You can believe in me.

di gloriabarilaro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***





Prologo.


 

‹‹Bet, non ti allontanare troppo!›› gridai alla bambina dai lunghi capelli castani che correva spensierata per il gigantesco parco giochi, stranamente deserto. La vidi saltellare qua e là, disubbidendomi come suo solito e mettendo una manciata abbondante di metri tra me e lei, mentre muoveva il legnetto che stringeva in mano come se fosse una bacchetta magica.
Sorrisi inconsciamente, guardandola: era così spensierata e sorridente, come in fondo era gusto fosse una bambina. Viveva nel suo mondo pieno di fantasie, sorrideva sempre nonostante la sua vita non fosse delle migliori. Era così innocente, incosciente.. proprio come suo padre. Scacciai quel pensiero lontano da me, e  con un sospiro mi lasciai cadere sulla panchina di legno lì vicino.
Guardai Betrayalcorrere per il prato lasciando uscire uno sbadiglio. Strizzai gli occhi per qualche secondo, cercando di scacciare il sonno che sentivo addosso; quando li riaprii non mi fu difficile ritrovare la bambina: ringraziai il cielo per essere riuscita a convincerla a mettere quella graziosa gonnellina rossa che le avevo comprato, che svolazzava ogni volta che saltellava o correva, sennò l’avrei persa tra tutti quei tronchi nodosi e imponenti e quelle giostre tutte scrostate e arrugginite.
Mentre la tenevo d’occhio, ricambiando un sorriso che mi lanciava di tanto in tanto quando si voltava verso di me, il cellulare prese a squillarmi in tasca. Lo tirai fuori dalla tasca della felpa che avevo addosso, e senza preoccuparmi di controllare chi fosse, accettai la chiamata, portandomi l’apparecchio all’orecchio.
‹‹Pronto?›› risposi con tono di voce assonnato e sciatto, mentre mi guardavo le unghie: avevo lo smalto tutto rovinato, avrei dovuto rifarmelo.
‹‹Che hai, Kath, di pessimo umore anche oggi?›› mi rimproverò Taylor, scocciata. Sospirai, buttando gli occhi al cielo: l’ultima cosa che mi mancava quella mattina era proprio subire un rimprovero dalla mia migliore amica sul mio stato d’animo. Gonfiai le guancie, scoccando un’occhiata distratta a Betrayal, poco più  in là.
‹‹Scusami, è che stamattina Bet era più capricciosa del solito: si è alzata alle sette pretendendo di voler andare al parco. Ed è Domenica!›› mi lamentai con lei, mentre riguardando la piccola, pochi metri più in là, mi accorsi che stava pasticciando con  una fanghiglia marroncina che si rigirava tra le mani. Feci una smorfia di disgusto, cercando di non pensare che poi avrei dovuto pulirla da capo a piedi.
Sentì Taylor ridacchiare dall’altra parte del telefono, prima di dire: ‹‹Vi assomigliate davvero, Kath: ottiene sempre quello che vuole, proprio come te. Non mi stupisco del fatto che le sfuriate a casa vostra siano fin troppo frequenti.››
Sbuffai rumorosamente, facendola ridere brevemente. Non mi diede il tempo di ribattere, che cambiò subito argomento: ‹‹Senti tesoro, stasera ti va di andare a una festicciola? Almeno ti diverti un po’. Non esci da... quanto? Una settimana?››
‹‹Mi piacerebbe tanto ma... Mia madre stasera non riesce a tenere Betrayal. Credo che per stasera passo.›› dissi a malincuore, alzandomi dalla panchina per sgranchirmi le gambe.
‹‹Ma Katherine, è la stessa cosa che hai detto le ultime volte che ti ho proposto di uscire! Ti prego...›› mi supplicò lei, e quasi la vidi sporgere il labbro in fuori come faceva ogni volta che voleva convincermi a fare qualcosa, sin da quando avevamo entrambe sedici anni. Sorrisi a quel pensiero.
‹‹Non posso! Te l’ho già detto. Se esco con te e Leilah, non ho proprio nessuno a cui lasciarla. E, sinceramente, non mi fido a lasciarla con una baby-sitter. Bet la farebbe uscire fuori di testa. - sentii Taylor ridacchiare mentre lo dicevo - Non c’è altra soluzione, devo rimanere a casa.››
Dall’altra parte sentii solo silenzio. Aspettai che Taylor parlasse, risedendomi sulla panchina. Mossi le dita della mano libera per evitare che il freddo le intorpidisse: per vestire bene Betrayal e evitare così che si ammalasse, mi ero dimenticata di prendermi i guanti prima di uscire.
‹‹Beh, un altra soluzione ci sarebbe, in realtà...›› mormorò Taylor, come se non volesse davvero dirlo. Mi agghiacciai, capendo subito a cosa si riferisse. Stavolta fui io a tacere, infilandomi la mano in tasca. L’atmosfera si fece di colpo più tesa.
‹‹No, - risposi seccamente dopo una manciata di secondi, - quella non la voglio nemmeno considerare.››
