Con gli occhi chiusi

di Alphesiboei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Titolo: Con gli occhi chiusi.

Pairing: Harry/Zayn

Rating: R/NC17

Trama: Harry ha alcune certezze nella vita; la più salda è che diventerà un giornalista di successo. Zayn, d’altro canto, è tutto un’insicurezza.

Note: Allora, innanzitutto questa è una Zarry; questo implica che la storia è slash, se non vi piace, non leggete! La storia è tutta scritta, quindi la possibilità che rimanga incompiuta è quasi pari a zero! Sono diciassette capitoli più un breve epilogo, e dovrei tranquillamente riuscire a garantire un aggiornamento settimanale!

Disclaimer: gli One Direction non mi appartengono bla bla bla.

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Grazie mille a Gre per il banner!!! Si vede che, tra le due, l'artista è lei, eh? 

 

Bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile.

Ma non esiste un sogno perpetuo.

Ogni sogno cede il posto a un sogno nuovo,

e non bisogna volerne trattenere alcuno.

 

Demian – Hermann Hesse

Capitolo uno.

 

Harry fremeva dall’eccitazione. Non stava più nella pelle. Era la sua grande occasione, lo sapeva, lo sentiva nelle ossa.

Oltrepassò il grande portone della redazione del Times e si diresse dalla segretaria che stava all’ingresso.

«Sono Harry Styles, ho un appuntamento con il direttore» comunicò brevemente.

La giovane segretaria afferrò il citofono che stava sulla scrivania e controllò che quanto le era stato detto fosse vero.

«Può accomodarsi, la sta aspettando» lo informò, dandogli le indicazioni senza degnarlo di un ulteriore sguardo.

Quando si ritrovò di fronte alla porta giusta, prese un profondo respiro per darsi forza. Tutto cominciava da lì, e se quell’incontro fosse andato bene, la sua vita avrebbe preso una svolta decisiva.

*

Una settimana prima.

Stranamente, quella festa di ex alunni lo stava divertendo. Un po’ perché rendersi conto di quanto fossero cambiati in peggio la maggior parte di quegli idioti, in cinque anni, non poteva che rallegrarlo, un po’ perché, d’altra parte, trovava sempre qualcuno con cui tornare a casa, dopo una festa, e quella delle superiori non avrebbe fatto eccezione.

Stava parlando amabilmente con un bel ragazzo castano, capelli corti e occhi verdi, ma quello che gli stava dicendo era tutto meno che interessante. Il che non era davvero importante, visto che al massimo se lo sarebbe portato a letto, ma la sua cadenza noiosa stava comunque rendendo pesante il compito di rimorchiarlo.

Proprio mentre gli stava raccontando di quanto fosse pazzesco il suo lavoro allo studio legale Reichs e French, una bionda sbucò fuori dal nulla, si aggrappò al suo braccio e lo salutò con bacio sulla bocca. Harry, odorata la via di fuga, si scusò e si allontanò in direzione del bar. Poco male, pensò.

Tanto più che, mentre aspettava il Gin Lemon che aveva appena chiesto al barista, notò poco distante uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto. Sorrideva tranquillamente a un altro ragazzo, biondo e dalla risata più rumorosa che avesse mai sentito. I capelli erano neri e corti, agghindati leggermente all’insù, e gli occhi erano marroni, forse marrone chiaro, e grandi e le ciglia erano lunghissime e wow. E si era accorto che Harry lo stava fissando, perché, quando si era voltato brevemente verso la sua parte e aveva per caso incontrato il suo sguardo, era arrossito adorabilmente e in fretta era tornato a guardare l’amico. Se erano indicative, poi, le occhiate che l’altro, forse involontariamente, forse no, ogni tanto gli lanciava, Harry poteva dirsi sicuro che nessuna ragazza sarebbe arrivata a rompergli le uova nel paniere, quella volta.

Non voleva avvicinarsi quando era accerchiato da gente, quindi per un po’ si era limitato a tenerlo d’occhio da lontano. Se lo ricordava. Era più grande di un anno, dunque non avevano mai seguito nessun corso insieme, e non si erano mai parlati. Non era neanche sicuro di ricordarsi il nome. Zain. Zaine. Qualcosa del genere, insomma. Guardando indietro con gli occhi della memoria, Harry si disse che poteva immaginare che sarebbe cresciuto bene. Solo, non così bene. Doveva per forza provarci, o si sarebbe mangiato le mani per sempre.

A un certo punto, dopo qualcosa come il quarto, quinto drink, vide l’oggetto delle sue brame appoggiato al muro, quasi di fronte a lui. Da solo. Era il momento che stava aspettando. Cercando di assumere la sua camminata più seducente, si diresse verso la sua preda, che nel frattempo aveva intrecciato gli occhi ai suoi e lo stava guardando con un’espressione a metà tra l’incerto e l’interessato. Bene, si disse Harry, sarà divertente.

*

E divertente lo era stato.

Zayn – c’era andato vicino – era silenzioso e rispondeva a monosillabi, ma, Harry ne era certo, non gli avrebbe opposto troppa resistenza.

