piedi. Mi voltai verso la cucina e trovai la
padella circondata dal fumo nero e il mio povero uovo - la mia cena, in
realtà - completamente nero e carbonizzato. Con un gesto di
stizza spensi il fuoco e buttai padella e contenuto nella spazzatura
*Spero tu sia contenta... mi hai appena fatto bruciare la cena!*
*Oh... mi spiace...*
*Vorrei ben vedere!*
*Se fossi stata a casa ti avrei invitato a mangiare da me, per farmi
perdonare... ma...*
*Ma?*
*Sono da Finn!*
Oh fantastico. Mi mancava in effetti di assistere all'idillio amoroso
di qualche amico. Dopo una giornata di inferno come quella, sarebbe
stata la ciliegina sulla torta
*Lea ha insistito tanto per vederlo e così...*
*Bene!*
Non riuscivo neanche ad essere felice per le mie amiche. Santana
sembrava aver trovato una ragazza con cui stringere amicizia, Rachel
mostrava finalmente un pò di fiducia verso un uomo. Ed io,
da
pessimo amico qual'ero, l'unica cosa che riuscivo a fare era sbuffare
infastidito? D'accordo essere giù di morale, ma trattare
male
anche lei mi sembrava troppo. Così, con un sospiro mi
affrettai
ad aggiungere
*E tu sei a casa di Finn... con il computer acceso... e chatti con me?
Non ha il minimo senso, Berry!*
*Lui e Lea sono troppo impegnati a guardare la Sirenetta al momento, per
prestarmi attenzione...*
*Pensa tu..*
*Ed io avevo un amico in difficoltà che necessita del mio
aiuto! :)*
*Non ti seguo*
*Kuuuurt... e forza! Devi farti pregare per tirare fuori la
verità?*
*No!*
*E allora dimmela... ora! Fa finta di avermi lì accanto a te
proprio in questo momento!*
*Credimi Rachel.. se tu fossi qui con me in questo momento, ti metterei
le mani addosso... solo per il semplice gusto di picchiare qualcuno!*
*Mmm... addirittura?*
*Ci puoi scommettere!*
*Bene... la situazione è più complicata di quanto
pensassi... vediamo... mmm... c'entra David?*
Lo sapevo. Era scontato che finisse lì la discussione
*Secondo te tutti i miei problemi devono per forza avere a che fare con
lui?*
*Hanno a che fare con lui?*
Sbuffai scuotendo la testa
*No... questa volta no!*
*Mmmm... Blaine?*
Sgranai gli occhi incredulo. Come diavolo aveva fatto ad indovinare al
secondo tentativo? Quella ragazza aveva dei poteri paranormali,
altrimenti non si spiegava. Mi morsi il labbro, tamburellando con le
dita sulla tastiera, incapace di trovare le parole adatte. In pochi
secondi dovevo decidere se essere sincero con lei e raccontarle
così tutta la storia, oppure ignorarla, fingere e magari
scaricarla con una scusa - Dio, ho fame! - lasciandola così
libera di tornare a giocare alla famiglia felice con Lea e Finn. Ok,
questa era troppo acida anche per me.
*Il tuo silenzio è particolarmente esplicito*
*Accontentati di quello allora, perché non ti
dirò altro!*
*Che cosa avete combinato? Eravate caduti nella tela dell'amore
passionale... cosa è successo dopo?*
*É successo che si è portato un altro ragazzo a
casa.. soltanto un giorno dopo essere stato con me!*
Avrei voluto, con tutto il cuore, premere un tasto e cancellare tutto,
davvero. E in un primo momento l'intenzione era quella, ma non seppi
cosa, se la rabbia o la voglia di parlare con qualcuno, mi fecero
premere invece il tasto dell'invio, e ciò che avevo scritto
sotto
sfogo, apparì anche sul computer di Rachel. Repressi un
gemito
frustrato, passandomi una mano sugli occhi. Tanto valeva ormai rimanere
in attesa della sua reazione
*Stai scherzando spero!*
*No... potrei mai mettermi a scherzare su queste cose, secondo te?*
*Non ci credo... cioè... sembrava... così...*
*Già...*
*Beh, se davvero lo ha fatto, Kurt, tu non hai alcun diritto di
avercela con lui!*
*Ok... ignorerò l'ultima frase per non permettere a questa
tua svista, di rovinare la nostra amicizia!*
*Dico sul serio Kurt! Come credi si sia sentito lui il giorno dopo,
realizzando che tu, a conti fatti, sei andato a letto con lui,
nonostante fossi ancora fidanzato? Lo hai fatto diventare il tuo
amante... non è affatto bello!*
Sgranai gli occhi, incredulo. Lo avevo fatto diventare il mio amante?
Ma che diavolo...
*Diamine, Rachel, nessuno lo ha costretto!*
*Non ti sto accusando di niente, stai tranquillo. Cerca però
di
capire anche la sua posizione. Magari era arrabbiato con te, oppure...*
*Cosa?*
*Oppure voleva soltanto farti ingelosire un pò!*
Ok, quello era troppo. Rachel e le sue insinuazioni iniziavano
seriamente a stancarmi. Avevo fame, ero nervoso, ero stanco morto, e
non avevo la minima voglia di starla a sentire ancora. Così
mi
preparai a digitarle un messaggio per chiudere lì la
conversazione quando il campanello decise per me. Che diavolo
combinava? Era salita per parlarmi di persona? La chat non bastava
più?
*Sei tu?*
le chiesi
*A fare cosa?*
Ma la ignorai, alzandomi per andare ad aprire. Lo facevo con
curiosità, tranquillo del fatto che a quell'ora non avrebbe
mai
potuto essere Blaine, dato che si trovava al pub per cantare. E se non
era Rachel... chi diavolo era?
"Ciao!" esclamò una voce incerta e sorpresa, una volta che
la
porta venne aperta. Mi ritrovai a mancare un paio di respiri e ad
aggrapparmi con forza al legno. Era il ragazzo sconosciuto. Quello
bellissimo e fastidioso che passava le nottate focose a casa di Blaine.
Ed ora era lì, davanti alla mia porta - mentre
l'appartamento di
Blaine era aperto alle sue spalle e quindi dedussi fossi rimasto anche
durante il giorno, magari per accoglierlo al suo rientro - aveva dei
vestiti diversi e mi guardava curioso ed attento. E tutta quella sua
perfezione, mi fece scattare di nuovo come una molla
"Cosa vuoi?"
lo aggredii
infatti e lui sussultò appena, forse sorpreso di vedere
quanta
forza potesse avere il ragazzo al quale il gatto aveva mangiato la
lingua
"Parlare con
te!" disse semplicemente. Parlare con me? Ma
con che faccia?
"Beh io non
ho tempo da
perdere...!" borbottai e feci per chiudere la porta, con l'intenzione
di farlo con quanta più forza possedessi, per imprimere
meglio
in concetto, ma lui fu più veloce e la bloccò con
la mano
"No ti
prego... aspetta:
è importante!" mi implorò con uno strano sguardo
allucinato, che ebbe il potere di farmi innervosire ancora di
più
"Cosa vuoi
ancora? Farmi
il resoconto della magnifica nottata che tu e Blaine avete trascorso
assieme? Beh, non mi interessa!" abbaiai sporgendomi appena verso di
lui. Dannazione, visto sotto la luce del pianerottolo, invece che nella
semi-oscurità del terrazzo, pareva ancora più
bello e
perfetto. Ed io mi sentivo sempre più idiota.
"No in
realtà...
sono venuto a chiederti scusa!" mormorò grattandosi la nuca,
appena a disagio. Colpito, spalancai gli occhi, e lasciai uscire un
lungo sospiro che mi svuotò lentamente lo stomaco. Non dissi
nulla, aspettai che fosse lui a parlare.
"Sono stato
davvero poco carino con te l'altra sera!" annunciò facendo
mezzo sorriso e arrossendo appena
L'amante di Blaine si
sta... davvero scusando con me?...
"Poco
carino? Mmm.. io
sinceramente avrei scelto un altro termine per descriverti!" gli dissi
con un sorriso acido, che lo fece ridacchiare
"Sì,
lo so... per questo sono venuto da te. Per scusarmi!" ribadì
annuendo.
"Beh, io
delle tue scuse
non so cosa farmene, dunque se non ti dispiace..." provai nuovamente a
sbattergli la porta in faccia, ma quella volta, gli bastò
parlare per bloccarmi
"Kurt... per
favore!" mi
implorò. Spostai in un lampo di furia gli occhi nei suoi ed
avvertii chiaramente il sangue ribollire nelle vene e le tempie pulsare
frenetiche. Quel pezzo di merda mi aveva... chiamato per nome? Ma come
si permetteva? Chi gliela dava tutta quella confidenza? E
soprattutto... chi diavolo glielo aveva detto? Blaine? Maledizione,
maledizione, maledizione. Questa non poteva passarla liscia.
"Cosa vuoi,
eh? Non ti
è bastato prenderti gioco di me ieri sera? Con quale faccia
adesso, vieni qui e pretendi che me ne stia di nuovo zitto ad
ascoltarti?" gridai, fregandomene delle buone maniere e delle regole di
condominio. Tanto Rachel era impegnata con Finn, Tina era ancora
spaventata per la mia reazione aggressiva di quella mattina e mai si
sarebbe sognata di dirmi qualcosa, i coniugi Schuester erano partiti
per una breve vacanza e Abrams... figuriamoci se lui si sarebbe
scomodato per un pò di rumore.
Che mi facessero
causa... sti cazzi...
"Perché
quello che ho da dirti è importante!" si
giustificò
stupidamente, gesticolando. Io grugnii infastidito pronto a sbattere
una volta per tutte quella dannata porta, sperando magari di rompergli
il setto nasale. Chissà se il suo angelico faccino sarebbe
stato
ugualmente tanto delizioso dopo. Chissà se Blaine lo avrebbe
accolto nuovamente nel suo letto.
"Beh... chi
se ne fotte!"
sbottai molto poco finemente con un sorriso sarcastico. Strinsi il
legno della porta e schioccai la lingua infastidito. Ora ne avevo
abbastanza. Doveva lasciarmi in pace. Lui e quello stronzo del suo
amichetto. Dovevano smetterla di infastidirmi e provare a...
"Blaine
è mio
fratello!" esclamò asciutto e risoluto, guardandomi
direttamente
negli occhi. Per la seconda volta, mi lasciai scappare un paio di
respiri e quasi mi affogai con la mia stessa saliva
"Co-cosa?"
feci con un verso strozzato.
Che.Cosa.Aveva.Detto.Il.Ragazzo.Sconosciuto?
"Io e Blaine
siamo
fratelli. Io... sono Cooper!" mi spiegò tranquillamente. Il
cuore prese a battermi in uno strano ritmo agitato. Non era veloce ma
neanche un battito regolare. Era... alterno. Ed il mio cervello
faticava a metabolizzare. Dannazione, non poteva essere... quel ragazzo
non era l'amante di Blaine? Quel ragazzo era... suo fratello? Cooper?
"Non ti ha
parlato di
me?" mi domandò ingenuamente stringendosi nelle spalle, ma
io
non lo ascoltavo più. La mia mente mi aveva appena
riproposto la
scena della sera prima
Io, sul mio terrazzo, a parlare, anzi, più che altro
ascoltare,
le parole ambigue di un ragazzo divertito, attanagliato dalla
delusione. All'improvviso la sua voce, proveniente da dentro
l'appartamento. "Cooper? Che fine hai fatto?" aveva chiesto e subito
dopo il cane aveva abbaiato. E ovviamente la mia mente aveva dato per
scontato che ce l'avesse con lui, con il cucciolo. Non avrei mai potuto
pensare fosse
rivolto al ragazzo con me, a... suo fratello...
"Come hai detto che si chiama?"... "Cooper!"..."Cooper? Come...
cioè... perché..."... "Mio fratello si chiama
così!"
"Allora...
ti ha parlato
di me, vero?" mi richiese facendomi uscire dal mio breve stato di
trance. Sospirai, proprio mentre lentamente si faceva strada in
me l'atroce possibilità che io tanto testardamente non avevo
provato a considerare
E pensare che sono stato
io stesso a convincere Blaine a chiamarlo e a farlo venire qui...
"Sì!"
riuscii a dire in un soffio
"Bene allora
mi faciliterai il compito!" mormorò sollevato con un sospiro
"Ma... tu...
non puoi
essere..." balbettai io, ancora incredulo. Il problema non era che io
non mi fidassi di lui, ma più che altro che trovassi ancora
un
pò di difficoltà ad accettare che la
verità
fosse in realtà così maledettamente banale.
"Ti faccio vedere la carta d'identità se vuoi... guarda ce
l'ho
qui...!" e si portò le mani sui jeans per tirare fuori i
documenti, ma lo bloccai
"No no... ci.. credo!" mormorai arrossendo inspiegabilmente
"Bene!" mi sorrise apertamente e lì lo notai. E fu ancora
meglio
di qualsiasi documento potesse mai mostrarmi: il suo sorriso era
l'esatta fotocopia di quello di Blaine. Erano entrambi aperti,
contagiosi, sinceri ma soprattutto belli da mozzare il fiato. Come
diamine avevo fatto a non accorgermene prima? Ero talmente tanto
accecato dalla rabbia, da non aver prestato attenzione ad un elemento
tanto palese?
"É che... non ha il minimo senso... tu... tu mi hai fatto
credere che foste... che tu e lui.." balbettai indicandolo, incapace
perfino di esprimere i miei stessi pensieri. Era un casino, tutto un
grandissimo casino
"É proprio per questo che ora sono venuto qui a parlarti!"
esclamò allora sollevando le spalle. Con un sospiro stanco,
mi
catturai un labbro tra i denti e poggiai una spalla allo stipite della
porta
"D'accordo... sei riuscito ad ottenere la mia completa attenzione... ti
ascolto!" lo esortai, davvero curioso di sapere finalmente la
verità. Avevo bisogno che fosse lui stesso a dirmela, dopo
avermi riempito di chiacchiere.
Il bugiardo che sfata i
suoi stessi trucchi...
"Non avrei dovuto trattarti in quel modo ieri sera... mi sono...
lasciato prendere la mano e credo di aver combinato un mezzo guaio!"
mormorò storcendo appena il naso in una smorfia imbarazzata.
Ed
eccola un'altra espressione tipica di Blaine. Quei due ragazzi
iniziavano lentamente a somigliarsi sempre di più sotto i
miei
stessi occhi
"Preferisco non commentare... va avanti!" borbottai incrociando le
braccia al petto e lui prima di parlare si grattò il mento e
fece mezzo sorriso
"Ecco... è che ti ho visto lì su quel terrazzo...
sembravi
in.. trepidazione ed ho immaginato stessi aspettando mio fratello. Non
so
neanche come mi sia venuta l'idea!" spiegò, quasi stesse
parlando con sé stesso e non con me "Lì su due
piedi mi era sembrato... divertente. Volevo farti
credere che mio fratello fosse una specie di latin lover da
strapazzo...
e che fosse abituato a portarsi ragazzi a casa!" ridacchiò
da solo, scuotendo la testa. Io
provai a studiarne i lineamenti marcati ma armoniosi per capire se
ciò che stava dicendo fosse finalmente la verità.
Dai
suoi stessi occhi puntati così decisi nei
miei, dedussi che
sì... meritava la mia fiducia.
"Divertente... certo!" mormorai sarcastico. Sinceramente io non ci
trovavo proprio nulla di divertente. Soprattutto se pensavo alle
maledette borse che avevo sotto agli occhi a causa della precedente
notte passata insonne e soprattutto alla lunga lista di persone che
quella mattina avevano avuto la sfortuna di capitare a tiro mio e della
mia funesta ira.
"Ma mai avrei immaginato che tra di voi ci fosse qualcosa... altrimenti
non mi sarei di certo permesso!" portò le mani in avanti
gesticolando. Sgranai gli occhi ed avvampai. Che significava la frase,
'Mai avrei immaginato che tra di voi ci fosse qualcosa?'
Perché... tra me e Blaine... che cazzo gli aveva raccontato?
"C-come scusa?" ma lui ridacchiò, facendomi arrossire di un
altro tono. Tornava a ridere di me?
"Dio, Blaine stamattina mi ha... distrutto. Non l'ho mai sentito
gridare
tanto... anzi chiedi scusa al resto dei condomini da parte mia... si
saranno spaventati, immagino!" scosse la testa, sistemandosi
elegantemente il ciuffo. Deglutii colpito dall'effetto e dal fascino
che quel ragazzo emanava. Anche Blaine mi faceva quell'effetto, vero?
Direi proprio di sì...
"Ha gridato?" domandai confuso. Perché diciamocelo... Blaine
che
gridava proprio non riuscivo ad immaginarmelo. Lui scoppiò a
ridere di gusto, perché forse anche per lui sembrava molto
strano
"Già... me ne ha dette di tutti i colori... ma in fondo...
credo
di essermelo meritato!" esclamò con una smorfia. Beh, non
potevo
dargli torto. Pensandoci, l'aveva ideata davvero sporca, a prescindere
dal fatto che io potessi o meno rimanerci male. Aveva messo in cattiva
luce il fratello, e lo aveva fatto con un perfetto estraneo. Era stato
davvero poco carino. Blaine non aveva affatto esagerato quando mi aveva
parlato di lui la prima volta: era presuntuoso e non perdeva occasione
per screditarlo e me ne aveva dato prova proprio la sera prima. Non
biasimavo affatto Blaine per non averlo mai invitato prima a casa sua.
In quel momento ne capivo perfettamente tutte le motivazioni.
"Comunque, pensandoci... un pò é anche colpa
tua!"
aggiunse ad un certo punto indicandomi. Sconvolto mi indicai a mia
volta,
puntandomi l'indice sul petto
"Colpa mia?" quella volevo proprio sentirla!
"Sì.. cioè... come diavolo hai fatto a non notare
la
somiglianza?" domandò divertito incrociando le braccia al
petto.
Quella domanda tanto buffa, sommata alla tensione che andava via via
scemando, finalmente mi permisero di concedermi la prima risata dopo
quasi ventiquattro ore. Certo, non era un granché:
era ancora un pò tirata e c'era anche un leggero imbarazzo,
ma
era pur sempre qualcosa.
"Me la stai facendo notare tu ora... ieri sera sinceramente avevo...
altro a cui pensare!" gli sorrisi divertito, facendolo ridere a sua
volta.
"Mmmm questo significa che la mia interpretazione è stata
davvero... eccellente!" mormorò estasiato, sgranando appena
i
lucenti occhi grigi
"Da vero attore!" lo beffeggiai divertito facendolo sorridere
adulato. Però... era anche molto poco modesto il ragazzo.
Praticamente l'esatto opposto di Blaine, che invece arrossiva ad ogni
complimento e si passava la mano tra i riccioli, quasi fosse certo di
non meritarsi nulla. Due ragazzi che si somigliavano così
tanto, ma allo stesso tempo risultavano così diversi.
"Sensazionale!" borbottò facendo un vago gesto con la mano.
Ok,
con quegli occhi così sgranati, persi in chissà
quale
pensiero e quel mezzo sorriso, pareva davvero un pazzo. Come aveva
fatto Blaine a sopportarlo in tutti quegli anni? A me, in soli trenta
minuti totali in cui avevo avuto il dispiacere-piacere di parlargli...
aveva fatto venire il mal di testa. Non riuscivo a tenere il ritmo del
suo discorso. E difatti in quel momento aveva iniziato ad elencare
tutte le tecniche di
recitazione messe in atto la sera prima per ingannarmi. Aveva tirato
fuori nomi specifici e perfino qualche metodo Stanislavskij, ma io
avevo sinceramente smesso di ascoltarlo da qualche secondo buono. Mi
limitavo a sorridere divertito, finalmente con il cuore un
pò
più leggero e la testa sgombra di pensieri negativi. Mi
veniva
perfino voglia si scendere al piano inferiore ed abbracciare Finn.
Mmm... ok un pò esagerato... decisamente!.. Ricordati che
quel tipo è alto quasi due metri...
Dopo quella che parve un'eternità, passata a parlare
esclusivamente senza sosta delle sue innate - a detta sua - doti
recitative, finalmente tornò a rivolgersi a me, con un
minimo
senso logico nelle parole
"Beh ora che il piccolo inconveniente tra di noi è stato
risolto... direi
che posso tornare dentro per finire di preparare la mia valigia!"
esclamò battendo le mani risoluto, mentre un piccolo sorriso
gli
disegnava le labbra. Aggrottai la fronte confuso.
"Vai già via?" gli domandai. Quanti giorni era rimasto a New
York? Possibile che il suo viaggio si fosse già concluso?
Lui si
fece sorpreso, forse non gli sembrava vero che, dopo averlo malamente
aggredito, mi interessassi a lui. In effetti la cosa faceva uno strano
effetto anche a me. E se mi fermavo a pensarci un pò
più
a lungo, avvertivo una curiosa sensazione all'altezza dello stomaco:
per la miseria, stavo davvero parlando con un membro della famiglia di
Blaine? Una persona che lo aveva visto crescere e diventare
ciò
che era allora? Stavo davvero intrattenendo una conversazione
amichevole - nonostante i precedenti - con suo fratello?
"Si... non credo sia il caso di rimanere ulteriormente. Penso di aver
combinato già abbastanza disastri in un solo giorno!"
ridacchiò imbarazzato.
"Mi dispiace!" mormorai, ed ero sincero. In un certo senso, avrei
voluto avere la possibilità di conoscerlo meglio. Magari,
nonostante la presunzione, lo avrei trovato perfino simpatico
"Non importa... me la sono cercata!" scrollò le spalle
arretrando di qualche passo verso l'appartamento ancora aperto di
Blaine "Beh ti saluto Kurt... felice di averti conosciuto... nonostante
tutto!" mi stordì con un sorriso luminoso ed un occhiolino
"Già..." mormorai con la gola stranamente secca. Dovevo fare
i
complimenti a mamma e papà Anderson perché
avevano fatto
due capolavori. Certo, Blaine era a dir poco fantastico, e non solo
fisicamente. Lo era anche di carattere ed il suo carisma non si
mischiava mai con la presunzione. Essere bravi ed avere talento non
equivaleva a doverlo necessariamente ostentare nel modo in cui sembrava
abituato a fare Cooper. E adesso lui stava andando via. Tornava nella
sua amata California e probabilmente non lo avrei mai più
rivisto. Avevo ancora una piccola curiosità da togliermi,
prima
di salutarlo definitivamente
"Ehm aspetta!" lo richiamai, lui ormai con la porta quasi a
metà. Si bloccò guardandomi curioso
"Si?"
Coraggio Kurt... o la va o la spacca... Gliene hai gridate dietro di
tutti i colori. Abbi anche il coraggio di lasciarti guidare dalla
curiosità per una volta...
"Posso sapere come mai... perché hai messo in piedi quella
buffonata ieri sera?" domandai finalmente, mordicchiandomi una guancia.
Lui mi guardò, sempre più sorpreso
"Te l'ho detto... per divertirmi!" rispose tranquillamente
"La verità, Cooper!" lo ammonii. E Dio... lo avevo chiamato
per
nome, avevo chiamato per nome il fratello di Blaine e stavo perfino
parlando con lui. Mi sarebbe mai passata quella strana euforia? Che
diavolo mi prendeva?
Lui parve seriamente pensarci quella volta, forse perché
aveva
intuito di non potermi più rifilare una bugia. Era stato lui
quella sera a decidere che avremmo giocato al gioco della
verità. Senza obblighi né penitenze. E come
minimo, mi
aspettavo continuasse su quella strada
"La verità... la verità è che... ero
geloso... di
Blaine, come al solito!" ammise dopo alcuni secondi di riflessione in
un sussurro, con gli occhi puntati sulla grata dell'ascensore. Sorpreso
spalancai appena la bocca
"Geloso di Blaine?"
"Si.. lui... ha questo suo modo di fare... questa sua particolare
attitudine nel rapportarsi con gli altri... è una cosa che
ho
sempre invidiato!" spiegò con calma eppure senza riuscire a
nascondere un certo imbarazzo. Un ragazzo come lui, con il suo aspetto,
il suo carattere e il suo lavoro, arrivava ad invidiare Blaine? Certo
che allora così, tutto acquistava un altro significato. I
suoi
atteggiamenti verso il fratello durante le adunate familiari, la sua
scarsa presenza o il suo affetto quasi inesistente. Lui non evitava
Blaine perché non lo riteneva capace quanto lui, ma lo
faceva
perché al contrario lo invidiava. Possibile che Blaine non
se ne
fosse mai accorto?
"Si lui è... molto bravo in questo!" mormorai con un
sorriso,
mentre alla mente mi tornavano tutti i suoi sorrisi, le sue battute, le
sue guance tinte di rosso per l'imbarazzo o semplicemente quelle dita
sottili che erano scivolate prima sui tasti d'avorio del pianoforte e
poi
sul mio corpo. Nella stessa identica serata. E pensare che quegli
stessi ricordi, la sera precedente, e fino a poche ore prima, mi
avevano fatto un male indescrivibile. Pensare che era arrivato a
pensare le cose peggiori su di lui, che il mio giudizio nei suoi
confronti si fosse notevolmente rivoluzionato. Buffo come la vita possa
cambiare
direzione nel giro di così poco. E tutto per merito di
Cooper e
dell'accenno di buonsenso che ancora possedeva.
"Sai... ora che ci penso.. deve tenerci davvero tanto a te! Altrimenti
non si spiega una reazione così spropositata!"
mormorò
distogliendomi dal mio momento di trance. Per la seconda volta le sue
insinuazioni mi fecero arrossire fino alla punta dei capelli
"Lui... ehm... tra me e lui non.. non è come pensi. Siamo
amici!" specificai frettolosamente, ma risultavo poco credibile
perfino
alle mie orecchie, soprattutto mentre ogni fibra del mio corpo
traditore, sembrava gridare
"Sono stati a letto insieme. Hanno fatto l'amore. L'altra sera, dopo la
festa. E lui era fottutamente geloso di te!"
"Amici?" mi chiese infatti, dubbioso, con mezzo sorriso
"C-Certo!" chissà cosa, se la mia voce tremante o la mia
faccia allucinata, lo fece scoppiare a ridere di gusto
"Oh Kurt credimi... due amici non avrebbero gestito questa.. situazione
nel modo in cui l'avete fatto tu e lui. Mio fratello avrà
anche
dato di matto.. ma tu... ammettilo... ieri sera sul terrazzo avresti
voluto uccidermi!" disse tenendosi lo stomaco per le troppe risate
Touché...
"Io..."
Coraggio Kurt...
smettila di essere tanto idiota. L'hanno capito anche i lampadari che
eri arso dalla gelosia. Ammettilo!..
Feci una pausa per concedermi un lungo sospiro e chiudere gli occhi. E
pensare che non mi aveva neppure domandato se fossi gay. A quanto
pareva era più evidente di quanto pensassi.
"Forse... magari giusto un pò..." ammisi finalmente
guardando il mio interessantissimo zerbino azzurro.
"Mmm... ascolta... so che magari la mia opinione in questo momento non
ti interessa però... credo che tu e lui dobbiate parlare.
Non mi
sembra giusto che per colpa mia, il vostro rapporto, di qualsiasi
natura esso sia, debba rovinarsi!" disse cauto, sorprendendomi per la
sua maturità e l'interessamento. Che la corazza da cattivo
ragazzo-Anderson si stesse spaccando?
"Io... immagino che... tu abbia ragione!" gli concessi allora con mezzo
sorriso
"A meno che mio fratello a letto non sia stato un'autentica
delusione... in tal caso faresti bene a cogliere l'occasione che vi ho
servito su un piatto d'argento e a mettere tra di voi delle distanze!"
aggiunse stringendosi nelle spalle. Io per poco non stramazzai al
suolo, in preda ad un attacco di cuore. Ma che cavolo!
"Ti ringrazio per il consiglio, Cooper... davvero!" esclamai con voce
per niente naturale, assumendo una calda gradazione di viola. Sentivo
le orecchie in fiamme e una strana quanto plausibile voglia di
sbattergli la porta in faccia. Quel ragazzo era strano. Alternava
momenti di maturità ad altri di psicosi. Ed io ero sulla
buona
strada per diventare come lui.
"Figurati. Stammi bene, Kurt!" e con un occhiolino chiuse la porta,
lasciandomi, ancora mezzo stordito, sull'uscio di casa mia
Ed è così che Cooper Anderson vi dice ciao...
New York City. 03 Aprile 2012. Ore 11.36 P.M. (Martedì)
Quando aprii la porta del mio appartamento due cose mi colpirono, nello
stesso istante: la prima fu il trovare casa completamente buia e di
conseguenza vuota. A quanto pareva, mio fratello era uscito, pur non
avendo le chiavi di casa. Magari aveva intenzione di tornare
più
tardi di me. Beh, sicuramente se fosse capitato dopo essermi messo a
letto, di certo non mi sarei alzato per aprirgli. Avrebbe dormito sullo
zerbino e tanti saluti.
Non si meritava nulla, soprattutto non dopo quello che
aveva combinato. E se mi fermavo a pensarci sentivo ancora la rabbia
montarmi dentro.
Dio, ma come diavolo gli era saltato in mente di far credere a Kurt che
io e lui stessimo insieme? Come cazzo aveva potuto? Chi gli aveva dato
l'ordine di intromettersi nella mia vita, all'apparenza tranquilla, e
di rovinarla in quel modo? E porca la miseria, era passato solo un
giorno. Cooper Anderson era riuscito a fare più danni di
quanto
avessi mai potuto credere in poco più di ventiquattro ore.
Inoltre, per quel che ne sapevo io, Daniel era ancora arrabbiato con
Sebastian, anzi molto arrabbiato, dato che il mio migliore amico si era
presentato al pub quella sera da solo e con un muso più
lungo
della Route 66. A poco era valso il mio sostegno morale soprattutto
perché non ero stato dell'umore adatto per darglielo e lui
aveva
fatto subito capire di preferire la compagnia della sua birra
ghiacciata.
"Sta lontano da me... tu sei il fratello del demonio e hai il suo
sangue che ti scorre nelle vene!" aveva biascicato lui guardandomi male
per poi incurvare le spalle e concentrarsi sul suo bicchiere.
Lì
per lì mi era perfino venuto da ridere, ma poi mi era
passata
subito, perché la rabbia aveva ripreso il suo corso.
Dannato Cooper...
La seconda cosa che mi colpì entrando, fu un post-it verde
mela,
attaccato malamente alla porta della cucina. Per poco non mi
schizzò il
cuore fuori dal petto.
Un post-it... per me?...
Dandomi del cretino e lasciando la sacca per terra accanto
all'ingresso, avanzai verso il biglietto. Era stupido credere che lui si fosse
introdotto a casa mia e mi avesse attaccato quel post-it sulla porta
per permettermi di spiegargli e fare pace?
Sì, Blaine...
è assurdo...
Con il cuore in gola staccai il biglietto - che maledizione, si trovava
ben mezzo metro sopra la mia testa.. e sicuramente lui non lo avrebbe
mai fatto - e con un grugnito infastidito mi accorsi che la scrittura
era quella di mio fratello
*Dunque, schizzo, come
vedi io non
sono in casa. Non disperarti troppo e non perdere troppo tempo a
cercarmi perché tanto non mi troverai. Ho deciso di
tornarmene a
Los Angeles, la costa orientale non fa per me! Ho un volo domattina
alle sei, e stanotte dormirò in albergo! Per quello che
possa
valere, Blaine... mi dispiace, tanto! Abbi cura di te e se puoi, perdonami...
Ti voglio bene (anche se negherò perfino sotto tortura di
avertelo detto!). A presto. Coop*
Un sorriso amaro mi si aprì sul volto e scossi la testa,
mentre
accartocciavo il post-it con la mano. Mi voleva bene, eh? Mmmm strano
modo che aveva di dimostrarmelo. Le persone che si vogliono bene, si
abbracciano, si fanno piaceri, si sostengono, si confidano l'un
l'altro, si apprezzano e si incoraggiano. Lui, in venticinque anni, non
aveva mai fatto una di quelle cose, tranne forse abbracciarmi, ma
soltanto per esigenze di interpretazione. Lui al contrario aveva
trovato più interessante demolirmi, scoraggiarmi, darmi
addosso,
accusarmi di non essere degno e in ultimo, come se tutto l'elenco non
bastasse già, mi aveva perfino calunniato davanti a Kurt.
Davanti all'unica persona con la quale ero riuscito ad instaurare un
sincero rapporto di amicizia e confidenza - eccezion fatta per
Sebastian - senza contare quello che c'era stato tra di noi solo
qualche giorno prima. Ed ora cosa mi rimaneva mentre lui tornava nella
sua soleggiata California? Niente. Un post-it verde mela stropicciato,
che non era stato scritto neanche dalla persona giusta.
Che ti aspettavi
Blaine?...
Che poi a pensarci... come si era permesso di utilizzare i miei adorati
post-it colorati? Chi gliene aveva dato l'autorità? Quelli
erano
off-limits, li avevo messi da parte per... beh, per lui.
Ma forse, ormai non ce ne sarebbe più stato bisogno, quindi
non
avrebbe fatto poi tanta differenza se mio fratello ne avesse preso uno,
dieci o venti. Con amarezza ricordai che l'ultimo post-it colorato che
avevo trovato sulla mia porta, risaliva a quella mattina, e invece del
solito ed affettuoso buongiorno, c'era scritto un crudo ed amaro "Fottiti".
Dire che, nel leggerlo, ero rimasto scioccato, è davvero
poco.
Cosa aveva spinto il dolce e pacato Kurt Hummel ad inveire tanto
duramente su un pezzetto di carta colorata? Proprio non riuscivo a
capirlo
Per questo, mi ero preso un paio di ore di permesso dal supermercato
per
raggiungerlo all'agenzia. Trovarlo così infastidito e
crudele
era stato come ricevere una pugnalata in pieno cuore. Ma le sue parole
erano state ciò che senza ombra di dubbio mi avevano fatto
stare
peggio.
"Chiedi spiegazioni al tuo amico. Magari lui sarà
più
chiaro di me!"..."Quello che ieri sera era a casa tua... sul tuo
terrazzo... e che si
vantava tanto della magnifica serata che avevate passato insieme e
della nottata che ne sarebbe seguita! Quel
ragazzo, Blaine!"..."Sappi soltanto che grazie a te ho passato la notte
peggiore della mia
vita e che sei perfino riuscito a farmi sentire uno schifo per aver
tradito il mio ragazzo! Quindi ti faccio i miei più sinceri
complimenti, Blaine, davvero. Sei stato bravo, devo ammetterlo
perché avevi una missione precisa in testa e sei riuscito
abilmente a portarla a termine. Ma
adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola,
perché ti assicuro che da questo momento in poi non
vorrò
più avere niente a che fare con te!"...
Trappola?
Ma
quale
trappola? Io con lui ero sempre stato me stesso, e quello che avevo
fatto era stato dettato solo dalle migliori intenzioni. E da quello che
lui stesso mi aveva detto il giorno dopo, a colazione, per lui valeva
lo stesso. Cos'era successo allora? Possibile che le parole di Cooper
fossero così crude da arrivare a disprezzarmi tanto?
Ancora una volta, gira
rigira... è sempre colpa di mio fratello...
Con un sospiro andai ad accarezzare il piccolo Coop - Dio, maledetto me
e quando avevo deciso di dargli quel nome - che dormiva placidamente su
una mia vecchia maglietta, sul divano. Lui si accoccolò a me
ed
abbaiò piano come per salutarmi. Sul tavolino basso
intravidi
nella semi-oscurità della stanza il mio portatile,
ovviamente
fuori posto, segno che mio fratello lo avesse usato per fare qualcosa,
che io sinceramente ignoravo. Sospirai stiracchiandomi la
schiena indolenzita e lanciai un'occhiata al panorama di New York.
Mmm... pensandoci, un pò d'aria fresca era proprio quello
che ci
voleva.
Così, quasi fossi in apnea, uscii sul terrazzo e mi sedetti
placidamente sul dondolo, incrociando le gambe a mò di
indiano.
New York splendeva indisturbata al mio fianco, in tutta la sua
magnificenza, senza alcun segno di cedimento, come se non fosse
successo niente a turbarla, quasi fosse spettatrice esterna della vita
dei suoi abitanti.
Pagherei per essere
anche io così...
E mai come in quel momento, mi ero sentito più piccolo, di
fronte a tanta grandezza. Chiusi gli occhi e mi abbandonai per un
attimo alla stanchezza e alla rabbia che lentamente scemava in qualcosa
di diverso, qualcosa di più profondo e contorto. Non provai
neppure a decifrarlo ma lo accolsi senza dire nulla, quasi fossi
succube.
Lo sono stato per una
giornata intera... lo posso essere ancora per altri dieci minuti..
All'improvviso però, proprio mentre avvertivo la leggerezza
del
sonno arrivare ad abbracciarmi, sentii qualcosa. Un bisbiglio
indistinto, proveniente da chissà dove, che mi fece
accigliare ed
aprire lentamente gli occhi. Chi era che disturbava il mio momento di
riposo? Possibile che quell'idiota di mio fratello avesse cambiato
idea? Con mia grande sorpresa, ad attendermi, con gli occhi grandi e
lucidi
ma molto attenti, non c'era Cooper ma il mio vicino. Quello che poco
più di dodici ore prima mi aveva gridato addosso parole
velenose
e odio allo stato puro, quello che mi aveva accusato di averlo plagiato
ed usato. Quello che era caduto nella mia trappola.
E ora, a discapito di tutto e di tutti - perfino del suo secco post-it
arancione - si trovava lì di fronte a me, al di
là della
grata bianca, che mi osservava ansioso.
In quel momento mi salì in gola tutta la rabbia, la
frustrazione
e la stanchezza accumulati durante il giorno. Ma proprio mentre lui
sussultava e i suoi occhi si sgranavano appena, decisi di comportarmi
in maniera diversa, di ignorare ancora una volta l'istinto ed affidarmi
alla ragione.
"Ti sembro un fenomeno da baraccone, qui fermo dietro a queste sbarre?"
lo sfidai con il tono più crudo di quanto mi aspettassi. Lui
strinse le sbarre tra le mani ma non distolse neanche per un istante
gli occhi dai miei, senza rispondermi. Mi morsi una guancia in attesa
che lui dicesse o facesse qualcosa, perché mi ero davvero
stancato di parlare e di giustificarmi quel giorno. Ma lui mi sorprese.
Agganciato saldamente alle sbarre iniziò ad arrampicarcisi,
molto cautamente. Sgranai appena gli occhi sorpreso, combattuto se
alzarmi o meno dal mio dondolo per aiutarlo a scavalcare. La sua agile
mossa però, decise per me e rimasi immobile mentre con un
balzo
atterrava sul mio terrazzo
"Qualsiasi cosa tu sia... adesso lo sono anche io!" mormorò
finalmente spiazzandomi. Non era proprio la risposta che mi aspettavo
di sentire. Avanzò di qualche passo, senza distogliere gli
occhi
dai miei e la tensione che aleggiava tra di noi divenne perfettamente
palpabile. E quella volta non aveva nulla a che vedere con il sesso.
Si fermò davanti a me, a pochi centimetri di distanza e
sospirò
"Blaine... io..." lo scrutai, stringendo gli occhi
"Cosa?" lo sfidai ancora improvvisamente lucido e recettivo. Il mio
tono lo colse di nuovo alla sprovvista perché
arrossì ed
abbassò per un istante la testa. Quando la
rialzò, solo
pochi istanti dopo, quella che vidi lampeggiare nei suoi occhi era vera
e propria consapevolezza. Di cosa, ancora lo ignoravo.
"So di non meritarlo.. so che probabilmente vorresti mandarmi al
diavolo e credimi.. avresti tutte le ragioni per farlo ma.. ti prego...
ho bisogno di parlarti ed ho ancora più bisogno che tu
rimanga
in silenzio ad ascoltare!" spiegò con calma e
tranquillità. Espirai lentamente, avvertendo una strana
morsa
allo stomaco e mi mossi agitato sul dondolo che oscillò
appena
"Pensi di poterlo fare?" mi domandò ed io spostai
istintivamente
lo sguardo su New York perché in quel momento, avevo davvero
bisogno di un consiglio disinteressato di qualcuno che non avrebbe mai
voluto né il mio bene né il mio male. E la
città
splendente, mi sembrava la consigliera ideale.
|
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Capitolo 18 *** Il ragazzo sul dondolo ***
Salve
bella gente, e buon lunedì e inizio di settimana.. qualcuno
inizia la scuola oggi? Mmm... magari riesco a risollevarvi un
pò l'umore con questo capitolo, chissà... ^^
Bene, tutti si sono chiesti perché ci provassi
così gusto a lasciare i capitoli a metà
spezzandoli proprio nel momento meno opportuno, ebbene ecco la
spiegazione: perché sono maledettamente SADICA ahahahah, no
dai, seriamente... se non vi lascio con un pò di suspance
che divertimento c'è? (anche se alla fine forse mi diverto
solo io XD) ma vi prometto che prima o poi finirà...
cioè... forse! Detto questo vi lascio al capitolo
perché so che siete impazienti di sapere cosa si sono detti
Blaine e Kurt e se il primo è riuscito a perdonare il
secondo e poi... Cooper è davvero partito? Mmm.. buona
lettura, amori miei, vi ringrazio come sempre per il vostro
meraviglioso sostegno e per la pazienza e l'affetto che mi dimostrate
ogni volta... siete la mia più grande ispirazione per
continuare a scrivere :* ci vediamo Giovedì
;)
p.s.
Immagine fantasticosa... io non so più cosa dirle quindi...
mi limito a sottolineare nel vero senso della parola, un grande GRAZIE
MIO DAN <3
N.b. Vi ricordo la pagina
fb sulla quale potrete continuare a seguirmi ed avere in anteprima
qualche notizia sui prossimi capitoli ;)
New
York City. 03 Aprile 2012. Ore 11.58 P.M. (Martedì)
"Bene, ti
ascolto!" avevo
acconsentito, sentendomi friggere il sangue nelle vene per l'ansia.
Lui, appena sorpreso, sospirò e mi fece un cenno verso il
dondolo, nella parte libera. Io mi spostai con un movimento
millimetrico, quasi senza pensarci e lui prese posto accanto a me con
un gesto fluido ed elegante, alla giusta distanza di sicurezza. Ero
stanco ed avevo seriamente bisogno di dormire, soprattutto dopo gli
ultimi eventi: dopo mio fratello, dopo il suo arrivo e la sua
improvvisa ripartenza, il muso lungo di Daniel, la seccatura di
Sebastian, il maledetto post-it arancione e quello verde accartocciato
e buttato malamente sul pavimento accanto alla cucina. Ma cosa
più importante avevo bisogno di stare solo.
Perché forse
da solo avrei potuto riflettere con calma senza essere condizionato da
nessuno. Ma non so cosa esattamente mi diede la forza per concedere a
Kurt la possibilità di parlare. Forse la
curiosità,
anzi... senza dubbio era per quello.
Per cos'altro se no?...
Kurt prese un lungo respiro stringendo le mani tra le gambe e
finalmente parlò
"Prima di tutto, permettimi di dire che sono un cretino... un cretino
di dimensioni cosmiche e che se tu ora non hai voglia di starmi a
sentire o non avrai in futuro intenzione di avere ancora a che fare con
me... beh, sappi che non ti biasimerò per questo!"
mormorò senza sollevare lo sguardo dalle sue gambe.
"Ma
adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola,
perché ti assicuro che da questo momento in poi non
vorrò
più avere niente a che fare con te!"... Sei stato tu a dirlo
Kurt, ricordi? Io non c'entro nulla... avete fatto tutto tu e mio
fratello...
"Stamattina non mi sei sembrato dello stesso avviso!" gli feci presente
con una calma quasi incredibile. Pensavo di reagire in maniera
più aggressiva, ma per il momento riuscivo ancora a
controllarmi. Forse la rabbia non era a livelli così elevati
come avevo immaginato. Lui sussultò, punto sul vivo
"Sì, lo so... stamattina ero.. arrabbiato e anche parecchio
insopportabile!" ammise, forse sorridendo amaramente. Non ci potei
giurare dato che avevo fissato gli occhi sull'edera che si arrampicava
sul muro. La trovavo molto più distensiva
"E cosa pensi sia cambiato ora?" mi ritrovai a chiedere senza neanche
pensarci. Lui sospirò, agitandosi appena al mio fianco
"É cambiato che.. ho parlato con Cooper... con tuo..
fratello!"
esclamò in un soffio di voce che stranamente mi fece
stringere
lo stomaco. Ah ecco spiegato il mistero!
Dillo, Kurt... grida al mondo che il ragazzo che pensavi mi scopassi,
è in realtà il mio fottuto fratello!...
"Mio fratello?" domandai sarcastico e pungente, girando finalmente gli
occhi e puntandoli nei suoi che si spalancarono appena, timorosi
"Aspetta... ti riferisci al ragazzo
che ieri sera era a casa mia... sul terrazzo... e che si
vantava tanto della magnifica nottata che avremmo passato insieme?
É lui mio fratello?" continuai riportando le sue parole,
sempre
più crudo, fulminandolo con lo sguardo. Lui rimase spiazzato
e
deglutì vistosamente. Bene, proprio l'effetto che speravo.
Adesso avrebbe capito cosa significava essere aggrediti in quel modo,
quando invece dall'altra parte c'erano soltanto le migliori intenzioni.
E pensare che doveva ritenersi fortunato, perché io non
stavo
gridando.
"Dio, Blaine tu... non hai idea di come mi sia sentito mentre lui mi
spiegava tutto... di come mi senta ora!" mormorò scuotendo
la testa
e catturando un labbro tra i denti. Sbottai una mezza risata amara
"No, Kurt... non ce l'ho infatti. E allo stesso modo tu non hai idea di
come
mi sia sentito io mentre mi sbattevi fuori dal tuo ufficio come se
fossi un estraneo, senza neanche darmi modo di spiegare!" gli feci
presente cercando di contenere la voce. Era pur sempre mezzanotte
passata ed essere richiamati per schiamazzi notturni non era proprio
nei miei piani
"Lo so, Blaine e.. mi dispiace!" mormorò mesto, abbassando
il
capo. Mi passai una mano tra i ricci sconvolti e provai a respirare con
più calma
"Già, Kurt... anche a me!" convenni. Spostai anche io lo
sguardo, puntandolo sulla lucina rossa di un aereo che, nella immensa
notte, sorvolava New York quasi senza darci peso e sicuramente senza
accorgersi di noi. Ed eccolo un altro
spettatore incurante. Ed ecco un altro posto in cui vorrei essere
stato invece di trovarmi sul mio terrazzo. Da dove veniva quell'aereo?
Dall'Europa forse? E
dove stava andando? Nello stesso posto in cui sarebbe andato mio
fratello qualche ora dopo, probabilmente. In ogni caso, lontano da New
York.
"Pensi che avrò mai la possibilità di spiegarmi?"
mi
domandò in un sussurro che mi provocò un
inspiegabile
brivido lungo la schiena. Sospirai stanco e fu allora che probabilmente
decisi di dare davvero una possibilità a Kurt.
Perché non
ero il tipo da portare rancore ma soprattutto perché, fatta
da
parte la rabbia e la stanchezza, mi rendevo perfettamente conto che
lui, come me, era stato vittima dell'imbroglio di mio fratello e quindi
non potevo fargliene una colpa. Certo, non aveva creduto a me, non mi
aveva dato modo di spiegare, non aveva voluto sentire ragioni.. ma
qualcosa nel mio profondo io, mi fece convincere del fatto che avessi
profondamente bisogno di sentirlo parlare. Non tanto per sentirmi dire
che gli dispiacesse o che io avessi ragione. Avevo semplicemente
bisogno - o forse voglia - di sentire la sua voce.
"Beh, per tua fortuna, si da il caso che io non mi chiami Kurt Hummel e
che non ci trovi gusto ad attaccare biglietti volgari sulle porte
altrui. E poi ormai hai sconfinato e sei sul mio terrazzo, quindi..."
scrollai le spalle in tono molto più leggero e avvertii
chiaramente la tensione alleggerirsi appena attorno a noi.
"Ti ringrazio!" sussurrò con tono leggermente sollevato ed
io
sospirai, chissà per quale motivo. Forse avevo solo bisogno
di
capirci qualcosa, soprattutto per quanto riguardava la sua reazione di
quella mattina. E forse solo allora, tutto quanto avrebbe acquistato un
senso ai miei occhi.
"Io credo.. di non essermi mai sentito tanto in imbarazzo prima di
adesso..." mormorò accarezzandosi nervosamente le gambe
fasciate
da dei jeans strettissimi. Mi incantai a guardarle, eleganti e sinuose
e ricordai perfettamente come si fossero mosse allo stesso modo anche
sulla mia schiena. Erano lisce e calde e... maledizione come ero
arrivato a pensare a quello? Dovevo concentrarmi sul presente, su Kurt
e le sue parole, sulla questione Cooper. Il resto poteva - doveva! -
aspettare. Kurt infatti continuò
"Come ti ho detto mi dispiace molto per come sono andate le cose questa
mattina.. ero furioso, ero.. deluso da te, dal tuo atteggiamento!"
confessò mesto, stringendosi le ginocchia tra le mani. Misi
su
un cipiglio confuso e sollevai lo sguardo sul suo viso, contratto in
una smorfia amareggiata
"Cosa ti aveva deluso con esattezza, Kurt?" domandai in un soffio. Lui,
forse sorpreso dalla mia domanda, o forse dal mio tono così
leggero, mi guardò per qualche istante senza dire niente e
potei
giurare di averlo visto perfino arrossire leggermente, ma forse era
l'oscurità a giocarmi un tiro mancino, o la stanchezza, o la
frustrazione accumulata. O tutte e tre le cose messe assieme.
"Non saprei" rispose esitando appena. Si morse un labbro leggermente
per poi scuotere la testa "É come se.. mi fossi sentito in
un
certo
senso.. preso in giro, per quello che.. era successo tra di noi l'altro
giorno!" abbassò di nuovo la testa ed io intuii il suo
imbarazzo. Si riferiva alla notte passata assieme.. era per quello che
si era così arrabbiato? Perché credeva che...
"Credevi davvero fossimo andati a letto assieme io e lui?" mi
scappò senza neanche pensarci. Per un momento sperai di
averlo
solo pensato ma il suo viso tinto di porpora, mi fece intuire di non
essere riuscito a trattenermi. Lui si mosse nervosamente sul dondolo
che oscillò ancora ed annuì piano
"É esattamente quello che Cooper mi ha fatto credere
cioè.. insomma... prima di dirmi che era in
realtà
tuo fratello!" e sorrise imbarazzato stringendo appena le labbra. Lo
avevo già notato in un'altra occasione: Kurt quando era a
disagio faceva quella smorfia tenera che lo rendeva se possibile ancora
più dolce. Per la seconda volta provai a concentrarmi solo
sulle
parole e ignorai volutamente i miei stessi pensieri. Dunque, cosa aveva
detto? Ah sì, credeva che io e mio fratello fossimo amanti.
Bene, ma... qualcosa continuava a non essere chiaro.
"E anche se fosse stato vero.. cosa... cosa sarebbe cambiato?" riuscii
a domandare infine, perché quello era davvero ciò
che
avrei voluto chiedergli fin dall'inizio. Fin da quando mi aveva
cacciato dal suo ufficio inveendomi contro, fin da quando i suoi occhi
duri e freddi mi avevano guidato oltre la porta. Quella mattina,
spiazzato e confuso - e anche parecchio incazzato con mio
fratello - ero rimasto in silenzio ma adesso... beh adesso meritavo
quanto meno una spiegazione. Kurt però, sollevò
la testa
e mi guardò confuso. Così mi ritrovai a
specificare
"Insomma.. tu... tu sei.. fidanzato, Kurt. Io so con certezza che tu e
David siete stati a letto insieme dopo quello che è successo
tra
di noi l'altra sera!" mormorai, avvertendo chiaramente una strana nota
acida di fastidio attanagliarmi lo stomaco. Fastidio? Ma a cosa diamine
era dovuto? Senza dubbio dipendeva ancora dalla rabbia repressa verso
Cooper
"Ecco io..." Kurt sbiancò di colpo, per poi girarsi
nervosamente
a guardare verso l'interno del mio appartamento, nel quale regnava
ancora il buio assoluto. Eravamo circondati dal buio, soltanto New York
si preoccupava di illuminarci. Lui non accennò a continuare
e
forse fu quasi un bene. Sentirgli ammettere che era davvero stato a
letto con David in quel frangente - magari quella sera stessa? -
sarebbe stato alquanto... mmm... fastidioso?
Sì...
decisamente fastidioso... anche se non ho alcun diritto di provare una
cosa del genere...
"E poi.. avevamo stabilito che si trattasse soltanto di un.. piacevole
intermezzo cosa è cambiato?" scrollai le spalle,
sinceramente
confuso. Confuso dalla sua reazione, dal suo mutismo, dal suo rossore,
ma soprattutto dal fatto che il mio dannato cervello continuasse a
remarmi contro, alternando scene a luci rosse di me e lui attorcigliati
nudi nel mio letto, a scene di Kurt e David nella stessa posizione.
Solo che le prime mi provocavano piacevoli scariche dirette al basso
ventre. Le altre.. beh, lasciamo perdere.
Non ne hai diritto,
Blaine... come te lo devo dire?...
Finalmente, dopo quella che parve un'eternità,
tornò a
parlare e lo fece con un tono così leggero da confondermi
"Non è... cambiato nulla, Blaine.. è solo che..
insomma...
io immagino mi abbia infastidito la sua arroganza e la sua faccia
tosta... ha insinuato delle cose e beh.. quello ha senza dubbio
fatto scattare qualcosa in me. Non ci ho visto più... ed
è per
questo che mi sono ritrovato ad attaccarti quel post-it assurdamente
volgare sulla porta..." ammise con calma, come se stesse moderando le
parole, quasi stesse confessando un grande peccato. Quindi era stata
l'arroganza di Cooper a farlo innervosire così tanto e a
suggerirgli di prendersela con me? Io quindi.. noi... non c'entravamo
nulla? Mmm.. perché la situazione continuava a non essermi
chiara? Perché, guardando Kurt sfuggente e ancora a disagio,
intento a distruggersi malamente un labbro con i denti, mi sembrava
chiaramente trattenuto, anche se era chiaro fosse sul punto di dire
chissà che cosa? Perché diavolo avvertivo una
nota di
delusione farsi strada in me dopo quella sua confessione?
"Sì... posso immaginarlo.. Cooper fa... lo stesso effetto un
pò a tutti..." mi ritrovai a confessare con uno strano
sorriso
amaro sulle labbra, ricordando perfettamente l'assurda discussione che
avevamo avuto poche ore prima, quando, tornando a casa dal
supermercato, mi ero ritrovato ad urlargli addosso improperi in ogni
lingua, minacciandolo di sbatterlo fuori a calci per il semplice fatto
di esistere. Non trovavo affatto giusto che, per l'ennesima volta da
quando ero nato, lui aveva trovato un'occasione perfetta per demolirmi.
Lo aveva sempre fatto e continuava ancora, nonostante ci fosse un
intero continente a dividerci e lui fosse a conti fatti, arrivato alla
soglia dei trentanni. Erano davvero azioni immature le sue ed io ne
ignoravo le motivazioni. E sinceramente, avevo finito perfino la
pazienza e la volontà per ricercarle. Forse un tempo avrei
speso
più energia nel cercare di capire il suo atteggiamento,
avrei
magari perfino interpellato i nostri genitori e avremmo messo su una
bella seduta familiare durante la cena della domenica. Ma ora, dopo
venticinque anni di scherzi come quello.. beh, mi ero stancato di
dargli retta. Mi ero limitato pertanto a sfogarmi su di lui, sfogare
tutta la rabbia repressa, dato che non ero riuscito a farlo prima e mi
ero davvero sorpreso di vedere come lui non avesse fatto niente per
reagire. Si era limitato a sprofondare nel divano, incrociare le
braccia ed osservarmi assumere tutte le gradazioni possibili di viola.
E lui non aveva detto niente. Era stata una bella soddisfazione in
effetti.
Sospirai, mentre avvertivo chiaramente l'ansia scivolarmi via, quasi mi
fossi liberato di un velo pesante che mi avvolgeva e ora fossi tornato
finalmente a respirare aria nuova. Mi era tornata perfino la voglia di
parlare e sorridere. E così decisi di alleggerire un
pò
l'atmosfera, cambiando un pò discorso
"Pensa che.. si è messo a flirtare con Sebastian ieri sera
al
pub
e... beh c'era anche Daniel... ti lascio immaginare cosa sia successo."
esclamai ridacchiando, forse per la prima volta dopo quasi ventiquattro
ore. A distanza, perfino quella situazione mi pareva surreale
"Si sono arrabbiati?" mi domandò Kurt curioso voltandosi
appena con il busto verso di me
"Peggio.. sono due notti che il povero Sebastian dorme nel corridoio
come uno sfollato e Daniel non sembra intenzionato a perdonarlo."
spiegai divertito, immaginando perfettamente il mio amico con un
cuscino sotto il braccio e tutto il repertorio di canzoni d'amore e di
scuse da cantare. Se con Elthon John non aveva avuto successo, quella
sera avrebbe provato con qualcosa di più ritmato tipo i One
Republic, ci avrei scommesso.
E se conosco bene
Sebastian.. non dovrei sbagliarmi...
"Oh poveretto..." mormorò lui in risposta, portandosi una
mano
davanti alla bocca ma, ne ero sicuro, anche lui era appena divertito.
Io scoppiai a ridere di gusto
"In un certo senso, non mi sento di giustificare Sebastian
perché.. credo ci sia andato gù pesante con
Cooper e con
tutte quelle battute, ma.. ecco, lui non è ancora del tutto
abituato al fatto di essere sentimentalmente impegnato e credo sia
nella sua natura flirtare con ogni essere vagamente umano ed
appetibile. Che sia gay o etero conta poco..." gli spiegai ed in
effetti avrei dovuto aggiungere che anche mio fratello era dello stesso
stampo. Quei due, pensandoci, sarebbero stati bene assieme se solo non
fosse stato per un piccolo problema: io uno come Sebastian Smythe in
famiglia non lo avrei mai sopportato. Andava bene come amico, ma come
cognato.. no Signore.. Bastian doveva rimanere al suo posto, accanto a
Daniel.
"Si... me lo ricordo bene!" convenne Kurt, ridacchiando, anche lui
appena più tranquillo. Mi girai per lanciargli un'occhiata
eloquente. Già, quell'idiota del mio migliore amico aveva
avuto
il fegato di provarci anche con Kurt, dopo neanche quindici secondi
dall'averlo conosciuto. Nel bene o nel male, quello era Sebastian ed io
avevo imparato ad adorarlo anche in quel modo. Così, forse
perché entrambi eravamo stati colti dallo stesso ricordo,
scoppiammo a ridere insieme, facendo dondolare sotto di noi la seduta e
riempiendo la serata di una nuova atmosfera serena. Più
respirabile diciamo.
Come diavolo siamo finiti a parlare di Sebastian?...
Passarono alcuni secondi prima che le risate scemassero del tutto. Ed
era strano ridere dopo tutto quella negatività che mi aveva
accompagnato per l'intera giornata, ma soprattutto era strano farlo
proprio con lui. Alla fine fu Kurt a risollevare l'argomento, dopo un
profondo sospiro
"Davvero io... non so come sia potuto accadere.. non mi è
mai
successo di reagire in questo modo e se potessi, credimi Blaine, se
potessi... tornerei indietro nel tempo, esattamente a quella maledetta
sera e cancellerei tutto, busserei alla tua porta e ti chiederei di
offrirmi quella famosa birra per festeggiare il tuo preavviso al
lavoro!" e mi sorrise, timido ed impacciato, tornando ad essere il
solito, bellissimo Kurt di sempre. E mi fece una tenerezza inspiegabile
a parole, ma che a conti fatti mi fece tremare lo stomaco e le mani.
Con un sospiro, sciolsi l'intreccio delle gambe e posai i piedi sul
pavimento, per poi dondolarmi appena. Finalmente avevo ottenuto
ciò che volevo: non erano le sue scuse, non erano i suoi
rimpianti. Era semplicemente la voglia incontenibile di tornare ad
essere i due vicini che eravamo, i due amici un pò
particolari,
i due ragazzi di appena venticinque anni che per una notte avevano
deciso di affidarsi l'uno all'altro, senza preoccupazioni, senza
fidanzati gelosi, senza fratelli rompiscatole e senza... altri tipi di
complicazioni e malintesi. Semplicemente Kurt e Blaine.
"Era proprio quello che speravo di sentirti dire!" confessai con un
certo sollievo nella voce e lui mi sorrise di rimando
"Già... magari sarebbe meglio se la prossima volta pensassi
di
più ed agissi di meno!" borbottò grattandosi una
guancia,
tra il divertito e l'imbarazzato mentre una sua versione inferocita mi
tornava a gridare nella testa, facendomi stranamente ridacchiare. Era
positivo che il suo ricordo non mi facesse più
così male
e che a conti fatti fossimo tornati a parlare civilmente e in
atteggiamenti più confidenziali.
"O magari decidessi semplicemente di bussare!" esclamai con un'alzata
di spalle, ottenendo una limpida e distesa risata da parte sua. Mmm..
sarebbe stato troppo melenso dire che un suono del genere mi fosse
terribilmente mancato?
Al diavolo... io lo
penso e lo dico...
"É colpa tua comunque... non dovevi chiamare il tuo cane con
il
nome di tuo fratello... mi hai confuso!" mi beffeggiò
dandomi
una leggera spallata che mi fece appena perdere l'equilibrio. Confuso
lo guardai per un istante, non capendo perfettamente a cosa si
riferisse ma, il sorriso che mi stava rivolgendo era fin troppo bello e
contagioso per permettermi di fare il puntiglioso ed indagare oltre,
così mi limitai a ridacchiare e a restituirgli la spallata
"Ci ho pensato anche io questa sera.. ma ormai il danno è
fatto!" esclamai divertito, ricordandomi che in fondo, cambiare nome al
cane proprio ora, sarebbe servito a poco: i cuccioli sono come i
bambini, sono abitudinari e se lui ormai aveva capito di chiamarsi in
quel modo, sarebbe stato troppo complicato cambiarglielo
così su
due piedi. Avrei convissuto con quella croce e nella mia vita ci
sarebbero stati due Cooper: uno dei due però, avrebbe
dormito
senza problemi nel mio letto, perché sarei stato io a
volercelo.
"Certo.. spero, però... che ci sia altro a cui si possa
porre
rimedio!" mormorò con una strana smorfia di disagio sul volto
"Tipo?" gli chiesi confuso
"Tipo a me e.. te.. alla nostra... amicizia. Ecco io... mi sentirei..
m..male se perdessi la tua fiducia e la tua stima da un giorno
all'altro per una cazzata che ho commesso io... non me lo potrei mai
perdonare." scosse la testa, appena frustrato, ed arrossì
leggermente. A quella vista tanto inaspettata, avvertii chiaramente le
mie guance tingersi dello stesso colore, e per questo spostai
rapidamente la testa verso la vista di New York, per non sentirmi
più in imbarazzo di quanto non fossi già. E
così
lui ci teneva davvero tanto alla nostra amicizia e avrebbe avuto paura
di.. rovinarla? Bene... cosa si risponde ad una persona, quando se ne
esce fuori con frasi di questo tipo qui?
"Kurt.. di certo non ti avrei tenuto il muso per sempre per colpa di
quell'idiota di mio fratello!" e gli sorrisi sincero, tornando a
guardarlo negli occhi. Questi si illuminarono appena, come quelli di un
bambino, davanti ad una marea di regali la notte di Natale
"Davvero?" mi chiese speranzoso ed io mi ritrovai ad annuire
serenamente, facendolo sorridere e sospirare
"Beh.. se nel caso la situazione fosse stata tanto più
grave...
avrei provveduto io stesso a cercare di riconquistare la tua..
amicizia..." confessò annuendo piano, forse per convincersi
più che altro, che qualcosa la si poteva ancora salvare.
Sorpreso sollevai un sopracciglio
"Ah sì?'' ridacchiai divertito e profondamente colpito. Lui
ridacchiò con me, lanciandomi un'occhiata di intesa carica
di
qualcosa che non seppi decifrare
"Certo... ti avrei riempito la porta di post-it colorati e... ti avrei
seguito anche al forno, al supermercato e al pub se fosse stato
necessario!" confermò divertito, eppure estremamente deciso.
Mi
tremò lo stomaco per l'intensità di quelle parole
e per
lo splendore dei suoi occhi chiari. Mi avrebbe seguito dappertutto?
Mmm... chissà perché trovavo la cosa estremamente
interessante.
Suppongo di avere
qualcosa che non va, altrimenti non si spiega il mio entusiasmo verso
questa prospettiva...
"No al forno no.. non ti avrei mai fatto svegliare così
presto
solo per potermi perseguitare!" esclamai ridendo apertamente, non
riuscendo più a trattenermi
"Lo avrei fatto, Blaine.. credimi... per chiederti scusa avrei fatto
qualunque cosa!" e quella volta nessuna traccia di divertimento gli
colorò la voce, anzi... sembrò così
serio e
consapevole a tal punto da farmi rimanere interdetto per parecchi
secondi. Rimasi senza parole ad osservarlo, a capire cosa intendesse
per 'fare qualunque cosa' e soprattutto a decifrare esattamente la
sensazione che queste parole avessero generato in me. Era... sorpresa,
mista a piacere e ad una strana adrenalina diritta nello stomaco.
Ormai, pur non avendo cenato quella sera, ero riuscito a sfamarmi
perfettamente con le emozioni che aleggiavano tra di noi,
perché
come al solito erano cariche, palpabili ed estremamente sorprendenti.
Qualcuno avrebbe detto che due come noi insieme avrebbero fatto
scintille ed io, probabilmente, avrei confermato con vigore la teoria,
affermando anche che, essere stati a letto assieme me ne aveva dato la
prova definitiva. Ma il solito Mister Ovvio sarebbe intervenuto dalla
folla a farmi presente che.. cazzo, Blaine, vuoi svegliarti,
sì
o no? Il ragazzo seduto sul dondolo accanto a te è
fidanzato. E
non con te.
Anche se a me
è parso geloso di Cooper.. ma questo non posso giurarlo...
Girandomi discretamente verso di lui, lo sorpresi a scrutarmi attento,
ma sussultò appena ed arrossì, per poi guardare
altrove.
Sorrisi intenerito e gongolai soddisfatto. Gli facevo ancora effetto,
tutto sommato, anche se eravamo entrambi vestiti e David continuava ad
essere il suo ragazzo.
"Ehm... si insomma.. allora accetti le mie scuse, anche se non sono
venuto alle quattro di mattina a supplicarti in ginocchio?" mi
domandò dopo qualche istante, divertito e speranzoso, ma
sempre
con la testa bassa.
"Mmm.." finsi di pensarci, mettendo perfino una mano sotto il mento per
amplificare il concetto "Direi di si.. anche se.." esitai appena
"Se?" incalzò lui, sollevando lo sguardo curioso. Ed ecco,
finalmente che i suoi occhi tornavano nei miei, più belli
che
mai, più profondi di quando ricordassi. Ed ogni volta...
facevano uno strano ma piacevole effetto
"Beh... potresti farmi trovare seriamente la porta piena di post-it...
penso sarebbe divertente leggerli tutti!" esclamai ridacchiando e lui
mi seguì a ruota, facendo vibrare nuovamente il dondolo. Era
un
movimento molto armonioso, quasi un cullarsi assieme prima di dormire.
Ma ormai il sonno se n'era bello che andato. Ed io l'indomani mi sarei
dovuto seriamente svegliare presto, con o senza un vicino
inginocchiato, pronto a darmi il tormento. Chissà
perché
l'idea di Kurt intento ad implorare il mio perdono nel bel mezzo della
panetteria, mi fece ridacchiare con più gusto.
"Non sperare che non lo faccia davvero allora!" mormorò lui
a mò di avvertimento
Mmm... magari...
"Non so se essere divertito o spaventato!" ammisi con una smorfia di
finto terrore. E giù a ridere di nuovo. Come due vecchi
amici,
come due semplici vicini, proprio come avrebbe dovuto essere fin
dall'inizio, a discapito di tutto e tutti.
"Cooper è.. già partito?" mi domandò
dopo poco e
chissà perché, sentire il nome di mio fratello,
pronunciato da quella voce, mi fece stringere lo stomaco in una morsa
fastidiosa
"No è in albergo.. parte alle sei. Aspetta.. tu come fai
a.." mi
bloccai confuso ma il sorriso timido di Kurt mi fece capire
tutto
"Te l'ha detto lui?" chiesi con una smorfia e lui annuì
lentamente "Mmmm.. mi chiedo cos'altro vi siate detti voi due!"
mormorai distrattamente, perché proprio non mi andava
giù
che Cooper ancora una volta avesse fatto di testa sua e avesse deciso
di parlare con Kurt al posto mio. Certo, mi aveva risparmiato una bella
fatica e probabilmente per Kurt, sentire la verità
direttamente
dalla bocca di chi all'inizio aveva messo in piedi quella sceneggiata,
avrebbe acquistato più valore. Quindi in un certo senso..
avrei
dovuto essere grato nei confronti di mio fratello?
Mmm... piuttosto mi do
alla latitanza...
Kurt arrossì di nuovo, ma quella volta scosse la testa
"Non molto altro in realtà..." borbottò, ma dal
tono
incerto e strisciato intuii non mi avesse detto completamente tutto.
Ecco, chissà che diavoleria si era inventato ancora Cooper e
cosa gli aveva detto per farlo reagire in quel modo. Così mi
affrettai a specificare
"Cooper sarebbe capace di dire di tutto.. io non gli darei molta retta
se fossi in te!" borbottai a mia volta con una smorfia. Appena fosse
tornato in California, lo avrei chiamato per urlargli dietro qualche
altra cattiveria. Al diavolo lui e la sua linguaccia. Kurt si
girò a guardarmi, mordendosi leggermente un labbro per poi
sorridere divertito, da chissà che cosa. Io confuso sorrisi
a
mia volta
"Cosa c'è?" gli chiesi ma lui scosse la testa e
sospirò.
Sì, se volevo sapere qualcosa, avrei dovuto parlare con mio
fratello, altrimenti da Kurt non avrei ricavato un bel niente. Con la
coda dell'occhio vidi una mano di Kurt tamburellare nervosamente sulla
sua gamba e un leggero sospiro fuoriuscire dalle sue labbra. Confuso
sollevai un sopracciglio ed ero sul punto di chiedergli di nuovo cosa
lo rendesse così smanioso, ma mi anticipò
"Blaine io.. credo che... tu e Cooper dovreste parlare!"
esclamò
facendosi finalmente coraggio. Sbigottito, spalancai appena la bocca,
perché, davvero, quella era l'ultima cosa che mai mi sarei
aspettato. Io e Cooper dovevamo.. parlare? E a che scopo?
"Non credo sia necessario, Kurt!" risposi infatti con una smorfia e lui
scosse la testa con decisione
"E io invece credo di sì!" affermò convinto, a
tal punto
da farmi sobbalzare. Sbuffai. Sembrava la replica di mia madre, quando
io e Cooper litigavamo da piccoli e lei si metteva in mezzo per farci
fare pace. Solo che Kurt non era affatto mia madre ed io non avevo la
minima voglia di parlare ancora con mio fratello. Kurt al mio fianco si
alzò in piedi e si avvicinò lentamente al muretto
del
terrazzo. Contemplò per qualche istante la vista, per poi
poggiarcisi con la schiena e tornare a guardarmi
"Ascolta.. io non sono nessuno per permettermi di entrare nel merito
delle vostre questioni, però... ecco io se fossi in te
non... io
farei di tutto per mantenere solido il rapporto con mio fratello,
soprattutto perché hai soltanto lui e... io credo che nel
bene e
nel male, anche Cooper ti voglia bene ed è giusto che
qualcuno
faccia il primo passo. Lui ha fatto il suo oggi, venendomi a confessare
tutto e cercando di risolvere questa situazione, ed ha deciso perfino
di partire prima e di andarsene a stare in albergo per una notte, per
non darti ulteriore fastidio... adesso però tocca a te,
Blaine..
adesso sta a te fare un passo verso di lui per dimostrargli che non gli
porti rancore e che come suo fratello minore, gli vuoi bene, lo stimi e
saresti pronto a cancellare tutto per ricominciare daccapo un'altra
volta! Io avrei... tanto voluto avere un fratello o una sorella... ma
non sono stato così fortunato quindi, Blaine, ti supplico...
va
da lui e chiarite questa situazione. Tu che puoi farlo, goditi la tua
famiglia!" disse appena emozionato, con la voce tremante e gli occhi
persi in chissà quale ricordo. Dio, io lo sapevo a cosa
stesse
pensando.
Mia
madre... lei è morta quando avevo otto anni circa... Da
allora sono cresciuto soltanto con la presenza di mio padre accanto che
ha cercato con tutte le sue forze di non farmi mancare mai niente. Mi
ha sempre... sostenuto e accettato nonostante la mia
sessualità
e beh... è stato il miglior padre che potessi chiedere...
Questo
fino a che un secondo infarto non se l'è portato via
sei
anni fa... E sei figlio unico?.. Esatto.. E ti mancano?.. Sempre... ogni
maledetto giorno!...
Dio, lui non solo non aveva fratelli, ma aveva perso anche entrambi i
genitori proprio nell'età peggiore. Io non riuscivo a
pensare
alla mia vita senza mia madre o mio padre - che per quanto brontolone e
abbastanza chiuso di mentalità, io adoravo oltre ogni
misura,
perché era sempre stata la mia roccia, il mio punto di
riferimento, la mia guida - e per un momento provai a pensare alla mia
vita senza Cooper. I Natali a casa trascorsi senza le sue battute, la
sua risata, i suoi occhi cristallini e furbetti, i suoi abbracci
inaspettati, i nostri scambi di battute acide, l'atmosfera di festa e
di gioia che si respirava in casa Anderson ogni volta che tutta la
prole era seduta attorno al tavolo con tanto di genitori al seguito.
Quei momenti erano impressi a fuoco nella mia mente e, non me ne ero
mai reso conto, in ogni bel ricordo legato alla mia famiglia, alla mia
casa di infanzia, e alla mia adorata e piccola Westerville, c'era anche
Cooper. Non riuscivo ad immaginare di tornare a casa senza trovarci
anche lui, non riuscivo ad immaginare mia madre preparare soltanto una
stanza per accoglierci, o mio padre fiero e segretamente commosso di
veder tornare all'ovile uno dei suoi pulcini. Cooper c'era e ci sarebbe
stato sempre, nel bene e nel male e la mia vita non sarebbe stata la
stessa senza di lui. Lo avevo sempre ammesso che il suo caratteraccio
avesse fortificato il mio, ma in quel momento, mi rendevo anche conto
che era molto di più quello che dovevo a mio fratello.
Quando
ero piccolo, lui mi aveva sempre difeso dai più prepotenti,
proprio perché lui era più grande e incuteva un
certo
terrore. Quando avevo fatto coming out a casa, lui era stato l'unico
che, nel momento di sgomento generale, era stato capace di scoppiare a
ridere e venire ad abbracciarmi esclamando un allegro 'Era ora che ti
decidessi ad ammetterlo, schizzo!'. Quando avevo cantato per la prima
volta durante una cena di famiglia, davanti ai nonni e a tutti i
parenti più lontani, lui mi aveva fatto l'occhiolino da
lontano
e mi aveva fatto sorridere, facendomi trovare il coraggio per suonare
ancora. E quando avevo trovato il piccolo cucciolo di Labrador,
spaesato ed infreddolito in quel parco, l'unico nome che mi era venuto
in mente era stato il suo, e non per fargli un dispetto o
perché
sapevo che così facendo si sarebbe arrabbiato, ma
perché
il mio subconscio sapeva perfettamente quanto mi mancasse e quanto
bisogno di lui avessi, e anche il chiamare semplicemente un cucciolo di
cane con il suo nome sarebbe servito a ricordarmi ogni giorno quanto
importante fosse Cooper Anderson per la mia vita. E ora, in quel
momento, su quel terrazzo, al 2113 di Lower East Side, in compagnia di
un Kurt appena commosso, finalmente me ne rendevo conto. E mi rendevo
anche conto che, non sarebbe bastato neanche il più crudele
degli scherzi per farmi odiare quel deficiente di mio fratello. Io lo
avrei amato, ogni singolo giorno, nello stesso identico modo in cui
amavo i miei genitori e me stesso.
Colpito da quella improvvisa consapevolezza e colmo di una strana
euforia, mi sollevai in piedi, un pò tremolante sulle gambe
e
sorrisi
"Blaine?"
"Devo andare da lui!" esclamai subito facendolo accigliare, ma
durò pochissimo perché alla fine mi sorrise,
visibilmente
fiero
"Esattamente quello che volevo sentirti dire!" mormorò,
ancora
commosso ma sereno. Pensai immediatamente a dove potesse trovarsi in
quel momento mio fratello, dato che, solo nella zona, di alberghi ce ne
erano più di mille. Come diavolo avrei fatto a... ma certo!
Come una furia entrai dentro casa e recuperai il portatile dal mobile
basso che avevo intravisto poco prima e subito mi congratulai con me
stesso per la geniale intuizione che avevo avuto: Cooper aveva usato il
mio pc per prenotarsi l'albergo e quindi la cronologia mi avrebbe
rivelato in quale parte di New York avrebbe passato la notte prima di
partire e probabilmente anche quanto avesse speso per il biglietto di
ritorno. Lo poggiai sul tavolo nel soggiorno e lo avviai, correndo ad
accendere una luce per vederci qualcosa. Tamburellai nervosamente sul
legno del tavolo fino a che la schermata del desktop non si caricasse
completamente e subito entrai su internet, ringraziando la linea super
veloce che c'era in quel condominio. Con mia grande gioia, la mia
intuizione si rivelò esatta e riuscii a trovare il nome
dell'albergo prenotato, l'indirizzo e perfino una piantina per
arrivarci. Entusiasta e anche parecchio sollevato, senza neanche
preoccuparmi di spegnere il pc, mi sollevai di fretta e furia per
recuperare cappotto e chiavi della moto, ma involontariamente diedi una
testata contro qualcosa.
"Ahia!" si lamentò questo qualcosa proprio sopra di me e nel
girarmi trovai Kurt, una mano sul naso e una espressione leggermente
dolorante. Arrossii fino alla punta dei capelli
"Oddio, Kurt... scusa, io non... sono uno sbadato e.." provai a dire ma
lui mi sorrise, o almeno lo intuii, dato che aveva ancora la mano
davanti al viso
"Non preoccuparti.. è colpa mia. Adesso che hai l'indirizzo
dell'albergo, vai da lui e... fai di tutto affinché io non
possa
pentirmi di essermi quasi rotto il naso stasera!" borbottò
divertito, facendo ridere nervosamente anche me. Mi guidò
fino
alla porta, assicurandomi che ci avrebbe pensato lui a chiudere e che
sarebbe tornato a casa sua, attraverso la grata del terrazzo e quindi
mi salutò proprio dall'uscio del mio appartamento. E vederlo
lì, mi fece uno strano effetto.
"Buona fortuna!" mi augurò con un sorriso speranzoso ed il
naso
ancora un pò rosso, ma fortunatamente intatto. Io gli
sorrisi
incapace di dire altro e di corsa feci le scale fino al pianterreno,
uscii dal palazzo e recuperai la moto parcheggiata dall'altro lato
della strada.
New York City. 04 Aprile
2012. Ore 00.32 A.M. (Mercoledì)
Avevo infranto più di
un divieto correndo come un
pazzo tra le strade e gli incroci trafficati di New York per
raggiungere l'Empire Hotel sulla 5th Avenue, dove mio fratello aveva
prenotato per la notte. Mi rendevo conto di essere sembrato un incivile
ed un pazzo agli occhi di molti pedoni ai quali non avevo dato la
precedenza sulle strisce, o per gli altri automobilisti che mi avevano
strombazzato clacson a non finire. Ma avevo fretta, una grandissima
fretta ed era già passata la mezzanotte. Temevo che oltre a
far
ritrasformare la carrozza in una zucca, avrei rischiato perfino di
perdere la mia ultima chance con mio fratello.
Come un indemoniato, parcheggiai la moto in uno spazio libero per lo
scarico delle merci, lasciai il casco sulla sella e corsi dentro,
salendo l'elegante scalinata esterna a due gradini alla volta. Arrivato
alla reception, mi accorsi subito di aver attirato molti sguardi su di
me, in particolar modo quello del concierge con il quale, lo
sospettavo, avrei faticato molto per ottenere il numero della camera
esatta. Feci un profondo respiro e mi stampai in faccia la migliore
delle espressioni cordiali e gioiose da repertorio, per poi avanzare
verso il bancone
"Buonasera!" salutai il signore con i capelli bianchi, una perfetta
giacca nera, una cravatta coordinata e l'aria di chi ha appena
avvistato un presunto omicida
"Buonasera a lei signore. In cosa posso esserle utile?" mi
domandò con cortesia, perché ovviamente quello
era il suo
lavoro ed io, oltre che un assassino, potevo tranquillamente essere un
possibile cliente. Lanciai un'occhiata nervosa verso la sontuosa hall
ed inveii mentalmente contro mio fratello per aver prenotato in un
albergo tanto prestigioso senza neanche avere la decenza di avvisarmi.
Mi sarei perlomeno messo una camicia, o avrei indossato il completo
Gucci della serata di beneficenza. Almeno l'elegante portiere mi
avrebbe guardato con meno disappunto
"Ecco io avrei bisogno di un'informazione, se è possibile.
Vorrei sapere in quale camera alloggia il signor Cooper Anderson!"
esclamai continuando a sorridere, mentre sul suo viso appariva una
smorfia di cordiale dispiacere
"Sono desolato, signore, ma queste sono informazioni riservate e noi
non siamo tenuti a..."
"La prego... è una questione di vita o di morte!" provai,
assumendo l'espressione contrita "Ecco noi... nostro padre ha avuto un
infarto ed io devo avvisarlo con estrema urgenza!" inventai su due
piedi, pregando che la sorte fosse abbastanza sorda da non sentirmi, e
da non prendere in parola ciò che avevo appena detto.
Scusami
papà... è per il bene della famiglia...
L'uomo alzò un sopracciglio scettico e diede un'occhiata al
registro sotto di sé
"Posso chiederle un documento, signore?" mi domandò
professionale e composto. Dannazione, neanche la notizia di un uomo in
fin di vita pareva smuoverlo. Io mi affrettai a recuperare la carta
d'identità e gliela mostrai. Lui fece scorrere il dito
sull'elenco, controllando dei dati e poi il mio documento, lanciandomi
nuovamente uno sguardo incerto
"Bene, signor Anderson.. vuole che chiami suo fratello e gli dica di
venire qui nella hall?" mi domandò restituendomi la carta.
Io
sbiancai. Di certo, idiota com'era, mio fratello si sarebbe barricato
in camera con il timore di un'altra sfuriata da parte mia. Avevo
bisogno di coglierlo di sorpresa e per farlo dovevo salire nella sua
stanza
"Ehm no... preferisco... salire da lui per dirglielo. Sa... ci vuole
una certa privacy per certe questioni!" e sorrisi imbarazzato. Lui
sospirò aggiustandosi il nodo della cravatta per poi
decretare
che meritassi fiducia, anche se non sembrava molto convinto
"Stanza 652... quarto piano... gli ascensori sono lì in
fondo!"
annunciò pratico ed io con un sorriso genuino lo ringraziai,
anzi quasi mi sporsi sul bancone per abbracciarlo. Avvertii chiaramente
i suoi occhi scrutarmi fino agli ascensori, quindi evitai di correre, o
peggio, di saltellare euforico. C'era mancato poco che non mi cacciasse
a calci solo per come ero vestito, figuriamoci cosa avrebbe pensato nel
vedermi così felice, dopo avergli apertamente confessato di
avere un genitore in fin di vita.
Dio papà...
mi perdonerai mai per questa innocente bugia?...
Con una certa ansia, presi l'ascensore e salii fino al quarto piano per
poi passare al setaccio tutte le camere fino alla 652. Con un sospiro
profondo, bussai forte al legno della porta e rimasi in attesa. Era
quasi l'una di notte e sicuramente lui stava già dormendo,
ma
quello che avevo da dirgli non poteva di certo aspettare, soprattutto
perché alle sei lui sarebbe partito ed io sarei stato al
lavoro.
Dovevo farlo ora.
Non ricevendo risposta, bussai ancora più forte, con tutto
il
pugno e finalmente avvertii una voce ovattata imprecare in un familiare
accento
"Chi cazzo è che rompe i coglioni a quest'ora?"
gridò con
la voce impastata ancora dal sonno, facendomi sorridere. Mmm...
esclamazione tipica dei migliori attori di teatro, complimenti!
Finalmente la porta venne aperta e la versione insonnolita ed incazzata
di mio fratello sbucò all'improvviso con un'espressione
tutt'altro che amichevole. Rimase qualche istante senza fiato,
allargando gli occhi e la bocca per poi deglutire nervoso
"Blaine?" domandò confuso
"Già... Blaine!" feci io, meravigliato del fatto che ancora
una
volta io per lui fossi solo Blaine e non più schizzo. Ma gli
sorrisi, sollevato di averlo trovato
"Cosa ci fai tu qui?"
"Ho bisogno di parlarti.. posso?" gli chiesi incrociando le dita dietro
la schiena e sperando vivamente di non essermi immaginato niente di
ciò che in quegli anni aveva reso mio
fratello così
speciale ai miei occhi, perché mai come allora, avevo
bisogno
che si dimostrasse ancora in quel modo e che per una volta..
iniziassimo davvero a comportarci come due fratelli.
|
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Capitolo 19 *** Dietro lo spioncino della porta... ***
Buon
giovedì 13 Settembre a tutti (Glee daaaaaaaaaay *____*) su
conteniamoci XD bene, eccomi con il capitolo che stavate aspettando con
ansia.. oggi capiremo se Cooper e Blaine possono sotterrare l'ascia di
guerra o continuare tranquillamente ad odiarsi.. e poi.. visto che
tutti mi avete rimproverato per essere troppo sadica e lasciarvi appesi
con i capitoli, quest'oggi ho messo qualcosa che forse mi
farà perdonare e... vabbè... leggete poi mi
direte ;) buona lettura e un abbraccio a tutti i miei angeli che
continuano a seguirmi affettuosi e meravigliosi come sempre :* e
ovviamente anche a chi mette la storia tra preferiti/seguiti/ricordati
o chi legge silenziosamente (lo so che ci siete ^^) adesso basta
cincischiare... vi lascio al capitolo. Ci vediamo Lunedì
miei angioletti ;)
p.s.
Questo capitolo lo dedico alla mia Tamara che oggi ha iniziato la
scuola... e come al solito mi regala queste meraviglie qui *___* ti amo
tesoro mio <3
n.b. La mia pagina Facebook
( Pagina
Dreamer91
)
New York City. 04 Aprile
2012. Ore 00.45 A.M. (Mercoledì)
La camera in cui alloggiava mio fratello era
davvero
molto bella: grande, spaziosa, ben arredata e probabilmente perfino la
lampada verde poggiata sul comodino ed accesa per illuminare un
pò la stanza, costava di più rispetto al mio
stesso
appartamento.
Come diavolo
può permettersi mio fratello una camera così?...
"Allora... a cosa devo questa incursione in piena notte?" mi
domandò curioso sedendosi sul bordo del letto ed incrociando
le
braccia al petto. Bene, tutte le belle parole che avevo avidamente
scavato in fondo alla mia mente, erano magicamente sparite. In
realtà, non ricordavo neppure il motivo che mi aveva spinto
con
tanta urgenza a raggiungere quell'albergo, né tanto meno la
faccia indispettita del portiere al pianterreno. Che soffrissi di
disturbi della personalità? Beh, tanto normale non lo ero
mai
stato, quindi c'era anche da aspettarselo.
Feci un profondo respiro e poggiai la schiena all'armadio al mio
fianco. Prevedevo una lunga, lunghissima chiacchierata
"Aspetta, fammi indovinare... ti sei ricordato qualche altro insulto da
propinarmi? Oppure vuoi picchiarmi per aver usato il tuo computer senza
il tuo permesso?" mi sfidò, quasi preoccupato. Gli avrei
voluto
far presente che se non fosse stato per la sua mania di mettere le mani
sulle cose di mia proprietà, a quell'ora io non sarei stato
nella sua camera a tenerlo sveglio. Ma preferii ignorare la
provocazione e scuotere la testa
"Niente del genere!" mormorai allora e lui sorpreso aggrottò
la fronte
"D'accordo allora.. ammetto di essere seriamente sorpreso ma... sono
anche molto curioso di ascoltarti quindi.." e mi fece un gesto
eloquente per invitarmi a parlare. Io mi grattai la fronte, impacciato
e, per la prima volta nella mia vita, senza argomentazioni da tirare
fuori di fronte a mio fratello. Forse era il peso di quello che avevo
realizzato a farmi quell'effetto oppure ancora la conversazione di poco
prima con Kurt a stordirmi. O forse ero semplicemente un imbranato con
seri problemi di autocontrollo emotivo.
"Kurt mi ha detto che... gli hai parlato e gli hai raccontato la
verità alla fine." mormorai scrutandolo attento. Lui fece
una
smorfia
"Se sei venuto per ringraziarmi, guarda, puoi anche risparmiartelo.."
ma lo bloccai
"No, non sono venuto per ringraziarti, cioè... anche per
quello,
ma più che altro.. vorrei parlare con te e vorrei
approfittare
delle poche ore che ci rimangono prima della tua partenza, per farlo
dal vivo, guardandoti negli occhi!" specificai e lui sorpreso
annuì, dandomi il tempo per sospirare ancora prima di parlare
"Io avrei tante di quelle cose da dirti, molte delle quali sarebbero
veri e propri insulti che sono riuscito ad accumulare in tutti questi
anni per colpa tua e del dannato carattere fastidioso e saccente che ti
ritrovi!" iniziai mordendomi l'interno della bocca nervosamente, e lo
vidi sollevare un sopracciglio e fare un mezzo sorrisetto divertito "Ma
penso non sia il caso di elencarteli proprio ora, soprattutto
perché è tardi, siamo entrambi stanchi e penso di
aver
inveito abbastanza contro di te quest'oggi." e sorrisi mesto,
sentendomi leggermente in colpa per tutte le parole velenose che mi
erano uscite dalla bocca solo poche ore prima. Lui sorrise
più
apertamente ma non disse nulla, ed io lo apprezzai molto per questo. In
effetti era davvero strano che non avesse ancora preso la parola,
approfittando del momento per tirare fuori la sua solita insulsa
ironia, ma forse, per una volta, voleva fare il serio, mostrare al
mondo - e a suo fratello - di avere davvero trent'anni e di poter anche
trattenersi in certi casi. Almeno in quelli più importanti.
"Questa sera, parlando con una persona molto... matura e sicuramente
più razionale di me, ho avuto modo di riflettere, di
riflettere
molto e beh.. sono giunto ad una conclusione!" annunciai solenne
catturando completamente la sua attenzione
"Che sarebbe?" domandò infatti
"Beh ecco... la mia vita, la.. vita in generale è davvero
troppo
corta e.. insomma, non vale la pena prendersela troppo se ogni tanto
succedono cose che ci fanno arrabbiare. Con questo non ti sto
giustificando, assolutamente.. hai fatto una cosa orribile ieri e forse
inizierò seriamente a perdonarti quando i ghiacciai si
saranno
sciolti del tutto, ma.. ecco... nonostante questo, nonostante la tua
faccia tosta e l'assurda capacità che hai nel farmi saltare
i
nervi io... io non riesco a non volerti bene!" ecco lo avevo detto. Era
stato liberatorio, ed avvertivo perfino la testa farsi più
leggera. I suoi occhi si allargarono sorpresi, forse per via
dell'inaspettata confessione che gli avevo fatto, e notai chiaramente
la sua gola fare su e giù, segno che avesse appena
deglutito.
Sospirai, staccandomi dall'armadio ed avanzando verso di lui, fino a
sedermi al suo fianco sul letto matrimoniale.
"Ho provato ad immaginare la mia vita, quello che ne sarebbe
di me
se tu non ci fossi più o se per caso non ci fossi mai
stato... a
casa nostra, ai nostri genitori, alle solite feste comandate... ogni
singolo pensiero che sono riuscito a formulare sembrava gridarmi la
stessa identica cosa: anche volendo, non riuscirei a vivere allo stesso
modo se al mio fianco non ci fossi anche tu. Anche se... viviamo
così lontani, io sento la tua presenza vicino a me, sento la
tua
risata, avverto i tuoi occhi addosso ed ogni santo giorno spero di
sentire il campanello di casa suonare, andare ad aprire e trovarci te,
la tua ingombrante borsa da viaggio e quella faccia tosta con cui da
più di dieci anni mi chiami schizzo. E ieri sera,
finalmente, il
mio desiderio si è avverato e tu sei venuto davvero da me, a
bussare alla mia porta, ed è stata una delle sorprese
più
grandi che potessi mai aspettarmi!" sentivo gli occhi leggermente umidi
e la voce appena tremante ma dovevo farmi coraggio e continuare a
parlare, nonostante a conti fatti, stessi guardando il pavimento e non
mio fratello. Avevo paura di trovarci un'espressione che davvero non mi
sarebbe piaciuta e allora addio ai buoni propositi.
"Io.. trovo abbastanza difficile ammettere quello che sento,
però... credo sia giusto farti sapere che per me sei
importante
se non addirittura essenziale, Coop, e che non vorrei nessun altro tipo
di fratello al tuo posto, non vorrei cambiarti per nessun motivo al
mondo e che, forse, in fondo, ti adoro proprio perché sei
così incasinato, eccentrico e fastidioso. Nel bene e nel
male
tu.. per me ci sei stato sempre anche con il tuo buffo modo di starmi
accanto ed io mi sono sentito un perfetto idiota nel constatare che a
conti fatti non ho mai veramente apprezzato questo di te, soffermandomi
probabilmente solo all'apparenza o ai tuoi modi di fare, lamentandomi
della tua scarsa fiducia nei miei confronti o delle tue continue
battute. Avrei dovuto... scavare più a fondo, sentire
il tuo affetto invece di ricercarlo nei gesti o nelle parole.
Perché ora, mentre ti sono seduto accanto, io lo sento...
sento
che mi vuoi bene e che probabilmente, nonostante tutte le cattiverie
che ti ho gridato in faccia oggi, continuerai a volermene. E lo stesso
vale per me, io..." sospirai passandomi la mano sulla nuca "Beh io
credo sia arrivato il momento di smetterla di fingere e di comportarsi
come è giusto che sia.. come due fratelli che si vogliono
bene e
che se lo dimostrano, nonostante tutto e tutti!" affermai, con la gola
secca per l'eccessivo parlare. Alla fine le parole giuste erano
arrivate, anzi... le stavo quasi vomitando per quanto veloci stessero
uscendo dalle mie labbra.
Avevo una tremenda paura della sua reazione: non avendo mai avuto una
conversazione così intima e sentimentale con mio fratello,
non
avevo la minima idea di come potesse reagire. Avrebbe potuto scoppiare
a ridere, magari accasciandosi perfino sul letto, oppure mi avrebbe
cacciato a calci dalla stanza, proprio come in un certo senso avevo
fatto io quel pomeriggio a casa, oppure... oppure mi avrebbe stupito,
come sempre.
Azzardai ad alzare lo sguardo su di lui, timoroso e attento, e fu quasi
un colpo al cuore, trovarlo con una mano davanti alla bocca, le spalle
ricurve e gli occhi chiusi.
"Cooper.. ma ti sei addormentato?" domandai sbigottito ed appena
offeso, ma lui fortunatamente era sveglio e scosse la testa, senza
però aprire gli occhi. Io confuso e anche appena
preoccupato, mi
girai su un lato per guardarlo meglio e lì notai un
particolare
che prima mi era sfuggito e che mi fece quasi collassare per lo
stupore. Ai lati dei suoi occhi chiusi, vi erano delle piccole lacrime
trasparenti ed una in quel momento, stava scivolando libera, per poi
fermarsi tra la barbetta appena accennata sulla
guancia. Trattenni il fiato, senza riuscire neanche a metabolizzare
cosa stesse succedendo: mio fratello, lo sbruffone egocentrico e
viziato stava.. piangendo?
Che cazzo ho
combinato?...
"Coop..?" lo chiamai incerto, allungando una mano per poi poggiarla sul
suo braccio, trovandolo particolarmente teso. Finalmente
spalancò gli occhi, di
colpo, facendomi sobbalzare spaventato e puntò lo sguardo
nel
mio, come al solito allucinato, ma stranamente inquietante, dato che
era
lucido di lacrime trattenute
"Pensi davvero tutto quello che hai detto?" mi domandò, con
la
voce notevolmente più tranquilla e distesa di quanto potesse
sembrare la sua espressione. Doti di attori, immaginavo. Mi ritrovai ad
annuire, ancora sconvolto per la sua reazione e lui si
lasciò
andare ad un lungo respiro che gli riempì i polmoni per poi
svuotarli per intero. Ok, iniziava seriamente a spaventarmi. Non
è che stava per sentirsi male ed io quella sera, oltre ad
avere
un padre, avrei avuto anche un fratello sulla coscienza? Mia madre
sarebbe riuscita a guardarmi ancora in faccia, dopo tutto quello che
avevo combinato?
"Cooper, cosa hai..." ma mi bloccò. Il suo movimento fu
talmente
tanto veloce da non darmi neanche il tempo materiale per prepararmi
allo spostamento e difatti caddi quasi del tutto verso di lui, verso
il suo petto e le sue braccia che mi stavano abbracciando forti, come
mai prima di allora. Spalancai gli occhi, boccheggiando sorpreso,
mentre il vago profumo familiare di mio fratello mi circondava,
benefico e prepotente come lo ricordavo. E di nuovo, meglio di prima, i
ricordi di casa, delle cene, delle rimpatriate, della famiglia, e di
tutta la mia vita, tornarono ad affollarmi la mente, in maniera ancora
più inaspettata, e mi ritrovai a ricambiare calorosamente il
suo
abbraccio, affondando il viso nella sua spalla e sorridendo commosso.
Quell'abbraccio aveva qualcosa di profondo ed intenso, che non avevo
mai avvertito prima: Cooper mi aveva abbracciato all'incirca
ventiquattro ore prima, ma quel contatto non aveva nulla a che vedere
con questo. Questo sentivo che fosse sincero e spontaneo: il Cooper
attore alla ricerca di emozioni inaspettate non c'era più,
ma al
suo posto c'era il mio adorato fratellone, al quale avevo appena detto
di voler bene e che speravo di sentire confessare le stesse cose.
Anche se già questo per me è sufficiente...
"Temevo di aver rovinato tutto!" mormorò attaccato alle mie
spalle, con la voce appena più incrinata, ma comunque chiara
come al solito. Scossi la testa ed accennai un sorriso
"Te l'ho detto, Coop... puoi dire e fare quello che vuoi... io non
smetterò mai di volerti bene!" confermai, rassicurandolo. Io
che
rassicuravo mio fratello.... mmm.. che situazione bizzarra. Lo sentii
sospirare di nuovo e quella volta finalmente si staccò e
tornò a guardarmi negli occhi, che erano di nuovo limpidi e
liberi dalle lacrime
"Io non immaginavo di essere stato un così pessimo fratello
per
te!" mormorò abbattuto, mentre tornavo a sedermi composto
"Ma no... tu non sei affatto un pessimo fratello... diciamo solo che
forse hai sempre scelto il modo peggiore per dimostrarmi quello che
provavi, ecco tutto!"
esclamai con un sorriso mite, scrollando le spalle. Lui fece una
smorfia pensierosa
"É che probabilmente... non ne sono neppure capace!"
borbottò incupendosi, e mai prima di allora lo avevo visto
tanto
limpido e cristallino nelle emozioni. Avevo sempre pensato che uno come
Cooper fosse portato solo per la finzione e il pathos da palcoscenico,
ma in quel momento avvertivo chiaramente la sua angoscia e tutto
ciò che provava, circolare per la stanza, e circondare anche
me.
Mi sporsi, poggiandogli una mano sulla spalla e la strinsi forte
"Io non ti sto chiedendo di cambiare, Coop... a me vai già
benissimo così. Ho solo bisogno di... sentirti
più come
mio fratello ed ho bisogno che tu più spesso ti preoccupi di
ricordarmelo. Mi basta anche un semplice messaggio sul cellulare, anche
se scrivi semplicemente 'schizzo'...
io in quel momento potrò capire che tu dall'altra parte
degli
Stati Uniti sei riuscito a trovare un momento nella tua giornata per
pensare a me ed io potrò fare lo stesso. É un
buon modo
per tenersi in contatto e per dirci ciò che pensiamo anche
senza
utilizzare le parole!" gli sorrisi commosso riuscendo a strappargli
finalmente un mezzo sorriso.
"Dì la verità.. ti da davvero fastidio che io ti
chiami
in quel modo?" mi domandò divertito facendomi ridacchiare
"Mmm diciamo che non è nella top ten dei miei nomignoli
preferiti!" esclamai scuotendo la testa
"Beh ne avrei altri da proporti se quello proprio non ti piace, per
esempio ci sarebbe nanerotolo... oppure ricciolone, o ancora
passerottino.. o meglio..." ma lo bloccai con un'occhiata omicida
"Penso che schizzo non sia così male dopotutto!" borbottai
non riuscendo a trattenere un sorriso, mio malgrado
Passerottino?... Ma
scherziamo?...
"Ok... vada per schizzo... anche se..." si accigliò appena
per
poi guardarmi e sorridere "Tu per me rimani sempre Blaine.. il mio
adorato, piccolo e instancabile fratellino!" e mi fece l'occhiolino,
nella stessa identica espressione di quando eravamo piccoli e lui mi
difendeva dai prepotenti, o quando mi aveva abbracciato dopo la
confessione pubblica della mia omosessualità, oppure quando
mi
aveva incoraggiato a continuare a suonare durante quella famosa festa,
davanti ai nostri parenti. E allora capii di non essermi immaginato
niente perché mio fratello, il mio adorato Cooper presente e
leale esisteva davvero, era sempre esistito e probabilmente lo avrebbe
ancora fatto, se io avessi continuato a permetterglielo. Mi accorsi
forse troppo tardi di essermi commosso e ancora troppo tardi mi resi
conto di essermi buttato tra le sue braccia, con la precisa intenzione
di stringerlo a me per imprimere anche quel bel ricordo nella mia
mente. Probabilmente non sarebbe più successo in futuro che
io e
lui fossimo così aperti ed esposti verso quel tipo di
sentimenti
quindi era giusto approfittarne finché avessimo potuto.
"Dio... con tutte queste emozioni sento di essere diventato invincibile
nelle interpretazioni drammatiche!" mormorò estasiato
tornando
per un momento ad essere il solito vecchio ed insopportabile Coop. Io
scoppiai a ridere tirando su con il naso e mi allontanai da lui per
poterlo guardare negli occhi. Dovevo dire che nonostante le parole da
sbruffone, i suoi continuavano ad essere lucidi ed emozionati,
proprio come i miei.
"E come al solito devi ringraziare me per questo!" lo beffeggiai
tirandogli un pugno leggero sullo stomaco che lui incassò
scherzosamente.
"Poco ma sicuro!" esclamò infatti strizzandomi l'occhio, ma
poi
sospirò ed annuì "Seriamente schizzo... sei
davvero una
bella persona ed io... non puoi immaginare quanto io sia orgoglioso di
essere tuo fratello.. ora come non mai! Sei maturo, sei generoso, sei
amichevole, sei un ragazzo speciale e continui ad esserlo anche con chi
non se lo merita, anche con me dopo quello che sono riuscito a
combinarti ieri.. sei venuto fin qui solo per parlarmi ed io non solo
apprezzo il tuo tempismo ma soprattutto ammiro il tuo coraggio,
nell'aver detto finalmente tutto quello che ci saremmo dovuti
già dire tanto tempo fa. Io ti ammiro seriamente, Blaine..
dal
profondo del mio cuore, io so perfettamente quanto meraviglioso tu
possa essere e quanta fortuna io abbia avuto nel ricevere un fratello
come te. So di non meritarti e di non aver mai fatto nulla per
dimostrarti il bene che ti voglio, anche se tu ammetti il contrario, ma
ti prometto che ci proverò.. cercherò di essere
un
fratello più presente e di... rimediare, spero, almeno in
parte
a questi pessimi primi venticinque anni assieme. Credo sia il minimo
che io possa fare per chiederti scusa per tutto!" e mi sorrise mite e
serenamente commosso. Gli sorrisi a mia volta, stringendogli appena di
più la spalla, sperando che con quel gesto capisse quanto
avessi
apprezzato le sue parole e lo sforzo immane che immaginavo avesse
compiuto per confessarmele. D'altronde Cooper non aveva mai dimostrato
tanto chiaramente i suoi sentimenti ed io in quel momento dovevo
sentirmi un privilegiato. Apprezzare e custodire gelosamente nel
cassetto segreto dei miei ricordi con lui.
Mi sentivo il cuore leggero ed una strana euforia mi attraversava le
vene, quasi fossi sotto effetto di stupefacenti. Era una gran bella
sensazione e valeva quasi la pena fare un altro giro in moto di notte
ed irrompere nella hall di qualche altro albergo per poi prendere di
conseguenza le occhiate ammonitrici di qualche altro anziano consierge
solo per il piacere di provare una cosa così benefica e
distensiva come la sensazione di sentirsi dire finalmente dal proprio
fratello tutte quelle belle cose, tutto ciò che in una vita
intera avevo sperato di venire a sapere dalla sua voce.
"Beh si è fatto tardi e credo sia il caso che entrambi ce ne
andiamo a dormire.. tu hai un volo da prendere tra cinque ore ed io una
panetteria da rifornire... quindi, ci salutiamo ora!" annunciai
alzandomi in piedi e lui, colto il mio invito, si alzò a sua
volta e mi abbracciò di nuovo. Chiusi per un momento gli
occhi
per godere di quella sensazione ancora per un altro pò, dato
che
quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto, prima della
successiva riunione familiare a Natale.
"Abbi cura di te, Coop... mantieni la testa sulle spalle ma continua a
seguire i tuoi sogni che non sono affatto sbagliati.. sono alla tua
portata, decisamente!" mormorai con un sospiro che lo fece sorridere
"Anche i tuoi sogni meritano di essere seguiti, Blaine.. la tua voce
è sprecata in quel misero pub... dovresti seriamente pensare
di
allargare i tuoi orizzonti e permettere così al resto del
mondo
di apprezzarti così come facciamo noi che ti conosciamo,
ogni
giorno!" rispose scostandomi per guardarmi intensamente negli occhi.
Cantare per il resto del mondo? Mmm.. detta così faceva un
pò paura, ma a conti fatti era esattamente quello il mio
sogno.
Se lo avrei o meno realizzato non potevo scommetterlo, ma sapere di
avere il sostegno morale di mio fratello... beh, valeva molto di
più di qualsiasi cifra messa in palio. Così gli
sorrisi
ed accettai di buon grado le sue parole
"Lo spero tanto, Coop, davvero!" mormorai con la voce appena roca per
l'emozione. Avevo fatto il pieno di belle sensazioni per quella sera,
nonostante, fin dall'inizio, quella fosse stata una pessima giornata.
Prima le parole di Kurt, la consapevolezza di quello che avevo pian
piano realizzato, poi la corsa adrenalinica all'albergo, poi ancora la
confessione di mio fratello e il suo affetto servito così su
un
piatto d'argento. Mi sentivo un privilegiato ed ammiravo la forza del
mio cuore, per essere sopravvissuto a tutto quello senza alcun
problema. Certo, probabilmente quella notte - quelle poche ore - non
sarei riuscito a chiudere occhio per via dell'euforia ancora in
circolo, ma ne era valsa la pena, decisamente
"Buonanotte Coop.. e buon viaggio!" gli augurai, ormai sulla soglia
della porta. Lui mi sorrise
"Grazie, schizzo.. a te buon lavoro e buona fortuna per tutto. Ci
rivediamo a Natale a Westerville!" annunciò ridacchiando.
Già, la nostra abitudinale e piccola città. Con
un ultimo
sorriso lo salutai e feci per raggiungere gli ascensori di servizio e
scendere così nella hall, quando la sua voce
tornò a
chiamarmi
"Schizzo aspetta..." così mi girai per trovarlo per
metà
fuori dalla porta e con un sorriso furbetto sul volto "Permetti un
consiglio da questo vecchio fratello fastidioso ed insonnolito?"
domandò appena divertito ed io curioso annuii
"Dimmi!" lui accennò un altro mezzo sorriso
dopodiché disse
"Non fartelo scappare... è una bella persona e merita quanto
te
di essere apprezzato ed amato nella giusta misura." esclamò
serenamente. Io per un istante mi accigliai e fui sul punto di
chiedergli a chi si riferisse ma non me ne diede l'occasione,
perché mi lasciò da solo, dopo avermi sorriso
un'altra
volta e aver chiuso la porta della sua stanza.
Non fartelo scappare?...
New York City. 04 Aprile 2012. Ore 01.39 A.M. (Mercoledì)
Mentre parcheggiavo la moto sotto il mio palazzo, assicuravo il casco
al gancio ed entravo nel portone, un solo pensiero mi attraversava la
mente: quella notte non avrei di certo dormito. Avevo la testa
affollata da troppi pensieri, troppe emozioni e ancora l'enigmatica
frase con la quale mio fratello mi aveva salutato, a tormentarmi. Mi
aveva consigliato di non farmelo scappare perché si trattava
di
una bella persona che meritava di essere amata quanto me... bene, ma di
chi stava parlando?
Possibile fosse una frase a doppio senso, oppure che si riferisse
ancora alla musica e al fatto che dovessi allargare i miei orizzonti in
quel campo? Ma, allora, che senso avrebbe avuto dire... è
una
bella persona? Parlava di me? Di sé stesso? Del cane?
Con un sospiro uscii dall'ascensore fino al mio piano e per un istante
dovetti chiudere gli occhi e riaprirli, convinto di aver appena avuto
un'allucinazione. Già perché nella vita reale, io
avevo
una porta d'ingresso e questa era solitamente color legno e di certo
non era mai stata invasa da decine e decine di post-it colorati,
eppure.. riaprii gli occhi per poi ritrovarmi davanti la stessa
identica scena: Dio Santo, la mia porta era davvero sommersa di
post-it, talmente tanti da non riuscire più a vedere il suo
colore al di sotto. Ma come diavolo era possibile? Quando ero uscito di
casa era già tutto così? Chi diavolo che stato? E
perché?
Incerto avanzai verso la montagna colorata e solo in quel momento il
mio cervello stanco mi inviò il giusto imput che mi diede la
forza per afferrare uno di quei biglietti - giallo canarino - e
sussurrare
"Dio.. Kurt.."
Lo aveva fatto, cioè... lo aveva fatto davvero. Mi aveva
riempito la porta con quei biglietti colorati e probabilmente non gli
sarebbe bastato un blocco intero per fare tutto quel lavoro. C'erano
post-it gialli, verdi, arancioni, fucsia, azzurri ed erano tutti
ordinatamente scritti con la sua elegantissima grafia. Ma quanti erano?
Mi morsi un labbro emozionato, mentre avvertivo di nuovo gli occhi
inumidirsi ed un sorriso idiota stendermi le labbra. Si era davvero
preso la briga di attaccarmi tutti quei foglietti in mia assenza? Ci
teneva così tanto alla mia amicizia?
Lo avrei fatto, Blaine..
credimi... per chiederti scusa avrei fatto
qualunque cosa!...
Repressi un brivido inaspettato mentre leggevo il post-it che avevo
staccato dalla porta
*E ricordati che
dobbiamo festeggiare e che mi devi una birra :)*
Ridacchiai sollevando di nuovo lo sguardo sulla marea colorata di
fronte a me, per poi sospirare incantato ed iniziare lentamente a
staccare tutti i biglietti, uno per uno. Ecco come avrei passato il
resto della notte in attesa di raggiungere la panetteria: avrei letto
ognuno di quei post-it scritti dal mio vicino per me, per tenere fede
alla sua promessa, per salvare la nostra amicizia. Ma la nostra
amicizia non era affatto in pericolo e questo lui avrebbe dovuto
saperlo, o almeno speravo di averglielo già fatto capire.
Forse... forse avrei dovuto essere un pò più
esplicito.
Dovevo riempirgli, magari la macchina, di post-it anche io?
Una volta staccati tutti - anche quelli più in alto
saltellando
come un idiota - ed averli contati - ben settantadue - mi girai verso
la
porta chiusa di Kurt e sorrisi, quasi mi aspettassi che da un momento
all'altro quella si aprisse ed il suo proprietario venisse fuori con il
suo magnifico sorriso, i suoi occhi chiari e mi chiedesse come fosse
andata con mio fratello. Avremmo passato la notte assieme, un'altra
notte assieme, ma quella volta invece di passarla a letto, avremmo
parlato e magari ne avremmo approfittato per conoscerci meglio.
Dopotutto sapevo ancora così poco sul suo conto e tante
erano le
domande che avrei voluto rivolgergli se solo mi fossi sentito meno
stupido e un pò più coraggioso per farlo.
Tipo, perché
sprechi il tuo
tempo con David, quando alla fine si vede benissimo che non te ne frega
un accidente di lui?...
Colto da un pensiero improvviso, lanciai un'occhiata al piccolo cumulo
di post-it che stringevo tra le mani e tutto un tratto le parole di mio
fratello acquistarono un senso logico
Non fartelo scappare...
è una bella persona e merita quanto te di essere apprezzato
ed amato nella giusta misura...
Si riferiva a.. Kurt? Io avrei dovuto apprezzare e... amare il mio
vicino perché entrambi ce lo meritavamo? Beh, lui di sicuro,
data la scarsa fortuna che aveva avuto nella vita e forse anche io..
ma... potevo davvero credere di essere io la persona giusta per rendere
felice uno come Kurt? Potevano due ragazzi così diversi come
noi, andare d'accordo ed aiutarsi a vicenda? Mio fratello probabilmente
esagerava oppure scherzava come sempre, dato che davvero la cosa mi
pareva surreale. Eravamo stati a letto assieme una sola volta e per
quanto bello fosse stato io e lui eravamo amici. Almeno fino a prova
contraria.
Ti ha riempito la porta
di post-it...
è o non è il gesto più romantico ed
inaspettato
che potessi mai immaginare?...
Sì, lo era, però... un gesto così
plateale non fa
di lui il ragazzo perfetto per me, né tanto meno mi rende
adatto
ai suoi occhi.
Avete fatto l'amore e
lui dopo non è scappato...
Abitava a tre passi da me, anche volendo, dove sarebbe potuto andare?
Lui è geloso
di te, Blaine, vuoi aprire gli occhi?...
Geloso o no, rimaneva un ragazzo fidanzato ed io.. avevo troppa
stanchezza addosso per rifletterci ancora. Così liquidai la
questione con un sospiro e finalmente entrai in casa. Il computer era
stato spento e sistemato al centro del tavolo, la porta-finestra era
socchiusa e il piccolo Cooper sonnecchiava sul tappeto. Un'atmosfera
serena e tranquilla che stonava decisamente con il mio stato d'animo.
Forse dipendeva dal fatto che, l'ultima persona ad aver messo piede nel
mio appartamento, prima che io vi facessi ritorno era stato lui.
Dubbioso, mi liberai della giacca e di tutto ciò che avevo
nelle
tasche, per poi dirigermi in camera da letto. Mi liberai anche dei
vestiti e
mi fiondai sotto le coperte, stringendo ancora tra le mani il mio
piccolo tesoro colorato. Ed eccoli i miei settantadue post-it, ognuno
firmato Kurt Hummel. Mi venne inspiegabilmente ancora da sorridere.
Nonostante tutto, nonostante l'ambiguità del nostro
rapporto,
nonostante quegli ultimi eventi, nonostante il suo fidanzato, il cui
volto per me era ancora un mistero, nonostante i miei stessi pensieri
che continuavano a remarmi contro. Era un gesto davvero troppo dolce,
il
suo, per passare inosservato ed io lo stavo apprezzando davvero molto.
Ad ogni post-it letto e messo da parte con il solito sorriso radioso,
mi tornavano in mente le sue parole, il suo sorriso, i suoi occhi
limpidi, eppure che nascondevano qualcosa di ancora inspiegabile. Kurt
Hummel era un bel punto interrogativo per me, ma leggendo le sue
parole, le sue frasi - la maggior parte dei post-it contenevano
valanghe di scuse, altri delle battute molto tenere tipo "Vederti
così emozionato, mentre cercavi l'albergo di tuo fratello,
per
un momento mi ha ricordato il vecchio me, che aveva ancora un padre!" -
capivo perfettamente quanto fosse profondo ed intenso come persona, ben
lontano dall'essere il Kurt furioso che mi sbraitava contro nel suo
ufficio per un banale malinteso. E a quel punto, volevo io, con la mia
vita già abbastanza complicata e piena di casini, mettermi a
risolvere anche i suoi?
Non fartelo scappare...
è una bella persona e merita quanto te di essere apprezzato
ed amato nella giusta misura...
Maledetto Cooper, senza volerlo, probabilmente aveva combinato un altro
guaio, quella volta però... sarebbe stato molto difficile
porvi
rimedio.
New York City. 04 Aprile 2012. Ore 01.36 A.M. (Mercoledì)
Ero stato troppo avventato, decisamente
troppo avventato.
Avevo ancora una volta ragionato in un lasso di tempo troppo breve, per
poter dire di aver formulato un pensiero coerente e soprattutto maturo.
Ma, dopo aver dimostrato di potermi perfettamente comportare come un
bambino di venticinque anni, volevo provare perlomeno a rimediare e
quel gesto, in un breve momento di lucidità, mi era sembrato
l'unico più convincente.
L'idea dei post-it interamente attaccati sulla sua porta d'ingresso, mi
era venuta mentre vagavo senza meta per casa, ripensando alla nostra
conversazione, a come fosse iniziata male e a quanto bene si fosse
conclusa. Fortunatamente era andata meglio di quanto potessi
immaginare: lui non solo sembrava avermi perdonato per la mia sfuriata
insensata, ma aveva perfino deciso di seguire il mio consiglio e andare
da Cooper per chiarire la situazione tra di loro. Se io avessi avuto un
fratello lo avrei fatto, perché davvero non potevo credere
che
due persone unite da un così stretto vincolo di sangue,
potessero allontanarsi in questo modo, per una banalità.
Blaine
aveva il diritto di pretendere l'affetto di suo fratello e allo stesso
modo aveva anche il diritto di restituirglielo senza mezze misure. La
famiglia per me era sacra - dato che la mia mi era stata brutalmente
strappata, decisamente troppo presto - e quindi non sopportavo di
vedere Blaine e Cooper continuare a comportarsi come due estranei.
Dovevano fare qualcosa, prima di tutto parlare.
Speriamo solo che per una volta mettano entrambi l'orgoglio da parte e
si decidano a fare i fratelli...
Ero tornato nel mio appartamento, con uno strano nodo all'altezza della
gola, quasi fossi sicuro di non aver del tutto fatto ciò che
mi
ero prefissato. Eppure... avevo parlato con Blaine, avevamo chiarito,
eravamo tornati ad essere i soliti amici di prima, ed ero perfino
riuscito a scavalcare la ringhiera senza spezzarmi l'osso del collo. Ma
allora da che cosa dipendeva quella sensazione? Perché mi
sentivo così oppresso e stranamente insofferente?
Titubante, dopo essermi liberato dei vestiti ed aver indossato il mio
comodo pigiama, iniziai nervosamente a vagare per il salotto in attesa
dell'illuminazione divina che mi avrebbe chiarito un pò il
mio
stato d'animo. E per fortuna quella non tardò ad arrivare,
nell'istante esatto in cui l'occhio mi era caduto sul tavolino
all'ingresso avevo capito cosa fare per sentirmi meglio. Dovevo fare
una pazzia, una di quelle cose avventate ed istintive, una di quelle
sorprendenti ed inaspettate. Qualcosa che mi avrebbe fatto sentire meno
in colpa. E così mi ero messo all'opera e nel giro di
tredici
minuti avevo scritto ben settantadue post-it - ne avrei fatti anche di
più, ma la mano iniziava a fare male ed il blocchetto mi
aveva
abbandonato prematuramente. Su alcuni mi ero limitato a scrivere
"Scusa" su altri invece lo ringraziavo per avermi ascoltato, per non
avermi cacciato via dalla sua proprietà, per avermi
perdonato
nonostante non me lo meritassi affatto. In alcuni avevo perfino un
pò esagerato, ammettendo che, il suo gesto verso il
fratello, mi
aveva fatto sentire la mancanza di mio padre. Ero stato indeciso se
strapparlo o meno quel biglietto.. alla fine avevo optato per la
spontaneità e la chiarezza e così lo avevo messo
assieme
a tutti gli altri.
E alla fine ero uscito sul pianerottolo per attaccarli tutti e con
meraviglia mi ero accorto di averla seriamente riempita quasi tutta,
proprio come gli avevo scherzosamente minacciato di fare. Con un
sorriso ammirai la mia opera ed annuii soddisfatto: sarebbe stata una
gran bella sorpresa per lui, vederli così, tutti assieme.
Mentre sistemavo meglio alcuni post-it in un angolo, mi feci
maledettamente assalire dai dubbi: e se non gli fossero piaciuti? E se,
stanco com'era, avrebbe sbuffato infastidito? Se l'avesse presa come
l'ennesima invasione della privacy? E se, peggio... fosse tornato
assieme a Cooper, che razza di figura avrei fatto?
Il rumore dell'ascensore che iniziava a risalire mi fece sobbalzare e
scappai nel mio appartamento per richiudermi dentro, con la coda tra le
gambe. Ormai il danno era fatto e tanto valeva aspettare e vedere dal
vivo cosa sarebbe successo. Mi attaccai alla porta, quasi fosse un
ancora di salvezza, e rimasi ansiosamente in attesa, sbirciando
attraverso lo spioncino il pianerottolo ancora vuoto. L'ascensore
arrivò al piano con il solito leggerissimo ding e la grata
si
aprì. Uno stanchissimo Blaine arrancò fino alla
porta per
poi immobilizzarsi di colpo, con ancora il mazzo di chiavi in mano. E
lì anche il mio cuore arrestò la sua corsa, in
attesa di
un qualsiasi segnale da parte sua. Non seppi dire con precisione quanti
minuti rimase fermo ad osservare la porta tappezzata da post-it
colorati, forse solo pochi istanti, forse più di cinque...
solo
che all'improvviso molto lentamente avanzò verso la porta ed
allungò una mano per staccare uno dei tanti biglietti - uno
giallo, mi era parso - per leggerlo. Chissà
perché
proprio quello.
Forse perché
il giallo
canarino è il tuo colore identificativo, Kurt...
è con
quel colore che è iniziato tutto, così come il
fucsia
è di Blaine...
Dopo un'altra lunga pausa - Dio, morivo dalla voglia di sapere a cosa
diavolo stesse pensando - iniziò a raccoglierli tutti,
impilandoli ordinatamente l'uno sull'altro. A stento riuscii a
trattenermi dal ridere vedendolo saltellare appena per raggiungere i
post-it attaccati più in alto, ma mi coprii la bocca con la
mano
per non fare troppo rumore. Mi sentivo già uno spione a
starmene
lì ad osservarlo di nascosto, farsi anche scoprire mi
sembrava
davvero troppo. Una volta finito, quasi si fosse accorto della mia
presenza, si girò verso la mia porta e sorrise. Il suo
magnifico
sorriso da svenimento, rivolto verso di me, anche se a conti fatti io
ero protetto da uno spesso strato di legno ed acciaio. Tuttavia, lui
stava sorridendo perché aveva capito che quel gesto lo avevo
compiuto io - e chi altri se no? - e mi stava... ringraziando? Quindi
gli era piaciuto? Non avevo invaso la sua proprietà,
esagerando
ancora una volta? Beh, vederlo sorridere era un buon segno, soprattutto
perché, non sapendo di trovarmi a spiarlo dall'altro lato
della
porta, avrei dovuto immaginare che si trattasse di un sorriso spontaneo
e sincero, quasi fosse istintivo, quasi si trovasse da solo e fosse
inevitabile farlo.
Ed io di conseguenza sorrisi a mia volta, dimentico per un momento
della lunghissima giornata che avevo avuto, della precedente notte
insonne, della sfuriata che gli avevo fatto nel mio ufficio, della mia
cena bruciata, delle parole di Rachel, della chiacchiera con Cooper,
del nostro momento su quel dondolo. Tutto sparì nell'esatto
istante in cui i suoi occhi trovarono, per modo di dire, i miei,
dall'altra parte dello spioncino. Nonostante la barriera, riuscivo
perfettamente a sentirne l'intensità e forse anche un
pò
la sorpresa e la commozione. Tra l'altro, sembrava abbastanza
tranquillo, segno che lui e Cooper avessero chiarito, fortunatamente.
Magari prima di andare a lavoro avrei potuto lasciargli un post-it per
chiederglielo.
Sveglia, Kurt... li hai
finiti tutti grazie a questa tua idea geniale...
Divertito, mi morsi un labbro, e rimasi ad osservare la sua bellissima
figura, che per quanto stanca e visibilmente provata da una giornata
altrettanto lunga e sorprendente quanto la mia, rimaneva sempre una
splendida visione. Anche a quella distanza.
Dopo altri lunghissimi istanti lo vidi chiaramente sospirare e poi
aprire la porta e sparire all'interno dell'appartamento. Soddisfatto e
anche parecchio su di giri, saltellai fino alla mia camera -
sì,
saltellai - e mi fiondai sotto le coperte, colto da un attacco di
adrenalina allo stato puro. Non mi ero mai sentito così...
spiritato e in un certo senso mi facevo quasi paura da solo. Provai a
chiudere gli occhi, ma senza successo, ed iniziai a rigirarmi nel
letto, da una parte all'altra, fino a che, pancia rivolta al soffitto e
mani intrecciate sulla fronte non mi arresi: quella sarebbe stata
un'altra notte insonne, solo che, invece di passarla a piangere, avrei
cercato di decifrare quella sconosciuta ma piacevole fitta che
avvertivo allo stomaco tutte le volte che provavo a pensare a Blaine
Anderson.
|
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Capitolo 20 *** Il principe triste e l'ascensore malvagio ***
Ma
salve e buon inizio
settimana a tutti miei adorati cuccioli... dunque, il capitolo.. beh,
finalmente, dopo tre o quattro capitoli di tensione, riusciamo a
rilassarci un pò, ma non cullatevi troppo, perché
questa quiete non è destinata a durare in eterno ^^ Scusate
ma senza un pò di genuini guai non so stare XD Bene, come
avete già visto dall'immagine di ieri, ci saranno delle new
entry e questa volta non saranno soltanto nominate. Vi lascio alla
lettura, sperando di divertirvi un pò. Ringrazio come sempre
gli angeli che continuano a seguirmi e a recensire... siete magici *__*
Ci vediamo Giovedì. Bacini a tutti ;)
p.s.
Nonostante io le
abbia dato tipo diciotto personaggi da inserire in uno spazio a dir
poco minuscolo, lei (la sola ed unica Dan!) è riuscita a
farceli entrare tutti... sei il mio mito tesoro mio <3
n.b
Quest'oggi ho due
note di servizio. La prima è come al solito per ricordarvi
la mia pagina fb (Dreamer91).
La
seconda nota
riguarda una cosa, sempre annunciata su fb, che finalmente sono
riuscita a mettere giù.. si tratta, per chi non lo sapesse,
si una raccolta di Missing Moments di "Just a Landing" che ovviamente
tratteranno di tutti quei momenti che per mancanza di spazio non ho
potuto inserire, ma soprattutto (udite udite) ci sono anche narratori
differenti rispetto alla storia principale (Sebastian o Santana per
esempio). Per sapere l'elenco degli altri MM in programma, andate sulla
mia pagina fb, mentre se volete leggere il primo MM pubblicato, questo
è il link (Just
a Landing - Missing Moments). Adesso
vi lascio, che ho
parlato fin troppo... ciaoooo ;)
New York City. Ore 06.14 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)
Batteria
al 4%
"Maledizione...
ci
mancava il cellulare scarico!" borbottai poggiando il casco al manubrio
della moto e ravvivandomi un pò i riccioli che si erano
appena
ammaccati. Attraversai la strada ed entrai nel portone. Chiamai
l'ascensore e rimasi in attesa, lanciando occhiate furtive e disperate
verso lo schermo del mio povero telefono quasi sul punto di crollare
"Aspetta.." una voce mi chiamò, proprio mentre le porte
automatiche stavano per chiudersi, così misi un piede in
mezzo
per bloccarle. Il sorriso gentile di una ragazza asiatica mi accolse
all'istante
"Ti ringrazio... ho i surgelati nella busta e devo correre a casa. Non
vorrei che si rovinassero!" mi spiegò con voce gentile
"Ma figurati... in questa cabina ci andremmo comodi anche in dieci!" le
risposi facendole spazio. Lei era sul punto di dire qualcosa quando da
dietro alle sue gambe spuntò il sorriso furbetto di Lea
"Blaine!" gridò illuminandosi e correndomi incontro. Io mi
piegai sulle gambe per abbracciarla e venni letteralmente travolto
dalla sua esultanza. Della bambina timida del nostro primo incontro non
c'era più alcuna traccia
"Ciao, piccola. Che piacere rivederti!" le dissi stringendola.
Profumava di buono e i lunghi capelli castani erano sciolti sulle
spalle. Indossava un grazioso paio di pantaloncini rossi ed una
camicetta bianca a fantasia. Dovevo ammettere che sua madre aveva
davvero buon gusto, nonostante a primo impatto mi era sembrata
leggermente eccentrica.
"Blaine... i mostri con le zanne non ci sono più... sei
stato tu
non è vero?" domandò entusiasta staccandosi un
pò
dall'abbraccio. Con una mezza risata ricordai il gruppetto di ragazzi
con le creste ed i giubbotti di pelle, quelli che l'avevano tanto
spaventata, quelli che si erano lasciati corrompere con una semplice
banconota da cinquanta dollari. Falsa.
Speriamo di non
rivederli mai più, altrimenti quelli mi fanno il culo...
"Certo, principessa... te l'avevo promesso, no?" le dissi con un
sorriso e le feci perfino l'occhiolino che la fece ridere con
trasporto. Solo allora mi ricordai della ragazza che dall'alto ci
osservava stupita e anche leggermente confusa. Mi affrettai a
risollevarmi in piedi e sorriderle cordiale
"Che sciocco, non mi sono neanche presentato... Blaine Anderson!" e le
porsi la mano. Lei, spostando le ingombranti borse della spesa me la
strinse e mi sorrise
"Tina Cohen Chang. Sei il ragazzo che ha preso in affitto
l'appartamento dell'avvocato Fabray, non è vero?" mi chiese
mentre la piccola Lea alternava tra me e lei lo sguardo per seguire la
conversazione
"Esattamente. Ormai è quasi passato un mese!" ricordai,
vagamente sorpreso di come il tempo fosse assolutamente volato.
"E noi ci conosciamo soltanto ora... che tristezza!" mormorò
abbattuta, stringendo appena gli occhi. Stava per mettersi a piangere,
per caso? Oppure era la mia impressione?
"Già... tutta colpa della mia frenetica vita. Sono di corsa
anche adesso, in effetti!" esclamai lanciando un'occhiata al telefono.
Segnava già le sei e mezza. Dovevo darmi una mossa se non
volevo
trovare traffico ed arrivare tardi
Batteria al 3%
"E allora saliamo, dai... non ti faccio perdere altro tempo. Avremo
modo in futuro per parlare meglio!" e detto questo entrò
finalmente nella cabina - che durante la nostra piccola chiacchiera
aveva più volte tentato di richiudersi, sbattendomi sui
fianchi,
facendomi non poco male. Lea seguì la ragazza senza dire
nulla e si
poggiò alla parete della cabina lanciandomi un'occhiata
curiosa.
Io in risposta le feci l'occhiolino e lei, arrossendo, si nascose
meglio dietro le gambe di Tina.
"Che piano?" le chiesi
"Secondo!" mi rispose accarezzando distrattamente la testa della
bambina e premetti il pulsante. Sospirando mi resi conto che in meno di
un'ora mi sarei dovuto fare una doccia veloce, cambiare i vestiti,
portare Cooper a fare una passeggiata attorno al palazzo - dato che sia
Daniel che Sebastian quel giorno non avevano potuto per via degli
impegni lavorativi allo studio - e guidare fino al pub. Tutto questo
mentre il mio povero e distrutto cellulare caricava attaccato alla
corrente.
Batteria al 2%
Proprio mentre ero impegnato a cercare di tracciare mentalmente il
percorso più breve da far fare a Cooper per il rituale della
passeggiata, accadde qualcosa. La cabina dell'ascensore fece un brusco
movimento, facendoci sobbalzare e dopo un lungo e ben poco rassicurante
cigolio, si fermò. In un brevissimo e silenzioso istante i
miei
occhi e quelli di Tina si incrociarono. Un'atroce consapevolezza parve
colpire entrambi nello stesso istante, perché ci voltammo
quasi
simultaneamente verso la pulsantiera che lampeggiava freneticamente
"Cosa è successo?" domandò lei in un soffio
"Si è bloccato l'ascensore!" le risposi. Avvertii
chiaramente il suo respiro farsi pesante
"Che cosa?" strillò facendomi spaventare appena. Le lanciai
un'occhiata allarmata dato che la sua reazione mi era parsa un tantino
esagerata, ma senza dire nulla allungai una mano sulla pulsantiera per
premere il tasto del piano due. Ma fu inutile perché era
come se
quel rottame avesse esalato il suo ultimo respiro e si rifiutasse ormai
di ripartire.
Perfetto...
"Non va!" esclamai afflitto, passandomi una mano tra i ricci. Potevo
anche dire addio alla passeggiata con Cooper e alla mia rilassante
doccia. Venni nuovamente sorpreso dal verso spaventato della ragazza
che quella volta lasciò andare le borse per terra, che
caddero
con un tonfo sordo, e si strinse forte le braccia ai fianchi
"Non è possibile..." mormorò scuotendo la testa e
tremando appena. La guardai confuso, cercando di capire come mai fosse
così spaventata. Certo, rimanere bloccati nell'ascensore
poteva
essere davvero seccante, ma... non mi sembrava il caso di fare tutta
quella tragedia.
Certo, a meno che...
Mi avvicinai di mezzo passo mentre lei si poggiava con la schiena allo
specchio della cabina
"Ehi..." provai a chiamarla, ma lei sgranò gli occhi e mi
lanciò un'occhiata allarmata
"Come faremo ad uscire di qui?" domandò alzando ancora la
voce, gli occhi lucidi
"Ehm... stai tranquilla, ok? Adesso chiamiamo qualcuno!" cercai di
rassicurarla, recuperando immediatamente il cellulare dalla tasca della
giacca. Sconsolato guardai lo schermo dove una triste batteria rossa mi
informava che ormai rimaneva soltanto l'un percento di carica.
Titubante provai a comporre il numero di emergenza, incrociando le dita
e sperando che non decidesse di abbandonarmi proprio in quell'istante.
Ma nel momento esatto in cui portai l'apparecchio all'orecchio,
avvertii l'inconfondibile doppio bip. Allarmato guardai lo schermo dove
una mela argentata mi stava bellamente beffeggiando, decretando in
maniera definitiva la morte prematura del mio telefono
E al diavolo Steve Jobs.
Mi sei
costato quasi tre settimane di triplo stipendio, e mi abbandoni proprio
nel momento del bisogno? Ma vaffanculo, va!...
Grugnii infastidito buttandolo malamente nella sacca e rivolsi di nuovo
l'attenzione alla povera Tina, in preda al suo attacco di claustrofobia
"Ho il telefono scarico... posso chiamare dal tuo?" le domandai con
calma. Lei scosse la testa, stringendosi un labbro tra i denti,
tremando ancora visibilmente
"L'ho dimenticato... a casa!" mormorò affranta
E figurarsi...
"D'accordo... allora proviamo a suonare il campanello.. ci
dovrà
pur essere qualcuno a quest'ora nel palazzo!" provai ad essere
rassicurante, ma il suo colorito pallido non sembrava promettere nulla
di buono. Premetti il pulsante dell'allarme che risuonò
chiaramente nel portone e rimasi in attesa. Se qualcuno lo aveva
sentito, ci sarebbe venuto ad aiutare in breve tempo.
Sorrisi incoraggiante alla ragazza e lei tentò un sospiro,
chiudendo appena gli occhi. All'improvviso mi sentii afferrare la mano
e puntai gli occhi verso il basso
Oh cazzo... Lea...
"Che succede Blaine?" mi domandò confusa e per fortuna per
niente spaventata. Mi affrettai ad abbassarmi per avere gli occhi alla
sua altezza e provai a tirare fuori il tono di voce più
tranquillo che avessi in repertorio
Una ragazza
claustrofobica... una bambina di quattro anni.. un ragazzo
che ha fretta... davvero un ottimo trio...
"Nulla, piccola. Non devi preoccuparti, ok?" la rassicurai
accarezzandole una guancia
"Perché Tina sta piangendo?" domandò ancora
stringendo le
piccole labbra in una smorfia confusa. Lanciai un'occhiata verso la
ragazza asiatica che si affrettò a darsi un tono e ad
asciugarsi
le piccole lacrime trasparenti che le scivolavano sulle guance. Le
rivolsi un sorriso incoraggiante e tornai ad occuparmi dell'insistenza
di Lea
"Di un pò, principessa.. ti va di fare un gioco?" le
proposi,
tentando il tutto per tutto per distrarla. Lei si illuminò
all'istante e prese a saltellare sul posto come una molla
"Certo!" esclamò elettrizzata, così mi lasciai
scivolare
sul pavimento della cabina e le feci segno di sedersi sulle mie gambe.
Almeno Rachel non mi avrebbe ucciso se le avessi salvaguardato i
vestiti. Lei si accomodò guardandomi piena di aspettativa
"Allora... facciamo così... io inizio a raccontarti una
storia... ad un certo punto, però, mi bloccherò e
tu
dovrai continuarla per me. Poi quando vorrai sarai tu stessa a
bloccarti per farmi fare lo stesso!" le spiegai. Lei sorrise raggiante
sistemandosi meglio
"Ed è una storia inventata?" domandò curiosa
"Completamente inventata!" le confermai con un sorriso. Per fortuna
sembravo aver trovato la giusta strada per distrarla, così
lanciai un'occhiata divertita verso Tina che a sua volta era scivolata
a sedere accanto a noi e tentava perfino di sorridere,
benché
fosse ancora pallida e tremante. Lei mi fece un gesto con la testa,
quasi volesse ringraziarmi e le risposi strizzandole velocemente
l'occhio. Probabilmente in quella situazione io ero quello
più
spaventato di tutti: non perché soffrissi di claustrofobia o
fossi preoccupato per l'eventuale ritardo - Dio, Puck mi avrebbe
ucciso! - semplicemente temevo di non riuscire a tranquillizzare
né la piccola Lea né la povera Tina. Dovevo fare
l'uomo
della situazione, e tentare l'impossibile.
Guardai per un istante i vivaci occhietti castani di Lea, che per
fortuna sembrava non si fosse minimamente accorta del guasto
all'ascensore o della paura della sua baby-sitter, e quello parve darmi
coraggio, perché le sorrisi ed iniziai a raccontare
"Dunque... come sempre, c'era una volta, in un mondo tanto lontano, un
piccolo e bellissimo principe con i capelli dai riflessi dorati e due
meravigliosi occhi color del cielo, che, tuttavia era tanto triste. Il
piccolo principe viveva in un grande castello e aveva tanti amici ma
ogni giorno a fine giornata, rientrava nella sua camera ed iniziava a
piangere forte, tanto che i suoi bellissimi occhi azzurri diventavano
quasi di cristallo. I suoi genitori erano disperati, non sapevano
perché il loro prezioso bambino fosse così
infelice e
provarono ogni giorno ad organizzare per lui grandi feste a palazzo,
invitando tutti i suoi amici, con la sola speranza di farlo tornare a
sorridere. Ma lui continuava a piangere ogni notte, senza apparente
motivo!" raccontai con leggerezza, piegando appena la testa di lato e
- lo ammetto - forse un pò fantasticando. Gli occhietti di
Lea
erano attenti e curiosi e si imbronciò appena mentre
raccontavo
la mia storia inventata
Ogni riferimento a fatti
e persone è puramente casuale...
"Perché il piccolo principe è così
triste?" mi domandò corrucciata.
"Questo tocca a te stabilirlo!" le dissi con un sorriso divertito
pungolandole leggermente il nasino con l'indice. Lei si
illuminò
di nuovo
"Tocca a me?" domandò emozionata
"Certo.. a te le redini della storia!" le confermai e rimasi curioso in
attesa, mentre il suo piccolo cervellino pieno di fantasia, da far
invidia a chiunque, metteva in moto gli ingranaggi. Cosa non avrei
dato per poter controllare in quello stesso istante cosa stesse
succedendo lì dentro.
"Il piccolo principe era tanto triste perché voleva
innamorarsi!" esclamò lei, quasi fosse ovvio. Io le sorrisi
divertito ed annuii
"Mi sembra ragionevole!" acconsentii e perfino Tina
ridacchiò al nostro fianco
"Dunque dovremmo trovargli una principessa!" mormorai pensieroso, ma la
bambina si affrettò a scuotere energicamente la testa
"No!"
"No?" ero confuso
"Lui non vuole una principessa..." mormorò giocherellando
con un laccetto della mia felpa
"E cosa vuole?" le domandai sempre più curioso. Lei
sollevò gli occhietti vispi nei miei e mi sorrise serenamente
"Lui vuole un principe!" esclamò lasciandomi di stucco.
Chissà
perché, da una bambina così intelligente, me lo
sarei dovuto aspettare...
"Un principe?" domandai sorpreso, non riuscendo a trattenere un mezzo
sorriso divertito. Lei annuì con vigore per poi sorridere,
furbetta
"Per essere precisi.. un principe con i ricci neri e gli occhi dorati!"
specificò illuminandosi. E quella volta non mi trattenni,
scoppiai a ridere avvertendo il cuore battere frenetico nel petto,
quasi fosse estremamente emozionato. Un principe triste con gli occhi
azzurri che si innamora di un altro riccio con gli occhi dorati?
Davvero una gran bella
storia...
New
York City. Ore 7.45 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)
"No, David, te l'ho già detto due volte. Non ci
vengo a
Toronto
con te la settimana prossima. Ho un mucchio di lavoro da fare
all'agenzia e comunque Chang non mi darebbe neppure un giorno di
ferie!" borbottai per la terza volta alzando gli occhi al cielo,
esasperato e stanco. Ma ero io che non riuscivo a spiegarmi bene oppure
era lui che si ostinava a non capirmi?
Secondo te, Kurt?...
"Coraggio, Kurt.. tu non glielo hai neppure chiesto. Come fai a sapere
che ti dirà di no?" insistette. Trattenni a stento uno
sbuffo
esasperato. A volte sapeva davvero essere testardo. Peccato che questa
sua tenacia la riservasse solo per le questioni futili e mai per quelle
che riguardavano seriamente la nostra storia.
"Mi dirà di no, Dave, fidati di me per una volta. E comunque
adesso devo lasciarti. Sto per entrare in metropolitana e sai che qui
la linea casca continuamente. Ti chiamo dopo!" e senza neanche dargli
modo di rispondere misi giù. Sbuffai attraversando
l'incrocio
insieme ad altre venti persone. In realtà ero quasi vicino
casa,
e la metropolitana l'avevo abbandonata da un pezzo, da molto prima che
mi chiamasse. Ma non avevo voglia di mettermi a litigare con lui in
mezzo alla strada e se già meno di cinque minuti di
conversazione mi avevano fatto innervosire in quel modo, non osavo
immaginare cosa sarebbe successo se avessimo continuato.
Mi avvicinai, quasi correndo al portone, spinto dalla fretta di andare
a casa per liberarmi dei vestiti, che quel giorno mi sembravano
più stretti del solito. Strano che per un amante della moda
come
me, i vestiti fossero diventati una costrizione troppo grande da
sopportare. Prima, quando vivevo a Lima, avrei regalato il sangue pur
di poter indossare anche un capo tra quelli che ormai invadevano il mio
armadio. Ora che ne avevo la possibilità - sia economica che
lavorativa - preferivo di gran lunga la mia adorata tuta morbida e le
mie t-shirt senza marca. Un notevole cambiamento, non c'è
che
dire.
E quella non
è l'unica cosa che nella mia vita pare essere
cambiata da quando ero un semplice ragazzino gay dell'Ohio
occidentale...
Entrai nel portone sospirando felice e corsi a premere il pulsante di
chiamata dell'ascensore. Ma non successe nulla. Stranito provai ancora
e ancora, ma la macchina non accennava a muoversi. Così,
confuso,
lanciai un'occhiata alla grata, temendo che magari si fosse bloccato o
che qualcuno avesse inavvertitamente lasciato la porta esterna aperta
ad un piano. Come volevasi dimostrare, la cabina era bloccata
esattamente tra il primo ed il secondo livello e solo allora mi resi
conto della piccola lucina d'emergenza accesa nell'estremità
superiore della porta. Che qualcuno fosse rimasto bloccato dentro?
"C'è qualcuno nell'ascensore?" gridai allora per farmi
sentire.
Passarono alcuni lunghi istanti di silenzio, finché una voce
particolarmente familiare non mi arrivò
dall'internò
della grata
"Kurt, sei tu?" mi domandò la voce. Sgranai gli occhi
sorpreso
"Blaine?" domandai e guardai l'orario sul mio orologio al polso: erano
quasi le otto, cosa ci faceva ancora lì?
"Già... questo maledetto ascensore deve proprio avercela con
me!" borbottò divertito, facendomi sorridere. Incredibile,
trovava la voglia di scherzare anche in una situazione come quella
"Hai chiamato i pompieri?" gli domandai
"Magari... cellulare scarico!" sbottò comprensibilmente
seccato
"E hai suonato la campana d'emergenza? Non è venuto nessuno
a
salvarti?" lo canzonai divertito, mentre lentamente la rabbia verso
David iniziava a scemare. Come ogni qualvolta che nella mia vita si
intrometteva Blaine. I pensieri tornavano a farsi leggeri e gli occhi
brillavano, incatenati ai suoi. Anche se in quel momento non potevo
vederlo per colpa di quella maledetta cabina bloccata
"Sono lieto che tu ti stia divertendo così tanto, Hummel e,
credimi, se dipendesse da me, rimarrei in questa cabina anche fino a
domani... ma non sono solo!" mi rispose ridacchiando. Mi accigliai
immediatamente
"Chi c'è con te?" domandai allarmato.
"Tina!" mormorò sofficemente una voce femminile, che
riconobbi all'istante.
"E Lea!" le fece eco un'altra voce femminile, molto più
acuta e
vivace. Strabuzzai gli occhi e mi avvicinai di più alla grata
"Oddio... come state?" domandai immediatamente, con il cuore a mille.
"Finalmente ho la tua attenzione!" borbottò Blaine "Comunque
stiamo bene per fortuna. Nessun ferito grave e soprattutto... siamo
perfino riusciti a trovare un perfetto lieto fine per la nostra
storia!" e chissà per quale motivo ridacchiò
seguito a
ruota dalla piccola Lea, la cui risata si propagò per tutto
il
portone facendomi sospirare. Per fortuna Blaine sembrava essere stato
capace di tenerla buona e tranquilla. Aspetta di quale storia stava
parlando?
"Da quanto tempo siete lì dentro?" domandai allora
sconvolto.
Blaine normalmente rincasava verso le sei e qualcosa, e se anche quel
giorno lo aveva fatto... cazzo!
"Non saprei... saranno state le sei e mezza quando ci siamo bloccati.
Solo che adesso non ho idea di che ore siano!" esclamò.
Ecco,
come immaginavo.
"Sono le otto meno dieci!" gracchiai con un sorriso tetro. Ci fu un
lungo momento di silenzio, durante il quale trattenni volutamente il
respiro, aspettando la sua spropositata reazione. Il fatto che non
sembrasse arrivare, mi fece ben sperare
"Blaine... ricorda che c'è Lea accanto a te!" gli feci
presente
"Appunto per questo sono rimasto zitto, Kurt!" mormorò
sconvolto
per poi emettere uno strano lamento basso che mi fece ridacchiare. Per
fortuna sembrò non accorgersene
"Kurt, me lo faresti un favore?" mi chiamò dopo altri lunghi
istanti di silenzio
"Certo!"
Qualunque cosa...
"Saresti così gentile da chiamare il pub e avvertire Noah
che
faccio tardi stasera?" mormorò tetro probabilmente
passandosi
una mano sulla faccia. Me lo immaginavo stanco morto dopo dodici ore di
lavoro sfiancante, costretto per quasi un'ora e mezza in meno di tre
metri quadrati di ascensore. Con una bambina di cinque anni al seguito.
Doveva essere davvero esausto
"D'accordo... chiamo Santana che sarà sicuramente
lì con
Brittany!" lo avvisai e feci come gli avevo detto, avvisando la mia
amica che ovviamente era, neanche a dirlo, proprio al bancone del pub.
Mi passò il proprietario con la cresta, che
borbottò
qualcosa sul fatto che Blaine fosse un disgraziato e che la punizione
migliore per lui sarebbe stata quella di passarci l'intera notte chiuso
lì dentro. La risata di Brittany in sottofondo mi fece
intuire
che, forse, Noah stava soltanto scherzando. Dopo poco chiusi la
chiamata
e riferii tutto a Blaine
"Questa è la volta buona che mi licenzia!" si
lamentò e
subito dopo udii un tonfo sordo, probabilmente stava prendendo a
testate la parete della cabina per la disperazione. E Lea sembrava
apprezzare parecchio perché la sentii ridere contenta in
sottofondo
"Chiamo i soccorsi?" tentai allora, per risollevare un pò la
situazione
"Prova a bussare a Finn... l'ultima volta che questo affare si
è
bloccato, lui è riuscito a farlo ripartire. Magari ci riesce
anche questa volta!" esclamò Tina, parlando per la prima
volta
dopo tanto. Me l'ero quasi dimenticato che ci fosse anche lei
"D'accordo... corro a chiamarlo!" avvertii, salendo di fretta le scale
fino al terzo piano, mentre Blaine borbottava qualcosa sul fatto che a
quel punto neanche i trentamila dollari gli sarebbero bastati. Con il
fiatone mi fermai davanti alla porta di Finn e bussai insistentemente
al campanello. Certo era che, se davvero fosse stato a casa, avrebbe
dovuto sentire la campana d'emergenza suonare. E allora
perché
non era uscito a vedere cosa stava succedendo? Cosa aveva di
così importante da...
La porta venne aperta in un lampo che quasi mi fece sobbalzare e mi si
parò davanti una visione quasi sconvolgente: c'era Finn, nei
suoi spaventosi due metri, che mi guardava confuso e anche leggermente
assonnato, a petto vergognosamente nudo, con indosso soltanto un paio
di boxer blu e rossi in una curiosa fantasia. Mi mancò il
respiro per un paio di istanti
e subito la mia mente, forse per punirmi, mi ripropose una scena
simile, risalente a soli sei giorni prima, solo che ad accogliermi
sulla porta non c'era stato Finn, ma un ragazzo alto probabilmente la
metà, con stupendi occhi cangianti ed un sorriso da far
tremare
il sangue nelle vene. E a lui i boxer addosso stavano meglio. E
riempivano di più.
"Kurt!" mi salutò goffamente con un sorriso. Quel ragazzo
era
strano: a vederlo metteva quasi paura, ma quando apriva bocca, perdeva
ogni parvenza di minacciosità. Gli rivolsi un mezzo sorriso
"Ciao, Finn.. scusa se ti disturbo a quest'ora... ma avrei bisogno del
tuo aiuto!" esclamai risoluto. C'erano pur sempre una bambina di cinque
anni, una donna ed un probabile disoccupato nella cabina dell'ascensore
che fremevano per uscire. Dovevo essere sbrigativo
"Certo... dimmi pure!" acconsentì, infilandosi goffamente
una maglietta bianca
La sua era nera,
aderente, e maledettamente sexy...
"Ci sono tre persone bloccate nell'ascensore... mi chiedevo se
potessi..." ma mi bloccai, improvvisamente attirato da un movimento
alle spalle di Finn. Non potevo crederci.. era davvero...?
"Rachel!" sbottai sconvolto, mentre lei, rossa fino all'attaccatura dei
capelli si affrettava a sistemarsi la camicetta
"K-Kurt... cosa.. io... cosa ci fai qui?" mi domandò
abbassando
gli occhi e arrossendo ancora e probabilmente in un altro momento, e
con meno anime innocenti in pericolo, avrei indugiato un momento per
farle notare che era lei ad essere nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
Dio Santo... tua figlia
è bloccata nell'ascensore.. lo sai questo?...
Mi limitai a fulminarla malamente con gli occhi tornando a concentrarmi
su Finn e l'ascensore guasto
"Dicevo... ci sono tre persone bloccate nell'ascensore... potresti
aiutarmi a tirarli fuori da lì?" gli domandai secco,
iniziando a
provare anche un certo fastidio verso il ragazzo. Lui sbatté
le
palpebre confuso ma annuì con vigore
"Sicuro... basta salire in mansarda e azionare il meccanismo manuale.
Un gioco da ragazzi!" mi informò
Certo, un gioco da
ragazzi per te che hai ogni muscolo al posto giusto...
"Bene... e allora sbrighiamoci... c'è anche una bambina
lì dentro!" sentenziai acido, lanciando un'occhiataccia alla
mia
amica che cambiò drasticamente colore, sbiancando
all'istante e
sbarrando gli occhi, colta dal panico
"Lea!" mormorò quasi senza voce. Sospirai. Ok, forse non era
il
caso di farla preoccupare così tanto, benché non
si
meritasse la mia comprensione
"Tranquilla... ci sono Tina e Blaine con lei!" le dissi non riuscendo a
trattenermi dal sollevare un sopracciglio. Questo non bastò
a
tranquillizzarla, perché sgusciò tra Finn e me
fino alla
grata dell'ascensore
"Lea, tesoro!" la chiamò, quasi disperata
"Mamma!" rispose la bambina allegra e tranquilla
"Oh mio Dio.. amore mio... come stai?" domandò allarmata,
scendendo velocemente una rampa di scale per essere più
vicina
"Sto bene, mamma... mi sto divertendo così tanto qui con
Blaine.
Possiamo invitarlo al mio compleanno la settimana prossima, vero?" le
domandò candida ed innocente facendoci ridacchiare. Perfino
la
risata di Blaine mi arrivò chiara alle orecchie nonostante
il
metallo, il legno e il mezzo piano che ci separavano. Rachel scosse la
testa, appena divertita, mentre gli occhi le diventavano lucidi per
l'apprensione
"Certo tesoro... se Blaine non ha impegni!" rispose lei poggiando una
mano sulla pulsantiera per provare a chiamare la cabina che
però
ancora una volta rimase ferma
"Sarà un vero onore!" fece eco Blaine, forse sorridendo
allegro.
La fortuna aveva voluto che quella bambina e la sua povera baby-sitter,
avessero trovato un ragazzo d'oro a far loro compagnia e a distrarle.
Questo Rachel avrebbe dovuto saperlo appena possibile
"Ehm... credo sia meglio provare a muovere questo aggeggio...
altrimenti rimarranno lì tutta la notte!" esclamò
Finn
grattandosi la nuca ed indicando la cabina
"Mi sembra giusto... solo che io non credo di esserti utile... sono
stanco morto e, anche volendo, ho poca forza nelle braccia!" mormorai
afflitto sperando riuscisse da solo a tirarla su con il meccanismo
manuale. Lui fece una smorfia
"D'accordo... sarà difficile ma posso provarci!"
borbottò
poco convinto, e fece per avviarsi risalendo di nuovo le scale
"Aspetta..." lo fermò Rachel, come colta da un'illuminazione
improvvisa "Proviamo a vedere se gli Schuester sono ritornati a casa!"
e senza neanche aspettare la conferma, scese la restante rampa di scale
e si attaccò al campanello. Bastarono cinque secondi esatti
per
farsi aprire la porta
"Rachel... che succede?" domandò sconvolto William da tutta
quella fretta. Per fortuna, lui era completamente vestito e non aveva
nessun figlio dimenticato nella cabina di un infernale ascensore.
Rimase interdetto nel trovare sia me che Finn sullo stesso pianerottolo
e poco dopo alle sue spalle si affacciò anche Emma con il
suo
solito sorriso dolce e affettuoso
"Ti prego Will.. è un'emergenza... mia figlia è
rimasta
bloccata nell'ascensore e a Finn serve una mano per portare la cabina
al piano per aprire le porte!" spiegò lei agitata muovendo
convulsamente le mani. Ed ecco Rachel Berry trasformata repentinamente
da amante focosa a madre single e disperata. Completamente dimentica
delle sue amorose follie con l'atleta gigante. Sorrisi divertito,
cercando di non farmi vedere
"Oh Santo Cielo... la piccola Lea. É sola?"
domandò
apprensiva Emma portandosi una mano alla bocca. Fui io ad intervenire,
onde evitare che la drama queen per eccellenza rendesse la situazione
ancora più catastrofica
"Per fortuna no.. ci sono Tina e Blaine con lei!" spiegai e lei parve
tranquillizzarsi appena. William si affrettò ad afferrare
una
giacca - lui aveva la decenza di farlo, al contrario di Finn ancora in
mutande - e seguì il ragazzone velocemente al piano delle
mansarde. Emma uscì fuori sul pianerottolo con noi e
circondò le spalle di Rachel con un braccio per consolarla.
Io
mi limitai a sollevare un sopracciglio, curandomi di lanciare
un'occhiata di sbieco alla mia amica. In quello sguardo volevo
esprimerle tutto il mio disappunto e lei parve accoglierlo,
perché arrossì ancora ed abbassò la
testa.
Arriverà il
momento giusto per parlare, Berry... fidati...
Mi avvicinai di nuovo alla cabina bloccata per dare informazione ai
poveri e disperati occupanti
"Finn e William sono saliti ad azionare il meccanismo manuale.. tra
poco sarete fuori!" dissi, segretamente sollevato a mia volta
"Sia ringraziato il Cielo!" mormorò Tina, e sembrava
parecchio
scossa, pur non potendola vedere in faccia. Blaine rimase in silenzio
ed avvertii soltanto la vocina flebile di Lea che canticchiava qualcosa
in sottofondo. Sorrisi, felice per il fatto che Lea fosse una bambina
tanto forte da non farsi spaventare neanche per una situazione tanto
surreale come quella. A conti fatti quella più spaventata
sembrava proprio Tina. Che soffrisse di claustrofobia?
"Kurt?" all'improvviso la voce di Blaine tornò a farsi
sentire,
ed il suo sussurro, nonostante gli spessi centimetri di metallo e
acciaio che ci separavano, lo avvertii chiaro e limpido, trapassarmi
perfino la pelle. Rabbrividii appena, mordendomi un labbro in maniera
distratta
"Sì?" passò un lungo istante prima che parlasse
di nuovo
"Grazie!" mormorò soltanto, facendomi rabbrividire. Lanciai
un'occhiata verso le due donne sul pianerottolo, che sembravano troppo
impegnate in una lunga discussione sulla necessaria manutenzione
dell'edificio, per darci peso. Feci un lungo sospiro mentre un sorriso
tenero mi si apriva sul volto.
Dio, Blaine.. come fai a
farmi questo effetto?... Come ci riesci?...
"Non dirlo neanche!" risposi, avvertendo distintamente lo spasmodico
bisogno di distruggere quella cabina per portarlo in salvo,
possibilmente tra le mie braccia. Era sicuro: appena fosse uscito da
lì, lo avrei abbracciato, arrampicandomi a lui tipo koala
sul
ramo ed avrei nascosto il viso nell'incavo della sua spalla,
annusandolo avidamente. Poi probabilmente lo avrei afferrato per la
manica e lo avrei trascinato nel mio appartamento. Lì
avremmo
scaricato entrambi la tensione, nel migliore dei modi possibili e...
Un rumore metallico mi fece sobbalzare e sollevai lo sguardo verso la
cabina, visibile attraverso la grata. Stava iniziando lentamente a
scendere verso il primo piano, segno che William e Finn ci fossero
riusciti. Elettrizzato lanciai un'occhiata verso Emma e Rachel che
ricambiarono entusiaste, mentre la vocina di Lea gridava
"Si muove!"
Scendemmo di corsa al primo piano, dove con altri tre o quattro sbalzi
la cabina atterrò mollemente. Mi precipitai a scostare le
porte
automatiche che vennero via senza troppa fatica. All'improvviso,
finalmente, mi ritrovai un paio di occhi dorati - terribilmente
stanchi - fissi nei miei ed un timido sorriso aprirsi lentamente. Mi
mancarono un paio di battiti e per poco non svenni lì sul
posto.
Era ufficiale: il sorriso di Blaine Anderson mi aveva fatto uscire di
testa
"Ciao!" mormorò soffice, facendomi arrossire. Deglutii
faticosamente, in cerca di parole
"Ciao!" soffiai
Complimenti Hummel...
sei riuscito a tirare fuori almeno... un
saluto!... cos'è che volevi fare appena fosse uscito da
quella
gabbia infernale? Abbracciarlo? Ma se non riesci neanche a parlare...
Mi sorrise più apertamente e proprio quando ero davvero sul
punto di farmi avanti per stringergli le braccia al collo, qualcosa,
alto più o meno un metro, sgusciò in mezzo a noi
per poi
fiondarsi tra le braccia di Rachel
"Mamma!" gridò Lea felice e per niente scossa dalla recente
esperienza. La mia amica si inginocchiò, stringendola forte
e
chiudendo gli occhi. Stava piangendo disperata e per un attimo, uno
soltanto, mi sentii in colpa per averle lanciato tutte quelle occhiate
maligne. Era pur sempre una mamma eccezionale, anche se... quella
storia di Finn mezzo nudo e della sua camicetta sbottonata avrebbe
comunque dovuto spiegarmela prima o poi.
Mi feci da parte per far uscire sia Blaine che Tina, la quale era
più bianca del solito
"Oddio, cara... stai bene?" si preoccupò immediatamente Emma
facendosi avanti. Lei respirò a pieni polmoni per poi annuire
"Adesso sì.. ma devo ringraziare Blaine... è
stato
davvero incredibile!" mormorò leggera, lanciando uno sguardo
colmo di gratitudine verso il ragazzo che in quel momento
arrossì, e si portò una mano tra i ricci appena
sconvolti
"Ma figurati... non ho fatto niente di speciale!" disse imbarazzato,
accennando un sorriso. Mi morsi un labbro per contenere la mia reazione
emozionata
"Mamma... Blaine mi ha raccontato una storia.. una storia bellissima...
la vuoi sentire?" strillò la piccola saltellando per tutto
il
pianerottolo, sotto i nostri sguardi divertiti, facendo ridacchiare
perfino la madre
"Dopo, tesoro... me la racconterai con calma dopo!" le concesse serena,
accarezzandole la fronte e la piccola batté le mani
entusiasta,
mentre Blaine ridacchiava nervoso. Ancora? Ma che
diavolo di storia le aveva raccontato?
Lanciai un'occhiata interrogativa verso Blaine che si limitò
a
strizzarmi l'occhio, provocandomi un mezzo infarto. Il mio povero cuore
non avrebbe retto a lungo a causa sua. Dopo qualche altro istante
William e Finn ci raggiunsero al primo piano soddisfatti
"State tutti bene?" domandò il più grande con un
sorriso cordiale. Fu Blaine a parlare
"Certo e devo ringraziare voi per questo!" esclamò
avvicinandosi
"Blaine Anderson... felice di conoscervi finalmente!" ed
allungò
loro la mano che Will afferrò per primo con un sorriso caldo
ed
amichevole
"William Schuester.. e quella dietro di te è mia moglie
Emma!"
indicò la donna che sorrise gioiosa salutandolo con la mano
"Piacere di conoscerti Blaine!" esclamò infatti
quest'ultima,
affiancando il marito. Blaine sorrise loro e poi il suo sguardo si
spostò su Finn che lo guardava curioso
"Tu invece devi essere.."
"Finn!" esclamò subito l'omone avvicinandosi e -
probabilmente -
stritolandogli la mano. Lo dedussi dalla piccola smorfia di dolore che
Blaine provò malamente a celare "Finn Hudson!"
"Piacere di conoscere anche te Finn... e vi ringrazio per averci
aiutati!"
"Ma scherzi? É stato un piacere!"
confermò Will posandogli una mano sulla spalla
"Certo... avremmo preferito un'altra occasione magari per conoscerci!"
mormorò Emma sinceramente dispiaciuta
"Dobbiamo ringraziare l'ascensore maledetto, allora... ci ha permesso
di organizzare questa piccola riunione di condominio inaspettata!"
esclamai allegro facendo ridacchiare un pò tutti, perfino la
povera Tina, ancora pallida e scossa e Rachel che stringeva protettiva
le spalle della piccola ma sorridente Lea. La cosa più
importante era che lei stava bene e che soprattutto non si era
spaventata troppo. Il resto passava in secondo piano
Anche se... avverto
ancora il desiderio di abbracciare Blaine.. ma
quello sospetto non passerà mai.. almeno finché
non lo soddisfo,
certo...
All'improvviso, mentre William, Blaine, Emma e Finn si intrattenevano
in una conversazione tranquilla e cordiale, qualcosa di strano accadde.
Avvertii chiaramente alle mie spalle un catenaccio tirarsi e due o tre
mandate di una porta blindata aprirsi. Sconvolto mi girai nel momento
esatto in cui la porta si apriva lentamente e rivelava qualcosa, o
meglio qualcuno, che mai prima di allora avevo visto.
Oh mio Dio... Abrams...
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Capitolo 21 *** Il curioso caso di Artie Abrams ***
BuonSalve
a tutti, amori miei... sono di fretta, proprio come ieri
(finirò con l'impazzire, prima o poi) però due
cosette vorrei dirvele: uno, finalmente arriva anche quello strano
personaggio di Artie Abrams, adesso bisogna solo capire che tipo sia e
che rapporto possa istaurare con il resto dei condomini, che non lo
hanno mai davvero visto. Due, Blaine e Kurt... qualcuno mi ha detto che
adesso avrebbero bisogno di un pò di pace e
tranquillità... bene, in un certo senso è proprio
quello che vorrei anche io... cercate bene nel capitolo, leggete bene
tra le righe e probabilmente sarete accontentati e se posso darvi un
consiglio: preparatevi psicologicamente, a qualsiasi cosa questa pazza
autrice potrebbe avere in serbo per voi ^^ Bene, ci vediamo
Lunedì con il nuovo capitolo. Vi ringrazio come sempre tutti
dal profondo del cuore perché,. forse non ve lo dico
abbastanza ma... siete la mia forza, sempre! Non ho fatto in tempo a
rispondere a tutte le recensioni dello scorso capitolo, ma non temete.
Pubblicato questo, corro a rimediare, promesso :) Bacini baciotti :*
p.s.
Nonostante le avessi dato le immagini all'ultimo momento e soprattutto
le schifose foto che avevo scelto, lei (la unica e sola *__*)
è riuscita a tirare fuori questa meraviglia qui sotto. Alla
fine, nonostante tutto, penso sia una delle mie immagini preferite...
Love you Dan <3
n.b Soiliti link di
ordinanza: Pagina Facebook (Dreamer91) e la Raccolta di Missing
Moments, il cui secondo capitolo è in fase di lavorazione,
quindi abbiate fede ^^ (Just
a Landing - Missing Moments)
New York
City. Ore 08.40 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)
C'era stato un assurdo e
lungo momento di panico ed imbarazzo generale su quel pianerottolo.
Tutti erano stati bruscamente interrotti e strappati dalle loro
conversazioni amichevoli per voltarsi quasi in sincrono verso la porta
appena aperta e i loro occhi - inclusi i miei - si erano spalancati
increduli alla vista di quello che a conti fatti avrebbe dovuto essere
Abrams, l'inquilino senza volto del primo piano. Quello che non usciva
mai, che teneva sempre tende e serrande chiuse, che non faceva il
minimo rumore, né si era mai degnato di fare presente al
resto
del condominio che lui abitasse lì. E quella era la prima
volta
in cinque anni da quando abitavo al 2113 di Lower East Side, che lo
vedevo dal
vivo, in faccia. E la cosa che mi sorprese più di tutto, non
fu
il fatto di trovarlo sulla carrozzella e che quindi fosse palesemente
disabile - come diavolo faceva a vivere da solo in quelle condizioni? -
ma che in quel momento stesse osservando ognuno di noi con
un'espressione truce ed infastidita, quasi cercasse di fulminarci uno
alla volta.
"Oh Santo Cielo..." mormorò Emma dietro di me, probabilmente
dando voce allo sgomento generale. Ognuno in quel palazzo sapeva la sua
storia, e ognuno la ignorava allo stesso modo, perché lui
non si
era mai degnato di raccontarcela. Era l'emblema della riservatezza, ma
credevo fermamente che il suo atteggiamento sfociasse ampiamente nella
maleducazione.
Il silenzio generale si dilatò e mi ritrovai
inspiegabilmente a
fare mezzo passo indietro - dato che ero quello che a conti fatti gli
stava più vicino - e deglutii nervoso. Lui continuava ad
osservarci contrariato, da dietro la sua spessa montatura quadrata,
aggrappato ancora al legno della porta, quasi volesse sgretolarlo con
le mani. E finalmente, dopo attimi che parvero infiniti,
parlò.
E sentire la sua voce fredda e autoritaria fu davvero raggelante
"Qualcuno sa spiegarmi il perché siete tutti qui davanti
alla
mia porta a produrre rumore e ad invadere la mia personalissima
tranquillità?" domandò secco spostando
solennemente lo
sguardo da uno all'altro. Quando si posò su di me feci un
altro
mezzo passo indietro. Neanche a dirlo, nessuno trovò il
coraggio
di parlare, forse eravamo tutti troppo scossi ancora: il nostro vicino
misterioso aveva appena mostrato la faccia finalmente e avevamo capito
tutti quanti nello stesso momento quanto poco ci piacesse e quanto
scarsamente educato e gentile potesse essere. Sinceramente avrei
preferito continuare a vivere nell'ignoranza.
"Allora? Nessuno risponde? Cos'è... tutto ad un tratto avete
perso la vostra magica parlantina?" domandò avanzando appena
con
la sedia verso di noi. Con la coda dell'occhio vidi Rachel stringere di
più la presa sulle spalle della figlia ed arretrare
sensibilmente. Certo che era davvero strano l'effetto che la sua vista
avesse prodotto su di noi: ammutoliti ed immobili come mummie. E dire
che aveva ragione: fino a poco prima eravamo allegri e pimpanti, tutti
immersi in tranquille conversazioni.
Che poi... si può davvero dire che stessimo facendo casino?
In
fondo non sono neanche le nove, Abrams.. non ti sembra di esagerare?...
All'improvviso Blaine alla mia destra avanzò verso di lui,
emergendo dalla piccola folla e facendosi vedere ed io trattenni
inconsapevolmente il fiato. Ecco chi si sarebbe fatto avanti per
parlare. Chi si sarebbe immolato per la patria - o meglio, per il
condominio. L'unico che a conti fatti non conosceva Abrams, l'unico che
non provava timore.
L'unico incosciente del gruppo...
E per fermarlo, ormai era troppo tardi.
"Immagino sia colpa mia..." esclamò con un sorriso cordiale
- Oh
Blaine, il tuo sorriso questa volta non servirà proprio a
niente! - facendo un gesto di scuse con le mani. Abrams alzò
un
sopracciglio, congiungendo in grembo le mani
"E tu saresti?" domandò atono e fin troppo arrogante. Mi
sarebbe
venuta voglia di prenderlo a schiaffi, così.. davanti a
tutti,
solo per essersi rivolto a Blaine in quel modo. Repressi la tentazione
perché proprio non mi sembrava il caso. Blaine
sussultò
appena per l'aprezza del tono, ma si riscosse subito porgendogli la
mano e rivolgendogli un altro dei suoi sorrisi magici
"Blaine Anderson... abito al quarto piano da poco ma..." e Abrams non
solo non si sporse per stringergli la mano, ma lo congelò,
alzando appena la voce per sovrastare la sua
"Immaginavo fossi l'affittuario della casa dell'avvocato Fabray... dopo
la figlia viziata ed opportunista solo ad uno come te poteva dare
il suo appartamento!" sentenziò guardandolo dalla testa ai
piedi con
aria sufficiente. Mi si gelò il sangue. Uno come lui? Ma che
diavolo...
"Prego?" domandò Blaine piegando appena la testa di lato,
all'improvviso guardingo e per niente sorridente e cordiale come poco
prima. Abrams - che poi come diavolo si chiamava di nome quel tizio? -
lo ignorò tornando a concentrarsi su di noi. Su tutti e su
nessuno in particolare.
"Dunque, dato che, a quanto pare, sembra che nessuno prima d'ora si sia
sprecato nel rendervi note le regole della corretta convivenza civile,
credo tocchi a me farlo, per quanto la cosa, ve lo dico da subito, mi
infastidisca terribilmente!" esclamò aspro sollevando appena
la
testa, ancora più autoritario di prima. Sgranai gli occhi,
senza
parole
"Convivenza civile?" domandò Finn, forse trovando il
coraggio
per parlare, dopo che il ghiaccio era stato rotto da Blaine. Gli
occhietti di Abrams si spostarono fulminei su di lui e devo dire che mi
sorprese non poco la reazione di Finn: deglutii vistosamente e
sbiancò. Un ragazzo alto due metri che sbianca di fronte ad
un
altro bloccato sulla carrozzella. Era davvero il colmo.
"Sì, Hudson... convivenza civile. E credo proprio che tu sia
il
primo tra queste bestie non civilizzate ad averne bisogno!"
mormorò secco, accennando un sorriso tirato. Un sorriso che
metteva i brividi. Aspetta un attimo.. ci aveva davvero chiamati...
bestie non civilizzate? Ma dico, eravamo pazzi?
"Adesso basta... credo tu stia esagerando, Abrams!" esclamò
William avanzando di qualche passo per fronteggiarlo. Il ragazzo lo
guardò con eccessiva sufficienza, quasi cercasse di
ricordarsi
il suo nome, ma alla fine ridacchiò e non c'era la minima
ilarità nella sua risata.
"Esagerando?" domandò scandendo con calma ogni sillaba "No,
non
credo proprio!" e scosse la testa lentamente. Metteva una certa ansia
addosso, ma d'altronde quello lo avevo già immaginato prima
di
avere il dispiacere di incontrarlo di persona. Un uomo che viveva da
solo, isolato nel suo appartamento e che tagliava fuori volutamente il
meraviglioso e soleggiato mondo.. doveva per forza essere una persona
disturbata... e in quel momento ne stavo avendo la prova.
"Potrei fare, per ognuno di voi, un lungo elenco di trasgressioni e/o
atteggiamenti altamente reprorevoli sui quali in questi anni ho
lasciato scorrere pazienza e silenzio. Ma adesso, dopo oggi... beh,
credo sia il momento di dire basta!" la sua voce tornò
fredda,
quasi fin troppo dura e velenosa. Ed io mi ritrovai inspiegabilmente a
tremare. Ero intenzionato a fare un altro mezzo passo indietro, fino a
nascondermi dietro la schiena di qualcuno - magari di Finn, almeno si
sarebbe reso utile una volta tanto - ma non ce ne fu bisogno,
perché Blaine pensò bene di muoversi al mio
fianco e
sfiorarmi - non so se in maniera voluta o se per caso - la mano con la
sua. E quel contatto, che mi provocò una scossa elettrica da
diecimila volt, fu meglio di qualsiasi altra precauzione potessi
prendere.
"Sentiamo allora.. sono davvero curioso!" lo sfidò ancora
William e a me sarebbe venuta voglia di prenderlo a schiaffi. Che si
metteva a fare? Lo provocava? Si rendeva conto che su quel pianerottolo
c'erano ancora una bambina di quattro anni - che forse stava vivendo
un'esperienza ben più traumatizzante della corsa bloccata in
ascensore - e tante donne indifese? Gli scoccai un'occhiataccia, sicuro
che tanto, oltre a me, alle sue spalle, lo stessero facendo anche tutti
gli altri, inclusa sua moglie.
Abrams, piacevolmente sorpreso, accennò mezzo sorriso - il
sorriso del diavolo - e dopo un sospiro iniziò a parlare
"D'accordo allora... da dove iniziare?" fece un giro con gli occhi in
mezzo a noi fino a fermarsi su qualcuno alla mia destra. Seguii il suo
sguardo e vi trovai la povera Tina, immobile e pallida, ancora con i
postumi dell'attacco di claustrofobia di poco prima, che in quel
momento si ritrovò a sussultare sotto lo sguardo pressante
di
Abrams e si schiacciò maggiormente contro la grata
dell'ascensore. Per assurdo, immaginai che per lei fosse stato meglio
rimanere ancora bloccata in quel aggeggio piuttosto che essere la prima
a subire le ire di Abrams
"Dunque, mia cara ed insulsa Tina... tu e le tue stupide piante avete
seriamente messo a dura prova la mia pazienza negli ultimi anni... e
gradirei pertanto che, la prossima volta che ti trovi ad innaffiarle,
la loro
sudicia acqua non colasse sulle mie imposte. Perché non so
se te
ne sei accorta, ma avrei qualche problema ad alzarmi da questa sedia
per poterle ripulire!" esclamò acido e petulante. Dio,
avrebbe
davvero passato al setaccio ognuno di noi per farci una sfuriata? A me
cosa avrebbe detto?
Tina non rispose, colorandosi sulle guance ed abbassando la testa, fino
a nascondere gli occhi dietro la frangetta scomposta.
Maledizione.. alla fine non rimarrà nessuno di noi...
Il suo sguardo passò impassibile dall'altro lato del
pianerottolo fino a fermarsi su Rachel che ricambiò lo
sguardo
con altrettanto odio, e strinse ancora di più a
sé Lea, che
alzò gli occhietti confusi su di lei
"Rachel Berry..." mormorò lui piegando la testa di lato ed
indugiando appena con lo sguardo sulla piccola Lea
"Abrams!" rispose lei ad eco
"Ignoro quali siano le reali motivazioni che hanno spinto una ragazza
della tua età a ritrovarsi già madre di una
bambina
così grande... e sinceramente non mi interessano!"
esclamò sorridendo falso come una banconota da tre dollari
ed
avvertii chiaramente lo stomaco torcersi per il ribrezzo.
"Ma permettimi di ricordarti che qualsiasi cosa tu abbia dovuto
sopportare per colpa sua, questo non ti giustifica e non ti esonera
dall'impartirle la giusta educazione!" sentenziò stringendo
i
pugni sulle gambe e assottigliando lo sguardo. La reazione da parte
nostra fu di generale sgomento, ma quella di Rachel.. no, la sua
reazione fu rabbia nera allo stato puro
"Ma come osi, tu razza di..."
"La sento gridare ad ogni ora del giorno, non contando tutte le
volte che l'ho perfino sentita piangere durante la notte alla disperata
ricerca di chissà cosa che tu ovviamente ignoravi. Io
personalmente non ho nulla contro i bambini, ma se c'è una
cosa
che non sopporto è la maleducazione... e credimi, Berry...
tua
figlia è davvero molto maleducata!" il suo tono era qualcosa
di
indescrivibile. Come diavolo faceva a parlare di una bambina di quattro
anni in quel modo? Come faceva a rivolgersi ad una donna usando tale
cattiveria? E poi cosa diamine si stava inventando? Io avevo
l'appartamento di Rachel esattamente sotto il mio ed ero senz'altro
più vicino rispetto a lui, e mai avevo sentito la bambina
gridare, soprattutto di notte. Si potevano trovare tante cose che nella
vita di Rachel Berry non andavano per il verso giusto, ma il fatto che
non avesse insegnato l'educazione a sua figlia o che di conseguenza non
fosse una buona madre, non rientrava affatto in una di
queste.
"Ritira immediatamente quello che hai detto!" lo minacciò
lei,
scostando la figlia per avvicinarsi, ma la bloccai in tempo, prima che
si avventasse su di lui, livida in volto e tremante di rabbia.
Provò a divincolarsi ma Blaine venne in mio aiuto e la
strinse
allontanandola, mentre lei gridava ogni tipo di improperi verso lo
squallido sentenziatore che in quel momento sogghignò
"Certo.. questo spiega tante cose in effetti!" mormorò
indicandola per poi scuotere la testa e spostare la sua attenzione
verso qualcun altro. Su Finn in particolare
"Hudson... come ti ho detto tu sei il peggiore tra tutti... sei
rumoroso, sciocco e maldestro... e non hai il minimo pudore... e ne ho
avuto la conferma stasera, dato che te ne vai tranquillamente girando
per il palazzo mezzo nudo, sventolando davanti all'intero condominio le
tue assurde ed infantili mutande disegnate!" sputò acido
facendo
impallidire il povero Finn, che riacquistando un pò del suo
pudore, si allungò la maglietta sulle gambe, per coprire i
boxer
colorati. Ok, avevo anche io avuto da dire qualcosa sul suo
abbigliamento prima, ma di certo non avevo usato tutta quella
cattiveria, né tanto meno gli avevo dato dello sciocco. E
perché diavolo non reagiva? Perché rimaneva in
silenzio a
subire? Lui probabilmente era l'unico che poteva sperare di incutere un
pò di sano terrore in quell'uomo sulla sedia a rotelle,
eppure
rimaneva fermo, immobile con la sua t-shirt quasi del tutto slabbrata
ormai, ad incassare insulti al cherosene. E la cosa peggiore fu che
sapevo perfettamente che prima o poi sarebbe arrivato anche il mio turno
"E poi ovviamente abbiamo la nostra famigliola felice... i coniugi
Schuester... con i loro parenti ficcanaso ed insolenti dagli assurdi
capelli rossi e il rubinetto della loro cucina sempre aperto a scorrere
e consumare acqua. Mi chiedo cosa diavolo ci facciate e quanto siano
alte le vostre bollette! Immagino sia davvero un tormento per voi
sopportare un pò di polvere o di
sporcizia, dico bene?" provocò apertamente la povera Emma
che
boccheggiò sconvolta.
Sapevo perfettamente che lei soffrisse di qualche disturbo, una qualche
forma di fastidio cronico verso lo sporco, gli acari e quant'altro, ma
nonostante questo con me, quella donna era sempre stata magnifica.
Sempre con un dolce sorriso sulle labbra fin dal primo giorno in cui
aveva bussato a casa mia con un piccolo cesto di muffin e dei graziosi
guantini colorati alle mani. Era stato in quel momento che avevo
iniziato a capire quale fosse il suo problema, ma nonostante questo le
avevo sorriso calorosamente, le avevo stretto la delicata mano con la
mia e l'avevo perfino invitata ad entrare per un thé, e la
successiva mezz'ora mi aveva fatto conoscere una persona splendida,
umile ed innamorata follemente del suo uomo, che ci aveva poi raggiunto
circa mezz'ora dopo. E Abrams stava davvero giocando sporco in quel
momento tirando fuori la storia dell'acqua e della sporcizia.
Perché evidentemente sapeva e se sapeva, allora era davvero
un
grande stronzo. Ed Emma non se lo meritava
"No, Abrams, questo non te lo permetto!" intervenne allora Will
scaldandosi, ma lui al contrario di Rachel, forse perché era
effettivamente più maturo e di natura più pacato
e
tranquillo, non scattò verso di lui, si limitò a
minacciarlo con un dito teso e il volto contratto in una smorfia di
fastidio. Abrams sollevò un sopracciglio, sfidando
apertamente
il povero Will, magari sperando che facesse qualche gesto avventato: a
conti fatti, da qualsiasi punto di vista si osservava la situazione,
sarebbe comunque stato un uomo alto e forte, contro un ragazzo magro e
disabile e neppure la migliore corte statunitense avrebbe parteggiato
per William Schuester. Così lui inghiottì il
rospo e si
limitò a raggiungere la moglie ancora sconvolta e stringerle
un
braccio attorno alle spalle, protettivo.
Gli occhi di Abrams si spostarono finalmente su di me, ma con mia
grande sorpresa, riuscii a tenergli testa, fulminandolo a mia volta
"Coraggio.. sputa fuori la tua sentenza!" lo sfidai "Sono proprio
curioso di sentire cos'hai da dire!" lui sussultò appena,
perché forse non si aspettava reagissi in quel modo e a
dirla
tutta neanche io me lo aspettavo. Forse avevo preso coraggio dopo tutte
le insulse critiche che avevo sentito negli ultimi minuti, per tutte le
reazioni che c'erano e non c'erano state, per la bile che sentivo
premere in gola, o forse per quella calda e morbida mano di Blaine che
continuava a sfiorare la mia quasi fosse una piuma ad accarezzarmi
"Se speri che mi renda ridicolo, tirando in ballo la tua
sessualità, ti sbagli di grosso, Hummel... per me sei libero
di
portarti a casa chi ti pare!" mormorò stringendo appena gli
occhi ed io sollevai un sopracciglio sorpreso e scettico. Portarmi a
casa chi mi pare? Ma per chi diavolo mi aveva preso?
"Ma una cosa che mi infastidisce profondamente c'è, e
riguarda
quell'energumeno rozzo ed infantile del tuo ragazzo!" sputò
velenoso protendendosi appena verso di me. Sbiancai di colpo,
avvertendo il cuore nel petto rallentare la sua corsa. Il mio... cazzo,
David!
"Gradirei che tu gli facessi presente che il parcheggio per disabili
qui sotto, non è riservato alla sua macchina, per quanto mi
rendo conto che lui rientri perfettamente nella categoria di persone
soggette a disturbi della psiche, ma... per quanto mi riguarda, la sua
fottuta automobile può anche parcheggiarla nel culo
gigantesco
che si ritrova. E quando ti capita fagli i miei più vivi
complimenti per la sua vivida e solenne educazione: non ricordo
esattamente quali siano stati i colorati insulsi che mi ha rivolto la
prima ed unica volta in cui mi sono permesso di farglielo presente,
ma... ti assicuro, Hummel, che erano davvero molto variegati e
fantasiosi!" e mi rivolse un sorriso tirato ed acido che mi fece
arrossire fino alla punta delle orecchie. David parcheggiava l'auto nel
posteggio riservato ai disabili? Mmm chissà
perché non
faticavo a crederlo: tipico di lui in effetti. E perché
diavolo
dovevo prendermela io la ramanzina per lui, per la sua sfacciata
maleducazione, per la sua arroganza, per la sua innata presunzione?
Dio...
"E per finire... ci sei tu..." il suo sguardo acido e superiore si
spostò su Blaine che trattenne il respiro ed io lo feci
insieme
a lui
"Blaine Anderson!" biascicò studiandolo attentamente dalla
testa
ai piedi, quasi avesse davanti un assassino o un qualsiasi altro tipo
di delinquente. E quella sua presunzione mi fece rivoltare di nuovo lo
stomaco per la rabbia
"Ci mancavi soltanto tu per completare l'allegro condominio... devo
dire che adesso siamo davvero al completo!" constatò
congiungendo di nuovo le mani in grembo. Blaine al mio fianco
ridacchiò, cogliendo tutti alla sprovvista
"Fatti sotto, amico... puoi dire tutto quello che ti pare... le tue
frasi da perfetto cattivo da film degli anni trenta, faranno paura agli
altri, ma non
a me. Quindi... colpisci pure!" esclamò, quasi divertito,
incrociando le braccia al petto e rimanendo in attesa. La sua
tranquillità mi fece quasi sorridere. Non lo stava sfidando
come
avevo fatto io, ma stava optando per una strada molto più
sottile: lo prendeva deliberatamente in giro e quello parve fare ancora
più effetto. Abrams tremò appena, livido di
rabbia e
quando parlò la sua voce si fece ancora più alta
e cattiva
"Fai poco lo spiritoso, ragazzino viziato ed insolente. Tu sei proprio
la classica persona che io detesto: il tuo bel faccino pulito non mi
incanta, sai? Lo sento, che tutte le notti torni tardi, alcune volte
all'alba, magari ubriaco fradicio o fatto di chissà quale
sostanza illegale, dopo esserti divertito a spendere in qualche
squallido bar i soldi che il tuo adorato paparino ricco ti spedisce
ogni mese. É comodo vivere alle spalle degli altri, non
è
vero? Con qualcuno che lavora al posto nostro mentre noi siamo liberi
di divertirci ogni sera in un modo diverso. Beh sei capitato nel
quartiere sbagliato, Anderson... quelli come te dovrebbero prendere
casa nel Bronx e non a Manatthan, tra la gente che si fa il culo
così ogni giorno per sopravvivere!" inveì
concitato contro di
lui, mentre una inquietante vena gli si gonfiava sul collo ed assumeva
gradualmente una tinta sempre più marcata di rosso. E fu
lì, in quel momento, su quel pianerottolo, insieme ad altre
sette persone ammutolite e scioccate, che io, Kurt Hummel, dopo
un'intensa giornata di lavoro, una discussione con il mio ragazzo
maleducato e una scioccante visione delle mutande di Finn Hudson, non
ci vidi più.
"Cosa cazzo ne sai tu? Cosa sai tu della sua vita, della nostra vita,
se l'unica cosa che riesci a fare nella tua è startene
chiuso
come un appestato in questo squallido appartamento buio, lontano dalla
civiltà senza un solo valido motivo per farlo? E credimi,
avrai
anche passato le peggiori cose del mondo, ma non sei nessuno per
giudicare noi... per giudicare un ragazzo di venticinque anni che si
sveglia ogni mattina alle quattro, probabilmente mentre tu progetti la
conquista del mondo o Dio solo sa cos'altro, per andare a lavorare, per
andare a guadagnare quei soldi che il suo paparino non ricco non
può affatto mandargli. E non sorprenderti se torna tardi la
sera
per dormire alla fine soltanto un paio di ore a notte,
perché
l'alcool non c'entra un bel niente.. lui e.. noi, al contrario
tuo,
viviamo... mandiamo avanti le nostre vite come è giusto che
sia
e di certo sento che nessuno di noi ha mai fatto qualcosa di tanto
grave da meritarsi tanto odio e disprezzo da parte tua.. da parte di un
ragazzo cattivo ed arrogante che l'unico lusso che si permette nella
sua vita è quello di sparare a zero sulle persone senza
averle
mai conosciute o aver provato a farsi conoscere a sua volta. Quindi
scusami, mio caro Abrams, se adesso non riesco più a stare
zitto
e sento l'incontenibile desiderio di parlare e buttarti in faccia
finalmente dopo cinque anni tutto quello che ho trattenuto verso
di te!" dissi con un solo lungo fiato, probabilmente diventando rosso a
mia volta ed avanzando di qualche passo, mentre la paura verso di lui e
la sua maledetta aurea negativa, sparivano di colpo. Ne avevo
abbastanza di lui, della sua voce, delle sue insinuazioni, della sua
fastidiosa saccenza. Adesso avrebbe dovuto tacere ed ascoltarmi.
Perché quello che avevo da dire non riuscivo più
a
trattenerlo.
Lui sbiancò di colpo, finalmente colpito e senza riuscire a
replicare. Avvertivo uno strano moto di orgoglio misto a furia cieca
attraversarmi il petto e tutto il coraggio che avevo nascosto, venne
fuori, assieme alle parole
"Le vedi tutte queste persone, Abrams? Queste sono uomini e donne
straordinari che io, al contrario tuo, ho avuto modo di conoscere e
potrei stare qui sino a domani mattina ad elencare per ognuno di loro
le cose migliori che tu non potrai mai arrivare a capire!" esclamai
infervorato e carico come una molla "Quella ragazza, per esempio..." ed
indicai la povera Tina che sussultò appena spaventata
"Quella
ragazza è la persona più dolce ed educata che io
abbia
mai conosciuto. Non ha mai fatto male ad una mosca, nonostante abbia
tutti i diritti di avercela con il mondo dato che per tutta la vita
è stata costretta a fare i lavori più umili per
tirare
avanti, dato che a quanto pare viviamo ancora in una società
razzista ed ipocrita e i suoi tratti orientali valgono più
di
qualsiasi curriculum vitae!" vidi chiaramente la povera Tina deglutire
ed abbassare la testa imbarazzata. Sapevo quanti sforzi avesse fatto
per trovare lavoro e quanti altrettanti ne facesse ogni giorno per
mantenerlo, quindi doveva soltanto essere fiera di se stessa e sputare
in faccia a tutti quelli che, come Abrams, la disprezzavano senza alcun
valido motivo
"E vogliamo parlare di Rachel invece? Tu non hai idea di quale peso sia
stato per lei portare avanti da sola una gravidanza all'età
di
vent'anni, eppure lei, senza chiedere l'aiuto di nessuno, ce l'ha fatta
e sta crescendo sua figlia nel migliore dei modi, senza farle mancare
l'affetto e le attenzioni che si merita... facendo alla piccola Lea
contemporaneamente da madre e da padre. L'educazione per lei
è
sempre stata alla base di ogni cosa, te lo dice uno che la conosce
quasi fosse una sorella, e ti assicuro che non ho mai sentito una sola
volta Lea gridare durante il giorno o la notte... quindi suppongo che
tu ti sia inventato questa assurdità!" feci con un gesto di
stizza mentre Rachel mi guardava grata e appena commossa, prendendo in
braccio la figlia per stringerla a sè.
Abrams continuava a starsene muto e immobile, con le mani giunte in
grembo e la faccia livida
"E per quanto riguarda Finn... credimi la sua gentilezza e la sua
purezza in ogni cosa che fa, compensano di gran lunga i ridicoli abiti
che indossa in questo momento. Prima quando si è trattato di
tirare fuori delle persone dall'ascensore, non ha esitato neanche per
un istante... e credimi, sarebbe stato capace di azionare il meccanismo
manuale anche da solo se fosse servito a qualcosa. Quindi permettimi di
dirlo... Finn Hudson è tutto tranne che sciocco...
è
molto intelligente ma soprattutto ha un cuore enorme che tu non meriti
di scoprire!" aggiunsi riacquistando lentamente una strana calma che,
ammetto, faceva sinceramente più paura della rabbia di poco
prima. Finn mi sorrise timido e mi fece un gesto imbarazzato, a
mò di ringraziamento. Avevo davvero appena difeso un uomo di
due
metri? Ah però... ero forte dopotutto.
Abrams quella volta provò a parlare ma io alzai la mano e lo
bloccai prontamente
"Non ho ancora finito!" gli feci presente secco e risoluto, lo stesso
tono che aveva osato usare contro di noi fino a poco prima
Cosa c'è, amico... adesso che i ruoli si sono invertiti...
non ti senti più a tuo agio?...
"William ed Emma invece, per quanto mi riguarda, sono l'emblema
dell'amore e della perfetta coppia felice... io sinceramente non riesco
a trovare niente che non va in loro, neppure nei loro parenti dai
capelli rossi, come li chiami tu, perché se ti prendessi la
minima briga di conoscerli li troveresti semplicemente un pò
pazzi, ma estremamente gentili e simpatici!" e poi indicai Emma in
particolare, mentre William la stringeva fiero tra le braccia "E quella
donna... è dolce, è premurosa ed estremamente
gentile con
tutti... e credimi anche a me non piace vivere nella sporcizia, come
tutti del resto, eccezion fatta per te probabilmente!" e gli rivolsi un
sorrisetto acido indicando l'appartamento buio alle sue spalle.
Avvertii chiaramente le risate distese di Finn e William mentre Rachel
mormorava un "Prendi questa!" sottovoce.
Abrams sbuffò pesantemente ma non disse nulla, limitandosi
ad
alzare il mento in un gesto fiero e a sfidarmi con lo sguardo.
Oh, mio caro... mi hai istigato... adesso ti prendi tutte le
conseguenze...
"Per quanto riguarda me... o il mio rozzo ragazzo... beh, quella
probabilmente è l'unica cosa sulla quale posso darti
ragione.
Purtroppo a David mancano le più elementari forme di
galanteria
e buone maniere ma credimi che se mai dovesse tornare a farmi visita,
gli dirò personalmente di venire in metro, oppure di
parcheggiare la macchina da un'altra parte. Anche se sarei sinceramente
curioso di assistere ad un'altra conversazione tra te e lui... immagino
cosa ne uscirebbe dallo scontro di due teste dure come le vostre!" e
sorrisi ancora, sempre più divertito, scatenando un'altra
leggera
ondata di risate, alle quali quella volta, si unirono anche Rachel e
Tina. Blaine al mio fianco continuava a rimanere in silenzio.
"E per finire... ribadisco ciò che ho detto prima su
Blaine...
lui non è affatto l'ubriacone viziato che hai volgarmente
descritto tu. É un ragazzo diligente e con la testa sulle
spalle
che ogni giorno, per citare le tue finissime parole, si fa il culo
così con ben tre lavori diversi, che deve sopportare
sacrifici
immani per tirare avanti e che non ho mai sentito lamentarsi da quando
lo conosco. Quindi, Abrams, mi dispiace per te ma il suo posto
è
esattamente questo e questo
è il quartiere in cui si merita di
abitare. Non so invece, se posso dire lo stesso di te, a questo punto!"
mormorai stringendo gli occhi, mentre lui sbuffava con il naso e
lentamente, cogliendo tutti alla sprovvista di nuovo, iniziò
ad
indietreggiare sulla sedia fino a chiudere sonoramente la porta, di
nuovo rintanato nel suo personale rifugio militare.
Rimanemmo senza parole per alcuni secondi, io ancora carico di
adrenalina e un pò deluso per il fatto che lui non mi avesse
neanche dato la soddisfazione di rispondere - anche se immaginavo che,
data la sua reazione, le mie parole fossero state particolarmente
incisive ed inaspettate per lui. Poi però, Rachel
pensò
bene di rompere il nuovo silenzio sceso sul pianerottolo, con una calma
quasi impressionante
"Emma... mi faresti un favore?" domandò ed io mi girai
curioso a
guardarla. Era stranamente allucinata e preoccupatamente vigile e
attenta. Immaginavo fosse sul punto di fare qualcosa di molto sciocco,
ma d'altronde.. come biasimarla? Io quella volta non l'avrei di certo
fermata. Emma le si avvicinò e lei le passò la
piccola
Lea che si strinse perfettamente in braccio a lei
"Le copriresti un istante le orecchie, per piacere? Ho come il sospetto
che quello che sto per dire vada contro ogni principio basilare
dell'educazione!" mormorò, atrocemente divertita, mentre
Emma
confusa annuiva e tappava le orecchie della piccola come le era stato
detto
"Rachel... cosa vuoi fare?" le domandò Finn spaventato,
mentre
lei avanzava spedita verso la porta ormai chiusa di Abrams. Prese un
lungo respiro, dandoci le spalle e all'improvviso scattò:
diede
un forte calcio al legno della porta, provocando un profondo rumore
quasi spaventoso, che fece tremare le griglie dell'ascensore e
rimbombò in tutto il palazzo. Sgranai gli occhi scioccato
mentre
lei, indispettita, colpiva la porta ancora e ancora. Alla fine, dopo
una
lunga sfuriata di calci - almeno dieci - ed aver sensibilmente
ammaccato il legno nella parte inferiore, diede un pugno altrettanto
forte e gridò
"Fottiti Abrams... con tutto il cuore!" e soddisfatta girò i
tacchi e ci sorrise
"Dunque... dove eravamo rimasti? Ah sì... stavamo dicendo
che
dovevamo festeggiare il salvataggio degli ostaggi dell'ascensore... a
casa di chi la organizziamo questa cena?" e noi, neanche a metterci
d'accordo, scoppiammo a ridere. Trascinando inconsapevolmente anche la
piccola Lea, ignara dello sfogo della madre, che corse ad abbracciare
la sua forte e coraggiosa Rachel Berry.
New
York City. Ore 09.30 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)
Circa mezz'ora più tardi ci ritrovammo tutti insieme
nell'appartamento di Kurt - dopo aver tirato a sorte tra tutti, escluso
quello di Finn che, a detta del proprietario, era un vero inferno - per
mettere su una cena alla meglio e festeggiare per essere sopravvissuti
all'ascensore e alla sfuriata colossale
all'arrogante Abrams del primo piano. Ancora stentavo a credere a
quello che era successo su quel pianerottolo poco prima. Mi sembrava
una specie di sogno oppure un incubo davvero molto divertente sotto
molti punti di vista. E pensandoci, sarebbe stato carino rifarlo...
certo, senza la storia degli insulti.
Avevo chiamato Puck, dopo aver recuperato un caricabatterie per il mio
defunto telefono, e lui si era dimostrato fin troppo felice della mia
assenza: a quanto pareva, Santana si era offerta di sostituirmi
cantando sul palco e dalle urla e dagli schiamazzi che avvertivo in
sottofondo, stava riscuotendo parecchio successo. Noah mi aveva perfino
suggerito di non tornare più. In quel momento presi
però
la sua risata affettuosa come prova che stesse soltanto scherzando.
"Tutto bene?" mi chiese Kurt, materializzatosi improvvisamente al mio
fianco, proprio mentre mettevo giù il telefono e scuotevo la
testa divertito. Mi lasciai scappare una mezza risata
"Era Noah... a quanto pare la tua amica modella, minaccia seriamente la
mia permanenza al pub!" esclamai
"Santana?" chiese confuso. Annuii e gli spiegai velocemente cosa mi
aveva detto Puck e lui alla fine sembrò particolarmente
sorpreso
"Non sapevo che Santana cantasse!" mormorò
"Credimi, è stata una fortuna che sapesse farlo, almeno la
punizione di Puck sarà meno letale!" borbottai non riuscendo
a
nascondere un piccolo sorriso.
Lanciai un'occhiata al salotto di Kurt, affollato: c'erano William e la
moglie Emma, Finn - che per nostra immensa fortuna, era andato ad
indossare una
maglietta più civile
ma soprattutto, un paio di pantaloni - Tina che aveva
finalmente
riacquistato un pò di colore e perfino il sorriso e per
finire
c'erano Rachel e la piccola Lea, la quale in quel momento giocava
allegramente con Cooper che Kurt mi aveva fatto prelevare dal mio
appartamento.
"É una riunione di condominio... è giusto che ci
sia
anche lui!" aveva detto ed io ero corso a prenderlo, scatenando poi
l'immensa gioia della bambina i cui occhi si erano riempiti di una luce
magnifica che aveva perfino fatto commuovere sua madre.
Era davvero strano, perché la maggior parte di quelle
persone le
avevo conosciute meno di un'ora prima, ma mi ci trovavo già
così bene, così a mio agio con ognuno di loro e
poi...
finalmente ero entrato nell'appartamento di Kurt... da quando abitavo
lì, non era mai successo e a pensarci era davvero strano:
abitavamo così vicini, ci eravamo legati molto, e poi...
beh,
era successo quello che era successo ed io non avevo mai visto casa
sua. Dovevo dire che mi piaceva molto come aveva arredato tutto: era
sobrio, elegante e molto ordinato - tutto il contrario di casa mia, per
intenderci - e poi tutta quella gente metteva una strana allegria
addosso, che non seppi spiegare. Emma si era proposta per cucinare
qualcosa ed io mi ero subito offerto di aiutarla: stranamente tutti mi
avevano guardato scettici e Finn aveva perfino detto che l'ultima volta
che un uomo aveva cucinato per lui, aveva passato tutta la notte al
pronto soccorso. Per mia fortuna, Kurt era venuto in mio soccorso ed
aveva assicurato tutti che sapevo cucinare perfettamente, che lui
stesso aveva provato e che era
rimasto piacevolmente colpito. In quel momento non mi era sfuggita
l'occhiata maliziosa di Rachel e il sorrisetto di Emma, ma provai ad
ignorare per non mettere ancora di più in imbarazzo Kurt,
già di colore scarlatto.
Che poi, se ci pensavo, quella era la seconda volta che venivo difeso
da lui nella stessa serata, e di certo la prima era stata senza dubbio
migliore della seconda: quell'Abrams mi aveva attaccato, accusandomi di
essere un ubriacone ed un ragazzino viziato - io! - ma lui non era
riuscito a sopportarlo e lo aveva attaccato in un modo che mai avrei
immaginato. Certo, oltre a me aveva anche difeso tutti gli altri
condomini, spendendosi in meravigliose parole per ognuno di loro,
però... ripensare a quello che aveva detto su di me, ai suoi
occhi seri e concentrati mentre inveiva verso quel ragazzo.. mi faceva
stranamente e piacevolmente contorcere lo stomaco.
E non dimenticare che
l'altro giorno ti ha riempito la porta di post-it...
Era la fame a farmi
quell'effetto? L'adrenalina post-ascensore? La rabbia che lentamente
defluiva dopo la scenetta squallida al primo piano? Oppure dipendeva da
quel ragazzo dagli occhi color del cielo, che in quel momento mi
guardava di sottecchi dal salotto, facendo finta di niente, mentre io
ero intento a condire la carne per la cena?
La fame... sicuramente la fame...
"Dunque... in quanto adulto con più anni alle spalle
rispetto a
tutti voi altri... mi sento in dovere di alzare il calice per dire due
parole!" esclamò William, alzandosi dal tavolo apparecchiato
-
sul terrazzo, neanche a dirlo - e sorridendoci. Ognuno di noi prese il
proprio bicchiere e rimase in attesa. Si schiarì la voce e
parlò
"Prima di tutto ringraziamo il proprietario di casa per averci ospitati
tutti per questa magnifica serata... Kurt... hai una casa magnifica!"
mormorò facendo un gesto verso di lui, che
arrossì appena
ma accettò i complimenti con un gesto del capo ed un sorriso
radioso
"Grazie a voi per essere qui!" rispose e Rachel al suo fianco si sporse
per abbracciarlo brevemente
"Secondo punto all'ordine del giorno.. questo cibo... io conosco la
cucina di mia moglie e la raccomanderei volentieri e ad occhi chiusi ad
ognuno nella contea, ma, Blaine..." fece un gesto vago verso la tavola
che fece ridacchiare tutta la tavolata, incluso me "Ti conosco da poco
e già penso di adorarti!" e qualcuno in fondo al tavolo
applaudì - Tina, seguita dalla piccola Lea. Mi alzai per
fingere
un mezzo inchino
"Ti ringrazio William... e sai.. dopo che mi hai tirato fuori dalla
cabina infernale... penso di adorarti anche io!" esclamai divertito,
strizzandogli l'occhio "E adoro anche te Finn... quando... sei
interamente vestito!" aggiunsi, facendo arrossire il ragazzone e scatenando
un'altra ondata di risate.
"Io credo proprio che da domani prenderò soltanto le scale!"
affermò Tina scuotendo la testa, attraversata da un brivido
di
panico
"Siamo in due!" mormorai accodandomi e tornando a sedermi, neanche a
dirlo, accanto a Kurt che mi sorrise e mi fece di nuovo torcere lo
stomaco.
La fame... decisamente la fame...
"Detto questo immagino che tutti vi troverete d'accordo con me sul
fatto di ignorare deliberatamente le critiche di un insulso ragazzino
disturbato, e di dedicarci esclusivamente a noi, agli amici e ai nostri
amori!" e accennò un sorriso verso Emma che
ricambiò
dolcemente. Kurt aveva ragione: erano l'emblema della coppia felice
quei due e non riuscivo a non provare affetto ed un pò di
invidia nei loro confronti. Istintivamente spostai gli occhi su Kurt,
e mi sorpresi di ritrovarlo a scrutare la coppietta con una strana
espressione pacifica ed adorante. Che lo stesso pensiero stesse
attraversando anche lui?
"Buon appetito!" annunciò allora William risedendosi e
decretando l'inizio della cena. Sospirai felice, accarezzato dolcemente
dalla brezza leggera di New York, mentre una allegra conversazione tra
Finn e Kurt, sull'importanza di indossare le giuste mutande in
pubblico, ci allietava e ci faceva sorridere. Non ricordavo neppure
quando era stata l'ultima volta che mi ero sentito così bene
e
rilassato. Probabilmente neanche durante una cena con Daniel e
Sebastian era mai successo. E da cosa dipendeva?
Dal sorriso dolce di Emma che spiegava a Tina con cosa avesse fatto la
salsa di condimento per l'insalata? Da Tina che avevo scoperto avere un
sorriso timido ma molto tenero? Da William che si era mostrato cordiale
e molto arguto mentre raccontava della sua classe di spagnolo
all'università di Rhode Island? Da Finn che, passato
l'imbarazzo
per le mutande disegnate, si era preso Lea in grembo e le stava
insegnando a piegare un tovagliolo di carta per formare una barchetta?
Da Rachel che li osservava con gli occhi umidi e brillanti? Dal piccolo
Cooper che saltellava e scodinzolava da una parte all'altra del
terrazzo, abbaiando contro un paio di zanzare notturne? Oppure dal
ragazzo bellissimo e con la risata cristallina che mi stava seduto
accanto e che ogni tanto, forse involontariamente, sfiorava il mio
ginocchio con il suo, scatenandomi i brividi per tutta la schiena?
Aveva un profumo bellissimo ed io perché diavolo me ne
accorgevo
solo allora?
No, lo so da un sacco di
tempo... ma solo ora è diventato talmente tanto esplicito da
non poterlo più ignorare...
Mi agitai sulla sedia, urtando senza volerlo la sua coscia e avvampando
all'istante. Lui si girò a guardarmi e mi fece uno strano
sorriso per poi tornare a concentrarsi sulla conversazione gastronomica
di Tina ed Emma. Avevo bisogno di alzarmi da quella maledetta sedia e
soprattutto spostarmi da lui. Così mi alzai e chiesi
timidamente
di andare in bagno e lui dopo aver ridacchiato annuì
"Immagino tu sappia dove sia!" mormorò divertito facendomi
arrossire ancora di più. Scappai letteralmente dentro
l'appartamento e mi rifugiai in bagno, da dove le chiacchiere degli
altri mi giunsero attutite. Sospirai lentamente passandomi una mano tra
i ricci sconvolti e mi chiesi cosa diavolo mi stesse succedendo.
Perché mi sentivo così strano e maledettamente
agitato?
Perché ero arrossito così intensamente e il cuore
sembrava aver preso vita propria nel petto? Inspirai ed espirai un paio
di volte per calmarmi e all'improvviso mi diedi dello stupido: ero nel
bagno di Kurt, il ragazzo che sembrava destabilizzarmi e stordirmi come
mai mi era successo prima, e stavo respirando la sua aria, il suo
profumo che riempiva placidamente ogni angolo calpestabile della casa.
Come pensavo di poter riacquistare la ragione se continuavo a vagare
nel suo mondo, nella sua realtà? Dovevo allontanarmi, dovevo
tornarmene a casa mia e pensare finalmente a cosa mi stesse succedendo.
Mi guardai distrattamente allo specchio: lo avrei fatto? Avrei trovato
il coraggio?
Frustrato al massimo recuperai il telefono dalla tasca dei jeans ed
inviai velocemente un messaggio. C'era solo una persona che in quel
momento poteva aiutarmi
*Cosa succede se ti
rendi conto che
non sei più padrone delle tue reazioni e soprattutto del tuo
cuore, mentre sei davanti ad un'altra persona?*
inviai con un sospiro e rimasi in attesa. Scrutai lo spazio, finemente
arredato, gli asciugamani verde acqua appesi un pò ovunque,
le
spazzole sulla mensola dello specchio, l'armadietto semi-aperto dal
quale si intravedevano decine di creme e prodotti per la cura estetica,
carta igienica con le margherite - Dio, Kurt.. fai sul serio? - e cosa
più importante... la sua cabina per la doccia. Senza
pensarci mi
avvicinai lentamente al vetro opaco e scrutai all'interno: come avevo
immaginato su una piccola mensoletta all'interno c'era un flacone di
bagnoschiuma pieno fino a metà. Deglutii, lanciando
scioccamente
un'occhiata verso la porta chiusa e allungai la mano per prenderlo. Me
lo rigirai più volte tra le mani - muschio bianco e talco -
e fu
quasi uno shock vedere come fosse relativamente facile per il mio
pollice
scivolare fino in cima e sollevare il tappo e quanto ancora
più
facile fosse per il mio naso avvicinarsi ed inspirare.
Cazzo se è
buono...
Il familiare cinquettio del telefono mi fece sobbalzare così
il
bagnoschiuma mi cadde per terra in un rumore sordo e maledettamente
colpevole, per mia fortuna senza fare danni. Lo rimisi al suo posto,
lanciando un'altra occhiata alla porta ancora chiusa e mi affrettai a
controllare il messaggio appena arrivato
*Significa che sei
atrocemente fottuto!*
Deglutii a vuoto, improvvisamente la gola secca. E in preda al panico
mi passai di nuovo la mano tra i capelli, liberandomi del telefono -
sarebbe stato meglio lasciarlo spento! - e lavandomi le mani in fretta
e furia per ritornare sul terrazzo con gli altri.
"Eccolo che torna dalla sua missione segreta!" esclamò Finn,
notevolmente più gioviale rispetto a prima, facendo
ridacchiare
tutti quanti e arrossire me. Gli rivolsi un mezzo sorriso
dopodiché tornai a sedermi accanto a Kurt che mi
guardò
con un sorriso curioso e maledettamente dolce
Sei atrocemente
fottuto...
La serata trascorse abbastanza tranquilla, fino a che Lea non si
addormentò in braccio a Finn e allora Rachel
decretò
giunta l'ora per ritirarsi. Ci fu il momento per i saluti calorosi e
vivaci di tutti: Finn mi abbracciava stritolandomi quasi; William con
una pacca amichevole mi invitava a passare da loro qualche volta per
mettere ancora alla prova la mia cucina; Tina mi aveva ringraziato
ancora calorosamente con un profondo inchino per averla distratta in
ascensore durante il suo attacco di claustrofobia; Emma mi sorrideva e
mi stringeva la mano con la sua, perfettamente fasciata da un guantino
colorato molto grazioso; e per finire Rachel, con in braccio la piccola
Lea, che si era avvicinata per darmi un bacio sulla guancia e si era
attardata per sussurrarmi all'orecchio
"Credo proprio che Kurt abbia bisogno di una mano per lavare i piatti..
ci pensi tu?" e mi strizzò l'occhio, facendomi di nuovo
arrossire. Ma nonostante tutto, rimasi davvero, mentre Kurt richiuse la
porta dietro la piccola folla appena uscita dal suo appartamento e lo
guarai fisso, in piedi in mezzo al salotto con le mani nelle tasche dei
jeans. Lui si girò verso di me e mi sorrise
"Davvero una bella serata, non trovi?" mi domandò sereno.
Annuii
"Già... davvero una bella serata!" ripetei non riuscendo
neppure
a mascherare il fatto che fossi completamente incantato dai suoi occhi
chiari e limpidi. Rimanemmo a guardarci a vicenda per un lunghissimo
istante, senza dire nulla, senza neppure muoverci. Ma alla fine ci
pensò Cooper a risvegliare entrambi, perché
quella
piccola peste pelosa iniziò ad abbaiare insistentemente
verso
una lampada del soggiorno e vi si avventò contro, facendola
cadere
"Cazzo Cooper!" lo sgridai rincorrendolo immediatamente, ma lui fu
più veloce e si fiondò sotto il divano per
nascondersi
"Sei un combina-guai... quante volte devo dirti che non si aggrediscono
gli oggetti di arredo? Che figura mi fai fare?" lo sgridai ancora,
accucciandomi sul pavimento per cercare di tirarlo fuori da sotto il
divano ma lui abbaiò testardo e si spostò
tranquillamente
più in fondo. Ringhiai infastidito, chiudendo gli occhi.