‹‹Ma Kath...›› provò a ribattere Taylor, nonostante sapesse che era una battaglia persa. Scossi la testa con forza, anche se non mi poteva vedere. Il mio silenzio la fece innervosire, perché non aspettò neanche che ribattessi seccamente una seconda volta per sbottare: ‹‹Katherine, davvero: da quando è nata quella  bambina, lasciatelo dire, la tua vita è diventata uno schifo. Tutto quello che eri prima, è... andato a farsi fottere! Tu sai qual è la mia idea, il parere che ti do sempre. Per una volta, ascoltami; Dovresti contattare...››
‹‹Non lo nominare!›› gridai, attirando l’attenzione della bambina a pochi metri più in là, che si voltò di scatto verso di me, spaventata dal mio tono di voce. Le sorrisi forzatamente, cercando di farle capire che, stavolta, la sgridata non era rivolta a lei. La vidi stringere le labbra, buttandole dentro alla bocca, per poi tornare a torturare qualche insetto con un bastoncino come se nulla fosse. Se solo fosse stato facile lasciar perdere tutto così anche per me...
Taylor continuò a parlare, alterata dal fatto che avessi alzato la voce: ‹‹Fà come vuoi. Ma dovresti contattarlo e chiedergli di tenere la bambina! In fondo è sempre suo padre, no? Deve prendersi anche lui le responsabilità delle sue azioni.››
‹‹Ma-›› cercai di controbattere, ma Taylor non me lo permise, continuando a parlare. Iniziai a mordicchiarmi il labbro, lasciandomi cadere sullo schienale della panchina.
‹‹Kath, in questi tre anni ti sei sempre fatta in quattro per mantenere quella bambina, hai rinunciato a tutti i tuoi sogni, le tue aspettative per il futuro, anche ad andare al college per stare con lei. Sei passata da un lavoro all’altro solo per poterti permettere i soldi per mantenerla, nonostante ti sfruttassero e ti sottopagassero...›› sentii la voce di Tay incrinarsi e tremare leggermente nello stesso momento in cui la vista mi si appannò: non sapevo neanche perché stavo per mettermi a piangere. Passandomi velocemente il  palmo della mano sugli occhi, scoccai poi un’occhiata a Betrayal, poco più in là alla fontanella: si stava pulendo il visino e le manine sporche, bagnandosi tutto il cappotto, le calze e le scarpine nere che indossava.
‹‹E lui, invece? Lui cosa ha fatto?›› continuò Taylor con voce rotta, ‹‹Lui se n’è infischiato di te, ha continuato la sua vita come se non fosse accaduto niente, come se Betrayal... - la sentii deglutire: le veniva difficile pronunciare quel nome. Ne rimasi colpita anche io, mentre sentivo le prime lacrime scendere: di solito la chiamava con il suo secondo nome, Alexis; Rabbrividii, pensando che, stavolta, Taylor era intenzionata a convincermi davvero. - come se la piccola, per lui, non fosse niente. Capisci cosa intendo, Kath? Non ti ha neanche dato qualcosa per andare avanti, neanche un centesimo, non si è più fatto vivo da quando tutto questo è successo, neanche per vedere come stavi, neanche per vedere sua figlia. Niente.
‹‹Devi chiamarlo, Kath, deve sapere cosa hai passato in questi anni, che sacrifici hai fatto, e deve imparare a saper gestire le conseguenze dei suoi errori. E tu devi prenderti un respiro, tesoro, devi divertirti come fanno tutte le ragazze della tua età, con le tue amiche, con il tuo ragazzo...››
Gemetti di disapprovazione tra una lacrima e l’altra. Avevo perso fiducia in qualsiasi uomo da quella volta, non mi fidavo di loro, avevo paura di loro. Ma Taylor non mi calcolò neanche, perché finita la predica scoppiò definitivamente a piangere; la sentivo singhiozzare dall’altro capo del telefono, e mi ritrovai a farlo anche io.
Cercai di controllare i singhiozzi e mi asciugai le lacrime mentre mormoravo: ‹‹Okay, Tay. Ci penserò.››
Chiusi in fretta la telefonata, prima che non riuscissi più a strozzare i singhiozzi e che scoppiassi a piangere a mia volta.
Betrayal, mia figlia, si sedette silenziosa vicino a me, e mi esaminò per qualche secondo: sapevo che stava guardando le lacrime che mi rigavano il volto, stava ascoltando ogni mio minimo singhiozzo. Mi sentii male solo a pensarci, odiavo situazioni come queste: voltai di poco la testa, in modo che non vedesse più quelle lacrime.
Lei mi accarezzò i capelli con la manina ancora bagnata d’acqua, cercando di calmarmi. La sentii tirare sul col naso. Mi voltai verso di lei, preoccupata, ma lei non fece altro che sorridere, mostrandomi i piccoli denti da latte. Mille brividi mi scossero tutto il corpo: mi ricordava lui ogni volta che lo faceva, era invevitabile. Tese le braccia verso di me, e io la presi, posizionandola sulle mie gambe e stringendola forte. Le sue braccia piccole e esili mi circondarono il collo, ricambiando l’abbraccio.
Certo, era premeditato che la nascita di quella piccola avrebbe cambiato la mia vita, ma non mi era importato se in meglio o in peggio quando avevo deciso di tenere il bambino. La strinsi forte nell’abbraccio, chiudendo gli occhi: non mi sarebbe mai importato, perché Betrayal era la miglior cosa che avessi mai potuto avere.