«Che ne dici se ce ne andiamo da qui?» gli chiese, infatti, dopo neanche quaranta minuti. Di solito avrebbe aspettato almeno lo scoccare dell’ora. Ma l’alcol iniziava a farsi sentire e le sue (poche) barriere inibitrici erano cadute tutte, una dopo l’altra.

«D’accordo» rispose Zayn, anche lui annebbiato dai bicchieri di troppo. «Vediamoci all’entrata, fuori. Devo salutare delle persone»

Harry fece cenno di sì con la testa. Probabilmente doveva dire a Niall, l’amico biondo, che se ne andava.

Fuori faceva abbastanza freddo, erano gli ultimi giorni di novembre, ed era vestito abbastanza pesantemente, pur non essendo un tipo freddoloso. Aspettò qualche minuto e proprio mentre iniziava a stufarsi, Zayn uscì dall’edificio, una mano nella tasca del giacchetto di pelle e l’altra a sistemarsi il ciuffo.

Harry gli sorrise maliziosamente, perché sapeva che funzionava sempre, anche se ormai il suo obiettivo l’aveva raggiunto.

«Io vivo con un’altra persona, che è tutto meno che rispettosa e silenziosa…» fece, quasi lasciando in sospeso la frase. Non che ci sarebbero stati davvero grossi problemi ad andare nel suo appartamento, se proprio non potevano farne a meno, però Louis era una piaga, quando voleva dargli noia, e, sicuro come il fatto che il sole l’indomani sarebbe sorto, se lo avessero trovato sveglio non li avrebbe lasciati in pace per un bel po’.

Zayn sembrò pensarci, poi scrollò le spalle e buttò fuori un laconico andiamo da me.

«Se sei in macchina, ti seguo» disse Harry, iniziando a tirar fuori le chiavi.

«No, ero con Niall»

Lo guidò fino alla sua scassata automobile di seconda mano, comprata poco dopo la fine dell’università con gran parte dei suoi risparmi e un piccolo aiuto di sua madre.

«Da che parte vado?»

*

Casa di Zayn era un super attico nella zona più costosa di Londra. Il ragazzo non gli aveva detto di essere così ben quotato. Non che gli importasse, comunque. Probabilmente, se fosse stato in condizione, se la sarebbe filata a metà notte.

Non fece troppo caso all’arredamento, anche perché l’unica cosa che gli interessava era dove fosse la camera da letto. Era eccitato e non vedeva l’ora di togliersi i vestiti di dosso. Per lo stesso motivo, rifiutò con grazia quando il padrone di casa gli chiese se volesse qualcosa da bere.

Zayn sembrava impacciato, quasi fosse la sua prima volta con un altro uomo. Gli venne il dubbio e glielo chiese. Non voleva ritrovarsi ad andare a letto con un novellino che magari poteva costruire chissà che castelli su quella che invece non sarebbe stato altro che una sana scopata. E la sola vista di Zayn gli faceva venire in mente tutto meno che tocchi lievi e parole dolci.

Per fortuna l’altro negò con un cenno del capo e lentamente si avvicinò.

Harry lasciò cadere a terra il suo giacchetto e con un solo passo gli fu di fronte. «Andiamo in camera tua» gli sussurrò a un palmo dalle labbra.

Zayn non se lo fece ripetere due volte e, senza neanche assicurarsi che l’altro lo stesse seguendo, si voltò e si diresse a passo veloce verso quella che doveva essere la sua stanza.

Un letto enorme era in bella vista, ma anche questo interessava poco, a Harry. L’importate era che fosse un letto e soprattutto che ci si ritrovassero stesi sopra in fretta.

Zayn si stava togliendo le scarpe e Harry velocemente seguì il suo esempio, poi non resistette più.

Lo afferrò per le spalle, facendo scivolare le mani tra i suoi capelli. L’altro, per la sorpresa, aprì leggermente la bocca e Harry non perse tempo a coprirgliela con la sua, mordendogli il labbro e infilandoci la lingua. Fece fuori un vestito dopo l’altro e lo spinse sul letto. Lì, completamente nudo e disteso fra le coperte rosse, Zayn era la persona più sexy che Harry avesse mai visto in tutta la sua vita.

Si posizionò fra le sue gambe, le mani che toccavano ovunque meno dove Zayn avrebbe davvero voluto, la tensione che saliva a ogni respiro; Harry lo coinvolse di nuovo in un bacio umido, per poi staccarsi mordendogli il labbro inferiore e passare a leccare e succhiare la pelle del collo, un capezzolo e poi l’altro, lasciando dovunque scie di fuoco.

Più il respiro di Zayn si faceva veloce, più Harry diventava audace. Quando Zayn si lasciò fuggire un gemito, Harry lo prese in bocca, aiutandosi con la mano per dove non riusciva ad arrivare. Sentire l’altro contorcersi dal piacere sotto di lui stava eccitando Harry ancor più di quanto non lo fosse già. Accarezzandogli la coscia, si lasciò uscire l’uccello di Zayn dalla bocca e si riportò verso il volto dell’altro, per guardarlo negli occhi.

«Dove tieni-»

Non riuscì neanche a finire la frase che Zayn si sporse ad aprire un cassetto del comodino accanto al letto, tirando fuori lubrificante e preservativo. Zayn gli lanciò uno sguardo che parlava di passione e bisogno, e si riabbassò sul letto, le gambe piegate e spalancate per Harry.