Quel
cucciolo era impossibile. Da quando era diventato così
disobbediente? La risata di Kurt mi colse di sorpresa e mi fece tremare
lo stomaco. E per fortuna gli davo le spalle
"Non sgridarlo, Blaine... non ha fatto niente di terribile!" mi
ammonì divertito, rimettendo la lampada al suo posto e come
se
avesse capito, Cooper abbaiò in risposta
"Con te facciamo in conti dopo!" borbottai per poi risollevarmi e
fronteggiarlo di nuovo. Bene, adesso nessun cucciolo imbranato ci
avrebbe distratti. Eravamo solo io e lui. Io, lui e il suo profumo di
talco e muschio bianco. Io, lui e i suoi occhi azzurri. Io, lui e la
maledetta voglia di baciarlo.
Sei atrocemente
fottuto...
"Ehm... bene.. io ecco... sarà meglio che vada a liberare il
tavolo e fare i piatti se non voglio ridurmi a farlo domattina..."
esclamò con mezzo sorriso timido e le guance leggermente
rosse,
quasi avesse corso. E fu lì, che dopo tutta l'ansia e la
frustrazione accumulate, i suoi continui sfioramenti con il ginocchio,
il bagnoschiuma, il messaggio di Sebastian, la battuta di Rachel, i
disastri di Cooper e i suoi maledetti occhi luminosi e attenti, mi
ritrovai a parlare, ancora una volta prima di aver seriamente pensato.
"Ti do una mano io!"
Sì... sono
decisamente e atrocemente fottuto...
|
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Capitolo 22 *** Rompere gli schemi ***
Buon
Lunedì a tutti e buon inizio settimana e... buon giorno di
aggiornamento ^^ Dunque, oggi non voglio parlare troppo (sì,
dico sempre così e poi..) anche perché credo che
molti di voi avranno letto lo spoiler e quindi saranno in ansia e
vorranno leggere il capitolo, probabilmente non avrete neppure letto
questa nota quindi io sto in pratica parlando da sola, ma va bene
così XD però una cosa fatevela dire... questo
capitolo va maneggiato con cura e la direzione declina ogni
responsabilità sulle eventuali reazioni che potreste avere
(svenimento, vomito, voglia incontrollata di uccidere l'autrice)
ricordate solo che io una sono, e se mi uccidete... beh, niente storia
^^. Buona lettura angeli miei e come sempre... vi ringrazio dal
profondo del mio piccolo cuore <3
p.s.
Questa immagine ha fatto furore... e la mia adorata Dan ci ha messo
l'anima e si vede... ehhh.. dall'essere un'immagine senza senso
è diventata un altro piccolo capolavoro ed io ormai non ho
più parole per cui... GRAZIE DAN <3
n.b. I soliti contatti:
pagina Facebook (Dreamer91) raccolta Missing Moments
(Missing
Moments)...
New
York City. Ore 11.39 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)
Mani che corrono veloci
e bocche che si cercano e corpi che scivolano ardenti e passionali
l'uno sull'altro. Un piacevole calore che si irradia dal basso per via
del continuo sfregamento e ancora le labbra che si chiudono morbide sul
collo, per succhiarlo e marchiarlo, mentre altre labbra si aprono in
contemporanea per emettere soffici ed erotici gemiti profondi. Dio, che
piacere indescrivibile e che suoni meravigliosi. Ma sono io ad
emetterli? Oppure è qualcun altro? Ah, ma chi se ne
frega...
sono
meravigliosi ed armonici e questo mi basta per adorarli. Sento il
calore al ventre aumentare a dismisura, quasi fosse un autentico
crescendo, quasi andasse semplicemente in un'unica direzione, verso
l'alto, verso la soddisfazione, ed io sento di volerla raggiungere,
sento di voler raggiungere il culmine e sento di volerlo fare assieme a
colui il quale si sta muovendo in sincrono con me, assecondando le mie
spinte ed i miei gemiti. Ma proprio mentre mi sento sempre
più
vicino ad esplodere, ecco che sposto lo sguardo fino ad incrociare i
suoi occhi, le pupille dilatate per l'eccitazione e il piacere fin
troppo vicino, e proprio in questo momento mi rendo conto che quegli
occhi sono davvero di uno strano colore... troppo simile.. all'oro...
"Kurt... hai capito quello che ti ho detto?" una voce alle mie spalle
mi fece sobbalzare e il piatto che stavo lavando distrattamente, mi
cadde nel lavandino facendo un baccano assurdo ma per fortuna non si
ruppe. Mi girai verso la voce e lì trovai gli stessi occhi
dorati del mio momentaneo sogno ad occhi aperti e di conseguenza
arrossii violentemente.
Cazzo...
"Ehi.. tutto bene?" mi chiese avvicinandosi e posando sul ripiano
accanto a me i bicchieri sporchi. Io strinsi con forza il labbro tra i
denti e recuperai il piatto per riprendere a tenermi occupato con le
mani e la mente
"C-certo!" borbottai incerto, facendomi rabbia per la mia
stupidità che non aveva né limiti né
tanto meno
pudore. Cosa cazzo mi mettevo a pensare? Su cosa fantasticavo? Su me
e.. Blaine.. nudi insieme a... Dio...
"Dove posso metterla l'insalata che è avanzata?" mi chiese
mentre vagava per la cucina con la ciotola tra le mani. Le sue mani...
me le ricordavo perfettamente addosso a me, sulla mia pelle, ed erano
così calde e morbide, quasi fossero un guanto di velluto e
la
cosa più eccitante di tutte era che scorrevano senza sosta
su e
giù, su ogni parte del mio sensibilissimo corpo...
"Su tutto il corpo!" sospirai beato, chiudendo appena gli occhi. Il
silenzio attorno a me fu davvero troppo strano e mi fece scattare un
campanello d'allarme nella testa: aspetta... cosa cazzo era successo?
Mi girai molto cautamente verso Blaine e quasi mi prese un infarto nel
vedere la sua espressione: aveva gli occhi sgranati, e mi guardava
quasi avessi appena detto chissà cosa di assurdo
Ma certo che ti guarda
così,
idiota che non sei altro... stavi pensando a te e lui nudi assieme, e
tutto ciò che pensi ti si legge in faccia...
"Eh?" mi chiese confuso piegando la testa di lato
"Eh?" gli feci eco io, con la voce stridula, come quella di una
ragazzina. Lui scoppiò a ridere indicando la ciotola che
aveva
tra le mani
"Strano posto per mettere l'insalata, non trovi?" domandò
divertito per poi aprire il frigorifero e decidere infine di lasciarla
lì dentro. Sbuffai tornando a concentrarmi sui piatti.
Dannazione, che fine aveva fatto tutto il mio adorato autocontrollo e
cosa diavolo mi era preso poco prima, quando mi ero messo a
fantasticare così spudoratamente su di lui? Era la
frustrazione
sessuale a farmi quegli scherzi? Era il fatto che in fin dei conti
David ed io, litigando costantemente, non avessimo neanche
più
tempo per.. scopare? Oppure dipendeva da lui? Dai suoi maledetti occhi
cangianti e gioiosi che in quel momento erano fissi su di me -
dannazione, li sentivo perforarmi la schiena - mentre io cercavo in
ogni modo di ignorarlo. Era dal momento stesso in cui ci eravamo seduti
uno accanto all'altro a tavola che avevo iniziato ad avvertire una
strana scarica elettrica andare e venire direttamente dal suo corpo e a
poco era valso il leggero ed occasionale contatto che avevo volutamente
cercato attraverso i fugaci sfioramenti con le sue gambe sotto il
tavolo. Anzi, a pensarci.. avevano solo peggiorato la situazione. Ed io
mi sentivo letteralmente andare a fuoco. Avrei preferito che se ne
fosse andato insieme a tutti gli altri, abbracciando il suo adorato
cucciolo-vandalo, e lasciandomi a rimuginare solo nel mio piccolo
incendio a cercare di spegnere magari da solo le fiamme. E invece ora
lui si trovava a casa mia, nella mia cucina, praticamente da qualche
parte dietro di me, intento a scrutarmi ed io avevo un fastidiosissimo
ed ingombrante problema in mezzo alle gambe che reclamava
urgentemente la mia attenzione.
Dannato sogno erotico...
"Kurt...
smetti di
strofinare quel piatto.. è pulito e finirai con il
consumarlo!"
mi ammonì dolcemente allungando una mano verso il mio
braccio e
sfiorandomelo appena. Io per la sorpresa, sussultai e feci scivolare di
nuovo il piatto nel lavandino, quella volta scheggiandolo. Perfetto, ci
mancava solo quello. Da quand'è che ero diventato
così
maldestro? E perché diavolo sentivo la pelle bruciare dove
la
sua mano mi aveva toccato? Perché l'incendio non si era
affatto
spento, ecco perché.. anzi, divampava e acquistava
intensità mano a mano che il tempo passava. E l'atmosfera si
faceva sempre più insopportabile.
Morte per
autocombustione... interessante...
Sentii Blaine sospirare lentamente al mio fianco, mentre si poggiava
con un lato del corpo al mobile per trovarsi a pochi centimetri da me.
Mi immobilizzai di colpo e smisi di respirare
"Mmm.. io
e te
però così non possiamo sperare di andare avanti!"
mormorò quasi sconsolato, una nota di leggero panico nella
voce.
Io provai a girare gli occhi verso di lui, ma il massimo che riuscii a
fare fu scorgere appena il profilo della sua fronte e qualche ciuffo
riccio ribelle
Quei capelli... Ci passerei le mie mani seduta stante...
"Ah no?" feci io con la gola secca, anzi per rimanere in tema,
letteralmente in fiamme
"No!" rispose lui in un sussurro roco. Mmm.. dovevo ammettere che
faceva un certo piacere constatare che eravamo entrambi nella stessa
situazione precaria. Forse allora l'elettricità e la
tensione
non li avvertivo soltanto io. E chissà se anche lui aveva
qualche piccolo problemino alle basse sfere...
Kurt.. per
carità di Dio..
cosa ti metti a pensare?... Ti rendi conto in che situazione assurda vi
siete cacciati tu e il tuo amico vicino?...
Presi aria e finalmente chiusi il rubinetto e mi allungai ad afferrare
un asciugamano. Dopodiché con altrettanta lentezza mi girai
verso Blaine, imitandolo nella posizione e poggiai anche io un fianco
al lavello. Ora eravamo davvero troppo vicini ed il mio corpo fremeva
il contatto. Un solo piccolo centimetro in meno e lì sarebbe
scoppiato l'incendio vero e proprio.
"Suggerimenti?" domandai con tono lascivo. Ma porco cazzo, cosa diavolo
mi mettevo a fare? Lo provocavo? Flirtavo con lui? Buttavo benzina sul
rogo?
Poi non ti lamentare se
rimani scottato, Kurt...
Blaine sollevò un sopracciglio, piacevolmente sorpreso e
accennò un sorriso
"Io un'idea ce l'avrei ma..." iniziò, indugiando, molto
probabilmente di proposito, con lo sguardo sulle mie labbra. Me le
umettai quasi inconsapevolmente, facendolo sussultare.
"Ma?" lo incalzai in un fremito. Ma quale gioco ci eravamo
messi a
fare? Eravamo entrambi vigili e all'erta, forse entrambi consapevoli di
quanto fosse fine la corda sulla quale stavamo camminando in
equilibrio. Ed ero sicuro che questa si sarebbe spezzata
all'improvviso, mietendo un sacco di vittime. Lui si
avvicinò
impercettibilmente, sfiorandomi un ginocchio con il suo, e fu per me
un'altra scarica diritta al ventre
"Ma... credo che il tuo fidanzato non gradirebbe!" mormorò
con
un sorriso mite, ma appena sporcato da qualcosa di più
profondo
e maledettamente eccitante. Era un sorriso sexy, maledizione e lui lo
stava rivolgendo a me. E cosa diavolo c'entrava adesso David?
Perché sbucava fuori nei momenti meno opportuni?
Cazzo... prima a
telefono gli ho detto che lo avrei richiamato.. si incazzerà
come una iena, me lo sento...
Inchiodai gli occhi ai suoi, e ne lessi perfettamente lo stesso tipo di
desiderio che aleggiava nei miei, ma senza ombra di dubbio, fu la sua
lingua a convincermi, quando lascivamente passò ad
accarezzargli
un labbro, lenta e maledettamente erotica, facendomi contorcere lo
stomaco e non solo quello. E lì dichiarai iniziato il
finimondo.
Mi sporsi verso di lui ed annullai la distanza, premendo freneticamente
le labbra sulle sue in una ricerca particolarmente disperata di calore.
E trovai esattamente ciò che tanto bramavo: il suo
meraviglioso
sapore, la cosa più sensuale, autentica, erotica e
fottutamente
piacevole del mondo. Non c'era niente e nessuno che lasciava addosso la
stessa sensazione delle meravigliose labbra di Blaine Anderson. E Dio
se sapeva come usarle. In quel preciso momento, le aveva appena
dischiuse e mi aveva accarezzato il labbro inferiore con la punta della
lingua, lingua che io con un gemito di benvenuto, accolsi allegramente.
Era passata una settimana e, nonostante quello che fosse successo, la
lite e i casini combinati da suo fratello, ci trovavamo nella stessa
identica
situazione: io che lo assalivo come un affamato e lui che mi
assecondava. Sarebbe finita allo stesso modo? Aspetta... avevo nella
credenza la farina per fare i pancakes?
Con un sospiro che mi accarezzò la guancia, si
staccò appena, giusto quanto bastò per mormorare
"Occhio non vede... cuore non duole, no?" ed io mi concessi il primo
vero sorriso spontaneo da quando era iniziata quella serata assurda e
controversa.
"Mi hai tolto le parole di bocca!" risposi con la voce strisciata.
Stavo proprio ridotto male se non riuscivo neanche più a
parlare. Lui, ancora con un sorriso a stirargli le labbra perfette, si
riavvicinò a me per baciarmi ancora, ma quella volta
l'urgenza
sembrò essere sparita del tutto: c'era intensità
e
passione e avvicinandomi maggiormente a lui e posando le mani sul suo
petto, avvertii chiaramente il battito frenetico del suo cuore, sotto
una di queste. Era una situazione surreale e ancora faticavo a capire
come ci eravamo trovati per la seconda volta in una settimana a
baciarci e desiderarci così tanto. Ma la cosa più
assurda
di tutte in quel momento era un'altra: si trattava del mio stato
d'animo, del fatto che mi sentissi perfettamente a mio agio
con
lui, con le sue labbra sulle mie, le sue mani sui fianchi, una gamba
tra le mie appena dischiuse, il suo profumo praticamente ovunque ed era
davvero qualcosa che non riuscivo a spiegarmi: come potevo io, trovarmi
così bene, anche se, a conti fatti, ci conoscevamo da
così poco? Come avevo già notato la prima volta,
la
sensazione di perdersi e di ritrovarsi con Blaine era nettamente
più piacevole, rispetto a quando ero con David. Con lui era
tutto meccanico e asettico, non c'era il tempo per i baci, per l'ansia,
per l'attesa, per le carezze rubate al di sotto dei vestiti, o per
qualsiasi altra attenzione di questo tipo. Per David esisteva solo il
sesso in sé, l'atto fisico nella sua crudele
semplicità e
tutto ciò che ci ruotava attorno e che lo rendeva
così
speciale, passava in secondo piano. La cosa più triste, era
che
per colpa sua anche io avevo iniziato a pensarla così. Per
mia
fortuna, la mia buona stella, aveva voluto piazzarmi un magnifico
ragazzo sul mio stesso pianerottolo e aveva fatto in modo che questo
ragazzo fosse attratto proprio da me.
Non so come, mi ritrovai schiacciato al lavello, con Blaine tra le
gambe, schiacciato a sua volta addosso a me, mentre i nostri baci
continuavano a surriscaldare l'atmosfera e a farsi sempre
più
umidi ed impazienti. Avevo avuto modo di constatare con estremo piacere
quanto lui fosse bravo in quello che faceva - in ogni cosa - e quanto
sapesse cosa e dove toccare e la maniera più corretta per
farlo. Riusciva a farmi venire i brividi perfino con una semplice
carezza, anche se era fatta con le punte delle dita. Per esempio in
quel momento era impegnato a disegnare chissà quali
immaginari
girotondi sui miei fianchi, al di sotto della stoffa della camicia e
per me, ogni giro, ogni segno, ogni dannato sfioramento, era una
scarica di intenso piacere che ormai diventava incontrollabile. Senza
neanche capire come, mi ero ritrovato a spingermi con i fianchi in
avanti per cercare un pò di sollievo nel contatto con i
suoi.
Con mia grande sorpresa e gioia, avevo avuto modo di comprendere
così, quanto simile fosse la nostra situazione sotto la
cintura.
E con un sorriso trionfante gli circondai la base della schiena con le
mani per premerlo ancora più vicino, ma forse esagerai un
pò perché la pressione fu davvero tanta e
soprattutto
inaspettata, tanto da farci gemere entrambi in maniera fin troppo
esplicita.
Ops...
"Era da quando ci siamo seduti a tavola che bramavo di farlo!" mi disse
allora lui, staccandosi dalle mie labbra per respirare, passando
lentamente la punta del naso nello spazio tra l'orecchio e la punta
della mascella. Sollevai un sopracciglio, piacevolmente colpito
"Ah sì? Ti riferisci.. a questo?" gli domandai con la voce
roca
e per provocazione ripetei il gesto incosciente di poco prima, che
quella volta lo fece quasi piagnucolare direttamente nel mio orecchio
Dio... quel verso
è senza dubbio più pericoloso del contatto
intimo...
"Io invece... da molto prima... non appena le porta automatiche si sono
riaperte!" confessai facendo lentamente salire le mani sulla sua
schiena - ne sentivo perfettamente ogni singolo muscolo delineato e
teso, e fu un piacere per le mie mani curiose e sensibili. Lui
ridacchiò, una risata bassa e tremante, che io classificai
come
la cosa più erotica in assoluto, subito dopo le sue labbra e
i
suoi occhi. E proprio perché iniziavo a sentirne seriamente
la
mancanza, gli sollevai la testa, affondando le mani tra i suoi morbidi
ricci, e finalmente riuscii a trovare il suo sguardo e
contemporaneamente a perdermici dentro. Non avevo mai creduto a quelle
persone che nei romanzi scrivevano quanto bello potesse essere lo
sguardo di qualcuno, quanto immenso potesse essere il mondo che si cela
dietro, quali cose meravigliose ci si possono trovare. Per me era
alquanto impossibile leggere tutto quello in un semplice paio di occhi,
per quanto ogni tanto ricordassi alla perfezione quanto dolci ed
espressivi fossero gli occhi azzurri di mio padre.
Papà...
Ma lì era tutta un'altra storia. Non erano gli occhi paterni
del
mio genitore che mi guardavano, né tanto meno quelli dei
romanzi
inventati.. erano due iridi fatte di oro fuso, mescolato al caramello e
a qualche pagliuzza di verde ed erano ricchi di riflessi e sfumature,
di intrecci e congiunture che ispiravano tante di quelle cose, che
perfino il narratore più esperto avrebbe trovato
difficoltà a descrivere. A me, guardando quegli occhi, ora
fissi
nei miei, una sola parola mi arrivava in testa limpida e chiara in
tutto quel tumulto di emozioni: desiderio. Sì,
perché era
desiderio allo stato puro quello che riuscivo a percepire in quello
sguardo, ed era desiderio verso di me. Io, Kurt Hummel che mi ero
sempre sentito desiderato al pari di una bottiglia di vetro, al pari di
un cucciolo di pinguino, adesso, in quel preciso istante, in quella
cucina - che da quel giorno, sarebbe diventata la mia stanza preferita
- incollato a quel lavello, con quel magnifico e profumato ragazzo
addosso e quegli splendidi capelli stretti tra le dita, avvertivo
chiaramente il desiderio di Blaine per me, e fu la sensazione
più meravigliosamente indescrivibile della mia vita.
Ci scambiammo un sorriso timido, e lui arrossì appena, cosa
che
mi fece riempire lo stomaco di una strana ma piacevole sensazione.
Sono farfalle quelle che
sento svolazzare?...
Non ci fu bisogno di dire o di fare altro, ma un semplice cenno
affermativo con la testa da parte di entrambi, decretò presa
la
nostra decisione: lo volevamo tutti e due, ed era inutile fingere o
continuare a rimanere ancorati al lavello come due insulsi adolescenti.
Eravamo adulti e consenzienti e avremmo volentieri spostato la
"conversazione" in altre stanze della casa, ben più consone.
Così gli lasciai i capelli e gli afferrai la mano facendolo
spostare, purtroppo, dal mio corpo. L'unica cosa che mi trattenne dallo
sbuffare
contrariato fu il pensiero vivido e piacevole del suo corpo interamente
nudo schiacciato sul mio. O sotto al mio, a seconda dei casi.
Mmmm... ora che ci
penso...
Attraversammo il corridoio in un silenzio carico di aspettative, ma
senza fretta né imbarazzo. Sapevamo perfettamente cosa
stavamo
andando a fare, perché ci eravamo già passati, ma
evidentemente a nessuno dei due era bastata la prima volta. A me
personalmente non ne sarebbero bastate dieci come la prima, ma
ovviamente, in quel momento parlavo per colpa dei fumi
dell'eccitazione, non ragionavo razionalmente. Arrivammo in camera da
letto, ed una nota di panico mi colse si sorpresa: avevo il timore che,
cambiato l'ambiente e sciolta appena la tensione da contatto, potessimo
aver perso quel desiderio reciproco per continuare e di conseguenza ci
saremmo trovati l'uno di fronte all'altro, imbarazzati e tremendamente
eccitati. E sarebbero stata la più grande delusione della
storia. Ma, per la centesima volta da quando avevo avuto il piacere di
conoscerlo, Blaine decise di sorprendermi, avvicinandosi a me e
abbracciandomi da dietro. Mi circondo la vita con un braccio e
poggiò il mento sulla spalla, vicinissimo alla mia guancia e
al
mio sensibile orecchio. Tutta l'ansia di poco prima, scivolò
via
immediatamente e con un sospiro beato mi lasciai andare addosso a lui.
Le sue labbra di posarono immediatamente alla base del mio collo,
provocandomi non pochi brividi lungo tutta la schiena
"Mmm... hai un profumo stupendo..." mormorò direttamente
contro
la mia pelle, soffiandoci sopra e facendomi miagolare in risposta
Dio... anche tu hai un
profumo che fa perdere i sensi e la ragione...
"E la tua pelle... è..." spostò le labbra di
nuovo dietro
l'orecchio per poi mordere leggermente sul lobo, cogliendomi
impreparato "Così morbida... e bianca..." e quella volta non
riuscii a trattenere un gemito. Avevo sempre mal sopportato chi
sottolineava il fatto che avessi la pelle così chiara da
sembrare bianca o addirittura trasparente. Iridescente, diceva sempre
mio padre, e una delle mie insegnanti al liceo mi aveva dato il
fastidioso nomignolo di Porcellana,
proprio per questo motivo. Ma in
quel momento, quelle parole dette con la voce roca e strisciata,
direttamente fuoriuscite dalle labbra di Blaine, furono la cosa
più piacevole che avessi mai sentito. Gli piaceva la mia
pelle,
la mia bianchissima e sensibilissima pelle. Gli piacevo io.
Ok, probabilmente questa
cosa non riuscirò mai a superarla...
Quella volta fu lui ad avvicinarmi maggiormente, stringendomi, ed
avvertii chiaramente
e piacevolmente la sua erezione schiacciata contro di me. Fu il mio
turno per piagnucolare, mordendomi un labbro per contenere i lamenti.
Ma lui parve apprezzare perché ripeté il gesto,
mentre avvertivo chiaramente un suo sorriso premere contro il mio collo
scoperto.
"Sei molto scorretto, Anderson!" mi lamentai, mentre con la mano gli
afferravo i capelli da dietro e stringevo forte la presa, tanto per
vendicarmi o meglio, per trovare un appiglio nel caso fossi caduto
miseramente a terra, schiacciato da tutte quelle sensazioni magnifiche.
La sua maledetta risata sensuale mi arrivò diretta nello
stomaco, contorcendolo
"Non ho mai detto di non esserlo, Hummel!" mormorò per poi
lasciare un leggero morso tra il collo e la spalla che mi fece
sobbalzare sensibilmente
"Blaine.."
"Sì, lo so... niente segni sul collo.. me lo ricordo!" fece
lui,
ancora divertito, lasciando un bacio morbido proprio dove aveva appena
morso, e spostandosi con la punta del naso indietro, fino alla nuca.
Sorrisi, grato che la sua buona memoria non facesse cilecca neppure in
quel tipo di momenti ed allentai appena la presa nei capelli,
accarezzandoglieli più gentilmente. Spostai la testa verso
la
sua, girandomi appena fino a trovare di nuovo le sue labbra che
ricatturai voglioso. Erano come una droga, che assuefa e distende, che
allieta ed agita allo stesso tempo. E ritrovare la sua lingua ad
accogliermi, allegra e liscia, fu una gioia per tutto il corpo.
Anche per il suo, a
quanto vedo...
Lasciò la presa dei miei fianchi e mi fece voltare e
finalmente
ci ritrovammo di nuovo faccia a faccia, ancora le labbra incollate e
sinceramente troppi strati di vestiti di mezzo. Lui sembrò
cogliere il mio pensiero perché portò quasi
immediatamente le mani ai bottoni della mia camicia, facendoli
scivolare dai passanti uno alla volta con lentezza calcolata ed
estenuante. Io probabilmente, se lui avesse indossato una camicia,
glieli avrei fatti saltare tutti. Per sua fortuna, aveva su una
maglietta, il che rendeva tutto più semplice e meno
violento.
Finiti i bottoni, fece scorrere le mani aperte su tutto il mio petto,
risalendo fino alla base del collo e, dopo aver afferrato i lembi della
camicia, iniziò a farla scivolare giù per le
spalle,
accarezzandomele lento e morbido. Era quasi un tocco inesistente ma
maledettamente intenso e capace di provocarmi brividi di autentico
piacere su tutta la spina dorsale. La camicia cadde a terra ai nostri
piedi senza fare nessun rumore e le sue mani risalirono lungo le
braccia
per poi dividersi: una affondò morbida nei miei capelli
della
nuca, l'altra si bloccò sul petto, ma non rimase del tutto
ferma, perché con il pollice iniziò a disegnare
dei
cerchi sempre più piccoli al centro del petto. Sospirai
beato,
direttamente nella sua bocca perché quei tocchi erano quasi
insopportabili ormai e se non volevo fare una pessima figura,
raggiungendo il culmine in quel modo, con ancora pantaloni e mutande
addosso, dovevamo porre rimedio, io
dovevo porre rimedio.
Così, presi finalmente l'iniziativa, e lo spogliai, con
molta
più velocità, della maglietta che lanciai dietro
di me, in
un punto poco definito, e chissà perché la cosa
lo fece
divertire, perché ridacchiò contro il mio collo
"Ridi di me adesso?" gli domandai, fingendomi offeso
"Non potrei mai!" mormorò in risposta e fu il mio turno per
ridacchiare, benché il momento durò relativamente
poco,
perché le sue labbra tornarono sulle mie, attorno alle mie,
bramando un contatto sempre più profondo, che io ovviamente
non
mi sognai di certo di negargli. Mi schiacciò più
vicino,
affondando lentamente la mano nei miei capelli, e quando i nostri petti
furono attaccati l'uno all'altro, quando il suo calore quasi mi
bruciò la pelle, mi resi perfettamente conto che l'incendio
era
bello che scoppiato, era tutto intorno a noi, ci circondava. Eppure io
non riuscivo a bruciarmi. Ma l'unica cosa che facevo era avvertire il
piacere crescere, il brivido dell'eccitazione corrermi lungo tutto il
corpo e bramavo - oh sì, bramavo - di sentire altra pelle a
contatto con la mia perché quella che avevo a disposizione
ormai
non bastava più.
Quella volta fui io a prendere l'iniziativa,
portando le mani alla sua cintura e iniziando a sfilargliela
impaziente. Dio, da quando togliere i pantaloni ad un ragazzo era
diventato così complicato? E per fortuna Blaine non
indossava
niente di particolare, altrimenti sarei senza dubbio scoppiato a
piangere per la frustrazione. Lui sembrò essere
clemente con me, perché una sua mano corse ad aiutarmi e
finalmente riuscii a liberarlo dell'opprimente stretta dei jeans che
fece scivolare sulle gambe fino a terra. Si liberò con dei
gesti
secchi delle scarpe, delle calze e si tolse il pantalone gettando tutto
di lato, e mi lanciò un'occhiata carica di passione che mi
fece
letteralmente tremare
"Sei ancora troppo vestito!" mormorò scrutandomi attento. Io
deglutii, carico come una molla sotto il peso di quelle iridi liquide
"Decisamente!" risposi roco, ma prima che potessi io stesso liberarmi
dei miei pantaloni, ci si avventò lui, inginocchiandosi
davanti a
me. Avvampai all'improvviso, perché se avevo pensato poco
prima
che la vista dei suoi occhi carichi di desiderio fosse la cosa
più erotica del mondo.. beh, dovetti ricredermi. Vederlo
inginocchiato sotto di me, fu senza dubbio molto, molto peggio. Mi
morsi un labbro con forza per reprimere un lamento, ma lui parve
ignorarmi perché abilmente mi sbottonò i
pantaloni,
riuscendo stranamente a non toccarmi, e li abbassò fino alle
caviglie. Mi fece togliere le scarpe e mi aiutò, a sfilarle
via
e per non cadere dovetti poggiarmi alla sua spalla bollente. Toccarlo
era sempre un piacere troppo grande per resistere.
Con mia grande sorpresa, lui non si sollevò, una volta tolti
i
miei pantaloni, ma rimase inginocchiato, con le mani sulle mie cosce.
Deglutii ancora, cercando il suo sguardo e mi pentii all'istante di
averlo fatto, perché non appena lo trovai, vi lessi a chiare
lettere le sue intenzioni. Intenzioni che mi fecero tremare.
O Dio mio... a questo non penso di poter sopravvivere...
Sempre tenendo gli occhi fissi nei miei, portò i pollici
dentro
l'elastico dei boxer e lentamente li spinse giù, fino a che
anche essi toccarono terra con un tonfo morbido ed il mio cuore cadendo
fece molto più rumore. Mi agitai appena, ormai completamente
nudo ed esposto davanti a lui, ai suoi occhi di fuoco che ora si erano
spostati famelici e contemplare la mia imbarazzante situazione
giù in
basso. Chiusi gli occhi ed espirai lentamente. Avevo perfettamente
capito cosa volesse fare, ma dovevo ancora capire se gli avrei dato via
libera e avrei acconsentito. Era una cosa che non avevo mai
fatto,
né tanto meno ricevuto, proprio perché David non
me lo
aveva mai proposto, ed io mi ero sempre vergognato a chiederglielo. Mi
sembrava sbagliato ed infantile, una fissazione stupida, un desiderio
trascurabile. Eppure, morivo dalla voglia di provare, morivo dalla
voglia di sentire.
Volevo capire se fosse davvero così piacevole come sembrava
da
fuori oppure se anche in questo i racconti esterni avessero esagerato.
E Blaine sembrava avere tutta l'intenzione di mostrarmelo.
Facendo appello a tutta la mia forza d'animo, riaprii gli occhi e
tornai a guardarlo, sussultando appena nel trovare due pozze dorate
intente a scrutarmi ansiose ma piene di desiderio. Piegò la
testa di lato, facendo scorrere lentamente la mano sulla mia coscia, su
e giù, inesorabile.
"Kurt... stai bene?" mi domandò soffice e per poco non
svenni,
colpito in pieno dal suo tono così carico di aspettativa.
Dovevo
decidere, in fretta. Volevo o no che.. sì insomma.. andasse
avanti a fare quello che sembrava intenzionato a fare? Volevo rompere
quel tabù con lui? Volevo sentire?
Dio.. sì...
"Sì!" mormorai concentrato e dentro di me avvertii il cuore
salire fino alle orecchie e picchiare forte come non mai, rendendomi
sordo per alcuni istanti. Lui mi sorrise e molto lentamente, senza mai
distogliere gli occhi dai miei, facendo risultare la cosa nettamente
più erotica, si avvicinò. Rimasi con il fiato
sospeso e
strinsi forte i pugni fino a che non lo sentii: un meraviglioso,
indescrivibile ed appagante tocco proprio lì, sulla punta. E
fu
come entrare in paradiso e contemporaneamente precipitare all'inferno,
nello stesso identico istante. Mi resi conto vagamente di quello che io
feci dopo, troppo concentrato a seguire i movimenti esperti della sua
bocca e della sua lingua - Dio Santissimo.. la sua lingua - e a
perdermi in un oceano tormentato di sensazioni nuove, piacevoli ed
inaspettate. Avrei creduto tutto, avrei potuto pensare ogni cosa su
quel preciso momento, ma niente sarebbe stato meglio che non provarlo
direttamente sulla propria pelle. Era intenso ed avvolgente... ecco..
avvolgente era la parola giusta. E finalmente avevo capito cosa
significasse sentire...
beh era senza ombra di dubbio il verbo più consono a
descrivere il momento.
All'improvviso mi accorsi di due cose: la prima fu la consistenza
morbida dei suoi capelli tra le mie mani - segno che avessi trovato un
appiglio al quale tenermi per non cadere - e la seconda fu un'intensa
ondata di calore avvolgermi le membra, partire dal basso e salire
inesorabilmente su, fino a quasi in cima. Ma non poteva finire, non in
quel modo, non così presto. Con una forza che mai mi sarei
aspettato, gli strinsi una spalla per chiamarlo
"Blaine.. B-Blaine aspetta... fermo!" e lui, per mia fortuna, si
fermò. Sospirai, mentre la minaccia di esplosione lentamente
si
allontanava, anche se la situazione rimaneva più che critica
ed
io mi sentivo sempre più agitato e sensibile. Finalmente
tornò a sollevarsi in piedi e mi sorrise, maledettamente
malizioso. Io provai a ricambiare ma davvero non ne potevo
più,
così senza pensarci, gli afferrai la nuca e lo avvicinai a
me
per baciarlo. Fu davvero strano perché oltre al suo solito
sapore dolce ed invitante, sentii qualcos'altro.. qualcosa di diverso
ma allo stesso tempo ugualmente buono. E solo quando il suo bacino si
scontrò con il mio alla ricerca di un pò di
agognato
sollievo, capii ed arrossii all'istante, ringraziando la
semi-oscurità della stanza che giocava a mio favore.
Dio.. è
così.. erotico...
Presi in mano la situazione, e lo trascinai fino al bordo del letto per
poi spingerlo sopra il materasso. Lui atterrò placidamente
rivolgendomi uno dei suoi splendidi sorrisi maliziosi e carichi di
desiderio che mi fecero tremare. Lo raggiunsi quasi subito,
sistemandomi in mezzo alle sue gambe aperte e tornammo a baciarci
famelici e passionali. Quella volta era tutto nettamente più
piacevole ed eccitante della prima volta: quella era stata dolce,
tenera, molto romantica. Questa invece, mescolava finemente tutto
ciò che c'era comunque già stato, con qualcosa di
nuovo,
con una carica di eccitazione che mai avevo immaginato di poter
provare. Mi sentivo desiderato e a mia volta desideravo lui come mai
prima d'ora. Lo volevo, con ogni fibra del mio corpo e bramavo di
poterlo sentire,
esattamente come avevo sentito fino a poco prima. E fu allora che mi
venne in mente una cosa.
"Blaine... posso... farti una richiesta?" domandai con voce quasi
inesistente, mentre con il respiro pesante ci fermavamo entrambi per
riprendere fiato.
O la va o la spacca...
"Certo.. tutto quello che vuoi!" concesse. Tutto quello che volevo, eh?
Inspiegabilmente arrossii ancora, ma nei suoi occhi fiammeggianti e
nelle sue carezze poco sopra il sedere, trovai il coraggio per
continuare
"Sarebbe un problema per te se... questa volta.. ecco..."
balbettai spostando lo sguardo sulla sua spalla muscolosa. Coraggio,
che parolone. Magari lo avessi avuto davvero, avrei evitato di fare la
figura dell'idiota e balbettare come una scolaretta. Avvertii
all'improvviso una stretta morbida ma decisa afferrare il mio mento e
spostarmi il viso fino a farmi incrociare di nuovo il suo sguardo. Era
curioso e molto attento
"Kurt?" mi chiamò ed io, stringendo appena la presa attorno
al suo avambraccio finalmente tirai fuori il rospo
Coraggio, Kurt... lui
non è David...
"Beh e se provassimo.. a cambiare?" ecco lo avevo detto. Certo, non era
poi molto chiaro, ma sperai ardentemente che il cervello di Blaine
fosse ancora un pò collegato, perché non seppi se
sarei
riuscito a spiegarglielo diversamente e in maniera più
chiara.
Mi morsi il labbro in attesa, ma fortunatamente un'espressione di
consapevolezza si dipinse lentamente sul suo volto fino a che le sue
labbra non si aprirono, a formare una piccola e perfetta o.
"Oh..." mormorò soltanto facendomi mancare un battito. Ecco
lo
sapevo. Dovevo rimanere zitto e lasciare le cose come erano andate la
prima volta. In fondo era stato piacevole anche così, e
allora
perché cambiare? Squadra che vince non si cambia, no? Avevo
rovinato tutto, come al solito.
"Se per te è un problema non importa.. a me va
già
benissimo così, anzi..." provai a risolvere, facendo molta
fatica per non abbassare di nuovo gli occhi o addirittura correre a
nascondermi e a piangere in bagno. Perché davanti a lui mi
sentivo
così.. esposto e vulnerabile? Come riusciva ad avere su di
me
quell'effetto?
"Va bene!" esclamò subito, con un soffio. Io spalancai gli
occhi sorpreso
"Va bene?" domandai incredulo. Lui annuì
"Si.. ok.. per questa volta cambiamo!" sorrise apertamente, per niente
intenzionato a prendermi in giro. Era serio... Santo Cielo. Aveva detto
di sì!
"Sei sicuro?" domandai ancora, quasi senza fiato. Lui si
sollevò
appena, poggiandosi ad un gomito per avvicinarsi al mio viso e lasciare
un bacio morbido sulle mie labbra, i petti di nuovo a contatto
"Ma certo.. l'altra volta sono stato io stesso a chiederti cosa
preferissi.. sono contento che adesso sia stato tu a chiedermelo!"
esclamò sereno accarezzandomi con le dita leggere, il
contorno
della guancia. Inspirai bruscamente, i sensi completamente all'erta.
Ok,
avevo il permesso di.. prendere le redini della situazione. Bene.. come
mai però mi sentivo così.. inappropriato?
"Ecco io però.." mormorai, arrossendo ancora più
violentemente. Tanto valeva dirglielo, no? Tanto, più intimi
di
così.
"Cosa?" mi incalzò accigliandosi appena. Però se
mi guardava in quel modo, la vedevo alquanto difficile
"Io... beh..." ecco appunto. Il coraggio andava e veniva come un titolo
in borsa. Ed io ero sul punto di crollare seriamente, come la borsa di
Wall Street.
"Kurt dimmelo!" mormorò fermo e convincente. Troppo
convincente.
Dopo
quello che mi ha fatto prima... una piccola confessione da parte mia
sarebbe il minimo in effetti...
"Non ho
mai... provato..
non so.." ma mi bloccai sentendomi un idiota colossale. Dopo la recente
sorpresa con l'iniziativa di Blaine, anche quello. Era senza dubbio la
serata delle prime volte, ed io forse non avrei seriamente retto molto
a lungo ancora.
"Non hai mai provato a stare.. sopra?" domandò quasi
scioccato,
e il suo tono fu ancora peggio per me, perché mi fece
ricordare
la mia stupidità e tutte quelle volte in cui David mi aveva
detto di no, e mi aveva ricordato che era lui l'uomo e toccava a lui
condurre. Mi sentii immediatamente così a disagio che cercai
subito conforto nel suo sguardo. Per mia fortuna non ci trovai lo
stesso tipo di accusa che trovavo ogni volta negli occhi di David: era
solo sorpreso, niente di più.
"No!" confessai allora arrossendo e sperando vivamente che non mi
scoppiasse a ridere in faccia. Ma ancora mi sorprese, replicando la
stessa esclamazione di poco prima
"Oh..." ed io esasperato buttai gli occhi al cielo
"Dio, Blaine... quando dici oh non so mai se è per una cosa
brutta oppure se..."
"E sei davvero sicuro di voler provare a farlo... ora.. con me?"
domandò, stranamente ed improvvisamente intimidito. Lo
guardai,
chiedendo la stessa cosa anche a me stesso. In fondo era qualcosa di
importante, una sorta di barriera che veniva oltrepassata. Ero pronto a
scavalcarla proprio quella sera, in quel letto, con lui?
"Si!" affermai deciso, come mai prima di allora, sentendo il cuore
battere all'impazzata per il peso della scelta appena fatta e per la
crescente aspettativa. Blaine mi sorrise, tenero ed appena emozionato,
un sorriso che mi fece tremare e, proprio quando una sua mano si
sollevò per accarezzarmi di nuovo la guancia, io non
resistetti
più, mi spinsi su di lui, facendolo ricadere sul materasso e
lo
baciai.
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Capitolo 23 *** Quando la realtà supera l'immaginazione ***
Buongiorno a tutti... bene,
è arrivato finalmente Giovedì e oggi sapremo se i
nostri due eroi preferiti saranno riusciti ad andare avanti oppure se
qualcosa potrebbe averglielo impedito (sono un'autrice sadica...
ricordatevelo sempre ^^) quindi non mi perdo in troppi convenevoli
perché so che non vedete l'ora di leggere.. ringrazio i miei
angeli che come sempre recensiscono e chiedo enormemente scusa per non
aver ancora risposto alle recensioni... prometto di farlo non appena il
capitolo sarà pubblicato.. vi auguro buona lettura e vi
avviso... preparatevi psicologicamete al prossimo capitolo... ci
sarà da tremare dalla paura, letteralmente ;) un bacio a
tutti... a Lunedì
n.b. Pagina Facebook (
Dreamer91 )
Raccolta MM (
Just a Landing - Missing Moments )
New York City.
Ore 00.19 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)
Tutto quello che successe dopo fu estremamente istintivo e naturale,
benché a conti fatti non lo avessi mai provato. Forse era
vero
ciò che si diceva in giro, che certe cose è
sufficiente
sentirle, più che impararle, ed io in quel momento, sentivo
alla
perfezione tutto, ogni singolo pezzo di pelle di Blaine sotto i
polpastrelli, ogni muscolo teso, ogni respiro, ogni battito del cuore,
ogni singola intenzione gli scivolasse attraverso gli occhi. Dopo aver
deciso di cambiare le posizioni per quella volta, le parole erano state
davvero molto superflue e nessuno aveva avuto niente da ridire a
riguardo. Infatti, dopo averlo finalmente liberato dell'indumento
intimo rimasto, ed esserci ritrovati nuovamente nudi, l'uno sopra
l'altro, era bastato un solo tocco, un semplice sfioramento intimo,
appena involontario, a far perdere la poca ragione rimasta ad entrambi.
Ed io ero così vicino al limite, così vicino da
sentirmi
male.
Avvertivo una strana voglia di piangere, magari liberandomi della morsa
che sentivo allo stomaco, ed era alquanto anormale che una persona
prossima all'orgasmo, provasse la voglia di piangere. Cosa diamine mi
prendeva? Perché reagivo così? Era per le
sensazioni che
provavo? Era per tutto quello che stava succedendo, per quello che non
avevo calcolato né avrei mai potuto immaginare? Era per
Blaine
che continuava a tenermi stretto e a cercare disperatamente le mie
labbra, nonostante le avesse ormai quasi consumate? Il mio cuore era
davvero troppo debole per sopportare... ancora?
Questo è
molto di più di quanto una persona normale potrebbe
umanamente sopportare...
Blaine, per mia fortuna, mi spiegò cosa dovessi fare dato
che io
imbarazzato al massimo e con le guance in fiamme, gli avevo confessato
di non avere la minima idea di come comportarmi. David aveva sempre
fatto tutto da solo, ed io non mi ero mai soffermato a controllare cosa
esattamente facesse. Certo, era assurdo che un ragazzo della mia
età, fosse così ignorante in materia e
probabilmente
qualsiasi sano di mente in quel momento sarebbe scoppiato a ridermi in
faccia. Ma Blaine no.. lui mi sorrise e mi spiegò per filo e
per
segno cosa fare, senza mai togliere gli occhi dai miei, e caricando il
tutto con una buona dose di erotismo, dato che davvero... mi stava
spiegando come mettere dentro... ehm... quello... senza neanche
arrossire o balbettare. Quel ragazzo era un fenomeno, dovevo
riconoscerglielo.
E non è bravo
solo con le parole, aggiungerei...
Dopo lunghi attimi di tensione, una cosa coerente riuscii a farla, non
appena mi parlò di qualcosa di necessario per far scivolare
meglio il tutto. Illuminandomi mi ricordai di avere tutto l'occorrente
nel primo cassetto del comodino e mi sporsi di lato per prenderlo,
schiacciando maldestramente un fianco di Blaine con il gomito. Lui
soffocò un gemito di dolore, misto ad una mezza risata
divertita
che mi fece arrossire ancora
"Ops... scusa!" mormorai stringendo convulsamente la boccettina che
avevo in mano. Lui scosse la testa accarezzandosi scherzosamente il
fianco
"Non importa... cose che capitano immagino.." mormorò
sereno.
Come diavolo faceva a mantenersi calmo in una situazione come quella?
Si rendeva conto che eravamo schiacciati, completamente nudi, l'uno
sull'altro, e che a conti fatti eravamo amici e che cose del genere non
dovrebbero mai verificarsi? Non stavamo giocando a mosca cieca, Santo
Dio! Stavamo per fare sesso, per la seconda volta, ed io avevo appena
poggiato sul letto sfatto, accanto a noi, lubrificante e preservativo.
Lo stesso lubrificante che utilizzava David con me. Gli stessi
preservativi che indossava sempre lui ogni volta, e quella volta li
avrei.. indossati io. Ok.. ecco il perfetto esempio di cosa non fare
prima di un rapporto, se non si vuole cadere nel classico
cliché
dell'ansia da prestazione.
Mi resi conto troppo tardi, mentre cercavo disperatamente di aprire la
bustina del preservativo per indossarlo, che mi tremavano le mani. Mi
tremavano terribilmente le mani, e non solo quelle. All'improvviso
avvertii una stretta calda e particolarmente decisa che mi
bloccò e i suoi occhi si fecero preoccupati
"Kurt... cosa c'è?" mi domandò allora. Io persi
un
battito ed il panico mi attanagliò lo stomaco. Non sono
pronto,
continuavo a dirmi, non sono pronto per questo. É troppo per
me,
è troppo per il mio cuore ed il mio fisico. Forse avrei
dovuto
insistere un pò di più con David, magari mi sarei
risparmiato quella grande figura di merda in presenza di Blaine. O
forse mi sarei dovuto limitare a tenere la bocca chiusa e a lasciare a
lui il controllo della situazione. Sarebbe stato senza ombra di dubbio
molto meno imbarazzante. Per entrambi.
"Blaine... io... non.. ne sono.. capace!" mormorai allora, avvertendo
gli occhi inumidirsi. Lui spalancò i suoi sollevando
appena la schiena
"Di cosa stai parlando?" mi domandò ancora, poi
lanciò
un'occhiata alla bustina che ancora stringevo tra le mani e me la
sfilò "Parli di questa?" chiese mostrandomela "Beh... non
devi
preoccuparti.. capita che a volte facciano i capricci e..." ma lo
bloccai, arrossendo ancora
"No, non mi riferisco a quello!" lui prese un respiro lungo
"E allora a cosa?" mi accasciai appena su di lui, nascondendo il viso
nella sua spalla. Non ce la facevo a guardarlo negli occhi, era troppo
per me, ma di allontanarmi dal suo corpo, no, non se ne parlava.
"Io non l'ho mai fatto... e... non credo di esserne capace!" mormorai
afflitto "E se poi rovinassi tutto.. se tu ti stancassi e decidessi,
giustamente, di piantarmi qui ed andartene?" come fa ogni dannata volta
David! "E
se mi scoppiassi a ridere in faccia? E se..." una mano mi
afferrò per la nuca e mi fece sollevare la testa fino a
poggiarla sulla sua. Fronte contro fronte, occhi negli occhi. Oro
nell'azzurro.
"E se... la smettessi di farti tutti questi stupidi problemi, e
finalmente decidessi di fare qualcosa di concreto?" mi
canzonò
divertito, accarezzandomi la schiena in punta di dita. Io rabbrividii,
sia per quel tocco che per le sue stesse parole. Deglutii a vuoto
"Blaine io... ho.. paura.." mormorai ancora con il viso in fiamme. Lui
si morse il labbro pensieroso
"Di cosa?"
Di tante cose Blaine...
prima fra
tutte di non interpretare al meglio quello che sento per
te... di
confondere il semplice affetto o l'attrazione, con qualcosa di
più profondo...
"Di... farti male.." borbottai spostando lo sguardo verso il cuscino.
Ecco l'avevo detto. Un rospo era stato tirato fuori. La
verità
era che non volevo affatto fargli provare il dolore che provavo ogni
volta io con David. E proprio come lui era sempre stato inesperto,
affrettato e ben poco accondiscendente con me, io avevo paura di essere
allo stesso modo con Blaine. E lui non si meritava niente del genere.
"Oh..." mormorò, per la terza volta sorpreso. Sbuffai
appena, tornando a guardarlo
"Blaine... ti proibisco di..."
"Coraggio Kurt... non mi farai male. Sono piccolo ma non
così
delicato come sembra... e se anche sarà doloroso, beh... ce
ne
faremo una ragione!" sollevò le spalle divertito, ma
sorridendomi dolcemente, tanto da farmi sciogliere appena un
pò
di più.
Sì... sei
piccolo ma fatto davvero bene... soprattutto... dalla vita in
giù...
"Fai sembrare tutto così facile!" mi lamentai esasperato
"Perché lo è... lo è Kurt... te lo
assicuro!"
rispose tranquillo, e per niente infastidito da tutta la mia ansia.
Sospirò guardandomi pensieroso e poi scosse la testa
"Ascolta, se per te è così difficile, potremmo
lasciar perdere e..."
"No!" quasi gridai allarmato, facendolo sobbalzare. Dio, gli avevo
davvero urlato addosso? Ero impazzito? Provai a prendere fiato e
coraggio, dopodiché concentrandomi sui suoi caldi occhi
color
caramello, e solo su quelli, parlai
"Voglio dire... cioè... io... voglio farlo, davvero. Ho solo
bisogno che tu... ecco... magari mi.. guidi un pò... e che
mi
concedi molta, ma molta... pazienza!" confessai infine, felice di aver
trovato finalmente le parole più adatte per esprimere la mia
preoccupazione. Lui mi guardò attentamente, studiando ogni
dettaglio e alla fine accennò un sorriso
"Kurt... io sono qui, completamente nudo, sotto di te... dove credi che
possa andare in questo stato?" mi domandò facendomi
ridacchiare
e alleggerire un pò lo stomaco. Sospirò
mordendosi un
labbro e avvicinando l'indice al mio naso per sfiorarne la punta con
delicatezza
"Tu non... ti rendi minimamente conto di quanto risulti tenero
in
questo momento!" sussurrò concentrato su qualcosa,
percorrendo
il profilo del mio naso con il dito. Arrossii, colto alla sprovvista,
ma provai a sdrammatizzare
"Tenero... ed io che credevo di essere quantomeno sexy!" borbottai
fingendomi offeso. Lui scoppiò a ridere, facendo vibrare
sensualmente tutto il corpo ancora schiacciato sotto il mio - mmm.. che
stimolo interessante... dovrei farlo ridere più spesso - e
si
sporse appena per lasciarmi un bacio sulla bocca
"Oh... quello era scontato!" mi assicurò ancora divertito,
ma
con una strana luce intensa e torbida nello sguardo. Tremai appena,
sotto il peso di quegli occhi e quella responsabilità fino a
che
un altro leggero ed innocente movimento non decretò concluso
l'inutile momento delle chiacchiere.
Mi resi vagamente conto di acquistare sempre più sicurezza,
mano
a mano che i baci si intensificavano di nuovo e lui, forse per aiutarmi
aveva fatto scivolare lentamente la mano fino al mio inguine per
allentare un pò la tensione, ma l'unica cosa che ottenne fu
quella di farmi eccitare ancora di più.
Dietro le sue parole roche e maledettamente sensuali - Dio, poteva la
situazione rivelarsi più meravigliosa? - afferrai il
lubrificante e lo preparai per bene, ignorando le sue smorfie e il suo
respiro spezzato ed irregolare. Dovevo convincermi che, anche se
sembrava infastidito da quella intrusione, era necessaria e bisognava
fare tutto con calma e per bene. Altrimenti il seguito sarebbe stato
anche peggio.
Prendi nota, Dave...
è così che si fa...
Con molta pazienza ed attenzione lo lubrificai completamente e non
appena lui stesso riuscii a mormorarmi di essere pronto, con un sospiro
di autentica trepidazione riafferrai la bustina argentata del
preservativo, riuscendo finalmente ad aprirla e ad indossarlo senza
danni collaterali.
Ok, era arrivato il momento della verità. Era arrivato
il momento in cui Kurt Hummel avrebbe finalmente preso le
redini di qualcosa nella sua vita, e avrebbe iniziato a comandare, ad
avere voce in capitolo. Il fatto che lui si fidasse così
tanto
di me, era destabilizzante. Mi sentivo potente e allo stesso tempo
completamente succube del suo meraviglioso sguardo velato dal piacere e
di una qualche richiesta disperata. Deglutii ancora una volta e posai
la fronte sulla sua, mentre lentamente e trattenendo il fiato, mi
intrufolavo nel suo corpo.
"O..ddio.." sospirò lui, direttamente nel mio orecchio,
facendomi bloccare. Ecco lo sapevo, gli stavo facendo male. E come
sospettavo, io ero troppo debole perfino per sopportarlo.
"Blaine... scusa.. io.."
"No, Kurt.. non fermarti.. ti
supplico!" mi implorò - Dio, mi
stava implorando - respirando pesantemente e stringendo forte gli occhi
"O-ok!" mormorai insicuro e stordito dalla leggera pressione che
avvertivo in basso, pur non essendo andando quasi per niente a fondo.
"Dammi solo... un istante!" soffiò continuando a controllare
il
respiro accelerato, mentre il petto gli si alzava e abbassava a ritmo
con il battito del mio cuore. Oh, avrei aspettato anche tutta la vita
in quella posizione, poco ma sicuro. Dopo un pò, mi fece un
altro cenno ed io, prendendo coraggio, affondai appena più
in
profondità, e a mano a mano che andavo avanti una strana
sensazione di pienezza che non seppi spiegare mi avvolse completamente,
afferrandomi lo stomaco e avvolgendolo più volte. Dovetti
mordermi un labbro ed inspirare con forza per trattenere un gemito
particolarmente alto e reprimere lo spasmodico desiderio di affondare
più in profondità. Dio era così...
caldo e..
maledizione.. ecco perché David non aveva mai voluto farmi
provare.. era una sensazione fin troppo piacevole per rinunciarci...
fottuto bastardo ingordo ed egoista!
"Kurt... puoi andare più a fondo.. non mi spezzo mica!"
mormorò Blaine, la voce divertita nonostante fosse appena
ridotta ad un soffio ed io tremando in maniera quasi preoccupante, mi
sistemai meglio e feci come mi aveva detto, quella volta, fino alla
fine. Mi ritrovai a piagnucolare, disperato, per via dell'eccessivo
calore e della stretta sempre più profonda che avvertivo
attorno
a me. Mi chiesi seriamente se sarei sopravvissuto oltre, se sarei
riuscito anche a muovermi in quelle condizioni. Avevo gli occhi fissi
sul viso contratto di Blaine, mentre lui aveva ancora le palpebre
leggermente abbassate, la bocca appena aperta per respirare meglio e
tirare fuori i suoi gemiti di piacere e la fronte imperlata di sudore.
Ogni tratto, ogni movimento ed ogni singolo respiro affannato erano una
scarica di adrenalina diretta al cuore e al cervello, benché
questo avesse dato forfait già da parecchio. Mi sentivo
annebbiato, per niente preparato a dover far fronte ad una sensazione
tanto meravigliosa come quella. Mi sarei aspettato tutto, tranne...
quel tipo di situazione. E come era accaduto per Blaine e le attenzioni
che mi aveva riservato prima, inginocchiato sul pavimento, anche in
quel momento, l'immaginazione era stata senza dubbio superata dalla
realtà. Perché la realtà, il trovarsi
immersi nel
corpo di qualcuno, in quello di Blaine nello specifico... era qualcosa
di fin troppo fantastico. E ribadivo il concetto.. non sapevo affatto
se sarei stato capace di resistere a tutto quello.
Il peggio che
può capitarmi,
cos'è? Che venga qui, in questo momento, senza neanche
essermi
mosso, come un adolescente?...
Fu di nuovo la voce di Blaine a riscuotermi dal mio stato di shock, e i
suoi occhi tornarono a puntare i miei, meravigliosamente velati dal
piacere
Potrei stilare un elenco
di tutte le
cose che penso siano estremamente erotiche in questo ragazzo... e alla
fine della giornata mi ritroverei a litigare con il mio stesso cervello
perché probabilmente non ci troveremmo neanche d'accordo...
Mi diede il permesso di muovermi ed io non me lo feci ripetere due
volte. Fu come andare sulle montagne russe: tutte le volte che
indietreggiavo con i fianchi per uscire appena da lui, rappresentava
esattamente il momento di attesa mentre si sale, mentre si guarda
spaventati verso l'alto, verso quel maledetto precipizio che sembra
impossibile da superare, almeno da vivi. E poi, improvvisamente la
corsa si capovolge, diventa un salto nel vuoto, il cuore schizza in
gola, lo stomaco si contorce quasi dolorosamente e la vista si annebbia
ancora. Ed era proprio quello che avvertii mentre iniziavo lentamente a
spingere e ad assecondare i suoi movimenti sempre più
frenetici
e bisognosi. Era una giostra, una giostra meravigliosa dalla quale non
sarei più voluto scendere. Era proprio vero che quando si
prova
qualcosa di piacevole, difficilmente si riesce a rinunciarci. Ma dovevo
rassegnarmi all'idea: atrocemente quella sarebbe stata la prima e
l'ultima volta in cui avrei giocato il ruolo dell'attivo nella coppia.
David non mi avrebbe mai permesso di prendere tutto quel controllo e di
certo Blaine.. beh... quello era un caso, una cosa che non si sarebbe
mai più ripetuta. Io e lui eravamo amici e gli amici non
fanno
quel genere di cose.
Certo.. come no...
Guardai il mio amico,
gemere sempre più forte e non resistetti
più all'impulso, baciandolo con estrema urgenza e passione.
Mi
sentivo fremere, sempre più incontrollatamente e quella
piacevole sensazione di appagamento tornava a salire inesorabile dal
basso, sempre più su, sempre più gradevole e
desiderata. Anche lui sembrava davvero molto vicino e più si
agitava, più si contorceva sotto di me, attorno a me,
e più il pericolo di esplosione diventava maggiore. Ma non
potevo di certo lamentarmi. E finalmente, dopo altre due o tre spinte e
qualche altro gemito particolarmente indecente, scappato dalla bocca di
entrambi, riuscii a liberarmi della opprimente sensazione che avevo nel
petto da tutta la sera, di tutta la tensione, l'ansia, la paura, la
rabbia, la frustrazione. Riuscii a liberarmi nello stesso istante in
cui anche lui si lasciava andare libero, trasportato dal flusso
inesorabile del piacere, che lasciò entrambi esausti e senza
fiato, ma ancora tremendamente vicini e legati. E non solo
fisicamente.
New York City. Ore 01.36
A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)
Una cosa che non avevo mai capito, quando mi
ritrovavo a
guardare qualche commedia romantica ad alto tasso diabetico, era come
potessero due persone che avevano appena finito di fare l'amore,
ritrovarsi tranquillamente a parlare dei problemi esistenziali della
vita, come se niente fosse successo, con una leggerezza quasi
scioccante, quasi fossero seduti al tavolino del bar. Lo avevo sempre
trovato inappropriato e fuori luogo, soprattutto perché in
un
certo senso sminuiva quello che c'era stato tra di loro, riducendo il
tutto a puro contatto fisico, smania del momento.
Stranamente e piacevolmente, dovetti ricredermi anche su quello. Stare
a letto con Blaine, dopo aver fatto l'amore ed essersi completamente
ripresi, a chiacchierare, era la cosa più distensiva,
piacevole
e maledettamente naturale del mondo. Quasi fossimo seduti davvero al
tavolino di un bar ed io gli stessi ancora chiedendo di cantare per la
mia agenzia al posto di Bon Jovi.
Ne è passato
di tempo da quel giorno... e ne sono successe di cose...
"Io ancora non riesco a crederci..." esclamò lui ad un
tratto
incrociando le braccia al petto. Eravamo ancora completamente nudi, con
addosso coperte e lenzuola, a poca distanza l'uno dall'altro,
con le spalle appoggiate ad un piccolo cumulo di cuscini. Confuso, mi
girai a guardarlo, per trovargli una buffa espressione corrucciata sul
volto che mi fece spuntare un mezzo sorriso
"A cosa ti riferisci?" gli domandai curioso
"A quel ragazzo.. quello del primo piano... Adams.. o come diavolo si
chiama!" borbottò facendomi ridacchiare
"Abrams!" lo corressi e lui alzò gli occhi al cielo,
facendomi divertire ancora di più
"Nome diverso, stessa storia.. è uno stronzo... tutte quelle
cattiverie che ha sparato addosso ad ognuno.. erano.. atroci!"
rabbrividì sensibilmente. Per un momento mi ero dimenticato
di
quell'idiota di Abrams. E dire che la serata, in un certo senso era
cambiata grazie a lui.
"La cosa più assurda è... che in tutti questi
anni ho
provato ad immaginarmelo in ogni modo... credevo fosse un carcerato, un
ragazzone pieno di tatuaggi e con la barba incolta... credevo tante
cose ma questa.. un ragazzino della mia età probabilmente,
seduto sulla sedia a rotelle, con un cardigan di lana a rombi gialli ed
un'insulsa montatura spessa... non mi sarei mai aspettato una cosa del
genere!" mormorai pensieroso
"É stato tanto scioccante?" domandò divertito
lui,
girandosi a guardarmi. Io accettai la provocazione con una risata
"Non sai quanto... quel maglione era inguardabile!" risposi schifato e
scoppiammo a ridere come due idioti. Calmate le risate, fu lui a
tornare a parlare
"Io credo che sia soltanto un ragazzo molto triste, in fondo!"
mormorò cautamente facendomi sgranare gli occhi, incredulo
"Stai scherzando, spero!" mormorai allibito "Quel tipo è
tutto
tranne che triste. É disturbato, è sociopatico,
è
arrogante, è cattivo, è... uno stronzo, come hai
detto
tu. Credimi, Blaine... ne ho conosciute di persone tristi e beh...
Artie Abrams non lo è affatto!" lui mi guardò
confuso
"Artie?"
"Oh sì... è stato William a dirmi il suo nome...
ma
credimi ne avrei fatto volentieri a meno!" sputai velenoso. Ok,
ripensare a quel ragazzino mi faceva innervosire sensibilmente, ma non
potevo farci nulla. Se c'era una cosa che non sopportavo erano le
persone che sparavano a zero sugli altri, senza motivo né
cognizione di causa. Artie Abrams aveva superato un limite ben preciso
e di questo non lo avrei mai perdonato.
Blaine al mio fianco si mosse appena, sprofondando un pò di
più nei cuscini e sospirando
"Non ho neanche avuto modo di ringraziarti!" brontolò
allora. Io sollevai la testa confuso
"Ringraziarmi per cosa?"
Per l'orgasmo di poco fa? Bah... semmai, sono io che devo ringraziare
te...
"Per avermi difeso... mi hai lasciato senza parole!" e mi rivolse un
sorriso timido che mi fece arrossire
"Oh.. ehm... non c'è bisogno che mi ringrazi... te l'ho
detto..
è un ragazzo disturbato e non mi andava giù che
sputasse
fango sui miei amici... per questo ho reagito!" risposi, cercando di
ignorare la vocina nella mia testa che rideva sguaiatamente e mi diceva
di smetterla di fingere e di dire la verità. Avevo reagito
perché aveva attaccato Blaine. Ecco tutto. Se lui non ci
fosse
stato, se Blaine fosse rimasto nell'ascensore o malauguratamente fosse
riuscito a raggiungere il pub, io e Abrams non avremmo mai parlato.
Qualcosa era scattato in me nell'esatto istante in cui gli occhietti
azzurri di Abrams si erano spostati su di lui, al mio fianco, e la sua
ira gli si era riversata addosso. E allora non ero riuscito
più
a resistere. Quindi era alquanto stupido da pare mia nascondermi dietro
ad un dito dicendo che lo avrei fatto comunque, a prescindere da chi si
fosse trovato su quel pianerottolo, perché tutti erano amici
miei. Lo avevo fatto per lui, per difendere lui, per difendere il suo
lavoro, la sua vita, il suo buon nome, i suoi sacrifici, la sua
incredibile tenacia e forza d'animo. Certo... mi infastidivano anche i
commenti sugli altri, soprattutto quelli su Rachel e Lea ma... avrei
volentieri evitato di mettermi a fare storie con un idiota del genere.
Eppure, lo avevo fatto. Per salvare Blaine.
Lui si girò a guardarmi, anzi a scrutarmi per essere
precisi, per
alcuni lunghi istanti facendomi di nuovo arrossire. Aveva degli occhi
indescrivibilmente belli. In quel momento, grazie alla luce di un
lampione in strada, che illuminava parzialmente la stanza, riuscivo a
vederne perfettamente il colore: erano di un oro delicato, quasi
sensuale, con delle pagliuzze più scure marroni.
E pensare che quegli
occhi fino a dieci minuti da erano carichi di desiderio per me...
Mi mossi agitato sotto le lenzuola, sentendo improvvisamente caldo e
maledicendomi per non aver indossato di nuovo i boxer. Almeno
mi sarei sentito
un pò più... protetto?
All'improvviso un movimento fulmineo e parecchio inaspettato alla mia
destra, dalla parte del letto in cui stava Blaine, fece sobbalzare
entrambi e per poco non mi misi a strillare o peggio, non saltai
addosso a lui per proteggermi. Quel qualcosa si mosse su per il letto,
agitandosi ed io mi affrettai a sporgermi verso la lampada sul comodino
per accendere la luce, rischiando quasi di capitombolare al suolo. Con
il cuore a mille controllai la camera, tranquilla e silenziosa e poi mi
girai a guardare Blaine che, come me, sembrava parecchio spaventato.
Insieme, neanche a metterci d'accordo, spostammo lo sguardo verso il
letto, fino a trovare un gomitolo di pelo scodinzolante e parecchio
propenso al gioco
"Cooper... maledetto monello... mi hai fatto prendere un colpo!" si
lamentò Blaine tirandosi a sedere per afferrarlo al volo.
Lui
guaì piano ma si fece sollevare e puntò il
musetto verso
il viso del padrone "Brutto cattivo!" mimò Blaine e lui in
risposta abbaiò. Mi morsi un labbro per trattenere le risate
ma
senza volerlo, lasciai vagare lo sguardo sulla magnifica schiena
muscolosa di Blaine - Dio... ma quanto poteva essere fatto bene quel
ragazzo? - fino al basso... fino al sedere, che le coperte tirate
avevano lasciato libero. Arrossii all'istante, ricordandone
perfettamente la consistenza tra le mani, dato che lo avevo accarezzato
più di una volta durante il nostro momento di passione. Ed
era
magnifico, non solo al tatto ma anche alla vista.
Stringendo il lenzuolo tra le mani per reprimere l'impulso di
sollevarmi e toccarglielo ancora, tornai a concentrarmi sul cane che
stava cercando di corrompere Blaine, leccandogli languidamente la
faccia.
"No, signorino, non esiste proprio. Questo non è il tuo
letto e
se vuoi rimanere a dormire con noi, te ne stai buono buono sul
pavimento!" e detto questo si sporse di lato per posarlo al
suolo.
Cazzo...
aveva detto.. dormire con noi? Significava che sarebbe davvero rimasto
con me quella notte e che non mi avrebbe lasciato solo in un letto
enorme, a leccarmi le ferite? Non potevo crederci.
Mai nessuno aveva dormito in quel letto con me, fatta eccezione per
Rachel, una sera, durante la gravidanza, dopo una serata
particolarmente depressa. Mi sentii lo stomaco vibrare per la
consapevolezza e mi ritrovai a sorridere come un idiota. Per fortuna,
ad occhi esterni, sembravo un semplice ragazzo divertito dalla scenetta
comica che cane e padrone stavano mettendo su. La clemenza di Cooper,
infatti, durò ben poco, perché saltò
nuovamente
sul letto, beffeggiando Blaine apertamente
"Cooper!" lo sgridò allora indignato "Ma chi ti ha insegnato
ad
essere così disobbediente? Sebastian... ci scommetto!"
tentò di riacciuffarlo ma lui quella volta fu più
veloce
e corse a nascondersi dietro di lui, accanto a me. Così lo
afferrai e me lo portai in grembo
"Dai, Blaine.. non sgridarlo... per quanto mi riguarda...
può
rimanere con noi... non ho problemi!" esclamai accarezzando il collo al
cucciolo che, quasi avesse capito, si girò verso il padrone
e
sbuffò soddisfatto. Blaine guardò prima lui e poi
me,
accigliato
"Non deve prendere questo vizio.. il suo posto è sul
pavimento... non sulle coperte o sul divano!" si lamentò
risistemandosi sui cuscini. Io ridacchiai, assecondando i movimenti di
Cooper e continuando a coccolarlo
"Ma il pavimento è così freddo, Blaine... faresti
davvero
dormire un cucciolo così dolce e coccoloso... sul
pavimento?" mi
portai il cane vicino al viso ed entrambi ci girammo verso Blaine per
un'occhiata tutta miele, con tanto di labbro
tremolante. Lui non resistette e scoppiò a ridere
"Avresti dovuto fare l'avvocato.. le argomentazioni giuste ce le hai. E
se vuoi posso far mettere da Sebastian una buona parola per te!" mi
disse divertito, allungando una mano verso la testolina di Cooper per
accarezzarlo a sua volta
"Preferisco la moda!" arricciai il naso, passando distrattamente il
dito sulla schiena di Cooper, mentre lui si distendeva sulla mia pancia
e sospirava contento. Aveva ottenuto quello che voleva, e a dirla
tutta.. eravamo in due. Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il
quale ognuno, cane incluso, rimase ancorato ai propri pensieri. I miei,
nello specifico, riguardavano un meraviglioso corpo ambrato e due occhi
color caramello.
"Kurt.. posso farti una domanda?" fece lui all'improvviso girandosi su
un fianco e poggiando un gomito sui cuscini per sostenere la testa. Mi
girai a guardarlo e lo trovai intento a scrutarmi, curioso e attento.
Arrossii ancora e maledizione.. quella volta c'era luce a sufficienza
per accorgersene
"Dimmi!" assentii distrattamente. Si morse un labbro, pensieroso, ma
alla fine parlò
"Ok.. magari la mia sarà una domanda indiscreta e hai tutti
i
motivi per mandarmi al diavolo e non rispondere, però..
ecco...
io mi chiedevo... come vanno le cose tra te e David?" esitò
parecchio prima di domandare, e bloccò perfino le carezze
alla
testa del cane. Sgranai gli occhi stupito. Tutto mi sarei aspettato,
perfino una critica a quello che c'era stato, ma mai avrei potuto
sospettare che arrivasse a chiedermi di David. Del mio rapporto con
lui, della nostra relazione. E Santo Cielo, la cosa più
assurda,
era che tutto sommato sarebbe stato anche accettabile e prevedibile una
domanda del genere. Ogni sano di mente lo avrebbe chiesto. Da che mondo
è mondo, quale relazione sana e stabile, comprende un
tradimento
- un doppio tradimento - tanto palese e addirittura ricercato e voluto?
Quale relazione ammette le fantasie erotiche su un terzo soggetto? E
quale ragazzo fedele e coscienzioso, desidera ardentemente il corpo di
un altro, nonostante lo abbia appena avuto?
Abbassai la testa, colpito in pieno, mentre la vergogna iniziava
lentamente ad attanagliarmi lo stomaco. In che modo avrei potuto
spiegare a Blaine come stavano realmente le cose, senza risultare
superficiale ed infantile?
"Woah... ecco.. ho fatto la mia figura.. sono un cazzone!" si
lamentò lui passandosi una mano sul viso "Ti prego, Kurt..
fai
come se niente fosse.. ignora me e la mia stupidità!" scossi
la
testa, accennando un sorriso malinconico. Lui non era un cazzone,
semmai ero io ad esserlo e la sua domanda non era affatto stupida. Era
sensata, fottutamente sensata.
"É complicato da spiegare!" mormorai afflitto, perdendomi in
un
lungo sospiro "E in verità... non ci ho mai veramente...
pensato!"
"D'accordo.. io... ecco non c'è bisogno che tu.. non
volevo.."
ma lo bloccai, in un eccesso di sicurezza e coraggio che non seppi
precisamente da dove tirai fuori
"Io non lo amo!" esclamai asciutto, ed immaginai subito di sentirmi a
disagio per aver confessato una cosa così grossa e
significativa, e invece... avvertii solo sollievo. Lui trattenne il
fiato, continuando a scrutarmi, rimanendo in silenzio, in attesa che
continuassi
"La verità è che.. io non l'ho mai amato.. e
penso che...
non riuscirei mai ad amarlo!" confessai con il cuore in gola e strinsi
forte la pelliccia di Cooper che sussultò appena ma non si
mosse. Faceva uno strano effetto trovarmi in quel letto con Blaine a
parlare dei miei problemi di coppia, dato che quella era davvero
l'ultima cosa che avrei avuto intenzione di fare. Sembrava di stare
dallo psicanalista e la cosa buffa, in un certo senso, era che fossimo
entrambi ancora completamente nudi.
"E allora perché... non lo lasci?" domandò in un
soffio confuso e sorpreso da quella rivelazione.
Già, Kurt...
perché non lo lasci?...
"Te l'ho detto... è complicato!" mormorai frustrato,
passandomi
una mano sulla nuca, a disagio. Non ero abituato a parlare di me.
Nessuno, a parte forse Rachel ogni tanto quando non era preoccupata per
sé o per Lea, mi aveva mai chiesto qualcosa di personale,
sulla
mia vita. Da fuori forse apparivo un ragazzo senza troppi problemi e
questo spingeva la gente ad ignorarne di eventuali. O forse... a
nessuno interessava realmente. Ma allora perché... Blaine
sembrava così interessato a capire... ad ascoltarmi?
"É... lui che.. te lo impedisce?" domandò allora,
quasi
con voce strozzata. In un primo momento non capii esattamente dove
volesse andare a parare per questo mi girai confuso a guardarlo.
L'espressione leggermente terrorizzata che gli lessi sul volto, mi fece
sussultare. E allora afferrai il suo timore
"Oddio, no... no Blaine lui... non mi ha mai costretto. Sarà
anche uno stronzo e un pessimo fidanzato ma.. non mi costringe nessuno
a stare con lui!" specificai allarmato che potesse anche solo pensare
una cosa tanto brutta. D'accordo che David potesse avere ogni genere di
difetto esistente sulla faccia della terra, ma arrivare a dire che lui
non mi avrebbe mai permesso di lasciarlo.. beh.. questo no!
No?...
Sospirò sollevato annuendo leggermente. Non sembrava
particolarmente convinto, però... perlomeno aveva smesso di
pensare il peggio. Provai allora a distrarlo, cercando in qualche modo
di spiegarmi meglio
"Ecco io... non so spiegarti con esattezza cosa mi leghi a lui... so
soltanto che, qualsiasi cosa sia, non si tratta di amore.. forse
affetto, quello sì.. ma.. niente di più!"
scrollai le
spalle impotente, non sapendo cos'altro aggiungere. Lui si mosse sui
cuscini sistemandosi meglio
"Kurt... si può provare affetto per un amico.. per un
fratello... o per un... cane... non è normale
però
provarne per il proprio ragazzo.. te ne rendi conto, vero?" mi
domandò sempre cauto, con un tono per niente d'accusa.
Arrossii
ancora, sotto il peso di quegli occhi limpidi e confusi. Ma era senza
dubbio la verità a farmi arrossire di più.
"Lo so..." mormorai a disagio, desiderando ardentemente che quella
conversazione non fosse mai iniziata. Perché non potevamo
tornare a parlare di Abrams? Oppure di Sebastian e delle argomentazioni
degli avvocati? O del pavimento freddo del mio appartamento? Tutto,
tranne quello. Non ero pronto e forse... non lo sarei mai stato.
Probabilmente in fondo al mio cuore.. conoscevo esattamente i motivi
che ancora mi legavano a David, il problema sarebbe stato ammetterli.
Un leggero movimento al mio fianco mi fece spostare di nuovo lo sguardo
su di lui e quasi con il cuore in gola mi resi conto di quanto si fosse
avvicinato e di come le sue labbra si fossero posate delicatamente
sulla mia spalla nuda per poi distendersi in un sorriso tenero, da far
sciogliere la più immensa calotta polare
"Dai, basta.. non era mia intenzione deprimerti... ti preferisco quando
sorridi o quando inveisci contro i condomini arroganti... sei
nettamente più bello!" mi disse sorridendomi, le magnifiche
fossette ad incorniciare il tutto e gli occhi lucenti. Io arrossii,
perché maledizione.. oltre ad avermi dato un tenerissimo ed
umido bacio sulla pelle ancora accaldata, mi aveva appena detto di
trovarmi bello. Ed ero sicuro che al mondo, nessun altro avrebbe potuto
farmi sentire in quel modo, con un complimento tanto banale. Tentai un
sorriso riconoscente, mentre gli occhi si inumidivano a sorpresa. No,
ci mancavano solo le lacrime.
"Bene direi che è arrivato il momento per dormire... sono
le...
cazzo, sono le due.. e tra meno di tre ore devo essere a lavoro,
grandioso!" sbuffò, con un leggero sorriso divertito.
Controllai
l'orologio anche io, stupito di quanto fosse
tardi, e di come il tempo
fosse volato, letteralmente. Un attimo prima erano le undici e tutti
stavano lasciando tranquillamente il mio appartamento. Quello dopo
erano le due di notte ed io e Blaine eravamo reduci di un'altra
sessione di appagante sesso.
Devo smetterla di
chiamarlo in modo così squallido, sminuisce la cosa.. si
dice fare l'amore...
"Perché non mandi un messaggio al forno e chiedi di rimanere
a
casa? In fondo... tra qualche giorno te ne andrai da lì,
è giusto che inizi fin da ora ad abituarti alla
libertà!"
gli proposi e lui sembrò pensarci seriamente. Uno sbadiglio
sonoro parve decidere per lui. Scoppiai a ridere, dandogli una spallata
scherzosa, che mi incendiò la pelle
"Coraggio... manda questo messaggio, così possiamo
finalmente
dormire!" lo incitai e lui con mezzo sorriso grato, e gli occhi
stranamente lucidi si sporse per cercare il cellulare nella tasca dei
pantaloni - maledetto sedere che continuava a sbucare all'improvviso e
a tradimento - e mandò il messaggio.
"Fatto... mi sento stranamente... leggero!" esclamò
serenamente,
poggiando il cellulare sul comodino per poi sistemarsi con la testa sul
cuscino e sorridermi. Anche io scivolai più giù,
di
fronte a lui e risposi al sorriso
"Vedi di abituartici... tra qualche giorno sarà sempre
così!" feci io divertito e lui fece una smorfia appena
commossa.
Rimanemmo a guardarci per lunghi istanti fino a che lui non si
avvicinò di nuovo a me e non mi posò un leggero
bacio
sulla fronte, che mi fece avvampare all'istante e mi mancò
il
fiato in gola per la sorpresa. Era un gesto così tenero ed
intimo da mandarmi fuori di testa. L'unico ad aver mai fatto una cosa
del genere durante tutta la mia vita era stato... mio padre...
"Buonanotte Kurt..." mormorò con gli occhi visibilmente
stanchi. Io sospirai
"Buonanotte a te, Blaine!" e lui si allontanò dal mio corpo,
purtroppo, accoccolandosi meglio tra i cuscini per poi addormentarsi.
Lo intuii dal respiro più profondo e regolare e
dall'adorabile
espressione beata e tranquilla che mise su. Sembrava così
indifeso ed era così maledettamente bello. Con i capelli che
gli
ricadevano sulla fronte, la bocca leggermente dischiusa, le ciglia
lunghe che gli sfioravano delicatamente gli zigomi. Una meraviglia
della Natura ed io avevo avuto l'enorme ed insensata fortuna di
accoglierlo nel mio letto, e non solo in quello.
Mi sistemai meglio, dimenticandomi involontariamente del cane ancora
accoccolato su di me, che si alzò e si sistemò
esattamente in mezzo a noi, con il muso poggiato al braccio di Blaine.
Sorrisi intenerito: avrei voluto fare una foto ad entrambi e poi
metterla come sfondo sul cellulare. Certo, peccato che forse David non
avrebbe gradito.
Già, David...
Con un sospiro ritornai a pensare alla domanda che mi aveva fatto
Blaine sulla mia relazione sbagliata e alquanto ambigua. Io conoscevo
alla perfezione la risposta alla sua domanda... ma come avevo detto,
trovavo parecchia difficoltà ad ammetterlo. Ero un fifone.
Un
fifone di venticinque anni.
Distrattamente passai una mano sulla fronte di Blaine scostandogli
qualche riccio ribelle e, sospirando, mi ritrovai a confessare
"La verità è che... ho una fottuta paura di
rimanere solo!"
|
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Capitolo 24 *** La tazza sorridente ed il ninja sul terrazzo ***
Buon
Lunedì e buon inizio settimana a tutti... da oggi finisce la
pacchia per la sottoscritta perché ahimé sono
ricominciati i corsi ç__ç ma non vi preoccupate,
per il momento questo non comporta nessun cambiamento per quanto
riguarda gli aggiornamenti, solo gli orari potrebbero cambiare,
anziché la mattina potrei pubblicare il pomeriggio, ma
cercherò di non posticipare troppo nell'arco della giornata,
promesso ^^ Dunque, vi siete ripresi un pò per gli ultimi
due capitoli a forte carica erotica? Ah, io ancora no XD stento ancora
a credere di aver scritto quelle cose, ma.. come dico spesso,
è colpa loro se succedono certe cose nella storia, io mi
limito a pubblicarle sul sito ^^ Per quanto riguarda questo capitolo...
beh molti di voi leggendo lo spoiler mi hanno già minacciata
di morte e cose così... quindi vi avviso... ho
già pronte le valigie per l'espatrio, parto subito dopo la
pubblicazione ç___ç è stato bello
conoscervi e... sappiate che vi ho voluti bene... TUTTI! Mmmm
scherzoooo... ci vediamo Giovedì XD
p.s.
Immagine come sempre offerta dal mio adorato Dan, che vuole uccidermi
quasi quanto voi.. ç___ç Dan, luce dei miei
occhi.. perdonami se puoi. Firmato Sebastian the Bastard <3
n.b. Pagina Facebook (
Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments ) il prossimo mm sta
arrivando... abbiate fede ^^
New York City. Ore 08.23
A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)
In venticinque anni di misera vita, non ero
mai riuscito
a trovare il tempo per andare al museo per contemplare qualche storica
opera d'arte o qualche monumentale statua e quindi, di quel tipo di
bellezza, ne sapevo davvero poco, se non addirittura niente. A scuola
era stato un corso che avevo sempre tenuto alla larga con un certo
disappunto, preferendo lezioni come "Storia della Cucina" - che,
tuttavia, non mi aveva insegnato neanche il modo migliore per cucinare
un semplice uovo fritto - oppure "Elementi basilari della Meccanica
industriale" - faceva già paura il nome, figuriamoci il
corso vero e proprio.
Quindi di arte ero davvero inesperto, nudo, alle prime armi... eppure,
in quel momento, disteso a pancia in giù, testa sul cuscino
e
corpo completamente rilassato, sentivo di stare contemplando una delle
opere d'arti più meravigliose che la natura potesse offrirmi
e
questa si trovava esattamente nel mio letto.
Blaine dormiva tranquillo, rilassato ed innocuo come un cucciolo di
Labrador - paragone assai calzante dato che, neanche a farlo di
proposito, ne avevamo uno proprio in mezzo a noi, intento a russare
leggermente. Accarezzai la testolina morbida di Cooper e distrattamente
allungai di più la mano, verso il braccio del suo padrone,
poco
distante. Aveva la pelle calda e di un colore così
affascinante,
che a contatto con la mia, aveva un duplice effetto: risaltava
maggiormente, ma allo stesso tempo mi faceva diventare ancora
più niveo e trasparente. Glielo avrei dovuto far notare
prima o
poi, e forse anche lui si sarebbe fatto quattro risate con me.
Risalii la mano verso la fronte e gliela accarezzai con la punta delle
dita, scostando così qualche riccio in disordine.
Erano
così morbidi e mi piaceva da impazzire passarci le dita
attraverso, perché lo trovavo estremamente rilassante. E
sarei
stato anche tentato di farlo ancora, se solo non avessi rischiato di
svegliarlo, e allora sì che sarebbe stato imbarazzante
spiegargli cosa stessi facendo.
Con molta attenzione mi sollevai dal letto, cercando in ogni modo di
non far svegliare né lui né il cane - che
continuava a
russare come un essere umano, accidenti! - e mi affrettai ad indossare
i boxer, un pantalone ed una t-shirt, per poi uscire molto
silenziosamente dalla camera, a malincuore lo ammetto. Prima di
lasciare la stanza, però, lanciai un'altra occhiata al corpo
addormentato di Blaine, giusto per accertarmi che fosse ancora
lì e che non lo avessi sognato, che nulla di quello che
quella
notte era successo lo avessi immaginato semplicemente.
Per mia fortuna era tutto reale, lui e il suo cane lo erano ed io quasi
mi lasciai scappare un sospiro beato nel contemplarli. Erano
una
visione da togliere il fiato ed io avevo avuto il privilegio, non solo
di poterli osservare dormire, ma anche di ospitare nel mio letto.
Quando mi sarebbe capitata di nuovo quella fortuna?
Perfettamente rilassato e riposato, nonostante le appena quattro ore
di sonno, mi ritrovai in cucina: quella volta avrei pensato io alla
colazione perché... quella era casa mia ed era giusto
così. Dovevo ringraziarlo per tante cose: per essermi ancora
amico, per essere rimasto a darmi una mano dopo la cena, per essersi
lasciato guidare dall'istinto la sera prima, per avermi baciato,
toccato, venerato ed apprezzato ancora una volta, pur non avendo nessun
apparente motivo per farlo. E ancora, per avermi dato modo di
sperimentare finalmente un paio di esperienze nuove e meravigliose che
probabilmente non avrei mai potuto fare altrimenti, per essere rimasto
a dormire con me, nel mio letto, per non essere scappato, per non
avermi fatto troppe domande, per essersi interessato alla mia vita con
la solita innocente discrezione e per essere ancora sotto il mie
lenzuola a renderle più profumate e a rendere l'inizio della
mia
giornata, notevolmente più piacevole.
Misi su del caffè - quello lo sapevo fare - e tirai fuori
dalla
credenza delle fette biscottate e della marmellata. Blaine era
più tipo da pesca, fragola o frutti di bosco? Mmmm...
decisamente fragola. Sistemai tutto con molta cura sulla tovaglia e
rimasi in attesa che il caffè uscisse, recuperando un paio
di
tazze ed un pò di cacao. Tutto sommato, nonostante non
avessi
fatto le frittelle come lui la prima volta, potevo ritenermi
soddisfatto. Di certo non sarebbe morto di fame e poi, era
già a
conoscenza delle mie lacune culinarie, quindi non avrebbe fatto molte
storie a riguardo.
Spensi la macchinetta, riempii le due tazze e, con un sorriso scemo
sulla faccia, disegnai una piccola faccina sorridente con il cacao
sulla superficie del suo caffè e,
quando fui soddisfatto, sospirai e mi diressi verso la camera da letto,
per svegliare Blaine. Cosa sarebbe stato meglio? Scuoterlo leggermente
annunciandogli che la colazione era pronta? Semplicemente chiamarlo per
nome e sperare che il suo sonno fosse abbastanza leggero per sentirmi?
Oppure, come nelle favole, lo avrei dovuto risvegliare con un tenero e
romantico bacio?
Mmmm... c'è
bisogno di chiedere quale delle tre opzioni preferirei mettere in
pratica?...
Ma non riuscii neppure ad arrivare in camera, perché il
campanello prese a suonare, con molta insistenza. Confuso guardai
l'orologio appeso nel salotto: erano le otto e trentacinque e dunque
non sapevo proprio chi mai potesse disturbarmi ad un orario tanto
assurdo del mattino. Per un attimo temetti fosse Rachel che, curiosa di
sapere come si fosse conclusa la mia serata - dato che per tutta la
cena non aveva fatto altro che lanciarmi occhiate eloquenti e
bisbigliarmi frasi del tipo "Stasera è particolarmente
bello, te
ne sei reso conto?" - e quindi, spinta dalla maledetta ed invadente
curiosità che si ritrovava, era salita direttamente per
constatare di persona cosa fosse successo. Magari dimentica perfino del
fatto che quella a dover iniziare con le spiegazioni fosse lei e non
io.
Andai ad aprire la porta e nell'istante esatto in cui i miei occhi si
erano scontrati con quelli castani e furiosi di David, il mio respiro
si era letteralmente congelato nel petto, facendomi boccheggiare in
cerca d'aria e mi maledissi immediatamente per non aver pensato
minimamente di controllare dallo spioncino prima di spalancare quella
maledetta porta. Mi sarei evitato quella assurda situazione, avere il
mio ragazzo sullo zerbino ed il mio vicino nudo ed addormentato tra le
mie lenzuola. Ed ognuno di loro, ancora all'oscuro di tutto.
New
York City. Ore 08.36 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)
C'era stato qualcosa, forse un rumore o probabilmente il guaito appena
accennato di Cooper che all'improvviso mi aveva fatto passare dal sonno
profondo ad essere completamente sveglio e recettivo. Avevo aperto gli
occhi e mi ero guardato attorno leggermente confuso, fino a che, non
avevo fatto due più due ed avevo capito che quelle lenzuola
non
erano le mie, ma di Kurt e che per la seconda volta avevamo dormito
assieme dopo aver fatto l'amore.
Sospirai, stanco, e mi tirai a sedere, mentre il mio cane sollevava il
muso e stringeva gli occhi nella mia direzione, quasi stentasse a
riconoscermi
"Sono sempre io, piccola peste... sono solo completamente nudo e
assurdamente assonnato!" ed accennai un sorriso concedendogli una
carezza sulla testa. Bene, ora mi sarei dovuto alzare e, per la seconda
volta in una settimana, avrei dovuto affrontare a tavolino con Kurt
quello che era successo la notte prima. Peccato che forse, quella
volta, ci sarebbero stati due o tre particolari in più da
spiegare.
Tipo...
perché diavolo in
quattro anni di relazione il tuo ragazzo non ti ha mai consentito di
stare sopra? Perché mi sembravi così terrorizzato
quando
mi sono inginocchiato spontaneamente sotto di te? Perché eri
così spaventato e tremante? E perché diamine non
sei ora
qui nel letto con me e non mi stai riempiendo di coccole?...
Lanciai un'occhiata alla sua radiosveglia sul comodino e lì
capii il perché.. era tardi e lui generalmente alle nove
usciva
di casa. Che se ne fosse già andato? Oppure... mi stava
preparando la colazione? Sorrisi intenerito all'idea e mi allungai
verso il pavimento per cercare i miei abiti, sparsi un pò
ovunque. Ma all'improvviso qualcosa mi fece gelare sul posto. Una voce,
una specie di urlo scimmiesco proveniente da un punto imprecisato della
casa, che mi fece tremare dalla punta dei ricci fino a sotto i piedi.
Rimasi immobile, con un braccio ancora allungato verso la mia maglia,
completamente paralizzato. Quello non era Kurt, lui non stava gridando,
non era la sua voce. Ma allora chi...
"Quando pensavi di farmi una fottuta chiamata, Kurt? Quando pensavi di
farmela?" urlò la voce, maschile ovviamente, minacciosa e
dura.
La voce di Kurt invece, pur arrivandomi chiara all'orecchio, era
notevolmente più bassa, anche se agitata sensibilmente
"Abbassa la voce, Dave... non sei a casa tua e non ti permetto di usare
quel tono con me!" esclamò secco. Quasi caddi di testa per
terra. Aveva detto... Dave? Dave stava per David, giusto? E David
era... oh porco cazzo! Il suo ragazzo era lì, nel suo
appartamento, fisicamente presente, ed io ero ancora completamente
nudo. Cosa sarebbe successo se fosse entrato in camera da letto e mi
avesse visto in quello stato? Anzi, cosa sarebbe successo se mi avesse
visto e basta? Prevedevo guai, grossi guai.
Biascicando un'imprecazione a mezza bocca, mi affrettai ad indossare i
miei vestiti - i miei boxer proprio non riuscivo a trovarli, ma...
ehi... poco male, ne avevo tanti nel mio appartamento, a soli tre metri
di distanza - e solo dopo aver malamente recuperato il cellulare dal
comodino, aver nascosto il lubrificante nel cassetto e la carta vuota
del preservativo nella tasca dei jeans ed aver sistemato alla meglio la
mia parte del letto - tanto per non destare sospetti - mi arrischiai ad
affacciarmi nel corridoio. Bene da lì, tutto tranquillo,
potevo
anche tentare di... scappare dal balcone, no? Magari avrei potuto
scavalcare la grata proprio come aveva fatto Kurt qualche giorno prima,
sperando di essere altrettanto atletico e fortunato. Sempre se, la
cattiva sorte, non avesse voluto che prima David mi scoprisse.
Da lì
le grida del ragazzo si avvertivano decisamente più chiare e
io
avvertivo uno strano tremolio alle mani, quasi fossi più
innervosito dal tono che quel pazzo stava usando nei confronti di Kurt
che del pericolo di essere scoperto. Kurt a conti fatti era solo ed io
non avrei potuto fare nulla per aiutarlo. Dovevo rimanere fermo ad
ascoltare passivamente e a reprimere la voglia di entrare in cucina e
riempire di pugni e calci quello sbruffone? Come diavolo aveva fatto
Kurt a stare per ben quattro anni con uno così?
É complicato da spiegare!...
Io non ci trovavo niente di così complicato: lui stesso
aveva
ammesso di non amarlo e di non poterlo mai amare, quindi non capivo
cosa lo costringesse a rimanere ancora con lui, soprattutto se a conti
fatti quello era il modo in cui veniva trattato. Avevo temuto, e temevo
ancora, che fosse David a non permetterglielo ma io, non ero nessuno
per mettermi in mezzo ad una situazione del genere. Doveva essere Kurt
a decidere di lasciarlo ed io... beh... dovevo rimanere ancora una
volta fermo e buono ad ascoltare passivamente.
"E mi spieghi cosa cazzo ci fanno due tazze di caffè sulla
tua
tavola? C'è qualcun altro con te?" gridò ancora
la voce.
Kurt mi aveva davvero preparato la colazione, ma invece di essere
entrambi seduti al suo tavolo per gustarla tranquillamente, io ero
nascosto in corridoio e lui stava affrontando il suo ragazzo in
cucina. David aveva capito che ci fosse qualcun altro
nell'appartamento oltre
a Kurt, così istintivamente feci un passo indietro, quasi
volessi
correre a nascondermi. Sarebbe stato più incosciente andare
a
chiudersi in bagno, oppure rimanere lì ed affrontare lui e
la
sua ira?
"No David non c'è nessuno... questa tazza l'ho preparata
per..
Rachel, avevo intenzione di invitarla su a fare colazione con me!"
riuscì ad inventare lui, risultando perfettamente credibile
perfino alle mie orecchie, che conoscevano la verità.
Sorrisi,
fiero della sua prontezza di riflessi e del suo sangue freddo. Io
probabilmente al suo posto sarei svenuto lì in quella cucina.
Mmm.. probabilmente io al suo posto, se fossi stato fidanzato, non mi
sarei portato un altro ragazzo a casa...
"E tu... inviti qui la tua amichetta... ma di chiamare il tuo cazzo
di fidanzato, no?" gridò di nuovo David, facendo spaventare
anche me.
"Io invito chi mi pare.. questa è sempre casa mia fino a
prova
contraria!" esclamò Kurt, sempre più infervorato.
Non
sapevo fino a che punto convenisse remare contro David. Certo, lui lo
stava trattando malissimo, però, doveva ricordarsi che,
anche lui
era in difetto e avremmo rischiato grosso entrambi se mi avesse trovato
in quella casa. Sperai vivamente che Kurt sapesse cosa stesse facendo e
come trattare il suo ragazzo, altrimenti eravamo spacciati.
Prendendo un lungo respiro, avanzai lentamente verso il salone,
rasentando le pareti e camminando letteralmente in punta di piedi:
l'atteggiamento da finto ninja era un'arma a doppio taglio,
perché sì,
mi permetteva di muovermi indisturbato per la casa, ma allo stesso
tempo mi avrebbe reso ancora più colpevole agli occhi
adirati e
gelosi di David. Quindi era meglio andarci cauti. Mentre la
conversazione continuava, fortunatamente con toni più
leggeri -
David gli stava chiedendo che fine avesse fatto la sera prima e
perché non lo avesse chiamato, e lui gli stava spiegando che
c'era stato un incidente con l'ascensore ed era stato occupato a
cercare di liberare alcuni condomini - io riuscii a raggiungere la
porta-finestra e
molto delicatamente, sudando sette camicie, riuscii ad aprirla. In
quell'istante, però, sentendomi osservato, azzardai
un'occhiata
verso la cucina, che si trovava proprio di fronte a me. Gli occhi
terrorizzati e tremendamente dispiaciuti di Kurt si incatenarono ai
miei e ci fu un lungo istante, in cui riuscimmo a comunicare in
quell'assurdo modo. Io tentai un mezzo sorriso rassicurante e lui,
mordendosi un labbro, scosse appena la testa. David era seduto al
tavolo della cucina e mi dava le spalle. Da dietro, dovevo ammettere,
che riusciva ad incutere una certa paura data la sua poco rassicurante
stazza. Dio, quel tipo era il doppio di me - non che ci volesse poi
molto - ed io davvero avevo pensato di irrompere in cucina ed
affrontarlo? Mmm... magari rinunciando spontaneamente ad un paio di
ossa, forse. Ma che diavolo ci faceva Kurt, così gentile e
delicato, con un colosso del genere? Cosa c'entrava con lui?
Ecco spiegate alcune delle parole di Abrams... quel tizio aveva avuto
ragione almeno nel descrivere David...
Con un sospiro, staccai gli occhi dai suoi, e sparii sul terrazzo. Una
volta all'aria aperta, respirai, riempiendomi completamente i polmoni,
dopodiché mi avvicinai alla ringhiera. Ok, se ero riuscito a
sopravvivere alle ire di un fidanzato giustamente geloso, sarei morto
nel tentativo di scavalcare quell'affare. Ma io dico, dove si era mai
vista una cosa del genere? Cos'ero diventato? L'amante che si nasconde
sotto il letto, nella speranza di non essere visto dal marito,
rientrato
prima dal lavoro? Che diavolo era successo nel mezzo?
Sei andato a letto con Kurt.. ecco cosa è successo...
E se mi fossi nascosto lì, magari dietro una pianta, e
avessi
aspettato che David fosse andato via per poi uscire dalla porta? Magari
avrei mandato un messaggio a Kurt, avvertendolo del fatto che fossi
ancora lì e che magari avrebbe potuto farmi un cenno quando
lui
fosse uscito. Solo che, rimanere su quel terrazzo e nascondersi dietro
qualcosa, avrebbe significato rimanere lì a spiare la vita
privata di Kurt e David... ed io non me la sentivo proprio. Magari, per
fare pace, David l'avrebbe convinto ad andare in camera da letto a...
No, dovevo farmi forza e scavalcare quella maledetta ringhiera.
D'altronde c'era riuscito lui, perché io non dovevo farcela
allora? Mi aggrappai saldamente alle sbarre e salii sul muretto. Bene,
avevo
appena scoperto di soffrire di vertigini. Bella scoperta del
cazzo!
Ottimo tempismo Anderson...
Guaendo come un idiota in punto di morte e con le mani tremanti, misi
un piede dall'altro lato e con una mossa, che poco aveva a che vedere
con la grazia e l'agilità che aveva usato Kurt qualche sera
prima per compiere lo stesso gesto, riuscii ad atterrare
miracolosamente illeso dall'altra parte. Mi trattenni dal mettermi a
ballare entusiasta, solo perché avvertivo ancora addosso una
certa adrenalina e la paura per il rischio immenso che entrambi avevamo
corso. Non ci potevo ancora credere: eravamo stati due sfigati e David
aveva scelto davvero il giorno meno adatto per decidere di fare una
sorpresa al suo fidanzato. Se avessi potuto, gli avrei stretto la mano
per complimentarmi.
Con un sospiro stanco entrai in casa - per fortuna avevo l'abitudine di
lasciare socchiusa la porta-finestra, altrimenti sarebbe stato davvero
buffo capire come rientrare - e senza neanche pensarci mi diressi in
cucina per mettere su un pò di caffè. Ne avevo
bisogno
per svegliarmi e per provare così a ragionare un
pò a
mente perlomeno lucida. Anche se c'era ben poco da ragionare. Kurt in
quel momento era dall'altra parte del pianerottolo a parlare con David,
probabilmente
avevano già fatto pace e lui era stato costretto - o forse
no -
a distrarlo, trascinandoselo in camera. Nella camera dove, fino a
mezz'ora prima, dormivo anche io. Nel letto in cui, quella notte, lui
aveva
fatto l'amore con me, aveva sperimentato cose nuove, facendomi
ugualmente sentire vivo nonostante l'imbarazzo e l'inesperienza. Sulle
stesse coperte sulle quali aveva fatto dormire anche il mio cane,
nonostante
i miei tentativi di persuasione. E...
Aspetta un minuto...
Lanciai un'occhiata terrorizzata verso le ciotole colorate che avevo in
un angolo della cucina, vuote perché ovviamente il loro
proprietario ne aveva fatto razzia. E solo allora mi resi conto di una
cosa: per colpa della paura di essere scoperti, della fretta di
scappare, della voglia di liberare entrambi da quella situazione, mi
ero
completamente dimenticato di una cosa. Cooper era ancora a casa di Kurt!
New
York City. Ore 08.56 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)
Mi tremavano le mani. Quasi non riuscivo a tenere ferma la tazza di
caffè che avevo preparato - quella con il sorriso,
ovviamente,
l'altra l'avevo data a David. Mai avrei potuto immaginare che mi
sarebbe potuta capitare una cosa del genere. Mai, in quattro anni di
relazione David si era mai presentato alla mia porta così
presto
di mattina, senza avvisare, ma tecnicamente non era quello a farmi
tremare così tanto. Era stata la consapevolezza di
ciò
che sarebbe potuto succedere se, per qualsiasi motivo, avesse deciso di
lasciare la cucina, ed andare in camera da letto a controllare. Non
osavo immaginare cosa sarebbe successo se avesse scoperto Blaine,
ancora nudo tra le mie lenzuola. Probabilmente non si sarebbe
più limitato semplicemente ad urlare. Della mia
incolumità non mi importava, ma se avesse fatto del male a
Blaine... beh, allora lì le cose cambiavano parecchio.
Vederlo lasciare il mio appartamento di soppiatto, quasi fosse un
ladro, e nonostante tutto avere ugualmente la forza per sorridermi
rassicurante, quasi non fosse successo nulla, mi aveva fatto sentire
ancora più maledettamente uno schifo. Ce lo avevo messo io
in
quella situazione, non perché lo avessi costretto a venire a
letto con me e a fermarsi a dormire durante la notte, semplicemente era
colpa mia perché ero io quello fidanzato ed io avrei dovuto
essere un pò più di coscienza e prevedere che
prima o poi
le cose sarebbero andate esattamente in quel modo, scivolandoci dalle
mani. Avevamo rischiato davvero tanto ed io ancora non lo avevo
pienamente realizzato.
"Sei ancora convinto di non voler venire con me a Toronto la settimana
prossima?" mi domandò ad un tratto la voce tesa e ancora
innervosita di David, fortunatamente ad un tono molto più
basso
rispetto a prima. Io lo guardai, confuso, senza davvero capire. Ero
ancora troppo scosso per prestargli attenzione.
"Mmmm si.." borbottai, mandando giù un altro sorso di
caffè di Blaine
Questo era il suo
caffè con la
sua faccina sorridente. Avrei voluto tanto vedere la sua espressione
davanti a questa tazza...
"Davvero, Kurt.. a volte fai delle cose che io proprio non capisco!"
sbottò lui, sollevandosi in piedi di scatto. Io inarcai un
sopracciglio, guardandolo male
"E allora non sforzarti neanche di capirle!" ribattei. Quella colazione
non doveva finire in quel modo, anzi.. la mia giornata non doveva
cominciare così, con un'altra litigata con David. Avrebbe
dovuto
essere piacevole, sorridente, magari perfino un pò
imbarazzata,
ma senza ombra di dubbio i miei occhi si sarebbero dovuti incatenare ad
un oceano dorato, piuttosto che perdersi in una bufera in formato
David. Perché? Perché se per una volta provavo ad
essere
felice, doveva necessariamente andarmi male? Perché io non
potevo prendermi il mio momento di serenità con la persona
che
io avevo voluto scegliere, e non potevo lasciarmi andare, senza
maschere né finzioni, né costrizioni di alcun
tipo?
Perché non potevo semplicemente essere un banale ragazzo di
venticinque anni, con la vita tranquilla, la vita sentimentale sgombra
e la voglia di fare tranquillamente ogni tipo di esperienze?
Perché doveva per forza essere così difficile?
Gli strappai quasi la tazza mezza vuota dalle mani e mi affrettai a
sciacquarle dentro il lavandino. Mi veniva da piangere: era sbagliato,
tutto sbagliato ed io non avrei dovuto trovarmi lì con David
quella mattina, ma avrei dovuto invece litigare scherzosamente con
Blaine su chi dovesse lavare i piatti - dato che la sera prima non lo
avevamo fatto - o su come dovessimo definire quella seconda esperienza.
Io una mezza idea ce l'avevo, ma non potevo rischiare di formulare un
pensiero tanto importante, proprio davanti alla figura innervosita di
David. Meglio da solo, magari nel mio letto che ancora sapeva di
Blaine, dopo aver pianto ancora un pò per colpa della mia
vita
ingiusta.
Te la sei scelta tu
questa situazione, Kurt.. tu sei padrone della sua vita e puoi
cambiarla in qualsiasi momento...
Con un sospiro, liquidai la questione piatti a quella sera, dirigendomi
verso la camera da letto per cambiarmi, ma di nuovo qualcosa me lo
impedì: nel salotto trovai un piccolo cucciolo di Labrador,
compostamente seduto, in attesa di qualcosa, forse di cibo. Lo guardai
sconvolto, avvertendo un'altra nota di panico attanagliarmi lo stomaco:
cazzo, Cooper era ancora lì. Blaine se lo era dimenticato!
Maledizione,
maledizione, maledizione...
Cooper abbaiò leggermente, salutandomi, facendomi una
tenerezza
incredibile - è proprio vero che i cani somigliano ai
padroni
con il tempo - e mi ritrovai a sorridergli in risposta. Stavo giusto
per piegarmi ed afferrarlo per abbracciarlo un pò, quando la
voce stizzita di David, pensò bene di rovinare anche quel
momento
"E quel cane cosa diavolo ci fa qui?" domandò duro,
avvicinandosi. Io mi piegai per stringerlo al petto, come fosse una
piccola ancora di salvezza - pelosa e al profumo di vaniglia. Quasi
stessi stringendo.. lui.
Era il suo cane, un pezzo della sua vita, ed
io forse avrei potuto aggrapparmi a lui, sperando di sopravvivere
ancora una volta a quell'inferno. Cooper mi leccò
leggermente
una guancia, entusiasta, facendomi ridere
Decisamente
sì...
"Adesso ti sei comprato anche un cane? Un altro affare da mettere in
lista, prima del tuo fidanzato!" mi accusò livido di rabbia.
Sospirai pesantemente. Eccolo che ripartiva alla carica. Prima Lea, poi
Rachel e adesso perfino Cooper. Si sarebbe mai stancato di fare la
vittima e avrebbe iniziato a comportarsi come un qualunque uomo di
trent'anni compiuti?
"Questo cane non è mio... sto facendo un piacere ad una
persona
che mi ha chiesto di tenerglielo per un pò!" inventai,
trascinando Cooper in cucina per farlo almeno bere in una ciotolina
pulita.
"E chi sarebbe questa... persona?" domandò lui, curioso.
Arrossii, colpito in pieno dalla sua domanda
"Il mio... vicino!" mormorai con la voce leggermente instabile, ma
pregai il cielo di non essere scoperto. Lui fece un suono strano con la
bocca
"Tu hai un vicino?" domandò scettico. Arrossii ancora di
più.
Certo che ho un vicino,
sciocco di un David.. è passato un mese ormai, e tu non te
ne sei ancora accorto...
"Sì..." sussurrai
"Ed è un ragazzo?" indagò, ovviamente, da buon
soggetto possessivo qual'era
"Mmh mmh!" mormorai, cercando di fare il vago, mentre riempivo una
scodellina d'acqua e la posavo sul pavimento per Cooper
"É un ragazzo gay?" chiese ancora, sempre più
duro. Punto sul vivo, mi girai verso di lui di scatto
"Cosa cazzo vuoi che ne sappia io se il mio vicino è gay
oppure
no? Non me ne vado in giro a domandarlo a tutti i ragazzi, David, anche
perché non mi interesserebbe!" esclamai infervorato, facendo
spaventare sia lui che Cooper, con quello scatto. David
assottigliò lo sguardo, colpito dalla mia reazione.
Maledetta linguaccia che
mi ritrovo...
"Come dici tu!" sbottò infilando le mani nelle tasche dei
jeans
e spostando lo sguardo sul cucciolo che beveva tranquillo. Mi ritrovai
a stringere i denti, sempre più innervosito. Quando David
veniva
attaccato, spesso era portato a chinare la testa e desistere dalle sue
intenzioni. All'inizio avevo creduto lo facesse per non litigare con
me, alla fine il tempo mi aveva fatto capire che l'amore per me non
c'entrava nulla, si trattava semplicemente di mancanza di coraggio, e
nient'altro.
Alla fine decisi di lasciar perdere e di andare seriamente a vestirmi,
ma quasi fosse una congiura contro di me, di nuovo qualcosa mi
bloccò a metà strada: il campanello di casa
suonò
brevemente, sorprendendomi ancora. Guardai verso la porta, con uno
strano patema d'animo e fui quasi tentato di ignorare quel suono e
tornare a fare ciò che stavo facendo. Ma un'occhiata veloce
verso David, fu sufficiente per capire che, se non avessi aperto io, lo
avrebbe fatto lui, e non sapevo quanto potesse essere raccomandabile
lasciarglielo fare.
Ancora con le mani tremanti, andai ad aprire, pregando in tutte le
lingue che non fosse affatto come io temevo. Ma ovviamente, quella non
doveva essere la mia giornata
Decisamente no...
Per la seconda volta mi ritrovai a mancare un paio di respiri,
sconvolto, alla vista di un paio di occhi, quella volta leggermente
intimiditi e stanchi, di una meravigliosa sfumatura dorata.
"Ciao!" mormorò lui, stranamente inquieto. Ma mai
quanto me. Mi lasciai sfuggire un leggero lamento che lui
evidentemente avvertì, perché sgranò
appena gli
occhi, preoccupato.
No, Blaine, non puoi
preoccuparti davvero per me... non ne hai motivo ed io non me lo
merito...
"Ciao!" risposi deglutendo e avvertendo ancora l'istinto
irrefrenabile di piangere. Di piangere ed aggrapparmi a qualcosa di
solido per evitare di cadere miseramente a terra. Ma dovevo evitare di
aggrapparmi a lui, non davanti a David perlomeno
"Ehm... scusa se.. ti disturbo a quest'ora ma... ecco.. io..."
balbettò lui, incapace di dire altro e allora capii: era
venuto
per controllare, per controllare che tutto fosse tranquillo e che David
non avesse dato di matto. Che non se la fosse presa con me. Quando era
stata l'ultima volta in cui qualcuno aveva fatto una cosa del genere? A
parte mio padre...
Ti prego, Blaine...
basta...
"Certo... sei venuto qui per Cooper... vieni accomodati!" lo liberai
dall'imbarazzo, tentando perfino un sorriso, ma avevo la vista
appannata dalle lacrime. Ci mancava poco, davvero molto poco,
purtroppo.
"Scusa se..
l'ho lasciato qui.
Insomma... spero non ti abbia creato problemi!" mormorò lui
alle
mie spalle. Sembrava a disagio, non seppi se per quell'incidente
deplorevole di poco prima, o se per il fatto che David, dalla porta
della cucina, lo osservasse in maniera ben poco amichevole. Ovviamente
la sua scarsa educazione gli aveva perfino impedito di rivolgere un
cenno di saluto verso Blaine. Ma a giudicare dalle occhiate di fuoco
che gli stava lanciando, immaginai che fosse meglio così. Ed
io
di certo non avevo intenzione di fare le presentazioni.
"Figurati.. è stato un vero angioletto." risposi, proprio
mentre
il piccolo Cooper, forse attratto dalla voce del padrone, trotterellava
in salotto, fino alle gambe di Blaine, che lo prese subito in braccio,
stringendoselo al petto.
Mmm... non piangere,
Kurt... non piangere...
Tentai un altro sorriso, mentre lo sguardo di David al mio fianco
diventava sempre più insistente e perentorio. Volevo
scappare,
lontano. Andare via da quell'appartamento, via da quella situazione
assurda: il fidanzato e l'amante sotto lo stesso tetto a guardarsi
entrambi in un'espressione indecifrabile sul volto. Blaine sapeva
perfettamente in che situazione fossimo, eppure, nonostante questo,
continuava a fissare David con una strana espressione dura e appena
infastidita, mentre David, fortunatamente all'oscuro di tutto, non era
di certo da meno.
Ah se gli sguardi
potessero uccidere...
Quei due non se ne erano resi conto, ma facendo così, mi
avrebbero lentamente ucciso e alla fine sarebbe rimasto veramente poco
di me. Consumato dalle lacrime e dai sensi di colpa, dal peccato e
dalla consapevolezza, dalla paura e dalla voglia di fare qualcosa che
ancora non ero in grado di concedermi. La cosa peggiore era proprio
quella di avere, forse, capito cosa volessi davvero, ma essermene reso
conto nel momento peggiore. Forse avrei avuto bisogno di un
pò
di pace, un pò di solitudine, lontano da entrambi, per
capire se
il pensiero che aveva preso vita nella mia mente fosse quello
più giusto, oppure no. Dopo parecchi istanti di mutismo
generale
e di scrutamenti indiscreti da parte di tutti, Blaine si
decise a
distogliere lo sguardo da quello minaccioso di David e mi
lanciò
un'occhiata particolarmente eloquente. Era come se si fosse appena
chiesto cosa ci facessi io con uno del genere. E allo stesso tempo
decidesse di volerlo a tutti i costi sapere. Io sospirai, affranto, ma
tentai un sorriso. L'ennesimo del repertorio che mettevo sulla mia
maschera giornaliera
"Adesso scusami Blaine... devo prepararmi per andare a lavoro. Quando
hai ancora bisogno di qualcuno che tenga Cooper... sai dove trovarmi!"
lo liquidai, sentendomi un mostro nel farlo in maniera così
telematica e formale, ma avevo bisogno che se ne andasse, che si
allontanasse da me, ma soprattutto da David. Mi si contorceva lo
stomaco se continuavo a pensare al modo in cui i suoi occhi minacciosi
si fossero stretti sulla figura del mio vicino. Lui non aveva il
diritto di guardarlo in quel modo, Blaine era una persona troppo pura
per meritarsi tale trattamento.
Dopo un momento di confusione, parve riscuotersi perché
annuì e si avviò alla porta. Qui, lontani dal
campo
uditivo di David, lui si girò a guardarmi ancora una volta
con
la stessa maledetta intensità disarmante
"Tutto bene, Kurt?" mi chiese sottovoce, con un tono così
leggero, da sembrare incorporeo. Io deglutii
"Sì.. Blaine, grazie.." mentii spudoratamente, ma quella
volta
non riuscii a mettere su anche un sorriso di circostanza. Proprio non
ero in grado. Lui guardò velocemente dietro di me, verso
David
che, ci avrei scommesso, non ci toglieva gli occhi di dosso
"Sei sicuro?" domandò ancora, tornando a guardarmi. Emisi un
altro leggero lamento, mentre la vista tornava a farsi opaca e, quando
parlai, perfino la voce pensò bene di tradirmi
"Blaine, sì... ti prego!" lo implorai, davvero sull'orlo del
precipizio. Sarei caduto e mi sarei fatto davvero male quella volta.
Avrei tanto voluto che ci fosse qualcuno ad afferrarmi per evitare il
peggio, o che perlomeno mi aspettasse alla fine del burrone per
prendermi al volo, salvandomi. Ma sospettavo che anche quella volta
sarei stato solo ad affrontare tutto.
Ricorda, Kurt... anche
questo l'hai voluto tu...
Lui, visibilmente combattuto, annuì, strinse maggiormente
Cooper
al petto e rientrò nel suo appartamento, senza neanche
voltarsi.
Ed io, incapace perfino di fare una cosa così semplice come
respirare, mi ritrovai a chiudere la porta, attraversare finalmente il
salone, ignorando deliberatamente David e le sue occhiate assassine,
dirigermi in bagno, chiudere la porta a chiave e scivolare pesantemente
sul pavimento. E finalmente, abbandonarmi alle lacrime.
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Capitolo 25 *** Il conforto di un amico ***
(...) Mobili Ikea (B)
Buon
Giovedì miei cari cucciolotti... so che sembra una presa in
giro
augurarvi un buon giovedì, visto quello che
succederà questa notte ç__ç
ma... sono educata, nonostante tutto XD Dunque, dopo l'apparizione
scioccante di David nello scorso capitolo, vi avverto di una cosa.. i
nostri due eroi avranno un paio di capitoli che serviranno loro per
capire... qui nello specifino ci occupiamo di Blaine che, come avrete
capito, afffronterà un discorso con il suo migliore amico,
porterà a
cose buone secondo voi? Come vi avevo annunciato, gli
servirà per fare
chiarezza... vedremo se servirà a qualcosa oppure no. Il
prossimo
ovviamente è dedicato a Kurt così capiremo un
pò le sue reali
motivazioni visto che siete tutti curiosi di scoprirle (in effetti
anche io lo sono XD) bene, adesso vi lascio al capitolo e speriamo di
arrivare vivi a Lunedì per la prossima pubblicazione. In
caso
contrario, se dovessi mettere incompiuta tra gli avvertimenti, saprete
almeno a cosa sarà dovuto ç___ç Vi amo
angeli miei... tutti... e
prometto di provvedere oggi stesso a rispondere alle vostre recensioni
meravigliose. Se potete perdonate il mio osceno ritardo (un'altra cosa
per cui disperarsi) :*
p.s.
Il mio Dan mi ha minacciata... ha detto
che DOVEVO farle trovare il capitolo al suo ritorno.. se non mi ammazza
la 4x04 ci penserà lei XD Love you sweety
n.b Pagina Facebook (
Dreamer91) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments)
New York City. Ore 04.14 P.M. 08 Aprile 2012 (Domenica)
Faceva
sempre uno strano
effetto tornare nel vecchio appartamento di Sebastian, dopo averci
vissuto per quasi sette anni. E faceva ancora più strano
pensare
che se prima, inserire le chiavi nel portone, prendere l'ascensore, e
salire quei tre gradini che portavano al pianerottolo, mi era sembrato
naturale e scontato, adesso sentivo tutto così estraneo e
nuovo.
Quasi non conoscessi più quel palazzo, quelle piante di
plastica
che adornavano il pianerottolo, la targhetta dorata affissa sulla porta
blindata. Ed era passato soltanto un misero mese. Se già
dopo
così poco mi risultava tanto strano, non osavo immaginare
cosa sarebbe successo tra sei o dieci.
Con un sospiro a metà tra il nostalgico e il divertito,
aprii la
porta, senza neanche suonare il campanello. Sebastian mi aveva dato
degli orari prestabiliti entro i quali avrei potuto tranquillamente
introdurmi nell'appartamento indisturbato. Oltre un certo limite
sarebbe scattata quella che lui definiva la "zona rossa" e questo
significava niente messaggi, niente chiamate, nessun tipo di visita
fuori programma, fatta eccezione per attacchi di cuore o l'improvvisa
scoperta di tumori terminali. Avevo immaginato che quella fantomatica
zona rossa segnalasse i momenti di intimità con il suo
ragazzo.
Ed io, lo avevo sempre rispettato.
"Chiunque tu sia... sappi che sono armato e particolarmente propenso
verso il macabro quest'oggi. Quindi se le tue sono cattive intenzioni
faresti meglio a girare i tacchi e andartene. Anzi, fai una cosa... la
signora del piano di sotto possiede una bellissima collezione di
diamanti russi... fai un salto da lei se ti trovi!" mi avvertii
minacciosa la voce di Sebastian, proveniente dal salone. Avvertii la
risata cristallina di Daniel alla quale mi unii anche io,
raggiungendoli.
La scena che mi si presentò davanti aveva dell'incredibile:
Sebastian e Daniel erano seduti per terra, sul tappeto, tra scatoli
aperti e cumuli di polistirolo, il primo con in mano un cacciavite ed
un piede di quello che aveva tutta l'aria di sembrare un tavolino
bianco, e il secondo intento a scrutare un foglio con strane figure
disegnate. Non appena mi videro Daniel mi salutò con un
gentile
segno della mano, mentre Sebastian grugnì e tornò
al suo
cacciavite e al suo tavolino
"Mi riprometto sempre di sequestrarti le chiavi di
quest'appartamento e poi dimentico puntualmente di farlo!"
bofonchiò allora, stringendo con fatica una vite nel legno
"Cosa diavolo state combinando?" domandai confuso. Daniel mi sorrise,
elettrizzato ma fu anticipato dalla risposta stizzita di Sebastian
"Secondo te, Anderson, cosa stiamo facendo? Tentiamo di montare un
fottuto tavolino di legno, ecco cosa!" sbottò infastidito,
arrossendo per lo sforzo. Daniel scosse la testa e tornò al
suo
interessantissimo foglio bianco.
"Ma... sbaglio o quella è roba dell'Ikea?" chiesi incerto,
avanzando di qualche passo. Quella volta Sebastian si limitò
a
sbuffare seccato e a sistemarsi meglio i capelli scomposti. Fu Daniel a
rispondere, il cui tono mostrava ancora di più quanto fosse
eccitato
"Esatto... ci siamo stati questa mattina e non siamo riusciti a
resistere all'impulso di comprare qualcosa... guarda per esempio quanto
sono carini questi tre tavoli laccati... hanno diverse grandezze e si
possono benissimo mettere uno sotto l'altro, a scala, oppure
separatamente in giro per casa. Non sono adorabili?" e mi
mostrò
l'illustrazione in cima al foglio, e lì capii cosa stesse
facendo: erano istruzioni di montaggio quelle. Istruzione di montaggio
di un mobile. Un mobile dell'Ikea.
Trattenni a stento una risata, rivolgendo lo sguardo verso Sebastian
che ancora, affaticato, trafficava con il montaggio del tavolo. E a
giudicare dalle dimensioni ridotte, quello doveva essere il
più
piccolo dei tre. Aveva un non so cosa di buffo.
"Vado a prendere un pò di succo alla pesca, mi è
venuta
una sete tremenda... volete qualcosa anche voi?" ci chiese Daniel
abbandonando le sue istruzioni e precipitandosi in cucina
"No grazie!" rispondemmo in coro io e Sebastian. Approfittai
dell'assenza dell'altro ragazzo per avvicinarmi al mio migliore amico e
sedermi sul divano. Lui mi guardò male e poi
grugnì
"Azzardati a dire una sola parola... e giuro che ti infilo questo
cacciavite su per il culo!" mi minacciò in un soffio.
Riuscii
per la seconda volta a trattenermi dallo scoppiargli a ridere in faccia
ma proprio non riuscii a stare zitto
"Ikea, eh?" feci allora spudoratamente divertito, alzando un
sopracciglio. Lui chiuse gli occhi e sospirò pesantemente
"Come se non avessi parlato!" biascicò ignorandomi. Afferrai
il
foglio delle istruzioni e me lo rigirai tra le mani. Francese,
spagnolo, portoghese, italiano, svedese, russo, ucraino, cinese e
giapponese. Dell'inglese neanche l'ombra. Alla faccia della lingua
internazionale.
"Correggimi se sbaglio, Bastian, ma ho come un vago ricordo che mi
rimbalza nella testa... in questo ricordo ci sei tu che con tono
saccente e perentorio affermi che l'Ikea non è altro che un
grande scatolone colmo di robaccia inutile che si trascina dietro il
fardello di una società consumistica e priva del minimo
gusto
estetico!" ripetei fedelmente mentre una smorfia infastidita gli si
dipingeva sul volto "Dico bene?" cercai allora conferma. Ero
fastidioso, me ne rendevo conto da solo. Ma... quando mi sarebbe
ricapitata in futuro una occasione come quella?
"Fottiti Anderson!" soffiò afferrando un altro piede del
tavolino da inserire. Quella volta ridacchiai liberamente.
Colpito e
affondato...
"Mi chiedo come sia riuscito Daniel a convincerti!" mormorai
pensieroso. Lui sospirò, sollevando un sopracciglio e, dopo
aver
posato il mezzo tavolo costruito sul pavimento, alzò lo
sguardo
verso di me
"Lo amo troppo per dirgli di no... qualsiasi cosa mi chiedesse,
anche... andare a saccheggiare l'Ikea di domenica mattina... la farei
senza battere ciglio! Tutto pur di farlo felice!" mormorò
serio
ed io non dubitai neanche per un istante delle sue parole,
perché in fondo, lo avevo immaginato. Dopo la faccenda di
Cooper
e dopo aver dormito per quasi due notti di fila in corridoio, munito
solo di cuscino ed un misero plaid, Sebastian doveva farsi perdonare.
Non sapevo esattamente cosa fosse successo, né dopo quanti
scusa, Daniel si fosse deciso finalmente ad aprire la porta della
camera da letto per riaccoglierlo tra le lenzuola, però... a
giudicare dall'atmosfera serena che regnava tra quelle mura e dai pezzi
di mobili sparsi per il pavimento, supposi che, qualsiasi cosa gli
avesse detto Sebastian per convincerlo a perdonarlo, fosse stata molto
importante. E poi, sinceramente... credevo davvero che la lite tra quei
due sarebbe durata ancora a lungo? Daniel non sapeva stare senza
Sebastian e Sebastian.. beh, senza il suo Dan combinava soltanto
casini, quindi sarebbe stato un pò stupido da parte sua
farselo
scappare. Qualsiasi cosa avesse fatto, meritava la mia più
profonda ed incondizionata stima.
Soprattutto se avesse
deciso di cambiare gusti musicali...
Gli sorrisi intenerito
e
proprio in quel momento Daniel tornò nel salone, con una
scodella
colma di patatine e due birre, una delle quali la diede a me e l'altra
la posò per terra. Prima di
sedersi si allungò per sfiorare le labbra di Sebastian con
le
sue e tornò diligentemente alle sue spiegazioni in svedese.
Ed
eccoli, il ritratto perfetto della coppia perfetta. Intenti, durante un
tranquillo pomeriggio di domenica, a montare dei mobili presi
all'ingrosso, come se fosse la cosa più sensazionale del
mondo.
Daniel probabilmente non se ne rendeva conto, ma aveva tra le mani un
potere enorme: far fare a Sebastian tutto ciò che
più
voleva, senza il rischio del rifiuto. Ma sapevo con certezza che non ne
avrebbe mai approfittato come sapevo anche che i suoi occhi colmi di
gratitudine ed amore verso Sebastian fossero sinceri. Sebastian aveva
detto di amare troppo Daniel per dirgli di no. Io ero
sicuro che Daniel amava troppo Sebastian per non rendersene conto.
"Allora, tappo... cosa ti spinge ancora una volta a varcare la soglia
di quella che, ormai da tempo, non è più casa
tua?" mi
domandò Sebastian bevendo un sorso dalla sua birra,
ritrovando
il suo buonumore. Daniel gli tirò dietro un pezzo di
polistirolo
a mò di rimprovero per la sua solita pessima cortesia, ma io
non ci feci
caso: ormai lo conoscevo fin troppo bene per pensare di prendermela.
"Mi mancavate!" risposi con un sorriso, girandomi tra le mani la
bottiglia di vetro appannata
"Oh che carino che sei!" mormorò Daniel colpito,
rivolgendomi un
sorriso radioso, ma il suo ragazzo non fu dello stesso avviso,
perché scoppiò a ridere di gusto
"Bene, questa è la scusa che rifileresti ai creduloni..." e
si
beccò un altro pezzo di polistirolo in testa "Ma la
verità?" e mi lanciò uno sguardo eloquente.
Mmm... ero
davvero così dannatamente scontato ai suoi occhi? Dopo
neanche
dieci minuti che ero entrato in quella casa, lui aveva già
capito che ci ero andato perché avevo bisogno di parlare?
"La verità..." mormorai pensieroso "La verità
è
che... non lo so..." e lo dissi talmente tanto piano, da non essere del
tutto sicuro mi avesse sentito. Nella stanza calò uno strano
silenzio imbarazzante, che ben presto Daniel pensò bene di
interrompere
"Mmm d'accordo... credo di aver capito che questo è uno di
quei
momenti in cui voi due volete starvene un pò soli per
parlare...
dunque io me ne andrò di là in cucina a... fare
qualcosa!
Quando avete finito fatemi un fischio, ok?" e detto questo ci rivolse
un sorriso sereno e si alzò. Gli sorrisi a mia volta
riconoscente e lui mi strinse una spalla comprensivo. Quel ragazzo era
molto più maturo e discreto di quanto avessi immaginato.
Sebastian aveva davvero trovato un tesoro.
"Grazie, piccolo!" esclamò Sebastian con un mezzo sorriso e
lo
guardò allontanarsi e chiudersi la porta della cucina alle
spalle. In quell'istante sospirammo insieme per poi guardarci negli
occhi e scoppiare a ridere.
"Coraggio, B... vieni a darmi una mano a montare questo affare prima
che corra il rischio di impazzire!" mi invitò subito dopo.
Io
con un sorriso mi sedetti accanto a lui ed afferrai un altro piede del
tavolino laccato. Chi avrebbe dovuto iniziare a parlare? Io,
confessandogli tutto ciò che mi preoccupava? Oppure lui,
curioso
come sempre ma mai indiscreto quando si trattava di cose personali,
avrebbe domandato dove fosse il problema quella volta? Da quanto tempo
non ci concedevamo una sana chiacchierata tra amici?
Con un ulteriore sospiro decisi che avevo resistito anche troppo senza
parlare, così iniziai
"Credo di aver combinato una cazzata, Bas..." mormorai afflitto. Lui
fece una smorfia
"E qual'è la novità?" mi fece eco lui con un
mezzo sorriso. Lo
colpii su una spalla con un leggero pugno ma accettai il sarcasmo.
Avevo bisogno anche di quello dopo tutto
"Cosa è successo?" mi domandò qualche istante
dopo, afferrando la sua birra e bevendone un sorso
"Sono andato a letto con Kurt!" buttai lì con disinvoltura,
mordendomi un labbro e aspettando la sua reazione. Come immaginavo, fu
spropositata e per poco non si affogò
"Cazz... cosa?" mi fece tra un colpo di tosse e l'altro colpendosi il
petto per non soffocare
"Sono andato a letto con Kurt..." ripetei allora levandogli la birra
dalle mani così da impedirgli di farsi del male in futuro,
dato
che si prospettava una lunga conversazione
"Per due volte!" aggiunsi mesto abbassando la testa
"Ah però... ed io che credevo fossi ritornato vergine dopo
tutta quell'astinenza forzata!" mormorò sorpreso
"Se devi fare la tua solita ironia da quattro soldi, posso anche
alzarmi e andarmene piantandoti con il tuo prezioso tavolino di
truciolato!" sbottai infastidito
"No, no... scherzavo, tranquillo!" si affrettò a dire
bloccandomi per un braccio. Non che avessi reale intenzione di
andarmene, però, doveva capire che avevo bisogno di una
certa
serietà da parte sua per potergli raccontare tutto quanto, e
se
i presupposti erano quelli, iniziavamo davvero male.
Rifletté
per qualche istante su ciò che gli avevo appena detto e poi
sollevò le spalle
"Bene, hai fatto sesso con Kurt... e allora?" mi domandò
confuso
E allora?...
"É proprio questo il punto Sebastian... per me non
è
stato semplicemente sesso!" risposi, stupendomi da solo di quanto fossi
stato sincero nel dirlo
"Ah no? E cosa è stato allora?" mi domandò
scrutandomi.
Mi presi qualche secondo per pensarci. Cosa era stato per me quello che
era successo con Kurt? Non era sesso, e questo lo avevo assodato. E
quindi, cos'altro avrebbe potuto essere?
"Non lo so... sono confuso, maledizione! É per questo che
sono
venuto da te... ho bisogno che tu mi aiuti a... capire!" spiegai a
fatica, sperando di non sembrare troppo disperato. Lui annuì
pensieroso
"D'accordo, ti aiuterò, ma.. tu prima mi devi spiegare
esattamente cosa senti... cosa provi... altrimenti la vedo difficile!"
mi disse calmo, abbandonando definitivamente il montaggio del tavolo e
prestandomi la totale attenzione.
"Da dove vuoi che cominci?" chiesi con un sospiro
"Beh, dall'inizio direi... quando tempo fa è successo?" mi
domandò a sua volta
"La prima volta una settimana fa, la seconda ed ultima volta
è successa venerdì sera!" risposi pratico
"Una settimana fa? E tu me lo dici solo ora?" sbottò offeso
ed indignato
"Non mi sembra di aver sottoscritto un contratto con te che mi obbliga
ad informarti tutte le volte che vado a letto con qualcuno!" risposi
stizzito
"Prima lo facevi!" mi ricordò
"Prima avevo diciassette anni, eravamo compagni di stanza e tu eri
l'unico amico gay decente che potessi avere. Mi serviva la tua
supervisione in un certo senso. Adesso penso di potermela cavare da
solo!" feci allora indispettito, incrociando le braccia al petto
"Ingrato!" borbottò
"Sebastian per piacere... fai il serio!" lo ripresi con un sospiro,
passandomi una mano tra i capelli. Quando divagava Sebastian, voleva
dire soltanto due cose: aveva bisogno di tempo per pensare, oppure
aveva già pensato e non voleva rendermi partecipe di
ciò
che la sua mente aveva partorito. Temetti immediatamente per la seconda
possibilità
"D'accordo, scusa... quindi: tu e Kurt siete finiti a letto insieme per
ben due volte... e... come è successo?" domandò
poco dopo
"Mi meraviglio di te, Seb... uno che si definisce così
esperto
in materia, si ritrova a chiedermi una cosa così banale?" lo
provocai confuso, guadagnandomi quasi subito un'occhiataccia da parte
sua
"E poi quello che si lascia andare all'ironia scandente sarei io!"
mormorò "Intendevo come ci siete arrivati fino a questo
punto?
Vi siete provocati, oppure è venuto tutto naturale?"
ritentò
"Bah, non saprei... per quanto mi riguarda è stato tutto
abbastanza naturale. Cioè... c'era nell'aria della..
tensione...
ma non avrei mai pensato potessimo arrivare a tanto!" risposi
grattandomi la nuca, pensieroso. Eh no... quando eravamo tornati da
quella maledetta festa, mai
e poi mai avrei immaginato di finire a sfilargli la cravatta dal
colletto della camicia e spogliarlo completamente di quello stupendo
vestito firmato.
"C'era
tensione, ho capito... e..." fece una pausa ad effetto "Ti è
piaciuto?"
Bam! Domanda da un
milione di dollari... rispondi Blaine... ti è piaciuto?...
"Da impazzire!" mi lasciai scappare con un sospiro estasiato. Bene, mi
ero fottuto con le mie stesse mani.
Complimenti cazzone...
Inaspettatamente Sebastian non commentò, limitandosi a
mascherare malamente un piccolo sorriso intenerito, con una smorfia
"E poi dopo... cos'è successo?" domandò ancora
"Dopo quando?"
"Dopo, Blaine, dopo... vi siete salutati e ognuno se n'è
andato
a casa sua, oppure siete rimasti a parlare?" io mi ritrovai ad
arrossire, senza un preciso motivo
"Nessuna delle due!" mormorai. Lui si sporse appena verso di me, come
se non avesse capito
"Come sarebbe a dire nessuna delle due? Che significa?"
domandò confuso. Arrossii ancora, distogliendo lo sguardo
"Sarebbe a dire che ci siamo addormentati... ecco cosa!" confessai
vergognandomi come un ladro. Non seppi esattamente come mai provassi
tanto imbarazzo a confessare una cosa del genere. Sul momento, quando
era successo, mi ero ritrovato a sorridere e ad apprezzare. Ora,
parlandone con lui, mi pareva tanto infantile. Forse avevo paura della
sua reazione: credevo potesse prendermi a schiaffi o, peggio, mettersi
a ridere. Ma non fece nessuna delle due cose. Rimase in silenzio,
pensieroso, forse per troppo tempo
"Quindi avete dormito insieme?" mi chiese cauto. Io mi limitai ad
annuire con la testa, sempre con gli occhi rigorosamente lontani dai
suoi, quindi non seppi mai con che espressione mi guardò in
quel
momento. Se era deluso, seccato, divertito, arrabbiato, confuso,
scandalizzato. Seppi soltanto cosa disse poco dopo e cosa questo
scatenò in me
"Tu non hai mai dormito con nessuno, Blaine... neanche con me!"
mormorò. Quella consapevolezza, già ampiamente
annidata
nel mio cervello, tornò a galla prepotentemente. Come avevo
immaginato, il mio migliore amico mi conosceva davvero bene. Gli era
bastato davvero poco per fare due più due. Adesso rimaneva
da
capire quanto ci avrebbe messo per scoprire il risultato.
Si lasciò andare ad un lungo sospiro, incrociando le braccia
al
petto. Approfittai di quel momento di pausa per sollevare lo sguardo.
Lo trovai ancora pensieroso, ma con gli occhi chiusi. Waw... dovevo
averlo sconvolto davvero parecchio per farlo riflettere in modo
così profondo.
Dopo quella che parve una mezza eternità, riaprì
gli occhi, facendomi sobbalzare appena
"E venerdì sera... cos'è successo?"
domandò con uno strano tono
"Venerdì sera... abbiamo organizzato una cena a casa sua con
tutti i condomini del palazzo, è stata molto... piacevole.
Solo
che, a fine serata, io... non so cosa mi sia preso ma, mi sono offerto
di rimanere con lui ad aiutarlo a sistemare e... sì
insomma...
ero stranamente elettrico.. non so neanche io cosa sia veramente
successo. Un minuto prima stavamo parlando di dove
mettere l'insalata, quello dopo, abbiamo iniziato a provocarci
spudoratamente. Finire a baciarci è stato il passo
successivo.
Poi il resto... lo lascio alla tua immaginazione che ha la
fama di essere molto ben fornita!" mi concessi una battuta per
sdrammatizzare, ma lui non colse l'occasione. Era davvero troppo
pensieroso. Strano, molto strano
"Bas... si può sapere a cosa stai pensando?" domandai senza
riuscire più a trattenermi
"Avevi ragione B... quello non è affatto sesso!"
mormorò
con lo sguardo fisso chissà dove sopra la mia spalla, quasi
parlasse da solo. Emisi un leggero lamento frustrato ma lui
tornò a parlare
"E quel messaggio... quello che mi hai inviato l'altra sera... ti
riferivi... a Kurt, non è vero?" strinsi le labbra e sospirai
"Sì... è che... mi sentivo davvero intrappolato.
Io non
riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo e continuo tutt'ora a non
farlo. E poi tu... tu mi hai mandato quel maledetto messaggio e io
allora.. mi sono sentito... davvero
atrocemente fottuto!" mormorai
afflitto, agitandomi. Quella
conversazione si stava dimostrando più complicata di quanto
avessi voluto. Lui scosse la testa
"Non era mia intenzione... non volevo di certo complicare la situazione
più di quanto non lo fosse già!"
esclamò
visibilmente dispiaciuto
"Tu non c'entri Bas... lo avrei capito ugualmente da solo. Quella
situazione era diventata davvero insostenibile!" lo rassicurai
scuotendo la testa. Non avevo di certo intenzione di accusarlo per via
di quel messaggio. Anzi... era stato merito suo, della sua brutale
sincerità, se ero riuscito ad aprire gli occhi e rendermi
conto
del problema.
"Gliene hai parlato?" domandò poco dopo, con cautela.
Sgranai gli occhi, con il respiro appena più agitato
"No!" esclamai allora, quasi gridando. Lui sorpreso inarcò
un
sopracciglio, così mi affrettai a continuare
"Cioè io,
non... posso! Kurt è... come dire... leggermente fidanzato!"
spiegai. Il sopracciglio gli si inarcò maggiormente
"Che diavolo significa che è leggermente fidanzato?
Blaine... o
si è fidanzati o non lo si è!" fece lui confuso.
Ecco,
sapevo avrebbe avuto quel tipo di reazione
"E lui lo è... solo che... mi ha confessato di non amarlo
e...
beh ieri mattina ne ho... avuto la conferma!" risposi accigliandomi,
nel ricordare cosa fosse successo il giorno prima. Ancora stentavo a
credere che avessimo avuto tanta sfortuna e fortuna nella stessa mezza
mattinata.
"Cosa è successo?" mi chiese incrociando di nuovo le braccia
al
petto. Sospirai ancora. Bene, quello sarebbe stato veramente complicato
da spiegare
"Ecco io non credo che importi sapere..." ma la sua voce perentoria mi
bloccò
"Sputa il rospo, Anderson!" e mi fulminò con lo sguardo.
Ecco, così imparavo ad espormi troppo
"Io l'ho incontrato... il suo ragazzo, intendo. L'ho incontrato ieri
mattina. Lui è... venuto a casa di Kurt mentre io ero
ancora...
come dire... poco presentabile!" arrossii, maledettamente colpevole.
"Poco presentabile? Vuoi dire che eri... nudo?" domandò non
riuscendo a trattenere un sorriso divertito. Sbuffai
"Esattamente!"
"E... ti ha visto?" chiese ancora, sempre più attento
"No... per fortuna no. Kurt lo ha tenuto in cucina così io
ho
avuto il tempo per rivestirmi e..." arrossii ancora, con più
intensità. Diavolo, un conto era scappare come un ladro
dall'appartamento del proprio amante. Un altro era ammetterlo a voce
alta. Davanti a Sebastian.
"Ti sei nascosto nell'armadio?" tentò lui mordendosi un
labbro per mascherare un altro sorriso estremamente divertito.
"No!" gridai ancora, sconvolto che potesse pensare una cosa del genere
di me
"Sotto il letto?" ritentò
"No!"
"Nel bagno?"
Mmm.. ammetto di averci
pensato!...
"No... Sebastian smettila. Sono... scappato... dal terrazzo!" spiegai
finalmente, con le orecchie in fiamme. Lui fece una mezza smorfia di
apprezzamento
"Hai avuto fegato!" riconobbe.
"Ho avuto sfiga... ecco tutto." mormorai alzando gli occhi al cielo.
Lui scosse la testa per poi sospirare
"D'accordo.. Kurt è fidanzato però... ha fatto
sesso con
te due volte in meno di una settimana, dico bene?" mi chiese, pratico
come sempre. Io persi un battito
"S-sì.." balbettai
"Mmmm... non credo che il suo sia il tipico atteggiamento della persona
sentimentalmente impegnata, e poi mi hai appena detto che lui stesso ti
ha confessato di non amare il suo ragazzo!" affermò tornando
pensieroso, grattandosi il mento
"Già... suppongo... che lui sia solo... confuso!" provai,
risultando poco credibile anche alle mie stesse orecchie. Lui infatti
sbuffò una risata
"Blaine, piccolo ingenuo... una persona confusa non ti lascia dormire
nel suo letto e soprattutto non nasconde il suo ragazzo in cucina per
non farvi incontrare. Avrebbe potuto giocarti un tiro mancino e in un
solo colpo si sarebbe sbarazzato di te e anche di lui. Se non lo ha
fatto è stato solo per proteggerti, per evitare di metterti
in
mezzo. Con questo non gli sto dando ragione, io... non tradirei mai il
mio ragazzo, perché so di amarlo più della mia
stessa
vita e tradire lui significherebbe tradire me stesso, ma lui... lui lo
ha tradito, senza neanche pensarci e non parlo solo della questione
fisica. Lui lo ha fatto per te. Perché probabilmente per
Kurt
contava molto di più non tradire la tua fiducia. Ti ha dato
più importanza del suo stesso ragazzo, Blaine." mi
spiegò
serio e appena sorpreso dalle sue stesse parole. E quello che disse mi
lasciò di sasso.
"Sebastian... cosa..?"
"Prova a rifletterci un attimo. Tu e lui eravate amici... ricordo
perfettamente quando mi hai parlato della cena a casa tua o di quegli
assurdi post-it che vi lasciate per salutarvi la mattina. Parti dal
presupposto che due amici non finiscono a letto assieme, per nessun
motivo al mondo e... no, Blaine io e te non facciamo testo!" mi
bloccò proprio mentre cercavo di correggerlo. Lasciai
perdere
con un sospiro
"Nonostante quello che è successo tra di voi, i vostri
rapporti
non si sono rovinati... dico bene?" mi domandò ed io mi
ritrovai
stranamente ad ingoiare un nodo opprimente in piena gola
"No... non si sono rovinati affatto..."
Anzi...
"Come immaginavo. E come se tutto questo non bastasse, l'altra notte
è successo ancora. Non voglio sapere le motivazioni che vi
hanno
spinti per la seconda volta a letto assieme, perché quelle
sono
affari vostri e soprattutto mi rendo conto che non esiste una
spiegazione facile ed immediata per certe cose. Però una
cosa
vorrei fartela notare. Per la seconda lui si è dimenticato
del
suo ragazzo, ha messo da parte la sua relazione, di qualsiasi natura
essa sia, e lo ha fatto mentre era con te. Io non credo che una cosa
del genere possa essere classificata come... confusione!"
esclamò e sul finale si strinse nelle spalle, quasi non
avesse
più parole da dirmi. Come se non riuscisse più a
trovare
il modo per convincermi.
Il nodo alla gola si intensificò e perfino gli occhi
iniziarono
a bruciare. Quello che Sebastian diceva non aveva senso. Si era
trattato di due occasioni, soltanto di due momenti di debolezza. Lui
forse era frustrato per la situazione poco piacevole con David ed io
avevo semplicemente bisogno di contatto umano. Io non credevo ci fosse
tutta quella roba, dietro i nostri gesti. Kurt era... sicuro di quello
che aveva fatto? Di aver tradito David con me e di avermi coperto il
giorno dopo? D'accordo ma allora perché non lasciava il suo
ragazzo per provare a... chiarire la faccenda? Perché il
faccione minaccioso di David continuava ad apparirmi in sogno, ormai
con una forma del tutto chiara, dato che avevo finalmente dato un volto
alla sua presenza? E perché, maledizione, le parole del mio
amico, facevano così male, quasi scavassero in
profondità?
"Ti faccio un'ultima domanda, B, ma pretendo la sincerità da
te, d'accordo?"
"Sincero come lo sono stato finora!" asserii con convinzione, seppure
con la voce appena soffocata
"Provi qualcosa per Kurt!" fece allora con cautela, eppure con una
sorta di strana consapevolezza. Mi ritrovai a fissarlo stupito
"Più che una domanda, mi è sembrata
un'affermazione la tua!" mi ritrovai a ribattere
"E tu non hai risposto!" mi ammonì
"Come si fa a rispondere ad un'affermazione, Bas?" mi lamentai
capriccioso. La verità era un'altra. Non volevo dirglielo,
perché, conoscendo già perfettamente la risposta,
avevo
paura di scatenare ancora una volta una reazione che non mi sarebbe
affatto piaciuta. E poi.. un conto era pensarle certe cose, un altro
era dirle
ad alta voce. Le rendeva tutte un pò più... reali.
"Blaine!" mi chiamò, appena severo, con un cipiglio di
disappunto
disegnato in faccia. Sospirai, arrendendomi all'evidenza. Avevo deciso
di parlare con lui, di sfogarmi. Bene, avrei dovuto tirare fuori tutto,
anche il coniglio che mi ostinavo a nascondere così
accuratamente nei meandri del cilindro
"Sì... penso di provare qualcosa per lui. Non so cosa, di
preciso... ma è abbastanza forte da farmi perdere la ragione
tutte le volte che incrocio il suo sguardo, anche se per sbaglio!"
confessai a testa bassa, avvertendo una strana morsa
allo stomaco. Altro che farfalle. Io avevo delle colombe che mi
svolazzavano lì dentro.
"Semplice attrazione fisica?" mi chiese meditabondo
"No, non penso... è qualcosa di più..."
"Ti sei innamorato?" ed eccolo a sganciare la bomba e poi rimanere in
attesa dell'esplosione. Sbattei le palpebre ripetutamente per qualche
secondo, interdetto. Come si poteva rispondere ad una domanda del
genere? Semplice... sviando!
"Ma non.. avevi detto di aver finito con le domande?" chiesi
stupidamente, iniziando a sentire chiaramente le guance arrossarsi.
Di nuovo. Sebastian invece si aprì lentamente in un mezzo
sorriso sghembo
e probabilmente questo gli bastò. C'è chi dice
che a
volte il silenzio sia più eloquente di mille parole. I
silenzi
di Sebastian lo erano di sicuro, soprattutto perché lui era
in
grado di dire molto di più con una smorfia o con un sorriso.
Delle parole se ne faceva veramente poco.
"No, no... so a cosa stai pensando, Bas, e te lo dico subito: ti
sbagli... non è come credi!" farfugliai in preda al panico.
Ma
ormai la bomba era stata sganciata, sarebbe stata questione di secondi
"Io non ho detto niente, Blaine... stai facendo tutto tu da solo!"
mormorò con quel sorrisetto poco raccomandabile sul volto,
tranquillo e sereno. Ma io non lo ero affatto. Maledizione, avevo
capito a cosa voleva alludere quell'idiota e io non gliel'avrei data
vinta così facilmente, D'altronde, stavamo parlando di
qualcosa
di irreale, che non stava né in cielo né in
terra.
"Io no... io non sono innamorato di Kurt, nella maniera più
assoluta! No, no! Fuori discussione, levatelo dalla testa!" sentenziai
accaldato, afferrando con un gesto secco la mia birra per berne un
lungo sorso. Possibile che mi fossi agitato così tanto per
qualcosa che ero sicuro non fosse vera? Possibile stessi iniziando a...
dubitarlo?
"Cazzo, no!" borbottai con una leggera nota isterica nella voce,
realizzando tutto ad un tratto la verità. Io e Kurt eravamo
stati a letto per due volte, ed io mi rifiutavo di chiamare quello che
c'era stato tra di noi, semplicemente sesso. La prima volta poteva
anche essere classificata sotto il nome di "intermezzo",
se non si considerava il fatto che, dopo essere stati insieme, Kurt non
si era rivestito e non era scappato via vergognandosi a morte ed
inveendo contro di me, ma si era rilassato completamente tra le mie
braccia e si era addormentato. La seconda volta, però, come
dovevamo chiamarla? Dimostrazione di quanto fossimo idioti e
maledettamente ipocriti verso noi stessi? Perché dopo aver
fatto
l'amore per ben due volte - eccolo il nome giusto! - ed essere stati
bene come lo eravamo stati noi, senza compromettere minimamente il
nostro rapporto, anzi, rafforzandolo in un certo senso... beh, forse
qualcosa di anomalo doveva esserci.
"No, cazzo, no, no, no..." iniziai a dare i numeri alzandomi in piedi e
affondando le mani nei capelli. Come avevo fatto ad essere
così
stupido? Come potevo essere caduto così presto nel
più
banale e squallido dei cliché? Il ragazzo gay che si
innamora
del suo amico dopo esserci andato a letto, e che ignora perfino
l'evidenza. E non era la prima volta che succedeva. Ci ero
già
cascato con Sebastian. Non poteva succedermi ancora, non con Kurt.
"Blaine, calmati per piacere!" tentò Sebastian allora
guardandomi preoccupato
"Calmarmi? No... non posso... sono un cretino, Bas... un fottuto
cretino! E meno male che avevo giurato a me stesso che non sarebbe
più capitato, non dopo che..." ma mi bloccai con un nodo in
gola
e lanciai un'occhiata disperata in direzione del mio amico. Lui parve
cogliere immediatamente il senso delle mie parole, perché si
affrettò ad alzarsi e a raggiungermi
"Blaine... ti rendi conto che tutta questa storia non ha niente a che
vedere con Jeremiah?" mi fece allora prendendomi per le spalle e
scuotendomi
No, no...
perché lo hai nominato? Perché lo hai fatto?...
Non pensavo facesse ancora tanto male dopo così tanto tempo.
Avrei giurato di averlo superato, dopo quasi sette anni. Avrei giurato
di
non essermi fatto più condizionare da lui e da quello che
era
successo. A quanto pareva, però, avevo fatto male i calcoli
e
tutto ciò che viene nascosto male, prima o poi tende ad
avere
l'abitudine di sbucare fuori, quando meno ce lo si aspetta.
Non so come mi ritrovai con la fronte schiacciata al petto di Sebastian
e le sue braccia stretta attorno alla schiena. Forse dipendeva dal
fatto che fossi troppo esposto e lui volesse proteggermi. Forse
dipendeva dal fatto che stessi piangendo. Senza essermene minimamente
accorto. Di nuovo. Sì, senza dubbio le lacrime c'entravano.
Mi ritrovai dopo poco a singhiozzargli sulla camicia e a stringermi
quasi spasmodicamente a lui. Temevo di affogare, di nuovo, e
aggrapparmi al mio amico mi sembrava l'unico modo per rimanere a galla.
D'altronde era già riuscito a salvarmi una volta... lo
avrebbe
fatto ancora, no?
"Ho paura!" mormorai tra un singhiozzo e l'altro
"Di cosa?" mi domandò cauto, ancora stringendomi. Mi presi
qualche istante per calmare le voce e chiarire le idee, ma lui lo
interpretò come indecisione per questo intervenne
"Se si tratta del suo ragazzo, non credo tu debba preoccupartene.
Parlane con Kurt e vedi se anche lui prova le stesse cose per te. Se vi
siete innamorarti l'uno dell'altro, non vedo dove sia il problema!"
esclamò sicuro. Io scossi la testa e chiusi gli occhi che
quasi
bruciavano
"Non è di questo che ho paura. Sinceramente non me ne frega
nulla di David in questo momento!" affermai
"E allora cosa...?"
"Ho paura di me..."
|
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Capitolo 26 *** Lacrime di nostalgia e torta al cioccolato ***
Salve
a tutti mmmori miei... dunque, questa volta ho due cosette da dire, la
prima riguarda Blaine e quella frase finale che ha sconvolto qualcuno
di voi.. diciamo che ho cercato, rispondendo alle recensioni di
spiegare il punto di vista di Blaine, a cosa fosse dovuta la sua paura,
ma siccome so che ci sono molti lettori silenziosi ai quali ovviamente
non ho potuto spiegare, vorrei riportarvi un pezzo della recensione
della cara Carli90, che secondo me ha centrato in pieno il messaggio
che volevo far arrivare "..Inutile dire che Blaine ora ha realmente
aperto gli occhi e quindi è spaventato da se stesso, una
cosa che per me risulta normale essendo lui.
Vista la sua storia passata e il fatto che ha amato realmente solo una
volta nella sua vita fa sì che ora non sappia affrontare
realmente la situazione a cui sta andando in contro.
Anche se in realtà ci è in mezzo ma solo ora
è alle prese sui suoi sentimenti..." ho sottolineato la
parte che interessa di più così si capisce ^^
ringrazio Carli per avermi permesso di usare la sua recensione per
provare ad essere un pò più chiara e chiedo scusa
a voi per non esserlo stata nel capitolo. La seconda cosa che dovevo
dirvi riguarda Kurt ed il capitolo qui sotto: dunque, so che molti
aspettavano con ansia le spiegazioni sul comportamento di Kurt e vi
assicuro che qui sotto ne troverete molte, però vorrei
chiedervi, di provare a prenderle per quelle che sono.. magari molti
rimarranno delusi perché si aspettavano qualcosa di
più grande o più forte: vi chiedo solo di capire
un ragazzo di 25 anni che per anni si è visto il mondo
contro (o almeno ha creduto che così fosse) e che solo ora
si è forse reso conto di non essere così
sbagliato in fondo. Per commentare il suo passato, aspetto che abbiate
letto il capitolo quindi.. buona lettura e ci vediamo
Giovedì... un bacio a tutti amorigni miei, grazie mille per
le magnifiche recensioni e come sempre ricordatevi che senza di voi
Just a Landing non esisterebbe neanche <3
p.s.
L'ho già detto ma lo ribadisco... questa immagine del mio
Dan è tremendamente romantica *___*
n.b: pagina Facebook (
Dreamer91 ) Raccolta, lo so, manca la
Finchel ma vi giuro che non ho più tempo neanche per
respirare, ma farò il possibile promesso ^^ ( Just
a Landing - Missing Moments )
New York City. Ore 10.21
A.M. 08 Aprile 2012 (Domenica)
"Ok, qui dice che, dopo aver aver
versato
tutto il
contenuto del pentolino nella farina, bisogna amalgamare per bene il
tutto e poi lasciare raffreddare per qualche minuto!" lessi
attentamente le indicazioni scritte sul ricettario dell'iPhone, mentre
una Rachel in versione 'pasticciera alla riscossa' veniva verso di me,
con un pentolino bollente in una mano facendomi segno di spostarmi per
passare.
"L'hai presa davvero sul serio questa storia della torta!" esclamai con
un sorriso sornione, poggiando un fianco al tavolo, proprio accanto a
lei. Fece una mezza smorfia e dopo aver versato il contenuto del
pentolino sulla piccola montagna di farina bianca, prese a mescolare
con cura.
"Chissà cos'è che ti fa diventare
così...
creativa!" aggiunsi fingendomi sorpreso e passandole un altro
pò
di farina
"Come se non lo sapessi." borbottò lei, guardandomi di
traverso.
Le sorrisi furbo, ma evitai di farle notare che, come al solito, Kurt
Hummel ne sapeva più di lei. Con un sospiro mi avvicinai al
frigo per prendere da bere - visto che la signorina Berry era venuta
nella mia cucina per il suo momento creativo - e poco dopo le passai un
bicchiere di aranciata che lei accettò con un mezzo sorriso.
Mi
sedetti di fronte alla sua postazione di lavoro - il mio tavolo della
cucina, per intenderci - e incrociai le braccia, in attesa
"E dunque, dovremmo aspettare ancora molto?" le chiesi. Lei mi
guardò confusa, per poi afferrare un asciugamano e ripulirsi
della farina in eccesso
"Per la torta intendi? Beh... aspetta almeno che l'abbia infornata!"
rispose afferrando una teglia ed un panetto di burro. Sollevai un
sopracciglio, a regola d'arte
"Rachel... ti sembro il soggetto ideale, al quale propinare una torta
al
cioccolato fondente, con scaglie di cioccolato bianco, crema di cacao e
panna montata?" le domandai scettico, sentendomi quasi offeso. Lei
lasciò per un momento la teglia sul tavolo, per guardarmi
meglio
"Direi di no..."
"E allora non fare la finta pasticciera dei miei stivaletti firmati e
vedi di tirare fuori da quella bocca la versione più
veritiera
di questa storia. Dopo averti dato il permesso di mettere in disordine
la mia preziosa cucina, credo di meritarmelo, come minimo!" la
minacciai, puntandole un dito contro. E la cosa parve fare effetto
perché arrossì fino alla punta della frangetta e
si morse
un labbro, imbarazzata. Dopo quella che parve un'eternità,
si
decise a parlare, finalmente
"La torta è per Finn!" mormorò a voce molto
bassa,
sperando forse di non essere sentita. Ma purtroppo per lei, in quegli
anni,
oltre ad aver sviluppato un ottimo gusto estetico, avevo migliorato
notevolmente perfino il mio udito. Sorrisi trionfante
"Ma davvero?" domandai, finto tonto, facendola arrossire ancora di
più
"S-sì"
"E sentiamo... per quale ricorrenza sarebbe? Festeggiate il vostro
primo bacio? Oppure la vostra prima..."
"Kurt!" mi riprese, scarlatta, alzando una piccola nuvoletta di farina
dal tavolo. Mi morsi la lingua per evitare di scoppiarle a ridere in
faccia. Era già tanto che non fosse scappata via urlando,
dovevo
perlomeno provare a contenermi.
"Spiegami tu, allora!" la invitai con un gesto della mano, poggiando
poi la schiena alla spalliera della sedia, per stare più
comodo.
Lei sospirò riprendendo ad imburrare la teglia
"Non c'è niente da spiegare. La torta è per lui,
per
ringraziarlo delle sue numerose cortesie verso me e Lea. Si prende
tanti disturbi e preparargli una torta mi sembra davvero il minimo
sinceramente!" mi spiegò, appena contrariata, forse
perché non si aspettava la Santa Inquisizione quella
mattina. La
squadrai, con un fastidioso sorrisetto sulle labbra
"Numerose cortesie.." ripetei, facendola arrossire ancora e sbuffare
"Smettila!" abbaiò, poggiando con poca delicatezza la teglia
sul
tavolo, alzando un'altra piccola nube di farina. In un altro momento
l'avrei ripresa malamente per come stava aggredendo la mia preziosa
cucina, ma avevo altro a cui pensare. E quell'altro, riguardava lei che
cercava inutilmente di nascondere un ingombrante elefante fucsia nella
stanza.
"Di fare cosa?" la provocai rubando un pò di cioccolato
fondente per assaggiarlo
"Di fare insinuazioni. Tra me e Finn non c'è nient'altro che
una
bella amicizia." si difese lei a spada tratta mescolando per bene il
composto, forse con fin troppa forza
Questa poi...
"Certo... dimenticavo che, per stare più comodi, gli amici
trascorrono del tempo assieme mezzi nudi, in un appartamento
praticamente vuoto!" mormorai continuando a guardarla con quel sorriso
fastidioso stampato in faccia. Lei si morse un labbro, sempre
più rossa ed accaldata
"Ennesima insinuazione, Hummel. Alla prossima ti giuro che me ne vado
via, e ti lascio la cucina in questo stato!" minacciò, anche
se
con poca convinzione. Rachel Berry moriva dalla voglia di parlare,
glielo si leggeva in faccia. Eppure, forse per pudore o per
chissà quale altro motivo assurdo, si rifiutava ancora di
farlo.
Ma io ero testardo e alla fine tra i due, l'avrei senza dubbio
spuntata.
"D'accordo... hai ragione. Questi non sono affari miei. É la
tua
vita, Rachel e tu sei abbastanza grande per gestirla come meglio
credi!" e le rivolsi un'espressione fintamente costernata, allungando
perfino una mano per sfiorarle un braccio. Lei, incredula, mi
lanciò un'occhiata confusa. Era panico quello che le leggevo
negli occhi? Beh, se così fosse stato, allora la mia tecnica
stava perfettamente funzionando.
3...
"G-grazie!" mormorò ancora sconvolta
2...
"Prego!" le risposi alzandomi in piedi per accendere il forno e darle
così modo di riflettere per qualche istante ancora. Anche se
il
tempo era quasi scaduto
1...
"Accendere il forno a 130 gradi per quarantacinque minuti... dico
bene?" le chiesi conferma, girando lentamente la manopola della
temperatura, ma la risposta non arrivò. Almeno, non quella
adatta
per la domanda che le avevo fatto
Boom...
"Non abbiamo fatto niente!" esclamò con la voce chiara e
ferma.
Sorrisi vittorioso, dandomi delle pacche mentali per l'astuzia e per
aver vinto con lei, per l'ennesima volta. Mi girai a guardala,
trovandola con la schiena poggiata al tavolo e l'espressione addolorata
"Come sarebbe a dire che non avete fatto niente? Tu avevi la camicia
sbottonata e lui era... mezzo nudo!" protestai indignato. Dio, il
ricordo delle mutande indecenti di Finn Hudson ancora riecheggiava
nella mia mente, purtroppo. E non era affatto un bel vedere. Lei
sbuffò, chiudendo per un momento gli occhi
"L'intenzione era quella, posso assicurartelo.. solo che..." ma si
bloccò spostando lo sguardo sul pavimento
"Solo che?" la incalzai allora. Tornò a guardarmi,
fulminandomi quasi
"Qualcuno ha pensato bene di interromperci proprio sul più
bello." rispose fingendosi sarcastica. Mi accigliai
"E chi è questo idiota che..." ma mi bloccai, cogliendo il
riferimento e per la prima volta, fu il mio turno per arrossire
"Oh!" mormorai imbarazzato
"Già... oh!" fece lei tornando alla sua torta. Mi grattai
una
guancia, sentendomi tanto il cattivo della storia, che fa di tutto per
dividere i due amanti protagonisti
"Mi spiace." le dissi in un sussurrò accasciandomi al
lavello.
Lei sospirò lentamente per poi girarsi e sorridermi,
finalmente
senza rancore
"Non farlo, Kurt. Tu non c'entri nulla. Non è colpa tua se
l'ascensore si è bloccato, io non... avrei mai lasciato la
mia
bambina chiusa lì dentro solo per appagare un mio desiderio
fisico. Piuttosto avrei preso la cabina e testate per farla uscire da
lì!" mi disse serenamente
Oh, come ti capisco...
Le sorrisi in risposta e mi avvicinai a lei
"Beh il fatto di essere stati maleducatamente interrotti una volta, non
significa che quello che stava per succedere, non possa più
ripetersi." provai a farle notare, in una voluta nota allusiva. Lei
ridacchiò sistemandosi la frangetta
"É quello che spero sinceramente!" mormorò con un
sospiro
beato che mi fece ridacchiare. Mi cacciò la lingua e se ne
tornò al suo impasto. Mi risedetti di fronte a lei e posai
il
mento sulla mano, profondamente divertito
"Peccato solo che... Finn sia così alto!" esclamai
teatralmente,
marcando la penultima parola. Lei aggrottò la fronte, non
cogliendo l'allusione
"E quale sarebbe il problema?" domandò confusa
"Beh è risaputo che i ragazzi eccessivamente alti, poi
abbiano
qualche piccolo deficit nella zona inferiore, diciamo!" e le sorrisi,
orridamente malizioso. E lei finalmente capì. E di
conseguenza
arrossì ancora
"Kurt!" gridò indignata, prendendo una manciata di farina
dal
pacco e tirandomela addosso. Fortunatamente chiusi gli occhi appena in
tempo, prima di rimanere accecato
"Ehi... quella farina la pago io. Vedi di non sprecarla!" borbottai
scuotendo la testa, per ripulire i capelli. Mi cacciò di
nuovo
la lingua ed io per dispetto le feci lo stesso. E alla fine ci
ritrovammo a ridere assieme.
Dopo circa mezz'ora e dopo aver finalmente infornato la torta e pulito
alla meglio la cucina, ci ritrovammo sul divano per berci una
tranquilla tazza di thé verde, con la speranza di non
rompere
nulla quella volta.
"Devo dire che fa uno strano effetto vederti con un ragazzo. Per un
momento ho seriamente creduto che per ripicca contro il genere
maschile, fossi diventata lesbica!" esclamai, piegando le gambe sotto
il sedere per stare più comodo.
"Forse per un pò l'ho pensato anche io."
ridacchiò lei con una piccola smorfia
"E dimmi, ora che ci sei uscita più spesso... come ti
sembra?"
le chiesi, mettendo da parte l'umorismo e passando alle cose realmente
più importanti. Rachel sospirò profondamente
prima di
parlare
"Ricordi l'ultima volta che abbiamo parlato? Quando ti ho confessato di
avere paura e di non voler rovinare tutto di nuovo, solo per colpa di
un mio... capriccio momentaneo?" mi chiese gesticolando
"Certo!"
"Ecco io... non so dove sia riuscita a trovare il coraggio ma,
Venerdì ne ho parlato con Finn... gli ho spiegato quelli che
erano i miei timori e cosa esattamente mi frenasse in sua compagnia.
Lui, contro ogni aspettativa, mi ha ascoltata e alla fine... mi ha
sorriso e mi ha detto che non devo assolutamente preoccuparmi,
perché con me lui ha intenzioni serie, anzi... con me e Lea
ne
ha e che vorrebbe andarci con calma, magari parlandone prima con mia
figlia, per vedere cosa ne pensa se lui e la sua mamma vogliono
frequentarsi un pò e... vorrebbe parlarne anche con i miei
papà!" e mi sorrise raggiante ed emozionata.
Hai capito Finn Hudson.
É proprio vero che l'abito non fa il monaco... o meglio, le
mutande non lo fanno...
"Davvero molto maturo da parte sua. Sono colpito!" esclamai
sinceramente, stringendole una mano. Lei annuì con vigore
"Ho solo paura di come possa reagire Lea. Lei è
così...
piccola e, anche se non lo dimostra, soffre davvero tanto per la
mancanza del suo vero padre. Non vorrei che vedesse Finn come un
intruso, come qualcuno che vuole intromettersi tra me e lei."
spiegò rigirandosi nervosamente la tazza tra le mani
"Perché allora non le parli? Da sola intendo... tu e lei.
Lea
è una bambina molto intelligente e sono sicuro che, se le
spieghi con calma che la presenza di Finn non potrà mai, per
nessun motivo al mondo, rovinare il vostro rapporto, lei
capirà.
In fondo, vi ho visti a cena l'altra sera... sembravate davvero una
bella famiglia felice e Finn con lei è stato estremamente
dolce.
Sappiamo entrambi quanta difficoltà faccia tua figlia ad
aprirsi
con gli uomini, ma con Finn si è comportata quasi meglio di
quanto non abbia mai fatto con me." le feci notare, proprio
perché era esattamente quello che avevo notato io. Quella
cena
era stata una sorpresa continua, a partire da Finn.
"L'ho pensato anche io. Lea con Finn è estremamente
tranquilla e
si fa abbracciare, prendere in braccio e comprare tutto, senza
esitazioni. Ed è proprio questo che in un certo senso mi fa
ben
sperare." esclamò radiosa ed io non riuscii a non essere
felice
per lei "E lui con Lea è estremamente dolce... ogni volta
che le
prende semplicemente la mano, si gira verso di me, quasi chiedesse il
permesso. Mi rispetta... ed io lo apprezzo molto!"
Ok... Finn Hudson ha
guadagnato una marea di punti... potrebbe anche iniziare a piacermi...
potrebbe...
"E per sottolineare meglio il concetto, l'altra sera ti è
galantemente saltato addosso!" scherzai, per provocarla un
pò.
Lei arrossì di nuovo, tirandomi uno schiaffo sul braccio,
fintamente indignata
"Finiscila... non è colpa sua. Sono stata io a farmi
avanti." lo difese prontamente
"E lui di certo non si è tirato indietro..." mormorai
malizioso, facendola ridacchiare
"É un uomo... ha le sue esigenze. Ed anche io ho le mie." si
giustificò a testa bassa "Vorrei farti presente che sono
più di quattro anni che non ho una relazione con un uomo.
Credo
di averne il diritto anche io ormai!" e si impettì, quasi
offesa.
Dio, Rachel... quattro
anni? Come cazzo hai fatto?...
"Speriamo che perlomeno ne sia valsa la pena di aspettare." feci
bevendo l'ultimo sorso di thé e guardandola di sottecchi.
Quella
volta, non mi riprese, accettò la provocazione con una mezza
risata ed una promessa
"Sarai il primo a saperlo, fidati. Soprattutto perché non
vedo
l'ora di sfatare questo tuo maledetto mito dell'altezza!" e mi
lanciò un'occhiata di sfida.
"Se avrai ragione e sarai disposta a portarmi delle prove.. allora mi
inchinerò alla tua saggezza infinita, signorina Berry!" e
finsi
un mezzo inchino. Ridemmo ancora per un pò, parlando di Finn
e
delle mie teorie, fino a che, non so come, ci trovammo entrambi seduti
per terra, con la schiena poggiata al divano. Rachel sospirò
e
fece scivolare la testa delicatamente sulla mia spalla
"Sai ora che ci penso... non tutti i mali vengono per nuocere!"
esclamò con un sospiro beato
"Sarebbe?" le chiesi curioso
"Beh... se quel pezzo di merda non mi avesse messa incinta e poi non mi
avesse abbandonata, io non sarei mai venuta ad abitare a Lower East
Side, non avrei mai preso in affitto questo appartamento e... non avrei
mai conosciuto te!" e mi pizzicò giocosamete un fianco.
Sorrisi
intenerito e commosso
"E non avresti conosciuto neppure Finn!" le ricordai, canticchiando un
pò. Lei ridacchiò sollevando la testa e tornando
a
guardarmi negli occhi
"Già... non avrei conosciuto neppure lui." convenne
divertita e
meravigliosamente felice. Le feci una smorfia eloquente che la fece
ridacchiare, dopodiché fu il mio turno per appoggiare la
testa
sulla sua spalla, e per farlo dovetti scivolare un pò
più
giù con la schiena, vista la differenza di altezza
"Tu comunque rimani in cima alla mia lista. Non è che nel
frattempo sei diventato etero?" domandò divertita, facendomi
ridere
"No, carina, mi dispiace per te... mi piacciono ancora gli uomini." le
ricordai restituendole il pizzicotto "Tra l'altro, mi secca offenderti,
ma credo tu sia costretta a metterti in fila. C'è qualcun
altro
che merita la precedenza!" mormorai tranquillamente, immaginando che
reazione lei potesse mai avere. Contro ogni aspettativa,
scoppiò
a ridere di gusto
"Ah già... quarto piano interno otto!" esclamò
maliziosamente e lì compresi quale salto avessimo compiuto:
dal
parlare di lei e Finn, eravamo appena passati ad affrontare un
argomento nettamente più ostico. Me e Blaine.
Con un sospiro sollevai la testa e le lanciai un'occhiata preoccupata.
Come immaginavo, la trovai a sogghignare, in attesa
"Coraggio, Perez Hilton... so che muori dalla voglia di sapere cosa
è successo. Quindi parti pure con l'interrogatorio!"
acconsentii
con un sospiro, perché immaginavo che prima o poi saremmo
arrivati anche a quello. Lei sorrise, sapendo perfettamente di trovarsi
dalla parte giusta del banco dell'accusa quella volta.
"Dunque... alla fine è... rimasto a darti una mano, vero?"
domandò subito, senza neanche farsi pregare
"Sì... è rimasto." confermai, in attesa della
patata bollente
"E dimmi... li avete lavati quei piatti oppure... avete trovato
qualcosa di meglio da fare?" mi provocò maliziosa
"Li abbiamo lavati..." mormorai "Ed abbiamo trovato qualcosa di meglio
da fare!" ripetei esattamente le sue parole, con molta cautela ed
ovviamente, come immaginavo, non ci mise molto a fare due
più
due ed arrivare alla soluzione
"Dio Santo, Kurt Hummel... e poi quella assatanata sarei io!" e mi
diede una spinta giocosa, facendomi perdere appena l'equilibrio
"Cosa vuoi da me? Non le controllo io certe cose. E poi, con tutto il
rispetto, Berry... da parte mia è anche comprensibile:
Blaine
è decisamente più sexy di Finn - mutande
indecenti - Hudson!"
la provocai restituendole la spallata. Lei si imbronciò
"I gusti sono gusti. E poi io te lo avevo già detto, mi
pare...
già dal primo giorno in cui ho avuto il piacere di conoscere
Blaine!"
"Sì.. me lo avevi detto." le concessi con un mezzo sorriso,
ricordando la mia assurda faccia tosta, nell'esclamare che uno come
Blaine fosse vagamente carino. Quel giorno dovevo aver avuto qualche
litigio particolarmente cruento con David, altrimenti non si spiegava
una tale assurdità uscita fuori dalla mia bocca.
"Dunque... avete... sì insomma... lo avete fatto?"
domandò curiosa, rivolgendomi un sorriso colmo di attesa.
Beh,
dopo tutte quelle domande che le avevo rivolto fino a poco prima su lei
e Finn, era anche normale che finissimo a fare lo stesso con me. Me
l'ero ampiamente cercata.
"Mmh mmh!" mormorai in segno di assenso e dalla sua bocca
uscì un urletto di gioia
"Voglio i particolari. Ora!" esclamò su di giri, battendo le
mani, notevolmente più esaltata di me. Ridacchiai scuotendo
la
testa
"Non ti sono bastati quelli che ti ho dato la prima volta? Vuoi anche
gli altri adesso?" le domandai
"Certo... e li pretendo anche. Coraggio... sputa il rospo!" mi
incoraggiò, in trepidante attesa. Io sospirai, arrendendomi.
La
verità era che, dopo aver pianto per quasi tutta la notte
precedente, avevo un disperato bisogno di parlarne con qualcuno e
sapevo che Rachel, nonostante le battute, le occhiate maliziose e la
voglia di vendicarsi verso di me, per avergliene dette di tutti i
colori per la faccenda di Finn... sarebbe stata l'unica con la quale
avrei potuto sfogarmi davvero, senza il timore di sentirmi giudicato o
peggio... preso in giro. Avevo sempre detto di non aver bisogno
dell'aiuto di nessuno, di potermela cavare da solo, di poter contare
solo sulla mia forza d'animo e sulla maschera che mostravo in pubblico.
Ma mi sbagliavo e durante quella notte quasi praticamente insonne, me
ne ero perfettamente reso conto. Avevo bisogno di un'amica sincera e
leale. In poche parole avevo bisogno di Rachel.
"Ti accontenteresti di sapere che, anche se mi rendo conto sia
difficile crederlo, è stato ancora più bello e
sensazionale della prima volta?" le domandai in un sussurro,
guardandola con un leggero imbarazzo nella voce. Lei si aprì
in
un sorriso radioso
"Sì... diciamo di sì. Anche se questo non ti
esonera dal
tuo obbligo. Voglio che mi racconti ogni cosa.. per esempio... quante
volte lo avete fatto? Quanto tempo è durato? Avete fatto
anche
altro? E se sì, cosa?"
"Cosa sarebbe questo? Un questionario a risposta multipla?" le chiesi
imbarazzato, sentendomi lentamente arrossire sulle guance. Lei sorrise,
sistemandosi meglio a sedere, per poi continuare
"Sarebbe che sono curiosa e voglio sapere tutto. Anche quali vocali e
quali consonanti ti sono uscite dalla bocca mentre lo facevate!" e
ridacchiò, mentre il mio cuore perdeva un battito
"Rachel!" strillai indignato "Benedetta ragazza, ma non ce l'hai un
pudore?" lei sollevò maliziosamente un sopracciglio
"Devo averlo dimenticato l'altra sera a casa di Finn!" si
giustificò, prendendomi in giro ed io le risposi con una
smorfia
"Lo sospettavo." brontolai indignato "E comunque non ho intenzione di
scendere ancora nei dettagli con te, perché si tratta della
mia
vita privata e conoscendoti, saresti capace di usarla come arma di
ricatto contro me e Blaine!"
"Mi crederesti davvero capace di una cosa del genere?"
domandò, fingendosi offesa
"Decisamente." confermai, ma non le diedi il tempo per lamentarsi,
perché aggiunsi "E poi sinceramente avrei bisogno di
parlarti di
un'altra cosa, prima!" lei sorpresa, smise di tenermi il broncio
"E sarebbe?"
"Ecco.. si tratta di quello che.. è successo dopo.."
mormorai a disagio
"Dopo... dopo quando?" domandò
"Ieri mattina... quando ci siamo svegliati." specificai. Lei si morse
un labbro pensierosa
"E cosa è successo ieri mattina quando vi siete svegliati?
Lo
avete rifatto per la terza volta?" chiese con innocenza, facendomi
arrossire
"No, direi di no." risposi arrossendo ancora, ed abbassando la testa.
Avrei voluto aggiungere un "Magari fosse successo", ma avevo preferito
evitare
"E allora cosa?" lei era sempre più confusa e curiosa ed io
sempre più timoroso di tirare fuori la verità.
Quando non
si è abituati a quel tipo di cose, risulta sempre
più
difficile compiere certi passi. Presi un lungo respiro, concedendomi un
istante per me, per riordinare le idee. Era la prima, e forse unica,
volta in cui avrei tirato fuori la verità ad alta voce, dopo
lo
spiacevole episodio del giorno prima. Ma continuare a starmene a bocca
chiusa non mi avrebbe certamente aiutato, anzi.
"Ieri mattina è... venuto David.. qui a casa mia.. mentre
Blaine
era ancora nel mio letto... completamente nudo!" confessai, imbarazzato
a morte
"Merda!" sbottò lei, senza riuscire a trattenersi
"Già.."
"E cosa... cosa è successo? Voglio dire... David lo ha..
visto?"
domandò preoccupata, finalmente mettendo da parte la sua
vena
maliziosa
"No, per fortuna no. O meglio... lo ha visto, ma.. da vestito!" risposi
torcendomi le mani, per l'ansia. Lei mi guardò stupita
"Non credo di aver capito, Kurt. Lo ha visto, sì o no?"
così mi ritrovai a sospirare ancora, poggiare la schiena al
divano dietro di me e cominciare a raccontare
"Sì, lo ha visto, ma non è come pensi tu. Io mi
sono
svegliato prima di Blaine, per preparare la colazione e proprio quando
avevo finito e stavo andando a svegliarlo, è suonato il
campanello e mi sono ritrovato David in casa, tutto infuriato
perché la sera prima mi ero dimenticato di chiamarlo, che ha
iniziato a gridare come al suo solito e ad inveire contro di me!"
"Animale!" abbaiò lei, indignata, incrociando le braccia al
petto. Scossi la testa. Lo sapevo che David era un animale, ma non era
il mio problema in quel momento
"Blaine deve averlo sentito e deve aver capito che fosse lui e
così si è rivestito e... ed è venuto
qui in
soggiorno.." mormorai, ricordando perfettamente la stretta allo stomaco
che avevo provato, vedendolo camminare silenziosamente fino alla
porta-finestra del terrazzo, per non essere sentito
"Oh... ed ha affrontato il tuo ragazzo dicendogli di togliersi di torno
perché tu e lui state assieme e tu ormai sei di sua
proprietà! Ti prego, Kurt... dimmi che ha detto questo!" mi
implorò, con le mani giunte, davanti il naso. Mi dispiaceva
rovinare i suoi sogni, tanto perfetti, ma non era quella la versione
della mia storia. Probabilmente in qualche bel film, o in qualcuno di
quei libri romantici, sarebbe anche andata a finire così:
l'eroe
senza macchia e senza paura, si riprende il suo amato dalle braccia
dell'antagonista crudele, lo bacia davanti a tutti e finiscono con il
vivere per sempre, felici e contenti. Ma non era colpa di Blaine se la
storia non fosse finita in quel modo. Lui non c'entrava nulla. Il
problema ero io ed il fatto che, senza accorgermene, fossi diventato io
stesso, l'antagonista della mia vita.
"No, Rachel, non è andata così. Anche
perché,
conoscendo David, se Blaine avesse fatto una cosa del genere, a
quest'ora saremmo tutti all'obitorio, a piangere la sua prematura
morte!" e rabbrividii, spaventato dalla sola idea. Lei
sbuffò
sonoramente, afflosciandosi contro il divano
"Maledizione..." borbottò "E allora cosa ci è
venuto a
fare qui in soggiorno se non per affrontare David?" domandò
confusa
"Ecco lui... cercava un modo per... salvare entrambi!" mormorai,
accennando un sorriso amaro. Forse Blaine non se ne era reso conto, ma
compiere quel gesto tanto azzardato, solo per liberare me
dall'angoscia, era stato senza dubbio la cosa più
inaspettata e
meravigliosamente premurosa che potesse mai fare. Ed io ero ancora
sicuro, a distanza di ventiquattro ore, di non essermela minimamente
meritata.
"Ovvero?"
"Lui è... uscito dal terrazzo, per tornare nel suo
appartamento,
senza farsi minimamente vedere da David, che invece era in cucina con
me!" le spiegai con un lungo sospiro. Rachel non commentò.
Rimase in silenzio, per decisamente troppo tempo, così
sollevai
lo sguardo per capire cosa stesse combinando. La trovai con gli occhi e
la bocca sgranati, per la sorpresa
"Rachel.."
"Cazzo... ha rischiato di farsi scoprire e magari rompersi la testa
scavalcando la grata, solo per... toglierti dai guai!"
mormorò,
quasi senza fiato, in un preoccupante stato di shock. Io, perplesso,
ignorando l'effetto che le sue parole avevano avuto su di me, le passai
una mano davanti agli occhi per svegliarla dal suo stato di trance.
"Rach.."
"Fanculo, Hummel... cosa cazzo ci fai ancora con quello scimmione di
David? Cosa ti serve ancora per capire che quel pezzo di merda non vale
niente e non ti merita, mentre Blaine è il ragazzo perfetto
per
te, eh? É così dolce e premuroso e Dio solo sa
cosa ti
farebbe tutte le volte che ti sfiora semplicemente con lo sguardo. Lo
hanno capito anche i muri che sareste una coppia magnifica, inclusa mia
figlia che.. ehi, ha solo quattro anni." era indignata, infervorata,
incazzata nera. Ed io, spaventato appena, rimasi in silenzio ad
ascoltare il suo fiume di parole "Quindi ora non venirmi a dire che tu
sei fidanzato e che devi portare fede e rispetto alla vostra relazione,
perché se davvero ti importasse qualcosa di David o della
vostra
ridicola storia, allora non avresti fatto sesso con il tuo vicino, non
lo definiresti sexy, ma soprattutto io e te non ci ritroveremmo qui, su
questo pavimento, a parlarne. Lo vuoi capire che questa scusa non regge
più? Di quale altra dimostrazione hai bisogno da parte del
destino, per capire che la tua strada si interrompe qui con David, e
ricomincia altrove con Blaine Anderson? Vuoi che si inginocchi davanti
a te e che ti chieda di sposarlo? Vuoi che ti rapisca o che ti scriva
ti amo sulla Statua della Libertà? Cosa, Kurt... spiegamelo,
perché io davvero non capisco!" era disperazione pura quella
che
avvertivo nella sua voce e... Santo Cielo... stava per mettersi a
piangere? Cosa diamine stava succedendo? Perché parlare con
me,
dirmi quelle cose, l'aveva scossa tanto? E perché io avevo
iniziato a piangere senza neanche accorgermene?
"Kurt?" fu lei forse la prima a capire che qualcosa non andasse,
perché si sporse verso di me e mi accarezzò una
guancia
"Kurt, ti supplico.. parlami. Dì, qualcosa..." e forse fu
il tono che usò, o il calore della sua mano, o il
suo
sguardo perso e disarmato, oppure semplicemente la voglia disperata di
conforto, che mi fece finalmente confessare ad alta voce, senza
più trattenermi
"Rachel... io non posso lasciare David!" esclamai con la voce tremante.
Lei spalancò gli occhi, senza capire
"Cosa diamine significa che non puoi lasciarlo?" scossi la testa,
liberandomi della sua presa sul volto ed abbassai lo sguardo,
perché era già difficile in quel modo, sostenere
anche i
suoi occhi disorientati, sarebbe stato uno sforzo decisamente troppo
grande
"Lui è... il mio unico... punto di riferimento, io... non
posso
permettermi di lasciarlo, perché poi rimarrei solo.. di
nuovo
e... non so se questa volta lo sopporterei..." singhiozzai, incapace di
trattenere le lacrime e le parole. Adesso ero io il fiume in piena e se
non avessi fatto qualcosa per trattenermi, allora avrei rischiato di
straripare da un momento all'altro
"Kurt... non capisco niente di quello che stai dicendo.
Perché
mai dovresti rimanere solo... cosa sarebbe questa storia assurda?" mi
domandò, riafferrandomi per la guance e sollevandomi a forza
la
testa. Lo sapevo che sarebbe stato impossibile parlare. Io non ne ero
capace. Non ero fatto per aprirmi con gli altri, perché non
ci
ero abituato e perché forse neanche me lo meritavo. Dovevo
smetterla di attaccarmi a delle assurde fantasie ed iniziare a
ragionare con più coscienza e maturità. Le cose
andavano
viste per quelle che erano, non per quelle che io avevo voglia di
vedere.
"Lascia perdere, Rachel.. non ha importanza!" mormorai scuotendo la
testa, come per cacciare un brutto ricordo o un pensiero sbagliato
"No, che non lascio perdere, Kurt, ma per chi mi hai presa? Ho lasciato
passare fin troppo tempo ed ho ignorato fin troppe cose da quando ti
conosco, ma adesso basta. Mi sono stancata di lasciare perdere... tu
sei mio amico ed è mio dovere prendermi cura di te,
ascoltarti e
prenderti a schiaffi se è necessario. Mi hai permesso di
entrare
a casa tua, nella tua vita, mi hai fatta affezionare a te come con
nessun altro, ti ho raccontato tutto di me, anche le cose che avrei
preferito dimenticare e, senza farmi problemi, mi sono perfino
umiliata, scoppiando a piangere davanti a te la settimana scorsa.
Quindi adesso non azzardarti a chiedermi di lasciare perdere o a farmi
credere che la tua vita non abbia importanza, perché
credimi,
Kurt Hummel... la tua vita per me ha la stessa esatta importanza che ha
quella dei miei genitori o quella di mia figlia." disse tutto d'un
fiato, guardandomi direttamente negli occhi, seria e diretta. E a me
alla fine mancò il respiro il gola
Dio Mio Rachel...
Senza capire come, mi ritrovai a poggiare la fronte alla sua e a
chiudere gli occhi. Forse non tutto era da buttare. Forse una piccola
speranza, nascosta da qualche parte, potevo ancora trovarla
"Kurt... ti prego..." mi sussurrò, ancora scossa. E
lì
forse capii di essere pronto. Misi da parte la mia maschera da ragazzo
imperturbabile e decisi di essere, per una volta, semplicemente Kurt
"Sei anni fa... ho perso mio padre... lui è... morto
perché un infarto se lo è portato via per
sempre!"
mormorai, ancora con gli occhi chiusi. Forse se rimanevo
così,
avrei creduto di stare sognando e tutto mi sarebbe sembrato
più
facile.
"Sì... me lo hai raccontato." rispose lei in un soffio
"Niente da quel giorno è stato più come prima..
io.. ho
perso ogni legame, ogni difesa... mi sono ritrovato all'improvviso,
solo e senza uno scopo. Prima mia madre poi lui... è stato..
troppo da sopportare, per un ragazzo di appena diciotto anni." tirai su
con il naso, mentre le carezze di Rachel dietro la schiena mi davano il
coraggio necessario per andare avanti "Io sarei dovuto venire qui a New
York per... frequentare la NYADA... è una scuola di arte per
il
canto e la recitazione e... ero stato preso... soltanto venti studenti
ogni anno passano le selezioni in tutti gli Stati Uniti ed io... ce
l'avevo fatta. Dall'insulso stato dell'Ohio ero riuscito ad
impressionare la giuria e finalmente il mio sogno si sarebbe
realizzato. E mio padre... Dio, lui era così contento ed
orgoglioso. Avevamo perfino parlato di trasferirci qui insieme e
prenderci in affitto un appartamento vicino all'Accademia, invece di
farmi rimanere nei dormitori comuni o di lasciarlo da solo a Lima. Ed
era quasi tutto organizzato, mancava solo il trasloco quando, lui... ha
avuto l'infarto e... la NYADA, l'appartamento condiviso, il mio sogno
di sfondare a Broadway, tutta la mia vita... finirono cancellate, per
sempre."
"Hai rinunciato alla tua scuola?" mi domandò incredula
"Cos'altro avrei potuto fare? Partire per New York... lasciare mio
padre per inseguire uno stupido capriccio, mi era sembrata la cosa
più meschina che potessi mai fare. Così ho
rinunciato al
mio posto... ho organizzato il funerale di mio padre e... sono rimasto
a Lima per un altro anno, lavorando come cameriere in un bar... una
specie di ritrovo per studenti, molti dei quali erano.. i miei vecchi
compagni di scuola, quelli che mi prendevano in giro, quelli che... per
punirmi ancora di più, sono arrivati a dirmi che la morte di
mio
padre era stata semplicemente colpa mia, perché un.. frocio
come
me non si meritava un padre affettuoso e comprensivo come il mio e che
Dio... lui mi aveva voluto punire per la mia natura diabolica. Questa
frase mi è rimasta impressa nella mente per non so quanti
mesi.
Fino a che non ce l'ho fatta più... ho venduto casa di mio
padre
e con i soldi, ho comprato il biglietto aereo e sono venuto a vivere
qui a New York!" era la prima volta che ne parlavo con qualcuno. Non
seppi perché avessi deciso di farlo proprio con Rachel e non
prima, con Mercedes per esempio o con Santana o semplicemente non
avessi continuato a starmene zitto. Forse anche io avevo un limite di
sopportazione e lo avevo appena superato, senza neanche rendermene
conto.
"Dio Santo... ti prego, Kurt... dimmi che non hai davvero creduto che
la morte di tuo padre fosse colpa tua." mi implorò con la
voce
roca, sensibilmente sopraffatta dall'emozione. Mi mossi, agitato tra le
sue braccia, sentendomi immediatamente in imbarazzo
"No, Kurt... non ci credo.."
"Non è questo il problema Rachel.. alla fine ho capito che
quei
bastardi lo dicevano solo per ferirmi e per sottolineare il fatto che
fossero degli omofobi del cazzo... il tempo, sotto questo punto di
vista, mi ha aiutato a capire!" la rassicurai subito, perché
davvero non avevo bisogno di altra pena per me. Già mi
bastava
quella che io stesso provavo.
"D'accordo... sei... venuto qui a New York... poi cosa è
successo?" domandò, tranquillizzandosi appena
"Ho provato a rifarmi una vita.. a mettere da parte il vecchio e
patetico Kurt, quello che continuava a piangere per la mancanza del
padre, quello che si sentiva solo, quello che forse avrebbe soltanto
avuto bisogno di un sostegno in più, ma che non ha mai avuto
il
coraggio di domandarlo. Fino a che... quel sostegno non
arrivò
davvero e nel modo più inaspettato!" spiegai, con una nota
amara
nella voce, mentre ricordavo perfettamente quel periodo passato. Lei
rimase diligentemente in silenzio, in attesa
"Avevo iniziato da poco a lavorare per l'agenzia del signor Chang... mi
avevano preso come tirocinante con un contratto semestrale, senza
alcuna speranza di continuare... è stato in quel periodo
che...
ho preso in affitto questo appartamento e poco dopo, stesso all'agenzia
ho... conosciuto David. A quel tempo mi sembrò semplicemente
perfetto. Lui... fece di tutto per conquistare la mia fiducia, si
dimostrò premuroso, attento, imprevedibile, ma soprattutto..
era
il primo uomo nella mia vita che, dopo mio padre, si interessava
finalmente a me. Lui è stato il mio primo ragazzo e anche
l'unico, se è per questo ed io... anche se non ho mai
provato
amore nei suoi confronti... mi ci sono affezionato, davvero.
In
breve tempo David è diventato il mio nuovo punto di
riferimento.
Era il mio tutto e l'unica persona che sembrava provare un minimo
interesse nei miei confronti. Gli ho praticamente dato la mia vita
nelle mani, mi sono completamente affidato a lui e forse, per la prima
volta, non avevo paura di niente e nessuno, non avevo paura del mondo
perché finalmente ci avrebbe pensato il mio ragazzo a
difendermi
e non avevo paura di rimanere solo perché qualcun altro
aveva
ammesso ad alta voce di amarmi ed era stato lui a farlo. Lui amava me e
già quello rappresentava la più grande conquista
dopo
anni." spiegai con una calma quasi preoccupante ed era davvero strano
perché per essere la prima volta in cui mi trovavo a
confessare
quelle cose, me la stavo cavando piuttosto bene. Quasi stessi parlando
di qualcun altro, niente a che vedere con me e la mia vita.
"Mi sono attaccato a lui, forse troppo, me ne rendo conto, come unica
via di fuga dal mondo. Lui mi amava e mi ama ancora e lo fa senza che
io gli abbia mai chiesto niente. Non mi ha mai offeso per la mia
sessualità ed è stato il primo ad accettarmi
davvero,
senza mai provare a cambiarmi." finalmente dopo un'eternità
fatta di immobilità e respiri leggeri, Rachel si mosse. Mi
afferrò per le spalle, sciogliendo l'abbraccio confortevole
in
cui avevo trovato il coraggio per parlare e mi puntò gli
occhi
addosso
"Kurt... perché non me lo hai mai detto?" mi
domandò e,
nonostante lo sguardo serio e lucido, capii perfettamente quanta
commozione ci fosse ancora in lei. Mi ritrovai per un istante spaesato,
incapace di trovare una risposta plausibile per una domanda del genere.
Eppure la risposta c'era ed era anche particolarmente banale a quel
punto del racconto
"Rachel io... non sono abituato a parlare di me.. non l'ho mai fatto
perché nessuno me lo ha chiesto e soprattutto io... non
credevo
di poter avere un'amica alla quale poter raccontare certe cose. Sono
stato abituato a cavarmela da solo, in ogni circostanza e continuo a
portarmi questa cosa dietro nonostante siano passati degli anni ormai.
Non credo a questo punto di essere più capace di farlo!"
mormorai sconsolato. Lei finalmente accennò un sorriso
timido, e
fu come uno spiraglio di luce, dopo tanto tempo passato
nell'oscurità
"Lo hai appena fatto, Kurt... hai parlato con me, mi hai raccontato la
tua vita.. mi hai detto cose che nessun altro sa ed io.. ne sono
lusingata, davvero. E dimmi... adesso non ti senti meglio...
più... sollevato?" e piegò la testa da un lato
sorridendomi teneramente. Domandai la stessa cosa al mio inconscio. Ed
entrambi ci ritrovammo a sospirare, stranamente sereni, e a rispondere
"Cazzo... sì!" mormorai, facendo ridacchiare sia Rachel che
me
"Devo ammettere che è davvero una bella sensazione."
aggiunsi
soddisfatto. Lei mi accarezzò una guancia, guardandomi in
uno
strano modo, oserei dire quasi materno. Ma d'altronde, Rachel lo era,
materna intendo. Lei aveva una figlia e questo l'aveva aiutata ad
essere di conseguenza più affettuosa, comprensiva e
nettamente
più matura rispetto a molte altre ragazze della sua
età.
E Santo Cielo.. io avevo avuto la fortuna di incontrare un'amica
così e non lo avevo mai capito veramente.
"Beh... ho una bella notizia da darti, caro il mio piccolo e dolce Kurt
Hummel.. non sono l'unica a volerti bene. Posso dirti il nome di tante
altre persone, oltre a me, che ti sono vicine e che morirebbero dalla
voglia di sentirti raccontare queste cose per poterle condividere con
te." mormorò scrollando le spalle, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. Forse lo era per lei, perché
per me,
non lo era affatto
"Mmm.. ad esempio?" la sfidai curioso. Lei mi fulminò con lo
sguardo, per non averla presa in parola, ma si trovò
ugualmente
a parlare
"Per esempio quella tua amica modella.. Santana mi pare... oppure
quella ragazza di colore che veniva a scuola con te, oppure Emma e
William e Tina e... beh... mi sembra ovvio che nella lista ci sia
anche... lui!"
e fece un cenno con la testa verso la porta d'ingresso,
facendomi arrossire "E, mi dispiace per David, ma lui non è
affatto incluso nella lista. Anzi... io continuo ad essere convinta che
tu debba lasciarlo, soprattutto ora, che spero tu ti sia reso conto di
non essere solo e di non aver più bisogno di lui." mi disse
con
convinzione, facendomi tremare appena lo stomaco. Io non avevo
più bisogno di David... davvero?
"Non voglio mettere in dubbio che lui abbia fatto tanto per te..
immagino che nel suo modo bizzarro, anche lui ti abbia aiutato a
superare un brutto periodo, però... io credo che sia
arrivato il
momento di crescere ed andare avanti. Metti una bella pietra sul tuo
passato con lui e prova a convincerti del fatto che tu ora hai bisogno
di altre cose, di nuovi stimoli e soprattutto di una persona che sappia
trattarti come adesso meriti. Magari l'atteggiamento ossessivo di David
andava anche bene al Kurt solo e spaventato di qualche anno fa, ma ora
Kurt ha bisogno di altro... ha bisogno di qualcuno che lo ami davvero,
che sappia condividere con lui dei bei momenti sereni, che accetti i
suoi amici e il suo talento, che sia pronto a consolarlo, ad
ascoltarlo, a coccolarlo e a dargli quegli abbracci che tanto gli sono
mancati. Tu hai bisogno di una persona di cui non ti debba
vergognare mai, che sia sorridente, gentile, affettuoso e che
soprattutto sia capace di farti sorridere anche con un semplice post-it
colorato attaccato sulla porta." mi morsi un labbro, mentre un sorriso
intenerito mi si apriva sul volto, perché, diavolo, aveva
perfettamente ragione. Blaine era stato capace in un solo mese, di
farmi provare delle emozioni e di regalarmi dei ricordi che mai, in
quattro anni con David avevo potuto sperare. Lui era stato una sorpresa
continua, sempre piacevole e, a pensarci bene, era arrivato nel momento
più opportuno: proprio quando alla mia vita sarebbe servito
un
netto cambiamento, proprio quando io, ne avrei avuto bisogno. Ero
stanco, stanco da morire. Non sopportavo più la gelosia di
David, le nostre continue litigate, le sue stupide paranoie, la sua
poca fiducia nei miei confronti e soprattutto il fatto che non avesse
mai dimostrato a pieno di tenere a me. Io sapevo che lui mi amasse, ma
erano i suoi modi ad essere sbagliati. Forse uno come lui, prima di
intraprendere una relazione seria, avrebbe dovuto imparare ad amare, e
poi forse ricominciare.
Tirai su con il naso, cercando di recuperare un pò di quel
contegno che avevo lentamente lasciato andare via assieme a quella
confessione. Mi sentivo meglio, più leggero e stranamente
sentivo di avere perfettamente chiare nella mia testa, le mie
successive intenzioni. Avrei dovuto parlare con David, e dirgli tutto.
La verità, probabilmente, era l'unica cosa che, arrivati a
quel
punto, gli dovevo. E poi, risolta la situazione con lui, forse... sarei
potuto andare dal mio vicino e chiarire un paio di cose lasciate in
sospeso. Il problema rimaneva capire se avessi trovato o meno il
coraggio di fare entrambe le cose. Un conto era realizzare nella
propria mente certi pensieri, un altro era metterli in pratica,
concretamente. E sinceramente, mi spaventava di più parlare
con
Blaine, che affrontare David. Perché al secondo ero
abituato,
avevo avuto quattro anni per conoscerne ogni emozione e reazione. Il
primo, invece, era ancora una bella incognita per me, nonostante mi
sentissi notevolmente più legato.
"E dunque... Kurt Hummel canta, eh?" mi provocò dopo un
pò, con un sorrisetto malizioso sul volto
Oh no...
"Ehm... occasionalmente. Ma non lo faccio neanche un granché
bene, in realtà!" mormorai, arrossendo
"Non dire stronzate... hai detto di essere stato scelto insieme ad
altre diciannove persone su chissà quanti milioni
di ragazzi in tutti gli Stati Uniti. Questo mi fa immaginare
che
tu sia decisamente grandioso!" e gongolò entusiasta
"Coraggio...
voglio sentire!" mi esortò allora, impaziente
"No, non esiste. Io non canto più... è una...
cosa che
facevo solo per far felice mio padre. E ora... non me la sento..."
mormorai a disagio, giocherellando con la cerniera della felpa. Ed ecco
un'altra cosa di cui non parlavo volentieri. Forse lo sapeva soltanto
Mercedes, ma solo perché, essendo andati a scuola assieme,
lei
conosceva alla perfezione la mia voce ed io la sua. Ma soprattutto lei
c'era stata quando mio padre era morto e, nonostante non condividesse
le mie ragioni, perlomeno le conosceva. Rachel invece... beh, lei era
appena entrata nell'incasinato mondo di Kurt Hummel ed io non ero
ancora completamente abituato ad accogliere qualcuno.
All'improvviso, però, proprio mentre lei spalancava la bocca
indignata e si preparava a protestare, qualcosa catturò
l'attenzione di entrambi. Un intenso odore di bruciato, decisamente
preoccupante
"Cosa diavolo è questa puzza?" domandai all'erta. Ci
scambiammo
un veloce sguardo e quello sembrò bastare ad entrambi per
capire
"Cazzo, la torta!" esclamammo all'unisono e ci precipitammo in cucina,
dove ormai la bellissima torta di Finn Hudson, si era quasi del tutto
carbonizzata, emanando un pessimo odore ed un preoccupante fumo nero
"Maledizione... tutta fatica sprecata!" sbottò lei,
sbattendo la
teglia sul tavolo, visibilmente sconfortata. Io, sentendomi leggermente
in colpa, perché era stato per ascoltare me, che lei si era
distratta, sospirai, lanciando un'occhiata preoccupata alla cucina
fumante, dopodiché mi avvicinai a lei e le strinsi le
braccia
attorno alle spalle
"Non fare così, Rachel... ricordati che le donne
meravigliose
come te, non si arrendono mai." le dissi con un sorriso incoraggiante
"Tu dici?"
"Certo... e adesso per dimostrartelo, prendo la giacca e ti accompagno
da Carlo's per comprare la più stupefacente torta che si sia
mai
vista e... ovviamente offro io!" le strizzai l'occhio, fortunatamente
facendola ridere e mi affrettai a recuperare la giacca ed il
portafoglio. Dopo una mattinata del genere, avevo bisogno di aria
fresca e di una buona passeggiata. Magari anche di un gelato super
calorico. Ci sarebbe stato un momento migliore per preoccuparsi della
linea. Per il momento mi sarei accontentato di New York vista di
domenica, della mia preziosa amica e di un'ottima torta per Finn
Hudson. Dopo quello che avevo combinato, era il minimo per entrambi.
E poi farei di tutto,
per non far più tornare Rachel sull'argomento canto...
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Capitolo 27 *** Proposte decisamente indecenti ***
Buon
Giovedì a tutti, patatucci miei... dunque, finalmente tutti
sappiamo le motivazioni che spingono il povero Kurt a rimanere con
David, certo adesso avrebbe più motivi a lasciarlo e andare
da Blaine ma, deve fare ancora un piccolo passo per far sì
che questo succeda e forse il nostro principe dagli occhi dorati
potrebbe aiutarlo ^^. E ora, dopo un capitolo così intenso,
ne abbiamo uno particolare: dunque, come vi ho già detto
ieri nello spoiler mi sono permessa di prendermi una libertà
sul personaggio di Kurt poi vedrete perché, e spero di non
offendere nessuno e che apprezzerete il motivo che mi ha spinto a
farlo... bene, buona lettura (capitolo di sedici pagine, praticamente
da incubo XD) ci vediamo Lunedì. Un bacio grande a tutti
quanti :* siete i miei cucciolotti, tanti piccoli Cooper *__*
p.s.
Nonostante il foglio volante che non si sa che piega dovesse prendere,
il mio Dan è riuscito a tirare fuori un'immagine
così bella.. non smetterà mai di sorprendermi ^^
n.b. Pagina Facebook (
Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New
York City. Ore 06.45 P.M. 09 Aprile 2012 (Lunedì)
L'acqua calda della doccia mi aveva sempre
fatto bene.
Non ero un tipo da getto ghiacciato, che risveglia le membra e il
cervello, ma non sopportavo neanche quello bollente, che mi arrossava
la pelle. Diciamo che preferivo sempre una via di mezzo. Né
troppo caldo, né troppo freddo. E finalmente, dopo la notte
passata praticamente in bianco e l'alzataccia alle quattro in punto
quella mattina, potevo concedermi la mia sana e rilassante doccia,
prima di rivestirmi, portare a passeggio Cooper e poi precipitarmi al
pub.
Ero stanco morto e pensare che era ancora Lunedì e la
settimana
era appena iniziata. La domenica era praticamente volata in un attimo:
dopo la brillante e altamente chiarificatrice chiacchierata con il mio
amico, ero rimasto a dare una mano nel montaggio del tavolino
maledetto, e alla fine, tutti e tre soddisfatti, avevamo cenato seduti
sul pavimento, davanti una commedia romantica, ovviamente commentata a
turno dalla voce annoiata di Sebastian e da quella incantata di Daniel.
Mi ero sentito leggermente in imbarazzo a stare seduto lì
con
loro, ma non perché avessero fatto chissà cosa o
si
fossero messi a pomiciare davanti a me. Solo che... anche stando
semplicemente seduti uno accanto all'altro, come avevo già
avuto
modo di constatare spesso, quei due emanavano amore allo stato puro ed
io, che ormai mi ero reso conto di troppe cose quella sera, mi ero
sentito davvero sconfortato. Perché scoprirsi innamorato e
allo
stesso tempo ridotto in una situazione assurda ed inestricabile, era
davvero troppo da sopportare in una singola serata.
Io ero innamorato
di Kurt, e quello ormai era assodato. E anche tanto. Mi ci era voluto
Sebastian Smythe per capirlo: avevo avuto bisogno di lui e della sua
schiettezza, avevo avuto bisogno del fatto che mi mettesse davanti
all'evidenza anche se, forse, il mio inconscio lo aveva già
ampiamente capito da solo. Ma, dopo la catastrofica esperienza con
Jeremiah, credevo davvero impossibile che uno come me potesse di nuovo
innamorarsi in quel modo di qualcuno, eppure.. era successo e non si
trattava di una persona qualunque.. si trattava di Kurt. Si trattava
del suo sorriso dolce, dei suoi occhi cristallini, della sua anima pura
ed incontaminata, del profumo del suo corpo, della tenerezza
indescrivibile che mi trasmetteva ad ogni sguardo, ad ogni carezza o ad
ogni semplice sussulto, del sapore delle sue labbra, della sua voce e
soprattutto della sensazione incontrollata e meravigliosa che provavo
ogni volta che pensavo a lui. Ero ridotto proprio male e la cosa
peggiore, era che ormai, dopo averlo concretizzato nella mia testa, non
riuscissi più a metterlo da parte per pensare a
qualcos'altro.
Quella notte era stato un solo e specifico pensiero: Kurt. Ed io ci
avevo perso il sonno, completamente. Ed era esattamente di questo che
avevo paura: ridurmi in questo stato, di nuovo per colpa di un
sentimento troppo forte da gestire, e terrorizzato all'idea di rivivere
lo stesso inferno vissuto con Jeremiah, le stesse lacrime, la stessa
maledetta sensazione di vuoto sotto i piedi e la voglia di non averlo
mai incontrato. Avevo paura di mettermi di nuovo in una situazione
dolorosa, dato che comunque Kurt, fino a prova contraria, rimaneva un
ragazzo fidanzato ed io non ero del tutto sicuro di voler continuare a
condividerlo con David, soprattutto dopo aver chiarito il mio
sentimento nei suoi confronti.
Forse con Sebastian
avrei dovuto parlare anche di questo...
Con un sospiro mi avvolsi un asciugamano attorno ai fianchi e andai in
camera per vestirmi. L'unica nota positiva di quel periodo era che,
finita quella settimana, avrei detto addio al forno ed al supermercato,
magari per dedicarmi un pò di più alla musica e
alla
composizione, che avevo messo fin troppo tempo da parte. Avevo bisogno
di ispirazione per scrivere e sospettavo di aver trovato quella giusta.
Il campanello di casa suonò proprio mentre entravo in bagno
per
asciugarmi i capelli. Pregai ogni Dio di ogni religione, di non farmi
trovare sorprese alla porta. Sarebbe andata bene qualsiasi persona,
ma non lui.
Non in quel
momento almeno. Con quello stato d'animo che avevo addosso, sospettavo
di non reggere il confronto. Ma la fortuna, quella volta,
sembrò
girare dalla mia parte, perché ad attendermi, dall'altro
lato
della porta non vi trovai affatto Kurt
"Ciao"
"Rachel... ciao.." la salutai, sorpreso e sollevato allo stesso tempo.
Lei mi rivolse un sorriso cordiale che ricambiai all'istante. Quella
ragazza aveva un non so ché di piacevole. Forse il sorriso,
forse la trasparenza oppure il suo buffo modo di vestirsi. Avrei voluto
tanto avere anche io un'amica così. Kurt era molto fortunato.
Blaine, per il bene della tua salute mentale... smettila...
"Posso entrare? Disturbo?" domandò esitante, sbirciando
appena
oltre la mia spalla. Da dentro l'appartamento, in un punto poco
definito, Cooper abbaiò, quasi volesse invitarla, da buon
padrone di casa.
"No, tranquilla.. non disturbi affatto. Prego!" e con un sorriso mi
feci da parte per farla passare. Lei si guardò subito
attorno,
con un sorriso curioso sul volto e alla fine, tornando a guardarmi
decretò
"Hai arredato davvero molto bene il tuo appartamento... i miei
complimenti!" esclamò
"Ti ringrazio, ma... non posso prendermi tutto il merito. La maggior
parte dei mobili li ha lasciati la figlia del proprietario prima di
andarsene. Io mi sono limitato a dare al tutto un tocco
più...
personale diciamo!" e inspiegabilmente arrossii, perché il
suo
sguardo era decisamente troppo insistente e furbetto per trattarsi di
una semplice visita di cortesia. Rachel non era lì per
controllare il mio mobilio, poco ma sicuro.
"Posso offrirti qualcosa da bere?" le domandai, tanto per avere una
buona scusa per scappare da quel salotto
"Sì, grazie... un bicchiere d'acqua!" rispose accucciandosi
per
accarezzare Cooper che le saltellava intorno. Mi diressi in cucina, per
recuperare un bicchiere e riempirlo dal rubinetto. Avvertivo la sua
presenza alle mie spalle, mi stava osservando ed io iniziavo a pensare
che, forse, sarebbe stato meglio se alla porta ci fosse stato Kurt,
piuttosto che lei. Quella ragazza era ancora un mistero per me e
ricordavo perfettamente il sussurro malizioso con il quale mi aveva
salutato dopo la cena. Diciamo pure che, anche per colpa sua, quella
sera, il mio cervello mi aveva definitivamente salutato ed era partito
per la Papuasia. Per colpa sua e di Sebastian. Per colpa sua, di
Sebastian e del bagnoschiuma. Per colpa sua, di Sebastian, del
bagnoschiuma e di Kurt.
Ok, è stata
solo colpa mia, è inutile girarci troppo intorno...
"La piccola Lea dov'è?" le chiesi passandole il bicchiere.