You're the best thing
that's ever been mine.

[T. Swift, mine]

__________________

Eccomi qui. finalmente, direte voi. o forse no. Beh, non lo so.non so quello che paensate. Forse so solo che siete felici che la storia sia rincominciata, yuppy.
Sono di fretta, quindi sarò spiccia. Spero che il prlogo vi sia piaciuto e che anche questa versione della storia vi piaccia.
Recensioni per dirmi come vi aspettate sarà la storia e se vi è piaciuto questo piccolo prologo? Mi farebbe davvero molto piacere.
Baci,
Glo.
 
Per chi nonmi conoscesse già, il mio twitter è @kidrauhlspiano, contattatemi lì per qualsiasi cosa.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***





Capitolo 1.



 

Betrayal aveva tre anni. Li aveva compiuti da poco. Ma nonostante questo, ne aveva sempre dimostrati di più. Le persone, quando la vedevano, le davano circa quattro anni, e quando scoprivano che ero io sua madre, una ragazza appena ventenne, strabuzzavano gli occhi, increduli. Era già abbastanza difficile per me accettare il fatto che l’avessi concepita che ancora non avevo diciassette anni, ma il loro sguardo critico che mi rivolgevano ogni volta faceva ancora più male.
La sua storia iniziava da molto prima che nascesse. Comprendeva una parte della mia storia, come una parte di quella di lui. Al solo pensarlo mille brividi mi salirono lungo la schiena, scuotendomi leggermente. Strinsi ancora di più al petto la mia bambina, che si era addormentata tra le mie braccia. Mi alzai, e con un passo barcollante mi incamminai verso casa. 
  Mi era difficile rivivere ciò che avevo passato anni prima, ripensare a cos’era accaduto quella sera... Era un peso enorme da sopportare. Ma era proprio Betrayal che mi ricordava tutto. La guardavo, magari mentre dormiva, e mi ritrovavo rannicchiata in un angolo della casa a piangere a dirotto, cercando di non gridare per non svegliarla; ma nonostante questo non l’avrei mai abbandonata. Non avrei permesso a nessuno di farle del male. Non l’avrei per nulla al mondo messa nelle mani sbagliate. Lei era mia, una parte di me. Era essenziale, oramai, vedere il suo sorriso ogni mattina e sentirla muoversi nel suo lettino durante la notte, mentre dormiva.
Per quanto mi ricordasse quella notte, per quanto mi ricordasse lui, era pur sempre mia figlia.
E non avrei permesso a Lui di vincere un’altra volta. Avere di nuovo la meglio. Sapevo che in qualche modo sapere dell’esistenza della piccola lo uccideva. Era uno dei motivi per cui l’avevo tenuta. Una mia vendetta, ecco, anche se odiavo pensarla così.
Una volta in casa, misi Betray nella sua stanzetta, e io mi buttai sul divano. Mi addormentai di botto, sfiancata dalle ore arretrate di sonno.
 
Tutto questo mi metteva i brividi. Nonostante fossi mezza ubriaca, capivo quasi perfettamente cosa stesse succedendo. Cercai per l’ennesima volta di scrollare via il braccio dalla sua presa, ma era inutile: oltre al fatto che lui era più forte di me, annebbiato dall’alcool com’era credeva che tutti i miei tentativi di fuggire fossero solo un gioco.
Si arrestò di colpo, facendomi andare a sbattere contro la sua schiena. Non mi lasciò neppure il tempo di allontanarmi, che strinse il mio corpo contro il suo, cingendomi la vita con un braccio.
Alzai la testa e, nell’oscurità, vidi i suoi occhi color caramello brillare. Era più sbronzo di quanto credessi, constatai, mentre mi rivolgeva un sorriso sghembo e mi accarezzava la guancia con due dita.
 ‹‹Come hai detto che ti chiami?›› sussurrò, guardandosi la mano con la quale mi aveva appena accarezzato: sulle dita gli erano rimasti i brillantini che mi ero spruzzata sulle guance per quella sera.
‹‹Katherine›› risposi piano, abbagliata dalla sua bellezza. Era difficile ragionare avendocelo così vicino, il suo odore mi confondeva. Lui avvicinò il suo viso al mio, mostrandomi ancora quel sorriso traballante. Un brivido mi corse lungo la schiena, sia perché era bello da mozzare il fiato, sia per il fatto che tutte quelle carezze  e quei sorrisi ammiccanti non predicevano nulla di buono.
‹‹Sapevi di essere bellissima, Katherine?›› mi chiese lui, avvicinando la bocca al mio orecchio. Chiusi gli occhi, sentendo le labbra tremare quando le sue mani, posate sui miei fianchi, salirono un po’ più in su.
‹‹Grazie...›› mormorai senza fiato, guardandomi attorno con la coda dell’occhio: Era tutto in penombra, riconobbi a malapena le due pareti strette ai nostri lati. Eravamo un corridoio, di sicuro, sul quale alcune porte bianche si affacciavano. Non riuscivo a capire da dove venisse la luce fioca che c’era, era già abbastanza difficile identificare ciò che avevo intorno con il giramento di testa che avevo, dovuto a quello che mi ero bevuta.
‹‹Non te l’ha mai detto nessuno?›› sussurrò lui al mio orecchio, prima che sentissi il suo fiato sul collo. Rabbrividii quando lasciò un bacio umido appena sotto l’orecchio. Cercai di divincolarmi, posando le mani sul suo petto per allontanarlo, ma nonostante i miei deboli tentativi fossero inutili, lui aumentò la stretta. Lo sentii ridacchiare sommessamente al mio orecchio.
‹‹Justin, sei ubriaco›› biascicai, cercando di lottare contro l’alcool che mi stava pian piano mettendo k.o. Per quanto poco lucida fossi, sapevo quali erano le sue intenzioni. Ma era ubriaco, non riusciva a rifletterci sopra e a capire che erano sbagliate. Così mi ritrovai a lottare contro di lui e quella sensazione di annebbiamento che mi invogliava ad arrendermi.
‹‹Non mi importa...›› sussurrò lui, smettendo di accarezzarmi la pelle del collo con le labbra e allontanandosi. Prendendomi il mento, mi fece alzare lo sguardo verso di lui: la sua testa era inclinata da  un lato, i suoi occhi ispezionavano ogni parte del mio viso, brillando nell’oscurità. Rimasi abbagliata un’altra volta, e smisi per un attimo di divincolarmi.
‹‹Io voglio averti, piccola.›› disse soltanto, prima di riaffondare il viso nell’incavo del mio collo. Avrei voluto gridare un “no” e spingerlo via, ma le mie gambe non fecero altro che tremare e infine cedere, costringendomi ad aggrapparmi a lui che barcollò leggermente, mentre rideva.
‹‹Andiamo dolcezza, vieni con me…›› mi sussurrò all’orecchio ammiccante, aprendo una porta dietro di noi. Le gambe non rispondevano ai miei comandi, e per quanto cercassi di rimettermi in piedi, l’unico appoggio che avevo era Justin, che in quel momento mi guidava dentro la stanza dietro alla porta che aveva aperto, lasciandomi dei baci sul collo a ognuno dei quali rabbrividivo.
Quando  chiuse la porta alle spalle, capii che non sarei più riuscita a sfuggire. Gemetti di disapprovazione quando lo sentii sfiorare con le dita fredde la mia pelle sotto il top.
‹‹Justin, lasciami, ti prego...›› mormorai, lottando a ogni parola.
‹‹So che non lo vuoi davvero›› sussurrò in risposta lui tra un bacio e l’altro, salendo verso il mio viso. Cercai di ribattere, ma in quel momento lui premette le labbra sulle mie, mandandomi in subbuglio il cervello. La testa prese a vorticarmi più forte,mentre serravo le labbra per impedirgli di entrare. Lui rise: stava prendendo tutto come un gioco, mentre io avevo sempre più paura. Le gambe mi cedettero un’altra volta, ma al posto di aggrapparmi a Justin, mi buttai all’indietro. Atterrai su qualcosa di morbido, senza fiato: per un attimo credetti per davvero che tutto fosse finito, che lui avesse capito cosa stava facendo.
Ma poco dopo, sentii di nuovo le sue labbra sulle mie. Avendo esaurito le forze per lottare, cedetti, chiudendo gli occhi.
 