Il più piccolo lo preparò e fece lo stesso con sé, poi, con un sospiro di sollievo, portò alle spalle le gambe di Zayn e, quanto più delicatamente gli fosse possibile, entrò in lui.

Zayn era stretto e caldo e meraviglioso, e le sue unghie erano conficcate sulla sua schiena e probabilmente i graffi sarebbero rimasti per giorni. Aspettò che l’altro gli facesse cenno di muoversi e, quando Zayn fece leggermente oscillare i fianchi, iniziò a spingere e a spingere e a spingere, i suoi gemiti che si univano a quelli di Zayn nella più piacevole delle colonne sonore.

Troppo presto perché quelle sensazioni finissero, Harry sentì che stava per venire, le spinte si facevano più irregolari e faticava anche solo a pensare; afferrò l’erezione di Zayn e iniziò a pomparla, finché non venne con un suono strozzato, tutto nella sua mano e sul proprio ventre, il sedere che si contraeva intorno a Harry, portando all’orgasmo anche lui.

Il volto nascosto nell’incavo del collo di Zayn, Harry riprese fiato e regolarizzò il respiro, uscì da lui e afferrò la maglietta abbandonata a terra più vicino al letto, e, fregandosene altamente che fosse la sua, la utilizzò per pulire l’altro e se stesso.

«Ti dispiace se riposo un po’ qui?» chiese, dopo aver gettato di nuovo la maglietta per terra.

«Fai pure, ma non aspettarti che io ti prepari la colazione, domani» rispose l’altro, la voce stanca e gli occhi che si chiudevano, mentre si posizionava sotto le coperte. «Spengi la luce, tanto che ci sei» aggiunse, la testa appoggiata al cuscino e l’espressione beata. Da pazzescamente fico a incredibilmente adorabile in dieci secondi, doveva essere una specie di record.

Spenta la luce, si stese anche lui sotto le coperte e, girato con la schiena verso Zayn, si addormentò.

*

Quando si svegliò, dovevano essere passate poche ore. Fuori era ancora buio e lui era stanco morto, ma aveva davvero bisogno del bagno.

Cercando di far più silenzio possibile e senza svegliare l’altro, raccattò i propri vestiti e uscì dalla stanza, chiudendo dietro di sé la porta.

Si avvicinò a quello che doveva essere il bagno e poggiò una mano sulla maniglia, abbassandola. La porta rimase immobile, chiusa a chiave. Il suo cervello urlava mistero!mistero!mistero! ma la sua vescica la pensava diversamente, quindi lasciò vagare lo sguardo lungo tutto il corridoio fino a che non trovò un’altra stanza. E questa sì, si aprì e, grazie a Dio, era il bagno.

Lavandosi le mani, lanciò uno sguardo verso lo specchio che era di fronte a sé. Aveva dei capelli orribili; ci passò le mani, ma niente. Più per curiosità che nella speranza di trovare qualcosa che potesse sistemare quel disastro, iniziò ad aprire i numerosi sportelli dell’armadietto che stava tutto intorno allo specchio.

Proprio mentre stava per richiudere l’ultimo, con i suoi occhi mezzi addormentati vide un piccolo oggetto dorato che stonava, fra tutto quel gel. Una piccola chiave. Il suo pensiero andò automaticamente alla porta chiusa. Quel mistero, che al 90% non era affatto un mistero, l’aveva risvegliato del tutto. Afferrò la chiave e uscì dal bagno. Senza neanche controllare che Zayn dormisse ancora, provò a infilarla nella serratura e a girarla. E, neanche fosse stato il suo giorno fortunato, la porta si aprì.

La stanza era quanto di meno interessante ci fosse. Ma, Harry si disse, se era chiusa, magari valeva comunque la pena darle un’occhiata.

C’era soltanto un’enorme libreria, addossata a una parete, e una scrivania, di quelle vecchio stile, che mai si sarebbe immaginato per Zayn, al centro.

Da buon giornalista, era amante della letteratura – quella vera; tendeva anche a giudicare le persone in base alle letture: se queste non erano interessanti, allora, molto probabilmente, neanche la persona lo era.

Sugli scaffali erano disposte con ordine quelle che sembravano edizioni preziose, e non poté far a meno di provare un po’ d’invidia a quella vista. L’opera completa di Shakespeare e quella di Oscar Wilde erano in bella mostra accanto a Omero, senza un criterio preciso.

Per questo, quando si trovò di fronte a volumi fantasy, si ritrovò ad alzare un sopracciglio. Quei testi stonavano un po’ rispetto all’insieme, e per questo ne prese in mano uno.

Conosceva l’autore, era venuto fuori da un paio di anni e già aveva pubblicato quattro, cinque volumi. In realtà, di lui non aveva letto nulla, perché il fantasy non era il suo genere, ma era impossibile non sapere almeno i titoli della saga o conoscerne a grandi linee la trama. Aveva fatto scalpore, un successo mondiale, soldi a palate.

E, se non ricordava male, il nome – Mick Stone – era uno pseudonimo. Nessuno sapeva chi fosse veramente, si diceva.