Lei fece una smorfia vaga indicando il pavimento
"Da Finn... li ho lasciati a guardare Mulan." scosse la testa facendomi
ridacchiare
"Oh... io adoro quel cartone!" esclamai colpito, stupendomi del fatto
che, nonostante fossero passati più di quindici anni, quella
pellicola fosse rimasta un classico per bambini
"Già... a quanto pare, anche loro!" mormorò lei
divertita, per poi sorseggiare un pò d'acqua, senza smettere
un
solo istante di guardarmi. Cazzo, era la prima volta che mi sentivo a
disagio con una donna. Normalmente però, le donne che avevo
conosciuto, non mi avevano mai guardato in quel modo. Come se fosse sul
punto di dire qualcosa, ma stesse aspettando le parole giuste per
farlo.
"Buona." mormorò, facendo un sorriso di apprezzamento che mi
fece sorridere
"Immagino sia la stessa che scorre anche dal tuo rubinetto!" le feci
presente, poggiando la schiena al lavello. Lei ridacchiò,
posando il bicchiere, per poi sospirare e congiungere le mani in grembo.
"So tutto!" esclamò in un solo fiato, sollevando perfino un
sopracciglio, in maniera fin troppo inquietante.
"T-tutto? Tutto... cosa?" domandai iniziando a sudare freddo,
perché il suo sguardo davvero non mi piaceva ed io ero
sempre
più convinto di aver commesso un'immane cazzata a farla
entrare
a casa mia quel pomeriggio. Avrei potuto pensare di liquidarla,
facendole intuire la mia fretta e magari, per evitare futuri blitz, mi
sarei potuto ritrasferire da Sebastian e tornare a casa quando le acque
si fossero calmate un pò. Tutto, pur di sfuggire alle sue
grinfie.
"Tutto!" ripeté "Parlo di quello che è successo
con
Kurt... dopo la cena di venerdì.. o dopo la serata di
beneficenza!" spiegò con una calma disarmante che mi fece
cedere le gambe per qualche momento, spiazzato.
Cazzo, lo sapevo...
"A-ah..." deglutii a fatica, sentendomi un perfetto ladro, scoperto
proprio con le mani nel barattolo della marmellata, con l'intento di
rubarla. Rachel sapeva tutto, perché senza dubbio Kurt
glielo
aveva raccontato. Ma, d'altronde.. io lo avevo detto a Sebastian quindi
era più che normale che anche lui avesse fatto lo stesso con
qualcuno di cui si fidava. Peccato, però, che io non avessi
mandato il mio amico nel suo appartamento, magari a tradimento, con la
specifica intenzione di mettere addosso un pò di sano
terrore.
Anche perché Sebastian, a conti fatti, era molto
più
spaventoso di Rachel Berry. O forse no.
"Ma tranquillo... non ho intenzione di minacciarti o di farti del
male.." mi rassicurò con un sorriso, interpretando i miei
pensieri "Anzi.. tutto il contrario."
"Come scusa?" le chiesi, senza capire esattamente dove volesse
arrivare. Lei sospirò, avvicinandosi appena
"Ascolta... io non sono venuta qui per darti la mia benedizione o per
dirti quanto stupidi siate tu e il tuo vicino, continuando ad ignorare
quello che vi sta succedendo. Ma soprattutto... Kurt non sa che oggi
sono venuta da te e credimi... per la tua salute e la mia, sono
convinta sia meglio che non lo sappia mai!" mi avvertì con
un'occhiata obliqua ed io mi ritrovai ad annuire, molto lentamente. Ok,
Sebastian era un docile cucciolo di marmotta in confronto.
"Diciamo che sono semplicemente venuta qui per darti un... consiglio?
Sì, sono decisamente venuta per darti un consiglio..
disinteressato, si intende." e mi sorrise, tornando cordiale come
sempre. Io, sempre più curioso, e leggermente rassicurato
dalle
sue parole, annuii
"D'accordo.. sentiamo." acconsentii, incrociando le braccia al petto.
Lei si morse un labbro, forse indecisa su cosa dire esattamente e fu
molto strano perché, da come quella conversazione era
iniziata,
sembrava avesse il discorso già pronto nella sua testa.
Eppure
esitava. Doveva trattarsi di qualcosa di importante allora
"Io voglio bene a Kurt... gliene voglio tanto e l'ultima cosa che
vorrei è farlo soffrire. Quindi tutto quello che ti
dirò,
credimi, sarà esclusivamente per la sua felicità,
anche
se ti sarà difficile crederlo." iniziò senza
distogliere
gli occhi dai miei e facendomi sentire di nuovo a disagio
"Rachel.."
"Io sono convinta che tu non debba arrenderti.. che tu debba continuare
a provare con lui, se davvero questo è quello che vuoi. Io
ho
parlato con Kurt ma non so fino a che punto le mie parole possano
essere state efficaci. Lo conosco... quando vuole, sa essere
estremamente testardo ma ho paura che questa volta possa diventare
pericoloso." spiegò pratica
"Pericoloso?" domandai confuso
"Sì... pericoloso. Perché lui sta gradualmente
perdendo
di vista il suo scopo principale.. il suo benessere, non solo quello
fisico.. parlo anche di quello mentale. Kurt ha... l'assurda
capacità di farsi del male da solo, intestardendosi su delle
convinzioni che a conti fatti non esistono. E così facendo
si
sta lasciando scappare la sua occasione per essere felice."
esclamò con ardore
"Ma di cosa.. stai parlando?"
"Sto parlando di te!" sbottò secca, facendomi raggelare. Io?
Cosa c'entravo io con la felicità di Kurt?
"Rachel... io davvero.. non capisco dove tu voglia arrivare..."
mormorai sconvolto. Era incredibile che, in meno di ventiquattro ore,
mi trovassi ad affrontare ancora l'argomento Kurt. Non avevo ancora
metabolizzato a pieno la prima discussione, figuriamoci con che stato
d'animo potessi sostenere la seconda. Con Rachel poi.
"Voglio arrivare a farti capire che... non voglio che tu ti arrenda con
Kurt. Voglio che tu capisca che qualsiasi cosa succeda con te,
sarà nettamente migliore rispetto a quello che gli
è
già successa o potrebbe succedergli in futuro con David e
soprattutto... voglio che tu capisca che ne vale la pena." si
avvicinò ancora, appoggiandomi una mano sul braccio. Ero
decisamente sconvolto, anzi, dire sconvolto era anche riduttivo.
Davvero Rachel mi stava dicendo quelle cose? Davvero voleva che io
insistessi con Kurt, nonostante fosse fidanzato, nonostante quello che
avessimo fatto fosse moralmente sbagliato? Ma soprattutto... davvero
credeva che io fossi migliore per Kurt rispetto a David?
"E voglio che tu sappia che Giovedì è il
compleanno di
Kurt!" annunciò alla fine, sorridendo allegra, come se
niente
fosse. Sollevai un sopracciglio sorpreso, soprattutto per il brusco
cambio di direzione
"Il suo... compleanno?"
"Sì... non lo dice mai a nessuno, forse sperando che tutti
se ne
dimentichino e che passi inosservato. Ma non intendo dargliela vinta
anche quest'anno. Ha bisogno della sua torta, dei suoi regali, di bere
un pò, ma soprattutto.. ha bisogno dei suoi amici accanto, e
ne
ha bisogno ora." frugò nella tasca della gonna e mi porse un
foglio ripiegato, continuando a sorridermi apertamente. Io, ancora
scioccato, alternai lo sguardo tra lei e il foglio finché
quasi
non me lo ficcò in mano. Con un sospiro lo aprii e vi trovai
un
piccolo elenco di nomi, accompagnati da numeri di telefono ed
indirizzi. Lessi per curiosità i primi due
- Mercedes Jones, 15th Avenue, South Brooklyn, NYC. Numero diretto
0553.346188
- Santana Lopez, 7th Avenue, Chelsea, NYC. Numero diretto 0552.7412903
Santana... l'amica di Kurt.. la modella? E Mercedes chi diavolo era?
"Cosa dovrei farci con questo?" le domandai
"Beh io vorrei che... mi aiutassi ad organizzargli una festa a
sorpresa. So che sei molto impegnato, ma si tratterebbe solo di...
trovare il posto adatto e contattare queste poche persone...
riusciresti a farlo in neanche mezza giornata e per me sarebbe davvero
importante avere il tuo appoggio, Blaine!" mi pregò,
congiungendo le mani "Sarebbe un bel regalo da fargli, non credi?"
Lanciai un'occhiata alla lista, perché ero davvero senza
parole.
E così, tra tre giorni sarebbe stato il compleanno di Kurt.
E se
Rachel non me l'avesse detto, io lo avrei mai scoperto? Oppure, quel
giorno ci saremmo incontrati, magari sul nostro pianerottolo ed io mi
sarei comportato come al solito, senza fargli i miei auguri, e lui se
ne sarebbe rimasto in silenzio, come sempre? Non potevo credere davvero
che lui preferisse non farlo sapere a nessuno e non festeggiare in
maniera decente un'occasione così importante. Io il mio
compleanno lo avevo festeggiato ad inizio Febbraio e non avevo esitato
neanche un istante ad invitare a casa i miei amici, almeno i pochi che
avevo a New York, per festeggiare. Ovviamente Sebastian ne aveva
approfittato, trasformando casa nostra in un locale notturno ed avevamo
avuto le proteste dei vicini per una settimana intera. Ma per me, era
importante festeggiare il compleanno, capitava una volta l'anno e anche
Kurt, avrebbe dovuto fare lo stesso. Credevo fermamente anche io che
lui ne avesse bisogno, soprattutto dopo un periodo così
stressante, del quale probabilmente anche io ne ero responsabile. Il
problema sarebbe stato capire se fossi o meno capace di mettere da
parte il tormento che mi attanagliava lo stomaco, per mettermi ad
organizzare la sua festa a sorpresa. Avrei potuto chiamare... Mercedes,
Santana, Sam e tutti gli altri della lista, sapendo di farlo per lui,
senza starci male? Avevo tanta forza d'animo?
"D'accordo!" esclamai con un sospiro. Lei sorpresa, piegò la
testa di lato
"D'accordo?" ripeté accennando un sorriso. Io annuii
"Sì... ti aiuterò ad organizzare questa festa a
sorpresa!" spiegai scrollando le spalle, ma prima di aggiungere
qualsiasi altra cosa, mi ritrovai le sue braccia strette attorno al
collo e lei praticamente aggrappata a me. E per fortuna io ero
appoggiato al lavello, altrimenti saremmo precipitati a terra entrambi,
facendoci seriamente male.
"Oddio, Blaine... grazie, grazie, grazie... sei un angelo sceso
direttamente dal cielo." urlò entusiasta, stampandomi un
sonoro
bacio sulla guancia. Ridacchiai, colpito dalla sua esuberanza.
"Non esageriamo adesso.."
"Dico sul serio. Sapevo di poter contare su di te." esclamò
scostandosi un pò e saltellando, quasi fosse una bambina. Mi
ricordava molto la piccola Lea in quel momento. E non potei fare a meno
di sorriderle
"Bene... allora io mi occupo del cibo e dei festoni... tu chiami quelle
persone e scegli un posto... mi raccomando deve essere tutto pronto per
Giovedì... ah e ovviamente... devi pensare a come portare
Kurt
alla festa senza che lui capisca niente. Se lo facessi io, si
insospettirebbe perché lui sa che io so del suo compleanno,
mentre tu... sei praticamente insospettabile e ho come l'impressione
che con te farebbe qualsiasi cosa!" e mi strizzò l'occhio,
visibilmente su di giri. Con me farebbe qualsiasi cosa? Ma che cazzo...
"Eh?"
"D'accordo.. ora però scappo, ho lasciato per troppo tempo i
miei bambini senza supervisione, non vorrei combinassero guai." e con
un sorriso radioso, indietreggiò fino alla porta. Bene,
prima mi
scaricava la patata bollente, e poi scappava. Gran bella tecnica,
Berry, davvero.
"Rachel.." la chiamai confuso, con la netta sensazione che stesse
palesemente scappando via. La seguii, riuscendo a bloccarla sulla porta
d'ingresso, ma ancora, non mi permise di parlare
"Ricorda, Blaine... qualsiasi cosa... io e te oggi non ci siamo
parlati, tu non mi hai vista e soprattutto... Giovedì
è
un giorno come un altro. Confido nella tua discrezione!" si
sollevò appena sulle punte per lasciarmi un bacio sulla
guancia,
dopodiché scappo via, letteralmente, lasciandomi di sasso,
con
ancora la bocca aperta.
Dopo non so quanto tempo, mi decisi finalmente a chiudere la porta, e
ancora sconvolto, mi diressi in camera da letto per recuperare il
cellulare e la mia sacca per andare al pub. Solo allora mi resi conto
di avere ancora la lista stretta in mano. L'aprii di nuovo, per
controllarla con più attenzione e mi chiesi dove avrei
potuto
trovare il tempo e la forza per organizzare il compleanno di Kurt.
Avevo detto di sì a Rachel perché non mi andava
di
rifiutare, soprattutto perché si trattava della sua
felicità, del suo compleanno, del suo sorriso. Tuttavia, se
non
riuscivo ad avere il tempo neanche per portare a passeggio il cane,
come pensavo di trovarne abbastanza, per fare tutto il resto?
Scorsi la lista fino alla fine, curioso di sapere chi avesse voluto
invitare Rachel. Molte di quelle persone neanche le conoscevo. C'erano
ovviamente i condomini del nostro palazzo - escluso Abrams - c'era Sam
Evans, il manager di Santana la modella, c'era quella ragazza..
Mercedes... e poi altri cinque o sei nomi che non avevo mai sentito. Ma
la cosa che mi sorprese più di tutto, fu l'ultima riga
dell'elenco, scritta in maniera più marcata e perfino
sottolineata con forza:
- Guai
a te se inviti anche David. La festa è off limits per gli
animali come lui! -
Mi venne da ridere. David non era invitato? E se lo avesse scoperto? Se
poi si fosse arrabbiato e magari... se la fosse presa giusto con me?
L'avevo passata liscia già Sabato mattina, riuscendo a
scappare
dalla camera da letto di Kurt, senza essere visto dall'uomo nero.
Sfidare due volte la sorte mi sembrava decisamente troppo avventato.
Rachel mi stava mettendo in un guaio gigantesco, se ne rendeva
minimamente conto?
Beh, a rischiare non sei
mai stato solo... quindi...
Con un sospiro guardai le chiavi della moto, posate sul mobile
all'ingresso e lì compresi una cosa: che qualsiasi cosa
avessi
fatto, probabilmente sarebbe servita soltanto a peggiorare la mia
situazione ed intensificare il mio sentimento verso Kurt. Mi sarebbe
servito al contrario, allontanarmi da lui, magari ignorarlo
volutamente, non rispondere ai suoi post-it, evitare i suoi orari e
provare a smettere di pensarci. Ma, forse, pensandoci bene, quella non
sarebbe stata affatto la soluzione migliore per me e che, sinceramente
parlando, avrei preferito di gran lunga soffrire un altro pò
in
silenzio, sapendo di amarlo e non poterlo gridare, sapendo di volerlo e
non poterlo avere, sapendolo tra le braccia di qualcun altro e non
poterlo portare via, ma almeno, avrei avuto la chiara consapevolezza di
aver finalmente fatto qualcosa per lui, per la sua sola
felicità.
Voglio che tu capisca
che ne vale la pena...
Lasciai le chiavi della moto lì dove le avevo viste e decisi
di
prendere la metropolitana fino al pub quella sera. Avevo delle chiamate
urgenti da effettuare.
New
York City. Ore 07.45 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)
Era decisamente una ruga quella che vedevo
allo specchio
sulla fronte. E diavolo, avere una ruga sulla fronte significava due
cose: uno, che tutte le creme super costose che compravo nella migliore
profumeria di Lower East Side non servivano a niente ma soprattutto
che... stavo seriamente invecchiando.
Quel giorno, nonostante io stesso avessi cercato di negarlo ed
ignorarlo spudoratamente, era il mio compleanno. Compivo venticinque
anni e a stento credevo di essere ancora vivo. C'era stato un periodo,
al liceo, durante il quale fantasticavo sulla mia vita futura e speravo
di arrivare almeno a novant'anni, per poter dire di aver seriamente
vissuto ed aver quasi attraversato un secolo per intero. Poi, con la
morte di mio padre, quei novant'anni mi erano sembrati decisamente
troppi e la mia aspettativa si era ridimensionata: mi sarebbe bastato
vivere dignitosamente almeno fino ai trent'anni. Con un buon lavoro,
magari con un appartamento mio e con una Volvo parcheggiata nel
vialetto. A venticinque anni appena compiuti, avevo sia il lavoro, sia
l'appartamento che la Volvo e... mi rimanevano solo cinque anni di
vita. Volevo davvero morire giovane o lo avevo detto solo
perché
ero sconvolto e la morte di mio padre mi aveva fatto sragionare?
Fino a quanto sei capace
di sopportare ancora una vita così, Kurt Hummel?... Anche la
tua pazienza ha un limite...
Rinunciai con un sospiro al conteggio delle rughe della mia faccia, e
mi diressi in cucina per la cena. Quel giorno, per me, era uguale a
tutti gli altri. Non ero solito festeggiare né tanto meno
gradivo ricevere auguri o regali. Sapevo che era un ragionamento un
tantino cinico, ma proprio non riuscivo a trovarci nulla di
meraviglioso nel compiere gli anni, o un valido motivo per
festeggiarlo. Perché gridare al mondo di essere invecchiato?
Tanto era palese e ci avrebbero pensato le rughe che avevo in faccia ad
annunciarlo al posto mio. Per mia fortuna, quel giorno nessuno si era
ricordato di farmi gli auguri, neanche le poche persone che lo
sapevano, tipo Rachel o Mercedes. Mi era sembrato alquanto strano, che
la seconda soprattutto lo avesse fatto: neanche una chiamata o un
misero messaggio. Ed era assurdo perché, dopo essere andati
a
scuola assieme ed aver, per modo di dire, festeggiato ogni anno assieme
quel giorno, anche se a forza e contro la mia volontà... lei
non
aveva mai mancato. Forse aveva altro da fare o se ne era semplicemente
dimenticata. Oppure aveva finalmente capito che non me ne importava
nulla di ricevere gli auguri e così aveva rinunciato. Lo
aveva
fatto davvero?
"Fanculo!" sbottai, mentre la busta dell'insalata mi scivolava dalle
mani, cadendo per terra. Ok, forse un pò ci ero rimasto
male,
anche se mi ostinavo a dire il contrario. Non volevo festeggiare il mio
compleanno, d'accordo, ma... mi faceva male sapere che tutti se ne
fossero così palesemente dimenticati. Avevo incontrato
Rachel
quella mattina nell'atrio del portone, mentre io scendevo per andare a
lavoro e lei recuperava la posta. Mi aveva salutato con un semplice
"Ciao Kurt!" e se ne era tornata alle sue bollette. Sul momento non ci
avevo prestato poi tanta attenzione, sperando fosse solo assonnata o
troppo preoccupata per i conti da pagare, ma ormai, alle sette e mezza
di sera passate, iniziavo a credere che davvero a nessuno importasse
del mio compleanno o semplicemente di me.
Ennesima conseguenza del
tuo atteggiamento di merda, oserei dire...
Neanche a dirlo, David se ne era dimenticato, ma sospettavo non sapesse
neanche quando fosse il mio compleanno né quanti anni
avessi.
Forse ero stato io a non dirglielo mai, o più probabilmente
quella era un'altra cosa che ignorava della mia vita. Ma
sinceramente... non ricevere gli auguri da David era quasi una
consolazione. Mi avrebbe fatto innvervosire sapere che lui fosse stato
l'unico a ricordarsene e avrei senza dubbio scatenato un'altra lite. E
tutto volevo, tranne che quello.
Rinunciai anche alla cena, dato che avevo lo stomaco chiuso e la
mascella fin troppo irrigidita per la rabbia, per poter davvero pensare
di ingerire qualcosa. Così mi diressi in salotto per
guardare un
pò di televisione e poi magari sarei andato a dormire, tanto
per
recuperare un pò di sonno arretrato. In quel periodo avevo
dormito davvero poco e le cause erano state le più
disparate: la
discussione avuta con Rachel, la consapevolezza di aver raggiunto un
certo limite con David e la necessità di lasciarlo andare
ormai,
ma soprattutto, la maggior parte dei miei pensieri notturni, era
rivolto a...
Il campanello suonò proprio in quel momento,
interrompendomi. Mi
alzai ed andai ad aprire. E quella era senza dubbio Rachel che veniva a
farmi gli auguri. Lo sapevo, sapevo che non potevano dimenticarsene
tutti quanti. Sapevo che almeno lei avrebbe fatto lo sforzo di pensare
a me. Ma proprio quando aprii la porta e mi preparai a sorriderle
riconoscente, il mio più grande tormento notturno e la causa
principale della mia insonnia, si presentò davanti ai miei
occhi, in carne ed ossa, con un meraviglioso sorriso imbarazzato e gli
occhi decisamente troppo dorati.
"Ciao.." mi salutò con un sussurro, appena incerto. Aveva
esitato leggermente prima di parlare, lo avevo capito. Come se non
fosse del tutto sicuro di volermi rivolgere la parola. Ma... lui era
lì, sulla soglia del mio appartamento e, nonostante quello
che
era successo con David qualche giorno prima, nonostante lo avessi
praticamente cacciato di casa per liberarmi da quella situazione
scomoda, nonostante in quei quattro giorni non ci fossimo praticamente
mai visti, mi sorrideva sereno, come sempre ed io in quel momento
capii: quel giorno era il mio compleanno e lui era decisamente il
miglior regalo che potessi sperare di ricevere.
"Ciao.." risposi finalmente, accennando un sorriso. E pensare che, dopo
il disastroso risveglio nel mio appartamento, credevo non volesse
più avere nulla a che vedere con me. E invece...
"Scusa se ti disturbo a quest'ora.. stavi cenando?" mi
domandò esitante, muovendosi nervosamente sul posto
"No, no... non ti preoccupare... stavo... guardando un pò di
tv.. stanno dando un episodio speciale di Gossip Girl." risposi
scioccamente, tentando di essere ironico. Lui, per mia fortuna,
ridacchiò, ma era chiaro che ci fosse qualcosa di strano.
Era...
agitato, e palesemente a disagio. Forse... non aveva ancora del tutto
superato lo shock della vista di David e la paura di essere ucciso da
lui.
"Mi dispiace ma... credo sia il caso che tu lo metta a registrare
allora... mi servirebbe il tuo aiuto... urgentemente!" si fece
leggermente ansioso, preoccupandomi non poco
"Cosa è successo?" chiesi allora
"Puck... mi ha chiamato dal pub, tutto agitato, dicendomi di avere un
problema e di non riuscire a risolverlo e ha bisogno che io lo
raggiunga immediatamente. E mi chiedevo se tu potessi.. accompagnarmi.
La moto è dal carrozziere e Sebastian è fuori
città con Daniel... ti giuro Kurt, se potessi chiamerei
qualcun
altro, pur di non disturbarti, ma non so come altro fare." mi
spiegò gesticolando e lì compresi il
perché del
suo stato d'animo. Evidentemente la chiamata di Puck lo aveva agitato
parecchio e non avendo neanche la sua moto, aveva bisogno di un aiuto.
Del mio aiuto.
"Certo... non ti preoccupare. Ti accompagno molto volentieri.. il tempo
di mettere le scarpe e recuperare la giacca!" lo rassicurai con un
sorriso, indietreggiando subito nell'appartamento per fare prima. Lui
mi seguì all'interno, o almeno la sua voce lo fece
"E non dimenticarti di mettere a registrare Gossip Girl!" mi
ricordò divertito. Ridacchiai dalla camera da letto, senza
neanche accorgermi che forse quello era il primo momento allegro di
tutta la giornata. E ancora una volta, dipendeva da Blaine. Mi preparai
in fretta e furia e lo raggiunsi, trovandolo ancora sulla porta, in
attesa
"Perché non sei entrato?" gli chiesi sorpreso, spegnendo la
televisione. Lui arrossì, stringendosi nella spalle
"L'ultima volta che l'ho fatto non ho trovato un'ottima accoglienza. Ho
preferito evitare." rispose appena divertito. Fu il mio turno di
arrossire, ma gli concessi un sorriso
"Puoi stare tranquillo... David non irromperà all'improvviso
stavolta!" lo rassicurai. Lui ridacchiò, lanciandomi uno
strano
sguardo, che volutamente ignorai. Spensi tutte le luci
dopodiché
in silenzio, ci dirigemmo verso il parcheggio del palazzo per
recuperare la mia macchina. Ovviamente era già buio
all'esterno
e il traffico stranamente regolare. Ed io e lui, per l'ennesima volta,
ci ritrovavamo nella stessa auto - la mia auto! - e stavamo andando
nella stessa direzione. Era incredibile come la mia serata fosse
cambiata così bruscamente in poco più di cinque
minuti.
Un attimo prima ero disteso sul mio divano con addosso la mia coperta
viola di pile, davanti ad una serie che neanche mi piaceva, e l'attimo
dopo, ero alla guida della mia Volvo, con il sedile del passeggero
occupato dal prezioso e fantastico sedere di Blaine.
Questa fissa per il suo
sedere non mi passerà mai...
Solo allora, mentre lui mi spiegava con calma cosa gli aveva detto Puck
poco prima, mi resi conto di una cosa: che il Sabato precedente,
l'ultima volta che ci eravamo visti, la sgradevole improvvisata di
David non ci aveva neanche permesso di chiarire. Di parlare di quello
che era successo durante la notte, di trovare un nome adatto per la
cosa. E non avevo neanche avuto modo per ringraziarlo di quello che
aveva fatto per me. Forse lui non se ne era reso conto, ma la fiducia
ed il rispetto che mi aveva dimostrato in quelle poche ore, erano stati
la cosa più preziosa che mi fosse capitata dopo anni. Quindi
il
minimo sarebbe stato ringraziarlo e fargli sapere che, forse, se avessi
trovato il coraggio per lasciare David... un posto nella mia vita,
sarebbe sempre stato libero per lui. Ma quelli erano pensieri
decisamente troppo profondi per quel momento. Lui era troppo in pena
per il suo amico ed io ero ancora troppo intontito dal suo profumo. Mi
aveva riempito tutto l'abitacolo ed io di certo non osavo lamentarmi,
anzi...
Circa venti minuti dopo, parcheggiai davanti al pub e mi sorpresi del
fatto che, nonostante l'orario, non ci fosse neanche una macchina in
vista e che soprattutto tutte le luci interne fossero spente. Che
diavolo stava succedendo?
"Blaine... sei sicuro ci sia qualcuno? A me pare chiuso." mormorai
scendendo dalla macchina per raggiungerlo, dato che lui mi aspettava
sul marciapiede
"Sarà saltata la corrente.. ecco perché Noah era
così agitato.. vieni, entriamo!" e mi afferrò la
mano,
quasi fosse la cosa più normale del mondo, facendomi
sussultare.
In quel momento, nonostante il freddo della sera, la paura dovuta a
quel silenzio inaspettato, e l'angoscia per non aver ricevuto neanche
un misero "Buon compleanno", con quel contatto inaspettato e
sorprendentemente caldo e familiare, mi sentii al sicuro. E di
conseguenza gli strinsi la mano a mia volta, sperando di non doverla
abbandonare mai.
Entrammo nel locale, ed ovviamente non vidi praticamente nulla: come si
capiva già dall'esterno, tutte le luci erano spente ed era
davvero inquietante vederlo così, dopo esserci stato per ben
due
volte, ed averlo visto con tanta gente e tante luci accese
"Blaine..." sussurrai, leggermente a disagio, stringendomi appena al
suo fianco ed intensificando la presa attorno alla sua mano
"Aspetta" mi ordinò lui ed inaspettatamente mi
lasciò da
solo, allontanandosi e sparendo completamente nell'oscurità.
Cosa cazzo stava succedendo? Perché mi aveva lasciato? Dove
erano finiti Puck, i clienti, Brittany, ma soprattutto... dove era
andato Blaine?
Non feci in tempo a chiamarlo ancora, ormai paralizzato dalla paura,
che venni improvvisamente accecato da una luce tanto forte, che dovetti
istintivamente chiudere gli occhi. Pochi istanti dopo, un allegro coro
di voci, ruppe il silenzio macabro di quel posto e la frase che tutti
pronunciarono all'unisono, mi fece bloccare il cuore per qualche
istante, e iniziare seriamente a dubitare della mia
lucidità.
Perché se fossi stato seriamente sano di mente, allora in
quel
maledetto pub, ci sarebbero state un sacco di persone, un sacco di
sorrisi, un sacco di addobbi colorati e un sacco di roba da mangiare. E
loro avrebbero appena gridato all'unisono qualcosa. Qualcosa come
"Tanti auguri, Kurt!". Ed io, terrorizzato e sorpreso, avrei fatto
vagare gli occhi per tutta la sala, riconoscendoli uno per uno e alla
fine avrei deglutito a disagio, in un assurdo momento di imbarazzo
generale, fino a che il mio sguardo non si sarebbe fermato su qualcuno
in particolare, qualcuno che fino a pochi istanti prima stringeva la
mia mano, qualcuno che in quel momento mi stava sorridendo con una
strana luce destabilizzante negli occhi, qualcuno che mai e poi mai
avrei creduto capace di una cosa del genere. Perché cazzo...
quel giorno era il mio compleanno e Blaine Anderson mi aveva appena
portato nel pub dove lavorava, con tutte le persone che conoscevo, e
quella aveva tutta l'aria di essere una festa a sorpresa. La mia festa
a sorpresa.
New
York City. Ore
08.33 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)
"Io non riesco ancora a crederci!" esclamai, con un Bloody Mary in mano
e l'aria decisamente disorientata
"A cosa?" mi domandò Mercedes curiosa
"A tutto questo... che tutta questa gente sia qui per me." ed indicai
la sala, quasi indignato. C'erano circa una ventina di persone, oltre a
Mercedes: c'era Rachel con Finn, c'era Tina, c'erano William ed Emma,
c'era Santana, Brittany, Sam, c'era perfino Sebastian con un ragazzo
biondo ancorato ad un fianco, che immaginai fosse il famoso Daniel,
qualche collega più intimo del lavoro, tipo Kristen e
ovviamente
c'era Puck, il proprietario del locale.
"Beh, mio caro neo venticinquenne, ti conviene crederci davvero...
altrimenti ti riempio personalmente di pizzichi fino a che non mi
implorerai di smettere!" mi minacciò la mia amica,
stringendomi
scherzosamente il fianco in una morsa, che mi fece ridacchiare. Rachel
al nostro fianco sorrise, piacevolmente sorpresa
"Che belle parole confortanti che odono le mie orecchie!"
esclamò estasiata, da degna regina del dramma "Permetti?...
Rachel Berry!" e allungò una mano verso la mia amica, che le
sorrise cordiale
"Mercedes Jones... credo di aver sentito parlare molto di te, Rachel!"
le disse l'altra e questo ovviamente bastò per riempire di
orgoglio la Berry
"Kurt, seriamente... dovresti smetterla di fingerti gay, se poi te ne
vai in giro a parlare alla gente di me." mi diede una spallata
amichevole che mi fece ridacchiare, mentre Mercedes ci osservava
divertita, ma non feci in tempo a rispondere che una voce familiare si
intromise nella conversazione
"Chi è che va in giro, fingendosi gay?" domandò
Sebastian
avanzando. Era un ragazzo decisamente affascinante: alto
quasi quanto Finn, bel fisco slanciato, occhi verdi e soprattutto un
sorriso furbetto decisamente poco raccomandabile. Eppure, non riuscivo
a
non provare simpatia nei suoi confronti. Era come se i continui
racconti di Blaine su di lui e la loro amicizia, mi avessero fatto
mettere da parte le mie prime impressioni ed avessi deciso di dargli
fiducia a prescindere. Gli sorrisi spontaneamente
"Nessuno... è la mia amica che continua a farmi
spudoratamente
il filo, nonostante io le abbia già detto di non essere
interessato." ed indicai Rachel che, colpita dal sorriso strafottente
ed ammaliante di Sebastian, arrossì vistosamente
"Infrangere cuori etero, fa parte del nostro essere così
affascinanti e misteriosi. Non immagini quante ragazze ho dovuto
deludere durante il liceo... una strage!" esclamò lui,
facendo
un buffo gesto con la mano. Daniel al suo fianco alzò gli
occhi
al cielo e gli colpì la nuca con un leggero schiaffo
"Ma non hai sempre detto di essere andato in un istituto interamente
maschile?" gli domandò con una smorfia divertita. Sebastian
lo
fulminò, per avergli probabilmente rovinato la performance
"Parlo delle ragazze che incontravamo all'esterno... quando uscivamo."
specificò sollevando il mento, indignato
"Non dire cazzate, Bas... l'unica ragazza che ti è mai
venuta
dietro è stata la tipa che consegnava i surgelati a mensa...
e
ho sempre sospettato che in realtà fosse un travestito."
intervenne Blaine, ampiamente divertito, facendo ridacchiare tutto il
gruppo. Mi girai a guardarlo e lui pensò bene di strizzarmi
brevemente l'occhio, facendomi brevemente
bloccare il cuore. Cazzo se era bello.
"La tua è tutta invidia... tu non hai mai avuto uno stuolo
di
corteggiatrici pronte a mettersi in fila per uscire con te. Ecco
perché mi sei diventato gay... la tua non è stata
una
scelta naturale.. era semplice disperazione!" e stringendogli un
braccio attorno al collo, lo strattonò verso di lui,
fingendo di
soffocarlo giocosamente. Avevo ragione: quei due erano seriamente
legati da qualcosa di speciale ed io non potevo che provare un
pò di invidia per loro. Anche a me sarebbe piaciuto avere un
amico così, un rapporto tanto profondo e spontaneo ma
soprattutto un passato comune da condividere.
"O forse anche io non sono riuscito a resistere al fascino abbagliante
di Sebastian Smythe e quindi, per poter stare con te, ho deciso di
cambiare sponda." scherzò Blaine colpendolo sullo stomaco
per
potersi liberare e sgusciò finalmente via. Sebastian,
visibilmente sorpreso, si portò una mano sul petto
"Non me lo avevi mai detto.. ne sono davvero lusingato." ammise, con
finta meraviglia
"Ed ecco un'altra vittima di Sebastian." borbottò Daniel con
un
sopracciglio alzato, ma sotto sotto, profondamente divertito. Il suo
ragazzo lo guardò, forse preoccupato da quel tono offeso e
si
affrettò ad afferrargli il mento con una mano e a stampargli
un
sonoro bacio sulle labbra
"Smettila di fare il ragazzino geloso... tanto non ci casca
più
nessuno, cucciolo!" esclamò con un sorriso trionfante sul
volto,
ottenendo lo stesso da Daniel che pensò bene di cacciargli
la
lingua
"Ne riparliamo la prossima volta che rimani a dormire in corridoio,
amore!" lo sfidò divertito e fu davvero esilarante assistere
ad
una scena del genere. Nonostante il piccolo battibecco, si vedeva anche
ad occhi chiusi quanto amore ci fosse tra quei due. Blaine aveva
ragione.. Daniel era perfetto per Sebastian e, sembrava strano dirlo,
perfino Sebastian era perfetto per Daniel. Quest'ultimo era esattamente
come me lo ero immaginato. Alto più o meno quanto me,
biondo,
occhi azzurri ed un bel sorriso genuino sul volto. Sembrava un ragazzo
estremamente dolce e gentile, ma per sopportare un temperamento forte
come quello di Sebastian, sospettavo che dietro quella faccia docile,
nascondesse anche del carattere particolarmente vivace e pungente.
All'improvviso, dopo essersi liberato della stretta del suo ragazzo,
Daniel si rivolse a me
"Tu devi essere Kurt... Daniel, piacere! Blaine mi ha parlato molto di
te!" ed
allungò una mano, rivolgendomi perfino un bel sorriso. Io,
anche
se leggermente scosso dalla sua rivelazione - Blaine parlava di me ai
suoi amici? - gli strinsi la mano e ricambiai il sorriso
"Sì, in carne ed ossa... spero di non aver deluso le tue
aspettative." scherzai un pò, lanciando un'altra occhiata
verso
il mio vicino, che aveva stranamente gli occhi bassi e le guance
arrossate. Daniel scoppiò a ridere, e dalla sua stretta di
mano
vigorosa, intuii di non essermi affatto sbagliato sul suo carattere
"Sei esattamente come immaginavo che fossi. Blaine quando vuole sa
essere decisamente preciso nelle descrizioni." e chissà per
quale motivo mi fece l'occhiolino, in maniera fin troppo maliziosa,
facendomi arrossire. Cazzo... che significava che Blaine, quando
voleva, sapeva essere decisamente preciso? Cosa diavolo gli aveva
raccontato?
Calmati, Hmmel... ti ricordo che Rachel sa esattamente le stesse cose
che probabilmente Blaine ha raccontato a questi due qui...
Con la coda dell'occhio vidi Blaine afferrare la camicia di Sebastian
per attirare la sua attenzione e sussurrargli all'orecchio qualcosa. Il
ragazzo più alto, tentò di reprimere un sorriso,
mordendosi un labbro, ma alla fine annuì
"Bene.. direi che è giunta l'ora di onorare come si deve il
festeggiato e di buttare giù qualcosa di alcolico. Cosa ci
consiglia il maitre stasera?" gridò, per attirare
l'attenzione
di Puck, che per una volta non sembrava affatto il solito proprietario
che teneva in piedi un locale intero, ma se ne stava seduto ad uno
sgabello a chiacchierare con Santana, Brittany e Kristen. Si
girò verso Sebastian e fece una smorfia
"Stasera ti consiglio di non rompermi il cazzo e di servirti da solo.
Sono un invitato come gli altri e in quanto tale merito un
pò di
pace, grazie!" e gli diede le spalle tornando alla sua conversazione.
Sebastian sbuffò
"Che razza di modi... mi chiedo per quale motivo continuiamo a venire
qui ogni dannata sera." borbottò allungando la mano verso un
paio di birre e passandone una a Daniel
"Perché ci canto io?" tentò Blaine con un
sorriso.
Sebastian lo guardò, meditando per qualche secondo, poi alla
fine parlò
"Già è vero... e allora che cazzo ci fai ancora
qui?"
"Stasera sono fuori servizio, mi dispiace." rispose lui sorridendo
soddisfatto e si vedeva chiaramente la stanchezza che si portava
addosso. Ma, se non ricordavo male, il preavviso sarebbe scaduto quella
domenica, dunque a breve sarebbe stato finalmente libero e avrebbe
potuto seriamente riposarsi un pò. Non potevo che essere
estremamente felice per lui anche se... non sentirlo cantare quella
sera, mi faceva stranamente male. Ci avevo sperato, fin da quando,
realizzata l'idea della festa a sorpresa, avevo riconosciuto il
microfono e la custodia della chitarra nell'angolo del locale. Sentire
la voce di Blaine cantare qualcosa sarebbe stato il regalo
più
gradito di tutti. Nonostante la sua sola presenza fosse comunque
sufficiente.
"Ma come fuori servizio?" si lamentò Rachel al mio fianco,
dopo
essersi finalmente ripresa dallo shock di Sebastian "Non puoi farmi
questo, Blaine! Io speravo di sentirti finalmente cantare stasera...
una specie di sogno che si avvera." e per sottolineare la sua amara
delusione, sporse il labbro tremolante e si fece perfino venire gli
occhi lucidi. Iniziavo seriamente a pensare che perfino Rachel sarebbe
entrata senza neanche pensarci alla NYADA, date le sue incredibili doti
interpretative
"Io l'ho sentito... è davvero eccezionale. E credimi.. io di
cantanti ne vedo ogni giorno ma lui.. ha quel qualcosa in
più
che decisamente ti strega." affermò Mercedes sorseggiando il
suo
Cosmo e lanciando un'occhiata di apprezzamento verso Blaine che
arrossì ancora. Proprio non sapeva accettarli in complimenti
senza intimidirsi. Dio, se era tenero.
"Adesso non esageriamo!" mormorò infatti, alzando gli occhi
al
cielo. Ero sul punto di dire qualcosa, di ricordare il successo che
aveva ottenuto alla serata di beneficenza, i complimenti fatti
direttamente da James Lipton o l'assegno stratosferico che si era
incassato, ma qualcuno mi anticipò
"L'affascinante fanciulla vestita di viola ha perfettamente ragione. Tu
hai talento Blaine... e quindi accetta i complimenti e vanne fiero!"
esclamò Sam, avvolgendo le spalle di Blaine con un braccio e
sorridendogli. Per un istante, mi concentrai sulla prima parte della
sua frase, ma soprattutto sull'effetto che le sue parole spontanee
avevano avuto su Mercedes. La mia amica aveva ancora gli occhi
spalancati e la bocca leggermente dischiusa e si era messa ad osservare
il nuovo arrivato con insistente sorpresa, tanto che dovetti darle una
leggera spallata per farla riprendere
"Contegno, Jones!" mormorai divertito, mentre Sam, Blaine e Rachel
parlavano di canzoni e musica. Lei si girò a guardarmi,
sconvolta
"E questo angelo da dove è uscito?" mi domandò
con un soffio. Io ridacchiai, compiaciuto
"Si chiama Sam Evans... è un agente di moda... l'agente di
Santana, quella modella che lavora con me. Situazione sentimentale, non
pervenuta!" la informai brevemente, fingendomi impegnato ad osservare
il
bancone, per poterle parlare nell'orecchio con discrezione. Lei
deglutì
"E il tuo gay radar cosa dice?" sollevai un sopracciglio, lanciando
un'occhiata curiosa verso Sam. A giudicare da come aveva guardato
attentamente la mia amica, dedussi
che.. sì, Sam Evans era decisamente etero.
"Il mio gay radar dice... alza le chiappe da quello sgabello e offrigli
immediatamente da bere!" esclamai con un sorriso, che la fece
ridacchiare. Ma prima di allontanarsi per fare quello che le avevo
detto, si spinse verso di me, per abbracciarmi
"Mi sei mancato così tanto, Kurt." mi disse, direttamente
nell'orecchio. Io sospirai, stringendomi a lei e rendendomi seriamente
conto che anche lei mi era mancata un sacco, più di quanto
avessi mai potuto immaginare. E pensare che, l'ultima volta in cui ci
eravamo visti, era stato proprio in quel pub. Era stata lei a farmi
conoscere quel posto e a permettermi di incontrare Blaine, per la prima
volta, e scoprire in anteprima il volto del mio vicino. Le dovevo
molto, sotto quel punto di vista
"Anche tu, Cedes... da morire!" risposi sorridendole
"Tanti auguri, gioia mia." aggiunse, lasciandomi un bacio leggero sulle
labbra, per poi allontanarsi davvero, con la precisa intenzione di
conquistare qualcuno quella sera. E se ci fosse riuscita, sarei stato
il primo ad essere felice per lei.
"D'accordo mi avete convinto... basta che la smetti di saltellarmi
attorno come il tigrotto di Whinny the Pooh." si arrese in quel momento
Blaine, divertito da morire, mentre Rachel esultava vittoriosa
"Ah, voi uomini, etero o gay, siete tutti uguali... basta che vi fanno
due moine come si deve e capitolate all'istante." esclamò
Santana unendosi a noi, seguita a ruota da Brittany. Sebastian la
guardò male, forse non intendendo a pieno dove la ragazza
volesse arrivare con quel commento
"E cosa sarebbe questa.. una battuta poco felice sugli omosessuali?" le
domandò fulminandola. La ragazza alzò lo sguardo
su di
lui, ma, al contrario di quanto mi sarei aspettato, non ne rimase
affatto affascinata come me o Rachel, anzi.. gli scoppiò
quasi a
ridere in faccia
"Affatto... altrimenti rischierei di inimicarmi il cinquanta
per
cento di questo locale, inclusa me stessa." rispose, facendo una
smorfia eloquente. Sebastian lanciò un'occhiata veloce verso
Brittany che gli sorrise e gli strizzò l'occhio e allora lui
capì e sorrise. Bevve un sorso della sua birra e aggiunse
"Una come te poteva soltanto essere lesbica!" esclamò
pungente,
facendomi quasi affogare con il mio drink. Che diavolo di modi! Ma si
rendeva minimamente conto che, andare in giro ad esclamare certe cose,
poteva anche essere pericoloso, oltre che estremamente maleducato? Lui
non conosceva Santana, e non mi sarei meravigliato se lei, dopo un
commento del genere, si fosse offesa e gli avesse tirato uno schiaffo
diretto in faccia. Perfino Blaine sgranò gli occhi
sconvolto,
mentre Daniel si limitò a ridacchiare, senza dire nulla.
L'unica
che parlò fu proprio Santana
"E questo invece cosa dovrebbe essere? Un tentativo mal riuscito per
farmi innervosire?" gli domandò con un sorrisetto divertito,
che
fece ridacchiare l'altro
"Volevo soltanto vedere fino a che punto potessi essere schietto con
una come te." mormorò con un mezzo sorriso, altamente
fastidioso, ma pur sempre stranamente affascinante. Quel ragazzo aveva
qualcosa di stranamente bello, ma ancora non avevo capito cosa.
"E il responso qual'è?" domandò Santana
recuperando una
birra dal bancone e stappandola semplicemente strisciando il collo
della bottiglia sul bordo del tavolo. Sebastian, colpito,
alzò
la sua birra e la fece scontrare con quella della ragazza
"Mi piaci!" esclamò con un sorriso "Per quanto sia lecito mi
possa piacere una ragazza, ovvio." e fece una smorfia disgustata che
fece ridacchiare tutti quanti, inclusa Santana.
"D'accordo, io vado a mantenere la mia promessa... il festeggiato ha
qualche richiesta particolare?" mi domandò Blaine,
rivolgendomi
uno di quei sorrisi da svenimento, cogliendomi nettamente impreparato.
Rimasi senza fiato per qualche secondo di troppo, tanto che Daniel fu
costretto a schiarirsi la voce, per farmi riprendere
"Eh? No... no.. nessuna richiesta. Lascio fare a te." mormorai con le
orecchie in fiamme e la precisa consapevolezza che in quel locale,
troppe persone sapevano troppe cose. Soprattutto Rachel, che, avendo
dimenticato come sempre la discrezione a casa, si mise a ridere
spudoratamente in faccia a Blaine, facendomi arrossire ancora di
più. Blaine mi sorrise ancora, quella volta con una strana
intensità negli occhi, che mi fece stranamente tremare sul
mio
sgabello. Ma come ci riusciva? Come poteva avere un potere
così
forte su di me e riuscire a controllarmi in così poco tempo?
Forse Santana aveva ragione... bastavano poche moine per farmi
capitolare? Bastava Blaine per farlo?
É
così dolce e premuroso e Dio solo sa
cosa ti
farebbe tutte le volte che ti sfiora semplicemente con lo sguardo... Di quale altra dimostrazione hai
bisogno da parte del
destino, per capire che la tua strada si interrompe qui con David, e
ricomincia altrove con Blaine Anderson?...
Maledetta Rachel, le parole che mi aveva detto Domenica ancora mi
rimbombavano nella testa, quasi fosse accanto a me a ripetermele. Ma
lei non c'era, si era alzata per raggiungere Finn ed io ero rimasto con
Sebastian, Daniel e Santana, che parlavano tranquillamente tra di loro,
quasi si conoscessero da una vita.
Era quello il tipo di sguardi a cui Rachel si riferiva? Avevano un
significato particolare? Ed avevo seriamente bisogno di un'altra
dimostrazione per capire che David non facesse per me, che il mio tempo
con lui fosse finito, che fossi realmente cresciuto e fossi pronto per
cercare la felicità altrove? Davvero la mia strada poteva
congiungersi con quella di Blaine e... continuare parallelamente?
Misi da parte i pensieri frustranti a quanto sarei stato di nuovo solo,
a casa, e dedicai tutte le attenzioni al cantante, appena salito sul
palco, con la chitarra già stretta tra le braccia. Si
sistemò sullo sgabello, abbassò il microfono alla
sua
altezza e, attirando ovviamente l'attenzione di tutti, parlò
"Buona sera a tutti!" esordì con un sorriso, ottenendo un
caloroso applauso, nonostante fossimo scarse venti persone, e perfino
qualche fischio di apprezzamento da Sam e Puck. Quei due andavano
stranamente d'accordo ed erano, in certi versi, perfino un
pò
simili.
"Dunque, voglio approfittare di questo momento per.. augurare come si
deve un buon compleanno a Kurt..." e mi indicò con un gesto
della testa, facendo girare tutti verso di me ed ottenendo altri
applausi. Non ero abituato a stare così al centro
dell'attenzione e non sapevo affatto come gestire la cosa. Non potevo
dire che non fosse bello, per una volta, avere tanta importanza, ma...
faceva comunque uno stranissimo effetto
"Ma, prima di iniziare, avrei
una richiesta da fare al festeggiato..." mormorò, rivolgendo
la
sua completa attenzione a me. Nonostante la distanza, nonostante avessi
gli occhi di tutti puntati addosso, sentii perfettamente il peso del suo sguardo,
soltanto il suo, ed il sangue confluire immediatamente nelle guance.
Aveva una richiesta da farmi?
Annuii lentamente, conscio del fatto che potesse vedermi anche a
distanza e lo vidi sorridere, quasi emozionato, prima di parlare
"Saliresti sul palco a cantare con me?"
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Capitolo 28 *** Le sue dita sulla chitarra ***
Salve angioletti miei..
è arrivato finalmente Lunedì (giorno che io
odierei, se non fosse per l'aggiornamento!).. dunque, oggi sapremo cosa
risponde Kurt a Blaine perché la domanda ha sconvolto un
pò tutti... spero di non essere stata troppo banale nel
raccontare il momento e spero anche che apprezzerete... questa volta
diciamo che non vi lascio sospesi, anche per farmi un pò
perdonare però ne avrete di roba su cui riflettere in questo
capitolo, soprattutto perché lo ammetto, è un
capitolo a cui tengo molto perché lo reputo particolarmente
intenso ;) quindi, buona lettura e ci vediamo Giovedì
(sempre che riesca a terminare il capitolo... mi sono bloccata in un
punto e non riesco a continuare... maledetta me e quando vado ad
impantanarmi spontaneamente in questi capitoli così...). Un
kiss a tutti :*
p.s. Lei dice che non
è bella... a me piace da impazzire... ma ormai le lotte tra
me e Dan non avranno mai fine XD grazie gioia mia :*
n.b. Pagina Facebook (
Dreamer91
) Raccolta (
Just
a Landing - Missing Moments ) non perdete la speranza, la
Finchel prima o poi arriverà XD
New
York City. Ore 09.12 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)
"Saliresti
sul palco a cantare con me?
Quello era
senza dubbio
uno scherzo. Uno scherzo di cattivo gusto tra l'altro. Oppure un
incubo, uno di quelli spaventosi, che attanagliavano lo stomaco e
trascinavano, anche da svegli, la sensazione terribile di non riuscire
a respirare. Perché in quel momento, in quel locale,
ancorato a
quel maledetto sgabello, la sensazione che provai, fu esattamente
quella. Non riuscivo a respirare.
Era come se tutta l'aria dei miei polmoni si fosse frantumata e non
trovassi neppure la forza per ricercarne altra. Ero perfettamente in
bilico, con le mani strette alle ginocchia e lo sguardo fisso nel
vuoto. Blaine non poteva avermi seriamente chiesto una cosa del genere.
Perché? Perché diavolo lo aveva fatto? Aveva
detto di
volermi augurare un buon compleanno e poi avrebbe dovuto cantare per
tutti noi... e allora che motivo c'era di chiedermi di raggiungerlo sul
palco per... cantare? Io non... capivo.
Ma soprattutto, chi era stato a dirglielo? Perché davvero
credevo impossibile che fosse un'idea esclusivamente sua. Qualcuno
doveva avergli detto che un tempo cantavo anche io e non ci voleva
molto per capire di chi si trattasse. Erano soltanto in due, in quel
pub, a saperlo: Mercedes e Rachel. Ma dubitavo che la prima si fosse
davvero presa la briga di farmi una cosa del genere, sapendo quanto
quell'argomento mi facesse male, quindi... rimaneva solo Rachel e
qualcosa mi diceva che il nostro recente discorso non fosse ancora del
tutto concluso e che non le fosse andato a genio come io avessi
cambiato argomento quando ci eravamo trovati a parlare del canto e
della mia voce. E
quella allora cos'era? Una ripicca? Voleva vendicarsi con me per non
averle dato retta, per aver, ancora una volta, finto indifferenza sulla
mia stessa vita ed essere passato oltre? Da quando Rachel Berry poteva
decidere della mia vita? Cosa ne sapeva lei di me, di quello che
provavo o di quanto brutta fosse la sensazione che in quel momento mi
stringeva lo stomaco, senza neanche permettermi di respirare
regolarmente.
Perché io non potevo cantare, non più. Quella era
una
promessa ben precisa che avevo fatto a me stesso ed era anche l'unica
parola che avevo intenzione di mantenere. Era una sorta di ultima
frontiera, una difesa per il mio fragile mondo sbagliato, quel confine
che mai e poi mai mi sarei permesso di superare ancora. Il canto
rappresentava tutto ciò che della mia vecchia vita non
esisteva
più, tutto quello che mi ero lasciato alle spalle, e tentavo
ogni giorno di dimenticare: la mia famiglia che non c'era
più,
la mia casa, la mia scuola, i miei compagni del Glee Club, la NYADA, il
mio papà...
Kurt, figliolo... che ne
dici di sederti qui, accanto al tuo vecchio, e cantarmi qualcosa?...
Cantare ancora e farlo davanti a tutte quelle persone sarebbe stato
troppo. Sarebbe stato affrontare qualcosa di ancora troppo doloroso ed
io non potevo seriamente permettermi di soffrire. Ne avevo abbastanza
di piangere, di stare male, di sentirmi sbagliato e... solo. Rachel non
capiva, non lo avrebbe mai fatto, perché qualsiasi cosa
fosse
successa, lei avrebbe avuto Lea, la sua preziosa figlia, i suoi adorati
papà e adesso perfino Finn. Io invece, se fossi salito su
quel
palco a cantare, cosa avrei avuto? Cosa mi sarebbe rimasto?
Kurt, fai una promessa
al tuo
vecchio... qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa quei pezzi di merda
lì fuori saranno capaci di dirti... tu vai avanti, sii fiero
di
te stesso e di quello che hai fatto, ma soprattutto... non smettere mai
di cantare... perché quando smetterai di farlo, allora per
me
non varrà neanche più la pena di vivere...
Ingoiai malamente un singhiozzo, stringendo con più forza il
tessuto dei jeans, quasi aggrappandomi disperatamente. Come avevo fatto
a dimenticarlo? Come avevo fatto ad essere tanto stupido? Mio padre me
lo aveva detto, mi aveva fatto promettere di non smettere mai, di
continuare a cantare nonostante tutto e tutti, e questo ancora prima di
sapere che di lì a poco, sarebbe seriamente morto. Ed io
avevo
infranto il nostro patto, non gli avevo tenuto fede. Avevo preferito
ancorarmi al mio dolore, pensando che questo fosse più
importante di tutto. Ma cosa, al mondo, sarebbe mai stato
più
importante, della parola data al proprio padre? Con cosa avrei potuto
giustificare tale mancanza nei suoi confronti? Ma soprattutto... il mio
papà avrebbe mai potuto perdonarmi?
Ti ho deluso,
papà... ancora una volta...
Possibile che in quei sei anni me ne fossi dimenticato completamente?
Che razza di persona ero diventato? Che razza di figlio? Dimenticare
una promessa fatta a mio padre, equivaleva a farlo inconsapevolmente
morire ancora, per l'ennesima volta.
Kurt... Kurt.. Kurt...
Kurt... Kurt.. Kurt...
"Kurt?" una voce riuscì a farsi sentire e ad irrompere nella
mia
mente, gridando più forte dei miei stessi pensieri. Come
ipnotizzato, sollevai lo sguardo e mi bloccai solo quando i miei occhi
smarriti trovarono la giusta collocazione. Solo quando trovarono l'oro
intenso, appena sporcato dalla preoccupazione e da qualcosa di poco
chiaro da definire, ma molto simile all'ansia. Quegli occhi erano
così per qualche motivo e sospettavo che quel motivo, fossi
proprio io. Blaine meritava una risposta e forse, dopo tutti quegli
anni la meritavo anche io. Ma più di tutti, la meritava Burt
Hummel.
Non
riuscendo
ancora a respirare, mi alzai dal mio sgabello, ignorando gli sguardi
attoniti dei miei amici ed avanzai lentamente verso il palco e verso
Blaine. Era come fluttuare in una bolla. Non sentire nulla, neanche il
mio stesso battito. L'unica cosa che avvertivo, era lo sguardo fermo e
limpido di Blaine che mi guidava e mi coccolava e mi accarezzava e
forse
mi dava l'ultimo valido motivo per fare quello che stavo facendo. Non
distolse gli occhi neanche per un istante ed io feci altrettanto. Era
come se fossi attratto da una calamita, perché avvertivo
chiaramente il magnetismo scorrere tra di noi e mi chiesi seriamente se
non fosse così tutte le volte che eravamo stati assieme.
Perché, pensandoci, forse legare i miei occhi a quelli di
Blaine, era quasi più intenso ed eccitante, che farci
l'amore. Per quanto, unire il mio corpo al suo, rimanesse ancora
l'esperienza più bella e stimolante di tutta la mia vita.
Ed era
buffo. Quasi surreale.. ero passato senza neanche accorgermene da un
pensiero ad un altro. Dal tormentarmi per il mio problema con il canto,
all'avercela a morte con Rachel, al pensiero di mio padre, alla
delusione che gli avevo creato, alla voglia di riscattarlo, e per
finire... al desiderio impetuoso di essere accanto a Blaine e fondermi
ancora una volta con lui. Anche se quella volta si fosse semplicemente
trattato delle nostre voci. Avevo bisogno di lui, di sentirlo con me,
mai come in quel momento. Perché sentivo che lui, sarebbe
stato
l'unico capace di aiutarmi ad uscire da quell'inferno personale che mi
ero creato durante quei minuti di apnea e sapevo anche che grazie a lui
avrei potuto ricominciare a respirare, senza avvertire dolore.
Salii finalmente sul palco, ancora sotto il suo vigile controllo e,
senza parlare, mi avvicinai a lui. Avevo uno strano nodo in gola e la
testa mi pulsava fastidiosamente. Dubitavo che sarei riuscito a mettere
due parole in fila per cantare.
Oddio, cantare con Blaine...
Lui si spostò un pò sullo sgabello, per farmi
posto
"Siediti qui... accanto a me!" mi disse dolcemente e per me fu come
ricevere un ordine superiore. Mi ritrovai a fare immediatamente come mi
aveva detto e a condividere quel piccolo sgabello con lui. Ed essere
ancora lì, dopo ben sei giorni di lontananza, a sfiorare di
nuovo il suo corpo, fu tremendamente appagante. Senza neanche volerlo,
feci un profondo respiro, immagazzinando un pò del suo
profumo
dolce, e mi sorpresi di come tutto, ormai, fosse così
facile.
Quasi non fossi più su un palco, davanti a venti persone in
trepidante attesa e non dovessi a breve cantare qualcosa con l'unico
ragazzo che era mai stato capace di mandarmi fuori di testa. Forse
stavo seriamente sognando.
"Sei pronto?" mi domandò allora, stringendo meglio la
chitarra
che quasi sfiorava il mio braccio. Eravamo seriamente troppo vicini:
sentivo il suo respiro leggero e potevo quasi contare quante ciglia
avesse su ogni palpebra. Annuii, anche se la mia mente gridava
esattamente il contrario. Strano come nei gesti riuscissi quasi a
contraddirmi da solo. Forse dipendeva dal fatto che non fossi ancora
del tutto padrone di quello che mi stava succedendo. E probabilmente
Blaine se ne accorse, perché mi sorrise e mi
sfiorò
leggermente una gamba con il suo ginocchio, riempiendomi le vene di
un'intensa scarica di adrenalina che arrivò direttamente al
cervello, cancellando quel briciolo di ragione rimastami.
"Ehm... facciamo così... inizio io e tu, quando sarai pronto
mi
verrai dietro. La canzone dovresti conoscerla." accordò la
chitarra, con il mento leggermente sporto in avanti e gli occhi
meravigliosamente socchiusi. Era un piacere vederlo suonare: la
sensazione era più o meno la stessa che avevo avuto
durante la serata di beneficenza, mentre le sue mani scivolavano sui
tasti d'avorio del pianoforte. Era in sintonia con la musica, qualsiasi
cosa si fosse messo a suonare. Dopo un sospiro lunghissimo,
partì la prima strofa della canzone, che io ancora ignoravo.
Made
a wrong turn
Once or twice
Dug my way out
Blood and fire
Bad decisions
That’s alright
Welcome to my silly life
Tuttavia, mi era bastato sentire il primo verso accompagnato dal primo
accordo di chitarra, per capire che canzone fosse. Ed una volta fatta
questa costatazione, non potei trattenermi dallo sgranare gli occhi,
sorpreso. Perché, tra tante canzoni sulla faccia della
terra,
Blaine aveva scelto proprio quella? Proprio la canzone più
coerente, precisa ed autobiografica. Proprio quella che già
con
pochi versi, aveva spiegato a tutti la mia schifosa vita.
Inconsapevolmente sorrisi, perché forse, una cosa quella
sera la
stavo iniziando a capire: Blaine, in meno di un mese, mi aveva capito
in maniera nettamente più profonda, rispetto a quanto non
avesse
fatto David fino a quel momento. Rispetto a quanto nessun altro avesse
mai fatto. E non era servito neanche che io gli
parlassi di me. Si era accontentato di quello che aveva scoperto e ora,
me lo stava restituendo, semplicemente in una canzone. Con un sospiro,
ed evitando accuratamente di guardare da qualsiasi altra parte non
fossero state le mani lisce e forti di Blaine che scivolavano morbide
sulle corde della chitarra, presi fiato e mi sovrapposi alla sua voce,
sperando di essere alla sua altezza, sperando di non combinare guai, ma
soprattutto sperando di non rovinare la magnifica atmosfera che era
appena riuscito a creare.
Mistreated, misplaced, missunderstood
Miss « no way it’s all good »
It didn’t slow me down
Mistaken ,always second guessing
Underestimated
Look, I’m still around…
Stentavo a credere che fossi riuscito a tirare fuori la voce,
nonostante fossero esattamente sei anni che non lo facevo
più. E
sembrava tutto troppo strano: ero davvero io che stavo cantando? Oppure
ero un semplice spettatore e la voce delicata che si era adeguata a
quella di Blaine apparteneva a qualcun altro? All'inizio avevo fatto
una leggera fatica a subentrare a lui. Mi ero ritrovato leggermente
rauco o forse troppo timido e frenato. Blaine, sentendomi partire, si
era subito interrotto, lasciandomi pieno spazio nella strofa ed io, non
avvertendo più la sua voce morbida, mi ero sentito per un
attimo
spaesato. Mi sarei voluto fermare, avrei voluto piangere e pregarlo di
non smettere, di non lasciarmi solo.
Avrebbe dovuto cantare con me, me lo aveva promesso. Eppure...
nonostante la sua voce, durante quei pochi versi, non fosse presente,
c'erano i suoi occhi, e il suo respiro, e le sue meravigliose mani che
scivolavano leggere, a farmi compagnia e a darmi quella forza che mi
mancava e che non credevo seriamente di avere più.
Così,
mi feci coraggio, e continuai a cantare la mia strofa, riuscendo a
cogliere perfino la sfumatura ironica di quella situazione. Io, Kurt
Hummel, l'essere eternamente imperfetto, il ragazzo più
insicuro
e la persona più tormentata della terra, stavo cantando una
canzone, in un pub, davanti ad altre persone, in compagnia di Blaine e
l'unica cosa alla quale riuscissi a pensare in quel momento era che...
cazzo, mi era mancato davvero tanto farlo. Cantare intendo. Mio padre
aveva ragione, non avrei mai dovuto smettere ed io solo in quel momento
me ne rendevo conto.
Pretty, pretty please
Don’t you ever, ever feel
Like your less than
Fuckin’ perfect
Pretty, pretty please
If you ever, ever feel
Like your nothing
You’re fuckin’ perfect to me
Nel ritornello, la voce di Blaine tornò a farsi sentire,
mescolandosi alla mia, accarezzandomi con la sua delicatezza e allo
stesso tempo con la sua forza, abbracciandomi teneramente ed
avvolgendomi. Ed era proprio quella la sensazione che mi era mancata
prima: era esattamente l'intreccio delle nostre voci, dei nostri due
mondi così diversi eppure stranamente tanto compatibili, la
consapevolezza di essere perfetto
per qualcosa - per cantare con lui,
per unirmi a lui in un modo o nell'altro - e la bizzarra euforia di
aver
appena scoperto di apprezzare tutto quello che quella canzone mi stava
dando. Il significato era talmente tanto vicino alla mia vita, da far
quasi paura. Io mi sentivo esattamente così: maltrattato,
incompreso, sbagliato, sottovalutato. Per anni il mondo mi aveva fatto
sentire in quel modo, senza che io potessi farci nulla ed ora, mi
ritrovavo a rispondere a tutta quella cattiveria e a quello schifo...
cantando. Cantando con Blaine. Cantando con Blaine che mi aveva appena
detto in faccia, seppure in musica e costretto a seguire un testo,
quanto fossi fottutamente
perfetto per lui. E, nonostante sapessi
perfettamente che quello faceva parte della canzone, nonostante
cercassi di autoconvincermi a non farmi venire strane idee e non
illudermi e non cascare in una trappola tanto intricata, nonostante
provassi con tutte le forze ad ignorare il brivido di emozione che mi
era passato su tutta la schiena, proprio non riuscii a trattenermi
dall'allungare discretamente una mano e sfiorargli il ginocchio,
per puro desiderio masochistico ed irrazionale. Avevo bisogno
di
contatto... ed anche uno così banale sarebbe bastato. Avevo
bisogno di sentirlo al mio fianco, di accertarmi che fosse reale e che
non fosse frutto di un'ennesima fantasia. Perché ormai mi
ero
reso conto di avere una fervida immaginazione e sapevo che non avrei
retto facilmente, scoprendo di essermi inventato anche quello. Ma lui
c'era, era al mio fianco, attaccato al mio corpo e continuava a
guardarmi e ad inviarmi una strana scarica di adrenalina che sentivo ci
stesse unendo sempre di più, mano a mano che la musica
andava
avanti.
You’re so mean
When you talk
About yourself
You are wrong
Change the voices
In your head
Make them like you
Instead
Senza neanche metterci d'accordo, ci alternammo i versi di quella
strofa con armonia, uno dopo l'altro, morbidamente. Era come se
l'avessimo provata e riprovata per giorni interi, invece era la prima
volta in assoluto che facevamo una cosa del genere. Ma d'altronde, non
era la prima volta che mi rendevo conto di trovarmi bene e a mio agio
in una situazione del tutto nuova con lui. Era già successo
il
venerdì precedente, in ben due momenti nella stessa sera,
mentre
eravamo entrambi nudi e pieni di desiderio. Anche in quel momento
sentivo di essere completamente attratto dal suo corpo, sentivo di
volerlo baciare, accarezzare e... per quanto fosse lecito, affondare
dolcemente in lui, ma... non si trattava solo di quello. In quel
momento la sua anima, tutto ciò che sembrava aleggiare
attorno a
noi, accompagnato da quella canzone, sembrava valere molto di
più e stava diventando perfino più appagante.
Dovevo aver
letto da qualche parte che, a volte, le persone quando entrano in una
profonda sintonia, si trovano a provare quelli che vengono definiti
"orgasmi di sensazioni", ovvero un insieme di emozioni talmente tanto
forti da portare a provare piacere fisico e soddisfazione. Io non avevo
mai capito come fosse possibile una cosa del genere: l'orgasmo era
ciò che di più fisico e carnale esistesse al
mondo e dubitavo
seriamente potesse avere a che fare con qualcosa di immateriale come le
emozioni. Eppure... qualcosa tra me e Blaine in quel momento stava
succedendo. E se non era piacere allo stato puro, allora cosa diamine
era?
So complicated
Look how big you’ll make it
Filled with so much hatred
Such a tired game
It’s enough
I’ve done all I can think of
Chased down all my demons
I've see you de the same
Inconsciamente gli sorrisi, perché era stupido pensare a
tutte
quelle cose mentre tutta la mia attenzione doveva essere concentrata
sulla canzone e le sue parole. Eppure, con Blaine era sempre stato
così: non ero mai riuscito a focalizzarmi su un unico
pensiero,
con lui la mia mente viaggiava a mille oppure, nei casi più
estremi, si bloccava di colpo, collassando. Una via di mezzo non
l'avevo ancora trovata. Lui, con tutta la naturalezza e la tenerezza di
cui era capace, ricambiò il sorriso, spostando appena il
ginocchio verso di me e sfiorandomi ancora. Altra botta diretta al
cuore. Se l'intenzione di Blaine era quella di uccidermi.. beh, dovevo
avvisarlo, era sulla buona strada. Sarei morto a venticinque anni
appena compiuti e lo avrei fatto nel migliore dei modi: di
autocombustione da sfioramento e frustrazione. E tensione sessuale. E
chissà perché, quando in giro c'era Blaine
Anderson, la
tensione sessuale registrava picchi da record.
Pretty, pretty please
Don’t you ever, ever feel
Like your less than
Fuckin’ perfect
Pretty, pretty please
If you ever, ever feel
Like your nothing
You’re fuckin’ perfect to me
Forse in quel momento, mentre per la seconda volta lui mi dichiarava
apertamente, e apparentemente senza vergogna, di trovarmi fottutamente perfetto,
mi sarei dovuto ricordare di tutta la gente che ci stava guardando.
Perché, per quanto io pensassi il contrario, purtroppo in
quel
locale non eravamo soli e sicuramente lo spettacolo che stavamo dando
non era dei più innocenti. Sarebbe stato chiaro a chiunque
che
qualcosa tra di noi stava succedendo, perché immaginavo che
una
cosa tanto intensa fosse allo stesso tempo perfettamente visibile anche
ad occhio nudo. Eppure, fatta eccezione per Rachel e Sebastian - e
forse anche Daniel - che sapevano qualcosa in più, agli
occhi
degli altri, io e Blaine eravamo due semplici amici, due vicini di casa
e in quel momento stavamo cantando una semplice canzone di P!nk. Questa
era la versione ufficiale almeno. La verità era che Blaine e
Kurt forse stavano dedicandosi a vicenda una canzone d'amore, senza
calcolare minimamente i rischi del caso e forse entrambi ci stavano
provando gusto. E forse entrambi, avrebbero dovuto smetterla di
continuare a sfiorarsi casualmente, quasi fosse normale.
Perché
quella situazione era tutto, tranne che normale.
The whole worlds stares while I swallow the fear
The only thing I should be drinking is an ice cold beer
So cool in line and we try try try ,
But we try too hard, it’s a waste of my time
Done looking for the critics, cause they’re everywhere
They don’t like my jeans, they don’t get my hair
Exchange ourselves ,and we do it all the time
Why do we do that?
Why do I do that?
Why do I do that?
Yeaaah...
Oooooh...
La voce di Blaine era decisamente la cosa più dannatamente
meravigliosa - e fottutamente
perfetta,
per rimanere in tema - che avessi mai sentito, ma di questo ero
già ampiamente convinto, altrimenti mai mi sarei sognato di
affidargli un compito così importante come quello di
sostituire
Bon Jovi all'evento di beneficenza. Eppure, cantando insieme a lui, mi
accorsi di tante piccole sfumature del suo modo di cantare, che prima
non ero riuscito a cogliere. Soppesava ogni parola gli uscisse dalla
bocca, perfino un semplice articolo o una banale congiunzione ed era
come se si sforzasse per farla arrivare direttamente a me, che seduto
praticamente ad un palmo dal suo naso - e dalla sua bocca - raccoglievo
tutto, ogni singola goccia, quasi fosse un'essenza vitale, quasi fossi
un assetato nel deserto, pronto a lasciarmi condurre da qualsiasi
allucinazione visiva, pur di raggiungere la mia oasi di piacere. E lui
rappresentava esattamente la mia oasi in quel momento. Mi dava la forza
per cantare, il coraggio di farlo dopo tanti anni di mutismo, la
speranza di non aver deluso nessuno e soprattutto la voglia per farlo
ancora, in futuro. E Blaine Anderson, che cantava con il cuore e non
soltanto con la voce, mi aveva dato tutto quello, senza parlare, senza
baciarmi, senza stringermi, senza togliermi i vestiti, senza
costringermi a fare nulla. Lui mi aveva semplicemente fatto un
pò di spazio su uno sgabello e non aveva mai smesso di
guardarmi. E mi aveva dedicato una canzone semplicemente splendida. Fottutamente perfetta.
E cosa più importante di tutte, mi aveva lasciato la
sacrosanta
libertà di decidere cosa fare, se rimanere ancora in
disparte
oppure alzarmi e salire sul palco. E lo aveva fatto senza pretese,
senza fretta e senza alcuna aspettativa. Sarebbe stato così
soltanto per il canto, oppure anche il resto, con lui al mio fianco,
avrebbe preso quella piega?
Ooh, pretty pretty pretty,
Pretty pretty please don’t you ever ever feel
Like you’re less then, fuckin’ perfect
Pretty pretty please if you ever ever feel
Like you’re nothing you’re fuckin’
perfect, to me... Yeaah ,
You’re perfect
You’re perfect
Pretty, pretty please don’t you ever ever feel
Like you’re less then, fucking perfect
Pretty, pretty please if you ever ever feel
Like you’re nothing you’re fucking perfect to me...
La canzone finì, decisamente troppo presto, e quasi avvertii
la
bolla magica e sicura infrangersi attorno a noi. Quella che ci
aveva tenuti avvolti e ci aveva coccolati fino a quel momento, quella
che ci aveva permesso di sentirci uniti, per una manciata di minuti e
che ci aveva guidati fino alla fine. Smettemmo di cantare nello stesso
istante e lui smise di suonare, con un leggero sospiro, senza
però abbassare lo sguardo o dire niente. Il locale era
completamente immerso nel silenzio ma io non avevo la minima voglia di
spostare altrove la mia attenzione per vedere cosa stesse succedendo.
Volevo rimanere ancora immerso nell'immensità appagante
degli
occhi dorati di Blaine - che in quel momento si colorava appena di
verde - e lasciarmi coccolare ancora un pò,
perdermi ancora
in quell'infinità di sensazioni perché la
realtà
era decisamente troppo brutta rispetto a quello che stavo vivendo.
Fu Blaine a fare il primo passo e a mettere fine a quel momento di
stasi, spostando la chitarra fino a farsela scivolare dietro la schiena
e si avvicinò a me, azzerando la già brevissima
distanza
che c'era. Per un momento credetti volesse baciarmi, davanti a tutti e
trattenni il fiato, in preda al panico, eppure con una strana voglia di
fregarmene delle etichette, del fatto che agli occhi di quelle persone
fossi un ragazzo fidanzato, e del mio fidanzato stesso, afferrare la
nuca di Blaine e spingerlo ancora di più verso di me per
baciarlo. Ma rimasi fermo, per la prima volta felice di ricevere
passivamente qualcosa. Sfortunatamente però, le sue labbra
non
si fermarono sulle mie, ma si poggiarono sulla guancia, con un tocco
morbidissimo tanto che riuscii ad avvertire perfino un piccolo brivido
cogliermi all'improvviso, il suo respiro vicinissimo e il suo profumo
confortante. E lì non ce la feci più: mandai al
diavolo
l'orgoglio e l'apparenza, e gli avvolsi le braccia attorno alle spalle,
affondando il viso nell'incavo del suo collo e stringendo forte e lui,
quasi avesse capito al volo le mie intenzioni, forse ancora prima che
le capissi io, fece altrettanto. E così, ancora una volta,
ci
ritrovammo legati, in maniera decisamente troppo profonda -
così
profonda fa fare male - e ancora una volta io mi sentii solo ed
esclusivamente bene. Come se fossi a casa, al sicuro, lontano da ogni
male esistente e consapevole di voler rimanere così per il
resto
della mia esistenza. E per David, in quella esistenza, non c'era posto.
"Tanti auguri, Kurt!" sussurrò lui, direttamente nel mio
orecchio, con la voce leggermente sporcata dall'emozione. Io solo
allora, mentre cercavo la forza per rispondergli mi resi conto di aver
iniziato a piangere silenziosamente. Presi un profondo respiro e
sorrisi, perché quelle erano senza dubbio lacrime che non
facevano né male né rumore.
"Grazie Blaine... grazie davvero.. per tutto!"
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York City. 09.35 P.M. 12 Aprile 2012
(Giovedì)
"Sei stata tu a dirglielo, non è vero?" domandai a Rachel,
seduta al mio fianco, senza neanche trovare la forza per guardarla,
ancora troppo scosso per fare qualsiasi cosa. Tranne che smettere di
guardare Blaine, sul palco, intento a cantare "Fireflies"
degli Owl City, con Sebastian. Lui era riuscito a riprendersi quasi
subito da quel momento di debolezza. Io ancora sentivo i brividi
scorrermi per tutto il corpo.
"Di cosa stai parlando?" mi chiese lei, confusa
"Del canto, Rachel... di cosa credi stia parlando?" sbottai senza
troppi complimenti e senza freni. Forse era quella strana sensazione
che ancora mi attanagliava lo stomaco a parlare per me, o forse... un
pò di rabbia c'era ancora nei suoi confronti per quello che
aveva fatto. Per quanto bella si fosse dimostrata quella esperienza,
Rachel non aveva nessun diritto di parlare al posto mio.
Lei trattenne il fiato e, quando tornò a parlare, lo fece
con la voce ridotta ad un soffio leggero
"Credi davvero che io abbia fatto una cosa del genere?" mi chiese a sua
volta, scioccata. Alzai gli occhi al cielo
"L'hai fatto?" la provocai allora
"No!" esclamò con forza, quasi indignata "Certo che no,
Kurt!
Non ti avrei mai tradito e mi sconvolge pensare che tu possa seriamente
crederlo! Ti ho dato la mia parola, ho tenuto per me tutto quello che
mi hai raccontato e neanche sotto tortura lo direi a qualcuno."
cercò il mio sguardo e, dopo averlo trovato, lo
fissò nel
mio. All'interno dei suoi occhi lessi tutto il tormento e l'angoscia
che la mia accusa doveva aver creato, ma soprattutto lessi l'assoluta
sincerità delle sue parole.
O mio Dio, Rachel...
"E allora come ha fatto? Perché mi ha invitato su quel palco
se
non ne sapeva niente?" domandai confuso, lanciando un'occhiata proprio
verso di lui, ancora impegnato con la sua canzone e con un Sebastian
decisamente troppo divertito
"Non lo so... la cosa ha sorpreso molto anche me in effetti."
esclamò, sorseggiando il suo drink. Se davvero Rachel non
gli
aveva detto nulla e su Mercedes non avevo alcun dubbio... come diavolo
era venuto in mente a Blaine di farmi cantare con lui?
"Forse..." tentò lei poco dopo "Beh... forse lui lo ha fatto
perché se lo sentiva... sentiva che tu nascondessi qualcosa
di
speciale e desiderava tirarlo fuori... e così ha rischiato!
E
Dio, Kurt... per fortuna che lo ha fatto! La tua voce è...
come
diavolo sei riuscito a tenerla nascosta per tutto questo tempo?" mi
diede una spallata giocosa, facendomi perdere appena l'equilibrio sullo
sgabello
"Te l'ho detto! Io non... non ne sentivo più la
necessità." dissi, stirando un sorriso
"E... cosa, esattamente, ti ha fatto cambiare idea?" domandò
lei, elettrizzata. Io scrollai le spalle
"Mi sono ricordato di aver fatto una promessa ad una persona importante
e non potevo permettermi di continuare ad ignorarlo!" ammisi con un
sospiro. Avevo una strana sensazione in quel momento, come se mio
padre, dal fondo del locale, mi stesse osservando, incredibilmente
fiero, forse come non lo era mai stato.
Grazie papà...
"Ed io che credevo fosse di quel ragazzo dal bel faccino che sta
suonando sul palco, il merito!" mormorò lei, fingendosi
delusa.
Ridacchiai di gusto
"Sarai felice di sapere che... il ragazzo dal bel faccino ha influito
molto." le confessai allora, facendola gongolare entusiasta
"Ci avrei giurato!" strillò, forse appena un pò
brilla,
ma per fortuna la musica e la confusione sovrastarono la sua esultanza.
Lanciai con discrezione un'altra occhiata al palco: Blaine era
completamente assorto nella sua musica, accarezzava le note con la sua
voce, si muoveva sinuoso tra un verso e l'altro. Ed era assurdo come,
pur ascoltandolo per l'ennesima volta, ne fossi completamente rapito ed
incantato, quasi fosse la prima volta, quasi fosse un sorpresa, quasi
la voce di Sebastian non esistesse affatto, quasi mi aspettassi altre
rivelazioni. Ed in effetti ciò che avvertivo in quel momento
agitarsi nello stomaco, era tutto tranne che consueto: era pur sempre
piacevole ma aveva un gusto inaspettato e decisamente troppo
travolgente. Possibile fosse.. orgoglio? Era normale ammettere a
sé stessi di essere orgogliosi di Blaine?
Lui non è tuo
e tu non puoi seriamente credere di provare questo tipo di cose, senza
le adeguate conseguenze...
Blaine, forse sentendosi i miei occhi addosso, sollevò lo
sguardo, puntandolo nel mio e mi donò uno dei sorrisi
più
belli e sinceri che avessi mai visto, facendomi tremare, appena scosso.
Ed ecco scoperta un'altra di quelle sensazioni sconosciute che mi
avvolgevano lo stomaco, sconvolgendolo: era paura, paura elevata ad un
altro stadio, paura stranamente piacevole, paura che, sentivo, per la
prima volta in tutta la mia vita, mi avrebbe fatto soltanto bene.
Ricambiai timidamente il suo sorriso, che era fottutamente perfetto...
proprio come la canzone.
"Dio, Rachel... non so cosa darei per capire cosa diamine mi sta
succedendo!" mormorai, lanciandole uno sguardo disperato. Lei mi
sorrise teneramente
"Potrei dirtelo io, mio caro, ma sarebbe troppo semplice e tu hai
decisamente bisogno di scoprirlo da solo... sarebbe la
tua conquista e la tua più grande soddisfazione!"
disse
accarezzandomi i capelli, in un gesto molto materno. Io sospirai,
mandando giù un altro sorso di coca - con l'alcool quella
sera
avevo chiuso!
"Però una cosa posso dirtela..." aggiunse poco dopo,
piazzandosi
di fronte a me, con la cannuccia tra i denti "Questa festa... l'ha
organizzata lui, tutto quanto! Io mi sono limitata ad informalo che
oggi sarebbe stato il tuo compleanno e l'ho pregato di occuparsi degli
inviti e di trovare un posto adatto, perché al resto ci
avrei
pensato io. Ma lui mi ha chiamata dicendomi di aver risolto tutto in
una sola mattinata e di non dovermi più preoccupare!"
tirò un sorso dalla sua cannuccia, guardandomi con una buffa
espressione
"Ah sì?" domandai, ritrovandomi ad arrossire
inspiegabilmente
perché cazzo... quello era l'ennesimo gesto carino che
Blaine
compiva nei miei confronti ed io non avevo ancora ben chiaro il motivo
che lo spingesse a farlo. Ma ci pensarono Rachel e il suo sorriso
furbetto a darmi un'idea
"Eh... cosa non si fa per amore!" canticchiò, per poi
strizzarmi
l'occhio e raggiungere Finn. Ma... era ubriaca per caso? E che diavolo
di insinuazioni di metteva a fare? Blaine aveva organizzato tutto
quanto solo per... quella parola di cinque lettere che iniziava per A?
Ma non... stava né in cielo né in terra e Rachel
doveva
seriamente smetterla di blaterare e di bere alcolici, ma soprattutto io
dovevo smetterla di darle retta. Ero già fin troppo
incasinato
senza che lei pensasse di aggiungere altra carne sul fuoco.
Il quel momento sul palco salì Brittany, che rubò
il
microfono a Blaine, intento a sistemare le corde della chitarra
"Dunque... un momento di attenzione gente... avrei bisogno di dire due
cose!" annunciò lei, attirando l'attenzione di tutti "La
prima
è per il nostro cantante... Blaine, lo sai quanto io ti
adori e
quanto stimi il tuo talento e la tua voce, ma... hai decisamente rotto
le palle a tutti quanti!" esclamò a gran voce, quasi fosse
ad un
convegno politico e stesse cercando di affermare con forza la sua idea.
Fece scoppiare un boato di risate e fischi di apprezzamento nel locale.
Ridacchiai anche io. Forse Rachel non era l'unica ad essere ubriaca
lì dentro
"Ah grazie tante!" sbottò Blaine, divertito
"Prego!" gli rispose lei innocentemente. Brittany era davvero un bel
tipo: non avevo ancora capito fino a che punto fosse così
innocente e docile come mostrava esternamente o se fosse sempre
così disinibita come in quel momento. Ma forse Santana
avrebbe
potuto spiegarlo meglio di me.
"La seconda cosa che avevo da dire è per tutti voi: ho
voglia di
cantare!" gridò, portando un braccio in aria e scatenando
altre
urla di apprezzamento "E vorrei farlo per... la mia meravigliosa
Santana!" e la indicò stringendo il microfono al petto,
quasi
con amore. La mia amica modella le lanciò un bacio e lei lo
afferrò scherzosamente al volo "Vorrei farlo per quel
gigante
lì in fondo e la sua ragazza nanerottola..." ed
indicò
Rachel e Finn. Quest'ultimo strabuzzò gli occhi e si
affrettò a specificare
"No, ma io e lei non..." ma Rachel lo bloccò, facendogli
capire
che forse non era il caso di contraddire Brittany, oppure che in fondo
non le importava essere definita la sua ragazza. E la cosa mi fece
sorridere, profondamente colpito.
Un altro passo avanti da
parte di Rachel Berry...
"Vorrei farlo per quei due simpatici ragazzi che sono così
maledettamente teneri insieme..." continuò, indicando questa
volta Sebastian e Daniel che si guardarono, per poi scoppiare a ridere
"Grazie!" le gridò in risposta il biondo, mentre il suo
ragazzo lo stringeva a sé, visibilmente orgoglioso
"Vorrei farlo anche per i due sposini... siete così
dannatamente
innamorati, che non riesco a non provare invidia per voi.." e si
rivolse ovviamente a William ed Emma che la ringraziarono con un gesto
e si scambiarono un bacio veloce, tanto per sottolineare il concetto.
Mi aveva fatto enormemente piacere che ci fossero anche loro due a
quella festa. Si erano scomodati per me, lo avevo trovato molto dolce
ed essere stretti dall'abbraccio di Emma, appena arrivato, mi aveva
fatto sentire decisamente bene.
"Vorrei farlo per quei due che stanno amoreggiando nell'angolo,
credendo di non essere visti.." e ridacchiò, indicando due
figure in disparte, intente a baciarsi davvero, ma in quel momento,
colti in fragrante, si separarono e... cazzo Sam e Mercedes?
"Sam!... Ma che diavolo?" gridò Santana scioccata e
divertita
allo stesso tempo. Il suo manager scrollò le spalle, quasi
si
sottraesse così da ogni responsabilità, mentre la
mia
amica si nascondeva dietro di lui, imbarazzata.
Hai capito Mercedes
Jones... l'ha presa davvero sul serio la questione della conquista
stasera...
"Continuate pure... non vi disturbiamo!" gridò Puck
divertito,
scatenando altre esclamazioni di assenso generale. Brittany
richiamò l'ordine per poi continuare
"Dunque... vorrei farlo anche per tutti i single del locale, sperando
che uscendo di qui stasera possano trovare la giusta collocazione nel
mondo..." e fece un cenno verso Tina e Kristen che arrossirono, ma le
sorrisero grate
"E ovviamente vorrei farlo per il nostro festeggiato... il nostro Kurt
che compie la bellezza di ventisette anni... complimenti, Kurtie... ne
dimostri almeno due in meno!" gridò rivolta a me, facendomi
scoppiare a ridere. Fu inutile da parte di Blaine tentare di farle
capire che effettivamente ne avessi due di meno, perché lei
era
già tornata alla carica
"E infine... vorrei farlo per il padrone della baracca... Noah... tu
sei la fonte di ispirazione principale per molti giovani qui dentro e
sappi che.. qualsiasi cosa succederà stasera... Blaine si
è preso la responsabilità di sistemare il locale
da cima
a fondo e restituirtelo integro per domani!" esclamò
saltellando
gioiosa, mentre il povero Blaine rideva di gusto e Puck scuoteva la
testa rassegnato. Forse quella della pulizia era una questione tutta
loro. Erano entrambi dipendenti del locale e magari c'era una storia
interessante dietro quella battuta. O forse era semplicemente un'altra
cosa alla quale Blaine aveva pensato per far felice me.
"E ora... alzate quei culi perché voglio vedervi ballare
tutti,
nessuno escluso." gridò con una carica esagerata,
ricevendone in
cambio un generale grido di apprezzamento, perfino da Emma e William.
Lei entusiasta si affrettò a collegare il suo telefono alle
casse dello stereo e dopo un paio di secondi partì una base
decisamente molto movimentata. Ed io mi ritrovai a ridere di gusto,
perché quella era "Gimme
More"
di Britney Spears, e Brittany aveva tutta l'aria di volerla rendere
ancora più equivoca di quanto non lo fosse già.
Scese dal
palco, stringendo con orgoglio il microfono in mano ed
iniziò a
cantare. Non se la cavava tanto male, dopotutto, nonostante avesse la
voce appena incerta a causa dell'alcool ed era perfino riuscita a
coinvolgere tutti già dalle prime note. In sostanza, tutti
quanti si erano alzati e stavano ballando, chi più chi meno,
inclusi Mercedes e Sam, finalmente tornati nel mondo dei vivi. Ed era
un piacere guardare tutti quanti così allegri e spensierati
e
amici.
Anche se a conti fatti molti di loro si erano conosciuti quella sera,
questo non impediva a Rachel e Daniel di ballare assieme, o a Tina e
Puck di salire sul tavolo per scatenarsi o a Brittany di improvvisare
un balletto sensuale addosso a William. Era tutto molto innocente - per
quanto innocente potesse essere una canzone di Britney Spears - e tutto
molto naturale. Non c'era malizia nelle movenze di Brittany,
né
nei giri che Daniel stava facendo fare alla povera Rachel mezza ubriaca
- sotto lo sguardo divertito di Sebastian e Finn - e neppure nella
confidenza che sembrava legare Tina e Puck. Erano semplicemente un
gruppo di persone, divertite e disinibite, di tutte le età,
che
trascorrevano una serata piacevole all'insegna del sorriso e della
musica. Ed era strano credere che una cosa del genere fosse
davvero successa. Al di fuori di quel locale, nulla avrebbe legato
quelle persone. D'altronde cosa avevano a che spartire un
insegnante universitario con una cameriera, oppure un avvocato con una
ragazza madre? All'apparenza, decisamente nulla.
E cosa hanno a che
spartire invece un segretario di moda, con un musicista, a parte lo
spazio sul pianerottolo?...
"E il festeggiato non balla?" una voce fin troppo vicina, mi fece
spaventare e mi ritrovai a saltare sul mio sgabello per la sorpresa. Al
mio fianco, ritrovai il sorriso sereno di Blaine che si era avvicinato
al mio orecchio per farsi sentire, nonostante la musica e le urla
attorno a noi. Arrossii violentemente, maledicendomi per il mio scarso
autocontrollo e la quasi assente forza di volontà
"Ehm... diciamo che non ci sono abituato... non è il mio
stile."
risposi arricciando il naso. La verità era che non ne ero
affatto capace. Avevo poca dimestichezza con quel genere di ballo:
forse la danza classica o comunque qualcosa di più moderato,
ma
la discoteca... proprio no. Blaine ridacchiò, lanciando
un'occhiata verso gli altri.
"Chissà..." mormorò in un soffio direttamente nel
mio
orecchio ed io lo percepii un pò come un grido, quasi
più
forte della voce di Brittany che stava dicendo di volerne di
più. Deglutii a disagio: era una situazione equivoca. Quella
canzone lo era, quelle persone che ballavano e quel maledetto respiro
sul collo che mi accarezzava e mi faceva impazzire. Per la seconda
volta nella stessa serata, avrei tanto voluto avere la forza di
afferrarlo per la nuca ed impossessarmi delle sue labbra invitanti,
tanto erano tutti troppo impegnati a dimenarsi in pista per darci
retta. E fui davvero sul punto di farlo, a quella distanza assurdamente
ridicola, quando lui, decise per entrambi. Si avvicinò
ancora,
pericolosamente, ed io d'istinto chiusi gli occhi, fino a che, non
avvertii un leggero tocco delle sue labbra sulle mie, tanto delicato da
sembrare una carezza, e perfino il suo sorriso distendersi
"Chissà se.. dopo averti fatto cantare, non riesca
a
convincerti anche a farti ballare con me questa sera!"
mormorò
con voce strisciata e non so dove, trovai il coraggio per aprire gli
occhi e puntarli nei suoi, maledettamente attenti e vigili. Erano uno
specchio, un meraviglioso specchio dorato che mi osservava con
disarmante intensità, quasi cercasse un passaggio segreto
per
entrarmi nell'anima. Ed io, ancora una volta, avvertii la sensazione
inspiegabile di essere esposto, alla sua mercé, eppure allo
stesso tempo protetto e al sicuro. Respirai con molta cautela, stando
attento a non superare il dosaggio massimo di aria e profumo da inalare
nel mio corpo, dopodiché, quasi fossi guidato da una forza
misteriosa, cercai la sua mano e dopo averla trovata, la afferrai e la
strinsi forte, alzandomi finalmente dallo sgabello. Era stato alquanto
doloroso separarsi da lui, soprattutto dopo quella scarica di
adrenalina che avevo avvertito, ma avrei dato di tutto, pur di vedere
di nuovo quella pacifica espressione, appena sorpresa che mi rivolse in
quel momento
"Balleresti con me?" gli chiesi con naturalezza, in un perfetto mix di
innocenza e calcolata malizia. Lui mi sorrise, stringendomi a sua volta
la mano
"Con vero piacere!" rispose ed io, in quel momento, in quel locale, in
mezzo ai miei amici - sì, i miei amici - con la mano di
Blaine
stretta nella mia, mi sentii per la prima volta, felice di gridare al
mondo che quello era il giorno del mio compleanno. Ed io ne andavo
decisamente fiero.
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Capitolo 29 *** Ad essere coraggiosi ci si guadagna sempre ***
Ma
Buon Pomeriggio cucciolottini miei... lo so, oggi sono un pò
in ritardo rispetto al solito, ma stamattina è successo di
tutto e solo ora trovo due minuti liberi da dedicare al capitolo e a
voi. Dunque... come ho detto anche su fb... cappero... 20 recensioni
*___* io davvero non so cosa dire.. quando ho visto il numero sulla
pagina ho creduto seriamente di aver sbagliato a leggere... ma
grazieeee... grazie a tutti voi, grazie per l'affetto, il sostegno e la
pazienza che dimostrate di avere (nonostante io sia un'autrice bastarda
ed indegna XD) ma, per farmi perdonare e anche per rabbonirvi un
pò, dato quello che succederà
Lunedì... oggi vi offro un capitolo tanto denso di dolcezza
che alla fine avrete bisogno di qualcuno che vi tenga la fronte mentre
vomitate arcobaleni ed unicorni rosa *___* Per quanto riguarda il
capitolo 30 di Lunedì... io ve lo dico già da
ora... preparatevi perché ora iniziano i veri guai
ç__ç (Il mio Dan mi ha già minacciata
in ogni lingua, quindi...).. ma nel frattempo godetevi questo capitolo
e.. concedetevi di amare il piccolo e dolcissimo Blaine Anderson ;) a
Lunedì gioie mie <3
p.s.
Questo capitolo lo dedico al mio Dan che oggi ha portato a termine
un'impresa incredibile, con la sua sola forza d'animo e il suo
grandissimo coraggio. A te, more <3
n.b. Pagina Fb (
Dreamer91 ) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments
New
York City. Ore 11.48 P.M. 12 Aprile 2012
(Giovedì)
Quella era stata senza dubbio la festa migliore alla quale avessi mai
partecipato. Soprattutto era stata la prima in assoluto che avessi
organizzato io, personalmente, senza l'aiuto di nessuno. Avevo avuto
bisogno
di occuparmi da solo di tutto, ed era per questo motivo che avevo
chiesto a Rachel di non preoccuparsi e lasciarmi fare, nonostante lei
avesse già diviso i compiti. D'altronde, non era stato per
niente difficile fare tutto. Forse era stato un pò
complicato
rintracciare Kristen o Sam, per via dei loro numerosi impegni, oppure
pregare Tina di rimanere in silenzio fino alla festa e di ignorare Kurt
il giorno del suo compleanno - lei sembrava soffrire più di
tutti per quella cosa - ma alla fine, non era andata tanto male. Tutti
sembravano essersi divertiti e Puck non aveva fatto tante storie a
tenere chiuso il locale per una sera. Certo, avevo dovuto rinunciare ad
una settimana di stipendio per convincerlo, ma.. ne era valsa
decisamente la pena.
"Ok, queste sono le chiavi... mi raccomando, Anderson... è
l'unica copia che ho. Se osi perderle, puoi anche evitare di tornare..
sei direttamente licenziato, e questa volta non scherzo!" mi
avvisò Puck, passandomi un mazzo di chiavi - quelle del pub
- e
fulminandomi minacciosamente con lo sguardo. Io mi ritrovai a deglutire
rumorosamente, ma le afferrai, stringendole forte al petto, come se da
quelle chiavi dipendesse tutta la mia vita. Perché in fondo,
conoscendo Noah, era esattamente così.
"O-ok!" mormorai tentando un sorriso rassicurante, ma lui
grugnì
e se ne andò. Era lui quello che si occupava di chiudere la
baracca ogni giorno ed era palesemente infastidito all'idea di
lasciarlo fare a me per una sera. Ma non potevo sentirmi a posto con la
mia coscienza, sapendo di lasciargli il locale in quello stato. Se ne
sarebbe dovuto occupare lui il giorno dopo ed era nei patti che, se me
lo avesse prestato per quella festa, io glielo avrei restituito nelle
stesse condizioni. Quindi, lui, da quell'accordo, aveva solo da
guadagnare.
"Sicuro che non vuoi che restiamo a darvi una mano?" domandò
Daniel dispiaciuto, annodandosi la sciarpa al collo
"Sicuro!" confermai con un sorriso
"Dan, cucciolo mio, non hai ancora capito?" intervenne Sebastian con lo
sguardo decisamente troppo malizioso
"Capito cosa?" domandò il più piccolo, confuso
"Che questa è tutta una tattica del nostro piccolo Blaine
per
poter rimanere da solo con il suo adorato vicino e fare le porcate sul
bancone del locale!" spiegò sporgendosi in avanti per
pizzicarmi
con forza una guancia, proprio come si fa con i bambini biricchini. Ma
io non ero un bambino e tanto meno ero biricchino. E diavolo... fare le
porcate sul bancone?
"Sebastian!" lo ripresi, con le guance in fiamme - soprattutto quella
che mi aveva pizzicato - lanciando un'occhiata furtiva verso Kurt,
fortunatamente troppo impegnato a salutare Santana e Brittany per darci
retta.
"Ti sfido a dire che non è così. Ammettilo... ci
hai
appena fatto un pensierino." mormorò divertito,
beffeggiandomi.
Farci un pensierino? Sì, cazzo... ora per colpa sua
stavo
davvero pensando a me e Kurt su quel maledetto bancone.
"Dio Santo.. Daniel mi faresti la cortesia di levarmelo dalla vista?
Questa sera non lo reggo." mi lamentai, passandomi una mano sulla
faccia, mentre tutti e due se la ridevano beatamente. La coppia
perfetta, non c'era che dire.
"Tranquillo, lo porto via." mi rassicurò il biondo,
strizzandomi
l'occhio, ma prima di allontanarsi, pensò bene di ricordarmi
ancora una volta, perché mai un ragazzo come lui potesse
andare
bene per uno come Sebastian "Ah... una cosa... se posso permettermi di
consigliarti.. quel bancone non lo vedo tanto comodo.. sarebbe troppo
alto per te! Io vi consiglio il palco, piuttosto.. decisamente
più erotico, non trovi?" e mi lasciò con un
sorrisetto
divertito, raggiungendo Sebastian che, meravigliosamente colpito, lo
accolse a braccia aperte e con un:
"É per questo che ti amo così tanto!"
dopodiché,
ridacchiando come due idioti, andarono via. Ed io grugnii infastidito e
frustrato. Ci mancava che si mettessero a fare le battute squallide in
coppia per completare l'opera. Già mi sentivo frustrato e in
fibrillazione senza i loro commenti. Ora, per colpa di Daniel, avevo
nella mente un'altra immagine poco casta, e quella volta erano compresi
un palco e l'asta del microfono usata come palo per lo streep tease.
Fanculo a tutti e due...
"Ehi Anderson!" qualcuno alle mie spalle biascicò il mio
nome
così mi girai, ritrovandomi una versione decisamente molto
ubriaca di Rachel, seguita a ruota da un imbarazzatissimo Finn
"Rachel... ma quanto hai bevuto?" le domandai, mentre lei perdeva
appena l'equilibrio e si aggrappava a me, borbottando una risata
"Giusto un pò... due bicchieri piccoli... sei al massimo.."
e
rise ancora, approfittando della vicinanza per abbracciarmi. Lanciai
un'occhiata divertita verso Finn che arrossì lievemente ma
ricambiò il sorriso
"Vai a casa e risposati. Domani ti sveglierai con un mal di testa
assurdo." le dissi abbracciandola a mia volta, mentre lei si rilassava
con un sospiro
"E tu vedi di fare il bravo, Anderson. Guai a te se osi far del male al
mio piccolo Kurt... sono capace di venirti a prendere per quei bei
ricci che ti ritrovi ed appenderti per le palle al lampione
più
alto della città, nonostante il mal di testa."
minacciò,
con un tono atrocemente lucido, per poi allontanarsi e puntarmi un dito
contro "Sono stata chiara?" mi ritrovai a deglutire di nuovo, a vuoto.
Perché diavolo la gente quella sera continuava o a mettermi
in
imbarazzo o a minacciarmi? Cosa avevo scritto sulla testa? Maniaco
sessuale?
Beh, un pò
maniaco sei... basta dare un'occhiata al
contenuto
vietato ai minori che c'è nella tua testa al momento...
"Chiarissima." confermai con un sorriso tirato e lei scoppiò
di
nuovo a ridere, così la affidai nelle mani sicure di Finn ed
augurai una buonanotte ad entrambi. Poi, in ordine, salutai William ed
Emma - quest'ultima mi aveva perfino aiutato con la preparazione del
cibo - Tina, Kristen - "Ah, ma tu sei quello che ha cantato alla festa
di beneficenza... oddio, senza smoking non ti avevo riconosciuto!" -
Sam e Mercedes - che ancora non si erano separati, né la
ragazza
si era ripresa dalla figuraccia fatta per colpa di Brittany - e per
finire Santana e la stessa Brittany.
Con un sospiro, chiusi la porta dietro le due ragazze e mi girai a
guardare il locale ormai vuoto. O meglio.. quasi vuoto.
Kurt se ne stava accanto ad un tavolo, impegnato a raccogliere tutto
ciò che era avanzato e a riporlo in un vassoio
"Aspetta... ti aiuto!" lo avvertii avvicinandomi. Lui sorrise
"L'ultima volta che hai detto di volermi aiutare a fare i piatti... mi
è toccato farli da solo il giorno dopo!" mi
ricordò
divertito. Io arrossii, perché era esattamente la stessa
immagine che circolava anche nella mia testa - insieme agli altri
pensieri poco puri - e faceva uno strano effetto sapere che anche lui
stava pensando alla stessa cosa.
"Stavolta sono costretto a farli, altrimenti l'ira funesta di Puck si
abbatterà su di me." mormorai recuperando un sacco nero per
la
spazzatura ed iniziai a riempirlo con i vari bicchieri sparsi sui
tavoli. Lui ridacchiò, ma non disse altro. Si
limitò a
lanciarmi un paio di bicchieri, che finirono direttamente nel sacco. I
minuti successivi li trascorremmo in completo silenzio, ognuno legato
ai propri pensieri e ai propri tavoli da liberare, eppure con una
tensione ad aleggiare attorno a noi talmente tanto ingombrante, che
riuscivo perfino a vederne i contorni sopra le nostre teste. E quella
volta, per risolverla, non sarebbe bastato liberarsi dei vestiti, per
quanto l'idea mi allettasse parecchio.
Il nocciolo della questione purtroppo riguardava ancora David ed il
fatto che a conti fatti, nonostante tutto, loro due fossero ancora
assieme. Dopo essermi effettivamente scoperto innamorato di Kurt, era
difficile - e perfino doloroso - sapere di doverlo condividere ancora
con lui, sapere di averlo avuto ad un palmo dal naso, senza averlo
potuto afferrare, sapere di trovarmi così bene al suo
fianco, ma
ricordarmi ogni volta di non aver alcun diritto da esercitare, nessuna
facoltà di scelta, nessuna voce in capitolo. Potevo soltanto
rimanere in silenzio, a guardarlo continuare la sua vita accanto ad un
bestione ben poco raccomandabile, a vergognarmi del fatto che, senza
alcun pudore, iniziassi seriamente a sperare che litigassero,
o
che finalmente la loro storia finisse. Dovevo vergognarmi per questo.
Kurt era mio amico ed io non avrei mai dovuto sperare il suo male. Ma
ero anche convinto che il suo bene, invece, non fosse quello, non fosse
al fianco di David, quindi augurargli di perderlo, non mi sembrava un
grande torto da parte mia. E anche Rachel sembrava del mio stesso
avviso.
Kurt
ha... l'assurda
capacità di farsi del male da solo, intestardendosi su delle
convinzioni che a conti fatti non esistono. E così facendo
si
sta lasciando scappare la sua occasione per essere felice... Voglio che tu capisca che
qualsiasi cosa succeda con te,
sarà nettamente migliore rispetto a quello che gli
è
già successa o potrebbe succedergli in futuro con David e
soprattutto... voglio che tu capisca che ne vale la pena...
Con un sospiro mi avvicinai al palco per liberarlo dalle bottiglie di
birra ed i piattini vuoti e mi ricordai all'improvviso della canzone
cantata assieme a Kurt poco prima. Perfect. Era stato strano, surreale,
un'esperienza quasi extracorporea. Mi ero ritrovato senza neanche
sapere come a fargli quella richiesta per divertirci un pò,
per
condividere assieme qualcosa, un momento intimo diciamo, per farci
quattro risate tra amici in tutta tranquillità e poi anche
perché volevo trovare il modo migliore per dedicargli quella
canzone, senza farla diventare una dichiarazione plateale d'amore alla
quale sarebbe seguito ovviamente imbarazzo e prese in giro in eterno.
Accordando la chitarra, avevo alzato lo sguardo ed avevo intercettato
il suo e lì avevo preso la mia decisione: volevo avere Kurt
sul
palco accanto a me per cantare. In un primo momento, quando glielo
avevo proposto, mi ero sentito subito un idiota, perché...
cavolo, non si invita la gente ad esibirsi su un palco così
alla
leggera, soprattutto se non si è abituati. Io lo facevo
tutte le
sere ma lui? Lui avrebbe retto a quell'emozione? Solo che poi, dopo un
primo momento di smarrimento, lui si era alzato sul serio e mi aveva
raggiunto e poi si era seduto al mio fianco e infine aveva iniziato a
cantare, accodandosi a me, tenendo gli occhi puntati nei miei
per tutta la durata del pezzo, sfiorandomi in maniera casuale ogni
tanto e mantenendo costante una piacevole gradazione di rosso sulle
guance. Ed era bellissimo, bellissimo da togliere il fiato. E la sua
voce... Dio... tutto mi sarei immaginato, tranne che cantasse
così. Sembrava un angelo, un piccolo angelo leggiadro ed
irraggiungibile, capitato per miracolo al mio fianco e con il quale io
avevo avuto l'assurda ed inspiegabile fortuna di fondermi durante
quelle note. Aveva una voce così dolce e delicata, si posava
leggero su ogni nota, accarezzandola in maniera calcolata e regalando
un'emozione difficile da spiegare a parole. Io personalmente mi ero
ritrovato a vagare in apnea, per quei tre minuti scarsi, dimentico
dell'ossigeno e del mondo, legato a Kurt in maniera profonda e decisa e
con la precisa intenzione di non allontanarmi da quello sgabello e da
quella chitarra. Perché, una volta finita la musica, saremmo
tornati a fare i conti con la realtà - con tutti gli
invitati,
la festa, le battute fuori luogo, David che non c'era ma la cui
presenza aleggiava minacciosa tra i tavoli - e a me quella
realtà non piaceva. Decisamente.
Devo farmi coraggio... altrimenti da questa situazione non ne esco
vivo...
A proposito!
"Dio che sciocco... quasi dimenticavo!" esclamai, abbandonando il mio
sacco nero in un angolo e precipitandomi verso il bancone per
recuperare il mio zaino. Ci frugai all'interno, fino a che non trovai
una busta, dopodiché mi avvicinai a Kurt, che mi osservava
curioso, e gliela porsi
"Cos'è?" mi domandò con mezzo sorriso. Io
ricambiai il gesto.
"Ma come che cos'è? É il tuo compleanno, no? E
questo
è il tuo regalo... da parte mia!" risposi, infilando le mani
nelle tasche dei jeans, mentre lui, piacevolmente sorpreso si rigirava
la busta tra le mani
"Ma, Blaine... non dovevi!" mormorò a disagio "Io... tu hai
già organizzato tutto questo per me... era sufficiente."
scossi
la testa, senza neanche domandargli come avesse fatto a scoprire che
quella festa l'avevo organizzata io. D'altronde l'avevo già
capito che Rachel aveva la lingua lunga. E la lingua lunga sommata ad
una generosa dose di alcool, rendevano tutti più
chiacchieroni.
"Su coraggio apri!" lo esortai con un sorriso, perché era
strano, ma io, tra i due, sembravo quello più impaziente.
Non
che Kurt non lo fosse... solo che io ero fatto così, un
bambino
cronico e lui era semplicemente ancora troppo imbarazzato per lasciarsi
andare. Ma mi sorrise, commosso, per poi aprire finalmente la busta
"Ce ne sono due." constatò sorpreso e li tirò
fuori
entrambi. Erano due confezioni abbastanza piccole e riusciva a tenerle
in una sola mano
"Parti da quello più piccolo che è anche il meno
costoso!" gli indicai il pacchetto giusto e lui, mettendo da parte
l'altro, lo strinse per poi lanciarmi un'occhiata divertita, ancora gli
occhi meravigliosamente lucidi
"Ci hai lasciato il prezzo attaccato?" domandò ridacchiando.
Scossi la testa
"Non ce n'era bisogno. Credo tu sappia esattamente quanto costi!" lo
avvertii e lui, sempre più curioso, scartò il
pacchetto
con attenzione, stando attento a non tagliarsi, fino a che, sotto i
suoi occhi azzurri, non comparì un blocchetto di post-it
colorati, un formato convenienza, con ben trecentoventi foglietti.
"Oh mio Dio!" esalò in un sussurro leggerissimo, mentre gli
occhi si sgranavano e si copriva quasi di riflesso la bocca con la
mano. Era così dannatamente dolce in quel momento...
innocente e
limpido come non mai e la sua reazione era piena di reale stupore. Era
gioia quella che gli leggevo in viso? Era... felice?
"Avevo immaginato che li avessi finiti, dato che da qualche tempo a
questa parte non ho più il piacere di ricevere i tuoi
messaggi
del buongiorno." esclamai divertito e lui, sollevando lo sguardo su di
me, mi mostrò i suoi occhi commossi ed un sorriso bello da
bloccare il fiato. Ma cosa in lui non mi faceva quell'effetto?
"Sì, in effetti..." fece arrossendo appena. Forse stava
pensando a come li avesse finiti. Io un'idea ce l'avevo: ricordavo
ancora la mia porta meravigliosamente piena e colorata. E l'artefice
era un certo K.
"Ecco, adesso non hai più scuse..." gli feci presente,
indicando
il blocco colorato che lui ancora si rigirava tra le mani.
Ridacchiò
"Sarei dovuto andare a comprarli in questi giorni, giuro.. ma non ho
avuto proprio tempo!" mormorò leggermente sconsolato, quasi
stesse cercando il modo per scusarsi con me di quella mancanza.
"Ci ho pensato io... sai, gira voce che lavori in un supermercato.."
mormorai e gli feci l'occhiolino, complice, facendolo ridacchiare
ancora. E Dio.. il suono della sua risata... toccava delle note ancora
sconosciute al genere umano ma che sicuramente appartenevano al mondo
ultraterreno.. un mondo abitato esclusivamente da angeli e creature
meravigliose come Kurt Hummel.
"Grazie Blaine... è... fantastico!" esclamò,
sporgendosi
un pò, forse per abbracciarmi, ma... non doveva finire, non
in
quel momento almeno, non ancora.
"Aspetta! Questo non è propriamente il tuo regalo. O
meglio...
lo è però..." maledizione... com'era difficile
parlare in sua presenza. Feci un profondo respiro, tanto per calmarmi
un pò, mentre lui, senza dire altro, lasciò il
blocchetto
di post-it su un tavolo e afferrò l'altro piccolo pacco
"Posso?" mi domandò indicandolo, una strana luce negli
occhi. Era in trepidante attesa. Mancava solo il mio permesso
"Devi!" lo esortai, ed anche io, in fin dei conti, non stavo messo
meglio. Avevo pensato tanto ad un regalo che fosse perfetto per lui,
che rispecchiasse la sua natura, che gli trasmettesse il mio...
affetto, che gli facesse capire qualcosa che a parole non ero ancora in
grado di spiegargli. E pensavo di averlo trovato alla fine. Non era
stato affatto facile: sentivo di aver preso qualcosa di rischioso, ma
se nella vita non avessi rischiato almeno un pò, allora,
avrei anche
potuto dire addio alla piccola speranza che vedevo per conquistare il
suo cuore. Dovevo giocarmi il tutto per tutto e non avrei gettato la
spugna finché lui stesso non mi avesse detto in faccia di
lasciare perdere.
Trattenni accuratamente il fiato fino a che anche l'ultimo lembo di
carta lucida non venne via e mi preparai alla sua reazione: cosa
avrebbe fatto? Mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia? Avrebbe pianto?
Gli sarebbe piaciuto? Oppure avrebbe decretato giunto il momento di
mettere fine a quella situazione, restituendomi il regalo e andandosene
via?
L'ansia è davvero una brutta bestia...
New York City. Ore 00.03 A.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)
L'ansia era proprio una brutta bestia. E nel mio caso compariva anche
nei momenti meno opportuni. Quando andavo ancora a scuola per esempio,
aveva
l'abitudine di spuntare all'improvviso pochi secondi prima di varcare i
cancelli dell'istituto. Le gambe iniziavano a tremare, la salivazione
si azzerava ed il cuore lo sentivo battere tanto forte da fare male. E
poi, inevitabilmente, qualche minuto dopo, finivo scaraventato contro
un armadietto, oppure, nei casi più estremi, in qualche
bidone
della spazzatura. Quindi in un certo senso quell'ansia che sentivo
addosso, era premonitrice.
Ma adesso, mentre scartavo con cura il secondo pacchetto che mi aveva
dato Blaine, da cosa era dipesa? Avevo paura che all'improvviso potesse
sbucare da dietro il bancone qualche Titans che poi mi avrebbe
picchiato? Era assurdo... io ero.. al sicuro lì dentro. Ero
a
New York, con Blaine e tecnicamente tutta quella paura e quell'ansia
non facevano più parte della mia vita. Era giustificabile
per un
ragazzino di sedici anni, vittima del bullismo. Ma un ragazzo di
venticinque, un uomo.. avrebbe dovuto essere quanto meno, un
pò
più coraggioso.
Fatti coraggio, Kurt... Guardalo.. è Blaine! E quello che
adesso stringi tra le mani è il suo regalo per te...
Con un sospiro riuscii a strappare anche l'ultimo lembo di carta, e
dovetti seriamente stare attento a non tagliarmi perché
avevo le
mani che tremavano e se già ricevere un blocchetto di
post-it mi
aveva sconvolto così tanto, non immaginavo cosa sarebbe
successo
con quel secondo regalo. Perché era chiaro fosse quello
più importante, quello in cui Blaine riponeva più
fiducia. Ed io ce l'avevo tra le mani, tra le mani che mi tremavano.
Feci scivolare quello che rimaneva della carta strappata per terra e
per qualche istante, fu come se il mondo si fosse fermato, a tutti gli
effetti. Perché era come se stessi osservando tutto dal di
fuori, magari attraverso lo schermo del televisore e quella che avevo
davanti agli occhi era una scena meravigliosa, ma non faceva parte
della mia vita. A me, Kurt Hummel, l'eterno sfigato, il frocio di Lima,
il principe triste... non succedevano quelle cose. Io meritavo un
cappuccino decaffeinato in tazza grande da consumare frettolosamente in
macchina,
meritavo di essere lasciato solo e insoddisfatto dopo il sesso,
meritavo le accuse e gli sguardi di rabbia... non di certo.. quello. E
maledizione... quella che stringevo tra le mani era davvero una
scatolina di pelle, finemente decorata, che a lettere cubitali mi
confermava - come se ce ne fosse bisogno - di provenire direttamente da
una gioielleria. Una gioielleria che si chiamava precisamente Tiffany.
No... non è possibile...
"Blaine..." non seppi con quale forza riuscii a pronunciare il suo
nome, dato che non ero capace neppure ad alzare la testa per guardarlo
negli occhi. Ero incantato, osservavo ancora la scatolina che stringevo
tra le mani e continuavo a chiedermi cosa aspettassero i Titans
nascosti dietro al bancone, per uscire e picchiarmi. Perché
quella non era la realtà, non la mia almeno, e se davvero
quella
scatolina di pelle era nelle mie mani... dovevo per forza essere il
protagonista di qualche
sogno. Non c'erano altre spiegazioni
"D'accordo... so che visto così potrebbe sembrare che
contenga
un solitario o qualche altra diavoleria del genere e che magari tu
adesso sei sconvolto perché temi che io possa inginocchiarmi
davanti a
te e ti chieda di sposarmi... e so anche che non è il
classico
regalo che un amico dovrebbe fare, dato che Finn ti ha regalato un...
cappello di lana e dei guanti.. ma.. io ho pensato che.. sì
insomma.. fosse adatto per te che.. in un certo senso rispecchiasse
ciò che sei e ciò che senza saperlo mi trasmetti
e.. il
problema è che non sapevo esattamente cosa regalarti,
perché diciamocelo francamente.. cosa si regala ad un amico
che
in realtà non è proprio tuo amico? In ogni caso
avrei
rischiato di sembrare banale ed io non volevo... Dio Santo.. dovrei
smetterla di parlare, non è vero? Ma... è
più
forte di me.. quando sono nervoso parlo a raffica, mi sembra di
avertelo già detto una volta... e ora sono estremamente
nervoso
e..."
"Blaine.." lo chiamai di nuovo, interrompendo il suo monologo
disperato, perché a dirla tutta, non lo stavo affatto
ascoltando. Provai a deglutire, maledicendo la mia saliva che non c'era
e il cuore che palpitava senza logica nel petto. Lui si
zittì,
con uno strano lamento, ed avvertii il suo sguardo su di me, cercare
disperatamente di capire, di trovare delle risposte. Ma come avrei
potuto, io, dare delle risposte a lui, in quel momento, se non sapevo
neppure cosa dire, se non ero ancora del tutto convinto di ritrovarmi
nel mondo reale e stessi ancora pensando di essere in un mio assurdo
sogno. Come potevo?
Mi feci coraggio e alla fine, dopo un tempo indefinito, riuscii a
sollevare lo sguardo e ad intercettare i suoi occhi e fu proprio come
avevo immaginato: erano tormentati e in attesa di qualcosa che ancora
non era arrivato, ma rimanevano immobili su di me, quasi spaventati. E
lui era decisamente spaventato, si vedeva... ma da cosa? Da me?
"Perché?" gli domandai in un soffio. Lui in un primo momento
non
capì e infatti si accigliò confuso,
così dovetti
specificare "Perché lo hai fatto?"
"Io... te l'ho detto... oggi è il tuo compleanno e questo
è..." ma lo interruppi di nuovo, quella volta con
più
forza
"Sì, ma perché... questo?" e gli
mostrai la scatolina ancora chiusa, con la voce che tremò
appena, senza che io
potessi fare nulla. Lui sgranò appena gli occhi, forse
colpito
da quel tono, che a pensarci bene era sembrato un vero e proprio
lamento. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di
deglutire e poi parlare
"Perché questo
era il regalo perfetto per te. Avevo... ho... un
disperato bisogno che tu capisca delle cose e per farlo è
necessario mostrartele, perché a parole non credo di esserne
capace. Quindi, ti prego, Kurt..." la sua voce si ridusse ad un soffio
e fu come ricevere una stilettata in pieno petto perché...
lui
mi stava pregando e lo stava facendo nel modo più intenso e
coinvolgente che potessi mai immaginare. Ed era totalmente disarmante.
"Blaine..." provai ancora, con gli occhi velati dalle prime lacrime.
No, non potevo piangere. Non di nuovo
"Aprilo!" mi ordinò ed io non riuscii più a
trattenermi
in niente. Mi lasciai andare ad un lungo respiro e contemporaneamente
portai lo sguardo di nuovo sulla scatola, che iniziava a scottare tra
le
mie mani e con una lentezza disumana, quasi opprimente, sollevai il
coperchio. Quello che trovai mi lasciò ancora una volta
sospeso
a mezz'aria e se fossi stato seriamente seduto su un divano a guardare
la scena attraverso lo schermo del mio LCD, probabilmente mi sarei
trovato a trattenere il fiato e a mettere perfino in pausa per godermi
meglio il momento. Eppure, vivere in prima persona quell'esperienza,
avere davanti ai miei stessi occhi tutto quello e stringere con le mie
mani quella scatola... era qualcosa di inspiegabile e neanche la
meravigliosa definizione del mio televisore gli avrebbe reso degna
giustizia. Quindi dovevo ritenermi fortunato... potevo vederlo dal
vivo, potevo assaporare il momento con emozioni vere e potevo dire di
essere perfino il destinatario di quella meraviglia contenuta in quella
scatolina di pelle. Contro ogni immaginazione, non si trattava affatto
di un anello di diamanti, proprio come aveva detto lui - e
come
avevo seriamente temuto - ma era un bellissimo braccialetto di
caucciù nero con una sottile fascetta argentata su un lato,
un
pò piatta ed estremamente elegante. Era molto raffinato - ma
d'altronde cosa poteva venire mai fuori da Tiffany? - e sembrava quasi
risplendere in quella scatola. Trattenendo il fiato - e forse lo stava
facendo anche Blaine - afferrai il braccialetto, accarezzandone
leggermente e delicatamente il caucciù e sorprendendomi di
quanto fosse liscio e morbido e di ottima qualità. La
fascetta
di argento poi era appena ruvida, un pò satinata e al tatto
mi
accorsi che c'era qualcosa sulla superficie, qualcosa che sembrava
inciso con cura
"Leggi!" la sua voce fu talmente tanto bassa ed armoniosa, che per un
momento mi parve un comando proveniente da dentro di me, dentro il mio
cuore e forse, fu proprio così. Ma io diedi retta ad
entrambi
così, lasciai la scatola sul tavolo, accanto al blocchetto
di
post-it e mi concentrai sull'incisione in superficie. L'avvicinai al
viso e ne lessi sopra i caratteri in corsivo, le lettere sottili ed
eleganti che sembravano completare armoniosamente il magnifico
bracciale. E quello che vi trovai scritto, fu la botta definitiva per
il mio già precario equilibrio emotivo, perché
all'improvviso mi ritrovai con il nodo in gola che lentamente si
scioglieva e le prime lacrime che rotolavano giù per le
guance,
appannandomi gli occhi. Ma la scritta, un'unica semplice, bellissima,
profonda ed intesa parola, era ancora davanti a me, gridava quasi,
chiedeva di essere incisa ancora, quella volta nella mia mente
"Courage." dissi ad alta voce con la voce spezzata. Le lacrime
iniziavano a moltiplicarsi e quindi dovetti sbattere più
volte
le palpebre per liberarmi un pò. Lui al mio fianco,
sembrò tornare a respirare dopo una lunga pausa
"Courage." ripeté in un soffio, lo stesso che sembrava
ancora
provenire dal mio cuore, ma che pareva appena più commosso
quella volta. Che stesse piangendo anche lui? Per verificarlo dovetti
alzare gli occhi, in un altro assurdo sforzo, e non mi meravigliai
affatto di trovarli effettivamente un pò più
lucidi e
carichi di qualcosa che assomigliava molto all'ansia. Blaine si stava
consumando, in attesa di una mia reazione, e forse le lacrime non
aiutavano a rendergli la situazione più facile. Quindi mi
feci
coraggio, proprio come lui aveva appena sussurrato e come il bracciale
stesso sembrava suggerirmi, e parlai
"Dio... è... bellissimo.." mormorai con la gola che pulsava,
sussultando per colpa di un paio di singhiozzi. E lui si
lasciò
scappare un piccolo sospiro che immaginai contenesse puro sollievo.
Tentò perfino un mezzo sorriso che, però,
sparì
all'istante: era decisamente troppo provato perfino per distendersi in
quell'espressione. Portai di nuovo gli occhi sul bracciale,
perché guardare lui e parlare diventava mano a mano
più
faticoso.
"Blaine tu... non dovevi... questo è troppo..." dissi
cercando
di far fermare le mie labbra che tremavano incontrollate. Ma che
diamine mi stava succedendo? Era come se mi stessi lentamente
sgretolando davanti ai suoi occhi e stessi aspettando il punto
cruciale, la goccia in eccedenza, che avrebbe fatto crollare tutto. Ero
in equilibrio precario, ma l'eventualità di poter seriamente
cadere, non sembrava così spaventosa come avevo sempre
immaginato. Lui fece una smorfia, appena imbarazzato
"Non è troppo, Kurt... è esattamente... anzi...
è fottutamente
perfetto
per te!" e mi sorrise, quella volta per un momento più
lungo, ma
si vedeva chiaramente quanto gli costasse trattenersi. Forse stava
perfino trattenendo le lacrime, non ne ero sicuro. L'unica cosa di cui
ero sicuro al cento per cento, fu l'effetto incredibile che quelle
parole ebbero su di me e quanto in profondità riuscirono ad
arrivare, marchiandosi a fuoco. Ancora quella parola... perfetto.
Ed io ero tutto, tranne che perfetto e lui doveva saperlo.
Così
presi aria per poterglielo dire, rischiando così di rovinare
tutto, di uccidere i suoi buoni propositi, ma lui mi
anticipò:
"Io non voglio farti chissà quale dichiarazione, o dirti
qualcosa di spaventoso o affrettato.. anzi in teoria non so neanche io
cosa dirti ora come ora. Speravo, forse stupidamente, che le parole
sarebbero saltate fuori da sole, che qualcuno al momento me le avrebbe
suggerite ma... sono completamente a corto di... fiato e... di logica.
Quindi.. prova, se puoi, ad interpretare quello che cercherò
di
dirti e per piacere.. non scappare via." mi disse, tutto sottovoce,
tutto guardandomi negli occhi, tutto con la stessa meravigliosa ed
inspiegabile sincerità. Disarmante sincerità.
Io riuscii soltanto ad annuire, lasciando a lui la parola e alle mie
lacrime la caduta libera sulle guance. Fece un profondo respiro prima
di ricominciare
"L'altro giorno, cercando il regalo adatto per te, mi sono chiesto cosa
io potessi fare per... renderti felice... anche solo per un momento. E
la risposta, per quanto banale potesse sembrarmi, è arrivata
quasi subito. Io... dovevo provare ad essere sincero con te, dovevo
provare ad essere il primo, probabilmente, a metterti davanti alla
realtà dei fatti e dovevo provare a farti capire cosa ci
fosse
in te di tanto speciale da avermi così profondamente
colpito. Dovevo provare a farti vedere il Kurt che in questo
momento mi sta davanti, farti vedere cosa si prova a guardare te
dall'esterno, con i miei occhi e farti finalmente capire che... non
è vero che tu non meriti di essere apprezzato o ascoltato o
capito o... amato solo perché credi, o meglio... qualcuno ti
ha
fatto credere, di non meritarlo. Tu meriti esattamente tutto quello che
hai sempre sognato, né più né meno di
quelli che
speri ogni giorno e... meriti di trovare il giusto coraggio
per poterlo vivere a fondo, senza paura, senza vergogna, senza limiti e
senza temere che qualcuno possa distruggere tutto." si fermò
un
istante per prendere fiato o forse per permettermi di assimilare quelle
cose. Ma dubitavo che un paio di secondi mi sarebbero bastati.
"Voglio solo che tu capisca che io apprezzo il tuo coraggio.
Apprezzo la tua forza d'animo, apprezzo la perseveranza che ti ha
permesso di arrivare fino a qui e che ti permette ancora di sopportare
la vita, nonostante tutto. Apprezzo te, il tuo modo di essere, il tuo
carattere a tratti perfino misterioso ma estremamente sorprendente,
apprezzo quello che fai e quello che dici, apprezzo quello che scegli
di fare, apprezzo il tuo modo di porti nei confronti degli altri, come
gestisci i tuoi rapporti con Rachel o con Santana, apprezzo come tu
abbia tenuto testa a Sebastian, apprezzo il fatto che tu sia salito su
quel palco a cantare con me, mettendo da parte l'imbarazzo e
apprezzo... che tu adesso sia qui, con me e che non sia ancora scappato
nonostante io abbia ricominciato a straparlare come una vecchia radio
rotta." ridacchiò appena e a lui si aggiunse un'altra
leggera
risata, che, solo dopo, mi accorsi appartenere a me.
"Tu
sei.. perfetto così come sei e se devo rimettermi a cantare
quella
canzone, ora, da solo, per fartelo capire, allora ti giuro che lo
faccio!" mormorò ed indicò il palco, quasi
volesse
seriamente risalirci per cantare ancora, così mi decisi a
bloccarlo sul serio, afferrandogli un braccio per farlo stare fermo,
esattamente di fronte a me
"No... non credo serva. Ho.. capito perfettamente cosa... volevi
dirmi.." e mi stupii di me stesso, perché ero riuscito a
parlare, nonostante le lacrime e gli avevo perfino rivolto un sorriso,
appena divertito. Lui sospirò, più tranquillo
"Bene..." borbottò, con una mano tra i ricci, sconvolto e
provato. Ed era buffo perché sembrava seriamente distrutto
dopo
aver parlato tanto ed avermi detto tutte quelle cose. Ma la cosa
più buffa di tutte le cose buffe ero senz'altro io e la mia
reazione a quella mezza confessione. Perché mi sentivo
tranquillo, appagato e con uno strano calore nel petto che mi
riscaldava
e mi coccolava. Forse non avevo ancora immagazzinato le sue parole, non
le avevo del tutto comprese, altrimenti non si spiegava come mai fossi
così... sereno. Magari la reale reazione sarebbe arrivata a
breve e quella che stavo vivendo era la classica quiete prima della
tempesta. O forse... forse qualcosa dentro di me era già
scoppiato, quella goccia che temevo uscisse e versasse tutto il
contenuto del vaso era già caduta ma l'effetto non era
affatto
stato quel tumulto confusionario ed insostenibile che mi ero
immaginato, anzi. Era come se una strana pace mi avesse invaso
dall'interno e stesse lentamente diffondendosi ovunque, occupando ogni
spazio libero e cercasse in ogni modo di spingere via i pensieri
negativi, l'angoscia, le lacrime amare e perfino quella fastidiosa
sensazione di inadeguatezza che ogni tanto si ripresentava in me, da
quando avevo scoperto di essere omosessuale.
Ed era strano, molto strano. Forse sentirsi fare un discorso
così accorato per ben due volte in meno di una settimana, da
due
persone alle quali tenevo molto, faceva quell'effetto. O forse era
semplicemente Blaine ad avere il potere e l'abilità
necessari
per farmi sentire così. E gli erano bastati un blocchetto di
post-it colorati, una fascetta di caucciù e la
più totale
e disarmante sincerità per permettermi di provare quelle
sensazioni. Perché forse aveva ragione... mai nessuno prima
di
lui mi aveva parlato in quel modo o mi aveva detto cose così
profonde, perché mai a nessuno prima di allora era
minimamente
interessato a farlo. A parte Rachel e quello che ci eravamo detti
quella domenica, soltanto mio padre si era seriamente preoccupato per
me, quindi era strano vedere quante persone adesso potessero fare
altrettanto o potessero.. apprezzarmi. Era vero, io avevo l'assurda
capacità di abbattermi sempre, di non riuscire a credere mai
che
prima o poi qualcosa potesse cambiare e di convincermi fino alla nausea
di essere sbagliato, inadatto, imperfetto, e di non... meritare nulla
di più dello schifo che già avevo. Forse alcune
volte la
facevo troppo tragica e forse dovevo seriamente smetterla di trattare
me stesso in quel modo ed iniziare ad avere più rispetto per
la
mia vita e più speranza nel mio futuro. Ma non avendo mai
avuto
validi motivi per farlo, non avevo mai neppure voluto cercare
la
forza per combattere, per provare a ricercare del buono in quello che
già avevo, per smetterla di accontentarmi, per non aver
paura di
chiedere e osare e sperare e sognare qualcosa di diverso e magari anche
migliore. Perché io avevo tutti i diritti di essere felice,
gli
stessi diritti che aveva anche Rachel, o Mercedes o Santana o Sebastian
o... Blaine. Dovevo solo farmi coraggio
e affrontare tutto con tranquillità e un briciolo di
speranza in
più, che non avrebbe di certo guastato. Perché
forse una
piccola speranza me la stava già offrendo lui, affermando
con
tutta quella convinzione di apprezzare me e il mio bizzarro modo di
essere, facendomi capire di non essere poi così
irrecuperabile e
che... perfino uno come me, alla veneranda età di
venticinque
anni appena compiuti, poteva sperare di cambiare il suo atteggiamento
per il semplice benessere personale. Per la mia felicità.
Mi asciugai le lacrime che erano rimaste, con la manica della camicia e
dopo un lungo sospiro gli sorrisi
"Mi aiuteresti a metterlo?" gli domandai, riacquistando lentamente la
facoltà adatta per parlare e lui, sorpreso, ci mise qualche
istante per muoversi e sporgersi per darmi una mano.
"C-certo.." gli porsi il braccialetto e gli allungai un polso - quello
sinistro, quello del cuore - e rimasi in attesa, mentre lui,
particolarmente imbarazzato e con le guance meravigliosamente
arrossate, tentava di aprirlo, senza farlo cadere. Dovetti mordermi con
forza le labbra per non scoppiare a ridergli in faccia, ma era
inutile... qualsiasi cosa facesse, Blaine Anderson rimaneva l'essere
umano più tenero, incantevole, bello, dolce e romantico
dell'intero universo. Ed io, per merito di una sfacciata ed
inimmaginabile fortuna, potevo averlo lì, di fronte a me,
mentre
le sue mani, che tremavano appena, mi sfioravano il polso con molta
delicatezza, e mi aiutavano ad indossare il mio meraviglioso regalo di
compleanno. Il mio
coraggio.
Una volta attaccato mi ritrovai ad accarezzarlo con gli occhi e la
punta delle dita e a sorprendermi ancora di quanto fosse bello e di
come stesse incredibilmente bene perfino con il colore pallido della
mia pelle. Blaine evidentemente aveva pensato anche a quello. Non
pesava affatto, non era fastidioso da portare e da quel momento in poi
sarebbe diventato il mio fedele compagno di vita.
Avvertendo un irrefrenabile desiderio di sporgermi verso di lui per
stringerlo e baciarlo, distolsi l'attenzione dal bracciale e puntai i
miei occhi nei suoi. Erano ancora lucidi, ma si vedeva chiaramente il
sollievo e la leggera sfumatura di contentezza che li colorava in
maniera così profonda. E quegli occhi dorati, erano
più
belli del solito. Lui sembrò cogliere il mio stesso pensiero
e
infatti ci ritrovammo ad avanzare lentamente uno verso l'altro, senza
fretta, solo con la voglia di unire di nuovo le nostre labbra e creare
ancora quel legame tanto piacevole che ormai avevamo imparato ad
apprezzare. E mentre la distanza diminuiva, aumentava in me la voglia
di lui, di poterlo avere di nuovo, in ogni sfumatura, ma in maniera
particolare, in quella fisica. Perché non riuscivo a
vergognarmi
proprio del fatto che Blaine mi attirasse così tanto sotto
quel
punto di vista e forse, se non ci fosse stato anche un minimo -
chiamalo minimo! - coinvolgimento emotivo, non sarei arrivato a
desiderarlo così tanto. E chissà, magari quella
sera,
oltre alla canzone, al ballo, al blocchetto di post-it e al bracciale,
avrei potuto ricevere anche qualcos'altro da lui.
Sto decisamente
diventando un maniaco... Se qualcuno mi sentisse...
Ma proprio nel momento in cui i nostri respiri andarono a legarsi e
l'ombra delle sue labbra iniziava ad affacciarsi sulle mie, qualcosa
accade, qualcosa disturbò la nostra privacy, il nostro
momento
di intimità, quasi con prepotenza, facendo sobbalzare
entrambi.
Ed era il suo telefono che squillava, intromettendosi. Sospirammo
entrambi, anche se il suo sembrò più che altro un
ringhio
basso, ma lui non si allontanò affatto da me.
Poggiò la
fronte alla mia e in quella posizione andò in cerca del
telefono, che ancora squillava con insistenza, probabilmente nella
tasca dei pantaloni
"Giuro che se è Sebastian... questa volta lo ammazzo sul
serio!"
borbottò facendomi ridacchiare, e si portò il
telefono
all'orecchio, rispondendo
"Pronto?" ci fu un lungo minuto di silenzio e a quella distanza potei
perfino sentire l'accenno di una voce particolarmente allegra che
prendeva la parola. Era decisamente una voce maschile.. che fosse
seriamente Sebastian? Lo sapeva che aveva appena firmato la sua
condanna a morte? Quella volta Blaine grugnì sul serio,
staccandosi da me ed iniziando ad inveire
"Ma certo che sei un idiota!... Ti ho detto che il compleanno era
Giovedì e tu che fai... chiami a mezzanotte passata? Ti
rendi
conto che ormai sei fottutamente in ritardo?" gridò
infervorandosi e facendomi preoccupare non poco. Con chi diavolo stava
parlando? E perché gridava così? Parlava di un
compleanno... era... il mio?
"E figurati se non tiravi fuori una di queste scuse assurde... sai dove
te lo puoi ficcare il tuo fuso orario del cazzo?" sbottò
colorandosi lentamente di viola. Spalancai gli occhi, sempre
più
preoccupato. Ma che diavolo...
"Blaine..." tentai di calmarlo, sollevando una mano e stringendogli una
spalla e sembrò funzionare perché
bloccò un'altra
imprecazione giusto a metà, per poi guardarmi, appena
affranto,
negli occhi e sospirare
"Per tua fortuna lui è ancora qui con me... aspetta che te
lo
passo." esclamò per poi porgermi il suo telefono. Io lo
guardai
confuso
"É Cooper!" specificò infastidito, con uno
sbuffo. Cooper?
"T-tuo... fratello?" domandai sorpreso e scioccato e per fortuna il mio
momentaneo smarrimento, parve divertirlo parecchio, perché
riuscì perfino a ridacchiare
"Di certo non il cane. Lui non avrebbe aspettato che passasse la
mezzanotte per chiamarti!" mormorò ed io, con mezzo sorriso,
accettai il telefono per rispondere
"Pronto?"
"Ehilà, Kurt! Come stai? Ti ricordi di me? Sono il fratello
figo
di schizzo, il tuo strano vicino di casa!" e anche a distanza,
l'esuberanza di Cooper Anderson, il ragazzo bellissimo che mi aveva
tanto innervosito e divertito qualche settimana prima, mi fece sorridere
Il fratello figo di
schizzo...
"Ciao Cooper... ma certo che mi ricordo di te... come si fa a
dimenticarti?" gli feci divertito, mentre la sua risata allegra di
diffondeva nell'apparecchio e il povero Blaine si allontanava con un
smorfia, tornando a riempire il sacco con la roba da buttare. Potevo
perfino vedere il fumo uscirgli dalle orecchie.
"Immaginavo... ascolta, schizzo l'altro giorno mi ha detto che oggi,
cioè... ieri sarebbe stato il tuo compleanno e beh.. anche
se
sono dall'altro lato degli Stati Uniti, volevo farti i miei
personalissimi auguri!" annunciò stranamente elettrizzato.
Lui
aveva chiamato per farmi i suoi auguri e nonostante lo avesse fatto in
ritardo... Dio, mi faceva enormemente piacere.
"Ti ringrazio, davvero... sono contento che tu abbia trovato un momento
libero nella tua giornata piena di impegni per chiamare. Grazie sul
serio.." risposi, appena imbarazzato, mentre Blaine continuava a fare
delle facce assurde e a borbottare frasi incomprensibili
"Perdona il ritardo.. non ho mai realmente capito quante ore di
differenza ci siano tra Los Angeles e New York... ero convinto che voi
foste più indietro di me e invece... era il contrario."
borbottò e sembrava seriamente dispiaciuto, nonostante
tutto.
Ridacchiai avvicinandomi a Blaine, che continuava a borbottare come una
locomotiva a vapore
"Non preoccuparti.. è il pensiero che conta!" lo rassicurai
e mi
trattenni dallo scoppiare a ridere per la faccia buffa che fece Blaine
a quelle parole. Forse non era necessario specificare che, seriamente
la chiamata di suo fratello mi aveva fatto piacere e che perfino lui,
che a conti fatti non mi conosceva, si era preoccupato di chiamare,
mentre il mio stupido fidanzato ancora ignorava l'esistenza del mio
compleanno.
"Bene... adesso devo andare... ho una cena importante con la
controfigura di Tom Cruise... a quanto pare c'è una parte
per me
nel suo prossimo film.. speriamo che questa sia la volta buona."
annunciò teatrale, con un profondo sospiro ed io immaginai
perfettamente la scena, ritrovandomi a ridacchiare ancora. Dio, mi
facevano male gli zigomi.
"Te lo auguro, Cooper..." esclamai con sincerità. Blaine
tutto
sommato doveva essere fiero di suo fratello.. anche se per poco e nella
maniera più assurda, entrava comunque in contatto con grandi
nomi dello spettacolo. Era da apprezzare, no?
"Salutami schizzo... e fate i bravi voi due. Sono ancora troppo giovane
per diventare zio!" borbottò, facendomi arrossire e
ringraziai
il fatto che stesse parlando solo con me, altrimenti quella, suo
fratello, non gliel'avrebbe fatta passare
"A presto, Cooper... e grazie ancora!" e chiusi la conversazione ancora
con un sorriso divertito a stendermi le labbra. Blaine
sospirò,
trascinando il pesante sacco nero - quanta spazzatura avevamo fatto in
una sola misera serata? - e dopo l'ennesima smorfia, decise finalmente
di sollevare lo sguardo verso di me. Ci fu un lungo istante di
silenzio, in cui ognuno cercò chissà che cosa
negli occhi
dell'altro, fino a che, non ci ritrovammo a ridere insieme, come due
scemi
"Tuo
fratello ha..." iniziai tra le risate ma lui completò per me
"..Un ottimo tempismo, lo so!" mormorò scuotendo la testa.
Gli
passai il telefono, che lui conservò di nuovo in tasca e
tornai
ad aiutarlo nella sistemazione. Ovviamente il momento di intesa che si
era creato poco prima, era sfumato ed entrambi ne sembravamo
particolarmente scontenti e provati. Ma senza dubbio, sarebbe stato
troppo imbarazzante dirgli di tornare da me e riprendere da dove si era
interrotto. Avevo ancora un disperato bisogno di baciarlo, ma possedevo
anche un pudore e questo mi impediva di muovermi al momento. E poi...
se il destino aveva voluto far intervenire Cooper per
interromperci, evidentemente quel bacio non avrebbe dovuto esserci
comunque. Chissà magari... dovevamo darci una calmata o
molto
più probabilmente io dovevo smetterla una buona volta di
fare il
doppio gioco, incatenando sia lui che David, e mi sarei dovuto decidere
a compiere il tanto difficile passo verso.. la mia personale
felicità.
E pensare che manca
così poco...
"Blaine?" all'improvviso, con la carta da regalo recuperata dal
pavimento in mano, mi ritrovai a chiamarlo. Lui si girò
verso di
me, sorpreso
"Dimmi."
"Grazie... io... è la seconda volta nella stessa serata
che riesci a farmi un regalo così grande e mi fai sentire
così... bene!" mormorai, con un sorriso mite sulle labbra.
Lui ricambiò, visibilmente sollevato.
"Il primo regalo... ti riferisci ai post-it non è vero?"
domandò divertito ed io scossi la testa con decisione
"La canzone... quello è il tuo primo regalo. Poi
c'è
stato questo magnifico braccialetto... io... li terrò
entrambi
nel cuore, finché mi sarà possibile farlo!"
esclamai con
convinzione, sperando di far arrivare anche a lui la stessa
intensità che avvertivo partirmi dal cuore e defluire
lentamente
dappertutto attorno a me. Lui si strinse un labbro tra i denti, e si
passò nervosamente una mano tra i ricci, in un chiaro
momento di
imbarazzo, ma alla fine accettò il mio ringraziamento e mi
sorrise, senza aggiungere altro. E forse fu davvero meglio
così,
per entrambi.
Facendo di nuovo appello al mio coraggio, mi
decisi a muovermi e lo raggiunsi in un paio di passi, gli afferrai il
viso con entrambe le mani e gli poggiai finalmente
le labbra sulle sue. Tremarono appena, sorprese, ma fu un solo attimo,
poi si adattarono alle mie, senza problemi. E fu una liberazione, un
respiro di aria pura dopo una lunga apnea, una consolazione dopo
un'atroce sconfitta. Furono le sue meravigliose labbra sulle mie, e il
suo respiro caldo e familiare, e la sua lingua morbida, e le sue mani
che si strinsero attorno al mio collo, e la precisa consapevolezza che
il mio coraggio
da quel
momento in poi sarebbe servito per uno scopo ben preciso: parlare con
David e chiudere definitivamente la nostra storia, perché di
tempo per lui non ne avevo più, come non avevo
più
pazienza né forza di volontà. L'unica cosa che mi
sembrava di avere ancora era proprio il coraggio e quello
avrei dovuto tirare fuori per ottenere finalmente ciò che
desideravo. Nulla di più.
"Grazie, Blaine.." per
tutto...
"Grazie a te..."
Ad essere coraggiosi, ci
si guadagna sempre...
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Capitolo 30 *** La resa dei conti ***
(...) Litigio con David (B)
Buon
Lunedì a tutti, angioletti miei... dunque, finalmente
è giunto il capitolo rivelazione, quello maledetto come lo
chiamo io, quello che, ahimé mieterà qualche
vittima... avrei dovuto trovare un metodo migliore per festeggiare il
trentesimo capitolo, ma... purtroppo era una cosa che prima o poi si
sarebbe affrontata e se, da una parte, la stavate attendendo anche voi,
avrà dei risvolti.. diciamo imprevisti. Ovviamente anche il
prossimo capitolo sarà... da panico totale, ma... ho come
l'impressione di non arrivarci viva, quindi vi saluto ora e vi dico...
vi amo tutti, da morire (tecniche di persuasione mode on XD) Ci vediamo
Giovedì e... scusate se non ho risposto alle vostre
recensioni, sono un'autrice indegna ma l'alternativa sarebbe stata
quella di aggiornare stasera e rispondere ora... quindi ho preferito
invertire, ma vi prometto che stasera, cascasse il mondo,
risponderò a tutti ;)
p.s.
Anche il mio Dan vuole vedermi morta... ed io soffro in silenzio
ç___ç
n.b Pagina Facebook (
Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New
York City. Ore 10.48 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)
"E poi sai cosa gli ha
detto Morris quando lui ha fatto rovesciare tutto lo stand per terra?"
mi chiese elettrizzato David dietro di me, mentre cercavo di aprire la
porta di casa con difficoltà, dato l'ingombro del cartone
della
pizza in una mano e dei voluminosi cataloghi nell'altra. E ovviamente
David non si era scomodato ad aiutarmi.
"No, David... non lo so..." mormorai stanco cercando di trattenere uno
sbuffo seccato
Ed in realtà
non me ne frega un emerito cazzo...
"Sei licenziato!" esclamò divertito lui, quasi fosse la cosa
più esilarante del mondo e rimase in evidente attesa delle
mie
risate. Io sospirai, riuscendo finalmente ad aprire la porta d'ingresso
e ad entrare e mi seguì dopo qualche istante,
probabilmente
sconvolto dal fatto che non mi stessi rotolando sullo zerbino per le
risate con lui. Avanzai in cucina dove poggiai il cartone della pizza e
i cataloghi e mi accarezzai i polsi doloranti.
Tornando in salotto lo trovai fermo immobile, intento a rimuginare su
qualcosa. Non mi sprecai neanche a chiedergli cosa avesse. Non mi
interessava e non avrei fatto nulla per saperlo. Mi liberai della
tracolla che appesi all'attaccapanni all'ingresso e della giacca, per
poi sollevarmi le maniche e togliermi l'orologio. Erano gesti meccanici
che facevo ogni volta che tornavo a casa, con o senza David al seguito.
Aveva deciso di rimanere a mangiare da me - e ovviamente concedersi
alla solita squallida scopata serale - senza neanche chiedermi cosa ne
pensassi, dando per scontato che fossi d'accordo. Quando me lo aveva
detto, non avevo trovato neanche la forza per dirgli di no. Mi ero
limitato ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare, molto discretamente.
Morivo dalla voglia di tornare a casa, mettermi in libertà,
mangiare un pezzo di pizza e poi buttarmi nel letto. Altri fuori
programma non erano previsti. E ovviamente David rappresentava un fuori
programma.
"Sei strano!" mormorò ad un certo punto lui, mentre io mi
dirigevo nella camera da letto per spogliarmi. Approfittai del fatto
che fossi di spalle per chiudere gli occhi in un gesto esasperato.
"Sono stanco!" lo corressi subito seccato. Non ci mise molto a
raggiungermi
"Anche io sono stanco Kurt... ma di certo non ho quella faccia
lì!" e mi indicò con un gesto. Quella volta non
potei
trattenermi dall'emettere un verso
"Questa è la mia faccia, David... che ti piaccia o no non so
che
farci!" sbottai liberandomi degli stivali e buttandoli malamente in un
angolo. Dovevo essere proprio nervoso per trattare in quel modo la mia
roba. Mi rendevo anche vagamente conto che trattare in quel modo lui,
significava scatenare la sua ira. Ma sinceramente me ne infischiavo. Se
per liberarmene avrei dovuto farlo arrabbiare.. bene, ero pronto!
"Bene, sei stanco, perfetto!" sbottò infatti lui in risposta
"E
allora spiegami perché tutte le volte che ci vediamo mi
tratti
con la stessa fottuta sufficienza!" si avvicinò nervoso,
sfidandomi. Seccato strinsi la mascella e mi liberai della camicia in
pochi gesti.
"Ancora con questo discorso!" mormorai "Sei ripetitivo!" indossai
velocemente una maglietta pulita e senza neanche preoccuparmi dei
jeans, lasciai la stanza e a gran passi tornai in cucina. Avevo fame,
non avevo voglia di parlare. Fine della questione
"E tu sei ingiusto, Kurt..." rispose, con un tono che per un istante mi
fece sorprendere. Infatti mi girai a fronteggiarlo, davanti la porta
della cucina e lo trovai con una strana espressione frustrata ed
abbattuta "Io... non credo di meritarmelo!" e abbassò la
testa.
Faceva quasi tenerezza. Appunto.. quasi.
"Non so di cosa tu stia parlando!" gli diedi di nuovo le spalle e mi
affrettai a recuperare un piatto dalla credenza ed un bicchiere
"Sto parlando di questo!" esclamò accalorato, e mi sentii
afferrare per un polso e voltare con forza verso di lui. Per la
sorpresa il bicchiere mi scivolò dalle mani cadendo nel
lavandino e spaccandosi
"Cazzo, Dave... mi fai male!" mi lamentai allora, provando a liberarmi
della sua stretta. Ma niente. Lo sfidai con lo sguardo, non sorpreso di
ritrovarlo così rosso in faccia e tanto nervoso. Ma mai,
prima
di allora, si era permesso di mettermi le mani addosso. E quello in un
certo senso un pò mi spaventava. Non sapevo cosa avrebbe
fatto
dopo, non sapevo dove sarebbe arrivato. Rimanemmo qualche secondo di
troppo a guardarci negli occhi a vicenda, sfidandoci come due duellanti
alle prese con una partita troppo importante per lasciar perdere. Lui
non demordeva ed io di certo non avrei abbassato la testa. Non quella
volta.
"Dimmelo, Kurt... tira fuori le palle e dimmelo!" sputò
allora, a pochi centimetri dal mio viso
"Dirti cosa?" feci io infastidito provando a strattonare ancora il
braccio. Faceva male, altroché se faceva male
"Smettila di fingere!" gridò e in uno scatto d'ira,
afferrò il piatto che avevo posato sul tavolo e lo
scaraventò sulla parete della cucina. Nel rompersi,
tirò
via perfino un pò di intonaco dal muro. Ed io iniziai
seriamente
a tremare. Mi mancò il respiro per qualche istante e provai
a
raccogliere tutta la lucidità di cui ancora disponevo per
tentare di calmarlo
"David!" lo chiamai in un soffio. Lui respirava velocemente, le narici
e
le pupille dilatate. Sembrava furioso, un pazzo furioso. Tentai allora
di stabilire un contatto fisico, sperando valesse a qualcosa. Provai ad
accarezzargli una guancia, benché avessi la mano che tremava
come una foglia, ma lui me la scacciò con uno schiaffo,
provocandomi altro dolore
"Basta... basta... non ce la faccio più!" mormorò
scuotendo la testa e respirando pesantemente
"Di cosa stai parlando, Dave?" gli chiesi ancora, in un lamento. Ero
stanco, spaventato, affamato. Dove diamine ci stava portando quella
maledetta discussione? E quando sarebbe terminata?
"Dimmelo!" ripeté allora, rigido come una tavola. Sospirai
frustrato
"Cosa?" fu il mio turno per alzare la voce. Mi veniva quasi da
piangere. Perché non mi lasciava in pace?
"Che non mi ami più!" gridò a sua volta,
stringendo
convulsamente il polso fino a farmi bloccare la circolazione. Mi si
bloccò contemporaneamente anche il cuore e mi ritrovai a
boccheggiare spaesato. E dunque era quello il momento? Eravamo
finalmente arrivati alla resa dei conti? Avrei dovuto dirgli tutto,
affrontare l'argomento con lui? Ne avrei avuto la forza? Avrei trovato
il giusto... coraggio? Perché era facile affermare di voler
chiudere la mia relazione con lui... ma un altro conto sarebbe stato
farlo davvero, trovare le parole adatte per dirgli tutto e sperare
magari di non creare troppi danni. Ma se lui già iniziava a
scaldarsi, senza che io avessi ancora aperto bocca, a cosa saremmo
arrivati alla fine? Era davvero il caso di palargli proprio in quel
momento? Non era meglio, magari, aspettare che si calmasse e poi dirgli
tutto quanto?
Deglutii a vuoto un paio di volte, ma la
salivazione era azzerata e per di più, il mio ritardo nel
rispondere fu per lui la giusta conferma. Mi lasciò di colpo
il
polso, finalmente, e si allontanò con un gesto di stizza
"Lo sapevo. Cazzo, lo sapevo!" ringhiò sollevando le braccia
al
cielo. Io mi massaggiai subito il polso dolorante, arretrando di
qualche passo, inconsapevolmente. Mi resi conto solo in quel momento di
essere in una stanza stretta, con un'unica via d'uscita - fin troppo
lontana da dove mi trovavo io - in compagnia di David. Un ragazzo che
iniziava a spaventarmi, che forse non avevo mai davvero conosciuto.
Avevo paura e tanta
"David..." tentai, ma la sua testa saettò velocemente verso
di me raggelandomi
"Stai zitto. Non voglio sentirti dire neanche una sillaba. Il tuo
silenzio è stato fin troppo eloquente!" sbottò
velenoso
puntandomi un dito contro. Feci un altro mezzo passo lontano da lui
"Che idiota... che idiota che sono stato! Per tutto questo tempo ho
creduto che provassi davvero qualcosa per me, che mi volessi bene, che
avessi rispetto... e invece mi hai soltanto usato!" mi inveì
contro lui, avvicinandosi e poi allontanandosi scompostamente. Stavo
per rispondere ma
lui mi anticipò ancora
"Ti sentivi solo, eh Kurt? Non ti era rimasto più nessuno ed
è per questo che sei venuto da me in ginocchio, elemosinando
la
mia pietà e il mio affetto?" mi domandò acido,
avvicinandosi un pò di più. Io spalancai gli
occhi
incredulo. Maledizione... come aveva fatto? Come era riuscito a
capirlo? Lo aveva sempre saputo, oppure ci stava arrivando solo in quel
momento, magari tirando ad indovinare? E se davvero già
sapeva
tutto... perché solo ora lo tirava fuori, perché
non me
lo aveva mai rinfacciato o fatto notare? Perché era vero...
lui
aveva centrato perfettamente il problema. Tutto quello che avevo
raccontato a Rachel una settimana prima, lui era riuscito a riassumerlo
in una sola secca frase. Una frase piena di disprezzo e rabbia e che
faceva male come una coltellata al cuore.
"Ed io, coglione, ci sono pure cascato... con tutte le scarpe!"
sembrava parlasse da solo ormai, io non ero altro che tappezzeria.
"Anzi, no meglio ancora... avevi bisogno di qualcuno con cui scopare...
con cui poterti sfogare perché diciamocela tutta, Kurt...
sei un
frustrato... con la tua insulsa vita da provincialotto
qualunque,
approdato nella grande Mela ma con ancora la puzza di pecore attaccata
ai vestiti. Guardati... fai quasi pena!" e mi indicò con un
gesto schifato. Mi portai una mano sulla bocca dalla quale mi
scappò un singhiozzo. Avevo iniziato a piangere... ma quando?
"Sono stato la tua preda ideale, non è vero? Sempre a tua
disposizione, quando tu ne avevi bisogno. Ma che bravo che sei stato!"
mi sputò addosso tutto il disprezzo. Tanto crudelmente da
non
farmi neanche trovare la forza per ribattere, o per tentare di
spiegargli, o per sperare di giustificarmi. Non che avessi molta
giustificazione dalla mia parte, ma perlomeno avrei potuto fargli
notare che le colpe non erano tutte le mie e che, sì, io
avevo
sbagliato, ma anche lui non era completamente innocente. Anche lui in
molte occasioni aveva approfittato di me, del mio buon cuore, della mia
sofferenza, del mio... bisogno di qualcuno. E se davvero era giunto il
momento per i mea culpa e le prese di coscienza... beh era anche
arrivato il tempo di assumersi le sue responsabilità ed
ammettere di avere sbagliato a trattarmi sempre così male e
a
non aver mai cercato di capire quale fosse il vero problema di Kurt. Io
ero stato il suo burattino, io ero
sempre disponibile per i suoi sfoghi. Anche io, in fondo, per lui, ero
stato la preda ideale.
"Perché mi stai facendo questo?" domandai con un lamento,
singhiozzando. La paura e la fame erano un lontano ricordo. Lentamente
in me stava prendendo forma una strana sensazione di attanagliante
angoscia. Quelle parole facevano male, ma non solo. Era il modo in cui
le aveva pronunciate, la cattiveria che aveva usato a fare ancora
più male. Era davvero bastato così poco per farmi
sentire
così sporco e sbagliato? Che fine aveva fatto la mia
preziosa
corazza con la quale ero solito proteggermi in sua presenza? Che fine
avevano fatto il coraggio, di cui tanto avevo parlato al mio
compleanno, o la forza che credevo di avere soltanto nascosta da
qualche parte, ma capace di affrontare tutta la situazione? Annientate
anche quelle sotto il peso delle parole?
"Io, Kurt? Sono io che faccio del male a te, eh?" mi domandò
pungente "E non ci pensi a tutto il male che hai fatto tu a me fino ad
ora con le tue bugie?"
Fottiti, David...
fottiti, fottiti, fottiti...
In uno sprazzo di coraggio, iniziai a camminare, e sorprendentemente
lui non mi bloccò. Mi ero aspettato - e avevo seriamente
temuto
- che mi avrebbe trattenuto con forza, come aveva fatto poco prima,
impedendomi di allontanarmi e gridarmi ancora dietro qualcosa di
cattivo. Per fortuna non fu così, almeno credevo. Raggiunsi
il
soggiorno e approfittai di quella distanza per asciugarmi le lacrime.
Non se le meritava ma soprattutto non le meritavo io.
"Come hai fatto a fingere fino a questo punto? Come hai potuto
prenderti gioco di me e dei miei sentimenti anche mentre facevamo
l'amore? Come hai potuto Kurt?" mi domandò in tono lagnoso e
quella fu senza dubbio la classica goccia che fece traboccare il vaso.
Il mio
vaso.
"Ti sbagli David... io e te non abbiamo mai fatto l'amore, mai...
neanche la prima volta!" gridai allora, smettendo di combattere contro
le lacrime. Inutile continuare a trattenerle, tanto faceva solo
più male. Dall'espressione indecifrabile che mise su,
istantaneamente capii che dovevo andare avanti perché quello
che
avevo detto non gli bastava per capire.
"Tu non hai mai fatto l'amore con me, non hai mai fatto l'amore con Kurt.
Ti sei limitato a fare sesso con il mio corpo... ti sei semplicemente
servito di questo" e mi indicai con un gesto rapido "Per soddisfare i
tuoi bisogni... è sempre stato così! Ogni volta
che mi
tocchi, io sento chiaramente che di me non te ne frega nulla... ti
impegni ad ottenere ciò che ti serve, per poi lasciarmi in
un
angolo, solo ed insoddisfatto!" avevo detto tutto gridando, con le
lacrime che correvano sulle guance. Ero accaldato, ero stanco, mi era
tornata la fame, e per di più, la paura era stata sostituita
dalla rabbia. Aveva superato il confine della mia pazienza. Il Kurt
calmo e ragionevole e spaventato e pieno di sensi di colpa,
probabilmente era ancora in cucina. Ormai c'era
soltanto l'istinto irrazionale che mi guidava e che mi faceva
finalmente tirare fuori quello che per tanto tempo avevo soppresso e
nascosto.
"Ma cosa stai... dicendo?" mormorò, evidentemente colto di
sorpresa.
"Quand'è stata l'ultima volta che mi hai chiesto come stavo?
Che
mi hai abbracciato per il semplice piacere di farlo, senza l'intenzione
di togliermi poi i vestiti di dosso? Che mi hai fatto una carezza, che
mi hai chiesto di uscire per una cena o per andare al cinema?" feci
gesticolando, andando avanti e indietro nel salone. Lui era fermo
immobile, con i pugni piantati sui fianchi e mi seguiva disperatamente
con lo sguardo, quasi tenesse sotto controllo una partita di tennis.
"E ti sei per caso ricordato del fatto che ieri
è stato il mio compleanno? Ti sei preoccupato di comprarmi
un
regalo o di farmi semplicemente gli auguri?" gli domandai ancora,
elencando la lunga lista di mancanze delle quali si era reso
responsabile. Doveva capire che le colpe non erano solo le mie. Forse
stavo usando la tecnica peggiore, perché attaccare non era
mai
consigliabile - soprattutto se il confine della sua pazienza era
così labile - ma mi ero stancato di subire. Volevo iniziare
ad
attaccare anche io. Perché quello era decisamente il momento
di Kurt.
Lui aprì la bocca ma la richiuse subito
dopo, visibilmente scioccato. Scossi la testa
concedendomi un sorriso amaro
"Come immaginavo!" mormorai stringendo le braccia al petto
"Quello... quello che stai dicendo.. non ha senso... nessuno!"
esclamò allora, incerto e tremante. Del David aggressivo e
pericoloso sembrava non essere rimasta traccia
"E invece ha senso eccome... sei tu che non vuoi accettarlo,
perché farlo significherebbe darmi ragione e tu questo non
puoi
permetterlo, giusto?" domandai sprezzante, con una smorfia. Era perfino
capace di affermare che il mio compleanno dimenticato non fosse un dato
di fatto. Arrestai il
mio procedere nervoso per la stanza e sospirai
"É vero, David... non ti amo e... probabilmente non ti ho
mai
amato. Hai ragione non avrei dovuto fingere di farlo ma non volevo
deluderti... speravo ingenuamente che prima o poi qualcosa sarebbe
cambiato e che... avrei iniziato a provare qualcosa di più
per
te... ma sono passati quattro anni e... non è successo
nulla!"
alzai le spalle con un gesto di impotenza. Lo vidi deglutire e tremare
appena. Possibile stesse per mettersi a piangere?
"Ma se c'è una cosa di cui non puoi colpevolizzarmi
è il
fatto di averti usato... di aver approfittato di te e dei tuoi
sentimenti. Io ti voglio bene, David... ti ho sempre voluto bene e,
Dio, continuo a volertene nonostante le orribili cose che sei stato
capace di gettarmi addosso qualche istante fa. Ed è proprio
per
l'affetto che sento di provare per te che per tutto questo tempo ti ho
permesso di trattarmi in questo modo, ho permesso a me stesso di farsi
da parte ed assecondare ogni tuo dannato volere. Ti ho ascoltato anche
quando era difficile decifrarti, ti ho accudito anche quando tu
continuavi ad ignorarmi, ti ho assecondato anche quando chiedevi
semplicemente il mio corpo. E per questo, David, io non mi sento un
egoista!" gli dissi disarmato, con la voce stanca e strisciata. Erano
parole che tenevo nascoste da troppo tempo. Ormai sarebbe stata
questione di poco, e sarebbero comunque saltate allo scoperto. Quella
discussione nata così, per caso, era stata senza dubbio un
pretesto. Mi ero ripromesso di farlo, ma mai avrei creduto di dovermene
occupare così presto. Ma forse... pensandoci... non era
presto.
Era semplicemente il momento.
David abbassò il capo, affondando le mani nelle tasche dei
jeans. Sembrava avessimo appena superato la tempesta. Non restava che
raccogliere i cocci e fare il conto dei danni.
Ma proprio quando con un sospiro esausta, avevo formalmente dichiarato
conclusa ogni ostilità e mi preparavo a farlo uscire dal mio
appartamento e dalla mia vita, tornò a parlare
"Chi è?" mi domandò con la voce roca. Sorpreso
sollevai un sopracciglio
"Chi è... chi?" chiesi a mia volta confuso.
Sollevò gli occhi, puntandoli con rabbia nei miei
"Il
figlio di puttana con cui mi tradisci!" rispose irritato, digrignando
appena i denti. Mi sentii mancare: per pochi istanti avvertii
chiaramente le gambe cedere appena e il cuore sprofondare. Sperai
ardentemente non avesse notato quel mio piccolo momento di incertezza
altrimenti sarebbe stata la fine
"Cosa
stai dicendo? Io non ti tradisco proprio con nessuno!" affermai
cercando di essere convincente. Peccato che proprio in quel momento,
per quanto avessi cercato con tutte le forze di cui disponevo di non
pensarci, tutte le immagini di me e Blaine insieme mi riaffioravano
alla mente: noi due insieme, il nostro primo incontro, la cena cucinata
da lui, le prime coccole a Cooper, la nostra scommessa fatta al
tavolino del bar davanti a Santana, l'incomprensione causata da suo
fratello, la lunga chiacchierata sul suo dondolo in terrazzo,
l'ascensore, il mio compleanno, quella canzone perfetta cantata dalle
nostre voci intrecciate insieme, il braccialetto che mi
suggeriva
di avere coraggio e che portavo con orgoglio al polso, i post-it
colorati che ci lasciavamo a vicenda sulla porta, quando andavamo
troppo di fretta per bussare e salutarci, il suo sorriso caldo e
luminoso, il suo corpo nudo e perfetto steso accanto al mio, sopra e
sotto al mio, le sue mani forti e curiose, le sue labbra morbide ed
invitanti, la sua pelle bollente, il suo profumo
speziato ed avvolgente, i suoi incantevoli, profondissimi e penetranti
occhi color dell'oro...
"Non
mentire, Kurt.. Almeno su questo!" mi implorò allora alzando
le braccia al cielo. Strinsi con forza il pugno, quasi scavando il
palmo della mano con le unghia. No, non potevo. Dovevo lasciare Blaine
fuori da quella storia, protetto e al sicuro dalle cattiverie che,
David, avrebbe senza dubbio cercato di tirargli addosso. Far del male a
me andava bene ed era sufficiente. Blaine non doveva permettersi di
toccarlo.
"Te
lo ripeto, Dave: io non ti ho mai tradito! Queste sono idee malsane che
ti metti in testa tu... da solo!" provai allora, sentendomi
terribilmente esposto ed indifeso. Bastava un passo falso,
un'espressione sbagliata, e lì saltava tutto. Esattamente la
stessa situazione che si era creata quando si era presentato a
sorpresa a casa mia, la mattina in cui Blaine ancora dormiva tra le mie
lenzuola. Anche allora avevo sperato con tutto il cuore che lui ne
uscisse illeso, che lui si salvasse, che David lo risparmiasse della
sua ira. Ero io il suo obbiettivo. Blaine era troppo prezioso per
finire nella lista nera di Dave.
Blaine,
Blaine, Blaine...
"Non
sono cretino, Kurt! Me ne sono accorto che ultimamente sei
più allegro e rilassato.. e in questi quattro anni con me
non è mai successo!" mi disse infastidito, con una smorfia.
Allegro e rilassato? Era un'assurdità ridurre quello che
provavo quando stavo con Blaine a soli due vocaboli. Era
indescrivibile, punto. Bellissimo ma indescrivibile. Quella volta non
dissi niente, limitandomi a scuotere il capo e a tornarmene in cucina.
Ero esausto e affamato. Avrei messo fine a quella discussione in un
modo o nell'altro. Ero quasi arrivato alla porta della cucina, quando
lui mi bloccò di nuovo per un braccio costringendomi a
voltarmi per guardarlo. E nuovamente faceva male
"David
lasciami!" gli ordinai subito
"Non
prima che tu mi abbia detto il nome di questo stronzo che ti porti a
letto! Scommetto l'hai fatto entrare perfino qui, nel tuo appartamento
e che avete scopato nel tuo letto o magari proprio su questo divano, o
sbaglio?" era odio puro quello che mi stava tirando dietro. Odio,
rabbia, rancore, disprezzo, frustrazione. E tutto questo lo rendeva
cieco e pericoloso
"David
smettila!" ordinai ancora, cercando di essere perentorio. Peccato che
con lui fosse tutto fiato sprecato e peccato che le mani, le gambe e
perfino la voce, tremassero senza sosta.
"No,
non la smetto!" mi gridò in risposta alzando la voce e
stringendomi forte anche l'altro polso. Ero in trappola, letteralmente.
Solo, con un pazzo senza ragione, prigioniero tra le mie stesse mura.
Ad un passo dall'appartamento di Blaine.
Blaine,
Blaine, Blaine...
"Io
ti rovino, Kurt Hummel... Io sono capace di toglierti tutto quello a
cui tieni di più, a partire da quel tuo prezioso lavoro!"
sibilò a pochi centimetri dal mio viso, provocandomi la
pelle d'oca - ben lontana da essere la stessa che mi provocava Blaine
quando mi accarezzava.
Boccheggiai
impotente ma ci pensò lui a continuare
"Ti
toglierò il tuo lavoro visto che in fondo è
merito mio se lo hai ottenuto... perché, siamo sinceri... a
conti fatti.. non lo meritavi minimamente!" ma cosa stava dicendo? Era
merito suo? Di cosa parlava?
"Io
non... capisco.." balbettai confuso
"Te
lo spiego subito, Hummel! Quando ti ho conosciuto eri semplicemente un
qualsiasi tirocinante senza speranza e senza futuro. Tempo un mese e
Chang ti avrebbe cacciato per sempre. Sono stato io a chiedergli di
assumerti a tempo pieno, altrimenti a quest'ora saresti a spasso per
New
York.. o meglio.. saresti tornato nella tua insulsa Lima!"
sentenziò in tono aspro e strisciato. Da dove veniva fuori
tutta
quella cattiveria? D'accordo, non era mai stato docile né
particolarmente gentile, eppure... non lo avevo mai visto reagire
così. E poi, quella storia del mio lavoro... era vera?
Possibile
fosse arrivato a bluffare così pesantemente? Mi aveva
seriamente
raccomando a Chang ed io avevo ottenuto il posto, non perché
fossi bravo e lo avessi dunque meritato, ma perché David...
glielo aveva chiesto come favore personale?
Mi accorsi di aver smesso di respirare solo nel momento in cui il
campanello prese a suonare. Due brevi squilli e poi niente. Il silenzio
assoluto era sceso nella stanza. Io guardai la porta, sorpreso ed
avvertii la presa di David farsi più intensa attorno al mio
polso. Chiunque fosse stato a quell'ora, aveva scelto davvero un ottimo
momento per suonare. O pessimo, a seconda del punto di vista. Dalla
presa ferrea di David e dal fatto che non avesse detto niente, dedussi
immediatamente che non mi fosse concesso muovermi per aprire. Sembrava
uno di quei film d'horror, in cui la scena clou dell'omicidio del
protagonista, era fatalmente interrotta dallo squillo del telefono. Era
provvidenziale in alcuni casi. Nel mio di caso, considerando il fatto
che non ero condannato a morte certa, poteva anche essere ignorata. Se
non fosse che l'avventore misterioso si dimostrò ben presto
davvero caparbio.
Il campanello, infatti, suonò altre tre volte,
dopodiché
fu sostituito dallo sbattere di un pugno direttamente sul legno della
porta. Sembrava... agitato ed impaziente. Ma chi diavolo era?
"Kurt? Sei in casa?... Kurt?" ed eccola la voce del disturbatore
misterioso. La sua
voce.
Sgranai gli occhi quasi immediatamente, riconoscendolo. Ed
immediatamente provai due diverse sensazioni: da una parte mi sentii
pervadere da un meraviglioso sollievo, che mi fece rilassare ogni
singolo muscolo teso del corpo. Dall'altra, però, la presa
di
David mi fece ricordare di non essere solo e soprattutto di non essere
affatto nella condizioni per rispondere e farlo entrare in casa mia. E
tutto quello mi provocava soltanto un fastidioso senso di nausea.
Fastidioso ed opprimente senso di nausea.
"Ho visto la luce della cucina accesa dalla strada. Se volevi evitarmi
sei stato poco furbo Hummel, fattelo dire!" avvertii chiaramente la sua
risata attutita dallo spessore della porta blindata, ma fu ugualmente
un ulteriore sollievo per me. Come ricevere una carezza sul viso. Come
riprendere a respirare dopo ore di apnea. E senza neanche
accorgermene, riuscii ad aprirmi in un sorriso mite e dolce che
spazzò via un pò di angoscia e paura accumulate
in
quell'ultima mezz'ora di inferno. Mi
accorsi troppo tardi della cavolata appena fatta.
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci!" mormorò David in
un
quasi impercettibile sibilo, dopodiché mi scacciò
da un
lato ed avanzò a grandi passi verso la porta d'ingresso. Ed
io
iniziai seriamente a tremare di paura.
New
York City. Ore 11.45 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)
Il cipiglio che mi si era formato sul volto era degno del migliore
attore hollywoodiano. Perfino migliore di quello che avrebbe potuto
improvvisare mio fratello. Ero confuso, davvero. Eppure avevo
chiaramente
visto la luce della cucina di Kurt accesa, segno che a quell'ora fosse
ancora sveglio. E allora, perché nessuno veniva ad aprire?
L'aveva forse dimenticata accesa andando a letto? Beh, se
così
fosse stato, il mio insistente bussare lo avrebbe svegliato, no? Forse
dovevo semplicemente arrendermi, arrotolare la mia scodinzolante coda e
rifugiarmi nel mio appartamento. O avrei rischiato davvero di fare la
figura del vicino invadente ed impiccione, cascando così nel
più classico dei cliché.
Blaine, ce l'hai
presente il concetto della "porta chiusa"? Quando è
chiusa... è chiusa...
Con un sospiro rassegnato feci dietrofront e tirai fuori le chiavi di
casa dalla giacca. Ero meno stanco del solito, fortunatamente. Avevo
semplicemente bisogno di mettere qualcosa di commestibile nello
stomaco, e poi mi sarei genuinamente buttato tra le lenzuola. Tutto
questo con la chiara consapevolezza che il giorno dopo la sveglia per
me sarebbe suonata molto presto. Facendo due calcoli mentali - e ci
riuscivo perfettamente, nonostante la stanchezza che avevo addosso -
avevo a disposizione quattro ore e mezza per dormire. Se fossi riuscito
a far rientrare in un quarto d'ora la cena e una doccia veloce.
Un'impresa titanica, ma ce l'avrei fatta con il senno di poi.
E poi... domani finisce ufficialmente il mio preavviso. Da
Lunedì sono un uomo libero...
Purtroppo i miei piani vennero scombinati nel giro di pochissimi
attimi. Un istante prima ero ancora fermo davanti la mia porta, intento
a scegliere la chiave giusta da inserire nella toppa, quello dopo mi
ritrovai con la schiena premuta alla ringhiera dell'ascensore, e il
fiato caldo di un mastodontico uomo, sul collo. Mi ci volle davvero
poco
a collegare quella smorfia truce e tutti quei muscoli con David, il
ragazzo di Kurt, e mi ci volle molto meno a capire che lì,
un quarto d'ora, non mi sarebbe affatto bastato.
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Capitolo 31 *** Senza respiro ***
Soffocando (B)
BuonGiorno
miei cucciolotti... e buon giorno di aggiornamento ^^ ok, lo so siete
tutti in ansia e volete finalmente vedere se sarà il caso o
meno di uccidere questa autrice... mmmm... rimandate a dopo la
decisione, fidatevi ;) dunque... vado di fretta ma una cosa la voglio
dire... molti di voi hanno, per modo di dire, dato un pò
ragione a David e credetemi forse ci sta pure... in fondo il nostro
Kurt lo ha tradito e un tradimento non si perdona mai, io non voglio
assolutamente giustificarlo, come ho detto però provo a
comprenderlo... lui nella vita non ha mai ottenuto niente di buono e
come se già questo non bastasse gli è capitato
uno dei fidanzati peggiori della storia, che gli ha fatto perdere la
fiducia e la serenità.. si è trovato davanti
Blaine e tutto si è rivoluzionato quindi quelle due
occasioni sono... dettate dal suo istinto che torna a farsi avanti o
dalla voglia di lottare. David non gli ha mai dimostrato rispetto
quindi mi chiedo... è tanto sbagliato secondo voi che per
una volta Kurt si sia preso una piccola rivincita, togliendogli un
pò di quel rispetto che LUI, al contrario di Dave ha sempre
dimostrato, solo per provare ad essere felice? A voi l'ardua sentenza
^^ bene, ora vi lascio al capitolo... buona lettura e ci vediamo
lunedì... per quel capitolo vi dico solo una cosa: FLUFF
*____* bye bye... Vi amo <3 e scusate se non ho finito di
rispondere a tutte le recensioni... provvederò oggi in
giornata.. l'urgenza era per il capitolo ;)
p.s.
Un grazie speciale al mio Dan che mi abbandona la notte senza salutarmi
XD scherzo ovviamente :*
n.b
Pagina FB (Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New
York City. Ore 11.47 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)
La
gente è portata
a dire che, un attimo prima di morire, il condannato, veda scorrere
davanti ai propri occhi la sequenza disordinata delle immagini della
propria vita. Infanzia, adolescenza, grandi amori, infiniti sbagli,
rimorsi, rancori, respiri, sussurri, sorrisi. Io, nonostante fossi
consapevole di trovarmi in un bel guaio, l'unico pensiero coerente che
riuscii a formulare fu: diamine, avevo ragione, avevo davvero visto la
luce accesa in casa di Kurt e lui era sveglio. Certo, non era solo, ed
io in quel momento mi ritrovavo malamente sbattuto con forza contro il
metallo dell'ascensore, ma... sapere di aver avuto ragione anche su una
cosa così banale, strano a dirsi, ma fu una vera
soddisfazione.
"E quindi sei tu il fottuto bastardo che si scopa il mio ragazzo!"
ringhiò l'inquietante figura di David, a pochissimi
centimetri
dal mio viso. Fui colto solo per un istante dalla confusione. Di che
diamine stava parlando quel bestione? Poi, però, con la coda
dell'occhio vidi Kurt, pochi passi distante da noi, con lo sguardo
terrorizzato e una mano a coprirgli la bocca. E subito realizzai che
non poteva essere stato lui a dirgli una cosa del genere. Probabilmente
si trattava di supposizioni e - per quanto giuste - sarebbero rimaste
tali. Così, tirai fuori dal mio repertorio l'espressione
più innocente che potessi avere e risposi
"Non so di cosa tu stia parlando!" esclamai con
tranquillità,
cercando di non fare o dire nulla che potesse scaldarlo più
del dovuto. Peccato che fu completamente inutile. Le sue mani si
spostarono al colletto della mia camicia e tirarono, tanto che mi
ritrovai ancora più schiacciato tra il suo corpo e la
ringhiera,
che iniziava a fare davvero male
"Non dire stronzate, pezzo di merda... ci ha già pensato il
tuo
amichetto qui a rifilarmi questa versione e ormai non attacca
più!" sibilò furioso. Il mio sguardo si
spostò
immediatamente su Kurt, ancora scioccato ed immobile. Aveva gli occhi
lucidi, le guance rosse, e l'aria decisamente sconvolta. Aveva pianto,
e non ci voleva un gran genio per capire che era tutta colpa di quel
bestione attaccato alla mia camicia e che la questione andava avanti da
un bel pò. Probabilmente io, bussando con insistenza alla
porta,
avevo solo interrotto il momento più cruento. Solo allora
realizzai che, non me ne fregava niente di
cosa avrebbe fatto a me quell'ippopotamo urlante. Mi importava solo di
Kurt, soltanto di lui, che piangeva e sembrava stesse davvero
soffrendo.
Se scopro che gli hai
fatto del male, giuro che ti ammazzo con le mie mani...
Così tornai a guardare David, quella volta sfidandolo con lo
sguardo e riducendo la voce di qualche tono
"Perché invece di prendertela con me, non ti fai un esame di
coscienza, David? Perché non ti chiedi come mai sei arrivato
perfino a sospettare così pateticamente che il tuo ragazzo
possa
tradirti?" lo provocai pungente e lui difatti cedette appena, forse
perché mai si sarebbe aspettato una reazione del genere da
parte
mia
"Cosa c'è? Ti vedo un pò
spiazzato... L'insicurezza è davvero una brutta bestia, dico
bene?" e sorrisi, quasi a voler rincarare la dose. Pessima mossa,
davvero pessima. Gli ci volle relativamente poco per lasciare il
colletto della mia camicia e stringere le grandi mani attorno al mio
collo. Colto di sorpresa, sgranai gli occhi e strinsi la grata alle mie
spalle. All'improvviso mi mancò il fiato ed il coraggio
"Per l'amor del Cielo, David.. ma sei impazzito? Lascialo stare!"
gridò finalmente Kurt, scattando in avanti per bloccarlo. Ma
purtroppo non sarebbe bastata la sua forza sommata alla mia per fermare
un colosso come lui. Dovevo ricordarmi di fare sia a me che a lui i
più sinceri complimenti: ci eravamo scelti davvero un ottimo
avversario contro cui schierarci.
"Ti avverto, stronzetto... smettila di prendermi per il culo,
altrimenti qui finisce male!" ringhiò tutto rosso in volto,
come
se tra i due, quello a cui stavano stringendo le mani al collo fosse
lui. A me intanto l'aria iniziava lentamente a scarseggiare e sentivo
la sua presa farsi sempre più ferrea e le vene pulsare
frenetiche. Eppure, trovai la forza per ribattere
"Sei un fallito, David... un misero fallito!" sibilai senza fiato
né voce. La stretta aumentò come la rabbia cieca
che
sembrava guidarlo. Kurt intanto si era attaccato disperatamente al suo
braccio per farlo smettere, purtroppo inutilmente
"David, lascialo... così lo ammazzi!" gridò in
preda al
panico. Tentai un sorriso rassicurante. Se avessi avuto un briciolo di
forza in più, gli avrei detto di non preoccuparsi e che di
certo
non mi sarei fatto mettere sotto da uno così. Eppure,
iniziavo
ad avvertire chiaramente la testa girare per la mancanza d'aria e il
sangue coagulare nella trachea. Provai ad aprire la bocca per respirare
meglio, ma fu del tutto inutile. La cosa che in quel momento faceva
più male, non era tanto il fatto che stessi per soffocare
nel
vero senso della parola, ma che avessi usato la mia ultima
possibilità per parlare, e l'avessi fatto per rinfacciare a
quello stronzo quanto
lo disprezzassi. In quel momento, con il senno di poi, avrei preferito
rassicurare Kurt, che disperato e con le guance rigate dalle lacrime,
strattonava David. Io stavo per soffocare. Lui meritava di essere
protetto.
Non piangere per me,
piccolo... non farlo...
"Lascialo... lascialo... lascialo... lo vedi che non respira... ti
scongiuro... non fargli del male... ti scongiuro!" ormai le preghiere
di Kurt erano un soffice sottofondo alla mia percezione che andava pian
piano affievolendosi. Iniziavo a sentire le orecchie pulsare e la vista
cedere.
Tu guarda quante cose
succedono quando viene a mancare
l'aria nei polmoni...
Non era affatto come avevo immaginato, non era come
andare sott'acqua trattenendo il respiro. Forse era la paura a
fottermi:
in quel momento sapevo perfettamente che non sarei potuto risalire in
superficie per riprendere aria. In quel momento non ero io a decidere
della mia vita. Ed era quella la cosa più assurda di tutte.
Il
fatto che la mia intera esistenza fosse tra le mani di David, stretta
nella sua morsa d'acciaio e che io ormai non avessi più
neanche la forza per reagire e riprendermela.
Ormai non sentivo neanche più il dolore alla schiena
provocato
dalla ringhiera. Sentivo solo dei rumori ovattati e pian piano in me si
faceva strada la consapevolezza che, forse, stavo morendo. Era
così facile andarsene? Bastava davvero così poco?
Si
può davvero morire per essere andati a letto con il proprio
vicino? Si
può morire per il semplice fatto di essersi innamorati
così perdutamente di qualcuno? Ma
soprattutto... a cosa si deve pensare in certi momenti? Bisogna seguire
quello che dice la gente e mettersi a scandagliare la propria vita per
vedere se le azioni positive superano quelle negative e capire
così se aspettarsi l'inferno o il paradiso? Bisogna pregare?
Bisogna piangere? Bisogna rilassarsi, chiudere gli occhi ed aspettare
che il corpo compia dolorosamente l'ultimo respiro? Bisogna...
"Ma che cazzo fai?" una voce proveniente da chissà dove, un
punto imprecisato, forse parte della mia immaginazione, proruppe in
quel silenzio surreale e mi vidi quasi subito liberato dalla stretta
ferrea delle mani di David, per poi accasciarmi lentamente al suolo.
Aria... Aria... Aria...
Avidamente iniziai a respirare, portandomi le mani al collo dolorante
ed avvertii chiaramente il sangue confluire verso il basso. Finalmente.
Faceva male riprendere a respirare dopo tutta quell'astinenza, bruciava
la gola, i
polmoni, perfino la testa faceva male. Quasi fossi stato schiacciato da
qualcosa, piuttosto che appeso all'ascensore e quasi soffocato.
Quello che accadde dopo attorno a me, fu tutto confuso. C'era chi
gridava, chi
minacciava, chi piangeva. Io avevo solo voglia di mettere a tacere quel
dolore lancinante che sentivo stringermi la gola. Del resto, ormai, non
mi interessava più.
New
York City. Ore 00.35 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
"Tieni... bevi questo! Avrai la gola in fiamme!" mi disse Daniel
dolcemente, passandomi un bicchiere di acqua. Gli sorrisi riconoscente,
massaggiandomi il collo e poi la nuca e mandai giù in un
solo
lungo sorso tutto il contenuto. Fu sollievo puro, anche se bruciava da
impazzire.
"Gra..zie!" biascicai con la voce spezzata.
Eh no.. la voce per
favore no...
Feci un lungo respiro, dopodiché guardai il mio amico,
arrivato
provvidenzialmente a salvarmi il culo poco prima, fermo davanti alla
porta-finestra della terrazza, di spalle e con le mani nelle tasche.
Brutto segno, davvero brutto segno.
"Bas!" lo chiamai con un soffio, ma immaginai mi avesse sentito. Era un
cantante e in quanto tale possedeva un ottimo udito. Ma parve essersene
dimenticato perché mi ignorò completamente,
così
ritentai
"Sebastian!" e quella volta la voce parve tornarmi del tutto, facendomi
sospirare di sollievo. Per un attimo avevo temuto il peggio. Sebastian
sospirando si girò verso di me. Era stravolto,
letteralmente.
Aveva gli occhi stanchi, come se fosse stato costretto a guardare
qualcosa che non avrebbe voluto. E forse potevo perfino immaginarlo:
magari questa immagine riguardava il suo migliore amico, attaccato alla
grata di un ascensore, con le mani di un altro strette al collo,
paonazzo, e molto probabilmente ad un passo dal rimanerci secco. Un
brivido mi percorse per intero la schiena ma provai ad ignorarlo
"Sto bene!" mormorai allora, provando a tranquillizzarlo. Il verso
stizzito che emise mi fece capire di aver commesso un grosso sbaglio a
parlare
"Non dire puttanate, Blaine.. l'ho visto in che condizioni eri quando
siamo arrivati... non oso immaginare cosa sarebbe successo se avessimo
ritardato di un altro paio di minuti!" ringhiò frustrato,
alzando
le braccia al cielo. E mi fece stranamente tenerezza. Quello era il mio
migliore amico, il Sebastian che si preoccupava per me, che si
disperava per me, che stava perfino per mettersi a piangere per me.
Quel Sebastian che a conti fatti mi aveva salvato la vita
"Non è successo niente... sto bene adesso!" ripetei
testardo, per farlo calmare
"Niente? Quello tu lo chiami niente?" sbraitò indicando la
porta
d'ingresso, forse per riportare alla mente la scena di poco prima del
pianerottolo. Ma non ce n'era bisogno, la ricordavo perfettamente
"Blaine, quel figlio di puttana stava per ammazzarti... senza alcuna
pietà!" e lo disse con un tono stridulo, troppo vicino alle
lacrime. Daniel se ne accorse e lo raggiunse, posandogli una mano sul
braccio. Sospirai stanco: ero consapevole che mi ci era mancato poco e
che se non fossero intervenuti Sebastian e Daniel a fermarlo, a
quell'ora non sarei stato lì, seduto sul divano del mio
prezioso
appartamento a cercare di consolare il mio amico. Eppure non mi andava
di vederlo soffrire in quel modo. A conti fatti... stavo bene, era
questo quello che contava, no? Tra l'altro, David.. era perfino
scappato... terrorizzato e con la coda tra le gambe, forse
perché troppo spaventato dall'ira funesta di Sebastian - che
a
stento era stato trattenuto da Daniel, altrimenti su quel pianerottolo
ci sarebbe stata un'altra tragedia di cui parlare. E quel gesto, senza
ombra di dubbio, mi aveva confermato quanto poco coraggio avesse quel
tipo. Aveva avuto la meglio su di me soltanto perché a conti
fatti ero più piccolo fisicamente, terribilmente stanco ed
ero
stato preso nettamente alla sprovvista - e tra l'altro avevo avuto la
pessima trovata di approfittare di quel momento per sputargli in faccia
il mio rancore, istigandolo maggiormente. Quindi tutto aveva giocato
contro di me, fino a quando le cose non si erano rivoltate e David non
era rimasto solo contro tutti - uno dei quali, per mia fortuna, aveva
il pessimo vizio di scaldarsi facilmente e quel suo caratteraccio, per
una volta, mi era stato utile.
Per un istante sollevai gli occhi verso Kurt, seduto
nell'estremità opposta del grande divano ad angolo, Cooper
accoccolato ai suoi piedi, con un altro
bicchiere d'acqua sulle ginocchia ed una mano affondata con
disperazione tra i capelli. Sembrava assente, come se avessero fatto
del male anche a lui. Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato,
soprattutto perché ancora ricordavo le sue lacrime, i suoi
singhiozzi, le sue mani che cercavano in tutti i modi di bloccare David
ma soprattutto i suoi occhi pieni di terrore, terrore allo stato puro.
E sapere che ero stato in un certo senso io a causargli tutto quel
tormento... mi faceva sinceramente più male del ricordo
ancora
fresco delle mani di David sul mio collo, intente a stringere. Ma
decisi di rimandare a dopo le parole con Kurt. Avevamo qualcosa da
dirci - parecchie cose, in realtà - ma prima dovevo
risolvere la
questione con Sebastian
Riportai lo sguardo su di lui e sospirai
"Che ci facevate voi due ancora qui?" domandai posando il bicchiere
vuoto sul tavolino. Fu Daniel quella volta a rispondere
"Ce ne stavamo andando, in realtà... eravamo quasi arrivati
all'incrocio con la 14th strada quando ci siamo accorti di una cosa!"
mi disse
"Cioè?" domandai confuso. Sebastian con un sospiro si
frugò nelle tasche della giacca e dopo poco tirò
fuori
qualcosa
"Ti eri dimenticato questo nella mia macchina!" e me lo porse. Solo
afferrandolo mi resi conto che si trattava del mio cellulare. Doveva
essermi caduto dalla tasca, mentre Sebastian mi riaccompagnava a casa
dopo la serata al pub.
Feci una smorfia pensierosa e venni colto da una specie di
illuminazione: io potevo ritenermi salvo - e ancora vivo - solo ed
esclusivamente grazie... ad un cellulare? Il mio iPhone mi aveva
salvato la vita?
Senza motivo scoppiai a ridere, passandomi una mano sulla faccia
"Mmm... beato te che hai ancora voglia di farti una risata... a me al
tuo posto verrebbe da piangere!" esclamò Daniel, appena
divertito
"Oh ma lo farà, Dan, non credere... dagli solo il tempo per
metabolizzare la cosa... adesso fa così semplicemente
perché gli è mancata per troppo tempo l'aria nel
cervello... è una reazione più che normale la
sua!" ed
ecco il sano umorismo Smythe che tornava alla carica. La sua
preoccupazione era durata fin troppo
"Beh a questo punto noi andiamo così... insomma potete...
parlare e... vi lasciamo soli!" farfugliò Daniel, afferrando
la
mano del suo ragazzo e tirandolo verso l'uscita. Sebastian a
metà
strada si fermò e mi lanciò uno sguardo serio ed
eloquente. Sapeva di "Anche io e te dobbiamo parlare, lo sai..."
"A domani Bas... promesso!" lo avvertii per tranquillizzarlo,
così sospirò e si lasciò condurre da
Daniel fuori
dall'appartamento, lasciandomi finalmente solo con Kurt. O almeno, con
ciò che ne restava.
New
York City. Ore 01.00 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Era un incubo. Un assurdo ed agghiacciante incubo da cui mi sarei
svegliato da un momento all'altro. Aspettavo soltanto il suono della
sveglia, o quello del telefono, o quello del camion della spazzatura
che immancabilmente mi infastidiva alle sette in punto ogni mattina.
Tuttavia era
tutto così maledettamente reale che ormai iniziavo
seriamente a crederci.
Il rumore di una porta d'ingresso che si richiudeva con un leggero
scatto, fu come una fucilata in piena notte, e mi ritrovai a
sobbalzare, versando appena il contenuto del bicchiere che avevo in
mano, sul pavimento e in parte sulla schiena del cane, che corse via
indignato.
"Cazzo!" sbottai affrettandomi ad inginocchiarmi per tentare di
asciugare, ma venni anticipato
"Kurt!... Kurt lascia stare... non fa niente!" un paio di mani gentili
mi riportarono a sedere sul divano ed io mi lasciai guidare come un
automa. Un automa rotto. Il bicchiere che avevo in mano mi
venne
delicatamente tolto, ed il silenzio che incombeva in quella stanza era
diventato quasi assordante. Non potevo continuare a starmene zitto, non
dopo quello che era successo. Ma temevo che una singola parola,
avrebbe fatto scattare l'inferno. Quindi preferivo mordermi la lingua e
tacere
"Kurt..." un sussurro alla mia sinistra mi fece trattenere il respiro.
Quella
voce. La sua voce quella sera era ufficialmente diventata la mia
rovina. La prima volta che l'avevo sentita, attutita dallo spessore
della porta d'ingresso, mi ero ritrovato a sospirare felice e a
pentirmene soltanto qualche istante dopo. Poi l'avevo ritrovata
spavalda e carica di risentimento, rivolta verso qualcuno che non
meritava niente di tutto questo. E per un istante, in quei confusi e
caotici frammenti che ora affollavano la mia mente, mi ero ritrovato a
pensare che, due mani strette attorno alla sua gola, sarebbero state di
gran lunga peggio di una coltellata o di un colpo di pistola in pieno
petto. Perché uccidere la sua voce sarebbe stato un crimine
senza eguali.
Rendersi conto di quanta fortuna avessimo avuto - grazie all'intervento
di Sebastian e Daniel - e di quanto avremmo - avrei! - potuto perdere,
mi faceva stranamente più male di quanto avessi immaginato.
Lui,
la sua voce, la sua risata, i suoi occhi, il suo profumo, le sue mani,
il suo... tutto!
Dio Blaine.. no...
Strinsi forte gli occhi, poggiando la testa alla spalliera del divano.
Doveva finire quell'incubo, necessariamente.
"Kurt, ti supplico, di qualcosa... qualsiasi cosa, ma... fammi capire
che stai bene!" sentii ancora. Non fu tanto per le parole che
pronunciò, piuttosto per il tono con cui lo fece. Girai di
scatto la testa verso di lui, ritrovandolo al mio fianco, seduto di
lato, con le gambe incrociate sul divano, fin troppo vicino. Ma la cosa
che mi sconvolse più di tutto furono i suoi occhi: grandi e
limpidi, quasi lucidi, forse spaventati, ma senza dubbio colmi di
preoccupazione. Era per colpa mia se stava così? Si
preoccupava
davvero per me dopo quello che era successo, quello che stava per
succedere?
"Tu che chiedi a me se sto bene..." mormorai "É assurdo!"
scossi
la testa incredulo. Che strano suono aveva la mia voce in quel momento.
Sembrava lontana e assente. Quasi non fosse più mia.
"Perché?" mi chiese allora incerto, avvicinandosi
impercettibilmente, trovandosi a sfiorare il suo ginocchio con il mio
"Perché..." mi ritrovai a rispondere senza pensarci
"Perché non è giusto... perché.. non
credo di
meritarmelo... perché, non sono io quello che stava per..."
ma
mi bloccai, stringendo i pugni sulle ginocchia. No, non dovevo
pensarci. Se non lo facevo, la situazione non mi sembrava poi
così tanto grave.
Avvertii distintamente un lungo sospiro da parte sua,
dopodiché
sentii qualcosa sfiorarmi la mano. Ero talmente sovrappensiero da non
averlo neanche visto muoversi. Solo quando le sue dita si strinsero
delicatamente attorno alla mia mano, realizzai e con uno scatto quasi
violento mi sottrassi alla sua presa
"Kurt..." il suo tono era chiaramente intimorito ormai
"No!" esclamai con forza, stringendo le braccia al petto, per sfuggire
ad ogni suo tentativo di avvicinamento futuro.
"Perché non mi lasci semplicemente..."
"No, Blaine, no!" gridai allora alzandomi dal divano per combattere
l'irrefrenabile impulso di sfiorarlo ancora, anche per sbaglio. Mi
afferrai la testa tra le mani e iniziai a camminare nervosamente per il
soggiorno. Avevo un disperato bisogno di pensare, ma una paura ancora
più disperata di farlo.
"Scusa!" esclamai allora, con un soffio "Scusa... io... non avrei
dovuto alzare la voce contro di te, mi dispiace!"
"Non importa. Sei scosso, è normale che tu adesso voglia..."
"Smettila, Blaine... ti supplico... falla finita!" sbottai allora,
tornando a guardarlo. Aveva gli occhi fissi su di me, interdetto e
stanco. Sospirò ancora
"Di fare cosa?" mi domandò confuso
"Di preoccuparti per me... smettila di essere così
schifosamente
gentile... mi fai stare solo peggio, lo vuoi capire?" strillai
frustrato "Gridami addosso, piuttosto... tirami dietro qualche
soprammobile di porcellana, urlami il tuo disprezzo e la tua rabbia...
ma smettila di giustificarmi e di far finta che la vittima in questa
storia sia io, perché... Questo. Non. Mi. Aiuta!" scandii
bene
le ultime parole, mentre la voce tremava pericolosamente.
Perché
non erano ancora arrivate le grida da parte sua, gli insulti, e
perché no, i pugni? Perché nei suoi occhi non
leggevo il
disprezzo, il disgusto e la delusione? Perché non mi aveva
ancora cacciato a calci da casa sua, o denunciato per tentato..
omicidio?
Lo guardai, in attesa della sua spropositata reazione. Me la sarei
aspettata violenta, furiosa e soprattutto definitiva. Avrebbe chiuso il
suo lungo discorso di accusa con la frase "Esci fuori da casa mia e
dalla mia vita!" ed io ferito, ma soddisfatto, me ne sarei andato.
Avrei
pianto un pò - magari per tutta la notte, e le notti a
seguire -
ma poi sarebbe passato... no?
E invece come sempre, Blaine Anderson mi stupì: scosse la
testa,
si passò la lingua sul labbro superiore e si
alzò,
fronteggiandomi. Quando finalmente decise di parlare, lo fece con
lentezza e con molta tranquillità. Non come se stesse
palando
con un pazzo omicida che brandiva pericolosamente una pistola. Lo
faceva come sempre, come quando lui era Blaine ed io semplicemente Kurt.
"Kurt... ascoltami bene, perché te lo ripeterò
soltanto
una volta: quello che è successo questa sera non
è
assolutamente dipeso da te.. non è stato per colpa tua, e tu
non
avresti potuto fare nulla per impedirlo. Mi sono semplicemente messo
contro la persona sbagliata nel momento più sbagliato che
potessi scegliere e ne ho pagato le conseguenze. Ma per fortuna,
sono... non mi è accaduto niente. Sto bene e sono
preoccupato
per te... leggo il terrore nei tuoi occhi, la disperazione e non sapere
cosa fare per farteli passare... mi fa sentire inutile e.. impotente. E
sì... mi preoccupa di più sapere come stai tu, mi
preoccupa sapere se quel pazzo ti ha fatto del male, se ti ha messo le
mani addosso, se ti ha minacciato. Mi preoccupa sapere se stanotte
riuscirai a dormire e non sarai troppo scosso per farlo. Per quanto
riguarda me... mi basta essere certo di continuare a respirare per
stare tranquillo!" ed accennò un sorriso rassicurante. Mi
mancò il respiro per qualche istante mentre lo guardavo
fisso.
Il cuore aveva preso a scalpitarmi furioso nel petto e l'impulso di
buttarmi tra le sue braccia e stringerlo forte era diventato quasi
opprimente. Lo volevo. Ma non per quello che mi aveva detto. Lo volevo
e basta, a prescindere da tutto.
Ma mi trattenni, un pò per dignità, un
pò
perché saltargli addosso in quel modo mi avrebbe fatto
esporre
troppo, ed espormi troppo avrebbe significato aprire di nuovo i
rubinetti e non volevo più piangere, almeno per quella sera.
Mi
limitai ad alzare una mano verso di lui e a posarla, con tutta la
delicatezza di cui disponevo, sul suo collo. Si potevano ancora vedere
i segni rossi delle mani di David che stringevano, e stringevano, e
stringevano ancora. Glielo accarezzai lentamente, mordendomi un labbro
per trattenere un'ondata di lacrime che minacciava di salire. Dio, era
tutto così... sbagliato. Lui socchiuse gli occhi, inclinando
appena la testa per permettermi di accarezzarlo meglio. Sembrava
così indifeso tra le mie mani, che iniziavo a chiedermi come
potesse essere sembrato semplice per David fare quello che stava per
fare.
"Blaine..." sussurrai con un nodo alla gola
"Shhhh!" fece lui e con un unico fluido movimento, mi
afferrò
per i fianchi e mi strinse a sé. Mai braccia mi sembrarono
più calde ed accoglienti. Fu come essere di colpo tornato a
casa, senza alcun peso da portare sulle spalle o brutto ricordo a
perseguitarmi. C'erano soltanto Blaine e Kurt, due ragazzi che avevano
avuto la fortuna di capitare nello stesso palazzo, sullo stesso
pianerottolo, ai quali il destino sembrava aver giocato uno scherzo
ancora più grande, facendoli avvicinare pericolosamente ed
affezionare in maniera così profonda. Mi rendevo
perfettamente
conto che non potevo più permettermi di perderlo. Non sapevo
con
esattezza che nome avesse quel sentimento tanto forte che sembrava
legarmi a Blaine, ma qualsiasi cosa fosse stata, se solo David
avesse davvero portato a termine ciò che sembrava
intenzionato a
fare, non avrebbe ucciso soltanto Blaine... avrebbe inevitabilmente
ucciso
anche me.
Con questa consapevolezza mi strinsi di più a lui,
nascondendo
la testa nell'incavo del suo collo, strofinandoci prima il naso e poi
le labbra, come a cercare di alleviargli il dolore. La sua mano prese
ad accarezzarmi la schiena ad un ritmo lento e rilassante, mentre il
suo respiro mi cullava come una ninnananna
"Resta con me stanotte, Kurt... non te ne andare!" mi
sussurrò
all'orecchio facendomi rabbrividire. Premetti con maggior forza le
labbra sulla sua pelle, in risposta e rimanemmo così,
immobili
in quel soggiorno, a godere ognuno della semplice presenza dell'altro,
come unica ancora di salvezza in quello schifo di mondo.
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Capitolo 32 *** Le Emozioni di una Notte ***
Buon
Lunedì a tutti... dunque, dopo due dei capitoli
più intensi della storia, questa volta ci tocca un
capitolo.. decisamente diverso, ma pur sempre molto intenso.. come ho
già annunciato è carico di fluff, tanto che sono
certa farete fatica ad arrivare alla fine ^^ (perfino io ho fatto
taaaanta fatica!) Dunque.. per quanto riguarda David, diciamo che lui
è fortunatamente uscito dalla vita di Kurt anche se, la
vendetta arriverà state tranquilli e abbiate solo un
pò di fede ;) per quanto riguarda questo capitolo... spero
vi piaccia, anche perché credo sia importante, soprattutto
per quanto riguarda il nostro piccolo Kurt. Un
avviso importante.. ad un certo punto della storia sarà
necessario aprire un link, che ho messo nel testo, per ascoltare una
traccia audio... vi prego fatelo, fatelo e continuate a leggere con
quel sottofondo.. (Ovviamente per non perdere la pagina della storia, cliccate con il pulsante destro sul link e premete su, apri il una nuova pagina, altrimenti non potete continuare a leggere!) vi assicuro che ne varrà la pena
(ve lo dice una che ha pianto come una ragazzina
ç___ç) è davvero importante altrimenti
non insisterei. Bene ora vado, buona lettura e.. ci vediamo
Giovedì. Un bacio a tutti, angeli miei. Vi amo con tutto il
cuore <3
p.s.
Questo capitolo pieno di fluff lo devo necessariamente dedicare al mio
adorato Dan che oggi aveva un paio di cose da affrontare.. io sono
convinta andranno entrambe per il verso giusto, anche
perché.. credo in te, sweety :* Love you!
n.b Pagina Facebook (
Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New York City. Ore
02.34 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Capitava a
volte, durante la notte, che mi ritrovassi a rotolare da una
parte all'altra del letto: magari mi addormentavo dal lato sinistro e
mi risvegliavo su quello destro o addirittura ai piedi del letto con
tutte le coperte arrotolate attorno. E in fondo era proprio questo il
bello del vivere da soli ed avere a disposizione due piazze tutte per
me. Non trovare nessun limite, nessun impedimento per i movimenti e
soprattutto nessuno che mi strattonava durante la notte per rubarmi le
lenzuola.
Eppure,
quando in quel momento, mi risvegliai di soprassalto, mi resi
conto che qualcosa, in quel letto, mancava davvero. Era tutto troppo
vuoto e freddo ed io mi sentivo stranamente inquieto. Così
abbandonai il cuscino per tirarmi su e raggiunsi il salotto,
completamente immerso nel buio e nel silenzio. Soltanto le luci lontane
provenienti dalla città lo illuminavano leggermente, creando
un
bellissimo gioco di luci ed ombre che mi sarei volentieri messo a
contemplare, se solo non fossero state le due e mezza di notte e non
avessi altri pensieri urgenti per la testa da risolvere. Come avevo
immaginato, seduto sul divano bianco, con le ginocchia strette al petto
ed il mento poggiato su esse, c'era Kurt.
Aveva lo sguardo perso in
chissà quale mondo, lontano dalla realtà e non
sembrò affatto accorgersi della mia presenza, per questo mi
concessi qualche istante per poterlo osservare attentamente. Era
bellissimo anche con quel piccolo broncio tormentato sul viso, sembrava
ugualmente un angelo cristallino e leggero fatto di chissà
quale
sostanza inafferrabile. Eppure io ci ero riuscito.. avevo stretto a me
quel magnifico corpo più di una volta e ancora faticavo a
trovare le parole adatte per descrivere cosa esattamente avessi provato
in quelle rare ma preziosissime occasioni. Ero diventato una specie di
privilegiato.
E sapevo benissimo di non meritarlo affatto. Fu Cooper - il cane quella
volta - ad interrompere quel momento di soffice stasi, alzando la
testolina dal divano, di fianco a Kurt, ed abbaiando leggermente nella
mia direzione. Così anche lui si girò e, dopo un
primo
momento di leggera confusione, parve ricordarsi di qualcosa e mi
sorrise di conseguenza. Ed io, forse per il freddo o molto
più
probabilmente perché ancora non ero abituato all'effetto che
poteva avere quel semplice gesto su di me, mi ritrovai a tremare appena.
"Ehi..."
mormorò poggiando il mento sulla sua stessa spalla.
Io,
finalmente, riprendendomi dal solito panico iniziale, risposi al
sorriso e mi avvicinai al divano
"Non riesci a dormire?" gli domandai, sedendomi al suo fianco. Lui fece
una smorfia
"Tutto il contrario... ho un sonno tremendo, ma... ho paura di chiudere
gli occhi e.. ritrovarmi ancora la stessa scena davanti... ritrovare
ancora David che ti stringe le mani al collo e... ritrovarmi di nuovo
immobile ed impotente!" mormorò in un leggero sussurro,
spostando di nuovo gli occhi sul paesaggio esterno e sospirando. Stava
ancora male, si vedeva chiaramente... d'altronde non avevo di certo
creduto di risolvere tutta la sua angoscia così,
semplicemente
con un abbraccio. Avevo immaginato che sarebbe stato difficile aiutarlo
a riprendersi dopo uno shock del genere, ma il semplice fatto che, in
quel momento, avesse deciso di parlarne e di mettere da parte il
mutismo forzato... mi sembrava un netto miglioramento.
"Mmmm... questo è proprio quello che temevo." mormorai io,
con
una mezza smorfia, ricordando esattamente la paura che avevo espresso a
voce appena un'oretta prima, in quello stesso salotto. E quella paura
si era appena materializzata, davanti ai miei stessi occhi. Lui
tornò a guardarmi e per un istante mi sentii come trapassato
da
parte a parte dall'intensità dei suoi occhi chiari... ed era
come se, nei miei occhi, cercasse risposte a delle domande inespresse
"É colpa di questa maledetta voragine che mi si è
aperta
nel petto e che continua a bruciare." spiegò scuotendo la
testa,
quasi non riuscisse più a controllare neanche quello. La mia
reazione fu più o meno la stessa: anche io avvertii qualcosa
crepare all'interno del petto, più o meno all'altezza del
cuore
e bruciare intensamente. Era una specie di tormento profondo, una sorta
di amara consapevolezza... io dovevo
fare qualcosa per Kurt, dovevo provare a liberarlo da quella sensazione
attanagliante che gli impediva perfino di chiudere gli occhi, dovevo
aiutarlo a rialzarsi, a guarire, a ritrovare la forza, il...
coraggio... quello stesso coraggio che sembrava aver recuperato dopo
chissà quanto tempo la sera del suo compleanno, dovevo
provare
a ridargli il sorriso, perché Kurt senza sorriso
perdeva
ogni bellezza ed ogni significato.. ed io senza il sorriso di Kurt, ero
davvero niente.
Così, lanciando un'occhiata pensierosa verso la parete alla
mia
destra, mi venne un'idea e sperai che, per quanto folle e azzardata e
assurdamente illogica potesse essere, riuscisse a restituirmi almeno in
parte, il mio meraviglioso Kurt, il ragazzo di cui mi ero innamorato.
"Aspetta... forse ce l'ho un modo per farti tranquillizzare un
pò..." esclamai, rivolgendogli un sorriso e ritrovandomi
stranamente ad arrossire. Lui curioso, piegò la testa di lato
"Sarebbe?" domandò in un sussurro soffice. Mi alzai in piedi
e gli tesi la mano, in trepidante attesa del suo tocco
"Ti fidi di me?" gli chiesi, in una richiesta quasi disperata, mentre
all'interno del mio stomaco si agitavano le più disparate
sensazioni. Era ansia, mista a paura, mista all'attesa. Era senza
dubbio un mix altamente tossico. Lui, però,
riuscì a
trovare l'antidoto in brevissimo tempo, limitandosi a stringermi la
mano e a rivolgermi uno dei sorrisi più dolci e coinvolgenti
che
avessi mai visto.
"Sì..." e fu solo un breve soffio, ma per me valse
più di
mille parole dette ad alta voce. Fu la conferma che aspettavo, fu la
medicina che riuscì a sciogliere il nodo che avevo allo
stomaco
e riuscì perfino a sanare quella ferita che mi pulsava nel
petto. Lui si fidava di me. E a me veniva quasi da piangere.
Lo condussi, premurandomi di stringergli forte la mano, fino alla
tastiera elettrica e lo feci sedere sulla piccola panca imbottita che
c'era davanti, per poi sedermi al suo fianco
Esattamente come durante
Perfect...
"Blaine... sono le due di notte! Se ti metti a suonare ora,
verrà giù tutto il palazzo." esclamò
divertito,
facendo ridere anche me. Ci mancavano solo i reclami da parte degli
altri condomini. Già mi ero meravigliato che dell'accesa
discussione tra David e Sebastian nessuno avesse avuto niente da
ridire... disturbare anche il loro sonno mi sembrava quanto meno
eccessivo. Così mi sporsi di lato, verso la scrivania e
recuperai le cuffie. Gli sorrisi, infilandogliele con molta delicatezza
- e lui mi fece fare, senza dire niente, semplicemente guardandomi e
continuando a sorridere - e, infilando lo spinotto nella tastiera
esclamai
"Magia!" si sentì un piccolo clic, segno che le cuffie erano
ufficialmente collegate e Kurt era appena stato isolato dal resto del
mondo, ma... non da me. Avevo in mente un ottimo modo per tenermelo
ancorato al mio fianco, per più tempo possibile. Lui
continuava
a guardarmi, come rapito, e fu disarmante scoprire quanta reale fiducia
potessi ritrovare i quei due occhi chiari. Era come se mi stesse
affidando tutto se stesso ed io per un istante mi sentii mancare il
fiato. Lui si stava lasciando andare, lasciava anche per un solo
istante, la sua preziosa vita nelle mie mani ed io iniziavo seriamente
ad aver paura di non essere all'altezza. Perché io di
cazzate
nella mia vita ne avevo fatte tante, tutte più o meno gravi,
e
mi faceva male anche solo pensare di poter rovinare qualcosa di
così puro e prezioso come lui. Non sapevo come dirgli grazie
e
come dimostrargli quanto quella sua fiducia facesse effetto su di me e
forse non avrei mai trovato le giuste parole per farglielo capire.