Mi svegliai con la scimmietta viola di Betrayal che mi solleticava il naso. Aprendo gli occhi, mi ritrovai a pochi centimetri di distanza i bottoncini neri di due dimensioni diverse che mia madre era stata costretta a cucirgli al posto degli occhi dopo che Bet l’aveva fatta diventare cieca.
‹‹Mamma! Dally vuole fare merenda!›› proclamò la bambina, togliendomi dalla vista il pupazzetto di pezza e guardandomi. Mi stropicciai gli occhi e cercai di alzarmi goffamente dal divano, rotolando giù e finendo sul pavimento con un tonfo. La testa mi faceva così male che avevo paura mi potesse scoppiare, e la voce squillante di Betrayal non aiutava per niente. La sentii scoppiare a ridere, reggendosi la pancia e piegandosi in due.
Sbuffai e mi alzai dal pavimento. Bet smise di ridere e, quando fui in piedi, mi tese una mano, sorridendomi.
Non la calcolai e mi diressi in cucina spedita, mentre lei mi saltellava dietro con uno sguardo interrogativo in volto, non capendo la mia reazione e la mia espressione dura.
Le preparai frettolosamente una fetta di pane con un po’ di marmellata e gliela porsi. Lei la prese e saltellò via, macchiando con la marmellata il povero pupazzetto di pezza che teneva stretto e che ballonzolava a ogni suo saltello.
Misi la caffettiera sul fuoco prima di appoggiarmi sul ripiano della microscopica cucina. Aver sognato un’ennesima volta cosa era successo quella sera di più di tre anni fa mi rendeva nervosa, e spesso quella che ci rimetteva di più era proprio Betrayal.
Sognare quella sera, Lui, ciò che era successo, ciò che mi aveva sussurrato... Mi faceva sentire a pezzi ogni volta. E sognavo quella sera ogni volta che ci pensavo, che pensavo a cosa era successo anni fa, a quale segreto la star mondiale del pop Justin Bieber si portava dietro.
A dirla tutta non sapevo neanche se Justin si ricordasse di avere una figlia da qualche parte per il mondo, se si ricordasse cosa avesse fatto quella sera; Feci una smorfia schifata al solo pensiero, mentre la caffettiera iniziava a gorgogliare, segno che il caffè era pronto. Senza pensarci, la presi a mani nude dal manico, ma me ne pentii subito, perché urlai disumanamente per il dolore.
Betrayal spuntò sulla porta della cucina, con gli occhi spalancati e sul viso un’espressione preoccupata, mentre io imprecavo e mi bagnavo l’ustione con l’acqua fredda del rubinetto.
‹‹Mamma! Ti sei fatta la bua? Vuoi un cerotto?›› mi chiese allarmata, buttando la scimmietta a terra e saltellando per vedere la mia mano oltre il lavandino. Le sorrisi forzatamente: ‹‹Non ti preoccupare tesoro, puoi tornare a giocare, non mi sono fatta niente.››
Mi guardò per qualche secondo fissa, forse per capire se stavo dicendo la verità. Cercai di rendere il mio falso sorriso il più convincente possibile, finché lei non riprese il suo pupazzetto e tornò nell’altra stanza, canticchiando una canzone.
Rimasi immobile nel sentirla cantare. La sua voce ricordava molto quella di Justin quando era ancora un quindicenne in erba, ma non solo perché era sua figlia: perché stava proprio canticchiando Baby, una sua canzone. 


 

You know you love me,
I know you care.