Rimettendo il volume a posto, notò che quello accanto era identico a quello appena posato. Prese anche quello, magari è tipo il sequel. E invece no, il titolo era lo stesso, così come l’incipit. E quelle due non erano le uniche copie identiche.

Questo sì, che gli parve strano. Da fissato, più che da appassionato. O, forse da

Corse alla scrivania, perché in fondo era proprio come un gatto: indipendente, ruffiano e curioso.

Vi era appoggiato solo un PC spento, ma che provò comunque ad accendere. La fortuna evidentemente si era presa una pausa, perché chiedeva la password. Senza darsi per vinto, iniziò a frugare tra i vari cassetti.

Aprì l’ultimo.

Emise un urlo di gioia silenzioso.

Non era la password. Era qualcosa di meglio.

Era una copia del testo originale di un volume, ancora inedito, della suddetta saga.

 

 

 

Note:

Non so, potrebbe esserci qualcosa di poco chiaro, ma, in teoria, nei prossimi capitoli alcune domande troveranno la loro risposta! Ovviamente, mi farebbe molto piacere ricevere qualche opinione, graditissime le critiche, e se doveste trovare qualche errore, vi prego vi prego vi prego di segnalarmelo!

(Giuro che scrivere le note è stato più difficile che scrivere la storia)

Alla prossima settimana!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due.

 

Zayn si svegliò con l’odore di bacon nelle narici. Guardò l’orologio. Aveva poco meno di due ore, prima di doversi vedere con Niall. E doveva solo farsi una doccia, perché puzzava da far schifo, vestirsi e fare colazione. Tutto quello che avrebbe voluto, invece, era tornarsene a dormire.

Ma sentiva odore di bacon, il che – qualcosa gli disse – era strano. A meno che i suoi fornelli e i suoi utensili non avessero deciso di protestare per la mancanza d’uso e di darsi da fare da soli, qualcun altro era di là ad armeggiarci indisturbato.

Si alzò e s’infilò i boxer, l’aria fresca che lo colpiva e gli faceva venire la pelle d’oca.

Stropicciandosi gli occhi, nella speranza di eliminare gli ultimi residui di sonno, camminò fino in cucina, dove Harry stava apparecchiando la tavola.

Si prese del tempo per guardarlo indisturbato. Era piuttosto stupito, di trovarlo lì: non credeva sarebbe rimasto a dormire, figurarsi a fargli la colazione. La cosa, comunque, gli fece piuttosto piacere.

L’altro alzò lo sguardo e lo vide. Gli sorrise, e Zayn giurò che quello era completamente diverso dalla vasta gamma di sorrisi che gli aveva riservato la sera prima. L’avrebbe definito quasi dolce.

«Ho fatto la colazione» annunciò, come se non fosse ovvio. «Visto che ieri hai detto che non me l’avresti fatta tu, mi sono preso il permesso»

«Sono musulmano, niente maiale» disse indicando i fornelli.

Harry fece una faccia vagamente delusa.

«Oh. Posso cucinarti una frittata, vuoi?»

Zayn annuì, mettendosi a sedere. Pochi minuti dopo, Harry gli posò davanti il piatto e si mise seduto pure lui.

Mangiarono in silenzio, e sinceramente Zayn non sapeva proprio cosa dirgli e le occhiate che ogni tanto l’altro gli lanciava non lo aiutavano a mettersi a proprio agio.

«Tra poco devo uscire» proferì, perché davvero non gli veniva in mente altro, anche se sembrava volesse cacciarlo e liberarsi di lui il più in fretta possibile, detta così.

«Oh, certo» commentò Harry, prendendo tre bocconi in fila, neanche gli avesse detto che entro due secondi doveva essere fuori da casa sua.

«Non c’è bisogno che ti strozzi, però» aggiunse, abbozzando un sorriso, non volendo che la conversazione languisse subito. L’aveva piacevolmente stupito, facendosi trovare lì, a cucinare e tutto, magari parlandoci veramente, senza la testa annebbiata dall’alcol e dall’eccitazione, si sarebbe stupito ancora di più.

«Magari, la prossima volta, ti faccio un croissant o una pizzetta salata» disse l’altro, indicando il piatto vuoto.

Zayn arrossì. Il più piccolo aveva appena accennato alla possibilità di una prossima volta e magari non lo aveva neanche fatto apposta, ma la cosa quasi non gli era dispiaciuta. Piuttosto, gli sembrava strano. Ieri sera avrebbe messo la mano sul fuoco sul fatto che Harry non cercasse null’altro che una botta e via. Ma probabilmente era solo lui che leggeva nelle sue parole più di quello che ci fosse scritto.

«Sei capace?» domandò, gli occhi spalancati, perché in fondo lui sapeva farsi giusto il tè.

«Ah-ah» deglutì «lavoro in un panificio da un po’ di tempo»

«Da dopo la scuola?»

«Sì. Non avevo voglia di frequentare l’università. Poi, due anni fa ho capito che avevo fatto una cazzata e mi sono iscritto. Studio inglese, ma lavoro ancora lì part-time» raccontò.