Forse perché, per un momento del genere, le parole
semplicemente
non servivano. Servivano i fatti... servivano... i sentimenti.
E così gli sorrisi ancora - non riuscendo a fare altro - e
sporsi appena la testa verso di lui, dato che eravamo davvero
vicinissimi, fino a sfiorare delicatamente le sue labbra in un tocco
così soffice da essere quasi inesistente, per poi mormorare,
a
quella distanza
"Chiudi gli occhi!" e lui, per la seconda volta, mi dimostrò
qualcosa di inspiegabile, qualcosa che andava a di là di
ogni
pensiero lontanamente logico e coerente, perché mi
dimostrò ancora la sua fiducia, chiudendo gli occhi e
regalandomi un altro sorriso spontaneo. Ed io, di conseguenza, sentii
di essermi innamorato di lui, appena un pò di
più.
Presi un profondo respiro, dopodiché poggiai le mani sui
tasti.
Avevo le dita intorpidite, che tremavano e facevano ancora leggermente
male. Le avevo strette troppo a lungo a quella maledetta grata mentre
perdevo il respiro tra la stretta di David, e forse era davvero troppo
presto o troppo stupido, sperare di poter chiedere loro uno sforzo del
genere, dopo tutto quello. Ma dovevo provarci, lo dovevo fare per
Kurt... e forse un pò anche per me.
La musica ha il potere
di curare e fare stare bene... devo solo trovare il coraggio di
iniziare...
E il coraggio arrivò proprio nella maniera più
inaspettata. Kurt, ancora prima che io iniziassi a suonare,
scivolò appena al mio fianco, fino a poggiare la testa sulla
mia
spalla e lì, a pochissimi centimetri dal mio collo, si
lasciò
scappare un sospiro. E fu proprio quello a darmi la forza per mettere
da parte la paura, il tremolio alle mani e perfino il dolore e iniziare
la mia melodia.
New York City. Ore
02.45 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Quando, nel
cuore della
notte, mi ero svegliato ed ero sgattaiolato delicatamente fuori dalle
coperte, tutto avrei immaginato di fare tranne ritrovarmi, appena venti
minuti dopo, seduto su uno sgabello, con delle cuffie enormi in testa e
in attesa di qualcosa che a quanto pareva, aspettava solo di essere
prodotto dalle mani di Blaine. Ed era buffo perché,
nonostante
non avessi la minima idea di quello che sarebbe successo da
lì a
breve, sapevo perfettamente che, qualsiasi cosa avesse fatto, Blaine
sarebbe stato incredibile, come sempre. Incredibile come era stato
nell'affrontare quella furia di David, incredibile come era stato nel
calmare Sebastian, incredibile come era stato come me. Quella sera,
dopo avermi chiesto di rimanere a dormire con lui e di non andarmene,
io non ero riuscito neanche a rispondergli. Forse perché non
esistevano parole adatte per esprimere cosa in quel momento avessi
provato e forse perché un banale sì avrebbe
sminuito
tutto. Mi era semplicemente sembrato giusto tacere e lasciarmi andare
al calore del suo abbraccio perché d'altronde quello,
sembrava
aver deciso per entrambi.
Mi aveva guidato fino in camera da letto, come la prima volta che
avevamo fatto l'amore, e senza dire una sola parola, ci eravamo
spogliati dei vestiti - lui mi aveva perfino prestato un pigiama,
che... cazzo... profumava di lui - e ci eravamo infilati sotto le
coperte. Non seppi dire con precisione chi dei due si era avvicinato
prima all'altro, solo che, pochi istanti dopo, ci eravamo ritrovati
praticamente incollati, lui con le braccia a stringermi le spalle ed io
a respirare direttamente sulla sua pelle del collo. Ed era
meraviglioso... confortante e appagante, una delle migliori sensazioni
mai provate. C'era il calore, c'era la tenerezza e c'era un
pò
di quella tranquillità che mi era tanto mancata in quegli
anni
ma che con lui sembrava sempre presente. Blaine era la mia isola
felice, la mia aurea di protezione, il mio porto sicuro e tranquillo,
la barriera che protegge dalla bufera del mare aperto... Blaine
rappresentava tutto quello che dalla vita avevo sempre sperato di
avere, ma non avevo mai osato chiedere.
Solo che, meno di un'ora dopo, mi ero risvegliato di soprassalto
proprio perché un'improvvisa presenza oscura si era
intrufolata
nel mio armonico sogno, mi aveva strappato con forza dalla stretta di
Blaine e sembrava perfino intenzionata a portarlo via, lontano da me.
Ed era stato allora che avevo aperto gli occhi, spaventato e con il
panico che scorreva veloce sottopelle, ed ero riuscito a calmarmi solo
quando al mio fianco avevo visto lui, con i ricci in disordine e
l'espressione beata di chi sa di trovarsi perfettamente al sicuro. E
lui, infatti, ormai era al sicuro... lontano da David e dalla sua
rabbia repressa e dai suoi modi violenti del cazzo. Dio, quanto aveva
rischiato per colpa mia e quanto rischiava ancora standomi accanto. Io
non ero certo di quali sentimenti provassi nei suoi confronti ma...
sapevo che erano forti e che ogni giorno sembravano intensificarsi in
maniera esponenziale. Avevo già detto di non riuscire
più
a concepire la mia vita senza di lui.. forse questo, per il momento,
sarebbe bastato per spiegare cosa esattamente provassi.
Con un nodo alla gola, avevo allontanato il suo braccio e mi ero alzato
dal letto e, facendo molta attenzione, ero andato in salotto, rimanendo
perfettamente immerso nell'oscurità della notte che, in quel
momento, sembrava avere qualcosa di stranamente confortante. Forse
perché al buio le lacrime non si vedono, o forse
perché
le persone non vengono quasi uccise, o forse... forse era quello che mi
serviva... punto e basta. Così mi ero seduto accanto a
Cooper -
che stranamente non ci aveva raggiunti nel letto quella sera - e mi ero
perso nei miei pensieri, nei miei stessi incubi ad occhi aperti, nei
miei demoni persecutori che minacciavano ancora di tornare. E mi persi
talmente tanto che mi accorsi di essere osservato solo quando il cane
abbaiò piano per avvisarmi. Vederlo in piedi in quel
salotto,
con gli occhi incredibilmente stanchi e l'espressione preoccupata, mi
aveva fatto incrinare qualcosa dentro. Si era sentito un leggero trac,
e poi più niente. Avevo accantonato la sensazione solo
perché immediatamente lui era riuscito a sostituirla con il
sollievo della sua vicinanza. Non seppi come ma, ad una sua domanda, mi
ritrovai a buttare fuori tutto, per la prima volta, senza opporre
resistenza, senza chiudermi a riccio, senza indossare la mia solita
maschera. Perché con lui quel tipo di stratagemmi non
servivano.. iniziavo seriamente a dubitare che a Blaine Anderson
sarebbe andata bene una risposta di circostanza per una domanda
specifica. Se lui chiedeva come mi sentissi... voleva saperlo davvero e
pretendeva di farlo senza mezze misure. Io dovevo solo farci
l'abitudine e accettare un gesto tanto semplice quanto sincero.
E poi era arrivata la proposta.. mi aveva chiesto di fidarmi
perché lui forse avrebbe trovato un modo perfetto per
tranquillizzarmi ed io, senza sapere né come né
perché mi ero ritrovato con il cuore in gola, sospeso a
mezz'aria e con un leggero sbattere di ali nello stomaco, a seguirlo
fino alla tastiera, a sedermi al suo fianco, ad indossare le cuffie, a
poggiare la testa sulla sua spalla, a chiudere gli occhi e a sospirare.
E ad attendere.... qualcosa. Come era successo la sera del mio
compleanno, ero in fibrillazione, perché oltre a non sapere
cosa
aspettarmi da lui, non sapevo neppure cosa aspettarmi da me. Ero
diventato imprevedibile per quanto riguardava le reazioni a caldo. Ma
forse era normale così... avevo soppresso le emozioni per
troppo
tempo e ormai, avendo trovato il modo migliore per fare confluire
all'esterno ed aver constatato che quello che provavo, mi piaceva
molto... non riuscivo più a smettere. E a pensarci bene, il
novanta per cento delle nuove e meravigliose emozioni provate in
quell'ultimo periodo, era dipeso esclusivamente da Blaine.
All'improvviso, proprio mentre iniziavo a chiedermi cosa stesse
combinando in tutto quel tempo e perché non si decidesse ad
iniziare, qualcosa accadde. Lui iniziò a suonare: (Cliccami)
fu qualcosa di
estremamente lento e scandito, all'apparenza con note molto semplici ma
fin da subito ci fu qualcosa... qualcosa di armonico ed etereo. Sentii
immediatamente una stretta allo stomaco e fui quasi tentato di riaprire
gli occhi e chiedergli di fermarsi, chiedergli perché avesse
scelto di suonare quella melodia così intensa,
così piena
e soffice e perché avesse scelto di farlo proprio in quel
momento, quando io mi sentivo così dannatamente esposto.
Eppure
non ci riuscii, sentii il respiro tremare, ma non feci nulla. Presi un
profondo respiro, mentre la musica si alzava appena e diventava
più veloce, restando ugualmente limpida e profonda. C'era
qualcosa in quelle note, che andava al di là della semplice
esecuzione ordinaria... era come se fossero direttamente le emozioni a
premere sui tasti, come se le mani di Blaine fossero semplicemente
succubi di qualcosa di ben più grande e potente. A mano a
mano
che la melodia andava avanti ed iniziava i primi giochi armonici, i
primi giri, le prime evoluzioni io sentii qualcosa di intenso ed
avvolgente stringermi la bocca dello stomaco ed il cuore rallentare
dolcemente i battiti, quasi avesse capito di non dover disturbare e
avesse deciso di farsi da parte per permettere alla musica di battere
al posto suo.
Mi ritrovai, senza neanche accorgermene, a piangere silenziosamente
sulla sua spalla e a stringere forte un labbro tra i denti
perché in quella melodia, così dolce e sentita
c'erano
tutte le emozioni che provavo, anche quelle che sembravano non avere un
nome, tutto quello che provava lui, tutto quello che ci aveva uniti fin
dal primo momento ed era tutto lì, a portata di mano...
bastava
soltanto allungarsi un pò per afferrarlo. C'era il primo
sguardo
che ci eravamo scambiati di sfuggita nell'androne del palazzo, c'era la
prima parola che ci eravamo rivolti, il primo sorriso sincero, il primo
tocco, il primo sentimento nato forse inaspettatamente ma ancora vivido
e pulsante da qualche parte nel mio corpo, la prima tiepida voglia di
qualcosa di più, la prima paura di perdere tutto e quella
meravigliosa ed inspiegabile sensazione di sicurezza e pienezza
assoluta che avevo già provato durante Perfect, oppure
mentre
indossavo il suo braccialetto e che continuavo a provare anche mentre
lui suonava.
Ogni nota, ogni singolo suono prodotto da quei tasti e da quelle
meravigliose mani sembrò avere un senso, tutto
sembrò
improvvisamente acquistare un nuovo significato, perfino la mia
presenza lì in quella casa, soprattutto quella sensazione
ancora
sconosciuta ma piacevolmente confortante che avvertivo riscaldarmi il
cuore. E fu proprio mentre le lacrime mi scivolavano via dalle guance e
sparivano inghiottite dal tessuto della sua maglia, che capii e riuscii
finalmente a dare un nome a tutto: era amore, era amore quello che
provavo, era amore allo stato puro, era amore sincero ed
incondizionato, era amore all'ennesima potenza, era... semplicemente amore.
Io mi ero innamorato di Blaine e lo avevo fatto nella maniera
più profonda e sconvolgente, lo avevo fatto senza neanche
accorgermene, senza neanche volerlo. Io e lui ci eravamo legati in
maniera fin troppo intensa e l'unico epilogo possibile era esattamente
quello più bello, dolce e maledettamente giusto. Ed era
strano
rendersene conto solo in quel momento perché, pensandoci,
pensando a lui e a quanto avesse fatto per me, a quanto mi avesse dato
senza riserve né pentimenti, a quanto fossi esposto e
meravigliosamente succube della sua presenza... beh, era quasi assurdo
non averci fatto caso prima. Ed ecco perché mi ero sentito
tanto
male mentre David tentava con la forza di portarmelo via, di strapparlo
via dalla mia vita, di cancellarlo. Io senza Blaine non ero niente,
perché niente era la mia vita prima di lui, niente era la
mia
vita senza il suo sorriso, o i suoi occhi dorati, o il suo abbraccio
profumato, o la sua presenza silenziosa, consapevole e confortante. Io
senza Blaine non era nessuno... e ad essere nessuno, non si impara
nulla. Io invece con lui avevo imparato davvero tanto, anche in un solo
misero mese. Avevo imparato ad avere fiducia negli altri, avevo
imparato a capire a chi potessi affidarmi e a chi no, avevo imparato a
lasciarmi andare, a cercare sempre il meglio e a non aver paura di
essere felice. Ed era stato lui ad insegnarmi tutto quello, con
sincerità, con la sua semplice forza d'animo, con la sua
trasparenza, la sua lealtà e la sua straordinaria dolcezza
che
ancora una volta, veniva fuori, attraverso quella melodia. Ogni nota,
che lentamente si dirigeva verso la fine, rallentando ancora il ritmo,
andò a sistemarsi perfettamente nella mia mente, incidendosi
a
fuoco, contornando quasi la scritta Courage che già era
lì, e quello stesso coraggio mi diede la forza di sorridere,
sorridere nonostante le lacrime non cessassero di cadere, nonostante io
mi sentissi ancora stravolto da tutto quello che stavo vivendo. Era una
ninnananna, una perfetta ed avvolgente ninnananna ed io mi sentivo
cullato e protetto. E sentivo anche che, tenere ancora gli occhi
chiusi, aiutasse ad avvertire e a vivere tutto in maniera amplificata.
Purtroppo la canzone finì, decisamente troppo presto ed io
mi
ritrovai a trattenere il respiro: avrei dovuto riaprire gli occhi e
fare i conti con la realtà, con quella stessa
realtà che
comprendeva il ragazzo che mi ero accorto di amare e che mi aveva
appena regalato una delle emozioni più belle che potessi mai
sperare di provare. E forse fu proprio quello, la consapevolezza che ad
attendermi ci sarebbe stato lui e lui soltanto, a permettermi di
compiere quel gesto tanto difficile e contemporaneamente a riuscire a
renderlo la cosa più semplice del mondo. Vidi ovviamente
tutto
appannato per colpa delle lacrime, ma me ne liberai all'istante con un
gesto della mano. Nettamente più difficile fu sollevare la
testa, abbandonando il giaciglio comodo della sua spalla per poterlo
finalmente guardare negli occhi ma, non appena mi sentii in grado di
farlo e riuscii finalmente a scorgere cosa fosse impresso nel suo
sguardo dorato, mi sentii mancare: si era commosso anche lui e, seppure
non stesse piangendo, era comunque chiaramente provato. I nostri occhi
si fusero, come era normale che fosse, e la stretta che avvertivo allo
stomaco aumentò appena, mentre mi rendevo vagamente conto di
quanto, quella semi-oscurità, lo rendesse ancora
più bello del
solito e di quanto io
fossi stato
fortunato ad
averlo incontrato. E di conseguenza, sentii
di essermi innamorato di lui, appena un pò di
più. Le sue
labbra si stirarono in un sorriso mite, appena un pò
tremante e
alla fine fu proprio lui a fare la prima mossa, interrompendo quel
silenzio surreale. Mi tolse delicatamente le cuffie dalle orecchie e le
poggiò sulla tastiera, dopodiché, prendendo un
profondo
respiro, parlò
"Allora... va un pò meglio?" la sua voce, la sua
meravigliosa
voce era senza dubbio l'unica cosa al mondo per la quale sarei morto
volentieri e l'unica cosa al mondo con la quale
avrei interrotto
senza problemi quel momento. Soltanto lui avrebbe potuto farlo. Nessun
altro.
"Dio.... Blaine è.... stato..." ingoiai a vuoto, mentre la
voce
mi si affievoliva, incrinata sensibilmente da tutta una serie di
emozioni indescrivibili a parole, ma che si affollavano nel mio
stomaco, sgomitando con le farfalle. Ma alla fine, dopo un sospiro
tremante riuscii a tirare fuori qualcosa di sensato "Da togliere il
fiato!" mormorai infatti, sciogliendomi letteralmente in un sorriso
spontaneo e commosso, che mi inumidì nuovamente gli occhi.
Quella volta, però, sentivo che, se mi fossi messo a
piangere
davanti a lui, non me ne sarei affatto vergognato. Doveva vedere
chiaramente quali emozioni era riuscito a suscitare in me e se per
farlo avessi dovuto tirare di nuovo fuori le lacrime, beh... per Blaine
Anderson l'avrei fatto. Lui sembrò sinceramente contento per
quello che gli avevo appena detto, ma non aggiunse altro. Si
limitò a sorridere e ad abbassare per un istante gli occhi.
In
quel momento avrei dato tutto quello che avevo per leggergli nella
mente e capire a cosa stesse pensando perché, nonostante
avesse
distolto lo sguardo, lo vidi chiaramente arrossire e quel
gesto mi
strinse teneramente il cuore. Così, senza riuscire
più a
sopportare di rimanermene fermo, gli portai una mano sotto il mente e
lo costrinsi a sollevare gli occhi e a posarli di nuovo su di me,
esattamente dove volevo che fossero e dove sperai vivamente rimanessero
per molto tempo ancora. Con la punta delle dita gli accarezzai una
guancia, risalendo prima lungo la mascella - appena contratta - e poi
più su, dove un leggero strato di barba mi
solleticò
appena. Ed era tutto così silenzioso e intenso e carico di
emozioni che per un istante mi ritrovai a sperare che tutto fosse
andato diversamente, che tutto avesse preso una piega diversa.
"Perché è andata così?
Perché non ti ho
incontrato prima? Perché... quattro anni fa... non sei stato
tu?" domandai, più che altro a me stesso, in una nota appena
disperata. Lui in un primo momento non capì,
piegò
infatti la testa di lato e si fece uscire una piccola ruga in mezzo
alla fronte, ma alla fine, sembrò fare due più
due
perché spalancò appena gli occhi ed
espirò
lentamente
"C'è
sempre un
motivo per tutto. Io evidentemente in quel momento non ero il tuo!"
mormorò con le labbra appena tremanti e si concesse un
sorriso
stanco verso la fine che mi spinse a dire qualcosa di estremamente
importante... qualcosa che spingeva inevitabilmente per uscire e che
non riuscii - o forse semplicemente non volli - trattenere
"Ma lo sei
ora." gli
dissi in un sussurro, stringendogli i capelli sulla nuca ed
avvicinandogli la testa alla mia, fino a far toccare le nostre fronti.
Non era di certo una dichiarazione di amore, sarebbe stato troppo
presto dirglielo già in quel momento, dato che io stesso lo
avevo appena realizzato. Però era qualcosa di ugualmente
importante: era Kurt che diceva a Blaine di essere pronto per mettersi
in gioco, per lottare per qualsiasi cosa stesse crescendo a dismisura
tra di noi, e quella volta sul serio. Niente e nessuno mi avrebbe
fermato quella volta, nessuna paura, nessuna insicurezza, nessun
fottuto fidanzato quasi assassino lo avrebbe fatto. Volevo vivermi
Blaine e desideravo farlo da quel preciso momento in poi.
"Se tu
vuoi....
sì... posso esserlo ora." rispose in un soffio, spostandosi
appena, quanto bastò per lasciarmi un piccolo e soffice
bacio su
uno zigomo. Aveva detto di sì... era intenzionato a
provarci, a
lottare e a proteggere quel sentimento insieme a me. Lo aveva detto
davvero ed era sincero. Non potevo crederci... era come se mi avesse
appena messo a disposizione il suo mondo e tutto sé stesso e
lo
avesse fatto senza neanche pensarci. Quindi... lo voleva anche lui?
Cosa diavolo era successo nel frattempo? Da quando esattamente la vita
aveva iniziato a sorridermi e cosa avevo fatto per meritarmi un tale
regalo da quella stessa vita che mai, prima di allora, mi aveva donato
qualcosa? Probabilmente Blaine rappresentava tutto ciò che
non
avevo mai avuto, accumulato in quei lunghi anni e ora servito su un
piatto d'argento. Perché si sa... dopo la discesa si deve,
per
forza, risalire. E Blaine era su in cima, con le braccia aperte ed il
suo sorriso mozzafiato, in attesa del mio arrivo.
"Se solo
penso a cosa avrei perso se David ti avesse..." ma lui mi
bloccò, mettendomi un dito sulle labbra
"Shhh...
basta! Non
parliamone più." disse scuotendo la testa e fece scivolare
il
dito lentamente lungo il contorno della mia bocca, stringendo appena
gli occhi e facendomi arrossire. Cielo, i suoi occhi in quel momento.
Erano luminosi e grandi e colorati di qualcosa che ormai avevo imparato
a conoscere bene, che era tanto vicino al desiderio da fare quasi
paura. Avvertii un fremito, provenire dal basso e raggiungere ogni
terminazione nervosa. Il mio corpo era vigile e attento e riceveva
ognuno dei messaggi che il corpo di Blaine inviava. A quella distanza
poi, eravamo quasi diventati una cosa sola. Ed io avevo sempre
più paura di fargli male, anche semplicemente respirando
"Non
riesco...
è... è più forte di me... è
un pensiero che
mi distrugge!" mormorai con la voce ancora leggermente instabile. Erano
le emozioni a controllarmi e ne ero quasi completamente sopraffatto. Mi
sentivo ancora una volta succube della sua presenza, eppure in tutto
quello non riuscivo a trovarci nulla di sbagliato. Al contrario... per
la prima volta nella mia vita sentivo di essere nel luogo giusto al
momento giusto e con la persona giusta. Perché ero io, prima
di
tutto, ad essere giusto.
"E allora
vediamo se
riesco a fartelo dimenticare io." fece lui con un mezzo sorriso
malizioso e si avvicinò di nuovo a me, quella volta posando
le
labbra sulle mie e premendo piano
"Dimenticato?"
chiese in un soffio, scostandosi appena ed io mi ritrovai a sorridere e
a volerne immediatamente di più
"Non
proprio.." borbottai
infatti e lui tornò a baciarmi, appena più a
lungo,
sempre incredibilmente soffice ma decisamente più intenso
"E adesso?"
e si stava divertendo anche lui, decisamente
"Non
completamente." ma, di sicuro, ci stavamo prendendo gusto entrambi. E
quella volta il
bacio fu completamente diverso. Fu un perdersi, un cercarsi e un
ritrovarsi insieme, fu un miscuglio di labbra che sembravano legate, e
lingue che danzavano in sincrono e respiri fusi in un unico respiro. Fu
perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Fu cercare
disperatamente un appiglio. E soprattutto fu ritrovare la giusta
collocazione nel mondo. E tutto, in quel mondo, aveva il sapore di
Blaine
"Ora?" mi
sfidò
con un sorriso, mentre la sua mano mi percorreva lentamente il collo
fino alla spalla e lì rimaneva ancorata. Mi
scappò di
nuovo da ridere, perché sembrava aver preso seriamente
quella
missione, quasi fosse di vitale importanza
"Blaine...
ti
toccherà consumarmi prima di riuscire nell'impresa!" lo
ammonì divertito, colpendolo con una piccola spallata e
facendolo ridacchiare. Il suono della sua risata, dopo quello della sua
musica, era in assoluto la melodia più sconvolgente di
tutte.
Sollevò un sopracciglio con una piccola smorfia canzonatoria
"E sarebbe una prospettiva tanto terribile?" domandò
leccandosi
palesemente il labbro superiore, tanto per provocarmi ancora un
pò. Come se non fossi già in una pessima
condizione.
Ridacchiai, scuotendo appena la testa e pensando che, ad una sensazione
tanto rilassante come quella, difficilmente mi sarei abituato.
"Direi di no!" confermai, rubandogli un altro bacio e un pò
di
quel sorriso buono che gli aveva illuminato lo sguardo, sperando che,
così facendo, sarebbe rimasto meglio impresso nella mia
mente.
Mi girai appena con il busto fino a che non riuscii ad avvolgergli le
spalle in un abbraccio e nascosi immediatamente la faccia nel suo
collo, con delicatezza, perché immaginavo fosse ancora rosso
e
dolorante.
"Grazie!" mi uscì dalle labbra, senza che potessi fermarlo,
e
subito mi sentii bene, perché era esattamente ciò
che
volevo dire
"Smettila di ringraziarmi, Kurt.. non ne hai motivo."
mormorò
lui, lasciandomi un leggero bacio sulla tempia e stringendomi a sua
volta.
La mia isola
felice, la mia aurea di protezione, il mio porto sicuro e tranquillo,
la barriera che protegge dalla bufera del mare aperto... Il mio dolce e bellissimo
Blaine...
Rimanemmo in quella posizione talmente tanto a lungo che per un momento
credetti di essermi di nuovo addormentato. Mi sentivo bene, ero
circondato dalle sue braccia e schiacciato contro il suo corpo caldo...
cos'altro bisognava ottenere prima di varcare le porte del Paradiso?
Poi ad un tratto la sua voce tornò a farsi sentire,
carezzevole
come sempre
"Torniamo a letto?" mi domandò e si intuiva dal tono che
tirò fuori quanto fosse stanco e quanto bisogno avesse di
dormire, almeno un pò prima di andare a lavoro. Lui doveva
svegliarsi alle quattro e seppure quella fosse la sua ultima volta,
doveva comunque compiere il sacrificio. Lo avevo tenuto io sveglio fino
a quell'ora, era colpa mia se era andato a dormire tardi e se un
bestione alto il doppio lo aveva quasi ucciso - e nel pensare di nuovo
a quella scena, mi sentii mancare e lo strinsi appena un pò
più forte - e se fosse stato necessario, lo avrei portato in
braccio fino in camera, gli avrei rimboccato le coperte ed avrei
vegliato sul suo sonno, per tutto il resto della sua notte.
"D'accordo." mi allontanai da lui, mantenendo il contatto visivo -
potente come al solito - e subito cercai la sua mano per stringerla
forte e insieme ci alzammo dallo sgabello, abbandonando la sua tastiera
e quel piccolo angolo di paradiso che ci eravamo creati, che lui aveva
creato appositamente per me e che insieme avevamo riempito di baci e
abbracci e speranze e sospiri e forse un pò anche di amore.
Mi fa ancora un certo
effetto associare a me quella parola... io non sono affatto abituato...
Lentamente, come se stessimo fluttuando su una nuvola, ci dirigemmo
verso il corridoio, in direzione del letto, ma venni colto da un
pensiero,
così mi bloccai, trattenendo anche lui
"Mmm.. Blaine?"
"Sì?" mi guardò curioso, in attesa. Io mi girai
verso il divano e sorrisi
"Possiamo portare anche lui?" indicai il piccolo Cooper, stretto nel
suo stesso calore, che ci guardava di sottecchi, quasi aspettasse
qualcosa da noi. Blaine al mio fianco ridacchiò
"É ancora troppo piccolo per essere usato come cane da
guardia!"
mormorò stringendomi appena la mano. Ridacchiai anche io,
lanciandogli un'occhiata a metà strada tra la supplica e la
sfida
"Ma è della giusta taglia per fare il cane da coccole." gli
feci
notare, sollevando un sopracciglio, per sottolineare l'eloquenza della
cosa. Rise di gusto, decisamente intenerito, per poi alternare per
qualche secondo lo sguardo tra me e il cane. Probabilmente Cooper aveva
capito che stavamo parlando di lui, perché si
stiracchiò
e si sedette, sbattendo la codina, in maniera impaziente. E alla fine,
con un sospiro, arrivò il verdetto del padrone
"E coccole siano allora!" esclamò sorridendo ad entrambi,
mentre
dalla gola mi saliva un mezzo urletto di gioia, che provai a mascherare
con una risata. Blaine mi sorrise ancora, con più
intensità - Dio, le fossette! - dopodiché si
allontanò per avvicinarsi al cane e prenderlo in braccio
"Vieni
qui, campione... sei desiderato in cassa!" e Cooper abbaiò,
quasi per ringraziarlo. Quel cane era stato estremamente discreto. La
prima volta che mi ero fermato in quell'appartamento, se n'era rimasto
sul
divano a dormire per tutta la notte, quando invece era stato ospite
assieme al suo padrone, nel mio, ci aveva raggiunti solo quando ormai
avevamo finito di fare quello che stavamo facendo e si era giustamente
unito per combattere la solitudine. Quella sera invece, per ironia
della sorte, eravamo stati noi a cercare lui, addirittura. Forse lo
stavamo
viziando o forse... in un certo senso anche lui meritava un
pò
di sano affetto, soprattutto perché, senza volerlo, sembrava
averci unito almeno un pò, nel suo piccolo e buffo e peloso
modo
di fare.
Così ci ritrovammo a letto, ancora una volta, con Cooper
steso
sulla mia pancia, rilassato e con gli occhi chiusi, mentre io mi
preoccupavo di accarezzargli per intero la schiena morbida. Lui
intanto, forse molto prossimo a riaddormentarsi di nuovo, emetteva ogni
tanto qualche leggero guaito, che somigliava vagamente al verso dei
gatti che fanno le fusa. Solo molto più leggero
"Ma guardalo... che razza di cane ingrato! Sembra sia affezionato
più a te che a me." si lamentò Blaine,
stendendosi su un
fianco e sbuffando. Quel suo broncio tenero mi fece ridacchiare. Cooper
era un pò il suo bambino, quindi lui era... un
papà
geloso che non vorrebbe mai dividere le sue attenzioni con altre
persone. Ed io in quella situazione cos'ero? Un intruso? La mamma di
Cooper e la moglie di Blaine?
Oh Santissimo...
"Non è vero... ti adora! E lo sai." lo ammonii con
un'occhiata,
mentre tentavo in tutti i modi di reprimere quello sciocco pensiero che
stava lentamente prendendo piede nella mia mente. Era matematico
ormai.. se lasciavo la mia immaginazione libera di vagare per conto
proprio, succedevano cose inenarrabili. E molto, molto imbarazzanti.
Soprattutto alle mie povere guance
"Peccato che non lo dimostri affatto!" sbuffò ancora e
chiuse
gli occhi, fintamente offeso. In quel momento accadde una cosa strana:
Cooper aprì gli occhi all'improvviso e mi guardò
ed
insieme ci girammo verso Blaine che fingeva di dormire. Si era offeso,
per caso?
Con un sorriso divertito sulle labbra, afferrai il cane e lo avvicinai
al viso di Blaine fino a che Cooper non parve capire la sua missione e
tirò fuori la lingua, per leccargli una guancia. Blaine
sorrise
spontaneamente, senza aprire gli occhi
"Mmmm... e questo cos'è? Il bacio della buonanotte?"
domandò piacevolmente sorpreso e dalla sua troppa
tranquillità, immaginai non avesse affatto collegato quel
gesto,
al suo cucciolo peloso. Così mi morsi con forza un labbro
per
trattenere le risate, ma alla fine riuscii a mormorare
"Una specie!" Cooper intanto aveva ripreso la sua opera, quella volta
passando a leccargli la punta del naso e finalmente, con quello, Blaine
parve realizzare
"Hai l'alito che sa di croccantini!" esclamò con una
smorfia. Io
non riuscii più a trattenermi, e scoppiai a ridere, una
risata
liberatoria e sentita che, a pensarci, stonava molto con lo stato
d'animo con cui mi ero svegliato poco prima e che ormai era solo un
lontano e vaghissimo ricordo
"E sei pieno di peli." aggiunse allungando, sempre con gli occhi
chiusi, una mano sulla testa di Cooper
"Mi sarò dimenticato di fare la barba stamattina." mormorai
divertito, mentre il povero cucciolo si liberava della mia presa e
tentava di scappare, ma Blaine fu più veloce
perché
riuscì ad acchiapparlo e se lo portò sul petto
"Fammi controllare meglio!" esclamò iniziando a
punzecchiarlo
giocosamente, riempendo la stanza della sua risata e riscaldandomi di
conseguenza lo stomaco ed il cuore. Ma Cooper non parve apprezzare allo
stesso modo, perché gli sbuffò in faccia e
saltò
giù dal letto, abbaiando, quasi offeso
"É anche permaloso! Questo l'hai sicuramente preso da
Sebastian!" gli gridò dietro e il cane rispose con un
lamento,
che fece ridere entrambi. Peccato fosse andato via... mi sarebbe
davvero servito continuare a stringerlo e coccolarlo ancora un
pò, ma d'altronde, pensandoci bene, avevo qualcun altro che
meritava attenzioni maggiori in quel letto. Così mi girai a
guardare Blaine che, con un piccolo sorriso mite sul volto, si
sentì attratto dal mio sguardo e si girò a sua
volta. E
fu strano perché, con lo sguardo che ci scambiammo, entrambi
riuscimmo a capire esattamente cosa l'altro stesse dicendo, quasi ormai
non avessimo più bisogno delle parole e fossimo entrambi
collegati su una dimensione a parte, in cui per comunicare bastava
soltanto il semplice guardarsi. Era disarmante... non mi era mai
successo con nessuno. Forse per la prima volta... neanche con mio
padre. Ci ritrovammo ancora estremamente vicini, ad un respiro di
distanza, ad avvicinarci ancora e ancora e ancora e a bramare
nuovamente quel morbido contatto che fino a quel momento ci aveva
riservato soltanto belle sensazioni. Quelle labbra sarebbero state la
mia rovina. La mia dolce, delicata e sensuale rovina. Ma quella volta
non riuscii ad arrivare a destinazione, perché qualcosa -
quello
che io stesso, poco prima, avevo indicato come l'essere più
discreto dell'intero universo - decise di irrompere proprio sul
più bello: Cooper, infatti, saltò di nuovo sul
letto,
arrampicandosi sulle mie gambe ed abbaiando insistentemente, quasi mi
chiedesse di dedicargli attenzione e di smetterla di perdere tempo con
Blaine. Quest'ultimo provò a scacciarlo via ma fu inutile,
tanto
che arrivò a borbottare qualcosa come "Tutti i difetti
peggiori
li stai prendendo dalla persona sbagliata. Da domani non gli faccio
più mettere piede in questo appartamento!" sbuffando ed
affondando la faccia nel cuscino. Il cane soddisfatto si
accoccolò nuovamente sul mio stomaco ed accettò
di buon
grado le mie carezze. Facevano tenerezza, entrambi. Ma dovevo ammettere
di aver provato un leggero disappunto nei confronti del più
piccolo: aveva interrotto il mio bacio con Blaine e questo, neanche ad
un musetto tanto dolce, poteva essere perdonato. Ma lasciai correre,
sapendo e, necessariamente, sperando, di avere tanto tempo e molte
altre
occasioni per potermi rifare.
"Aehm... Kurt?" mi sentii chiamare qualche istante dopo e dovetti
riaprire gli occhi che avevo momentaneamente chiuso
"Sì?"
"Senti mi chiedevo se... tu... sì insomma.. se tu avessi per
caso ritrovato un paio di... boxer.. a casa tua!" lo vidi arrossire
appena e stringere con forza un angolo del cuscino. Aggrottai la
fronte, non capendo dove volesse arrivare
"Boxer? Intendi..." e poi, come un fulmine, all'improvviso
arrivò la risposta. Io e lui nel mio appartamento, vestiti
sparsi ovunque, la fretta di scappare via dalla presenza inaspettata e
sbagliata di David e, forse, l'inevitabile dimenticanza da parte sua
"Oh!" mormorai, arrossendo a mia volta. Dannazione, avevo un paio di
boxer di Blaine nel mio appartamento - nella mia camera da letto - e
non me ne ero neanche accorto? Ma che razza di idiota! Dove avevo la
testa? Dopo aver ospitato un essere tanto meraviglioso nel mio letto,
come minimo avrei dovuto controllare che non si fosse lasciato dietro
qualche pezzo, qualche piuma delle sue ali, qualche ricciolo, qualche
indumento... un paio di mutande magari.
"Già!" accennò un sorriso imbarazzato che fece
fare una
piccola giravolta al mio povero stomaco, già
sottosopra
"N-no... cioè, non ho visto, ma posso.. controllare!"
lo rassicurai con mezzo sorriso e in quel momento il suo imbarazzo
sommato al mio fece scattare qualcosa, perché ci ritrovammo
a
ridere entrambi, come due idioti.
Due idioti felici...
"Grazie!
Sono i
miei preferiti, altrimenti non te li chiederei." mormorò
avvicinandosi appena e sfiorandomi una gamba con la sua. Volevo di
più, lo volevo il più vicino possibile a
me,
così da poterlo stringere di nuovo ed accertarmi di non
farmelo
scappare un'altra volta per colpa di un'ombra malefica ed aggressiva. E
quella volta non aspettai che fosse lui a fare la prima mossa, ma mi
feci avanti, stando attento a non svegliare il cane, allungando un
braccio e avvolgendoglielo attorno alle spalle per poi avvicinarlo a
me, fino a fargli posare la testa sulla mia spalla e lì mi
concessi di stringerlo, più forte che potevo. Lo sentii
sospirare e sistemarsi meglio addosso a me. Il calore che emanava il
suo corpo, il suo odore, e la piena consapevolezza della sua presenza,
mi fecero quasi piangere ancora, ma riuscii a trattenermi, liberando
quelle emozioni con un semplice mormorio soddisfatto e beato.
Il mio dolce e
bellissimo Blaine...
|
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Capitolo 33 *** Direttamente proporzionale ***
Salve
a tutti e buona festa di Ognisanti ^^ dunque, lo scorso capitolo,
contro ogni previsione ha fatto delle vittime *__* davvero non so come
ringraziarvi, non immaginavo potessi raccogliere questo affetto, ne
sono davvero contenta ^^ In effetti Blaine ha sorpreso un pò
tutti e finalmente anche il piccolo Kurt ha tirato fuori dal cuoricino
i suoi sentimenti *me sospira beata*... dunque cosa dire di questo
capitolo? Che, come vi ho anticipato ieri nello spoiler, si rallenta un
pò, perché ne avevamo tutti un pò
bisogno dopo gli ultimi tre capitoli così carichi (io
soprattutto ne avevo bisogno!) però spero di non deludervi
troppo, in realtà lo avevo concepito in maniera del tutto
diversa, poi non so esattamente cosa sia successo ed è
venuto fuori così.. ma dicono che chi si accontenta gode,
quindi ^^ vi auguro una buona lettura e ci vediamo Lunedì
con l'aggiornamento. Un bacio grande a tutti, angioletti miei <3
p.s.
Daaaaan... hai visto che ci sei anche tu oggi??? *___*
n.b.
Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
New York City.
Ore 06.15 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Avevo le sue chiavi. Le chiavi del suo appartamento. L'appartamento di
Blaine. Me le aveva lasciate lui, prima di andare al forno e qualche
ora dopo, risvegliandomi, le avevo trovate sul comodino con un post-it,
meravigliosamente fucsia, poggiato vicino, che diceva:
*Buongiorno dolce
Kurt... l'omino del
pane va a concludere la sua esperienza lavorativa, con un bel sorriso
rilassato sul volto, nonostante abbia un sonno indescrivibile :) Queste
che vedi sono le chiavi di casa... usale come meglio credi e... beh, mi
piacerebbe ritrovarti ancora qui tornando, ma.. decidi tu, io intanto
te le lascio, a tua discrezione ;) A dopo. Un bacio. B.*
Mi ero ritrovato senza respiro già alle otto del mattino e
ringraziai il fatto che fossi solo in quella casa - nonostante il cane,
che, ahimé, russava di nuovo! - perché mi
ritrovai di
nuovo a piangere senza accorgermene minimamente. Con quale speranza
sarei sopravvissuto a tutto quello? Come potevo passare in maniera
così improvvisa dall'inferno più totale,
all'ingresso del
Paradiso dei miei sogni, senza la minima preparazione? Doveva per forza
esserci qualcosa di intermedio, altrimenti difficilmente sarei riuscito
a rimanere in vita. Certo che.. se Blaine avesse continuato a
sorprendermi con gesti di quella portata emotiva... di Kurt Hummel
sarebbe rimasto relativamente poco.
E che bel modo sarebbe
questo per andarsene...
A malincuore avevo abbandonato il calore delle coperte - che ancora
più del pigiama, profumavano incredibilmente di Blaine - e
mi
ero rivestito con calma. Non avevo la minima voglia di andare in
ufficio, soprattutto dopo le minacce di David. Non avevo intenzione di
affrontare il signor Chang e il suo ipotetico cambiamento quella
mattina, non dopo tutte quelle emozioni, non dopo quella notte e
soprattutto non dopo un post-it del genere. Così avevo
chiamato
Cinthya, la segretaria scheletrica di Chang e mi ero inventato un
raffreddore micidiale che mi teneva legato a letto per tutta la
giornata. E a fanculo tutto. Avrei affrontato quel problema con calma,
Lunedì mattina. Non mi sentivo affatto come se stessi
scappando.
Semplicemente mi ritagliavo i miei sacrosanti spazi vitali, mi godevo
un pò di tranquillità e provavo ad immaginare
quanto
sarebbe stato bello essere in quell'appartamento all'arrivo di Blaine.
E infatti, dopo essere tornato a casa mia, essermi fatto una lunga
doccia, essermi cambiato ed aver messo nello stomaco qualcosa - la
pizza della sera prima, nello specifico, fredda e quasi di pietra - mi
ero diretto di nuovo nel suo appartamento. Mentre ero sul pianerottolo,
però, mi ero ricordato di una cosa, ed ero tornato indietro,
avevo raggiunto la mia camera da letto e, con una smorfia pensierosa,
mi ero messo a cercare i suoi boxer scomparsi. Glieli avevo sfilati io,
ne ero più che sicuro - e dannazione, ogni volta che ci
pensavo
non potevo fare a meno di arrossire - quindi dovevano essere per forza
lì, da qualche parte. Provai immediatamente a controllare
sotto
il letto, ma fatta eccezione per un pò di polvere ed un
invito
ad una mostra fotografica ormai scaduto, non trovai nulla. Provai
dietro ai comodini, sotto il tappeto, dietro lo specchio.. fino a che,
colto da una mezza illuminazione, non mi ricordai di aver fatto partire
la lavatrice il giorno prima e di aver raccolto degli indumenti a caso
proprio da quella stanza. E se le sue mutande fossero capitate proprio
lì in mezzo? Corsi in bagno a controllare nel cestello e
difatti.. eccole lì. Erano ancora umide e di certo non
gliele
avrei potute riconsegnare in quello stato, così mi
preoccupai di
stendergliele al sole, così magari più tardi le
avrei
potute recuperare e restituirgliele. Intanto, quei meravigliosi boxer,
sarebbero rimasti ancora un pò sotto il mio tetto.
Tornando poi nel suo appartamento, mi era sembrato particolarmente
strano vederlo così vuoto e
così silenzioso. Anche la sera in cui io e lui avevamo
parlato
sul dondolo in terrazzo e lui poco dopo era scappato a chiarire con il
fratello, mi aveva fatto la stessa impressione: quella casa senza
Blaine perdeva ogni fascino, così come il mondo intero.
Blaine
era come una fonte di luce, portava calore ed illuminava e senza ombra
di dubbio, rimaneva il miglior punto di riferimento in assoluto.
Come un faro nella
notte...
Avevo rifatto il letto, avevo sistemato ordinatamente i suoi vestiti su
una sedia in camera, avevo dato da mangiare al piccolo Cooper ed avevo
perfino cercato qualcosa in cucina per
mettere su una specie di cena, ma alla fine avevo rinunciato. Io e i
fornelli non andavamo minimamente d'accordo, quindi magari mi sarei
limitato a prenotare in qualche ristorante d'asporto, far consegnare
tutto a casa e poi spacciarlo per opera mia. Lui non mi avrebbe
creduto, ma.. tanto valeva provare. Così avevo chiamato ad
un
buon ristorante italiano - sperando che apprezzasse quel tipo di cucina
- ed avevo ordinato per due, dando l'indirizzo, ed avevo atteso,
preparando intanto il tavolo, ovviamente sul terrazzo. Al suo ritorno
sarebbe stato senza dubbio stanco e affamato così ci avrei
pensato io a coccolarlo un pò, avremmo mangiato e poi magari
insieme saremmo andati al pub per concludere la serata. Poi, tornati a
casa, avremmo...
Il campanello suonò all'improvviso, con insistenza e mi
chiesi chi potesse
essere a quell'ora. Era troppo presto perché fosse il
ragazzo
delle consegne e Blaine aveva almeno altri venti minuti prima di
tornare a casa - visto i suoi soliti orari - così con una
certa
diffidenza andai alla porta. Prima di aprire però,
controllai
dallo spioncino. L'esperienza insegna, dicono. E, appena scioccato, mi
ritrovai a spalancare la porta
"Oh... hai visto, cucciolo? I nostri sospetti erano fondati.. il
randagio è ancora qui!"
New
York City. Ore 06.49 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Io e le armi di persuasione eravamo una cosa sola. Ormai ero diventato
talmente tanto bravo a fingermi malato o a rigirarmi il povero Puck tra
le mani, che era stato un vero gioco da ragazzi fargli credere che
fossi vittima di un terribile mal di testa e che per quella sera
proprio
non riuscissi a raggiungerlo al pub. Lui non mi era sembrato neanche
troppo dispiaciuto. Avrebbe proposto una serata Karaoke e tutto si
sarebbe risolto.
D'accordo, avevo bellamente mentito al mio capo e, a parte un
pò
di stanchezza generale, ero perfettamente in salute. Ma lo avevo fatto
per un valido motivo. Avevo bisogno di passare la serata con Kurt, in
tranquillità, magari a mangiare qualcosa assieme, a guardare
un
film o a... beh sì insomma, avevo voglia di lui, punto e
basta.
Dovevo vergognarmene per caso?
E poi, pensandoci, avevamo anche qualcosa da festeggiare: io ero
ufficialmente un uomo libero, i miei due lavori stancanti erano
terminati e da lì in poi iniziava una lunga serie di
giornate
dedicate alla mia primaria passione - la musica - passate magari in sua
compagnia. Personalmente speravo proprio che avesse accettato di
buongrado la mia proposta scritta sul post-it. Morivo dalla voglia di
tornare a casa, trovare tutte le luci accese e magari lui ad
attendermi, seduto sul divano, con un bel sorriso sul volto. Io mi
sarei avvicinato a lui, gli avrei circondato il viso con le mani e ci
saremmo baciati a lungo, avremmo mandato al diavolo la cena e il film e
saremmo
passati direttamente in camera da letto. Tutto questo nel minor tempo
possibile.
Ed era per questo motivo che, sulla mia moto, mi ero ritrovato ad
accelerare più del solito, ignorando perfino il rosso palese
di
un semaforo, perché era talmente tanto forte la voglia e il
bisogno che avevo di lui, da non riuscire più ad aspettare.
Avevo parcheggiato sotto casa, e quasi saltellando avevo salito le
scale fino al quarto piano e, preparando uno dei miei migliori sorrisi,
avevo finalmente aperto la porta. La scena che mi si parò
davanti, non fu esattamente ciò che mi sarei aspettato di
vedere: le luci erano effettivamente accese e Kurt c'era davvero seduto
su quel divano, ma, ahimé non era solo
"Ed ecco il maritino che torna da lavoro, tutto stanco e affamato!"
esclamò Sebastian alzando un braccio per indicarmi e
contemporaneamente aprirsi in un sorriso tremendo, uno di quelli
più fastidiosi mentre Daniel, seduto, neanche a dirlo, al
suo
fianco, mi salutò con la mano.
Ed
io, nello stesso istante, persi tutto il mio entusiasmo.
"E voi due che cazzo ci fate qui?" sbottai, richiudendo la porta con un
tonfo sordo, fregandomene delle solite cortesie per gli ospiti. Quei
due avevano scelto il momento peggiore per decidere di farmi una
visita. Sebastian fece una smorfia
"Che modi sono? I tuoi carissimi amici ti vengono a trovare e tu... li
tratti in questo modo?" scosse la testa con disappunto,
dopodiché indicò Kurt, che arrossì
appena "Meno
male che qui c'è qualcuno più educato di te, a
quanto
pare!" e mostrò un bicchiere d'acqua che probabilmente Kurt
gli
aveva dato. Ringhiai, cercando di fare meno rumore possibile, per poi
liberarmi della sacca, e di tutto quello che avevo in tasca, ed
avvicinarmi al divano
"Vedrò di essere più educato da adesso in poi..."
iniziai
con calma, affiancando Sebastian e guardandolo male "Saresti
così gentile da spiegarmi per quale assurdo motivo tu e il
tuo
ragazzo siete seduti sul mio divano e state, ci scommetto, importunando
il mio vicino?" accennai un sorriso infastidito, cercando di esprimere
tutto il mio disappunto a Sebastian con un semplice sguardo. Se quello
spilungone aveva imparato a conoscermi almeno un pò in
quegli
anni, sapeva quanto in quel momento fossi incazzato.
"Oh... non mi stanno importunando.. stai tranquillo!" intervenne Kurt,
appena divertito. Alzai lo sguardo su di lui e, per la prima volta da
quando avevo varcato quella soglia, mi ritrovai a sospirare di gioia.
Perché lui era lì, con degli abiti diversi
addosso -
segno che fosse tornato a casa sua per cambiarsi - ed era rimasto, da
me e per me. E quindi, tutta la mia speranza aveva avuto il giusto
esito. Peccato che, invece di essere in direzione della camera da
letto, fossimo ancora in salotto, in compagnia di Sebastian e Daniel
"Noi e Kurt ci stavamo semplicemente.. intrattenendo!"
esclamò
il primo, con mezzo sorriso malizioso, decisamente poco raccomandabile,
che mi fece grugnire infastidito
"Ci scommetto.." borbottai, mentre Sebastian si mordeva un labbro, per
trattenere una risata. Me l'avrebbe pagata.. nella maniera
più
dolorosa possibile.
"E poi ci sembrava quantomeno doveroso conoscere un pò
meglio
Kurt, dato che ora voi due.." fu Daniel a parlare, ma riuscii per
fortuna a fermarlo in tempo - l'avrebbe pagata anche lui a tempo debito
- sovrapponendomi a lui, mentre mi sentivo arrossire a dismisura. Sia
per la frustrazione che per l'imbarazzo
"Bastian... potresti venire un attimo di là? Dovrei dirti
urgentemente due paroline." feci verso il mio amico - ex amico! - che
continuava a ridersela allegramente sotto ai baffi. Lui si strinse
nelle spalle
"Sicuro!" e si alzò, seguendomi fino in cucina. Qui, lontani
dalle orecchie di Daniel ma soprattutto di Kurt, smisi di trattenermi
"Che cazzo hai intenzione di fare?" lo aggredii subito, ringhiando
appena. Lui sollevò un sopracciglio sorpreso, ma alla fine
liquidò la cosa con una smorfia
"Niente...
visita
di cortesia!" biascicò con mezzo sorriso, cosa che mi fece
ancora più irritare. Se si era preso la briga di venire fin
lì, dubitavo fortemente fosse solo quello il motivo
"Beh avresti dovuto chiamare... non ho tempo da dedicarvi ora... sono
tornato per... starmene un pò in pace, con Kurt. Da soli
possibilmente!" specificai, lanciando un'occhiata verso il salotto,
dove Daniel e Kurt se la ridevano per qualcosa. Dannazione, avevo
lasciato il povero ed innocente Kurt nelle grinfie della moglie del mio
amico, alias la seconda peggiore catastrofe del mondo. Subito dopo
Sebastian. Dovevo liberarlo al più presto.
"É che non sono abituato al fatto che, da adesso, anche tu
abbia
una vita privata." si giustificò lui con velata malizia e fu
il
mio turno per sollevare un sopracciglio. Mi stava prendendo per il culo
per caso?
"Bene... ora che hai capito, gradirei che uscissi fuori da qui." gli
afferrai un braccio e cercai di spingerlo via, sperando che
così
facendo cogliesse l'urgenza e la mia impellente necessità.
Ma
ovviamente...
"Non posso!" esclamò, facendo resistenza
"Prego?"
"Sono venuto per parlarti di una cosa e non me ne andrò
finché non mi avrai ascoltato." disse, facendosi
estremamente
serio. Per un attimo quella sua espressione mi lasciò
decisamente basito. Che diavolo stava dicendo? E cosa aveva di tanto
importante, e soprattutto urgente, da dirmi?
"Al diavolo.. me la dirai lunedì mattina!" sentenziai,
scuotendo la testa e provando nuovamente a spingerlo via
"No! Devo dirtela ora!" cocciuto come un mulo
"Sebastian!" ma io non ero da meno
"Blaine!"
"Vattene!" se non se ne fosse andato via con le buone, lo avrei
cacciato fuori a calci. Al diavolo tutti e dieci gli anni della nostra
amicizia. Era una questione di principio quella e di rispetto. Io i
limiti della sua privacy non li avevo mai superati e come minimo
pretendevo che anche lui iniziasse a fare lo stesso.
"Ti ho detto di no!" insistette, assottigliando lo sguardo e perdendo
ogni traccia di ilarità. Ahia. Sebastian incazzato non mi
era
mai piaciuto. Faceva una certa paura, in effetti
"Vattene!" ritentai, cercando di suonare quanto più
supplicante
e pietoso possibile. Sperai che nel cuore gli fosse rimasto un briciolo
di umanità e che comprendesse le mie ragioni. In
fondo... anche lui amava qualcuno.
"No! Devi darmi retta... anzi, tu e il tuo ragazzo dovete farlo." ed
indicò il salotto, dove Daniel e Kurt continuavano
tranquillamente a parlare. Per poco non mi venne un colpo nel sentire
quella parola
"Lui non..." mi bloccai, passandomi stancamente una mano sulla faccia.
Quella notte avevo dormito sì e no un'ora scarsa e la
giornata
era stata, come al solito, lunga e faticosa. Non volevo litigare con
Sebastian, volevo semplicemente che lui e Daniel se ne andassero e mi
lasciassero libero di godermi un pò il mio appartamento, il
mio
cane e il mio.. Kurt. Non mi sembrava di chiedere poi tanto.
"Quanto tempo ci vuole?" gli domandai con un sospiro, accasciandomi al
tavolo
"Poco.. se solo tu la smettessi di fare il dodicenne in calore e mi
lasciassi parlare. Avrai tutta la notte per dedicarti a quel bel
faccino laggiù!" e con un accenno di sorriso
indicò di
nuovo il salotto, dal quale provenne chiaro l'abbaiare di Cooper e le
risate di Daniel e Kurt.
"Questi non sono affari tuoi!" borbottai, infastidito
"Oh, credimi, B... la carica erotica che aleggia tra te e lui farebbe
arrossire anche il migliore attore porno in circolazione. Quindi.. non
vergognarti. Piuttosto.. vanne fiero!" e mi diede una pacca sulla
spalla, ignorando il leggero rossore che mi era spuntato sulle guance e
tornando in salotto.
Non vergognarti...
piuttosto... vanne fiero!...
Scossi la testa, rassegnato, dopodiché raggiunsi gli altri.
Andai a sedermi sul divano, accanto a Kurt e, dopo avergli rivolto un
mezzo sorriso, tornai ad occuparmi di Sebastian
"Dunque... parla pure... siamo tutti orecchi!" acconsentii finalmente e
lui, abbandonando il sorriso, si fece stranamente professionale.
Cercò qualcosa nella sua giacca, per poi allungarmi un
foglio
ripiegato
"Questo è per te!" mi informò. Confuso, scrutai
il foglio per
qualche istante, prima di decidermi ad aprirlo. E quello che vi trovai
scritto, non mi piacque per niente
- Magistratura dello Stato di New York.
Numero Protocollo Provvedimento 23149.
Denuncia per aggressione a carico di David Jeremy Karofsky ai danni di
Blaine Michael Anderson. Il sopracitato Karofsky, in data 13 Aprile 2012, si
è reso colpevole di una violenta aggressione fisica nei
confronti della
vittima appena menzionata. La presente vale come esplicita richiesta a
procedere giudiziariamente verso... -
"Che cazzo sarebbe questo?" sventolai il foglio, particolarmente
seccato, mentre avvertivo una sempre più crescente forma di
fastidio invadermi lo stomaco.
"Non sai neanche più leggere? É una denuncia per
quell'animale che l'altra sera ti ha.." ma non lo feci neanche finire
"Questo l'ho capito!" esclamai duro, meravigliandomi di quanta crudezza
mi fossi fatto scappare, tanto da far sorprendere perfino lo stesso
Sebastian "Vorrei capire chi esattamente ti ha dato il permesso di
farlo?"
"Non pensavo mi servisse il permesso per procedere contro lo stronzo
che ti ha quasi ucciso." fece lui in risposta, stringendo appena gli
occhi. Scattai in piedi, come punto sul vivo, perché, tutto
mi
sarei aspettato, tranne quello
"Cazzo, Sebastian... te l'ho già detto ieri sera... Io. Sto.
Bene... non serve che ti preoccupi per me e non serve... questa
denuncia!" lanciai il foglio sopra il divano, perché ne ero
disgustato, semplicemente disgustato dall'idea e dal fatto che il mio
migliore amico si fosse azzardato a compiere un gesto del genere, senza
neppure consultarmi.
"Se non mi fossi preoccupato per te ieri sera, tu a quest'ora saresti
morto!" sbottò lui, indignato
"E cosa vorresti adesso... che ti ringraziassi?" domandai
"Certo che no! Non me ne faccio nulla dei tuoi grazie. Voglio solo
che ti calmi e che firmi quella denuncia... così
Lunedì potrò consegnarla in tribunale e..." e
ancora una
volta lo bloccai
"No!" sentenziai crudo e secco. Decisamente Sebastian stava superando
il limite. Il mio limite
"Prego?"
"Ti ho detto di no. Io non ho intenzione di firmarti proprio nulla."
dissi. Mi sentivo ribollire il sangue nelle vene per la rabbia.
"Non fare il ragazzino, Blaine." mi ammonì, indurendosi a
sua
volta e guardandomi davvero male. Stava per arrabbiarsi nuovamente?
Fanculo! Era una questione di principio quella! Non si sarebbe dovuto
permettere di fare una cosa del genere senza prima averne parlato con
me. Riguardava la mia aggressione, la mia vita, e soltanto
perché lui si fosse disturbato a salvarmi, questo non gli
dava
alcun diritto di decidere al posto mio. Le cose imposte non mi erano
mai piaciute e lui lo sapeva bene
"Non faccio il ragazzino, perché sei tu che mi tratti
esattamente come se lo fossi!" gridai, guidato essenzialmente dalla
rabbia e, forse un pò, anche dall'orgoglio. "Io non ho
più bisogno della tua supervisione e non ho più
quindici
anni, quindi smettila... smettila per una buona volta di fingerti un
fratello maggiore apprensivo perché non lo sei affatto e
quello
che ho, mi basta e mi avanza!". Vidi una specie di ombra passargli
attraverso gli occhi verdi e, forse, mi resi conto di essere
stato
io, quella volta, ad aver appena superato un limite. E questo, faceva
decisamente più male. Ci fu un lungo momento di surreale
silenzio in cui iniziai a sentire un leggero strato di vergogna
ricadermi addosso e coprirmi fino ai piedi. Perché non
potevo
aver seriamente detto una cosa tanto brutta al mio migliore amico. Solo
dopo un tempo incredibilmente indefinito, qualcuno parlò
"Ehi Kurt... che ne diresti se portassimo Cooper a fare un giro del
quartiere?" domandò Daniel, con la voce tranquilla che
stonava
decisamente con la tensione che aleggiava in quella stanza. Sentii
Kurt, dietro di me, muoversi appena sul divano. Per un momento mi ero
perfino dimenticato ci fosse anche lui e che quindi anche lui aveva
dovuto assistere a quella terribile scena. Cosa avrebbe pensato di me?
Che ero un ingrato? Che non sapevo dire grazie a chi mi aveva salvato
la vita? Che ero pazzo? Se ne sarebbe andato via e non sarebbe
più tornato?
Dio, ti prego... no! Non
lo sopporterei...
"D'accordo.." mormorò, dopodiché, in una manciata
di
secondi lui e Daniel si alzarono dal divano, recuperarono il cane ed il
guinzaglio e lasciarono l'appartamento, senza neanche girarsi verso di
noi. E quello fu come ricevere un'altra stilettata al petto.
Con un sospiro, tornai a sedermi e quasi subito affondai le mani nei
capelli, in un gesto di stanchezza e frustrazione. Non sapevo cosa
stesse facendo Sebastian, né se quell'ombra terribile avesse
abbandonato i suoi occhi. L'unica cosa che riuscii a scoprire fu il
tono della sua voce, atrocemente amaro
"Tu non hai la minima idea di cosa abbia significato per me, arrivare
su questo pianerottolo e trovarti in quello stato." era poco
più
di un soffio, appena tremante, ma decisamente molto più
incisivo
di quanto non fossero state le mie parole, quelle urlate "Non sapevo
cosa fosse successo, non sapevo cosa fare e, cosa più grave,
non
sapevo neanche se fossi ancora vivo. Mi è bastato leggere la
rabbia che quell'animale aveva negli occhi e che provava verso di te in
quel momento, per reagire. Non ricordo neanche cosa abbia fatto o
detto,
perché credimi... se ieri notte fossi stato leggermente
più lucido e cosciente, a quest'ora la denuncia dovrebbe
farla
lui a me, per quello che avevo intenzione di fargli." fece una pausa,
durante la quale lo sentii chiaramente sospirare. Non avevo neanche la
forza di guardarlo negli occhi. Non sapevo se avrei retto o meno
all'intensità del suo sguardo ferito
"Questa notte non ho chiuso occhio.. ho passato ogni singolo istante a
chiedermi cosa sarebbe successo se quel maledetto cellulare non ti
fosse caduto dalla tasca e se Daniel non se ne fosse accorto appena in
tempo. Ho immaginato... che qualcuno questa mattina ci avrebbe chiamati
per dirci che.. eri finito in ospedale o peggio.. che qualcuno ti aveva
ammazzato come un cane, davanti alla porta del tuo appartamento. Ho
immaginato di dover essere io a chiamare i tuoi genitori a Westerville
o tuo fratello a Los Angeles, per non parlare di tutto quello che
sarebbe successo dopo. E questi maledetti pensieri non mi hanno fatto
dormire. L'unico pensiero che mi ha permesso di non impazzire del tutto
è stato questo.." con la coda dell'occhio lo vidi allungarsi
fino al foglio e poi afferrarlo "Questa fottuta denuncia è
la
mia sola speranza al momento... l'unica arma che posso consegnarti e
l'unica difesa che riesco a porre tra te e quel Karofsky. E
sinceramente mi dispiace se ti sono sembrato esagerato o azzardato o se
pensi che non mi sarei dovuto permettere... però credimi,
Blaine... dopo averti visto più vicino alla morte di quanto
potessi mai immaginare, io non riesco più a sentirmi sicuro,
lasciandoti solo. Ho bisogno di... sapere che stai bene e non mi basta
che sia tu a dirmelo, devo.. esserne convinto!" sentii un movimento al
mio fianco e pochi istanti dopo, sotto ai miei occhi si
rimaterializzò il foglio spiegazzato della denuncia. Dovetti
rialzare lo sguardo per rendermi conto che fosse proprio lui a tenerlo
e che si trovasse esattamente davanti a me. Lo guardai attentamente
negli occhi, e c'era qualcosa, qualcosa di indecifrabile eppure
ugualmente intenso che lo tormentava. Mi ritrovai senza sapere come ad
afferrare di nuovo quel foglio e a stringerlo forte tra le mani
"Ti scongiuro, Blaine.. firma questo foglio. Se non vuoi farlo per me,
fallo per i tuoi genitori, per tuo fratello, per Kurt.. anche lui si
merita di essere protetto e ti assicuro che, se mi darai il tuo
consenso, provvederò io stesso affinché l'ordine
restrittivo che ho intenzione di chiedere nei confronti di David,
comprenda anche lui. Se firmi, lui non potrà più
avvicinarsi né a te né a Kurt, non
potrà
più farvi del male e soprattutto la sua immacolata fedina
penale
sarà segnata, cosicché tutti sappiano che razza
di
fottuto coglione sia e cosa è stato capace di fare."
mormorò sempre più concitato, diventando a mano a
mano un
vero avvocato e mettendo da parte il migliore amico. E all'improvviso,
mi ritrovai ad avere paura: paura per me, perché avevo
seriamente rischiato di morire e non lo avevo ancora realizzato
pienamente, paura per i miei genitori che mi credevano al sicuro a New
York e non di certo tra le mani di un pazzo, paura per mio fratello che
avrebbe dovuto attraversare di nuovo tutti gli Stati Uniti per venire
al mio funerale, paura per Kurt... perché cazzo, lui ci
aveva
vissuto quattro anni accanto ad un mostro del genere e, se con me era
bastata una provocazione a farlo scattare, non osavo immaginare cosa
sarebbe successo a lui, se solo lo avesse rincontrato, ma soprattutto
la
paura più irrazionale che in quel momento mi ritrovai a
provare
fu quella di perdere Sebastian. Di perdere la sua amicizia, il suo
affetto, la sua preoccupazione, la sua ansia, il suo sorriso, il suo
conforto... il mio migliore amico che non era mai stato tale, ma sempre
qualcosa in più.
"Sebastian..." lo chiamai con una leggera nota di panico nella voce "Mi
dispiace... io... ti ho detto delle cose orribili." lui si perse in un
profondo sospiro, dopodiché si sedette al mio fianco
"Io so perfettamente che non sei più il quindicenne che
divideva
la stanza con me e si riempiva i capelli di gel... lo vedo cosa sei
diventato. Solo che.. questo non mi impedisce di... provare
l'incontrollabile necessità di proteggerti ancora..
è
più forte di me!" disse con mezzo sorriso malinconico, e le
sue
parole unite a quel gesto mi fecero sentire ancora più male
"Io ho un disperato bisogno che tu continui a preoccuparti per me!"
mormorai, riuscendo finalmente a tirare fuori ciò che mi
premeva
in gola e sperai di aver detto la cosa giusta quella volta. Per mia
fortuna, sulle sue labbra si stese un sorriso, un sorriso diverso che
non aveva nulla a che vedere con l'amarezza o la malinconia di poco
prima. Era uno di quei sorrisi che facevano ben sperare, quelli che
presagivano solo cose buone, uno di quelli che rendevano speciale il
mio migliore amico
"E continuerò a farlo, B... fino a che me lo permetterai!"
mi
rassicurò, posandomi una mano sulla spalla e stringendo
appena.
Poi qualcosa parve scuoterlo, ma fu solo un istante. Era come se
un'altra ombra gli fosse passata davanti agli occhi, anche se quella
volta sembrava essere decisamente più limpida
"Io... tu sai il rapporto pessimo che ho con i miei genitori e quanto
sia arrivato a sentirmi solo a volte. Quel ragazzino... quello di
quindici anni che divideva la camera con me, cantava canzoni melense
sotto la doccia e aveva i cassetti stracolmi di papillon mi ha permesso
di provare per la prima volta un'emozione indescrivibile... quel
ragazzino mi ha insegnato cosa significasse aver caro qualcuno, provare
apprensione o addirittura paura. Prima di conoscere te, vista la
pessima esperienza che avevo avuto in famiglia, non credevo
assolutamente di potermi preoccupare tanto per qualcuno,
perché
credevo che nessuno al mondo, a parte forse me stesso, meritasse tanto.
Eppure tu ci sei riuscito, e sei stato in assoluto il primo. Quindi io
non riesco adesso a smettere di avere paura per te, non riesco a stare
tranquillo, e non riesco a rimanermene in disparte ad aspettare che
quell'animale torni per portare a termine ciò che ha
iniziato."
strinse gli occhi, quasi cercasse di ricordarsi qualcosa, poi, con un
soffio aggiunse "Tu e Daniel siete la mia famiglia e se perdo voi due,
perdo tutto. Quindi sinceramente me ne fotto se dopo questa non vorrai
più vedermi o sentirmi.. mi basta saperti al sicuro e di
aver
fatto tutto affinché nulla potesse più
minacciarti. Il
resto non conta!".
All'improvviso fu come se davanti ai miei occhi si fossero
materializzati i due ragazzi di quindici anni che condividevano una
camera alla Dalton. Le loro divise blu, le loro cravatte, la loro
amicizia, che ad occhi esterni era sempre sembrata ambigua e
particolare, il loro comprendersi con poco, il loro starsi accanto in
maniera del tutto anticonvenzionale, il loro condividere tutto, anche
le cose più intime - io con lui avevo condiviso la mia prima
volta e non me ne ero mai pentito - il loro cercarsi senza mai
eccedere, il loro esserci sempre, nel bene e nel male, e il loro
profondo legame che li aveva sempre uniti e sempre lo avrebbe fatto.
Sebastian aveva ragione: lui era la mia famiglia e non potevo
seriamente permettermi di perderlo, soprattutto non dopo quello che
aveva fatto per me e continuava ancora a fare. E proprio mentre tornavo
per un attimo a guardare il foglio della denuncia che avevo tra le
mani, mi ritrovai a chiedermi, cosa avrei fatto, se al mio posto ci
fosse stato lui, se su quel pianerottolo quello che rischiava di morire
fosse stato lui. E la risposta arrivò senza neanche
preoccuparmi
di cercarla: avrei fatto la stessa identica cosa, con un'unica
differenza. Io la lucidità e la maturità che
stava
dimostrando lui, in quel momento verso David, non ce l'avrei mai avuta
perché mai mi sarei accontentato della semplice denuncia. Lo
avrei ammazzato con le mie mani, perché la famiglia
è
sacra e in quanto tale non si tocca.
"Mi assicuri che se firmo questa cosa, anche Kurt sarà al
sicuro
e non potrà in alcun modo essere avvicinato da David?" gli
domandai, sentendomi all'improvviso carico di motivazioni e di
ritrovata aspettativa. Lui annuì deciso
"Hai la mia parola!" affermò infatti, ed io, senza
aggiungere
altro, mi ritrovai ad allungarmi verso il tavolino basso, che stava
davanti al divano, prendere la penna e firmare finalmente la mia
vendetta contro quello stronzo di David. Tutto quello, conscio del
fatto che, alle mie spalle, Sebastian stesse sorridendo, finalmente
fiero di me.
New York City. Ore 07.10 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)
Ero preoccupato, molto preoccupato, come raramente lo ero stato nella
mia vita. Continuavo a dirmi che avevamo fatto una cazzata a lasciare
Blaine e Sebastian da soli, in quella situazione carica di tensione e
che saremmo dovuti rimanere per tenerli d'occhio e magari provare a
metterci in mezzo, nel caso fossero arrivati alle mani. Non avevo mai
visto Blaine così arrabbiato, neanche quando Cooper aveva
finto
di essere il suo amante e lui lo aveva scoperto. Quella che gli avevo
letto negli occhi sembrava qualcosa molto più simile
all'esasperazione.. quasi, quella tra lui e il suo amico, fosse una
questione irrisolta e che un semplice pretesto, fosse stato in grado di
ritirare allo scoperto.
Quando Sebastian aveva consegnato quel foglio a Blaine e avevo
sbirciato cosa contenesse, in un primo momento mi ero sentito
seriamente mancare: perché quella era davvero una denuncia,
una
denuncia a carico di David, il mio ormai ex, colui che aveva quasi
ucciso il ragazzo che amavo e che poi era scappato come un codardo. E
la denuncia era reale, era ufficiale e soprattutto era la giusta
vendetta per un gesto tanto atroce e vigliacco. Solo che la reazione di
Blaine non era di certo stata ciò che mi sarei aspettato.
Aveva
dato di matto, si era messo a gridare contro Sebastian e lo aveva
perfino accusato di esagerare e di preoccuparsi troppo e che, a conti
fatti, non potesse permetterselo perché per lui non era
nessuno.
Tutta quell'amarezza aveva lasciato senza fiato anche me,
perché
non credevo possibile che un'anima buona come quella di Blaine, che per
risollevarmi l'umore in piena notte aveva concepito una melodia tanto
dolce e commuovente, potesse seriamente pensare quelle cose. La mia
sola spiegazione era stata che la stanchezza accumulata, il tentato
omicidio e la sorpresa gli avessero giocato quel brutto scherzo. Dicono
che a volte, quando siamo soggetti ad un forte stress, tendiamo a
scaricare la rabbia, prendendocela con le persone a noi più
vicine, quelle a cui vogliamo più bene. Ed io ero fermamente
convinto che in quel soggiorno fosse esattamente successo questo.
Blaine aveva soltanto avuto bisogno di esplodere e in un certo senso,
era stato un bene che lo avesse fatto con Sebastian. Se fossi stato io
ad essere aggredito da tutta quella rabbia, probabilmente non avrei
retto.
L'abbaiare insistente di Cooper mi fece risvegliare dal mio stato di
trance, e finalmente mi accorsi di essermi fermato, in mezzo al
marciapiede e che Daniel e il cane mi stessero aspettando
"Tutto bene?" domandò il ragazzo, vendendomi incontro
"Sì... suppongo di sì!" mormorai con un sospiro.
Lui mi scrutò per bene per poi rivolgermi un sorriso
"So a cosa stai pensando... ma devi stare tranquillo. Quei due fanno
sempre così.. litigano, fanno pace, poi litigano di nuovo e
poi
sono di nuovo lì, che cercano ancora di fare pace.
É
diventata una specie di ruota che gira sempre nello stesso verso.
Vedrai che non appena torneremo, saranno già allegri e
sorridenti come prima, come se niente fosse successo." mi
rassicurò convinto
"Dici?"
"Certo! Non riescono a stare lontani... sono come due
fidanzati che però non sono fidanzati... non so se mi
spiego!" e
ridacchiò con una tale naturalezza, che immediatamente mi
ritrovai a ridere assieme a lui
"E tu non sei geloso?" gli domandai divertito
"Geloso di Blaine? Credimi... sarei davvero stupido ad esserlo! E lo
stesso vale per te. Quei due sono anime affini ma possono esserlo solo
se restano amici. Se cambiassero qualcosa del loro rapporto, salterebbe
tutto... ci hanno già provato e non è andata a
finire
molto bene!" fece una smorfia, per niente infastidita, semplicemente
consapevole "Ma stai tranquillo... presto ti ci abituerai e allora
diventerà normale anche per te, alzarti e andare via per
lasciarli soli, quando inizierai a sentirti di troppo." mi
strizzò l'occhio, per poi tornare a camminare, verso il
piccolo
parco, che vi era alla fine della strada. Con un mezzo sorriso,
stranamente emozionato, mi ritrovai a seguirlo, fino a che non ci
trovammo sul viale principale, dove finalmente il piccolo Cooper
poté liberarsi del guinzaglio per correre un pò
libero.
Sperai vivamente che non si perdesse, altrimenti al nostro ritorno il
povero Blaine avrebbe avuto qualcun altro con cui prendersela.
"Daniel.. posso farti una domanda?" gli chiesi qualche istante dopo,
mentre seguivamo Cooper che, per nostra fortuna non si era ancora
allontanato troppo
"Certo... dimmi pure." acconsentì con un sorriso. Quel
ragazzo,
lo avevo notato già durante il mio compleanno, aveva un bel
sorriso gentile da offrire ma soprattutto sembrava una ragazzo
estremamente posato e maturo. E di certo, le cose che mi aveva appena
detto non avevano fatto altro che confermarmi ulteriormente questa
tesi.
"Da quanto tempo state assieme tu e Sebastian?" domandai, affondando le
mani nelle tasche della giacca. Eravamo in Primavera inoltrata, ma
faceva ancora decisamente troppo freddo a New York.
"Due anni... o meglio... saranno due, tra sei settimane." rispose e non
servì essere né un mago né un amico di
lunga data
per capire che, quello che gli aveva colorato il tono della voce, fosse
orgoglio allo stato puro. Ed io non riuscii a non provare almeno un
pò di invidia, anche se era del tutto ingiustificata
"E come diavolo fai a sopportarlo?" chiesi ancora, divertito, senza
riuscire a trattenermi. Lui scoppiò a ridere, per nulla
offeso
"Non l'ho ancora capito sinceramente!" rispose scuotendo appena la
testa "Ma potrei dire lo stesso di me.. anche lui fa un bello sforzo
ogni giorno per starmi dietro e credimi.. anche se sembro dolce e
coccoloso, so essere davvero tremendo quando mi ci metto!" e mi
strizzò l'occhio complice, un gesto che non mi
intimidì
per niente, anzi, mi fece divertire ancora di più e mi fece
sentire stranamente appena più in sintonia con lui. Quasi
potessi fingere che quella fosse una tranquilla conversazione tra buoni
amici e non tra due semplici conoscenti.
Anche a me sarebbe
piaciuto un amico
come Sebastian... certo come Sebastian proprio no, però...
magari Daniel è più alla mia portata...
"Beh allora è un compensarsi a vicenda." esclamai,
rendendomi
conto di quanto un concetto del genere fosse estremamente bello da
formulare. Perché quello era ciò che io avrei
sempre
voluto: trovare qualcuno che, perfino nel suo modo di essere
diametralmente opposto al mio, riuscisse a diventare la mia parte
mancante e quel pezzo che riusciva ad incastrarsi alla perfezione nel
resto dell'opera. Ed il mio pezzo, la mia parte... pensavo di averla
decisamente trovata.
"Io credo che in amore tutto questo sia possibile, anche quello che
all'inizio sembra più inaffrontabile. Quando c'è
il
sentimento, quando la felicità dell'altro
conta più di tutto il resto,
incluso l'orgoglio.. allora anche l'impossibile diventa magicamente
più semplice." si fermò lungo il viale ed io feci
altrettanto. Aveva un piccolo sorriso mite sul volto e sembrava perso
in chissà quali pensieri. Immaginai che fossero tutti
indirizzati al suo Sebastian
"Non ti nascondo che, ci sono dei giorni, in cui la voglia di mandarlo
al diavolo diventa quasi incontrollabile, quando per un attimo
dimentico chi sia lui e cosa significhi per me. Ma poi, succede
qualcosa... è come se sentissi una forza, una forza
inarrestabile che viene da dentro e che sembra decisamente
più
potente perfino della rabbia, del risentimento, della
delusione.. e questa forza sembra decidere per me e, come per
magia, mi fa dimenticare delle liti, dei musi lunghi e di quella voglia
che avevo di lasciarlo andare via. All'inizio credevo dipendesse solo
dall'infatuazione o da qualcosa di ancora più banale come la
smania di avere necessariamente qualcuno al mio fianco per sentirmi
più grande o... diverso. Poi con il tempo ho capito..."
sollevò gli occhi e mi sorrise ancora "Io avevo un disperato
bisogno di lui per stare bene... perché la mia
felicità
era diventata direttamente proporzionale alla sua. Io mi sentivo sereno
solo quando anche lui lo era e volevo il suo bene più di
quanto
volessi il mio. E questo è sempre bastato per andare avanti
e
soprattutto mi ha sempre aiutato a perdonarlo quando sbagliava o a
perdonare me quando iniziavo ad esagerare. Ed ora, sinceramente,
preferirei andare avanti tutta la vita così, litigando anche
ogni giorno e minacciando di andarmene di casa, piuttosto che perderlo
davvero, perché tanto so che ogni volta, troveremmo un modo
diverso per fare pace." e forse sul finale aggiunse un leggero velo di
malizia, ma fu talmente tanto naturale, da sembrarmi, nonostante tutto,
indovinato per il momento. Mi ritrovai a sorridergli, colpito dalle sue
parole sincere e profonde e per un attimo, misi da parte l'invidia e
cercai di capire esattamente cosa si provasse, dovendo misurare la
propria felicità in base a quella di qualcun altro, se fosse
davvero così bello come sembrava esternamente e soprattutto
se
anche io un giorno potessi arrivare a sperare in un sentimento del
genere.
Perché la mia felicità è diventata
direttamente proporzionale alla sua...
"Sai, Kurt... era davvero da tanto che non vedevo Blaine
così...
sereno. Ho sempre sofferto, sapendolo così solo e con un
peso
così grande da portare addosso, e iniziavo a credere che
purtroppo non sarebbe cambiato nulla perché non avrebbe mai
trovato qualcuno degno del suo amore e della sua felicità."
disse qualche istante dopo, facendosi pensieroso. Ed io, di conseguenza
mi ritrovai a trattenere il fiato, perché avevamo cambiato
argomento all'improvviso, senza neanche un minimo di preavviso ed io
non ero del tutto pronto per parlare di Blaine
"Poi però... è successo qualcosa... lui ha
incontrato te
e devo dire che... gli è decisamente cambiata la vita!" mi
rivolse un altro sorriso, che quella volta aveva un leggero accenno di
gratitudine che mi fece stranamente arrossire
"Io..." provai a dire qualcosa ma, non uscì nulla di
concreto
dalla mia bocca, così lui ne approfittò per
continuare
"Tu forse non te ne rendi conto, ma da quando Blaine si è
trasferito sul tuo stesso pianerottolo e ha conosciuto te, è
come se si fosse.. svegliato da un lungo letargo che lo teneva ancorato
al passato, e questo passato, credimi.. era decisamente doloroso. Tu
però sei riuscito a scuoterlo e a farlo rialzare e molte
volte
mi chiedo ancora come tu abbia fatto. Io e Sebastian ci abbiamo provato
in tutti i modi, ma, niente, sembrava... abbastanza. Solo che... poi
sei
arrivato tu e tutto ha ricominciato a funzionare esattamente come
avrebbe dovuto ed è stato come se lentamente vedessimo
riaccendersi una speranza nei suoi occhi, quella stessa speranza che
gli era stata strappata via e che credevamo ormai persa per sempre. E
sei stato tu.. tu gli hai ridato questa speranza, questa... luce negli
occhi e lo hai fatto nella maniera più sincera e limpida del
mondo, senza ingannarlo e senza pretendere nulla. Ed è stato
tutto naturale esattamente come avrebbe dovuto: ed è stato
così che, una cosa all'apparenza complicata come far guarire
Blaine dalla sua... malattia... è diventata la
più
semplice del mondo. Esattamente come è semplice per me
continuare a sopportare ogni giorno Sebastian." gli si illuminarono gli
occhi durante quel discorso e fu strano accorgersene, nonostante avessi
gli occhi completamente appannati dalle lacrime. Avevo giurato a me
stesso di non piangere più, di fare di tutto
affinché
soltanto il sorriso esprimesse le mie emozioni, eppure, in meno di
ventiquattro ore, mi ritrovavo di nuovo commosso e completamente senza
fiato, e ancora una volta, il merito, anche se indirettamente, era di
Blaine.
"Io non so esattamente cosa provi per lui e non pretendo neppure che tu
me lo spieghi, perché sarebbe inutile. Ma una cosa posso
dirtela.. qualsiasi cosa sia, anche il semplice e banale affetto, ti
scongiuro... faglielo capire, Kurt... Blaine è
buono e caro
ma ha
un piccolo difetto.. è un pò... sbadato.. non si
rende
conto di quello che lo circonda o dei sentimenti degli altri. Non lo fa
apposta è... il suo carattere confusionario.
Però..
merita di saperlo... e tu meriti di sapere cosa prova lui per te. In un
certo senso... io credo che insieme possiate trovare quella
felicità che vi spetta di diritto e che per tanto tempo
avete
creduto non esistesse affatto." mi sorrise ancora e poi, con un gesto
pieno di naturalezza mi prese a braccetto e insieme
ci incamminammo di nuovo
verso il viale principale
"Prendilo come il consiglio di un amico... hai bisogno anche tu di
avere accanto il Sebastian della tua vita!" mormorò,
facendomi
ridacchiare e approfittai di quel momento per asciugarmi le lacrime,
anche se, per mia fortuna, non facevano affatto male "O il Daniel, a
seconda dei casi!"
Ci guardammo per un lungo istante, prima di scoppiare a ridere assieme.
Aveva ragione, fottutamente ragione. E ormai lo avevo capito anche io,
lo avevo capito quella stessa notte, mentre mi ero ritrovato ad essere
legato in maniera tanto profonda con l'anima di Blaine e lo sentivo
ancora, nonostante fossimo lontani, era al mio fianco, che camminava
con me e mi stringeva la mano nascosta nel cappotto. Ed era strano
perché così, non mi ero mai sentito.
Perché la mia
felicità è diventata direttamente proporzionale
alla sua...
Una decina di minuti più tardi, recuperammo Cooper - che si
era
messo ad infastidire una coppietta che amoreggiava tranquillamente su
una panchina - e ritornammo nell'appartamento di Blaine. Per sicurezza
mi ero preparato al peggio: a vedere piatti in frantumi sul pavimento,
mobili messi sottosopra, il televisore fatto a pezzi... e ovviamente
loro due a darsele di santa ragione al centro della stanza, ricoperti
di sangue e lividi. Ma non ci fu nulla di tutto questo: il salotto era
immacolato, esattamente come quando eravamo andati via, il televisore
era ancora funzionante, il divano ancora diritto e soprattutto
Sebastian e Blaine erano in cucina, a preparare la cena
"Ehi.. vi avevamo dati per dispersi!" ci accolse il primo, venendoci
incontro e salutando il suo ragazzo con un bacio
"Colpa di questa peste... ci era scappato e per poco non ci faceva
litigare con una coppia di quindicenni!" rispose il biondo, liberando
Cooper dal guinzaglio e dandogli una leggera pacca sul sederino
"Ecco un altro difetto da aggiungere alla lista!" gridò
Blaine
dalla cucina, per poi venirne fuori con una ciotola di insalata, ma
soprattutto con un magnifico sorriso sul volto, che mi fece sfarfallare
il cuore "Mi sta venendo su come un teppista.. e la colpa è
solo
tua!" diede un leggero pugno al braccio di Sebastian, che fece una
smorfia scandalizzata
"Mia? E che diavolo c'entro adesso? É figlio tuo, e la sua
educazione non rientra nelle mie competenze." borbottò,
lanciando un'occhiata offesa verso il cane, che quasi avesse capito,
abbaiò in direzione del padrone, facendo ridere tutti
"D'accordo... è ora di cena anche per te... pochi minuti fa
è arrivato un pony a consegnare del cibo.. l'avevi ordinato
tu,
vero?" mi chiese Blaine, rivolgendomi un altro dei suoi sorrisi
speciali, che mi fecero arrossire appena. Dovevo imparare a
controllarmi, altrimenti non avrei avuto vita facile in sua presenza
"Oddio sì... che sciocco.. me ne ero completamente
dimenticato.
Aspetta vado un attimo a casa a prendere il portafoglio per.." ma lui
mi bloccò
"Non pensarci neanche... è casa mia e pago io!" e mi
strizzò l'occhio, con una naturalezza disarmante
"Ma no.. ho ordinato io ed è giusto che sia io ad
occuparmene!"
tentai ancora, mentre lui scuoteva la testa, divertito ma testardo
"Casa mia, casa tua, casa nostra... smettetela di battibeccare voi
due... qui c'è gente che ha fame!" borbottò
Sebastian,
intrufolandosi tra di noi
"Tieni, inizia a sfamarti con questa allora!" rispose Blaine
passandogli la ciotola dell'insalata e ricevendone in cambio una
smorfia di disappunto e una mezza risata da parte di Daniel. Ci fu un
attimo, un brevissimo istante in cui i miei occhi e quelli del ragazzo
biondo si incrociarono e ci ritrovammo entrambi a sorriderci a vicenda,
perché quello che mi aveva detto poco prima, era tutto
lì, davanti ai nostri occhi ed entrambi riuscimmo a
riconoscerlo. Così, senza neanche sapere come, mi ritrovai a
seguire Blaine in cucina, mentre gli altri due si dirigevano verso il
terrazzo. Mi avvicinai a lui, gli afferrai un polso per farlo girare e,
senza dire nulla, lo abbracciai forte, sospirando come ogni volta.
"Kurt?" mi chiamò lui, appena confuso, ma stringendomi
ugualmente le braccia attorno alle spalle. Ed io mi ritrovai a
sorridere, perché quello era il gesto che avrei voluto fare
dal
primo momento in cui lui era ritornato a casa e i nostri sguardi si
erano incrociati. Quello era esattamente ciò che avrei
voluto
fare per il resto della vita
"Ti voglio bene, Blaine... te ne voglio davvero tanto!" mormorai,
stringendo appena un pò di più e beandomi della
magnifica
sensazione di pace che avvertivo dentro
"Ti... voglio bene anche io, Kurt." rispose, con l'ombra di un sorriso
nella voce e la strana consapevolezza di dover dire qualcosa di
più. Sorrisi ancora, intenerito, perché Daniel
aveva
ragione... Blaine era davvero sbadato per certe cose, prima fra tutte i
sentimenti. Ma forse lo eravamo entrambi e entrambi saremmo riusciti a
venirne fuori, aiutandoci e compensandoci a vicenda.
Perché
la mia felicità è diventata direttamente
proporzionale alla sua...
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Capitolo 34 *** In un modo o nell'altro ***
(K&B)
Buon Lunedì a
tutti miei angeli ^^ dunque, oggi proviamo un pò a scuotere
le acque, come vi ho già detto ieri nello spoiler, ma non
preoccupatevi, la Klaine è al sicuro. Diciamo che da adesso
fino alla fine (dieci capitoli più o meno!) per loro
sarà solo un inesorabile avvicinarsi sempre di
più e noi godremo di ogni istante perché ci piace
vederli felici e innamorati ^^ cosa avrà in mente l'autrice
lo scoprirete presto.. intanto gotedevi questo capitolo e ci vediamo
Giovedì. A proposito.. ho una comunicazione
di servizio
per voi: purtroppo Giovedì ho un convegno
all'Università da seguire che mi terrà bloccata
credo tutta la giornata. Dovrei riuscire a tornare a casa per l'ora di
pranzo e quindi aggiornare in quel frangente, nel caso non dovessi
farcela mi toccherà pubblicare dopo le sei e mezza. Se non
mi vedete arrivare in mattinata quindi non vi preoccupate che io prima
o poi arrivo ^^ Un bacio grande <3
p.s. A lei che legge
in silenzio senza dirmi niente e poi mi manda i messaggi pieni di
awwwww *w*.. ahahah Dan mio.. sei l'ammmmore <3
n.b. Pagina Fb (
Dreamer91 )
Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New York City.
Ore 08.49 A.M. 16 Aprile 2012 (Lunedì)
Ero un
fascio di nervi.
Un condannato a morte che, consapevolmente, saliva gli ultimi gradini
verso il patibolo, dove il boia incappucciato lo attendeva, trepidante
per l'esecuzione, ed una piccola folla assisteva emozionata. Che poi
non avevo mai capito cosa ci fosse di tanto interessante da vedere:
possibile che la gente avesse un gusto per il macabro così
accentuato?
Entrai
nell'edificio
dell'agenzia con quella strana inquietudine addosso, con la quale
divisi perfino lo spazio in ascensore fino al quinto piano. Quel giorno
sapevo che avrei dovuto affrontare il mio capo, dopo le minacce di
David, e non potevo più rinviarlo. Il mio sesto senso mi
diceva
di tenermi
vigile e preparato a tutto e raramente mi ero sbagliato su quel genere
di cose.
Il solito
cartello bianco e rosso appeso alla parete mi avvertiva che su quel
piano avrei potuto trovare l'agenzia di moda "Sogni di Tessuto"
del
dottor Chang, e un atelier John Richmond. Sfilai in corridoio,
sentendomi maledettamente osservato da tutti, anche se in effetti
nessuno
mi degnò di uno sguardo. Arrivato nel mio studio, aprii la
porta
con un sospiro. Forse ce l'avevo fatta. Forse quelle di David erano
state solo parole. Forse potevo ancora sperare di...
"Signor
Hummel?" una voce alle mie spalle mi chiamò, in quello
stesso istante. Tempismo perfetto, complimenti.
Mi girai,
cercando di
assumere la migliore faccia innocente del mio repertorio, verso la
segretaria personale del signor Chang - Cinthya, una sciacquetta biondo
platino,
alla quale madre natura doveva aver negato grazia e portamento, oltre
che un paio di tette - e sollevai un sopracciglio. Dovevo dare l'idea
di qualcuno estremamente impegnato... così avrei avuto
più chances di...
"Il dottor
Chang l'aspetta nel suo ufficio!" mi informò lei risoluta e
anche un bel pò soddisfatta.
Brutta
stronza in minigonna...
"D'accordo!
Il tempo di fare un paio di.." ma mi interruppe
"Subito!" ci
tenne a precisare allora.
Quanto
ci godi di questa situazione al momento, eh?
Mi limitai
ad annuire per
poi abbandonare la borsa e la cartelletta con i miei preziosi appunti e
seguirla lungo il corridoio opposto. Ecco, quello era il preambolo
della mia fine. Lo sapevo, dannazione! Tutti i miei sforzi, i miei
sacrifici, buttati malamente nel cesso, soltanto perché, uno
stupido bambinone troppo cresciuto in altezza, aveva deciso di
farmela pagare. Di punirmi per aver cercato di essere felice. Ma andava
bene, no? La vita era sempre stata crudele con me, fin dalla nascita,
per cui... di cosa mi lamentavo?
A circa metà corridoio, passammo accanto alla sala trucco,
davanti alla quale incrociammo un paio di modelle, tra cui Santana. Lei
mi guardò, quasi cercando di scusarsi per qualcosa di cui
era
già a conoscenza o che comunque sospettava. Mi
sfiorò
perfino un braccio ed io tentai un sorriso. Fu più che altro
una
smorfia, ma sperai che per lei fosse sufficiente.
Arrivati davanti allo studio di Chang, la segretaria bussò
alla porta e rimase
diligentemente in attesa
"Avanti!" una voce le diede il via libera e lei
aprì la porta, affacciandosi all'interno, molto
discretamente, solo
con la testa. Ancora non aveva capito che in quel tipo di mestiere non
c'era spazio per la timidezza e l'insicurezza? Se non si mostrava un
pò di carattere si rischiava di essere cacciati a calci. Ed
io
stavo per avere lo stesso destino, per molto, molto meno.
"Dottor Chang, c'è qui il signor Hummel per lei!"
annunciò la ragazza. Senza neanche vederlo, immaginai
perfettamente il mio capo abbassare lo schermo del computer portatile e
fare un gesto con la mano alla sua segretaria.
"Prego... lo faccia entrare!" acconsentì infatti e lei, dopo
essersi fatta da parte, mi fece cenno di entrare. Il fatto che a questo
ci avesse aggiunto un sorriso da arpia, fu un dettaglio che al momento
preferii trascurare.
Feci il mio ingresso nello studio - perfetta ambientazione zen, per un
uomo perfettamente zen - e mi richiusi la porta alle spalle. Solo
allora, forse per la vista del mio capo seduto elegantemente alla
scrivania in tek nero, o forse per colpa del quasi nauseante odore di
incenso, realizzai cosa mi stava succedendo. E il cuore mi
partì
furioso nel petto, facendo male, tanto male.
"Prego Signor Hummel... si accomodi!" mi invitò lui,
indicando
una delle due poltrone nere davanti alla scrivania, da bravo padrone di
casa. Io intanto mi ero avvicinato a lui, con le gambe che tremavano
"Se non le dispiace, dottore, preferirei rimanere in piedi!" risposi
meccanicamente, torturandomi le mani. Quell'uomo, la sua compostezza,
la sua precisione, quella maledetta aurea di affidabilità e
puntualità, quell'orribile odore di legno bruciato... tutto
in
lui incuteva soggezione. In alcuni casi perfino terrore.
"D'accordo, come preferisce!" e mi rivolse un tiepido sorriso di
circostanza. Ecco come definirlo... tiepido! In lui non era mai
né carne né pesce... un'assurda ed insipida via
di mezzo.
Congiunse le mani sulla scrivania e fece un lungo respiro. Lo imitai
quasi inconsapevolmente.
"Da quanto tempo lavora per me, signor Hummel?" mi domandò
allora, cogliendomi impreparato. Mi ero aspettato di ricevere subito la
secchiata d'acqua gelata in pieno viso, e invece no... aveva deciso di
girarci attorno. Com'è che si diceva... indorare la pillola?
"Cinque anni signore!"risposi poco dopo. Lui annuì, appena
sorpreso. Forse non pensava fossi durato così tanto. Forse
si
chiedeva semplicemente come mai non avesse deciso di farla prima quella
chiacchierata. In cuor mio, temevo la risposta.
"Ascolti, signor Hummel, posso permettermi di essere franco con lei?"
mi chiese ed io trattenni d'istinto il fiato.
Eccolo...
"Certo!" mormorai, quasi senza voce
"Bene... come lei sa, questo che stiamo attraversando non è
affatto un bel periodo... soprattutto per l'imprenditoria della moda.
Abbiamo subito forti cali e leggi universali del mercato ci
richiedono ogni giorno di essere informati e reattivi per cogliere le
tendenze, farle nostre e rispondere di conseguenza!" spiegò
con
professionalità. Quello era senza dubbio il discorso
più
lungo che gli avessi mai sentito pronunciare. Ed ero decisamente
sorpreso.
"Purtroppo ho letto il resoconto dell'ultimo trimestre di questa
agenzia e mi sono accorto di parecchie spese extra che hanno aggravato
ulteriormente la nostra già precaria situazione!"
continuò. Ma dove diavolo voleva arrivare?
"Per questo da oggi ho deciso di iniziare a rimediare! Purtroppo con
l'amara consapevolezza di dover... sacrificare qualcosa!" e mi
lanciò uno sguardo eloquente che mi fece tremare appena.
Ci
siamo...
"Sacrificare?" domandai leggero, sentendo lentamente la consapevolezza
farsi strada in me, annidandosi in ogni muscolo ed in ogni tessuto
"Esatto! Dobbiamo praticare dei tagli, delle riduzioni... primo fra
tutti, quella del personale di questa agenzia!" sentenziò
lapidario. Per poco non mi scappò un gemito di frustrazione.
Ero
preparato a quello, o almeno mi ero convinto di esserlo. Tutta
quell'attesa, però, quelle parole e quelle lunghe pause mi
stavano logorando. Mi stava licenziando? Bene, perché non
riusciva a dirmelo chiaramente invece di costruirsi alibi inutili?
"Lei sa di avere talento Kurt, ed è per questo che io mi sto
permettendo di farle questo discorso. Lei è capace e sono
sicuro
che troverà subito un'altra agenzia pronta ad accoglierla!"
esclamò. Eccola, la parta degli elogi indesiderati.
Devi andare
via, caro Kurt, la tua recita è finita!...
Scossi la testa, ignorando perfino il fatto che mi avesse chiamato per
nome per la prima volta e permisi ad un sorriso amaro di stirarmi le
labbra
"Posso farle una domanda, signor Chang?" avanzai allora, ancora con
quel sorriso di chi, già a prescindere, conosce la risposta.
"Prego!" acconsentì lui, con un pratico gesto delle mani
"Chi, oltre a me, è incluso in questo... taglio del
personale?"
domandai. Lui, preso in contropiede, sgranò appena gli occhi
per
poi ricomporsi subito. Tipico degli uomini d'affari. Freddi e
produttivi.
"Al momento... per ora soltanto lei!" mormorò spostando
goffamente un fermacarte per poi riposizionarlo esattamente dov'era
prima. Il sorriso che avevo sul volto ebbe un attimo di incertezza,
dopodiché tornò a stirarsi beffardo
"Lo immaginavo!" strisciai pungente e stavo giusto pensando di girare i
tacchi ed andarmene, perché non esisteva che fossi umiliato
ulteriormente, soprattutto perché sentivo le lacrime
iniziare a
premermi ai lati degli occhi per uscire, ma lui mi anticipò
"Questo non è affatto un attacco personale contro di lei,
signor
Hummel... le assicuro che ben presto provvederemo a..." ma non lo feci
finire.
Basta, basta con tutta
questa merda!...
"Senta dottor Chang, finiamola qui! Tanto è chiaro ad
entrambi il
motivo reale del mio licenziamento, quindi è inutile
continuare
a ricamarci sopra tante belle, ma inutili parole!" sollevai le spalle,
mentre per un attimo lui abbassava gli occhi. Presi quel gesto come una
piccola ammissione di colpa
"Ci tengo a farle sapere che sono fiero del mio lavoro e di
ciò
che in questi anni sono riuscito a costruire: la ringrazio per avermi
permesso di fare la giusta esperienza e, nonostante tutto, mi creda...
sono davvero contento così!" esclamai sentendo la voce
tremare
un pò sul finale. Bene, quello era il segnale: dovevo andare
via
di lì prima di scoppiare a piangergli in faccia. Sarebbe
stato davvero poco
professionale da parte mia. Lui sospirò come per farmi
capire di avere le mani legate e si alzò in piedi
"É stato un onore averla avuta nel mio team, signor Hummel.
Ribadisco, lei ha talento!"
"Già, ma a quanto pare questo non è bastato!"
biascicai,
ma prima che lui dicesse o facesse altro, allungai una mano per
congedarmi
"Arrivederci signore!" salutai educatamente e lui mi strinse per un
secondo la mano. Nei suoi occhi neri, sembrò passare
un'ombra,
ma non ci feci caso. Sinceramente avevo altro a cui pensare,
soprattutto maledirmi per aver seriamente creduto, per un piccolissimo
e
fottuto istante, che qualcosa in quei quattro anni spesi al fianco di
David, fossi riuscita a farla e che lui, per quanto ferito, non potesse
mai arrivare a tanto per vendicarsi. Eppure, mi ero sbagliato. Lui ne
era stato capace... eccome se lo era stato.
Feci dietrofront e guadagnai velocemente la porta, chiudendomela alle
spalle. Quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei visto lui, il
suo ufficio e la sua segretaria stronza. Le lanciai un'occhiata di
sbieco, che lei mi restituì quasi subito.
"Tutto bene?" mi chiese falsamente. Misi su un sorriso strafottente
"A meraviglia!" risposi superandola, ma prima di allontanarmi, volli
togliermi una soddisfazione. Almeno quella, almeno con lei!
Così
mi girai di nuovo e le sorrisi ambiguo
"Ah dimenticavo... il dottor Chang vorrebbe che lo raggiungesse tra una
mezz'oretta nel suo ufficio per la vostra solita sveltina
infrasettimanale. Ma questa volta la prega di essere un pò
più discreta... sa com'è, a quanto pare tutto il
quinto
piano... vocifera!" e con l'ultimo sorriso vittorioso le diedi le
spalle, mentre lei, paonazza, si affrettava a raccogliere dei fogli che
le erano scivolati dalle mani in quell'istante.
Io sarò stato
anche licenziato... ma tu rimani una troia...
Mi diressi verso il mio studio, non sentendo quasi più le
gambe,
tanto che dovetti appoggiarmi per un istante allo stipite della porta
per riprendermi un pò. Raccolsi le mie cose in fretta e
furia,
svuotando cassetti e recuperando i miei album dalla scrivania e ficcai
tutto nella tracolla. Dovevo uscire il prima possibile da
lì,
non volevo sentire ragioni. Lasciai la cartelletta con gli appunti in
bella mostra sulla scrivania ed uscii.
Kurt Hummel non lavora
più qui. Da adesso in poi arrangiatevi...
Quasi corsi verso l'ascensore, sentendo gli occhi pizzicare
pericolosamente, ma prima di poter premere il pulsante della chiamata,
mi sentii afferrare per un gomito. Mi girai controvoglia, ritrovandomi
gli occhi scuri di Santana che mi scrutavano apprensivi
"Kurt..." mormorò con un filo di voce. Diede un'occhiata
alla
mia tracolla stracolma e ai tre cataloghi che stringevo al petto e si
aprì in una smorfia dispiaciuta
"Ma allora è vero... te ne vai!" e non era una domanda, ma
una
costatazione, un'amara, atroce e secca costatazione. Io mi limitai a
abbassare
lo sguardo ed annuire. Non ce la facevo a parlare. Se lo avessi fatto
sarei scoppiato a piangere, senza dubbio. Ci fu un attimo di silenzio,
ognuno troppo preso dai propri pensieri per dire o fare altro - i miei
stavano iniziando a diventare soffocanti - finché non mi
ritrovai le braccia ambrate di Santana attorno al collo e una massa di
morbidi capelli neri sulla guancia
"Mi mancherai, Kurt... non so neanche dirti quanto!" mi
sussurrò
all'orecchio stringendo la presa. Mi scappò un singhiozzo,
ma me
ne fregai. Quell'abbraccio era troppo sentito, troppo caloroso, per
rimanere impassibile, ed io ne avevo un disperato bisogno.
"Mi mancherai anche tu, Santana! Sei una bella persona... e lo penso
davvero!" le dissi, appoggiandole le labbra sulla tempia per
lasciarle un bacio leggero
"Anche tu Kurt... anche tu!" rispose, per poi scostarsi. Aveva gli
occhi lucidi ed un labbro stretto tra i denti. Mi fece quasi
più
tenerezza lei del sottoscritto. Le accarezzai un braccio e tentai un
sorriso
"Salutami Brittany e Sam, mi raccomando!" le dissi
"Lo farò... sta pur certo che lo farò!" mi
assicurò con una strana sfumatura nella voce.
Chissà
perché, per un momento mi sembrò ci fosse altro
dietro le
sue parole, ma preferii sorvolare. Ero troppo scosso per quello. Mi
avvicinai all'ascensore ed aspettai che le porte si aprissero dandogli
volutamente le spalle. Ne approfittai per asciugarmi velocemente una
lacrima e sospirare. Quando finalmente fui nella cabina, mi girai ed
incontrai di nuovo i suoi occhi fermi e decisi, eppure ancora velati
dal dispiacere. Fu l'ultima cosa che riuscii a vedere dell'agenzia
"Sogni di Tessuto"...
dopodiché il sipario si chiuse.
New York City. Ore 10.12 A.M. 16 Aprile 2012 (Lunedì)
Il mio letto. Il mio magnifico letto caldo ed accogliente, non lo avevo
mai visto, alle dieci di mattina, così da vicino. E dovevo
ammettere che era seriamente bellissimo, talmente tanto bello da
commuovere quasi. Non mi ero mai potuto permettere un lusso del genere,
oziare tra le lenzuola fino a quell'ora e continuare a prendermela
comoda, eppure ormai potevo farlo, perché nessuna sveglia
sarebbe suonata alle quattro per disturbarmi, nessuna fretta per
arrivare puntuale, nessuna corsa contro il tempo, nessuna fatica
disumana per arrivare integro a fine settimana. Era Lunedì
ed io
ero nel mio letto a sonnecchiare, ed ero decisamente felice.
Certo avrei preferito se in quel letto con me ci fosse stato anche
Kurt, ma purtroppo lui al contrario mio, aveva un lavoro da mandare
avanti e quindi era necessariamente dovuto tornare alla sua
quotidianità e di conseguenza al suo appartamento. Non ero
stato particolarmente felice di vederlo andare via Domenica mattina -
dopo aver cenato con Sebastian e Daniel ed aver dormito ancora con me -
ma come lui stesso mi aveva fatto notare, mentre lo guardavo sconsolato
sulla porta di casa, dovevamo tornare alla normalità prima o
poi
e quindi lui doveva sbrigare delle commissioni ed io magari iniziare
seriamente a trovare qualcosa con cui riempire le mie giornate. Come
per esempio escogitare un modo per impedire a Sebastian e al suo
consorte di ripresentarsi a casa mia a tradimento e rovinarmi la serata
romantica con Kurt - che poi, pensandoci, le mie intenzioni erano tutto
fuorché romantiche, ma... vabbé, il senso era
più
o meno quello. Dopo avergli firmato quella denuncia e avergli chiesto
nuovamente scusa per la sfuriata disumana e inadeguata che avevo tirato
fuori, mi ero ritrovato a minacciarlo: visto che era stato lui stesso a
dirmi di non essere affatto abituato a dover fare i conti con la mia
vita privata, da quel momento in poi le cose sarebbero cambiate.
Così, come aveva fatto lui con me, quando Daniel era venuto
a
stare a casa nostra, anche io avevo tirato fuori un foglio ed una penna
e gli avevo scritto a caratteri cubitali gli orari in cui era
assolutamente vietato disturbare - la mia zona rossa - e lui, con molta
discrezione, mi aveva sorriso, aveva preso il foglio, lo aveva
ripiegato e se l'era infilato in tasca. Quindi sperai vivamente che
avesse capito e mi concedesse un pò di quel rispetto che io
gli
avevo dato in tutti quegli anni.
Sperai anche che, quella sera, io e Kurt, dopo essere tornati dal pub,
potessimo recuperare un pò di tempo perso, perché
iniziavo seriamente a chiedermi che sapore potesse avere lo stare
insieme - nel senso.. fisico - senza più doversi preoccupare
di
David. Quel bestione era ufficialmente uscito dalle nostre vite - dalla
sua soprattutto - quindi ormai potevamo tirare un sospiro di sollievo,
perché non avrebbe più potuto farci del male..
né
a me né a lui.
Soltanto dopo le dieci e trenta, spinto più che altro dalla
fame, mi decisi ad abbandonare le coperte e ad alzarmi. Ogni passo era
un sospiro di completa beatitudine ed ogni sospiro mi ricordava quanto
fossi fortunato e quanto poco servisse in realtà per
sentirsi
così. Avevo soltanto un lavoro - come tutti i comuni mortali
-
che tra l'altro adoravo, avevo degli amici incredibili - che si
preoccupavano per me, nonostante tutto - avevo un conto di banca
finalmente discutibile ma soprattutto, avevo lui.
Anche se il nostro rapporto non era stato ancora del tutto etichettato
con un nome preciso, di certo non era più amicizia.
Probabilmente neanche un solo istante avevo considerato Kurt mio amico
e non lo avrei mai fatto. Era vero, gli volevo bene, ma il mio affetto
andava ben oltre il semplice.. bene. Era difficile dire ad alta voce
quelle due piccole parole in fila, ma era esattamente quello il punto:
io da Kurt volevo di più, volevo seriamente provarci, volevo
vedere cosa saremmo riusciti a fare insieme, finalmente liberi. Lui
stesso aveva detto, durante la notte in cui mi ero messo a suonare per
lui, che avrebbe voluto che io diventassi il suo nuovo.. motivo. Ed io
sarei stato ben felice di farlo, anche perché lui già da
tempo era
diventato il mio. Ma non volevo mettergli fretta: usciva da una
situazione difficile e per quanto a certe cose non si riesca a mettere
un freno, perché accadono e basta, io per lui avrei
aspettato il momento
migliore. Io per lui avrei fatto di tutto.
Mi ritrovai a sorseggiare il mio caffè, chiedendomi se non
fosse
il caso di ridipingere le pareti della cucina, fino a che, un rumore
proveniente dalla parete adiacente alla mia mi
fece bloccare. Cos'era stato? Una porta che veniva violentemente
sbattuta? Un comodino rovesciato? Cosa diamine stava combinando Kurt,
ma soprattutto... cosa ci faceva a casa a quell'ora? Sarebbe dovuto
essere ancora al lavoro, come sempre. E allora cos'era? Aveva i ladri a
casa?
Confuso, abbandonai la tazza sul lavandino e uscii sul
pianerottolo. Per un istante, uno soltanto, mi diedi dello stupido. Ero
troppo curioso e già una volta la mia assurda
curiosità
mi aveva quasi ucciso. Quello che era successo non mi era bastato?
Suonai al
campanello un paio di volte ma non ricevetti risposta, così
provai
a sbattere le nocche direttamente sulla porta. Eppure io quel rumore lo
avevo sentito, non avevo di certo le allucinazioni!
Dato che continuavo a non ottenere nulla, tornai in casa e mi
precipitai sul terrazzo. Mi accostai alla ringhiera, che divideva i
nostri due spazi, e diedi un'occhiata: l'inferriata della
porta-finestra
era aperta, segno che Kurt fosse davvero in casa. Ma allora
perché non rispondeva?
Ignorando bellamente la voce della mia coscienza che mi supplicava di
farmi i fatti miei e soprattutto la paura dell'altezza che avevo
scoperto ultimamente di provare, scavalcai la
ringhiera e mi avvicinai all'appartamento
"Kurt... sei in casa?" lo chiamai discretamente, affacciandomi
all'interno. Ora che ci pensavo poteva tranquillamente essere sul letto
a riposare, o sotto la doccia. E se lo avessi trovato nudo da qualche
parte? In fondo quella era casa sua e lui poteva fare quello che
voleva. Ero io ad essere in difetto. Deglutii a fatica, e cercai di
scacciare quel pensiero perché, immaginarmelo nudo a pochi
passi
di distanza, non era proprio indicabile per la mia già
precaria
salute psico-fisica. Non ricevendo ancora risposta,
iniziai a preoccuparmi e decisi di farmi forza ed entrare, ma proprio
mentre ero in procinto di farlo, uno strano rumore alla mia sinistra mi
bloccò. Era un singhiozzo quello?
Sempre più confuso, scrutai la vegetazione, che Kurt aveva
avuto
cura di allevare in un angolo del terrazzo, fino a che, anche se con
molta fatica,
non lo individuai.
"Kurt?" lo chiamai di nuovo, stupito, avvicinandomi. Era seduto per
terra, in mezzo a due piante particolarmente rigogliose, con le spalle
al muro e le ginocchia strette al petto. Da quella posizione mi doveva
per forza aver visto scavalcare la ringhiera e allora
perché non mi aveva risposto? Soltanto quando fui
praticamente
di fronte a lui, a meno di un passo, ne capii il motivo: Kurt stava
piangendo!
"Dio, Kurt... cosa ti è successo?" mi affrettai a
chiedergli,
inginocchiandomi. Lui, con le guance e gli occhi rossi, tirò
su
con il naso un paio di volte per poi scuotere la testa
"Kurt?" provai ancora, seriamente preoccupato. Lui finalmente
alzò gli occhi e li puntò nei miei e
lì venni
colto da un brivido improvviso, sentendomi trapassare da parte a parte
da quello sguardo, già normalmente tanto pulito e limpido,
in
quel momento diventato terribilmente indifeso e spaventato. Accadde
tutto in pochi secondi, un momento prima ero ancora immobile,
accovacciato sul pavimento del balcone a contemplare disarmato e
combattuto il suo sguardo da angelo ferito, quello dopo mi ritrovai le
sue braccia
strette attorno alle spalle ed il suo viso nell'incavo del collo.
Scoppiò a piangere disperatamente, ancorandosi in maniera
quasi
convulsa a me. Mi ripresi quasi subito da quel primo momento di shock e
mi affrettai a circondargli le spalle a mia volta con le braccia.
Qualsiasi cosa gli fosse successa, era chiaro che avesse bisogno di
qualcuno con cui sfogarsi. Ed io ero certo... sarei stato lì
per
lui. Dopo svariati minuti passati in quella posizione, fui il primo a
rompere l'equilibrio, accarezzandogli lentamente la schiena e sospirando
"Ehi Kurt?" lo chiamai. Lui mugugnò qualcosa, il viso ancora
incastrato tra il mio collo e la spalla "Ti va di dirmi cosa ti
è successo?" domandai in un sussurro.
Non volevo di certo costringerlo, ma rimanere fermo, senza sapere,
senza poter in qualche modo essergli d'aiuto, mi faceva letteralmente
impazzire. Lui fece uno strano verso, un lamento forse, ed avvertii la
punta del
suo naso correre per la lunghezza del mio collo - ancora dannatamente
sensibile per colpa di David - per poi tornare a
schiacciarsi sulla spalla. Ignorando a fatica questo gesto tanto
innocente quanto sconvolgente per il mio povero autocontrollo,
già in parte compromesso, provai ad allontanarlo appena
così da guardarlo nuovamente negli occhi. Lo trovai
sfuggente,
con lo sguardo abbassato, ma finalmente libero dalle lacrime. Le guance
arrossate ed un labbro stretto con forza tra i denti
"Cielo, Kurt... così però mi fai impazzire!"
mormorai
frustrato, senza neanche pensarci. Volevo sapere cosa diavolo lo aveva
ridotto in quello stato. Ormai era questione di vita o di morte. Poi,
all'improvviso, un'illuminazione
"É stato David, non è vero? É colpa
sua se stai
così?" domandai agitandomi. Come diavolo avevo fatto a non
pensarci
subito? Lo sapevo che quello stronzo si sarebbe rifatto vivo.
D'altronde cosa mi aspettavo... aveva quasi ammazzato me e davvero
avevo creduto che le minacce di
Sebastian potessero scalfirlo? Davvero credevo che una semplice
denuncia potesse tenerlo lontano? Cazzo, Sebastian mi aveva dato la sua
parola... lui mi aveva giurato di proteggere anche Kurt con quel
documento e che David non avrebbe più potuto fargli nulla. E
allora perché, perché ci ritrovavamo ancora nella
stessa
identica situazione? Perché lui continuava a piangere per
colpa
di quello stronzo?
Se solo scopro che quel pezzo di
merda ti ha fatto del male, giuro sulla mia adorata chitarra, dovessi
girare tutta New York a piedi, lo uccido...
"L-lui... ci
è... riuscito!" singhiozzò ad un tratto.
Era stato praticamente un soffio, ma lo avevo avvertito distintamente,
quasi lo avesse gridato direttamente nel mio orecchio. Trattenni
d'istinto il respiro
"A fare cosa?" gli chiesi allora, appena un pò sollevato che
avesse deciso di parlare, finalmente. Non avevo di certo bisogno di
sapere di chi stesse parlando... purtroppo lo sapevo fin troppo bene, e
per quanto sperassi con tutto il cuore di sbagliare, il fatto che lui
non avesse specificato, fu per me come ricevere un'atroce conferma. Si
lasciò
scappare un altro singhiozzo e la presa delle sue mani attorno alla mia
maglia aumentò appena
"A to-togliermi tut-to! A... togliermi... il mio la-voro." rispose a
fatica, con un lamento. Confuso, e anche particolarmente sconvolto, lo
afferrai per le spalle e lo scostai, quel che bastava per guardarlo
meglio negli occhi
"Che cosa ha fatto?" chiesi quasi senza fiato. In quel momento due
grosse lacrime gli scivolarono dagli occhi arrossati, correndo lungo le
guance e sparendo oltre il collo della camicia. Lui provò a
prendere aria per parlare, lasciandosi scappare un paio di singhiozzi
"Ho parlato con il mio... capo... stamattina. Lui... mi ha
licen-ziato... riduzione del personale, ha detto." e con un gesto di
stizza, si asciugò una guancia con il dorso della mano,
forse in
maniera troppo irruenta, perché la fece soltanto arrossare
un
pò di più.
Kurt licenziato.. ma
cosa...?
"E cosa c'entra David con..." provai a chiedere sempre più
confuso. Lui non mi fece neppure finire. Sollevò lo sguardo
e lo
puntò nel mio: era letteralmente fiammeggiante d'ira
"Non hai ancora capito? É stato lui! Mentre litigavamo...
l'altra sera... mi ha minacciato, dicendomi che me l'avrebbe fatta
pagare... che mi avrebbe tolto tutto... a partire dal mio lavoro!"
quasi gridò, stringendo i pugni sulle sue ginocchia, fino a
farsi diventare le nocche bianche. Per la sorpresa caddi a sedere con
un tonfo, ignorando il leggero dolore alla natica destra.
David ha...
"Non ci posso credere!" mormorai sconvolto. Kurt scosse la testa
"E non è tutto! A quanto pare era stato lui a raccomandarmi
a
Chang... perché altrimenti, a detta sua, io non sarei mai
riuscito a..." si lasciò scappare un altro singhiozzo, che
ormai
pareva dilaniargli il petto
"Non è possibile, Kurt... sicuramente stava bluffando. Non
può avere avuto tutto questo potere." affermai testardo.
Cazzo,
David era un insulso fotografo. Come diavolo aveva fatto a convincere
il capo di Kurt a licenziarlo, o peggio, cosa c'entrava lui con la sua
assunzione?
"E invece è possibilissimo, Blaine, credimi." mi
assicurò
con un sospiro, per poi lanciarmi uno sguardo frustrato e decidere
finalmente che, forse, meritavo una spiegazione in più
"Quando sono entrato a lavorare nell'agenzia di Chang, l'ho fatto come
semplice stagista... erano stati tutti chiari: avrei dovuto fare sei
mesi di tirocinio, dopodiché la direzione avrebbe deciso
cosa
fare di me... se assumermi a tempo pieno con un regolare contratto
o... se mandarmi via. In genere era quello il destino degli stagisti
all'agenzia di Chang... sei mesi e poi niente. Aveva fama di sfruttare
giovani
promesse della moda, motivate e piene di energia per il breve periodo
previsto dal tirocinio, periodo durante il quale non doveva sganciare
neanche un centesimo tra l'altro, dopodiché mandava a casa
tutti, senza troppi complimenti. Ed io sapevo che quel destino sarebbe
toccato anche a me." mi spiegò allora, calmando le lacrime e
il
respiro
"E cosa... è successo, invece? Sei rimasto a lavorare
parecchi
anni in quell'agenzia.. giusto?" domandai. Lui annuì
"Già... tra qualche mese sarebbero stati cinque anni...
cinque
anni di servilismo e massima disponibilità e devozione per
la
sua stupida agenzia." precisò con disprezzo.
Sospirò di
nuovo per poi puntare lo sguardo verso l'orizzonte e scuotere la testa
"É successo che ho conosciuto lui..."
"David!" mi ritrovai a mormorare con più disprezzo di quanto
avessi voluto. Lui annuì di nuovo, quella volta con un mezzo
sorriso
"Neanche dieci giorni dopo il nostro primo incontro, Chang mi fece
chiamare
nel suo studio, tutto entusiasta, per farmi sapere che alla sua agenzia
sarebbe servito uno come me, con il mio talento e la mia passione e per
questo aveva intenzione di assumermi a tempo pieno."
raccontò
con lo sguardo lontano. Forse a distanza di tempo, quegli strani
comportamenti acquistavano lentamente un senso ai suoi occhi. E forse
proprio per
quello facevano così male. Mi lasciai scappare un lungo
sospiro. Non riuscivo ancora a crederci del tutto.
"D'altronde qualche domanda in più me la sarei dovuta fare,
a
quel tempo. Mi era sembrato strano, ma ero troppo emozionato per...
indagare oltre. A me bastava essere entrato a far parte dello staff di
un'importante agenzia di moda newyorkese. Il resto passava in secondo
piano!" spiegò, ancora smarrito. Poi, tornò per
un attimo
a guardarmi e quasi sorrise, colpito da qualcosa "Ora che ci penso...
in cinque anni le mie mansioni all'interno dell'agenzia non hanno mai
riguardato veramente il campo della moda... mi sono limitato ad
eseguire gli ordini di Chang e di fare le sue veci quando lui era...
troppo impegnato per ricevere personaggi importanti o per presenziare
alle conferenze. Sono sempre stato una sorta di... segretario
tuttofare... uno schiavo dell'alta borghesia imprenditoriale!" e
ridacchiò amaramente. Feci una smorfia disgustata. Non mi
piaceva che avesse quella considerazione di sé, come non mi
piaceva il fatto che quello stronzo di Chang, lo avesse davvero
sfruttato in quel modo.
"Dopo i miei sei mesi di tirocinio, David deve aver chiesto a Chang di
assumermi, come... un favore personale! Ecco perché sono
durato
tanto... ero... raccomandato!" sputò quella sentenza quasi
schifato per poi lasciarsi scappare l'ennesimo singhiozzo. Tutto
iniziava a farsi più chiaro e inevitabilmente più
assurdo. Come poteva, David, essere stato così spregevole
con
Kurt?
Potevo accettare tutto, perfino che mi mettesse le mani addosso e mi
ammazzasse quasi, ma fare così tanto male a Kurt, nel giro
di
soli tre giorni era davvero troppo. Eppure, avevo come la vaga
impressione che
la sofferenza di Kurt durasse da più tempo.
Probabilmente era iniziata quando quel fottuto fotografo era entrato
così di prepotenza nella sua vita. Lo dimostrava il fatto
che
fosse riuscito a farlo illudere così meschinamente sul suo
lavoro e poi glielo avesse strappato via, senza troppi complimenti.
"E adesso che ci siamo lasciati, ovviamente non ho più
diritto a
rimanere dove in fondo non sono mai stato voluto. Adesso non servo
più... il mio posto non esiste." mormorò
abbassando la
testa in tono afflitto. Mi faceva male vederlo così. Persone
come lui non avrebbero mai dovuto soffrire in quel modo. Non se lo
meritavano. Come David non si meritava tutto il tempo che aveva aveva
trascorso al suo fianco. Lo aveva usato,
sprecato, calpestato e fatto soffrire. E adesso di Kurt non rimaneva
che un mucchietto di ossa, tutto raggomitolato su un terrazzo, che,
nascosto tra le piante, non faceva che piangere e disperarsi. Ed io..
io che
ruolo avrei avuto in tutto quello? Come avrei potuto alleviargli anche
quel dolore? Sarei stato capace anche quella volta di.. salvarlo ancora?
Con un sospiro mi feci più vicino, sedendomi al suo fianco e
provai a trovare le parole adatte da dire. Come ci si comportava in
certi casi? Cosa si diceva al proprio... vicino - sul serio, Blaine...
vicino? - per consolarlo, per farlo stare perlomeno meglio?
"Cosa pensi di fare adesso?" domandai ad un certo punto, osservando le
sue guance arrossate e appena umide. Sollevò lo sguardo
verso di
me e si morse un labbro
"Non ne ho idea... sono rimasto spiazzato io... davvero questo non me
lo aspettavo!" ammise. In quel momento sembrò più
indifeso di quanto non fosse già normalmente. E di nuovo mi
chiesi con quale coraggio quel verme di David avesse osato fargli del
male. Me lo ero già chiesto qualche giorno prima quando lo
avevo
trovato distrutto e stanco nel mio soggiorno, dopo la schifosa scena
del
pianerottolo. Mi veniva in mente ancora in quel momento, e
continuavo a non trovare risposta.
"Hai... qualcosa da parte?" domandai ancora, discretamente. Lui confuso
mi guardò per qualche secondo, senza capire
"In che senso?"
"Parlo di soldi... per l'affitto.. per le spese.. per vivere,
insomma... prima di.. trovare un altro lavoro." spiegai, sentendomi
stranamente in imbarazzo. Non avevo idea della situazione economica di
Kurt. Lui non me ne aveva mai parlato, né tanto meno io mi
ero
mai permesso di chiederglielo. Quelli non erano di certo argomenti che
si affrontavano tra... vicini? A conferma di ciò
che stavo pensando, lui fu colto da un momento
di panico. Vidi chiaramente la consapevolezza attraversargli gli occhi
e le iridi farsi leggermente più chiare, chiaramente
turbate.
Boccheggiò per qualche secondo per poi riprendere a
torturarsi
un labbro
"Oh!" sussurrò spiazzato
"Kurt?" sollevai un sopracciglio confuso, per la sua espressione
indecifrabile
"Quest'appartamento..." mormorò con voce flebile e distante
"I
soldi dell'affitto vengono scalati direttamente dallo stipendio ogni
mese." e allora capii anche io
"Oh!" non potei fare a meno di imitarlo, colpito amaramente "E
quanto..."
"Poco... pochissimo in realtà." rispose, senza neanche farmi
finire la domanda, ma cogliendo in pieno il senso. A quanto pare Kurt
era più simile a me di quanto pensassi. Era semplicemente un
ragazzo come me, capitato
fortuitamente con una bella busta paga in tasca e alle spalle
praticamente nulla. Ed ecco un altro danno riportato per colpa di
quello stronzo di David. Era una reazione a catena. Effetto domino.
"Merda... sono un cretino. Un fottutissimo cretino!" sbottò
allora, passandosi una mano tra i capelli, visibilmente agitato
"Calmati adesso. Non c'è motivo per agitarsi tanto prima del
tempo." provai a rassicurarlo allora. Non ero del tutto sicuro che
sarebbe servito a qualcosa, ma tanto valeva provare. Non avrei permesso
a David di provocare altri danni.
"E invece sì!" gridò in risposta, senza neanche
guardarmi
"Se in questi anni fossi stato minimamente coscienzioso, avrei messo da
parte qualcosa. Così magari a quest'ora potrei iniziare a
cercare un nuovo lavoro con calma, con la tranquillità di
avere
magari il culo coperto per qualche mese... e invece no... neanche
quello sono riuscito a fare!" e portò le braccia al cielo in
uno
scatto di rabbia. Mi faceva male vederlo così. Vederlo
soffrire
e non poter fare niente.
Sei sicuro, Blaine? Sei
proprio sicuro di non poter proprio fare nulla per lui?...
Spalancai gli occhi, colpito da un pensiero e mi ritrovai ad esclamare
"Il pub!" lui sobbalzò appena, guardandomi male
"Credi che bere mi aiuterebbe a stare meglio?" mi chiese confuso
"Ma no, certo che no... parlavo del pub di Puck!" specificai
"Continuo a non capire!" disse scuotendo la testa, probabilmente
pensando che qualsiasi cosa avessi in mente, non fosse degna di
attenzione. Eppure sentivo
di aver avuto la giusta intuizione. E per questo mi lasciai scappare un
sorriso
"Puck è alla disperata ricerca di personale... camerieri
perlopiù, che servano ai tavoli, o che rimangano dietro il
bancone a dargli una mano. All'inizio, dopo aver aperto, la clientela
non è mai stata eccessiva e quindi una cameriera bastava ed
avanzava. Da qualche mese a questa parte, però, per sua
fortuna,
gli affari vanno meglio e ormai Brittany non basta più.
Proprio
ieri sera lo sentivo lamentarsi del fatto che servisse un aiuto e... tu
potresti fare al caso suo." spiegai entusiasta. Fu il suo turno per
spalancare gli occhi
"Come cameriere... al pub?" mi chiese incredulo
"Sì... è un locale tranquillo, te lo posso
assicurare e
poi, ormai Puck lo conosci e sai che è una brava persona..
un
pò pazzo forse, ma... uno di cui ci si può
fidare,
insomma." non come
Mister Chang, per intenderci!
"Certo, non è un granché, ma... è
giusto per
iniziare, per tamponare per i primi periodi. Poi sono sicuro
arriverà la giusta occasione per te e allora potrai
riprendere a
fare quello che più ti piace e per cui sei portato!"
trasportato
dal mio stesso entusiasmo quasi non mi accorsi si fosse ammutolito e
mi stesse fissando insistentemente
"Per non contare il fatto che al lavoro potremmo andarci insieme e
quindi risparmieresti i soldi della benzina o della metro e lo stesso
vale
per il ritorno. Saresti in un bell'ambiente familiare, circondato da
persone che conosci e dove ci sono..." ma mi bloccai appena in tempo,
sbiancando.
Dove ci sono anche io...
Mi schiarii la voce, avvertendo uno strano calore salirmi
su per
le guance, che probabilmente si stavano colorando di rosso. Dio Santo
quanto ero coglione! Che diavolo mi mettevo a pensare? E va bene
proporgli di lavorare al pub con me, passi anche l'offerta del
passaggio... ma addirittura sottolineare quanto piacere mi farebbe
saperlo
lì ogni sacrosanta sera... mi sembrava un tantino esagerato.
Controllati Blaine... per carità...
Tentai un sorriso incoraggiante, sorpreso - e anche un pò
preoccupato - di trovarlo ancora muto ed immobile. Che si fosse offeso?
"Kurt?" lo chiamai allora "Non ti piace la mia idea? Cioè..
so
che magari passare da un'agenzia prestigiosa ad un piccolo pub non
è il massimo ma..."
"É perfetto!" sussurrò allora lui. Sorpreso
rimasi con la bocca mezza aperta. Cos'è che aveva detto?
"Dio mio... è... perfetto!" squittì aprendosi in
un
sorriso meraviglioso. Me lo ritrovai nuovamente ancorato al mio collo,
con le braccia strette e la guancia così vicina alla mia.
Venni
investito da una nuvola di profumo e calore semplicemente
indescrivibili ma divini. Da lasciare senza fiato.
"Quindi... ti va... bene?" domandai sorpreso da tanta esuberanza. Era
passato dalla fase "Zero emozioni/zero reazioni!" a quella "Ti salto al
collo perché non posso farne a meno!". Ed io lo apprezzavo?
Certo, io lo apprezzavo. Non c'era neanche il bisogno di chiedere
"Scherzi?" mi fece allora, allontanandosi appena per guardarmi negli
occhi. Trovarli di nuovo lucidi, ma visibilmente emozionati, mi fece
sciogliere
Dio,
quei maledetti occhi che si ritrova... prima o poi mi manderanno
al manicomio.. o all'inferno.. insomma, in qualche posto in cui
verrò malamente punito...
"É semplicemente fantastico. Non ho parole... Blaine
credimi." e mi tolse qualche anno di vita rivolgendomi un sorriso
luminoso. Ecco com'erano i sorrisi di Kurt Hummel - alias, vicino non
meglio identificato - luminosi! Non potei fare a meno di sorridergli a
mia volta, con il battito cardiaco a mille
"Grandioso!" gli feci eco, ancora scosso. Lui parve riprendersi da
quello slancio di emotività improvviso perché
abbandonò - purtroppo! - la presa attorno alle mie spalle e
si
incupì appena
"Cosa c'è?" domandai preoccupato, e anche profondamente
turbato per l'assenza di calore
"Tu credi che Puck mi assumerà... cioè... io non
ho mai
fatto il cameriere in vita mia, non so come fare! E, Blaine.. io non
voglio che qualcun altro mi raccomandi. Non credo lo sopporterei." mi
fece sconsolato, abbassando la testa. Intenerito dall'improvvisa
insicurezza venuta di nuovo a galla, gli sollevai il mento con la mano
e puntai gli occhi nei suoi, così limpidi e cristallini e
gli
sorrisi
"Non dire sciocchezze Kurt Hummel... nessuno nasce già con
la
laurea, e si vive proprio per imparare. Sono sicuro che Puck non
avrà nulla in contrario a farti fare un periodo di prova,
sotto
retribuzione si intende, ed io sono sicuro apprenderai velocemente,
perché sei capace! Per quanto riguarda me, non ho la minima
intenzione di raccomandarti. Ci penserai tu, con il tuo talento, a
farlo!" e gli feci l'occhiolino sperando di ottenere nuovamente quel
sorriso tanto speciale. Lui ridacchiò, appena commosso e si
strinse un labbro tra i denti
"Hai davvero così tanta fiducia in me?" mi chiese
timidamente
inclinando la testa di lato. Io ridacchiai afferrandogli una mano e
stringendola forte
"Sì, Kurt... ho fiducia in te e.. sono così
sicuro che tu
ce la possa fare, che tu possa riuscire a riprenderti e a tornare a
camminare con
le tue gambe, che sono pronto ad investire in prima persona su di te!"
confermai serio, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice "Tu
però, non mi deludere mi raccomando." aggiunsi con un
sorrisetto
divertito, facendogli l'occhiolino. Lui scoppiò a ridere,
scuotendo la testa
"Non lo farò, Blaine... te lo prometto!" mi
assicurò con
un sorriso disteso e tenero. Ricambiai all'istante e quella volta fui
io a prendere l'iniziativa, attirandolo a me in un abbraccio. Lo sentii
sciogliersi e rilassarsi completamente addosso a me, tanto che avvertii
distintamente un sospiro uscirgli dalle labbra, sospiro che mi fece
ridacchiare. Fortunatamente lui non parve farci molto caso. Presi ad
accarezzargli la schiena lentamente e gli lasciai perfino un bacio
morbido dietro il collo, come se niente fosse, in un istintivo quanto
incosciente gesto di intimità. Perché era
esattamente questo, ciò che era cambiato tra me e lui:
l'intimità. Non si trattava più di un'occasione
sporadica, un cadere in tentazione per colpa dell'attrazione fisica o
dell'astinenza. Era un rendersi lentamente conto di volere tutto
ciò che si era creato, tutta quell'armonia, quella
complicità e quel benessere che sembravamo condividere. Io
volevo Kurt non soltanto perché mi ero reso conto di amarlo
più di quanto avessi mai amato nessun altro nella mia vita,
lo
volevo al mio fianco come guida, come sostegno, come mio scopo, come
difesa, come forza, come coraggio, come... il mio unico motivo. E
poterlo stringere a me in quel modo finché avessi avuto
respiro
e ragione. E forse anche dopo, avrei ancora scelto lui.
"É la seconda volta che mi salvi!" mormorò
scostandosi
appena e poggiando la fronte alla mia. Era un gesto estremamente intimo
quello, un ritrovarsi entrambi vulnerabili e forti, stretti in un
contatto che andava ben oltre l'immaginabile. Mi ritrovai a sorridergli
con tenerezza
"Lo so... e continuerò a farlo finché ne avrai
bisogno..
è questo che fanno.. gli amici, no?" scherzai, tanto per
provocarlo un pò e per mettere sul banco la questione tanto
spinosa che mi era passata per la testa proprio quella mattina. Lui
infatti ridacchiò
"Io e te siamo amici?" domandò in un misto tra lo
scetticismo e la sorpresa
"Ehm... no.. direi di no!" concessi con una mezza risata, mentre
riprendevo ad accarezzargli lentamente la schiena, che si rilassava
sotto il mio tocco
"E allora.. cosa...?" tentò di chiedere, alzando una mano,
per posarmela delicatamente sulla guancia
"L'altra sera ti ho detto che, se tu avessi voluto, io sarei stato il
tuo... motivo." mormorai, con la voce carica di tensione, ma allo
stesso tempo, rilassandomi per le carezze in punta di dita che mi stava
regalando sul viso e per quello sguardo appena commosso e
meravigliosamente dolce che riusciva a rivolgermi "Io dicevo sul serio,
Kurt.. io ci credo davvero a questa cosa!" mi ritrovai a confessare,
offrendogli ancora una volta il mio cuore. Ero eccessivamente melenso,
me ne rendevo conto, ma quando si trattava dei miei sentimenti verso di
lui, cambiava tutto, anche la mia percezione delle cose. E perfino dire
una cosa tanto importante diventava estremamente semplice.
"Anche io.." fece lui, con un sorriso radioso ed avvicinò il
viso al mio, fermandosi a qualche millimetro, prima di azzerare le
distanze con un bacio. Un bellissimo bacio morbido e delicato che
sapeva ancora di lacrime salate, anche se portava con sé la
leggera consapevolezza di un sorriso
"Io ti..." ma mi bloccai. Morivo dalla voglia di tirare fuori quelle
due parole, di gridarle al cielo, di dipingergliele sul muro del
soggiorno. E forse, pensandoci, avrei potuto riempire la sua porta
d'ingresso di post-it fucsia, ripetendoglielo all'infinito. Sarebbe
stata una bella soddisfazione vedere la sua espressione beata, uscendo
dalla cabina dell'ascensore, alla vista di tutti quei foglietti e di
tutti quei "Ti amo".
Diglielo, Blaine...
prendi coraggio e diglielo....
Ma...
forse non
ero ancora pronto. Non riuscivo ancora a dirlo ad alta voce, nonostante
lo avessi completamente metabolizzato. Forse Sebastian aveva ragione:
con i sentimenti ero davvero una frana, così come con le
parole.
Ecco perché preferivo la musica, che esprime tutto anche con
le
semplici note, senza bisogno d'altro. E allora, forse... avrei dovuto
continuare a suonare per lui, all'infinito, fino a che quel Ti amo che
faticava ad uscire dalla mia bocca, non sarebbe venuto ugualmente
fuori, in un modo o nell'altro
"Io..
ci tengo a
te... tanto. E ti prometto che, farò tutto ciò
che
sarà in mio potere per renderti felice, per non farti
più
piangere, né soffrire." gli lasciai un bacio sulla punta del
naso e gli sorrisi "Risolveremo questa situazione, Kurt... Ne
verremo fuori... insieme! Te lo prometto!" gli sussurrai, mentre lui
con un sospiro si riavvicinava e mi stringeva di nuovo. Mi accorsi in
quel momento di aver iniziato a tremare leggermente, forse per l'aria
fredda - maledetta New York che non aveva più le mezze
stagioni
- e così mi incollai al suo corpo, ricercando quel calore di
cui
avevo un disperato bisogno. E lui non sembrò affatto
lamentarsi,
anzi. Lo sentii ridacchiare e sospirare ancora, direttamente sul mio
collo, cosa che mi fece tremare ancora di più
"Stai morendo di freddo.." mormorò poco dopo, appena
dispiaciuto
"No... sto così bene invece!" risposi, strofinando la
guancia
contro la sua spalla e con il tipico tono da bambino testardo, che per
mia fortuna lo fece ridere
"Dai.. entriamo. Prometto di continuare ad abbracciarti anche dentro,
se ancora lo vorrai." mormorò divertito e quello mi permise
di
mollare la presa e arrendermi al fatto che fossi un vero idiota e che
la prossima volta che avessi voluto fare l'eroe, mi sarei almeno dovuto
ricordare di indossare una felpa sopra il pigiama.
Mi alzai in piedi e gli tesi una mano, aiutandolo a fare altrettanto. E
fu un vero sollievo vedere come i suoi occhi non fossero più
deturpati dalle lacrime o come un sorriso gli costasse decisamente meno
sforzo. Gli angeli come lui non avrebbero dovuto più
soffrire
perché era contro natura e se lui me lo avesse permesso, ci
avrei pensato io a fare in modo che più niente e nessuno gli
facesse del male. A costo di rimetterci io stesso. Quella era diventata
la mia missione della vita, e se anche non fossi riuscito a dirgli Ti
amo a voce, glielo avrei fatto capire... in un modo o nell'altro.
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Capitolo 35 *** Paura di cadere e voglia di rialzarsi ***
Buon Giovedì a
tutti e.. scusate immensamente per il ritardo -.- è stata
una giornata infernale (oltre che inVernale... visto il freddo che fa!)
e l'unica cosa che ho guadagnato è stato un gran bel mal di
testa.. ma vabbé dettagli ^^ questa volta ci occupiamo di un
bel capitoletto.. diciamo che sno abbastanza soddisfatta.. forse
perchè ora posso divertirmi davvero come voglio con la
Klaine unita e.. beh.. sono così dolci :3 qui, come vi ho
detto anche ieri nello spoiler, ci sono ben due sorprese.. la prima
è la canzone che Blaine dovrebbe cantare.. devo dire che
siete stati poco attenti perché, leggendo bene lo spoiler..
in una parte precisa.. si capiva ^^ ma vabbè ora vi
sarà tutto più chiaro. Per la seconsa sorpresa..
beh.. mmm è una sorpresa quindi io muta XD buona lettura
angeli miei, scusate ancora per il ritardo e.. ci vediamo
Lunedì <3
p.s. Dan mio...
questa immagine.. non ho parole.. *___*
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91
) ( Just
a Landing - Missing Moments )
New York City. Ore 06.15 P.M. 17 Aprile 2012
(Martedì)
Blaine mantenne la sua
parola - ma d'altronde non avevo mai avuto dubbi - e parlò
con
Puck del pub quella sera stessa, per propormi come cameriere. Lui era
sembrato entusiasta:
cercava un aiuto per il suo locale ma nessuno pareva interessato.
D'altronde la povera Brittany non poteva di certo lavorare di
più di quanto facesse già, soprattutto
perché
ormai la sua
vita sociale sembrava essersi ripresa, con l'inizio della relazione con
Santana. Ci avevo parlato la sera
al bancone, sotto la supervisione e il sorriso entusiasta di Blaine e
Puck mi aveva perfino fatto fare una prova. Non ero andato
neanche
tanto male: non avevo rotto nulla, non mi ero dimenticato di sorridere
e soprattutto non mi ero mai distratto a guardare il cantante sul
palco, mentre si preoccupava di distruggere lentamente il mio
autocontrollo, tirando fuori canzoni come "I'm with you" di
Avril Lavigne o "Love is
in the Air".
Però una mezza occhiata omicida mi ero preoccupato di
lanciargliela, tanto per fargli capire che doveva darsi una regolata
altrimenti, io non sarei riuscito ad ottenere il lavoro, e lui avrebbe
perso il suo, tutto nella stessa serata.
E poi era una bella atmosfera
nella quale lavorare. Puck era un ragazzo un pò strano, ma
estremamente cordiale, Brittany era simpatica e dolce - e da sobria
diventava decisamente più gestibile - i ragazzi che
lavoravano in cucina - Joe e Rory - erano uno spasso, soprattutto il
secondo, un ragazzo irlandese con un pessimo accento, e poi... poi
c'era Blaine e questo sarebbe bastato per accettare qualsiasi tipo di
lavoro.
Quella sera avrei iniziato a tutti gli effetti a lavorare e a percepire
uno stipendio - che non era un granché, ma pur sempre un
inizio
- ed ero pronto a tutto: alle critiche, alla fatica, alla clientela
più disparata. Blaine mi aveva promesso che ci saremmo
andati
assieme ed io avevo accettato di buon grado: mi faceva ancora uno
strano effetto passare così tanto tempo in sua compagnia,
soprattutto da quando lui non aveva più tre lavori ed io non
ero
più fidanzato. Il nostro, da sempre, era stato un rapporto
strano. Non eravamo di certo amici - gli amici non dormono insieme, non
fanno l'amore, né tanto meno si guardano come ci guardiamo
noi -
ma non stavamo neppure insieme. Sul mio terrazzo, il pomeriggio
precedente, lui mi aveva detto una cosa importante: che avrebbe voluto
essere il mio nuovo motivo, che ci teneva a me e che avrebbe fatto di
tutto per rendermi felice. Ed io mi ero ritrovato a sentirmi il cuore
stranamente leggero e ancora una volta quello sbattere di ali mi aveva
riempito lo stomaco. Io lo amavo, e più passavo del tempo
beandomi della sua presenza, più me ne rendevo
maledettamente
conto e per un attimo, il giorno prima, ero arrivato seriamente a
sperare che fosse sul punto di dirmi la stessa cosa. Ma forse... forse
mi ero immaginato tutto, forse il ti amo non c'era e non ci sarebbe mai
stato e forse, per il momento andava bene così. Dovevo
ancora
capire come gestire le mie emozioni. Pensare di dover far fronte ad una
rivelazione del genere, in quel momento, con la vita decisamente ancora
troppo scombussolata, era ingestibile anche per me.
"Ehilà, bel ragazzo!" qualcuno mi gridò alla mia
sinistra, mentre ero seduto in terrazzo a sorseggiare una Diet Coke.
Non ci fu bisogno di girarmi, per guardare chi fosse - la sua voce
l'avrei riconosciuta anche nei sogni - così,
provando a trattenere il solito sorriso che mi nasceva spontaneo alla
sua sola vista, gli lanciai un'occhiata fintamente sufficiente e risposi
"Un giorno o l'altro dovrò ricordarmi di denunciarti... lo
sai
che questa è violazione di domicilio?" gli feci, mentre lui
tranquillamente scavalcava l'inferriata e si perdeva in una risata
allegra. Mi si fece più vicino e intanto il mio cuore prese
a
battere sempre più forte.
"Tranquillo... conosco il padrone di casa. Sono praticamente in una
botte di ferro!" esclamò strizzandomi l'occhio, facendomi
sorridere ed arrossire.
"Sei pronto per il tuo primo giorno?" mi domandò
inginocchiandosi di fronte a me. Presi un lungo respiro, cercando di
sembrare il più controllato e tranquillo possibile
"Direi di sì... poco fa ho ripassato la piantina con i
tavoli
per non sbagliare di nuovo e ho perfino fatto pratica con un vassoio
pieno di bicchieri... però, ora che mi ci fai pensare forse
avrei dovuto riempirli quei bicchieri così sarebbero stati
più pesanti e... merda... adesso devo assolutamente
rimediare
e..." ma il mio sproloquio venne interrotto dalle sue labbra,
schiacciate sulle mie. Mi lasciai scappare un gemito di sorpresa ma non
resistetti e chiusi immediatamente gli occhi per ricambiare. Quelle
labbra... erano droga pura per me. Ormai ne conoscevo perfettamente il
sapore, la consistenza, la morbidezza, la meravigliosa delicatezza con
cui le muoveva sulle mie o come riuscisse, anche in quei momenti, a
risultare dolce e passionale allo stesso tempo. Ed io mi sentivo come
in estasi, preso e portato via da quella fragranza, accarezzato dal suo
respiro e maledettamente consapevole di essermi finalmente innamorato
della persona giusta. Della mia persona.
Non appena respirare divenne una necessità impellente, ci
staccammo, rimanendo vicinissimi, i nasi che si
sfioravano, i respiri accelerati, i cuori che molto probabilmente
battevano all'unisono
"Come hai osato interrompermi mentre stavo parlando?" sbuffai
divertito, facendolo sorridere
"Scusa, è stato più forte di me... le tue labbra
sono
troppo invitanti... è colpa loro... sembra mi stiano
chiamando."
e come a voler dimostrare quello che aveva appena detto, si
avvicinò di nuovo per sfiorarmele più volte,
morbido e
delicato, facendomi quasi il solletico
"Non è una giustificazione plausibile, Anderson!" lo ammonii
bonario, facendo scivolare una mano tra i suoi capelli.
Dio...
"Cos'è che stavi dicendo prima che io, così
maleducatamente, ti interrompessi?" mi domandò con un
sorrisetto
divertito, accarezzandomi la guancia. Mi lasciai scappare un sospiro
beato che lo fece sorridere ancora di più
"Mmm... non mi ricordo." borbottai "E sinceramente... non me ne frega
niente." e mi rituffai sulla sua bocca sorridente, quella volta
succhiandogli appena un labbro per fargli capire che volevo di
più, avevo bisogno di sentirlo più vicino. E
infatti lui
lo capì, perché aprì appena le labbra
per dare libero
accesso alla mia lingua e farla incontrare con la sua. Combattemmo per
qualche minuto buono, io che ero perfino scivolato in ginocchio per
terra per tenere bene il suo ritmo, e per un attimo mi ero dimenticato
di tutto: di Puck, del lavoro, dei bicchieri che non avevo riempito.
C'era solo Blaine, la sua lingua, il suo sapore maledettamente
avvolgente, i suoi capelli morbidi che scivolavano perfettamente tra le
mie dita, il suo odore così familiare e rassicurante, il suo
tocco sul mio collo che mi faceva venire i brividi, la sua completa
presenza. Lui c'era, ed io lo avvertivo ovunque.
Ci staccammo solo per respirare, sorridendoci soddisfatti e fu lui a
parlare, con la voce così maledettamente roca
"Dovremmo andare... altrimenti farai tardi al tuo primo giorno di
lavoro... conosco il tuo principale, su queste cose non è
molto
magnanimo." e mi sorrise, accarezzandomi lentamente la pelle dietro
l'orecchio. Sospirai, passando la lingua sulle labbra, tanto per
saggiarne la consistenza e continuare a sentire il suo tocco.
Il suo sapore
è ancora qui...
"D'accordo... andiamo!" acconsentii e gli afferrai la mano, solida e
forte, mentre mi aiutava ad alzarmi. Se fossimo stati meno coscienziosi
e un pò più liberi da impegni lavorativi, forse a
quell'ora saremmo già arrivati nella mia camera con
metà
dei vestiti sul pavimento. Provai a scacciare quel pensiero,
perché non era proprio il caso di avere quell'immagine
davanti
agli occhi tutta la sera - il magnifico corpo caldo di Blaine addosso
al mio, per intenderci - soprattutto se volevo che ogni cosa filasse
per il verso giusto. Mi mancava.. mi mancava tanto e avevo seriamente
pensato che, risolto il problema di David e liberato del leggero senso
di colpa dovuto al tradimento, io e lui saremmo stati più
liberi
di.. sì insomma.. dedicarci alla nostra intimità.
E
invece, sembrava che avessimo tutto il mondo contro. Ogni sera c'era
qualcosa di nuovo, qualcosa che ci distraeva e puntualmente andavamo a
dormire, vestiti e con lo stesso identico desiderio insoddisfatto.
Magari quella sera avremmo potuto recuperare in qualche modo, sperando
di avere la fortuna dalla nostra.
"Fammi capire... entri da casa tua ed esci dalla mia?" lo provocai per
stemperare un pò la tensione, mentre mi stringeva la mano e
mi
sorrideva
"Lo trovo un giusto compromesso... anzi, dovremmo provare a smontare
quella dannata ringhiera e fare così un unico appartamento!"
scherzò mentre recuperavo i documenti ed il cellulare
"Finiremmo in pratica con il... vivere insieme?" domandai sorpreso e,
lo sapevo che era una
cretinata, ma nel fare quella considerazione mi partii il cuore nel
petto. Era una sciocchezza, un gesto infantile, ma Dio... sembrava
così naturale chiederglielo. Lui non mi rispose, limitandosi
a
stringere il labbro inferiore tra i denti e questo lasciò
libero
sfogo alla mia immaginazione. Cosa aveva voluto intendere? Che non gli
sarebbe piaciuto vivere con me? Che era un'idea assurda? Che, non
stando tecnicamente assieme, non potevo permettermi di sognare
così in grande?
Cosa, Blaine? Fammi
capire, ti prego...
Chiusi la porta a chiave e scendemmo in strada, sempre tenendoci per
mano e guardandoci negli occhi. Mi sentivo elettrico, il cuore a mille
ed il cervello partito per le ferie in anticipo. Neanche quando mi era
capitato di incontrare qualche personaggio famoso, qualche attore
miliardario o stilista internazionale, mi ero sentito così.
Forse perché quello che sentivo al cuore e allo stomaco, era
qualcosa che non avrei mai potuto sentire altrove, se non per merito di
Blaine. Perché era lui a mandarmi in confusione e
contemporaneamente ad aiutarmi a recuperare la ragione. Era lui.
"Prendiamo la mia macchina?" proposi una volta che fummo usciti dal
portone
"No, a quest'ora c'è traffico.. non ci arriveremo mai!"
rispose
pratico, trascinandomi dall'altro lato della strada "Ci andiamo in
moto!"
"Prego?" lo costrinsi a fermarsi, praticamente in mezzo alla strada.
Lui mi guardò confuso
"La mia moto, Kurt.. così arriviamo prima!"
spiegò
tranquillo indicandola con un gesto. Lanciai un'occhiata preoccupata al
mezzo in questione e, niente da dire, era davvero bellissima, ma io non
ci sarei mai salito
"No, non se ne parla!" esclamai deciso tentando di tornare verso il
portone, ma Blaine dimostrò di avere molta più
forza di
me, perché riuscì a trattenermi
"Ma come no? Coraggio... ci mettiamo poco, vedrai!" tentò di
convincermi. Ero nel panico. Letteralmente.
"Non esiste!" sbottai lamentoso, scuotendo la testa. Lui
spalancò gli occhi scioccato e confuso e provò a
farmi
ragionare
"Kurt..." ma io lo bloccai
"Prenderò la mia macchina... e se vuoi venire con me,
bene...
altrimenti ci vediamo davanti il pub!" ero testardo e difficilmente
avrei mollato. Blaine preoccupatissimo mi si fece più vicino
e
mi lasciò la mano solo per posare le sue - caldissime -
sulle
mie guance. Arrossii per l'inaspettata vicinanza, soprattutto
perché, per quanto New York fosse una città
aperta ed
evoluta, eravamo pur sempre in strada, alla mercé di tutti,
e
non c'era più il nostro amato terrazzo a proteggerci
"Mi spieghi cosa ti prende? Cosa c'è che non va?" mi
domandò in un soffio, guardandomi attentamente negli occhi.
La
pressione fu davvero eccessiva, ed io ero fin troppo vulnerabile,
perché crollai all'istante.
"Ho paura!" soffiai incapace di trattenermi, perdendomi nella
profondità dei suoi occhi cangianti. Questi si spalancarono
appena sorpresi
"Di cosa?" mi chiese con tono cauto e attento. Sospirai spostando per
un istante gli occhi sulla moto nera, ancora ferma sull'altro lato
della carreggiata, all'apparenza innocua, e mi sentii immediatamente
infantile. Pensandoci, la
mia insana paura era legata a qualcosa di veramente assurdo e stupido,
ed in quel momento mi sembrava inutile perfino parlargliene, ma lui me
lo aveva chiesto con quegli occhi ed io avevo già ampiamente
capito di non avere chance con lui in quel modo. Così mi
arresi
"Di cadere... e di farmi male!" borbottai arrossendo come un poppante.
Lui rimase rispettosamente in silenzio e gliene fui enormemente grato.
"Un mio compagno del liceo un giorno fece un incidente con la moto...
sbatté violentemente la testa e rimase in coma per due mesi.
Quando si risvegliò non era più la stessa
persona.. era
assente, sempre scontroso... era diventato una sorta di automa... io
non.. non voglio fare la sua stessa fine!" mormorai. Le sue mani
scivolarono dalle mie guance fino alle spalle e rimasero lì,
ancorate e forti
"Kurt..." mi chiamò
"Sì, lo so... è una cretinata ed io sono
così
dannatamente infantile ad aver paura di una cosa del genere, ma...
è più forte di me... io non riesco a..." ma
quella volta
fu lui ad interrompermi, posandomi un indice sulle labbra. Rimasi in
attesa, silenziosamente, guardandolo attento
"Ti fidi di me, Kurt?" domandò a bruciapelo, spiazzandomi.
Avvertii un brivido percorrermi la schiena per tutta la lunghezza e
provai a deglutire, a vuoto. Me lo aveva già chiesto, la
notte
in cui mi aveva suonato quel pezzo meraviglioso alla tastiera e fu
strano per me ritrovarmi a provare la stessa identica fiducia che avevo
provato quella notte. E così fu estremamente semplice
rispondergli nello stesso identico modo, con la stessa sincera
consapevolezza.
"Sì!" lui sorrise, dolce, visibilmente sollevato e senza
dire
altro, mi prese per mano e mi guidò fino alla sua moto. Io,
incapace di dire o fare altro, se non seguirlo, mi stupii ad afferrare
tra le mani il casco nero integrale che mi stava porgendo, e
altrettanto mi stupii del fatto che lo stessi indossando, aiutato dalle
abili mani di Blaine e dai suoi occhi limpidi che non mi abbandonarono
neanche per un secondo. Era bello affidare la propria vita nelle mani
di qualcuno e io lo stavo facendo con lui. E mai, prima di allora, mi
ero sentito così al sicuro.
Fu il suo turno di indossare il casco e sempre guardandomi negli occhi
- con la visiera sollevata - salì sulla moto e l'accese. Il
rombo del motore mi fece tremare appena, ma fu un attimo. Subito la sua
mano cercò la mia per aiutarmi a salire ed io mi feci
guidare
come un bambino. Mi ritrovai ad aggrapparmi a lui immediatamente, a
stringere le braccia attorno ai suoi fianchi e a seppellire la testa,
con tanto di ingombrante casco, nella sua schiena. Lui senza dire
nulla, accelerò e partì.
Sentivo la moto vibrare sotto di me e muoversi morbida, ma mi rifiutavo
di aprire gli occhi per vedere cosa o chi stessimo sorpassando. Era
sicuro che, così facendo, avrei perso quel briciolo di
coraggio
che avevo miracolosamente conquistato e allora addio buoni propositi.
Viaggiare in quel modo era molto di più di quanto avessi
immaginato. Eppure, a parte il vento freddo che avvertivo passarmi
addosso, attraverso gli abiti, e il rombare del motore - che sembrava
più che altro le fusa di un grande micione - non sembrava
esserci altro. Niente frenate azzardate, nessun clacson strombazzante,
nessun rumore spaventoso. Solo una strana quanto assurda calma, quasi
stessimo volando anziché essere su una moto così
grande.
E fu allora che mi convinsi. Concentrato completamente sul suo profumo
e sulla magnifica sensazione che avvertivo stringendolo in quel modo,
aprii piano gli occhi incontrando prima di tutto il tessuto della sua
giacca nera, sollevata dal vento. Mi feci coraggio e spostai
lentamente lo sguardo più all'esterno fino ad incontrare la
scia
poco definita dell'asfalto che correva irregolare sotto di noi. E
stranamente non provai paura. Era alquanto
destabilizzante, avere
il
manto stradale così vicino e così pericolosamente
letale,
quello sì, ma mi sorpresi ad infischiarmene
perché
avvertivo la presenza di Blaine, la sua spalla attaccata alla mia
guancia e le sue gambe incollate alle mie. Lui era ovunque. La sua
guida era sicura,
attenta. Sembrava non stesse facendo la minima fatica, sembrava a suo
agio, esperto, ma soprattutto, sembrava così dannatamente
semplice. Mi venne quasi voglia di provare.
Beh, adesso non
esageriamo...
Sospirai spostando la testa, fino ad appoggiarla con molta naturalezza
sulla sua spalla, per quanto l'ingombro dei caschi me lo permettesse.
Blaine, percepito il mio movimento, girò appena la testa
verso
di me ed io immaginai mi stesse sorridendo lì dietro e di
conseguenza sorrisi anche io. Molto stupido come gesto, dato che non
poteva vederlo, ma sperai potesse intuirlo semplicemente. In risposta
portò una mano sulle mie, legate sul suo stomaco, e me le
accarezzò. Mi sentii leggero e completamente a mio agio. E
le
sue mani mi sembravano così calde, nonostante fossimo
frustati
dalle raffiche di vento da ogni parte.
Per la seconda volta mi
sono fidato di lui e per la seconda volta lui ha dimostrato di
meritarsi completamente la mia fiducia...
Dopo una decina di minuti - ci avevamo messo pochissimo e, nonostante
il
traffico, eravamo arrivati puntualissimi - rallentò
sensibilmente
fino a fermarsi accanto ad una jeep bianca e spense il motore. Sempre
tenendomi per mano mi aiutò a scendere e a liberarmi del
casco
per poi fare lo stesso. Poter tornare a guardare i suoi occhi dorati
dopo
tutto quel tempo, fu un sollievo immediato. Blaine si fece
immediatamente imbarazzato e dopo aver posato il casco sul sedile si
avvicinò a me
"Allora?" chiese timoroso
"Allora..." iniziai sorpreso di trovare la mia voce così
calma e
rilassata. Come se non fossi affatto salito su una moto "Sono vivo!"
mormorai con mezzo sorriso. Lui annuì
"Già... sei vivo!" confermò in un sussurro. Non
ci potevo
credere. Avevo superato una delle mie paure a cuor leggero,
semplicemente affidandomi a lui. Mi era sembrato così
naturale e
spontaneo e sentivo di poterlo rifare ancora e ancora. Con lui alla
guida sarei andato ovunque.
In quel momento mi resi conto di aver fatto male i calcoli
perché gli episodi in cui io mi ero fidato di lui ed avevo
affrontato una paura irragionevole, non erano soltanto due: erano
molti, molti di più. C'era la volta in cui avevo
sperimentato
esperienze nuove legate al sesso e lui mi aveva guidato senza mai farmi
sentire inappropriato; c'era la volta in cui David gridava nella mia
cucina ed io ero terrorizzato all'idea che scoprisse l'intruso nel mio
appartamento e lui era sgattaiolato fuori, premurandosi di sorridermi
ancora; c'era la volta in cui lui mi aveva chiesto di cantare, ed io lo
avevo raggiunto sul palco. Blaine di paure ne aveva sconfitte tante ed
io forse non le avevo neanche conteggiate tutte. C'erano quelle
più vecchie, quelle annidate più in
profondità,
quelle di cui neanche ricordavo l'esistenza. Lentamente quel ragazzo
dagli occhi dorati stava facendo crollare ogni difesa e allo stesso
tempo ne stava costruendo un'altra più forte, più
alta,
più bella e sicuramente più autentica.
Una forza misteriosa mi fece muovere i piedi e mi ritrovai a posare le
labbra sulle sue, che trovai subito tese. Era nervoso, magari
spaventato dalla mia reazione. Chissà se con quel bacio
avrei
potuto fargli capire cosa provavo in quel momento. Per mia fortuna lo
colse quasi subito perché mi assecondò qualche
istante
dopo. Mi staccai, con un sorriso sereno sul volto, felice di ritrovare
la stessa espressione anche su di lui. Accostai la fronte alla sua e
sospirai beatamente. Ero rilassato nonostante fossi appena sceso dal
sedile di una moto
"Sia chiaro... sono salito su quell'affare soltanto perché
c'eri
tu a guidarlo!" gli sussurrai a quella pochissima distanza. Lui
ridacchiò sfiorandomi la guancia con la punta del naso e poi
con
un leggero tocco di labbra
"Chiaro come il sole!" mormorò
"Uno a zero per te, Anderson!" scherzai allontanandomi appena, per poi
porgerli la mano affinché l'afferrasse. Lui non se lo fece
ripetere due volte, me la strinse e si avviò verso
l'ingresso
del pub, ridacchiando allegro
"C'è tutta la serata, Hummel... puoi ancora sperare di
rifarti!"
New
York City. Ore 08.45 P.M. 17 Aprile 2012 (Martedì)
Il pub quella sera era nuovamente pieno, e Puck sembrava più
elettrico del solito, soprattutto perché finalmente aveva il
suo
secondo cameriere e le cose sembravano funzionare davvero bene. Kurt
era davvero bravo, pur non avendo mai fatto quel tipo di mestiere. Era
veloce e scattante, pulito e sorridente e i clienti sembravano
apprezzare. Brittany si era fermata più volte al bancone a
ringraziarmi per averle fornito un collega così valido e
Noah
non la smetteva di elogiarlo. Io mi limitavo ad ammirarlo sognante,
forse con un pò di bava alla bocca, mentre sorrideva fiero e
allegro, si muoveva tra i tavoli con tale naturalezza e disinvoltura.
Del
ragazzo insicuro che si era quasi fatto venire una crisi di panico sul
terrazzo non vi era più traccia. Era davvero bastato
così
poco per convincerlo delle sue capacità e per caricarlo? Ero
davvero così bravo?
Devo ricordarmi di
baciarlo più spesso allora...
Mi accorsi troppo tardi di essermi concentrato troppo a guardare il
fondo schiena di Kurt, ricordandone perfettamente la consistenza tra le
mie mani, perché lo scalpellotto che Puck mi tirò
dietro
la nuca arrivò inaspettato e doloroso.
"Cazzo!" sbottai guardandolo male
"Ehi... con queste parole, ragazzino!" mi riprese
divertito "E poi smettila di guardare il mio nuovo cameriere... finirai
per consumarmelo ed io non posso permettermi di perdere un elemento
tanto valido!" mi accarezzai la nuca dolorante e sbuffai una risata
"Fino a prova contraria ce l'ho portato io qui, quindi lo guardo
finché mi pare!" e come due bambini ci cacciammo la lingua a
vicenda per poi scoppiare a ridere.
"Ah bene... si batte la fiacca questa sera al bancone... e lasciate
agli altri il lavoro sporco!" una divertita voce di Santana si
unì alle nostre risate e - meravigliosamente vestita come al
solito - si avvicinò. Noah fece una smorfia indicando la sala
"Mi dispiace deluderti cara la mia Santana... ma stasera il vecchio
Puckermann ha fatto il botto!" e strinse il pugno vittorioso, facendoci
ridacchiare. Proprio in quel momento Brittany si avvicinò a
noi
per salutare la sua ragazza con un bacio sulla guancia e recuperare un
vassoio con delle bibite
"Kurt? Si sta comportando bene?" domandò poco dopo Santana,
poggiando la schiena al bancone. Io sorrisi concedendomi un ennesimo
sguardo sognante nella sua direzione
"Meravigliosamente direi. Impara in fretta e Puck sembra davvero
soddisfatto!" risposi allegramente. Lei annuì, lanciando una
strana occhiata verso Kurt che ci era appena passato davanti con delle
porzioni di patatine nelle mani
"Qualcosa non va?" le chiesi curioso. Lei mi guardò,
visibilmente indecisa su cosa dire, ma alla fine si limitò a
scuotere la testa e a concedersi un sorriso appena accennato
"No... è tutto ok!" mormorò in risposta, per poi
voltarsi
nuovamente verso Puck e chiedergli una lattina di coca cola. Decretai
allora con un lungo sospiro che era arrivato il momento di iniziare a
cantare e così saltai giù dal mio sgabello. Come
ogni
sera avevo un'idea precisa della scaletta che avrei dovuto proporre al
locale. Mi veniva in mente così, senza troppo sforzo, e la
maggior parte delle volte le canzoni che sceglievo, rispecchiavano
l'umore del momento. In quel periodo il mio umore era decisamente
elettrico, e non era poi tanto difficile capirne il motivo.
Così, mi diressi verso il palco, premurandomi di passargli
accanto durante il tragitto e sfiorargli - accidentalmente, ovvio - la
base della schiena con la mia mano. Lui a quel gesto alzò lo
sguardo verso di me e fu un attimo: ci ritrovammo incatenati, in mezzo
a tutta quella gente, probabilmente ignara di quello che stava
succedendo tra di noi. Tutta l'intensità, le cose non dette,
le
cose trattenute o dette semplicemente a metà, la voglia di
qualcosa che purtroppo ancora non riuscivamo a concederci... era tutto
lì, in uno sguardo, che ad occhi esterni non era
praticamente
nulla. Io però, mi sentii le gambe tremare e avvertii
l'impellente desiderio di fare marcia indietro, afferrargli la mano e
portarlo via, lontano da quel pub e da quella gente, lontano da quel
mondo in cui veniva ingiustamente licenziato dopo aver fatto
innumerevoli sforzi, lontano dalla cattiveria, dalla sofferenza e
portarlo... da qualche parte, in un posto che magari soltanto noi
avremmo potuto conoscere. E con quella dolce consapevolezza, salii sul
palco e mi sedetti dietro la tastiera - quello era decisamente un brano
per quel tipo di strumento - ma prima di iniziare, cercai di nuovo il
suo sguardo nella sala e, esattamente come il nostro primo incontro, lo
ritrovai a fissarmi in un angolo, con l'espressione concentrata e gli
occhi tutti per me. E ancora una volta, mi si bloccò
qualcosa in
gola, ma quella sera capii subito cosa fosse: era il mio cuore, fermo
immobile, come me, ad osservare quell'angelo dalle ali appena
spiegazzate a causa del forte urto che aveva da poco subito, ma
ugualmente bellissimo e perfetto. E in quell'istante mi sorrise,
illuminando ogni spazio di quel locale e di conseguenza, illuminando
anche me.
Ti amo...
Dopo un lungo sospiro ed essermi concesso di recuperare almeno in parte
la dignità, accesi il microfono per parlare
"Buonasera a tutti!" salutai ottenendo un meraviglioso scrosciare di
applausi "Io sono Blaine e vi auguro di trascorrere una piacevole
serata." quella volta ci furono perfino parecchi grazie a volare per il
locale "Questa sera, se me lo permettete, vorrei iniziare facendo una
cosa... le persone che mi conoscono sanno che, non sono affatto bravo
con le parole, e che, a volte, per esprimere ciò che sento,
mi
affido alla musica. Ebbene... anche questa volta vorrei fare
lo
stesso: vorrei fare una dedica ad una persona speciale, a cui tengo
davvero tanto e che in quest'ultimo periodo sento particolarmente
vicina. L'ultima volta che ho dedicato una canzone a questa
persona.. forse non sono riuscito ad essere molto.. esplicito, ma spero
che questa volta il messaggio arrivi.. forte e chiaro!" e dopo essermi
schiarito la voce, iniziai a cantare. La melodia sarebbe seguita subito
dopo
I walked across an
empty land
I knew the
pathway like the back of my hand
I felt the
earth beneath my feet
Sat by the
river and it made me complete
Oh simple
thing where have you gone
I'm getting
old and I need something to rely on
So tell me
when you're gonna let me in
I'm getting
tired and I need somewhere to begin
Mi concessi
di chiudere
gli occhi quella volta per poter sentire meglio la musica e, nel farlo,
accadde una cosa strana: venni bombardato da una serie infinita di
immagini, tutte legate a Kurt, a noi due assieme. E fu come rivivere di
nuovo tutto quanto, dal principio. Ebbi di nuovo la fortuna di
incontrarlo in quel bagno, di sfuggita, ed ebbi una fulminea visione
della sua vita e della sua relazione già nociva con David. I
suoi occhi mi erano sembrati già magnifici quella sera e
solo
ora ne riuscivo a capire il motivo. Poi la scena si spostò
velocemente al marciapiede davanti il palazzo, io con uno scatolo di
cartone distrutto e lui con il suo sorriso cordiale e la voglia di
rendersi utile, per darmi un degno benvenuto. Poi, non so come, arrivai
addirittura alla sera dopo la festa di beneficenza, quando, forse,
tutto
aveva iniziato a complicarsi ulteriormente e allo stesso tempo, a
diventare sempre più semplice. Era stato effettivamente
allora
che ogni cosa aveva preso il suo posto, che si era incastrata alla
perfezione con tutto il resto, ed io avevo iniziato ad intuire che, due
come noi, nonostante tutto, potevano condividere qualcosa di
importante, oltre il pianerottolo. La prima volta in cui avevamo fatto
l'amore era senza dubbio stata l'occasione in cui mi ero sentito
più vero, più vivo e soprattutto...
più completo.
Anche la seconda era stata speciale, ma la prima... portava con
sé il piacere della scoperta, della novità, della
sorpresa e della voglia di lasciarsi andare, di mandare al diavolo
tutto, per un solo istante ancora, trascorso a contatto con il suo
corpo.
Ti
amo... Ti amo... Ti amo...
I came
across a fallen tree
I felt the
branches of it looking at me
Is this the
place we used to love?
Is this the
place that I've been dreaming of?
Oh simple
thing where have you gone
I'm getting
old and I need something to rely on
So tell me
when you're gonna let me in
I'm getting
tired and I need somewhere to begin
La cosa che
più di
tutto, mi aveva sconvolto l'esistenza del mondo di Kurt, era
sicuramente stata la sua genuinità e il fatto che riuscisse
con
poco ad essere limpido e cristallino. Tutto ciò che provava
o
pensava glielo si leggeva negli occhi e questo mi aveva permesso sempre
di avere a portata di mano le sue emozioni. E così era
avvenuto,
infatti, durante il suo compleanno: i regali che gli avevo fatto, per
quanto avessi una paura assurda a consegnarglieli, erano stati capaci
di donarmi la reazione migliore di tutte: l'avevo visto sciogliersi
lentamente tra le mie mani e non vergognarsi neppure per un istante di
farlo. E forse era stato quello a farmi capire quanto fragile e al
contempo quanto forte fosse e che cuore buono avesse, nonostante tutti
gli urti e le percosse e le delusioni prese. Si dice che la sofferenza,
fortifichi. Lui, per quello che aveva subito fino a quel momento per
via di David, immaginai avesse una forza d'animo da fare invidia a
chiunque, a me per primo. E poi un altro flash, una meravigliosa
visione della mia porta d'ingresso, piena di post-it colorati, pieni di
scuse, carichi di speranza e di un pò di quella forza e di
quel
coraggio che lo contraddistinguevano e che mi avevano fatto innamorare
così perdutamente. Vedere quella porta così
riempita, con
tanta attenzione, mi aveva fatto capire che, di un animo
così
buono e dolce e fragile e ingiustamente ferito sarebbe stato
impossibile non innamorarsene. E forse, dopotutto, mi sarei dovuto
sentire un privilegiato o comunque avrei dovuto provare a prendermi
più cura di lui, prendermi più cura di quel
piccolo
bocciolo che era nascosto accuratamente nell'erba alta, ma che
conteneva le meraviglie più grandi del mondo.
Ti amo... Ti amo... Ti
amo...
And if you have a
minute why don't we go
Talk about
it somewhere only we know?
This could
be the end of everything
So why don't
we go
Somewhere
only we know?
Essere
aggrediti da
David, vedere la furia passargli negli occhi e dargli la carica
necessaria per stringere maggiormente le mani attorno al mio collo, non
aveva fatto altro che accrescere la voglia insistente che avevo, di
stare con Kurt. Di provare a dargli un pò di quella
tranquillità e di quella sicurezza che quel bestione non
sembrava avergli mai dato. Lo sapevo, mi rendevo conto di essere un
pò troppo presuntuoso nell'affermare di essere migliore di
David
o di essere in grado di dargli quel qualcosa che fino ad allora credevo
gli fosse mancato, ma.. forse era la necessità disperata di
farlo che parlava per me, era il desiderio smodato che avevo di stargli
accanto, sommato all'amore che lentamente mi cresceva nel petto e
urlava per uscire. Contavo di riuscire, prima o poi a tirare fuori
quelle benedette parole magiche e speravo in parte di sconfiggere
quella assurda ed inspiegabile paura di eccedere e rovinare tutto.
Anche io, senza volerlo, avrei potuto far del male a Kurt. E al solo
pensiero mi sentivo morire dentro, nella maniera più
atroce possibile.
Ti amo... Ti amo.. Ti
amo...
Oh simple
thing where have you gone
I'm getting
old and I need something to rely on
So tell me
when you're gonna let me in
I'm getting
tired and I need somewhere to begin
La mia mente
passò
direttamente alla notte
trascorsa a fargli dimenticare quello che era successo, senza
dubbio la più intensa e la più carica di
emozioni.
Suonare per lui mi aveva fatto sentire bene, mi aveva fatto credere per
un momento che, al di fuori di quella porta non ci fosse più
niente e che potessimo vivere chiusi lì dentro per sempre,
sopravvivendo
semplicemente l'uno per l'altro. Non mi era mai capitato
di provare qualcosa di tanto sconvolgente per qualcuno. Neanche per
Sebastian, né tanto meno per Jeremiah. Kurt era...
rappresentava
per me qualcosa di troppo prezioso e di imparagonabile. Avevo
già detto di essere una sorta di privilegiato a stargli
accanto: in quel momento però, mi sentivo molto di
più,
come se la sua perfezione facesse sentire perfetto anche me, la sua
forza mi facesse diventare più forte, il suo coraggio
più
coraggioso e di conseguenza mi facesse provare sempre più
amore
verso quella creatura perfetta che, in quel momento, in quel locale,
sperai stesse ascoltando ogni parola e potesse capire ogni significato.
Perché, come quella sera, io mi ritrovavo a donargli il mio
cuore attraverso delle note, annullavo me stesso e il mio mondo per
lui. Chissà.. magari aprendo gli occhi lo avrei trovato in
piedi, proprio al centro del pub, con gli occhi di nuovo colmi di
lacrime leggere e cristalline a sorridere per qualcosa di inaspettato,
ma allo stesso tempo speciale. E avrei potuto farlo, dopotutto...
aprire gli occhi ed accertarmene, ma.. ero troppo spaventato o
semplicemente troppo fragile. Avevo bisogno di concentrarmi solo sulla
musica e sulle parole, per rendere tutto più vero e sentito,
e
per fargli arrivare al cuore quel ti amo maledetto, che, altrimenti,
non riusciva a venire fuori.
Ti amo.. Ti amo.. Ti
amo...
And if you have a minute why don't we go
Talk about
it somewhere only we know?
This could
be the end of everything
So why don't
we go
Somewhere
only we know?
Io che
credevo di aver
capito cosa significasse davvero amare; io che ritenevo di aver
sofferto abbastanza e di non voler più sperimentare niente
del
genere; io che, da fuori, invidiavo Sebastian e Daniel e il
loro
rapporto, credendo di averlo capito, ma in realtà non
riuscendoci neppure lontanamente; io che avevo sempre sognato di
trovare qualcuno alla mia portata, qualcuno che mi regalasse un
pò di sincerità e di affetto che in quegli anni
mi erano
mancati; io
che per anni avevo creduto di essere stato tagliato fuori dal mondo e
di non meritare neanche una persona da avere accanto;
io che avevo sempre cercato una persona che capisse i miei sogni, li
rispettasse e se ne prendesse cura; io che in meno di un mese
ero
riuscito a rivoluzionare la mia stessa vita, a modellarla, in base ad
un sentimento che era nato e cresciuto di nascosto, ma che alla fine si
era rivelato il più forte di tutti; io che mi ero innamorato
perdutamente e senza nessun limite del mio vicino di casa e che sarei
stato disposto a tutto... tutto... pur di renderlo felice; io che
volevo portarlo via da tutto e da tutti e speravo ardentemente che
fosse un desiderio condiviso; io
che lo desideravo da impazzire e volevo fosse completamente mio, in
ogni forma ammissibile, umana e non; io che amavo Kurt e glielo stavo
dicendo in una canzone, con tutto il sentimento di cui ero capace.
Ti amo... Ti amo... Ti
amo...
This
could be the end of everything
So why don't
we go
Somewhere
only we know?
Alla
fine
della canzone,
fui costretto ad aprire gli occhi, per cause di forza maggiore, e venni
accecato leggermente dalla luce di un faretto posto proprio di fronte a
me, tanto che dovetti strizzare appena gli occhi e non riuscii
immediatamente a mettere a fuoco. Gli applausi che seguirono li sentii
appena, troppo concentrato com'ero a cercare di riacquistare un minimo
di percezione visiva per trovare gli occhi di Kurt in quella confusione
e leggere direttamente sul suo viso le emozioni che speravo di avergli
trasmesso. Ma Kurt non c'era. Non c'era vicino al bancone, non era a
servire tra i tavoli, non era nella parte rialzata del locale.
Semplicemente non c'era. Ed io mi sentii mancare la terra sotto ai
piedi.
Continuando ad ignorare gli applausi dei clienti, mi alzai in piedi,
con una sempre più crescente nota di panico che mi
attanagliava
lo stomaco, vagando ancora con lo sguardo per tutto il locale, fino a
quando, con la coda dell'occhio, non vidi un movimento strano: Santana,
seduta al bancone, stava cercando di attirare la mia attenzione con dei
gesti, non proprio discreti. Così, credendo che lei sapesse
esattamente cosa fosse successo, scesi dal palco, fregandomene del
fatto che fossi pagato per cantare e dovessi continuare a farlo fino
alla fine della serata, e la raggiunsi al bancone. Non feci neanche in
tempo a parlare che lei mi anticipò:
"É scappato in bagno. Raggiungilo!" mi ordinò ed
io, con
il battito del cuore che mi rimbombava nelle orecchie, mi diressi quasi
di corsa verso i bagni, urtando una coppia che stava in mezzo al
corridoio. Con un leggero accenno di fiatone e con la paura che mi
camminava alle spalle, raggiunsi il piccolo disimpegno in cui si
trovavano i vari lavandini e le due porte dei bagni per gli uomini. Mi
lasciai scappare un sospiro e cercai di affinare l'udito, per capire in
quale dei due
si fosse nascosto. Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo e
di rivivere una sorta di dejà-vu, solo che quella volta era
lui
a nascondersi e senza ombra di dubbio, David non c'entrava proprio
nulla. C'eravamo solo io e lui e una canzone dei Keane cantata forse al
momento sbagliato.
Perché sono
un cazzone e non imparo mai...
Mi feci coraggio e bussai ad una delle due porte
"Kurt?" lo chiamai, esitante, mentre, tanto per sfogare un
pò
l'ansia, mi torturavo il labbro inferiore con i denti. Non ottenni
nessuna risposta e questo mi fece sentire ancora più
coglione.
Perché diavolo non mi ero limitato a seguire la mia
scaletta?
Perché non lo avevo lasciato lavorare in pace?
Perché,
credendo di fare la cosa giusta, mi ritrovavo sempre a rovinare tutto?
E perché, maledizione, lui non mi rispondeva? Era
così
grave?
"Kurt... mi.. mi dispiace. Io.. credevo di farti piacere. Lo sai che..
la maggior parte delle volte non penso prima di fare le cose e..
sono... un cazzone. Hai tutto il diritto ad avercela con me adesso e
non ti biasimerò se vorrai prendermi a schiaffi o peggio...
chiedere a Puck di farmi licenziare, sempre che non lo abbia
già
fatto. Però, ti supplico, Kurt... parlami. Non... non
tenerti
tutto dentro, perché non ti fa bene ed io non voglio che
stai
male per colpa mia. Io.. ti avevo promesso di renderti felice e poi...
combino queste cose qui e.. mi dispiace davvero tanto.. non so
cos'altro dire per chiederti scusa.. ti prego.. Kurt?" bussai di nuovo
al legno della porta, disperato e con un leggero lamento. Ok, quella
del silenzio era decisamente la punizione più atroce.
Credevo di
meritarmele tutte, perfino essere preso a schiaffi pubblicamente, ma
quello... no quello non potevo sopportarlo. Così, frustrato
al
massimo, tirati un pugno più forte alla porta
"Cazzo, Kurt io ti..." ma venni bloccato proprio a metà -
per
l'ennesima volta - perché la porta venne aperta di scatto e
per
poco non svenni sul pavimento: perché... cazzo cazzo
cazzo...
quello non era Kurt ed io avevo fatto una delle più grandi
figure di merda della mia vita
"O-oh.."
"Senti un pò... hai finito di rompermi il cazzo? Non si
può neanche pisciare in pace in questo locale?" mi
aggredì un mastodontico uomo, di almeno due metri - ma
dannazione, in taglia normale non li facevano più? - che
avanzò minaccioso, puntandomi un indice contro
"D-io... scu-scusi.." balbettai, sentendomi il viso andare lentamente a
fuoco
"Io non so chi sia questo Kurt e sinceramente me ne frego. Ma qualsiasi
cosa tu gli abbia fatto, spero che te le dia di Santa ragione.. anche
da parte mia!" e detto questo mi spinse appena di lato, per passare ed
uscì, masticando un'altra imprecazione. Rimasi senza fiato,
a
fissare la porta dalla quale era andato via, probabilmente diventando
pallido come un lenzuolo e chiedendomi quale divinità avessi
fatto arrabbiare, per ricevere in cambio delle situazioni del genere.
Possibile che fossi così.. idiota?
Soltanto il rumore ovattato di una risata mi fece riprendere, ed ero
sicuro, quella volta era lui. Così, sentendo un sorriso che
mi
si distendeva lentamente sulle labbra, cambiai porta - se non era
zuppa.. - e mi avvicinai al legno
"Lo spettacolo è stato di suo gradimento?" domandai,
divertito,
mentre la sua risata continuava a risuonare in quel buco di
bagno,
meravigliosa come sempre. Finalmente anche la seconda porta venne
aperta, solo uno spiraglio e quello mi diede la forza e il permesso per
entrare. Lo trovai seduto sulla tavoletta, con ancora una mano sulla
bocca, le guance rosse e gli occhi bellissimi. E quella visione mi fece
dimenticare di tutto, perfino del bisonte che avevo appena importunato.
Vedendolo così divertito, non potei fare a meno di unirmi
alle
sue risate e in breve ci ritrovammo a ridere come due cretini, nel
misero spazio di un bagno cieco.
"Dio, Blaine... mi fai impazzire!" mormorò, asciugandosi gli
occhi, umidi per il troppo ridere.
Lezione numero uno..
come uccidere il proprio vicino...
"Oh.. grazie.." feci io, piacevolmente colpito. Lui arrossì,
dimenticando per un attimo le risate e si affrettò ad
aggiungere
"Cioè... nel senso.." tentò di correggere, ma,
tanto per
tagliare la testa al toro, preferii toglierlo dall'imbarazzo,
intervenendo
"Anche tu!" esclamai, rivolgendogli un sorriso sereno che lui
ricambiò, subito dopo un primo momento di incertezza. Era
così bello, così genuino, così.. vero.
E
dannazione, io ce lo avevo a meno di un metro di distanza, e non sapevo
neanche se fosse una cosa legale saltargli addosso in un luogo pubblico.
Mi feci coraggio, e alzai una mano per accarezzargli una guancia,
sorprendendomi ancora una volta di quanto fosse liscia e morbida e di
quanto bene la mia mano riuscisse a scivolarci sopra
"Ero preoccupato... credevo di averti fatto piangere." confessai con un
sussurro, mentre lui si lasciava scappare un sospiro
"Oh.. lo hai fatto. É per questo che sono venuto a
nascondermi
qui. Per non farmi vedere da tutta quella gente... o da te." rispose,
accennando un sorriso tenero. Bene, avevo appena avuto la conferma di
aver combinato un guaio con quella maledetta canzone. Ma d'altronde..
non avevo bisogno di ulteriori prove per capire quanto fossi coglione
"Mi dispiace, Kurt... io volevo solo..."
"Shhhh!" fece lui, mettendomi un dito sulle labbra e interrompendo un
altro ipotetico sproloquio insensato da parte mia "Non devi scusarti di
niente. Non scusarti per essere così maledettamente speciale
e
perfetto. Non scusarti se riesci ad entrarmi nell'anima nei modi
più disparati. Non scusarti per avermi fatto sentire bene...
ancora una volta!" mormorò avvicinandosi lentamente, fino a
farmi poggiare la schiena al muro e poggiarsi a sua volta addosso a me
Anche tu sei speciale e
perfetto...
anzi, fottutamente perfetto... anche tu mi sei entrato nell'anima...
anche tu mi fai sentire bene...
"E poi..." si lasciò scappare un'altra risata "Dopo la
figuraccia che hai appena fatto.. non riuscirei mai ad avercela con
te.. neanche volendo!" e riuscimmo ancora a ridere assieme, nonostante
la vicinanza e nonostante sentissi chiaramente che l'atmosfera fosse
decisamente cambiata. Me ne accorsi infatti qualche istante dopo,
mentre sentivo le sue labbra sulle mie, il respiro che accelerava e
allo stesso tempo si rilassava, unendosi al suo, le sue mani che si
stringevano ai fianchi, forse cercando un appiglio o forse
semplicemente per avvicinarmi di più al suo meraviglioso
corpo.
Ed io mi ritrovai ad affogare di nuovo, in quell'oceano di sensazioni,
nuove e sconosciute, mischiate assieme in maniera perfetta, tutte con
lo stesso magnifico gusto dolce ed avvolgente, tutto con lo stesso
profumo, tutte con la stessa identica sensazione di appartenenza.
Perché era inutile girarci intorno: io appartenevo a lui,
ormai,
anche se non lo avevamo stabilito a voce, anche se non ci eravamo detti
quelle parole, anche se a conti fatti nessun tipo di etichetta sembrava
legarci. E lo sentivo, sentivo come Kurt mi appartenesse nella maniera
più profonda ed inspiegabile possibile, e non c'erano parole
umanamente conosciute per descrivere la sensazione che stavo provando,
in quel momento, mentre ci baciavamo, mentre per un altro istante
lasciavamo fuori dalla porta il mondo e ci rintanavamo in un universo,
probabilmente parallelo, ma che solo noi avremmo potuto conoscere.
Non seppi come, mi ritrovai a fare vagare le mani verso il bordo della
sua maglia e a sollevargliela, quel tanto che bastò per
permettere alle mie mani di intrufolarsi morbidamente ed accarezzare
quella pelle che tanto mi mancava e di cui tanto sentivo il bisogno. Un
bisogno disperato che in quel momento si stava risvegliando,
prepotentemente. E lui, invece di prendermi a schiaffi, di gridarmi di
smetterla o perlomeno di ricordarmi che eravamo pur sempre in un bagno
pubblico, dietro una porta che non era neanche chiusa a chiave, nel pub
in cui tutti e due lavoravamo, sembrò gradire,
perché si
lasciò scappare un mezzo gemito, e per risposta, spinse
appena i
fianchi verso i miei, mozzandomi il respiro il gola. E fu un attimo: ci
scambiammo uno sguardo veloce, uno battito di ciglia
tempestivo che
bastò ad entrambi per decidere.
E l'attimo dopo le mie labbra erano sul suo collo, per assaporarlo e
finalmente concedersi di lasciare qualche segno - e al diavolo David! -
e le sue mani erano scese fino alla mia cintura, e l'avevano aperta con
fretta e confusione, ma alla fine era venuta via ed era arrivato il
turno dei pantaloni, mentre le mie labbra erano impegnate a dedicarsi a
quella meravigliosa vena che sporgeva e macchiava graziosamente quella
magnifica pelle nivea. E bastò un altro semplice attimo per
fare
salire le mani, con il palmo aperto, lungo tutta la sua spina dorsale,
contando ogni vertebra e ogni piccolo ansito che gli scivolava dalle
labbra, o per aprire finalmente l'ultimo bottone dei miei pantaloni e
allargarli, quanto bastava per farsi spazio per entrare. E
mancò
davvero poco, forse un semplice soffio o un altro sbattere di ciglia,
per permettere a quella mano di oltrepassare l'elastico dei boxer - che
si erano fatti decisamente troppo stretti - e arrivare finalmente a...
"Kurt? Blaine? Siete qui dentro?"
Cazzo...
"Puck vi sta cercando. Ha già minacciato due volte di
licenziare
entrambi se non vi decidete a tornare al vostro lavoro!" era Santana,
che rovinava il nostro momento di passione sfrenata e ci riportava alla
realtà e al mondo dei vivi, quel mondo in cui Kurt era un
cameriere, io un intrattenitore musicale e Noah Puckermann era il
nostro capo. Mi lasciai scappare un lamento, che Kurt interruppe a
metà, posandomi una mano sulla bocca - la stessa mano che
era
quasi... - e fu proprio lui a rispondere
"Arriviamo subito. Grazie Santana!" gridò ed io, con un
sorriso sarcastico, gli feci eco
"Sì, grazie Santana!"
"Dovere." rispose lei, per poi ritornare nel locale a giudicare dal
rumore. ;i ritrovai a sospirare pesantemente e a poggiare la fronte
alla spalla di Kurt
"Non può essere vero!" borbottai, frustrato oltre
l'immaginabile. Chissà cosa, in quella situazione, lo
divertì parecchio, perché lo sentii ridacchiare
sommessamente
"Cosa c'è?" gli chiesi infatti, discostandomi appena
"Siamo stati beccati come due quindicenni..." mormorò
scuotendo
la testa "Non siamo un pò troppo cresciuti per queste cose?"
domandò, circondandomi il viso con le mani e lasciandomi un
bacio leggero sul mento, bacio che, per quanto bello e
meravigliosamente soffice, non era neanche lontanamente paragonabile a
quello che ci stavamo scambiando prima di essere interrotti. Gli
sorrisi, facendo scivolare a malincuore le mani fuori dalla sua maglia
"Cresciuti o no, questa è una vera e propria congiura." mi
lamentai con un piccolo sbuffo, richiudendomi i pantaloni - decisamente
ancora troppo stretti
"Avremo modo di rifarci a casa!" ammiccò lui, strizzandomi
l'occhio, con un'affascinante sfumatura maliziosa nella voce, che mi
fece stringere lo stomaco
"Il bello di vivere da soli..." mormorai allora io, lasciandogli un
veloce bacio a stampo sulle labbra, che si aprirono in un sorriso e,
dopo aver controllato che fossimo entrambi presentabili, uscimmo dal
bagno, con la speranza che Puck non ci avesse già licenziati
e
che soprattutto quel bestione che avevo inavvertitamente disturbato,
fosse andato via dal locale.
New York
City. Ore 11.56 P.M. 17 Aprile 2012 (Martedì)
La strada dalla moto fino all'appartamento di Blaine, era stata
piacevolmente confusionaria. Ricordavo vagamente di aver lasciato il
casco sulla sella, accanto al suo e di aver riso con lui sul fatto che
il giorno dopo non li avrebbe di certo ritrovati; ricordavo di averlo
tirato fino al portone, senza mai abbandonare i suoi occhi, che
brillavano al buio di qualcosa di estremamente eccitante; ricordavo di
essere entrato in ascensore e di aver premuto alla cieca il pulsante
con il piano, mentre le labbra di Blaine tornavano sulle mie,
incendiandomi anche il cuore; ricordavo il suo sapore mischiarsi al
mio; ricordavo le sue mani che risalivano curiose sotto il tessuto
della giacca e della maglia; ricordavo la sua meravigliosa erezione
schiacciata contro la mia in una disperata ricerca di sollievo;
ricordavo di aver pregato ogni divinità celeste di
abbreviare
quella corsa per farci arrivare prima alla porta e poterci finalmente
liberare dei vestiti; ricordavo praticamente tutto, perfino il sospiro
che uscì fuori dalla bocca di entrambi, nello stesso istante
in
cui le porte della cabina di aprirono e il solito ding ci dava il
benvenuto; ricordavo anche la fretta di ritrovare la chiave giusta da
inserire nella toppa, mentre cercavamo ancora disperatamente il
contatto con l'altro, in un dolce intreccio di lingua, labbra, sapori,
odori e voglie incontrollabili, ancora non soddisfatte. Ma mancava
poco, davvero molto poco.
La cosa che, essenzialmente, ricordai più di tutte,
però,
fu quello che successe dopo aver finalmente aperto la porta: fui io il
primo a riscuotermi e ad avvertire anche lui, che era di spalle, con un
mezzo urlo di sorpresa, mentre gli occhi vagavano per il salotto,
stranamente illuminato, e si fermavano su quella figura sconosciuta,
che, dal centro della stanza, nell'appartamento di Blaine, ci osservava
esterrefatta. E alla fine, fu proprio Blaine a parlare, dopo essersi
ripreso dallo shock, interpretando il pensiero di entrambi
"E tu chi cazzo sei
?"
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Capitolo 36 *** Intrusi indesiderati e confidenze tra amici ***
Buongiorno a tutti e buon
Lunedì... dunque dunque, questa autrice perfida non ha
ancora perso il vizio di lasciarvi con il capitolo appeso.. mmm..
probabilmente non lo perderà mai (si dice che chi nasce
tondo non può morire quadrato XD) quindi se potete,
perdonatela. Oggi scopriremo chi sarà l'intruso e se le
vostre supposizioni sono state giuste oppure no, inoltre, dallo spoiler
che avete letto, c'è anche un piccolissimo problema da
risolvere nella Klaine, problema che farà senza dubbio
uscire di senno il povero Anderson XD (ma come mi diverto...) godetevi
la lettura e spero che il capitolo almeno a voi piaccia, dato che io lo
trovo orribile ç___ç un bacio immenso a tutti e
come sempre grazie per il vostro meraviglioso affetto, affetto che mi
chiedo ancora se meritato oppure no *__* e.. le recensioni..
cercherò di rispondere in giornata, promesso (chiedo venia
ç__ç) ciaoooo <3
p.s. Questa volta Dan
non si è occupato dell'immagine ma.. beh sì
insomma l'ho fatta io (e si vede) per non rovinare la sorpresa,
quindi.. ignoriamola e passiamo
direttamente al capitolo, grazie XD
n.b. Pagina FB (
Dreamer91 ) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments )
New
York City. Ore 00.03 A.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)
"E tu chi
cazzo sei?"
C'era stato
un lungo attimo di panico generale, un guardarsi tutti negli
occhi e decretare che qualcosa non tornasse e che ci fosse decisamente
qualcosa di
sbagliato. Nello specifico, il mio problema riguardava una ragazza
bionda, con gli occhi sgranati, che stringeva per il manico un lungo
ombrello e se ne stava coperta per metà dal tavolo del
soggiorno. Il mio soggiorno.
"Chi cazzo
siete voi, piuttosto? E come avete fatto ad entrare?" ci
domandò, visibilmente spaventata, brandendo con maggior
forza
l'ombrello, usato come arma di difesa
"Questa
è casa mia!" sbottai inviperito, facendo tintinnare
il
mazzo di chiavi, tanto per farle capire meglio il concetto. Lei
sgranò maggiormente gli occhi e perse un pò di
quel
vigore che sembrava tenerla vigile e attenta nella sua posizione
"Casa..
tua?" domandò, sembrando perfino scioccata
"Esatto.. e
se non mi dici chi sei e come sei entrata... giuro che
chiamo immediatamente la polizia!" minacciai, recuperando il cellulare
e contemporaneamente avanzando di un passo, frapponendomi tra lei e
Kurt, che sentivo ancora alle mie spalle. Per quanto quella fosse
all'apparenza un'innocua ragazza dai capelli biondi, non riuscivo a
stare tranquillo: avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori una
pistola e magari iniziare a spaventarci con quella. Era già
riuscita ad entrarmi in casa, figuriamoci di cos'altro sarebbe
stata capace. Nell'eventualità del "meglio prevenire che
curare"
io preferii avanzare e proteggere Kurt, fino a che mi fosse stato
possibile
"Questa...
è..." mormorò qualcosa di
incomprensibile,
facendo vagare lo sguardo attraverso la stanza, come se fosse
posseduta, mentre la sua forza vacillava ancora
"Mi hai
sentito? Se non
ti decidi a darmi una spiegazione valida giuro che stasera qui finisce
male!" forse spaventandola, l'avrei fatta scappare o forse avrei
peggiorato soltanto la situazione. L'ultima volta che avevo provato a
fare l'eroe non era finita nel migliore dei modi e dubitavo fortemente
che anche quella sera sarebbero arrivati i coniugi Smythe per salvarci.
Quindi, nel limite del possibile dovevo agire con calma e gestire la
situazione senza esagerare. C'era pur sempre anche Kurt con me.
Avanzai di un altro passo, verso la ragazza, ma in quel momento, mentre
mi preparavo a parlare, fu proprio la voce di Kurt a farsi sentire
"Blaine
aspetta! Io la
conosco.." mormorò, in un sussurro talmente tanto leggero da
farmi venire perfino i brividi. Senza perdere d'occhio la ragazza, che
ancora vagava con lo sguardo per il soggiorno, sempre più
spaventata, girai appena la testa verso di lui
"Cosa?" gli
domandai
sorpreso. Come diavolo poteva conoscere quella tizia? Non era di certo
una barbona - lo deducevo dagli abiti ordinati e visibilmente costosi
che indossava - ma dubitavo che Kurt potesse frequentare ladri, o
trafficanti, o peggio ancora assassini. Lui, ignorandomi, fece un passo
avanti, uscendo dalla copertura che gli avevo creato e rivolgendosi
alla ragazza
"Tu sei...
sei venuta una
volta qui con tuo padre per.. vedere questo
posto ma poi te ne sei andata subito. Ci siamo incontrati sul
pianerottolo." spiegò, con voce calma e distesa. Lei,
piegò appena la testa di lato e si prese qualche secondo
buono
per scrutarlo per bene. Alla fine si lasciò scappare un
mezzo
sospiro ed abbandonò perfino la sua posizione di difesa,
abbassando l'ombrello
"Sì...
mi ricordo
di te." fece infatti, annuendo piano. Fu allora che, forse sentendomi
leggermente più al sicuro, mi concessi di girarmi per poter
guardare Kurt negli occhi
"Kurt? Cosa
stai..." tentai di chiedere, ma lui, accennando un sorriso mi
anticipò
"Blaine..
lei è la
figlia del tuo padrone di casa!" mi informò, con una leggera
nota di divertimento nella voce. Io per poco non stramazzai al suolo
"Eh?"
sbottai infatti,
affogandomi con la mia stessa saliva e tossendo di conseguenza. E fu un
attimo: feci scorrere velocemente gli occhi da lui fino alla ragazza,
che in quel momento sospirò ancora e posò
l'ombrello sul
tavolo, forse decretando la zona ormai sicura. Aspetta.. quella ragazza
era la figlia di...? Cazzo...
"Tuo padre
è il
proprietario dell'appartamento? Tu sei la figlia dell'avvocato Fabray?"
le domandai, con un filo di voce, mentre lentamente in me prendeva
piede la consapevolezza di aver appena quasi denunciato alla polizia la
figlia del mio padrone di casa. E di conseguenza riuscii a trovare un
altro valido motivo per darmi del coglione.
Impara, Blaine.. prima
di agire.. pensa!...
"Sì..."
soffiò lei, per poi scuotere la testa e passarsi una mano
tra i
lunghi capelli biondi "Io.. non credevo che.. mio padre avesse messo in
affitto questo posto!" le uscì una specie di lamento, prima
di
sparire dalla nostra visuale. Io e Kurt ci guardammo, appena spaventati
e subito la raggiungemmo per vedere che fine avesse fatto. Aggirato il
tavolo, la trovammo seduta per terra, con le gambe piegate di lato e la
faccia nascosta dalle mani e in parte anche dai capelli. Kurt si
inginocchiò quasi immediatamente al suo fianco, mentre io
rimasi
in piedi, ancora sulla difensiva, benché fossi decisamente
più tranquillo. Almeno avevamo appurato di non essere in
pericolo di vita. Tuttavia, continuava a sembrarmi strana quella
situazione: perché la figlia del mio padrone di casa si era
introdotta di nascosto nel mio appartamento, senza avvisare e
soprattutto.. perché era sembrata seriamente distrutta, nel
sapere che il padre lo avesse messo in affitto? Non si parlavano in
quella casa? E poi.. lei non era quella figlia viziata a cui Lower East
Side era sembrato un quartiere troppo sputtanato per poterci vivere?
Era stato Sebasatian a dirmi quelle cose, il giorno in cui mi aveva
mostrato l'appartamento ed io avevo subito pensato che quella ragazza
fosse decisamente troppo stupida per meritarsi un regalo del genere.
Eppure, avendola lì, davanti ai miei occhi, tutto mi
sembrava,
fuorché un'oca sprovveduta o una ragazzina viziata. Sembrava
più che altro... decisamente troppo spaventata
"Ti senti
bene?" le
domandò Kurt, appena esitante. Lei scosse la testa e
tirò
su con il naso. Bene, ci mancavano solo le lacrime
"No..
affatto!" rispose
in un soffio, con la voce incrinata, nascondendosi meglio dietro ai
suoi stessi capelli. Kurt sospirò, dopodiché mi
lanciò un'occhiata strana. Era disarmato, impotente eppure
si
vedeva chiaramente quanto forte fosse il suo desiderio di rendersi
utile. Per un momento mi chiesi come potesse essere possibile che un
cuore così buono ed innocente fosse capitato sul mio stesso
pianerottolo o semplicemente cosa c'entrassi io con lui. Se fosse stato
per me, dopo aver appurato che quella ragazza era la figlia di Fabray,
mi sarei limitato ad invitarla gentilmente ad uscire da casa mia e
avrei ripreso quello che avevo malamente interrotto poco prima. Lui,
però... si preoccupava, pur non conoscendola. Io volevo
andare
direttamente in camera da letto - o anche sul divano, sul pavimento,
sul tavolo, sul muro del corridoio - e soddisfare quella voglia
disperata ed opprimente che avevo di lui. Kurt invece, era stato
così bravo da mettere da parte tutto, per dedicarsi al
problema
evidente di quella ragazza. Mi sarei dovuto sentire un mostro. E anche
un pervertito. Decisamente.
"Come...
come ti chiami?"
le chiese, posandole con cautela una mano sulla spalla. Lei ebbe un
momento di incertezza, e sollevò gli occhi posandoli su di
lui.
Forse lesse qualcosa in quello sguardo limpido e così
innocente,
che bastò a convincerla a parlare
"Quinn.."
mormorò,
liberandosi il viso dai capelli e sistemandoli dietro le orecchie. Ah
però.. un nome importante per una famiglia importante
"Io
sono
Kurt.. Kurt
Hummel. E lui è.. Blaine." sorrise, indicando anche me e
lei,
riuscì finalmente a tentare un sorriso, ma fu solo un
attimo,
prima di farsi scappare un altro singhiozzo.
"Vi prego di
perdonarmi..
sono... non sapevo dove andare, ero disperata.
I miei mi hanno cacciata via di casa e hanno detto di non volermi
più vedere. Mi... sono ricordata di questo posto e per puro
caso
sono riuscita a trovare un doppione delle chiavi nello studio di mio
padre. Ma, vi giuro.. io non sapevo che.. lo avesse dato in affitto a
qualcuno" e sollevò gli occhi di nuovo verso di me, in una
specie di smorfia supplichevole che mi fece sentire ancora
più
male per averla trattata in quel modo poco prima
"Da
più di un mese ormai" le dissi pratico. Lei scosse la testa
"Adesso sono
definitivamente rovinata!" mormorò per poi passarsi la
manica
della maglia sotto gli occhi per liberarsi un pò delle
lacrime.
Mi avvicinai ancora un po', rimanendo tuttavia in piedi
"Quinn?" la chiamai, schiarendomi appena la voce e sentendomi
maledettamente a disagio. Era una situazione decisamente troppo strana.
I suoi genitori l'avevano cacciata di casa, ma.. perché? E
soprattutto... cosa c'entravamo noi? Cosa avrei dovuto dirle? Che tutto
si sarebbe risolto? Che i suoi genitori, qualsiasi cosa avesse mai
fatto, l'avrebbero perdonata e tutto sarebbe tornato come prima? Che se
ne sarebbe dovuta andare da qualche altra parte perché
quella
era a tutti gli effetti casa mia ormai e io avevo un bisogno disperato
ed impellente di stare da solo con Kurt?
"Hai.. visto il mio cane per caso?" domandai alla fine, dandomi dello
stupido, ma decisamente troppo imbarazzato per chiedere altro. Lei
rimase un istante a guardarmi, confusa, per poi lasciarsi scappare una
leggera risata. E quel suono, per quanto strano, fu decisamente
piacevole
"Sì... appena sono entrata mi è venuto incontro..
solo
che poi, dopo essersi reso conto che io non ero te.. è
scappato.. si è nascosto sotto il letto credo!" e mi
sorrise,
ancora profondamente divertita. Io feci una
smorfia, mentre perfino Kurt ridacchiava leggermente
"Bel cane da guardia che mi sono trovato!" borbottai e mi diressi,
senza dire altro, in camera, per stanare il traditore. Lo trovai in un
angolo, accucciato, con qualcosa addosso, che solo quando fui vicino
capii essere la maglia del mio pigiama. Cercando di trattenere una
smorfia intenerita, e provando ad assumere invece l'espressione del
papà ferito, lo presi in braccio per sgridarlo
"Cosa... del concetto 'tu controlli questa casa!' non ti è
chiaro, Cooper?" gli domandai e lui, in risposta mi leccò il
naso, facendomi passare tutto, perfino l'intenzione di farlo dormire in
terrazzo per punizione. Così, lo portai in salotto, dove
Kurt e
Quinn si erano seduti sul divano e parlavano, in maniera appena
più rilassata. Appena mi vede tornare, Kurt mi sorrise, e
anche
quel gesto ebbe il potere di farmi dimenticare parecchie cose, perfino
il mio nome di battesimo
"Ti
va una
tazza di
thé?" domandò lui, rivolgendosi di nuovo alla
ragazza
che, prima di rispondere, si girò verso di me, forse per
chiedere
conferma. Io mi ritrovai inconsapevolmente a sorriderle e lei fece lo
stesso, più sollevata, annuendo e ringraziando Kurt.
Così
lui si diresse in cucina ed io, con ancora Cooper in braccio mi
avvicinai a lei e le posai il cane di fianco
"Coraggio Cooper... sii gentiluomo... fai compagnia alla signorina." e
per la seconda volta ebbi il potere il farla ridere e i due ci misero
relativamente poco a scrutarsi e a dichiarare di essere compatibili per
una sessione straordinaria di carezze. Decisi di lasciarli un
pò
soli e raggiunsi Kurt. Lo trovai impegnato a riempire d'acqua un
pentolino per poi metterlo su uno dei fornelli e accendere il
gas. Si accorse della mia presenza e subito mi sorrise
"Mi dispiace." sussurrò, forse per non farsi sentire da
Quinn.
Aggrottai la fronte, avvicinandomi e mi poggiai con la schiena al
tavolo esattamente a mezzo passo da lui
"Per cosa?" gli chiesi confuso
"Per quello che... stavamo facendo e per come siamo stati interrotti."
rispose avvicinandosi ed io lo accolsi immediatamente tra le mie
braccia: come era successo poche ore prima nel bagno del pub, si
schiacciò completamente addosso a me ed io sentii un lungo
brivido percorrermi tutta la schiena fino alla nuca, dove venne per
fortuna catturato da una sua carezza, dolce e morbidissima carezza
proprio in quel punto
"Non è colpa tua.. si vede che.. io e te possiamo stare
insieme
soltanto quando uno dei due è fidanzato!" scherzai,
stringendogli i fianchi per attirarlo appena più vicino e
lui
ridacchiò, nascondendo il viso tra il mio collo e la spalla.
Rimanemmo in quella posizione per un pò, in silenzio,
respirando
direttamente il profumo dell'altro e provando ad accontentarci almeno
di quello. Dato che non potevamo ottenere altro,
almeno per quella sera, avrei approfittato del suo calore in un altro
modo e avrei lasciato l'immaginazione libera di vagare e di dipingere
scenari fantastici di me e lui, possibilmente soli e con niente a
dividerci, se non il tessuto delle lenzuola.
"Che cosa facciamo con lei?" mi domandò poco dopo, in un
soffio. Esattamente quello che mi stavo chiedendo anche io
"Non lo so, Kurt." risposi sinceramente, con un sospiro "Hai sentito
che cosa ha detto? I genitori l'hanno cacciata di casa... e se suo
padre viene a scoprire che lei è qui.. potrebbe prendersela
e
magari togliermi l'appartamento."
"Non succederà.. prima di tutto cerchiamo di capire cosa le
è successo e come mai è così
distrutta. Nel caso
in cui non ci dovessero essere soluzioni... verrà a stare
momentaneamente da me. Fabray sul mio appartamento non ha nessun
diritto ed io sono libero di tenerci chi voglio!" disse con calma,
guardandomi negli occhi e dimostrandomi di essere, ancora una volta,
decisamente quello più maturo tra i due. Avrei anche io
voluto
essere così saggio e posato ma forse, come in tutte le
coppie,
c'erano dei ruoli prestabiliti da rispettare.
Ho appena detto che io e
lui siamo una coppia.. bene, l'astinenza inizia seriamente a fare
male...
"Sei veramente una persona speciale, Kurt... ed io dovrei ricordarmi di
ripetertelo un pò più spesso." mormorai ,
incantato dalla
profondità dei suoi occhi e da quel piccolo sorriso commosso
e
spontaneo che riuscì a regalarmi
"Me lo ricordi anche fin troppe volte, fidati.. ed io devo ancora farci
l'abitudine!" ridacchiò, continuando ad accarezzarmi la nuca
e
posando l'altra mano sul mio petto, all'altezza del cuore, che per
farsi sentire, scalpitò appena più forte. Mi
ritrovai,
senza pensarci, ad allungare il collo e a riprendere possesso delle sue
labbra e, chiudendo gli occhi, provai ad immaginare che in quella casa
fossimo soli, che non dovessimo preoccuparci di nulla a parte di noi
stessi e che potessimo seriamente concederci il nostro tempo, il nostro
spazio, la nostra agognata intimità e probabilmente perfino
qualche confessione, scappata durante la passione del momento. E
invece, riaprendo gli occhi e puntandoli nei suoi, nonostante questi
fossero come sempre bellissimi e pieni di destabilizzante desiderio,
non
successe praticamente nulla. Quinn era ancora nel mio salotto, io e lui
avevamo ancora i vestiti addosso e soprattutto.. l'acqua del pentolino
aveva iniziato a bollire. Così ci sorridemmo ancora,
consapevoli
del fatto che fossimo davvero sfortunati e che anche quella sera non
sarebbe successo molto, a parte forse qualche altro bacio, rubato
durante quei pochi momenti di solitudine.
"E comunque..." aggiunse poco dopo con un mezzo sorriso furbetto "Anche
tu sei speciale, Blaine... molto più di quanto possa sperare
di
esserlo io!" e mi lasciò un altro piccolo bacio a fior di
labbra, facendomi sorridere di conseguenza.