[J.Bieber, Baby]




________________________________________
 

Per vorstra (s)fortuna non sono morta, ed eccomi qui con il primo capitolo. 
Le vecchie lettrici avranno notato che alcune cose sono cambiate... è così.
Nella scorsa versione era un personaggio della ff anche Selena Gomez, la fidanzata di Justin. Dopo chesi son lasciati, ho decisodi toglierla e modificare leggermente la trama, in modo che nessun altra rottura possa compromettere l'andamento della storia. Ora, quindi, non avrò altro motivo per cancellare la storia all'improvviso, a meno che non mi convinca più e non sia più capace di continuarla.
Non ho ancora finito di modificare il vecchio testo, ma l'estate è appena cominciata, tempo ne ho - anche se i miei parenti si aspettano tutti che finisca di scrivere il libro che ho iniziato l'anno scorso, ma dettagli.
Questa ff non hasuccesso come le altre che ho scritto, e sinceramente questo mi amareggia un po': ci tengo molto, anche se non credo entrerà mai tra le più popolari.
Volevo ringraziarvi per la pazienzacon cui avete atteso questo capitolo, e spero di non avere più ripensamenti e di continuarla, stavolta, fino alla fine.
Alcuni di voi giàlo sanno, ma sto scrivendo un'altra ff su Justin: vi avviso, non hointenzione di prolungarla tanto, erasolo una piccola idea chemi era venuta ascoltando la musica, ma non è una di quelle 'serie', non come questa.
vi lascio il link, nel caso vi interessasse:


 

Grazie ancora per aver ascoltato i miei discorsi inutili e aver letto il capitolo.
Ringrazio di cuore le persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito lo scorso capitolo, che mi hanno convinto ad aggiornare.
Spero di poter sentire alcuni pareri anche su questo capitolo :)

Baci,
Glo.

I link per contattarmi li trovate sulla mia pagina di efp.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***





Capitolo 2.




 

Ero ancora scossa, mentre sorseggiavo il caffè seduta al tavolo della cucina. Le dita mi erano diventate rosse e gonfie, non certo un bello spettacolo da vedere, soprattutto se quella a vederle fosse stata Betrayal.
Odiavo farmi vedere vulnerabile da lei, magari mentre piangevo, con qualche ferita, oppure con l’influenza e il naso rosso come la renna di Babbo Natale. Per questo quando mi succedeva qualcosa stava dai miei.
Mio padre e mia madre la accoglievano volentieri, nonostante anche per loro avere quella bambina nei dintorni riportasse alla mente ricordi che avrebbero voluto dimenticare. Scacciai quel pensiero e feci uno squillo a Taylor, sperando che  l’avrebbe sentito e mi avrebbe richiamato.
Mentre aspettavo, esaminavo Betray giochicchiare con la pianola che Leilah le aveva regalato. Era piccola e tutta colorata, e lei si divertiva a schiacciare tasti a caso. Forse era uno dei suoi giochi preferiti, oltre a quell’insopportabile scimmietta di pezza che lei chiamava Dally.
Non ero stata io a comprarglielo, né Taylor e Leilah, né i miei genitori. Era stato il regalo da parte di Justin, il giorno del suo primo compleanno.
 