Inglese? Interessante. Probabilmente aveva la faccia illuminata come un pazzo e la sua espressione era emozionata e sicuramente gli avrebbe fatto paura, ma non c’era nulla che gli piacesse più della letteratura e della sintassi e delle virgole.

A proposito di virgole, pensò, devo muovermi davvero, se no Niall chi lo sente.

«Senti, non so tu, ma io avrei proprio bisogno di una doccia» disse, alzandosi e lanciando all’altro uno sguardo che sperava parlasse più di mille parole.

Evidentemente, Harry aveva recepito il messaggio, perché gli sorrise maliziosamente e, dopo essersi alzato a sua volta, lo seguì lungo il corridoio e fino al bagno.

*

Gli mancava quel tipo di doccia, fatta di carezze e occhiate infuocate, pensò mentre si stava vestendo. Era un secolo che non ne condivideva una. L’ultima era stata con una sua ex fiamma che non sentiva da una vita e mezzo.

Harry stava di fronte a lui, ancora senza maglietta, con i tatuaggi in bella mostra. Avrebbe voluto quasi sapere i loro significati, ma non gli sarebbe sembrato giusto chiederglieli, intromettendosi negli affari di un’altra persona, quando lui per primo condivideva i suoi a stento anche con i suoi più cari amici.

Zayn si era sempre considerato abbastanza bravo, a capire la gente, pur essendo fondamentalmente asociale e misantropo. Con Harry, invece, gli restava difficile, a meno che la situazione non fosse di natura sessuale; allora, l’altro diventava un libro aperto.

Quindi, il problema era comprendere se quella notte sarebbe morta lì, ancor prima di nascere o se poteva sperare di ripetere l’esperienza. O magari era un problema solo per lui. Che poi, problema. Non esageriamo, si disse Zayn. Certo, Harry gli piaceva fisicamente e, per quel poco tempo che avevano passato insieme, poteva quasi esporsi a dire che lo stimolasse anche intellettualmente. Ma non è che se lo fosse portato a letto con la speranza di mettere su casa con lui, comprare un cane o adottare marmocchi.

Ma adesso più che mai, con l’uscita attesissima dell’ultimo capitolo della sua saga, aveva proprio bisogno di uno sfogo. E se questo sfogo era fisso, sicuro e sexy da morire, tanto meglio.

Guardò Harry finire di vestirsi, infilandosi i calzoni, a contatto con la pelle perché aveva rifiutato i boxer che Zayn gli aveva offerto, e la camicia della sera prima. Tutto completamente sgualcito per essere stato strappato senza troppa attenzione da dosso ed essere stato gettato a terra; e forse, anche per questo, lo facevano sembrare ancora più eccitante.

Ecco, pensò, e adesso che gli dico? Non gli venne in mente nulla d’intelligente, per cui se ne restò in silenzio. Harry, al contrario, si voltò verso di lui – l’espressione un po’ incerta.

«Ti dispiace, non so, se qualche volta ci rivediamo?» chiese, le mani che non riuscivano a star ferme, e che un attimo erano tra i capelli, quello dopo a lisciare qualche piega inesistente dei pantaloni.

«Sì, perché no» rispose Zayn, cercando di non sembrare troppo galvanizzato dall’idea e sperando di apparire tranquillo e rilassato. «Sai già dove abito, ma magari ti do anche il mio numero, così non rischi di venire qui e non trovarmi a casa» aggiunse, credendo fosse un discorso sensato e non da stalker innamorato, cosa che – ovviamente – non era.

«Certo» fece allegro, iniziando a tirar fuori il cellulare.

Segnatolo, gli fece uno squillo. Così puoi chiamarmi quando vuoi, anche tu, spiegò, sempre più sorridente, le fossette che si facevano via via più accentuate.

E forse non sarebbe successo nulla con Harry, si disse Zayn, ma da tempo aveva imparato a non disperare nel futuro e a non prendere sotto gamba il destino.

*

«Sei in ritardo di cinque minuti» scherzò Niall, quando se lo ritrovò alla porta.

Zayn entrò e si tolse il giacchetto, senza sprecarsi a rispondere.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» gli chiese il padrone di casa. Zayn scosse la testa e guardò l’altro sparire in cucina e tornarsene con un enorme pacchetto di patatine in mano. Ormai, non si stupiva neanche più che riuscisse a mangiare cose del genere alle undici della mattina.

Niall si posizionò sul divano, le gambe incrociate sotto di lui e una mano già infilata nel pacchetto. Un sopracciglio era alzato e i suoi occhi azzurri erano fissi nei suoi.

«Allora?» iniziò quando Zayn non diede segno di voler iniziare a parlare. «Col super modello? Harry, giusto? Com’era?»

Zayn sbuffò. Era lì per parlare di lavoro e Niall gli chiedeva com’era andata col tizio che l’aveva rimorchiato la sera prima? Tipico. Non c’era troppo da stupirsi. Praticamente erano amici dalla culla, erano cresciuti insieme e sapevano tutto l’uno dell’altro. E poi Niall era incapace di farsi gli affari propri.

Dunque glielo raccontò, senza troppi particolari. Anche perché era un po’ confuso e magari gli sarebbe servito Liam, in quel momento, Liam che l’avrebbe ascoltato con attenzione e avrebbe saputo consigliarlo, ma visto che non c’era si sarebbe dovuto accontentare di Niall.