L'aiutai a recuperare tre tazze dalla credenza e poco dopo raggiungemmo
il salotto, dove Cooper e Quinn sembravano entrati decisamente
più in confidenza
"Blaine.. questo cane è un amore!" esclamò
divertita, mentre il cucciolo scodinzolava allegro al suo fianco
"Sono contento che abbiate fatto amicizia." mormorai, passandole una
tazza fumante e lei mi ringraziò con un sorriso. Vederla
sorridere, con gli occhi asciutti e senza nessun ombrello stretto tra
le mani, rendeva tutto molto più tranquillo. E
così ci
ritrovammo tutti e tre a sorseggiare i nostri thé caldi, io
seduto sul tappeto con Cooper che scorrazzava felice da un lato
all'altro e loro due sul divano di fronte a me. Rimanemmo in silenzio
per dei lunghissimi istanti fino a che Kurt non sospirò e
non si
decise a mettere a nudo la questione
"Ascolta Quinn... io e Blaine ne abbiamo parlato e... saremmo anche
disposti a venirti incontro.. ed aiutarti, ma.. tu devi aiutare noi a
capire. Abbiamo bisogno di sapere cosa è successo e come mai
sei
stata costretta a venire qui." le disse con calma, senza nessun tipo di
pretesa o di accusa nella voce. Lei annuì
"Sì
avete ragione.
Meritate una spiegazione plausibile.. entrambi!" e si rivolse
soprattutto a me. Prese un profondo respiro e alla fine
parlò
"Ho litigato con i miei stamattina perché loro hanno..
scoperto
una cosa e non sono stati capaci di.. gestirla." fece una smorfia,
facendo intendere ben altro.
"Che cosa
hanno scoperto?" domandai curioso. Lei, combattuta, si morse il pollice
per qualche secondo prima di rispondere
"Sono
incinta!"
esclamò, con l'espressione tipica di chi, sganciata una
bomba,
aspetta timorosa l'esplosione. E in effetti qualcosa successe. Cooper
abbaiò, quasi fosse contento della notizia e quella sua
intromissione diede il tempo materiale a tutti, in quella stanza, di
metabolizzare la notizia appena avuta.
La figlia del mio
padrone di casa e
qui, che si nasconde nel mio appartamento ed io ho appena scoperto che
è stata cacciata perché è
incinta. Sono un
uomo
morto...
"Oh!" mormorò Kurt, colpito e quello fu l'unico suono umano
che uscì fuori, dopo quella rivelazione.
"Già.." fece lei, abbassando la testa e sospirando ancora.
Decisi di intervenire, per provare a smuovere un pò quella
situazione, altrimenti non saremmo andati da nessuna parte
"E il.. padre del bambino.. lui lo sa già?" domandai,
chiedendomi perché non fosse andata direttamente da lui a
cercare asilo invece di introdursi a casa mia. Lei scosse la testa
"No, non lo sa.. e credo che non lo verrà mai a sapere."
affermò con forza, stringendo in un pugno l'orlo del lungo
vestito che portava. La sua reazione mi spiazzò non poco.
Che
cosa significava che il padre del bambino non lo avrebbe mai scoperto?
Perché una tale decisione?
"E posso.. permettermi di chiederti il motivo di questa tua scelta?" le
chiese Kurt in un sussurro
"Lui è... non reagirebbe bene perché non
può..
prendersi cura di un figlio né tanto meno io posso sperare
che
mi accolga a braccia aperte nella sua vita, se gli dicessi una cosa del
genere!" rispose continuando a torturarsi il vestito, in un tono
leggermente amaro
"Che intendi.."
"Lui è sposato." sbottò senza troppi complimenti
"Ha una
moglie e due figli. Ed io sono semplicemente la sua stupida ed inutile
amante!" e si lasciò scappare un singhiozzo, tornando a
coprirsi
il viso con le mani. O cazzo.. quello sì che era decisamente
scioccante. Vidi Kurt spalancare appena gli occhi, sconvolto e forse,
per un istante gli passò per la testa la stesso mio
pensiero.
Quella ragazza era tutto tranne che innocente: era l'amante di un uomo
sposato, una rovina-famiglie, una ragazzina. Ed io e lui non ci saremmo
di certo preoccupati di tenerla in casa, proteggerla e magari darle
pure da mangiare, rischiando di suscitare la collera del padre
avvocato. Mi sarei aspettato tutto, tranne una confessione del genere
"Stavi con un uomo sposato.." borbottò infatti Kurt,
leggermente
più duro nella voce, incupendosi. Quinn, avvertendo il suo
tono
cambiare, si affrettò a sollevare la testa e a rispondere
"Sì.. era sposato, ma.. io vi giuro che.. non lo sapevo. Lui
mi
ha raccontato una marea di bugie, fin da quando ci siamo conosciuti.
Ha sempre detto di volermi bene, di volermi sposare e che io ero
l'unica donna della sua vita. C'era.. differenza di età,
certo,
ma... non mi ha mai parlato della sua famiglia né tanto meno
di
sua moglie. L'ho scoperto per caso un mese e mezzo fa, dopo quasi un
anno di relazione clandestina. E ovviamente l'ho lasciato. Solo che...
un paio di settimane fa ho scoperto della gravidanza e.. stamattina
è successo tutto quello che non sarebbe mai dovuto succedere
con
i miei genitori. E il resto della storia la sapete già." ci
guardò negli occhi, prima Kurt e poi me, cercando
comprensione e
forse sperando di averci convinti o di non aver perso il nostro
sostegno. Io non so cosa, guardandola negli occhi, mi fece
immediatamente credere che quella che ci aveva appena raccontato fosse
la verità e che quindi non fosse affatto una rovina-famiglie
ma
semplicemente un'amante inconsapevole, caduta vittima del raggiro di un
uomo fin troppo astuto. E non riuscii a non provare pena per lei. Per
lei e per quella povera creatura innocente che portava in grembo.
"So che è difficile credere alle mie parole e che ai vostri
occhi sarebbe più facile catalogarmi come la classica
puttanella
ricca e viziata che tenta di distruggere le famiglie degli altri.. ma
vi
assicuro che non è così." affermò, in
una nota
disperata, tanto preoccupata di farci comprendere la verità
e
sperando che forse, noi al contrario dei suoi genitori, fossimo un
pò più magnanimi e comprensivi "Io... mi ero
innamorata
di quel bastardo e sarei stata disposta a fare di tutto per lui. E lo
dimostra il fatto che, nonostante tutto, non sono mai andata da sua
moglie a raccontare la verità, neanche dopo aver scoperto di
aspettare un figlio da suo marito. Mi sono tenuta alla larga dalla loro
famiglia perché mi sono sentita in colpa per lei.. per i
suoi
figli ma soprattutto mi sono sentita in colpa verso me stessa.. per
aver avuto così poco rispetto verso la mia persona e verso
il
mio futuro, credendo davvero che la mia felicità potesse
essere
condivisa con uno così!" e scosse la testa, alla fine del
suo
sfogo, amareggiata e distrutta. Soffriva ancora, e forse quella
situazione con i suoi genitori non aveva fatto altro che aggravare
tutto. Se avesse avuto una famiglia più comprensiva, o
semplicemente un pò più di fortuna in
più, forse
sarebbe stato tutto molto più semplice.
"Noi non ti giudichiamo, Quinn.." mormorai, senza neanche accorgermene
qualche istante dopo, attirando la sua attenzione "Però,
personalmente, penso che tu sia stata molto matura e che adesso stia
dimostrando un coraggio davvero invidiabile. Devo dire che
ammiro la tua forza d'animo, e l'umiltà con cui sei
riuscita a raccontarci tutta la storia. Per quanto riguarda
quell'individuo... avrà quello che si merita prima o poi..
è soltanto questione di tempo. La vita è come una
ruota
che gira, basta solo aspettare che lo faccia dal nostro stesso senso di
marcia." e le sorrisi, non riuscendo a trattenere neanche quello,
ritrovandomi a provare una strana forma di simpatia e tenerezza verso
quella ragazza così sola eppure allo stesso tempo combattiva
e
piena di voglia di vivere. E in un certo senso, sentii che tutta quella
simpatia che provai a pelle, fosse dipesa da fatto che, in un certo
senso, somigliasse molto al mio Kurt. L'angelo buono e solo,
maltrattato dal mondo eppure pieno di qualcosa di speciale ed unico
che aspettava soltanto di essere tirato fuori.
Quinn mi sorrise, grata e commossa
"Grazie Blaine.. sei.. davvero gentile." e poi entrambi ci girammo a
guardare Kurt che sembrava decisamente troppo pensieroso. Si accorse
dei nostri sguardi insistenti ed arrossì appena, ma si
concesse
un sorriso, che alla fine, fece sorridere anche me. Quella era il segno
che anche lui avesse capito e che credesse alle parole di Quinn,
nonostante in un primo momento fosse stato il primo ad esserne
infastidito. Così alla fine
parlò anche lui
"Stiamo per infilarci in un grande casino, non è vero?"
domandò, appena divertito, ovviamente rivolto verso la
ragazza
che accettò la battuta con un sorriso
"Non sarà necessario. Voi non siete obbligati ad aiutarmi.
Posso
benissimo farcela da sola.. trovarmi un posto in cui dormire, un lavoro
e.. magari con il tempo perfino un appartamento tutto mio. Siete stati
fin troppo gentili con me.. non pretendo di certo di approfittare
ancora di tutto questo." e ci sorrise di nuovo, leggermente
imbarazzata. Io e Kurt, in quel momento, ci guardammo e ci
bastò un solo millesimo di secondo per decidere.
New York City. Ore 07.34 P.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)
"E quindi adesso la figlia del mio capo vive a casa tua!"
esclamò Sebastian colpito, tamburellando con le dita sul
tavolo.
Io feci una smorfia
"Non vive a casa mia... si è momentaneamente fermata in
attesa
di trovare un alloggio ed un lavoro per poterselo permettere." spiegai
con calma. Eravamo seduti ad un tavolino del pub, ancora chiuso visto
l'orario e avevo approfittato dell'attesa per aggiornare un
pò
i miei amici della situazione
"Però nel frattempo.. vive a casa tua!" fece Daniel con
mezzo
sorriso. Sbuffai sonoramente, passandomi una mano tra i ricci
"Sì... vive a casa mia." concessi con un lamento
Dio prima li fa e poi li
accoppia...
"E com'è abitare con una donna?" domandò il
più piccolo, divertito. Sollevai un sopracciglio
"Penso sia la stessa identica cosa di abitare con un uomo..." mormorai,
stringendomi nelle spalle
"Io non credo sia esattamente la stessa cosa.. non so se mi spiego."
esclamò Sebastian malizioso e in risposta scossi la testa,
rassegnato. Lui e le sue battute inutili. Ma sentivo che non fosse
affatto finita e che quell'espressione a metà strada tra il
pensieroso ed il divertito, nascondesse qualcosa di più. E
infatti...
"Hai capito l'avvocato Fabray.. ci diventa nonno!" esclamò
infine, rivolto al suo ragazzo che ridacchiò
"Ecco perché oggi era così nervoso.. e per poco
non ha
licenziato la sua segretaria personale." mormorò Daniel con
una
smorfia e Sebastian scosse la testa, ancora con l'ombra di un sorriso a
stirargli le labbra. E la sua espressione, ancora poco chiara, mi fece
accigliare
"Guai a voi se osate farvi scappare qualcosa con lui. Quello mi caccia
di casa." li minacciai, anzi.. minacciai Sebastian dato che, tra i due,
era il più pericoloso
"Stai scherzando? Rischiamo di essere licenziati anche noi se lo viene
a sapere." borbottò e forse quello bastò per
calmarmi e
dichiarare il mio amico affidabile. Si trattava del suo lavoro e del
suo futuro in fondo e.. anche di quello del suo ragazzo. Non avrebbe
mai messo in una situazione scomoda anche lui, solo per fare un
dispetto a me.
In quel momento Kurt passò accanto a noi, con una
pezza bagnata in mano, intento a pulire i tavoli. Ci scambiammo un
sorriso veloce, potendoci concedere soltanto quello,
dopodiché
lui tornò alle sue pulizie e io al mio accenno di
depressione.
Sì, ero depresso. Depresso e frustrato. Ed era abbastanza
semplice intuirne il motivo. La notte precedente, dopo aver parlato con
Quinn ed aver deciso di volerle dare una mano, eravamo giunti alla
conclusione che, per non turbarla troppo, avremmo dovuto dormire
separati, almeno finché non avessimo risolto la situazione.
Non
sapevamo come lei potesse reagire, scoprendo di essere capitata sul
pianerottolo di due ragazzi gay - che tra l'altro si scambiavano baci
bollenti in ascensore e amoreggiavano in cucina, alle sue spalle - e
quindi preferimmo evitare ulteriori problemi. Lui se n'era tornato nel
suo appartamento ed io avevo ceduto il mio letto a Quinn - nonostante
lei avesse insistito più di una volta che anche il davano le
sarebbe andato bene. Quella notte, nonostante la stanchezza, non avevo
chiuso occhio. Avevo continuato a pensare a lui, al suo corpo, al fatto
che lo avessi così bramato e voluto e alla fine potessi
semplicemente immaginarlo. Certo, avevo fantasia.. molta fantasia.. ma
vedere nella mia testa la sua pelle e sognare di baciarla in ogni
angolo, non aveva di certo lo stesso effetto di.. farlo davvero. Eppure
io, quella mattina, per colpa dei miei stessi pensieri e la presenza
ancora ingombrante di qualcuno nei piani inferiori, ero stato costretto
ad infilarmi sotto la doccia e ad aprire al massimo il getto dell'acqua
fredda. Erano stati cinque lunghissimi minuti di agonia -
necessariamente silenziosa, dato che Quinn stava ancora dormendo ed io
non potevo di certo rischiare di svegliarla - ma alla fine, aveva dato
il risultato sperato: tutto era rientrato nella normalità ed
io
non ero stato costretto a ricorrere a... altri metodi decisamente
troppo imbarazzanti. Non che in quegli anni, prima di conoscere Kurt,
fossi sopravvissuto solo grazie alle docce ghiacciate,
però..
fino a quando il mio vicino di casa fosse rimasto così bello
e
l'amore che provavo per lui così forte... l'autoerotismo
sarebbe
stato abolito in quella casa.
"E... con l'altra convivenza come sta andando?" domandò
Sebastian, tornando malizioso ed indicando con un cenno Kurt, che si
spostava sulla parte rialzata del locale.
"Splendidamente, grazie!" gli sorrisi, fintamente sarcastico, sperando
con molta ingenuità che quella risposta potesse bastargli.
Ma ovviamente...
"Sicuro? Dalla tua faccia non si direbbe" mi provocò appena,
con un mezzo sorriso
"Diciamo che abbiamo avuto qualche... problemino." rimasi sul vago,
volontariamente, con la piena consapevolezza che, così
facendo,
avrei ottenuto l'effetto contrario e la sua curiosità invece
di
diminuire sarebbe soltanto aumentata
"Iniziate già a litigare? State insieme da appena... tre
giorni!" mormorò confuso, incrociando le braccia al petto
"Non stiamo insieme." ribadii con uno sbuffo "E non abbiamo affatto
litigato." precisai. Lui sollevò un sopracciglio, confuso
"E allora il problema qual'è?" domandò
"Lascia perdere.. non potresti capire." feci io, poggiando il mento
sulla mano e spostando gli occhi sulla figura di Kurt, che in quel
momento stava sistemando le sedie di un tavolino. Era così
bello
e sexy in ogni movimento. Ed io dovevo smetterla di farmi del male..
altrimenti non sarei sopravvissuto ad un'altra doccia ghiacciata nella
stessa giornata
"Ehi.. sono tuo amico.. e sono anche io gay. Credi davvero che io non
possa capirti?" domandò, quasi offeso, schioccando le dita
davanti ai miei occhi per attirare la mia attenzione
"Sì!" esclamai con un sorriso
"Dovrei sentirmi offeso?" borbottò, tornando ad incrociare
le braccia e mettendo su una smorfia di disappunto
"É che... non sei famoso per la tua.. delicatezza.. ecco!"
gli
feci presente allora. L'ultima cosa di cui avevo bisogno erano le sue
battute fuori luogo. Poteva tenersele strette
"La mia delicatezza?"
"Sì.. conoscendoti saresti capace di riderci su.. come al
solito." specificai con una smorfia, mentre Daniel, cercava invano di
trattenere un sorriso divertito. Lui lo conosceva quasi quanto me e
quindi sapeva quanto potesse essere fastidioso Sebastian quando ci si
metteva d'impegno
"E se... ti prometto di non farlo?" mi propose, quasi come una sfida.
Sotto sotto, morivo dalla voglia di parlarne con qualcuno e sapevo che
lui era l'unico con cui avrei potuto farlo. Magari avrebbe saputo
consigliarmi qualche altra tecnica, oltre all'acqua ghiacciata, per
raffreddare i miei bollenti spiriti. Ma.. prima dovevo assicurarmi che
mai e poi mai avrebbe fatto dell'ironia
"Giuralo.. sulla testa di Daniel!" esclamai allora, indicando con un
cenno il ragazzo biondo, che subito intervenne indignato
"Ehi!" sbottò infatti. Sebastian non rispose subito, forse
perché intese l'importanza della situazione ed io ne
approfittai
per aggiungere
"Giuralo.. altrimenti non ti dico un bel niente." minacciai,
guardandolo direttamente negli occhi, tanto per fargli capire quanto
fossi serio e quanto poco potesse permettersi di scherzare con me
quella volta. E lui, per mia fortuna, o forse per la troppa
curiosità, cedette, non prima di aver lanciato un'occhiata
mortificata verso il suo ragazzo
"D'accordo.. lo giuro sulla testa di Daniel!" esclamò
risoluto
"Grazie tante, Bas!" sbottò Daniel tirandogli uno schiaffo
sulla nuca, sempre più indignato
"Coraggio, scricciolo... voglio provare a capire.. mi preoccupa vederlo
così.. depresso!" si giustificò subito,
accarezzandosi il
punto colpito ed indicando me. Fantastico.. l'aveva capito anche lui.
Ed io che credevo di essere riuscito a nasconderlo
bene. Daniel fece una smorfia seccata ma alla fine, forse
perché
anche lui particolarmente curioso, lasciò correre
"Dunque... ora che ho giurato.. sputa il rospo!" mi incitò
Sebastian
"É che.." maledizione.. era difficile!
"Blaine?"
"Io e Kurt.. non.. riusciamo più.. a.. ad avere un
pò di
tranquillità diciamo." mormorai a disagio, lanciando
un'occhiata
verso il soggetto interessato e trovandolo impegnato in una
conversazione con Brittany poco distante, fortunatamente abbastanza
lontano da noi
"Un pò di tranquillità?" domandò
Daniel confuso
"Eh..." mi sentii arrossire fino alla punta delle orecchie e puntai gli
occhi in quelli verdi del mio amico, sperando che almeno lui e il suo
intuito infallibile mi facessero risparmiare una confessione a voce.
Alla fine, infatti, annuì lentamente
"Mmmm.. credo di aver capito a cosa tu ti riferisca. E... giusto per
sapere.. quando è stata l'ultima volta?" domandò
pratico,
stringendo gli occhi. Bene, la mia fiducia nei suoi confronti, almeno
per il momento, era stata ben riposta
"Ehm.. dunque.. quanto tempo fa siete stati all'Ikea?" domandai con
tono leggero, sperando di temporeggiare un pò
"Mmm.. dieci giorni fa mi pare!" rispose Daniel
Cazzo.. dieci giorni..
sembravano di meno...
"Ecco!" feci con un gesto della mano e provando a tirare un sorriso, ma
l'unica cosa che mi uscì, fu una smorfia dolorante.
Sebastian e
Daniel rimasero immobili, a guardarmi, senza aprire bocca, fino a che
il più piccolo non interpretò il pensiero di
tutti.
Incluso il mio
"Stai scherzando, spero!" esclamò con gli occhi sgranati
"Purtroppo no." sospirai affranto, poggiando la fonte al tavolo di
legno. Ecco, lo sapevo che vista da fuori sembrava ancora peggio.
Sebastian si riprese in quel momento, prima con un mezzo lamento e poi
con una frase, scioccata
"Cioè tu e Kurt non scop.."
"Sebasatian!" lo interruppi, gridando e attirando l'attenzione di tutti
i presenti, incluso ovviamente Kurt. Arrossii ancora, e accennai un
sorriso imbarazzato nella sua direzione, sperando che bastasse per non
insospettirlo troppo. Lui ricambiò, e tornò alla
sua
conversazione tra colleghi di lavoro. Ne approfittai per fulminare il
mio amico - domandandomi cosa mi trattenesse dal rimanere ancora seduto
a quel tavolo a parlare con lui - cercando di fargli capire quanto poco
potesse permettersi quel tipo di uscite. Ero in un pessimo stato di
salute psichica.. non potevo rischiare di aggravare il tutto per colpa
sua. Sebastian si morse un labbro, rimanendo qualche secondo in
silenzio, fino a che, con voce nettamente ridotta, non riprese a parlare
"Tu e lui non fate nulla da.. dieci giorni?" domandò
sporgendosi
appena verso di me, mentre un sopracciglio gli si inarcava in maniera
buffa e sospetta
"Già!" sospirai e tornai ad accasciarmi sul tavolo,
distrutto
"Ma è.. contro natura questa cosa." si oppose, quasi
scandalizzato, facendomi grugnire. Ci voleva lui per dirmi che fosse
contro natura. Contro natura sarebbe stato anche rimanere ancora seduto
a quel tavolo a parlare con lui della mia vita intima. Eppure lo stavo
facendo. I casi erano due: o le cose contro natura nella mia vita erano
all'ordine del giorno e quindi da definire normali, oppure... c'era
qualcosa che in me, non funzionava per il verso giusto.
"Lo so ed è per questo che mi sento così
frustrato. E a
dirla tutta.. è anche colpa vostra." borbottai fulminando
entrambi
"Nostra?"
"Sì.. siete stati voi l'altra sera a piombarmi in casa con
la
storia della denuncia. Per non parlare della questione di David.. del
licenziamento di Kurt e ora di Quinn.. è tutto un insieme di
cose che sembrano state progettate per.. farmi uscire di testa."
spiegai, forse con un tono esageratamente lamentoso, ma.. era
così che mi sentivo. Ogni sera, da qualche tempo a quella
parte,
era successo qualcosa. E non osavo immaginare cosa sarebbe ancora
potuto succedere. Sebastian si mosse appena sulla sedia, per poi fare
una smorfia strana, una smorfia che, in dieci anni di amicizia, la
maggior parte dei quali passati a convivere, avevo imparato a
conoscere. Quel bastardo si stava divertendo, alle mie spalle, sulle
mie disgrazie e cercava disperatamente di trattenersi.
Stupido io, che ho
realmente creduto potesse prendermi sul serio...
"Sebastian... avevi giurato!" lo ammonii tirandogli un pugno sul
braccio e lui si affrettò a ricomporsi
"Non sto ridendo.. sono semplicemente.. sorpreso, ecco tutto." si
giustificò, ma si vedeva chiaramente quanto fosse divertito
e
quanto poco gli mancasse per esplodere in una grassa risata.
Probabilmente lo avrebbe anche fatto, magari quella sera stessa,
tornando a casa. Lui e Daniel si sarebbero messi a ridere su di me,
sulla mia sfortuna e la mia frustrazione alle stelle, mentre io, tanto
per tenere fede alla mia schifosa condizione, sarei andato a letto, di
nuovo da solo e inappagato. Se non era ingiustizia quella.
"E non puoi semplicemente.. che so.. bloccarlo in un bagno oppure..
svegliarlo nel cuore della notte e saltargli addosso?" propose Daniel,
grattandosi una guancia e lanciando un'occhiata verso Kurt. Per poco
non gli scoppiai a ridere in faccia.
Dio prima li fa e poi li accoppia.. parte seconda...
"No.. il bagno non è affatto una buona idea, fidati!"
mormorai
divertito, scuotendo la testa e provando ad ignorare il ricordo della
sera prima, che premeva opprimente per tornare a galla, assieme a
qualcos'altro.
"Prendi l'iniziativa, B... in certe occasioni bisogna dimostrare
decisione e fantasia. Ci sarà pure un luogo dove magari ti
piacerebbe.. provare ad improvvisare." mi disse Sebastian, accorato. Un
luogo dove mi sarebbe piaciuto improvvisare? Tipo il tavolo della
cucina, o il dondolo in terrazzo, o il box doccia, o l'ascensore?
"No!" esclamai, arrossendo spontaneamente ed abbassando lo sguardo. Non
servì affatto guardarlo negli occhi per capire quanto in
quel
momento stesse sorridendo
"Sei un pessimo bugiardo Blaine Anderson!" mi ammonì allora
"E
se continui a mentire a lui oltre che a te stesso... sarai costretto ad
abbonarti al canale porno sulla pay per view o peggio.. a diventare
etero!" e detto questo, riuscendo a raggelarmi, mi rivolse un
sorrisetto eloquente, tipico di chi sa già a prescindere, di
avere ragione.
New
York City. Ore 11.12 P.M. 18 Aprile 2012
(Mercoledì)
Il secondo giorno di lavoro era stato decisamente migliore rispetto al
primo. Ormai ero entrato nel ritmo degli ordini, avevo memorizzato
quasi tutti i numeri dei tavoli e sapevo perfino distinguere il cliente
generoso e predisposto alla mancia, da quello taccagno che ordinava,
con la scusa della dieta, solo una porzione di patatine, portando via
tutte le bustine del condimento che non utilizzava. Ero perfino
riuscito ad intrattenere una conversazione con Rory, rimanendo serio
tutto il tempo nonostante il suo accento. L'unica cosa che stonava
leggermente in quel magnifico quadro era Blaine. Mi era sembrato strano
già quella mattina, quando avevo bussato al campanello di
casa
sua per fare colazione insieme. Ovviamente non eravamo soli, c'era
anche Quinn - notevolmente più rilassata della sera
precedente -
però il semplice fatto di poter condividere del tempo e lo
spazio con lui, mi riempiva il cuore di felicità. Eppure lui
era
sfuggente, imbronciato e durante la sua esibizione sul palco... mi era
sembrato spento e senza alcun tipo di intensità. Non era il
solito Blaine, il meraviglioso ragazzo pieno di carica che riusciva con
una figuraccia fatta in un bagno pubblico a farmi piangere dalle
risate. Era sicuramente successo qualcosa e io dovevo necessariamente
sapere cosa.. altrimenti sarei impazzito. Non sopportavo l'idea di
doverlo vedere con quel muso lungo e neppure riuscivo a capire come
mai, durante le sue pause tra una canzone e l'altra, non fosse mai
sceso dal palco per venirmi a salutare, oppure non avesse mai alzato la
testa verso di me, anche per un semplice sguardo. Era arrabbiato per
caso? Eppure.. non era successo nulla... o no?
Era quasi l'ora di chiusura quando mi avvicinai a lui, mentre era
impegnato a riporre la chitarra nella sua custodia. Gli strinsi un
braccio con molta delicatezza e lui, quasi saltò sul posto
"Ehi.."
"Scusa.. non volevo spaventarti!" mormorai arrossendo appena. Mi
sorrise, ma fu più che altro una piccola smorfia tirata
"Non ti preoccupare.. ero sovrappensiero." rispose sistemando la
chitarra nel solito angolo, dandomi le spalle. Ma cosa stava
succedendo? Perché tutta quella distanza? Perché
sembrava
fosse a disagio con me? Cosa diamine era capitato dal momento in cui
avevamo quasi fatto sesso nel bagno di quello stesso locale e la
passione sembrava toccare vette altissime? Cos'era cambiato dall'ultimo
bacio delicato e pieno di dolcezza che ci eravamo scambiati nella sua
cucina?
É cambiato
che siete stati
interrotti, di nuovo. Che ti sei preoccupato di più per
Quinn,
una sconosciuta, che di lui e della vostra serata... ecco
cos'è
cambiato...
Mi ritrovai a sospirare, scoprendomi improvvisamente stanco e
contemporaneamente desiderai di essere a casa, sul nostro pianerottolo
e di essere nel momento esatto in cui avrei potuto sorridergli e magari
proporgli di venire a dormire da me per quella notte. Poi magari tutto
il malumore sarebbe passato e avremmo riscoperto assieme la nostra
sospirata intimità, o semplicemente la piacevole sensazione
che
provavamo tutte le volte in cui potevamo guardarci negli occhi, senza
intrusi.
E fu proprio mentre lui tornava a girarsi e, incrociando i miei occhi,
arrossì appena, che io decisi cosa avrei fatto: quella sera,
fosse cascato il mondo, dovevo averlo. Lo volevo con tutto me stesso e
niente e nessuno me lo avrebbe portato via o mi avrebbe distratto.
Sentivo il bisogno stringermi lo stomaco e l'urgenza di tornare a casa,
spingermi verso l'uscita del locale. Così gli sorrisi e mi
concessi uno strappo alla regola della discrezione in pubblico: mi
avvicinai, rubandogli un bacio veloce, cogliendolo appena di sorpresa,
ma beandomi della meravigliosa espressione che si aprì sul
suo
volto. Dopo un primo momento di smarrimento e imbarazzo, finalmente,
dopo quasi ventiquattro ore, riuscì a regalarmi uno dei suoi
sorrisi, quelli con le fossette, quelli teneri e sinceri, quelli che
facevano risvegliare ognuna delle farfalle nel mio stomaco ed ogni mio
senso, e mi facevano perdere qualche anno di vita. Ed io per poco non
scoppiai a piangere per la gioia, perché lui non era
arrabbiato
con me, io non avevo rovinato nulla e quella cosa speciale che ci
legava da più di un mese ormai, era ancora lì,
per niente
scalfita.
"Andiamo a casa?" gli proposi con un sussurro, provando con quella
frase, a fargli capire quali fossero le mie reali intenzioni. Lui
spalancò appena gli occhi e sorrise ancora, quella volta con
un
lieve accenno di malizia negli occhi
"D'accordo." rispose e, dopo aver consegnato il grembiule a Puck ed
avergli augurato buonanotte, insieme ci dirigemmo verso l'uscita.
Eravamo quasi arrivati alla porta, quando qualcuno entrò di
corsa, bloccandoci bruscamente. Era Sam Evans, il manager di Santana,
con il fiatone e l'aria di chi, per poco,
non
ha
rischiato di perdere qualcosa di veramente importante
"Oh.. per fortuna sei ancora qui. Devo parlarti. Urgentemente!"
Cos'è che hai
appena detto, Kurt? Niente e nessuno?... Merda!...
|
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Capitolo 37 *** Afferrare un'occasione ***
Salveeeee....
contro ogni previsione (e ogni scommessa!) ce l'ho fatta ^^ dunque,
prima di tutto mi scuso con ognuno di voi per non aver aggiornato ieri,
soprattutto con quelli che non hanno avuto modo di leggere il post su
fb in cui comunicavo questo cambiamento.. purtroppo le cose sono
iniziate a diventare troppo complicate e perfino trovare il tempo per
scrivere è ormai un'impresa. Però diciamo che
alla fine qualcosa è venuto fuori.. dunque, oggi prima di
iniziare avrei alcune cose da dire: numero uno, riguardo allo scorso
capitolo.. beh la tensione sessuale tra quei due non fa che aumentare e
più questa aumenta più io mi diverto XD nodai
scherzi a parte.. è destinata a durare poco, altrimenti
qualcuno ci rimette la vita (tipo io ^^) per quanto riguarda invece Sam
(che immagino avrete odiato quasi quanto David XD) molti di voi hanno
ipotizzato che ciò che aveva da dire riguardasse Santana,
che le fosse successo qualcosa.. povera San.. è viva e
vegeta, tranquilli ^^ saprete a breve cosa volesse dire Sam. Numero
due, ho diciamo un annuncio da fare.. ho fatto due calcoli e, se le
cose vanno come dico io, dovrebbero mancare al massimo quattro/cinque
capitoli (era ora direte voi ^^) però se vi può
interessare, ho già pensato di inserire a storia conclusa
dei capitoli prologo (uno per ognuna delle coppie formatesi nella
storia!) quindi dovrete sopportarmi ancora un pò :P (e non
dimentichiamo i MM). Numero tre, come avrete letto dal post, ho
problemi il giovedì ad aggiornare, e quindi sposto
ufficialmente i giorni di aggioramento al Martedì e al
Venerdì.. vi chiedo scusa per questo cambio ma non so come
altro fare (e la notte vorrei dormire, ecco XD). Numero quattro...
scusate se non ho risposto alle recensioni, ma vi giuro che lo
farò, appena possibile e tornerò in pari..
approfitto di questa nota chilometrica per ringraziare ognuno di voi
per le magnifiche parole e per essere ancora intenzionati a
sopportarmi, nonostante tutto.. siete la mia forza <3 mmmm credo
di aver finito... quindi non mi resta che augurarvi buona lettura e...
ci vediamo Martedì.. un bacio :*
n.b.
Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just
a landing - Missing Moments )
New
York City.
Ore 11.48 P.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)
Io e Sam
Evans raramente
avevamo fatto un discorso vero. Non perché mi stesse
antipatico
o per qualche altro motivo in particolare. Semplicemente non avevamo
mai trovato nulla che ci accomunasse, a parte l'amicizia con Santana.
In effetti, pensandoci, ora c'era anche Mercedes - benché
non
non sapessi esattamente che piega avesse preso la loro conoscenza.
Quindi mi era sembrato particolarmente strano che lui volesse parlare
proprio con me, quella sera e soprattutto con quell'urgenza. Eppure ci
trovammo lì, seduti al bancone, io, Blaine, Sam, Santana,
Brittany... e ovviamente Puckermann che, piacevolmente sorpreso
dall'improvvisata di Sam, aveva dovuto rimandare la chiusura del
locale.
"Ecco qui...
questa la offre la casa!" esclamò, lasciando sul bancone
davanti a Sam, un bicchiere di birra
"Grazie,
amico.
Gentilissimo." accettò la sua birra e ne bevve un lungo
sorso
con evidente soddisfazione. Io, impaziente e appena irritato, gli
lanciai un'occhiata insistente, tanto per fargli capire che potevamo
anche saltare i convenevoli e andare direttamente al nocciolo della
questione: avevo fretta, molta fretta e di certo non potevo perdere
altro tempo in quel pub mentre il mio desiderio e la voglia che avevo
di Blaine battevano insofferenti il piedino, in attesa. Anche Blaine
sembrava dello stesso avviso: da quando eravamo stati costretti a fare
marcia indietro e il nostro intento era sfumato, aveva messo su
un'altra specie di broncio, questa volta appena più marcato,
e
faceva una tenerezza indescrivibile. Dovetti fare terrorismo
psicologico su me stesso per non scoppiargli a ridere in faccia
perché in quel momento, mentre giocherellava con le chiavi
della
moto sembrava un cucciolo, un bambino a cui era stato tolto un
giocattolo, e il suo giocattolo, nel caso specifico, ero io.
Un altro motivo per
mettere fretta a Sam...
"Dunque... hai detto di volermi parlare.." esordii, recuperando la sua
attenzione, tutta focalizzata sulla birra. Annuì,
riscuotendosi
"Oh sì... ed è una questione piuttosto urgente."
mi informò
"Bene.. meglio così!" risposi con un sorriso radioso, e mi
accorsi solo qualche istante dopo della poca delicatezza che avevo
usato nei suoi confronti, così mi affettai ad aggiungere
"Sono
abbastanza stanco e vorrei.. tornarmene a casa!" sistemai alla meglio,
con un sorriso meno esagerato e un pò di imbarazzo. Dovevo
trattenermi, almeno in pubblico.
"Io non credo che avrai ancora voglia di dormire dopo quello che ti
avrò detto." esclamò divertito, dandomi un
leggero pugno
sul braccio. Vidi con la coda dell'occhio Santana ridacchiare,
stranamente elettrica e mi accigliai di conseguenza. Ma che diavolo
stava succedendo?
"Sam io non.. capisco.."
"Ti spiego subito!" affermò, bevve un altro piccolo sorso di
birra, dopodiché sospirò e iniziò
finalmente a
parlare "Oggi pomeriggio sono stato chiamato nello studio di Micheal
Chang Jr, il tuo capo.."
"Ex capo!" specificò Blaine con una smorfia, che mi fece
sorridere
"Già.. ex.. e mi ha detto cosa era successo, il tuo
licenziamento intendo." specificò. Io mi ritrovai a
sospirare,
nonostante sentissi lo stomaco tremare, ancora per la rabbia. Per
fortuna, quello che era successo dopo il mio incontro con Chang, mi
aveva fatto dimenticare in parte il mio lavoro perso, la mia vita
incasinata, il mio conto in banca quasi praticamente in rosso. E il
merito era tutto di Blaine, dei suoi modi sempre nuovi per
sorprendermi, del suo sorriso aperto e carezzevole, dell'amore che
provavo per lui, indissolubile e probabilmente più forte di
qualsiasi altra cosa. Eppure, in quel momento, mi sentivo ancora appena
spaesato dopo che Sam era stato così gentile da riportarmi
alla
triste realtà. David, le sue minacce, il ben servito del mio
capo.. ex capo.
"Ascolta.. se sei venuto qui per dirmi quanto ti dispiace... lo
apprezzo, Sam, davvero, ma.. non credo sia.."
"Non sono qui per questo... devo proporti un affare che... a
questo punto,
potrebbe seriamente cambiare la tua vita!" esclamò serio e
risoluto, facendomi bloccare sia le parole che il respiro. La
determinazione che gli lessi negli occhi in quel momento, mi fece
appena vacillare, e finalmente ebbi modo di toccare con mano la vera
professionalità di Sam Evans, la sua tenacia e soprattutto
il
carattere deciso che gli aveva permesso di farsi un nome di una certa
importanza nel settore. Santana aveva ragione.. quel ragazzo sapeva il
fatto suo. Senza sapere come, mi ritrovai ad avvicinarmi
impercettibilmente a Blaine, seduto ovviamente al mio fianco, e sentire
il calore irradiato dal suo corpo, sprigionarsi direttamente su di me,
mi diede quella forza necessaria per riprendere fiato e farmi parlare
"D'accordo.. ti ascolto!"
"Conosci Sue Syilvester?" mi domandò a bruciapelo,
sorprendendomi
"Sue..
Sylvester..
la...
regina dell'Upper Side? La.. donna che è stata capace di..
creare la
sua prestigiosa azienda dal nulla e che ogni anno.. rientra nella
classifica delle donne più ricche dell'intero mondo della
moda?"
chiesi ironico. Ma certo che la conoscevo. Ogni essere umano che
possedeva un minimo di conoscenza nel campo della moda conosceva la
Signora Sylvester. Era un mito, una sorta di legenda. La donna per
eccellenza, colei che ce l'aveva fatta, colei che era riuscita a creare
un marchio prestigioso in pochissimo tempo e a dettar legge sullo
stile.
Aveva fama di essere piuttosto fredda e scontrosa, molto cinica, molto,
forse troppo, arrogante. Ma senza ombra di dubbio sapeva come muoversi,
cosa creare e perfino quanti soldi poter ottenere da ognuna delle sue
creazioni. Era brava nel suo lavoro, forse la migliore. Una sorta di
mostro sacro, un guru.
"Proprio
lei!"
confermò infatti Sam, contento del fatto che fossi preparato
sull'argomento. D'accordo, conoscevo la Sylvester, la sua fama e il suo
lavoro... ma cosa c'entravo io.. con lei?
"Vedi.. la sua agenzia di moda ha fatto pubblicare un'informativa sul
suo sito, un'iniziativa che lei stessa promuove e che, inaspettatamente
sembra essere una vera manna dal cielo." disse, incrociando le braccia
al petto, sempre molto professionale
"Di cosa si tratta?" chiesi, sempre più curioso, mentre il
cuore
iniziava a scalpitarmi a sorpresa nel petto, senza apparente motivo
"Un concorso... un concorso di moda aperto a tutte le giovani promesse
del campo." disse finalmente, rivolgendomi un breve sorriso. Lo
scalpitare del cuore di fermò in un attimo, con un rumore
sordo
"Un.. concorso..?" balbettai
"Esatto... Si tratta di un
bando libero al quale
possono partecipare soltanto coloro che hanno accumulato almeno tre
anni di esperienza presso un'agenzia di moda di New York e che hanno
ottenuto una lettera di raccomandazione da parte del direttore in
persona o di uno dei suoi delegati. Bisogna
presentarsi davanti ad una commissione di esperti, con cinque modelli
inediti e autoprodotti.. ogni partecipante dovrà occuparsi
personalmente dei tessuti, dei disegni, della realizzazione e
soprattutto della presentazione, inclusa la scelta delle modelle. Le
iscrizioni si chiudono domani pomeriggio alle tre. Per quanto riguarda
la consegna dei modelli, verrà effettuata tra due settimane:
le
modelle con i vestiti prodotti, saranno esaminate dalla giuria durante
una sfilata privata e alla fine decreteranno un vincitore. Quest'ultimo
avrà diritto ad un premio di venticinque mila dollari, ma
soprattutto gli sarà data la possibilità di
creare una
collezione intera, completamente finanziata dalla presidentessa della
giuria, la Signora Sylvester"
Oh cazzo...
Un concorso di moda... indetto da una delle autorità
più
competenti dell'intero Stato... un solo vincitore... cinque modelli...
venticinquemila dollari.. un'intera collezione... ok, probabilmente ero
già svenuto e quelli che mi stavano riempiendo la mente
erano
semplicemente dei flash senza alcun senso logico. Perché,
d'altronde, come pretendevo di trovare qualcosa di realmente sensato in
quello che stava succedendo? Ecco perché io e Sam non
parlavamo
molto.. possedevamo due lingue completamente diverse, e quello che
diceva lui, io non riuscivo a capirlo.
"Sam
io.. non capisco.. perché mi stai dicendo queste cose?"
riuscii finalmente a chiedere, con una smorfia
"Perché credo che tu possa avere i requisiti adatti per
partecipare." rispose tranquillamente, indicandomi. I requisiti adatti?
"E chi... come fai a dirlo?" domandai scettico, continuando a non
capire se, quello che stava dicendo, fosse reale o se si stesse
divertendo semplicemente a prendermi in giro. Nel secondo caso, allora
mi sarei alzato dal mio sgabello e avrei guadagnato l'uscita,
ovviamente trascinandomi dietro Blaine. Avevo altro a cui pensare,
altro di decisamente più importante e i discorsi poco chiari
di
Sam Evans non mi piacevano affatto. Lui fece un mezzo sorriso,
dopodiché indicò qualcuno al suo fianco
"É
stata Santana a
darmi l'idea." specificò e tutti, incluso me, ci girammo
verso
la modella ispanica che sorrise, appena imbarazzata
"Santana?"
"Già..."
confermò, stringendosi nelle spalle "Sono colpevole!" e
ridacchiò, appena a disagio, ma estremamente serena. Si
morse un
labbro e alla fine aggiunse qualcosa che mi toccò il cuore,
nella parte più profonda, dove credevo non ci fosse
più
spazio per niente
"Tu
una volta mi hai detto che avresti voluto creare una collezione tutta
tua, un'intera gamma di abiti che avrebbe portato
orgogliosamente il tuo nome." disse con calma, mentre sentivo
lentamente lo spazio appena riempito, riscaldarsi tanto da fare quasi
paura. Ma male no, una cosa così bella non avrebbe mai
potuto
fare male. E mi ritrovai a boccheggiare, guardando la mia amica e
domandandomi perché un gesto tanto bello, fosse indirizzato
proprio a me. Ricordavo di avergliene parlato, una volta.. parecchi
anni prima, durante una sfilata privata. Avevo dato un'occhiata in
anteprima agli abiti che le modelle avrebbero dovuto indossare e alla
fine avevo decretato che queste ultime avrebbero fatto più
bella
figura, presentandosi sulla passerella nude. Santana mi aveva dato
subito ragione ed io non so come, mi ero ritrovato a confessarle quel
mio pallino, quell'idea malsana che avevo in testa da praticamente
tutta la vita e le raccontai perfino quanto trovassi rilassante,
tornare a casa la sera, e sapere di trovarci il mio album da disegno -
nascosto nell'ultimo cassetto dell'armadio, sotto ai maglioni di lana -
e potermi dedicare finalmente alla mia arte. Lei non ci aveva fatto poi
tanto caso sul momento ed io avevo immaginato che non gliene importasse
affatto. Sapere che, nonostante fosse passato del tempo, lei riuscisse
ancora a ricordarsi di una conversazione del genere... ebbe uno strano
effetto su di me.
"Te ne sei
ricordata."
mormorai infatti, con il fiato spezzato. Lei annuì con
vigore,
quasi fosse normale per lei averlo fatto
"Certo.. io
mi ricordo
tutto quello che mi dici. Per questo motivo, stamattina sono andata da
Chang e gli ho parlato di questo concorso e del fatto che tu fossi
adatto per parteciparvi." spiegò, gesticolando - cosa che
Santana faceva spesso, soprattutto quando era emozionata. Io non sapevo
cosa dire. Quella era una di quelle notizie che ti prendevano con forza
e ti inchiodavano al suolo, senza possibilità di muoversi o
di
scappare. E per una volta, forse per la prima volta in tutta la mia
vita, fui felice così. Mi sentivo bene, intrappolato in quel
modo, seduto sul mio sgabello, pervaso da una miriade di emozioni,
tutte decisamente belle ed appaganti e con una parte del corpo
completamente incollata al fianco di Blaine. E fu tutto un insieme di
cose, troppo forti da gestire, che mi fecero ritrovare con le lacrime
agli occhi. Ancora una volta. E ancora una volta non riuscii a provarne
vergogna.
Al contrario, sentii quel calore diffondersi in tutto il corpo e
premere per uscire. E quando sentii al mio fianco Blaine muoversi
appena, agitato, intuii di essere riuscito a contagiare perfino lui.
Santana sospirò, dopodiché lasciò il
suo sgabello e si avvicinò a me, per parlarmi meglio
"Ascolta,
Kurt.. per
quanto io adori questo pub e il suo proprietario.. io non
ti ci vedo affatto a lavorare qui. Tu non sei adatto per indossare un
grembiule spiegazzato o per servire hamburger e patatine fritte. Tu
devi conquistare New York e hai tutte le carte in regola per farlo. Ti
serve solo la giusta occasione e... questa..." si frugò
nella tasca posteriore del jeans e mi allungò qualcosa
"Cos'è?"
riuscii a domandare, nonostante le lacrime
"La tua
lettera di
raccomandazione.. firmata da Chang in persona!" esclamò,
proprio
mentre afferravo la busta e per poco, per la sorpresa, non la lasciai
cadere a terra.
"Chang ha..
firmato per
me?" no, non era possibile. Potevo credere a tutto, perfino di aver
avuto dalla Dea bendata la possibilità di partecipare ad un
concorso prestigioso. Ma a quello non potevo credere.
"Certo... me
l'ha
consegnata personalmente, quando mi ha fatto chiamare, dopo aver
parlato con Santana." si aggiunse Sam con un sorriso. Mi ritrovai a
guardare prima lui e poi la ragazza, entrambi estremamente emozionati,
e poi il mio sguardo cadde di nuovo sulla busta bianca che stringevo in
mano. E allora volli controllare di persona. Non mi sarei accontentato
della loro parola quella volta: dovevo accertarmi personalmente che
quello che mi avevano detto fosse vero. E così aprii la
busta e
tirai fuori il foglio bianco accuratamente ripiegato. In effetti era
una vera lettera di raccomandazione, indirizzata alla Signora Sue
Sylvester, in cui si parlava di un certo Kurt Hummel e delle sue reali
potenzialità artistiche e si chiedeva di tenerne conto nel
giudizio finale. E alla fine, a chiudere tutti quei complimenti e
quelle belle parole, c'era una firma, una firma che in cinque anni di
lavoro avevo imparato a conoscere fin troppo bene per continuare a
credere che potesse essere una bugia. Alla fine della lettera c'era la
firma di Michael Chang Jr. Il mio ex capo.
"Io non.. ci
posso
credere.." mormorai, sconvolto, mentre la lettera mi veniva
delicatamente tolta dalle mani e solo qualche istante dopo mi accorsi
vagamente che fosse stato Blaine a farlo. Blaine che era ancora seduto
accanto a me, il cui respiro era l'unico suono che mi impediva di
impazzire, schiacciato dal peso di tutte quelle emozioni.
Santana si avvicinò ancora di più, fino a
piazzarsi
esattamente tra le mie gambe e mi afferrò i lati del viso
con le
mani per farmi sollevare gli occhi e puntò i suoi, decisi e
limpidi e forti e tremendamente affettuosi
"Kurt...
lui
è
davvero dispiaciuto per quello che è successo e si
è
sentito in dovere di ripagarti almeno in parte del torto che hai
subito. É il suo modo per chiederti scusa, immagino." e
sorrise,
appena intenerita, accarezzandomi le guance con i pollici e liberandomi
delle lacrime già scivolate via dagli occhi. Santana si era
esposta
con Chang per me, gli aveva parlato e lo aveva perfino convinto a
firmare una lettera di raccomandazione per permettermi di partecipare
al concorso. Lo stesso Chang che mi aveva licenziato, lo stesso che
sembrava sinceramente dispiaciuto, lo stesso che si era fatto mettere i
piedi in testa da David - come me d'altronde - e che forse, come me, si
era ritrovato a fare i conti con la persona sbagliata. Rachel aveva
ragione... al di là della porta del mio appartamento, c'era
qualcuno.. qualcuno che si preoccupava per me, qualcuno a cui i miei
pensieri e i miei sogni importavano, qualcuno a cui potevo permettermi
di volere bene, qualcuno che potevo amare e da cui potevo sperare di
ricevere qualcosa. Ed ogni giorno, rendersi conto di quanto fosse bello
scoprire i modi più disparati con cui il mondo poteva
dimostrare
affetto - cantando canzoni, offrendoti su un piatto d'argento le
migliori occasioni della tua vita, facendoti capire quanto importante
tu sia - diventava sempre più sorprendente. E forse neanche
a questo
avrei mai potuto fare l'abitudine. E
come era successo già in precedenza con Rachel, mi ritrovai
senza neanche accorgermene, stretto nell'abbraccio di Santana e a
sentirmi bene con me stesso, a comprendere quanto grande fosse
l'affetto che quella ragazza provava per me e quanto bene io potessi
volere a lei. E solo allora mi accorsi quanto mi fosse mancato
l'abbraccio di una donna, l'abbraccio femminile di qualcuno che
provasse almeno un briciolo di quell'affetto che mi era venuto a
mancare fin troppo presto, l'affetto che mi era stato strappato via con
forza e cattiveria dalla vita e che ora sembrava essere di nuovo
presente, sotto diverse forme, nuove ma ugualmente speciali. E allora
mi accorsi che perfino l'abbraccio di un'amica poteva avere qualcosa di
materno. Dopo un tempo imprecisato e dopo essermi perfino dimenticato
di essere ancora in quel pub, con altre quattro persone, allentai un
pò la presa e permisi a Santana di allontanarsi, quel tanto
che
bastò per tornare a guardarmi negli occhi e mormorare, con
lo
sguardo lucido ed emozionato
"Adesso
però tocca
a te... tocca a te dimostrare al mondo di cosa sei capace. Fai vedere a
lui, a quel bastardo del tuo ex e perfino alla signora Sylvester quanto
vali.. mostraci chi è davvero Kurt Hummel!"
New York City. Ore
00.45 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)
" 'Con la
presente mi
assumo ogni eventuale responsabilità nel raccomandarle
caldamente il Signor Kurt Hummel. Ho avuto l'onore e lo straordinario
privilegio di lavorare al suo fianco e di avvalermi della sua
collaborazione per cinque straordinari anni. La sua presenza, in molte
occasioni, si è dimostrata essenziale per il buon nome
dell'agenzia di moda "Sogni di Tessuto" da me gestita'." lessi con
orgoglio e anche con una certa eccitazione, mentre restituivo il casco
a Blaine e insieme ci avvicinavamo al portone. Lui
ridacchiò,
cercando di tenere il mio passo, dato che mi ero messo quasi a correre
in mezzo alla strada
"Straordinario privilegio.." mi canzonò divertito "Sicuro
che
questo Chang non fosse gay?" scoppiai a ridere, mentre inseriva le
chiavi nel portone e faceva scattare la serratura
"Troppo rigido e posato per essere una checca!" esclamai io, facendo
ridere entrambi "E senti qui.. non è finita... 'Pertanto mi
sento in dovere di promuovere il talento del Signor Hummel, con la
solida consapevolezza che mai, un ragazzo così diligente e
dedito al lavoro e rispettoso degli altri, possa deludere le mie e le
vostre aspettative'." sollevai gli occhi verso Blaine che se ne stava
appoggiato con la schiena alla cabina dell'ascensore e mi guardava, con
un sorriso mite sul volto " 'Cordiali saluti. Mr Michael Chang Jr'!"
"Quel Chang ha decisamente guadagnato punti. E anche la mia
più
sincera stima!" esclamò rubandomi di nuovo dalle mani la
lettera, per poterla rileggere
"Dio... non ci posso ancora credere. Mi sembra un sogno.. un sogno che
diventa realtà." mormorai elettrizzato, premendo il tasto
della
chiamata per l'ascensore. Lui mi sorrise, piegando appena la testa di
lato, dopodiché ripiegò con cura il foglio e me
lo porse
"Congratulazioni Kurt... penso che questa sia decisamente la tua
rivincita sulla vita... ciò che aspettavi da sempre." mi
disse,
guardandomi negli occhi, nel tono più piacevolmente
disarmante
di sempre. Mi morsi un labbro, sorridendogli imbarazzato
"Grazie Blaine." risposi arrossendo e proprio in quel momento la cabina
arrivò al pianterreno e, da ottimo cavaliere, come al solito
si
fece da parte per farmi entrare per primo
"Non mi
avevi mai detto
di voler diventare uno stilista!" esclamò, mentre richiudeva
la
grata dell'ascensore dietro di noi, una volta dentro la cabina
"In
realtà.. non
l'ho mai detto a nessuno. Vagamente ricordo di essermelo fatto scappare
una volta con Santana.. e mi meraviglia ancora come lei possa essersene
ricordata." risposi, scuotendo la testa ed avvertendo ancora la
piacevole stretta allo stomaco che mi aveva già avvolto nel
pub,
mentre lei era impegnata a ricordarmi quell'occasione, di cui io avevo
già dimenticato l'esistenza. Blaine spinse il pulsante con
il
numero quattro e con un sospiro sereno, poggiò la schiena
alla
parete della cabina
"É
stato
sufficiente un momento... un solo momento per cambiare tutto quanto."
bisbigliò, stringendo gli occhi e concentrandoli
completamente
su di me, tanto che mi ritrovai a perdere un paio di respiri, sotto il
peso di quelle meravigliose iridi dorate e in un solo istante
dimenticai di tutto, lettera di Chang inclusa. L'unica cosa a cui
riuscii a dare peso fu il suo corpo che si avvicinò in un
attimo
al mio, schiacciandomi contro la parete opposta ed impedendomi tutto,
perfino di ricordare come si respirasse
"Già..
a volte
basta così poco." mormorai, praticamente con le sue labbra
ad un
respiro di distanza dalle mie e fu relativamente semplice azzerare
tutto, anche il cervello e unire ancora una volta la mia bocca alla
sua, esattamente dove volevo che fosse e decisamente nel momento
più inaspettato. Perché Blaine era tutto tranne
che
prevedibile, mi sorprendeva, mi ammaliava, mi rigirava tra le sue mani
come un prestigiatore esperto, eppure mi aveva sempre fatto cadere in
piedi, oppure tra le sue braccia. Ed io, succube e preda della sua sola
presenza, mi sentivo come trascinato da qualcosa di invisibile ma allo
stesso tempo forte, qualcosa che mi teneva legato a lui da un mese
ormai e che lentamente era stato in grado di trasformarsi in amore allo
stato puro.
Ti amo, Blaine... ti amo
tanto...
In un attimo - è proprio vero che a volte, basta
così
poco! - cambiò atmosfera. Da dolce e lentamente calcolato,
si
trasformò in passionale ed intenso e, prima di riuscire a
metabolizzarlo, mi ritrovai ad ansimare per la sorpresa, mentre i suoi
fianchi avanzavano verso i miei e per un istante, persi perfino la
cognizione del tempo. Mi resi vagamente conto di dove ci trovassimo,
solo quando notai con la coda dell'occhio, la mano di Blaine allungarsi
verso la pulsantiera e premere qualcosa. E lì, la cabina si
bloccò, con un leggero sbalzo
"Che
stai facendo?" gli domandai, colto alla sprovvista
"Blocco
l'ascensore...
chissà se così riusciamo a starcene un
pò
tranquilli.." mormorò, con un mezzo sorriso, poggiando
entrambe
le mani sulla parete dietro di me ed allontanando appena il bacino,
perché forse la pressione era diventata troppa anche per lui.
"In un
ascensore? Non ti
è bastata l'ultima volta?" lo provocai divertito, facendo
scivolare con estrema facilità le dita tra i suoi capelli.
Scosse la testa, avvicinandosi pericolosamente al mio collo
"No.... e
l'ultima volta
in questa cabina non c'eri tu!" mi ricordò con un soffio,
direttamente sulla mia pelle, e finalmente posò le labbra
sulla
pelle piacevolmente sensibile al di sotto del mento. Strinsi
più
forte la presa attorno ai suoi ricci e per qualche istante provai a
lasciarmi andare e a far finta che, oltre a quelle morbide labbra, non
ci fosse nient'altro. Ed era davvero sorprendente il potere che
arrivava ad esercitare su di me. Ma non era affatto autoritario e
prepotente come David. Sapevo di avere voce in capitolo in ogni azione,
ogni bacio, ogni carezza e perfino in ogni singolo sguardo che ci
scambiavamo. Eppure, mi sentivo completamente soggiogato da lui e in
nessun caso al mondo mi sarei sottratto o tirato indietro. Eppure...
era davvero tardi, io stavo morendo dal sonno e... la miseria, eravamo
dentro la cabina di un ascensore, bloccati tra il secondo e il terzo
piano, a metà strada tra una famigliola felice e una bambina
di
quattro anni.
"Blaine..."
provai a
risultare convincente, anche se con scarsissimo risultato. Lui
abbandonò il mio collo e puntò di nuovo gli occhi
nei
miei, lanciandomi uno sguardo carico di desiderio, talmente tanto
intenso da farmi emettere un mugolio di frustrazione.
Cazzo... maledizione...
cazzo.. maledizione...
"Abbiamo
tante cose da festeggiare io e te... la fine dei miei due lavori
sfiancanti.. la tua
rottura con David... il lavoro al pub... il concorso di questa sera."
elencò, lasciandomi un bacio leggero un ogni angolo del
viso, per ognuno dei motivi appena detti.
"Quante
cose.." mormorai, deglutendo con molta fatica
"Già..
sono
davvero tante." convenne con un mezzo sorriso, sfiorandomi la mascella
con l'indice, lo stesso indice che risalì lentamente sul
mento
fino a posarsi sulle labbra e lì accarezzarle, leggero e
delicato come sempre.
"Possiamo
dilazionarle
nel tempo. E magari iniziare da adesso." propose, avvicinandosi di
nuovo con il corpo al mio e schiacciandomi maggiormente alla parete,
fino a che non riuscii di nuovo perfettamente ad avvertire la sua
erezione premere e trasmettermi calore, calore che si
sprigionò
in tutto il corpo, fino alle guance
"In
ascensore?" domandai con un sospiro, che più che altro fu un
mezzo ansito mal trattenuto
"In
ascensore!"
confermò, sospirando a sua volta e riappropriandosi delle
mie
labbra, che bramavano il contatto. Mi sciolsi ancora, mentre le nostre
lingue si intrecciavano, ormai in gesti familiari e consapevoli e
proprio per questo così rassicuranti da essere capaci di
riscaldare il cuore
"Non fa un
pò...
ragazzi disperati?" ridacchiai divertito, mentre gli allontanavo la
testa e mi leccavo le labbra, più che altro per abitudine,
ma
forse con quel gesto peggiorai solo la situazione
"Ma noi
siamo ragazzi disperati, infatti.. io soprattutto."
mormorò, guardandomi le labbra nello stesso modo in cui un
assetato guarda una sorgente d'acqua, con la stessa paura che si possa
trattare di un'allucinazione. Ed io in quel momento mi sentii
estremamente potente, ma come lui faceva con me, non me ne sarei mai
approfittato, anzi. Se avessi potuto, avrei utilizzato quel potere su
di lui, soltanto per godere al massimo delle cose belle e preservare
entrambi dalla sofferenza del mondo esterno. E in quel caso, andare
oltre e concedersi dell'intimità nell'ascensore del nostro
palazzo, non era decisamente qualcosa da fare. Era eccitante, molto
eccitante, ma senza ombra di dubbio non era quello il momento migliore.
Quindi sia io che lui dovevamo rimettere le museruole ai nostri istinti
che erano prepotentemente saltati fuori
"Blaine?" lo
chiamai, con
una certa tenerezza nella voce, che non riuscii a trattenermi di
provare. Perché lui era così dolce e
così
maledettamente speciale, da farmi quasi commuovere. Glielo si leggeva
negli occhi, prima che nei gesti, il desiderio che provava verso di me
- e a pensarci, quasi mi sentivo morire - ed era tutto il giorno che
bramava qualcosa di più, nello stesso modo in cui io bramavo
lui. E ancora una volta, dovevamo interromperci. Perché era
tardi, perché eravamo entrambi distrutti e soprattutto
perché io avevo un concorso da metabolizzare ed avevo
bisogno
della tranquillità e della solitudine della mia stanza per
poterlo fare. Lui mi guardò, confuso, per poi imbronciarsi
in
maniera davvero buffa. Mi si strinse il cuore e allo stesso tempo si
ingrandì, carico di amore per quella creatura speciale di
cui
avevo avuto il privilegio di innamorarmi. Sbuffò lentamente,
mentre l'atmosfera attorno a noi cambiava ancora, distendendosi
"So
quello che
stai per dirmi... quindi non dirmelo." borbottò, poggiando
la
fronte alla mia, in un tono quasi di supplica che mi fece ridacchiare
ancora. Gli accarezzai i capelli sulla nuca e con delicatezza gli feci
sollevare la testa fino a ritrovare di nuovo i suoi occhi dorati,
ancora dilatati dall'eccitazione ma appena abbattuti.
"Ok.. quindi
se lo sai.. sai anche cosa devi fare adesso!"
mormorai sorridendogli dolcemente e lasciandogli un bacio leggero sulle
labbra, come incentivo. Mi lanciò un'occhiata supplichevole
che
mi fece ridacchiare ancora, ma alla fine, con un leggero sbuffo
afflitto, allungò di nuovo la mano verso la pulsantiera e
fece
ripartire la cabina
"Bravo
bimbo..." gli concessi con un sorriso ed un altro bacio e finalmente
lui riuscì perfino a sorridere, divertito
"Il mondo
è un
posto davvero ingiusto!" si lamentò sporgendo il labbro
inferiore, in un'esagerata smorfia di delusione. In quel momento la
cabina si fermò delicatamente al quarto piano e,
afferrandogli
la mano e stringendola forte, lo portai fuori
"Hai
ragione...
però ti prometto che mi impegnerò
affinché
possiamo finalmente ritagliarci un momento... solo per noi due!" lo
rassicurai, accarezzandogli la fronte e liberandola da qualche
meraviglioso riccio ribelle. Spalancò gli occhi, allarmato
"Non dirlo.. altrimenti qualcuno ci può sentire e allora
arriverà e rovinerà anche quello!"
mormorò,
lanciando un'occhiata furtiva al pianerottolo, vuoto. Scoppiai a ridere
di gusto, tappandomi la bocca con la mano, per attutire il rumore e lui
mi seguì a ruota, tanto che in breve ci ritrovammo a fare
ancora
più rumore, nonostante i tentativi per trattenerci. Ed era
come
al solito liberatorio ridere quando c'era lui di mezzo. Mi faceva
sentire bene, perfino provare quel leggero dolore alle costole per
l'eccessivo sforzo. Anche quello era piacevole.
Riuscimmo a calmarci solo qualche istante dopo, ritrovandoci, non si sa
come, a guardarci negli occhi e a non dire nulla, perché
bastò quello a far capire tutto. Eppure, qualcosa volli
ugualmente dirla ad alta voce, perché ne sentivo il bisogno
"Mi manchi.." sussurrai, avvertendo tutta l'emozione di quell'intesa
creata avvolgermi e coccolarmi. Lui sorrise mite, allungando una mano
verso di me, per posarla sul mio petto, all'altezza del cuore, che
scalpitò irrequieto
"Mi manchi anche tu." rispose in un leggerissimo mormorio, emozionato
ed emozionante. Sentii qualcosa sciogliersi nello stomaco e fui
seriamente sul punto di mandare al diavolo tutto, perfino l'eccitazione
per la storia del concorso, e trascinarlo nel mio appartamento per dare
finalmente libero sfogo ai nostri desideri. E forse anche a lui
passò per la testa lo stesso pensiero, perché si
avvicinò ancora e mi lasciò un lieve, ma intenso
bacio
sulle labbra. Dopodiché si fermò, a pochi
millimetri di
distanza e mi parve decisamente combattuto, quasi fosse sul punto di
dire chissà che cosa e provasse in ogni modo a tirarla
fuori. E
allora, per precauzione trattenni il fiato e...
"Kurt... io.. io ti..."
"Oh ma eravate voi. Mi stavo giusto chiedendo di chi fossero le voci
che sentivo sul pianerottolo!" una voce alle spalle di Blaine ci fece
sobbalzare entrambi e ci ritrovammo, come due gatti presi di sorpresa a
saltare sul posto e a metterci sulla difensiva. E quando ci girammo
verso l'appartamento di Blaine, trovammo Quinn sulla soglia della porta
che ci sorrideva, sollevata.
Non è possibile... ma allora siamo davvero controllati a
vista...
Rimanemmo per qualche secondo in un silenzio surreale, Quinn a guardare
noi e noi a guardare lei, fino a che sul suo viso non cambiò
qualcosa. Il sorriso scemò quasi subito, per lasciare il
posto
alla consapevolezza e poi all'imbarazzo
"O-oddio... oddio scusate io... non volevo interrompervi.. mi
dispiace... è che mi sono.. spaventata e.."
balbettò e
gesticolò, arrossendo violentemente sulle guance. Mi fece
tenerezza anche lei e forse quello mi permise di rivolgerle un vero
sorriso, ma fu Blaine a parlare per entrambi
"Non preoccuparti.. ci stavamo... dando la buonanotte." la
rassicurò con un sorriso, appena tirato ma pur sempre un
sorriso. Quinn annuì per poi mordersi una guancia e tentare
a
sua volta un saluto
"Oh beh.. allora ti aspetto dentro.. buonanotte Kurt."
"Buonanotte a te, Quinn." la salutai con la mano e lei si
dileguò
all'interno, premurandosi di appannare la porta per darci un
pò
di privacy. Peccato che di privacy ce ne fosse rimasta ben poca.
"Farò causa al Ministero della... Sacrosanta
intimità
personale... questa storia deve necessariamente finire."
borbottò con una smorfia, facendomi ridere
"Non credo neanche che esista un organo del genere." esclamai divertito
e lui sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Ancora
ridacchiando, gli afferrai la mano e la strinsi tra le mie per poi
portarmela alla bocca e baciarne le nocche
"Buonanotte Blaine... grazie per essere stato al mio fianco, durante
questa splendida serata." mormorai e lui finalmente
abbandonò il
suo broncio per sorridermi
"Grazie a te per avermi permesso di esserci... nonostante... le varie
interruzioni terroristiche ai nostri danni!" e ridacchiammo ancora,
cercando di non fare troppo rumore quella volta.
"Buonanotte e... sogni d'oro!"
Finché ci sei
tu nei miei sogni.. allora posso sperare che continuino ad essere
davvero dorati...
New York City. Ore 03.34 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)
Preparare il thé mi aveva sempre rilassato, la trovavo una
pratica speciale, che possedeva perfino qualcosa di magico,
perché d'altronde speciale e magico era il trasformare della
semplice acqua in qualcosa di tanto diverso e saporito. E poi lo
adoravo perché era l'unica cosa che in cucina sapessi fare.
Il campanello suonò proprio nel momento esatto in cui finii
di
preparare tutte le tazze che mi servivano e le posai sul vassoio. Con
un lungo sospiro andai ad aprire, chiedendomi chi, tra tutti quelli che
avevo chiamato, fosse stato il primo. Mi sorprese non poco trovare
proprio lei
"Rachel!" la salutai, abbracciandola "Complimenti per la
puntualità... sono piacevolmente colpito." lei
ridacchiò
accarezzandosi i lunghi capelli
"Beh... avevo voglia di vederti... è dalla sera del tuo
compleanno che non ci concediamo un pò di
tranquillità."
esclamò sorridendo. Io ridacchiai, facendole segno di entrare
"Credo che dovremmo rimandare allora... ti ho fatta venire qui per un
altro motivo." la informai
"Ovvero?" domandò curiosa, incrociando le braccia al petto.
Mmm.. da dove cominciare?
"É lungo da spiegare però... se prometti di non
fare
commenti, posso provare a riassumere tutto in pochi punti essenziali."
proposi divertito. Lei si accigliò ma alla fine
annuì,
divertita da tutto quell'entusiasmo da parte mia. Presi un profondo
respiro e così iniziai
"Dunque... il mio compleanno... dopo che tutti siete andati via Blaine
mi ha fatto due splendidi regali, uno dei quali è questo
bracciale qui e mi ha detto delle cose splendide. Il giorno dopo io e
David ci siamo lasciati, e lui ha quasi ammazzato Blaine,
strangolandolo per la rabbia, ma per fortuna Sebastian e Daniel sono
intervenuti per salvarlo. Poi Blaine ha denunciato David e ora lui non
può più avvicinarsi né a lui
né a me.
Lunedì, andando a lavoro, sono stato licenziato, sempre per
colpa di David, ma stesso quella mattina Blaine mi ha proposto di
andare a lavorare al pub di Puckermann ed io ho accettato, quindi da
tre giorni lavoro lì con lui. Ieri sera però,
Sam, il
manager si Santana, mi ha detto che una delle esponenti più
illustri del mondo della moda newyorchese ha indetto un concorso che
mette in palio non solo un premio in denaro ma anche la
possibilità di creare un'intera collezione con il proprio
nome.
E... ultimo, ma non per importanza.. mi sono accorto di essere
follemente ed irrimediabilmente innamorato di Blaine." elencai con una
certa eccitazione nella voce, non riuscendo neppure a credere a quante
cose fossero successe in così poco tempo. Era strano anche
per
me che le avevo vissute tutte. Tante emozioni, tanti sentimenti veri,
tante parole, gesti, pensieri, paure. Tutto condensato in una settimana
esatta. Ed io solo allora me ne rendevo conto.
Rachel rimase per qualche istante immobile, a fissarmi tanto che
credetti fosse rimasta traumatizzata, ma alla fine parlò
"Mi stai prendendo per il culo?" domandò scioccata,
posandosi una mano sul petto, con fare teatrale
"No.. affatto. Ti ho appena raccontato cosa è realmente
successo
in questi giorni. E considera che non ti ho parlato della notte dopo il
tentato omicidio o della canzone di Keane oppure di.."
"Frena, frena... andiamo per ordine." mi bloccò subito,
gesticolando "Tu e David vi siete lasciati?"
"Già." confermai con un sorriso a trentadue denti
"Dio esiste!" esalò con un sorriso commosso che mi fece
ridacchiare, ma subito si rabbuiò
"E che cazzo significa che ha quasi ammazzato Blaine?"
domandò,
quasi con un ringhio. Ero sul punto di risponderle, immaginando
perfettamente cosa significasse avere a che fare con una rivelazione
del genere - soprattutto se avesse scoperto che il tutto, era avvenuto
esattamente sopra la sua testa - ma il campanello ci interruppe
"Aspettiamo qualcuno?" domandò incuriosita ed io mi limitai
ad
annuire elettrizzato e a saltellare - sì, esattamente
saltellare
- verso la porta. Quella volta, sulla soglia, trovai il sorriso
imbarazzato di Tina ad accogliermi
"Ehi Kurt... scusa se ho ritardato di qualche minuto ma.. non trovavo
le chiavi di casa." mi salutò, abbracciandomi
"Figurati... anzi, ti ringrazio per la tempestività!" e
invitai
anche lei ad entrare. Tina e Rachel si guardarono confuse, ma fu solo
un attimo, poi si salutarono, calorose come al solito
"Allora... cosa è successo? Perché ci hai fatto
venire
con tutta questa fretta?" domandò la ragazza orientale,
accomodandosi sul divano
"Tra poco tutto vi sarà più chiaro. Stiamo
aspettando
qualcun altro..." e proprio in quel momento il campanello
suonò
ancora. Tutto stava andando esattamente come mi ero prefissato ed io
non riuscivo quasi a stare fermo per l'emozione. Sullo zerbino trovai
ben due sorrisi: quello di Santana e quello dolcissimo della sua
ragazza, Brittany
"Siamo tutti?" mi domandò la modella, in un sussurro
all'orecchio, mentre mi abbracciava
"Ancora no..." le risposi, non riuscendo a trattenere un sorriso e lei
mi accarezzò la schiena, con un'espressione fiera e distesa
ed
io feci accomodare sia lei che la sua ragazza in salotto, con le altre
due. Ne approfittai per recuperare il thé e servirlo e
tentai
ancora una volta di destreggiarmi tra le domande insistenti di Tina e
Rachel, che erano sempre più confuse. Santana sapeva
già
cosa stava per succedere e immaginai che anche Brittany lo sapesse,
grazie alle confidenze dell'ispanica. Ed io non riuscivo quasi
più a trattenermi. Eppure dovevo farlo, mancava ancora poco,
e
poi ogni cosa si sarebbe fatta più chiara e comprensibile.
Ed
io, sperai con tutto il cuore che potesse diventare anche reale.
Lo voglio
così tanto, da star male...
Il campanello suonò, per la quarta volta, facendomi
sobbalzare.
Quella volta, chissà perché, mi sentii molto
più
nervoso ed andai ad aprire stringendo un labbro tra i denti ed
accarezzando distrattamente la superficie rigida del braccialetto con
il mio Courage, sperando di poterne trovare un po', per affrontare
tutto quello. Aprii la porta, accogliendo con un sospiro di sollievo
anche l'ultima invitata, facendomi da parte per farla passare. Quinn,
avanzò nel salotto e si fermò un istante,
confusa, ad
osservare quei quattro volti sconosciuti, che a loro volta la
osservavano incuriositi
"Kurt... che sta succedendo?" mi domandò, cercando i miei
occhi,
leggermente preoccupata. Le posai una mano sulla spalla e le sorrisi,
cercando di metterci in quel gesto tutta la tranquillità di
cui
ero capace, di infondergliela con quel piccolo gesto, nonostante dentro
di me si stesse combattendo la terza guerra mondiale e l'agitazione
stesse ormai raggiungendo picchi da record.
"State tranquille... ora vi spiegherò tutto. Vi chiedo solo
di
ascoltarmi e... se potete, di darmi una mano!" spiegai con calma,
guardando ognuna di loro, soffermandomi su ognuna delle espressioni in
quella stanza, una diversa dall'altra e cercando di capire che tipo di
emozioni fossero scritte su quei volti. C'era sorpresa, c'era
curiosità, c'era fiducia e perfino un pochino di
divertimento.
Ed io provai a cogliere tutto, a fare tesoro di ogni espressione, a
metabolizzare ogni movimento, per poter finalmente prendere fiato ed
esclamare
"Ho un bisogno disperato del vostro aiuto. Vi andrebbe di... diventare
le mie modelle?"
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Capitolo 38 *** Il Volo della Farfalla e il Potere di Cupido ***
Buon
Pomeriggio a tutti... scusate per il ritardo nell'aggiornare oggi ma ho
finito il capitolo dieci minuti fa, anche a stento aggiungerei. Dunque,
un capitolo diciamo di passaggio che contiene qualcosa ma, non molto..
non ne sono molto soddisfatta ma come sempre l'ultima parola spetta a
voi. Vi avviso un'altra volta che mancano quattro capitoli alla fine
(esclusi i capitoli legati ai prologhi di ogni coppia!) e quindi
preparatevi, perchè stiamo per chiudere le fila. Detto
questo, vi ringrazio di cuore per tutto e mi scuso ancora per le
recensioni non risposte ma davvero, se mi sono ridotta a scrivere il
capitolo di notte, qualche problema di fondo cì'è
davvero ç___ç perdonatemi se potete, ma sappiate
che leggo ognuno dei vostri commenti, e li custodisco nel cuore, con
estrema gelosia. Ci vediamo Venerdì... un bacio grande
<3
p.s.
Questo lo dedico a te, Dan mio.. anche se non è molto bello
stavolta.. però tu sai :*
n.b.
Pagina Fb ( Dreamer91) Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments)
New York City.
Ore 03.45 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)
"Ho un
bisogno disperato del vostro aiuto. Vi andrebbe di.. diventare
le mie modelle?"
Nel salotto
era calato un velo di silenzio quasi surreale. Gli occhi di
ognuna delle ragazze si erano spalancati, quasi all'unisono e perfino
la mia sicurezza aveva vacillato. Quella mattina, mentre
parlavo con Blaine e gli esponevo le mie idee, quella di coinvolgere le
mie amiche, mi era sembrata l'idea più geniale che potesse
mai
venirmi. E allora perché, a distanza di alcune ore e dopo
averlo
finalmente comunicato ad alta voce alle dirette interessate, di geniale
non sembrava esserci rimasto molto? Perché
sembravano tutte così sconvolte, fatta ovviamente eccezione
per
Santana e Brittany?
"Non dite
niente?" domandai, un accenno di delusione nella voce ed il
rumore ormai sordo del mio stesso cuore direttamente nelle orecchie.
Rachel e Tina si guardarono per un istante, dopodiché la
seconda
parlò, finalmente, rompendo il silenzio
"Modelle...
modelle per cosa, Kurt?"
Uh...
giusto! Forse dovrei degnarmi di spiegare...
"Scusate,
avete ragione. Sono... partito in quarta senza neanche dirvi
per quale motivo vi ho fatte venire qui." mormorai imbarazzato,
grattandomi la nuca. Bene, da dove iniziare?
Le
presentazioni, Hummel...
"Dunque..
ragazze lei
è Quinn Fabray.. la figlia del proprietario
dell'appartamento di
Blaine. Quinn... loro sono, in ordine da destra... Brittany, Santana,
Rachel e Tina!" terminai il giro di presentazioni, con un sorriso,
sperando di trasmettere un pò di tranquillità in
più in quella stanza. Vidi Quinn accennare un mezzo sorriso
verso le altre quattro, ma fu soltanto Brittany a reagire
"Ciao Quinn.. hai davvero un bellissimo nome, lo sai?" e le rivolse un
sorriso genuino, tipico di chi, in una situazione tanto insolita ed
imbarazzante, cerca di vederci sempre del buono. E infatti Quinn
sembrò apprezzare, perché ridacchiò
lusingata
"Ti ringrazio... Brittany, giusto?"
"Esatto... ma puoi chiamarmi Britt.. oppure.. l'altra ragazza bionda.."
scrollò le spalle con un mezzo sorriso divertito. Quinn
ridacchiò ancora
"Credo che Britt andrà benissimo allora!" esclamò
rivolgendole un sorriso divertito, e rilassandosi visibilmente
"Coraggio, Quinn.. vieni a sederti qui!" le propose Santana, battendo
leggermente con la mano sul divano, accanto a lei. La ragazza
sospirò ma accettò di buon grado l'invito e
raggiunse le
altre, sorridendo cordialmente a Tina che a sua volta le stava
sorridendo. Ed eccole lì.. le cinque ragazze che io avevo
scelto
per la sfilata, le ragazze che io volevo come mie modelle e in un certo
senso come mie muse. Erano una completamente diversa dall'altra, sia
per tratti somatici, per personalità e perfino per origini.
Eppure.. io nella mia mente avevo una vaga ma piacevole idea di come
volessi che andasse la sfilata, di cosa aspettarmi e soprattutto di chi
volere al mio fianco.
"Bene... ora che le presentazioni sono state fatte ed ognuno di voi sa
chi è chi.. passiamo alle questioni serie.." annunciai,
avanzando verso di loro fino a fermarmi davanti al divano, e mi
posizionai proprio di fronte alle cinque ragazze. Feci un profondo
respiro, provando a svuotare la mente e alla fine, congiungendo le
mani, riuscii perfino a tirare fuori un sorriso
"Vi ho fatte venire qui perché, come vi ho già
detto, ho bisogno di voi..." iniziai appena esitante
"Di cosa si tratta?" domandò Tina, curiosa e attenta. Non
seppi
perché, ma in quel momento sentii il desiderio di puntare
gli
occhi in quelli di Rachel, che, da quando era stata interrotta dal
suono del campanello, non aveva più parlato. Era la sua
reazione
a preoccuparmi di
più fra tutte, perché forse era in lei che in
quel
momento stavo riponendo tutta la mia aspettativa. In un certo senso la
consideravo la mia punta di diamante, la mia dolce e caparbia ragazza
che, come me, ne aveva passate tante e forse, dopo anni di sofferenza,
poteva finalmente respirare un pò di
tranquillità. E lei
era stata la prima a cui avevo pensato per la sfilata,
perché la
volevo al mio fianco, perché era giusto così,
perché le volevo bene come soltanto un fratello
può
volerne alla propria sorellina, perché.. beh era Rachel
Berry...
e doveva necessariamente esserci.
"Un concorso di moda... un'importante agenzia di New York, diretta da
una delle donne più potenti ed influenti del settore ha
sponsorizzato un concorso.. aperto a tutti coloro che hanno lavorato
presso un'altra agenzia del territorio. Bisogna realizzare cinque
modelli inediti e presentarli durante una sfilata davanti alla
direttrice in persona e alla fine lei decreterà un
vincitore..
quest'ultimo avrà la possibilità di creare
un'intera
collezione finanziata dalla sua agenzia ed avviare così un
proprio marchio. La sfilata è tra due settimane e io.. beh..
mi
sono iscritto giusto mezz'ora fa." mi aprii in un sorriso entusiasta,
sperando così di far capire meglio, a chi ancora non fosse a
conoscenza della situazione, quanto questa mi elettrizzasse. Quella
notte avevo dormito poco e niente, pensando e ripensando alle parole di
Sam, a quelle di Santana subito dopo e cosa più
importante...
vabbé non avevo dormito perché ero ancora
elettrico per
la scenetta in ascensore con Blaine, perché avvertivo ancora
la
sua pelle bollente a contatto con la mia, mi sembrava ancora di sentire
il suo profumo addosso, ma soprattutto ricordavo perfettamente ogni
minima sfumatura che quella sera gli aveva colorato gli occhi. Oro,
verde, castano.. intrecciati insieme, liquidi e vivi e
meravigliosamente sporcati dal desiderio. Per me.
Dio, Blaine... mi
manchi.. mi manchi da impazzire...
Quella mattina, quando ero stato da lui a parlargli della mia idea,
facendo colazione assieme, per un istante, un solo piccolissimo istante
mi era passato per la testa di approfittare dell'assenza di Quinn - che
era in giro a cercare un appartamento, oltre che un lavoro - di
afferrare quel bellissimo viso imbronciato e finalmente fare mie quelle
labbra che, nonostante tutto, avevano ancora voglia di sorridere e di
regalare emozioni. O meglio... le emozioni lui le regalava a me, ogni
volta che incurvava appena quella bocca splendida che si ritrovava,
anche se si trattava di un istante, talmente tanto breve da essere
privo di incidenza. Eppure per me, tutto con Blaine, faceva brodo. E
più lui parlava, più mi guardava, più
mi
sorrideva, più mi baciava, più si imbronciava
perché non potevamo dedicarci a noi... e più io
mi
innamoravo di lui. Su una scala da uno a dieci, se avessi dovuto dare
un voto all'amore che in quel momento provavo per lui.. beh, neanche i
numeri a quattro cifre sarebbero bastati. Ogni fibra del mio corpo
urlava il nome di Blaine, ogni centimetro di pelle bramava il contatto
ed ogni singolo pensiero, ormai, era rivolto a lui... tranne per
qualche sporadico flash deviato per la storia del concorso. Lui
monopolizzava il mio mondo e la mia vita ed io non tentavo neanche di
sottrarmi.. semplicemente lo lasciavo fare perché in fondo
mi
andava bene così e perché mai, prima di allora,
ero stato
più felice. Avevo voglia di fare l'amore con lui e senza
dubbio
avrei risolto al più presto anche quella situazione: avevo
già una mezza idea, venuta in mente, anche quella, durante
la
notte che aspettava solo di essere messa in pratica. Ma prima.. dovevo
portare a termine il mio compito e convincere le mie amiche a darmi
l'aiuto che mi serviva. Solo dopo, avrei potuto pensare ad altro.
Pazienta ancora un
pò, Blaine... solo un pò...
"Oh mio Dio... Kurt... ma è... fantastico!"
esclamò Tina
elettrizzata, sbattendo le mani ed aprendosi in un sorriso radioso
"Lo so.." confermai, dondolando, non riuscendo neanche a stare fermo
"Kurt ha avuto un'opportunità incredibile.. e per fortuna ha
saputo come coglierla!" aggiunse Santana con evidente orgoglio,
strizzandomi l'occhio, complice ed io le sorrisi di conseguenza. Non
sapevo ancora come dirle grazie, perché in fondo, se non
fosse
stato per lei e per la sua fiducia, io non avrei avuto quella
possibilità.
"Sapevo che lavorassi presso un'agenzia di moda ma.. addirittura che
creassi abiti.. non me lo sarei mai immaginata. Complimenti Kurt,
davvero." mormorò Quinn, sinceramente sorpresa ma ammirata
E Rachel continua a
stare zitta...
"Ti ringrazio.. io... non so neanche da dove cominciare sinceramente
ma.. voglio provarci. Ultimamente più di una persona mi ha
insegnato a combattere per quello che voglio, a non sprecare nulla e
soprattutto, in ogni caso, a non arrendermi mai, e di crederci.. fino
alla fine dei giochi. Ed io voglio crederci.. questa volta penso di
meritarmelo!" stranamente mi ero ritrovato con la voce leggermente
tremante ma con una grinta mai immaginata. Mi sentivo forte, sentivo
che niente e nessuno avrebbe potuto buttarmi giù ed era
davvero
strano perché, uno come me, tutto avrebbe potuto pensare,
tranne
che trovare uno spirito del genere, così forte e
così
pieno di fiducia verso sé stesso. E forse quella, assieme a
Blaine, sarebbe stata la mia conquista più grande.
"Però per farlo ho bisogno di voi.. ho bisogno che mi
aiutiate,
che... diventiate le mie muse, in un certo senso. Vi voglio come mie
modelle, voglio che alla sfilata indossiate i miei abiti e che su
quella passerella vi mostriate fiere e bellissime, proprio come vi vedo
io in questo momento." provai a tirare fuori quanta più
energia
potessi, ma senza volerlo, risultai decisamente più
sentimentale
di quanto fosse necessario. E forse, proprio questo, proprio la mia
voce
emozionata e appena tremante, proprio i miei occhi leggermente lucidi,
ottennero qualcosa di concreto
"Kurt... io..." fu Tina a parlare, leggermente scossa
"Lo so.. so che vi sembrerà un'idea assurda e che per certe
cose
servano modelle esperte o chissà quale altra diavoleria,
ma.. io
ho seriamente bisogno di voi.. è su di voi che immagino i
miei
abiti e voglio che siate soltanto voi ad indossarli. Non... non credo
che questa cosa possa andare bene, senza... senza voi, ecco." stavo
diventando perfino leggermente implorante e patetico, me ne rendevo
conto, ma avevo davvero una disperata paura che potessero dirmi di no,
che potessero dire ad alta voce che quella non era altro che un'idea
assurda e che mi sarei dovuto arrangiare o magari rivolgermi
semplicemente ad un gruppo di modelle professioniste. Lo sapevo anche
io, ma... era difficile da spiegare... io non volevo altre modelle.. io
volevo semplicemente loro.
Ancora una volta, mi chiesi come mai Rachel non avesse aperto bocca,
come mai si fosse chiusa nel suo silenzio e non avesse neanche il
coraggio di guardarmi in faccia: in quel momento, mentre io imploravo
con lo sguardo ognuna di quelle ragazze - esclusa Santana, che
già sapeva - lei si limitava ad osservare le frange del
tappetto e a giocarci con la punta della scarpa. Non parlava
perché non sapeva cosa dire o perché la mia idea
le
sembrava talmente tanto stupida ed insulsa da non meritare neanche un
commento? Perché, lei che non risparmiava mai le parole, era
quella a non essersi minimamente pronunciata? Che diavolo le passava
nella testa? Con quali pensieri si stava tormentando? E
perché,
vederla così silenziosa ed assente, mi stava lentamente
distruggendo? Che fine aveva fatto la mia sensazionale e chiacchierona
Rachel Berry?
Così, non sopportando più il suo silenzio, mi
avvicinai a lei
"Rachel?" la chiamai, con una certa esitazione e lei finalmente
sollevò lo sguardo e puntò gli occhi nei miei. Ne
lessi
tutta l'incertezza e anche un pizzico di quella paura che mai, in una
donna tanto forte mi sarei aspettato di trovare. Cosa la turbava
così tanto?
"Kurt... per piacere guardami.." e si indicò con una
smorfia. Io
lo feci, la guardai bene, ma non capivo sinceramente dove volesse
arrivare
"Ti sto guardando."
"Sono alta un metro e
sessanta.. come pensi che possa salire in passerella e..
sfilare?" domandò con un filo di voce, guardandomi con
un'espressione indecifrabile e confusa. Rimasi spiazzato,
letteralmente. Tutto mi sarei aspettato, perfino un'ondata di risate
improvvise, ma non.. quello.
"Lo stesso vale per me!" si accodò Tina, con una
smorfia triste.
"E Kurt io... sono anche incinta." mormorò Quinn, arrossendo
leggermente, forse perché confessarlo ad alta voce, davanti
a
delle perfette estranee, le costava parecchia fatica. Vidi la testa di
Rachel saettare verso la ragazza bionda e spalancare appena gli occhi,
ma fu solo un attimo. Forse in quel momento si chiese quanti anni
avesse e se il caso beffardo non l'avesse messa di fronte ad una sorta
di déjà-vu in formato biondo. Sospirai,
passandomi una
mano tra i capelli, ignorando la lacca e l'ordine già
precario
che avevano assunto quel giorno. Dove trovare le parole migliori per
far capire a tutte loro che, quelli per me erano solo dettagli
insignificanti e che non fosse affatto un problema?
Come sempre, Kurt.. la
sincerità..
"Ascoltate... a me non interessa... non mi interessa quanto siate alte
o
che taglia portiate, né tanto meno se sappiate camminare sui
tacchi oppure no. Io voglio soltanto che le mie modelle rispecchino la
mia moda, rispecchino il mio mondo ed il mio modo di vedere le cose.
Voglio fare qualcosa di.. anticonvenzionale, ma che in un certo senso
sia reale.. non me ne faccio nulla di quattro modelle scheletriche che
sanno camminare anche sui trampoli e sono alte un metro e ottanta. Ho
bisogno di verità su quella passerella e per mostrare la
verità ho bisogno di voi.. di cinque splendide ragazze che
sono
talmente tanto diverse tra di loro da sembrare quasi bizzarre, ma che,
ai miei occhi... risultano tutte belle.. da togliere il fiato." spiegai
con ardore, tornando a guardarle negli occhi, una per una, leggendo un
leggero cambiamento a mano a mano che riuscivo a spiegarmi
meglio
"E ve lo
dice uno che è omosessuale dalla nascita." aggiunsi quella
battuta per alleggerire un pò l'atmosfera e per fortuna
tutte e
cinque - inclusa Rachel - la accettarono con una risata
"E non hai paura che.. usare noi come tue modelle possa, in qualche
modo, penalizzarti nel giudizio finale?" domandò Quinn con
leggerezza, sollevando un sopracciglio. Sì, in
realtà ci
avevo pensato, avevo provato ad immaginare che faccia potessero mettere
su i giudici, vedendosi arrivare quattro modelle dilettanti al posto di
professioniste. E l'unica risposta sensata che ero riuscito a darmi,
era stata: chi se ne fotte!
"Nella vita chi non rischia è un codardo. E lo sono stato
per
fin troppo tempo. Adesso è arrivato il momento per tirare
fuori
gli artigli e se farlo, comporta anche gesti avventati e rischiosi come
questo.. sono pronto! Sono pronto a mettermi in gioco,
completamente, anche rischiando di perdere ogni cosa."
spiegai stringendo i pugni talmente tanto forte, da sentire le nocche
tirare dolorosamente "E poi.. quando la vita ti toglie tutto,
in un solo istante, non ti interessa più cosa tu possa
ancora
perdere.. pensi solo a cosa tu sia in grado di trovare e di tenere
stretto." aggiunsi con un mezzo sorriso, leggermente amaro ma ricco di
consapevolezza. Era un sorriso maturato dopo anni di sofferenza
silenziosa, passata a nascondermi dietro una maschera fittizia, che
copriva solo l'apparenza ma non guariva nulla. Ed ero stanco..
sinceramente stanco di tutto. Stanco di abbassare la testa per far
felici gli altri, stanco di accontentarmi, stanco di rinunciare, stanco
perfino di credere che i miei sogni non potessero realizzarsi al pari
di quelli degli altri. Mi ci era voluto tanto per maturare una
consapevolezza del genere eppure la sentivo forte come non mai, viva e
pulsante e sentivo anche che per nulla al mondo ci avrei rinunciato.
Carpe diem, aveva detto qualcuno.. e io ci aggiungevo...
finché
ne hai la possibilità.
"Bravo Kurt!" mormorò Santana sorridendomi e sospirando
soddisfatta
"Mi rendo conto che si tratti di una pazzia incredibile e che soltanto
un esaltato possa davvero credere di riuscire in un'impresa tanto...
contorta.. ma.. ho un buon presentimento e voglio fidarmi del mio
istinto una volta tanto... e il mio istinto mi sta suggerendo di
guardare davanti a me e di ingaggiare queste splendide ragazze per il
mio concorso. Ora però... spetta a voi decidere... darmi la
vostra risposta. Volete... essere le mie modelle?" domandai ancora,
appena più speranzoso, ma allo stesso modo agitato e
combattuto. Perché nulla di quello che avevo detto sembrava
avere senso ora, nulla di quello a cui avevo pensato... sembrava tutto
confuso e disordinato e folle e... per questo, assurdamente geniale. E
sì sa, il genio non ha né forma né
ordine,
altrimenti non sarebbe così speciale.
"Per quanto mi riguarda, come ti ho già detto, sono pronta
ad
aiutarti.. ho già concordato con Sam i miei impegni e mi
sono
tenuta libera per il giorno della sfilata. Quindi.. conta pure su di
me!" esclamò Santana sorridendomi, ed io, con un sospiro la
ringraziai ancora. Un altro punto a suo favore, un'altra cosa per la
quale esserle grata. Non solo avevo la fortuna di avere almeno una
modella professionista nel mio team.. ma potevo perfino contare sulla
sua competenza e sul suo aiuto per qualsiasi consulto o qualsivoglia
dubbio.
"Lo stesso vale per me... non ho mai portato un paio di tacchi e
sinceramente ne so davvero poco di passerelle e di abiti di alta
sartoria, ma... sono felice di poterti aiutare. Tu hai aiutato me al
pub ed io ora aiuto te con il concorso.. mi sembra uno scambio
piuttosto equo." disse Brittany, dondolando la testa e facendo
oscillare la lunga coda di cavallo, esattamente come il primo giorno in
cui l'avevo incontrata, al tavolo del pub di Noah.
"Grazie, Brittany... grazie davvero!" esclamai sorridendole.
Sinceramente quello che lei stava facendo per me era nettamente
superiore a quello che io avevo fatto per lei, soprattutto
perché avevo accettato il lavoro al pub
più per
un'esigenza economica che per farle un piacere. Però.. se
credere questo, l'aveva convinta ad accettare.. bene, buon per me. Mi
girai verso Tina, che tra le tre rimaste, sembrava quella
più
semplice da convincere. La trovai con un mezzo sorriso stampato sul
volto e gli occhi pieni di una strana euforia
"Tina?" le chiesi, sporgendo un pò il labbro ed esagerando
una smorfia di supplica che la fece ridacchiare
"Kurt io non riesco a dirti di no... questa cosa mi piace e mi
entusiasma talmente tanto che non riesco a tirarmi fuori anche se mi
rendo conto che forse sarebbe meglio lasciarti cercare una... modella..
migliore di me. Però..." sospirò lentamente, un
sospiro
che voleva dire tante cose, ma una soprattutto... che la sua scelta era
stata fatta "Ti aiuterò... ti aiuterò
perché mi
piace la tua grinta e le tue motivazioni e soprattutto
perché io
e te siamo più simili di quanto abbia mai potuto
immaginare." e
ridacchiò, visibilmente entusiasta. Ed anche io non riuscii
a
trattenere un sorriso di gioia, gioia allo stato puro.
E siamo a tre...
"Lo penso anche io, Tina e... grazie." mormorai, lanciandole un bacio
da lontano che lei afferrò, scherzosamente. Ed ecco che
venivano
le note dolenti, le due ragazze senza dubbio più difficili
da
convincere. Di Quinn conoscevo poco e niente anche se in quei due
giorni di semi-convivenza avevo iniziato ad affezionarmi e a trovarla
decisamente una bella persona, nonostante il peso del suo cognome e
l'ingente conto in banca di suo padre. Forse era la gravidanza a
renderla così... umana o forse era semplicemente il suo
carattere. D'altronde sulla sua reazione non avrei mai potuto
scommettere e infatti la sua titubanza non mi meravigliò
affatto. Sentendosi osservata, alzò lo sguardo verso di me e
arrossì ancora
"Kurt... io ti ringrazio davvero.. sei stato.. gentile a pensare a me
per questa cosa, solo che... il mio peso e la mia taglia al momento non
sono propriamente stabili e non vorrei che tra due settimane, il giorno
della sfilata, dovessi pentirti per la scelta che hai fatto oggi. Io
non voglio sentirmi responsabile per averti rovinato un'occasione
così importante." si torturò nervosamente le
mani,
agitandosi appena sul divano, tra Tina e Santana
"Ho pensato anche a questo, stai tranquilla.. non ti farei mai
indossare un abito scomodo o esageratamente attillato...
terrò
conto della tua gravidanza e del fatto che possa esploderti la pancia
da un momento all'altro. Non permetterò ad un vestito di
farti
sentire a disagio.. hai la mia parola!" esclamai con convinzione. Lei
rilassò la schiena con un lungo sospiro e alla fine, dopo
essersi accarezzata distrattamente la pancia, parlò
"Ho sempre sognato di fare la modella... fin da piccola.. e ora.. tu mi
stai chiedendo davvero di farlo e... lo stai facendo nonostante..." si
morse un labbro, con un sorriso appena commosso. Le sorrisi a mia
volta, intenerito. Più il tempo passava e più
quella
ragazza mi piaceva. Era sensibile e fragile eppure... sapevo che dietro
quegli occhi verdi nascondesse qualcosa di decisamente caparbio e
forte,
nonostante tutto.
"Quinn... a me vai benissimo così come sei... te lo posso
assicurare." ribadii stringendomi nelle spalle, provando a farle
arrivare tutta la mia sincerità. E fu allora, che anche lei
prese la sua decisione
"D'accordo.. ti aiuterò. Diventerò la tua..
modella
incinta.. se non è anticonvenzionale questo!"
esclamò
divertita, facendo ridere tutti, e facendo sospirare me di sollievo.
Con lei eravamo a quota quattro. Più della metà
di loro
mi aveva risposto e la situazione stava evolvendosi in una direzione
decisamente soddisfacente. Non avrei potuto sperare in meglio, anche
se... Rachel.. lei ancora non aveva risposto, lei ancora evitava il mio
sguardo e forse ancora era convinta che fosse necessario raggiungere il
metro e ottanta per potermi aiutare in quella sfida. Eppure speravo che
le mie parole potessero tranquillizzarla e farle capire che per niente
al mondo mi sarei fatto trascinare da degli stereotipi così
asettici e banali. Credevo che coinvolgerla in un'esperienza del genere
potesse renderla felice e farle piacere e invece lei... non parlava.
Così con un sospiro mi avvicinai a lei, e mi inginocchiai
sul
tappeto, proprio di fronte. Mi lanciò una lunga occhiata
alquanto strana ed indecifrabile, ma che mi fece tremare lo stomaco.
No, Rachel, ti
supplico... non abbandonarmi. Ho bisogno di te, ora più che
mai...
"Rachel?" la chiamai in un soffio. Emise un lungo sospiro,
dopodiché, sorprendendomi, finalmente abbandonò
il suo
silenzio
"Mi viene da piangere!" esclamò in un solo unico suono, che
mi spiazzò e mi fece appena accigliare
"Ti viene da...?"
"Sì... sì, cazzo, mi viene da piangere!"
confermò,
portandosi una mano davanti alla bocca e sbattendo velocemente le
lunghe ciglia da cerbiatto, segno evidente che le lacrime ci fossero
davvero, e fossero prossime ad uscire. Respirai a vuoto un paio di
volte, quasi in apnea e, dimenticando le altre ragazze sedute
al suo
fianco, che in quel momento ci scrutavano senza capire, mi sporsi
leggermente verso di lei per parlarle meglio. Inghiottì
pesantemente qualcosa che evidentemente le stava bloccando la gola -
forse il magone dovuto al pianto imminente - e tolse la mano, annuendo
piano.
"E perché...?" mi ritrovai a domandare, quasi senza fiato,
in un
tono leggero e incorporeo che sapeva di sorpresa e di ansia.. ma
soprattutto di paura. Lei si accarezzò i capelli,
sistemandosi
meglio sul divano e dopo un sospiro, appena spezzato, parlò
"Quando ti ho conosciuto eri... eri un ragazzino scappato dall'Ohio,
pieno di insicurezze e di paure e... non avrei mai pensato che prima o
poi potessi fare un salto del genere, così importante. Kurt,
non
fraintendermi... io ti ho sempre voluto bene, come se fossi un fratello
per me e lo sai.. ma... mi sei sempre sembrato troppo.. fragile o forse
semplicemente non del tutto pronto per qualcosa di tanto grande.
Eppure... non so cosa sia successo esattamente in queste ultime
settimane.. sei.. cambiato... in meglio, ovviamente. Sei diventato
quella persona che mai avrei creduto di poter conoscere, sei maturato e
ora, guardandoti mi rendo conto di quanto meraviglioso tu possa
sembrare. Hai fatto uscire la splendida farfalla che nascondevi nel
bozzolo e le hai fatto spiccare il volo ed io... sono così felice,
Kurt.. davvero. Di quel ragazzino insicuro non è rimasto
più nulla... adesso davanti a me c'è un
meraviglioso uomo
che ha imparato a camminare sulle sue gambe e a crederci sempre,
nonostante i rischi e le incertezze e la paura di cadere e, credimi...
sono completamente e disperatamente fiera di te in questo momento, come
non lo sono mai stata!" si aprì in un leggero sorriso
emozionato
sul finale, mentre gli occhi le si inumidivano e
la voce le si incrinata leggermente. Quelle parole, il tono che aveva
usato e quei suoi occhi scuri e fieri e così
meravigliosamente
pieni di lacrime, furono il mio colpo di grazia. Mi ritrovai a tremare,
non per il freddo, né tanto meno per la paura. E mi
ritrovai,
contro ogni aspettativa, a piangere, quasi spontaneamente, quasi fossi
collegato con le emozioni a quelle della mia amica. Quasi avessi
bisogno di scaricare in quel modo tutta quella tensione non ancora
smaltita. E fu una gioia poter piangere, perché
Rachel aveva finalmente parlato e aveva detto delle cose bellissime,
come al solito. E aveva ragione: di quel Kurt insicuro e tormentato e
pieno di dolore era rimasto davvero poco. Mi sentivo cresciuto e pronto
ad affrontare qualsiasi sfida, qualsiasi ostacolo, perfino quello
più insormontabile. Se al mio fianco ci fossero state loro a
sostenermi - e Blaine pronto a stordirmi con i suoi sorrisi, le sue
fossette, il suo profumo e le emozioni che era in grado di regalarmi -
allora avrei superato anche quello.
"É un sì questo?" le domandai elettrizzato,
piangendo e
ridendo, e piangendo ancora. Lei scoppiò a ridere, mentre le
lacrime le scappavano dagli occhi, bagnandole le guance
"Sì.. è un sì!"
confermò e nella
confusione del momento, mentre Santana lanciava un urlo di gioia e Tina
si commuoveva a sua volta, mi ritrovai le braccia di Rachel, non si sa
come, strette al collo e una bellissima sensazione di appagante
tranquillità invadermi tutto il corpo, portando via l'ansia,
la paura e soprattutto quel briciolo di insicurezza rimasta.
Sentivo
di essere pronto
anche per affrontare Sue Sylvester, per dimostrarle quello che per
tanti anni avevo nascosto accuratamente al mondo e finalmente trovare
un motivo valido per cui rendere orgoglioso me stesso e gli altri. Ce
l'avrei fatta, ne ero sicuro, anche se non avessi vinto il concorso,
anche se i miei vestiti non fossero piaciuti alla giuria o se le mie
modelle non fossero state giudicate idonee o appropriate. Ce l'avrei
fatta.. perché la vittoria più grande, l'avevo
ottenuta contro me stesso.
E su quello, sentivo di aver vinto a prescindere.
New
York City. Ore 05.14 P.M. 20 Aprile 2012
(Venerdì)
Avere così tanto tempo libero mi aveva portato
inaspettatamente
tanti vantaggi: potevo godere meglio del mio bell'appartamento, potevo
coccolare il mio cane, potevo vedere di più il mio Kurt - oh
sì... anche se di intimità, non se ne parlava
neanche - e
soprattutto potevo finalmente dedicarmi un pò alla musica.
Non
ricordavo neanche quando fosse stata l'ultima volta in cui mi ero
ritrovato seduto con la chitarra in braccio e lo spartito vuoto in
bilico sulla gamba. Forse erano passati mesi, o peggio anni. Il lavoro,
la ricerca dell'appartamento, la vita frenetica di New York me lo
avevano impedito. Eppure non avevo mai smesso di pensarci.. dicevano
che la migliore ispirazione per scrivere una canzone, fosse la stessa
vita di tutti i giorni.. e se davvero fosse stato così,
allora
io mi sarei dovuto sentire fortunato, perché nelle ultime
settimane avevo fatto più esperienze io di chiunque altro.
Avevo
ottenuto un assegno di trentamila dollari, avevo finalmente detto addio
alla vita stressante dettata dai miei tre lavori accavallati, avevo un
bellissimo appartamento a Manatthan, avevo un cane meraviglioso -
tranne quando abbaiava alle sei di mattina, perché aveva
bisogno
di uscire - e soprattutto... avevo Kurt. Avevo il mio amore per lui e
quello, già da solo, bastava ad ispirarmi, ogni giorno.
Quindi
magari, sforzandomi un pò. avrei potuto scrivere una canzone
su
di lui e magari.. magari cantargliela durante la notte, per farlo
ancora sorridere in quel suo modo speciale, quasi magico, quel modo
tutto suo che aveva, per farmi stare bene. Magari dopo aver fatto
l'amore, avrei recuperato la chitarra e gli avrei detto, "Questa
è per te, amore mio. Ti amo da morire!" ed avrei iniziato a
cantare. Lui, troppo felice ed emozionato, nella mia versione del
sogno, non mi avrebbe fatto arrivare neanche al primo ritornello.. mi
avrebbe afferrato il viso con le mani, avrebbe impresso le sue
meravigliose labbra sorridenti sulle mie, e mi avrebbe abbracciato
forte, magari perfino bagnandomi con le sue stesse lacrime dettate
dall'emozione. Ed io probabilmente avrei pianto con lui e forse dopo,
avremmo fatto di nuovo l'amore. Tutto con lui sarebbe stato perfetto,
perfino trovare un semplice accordo sulle corde di una chitarra. Non
ero ancora riuscito a trovare il coraggio per confessargli quello che
provavo, anche se, un paio di sere prima, sul nostro pianerottolo, ero
stato seriamente sul punto di farlo. Forse era dipeso dal bacio che ci
eravamo scambiati, forse dalla tensione sessuale che toccava picchi
inimmaginabili, forse semplicemente per la voglia disperata di dirlo e
vedere che effetto avrebbe avuto su di lui una notizia del genere,
vedere che espressioni sarebbe riuscito a tirare fuori dal suo
meraviglioso e variegato repertorio. E glielo avrei detto, il prima
possibile e quella volta neanche l'avverarsi della predizione
catastrofica dei Maya mi avrebbe fermato. Kurt doveva saperlo ed io
dovevo dirglielo, punto.
"Che cosa stai suonando?" una voce leggera interruppe i miei ghirigori
di musica e il flusso incasinato dei miei stessi pensieri, e alzando la
testa trovai Quinn, seduta esattamente al mio fianco, sul dondolo in
terrazzo. E pensare che, se non avesse parlato, io non mi sarei neanche
accorto della sua presenza. Sebastian aveva ragione... ero uno sbadato
cronico e se anche fosse scoppiata la terza guerra mondiale o un altro
attacco terroristico avesse attaccato la città, io avrei
continuato a fantasticare, senza badare a nulla.
"No ti prego, non fermarti.. era... davvero bellissima. Molto dolce.."
mormorò dispiaciuta, gesticolando. Le sorrisi
spontaneamente,
sistemando meglio la chitarra in grembo
"Non era niente di specifico.. davo un sottofondo ai miei pensieri."
mormorai accarezzando la superficie lucida dello strumento. Lei
ridacchiò colpita
"Alla faccia... non immagino allora cosa tu sia capace di tirare fuori,
se solo ti concentri un pò di più per suonare
seriamente." disse divertita, scuotendo la testa. Io feci una smorfia,
ma prima che potessi rispondere alla sua esclamazione, qualcuno si
intromise tra di noi, la cui voce fu come una carezza leggera e
morbida, un brivido caldo lungo tutta la schiena
"Fidati, Quinn... questo strimpellatore è bravo.. anzi
più che bravo.. semplicemente da togliere il fiato!"
esclamò ed entrambi ci girammo verso la porta-finestra e
lì trovammo lui, che ci osservava con un sorriso sereno
sulle
labbra e le mani affondante nella tasca centrale della felpa. La mia
felpa. Gli sorrisi in risposta, sentendo lo stomaco contorcersi
piacevolmente e sperai ardentemente che da fuori, il battito accelerato
del mio cuore non si avvertisse troppo, altrimenti avrei fatto una
pessima figura, soprattutto con Quinn che mi sedeva accanto. Lei, dopo
un sorriso stranamente elettrico, si girò nuovamente verso
di me
"Cavolo, ora però sono curiosa. Pretendo come minimo una
dimostrazione immediata." propose entusiasta, sistemandosi meglio e
facendo dondolare appena la seduta. Io ridacchiai, leggermente
imbarazzato
"Kurt esagera.. so mettere in croce un paio di accordi, niente di
che.." mormorai per tentare di spostare il fulcro della discussione
altrove, ma lui di nuovo intervenne
"Sei un bugiardo... non starlo a sentire! É bravissimo e ha
anche una voce magnifica.. da far venire la pelle d'oca!"
esclamò con più vigore, ed io mi ritrovai quella
volta ad
arrossire, perché una cosa del genere me l'aveva
già
detta, dopo la festa di beneficenza, in macchina, mentre scherzavamo
allegramente, poco prima di fare l'amore per la prima volta. E
già allora era stato un colpo al cuore sentire una cosa del
genere pronunciata dalla sua magnifica voce angelica. Sentirselo
ripetere a distanza di poche settimane, con la precisa consapevolezza
di amarlo in quel modo intenso e disarmante... faceva decisamente
più effetto.
"Anche tu fai... venire la pelle d'oca.." borbottai, grattandomi la
punta del naso distrattamente e avvertendo il suo sguardo penetrante
addosso. A quella frase, cedette appena, ma alla fine per mia fortuna
sorrise
"Sì, ma io faccio lo stilista.. sei tu il cantante di questo
palazzo!" esclamò divertito, facendomi ridacchiare
"Dopo neanche due giorni di concorso, ti sei già montato la
testa, Hummel? Non ci siamo proprio!" scherzai e fu il suo turno per
ridere, peccato che la mia risata non avesse nulla a che vedere con la
sua. Nella sua c'era armonia, c'era leggerezza, c'era
musicalità
e dolcezza e c'erano tutte quelle cose che rendevano bellissimo il mio
angelo terreno. E rendevano di conseguenza me, sempre più
imperfetto.
"E pensa cosa succederà dopo, quando avrò vinto!"
aggiunse sempre più divertito, strizzandomi l'occhio.
Accettai
la sua battuta e il suo buonumore molto volentieri, perché
erano
davvero meravigliosi e vederlo così sereno e rilassato
rendeva
di conseguenza sereno e rilassato anche me. Il mio stato d'animo
dipendeva in un certo senso dal suo.. Daniel diceva spesso che, quando
una persona arrivava a misurare la propria felicità in base
a
quella di un altro... e allora in quel momento, l'amore era davvero
completo. Ed io... beh, ci ero già arrivato, decisamente.
Quinn rimase in silenzio ad ascoltarci, alternando lo sguardo tra me e
lui a seconda di chi fosse a parlare, come in una partita di tennis, e
sorrise per tutto il tempo. Beh, forse la nostra preoccupazione era
eccessiva.. a lei avere due omosessuali sul pianerottolo non dispiaceva
poi tanto.
"Allora... me la fai sentire qualcosa? Qualcosa di piccolo... veloce..
qualsiasi cosa." disse alla fine, visibilmente incuriosita. Sollevai
gli occhi per un solo istante, incrociai i suoi, calmi,
rilassati e
meravigliosamente azzurri e decisi che fosse davvero il caso di
accontentare tutti su quel terrazzo, così drizzai la
schiena,
impugnai meglio la chitarra e dopo un sospiro, iniziai i primi accordi.
Decisi di ripetere un paio di strofe di "Somewhere only we know" dei
Keane, giusto perché era la canzone che in quel periodo
canticchiavo più spesso e soprattutto quella che mi faceva
ricordare meglio Kurt. Certo, c'era anche Perfect, ma quella era
troppo... speciale e poi mi concedevo di immaginarla soltanto cantata
da lui e di certo non avrei condiviso quel momento con Quinn presente.
Kurt era solo mio, la sua voce doveva intrecciarsi solo con la mia e
quei suoi occhi cangianti e cristallini dovevano fare tremare solo la
mia anima. Cantai la prima strofa e il primo ritornello, anche se
quello non era lo strumento più adatto, ma comunque venne
fuori
qualcosa di discretamente accettabile. E poi.. a giudicare dalle loro
espressioni, un pò di intensità dovevo avercela
messa.
Quinn mi osservava con gli occhi sgranati e le labbra appena dischiuse.
Kurt invece.. non c'erano termini adatti per descriverlo. Era
semplicemente divino... la postura diritta, lo sguardo puntato nel mio
e quel sorriso sereno ed estasiato, perso in chissà quale
ricordo, dava l'impressione di essere in pace con il mondo, e
soprattutto in pace con sé stesso. Ed io, che volevo il suo
bene
e misuravo - come diceva Daniel - la mia felicità in base
alla
sua, mi sentivo il cuore esplodere per l'emozione. Lui c'era, era
lì, ed era la cosa più bella e perfetta e
meravigliosamente giusta del mondo. Ed era mio, mio soltanto, mio fino
a che me lo avesse permesso, mio finché mi fosse stato
concesso
di amarlo, nell'identico modo in cui sentivo di amarlo in quel momento.
Non mi resi neanche conto di essermi fermato poco dopo l'inizio della
seconda strofa e di averlo fatto, bloccando contemporaneamente il
respiro, incollando gli occhi a quelli di Kurt, appena lucidi ma
ugualmente magnifici. Si era emozionato ancora, come la sera al pub, ma
quella volta non era corso a nascondersi in bagno; era ancora
lì, ad affrontare le emozioni e a mostrarle orgogliosamente
davanti a me e a Quinn, che rimaneva ancora in silenzio. Ed io mi
ritrovai a sorridergli e a gridargli insistentemente che lo amavo, che
lo amavo tanto da stare male, che lo avrei amato sempre, fino alla fine
dei miei giorni. Lui rispose al mio sorriso, e io, da sciocco e
sentimentale qual'ero lo interpretai come una risposta, come un ti amo
silenzioso, lasciato passare soltanto attraverso gli occhi. Se fossimo
stati soli, avrei senza dubbio abbandonato la chitarra sul dondolo e mi
sarei precipitato da lui, azzerando quell'assurda distanza che mi stava
sconvolgendo e impossessandomi di quelle magnifiche labbra sorridenti.
E poi magari, dopo essermi lasciato cullare per qualche istante dal suo
sapore, avrei riaperto gli occhi e con il cuore in mano gli avrei
confessato tutto. Ma ancora una volta, per quanto fosse una bella
prospettiva, rimaneva irreale e, in quanto tale, non sperava di essere
realizzata.
Mettiti l'anima in pace,
Blaine.. sia il tuo cuore che il tuo corpo sono destinati a fare
penitenza...
"Oh mio... Dio..." la voce di Quinn, appena sussurrata, mi fece tornare
alla realtà, per la seconda volta e mi ritrovai a cadere
dalle
nuvole e a riprendere contatto con il mondo in modo brusco. La trovai
con gli occhi ancora sgranati, e la bocca coperta da una mano. Mi fece
uno strano effetto vederla così provata. Che stesse per
piangere
anche lei?
"Già... intendevo esattamente questo!" esclamò
Kurt,
schiarendosi la voce, con molta discrezione. Quinn accennò
un
sorriso, per poi sollevare lo sguardo e puntarlo su di me, facendomi di
nuovo arrossire.
"Cielo, Blaine... sei... sei bravissimo..." mormorò
estasiata ed
io, grattandomi la nuca, a disagio, ridacchiai, più che
altro
perché era decisamente troppo sommerso dalle emozioni per
parlare, ma un grazie riuscii a biascicarlo, nonostante tutto.
"Bene.. scusate, ma io devo andare... ho appuntamento con Santana per
scegliere le stoffe per gli abiti. Ci vediamo più tardi al
locale?" mi chiese lui, cambiando completamente atmosfera, ma
continuando a sorridermi serenamente
"Certo... e buona fortuna per la tua ricerca." gli augurai con un
sorriso, che lui ricambiò - causandomi una mezza aritmia - e
dopo aver salutato anche Quinn, uscì di casa. Con un
sospiro, mi
liberai della chitarra e raccolsi tutti gli spartiti vuoti, o lasciati
a metà. Avevo scritto sì e no tre accordi, e
neanche
troppo soddisfacenti. Se avessi seriamente voluto creare una melodia
per Kurt, allora mi sarei dovuto mettere d'impegno, soprattutto
ricercando un pò di tranquillità. In quella casa,
però, ultimamente si respirava tutto tranne che la pace. E
finché Quinn fosse rimasta sotto il mio stesso tetto, forse
di
comporre non se ne sarebbe affatto parlato. E neanche di stare da solo
con Kurt.
Accidenti...
"Blaine... posso farti una domanda?" chiese ad un tratto lei,
seguendomi all'interno. Io poggiai la chitarra all'angolo del salotto,
accanto alla tastiera ed annuii senza pensarci
"Certo!"
"Ecco.. è una cosa... personale.. e se non vuoi puoi
anche... ignorarmi!" esitò, imbarazzata
"Tranquilla... puoi chiedermi tutto quello che vuoi." acconsentii con
un sorriso. Lei esitò ancora un pò ma alla fine
si
convinse
"Ma tu e Kurt... state insieme, vero?" domandò in un soffio,
mordendosi un labbro sul finale, quasi avesse cercato fino all'ultimo
momento di trattenere le parole, ma queste alla fine avevano preso il
volo ed erano sfuggite alla presa. Istintivamente provai due diverse
sensazioni: la prima fu un'inspiegabile emozione avvolgente, un calore
meraviglioso alla bocca dello stomaco, che mi scosse completamente.
Già Sebastian aveva fatto un'allusione al rapporto tra me e
Kurt
ma, detto da lui, che era mio amico ed era un cazzone, non aveva avuto
lo stesso effetto. Forse perché Quinn a conti fatti era
ancora
un'estranea o forse semplicemente sembrava meno maliziosa nel
chiederlo... ma la sua domanda mi colpì decisamente con
più forza. E poi, la seconda sensazione che provai, subito
dopo,
fu l'orgoglio... l'orgoglio per il fatto che, da fuori, sembrassimo
seriamente una coppia, e non c'era cosa al mondo, più bella
e
appagante.
"Mmm... bella domanda.." mormorai con un sorriso divertito "In
realtà no.. lui.. esce da una situazione difficile ed io...
non
voglio mettergli fretta, voglio che si prenda tutto il tempo che gli
serve per capire e per.. decidere di voler affrontare questa nuova
esperienza con me. Però non ti nascondo che... sto
aspettando
questo momento da non so quando, tanto da averlo perfino iniziato a
sognare la notte!" esclamai stringendomi nelle spalle e aprendomi in un
sorriso spontaneo. Lei, contro ogni aspettativa, sorrise intenerita. Mi
ero aspettato una sua eventuale reazione stizzita per quella situazione
tra me e Kurt, magari una battuta acida, o una smorfia di ribrezzo,
come nella maggior parte dei casi. Eppure lei aveva semplicemente
sorriso. E questo mi bastò per capire che a Quinn, avere due
omosessuali sullo stesso pianerottolo... forse non infastidiva poi
così tanto.
"Se posso permettermi... si vede chiaramente che tu lo ami... e tanto
anche. Me ne sono accorta già la prima sera, quando siete
entrati... ma non perché vi steste baciando... per il modo
in
cui tu lo guardavi, o per come ti sei messo davanti al suo corpo,
vedendomi, quasi volessi fargli scudo per proteggerlo. Ho letto
chiaramente il tuo amore in quei gesti e... ho.. subito immaginato che
ci fosse qualcosa. Ma quella canzone.. quella che hai cantato prima...
mi ha dato la conferma. L'hai cantata per lui non è
vero?" domandò avvicinandosi. E così era tanto
palese? Si
vedeva anche da fuori, da chi non mi conosceva, quali sentimenti
provassi?
"Sì... era per lui!" risposi, annuendo, ricordando
esattamente
ogni emozione provata la prima volta al pub, ad occhi chiusi e quelle
provate invece poco prima, sul terrazzo, con gli occhi quella volta,
immersi nella profondità infinita dei suoi. E in entrambi i
casi, qualcosa gridava per uscire. Qualcosa di cui evidentemente Quinn
si era accorta, pur non sapendo nulla su entrambi. E allora, se lo
aveva capito lei... anche Kurt.. sapeva?
"Kurt è... decisamente un ragazzo fortunato!"
esclamò con
un sorriso gentile, ed ebbe il potere di farmi ridacchiare
"No.. sono io ad essere fortunato, fidati di me." risposi con un
sorriso idiota sul volto ed il cuore accelerato, ma d'altronde questo
era l'effetto Hummel su di me. Vidi chiaramente una leggera ombra
passare negli occhi verdi della ragazza e solo allora capii di dover
cambiare argomento, perché forse parlare troppo di persone
che
amavano e che si sorridevano e che si dedicavano canzoni d'amore.. non
era proprio indicato per una come lei, una che aveva subito un torto
come il suo
"Come va con la ricerca dell'appartamento?" le domandai, affondando le
mani nelle tasche del jeans. Lei fece una smorfia
"Male... ho speso gli ultimi due giorni ad andare in giro per lasciare
curriculum nei negozi più disparati e tutti hanno portato lo
stesso risultato.. anche se non ho esperienza, sarebbero stati anche
disposti ad assumermi, ma non appena sentono che sono incinta..
cambiano immediatamente opinione e dicono che non sono adatta. E
ovviamente se non trovo lavoro, non posso neanche sperare di trovare un
appartamento, visto che i miei mi hanno bloccato il conto." scosse la
testa, amaramente rassegnata
Alla faccia... hai
capito all'avvocato Fabray.. è davvero infuriato...
"Mi dispiace tanto, Quinn..." mormorai sincero, perché in
fondo,
anche se non potevo dire di conoscerla poi così bene, mi
sentivo
male a vederla così abbattuta e sconfitta. Lei che stava
attraversando uno dei periodi più belli per una donna, si
trovava a dover combattere contro qualcosa che all'apparenza sembrava
davvero troppo difficile da superare.
"Sinceramente dispiace più a me, soprattutto
perché ti
avevo assicurato che mi sarei fermata soltanto una notte e invece...
sono ancora qui ad occupare il tuo letto.. e ad invadere la.. tua
privacy!" arrossì appena, alludendo chiaramente a
ciò di
cui avevamo parlato poco prima
"Non preoccuparti... il divano non è così
scomodo,
dopotutto.. e per il resto... una soluzione si trova sempre!" esclamai
ridacchiando, anche se, dentro di me qualcosa si agitò
prepotentemente, lo stesso qualcosa che desiderava stare da solo con
Kurt e abbandonarsi alla più sfrenata passione. Eppure
sentivo
di dovere qualcosa a Quinn, sentivo di volere almeno in parte
alleviarle quel peso, provare in qualche modo a darle quel sostegno che
perfino i suoi genitori sembravano averle negato. E in quel momento,
mentre lei scuoteva la testa, leggermente a disagio, mi ritrovai a
sorridere, colpito da un'illuminazione incredibile
"Aspetta... forse ce l'ho io la soluzione giusta per te!"
E anche per me...
New
York City. Ore 07.50 P.M. 20 Aprile 2012
(Venerdì)
"Ma cosa sei? Un ufficio di collocamento?" domandò Puck,
posando
il bicchiere che aveva appena asciugato sul bancone, ed inarcando un
sopracciglio, esterrefatto.
"Non è colpa mia... tutti da me vengono a chiedere aiuto!"
esclamai divertito, poggiando i gomiti sul bancone. Kurt al mio fianco
ridacchiò ed io mi girai giusto un attimo verso di lui, per
strizzargli l'occhio - e farlo meravigliosamente arrossire
"D'accordo.. e cosa c'entro io?" domandò ancora Noah,
incuriosito
"Beh... tre camerieri sono meglio di due." scrollai le spalle con
ovvietà e lui fece un verso strano in risposta, mormorando
qualcosa di incomprensibile
"Fammi indovinare... è lesbica anche questa?" chiese
avvicinandosi appena, per non farsi sentire da Brittany, che puliva un
tavolo poco distante. Scossi la testa ridacchiando
"Non che mi risulti!" risposi. In realtà neanche di Brittany
lo
avevo mai sospettato.. solo quando era arrivata Santana, tutto si era
fatto più chiaro, ma Quinn.. no, lei decisamente era etero.
"Ha ucciso qualcuno ed ha bisogno di un posto per nascondersi?"
tentò insospettito. Kurt scoppiò a ridere, mentre
io misi su una smorfia
"Direi di no." mormorai. Lui stupito, si grattò il mento con
la mano, riflettendo per qualche istante e alla fine diede voce al suo
pensiero
"E allora è una cessa!" decretò molto
schiettamente, facendoci ridere ancora.
L'uomo che non conosce
le mezze misure...
"Io non me ne intendo molto di donne, però... a me non
sembra tanto male." assicurai con un sorriso, ma lui non
sembrò molto convinto, perché fece una smorfia,
tirandomi dietro lo straccio bagnato
"Figurati... detto da te, allora... stiamo a cavallo!"
"Dai, te la presento.. ci parli e giudichi da solo se può
essere assunta o meno." proposi, liberandomi dello straccio e mettendo
su un'espressione speranzosa. Lui sbuffò, lanciandomi
un'occhiataccia, ma alla fine cedette
"E conosciamo questa tua presunta amica... guai a te se scopro che
è una fregatura. Questa è la volta buona che ti
licenzio.. anzi licenzio entrambi!" minacciò, puntando
l'indice prima verso di me, poi verso Kurt. Io e quest'ultimo di
guardammo per un istante, e solo quello ci bastò per
decretare che, dopo aver conosciuto Quinn, anche un carattere
così scontroso come il suo, si sarebbe potuto sciogliere
"Vado a chiamarla.. è qui fuori." annunciai, saltando
giù dallo sgabello e dirigendomi all'esterno, dove Quinn
attendeva, in compagnia di Brittany e Santana, che le augurarono buona
fortuna. La condussi fino al bancone, dove Puck, di spalle, stava
sistemando lo scaffale degli alcolici
"Noah.. ti presento Quinn Fabray... Quinn... lui è Noah
Puckermann, il proprietario della baracca e colui il quale ti
toccherà, convincere se vuoi lavorare qui.." feci le
presentazioni e proprio in quell'istante, ancora con il viso contratto
in una smorfia di sufficienza, Puck si girò verso di noi. Si
bloccò di colpo, come se stesse per affogarsi, o forse per
morire, sgranando gli occhi e la bocca in una muta esclamazione di
stupore.
"Salve!" lo salutò Quinn, con tanto di sorriso e in quel
momento, accadde la cosa più impensabile di tutte: Noah
Puckermann, il burbero uomo con la cresta, colui che niente e nessuno
sembrava capace di scalfire, arrossì. Arrossì
davvero. Ed io, mi ritrovai a sorridere, non per prendermi gioco di
lui, ma semplicemente perché sentivo di aver fatto qualcosa
di buono, anche per lui, oltre che per Quinn.
Kurt mi afferrò un braccio e mi trascinò dal lato
opposto del locale, lasciando modo agli altri due di parlare, anche se
Puck non sembrava propriamente nelle condizioni adatte per farlo.
"Hai visto anche tu?" domandò lui divertito, indicando con
un cenno della testa il bancone. Gli sorrisi spontaneamente
"Non ci posso credere... sono quasi meglio di Cupido. Prima Daniel e
Sebastian, poi Santana e Brittany.. ora quei due. Ho del talento, devi
riconoscerlo!" scherzai, punzecchiandogli un fianco e facendolo
ridacchiare
"Ehi... anche io ne ho. Ho permesso che Sam e Mercedes si conoscessero,
non te lo dimenticare." mormorò, fintamente imbronciato
"Giusto... ma siamo tre a uno per me. Ti sto battendo miseramente." lo
presi in giro, cacciandogli la lingua sul finale. Si
imbronciò ancora di più, diventando estremamente
tenero e sempre più bello, così, decisi di farla
finita, allungarmi un pò e catturargli le labbra con le mie,
prendendomi anche un pò di quel broncio che sembrava
così innocente da riempirmi il cuore. E lui alla fine,
spiazzò anche me, regalandomi uno dei più bei
sorrisi dell'intero universo.
Che esista o meno
Cupido... credo che abbia colpito anche noi due...
|
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Capitolo 39 *** Per sempre e anche oltre ***
Salveeeeee...
ohhh finalmente questa autrice scellerata si decide a pubblicare ^^
avete perfettamente ragione, sono un mostro senza cuore, ma purtroppo
come ho già spiegato in un paio di post sulla pagina autore,
non sono riuscita a scrivere a causa dei corsi, a causa del fatto che
molti giorni a settimana sono fuori casa fino a sera e mi sono ridotta
a scrivere il capitolo sul telefono (si fa quel che si può
XD) però, alla fine... ce l'abbiamo fatta *___* dunque, due
parole sul capitolo.. a parer mio è uno dei più
importanti della storia perché contiene molte cose (Anche
per questo volevo che fosse speciale!) soprattutto perché
inizia a chiudere un pò le fila della storia che vi ricordo
è quasi giunta alla fine (tolto questo, mancano tre
capitoli, esclusi i prologhi per ogni coppia!) Se date una sbirciatina
alla meravigliosa immagine qui sotto (a me viene un coccolone ogni
volta che la vedo *___*) inizierete a capire che forse quest'autrice si
è passata una mano sulla coscienza e... si insomma.. Blaine
è stato ascoltato XD vabbè, buona lettura, io
vado a riprendermi... e aspetto con ansia i vostri pareri. Ci vediamo Martedì
prossimo (scusate!). Un bacio a
tutti... vi amo... <3
p.s. Dan mio... ma... *___* bellaaaaaaa (sì è
bellissima, punto!)
n.b. Pagina fb ( Dreamer91)
Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
New York City. Ore 06.50 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)
Presentare Quinn a Puck era stata una delle cose
migliori che avessi
mai fatto nella mia vita - tolto l'accettare l'appartamento a Lower
East Side e l'innamorarmi di Kurt. Quinn era stata assunta praticamente
senza riserve da Noah, nonostante lei avesse detto chiaramente di
essere incinta. Puck non sembrava affatto turbato dalla notizia, anzi.
Si era dimostrato fin da subito disponibile e particolarmente attento e
si era perfino offerto di servire ai tavoli al posto suo e permetterle
così di rimanere dietro al bancone. Lei, però,
per quanto
lusingata da tante attenzioni e felice di aver finalmente trovato un
lavoro, aveva assicurato di potercela fare e di voler indossare il
grembiule esattamente come Kurt e Brittany. Quella ragazza aveva
grinta, esattamente come avevo immaginato e mi faceva seriamente
piacere trovarla così motivata. Così quel
pomeriggio
l'avevo accompagnata personalmente per il suo primo giorno ufficiale -
Kurt era rimasto a casa, dato che Puck ormai poteva permettersi di dare
ai propri dipendenti una serata di riposo - e senza neanche farselo
dire, aveva recuperato un grembiule da dietro la cassa ed aveva
iniziato ad aiutare Brittany a sistemare i tavoli.
"Non ce le
hai un paio di
amiche anche per la cucina?" mi domandò Noah ad un certo
punto,
facendo un cenno con la testa verso la sala. Ridacchiai contento
"Ci stai
prendendo gusto, eh?"
"Certo!" e
sorrise
entusiasta, come non lo avevo mai visto prima. Sembrava quasi una
persona diversa e se questo era l'effetto di Quinn su di lui, anche
solo dopo una giornata, non osavo immaginare cosa sarebbe successo tra
una settimana o un mese. In quel momento la ragazza passò
davanti al bancone con un secchio di acqua in mano e si
girò,
per sorriderci. Io riuscii a ricambiare, mentre Puck per poco non
collassò con la faccia sul legno
"É
una specie di
angelo sceso in terra!" mormorò con un sospiro estasiato e
rimase a contemplarla per alcuni istanti, senza neanche rendersi conto
di essere un tantino esagerato nel farlo. Dopo poco, però,
quasi
riscosso da un pensiero, si girò verso di me e
sbuffò "Ma
che te lo dico a fare... tu di donne non ci capisci nulla."
borbottò, tornando a sistemare i soldi in cassa. Scossi la
testa
divertito. Sì, di donne non ci capivo nulla in effetti,
però in compenso avevo un buon occhio per altre cose, come
appunto il vedere un ipotetico sviluppo tra due persone, come nel caso
di Quinn e Puck. In quel momento non sapevo se sarebbe o no successo
qualcosa prima o poi, eppure mi ispiravano qualcosa di bello, insieme.
"Comunque
stasera non ho bisogno di te!" la sua esclamazione arrivò
qualche minuto più tardi e mi fece accigliare
"Prego?"
domandai esitante
"Serata
Karaoke!" disse soltanto, con mezzo sorriso di scherno. Karaoke? Stava
scherzando?
"Ma.. ma se l'hai fatta domenica.." cercai di ricordargli, con gli
occhi ancora fuori dalle orbite. Lui grugnì
"Voglio
farla anche oggi.. devo chiederti il permesso?"
mi abbaiò contro, nel suo solito atteggiamento scontroso.
Alla
faccia della persona diversa... era ancora il solito vecchio Puck.
"No, certo
che no!" tentai di difendermi, ancora leggermente scosso
"Bene!" ma
c'era qualcosa che non mi tornava, qualcosa che non capivo e che,
pertanto volli chiedere assolutamente
"Puck... ma
mi stai
licenziando per caso?" balbettai con il cuore in gola,
perché
speravo di aver capito male, perché non volevo lasciare il
pub,
perché l'ambiente mi piaceva e soprattutto perché
non
potevo permettermi di lasciare solo Kurt. Non me lo sarei mai perdonato
e non lo avrei mai perdonato neppure a Noah. Lui, per mia fortuna,
scoppiò a ridere
"Figurati..
piaci troppo
ai clienti, non posso permettermelo. E poi hai due amici avvocati, guai
a mettermi contro di loro!" mormorò scuotendo la testa ed io
riuscii a rilassarmi, tirando un sospiro di sollievo.
Ok, niente
licenziamento, almeno per ora...
"D'accordo...
quindi
serata Karaoke." affermai, anche se ancora un pò confuso da
questa sua scelta. Lui che all'inizio era sempre stato contrario ad
affidare la musica ai dilettanti, lui che mi aveva perfino pregato di
rimanere, quando si era accorto dei ritmi estenuanti che avevo iniziato
a fare, lui che avrebbe fatto entrare tutto nel suo pub, tranne
l'apparecchiatura per il Karaoke, ora ne sembrava talmente tanto
attratto da far quasi paura. Forse mi sarei dovuto sentire
più
preoccupato o perlomeno indagare un pò di più,
eppure...
ero convinto che sarebbe stato meglio lasciar perdere e rinunciare al
tentativo di comprendere i suoi gesti o le sue decisioni,
perché
altrimenti avrei rischiato seriamente grosso.
"Esatto!"
confermò
quindi con un sorriso allegro, tornando a concentrare le sue attenzioni
sulla sua nuova cameriera bionda
"Quindi che
faccio? Torno
a casa?" gli domandai, leggermente a disagio, come colui che si sente
buttato fuori di casa, ma non sa bene quale sia il modo migliore per
uscire di scena.
"Sì..
ci vediamo
domani sera." mi liquidò con un gesto, indicando la porta,
senza
neppure degnarmi di uno sguardo. Feci una smorfia desolata
"O-ok"
borbottai saltando
giù dallo sgabello e recuperando la giacca. Arrivai quasi
alla
porta quando la sua voce mi raggiunse
"E saluta
Kurt da parte
mia!" esclamò, puntandomi minacciosamente un dito contro,
facendomi di nuovo cambiare idea sul suo conto
Cinquanta sfumature di
Noah Puckermann...
"Lo
farò."
assicurai con un mezzo sorriso appena terrorizzato, lasciando gli altri
ai rispettivi obblighi, visto che io ero appena stato decretato fuori
servizio.
Il tragitto dal pub fino al parcheggio sotto casa, lo affrontai in
maniera alquanto bizzarra: non ero molto entusiasta all'idea di tornare
nel mio appartamento, lo trovavo inutile e mortificante dato che ero
consapevole del fatto che fosse desolatamente vuoto; Kurt, infatti,
approfittando della serata libera concessa da Puck, era sceso da Rachel
per occuparsi dei modelli della sfilata ed io mi sarei ritrovato per
uno scherzo del destino - uno scherzo del destino davvero di cattivo
gusto - a passare la
serata in compagnia del mio cane, come il più triste dei
cliché.
Maledetto Karaoke e chi lo ha inventato...
Ero estremamente contento per Kurt e per quella occasione
più
unica che rara che Sam e Santana gli avevano offerto e, senza ombra di
dubbio, se lui non avesse accettato subito, io sarei stato il primo a
preoccuparmi di convincerlo, anche perché, nonostante non
fossi
affatto un esperto del campo né sapessi sinceramente chi
fosse
quella Sue Sylvester, ero convinto al mille per cento, che quella
sarebbe stata la sua occasione d'oro, una di quelle cose che capitano
solo ed esclusivamente agli altri, quelle cose che ti fanno sognare e
disperare e chiedere perché mai una fortuna tanto grande non
sia
capitata anche a te. E invece lui, a discapito di tutto, della vita
infelice che aveva avuto, del suo ex tiranno e di quel suo carattere, a
volte forse troppo pessimista, lo aveva ottenuto e quindi avrebbe
dovuto
combattere con le unghia e con i denti, fino alla fine. Avevo visto una
gioia inspiegabile colorargli gli occhi e tutto l'entusiasmo venire
fuori a fiotti mentre ne avevamo parlato. Era vivo e brillava di una
luce quasi accecante, ma era bello, era meravigliosamente bello,
starsene
seduti a guardarlo, mentre immaginava che tipo di taglio dare al
vestito di Tina per farla sembrare più slanciata o che
stratagemma usare per non far capire ai giudici di avere nel suo team
una ragazza incinta. E ancora per lo stesso principio, secondo cui, se
la persona amata è felice, lo si è a propria
volta, io mi
ero ritrovato a sorridergli per tutto il tempo, orgoglioso come mai ero
stato prima.
Eppure, sarei stato un ipocrita se non avessi ammesso che quella storia
era per me come un altro intruso, come l'ennesimo ostacolo che si
poneva tra me e lui a discapito del fatto che, il nostro unico
desiderio fosse quello di stare assieme, di goderci la nostra meritata
intimità. Iniziavo seriamente a sospettare di essere stato
preso
ad occhio da qualcuno, eppure... chi doveva avercela a tal punto con
me, da punirmi in quel modo crudele? Se avessi passato in rassegna
tutte le
persone a cui avrei potuto fare, involontariamente, del torto, mi
venivano in mente soltanto due nomi: David... che ovviamente aveva
più di un motivo per avercela con me, e quindi non faticavo
ad
immaginarmelo seduto ad un tavolo, in una camera semi-buia, con un
pupazzetto dalle mie sembianze in mano a recitare strani incantesimi
satanici. L'altro nome che mi veniva in mente era quello di Sebastian,
ma non perché lui volesse il mio male, ma semplicemente per
il
fatto che, stranamente, si divertisse molto a vedermi in quella
situazione - come aveva sottolineato quella mattina, mandandomi un
perfido messaggio in cui mi chiedeva se avessi contattato l'emittente
televisiva per farmi attivare i canali porno sul televisore - e quindi
non mi sarei meravigliato se ci fosse stato anche lui dietro a tutta
quella misteriosa sfortuna. Mi ripromisi di indagare, il prima
possibile.
Con un sospiro frustrato entrai in casa e immediatamente, accendendo la
luce in salotto, mi accorsi di due cose: quello sciagurato di Cooper
non era nemmeno corso a salutarmi - cane ingrato.. ci rivediamo al
momento della pappa! - e soprattutto il mio pavimento aveva qualcosa di
strano, qualcosa che per un momento mi fece bloccare sul posto, senza
né respiro né un solo pensiero coerente in testa.
Vi era
una lunga scia di biglietti colorati - post-it per la precisione - che
partivano dalla soglia e sparivano oltre il corridoio. Confuso, senza
neanche lasciare la borsa, seguii a passo lento quella fila colorata,
accigliandomi mano a mano che andavo avanti. Che diavolo di storia era
mai quella? Chi si era divertito ad impiastrarmi il pavimento di casa e
perché quella specie di linea colorata sembrava portare
verso la
camera da letto? La seguii fino alla fine, svoltando appunto in camera,
e quasi sobbalzai quando, alzando gli occhi da terra, incrociai due
meravigliose pozze azzurre che mi scrutavano limpide e anche parecchio divertite.
Rimasi qualche lungo istante immobile, senza riuscire neppure a
metabolizzare il fatto che Kurt, invece di trovarsi al piano inferiore
a lavorare ai suoi modelli con Rachel, fosse seduto sul mio letto, a
gambe incrociate e mi stesse sorridendo nel modo più dolce e
sconvolgente che avesse mai fatto.
Cazzo, Blaine... vuoi riprendere a respirare decentemente per favore?...
"Ku..rt?" mi uscì qualcosa dalla bocca, finalmente, qualcosa
di molto simile al suo nome
"Ciao." ma la sua voce no; la sua voce fu chiara e concreta, la sua
voce fu reale, la sua voce fu come una boccata d'aria fresca per me,
come un riprendere a respirare e allo stesso tempo prepararsi a
trattenere il fiato. E tutto ciò mi permise di sentire lo
stomaco stringersi, senza il minimo dolore.
"Come mai il.. pavimento è pieno di post-it?" domandai da
perfetto idiota, indicando con un pollice dietro la mia spalla, non
riuscendo neppure a staccare gli occhi dai suoi, in quel momento vigili
e bellissimi. Accennò un sorriso che gli illuminò
appena
gli occhi
"Servivano per portarti qui.. da me." mormorò, sciogliendo
l'incrocio delle gambe e poggiando i piedi per terra. Mi accigliai
appena, mentre l'eco del mio cuore diventava sempre più
forte,
sempre più insistente
"E per fare..." ma mi bloccai, avvertendo il suo sguardo intenso
addosso e quel piccolo movimento che fece la sua lingua, passando
lentamente lungo tutto il labbro superiore, che riuscì ad
uccidermi e contemporaneamente a ridarmi un motivo valido per vivere
"Oh!"
"Già.." fece lui, sorridendo ancora. Scese dal letto e mi
raggiunse in due passi, allungando una mano verso di me ed afferrando
la sacca e poggiandola per terra, per poi iniziare lentamente a fare
scendere la zip della giacca, fino alla fine, senza mai lasciare i miei
occhi, aiutandomi a toglierla e buttandola poi accanto alla sacca.
Provai a dire qualcosa di sensato, ma non mi uscì davvero
nulla,
così tentai con qualcosa di più semplice e meno
articolato
"Kurt?"
"Blaine.." rispose lui, avanzando di mezzo passo e facendo combaciare
perfettamente le nostre labbra in un morbido, casto e bellissimo bacio.
Mi ritrovai talmente tanto spiazzato, da non riuscire neppure a
ricambiare: ero come un pupazzo, tra le sue mani - e le sue splendide
labbra - e l'unica cosa che riuscii a fare fu tremare. Tremare
perché, cazzo.. finalmente sembrava esserci la situazione
giusta, io ero libero, lo era anche lui, eravamo in un appartamento e
non in un luogo pubblico o bloccati nella cabina di un ascensore, e
soprattutto sembrava essersi creata con niente l'atmosfera. Ed io, da
idiota quale ero, mi ritrovai a provare una fottuta paura,
perché l'esperienza insegna e quella che avevo fatto io
nell'ultimo periodo, non aveva davvero nulla di positivo
"Ci interromperanno... anche oggi.." mormorai senza fiato, mentre le
sue labbra si spostavano, sempre morbidamente, sulla guancia
"No.. mi sono personalmente assicurato che ogni cosa fosse al giusto
posto e che questa volta nessuno ci disturbasse." mi
assicurò,
percorrendo tutta la lunghezza della guancia, in un intenso ed
estenuante e leggerissimo tocco
"Arriverà qualcuno.. me lo sento!" borbottai, con il tono di
voce di chi ormai è rassegnato all'evidenza. Mi aspettavo
qualcosa, da un momento all'altro, era matematico.
"No.. non questa volta!" ribadì calmo e per niente seccato,
affondando una mano tra i miei capelli sulla nuca ed avvicinando
maggiormente il viso al mio. Deglutii a fatica, perché
provare a
fare un ragionamento di senso compiuto quando condividevamo la stessa
aria della stanza era complicato.. farlo respirando addirittura a
pochissimi centimetri di distanza, diventava praticamente impossibile.
La soluzione c'è.. smetto di respirare io...
"Quinn.. dopo il pub... tornerà a casa.. avrà
bisogno del
letto per dormire.." telegrafai, mentre l'altra sua mano si intrufolava
sotto il tessuto della maglia, poggiandosi discretamente sulla pelle
del fianco, facendomi rabbrividire. Era bollente, ed aveva un
meraviglioso tocco morbido e carezzevole, talmente tanto bello da farmi
ancora meravigliare del fatto che potesse essere davvero considerato
umano.
"Stanotte dorme da Santana!" rispose secco, scendendo con le labbra
sulla mascella e premendo leggermente tra questa e il lobo dell'orecchio
"Eh?" ero un idiota, me ne rendevo conto, ma davvero non riuscivo a
capire se mi stesse prendendo in giro, oppure se ci fosse la minima
speranza di poter seriamente rimanere da soli
"Gliel'ho chiesto io." spiegò e si staccò appena
per
sorridermi, e lasciarmi una breve carezza sul collo, facendomi perdere
altri dieci anni di vita
Ah...
Le sue labbra tentatrici - che dovevano assolutamente essere ritenute
illegali, non solo dallo Stato di New York, ma dall'intera costa
orientale - si spostarono sul collo, poggiandosi morbidamente su un
lato e scendendo sempre più giù, in una lenta ed
inesorabilmente eccitante scia di piacere. Per un momento chiusi gli
occhi, lasciando che le sensazioni mi guidassero, che prendessero il
sopravvento sulla ragione e sulla paura, e fu davvero appagante,
sentirle
così delicate eppure allo stesso tempo decise ed esperte. E
solo
allora mi resi conto di quanto, avere la sua bocca sulla mia pelle mi
fosse mancato. Pensarci ogni giorno e sognarlo ogni notte non era
affatto sufficiente, non gli rendeva giustizia: avere quelle labbra su
di me, desiderare ardentemente di poterle sentire in ogni angolo,
nascosto e non, sospirare per ogni tocco e ogni carezza e ogni respiro
lasciato per sbaglio o per volontà, era senza dubbio
superiore a
qualsiasi tipo di ricordo.
Ma poi un pensiero colpì quello che rimaneva del mio
raziocinio,
obbligandomi a riaprire gli occhi e a fare i conti con la crudelissima
realtà.
"Verranno Sebastian e Daniel.. tra poco busseranno al campanello e..."
ritentai, mentre lui, per niente scoraggiato, continuava la sua opera
"Sono a cena dalla sorella di Daniel e poi hanno giurato di non
presentarsi più senza invito." stroncò anche
quella mia
tesi con destrezza e un altro dei suoi sorrisi calcolatamente
intriganti, che mi fece boccheggiare per qualche lungo istante, tanto
che lui ne approfittò per baciarmi di nuovo sulla bocca,
quella
volta con un'intensità maggiore, avvolgendomi completamente
Sono ad un passo dal baratro, e quel che è peggio
è che sono perfino contento all'idea di poterci finire
dentro...
"Cooper.. abbaierà insistentemente per.." ma lui ebbe una
spiegazione anche per quello
"É da Rachel.. Lea non vedeva l'ora di strapazzarlo un po'!"
e
sorrise, lascivo e tremendamente sexy, talmente tanto da farmi
arrossire senza neanche accorgermene. Mi ritrovai accaldato e con
l'esigenza sempre più opprimente di scappare a nascondermi
da
qualche parte perché... cazzo, io ci soffrivo davvero in
quella
situazione, per il fatto di non poterlo avere e lui cosa faceva? Mi
provocava in quel modo così subdolo? Nessuno gli aveva
spiegato
che attaccare in quel modo un uomo sessualmente frustrato, sarebbe
stato come sparare sulla Croce Rossa? Che senso aveva tutto quello, se
tanto poi, alla fine, il risultato sarebbe ugualmente stato quello di
separarsi, infastiditi ed insoddisfatti? Era a conoscenza del fatto
che, da cinque giorni a quella parte, la mattina appena sveglio e la
sera prima di andare a dormire, mi sottoponessi ad un'atroce doccia
ghiacciata?
"Potrebbe tornare David e magari decidere di uccidermi per bene questa
volta." tentai con la voce stridula, dandomi immediatamente del
coglione perché non si sa come, ero riuscito a mettere in
mezzo
quel bisonte del suo ex, nel momento davvero più sbagliato
di
tutti. E non mi sarei affatto meravigliato se quella mia uscita, non
avesse ugualmente rovinato tutto. Magari lui, arrabbiato, se ne sarebbe
andato, lasciandomi lì, senza cane e con il pavimento del
soggiorno pieno di post-it.
E non avrebbe tutti i torti, idiota di un Anderson.. ti rendi conto
quanti problemi ti stai facendo?.. svegliati! Hai Kurt lì,
tutto
per te, che ti sta baciando proprio come tu sognavi che facesse e cosa
fai? Pensi al cane o, peggio, a Sebastian?... Sei proprio un coglione...
"Blaine.." il mio nome fu come una carezza che mi costrinse ad
abbandonare le mie filippiche mentali e a concentrarmi esclusivamente
sui suoi occhi grandi e limpidi, che in quel momento mi stavano
scrutando appena divertiti e con un leggero pizzico di tenerezza, e
sulla sua mano che si era chiusa a coppa sulla mia guancia, calda e
meravigliosa, e sul suo sorriso così perfetto da farmi
tremare
lo stomaco e farmi sentire piccolo piccolo, come una formica
schiacciata dal peso del mondo.
"Non c'è nessuno.. nessuno può disturbarci, o
interromperci o sperare di rovinare di nuovo tutto. Siamo solo noi..
solo io e te.." e nel dirlo si avvicinò ancora e ancora mi
sfiorò le labbra con le sue, portandosi dietro tutta la
consapevolezza e il significato di quelle parole. Eravamo soli, eravamo
io e lui, eravamo... noi.
Cazzo...
Provai a deglutire di nuovo, con scarsissimo risultato, data la gola
completamente secca e a questo si aggiunse il battito cardiaco che
arrivò a toccare punte esorbitanti, tanto che per un attimo
temetti seriamente che potesse esplodermi dentro, per l'emozione.
"Fa quasi paura pensarlo." mormorai a pochi centimetri dalla sua bocca,
perdendomi per un attimo nella profondità dei suoi occhi,
lasciandomi cullare dalla morbidezza della sua risata e facendomi
dolcemente avvolgere dal suo profumo familiare e piacevole
"Lo so... fa paura anche a me, ma... alla fine ci siamo riusciti.. tu
sei qui, io sono qui e non c'è nessuna cosa al mondo che mi
impedirà di dedicarmi completamente a te questa notte..
neanche
se scoppiasse una rivoluzione o se Marc Jacobs decidesse di abbinare il
blu con il marrone per questo inverno. Rimango qui con te." mi disse,
portando anche l'altra mano sulla guancia e avvicinandomi
così
il viso, per un bacio intenso, che suggellava in maniera perfetta
quelle parole perfette e rendeva il momento decisamente più
perfetto.
Mi ritrovai finalmente a sorridergli e a pensare che sì,
forse
quella volta ce l'avremmo fatta e se qualcuno ci avesse interrotti...
al diavolo, lo avrei ucciso personalmente. Sarei finito in carcere,
ma... sarebbe stato per una giusta causa
"Bene... perché non ho nessuna voglia di lasciarti andare
questa
volta." specificai, riuscendo finalmente a muovere il corpo, e
avvolgendogli la schiena con le braccia, riuscendo ad avvicinarlo di
più, a stringerlo con più forza e avvertendo un
calore
decisamente più appagante.
"E allora non farlo.." mormorò con mezzo sorriso, prima di
rifiondarsi sulle mie labbra e finalmente approfondire il contatto: ed
eccola, la sua lingua che gentilmente si intrufolava nella mia bocca,
si intrecciava con la mia e mi faceva sospirare. Era rassicurante
scoprire come le cose, anche a distanza di tempo, non cambiassero
affatto: il suo sapore era sempre lì, meraviglioso e intenso
ed
io mi ritrovai ad adorarlo come ogni volta. E come ogni volta credetti
di essere sul punto di implodere, perché un'emozione tanto
forte
era decisamente troppo da sopportare. Eppure, non avrei permesso
neanche a me stesso di rovinare quel momento: lo avevamo cercato
troppo, lo avevamo sognato, lo avevamo desiderato entrambi e adesso era
lì, pronto per noi, pronto semplicemente per essere vissuto.
Ma
la paura c'era ancora, almeno in parte, perché l'aver
sognato
per cinque notti di fila il corpo di Kurt e poi accorgermi di avercelo
davvero così a portata di mano, un minimo dubbio di essere
ancora immerso nel mondo dei sogni, rimaneva. Anche se il suo sapore e
il calore della sua mano ancora ancorata sulla mia guancia, sembravano
essere troppo reali per appartenere al mondo onirico. La conferma
però la ebbi qualche istante dopo, quando un movimento
particolarmente deciso, fece scontrare i nostri bacini, in un contatto
meraviglioso e fin troppo reale. E sentire la sua erezione premere
attraverso i jeans, fu come ricevere un pizzicotto sul braccio, un
pizzicotto che mi fece capire di essere perfettamente sveglio.
Senza interrompere il bacio, che mano a mano diventava sempre
più umido e appagante, ci ritrovammo a muoverci in sincrono,
lui
ad indietreggiare ed io a seguirlo, trascinato dalle sue mani e dal
magnetismo del suo corpo caldo. Ma c'era qualcosa che sentivo di
troppo, e che mi impediva di godere a pieno di quel calore tanto
familiare e rassicurante.
Blaine.. i vestiti...
Staccai le labbra dalle sue, con uno schiocco particolarmente erotico -
oddio, potrei morire anche ora, dopo un semplice bacio! - e mi fiondai
quasi subito con le labbra sul suo collo niveo, portando
contemporaneamente le mani sul primo bottone del suo gilet. Lo volevo
nudo, completamente nudo e nel minor tempo possibile, solo che, se
fossi stato troppo affrettato avrei fatto sicuramente una pessima
figura. Anche se, dopo l'allegra scenetta nell'ascensore, avevo
già detto addio alla mia dignità quindi non
sarebbe
cambiato molto se avessi mostrato un po' più di fretta in
quel
momento.
Goditi il momento,
Blaine.. lui è lì con te e non ha intenzione di
scappare...
Lo liberai del primo strato di vestiti, lasciando cadere il gilet sul
pavimento e a stento mi accorsi del fatto che lui mi avesse sollevato
la maglia e mi avesse fatto alzare le braccia per tirarla via: e in
quel momento io ero già a torso nudo mentre lui era ancora
praticamente vestito, la situazione non era affatto bilanciata. Ma non
potei fare nulla, perché, quasi con disperazione, lui mi
afferrò la nuca e fece nuovamente scontrare le nostre labbra
in
un bacio che, strano ma vero, fu ancora più intenso e
passionale
e fantastico. Da togliere decisamente il fiato e il poco autocontrollo
rimasto. Al diavolo.. lui era lì e non sarebbe scappato,
certo,
ma io avevo aspettato fin troppo e quindi dovevo averlo, punto e basta.
Ci sarebbero state altre occasioni per mettere in pratica la lentezza e
la meraviglia della scoperta, che avevano fatto da padroni durante la
prima volta. Sapevo di essere forse troppo fisico in quel momento, ma
quando la passione parte così inarrestabile, non
c'è
davvero niente al mondo capace di fermarla. Avevamo di nuovo superato
un limite, solo che quella volta, c'era decisamente una maglia di meno
e più pelle a contatto e più voglia e
più
desiderio e più consapevolezza e perfino quel pizzico di
paura
che di certo non guastava, ma rendeva il tutto notevolmente
più
speciale.
E fu per questo che, spinto da quella nuova carica emotiva, mi ritrovai
ad avanzare ancora, fino al bordo del letto e poi lo accompagnai,
passandogli una mano dietro la schiena, fino a toccare delicatamente la
trapunta per poi posizionarmi esattamente su di lui. E averlo sotto di
me, disteso sul mio letto, completamente abbandonato e senza difese mi
era decisamente mancato.
Feci scendere le mani verso i suoi fianchi, premurandomi di esercitare
una leggera pressione con i polpastrelli, per sottolineare il fatto che
bramassi il contatto, ma non mi limitai a quello, scesi più
giù fino al bordo dei jeans e iniziai a trafficare con la
chiusura, riuscendo quella volta ad aprila senza troppi problemi e a
tirarli via in pochissimi movimenti. Almeno ora eravamo più
o
meno nella stessa situazione, io senza maglia e lui senza pantaloni,
anche se.. la sua era decisamente più invitante. Non so
come, mi
ritrovai a muovermi tra le sue gambe, per sistemarmi meglio e urtai -
volontariamente - la sua erezione con la gamba: quello che gli
scappò dalle labbra fu uno dei più bei gemiti mai
sentiti, che ebbe il potere di entrarmi dentro e di scuotermi e di
farmi rabbrividire, tutto nello stesso istante. Alzai gli occhi,
abbandonando il suo collo morbido, fino a ritrovare i suoi, appena
socchiusi ma carichi di desiderio, un desiderio che chiedeva
disperatamente di essere soddisfatto, un desiderio che era lo specchio
del mio, un desiderio che lo rendeva inspiegabilmente e
sorprendentemente più bello. Mi piegai sulle sue labbra e le
catturai con le mie, accogliendo un suo sospiro lungo e tormentato e
ritrovandomi a formulare un pensiero, che, non si sa come, mi
scivolò morbidamente dalla bocca
"Ti voglio... ti voglio da impazzire.." sussurrai con il cuore in gola
e il respiro accelerato, continuando ad accarezzargli le labbra con le
mie, lento e inesorabile. Lui si lasciò scappare un piccolo
lamento, dolcissimo e profondo, che mi accarezzò il viso e
mi
fece sorridere
"E allora prendimi." rispose in un leggero respiro intrinso di qualcosa
molto simile all'urgenza. Per poco non scoppiai a piangere,
perché non era possibile, non potevo credere di aver
finalmente
libero accesso al suo corpo e di aver ottenuto allo stesso tempo il
permesso di... prendere le redini della situazione. Forse, per come
stavo messo, non era il caso di esultare troppo, dato che dubitavo
fortemente di poter garantire una prestazione quantomeno soddisfacente.
In pratica, senza giri di parole, l'astinenza forzata di quelle
settimane, poteva anche impedirmi di durare quanto avrei voluto. Avrei
fatto una pessima figura e lui avrebbe giustamente riso di me.
Smettila di preoccuparti
di queste
cazzate. Kurt ti ha appena chiesto di... e tu tergiversi in questo
modo? Ma allora vedi che sei seriamente un coglione?...
Avvertii tutto il sangue confluire verso il basso e pulsare quasi
dolorosamente: i pantaloni stavano decisamente diventando troppo
stretti ma volevo che fosse lui ad occuparsene, lui a far scivolare le
mani fino al basso per sfilarmeli via, lui a fare la prossima mossa.
Così mi limitai a baciarlo - ancora, e ancora, e ancora -
perché non ne riuscivo a fare a meno e perché era
l'unica
cosa che mi impediva di impazzire, schiacciato da quella marea
di
sensazioni. Lui rispose al bacio, affondando una mano tra i miei ricci
e bloccando l'altra su un fianco: il calore di quelle dita e la loro
surreale delicatezza, mi fecero rabbrividire ancora e mi spinsi
maggiormente, quasi inconsapevolmente verso di lui, e quella volta il
gemito di protesta uscì dalla bocca di entrambi,
sconvolgendo me
e permettendo a lui di prendere finalmente coraggio e fare scendere la
mano verso il bordo dei jeans e passare a sbottonali l'istante dopo. E
fu come camminare in bilico sul filo di lana, trattenendo il fiato,
mentre la sua mano si intrufolava curiosa oltre l'elastico dei miei
boxer, lì dove la situazione diventava decisamente troppo
instabile e pertanto pericolosa.
Oddio.. oddio.. oddio...
Non seppi come, riuscii a trattenere in parte il gemito
spropositato che premeva per uscire, limitandomi ad un lungo lamento
che partì dalla gola e che soppressi, infossando la faccia
nell'incavo del suo collo. Bene, avevo detto di essere in una pessima
condizione, in realtà, se possibile, stavo messo anche
peggio e
la sua mano - la sua morbidissima e caldissima e abilissima mano - non
faceva che peggiorare il tutto. Eppure non riuscii a dirgli di
smetterla, non riuscii a tirare fuori niente di più di un
semplice lamento disperato, che forse lui afferrò come
incentivo, perché strinse appena più forte
attorno a me.
"Ku..r..t.." non credetti neppure che fosse mia quella voce, troppo
sconvolta e distorta dal piacere o di essere riuscito a tirare fuori
almeno qualche suono, seppure abbastanza privo di significato. Era un
buffo e alquanto ridicolo tentativo di farlo smettere, di fargli capire
che, se avesse continuato in quel modo, di Blaine Anderson sarebbe
rimasto davvero poco. Ma era troppo piacevole, troppo caldo e fin
troppo lento e calcolato per pensare seriamente di dire una cosa del
genere. La verità era che volevo che continuasse, forse
anche di
più di quanto non volessi che smettesse di farlo. Ero un
bipolare del cazzo e rendersene conto in un momento del genere, era
davvero assurdo.
"Kurt... ra..rallenta... ti sup..plico.." implorai portando le labbra
direttamente al suo orecchio, sperando che, così facendo il
concetto arrivasse prima, e difatti, lui colse la disperazione della
mia voce e rallentò notevolmente, fino quasi a fermarsi del
tutto. Presi un profondo respiro, cercando di recuperare un
pò
di fiato e ragione persi strada facendo, e cercando di capire in che
modo continuare, evitando il più possibile brutte figure.
Prima
di tutto mi sollevai appena, poggiando gli avambracci ai lati della
sua testa e con un lungo sospiro estasiato, mi persi nella
contemplazione del magnifico capolavoro che avevo nel mio letto: i
capelli leggermente sconvolti, le labbra rosse e appena socchiuse, gli
occhi cristallini e vigili e quel piccolo sorriso che si apriva in
risposta al mio, che non mi ero neppure accorto di aver tirato fuori.
Eppure c'era, e io e lui, da perfetti idioti, avevamo perfino trovato
il momento giusto per sorriderci, nonostante l'urgenza della
situazione. Ed era bellissimo poterlo osservare così da
vicino,
coglierne ogni sfaccettatura, ogni piccola sfumatura della pelle, ogni
intreccio di colore nei suoi occhi azzurri ed io, che di perfetto
probabilmente non avevo mai avuto nulla, potevo permettermi di amarlo e
perfino di dimostrarglielo con i fatti, provando a rendere speciale
anche quel momento, facendogli capire attraverso i gesti quanto
profondo fosse il sentimento che provavo nei suoi confronti - dato che
le parole faticavano ad uscire - esattamente come avevo provato a fare
con la musica.
Così, riprendendomi da quell'attimo di smarrimento, gli
lasciai
un leggerissimo bacio sulle labbra, un bacio che sapeva di attesa, e di
promessa, e di tutti quei ti amo detti ma non a parole, sospesi
nell'aria e forse mai completamente afferrati. E lui mi sorrise ancora,
sempre più bello e forse quello bastò per farmi
capire
che, in quella situazione, entrambi eravamo fragili ed esposti ed
entrambi avevamo paura. Eppure, nonostante questo, eravamo pronti a
lasciarci andare, volevamo vivere fino alla fine quel momento e godere
di ogni sensazione, bella o incantevole o magica o indescrivibile che
fosse stata.
Lasciandogli un altro bacio sul mento, mi tirai a sedere, liberandomi
dei jeans ormai a metà e lui ne approfittò per
sfilarsi
la maglia, così da rimanere quasi completamente nudi; e fu
soltanto un attimo, bastò guardarsi ancora negli occhi ed
entrambi ci ritrovammo ad avanzare - lui con la schiena su, sorretto
dai gomiti, ed io in ginocchio in mezzo alle sue gambe - e ad azzerare
la distanza con un altro bacio passionale e profondo. Portai le mani
sulle sue spalle e le feci lentamente scendere, con il palmo
perfettamente aperto, lungo tutto il suo petto liscio e largo e
sorprendentemente tonico, fino al bordo dei boxer che, senza indugio,
spinsi via, grazie al suo aiuto, per poi portare le mani dietro la sua
schiena e infine fermarle sul sedere; lui mi lasciò fare ma
avvertii un leggera traccia di sorriso, stirargli le labbra nel momento
esatto in cui lo strinsi tra le mani, beandomi della perfetta
consistenza e chiedendomi come avessi potuto starvi lontano per
così tanto tempo. E forse feci qualcosa che non si aspettava
minimamente, perché non mi limitai a stringerlo o ad
accarezzarlo, ma lo utilizzai per aiutarmi a tirare su tutto il suo
corpo e a farlo sedere su di me, che nel frattempo avevo sistemato
meglio le gambe. Quel movimento lo lasciò per qualche
secondo
confuso, tanto che abbandonò il nostro bacio per potermi
guardare negli occhi
"Blaine..." mormorò. Gli afferrai entrambe le mani e me le
portai addosso, fino a farle stringere attorno al mio collo,
dopodiché, con una mano sulla schiena, lo spinsi
più
vicino a me, facendogli aderire il petto al mio e contemporaneamente
gli catturai le labbra in un bacio, che di disperato aveva ancora
qualche traccia, ma fu più che altro una rassicurazione per
lui,
un tentativo di fargli capire che, qualsiasi cosa avessi in mente di
fare, poteva fidarsi, perché non mi sarei mai permesso di
fargli
del male né tanto meno di fare qualcosa che potesse
infastidirlo.
Avevo solo bisogno di.. sentirlo, sentirlo completamente, sentirlo come
non avevo ancora fatto e come desideravo fare dal primo momento in cui
la passione era scoppiata tra di noi. Poco dopo, staccandomi dalle sue
labbra, gli accarezzai una spalla e gli sorrisi
"Stai tranquillo.. voglio solo provare a.. fare una cosa.." tentai di
rassicurarlo con il tono più rilassato che riuscii a
trovare,
seppure mi risultasse particolarmente difficile vista la posizione
così ravvicinata e soprattutto il fatto che la sua erezione
fosse praticamente schiacciata sul mio stomaco. Eppure vederlo
così smarrito mi aveva fatto sentire in dovere di dirgli
qualcosa, di sforzarmi di farlo. E per fortuna, riuscii nel mio
intento: lui annuì piano, non staccando gli occhi dai miei
ed io
ne approfittai per sorridergli ancora ed accarezzargli lentamente la
schiena, appena tesa. Si rilassò all'istante: lo sentii
sospirare e in poco più di un secondo, le sue labbra tornano
sulle mie, la sua lingua riprese a danzare tra le mie labbra, spinta
dal ritmo della passione e le sue mani affondarono morbidamente tra i
miei ricci. La situazione perfetta in pratica e forse quello che avevo
in mente di fare, non era così assurdo, dopotutto.
Ci furono altri baci, altre carezze, altri gemiti di piacere soffocati
o meno da altri baci, o altra voglia appagata da altre carezze. Mai mi
sarei stancato di toccare quella pelle così liscia e morbida
e
mai soprattutto ne avrei avuto abbastanza della sua voce, ridotta ad un
soffio, distorta dal piacere e tormentata, così vicina ad
ottenere ciò che davvero voleva, ma ancora troppo lontana
per
raggiungerlo davvero. Non seppi come, riuscii a trovare la forza per
allontanare appena il suo corpo dal mio, per potermi liberare
dell'ultimo strato di ingombro e finalmente... finalmente... eravamo
solo noi, pelle contro pelle, completamente nudi, l'uno per l'altro.
Rimanemmo qualche istante così, abbracciati, coccolati solo
dal
calore che irradiava il corpo dell'altro ed io fui davvero sul punto di
piangere, perché non c'erano parole per esprimere quanto mi
fosse mancato - non soltanto fisicamente - non c'erano parole per
spiegare quanto potesse essere perfetto ai miei occhi ma soprattutto
non c'erano parole per far capire quanto lo amassi e quanto volessi
dirglielo in quel preciso istante. Ma non era giusto, non era il
momento adatto, perché avrebbe potuto facilmente scambiarlo
per
un qualcosa sfuggito a causa dell'eccitazione e non potevo
permettermelo.
Lui non se lo meritava, lui doveva avere... quelle parole.. ma in un
altro modo.
Kurt si sporse leggermente verso il comodino ed afferrò
qualcosa, per poi tornare a schiacciarsi contro di me, tirandomi
leggermente la testa indietro per poter approfondire meglio un altro
lunghissimo bacio. Tentai in ogni modo di essere il più
possibile delicato con lui durante i successivi minuti, mentre lo
preparavo per bene. Ma non potei trattenermi dal tremare appena, mentre
il suo viso si contraeva in una smorfia di dolore, anche se leggera,
anche se era necessaria, anche se rimaneva ugualmente bellissimo.
Ma alla fine, non appena fu pronto e non appena lui stesso mi fece
capire di volere andare avanti, con un sospiro, afferrai la bustina del
preservativo e, con le mani che tremavano e il cervello che connetteva
davvero poco e niente, provai ad aprirla, con scarso, scarsissimo
risultato. Kurt allora me la sfilò dalle mani,
delicatamente,
poggiando nello stesso istante le labbra sulla mia guancia e respirando
così vicino a me, da farmi quasi il solletico. Quel momento
mi
ricordò esattamente ciò che era successo a casa
sua, due
settimane prima, la sua paura, i suoi occhi terrorizzati, le sue mani
che tremavano, esattamente come le mie. Eppure ci era riuscito, era
andato avanti ed era stato.. incredibile. In quel momento invece,
quello terrorizzato ero io, erano le mie le mani che tremavano e
probabilmente se mi fossi guardato allo specchio avrei letto lo stesso
tipo di terrore che quel giorno aveva attraversato i suoi occhi. In
quel senso ci compensavamo, se uno era spaventato, l'altro si
preoccupava di tranquillizzarlo, se uno sbagliava l'altro glielo faceva
notare - anche se sempre con dolcezza - se uno si perdeva, l'altro lo
riportava sulla strada corretta. E infatti così fu, anche in
quel momento.
Kurt riuscì ad aprire la bustina e a tirare fuori il
preservativo, per poi srotolarlo con una lentezza disumana lungo tutta
la mia erezione - Dio...
mio - facendomi gemere quasi disperato. Ero
diventato troppo sensibile e al minimo tocco, sarei senza dubbio
esploso. Ero ancora convinto di voler essere io a condurre? Ero ancora
convinto di esserne capace?
Certo, a meno che...
Gli catturai le labbra in un gesto quasi famelico, e contemporaneamente
lo sentii sollevarsi appena e posizionarsi, per poi scendere,
lentamente
ed inesorabilmente, fino alla fine. E quello fu il punto
del non ritorno. Il lamento che mi scappò dalle labbra e che
non
riuscii a controllare, probabilmente arrivò forte e chiaro
perfino alle orecchie di Artie Abrams al primo piano, ma sinceramente
non mi interessava. Avevo trattenuto fin troppo a lungo, avevo
soffocato fin troppe cose... ora basta. Mi sarei lasciato andare
completamente a lui, nelle sue mani, perché era esattamente
ciò che volevo disperatamente fare. E proprio per questo,
dopo
essere riuscito a recuperare un pò di ragione e perfino la
vista
che era ancora leggermente appannata, riaprii gli occhi e li puntai nei
suoi, e lì capii che non fosse messo meglio di me. Un labbro
era
trattenuto tra i denti, le guance rosse e gli occhi... indescrivibili.
Rimanemmo a guardarci per un lungo istante, sospesi e scossi, tremanti
e ancora legati e quello si dimostrò esattamente
ciò che
avevo in mente. Quella posizione, l'averlo seduto su di me, attorno a
me, così vicino da essere quasi surreale... era
meraviglioso...
era meraviglioso perché lo sentivo mio, più di
quanto
avessi mai fatto, era meraviglioso perché potevo contare
ogni
respiro che gli scuoteva il petto, ogni ansito che gli scivolava via
dalle labbra, ogni più piccolo desiderio non espresso ma
ugualmente comprensibile. E se quello non significava essere
profondamente legati, allora mi chiesi cosa potessi fare ancora di
più.
Sei perfetto, Kurt..
ogni cosa che fai o che dici... è perfetta... ed io ti amo,
ti amo tanto...
In quel tumulto di emozioni e in quel precario equilibrio, riuscii a
chiedergli di muoversi, perché volevo fosse lui a decidere
tutto, tempi e ritmo e fu davvero bello vedere formarsi sul suo viso
quella dolcissima smorfia di stupore che riuscii a stringermi lo
stomaco e a farmi sorridere. Chi l'aveva stabilito che io se fossi
stato l'attivo, avrei dovuto decidere anche il resto. Questo era il
bello dello stare insieme, sperimentare, provare, desiderare
completamente l'altro anche nelle forme più inaspettate. Ed
io
lo volevo così, perché era un modo nuovo di
sentirlo -
nuovo anche per lui a giudicare dalla sua espressione - e
perché
già così, stando semplicemente immobili, mi
piaceva da
impazzire. E alla fine, arrossendo appena sulle guance, mi sorrise ed
avvicinò il viso per lasciarmi un tenero bacio sulle labbra
e
mormorare qualcosa simile al grazie, ma che si confuse in un respiro.
Sono io che dovrei
ringraziare te, non il contrario...
Iniziò a muoversi, prima lentamente, semplicemente
accennando un
leggero movimento dei fianchi - e già solo quello, sarebbe
stato
capace di mandarmi fuori di testa - per poi aumentare leggermente,
soprattutto l'angolazione e la profondità, ad ogni spinta.
Ed
io, ad ogni spinta, perdevo un pò di vita, un pò
di
dignità, un pò di quella lucidità che
ancora mi
teneva legato al mondo dei vivi. Ma alla fine, sarebbe stato inutile
preoccuparsi o vergognarsi, perché non c'era niente di male,
perché era bellissimo e perché eravamo io e lui,
semplicemente Kurt e Blaine che, seduti al centro del letto, si stavano
donando, si stavano esponendo reciprocamente, senza alcun limite
né difesa. Sentirsi così avvolti,
così...
completi, e protetti.. in un certo senso faceva paura,
perché
era la prima volta che facevamo l'amore da quando avevo scoperto di
amarlo così tanto. Forse prima, non coinvolgendo i
sentimenti,
per quanto fosse stato ugualmente speciale.. era stato più
gestibile, ma adesso.. mi sentivo esplodere da ogni verso, non solo
fisicamente. Per questo, troppo vicino al limite, da perdere quasi il
contatto con la realtà, mi ritrovai a stringere la presa
attorno
alla sua mano e ad affondare il viso nell'incavo del suo collo, mentre
lui continuava a muoversi inesorabilmente portandomi sempre
più
in prossimità del baratro. E forse sarebbe stato davvero un
viaggio senza ritorno, forse sarebbe stato davvero complicato
riprendersi, ma.. come sempre, qualsiasi cosa fosse successa, se ad
affrontarla fossimo rimasti insieme, allora nessuno dei due si sarebbe
fatto male ed entrambi avremmo ritrovato facilmente, il giusto posto
nel mondo.
New York City. Ore 09.05 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)
Circa mezz'ora dopo, mentre contemplavo il bellissimo viso rilassato
del ragazzo che amavo, ero completamente un'altra persona. Mi sentivo
bene, in pace con me stesso e con il mondo e quel peso che, da
più di una settimana, mi opprimeva lo stomaco e mi faceva
andare
a dormire sempre agitato e scontroso, era magicamente sparito. E tutto
per merito di Kurt, tutto per merito del suo essere speciale e unico
e... incredibilmente mio. Ed era particolarmente rilassante vederlo
giocherellare con le mie dita - ad intrecciarle con le due,
accarezzarne i polpastrelli e disegnare cerchi immaginari sul palmo
della mano - steso su di me, con il mento poggiato sul mio petto e le
gambe intrecciate alle mie. Anche lui sembrava il ritratto del
benessere con quei capelli sconvolti - ero stato io a ridurglieli
così? - i muscoli distesi e il respiro regolare che si
infrangeva sulla mia pelle, provocandomi un leggero ma piacevole
solletico. Sarei rimasto tutta la vita e forse anche oltre ad
osservarlo, e chissà... magari lui me l'avrebbe perfino
lasciato
fare. Qualche istante dopo, avvertendo un desiderio inspiegabile
decidere per me, allungai una mano verso di lui e l'affondai
morbidamente tra i suoi capelli, scompigliandoglieli ancora di
più e ridacchiando di conseguenza. Lui sollevò
gli occhi
verso di me, facendomi mancare un paio di battiti, e mi sorrise - altri
due battiti in meno.
"Grazie." mormorai recuperando un pò di quella voce che era
andata via, insieme alla scia dell'orgasmo. Lui aggrottò la
fronte
"Per cosa?" domandò. Mi strinsi nelle spalle
"Non lo so.. tu.. riesci a sorprendermi... sempre!" esclamai con un
sorriso radioso, mentre il cuore mi batteva ad uno strano ritmo nel
petto, quasi stesse ballando. Le labbra gli si piegarono in un sorriso
dolce e le guance si colorarono appena
"Se è per questo.. lo fai anche tu." ribatté
sollevando un sopracciglio, appena divertito
"Sì ma non è la stessa cosa. Tu... non puoi
essere
umano.. non puoi davvero!" borbottai scuotendo la testa e facendolo
ridere - la sua risata... un migliaio di campanellini che suonano una
melodia incredibilmente bella.
"A proposito di umano e non... pensa al povero Cooper...
chissà
cosa gli starà facendo passare Lea." fece lui ridacchiando,
passandomi distrattamente un dito sul petto e facendomi rabbrividire al
contatto
"Ben gli sta... è la giusta punizione per tutti i dispetti
che
mi fa. Ieri notte si è addormentato addosso a me, e quando
mi
sono risvegliato mi sono ritrovato la sua coda quasi interamente in
bocca." raccontai con una smorfia e lui scoppiò a ridere di
gusto, facendo vibrare entrambi in un movimento particolarmente
piacevole
"L'influenza di Sebastian, immagino.." mormorò ancora
ridacchiando
"Ovvio!" ci guardammo per un lungo istante, uno sguardo limpido e ricco
per tutto quello che c'era stato poco prima, tutto quello che avevamo
provato, dopodiché, quasi ci fossimo messi d'accordo,
scoppiammo
a ridere insieme come due idioti. E fu così bello,
così
distensivo e pacifico unire la mia risata alla sua, e constatare come,
anche quelle, fossero destinate ad intrecciarsi armonicamente.
Probabilmente, ripensandoci, in quel momento fu tutto un insieme di
cose... l'aver appena fatto l'amore, l'avere il suo corpo ancora legato
al mio, il sentirmi così leggero e libero, ma soprattutto il
luccichio straordinario nei suoi occhi... tutto questo, all'improvviso,
mi diedero la forza per parlare, dopo aver per troppo tempo taciuto.
"Kurt?"
"Mmm..?"
Ora o mai
più...
"Ti amo!"
New
York City. Ore 09.12 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)
Due parole. Soltanto due parole. Quanto potere potevano mai avere due
semplici parole? Un potere immenso a quanto pare, un potere
inaspettato, un potere così intenso da scalfire perfino il
cuore, da ribaltare lo stomaco e metterlo sottosopra, un potere...
grande come il significato che custodivano. Perché prese
singolarmente non valevano nulla, ma messe insieme.. Dio... erano..
Dio...
Ti amo... Ti amo... Ti
amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo...
Non c'è nessun libro al mondo, nessun manuale, nessun
libretto
di istruzioni che ti spiega cosa fare e come reagire in casi come
quello. L'averlo immaginato sempre, l'aver ogni giorno desiderato con
tutto me stesso di sentire parole così.. di quella portata,
non
mi aveva di certo preparato a dovere, non mi aveva affatto detto come
dovermi comportare. Avrei dovuto dire qualcosa? Avrei dovuto gridare?
Mi sarei dovuto alzare e mettermi a saltellare per tutto
l'appartamento? Sarei dovuto scoppiare a piangere? Perché
quello
lo stavo già facendo, o meglio... ero davvero molto vicino a
farlo davvero. E tutto per due semplicissime parole, neanche troppo
grandi. Erano un ti e un amo... che messi insieme davano ti amo... che
pronunciato da Blaine... faceva una bella differenza.
"Puoi... ri.. ripetere?" non so come riuscii a tirare fuori quei due
suoni strozzati, senza collassare. Lui fece un profondo respiro, senza
mai distogliere lo sguardo dal mio
"Ti amo!" ripeté e per la seconda volta fui colpito da una
scarica in pieno petto che mi fece tremare e mancare il fiato. L'aveva
detto di nuovo, quindi non me l'ero immaginato. Lui... aveva detto che
mi amava. Blaine mi amava. E me lo aveva appena ripetuto.
"Kurt io... ti amo.. ti amo da impazzire, ti amo tanto da non riuscire
a respirare, tanto da non dormirci la notte; ti amo dal primo momento
in cui ho incrociato i tuoi occhi in quel bagno del pub; ti amo
perché sei l'essere più speciale e perfetto del
mondo; ti
amo perché, nonostante questo, chissà per quale
incomprensibile ragione, hai scelto di affidarti a me, facendomi
entrare nella tua vita e dandomi modo di amarne ogni più
piccola
sfaccettatura; ti amo perché sei forte e fragile allo stesso
tempo; ti amo perché mi hai permesso di credere ancora
nell'amore, nonostante avessi giurato a me stesso di non farlo
più; ti amo perché sei talmente tanto puro e
limpido da
farmi sentire allo stesso modo ogni volta che ti guardo; ti amo
perché sento la necessità di proteggerti sempre e
perché vorrei continuare a farlo, soprattutto quando sarai
tropo
fragile per farlo da solo; ti amo perché hai sempre avuto
nelle
tue mani la mia anima e il mio cuore e li hai trattati con estremo
rispetto; ti amo perché... perché sei il mio
dolce e
bellissimo angelo e vorrei averti con me sempre, ogni istante della mia
vita, per potertelo ripetere all'infinito." e non erano più
soltanto due parole, adesso erano diventate decine e
decine di parole, parole all'apparenza banali, parole che tutti
conoscevano, parole... eppure io mi ero ritrovato a piangere senza
controllo e a stringere la presa attorno al suo braccio
perché avevo
bisogno disperatamente di un appiglio altrimenti sarei annegato. Ma lui
c'era, era lì, sotto di me, che mi guardava con i suoi occhi
dorati,
bellissimi e buoni ma soprattutto sinceri. Mai avrei potuto immaginare
di provare un'emozione così forte, anche se.. con Blaine
succedeva
sempre così.. lui diceva che ero io a sorprenderlo, ma non
si rendeva
minimamente conto di quanto invece lui sorprendesse me, in ogni istante.
"Kurt...
non farlo.. non piangere.. io.. mi dispiace... non.."
balbettò qualcosa
a disagio, accarezzandomi una guancia con la mano tremante e
catturandomi un paio di lacrime che correvano indisturbate. Mi
distruggeva vederlo così tormentato e preoccupato, e
soltanto pensare
che potesse anche lontanamente credere che quelle parole potessero
avermi ferito...
No
Blaine... No...
"Ti amo!" mi
ritrovai a
dire senza fiato, con il cuore che batteva frenetico nel petto. E
sentii solo quello, nient'altro che l'eco del mio cuore, il battito
sotto pelle, nelle vene, in testa. Fece quasi più effetto
averlo detto,
averlo finalmente espresso a voce, che averlo sentito. Forse
perché non
avevo ancora realizzato. Forse perché ancora non credevo di
essere
riuscito a confessarlo prima che a lui a me stesso. Non l'avevo mai
detto a nessuno perché mai nessuno prima di Blaine era
riuscito ad
entrarmi nel cuore con la stessa intensità.
Perché Blaine era il mio
primo vero amore. E probabilmente anche l'unico che avrei mai amato
nello stesso modo.
I suoi occhi
si sgranarono, quasi quanto i miei
e la sua mano interruppe una carezza sul mento e lì si
fermò, tremante
ma leggerissima
"C-cosa?"
"Ti amo
anche io Blaine. Io ti amo
con tutto il cuore e ti voglio nella mia vita perché sei la
prima vera
cosa bella che ho avuto l'onore di poter assaporare.. ti amo
così tanto
che a volte sento il cuore esplodermi nel petto e ti ringrazio per
avermi fatto innamorare di te perché da quando ti conosco...
la vita mi
sorride, come non è mai successo e come non speravo
più potesse
succedere. Tu mi hai... ridato la speranza, tu.. sei la mia speranza.
Ed io..." non riuscii più a continuare, per colpa delle
lacrime e la
vista appannata e la voce distorta dai singhiozzi. Ma ancora una volta
erano lacrime che non facevano male, erano quasi liberatorie... Blaine
mi aveva appena confessato di amarmi ed io avevo fatto lo stesso.
Sentirsi così leggeri e così pieni di emozione
era indescrivibile e non
aveva prezzo. Sarei stato contento di piangere anche all'infinito per
lui e per la gioia che mi regalava.
La sua mano
tornò a posarsi,
ancora leggermente tremante, sulla mia guancia, accarezzandomi lo
zigomo con il pollice e per un momento rimasi seriamente abbagliato dal
sorriso incredibile che mi regalò: era carico di emozione,
quella volta
sottolineata perfino dalle leggere lacrime che si intravedevano ai lati
degli occhi, esprimeva tutta la meraviglia e la sorpresa, e soprattutto
era chiaro che fosse sincero come non mai; e quella
sincerità, a tratti
perfino disarmante, ebbe il potere di scaldarmi il cuore e rendere
Blaine ai miei occhi ancora più bello.
"Ok... Credo
sia il caso
che a questo punto uno dei due dica qualcosa, altrimenti rischio di
morire in questo letto, seduta stante!" borbottò, con una
leggera
risata emozionata e le fossette che andavano a contornargli il
magnifico viso. Ridacchiai anche io, asciugandomi le lacrime sulle
guance e scivolando addosso a lui, per avvicinarmi meglio alle sue
labbra ed accarezzargliele con un leggero e delicato tocco
"Se ti
può consolare... Anche io mi sento morire in questo
momento.."
confessai a pochi centimetri dalla sua bocca, che si
increspò in un
nuovo sorriso meraviglioso. Fu lui ad avvicinarsi di nuovo e a bloccare
le mie labbra con le sue
"E allora..
mi sa che conviene
rassegnarci! Non c'è soluzione per questo problema!"
esclamò divertito,
facendomi ridere, ancora emozionato, con il cuore a mille e lo stomaco
pieno di farfalle che facevano a gara a chi volasse più in
alto.
Calmate
le risate, rimanemmo per alcuni lunghi istanti a guardarci negli occhi
senza dire nulla; io semplicemente mi persi in quell'universo fatto di
oro e verde, senza mai sentirmi solo o spaventato, anzi... sentendomi
perfettamente a mio agio e al sicuro, quasi fossi a casa mia. E
d'altronde Blaine era davvero casa mia, lo era già diventato
inconsciamente da parecchio, ma ormai ne avevo la prova inconfutabile.
Io
lo amo... lui mi ama... ama me, ama questo essere imperfetto con la sua
vita incasinata e la sua marea di problemi... ama proprio me, ed io non
riesco ancora a capacitarmene...
Senza
pensarci, feci scorrere
l'indice in una linea immaginaria che partiva dall'attaccatura dei
capelli sulla fronte e scendeva fin giù, passando per il
naso, solcando
a metà le labbra carnose e sorridenti, accarezzando il mento
pronunciato, correndo lungo il collo, sul pomo di Adamo e fermandosi
esattamente sul petto, all'altezza del cuore, che in quel momento
scalpitò, in perfetta armonia con il mio
"Tu sei
lì dentro... e farò
tutto ciò che è in mio potere affinché
tu ci rimanga per quanto più
tempo possibile!" esclamò con decisione, affondando
contemporaneamente
una mano tra i miei capelli e avvicinando così ancora di
più il mio
viso al suo. E quello che mi disse ebbe il potere di farmi tremare
ancora
"Anche per
sempre?" domandai esitante, aprendo il palmo della mano e sistemandolo
meglio sul petto
"Anche
oltre, se me lo permetterai." mormorò in risposta piegando
appena la testa di lato.
Per
sempre... e anche oltre...
Quella
volta il bacio fu una cosa voluta da entrambi, perché ci
muovemmo l'uno
verso l'altro e finimmo con il trovarci a metà strada in un
dolce,
passionale ed intenso bacio, che sapeva di tante cose belle ma
soprattutto sapeva di amore. Del nostro amore.
"Dunque a
scanso di
equivoci... stiamo insieme io e te?" domandò divertito, con
un filo di
voce, mentre la punta del suo naso correva morbidamente lungo la mia
guancia. Scoppiai a ridere di gusto, approfittandone per rubargli un
altro bacio
"Sì,
direi di sì!" confermai elettrizzato e con il cuore
traboccante d'orgoglio. Il mio ragazzo... Blaine era il mio ragazzo ed
io finalmente potevo esserne completamente fiero. Lui si
lasciò
scappare una mezza risata per poi leccarsi leggermente un labbro, con
lentezza
"Bene...
almeno ora so cosa rispondere, la prossima volta
che qualcuno me lo chiederà." mormorò con tono
leggero e divertito.
Scoppiammo a ridere quasi nello stesso istante, come due bambini, come
due ubriachi, come due sciocchi innamorati, come due che, finalmente,
avevano trovato qualcosa di giusto per cui combattere, andare avanti e
vivere. E il nostro amore ci avrebbe aiutati in quello, ci avrebbe
protetti, guidati, fatti crescere e soprattutto ci avrebbe
indissolubilmente legati... per sempre e anche oltre.
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Capitolo 40 *** Timori infondati e Sogni a portata di mano ***
Buonasera
cucciolotti miei... dopo tante peripezie e, come al solito, aver
mancato ad una promessa che vi avevo fatto (proprio non sono riuscita
ad aggiornare ieri) eccomi qui... dunque... questo capitolo, il post ti
amo, ci porta una bella sorpresa.. o almeno.. io credo sia bella, spero
che anche voi apprezziate. ^^ diciamo che, dopo un capitolo
così intenso è difficile competere,
però, stiamo volgendo verso la fine quindi bisogna
necessariamente chiudere qualche altra questione che è
rimasta in sospeso e se date un'occhiata all'immagine qui sotto,
capirete a chi mi riferisco :) bene, vi lascio al capitolo augurandovi
buona lettura e chiedo ancora scusa per il ritardo. Vi amo tutti e
sappiate che, anche se non ho ancora risposto alle vostre magnifiche
recensioni, le leggo tutte, una per una, e le adoro, perchè
mi danno la forza e mi fanno sentire il vostro affetto, sempre e
comunque, quindi GRAZIE! Ci vediamo Martedì prossimo o,
molto più probabilmente Mercoledì, con il
penultimo capitolo (eh sì ç__ç) vi
faccio sapere meglio sulla mia pagina Fb. Un bacione <3
p.s.
Grazie Dan mio... :*
n.b. Pagina Fb (
Dreamer91)
Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments ) - momentaneamente sospesa,
ma riprenderà appena possibile, promesso!
New
York City.
Ore 10.23 A.M 22 Aprile 2012 (Domenica)
Bellissimo.
Semplicemente
bellissimo. Questa era l'unica parola che mi veniva in mente in quel
momento, mentre osservavo Blaine dormire al mio fianco. Era bellissimo
lui, era bellissimo il calore che il suo corpo irradiava, era
bellissima l'espressione serena che gli disegnava il volto, era
bellissimo trovarsi così vicino dal poterlo toccare e sapere
perfettamente di poterlo fare, perché ormai non dovevo
più farmi scrupoli, perché lui era mio - il mio
ragazzo,
Santo Cielo! - e perché mi amava. Sì... mi amava.
Non era
stato un sogno, lui era reale, il suo corpo nudo steso accanto al mio
lo era, l'intorpidimento che sentivo alle gambe lo era - e per quello
mi ritrovai inconsapevolmente a sorridere ed arrossire - l'amore che
sentivo scaldarmi il petto.. lo era. E poi, non credevo di poter essere
capace di sognare qualcosa in maniera così perfetta,
perché probabilmente neanche nel mondo parallelo dei sogni,
un
momento avrebbe potuto essere così speciale e.. bellissimo,
appunto.
Sospirai estasiato, dando un'occhiata veloce all'orario sul mio
telefono e ridacchiando del fatto che, in tutta la mia vita, non mi
fossi mai trattenuto così tanto e in maniera così
sfacciata a
letto. Mi sarei potuto alzare, come era successo quella volta nel mio
appartamento, e andare a preparare la colazione, anche se a conti fatti
era casa di Blaine e, per quanto fosse ormai parecchio familiare, era
giusto che se ne occupasse lui. E poi... beh, sarei stato uno stupido
ad abbandonare volontariamente un giaciglio tanto comodo e caldo solo
per un bisogno tanto stupido quale la fame. Mi sarei sfamato di amore e
della visione meravigliosa di Blaine. Qualche istante dopo, con un
profondo sospiro sereno, si mosse appena
verso di me, fino ad intrecciare una gamba con la mia e riuscire a
poggiare le labbra sul mio collo, facendomi arrossire.
"Sento il tuo sguardo perforarmi da parte a parte..." un mormorio
leggero mi giunse all'orecchio, facendomi ridacchiare. La sua voce di
prima mattina, assonnata, era a dir poco sublime ed io sentii il mio
stomaco contorcersi piacevolmente
"Credevo di essere stato più discreto." scherzai, affondando
senza pensarci una mano tra i suoi ricci, accarezzandoglieli
"No, non lo sei stato..." rispose divertito, lasciandomi un bacio
leggero sulla spalla che mi fece rabbrividire
"Mi dispiace.."
"Non farlo!" mi bloccò sollevando la testa e puntando i suoi
occhi dorati nei miei, riuscendo a farmi meravigliare per l'ennesima
volta di quanta profondità ci fosse all'interno e di quanto
potessero sembrare caldi e rassicuranti. Un colore... un semplice
colore poteva fare tutto questo.
"Cosa?" domandai ipnotizzato
"Non dispiacertene... per quanto mi riguarda, è stato il
miglior
risveglio di sempre." mi assicurò, con un sorriso dolce che
mi
fece sorridere di conseguenza "Fosse così tutte le mattine."
aggiunse in tono leggero, tornando ad affondare il viso nell'incavo del
mio collo, facendomi il solletico con il respiro
"Che cosa mi stai chiedendo Blaine?" gli domandai divertito, ma con il
cuore che batteva all'impazzata nel petto. Lo sentii ridacchiare ed
accucciarsi maggiormente a me
"Niente... cioè... niente che valga la pena di essere
affrontato
a stomaco vuoto." rispose risollevando la testa e sorridendo ancora,
quella volta visibilmente allegro. In quel momento, vederlo
così
disteso, così tranquillo, così affettuoso e
così
maledettamente bello, mi fece dimenticare tutto, perfino del fatto che
non mi fossi ancora lavato i denti, e mi sporsi verso di lui, per
annullare quella ridicola distanza, e feci mie quelle magnifiche labbra
morbide e sorridenti che, contro ogni aspettativa, risposero
immediatamente al mio tocco, riportandomi con la memoria alla sera
precedente, quando c'erano stati tanti baci passionali, tante carezze,
tanta pelle a contatto - non che in quel momento ce ne fosse poca -
tanta sorpresa... nelle prime due esperienze con lui, avevo seriamente
creduto di aver sperimentato tutto ciò che ci fosse da
sperimentare; quella notte, invece, mi ero reso conto di non avere
neanche idea di quanto ancora potessi prendere ed offrire ad un corpo
come il suo.
Ci staccammo qualche istante dopo, quando entrambi sentimmo la
necessità impellente di respirare, e senza metterci
d'accordo,
ci ritrovammo a sorriderci, visibilmente emozionati e decisamente
troppo coinvolti da quello che era partito come un semplice ed
innocente bacio del buongiorno.
In effetti... anche io
vorrei che tutte le mattine, fosse esattamente così...
In quel momento, proprio mentre mi preparavo per dire qualcosa di
romantico, tipo quanto fosse stato bello fare l'amore con lui la sera
precedente o quanto adorassi la smorfia tenera che metteva su quando
dormiva, accadde qualcosa di... spiacevole: il mio stomaco
urlò
come un indemoniato, riuscendo ad irrompere violentemente in quel
momento tanto splendido, e congelandomi sul posto.
Cazzo...
Ci guardammo per un lungo e silenziosissimo istante, mentre sentivo la
mia faccia riscaldarsi gradualmente e la sua contrarsi appena, in
quella che sembrava decisamente un inizio di risata e un tentativo per
trattenerla
"Non osare..." lo minacciai, puntandogli un indice contro. Lui si
strinse tra i denti un labbro e scosse la testa, ma era evidente che
fosse prossimo all'esplodere
"Blaine!" lo ammonii, perdendo un pò di quella decisione e
iniziando a trovarci perfino io qualcosa di esilarante. Lui si
lasciò
scappare un verso, che mascherò con un colpo di tosse,
portandosi la mano davanti alla bocca e continuando a guardarmi con i
suoi occhi maledettamente divertiti. Così alla fine cedetti,
con un lungo sospiro ed un sorriso
"D'accordo... ho fame, tanta fame... contento?" borbottai, tirandogli
uno schiaffetto giocoso sullo stomaco e lui finalmente si
liberò
dalla costrizione della mano e scoppiò a ridere, con una
meravigliosa ed armonica risata che riuscii a contagiare anche me
"E colazione sia! Ci penso io, tu intanto... rimani pure qui, ti chiamo
quando è pronto!" si allungò per lasciarmi un
altro bacio
leggero sulla bocca e mi sorrise tenero, prima di sollevarsi a sedere e
iniziare a rivestirsi sotto i miei occhi estasiati. Proprio mentre si
infilava i pantaloni, mi venne in mente una cosa
"Ehm.. Blaine?"
"Sì?" fece lui, girandosi verso di me
"Potrei... ecco... approfittare della tua doccia?" domandai leggermente
a disagio, sentendomi arrossire. Lui mi sorrise quasi immediatamente,
in maniera del tutto spontanea
"Ma certo, non c'è neanche bisogno di chiedere! Fai pure con
comodo e... gli asciugamani puliti sono nel mobiletto sotto il
lavandino." mi informò e, prima di sparire in corridoio, mi
rivolse un altro sorriso da stordimento. Sì, ero decisamente
un
caso disperato e difficilmente mi sarei abituato a tutto quello.
Avvolgendomi una coperta addosso, mi rintanai in bagno ed aprii il
miscelatore dell'acqua calda, dando nel frattempo un'occhiata in giro,
in cerca degli asciugamani di cui mi aveva parlato. Qualcosa
però attirò la mia attenzione e, con un
sorrisetto
emozionato, mi permisi uno strappo alle regole, una trasgressione
davvero molto.. trasgressiva e così, dopo essermi dato una
lavata veloce ed aver, accidentalmente, usato un pò del suo
bagnoschiuma - papaia e mango - mi affrettai ad uscire e con un sorriso
estasiato mi avvolsi il suo accappatoio addosso. Ed era esattamente
come avevo immaginato: quella piccola trasgressione era eccitante e
piacevole e sapere di aver addosso la stessa spugna che normalmente
sfiorava il suo corpo, mi faceva stringere lo stomaco.
Tornai in camera, tendendo d'occhio la cucina, dalla quale proveniva il
profumo del caffè, e mi rivestii in fretta e furia, quasi
temessi che da un momento all'altro potesse tornare e potesse
accorgersi di quel piccolo furto fuori programma. Ma alla fine ebbi la
meglio, perché riuscii perfino a rimettere al posto giusto
l'accappatoio rubato e con un sorriso soddisfatto, mi diressi in
cucina, affamato come non mai.
Qui, dove il profumo del caffè si mescolava armonicamente a
quello invitante e delizioso delle frittelle, trovai Blaine, chino
sulla tavola, con un cucchiaino in mano e il barattolo del cacao
nell'altra, concentrato su qualcosa, e con la punta della lingua
stretta tra le labbra. Ma cosa diavolo stava facendo?
"Ehi.." mormorai, per attirare la sua attenzione, ma riuscii soltanto a
spaventarlo, tanto che lo vidi saltare sul posto, lasciandosi scappare
dalle mani il barattolo del cacao che atterrò, per
fortuna, sul tavolo, alzando una piccola nuvoletta scura. Si
portò immediatamente una mano sul petto, chiudendo gli occhi
"Dio Santissimo... stavo per rimanerci secco." borbottò con
un
lungo sospiro. Io, dispiaciuto al massimo, mi avvicinai a lui e gli
strinsi la mano
"Oh, Blaine scusami io..." ma il mio sguardo fu catturato da qualcosa,
qualcosa di piccolo e incredibile che stava sul tavolo, qualcosa che
galleggiava appena sulla superficie del caffè, qualcosa che
mi
fece bloccare il respiro nel petto. Un piccolo cuore color cioccolato
sembrava quasi sorridermi dall'interno della tazza, nonostante la
piccola sbavatura che c'era su un lato ed era... Dio era bellissimo!
"Blaine..." mormorai quasi senza fiato, mentre iniziavo a realizzare
quanto idiota fossi e quanto dolce invece fosse lui. Lo vidi arrossire
leggermente e portarsi una mano sulla nuca, imbarazzato
"Lo so che non è un granché... ma io scrivo
musica...
l'artista tra i due sei tu e poi mi hai fatto spaventare quindi...
è uscito fuori un bel disastro." si scusò allora,
indicando la tazzina. Sollevai lo sguardo su di lui, sorprendendomi di
trovarlo ancora leggermente imbarazzato, ma meraviglioso come sempre.
"Lo hai fatto... per me?" domandai appena e lui annuì
lentamente
accennando un piccolo sorriso intimidito. E quello fu senza dubbio,
ciò che fece scattare in me qualcosa, perché mi
ritrovai
ad avvolgergli le braccia al collo e a stringere forte e ad affondare
il viso tra la spalla e il collo e ad inspirare forte il suo odore
familiare ed avvolgente e... ad amarlo appena un pò di
più.
"É bellissimo... grazie!" gli sussurrai all'orecchio e
subito lo
sentii sorridere e stringere appena un pò di più
la presa
attorno ai miei fianchi di conseguenza. Aveva avuto la stessa idea a
cui avevo pensato anche io, la mattina in cui a casa mia volevo
preparargli la colazione, solo che quella volta David ci aveva
interrotti e quindi il sorriso al gusto di cacao che avevo preparato
con tanta attenzione per lui, ero stato costretto a berlo io, mentre
lui scappava come un ladro dal terrazzo per non farsi scoprire. Quella
mattina tutto era andato storto, e adesso, a distanza di un paio di
settimane.. quel tutto aveva acquistato un senso, quel tutto era
diventato magico, quel tutto eravamo io e lui, senza più
intrusi. E quella volta, al posto di un semplice sorriso, c'era perfino
un cuore che coronava la nostra giornata.
Rimanemmo abbracciati ancora un pò, in mezzo a quella cucina
che
ancora profumava di caffè e frittelle, fino a che il mio
stomaco
non brontolò di nuovo, quella volta in maniera leggermente
più discreta
"Coraggio... sediamoci altrimenti si fredda tutto." mi disse, e mi
lasciò libero, non prima di avermi lasciato un leggero bacio
sulle labbra ed avermi sorriso ancora. Ci sistemammo uno di fronte
all'altro, come la prima volta, e molto serenamente iniziammo a
mangiare - per la gioia del mio stomaco - ed ovviamente, quello che
aveva preparato si rivelò straordinario.
"Se la carriera musicale non dovesse andare bene, puoi sempre buttarti
sulla cucina!" esclamai, infilzando un pezzo di frittella con la
forchetta, e facendolo ridacchiare
"E se... volessi cucinare soltanto per te?" mi sfidò
malizioso,
inarcando un sopracciglio. Risposi alla sua provocazione con un mezzo
sorriso sghembo
"In tal caso... il resto del mondo dovrà fare a meno della
cucina Anderson. A quanto pare è per privilegiati."
ribattei,
servendomi di un altro pezzo di frittella e alla fine, nonostante la
bocca piena, mi unii alle sue risate, che accendevano lentamente la mia
giornata, nella maniera più incredibile ed intensa
possibile.
Finimmo di fare colazione tranquillamente, parlando del più
e
del meno, senza però fare accenni alla sera prima,
né a
quello che ci eravamo detti, tanto che, con una certa nota di
dispiacere annidata nel petto, iniziai a sentirmi seriamente uno
stupido, perché per un momento, in quel letto, avevo davvero
creduto che ci fossimo confessati a vicenda il nostro amore e che
avessimo perfino stabilito di stare insieme, come coppia. E allora
perché, una volta sorto il sole, non ne avevamo
più
parlato? Era semplice imbarazzo oppure semplicemente mi ero immaginato
tutto, come avevo temuto all'inizio, svegliandomi?
"Io devo andare... Rachel mi aspetta e questa volta dico sul serio!"
annunciai, recuperando il cellulare e la giacca dal soggiorno e
girandomi verso di lui, per sorridergli.
"Non è che c'è un'altra sorpresa... magari questa
volta
nel tuo appartamento?" domandò divertito, avvicinandosi
"Purtroppo no." risposi ridacchiando "Adesso si lavora... e si fa sul
serio." e con un sospiro sottolineai quello che mi aspettava, quello
che dovevo fare per il concorso, in poco più di dieci
giorni.
Lui mi raggiunse, mi poggiò una mano sulla guancia, che
accarezzò lentamente, dopodiché mi sorrise
"Ce la farai, Kurt.. ne sono sicuro. Io... ho fiducia in te e sono
certo di non essere l'unico." mi disse con convinzione e tenerezza,
riuscendo a farmi sciogliere, appena un altro pò
"Grazie." risposi ed ero pronto ad abbassare gli occhi ed andarmene,
ancora con quel leggero magone in gola, per aver realizzato di essere
immaginato tutto quanto, quando all'improvviso lui..
"E se questo non dovesse bastare.. ricordati che ti amo... per sempre e
anche oltre." fece con ancora più convinzione e
intensità
e tenerezza. Ed io, che ero davvero un idiota geneticamente modificato,
e che per la seconda volta, mi ero ritrovato a mancare un paio di
respiri per quelle parole, sorrisi, sentendo chiaramente il magone
sparire, dissolversi e lasciare il posto ad una piacevole sensazione di
benessere, come una carezza, che risaliva per tutto il corpo,
riscaldandolo.
L'ha detto ancora.. e
non siamo nel suo letto, non siamo nudi... è reale...
"Ti amo anche io e... per farmelo ricordare, mi sa che dovrai ripeterlo
un pò più spesso da adesso in poi!"
così evito di
pensare di essermelo immaginato, aggiunsi nella mia mente. Lui sorrise
e si sporse per lasciarmi un morbidissimo bacio a fior di labbra
"Molto... molto... molto... volentieri, signor Hummel!" mi
assicurò a pochi centimetri dalle mie labbra, che si
incurvarono
automaticamente in un sorriso.
Mi ama... lui mi ama...
ed io non mi sono immaginato nulla...
Bastò un solo istante per ritrovarci di nuovo legati in un
profondo bacio, in mezzo al salotto, lì dove la fretta e la
paura sembravano essere spartite e dove la voglia di lui si riaccendeva
prepotentemente. E forse, ci saremmo anche lasciati andare alla
passione che bruciava di nuovo tra di noi, se il campanello non avesse
preso a suonare proprio in quel momento, interrompendoci. Lui
scoppiò a ridere di gusto
"Ecco appunto... è appena finito il nostro periodo di
libertà... adesso il mondo torna ad avercela con noi!"
esclamò lanciando un'occhiata verso la porta, dalla quale
provenne un altro suono insistente. Risi anche io di gusto,
approfittandone per infilarmi la giacca
"Non ti lamentare.. stanotte siamo stati fin troppo fortunati."
ribattei, mentre si avviava alla porta per aprirla. Ma prima di farlo,
si girò verso di me e mi rivolse un'occhiata di fuoco, piena
di
malizia e lussuria, che mi fece tremare
"E chi si lamenta." mormorò, per poi sorridermi ed aprire
finalmente la porta. Ad aspettarci dall'altro lato ci fu l'ultima
persona che in assoluto avrei potuto immaginare. Per un momento avevo
creduto che Quinn fosse tornata prima, o che fosse Rachel che reclamava
la mia presenza, o peggio che Sebastian non avesse mantenuto
il patto che
aveva stretto con me il pomeriggio precedente - quando lo avevo
chiamato e minacciato malamente, se si fosse di nuovo presentato a
sorpresa a casa di Blaine. Ma non fu nessuna di queste persone.
Io e Blaine rimanemmo senza parole, fermi a fissare Artie Abrams, con
la sua sedia a rotelle e l'espressione indecifrabile e nessuno dei tre
trovò qualcosa di sensato da dire nei primi due lunghissimi
minuti. Io l'unica cosa che riuscii a notare, fu l'occhiata sospetta
che Abrams mi lanciò, forse sorpreso dal fatto di trovarmi a
casa di Blaine, ma non commentò, né diede segni
evidenti
di esserne infastidito.
Ci mancherebbe... rischierebbe davvero il linciaggio questa volta...
"E tu che diavolo vuoi?" domandò Blaine confuso, senza
soffermarsi sulla forma né tanto meno sull'educazione. Quel
tizio ce ne aveva dette di tutti i colori l'ultima volta, quindi ora
Blaine aveva il Sacrosanto diritto di trattarlo in quel modo. Anzi, io
avrei senza dubbio fatto di peggio.
"Parlare con te, se fosse possibile!" rispose pratico, con le mani
unite in grembo e un sopracciglio alzato. Intuii immediatamente che
marcare il tono su quel 'con te' fosse un'allusione al fatto che io
lì, fossi
di troppo. Se non avessi avuto da fare, per principio sarei rimasto,
solo per la soddisfazione di fargli un torto. Ma avevo un lavoro
urgente da portare avanti e non avevo intenzione di perdere tempo
dietro quell'idiota cinico e mentalmente disturbato.
"Parlare di cosa? Io e te non abbiamo niente da dirci, mi pare.." fece
Blaine scettico, rispondendo esattamente come anche io avrei fatto, se
fossi stato al posto suo. Artie non si scompose minimamente, anzi, si
girò nuovamente a guardarmi e quegli occhietti azzurri,
nascosti
in parte dalla spessa montatura, per un momento mi misero in
soggezione. E per la seconda volta da quando avevo avuto il dispiacere
di conoscerlo personalmente, mi ritrovai a chiedermi come potesse uno
così, provocare tutto quello.
"Io non ne sarei così sicuro se fossi in te. Ti assicuro che
quello che ho da dirti è importante e... vorrei da te la
massima
attenzione.. oltre che un pò di tranquillità!" e
nel dirlo mi
lanciò un'altra occhiata.
Cazzone di un Abrams.. quello è il mio ragazzo, guai a te...
"Io tanto stavo andando via.. vi lascio da soli!" esclamai, rivolto
più che altro a Blaine, cercando il suo sguardo, che per
fortuna
ritrovai qualche istante dopo. Mi sorrise con la sua solita disarmante
dolcezza, dopodiché, mentre io mi avvicinavo per uscire
dalla
porta e Artie indietreggiava con la sua sedia per farmi passare, Blaine
mi afferrò un polso e mi attirò a sé,
fino a fare
scontrare le nostre labbra, per un breve ma morbidissimo bacio. In un
primo momento non mi resi neanche conto di quello che successe,
perché fu davvero troppo veloce e inaspettato. Poi
però,
ci pensarono gli occhi di Blaine a riportarmi alla realtà e
riuscii a realizzare tutto: Blaine mi aveva baciato, sulla porta del
suo appartamento, un bacio per salutarmi visto che stavo andando via,
un bacio che sapeva ancora di tante cose successe e di tante altre che
speravamo succedessero ancora. Ma soprattutto fu un bacio dato davanti
ad un pubblico, e maledizione.. Abrams già ci odiava, poi
dopo
quella provocazione, saremmo entrati di diritto nella sua lista nera.
Oh al diavolo... io amo quest'uomo, e ho bisogno di gridarlo ai sette
venti, incluso questo scorbutico di Artie Abrams...
"Ci vediamo dopo... buon lavoro. Salutami Rachel!" mi disse a
pochissimi centimetri di distanza, mentre io già assaporavo
mentalmente la possibilità di sporgermi di nuovo verso di
lui
per baciarlo ancora, perché lo volevo troppo,
perché mi
piaceva da impazzire. Ma mi trattenni
"Grazie... a dopo." risposi, leggermente intontito, con un piccolo
sorriso scemo sul volto. Mi staccai da lui, lanciando un'occhiata ad
Artie prima di superarlo ed imboccare le scale: aveva la testa
abbassata, ma nessun tipo di smorfia contraeva il suo viso, sembrava
più che altro qualcuno che, per discrezione, aveva preferito
abbassare gli occhi e concedere un momento di privacy. In un certo
senso, gliene fui grato, per quanto strano potesse sembrare, ma mi
passò subito, non appena lui rialzò gli occhi e
li
puntò nei miei, congelandomi.