-   Flashback -
 
‹‹Con che coraggio ti stai presentando qui?›› gli urlai contro, infuriata. Lui rimase calmo, come sempre, e mi guardò serio dicendomi: ‹‹Kath, ho il più che legittimo diritto di vederla.››
‹‹Katherine - lo corressi io, voltandomi per asciugare frettolosamente una lacrima che mi scendeva lungo il viso. - Per te sono solo Katherine. Non Kath. Chiaro?›› continuai, voltandomi verso di lui e cercando di controllare il tremito nella mia voce. Lui annuì, voltandosi dall’altra parte per evitare il mio sguardo di fuoco.
‹‹Non è qui. È con una mia amica.›› aggiunsi, portandomi entrambe le mani sui fianchi.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, e io ne approfittai per recuperare la calma, facendo dei respiri profondi: poi posai lo sguardo di lui, scorgendolo esaminare la cucina piena di festoni colorati e il tavolo colmo di vassoi con pasticcini e una grande torta rosa.
‹‹Allora non ricordavo male...›› mormorò sovrappensiero.
‹‹Cosa?›› chiesi secca, incrociando le braccia al petto. Lui posò lo sguardo su di me, mostrandomi un sorriso appena accentuato che gli increspava le labbra. Riuscii a scorgere una scintilla nei suoi occhi dietro le lenti scure degli occhiali da sole mentre diceva, stavolta con un tono di voce più alto: ‹‹Oggi è il suo compleanno, vero?››
Stavolta fui io ad annuire, mentre sentivo il cellulare in tasca vibrare, segno che Leilah stava portando a casa la piccola Bet. Pregai perché qualcosa le trattenesse fuori, o le conducesse da qualche altra parte, almeno finché Justin non se ne fosse andato e la sua lussuosa macchina non fosse scomparsa da uno dei  parcheggi davanti al palazzo.
‹‹Allora ho fatto bene a portarlo...›› si disse ancora tra sé, cercando qualcosa nella tracolla che aveva buttato a terra prima di sedersi su una sedia. Mi sentì in obbligo di chiedere nuovamente: ‹‹Cosa?›› stavolta più agitata. Avevo una paura folle che Justin arrivasse da una momento all’altro con dei documenti chiari e precisi in mano per portarmi via Betrayal, nonostante gli avessi assicurato che non avrei detto il suo segreto neanche sotto tortura.
‹‹Il regalo per... Mia figlia.›› disse lui, accennando ad un sorriso. Tirai un piccolo sospiro di sollievo dentro, mentre all’esterno alzai gli occhi al cielo, scocciata.
‹‹Come... Come l’hai chiamata, alla fine?›› mi chiese lui, tentennante. Lo guardai: con quella sua insicurezza poteva sembrare quasi umano, debole e insicuro come tutti gli altri.
Quando Betrayal era nata, mi ero limitata  semplicemente a mandare un corto e schietto sms a Justin senza fornirgli particolari, solo per informarlo quando era venuta al mondo, come mi aveva richiesto lui mesi prima porgendomi il foglietto con il suo numero appuntato sopra. Non mi ero sentita in obbligo di far entrare Justin nella vita di mia figlia così facilmente, e non me lo sentivo tutt’ora. Più che altro non volevo: l’unica cosa che desideravo era che le stesse lontano.
‹‹Betrayal. L’ho chiamata Betrayal Alexis.››
Justin strabuzzò gli occhi dietro gli occhiali e schiuse la bocca, sorpreso dalla risposta. Rimasi impassibile al suo stupore, continuando a guardarlo con le braccia incrociate sul petto. Lo vidi deglutire a fatica prima di cominciare a balbettare: ‹‹Ho… ho capito bene? L’hai... l’hai chiamata Betrayal?››
Si alzò con uno scatto dalla sedia, che barcollò e per poco non cadde, se lui non avesse recuperato il suo autocontrollo e non l’avesse afferrata al volo prima che precipitasse con un tonfo. Lo vidi cercare di controllare il respiro improvvisamente più corto,mentre guardava il pavimento con espressione incredula.
‹‹Betrayal.›› ripeté, prima di tremare leggermente. ‹‹Perché chiamare nostra figlia Tradimento?›› mi chiese, aprendo le mani in avanti, i palmi rivolti in alto. Mi guardò spaesato, in cerca di una spiegazione. Ricambiai lo sguardo per qualche secondo, prima di distoglierlo: persino nascosti dietro a delle lenti quegli occhi bruciavano a contatto con i miei.
‹‹Perché?- gli chiesi stizzita, il sarcasmo grondante da ogni parola - Perché l’ho fatto? Facile fare domande a me Justin, ma per una volta, prova a farle a te.›› dissi, alzando il tono di voce. Justin si passò frustrato una mano nei capelli, scuotendo la testa come se non volesse sentirmi.
‹‹Chi hai tradito, Justin? Cosa hai tradito quella notte? Te lo sei mai chiesto? Ti sei mai fatto queste domande? O hai sempre pensato che non avessi fatto altro che uno stupido sbaglio a portarmi in quella stanza e... fare quello che hai fatto?›› sbottai, ricacciando dentro le lacrime che minacciavano di uscire. Justin si tolse gli occhiali, massaggiandosi le tempie: con la coda dell’occhio, notai che anche i suoi occhi erano lucidi, anche lui  stava cercando di non piangere. Faci finta di non averlo notato, voltandomi dall’altra parte.
‹‹Ero ubriaco. Non l’ho fatto apposta.›› rispose semplicemente.
‹‹Non l’hai fatto apposta, ma l’hai  fatto.››
‹‹Ti ho già chiesto scusa.›› protestò esasperato, contraendo la mandibola  per reprimere la rabbia. Scossi la testa con veemenza: ‹‹Delle semplici scuse non bastano.››
Stava per aggiungere qualcosa, quando Leilah entrò in casa urlando: ‹‹Siamo arrivateee!››
Io e quando lasciavo la porta aperta!
‹‹Ehi Kath, non è ancora arrivata Tay...›› entrò in cucina con Betrayal in braccio, ma appena alzò lo sguardo su di me e vide Justin si bloccò. ‹‹...lor.››
Justin si inforcò gli occhiali da sole, recuperò la tracolla e proclamò: ‹‹Io vado››.
‹‹Già, forse è meglio.›› rispose acida Leilah, fulminandolo con lo sguardo mentre riportava a terra la piccola, che fissava Justin con aria assorta. Rimanemmo tutti e tre a guardare lei, che tenendo lo sguardo fisso su Justin, gattonava verso di lui.
Rimasi immobile, non osavo muovere un muscolo: che fai, Betray? Perché vai da lui? Non merita di essere tuo padre, tesoro, non lo merita... Non ti merita. Ma lei continuò a gattonare sul pavimento scivoloso, finchè non raggiunse i piedi del ragazzo, che teneva lo sguardo fisso su di lei a sua volta; l’aveva riconosciuta, certo, come non poteva riconoscerla se assomigliava del tutto e per tutto a lui? La piccola mise una manina sulle sue Supra nere, e l’altra la tese verso di lui.
Justin mi scoccò un’occhiata come per dire: “Posso?”. Riuscivo a scorgere oltre le lenti i suoi occhi che trasmettevano il suo desiderio di prendere quel fagottino in braccio e stringerla. Io mi limitai a fare un vago cenno di assenso col capo, per poi ritornare a guardare Betrayal.
Vidi le mani del ragazzo cingerle la vita, e tirarla su: Justin la prese in braccio, e le sorrise. Lei continuò ad esaminarlo con uno sguardo attento, allungando la mano verso i suoi ciuffi biondi perfettamente pettinati in una comunissima cresta. Justin lasciò che quelle manine gli spettinassero i ciuffi pieni di cera, come se fosse la cosa più naturale al mondo.

 
you have my child.
[C.Brown feat J. Bieber, Next to you]

 