Se lo doveva aspettare che Niall avrebbe solo riso per i momenti di silenzio imbarazzante o che l’avrebbe preso in giro per come si era concluso tutto.

«Ahh, non servi a nulla!»

«Ehi, se volevi avere un consiglio serio, potevi andare da tuo fratello! Che ti aspetti da me?!» commentò, mettendo in bocca una enorme manciata di patatine.

«Liam è in palestra, te l’ho detto. Mi sa che non ce la fa neanche per pranzo» disse Zayn, mentre l’altro tornava in cucina a prendersi altro cibo.

Liam, in realtà, era suo fratellastro, perché avevano madri diverse, ma – anche se all’inizio l’altro aveva faticato un sacco per conquistare la fiducia di Zayn – si erano sempre considerati e voluti bene come veri fratelli.

«Senti, non te la prendere troppo, ok, e non perderci il sonno. Anche se sembrava che volesse solo scoparti, magari sei così figo che ha cambiato idea. O magari, anche se ha chiesto di rivederti e ha il tuo numero, non lo risentirai comunque» disse Niall, cercando di fare il serio.

Sì, di sicuro aveva ragione Niall. Solo che quel cambiamento, nel comportamento dell’altro, da seducente a premuroso nel giro di due ore, lo aveva disorientato. E comunque non valeva la pena pensarci troppo, in quel momento, tanto più che come diceva Niall forse non lo avrebbe neanche più rivisto.

«Già» fece Zayn. Come a voler concludere il discorso, tirò fuori il manoscritto dell’ultimo libro, che avrebbe dovuto consegnare una settimana prima. Ma Zayn era talmente maniacale, che se non era convinto che ogni cosa fosse perfetta non avrebbe mai messo nulla nelle mani di Niall, il suo editore.

Tutto gli sembrava ancora assurdo, quando ci pensava.

Due anni prima non era altro che un ragazzino troppo ricco e con la fantasia troppo fervida, che scribacchiava dovunque gli capitasse, perché era l’unico modo che conosceva per liberarsi di ogni problema. Poi Niall era entrato a lavorare nella casa editrice del padre e aveva voluto assolutamente che Zayn provasse a far leggere a qualche loro editore quello che aveva scritto. E così gli aveva dato retta, perché nessuno sano di mente si sarebbe messo a discutere qualcosa con Niall (che non gli avrebbe dato tregua e avrebbe messo su facce da cucciolo per convincerlo e lo avrebbe importunato di mattina, svegliandolo a orari indicibili, e di notte, tenendolo in piedi), ma l’aveva avvertito di  volerli spedire anonimi, e Niall aveva detto che poteva inventarsi un nome e che lui stesso avrebbe garantito per l’amico. E per qualche Santo in paradiso (o per la ruota della Fortuna o qualche congiunzione astrale) si era ritrovato con un contratto e una serie famosa in tutto il mondo su una ragazzina con un’infanzia difficile, che scopre di essere una strega, una specie di caso editoriale senza precedenti e milioni di persone che non volevano altro che conoscere il suo vero nome e vederlo in faccia.

Ma no, grazie. A Zayn piaceva la sua vita, non voleva vedersela distrutta da paparazzi invadenti e cose del genere.

Per questo solo Niall e Liam sapevano che Mick Stone era lui, e così sarebbe rimasto più a lungo possibile.

 

 

 

 

Note:

Alloooora! Lo scrivo in fondo, anche se magari sarebbe stato meglio metterlo all’inizio, ma va be’: la serie di cui Zayn è l’autore esiste, perché io ero troppo pigra per inventarmene una di sana piana, che in più avesse un senso e una trama. E così al massimo ci saranno lievissimi riferimenti, che comunque non sono per nulla importanti ai fini della storia. Ho fatto giusto un cambiamento di sesso al protagonista J

Ah, mi ero dimenticata di dire che il titolo ‘Con gli occhi chiusi’ è un riferimento a un romanzo di Federigo Tozzi. Solo il titolo, il resto non ci azzecca nulla xD

Grazie mille a tutti quelli che perdono due minuti del loro tempo a leggere questa cosa e uno ancora più grande a chi lascia anche un pensiero!

Alla prossima J

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre.

 

Una settimana dalla festa

Il Times, il Times! Non poteva crederci. Era come il sogno proibito di qualsiasi giornalista, e lo stava vivendo lui! Lui! Che era ancora fresco di laurea! Non era possibile essere così fortunati nella vita: aveva trovato per pura serendipità lo scoop dell’anno, del decennio!, e tutto quello che avrebbe dovuto fare era passare tempo con Zayn.