Ribadisco... sei un cazzone...
Senza dire altro, scesi al piano inferiore e una volta davanti la porta
di Rachel bussai. Sentii un paio di guaiti di Cooper giungere da dietro
il legno e la voce delicata di Lea gridare qualcosa come "Aspetta,
manca ancora lo smalto!". La porta si aprì un istante dopo,
per mano della mia amica sorridente e dall'aspetto fresco e riposato
"Buongiorno bel ragazzo!" mi salutò pimpante
"Buongiorno a te, splendore!" risposi rivolgendole un sorriso della
stessa natura. Qualcosa mi diceva che entrambi avevamo qualcosa di cui
essere felici. Si fece da parte per farmi passare ed io raggiunsi il
salotto dove Lea, seduta in un angolo, tra pupazzi e costruzioni, stava
spazzolando il povero Cooper, con il pettine delle sue bamboline. Lui
se ne stava scompostamente seduto, e sbatteva freneticamente la coda,
gli occhi leggermente spalancati e non appena mi vide mi venne
incontro, quasi avesse appena trovato una ciotola extra di croccantini.
"Ehilà, Coop... hai fatto il bravo?" domandai, mentre lui
saltellava in cerchio, continuando ad abbaiare
"É stato un angelo.. non so come abbia fatto a sopportare
tutto
quello che Lea è riuscita a fargli. É una specie
di
cane-eroe per quanto mi riguarda!" rispose Rachel ridacchiando. Bene,
Blaine sarebbe stato fiero di lui. Tutto sommato, nonostante qualche
divergenza avuta con i mobili e qualche brutta figura con i passanti,
quel cane era decisamente molto educato, pur essendo ancora
così
piccolo. Lea, tutta sorridente, si alzò a sua volta e mi
corse
incontro, abbracciandomi le gambe
"Zio Kurt! Che bello che sei venuto!" urlò entusiasta,
facendomi sorridere
"Avevo bisogno di vedere la mia principessa, perché mi
mancava
tanto.. e così... eccomi qui." le dissi, tirandola su, in
braccio e lei sorrise emozionata
"Cooper può stare un altro pò qui, vero?"
domandò
all'improvviso, sporgendo il labbro inferiore e facendosi implorante
Questo l'ha preso da sua madre...
"Per il momento sì, ma prima di pranzo devo riportarlo a
casa
sua. Anche se non lo ammetterà neanche sotto tortura.. a
Blaine
manca tanto!" le dissi divertito, facendo ridacchiare sia lei che la
madre, e perfino Cooper abbaiò, quasi volesse specificare
che
anche lui sentisse la mancanza del padrone. Misi la bambina per terra e lei subito
tornò a dedicarsi alla toilettatura del cane, mentre io
seguii Rachel in cucina, dove in un angolo, facevano bella mostra di
sé, i tessuti che avevo scelto di usare. Ed erano belli,
esattamente come li avevo visti la prima volta, esattamente come avevo
voluto che fossero. E il colore era... fottutamente perfetto.
"E dunque... aver scaricato qui il cane... è valso a
qualcosa?"
domandò lei, quando fummo finalmente da soli e lontani dalle
orecchie innocenti della figlia. Io mi ritrovai ad arrossire ma la
stretta piacevole che avvertii allo stomaco, mi fece sorridere
emozionato. Lei mi guardò attentamente, per poi sorridere a
sua
volta
"Dalla tua espressione inebetita... direi di sì..." e
batté più volte le mani, entusiasta. Mi
abbandonai su una
sedia, con un lungo sospiro estasiato, mentre l'immagine del corpo di
Blaine, così nudo e caldo, mi faceva ancora provare i
crampi.
Era un ricordo vivido e reale e soprattutto sapere di non dover
più sperare in un colpo di fortuna per poterlo avere -
perché ormai lui era mio e noi stavamo insieme - mi faceva
sentire stranamente elettrico.
Inebetito, appunto...
"Rachel è stato... indescrivibile... emozionante e..."
lasciai
che fu l'ennesimo sospiro a parlare per me, e lei ridacchiò
in
risposta
"Inutile dire che anche questa volta voglio tutti i dettagli!"
esclamò, sollevando un sopracciglio maliziosa
"Stai pensando di mettere in scena un cortometraggio sul porno gay, per
caso?" le chiesi divertito
"Può darsi.." mormorò poggiandosi con i gomiti
sul tavolo
e sporgendosi verso di me. Scossi la testa, ancora con quel sorriso
elettrizzato sul volto e pensai che probabilmente non sarei mai
riuscito a spiegare cosa avessi provato esattamente durante quella
notte. Mi sarei sentito un idiota a dire per la terza volta quanto
fosse stato magico e bellissimo, nonostante in effetti lo fosse stato
davvero,
in una maniera che davvero avrei faticato a credere. Avevo imparato a
fidarmi di Blaine e anche quella notte avevo avuto ragione di farlo.
"Io credo che sarai più contenta di sapere cosa è
successo... dopo.." mormorai con un'espressione eloquente. Lei si
accigliò
"Oddio no!" esclamò subito, alzando una mano e mettendosela
davanti alla faccia "Questa cosa fa tanto
déjà-vu... e
non mi piace. Se c'entra ancora David o qualche altro fidanzato
risalito dall'oltretomba... ti prego, non lo voglio sapere!" e scosse
con forza la testa. Mi limitai a sorridere ancora, senza dire altro se
non
"Ha detto che mi ama!" esclamai poggiando il mento sul palmo della mano
e sospirando ancora.
Se mi avessero dato un dollaro per ogni sospiro che mi è
uscito dalla bocca
da quando conosco Blaine.. a quest'ora sarei già
miliardario...
"Oh!" la sua bocca si chiuse in un piccolo cerchio perfetto e rimase in
quella posizione per un tempo quasi incredibile
"Già... oh..." mormorai, neanche a dirlo, sospirando. Contai
esattamente tredici secondi prima che un urlo disumano uscisse dalla
bocca della mia amica, tanto che dovetti coprirmi le orecchie per non
rimanerne stordito.
"Mamma? Che succede? Devo chiamare il 911?" gridò Lea dal
salotto, allarmandosi
"No, tesoro... è tutto ok.. tua madre è solo
uscita di
senno." risposi io, visto che la mia amica era ancora visibilmente
sotto shock
"Ed è una cosa grave? Si può ricomprare questo
seno?"
gridò ancora, mentre Cooper abbaiava in contemporanea.
Il seno... certo...
"Ehm... penso di sì!" risposi ridacchiando e raggiunsi la
mia
amica dall'altro lato del tavolo per poi spingerla verso il basso e
farla finalmente sedere, altrimenti avrebbe rischiato il collasso da un
momento all'altro.
Guarda quanti danni che
fai Blaine Anderson...
"Tu... lui... ha... oh Santa Misericordia... non ci credo!"
mormorò, allibita, fissando il tavolo davanti a lei
"Rachel.. vuoi che ti prenda un bicchiere d'acqua?" le domandai
divertito da tanta incredulità, ma allo stesso tempo anche
leggermente preoccupato. Se avessi fatto del male, anche
involontariamente, a sua madre, la piccola Lea non me lo avrebbe mai
perdonato.
"Sì, per favore!" riuscì a rispondere, annuendo
appena ed
io corsi al lavandino per riempirgliene uno, per poi passarglielo. Lo
bevve tutto d'un fiato e poi si lasciò andare ad un lungo
sospiro. Si preannunciava una lunga discussione e senza ombra di
dubbio, sarebbero serviti altri bicchieri d'acqua - e anche qualcuno di
whisky - e forse perfino una chiamata al 911.
New
York City. Ore 11.15 A.M. 22 Aprile 2012 (Domenica)
Avere Artie Abrams sulla porta di casa si era rivelato molto
più
seccante di quanto avessi mai potuto pensare. Io per natura era sempre
stato un tipo molto pacifico, tendevo sempre a risolvere i conflitti
con gli altri, perché non mi piaceva lasciare le questioni
in
sospeso, perché non amavo portare rancore, perché
la vita
era davvero troppo breve per passarla a litigare. Eppure, qualcosa mi
impediva di addolcire il tiro con lui, forse semplicemente il ricordo
del nostro primo ed ultimo incontro o forse il fatto che, da quando
avevo aperto la porta, non avesse smesso un solo istante di guardare
male il mio ragazzo, e questo non andava affatto bene.
Così, anche dopo che Kurt era andato via, lasciandoci soli,
avevo continuato a squadrarlo con sospetto e non mi preoccupai neanche
di
trovare una sola piccola ragione per provare ad essere più
gentile e magari indovinare il motivo della sua visita inaspettata. Non
mi interessava, minimamente.
"Non mi fai neanche entrare?" mi domandò sollevando un
sopracciglio, quasi offeso
"Qualsiasi cosa tu debba dirmi, puoi farlo anche rimanendo sullo
zerbino. Non voglio in casa mia chi mi da dell'alcolizzato o del
viziato figlio di papà!" risposi con un mezzo sorriso
sarcastico, stringendo le braccia al petto e chiudendo così
ogni
possibilità per migliorare il nostro rapporto. Sempre che
rapporto potesse chiamarsi. Lui sospirò, annuendo appena
"Immagino di essermela cercata." mormorò, mettendo su una
smorfia "Ma confido che la tua maturità possa aiutarti a
mettere
da parte i nostri dissapori, affinché tu riesca ad ascoltare
quello che ho da dirti fino alla fine." disse molto pratico e fin
troppo elaborato. Da dove diavolo veniva fuori un tipo così?
Neanche nei documentari di Discovery Channel parlavano in quel modo.
Forse passare troppo tempo a casa da solo, gli aveva compromesso per
sempre alcune delle facoltà vitali
"Posso provarci.. ma non ti assicuro niente." borbottai facendo
schioccare la lingua e al diavolo se fosse o meno maleducato; quel tipo
mi dava sui nervi, fine della questione.
"Dunque... verrò subito al punto: venerdì
pomeriggio, per
caso, ti ho sentito cantare e suonare la chitarra... eri sul terrazzo
credo, perché la musica e la tua voce mi sono arrivati
distintamente perfino al primo piano e non mi ci è voluto
molto
per capire che fossi tu. D'altronde William era a lavoro, Kurt in tanti
anni che abita qui non l'ho mai sentito cantare né suonare e
Finn... beh dubito che quel bietolone imbottito di grasso possa anche
comprendere una cosa tanto tecnica come la musica. Quindi... puoi
essere stato soltanto tu." e mi indicò, visibilmente
soddisfatto
dal suo ragionamento. Mi ritrovai a sollevare un sopracciglio
perché davvero.. non ricordavo neppure di essermi messo a
suonare sul terrazzo in quei giorni - dato che ormai suonavo in ogni
angolo della casa, praticamente ad ogni ora del giorno e anche della
notte - e mi sconvolgeva non poco
pensare che quell'idiota si fosse scomodato a salire fino al quarto
piano per potermi rimproverare, forse per avergli disturbato il lungo
letargo. Era... insensato.
"E cosa vorresti adesso? Che ti chieda scusa per il rumore? Vuoi che ti
prometta di non farlo più?" lo aggredii infastidito,
chiedendomi
quanto ancora potessi sopportare quel tipo, prima di sbattergli la
porta in faccia. Lui inaspettatamente scosse la testa, spiazzandomi
"No... in realtà... sono venuto a chiederti esattamente il
contrario!" rispose e, miracolosamente, fece qualcosa che non mi sarei
mai aspettato: sorrise. Artie Abrams, lo scorbutico ed insulso essere
che abitava - probabilmente in maniera abusiva - tutto il primo piano,
e che mi aveva dato dell'alcolizzato... mi aveva appena sorriso. Sto sognando... o forse
Abrams ha ragione... sono un alcolizzato e non me ne sono neanche reso
conto...
"Non capisco." feci allora, sinceramente confuso, abbandonando per un
istante la mia posa accigliata e scontrosa e forse lasciandomi appena
incantare da quel sorriso che, a dirla tutta, non sembrava neanche
più così cattivo. Sembrava sincero. Lui
annuì
lentamente per poi cercare qualcosa nella tasca dei pantaloni e infine
porgermi un biglietto, all'apparenza completamente bianco.
"Prendilo... magari spiegandoti finalmente chi io sia in
realtà,
riuscirai a capire qualcosa in più!" mi disse ed io, anche
se
con un leggero timore - non seppi dovuto a cosa nello specifico -
afferrai il biglietto
e me lo rigirai tra le mani, prima di venirne attirato dalla scritta
nera ed elegante che spiccava su un lato
- Omnia Records, casa
discografica.
di Abrams & Motta
38761, 17th Avenue,
Manhattan. NYC -
Non seppi di preciso cosa accadde nel mio stomaco o nel mio cervello in
quel momento, forse il panico più totale, forse il caos o
forse
semplicemente.. nulla.
Fu come vedere calare un velo nero davanti agli
occhi e contemporaneamente sentire la terra muoversi improvvisamente,
senza riuscire a capirci nulla. Avevo solo dei frammenti nella mia
testa. C'era un Omnia... un Records... un Abrams e un Motta vicini.. a
New York... e soprattutto c'era una casa discografica. E Artie mi aveva
sentito cantare. Casa
Discografica. E aveva detto che non era venuto a
parlarmi per farmi smettere. Casa
Discografica. E mi aveva dato un
biglietto. Casa
discografica. Un biglietto da visita di una... casa
discografica.
Ma porca la miseria...
"E dunque... pensi che adesso mi sia guadagnato il permesso per entrare
a casa tua?"
New
York City. Ore 07.23 P.M. 22 Aprile 2012 (Domenica)
"Allora?" chiesi agitato, non riuscendo più a trattenermi e
neanche a stare fermo sulla sedia. Gli occhi verdi del mio amico si
sollevarono seccati dal fascicolo che teneva tra le mani e mi
fulminarono
"Vuoi darmi almeno il tempo di leggere?" borbottò infastidito
"Uh.. sì scusa." e abbassai la testa, arrossendo appena. Ero
in ansia, terribilmente, come forse non lo ero mai stato. Sentivo un
groppo in gola spingere tanto forte da fare male e, cosa più
importante, l'adrenalina scorrermi a fiumi nelle vene, senza controllo,
in maniera frenetica e disordinata. Da quando Abrams aveva lasciato il
mio appartamento, dopo avermi spiegato in maniera lenta e dettagliata
cosa volesse da me ed avermi chiesto di parlargli della mia carriera
musicale - e si era sorpreso non poco, sentendo che, a parte essere
stato il leader di un gruppo canoro al liceo, non avessi fatto altro -
ero diventato una specie di uragano in formato umano. Avevo lasciato di
corsa il mio appartamento, stringendo tra le mani un facsimile di
contratto che Artie mi aveva fatto vedere, ed ero sceso al piano
inferiore, attaccandomi con foga al campanello di Rachel. Era stata Lea
ad aprire e quasi l'avevo travolta, entrando di fretta e furia
nell'appartamento. Avevo trovato Rachel e Kurt in cucina, intenti ad
esaminare i modelli ai quali lui stava lavorando per il concorso e
subito dopo aver intrecciato i miei occhi a quelli allarmati di
Kurt, avevo esclamato a gran voce
"Kurt.. Abrams è un discografico... e vuole.. ingaggiarmi,
per una cifra che non ho neanche mai visto nei miei sogni
più fantasiosi!" e lui aveva sgranato gli occhi, forse
credendomi pazzo. Poco dopo mi aveva fatto sedere, mi aveva tolto
dolcemente il fascicolo dalle mani e mi aveva chiesto di spiegare tutto
con calma, partendo dall'inizio. Ed io dopo un lungo sospiro lo avevo
fatto, solo che l'emozione mi aveva fatto balbettare spesso, mi aveva
fatto gesticolare come un idiota e non ero riuscito a schiodare neanche
per un istante gli occhi da quelli di Kurt, che lentamente si
ingrandivano e si coloravano di una strana luce. Era stato decisamente
bello vederlo mutare davanti ai miei stessi occhi, osservare ogni
cambiamento e poi sorridere insieme, quasi nello stesso istante, quasi
fossimo arrivati a formulare lo stesso pensiero.
Non ci credo... non
può essere vero...
E dopo essersi alzato ed avermi abbracciato nella maniera
più dolce e inaspettata - tipica di Kurt Hummel - mi aveva
consigliato di chiamare Sebastian e di chiedergli una consulenza, dato
che comunque era pur sempre un avvocato. Ed io così avevo
fatto, anche se con le mani ancora tremanti, gli avevo mandato un
messaggio e gli avevo chiesto di raggiungermi al pub quella sera
perché avevo una cosa urgente da dirgli. Lui, con la sua
solita ironia del cazzo, mi aveva risposto chiedendomi se non si
trattasse ancora dell'astinenza forzata ed io, anche se ancora
leggermente brillo per via dell'euforia, gli avevo scritto
semplicemente un vaffanculo, a lettere cubitali.
Fortunatamente, quella parola scarsamente gentile, non gli aveva
impedito di raggiungermi ed in quel momento ci trovavamo tutti e
quattro - lui, Daniel, Kurt ed io, o almeno quel poco di me che
rimaneva ancora intatto - seduti ad un tavolino del pub e Sebastian
stava leggendo attentamente la bozza che gli avevo consegnato, dopo una
breve spiegazione, che aveva lasciato sia lui che il suo fidanzato,
letteralmente a bocca aperta. Ed io ero in ansia, maledettamente in
ansia e più lui leggeva, più si accigliava,
più sospirava, più io mi agitavo, più
diventavo irrequieto.
Ad un tratto, proprio mentre mi muovevo per l'ennesima volta sulla mia
sedia, sentii qualcosa di caldo avvolgermi la mano e stringere forte,
quasi fosse una coperta. Mi girai verso Kurt che era seduto al mio
fianco e dal suo sorriso buono capii che lui c'era, era lì
con me e che, qualsiasi cosa avesse detto Sebastian alla fine della
lettura, lui sarebbe ugualmente rimasto. Per questo sospirai,
imponendomi la calma, ed avvertendo immediatamente una sensazione di
quiete invadermi il petto, nonostante le mie gambe proprio non
volessero saperne di stare ferme e nonostante il mio amico continuasse
a sospirare, senza dire nulla.
Cazzo, Bastian...
così però mi uccidi...
Dopo una mezza eternità, finalmente Sebastian
alzò gli occhi e li puntò nei miei e
lì avvertii un fremito di paura corrermi lungo tutta la
schiena, che si raddrizzò di conseguenza. Forse i miei sogni
di gloria sarebbero nati e morti nella stessa giornata, forse mi ero
illuso ancora una volta troppo presto, forse quell'adrenalina era
ingiustificata, forse ero un coglione e sperare così tanto,
così in grande, non faceva per me, forse sarei dovuto
tornare con i piedi per terra e avrei dovuto continuare a vivere di
musica nel mio piccolo mondo, lì in quel pub. Forse...
"Vuoi sapere il verdetto del Bas amico, oppure quello di Sebastian
Smythe l'avvocato?" mi chiese poggiando i fogli sul tavolo ed
incrociando le braccia al petto. Deglutii a disagio, stringendo
automaticamente la mano intorno a quella di Kurt, probabilmente
stritolandogliela. Ero ad un fottuto bivio e si trattava soltanto di
scegliere.
"Quella dell'avvocato..." mormorai d'istinto "E... anche quella
dell'amico." un microscopico sorriso si affacciò sulle sue
labbra, ma fu un attimo e tornò ad essere imperturbabile
come sempre. Si schiarì la voce ed iniziò
"Dunque... l'avvocato ti dice che... tecnicamente non c'è
niente da contestare, fatta eccezione per una o due postille, che
possono essere facilmente adeguate dopo aver discusso con questo Signor
Abrams. É uno che sa il fatto suo, preparato e soprattutto
molto scrupoloso. Non lascia niente al caso e sembra anche ben
disposto ad investire personalmente con i contratti che fa firmare e
questo è un punto a tuo favore, perché significa
che, se dovesse andare male, non sarai tu a rimetterci."
spiegò con calma e precisione, tipica del suo charme da
legale. Avvertii il cuore fare una giravolta nel petto e riprendere a
battere quasi furioso qualche istante dopo.
"E... l'amico? Lui cosa.. dice?" chiesi timoroso con un filo di voce,
proprio perché era il giudizio del mio migliore amico a
spaventarmi di più, non tanto quello professionale
dell'avvocato. Lui rimase per qualche interminabile secondo a fissarmi
senza aprire bocca, semplicemente continuando a respirare e forse
ignorando che, più tempo passava, più le
probabilità di vedermi morto sarebbero aumentate. Poi alla
fine, quasi la sua voce venisse da lontano, parlò
"L'amico ti dice che.. se non firmi immediatamente questo contatto, sei
un vero coglione!" e mi sorrise, con disarmante sincerità,
facendomi sussultare, ma sospirai di sollievo un istante dopo. E
l'istante dopo ancora, sorrisi, sorrisi perché mi ero appena
tolto un peso enorme dallo stomaco, sorrisi perché forse non
era un sogno, sorrisi perché era tutto un pò
più reale e un discografico aveva davvero bussato alla mia
porta per propormi un ingaggio, esattamente come nelle mie migliori
fantasie, sorrisi perché... cazzo.. un contratto...
discografico... per me.
D'istinto strinsi appena un pò di più la mano di
Kurt, quasi volessi fargli capire come mi sentissi in quel momento, e
lui in risposta strinse la mia, e contemporaneamente trovò
perfino la forza per accarezzarmi il dorso con le dita dell'altra mano,
lentamente, facendomi venire i brividi. Lui c'era ancora. Era ancora
lì con me.
Ti prego... non andare
via... non trasformarti in una farfalla.. non volare lontano
lasciandomi solo.. non farlo...
"E quindi... credi che io debba..." iniziai esitante, non riuscendo a
trattenere un altro sorriso elettrizzato
"Firmare, sì! Se la cosa può farti stare
più tranquillo, quando dovrai tornare da lui per parlarne,
posso accompagnarti in veste di tuo avvocato e magari assisterti... a
titolo gratuito si intende. Ti presenterò la parcella solo
se e quando diventerai famoso!" e mi strizzò l'occhio,
facendomi ridacchiare. Famoso.
Che bella parola. Sembrava quasi.. aliena. Eppure, da quello che Abrams
mi aveva detto, era quella la sua intenzione, farmi diventare.. famoso.
Far sì che, prima New York, poi gli Stati Uniti e infine il
mondo, conoscesse la mia voce, perché a detta sua era
davvero sprecata, utilizzata semplicemente sul terrazzo di una
palazzina di Manhattan. Per lui avrei dovuto scalare le vette delle
classifiche e dare uno smacco a tutti quei cantanti da quattro soldi
che, pur non sapendo né cantare né tanto meno
tenere in mano una chitarra, chissà per quale motivo, in un
mese riuscivano a vendere più di quanto John Lennon avesse
fatto in tutta la sua carriera. Lui sembrava convinto, entusiasta nel
suo modo bizzarro di esternare le emozioni e per un momento, mettendo
da parte l'idea che mi ero fatto di lui, del ragazzo scorbutico e
maleducato, ero riuscito ad intravedere una bella persona, dopotutto.
Ma non soltanto perché mi aveva appena proposto un
contratto con una cifra da parecchi zeri, si trattava più
che altro di qualcosa che, su due piedi non ero riuscito a decifrare -
vuoi per l'euforia, vuoi per la sorpresa, vuoi soprattutto per la
voglia di dirlo a Kurt - ma che in un certo senso, mi faceva intuire
che, dietro quella faccia da ragazzo cattivo, si nascondesse
qualcos'altro di decisamente più profondo.
"E sia, allora!" decretai con la voce tremante, lanciando un'occhiata a
Kurt che mi sorrise, emozionato "Firmerò... e che Dio me la
mandi buona!" e per scaramanzia, incrociai le dita e sorrisi, ancora
euforico. Dubitavo che quella sera sarei riuscito a salire sul palco
per cantare. Troppa adrenalina, troppo da scaricare. Magari se fosse
venuta Santana mi sarei fatto sostituire da lei - visto che girava voce
fosse davvero brava, o almeno.. Brittany lo diceva - ma avevo altro per
la testa in quel momento per preoccuparmi del pub. Avevo un contratto..
che, nonostante fosse ancora una bozza, rappresentava ugualmente una
specie di traguardo ambito, uno di quei trofei bellissimi ma
irraggiungibili che diventano quasi mitici nella loro perfezione. Ti
è concesso solo guardare da lontano, senza toccare,
perché magari, allungando una mano e sperando di poterlo
raggiungere, succede sempre qualcosa che, puntualmente ti fa perdere
tutto, perfino la speranza. Ed io, che la speranza, nonostante tutto,
ero riuscito a conservarla, ce l'avevo fatta... o meglio.. potevo
farcela. Magari con un pò di sforzo, con un
pò di aiuto, con un pò di fortuna. Con Kurt al
mio fianco, senza dubbio, sarei riuscito a fare qualunque cosa. Anche
firmare un contratto discografico per Artie Abrams. Anche allungare la
mia mano e toccare finalmente il mio bellissimo sogno, ormai fatto
reale e concreto.
*D'accordo...
firmo! Ci vediamo domani per discuterne. Blaine*
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Capitolo 41 *** Quando è impossibile svegliarsi ***
Buona
sera miei adorati puffolotti amorosi (eh? XD) eccomi quim dopo
praticamente un'attesa infinita a pubblicare.. dunque, da premettere
che sto tipo piangendo perché è il penultimo
capitolo e le emozioni qui sono talmente tante che non riesco quasi
più a spiegarle: ci avviamo verso la conclusione, manca
davvero pochissimo e in questo capitolo ci saranno parecchie cose
interessanti: Blaine, Kurt, il loro futuro e un pò quello
che avevo in mente fin dall'inizio ancora prima di scrivere il primo
capitolo. Fa strano ora vedere nero su bianco l'idea principale che
avevo avuto quel fatidico giorno in cui ho deciso di intraprendere
questa avventura ma... no niente.. piango troppo oggi e dovrei
smetterla ç___ç bene, passiamo alle note dolenti:
a stento, come ben sapete sono riuscita a scrivere questo capitolo e
purtroppo il 20 ho un esame, dunque non posso permettermi di togliere
del tempo allo studio, dato che vorrei farmi un regalo per Natale e
passarlo ^^ per questo sono costretta ad eliminare l'aggiornamento la
prossima settimana e rimandarlo alla settimana di Natale: io spero di
riuscire a scriverlo per il 24, magari facendovi un regalino, speriamo
bene. Perdonatemi (lo so, sono ripetitiva!) ma non so come altro fare.
Intanto godetevi il capitolo che io torno a studiare
ç___ç (e devo smetterla di piangere!) buona
lettura.. ci vediamo dopo il 20 Dicembre. Vi amo, e amo le vostre
recensioni meravigliose, una per una! <3
n.b. Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
New
York City.
Ore 03.12 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)
Riuscire ad
incidere
qualcosa scritta da me, qualcuna di quelle canzoni composte e musicate
dalle mie mani e la mia testa, era sempre stato il mio sogno
più
grande, fin da quando mi riempivo la testa di gel, cantavo come leader
degli Usignoli alla Dalton Academy ed ero un ragazzino alto appena un
metro e settanta con la testa sempre tra le nuvole ed un migliore amico
che tutto sembrava, fuorché un migliore amico. Da allora
erano
passati degli anni, avevo cambiato Stato e città, avevo
buttato
i flaconi di gel per capelli - preferendo i miei ricci spettinati alla
possibilità di diventare calvo prima dei trent'anni - e non
ero
più il leader di niente. In compenso, avevo ancora un
migliore
amico diversamente affettuoso e... sì, insomma, ero alto
sempre
un metro e settanta. Però un paio di cose nella mia vita
erano
cambiate seriamente: ero finalmente andato a vivere da solo, dato che,
dopo
essermi trasferito a New York, avevo iniziato quell'esperienza al
fianco di Sebastian, invece ora possedevo un appartamento
tutto mio, mi
occupavo da solo dell'affitto e della spesa, facevo lavatrici - i
colorati con i colorati, i bianchi con i bianchi e i neri... erano
colorati no? - toglievo la polvere e pagavo le bollette, come tutti i
ragazzi maturi di venticinque anni. Mia madre mi aveva perfino detto di
essere orgogliosa di me e forse l'ultima volta in cui me l'aveva detto
era stato quando avevo sei anni e le avevo portato a casa un foglio con
su scritto il mio nome, tutto storto e con un'acca messa,
chissà
per quale motivo tra la a e la i. Ma lei era orgogliosa di me anche
ora, per quello che avevo fatto e stavo facendo, e sotto sotto anche
per il fatto che non abitassi più sotto lo stesso tetto di
quel
decerebrato di Sebastian. Anche a lei non era mai stato particolarmente
simpatico.
La seconda cosa ad essere cambiata era la mia vita sentimentale: o
meglio... fino ad allora non potevo dire di averne mai avuta una. A
parte una piccolissima parentesi - chiusa malissimo, tra l'altro - con
Jeremiah, nessuno aveva mai dimostrato interesse verso di me a tal
punto da rendermi felice di avere un ragazzo da presentare ai miei
genitori e a mio fratello, perché nessuno era mai stato
capace
di rubarmi il cuore. Almeno, fino a quel momento.
Kurt. Kurt
era diventato il
mio tutto in poco più di un mese. Era diventato il centro
del
mio universo, il mio campo gravitazionale, il mio Nord, la mia bolla di
ossigeno, la mia quotidianità e la mia migliore conquista in
assoluto. E ogni giorno speso al suo fianco mi riempiva di convinzione:
lui era il ragazzo perfetto, perfetto per me, per il mio mondo e il mio
futuro e quello che noi avevamo era quanto di più bello la
vita
potesse offrirmi. E forse ne era valsa la pena soffrire un
pò
in passato, aver pensato che nessuno potesse meritare il mio amore e il
mio tempo, perché se fossi stato un pò
più
ottimista, se mi fossi lasciato un pò più andare,
probabilmente non mi sarei innamorato così tanto di lui, non
avrei messo tutta la mia vita nelle sue mani, né avrei mai
pensato di potermi sentire così un giorno. Era tutto
scritto, in
un certo senso. Kurt era il mio destino ed io speravo di essere il suo
in un certo senso anche se, mi rendevo conto di non essere alla sua
altezza, ma nel mio piccolo speravo di farlo felice e di continuare a
farlo per sempre... e anche oltre.
"É davvero incredibile quello che riesci a fare con uno
strumento tra le mani e un pò di immaginazione!" una voce si
materializzò dietro di me e, pur sapendo perfettamente chi
fosse,
perché ormai avevo imparato a riconoscere anche la sua, mi
girai
verso di lui, abbandonando la melodia senza senso né titolo
che
stavo suonando al piano
"Ti ringrazio." mormorai un pò imbarazzato, mentre Artie
avanzava con la sua sedia a rotelle. Mi accorsi quasi
subito che sulle gambe reggeva qualcosa di familiare e per questo mi
ritrovai a trattenere il fiato e a deglutire, corroso dall'attesa
"E... allora?" domandai, lanciandogli un'occhiata speranzosa,
incrociando involontariamente due dita dietro la schiena. Lui si
fermò accanto a me, fece un profondo respiro
dopodiché
incrociò le mani in grembo, come faceva spesso
"E allora... ho ascoltato il tuo primo demo, con molta attenzione, devo
dirlo.. e.." ma si bloccò, forse credendo che, con un
pò
di suspance, fosse più apprezzato. Ma questo succedeva solo
nei
film, nella vita reale io non ero affatto un ragazzo paziente e lui
doveva decidersi a darmi una risposta, prima di farmi morire.
"Artie!" lo ammonii, agitandomi sullo sgabello "Se non ti piace, posso
rifarlo.. giuro, questa volta mi impegnerò il doppio, e
prometto
di non deluderti!" esclamai con una leggera nota di disperazione nella
voce. La mia prima occasione.. non volevo buttarla nel cesso solo per
un demo venuto male. Non potevo farlo.
"Non serve." disse lui scuotendo la testa, rimanendo imperturbabile. Ma
dannazione... perché quel ragazzo era così..
asettico?
Come potevo capire se fosse contento oppure deluso, se la sua
espressione non mutava di una virgola? Era abituato a comportarsi
sempre così con tutti? Oppure con me si divertiva in
particolar
modo? Alla fine, proprio quando iniziavo a non capirci più
niente, lui afferrò il cd con il mio demo e lo
posò con
molta delicatezza sulla tastiera del pianoforte
"Artie io non... credo di aver capito cosa..."
"Mi piace!" esclamò soltanto, e quelle due parole, soltanto
quelle due ebbero il potere di ridarmi il respiro
"D-davvero?" domandai, mentre l'ombra di un sorriso si affacciava sulle
mie labbra. Lui annuì con vigore
"Sicuro... non ricordo neanche quando è stata l'ultima volta
che
ho avuto il piacere di ascoltare una cosa fatta così bene. I
miei più sinceri complimenti, Blaine. Sono sempre
più
convinto di aver fatto un ottimo investimento con te." e mi rivolse un
sorriso, anche se leggermente tirato. Era pur sempre un sorriso, uno
dei pochi. In quel momento sentii una scarica di adrenalina passarmi da
parte a parte, correre lungo la colonna vertebrale e arrivare diretta
al cervello, scuotendomi sensibilmente. E, come un idiota, mi ritrovai
ad allargare il mio sorriso, probabilmente fino alle orecchie ed
avvertii il familiare luccichio invadermi gli occhi in un brevissimo
istante. Quello era ciò che mi accadeva da quasi dieci
giorni a
quella parte, ogni volta che mettevo piede alla Omnia Records e ogni
volta, anche se con una leggera difficoltà mi rendevo conto
che
quello che camminava tra i corridoi elettrizzato, non era il mio alter
ego del mondo dei sogni, ma ero io, nella vita reale, che stavo
lavorando per Artie Abrams, un discografico di New York, che, stando
alle ricerche effettuate da Sebastian, era anche parecchio quotato.
Artie mi stava indirizzando con molta cautela verso la composizione di
qualcosa, un intero album di pezzi inediti, ma soprattutto scritti
dalle mie mani, nei quali lui avrebbe dato solo la sua supervisione
complessiva e l'ok finale. Aveva detto di avere molta fiducia in me e
sapeva di poter ottenere qualcosa di grande. Aveva anche detto che era
raro in quel periodo, trovare un cantautore con tanto talento e
soprattutto con la mia tenacia e per lui, già questo, doveva
essere premiato, assolutamente. Kurt era fiducioso... non era molto
convinto che Abrams fosse in effetti la persona giusta con cui poter
sfondare nel mondo della musica, ma, con un sorriso genuino, una di
quelle mattine - mentre mi accarezzava la guancia con il polpastrello
ruvido e caldissimo - mi aveva detto
"Sfrutta questa possibilità finché puoi... tanto
tu e lui
non dovete diventare amici né tanto meno sposarvi un
domani...
prenditi da lui tutto quello che può darti e.. tanti
saluti!" e
lo aveva detto con una tale naturalezza che a stento mi ero trattenuto
dall'allungare il collo e baciarlo, nonostante la notte precedente
l'avessi fatto molto, molto spesso.
Eppure, nonostante condividessi la tesi del mio ragazzo, nonostante
fossi convinto di dover semplicemente sfruttare quella
possibilità che mi veniva data, senza dovermi preoccupare di
altro, sentivo di voler instaurare una specie di... rapporto con Artie,
una sorta di equilibrio che fosse un pò più
orientato
verso l'umano che verso il professionale. Certo, lui era pur sempre il
mio capo, però questo non toglieva il fatto che un domani io
e
lui saremmo potuti diventare amici. D'altronde io e Puck, nonostante i
caratteri completamente diversi e le numerose minacce di licenziamento
da parte sua, eravamo riusciti a creare una bella amicizia che,
nonostante tutto, andava avanti da quasi un anno, dunque...
perché anche con lui, non avrei potuto fare la stessa cosa?
"Artie, posso... farti una domanda?" chiesi esitante,
poggiando la schiena alla tastiera del pianoforte dietro di me
"Se non è troppo indiscreta." precisò sollevando
un sopracciglio in maniera brusca
"Oh bene.. io sono il maestro della indiscrezione, quindi preparati al
peggio." mormorai ridacchiando. Mi sarei dovuto fermare
lì,
approfittare di quella scappatoia che lui stesso mi aveva offerto per
rinunciare alla investigazione e continuare a farmi i fatti miei.
Impiccione che non sono
altro...
"Coraggio.. sentiamo.." acconsentii lui con un sospiro rassegnato,
quasi si stesse davvero preparando a ricevere un pugno in piena faccia.
Misi su una mezza smorfia e dopo essermi torturato un pò le
mani, dissi
"Sul tuo.. bigliettino da visita c'era anche un altro nome... Motta, se
non sbaglio. Chi è? Il tuo socio? E perché non
l'ho
ancora conosciuto?" domandai a filo dritto, dando voce a tutti quegli
interrogativi che in quei giorni mi erano balzati alla mente. Con un
leggero accenno di terrore, vidi la sua espressione cambiare lentamente
e passare dalla leggera curiosità, all'insofferenza
più
palese, con l'aggiunta di un pizzico di fastidio.
Merda.. ne ho fatta
un'altra delle mie...
"Motta... è una lei.. e.. sì, è la mia
socia ma..
non credo la conoscerai mai!" tagliò corto con un certo
disprezzo nella voce che non seppi se fosse rivolto a me o a questa
misteriosa Motta. Di nuovo sentii come una voce che mi pregava di
chiudere la bocca e farmi i fatti miei perché iniziavo a
sentire
una certa tensione aleggiare nell'aria, ma ovviamente, siccome ero un
idiota con tanto di certificato di autenticità, mi ritrovai
ad
aprire la bocca, ancor prima di aver pensato razionalmente
"Perché? Lei non si occupa di..." ma mi bloccò,
con un gesto della mano
"Lei non si occupa di niente qui. Sono solo io a trattare con i
cantanti
e ad occuparmi di ogni cosa. Lei si limita a... finanziare l'agenzia. E
credimi che è meglio così.. per tutti!"
sbottò con
un mezzo ringhio, ma proprio non riuscì a mascherare un
tremolio
appena accennato sul finale, non seppi se dettato da rabbia o
semplicemente da un accenno di emozione dovuta a dei ricordi passati.
Ebbene, questa Motta era socia di Abrams, anzi.. lei finanziava
l'agenzia - finanziava anche me in realtà - e non si
occupava di
altro, non trattava con i cantanti, non si preoccupava neppure di
presentarsi... firmava soltanto gli assegni a fine mese?
Che razza di rapporto lavorativo era mai quello? E poi
perché a
lui sembrava andare bene così? Perché sembrava
addirittura turbato per il semplice fatto di averla nominata? Che non
scorresse buon sangue tra i due? Che per colpa di vecchi contrasti
adesso il loro rapporto si fosse rovinato per sempre? Oppure c'era
qualcosa di più.. qualcosa che non riguardava né
l'agenzia né le sue finanze, qualcosa che a quanto pareva,
collegava emotivamente lui e quella donna. Forse erano stati una
coppia, forse ci avevano provato ma non era andata bene, forse lui ci
stava ancora provando - il che avrebbe spiegato quel leggero tremolio
nella voce che avevo avvertito e soprattutto perché fosse
così restio a parlare di lei.
Sinceramente Anderson,
dovresti farti gli affari tuoi...
"Posso fartela io adesso una domanda?" cambiò direzione lui,
rilassandosi visibilmente sulla sua sedia. Sgranai appena gli occhi,
sorpreso
"Uh... ehm.. sicuro!" acconsentii, sentendomi leggermente a disagio,
perché non sapevo cosa aspettarmi da un tipo del genere.
Avrebbe
potuto chiedermi di tutto, perfino qualcosa di nettamente
più
indiscreto rispetto a quello che gli avevo chiesto io. Ma lo lasciai
fare, perché in fondo me lo meritavo.
Occhio per occhio...
"Ho notato che c'è una certa intimità tra te e
Kurt
Hummel.." mormorò, sollevando un sopracciglio con
circospezione,
lasciando volontariamente la frase in sospeso. Mi ritrovai ad arrossire
all'istante, ricordando perfettamente quello sciocco ed istintivo gesto
che avevo fatto sulla soglia del mio appartamento, quando Artie era
venuto per parlarmi. In quel momento mi era sembrata l'unica cosa
sensata da fare, dare una sorta di lezione a quello sbruffone che si
era permesso di invadere la nostra intimità. Poi, a distanza
di
qualche giorno e dopo aver appurato che non c'era stato nulla di
malvagio o intenzionale nel suo gesto, mi ero sentito un idiota - che
novità! - un bambino che si era divertito a marcare il suo
territorio e che non aveva neppure avuto la maturità di
capire
che non c'era assolutamente bisogno di farlo, dato che avevo appena
scoperto di essere amato dal ragazzo che amavo. Ma era stato
più
forte di me, e la ragione quel giorno era stata scalzata abilmente
dall'istinto. Istinto da idiota, ma pur sempre istinto.
"Ehm.. sì... lui è... io e lui stiamo insieme!"
esclamai
tormentandomi un labbro, tirandolo con forza all'interno e sperando che
per lui, avere un cantante omosessuale, non fosse un problema eccessivo
Oddio.. ora mi
licenzia...
Con mia grande sorpresa, accennò un sorriso sghembo,
particolarmente ironico e sorpreso
"E che fine ha fatto quel bisonte privo di ogni forma di educazione?"
domandò
"Parli di David? Oh.. lui è... sparito dalle nostre vite per
fortuna, dopo avermi gentilmente quasi ammazzato, attaccandomi alla
grata dell'ascensore!" e scrollai le spalle, mentre un piccolo brivido
mi percorse la schiena, come sempre, quando mi ritrovavo a ripensare a
quel momento. Probabilmente non lo avevo ancora rimosso del tutto,
probabilmente non lo avrei mai fatto. Artie inarcò
maggiormente
il sopracciglio, facendo sparire ogni traccia di sorriso dal suo volto
"Ed è successo nel nostro palazzo?" domandò
scioccato
"Esatto.. circa venti giorni fa..." precisai
"Spero tu.. lo abbia denunciato!" sbottò infastidito,
incrociando le braccia al petto
"Sì, l'ho fatto, anche se non ne ero particolarmente
entusiasta... però alla fine penso sia stata la scelta
più.. saggia!" e sorrisi mesto, mentre lui annuiva e si
imbronciava maggiormente
"L'ho sempre pensato che quel tipo fosse un animale e che dovesse
seriamente essere rinchiuso da qualche parte... e, anche se questa
volta mi costa ammetterlo, avevo ragione. Era pericoloso e senza
controllo. Mi chiedo come abbia fatto Kurt a sopportarlo per tutto
questo tempo." mormorò accigliandosi ancora e portandosi una
mano sotto il mento per accarezzarlo
"Io continuo a chiedermelo ancora, ma... sinceramente non ha
più
molta importanza. Adesso ci sono io nella sua vita e spero di poter
essere il suo.. riscatto.. per il futuro!" dissi con un certo orgoglio,
mentre sentivo il cuore iniziare a palpitare nel petto, quasi
galoppando.
"Beh... senza dubbio sei più molto più educato e
gentile
tu di quello scimpanzé... per limitarci a questo, altrimenti
potrei elencarti altri diecimila pregi che penso tu abbia in
più
rispetto a quel... tipo." e fece un'altra smorfia disgustata che mi
fece ridacchiare. Mi sentivo un tantino lusingato a dire la
verità: non che ci volesse poi molto ad essere migliori di
David, ma sapere che perfino uno come Abrams - che era scontroso per
natura - potesse pensare che io fossi più adatto per Kurt,
faceva un certo effetto. Forse, con un pò di
pratica e un pò di convinzione in più, anche io
sarei
arrivato a credere che dopotutto, sarei stato alla
sua altezza.
D'altronde i presupposti c'erano: io lo amavo da morire, lui amava me,
sembravamo aver piantato le basi per una solida e duratura relazione,
entrambi eravamo sereni e soprattutto proiettati verso il futuro. Ma la
cosa più importante sarebbe sempre stata l'appoggio che
ognuno
avrebbe dato all'altro, la sua presenza costante al mio fianco, anche
quando materialmente non ci sarebbe stato, la sua vicinanza, la sua
fiducia, il sorriso che avrebbe continuato a regalarmi, soltanto per
potermi permettere di vivere meglio, ogni giorno fino alla fine. Ed io
avrei fatto lo stesso, sempre: lo avrei assecondato, guidato,
accompagnato, gli avrei insegnato volentieri qualcosa ed avrei appreso
ancora più volentieri qualcos'altro da lui, ma soprattutto,
in
qualsiasi modo fosse andata a finire quella storia del concorso io
sarei rimast...
All'improvviso, mentre un pensiero si materializzava nella mia mente,
diventando sempre più concreto e opprimente, avvertii lo
stomaco
appesantirsi e le guance andarmi a fuoco. Mi sollevai di scatto dallo
sgabello del pianoforte, sotto lo sguardo stranito di Artie e,
praticamente senza respiro, chiesi
"C-che... che ore.. so-no?" lui guardò subito il suo
orologio da polso
"Le tre e trentasette!" la
risposta mi arrivò da lontanissimo, quasi da un'altra
dimensione, o forse fui io a non badarci molto, perché
sapevo
già di essere in un fottutissimo ritardo e quindi, ancora
prima
di ricevere una risposta, mi trovai nel corridoio dell'agenzia, a
correre come un indemoniato, dandomi del cazzone galattico
perché... fanculo, tutto avrei potuto dimenticare, perfino
il
mio nome di battesimo, ma non.. quello!
Spero solo che questa
mia cazzata non abbia rovinato tutto quanto... non potrei mai
perdonarmelo...
New
York City. Ore 03.53 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)
"Non
verrà!" esclamò con un sospiro una voce alle mie
spalle "Conoscendolo, se ne sarà dimenticato!"
"Sebastian!" un'altra voce si unì alla sua, leggermente
più alta ed ammonitrice
"É uno sbadato cronico. Non riesce neanche a ricordarsi di
dover
mangiare, a volte... Dubito che si possa ricordare di venire qui oggi."
continuò cercando di essere più convincente
"Sebastian, falla finita!" lo riprese ancora l'altro ragazzo, sempre
più indispettito
"Cosa ho detto?" domandò il primo, facendo finta di nulla
"Non sei divertente... per niente!" sbottò ancora, con un
tono
leggermente più acido e affilato. Poi questo
cambiò e
divenne improvvisamente leggero e paziente "Kurt non dare retta a
questo
idiota. Blaine verrà... avrà solo trovato un
pò di
traffico." ed era a me che si stava rivolgendo quella voce, altrimenti
non si spiegava come mai il mio nome fosse sbucato così
all'improvviso. Eppure io, stavo facendo tutto tranne che... ascoltare.
"Traffico, certo.. alle quattro del pomeriggio!" sbottò
divertita ancora la prima voce - era Sebastian, inutile continuare a
negarlo - e riuscii a girarmi giusto in tempo per vedere Daniel al suo
fianco, tirare una gomitata nelle costole del ragazzo, che
saltò
sul posto
"Cazzo.. quella mi serve!" si lamentò con una smorfia,
accarezzandosi il punto colpito, ma il ragazzo biondo lo
fulminò
in maniera così intensa da lasciarlo senza parole. Si
limitò a stringersi un labbro tra i denti, accavallare le
gambe
e spostare lo sguardo sul soffitto bianco.
Io ero senza fiato, senza parole, senza più nemmeno la forza
per
muovermi né pensare lucidamente. Avevo il vuoto totale che
mi
scorreva nella testa e la sentivo come ovattata, coperta da qualcosa di
spesso e opprimente, qualcosa che mi impediva perfino di sentire
dolore, che mi stordiva e mi faceva respirare male, deglutire a stento
ed avvertire il disperato bisogno di piangere. Ma non potevo farlo, non
in quel momento, non davanti a tutta quella gente. Avvertivo il panico
corrermi sotto pelle, in un misto di adrenalina e terrore allo stato
puro e più i minuti passavano più la situazione
peggiorava, più sentivo che la terra si stesse aprendo sotto
i
miei piedi ed io non stavo facendo nulla per salvarmi, per scappare
via. Rimanevo immobile, ancorato al pavimento di quella sala, con le
mani premute sullo stomaco - che tremava e faceva un male cane - la
mascella contratta e gli occhi incollati alla porta chiusa, dalla quale
mi aspettavo che prima o poi, sarebbe entrata la mia medicina, il mio
rimedio, la mia unica salvezza. Ma da quella porta, da più
di
quaranta minuti, non entrava più nessuno. Ed io iniziavo a
sentirmi male davvero, come mai avrei potuto immaginare. Avevo bisogno
di un appiglio per non cadere, di un sostegno non solo fisico ma
soprattutto morale, e in maniera particolare avevo bisogno di calore,
del suo calore..
delle sue braccia che si stringevano attorno alle mie
spalle, del suo respiro sul viso, della sua voce, della sua risata
morbida e avvolgente, del suo cuore che scalpitava a contatto con il
mio. Io mi... sentivo perso, come non mi succedeva da
parecchio. Io senza di lui ero inutile, non servivo a nulla, ritornavo
ad essere quell'involucro vuoto e senza alcun senso che vagava, quasi
fluttuando, per il mondo, nella vana speranza di trovare qualcosa per
cui combattere. Quel qualcosa sapevo di averlo finalmente trovato e
fatto mio ma, il non averlo al mio fianco, il non poterlo guardare
negli occhi e il non potermi perdere senza remore in quell'immenso mare
dorato... mi faceva stare male, mi stringeva lo stomaco più
di
quanto non facesse già l'ansia. Ero paralizzato e senza
nessuna
via di fuga e la cosa peggiore fu il realizzare in quel momento di
trovarmi in quella condizione, non tanto perché a breve si
sarebbe svolta la mia sfilata, la mia più grande occasione a
portata di mano, messa a nudo su una lunga passerella bianca, ma
perché al mio fianco non c'era la testa piena di ricci
disordinati del mio Blaine. Ed io mi sentivo morire, come mai era
successo prima.
Glielo avevo ricordato praticamente ogni giorno durante quella
settimana - anche perché sarebbe stato un pò
impossibile
ignorare la mia ansia e la mia eccitazione - e quella mattina, quando
ero uscito da casa verso le cinque, gli avevo lasciato un
post-it
azzurro sul cuscino - il cuscino del mio letto, perché lui
aveva
passato la notte da me - sul quale avevo scritto *Oggi
è il grande giorno... non ti sveglio solo perché
sono
certo che, vedendomi in questo stato, decideresti di lasciarmi. Ti
aspetto alle 3 davanti l'edificio della Sylvester's Style. Ti supplico,
se non vuoi vedermi morire.. non fare tardi! Ti amo... K*
E lui, un paio di ore più tardi mi aveva risposto,
mandandomi un messaggio: *Sarò
lì ad aspettarti già dalle due e mezza, non
temere. Tu
pensa a stare tranquillo e ricordati di respirare. Ti amo da impazzire,
oggi un pò di più di ieri. B* ed io
mi ero
ritrovato a stringere il mio iPhone tra le mani e a sorridere, per la
prima volta da quando la sveglia aveva suonato quella mattina. Lui ne
era capace, perfettamente e assurdamente capace, riusciva a farmi stare
bene sempre, anche con un banalissimo messaggio ed io ero convinto che
ne sarebbe stato capace, perfino in quel momento.
Solo lui ci sarebbe riuscito, solo lui.
Non puoi avermi
abbandonato qui, non
ci credo.. tu non lo avresti mai fatto, tu me lo hai.. giurato... i
tuoi occhi brillavano mentre me lo dicevi, tu...
All'improvviso mentre il mio stomaco si ribellava ancora stringendosi
dolorosamente, successe qualcosa. Sentii una voce in lontananza, una
voce che chiedeva scusa, una voce che avanzava, quasi stesse correndo,
una voce che ebbe il potere di ridarmi il respiro e contemporaneamente
togliermelo. Una voce che in quel momento significava tutto. La porta
si aprì con un gesto veloce, che fece sobbalzare un paio di
persone ferme lì accanto e il mio cuore fece lo stesso:
saltò nel petto, sbatté contro le costole
provocandomi
una fitta senza precedenti, per poi scendere, sprofondare nello
stomaco, e lì rimanere. E ogni cosa, in quel preciso
istante,
mentre i suoi occhi dorati si incatenavano ai miei e dalla sua bocca
vidi uscire un piccolo sospiro, acquistò un senso, ogni cosa
ricominciò ad essere così come avrebbe dovuto,
ogni cosa
divenne più semplice - perfino il sopportare lo stomaco in
agonia - perché ogni cosa aveva iniziato a sapere di nuovo
di
lui.
"Blaine.." un sussurrò mi scappò dalle labbra,
mentre il
cuore tornava al suo posto e il battito riprendeva il ritmo regolare -
se regolare poteva definirsi lo scalpitare furioso che ogni volta
accompagnava la vista di Blaine. Lui si avvicinò a me,
ignorando
tutti i presenti nella stanza, perfino Sebastian e Daniel che alle
nostre spalle dissero qualcosa. Fu tutto sovrastato dal rumore del
suo respiro e dall'istintivo quanto opprimente desiderio che sentii di
sporgermi verso di lui e stringerlo forte, fino a fare male ad
entrambi, fino a perderne la ragione, fino a rendermi finalmente conto
che... lui c'era.. era lì e finalmente potevo tornare a
respirare.
"Dio, Kurt.. scusa.. scusa.. scusa...
io non... ho perso la cognizione del tempo
e poi... c'era... un tizio che.. non mi faceva passare e un
... io
non.." e l'istinto prevalse sulla ragione ancora una volta,
perché era troppo opprimente il bisogno, perché
mi era
mancato da impazzire e perché volevo vedere se stringendomi
a
lui, sarei riuscito a stare meglio. E così feci: annullando
la
distanza ridicola che c'era tra i nostri corpi, mi buttai su di lui,
talmente tanto velocemente da prenderlo alla sprovvista.
Oscillò
appena, ma riuscì perfettamente a trattenere entrambi senza
farci cadere a terra. Ed eccola la mia ancora, il mio giubbotto di
salvataggio, la mia scialuppa... colui che mi avrebbe protetto in ogni
caso, qualsiasi cosa fosse successa.
"Basta. non dire altro... l'importante è che adesso tu sia
qui..
con me!" mormorai, affondando il viso nell'incavo del suo collo e
riempiendomi i polmoni con il suo profumo, perché quella era
esattamente il tipo di aria che valeva la pena respirare. Le sue
braccia si strinsero maggiormente a me ed avvertii un leggero tocco, un
morbidissimo e dolcissimo tocco di labbra posarsi sulla mia tempia
"Non me la sarei perso per niente al mondo." mi assicurò ed
io
gli credetti all'istante, dimenticando il ritardo, dimenticando tutta
l'ansia e la paura che non potesse esserci, che avesse trovato qualcosa
di più importante da fare. D'altronde la maggior parte delle
persone che erano lì con me e per me in quella stanza,
avevano
dovuto prendere un permesso da lavoro per esserci - inclusi Sebastian e
Daniel. E non mi sarei meravigliato se Blaine mi avesse chiamato per
dirmi che Artie avesse deciso di aggiungere delle registrazioni extra
proprio quel giorno: lui era in un momento critico della sua esperienza
discografica e non avrei mai voluto che per colpa mia rinunciasse ad
un'occasione di quella portata. Eppure, in qualsiasi modo stesse
andando la preparazione, lui era riuscito a venire; quindi preferivo di
gran lunga che avesse fatto quaranta minuti di ritardo, piuttosto di
non averlo affatto al mio fianco.
"Hanno già iniziato?" mi domandò dopo un tempo
imprecisato, mentre una mano si fermava a metà della mia
schiena, in seguito ad una lunghissima e piacevole carezza. Io si
discostai appena, per poterlo guardare negli occhi ed annuii
"Sì... i primi due hanno già sfilato. Avresti
dovuto
vederli, Blaine. Erano bellissimi, dinamici, innovativi e..." la mia
voce cedette appena, colta da una evidente nota di panico che mi
sconvolse più del dovuto. Scossi la testa, rassegnato "Non
ce la farò mai!" aggiunsi, abbassando lo sguardo sul
pavimento
di marmo e chiedendomi che diavolo avessi pensato di fare in quei
giorni. Mettermi al pari di ragazzi con più esperienza,
improvvisarmi un grande esperto di moda, ma soprattutto credere che una
donna di tanto talento come Sue Sylvester potesse seriamente provare un
interesse verso le mie creazioni. Era assurdo. Non aveva il minimo
senso logico.
Un paio di mani caldissime si posarono sulle mie guance, circondandomi
il viso e fui costretto a sollevare gli occhi e a puntarli nei suoi.
Avvertii una scarica di pura adrenalina invadermi e tesi di conseguenza
la schiena, perché la sensazione era stata così
forte da
scuotermi. L'oro che gli colorava gli occhi, in quel momento, era
decisamente più acceso del solito, quasi per ironia della
sorte,
quasi volesse sottolineare che... una determinata scelta fatta in quei
giorni, fosse stata la migliore.
"Ma certo che ce la farai. Tu sei pieno di talento, quello che hai
creato è bellissimo... loro... sono bellissime." mi disse
con
convinzione, facendo un cenno verso le sedie dietro di me ed io seguii
il suo sguardo fino ad incontrare cinque splendide ragazze, cinque
versioni delle mie amiche, completamente diverse dal solito, ma
insolitamente splendide. Ed io lo credevo sul serio, nonostante fossi
palesemente gay. Erano una più bella dell'altra: Santana e
Brittany mi avevano aiutato con il trucco e i capelli e avevano reso le
altre delle dee, delle vere modelle. E, cosa più importante,
ognuna di loro era rimasta entusiasta dall'abito che avevo scelto da
fare indossare loro. Quinn soprattutto: si era perfino commossa,
osservando con attenzione il modello e accarezzandosi la pancia
distrattamente - pancia che iniziava a vedersi leggermente, ma che la
rendeva ancora più meravigliosa. Erano state tutte molto
attive
in quella situazione: Rachel mi aveva messo a disposizione l'intero
appartamento per lavorare, Tina mi aveva aiutato a rifinire gli abiti,
Santana mi aveva consigliato il migliore rivenditore di stoffe della
città, senza spendere cifre eccessive. Ognuna di loro aveva
partecipato attivamente e sentivo che tutte in quel momento si
dividevano un pò di quell'ansia che sentivo avvolgermi lo
stomaco, anche se non lo davano a vedere. Santana era con Tina in fondo
alla sala e le mostrava ancora una volta come dovesse sfilare senza
risultare troppo impacciata; Brittany chiacchierava allegramente con
Quinn e ogni tanto le sistemava qualche boccolo che era sfuggito alla
presa dell'acconciatura; e infine Rachel era in piedi e sbirciava la
sfilata di uno degli altri concorrenti attraverso l'unica finestra che
c'era nella stanza. Sembrava agitata perfino lei, perché
continuava a torturarsi le mani e ad accarezzarsi il vestito,
allisciando delle pieghe inesistenti. E tutta quella situazione mi
sembrò così concreta e reale da fare quasi paura.
Guardale... sono tutte qui per te...
"Hai tutte le carte in regola per
vincere questo concorso... e non te lo dico soltanto perché
sei
il mio ragazzo e perché ti amo... lo dico perché
ci
credo.. credo in te e nel lavoro che hai fatto." continuò
Blaine, catturando di nuovo la mia attenzione. Mi morsi un labbro
istintivamente, mentre lui mi rivolgeva un sorriso buono e bellissimo e
mi accarezzava lentamente uno zigomo con il pollice "Quindi ora fai un
respiro profondo, guarda bene le tue modelle e... convinciti di essere
il migliore!" fu quasi un ordine che arrivò direttamente al
mio
povero cervello stressato, nonostante l'avesse pronunciato con molta
tenerezza. Feci come mi aveva detto, concedendomi un lungo respiro che
mi riempì ancora i polmoni del suo profumo e alla fine mi
sciolsi, perché i suoi occhi erano ancora lì
così
belli e profondi ed io non riuscivo ancora a capacitarmi di quanto
speciale potesse essere. Perché era ancora lì con
me?
Perché non era scappato come tutti gli altri?
Perché mi
consolava e mi sorrideva e mi voleva rassicurare?
"Blaine..." non volli sembrare troppo tormentato, ma non riuscii a
trattenere un mezzo lamento. Lui mi accarezzò ancora,
avvicinando il viso al mio
"Ce la farai Kurt... ne sono sicuro." esclamò con vigore
"Non esserlo.. finirò con il deluderti." come ho fatto
praticamente con tutti...
"No... non lo farai. Tu non mi hai mai deluso e di certo non inizierai
a farlo ora!" rispose, mentre una mano scivolava sulla mia nuca e mi
premeva la testa più avanti, fino a far scontrare le nostre
fronti. Chiusi gli occhi e mi godetti di quel momento. Mi godetti la
pacifica sensazione di benessere e tranquillità che il suo
corpo
riusciva ad infondermi e mi imposi la calma, respirando molto
lentamente. Riuscii perfino a sorridere perché... quello era
l'effetto che Blaine aveva su di me, ormai era assodato. Lo sentivo
nelle vene, nello stomaco - che si rilassava notevolmente - e perfino
nel cuore.
"Grazie.." mormorai mentre sfioravo il suo naso con la punta del mio
"E.. scusa.. è
che... è solo un altro attacco di panico immagino a farmi..
questo..." tentai di giustificarmi con un sorriso imbarazzato. Lui si
accigliò all'istante
"Un... altro?" domandò infatti
"Sì.. ne avrà avuti almeno sei da quando siamo
qui."
esclamò una voce alle nostre spalle, atona e leggermente
seccata, ma non riuscii a prendermela, perché sapevo quanto
si
fosse preoccupato Sebastian per me quel giorno; lui e Daniel forse
erano stati quelli che mi erano rimasti più vicino in attesa
di
Blaine, nonostante le pessime battute del più grande.
Sebastian
aveva uno strato modo di preoccuparsi delle persone e io lo avevo
appena scoperto. Mi ritrovai a ridacchiare per via della buffa
espressione stupita di Blaine e mi affrettai a dire
"Non preoccuparti, Blaine. Sto bene è... normale. Ora
però
ci sei tu e mi sento decisamente meglio." e gli sorrisi, affondando di
nuovo il viso nel suo collo e mi rilassai appena un pò di
più, sentendo le sue labbra posarsi di nuovo sulla tempia, e
premere appena un pò più forte, quasi volesse
esprimere
con quel gesto tutto il suo sostegno e l'amore che provava per me.
Lo so che sei qui e che
mi ami... lo sento...
"Kurt Hummel!" il mio nome pronunciato in maniera così cruda
fu
come una fucilata. Mi ritrovai a sobbalzare tra le braccia di Blaine e
a stento riuscii ad intravedere il ragazzo che era venuto a chiamarmi,
che stava già tornando in sala. Rimasi un lunghissimo
istante
sospeso, mentre tutti quelli che erano con me, si girarono a guardarmi.
Ed io di nuovo mi sentii perso.
"Oddio.. ci siamo!" mormorai tremante, aggrappandomi con forza ad un
braccio di Blaine e avvertendo la sgradevole sensazione dell'arrivo di
un altro attacco di panico. Ma qualcosa quella volta me lo
impedì, o meglio... riuscì a portarmi al sicuro
prima
della rovina. La sua
voce.
"Kurt.. guardami!" mi ordinò di nuovo, quella volta
più
perentorio e i miei occhi scattarono ubbidienti nei suoi "Io sono con
te. Non devi avere paura. Qualsiasi
cosa... qualsiasi.. l'affrontiamo insieme, va bene?" mi disse senza
esitazione accarezzandomi il
viso. Tremai appena ma fu un attimo. Quello successivo ero
già
proiettato nei suoi occhi e mi facevo cullare dal caramello fuso
così dolce ed intenso da riuscire ad incantarmi come sempre
"Va bene." e forse quella voce non era stata neppure mia, qualcun altro
aveva risposto per me, tuttavia le labbra che Blaine
sfiorò...
quelle erano mie, perché le sentii incendiarsi e piegarsi
appena
in un sorriso
"In bocca al lupo, amore mio."
New
York City. Ore 04.10 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)
Sue Sylvester era una donna davvero bizzarra. Capelli biondissimi,
corti, occhi chiari nascosti dietro degli occhiali sottili e discreti,
collo lungo e postura imponente. Incuteva un certo terrore, dovevo
ammetterlo, soprattutto perché, da quando avevo messo piede
nella stanza, lei non aveva ancora parlato. Una donna al suo fianco mi
aveva domandato le mie generalità ed io avevo tentato di
rispondere, sperando di non aver confuso la mia età
né la
mia città di origine. A sentire nominare l'Ohio la Sylvester
aveva alzato appena gli occhi su di me e potei quasi giurare di aver
visto le sue labbra accennare un movimento verso l'alto, ma fu un
attimo, poi tornò a dedicare la sua attenzione al mio
curriculum. Al lungo tavolo di giudici, accanto a lei, c'erano altre
quattro persone, tra cui l'intervistatrice e una figura a me molto
familiare, che mi sorprese con un sorriso non appena mi vide: e Michael
Chang Jr. in quasi cinque anni di rapporto lavorativo, non mi aveva mai sorriso.
"Dunque, signor Hummel... mi permetta di dirle che lei è
davvero
molto giovane... la nostra agenzia non ha mai avuto a che fare con
ragazzi che avevano meno di trentacinque anni." annunciò
l'intervistatrice - una certa signora Spencer, come affermava il
cartellino che portava al petto - inarcando un sopracciglio e
lanciandomi un'occhiata quasi di sfida. Cosa si aspettava che dicessi?
Che girassi i tacchi e me ne andassi, soltanto perché ero
notevolmente più giovane rispetto agli altri? Che chiedessi
scusa per questo?
"Suppongo che non ci sia un'età prestabilita per il talento.
Se
si è nati con un dono è giusto condividerlo con
il mondo
il prima possibile, senza egoismi né timori. E poi, se posso
permettermi... è noto a tutti che la signora Sylvester ha
dato
vita alla sua prima collezione all'età di
ventitré anni
quindi... se vogliamo dirla tutta.. sono perfino in ritardo sulla mia
tabella di marcia." affermai con un certo riservo, rendendomi conto
solo dopo di che belle parole fossi riuscito a tirare fuori. Qualcuno
al tavolo ridacchiò molto discretamente, incluso Chang,
mentre la Sylvester si limitò ad alzare di nuovo gli occhi
su di me. Tremai appena, schiacciato dal suo sguardo professionale e mi
sorpresi non poco a sobbalzare quando la sua voce si decise a prendere
forma
"Noto con piacere che qualcuno oggi ha fatto i compiti!"
esclamò, sfilandosi gli occhiali e poggiandoli con cura sul
tavolo. La sua voce era leggermente fredda e pungente ma proprio non mi
sfuggì il leggero accenno di ironia che la
colorò. Trattenni il fiato, sentendomi un maledetto idiota
per aver risposto in quel modo e per aver tirato in mezzo lei, che era
il guru della moda e che non poteva essere neanche lontanamente
paragonata a me. Lei già a ventitré anni era
stata strabiliante e sicura di sé... io invece non riuscivo
a smettere di tremare.
"Sì signora!" balbettai incapace di tenere testa anche a
lei, che mi scrutava a dovere.
"E posso sapere cosa ti ha... ispirato?" mi domandò,
stranamente curiosa. Cosa mi aveva ispirato? Mmmm bella domanda davvero
"Credo sia stata più una questione di istinto. Generalmente
ho sempre seguito quello nella vita e fino ad ora non mi ha mai
deluso." risposi e lei, constatai con una leggera amarezza, non
sembrò particolarmente colpita dalla mia risposta. Temevo di
essere mandato via in quell'istante per un banale capriccio dovuto ad
una risposta sbagliata, così decisi di continuare e di
sbottonarmi un pò di più
"Però... in effetti qualcosa mi ha... più che
ispirato, guidato in questi giorni passati a creare i miei abiti... Un
colore... un colore che, come vedrete, ho deciso di utilizzare come
base per la mia collezione e che da un mese ormai mi ha completamente
cambiato la vita. Si tratta di una particolare sfumatura di dorato, un
colore caldo ed avvolgente, che coccola lo sguardo e riesce a
rilassare. É brillante ed intenso allo stesso tempo e...
anche se sembrerà leggermente bizzarro da sentire... ogni
volta che lo guardo sembra abbia qualcosa in più da
offrirmi, qualcosa di nuovo che vuole raccontarmi ed io sono pronto a
ricevere tutto, cosa che spero sappiate fare anche voi oggi!" e alla
fine tentai un sorriso appena emozionato, chiedendomi che effetto
potessero avere quelle parole su chi mi stava ascoltando in quel
momento. Su una persona in particolare.
Ebbene sì,
amore mio.. ho usato il colore dei tuoi occhi per i miei vestiti.. e
non mi vergogno ad ammetterlo, anzi.. voglio gridarlo al mondo...
La Sylvester mi ascoltò con molta attenzione e per mia
fortuna la sua espressione mutò leggermente, diventando
appena più disponibile. Emise un lungo e rumoroso sospiro,
rilassandosi contro lo schienale della sedia e disse
"D'accordo, allora... sono proprio curiosa di vedere cosa sei stato
capace di fare con il tuo... dono!" e mi invitò ad iniziare
con un gesto.
Merda... ora ci siamo
davvero...
Annuii muovendo le gambe fino al fondo della passerella per andare
dalle ragazze e dare loro il via per partire, mentre un ragazzo con un
computer poco distante fece partire una musica come base: Rihanna con 'Dimonds'. La prima
a partire fu Santana: avevo bisogno di lei per aprire la sfilata, non
perché volessi partire con il botto o fare chissà
quale bella figura iniziale.. si trattava di una logica, una logica che
avevo cercato di dare agli abiti, alla loro sistemazione e al loro
taglio. Con un lungo sospiro le feci un cenno e lei mi sorrise,
sollevando il pollice e salì in passerella.
L'abito che avevo fatto indossare a Santana era il più corto
di tutti, non soltanto perché lei era quella esperta e forse
sarebbe stata l'unica a non vergognarsi di portare un vestito
così corto, ma soprattutto perché vederlo
indossato da lei mi aveva fatto decisamente decidere che, nessun altro
al mondo avrebbe potuto portarlo con più grazia ed eleganza.
Santana era capace di dare vita anche agli abiti più
insulsi, e in quel momento su quella passerella, mi sembrò
bellissima e fui completamente fiero di lei. Dopo Santana fu il turno
di Brittany che indossava un pantaloncino corto, che le arrivava a
metà coscia, con un top coordinato ed una giacca morbida che
le ricadeva perfettamente sulle spalle. Quella ragazza aveva un
portamento naturale che la faceva senza dubbio sembrare allo stesso
livello di Santana e nonostante avesse affermato più volte
di non aver mai camminato su dei tacchi così alti,
riuscì a completare la passerella senza problemi, riuscendo
perfino a strizzare discretamente l'occhio alla sua ragazza,
incrociandola a metà passerella. Subito dopo Brittany, fu il
turno di Tina che sfoggiava orgogliosamente il suo vestito -
decisamente più lungo rispetto a quello di Santana - che le
lasciava scoperta praticamente tutta la schiena. Perfino lei con la sua
innata timidezza riuscì a percorrere tutta la passerella con
estrema eleganza e un leggero sorriso che riuscì a rivolgere
al tavolo dei giudici. A Tina seguì Quinn, il cui vestito
era senza dubbio quella che mi aveva dato più soddisfazioni:
avevo deciso di proporle una salopette a pantalone, morbida sui fianchi
- nell'eventualità di essere indossata sempre, anche nel
caso in cui le fosse esplosa improvvisamente la pancia - con una tasca
centrale che lei aveva apprezzato fin da subito, e senza dubbio vedere
il suo vestito aveva aiutato a rilassarla sensibilmente per la storia
della sfilata: era sicura di sé mentre avanzava lungo la
passerella e riuscii a sorridere orgoglioso perché quella
ragazza, con i capelli morbidamente arricciati sulle spalle e lo
sguardo fiero, era incinta e non si vergognava di esserlo, anzi... lo
mostrava con fierezza e determinazione ed era lontana dalla prima
versione che avevo avuto di lei. E infine, dulcis in fundo,
arrivò lei, la mia piccola e sorprendente e meravigliosa
Rachel, la mamma che in quegli anni mi aveva un pò cresciuto
e viziato, appianando quel vuoto materno che mi congelava il cuore. Ed
era bellissima nel suo abito lungo, che accarezzava morbidamente la
pedana della passerella mentre lei camminava, le incorniciava
elegantemente il fisico - era piccina, ma fatta veramente bene - e le
dava quel tono raffinato che era esattamente ciò che volevo
ricreare. Era stata una versa soddisfazione vedere come l'abito che
avevo immaginato per lei, le calzasse in maniera così
perfetta e lei ne sembrava fiera, perfino in quel momento, nonostante
si vedeva chiaramente quanto in ansia fosse e quanto volesse scaricarsi
con un bel pianto. E forse anche io avrei pianto, magari dopo, o magari
lo stavo già facendo senza rendermene conto.
La sfilata finì nell'esatto istante in cui Rachel
tornò dietro il sipario e si fiondò tra le mie
braccia, ovviamente scoppiando a piangere
"Oddio Kurt... è stata la cosa più sensazionale
e... meravigliosa di tutta la mia vita. Grazie... grazie.. grazie..."
mormorò tra le lacrime, stringendo appena un pò
di più la presa. Io, che ero senza respiro né il
minimo senso di orientamento mi ritrovai sommerso di complimenti da
parte delle altre quattro ragazze, che commentarono emozionate quella
esperienza, già azzardando dei pronostici - Tina era sicura
che uno dei giudici l'avesse apprezzata più del dovuto.
Anzi, rettificò arrossendo.. aveva apprezzato il vestito,
non lei. Ma io non riuscivo a respirare, non riuscivo a muovermi, non
riuscivo neppure a concretizzare un pensiero coerente. Ero paralizzato
nella mia stessa paura, che defluì lentamente,
perché realizzai che era tutto finito e che se fosse
andata male, quella sarebbe stata la prima ed ultima volta in
cui avrei messo piede su una passerella. E la consapevolezza ebbe il
potere di schiacciarmi. Mi resi conto, per fortuna in tempo, di essere
di nuovo vittima di un altro attacco di panico, ma quella volta non
permisi alle mie debolezze di sotterrarmi e provai a reagire prima di
venire di nuovo sovrastato: tentai un sorriso verso le mie amiche e
sgusciai via dall'abbraccio di Rachel, dopodiché ritornai mi
avviai a passo veloce verso la sala, dove la giuria si preparava ad
accogliere il nuovo candidato. Ma io non volevo vedere che tipo di
abiti volesse proporre, né con che parole si presentasse:
avevo bisogno di respirare, avevo bisogno di superare quella nuova
crisi. Non potevo pensare di farcela da solo perché
già in principio non ero più solo: e
così uscii di nuovo nel corridoio, con il fiatone, quasi
avessi corso, e lo cercai disperatamente con lo sguardo in ogni angolo,
avvertendo lo stesso tipo di panico che mi aveva colto mentre attendevo
che arrivasse, assalirmi. Ma quella volta non riuscii a sentirmi
veramente male, perché una mano si posò sulla mia
spalla ed una voce morbida mi accarezzò l'orecchio
"Kurt.." mi ritrovai a girarmi in maniera così veloce che
subito fui colto da un leggero capogiro - troppe, troppe emozioni - e
se non ci fosse stato lui a stringermi, probabilmente sarei caduto per
terra. Senza dire niente, mi strinsi con forza al suo corpo, affondando
il viso nel suo collo, ignorando la musica che proveniva dalla sala,
ignorando il brusio delle altre persone in quel corridoio, ignorando
perfino le mie stesse lacrime e quell'assurda curiosità di
chiedergli come avesse reagito nello scoprire che avessi scelto il
colore dei suoi occhi come base della mia collezione. Ignorai tutto
quanto e semplicemente mi lasciai andare al suo calore e alla sua
presenza rassicurante, perché non volevo stare male e sapevo
che, di qualsiasi cosa avessi avuto bisogno per stare meglio, l'avrei
trovata con lui.
La sua mano scivolò lentamente sulla schiena, fino ad
immergersi nei miei capelli - ed ero così sconvolto da non
preoccuparmi nemmeno per la piega - e la sua voce arrivò
gentile e carezzevole, in perfetta armonia con la delicatezza del
momento
"Sono così fiero di te, Kurt... così fiero che
non hai idea." sussurrò, ed avvertire la commozione
colorargli la voce fu una specie di colpo diretto al cuore, che mi fece
stringere ancora più forte. Cosa sarebbe successo a Kurt, se
Blaine non fosse stato lì ad abbracciarlo e a farlo sentire
tanto importante e speciale? Cosa sarebbe successo alla sua vita se
quel giorno, più per caso che per altro, i suoi occhi dorati
non avessero incrociato i suoi, spersi e spenti, e non avessero deciso
insieme di diventare vicini, amici, amanti, innamorati, fidanzati...
cosa sarebbe successo alla vita di entrambi se non avessimo avuto la
fortuna di farle incrociare tra di loro in quella maniera
così profonda? Lui probabilmente non avrebbe avuto nessun
contratto discografico, nessun successo musicale e sarebbe ancora
troppo impegnato dai suoi tre lavori, senza un momento libero per poter
vivere. Ed io? Io sarei ancora succube di David e della sua arroganza,
imbavagliato in una vita piatta e schifosamente triste, una vita che
non mi sarebbe mai appartenuta in cui non sarei mai riuscito a far
prevalere la mia voce e i miei sogni. Prima sognare per me sarebbe
stato un lusso fin troppo grande da permettermi: ora, con Blaine che mi
stringeva in quel modo e mi lasciava leggeri baci sulla fronte e tra i
capelli, era diventata una meravigliosa realtà da cui non ci
sarebbe stato alcun bisogno di svegliarsi.
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Capitolo 42 *** Soltanto un pianerottolo ***
Buon
ultimo dell'anno a tutti e benvenuti all'ultimo capitolo di Just a
Landing... ahhhhh dopo mille peripezie, un esame, dieci chili messi a
causa delle feste, sono riuscita a finire il capitolo (che è
lungo tipo venti pagine quindi... preparatevi XD) ed ora sono qui..
dunque... questo come ho detto è l'ultimo ed io... non ci
credo.. sono passati sei mesi, ed io sento di essere cresciuta assieme
a questa storia che rimarrà nel mio cuore per sempre
così come ci rimarrete anche voi, splendide persone che
avete deciso di dedicarmi il vostro tempo e il vostro affetto durante i
42 capitoli della storia. Dunque, come ho già accennato in
passato, la storia anche se tecnicamente finisce qui, ha ancora bisogno
del suo epilogo che questa volta non sarà unico ma
sarà diviso in nove parti (una per ogni coppia, incluso il
povero Artie che è sempre solo XD) in cui spero di riuscire
a spiegare le ultime cose ed approfondire qualche aspetto che purtroppo
nella storia mi sono dovuta lasciare alle spalle troppo velocemente. E
poi non dimentichiamoci i MM (mi ci dedicherò, promesso ^^)
e... sì insomma.. forse nella mia mente bacata si
è già affacciata una piccolissima idea per un
sequel ma.. è tutto da vedere.. ho un progetto da portare a
compimento con il mio Dan prima, poi si vede ;) per il momento vi
auguro buona lettura, buon finale di storia, buona fine per questo 2012
e un 2013 sereno e pieno di cose belle. Per i ringraziamenti, che sono
d'obbligo, ci vediamo nelle prossime shots (che pubblicherò
sempre qui in continuazione, solo come epiloghi). Un bacio a tutti e
scusate ancora per il ritardo :*
p.s. Questa volta immagine speciale, sempre offerta dal mio Dan per
celebrare l'ultimo capitolo... ;)
n.b. Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
New York City.
Ore 08.12 P.M. 04 Maggio 2012 ( Venerdì)
Io per
principio non
avevo mai creduto al caso, alle coincidenze, al disegno del destino
già fissato e a tutto ciò che ne era correlato.
Credevo
invece ai sacrifici, agli sforzi fatti ogni giorno, alle sconfitte e ai
successi - ed io nella mia vita avevo ottenuto soltanto i primi, in
dosi davvero massicce - e soprattutto credevo davvero poco alle
amicizie, all'affetto sincero di persone che non erano parenti prossimi
e che quindi non avrebbero avuto nessun motivo per provarne nei miei
confronti.
Ebbene,
strano ma vero, in poco più di un mese, mi ero ricreduto su
tutto.
Il destino esisteva ed era davvero scritto per ognuno di noi, le
coincidenze erano tante ed evidenti e si incastravano perfettamente le
une con le altre, il caso a volte funzionava in modo bizzarro e creava
delle combinazioni a dir poco perfette in pochissimi istanti. La mia
vita aveva iniziato a girare nel verso giusto agli inizi di Marzo e,
lentamente ma soprattutto in maniera davvero inaspettata, si era
portata dietro una serie di eventi magnifici che avevano rivoluzionato
il mio mondo. Avevo perso il lavoro, avevo rotto con il mio ragazzo
ossessivo e opprimente, avevo scoperto che aprirsi un po' di
più
con gli altri non era una brutta scelta, avevo guadagnato un paio di
amici gay, ma soprattutto...
"Ehi..." la voce calda del mio ragazzo mi giunse vicinissima e difatti
pochissimi istanti dopo sentii le sue braccia avvolgersi attorno ai
miei fianchi e il respiro arrivarmi sul collo, solleticandomi.
D'istinto mi ritrovai a sorridere
"Ehi.." risposi, abbandonando la testa all'indietro, per posarla sulla
sua spalla "Sei diventato talmente tanto bravo a scavalcare la
ringhiera del terrazzo, che ormai non ti sento neanche più
quando lo fai!" mormorai divertito, facendolo ridacchiare
"In realtà... ho usato le chiavi per entrare." mi corresse,
e
sentii le sue labbra sorridenti posarsi con delicatezza sul collo.
Ah già, le
chiavi.. quelle che gli ho dato io qualche giorno fa...
"Che ci fai qui al buio, tutto solo?" mi domandò qualche
istante dopo
"Avevo bisogno di... prendermi qualche minuto tutto mio, per pensare."
spiegai con un sospiro
"Oh..." lo sentii trattenere il fiato, tanto che dovetti girare un po'
il viso per poterlo guardare negli occhi e capire cosa stesse pensando
"Mi dispiace.. non volevo disturbarti... me ne torno immediatamente di
là.." e, rammaricato, fece per allontanarsi, ma riuscii a
bloccarlo per un braccio e a tenerlo stretto a me
"Non muoverti!" lo implorai, girandomi verso di lui e allacciando le
braccia attorno al suo collo "Rimani qui con me, Blaine..." e
affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla, chiusi gli
occhi, permettendo al suo profumo di cullarmi, al suo calore di
invadermi e soprattutto abbandonandomi ai ricordi.
New
York City. Ore 05.30 P.M. 03 Maggio 2012
(Giovedì)
L'attesa uccide. Più di qualunque altra cosa al mondo. Ti
corrode, ti logora, ti fa perfino uscire fuori di testa. É
insana, è pericolosa, è maledettamente dolorosa.
Ed io le
stavo provando tutte sulla mia pelle, proprio in quel momento, mentre
aspettavo, seduto sulla mia poltroncina imbottita, assieme agli altri
ragazzi che avevano sfilato quel giorno, il verdetto della giuria. Mi
sarei voluto alzare e scappare via lontano, rifugiarmi da qualche parte
in cui nessuno avrebbe potuto mai ritrovarmi e poi piangere, piangere
all'infinito, anche se non avevo motivo per farlo.
Ma ero scappato troppo spesso e troppo a lungo quindi era decisamente
arrivato il momento per fare un respiro profondo, stringere i denti e
reagire. Ero forte, avevo il mio bel carattere e le mie spalle erano
sufficientemente larghe per sopportare un altro po' di quell'ansia e di
quel tormento che mi stringevano lo stomaco. Nella peggiore delle
ipotesi, cosa sarebbe successo? Sue Sylvester, il guru della moda
americana, avrebbe alzato i suoi occhietti azzurri su di me, magari
inarcando perfino un sopracciglio, e mi avrebbe detto che non andavo
bene, che la mia moda non era destinata ad approdare da nessuna parte e
che il mio tentativo, per quanto coraggioso, era stato piuttosto vano e
deludente. Io avrei ringraziato con rispetto tutta la giuria, e con la
dignità un po' ammaccata ma ancora forte, avrei lasciato la
sala
e avrei raggiunto i miei amici e il mio ragazzo che attendevano al di
fuori. Un sogno che si avvera e si infrange nella stessa giornata
sarebbe stato davvero un bel record di cui andare fieri. Se non avessi
vinto quel concorso, non sarebbe morto nessuno, la mia vita sarebbe
ugualmente continuata, il mio lavoro al pub sarebbe rimasto, i miei
amici avrebbero continuato a volermi bene e soprattutto... Blaine mi
avrebbe amato, qualsiasi cosa fosse successa... per sempre e anche
oltre.
In quel momento, proprio quando l'ennesimo crampo mi rivoltava lo
stomaco, la porta si aprì e la giuria al completo
rientrò
nella sala. Raddrizzai istintivamente la schiena e strinsi i pugni
sulle gambe, mentre gli occhi vagavano subito sulla figura esile ed
elegante di Sue Sylvester e sulla sua espressione: seria, fiera,
austera e decisamente imperscrutabile. Un militare.
La Signora Spencer, la stessa che mi aveva intervistato all'inizio
della sfilata, ci chiamò sul palco e ci fece sistemare uno
di
fianco all'altro - eravamo in tutto dieci tra ragazzi e ragazze - e
dopo un breve cenno con la testa, si risedette al suo posto e
lasciò la parola alla Sylvester.
Non ce l'hai fatta
Kurt... hai perso...
"Dunque... prima di tutto credo sia doveroso da parte mia premettere
alcune cose, affinché quello che in seguito
arriverò a
dirvi, sarà più chiaro e conciso possibile. E che
a
nessuno di voi salti in testa di lamentarsi o di permettersi di
contraddire il nostro giudizio." iniziò rigida, squadrandoci
uno
per uno. La ragazza al mio fianco, una brunetta con gli occhiali e dei
discutibili pantaloni zebrati, emise un leggero lamento, che forse era
condivisibile da ognuno di noi su quel palco.
Guardati Kurt... cosa
hai creduto di fare presentandoti qui?...
"Partiamo dal presupposto che... la moda non è per tutti.
L'ottanta per cento di noi qui dentro non avrebbe dovuto neanche
prendere in mano un ago, per quanto mi riguarda e quindi seriamente non
capisco cosa vi abbia spinti ad aspirare verso qualcosa di
così.. ambizioso. Sognando così in grande fate
del male a
voi stessi, ma soprattutto fate perdere del tempo a quelli che come
noi, lavorano sul serio. Non ho mai creduto nelle seconde
possibilità e non intendo darne a nessuno di voi qui dentro,
per
questo sarò davvero limpida nei miei giudizi." si concesse
una
pausa per inforcare i suoi occhiali e recuperare un foglio dal tavolo.
Hai sentito? Tu fai
sicuramente parte di quell'ottanta per cento...
"Quelli che sto per chiamare, facciano per favore un passo avanti,
senza aprire la bocca." ordinò perentoria, per poi iniziare
un
piccolo elenco "Susan Meyer... Jonathan Hobey... Paul Keaton... Derek
White... Sandra Peterson... Rebecca Olsen... Marcus Vicent Bones..."
risollevò gli occhi dal foglio, puntandoli sui sette ragazzi
che
avevano fatto un passo in avanti e strinse le labbra, in una mezza
smorfia indecifrabile
Bene... ora
dirà che chi non è stato chiamato può
gentilmente accomodarsi fuori...
"Chi è stato chiamato... può uscire. Non avete
minimamente sfiorato il punteggio minimo richiesto per poter rimanere
su questo palco. Quindi.. grazie ed arrivederci!" annunciò
seccata. Ci fu un momento di silenzio generale in quella sala,
particolarmente imbarazzante, fino a che, la ragazza al mio fianco -
quella con i pantaloni zebrati - non scoppiò a piangere e
non
scappò fuori, letteralmente disperata, seguita poi a ruota
dagli
altri sei, delusi e sconfitti. Non potevo crederci. Non mi aveva ancora
mandato via, non mi aveva fatto scendere dal palco, ero ancora
lì insieme ad altri due ragazzi - che sospirarono lentamente
- e
potevo ancora permettermi di sperare. Almeno un po'.
Caspita.. vuoi vedere
che...
"Non fatevi strane idee voi tre... non vi ho fatti rimanere per
annunciarvi che ho deciso di premiarvi tutti, perché sarebbe
decisamente fuori discussione.. voglio semplicemente dirvi qualche
parola perché.. ammetto che siete stati gli unici a colpirmi
più di tutti oggi." specificò la Sylvester,
abbandonando
il suo foglio e liberandosi dei suoi occhialini sottili. Bene, prima di
mandarmi via e dirmi che non ero portato per la moda, voleva aggiungere
qualche altra cosa. Niente di più.
Ed io che mi stavo
perfino illudendo...
"Dunque... iniziamo da chi mi ha entusiasmato di meno tra voi tre...
Lucy Mattews... prego vieni qui davanti.." invitò una
ragazza
alta e magra, con i capelli biondi raccolti in una coda e lei subito si
affrettò ad ubbidire e rimase in silenzio in attesa,
nonostante
le si leggesse chiaramente in faccia la leggera delusione per essere
quella, tra noi tre, ad averla colpita di meno.
Merda... merda...
merda...
Ascoltai a stento ciò che la Sylvester disse alla ragazza,
perché ero troppo impegnato a torturarmi le mani, a
stringere il
tessuto della mia giacca e a cercare di ricordare come si respirasse,
onde evitare un altro attacco di panico. Alla fine, però, mi
accorsi con grande sorpresa che Lucy si era inchinata di fronte alla
giuria e con un sorriso un po' deluso e forzato, aveva salutato tutti
ed era uscita dalla sala. Oddio.. quindi neanche lei aveva... vinto?
"E alla fine rimasero soltanto in due!" esclamò ridacchiando
uno
dei giudici, uno di quelli che per tutto il tempo era rimasto in
completo silenzio a quel tavolo, accanto a Michael Chang. La Sylverster
fece una mezza smorfia, forse non apprezzando la battuta del suo
collega e portò gli occhi su di noi. Avvertii tutto il
sangue
confluire nelle guance e farle diventare rosse e bollenti - che mi
stesse venendo la febbre? - ed un leggero tremore alle gambe, che
sentivo non avrebbero retto ancora a lungo. Sarei svenuto sul palco,
sepolto da tutta quell'ansia, quell'attesa e quei maledetti occhietti
azzurri che continuavano a guardare e a non esprimere un bel niente. E
furono proprio quegli occhi a scuotermi qualche istante dopo posandosi
su di me, raggelandomi e facendomi sentire immediatamente un
idiota.
"Kurt Hummel!" mi chiamò ed io, anche se lei non me lo aveva
affatto chiesto, feci un passo in avanti. Si schiarì la
voce,
congiunse le mani sul tavolo e fece un lungo respiro prima di parlare
"Tu sei senza dubbio stato quello che oggi mi ha colpita più
di
tutti. Sei quello su cui all'inizio non avrei scommesso neanche
un'unghia, eppure... sei salito su questo palco e, nonostante il
terrore che ti si leggeva negli occhi, sei riuscito a tirare fuori il
carattere e la grinta e hai saputo tenere testa a me, il che
è
tutto un dire." la bocca le si inarcò appena in quello che
sembrò addirittura un sorriso, ma che durò
davvero troppo
poco per stabilirlo con certezza.
Tu sei stato quello che
oggi mi ha colpita più di tutti... cazzo...
"Ho osservato con attenzione i tuoi abiti e.. le tue cinque modelle
e... non mi ci è voluto molto a capire che la maggior parte
fossero delle dilettanti e che questa fosse la prima volta su un palco
per loro. Eppure, nonostante questo, i tuoi abiti mi hanno
piacevolmente distratta. Hanno un'ottima fattura e tu sei stato capace
di legarli insieme in maniera davvero intelligente e raffinata. E poi
quel colore che hai scelto.. devo ammettere che non ho mai amato il
dorato.. l'ho sempre trovato alquanto banale e scontato, in alcuni casi
perfino leggermente eccessivo, eppure tu sei riuscito, non si sa come,
a renderlo... interessante ai miei occhi. Davvero bravo!" e fece un
gesto eloquente con le mani, per sottolineare la sua sorpresa, mentre
al suo fianco il giudice che poco prima aveva fatto la battuta e il
Signor Chang annuivano soddisfatti.
Davvero bravo...
"La... ringrazio!" balbettai a stento, senza un briciolo di saliva
né fiato in gola. Quella non era la mia voce e quello non
stava
succedendo a me. Non poteva essere vero.
"Non ti nego che la strada è ancora molto lunga e che ne
dovrai
fare di gavetta prima di raggiungere i risultati a cui ambisci.
Però... hai un'ottima base e se verrai seguito attentamente
e
con il giusto criterio... potrai fare grandi cose, Kurt... te lo
assicuro!" e quella volta un sorriso ci fu davvero e fu ben visibile,
nonostante il tremore mi impedisse di stare fermo e il battito del
cuore fosse così forte da rendermi perfino sordo. La grande
guru
della moda mi stava parlando e mi stava facendo i complimenti. E per di
più, mi aveva sorriso, quasi con affetto, quasi come
un'amica,
quasi come.. una madre. Quasi.
"Ed è per tutti questi motivi che, io ed i miei colleghi
avremmo preso una decisione importante su di te."
Sempre se non muoio
prima...
New York City. Ore 05.47 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)
Era più di mezz'ora che Kurt era dentro a farsi torturare
dalla
Signora Fletcher - come l'aveva ribattezzata Sebastian - ed io
continuavo a corrodermi nella mia ansia, sollevando ogni sette secondi
esatti gli occhi dal pavimento fino alla porta della sala in cui si era
tenuta la sfilata, sperando di vederlo uscire sorridente e soprattutto
vittorioso. Ci aveva messo l'anima ed il cuore in quel progetto e non
avrei sopportato di vederlo sconfitto, dopo tutti quegli sforzi e quei
sacrifici e quegli anni trascorsi a sopportare una vita che non era
adatta a lui e al suo talento. Perché lui ne aveva tanto e
meritava di esprimerlo, con o senza signora Fletcher al seguito.
In meno di dieci minuti erano usciti quasi tutti gli altri ragazzi
dalla sala, chi piangendo e chi invece inveendo contro la giuria,
tacciandola di ignoranza e di presunzione. L'ultima ragazza aveva
addirittura dato un calcio al porta-rifiuti che stava accanto alla
sedia di Sebastian, facendo riversare a terra tutta l'immondizia e
soprattutto spaventando il mio amico che l'aveva fulminata con lo
sguardo e le aveva gridato dietro un
"Ehi.. vedi di calmarti Paris Hilton dei miei stivali... oppure la
prossima cosa che riceverà un calcio qui dentro,
sarà la
tua faccia!" e, nonostante si fosse girata con l'intenzione di
rispondergli male o magari di aggredire anche lui, lo sguardo del mio
amico bastò a congelarla e a farla scoppiare in lacrime
"L'hai fatta piangere." mormorò Daniel al suo fianco,
sconvolto
"Ben le sta. Se avessi reagito in questo modo tutte le volte che nella
vita ho ricevuto un no... a quest'ora sarei già stato
sbattuto
in cella di isolamento!" borbottò incrociando le braccia al
petto, seccato. Non ebbi neanche la forza per riprenderlo o perlomeno
per ammonirlo con lo sguardo. Ero troppo preoccupato per Kurt, per il
fatto che non fosse ancora uscito, per non sapere cosa lo attendesse
nel suo futuro e se casomai questo qualcosa fosse compatibile con il
mio. Una cosa era certa, se anche avesse avuto bisogno di trasferirsi o
di cambiare addirittura città o nazione, io l'avrei seguito,
perfino in Finlandia.
Dopo l'ennesimo sospiro e dopo essermi messo a grattare con l'unghia il
rivestimento della mia sedia imbottita, qualcosa accadde: la porta
della sala si aprì e finalmente uscirono gli ultimi due
rimasti,
tra cui anche il mio Kurt. Io, quasi rispondessi ad un comando
impartito dall'alto, scattai in piedi e in meno di tre passi lo
raggiunsi, agitato e tremante.
"Allora?" domandai subito, mentre alle mie spalle avvertivo un certo
fermento, segno che anche gli altri si fossero avvicinati. Kurt fece un
lungo respiro, dopodiché accennò un sorriso mite
e...
"Non ho vinto!" esclamò soltanto e la semplicità
con cui
lo disse, unita a quella sua espressione rilassata e soprattutto, al
senso di quelle tre parole, mi fecero perdere un paio di battiti
"Co..cosa?" fu Rachel dietro di me a parlare, o forse Santana... o
probabilmente fui io stesso a farlo, senza rendermene conto
"Non ho vinto!" ripeté, sempre con estrema calma "Ha vinto
lui!"
aggiunse ed indicò l'altro ragazzo che, a pochi metri di
distanza da noi, esultava con i suoi amici ed abbracciava un paio di
persone, farfugliando qualcosa di incomprensibile. Come incomprensibile
per me fu quello che Kurt mi disse: lui non poteva davvero non aver
vinto, lui e i suoi modelli erano.. speciali, erano eleganti e
meravigliosamente realizzati e stentavo a credere che quel tizio, di
cui ignoravo perfino il nome e la nazionalità, potesse aver
creato qualcosa di migliore. Era inaudito, inconcepibile, assurdo e...
incomprensibile appunto. Doveva esserci stato per forza un errore o
probabilmente Kurt si stava divertendo a prenderci in giro.
Sì,
era senza dubbio così.
"Oddio Kurt... mi ... mi dispiace!" balbettò desolato Daniel
che
intanto si era fatto più vicino, anche se io non riuscivo a
vederlo. Non riuscivo a vedere nulla, al di fuori degli occhi di Kurt,
dei suoi bellissimi occhi azzurri che, invece di essere disperati o
magari perfino colmi di lacrime, erano luminosi, brillanti e colorati
da una strana euforia. Lui non stava scherzando, altrimenti non avrebbe
avuto quell'espressione così serena, non avrebbe saputo
fingere
fino a quel punto. Non Kurt, non in quell'occasione, non con me.
"A me no!" esclamò Kurt, ridacchiando quasi e stringendosi
nelle spalle
"Cosa?" quella volta fu la mia voce, senza ombra di dubbio, a farsi
sentire. Lui incollò gli occhi nei miei e fece un altro
profondissimo respiro, un respiro lungo un'eternità, un
respiro
che mi fece perdere quei pochi anni di vita rimasti.
Se non mi uccide
l'ansia, lo farai tu, Kurt Hummel...
"La Sylvester mi ha offerto di lavorare per lei. I miei modelli le sono
piaciuti a tal punto che.. non vuole perdere la possibilità
di
avere nel suo staff uno con il mio talento e la mia faccia tosta e per
questo non mi ha fatto vincere il concorso... perché
altrimenti
avrei preso i miei soldi e non avrei più... continuato a
disegnare." spiegò, rivolgendosi completamente a me, senza
spostare mai gli occhi, senza accennare minimamente al fatto che gli
interessasse rendere anche gli altri partecipi della conversazione.
Semplicemente mi aprì il suo cuore, come aveva sempre fatto,
e
mi spiegò realmente come mai fosse così
emozionato e
contento.
"Kurt.." mi scappò dalle labbra, mentre avanzavo di mezzo
passo
verso di lui, con addosso una strana ed
inarrestabile voglia di abbracciarlo.
"La più grande stilista dell'intera costa orientale vuole
che io
diventi uno degli stilisti della sua agenzia. Vuole me, Blaine... me!"
e nel dirlo i suoi occhi di inumidirono e il suo sorriso
così
bello vacillò appena, a causa dell'emozione che cresceva
come
un'onda e con la stessa potenza, a breve, lo avrebbe travolto. E
a me bastò quello: vederlo così fragile, ma allo
stesso
tempo forte e rilassato e soprattutto, fiero di ciò che era
riuscito a fare.. fu la mia personale conferma di quanto bastasse
relativamente poco al mio bellissimo ragazzo, per raggiungere il picco
estremo della felicità. Così mi fiondai su di lui
per
abbracciarlo, stringerlo forte a me, cancellare quel briciolo di paura
rimasta e fondermi con quel corpo che, ci avrei giurato, stava ancora
tremando. E in quel momento, mentre lui in risposta stringeva le
braccia attorno al mio collo ed entrambi, sospiravamo all'unisono per
il contatto, mi ritrovai a pensare che... ce l'aveva fatta, era un
vincitore.. il mio
vincitore..
aveva ottenuto, nonostante i problemi, nonostante gli attacchi esterni
e i sabotaggi, nonostante degli episodi particolarmente spiacevoli
durante la sua vita, tutto ciò di cui aveva bisogno per
essere
felice. Il mio piccolo e dolce Kurt.. lui che non credeva nei sogni;
lui che era un semplice ragazzo disilluso e ferito dalla vita; lui che
amaramente era arrivato a convincersi del fatto che non avrebbe mai
ottenuto nulla dal futuro e che quello che aveva già bastava
ed
avanzava; lui che aveva gli occhi tristi e spenti quando avevo avuto il
piacere di perdermici per la prima volta; lui che sorrideva con poco e
si emozionava con molto meno; lui che era una bellissima persona e lo
capiva soltanto ora; lui che aveva dovuto passarne tante per diventare
l'uomo meraviglioso e forte che era e che tante ancora ne avrebbe
dovute passare, per migliorare e crescere e andare avanti ed essere
sempre estremamente fiero di sé, esattamente come lo ero io
in
quel momento. Io che insieme a lui stavo esaudendo tutti i miei sogni;
io che dopo venticinque anni ero riuscito a trovare un motivo per cui
valesse davvero la pena vivere; io che avevo sempre creduto di non
valere a molto e di non poter fare nulla per gli altri; io che nel mio
futuro vedevo solo infinite levatacce all'alba e notti insonni passate
a comporre canzoni che tanto non avrebbero mai visto la luce; io che
ero scappato dalla mia piccola Westerville perché non mi ero
mai
sentito realmente a casa e che a New York, magicamente, un giorno avevo
trovato tutto ciò di cui avevo bisogno; io che in meno di un
mese avevo trovato... lui.
Avrei voluto che Kurt andasse da ognuno di quelli che, soprattutto
quando era un liceale di Lima, gli avevano detto che tanto non sarebbe
andato da nessuna parte, che quelli come lui non avrebbero ottenuto un
bel niente: Kurt avrebbe dovuto andare da ognuna di quelle persone e
dire "Fanculo a tutti, io ce l'ho fatta!" e poi orgogliosamente girare
le spalle a quel mondo di ipocriti e tornarsene nel suo.
Questo è
ciò che si dice... prendersi le proprie rivincite...
"Ce l'hai fatta Kurt!" sussurrai direttamente nel suo orecchio, e solo
allora mi resi conto di essermi commosso assieme a lui
"Anche tu, Blaine... anche tu..." rispose con la voce strisciata e la
consapevolezza portata dalle sue parole, mi fece sorridere "Ce
l'abbiamo fatta insieme!"
Insieme... ed insieme
dobbiamo continuare...
"Ti amo... tanto!"
"Anche io ti amo... per sempre e anche oltre!"
New
York City. Ore 08.15 P.M. 04 Maggio 2012
(Venerdì)
Esattamente dodici ore dopo, nel buio dell'appartamento di Kurt, ci
ritrovammo nella stessa identica posizione: abbracciati, stretti fino
quasi a far male, persi in chissà quale mondo parallelo a
fare i
conti con un destino che, forse per la prima volta nella vita di
entrambi, aveva voluto farci un regalo e sorriderci. E la sensazione fu
più o meno la stessa anche in quel momento: mi sentivo
elettrico
ma allo stesso tempo una strana calma mi avvolgeva lo stomaco, quasi
sapessi di poter rimanere tranquillo perché tanto quel mio
mondo
tanto perfetto e il mio meraviglioso ragazzo non sarebbero andati da
nessuna parte.
"Io non riesco ancora a crederci." la sua voce intimidita si fece
sentire qualche istante dopo e fui costretto a fare appello ad ognuno
dei miei sensi per percepirla completamente, in tutte le sue sfumature.
Mi discostai appena dal suo abbraccio per poter intercettare quegli
occhi chiari e poterli studiare con calma ed attenzione. E per mia
fortuna, li trovai talmente tanto limpidi da sembrare quasi trasparenti.
"Devi crederci, amore... è la tua vita e finalmente sta
iniziando a girare per il verso giusto!" esclamai con un sorriso,
andando a percorrere con la mano tutta la lunghezza della sua schiena,
che si rilassò visibilmente al contatto. Gli
scappò
perfino un sospiro dalle labbra che si infranse sulla mia guancia, dato
che si era nuovamente avvicinato a me
"Ho paura che tutto scompaia... che si infranga sotto i miei occhi e
che non possa fare nulla per impedirlo!" mormorò strofinando
la
guancia contro la mia, quasi come un gattino in cerca di coccole. E
bastò quello ad accendere ognuna delle terminazioni nervose
del
mio corpo, soprattutto dalla vita in giù.
"Non dirlo neanche... quello che hai ora è tuo di diritto e
non
andrà da nessuna parte se non sarai tu a volerlo. Quindi
smettila con questo pessimismo e.. solo... goditelo fino alla fine!" e
di proposito citai le stesse parole che anche lui aveva usato qualche
giorno prima, facendo riferimento ad Artie e alla casa discografica e
per fortuna lui colse l'allusione e si lasciò andare ad una
leggera risata. Una meravigliosa e leggera risata.
"Anche tu non andrai da nessuna parte? Anche tu sei..." ma si
bloccò, spostando di nuovo il viso e permettendo ai nostri
occhi
di incontrarsi ancora. Sentii un brivido corrermi lungo tutta la
schiena ma provai ad ignorarlo e a concentrarmi soltanto sulle parole
"Dillo!" lo incitai, trattenendo di proposito il respiro
"Anche tu... sei... mio di diritto?" domandò finalmente con
la
voce ridotta ad un misero respiro. Un altro brivido, quella volta
più intenso.
"Io sono in cima alla classifica di ciò che è
tuo... e
spero di rimanerci il più a lungo possibile!" scherzai,
riuscendo nuovamente a farlo ridere e il suono della sua risata,
mischiata con la mia, ebbe strani effetti su di me, attorcigliandomi lo
stomaco in un modo quasi assurdo ed inimmaginabile. Ma era tutto molto
piacevole. Come piacevole sarebbe stato continuare a rimanere
lì
abbracciati, magari continuando a parlare sottovoce e a ridere o
perfino iniziare a baciarci e... ma non potevamo, non in quel momento
"Dovremmo tornare di là... tutti gli altri si staranno
chiedendo
che fine abbiamo fatto!" esclamai, dopo avergli lasciato un leggero
bacio sulla guancia
"E, conoscendolo.. Sebastian avrà già dato il via
a qualche ipotesi a luci rosse!" azzardò lui ridacchiando
"Come minimo." confermai divertito. Lui, dopo avermi lanciato uno
strano sguardo indecifrabile, allungò appena il collo verso
di
me e mi baciò: un morbidissimo bacio che suggellava
teneramente
quello che ci eravamo appena detti e che forse serviva ad entrambi per
rendere il tutto un po' più reale. Ci staccammo solo qualche
istante più tardi - decisamente troppo presto comunque - e
rimanemmo a guardarci negli occhi, senza dire niente, semplicemente
sorridendoci a vicenda ed ascoltando il battito dei nostri cuori che,
come al solito, viaggiavano sulla stessa frequenza.
"Andiamo?" domandai e lui annuì, continuando ad illuminarmi
con
il suo bel sorriso, che si portò dietro fino a che non
ritornammo nel mio appartamento, dove si stava svolgendo la festa che
avevamo organizzato in suo onore. Lui, però, quando aveva
acconsentito all'idea di organizzarne una, aveva specificato che fosse
anche per me, per la storia della casa discografica e che quindi
festeggiassimo assieme quelle due conquiste ed io.. beh, non avevo
saputo dire di no, anche perché Kurt ormai sapeva bene come
convincermi.
Nel mio appartamento c'erano davvero tutti ed era davvero piacevole
avere così tanta gente lì per.. noi.
"Toh... ecco che tornano i coniugi De Coniglis... stavamo iniziando a
scommettere su chi sarebbe... venuto per primo!" esclamò
Sebastian malizioso come sempre, scatenando un'ondata di risate e
l'imbarazzo di Kurt
"Ha parlato il puritano di New York City. Pensa per te, Smythe!" lo
ripresi fulminandolo e ottenendo altre risate e una smorfia da parte
del mio amico. Quanto si sarebbe divertito a prenderci in giro da
lì all'eternità ma, d'altronde, lo avevo fatto
anche io i
primi tempi in cui era fidanzato con Daniel quindi... mi avrebbe reso
pan per focaccia.
"Uh mamma... lo voglio anche io un coniglio! Possiamo? Ti prego!" si
intromise la piccola Lea, saltellando davanti a Rachel e congiungendo
le manine davanti al naso. Ci fu un lungo momento di silenzio generale,
in cui tutti ci girammo verso la povera Rachel, che era arrossita in
maniera spropositata.
"Sì mamma.. lo voglio anche io un coniglio!" si aggiunse
Puck
divertito, sorseggiando la sua birra direttamente dalla bottiglia.
Quinn, seduta al suo fianco sul divano, gli tirò un piccolo
schiaffo dietro la nuca per farlo tacere. Mi ricordavano qualcuno di
mia conoscenza quei due.
"Ehm... ecco Lea... lui non intendeva..."
"Cosa te ne fai di un coniglio... non basto io come animaletto
domestico?" le domandò Finn afferrandola per i fianchi e
caricandosela su una spalla, come un sacco di patate. La bimba
scoppiò a ridere e noi al seguito, mentre la povera Rachel
sospirava di sollievo per essere stata tolta dall'imbarazzo. Con la
coda dell'occhio, nonostante il momento di ilarità generale,
non
riuscii a non notare l'espressione del mio migliore amico: erano un
paio di giorni che lo vedevo leggermente strano, assente più
che
altro e, nonostante le sue battute sempre presenti e puntuali, non
aveva ancora dato il meglio di sé il che era decisamente
troppo
anomalo per uno come lui: c'era qualcosa, sicuramente qualcosa che lo
preoccupava, altrimenti non sarebbe mai stato così
pensieroso.
Così, approfittando di quel momento di distrazione offerto
da
Finn e dalla piccola Lea, mi allontanai dal gruppo per seguire
Sebastian che era uscito sul terrazzo, dove c'erano altre persone che
parlavano a gruppetti. Lo affiancai nello stesso punto in cui, per
ironia della sorte, avevamo parlato di quell'appartamento il giorno in
cui me lo aveva fatto vedere per la prima volta, solo che in quel
momento c'erano altre venti persone attorno a noi, era buio e quello ad
avere un problema non ero più io.
"Sei un po' troppo pensieroso stasera!" esclamai con un sorriso, per
tentare di allentare un po' di quella tensione che gli si leggeva a
lettere cubitali sul viso. Lui si girò a guardarmi e
accennò una mezza smorfia
"É che... sto per fare una cazzata!" mi informò
con uno strano tono tormentato
"Mmm... se puoi, evita allora." scrollai le spalle, domandandomi che
tipo di cazzata fosse e quanto grave potesse essere per ridurlo in
quello stato. Era preoccupato per qualcosa, ormai era chiaro, tuttavia,
con Sebastian le cose funzionavano in modo strano: detestava essere
incalzato con le domande, anche se sentiva la necessità di
parlare con qualcuno; se avesse voluto, sarebbe stato lui stesso a
parlare, qualsiasi cosa lo affliggesse.
"Posso chiederti un consiglio?" mi domandò poco dopo, con un
sospiro.
Ecco, appunto...
"Certo... dimmi pure." acconsentii, poggiando la schiena alla ringhiera
del terrazzo e rimanendo in attesa. Lui fece un altro lungo sospiro ma,
la cosa più sospetta, fu senza dubbio il girarsi un attimo
verso
l'interno del mio appartamento, dal quale provenivano ancora le risate
degli altri.
"Ok... poniamo il caso che tu decida di fare qualcosa di diverso,
qualcosa che non ti saresti mai aspettato di fare, qualcosa che non
rientra neppure nella tua natura, ma senti il bisogno di farla, una
necessità spasmodica che.. non ti fa né mangiare
né dormire da quasi una settimana..." iniziò
puntando gli
occhi nei miei e sorprendendomi non poco
"Woah... deve essere proprio grave, allora." borbottai accigliandomi,
ma lui mi ignorò
"Riusciresti a fare questa cazzata.. nonostante i dubbi e le incertezze
e la stramaledetta paura che ti assale?" domandò infine,
preoccupato e sollevato allo stesso tempo, forse per aver finalmente
snocciolato il suo problema
"Se la reputo importante per me... sì, la farei." risposi
stringendomi nelle spalle, con tutta la sincerità e la
naturalezza di cui ero capace. Lui rimase fisso a guardarmi per un
lungo istante, per poi deglutire un paio di volte di seguito, quasi
cercasse le parole adatte per continuare
"E se questa rivoluzionasse la tua vita... per sempre?"
tentò
ancora, con gli occhi fissi sul panorama notturno dietro di me
"A maggior ragione." insistetti, mentre nel mio stomaco si agitava
qualcosa. Che cosa stava succedendo? Perché era
così
angosciato e dubbioso? Che fine aveva fatto il Sebastian fiero e sicuro
di sé che niente e nessuno avrebbe potuto abbattere?
"E se sapessi che, una volta imboccata quella strada, non potessi
più tornare indietro?" tentò ancora, sempre
più
tormentato
"Tutte le scelte che facciamo ci conducono verso una direzione...
bisogna solo trovare il coraggio di imboccarla." dissi allora e lui
scosse la testa
"E se... io non ce l'avessi questo coraggio?" fu quasi con tono di
sfida che mi porse quella domanda ed io non resistetti più
"Sebastian! Che diavolo ti prende?" domandai preoccupato, fregandomene
di quale fosse la strategia migliore per parlare con lui o se questo
potesse peggiorare la situazione. Non riuscivo a vederlo
così,
insicuro e combattuto, e morivo dalla voglia di sapere cosa diamine gli
stesse succedendo. Ma lui, ovviamente, reagì male
"No io... niente!" scosse di nuovo la testa, quella volta con
più decisione e si chiuse a riccio, come sempre.
Idiota che non sono
altro...
Con un sospiro profondo, lanciai un'occhiata verso l'interno e scorsi
di sfuggita Kurt che parlava con Rachel e insieme ridacchiavano
complici, per qualcosa.
Che strano... lui lì con Rachel, io qui con Sebastian... se
non è un caso questo...
"Ascolta, Bas... io non.. pretendo di sapere cosa ti stia succedendo..
sono affari tuoi, è la tua vita ed io non voglio
costringerti a
parlarmene, però... una cosa sento di dirtela e credimi...
mi
viene dritta dritta dal cuore." iniziai, riuscendo a catturare di nuovo
la sua attenzione e i suoi occhi si puntarono nei miei, nonostante
fossero ancora combattuti. Lo vidi annuire appena, segno che fosse ben
disposto ad ascoltarmi e ne fui sinceramente felice. Quel testone era
difficile che ascoltasse, soprattutto quando qualcosa lo tormentava in
quel modo.
"Tu prima mi hai chiesto un consiglio ed io te l'ho dato ma...
conoscendoti, non penso darai molto retta a quello che ti ho detto
quindi... appena puoi, prenditi un momento solo per te, un momento per
riflettere e chiedi un consiglio a Sebastian... chiedigli cosa farebbe
lui se sapesse di poter fare una cazzata, qualsiasi essa sia, ma se
sapesse che questa cazzata potrebbe cambiargli la vita positivamente.
Sono sicuro che lui sia più adatto di me in questo momento
per
poterti dare un consiglio adeguato." dissi, mentre nei suoi occhi si
accendeva qualcosa di molto simile ad un luccichio, debole ma
ugualmente ben visibile
"E poi... pensandoci... io sono solo un idiota che si spaccia per tuo
migliore amico... non credo di avere molta voce in capitolo su quello
che decidi di combinare. Al massimo posso.. tentare di darti una mano,
nel caso in cui il danno dovesse rivelarsi più grande del
previsto!" e gli strizzai l'occhio, facendolo ridacchiare. Quel
luccichio intanto si era intensificato e solo in quel momento, mentre
Sebastian si mordeva un labbro e mi rivolgeva un sorriso sereno, mi
resi conto che somigliava molto vagamente alla commozione.
Eh no.. non sono pronto
a vedere piangere
anche lui stasera...
"Non sei un idiota!" mi assicurò in un sussurro sorridente,
scuotendo appena la testa
Oh sì che lo
sono, solo che tu mi vuoi troppo bene per accorgertene...
"E.. penso che accetterò il tuo consiglio." aggiunse
divertito ma estremamente serio "Almeno per questa volta."
"Mmm... ottimo! Posso dire di essere orgoglioso di te in questo
momento?" domandai scherzando, per smorzare un po' di quella tensione
rimasta
"Aspetta ad esserlo. Non sai ancora cosa potrei essere capace di..
fare!" mi avvertì con una smorfia. In effetti, nonostante
quella
discussione io non avevo risolto nulla: continuavo a non sapere cosa
tormentasse il mio amico né se un giorno me ne avrebbe o
meno
voluto parlare. Eppure, mi bastava sapere di avergli alleggerito almeno
un po' quel suo stato d'animo agitato e magari avergli dato una mano
per.. decidere meglio.
"Mi fido di te!" assicurai con un sorriso, dopodiché
scoppiammo a ridere insieme
"Ah.. ecco dove eravate finiti!" la voce di Daniel ci raggiunse proprio
in quel momento e il ragazzo biondo sbucò dietro la schiena
di
Sebastian, e gli avvolse un braccio attorno allo stomaco
"Cosa avete da confabulare voi due?" ci domandò divertito,
squadrandoci per bene. A giudicare dal rossore che si
affacciò
sulle guance del mio amico, intuii che il suo ragazzo fosse all'oscuro
del tumulto che lo stava attraversando o di quella famosa cazzata di
cui mi aveva parlato. Forse... Daniel ne era perfino coinvolto,
indirettamente, il che avrebbe spiegato come mai Sebastian fosse stato
così incerto.
"Solite cose... investimenti in borsa... problemi di politica
internazionale.." risposi vago stringendo le spalle
"La conquista del mondo!" aggiunse lui con tranquillità e
lanciandomi un'occhiata a mo di ringraziamento per non aver accennato a
quello che ci stavamo dicendo. Forse un domani, neanche troppo lontano
avrei scoperto cosa avesse in mente e probabilmente avrei anche
scoperto che non era necessario preoccuparsi tanto, ma intanto avrei
dovuto attendere ed avere fiducia in lui e magari, esserci anche quando
non avrebbe avuto il coraggio di chiedermi di rimanere.
Perché
in fondo è questo quello che fanno gli amici. Soprattutto i
migliori.
New
York City. Ore 08.45 P.M. 04 Maggio 2012
(Venerdì)
"Dico ma... li hai visti?" la voce elettrizzata di Rachel mi
arrivò alle spalle, spaventandomi appena. Girandomi la
trovai a
meno di un passo da me e con un sorriso quasi terrificante sul volto
"Di chi parli?" le domandai accigliandomi e lei si limitò a
farmi un cenno con la testa verso il divano del salotto di Blaine,
senza dire nulla: c'erano Finn e Lea, lei seduta in braccio al ragazzo
e stavano parlottando di chissà cosa, che li coinvolgeva a
tal
punto da essersi perfino estraniati. Conoscendo entrambi, io avrei
iniziato a provare una certa paura.
"Ah però... ce n'è di affinità tra
quei due."
mormorai sorpreso "Se fossi in te, inizierei ad essere un tantino
gelosa!" e lei ridacchiò scuotendo la testa
"Non so neanche quando è stata l'ultima volta che ho visto
mia
figlia così serena con qualcuno. E non è neppure
una cosa
temporanea, Kurt... è così da quando lui
frequenta
più spesso casa nostra e a volte, quando lui non viene da
noi a
bussare e lei stessa che lo cerca." mi spiegò continuando a
guardare verso i due, che in quel momento ridacchiavano complici
"Tesoro mio.. lo sai meglio di me cosa manca a quella
bambina.. e
sai anche che, molto probabilmente questo qualcosa lo abbia trovato in
quel gigante panciuto e goffo che è lì con lei al
momento." le dissi con un sorriso felice, mentre lei tornava a guardarmi
"Lo so. Ciò che manca a lei... manca anche a me, Kurt,
credimi!"
mormorò con un sorriso imbarazzato e colsi quell'allusione
per
tirare in ballo un po' di sana malizia, giusto per metterla ancora di
più a disagio
"A proposito... ci sono novità per quanto riguarda quella
piccola verifica che avresti dovuto fare su Finn?" le chiesi,
provocandola e dandole una leggera spallata. Lei, neanche a dirlo
arrossì violentemente e mi tirò uno schiaffetto
sul braccio
"Ti sembra il luogo adatto per certe domande?" borbottò
guardandosi attorno e facendomi ridere
"Coraggio, Berry... basta un sì o un no." lei mi
fulminò
appena, ma alla fine, dopo un sospiro lunghissimo ed essere arrossita
ancora...
"S-sì..."
"Come scusa?"
"Ho detto di sì... non farmi gridare!" abbaiò
praticamente paonazza. Io sollevai le sopracciglia, piacevolmente
colpito
"Mmm... era ora... e dunque.. il verdetto qual'è?" la
provocai
ancora con un mezzo sorrisetto. Lei sbuffò per poi mordersi
un
labbro e lanciare un'occhiata veloce verso Finn
"Le tue teorie sono fasulle, Hummel." rispose soddisfatta, ma con un
bel sorriso sincero sulle labbra "L'altezza non ha per niente
influito!" e mi cacciò la lingua, divertita e ancora un po'
rossa in viso, allontanandosi da me per raggiungere la sua bambina e il
suo ragazzo ufficiale. La sua famiglia.
New
York City. Ore 09.56 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)
Spinto dalle richieste di praticamente tutti i nostri amici, alla fine
mi ero fatto convincere, avevo inforcato la chitarra e mi ero messo a
cantare un paio di canzoni. E per tutto il tempo avevo guardato verso
Kurt che mi guardava e mi sorrideva e mi faceva battere il cuore. Era
bello sapere che, se solo ne avessi avuto la voglia, mi sarei potuto
alzare e avrei potuto baciarlo, lì davanti a tutti, solo per
il
piacere di farlo. E nessuno in quella stanza avrebbe avuto niente da
dire, non solo perché non eravamo l'unica coppia omosessuale
lì dentro, ma anche perché la maggior parte di
loro,
avrebbe perfino fatto il tifo per noi.
Ad un tratto, proprio mentre terminavo l'ultima canzone e tutti
applaudivano con entusiasmo, il campanello suonò
così
abbandonai la chitarra in un angolo e andai ad aprire. Alla porta,
quasi fosse un déjà-vu, ci ritrovai Artie Abrams,
con la
sua sedia a rotelle, i suoi occhiali squadrati e il suo cardigan di
discutibile gusto estetico.
"Oh... ciao!" lo salutai sorpreso
"Ciao.. scusa se ti disturbo a quest'ora... posso?" ed
indicò
l'interno dell'appartamento, proprio come la prima volta. Io mi feci da
parte per farlo passare e lui entrò, muovendo agilmente le
ruote. Nel mio salotto calò il silenzio: la maggior parte
delle
persone presenti, conosceva Artie e sapeva quanto fosse scorbutico e
maleducato, quindi molti di loro storsero il muso nel trovarselo ancora
davanti.
"Cosa ci sei venuto a fare qui, Abrams? Ti da fastidio il rumore che
stiamo facendo, per caso?" lo provocò Rachel, scattando in
piedi
ed avvicinandosi. Artie si fermò al centro del salotto,
guardando attentamente tutti quanti, soprattutto i suoi condomini
"In realtà... avrei bisogno di parlare con voi."
annunciò, congiungendo come sempre le mani in grembo. I miei
occhi saettarono verso quelli di Kurt, che trovai intenti a fissarmi.
Non avevo idea di cosa volesse dire Artie, né tanto meno
perché si fosse degnato di salire di nuovo nel mio
appartamento,
pur sapendo che ci avrebbe trovato tutte quelle persone, le stesse che
si era divertito ad umiliare meschinamente. Nonostante ora lavorassi
per lui, non avevo del tutto dimenticato cosa era stato capace di fare.
"E se noi non avessimo voglia di ascoltarti?" domandò Will,
allontanandosi da sua moglie ed affiancando Rachel che si fece ancora
più combattiva
"Avreste le vostre buone ragioni." ammise con una smorfia, sollevando
gli occhi verso Kurt e poi su Tina "Ma vorrei che mi deste soltanto
pochi minuti del vostro tempo per... provare a spiegare. Poi sarete
liberi di decidere cosa fare con me... se mandarmi al diavolo oppure se
farmi rimanere a.. festeggiare con voi." e mi lanciò
un'occhiata. Rachel incrociò le braccia al petto, in attesa,
ma
per fortuna non disse niente. Beh perlomeno gli avevano dato una
possibilità... ora toccava ad Artie sapersela giocare nel
migliore dei modi.
"Io.. non credo di avere scuse per quello che è successo
l'ultima volta che ci siamo visti e ne pretendo di averne. Vi ho
trattati malissimo, senza motivo, e per di più ripensandoci
non
riesco neanche a capacitarmi di quanto odio e di quanta cattiveria io
sia riuscito a tirare fuori in così poco tempo. Tutto quello
che
ho detto io non.. lo pensavo minimamente.. è stato tutto
dettato
da un momento di particolare sconforto che in questo ultimo periodo si
fa sentire maggiormente e ho sfogato tutta la mia angoscia su di voi
che eravate così sorridenti e sereni. In quel momento mi
sembrava l'unica cosa da fare per... sentirmi meglio. Ora, a distanza
di tempo, mi sembra soltanto un atteggiamento infantile ed immaturo."
scosse la testa rammaricato per poi perdersi in un sospiro. Io
approfittai della pausa per sollevare gli occhi e controllare le
reazioni degli altri. Kurt stava lo guardando con un broncio tranquillo
sul volto, niente di aggressivo o di prevenuto; Tina al suo fianco
sembrò perfino dispiaciuta; Will abbandonò la sua
espressione risentita per sciogliersi in qualcosa di più
comprensivo; Finn - che probabilmente non stava capendo nulla - aveva
un'espressione inebetita sul volto, come al solito; l'unica ad essere
ancora leggermente restia fu Rachel, che continuava a squadrarlo con
attenzione, forse in attesa di essere attaccata e di attaccare di
conseguenza
"Per questo vorrei chiedere umilmente scusa ad ognuno di voi per quelle
orribili cose che ho detto e spero che, se me ne darete la
possibilità, in futuro possa trovare il modo migliore per
farmi
perdonare da voi, come spero di aver iniziato a fare già con
il
padrone di casa!" e nel dirlo si girò verso di me,
strappandomi
un sorriso. In fondo, per quanto fosse stato pessimo l'ultima volta,
aveva comunque avuto il coraggio di affrontare tutti a viso aperto e
chiedere scusa pubblicamente, perfino davanti a persone che neppure lo
conoscevano. Era una bella persona, dopotutto, a modo suo. E ad
accorgersene, oltre a me in quel salotto, fu anche un'altra persona,
forse la più imprevedibile di tutte: la piccola Lea infatti
sgusciò via dalla presa di Finn e corse a posizionarsi di
fronte
ad Artie che sollevò un sopracciglio, sorpreso di essere
studiato in maniera così palese da una bambina
così
piccola. Rachel non riuscì nemmeno a realizzare cosa stesse
succedendo, né provò a fermarla, che la piccola
parlò
"Perché vai in giro seduto su questa sedia?" gli
domandò,
con la tipica innocenza di una bambina di quattro anni. Si
avvertì distintamente il momento in cui ognuno lì
dentro
trattenne il fiato e perfino il versetto imbarazzato che
scappò dalle labbra di Rachel. Ma nessuno si sarebbe mai
realmente aspettato la reazione di Artie: si sporse leggermente verso
la bimba e le rispose
"É colpa di un brutto incidente che ho fatto qualche anno
fa.
Ero alla guida della mia macchina e sono finito fuori strada. Se avessi
avuto le cinture di sicurezza però, questo non sarebbe
successo..." spiegò con calma e solo allora realizzai di non
essermi mai realmente chiesto cosa fosse successo a quel ragazzo per
ridurlo in quello stato. Grazie a Lea e alla sua innocente
curiosità, lo avevo scoperto
"La mia mamma dice che si devono sempre allacciarle le cinture quando
si porta la macchina... non si usa il cellulare e non si danno passaggi
ai forestieri, non è vero mammina?" e la bimba si
girò
verso la madre che, paonazza, stirò un sorriso imbarazzato
"Certo, tesoro!"
"Tua madre ha perfettamente ragione... soprattutto sui forestieri.
Sempre occhi aperti, piccola, mi raccomando!" affermò
convinto,
annuendo. La bambina lo studiò ancora, portandosi l'indice
alla
bocca e alla fine, dopo un'attenta analisi si avvicinò, fino
a
toccargli una gamba con la mano
"Posso fare un giro con te?" domandò in un soffio,
arrossendo
graziosamente sulle guance. Rachel, sconvolta, scattò in
avanti
per afferrare la figlia e magari rimproverarla per quella mancanza di
rispetto, ma Artie fu più veloce di tutti: le sorrise - un
sorriso aperto, uno di quelli che non gli avevo ancora visto, ma che lo
rendeva senza dubbio più umano - e si batté una
mano
sulla gamba, come a volerla incitare. La bambina non se lo fece
ripetere due volte, gli rivolse un sorriso radioso e gli si
arrampicò addosso, per poi mettersi comoda
"Dove la porto, signorina?" le domandò Artie, stringendo le
ruote. Lei si fece seria, stando al gioco ed indicò il
tavolo
con il cibo
"Ho voglio di un tramezzino, per favore!" e così lui si
mosse in
direzione del tavolo, sotto i nostri occhi stupiti e divertiti e quelli
ancora imbarazzati di Rachel. Lea si divertì parecchio
perché alla fine del giro, si permise perfino una
trasgressione
al suo codice di riservatezza, allungandosi per lasciare un bacio sulla
guancia di Artie e scappò via, a nascondersi dietro Finn. E
quindi Artie Abrams, lo scontroso ragazzo seduto sulla sedia a rotelle,
sapeva perfino essere ironico e paziente con una bambina di quattro
anni. Il mondo non avrebbe mai smesso di stupirmi.
Lui congiunse nuovamente le mani in grembo e rimase in attesa del
giudizio di chi ancora lo guardava con attenzione. Alla fine,
però, ancora rossa per l'imbarazzo, ma notevolmente
più
rilassata, fu proprio Rachel ad avvicinarsi e a tendere al ragazzo un
bicchiere di coca cola, in segno di resa, che lui accettò,
con
un altro sorriso sorprendentemente aperto e cordiale.
New
York City. Ore 09.15 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)
Dopo l'improvvisata che aveva fatto Artie Abrams alla festa, le sue
scuse, e la riconciliazione con tutti, soprattutto con Rachel, accadde
un'altra cosa particolarmente bizzarra ed inaspettata: il campanello
suonò di nuovo e fu ancora Blaine ad andare ad aprire. E
quella
volta, fuori dalla porta, aspettava un uomo elegantemente vestito,
espressione rigida e composta e una bottiglia di pregiato champagne
stretta al petto.
"Signor Chang! Lei cosa ci fa qui?" domandai sorpreso, andando in
soccorso di Blaine che sulla porta, lo osservava stranito, ovviamente
non conoscendolo
"Mi scusi l'intrusione, signor Hummel... la signorina Lopez oggi
all'agenzia mi ha detto che questa sera Lei avrebbe festeggiato il suo
successo e allora, mi sono permesso di presentarmi per poterle fare i
miei personalissimi complimenti e gli auguri per un futuro pieno di
successi!" esclamò con un sorriso cordiale sul volto e alla
fine
mi indicò la bottiglia "Questo è per Lei!" e me
la porse.
Io l'afferrai stupito, chiedendomi quante migliaia di dollari avesse
speso per uno champagne così prestigioso e soprattutto in
che
tipo di occasione avrei potuto usarlo, ma Blaine al mio fianco,
schiarendosi la voce discretamente, mi ricordò che prima di
tutto avrei dovuto pensare alle buone maniere.
"Oh... oh... la ringrazio Signore... io.. non so davvero cosa dire!"
ammisi, sentendomi un idiota colossale ed arrossendo di conseguenza
"Ma... prego.. cioè... entri pure. Mi farebbe piacere
offrirle
almeno qualcosa da bere per ringraziarla di essersi scomodato a venire
fin qui!" e mi feci da parte per farlo passare. Lui, sempre molto zen e
composto, accennò un saluto verso Blaine e
oltrepassò
l'uscio. Lo guidai fino al tavolo per riempirgli il bicchiere - cosa si
da ad un uomo del genere, uno che ha già tutto e che regala
ad
un suo ex dipendente una bottiglia di champagne da qualche migliaio di
dollari? - e attraversando il salotto lui salutò con un
cenno
sia Santana che Sam. Gli porsi un bicchiere di aranciata, con la mano
leggermente tremante e stringendo ancora al petto, come un perfetto
idiota, la mia preziosa bottiglia, fino a che Blaine, sempre molto
discretamente non mi venne accanto e non me la sfilò
delicatamente via, con la scusa di doverla mettere in fresco.
"Molto carino il suo appartamento, signor Hummel!" esclamò
facendo un gesto vago per la stanza.
"Oh... no... questo non è il mio appartamento, Signore. Io
abito
di fronte, su questo stesso pianerottolo. Qui ci abita il mio ragazzo!"
spiegai arrossendo e lanciando un'occhiata disperata sia verso Santana
- che ridacchiava alle mie spalle - che verso Blaine, sperando che uno
dei due venisse in mio soccorso. Ma alla fine, fu proprio Mr Chang ad
aiutarmi
"Che ne dici se ci diamo del tu, Kurt? Anche se non sembra, non sono
tanto più vecchio rispetto a te." mi propose ridacchiando.
Oddio, dare del tu al
mio ex capo... merda...
"Sicuro... ne sarei onorato Signor Cha.."
"Michael... anzi.. meglio ancora se mi chiami Mike!"
specificò
con un sorriso, notevolmente più sciolto rispetto ai soliti
di
circostanza ai quali mi aveva abituato in quegli anni
"Mike!" ripetei tentando di alleviare un po' il nervosismo. Ormai
potevamo considerarci amici, no? Mi aveva perfino detto di essere mio
coetaneo o qualcosa del genere, quindi tutta quell'ansia a stargli
accanto non era giustificata. Bevve un po' della sua aranciata, senza
lamentarsi né della qualità, né tanto
meno del
fatto che gliel'avessi servita in un maledetto bicchiere di plastica -
cazzo Kurt, almeno un bicchiere di vetro, no? - e alla fine sorrise
ancora
"Devo farti i miei più sinceri complimenti, Kurt. Ieri alla
sfilata non ho avuto modo di avvicinarti per via della confusione ma...
credo tu abbia fatto un lavoro a dir poco eccellente. I tuoi modelli
sono stati senza dubbio i migliori di tutta la competizione e se ne
è accorta anche Sue... in questi ultimi dieci anni durante i
quali ho avuto modo di lavorare con lei, non l'ho mai sentita tessere
tutte quelle lodi verso qualcuno e soprattutto.. mai e ripeto mai, si
è permessa di aggiungere nuovi stilisti alla sua agenzia.
Quelli
che ha, e sono davvero pochissimi ed eccezionali, hanno iniziato
l'attività assieme a lei quindi.. penso che tu sia davvero
un'eccezione, Kurt... un talento incredibile che merita di essere
coltivato e seguito. Hai tutte le carte in regola... non mi ero affatto
sbagliato sul tuo conto quando ci siamo conosciuti... mi spiace solo
di.. non aver potuto fare molto per salvare il tuo posto."
spiegò rammaricato. Quelle parole mi riportarono alla mente
la
questione David e tutto quello che mi aveva causato perdere il lavoro
per colpa sua.
"Già... conoscere le persone sbagliate a volte
può essere
una vera rovina." borbottai con un sorriso amaro. Mike si
accigliò
"Come scusa?"
"Sì insomma.. so perfettamente che il mio ex ragazzo.. David
Karofsky le.. ti ha chiesto di raccomandarmi cinque anni fa per
assumermi e che poi, ti ha perfino chiesto licenziarmi. Ne sono
già perfettamente a conoscenza, purtroppo." mormorai
sollevando
le spalle. Non faceva più male pensarci e forse avrei
perfino
dovuto ringraziare quell'animale di David: se non fosse stato per lui,
io non avrei mai partecipato al concorso della Sylvester e non avrei
mai ottenuto un posto tanto prestigioso. Non tutti i mali vengono per
nuocere, era proprio il caso di dirlo.
"Karosfky? Non so sinceramente chi sia questo tipo... e credimi.. non
ho mai avuto bisogno che qualcuno ti raccomandasse... il tuo talento e
la tua educazione hanno fatto a sufficienza, per questo all'epoca
decisi di tenerti alla mia agenzia, finito il tirocinio. Per quanto
riguarda il
licenziamento... come ti ho già spiegato, è stato
colpa
di una perdita economica piuttosto sostanziosa.. proprio ieri ho dovuto
dimezzare l'organico dell'ufficio stampa e perfino le addette alle
pubbliche relazioni. Stiamo attraversando un momento davvero critico ma
spero che l'agenzia possa risollevarsi presto e tornare a splendere
come un tempo." disse tranquillamente ed io, seppure scioccato e senza
parole, non riuscii a dubitare neanche per un istante delle sue parole.
Cazzo.. David non c'entrava nulla.. né con la mia assunzione
né tanto meno con il licenziamento. Era stato davvero un
taglio
del personale dell'agenzia di Chang e lui non era stato costretto a
fare nulla, anzi; il suo dispiacere allora era sincero, quando avevamo
parlato l'ultima volta nel suo studio. E quel fottuto bastardo di David
si era inventato tutto quanto.. magari lui era già a
conoscenza
di un ipotetico taglio - lui e le sue maledette conoscenze - e sapeva
anche che io vi sarei rientrato ed aveva colto la palla al balzo. Lui
non aveva nessun potere su Chang e ormai neanche più sulla
mia
vita. Peccato che non potessi più togliermi la soddisfazione
di
andare da lui e sbattergli in faccia il mio successo: si sarebbe senza
dubbio mangiato i gomiti.
Vaffanculo David
Karofsky....
In quel momento, mentre mi perdevo in un sospiro di sollievo e mi
concedevo un sorriso, intercettai un paio di occhi color nocciola
guardare incuriositi verso di noi e subito dopo nascondersi altrove,
imbarazzati. Con un sorriso, pensai subito che, se la mia buona stella
in cui giorni aveva brillato così tanto da concedermi un
contratto con la Sylvester, allora avrei potuto usare quella fortuna
per dare una mano a qualcun altro.
"Mi scusi un attimo... vorrei presentarti una persona." gli dissi e
senza neanche aspettare risposta mi diressi verso Tina, schiacciata
contro la parete e le tesi una mano
"Verresti un istante con me?"
"Do..dove?"
"Vorrei... presentarti una persona!"
New
York City. Ore 10.01 P.M. 04 Maggio 2012
(Venerdì)
La serata stava procedendo nel migliore dei modi fino a quel momento;
avevamo avuto un paio di visite inaspettate ma tutto sommato
graditissime - Artie stava parlottando con Sebastian e Will in
terrazzo, tendendo di nuovo Lea sulle gambe e l'ex capo di Kurt,
chiacchierava sul divano con la povera Tina, terrorizzata e viola dalla
vergogna - e tutti sembravano divertirsi.
"Sai che... penso di potermi sinceramente innamorare!"
esclamò Puck avvicinandosi a me e sospirando
"Di chi?"
"Di lei!" ed indicò con un cenno del capo Quinn che se ne
stava
seduta accanto a Rachel ed Emma a ridacchiare serenamente e ad
accarezzarsi la pancia.
"Questa poi.. il burbero Noah Puckermann innamorato di qualcuno! Mi sa
che i Maya avevano ragione.. quest'anno finirà il mondo!"
esclamai divertito e colpito ma sinceramente felice che, perfino uno
scontroso come lui, avesse trovato qualcuno che potesse renderlo felice
"Fai poco lo spiritoso ragazzino... e ricordati che, nonostante il tuo
ingaggio alla casa discografica, tu rimani sempre un mio dipendente...
quindi, attento a te!" mi minacciò, puntandomi l'indice
contro.
Alzai entrambe le mani in segno di resa e lui, dopo una smorfia,
ritornò a sedersi accanto a Quinn, che lo salutò
con un
bel sorriso sereno, che ebbe perfino il potere di farlo arrossire.
New
York City. Ore 10.03 P.M. 04 Maggio 2012
(Venerdì)
Nonostante tutta quella gente venuta lì per me e Blaine, io
sentivo perfettamente la mancanza di qualcuno e difatti, approfittando
di un momento di tranquillità, mi appartai in un angolo del
terrazzo, con il telefono in mano e chiamai una persona particolarmente
importante per me.
"Ehi Kurt... stavo giusto per chiamarti... mi hai anticipato di
pochissimo!" esordì la voce allegra della mia amica
dall'altro
lato del telefono
"É perché io e te siamo sempre due gemelli
siamesi divisi
alla nascita, ricordatelo Cedes!" le risposi divertito, facendola
ridacchiare
"Spero di non averti disturbato... che ore sono lì a
Phoenix?" domandai
"Mmm... circa le sei e trenta di sera... nessun disturbo comunque..
sono appena uscita dalle prove e sto aspettando la coincidenza della
metro per tornare a casa." spiegò e dal rumore che provenne
dal
telefono, dedussi che si trovasse in mezzo a parecchia confusione
"Come vanno le cose lì? Siete in pieno festeggiamento?"
domandò curiosa
"Esatto... e, Cedes... manchi solo tu!" mormorai rammaricato,
stringendo appena la presa attorno al telefono. Lei emise un piccolo
lamento sconsolato e poi si lasciò scappare un lungo sospiro
"Lo so, tesoro, lo so... non hai idea di quanto mi senta male per non
poter essere lì con te a festeggiare per questo tuo
magnifico
successo. Ma mi farò perdonare... appena
ritornerò a New
York ci ritaglieremo un'intera giornata solo per noi due, senza altri
intrusi. Ho l'impressione che il tuo nuovo ragazzo non sia opprimente
come quel bisonte di David!" scherzò facendomi ridere
"No... su questo puoi stare tranquilla.. non lo è affatto!"
confermai, lanciando un'occhiata verso Blaine che all'interno
dell'appartamento chiacchierava con Puck al tavolo delle bibite
Quanto sei bello, amore
mio...
"Mi sta già profondamente simpatico questo Blaine,
nonostante lo
abbia visto praticamente solo due volte, una per giunta di sfuggita!"
esclamò soddisfatta "Ma penso avrò modo di
conoscerlo
meglio la prossima volta che ci vedremo!"
"Senza ombra di dubbio." confermai ancora, sorridendo verso il panorama
illuminato di New York
"A proposito... come si sta comportando.. 'tu sai chi'?"
domandò, abbassando di qualche tono la voce. Non ci fu di
certo
bisogno di domandarle a chi si riferisse per capire: mi girai
istintivamente verso un angolo del terrazzo, dove Sam chiacchierava con
Artie Abrams. E sorrisi di conseguenza
"É docile come un agnellino e fedele come un pastore
tedesco.
Puoi stare tranquilla, amica mia." la rassicurai e lei si
lasciò
scappare un altro profondo sospiro
"Meglio così. Sembra strano ma la distanza inizia a farsi
sentire. Per fortuna non manca poi molto." borbottò,
palesemente
abbattuta. Ah però.. quella che era iniziata come una
cosetta da
niente, si stava rivelando più importante di quanto potessi
immaginare.
E brava Mercedes...
"Stringi i denti ancora per un po'... e poi potrai godertelo
finché ne avrai voglia." le dissi, leggermente malizioso
facendola ridacchiare
"Non vedo l'ora. Scusa, tesoro, ma ora devo andare.. è
arrivato
il mio treno. Ci sentiamo domani così parliamo meglio di
questo
tuo nuovo ingaggio e... soprattutto di Blaine. Lo sai che voglio sapere
tutto, quindi preparati!" mi avvertì bonariamente.
Rachel due la vendetta...
"Sarà fatto... buona serata, Cedes.. a domani!" la salutai,
con il sorriso sulle labbra
"Buona serata anche a te, Kurt... e sappi che ti porto nel cuore,
sempre!"
Anche io Mercedes...
anche io...
New
York City. Ore 10.13 P.M. 04 Maggio 2012
(Venerdì)
"E dunque... ora che sei diventato famoso.. lascerai il pub?" mi
domandò Brittany, circondandomi le spalle con un
braccio e
facendo dondolare la sua preziosa coda di cavallo bionda. Mi lasciai
scappare una risata e neanche a farlo di proposito proprio in quel
momento passò Puck al nostro fianco e ovviamente
sentì
tutto
"Sono mesi che cerco una scusa valida per sbatterlo fuori dal mio
locale... forse questa è la volta buona!"
borbottò per
poi afferrare un bicchiere pulito e poi tornare a sedersi accanto alla
sua Quinn. Io e Brittany ci lanciammo un'occhiata interrogativa
"Secondo te fa sul serio?" le domandai esitante
"Non so... questa volta sembra proprio di sì. Anche se, sono
sicura che preferirebbe vendere cara la cresta, piuttosto che
rinunciare a te!" e poggiò appena la fronte alla mia in un
gesto
di affetto che mi fece sorridere. Brittany a volte era di una dolcezza
sconvolgente: con le persone con cui entrava in confidenza, sia uomini
che donne, diventava così affettuosa da sembrare quasi una
bambina cresciuta soltanto in altezza. Eppure non era mai stata
infantile: il fatto di aver iniziato a lavorare ben presto per
mantenersi gli studi e dare una mano a casa, le aveva garantito una
maturità fuori dal comune. Era giovanissima eppure... aveva
la
testa perfettamente ancorata sulle spalle ed io mi sentivo estremamente
lusingato ad aver stretto quel bel rapporto con lei.
Un'altra cosa di cui ero molto felice, era della sua relazione con
Santana: non avevo mai sospettato che Brittany potesse essere lesbica,
eppure vederla così serena ed affiatata con la modella
ispanica,
mi rendeva felice. Aveva bisogno anche lei di un po' di
tranquillità e forse, insieme a Santana l'aveva trovata.
"Lo spero davvero, Britt... lo spero davvero tanto!"
New
York City. Ore 00.45 A.M. 05 Maggio 2012
(Sabato)
Ci trovavamo distesi placidamente nel letto di Blaine, dopo aver fatto
l'amore, ed io mi stavo divertendo parecchio a passargli le dita tra i
ricci - pratica che avevo scoperto essere particolarmente distensiva
per il sottoscritto e anche un po' per lui - quando il suo telefono
cinquettò sul comodino, illuminando praticamente tutta la
stanza.
"Non è un po' tardi per ricevere messaggi?" lo provocai
divertito, sollevando appena gli occhi per incontrare i suoi, e riuscii
a perdermici dentro, nonostante il buio che ci circondava. Il petto gli
vibrò, mentre ridacchiava e si allungò per
afferrare il
telefono
"Considerando l'orario.. o è Sebastian che ha combinato
qualche
cazzata ed ha bisogno di conforto..." iniziò, accendendo
l'abat-jour sul comodino
"Oppure?"
"Oppure..." sentii il fruscio con cui sbloccò il telefono e
perfino il rumore dolcissimo del suo sorriso "Oppure è
Cooper!"
e mi passò il telefono, sempre sorridendo. Io lo afferrai,
confuso e lessi il messaggio che suo fratello aveva mandato
*Era oggi pomeriggio la
sfilata,
vero? Spero di non aver sbagliato anche questa volta. Fai un grosso in
bocca al lupo a Kurt e ricordagli che suo cognato fa il tifo per lui.
;) Un abbraccio ad entrambi. P.s. Quando avrò il piacere di
entrare in un negozio di dischi ed ordinare il tuo primo singolo,
schizzo?*
Una risata mi partì spontanea, perché Cooper
era stato capace, non solo di ritardare di quasi due giorni quel
messaggio di in bocca al lupo per la sfilata, ma soprattutto
perché aveva scritto che... mio cognato faceva il tifo per
me.
Mio cognato.
"Credo di non avere neppure la forza di arrabbiarmi questa volta.
Purtroppo dubito che imparerà mai ad essere puntuale e
soprattutto capirà il fuso orario di New York!"
scherzò
lui, dando un'occhiata alla radiosveglia, che segnava quasi l'una di
notte.
"Beh... io apprezzo ugualmente il gesto, così come feci il
giorno del mio compleanno. E poi... hai visto? Attende con ansia il tuo
primo singolo... fa il tifo anche per te!" esclamai entusiasta,
ripassandogli
il telefono, che riposò sul comodino
"Mmm... probabilmente Cooper è sempre stato il mio primo
fan. E forse.. anche l'unico." mormorò ridacchiando
"Ehi... grazie tante, Anderson. Ci sono anche io nella folla!" gli
ricordai, tirandogli un leggero schiaffetto sul petto. Lui con un
movimento quasi fulmineo, si arrampicò su di me fino a
sedersi
sul mio stomaco, con le mani poggiate ai lati del mio viso e le labbra
decisamente troppo vicine alle mie.
Oh Santa misericordia...
"Non mi sono affatto dimenticato di te, anzi... tu sei sempre in cima
ad ognuna delle mie liste." sussurrò stringendo appena gli
occhi
e concentrandosi completamente su di me. Con l'eco del mio cuore che
avvertivo in ogni cellula del corpo, portai entrambe le mani dietro al
suo collo, per avvicinarlo maggiormente a me e potergli rubare un
piccolissimo bacio
"Tutte quante?" domandai in un sussurro
"Mmm... tutte quante!" confermò con un mezzo sorriso sghembo
per
poi azzerare ancora la distanza, e congiungere le nostre labbra che non
erano ancora né stanche né sazie di amarsi.
Io non sarò
mai sazio di te...
Continuammo a baciarci con intensità rinnovata, nonostante
ci
fossimo da poco concessi il nostro momento di passione, ma d'altronde
non mi sarei mai meravigliato se, in futuro non fossi stato in grado di
frenare gli istinti con lui: Blaine accendeva in me dei sensi di cui
prima non sapevo neanche l'esistenza e probabilmente neanche lui
sarebbe stato tanto dispiaciuto di fare molta altra pratica. Era un
modo come un altro per dimostrarsi amore ed io per lui ne avrei sempre
avuto a dismisura, quindi... se le situazioni si fossero presentate in
abbondanza.. meglio ancora.
"Sai cosa manca a questo punto per far sì che io sia
completamente felice?" gli feci qualche istante dopo, mentre lui si
schiacciava maggiormente addosso a me e posava la fronte alla mia
"Cosa?" domandò curioso
"Avrei voluto che... mio padre ti conoscesse." mormorai passandogli una
mano tra i capelli della nuca distrattamente "Gli saresti senza dubbio
piaciuto molto!" aggiunsi con un sorriso malinconico, cercando di
immaginare un'ipotetica conversazione tra mio padre e Blaine: ci
sarebbero stati senza dubbio degli imbarazzi generali all'inizio ma
poi, magari rompendo il ghiaccio grazie a qualche commento sul
football, avrebbero stretto amicizia e si sarebbero piaciuti a vicenda.
Ne ero fermamente convinto. Mio padre era sempre stato un uomo alla
mano, semplice e bonario e Blaine sarebbe stato per lui il perfetto
genero per il suo figlioletto adorato. D'altronde, Blaine sembrava
avere - senza il sembrava - tutte le qualità che lui mi
aveva
sempre raccomandato di ricercare in un uomo - o una donna, quando
ancora non sapeva fossi gay - e quindi ero sicuro che, conoscendolo,
anche lui avrebbe capito quale persona meravigliosa fosse Blaine
Anderson e mi avrebbe perfino sorriso, sotto il suo cappellino da
baseball preferito e mi avrebbe detto qualcosa come "Ottima scelta,
ometto!"
Peccato che tu non possa
dirmi nulla, papà...
Calò uno strano silenzio nella stanza, tanto che per un
momento
temetti che Blaine si fosse addormentato, anche se il suo respiro era
troppo accelerato per crederlo davvero.
"Blaine?"
"Posso vederlo?" mi domandò a bruciapelo, sorprendendomi
"Chi?"
"Tuo padre... hai una sua foto?" specificò con la voce
pacata e
tranquilla anche se ridotta ad un misero sussurro. Io mi ritrovai a
tremare sotto di lui perché tutto mi sarei aspettato, tranne
che
una richiesta di questo tipo: lui voleva... vedere mio padre? E
perché? Cosa aveva intenzione di fare?
Senza dire niente, mi sporsi verso il pavimento, mentre lui scivolava
giù al mio fianco per permettermi di muovermi meglio e
recuperai
il portafoglio dalla tasca dei jeans. Lo aprii, ancora con il cuore che
batteva ad un ritmo davvero bizzarro, e ne tirai fuori una piccola
fotografia, quasi del tutto consumata sui bordi, in cui il mio adorato
papà sorrideva orgoglioso, per aver appena scoperto che il
suo
bambino era entrato nella rosa dei prescelti della NYADA. Quella era
stata l'ultima fotografia fatta prima che morisse, prima che tutta la
mia vita si rivoluzionasse: un semplice sorriso spontaneo e genuino che
racchiudeva tutta l'essenza del mio papà e che era
sufficiente
per ricordarmelo sempre, in ogni momento della giornata. Gli porsi la
foto e lui la prese con molta delicatezza, quasi con un certo rispetto
e la posò sul cuscino, sistemandosi a pancia in
giù.
Rimase per un tempo quasi indefinito ad osservarla, piegando la testa
prima da un lato e poi dall'altro, accarezzandone il bordo inferiore e
poi sistemando perfino una piccola orecchia che si era creata su un
lato, a causa del portafoglio. Alla fine, proprio quando il mio cuore
aveva iniziato a perdere i primi battiti, a causa dell'attesa
silenziosa, lui parlò
"Signor Hummel... mi permetta di presentarmi ufficialmente. Mi chiamo
Blaine Anderson e sono... perdutamente ed incondizionatamente
innamorato di suo figlio. Lo amo da impazzire, più della mia
stessa vita e sarei disposto a qualunque cosa pur di renderlo felice.
Io so quanto lei sia importante nella vita di Kurt e per questo mi
permetto di parlarle con tutta questa schiettezza, quasi come se
parlassi al mio stesso padre. Io vorrei che lei mi permettesse di amare
suo figlio da qui all'eternità, che mi permettesse di
prendermi
cura di lui, di coccolarlo sempre, di accudirlo, di occuparmi della sua
felicità e di fare tutto ciò che lei ora non
sarà
più in grado di fare. Non ho intenzione di sostituirmi a
lei,
questo no.. anche perché un padre non potrà mai
essere
sostituito ed io non vorrei mai che Kurt la dimenticasse.. solo.. mi
permetta di essere un amico perfetto per suo figlio, un compagno, un
confidente, un fratello, un sostegno e.. perché no anche un
amante... ed io le prometto che non la deluderò mai ma
soprattutto tenterò di non deludere mai lui. Ha la mia
parola
Signor Hummel." disse e alla fine accennò perfino un sorriso
educato, visibilmente sincero e per niente forzato. Ed io, da
sentimentale qual'ero, neanche a dirlo, mi ritrovai a piangere come una
fontana: perché... cazzo... Blaine l'aveva fatto davvero, si
era
presentato a mio padre - nel suo personalissimo modo di fare - e
nonostante tutto era riuscito a seguire le tradizioni e quelle parole..
Dio... con che speranza sarei riuscito a sopravvivere una vita intera
accanto ad uno così? Se solo due parole dette davanti ad una
fotografia mi facevano quell'effetto... sarei morto molto presto con
quel ritmo.
Mi coprii la bocca con la mano, tentando di sopprimere i leggeri
singhiozzi che mi stavano scuotendo, mentre lui afferrava la foto,
sempre con molta delicatezza e la metteva al sicuro sul comodino, per
poi girarsi verso di me e stordirmi con uno dei suoi innocenti e
bellissimi sorrisi
"Dici che l'ho convinto?" mi domandò intimidito. Mi
scappò una risata, mentre le lacrime scorrevano liberamente
sulle guance ed io continuavo ad infischiarmene perché era
davvero bello sapere di poter piangere per cose così. Per
lui
l'avrei fatto, sempre. Mi sporsi verso di lui, fino ad arrampicarmi
addosso e incollai le labbra alle sue in un disperato e tormentato e
passionalissimo bacio che mozzò il fiato ad entrambi
"Hai convinto me.. è questo quello che conta!" mormorai in
risposta, mentre lui arrossiva appena e mi regalava un altro bellissimo
sorriso.
"Ti amo, Kurt... tanto..." bacio "..tanto.." un altro bacio "..tanto.."
un altro bacio ancora "..tantissimo!"
"Ti amo anche io... e finché continuerò a
farlo... potrò dire di essere completamente felice."
E forse fin dall'inizio, fin dal momento in cui i nostri sguardi si
erano incrociati e persi per la prima volta, doveva andare
così;
forse non c'erano altri epiloghi per una storia come la nostra; forse
non sarebbe neanche stata la stessa cosa se in mezzo non si fossero
messi tutti quegli imprevisti e quegli ostacoli che invece di
dividerci, avevano soltanto alimentato il nostro legame; forse
c'entrava il destino, o il caso oppure una combinazione fortuita di
coincidenze; forse era semplicemente inspiegabile; forse l'amore non
andava neppure capito, ma custodito e basta; forse la mia vita non
sarebbe mai stata la stessa se quel giorno, esattamente il 15 marzo,
Blaine non si fosse trasferito al 2113 di Lower East Side, a meno di
tre metri da me; forse niente sarebbe cambiato o forse avrei ugualmente
ottenuto tutto, perché due come noi si sarebbero incontrati
comunque, anche tra dieci milioni di persone, anche in una
città
caotica come New York, anche se le nostre vite non si fossero mai
incrociate, mai toccate, mai neppure sfiorate, anche in Paradiso. Ci
saremmo trovati ugualmente, i suoi occhi dorati sarebbero entrati nella
mia vita, sconvolgendola e ordinandola ed io avrei scosso un po' la sua
ed insieme avremmo tessuto il nostro personale sogno, con il nostro
amore a fare da decorazione. Ed io speravo con tutto il cuore che quel
nostro personalissimo mondo sarebbe rimasto intatto e meraviglioso per
sempre e che tra di noi, l'unica distanza rimasta ancora certa ed
invariabile, fossero quei tre metri che separavano i nostri
appartamenti, divisi... soltanto da un pianerottolo.
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Capitolo 43 *** Epilogo n°1 ***
Buona
sera a tutti e benvenuti al primo dei nove epiloghi di Just a
Landing ^^ dunque, contro ogni aspettativa quello che era partito come
uno degli epiloghi più difficili da scrivere, si
è dimostrato
abbastanza.. naturale diciamo. Il segreto è iniziare a
scrivere,
pensare a voi e tutto viene più facile ;) un paio di cose
prima di
lasciarvi alla lettura: la prima sarebbe una sorta di spiegazione,
questi nove epiloghi (uno per ogni coppia!) servono a spiegare cosa
è
effettivamente successo ai nostri personaggi, una volta messa la parola
fine alla storia; in parte qualcosa è stata anticipata
già nell'ultimo
capitolo (per questo ho deciso di dividerlo in tante sezioni, ognuna
per ogni coppia) e ovviamente tutte seguiranno il 04 Maggio 2012
(tranne alcuni casi di flashback, che verranno però
specificati con le
date!) che poi è il giorno della festa a casa di Blaine.
Come ho detto
sono nove e per non creare nessun tipo di disparità, ho
deciso di farli
in ordine alfabetico, partendo da Artie e concludendo con la Wemma,
anche se l'ultimo epilogo sarà ovviamente Klaine (quindi
otto in ordine
alfabetico e la Klaine per ultima!). Bene, detto questo, vi
ringrazio ancora una volta (perché non ne avrò
mai abbastanza) per il
sostegno, per le parole bellissime, perché ci siete ancora
nonostante
tutto e soprattutto per esservi innamorati così tanto di
JaL,
sentendola vostra e facendo sentire me speciale.. just thanks <3
ci
vediamo la prossima settimana con l'epilogo Brittana. Un bacio a tutti
e ricordatevi che vi amo
n.b.
Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
Epilogo n°1
- La partita a Poker -
Artie Abrams
New York City. Ore
09.45 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)
Lavorare di
Sabato non
era mai stato un grosso peso per me e poi, sinceramente, non avrebbe
fatto neanche tanta differenza. D'altronde, l'alternativa sarebbe stata
quella di rimanere segregato in casa, magari a sfogliare vecchi
spartiti di un pianoforte a coda che non sarei mai più
riuscito
a suonare oppure mi sarei fatto deprimere con i miei assillanti
pensieri. Sì, lavorare per me non era decisamente un
problema.
Poi
ultimamente avevo
trovato un valido motivo per farlo, e quel motivo si chiamava Blaine
Anderson: era un ragazzo molto estroverso e carismatico,
particolarmente entusiasta verso ogni tipo di novità ma
soprattutto non sembrava uno che facilmente si sarebbe arreso. E poi...
beh, aveva talento, molto talento, e questo di certo non avrebbe
guastato. Sarei stato disposto ad investire in prima persona su di lui
e sulla sua voce perché ne ero convinto.. avrebbe fatto
strada,
senza alcun tipo di problema. Io me ne intendevo, certo. Avevo fatto i
miei dannati errori in precedenza, ma... di musica ne capivo ancora
qualcosa per fortuna.
E se non ci fosse stata la
musica, molto spesso, a salvarmi...
"Quando Jason mi ha chiamata, dicendomi che eri qui... non gli ho
creduto. Ammetto di essere piacevolmente sorpresa adesso!" una voce
femminile alle mie spalle interruppe i miei pensieri e anche il mio
lavoro, ma io non mi preoccupai neppure di girarmi per risponderle. Non
ne avevo voglia né tanto meno lei se lo meritava. "Qual buon
vento ti porta qui?" mi domandò, sbattendo i suoi
preziosi tacchi firmati fino al piccolo soppalco sul quale mi trovavo.
Un tempo quel rumore aveva annunciato per me qualcosa di meraviglioso;
in quel momento provocava soltanto fastidio.
"Il mio lavoro!" esclamai secco, trattenendo un ringhio che stava per
uscirmi dalla bocca. Lei schioccò le labbra, quasi
infastidita
"Mi fa piacere che ogni tanto tu te ne ricordi ancora."
mormorò acida
Ma
pensa...
"Io me ne
ricordo
sempre!" puntualizzai, stringendo con forza la penna a sfera che avevo
nella mano. Fece un altro verso strano, che sembrò molto una
presa in giro, ma ancora riuscii a trattenermi.
Non ne vale la pena,
Artie...
"Qualche nuovo grande talento degno di nota?" domandò
qualche
istante dopo, avanzando ancora e probabilmente fermandosi al mio fianco
- riuscivo a scorgerne il profilo del cappotto - con la voce ironica,
quasi tentasse di deridermi ancora, anche su quello.
"Vuoi farmi credere che adesso ti importa qualcosa di questa agenzia?"
la provocai lasciando da parte la penna e i documenti che stavo
revisionando per girarmi finalmente verso di lei. Era al mio fianco,
fin troppo vicina, potevo perfino sentirne il profumo deciso ed intenso
con il quale usava avvolgersi ogni volta prima di uscire. Ed era
vestita in maniera impeccabile come sempre, con il suo tailleur bianco,
il cappotto nero, taglio impermeabile, un foulard lilla al collo e
probabilmente una quantità spropositata di gioielli addosso,
dal
valore inestimabile. Ed aveva quella sua aria da donna vissuta - pur
avendo soltanto ventisei anni - altezzosa, egocentrica.. nonostante un
tempo non fosse affatto così. Ed era bella... ai miei occhi
rimaneva bella da togliere il fiato.
"A me è sempre importato... anche se continui a credere il
contrario... chissà per quale motivo." affermò
con
sicurezza, socchiudendo appena gli occhi su di me. Mi scappò
un
mezzo sorriso amaro e mi mossi sulla mia sedia, fino al bordo del
soppalco per imboccare la pedana.
"Già... chissà perché..."
New
York City. Ore 10.45 A.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)
Al Motta era un uomo che ispirava soldi. Molti soldi. Stando a quello
che la gente vociferava, era uno che ci sapeva fare con gli
investimenti e ad un po' di sana fortuna, probabilmente - stando sempre
a quanto si diceva in giro - aveva aggiunto un po' di aiuti di altra
natura. In pratica i suoi soldi non erano del tutto puliti ma...
personalmente non badavo molto al giudizio della gente. Preferivo
conoscerle le persone e poi magari dare la mia opinione.
"Pensi che gli piacerò? Cioè... credi che lui
possa..
accettarmi?" domandai in ansia, mentre con difficoltà
prestavo
attenzione al panorama che scorreva indisturbato fuori dal finestrino.
La sua risata riempì l'abitacolo armoniosamente, causandomi
un
mezzo brivido dietro il collo
"La smetti di farti tutti questi problemi? Gli piacerai, ne sono
sicura. Mio padre è un tipo.. particolare, ma sa bene che,
quando si tratta della mia felicità deve lasciarmi fare,
senza
intromettersi!" mi spiegò con calma, continuando a guidare
la
sua monovolume lungo l'autostrada. Mi lasciai scappare un lungo
sospiro.
Non sapevo esattamente quanto Sugar avesse raccontato di me a suo padre
né tanto meno cosa lui sapesse di noi: probabilmente sarei
stato
presentato come il suo ragazzo - e la cosa mi rendeva felice e allo
stesso tempo mi terrorizzava - o forse come un semplice amico o
probabilmente... sarei rimasto uno dei pazienti della clinica presso
cui la figlia faceva volontariato occasionalmente. In tutti e tre i
casi, la reazione di Al Motta era decisamente imprevedibile ed io avevo
una strana ansia addosso, un'ansia che da qualche notte non mi faceva
neppure dormire.
Sugar aveva tentato in ogni modo di tranquillizzarmi, mi aveva
raccontato delle cose meravigliose su suo padre e mi aveva perfino
detto che non vedeva l'ora che la sua famiglia mi accogliesse tra i
ranghi, così da ufficializzare la nostra relazione ed io,
spinto
dal suo irresistibile entusiasmo, le avevo creduto ed avevo accettato
di incontrare suo padre a pranzo quella Domenica, soprattutto per
potergli parlare del nostro progetto, al quale speravamo potesse
perfino contribuire finanziariamente.
Io e Sugar ci eravamo conosciuti circa sei mesi prima nella clinica
privata presso cui facevo la fisioterapia per le gambe. Lei lavorava
come volontaria e ci eravamo già incrociati nei corridoi un
paio
di volte prima di rivolgerci la parola: o meglio.. era stata lei a
farlo. Si era avvicinata, mentre io ero impegnato a salire una delle
rampe più ripide di tutta la clinica e mi aveva chiesto
gentilmente se avessi bisogno di una mano. Io, che per principio non
accettavo l'aiuto di nessuno, benché meno di quelle persone
a
cui facevo pena, mi ero preparato a rifiutare gentilmente ma alla fine,
guardandola negli occhi e rimanendo appena abbagliato dal suo sorriso
splendente, non ero riuscito a dirle di no e così era
iniziata
la nostra amicizia. Con il tempo, parlando soprattutto di me e del mio
incidente, avevamo iniziato a vederci anche al di fuori della clinica,
ad uscire assieme, a farci vedere in pubblico e lentamente la leggera
attrazione che sentivo di provare nei suoi confronti si era
trasformata, era cambiata, si era intensificata fino a sfociare in
qualcosa di molto simile all'amore. Anche lei non sembrava del tutto
indifferente a me e pian piano, dal parlare solo di me, avevamo
iniziato a scherzare, a prenderci giocosamente in giro, ad
abbracciarci, a sfiorarci casualmente, a baciarci di sfuggita fino a
finire a letto assieme. Io l'amavo, l'amavo davvero, come non avevo mai
fatto con nessun'altra prima e lei sembrava seriamente coinvolta, tanto
che da qualche settimana si era perfino trasferita nel mio appartamento
a Long Island e insieme avevamo iniziato a vivere la nostra piccola,
buffa ma bellissima storia d'amore. Poi un giorno, parlando ancora dei
nostri interessi, lei mi aveva chiesto cosa avessi voluto fare nella
mia vita, se le mie gambe me l'avessero permesso ed era stato in quel
momento che la mia mente aveva preso a fantasticare e in meno di pochi
istanti, aveva partorito quell'idea, quella che sarebbe stata il mio
più grande successo e allo stesso tempo la mia
più grande
rovina.
Quando io e lei ci eravamo conosciuti, ignoravo quanto potere
potesse avere la sua famiglia o quanto terrore incutesse il nome di suo
padre nella gente: sapevo solo che era ricca, anche perché
lei
non lo aveva mai nascosto e non se ne era mai vergognata, ma lo aveva
sempre fatto con discrezione, senza ostentare troppo, senza tirarsela,
senza esagerare ed io, pur avendo un conto in banca particolarmente
rosso, non ero mai riuscito a sentirmi a disagio al suo fianco. Merito
suo, merito mio, merito di quello che ci legava. Eppure, mentre nei
nostri discorsi si concretizzava lentamente quell'idea alla quale io
avevo accennato solo una volta, suo padre era diventato una specie di
punto fermo, una garanzia alla quale saremmo dovuti ricorrere se
avessimo voluto rendere quel sogno tanto ambito, una realtà.
Ed
era anche per quello che quel giorno eravamo in macchina, diretti verso
la residenza estiva dei Motta ed io non riuscivo a stare fermo per
quanto ero agitato.
E se non gli fossi piaciuto? E se la nostra idea non lo avesse
entusiasmato? E se mi avesse sbattuto fuori di casa a calci? E se...
"Artie..." una voce gentile mi chiamò ed io riuscii a
rendermi
conto solo in quel momento di essere rimasto incantato a guardare il
cruscotto dell'auto, a stringere con forza la pelle del sedile. Con un
sospiro mi girai verso di lei e tremai appena sotto il suo sguardo
amorevole e il suo sorriso gentile
"Stai tranquillo, ti prego. Andrà tutto bene, ne sono
sicura. Tu
sei fantastico, la nostra idea è fantastica e sono
più
che convinta che papà sarà entusiasta di aiutarci
e
soprattutto di conoscerti oggi. Gli ho parlato così tanto di
te!" e sorrise ancora, fermando la macchina in un largo spiazzo
circondato dagli alberi e spegnendo il motore. Terrorizzato all'idea di
essere davvero troppo vicino a suo padre e alla prospettiva del
fallimento, strinsi ancora più forte il sedile sotto di me e
lanciai un'occhiata al palazzo - cazzo! - che svettava al di fuori del
finestrino. Chiamarla casa sarebbe stato decisamente riduttivo: era una
reggia, altissima ed imponente, contornata da un giardino a dir poco
immenso e perfino il portone di ingresso urlava lusso, soldi e tutto
ciò che io non mi sarei mai lontanamente potuto permettere.
Ecco, guarda bene,
Artie.. pensi davvero di avere qualcosa a che fare con persone
così?...
"Respira, per carità." sussurrò ancora la sua
voce,
mentre una carezza delicata si posava sulla mia guancia e per magia
riacquistava la mia attenzione. Ingoiai un grosso fiotto di saliva che
mi ostruiva la gola e mi impediva perfino di respirare e provai a fare
ciò che mi aveva detto, anche se era davvero difficile.
In quel momento dal palazzo imperiale uscirono un paio di persone
vestite di nero che, a passo deciso, vennero verso la macchina ed
aprirono le nostre portiere
"Bentrovata, signorina Sugar!" la salutò educatamente uno
dei due uomini, accennando un breve inchino
"Salve, Connor... papà è già in casa?"
domandò lei, mentre sgusciava elegantemente fuori dall'auto
"Sì, signorina.. il signor Motta vi sta aspettando nel
salone principale." spiegò accennando un altro inchino
Ma che cazzo... anche le riverenze adesso? Sono ricchi certo, mica dei
reali!...
Seguendo la discussione tra i due, non mi resi neanche conto che
l'altro uomo in divisa aveva raggiunto il cofano della macchina e ne
aveva tirato fuori la mia sedia a rotelle, l'aveva aperta e l'aveva
posizionata fuori dallo sportello.
"Signore?" mi chiamò allora ed io sobbalzai appena,
sorpreso.
Cosa voleva? Aiutarmi a sedermi lì sopra? Era il caso di
fargli
presente che purtroppo ci ero perfettamente abituato e che ci sarei
riuscito anche da solo? Per non essere scortese e non iniziare quella
giornata con il piede sbagliato, però, accettai il suo aiuto
con
un mezzo sorriso e mi lasciai prendere in braccio e depositare con
gentilezza sulla sedia, ma proprio non ce la feci a sopportare il fatto
che volesse perfino spingere la carrozzella.
"Non si preoccupi.. faccio da solo. Grazie!" lo rassicurai, sgusciando
via, leggermente imbarazzato
Non sono malato, porca miseria...
Sugar in quel momento mi raggiunse ed insieme varcammo la
soglia
di casa Motta. L'interno era decisamente un altro paio di maniche: mi
ero aspettato soffitti a volta, pilastri in avorio, scalinate in oro
zecchino, ma quello che trovai fu dieci, cento, mille volte meglio;
perfino il tappeto rasato che decorava il piccolo ingresso circolare
aveva l'aria di costare più del mio stesso appartamento, per
non
parlare degli specchi e del lampadario scintillante che pendeva quasi
fino a metà soffitto. Seguii con un certo imbarazzo Sugar
lungo
tutto il corridoio - un lunghissimo corridoio ricoperto di quadri
prestigiosi che ad occhio parevano dei pezzi unici e soprattutto
originali, ed eravamo ancora all'inizio - stando attento a non
combinare danni, a non urtare nulla e maledicendomi per non essermi
pulito le ruote prima di entrare. All'improvviso lei piegò
sulla
sinistra ed entrò in un salone immenso, grande quasi quanto
il
cortile in cui avevamo lasciato la macchina, solo che al posto di
piante e fiori, statue e mobili antichi la facevano da padrone. Ogni
tipo di anticaglia preziosa e di classe era presente in quella stanza,
senza appesantirla affatto, senza renderla volgare o grossolana:
chiunque si occupava dell'arredamento di quel posto, sapeva il fatto
suo e meritava tutto il mio rispetto. Mi sentivo un po' un barbone con
la mia misera giacca di misto lana, la mia camicia bianca fatta su
misura ed il mio pantalone con le pence: ero ridicolo, fuori luogo,
decisamente inappropriato. Ed eravamo solo entrati in un salone.. cosa
sarebbe successo quando avessi incontrato il sign...
"Papà!" esclamò in un impeto di gioia pura Sugar,
correndo verso il divano riccamente decorato - figurarsi! - che
ospitava una figura che ci dava le spalle. Quest'ultima, un uomo,
richiamato dal grido della ragazza, abbandonò il giornale
che
stava leggendo e si girò verso di noi, alzandosi in piedi.
Sugar
si fiondò tra le braccia del padre, come solo una bambina sa
fare e lui la strinse forte, all'apparenza molto orgoglioso e felice di
vederla. Rimasero in quella posizione per parecchi minuti,
sussurrandosi chissà cosa all'orecchio, ridacchiando e
riscoprendo un po' del loro genuino rapporto padre/figlia ed io me ne
rimasi in disparte, senza dare nell'occhio e senza fare il minimo
rumore. Solo dopo un po', forse quando lei si rese finalmente conto di
non esserci andata sola in quella casa, si discostò
dall'abbraccio del padre e, ancora sorridendo - sorrideva
così
anche quando era con me? - si girò verso di me e mi
indicò
"Papà... voglio presentarti Artie Abrams.. il ragazzo di cui
ti
ho tanto parlato. Vieni, Artie.. avvicinati!" e mi incitò
con un
sorriso dolce ed un cenno della mano. Io, prendendo un profondo
respiro, mossi le ruote fino ai due, preoccupandomi di tenere gli occhi
bassi sul tappeto bianco sotto di me, temendo che da un momento
all'altro potesse arrivare qualcuno a rimproverarmi per
quell'oltraggio. Mi fermai solo quando fui a meno di un metro da loro e
lì finalmente sollevai lo sguardo e lo puntai in quello di
Al
Motta e in quel momento, dopo quasi un'ora di viaggio in macchina, dopo
aver accumulato ansia, paura, frustrazione e anche un briciolo di
fastidio per tutto quel lusso esagerato, riuscii a pensare soltanto una
cosa: cazzo!
Le voci che descrivevano quell'uomo sbagliavano alla grande: Al Motta
era decisamente e atrocemente peggio. Era altissimo, superava senza
dubbio il metro e novanta, ben piazzato, fisico allenato e prestante,
spalle larghe, braccia spaventosamente muscolose e soprattutto
un'espressione decisamente poco amichevole. Mi stava guardando,
così come io stavo guardando lui, mi studiava attentamente,
forse cercava di valutare chi o cosa fossi e perché mai
stessi
inquinando la sua preziosa e lussuosissima aria. Mi ero già
sentito molto a disagio a ritrovarmi in quella casa, ma in quel
momento, mentre quell'uomo faceva le sue valutazioni, il disagio aveva
superato il limite massimo consentito.
Solo quando lo sguardo di Sugar iniziò a farsi preoccupato,
decisi di intervenire per dire qualcosa
"Signor Motta.. è un piacere conoscerla. Ho sentito parlare
veramente bene di lei!" mentii spudoratamente, sentendo le guance
tingersi vergognosamente di rosso, quasi urlassero che quella appena
detta fosse una bugia
"Ah sì? E da chi?" domandò lui sprezzante,
mettendo su una smorfia di sfida. Cazzo! Ma che... cazzo!
"Ecco.. io..."
"Chi lo ha detto è senza dubbio invidioso di me e del mio
successo. Se fossi in te non darei troppo credito alle chiacchiere!" mi
informò, anzi, mi... minacciò? Ma dico, aveva
capito
quello che avevo appena detto? Oppure perfino fare un complimento era
vietato in quella casa? Se parlare bene di qualcuno mi sarebbe valso
quello.. non immaginavo cosa sarebbe successo se per caso lo avessi
insultato.
"Papà... spero che tu ti sia tenuto libero per pranzo... ho
tante di quelle cose da dirti!" intervenne Sugar, forse per salvarmi da
quella situazione spinosa, conquistando tutta l'attenzione del padre
"Ma certo, principessa... per te questo ed altro. Ho chiamato Henry ed
ho disdetto tutti i miei impegni del pomeriggio. Una promessa
è
una promessa!" le confermò dolcemente - per quanto un uomo
di
quel tipo potesse essere dolce - accarezzandole i capelli e facendola
sorridere
"Grazie, papà." lui sorrise ancora debolmente,
dopodiché
si girò verso di me, lanciandomi un'altra occhiata di fuoco
"Sugar, tesoro, perché non mostri al nostro ospite la casa?
Sono
sicuro che troverà molto interessanti la nostra stanza delle
armi e quella dedicata alle imbalsamazioni. Io nel frattempo faccio due
telefonate."
La stanza delle armi?...
"Oddio sì... vieni, Artie... un giro della casa è
d'obbligo!" esclamò elettrizzata lei, completamente ignara
del
tono minaccioso con cui il padre si era rivolto a me e perfino di quel
ghigno malvagio con cui mi stava scrutando in quel momento. Voleva
farmi vedere come imbalsamavano i cadaveri e lei sembrava non vedere
l'ora. Ma dove diavolo ero capitato?
New
York City. Ore 01.00 P.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)
Circa un paio di ore più tardi ci ritrovammo tutti e tre -
ma la
madre che fine aveva fatto? - seduti al tavolo di un'altra sontuosa
stanza del palazzo - di cui avevo contato approssimativamente
cinquantasei camere e ben quattro scalinate e perfino un ascensore,
maledizione! - e la situazione non era affatto migliorata, anzi. Al
Motta continuava ad approfittare di ogni momento per scrutarmi
attentamente e ogni volta io perdevo un po' di dignità e un
po'
di fermezza. Iniziavo seriamente a pensare che mancasse davvero poco
prima di alzarmi e scappare da quella casa a gambe levate.
"Dunque, Artie... cosa fai nella vita per mantenerti?" mi
domandò, mentre un cameriere serviva un antipasto.
"Lavoro a teatro. Dirigo un piccolo gruppo di attori che..."
"A Broadway?" domandò sorpreso ed io mi ritrovai
scioccamente a ridacchiare.
Pessima mossa, Artie..
davvero pessima...
"No, certo che no! Me li sogno gli sfarzi e le luci di Broadway. Per il
momento mi... limito a lavorare in un piccolo teatro nel Queens."
spiegai, arrossendo sotto il suo sguardo severo. Non doveva aver
affatto apprezzato quel mio tentativo di ironia
"Se ci si accontenta delle cose piccole.. non si avrà mai
speranza di crescere!" sentenziò bruscamente, facendo segno
al
cameriere di versargli un po' d'acqua. Merda... questa me l'ero davvero
cercata!
"Certamente! E infatti io... conto di lasciare la compagnia a breve per
poter fare... altro." spiegai con calma, mentre lo stomaco mi si
chiudeva per ripicca e perfino osservare distrattamente la bresaola
finemente affettata che riposava nel mio piatto, mi infastidiva. La sua
espressione si fece interessata
"Ah bene... e in cosa consisterebbe questo.. altro?"
azzardò,
mettendomi decisamente alla prova. Bene.. era arrivato il momento per
mettere tutte le carte in tavola e svelare l'esatto motivo per cui
eravamo lì per parlare con lui? Non potevamo prima goderci
in
santa pace il pranzo e poi magari discutere di queste cose?
"Coraggio, papà... smettila di importunarlo. Mangiamo prima
e
poi sarai libero di farci qualsiasi domanda tu voglia." lo
pregò
Sugar afferrandogli una mano e facendosi implorante. Era ora che mi
salvasse! Cosa stava aspettando? Che il padre prendesse il coltello per
il formaggio e mi affettasse un braccio? Lui fece una smorfia ma alla
fine lasciò perdere quel discorso - almeno temporaneamente -
e
si concentrò sul suo piatto. Io, dopo un lungo sospiro
afferrai
una forchetta a caso tra le cinque che avevo alla mia destra e iniziai
a mandare giù cibo, senza sentirne minimamente il sapore.
Distrattamente diedi peso alla conversazione che padre e figlia
intavolarono poco dopo, riuscii a sentire soltanto qualcosa riguardante
un ballo di beneficenza ed un re che doveva venire la settimana
successiva dall'Europa. Ero troppo impegnato a prestare la mia
attenzione al ricamo sulla tovaglia per credere davvero di seguire
ciò che si stessero dicendo. E poi... magari ascoltando,
avrei
infastidito il padrone di casa e siccome il nostro era già
un
rapporto precario ben lontano dal diventare qualcosa di relativamente
cordiale... era meglio starmene buono nel mio silenzio. Questo
finché le mie orecchie allenate non captarono un discorso
particolare
"Il figlio del dottor Flynn chiede ancora di te. Ogni volta che ci
incontriamo al circolo non fa che bombardarmi di domande... si
è
preso davvero una bella sbandata!" esclamò, quasi
soddisfatto
lui. Sugar ridacchiò
"Steven è un caro ragazzo... ricordo ancora quando da
piccoli,
lui accompagnava il padre qui per giocare a poker e si nascondeva
costantemente dietro il divano perché si vergognava a
giocare da
solo con me!" mormorò divertita
"Adesso è cresciuto e sinceramente non credo provi
più
imbarazzo nello starti accanto, anzi, ne sarebbe lusingato. Ed io penso
che sarebbe un ottimo compagno per te." affermò convinto,
calcando volutamente la voce sulla parte finale, per permettermi di
sentire meglio, e vergognarmi un po' di più
"Lo penso anche io." fece Sugar mentre un sorriso dolce le increspava
le labbra
Ah bene... a quando le
nozze?...
Stavo giusto per infastidirmi seriamente, ero sul punto di sbloccare le
ruote della mia sedia e allontanarmi da quel tavolo, quella casa, quel
maledetto uomo arrogante, convinto del fatto che, neanche se avessi
fatto rovesciare tutte le statue della casa, qualcuno si sarebbe
accorto della mia assenza, ma proprio in quel momento, Sugar
riuscì a salvare la situazione: si girò verso di
me e mi
sorrise
"Solo che al momento il mio cuore è già
impegnato!"
esclamò con un sospiro sorridente, riuscendo a strappare un
mezzo sorriso anche a me, ed era il primo da quella mattina. Lo sapevo.
Lo sapevo che prima o poi l'avrebbe detto ad alta voce e lo aveva fatto
davanti a suo padre.
Steven... prendi e porta
a casa!...
"E chi sarebbe il fortunato?" domandò il padre,
probabilmente
non cogliendo il collegamento, o molto più probabilmente,
non
volendo coglierlo
"Papà... sto parlando di Artie ovviamente!" fece lei, quasi
indignata, indicandomi. Per l'ennesima volta gli occhi di quell'uomo si
fecero cattivi e si posarono su di me, facendomi bloccare il respiro.
Bene, ora sì che sarei morto e imbalsamato. O forse sarei
stato
prima imbalsamato e poi sarei morto.
"Oh... bene." mormorò lui indurendo la mascella e facendo un
segno sprezzante verso il povero cameriere, invitandolo a portare i
secondi piatti. In quel momento mi scrutò ancora, con un
odio
forse addirittura peggiore: ormai sapeva che tipo di legame corresse
tra me e la sua bambina, e quindi ero entrato di diritto nella pole
position dei suoi nemici. Forse mi sarei potuto salvare se avessi avuto
un lavoro milionario o se di cognome avessi fatto Gates... ma visto che
ero un semplice, umile e disabile Artie Abrams... no, non ero
decisamente adatto a ricoprire il ruolo di genero per lui.
"Siamo così felici, papà. Non vediamo l'ora di
ufficializzare la cosa anche con il resto della famiglia."
continuò Sugar imperterrita, ignara di cosa stesse
succedendo
nella testa di sua padre, benché gli si leggesse tutto a
lettere
cubitali sulla faccia. Tentai un mezzo sorriso, spaventato e tremante,
mentre il cameriere mi riempiva silenziosamente il piatto di
selvaggina. Cazzo, e se quella che avevo davanti fosse stata la testa
dell'ultimo ragazzo che si era presentato in quella casa?
"Da quanto tempo è che va avanti questa cosa?"
domandò
infastidito e duro, più che altro rivolto a me, sfidandomi
per
l'ennesima volta. Sembrava fossimo due combattenti in un duello,
peccato che tra i due, quello ad avere una stanza delle armi
lì
dentro, non fossi io.
"Poco in realtà... ci stiamo ancora... conoscendo!" tentai
di
tamponare, con un sorriso forzato. Ma ovviamente, per quanto mi avesse
salvato già una volta, Sugar volle rettificare
"Ci siamo conosciuti sei mesi fa e da quasi tre settimane viviamo
insieme. Non è meraviglioso?" domandò elettrica.
Il volto
del padre si indurì maggiormente
Ma cazzo.. vuoi dirgli
anche quante volte facciamo sesso, per caso?...
"Addirittura vivere.. insieme." mormorò lui affettando la
sua
carne e non perdendomi di vista neanche per un istante. Il mio stomaco
si contorse proprio in quel momento e mi sentii seriamente prossimo a
rimettere tutto quello che avevo mangiato fino ad allora, perfino
quello del giorno prima.
"Sì... ehm... ma non è... cioè lo
facciamo per..
risparmiare.." tentai di salvare il salvabile, peccato che forse stando
zitto avrei ottenuto qualcosa di più
"Risparmiare? Mia figlia non ha alcun bisogno di risparmiare. Ha libero
accesso ad ognuno dei fondi di questa famiglia e senza dubbio non deve
ridursi a dividere l'appartamento con... qualcun altro per vivere."
sbottò sprezzante, facendomi rimpicciolire sulla mia sedia.
Cazzo, andavamo di male in peggio.
"Ma papà.. io l'ho fatto per lui.. per stare insieme. Non ho
bisogno dei soldi di famiglia per essere felice, lo sai." intervenne
Sugar desolata, preoccupandosi di più di giustificarsi
davanti
al suo adorato papà che di difendere il suo ragazzo
martoriato
ed umiliato. Al Motta sospirò e scosse la testa. Era sul
punto
di dire qualcos'altro, magari mi avrebbe finalmente sbattuto fuori di
casa - e a quel punto iniziavo seriamente a sperarlo - ma Sugar decise
che era giunto il momento di rovinare definitivamente il pranzo,
mettendo sul piatto il reale motivo per cui eravamo andati
lì.
"Anche se, in effetti... una cosa che potresti fare per me ci sarebbe."
iniziò, sorridendo già profondamente
elettrizzata. Il
padre, felice di cambiare discorso - o almeno per quello che ne sapeva
- tornò a guardarla
"Certo, bambina mia.. tutto quello che vuoi!" acconsentii
"Ecco vedi... io e Artie è un po' di tempo che.. avremmo
un'idea
in mente. Un progetto da realizzare. Ma avremmo bisogno del tuo aiuto
per farlo." annunciò. Le sopracciglia dell'uomo saettarono
verso
l'alto, sorprese
"Che tipo di progetto?" domandò, lanciandomi un'altra
occhiataccia
Stia tranquillo... non
ho messo incinta sua figlia e non le ho chiesto di sposarmi...
"Una casa discografica!" esclamò infine lei, non riuscendo a
contenere la gioia e saltellando appena sulla sedia. Il padre la
guardò attentamente per quella che sembrò una
vera
eternità, senza aprire bocca e senza dare il minimo cenno di
aver capito o di essere ancora vivo. Era un segno positivo, no?
"Una casa discografica?" domandò atono
"Sì... Artie ha delle capacità direttoriali
straordinarie
ma soprattutto è un ottimo intenditore di musica e sarebbe
perfetto come scopritore di talenti o come manager musicale. Io invece
potrei occuparmi della parte amministrativa.. mi dici sempre che sono
brava con i calcoli e con la gestione delle imprese di famiglia
quindi... meglio approfittarne, no?" e ridacchiò, quasi
divertita dalla sua stessa idea. Oh merda... quando ne avevamo parlato
per la prima volta, sul divano del nostro - del mio! - salotto, mi era
sembrava l'idea più geniale di sempre, una di quelle
illuminazioni che vengono solo una volta nella vita e con cui speri di
farla cambiare per sempre. Eravamo carichi di entusiasmo, avevamo
immaginato perfino in che quartiere poter aprire la nostra agenzia e su
un blocco per gli appunti avevamo iniziato a scrivere qualche bozza per
il nome. Per i soldi lei non aveva voluto sentire ragioni: non dovevamo
assolutamente chiedere alcun prestito a nessuna banca,
perché ci
avrebbe pensato suo padre a pagare ogni cosa. E forse, con il senno di
poi, era stata proprio questa decisione a rovinare tutto, fin
dall'inizio.
"E questa... idea... di chi sarebbe?" domandò ancora,
indugiando
appena su di me. Nel suo immaginario la risposta era già
stata
data
"Di entrambi... cioè... sarebbe un sogno di Artie
però io
sarei più che felice di prendere parte e realizzarlo assieme
a
lui." rispose lei cercando il mio sguardo e magari il mio sostegno;
peccato che in quella situazione, messo alle strette dallo sguardo
assassino di suo padre, fossi io ad averne bisogno. E quella frase fu
la conferma che ad Al Motta serviva. Sul suo viso si dipinse un ghigno,
una specie di smorfia che a prima vista poteva benissimo essere
scambiata per un sorriso ma che, osservata bene e soprattutto capita,
valeva molto di più e non era nulla di raccomandabile.
"Il sogno di Artie." ripeté lui, quasi in un sussurro,
annodando
le mani sotto il mento e continuando ad osservarmi. Cazzo, ma che
diavolo voleva da me quell'idiota? Perché continuava a
fissarmi
e a mettermi tanto in soggezione? Gli avevano mai insegnato, nelle
prestigiose accademie che senza dubbio aveva frequentato, che fissare
la gente in quel modo, fosse sintomo di maleducazione? E soprattutto...
possibile ci stesse provando.. gusto?
Perché non me
ne sono rimasto a casa, oggi? Davano un episodio speciale di X Factor...
"Allora, papà, cosa ne pensi? Ti piace la nostra idea?"
domandò Sugar afferrando di nuovo la mano del padre e
sciogliendola dall'incrocio che ancora gli sosteneva il mento. Lui si
addolcì appena. Se c'era una cosa che rendeva Al Motta
più umano... era sicuramente l'amore che provava verso sua
figlia. Quello almeno era palese e soprattutto naturale.
"Sembra davvero molto.. interessante, piccola. Mi chiedo solo se...
pensi che sia un buon investimento?" le domandò, facendosi
pratico e professionale
"Ma certo. La musica non passerà mai di moda,
papà..
anche se le tecnologie andranno avanti e un domani saremo costretti a
teletrasportarci per andare a lavoro... ci sarà sempre
qualcuno
con una bella voce e del talento che sarà disposto a fare
carte
false pur di sfondare e allora lì.. interverremo noi. Dico
bene,
Artie?" e mi interpellò, sorridendo ancora piena di
entusiasmo.
Tremai sulla mia sedia sia per essere stato messo in mezzo senza
neanche aspettarmelo - ero convinto che avessero continuato ad
ignorarmi per tutta la durata del pranzo - sia per gli occhi di suo
padre - ignorali, ignorali, ignorali - che lampeggiarono su di me.
"C-certo." confermai con mezza smorfia, ma a lei bastò come
un
sorriso. Certo, l'idea generale del nostro progetto era proprio quella:
recuperare talenti sconosciuti e dare loro quella
possibilità
che, grandi case discografiche sparse nel paese e già
ampiamente
affermate, non darebbero mai. Saremmo stati i salvatori di tutti quelli
che avevano ricevuto porte in faccia e lo avremmo fatto sempre con il
sorriso sulle labbra e la grande passione per la musica che ero
convinto ci accomunasse. Peccato che avessi ampiamente fatto i conti
senza l'oste.
"D'accordo allora. Se è questo quello che vuoi!" acconsentii
infine l'uomo pragmatico e pieno di soldi, dandoci il suo lasciapassare
verso un illimitato bagaglio di risorse economiche, di cui non avevo
neanche una vaga idea dell'ammontare. Sapevo solo che erano tanti
soldi... tanti, tantissimi soldi.
Sugar emise un lungo urlo di gioia e si precipitò ad
abbracciare
il padre, ignorando il suo piatto ancora pieno e il buon galateo della
tavola. E mi sorprese non poco il fatto che un uomo tanto rigido e
preciso non glielo facesse notare ma invece allargasse le braccia per
accoglierla e la stringesse forte a sé. Visti da fuori
facevano
quasi tenerezza: un abbraccio così sentito e reale, un
abbraccio
di gioia, soddisfazione, che sapeva di tanti grazie e di altrettanti mi
fido di te. E fin qui tutto bene, se solo non fosse stato per
l'occhiata di sbieco che, nonostante il momento tenero, Al Motta
riuscì a scoccarmi.
Oh...
"Frena l'entusiasmo, principessa. Avrai modo di ringraziarmi in futuro.
Ora, però, finiamo di mangiare. Dopo con calma, parleremo
meglio
di questa faccenda, anche perché voglio sentire le opinioni
del
nostro.. amico a riguardo." e mi indicò con un cenno ed un
sorriso tirato "Dico bene, Artie?"
Dice bene, Artie?...
"S-sì, Signore!" e come un soldato che ha appena risposto ad
un
ordine superiore, mi sentii piccolo e misero e mi ritrovai ad abbassare
gli occhi sul mio piatto. Di nuovo.
New
York City. Ore 03.05 P.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)
Sapevo che sarebbe successo. Fin da quando Sugar mi aveva allegramente
proposto quel pranzo a casa sua per conoscere suo padre, sapevo e
sinceramente temevo che saremmo arrivati a quel punto. Io e suo padre,
ancora nella stessa stanza, a pochi metri di distanza e, soprattutto,
soli.
La miseria ladra...
Stavo morendo, letteralmente. Sentivo caldo, e nonostante mi fossi
già discretamente sbottonato i primi due bottoni della
camicia,
non riuscivo neppure a respirare. Colpa di quegli occhi, di quei
maledettissimi occhi che continuavano a torturarmi e ad uccidermi
lentamente, privandomi di ogni difesa e facendomi sentire
così
stupido ed esposto. Doveva essere una tecnica la sua, un modo come un
altro per tenere sotto controllo i suoi avversari.. d'altronde anche
portare l'altro allo sfinimento, poteva risultare una buona tecnica per
vincere e lui stava decisamente per avere la meglio su di me. Ero
sempre stato un ragazzo dal carattere abbastanza forte e neppure
l'incidente era riuscito ad affliggermi; avevo reagito e avevo
continuato a combattere prendendo quell'evento come un ostacolo sul mio
cammino da superare, per arrivare in vetta. Eppure Al Motta in quel
momento mi sembrava nettamente più preoccupante e spaventoso
e
neanche la più forte delle volontà mi avrebbe
aiutato.
Dopo un'infinità di tempo passato semplicemente a guardarmi
e a
fare ondeggiare il suo prezioso digestivo nel bicchiere da whisky,
finalmente mi rivolse la parola
"Hai mai giocato a poker, Artie?" mi domandò, spiazzandomi
Eh?...
Poker? Che diavolo voleva significare? Voleva invitarmi nella sua bisca
per caso?
"No, Signore." risposi un po' confuso, ma provando a rimanere tranquillo
"É un vero peccato." mormorò, fingendosi afflitto
e
facendo ondeggiare ancora una volta il contenuto del suo bicchiere
"Capiresti tante cose del tuo avversario se solo sapessi come...
osservare le sue mosse." mi spiegò allora. E dunque era
questo
quello che aveva fatto per tutto il tempo? Aveva osservato le mie
mosse, come se stessimo partecipando ad una partita di poker? Aveva
anche puntato su di me?
In quel momento decisi di tentare il tutto per tutto, di provare a
scoprire le mie carte e sperare di ottenere il punteggio più
alto sul tavolo verde
"E se posso permettermi... cosa ha capito di me, osservando le mie
mosse?" azzardai a chiedere, mentre avvertivo un'insolita scarica di
adrenalina corrermi lungo tutta la schiena. Ero rimasto in silenzio fin
troppo a lungo quel giorno e difficilmente ora sarei riuscito a
fermarmi. Ero stanco di essere analizzato in quel modo, svilito con la
potenza di un solo sguardo e soprattutto... chi cazzo si credeva di
essere quell'uomo per potermi parlare in quel tono così
arrogante? Soltanto perché il suo conto in banca era tanto
ingente ciò non lo giustificava né lo esonerava
dalle
buone maniere. Ero umano anche io e non credevo di avergli fatto
chissà quale torto e per questo motivo esigevo rispetto. Lo
stesso tipo di rispetto che anche io gli avevo dimostrato da quando
avevo messo le ruote nel suo prezioso ingresso.
Lui si fece sorpreso, ma apprezzò notevolmente la mia domanda
"Sono sincero... non molto in realtà. Ammetto di aver
trovato
un.. degno avversario!" mormorò con un mezzo sorriso
seccato.
Accavallò le gambe, posò il bicchiere sul
tavolino di
cristallo al suo fianco e alla fine, fissando gli occhi nei miei, mi
diede il suo verdetto
"Non ho ancora ben capito che tipo di rapporto ti leghi a mia figlia,
ma di qualsiasi natura esso sia, credimi ragazzo... farò di
tutto affinché risulti un vero inferno." e lo disse con tale
naturalezza, tale freddezza e tale precisione da farmi doppiamente
male. Un inferno. Il mio rapporto con Sugar sarebbe stato un inferno. E
questo solo perché a suo padre non andavo a genio.
"Io non credo che lei possa..." tentai, guidato dall'ennesimo sprazzo
di adrenalina mista a coraggio e a quel briciolo di incoscienza che
sbucava all'improvviso sempre nei casi peggiori
"Posso eccome. Sugar è mia
figlia, quelli che voi userete per il vostro insulso ed immondo
progetto sono i miei
soldi, quindi credimi, caro il mio Artie Abrams... io posso!"
sentenziò duro, facendomi paura. Si alzò dal suo
divano e
in meno di due passi mi raggiunse, sovrastandomi di netto nel suo metro
e novanta
"L'ho capito, sai? Ho capito esattamente quali sono le tue intenzioni
con mia figlia. Vuoi raggirarla, vuoi riempirla di tante belle parole,
vuoi farle credere che costruire un progetto tanto ambizioso possa
legarvi per sempre e speri ovviamente che lei, avendo un cuore d'oro,
possa crederci, che possa starsene buona buona al tuo fianco mentre tu
sperperi con calma i suoi.. i nostri
soldi. Ebbene, amico mio... non te lo permetterò."
annunciò in un lungo e terrificante sibilo concentrato, che
mi
fece venire la pelle d'oca. In quel momento si abbassò su di
me
e posò le sue minacciose mani sui braccioli della mia sedia,
facendomi appiattire contro lo schienale e trattenere il fiato. E in
quel momento, mentre sentivo di avere realmente paura, più
di
quanta non ne avessi mai avuta in ventisei anni della mia vita,
arrivò la botta finale
"Diventerò
il tuo
peggiore incubo, sarò lì ad osservare ognuna
delle tue
fottute mosse e non appena compirai il passo falso.. io
verrò a
casa tua e ti ucciderò con le mie stesse mani. E allora
capirai
sulla tua pelle come mai non c'è nessuno in questa
città
pronto a parlare bene di Al Motta. Sono stato chiaro, ragazzino?"
domandò, alitandomi sul viso, in un misto di alcool e
terrore
allo stato puro. Non avevo permesso mai a nessuno di avvicinarsi tanto
a me, prima di tutto perché mai nessuno aveva osato mettersi
contro un ragazzo disabile e poi... beh, per mia fortuna non capitava
spesso di mettersi in tali guai. Eppure qualcosa era successa,
altrimenti non si spiegava come mai fossi lì, a meno di
cinque
centimetri dalla faccia dura e crudele di un uomo, che mi aveva appena
minacciato di morte.
Solo allora mi resi conto del fatto che, in tutta quella serie di
minacce, ci avesse messo anche una domanda, e fu lui stesso a
ricordarmelo
"Ho detto... sono stato chiaro?" ripeté avvicinandosi ancora
di
più e facendosi più duro. Ingoiai a vuoto
qualcosa e
tremai ancora
"Sì..."
"Non ho sentito."
"Sì!" gridai allora, sperando di liberarmi in fretta di
quella
situazione, perché non riuscivo più neanche a
respirare.
Ad essere paralizzati avevo già fatto l'abitudine ma, la
paralisi fisica non aveva niente a che vedere con quella emotiva.
Quella era più forte, più avvolgente,
più
destabilizzante e faceva nettamente più paura.
"Bene. Ora, ascolta quello che faremo: io concederò a te e a
mia
figlia i soldi per questa casa discografica. Lo faccio per lei,
perché ne sembra entusiasta e perché qualsiasi
cosa la
renda felice, riesce a fare felice anche me. Dopodiché tu
inizierai gradualmente ad allontanarti dalla sua vita. Non mi interessa
come, anche fingendoti frocio se è necessario...
l'importante
è che lo fai con molta discrezione e senza fare soffrire la
mia
bambina, anche perché conosci già le conseguenze,
nel
caso in cui Sugar dovesse farsi del male." minacciò ancora,
non
scostandosi di un millimetro da me e conficcando la lama a fondo, fin
dentro le ossa.
"Una volta che i vostri rapporti si saranno completamente raffreddati,
io convincerò Sugar a lasciarti ogni
responsabilità
sull'agenzia e a tornare da me. Tu in compenso avrai pieno possesso
della casa discografica e potrai ritenerti completamente soddisfatto.
Alla fine tutti ne usciamo vincitori, dico bene Artie?" mi
domandò con mezzo sorriso, a tratti sadico e a tratti
assurdamente gentile. Ma cos'era quell'uomo? Cosa mi stava facendo? E
perché io non reagivo? Perché mi sentivo
schiacciato dal
peso del suo sguardo, della sua voce, delle sue minacce, del suo
maledetto potere? Cosa mi impediva di spingerlo via, mandare al diavolo
tutti - Sugar compresa, visto che non si decideva a tornare, visto che
ignorava quanto subdolo potesse essere suo padre, visto che era stata
lei a trascinarmi lì - e tornarmene a casa? In fondo la mia
routine andava più che bene, nonostante fossi
particolarmente
stanco di dover sprecare il mio tempo con incarichi di poco conto.
Avevo bisogno di realizzarmi e fare bene qualcosa e forse l'idea della
casa discografica era la prima, dopo tanto tempo, a darmi un po' di
speranza. Ma ormai, perfino quella, era macchiata di tinte buie, che
facevano paura.
Tu ne uscirai vincitore,
Al.. soltanto tu... io rimarrò solo un involucro alla fine
della partita...
In quel momento, forse per ironia del destino o forse perché
era
tutto scritto per andarmi contro, entrò Sugar, interrompendo
il
nostro tetro siparietto. Ad Al Motta ci volle relativamente poco per
sollevarsi e rivolgere un sorriso mite alla figlia - che neanche a
dirlo non si accorse di nulla - mentre io... beh... se non avessi avuto
la mia sedia ancorata sotto il culo, probabilmente sarei precipitato al
suolo.
"Avete finito di confabulare alle mie spalle? Cosa vi state dicendo di
così importante?" domandò, saltellando verso di
noi, e
rivolgendo ad entrambi un sorriso radioso. Giusto, lei quel giorno
aveva vinto la sua battaglia. Io invece, ero morto, senza neanche
combattere.
"Niente di importante, piccola. Io ed Artie stavamo ripassando un po'
le regole fondamentali del poker. Sono convinto che dopo oggi, le
terrà sempre a mente... dico bene?" e mi sfidò
ancora, in
uno sguardo che sapeva molto di avvertimento. Io non riuscii neanche a
rispondere. Ero senza parole né fiato né tanto
meno
pensieri. Era tutto un immenso foglio bianco. Incolore. Insapore.
Morto. Mi accorsi a stento delle braccia di Sugar che si legavano
attorno al mio collo e delle sue labbra sulle mie e di quelle tre
maledetti parole che, da quel momento in poi, sarebbero diventate il
mio peggiore incubo notturno.
"Ti amo, Artie!"
New
York City. 09.58 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)
Quel giorno, a distanza di quasi tre anni da quella maledetta Domenica,
ricordavo ancora perfettamente ognuna delle parole minacciose di Al
Motta e tutti i suoi lineamenti duri, benché, dopo quel
giorno,
non lo avessi mai più visto, per mia fortuna. Era bastata
una
sola giornata per rendermi conto di tante cose: del fatto che io con
quella famiglia non avrei mai avuto nulla a che fare, di quanto poco
bastasse ad un uomo per terrorizzarne un altro, di quanto poco bastasse
a me per farmi sentire debole ed insicuro. Da quel giorno erano
cambiate lentamente tante cose, ma prima di tutto ero cambiato io.
Quell'Artie paziente e tranquillo non esisteva più; al suo
posto
era nato una sorta di alter ego, una sorta di macchina priva di ogni
tipo di sentimento, concepita solo per lavorare e fare soldi e fino ad
allora, a scanso di equivoci, aveva sempre funzionato. Mi sentivo male
ogni qualvolta mi fermavo a riflettere su quello che era stato e su
quello che ero diventato, ma ogni azione ha una sua reazione uguale o
contraria: nel mio caso ero stato perfino schiacciato dalle mie stesse
decisioni.
Forse soltanto in quell'ultimo periodo, con la conoscenza di Blaine, la
ripresa delle attività della casa discografica e
l'appianarsi
dei conflitti - che io stesso avevo creato - con i miei condomini, le
cose sembravano girare in un modo migliore. Sentivo ancora di non
essere pronto a perdonare per quello che era successo, o per impegnarmi
in una nuova relazione, di qualsiasi tipo essa fosse stata,
però.. almeno iniziavo a fare affidamento su qualcuno dopo
tanto
tempo. Io lo consideravo già un grande passo in avanti.
"Sai, Artie.. c'è una cosa che non ho mai capito."
annunciò ad un certo punto Sugar alle mie spalle, mentre io
scendevo dalla rampa con calma ed attenzione per non cadere
"Cosa?" non c'era la minima curiosità nella mia voce, solo
la voglia di sbatterla fuori da lì, il prima possibile
"Cosa ci è successo esattamente? Perché non siamo
riusciti a portare avanti la nostra storia? Mi era sembrata...
così bella ed importante eppure... si è
disintegrato
tutto... e adesso non riusciamo neanche più a stare nella
stessa
stanza senza.. guardarci male o scambiarci delle pessime battute.
Perché, nonostante la nostra storia sia finita non riusciamo
ugualmente ad essere amici?" domandò, facendosi esitante e
perdendo un po' di quell'arroganza con cui era entrata poco prima.
Bloccai la mia discesa a metà, fremendo nel sentire quelle
parole. La spiegazione c'era, ce l'avevo sulla punta della lingua ed
era anche pronta a venire fuori se solo non fosse stato troppo
complicato e forse anche troppo stupido dirlo, dopo quasi tre anni.
Così mi limitai a sorridere amaramente e a tirare fuori la
scusa
con cui in quegli anni avevo cercato di guarire le mie stesse ferite,
sperando di appianare il dolore che una sola Domenica di Luglio era
stata capace di creare.
"La verità è che io e te siamo troppo diversi,
Sugar. Lo
siamo sempre stati e continuiamo ad esserlo, soprattutto ora. Era
impossibile che due come noi potessero ottenere qualcosa di diverso
rispetto a.. questo!" ed indicai la sala registrazioni, finalmente
girandomi a guardarla. Sul suo viso per un momento era scomparsa la
smorfia infastidita e superiore e si era affacciata una piccola parte
di quella Sugar dolce e solare e un po' bambina di cui mi ero
innamorato. E forse amavo ancora.
"Quindi non possiamo essere altro che due... soci? É questo
che
mi stai dicendo?" domandò in un sussurro amareggiato. Provai
a
mandare giù un nodo opprimente che spingeva per uscire, un
nodo
che mi teneva sospeso da troppo tempo e che prima o poi sarebbe
esploso. Ma quello non era né il luogo né tanto
meno il
momento opportuno.
"Direi di no." risposi scuotendo la testa, per poi ricordare qualcosa e
sorridere, ancora in maniera troppo amara "Fai conto che da questa
situazione... ne usciamo vincitori entrambi." e mi girai, lasciandola
lì a rimuginare su quella frase, chiedendomi se anche a lei
avesse fatto lo stesso amaro effetto che aveva fatto a me tre anni
prima. E solo allora, lontano dai suoi occhi, per l'ennesima volta
solo, mi concessi l'unico grande lusso che la mia vita ingiusta ancora
mi regalava: piangere.
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Capitolo 44 *** Epilogo n°2 ***
Brittana
Buonasera a tutti... lo
so, sono un mostro e ho infranto un'altra promessa.. avrei dovuto
pubblicare Sabato ma ho lasciato correre il tempo e oggi è
addirittura Mercoledì.. avete tutte le ragioni di
questo mondo ad avercela con me ma purtroppo non sono riuscita a
farcela prima: colpa principalmente dello studio (ho dovuto fare ben
due esami in meno di una settimana e me ne aspetta un altro
martedì prossimo ç___ç) e poi come se
questo non bastasse, questo epilogo mi ha dato non pochi problemi..
l'ho cancellato e riscritto almeno tre volte, facendomi venire vere
crisi nervose.. è merito di Dan e del suo insistere, se il
capitolo alla fine è uscito quindi ringraziate lei, io da
sola avrei mollato molto tempo fa ç__ç. Bene, vi
ringrazio per la pazienza e per essere ancora qui (lo so che ci siete
anche se lo scorso epilogo non vi siete fatti sentire) e per
sopportarmi ancora... voi siete davvero degli angeli e non lo dico
tanto per dire, lo penso davvero. Ci vediamo la settimana prossima
(penso intorno a Venerdì/Sabato) per l'epilogo Finchel... un
bacio a tutti... <3
p.s. Come
l'immagine di Artie, anche questa è gentilmente offerta
dalle manine del mio Dan... adoratela tanto quanto l'adoro io *__*
n.b Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
Epilogo n°2
Brittany & Santana
"La tua anima"
New
York City. Ore 10.15 A.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)
Frequentare
l'Accademia era sempre stato il mio più grande sogno:
c'erano
pochissimi punti fermi nella mia vita, uno di questi era proprio il
disegno. I primi ricordi che avevo della mia infanzia, riguardavano una
piccola me con una matita in mano e la mente aperta verso qualsiasi
tipo di ispirazione, fantasia, pensiero. Disegnavo qualsiasi cosa,
perfino linee immaginarie e senza un filo logico, però per
me
acquistavano un senso nuovo e particolare. E poi il disegno mi era
sempre servito per scaricare, per esprimere i miei sentimenti e tutte
quelle emozioni che difficilmente tiravo fuori, a causa del mio
carattere particolarmente chiuso e sensibile. Ognuno si esprime a modo
suo: io preferivo la matita e un foglio bianco.
"Coraggio ragazzi... l'arte non è un gioco. Sono stanca di
queste cose piatte e senza alcun trasporto. Ho bisogno di emozioni
vere... di essere colpita.. forza!" strillò la professoressa
Gennis, il mio tormento all'Accademia, bocciando completamente il
disegno apparentemente perfetto di una mia compagna. La ragazza,
nascondendo le lacrime di delusione, prese un foglio nuovo e
ricominciò.
Emisi un lungo e silenziosissimo lamento, mentre sistemavo
più
morbidamente una linea del paesaggio che stavo ultimando. Il compito
della settimana era: suscitare emozioni con le sfumature, ed era
complicato... non tanto per la tecnica in sé, che a dirla
tutta
era anche una delle mie preferite, ma per il fatto che lei fosse
praticamente gelida e senza alcuna sensibilità. Nessuno, da
quello che si raccontava in giro, avevi superato il suo corso con voti
alti, perché era convinta che nessuno fosse meritevole di
lode,
fatta forse eccezione per qualche caso, in cui la ruffianaggine
superava di gran lunga il talento. Neanche all'Accademia, dove il saper
fare conta più di ogni altra cosa, si era immuni a certi
cliché
"É occupato questo posto?" una voce femminile si intromise
nei
miei pensieri, e fui costretta a sollevare lo sguardo, rimanendo senza
fiato e senza battito cardiaco nel petto nel vedere di chi si trattasse
"Santana!" esclamai in un soffio, profondamente sorpresa. Lei mi
sorrise dolcemente e con eleganza si sedette accanto a me. In quel
momento il cuore riprese furioso la sua corsa ed avvertii le guance
colorarsi come ogni volta che Santana entrava nel mio mondo. Ed era una
sensazione indescrivibile, bella da morire e totalizzante.