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Scusatemi davvero se ci ho messo così tanto ad aggiornare, chiedo umilmente perdono. Come avrò già detto milioni di volte, su questa storia non sono affatto sicura, e mi viene difficile continuarla quando l'unico pensiero che ho in testa è di cancellarla. 
Il fatto è che vedo che non la seguono in molt e mi scoraggio. So che se scrivo una storia su Justin non posso aspettarmi tanto - visto che le fan fiction su di lui sono tantissime - ma non posso fare altrimenti. Sono insoddisfatta, continuo a pensasre che questa storia non sia proprio bella come l'avevo pensata all'inizio. Soprattutto dopo che ho apportato le modifiche alla trama, non mi convince più come prima. Spero di ricredermi.
Inannzi tutto, grazie alle due ragazze che hanno recensito la scorsa storia(ammuoooori), alle tre persone che l'hanno messa tra le seguite, a chi l'ha messa nelle ricordate e alle cinque che l'hanno messa - addirittura! - tra le preferite.
Vi sono molto grata. Spero che la storia non vi annoio e che io non deluda le vostre aspettative, davvero.
Mi piacerebbe molto sapere un vostro parere: i vostri commenti mi aiutano a scrivere, nonostante ce ne sia poco - la storia è praticamente già scritta, ma devo modificare alcuni capitoli stravolgendo metà degli avvenimenti.
Grazie ancora a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto! (anche se non è molto differente da quello di prima lol)
Baci a tutti!
Glo.

 

I link per contattarmi li trovate sulla mia pagina di efp.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





Capitolo 3.





 

La scena che avevo davanti era dolcissima, e sentivo un pianto imminente arrivarmi dal petto; le lacrime che bruciavano in fondo agli occhi e il fiato che si mozzava per l’emozione. Era come se Betrayal avesse riconosciuto suo padre nonostante non l’avesse mai visto da quando era nata; come se, in realtà, l’avesse sempre conosciuto. Quella era la prima volta che i loro occhi, dello stesso denso e penetrante colore, si incontravano e si ispezionavano fino all’anima: eppure, sembrava qualcosa di così naturale che mi fece stare male il solo pensare di aver impedito alla mia piccola di incontrare qualcuno di così importante. Perché ora, ora che lei stava fra le braccia di una delle persone al mondo che avrebbe dovuto amare incondizionatamente, sembrava tutto giusto, tutto il passato giustificato dalla scintilla che brillava negli occhi della piccola mentre allungava una manina verso il naso di Justin.
I sentimenti del ragazzo, invece, erano indefiniti: dietro a quegli occhiali, avrei giurato che i suoi occhi fossero colmi di felicità, ma la sua bocca, con quel sorriso sghembo stampato sulle labbra, era curvata in uno strano broncio che sembrava, più che altro, rassegnazione; nonostante fosse riuscito a stingerla tra le braccia, la consapevolezza di averla così lontana, forse, non gli lasciava godersi appieno quel momento di felicità. Forse, fu per questo che la rimise a terra. La bimba stava per scoppiare a piangere, quando lui tirò fuori dalla borsa il famigerato regalino.
Era una semplice scimmietta di pezza poco più grande di una mano, il pelo corto di un bianco tendente al lilla e il muso e le zampe rosa pallido, due perle nere intense al posto degli occhi. Justin gliela porse con un sorriso, sussurrando con voce dolce: ‹‹Auguri piccola.››
Lei lo accettò solo dopo qualche tentennamento, facendo vagare lo sguardo prima su Justin e poi sul pupazzetto, e viceversa, finché non lo prese tra le braccia e strinse e sè.
Sentii il ragazzo tirare su col naso quasi senza accorgersene, allontanandosi da Betrayal e dirigendosi fuori dalla cucina. Passando inevitabilmente di fianco a Leilah, l’unico saluto che gli fu servito fu solo un’occhiata di fuoco da parte di quest’ultima. Appena sentii il tonfo della porta, mi chinai sulla bambina e la presi in braccio, scoccandole un bacio sulla guancia e approfittandone per annusare l’odore di Justin che le era rimasto appiccicato ai vestiti, ai capelli e alla piccola scimmietta che, ora che Justin era uscito, sembrava imbronciata; liquidai quel pensiero scuotendo leggermente la testa, dicendomi che era solo una mia impressione.
 

 

Fine  Flashback

 
‹‹Come diamine hai fatto?›› Leilah era infuriata, ma il suo tocco delicato e amorevole mentre mi fasciava la mano rossa. Io scossi la spalle, senza alcuna voglia di risponderle. Guardai, oltre le sue spalle, Taylor che faceva il solletico a Betrayal rincorrendola per il salotto: persino con il tacco dodici che si ritrovava, riusciva a raggiungere la piccola, sollevarla e inseguirla senza il minimo sforzo o vacillamento.
Lei era abituata  a trampoli e vestiti scomodi: Leilah provava i suoi modelli su di lei e per lei li cuciva su misura. Inoltre, lavorando per un’agenzia, non erano rare le volte che Taylor sfilava con le creazioni di Leilah addosso per qualche sfilata. Lavoravano molto assieme, mentre io stavo con Betrayal e mi prendevo cura di lei; ma non le avevo mai odiate per questo.
‹‹Sembravi scossa quando siamo entrate – mi parlò ancora Ley, fissando il bendaggio e posando le mani sui fianchi; stavolta, la sua voce era più calma, ma ancora corrucciata – È forse per la stessa ragione per il quale sei stata così distratta?››
Annuii, stavolta abbassando lo sguardo sul pavimento. Non mi sentivo stanca – la dormita che avevo fatto, sebbene tormentata, mi aveva caricato un po’ – piuttosto, esausta. Non avevo alcuna voglia di mettere al corrente Leilah del mio sogno, come, nello stesso tempo, sentivo la tremenda voglia di raccontarle tutto, sfogarmi con lei per alleggerire quel peso che sentivo nel petto.
Nonostante odiassi Justin – e avessi anche tutti i motivi per farlo –, certe volte mi sentivo un mostro a pensare a ciò che avevo fatto, pentendomene – ovviamentete – subito dopo: che razza di madre sarei se mettessi la mia piccola nelle sue mani?
Il fatto che, però, stessi privando la mia piccola di un padre mi logorava dentro come non mai. Era egoista da parte mia? Forse rigiravo il passato a mio favore per tenerla solo per me. Non mi sentivo comunque sicura al solo pensare Betrayal con qualcuno che non fossi io o mia madre.
Era naturale, no? Forse avevo solo troppa paura.
E’ vero quando dicono che il nostro passato ci condiziona.
 