Harry sapeva di essere un novellino, ma non era idiota. Ovviamente si era tenuto il nome per sé e al direttore non aveva fatto altro che dire di poter scrivere un articolo sul vero volto dietro la maschera di Stone. E ovviamente l’uomo si era messo subito sull’attenti. Harry gli avrebbe quasi riso in faccia. Quando era entrato, l’aveva squadrato, probabilmente l’aveva reputato troppo giovane, per essere in gamba, e nella sua testa stava già pensando a un modo per sbarazzarsi di lui. Ma Harry era davvero, davvero tenace, non si sarebbe fatto abbattere da nessuno sguardo disinteressato. E poi sapeva di avere tra le mani un articolo potenzialmente dorato. E se era andato dal giornale più prestigioso d’Inghilterra invece che da una qualsiasi rivista scandalistica era perché non voleva semplicemente vendere un’informazione preziosa e far sapere al mondo di Zayn, ma perché voleva scrivere un articolo che fosse degno di essere chiamato tale e che avrebbe dato il via alla sua carriera, se possibile.

Rientrò in casa che probabilmente i suoi piedi si trovavano a trenta centimetri dal pavimento, per la gioia.

Trovò Louis sul divano e lo salutò, la voce che non poteva non far trapelare tutta la sua contentezza.

Il suo coinquilino si voltò e lo guardò un po’ stranito, perché evidentemente si era svegliato male e non riusciva a credere che qualcun altro non fosse abbattuto quanto lui.

«Che cos’hai da essere così felice?» gli chiese, infatti, con tono acido, ritornando subito dopo a guardare la televisione.

«Guardi Dragonball?» disse Harry, senza rispondere alla domanda. Non perché non volesse raccontarglielo (anzi, non vedeva l’ora di vantarsi con lui), ma perché voleva la sua completa attenzione.

«Già. Zitto, Goku sta per sconfiggere Majin Bu. È un momento pieno di pathos» esclamò, con gli occhi ancora incollati allo schermo.

«Ma se l’avrai visto mille volte!» lo prese in giro Harry, perché era vero. Lo conosceva a memoria ed era assurdo che invece di lavorare perdesse tempo così. «Non hai un articolo da scrivere?»

Louis lo guardò male. Era il tipo di persona che arrivava sempre all’ultimo, a fare le cose, che si malediceva quando si trovava con pochissimo tempo e che si riprometteva di non ritrovarsi mai più in quella situazione. Solo per venir meno al suo impegno già il giorno dopo.

Anche se l’altro era più grande, Harry gli faceva da fratello maggiore, nonché da agenda e da cuoco. Senza di lui, Louis si sarebbe dimenticato di qualsiasi impegno e avrebbe mangiato solo cereali.

«Indovina chi ho incontrato oggi» ovviamente non glielo aveva detto che si sarebbe visto col direttore del Times, perché anche se era quasi impossibile, non era detto che gli avrebbe davvero pubblicato un articolo del genere, e a Harry non piaceva parlare delle sue sconfitte, grandi o piccole che fossero.

«La fata Turchina che ti ha detto che se non starai zitto ti trasformerà in un ciocco di legno» proferì Louis.

«Tu guardi troppi cartoni animati, Louis, e ti fai troppe poche docce» aggiunse, dopo essersi seduto vicino all’altro.

Per quanto potesse non sembrare, Harry adorava l’amico, e l’altro adorava lui anche di più; per questo il loro rapporto era così perfetto. Louis per lui avrebbe fatto di tutto e Harry, d’altro canto, non si faceva sfuggire nessuna occasione per chiedere favori all’altro.

Si erano conosciuti all’università, perché Louis era rimasto indietro in un paio di corsi. Non aveva voglia di studiare, diceva. C’era sempre una festa a cui partecipare o una ragazza o un ragazzo da viziare e il tempo da dedicare ai libri diventava sempre di meno. Poi, aveva conosciuto Harry, appunto. Aveva cercato di tirarselo dietro a ogni party o in qualsiasi mattata il suo cervello pazzo congegnasse, ma l’ambizione del più piccolo era tale che nulla, neanche Louis Tomlinson, sarebbe riuscito a farlo distrarre. E, infatti, era successo il contrario: per quanto potesse sembrar strano, erano diventati così amici da essere inseparabili e, piano piano, la determinazione di Harry era diventata quella di Louis.

Appena anche Harry si era laureato, a distanza di un anno e qualche mese da Louis, i due erano andati a vivere insieme. L’appartamento era modesto, anche perché, all’inizio specialmente, era stato difficile trovare incarichi. Louis era stato assunto come giornalista sportivo da un quotidiano della città, e lavorare lì gli piaceva, perché era fissato col calcio, e gli sarebbe piaciuto da impazzire lavorare in televisione, in uno di quei programmi dedicati allo sport. Harry, invece, era più interessato alla politica, ma in fondo, per arrivare in alto, era disposto a fare e a scrivere di tutto.

«Non ci crederai mai» iniziò, perché tanto la puntata stava per finire e se avesse aspettato che l’altro fosse pronto ad ascoltarlo sarebbero passate ore. «Avevo un appuntamento con il signor Bennett» aspettò una qualche forma di riconoscimento da parte dell’altro. Un grido di sorpresa, un sobbalzo, una mano al cuore. Qualcosa. Tutto quello che ottenne fu un sopracciglio alzato e un cambio di canale. Ma è serio? si disse Harry, è impazzito o è scemo. Io lo ammazzo.

«Ma sei scemo?» glielo chiese, per sicurezza.