"Cosa ci fai qui?" domandai, ancora incapace di metabolizzare "Non
dovevi andare a Miami per un servizio fotografico?" lei sorrise, quasi
emozionata, e scrollò le spalle
"Rimandato al mese prossimo!" spiegò con
tranquillità, per niente dispiaciuta
"Oh..." mi lasciai scappare dalla bocca, non sapendo cos'altro dire
"E per rispondere alla prima domanda che mi hai fatto... erano due
giorni che non ci vedevamo e... mi mancavi!" disse in un leggero
sussurro che ebbe il potere di sconvolgermi maggiormente e farmi
arrossire ancora e istintivamente, senza neanche pensarci, mi feci
scappare un
"Mi sei mancata anche tu... non sai quanto!" che la fece sorridere e le
illuminò gli occhi. Sembrò sul punto di dire o
fare
qualcosa - baciami, baciami, baciami - ma un altro urlo scimmiesco da
parte della professoressa, sembrò distrarla
"É lei, vero? Quella di cui mi hai parlato la prima volta
che ci
siamo viste?" mi domandò in un sussurro, indicando la prof
con
un cenno del capo
"Purtroppo sì... e oggi sta dando il meglio di
sé, quindi
preparati!" mormorai con una smorfia e neanche a farlo apposta, la
Gennis urlò ancora contro un'altra ragazza che
scoppiò a
piangere disperata
"Caspita... è una vera stronza!" esclamò
sconvolta ed io non potei fare a meno di darle ragione
"Mmmm... forse anche di più." borbottai con mezzo sorriso.
Lei
tornò a guardarmi, dopodiché lanciò
un'occhiata al
blocco di disegni che avevo sul banco e sorrise
"É meraviglioso, Britt!" sussurrò quasi incantata
e la
sua espressione, così colpita e sincera, mi
ricordò
quella che mise su il primo giorno, a Central Park, quando vide per la
prima volta i miei disegni. Anche allora era rimasta piacevolmente
stupita e mi aveva fatto i complimenti; solo che, se allora riceverli
mi aveva fatto piacere, ora che i miei sentimenti per lei erano
cambiati, quelle parole acquistavano un significato notevolmente diverso
"Ti ringrazio." feci io imbarazzata e stordita dal suo profumo
bellissimo e sensuale. Il sorriso di Santana si ammorbidì e
per
la seconda volta credetti fosse sul punto di baciarmi - baciami,
baciami, baciami - ma non lo fece. Si limitò a stringersi un
labbro tra i denti e a farmi un cenno verso il banco
"Riprendi quello che stavi facendo... non volevo interromperti!"
sussurrò. Disegnare davanti a lei? Dio... non ci sarei mai
riuscita, non con quello stato d'animo almeno
"Io non..."
"Coraggio. Sto qui buona buona in silenzio, promesso!" mi disse
allegra, strizzandomi l'occhio ed io, con la salivazione azzerata ed il
cuore partito per la tangente, mi limitai ad annuire, incantata dalle
sue labbra sorridenti che desideravo assaggiare e fare mie proprio in
quel momento. Ma mi trattenni: c'era troppa gente e immaginai che la
professoressa non avrebbe affatto gradito. Avremmo avuto modo
più tardi per rifarci. Così ripresi a disegnare,
arrotondando meglio la curva di una collina sullo sfondo e poi
sfumandola nei punti in cui si congiungeva con gli altri elementi del
paesaggio. Generalmente quando disegnavo riuscivo a rilassarmi, a
ditendere ogni muscolo e a sentirmi perfettamente in pace con ognuno
dei miei sensi; in quel momento però, mentre avvertivo gli
occhi
di Santana fissi su di me, tutto riuscivo a fare tranne che
tranquillizzarmi
"Mi distrai!" mormorai con un sorriso divertito. Con la coda
dell'occhio la vidi arrossire violentemente
"Dios... mi... mi dispiace. Forse è il caso che.." ma la
bloccai, perché non potevo permettere che se ne andasse, non
volevo assolutamente. La volevo lì, seduta al mio fianco a
scrutarmi incuriosita. Preferivo l'imbarazzo che provavo sotto il suo
sguardo, rispetto al vuoto che mi riempiva il petto quando lei era
lontana
"No, non farlo! Ho bisogno che... tu rimanga qui con me, ti prego!"
supplicai, stringendole con delicatezza il polso per non farla
allontanare., Lei, visibilmente combattuta, alla fine annuì
e
rimase al suo posto, poggiando il mento sul palmo della mano. Io dopo
un lungo sospiro di sollievo, tornai al mio paesaggio sentendo ancora
il suo sguardo addosso e le guance bollenti.
Avere Santana al mio fianco, da qualche tempo a quella parte, era
diventato difficile da gestire: all'inizio, essendo due semplici
amiche, era tutto più facile, poi con il tempo qualcosa tra
di
noi era gradualmente cambiato e si era trasformato in un reale
sentimento, un sentimento puro, innocente, bello proprio
perché
inaspettato, che aveva coinvolto entrambe in un vortice di emozioni che
ci aveva portate lentamente a modificare i nostri atteggiamenti, a
renderli più intensi e più... tremanti in un
certo senso.
Se prima concedersi un abbraccio fosse per me una cosa normale, in
quell'ultimo periodo mi avrebbe causato un mezzo infarto. Il mio corpo
si comportava in modo strano con lei, vibrava anche per un'innocente
carezza - mi si era stratto lo stomaco quando le avevo toccato il polso
prima - e poi, visto che ultimamente ci concedevamo parecchi momenti di
intimità, magari guardando un film, abbracciate sul suo
divano,
era capitato che sfuggisse qualche bacio che, per quanto innocente o in
un certo senso amichevole, era stato capace di scuotermi e mi aveva
fatta rendere conto di non potermi più accontentare, di
volere
di più, di volermi spingere più in là,
non solo
dal punto di vista fisico... soprattutto su quello emotivo. Non ero
certa di cosa provassi esattamente per Santana, ma qualsiasi cosa fosse
stata, non me la sarei di certo fatta scappare.
É
praticamente da sempre che cerco un'emozione così e ci
volevi tu per regalarmela...
Troppo concentrata com'ero nei miei pensieri e nelle mie linee sfumate
per il primo piano, non mi accorsi neppure di essere osservata da
qualcun altro in quel momento oltre che da Santana e che quest'ultima
stesse cercando in ogni modo di farmelo capire. Alla fine
però
una voce squillante ed innervosita bastò ad interrompere
tutto
"Signorina Pierce... un altro paesaggio.. quanta
originalità!"
sbottò seccata e acida come sempre, tamburellandosi con le
dita
il gomito. Non si degnò neanche di guardarmi in faccia:
semplicemente decretò che il mio lavoro non fosse
sufficiente -
e quando mai lo era? - e con una smorfia passò alla fila di
dietro. In quel momento per la rabbia, spinsi talmente tanto forte la
matita sul foglio, da spezzarne la punta e fare un piccolo foro proprio
nel centro di quel paesaggio... il solito privo di
originalità
"Dio, quanto è acida! Ma chi diavolo si crede di essere? Non
si
trattano così le persone... ora mi sente!" e Santana fece
per
alzarsi ed inveire contro la donna, ma io la bloccai allarmata
"Santana, lascia stare... non ne vale la pena. Servirebbe soltanto a
farla arrabbiare di più, fidati!" borbottai, cercando di
calmarla
"Al diavolo... non si deve permettere di trattarti con
quella sufficienza." si lamentò infervorata e probabilmente
di
nuovo intenzionata a reagire, solo che io quella volta non avrei potuto
fare nulla per fermarla, perchè quello che avevo sentito mi
aveva letteralmente bloccato il cuore. Mi stava difendendo, e lo stava
facendo con una forza incredibile. Sembrava che fosse stata lei ad
essere stata attaccata e non il contrario. Mai nessuno, neanche i miei
stessi genitori si erano preoccupati così tanto per me, e si
trattava soltanto di una stupida insegnando con un pregiudizio ancora
più stupido. Se lei già per così poco
si animava
tanto, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se fossi diventata...
la sua ragazza. Avvertii un calore bellissimo propagarsi nel petto e
nuovamente la voglia di baciarla prese forma in me, spingendo
prepotente. Le critiche della professoressa non esistevano
più,
c'era solo Santana, il sorriso che mi si allargava sulle labbra ed io
che immaginavo di essere... la sua ragazza.
Devo ammettere che suona
davvero molto bene...
Santana, dopo aver inveito silenziosamente e in spagnolo contro la
donna, tornò a guardarmi e finalmente si rese conto del mio
sorriso, che le fece inarcare un sopracciglio
"Perché sorridi?" domandò confusa. Io scossi la
testa, arrossendo un po'
"Mi fai sorridere tu... mi piace il... tuo accento." mentii
spudoratamente, ridacchiando sotto i baffi per la banalità
della
scusa che avevo trovato e sperando vivamente che potesse prenderla per
buona. Lei per mia fortuna scoppiò a ridere
"Cosa sarebbe? Un modo carino per dirmi di fare la brava e non
prendermela con quella stronza?" scherzò
"Indovinato!" e nonostante la
leggera delusione
che sentivo ancora bruciare per colpa delle critiche al mio disegno,
il
cuore che continuava a ballare nel petto e il leggero imbarazzo che
ancora mi abbracciava, riuscii ad unirmi alla sua risata, il suono
più bello ed armonico che avessi mai avuto la fortuna di
sentire.
New York City. Ore 07.40 P.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)
"Sono convinta che questo sia uno dei migliori film d'amore di tutta la
cinematografia americana." esclamai osservando attentamente lo schermo
del televisore davanti a me, che ci restituiva le immagini di
Shakespeare in Love
"Lo penso anche io... parla di sentimenti reali, sentimenti che nascono
incontrollati, nonostante all'inizio Shakespeare creda che si tratti di
un uomo. Spiega un po' quello che succede tutti i giorni tra le persone
comuni... ci si innamora dell'anima di qualcuno, non del suo sesso!"
rispose Santana al mio fianco, sistamandosi meglio e scivolando appena
più in basso, fino a poggiare la testa sulla mia spalla.
Girai
lo sguardo verso di lei, senza riuscire a guardarla negli occhi, ma
sentendomi pienamente colpita da quella sua frase
"É.. davvero bello quello che hai detto." mormorai con un
filo
di voce. Lei sollevò la testa e puntò gli occhi
nei miei,
scuotendomi
"Lo penso davvero." rispose, a sua volta in un misero sussurro, quasi
avesse paura ad alzare troppo la voce, disturbando i protagonisti del
film. Trattenni inconsapevolmente il fiato, schiacciata
dall'intensità dei suoi occhi scuri ed avvertii di nuovo
l'incontrollabile desiderio di azzerare le distanze e di impossessarmi
di quelle labbra, in quel momento strette leggermente in una presa tra
i denti, forse per contenere qualcosa, magari l'imbarazzo o magari la
stessa voglia che avevo anche io. Eppure... eravamo sole, protette
dalle mura del suo appartamento e quindi, se solo avessimo voluto, ci
saremmo potute concedere tutto, anche quel bacio disperato che
sembravamo ricercare così tanto. Ma nessuna delle due fece
niente. Rimanemmo immobili ad osservarci, in una strana atmosfera
carica di tensione e di tante frasi non dette che galleggiavano attorno
a noi. Io avvertivo la pelle del fianco bruciare per il contatto con
quella di Santana, nonostante ci fossero i vestiti a separarle. Forse
dipendeva ancora dal desiderio inespresso che si faceva prepotentemente
sentire o forse... stavamo seriamente andando a fuoco senza neanche
rendercene conto.
Ci si innamora
dell'anima di qualcuno... non del suo sesso...
Deglutii con una certa difficoltà provando a distogliere lo
sguardo dal suo, perché iniziavo a sentire lo stomaco
stringersi
troppo dolorosamente e iniziavo perfino a sentirmi stupida nel provare
tutte quelle emozioni senza poter fare nulla. Ma non riuscii a muovere
completamente la testa, che un paio di mani bollenti si strinsero
attorno al mio viso, bloccandolo
"Brittany..." mi chiamò lei, in un sussurro morbidissimo e
carezzevole che mi incendiò le guance. Emisi un leggero
lamento
per la frustrazione, che sperai non risultasse troppo evidente e pregai
in tutte le lingue - spagnolo compreso - che quella volta il mio
disperato desiderio si avverasse e potessi toccare ancora quelle
magnifiche labbra deliziose che sembravano chiamarmi e...
"Vorrei fare una cosa ma... ho paura della tua reazione."
sussurrò, soffiandomi direttamente sul viso, solleticandomi
le
labbra e inondandomi del suo respiro profumato e caldo e invitante e..
"Santana.." quella volta fui io a chiamarla, con la voce tremante e il
respiro spezzato "Fallo e basta... ti supplico!" e quella piccola
preghiera disperata si perse nel vuoto, sovrastata dalla sensazione
magnifica che scaturì nell'esatto istante in cui finalmente
le
sue labbra si posarono sulle mie. E tutte la disperazione, l'ansia, la
frustrazione, l'imbarazzo e la paura, vennero scacciate via,
semplicemente dal contatto, da quel tocco morbido e delicato, che
sapeva di tenerezza e allo stesso tempo celava tutta la voglia che fin
ad allora era rimasta inespressa. Ma a me quel contatto non bastava
più: volevo altro, volevo che fosse più profondo,
più intenso... volevo che si sciogliesse e si trasformasse e
che
entrambe fossimo pronte ad affrontarlo.. insieme. D'altronde, prima o
poi sarebbe comunque successo, quindi ritardare avrebbe soltanto reso
il tutto più difficile da gestire.
Mi girai con il busto verso di lei e feci scivolare una mano tra i suoi
capelli, trovandoli come sempre morbidissimi e mi aggrappai alla sua
nuca, per poterla spingere maggiormente verso di me e farle capire con
quel gesto quanto ancora volessi sentirla, quanto ancora volessi che
quel contatto durasse, che non si interrompesse mai e che magari
potesse farsi più intenso. Soltanto più intenso.
E quella
volta non aspettai che fosse lei a prendere l'iniziativa - una volta
per una, no? - perché non ce la feci più a
resistere e
con molta delicatezza, le accarezzai il labbro inferiore con la punta
della lingua in una esplicita richiesta che lei accolse immediatamente,
dandomi libero accesso. Avevo creduto fino a quel momento di averle
provate tutte in sua compagnia: di aver sperimentato l'imbarazzo, la
complicità, l'affinità, la reciproca intesa... ma
mai
avrei potuto immaginare che un bacio potesse regalarmi tanto e
sconvolgermi fino al punto di togliermi completamente la
lucidità e la ragione. Eppure far danzare la mia lingua in
sincronia con quella di Santana era... una esperienza extracorporea,
decisamente totalizzante, poco controllabile, immensamente piacevole.
La sua lingua era calda, si muoveva con delicatezza ma con una
abbondante dose di sensualità che mi mandava fuori di senno,
accarezzava la mia, la cercava, la trovava praticamente sempre,
l'avvolgeva e la viziava e contemporaneamente le sue braccia si
stringevano attorno alle mie spalle per avvicinarmi maggiormente.
Era il bacio più bello che avessi mai dato e ricevuto e
soprattutto era decisamente più appagante di quanto avessi
potuto immaginare. Il sapore di Santana era quanto di più
dolce
ed invitante ci fosse al mondo e sembrava legarsi così bene
al
mio, quasi fossero nati per convivere. E mentre iniziavo a sentire una
certa necessità di ossigeno - maledizione! - mi domandai
seriamente come avessi fatto in tutto quel tempo a resistere alla
tentazione. Dovevo avere un autocontrollo davvero notevole, non si
spiegava altrimenti.
Riuscimmo a staccarci pochi istanti dopo, entrambe con il fiato corto
per la mancanza di ossigeno troppo prolungata e la foga del bacio, ma
sicuramente entrambe con lo stesso identico pensiero: era stato
bellissimo. Magico. Indimenticabile. Assolutamente da rifare.
Le nostre mani rimasero esattamente nella stessa posizione, senza
muoversi e lo stesso fecero il resto dei nostri corpi: eravamo come
sospese, immobili a guardaci quasi avessimo timore di dire o fare
qualcosa che potesse rovinare tutto quanto. Io, personalmente, avevo
paura di aver fatto qualcosa di sbagliato o che, peggio, lei non avesse
provato le stesse sensazioni e che non le fosse piaciuto. Sarebbe stata
una pugnalata al cuore ma preferivo di gran lunga che me lo dicesse,
senza farsi alcun problema.
Qualche istante dopo, però, qualcosa accadde: lei
sgranò
gli occhi, quasi avesse appena realizzato ciò che fosse
successo
e si affrettò ad allontanarsi
"Oh... mio... Dio, Brittany... scusa io non... so cosa mi è
preso. Giuro che non..." balbettò quasi sconvolta,
arrossendo
violentemente. Il cuore mi precipitò nello stomaco, facendo
un
rumore assurdo perché sapevo perfettamente dove volesse
andare a
parare
"Non volevi.." quella che credevo fosse una domanda, mi uscì
più che altro come un'esclamazione vera e propria che mi
fece
tremare appena. Lo sapevo... lo sapevo, maledizione. Le avevo sentite
solo io quelle cose, per lei non avevano lo stesso peso e non avrei
potuto fare nulla per farle cambiare idea perché certe cose
non
si insegnano né si pretendono: se non ci sono non
c'è
speranza che tenga. E la cosa peggiore era il sapere perfettamente
quanto in quel modo avessimo compromesso il nostro rapporto
perché dopo un bacio del genere, non era possibile tornare
amiche allo stesso modo, come se niente fosse successo. All'improvviso
avvertii un'ispiegabile voglia di piangere, ma non volevo farlo davanti
a lei: d'altronde ero stata io a crearmi milioni di film, a
fraintendere, a volere di più da quel bacio... mi sarei
dovuta
cospargere il capo di cenere e magari avrei dovuto lasciare
quell'appartamento il più in fretta possibile, prima di
complicare ulteriormente la situazione. Eppure... c'era qualcosa che mi
impediva di muovermi, qualcosa che mi teneva legata a quel divano e a
lei, qualcosa che assomigliava molto alla disperata speranza di essere
presa e abbracciata forte, di sentirmi dire che no, non avevo frainteso
nulla e che qualcosa tra di noi poteva davvero esserci, nonostante
tutto, nonostante fossimo amiche, nonostante fossimo.. due ragazze.
Ci si innamora dell'anima di qualcuno.. non del suo sesso...
Rimasi con lo sguardo basso per un tempo indefinito, finché
una
sua mano - calda, caldissima mano - non si posò sul mio
mento
per farmi sollevare la testa e finalmente ritornai a perdermi in
quell'oceano tormentato che le colorava gli occhi: scuri, pieni di
parole che faticavano a venire fuori, così belli da sembrare
surreali, così profondi da incantarmi.
"Brittany.." mi chiamò con tono delicato ed io ero sicura,
sicurissima, che stesse per inventare qualche scusa, qualche
giustificazione per quel momento di debolezza - per la miseria lo avevo
voluto anche io, perché poi si sarebbe dovuta prendere da
sola
tutta la colpa? - e per questo l'anticipai ancora
"Non serve che ti giustifichi, Santana... ho capito perfettamente cosa
vuoi dirmi. Che è stato uno sbaglio, che non era tua
intenzione,
che non ci saremmo dovute spingere fino a questo punto e che..." ma
quella volta, inaspettatamente fu la sua voce a sovrastare la mia,
mentre la stretta sul mio mento si intensificava appena
"Desideravo farlo da non so quanto tempo... ormai ci avevo perso ogni
speranza." mormorò con un'intensità disarmante.
Mi si
bloccò il respiro in gola e mi ritrovai ad aprire la bocca
un
paio di volte per ribattere, ma non riuscii a farlo, completamente
priva di parole. Lei desiderava farlo, da molto tempo. Voleva baciarmi.
Forse allo stesso modo in cui lo avevo voluto anche io, o forse
addirittura di più.
"Santana.."
"Io non... riesco più ad esserti amica, Britt... io sento di
provare qualcosa per te, che va ben oltre la semplice amicizia e ormai
non riesco più a far finta di niente." mi disse, con la voce
tormentata, quasi stesse confessando qualcosa che la schiacciava e la
faceva sentire oppressa "Io ti voglio bene, Brittany, ma... penso di
volertene più di quanto sia lecito. Tutte le volte... che ti
avvicini, o mi sorridi o semplicemente mi mandi un messaggio, io sento
il cuore impazzire e la testa perdere ogni ragione. So che è
sbagliato, so che non è questo ciò che tu vuoi da
me,
ricordo perfettamente tutto ciò che ci siamo dette la prima
volta: tu vuoi un'amica che sia disposta ad ascoltarti e a sostenerti e
a capirti ed io, credimi Brittany... muoio dalla voglia di fare ognuna
di queste cose ma allo stesso tempo sarebbe ipocrita da parte mia
tenerti nascosto ciò che penso oogni volta che sei al mio
fianco
oppure ogni volta che immagino tu lo sia." cercai di igoiare una
manciata di saliva, facendo meno rumore possibile, tanto per non
disturbare quella strana atmosfera che si era creata
"Cosa mi tieni nascosto?" le domandai in un soffio. Lei
sospirò,
quasi cercasse di trovare il coraggio per parlarmi di qualcos'altro e
dalla sua espressione questo altro, doveva essere particolarmente
importante
"Io sono innamorata di te, Brittany!" esclamò, secca e
precisa,
colpendo e affondando l'obiettivo "Irrimediabilmente innamorata di te e
non posso più pensare di ignorare questo sentimento
perché sta diventando troppo grande e incontrollato e...
come
hai avuto modo di vedere, mi sta sfuggendo di mano!" arrossì
appena, forse sorrise, forse disse anche qualcos'altro. Non riuscii
più a prestare attenzione a niente, perché tutto
ciò che mi interessava era racchiuso in quelle cinque
parole: io
sono innamorata di te... io sono innamorata di te... io sono innamorata
di te. Così poche parole che riuscivano a contenere tutto
ciò che avevo bisogno di sentirmi dire, contenevano un mondo
intero, contentevano la risposta a tutte le domande.
Ci si innamora
dell'anima di qualcuno... non del suo sesso...
Mi resi conto vagamente che Santana stesse ancora parlando, ma non mi
importava: avevo sentito tutto ciò che mi interessava.. al
resto
avremmo pensato dopo. Così senza riuscire a dire nulla, mi
rifiondai sulle sue labbra, interrompendo il suo monologo e sospirando
di sollievo perché ormai avevo la certezza che quel bacio
potesse assumere il giusto significato, che fosse adatto a noi, adatto
al momento e che fosse esattamente ciò di cui avessimo
bisogno.
Lei, dopo un primo momento di incertezza, si adattò
perfettamente lasciandosi scappare un sospiro che si perse nella mia
bocca nell'esatto istante in cui feci scivolare la lingua in avanti,
alla ricerca disperata della sua. Volevo continuare a sentirmi bene, a
sentirmi amata e protetta e tutto in Santana, perfino il modo in cui mi
accarezzava la guancia, sembrava rassicurarmi. Sarei volentieri rimasta
tutta la vita in quella posizione, e forse... forse avrei anche potuto.
Quella volta staccarsi fu molto meno traumatico, anzi... venni accolta
da un magnifico sorriso imbarazzato e quella carezza che mi viziava la
guancia, si fece più leggera, quasi fosse piuma
"Ho paura..." mi ritrovai a confessare senza neanche accorgermene. Lei
si rabbuiò appena, forse colta da un panico improvviso
"Di cosa?"
"Di non essere... abbastanza per te, di non meritarti, di non essere in
grado di dimostrarti quanto... grande e sincero sia il sentimento che
provo per te. Ho paura di commettere qualche sbaglio e di perderti, ho
paura di non poter gestire questa cosa e di sentirti dire di nuovo che
non avremmo dovuto o che fosse troppo presto o che..." ma quella volta
fu lei ad interrompermi, affondando la mano tra i miei capelli,
stringendomi la nuca e attirandomi a sé per un altro bacio,
molto più morbido, molto più lento, molto
più
intenso. Troppe emozioni tutte insieme, troppi impulsi, troppi sensi
alletra, troppe informazioni da metabolizzare. Ed io avevo soltanto un
cervello che non si decideva a funzionare. Il bacio finì,
ancora
una volta troppo presto, ma ci fu di nuovo il suo bel sorriso ad
illuminarmi e fu il mio turno per arrossire
"Tu sei perfetta così come sei, Britt ed io... ti amo, ti
amo
con tutta me stessa quindi, ti supplico.. non avere mai paura
perché non ne hai nessun motivo. Permettimi solo di renderti
felice allo stesso modo in cui tu rendi felice me.. conta solo questo
al momento." mi disse accarezzandomi i capelli e lasciandomi un bacio
in ogni angolo del viso che riusciva a raggiungere. Mi ritrovai a
sorridere e accolsi con gioia il battito accelerato, quasi fossero
delle trombe pronte a suonare, per celebrare qualcosa di nuovo e bello
Ti amo, ti amo con tutta
me stessa...
Allungai il collo e catturai le sue labbra con le mie, cercando di
concentrare ogni senso su quello specifico momento: sul suo sapore, sul
calore che emanava, sul profumo che mi avvolgeva, sulla sua mano che
ancora lenta si perdeva tra i miei capelli, sulla voglia incontrollata
e meravigliosa che avevo di lei, su quanto fosse bello condividere
un'emozione così grande, su quanto fossi fortunata, ma
soprattutto tu quanto...
"Ti amo." le dissi in un soffio leggero, praticamente ad un respiro di
distanza dalle sue labbra e per entrambe quella fu l'ultima
spiegazione, l'ultimo tassello che andava incastrandosi con gli altri.
Ormai tutto aveva acquistato un senso e andava decisamente bene
così.
New
York City. Ore
03.12 A.M. 15 Maggio 2012 (Martedì)
L'ispirazione
alla fine era venuta così: da sola, spontanea ed
illuminante, così semplice da fare quasi paura. La
professoressa Gennis aveva sempre detto che l'ispirazione era dentro di
noi, bastava avere le orecchie giuste per ascoltarla e il cuore pronto
a renderla reale, e in quel momento, mentre stringevo la matita in mano
e ricalcavo le linee morbide sul mio blocco, mi ritrovai a darle
perfettamente ragione. Ogni tanto alzavo gli occhi dal foglio, giusto
per perdermi meglio nella contemplazione di una meravigliosa Santana
addormentata per poi tornare a disegnare, a tentare di riprodurre su
carta non solo ciò che vedevo ma soprattutto ciò
che sentivo. In quel momento ero piena di emozioni, tutte diverse,
tutte incatenate, tutte bellissime. Dopo quello che ci eravamo
confessate sul divano, non c'era più stato spazio per le
parole, per dirsi altro perché avevamo trovato un altro modo
per dimostrarci ciò che sentivamo e provavamo l'una per
l'altra ed era stato a dir poco fantastico, una delle migliori
esperienze della mia vita ed era stata lei a renderla speciale
perché mi aveva fatta sentire amata, voluta e avvolta
completamente tra le sue braccia ed ora io, mentre disegnavo persa nei
miei pensieri, mi ritrovai a sorridere e per la prima volta nella mia
vita a provare una vera emozione, un'emozione autentica, un'emozione
che volevo raffigurare. Così riprodussi lei, esattamente
com'era, così bella, indifesa, addormentata tra quelle
lenzuola che sapevano di noi e con quell'espressione beata, che era
probabilmente l'esatta fotocopia della mia. Non mi resi neanche conto
di che ora fosse, seduta nella mia metà di letto, con
soltanto la luce dell'abat-jour ad illuminare il foglio e a rendere la
situazione ancora più carica di emozioni, solo che ad un
tratto, proprio mentre le sfumavo i capelli che ricadevano morbidi
sulla schiena e in parte sul cuscino, lei si mosse, mormorò
qualcosa ed aprì gli occhi, stordendomi appena con un
piccolo sorriso assonnato e dolce
"Cosa stai
facendo?" mi domandò, sollevando la testa, leggermente
confusa. Io sorrisi, lanciando un'occhiata al mio blocco e al disegno
ormai completo.
Semplicemente
bellissimo...
"Provavo a
catturare questo momento. Volevo renderlo eterno." spiegai, mentre
richiudevo il blocco e lo posavo per terra. Scivolai di nuovo sotto le
coperte, cercando il suo abbraccio e sospirai serena, mentre mi
stringeva forte e affondava il viso tra il collo e la spalla
"E ci sei
riuscita?" domandò con la voce ovattata, un po' per il
sonno, un po' per la posizione. Un sorriso mite mi stirò le
labbra e strinsi più forte
"Questa
volta penso proprio di sì, anche se..."
"Mmm?"
"Certe cose
non si possono riprodurre.. sono pezzi unici." avvicinai le labbra alle
sue per catturarle in un bacio leggero "E tu sei sicuramente una di
queste!"
New
York City. Ore 11.31 A.M. 15 Maggio 2012 (Martedì)
La
professoressa Gennis stava osservando il mio disegno da ben tre minuti
e trentasette secondi, e lo faceva senza aprire bocca, senza fare
nessuna smorfia, solo tenendo gli occhi fissi sul foglio e spostando
ogni tanto la testa da un lato all'altro, forse per cambiare
angolazione. Morivo dalla voglia di capire a cosa stesse pensando,
volevo sapere che tipo di critiche si sarebbe inventata quella volta e
quanto male avrebbero fatto. Immaginai che per lei fosse stato uno
shock non indifferente vedermi passare dal classico paesaggio - quello
privo di originalità - ad un corpo femminile, interamente
nudo. Eppure in cuor mio sentivo di aver creato qualcosa di migliore,
qualcosa che nessun paesaggio al mondo avrebbe mai potuto trasmettere e
non perché si trattasse di una donna nuda - una bellissima
donna nuda - ma più che altro per quella donna fosse mia,
esclusivamente, completamente e meravigliosamente mia. Ne andavo
orgogliosa, e quella volta l'avrei difesa a spada tratta se solo la
Gennis avesse detto o fatto qualcosa per criticare il mio lavoro.
Alla fine,
dopo un tempo interminabile, sollevò gli occhi e li
puntò nei miei, e stranamente quella volta non vi lessi la
solita aria sufficiente con cui si rivolgeva a me ogni volta, lessi lo
stupore, la sorpresa, e anche un pizzico di soddisfazione che mi
lasciarono senza fiato
"Ottimo
lavoro, signorina Pierce!" Esclamò risoluta, restituendomi
il blocco e accennando un... cazzo, un sorriso!
"La
ringrazio professoressa!" Mormorai, arrossendo e sentendo il cuore
scalpitare nel petto perché quella era la prima volta che in
tre anni mi faceva un complimento, che mi guardava senza fulminarmi,
che mi sorrideva: non credevo neanche che fosse capace di gesti tanto
umani eppure...
Lei
passò avanti ad analizzare un altro compagno, lasciandomi
con la mia sorpresa, il mio cuore che sfarfallava leggero ed il mio
disegno di Santana. Con un sorriso emozionato accarezzai la superficie
ruvida del foglio, proprio sulla linea della spalla, che spariva appena
sotto i capelli neri. Quel disegno era stato capace di lasciare senza
parole perfino la prof, perfino lei era stata colpita dall'emozione
pura che la bellezza di Santana sembrava esprimere ed io, mentre lo
contemplavo rapita mi resi conto di una cosa, del perché
fosse così bello: perché oltre alle linee morbide
del suo corpo perfetto, oltre alla sua espressione serena, oltre
all'amore che provavo per lei, da quei tratti e da quelle sfumature,
veniva fuori qualcos'altro... la sua anima leggera e speciale, quella
di cui mi ero perdutamente innamorata.
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Capitolo 45 *** Epilogo n°3 ***
Buonasera a tutti, angeli
miei... come al solito in "perfetto ritardo" (ormai l'ho presa a vizio
XD) sono tornata questa volta con l'epilogo Finchel ^^ questa volta
diciamo che sono piuttosto soddisfatta di ciò che
è venuto fuori (il che è tutto un dire,
perché su tutta la storia mi piacciono sì e no...
quattro capitoli XD) quindi vi lascio immaginare. Come per la Brittana,
anche questo era partito per sviluppare un'idea e alla fine se ne
è presentata un'altra però diciamo che va bene
anche così. Dunque, leggendo vi accorgerete di un piccolo
particolare che riguarda il padre di Lea che fino ad ora non
è mai stato nominato.. diciamo che è un po' uno
scoop quello che si scoprirà e nel caso in cui il sequel
dovesse andare in porto (ci sto seriamente pensando *__*) beh
sì insomma.. potrebbe tornare ad argomento ecco ^^ detto
questo, vi ringrazio ancora infinitamente per la pazienza e per essermi
ancora così vicine dopo tutti questi capitoli.. se non ci
foste voi io non so sinceramente cosa farei quindi... GRAZIE
ç___ç il prossimo esame è tra due
settimane quindi diciamo che dovrei avere più tempo per
dedicarmi all'epilogo Quick e sfornarvelo entro tempi brevi.. diciamo
fine settimana? (si accettano scommesse XD). Vi auguro buona lettura
e... concedetemelo... TANTI AUGURI DARREN <3
P.S. Come per la
Brittana, anche la Finchel ha la sua opera d'arte firmata
Daniel-il-magnifico-ragazzo-di-Sebastian... *___* more grazie :*
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91)
Raccolta ( Just
a Landing - Missing Moments)
Epilogo n°3
Finn & Rachel
"La storia della
buonanotte"
New York City.
Ore 11.03 P.M. 26 Maggio 2012 (Sabato)
Se cinque anni fa mi
avessero detto che un giorno di fine Maggio mi sarei ritrovata a
vivere da sola, al centro di New York City, con una figlia di quattro
anni, senza un compagno ma soprattutto senza lavoro... probabilmente mi
sarei messa a ridere e poi avrei consigliato a questo sciocco di farsi
vedere, ma da uno bravo. Eppure, oltre ogni aspettativa, tutto quello
era realmente successo: ognuno dei miei sogni adolescenziali si era
miseramente infranto, non avevo fatto nessun provino per diventare una
brillante attrice, non ero diventata modella - per quanto la piccola
esperienza fatta con Kurt mi aveva fatto capire che non vi fossi
affatto portata - e soprattutto non avevo sposato nessun miliardario
del Texas. In compenso, in tutto quello squilibrio, avevo ancora i miei
due stravaganti papà gay che si amavano alla follia
nonostante
tutti quegli anni passati a sopportarsi e che amavano me soprattutto -
che ero decisamente più difficile da gestire - avevo degli
amici sinceri che mi regalavano ancora un po' di quella spensieratezza
che non ero riuscita a trattenere in quegli anni e soprattutto... avevo
la mia piccola, dolce e meravigliosa Lea. La mia gioia più
grande, la mia salvezza, l'unica cosa che mi fosse seriamente uscita
bene.
All'inizio, quando alla soglia dei vent'anni avevo scoperto per caso di
essere incinta, mi ero sentita persa: mi era sembrato naturale parlarne
con il mio ragazzo - Brody Weaston... un idiota tanto carino quanto..
idiota, appunto - che invece di abbracciarmi ed esultare con me, magari
rassicurandomi sul fatto che insieme ce l'avremmo fatta, mi era
scoppiato a ridere in faccia, mi aveva posato una mano sulla testa e
aveva detto
"Tanti auguri, bambolina... ora sono cazzi tuoi!" e da allora, non si
era più fatto vedere, neanche in fotografia. All'inizio era
stato tragico affrontare il tutto, ed ero arrivata addirittura ad
odiare con tutta me stessa quell'essere che mi cresceva dentro,
dandogli la colpa per quello che stavo passando, per essere rimasta
sola. Non avevo mai avuto il coraggio di prendere in considerazione
l'idea dell'aborto perché la trovavo una cosa deplorevole da
fare soprattutto perché alla fine, se fossi stata un po'
più coscienziosa anche io, non sarebbe successo nulla;:
quindi
l'idea iniziale era stata quella di portare a termine la gravidanza e
poi consegnare il bambino agli assistenti sociali, così che
loro
potessero trovare una famiglia adottiva adatta a farlo crescere. Questo
era il piano. Le cose erano andate esattamente al contrario: nel
momento esatto in cui mia figlia mi era stata depositata tra le
braccia, dopo un parto decisamente traumatico, era successo qualcosa,
una scintilla era scattata, qualcosa mi si era stretto all'altezza del
cuore nel vedere quelle manine così piccole stringersi a
fatica,
quella bocca appena contratta e quel calore inspiegabile che emanava e
che mi si infrangeva sulla pelle... e da quel momento non ero
più riuscita a metterla giù. Lea aveva
conquistato il mio
mondo e lo aveva migliorato lentamente, ma soprattutto aveva migliorato
me. I miei papà si erano letteralmente sciolti di fronte a
tanta
bellezza e in ogni modo mi erano stati accanto, nonostante abitassimo
lontani e la maggior parte delle volte facessero dei sacrifici enormi
per venirci a trovare.
Sorprendentemente le cose si erano dimostrate più facili del
previsto, perché Lea era sempre stata una bambina
relativamente
tranquilla e crescerla con i pochi soldi che mi inviavano i miei era
stato possibile. Con il tempo, iniziando a diventare più
sveglia
e mostrando sempre più il suo bel carattere - decisamente
troppo
simile al mio - erano sorti i veri problemi: c'erano giorni in cui era
davvero difficile andare d'accordo e altri in cui la voglia di andare
via e mandare tutto al diavolo diventava troppa... poi
però, bastava uno sguardo tra di noi, anche di sfuggita e
tutto
crollava, io mettevo da parte l'orgoglio e mi fiondavo ad abbracciarla
e lei si dimenticava di tutto, stringendomi a sua volta. Era
confortante sapere che almeno lei nel mondo ci sarebbe sempre stata,
che mi avrebbe realmente capita e che... qualsiasi cosa avessi fatto,
mi avrebbe perdonata. Io una madre non l'avevo avuta e forse per un
periodo, nonostante adorassi i miei papà oltre ogni cosa al
mondo, ne avevo seriamente sentito la
mancanza. Volevo essere per Lea la madre che io non avevo mai avuto,
benché non avessi esperienza né un modello da
seguire e
speravo con tutto il cuore di esserci riuscita. Gli amici, Kurt in
particolar modo, mi rassicuravano dicendo che stessi facendo un buon
lavoro con lei ed io avevo seriamente provato a crederci. A volte
però, c'erano momenti in cui lo sconforto era talmente tanto
grande che neppure le belle parole bastavano a colmarlo. Mi sentivo
spesso... svuotata... inutile... persa. Esattamente come il giorno in
cui Brody mi aveva lasciata. Con il tempo avevo capito
perché.
E, ironia della sorte, era stato Finn Hudson a farmi capire cosa fosse:
il mio vicino di casa, il gigante che non riusciva ad incutere terrore
neanche volendo, l'uomo silenzioso e timido e anche un po' goffo che
avevo ignorato - non volontariamente - per bene tre anni da quando si
era trasferito in quel palazzo, ma che solo ultimamente avevo imparato
ad apprezzare e ad... amare. Finn Hudson era stata una vera
rivelazione, ma non solo perché fosse una bella persona
dentro e
fuori... era stata una rivelazione per me, per Rachel Berry. In poco
meno di qualche giorno speso a frequentarlo, avevo capito cosa in quei
quattro anni mi fosse realmente mancato: un uomo, una figura di
riferimento non
solo per me ma soprattutto per mia figlia, un pilastro al quale
poggiarmi, un sostegno per i momenti più bui e un paio di
braccia pronte a stringermi e a farmi sentire... speciale. Finn ci era
riuscito in pieno, mi aveva fatta immediatamente sentire donna - pur
nel suo modo goffo e impacciato di fare - mi aveva fatta ridere, mi
aveva resa
partecipe di qualcosa di nuovo e soprattutto, cosa che non avrei mai
sperato di avere... era riuscito a conquistare la fiducia di Lea in
brevissimo tempo, senza pretese né eccessivi sforzi. Forse
dipendeva dal suo carattere semplice e umile o forse dalla sua infinita
pazienza o dalla sua generosità. Non seppi con precisione
cosa
in quell'uomo conquistò mia figlia... ma vederli insieme,
vederli parlare, vederli semplicemente sorridersi.. mi stringeva il
cuore, mi faceva sentire bene e mi dava quella speranza che in quegli
anni non mi ero potuta permettere di avere.
Sapevo che fosse azzardato credere di poter dare a Lea un padre e che
questo potesse essere proprio Finn, per quanto la nostra storia stesse
andando a gonfie vele e tra loro le cose fossero meravigliose. Temevo
che per Finn fosse un passo troppo grande ed azzardato ma
più di
ogni altra cosa temevo la reazione di Lea: come avevo detto, era una
bambina sveglia e non le ci era voluto molto a capire che io e lui
stessimo insieme e quello sembrava accettarlo abbastanza bene per
quanto ogni tanto avesse qualche attacco di gelosia nei miei confronti,
che dimostrava cercando i miei abbracci, quando eravamo insieme a lui.
Non avevamo mai parlato del suo vero padre, né lei aveva mai
indagato: non le avrei di certo impedito di conoscerlo, se solo Brody
avesse voluto vederla, in fondo... sapevo che sarebbe stato per il bene
di Lea, ma fino a quel momento non aveva
chiesto nulla e forse andava anche bene così.
Eppure quel giorno, qualcosa scombinò quel piccolo
equilibrio
che si era venuto a creare e quel qualcosa partì proprio da
Finn
"Sai a cosa stavo pensando ieri, mentre guardavo Jacob e Dylan che si
picchiavano in campo?" mi chiese passandomi un piatto bagnato che avrei
dovuto asciugare. Feci una smorfia
"Mmm... che dovresti insegnare un po' di educazione ai tuoi ragazzi?"
domandai a mia volta, con tono retorico
"No.. cioè.. sì anche... ma non è
questo." chiuse
il rubinetto dell'acqua e si girò verso di me per poi
sospirare
Finn che sospira?...
"E allora cosa?" domandai curiosa. Un altro sospiro.
"Che ne diresti se mettessimo un punto a questa storia?" chiese tutto
d'un fiato, sorprendendomi. Sgranai gli occhi e persi un paio di battiti
"Mettere... un punto?" feci con un certo timore, iniziando a sentirmi
venir meno per lo sconforto. No, non poteva essere vero.. non poteva...
lasciarmi. Non dopo tutto quello che eravamo riusciti a costruire, dopo
tutti quegli sforzi. Fu il suo turno per sgranare gli occhi
"Oh Santo panino.. no no, Rachel non intendevo... Dannazione ma
perché è così difficile parlare?" e si
schiaffò una mano in faccia, frustrato. Trattenni il fiato e
feci un passo verso di lui, afferrandogli la mano e stringendola tra le
mie, che tremavano appena
"Finn... hai.. intenzione di lasciarmi?" gli domandai spingendo
finalmente fuori quella domanda che mi era rimbalzata in gola con
prepotenza
"No, Rachel... assolutamente no!" esclamò con forza ed io mi
ritrovai a sospirare di sollievo
Sia ringraziato il Santo
panino...
"Ok.."
"In realtà è tutto il contrario."
mormorò
imbarazzato. Quella volta sollevai un sopracciglio, sempre
più
confusa
"Finn.. non credo di capire cosa tu voglia..."
"Vorresti vivere con me, Rachel?" domandò di getto,
arrossendo
violentemente ma puntando gli occhi nei miei. Sobbalzai, colta alla
sprovvista e per poco non caddi lì, in quella cucina
Oh...
"Finn..."
"Nel senso di.. abitare assieme.. nello stesso... sotto lo stesso
tetto, intendo e... sì insomma... fare tutto come... come
una
coppia! Non che io e te ora non lo siamo... però potremmo...
ecco, sempre che tu voglia..." abbassò la testa, affondando
la
mano libera nei capelli e sconvolgendoseli. Una vampata di calore mi
avvolse tutto lo stomaco e probabilmente si propagò perfino
sulle guance, perché mi sentii il viso andare a fuoco. Ma
ignorai completamente quell'incendio che mi stava scuotendo, e provai a
ragionare razionalmente, immagazzinando le sue parole confuse, ma fin
troppo chiare. Finn voleva vivere con me, anzi.. voleva convivere con
me, come coppia.
Presi un profondo respiro, che si spezzò appena per
l'emozione e
mi avvicinai ancora a lui, fino a posare una mano sul suo petto e
l'altra sulla guancia. Lui sollevò lo sguardo e
puntò gli
occhi nei miei, sconvolgendomi ancora una volta con quella sua
innocenza spontanea e tangibile
"Finn.. dici sul serio?" gli domandai, perché avevo bisogno
di una conferma, una conferma chiara e sincera
"Certo... non ti prenderei mai in giro su una cosa del genere." mi
confermò infatti, quasi in un sussurro. Quel calore che mi
aveva
invasa qualche istante prima si intensificò appena,
pulsandomi
nelle vene, a contatto con la pelle che iniziò a pizzicare,
quasi ci fossero milioni di aghi che spingevano per uscire. Eppure..
non faceva male, anzi. Mi ritrovai a sporgermi maggiormente verso di
lui, fino a circondargli il collo con le braccia e a spingergli appena
la nuca in avanti fino a fargli abbassare la testa per poterlo baciare.
E lui capì all'istante perché si
abbassò
maggiormente e mi strinse perfino i fianchi con le braccia,
sollevandomi appena da terra. Avevo scioccamente pensato all'inizio che
due come noi fossero incompatibili per la questione dell'altezza, che
non ci saremmo mai trovati e che perfino per baciarsi ci sarebbero
stati dei problemi: alla fine un compromesso in queste cose, si trova
sempre.
Rachel Barbra Berry...
non ti distrarre...
Dopo un lungo ma casto bacio, mi discostai, sempre rimanendo tra le sue
braccia e gli sorrisi, sentendo gli occhi diventare lucidi per
l'emozione, forse non avendo ancora realizzato del tutto di cosa
stessimo parlando
"Oddio io non... riesco a crederci." mormorai ridacchiando. Lui mise su
una smorfia pensierosa
"Nel senso che non riesci a pensare a me e te sotto lo stesso tetto
o..." ma scossi la testa e lui si arrestò
"No, non parlo di quello. É più che altro che...
non me
lo aspettavo. Però... la trovo un'idea splendida, Finn...
davvero." e per farglielo capire meglio mi avvicinai ancora alle sue
labbra e gliele accarezzai leggermente con le mie. Lo sentii sorridere
contro di me e la presa attorno ai miei fianchi divenne appena
più solida
"Forte... temevo potessi prendermi a schiaffi o peggio... cacciarmi
fuori di casa a calci, ma... non l'hai fatto." constatò
l'ovvio
con un sorriso radioso
"No, non l'ho fatto!" dissi ridacchiando, chiedendomi vagamente se
quella che aveva appena descritta fosse una reazione riconducibile a
me.
Sì,
probabilmente sì...
"Forte!" ripeté euforico e fu lui a spingersi di nuovo verso
di
me per baciarmi e quella volta il contatto fu decisamente
più
profondo. Quel bacio, dato dopo una richiesta di quel tipo, assunse
tutto un nuovo significato: fu quasi più intenso del solito,
quasi un suggellare quella proposta inaspettata e renderla un po'
più reale nelle nostre mani. Perché mai avrei
pensato di
poter dire di sì ad una convivenza, mai avrei pensato di
esserne
così entusiasta, mai avrei potuto credere che per una come
me
sarebbe arrivato un momento così importante, eppure... era
lì, davanti a me e se mi fossi allungata un po', l'avrei
tranquillamente afferrata.
Ci perdemmo in quel vortice di passione fatto di labbra che si
accarezzavano e lingue che si cercavano con desiderio, approfittandone
senza riserve, dato che di momenti liberi da dedicarci se ne trovavano
davvero pochi in quell'ultimo periodo, soprattutto per via di...
"Ma state sempre a baciarvi voi due?" una vocina sottile e vagamente
familiare riportò entrambi sul pianeta terra e di colpo mi
ritrovai catapultata con forza nel mio appartamento, nella mia cucina,
tra le braccia di Finn e con mia figlia che guardava entrambi con un
piccolo sopracciglio alzato - degno del miglior repertorio di
espressioni di casa Berry - disgustata e appena seccata.
Arrossii,
come se fossi stata beccata da qualcuno a rubare la marmellata dalla
credenza, e immediatamente mi allontanai da Finn, portandomi
istintivamente una mano alla bocca. E addio al momento di pace, al
nostro bacio che lentamente si stava trasformando in altro - e Dio solo
sapeva quanto avessi bisogno che andasse oltre - all'idea di vivere
insieme... oh... cazzo...
Sgranai gli occhi, realizzando solo in quel momento qualcosa che avrei
dovuto pensare fin da subito: io e Finn ci eravamo messi a
fantasticare, a fare progetti, senza però fare i conti con
l'oste, cioè con mia figlia. Se fossi stata una ragazza sola
ed
indipendente, probabilmente non ci sarebbe stato alcun problema
nell'andare a vivere con lui, ma dato che a decidere non ero soltanto
io.. beh, la situazione si faceva più complicata.
E come si fa a spiegare
alla propria
figlia di quattro anni, che la sua mamma vuole andare a vivere con un
uomo che non è il suo papà?...
"Si può sapere cosa ci fai ancora sveglia a quest'ora,
signorina? É quasi mezzanotte e poi domani devi svegliarti
presto per andare all'asilo." provai a sgridarla, cambiando abilmente
argomento, sia per evitare la brutta figura fatta, sia per non pensare
troppo alla storia della convivenza. Lea storse la bocca e si strinse
maggiormente il coniglietto con cui andava a dormire al petto
"In realtà sono ancora le undici e un quarto e poi domani
è domenica quindi non c'è asilo."
ribatté con
decisione, lasciandomi interdetta.
E me l'ha fatta un'altra
volta...
Mi girai verso Finn, sconfitta moralmente e lo trovai intento a
ridacchiare di nascosto, divertito dall'impertinenza della piccola.
Bene, me l'avrebbe pagata prima o poi.
"Mezzanotte o le undici non cambia nulla... è tardi e devi
andare a dormire!" provai a mettere di nuovo su il tono da madre
severa, ancora una volta con scarsissimo risultato
"Non ho sonno!" esclamò in risposta imbronciandosi
"Non importa.. il sonno ti verrà rimanendo a letto. Forza!"
e
feci per avvicinarmi, con l'intenzione di spingerla verso la sua
stanza, per poi tornare ad occuparmi di Finn - magari dopo avergli
fatto scontare quel piccolo ammutinamento di poco prima. Ma Lea ancora
una volta riuscì a bloccarmi
"Finn... verresti a raccontarmi una storia?" chiese lei, ignorandomi
del tutto e rivolgendosi completamente al ragazzo che, anche se un po'
sorpreso, le sorrise subito
"Ma certo, piccola... tu vai avanti che ti raggiungo subito." le
rispose e lei, dopo un sorriso radioso, scappò verso la sua
stanza. Rimasi letteralmente con la bocca aperta: che cosa diavolo
stava succedendo? Mia figlia mi ignorava deliberatamente e preferiva la
compagnia di qualcun altro per addormentarsi? Ma... non aveva senso...
non poteva essere... non dopo quattro anni passati sempre insieme,
sempre l'una a dipendere dall'altra, non... Lea.
"Non ci credo." borbottai sconvolta. Sentii una mano calda posarsi
sulla mia spalla e poco dopo la voce di Finn si fece sentire
"Dai non te la prendere troppo... credo sia in quella fase che tutti
attraversiamo prima o poi e che ci rende un po' ribelli con i nostri
genitori." tentò di giustificarla con un sorriso bonario -
sotto
sotto ci stava godendo del fatto che Lea avesse preferito lui a me.
"Finn... quella è l'adolescenza!" rettificai, trattenendo un
sorriso divertito. Lui si accigliò
"E Lea è già un'adolescente, giusto?"
domandò
appena confuso, e quella volta non riuscii a trattenermi e gli scoppiai
a ridere in faccia.
Oddio, Finn... ti adoro
quando fai così...
"Coraggio.. va da lei prima che si metta a strillare. E guai a te se
non scegli la storia giusta.. potrebbe toglierti il saluto per questo."
e lo spinsi via, ancora divertita, mentre effettivamente la vocina di
Lea iniziava a chiamarlo dai meandri del corridoio.
Rimasta sola nella mia cucina, ripresi a lavare i piatti e ad
asciugarli, mentre cercavo in tutti i modi di tenere la mente lontana
da ogni pensiero riguardante la proposta di Finn e l'eventuale dialogo
con mia figlia. Sapevo che, avendo detto di sì a lui, prima
o
poi avrei dovuto anche parlarne a Lea, perché soprattutto
lei
aveva voce in capitolo e insieme avremmo dovuto decidere. Sapevo anche
che - nonostante il leggero malincuore - avrei rimandato o rinunciato
completamente a quella idea meravigliosa, se solo fosse stato troppo
difficile per mia figlia da sopportare o se a lei non fosse andato
completamente a genio. Finn avrebbe capito... forse.
Finito di sistemare tutto, mi diressi verso la camera di Lea, curiosa
di sentire quale storia si fosse inventato Finn, ma con mia grande
sorpresa, li trovai intenti a fare altro: lui era seduto sul letto, con
la schiena poggiata alla spalliera e lei era poggiata su di lui ma
erano entrambi svegli e stavano parlando tra di loro, come se niente
fosse.
"Posso farti una domanda, Finn?" fece lei con la voce sottile e appena
assonnata
"Certo." acconsentì lui, accarezzandole lentamente i capelli
"Quanti anni hai tu?" chiese curiosa, alzando appena gli occhi
"Trenta." rispose tranquillamente
"E come mai non ti sei ancora sposato?" domandò ancora lei,
sempre più curiosa. Lui, per niente infastidito, sorrise
"Diciamo che fino ad ora non avevo ancora trovato la persona
giusta.. quella che mi faceva battere il cuore." spiegò
continuando ad accarezzarla
"E ora pensi di averla trovata?"
"Mmm... penso di sì." rispose lui, e il mio cuore si strinse
appena
"Parli della mia mamma, vero?" la vocina di Lea si affievolì
appena, forse per la stanchezza o forse per il leggero imbarazzo. Finn
bloccò le sue carezze e le rivolse un mezzo sorriso
"Sì... parlo proprio di lei." confermò. Ingoiai
una
manciata di saliva, appiattendomi maggiormente al muro e sentendomi
appena inopportuna ad origliare quella conversazione privata.
Però.. la curiosità era sempre stata una delle
mie
più grandi caratteristiche, quindi avrei messo da parte il
mio
senso di colpa e avrei continuato ad ascoltare tutto.
Lea non commentò né aggiunse altro, tanto che
pensai si
fosse addormentata e mi sporsi appena per sbirciare, ma la voce di Finn
mi fece bloccare in tempo
"Lea... adesso posso farla io una domanda a te?" chiese lui, appena
incerto. La piccola si stropicciò un occhio con la mano ma
annuì, visibilmente curiosa
"Senti mai la mancanza di un papà?" le domandò
dopo un
attimo di esitazione. In quel momento, nel buio del corridoio,
schiacciata al muro e in completo silenzio, sentii distintamente il
cuore bloccarsi e l'ultimo battito rimbombare nel corpo, quasi fosse
un'eco insistente. Sgranai gli occhi, scioccata perché non
potevo credere che Finn avesse davvero fatto una domanda del genere a
mia figlia, soprattutto non prima di averne parlato con me. Cosa aveva
intenzione di fare? Voleva parlarle della convivenza? No, non poteva...
dovevo farlo io... quella era mia figlia e soltanto io avrei potuto...
"A volte sì!" la risposta strisciata di Lea
bloccò i miei
pensieri. Poggiai le spalle al muro dietro di me per sorreggermi meglio
perché una confessione del genere, così a cuor
leggero,
arrivata direttamente dalla voce di Lea... beh non ero affatto
preparata. Non capivo cosa volesse fare Finn, non capivo
perché
avesse deciso di affrontare quell'argomento, non capivo neanche cosa mi
trattenesse ancora in quel corridoio ad aspettare, mentre lui domandava
cose a mia figlia che probabilmente neanche gli competevano. Non ne
aveva alcun diritto.
Ma sentiti, Rachel...
fino a dieci
minuti fa progettavate di andare a vivere insieme e ora cosa fai? Sei
gelosa se il tuo ragazzo parla con tua figlia di cose così
importanti?...
"Però... alla mia mamma fa tristezza parlare di queste
cose... e
così lo tengo per me..." confessò con la vocina
ridotta
ad un soffio, tanto che feci molta fatica a sentirla completamente.
Eppure quelle parole le aveva davvero pronunciate, ed io non seppi se
accoglierle con piacere, perché finalmente sapevo cosa
pensasse,
o se vergognarmi di non essere riuscita a nascondere a mia figlia
l'astio che provavo nei confronti di suo padre. Non ne avevamo mai
parlato, eppure lei lo aveva ugualmente capito. E in questo
l'intelligenza che si ritrovava, c'entrava davvero poco.
"Io credo sia normale provare un po' di tristezza, Lea. Alla tua mamma
dispiace non essere riuscita a darti un papà e si sente in
colpa
per questo. Eppure in questi anni ha cercato di fare in modo di non
farti mancare nulla, di crescerti al meglio e di non farti mai sentire
la sua mancanza." disse Finn con voce conciliante, senza sembrare
esagerato né ironico. Era semplicemente sincero. E il mio
cuore
rimbombò di nuovo.
"Lo so... so che lei mi vuole tanto bene e anche io gliene voglio
tanto." confermò lei subito, riprendendo un po' di vigore
nella
voce, benché fosse chiaramente stanchissima. In un altro
momento, sarei entrata nella stanza e avrei sgridato entrambi
perché non era quella l'ora per parlare. Ma in quel momento,
non
riuscii a fare altro che intrappolarmi un labbro tra i denti e
continuare ad ascoltare
"Però..." riprese lei poco dopo "Alcune volte, quando vedo i
miei amichetti tornare a casa con le loro mamme e i loro
papà..
un po' vorrei avercelo anche io.. un papà, intendo... che mi
venga a
prendere all'asilo!" disse con la voce limpida, chiarendo la
sua titubanza iniziale. Poggiai la testa al muro dietro di me e strinsi
forte gli occhi. Lo sapevo, sapevo che quel maledetto avrebbe comunque
avuto un posto d'onore nel suo cuore, nonostante non avesse fatto nulla
per guadagnarselo. Sapevo che la sua mancanza si sarebbe fatta sentire,
anche prepotentemente. Sapevo che un po' di invidia verso i suoi amici
sarebbe inevitabilmente nata. Sapevo anche che lei avrebbe preferito
soffrire di questa cosa in silenzio piuttosto che parlarmene.
E da una
parte, rimanere in disparte come mera ascoltatrice, era anche meglio:
forse non ero ancora pronta - o non lo sarei mai stata - ad affrontare
un discorso del genere. Forse alla fine avrei dovuto ringraziare Finn.
"Io ero esattamente come te alla tua età, Lea."
confessò
in quel momento Finn con leggerezza. Ci fu un lungo istante di silenzio
in cui probabilmente la piccola sollevò lo sguardo per
potergli
leggere negli occhi qualcosa, per capire cosa stesse dicendo. Alla fine
forse preferì domandarlo direttamente
"Com'eri?" domandò infatti
"Non avevo un papà!" esclamò, spiazzandomi. Non
mi aveva
parlato molto della sua famiglia da quando ci conoscevamo: sapevo che
sua madre viveva in Virginia con il suo compagno, ma non avevo mai
indagato a fondo su suo padre, perché preferivo fosse lui a
parlarmene quando si fosse sentito pronto per farlo. Probabilmente
stavo per ascoltare finalmente la versione ufficiale della sua storia,
e mi sentii nuovamente in colpa nel realizzare che l'avrei fatto a
tradimento, nascosta dietro allo spigolo della parete
"Era scappato anche lui come il mio?" domandò Lea curiosa, e
quella sua piccola domanda innocente ebbe il potere di strapparmi una
mezza risata.
Scappato... davvero una
bella versione calzante della
storia...
"No.. lui è morto.. poco dopo la mia nascita ed io non l'ho
mai
conosciuto." spiegò lui con calma, senza dare alcun segno di
cedimento emotivo. Per l'ennesima volta sentii il cuore sprofondare
nell'abisso ed emettere un debole battito, prima di bloccarsi ancora.
Il padre di Finn era morto: certo, lo avevo immaginato - non tutte le
storie potevano essere simili alla mia, dopotutto - ma sentirselo dire
apertamente faceva comunque un certo effetto. Sospirai lentamente
mentre la vocina di Lea tornava a farsi sentire
"E ti manca?" gli chiese con innocenza
"A volte sì!" rispose lui, rubandole la risposta di poco
prima e
lei infatti ridacchiò appena "Però non sono mai
triste e
sai perché?" le lasciò qualche secondo di pausa
per
creare della suspance per poi continuare "Perché so che lui
mi
guarda da lassù, che continua a volermi bene nonostante il
destino abbia voluto separarci e perché ci sarà
sempre,
ogni volta che avrò bisogno di lui.".
Uno dei miei più grandi difetti, assieme alla
vanità, era
senza dubbio la sensibilità eccessiva che dimostravo in
certe
circostanze; con niente mi ritrovavo a piangere, anche per cretinate e
la cosa più assurda era che a volte lo facevo senza neanche
rendermene conto. Mi ritrovavo gli occhi rossi e colmi di lacrime che
poi sgorgavano fuori nel momento in cui inconsapevolmente sbattevo le
palpebre. E da lì, giù lungo le guance a rigarle
per bene
e ad arrossarle, per poi sfiorare le labbra dove lasciavano quel sapore
salato che a volte era perfino piacevole e infine arrivare al mento e
sparire, in chissà quale abisso, dentro cui perdersi e non
ritrovarsi più. E in quel momento accadde esattamente la
stessa
cosa: le lacrime iniziarono a sgorgarmi dagli occhi senza controllo,
inaspettate e silenziose, rotolando giù libere,
benché
avessi cercato di trattenerle, più che altro per non far
colare
troppo il mascara.
"E pensi che anche il mio ci sarà sempre, quando io ne
avrò bisogno?" domandò ancora Lea, in un sussurro
molto
silenzioso. Finn fece un'altra pausa, probabilmente guardandola ancora,
o forse perfino per sorriderle.
Davvero una bella
domanda, Lea...
"Le persone a cui noi vogliamo bene rimangono sempre con noi, nel bene
e nel male, perché ce le portiamo nel cuore. Se tu vuoi che
lui
sia con te.. allora ci sarà." rispose Finn, sorprendendomi.
Caspita... era riuscito a risponderle in maniera perfetta, senza
sbilanciarsi troppo, né essere eccessivamente sdolcinato.
Era
stato... giusto. Mi ritrovai a pensare che uno come Brody non si
meritasse tutto quel rispetto da parte sua, anche se non si
conoscessero e forse mai si sarebbe conosciuti. Eppure Finn ancora una
volta era stato capace di dimostrarmi quanto fosse maturo e sensibile e
quanto riuscisse ad entrare nel cuore delle persone con poche parole.
Niente di complicato, solo... tutto ciò che serviva per
arrivare nel profondo dell'anima.
Dopo quelle belle parole, seguì un altro lungo momento di
silenzio durante il quale iniziai a pensare che Lea si fosse finalmente
addormentata e che quindi potessi allontanarmi per evitare di essere
colta in fragrante. Ma proprio quando stavo per abbandonare il mio
comodo muro, la sua vocina ridotta ad un debolissimo soffio si fece
risentire
"Finn..."
"Dimmi, piccola."
"Quanto spazio ho nel cuore?" domandò innocentemente. Mi
accigliai, sorpresa da una domanda tanto strana. Io mi sarei trovata in
vera difficoltà se avessi dovuto rispondere, ma Finn...
"Tanto, Lea... uno spazio infinito." rispose con dolcezza, tanto che mi
ritrovai a sorridere, cullata dalla sua voce morbida. Immaginai che per
la piccola facesse lo stesso effetto, perché fece un piccolo
verso, un mormorio di assenso e forse fu davvero sul punto di
addormentarsi, quando per l'ultima volta, parlò
"E allora ci puoi stare comodo anche tu... senza sbattere la testa da
nessuna parte." borbottò in un tono a metà
tra il
mondo dei sogni e quello reale. La mia risata venne nascosta
completamente da quella di Finn, che si mosse sul letto - e lo dedussi
dal fruscio delle coperte
"Buonanotte, dolce Lea. Fai bei sogni." sentii uno schioccò
morbido, forse posato sulla fronte della bambina e dei passi leggeri -
per quanto potessero esserlo quelli di un ragazzo di centonovanta
centimetri - avvicinarsi alla porta. Mi affrettai ad allontanarmi da
lì e mi nascosi in camera da letto, per potermi asciugare
le
ultime lacrime rimaste.
Era stato inaspettato e anche parecchio toccante, non solo per la
dolcezza
con cui Finn le si era rivolto per tutto il tempo - quella era una cosa
che usava fare ogni volta - ma soprattutto per quello di cui avevano
parlato, del padre di Lea, di suo padre e di come in un certo senso lei
gli avesse confessato che nel suo cuore ci fosse spazio anche per lui,
nonostante non fosse il suo vero papà. E faceva un certo
effetto
pensare che una bambina così piccola fosse così
sensibile e avesse così tanto da offrire. Lea sentiva
profondamente la mancanza del suo papà e forse non era poi
così sbagliato cercare un modo per tamponare questa assenza
forzata; magari, anche se nelle loro vene non scorreva lo stesso
sangue, lei e Finn potevano creare assieme un rapporto basato sulla
stessa fiducia che normalmente si crea tra padre e figlia. Avrebbe
fatto bene ad entrambi e sicuramente avrebbe fatto bene anche a me.
"Ehi.." una voce calda mi raggiunse alle spalle e girandomi me lo
ritrovai vicinissimo, con un sorriso timido sulle labbra al quale
risposi spontaneamente
"Ehi."
"Finalmente è crollata!" mi informò, indicando
con il pollice dietro di sé. Stavo per rispondergli che
già lo sapevo, ma riuscii a trattenermi
"Si vede che la storia della buonanotte era particolarmente
avvincente." mormorai divertita, ricordando alla perfezione ognuna
delle parole che si erano scambiati. Finn abbassò la testa e
ridacchiò
"Qualcosa del genere." mi confermò infatti per poi tornare a
guardarmi e rivolgermi un bellissimo sorriso, ancora un po' intimidito
ma bello da morire. Come potevo davvero pensare di provare paura nel
vivere quel qualcosa di fantastico che ci legava? Sarebbe stato da
stupidi non volerlo assaporare completamente, non volerne sempre di
più, non desiderare che fosse... per sempre.
Si tratta della tua
felicità, Rachel... soltanto la tua...
"Bene, credo sia abbastanza tardi anche per me, quindi è il
caso che io vada." si piegò per lasciarmi un veloce e
leggero bacio sulla fronte e dopo un piccolo occhiolino fece per
allontanarsi, ma il mio istinto quella volta fu decisamente
più veloce
"Finn."
"Sì?"
"Stavo pensando..." mi morsi l'interno della bocca, cercando di trovare
le parole adatte. Come se, per momenti come quello, ce ne fossero di
adatte o di sbagliate "Perché stasera non facciamo una...
prova?" domandai, spostando il peso da un piede all'altro, impaziente
ed elettrica. Avevo voglia di fare tante cose e tutte insieme, ma
dovevo prima di tutto riuscire a controllare gli istinti e poi forse
sarei riuscita nel resto. Finn, come sospettavo, si accigliò
"Una prova? Per cosa?" mi chiese. Io presi un profondo respiro per poi
avvicinarmi e afferrargli entrambe le mani con le mie, tanto per
garantirmi un appiglio per darmi più forza e più
coraggio in quella difficile confessione
"Per la convivenza, intendo. Iniziamo da questa sera... puoi...
rimanere a dormire qui.. se vuoi! A me farebbe... piacere, ecco!" e mi
sentii gradualmente arrossire fino alla punta delle orecchie. Ma provai
ad ignorare quell'imbarazzo e anzi, tentai invece di ricavare da
lì la forza necessaria per continuare a tenere gli occhi
ancorati ai suoi, senza mai cedere, senza far trasparire quel briciolo
di insicurezza che comunque c'era ma che doveva rimanere nascosta,
surclassata dalla consapevolezza della scelta appena fatta. Finn
sgranò gli occhi, colpito dalle mie parole
"Oh" sospirò infatti, leggero. Tentai un sospiro anche io,
ma l'unica cosa che mi uscì fu un tremolio accompagnato da
un mezzo lamento senza significato
"So che una volta ti dissi che non era il caso di rimanere qui per via
di
Lea e tutto quanto, però..." fui interrotta da un movimento
improvviso che riuscì perfino a bloccarmi il respiro. Lui si
avvicinò a me, azzerando la distanza misera che
già c'era e mi sollevò il mento con la mano, fino
a far incontrare i nostri occhi che si erano inavvertitamente persi per
pochi istanti. Mi sentii tutto un tratto debole e forte, persi un po'
di quella sicurezza con cui mi ero fatta scudo fino a poco prima, ma
contemporaneamente fui pervasa da un piacevole senso di leggerezza che
mi fece tornare a respirare senza alcun tipo di problema. E tutto per
un paio di occhi scuri che mi guardavano, mi scrutavano, mi leggevano
dentro e cercavano di decifrare qualcosa di apparentemente
incomprensibile
"Ne sei sicura?" mi domandò in un soffio ed io mi presi
alcuni istanti per pensarci davvero. Pensai a come sarebbe stato bello
l'indomani svegliarsi in un letto che non sarebbe stato vuoto, accanto
alla persona che amavo, magari coccolata perfino dal suo respiro o
stretta nel suo abbraccio. Pensai alla colazione, a come sarebbe stato
bello e naturale farla assieme, magari in silenzio, a scrutarci a
vicenda, a sorriderci dietro le tazze del caffè. E poi
pensai a come sarebbe stato andare nella stanza di Lea per svegliarla,
il modo in cui lei ci avrebbe guardati, a quando ci avrebbe sorriso e
ci avrebbe augurato il buongiorno e poi lei e Finn magari si sarebbero
potuti vestire e sarebbero andati al parco per giocare, lasciandomi
rilassare un po', sbrigare qualche faccenda o magari salire al piano
superiore per una chiacchiera con Kurt. Pensai ovviamente anche a tutte
le difficoltà che avremmo dovuto affrontare, a tutte le
critiche che ne sarebbero seguite, alle malelingue che avrebbero
parlato alle spalle, a quanti avrebbero classificato la cosa in maniera
sbagliata, senza pensare a quanto bene potesse fare a tutti, bambina di
quattro anni compresa. Certo, ci saremmo dovuti andare ugualmente con i
piedi di piombo e ovviamente appena possibile avremmo dovuto parlarne
chiaramente con Lea, perché volevo sentir dire dalla sua
voce ciò che in fondo credevo di aver capito attraverso la
piccola chiacchierata di poco prima; ma in quel momento, iniziai a
sentire che non sarebbe stato poi così difficile, che ce
l'avremmo potuta fare, affrontando ogni cosa assieme, esattamente come
una famiglia avrebbe fatto. E pensai a tutto questo, in pochissimi
istanti. Alla fine, soddisfatta della mia stessa scelta mi ritrovai a
sorridergli e ad alzarmi sulle punte per potergli catturare le labbra
con le mie
"Sicura... sicura del fatto che ti voglio nella mia vita, sicura del
fatto che ti voglio nel mio letto stanotte, sicura di volerti al mio
fianco per tutta la vita. Sicura, Finn... sicura che ti amo da morire."
gli dissi con il cuore in gola, allacciandogli le braccia al collo e
stringendomi maggiormente. Lui mi avvolse la schiena con le sue braccia
e mi sorrise, gli occhi così belli e lucidi
"Ti amo anche io, Rachel... amo te, amo Lea... amo l'idea di me e te
insieme.. di noi." mi rispose, avvicinandosi per baciarmi ancora
più a lungo. Era una specie di promessa quella che ci
stavamo scambiando ed entrambi sembravano disposti a mantenerla, con o
senza i rischi e le difficoltà che sarebbero inevitabilmente
nate. Io ero
pronta, questo era ciò che più contava in quel
momento
"Mmm... ora che ci penso... se devo dormire qui stanotte, mi
servirà il pigiama... e quindi devo tornare un attimo nel
mio appartamento per prenderne uno." borbottò, appena
malizioso, sulle mie labbra, mentre iniziava lentamente a camminare
verso il letto, spingendomi di conseguenza. Ridacchiai piano per poi
coinvolgerlo in un altro bacio
"Non penso che questa notte avrai bisogno del pigiama per dormire." lo
rassicurai e dopo esserci concessi un'altra piccola risata, silenziosa
e roca, lasciammo perdere le parole e ci occupammo soltanto di noi, del
nostro amore e di quell
a
pagina su cui
stavamo scrivendo le prime righe della storia della nostra famiglia.
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Capitolo 46 *** Epilogo n°4 ***
Buonasera
a tutti e buona domenica... questa volta sono stata di parola, vi avevo
promesso di tornare entro fine settimana e... ce l'ho fattaaaaa *__* mi
sembra di essere quesi tornata ai vecchi tempi in cui si aggiornava due
volte a settimana.. bel periodo ç__ç dunque..
oggi ci occupiamo della Quick. L'epilogo non ho ancora deciso se mi
piaccia o meno.. diciamo che ad un certo punto sono riuscita a
commuovermi per l'argomento trattato però... boh ho paura di
aver esagerato o di averlo reso poco credibile.. mmm.. divtemi voi ^^
colgo l'occasione per ringraziarvi ancora per le splendide recensioni
che mi regalate e scusate di vero cuore se non vi dedico più
quel tempo che vi dedicavo prima per rispondere ma davvero non ce la
faccio ç__ç per quanto riguarda il prossimo
epilogo, che sarebbe quello Samcedes... penso di riuscirci entro la
fine della prossima settimana, nel caso dovessi tardare vi faccio
sapere, se dovessi anticipare... ahahah ma non diciamo sciocchezze XD
vi auguro buona lettura... vi amo tanto <3
n.b.
Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta (Just
a Landing - Missing Moments )
Epilogo n°4
Quinn
& Puck
"Buon
compleanno"
New
York City. Ore 06.40 P.M. 18 Novembre 2012 (Domenica)
"Jennifer ti
piace? O
preferisci Kimberly?" mi domandò Noah, sfogliando di nuovo
il
libro dei nomi che aveva comprato qualche mese prima. Io ridacchiai,
sistemando meglio la schiena sui cuscini
"Sono belli
entrambi...
peccato che non sappiamo ancora neanche se sia maschio o femmina." gli
feci presente. Lui mise su una smorfia
"Io lo so
già!"
esclamò con sicurezza. Abbandonò il suo prezioso
libro
sul tavolo e mi raggiunse, sedendosi per terra e poggiandomi una mano
sulla pancia "É una femmina... al mille per cento!" aggiunse
accarezzandomi lentamente. Ridacchiai ancora, appena rapita dal
movimento leggero della sua mano
"E se fosse
maschio?" azzardai. Lui sorrise, quasi accettasse la sfida
"D'accordo...
controlliamo." propose, dopodiché si sporse un po' fino a
poggiare l'orecchio sulla pancia, facendomi sussultare appena e
arrossire. Lo guardai attentamente mentre se ne rimaneva in silenzio ad
ascoltare i movimenti del bambino - o della bambina - continuando ad
accarezzare un lato della pancia ed emettendo strani mormorii
"Ehilà...
principessa? Mi senti?" chiese, accarezzandomi ancora. Mi ritrovai a
ridacchiare, colpita da quella sua tenerezza improvvisa - e Puckermann
era tutto tranne che un uomo tenero - ma soprattutto da quella
innocenza con cui parlò a qualcuno che forse non avrebbe
neanche
potuto...
"Ahia!" mi
lamentai, dopo
aver ricevuto un calcio bello forte da parte del piccolo. Puck
sollevò la testa e i suoi occhi si illuminarono,
letteralmente
"Uh.... il
grande Noah
Puckermann aveva ragione... anche questa volta!" esultò,
atteggiandosi appena ed io riuscii a ridere, nonostante il leggero
dolore che ancora avvertivo nelle costole
"Noto con
piacere che vi
siete già alleati contro di me, voi due." mi lamentai
divertita.
Lui scosse la testa, raddrizzandosi e smettendo perfino di
accarezzarmi. Ed io a malincuore constatai che la cosa mi causasse
parecchio fastidio
"La mamma
è sempre
la mamma... io al massimo sarò il vecchio zio Puck che
potrà insegnare alla piccola qualche mossa di Karate per
difendersi dai ragazzacci che ci proveranno con lei, quando
diventerà grande e meravigliosa come sua madre."
borbottò. Sollevai un sopracciglio, meravigliandomi di quel
complimento velato che era riuscito a tirar fuori
"Mi trovi
meravigliosa?" domandai, ancora ridacchiando. Lui sbuffò
"Hai
frainteso...
intendevo carina... nella norma... vagamente accettabile." si corresse,
con un sorrisetto furbo. Scoppiai di nuovo a ridere sotto il suo
sguardo soddisfatto e chiusi per un momento gli occhi. Il mio rapporto
con Noah, in quei sette mesi era cresciuto lentamente fino a diventare
bello.. particolare ma bello. Lo scontroso dinosauro che mi aveva
offerto un lavoro nel suo pub si era lentamente sciolto come un cubetto
di ghiaccio al sole, rivelando un animo gentile e premuroso, come
testimoniava il fatto che continuasse a darmi lo stipendio nonostante
non fossi praticamente assunta e non stessi più lavorando -
visto l'imminente parto - e per il fatto ancora più evidente
che
riguardava il tetto che mi aveva offerto per vivere, in attesa di
trovarne uno per me e mio figlio - o mia figlia. Da cinque mesi infatti
abitavo nel suo appartamento senza tirare fuori neanche un centesimo -
e guai a parlare di soldi con lui... andava su tutte le furie - anche
perché non potevo continuare ad usurpare il letto di
Blaine..
quel poveretto doveva pur dormire ogni tanto sul suo materasso. La sua
offerta era arrivata all'improvviso e anche parecchio inaspettata. Mi
aveva trovata al bancone del pub, a mezz'ora dall'inizio del turno, con
il giornale degli annunci per gli appartamenti a New York. Con molta
tranquillità, me lo aveva sfilato da sotto agli occhi e
aveva
detto
"Raccogli i
tuoi vestiti.
Da domani ti fermi a stare da me. Niente scuse o ti licenzio!" ed io
per poco non scoppiai a piangere lì, su quel bancone.
Perché non me l'aspettavo, perché avevo quasi
perso ogni
speranza, perché ero quasi arrivata a credere di dover fare
ammenda e dover andare ad elemosinare l'aiuto dei miei. Alla fine non
era stato necessario perché un angelo con la cresta, di nome
Noah Puckermann, mi aveva accolta in casa sua, dandomi non solo un
posto dove stare - gratis per giunta! - ma anche un sostegno morale non
indifferente. E da quando avevo smesso di lavorare, perché
ero
dovuta entrare in maternità, lui non mi aveva persa di vista
neanche per un istante: sempre a controllare cosa facessi, cosa
mangiassi, se i cuscini dietro la schiena fossero sufficienti, se i
programmi che guardavo alla tv fossero adatti. Avevo, senza saperlo,
assunto una baby-sitter, senza aver sfornato ancora nessun bambino.
Eppure, era stranamente piacevole essere coccolata in questo bizzarro
modo da lui, perché in un certo senso riusciva a darmi...
sicurezza, quel tipo di sicurezza che mio padre o Sean, il padre di
mio figlio, non erano mai riusciti a darmi.
A guardarlo,
Puck,
sembrava tutto tranne che un ragazzo raccomandabile: con quella buffa
capigliatura, l'aria da cattivo ragazzo, il suo tono sempre burbero e
la sigaretta sempre in bocca. Erano uno dei classici cattivi ragazzi da
cui mia madre mi avrebbe tenuta a debita distanza al liceo; solo che in
quel momento mia madre non c'era, io non avevo più sedici
anni e
Puck era l'unica persona che riusciva a farmi stare bene, nonostante la
cresta e le sigarette. Avevamo un rapporto strano io e lui, leggermente
ambiguo a volte, nonostante non fosse mai successo chissà
cosa e
non ci fossero mai stati grandi imbarazzi a dividerci: certo, una
volta, qualche settimana prima un bacio era scappato, ma ad essere
sincera non seppi neppure come fosse venuto fuori. Tuttavia, per quanto
inaspettato e abbastanza innocente era stato... bello. Anzi... molto
bello. Probabilmente un altro uomo al posto di Puck ne avrebbe
approfittato e si sarebbe spinto oltre ma lui no... in quell'occasione
mi aveva semplicemente sorriso, era arrossito appena e mi aveva chiesto
se gradissi le costolette di vitello. Mi aveva sempre trattata con
estremo rispetto, quasi con i guanti di velluto benché a
conti
fatti non avessimo nulla da spartire. A volte mi chiedevo chi gliela
facesse fare ad essere così dolce e paziente con me, per
quale
motivo mi ospitasse e perché a volte preferisse perfino
lasciare
il locale in mano di Brittany o di Kurt, pur di non lasciarmi sola.
All'inizio avevo seriamente creduto avesse un doppio fine: io e gli
uomini avevamo sempre avuto un rapporto particolare e con il tempo
avevo imparato a capire cosa loro volessero da me quindi non mi era
sembrato poi tanto strano che anche lui non fosse da meno. Eppure mi
aveva sorpresa: mai nessuna battuta a doppio senso, mai nessuna mano
allungata impropriamente, mai nessun tipo di provocazione fisica o
verbale. Semplicemente gesti di gratuita gentilezza e di rispetto che
io tentavo di ricambiare dandogli il meno fastidio possibile.
Adoravo scherzare con lui. adoravo averlo in giro per casa... a volte
il semplice sentirlo canticchiare in bagno mentre si faceva la barba,
mi faceva sorridere, e riusciva a tirarmi su di morale con niente,
anche con una smorfia, perfino in quei momenti neri in cui la
gravidanza diventava più un problema che una gioia. Un
giorno,
mentre lo osservavo apparecchiare la tavola, mi era balzato alla mente
un pensiero: che Noah Puckermann fosse davvero un bel ragazzo. Aveva
dei bellissimi occhi, lineamenti gentili - nonostante il broncio che lo
accompagnava per la maggior parte del tempo - e le sue labbra... Dio...
erano... buone, oltre che davvero bellissime. E senza vergogna, in
quella occasione, mi ero ritrovata a chiedermi come potesse essere
ritrovarmi ad aspettare un figlio suo, come fosse stare assieme a lui,
tipo.. come coppia. La risposta era arrivata con un piccolo calcio del
bambino: sarebbe stato.. forte! Probabilmente la Quinn stronza e
viziata di pochi anni prima avrebbe trovato lui e il suo modo di vivere
atrocemente disgustosi, avrebbe preferito fare l'elemosina per strada
piuttosto che dividere l'aria con uno così, eppure ero
riuscita
a crescere, a migliorare e a capire finalmente che le persone come i
libri non vanno giudicate dalla copertina, ma dal loro contenuto, da
quel numero infinito di parole che le descrivono e le rendono speciali
e belle. E Puck lo era... era speciale e anche bello. E a lui.. o a
lei... Noah piaceva. Lo sentivo scalciare impaziente quando era nelle
vicinanze ed era come se avessero già creato un rapporto,
pur
non essendosi ancora incontrati di persona. Forse era proprio questo
strano collegamento che si era creato tra i due, ad avermi avvicinato
così tanto a Noah: sentivo che, se una creatura non ancora
nata,
potesse fidarsi già in quel modo di lui... beh
perché non
avrei potuto farlo anche io?
Il suono del cellulare di Puck interruppe i miei pensieri e riaprendo
gli occhi lo vidi correre per rispondere
"Merda.. scusa avevo dimenticato di spegnerlo.. pronto?" tutto
affannato accettò la chiamata e rimase in silenzio qualche
istante ad ascoltare, per poi sbuffare e sollevare gli occhi al cielo
"Mamma! No, non sono a lavoro. Oggi non ci vado." spiegò
esasperato. Sentii una voce leggera dall'altro capo del telefono e la
smorfia del ragazzo si accentuò
"Ma figurati.. non sei mai venuta a trovarmi da quando ho aperto..
giusto questa sera avevi voglia di cenare al pub?" borbottò
facendosi guardingo. Sorrisi spontaneamente.
Eh le mamme... sono
davvero imprevedibili. Pensi che diventerò anche io come
lei, piccolo?...
"Ah ecco perché... mi pareva strano!" esclamò con
un
sorrisetto vittorioso eppure leggermente infastidito. Gli lanciai
un'occhiata incuriosita e lui scosse la testa
"No, mamma, non esiste proprio... anzi per essere più chiaro
ti
ripeto le stesse parole che ti ho rifilato gentilmente anche l'anno
scorso: non me ne fotte un cazzo se domani compio gli anni... sai che
odio il mio compleanno e continuerò a farlo in eterno.. o
almeno
fino a che tra un paio di anni la morte non verrà a
prendermi."
abbaiò scontroso. Raddrizzai la schiena contro i cuscini,
mentre
il cuore prendeva ad accelerare nel petto. Il giorno successivo sarebbe
stato il suo compleanno? Oh... e io lo ignoravo completamente. Se non
fosse stato per quella chiamata probabilmente non lo avrei neanche
saputo. E lui... non sembrava affatto contento di festeggiarlo... ma,
perché?
Noah allontanò il telefono dall'orecchio lasciando sua madre
strillare come una disperata, forse per il linguaggio scurrile o per la
solita indifferenza. Dopo un sospiro riprese a parlare
"Hai finito? Se non stai attenta ti verrà un infarto e sai
bene
che Philadelphia dista troppo da qui... moriresti prima che io venga a
salvarti." la scimmiottò divertito e giù altre
urla
identiche alle prime. Immaginai che quello fosse il suo personalissimo
modo per dimostrare a sua madre quanto bene le volesse, anche se
leggermente.. anti convenzionale. Però, dovevo ammettere che
era
divertente vederli litigare in quel modo: io e mia madre non lo avevamo
mai fatto ma questo non era affatto un bene; forse litigando lei
avrebbe imparato a conoscermi meglio ed io avrei capito subito che non
saremmo mai potuto andare d'accordo. Lei mi credeva la figlia perfetta,
quella brillante che aveva finito il liceo con il massimo dei voti e si
era perfino iscritta a Yale. Era stato un doppio shock scoprire che in
me non ci fosse nulla di perfetto e che andassi a letto con un uomo
sposato dal quale aspettassi perfino un figlio. Non era riuscita a
reggere ed era crollata: la madre di Puck a conti fatti ne aveva
sopportate tante con un figlio del genere - altro che punteggio massimo
al liceo e college prestigioso - eppure continuava ad esserci e a
preoccuparsi per il suo compleanno. Davvero un gesto molto dolce e
materno.
Spero di diventare esattamente come lei...
"D'accordo, mamma.. se cambio idea... e ti avviso già da ora
che
non lo farò... ti chiamo. Un bacio e... non stancarti
troppo. Ti
voglio bene." e mise giù ridacchiando ancora. Io,
accarezzandomi
inconsapevolmente la pancia sollevai gli occhi e glieli puntai addosso
"Quanti anni fai?" domandai curiosa. Lui, quasi si fosse appena accorto
di me, arrossì
"Mmm... abbastanza." sviò abilmente, passandosi una mano
sulla cresta
"Più di trenta?" azzardai. Lui sgranò gli occhi
"Ehi... ne dimostro davvero così tanti?" si
lamentò,
facendosi realmente preoccupato. Io ridacchiai, continuando ad
accarezzare il pancione
"Non proprio.. però.. generalmente è dopo i
trenta che si
tenta di.. nasconderli." gli feci presente con un sorriso sornione
"Ma io non nascondo proprio niente." si lamentò ancora,
imbronciandosi. Sollevai un sopracciglio, guardandolo con una certa
eloquenza per fargli capire che stupida non ero e che la conversazione
l'avevo ascoltata bene. Alla fine si arrese
"Ventinove!" sospirò afflitto, passandosi la mano sul volto,
quasi la notizia l'avesse stravolto. Sorrisi vittoriosa
"Bene.. ora posso dirti che te li porti davvero bene. Te ne avrei dato
al massimo ventotto!" lo presi in giro e per fortuna riuscii a
strappargli una risata che gli migliorò l'umore.
Tornò a
sedersi accanto a me, sul tappeto e ricominciò ad
accarezzarmi
la pancia, lentamente, facendomi sospirare
"Perché non mi hai detto nulla?" gli chiesi in un sussurro
leggero. Lui si accigliò
"Di cosa? Del mio compleanno?... Beh.. non era.. importante!" si
giustificò con una alzata di spalle. Eppure, da quel suo
tono
strisciato, immaginai ci fosse dell'altro che teneva nascosto
accuratamente agli occhi esterni e che a fatica sarebbe venuto fuori.
Istintivamente posai una mano sulla sua mano e lo guidai lentamente in
un'altra carezza e lui mi lasciò fare, nonostante avessi
notato
un piccolo imbarazzo colorargli il viso. Era rilassante essere
accarezzata in quel modo da lui e al piccolo piaceva molto
"Vivo a casa tua... mangio ciò che compri tu e uso la tua
doccia.. sarebbe stato un tantino sgradevole da parte mia non farti
perlomeno gli auguri domani." gli feci notare, mentre il mio sguardo
era rapito nella contemplazione delle nostre mani legate in quella
carezza. Lui sospirò lentamente
"Io vengo da una famiglia molto modesta. Mia madre ha dovuto crescere
da sola me e mia sorella, perché nostro padre ci ha
abbandonati
quando eravamo piccoli e quindi tutto il peso della casa.. soprattutto
quello economico si è riversato sulle sue spalle. Lei non ci
ha
mai fatto mancare nulla, ha sempre tentato di... renderci felici anche
con il poco che avevamo e... ogni volta, quando si trattava di
organizzare una festa per il nostro compleanno lei.. si faceva in
quattro, accettava perfino i doppi turni pur di comprarci la torta
più grande, il regalo più bello o il festone
più
colorato o semplicemente per permetterci di invitare un amico in
più. All'inizio non ho capito cosa significasse e quanto le
costasse una cosa del genere poi con il tempo... ho imparato a misurare
i suoi sforzi e a... fare a meno delle torte farcite, dei regali e
perfino delle feste. Il compleanno per me è diventato
lentamente
qualcosa che non potevamo permetterci e pertanto andava.. in un certo
senso abolito. Mi ci è voluto un po' per farlo capire a mia
madre, senza dirle il motivo reale del mio cambiamento ma.. credo che
dopo tutti questi anni un po' si sia arresa." e sorrise amaramente sul
finale, rendendomi conto della sua vita e spiegandomi finalmente il
perché di tanta amarezza nei confronti della sua festa. Mi
si
strinse lo stomaco a quelle parole: io avevo festeggiato ognuno dei
miei compleanni, fino alla fine del liceo. Tutte feste organizzate in
casa dai miei genitori e quella dei diciotto anni, addirittura, aveva
previsto l'arrivo di un'orchestra professionista e di un catering di
altissimo livello per un numero esagerato di centododici invitati. Ma
ovviamente per la Quinn dolce e perfetta anche quello andava bene. Per
Noah, il figlio di una madre sola e abbandonata che sacrificava tutto
per il bene della sua famiglia.. no, per lui no.
Puck sollevò lo sguardo e si sorprese di trovarmi abbattuta
in quel modo così si affrettò ad aggiungere
"Adesso le cose vanno meglio. Io, con il lavoro sono riuscito a pagare
il college per mia sorella... e mia madre si gode
un po' di tranquillità dato che ormai il suo stipendio le
permette di vivere dignitosamente. Siamo riusciti a risollevarci per
fortuna e adesso.. quei problemi sono il passato!" spiegò
con
calma e cercando di aggiungerci perfino un sorriso, tanto per farmi
stare più tranquilla. Puntai gli occhi nei suoi e provai a
capire come mai quelle sue parole mi avessero sconvolta tanto: avevo
immaginato che non provenisse da una famiglia aristocratica
né
che potesse aver condotto una vita sfarzosa come la mia.. eppure
sentirlo così sereno e appagato nonostante tutti quei
problemi..
era un po' come rendersi conto di quanto squallida e vuota fosse stata
la mia vita fino a quel momento, troppo impegnata a compiacere i miei
genitori, a perdere tempo dietro coetanei senza ideali, ad innamorarsi
delle persona sbagliata. Lui, nonostante la vita non gli avesse affatto
sorriso era.. ancora lì, più forte e coraggioso
di prima.
Ma quanto ero piccola in confronto?
"Ti ammiro sai." mormorai colpita "E ammiro tua madre. Deve avere
parecchio carattere per sopportare uno come te." mi lasciai scappare,
ma non lo dissi con cattiveria e lui per fortuna se ne accorse
perché scoppiò a ridere
"Oh ne ha, fidati." confermò infatti "Ma non è
solo per
questo che la amo tanto. É per quello che 0è
riuscita ad
insegnarmi, per i valori che mi ha dato e per non avermi mai ostacolato
in niente, neanche quando ero uno scapestrato con il sogno improbabile
di andare a fare fortuna a New York. Io nella grande mela ci sono
arrivato ma la fortuna non l'ho vista neanche di sfuggita eppure... lei
c'è ancora, continua a sostenermi e ad incoraggiarmi. Quando
prima ho detto che non viene mai al pub... non è vero.
Cioè.. non può farlo perché
Philadelphia non
è dietro l'angolo e per lei sarebbe difficile arrivarci,
però... so che se solo potesse, lo farebbe tutte le
sere,
anche a piedi." e nel parlare di sua madre gli si illuminarono gli
occhi. Provai grande rispetto in quel momento per quella donna tanto
forte e coraggiosa che aveva fatto tanto per un ragazzo così
e
continuava a fare nonostante fosse diventato ormai un uomo grande ed
indipendente. Forse per lei Noah non sarebbe mai stato abbastanza
grande per vivere senza l'affetto della sua mamma, ed io iniziai a
credere che fosse esattamente così.
Anche tu crescerai e non
avrai più bisogno di me. Ed io? Riuscirò mai a
fare a meno di te?...
Mi mossi sul divano, assecondando i movimenti del piccolo e
accarezzando il dorso della mano di Puck con il pollice,
distrattamente. Era strano che lui si aprisse così tanto con
me,
dato che in quei mesi passati a convivere non lo aveva mai fatto. Lo
trovavo gratificante e mi faceva sentire... accettata in un certo
senso. Non ero proprio sicura di meritare tanta fiducia da parte sua
ma... ne ero lusingata e di certo non lo avrei fatto smettere, non
quando sembrava essere così a suo agio parlando.
"Non le da fastidio che io stia qui da te a scrocco?" domandai curiosa.
Lui sbuffò
"Ma la smetti di dire cazzate? Tu non stai a scrocco... tu occupi uno
spazio che io ti metto volontariamente a disposizione, e in cambio mi
fai omaggio della tua... presenza." arrossì appena ma si
riprese
subito "E comunque no... non ha nulla in contrario. Anzi... vorrebbe
conoscerti perché segretamente spera che io e te...
sì
insomma..." ma peggiorò solo la situazione perché
il
rossore aumentò a dismisura, risalendo perfino alle
orecchie. Mi
morsi il labbro per trattenere un sorriso intenerito che stava
spontaneamente nascendo
"Vorrebbe che stessimo insieme?" azzardai, sentendo uno strano calore
diffondersi anche sul mio di viso, ma provai ad ignorare. Lui
sbuffò ancora e la sua mano sotto la mia tremò
appena
"Sai come sono le mamme... sempre impiccione e sempre a sperare che i
figli si sistemino presto e sfornino nipotini da..." e per la terza
volta avvampò, quella volta mordendosi le labbra, quasi
volesse
zittirsi da solo. Un piccolo sorriso quella volta mi scappò
davvero
"Non che questo sia il caso... cioè... io e te non..
stiamo...
non dobbiamo per forza... hai capito, no?" e lasciò sospesa
anche quella frase, schiarendosi la voce e spostando lo sguardo sul
pavimento. Gli accarezzai ancora il dorso della mano, quasi volessi
tranquillizzarlo. Ma forse in quel momento una semplice carezza leggera
non bastava: per questo, facendomi forza, mi tirai su con la schiena ed
allungai l'altra mano per afferrare il suo mento e fargli girare il
viso, dopodiché mi sporsi appena fino a fare combaciare le
nostre labbra in un piccolissimo tocco morbido che durò
giusto
un secondo, ma che mi incendiò completamente.
"E come pensi reagirebbe tua madre se ti vedesse insieme... alla
bambina?" chiesi in un soffio, rimanendo a pochi centimetri dalle sue
labbra, respirando l'aria che lui stesso stava respirando. Rimase
qualche istante immobile, forse ancora leggermente scosso da quel gesto
improvviso o forse cercando il modo migliore per rispondere ad una
domanda del genere. Mi rendevo conto che fosse particolarmente equivoca
e insensata, ma niente in quel momento - niente nel nostro rapporto -
aveva senso, quindi...
Alla fine, dopo aver palesemente preso un profondo respiro,
riuscì a trovare la risposta adatta
"Penso che morirebbe letteralmente dalla gioia nel vedermi stringere un
fagottino." sussurrò, inchiodando gli occhi ai miei, con
un'intensità che mi fece stringere lo stomaco. E la bambina
si
mosse ancora, quasi in risposta, dando il suo personale consenso alla
cosa.
New
York City. Ore 10.34 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)
Quella notte non avevo chiuso occhio: troppe emozioni inespresse,
troppi stravolgimenti interni e troppi movimenti della bambina -
sì, ormai mi ero convinta anche io del fatto che fosse
femmina.
Quello che era successo con Puck la sera prima mi aveva decisamente
sconvolta, ovviamente in senso positivo. Era tutto ancora vivido nella
mia mente e continuavo a chiedermi che significato avessero le sue
parole - "Morirebbe letteralmente dalla gioia nel vedermi stringere un
fagottino"... mia figlia.. - ma soprattutto mi chiedevo come mai avessi
iniziato a fabbricarmi strane idee di lui in giro per casa a cullare la
bambina, a prepararle i biberon e a svegliarsi durante la notte per
cambiarla. Era buffo perché ognuna di quelle immagini mi
aveva
fatta sorridere e sentire bene, quasi fossi certa che un
fondo di verità ci fosse, quasi la speranza di vederle
realizzate iniziasse a prendere corpo in me, quasi potesse... essere
possibile. In fondo, lui mi aveva sempre rassicurata sul fatto che,
qualsiasi cosa di cui avessi avuto bisogno ci sarebbe stato: quella
promessa riguardava solo il periodo della gravidanza, oppure era
rivolto anche al futuro, dopo il parto? Perché se
così
fosse stato... allora l'esserci per me, si estendeva anche alla bambina
e la prospettiva in quel caso cambiava di parecchio.
Quella mattina, nonostante le poche ore di sonno, mi ero svegliata
pimpante come non mai e avevo deciso di preparargli una sorpresa:
volevo fargli una torta, almeno un piccolo gesto per augurargli buon
compleanno e... sì insomma, sdebitarmi un po' per tutto. Lui
si
era alzato davvero presto e con la scusa di dover incontrare dei
fornitori era scappato letteralmente da casa, temendo forse che potessi
dirgli buon compleanno o forse.. che commentassi ciò che era
successo la sera prima. Era stato il secondo bacio e per quanto fosse
nuovamente molto delicato, quella volta di innocenza ce n'era stata ben
poca e a giudicare dalla sua reazione, doveva essersene decisamente
accorto.
Cercai con il telefono la ricetta per una torta, magari
particolarmente calorica e stracolma di cioccolato - eh sì,
avrei dovuto mangiarla anche io, quindi serviva tanto cioccolato - e
dopo averla scelta, preparai tutti gli ingredienti sul tavolo, cercando
perfino qualcosa di sostitutivo per ciò che mancava
all'appello.
Per compensare la mancanza dell'affetto familiare, fin da quando ero
bambina, avevo sempre apprezzato la cucina e quindi me la cavavo un po'
in tutto e Puck lo aveva già piacevolmente constatato -
"Ecco,
puoi ripagare la mia ospitalità in questo modo.. cucinando
per
me!"
Speravo di fargli una bella sorpresa cucinandogli qualcosa di buono
per pranzo e magari un po' di quella scontrosità verso il
suo
compleanno sarebbe perfino passata: avrebbe anche potuto richiamare sua
madre e accettare i suoi auguri o magari organizzare una festa e... ok
no... stavo decisamente esagerando. Fargli assaggiare un pezzo di torta
sarebbe stata già una vittoria fenomenale.
Solo che, a finire tutta la preparazione non ci arrivai mai
perché all'improvviso, mentre misuravo il latte che sarebbe
servito per l'impasto, accadde qualcosa: una fortissima contrazione mi
sconvolse tanto che il brick mi cadde dalle mani, precipitando a terra.
A quel dolore lancinante ne seguì un altro forse peggiore
che mi
fece piegare su me stessa e cercai immediatamente l'appoggio del tavolo
perché altrimenti avrei fatto la stessa fine del latte.
Cazzo
no... non poteva essere vero. Io stavo per... partorire e...
maledizione non c'era nessuno, ero sola e... Dio avevo una paura atroce
perché non sapevo cosa fare, come comportarmi, dove mettermi
e... tutto il resto. All'improvviso ebbi paura di tutto: di quel
maledetto dolore, di non riuscire a sopportarlo, di non essere pronta.
Avevo paura per me, per la bambina, per il fatto che, a detta dei
medici, mancassero ancora tre settimane alla data del parto e allora
perché.. perché voleva nascere in quel momento?
Perché non poteva aspettare? Forse c'era qualcosa che non
andava... forse stava male... forse non riusciva a respirare... forse
era per qualcosa che avevo mangiato o per non essere stata
sufficientemente attenta o a riposo.. forse... forse.. forse...
un'altra fitta mi mozzò il respiro e, con le lacrime agli
occhi,
recuperai il telefono che ancora mostrava quella ricetta meravigliosa e
composi un numero; l'unico di cui avevo bisogno, l'unico che avrei
voluto al mio fianco, l'unico che avrebbe potuto salvare me e la
bambina era lui. E per mia fortuna rispose al secondo squillo
"Noah... la bambina... sta per nascere."
New
York City. Ore 11.35 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)
Dal momento in cui avevo chiuso la chiamata con Puck a quello in cui
lui era ritornato a casa, erano passati al massimo tredici minuti.
Aveva letteralmente volato per raggiungermi e quando aveva spalancato
la porta del suo appartamento la prima cosa che era stato capace di
dirmi fu:
"Se questo è uno scherzo... sappi che non lo trovo affatto
divertente, Fabray!" ma un mio urlo dovuto ad un'altra contrazione
parve convincerlo del fatto che fossi decisamente sincera.
In fretta e furia mi aveva aiutata a prepararmi, a mettere in una borsa
qualche cosa per l'ospedale e mi aveva caricata in macchina,
continuando a ripetermi di respirare lentamente e mostrandomi
contemporaneamente come fare. Se non fossi stata troppo impegnata a
soffrire le pene dell'inferno, sarei senza dubbio scoppiata a ridere
per quel suo modo buffo di fare: sembrava quasi più
terrorizzato
di me, mentre simulava la corretta respirazione, mentre guidava come un
pazzo sconsiderato e imprecava contro gli altri, mentre si girava verso
di me tentando di sorridere e riuscendo solo a rivolgermi delle smorfie
ansiose. Io continuavo ad avere paura... una paura tremenda eppure,
mentre allungavo la mano in cerca della sua e la trovai calda e pronta
a stringersi attorno a me, mi ritrovai a sospirare di gioia e riuscii a
placare appena quella terribile sensazione che mi attanagliava dentro,
assieme al dolore del travaglio.
Arrivammo al pronto soccorso una mezz'oretta più tardi e a
giudicare dall'ora di punta e dal traffico, Puck aveva compiuto un vero
miracolo. Venni aiutata immediatamente e fatta sedere su una sedia a
rotelle mentre l'infermiera mi chiedeva di continuare a respirare e
ogni quanto avvenissero le contrazioni. In tutto quello, sentii Puck
parlare con un'altra infermiera all'accettazione per compilare il
modulo con il mio nome e il resto delle mie generalità. Mi
dava
tremendamente fastidio che si fosse allontanato, non riuscivo a
sopportarlo. Avrei voluto che tornasse da me e che mi prendesse di
nuovo la mano, magari continuando a dirmi in che modo respirare oppure
di stare tranquilla perché tutto sarebbe passato e la
bambina
sarebbe stata bene nonostante tutto quell'anticipo.
E la situazione parve aggravarsi davvero quando l'infermiera, parlando
con il medico, disse che avrebbero dovuto portarmi immediatamente in
sala parto perché la bambina stava per nascere: un'altra
ondata
di panico mi stravolse e immediatamente cercai Puck con lo sguardo,
perché a causa del dolore non riuscivo neppure a parlare. Ma
lui
era ancora di spalle, a parlare con quella donna mentre il medico
iniziava a dare le disposizioni per farmi portare via.
No, Puck... non
lasciarmi sola.. te ne prego...
"Noah.." riuscii a tirare fuori in un guaito disperato, stringendo con
forza il tessuto della gonna e sperando potesse sentirmi. Per mia
fortuna, quello bastò perché lui si
girò e
finalmente si accorse che il medico mi stesse portando verso la sala
parto.
"Ehi ehi.. un secondo. Dove... dove la portate?" chiese quasi con
disperazione, raggiungendoci in meno di tre passi. Il medico lo
guardò indispettito
"In sala parto ovviamente. Il travaglio è già in
stato
avanzato e dobbiamo muoverci se non vogliamo che ci siano complicazioni
per il bambino e la madre." spiegò il medico, continuando a
muoversi verso il corridoio.
No, vi prego... la
bambina no...
"D'accordo... io... posso..." balbettò qualcosa,
maledettamente
a disagio ma sia il medico che l'infermiera lo ignorarono. Non potevano
lasciarlo lì da solo, in sala d'attesa. Lui doveva starmi
accanto, doveva stringermi la mano, doveva darmi quella forza di cui io
non disponevo. Lui me lo aveva promesso, lo aveva promesso alla
bambina.
"Vi prego.. lui.. deve entrare.. con me." cercai di chiedere,
controllando il respiro
"Mi spiace, signora. Nessuno può entrare, fatta eccezione
per..."
ma bloccai le parole seccate del dottore, sovrapponendo le mie. Ma
prima
di farlo, mi preoccupai di girare la testa verso Noah e incollare gli
occhi ai suoi
"Lui è.. il padre... della bambina." mormorai, in preda alla
disperazione, tentando di fare l'impossibile per non permettere loro di
allontanarci e per tenerlo stretto a me. Improvvisamente quelle parole,
mentre il medico e l'infermiera si giravano verso il ragazzo che era
ammutolito nel corridoio cercando di capire se meritasse o no la loro
fiducia... beh quelle parole mi sembrarono una autentica cazzata.
Eppure sembravano anche l'unica speranza e infatti sembrò
funzionare
"Mmm.. d'accordo allora. Segua l'infermiera e si metta il camice anche
lei. L'aspettiamo in sala parto." tagliò corto il dottore,
riprendendo a spingere la carrozzella. Puck parve riprendersi
all'improvviso, ancora con gli occhi sgranati puntati nei miei. Provai
a sorridergli, mentre il cuore mi galoppava ansioso nel petto e la
bambina riprendeva a muoversi. E forse quel mio gesto bastò,
forse fu abbastanza sufficiente per permettergli di decidere o forse il
pensiero che aveva affollato la mia testa era identico al suo. E mi
sorrise di conseguenza, riprendendo a camminare al nostro fianco e
finalmente allungò una mano verso la mia, stringendomela di
conseguenza e permettendomi finalmente di sospirare
"D'accordo, tesoro. Andiamo a far nascere questa signorina impaziente!"
esclamò emozionato, quasi stesse realmente fremendo all'idea
di
diventare padre.
New
York City. Ore 12.37 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)
Non seppi esattamente cosa successe negli istanti successivi: fu tutto
molto confuso. Un via vai di infermiere, un paio di medici e perfino
una barella. Io non capivo, non riuscivo a capire nulla
perché
tutta la mia attenzione era concentrata sul dolore che avvertivo al
basso ventre e alla necessità di spingere che sentivo. Solo
quello. Poi, mentre tutto si appannava e le voci in sottofondo
iniziavano a dirmi cosa fare - ma cosa volete da me? Perché
non
mi lasciate in pace? - avvertii qualcosa: qualcosa di caldo e appena
ruvido ma incredibilmente piacevole, avvolgersi attorno alla mia mano e
stringerla forte e poi ancora un'altra voce si aggiunse a quelle che
già c'erano, ma con discrezione, quasi un soffio e un'altra
mano
- dello stesso tipo di quella di prima - si poggiò sulla mia
fronte con delicatezza, per spostarmi i capelli umidi dagli occhi. Era
rassicurante e presente e così morbido da riuscire a darmi
la
forza per respirare e non cedere troppo al dolore che mi stava
letteralmente distruggendo. Intuivo vagamente che ci fosse qualcosa di
anomalo in tutto quello che stava succedendo perché le voci
dei
dottori iniziavano a farsi ansiose e le infermiere avevano preso a
muoversi troppo velocemente per la stanza
La mia bambina... la mia
bambina...
Ma in tutto quel trambusto, riuscii a non perdere la ragione
né
la poca coscienza rimastami. Mi aggrappai con tutte le forze a
quell'appiglio che si stringeva già attorno a me, e pregai
il
buon Dio di proteggere almeno la mia piccola creatura, di non farle del
male e di prendersela eventualmente solo con me. Lei non c'entrava
nulla, ero io quella ad aver peccato, ero io quella sbagliata, ero io
che non meritavo di vivere. Ma lei no.. lei doveva stare bene, lei
doveva vivere e respirare e crescere e innamorarsi e trovare la persona
perfetta con cui passare il resto della sua esistenza. Non come sua
madre che aveva sempre sbagliato tutto e non aveva mai concluso nulla
di buono. Tranne per lei.. lei sarebbe stata la mia personale rivincita
ma doveva vivere, vivere per me.
Un'altra contrazione mi sconvolse completamente e mi sentii davvero sul
punto di cedere definitivamente perché non riuscivo
più a
resistere a tutto quel dolore e forse sarebbe stato meglio perdere i
sensi, quando percepii un'altra cosa. Una voce leggera che mi
arrivò direttamente all'orecchio e che mi disse qualcosa come
"Ci sono qui io, piccola. Non temere... ci penso io a voi due."
New
York City. Ore 02.12.P.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)
Qualche ora dopo era tutto più calmo, tutto meno
confusionario e
c'era decisamente più silenzio. Ma soprattutto il dolore era
completamente sparito, come per magia. Mi ritrovai solo leggermente
intorpidita più dal sonno che da altro, mentre riaprivo gli
occhi e cercavo di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovavo. Era
graziosa, anche se quasi del tutto spoglia: i macchinai al mio fianco
erano spenti e la sedia al mio fianco era libera. Sentii distintamente
il fiato spezzarsi perché avrei potuto tranquillamente
giurare
di aver sentito qualcuno lì accanto a me, avevo sentito i
suoi
occhi caldi addosso e la sua mano aveva continuato a stringersi attorno
alla mia, nonostante non fossi cosciente. L'avevo avvertita comunque e
in quel momento, aprendo gli occhi e costatando di essermi sbagliata..
beh faceva male.
Mi mossi nel mio letto scomodo, lamentandomi per il leggero dolore che
avvertivo alla schiena e chiedendomi, tra l'altro, dove fosse mia
figlia. Perché non era lì con me?
Perché me
l'avevano portata via? Perché diavolo mi avevano sedata e
lasciata sola in quel maledetto letto? E dov'era Noah?
Un movimento alla mia destra mi fece bloccare e mi accorsi solo in quel
momento che il balconcino della stanza fosse semi-aperto e che in quel
momento stesse rientrando proprio lui.
"Ehi... ti sei svegliata." si meravigliò, richiudendo il
balcone
e avvicinandosi. Portò dietro di sé una leggera
scia di
fumo che ebbe il potere di rilassarmi invece di darmi fastidio. Annuii
lentamente, cercando di rimanere tranquilla, nonostante stessi
letteralmente morendo dalla voglia di chiedere, di sapere, di gridare a
quelle stupide infermiere di ridarmi mia figlia, all'istante.
Ma lui, avvicinandosi ancora e affondando le mani nelle tasche della
felpa riuscì a fare qualcosa che mi rilassò
all'istante,
più di qualsiasi altra parola: sorrise. Sorrise come non
aveva
mai fatto, sorrise come fa chi è contento di qualcosa, come
chi
non vede l'ora di rendere anche gli altri partecipi della sua gioia,
felice... semplicemente un sorriso felice. Mi ritrovai a sospirare di
sollievo, rilassandomi all'istante contro i cuscini
"Com'è?" gli domandai allora, con la voce terribilmente
strisciata e la gola in fiamme. Dio, avevo una sete tremenda. Lui
sorrise di più, facendosi comparire un paio di fossette
sulle
guance
"Bellissima... esattamente come sua madre." rispose in un soffio. E non
seppi esattamente cosa in quelle parole mi fece più effetto:
se
l'implicita conferma che stesse bene, se l'aver appena scoperto di aver
dato alla luce una femmina o se quel complimento spontaneo e sincero
che gli scappò e di cui non si pentì all'istante,
come
invece era solito fare. Strinsi le dita attorno al lenzuolo, in segno
di vittoria
"Alla fine avevi ragione... era una femmina!" mormorai con un sorriso
stanco. Lui ridacchiò
"Era ovvio che avessi ragione. Io certe cose le sento."
borbottò
serenamente, anche se con una leggera nota divertita nella voce
"Sentivo fosse femmina, sentivo sarebbe nata bellissima e in salute,
sentivo che sarebbe andato tutto bene nonostante questo anticipo
imprevisto. Avevo già calcolato tutto." e mi
strizzò
l'occhio. Sentiva che tutto sarebbe andato bene... ecco allora cos'era
quella sensazione che era riuscito a trasmettermi durante il parto:
sicurezza. Lui e la sua stretta forte mi avevano dato la sicurezza per
crederci, per continuare a lottare e a sperare e alla fine ce l'aveva
fatta.. io e la bambina ce l'avevamo fatta. Mi concessi un altro lungo
sospiro, cercando di ricordare qualche altro particolare in tutta
quella confusione e qualcosa mi venne in mente davvero, tanto che mi
ritrovai subito ad arrossire
"Però forse una cosa non l'avevi calcolata." gli feci
notare,
sorridendo imbarazzata. Lui si accigliò appena ma parve
arrivarci quasi subito
"Mmm... ti riferisci a quello che hai detto al medico per... farmi
entrare in sala parto con te?" chiese in un sussurro, forse con la
paura che qualcuno potesse sentirci e cacciarlo fuori a calci.
"Già.. io... mi dispiace. Non volevo metterti in mezzo e non
volevo neanche che... mentissi per me. Sentivo soltanto di aver bisogno
di te, che mi stessi accanto e che mi stringessi la mano." confessai,
vergognandomi a morte perché a distanza di tempo e con la
mente
lucida mi sembrava seriamente un comportamento stupido e infantile. Ero
stata una sconsiderata. Ma lui non parve particolarmente turbato. Si
strinse nelle spalle e mi sorrise ancora
"E l'ho fatto." mi fece presente con tranquillità disarmante
"Lo so. E non smetterò mai di ringraziarti per questo." feci
io,
addolcendo la voce e avvertendo uno strano calore avvolgermi lo
stomaco, lì dove non c'era più la mia bambina a
farlo.
"Non ne hai motivo. Per me è stato un piacere e poi...
è
sinceramente stata una delle esperienze più... belle della
mia
vita. Cazzo... ho... visto nascere un bambino.. ho... visto.. la vita!
Ed è merito tuo, Quinn.. sono io a doverti ringraziare."
mormorò elettrico, allargando le braccia, quasi volesse
farmi
vedere a gesti quanto fosse felice. Mi ritrovai a ridacchiare,
nonostante il leggero fastidio dovuto ai punti che dovevano avermi
messo dopo il parto
"Ci siamo fatti del bene a vicenda allora." convenni con un sorriso
"Credo proprio di sì!" confermò ricambiando quel
gesto e
facendosi appena più vicino, fino a sfiorare il materasso
con le
gambe. Mossi la mano in cerca della sua e lui non se lo fece ripetere
due volte: me la strinse esattamente come aveva fatto durante la
gravidanza, o in macchina mentre le contrazioni mi tormentavano, o in
quel corridoio, oppure durante il parto. Quella mano era stata la mia
ancora di salvezza e ritrovarla così calda ed avvolgente e
rassicurante nonostante il peggio fosse passato era un po' come farsi
cullare e coccolare ancora, dato che in fondo sentivo di averne ancora
bisogno.
Sentii all'improvviso quanto l'atmosfera fosse cambiata tra me e lui:
sentii una scarica di adrenalina percorrermi per tutto il corpo e la
disperata quanto insensata voglia di afferrargli le spalle e far
scontrare le nostre labbra. Lo volevo, forse lo avevo sempre voluto ma
in quel momento lo sentivo perfino necessario. E probabilmente anche
lui sentì la stessa cosa perché lo vidi ingoiare
a vuoto
per un paio di volte, quasi avesse la gola secca e fece un piccolo
movimento impacciato verso di me, come se volesse piegarsi e azzerare
quella distanza dato che io non potevo muovermi troppo. E alla fine la
mia supposizione fu confermata perché lui si
avvicinò
davvero tanto al mio viso, ed io mi ritrovai a chiudere gli occhi in
attesa, impaziente e elettrica, quando...
"Bene, qui c'è una signorina che reclama le attenzioni dei
suoi
genitori." la voce acuta di un'infermiera ci fece sobbalzare e ci
scostammo immediatamente l'uno dall'altro, quasi avessimo preso la
scossa, benché non ci fosse stato alcun contatto. Non
riuscii
neanche ad arrossire completamente perché la mia attenzione
fu totalmente catturata da lei: un piccolissimo fagottino avvolto da
una copertina lilla che se ne stava al centro di una culletta portatile
e che l'infermiera posizionò accanto al letto. Il cuore
prese a
galoppare furioso nel petto e a fatica mi trattenni dallo sporgermi
verso di lei per afferrarla, tanto per accertarmi che fosse tutto reale
e che non avessi sognato nulla. La donna in camice bianco, quasi avesse
interpretato il mio pensiero, mi sorrise dolcemente - altro che quelle
due streghe che erano in sala parto - e prese in braccio il fagottino
per poi depositarmelo con delicatezza tra le braccia. Sentii quasi
subito quel calore familiare che avevo avvertito durante i nove mesi,
tornare al suo posto e qualcosa all'altezza del cuore stringersi senza
fare alcun male. Oddio.. era.. era lei.. la mia bambina era
lì,
tra le mie braccia. Io ero diventata mamma.
"Oddio è... così... piccola." mormorai
commossa,
con la voce strisciata e le lacrime che mi appannavano già
gli
occhi. Non ci potevo credere. Era piccola, era calda e aveva una
bellissima smorfia sul faccino che si rilassò all'istante,
mentre, con la mano che tremava, mi concessi di accarezzarle una
guancia. Era morbidissima ed era... mia.
"É davvero bellissima." la voce leggera di Puck si
fece
sentire con molta discrezione, mentre l'infermiera ci lasciava soli,
uscendo dalla stanza "Hai fatto un ottimo lavoro, Quinn." aggiunse poi
con un sorriso. Mi concessi di spostare lo sguardo un secondo su di lui
e lo ritrovai con mia grande sorpresa a contemplare la piccola quasi ne
fosse estremamente orgoglioso, e non riuscisse a trattenere la
commozione. Era bello vedere che un uomo tanto scontroso e forte
potesse sciogliersi davanti ad una visione del genere: il cuore di Noah
era più grande e puro di quanto avessi immaginato e mi
sentii
estremamente fortunata ad aver avuto l'opportunità per
poterlo
conoscere. Mi sentivo bene, serena mentre lui allungava una mano per
accarezzare quella piccola della bambina e mi resi vagamente conto del
fatto che la mia mente ed il mio cuore non volessero nessun altro in
quel momento, eccetto lui. Non sentivo il bisogno di chiamare mia
madre, non volevo far sapere nulla a mio padre, non volevo neanche che
le mie amiche del college sapessero che avessi partorito. Mi
interessava solo che lui fosse lì e che continuasse a
regalarmi
quella magnifica sensazione e che magari un giorno potesse regalarla
anche alla piccola.
"Vuoi tenerla?" gli domandai in un soffio mentre lui continuava ad
essere rapito nella contemplazione della bambina. Si riscosse appena,
per poi percepire cosa intendessi e sgranare gli occhi, quasi con
terrore
"Oh.. io... non so se... ne sono.. capace." portò subito le
mani
in avanti, quasi volesse scusarsi. Poi però l'occhio gli
cadde
nuovamente sulla piccola, che si era appena mossa tra le mie braccia e
la sua espressione si addolcì ancora, facendosi quasi
impaziente, quasi non riuscisse più a stare fermo e gli
costasse
fatica non allungarsi verso di me per afferrarla.
Esattamente la stessa
sensazione che ho provato anche io...
"Non vorrei.. farle male e..." ma non lo feci finire: mi
sporsi
appena e lui subito si ritrovò ad allungare entrambe le mani
per
poterla accogliere tra le braccia, che potei giurare di aver visto
tremare
"Stai solo attento alla testa, mi raccomando." gli ricordai, mentre lui
sospirava e gli occhi si spalancarono maggiormente, quasi non riuscisse
a credere a ciò che gli stava succedendo
"Mio Dio.." esalò incantato, mentre se la stringeva al petto
e la scrutava con attenzione, quasi vergognandosi di fronte a tanta
perfezione. Dovevo ammettere che facesse uno strano effetto anche a me
vederli così insieme, così bene, così
dolci. Sarebbe stato tanto strano o sbagliato a quel punto credere che
Puck in fondo avrebbe potuto essere un buon padre? Sarebbe stato
azzardato credere che potesse esserlo per mia figlia? Sarebbe stato
sciocco volerlo per sempre al mio fianco, come un compagno e come quel
pezzo che mancava alla mia vita in quel momento per potersi definire
perfetta? Perfetta per me, per lui e per la piccola.
Io non ci trovo nulla di
sbagliato... davvero nulla...
"Dovrebbe vederti tua madre, adesso. Penso morirebbe dalla gioia."
esclamai con gli occhi lucidi e il petto riscaldato da quella
bellissima immagine. Puck sollevò lo sguardo e mi sorrise,
quasi sorpreso del fatto che ricordassi quel particolare del giorno
precedente
"Poco ma sicuro." confermò infatti non smettendo un secondo
di cullare la piccola. Mi rilassai con la schiena sui cuscini, conscia
del fatto che la bambina fosse perfettamente al sicuro tra le sue
braccia e quindi potessi stare tranquilla. Lui intanto, messa da parte
la paura iniziale, si sciolse un po' e iniziò a
giocherellare con lei, accarezzandole le mani e le guance piene, sempre
con molta delicatezza. Erano naturali entrambi e stavano
così bene. Io intanto, cullata da quella bellissima visione,
iniziai ad avvertire un altro intorpidimento causato dal sonno tanto
che sbadigliai e poggiai meglio la testa sul cuscino. Puck mi sorrise
con dolcezza dopodiché si sporse verso di me ed io credetti
volesse restituirmi la bambina o lasciarmi un bacio sulla fronte ma non
fece nessuna delle due cose: le sue labbra si posarono delicatamente
sulle mie, premendo leggermente e poi allontanarsi con uno schiocco
morbido. Mi rivolse un altro piccolo sorriso emozionato ed io mi
ritrovai ad accarezzargli la guancia con il dorso della mano e a
chiudere gli occhi, appesantiti dalla stanchezza
"Buon compleanno, Noah." sussurrai, prima di finire nel mondo dei sogni
"Il miglior regalo di sempre."
|
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Capitolo 47 *** Epilogo n°5 ***
Buon pomeriggio a tutti e..
buon inizio settimana ^^ dunque, nonostante avessi assicurato di
consegnare l'epilogo ieri, mi presento oggi come al solito in ritardo..
vabbè non ho più scuse, sono terribile
ç__ç diciamo che ho avuto qualche problemino a
dare una forma a questo epilogo, perché non sono proprio una
fan della Samcedes (che i loro estimatori mi perdonino ^^) e quindi mi
sono un po' dilungata anche se alla fine sono riuscita a portarlo a
termine senza impazzire e preparando contemporaneamente un esame per
questa settimana.. sono o non sono la migliore?? *__* dunque, non ho
molto da dire se non.. augurarvi buona lettura e... mettervi un po' di
agitazione per il prossimo epilogo che.. *rullo di tamburi, Finn*
sarà sulla Seniel *___* Dio Santissimo non vedo l'ora... vi
avverto già da ora... qualcuno vorrà uccidermi e
vorrà uccidere anche uno di loro.. ma.. niente ci vediamo
prossimamente XD diciamo... mmm... spero tra sabato e domenica, ma non
ne sono sicura perché il 27 ho l'ultimo esame... vedremo
come si metterà la situazione (anche perché ci
tengo troppo a questo epilogo e ho l'impressione che sarà il
più lungo.. che gli altri non me ne vogliano ma... la seniel
ce l'ho nel cuore *__*) bene.. ora vado a studiare.. un bacio grande a
tutti e... vi amooooo tantoooooo <3
p.s. Altro capolavoro
offerto dal mio Dan *__*
N.B. Pagina Fb (Dreamer91
)
Epilogo n°5
Sam
& Mercedes
"Il volo dell'aquila"
Los Angeles. Ore
07.45 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)
Los Angeles
era senza
dubbio la città per eccellenza baciata dal sole. Io ero nato
e
cresciuto ad Orange Country quindi conoscevo le meraviglie della
California come le mie tasche; ma purtroppo a causa del mio lavoro che
mi teneva bloccato sulla costa orientale degli Stati Uniti, raramente
vi avevo fatto ritorno. Ma quel giorno, dopo aver rinviato tutti gli
appuntamenti in programma, ero finalmente riuscito a salire su un aereo
e ad atterrare in California, ma... non lo avevo fatto assolutamente
per la nostalgia di casa o per staccare la spina dal lavoro; lo avevo
fatto perché... era quasi una settimana che non la vedevo,
lo
avevo fatto perché mi mancava e perché... ero
stato uno
schifo senza di lei. Per questo ero lì, per recuperare quel
tempo che ci era stato ingiustamente tolto e per godere un po' di
quella sensazione di tranquillità che, non si sapeva come,
lei
riusciva a darmi.
Ci eravamo sentiti praticamente ogni giorno, con messaggi, mail,
chiamate e perfino video-chiamate - sia benedetto chi ha inventato
Skype
- ma non era affatto sufficiente. E soprattutto non era così
che
volevo portare avanti la nostra relazione: come potevamo credere di
poterci far bastare quelle poche ore di conversazione o quelle immagini
attraverso gli schermi dei nostri portatili? Io avevo bisogno di altro,
avevo bisogno di guardarla direttamente negli occhi, senza filtri
né telecamere, avevo bisogno di stringerle la mano, avevo
bisogno di baciarla e... avevo bisogno di vivere qualcosa di normale,
qualcosa che fosse a misura per noi. In ventotto anni della mia vita
non avevo mai avuto una relazione che potesse definirsi seria: avrei
potuto dare la colpa al mio lavoro, al fatto che non avessi tempo
neanche per preoccuparmi di essere attratto da una ragazza, e quindi mi
ero limitato a mettere in pausa la mia vita sentimentale e, fatta
eccezione per qualche avventura occasionale, avevo chiuso letteralmente
le porte del mio cuore a chiunque volesse entrarci. Con Mercedes
però era accaduto qualcosa di diverso.
La sera del compleanno di
Kurt mai mi sarei aspettato di imbattermi in una meraviglia del suo
calibro. Inizialmente, lo ammetto, era stata semplice attrazione
fisica: lei era palesemente bella e aveva qualcosa di aggressivamente
sensuale che mi aveva immediatamente attratto e infatti la maggior
parte della serata l'avevamo trascorsa praticamente incollati l'uno
all'altra. Eppure, quella che credevo fosse l'ennesima avventura
notturna si era trasformata in ben altro. Io e lei quella sera non
avevamo fatto un bel niente, io l'avevo gentilmente accompagnata alla
macchina parcheggiata davanti al pub di Puck e ci eravamo salutati e
benché ne fossi rimasto abbastanza male, sentivo che in un
certo
senso fosse stato meglio così per entrambi.
Il giorno dopo, non seppi esattamente il motivo, riuscii a sapere
tramite
amici in comune - Kurt! - dove lavorasse e per questo mi ero presentato
da lei: il sorriso emozionato con cui mi aveva accolto appena ero
entrato in teatro, probabilmente fu la cosa più bella che
ebbi
mai visto in tutta la mia vita, qualcosa che riuscì ad
illuminare tutto, perfino gli angoli più bui della sala. E
da
allora, come in un crescendo di emozioni e sentimenti, era nata la
nostra storia, anche se a conti fatti era passato soltanto un mese.
Eppure lei in meno di trenta giorni era riuscita a conquistarmi
completamente: aveva un modo di fare che coinvolgeva, riusciva a darmi
un valido motivo per sorridere ogni giorno, anche dopo dodici ore di
lavoro stressante, riusciva a trasmettermi cose che fino ad allora non
avevo ancora provato ed aveva un carattere di cui difficilmente ci
sarebbe stancati. Era un vulcano di energie ed io mi sarei fatto
volentieri travolgere ed avvolgere da un'esplosione di tale portata.
Quel giorno, seguendo le indicazioni che lei stessa mi aveva
inconsciamente dato la sera prima, mentre la interrogavo su dove fosse
il teatro in cui il suo coro di stava esibendo, ero arrivato a
destinazione: era un piccolo teatro in una zona poco conosciuta di Los
Angeles e, guardato con attenzione, faceva quasi una certa tristezza.
Era particolarmente spoglio, i sedili della platea erano molto
rovinati, il palco era minuscolo e non c'erano le attrezzature adatte
per esibirsi. E tutto questo mi era balzato all'occhio dopo un solo
sguardo veloce, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se mi fossi
messo ad investigare un po'. Forse ero abituato allo sfarzo di Broadway
o di quei meravigliosi teatri newyorchesi in cui ero solito andare con
i miei amici e quindi tutta quella semplicità mi risultava
ancora più squallida eppure non riuscivo a fare a meno di
pensare a come potesse Mercedes aver accettato di far esibire il suo
coro in un posto così. Una volta, quasi con imbarazzo, mi
aveva
confessato che i ragazzi che seguiva non erano un granché e
pertanto erano costretti ad accettare gli ingaggi più
disparati,
rischiando a volte di capitare in posti davvero assurdi. Io
lì
per lì non avevo capito cosa intendesse dire, ma in quel
momento, osservando il tappeto pieno di macchie scure e lo
schienale di un sedile rosicchiato per metà, capii
esattamente a
cosa si riferisse.
"Coraggio, ragazzi... metteteci un po' più di entusiasmo!
Rose,
per carità, smettila di gridare... non riesco a sentire gli
altri se alzi troppo la voce." esclamò con esasperazione
Mercedes che mi dava le spalle e si rivolgeva al piccolo gruppo di
persone, sistemate disordinatamente sul palco. La ragazza a cui
si era rivolta, evidentemente sentendosi offesa, alzò il
naso in
una smorfia seccata
"Non è colpa mia, signorina Jones... sono loro che non sono
capaci di starmi dietro!" starnazzò incrociando le braccia
al
petto. Un'altra ragazza del gruppo spalancò gli occhi e
rispose
"Ma sentila.. è arrivata Mariah Carey.. senti carina, se
proprio vogliamo dirla tutta, tu non sei neanche capace di indovinare
un accordo. E non venirti a lamentare con noi per questo!" la riprese
infastidita, ed un paio di ragazzi dietro di lei le diedero manforte,
annuendo con vigore. La ragazza di prima, Rose, divenne immediatamente
rossa
"Non diciamo sciocchezze. Io sono nata con lo spartito in mano e ho
iniziato a fare musica da molto prima che voi iniziaste a capire cosa
fosse. Quindi non azzardarti, Kelly... altrimenti qui finisce male." si
agitò Rose, puntandole un dito contro. La seconda ragazza,
Kelly, scoppiò a riderle in faccia
"E cosa fai? Mi graffi la faccia con le tue unghia ricostruite? Oppure
vuoi soffocarmi stringendomi al collo una extention?" la
provocò
e uno sciame di risate si diffuse nel teatro. Rose divenne ancora
più rossa e fu sul punto di rispondere o peggio di
scagliarsi
contro di lei, quando Mercedes intervenne
"Smettetela all'istante. Non siamo all'asilo, siamo qui per lavorare e
non voglio più assistere a scene infantili come questa, sono
stata chiara?" tuonò imperiosa e subito riuscì a
zittire
tutti. Perfino le due ragazze si ritrovarono ad annuire, anche se con
riservo. Mi feci scappare una piccola risata silenziosa: ah
però... hai capito che caratterino la ragazza!
"E ora fuori dai piedi. Andatevene in albergo e riprenderemo domani con
questo pezzo. Vi voglio pronti per questo Sabato quindi vedete di
concentrarvi e dare il massimo." e poi con un gesto seccato della mano
li mandò via, ignorando i versi seccati, i vari lamenti e
perfino una velata minaccia da parte di Rose nei confronti dell'altra
ragazza. E solo in quel momento, nonostante immaginassi fosse ancora
turbata, osai avvicinarmi a lei
"Mi scusi, signorina Jones... posso permettermi di disturbarla un
istante?" le domandai, trattenendo un sorriso. Lei sbuffò
leggermente e fece per voltarsi
"Cosa c'è ancora.." e non appena mi vide, non
appena si
girò del tutto verso di me e scorse il mio sorriso,
sembrò cambiare tutto: il suo malumore scivolò
via,
quella smorfia infastidita si trasformò in un istante in
un'espressione di puro stupore e perfino la tensione che si avvertiva
nell'aria si dissolse quasi fosse una nuvola di polvere che veniva
spazzata via. Tutto per un solo sguardo.. tutto per me.
"Sam!" esclamò e le sue labbra si piegarono in un sorriso
mentre
gli occhi si spalancavano nella più bella delle espressioni
di
meraviglia. Mi ritrovai a sorriderle a mia volta e ad avanzare ancora.
"Sorpresa!" allargai le braccia in un invito palese e lei non se lo
fece dire due volte. Abbandonò il suo banchetto dal quale
osservava il palco e il suo coro e si fiondò ad
abbracciarmi.
"Oh mio Dio... che ci fai qui?" mi chiese emozionata, affondando la
faccia nel tessuto della mia camicia
"Ero di passaggio e così... ho deciso di farti un saluto."
mentii spudoratamente. Lei infatti sollevò lo sguardo e mi
fissò
"Eri di passaggio? Qui a Los Angeles?" ridacchiò, quasi
fosse del tutto assurdo e in effetti lo era davvero
"E se fossi stata ancora a Phoenix... o ad Indianapolis?" mi
sfidò divertita
"Avrei allungato il giro e... sarei venuto a salutarti anche
lì." risposi divertito a mia volta e lei arrossì,
lusingata
"Oh.... ma che carino che sei." cinquettò, sbattendo le
ciglia,
ma sotto sotto si vedeva chiaramente quanto fosse seriamente contenta
per quello
"Sei carina anche tu." risposi con un sorriso furbetto "Anzi... molto
più che carina." rettificai e dopo un altro piccolo sorriso
abbassai la testa quel tanto che serviva per poterci finalmente
salutare per bene e poter sfiorare quelle labbra, che mi ero accorto di
desiderare dal primo istante in cui avevo messo piede a Los Angeles.
Tuttavia, purtroppo non riuscii nel mio intento, perché
qualcuno
pensò bene di interromperci proprio sul più
bello,
proprio quando mancavano pochissimi millimetri
"Mi scusi signorina Jones.. avrebbe un minuto da dedicarmi? Avrei
bisogno di chiederle un favore." era di nuovo Rose, la ragazza che
aveva le unghia finte e le tendenze da prima donna e in quel momento,
iniziai ad odiarla anche io, come il resto del suo coro. Mercedes fu
sul punto di girarsi e risponderle, ma riuscii ad anticiparla,
stringendole la mano e contemporaneamente rivolgendo un sorrisetto di
circostanza verso la disturbatrice
"Mi spiace, ma la signorina ha da fare adesso... sarà
irreperibile fino a domani. Buona serata.. Rose."
Los Angeles. Ore 08.31 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)
Rapita Mercedes e abbandonato il teatro, ci dirigemmo verso il
ristorante, tenendoci ovviamente per mano e continuando a sorriderci,
quasi fossimo due adolescenti. Che diavolo mi prendeva? Avevo ventotto
anni, non quattordici. Eppure, non riuscivo a vergognarmene
perché al suo fianco avvertivo quella magnifica sensazione
di
serenità che in quei giorni mi era tanto mancata e che mi
faceva
respirare a pieni polmoni, come aria fresca.
Ci sedemmo al nostro tavolo appartato, in un bellissimo ristorante che
affacciava sulla Westwood e ordinammo la nostra cena ad un cameriere
elegantemente vestito di bianco che sparì immediatamente in
cucina. Mercedes si guardò in giro meravigliata, con gli
occhi
che si illuminavano e le labbra che si stiravano in un bellissimo
sorriso, tanto da renderla così raggiante da far quasi male
agli
occhi. Ma non avrei mai smesso di guardarla e trovarla così
incantevole. Mai.
"Posso farti una domanda?" le chiesi ad un certo punto, mentre il
cameriere ci serviva da bere
"Certo." acconsentì curiosa. Mi lasciai scappare un piccolo
sorriso prima di rivolgerle la mia domanda, così da
sottolinearne la simpatia
"Come fai a sopportarli?" lei mi guardò per un istante,
forse
non capendo ma alla fine forse la mia risata l'aiutò molto.
"Mmm.. parli dei ragazzi del coro?" mi chiese allora, stendendo un
piccolo sorriso consapevole ed io annuii portandomi il bicchiere del
vino alla bocca
"Sono costretta a farlo. É l'unico ingaggio che il teatro mi
ha
affidato. Devo portarli in giro per gli Stati Uniti e accertarmi che
facciano sempre bella figura." spiegò arricciando il naso in
una
smorfia di disappunto "Anche se... di figure fino ad ora
ne abbiamo fatte tante.. e nessuna di queste è mai stata
bella."
e ridacchiò appena, ma non c'era alcuna traccia di
divertimento
nella sua voce. Ebbi come l'impressione di aver appena toccato un tasto
dolente per lei, benché mi fossi avventurato in quel campo
con
l'intenzione di affrontare un argomento leggero. A quanto pare mi ero
profondamente sbagliato
"E allora perché non molli? Cosa ti trattiene?" le chiesi
d'istinto, cercando di capire. Lei alzò gli occhi al cielo e
fu
il suo turno per sorseggiare un po' di vino. Era combattuta, si intuiva
facilmente "Ti sei... affezionata?" le chiesi ancora, esitante.
Mercedes sgranò gli occhi, quasi mi avesse sentito
pronunciare
qualcosa di indecoroso
"Ma figurati! Odio profondamente quei ragazzi. Sono viziati e senza il
minimo talento e... hai visto cosa sono capaci di fare? Una volta se le
sono date di santa ragione ed io ero pietrificata... non sapevo cosa
fare. É dovuta intervenire la Polizia per separarli!"
raccontò, sventolando la mano davanti al viso, quasi non
riuscisse a trattenere l'indignazione. Beh, in effetti avevo avuto modo
di constatare personalmente quanto quei ragazzi fossero... particolari,
diciamo. Non immaginavo cosa potesse significare doverli sopportare per
tutto quel tempo, perfino in giro per gli States.
"E allora?" domandai ancora
"Io..." iniziò, prendendo un lungo respiro ma poi si
bloccò, quasi si fosse appena ricordata di qualcosa e non
riuscisse a continuare "Mmm.."
"Mercedes?" mi sporsi un po' in avanti per intercettare i suoi occhi
che erano silenziosamente scivolati oltre il bordo del tavolo, ma non
ce ne fu bisogno perché la sua voce si fece sentire poco
dopo,
in un leggerissimo sussurro
"Ho paura." sgranai gli occhi, non riuscendo a capire, soprattutto il
perché avesse cambiato così drasticamente umore
"Di cosa?"
"Di tutto." rispose con un sospiro e rialzò gli occhi,
arrossendo appena "Di quello che succederebbe dopo, di cosa potrei fare
una volta lasciato il coro, di non aver più un lavoro e uno
stipendio, di non potermi più permettere il mio stupido
monolocale, di deludere i miei genitori, di..." si bloccò di
nuovo, inghiottendo di nuovo saliva e parole. Sembrava le costasse una
fatica immensa dire quelle cose. Probabilmente non lo aveva mai fatto
ma quasi sicuramente le serviva disperatamente farlo. All'istante.
"Sono tante cose." mormorai, squadrandola per bene
"Già." abbassò la testa e sospirò
ancora e finalmente...
"Ma più di tutto , ho
paura di quello che potrebbe succedere alla mia autostima. Ho
già dovuto sopportare parecchie delusioni da quando ho
lasciato
il liceo.. non so se riuscirei a reggere ancora oltre." ammise in un
soffio imbarazzato. Dunque era quello il problema. Delle delusioni
subite, probabilmente in ambito lavorativo, che l'avevano spinta in
quegli anni a... ad accontentarsi? Non potevo crederci. Mercedes non mi
sembrava affatto una ragazza pronta a rinunciare: era forte,
combattiva, caparbia e piena di entusiamo. Cosa le era successo di
tanto deludente da abbatterla in quel modo?
"Ti va di parlarmene?" provai allora, sperando che offrirle il mio
sostegno potesse farla sentire meglio. I suoi occhi scuri tornarono a
posarsi su di me e l'ombra di un sorriso le stirò le labbra,
che
erano ancora contratte in una mezza smorfia.
"Non voglio angosciarti. É una così bella
serata.. tu sei
qui.. hai attraversato tutto il paese solo per me e... voglio godermi
ogni attimo che abbiamo." mormorò, provando a sviare il
discorso
e sorridendomi con più convinzione. Allungai una mano e
accarezzai il dorso della sua, poggiata sul tavolo, tanto per
trasmetterle la mia presenza e per farle capire che, per qualsiasi
cosa, io ci sarei stato. Ormai era chiaro: qualcosa l'angosciava e
anche parecchio. Restava solo da capire cosa fosse e se sarebbe mai
stata in grado di dirmelo. Forse il nostro rapporto non era ancora
pronto per affrontare una confessione di tale portata o forse non era
nulla di preoccupante ed io mi sarei semplicemente dovuto fare i fatti
miei. In fondo, se lei non avesse voluto parlarmene, io non l'avrei di
certo costretta. Con me doveva stare bene, soltanto quello.
Il cameriere ci portò le nostre ordinazioni e noi iniziammo
a
mangiare in silenzio, limitandoci a sorriderci da un lato all'altro del
tavolo, magari dietro il vetro dei bicchieri o dietro le forchette, ma
tornando a stabilire una sorta di equilibrio, che avevo sentito
oscillare appena pochi istanti prima. Eppure, c'era ancora qualcosa che
rimaneva sospesa, qualcosa che ancora non era stata decifrata, qualcosa
di... ingombrante. Come un elefante rosa seduto in mezzo a
noi.
"Mercedes."
"Sì?"
"Faresti una cosa per me?" le chiesi, posando la forchetta nel piatto e
puntando gli occhi nei suoi. Non ebbe il minimo cedimento mentre annuiva
"Certo." acconsentì curiosa. Presi un breve respiro prima di
farle la mia rischiesta, che veniva dritta e spontanea dal cuore
"Canteresti per me se te lo chiedessi?" era avventato, era stupido, era
incosciente, ma... era l'unica cosa che volevo in quel momento
"Co-cosa?" i suoi occhi si sgranarono in maniera quasi inaspettata
"Una sola canzone. C'è il piano lì e ho sentito
che
spesso i clienti qui si alzano per cantare e... sì
insomma... è da quando ti conosco che mi chiedo come sia la
tua
voce." le confessai con un sorriso, sentendomi andare a fuoco le guance
per l'imbarazzo. Raramente mi trovavo a disagio con gli altri,
però con lei mi era successo spesso. E poi... beh era vero
che
mi ero chiesto come fosse la sua voce. Credevo fermamente fosse
magnifica come lei,
soprattutto perché dava l'idea di nascondere qualcosa di
molto
potente e molto intenso. Eppure, qualcosa non quadrava: nei suoi occhi
in quel momento, lessi del vero e proprio panico, farsi così
concreto da insospettirmi
"Ho l'impressione
che sia meravigliosa." mormorai, riferendomi ancora alla sua voce.
Strinse la mascella e afferrò il bicchiere con forza,
portandoselo alla bocca
"No, non lo è!" esclamò risoluta e definitiva e
la
freddezza con cui si rivolse a me, mi spiazzò. Mi ritrovai a
boccheggiare per qualche istante perché, benché
avessi
seriamente letto il panico colorarle gli occhi, non mi aspettavo una
reazione del genere. Ma sapevo essere testardo anche io.
Così
riprendendomi da quel momento di stupore, mi feci avanti
"Dimostramelo!" la sfidai, sicuro che avrebbe ceduto
"Sam... no!" mi ammonì, guardandomi male, quasi desse per
scontato che io fossi già a conoscenza del motivo
"Perché?" le chiesi infatti, non riuscendo a trattenermi.
Sbuffò, stringendo le labbra in una linea marcata
"Perché non ne sono capace." sentenziò,
stupendomi ancora. No, non era vero. Non potevo crederci.
"É questo che ti hanno fatto credere?" le domandai e lei
spostò lo sguardo sul piatto, ignorando la domanda.
Sì,
era esattamente quello che le avevano fatto credere
"Chi è stato?" domandai ancora, avvertendo una certa rabbia
invadermi lo stomaco, anche se ne ignoravo il motivo.
Sospirò e
quella volta sembrò più per esasperazione che per
altro
"Sam... non.. ho voglia di parlarne." mormorò, lanciandomi
un'occhiata di ammonimento
"D'accordo." allargai le braccia, in segno di resa, ma non avrei
ceduto, per niente al mondo
"Allora limitati a cantare!" le dissi e lei scosse la testa, ostinata
"Non capisco perché dobbiamo per forza rovinarci questa
serata
parlandone." borbottò guardandomi male. Cavolo... chiunque
le
avesse messo in testa quella convinzione, doveva esserci andato
giù pesante.
"Possiamo anche starcene in silenzio e far finta che non sia successo
niente." provai ad essere ironico, sperando che servisse a stemperare
un po' di quella tensione, ma non ebbe molto effetto perché
lei
si indurì ancora di più e tornò al suo
piatto
"Ecco.. sarebbe meglio!" sbottò secca, chiudendo
definitivamente
il discorso. Rimasi qualche istante immobile, a chiedermi cosa fosse
successo esattamente in quei pochi minuti: la situazione tra di noi era
cambiata drasticamente, si era fatta fredda, quasi tesa ed io ne ero
davvero sorpreso. Non mi interessava tanto il fatto che lei mi avesse
risposto male o per non aver fatto quello che le avevo chiesto di fare
per me - benché avessi ancora una voglia matta di sentirla
cantare - più che altro, a lasciarmi l'amaro in bocca, fu la
freddezza che le lessi negli occhi affrontando quell'argomento. Doveva
essere più grave di quanto non facesse credere, se una
semplice
domanda arrivava ad irritarla tanto. Lei diceva di non esserne capace;
io non ci credevo assolutamente. Credevo piuttosto che qualcuno glielo
avesse fatto credere e quel qualcuno, dopo tutto quel tempo, riusciva
ancora ad influire così tanto su di lei, in maniera quasi
sorprendente. Con un sospiro mi allungai nuovamente verso di lei e le
afferrai la mano, stringendola con la mia. All'inizio tentò
di
tirarsi indietro, guardandomi ancora male, ma poi si arrese e si
lasciò accarezzare, esattamente come aveva fatto poco prima
che
iniziassimo a parlare della sua voce.
"Mercedes." la chiamai in un soffio, sentendo il cuore fare male per
non riuscire a poterla guardare negli occhi "Ti prego, guardami!" la
esortai e lei, dopo un evidente sforzo lo fece. Era ancora combattuta e
tormentata e si vedeva chiaramente quanta fatica stesse facendo per non
scoppiare a piangere davanti a me
"É davvero così difficile per te?" le domandai
allora,
sentendomi male per essere stato io ad insistere e per non essermi
riuscito a fermare in tempo. Tremò appena sotto il mio
sguardo
attento
"S-sì." balbettò a fatica.
Basta, Sam... falla
finita...
"Ok... ho capito. Non parliamone più. Anzi... mi dispiace.
Non
era mia intenzione far tornare alla mente brutti.. ricordi." e le
sorrisi con tutta la tenerezza di cui ero capace e per mia fortuna,
finalmente, lei parve sciogliersi un po'
"No... io... non avrei dovuto aggredirti in quel modo. Mi dispiace
davvero, Sam." mormorò imbarazzata, accarezzandomi con il
pollice la mano
"Così imparo a fare l'inopportuno!" scherzai e lei
ridacchiò
"Non lo sei affatto." rettificò con un sorriso sereno,
dopodiché si portò la mia mano alla bocca e vi
lasciò sopra un bacio delicato che mi fece arrossire appena.
Waw... Sam Evans che
arrossisce.. quale novità...
In quel momento si avvicinò a noi un ambulante di
origine indiana, con un mazzo di rose strette in mano
"Vuole fare un regalo alla sua bella fidanzata, signore?" mi
domandò in un marcato accento, accennando un inchino.
Lanciai
un'occhiata divertita verso Mercedes - la mia fidanzata - e lei
ridacchiò appena, forse arrossendo, forse chiedendosi come
me se
potessimo considerarci davvero una coppia a quel livello. Recuperai il
portafoglio dalla giacca ed allungai all'ambulante una banconota da
cento dollari. Lui strabuzzò gli occhi, quasi non ne avesse
mai
vista una in vita sua e si affrettò a cercare nel suo
borsello i soldi per
cambiarli
"No, guardi... se li può tenere... le prendo tutte!" gli
dissi
indicando il mazzo, dove facevano bella mostra circa trenta rose rosse.
Lui rimase qualche istante interdetto, poi guardò prima
Mercedes
- che ci osservava emozionata - e poi la banconota tra le sue mani.
Alla fine reputò terminata la sua serata, mi
lasciò tutto
il mazzo ed uscì dal ristorante, con un bel sorriso
soddisfatto
sul volto.
Los Angeles. Ore 11.58. P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)
"Sai... nessuno mai mi ha regalato così tante rose tutte in
un
giorno!" esclamò Mercedes, aprendo la porta della sua stanza
con
il passpartout
"Si vede che tutti quelli che lo hanno fatto fino ad ora, ti hanno
sempre sottovalutata." mormorai seguendola all'interno della camera.
Lei ridacchiò
"O forse sei tu che mi sopravvaluti!" tentò, posando il
mazzo di rose sul tavolino basso e girandosi verso di me.
"No.. non credo." risposi sicuro, annullando la distanza che ci
divideva con un paio di passi. Ci guardammo negli occhi, rimanendo in
perfetto silenzio, quasi ci stessimo studiando a vicenda e stessimo
stabilendo chi dei due dovesse fare la prima mossa. Secondo il galateo
avrei dovuto essere io, essendo l'uomo ma... dopo il casino che avevo
combinato a ristorante, preferivo starmene buono buono a subire. E
infatti fu un po' sorprendente sentire le sue labbra sulle mie qualche
istante dopo, dato che io non mi ero affatto mosso: era stata lei a
prendere l'iniziativa e, nonostante non fosse una cosa che accadeva
molto spesso, dovevo dire che.. sì, mi piaceva
terribilmente.
Lasciai che fosse lei a prendere il controllo, che fosse lei a condurre
il gioco e che fosse perfino lei a dettare il ritmo. Io mi limitai a
rispondere a quel bacio che lentamente si faceva più intenso
ed
emozionante, cercando di stare fermo e lasciandomi semplicemente
scappare un sospiro di sollievo che la fece sorridere. Quanta
impazienza c'era nelle azioni di entrambi e quanta voglia di andare
fino in fondo. Era davvero troppo tempo che non ci concedevamo quel
tipo di intimità e forse era giunto il momento giusto per
farlo.
Le sue mani si strinsero attorno al colletto della mia camicia e la
utilizzò come appiglio per attirarmi ancora verso di lei.
Lentamente mi ritrovai ad avanzare verso il letto e con mia grande
sorpresa fui spinto con forza sulla coperta, con un leggero rimbalzo.
Uh... intraprendente..
mi piace...
Le sorrisi con malizia, pronto ad accoglierla tra le mie braccia ed
iniziare a...
"Fermo lì! Non ti muovere!" mi ordinò, puntandomi
l'indice contro e sorridendomi. Alzai le braccia in segno di resa,
perché anche volendo non sarei andato da nessuna parte. Si
allontanò, avvicinandosi alla borsa e trafficando con
qualcosa
per poi fare qualche bassò verso il mobile sul quale aveva
posato le rose. Sentii un click e un leggero ronzio, quasi avesse
azionato un dispositivo audio, per questo incuriosito mi sollevai sui
gomiti per sbirciare. Non riuscii a vedere nulla perché il
mio
sguardo intercettò un altro suo movimento: si tolse la
giacca e
la posò sulla poltrona, dopodiché
tornò da me, con
uno strano sorriso sulle labbra. Peccato che di malizia ce ne fosse
rimasta davvero poca: sembrava più che altro... sospesa,
intimorita, emozionata. E la tensione, benché ci fosse
ancora e
fosse sempre tangibile, era cambiata in qualcosa di diverso. Era pur
sempre piacevole e riuscivo a percepirne una certa importanza,
nonostante non fossi completamente lucido: era come se sapessi che
qualcosa stesse per succedere e quel qualcosa non aveva nulla a che
vedere con me e lei nudi sotto le coperte.
Non ci fu bisogno di chiederle niente, perché dopo un
lunghissimo sospiro parlò
"Vorrei farmi perdonare per quello che è successo prima al
ristorante." iniziò a spiegare, torturandosi le mani con un
certo nervosismo. Stavo per rassicurarla sul fatto che non fosse
necessario e che non avrebbe dovuto farsi perdonare proprio di niente,
ma ancora una volta mi anticipò
"E poi in un certo senso... sento di dovertelo!" e mi sorrise ancora,
quella volta quasi non riuscendo a contenere l'emozione. Ancora una
volta sentii la tensione stringersi attorno a noi nella stanza, e
inconsciamente mi aggrappai alla coperta sotto di me con tutta la forza
di cui ero capace. Lei sollevò il braccio verso il mobile di
prima e premette su un piccolo telecomando che non mi ero accorto
avesse in mano: in quel momento successero due cose nello stesso
istante, da una cassa portatile sulla quale lei aveva posizionato il
suo telefono, partirono le note delicatissime di una canzone e
contemporaneamente il mio stomaco di contrasse in maniera quasi
dolorosa. Perché avevo finalmente realizzato cosa sarebbe
successo da lì a breve: Mercedes stava per cantare e stava
per
farlo lì, davanti a me.. per me. Maledizione non ero pronto.
Cioè... avevo detto di volerla sentire e lo pensavo davvero
ma... il mio cervello - ed il mio corpo soprattutto - erano preparati
ad altro in quel momento. Sarei stato degno di ascoltarla?
Non ebbi modo di chiedermelo davvero perché lei
iniziò a
cantare, sulla base che usciva dalla cassa e diventava sempre
più dolce
As I lay me down
Heaven hear
me now
I'm lost
without a cause
After giving
it my all
Winter
storms have come
And darkened
my sun
After all
that I've been through
Who on earth
can I turn to
Mi ritrovai a trattenere il fiato e a stringere ancora di
più la
coperta nel pugno, fino a farmi diventare le nocche bianche. Ma non
importava: tutto ciò che le mie orecchie stavano percependo
era
decisamente molto di più di quanto mi sarei mai potuto
aspettare. Non era soltanto per la canzone che era magnifica a
prescindere... era lei... era la sua voce.. era... il modo in cui
riusciva a farmi sentire, il modo in cui mi guardava mentre cantava
quelle parole, quasi stesse pensando ad ognuna di esse prima di farle
fuoriuscire sotto forma di musica. E quella che mi ritrovai addosso fu
vera e propria pelle d'oca, per limitarsi ad esprimere le reazioni
esterne, perché se mi fossi messo a capire cosa stava
accadendo
dentro... ci avrei messo troppo e avrei rischiato di perdermi il resto
della canzone.
I look to you
I look to you
After all my
strength is gone
In you I can
be strong
I look to you
I look to you (Yeah)
And when
melodies are gone
In you I
hear a song
I look to you (You)
Era intensa
in ogni
strofa, nel ritornello poi era stata addirittura sublime: un'ondata di
adrenalina allo stato puro mi invase lo stomaco e mi ritrovai ad
inghiottire a fatica, quasi mi mancasse l'aria. Provai a fare violenza
su me stesso, provai a trovare la forza necessaria per non abbassare
mai lo sguardo e provai perfino a memorizzare ognuna delle singole
emozioni che stavo percependo anche se, prese così tutte
insieme,
erano un po' difficili da decifrare. Sapevo solo che erano belle: era
bella lei, così raggiante mentre cantava, era bella la
canzone,
era bella l'atmosfera ed era perfino bello sentirsi così
succube. Per la seconda volta in poco tempo, lasciai che fosse lei a
decidere tutto ed io mi limitai a subire, solo che quella volta si
stava rivelando ancora più dannatamente piacevole,
nonostante
non ci fosse il minimo contatto fisico. Le corde che stava toccando
lei, solo con la forza della sua splendida voce, erano decisamente
più profonde.
About to
lose my breath
There's no
more fighting left
Sinking to
rise no more
Searching
for that open door
And every
road that I've taken
Led to my
regret
And I dunno
if I'm gonna make it
Nothing to
do but lift my head
Come aveva
potuto anche
solo pensare di non avere talento, di non saper cantare e di non essere
quanto meno eccezionale? Con quale coraggio? Scherzava.. non c'erano
altre spiegazioni. Perché io la stavo ascoltando e tutto
ciò che riusciva a trasmettermi era... arte.. arte allo
stato
puro, arte in ogni singola nota, in ogni sfumatura della voce, in ogni
pausa e in ogni accento e l'arte era ben visibile perfino
nell'interpretazione. Sapeva dove accentuare, dove ammorbidirsi, dove
diventare più energica. E tutto quello che lei tentava di
dare
alla canzone, arrivava diritta a me, al mio cuore pulsante e al mio
stomaco, che era ancora contratto, ma non faceva minimamente male,
anzi. Mi chiesi quale figlio di puttana le avesse messo in testa quella
stupida idea del non sapere cantare, di non avere talento. Sicuramente
era un invidioso oppure un maiale con chissà quale sporca
intenzione. E mi sentii rodere dalla rabbia soltanto a pensare che
qualcuno potesse provarci con lei. Però... doveva aver fatto
qualcosa di molto peggio: le aveva tappato le ali, e questa era senza
dubbio la violenza più dura di tutte.
Un'aquila
reale del tuo calibro, dovrebbe volare molto più in alto di
così...
I look to you
I look to you (Yeah)
And when all
my strengths is gone
In you I can
be strong
I look to you
I look to you (Oh)
And when
melodies are gone yeah~
In you I
hear a song
Me la
immaginai
immediatamente su un grande palco - niente a che vedere con quello
squallido palchetto sul quale si esibiva il suo coro da quattro soldi -
e immaginai la sala ghermita di gente, tutti uomini facoltosi, tutti
vestiti bene, tutti in trepidante attesa, tutti con la stessa voglia:
emozionarsi con la sua voce, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare
da tutto quello che lei era capace di offrire. E nessuno sarebbe
rimasto scontento: avrebbero chiamato a grande voce il bis, ignorando
le
etichette e il bon ton. E lei, magari sopraffatta dall'emozione, ne
avrebbe cantata un'altra e un'altra ancora. Ed io l'avrei guardata con
orgoglio da dietro le quinte e a chi me lo avesse chiesto avrei detto
"Sì... quella magnifica donna è mia... ed
è
semplicemente strepitosa!"
I look to
you ( my life is unbroken)
Life is
unbroken (My walls have come)
Walls come
down (coming down on me)
Coming down
on me(the rain is falling)
Rain is
falling (defeat is calling)
Defeat's
calling (I need you to set me free)
Need you to
set me free
Set me far
away from the battle
I need you
Sign on me
Mi sembrava
davvero
assurdo che mai nessuno si fosse accorto prima della sua voce: non si
trattava di qualcosa che ascolti di sfuggita sotto la doccia, o peggio
qualcosa di sottile e forzato; la voce c'era, era bellissima, era forte
e cristallina ed era così magica da togliere il fiato.
Ringraziai tutti i Santi in Paradiso per avermi dato quella occasione,
per averla convinta a concedermela, nonostante non avessi fatto nulla
per meritarmela. Se lei non si fosse convinta, io sarei rimasto
nell'ignoranza più assoluta e quella magnifica voce sarebbe
rimasta sconosciuta perfino al mio cuore. Io dovevo sentirla, sentivo
il bisogno di farlo ancora e ancora e ancora. Forse all'infinito.
Chissà, magari l'avrei convinta a rifarlo, per me, in
privato.
Le avrei fatto cantare tutto il repertorio di Whitney Houston se fosse
stato necessario. Tutto pur di toccare ancora quelle magnifiche note e
sentire le stesse identiche emozioni avvolgenti.
Mai sentito nulla di
simile in tutta la mia vita.. mai...
I look to you
I look to
you
After all my
strengths is gone
In you I can
be strong
I look to
you (to you)
I look to
you (you) ohh
And when
melodies are gone (melodies are gone)
In you I
hear a song
I look to you (Yeah)
I look to you
I look to you
La canzone
finì
qualche istante dopo, e lei chiuse gli occhi, quasi avesse paura di
vedere la mia reazione: non che ci fosse molto da vedere comunque, dato
che ero immobile, senza fiato e con il cuore ancora spedito a tutta
velocità. Avrei faticato a trovare le parole adatte e forse
perfino la forza per fare uscire la voce
"Mercedes..."
mi si
bloccò il respiro in gola infatti "Waw..." riuscii soltanto
a
dire, ancora scosso. Lei arrossì e spense con un gesto la
cassa
e la traccia successiva si arrestò di colpo
"Non
esagerare... è stato.. accettabile.. decente... niente di
che." sminuì lei, scrollando le spalle
"Credimi...
gli aggettivi
che avevo in mente io non hanno niente a che vedere con quelli che hai
detto tu." le dissi, riuscendo finalmente a ritrovare la voce e la
forza per sollevarmi dal letto. Lei fece una smorfia di disappunto
"Mmm... ho
paura a
chiedertelo." borbottò dondolandosi sui piedi. Mi alzai dal
materasso e la raggiunsi, portando entrambe le mani sulle sue spalle
"Direi
più che
altro... incredibile... sensazionale... emozionante.. bravissima... da
pelle d'oca!" esposi a parole - o perlomeno ci provai, anche se fu
tutto molto riduttivo - cosa avevo provato in quei minuti di canzone e
lei in un primo momento sembrò sinceramente contenta di
questo.
Sembrava anche sorpresa e quasi sul punto di crederci davvero. Poi
però, quasi si fosse ricordata di qualcosa,
cambiò
decisamente umore
"Non sei
affatto
oggettivo. Lo dici perché mi vuoi bene e... poi senza
offesa,
Sam ma.. tu non ne capisci nulla di musica." mi disse, sollevando un
sopracciglio. Scossi la testa, ostinato
"Non serve
avere una casa
discografica per capire certe cose. Basta... sentire. E quello che ho
sentito.. mi è davvero piaciuto." le confessai in un soffio,
accarezzandole morbidamente una guancia. Lei sembrò
addolcirsi
appena, mentre puntava gli occhi nei miei e si concedeva un altro
istante per arrossire molto discretamente.
"Ti ringrazio." biascicò molto leggera, mordendosi un
labbro. Le
sollevai il mento con due dita e la costrinsi a guardarmi
"Chi è stato?" le domandai di getto, scrutando dentro i suoi
occhi confusi "Chi ti ha fatto questo?"
Chi ti ha fatto perdere tutta l'autostima e la tua grinta e il tuo
coraggio?...
"Un talent scout!" rispose proprio nel momento in cui credetti
arrivasse a rifilarmi di nuovo le stesse parole che mi aveva detto al
ristorante. Un talent scout?
"Quando?"
"Dopo il diploma. Lo incontrai durante dei corsi preparatori per
l'università e lui mi disse che... ero ok ma che non avrei
dovuto continuare a studiare perché non ci sarebbe stato
niente
per me lì fuori e la mia voce non era... niente di
speciale."
spiegò incupendosi
"Niente di.. speciale?" boccheggiai scioccato. Dico ma.. era sordo per
caso?
"Già.. una delle tante, mi chiamò. Disse che non
c'era la
minima espressività, il minimo sentimento e che nessuna
etichetta discografica mi avrebbe mai ingaggiato." gli occhi le si
riempirono di lacrime, sotto il peso di quel ricordo che, a distanza di
anni, faceva ancora male
"Mercedes..."
"Cosa avrei potuto fare? Lui era un pezzo grosso della musica ed io
ero... una stupida ragazzina appena uscita dal rassicurante mondo
liceale... per me tutto brillava e niente avrebbe potuto fermarmi.
Rendersi finalmente conto di non poter... fare nulla di tutto
ciò che avevo sempre sognato.. mi ha distrutta. Ho
lentamente
abbandonato tutto, perfino l'idea di iscrivermi
all'università e
ho... iniziato a lavorare in questa compagnia teatrale offrendomi come
vocal coach ma con la specifica richiesta di non dovermi mai esibire.
Mi avrebbe fatto troppo male sentire qualcun altro pronunciare le
stesse parole di quell'uomo.. ancora una volta." si lasciò
scappare una lacrima e poi un'altra. Alla terza non resistetti
più: mi spinsi in avanti ed incollai le mie labbra alle sue,
tanto era il desiderio di assaggiarle, tanta era la voglia di mettere
fine a quel discorso insensato e forse un po' mettere a tacere la mia
rabbia che premeva aggressiva per uscire, dato che ormai sapevo tutto,
conoscevo il motivo che aveva spento la sua aurea e le aveva tolto
tutto il coraggio. Se solo avessi potuto, avrei girato tutta l'America
a piedi e avrei trovato quel bastardo, rovinandolo con le mie stesse
mani.
Hai distrutto un talento
magnifico.. hai tappato le ali ad una splendida aquila...
Staccai le nostre labbra, giusto per permettere ad entrambi di
respirare e poggiai la fronte alla sua, cercando di controllare il
respiro
"Tu devi volare in alto... non permettere mai a nessuno di decidere per
te, Mercedes... sei tu la padrona del tuo destino e nel bene e nel male
l'ultima parola spetta sempre e comunque a te." le afferrai le guance
con entrambe le mani e la guardai attentamente negli occhi,
così
concentrati nei miei da provocarmi brividi su tutto il corpo, quasi
stesse ancora cantando.
Qui c'è tutta
l'espressività ed il sentimento del mondo... talent scout
dei miei coglioni...
"Tu sei speciale, Mercedes Jones... devi solo rendertene conto."
sussurrai per poi tornare a baciarla, sperando che i gesti e le
emozioni parlassero per me e facessero capire meglio, ciò
che
nel mio cuore ancora si agitava intensamente.
New York City. Ore 09.40 A.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)
La prima cosa che avevo fatto, una volta ritornato a New York, ancor
prima di disfare il mio bagaglio, era stato recuperare la mia preziosa
agenda di contatti e fare un paio di telefonate. Mi sentivo elettrico,
ancora sovra-eccitato per il week-end fuori porta e sapevo di avere una
sorta di missione da portare a termine, il prima possibile. Quel Sabato
avevo assistito all'esibizione pubblica del coro diretto da Mercedes,
seduto in prima fila - su una poltrona che cigolava e puzzava di pop
corn - accanto a lei. Beh... era stato un autentico disastro: nessuno
andava a tempo con il resto del gruppo, tutti cercavano di emergere
mettendo su una sorta di gara a chi riuscisse a gridare di
più e
tutto sotto lo sguardo sconcertato dei pochissimi spettatori coraggiosi
che avevano pagato il biglietto. Uno di loro, seduto al mio fianco, mi
aveva addirittura chiesto chi fosse il responsabile lì e a
chi
dovesse chiedere il rimborso per l'ingresso. Una disfatta in pratica,
che però mi aveva ancora più convinto del fatto
che bisognasse agire e
che quello non era affatto il posto giusto per Mercedes. La sua vita
fatta di accontentarsi e di nascondersi dietro ad un dito... finiva
lì.
Ero seduto nel mio studio e stavo controllando la posta sul computer -
maledizione, centosedici mail non lette in soli quattro giorni? Ma che
diavolo, non sapevano fare a meno di me? - quando il mio Blackberry
vibrò sul tavolo, avvertendomi dell'arrivo di un nuovo
messaggio. Con un sorriso constatai che fosse Mercedes e che come
immaginavo, neanche lei riusciva più a sopportare la mia
lontananza
*Sei stato tu?*
Aggrottai la fronte, non capendo a cosa si riferisse
*A fare cosa?*
La sua risposta arrivò circa due secondi netti dopo
*Lo sai!*
Lo sapevo?
*Mmm... non credo di
seguirti.*
Ancora pochi secondi di attesa, dopodiché capii finalmente
di cosa stessimo parlando
*Sam! Maledizione
è la Warner...
cosa diavolo ti è saltato in mente!*
Cazzo.. l'avevano già chiamata? Lanciai un'occhiata
all'orologio
appeso alla parete che segnava quasi le dieci del mattino: avevo
chiamato un paio dei miei contatti di quella etichetta per chiedere
loro se fossero disponibili per dei provini straordinari e loro,
neanche a farlo apposta, mi avevano detto di aver appena aperto una
selezione femminile di cantanti. Era perfetto. Avevo dato il nome di
Mercedes e i suoi contatti e avevo pregato loro di essere veloci. Preso
in parola.. in poco meno di un'ora.
*L'ho fatto
perché so quanto vali e devono saperlo anche loro!*
risposi, digitando quelle parole con tutta la sincerità di
cui
ero capace e chiedendomi quale fosse la sua reale reazione. Si sarebbe
nuovamente arrabbiata con me? Avrebbe dato di nuovo di matto? Quella
volta dei semplici fiori sarebbero bastati? Il cellulare
vibrò
ancora, ma più a lungo, segno che non si trattasse di un
semplice messaggio: accettai la chiamata ma, senza neanche riuscire a
dire pronto o qualsiasi altra sillaba, la sua voce venne fuori secca ed
infastidita:
"Non esiste. Non pensare minimamente che io mi presenti al provino!"
sentenziò e la voce che tirò fuori fu esattamente
la
stessa che aveva usato durante la cena di Giovedì
Merda...
"Sì che lo farai.. anche perché ti ci
porterò io
personalmente, se fosse necessario." le dissi, tentando di risultare
caparbio mentre il mio stomaco si stringeva ancora, colto da un'ondata
di panico. Se avessimo ripreso a litigare, quella volta per telefono,
non avrei retto. Ci fu una piccola pausa, durante la quale mi vennero
in mente tanti scenari tragici, ma alla fine riprese a parlare
"Mi hai... raccomandata, per caso?" domandò, con un pizzico
di esitazione nella voce
"Certo che no!" esclamai con convinzione "Non sopporto questo tipo di
cose. Sono uno che si
è fatto da solo e pretendo che anche tu faccia lo stesso. Ho
semplicemente chiesto un favore ad un amico e sei stata inserita in
lista per un provino.. come tutti." le spiegai ed in effetti ero
sincero: non avevo raccomandato nessuno, anche se forse ne avrei avuto
perfino la facoltà. Ma no, quelle cose non mi piacevano e
immaginavo non sarebbero piaciute neanche a lei
"E cosa diavolo pensi che abbia più degli altri?"
domandò seccata, quasi in tono di sfida
"Il talento, Mercedes!" esclamai di getto, alzando un po' la voce per
farle entrare meglio in testa il concetto. Glielo avrei ripetuto
all'infinito se questo fosse servito a qualcosa. Avvertii un piccolo
lamento dall'altro lato del telefono, quasi di esasperazione
"Sam..."
"Ascolta... nonostante il vino che avevo in corpo e i freni inibitori
allentati.. l'altra sera ti ho sentita bene. Eri.. da togliere il
fiato, Mercedes. E non lo dico perché sono il tuo ragazzo o
perché ci tengo a te... lo dico perché
è
così, perché conosco abbastanza il mondo della
discografia e dello spettacolo e
credo che tu possa aspirare a qualcosa di meglio di uno stupido coro di
viziati senza talento." dissi tutto d'un fiato, iniziando a misurare a
grandi passi la stanza, incapace di stare fermo. L'adrenalina era
davvero difficile da gestire, soprattutto a distanza, soprattutto non
potendola guardare negli occhi per cercare di rassicurarla. Dovevo
farlo a parole e sperare di riuscire a trasmetterle tutto quello che
sentivo. Avvertii un lunghissimo sospiro uscirle dalla bocca e per un
momento sentii di esserci quasi riuscito. Forse... non era poi
così irrecuperabile quella situazione
"Vai a quel provino, Mercedes.. dimostra a tutti quanto vali, prenditi
le tue rivincite e splendi.. splendi come la stella più
luminosa del firmamento.. perché è questo quello
che sei,
piccola.. una stella!" mi aggrappai all'ultimo tentativo, stringendo
forte il telefono in mano e pregando il Cielo di essere ascoltato.
Sentii un movimento strano e un altro leggero lamento, quasi soffocato
"Mmm... maledetto.. hai finito di farmi piangere?" borbottò
con
la voce strisciata. Ridacchiai, mentre dentro di me, stomaco e milza
ballavano il limbo con l'intestino
Sì...
sì... sì... ce l'ho fatta...
"E se serve un altro motivo per convincerti.. beh.. pensa che,
mollando quello stupido coro ed ottenendo un ingaggio alla Warner,
potrai stare più tempo qui a New York.. con me." mi concessi
un
po' di ironia per farla ridere e per mia fortuna ci riuscii. E
la sua risata era così bella nonostante fosse chiaramente
disturbata dalle lacrime e forse perfino quelle si stavano trasformando
lentamente in qualcosa di più simile alla gioia che ad
altro.
"E già questo basterebbe per farmi dire di sì!"
esclamò tra le risate. Mi lasciai andare ad un sospiro,
poggiando la schiena alla vetrata del mio ufficio
"Deduco di esserci riuscito." mormorai soddisfatto, cercando di
trattenere l'entusiasmo, altrimenti mi sarei messo a saltellare per la
stanza, e non era affatto un atteggiamento professionale da parte mia
"Non del tutto." rispose, ma dal suo tono leggero e divertito, intuii
che qualcosa nel suo atteggiamento fosse cambiato, che fosse perlomeno
disposta a.. provare. Sospirai, con lo stomaco che si alleggeriva per
il sollievo
"Mmm... bastano trenta rose?" proposi lanciando un'occhiata al panorama
che si intravedeva dalla vetrata: grattacieli su grattacieli su altri
grattacieli. Un po' monotono ma davvero suggestivo. Mercedes
ridacchiò, forse pensando a quelle che ancora aveva nella
sua camera d'albergo e per le quali un ambulante indiano si era
guadagnato cento dollari di troppo.
Cento dollari spesi
benissimo, direi...
"Questa volta penso che ne basti anche una sola." risposi e dalla sua
voce distesa, immaginai ci fosse un bel sorriso a fare da contorno al
suo magnifico viso. Sospirai ancora, con la voglia matta di rivederla
di nuovo, di poterla abbracciare, baciare e sentire cantare
all'infinito. Anche se fosse stato solo ed esclusivamente per me.
"Sam?" mi chiamò qualche istante dopo
"Sì?"
"Domani sera sono a New York!" esclamò decisa, sorprendendomi
"E.. il coro?" domandai, sapendo perfettamente che avessero altre due
esibizioni da fare - una a San Francisco ed un'altra a Sacramento -
prima di tornare a casa
"Al diavolo.. ci pensasse quella stupida di Rose a mandarlo avanti,
visto che è la più brava di tutti!"
borbottò divertita ed io scoppiai a ridere istintivamente.
Bene... molto di più di quanto mi sarei mai aspettato.
"Saggia decisione." confermai contento
"Mi vieni a prendere tu?" mi domandò esitante
"Ma certo.. fammi sapere l'ora e il gate e... ti aspetterò!"
acconsentii di getto, senza neanche controllare l'agenda degli
appuntamenti che sembrava ammonirmi dalla scrivania. Al diavolo il
lavoro... lei veniva prima di tutto.
"Grazie." mormorò in un soffio che mi fece ancora una volta
tremare "E non solo per domani.. per tutto!"
Grazie a te... grazie
per non aver rinunciato, grazie per non esserti arresa, grazie per
esserti fidata di me, grazie per avere ancora la forza di lottare...
"Ti aspetto all'aeroporto, allora.. io sarò quello con la
rosa rossa in mano!" le ricordai sorridendo emozionato e facendola ancora
ridacchiare
"Ed
io quella che ti correrà incontro e ti bacerà con
passione davanti a tutti." ribatté con entusiasmo e a quel
punto, non seppi se lo pensai soltanto o se lo dissi ad alta voce, ma
nella mia testa si formulò un unico chiaro pensiero:
"Non vedo l'ora!"
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Capitolo 48 *** Epilogo n°6 ***
Buonasera
a tutti e buon Seniel day ^_^ ok, mi sono presa la libertà
di battezzare questo giorno in questo modo è che.. mi sento
troppo emozionata e sì insomma.. avevo già detto
quanto fosse importante questa coppia per me *__* dunque... non so
esattamente come, ma in meno di tre giorni sono riuscita a scrivere ben
30 PAGINE (no, non scherzo XD) mi sentivo ispirata e a fatica ho messo
il punto alla fine. Diciamo che, stranamente, questa volta è
venuto fuori qualcosa che era esattamente come avevo immaginato che
fosse. Sono tipo tre mesi che mi frulla in mente questa idea e alla
fine mi fa uno strano effetto vederla realizzata. Beh, voglio lasciarvi
alla lettura premettendo solo una cosa: c'è un mix perfetto
di amore allo stato puro e... un altro sentimento che non vi anticipo
ma che per poco non mi ha causato un mezzo coccolone..
ç___ç vi prego solo di non dare di matto e
provare a non odiarmi troppo. Aspetto con ansia le vostre impressioni
(sperando che riusciate ad arrivare vivi alla fine XD) e... ancora una
volta grazie per tutto. Vi amo tanto tanto.. dal profondo del cuore.
Buona lettura... il prossimo epilogo sarà quello Tike
(perché, vi chiederete voi.. sono una coppia? XD) e penso se
ne parlerà Sabato prossimo. Ciaoooooooo <3
p.s.
Non serve neanche specificarlo.. questo epilogo è dedicato a
te.. con tutto l'amore del mondo Dan mio :* grazie anche per questa
meravigliosa immagine che è stata la prima fra tutte e che
è appesa sul mio armadio, custodita con estrema gelosia
n.b.
Pagina Fb (Dreamer91
)
Epilogo n°6
Sebastian & Daniel
"Fino
all'ultimo respiro"
New
York City. Ore 06.47 P.M. 28 maggio 2012 (Lunedì)
In venticinque anni della
mia vita, potevo dire di aver fatto tante, tantissime cazzate, molte
delle quali ancora si ripercuotevano sulla mia vita - ad esempio il non
aver ancora mandato a fanculo mio padre, che rimaneva uno dei miei
più grandi rimpianti. Avevo un carattere di merda che molte
volte mi impediva di ragionare razionalmente, e avevo un orgoglio
ancora più ingombrante che non mi permetteva neppure di
rendermi
conto in tempo dei miei sbagli per porvi rimedio. Avevo cercato
più volte di cambiare, di provare perlomeno ad andare con i
piedi di piombo in certe occasioni, ma mi ero presto reso conto che non
fosse la stessa cosa; perché in fondo, nonostante fossi
consapevole di correre il rischio di sbagliare, molte volte lo facevo
intenzionalmente, perché accanto al mio orgoglio, vi era una
testardaggine che faceva da padrone, a volte perfino spaventandomi.
"Signor Smythe?" la voce esitante ma professionale di un uomo
elegantemente vestito riuscì a riscuotermi da quel
momentaneo
stato di trance in cui mi ero infilato senza neanche accorgermene e
subito tentai di assumere un'espressione più adatta al
momento.
Gli rivolsi un breve sorriso e allungai la mano per stringere quella
che lui mi porgeva
"Mi scuso se l'ho fatta attendere... prego, mi segua." e mi fece strada
attraverso una porta semi-nascosta fino ad arrivare ad una stanza,
abbastanza piccola, dominata per la maggior parte da una grande
scrivania particolarmente elegante, un paio di piante chiaramente finte
come ornamento e una cassaforte schiacciata in un angolo, che dava
l'idea di contenere parecchie cose di valore.
E data l'importanza del
negozio, credo sia il minimo...
"Prego, si accomodi." mi invitò facendomi segno verso una
delle
due poltrone vuote poste davanti alla scrivania ed io mi ci accomodai
ringraziandolo. L'uomo, dopo un breve sorriso cordiale, si
avvicinò alla cassaforte e dopo aver digitato un breve
codice
numerico, l'aprì e ne tirò fuori un piccolo
cofanetto
nero che portò con sé alla scrivania, alla quale
si
accomodò
"Dunque, signor Smythe... mi ritengo particolarmente soddisfatto del
mio lavoro e credo di aver interpretato al meglio la sua richiesta."
annunciò visibilmente fiero. Poggiò la scatolina
al
centro della scrivania e mi fece un gesto, come un invito. Io, con lo
stomaco stretto per l'ansia, presi un profondo respiro prima di
allungare la mano e afferrarla. Me la rigirai un po' tra le mani,
dopodiché la soppesai per alcuni istanti, trovandola
particolarmente pesante nonostante fosse così piccola e alla
fine, con le mani che tremavano appena, l'aprii.
In quei giorni nella mia mente, mi ero prefigurato più di
una
volta quel preciso momento: io, che seduto alla sedia dello studio
privato di un noto orefice di New York, esaminavo con trepidazione
l'oggetto che poi mi sarebbe servito in seguito per compiere la mia
cazzata. E alla fine avvenne davvero, perché davanti ai miei
occhi si materializzò la perfetta riproduzione dell'anello
che
avevo chiesto di creare, così reale e splendente, da fare
quasi
paura. Il respiro mi tremò appena per qualche secondo, tanto
che
temetti seriamente di essere sul punto di sentirmi male oppure, peggio,
di scoppiare in lacrime. E Sebastian Smythe non piange mai, neanche per
certe cose.
"Lo prenda pure... lo guardi con più attenzione. In questi
giorni mi ci sono dedicato personalmente... la reputo una piccola opera
d'arte, modestamente!" si vantò l'uomo, completamente ignaro
della tempesta emotiva che stava avendo luogo dentro di me. Una parte
gridava ossessivamente di dare retta all'orefice, afferrare
quell'anello e guardarlo più da vicino; l'altra, quella
coscienziosa e stronza, mi sussurrava in maniera suadente di lasciar
perdere e di lasciare certe smancerie ai protagonisti delle soap
operas,
perché io con certe cose, non avevo nulla a che fare.
Eppure,
nonostante la risata di questo Sebastian mi risuonasse prepotentemente
nelle orecchie, diedi retta al mio cuore innamorato e arrendevole,
tanto che con le dita sfilai quella piccola fascetta dalla sua custodia
e me la portai più vicina: era sottile, particolarmente
discreta, oro bianco satinato e un piccolissimo diamantino incastonato
su un lato che brillava alla luce artificiale della stanza. Era
bellissimo, esattamente come me lo ero immaginato da più di
un
mese. Con un mezzo sorriso, me lo rigirai tra le dita, facendo molta
attenzione a non rovinarlo, fino a che non trovai ciò che
cercavo: l'incisione all'interno della fascetta riportava un nome e
otto numeri in fila... Sebastian
29.05.2010. La data del nostro anniversario, il secondo di
tanti a venire.
"Allora... è soddisfatto di come è venuto?" mi
domandò l'orefice, impaziente. Finalmente, rilassandomi un
po'
sulla mia sedia gli rivolsi un sorriso sincero e perfino lui parve
sospirare
"Assolutamente. Ha fatto un ottimo lavoro, signor Gray... davvero
ottimo." mi congratulai, riponendo l'anello nella confezione per
tenerlo al sicuro. L'uomo ridacchiò, arrossendo appena sulle
guance coperte dalla barba bianca
"Mi rende sempre euforico sapere che il mio lavoro viene apprezzato da
un cliente. Nel suo caso posso perfino dire di esserne lusingato,
signor Smythe. So quanto fosse importante per lei ed è
proprio
per questo che mi ci sono impegnato tanto." spiegò
sciogliendo
un po' di quella freddezza iniziale che si era creata tra di noi. Gli
sorrisi ancora
"Non ne avevo dubbi... sapevo di andare sul sicuro con lei." risposi
soddisfatto e lui arrossì ancora. Era un uomo anziano, forse
aveva perfino superato l'età della pensione, eppure
continuava a
fare il suo lavoro e continuava a farlo nel migliore dei modi.
Dopo qualche altro complimento, ci occupammo della parte finanziaria ed
io gli consegnai l'ultima parte dei soldi che avevamo pattuito
all'inizio, con una
piccola aggiunta per l'ottimo lavoro e soprattutto per la
celerità con cui aveva eseguito la commissione; lui, dopo un
primo rifiuto e tanto imbarazzo alla fine aveva accettato
ringraziandomi senza sosta e facendomi perfino un mezzo inchino.
Dopodiché, accompagnandomi personalmente fino alla porta del
negozio, mi
aveva salutato calorosamente e mi aveva detto
"Un anello del genere merita una persona speciale.
Spero vivamente che il suo compagno apprezzi il gesto." e ci
congedammo. Io, con la mia scatolina di velluto al sicuro nella tasca
interna della giacca, mi chiesi come avesse potuto capire che
quell'anello fosse per un uomo dato che a parte il mio nome inciso
dentro, non c'erano altri indizi ed io non ne avevo mai parlato.
Probabilmente il suo era istinto o forse... quello che stavo
per fare
era talmente tanto chiaro che perfino agli occhi esterni di un'orefice
di settant'anni diventava semplice da intuire.
New York City.
Ore 05.17 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)
Alla fine, contro ogni scommessa, il 29 Maggio era arrivato ed io avevo
addosso più ansia di quanta immaginavo di averne. Non ero
mai
stato un tipo che si lasciava comandare dall'agitazione, anzi: avevo
affrontato senza problemi il diploma e la laurea mentre i miei coetanei
si lasciavano rodere dalla preoccupazione rischiando quasi di farsi
venire veri e propri attacchi di panico. Generalmente avevo un modo
di fare troppo strafottente e forse per questo non mi
preoccupavo in
maniera eccessiva, però... quella mattina era tutto diverso.
Quella mattina, volente o nolente, sarebbe cambiato tutto. E ancora non
me ne ero reso veramente conto.
Con la coda dell'occhio guardai la radiosveglia sul comodino e con un
leggero lamento mi resi conto che fossero ancora le cinque e
diciassette del mattino e che mancasse più di mezz'ora al
suono
della sveglia. Il tempo, quando l'ansia aumenta, diventa inesorabile e
rende il tutto più difficile da sopportare. Mi agitai tra le
coperte, girandomi su un lato e schiacciai il viso sul cuscino. Da
quella posizione la visuale era a dir poco perfetta: Daniel mi dormiva
accanto, con la guancia posata sul suo cuscino a meno di dieci
centimetri da me, il respiro regolare e leggero e i capelli biondi,
sconvolti dal sonno. Era rilassante guardarlo dormire soprattutto
perché sembrava così innocente e sereno ed era
l'ideale
per poter calmare il mio stomaco agitato; mi avvicinai appena,
sfiorandogli una gamba con il ginocchio e lui si mosse, borbottando
qualcosa ma continuò a dormire beato, strappandomi perfino
un
sorriso. In quelle circostanze, quando potevo concedermi di osservarlo
senza essere disturbato, mi rendevo veramente conto di quanto fortunato
fossi a potermi permettere di chiamarlo.. mio. Sarei stato capace di
rendere onore a tutta quella meraviglia o come al solito avrei rovinato
tutto? La cosa peggiore era il credere che fosse la scelta
più
giusta per entrambi e quindi sarebbe stata una doppia sconfitta
scoprire che mi fossi sbagliato e che avessi compiuto un passo
più lungo della mia stessa gamba.
Maledizione.. sono
capace di farmi venire un attacco di panico da solo, perfino nel
letto...
Alle cinque e ventuno successe qualcosa: Daniel emise un lunghissimo
sospiro, si mosse leggermente e infine sulle sue labbra si stese un
sorriso, uno di quelli che avrebbe potuto fare solo da sveglio e che mi
fece bloccare il cuore per qualche istante
"Mmm.. ti piace quello che vedi?" la sua domanda fu sussurrata in tono
talmente tanto sottile da sfuggire a qualsiasi tipo di orecchio, anche
ai più esperti, ma non a me. Io lo conoscevo troppo bene e
poi
ero talmente tanto vicino che ne ero perfino riuscito a leggerne il
labiale
"Assolutamente!" esclamai in risposta, sorridendo a mia volta e
avvicinandomi appena. Lui ridacchiò, mentre poggiavo la mano
sul
fianco e lo attiravo più a me. Si stiracchiò
appena,
allungando un po' le gambe e intrecciandole alle mie subito dopo, per
poi aprire lentamente gli occhi. Esattamente come era successo la prima
volta che ci eravamo incontrati, la vista di quelle iridi chiarissime e
limpidissime mi fece perdere un paio di respiri e lo stomaco mi si
strinse di nuovo in una morsa, che quella volta non aveva niente a che
vedere con l'ansia. Era lui che mi faceva quell'effetto, era l'emozione
di averlo così vicino, la soddisfazione di sapere che fosse
l'unico al mondo ad essere così speciale per me e che fosse
nel
mio stesso letto, nella mia vita e nel mio cuore. E con quella bella
sensazione di calore che mi riscaldava il petto, gli rivolsi un altro
sorriso
"Buongiorno!" mormorai mentre con la punta delle dita accarezzavo la
sua pelle del fianco, sotto la maglietta del pigiama. Espirò
lentamente, sorridendomi a sua volta
"Buongiorno a te!" rispose, colto da un leggero brivido, forse a causa
delle mie carezze. Si sporse leggermente per passare la punta del naso
lungo tutto il mio collo e quella volta il brivido colse in pieno me,
facendomi sospirare
"Mancano ancora.." iniziò con calma, per poi sporgersi verso
il
comodino e controllare l'orologio "Ventinove minuti al suono della
sveglia e tu.. hai già gli occhi aperti!"
constatò
sorpreso, ma anche parecchio compiaciuto
"Anche tu se è per questo." risposi, affondando la mano
sempre
più in profondità, percorrendogli la base della
schiena e
beandomi di quel calore corporeo che riusciva a mandarmi in estasi
"Touché!" esclamò ridacchiando "Forse
perché non
vedevo l'ora di fare questo." e si avvicinò, portando una
mano
sulla mia nuca e finalmente fece incontrare le nostre labbra:
all'inizio fu un semplice sfiorarsi timido e assonnato che si
trasformò in un lento assaporarsi a vicenda e che divenne
sempre
più profondo ed intimo. Dio, quanto erano belle quelle
labbra..
così morbide, così delicate e con quella
consistenza
meravigliosa che riusciva come al solito a togliermi la ragione con
pochissimo. Ma quello che senza ombra di dubbio rischiava di farmi
seriamente impazzire, era il suo sapore. Era unico al mondo, era
avvolgente, era appagante, era stimolante, era... tremendamente e
fottutamente eccitante. In vita mia ne avevo baciati tanti - e non me
ne vantavo di certo a quel punto - ma nessuno riusciva neanche
lontanamente ad avvicinarsi al sapore del mio Daniel. Forse
perché era lui ad essere speciale, era lui a non essere
paragonabile a tutti gli altri. Lui rappresentava quel qualcosa di
unico e raro ed io avevo avuto il privilegio di guadagnarmelo e
tenermelo stretto. Speravo soltanto che, con quello che stavo per fare,
avrei accresciuto e fortificato quell'unione senza rovinare
tutto, come invece temevo disperatamente di fare.
Ci staccammo qualche istante dopo - troppo presto, decisamente troppo
presto
- e la sua mano scivolò morbidamente tra i miei capelli,
tirandoli appena ma senza provocarmi nessun dolore. Ciò che
in
quel momento però aveva ottenuto tutta la mia attenzione,
erano
i suoi meravigliosi occhi, magnetici e liquidi, così pieni
di
emozioni che sarebbero state troppo difficili da spiegare a parole.
Sapevo solo che in un oceano così, sarei anche potuto
annegare e
lo avrei fatto senza alcun problema perché sarebbe stato
essenzialmente un bel modo per andarsene.
Vorresti legare a te
questa sensazione per il resto della vita?...
Mi sorrise ancora, mentre un'emozione nuova gli colorava gli occhi e li
accendeva maggiormente, dopodiché finalmente
riuscì a
parlare
"Buon anniversario, Sebasatian!" mi augurò, sfiorandomi il
labbro inferiore con la sua bocca e facendomi tremare.
Anniversario...
anniversario... anniversario...
"Mmmm buon anniversario anche a te, piccolo!" risposi, reso quasi sordo
dal rumore del mio stesso battito nelle orecchie e da un leggero
fischio prolungato che non mi fece capire nulla. Seppi solo di essermi
sporto nuovamente verso di lui e di essermi perso ancora, avvolto nel
suo sapore, accarezzato dalle sue labbra e coccolato dalle sue mani che
continuavano ad intrufolarsi nei miei capelli, sconvolgendoli. Mi
sentivo una sorta di assetato mentre spingevo languidamente la lingua
nella sua bocca, alla ricerca disperata della sua; uno di quelli che,
dopo giorni e giorni di digiuno forzato, finalmente ritrovano il
sostentamento, e lui era lì.. caldo e solido accanto a me, attorno a me, ed
era come se avessi appena ritrovato la mia oasi felice in mezzo a tutto
quel deserto arido. Daniel
parve accorgersi che qualcosa mi stesse tormentando, perché
con
molta delicatezza si discostò da me e mi posò la
mano
libera sulla guancia, che accarezzò lentamente
"Quanto entusiasmo. Se questo è l'effetto che ti fa...
potremmo
festeggiare qualcosa ogni giorno!" ridacchiò, continuando ad
accarezzarmi e lasciandosi cogliere da un altro brivido, mentre io
continuavo ad sfiorargli la schiena ampia e rilassata da sotto il
tessuto della maglia. Poi con un piccolo sorriso beato e ancora
leggermente assonnato, fece scendere la mano fino al petto e
lì
la bloccò, all'altezza del cuore, quasi volesse controllare,
contarne i battiti e assicurarsi personalmente che stessi davvero bene.
Era davvero preoccupato in un certo senso, perché in fondo
mi
conosceva davvero bene e sapeva che quando qualcosa mi turbava,
diventavo smanioso e irrequieto. E sapeva anche di avere il potere di
calmarmi, anche con poco, un solo sguardo, una carezza, magari una
parola sussurrata e tutto andava meglio. Forse però quel
giorno
ce ne sarebbero volute un bel po' di parole per mettere pace alla
guerra che mi stava tormentando all'interno. E, ovviamente...
riuscì a comprendere anche quello.
"Mmm... stavo pensando..." iniziò allungandosi un po' fino a
posare le labbra sulla linea ultra sensibile del mio collo e
lì
respirare più profondamente. Mandai giù una
manciata di
saliva, mentre il mio corpo rispondeva di conseguenza a quel contatto
così intimo e sensuale
"Mmm?"
"Dato che ci avanza questa mezz'ora imprevista... potremmo provare a...
riempirla in qualche modo, che dici?" mi chiese, risalendo lentamente
con le labbra lungo la mascella, fino a poggiarle morbidamente a
qualche millimetro di distanza dalle mie. Respirai forte, riaprendo gli
occhi, che non mi ero accorto di aver chiuso, e per un istante, un solo
misero istante, mi ritrovai a chiedermi se non fosse quello il momento
giusto. In fondo bastava allungare il braccio verso il comodino,
recuperare la scatoletta di velluto che l'orefice mi aveva consegnato
il giorno prima e mettergliela davanti, magari provando a mettere su un
sorriso decente, nonostante l'agitazione alle stelle, e infine...
tirare fuori finalmente quello che da più di un mese mi
rivoltava il cervello.
Eppure... preferii evitare, prima di tutto perché volevo
avere
ancora un momento per pensare a come organizzare il discorso, ma poi...
sì insomma.. lui mi aveva appena offerto un buon modo per
distrarmi e festeggiare e chi ero io per deludere un ragazzo
così splendido il giorno del suo secondo anniversario?
New York City.
Ore 07.45 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)
Dopo esserci concessi quel momento di intimità - che di
mattina,
chissà come, acquistava sempre un fascino diverso - ed
esserci
fatti a turno una doccia - benché io avessi provato a
convincerlo a condividerla, con scarso risultato - ci ritrovammo seduti
al tavolo della cucina a fare colazione. O meglio... lui faceva
colazione, io mi limitavo a sbriciolare l'estremità di un
cornetto ripieno alla crema, con lo stomaco chiuso in sciopero per
protesta. La situazione dentro di me non era affatto mutata, nonostante
la piacevole liberazione data dal recente orgasmo: ero ancora un fascio
di nervi tesi, mi faceva male qualsiasi cosa, continuavo ad
arrovellarmi in cerca delle parole giuste ma anche di quelle sbagliate
per evitare così di utilizzarle quando fosse stato
opportuno. Mi
domandavo quanto potesse essere difficile compiere un gesto del genere
per uno come me, un gesto tanto diverso dal mio modo di agire e di
pensare, un gesto che, al Sebastian di qualche anno prima, avrebbe
causato un attacco acuto di disgusto. Ora però volevo farlo,
a
tutti i costi, sentivo di averne bisogno, sentivo di voler fare un
altro passo verso di lui, volevo legarlo ancora più a me
così da non permettergli di scappare mai. Era egoistico come
discorso, me ne rendevo conto, ma in fondo l'amore era anche quello ed
io mi distruggevo di amore per Daniel.
Mi ritrovai a fissarlo, a seguirne in movimenti mentre girava il
cucchiaino nella tazza del latte e controllava le mail dal tablet: era
così concentrato, con quella smorfia pensierosa ed assorta,
quella piccola ruga in mezzo alla fronte e parte del labbro inferiore
stretto tra i denti; quello era un gesto che Daniel compiva spesso, la
maggior parte delle volte senza neanche pensarci, e che era capace di
mandarmi in panne il cervello. Più di una volta lo avevo
pregato
di trattenersi perché vederlo così scatenava in
me delle
reazioni avventate, ma lui mi aveva sempre sorriso maliziosamente e, di
conseguenza, ignorato del tutto. In quel momento, nonostante si stesse
mordendo il labbro e fosse tremendamente sexy, riuscii a contenermi
perfino dal riprenderlo, perché avevo altro per la testa e
proprio non ce la facevo ad essere il solito Sebastian disinvolto di
sempre, non con quello che mi portavo dentro né con il peso
della scatolina di velluto nella tasca interna della giacca.
All'improvviso, dopo aver messo da parte il tablet con una smorfia, si
girò verso di me e mi sorrise, facendomi arrossire
"A cosa stai pensando?" mi domandò, portandosi alla bocca la
tazza del latte e continuando a guardarmi, con i suoi occhioni grandi
ed espressivi
A cosa sto pensando? A
tutto e a niente... a tutto quello che potrebbe
succedere dopo oggi, a tutto quello che cambierà, a tutto
quello
che dovremmo affrontare... a niente sarà più come
prima,
a niente rimpianti, a niente può farmi cambiare idea a
questo
punto...
"A te!" risposi in un soffio, e in effetti era vero: la maggior parte
dei miei pensieri erano rivolti a lui, soprattutto in quegli ultimi
giorni. La tazza si abbassò lentamente e da dietro
sbucò
un sorriso emozionato e anche leggermente lusingato. Si morse di nuovo
il labbro, sempre nello stesso punto - aveva anche un lato preferito,
ovviamente - ed io fui attraversato interamente da un lungo fremito,
che riuscii a trattenere arpionandomi al bordo del tavolo. Quella volta
parve accorgersene, perché liberò il labbro dalla
stretta, sorrise colpevole ed arrossì appena,
dopodiché
abbandonò la sua sedia per raggiungermi, sedersi sulle mie e
congiungere le nostre labbra. Rimasi per qualche istante spiazzato,
mentre la sua bocca iniziava a muoversi morbidamente sulla mia, ma mi
adattai poco dopo, lasciandomi scappare un sospiro frustrato e
leggermente disperato, mentre gli circondavo la vita con un braccio e
stringevo forte. Ultimamente succedeva una cosa strana quando eravamo
assieme, soprattutto nei momenti con quello: più lo avevo
vicino
e più volevo che si avvicinasse ancora, quasi che
si fondesse con me ed era stupido perché era davvero
impossibile
fondere due corpi solidi ma... il desiderio per lui era talmente tanto
- e non mi riferivo solo a quello fisico - da rendermi pazzo. Stringevo
forte di notte quando mi abbracciava per dormire - "Ahia, Sebastian...
mi lascerai i lividi così!" - stringevo forte la sua mano
quando
me la prendeva, magari mentre eravamo seduti sul divano a guardare la
tv, o quando eravamo in macchina; stringevo forte la sua pelle mentre
facevamo l'amore e benché lui la prendesse sempre come
un'azione
dettata dalla passione del momento, c'era un altro motivo dietro tutto
quello. C'era la disperata voglia di averlo, in ogni senso possibile,
in ogni forma, in ogni momento della mia vita. Iniziavo scioccamente a
sentirmi male se per caso in un'intera giornata non ci vedevamo spesso
o se non ricevevo almeno un suo messaggio ogni mezz'ora. Non era
ossessione
la mia né tanto meno gelosia o roba del genere... era
semplice
amore... soffocante, avvolgente, totalizzante amore. Che mi consumava
ma allo stesso tempo mi dava la forza per alzarmi ogni mattina e per
affrontare il mondo.
Ed è
esattamente quello che voglio fare per i prossimi anni a venire...
finché morte non ci separi...
"Mmm... maledizione.. avrei voluto aspettare fino a questa sera a cena
ma... non riesco!" esclamò tra il frustrato e il divertito,
facendo scivolare la mano sulla mia nuca con molta attenzione per non
rovinarmi la piega dei capelli. Sollevai un sopracciglio, confuso
"Non riesci... a fare... cosa?" domandai e quella curiosità
da
parte mia bastò a farlo capitolare del tutto. Si
aprì in
un sorriso radioso e brillante che mi ricordò tanto
l'innocenza
e la purezza di un bambino, dopodiché scivolò
giù
dalle mie gambe e corse via in salotto per poi riapparire qualche
secondo dopo con una busta tra le mani
"Questo.." annunciò elettrizzato, allungando la busta bianca
vero di me "É il mio regalo per te per il nostro
anniversario.
Tanti auguri, amore mio!". Quella che gli lessi in viso era autentica
trepidazione e infatti mi sembrò perfino di vederlo tremare
leggermente con le mani attorno a quella busta bianca. Con un sospiro
leggero, allungai la mano per afferrarla e prima di aprirla l'analizzai
brevemente: era piatta e lunga, molto simile a quelle buste usate per
spedire le bollette solo che quella era anonima e soprattutto non
sigillata. Dal lembo appena rialzato estrassi due cartoncini di poco
spessore che mi fecero accigliare: nella mia vita avevo viaggiato
molto, soprattutto fuori dagli Stati Uniti e pertanto sapevo
perfettamente riconoscere un biglietto aereo quando ne vedevo uno e
quelli erano proprio biglietti aerei a nome di Sebastian Smythe e
Daniel Philips. Li controllai per bene e scoprii fossero della business
class, che la partenza fosse fissata dopo circa un mese ad un orario
improponibile della notte e che la destinazione fosse...
"Polinesia?" domandai con un sorriso sorpreso, sollevando gli occhi.
Lui arrossì immediatamente e si strinse nelle spalle
"Il ragazzo dell'agenzia me l'ha consigliata caldamente... ha detto che
in questo periodo è fantastica e che è stata
classificata
come uno dei pochi paradisi terrestri rimasti ancora incontaminati.
É anche riuscito a trovare un volo abbastanza economico solo
che
siamo costretti a partire alle due e trentasei della notte per
atterrare alle ventuno del giorno successivo e fare scalo a... mmm...
Sydney mi pare. Sarà una specie di tour de force ma... a
quanto
pare ne vale la pena e... sì insomma.. credo che dopo tutto
questo stress, il lavoro, il caos di questa maledetta città,
i
problemi con i tuoi genitori e.. tutto il resto.. penso che ce lo siamo
ampiamente meritati!" e mi sorrise incoraggiante, quasi avesse paura
che da un momento all'altro potessi alzarmi e fare a pezzi quei
preziosi biglietti che dovevano essergli costati parecchio.
Polinesia... paradiso
terrestre... stress.. lavoro.. problemi con i miei... ce lo siamo
meritati...
Inconsapevolmente mi ritrovai a ridacchiare perché quello
doveva
proprio essere una specie di scherzo del destino oppure la
dimostrazione tangibile che forse quello che stavo per fare non era
tanto avventato o stupido. Forse quel viaggio era capitato davvero al
momento giusto.
Posai i biglietti sul tavolo e mi alzai in piedi, mentre lui continuava
a tormentarsi il labbro inferiore; portai una mano sulla sua guancia e
glielo liberai con il pollice - stavo perdendo la ragione per colpa di
quel gesto - e mi concessi qualche istante per perdermi nella
profondità di quegli occhi chiari, che erano ancora
più
belli del solito. Dopodiché mi piegai leggermente per
sfiorargli
le labbra con le mie e sorridergli
"É magnifico, Dan... grazie mille!" sussurrai e finalmente
l'agitazione che lo avvolgeva parve dissolversi e si sciolse anche lui
in un sorriso felice
"Non sono mai stato in un posto tanto bello... e soprattutto.. io e te
non ci siamo ancora concessi una vacanza insieme. Direi che
è
arrivato il momento opportuno per mandare tutti al diavolo e partire!"
mormorò divertito, allacciandomi le braccia al collo e
facendomi
ridacchiare
Non hai neanche idea di
quanto tu abbia ragione...
Mi sporsi appena per incastrare il viso nell'incavo del suo collo e
lì mi misi a respirare lentamente, facendo scorta del suo
profumo mentre una strana adrenalina piacevole mi avvolgeva lo stomaco,
quasi anestetizzandolo dal dolore. Iniziavo a convincermi del fatto che
fossi pronto, che non esistesse un momento migliore di quello e che, se
ci
avessi pensato ancora, avrei perso l'occasione e mandato tutto al
diavolo. Quindi dovevo farlo, in quel preciso istante, con ancora
quella bella emozione addosso, buttandomi semplicemente.
"Mmm... ti amo tanto.." soffiò lui direttamente nel
mio orecchio, facendomi sospirare
Sì...
è decisamente il momento...
Feci scivolare una mano nella tasca della giacca, mentre con le labbra
percorrevo il profilo della sua mascella e continuavo a respirare sulla
sua pelle morbida, ad occhi chiusi e con il cuore palpitante nel petto.
Estrassi la scatolina dalla giacca e mi discostai un po' da lui per
guardarlo negli occhi. Mi sorrise ancora, rimanendo in silenzio,
completamente ignaro di ciò che sarebbe successo tra qualche
istante. Presi un profondissimo respiro, dopodiché
finalmente
diedi voce al mio assillante pensiero
"É da.. circa un mese che ci penso e ogni giorno... mi
chiedo se
sia o meno la scelta giusta, se non sia troppo avventato o stupido o
semplicemente... ridicolo da parte mia. Però... non riesco a
fare a meno di... volerti.. volerti al mio fianco, nella mia vita.. per
sempre e a questo punto... questo.. mi sembra l'unico modo!" lasciai
che le parole accavallate e confuse mi uscissero dalla bocca, senza
alcun apparente senso logico ma in fondo sarebbe stato ugualmente
complicato cercare di decifrare cosa stava avvenendo dentro di me,
quindi era già tanto se fossi riuscito a tirare fuori parole
di
lingua corretta. Il suo sguardo si fece immediatamente curioso e fu sul
punto di dire qualcosa, forse rispondermi, forse semplicemente
rassicurarmi come era solito fare - e dire che quello più
forte
tra i due, avrei dovuto essere io - ma non gliene diedi modo
perché sollevai la scatolina e la portai in mezzo a noi. I
suoi
occhi si allargarono immediatamente e chissà per quale
motivo il
suo bel sorriso si spense all'istante. In quel momento, forse per
l'agitazione, o il tremore, o il mio fottutissimo orgoglio, non ci
diedi neanche troppo peso. Mi limitai a fare un altro lungo respiro
incerto per poi aprire il coperchio della scatolina e finalmente...
chiedere...
"Daniel... mi vuoi sposare?"
NewYork City. Ore
07.23 P.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)
"Ciao sono Daniel.. in
questo momento non posso rispondere, ma puoi
tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti
richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
"Daniel, per l'amor del Cielo vuoi rispondere a questo cazzo di
telefono? Io... credo di essere sul punto di impazzire e ho bisogno di
sapere cosa ti passa per la testa... perciò, ti prego...
chiamami. Ora!" e misi giù, lanciando il cellulare sul
divano
per l'esasperazione. Era un incubo... un fottutissimo incubo da cui mi
sarei risvegliato a momenti, bastava soltanto aspettare il suono della
sveglia e magari...
Drin drin
Come se fossi stato punto da qualcosa scattai verso la porta per aprire
ma quello che trovai non fu esattamente ciò che mi sarei
aspettato
"Sì, lo so... non sono stato invitato.. avrei dovuto
chiamare...
sono una palla al piede e tutto quello che vuoi ma... non trovo
più il mio plettro magico, quello che Wes mi ha regalato al
secondo anno e sono più che sicuro che sia ancora qui da
qualche
parte!" era Blaine che tutto sorridente e con la sua testa piena di
ricci mi apparve sulla soglia, facendomi bruciare per qualche istante
il fegato.
Fanculo tu e il
plettro...
Senza dire nulla lo mollai sulla porta e mi precipitai a recuperare il
cellulare per tentare nuovamente di richiamare il mio ragazzo
scomparso. Attesi quattro squilli dopodiché la sua voce si
fece
sentire, ma ancora una volta sotto forma di segreteria telefonica.
"Fanculo!" sbottai lanciando di nuovo il Blackcerry sul divano -
mancandolo e facendolo finire per terra - e affondando una mano tra i
capelli. No, non era vero, non stava succedendo davvero, non a me.
Sembrava di assistere ad uno di quei drammi adolescenziali che
popolavano le peggiori commedie che piacevano tanto a...
Lanciai un'altra occhiata al telefono per terra, ancora muto e inutile.
"Sebastian?" la voce di Blaine si fece più vicina, tanto da
ritrovarmelo dopo poco al mio fianco. Alzai gli occhi per ritrovare i
suoi confusi e perfino un sopracciglio alzato. Ci mancava soltanto lui
in quel momento. Avevo altro a cui pensare, altro da affrontare, una
segreteria telefonica da intasare di messaggi...
"Senti non so sinceramente dove sia il tuo prezioso plettro.. vai di
là e cercatelo da solo!" indicai a caso il corridoio
cercando di
trattenere la furia e il tormento che mi stavano assalendo. Sapevo che
prendermela con lui non sarebbe servito a niente, volevo solo che se ne
andasse via e mi lasciasse da solo per risolvere il mio problema. Ma
lui - e forse in quegli ultimi dieci anni avrei dovuto capirlo da solo
- era davvero testardo, o semplicemente parecchio incosciente,
perché non solo ignorò la mia risposta, ma si
avvicinò ancora e mi sfiorò il gomito con la mano
"Bas? Che cosa è successo?" mi domandò in tono
preoccupato e sottile, mentre i suoi occhi dorati cercavano i miei,
sfuggenti e persi.
"Niente!" ringhiai allontanandomi da lui, dal suo sguardo indagatore e
dalla sua presenza che iniziava a diventare soffocante. Credetti
scioccamente che l'averlo lì mi impedisse di ritrovare lui.
"No, non è vero. Se fosse niente, non staresti
così."
constatò ovvio, alzando leggermente la voce "É
come se..
stessi per esplodere da un momento all'altro. E la cosa mi preoccupa
molto!" lo sentii avvicinarsi ancora, ma provai ad ignorarlo, chiudendo
gli occhi ed imponendomi la calma. Sembrava stessi per esplodere?
Decisamente molto riduttivo perché per come mi sentivo in
quel
momento, avrei tranquillamente potuto uccidere qualcuno... anche il mio
prezioso migliore amico con il suo pessimo tempismo.
"Davvero, Blaine... potresti gentilmente... potresti..." dalla bocca
per l'ennesima volta non uscì nulla di concreto e quello mi
fece
innervosire ancora di più
"Daniel dov'è?" mi domandò, probabilmente
guardandosi
attorno. Sentii distintamente il cuore accelerare i battiti e per un
istante dovetti mettere la mano sul petto perché il dolore
era
stato quasi insopportabile.
Daniel
dov'è... bella domanda...
"Non lo so!" risposi sinceramente, accasciandomi sul divano e
affondando entrambe le mani tra i capelli - questa mattina lo ha fatto
lui, più di una volta, soprattutto mentre facevamo l'amore
ed
era così bello, così appagante,
così... tutto.
Un movimento alla mia destra mi fece capire che anche Blaine si era
seduto su quel divano, al mio fianco, e potevo ancora sentire il peso
del suo sguardo perforarmi da dietro lo scudo delle mie mani
"Mmm... avete litigato non è vero?" domandò,
facendosi
leggermente comprensivo, forse intuendo il motivo di quel mio stato
d'animo. No, non avevamo litigato. Magari l'avessimo fatto. Forse a
quell'ora avremmo già fatto pace e magari avremmo iniziato a
prepararci per andare a cena e continuare a festeggiare il nostro
anniversario. Dalla gola mi scappò un lungo suono frustrato
che
non significava un bel niente, ma che per Blaine evidentemente fu come
una confessione in piena regola. Sbuffò leggermente e si
sistemò meglio
"Che hai combinato stavolta?" chiese ancora, esasperato
Ma perché la
colpa deve essere sempre e solo mia?...