‹‹Non ne vuoi proprio parlare?››
‹‹L’unica cosa che voglio in questo momento è un altro caffè o, ancora meglio, una vodka.››
Taylor fischiò. ‹‹E sono solo le due del pomeriggio. Hai capito, la mia piccola mammina?››
Leilah alzò gli occhi al cielo: era classico di Taylor, rovinare i momenti seri con battute tristi e fuori luogo. Con un altro umore, magari, mi avrebbe fatto ridere, ma in quel momento non avevo neanche la forza di alzare gli angoli della bocca.
Betrayal entrò in cucina: si era sbrodolata un po’ di pasta al pomodoro sul maglioncino e ora era più scuro in alcuni punti per le macchie: si stropicciava l’occhio con una mano mentre veniva da me e si appoggiava alle mie gambe. Era stanca, ora, dopo essersi alzata così presto quella mattina. La presi in braccio e lasciai che si appoggiasse al mio petto, consapevole che di lì a poco si sarebbe addormentata.
‹‹La mia piccola Alexis›› sorrise Leilah, scostandole i capelli dal viso. La lasciai fare, stingendo un po’ di più Betray a me; nemmeno lei la chiamava con il suo vero nome. Come Justin, mi aveva fatto la ramanzina su quanto fosse crudele dare alla propria figlia un nome con un significato del genere; la mia risposta, però, l’aveva lasciata a bocca asciutta, esattamente come Justin.
Taylor batté una mano sul tavolo, spaventando Betrayal che, nelle mie braccia, sobbalzò un poco, mugugnando poi in protesta. Leilah, da canto suo, rischiò di rovesciarsi sulla gonna di pelle l’acqua che stava bevendo.
‹‹Hai bisogno di svagarti – esordì la bionda, indurendo il suo sguardo quando mi vide buttare gli occhi al cielo – Dico seriamente. Hai bisogno di scaricarti di dosso tutte queste preoccupazioni o, almeno, di non pensarci. Sei troppo sotto stress. Non va bene, ti fa venire i capelli bianchi.››
‹‹Rassicurante›› commentai sarcasticamente a mezza voce.
Leilah posò il bicchiere sul tavolo dinnanzi a sé, facendosi tutt’ad un tratto pensierosa.  ‹‹Non ha tutti i torti, in fondo. E, forse, un modo per farti rilassare ci sarebbe›› disse, posando i gomiti sul tavolo. Sembrava molto più piccola quando faceva così, meno inquadrata e matura di com’era veramente.
‹‹E sarebbe?›› chiesimo io e Taylor, quasi in coro. Persino Betrayal si era scossa un po’ dal suo assopimento e aveva alzato la testa, curiosa. Leilah ci guardò tutte e sorrise dolcemente.
‹‹Che ne dite di pigiama, cioccolata calda e schifezze e un po’ di film per stasera?››
Un sorriso spontaneo comparve sulle mie labbra. Improvvisamente, mi sentivo un po’ più leggera. ‹‹Penso che sia un’ottima idea.››
 
Guardai il mio riflesso allo specchio – i capelli spettinati e il trucco rovinato – e poi la mia mano fasciata, leggermente intontita, chiedendomi per un’ennesima volta se la vita che stavo vivendo fosse tutto solo un incubo: avrei voluto svegliarmi e ritrovarmi di nuovo una sedicenne che di lì a poco avrebbe compiuto i suoi stupendi diciassette anni, ancora incosciente del suo futuro, ancora inconsapevole delle conseguenze dei suoi errori. La vita, allora, sembrava molto più semplice. 

 

I'd love to leave you alone
but I can't let you go.

[ D. Lovato, For the love of a daughter ]



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Per caricare questo capitolo ci ho messo davvero un'eternità lol però ho aggiornato.
Naturalmente, sono sempre indecisa se proseguire questa storia ho meno, ma perlomeno ho trovato il coraggio di continuare le modifiche.
Ho notato che non sono più molte le persone che usano efp. Nemmeno io, a essere sinceri. E sapete cosa? Mi manca quando questo sito era molto più frequentato. Comunque, spero che voi, miei lettori, ci siate sempre. Il vostro appoggi mi aiuta, e non solo a scrivere, ma in generale. 
Non voglio fare un discorso strapalacrime stasera, quindi sarò breve.
Voglio ringraziare le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo. Siete state dolcissime.
Un ringraziamento va anche a chi ha inserito questa storia tra le preferite/ricordate/seguite. Sappiate che per me siete tutti speciali.
Dai, che magari se quei numerini salgono (?), lo trovo il coraggio per finire questa storia.
Comunque, prima di salutarvi, volevo chiedervi una cosa: siccome la scrittrice della mia ff preferita su justin non aggiorna da mesi e io ho bisogno di qualcosa da leggere, avete qualcosa da consigliarmi? Vi prego, ne ho bisogno. Ho finito di leggere la saga di shadowhunters in neanche un mese e ho bisogno di qualche storia su cui fangirlizzare lol accetto qualsiasi consiglio, anche vostre storie, magari vi lascio un mio parere. :) Mandatemi i link tramite messaggio o magari in una recensione.
Grazie in anticipo :)
Baci,
Glo.

 

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