Sollevai gli occhi, li puntai nei suoi e con una
tranquillità di cui non credevo più di disporre
risposi
"Gli ho chiesto di sposarmi!" e la sua reazione fu completamente
diversa rispetto a quella di Daniel: non si
allontanò, non
mi guardò come se stessi dicendo chissà quale
oscenità, non mi fece sentire un perfetto idiota, non...
scappò via. Si limitò semplicemente a spalancare
leggermente la bocca fino a formare una piccola o di sorpresa e rimase
in silenzio a metabolizzare, fino a che non riuscì a trovare
la
voce per parlare
"Era... questa la cazzata di cui mi hai parlato l'altro giorno alla
festa?" domandò e quasi sentii gli ingranaggi del suo
cervello
mettersi in moto per ricollegare tutto quanto. Mi limitai ad annuire
perché non avevo la forza neppure per dire un semplice
sì.
"Ah però... immaginavo fosse una cosa grossa ma.. non fino a
questo punto!" mormorò colpito per poi lasciarsi scappare un
sorriso "Devo dire che sei riuscito a sorprendermi, Smythe.. questa
volta ci sei davvero riuscito!" ed era quella, cazzocazzocazzo, la
reazione che avrei voluto da parte di Daniel. Mi ero perfino immaginato
di dovergli asciugare le lacrime o di dovermi inginocchiare per fargli
una proposta più romantica, perché ero sicuro che
lui,
nonostante la commozione, me lo avrebbe chiesto. E invece no.
Espirai lentamente, lanciando un'altra occhiata disperata al Blackberry
che non dava nessun segno di vita. Blaine al mio fianco si
schiarì la voce e si avvicinò ancora
"Mmm... lui cos'ha detto?" pronunciò la fatidica domanda che
contro ogni aspettativa mi fece scappare un sorriso amaro
"Niente." affermai con la voce dura, tornando a guardarlo "Non ha detto
niente."
"Co-come?" era sconvolto, perfino lui
Immagina dunque io come
sto...
"Se n'è andato... senza dire una sola fottuta parola.
É
uscito da quella porta e ormai sono... dodici ore che provo a chiamarlo
ma lui continua a non rispondere!" ingoiai una manciata di saliva che
mi ostruiva la gola. Blaine spalancò gli occhi, incredulo, e
per
qualche istante provò ad aprire e chiudere la bocca, quasi
volesse parlare ma non trovasse le parole adatte.
Non ce ne sono... in
questo momento non c'è niente che tu potresti dirmi che mi
farebbe stare meglio...
"Non è possibile." si lasciò scappare qualche
istante
dopo, forse reputandola la cosa più innocente da dire, ma
che
ebbe il potere di farmi scattare ancora di più i nervi
"E invece è così. Se ne è andato via,
mi ha
lasciato qui da solo come un coglione con il mio cazzo di anello in
mano e... ed è scappato." scattai in piedi ed iniziai a
camminare nervosamente avanti e indietro lungo il tappeto "E sai
qual'è la cosa peggiore? Questo silenzio... il suo silenzio.
Avrei preferito che mi dicesse di no subito, che mi scoppiasse a ridere
in faccia, che mi prendesse a pugni e che... non lo so... qualsiasi
cosa, Blaine ma non.. questo! Il silenzio non riesco a sopportarlo e..
non credo neanche di meritarmelo." ero confuso, distrutto, amareggiato,
perfino arrabbiato - con lui, con me, soprattutto con lui - e
soprattutto sentivo una voglia matta di piangere. Non avevo mai provato
una sensazione del genere, neanche quando da piccolo sentivo la
mancanza dei miei genitori il giorno di Natale o quando mia madre mi
ripeteva che un figlio frocio era il peggior disonore che la famiglia
potesse avere. Come avevo già immaginato, Daniel era capace
di
distruggermi e di rimettermi al mondo con niente, peccato solo che
quella volta avesse scelto l'opzione peggiore. Mi resi vagamente conto
di essere appena esploso, perché le mie mani tremavano
incontrollate e la vista si era appannata leggermente.
Quando ero riuscito finalmente a tirare fuori quell'anello e a fargli
la mia proposta mi ero ritrovato a pensare che tutto sommato non fosse
stato poi così traumatico. La paura non aveva avuto la
meglio su
di me e quelle parole erano uscite esattamente come avevo voluto che
uscissero: non erano state niente di che, in fin dei conti, solo un
"Daniel mi vuoi sposare?" ma avevo cercato di metterci tutto il
sentimento, l'emozione e l'amore di cui ero capace e mi era
sembrato così semplice. A distanza di dodici ore e
dopo ben
trentasette chiamate senza risposta, iniziavo seriamente a pensare che
di semplice in realtà non c'era stato un bel niente.
"Bas..." un sussurro debole mi fece ricordare improvvisamente della
presenza di Blaine e tutto mi ricadde addosso come un pesantissimo
macigno, come una doccia gelata, come la più grande
delusione
della mia vita. Dalla bocca mi scappò un singhiozzo - quando
esattamente avevo iniziato a piangere? - e poco dopo le braccia di
Blaine furono attorno alle mie spalle e il mio viso incastrato nella
sua spalla. E da quella prospettiva, il mondo faceva ancora
più
schifo.
"Ho solo bisogno di sentire la sua voce. Solo quello... sapere che sta
bene e che... non ho rovinato tutto." mormorai, mentre le lacrime
iniziavano ad irritarmi gli occhi e il suo abbraccio di faceva
più stretto
"Vuoi che provi a... chiamarlo io?" mi chiese esitante. Scossi subito
la testa
"No.. capirebbe subito che sono stato io a chiedertelo. Ho bisogno che
risponda a me, che voglia parlare con me e che torni qui. Adesso."
sospirai distrutto lanciando un'altra occhiata al telefono ancora sul
pavimento che continuava a non squillare e probabilmente sarebbe
rimasto muto per tutta quanta la notte.
New York City.
Ore 12.23 A.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)
Erano passate ben ventotto ore ed io avevo fatto altre cinquantasei
chiamate, ma Daniel non era ancora tornato. Il suo telefono aveva
continuato
a suonare a vuoto fino a che, circa alle tre e un quarto della notte,
non lo aveva completamente spento per non riaccenderlo più
la
mattina successiva. Quello faceva ancora più male
perché
era l'ulteriore prova del fatto che non volesse parlarmi, non volesse
neanche più vedere il mio nome lampeggiare sul display del
suo
telefono, anche se io ne ignoravo completamente il motivo.
D'accordo, la mia proposta era stata scioccante e forse anche un po'
avventata ma... quella reazione era troppo. Un giorno ed una notte
intera senza farsi né vedere né tanto meno
sentire era
davvero incomprensibile per me. Era arrabbiato? Era deluso? Era
soltanto confuso? Cosa stava cercando di farmi capire comportandosi in
quel modo? Era quello il vero problema, non sapere cosa pensare, non
sapere che direzione prendere, non sapere neppure da che tipo di paura
farmi assalire. Si trattava soltanto di un momento e poi sarebbe
tornato? Era troppo da sopportare per lui e aveva preferito andare via?
Mi aveva lasciato? L'ultima ipotesi mi aveva assalito durante tutta la
notte e anche la mattina successiva, mentre continuavo a comporre il
suo numero a vuoto
"Ciao sono Daniel.. in
questo momento non posso rispondere, ma puoi
tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti
richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
Avevo dovuto chiamare a lavoro e chiedere alla segretaria
di
Fabray un paio di giorni di permesso, perché non ero proprio
nelle condizioni di lavorare e con una certa sorpresa avevo scoperto
che anche Daniel avesse fatto lo stesso, precedendomi soltanto di
qualche ora. Bene, per chiamare al lavoro il coraggio ce lo aveva, per
rispondere alle mie chiamate... evidentemente no.
C'era stato un momento in cui, mentre giravo per casa come un folle e
tiravo pugni sui muri - distruggendomi le nocche della mano destra - mi
ero ritrovato a provare della rabbia: forte, cocente e corrosiva rabbia
che mi aveva fatto prendere il telefono, richiamare il suo numero - per
la settantesima volta - e mi aveva fatto urlare
"Sai cosa ti dico? Vattene a fare in culo tu, il tuo viaggio di
Polinesia e quello stupido anello. Volevo fare qualcosa per te.. per noi..
ma evidentemente tu sei ancora troppo immaturo per un passo del genere.
Sei troppo immaturo perfino per parlare.. per affrontarmi.. per dirmi
in faccia quello che pensi e preferisci che sia il silenzio a farlo per
te. Complimenti, Daniel... ti farei un applauso se solo ti avessi qui
davanti. E sai cosa.. forse lo farò.. quando tornerai,
perché tornerai visto che c'è tutta la tua
robaccia nei
miei armadi. E sai cos'altro farò? Ti sbatterò
fuori di
casa.. fuori dalla mia vita perché non voglio più
avere
nulla a che vedere con te, hai capito? Nulla.. sei soltanto un
ipocrita, un.." beep
Il suono che segnava la fine della segreteria era stato come uno sparo
nella notte. Il cuore si era fermato e la consapevolezza di quello che
avevo appena fatto mi si era annidata nel cuore, schiacciandomi. Mi ero
ritrovato, senza sapere come, a scivolare lungo la parete del
corridoio, con una mano tra i capelli e l'altra ancora stretta attorno
al telefono. Avevo richiamato il suo numero e avevo lasciato un altro
messaggio
"Ti prego scusa.. scusa.. non... non pensavo neanche una delle cose che
ti ho detto... non... tu non farmi questo, ti supplico. Torna a casa,
Daniel.. ho bisogno di parlarti, ho bisogno di abbracciarti e ho
bisogno che tu mi dica che.. tutto andrà bene. Per favore...
cucciolo... per favore! Ti amo.. tanto..." beep
Ma neanche quello era servito a niente. Allora ero uscito, avevo preso
la macchina e avevo iniziato a girare a vuoto per la città,
credendo ingenuamente che in una metropoli del genere la testa bionda
del mio Dan sbucasse fuori all'improvviso. Me ne ero tornato a casa in
uno stato pietoso, forse peggiore di come ero uscito ed avevo rifiutato
di proposito tutte le chiamate di Blaine che era ancora preoccupato per
me e che a stento ero riuscito a mandare via la sera precedente.
Apprezzavo il fatto che mi stesse vicino e che volesse rendersi utile e
soprattutto lo sfogo che mi ero concesso mi aveva fatto bene, ma avevo
bisogno di stare da solo ad aspettare che Daniel tornasse.
Alla rabbia verso di lui era sopraggiunta la rabbia verso di me:
perché ero un coglione, sapevo di essere in procinto di
compiere
una cazzata di dimensioni galattiche ma questo non mi aveva fermato.
L'avevo fatta e ora mi meritavo tutto, perfino quell'angosciante
sensazione di vuoto ed impotenza che mi attorcigliava lo stomaco.
Dovevo lasciare le cose esattamente com'erano, perché era
tutto
già perfetto, era tutto così semplice e lineare
e... io
avevo rovinato tutto, come sempre. Sapevo che prima o poi sarebbe
successo, che prima o poi sarei stato in grado di rovinare la nostra
storia solo che non mi sarei mai aspettato che il motivo sarebbe stato
quello: il volerlo amare ancora di più, mi aveva portato a
perderlo in un attimo. E quello era profondamente ingiusto. Avevo
rovinato anche il nostro anniversario, il giorno che entrambi
aspettavamo con trepidazione da mesi, la nostra cena romantica in un
ristorante di Manatthan, il suo bellissimo regalo che ancora giaceva
sul tavolo della cucina. Era tutto sparito e all'improvviso la giornata
più bella della mia vita, si era trasformata in un incubo.
Un
incubo dal quale non ero ancora riuscito a svegliarmi.
Verso l'ora di pranzo il campanello di casa aveva suonato ancora:
all'inizio avevo pensato di non rispondere, perché credevo
fosse
di nuovo Blaine. Poi però, avevo pensato che Daniel uscendo
di
casa la mattina precedente non avesse preso le sue chiavi e che quindi
per tornare avesse bussato al campanello e per questo mi fiondai ad
aprire. Per la seconda volta mi sentii invadere dallo sconforto quando
constatai che non fosse lui, benché ci fosse una palese
quanto
impressionante somiglianza
"Dianna!" esclamai sentendomi mancare il respiro. Era la sorella di
Daniel... cosa ci faceva lei lì? Aveva mandato lei a
prendere la
sua roba?
"Ciao." mi salutò, accennando un sorriso intimidito.
Cos'era? Compassione? Vergogna? Rancore?
"Posso entrare un attimo?" domandò poi indicando l'interno
dell'appartamento dietro le mie spalle. Una parte di me gridava di non
farlo, di mandare al diavolo anche lei perché non era giusto
che
lui l'avesse mandata da me perché non aveva avuto il
coraggio di
venire da solo. L'altra però, abbracciando quel poco di
razionalità rimasta, mi fece fare un passo indietro per
permetterle di passare.
Lei si accomodò all'interno, liberandosi della giacca e
della
borsa e posandoli sul divano. La guardai compiere quei gesti senza il
minimo interesse, chiedendomi quanto ci volesse prima di recuperare
tutta la roba di suo fratello e andarsene. E poi.. quanto tempo ci
avrei messo io per riprendermi da tutto quello?
Sollevò gli occhi e li puntò nei miei - cazzo..
sono
proprio identici ai suoi - e mi sorrise, quella volta più
apertamente
"Come stai?" domandò, lasciandomi senza parole
Come sto?... mi ha
davvero chiesto.. come sto?...
"Sto di merda!" sbottai duramente, fulminandola appena e facendola
arrossire "Lui dov'è?"
"Sebastian.."
"Perché ha mandato te? Non ne ha il coraggio? É
davvero
così difficile prendersi le proprie
responsabilità?
Perché, sai.. io l'ho fatto e vedi cosa ho ottenuto!"
allargai
le braccia in un gesto di stizza e lei si lasciò andare ad
un
lungo sospiro. Non sembrava arrabbiata e neanche preoccupata. Sembrava
più che altro.. combattuta.
"Daniel non sa che sono qui!" esclamò e per la seconda volta
riuscì a lasciarmi senza fiato. Abbandonai le braccia lungo
i
fianchi, mentre una strana forma di sollievo mi invadeva: Dianna non
era lì per portare via la sua roba, non era lì
per dirmi
che era finita, forse c'era ancora una possibilità per
sistemare
le cose.
"Dov'è?" domandai di nuovo, quasi in un soffio
"A casa mia. Me lo sono ritrovato davanti la porta ieri sera." rispose
poggiandosi allo schienale del divano. Era a casa della sorella, come
diavolo avevo fatto a non pensarci? Perché non avevo tentato
subito lì o a casa dei suoi? E soprattutto.. se da lei era
andato soltanto la sera.. dove diavolo era stato durante tutto il
giorno?
"Come... come sta?" domandai ancora, disperato
"Sta bene.. fisicamente intendo. Di umore.. non tanto. Quando
è
venuto da me era... distrutto. Non penso di averlo mai visto in quello
stato e oggi.. non sta tanto diversamente!" spiegò
accigliandosi. Lui era distrutto? E io allora? Io cosa dovevo dire?
"Ti ha..."
"Sì!" rispose senza neanche permettermi di formulare la
domanda
"Sì.. mi ha raccontato cosa è successo e mi ha
detto
anche di essere scappato." aggiunse.
E ti ha detto il
motivo?...
Affondai nuovamente la mano tra i capelli, che probabilmente erano in
uno stato davvero pietoso. Dianna sospirò e dopo poco la
sentii
accanto a me tanto che alzando gli occhi mi ritrovai i suoi intenti a
contemplarmi, preoccupati. Per un istante, quasi per uno scherzo del
destino, mi tornò in mente come fosse stato
bello la
mattina precedente annegare in un mare che aveva esattamente quello
stesso colore. Peccato che, dopo poche ore, quel mare si fosse
trasformato in una tempesta e che mi avesse travolto completamente.
"Posso essere completamente onesta con te, Sebastian?" mi chiese
gentilmente, tanto che non riuscii ad essere sgarbato né a
lanciarle altre occhiate di fuoco; mi limitai ad annuire
"Quando Daniel mi ha detto che tu gli avevi.. chiesto di sposarti mi
sono quasi messa a gridare dalla gioia. Non potevo crederci che proprio
tu, con quel pessimo carattere che ti ritrovi, potevi aver fatto una
cosa tanto magnifica. Solo che... mi sono trattenuta, perché
negli occhi di mio fratello non ho letto esattamente ciò che
speravo di leggere. Come ti ho detto era... distrutto. Ho provato a
chiedergli cosa avesse ma lui non ha... saputo dirmelo. Mi ha
semplicemente chiesto di non fargli domande e se potesse rimanere per
dormire." era insensato ciò che stava dicendo. Non stava
aggiungendo nulla di nuovo, nulla che potesse farmi capire cosa fosse
esattamente successo. D'accordo, ormai sapevo che lui stava bene -
almeno fisicamente - e che probabilmente non mi stava lasciando - vero?
- però... continuavo a non capire.
"Io non so cosa... fare. Credevo che insieme potessimo affrontare
tutto, perfino questo e invece... lui è andato via ed io
sono
ancora qui da solo che cerco di darmi la colpa per quello che
è
successo. Io..." scossi la testa, incapace ancora una volta di trovare
le parole per esprimere davvero ciò che sentivo. Di nuovo
però, sentii un disperato bisogno di piangere. Ma non potevo
farlo davanti a lei: andava anche bene piangere sulla spalla del mio
migliore amico, farlo anche su quello di mia cognata.. no,
assolutamente.
"Io penso di sapere cosa sia successo ieri e perché Daniel
sia
scappato in quel modo!" esclamò poco dopo, lasciandosi
scappare
un altro sospiro. Drizzai la schiena, colto da quella improvvisa
possibilità di scoprire la verità, finalmente
"Cosa?" domandai allora, non riuscendo a contenermi
"Penso che il problema sia stato... il momento. Penso che tu abbia
scelto quello peggiore per chiedergli di sposarti." spiegò,
abbassando la testa, in un gesto colpevole. Sbagliato il momento? Che
diavolo significava?
"Scusa?" chiesi scettico, perché quella era davvero una
spiegazione stupida e senza alcun senso. In quale altro momento avrei
potuto chiedere al mio ragazzo di sposarmi se non il giorno del nostro
anniversario? A me era parso speciale proprio per quello, proprio
perché un giorno del genere potesse in qualche modo rendere
la
sorpresa ancora più grande. Certo, non era andata bene
però... dubitavo che fosse dipeso dal fatto che avessi
scelto di
chiederglielo proprio il 29 Maggio.
Dianna prese un profondo respiro dopodiché si
passò
distrattamente la mano tra i capelli che erano biondi come quelli di
Daniel, solo leggermente più chiari
"Immagino che lui non ti abbia parlato di me e di Matt.. di quello che
sta succedendo tra di noi." affermò, cambiando radicalmente
direzione. Mi accigliai leggermente: Matt era suo marito con il quale
era sposata da circa un anno, dopo un lunghissimo fidanzamento che di
anni ne era durati sette. Era un tipo un po' burbero e non ero mai
riuscito a capirlo veramente a fondo, ma... c'eravamo incontrati in
pochissime occasioni e la cosa era finita lì. Tra l'altro mi
era parso che non gli andasse proprio a genio che suo cognato fosse gay
e
che abitasse con un altro uomo.
"No.. cosa avrebbe dovuto dirmi?" le chiesi, confuso.
"Io e mio marito stiamo... attraversando un periodo particolare..
diciamo che da sei mesi a questa parte non facciamo altro che litigare
e questa cosa sta diventando.. insostenibile. Fino a che lui non ha
deciso che... la questione andasse sistemata definitivamente." si
concesse una pausa per abbassare lo sguardo e stringersi leggermente
nelle spalle. Intuii vagamente cosa volesse dirmi ma le sue parole me
lo confermarono
"Ha chiesto il divorzio!" esclamò e la sua voce
vacillò
appena. Trattenni il fiato inconsapevolmente, mentre una piccola
lampadina iniziava a lampeggiare nella mia testa e di conseguenza il
cuore iniziava a pompare più ossigeno. Il motivo. Io stavo
impazzendo per cercare un... motivo. Ed eccolo... servito su un piatto
d'argento.
"Lui non mi ha.. detto niente." mormorai sconvolto, iniziando a sentire
un leggero senso di colpa invadermi per il modo in cui l'avevo trattata
poco prima. Lei scrollò le spalle
"Tipico di Daniel. Per gli altri si fa in quattro, facendosi perfino
carico dei loro problemi. Quando però si tratta dei suoi...
preferisce tenere tutto per sé. Probabilmente lo ha fatto
per
non.. mancare di rispetto a me o per non gravare su di te, questo lo sa
soltanto lui. Quello che è certo, e penso di non sbagliare,
è che questa situazione che ho a casa possa averlo
influenzato e
per questo è andato via ieri. Probabilmente si è
sentito
in colpa.. tu gli chiedi di sposarti nello stesso momento in cui il
matrimonio di sua sorella va in pezzi. Sai meglio di me quanto possa
essere sensibile e per questo... è scappato. Si è
sentito.. sopraffatto dagli eventi!" tentò di spiegare ma la
mia
mente era già partita in quarta. Cercavo di capire come mai
non
mi avesse detto niente o se ci fossero stati dei segni evidenti di quel
suo stato d'animo. In effetti, ragionando a posteriori, mi era capitato
di trovarlo leggermente pensieroso nell'ultimo periodo ma credevo fosse
dipeso dal lavoro oppure da qualche altro motivo del genere. E
ovviamente, non avevo indagato a fondo.
Sei un coglione,
Sebastian... un grandissimo coglione...
Quello che mi aveva appena raccontato Dianna spiegava esattamente cosa
era successo la mattina precedente: lui era in ansia per sua sorella,
dispiaciuto per la fine del suo matrimonio e magari aveva perfino
prenotato quel viaggio in Polinesia per staccare... per non pensarci.
Aveva perfino detto di esserselo meritato, di averne bisogno.
Perché in quel momento non avevo fatto caso al leggero
accenno
di esasperazione che c'era nella sua voce? Perché non lo
avevo
capito e non mi ero semplicemente limitato ad abbracciarlo come un vero
fidanzato dovrebbe fare? Cosa c'era di tanto sbagliato in me?
"Cazzo... sono uno stupido.." mormorai afflitto, lasciandomi cadere sul
bracciolo del divano e abbassando la testa. Sarebbe bastato
così
poco per capirlo e ancora meno per evitare il problema.
"No, Sebastian non sei stupido. Sei solo un ragazzo innamorato che
vuole coronare un sogno. Io al tuo posto avrei fatto lo stesso." mi
disse lei, convinta, posandomi una mano sulla spalla. Sollevai gli
occhi e tornai a puntarli nei suoi: erano forti e luminosi, nonostante
quello che era costretta a sopportare. Riusciva a nascondere bene il
tumulto che doveva provare, e in quello lei e Daniel erano davvero
molto simili
"Mi.. dispiace.. per il tuo matrimonio... davvero." le dissi sincero.
Lei mi fece un mezzo sorriso e mi strinse appena la spalla
"Si risolverà anche questa, ne sono sicura." rispose e per
un
attimo le passò un'ombra nello sguardo, un'ombra che
somigliava
molto ad una voglia disperata di piangere
Fallo, Dianna.. ti
assicuro che trattenerle non fa mai bene...
"Adesso pensiamo alle cose più urgenti. Tu e lui dovete
parlarvi
e dovete farlo il prima possibile." affermò convinta,
più
a sé stessa che a me. Sollevai un sopracciglio. pronto a
chiederle in che modo potessi fare e se avesse una soluzione. E a
quanto pare ce l'aveva davvero, perché me la mise davanti
agli
occhi. Frugò nella sua borsa per qualche istante,
dopodiché poggiò un mazzo di chiavi sulla
spalliera del
divano
"Io questa sera, tornando a casa, mi renderò conto di
essermi accidentalmente
dimenticata le chiavi qui da te... ma lo farò stasera. Ora
devo
andare a lavoro.. e tu devi andare a riprenderti la tua vita.
Perché, con tutto il rispetto... quando siete separati,
sembrate
due involucri vuoti che aspettano solo di essere riempiti!"
New York City.
Ore 04.12 P.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)
Feci scattare la serratura dell'appartamento di Dianna - e ovviamente
di Matt - chiedendomi dove lo avrei trovato: magari in salotto, oppure
sotto le coperte, oppure proprio dietro quella porta d'ingresso. Il
pensiero che feci subito dopo riguardava la sua ipotetica reazione. Mi
avrebbe sbattuto fuori a calci? Mi avrebbe urlato contro tutto quanto?
Se la sarebbe presa anche con sua sorella? Quello che non riuscii a
chiedermi fu che tipo di reazione potessi avere io. Non ero preparato
ad un altro rifiuto, un'altra fuga e forse quella volta non avrei
retto. Ma cosa più importante, avevo una voglia
così
disperata di riabbracciarlo, di dirgli che lo amavo e che lo avrei
amato da lì all'eternità, che fu quasi doloroso
percorrere tutta quella strada dal mio appartamento - il nostro
appartamento - fino a lì.
Nel salotto non c'era anima viva e lo stesso per la cucina. Con un
sospiro tremante mi addentrai nel corridoio, affacciandomi poi
nell'unica stanza con la porta aperta che intuii fosse quella degli
ospiti dove aveva dormito lui quella notte: come dimostrazione
tangibile, sulla trapunta beige, c'era la sua giacca e il suo telefono
- quello che dalla notte precedente non squillava più.
Provai nelle altre stanze, nello studio e perfino in bagno, ma di
Daniel nessuna traccia. Stavo quasi per richiamare Dianna e chiederle
dove potesse essere andato quando con la coda dell'occhio intravidi
qualcosa: sul balcone, quello della camera da letto principale, si
vedeva la sagoma di una scaletta che probabilmente portava sul tetto e
che era appoggiata alla parete esterna del palazzo. Mi ritrovai, senza
neanche riuscire a respirare, ad avanzare verso quella scala, verso
quella piccola speranza perché era davvero l'unica cosa alla
quale in quel momento potessi attaccarmi. Salii i cinque scalini
aggrappandomi alla ringhiera particolarmente precaria e sbucai sul
tetto:
la vista era davvero bellissima, rivolta verso il porto e
più a
largo, verso l'oceano e probabilmente mi sarei anche fermato a
contemplarla meglio se solo il mio sguardo non fosse stato catturato da
altro, lui.
Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e perfino un
piccolo sorriso che mi stirò le labbra dopo un'intera
giornata
di tormento.
Daniel era seduto in un angolo, con gli occhi rivolti al panorama, le
ginocchia raccolte tra le braccia e il mento posato su di esse. Per
come era messo non riuscì a notare la mia presenza, e questo
mi
permise di avvicinarmi del tutto e di sospirare ancora: era
lì,
era vivo, era bellissimo come sempre, esattamente come lo ricordavo.
Una folata di vento passò in mezzo a noi e lo vidi
distintamente
tremare e stringersi maggiormente le braccia attorno alle gambe e non
riuscii più a resistere
"Rischi di ammalarti se non ti metti qualcosa di più pesante
addosso!" esclamai con la voce rinforzata, quasi il semplice fatto di
averlo di nuovo davanti, mi avesse dato la carica. Daniel
sobbalzò visibilmente e alzò lo sguardo verso di
me,
appena spaventato. Rimase qualche istante in silenzio, forse cercando
di capire se fossi reale e come avessi fatto ad entrare. Alla fine
parve rassegnarsi perché si lasciò scappare un
sospiro e
un piccolo sorriso affranto
"É stata Dianna, non è vero?" mi
domandò, con il tono di uno che sa già la risposta
"Mmm.. generalmente non rivelo mai i nomi dei miei informatori."
scherzai ed era davvero strano riuscire a farlo nonostante tutta
quell'ansia accumulata in quelle ore. Lui sollevò un
sopracciglio, leggermente divertito, cosa che mi fece ridacchiare. Mi
frugai nella tasca della giacca e gli allungai il mazzo di chiavi che
Dianna mi aveva dato
"Appena la vedi... restituisciglielo e... ringraziala caldamente da
parte mia." mormorai e lui con una mezza smorfia afferrò le
schiavi e le fece dondolare per qualche secondo tra le mani
"Lo farò... stanne pur certo!" rispose per poi sospirare e
tornare a stringersi le gambe per proteggersi dal vento insistente.
Senza pensarci due volte mi sfilai la giacca e gliela posai sulle
spalle: per la seconda volta sobbalzò, quasi in maniera
più pronunciata, come se non si aspettasse un gesto
così... intimo da parte mia.
"Grazie." mormorò sistemandosela meglio addosso. Mi sedetti
anche io per terra, cercando di non sfiorarlo dato che solo toccargli
leggermente le spalle aveva dato quella reazione strana. Avevo una
disperata voglia di toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, prenderlo e
portarlo via da quel tetto ma... prima avevo bisogno di parlargli,
prima avremmo dovuto risolvere quella situazione e forse dopo saremmo
scesi insieme e insieme ce ne saremmo andati. Dovevo solo trovare le
parole adatte con cui iniziare il discorso.
L'ultima volta che mi
sono ucciso per
trovarne, è andata a finire malissimo, quindi credo sia
meglio
lasciar perdere e affidarsi all'istinto...
"Daniel..." iniziai ma non riuscii a proseguire
"Mi dispiace." sentenziò all'improvviso, congelandomi. No..
un
discorso iniziato con quelle due parole non portava a nulla di buono.
"No, ti prego.."
"Mi dispiace, Sebastian.. davvero." ripeté girando lo
sguardo e
inchiodandolo al mio, togliendomi almeno dieci anni di vita. Iniziai a
tremare anche io, non a causa del freddo. Era la paura che mi
attanagliava le ossa e non mi permetteva neanche di respirare
normalmente. Quella volta non dissi nulla, mi limitai a scrutare in
quegli occhi grandi e a cercare da solo le risposte di cui avevo
bisogno. Per mia fortuna, non ci trovai nulla di diverso rispetto al
solito, fatta eccezione per un leggerissimo velo di tristezza e
forse... senso di colpa.
"Mi sento così... stupido e... vigliacco. Me ne sono andato
così.. senza neanche darti una spiegazione e non avrei
dovuto..." si perse in un lungo sospiro per poi mettere su un mezzo
sorriso amaro "Avevi ragione, sai... il problema forse è che
sono.. troppo immaturo." venni colto da un altro brivido improvviso e
subito capii a cosa si riferisse
"No!" esclamai subito, quasi gridando "No... non dare peso a quello che
ho detto in quel messagio. Ero... nervoso e arrabbiato e lo sai come
sono fatto.. sono impulsivo. Quella dannata segreteria continuava a
tormentarmi e tu non rispondevi e..."
"Lo so.. davvero. Non c'è bisogno che ti giustifichi,
Sebastian... lo so." mi interruppe con un tono leggerissimo
Perché
continui a chiamarmi Sebastian? Non lo fai mai...
Mi agitai leggermente, mentre la pelle iniziava a prudermi per la
voglia disperata di contatto che continuava a crescere a dismisura e
che forse mi avrebbe fatto uscire di testa. Quell'atmosfera non mi
piaceva tantissimo perché non ero sicuro di ciò
che in
realtà stesse accadendo. Il fatto che non mi avesse ancora
cacciato via, era già positivo solo che.. continuava a
chiamarmi
Sebastian e i suoi occhi erano sfuggenti e non mi aveva ancora
abbracciato. Cosa avrei dovuto pensare?
Abbassai lo sguardo fino al cornicione del palazzo, mentre un'altra
folata di vento mi attraversava i vestiti. Stava andando in maniera del
tutto diversa rispetto a quello che mi ero immaginato. Era tutto
così.. freddo e distaccato ed io avevo un disperato bisogno
di
riavere indietro il mio Dan, perché senza di lui.. mi
sentivo
davvero come un involucro vuoto che aspettava solo di essere riempito.
Di nuovo. Come avevo fatto, prima di conoscerlo, a vivere? Con cosa ero
andato avanti?
Una mano fresca ma incredibilmente familiare si posò con
delicatezza sulla mia guancia e mi accarezzò con la punta
delle
dita
"Bas... guardami, ti prego." mi implorò leggermente e
qualcosa
nel mio petto si incrinò nel sentire quel nomignolo.. e la
sua
voce addolcita
Finalmente...
Mi feci guidare dalla sua mano fino a che non ci ritrovammo nuovamente
occhi dentro gli occhi: la distanza fisica tra di noi si era
dimezzata - quando si era avvicinato e perché io
non me ne
ero accorto? - e riuscivo quasi a contare quanti respiri si lasciasse
scappare dalla bocca appena dischiusa. Rimasi di nuovo in silenzio
perché non riuscivo a trovare nulla di sensato in quel
tumulto
che provavo e lasciai che fosse lui a parlare per una volta.
"Io... ti amo.. tanto. E non smetterò mai di farlo... lo sai
questo, vero?" mi chiese in un soffio, accarezzandomi la linea della
mascella con le dita. Ispirai bruscamente sentendo poi la gola
pizzicare.
"Lo so.." borbottai "Ti... ti amo anche io." e quella volta mi sorrise
davvero, senza imbarazzi, senza trattenersi troppo: fu semplicemente il
suo solito bellissimo sorriso che si apriva per me e mi riscaldava il
cuore. Si avvicinò ancora e per un momento pensai che
volesse
baciarmi - finalmente! - ma non lo fece; si limitò a
poggiare la
fronte alla mia spalla e a far scivolare la mano con la quale fino a
poco prima mi aveva accarezzato, nei miei capelli.
Dio...
"Mi dispiace." ripeté in un debole sussurro. Non mi mossi,
rimasi fermo a subire le sue carezze anche se volevo semplicemente
allungare un braccio e stringerlo maggiormente a me
"Non... dirlo più.. ti prego." lo pregai con un lungo
sospiro
"Mi sento in colpa. Per quello che è successo, per quello
che ti
ho fatto.. per come.. me ne sono andato." spiegò sollevando
la
testa e puntando gli occhi nei miei.
"Perché non mi hai detto niente?" gli chiesi a bruciapelo,
ignorando ciò che mi aveva appena detto. Lui ci
pensò
qualche istante, per poi stringere le spalle
"Non lo so.. io non... volevo darti problemi. Mi sarei sentito male se
ti avessi scaricato addosso anche questo peso. Hai già
così tanto a cui pensare per colpa dei tuoi genitori...
volevo... mettere da parte me per pensare a come farti stare bene...
almeno quando eravamo insieme." spiegò lentamente, provando
ad
essere chiaro. E Dianna aveva ragione: il problema era proprio quello.
Lui non voleva essere un peso, non voleva creare problemi. Ed era
sbagliato, profondamente sbagliato
"Daniel.." lo chiamai, permettendomi finalmente di toccarlo,
afferrandogli il mento con una mano e portandolo esattamente di fronte
a me "Amare significa molte cose, ma soprattutto significa sostenersi
ed aiutarsi a vicenda. Il fatto che tu creda di poter essere un peso
per me.. mi fa male. Io voglio aiutarti, voglio che tu mi dica tutto e
voglio soprattutto che tu ti senta libero di confidarmi qualsiasi cosa.
Io non ti giudicherò mai.. voglio solo che tu.. mi dia
fiducia,
nello stesso modo in cui io ne do a te." i suoi occhi si spalancarono
appena
"Io mi fido di te, Bas... completamente!" esclamò subito e
mi ritrovai a sorridere di conseguenza
"E allora non tormentarti con questi dubbi e queste insicurezze.
Semplicemente... parlami... parlami, Dan.. non smettere mai di farlo!"
lo pregai ancora, mentre la voce si affievoliva pian piano
"Avrei dovuto parlartene.. hai ragione." acconsentì annuendo
contemporaneamente per poi intrappolarsi il solito labbro tra i denti e
sospirare. E quel gesto segnò la fine della mia pazienza e
dell'attesa: mi fiondai sulle sue labbra, cogliendolo appena
impreparato ma si lasciò andare quasi subito,
assecondandomi.
Era tutto molto lento, molto profondo: non c'era la delicatezza del
bacio del buongiorno o la passione travolgente che anticipava il sesso.
Era più che altro il bisogno... il disperato bisogno di
sentire
che fosse reale, che fosse di nuovo lì al mio fianco e che
non
fosse cambiato nulla. E lui c'era.. rispondeva al mio bacio e la sua
mano scivolava di nuovo morbidamente tra i miei capelli facendomi
gemere per la soddisfazione. Quella sensazione era pazzesca: mi sentivo
come inebriato, quasi drogato, e la cosa migliore era che la
lucidità ci fosse ancora tutta e fosse lì, pronta
ad
analizzare ogni momento e ogni emozione e restituirmela per intero,
quasi amplificandola. Era esattamente ciò che in quelle
ventotto
ore mi era atrocemente mancato.
Ci staccammo qualche bacio e qualche sospiro più tardi, con
il
respiro accelerato e forse un po' di paura in meno. Mi ritrovai a
stringerlo a me, ad aggrapparmi al suo corpo quasi fosse la mia unica
speranza di sopravvivenza e chiusi per qualche istante gli occhi.
Dovevo godere a pieno di quel calore ritrovato, dovevo dimenticare
tutte quelle brutte sensazioni che mi avevano tormentato durante quelle
ore e dovevo ricordarmi quanto fosse bello sapere di essere amati in
quel modo.
Come un contenitore che
viene riempito...
"É davvero tanto grave la situazione tra tua sorella e suo
marito?" gli domandai ad un tratto, mentre posavo il mento sulla sua
testa e stringevo ancora. Lui emise un leggero lamento
"Abbastanza. Matt sembra... così convinto che il divorzio
sia
l'unica soluzione. Ho tentato di parlargli.. mia madre ha tentato di
farlo ragionare.. mio padre avrebbe semplicemente voluto rompergli la
testa. Ma per il momento.. non sembra aver cambiato idea." rispose
aggrappandosi alle mie spalle e stringendo a sua volta
"Posso provare a parlarci io. Magari minacciandolo..." la sua risata
riuscì a riempirmi lo stomaco
"Idiota." borbottò, strofinando la guancia sul mio collo,
quasi
fosse un gatto e stesse facendo le fusa. Sorrisi a mia volta, e provai
a tornare serio
"Io penso sia semplicemente paura la sua. Si sarà sentito...
schiacciato da qualcosa.. magari per il lavoro o per qualche
discussione che non è stato capace di affrontare. Le persone
a
volte sono così fragili. Basta un niente e crollano a terra
come
un castello di sabbia." Esattamente
ciò che hai fatto tu, o ciò che ho fatto io
"Forse ha solo bisogno di tempo e di riscoprire l'amore che lo lega a
tua sorella: otto anni non si buttano al vento così e
nonostante
tua sorella sia una vera rompicoglioni.. non credo che lui sia disposto
a rinunciare a lei in questo modo." la sua testa scattò
indietro
e mi lanciò un'occhiata di fuoco, velata da un leggero
strato di
divertimento
"Mia sorella non è una rompicoglioni!" si lamentò
tirandomi poi un pugno sulla spalla. Le mie labbra si incurvarono in un
sorriso spontaneo
"Mmm.. forse un po'... ma lo dico con affetto, giuro!" mi difesi mentre
lui continuava a colpirmi, fingendosi offeso
"Se non fosse stato per lei tu non mi avresti mai trovato." mi fece
notare tra un pugno e l'altro. Gli ultimi due riuscii a schivarli,
bloccandogli entrambi i polsi
"Sì... questo è vero..." mormorai con ancora il
sorriso
sulle labbra per poi spingerlo di nuovo addosso a me e tornare ad
abbracciarlo esattamente come prima. Lui non si oppose minimamente: si
lasciò andare ad un mezzo sospiro per poi aggrapparsi alla
mia
camicia e rimanere lì. Venni circondato immediatamente da un
calore meraviglioso ed indescrivibile, lo stesso che da due anni
riusciva a farmi sentire bene, completato e felice. Lo stesso che avrei
voluto tenere stretto a me per il resto della vita.
In un modo o
nell'altro...
"Ho rovinato il nostro anniversario." piagnucolò
leggermente,
strofinando ancora la guancia sul mio collo. Strinsi appena la presa
attorno alle sue spalle, colpito da quelle parole
"Non hai rovinato niente!" assicurai con fermezza e ne ero davvero
sicuro, non lo dicevo soltanto per farlo stare meglio "Lo hai solo reso
più.. movimentato, ecco." e provai a metterla sul ridere,
per
mia fortuna riuscendoci. Con la punta del naso percorse tutta la linea
del mio collo - Bontà divina - annusandomi spudoratamente,
per
poi tornare a guardarmi e sorridermi
"E pensare che.. era iniziato così bene." mormorò
con un sospiro sognante, riferendosi ancora al giorno precedente
"Sì.. in effetti la Polinesia ha suscitato molto interesse!"
lo
provocai di proposito, sperando in una reazione che mi confermasse il
fatto che le acque si fossero calmate del tutto. Mi lanciò
un'occhiata furbetta per poi posare le labbra sulle mie e rubarmi un
piccolo bacio
"Non parlavo solo del viaggio." disse infatti e il mio stomaco si
contrasse all'istante. Non parlava del viaggio... non parlava del
viaggio...
"Ah no?" domandai piegando la testa di lato e avvicinando
pericolosamente le labbra alle sue senza mai sfiorarle. Lui scosse la
testa leggermente, limitandosi a quello senza neanche parlare ma me lo
feci bastare; mandai di nuovo al diavolo l'autocontrollo e mi
riappropriai di quelle labbra, perché le volevo da morire,
perché mi erano mancate terribilmente - mi era mancato lui!
-
perché era giusto così, perché erano
mie. E persi
il conto di tutto, perfino dei minuti che scorrevano, prestando la mia
più completa attenzione alle sue labbra che scivolavano
sulle
mie, alla sua lingua che mi accarezzava e mi viziava, alle sue mani
strette sulla camicia, al suo sapore, al suo respiro accelerato e a
volte interrotto, al suo profumo.. ovunque. E forse fu proprio per
quello che non capii il senso di ciò che disse poco dopo
"Sì.." soffiò tra un bacio e l'altro, quasi con
trepidazione
"Sì... cosa?" domandai
"La risposta alla tua domanda..." rispose, poggiando la bocca vicino al
mio orecchio ed accarezzandomi quel tratto di pelle solo con le labbra
dischiuse. Aggrottai la fronte confuso. Mi mettevo a fare domande e non
me lo ricordavo neppure? Stavo iniziando seriamente a perdere colpi.
"Quale dom..." ma le parole mi morirono in gola mentre la mia solita
fedele lampadina si accese all'improvviso nella mia testa, illuminando
tutto. Avvertii chiaramente un suo sorriso premere contro la mia pelle
e quello mi bastò per capitolare del tutto
Oh...
Lo scostai da me per poterlo guardare negli occhi e capire se quello
che avevo capito fosse esattamente ciò che avrei dovuto
capire
"Stai... sei... Gesù..." ma ovviamente, figurarsi se le
parole
decidessero di venire fuori con un preciso senso logico. Lui si morse
nuovamente il labbro - no, vi prego.. basta - ma sorrise, illuminandosi
in maniera quasi accecante davanti ai miei occhi
"Sebastian." mi chiamò lentamente, circondandomi poi il viso
con
le mani e posando le labbra sulle mie per qualche secondo. Bocca contro
bocca. Respiro contro respiro. Amore, amore, amore.
"Sì.. ti voglio sposare!"
New York City.
Ore 10.23 A.M. 03 Giugno 2012 (Domenica)
Cazzo. Era
quella la prima
parola alla quale avevo pensato quella mattina quando Margareth, la
segretaria di Fabray, mi aveva chiamato sul cellulare - svegliandomi! -
per chiedermi di raggiungere urgentemente l'avvocato. Era
stato
fissato un incontro preliminare con un cliente importante e a quanto
pareva era possibile farlo soltanto di Domenica. Fanculo... fanculo
Margareth, fanculo Fabrey e fanculo pure il cliente importante. La
Domenica era sacra ed io davvero non capivo cosa ci fosse di tanto
urgente che non potesse neanche aspettare al giorno successivo.
"Magari è un attore che deve divorziare dalla moglie
modella!"
azzardò Daniel mentre mi passava una tazza di
caffè. Gli
lanciai un'occhiataccia di fuoco
"Me ne infischio... può essere anche Obama in persona...
devono
sapere di avermi appena rovinato la giornata e fatto particolarmente
incazzare." borbottai. Lui mi rivolse un sorriso dolce per poi
avvicinarsi a me e circondarmi il collo con le braccia
"Non fare il solito brontolone. Lo sai che quando si tratta di lavoro
noi non possiamo farci nulla." mi ricordò, accarezzandomi la
nuca e mandandomi in estasi
"Certo.. peccato che la tua Domenica non sia stata rovinata da.." ma
non riuscii a finire di parlare, perché le sue labbra furono
sulle mie e trovai un ottimo motivo per smetterla di lamentarmi. Il
bacio durò troppo poco per i miei gusti ma alla fine trovai
il
suo sorriso ad attendermi, che mi fece scalpitare il cuore nel petto
"Facciamo così... tu vai da Fabray e risolvi questa
situazione.
Io intanto penso a come fare per... far finire in bellezza questa
giornata tanto pessima." mi disse con un accenno di malizia ma anche
con un leggero strato di emozione che lì per lì
non
riuscii a decifrare. Mi limitai a cogliere il lato sensuale della cosa
e accettai finalmente il mio gravoso compito, abbandonando il mio
confortevole appartamento e la prospettiva di trascorrere tutta la
giornata a letto con il mio ragazzo, per dirigermi verso il luogo
dell'appuntamento.
Da quando Daniel era ritornato a casa, dopo quella strana parentesi, le
cose erano notevolmente cambiate: la prima cosa che avevamo fatto,
varcata la soglia di casa era stata recuperare l'anello dalla scatolina
di velluto e finalmente metterglielo al dito. No, quella era stata la
seconda, perché la prima aveva riguardato la nostra camera
da
letto. Comunque, alla fine quell'anello era andato esattamente nel
posto giusto e la mia proposta era stata accettata, anche se con un
giorno di ritardo. Daniel aveva perfino preteso una dichiarazione
d'amore che io mi ero rifiutato categoricamente di fargli usando la
scusa che non se la sarebbe affatto meritata. Ovviamente
scherzavo
e ovviamente lo capì anche lui perché invece di
mettermi
il broncio oppure offendersi, il momento dopo era già
nuovamente
addosso a me, per il secondo round. Non avevo detto a nessuno quello
che avevamo deciso di fare - anche se un messaggio a Blaine, per
assicurargli che tutto si fosse risolto, lo avevo mandato e avevo
perfino richiamato Dianna per ringraziarla di tutto - ma soprattutto
non avevamo parlato di date. Era stato già un passo
importante
decidere di farlo... magari con calma sarebbe anche arrivato il momento
per decidere dove e quando.
Arrivai allo studio circa mezz'ora dopo trovando tutto chiuso. Con un
certo fastidio richiamai Margareth che per fortuna rispose dopo due
squilli
"Pronto?"
"Mi stai prendendo per il culo, vero?" l'aggredii facendo avanti e
indietro per il piano davanti alle porte dell'ascensore
"Ma chi..." si bloccò prendendosi alcuni istanti per poi
chiedere "Sebastian... sei tu?"
"Chi vuoi che sia?" abbaiai ancora "Mi hai buttato giù dal
letto
stamattina dicendomi di andare in studio per un caso importante e ora,
arrivo qui e sai cosa ci trovo? Un fottuto niente!" mi presi perfino la
libertà di gridare perché tanto su quel piano
c'eravamo
soltanto noi e visto che era tutto chiuso, nessuno si sarebbe
scandalizzato. Dal telefono arrivò uno strano rumore e anche
un
mezzo verso, che sembrò una specie di risata trattenuta
Non ci posso credere...
"Mmm... ti ho detto in studio? Cavolo devo essermi confusa... in
realtà l'appuntamento con quel cliente è
nell'albergo
dove alloggia." cambiò versione, fingendosi affranta.
Strinsi il
pugno e per poco non colpii il muro al mio fianco. Stava scherzando..
non c'erano altre spiegazioni
"Margareth..."
"Hilton Hotel!" esclamò allora. Se avessi potuto l'avrei
mandata
al diavolo e me ne sarei ritornato a casa dal mio ragazzo - il mio
promesso sposo - se solo non fosse stato per il fatto che lì
c'entrava anche Fabray e mettersi contro il capo non era una cosa molto
intelligente da fare
"Quale? Ce ne saranno almeno dieci qui a New York." mi lamentai,
premendo il tasto dell'ascensore
"Uh hai ragione... aspetta... Midtown." specificò.
"Fantastico.. esattamente dall'altra parte della città.
Grazie mille." borbottai entrando nella cabina
"Dovere!" e mise giù, decisamente troppo euforica per i miei
gusti. Si vedeva che la sua Domenica non era stata rovinata e poteva
tranquillamente godersela in compagnia di suo marito e dei suoi tre
figli. Io invece ero costretto a girare per la città come un
idiota, consumando della benzina che lo studio non mi avrebbe mai
rimborsato e cercando di mantenere la calma. Era difficile, molto
difficile. Volevo tornare a casa dal mio Daniel, volevo godermi un po'
di tranquillità, volevo perdermi ancora nei suoi occhi e
ripetergli all'infinito quando lo amavo. E invece...
Maledetto Fabray.. un
altro buon motivo per mandarti al diavolo da aggiungere alla lista...
Arrivai a Midtown esattamente settantatré minuti dopo,
imprecando contro il traffico cittadino che mi aveva tenuto bloccato
per venti minuti buoni su uno dei ponti di accesso per Manatthan.
Quella città era un vero inferno e più passavano
gli
anni, più sentivo la mancanza della tranquillità
e della
semplicità di Westerville. Anche se... non l'avrei mai
barattata, non sarei mai tornato indietro. L'Ohio non era uno Stato
adatto a me e poi... New York mi aveva regalato tutto ciò
che
potevo desiderare: il lavoro, la serenità economica, un
bell'appartamento ma soprattutto.. un bellissimo ragazzo con gli occhi
color del cielo, che in quel momento probabilmente mi stava
organizzando una serata romantica e con il quale avrei passato poi il
resto della mia vita.
Dio, se davvero esisti..
fai passare in fretta questa giornata.. ho bisogno di tornare da lui...
Entrai all'Hilton tutto trafelato e soprattutto con i nervi in allerta,
pronti a scattare da un momento all'altro. Sarebbe bastato anche una
piccola parola sbagliata e... boom sarebbe scoppiata la guerra. Mi
avvicinai al bancone della reception dove una ragazza con i capelli
ricci e rossi era impegnata a sistemare delle chiavi alla parete
numerata
"M scusi.." richiamai la sua attenzione e lei si girò con un
sorriso cordiale sul volto che vacillò appena vedendomi.
Arrossì leggermente ma recuperò immediatamente la
sua
professionalità
Eh.. il fascino made in
Smythe...
"Buongiorno signore e benvenuto all'Hilton Hotel.. cosa posso fare per
lei?" mi domandò drizzando la schiena
"Sto cercando l'avvocato Fabray. Abbiamo un appuntamento con un cliente
qui nel vostro albergo e credo che entrambi mi stiano già
aspettando." le dissi stordendola con un sorriso. Tanto valeva
divertirsi un po'. Recuperò il registro da sotto il bancone
e
fece scorrere il dito lungo una colonna per poi accigliarsi
"Mmm... mi dispiace signore ma qui non c'è nessun avvocato
Fabray." mi informò visibilmente dispiaciuta
Che.. cosa?..
"Controlli meglio... deve esserci per forza!" insistetti, non volendo
credere che Margareth mi avesse seriamente preso in giro fino a quel
punto. Avrebbe rischiato il linciaggio, poco ma sicuro. La ragazza
ricontrollò l'elenco e poi scosse la testa. Maledizione, non
era
possibile. E tra l'altro quella stupida non mi aveva neanche detto il
cognome del cliente altrimenti avrei potuto chiedere di lui e invece...
mi ritrovavo a bocca asciutta ad un passo dall'esplodere sul serio.
Poggiai i gomiti al bancone, cercando di mantenere la calma. Dubitavo
fortemente che una donna tanto professionale come Margareth potesse
tirarmi uno scherzo del genere, non era da lei e soprattutto sapeva che
non ero il tipo per certi giochetti. Quindi l'appuntamento c'era
bisognava solo trovare il modo per capire come fare. Provai ad
aggrapparmi ad una piccola speranza, sollevando lo sguardo e puntandolo
in quello della ragazza che arrossì ancora
"Provi a... vedere se per caso c'è il nome Smythe...
Avvocato
Sebastian Smythe." ritentai, mentre lo sconforto iniziava a stringermi
lo stomaco. Lei riprovò davvero e quella volta ebbe una
stana
reazione: il suo dito si bloccò a circa metà di
quell'elenco, risollevò gli occhi e spalancò
leggermente
la bocca
"Oh..." si lasciò scappare
"Cosa?"
Ti prego, dimmi che hai
trovato l'avvocato e quel dannato cliente.. ti prego...
"Mi scusi... non sapevo che.. fosse lei." si scusò,
arrossendo ancora
"Eh?"
"Guardi.. segua questo corridoio alla sua destra dopodiché
prenda le scale. Prima porta sulla sinistra." mi spiegò per
poi
rivolgermi un sorriso cordiale. Le lanciai un'occhiata preoccupata e
confusa - quella mattina doveva esserci qualcosa di veramente strano,
altrimenti non si spiegava come mai fossero tutti così
bizzarri.
Abbandonai il bancone con un sospiro, seguendo le indicazioni della
ragazza: percorsi per intero il corridoio elegante - e certo, eravamo
all'Hilton - fino ad imboccare la scalinata di marmo chiaro e arrivare
al primo piano dove ritrovai un altro corridoio più piccolo
con
quattro porte. Come mi era stato detto piegai a sinistra e aprii la
prima delle quattro, ricordandomi qualche frazione di secondo dopo che
forse avrei dovuto bussare e dandomi del cretino, mentre la spalancavo
con un solo gesto. Per mia fortuna, dietro quella porta non trovai
né Fabray
né tanto meno il cliente, perché forse dopo un
gesto del
genere e dopo quel disastroso ritardo sarei stato licenziato per
direttissima, tuttavia, qualcosa trovai e quel qualcosa ebbe il potere
di congelarmi sul posto e di togliermi completamente il respiro.
C'erano delle persone, tante persone.. circa una decina e in quel
momento erano tutte girate verso di me, mettendo fine a quel leggero
chiacchiericcio che mi aveva accolto dopo aver parto la porta. Ci fu un
lungo momento di silenzio, durante il quale la mia mente, invece di
suggerirmi di aver sbagliato porta, chiedere scusa ed andare via, mi
mandò uno strano segnale: mi fece capire che in un certo
senso
io quelle persone le conoscessi e che se mi fossi sforzato forse avrei
riconosciuto tutti, soprattutto uno di loro. Quella confusione
durò poco, in effetti, perché i miei occhi
vennero
attratti da qualcuno in particolare, fermo al centro della sala, che mi
guardava in maniera diversa rispetto a tutti gli altri. Ed io quegli
occhi li avrei riconosciuti ovunque, anche con tutta quella confusione
in testa
"Daniel..." mi scappò dalle labbra infatti e lui, dopo
avermi
stordito con un sorriso, mi raggiunse sulla porta, mentre tutti gli
altri continuavano a guardare verso di noi
"Ben arrivato!" mi salutò una volta che fu a mezzo passo da
me.
Io, ancora senza parole, mi girai di nuovo verso la sala dove riuscii
ad intercettare il sorriso di qualcuno e perfino un paio di occhi
dorati che mi scrutavano con attenzione. Provai a concentrarmi sul mio
ragazzo, ancora fermo davanti a me, ancora sorridente e provai a tirare
fuori qualcosa di sensato
"Cosa.. cosa sta.. succedendo?" gli chiesi, aggrappandomi con forza
alla maniglia della porta, sentendomi leggermente smarrito. Io lo avevo
lasciato a casa, nella nostra cucina, ancora in pigiama e con i capelli
sconvolti e lui invece dopo meno di due ore era lì davanti a
me,
sistemato in un elegante vestito nero ma con lo stesso identico
sorriso. E allora capii che quella strana espressione che gli aveva
colorato gli occhi quella mattina, non era soltanto desiderio o
attesa... era emozione..
emozione allo stato puro che in quel momento mi stava investendo, come
un'onda senza controllo.
"Succede che... non c'è nessun appuntamento con Fabray
né
tanto meno con un cliente facoltoso oggi." mi fece notare con un
sorriso divertito. E questo lo avevo capito anche da solo. "Succede
che... ti ho detto una bugia questa mattina ma era.. necessario.
Succede che.. queste persone sono tutte qui per noi perché
le ho
chiamate io." aggiunse indicando la sala dietro le sue spalle.
Tremò leggermente, mentre faceva un altro passo verso di me,
mi
afferrava la mano e stringeva forte
"Succede che ti amo alla follia... che ti ho sempre amato e che ti
amerò per il resto della mia vita." aggiunse mentre i suoi
occhi
brillavano appena e il mio cuore si stringeva ancora, quasi implodendo.
Mandai giù una manciata di saliva che rischiò di
farmi
affogare nell'esatto istante in cui lui pronunciò la frase
successiva
"Succede... che.. voglio sposarti.. e voglio farlo ora!" probabilmente
ero già svenuto in quel momento, o stavo per farlo. Seppi
solo
di aver spalancato gli occhi ed aver stretto ancora di più
la
maniglia fino a farmi male. Di aria nei polmoni ne era rimasta davvero
poca e perfino la saliva era finita: ero in uno stato semi-cosciente,
molto prossimo a rimanerci secco e forse sarei morto davvero se solo
Daniel non mi avesse tenuto stretto e non avesse cercato i miei occhi
per non permettermi di perdere la ragione. E quello aiutò
molto.
Voglio sposarti..
"Io..."
"Lo so.. è avventato.. è stupido..
è... senza
alcun senso logico ma.. non mi interessa. Da quando ti conosco non mi
interessa altro se non stare con te e ora... tu mi hai chiesto di
sposarti e io.. non vedo per quale motivo.. dovremmo aspettare se
è davvero quello che vogliamo entrambi." mi disse
leggermente
agitato, mentre continuava a stringermi la mano
E voglio farlo ora...
"Quindi ti prego, Bas.. dimmi che anche tu lo vuoi... dimmi che
possiamo fare questa pazzia insieme... dimmi che sei disposto ad
amarmi, rispettarmi e.. tutto il resto e sei disposto a farlo anche
adesso... ti prego." mi implorò con lo sguardo tormentato e
leggermente spaventato, avvicinandosi di un altro mezzo passo.
Ti prego.. ti prego.. ti
prego..
Un solo istante. Quante cose possono succedere in un solo istante? La
gente in così poco tempo può nascere,
può morire,
può conquistare il mondo e può perfino perdere
tutto. Io
in un solo istante feci ben tre cose diverse: ripresi a respirare,
riuscii ad innamorarmi appena un po' di più del mio Daniel
e...
"Sì... lo voglio." e sapevo perfettamente che non eravamo
ancora
sull'altare e nessuno ci aveva fatto la fatidica domanda eppure...
già pronunciarlo in quel modo faceva un certo effetto.
Daniel si
illuminò completamente, togliendomi la poca forza rimasta e
probabilmente sarei precipitato al suolo se lui non si fosse sporto per
abbracciarmi, sorreggendomi di conseguenza. Qualcuno nella sala
applaudì, non seppi per quale motivo, tanto che sentii
Daniel
ridacchiare nel mio orecchio dopodiché si staccò
da me,
mi porse la mano e disse
"Andiamo.. all'altare ti accompagno io." strizzandomi l'occhio.
Sposare due uomini era, secondo la legge della Chiesa, un atto impuro e
disonorevole. Sposare due uomini secondo la maggior parte dell'opinione
pubblica era abominevole. Sposare due uomini, per tutte quelle persone
lì dentro e per quel pastore di colore che ci attendeva
sorridente alla fine della sala, evidentemente era la cosa
più
giusta del mondo. E lo era anche per me... nella maniera più
assoluta.
Dopo aver percorso tutta la sala, improvvisata come la navata di una
chiesa, arrivammo all'altare e qui ritrovai di nuovo il paio di occhi
dorati che mi avevano intercettato e sorriso qualche minuto prima.
Daniel mi spinse verso di lui, mormorando qualcosa a proposito di una
cravatta mancante e così mi avvicinai a Blaine, non
riuscendo a
trattenermi dal fulminarlo
"Dovresti essere il mio migliore amico e invece... trami alle mie
spalle." lo accusai guardandolo malissimo. Lui scoppiò a
ridere
avvicinandosi e allungandosi poi per sistemarmi al collo una cravatta
blu - dello stesso colore di quella di Daniel
"Non lamentarti.. questa volta io non c'entro nulla. Ha fatto tutto
lui." mi spiegò indicando il mio ragazzo che continuava a
sorridere in attesa
"E fammi indovinare.. ora mi tocca anche averti come testimone?"
domandai con un leggero accenno di divertimento nella voce. Lui strinse
il nodo alla mia gola, rivolgendomi un sorriso complice
"Sì.. mi sa che ti tocca." rispose e quella notizia mi fece
sorridere contento "A meno che tu non abbia un'altra preferenza." finsi
di pensarci, lanciando un'occhiata alle altre persone in attesa,
soffermandomi su Kurt, che seguiva la scena già con gli
occhi
lucidi e su Dianna - maledetta! - che piangeva come una
fontana dall'altra parte dell'altare.
"No... penso che per questa volta mi accontenterò." concessi
con
un ultimo sorriso. Blaine ricambiò quel gesto, addolcendosi
appena per poi sporgersi verso di me e abbracciarmi
"Lo sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto, sarei stato profondamente
fiero di te." mi disse e ricordai quel discorso fatto sul terrazzo del
suo appartamento, quando ero ancora sommerso dai subbi e dalle
incertezze e lui ovviamente lo aveva capito, senza che io gliene avessi
minimamente parlato.
"Mmm.. io e te facciamo i conti dopo." lo misi in guardia divertito,
giusto per stemperare un po' di tensione. Sciolto l'abbraccio mi
lasciai scappare un profondo sospiro dopodiché mi girai di
nuovo
verso il pastore e verso Daniel che attendevano impazienti. Soprattutto
il secondo che allungò una mano, come un invito, e io quasi
corsi verso di lui per potergliela prendere e stringere di conseguenza.
Forse ancora non mi ero del tutto reso conto di cosa stesse accadendo
in quella sala, forse me ne sarei accorto solo dopo qualche ora a mente
fredda: sapevo solo che l'unica cosa reale lì dentro, fosse
lui.. lui che continuava a guardarmi come se fossi la cosa
più
bella che avesse mai visto - e facendomi sentire esattamente in quel
modo - lui che ogni tanto arrossiva, sorrideva, si mordeva quel dannato
labbro un po' per provocarmi un po' perché era troppo
agitato e
quello era il suo unico modo per scaricare; lui che a stento
riuscì a seguire le parole del pastore - come me del resto -
che
continuava a stringermi la mano, intensificando ogni qualvolta lo
facessi anche io. Lui. lui.. lui.. solo ed esclusivamente lui.
Ad un certo punto, quasi inconsciamente, feci vagare lo sguardo per la
sala, sorprendendomi di trovare delle persone che non mi sarei mai
aspettato: in prima fila, accanto a Kurt, c'era Margareth - la complice
ideale - con un fazzoletto stretto al petto e il labbro sporgente in un
evidente smorfia di commozione; c'era poi Matt, poco distante da Dianna
- che ovviamente era la testimone di Daniel - e dal piccolo sorriso che
mi indirizzò dovetti prontamente ricredermi sul suo conto,
forse
non era così restio nei confronti delle relazioni
omosessuali
era solo.. un po' meno espansivo rispetto agli altri. C'era poi Puck,
il proprietario del pub di Blaine assieme a Quinn, la figlia di Fabray
- Dio, fa che quello stronzo non venga mai a sapere che due dei suoi
sottoposti si stanno sposando a sua insaputa - poco distante Brittany e
la sua ragazza Santana e ancora i genitori di Daniel con la zia materna
che piangeva esattamente come Dianna, forse anche peggio. Ovviamente
dei miei genitori neanche l'ombra e non credevo dipendesse dal fatto
che Daniel non li avesse invitati; sapevo perfettamente il motivo per
il quale non fossero lì e forse.. in un certo senso era
stato
anche meglio. Loro non avrebbero capito e non avrebbero minimamente
meritato di condividere quell'emozione. Esattamente come avevo pensato
io, al nostro fianco Dan aveva voluto esclusivamente le persone che ci
volevano bene e che sarebbero state contente per noi. I miei genitori -
mio padre in particolar modo - probabilmente avrebbero solo rovinato
tutto.
Ritornai a concentrarmi esclusivamente su Daniel che in quel momento
arrossì ancora mentre il pastore diceva qualcosa a proposito
di
famiglie appena iniziate e di figli futuri che avrebbero portato
soltanto gioia e amore.
Oh mio Dio... figli...
ci avresti mai scommesso Sebastian?...
Sentivo il cuore battermi ad un ritmo preoccupante nel petto,
probabilmente stava per venirmi un infarto ma dovevo resistere.. dovevo
farlo per lui, per me, per il nostro matrimonio che doveva arrivare
fino alla fine, fino al fatidico sì.
Ti direi sì
miliardi di volte.. fino all'ultimo respiro...
"Dunque.. credo sia arrivato il momento delle promesse. Chi vuole
iniziare?" ci domandò il pastore, attirando la nostra
attenzione. Le promesse.. cazzo.
"Io non... ho scritto nulla. Non sapevo neanche di dovermi.. sposare
oggi. Altrimenti qualche riga l'avrei buttata giù." cercai
di
giustificarmi, ottenendo una risata generale nella sala, inclusa quella
del pastore e di Daniel. Quest'ultimo, stringendomi appena la mano
ottenne la mia attenzione e disse
"Non importa... non serve avere qualcosa di pronto.. basta lasciarsi
andare." e mi sorrise incoraggiante "Lascia che sia il cuore a parlare
al posto tuo!"
Lascia che sia il
cuore... lui sì che ha le parole adatte...
Presi un profondo respiro, riempiendomi i polmoni di aria nuova e
contando esattamente fino a dieci prima di sollevare di nuovo gli
occhi, puntarli nei suoi, così chiari ed impazienti e
innamorati
e incredibilmente belli e dal profondo della mia anima trovai le parole
da dirgli
"Fino a qualche anno fa ero... una testa di cazzo e se.. domandiamo in
giro, l'ottanta per cento dei presenti sarebbe pronta ad ammettere che
forse lo sono ancora. Senza il forse." dalla sala si alzò
un'altra risata alla quale si unì anche lui "Non ho mai
creduto
nel vero amore, nei sentimenti profondi né tanto meno alla
storia del per sempre. Credevo fosse qualcosa di impossibile, qualcosa
che non avesse neanche significato. Forse lo dicevo
perché...
non ne avevo mai sentito la necessità oppure la sentivo.. la
sentivo eccome ma non ho mai trovato il coraggio per ammetterlo. Poi un
giorno... come un fulmine in ciel sereno sei arrivato tu e... dire che
mi hai cambiato la vita sarebbe davvero banale e scontato.. tu la mia
vita l'hai fatta iniziare." gli dissi con il cuore in mano avvertendo
la voce cedere leggermente per l'emozione. I suoi occhi brillarono di
nuovo ma mi lasciò continuare "É stato come
svegliarsi da
un lungo letargo per scoprire che il mondo conservava davvero qualcosa
di bello e unico e speciale e quel qualcosa eri tu. Ora.. non so per
quale assurdo motivo né per quale sfacciata fortuna tu abbia
deciso di innamorarti proprio di me e di permettermi di amarti a mia
volta.. solo che... quello che provo e che mi fai provare ogni giorno
trascorso insieme è.. troppo bello, troppo prezioso ed io
non
posso assolutamente permettermi di lasciarmelo scappare. Tu sei
l'inizio della mia vita e sei anche diventato il mio perfetto per sempre."
presi un altro profondo respiro e infine aggiunsi "Ed è per
sempre che prometto di amarti, onorarti, rispettarti e proteggerti fino
alla fine dei miei giorni, fino a che avrò respiro e fino a
che
tu mi permetterai di farlo."
Alla fine, anche senza sapere come, la mia promessa l'avevo fatta, il
mio cuore aveva parlato ed era esattamente ciò che avrei
voluto
dire, anche se avessi avuto la possibilità di scriverlo su
carta
prima della cerimonia. La reazione di Daniel però fu
qualcosa di
indescrivibile: chiuse per qualche istante gli occhi, senza dire una
sola parola, per poi riaprirli qualche secondo dopo e stordirmi. Erano
bellissimi, pieni di parole ed emozioni e pieni di lacrime che
aspettavano solo di essere versate. E forse quel giorno glielo avrei
permesso e probabilmente lo avrei permesso anche a me, magari in
privato, quando nessuno avrebbe potuto vederci. Era il suo turno per
parlare ma dalla sua espressione commossa intuii stesse aspettando la
forza per farlo
"Daniel.. è il tuo turno." lo esortò il pastore
con un
gesto gentile. Si perse in un lungo respiro tremante, rivolgendomi un
sorrise che mi fece stranamente arrossire.
Mi sto sposando davanti
a tutte
queste persone nella sala ricevimenti di un lussuoso albergo
newyorchese e.. arrossisco se il mio ragazzo mi sorride...
"Forse non è stata una grande idea scriversi in anticipo il
discorso perché ora non... ricordo praticamente nulla.."
ridacchiò sconsolato suscitando una leggera risata generale
ed
un paio di sonori singhiozzi da qualche parte, probabilmente tra sua
madre e sua sorella.
"Lascia che sia il cuore a parlare al posto tuo." gli consigliai con un
sorriso che lui ricambiò all'istante, ancora leggermente
tremante. Ovviamente dovette mordersi appena il labbro prima di
iniziare definitivamente a parlare
"Quando ti ho conosciuto ammetto di averti profondamente odiato. Eri
arrogante, presuntuoso, spaccone e.. tremendamente fastidioso."
iniziò nascondendosi dietro ad un sorriso divertito che mi
fece
ridacchiare. Descrizione perfetta, avrei voluto dire, ma qualcuno
pensò bene di intervenire al posto mio
"Lo è ancora!" borbottò Blaine facendo ridere
tutti, me compreso
Questa me la paghi, nano
malefico...
"Se qualcuno mi avesse detto che... tempo due anni e saresti diventato
il centro del mio mondo.. probabilmente lo avrei ucciso con le mie
stesse mani. Eppure... contro ogni.. logica... lo sei diventato
davvero. Sei diventato il mio migliore amico, il mio appoggio, il mio
unico scopo, la mia più grande soddisfazione, il mio
tutto...
l'amore della mia vita. Sei riuscito a farmi amare tutti quei
bruttissimi difetti che ti ritrovi e sei perfino riuscito a farmi amare
i miei che forse sono perfino peggiori. Sei riuscito a farmi conoscere
un aspetto della vita che non avevo mai neanche preso in
considerazione, sei stato capace di sopportarmi e continui a farlo
ancora.. nonostante... tutto. Penso tu abbia la costante
possibilità di mandarmi via, di sbarazzarti di me eppure...
non
lo fai... e questo, credimi.. è davvero qualcosa che ogni
giorno
è capace di lasciarmi senza parole." sollevò
entrambe le
sopracciglia in una espressione di autentico stupore che mi fece
sorridere
"Io ho... pochi punti fermi nella mia vita.. uno di questi sei tu e
vorrei che continuassi ad esserlo per sempre... rimanendo esattamente
come sei e permettendomi di amarti oggi più di ieri e domani
più di oggi e permettendomi di essere per te tutto quello di
cui
potresti aver bisogno." la voce tremò appena, assieme alle
mie
gambe e al mio respiro. Era davvero difficile rimanere fermi
lì,
senza poterlo prendere e stringere a me, provare a dargli un po' di
forza, un po' di amore e prenderne a mia volta da lui perché
iniziavo seriamente a sentirmi male tanto era forte ciò che
sentivo. Quelle parole.. quelle magnifiche parole: era molto di
più di quello che mi sarei mai potuto aspettare e mai potuto
meritare.
Ti amo, ti amo... non
smetterò
mai di amarti.. smetterò di respirare, di sognare, di
vivere..
ma di amarti no... quello mai...
"Ed è per tutti questi motivi che io oggi prometto di
amarti,
onorarti, rispettarti e prendermi cura di te... fino alla fine.. ora e
per sempre." e quella volta davvero non seppi cosa mi trattenne
dall'avanzare e baciarlo, forse i singhiozzi di qualcuno che si erano
accentuati o il breve e spontaneo applauso che qualcuno aveva fatto
partire o forse le parole del pastore che ci invitò
finalmente a
prendere gli anelli. Erano bellissimi, dorati, poggiati su un piccolo
cuscino celeste che a turno sfilammo con delicatezza, baciammo e poi
sistemammo al dito dell'altro. La mia mano tremava quasi in maniera
preoccupante ma forse quello era davvero il male minore. Era niente
rispetto a ciò che sentivo esplodermi nel petto, alla
miriade di
sensazioni che mi pungevano la pelle, mi facevano fremere e non mi
permettevano neanche di stare fermo.
"E con i poteri conferitimi dallo stato di New York... vi dichiaro
ufficialmente... marito e marito." proclamò infine l'uomo
con un
sorriso trionfante e quello che esplose poco dopo fu un vero e proprio
applauso che per poco non fece venire giù tutto l'albergo.
Ma io
non riuscii neppure a sentirlo. Sentii solo le mani di Daniel - mio
marito, per la miseria - che si stringevano nelle mie, vidi solo il suo
sorriso che si allargava e si faceva ancora più bello,
avvertii
semplicemente la voglia irrefrenabile di baciarlo e alla fine.. lo
feci. Poggiai finalmente le labbra sulle sue per un morbido bacio di
unione che sanciva tutto quello che ci eravamo appena detti, promessi,
dati e augurati. Un bacio nuovo di due ragazzi che avevano lasciato
alle spalle tutto per ricominciare come una coppia sposata.. sposata
per davvero. Questo
dev'essere un altro sogno.. ma questa volta.. non voglio svegliarmi...
"Ti amo, Bas... ti amo da impazzire. Ora e per sempre."
"Ti amo anche io, piccolo mio
... ora e per sempre."
|
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Capitolo 49 *** Epilogo n°7 ***
Buonasera
a tutti... chiedo scusa per il ritardo (e quando mai XD) ma questa
volta la colpa è esclusivamente attribuibile a me e al fatto
che
non ami in maniera particolare la coppia di Tina e Mike.. che i loro
sostenitori non si offendano ma proprio non riesco ad immedesimarmi in
loro e per questo è venuta fuori questa cosa.. cortissima
rispetto agli altri epiloghi e soprattutto bruttissima... mi vergogno
quasi a pubblicarla ma mi rendo anche conto che non posso fossilizzarmi
su questo capitolo altrimenti questa storia non la chiudo
più XD
quindi se potete, perdonatemi e fatevi una rilettura della Seniel dopo
così cancellate i brutti pensieri che vi verranno leggendo
questo epilogo ^_^ dunque, vorrei precisare una piccola cosa... ho
notato che alcuni di voi non hanno capito bene cosa c'entrassero gli
epiloghi degli altri personaggi con la storia principale... diciamo che
lo scopo principale di questo progetto era inizialmente dare una fine
compiuta a tutta la storia, personaggi secondari inclusi
perchè
d'altronde anche loro avevano dato il loro contributo alla coppia
Klaine e quindi in un certo senso mi sentivo in debito con loro, volevo
che avessero tutti un happy ending.. e poi principalmente
perché
non è ancora chiaro nella mia testa se ci sarà o
meno il
seguito di questa storia quindi era bene mettere un punto definitivo (o
almeno per il momento) e chiudere ognuna delle situazioni lasciate
aperte.. ecco il perché degli epiloghi sugli altri
personaggi
benché fosse una storia Klaine.. ^_^ spero di essere stata
chiara e
come sempre vi ringrazio di vero cuore per le magnifiche recensioni (ho
voglia di rispondervi ma.. ç___ç non ho tempooooo
ç___ç me misera!) sappiate che le adoro tutte
dalla prima
all'ultima e che ogni volta mi date un po' di vita con le vostre
bellissime parole. Vi mando un bacio immenso e.. ci vediamo, spero
domenica, con la Wemma. Ciaoooooo
P.s. Era quella più difficile, ma è decisamente
l'immagine più bella di tutte... l'unica cosa che valga la
pena guardare in questo scempio di capitolo XD *___* more... grazie.
(Ovvio, la Seniel non ha paragoni ^^)
N.B. Pagina Fb (Dreamer91
)
Epilogo n°7
Tina & Mike
"Come una principessa"
New York City. Ore 11.12 A.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)
Quel giorno
il sole su
New York splendeva in maniera particolare. La Primavera era nel pieno
della sua meraviglia e i profumi che si sentivano tra le strade, oltre
ovviamente al solito opprimente smog, erano davvero bellissimi. Adoravo
camminare tra le bancarelle del marcato del quartiere tra frutta e
verdura tipiche di quel periodo, immaginando che tipo di nuovo piatto
poter creare e a chi proporlo. Peccato solo che, dopo essermi fatta
prendere dal più vivido entusiasmo, finisse tutto in un
nulla di
fatto per colpa del mio portafoglio perennemente vuoto e la
necessità di acquistare prima di tutto i beni di prima
necessità.
Era davvero assurdo ridursi a fare economia alla mia età,
con
una città del genere ai miei piedi solo che negli ultimi
anni
non me l'ero mai vista particolarmente felice sul punto di vista
finanziario. New York, per quanto bella e colorata, era una
città molto cara e per chi come me non riusciva a trovare
grandi
lavori, era davvero un problema sopravviverci. Volevo un bene
dell'anima a Rachel e alla piccola Lea ed era davvero un piacere per me
farle da baby-sitter una volta ogni tanto, ma quei pochi soldi che mi
dava non riuscivano di certo a cambiarmi la vita, né tanto
meno
avevo mai preteso qualcosa in più. Sapevo che anche lei non
avesse un lavoro e che mi chiedesse di tenerle la figlia esclusivamente
per farmi un favore, facendomi guadagnare qualcosa. Avevo portato il
mio curriculum in più di un negozio per fare la commessa, in
alcuni studi di liberi professionisti come segretaria e mi ero perfino
spinta nel quartiere di China Town, sperando che, trattandosi di
nazionalità simili, loro potessero aiutarmi, e invece quel
viaggetto fuori porta mi aveva solo convinta maggiormente del
fatto che avere tratti orientali, fosse la mia più grande
congiura. Se magari fossi nata prosperosa, con un bel sedere e con due
gambe chilometriche, forse non avrei avuto difficoltà a
trovare un bel lavoro.
Probabilmente è meglio avere integra la dignità a
questo punto...
Svoltai l'angolo della mia strada, stringendo le buste della spesa e
sbuffando leggermente per la fatica e per il caldo che iniziavo ad
avvertire sotto i vestiti. Avrei affrettato volentieri il passo per
arrivare prima a casa e buttarmi sotto la doccia, ma non ero nelle
condizioni fisiche ideali per farlo. Tanto valeva stringere i denti
ancora per qualche metro, tanto il portone del mio palazzo non era poi
tanto lontano. Si intravedevano già i quattro scalini e la
ringhiera
nera, la sagoma della moto di Blaine parcheggiata accanto al
marciapiede, l'alberello mingherlino e storto che spuntava dall'aiuola
accanto al palazzo, la limousine nera accostata ad un lato, il solito
gattone nero che soffiava aggressivo quando gli passavo accanto, il
solito... no,
aspetta un attimo. Limousine nera?
Quella volta il passo lo affrettai davvero perché,
nonostante
fossi una ragazza particolarmente discreta, era comunque un caso
eccezionale vedere una macchina del genere parcheggiata sotto il mio
palazzo. Non ne avevo mai vista una dal vivo e dovevo ammettere che
fosse particolarmente bella ed elegante. Era tirata a lucido e si
vedeva chiaramente quanto il proprietario ci tenesse all'apparenza. La
domanda che a quel punto mi sorse spontanea fu: per chi era quella
limousine? Per Kurt, che ormai era entrato nello sfavillante mondo
della moda e quindi magari avrebbe avuto bisogno di quella d'ora in poi
per muoversi? Di Blaine che invece aveva ottenuto un contratto
discografico per la sua bella voce? Per Rachel e Lea? Era di Finn che
voleva fare una sorpresa a queste ultime? Artie Abrams che, dopo non
essere uscito per mesi interi, si concedeva quel tipo di lusso?
Chiunque sia... fortuna
sua..
Proprio in quel momento, mentre passavo accanto alla macchina e mi
arrischiavo a dare un'altra occhiata all'interno - ovviamente era
dotata di vetri oscurati, figurarsi! - mi accorsi della figura
elegantemente vestita, poggiata alla carrozzeria dell'auto, con tanto
di cappello di servizio e occhiali da sole. Era l'autista, poco ma
sicuro e aveva tutta l'aria di essere lì in attesa del suo
passeggero. Gli rivolsi un leggero sorriso - un po' tirato, dovuto
all'invidia per chiunque fosse salito su quella macchina - per poi
avvicinarmi alle scale e tentare di recuperare le chiavi del portone,
senza posare per terra le buste. Ma in quel momento accadde qualcosa:
"Signorina Cohen-Chang?" a causa dello spavento, per poco non mi
scapparono le buste dalle mani. Mi girai leggermente, ritrovandomi il
tizio di prima, l'autista della limousine, con il cappello tra le mani
e un sorriso cordiale sul viso
"Uhm... sì?" esitai leggermente, chiedendomi cosa diamine
volesse quel tipo da me e soprattutto perché sapesse il mio
nome. Voleva per caso chiedermi qualche informazione? Voleva rapirmi e
poi uccidermi?
Guardo troppe puntate di
Criminal Minds..
Il suo sorriso si allargò leggermente e mi porse
la mano
"Il mio nome è Taylor, signorina. Stia tranquilla, la prego.
Non
è mia intenzione spaventarla né tanto meno farle
del
male!" mi avvertì portando le mani in avanti per
giustificarsi.
Il mio cuore rallentò appena i battiti: beh, almeno non era
un
maniaco.
Sveglia Tina... i
maniaci non andrebbero mai in giro con una macchina del genere...
"Posso esserle d'aiuto in qualcosa?" domandai incuriosita, lanciando
un'altra occhiata inquieta verso la limousine nera e lucida. Taylor si
rimise il cappello in testa ed indicò con un cenno l'auto
"Sì... in realtà dovrebbe seguirmi, se non le
dispiace." rispose con molta tranquillità.
Eh?...
"Eh?"
"Sono stato incaricato dal mio capo di venirla a prendere sotto casa
per portarla da lui. Ci attende nel suo studio." spiegò, per
niente infastidito dalla mia titubanza. Era stato incaricato di venirmi
a prendere? Portarmi nel suo studio? In limousine? Il suo capo?
"Mi scusi... si può sapere chi... è che la
manda?" gli
chiesi confusa, con le guance che andavano leggermente arrossandosi per
lo sforzo e il caldo. Le buste della spesa ancora pesavano tra le mani
ed io tergiversavo in quel modo invece di girare i tacchi e tornarmene
a casa. Lui sorrise ancora, un sorriso smagliante, un sorriso di chi sa
di avermi già convinta a prescindere da tutto. E quello che
mi
disse dopo, ebbe il potere di farmi arrossire ancora di più
e
farmi perdere la presa attorno alle buste
"Il signor Michael Chang Jr!"
New York City. Ore 11.45 A.M. 09
Maggio 2012 (Mercoledì)
Ogni bambina al mondo con un po' di sana immaginazione, deve
necessariamente essersi chiesta cosa si provi a sentirsi delle
principesse. La carrozza con i cavalli, il cocchiere ad accompagnarla
al ballo, il vestito elegante, le scarpe di cristallo - che si spera di
portare integre fino alla fine e non perderle da nessuna parte - e
quella piacevole agitazione che stringe lo stomaco, ma tutto sommato
messa da parte dalla gioia dovuta al pensiero del principe azzurro che
aspetta, al di fuori di quella sala addobbata, con il sorriso
innamorato e la speranza di un futuro sereno da condividere. Ebbene,
ero stata bambina anche io ed avevo sognato le stesse identiche cose
anche se, crescendo, quelle cose mi erano sembrate stupide ed insensate
e avevo capito che fosse decisamente più importante arrivare
alla fine del mese, piuttosto che sperare di calzare bene la scarpina
di cristallo.
Eppure... una sorta di cocchiere quel giorno era seriamente venuto a
prendermi sotto casa, e mi aveva fatta accomodare in una carrozza -
molto più comoda, molto più lussuosa, decisamente
più moderna - e mi stava portando in un luogo misterioso,
nel
quale avrei potuto trovare il mio principe, o al massimo la matrigna
cattiva che con una risata mi avrebbe rispedita a casa. Sinceramente
non sapevo cosa sarebbe stato più sbagliato augurarsi.
Michael Chang... ancora mi veniva da arrossire soltanto nel sentire
pronunciare quel nome: avevo conosciuto quell'uomo disinvolto ed
elegante al party organizzato in onore di Kurt e Blaine a casa di
quest'ultimo, dato che era stato il capo di Kurt prima che questo
vincesse il concorso di moda. In realtà quella non era stata
la
prima volta in cui lo avevo notato: anche durante la sfilata, lui
c'era... era tra i giudici e con grande sorpresa ed imbarazzo mi ero
vagamente resa conto di come i suoi occhi si fossero fatti
più
intensi, mentre sfilavo su quella passerella con il mio abito scollato
sulla schiena, cercando di non sorridere troppo, di non correre, di non
inciampare. Ed era stata in quell'occasione che i suoi occhi scuri si
erano posati su di me, facendomi sentire vagamente una principessa,
benché non ne avessi minimamente l'aspetto. Anche in quel
momento, mentre ero compostamente e timidamente seduta su quel sedile
di pelle della limousine nera, mi sentivo un po' regale... immaginavo
cosa pensassero da fuori, vedendo sfilare una macchina del genere -
nonostante a New York capitasse non di rado - e magari qualcuno avrebbe
perfino provato a sbirciare all'interno chiedendosi quale attrice,
quale cantante o quante modelle ci fossero all'interno. Peccato che in
ogni caso avrebbero sbagliato previsione: in quella macchina tanto
elegante, c'era una ragazza niente affatto speciale, molto anonima in
realtà, con nessun talento e con pochissime speranze per il
futuro. Ero un po' l'emblema della società moderna,
così
strana e precaria, e sapevo anche che molti si sarebbero potuti
rispecchiare in me, piuttosto che nelle modelle o nelle attrici. Dunque
nessuna principessa, nessun ballo reale, nessun vestito sontuoso.
Semplicemente una qualsiasi Tina Cohen-Chang e un qualsiasi Michael
Chang Jr... oddio.. lui non era affatto uno qualsiasi, anzi.
Era un uomo interessante, posato, educatissimo, molto raffinato e
tranquillo nel suo modo di fare. Nonostante fosse un uomo palesemente
ricco e molto, molto importante, durante la festa non era sembrato
affatto seccato di rivolgermi la parola: era stato molto naturale,
molto disteso e soprattutto era stato capace di mettermi a mio agio con
poco, lasciandomi parlare molto e sorridendo davvero spesso.
E che bel sorriso che
aveva....
Scossi la testa energicamente, sentendo di nuovo le guance arrossire:
che diavolo mi mettevo a pensare? Fantasticavo su un uomo che neanche
conoscevo? Certo, era molto affascinante, ben vestito, educato,
cortese, un uomo di altri tempi ma... era pur sempre uno sconosciuto e
nonostante avesse mandato una macchina - una limousine, Tina - a
prendermi sotto casa.. rimaneva tale.
Mi ero chiesta più volte, mentre la macchina percorreva le
strade trafficate di New York, cosa volesse Michael Chang da me. Certo,
quella sera avevamo parlato tanto ed eravamo stati molto bene, ma
addirittura pensare di rivedersi... mi sembrava davvero bizzarro. A
dirla tutta non ricordavo neppure cosa ci fossimo detti di preciso alla
festa, tanta l'euforia e la gioia che provavo per Kurt, quindi non
riuscii a formulare nessuna ipotesi concreta se non il... no, non
dovevo farlo, non dovevo illudermi inutilmente. Il principe non
esisteva ed io dovevo farmelo entrare bene in testa una volta per tutte.
La macchina si fermò una decina di minuti più
tardi in un
quartiere che non conoscevo, un quartiere che pareva molto essere un
centro direzionale, o comunque un business square: i grattacieli erano
particolarmente alti, le macchine che circolavano - poche in
realtà ed era strano per una città del genere -
erano di
lusso, esattamente come quella limousine, e c'erano pochissimi negozi,
molto raffinati di marche veramente famose. Eravamo in un quartiere
prestigioso, probabilmente dell'Upper Class, dato che non mi era parso
avessimo abbandonato Manatthan. Taylor spense il motore e come un
fulmine si avvicinò alla mia portiera per aprirla e tendermi
la
mano. Arrossii violentemente per quella galanteria inaspettata e
infatti trovai non poche difficoltà ad allungare la mia mano
per
stringere la sua ed uscire integra dall'auto. Avevo paura di inciampare
e fare una pessima figura, ma per mia fortuna non fu così.
Seguii l'uomo in divisa fino all'ingresso di un elegante grattacielo
interamente fatto in vetro e mi meravigliai non poco del fatto che
ignorasse completamente il concierge all'ingresso e si dirigesse
spedito verso l'ascensore, ma continuai a stargli dietro senza fiatare,
limitandomi a lanciare occhiate stupite in giro perché tutto
quel lusso esagerato era davvero... beh.. esagerato. Mi sentivo fuori
luogo in un posto così, temevo di combinare qualche danno,
di
inciampare e rompere qualcosa, magari perfino far arrabbiare qualcuno.
Quelle come me posti del genere li sognavano e forse neanche nei sogni
sarebbero stati così perfetti: il lampadario di cristallo,
il
tappeto rosso perfettamente morbido e pulito, i facchini con le divise
impegnati a portare a destra e a manca carrelli colmi di valigie e poi
c'ero io, con la mia insulsa gonnellina gialla, la mia camicia bianca
anonima, i miei stivali e l'espressione spaesata. Ma forse anche
Cenerentola prima dell'arrivo della fata aveva il mio aspetto. Magari
con un po' di magia, anche io sarei potuta migliorare e diventare
adatta per un luogo del genere.
L'ascensore - che ovviamente al suo interno aveva un addetto apposito
per pigiare i tasti! - ci portò fino al settantaquattresimo
piano e per me fu davvero una tortura attendere così tanto,
data
la mia leggera forma di claustrofobia e soprattutto la paura presa di
recente nell'ascensore del mio palazzo. Solo che lì non
eravamo
in una vecchia cabina malridotta e magari l'uomo in divisa che premeva
i tasti, sapeva anche qualcosa in meccanica e avrebbe potuto salvarmi
se fossimo rimasti bloccati dentro.
Nel caso.. chiamate Will
e Finn... loro sapranno come fare..
Arrivati al piano con un leggero e morbido tunf, le porte
automatiche
si aprirono su un lungo corridoio bianco e sobrio e mi preparai a
seguire nuovamente Taylor per sapere che direzione prendere e invece...
"Prego signorina Cohen-Chang... percorra il corridoio alla sua destra
fino alla fine. La porta in fondo è quella dello studio del
Signor Chang.. la sta già aspettando!" mi spiegò
sorridendomi di nuovo cordiale e mantenendo ferme le porte
dell'ascensore. Quella volta invece di arrossire sbiancai
completamente: che cosa significava percorra il corridoio? Dovevo...
andarci da sola?
"Lei non..."
"Mi spiace, ma ho del lavoro da sbrigare e poi devo riportare la
macchina al garage!" mi rispose, senza che io avessi formulato alcuna
domanda sensata. Tentai un'occhiata disperata, cercando di supplicarlo
e di fargli capire che non poteva assolutamente abbandonarmi
lì,
al mio destino, dopo avermi prelevata con l'inganno. Come minimo
esigevo un sostegno morale fino alla porta e magari perfino una mano
forte che avrebbe bussato al posto mio. Ma lui non sembrava
intenzionato a cedere e preferii uscire dalla cabina, senza infastidire
troppo l'altro uomo in divisa che ci guardava leggermente seccato.
Salutai Taylor con un piccolo cenno imbarazzato - e lui mi rispose con
un altro sorriso - e rimasi fissa nel corridoio, fino a che il piccolo
display sulla cabina non iniziò la rapida corsa verso il
pianterreno. Finalmente lanciai un'occhiata al corridoio davanti a me,
quello sulla destra come aveva indicato Taylor e per poco non mi sentii
male alla consapevolezza che, alla fine di tutto, ci sarebbe stato lui
ad aspettarmi.
La sta già
aspettando...
Mi imposi la calma mentre i piedi avanzavano da soli, guidati da una
strana forza misteriosa, uno davanti all'altro, ignorando completamente
le altre porte chiuse di quel corridoio e concentrandomi esclusivamente
sull'ultima, quella più grande, quella che sembrava quasi
risplendere di luce propria, quella che nascondeva un ipotetico
principe. Riuscii ad arrivarci integra, nonostante il cuore stesse
battendo a velocità sconsiderate e le mani avessero iniziato
a
sudare spropositatamente: tentai di sistemarmi velocemente, allisciando
con le mani i capelli e i vestiti, e maledicendomi mentalmente per non
essermi messa neanche un filo di trucco quella mattina. Ma d'altronde,
ero uscita per andare a comprare le banane e l'insalata, non di certo
per incontrare un uomo del genere. Per un momento pensai addirittura di
fare dietro front e scappare, magari prendendo le scale,
perché
davvero non riuscivo a trovare il coraggio neanche per bussare
figuriamoci per parlargli e fui davvero sul punto di farlo, quando
all'improvviso la porta si aprì e mi ritrovai davanti agli
occhi
la perfetta riproduzione dell'uomo elegante e raffinato - e bellissimo!
- che rimbalzava nei miei pensieri leggermente sbiaditi. Era
lì,
a meno di un passo da me e mi ritrovai immediatamente a pensare che i
miei ricordi non gli rendessero affatto giustizia.
"Oh... salve!" mi salutò, aprendosi in un sorriso allegro,
che
non aveva nulla a che vedere con quelli che mi aveva rivolto Taylor
fino a poco prima. Quelli dell'autista in confronto sembravano inutili
smorfie seccate. Ovviamente, neanche a pensarci, arrossii ancora
"S-s-sal-ve.." balbettai stringendo il tessuto della gonna, tanto per
aggrapparmi a qualcosa, con la speranza di non cadere. Lui si fece da
parte, indicando con un gesto ampio lo studio alle sue spalle
"Prego.. accomodati pure." mi disse gentilmente e solo in quel momento
mi ricordai che quella sera avevamo anche deciso di darci del tu e lui
mi aveva chiesto di chiamarlo Mike. Non Chang, non signore... solo
Mike. Annuii brevemente, abbassando gli occhi sul parquet scuro e
avanzai verso una delle poltrone di pelle, sentendo il suo sguardo
addosso. Trovarmi nella stessa stanza con lui fece un effetto che non
mi sarei mai aspettata: un conto era stato parlarci, attorniati da
altre venti persone ed un altro sarebbe stato in quel momento
intrattenere una conversazione soltanto con lui, senza altre
distrazioni, senza possibilità di fuga e senza neanche
sapere
per quale motivo fossi lì. Mi aveva fatta chiamare lui
quindi
immaginai che dovesse essere lui ad iniziare. E per mia fortuna, lo
fece davvero.
"É un piacere rivederti, Tina. Come stai?" mi
domandò,
prendendo posto accanto a me, sulla poltrona di fianco. Alzai gli occhi
sorpresa, perché non si era seduto alla sua scrivania... lo
aveva fatto accanto a me e in quel momento sembrava molto
più
un uomo comune vestito bene, che un importante e ricco industriale.
"Bene, grazie. Tu?" ignorai volutamente la prima parte della sua frase,
il fatto che gli facesse piacere avere di nuovo a che fare con me,
concentrandomi invece sulla domanda che era molto semplice e molto poco
compromettente. Per poco, però, il sorriso che mi rivolse
non mi
fece collassare sul pavimento
"Non posso lamentarmi." e chissà per quale motivo
ridacchiò. Strinsi le mani in mezzo alle ginocchia e tentai
un
sorriso, che mi uscì fuori timido ed impacciato, ma lui
evidentemente lo prese per buono perché ne
approfittò per
sporgersi leggermente verso di me, poggiando i gomiti sulle ginocchia
"Ti sarai chiesta come mai ti ho fatta venire qui." mormorò
squadrandomi per bene, leggermente curioso. Avrei voluto fargli
presente che non c'ero arrivata con le mie gambe, mi aveva mandato una
limousine con tanto di autista incorporato, quindi non era il caso di
sentirsi così in colpa. Ma non lo feci. Mi limitai ad
annuire e
a far trasparire un po' di quella curiosità che in fondo
sentivo
agitarmi dentro.
"Avrei una proposta da farti!" esclamò risoluto, facendomi
sgranare gli occhi.
"Una.. proposta?" ripetei e senza alcun motivo preciso, mi ritrovai ad
arrossire. Lui annuì e sorrise ancora. Ma cosa avevano quel
giorno tutti quanti? Tutta quella voglia di sorridere da dove la
prendevano? Anzi... cosa si prendevano per sorridere così? E
soprattutto.. cosa mi voleva proporre Michael Chang Jr? Era una cosa
illegale? Era una cosa a luci rosse - oddio per piacere, Tina..
smettila! Era una presa in giro? Qualsiasi cosa fosse, mi aveva messo
addosso parecchia curiosità, tanto che mi mossi nervosamente
sulla sedia, in attesa di spiegazioni. Lui fece un profondo respiro,
lanciò un'occhiata al suo orologio da polso,
dopodiché,
neanche a dirlo, sorrise di nuovo
La prossima volta che lo
fai, mi viene un infarto...
"Ti andrebbe di pranzare insieme?" mi domandò allegro, come
se
quella fosse l'idea migliore di sempre. Rimasi un attimo spiazzata
perché non mi aspettavo una domanda così diretta
"E... sarebbe... questa la proposta che volevi farmi?" domandai
esitante ma lui scoppiò a ridere
"Ma no, certo che no! Era solo un'idea per poter discutere
più comodamente." mi spiegò divertito
Oh...
Bene, io e lui e pranzo insieme. Io e lui seduti allo stesso tavolo. Io
e lui a parlare di una fantomatica proposta che avrebbe dovuto farmi.
Io e lui in quale lussuoso ristorante di Manatthan. Io e lui... io e
lui... io e lui.
"Oh... ehm..."
"Se hai altro da fare, non c'è problema. Possiamo rimandare
a
stasera a cena o ad un altro momento.. dimmi tu!" tentò di
mettermi a mio agio, spiegandosi velocemente. Beh, la domanda era...
avrei voluto condividere con lui il pranzo o la cena? Di giorno o di
notte? Struccata e sciatta o perlomeno sistemata e curata?
"No, no... va bene anche ora!" concessi, sciogliendomi in un sorriso
che fu subito imitato dal suo. Solo che su di lui donava molto di
più
"Ottimo... davvero ottimo!"
New York City. Ore 01.03 P.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)
Le mie previsioni non si erano affatto avverate: Mike non mi aveva
portata in un ristorante di alta classe, né in un luogo in
cui
mi sarei potuta sentire una perfetta idiota nei miei abiti anonimi. Mi
aveva sorpresa, di nuovo, e lo aveva fatto con molta naturalezza. Mi
aveva portata da Burger King!
"Non sapevo che ai manager del tuo calibro piacessero... hamburger e
patatine!" constatai divertita, prendendo posto ad un tavolino libero.
Lui fece una mezza smorfia, allentandosi il nodo della cravatta
"É perché siete tutti prevenuti nei nostri
confronti.
Dopotutto.. siamo umani anche noi!" e mi strizzò l'occhio - oh
mio... - per poi poggiare la schiena al sedile imbottito.
Ci guardammo
per qualche istante e poi, senza neanche metterci d'accordo, scoppiammo
a ridere insieme.
"Seriamente... se preferisci andare in un ristorante più
prestigioso, non ci metto nulla a far venire l'autista e farci
accompagnare. Ovunque tu voglia!" esclamò appena
preoccupato, e
quella sua espressione, mi fece stranamente sorridere.
Ovunque io voglia...
"Scherzi? Non ricordo neanche quando è stata l'ultima volta
che
mi sono fermata in un posto così. Non lo baratto con nessun
altro posto!" esclamai con vigore, afferrando il menù
mangiucchiato su un lato e aprendolo sul tavolino. Lui
ridacchiò
ancora, per poi sfilarsi definitivamente la cravatta e conservarla
nella tasca della giacca. Senza quella, sembrava decisamente meno serio
e meno potente. Assomigliava molto di più ad un comune
mortale,
fermo a mangiare in un fast food.
Ordinammo alla cameriera - una ragazza bionda e magrissima che davvero
stonava con tutte quelle calorie che svolazzavano per il locale - ed
aspettammo in silenzio fino all'arrivo delle bibite,
dopodiché,
con in mano la sua coca light, Mike riprese il discorso iniziato nel
suo studio
"Spero che quello che sto per dirti non ti offenda... mi sentirei
davvero... in colpa." iniziò con un sorriso imbarazzato e da
un
uomo del genere, tutto mi sarei aspettata tranne quel tipo di
esitazione. Strinsi appena la lattina della mia aranciata, sempre
più curiosa
"Non preoccuparti... sentiti libero di dirmi tutto quello che vuoi." lo
rassicurai, mentre quel disagio iniziale che avevo avvertito appena
entrata nel suo studio, iniziava ad affilevolirsi. Forse era merito
suo, del suo modo di fare molto rilassante e disteso, o forse era
merito del posto in cui eravamo molto meno rigido e ufficiale del suo
studio. Però, qualsiasi cosa fosse successa, mi faceva bene
parlare con lui, acquistavo sicurezza e mi sentivo estremamente a mio
agio, esattamente come era successo alla festa.
Mike prese un profondo respiro per poi trovare finalmente trovare il
coraggio di dire
"Vorrei che lavorassi per me!" ed esattamente come era successo quella
mattina davanti al mio portone, quando Taylor mi aveva detto che
Michael Chang Jr voleva vedermi, sentii lo stomaco precipitare in basso
e rimbalzare, quasi facendo un rumore assordante che probabilmente
sentii perfino lui. Trattenni il respiro per precauzione, per evitare
che anche quello sfuggisse via e che mi lasciasse senza speranze di
replicare o almeno continuare a vivere. Con una notizia del genere, era
già un miracolo se ancora fossi dritta sulla schiena.
"Tu vuoi che... io... lav-ori... per te?" domandai sconvolta, ripetendo
esattamente le sue parole, per non sbagliare. Lui annuì
"Esattamente." confermò e le gambe mi tremarono appena tanto
che
dovetti stringerle forte e poggiare le mani sulle ginocchia
"Ho dovuto licenziare la mia segretaria personale perché si
erano sparse delle voci davvero sconvenienti su un'ipotetica relazione
clandestina che ci univa.. ovviamente tutte fandonie però..
ora
sono finito nei guai perché tutto il suo prezioso lavoro
sono
costretto a svolgerlo io e beh... non ho tanta dimestichezza con quel
tipo di cose!" e arrossì appena, quasi se ne vergognasse.
Beh,
aveva messo su un impero finanziario ed era uno dei nomi più
rispettati di New York nonostante la sua giovane età...
poteva
fare tutto tranne che vergognarsi. Mi sporsi leggermente verso di lui,
cercando di mettere a fuoco quello che stava dicendo
"E cosa... cioè... cosa dovrei fare esattamente in
qualità di tua... segretaria.. personale?" arrossii io
quella
volta, nel dire quell'aggettivo perché mi dava l'idea di
essere.. sì insomma molto intima come cosa. Lui
scrollò
le spalle
"Niente di eccessivamente impegnativo. Dovresti occuparti dei miei
appuntamenti, ricordarmeli ogni ora, rispondere al mio telefono, alle
mail, contattare i dirigenti sia della città che esteri,
organizzare i miei spostamenti, tener cura del mio ufficio quando sono
via e... se sei disponibile a farlo.. seguirmi nelle trasferte fuori
New York!" spiegò pratico, facendosi professionale e
abbandonando il rossore leggero. Oddio.. quante cose. Io al massimo
potevo rispondere al telefono, o almeno era l'unica cosa che per certo
sapevo fare. Il resto...
"Mi rendo conto che detta così.. su due piedi, possa
sembrare
una cosa azzardata e che ovviamente tu debba prenderti del tempo per
pensarci, valutare i tuoi impegni e magari... non so, da quando ci
siamo visti l'ultima volta ad ora potresti aver trovato un lavoro ed
io.. sarei
contento di questo e quindi la mia proposta sarebbe nulla ed io.. ti
ringrazierei ugualmente e mi limiterei ad offrirti questo panino oggi
e.."
"Perché io?" domandai a bruciapelo, espellendo finalmente
quella
domanda che mi premeva in gola. Lui bloccò il suo monologo
disordinato per guardarmi per qualche istante, con aria confusa
"Non capisco." mormorò
"Mike.. perché io? Perché lo dici proprio a me?"
insistetti, senza riuscire a capire. Sollevò un
sopracciglio,
mentre la cameriera portava i nostri panini e li lasciava sul tavolo
con uno sbuffo sonoro dato che nessuno dei due le aveva prestato
attenzione
"A chi dovrei.. dirlo? Tu mi sembri la persona più adatta
per un
ruolo del genere e poi... mi hai detto tu di essere in cerca di un
lavoro fisso e che ti garantisse un po' di tranquillità
economica... ecco, se è per questo, posso assicurarti che il
tuo
stipendio sarà.."
"No, non è per questo!" lo bloccai secca, anche se la parte
economica faceva molta gola, non faticavo ad ammetterlo. Ma
lì
il problema era un altro.
"Come fai a dire che sono la persona più adatta se non mi
hai
neanche mai chiesto cosa so fare? Tu non.. mi conosci neanche, non sai
che persona sono, non sai se ho le competenze necessarie, non sai
neppure se so scrivere una mail.. come fai ad offrirmi un lavoro del
genere, senza neanche avermi chiesto tutte queste cose?" domandai
sinceramente confusa e combattuta, dato che una parte di me, ignorando
i dubbi e la confusione, stava già ballando la conga in
stato di
estasi. Mike sospirò lentamente, forse capendo finalmente
dove
volessi andare a parare
"Non ho bisogno di farlo, credimi." mormorò con mezzo
sorriso
"Vedi, Tina.. conosco questo ambiente da parecchi anni e so
perfettamente cosa serva e cosa invece è bene evitare in
certi
casi. Da quel poco che ho avuto modo di conoscere in te, ho subito
capito che sei una persona leale, affidabile, sincera e onesta... che
sei estremamente discreta, che non ti salterebbe mai in testa di
approfittare della tua posizione per giocare un brutto scherzo al tuo
capo e che non ti monteresti mai la testa se non fosse necessario. So
anche che sei umile e che ora stai tentando in ogni modo di sminuirti
perché tutte quelle cose tu sai farle alla perfezione,
probabilmente molto meglio di quanto non abbia mai fatto la mia vecchia
segretaria. Sono una persona che va molto a pelle... mi hanno sempre
detto di avere la capacità di riconoscere le persone e di
farmi
un'idea esatta di queste già dalla prima occhiata e
credimi..
tutto ciò che di bene penso di te... l'ho pensato quella
sera a
casa di Kurt Hummel.. e lo penso ancora adesso in questo fast food."
disse con molta tranquillità, senza mai distogliere gli
occhi
dai miei. E mentre lui parlava, mentre elencava di me tutte quelle
belle cose, mi sentii come se stesse parlando di qualcun altro, come se
quella ragazza educata e rispettosa, fosse un'altra, che io non
meritassi tutto quello. Possibile che lui fosse riuscito, in una mezza
serata trascorsa a parlare di vere banalità, a capire come
fossi
fatta? Sì, in fondo nella maggior parte di quelle
caratteristiche mi ritrovavo davvero perché ero molto
discreta
per natura, ero affidabile ed onesta e difficilmente mi ero mai montata
la testa nella mia vita. Ma cosa principale... ero ancora alla ricerca
disperata di un lavoro.
"E se ti sbagliassi?" gli domandai pochi istanti dopo, avvertendo una
strana sensazione di disagio all'altezza del petto. In pochi istanti mi
ero ritrovata a preoccuparmi più di quello che avrebbe
potuto
pensare lui di me, piuttosto che trovare una spiegazione valida per
tutto quello che stava accadendo. Ed era strano in fondo avere paura di
deludere le aspettative di Michael Chang dato che continuava a rimanere
uno sconosciuto. Eppure... era esattamente ciò che avevo in
mente in quel momento.
Mike strinse le spalle e sorrise
"Amici come prima. Io mi cercherei un'altra segretaria e tu avresti una
referenza in più da aggiungere sul tuo curriculum." rispose
molto schietto e quella sincerità mi fece ridacchiare
leggermente "Ma credimi, Tina... so quello che faccio. Modestamente da
quando ho fondato la mia agenzia non ho mai sbagliato e questa volta
penso di andare sul sicuro con te." si sporse leggermente, posando i
gomiti sul tavolo e lanciandomi un'occhiata di sfida, seppure velata da
un leggero divertimento.
Cavolo, come si faceva a dire di no ad un'offerta di quel tipo? Lui mi
stava offrendo un lavoro - un signor lavoro, tra l'altro! -
praticamente su un piatto d'argento ed io titubavo? Cosa aspettavo a
dire di sì, ad alzarmi in piedi e saltargli al collo, a
ringraziarlo, a poggiare le labbra sulle sue che erano così
belle, a... prendermi finalmente la mia rivincita sul mondo? Certo
che.. lavorare con Michael Chang... rispondere al suo telefono, alle
sue mail personali, organizzare i suoi viaggi e magari partire con
lui... oddio... non riuscivo neanche ad immaginarlo. Avrei passato la
maggior parte della mia giornata al suo fianco, a stretto contatto con
lui, avrei potuto apprezzare meglio ogni angolatura del suo viso, avrei
potuto capire cosa lo facesse sorridere più spesso e quante
volte lo facesse con quella luce bellissima che gli colorava anche gli
occhi scuri, avrei potuto perfino innamorarmi di lui. Ecco, magari
questo sarebbe stato un tantino sconveniente ed era meglio evitarlo.
Altrimenti avrei fatto la stessa fine della sua vecchia segretaria.
Però.. l'idea mi allettava, mi allettava davvero molto!
"Allora... pensi che potrò avvalermi della tua preziosa
collaborazione?" domandò, dopo avermi lasciato qualche
istante
per riflettere. Non c'era molto a cui pensare in realtà: era
un
lavoro ottimo, lo stipendio doveva essere davvero eccezionale,
l'ambiente era tranquillo e poi.. lui. E infatti mi ritrovai, senza
neanche rendermene conto, a sorridere e ad accettare
"D'accordo ma... ad una condizione..." mormorai con un sorriso,
avvicinando il panino a me e sistemando meglio la carta per poterlo
mangiare
"Sarebbe?" domandò curioso, non riuscendo ugualmente a
contenere
la sorpresa e la contentezza per aver ottenuto un sì da
parte mia
"Che il pranzo oggi lo lasci offrire a me!" esclamai con un sorriso e
attesi, fino a che quella informazione non fosse immagazzinata nel suo
cervello e dalla sua bocca non uscì una meravigliosa risata.
Una
risata che ebbe il potere di farmi sentire incredibilmente bene. Ero
stata io a farlo ridere.
"E sia." concesse, recuperando il suo panino e scartandolo esattamente
come stavo facendo io. Mi lanciò uno sguardo furbetto per
poi
aggiungere "Vorrà dire che questa sera la cena la pago io."
"La...?" per poco non mi affogai con un pezzo di pane e lui rise
ancora, sempre più sciolto, sempre meno irraggiungibile,
sempre
più.. principe.
"Sempre che tu sia disponibile, è chiaro." mise di nuovo le
mani
avanti, forse interpretando male la mia leggera titubanza. Ma certo che
ero disponibile... ero disponibile sempre, anche di notte! Ok, di notte
magari no e di certo non avrei potuto rispondere in quel modo,
così tentai di mantenere la calma e di rispondere a tono,
mentre
il mio cervello affaticato tentava di passare in rassegna tutti i
vestiti che possedevo per trovarne uno adeguato per una cena con lui.
"Posso mai dire di no al mio capo?" scherzai agitando il mio panino e
quella fu davvero una mossa molto stupida perché una goccia
enorme di maionese scivolò giù dal pane e si
piazzò direttamente sulla mia gonna gialla.
Oh merda...
La risata di Mike mi distolse dalle imprecazioni mentali e dalla
eventualità di aver appena fatto una figuraccia, facendomi
sollevare gli occhi. Se la rideva, eccome se se la rideva, ma non
sembrava esserci il minimo accenno di cattiveria in lui, sembrava
più che altro estremamente divertito da una scena che
apparteneva alla normalità - alla mia di sicuro! - e dalla
sua
espressione sembrò quasi fosse una liberazione, quasi avesse
tentato per troppo tempo di sopprimere qualcosa e che finalmente questo
fosse venuto fuori. E allora non riuscii a fare a meno di unirmi alla
sua risata, ignorando la macchia e la cameriera di prima che ci
guardava davvero male, sentendomi immediatamente più leggera
e
assaporando quella piacevole sensazione che ti lascia la vita, quando
tutto inizia a girare per il verso giusto. E forse per me era
finalmente arrivato quel momento. Per quanto riguardava lui invece... il principe
lasciava il
suo rigido ambiente tutto perfetto con la ricerca della scarpetta
perduta, per rendersi conto di quanto la
vita di tutti i giorni fosse decisamente più divertente.
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Capitolo 50 *** Epilogo n°8 ***
Buon Pomeriggio
angioletti miei e buona Domenica a tutti ^^ lo so, sono passati trenta
giorni dall'ultimo epilogo, avete tutte le ragioni di questo mondo per
essere arrabbiati con me... solo che questo epilogo proprio non mi
piace.. l'ho scritto proprio per non deludere voi e perché
quando mi prefisso qualcosa voglio portarla a termine... diciamo che,
tolta una parte che mi è anche piaciuta, se fosse dipeso da
me l'epilogo sarebbe finito nel cestino, ma... mi sono stancata di
portarla troppo per le lunghe, voglio chiudere JaL per dedicarmi un po'
ai miei Seniel *__* dunque... vi ringrazio per l'affetto che continuate
a regalarmi, siete meravigliosi qui e anche nella pagina autore.. siete
davvero importanti per me ed io non mi stancherò mai di
dirvelo. Ci vediamo con l'ultimo epilogo, finalmente Klaine che ho
intenzione di strutturare diversamente rispetto ai precedenti, proprio
perché la Klaine è la coppia base della storia e
perché vorrei chiudere in bellezza ^^ quindi potrei anche
aggiornare molto prima di quanto non crediate... mettere fine a JaL fa
male, molto più di quanto potessi immaginare, solo che...
tutto finisce, ahimé.. anche le cose più belle
ç__ç me ne vado prima di affogare in un mare di
lacrime.. vi amo <3
p.s. Grazie a
Dan perché parte dell'idea me l'hai data tu :*
n.b. Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta Seniel ( Now
and Forever)
Epilogo n°8
William
& Emma
"Il
Dono più Grande"
New York City. Ore 04.54 P.M. 12 Giugno 2012
(Martedì)
Quando
ero
un adolescente
e tornavo a casa da scuola, venivo sempre
accolto dal profumo dell'ottimo cibo che mia madre cucinava, che mi
metteva inevitabilmente di buonumore ed era capace di farmi dimenticare
qualsiasi cosa, anche il solito litigio con il mio compagno di banco o
il richiamo ingiustificato da parte di un professore che ce l'aveva con
me. Io entravo in casa, annusavo l'aria e tutto andava meglio. Mia
madre mi accoglieva con uno splendido sorriso, mi baciava la fronte e
mi spediva in bagno a lavarmi le mani perché tanto era
già tutto pronto e l'unica cosa di cui mi sarei dovuto
preoccupare sarebbe stato addentare quello splendido cibo che
già troneggiava sulla tavola. Era un po' un rituale, una
nota
che si ripeteva ogni giorno, un punto fermo nella mia vita che mi aveva
accompagnato fino al mio penultimo anno di liceo. Poi tutto era
cambiato:
un giorno, tornando a casa come sempre, invece dell'odore di cibo e del
sorriso di mia madre, ad accogliermi non trovai proprio niente. Mia
madre non c'era, la tavola non era apparecchiata, il forno era vuoto...
già quello fu per me una sorta di presagio che mi
mandò
immediatamente nel panico. Soltanto dieci minuti più tardi
avevo
scoperto che mia madre si era sentita male, aveva avuto un ictus e non
c'era stato nulla da fare. In meno di dieci minuti la mia vita era
cambiata completamente: da essere rallegrata dalla gioia di tornare a
casa e trovarci lei ad aspettarmi, divenne solo solitudine allo stato
puro ed una cucina che ogni giorno sembrava sempre più vuota
e
triste. Rimasi solo a diciassette anni, dato che mio padre non
lo avevo mai conosciuto perché morto prima che io nascessi.
Rimasi a casa di un lontano parente fino al diploma
dopodiché
per mia fortuna volai fino a New York per studiare e laurearmi ed
iniziare la carriera di insegnante.
Il vuoto lasciato da mia madre era rimasto tale fino a quando, un
giorno per caso non avevo incontrato lei. Incontrato è
davvero
una parola grossa perché più che altro quel
giorno fra di
noi ci fu un vero e proprio scontro.
Io ero in bicicletta e mi stavo dirigendo
verso l'università dove insegnavo spagnolo da
qualche mese
e stavo tranquillamente attraversando la strada, sulle strisce pedonali
e con tanto di semaforo verde. All'improvviso però un rumore
brusco di frenata aveva attirato la mia attenzione e pochi istanti
dopo, senza neanche accorgermene, mi ero ritrovato sull'asfalto, con un
ginocchio dolorante e la bicicletta spezzata a metà. Dopo un
primo momento di confusione ed aver capito cosa fosse successo, mi ero
tirato su pronto ad inveire contro quel pilota maledetto che mi aveva
quasi ucciso, fregandomene se così facendo avrei fatto tardi
a
lezione o peggio mi sarei messo contro qualche personaggio poco
raccomandabile. Quell'incivile doveva avere quello che si meritava..
come minimo! Solo che alla fine non andò esattamente come
avevo
immaginato: dalla macchina - un maggiolone giallo canarino -
uscì una donna piccola ed esile, con dei lucenti capelli
rossi e
due meravigliosi occhi da cerbiatto che si spalancarono all'istante non
appena si posarono su di me. Visibilmente scioccata corse a
soccorrermi, chiedendomi scusa in ogni modo - e la sua voce sembrava
l'insieme di tanti piccoli campanellini dolci e soavi - dicendo di non
avermi visto attraversare, di non aver neanche visto il semaforo, di
aver avuto paura di avermi ucciso e che mi avrebbe ripagato la
bicicletta distrutta. Io però ero già partito per
un
altro mondo, stregato dai suoi occhi, incantato dal suono della sua
voce, rapito dal movimento delle sue labbra. E così, invece
di
chiederle le generalità per chiamare la polizia e far
scattare
la denuncia, le porsi la mano e le dissi semplicemente:
"Piacere.. William.. posso sapere come ti chiami?" lei per un istante
era rimasta interdetta e aveva spalancato leggermente gli occhi grandi,
incantandomi ancora di più e poi lo aveva detto
"Emma!" e da quel bellissimo nome, da quella semplice stretta di mano
in mezzo alla strada, da quell'incidente che per fortuna non ebbe
nessuna conseguenza grave sulla mia salute fisica... nacque tutto.
Meno di due mesi dopo ci ritrovammo fidanzati e altri sei mesi
pronunciammo il nostro sì, davanti ad un prete, in una
chiesa
magnificamente addobbata - e di ogni cosa si era occupata soltanto lei
- con tutti i nostri amici e parenti. In quel momento, mentre la
cerimonia correva tranquilla e il prete faceva il suo sermone, mi ero
concesso un momento per chiedermi cosa avrebbe pensato mia madre se
fosse stata lì a festeggiare con noi. Probabilmente si
sarebbe
commossa, probabilmente mi avrebbe sorriso da lontano e ancora
più probabilmente mi avrebbe lasciato il solito bacio sulla
fronte e mi avrebbe detto: "Ecco... ora ci sarà Emma che
penserà a te, che ti accoglierà ogni volta che
tornerai a
casa e che ti amerà tanto quanto ti ho amato io fino ad
ora." e
in un certo senso, quelle parole per me le pronunciò
davvero,
perché lei c'era.. c'era sempre stata e avrebbe continuato
ad
esserci fino alla fine dei miei giorni.
Dopo il matrimonio e il ricevimento, partimmo per un breve viaggio di
nozze - dato che non avevamo poi tante risorse economiche a
disposizione - per poi andare ad abitare a Lower East Side, in
un appartamento
di proprietà di suo padre che in quei sette mesi di
matrimonio
era stato il nostro perfetto nido d'amore. Amavo tutto di Emma.. ogni
più piccola ed insignificante sfumatura: amavo la sua risata
leggera, la sua carnagione chiara che rischiava di farla scottare anche
d'inverno, il suo carattere così timido ma ugualmente forte
e
combattivo.. ma soprattutto amavo il modo in cui mi faceva sentire:
amato, rispettato, a volte perfino venerato. L'unica nota leggermente
stonata nel nostro rapporto erano stati i suoi genitori: i signori
Pillsbury. Rusty e Rose Pillsbury avevano provato più volte
a
mettersi in mezzo tra di noi, avevano tentato di convincere la povera
Emma che io non fossi alla sua altezza, che trovare un marito con i
suoi stessi geni fosse più adatto per il suo futuro -
avevano
anche parlato di tenere viva la razza, o qualcosa del genere - e le
avevano perfino proposto una serie di candidati più adatti.
Lei
per mia fortuna non era affatto succube dei suoi genitori e alla fine
eravamo ugualmente riusciti a sposarci, pur non avendo ottenuto il
pieno consenso da parte loro. Al matrimonio erano ugualmente venuti,
ovviamente non si erano risparmiati la predica neanche per quel giorno
e suo padre, durante il ricevimento, mi aveva perfino preso da parte
per avvertirmi:
"Stai attento, Will." mi aveva detto con la faccia di chi sta per
confessare qualcosa di molto grosso "La mia piccola Emma non
è
così docile come sembra. Prova a sporcarle la sua tovaglia
preferita o ad entrare in casa senza prima esserti ripulito le scarpe
in maniera meticolosa... e vedrai cosa succede!". Ovviamente la sua era
una tecnica piuttosto subdola per tentare di farmi scappare a gambe
levate, peccato che io già sapessi perfettamente di cosa
stesse
parlando. Emma soffriva di un disturbo ossessivo compulsivo chiamato
misofobia, ovvero aveva una paura patologica verso qualsiasi forma di
sporcizia, anche la più insignificante e trascurabile. La
maggior parte della giornata la trascorreva con in mano lo spazzolino
da denti e il disinfettante e guai ad interrompere il suo rituale sacro
di pulizie giornaliero.. era capace di perdere il senno in pochissimi
istanti. All'inizio, dopo aver scoperto questa sua...
particolarità, mi ero sentito un tantino a disagio. Non
sapevo
come trattarla, cosa poter fare e cosa no perché avevo una
paura
terribile di farle involontariamente venire a galla tutta la sua paura.
Eppure lei aveva tentato in ogni modo di rassicurarmi: prendeva
già delle pillole per contenere i suoi attacchi e un modo
molto
semplice per evitare di appesantirle la situazione, sarebbe stato
quello di trattarla come se non ci fosse nulla di cui aver timore e...
indossare delle ciabatte pulite ogni giorno. In quei sette mesi le cose
erano andate a gonfie vele e i suoi genitori
si erano perfino abituati all'idea di avermi come genero: in fondo Emma
al mio fianco era felice e allora cos'altro avrebbero potuto chiedere
di meglio?
Quel pomeriggio tornai a casa praticamente distrutto, dopo una pedalata
lunga almeno undici isolati, un mal di testa assillante e una fame
davvero incredibile. Era da poco iniziata la sessione estiva degli
esami e in facoltà c'era un gran fermento, non contando le
visite guidate alle matricole che ovviamente il rettore affidava sempre
al sottoscritto e i vari laureandi che chiedevano consigli e
delucidazioni. Amavo il mio lavoro, tentavo di svolgerlo sempre nel
migliore dei modi e con il sorriso sulle labbra pronto per tutti, solo
che alcuni giorni davvero non riuscivo a sostenere tutto quel peso e
quelle numerose responsabilità. Ero umano anche io e per
quanto
fossi per natura molto disponibile e presente... cavolo, non esistevo
soltanto io in quell'università. Professor Schuester qui,
professor Schuester là... c'erano giorni in cui vivevo
nell'incubo di essere preso in ostaggio da un gruppo di studenti e
costretto a revisionare tesi intere, saggi, progetti video e perfino
relazioni sui convegni semestrali. Mi era capitato più di
una volta di scappare e nascondermi nei bagni pur di evitare qualche
faccia nota, rettore incluso.
Con un sospiro stanco, mi richiusi la porta alle spalle e poggiai la
valigetta dei miei libri a terra, per poi indossare le mie pantofole
pulite e lasciare le scarpe su un mobile basso, dove poi le avrei
dovute ripulire. Mi diressi in cucina con le migliori intenzioni,
mettendo su un sorriso spontaneo per la mia adorata moglie e poterla
salutare nel migliore dei modi. Tuttavia ad attendermi in cucina non
trovai nessuno. Per un attimo, una piccola frazione di secondo, andai
nel panico perché quella situazione mi sembrò un
crudele
déjà-vu della mia adolescenza.. niente tavola
apparecchiata, nessun profumo di cibo pronto, nessun sorriso emozionato
ad attendermi, niente di niente.
No, non é
possibile.. non di nuovo...
Ignorando completamente le regole rigide di pulizia e ordine di quella
casa, lanciai il cappotto sul divano e corsi a controllare il resto
della casa. Quella volta non avrei permesso al panico di invadermi
completamente e non avrei neanche atteso, lì fermo, senza
fare
nulla. Prima di tutto avrei controllato ogni angolo della casa, perfino
nel box doccia e poi l'avrei chiamata sul cellulare, avrei chiamato i
suoi, l'ufficio, la psicoterapista da cui andava ogni settimana, avrei
bussato ai vicini, avrei...
Un rumore leggero dietro la porta del bagno mi fece bloccare il
respiro. Senza pensarci due volte l'aprii con uno scatto, facendola
sbattere rumorosamente contro il muro e probabilmente staccandone
perfino un pezzo. Ed Emma mi avrebbe ucciso per quello. Ma
lì
per lì non me ne preoccupai affatto perché tutta
la mia
attenzione si focalizzò sulla scena che trovai dietro quella
porta: a primo impatto la stanza fu esattamente come sempre, lo stesso
identico ordine, lo stesso rilassante odore di vaniglia, la stessa
tendina per la doccia bianca e rosa. Eppure qualcosa stonava
leggermente nell'insieme, ovvero una piccola donna seduta sul
pavimento, accanto alla lavatrice, rannicchiata e con le gambe stretta
al petto, con gli occhi ancora più spaventati del giorno in
cui
per poco non uccise quel ragazzo in bicicletta.
"Will... ma che..."
"Emma!" sussurrai, mentre mi lasciavo andare ad un lungo e distensivo
sospiro di sollievo. Lei si strinse maggiormente in sé
stessa e
corrugò leggermente la fronte
"Non si usa più bussare?" domandò, non
infastidita.. più che altro sembrava ancora spaventata da
qualcosa
"Sì, hai.. ragione.. scusa. É che mi sono.." ma
non
riuscii a concludere la frase perché ammettere che non
trovarla
al mio ritorno ad accogliermi come sempre mi aveva fatto tornare alla
mente il giorno in cui era morta mia madre, mi sembrava un tantino
stupido. Ero un uomo maturo di trentasei anni.. che diavolo mi era
preso?
"Cosa?" mi esortò lei, confusa. Scossi la testa e rilassai
all'istante le spalle. Bene, mia moglie per fortuna stava bene ed io mi
ero fatto assalire dalla paura per niente. Però,
pensandoci...
c'era ancora qualcosa che non mi era del tutto chiara.
"Tesoro..." la chiamai avanzando leggermente "Cosa ci fai seduta sul
pavimento?" lei sembrò realizzarlo solo in quel momento,
perché lanciò un'occhiata disperata verso le
mattonelle
chiare e poi fece una smorfia, ma non si mosse
"L'ho pulito due minuti fa... volevo.. controllare che fosse..
sufficiente!" spiegò leggermente esitante e non
risultò
affatto credibile alle mie orecchie. Avanzai ancora, fino a trovarmi a
meno di un passo da lei e prima che potesse sollevare lo sguardo su di
me, mi accovacciai al suo fianco per poi sfiorarle delicatamente una
spalla
"Emma.. cosa ti succede?" le domandai, ma proprio mentre le sue labbra
si aprivano leggermente per rispondere 'niente' io l'anticipai "E non
dire che non hai niente, per favore. Ti conosco perfettamente e so che
quando hai qualcosa che ti turba sei perfino capace di ignorare la tua
fobia per gli acari e i germi." ed indicai il pavimento immacolato,
dove probabilmente per lei si annidavano i mostri più
pericolosi
del mondo. Lei fece un'altra smorfia e si poggiò leggermente
contro la mia gamba, quasi a voler scappare da quella minaccia.
Passarono altri sette secondi - sette lunghissimi secondi - e poi lei
finalmente fece qualcosa: allungò la mano al suo fianco,
afferrò qualcosa e me lo porse senza dire nulla. Confuso
allungai la mano per afferrare una specie di penna bianca e l'analizzai
per bene. Solo in quel momento mi accorsi di cosa si trattasse e per
poco non caddi con la faccia sul pavimento.
Oh.. la miseria...
"É un..." non riuscii a finire la frase, gli occhi ancora
incollati sull'oggetto incriminato e il rumore del mio stesso cuore
arrivato fin dentro al cervello
"Un test di gravidanza!" terminò lei la frase per me, ma fu
un
debole sussurro, quasi una voce lontana. Era davvero un test di
gravidanza, allora. Un test di gravidanza di mia moglie. Un test di
gravidanza positivo
di mia moglie. Un test di gravidanza positivo di
mia moglie che era...
"Sei incinta!" esalai, senza fiato. La mia non era una domanda. In quel
caso non serviva domandare... e infatti lei non rispose, ma a me quello
bastò come conferma. Mi lasciai scappare il test dalle mani
- un
test positivo, dannazione! - e mi fiondai su di lei stringendola forte,
mentre il petto mi si stringeva di conseguenza a causa dell'emozione.
Mia moglie era incinta.. aspettava un bambino.. un bambino mio. Non mi
sarei mai aspettato una notizia così bella, non
così
all'improvviso. Oh mio Dio.. era sensazionale.
Io.. padre...
"Emma.. è... la notizia più bella che potessi
darmi!"
esclamai entusiasta, sentendo gli occhi inumidirsi per la gioia. Sarei
diventato padre.. era.. il mio sogno più grande. E grazie
alla
mia dolce Emma stava per diventare realtà.
"Will..."
"Oh mio Dio sono così felice, tesoro... non hai idea."
strinsi
più forte, ignorando il fatto che le sue braccia non
stessero
ricambiando l'abbraccio. Beh, magari era ancora scioccata, il che
avrebbe spiegato come mai fosse seduta sul pavimento al mio arrivo.
Notizie del genere andavano affrontate con calma, quindi era normale
che fosse tanto sorpresa. Anche io lo ero... Dio mio...
"William.. io..."
"Ecco perché in questi giorni eri così affamata e
hai
voluto guardare tre volte 'Una scatenata dozzina'... ora mi
è
tutto più chiaro." mormorai, mentre tutti i suoi
atteggiamenti
strani di quei giorni tornavano a galla lentamente, rivelandosi, a
posteriori, dei veri e propri segnali evidenti. Era incredibile...
proprio perché non era programmato e nessuno se lo sarebbe
mai
potuto immaginare, era questo a rendere la notizia ancora
più
bella. Chissà cosa avrebbero detto i suoi genitori, magari
finalmente questo avrebbe appianato definitivamente i contrasti tra di
noi, perché, si sa, l'arrivo di un nipote risolve sempre
tutto.
E forse, per farli contenti, avremmo potuto usare come secondo nome, a
seconda se fosse stato maschio o femmina, quello del nonno o della
nonna e così sarebbe...
"William!" la voce ferma di Emma mi riportò sulla terra e
lasciai stare i miei viaggi mentali per dedicarmi al momento e a lei.
Sciolsi l'abbraccio - che era stato completamente a senso unico visto
che lei non aveva affatto partecipato - e mi concentrai sui suoi occhi.
Quello che vi trovai non mi piacque affatto. Mi aspettavo la stessa
gioia che sentivo colorare i miei, mi aspettavo un po' di commozione,
qualche lacrima leggera, o almeno un sorriso. Ma niente. L'unica cosa
che riuscii a scorgere furono i suoi lineamenti contratti in una
smorfia di disappunto.
Non è
così che ti aspetti che tua moglie reagisca ad una notizia
del genere...
"Io non... penso di volerlo questo bambino!" esclamò
infatti,
pugnalandomi. E a me in quel momento mancò il fiato, oltre
che
il pavimento sotto ai piedi
"Co-cosa?" era assurdo ciò che stava dicendo e per questo mi
ritrovai a ridacchiare stupidamente, per tentare di sdrammatizzare la
situazione "Stai scherzando, vero?" le chiesi ma il momento di ironia
durò davvero poco perché lei scosse la testa in
risposta,
mandando il pugnale leggermente più in
profondità.
"Ma... perché?" domandai, boccheggiando appena. Lei si perse
in un piccolo sospiro tremante prima di rispondere
"Ho paura Will..."
Anche io ho paura,
è ovvio...
"Di cosa? Pensi..." feci una pausa, deglutendo a vuoto "Pensi che non
siamo pronti? Che avremmo dovuto aspettare un altro po'?" azzardai,
mettendo giù le prime cose che mi vennero in mente, dato che
non
avevo davvero idea di cosa stesse parlando. Ma purtroppo scosse di
nuovo la testa
"No, non è questo..." ammise, guardandomi per un attimo e
portando una mano sulla mia guancia, per accarezzarmi "Sono fermamente
convinta che tu possa essere un ottimo padre." e quelle parole
sussurrate mi fecero battere appena più forte il cuore e
tirai
fuori un sorriso spontaneo
"E tu una madre meravigliosa!" esclamai, con tutta la
sincerità
e la spontaneità di cui ero capace. Lei però
tremò
appena e si affrettò ad affermare il suo dissenso
"No!" esclamò con forza, sgusciando via dalla mia presa
"Emma..."
"Io sono..." si prese un attimo per fare un profondo respiro molto
teatrale, per poi mordersi entrambe le labbra e parlare, quasi si
stesse rivolgendo ad un bambino e non a suo marito che la conosceva
perfettamente e la amava proprio per questo.
"Ho un problema, Will... il mio
problema e tu lo sai!" affermò e mi ammonì con lo
sguardo, quasi fosse indecente da parte mia non riuscire a capirla. Ed
era proprio questo che mi sconvolgeva di più... il non
capire.
"Lo so Emma.. so quale.. qual'è il tuo problema! Ma fino ad
ora non è mai stato importante per nessuno dei due!"
mormorai
con convinzione
"Non lo sarà stato per te, Will... ma per quanto mi riguarda
è una cosa che mi assilla ogni momento di ogni giorno."
spiegò agitandosi, nonostante a tratti cercasse di imporsi
una
respirazione più controllata, tecnica che le era stata
consigliata dalla sua terapeuta. Ma in quel momento non aveva effetto.
"E cosa.. cosa c'entra con questo bambino?" domandai di conseguenza.
Pronunciare la parola bambino mi creava ancora una certa aritmia,
soprattutto se pensavo al fatto che fosse nostro.. mio e suo. Ma mi
contenni.. non era il caso di esultare quando avevamo ancora un piccolo
problema da risolvere
"Il disturbo che ho mi impedisce di... prendermi cura di qualcuno,
soprattutto se questo qualcuno è un neonato!"
sentenziò
secca e concisa. Altra pugnalata, ancora più in
profondità
"Ma... cosa.. dici? Come fai ad essere sicura che.."
"Lo so Will... lo so perché lo sento. Sento di non
poterlo fare, di non essere in grado e so anche di non volerlo
fare!" esclamò alzando la voce per sovrastare la mia. Ed
Emma
arrivava a gridare solo quando era seriamente turbata da qualcosa. Ma
forse non tanto turbata quanto me in quel momento
"Non sono mai riuscita a pensare a me in quest'ottica, neanche da
piccola. Questa idea non mi fa sentire a mio agio, mi spaventa... quale
futuro pensi che possa dare ad un bambino, a.. mio figlio, se la mia
unica preoccupazione al momento è trovare il giusto
disinfettante per il lavello della cucina o la perfetta
tonalità
di rosa confetto per le tende del bagno?" mi chiese, quasi disperata,
mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi. Peccato che non fossero
esattamente lacrime di gioia quelle che minacciavano di uscire. Non mi
piaceva ciò che stava dicendo, era un ragionamento che non
riuscivo a comprendere né tanto meno a condividere. E
stranamente iniziai ad avvertire una strana sensazione allo stomaco,
qualcosa che prima di allora non avevo mai provato con lei, qualcosa di
troppo simile alla rabbia da farmi addirittura paura.
"Io non sono capace di fare da madre a nessuno, né a questo
bambino né a nessun altro. Ci sono donne che nascono con la
predisposizione, adatte a questo ruolo.. io non lo sono e non lo
sarò mai!" esclamò alla fine, sempre
più secca,
continuando ugualmente a tremare come una foglia e sempre sfuggendo al
mio sguardo. Quel mai
rimbalzò nella mia testa, facendo un
fracasso assurdo e probabilmente annebbiandomi la ragione
perché
mi ritrovai a parlare ancora prima di aver lucidamente riflettuto
"Questo è assurdo, Emma... non puoi utilizzare il tuo
disturbo
come alibi. Avresti dovuto già mettere in conto che prima o
poi
avremmo avuto dei figli. É normale... é insito in
tutte
le coppie che si amano... é la più alta alta
dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo
pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché
hai...
qualche problema con la pulizia ossessiva?" le chiesi, mentre lo
stomaco mi si stringeva ancora e bruciava in maniera fastidiosa. Non mi
piaceva il tono che avevo usato contro di lei, non era da me parlarle
in
quel modo. Solo che l'argomento mi aveva toccato nel profondo e c'erano
certe questioni che mi stavano più a cuore di altre...
quella
dei figli, era una di queste. Ed era strano, perché prima di
sposarci ne avevamo parlato della prospettiva di mettere su famiglia..
cosa si aspettava? Che quelle parole rimanessero vane per sempre? Che
un domani non provassimo ugualmente a concepire un figlio? Che mi
dimenticassi del mio sogno più grande e che facessi finta di
nulla solo perché lei si sarebbe rifiutata di parlarne?
Gli occhi da cerbiatto di Emma si spalancarono come non mai e per un
istante lunghissimo potei giurare di averla vista chiaramente smettere
di respirare. Quello fu il segnale: avevo decisamente esagerato.
"Ho un problema con la pulizia ossessiva, Will?" mi chiese sconvolta,
quasi non credesse neanche lei a ciò che stesse dicendo. Fui
io
quella volta a trattenere il fiato, perché non credevo
possibile
di averle detto quelle cose, figurarsi trovare altre parole da dire in
risposta "Come... come riesci a sminuire tutto quello che mi distrugge
l'esistenza in maniera così.. banale?" sbatté le
palpebre
velocemente e da quel movimento scapparono un paio di lacrime al
controllo che le rigarono le guance. Sentii il cuore sbattere contro la
cassa toracica e fare
male di conseguenza. Quasi fosse una punizione. Una punizione
ampiamente meritata.
"Emma.. io.. non intendevo.." non riuscii neanche a mettere in piedi
qualcosa di sensato perché non sapevo cosa poter dire e cosa
no.
Avrei potuto rovinare tutto anche con una semplice parola. Non volevo
farla piangere, non era mia intenzione.. io non volevo neanche dire
quelle cose che mi ero reso conto da solo fossero leggermente fuori
luogo. Lei chiedeva di essere capita, chiedeva di essere ascoltata come
sempre. Ed io invece di farlo, di mostrarmi come al solito dalla sua
parte - perché lo ero davvero - ero riuscito soltanto ad
aggredirla. Perché non avevo capito quanto fosse grande il
suo
bisogno di parlare? Perché non mi ero limitato a chiederle..
e
tu, tesoro.. tu cosa pensi di questo bambino?
Sono una merda...
"Tu sapevi perfettamente a cosa saresti andato incontro sposandomi. Se
avessi voluto la famigliola perfetta e felice, avresti fatto meglio
pensarci prima... se avessi voluto le cose semplici, quelle a portata
di mano, quelle chiare che rispecchiano i tuoi più grandi
sogni... avresti dovuto portare un'altra donna all'altare. Se pensi che
il mio problema riguardi solo una... stupida ossessione per la
pulizia.. allora mi chiedo chi tu creda di aver sposato quel giorno,
William!" e detto questo, ancora piangendo, si sollevò dal
pavimento e scappò via. Sgusciando abilmente da ogni mio
tentativo di tenerla ferma a me, di bloccarla, di risolvere la
situazione. Volò via da me all'improvviso e quella volta
neanche
io potei fare qualcosa per impedirlo.
New
York City. Ore 05.40 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)
Era un incubo. Tutta quella giornata era stata un totale incubo, uno di
quelli che sembrano talmente tanto sbagliati da toglierti il respiro
già dopo un solo attimo, quelli da cui speri di uscire in
fretta, quelli che possono avere un unico epilogo.. il suono della
sveglia. Ma io non stavo sognando purtroppo, quella era la
realtà e non avrei neanche avuto bisogno del pizzicotto sul
braccio per rendermene conto.
Dopo aver lasciato in fretta e furia l'appartamento, mi ero diretta
verso l'interno della città, senza una meta precisa.
Semplicemente mi ritrovai a camminare a testa bassa e con le mani nelle
tasche, sperando di non incontrare nessuno e soprattutto sperando di
non essere trovata da William. Così mi ritrovai a vagare per
le
strade di Manhattan, mischiandomi con le altre persone sui marciapiedi
affollati e provando a chiedermi cosa si provasse a sentirsi una delle
tante per una volta soltanto. Ero semplicemente un membro della folla,
senza alcun segno particolare, senza nessun disturbo ossessivo
compulsivo, senza un marito che mi voltava le spalle davanti ad un
problema per me insormontabile, senza... senza avere nessun bambino a
crescermi nella pancia.
Dopo una mezz'ora di cammino insensato mi ritrovai al City Hall Park,
inondato di sole e pieno di gente. Ero nel cuore dell'isola e volevo
continuare a stare in mezzo alla gente perché
così mi
sarei sentita meno sola e per una come me la solitudine era davvero una
specie di arma a doppio taglio. Avevo creduto che parlare con mio
marito mi avrebbe aiutato a fare chiarezza... alla fine si era rivelato
un grandissimo sbaglio.
Con un sospiro mi sedetti su una panchina - non prima di averla
ripulita per bene con un fazzoletto - e mi concessi di scrutare molto
attentamente l'ambiente circostante e tutte le persone, tra adulti e
bambini, che ne facevano parte. A quell'ora, nonostante fosse
Martedì, c'era davvero gente di ogni età: ragazzi
in
comitiva, persone sole in compagnia del cane, sportivi intenti a fare
jogging, gruppi di anziani radunati attorno alla fontana per
chiacchierare allegramente, famiglie riunite per un pomeriggio di
svago. Le famiglie. Le famiglie con bambini. I bambini.
Istintivamente mi portai una mano sulla pancia, avvertendo una strana
sensazione invadermi: era buffo pensare che dentro di me in quel
momento ci fosse qualcuno, qualcuno che dipendeva completamente da me,
che si nutriva grazie a me che... sopravviveva grazie a me. Io che non
ero mai riuscita a tenere in vita neanche il pesce rosso che i miei
compravano ogni anno alla fiera del quartiere... come avrei potuto
sperare di crescere un figlio.. un altro essere umano?
Avresti
dovuto già mettere in conto che prima o poi
avremmo avuto dei figli...
Le parole di William mi rimbalzarono nella testa senza neanche pensarci
veramente. Erano lì, forse io avevo tentato di metterle da
parte, ma ovviamente sapevo che non sarebbe durata troppo a lungo.
Erano in agguato e mi avrebbero sommersa nel momento esatto in cui mi
fossi fermata a riflettere. E lo avevo fatto: mi ero fermata e quelle
parole avevano ripreso a girare. E facevano male... cavolo se lo
facevano.
Erano circa dieci giorni che sentivo di avere qualcosa di strano: come
aveva detto William, avevo più fame del solito e soprattutto
mi
ero accorta di essere diventata più sensibile. Non che
normalmente non lo fossi già abbastanza ma.. avevo
decisamente
superato il limite. A tutti quei piccoli segnali si era poi aggiunto un
considerevole ritardo che mi aveva fatta giungere ad una conclusione,
purtroppo l'unica. Ed era per questo che, uscita dal lavoro, ero andata
direttamente in farmacia per acquistare il test di gravidanza e,
tornata a casa, lo avevo fatto, senza neanche preoccuparmi di ripulire
il bagno prima. Ero entrata una specie di stato di trance,
perché sentivo di muovermi ma non riuscivo a capire
perché né cosa facessi esattamente. Poi era
arrivata
l'attesa: si erano succeduti i cinque minuti più lunghi di
tutta
la mia vita, durante i quali avevo cercato di non pensare, di non
respirare, di non guardare verso la bacchetta bianca che avrebbe dovuto
colorarsi per darmi una risposta, ma soprattutto avevo cercato di non
andare nel panico. Ovviamente non ero riuscita a fare nulla di
ciò che avrei voluto. I cinque minuti però erano
passati
e gli occhi si erano precipitati a controllare, ancora prima che la
mente e la volontà lo richiedessero. E da quel momento,
dall'istante in cui avevo scorto le due linee blu al centro della
bacchetta che non lasciavano più alcuna
possibilità di
scampo.. beh, avevo iniziato a sentirmi male. Ma non male come la
nausea mattutina che da qualche giorno mi perseguitava, non male come
quando non riuscivo a pulire come volevo il tavolo della cucina e
neanche male come quando mia madre mi ripeteva che ero strana e che non
sarei mai migliorata. Molto, molto peggio. Mi si era aperta una
voragine nel petto e cosa peggiore era stata avere la
possibilità di affacciarsi dal margine per costatarne
l'altezza
e scoprire che il salto sarebbe stato ancora più profondo di
quanto non avessi potuto temere. E il fondo non si scorgeva neanche.
Poi era tornato Will e l'istante dopo il battito era rallentato ancora
perché incontrare i suoi occhi e sentire di nuovo la sua
voce fu
come realizzare immediatamente qualcosa di ancora più
grande:
quello che avevo appena scoperto non riguardava soltanto me, riguardava
anche lui, riguardava i miei genitori, gli amici, i colleghi di lavoro,
la gente per strada... riguardava tutto e troppo ed io non ero in
grado, né di prendere in considerazione un'idea del genere
né tanto meno di affrontarla in futuro. Eppure..
l'entusiasmo
con cui Will aveva accolto la notizia.. era stato destabilizzante. Non
lo avevo mai visto così.. felice, forse neanche il giorno
del
nostro matrimonio. Quella sua reazione per un istante mi aveva fatta
desistere e mi ero ritrovata a chiedermi se non fosse eccessivamente
egoista da parte mia pensarla in un modo completamente diverso da
quello di mio marito. D'altronde, sull'altare, io avevo promesso di
rispettarlo e sostenerlo sempre, nella gioia e nel dolore... quindi, da
parte mia sarebbe stato più logico rispondere a
quell'abbraccio
e gioire con lui, no?
No...
Ma non ce l'avevo fatta, ancora una volta la paura aveva preso il
sopravvento sulla ragione e mi ero ritrovata a confessare tutto quello
che in quei cinque minuti lunghissimi avevo provato. Speravo che lui
potesse, se non capirmi, perlomeno ascoltarmi fino alla fine senza
giudicare. Ma ovviamente... non era stato affatto così.
Non puoi utilizzare il
tuo disturbo
come alibi...
Era vero, io avevo un problema, e quel problema condizionava la maggior
parte della mia vita, dal mattino presto fino a quando andavo a
dormire: era parte di me, ci convivevo da molti anni ormai, eppure non
ci avevo ancora del tutto fatto l'abitudine. Il pensiero di me con in
braccio un bambino, per quanto strano, per un momento mi aveva fatto
bene. Avere una creatura così piccola tra le mie braccia e
poterne sentire il calore attraverso i vestiti.. doveva essere davvero
una bella sensazione. Eppure... era durata davvero poco,
perché
subito la ragione aveva prevalso, buttandomi addosso la
realtà:
io non volevo quel figlio, non soltanto perché soffrissi di
un
disturbo ossessivo compulsivo che mi impediva di sedermi a tavola non
prima di aver lucidato tutti i fornelli, perfino quelli che non avevo
utilizzato... io non volevo quel figlio perché sentivo di
non
essere in grado di crescerlo. Non mi ritenevo adatta per un ruolo del
genere, non credevo che una persona come me meritasse di avere un dono
tanto grande. Far nascere, accudire, crescere qualcuno era qualcosa di
troppo importante ed io non ero degna.
Avrei voluto che William capisse il mio disagio, mi stringesse ancora
finché non fossi stata in grado di fare altrettanto e che mi
chiedesse di spiegare con calma cosa provassi e cosa avrebbe potuto
fare per me.. per noi.. per rendere tutto più semplice. Io
non
avevo pensato neanche per un istante all'idea di.. interrompere la
gravidanza, anche perché soltanto l'idea mi dava il
voltastomaco.. solo... avevo creduto ingenuamente che confidarmi con
mio marito, metterlo a corrente di quello che mi turbava e sperare che
almeno lui potesse aiutarmi a fare chiarezza.. sarebbe servito a
qualcosa e invece.. aveva solo peggiorato la situazione. Lui aveva
peggiorato la situazione con quelle parole, buttandomi addosso quella
freddezza con la speranza di farmi ancora più male. E ci era
riuscito.. mi aveva davvero fatta stare peggio.. molto peggio.
É normale...
é insito in tutte
le coppie che si amano... é la più alta alta
dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo
pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché
hai...
qualche problema con la pulizia ossessiva?...
Sentire come potesse sminuire tutto ciò che avevo in quel
modo,
con soltanto sei parole mi aveva distrutta perché per un
momento
mi erano tornate alla mente tutte le critiche dei miei genitori, quelle
che mi avevano accompagnato dall'adolescenza fino ad allora. Anche loro
avevano sempre pensato che il mio problema fosse semplicemente legato
ad un bicchiere sporco o ad un tappeto messo male. Era ben altro. Era
il vivere nella costante paura di essere inadeguata, di sbagliare
qualcosa e rovinare di conseguenza tutto il resto. L'avere il terrore
di una reazione esagerata, di non poter essere all'altezza, di credere
fermamente una cosa e poi realizzarne un'altra. Era questa la mia
paura. Certo.. c'era anche la questione dei germi e della polvere.. ma
non si limitava solo a quello. Nella mia vita, per sentirmi degna,
avrebbe dovuto essere tutto preciso e perfetto, senza una grinza e
forse solo allora mi sarei potuta concedere un sospiro di sollievo e mi
sarei goduta la vita.
Tutte le mie paure però si erano realizzate nell'esatto
momento
in cui avevo scoperto di essere incinta: era qualcosa di non
programmato, che usciva completamente fuori da ogni regola e schema,
qualcosa che non riuscivo a gestire e che avrebbe reso il mio domani
troppo incerto. Per questo non avevo reagito bene e soprattutto avevo
detto a William di non aver mai pensato di avere figli. Su una cosa
però lui poteva aver ragione: forse avremmo dovuto parlarne
prima. Forse avrei dovuto essere chiara fin dall'inizio con lui e
magari affrontare un tale discorso insieme già preso alla
lontana.. avrebbe aiutato ad arrivare più preparati a quel
momento. E invece.. io ero sola, lui era solo e non avevamo risolto un
bel niente.
Senza farci troppo caso, iniziai ad accarezzarmi la pancia
distrattamente, stringendo poi il tessuto della maglia in un pugno e
lasciandomi scappare un mezzo singhiozzo. Sapevo che non fosse
particolarmente intelligente da parte mia mettermi a piangere in mezzo
a tanta gente ma... non riuscivo a trattenermi più. Se non
ero
libera neanche di piangere e sfogarmi a casa mia, con mio marito.. beh
allora l'avrei fatto in quel parco.
Ad un tratto, mentre ignoravo le lacrime che mi bagnavano ormai le
guance, e continuavo ad accarezzarmi lentamente la pancia da sopra i
vestiti, qualcosa accadde: nel mio campo visivo fu registrato un
movimento strano alla mia destra e per questo sollevai gli occhi e mi
sorpresi non poco di ritrovare un donna, seduta praticamente accanto a
me che mi offriva un fazzoletto di stoffa ripiegato ed un
sorriso
gentile sul volto. La osservai non capendo cosa volesse e chiedendomi
subito chi fosse. Era per caso qualcuno che conoscevo?
Non mi pare...
"Tieni... prendilo." mi invitò con un sorriso. Che voce
profonda
che aveva: sembrava così forte e quasi... mascolina. Eppure
era
una bella donna.. la testa piena di ricci, gli occhi chiari, il sorriso
gentile. Aveva una presenza... molto abbondante, però... non
mi
incuteva paura, affatto. Lanciai un'occhiata verso il fazzoletto: aveva
tutta l'aria di essere pulito e di contenere migliaia di germi, ed io
ero disperata sì, ma non fino a quel punto.
"No... la ringrazio.. non è necessario." le risposi
scuotendo la
testa. Non si accetta nulla dagli sconosciuti, benché meno
caramelle e fazzoletti di stoffa. Per me che ero pure ossessionata,
poi...
Il sorriso della donna non cedette minimamente, anzi, sembrò
quasi intensificarsi
"Sì che lo è... questo serve più a te
che a me,
scricciolo!" mi disse, ridacchiando leggermente sul finale. In quel
momento mi sorpresi di tre cose contemporaneamente: prima di tutto lei
mi dava del tu, quasi ci conoscessimo davvero e non sembrava neanche
del tutto turbata dal vedermi in lacrime in un parco pubblico. Seconda
cosa... mi aveva chiamata scricciolo? Che cosa diavolo significava? Era
perché io ero così piccola e fragile e lei
sembrava
invece... tutto il contrario? E terzo.. cosa più
sorprendente..
dopo un rapido sospiro ed essermi persa nella contemplazione dei suoi
occhi buoni e trasparenti, non seppi come ma mi ritrovai ad allungare
la mano ed afferrare il fazzoletto.
"Grazie.. mille." borbottai tentando un sorriso. Lei
ricambiò per poi strizzarmi l'occhio
"Figurati." rispose semplicemente. Spostò lo sguardo sul
parco,
dove lentamente il sole iniziava ad allontanarsi e l'aria iniziava di
conseguenza a farsi più frizzante. Chissà
perché
quella donna aveva deciso di avvicinarsi a me.. era perché
mi
aveva vista piangere? Voleva solo darmi quel fazzoletto ed asciugarmi
il trucco colato? Stavo dando spettacolo e lei aveva deciso di
intervenire? Oppure... semplicemente voleva rendersi utile?
Mi chiedo ancora se
magari ci conosciamo e sono io che non lo ricordo...
"L'uomo che ti ha fatta piangere, probabilmente non merita nessuna
delle lacrime che stai versando." mormorò ad un tratto, con
un
sorriso amaro sulle labbra, sempre guardando davanti a sé.
Mi si
bloccò il respiro in gola per via delle sue parole. Cosa le
aveva fatto credere che stessi piangendo per colpa di un uomo?
"Mi scusi?"
"Non serve fingere, sai... certe cose sono talmente tanto chiare.." e
si girò per sorridermi di nuovo. Era chiaro? Era chiaro che
avessi discusso con mio marito e fossi scappata di casa?
"Io non.."
"Evidentemente lui non capisce le tue ragioni... oppure non siete
riusciti a trovare il giusto linguaggio per comunicare. Si dice che gli
uomini e le donne provengano da due pianeti diversi.. beh, forse
è per questo che tu credi determinate cose su di lui e
invece
queste non si sono dimostrate esatte." scrollò le spalle,
quasi
stessimo parlando da tempo dello stesso argomento, quasi io mi fossi
confidata con lei e adesso stessi ascoltando un consiglio. Beh...
peccato che non ci conoscessimo affatto, peccato che non sapesse nulla
su di me e su Will e su quello che ci stava succedendo, peccato che...
"Non pensi che abbia paura anche lui?" mi domandò a
bruciapelo, scioccandomi.
"C..osa?"
"Potrebbe essere una situazione che non riesce ad affrontare.. qualcosa
che lo spaventa ed è per questo che si è trovato
a
prendersela con te.. ma sono sicura che non ne avesse l'intenzione."
disse con tranquillità, continuando a guardarmi. Ma cosa
stava
dicendo? Cosa ne sapeva lei che avevo litigato con mio marito? E
cos'era quella storia di Will che non poteva affrontare la situazione?
"Io non so di cosa stia parlando... io neanche la conosco in
realtà." ci tenni a precisare, mentre iniziavo a
spazientirmi.
"Ne sei davvero sicura... Emma?" mi domandò con un sorriso
ironico, spiazzandomi. Sgranai gli occhi, letteralmente scioccata e
iniziai seriamente a provare una certa paura. Quella donna mi conosceva
eccome, sapeva come mi chiamavo e sembrava sapesse perfino cosa mi
stesse distruggendo. Che diavolo stava succedendo?
"Lei come fa.."
"A sapere il tuo nome? Oh... io so molte cose su di te, mio caro
scricciolo.. molte più di quante forse non ne sappia
William." e
mi sorrise ancora, affettuosamente. Oddio.. sapeva anche il nome di
Will. Cos'era? Una stalker? Ci seguiva? Voleva rapirmi e poi chiedere
il riscatto? Beh i miei genitori non lo avrebbero mai pagato.. William
forse..
Che sciocchezze dici,
Emma.. certo che Will pagherebbe per salvarti...
"Ma ti prego di non spaventarti. Non è mia intenzione farti
del
male né tanto meno perseguitarti. Io ti conosco bene,
certo.. ma
è proprio perché ti conosco che ho solo
intenzione di
aiutarti e non altro." si affrettò a specificare, quasi
avesse
sentito i miei pensieri. Mi leggeva anche nella mente adesso?
"Eh no.. non ti leggo nel pensiero. Sei solo molto facile da
indovinare!" esclamò ridacchiando e lì assunsi
qualche
tonalità calda di rosso che mi riempì
completamente la
faccia. In quel momento la sua mano avanzò nuovamente verso
di
me, quella volta però vuota
"Io mi chiamo Shannon... e per favore, scricciolo.. dammi del tu!"
esclamò divertita. Shannon... la donna aveva anche un nome
carino, per la misera. Però,
nonostante ora sapessi come si chiamasse, rimaneva ugualmente
un'estranea ed io continuavo a non capire cosa volesse esattamente da
me. Decisi di rimanere in silenzio e di non stringerle neppure la mano:
non avevo ancora usato il suo fazzoletto figuriamoci se mi mettevo
anche a toccarla. Lei però non si perse d'animo, mi sorrise
ancora e ritirò il braccio, rimettendosi composta. Lanciai
un'occhiata disperata verso la piazza: nessuno sembrava prestare
particolare attenzione a noi, tutto continuava a procedere
tranquillamente, come prima del suo arrivo e Shannon non faceva paura a
nessun altro, tranne che a me.
Bene...
"So che ti stai chiedendo come mai conosca così tante cose
su di
te e su tuo marito e magari ti stai anche domandando quale diritto
abbia di commentare la tua vita... sappi solo che mi sono permessa di
intervenire perché tu potessi riflettere lucidamente e
perché credo che avere un'opinione esterna e disinteressata
possa aiutarti a capire come tu ti senta in realtà."
spiegò
tranquillamente. Cosa ne sapeva lei? D'accordo, conosceva il mio nome e
quello di William, ma come poteva pretendere di sapere ciò
che
sentivo dentro?
"Io non credo tu possa capire. Sono cose private e tali devono
rimanere!" esclamai infastidita, sperando che una risposta
così
secca potesse farla desistere. Oh, quanto mi sbagliavo...
"Posso farti una domanda, scricciolo?" se ne uscì lei,
ignorando
completamente le mie parole. Rimasi allibita per l'ennesima volta e lei
interpretò evidentemente il mio silenzio per un assenso
perché tornò a parlare qualche istante dopo
"Tu ami William?" mi chiese puntando gli occhi chiari nei miei e
spiazzandomi completamente.
"Che razza di.. domanda è? Certo che lo amo!" risposi
indignata.
Non era normale e non stava né in cielo né in
terra che
io mi mettessi a parlare dei fatti miei con un'estranea. Solo
perché lei aveva detto di non volermi fare del male, non
significava che non me ne avrebbe ugualmente fatto. Sarei dovuta
scappare, alzarmi da quella panchina e andarmene.. a casa, magari.
"E pensi che lui ti ami?" domandò ancora. Strinsi
istintivamente
il tessuto della maglia in un pugno e mandai giù una
manciata di
saliva in eccesso. Altra domanda particolarmente insensata.
"Ne sono convinta!" esclamai con fermezza, sorprendendomi da sola di
quanto potessi essere sicura di me in certi argomenti: d'altronde per
una persona insicura, avere un punto di riferimento era tutto e
William e l'amore che sentivo provasse per me.. rappresentava proprio
questo. Ero sicura di poche cose... il suo amore non l'avrei mai messo
in dubbio.
Sul viso di Shannon si aprì un sorriso mite, stranamente
impregnato di qualcosa che somigliava molto all'orgoglio. Ma orgoglio
per che cosa?
"L'amore che lega due persone è meraviglioso... è
capace
di far superare qualsiasi ostacolo, anche il più impossibile
e
ci rende più forti. Ti vedo.. vedo come i tuoi occhi si
colorano
quando parli di lui, quando pensi a ciò che vi lega e vedo
anche
quanto ci stai male per essere scappata in quel modo. Anche lui soffre,
Emma.. soffre perché ha appena capito di essere stato
egoista
con te, perché avrebbe dovuto fermarsi a riflettere e
soprattutto avrebbe dovuto capirti... tu non sei cattiva.. hai solo
molta paura e penso sia assolutamente normale." fece un profondo
sospiro incrociando le mani in grembo "Ti meraviglierebbe sapere quante
di queste persone attorno a te, in questo momento, provano paura.
Quella ragazza per esempio.." ed indicò una biondina
circondata
da altre amiche, con un telefono in mano e gli occhi bassi "Stamattina
ha discusso con sua madre e ora sta aspettando di trovare il giusto
coraggio per chiamarla e chiederle scusa, e ha paura.. paura di non
riuscirci perché le vuole troppo bene e non vuole rovinare
nulla." la ragazza in quel momento scosse la testa, ignorando le risate
delle amiche e finalmente si portò il telefono all'orecchio:
bastarono tre secondi netti e poi qualcuno le rispose perché
il
volto le si illuminò di colpo e riuscii benissimo anche a
distanza a vedere le sue labbra mimare un 'Scusami, mamma.. ti prego.'
che mi fece bloccare il cuore. Non era possibile... come sapeva quelle
cose? Come faceva a sapere così tanto di tutti?
Mi girai confusa verso di lei che mi restituì l'occhiata e
poco dopo un altro sorriso
"Chi sei tu?" le chiesi con il cuore in gola. Shannon
ridacchiò, forse perché un po' se lo aspettava.
"Non importa sapere chi sia io... importa capire cosa ti sta succedendo
e cosa potrei fare io per farti stare meglio." rispose in uno strano
tono di voce. Quasi materno. Avrebbe potuto aiutarmi? Facendo cosa?
"Di cosa hai paura, Emma? Cos'è che ti spaventa
più di ogni altra cosa al mondo?" mi domandò
voltandosi verso di me con il busto e poggiando un braccio sullo
schienale della panchina. Senza sapere bene il perché, mi
ritrovai a riflettere sulla sua domanda: cosa mi spaventava? Di cosa
avevo paura? In fondo non serviva chiederselo, perché lo
sapevo già.
Ora resta da capire se ho la forza di ammetterlo...
"Ho paura di... deluderlo." le parole mi scapparono dalla bocca ancora
prima di aver lucidamente pensato a qualcosa. Mi stupii di come fosse
stato semplice tirarle fuori e allo stesso modo di come non riuscissi a
sentirmi affatto in colpa per averlo fatto.
"Parli di William?" chiese conferma ed io annuii
"Deludere lui sarebbe come deludere me stessa. William crede
così tanto in noi e nel nostro futuro che.. ogni giorno ho
sempre più paura di commettere lo sbaglio fatale che mi
porterà a perderlo definitivamente. Ed io non posso
permetterlo." tirai su con il naso e mi strinsi nelle spalle, colta
all'improvviso da un brivido di freddo "E ho anche paura di non...
poter essere adatta per... lui o lei." e strinsi ancora il pugno sullo
stomaco, chiedendomi se Shannon sapesse anche del bambino. Conosceva
vita, morte e miracoli di tutto il parco probabilmente, quindi
immaginai che le fosse arrivata all'orecchio anche quell'ultima
notizia. Lei si perse in un profondo sospiro, tanto che temetti
stranamente si fosse spazientita e avesse deciso di alzarsi e
andarsene. Ma non lo fece. Fece in realtà qualcosa di molto
più grande.
"Emma quello che sta succedendo a te e tuo marito è un
miracolo..
è un dono di Dio.. e se non credi in Lui allora credi nella
vita.. credi nell'amore che vi lega e vi legherà per
sempre." mormorò poggiando una mano sulla mia spalla e
stringendola. Non pensai neanche per un istante di scansarmi
perché mi accorsi subito che il suo tocco non era affatto
minaccioso, anzi. Era piacevole e tremendamente rassicurante. E le sue
parole... il dono di Dio... il miracolo della vita che unisce me e
William...
"Non
avere paura di non essere degna perché sarai una madre
splendida
che amerà suo figlio tanto quanto ama suo marito. E quel
bambino
diventerà tutto il tuo mondo.. lui ti adorerà
perché sarai la sua mamma e il suo faro e la sua salvezza
sempre, anche quando tutto sarà nero, anche quando la vita
vi
sembrerà pessima.. tu avrai lui e lui avrà te e
voi..
avrete William che penserà a proteggervi e a tenere unita la
famiglia." senza rendermene conto, mi lasciai scappare due grosse
lacrime che fuggirono chissà dove, a perdersi nella
profondità delle parole di quella donna. E così
io... sarei potuta diventare il punto di riferimento di qualcuno.. di
mio figlio. Lui che non mi avrebbe mai abbandonato e non mi avrebbe mai
deluso e mai mi avrebbe fatta sentire sbagliata... lui che sarebbe
stato mio per sempre perché io lo avrei fatto nascere,
l'avrei cresciuto e allevato e lo avrei voluto più di ogni
altra cosa al mondo.
Mio... perfettamente
mio...
"Goditi questo miracolo, Emma... goditi il frutto del vostro amore e
accoglilo nella tua vita nello stesso modo in cui hai accolto l'amore
di Will. Ne uscirai arricchita e scoprirai che non c'era niente..
niente per cui valesse la pena avere paura." aggiunse in un sussurro
leggero che mi fece tremare perfino il cuore. Ormai le lacrime vagavano
da sole ed io neanche mi preoccupavo più di asciugarle
perché tanto sarebbe stato completamente inutile. La
sensazione che mi stava crescendo nel petto e me lo stava riscaldando
era qualcosa di.. meraviglioso. Era un rendersi finalmente conto di
qualcosa che per tutto quel tempo era rimasto lì in attesa
di essere portato alla luce. Era capire finalmente cosa sarebbe stato
giusto e cosa no. Era scoprire quanto potesse essere grande l'amore e
quanto larghi i suoi confini. Era provare l'ebrezza della gioia
più profonda e non sentire più alcuna paura a
frenarti. Era Emma Pillsbury che aspettava un bambino dall'uomo che
amava di più al mondo e finalmente si rendeva conto di
quanto fosse stata maledettamente fortunata.
Assieme alle lacrime mi lasciai finalmente scappare un sorriso, il
primo dopo chissà quanto tempo e Shannon parve sciogliersi
all'istante perché anche lei come me realizzò
qualcosa. Le sue parole erano state una manna dal Cielo e crederci o
meno sarebbe servito a poco: lei mi aveva aiutata ad aprire gli occhi,
quindi un miracolo era comunque riuscito a compierlo. Si sporse appena
verso di me per lasciarmi una carezza sulla guancia e quello fu un
altro contatto benefico che mi riscaldò dentro e che non
pensai neanche per un istante di interrompere. Al diavolo se rimaneva
un'estranea o se fosse stata una criminale. Era buona e aveva un cuore
d'oro, questo bastava ed avanzava.
"Sei una donna molto fortunata, Emma Schuester!"
esclamò allora lasciandomi un altro sorriso al quale
finalmente riuscii a rispondere anche io. Mi asciugai le guance con un
gesto veloce mentre la sua mano si allontanava e mi preparai a dirle
qualcosa, ringraziarla, magari scusarmi per essere stata parecchio
sgarbata poco prima, ma qualcosa me lo impedì: un gruppetto
di bambini si avvicinarono correndo nella nostra direzione ed uno di
loro per poco non cadde a terra davanti a me, ma alla fine riuscii a
rimanere in piedi e a raggiungere gli altri nel trambusto generale che
aveva fatto girare mezza piazza. Ridacchiai divertita... se mio figlio
in futuro avesse fatto una cosa del genere.. sarei morta di vergogna.
Mio figlio... mio
figlio..
Girai di nuovo gli occhi verso Shannon per poterle finalmente dire
ciò che volevo, ma per la seconda volta non ci riuscii...
accanto a me sulla panchina non c'era più nessuno.
New
York City. Ore 08.03 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)
Erano quasi due ore che Emma era scappata di casa e non essendosi
portata dietro il cellulare non ero neanche riuscito a rintracciarla.
Stavo morendo. Volevo disperatamente sapere dove fosse, cosa stesse
facendo ma soprattutto a cosa pensasse. Avevo provato a fare il giro
del quartiere in macchina per cercarla ma non avevo trovato un bel
niente e rassegnato me ne ero tornato a casa perché sarebbe
stato meglio aspettare che tornasse piuttosto che disperarmi in una
città tanto grande. Emma, nonostante le sue paure, era una
donna responsabile e non avrebbe mai fatto nulla che nuocesse alla sua
salute e mi facesse preoccupare. Mi fidavo di lei, ciecamente.
E proprio perché mi fidavo di mia moglie, mi diedi dello
stupido: ero stato un grandissimo egoista a reagire in quel modo alla
notizia della sua gravidanza, accusandola di quelle cose terribili
senza neanche darle modo di spiegarsi, di spiegarmi e di capire
insieme. Cosa c'era di sbagliato in me? Perché prima di
reagire non avevo almeno riflettuto? Eppure lei non pretendeva molto..
mi aveva sempre chiesto di essere ascoltata e proprio quando ne aveva
più bisogno io... lo ignoravo. Ero stato davvero un pessimo
marito, dovevo vergognarmi. Pensare di aver fatto soffrire la mia Emma
in quel modo... Dio.. non riuscivo neanche a pensare...
In quel momento, mentre misuravo a grandi passi la stanza un rumore
colpì la mia attenzione: la porta d'ingresso si
aprì e si richiuse e meno di tre secondi dopo sulla soglia
del soggiorno apparve Emma con gli occhi stanchi e le mani strette
sulla pancia, quasi timorosa. Mi lasciai scappare un sospiro di
sollievo che mi fece tremare e senza neanche dire una parola mi fiondai
su di lei, abbracciandola, stringendola più forte di quanto
non avessi mai fatto e sorridendo nel momento in cui mi resi conto che
quella volta anche lei stringeva le braccia attorno a me.
"Emma... amore mio... mi dispiace, mi dispiace così tanto
che.. tu.. io non volevo, ti giuro che non volevo dirti quelle cose
orribili. Io ti amo da morire e non voglio perderti." mi affaticai a
dirle tutto quello che mi premeva in testa e che in quelle ore mi aveva
fatto riflettere così tanto. La sentii sorridere e fu senza
dubbio uno dei rumori più belli del mondo
"Lo so, Will.. so che non pensavi quelle cose e.. ti devo anche io
delle scuse. Sono stata profondamente immatura e avrei dovuto spiegarti
con calma ciò che provavo invece di scappare via. Non si
risolve nulla in questo modo." mi disse scostandosi appena per
guardarmi negli occhi. I suoi erano lucidi, segno che avesse pianto
ancora e quella constatazione mi fece stringere il cuore.
"Mi spiace." ripetei mortificato, ma lei scosse la testa e sorrise
ancora. Ancora più bella del solito.
"Ti amo così tanto, Will." disse in un sussurro che mi
scaldò il petto e mi fece sorridere emozionato "E
continuerò ad amarti sempre.. questo non devi mai dubitarlo."
"Non lo farò mai.. promesso." confermai infatti per poi
circondarle il viso con le mani e sporgermi per lasciarle un bacio
leggero. Mi ero sentito morire in quelle due ore, non sapendo cosa fare
e cosa aspettarmi: averla di nuovo con me era come stare in pace con i
sensi finalmente.
Si staccò dal bacio, con un sorriso sereno
"Voglio tenerlo, Will!" esclamò a bruciapelo, spiazzandomi
"Co-cosa?"
"Il bambino." e si portò una mano sulla pancia
accarezzandola "Voglio far nascere e crescere questo bambino assieme a
te... mettere in piedi la nostra famiglia e sono disposta a combattere
fino all'ultimo per tenerla in vita e farla durare per sempre." mi
spiegò, con gli occhi lucidi per l'emozione. Qualcosa nel
mio petto esplose, perché sentii un rumore fortissimo che mi
sconvolse appena, ma riuscii a non cadere.
"Ne.. sei.. sicura?" domandai in un soffio. Lei mi prese le mani e le
strinse forte
"Sono sicura di te.. dell'amore che ci unisce e inizio ad essere
discretamente sicura che questo sia esattamente ciò che
voglio dalla vita. Rimanere per sempre al tuo fianco, con te che mi
permetti di amarti ed io che ti permetto di realizzare il tuo
più grande sogno. Solo che... non sarai solo.. lo vivremo
insieme.. lo faremo come una famiglia." guidò la mia mano
fino al suo stomaco e la posò delicatamente, premendo
appena. Tremai di conseguenza perché solo allora realizzai
davvero che oltre la sua pelle, dentro di lei.. c'era nostro figlio.
Mio e suo. E lei lo voleva.. lo voleva con me. Rimasi senza fiato ad
accarezzarle lentamente la pancia da sopra la maglia durante uno di
quei momenti che sembrano ovattati, presi e messi lì per
essere fatti solo di silenzi e di amori e di infiniti pensieri. Il mio
era soltanto uno: lei era la mia famiglia, lei mi avrebbe regalato una
famiglia ed io avrei fatto di tutto per proteggerla sempre.. proteggere
lei e nostro figlio, ad ogni costo.
La mia famiglia...
"Posso farti soltanto una piccola richiesta, Will?" mi
domandò esitante, ma con un piccolo sorriso divertito sul
volto. Tornai a respirare giusto un attimo prima di sollevare gli occhi
e puntarli nei suoi
"Tutto quello che vuoi." concessi. Lei arrossì appena, e
strinse la presa attorno alla mia mano
"Se sarà femmina... vorrei chiamarla Shannon!" e fu il mio
turno di sorridere e commuovermi perché pensare ai nomi
rendeva il tutto ancora più reale.
"Shannon.." ripetei e suonava davvero bene "Mi piace."
dopodiché, senza neanche preoccuparmi di chiederle come mai
avesse scelto un nome del genere, mi sporsi verso di lei e la baciai.
Così il nostro futuro sarebbe iniziato esattamente da quel
piccolo grande gesto, così semplice ma allo stesso tempo
così pieno di amore. Il
nostro.
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Capitolo 51 *** Epilogo n°9 ***
Buonasera
a tutti e... buona domenica. Dunque... so già che
piangerò e
che non riuscirò a dire tutto quello che ho da dire e in tal
caso mi
scuso già da ora per entrambe le cose
ç__ç ebbene, dopo numerose
peripezie, pianti interminabili mentre le idee non arrivavano, viaggi
mentali lunghi chilometri, aver stroppiato una delle coppie
più belle
della storia della televisione... eccomi a pubblicare l'ultimo epilogo
di Just a Landing, nonché ultimo capitolo di tutta la
storia.. dopo
questo non ci sarà più nulla.. la storia scrive
la parola fine e dovrò
andare a mettere tra le impostazioni di JaL.. conclusa
ç__ç o mamma
mia.. e chi ce la faaaaa???? La facciamo continuare ancora, vero??? XD
no, dai... se non diventa un polmone, peggio di Beautiful u.u credo che
questa storia abbia dato tutto ciò che avrebbe potuto dare..
a me e a
voi.. soprattutto a me. Mi sembra ieri quando l'idea di mettere in
piedi una storia con questo argomento mi è saltata in
testa... tutto
merito del mio nuovo vicino di casa (che come ho detto spesso,
ahimé
non è Blaine ç__ç) e merito anche
dell'amore sconfinato che provo per
la Klaine. Sono passati dieci mesi dal primo aggiornamento.. e ne ho
passate così tante che sinceramente stento davvero a credere
di essere
arrivata viva alla fine. Non pensavo di essere capace di portare a
termine una cosa così, un progetto del genere eppure..
bastava un po'
di buona volontà.. e ovviamente bastavate voi: tutti i
vostri commenti
sono stampati nel mio cuore dal primo all'ultimo, anche quelli su Fb...
non dimenticherò mai le risate che mi avete fatto fare, i
sorrisi che
mi avete regalato, le lacrime che ho pianto quando venivo sommersa dal
vostro affetto. Siete delle persone splendide e per questi dieci mesi
siete stati la mia famiglia.. e lo sarete ancora.. anche se JaL non
dovesse mai avere un seguito o se da questa autrice non
uscirà mai più
nulla di buono (si spera di no XD)... mi avete fatta sentire speciale e
credetemi... raramente mi capita di provare emozioni così
belle. Kurt e
Blaine ci sono stati sempre per me, anche quando al mio fianco non
c'era nessuno e sento di dover ringraziare anche loro... sono speciali,
anche se non raggiungeranno mai la perfezione di quelli originali: sono
speciali per me, perché so cosa hanno significato in questi
mesi e cosa
saignificheranno per sempre. Non vi posso dire con certezza se ci
sarà
o meno un seguito.. forse sì.. qualche idea ce l'ho ma per
il momento
non vorrei ributtarmi in niente di troppo serio.. ho bisogno di un po'
di leggerezza, per questo ho deciso di creare la raccolta Seniel che
continuerò ancora per un po' quindi accontentiamoci di
quella ^.^ e a
proposito di Seniel.. permettetemi di ringraziare anche il mio
Daniel... la mia dolce e preziosissima metà.. la mia
Tamara.. senza di
lei molte volte avrei mollato tutto, senza di lei JaL non sarebbe stata
la stessa, senza di lei non avrei avuto quelle immagini fantastiche e
questi disegni meravigliosi per gli epiloghi, senza di lei.. boh.. non
riesco neanche a pensarci a me
senza di lei.. è importante tanto quanto lo è
Daniel per Sebastian, o
Kurt per Blaine.. o Chris per Darren u.u (l'ultima concedetemela XD).
Mmm...penso
di aver detto tutto, al massimo aggiungerò qualcosa nei
prossimi giorni
sulla pagina autore.. e comunque non ho intenzione di sparire quindi..
non finisce qui XD (suona tanto come una minaccia, vero? XD). Scusate
se non ho più risposto alle recensioni.. appena
potrò cercherò di farlo
almeno per l'ultimo capitolo di JaL e per le shot Seniel..
perdonatemi... ç___ç vi amo con tutto il cuore
e.. grazie di tutto.
A
voi l'epilogo Klaine.. diverso dagli altri, ma spero sia ugualmente
speciale e possa chiudere degnamente questa storia... buona lettura.
Firmato Dreamer91.. alias.. Fabiana <3
p.s.
Pagina Fb (Dreamer91
) Raccolta Seniel (Now
and Forever ) Missing Moments, che non ho dimenticato,
tranquilli ^^ (Just
a Landing - Missing Moments )
Epilogo n°9
Kurt & Blaine
"Caro papà"
Ciao papà,
partirò
con la
solita domanda retorica che si inserisce all'inizio di ogni lettera,
quindi.. come stai? Cosa si dice, lì dove sei tu? Sei
abbastanza
a tuo agio? C'è la giusta compagnia? Riesci a prendere il
segnale delle partite di football nonostante l'altezza? Io spero
proprio di sì.
É passato un po'
di tempo dall'ultima volta che ti ho scritto e ne sono successe di
cose: l'ultima volta che l'ho fatto tu eri morto da poco ed io mi
sentivo solo. L'unica cosa che sono stato in grado di fare all'epoca,
è stato di aggrapparmi al tuo ricordo e continuare a far
finta
che ci fossi ancora, che fossi semplicemente in un'altra
città,
magari io a New York per il college e tu eri ancora a Lima, in attesa
di partire per raggiungermi. E questa illusione è andata
avanti
per un po', finché io stesso non ho detto basta: avevo
bisogno
di reagire e di rialzarmi e realizzare qualcosa per me stesso, qualcosa
che rendesse fiero anche te, che sapevo continuavi a guardarmi
dall'alto. E in questo un po' penso di esserci riuscito.
Ora abito davvero a New York, la città dei miei sogni, la
città in cui tutto è possibile, la
città che
è riuscita a farmi evadere. L'Ohio stava diventando troppo
stretto per me, Lima troppo opprimente e abitare in casa nostra...
troppo doloroso. Mi dispiace averla venduta; ora ripensandoci mi sento
uno schifo perché so quanti sacrifici avevate fatto tu e la
mamma per poterla comprare, solo che... tu non c'eri più, la
nostra famiglia si era completamente distrutta ed io.. non riuscivo
più a reggere tutto quel peso. Ho preferito tagliare tutti i
legami con quella città, casa inclusa, perché
tanto non
ci sarei mai più tornato.. avrebbe fatto troppo male.
Vendere
una casa, cambiare città e crescere però non
significa
volerti meno bene, papà.. io continuo a volertene davvero
tanto
e la tua mancanza è ancora così viva e si fa
sentire
sempre: invece di migliorare va peggiorando, soprattutto in alcuni
momenti, tipo questo che sto vivendo ora. No, non agitarti.. non
è successo nulla di grave, nessuno mi ha preso di mira e non
mi
sono perso nessuna svendita su internet... anzi... la mia vita non
potrebbe andare meglio di così ed è proprio
questo il
punto: tutto è perfetto, quello che faccio e quello che mi
circonda lo sono eppure.. tu non ci sei. É come se fossi
incompleto in un certo senso, ma non del tutto.
Sai, papà... se mi vedessi ora, probabilmente non mi
riconosceresti neanche e non soltanto perché sono cresciuto
ancora in altezza - quasi un metro e ottanta - e i miei lineamenti sono
maturati, abbandonando un po' di quelle linee infantili e delicate che
sono state un po' la mia rovina al liceo... non si tratta solo
dell'aspetto fisico.. è il mio approccio al mondo ad essersi
modificato, il mio modo di pensare, il mio modo di agire e di
rapportarmi con gli altri. Si tratta, però, di un
cambiamento
molto recente, iniziato tre o quattro mesi fa e che ancora oggi da i
suoi frutti e mi fa scoprire cose, provare emozioni che neanche
immaginavo esistessero. Del vecchio Kurt è rimasto davvero
ben
poco e penso che da una parte sia meglio così: se fossi
ancora
lo stesso non sarei riuscito a migliorare, ad ottenere ciò
che
ora ho e soprattutto non potrei scriverti ora con tanta
tranquillità ed il cuore tanto leggero.
Cosa è successo di tanto sconvolgente, ti chiederai tu..
beh,
papà.. se hai due minuti di tempo libero da dedicarmi.. te
lo
racconto molto volentieri.
Dunque... dopo aver lasciato Lima ed aver preso casa qui a New York, ho
scoperto che non aver frequentato la NYADA non era stato poi un
così grande sbaglio perché ho subito trovato un
campo
alternativo a cui dedicarmi: la moda. Ho iniziato, quasi per scommessa
con me stesso, uno stage presso una nota agenzia di moda di Manhattan
che alla fine mi ha fruttato un bel lavoro, ben pagato e in un ambiente
particolarmente piacevole: d'altronde lo hai detto spesso anche tu...
possiedo un estro particolare e un occhio attento per certe cose e
forse avrei dovuto seguire il tuo consiglio invece di impuntarmi con
quel college tanto costoso e prestigioso. In fondo nessuno ha mai detto
che la strada da percorrere possa essere soltanto una... io ho avuto la
fortuna di poter scegliere e devo dire che.. ne sono decisamente
soddisfatto. Non so se frequentare trenta ore di corsi a settimana,
abitare in un campus affollato e avere a che fare con quei livelli
così alti avrebbe fatto per me. Uscivo da una situazione
terribile e non avevo lo spirito adatto per affrontarlo: certo,
Broadway era e rimarrà sempre il mio più grande
sogno
ma.. chissà se un giorno non riuscirò ugualmente
a
realizzarlo. Ho sempre cercato di ponderare le mie scelte, non mi sono
mai fatto guidare dall'istinto né da colpi di testa
improvvisi..
Kurt Hummel è un ragazzo di sani principi e con la testa
sulle
spalle e questo era valido quando tu eri ancora in vita e lo
è a
maggior ragione ora. Solo che, a volte, mi è capitato di
mettere
un piede al di fuori della carreggiata e ho rischiato seriamente di
cadere giù; all'inizio della discesa c'è stata la
mia
prima relazione seria con qualcuno.
Probabilmente.. molto probabilmente.. se tu avessi conosciuto David, se
tu avessi visto come mi guardava e come si rapportava a me... io e lui
non saremmo durati quattro anni. Avresti fatto di tutto per farmi
tornare con i piedi per terra e farmi aprire gli occhi.
Perché
lui non era adatto, io lo sapevo, lo sentivo.. eppure, e anche se mi
vergogno terribilmente ad ammetterlo... in quel momento mi sembrava
giusto così. Lui si era dimostrato interessato, io non avevo
mai
provato la sensazione di essere legato sentimentalmente a qualcuno, a
New York non conoscevo anima viva e... tutti questi motivi mi hanno
spinto a cadere nella sua trappola. Avrei dovuto capirlo subito, fin
dal nostro primo discorso, fin da quando lui ci aveva provato... sarei
dovuto scappare a gambe levate, senza mai voltarmi indietro.. ma,
ovviamente ero troppo sciocco e spaventato anche per fare qualcosa di
così banale. Sono rimasto al suo fianco per quattro anni,
durante i quali mi sono visto lentamente cedere, perdere quella
dignità che mi aveva distinto sempre, che mi aveva fatto
combattere il bullismo al liceo e che avevo sicuramente ereditato da
te. Gli Hummel non cedono. Gli Hummel combattono fino alla fine. Ma io
non sono riuscito a tenere fede a quelle parole: mi sono lasciato
plagiare e condizionare da lui, fino al punto in cui la mia opinione
non valeva più nulla e la mia volontà la tenevo
nascosta
con gelosia. Avevo costruito una maschera, una maschera che mettevo su
quando stavo con gli altri soprattutto con David e che indossavo con
facilità, quasi fosse diventata parte integrante di me.
Facevo
vedere agli altri ciò che volevano vedere e davo a David
solo
ciò che chiedeva. Niente di più niente di meno.
Quando
tornavo a casa, però, chiudendomi alle spalle la porta
blindata
e poggiando la maschera sul comodino, crollava tutto: non restava nulla
del muro di cinta che mi ero costruito attorno, implodevo ogni volta e
ogni volta vivere mi costava appena più fatica.
Lo so, papà... se mi avessi sentito pronunciare queste
parole,
probabilmente mi avresti preso a schiaffi perché questo
sarebbe
stato l'atteggiamento più sbagliato da parte mia e avrei
dovuto
essere grato per la mia vita, la mia salute e la fortuna che avevo
ottenuto scappando via dalla provincia. Eppure ero come tappato, le
giornate avevano assunto tutte la stessa tonalità desolante
di
grigio e non c'era nulla a darmi la giusta forza per reagire. Solo il
tuo ricordo.. ma anche quello faceva fin troppo male per permettermi di
rialzarmi e spezzare quella maledetta maschera fatta di bugie e
insoddisfazioni. Perché era questo ciò che ero
diventato:
insoddisfatto. Di me, del mio futuro incerto, del mio ragazzo.
Soprattutto del mio ragazzo.
Non c'è mai stato niente in David che riuscissi ad
apprezzare e
per cui valesse la pena rimanere, niente davvero. Pessimo carattere,
arroganza disumana, ragionamenti insensati ed egoisti, un possesso
quasi fastidioso nei miei confronti, maleducazione inammissibile e...
beh, ovviamente nessun sentimento sincero. E io lo sapevo.. sapevo
perfettamente tutte queste cose eppure non l'ho mai lasciato.
Perché? Bella domanda... se me lo avessi chiesto qualche
mese fa
ti avrei risposto che in fondo mi andava bene così,
perché ero convinto di aver ottenuto ciò che in
fin dei
conti meritavo - quasi fosse una punizione, la legge del contrappasso
per la mia nuova vita - ed ero convinto di non poter sperare in nulla
di meglio. La speranza era proprio qualcosa che non potevo permettermi.
Poi però il destino ha bussato alla mia porta... nel vero
senso
della parola. Qualche mese fa ho conosciuto una persona, un altro
ragazzo, una specie di principe azzurro moderno, le cui armi sono state
il sorriso meraviglioso ed un cuore immenso. Blaine. Questo
è il suo nome, papà.
Blaine è venuto ad abitare sul mio stesso pianerottolo e
sono
bastati pochi scambi di battute e qualcuno dei suoi sorrisi per farmi
capire quanto fosse speciale e quanto avessi bisogno di un amico come
lui. Ovviamente tra di noi l'amicizia è durata ben poco. Mi
sono
innamorato perdutamente di lui, senza neanche premeditarlo e proprio
perché è stato tutto così spontaneo e
naturale..
proprio questo ha reso le cose più magiche.
Chissà per
quale assurdo motivo, anche Blaine si è innamorato di me: in
pochissimo tempo lui è riuscito a capire che avessi qualcosa
di
diverso rispetto alle altre persone, ha capito che dietro l'apparenza
ci fosse dell'altro, e soprattutto è riuscito a vedere
dietro la
maschera che indossavo: lui è l'unico ad
essersene accorto,
papà... l'unico in sei anni. E io, anche se non lo avrei mai
ammesso, aspettavo ardentemente qualcuno così, qualcuno che
mi
guardasse negli occhi, che mi stringesse la mano e che mi sorridesse
sinceramente. Quello soltanto sarebbe bastato a farmi capire che non
sarebbe più servito nascondersi, perché non
c'erano
più pericoli per me. Blaine ha distrutto il mio muro,
mattone
dopo mattone, lentamente e senza mai smettere di comprendermi e poi
ne ha costruito un altro subito dopo, quella volta però
attorno
a noi. Per proteggerci, per proteggere ciò che avevamo e
abbiamo
ancora oggi. Sì... io e Blaine stiamo insieme da tre mesi ed
io
non potrei essere più felice di così.
Blaine non è David, papà e se non te ne fossi
ancora
accorto, non c'è nulla che potrebbe anche lontanamente
accomunarli, eccezion fatta per me forse. Ma David non ha mai ottenuto
il mio cuore.. Blaine lo ha conquistato e ormai è
completamente
suo. Blaine mi ama, mi ama davvero e cosa più importante mi
rispetta. Non sono un burattino nelle sue mani, non smetto di avere
importanza quando sono con lui e non devo preoccuparmi di sopprimere il
mio pensiero perché lui è sempre curioso di
saperlo ed
è sempre ben disposto a condividerlo. Io con lui
posso
essere me stesso e posso finalmente tirar fuori quella parte del mio
carattere che in questi difficili anni avevo accantonato. Ci tiene a me
e me lo dimostra quotidianamente: non ho mai preteso grandi gesti o
chissà quali azioni plateali.. a me bastano la
semplicità, a me basta un abbraccio dato all'improvviso,
quando
meno me lo aspetto, magari dopo una giornata particolarmente pesante;
mi basta ricevere un messaggio dolce a metà mattinata in cui
c'è scritto anche solo "ti amo" perché quello mi
fa
capire che mi sta pensando; mi bastano gli sguardi che ci scambiamo
quando siamo in compagnia di qualcuno, che sono pieni di frasi
sottintese e chissà quali tipi di promesse; mi bastano le
attenzioni che mi riserva e che io sono contento di concedergli. Tutto
questo è Blaine. E sarebbe decisamente molto riduttivo
limitarsi
a queste poche parole.
So che lo conosco da poco, ma... credimi, il tempo è davvero
misero in confronto all'intensità con cui lo abbiamo
vissuto.
Non è stato affatto facile avere a che fare con me e in un
paio
di occasioni maledette ho davvero rischiato di perderlo, per colpa
della mia stupidità o della paura. Paura di cosa, ti
chiederai
tu: beh, io penso sia stata paura di essere felice. Quando avevo te lo
ero, nonostante le brutte esperienze al liceo e la mentalità
ristretta dell'Ohio, mi bastava avere il mio papà al mio
fianco
per essere felice. Da quando non ci sei più e ho scoperto
seriamente cosa significasse provare dolore, ho iniziato a sviluppare
una sorta di repulsione verso la felicità. Per me, essere
felici
equivaleva scioccamente a correre il rischio di perdere tutto prima o
poi e ricadere inevitabilmente in altro dolore. Ecco perché
mi
sono tenuto lontano da qualsiasi tipo di rapporto serio - fatta
eccezione di David, ma lì più che serio
è stato
masochistico - soprattutto in amicizia. Con Blaine è stato
diverso perché era lui ad esserlo.. diverso. Lui non si
è
arreso e come ti ho già detto prima... ha guardato oltre.
Blaine mi ha insegnato tante cose: mi ha insegnato prima di tutto a
volere bene a Kurt. Ho scoperto che per stare bene con gli altri
bisogna prima di tutto volersi bene. Mi ha insegnato ad essere fiero di
essere quello che sono e di non nascondere mai idee e opinioni,
perché anche le mie valgono qualcosa lì fuori. Mi
ha
insegnato a non arrendermi mai, neanche dove sembra impossibile
riuscire, perché basta un po' di buona volontà e
almeno
una persona che crede in te. Mi ha insegnato il vero significato della
parola amare. Mi ha insegnato a sorridere senza remore. Mi ha insegnato
a chiedere scusa e a provare rimorso. Mi ha insegnato ad avere coraggio
sempre. Mi ha insegnato ad avere fiducia e un briciolo di speranza in
più. Mi ha insegnato a credere nei sogni e a non perdere mai
di
vista l'obbiettivo finale. Mi ha insegnato cosa significa provare vere
emozioni, non banali sensazioni passeggere vuote ed insignificanti; con
Blaine è tutto ad un altro livello, è
sorprendersi
sempre, è sentire il cuore battere anche per le cose
più
sciocche, è scoprirsi a vicenda ogni giorno, è
meravigliarsi di quanto ancora potremmo farlo domani, è
comprendersi anche senza parlare, è non stancarsi di stare
insieme tutto il giorno pur senza fare nulla di rilevante, è
voler sentire l'altro accanto semplicemente allungando una mano...
è sapere che qualcuno a casa mi aspetta sempre e che
tornando
non proverò mai più quella brutta sensazione di
vuoto e
solitudine. Ci saranno luci accese, termosifoni già
riscaldati,
cena quasi pronta e soprattutto un paio di occhi dorati che si
illumineranno non appena si inchioderanno ai miei. Sai,
papà... avere importanza per qualcuno mi fa sentire meno
solo e mi riporta ai tempi in cui c'eri tu con me.
Tu non verrai mai sostituito da nessuno, questo te lo assicuro con
tutto me stesso, però... almeno lui è riuscito a
regalarmi un po' di quella serenità che mi ricorda tanto
casa
nostra e la mia adolescenza con te.
A volte vorrei davvero fartelo conoscere: magari prendere un treno fino
a Lima e portarlo con me. Ci ho fantasticato spesso su questa cosa,
sai... sarei davvero curioso di vedere la tua faccia, di vedere la sua,
di ridere di entrambi. Secondo me andreste molto d'accordo
perché in alcuni aspetti vi assomigliate: avete entrambi
quell'ottimismo contagioso che permette di vedere del buono ovunque,
anche dove non c'è e che permette perfino ad un pessimista
come
me di crederci a volte. Poi però mi ricordo che tu, ovunque
sia,
forse riesci a vedermi davvero e quindi di conseguenza conosci
già Blaine, sai già l'effetto che ha su di me,
sei
consapevole di quanto bene mi faccia sentire e molto probabilmente ogni
volta che ci guardi insieme sorridi. Ed io, mentre ci penso, mi ritrovo
a fare lo stesso, preda dell'emozione.. perché è
così bello perdersi in questo tipo di fantasie. Fossero
tutte
così. Avevo tanta di quella amarezza addosso prima di
conoscerlo. Ed era strano per un ragazzo di venticinque anni essere
così risoluto e scettico sul mondo: ero arrivato ad un punto
in
cui il mio unico interesse ricadeva in attimi privi di significato come
mangiare, dormire, lavorare e tornare a casa. Mi limitavo
a sopravvivere, come un vegetale. Blaine mi ha permesso di
risvegliarmi da un lungo letargo e ha sciolto un po' quella calotta
gelida che mi circondava. Anche lui ha la mia stessa età,
eppure.. abbiamo una visione completamente diversa della vita. Lui
affronta tutto con il sorriso, è spiritoso e crede in molte
cose. Ha dei valori ben saldi, primo tra tutti l'amicizia. Dovresti
vedere con quanto rispetto tratta il suo migliore amico o con quale
entusiasmo parla di lui. A volte, lo ammetto, sento di esserne geloso
poi però mi do dello stupido perché so
perfettamente che
quello sguardo brillante ce l'ha anche quando parla con me ed io ho in
più l'amore che mi trasmette sempre. In pratica sono
doppiamente
fortunato: in un colpo solo ho trovato il mio migliore amico e l'amore
della mia vita. E per uno che, durante l'adolescenza, non riusciva
neanche ad avvicinarsi ad un ragazzo senza essere insultato o
spintonato... è una conquista. Hai visto che progressi ha
fatto
il tuo bambino?
Un altro dei mille pregi di Blaine è la voce: Dio,
papà... dovresti sentire che voce che ha. Profonda,
avvolgente,
stuzzicante, magica... riesce a stregarmi tutte le volte nonostante
abbia imparato a memoria ogni sfumatura ormai. Eppure è
sempre
un piacere indescrivibile sentirlo cantare: è stata quella
la
prima cosa che ho conosciuto di lui, in fondo. La prima volta che ci
siamo visti, l'ho sentito cantare in un pub e forse inconsciamente il
mio cuore aveva già iniziato a mettere in moto gli
ingranaggi. Sono quelle
cose che non ti aspetteresti mai possano accadere. Era stata una serata
tranquilla, una come tante altre e invece.. da lì
è
iniziato tutto. E la sai la cosa più buffa quale
è stata?
Il ritrovarsi qualche giorno dopo nello stesso palazzo, a condividere
perfino lo stesso pianerottolo. Sono stato molto fortunato, lo ammetto.
C'è inoltre un'altra cosa.. una cosa che non sanno in molti
e di
cui mi vergogno terribilmente. Dopo la tua morte io feci una promessa a
me stesso: che qualsiasi cosa fosse successa nel mio futuro, non avrei
mai più cantato... perché quello più
di ogni altra
cosa mi teneva legato al mio passato, perché mi avrebbe
ricordato te e i nostri discorsi sulla NYADA e quanto ti piacesse
sentirmi cantare, soprattutto la sera. E così ho
fatto:
Kurt Hummel non ha più cantato, fatta eccezione per i
momenti di
intimità sotto la doccia, dove nessuno avrebbe potuto
sentirmi.
Mi ero costruito un muro anche in quello e sono perfettamente
consapevole che, rinunciando a cantare, ho fatto del male a me stesso,
ma soprattutto a te. A te che mi hai sempre chiesto di non smettere mai
di farlo, qualsiasi cosa fosse successa; non ho mantenuto la parola,
papà... e me ne sono vergognato da morire. Ovviamente...
anche
in questo Blaine è riuscito a migliorarmi: la sera del mio
compleanno mi ha convinto a duettare con lui in una canzone...
semplicemente perfetta. Quel momento, cantare con lui, intrecciare le
nostre voci assieme e lasciare da parte i miei limiti e i miei freni..
mi ha fatto sentire vivo come non mai. Forse già in
quell'occasione avrei dovuto capire di essere innamorato di lui. Ora,
non dico di aver ripreso a cantare con la stessa assiduità
con
cui lo facevo prima.. ma se adesso qualcuno dovesse chiedermelo, non mi
farei pregare troppo, ecco. Blaine per me lo fa spesso... cantare
intendo. Quando sono giù e ho bisogno di qualcuno che mi
abbracci lui lo fa con la sua voce, senza che ci sia più
bisogno
di chiederglielo. Lui mi capisce al primo sguardo, non ci sono molte
parole tra di noi perché ci pensano i sentimenti a
compensare e
solo ora capisco i mille discorsi che mi facevi quando ero poco
più di un bambino. Trova qualcuno con cui non avrai mai
bisogno
di parlare per farti capire, dicevi.. e ora finalmente posso darti
ragione.
Le cose grazie a Blaine non sono migliorate solo in campo
sentimentale... l'essermi aperto con lui mi ha permesso di trovare il
coraggio di lasciarmi andare anche in amicizia. Non solo ho
approfondito il rapporto con amiche che già avevo - tipo una
ragazza che abita nel mio stesso condominio, Rachel, che ha una
splendida bambina di quattro anni pur essendo giovanissima, oppure con
una delle modelle con cui ho avuto modo di lavorare in agenzia, Santana
- ma ho anche ampliato le mie conoscenze e ora posso dire di essere
profondamente orgoglioso di avere un bel giro di amicizie, che
includono perfino un'altra coppia gay, amici di Blaine. Ricordi
papà quante volte mi sono lamentato del fatto che la gente a
Lima sembrava vergognarsi della propria sessualità e che per
uno
come me non ci sarebbe stata alcuna speranza di trovare un'amicizia
sincera o comunque qualcuno che condividesse i miei gusti? Beh.. New
York e Blaine mi hanno mostrato un mondo a parte, un mondo di cui
ignoravo l'esistenza e di cui ora faccio parte. Mi fa sentire bene il
sapere che lì fuori c'è un giro di amicizie che
mi
accetta per come sono e per cui non è un problema che io
vada in
giro mano nella mano con un altro uomo. In realtà lo
pensavano
anche prima che me ne accorgessi.. però... ero troppo
sciocco
per ammetterlo e d'altronde non avevo nessun ragazzo a cui avrei
stretto con orgoglio la mano in pubblico. David non era di certo il
tipo e da un lato è stato meglio così
perché
questo mi ha permesso di condividere molte prime volte con Blaine da
quando lo conosco. Tranquillo, non ho intenzione di dirti niente di..
intimo - anche se, papà... non ho più quindici
anni e
questo dovresti averlo capito - mi riferisco più che altro
ad
esperienze emotive. Blaine è il primo ragazzo di cui io mi
sia
innamorato; è il primo a cui ho detto ti amo; è
il primo
che mi ha fatto piangere di emozione; è il primo a cui abbia
dato tutto me stesso; è il primo da cui ho ricevuto un mondo
intero; è il primo a cui ho parlato di te; è il
primo che
in un certo senso ho voluto farti conoscere; è il primo con
cui
sento la voglia di condividere qualcosa di importante; è il
primo.. e l'unico, con cui voglio trascorrere il resto della mia vita.
E... a questo proposito, papà... c'è un'altra
cosa che
sento il bisogno di dirti... è una cosa che è
successa
qualche giorno fa e che, in un certo senso mi ha spinto a scriverti.
É qualcosa di molto importante per me, per la mia vita...
una
decisione che cambierà tutto o forse non cambierà
proprio
nulla. Blaine.. mi ha chiesto di trasferirmi da lui. L'altro giorno,
mentre eravamo a cena. All'improvviso, mentre stavamo tranquillamente
gustando i nostri piatti, lui si è aperto in un sorriso
strano,
che mi ha fatto perdere qualche battito perché... Dio.. era
bellissimo come sempre e... mi ha detto che c'era una cosa importante
che avrebbe voluto chiedermi. Io l'ho lasciato parlare, roso dalla
curiosità e a quel punto lui ha poggiato una scatolina di
tessuto sul tavolo, accanto al mio bicchiere. Lì il cuore mi
si
è completamente fermato perché per un istante ho
pensato
che quella scatolina contenesse un anello e mi stesse chiedendo di
sposarlo - e non mi avrebbe meravigliato troppo... eravamo reduci da un
recente matrimonio gay.. quindi, non c'è due senza tre - ma
mi
sbagliavo. Lì dentro forse c'era qualcosa di molto
più
importante. Quella scatolina conteneva un piccolo mazzo di chiavi,
tenuti insieme da una catena argentata sottile all'estremità
della quale c'era un portachiavi dello stesso colore dalla forma
inequivocabile: era un cuore, spezzato a metà. Su un pezzo
spiccava una B... sull'altro una K. A stento sono riuscito ad alzare
gli occhi verso di lui per chiedergli spiegazioni ed ho trovato di
nuovo il suo sorriso buono ed emozionato che illuminava la sala.
"Queste sono tutte le chiavi della mia vita: la chiave lunga
è
quella della porta blindata... quella più piccolina
è
quella della cassetta postale.. quella con la forma strana apre lo
sportellino dove c'è il contatore del gas e infine... anche
se
non credo di riuscire mai a convincerti a prenderla... l'ultima
è
la chiave della moto." mi ha detto indicandomi una per una le chiavi in
questione, visibilmente agitato "Mancano forse quelle più
importanti.. quelle del mio cuore, ma.. ho come l'impressione che
quelle tu le abbia già da tempo." ha aggiunto con un
sorriso. E
lì il cuore mi si è stretto in una morsa e non ci
ho
capito più nulla. Ho abbandonato la mia sedia, mandato al
diavolo il luogo pubblico e l'educazione, e gli sono saltato addosso,
per stringerlo forte. Siamo rimasti in quella posizione forse un'ora
intera, fino a che il cameriere non è venuto ad
interromperci,
portando una bottiglia di acqua. Ed è stato in quel momento,
mentre mi asciugava le lacrime dispettose, che me lo ha chiesto... Kurt, vuoi venire a vivere con
me?....
Ok, forse è un po' sciocco, ma.. sto piangendo di nuovo..
ora..
mentre ti scrivo, quindi non meravigliarti se troverai la pagina
bagnata o l'inchiostro sbavato. Colpa delle emozioni. Colpa di Blaine.
Colpa mia che sono troppo fragile. Ora però le lacrime non
hanno più lo stesso sapore di allora.. sono più
dolci in un certo senso e piacevoli.
Ovviamente, non c'è bisogno
che ti dica cosa io gli abbia risposto, vero? Ti basti sapere che ora
sto scrivendo da casa sua... casa
nostra...
mentre lui sonnecchia sul divano davanti all'ultima puntata di
Masterchef Australia. Ovviamente Blaine è anche un ottimo
cuoco,
ma.. cosa non sa fare d'altronde? Il trasloco è stato
piuttosto
semplice, anche perché abbiamo avuto la fortuna di non dover
pagare il
trasporto: è bastato chiamare un paio di amici per aiutare a
trasportare qualche scatolone da un appartamento all'altro e il gioco
è fatto. Abbiamo preferito rimanere nel suo e lasciare il
mio,
perché lui paga davvero poco di affitto - merito
dell'intercessione di un suo amico, a quanto pare - e quindi in questo
senso abbiamo optato per il risparmio. Non abbiamo problemi di soldi,
non preoccuparti - ti conosco, so già che ti stai allarmando
e
sai anche che non ti fa bene - anzi: entrambi ultimamente abbiamo
ottenuto qualche bella soddisfazione in campo lavorativo e questo
è senza dubbio un altro punto di cui vorrei parlarti. Il mio
nuovo, bellissimo e gratificante lavoro. Sono diventato uno dei
principali stilisti di una famosa griffe newyorchese, diretta dalla
meravigliosa Sue Sylvester.. te la ricordi, vero? Quella donna ben
vestita che guardavamo sempre in tv, quando veniva intervistata da
Letterman nel suo show.. proprio lei, papà... lei mi ha
voluta
nel suo organico e ormai sono quasi tre settimane che faccio parte di
quel meraviglioso mondo. Non ha davvero nulla a che vedere con i
compiti che svolgevo prima.. ora posso davvero esprimere il mio estro e
la mia concezione di moda e sembra ci sia qualcuno che finalmente
riesce ad apprezzarlo.
Blaine invece... beh con la voce che si ritrova soltanto una cosa
avrebbe potuto fare. Tra qualche mese uscirà il suo primo
disco e... credimi... siamo entrambi emozionati come due bambini.
Quando vogliamo prenderci in giro, a volte, diciamo che da qui a cinque
anni ogni americano che si rispetti avrà nell'armadio un
capo firmato Kurt Hummel e sullo scaffale un cd di Blaine Anderson. E
la cosa fa incredibilmente ridere entrambi.
Ho fatto bene, papà? Pensi che abbia corso troppo, che avrei
dovuto aspettare ancora un po'? Pensi che Blaine sia.. quello giusto..
il mio 'vissero felici e
contenti'? Io....da una parte immagino la tua risposta..
tu a questo punto mi chiederesti cosa penso io, perché
è la mia opinione ad avere più importanza e
quindi.. sì, papà.. penso, anzi ne sono convinto,
che lui sia quello giusto, quello perfetto, quello che voglio accanto a
me per vivere felice e contento. Ho imparato, anche se a fatica, che la
cosa a cui devo pensare è la mia felicità... ed
io con Blaine sono felice come non lo sono mai stato prima e l'ultima
cosa che voglio è perdere una sensazione così
bella e che mi fa stare tanto bene. Mi fido di lui, mi fido di me e
soprattutto mi fido di noi... non penso sia una cosa
passeggera, un'infatuazione superficiale o la voglia disperata di avere
qualcuno accanto: so perfettamente cosa sento e cosa mi trasmette
Blaine tutte le volte che siamo insieme o che semplicemente mi guarda.
Sono emozioni troppo forti per essere passeggere. É amore
puro, amore in tutta la sua bellezza, amore grande e unico che sento
potrà crescere ogni giorno, insieme a noi. Non cambierei
Blaine per nulla al mondo, sono profondamente fiero di lui e sento di
poterlo essere anche domani, tra un paio di settimane, tra un anno...
per sempre e anche oltre. Lui è quel pezzo mancante della
mia vita che mi completa e mi rende speciale nel mondo e non ho la
minima intenzione di lasciarmelo scappare: ho perso fin troppe cose da
quando sono nato fino ad oggi... quello che abbiamo
è
davvero speciale e merita di essere trattato con rispetto da chiunque,
quindi non permetterei mai a nessuno di rovinarlo... a lui non rinuncio,
papà.. dovessi lottare contro i mulini a vento. Parola di
Kurt Hummel.
Adesso vado, è davvero tardi e mi si chiudono gli occhi.
Confesso che questa chiacchiera mi ha fatto davvero bene, ne avevo
bisogno. Forse dovrei prendere l'abitudine e farlo più
spesso.. includerti nella mia vita in questo modo, ritagliandoti ogni
tanto un pezzo della mia giornata, così come ho fatto
stasera. Sempre che tu non sia troppo impegnato, ovvio.
Ti abbraccio forte, papà... e sappi che mi manchi tanto.
Il tuo bambino, non più tanto bambino, che ti ama da morire,
ovunque tu sia.
Signor
Hummel?
Salve, io
sono Blaine... Kurt è di là in bagno e ho davvero
pochi minuti per scriverle qualcosa di sensato prima che lui possa
accorgersi di quello che sto facendo. Non ho letto quello che le ha
scritto,
perché non mi permetterei mai.. è la vostra
privacy ed io
la rispetto. Volevo semplicemente dirle... grazie. Grazie per
aver
cresciuto un figlio così meraviglioso, grazie per avergli
insegnato tanto, grazie per non avergli permesso di cedere quando tutto
il mondo ce l'aveva con lui, grazie per averlo reso tanto speciale e
grazie soprattutto per avermi permesso di conoscerlo. Sono sicuro che
anche lei fosse una persona splendida.. Kurt mi parla così
tanto
di tutto quello che gli diceva e di cosa facevate insieme. Spero solo
che, vedendo me, lei possa essere felice e tranquillo. Io amo Kurt e
farò di tutto pur di renderlo felice. Ormai siamo davvero
una
persona sola, dunque dalla sua felicità dipende la mia...
Spesso mi chiedo se lì fuori non esista qualcuno di
più adatto per Kurt, qualcuno di perfetto, che gli possa
regalare tutto ciò che merita.. perché io ne sono
convinto, lui merita tanto.. tutto.. forse anche di più.
Solo che, al tempo stesso mi rendo perfettamente conto di non poter
più fare a meno di lui: è un pezzo della mia vita
troppo importante per poterci rinunciare e per questo sarei disposto a
cambiare tutto il mio carattere pur di modellarlo ad immagine e
somiglianza con la perfetta rappresentazione della sua
felicità. In amore bisogna essere disposti a tutto.. a
sacrificarsi, a comprendersi, a completarsi, a lasciarsi andare, a
farsi da parte e a condividere. Noi tentiamo di fare tutto quanto e
fino ad ora.. beh... sta andando decisamente bene. Molto più
che bene.
Si
ricordi che per qualsiasi cosa io.. sono pronto ad ascoltare consigli,
in qualsiasi forma voglia farli arrivare.
Mi sono
preso troppe
libertà, eh? Dice che appena Kurt si renderà
conto di
quello che ho fatto mi sbatterà fuori, visto che ormai
questa
è anche casa sua? Gliel'ha detto che ora viviamo insieme,
vero? Oh
merda... forse... mmm... forse ho fatto un guaio. Mi scusi signor
Hummel... e scusami anche tu Kurt, io non.. volevo. Cioè
sì, in realtà volevo però.. so che
avresti voluto essere tu a
dire a tuo padre una cosa tanto importante.. merda... d'accordo la
smetto... ehm... Signor Hummel... non mi giudichi male, è
che
fondamentalmente sono un cretino e quando si tratta di dire qualcosa di
serio mi va in blocco il cervello e inizio a straparlare e... merda
Kurt... è appena uscito dal bagno. Vado! Buonanotte Burt...
spero di risentirti
presto.
Oddio... le
ho dato del
tu involontariamente... mi scusi... e... scusi anche per quelle due o
tre parolacce scappate.. mi sembrava brutto cancellarle con
l'inchiostro. Ora vado davvero. A presto.
Blaine.
Blaine
Anderson... ti uccido. Però ti amo da morire.
:) Ti amo
anche io, Hummel.
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