Louis si voltò verso di lui, girando anche il busto. Oh, se per avere la tua attenzione dovevo offenderti, bastava dirlo, pensò, traendo un sospiro di sollievo. «Finalmente» borbottò a mezza voce.

«Il signor Bennett, capisci?» perché in fondo ripetita iuvant. «Del Times» aggiunse quando gli fu chiaro che altrimenti non sarebbe arrivato da nessuna parte.

Negli occhi dell’amico passò una luce di comprensione. «Quel Bennett? Mi prendi per il culo? E che dovevi dirgli, scusa?» disse, come fosse assurda l’idea che lui avesse bisogno di parlare con il direttore del giornale più importante del paese.

«Dovevo proporgli una storia» disse solamente.

«Ma» boccheggiò il più grande. «Ma… che storia? E poi si può fare? E comunque ti ha ascoltato davvero? Sul serio? Ma sei certo che fosse il giusto Bennett, eh?»

Harry lo guardò male, perché non si meritava altro che quello. Però era molto più importante gratificare il suo ego che rimanere offesi, per cui aveva bisogno dei complimenti che, inevitabilmente, Louis gli avrebbe fatto dopo aver sentito la sua storia.

«Sì. Ovvio, quel Bennett. Comunque, avrò bisogno del tuo aiuto. Che tu mi regga il gioco, insomma» chiosò Harry.

«Eh? Sì, ci sto» fece, annuendo, anche se ancora non sapeva nulla e non ci stava più capendo niente.

«Hai presente la festa della settimana scorsa? Ti ricordi il tipo che ho rimorchiato, no? Quello che ho rivisto anche un paio di giorni fa?» iniziò Harry, partendo dall’inizio.

«Zayn qualcosa» confermò l’altro.

«Malik» completò Harry per lui. «Be’, la sera della festa siamo andati a casa sua. Dovresti vederla. Un super attico, giuro, ma lì per lì non c’ho fatto caso» disse con un sorriso saputo. «Solo che ero stanco e mi sono fermato a riposare un po’. Sai come faccio, no? Esco sempre prima dell’alba e tutto. E, infatti, saranno state più o meno le tre o giù di lì, mi sono svegliato e mi sono messo a cercare il bagno. Solo che, in breve, al suo posto trovo uno studio. E nello studio una scrivania. E in un cassetto della scrivania» attimo di silenzio per creare la giusta dose di suspance. Louis si stava innervosendo, Harry lo vedeva. «Il manoscritto del libro, che deve ancora uscire, di Mick Stone. Quel Mick Stone, il suo nome almeno ti dice qualcosa?» si accertò, perché evidentemente Louis stava invecchiando e iniziava ad avere seri problemi a collegare volti e nomi.

«Non ci credo» cacciò uno strillo Louis, che evidentemente quella volta aveva capito tutto senza bisogno di sostegno. Stiamo migliorando, pensò l’altro quasi malignamente. «Cioè, tu sei andato a letto con Mick Stone? Mick Stone è Zayn?»

«Zayn Malik è Mick, direi» lo corresse Harry.

«Non ci posso credere. Con tutto il sesso casuale che fai, uno si aspetterebbe che ti ritrovassi tra le mani un caso di sifilide, non una scoperta del genere! E tu sei andato da Bennett a dirglielo?» disse tutto d’un fiato l’altro.

«Sì, cioè no» rispose Harry, emozionato per la reazione del collega. «Gli ho detto che sono nelle condizioni di scrivere un pezzo sul passato della persona che si nasconde dietro al nome di Stone. Lui mi ha preso per pazzo. Ma io sono il genio del convincimento, quindi a fine incontro mi ha quasi pregato di fargli avere l’articolo» ok, non è che l’avesse proprio pregato, ma la verità non era troppo distante.

«E quindi?» chiese Louis, che adesso sembrava sul serio interessato.

«E quindi dovrò scrivere un pezzo su Zayn, svelare la sua identità, ma soprattutto il suo passato e la sua personalità. Capire cosa c’è dietro la streghetta e tutte quelle cazzate lì. Una cosa da inserto culturale, insomma. Non proprio il mio genere, ma chi se ne frega. Il Times, Louis, il Times!» ripeté, impazzito. «E non sai neanche la parte migliore! Ho fino a metà febbraio per scrivere questo articolo, e se Bennett ne sarà soddisfatto – e lo sarà perché sono un genio – mi assumerà! Il Times! Certo, il contratto è solo di tre anni e all’inizio specialmente dovrò scrivere di stronzate e farò un sacco di gavetta, ma il T-»

«Il Times, abbiamo capito tutti, in sala» concluse per lui, sorridendo. «Wow, non so che dire. Non ci credo»

«Ha detto che probabilmente ho un fiuto incredibile per le buone storie» si vantò, scrollando le spalle.

«No, dico, non posso credere che tu ti scopi uno e poi scopri che è tipo l’uomo più ricco d’Inghilterra ma che, non si sa come, nessuno sembra conoscere né di nome, né di faccia. A proposito, com’è?» perché anche l’occhio vuole la sua parte.

«Mi sono mai portato a letto uomini di brutto aspetto?» domanda retorica. «Ti dico solo che passare tempo con lui per scoprire ogni suo segreto sarà la cosa più semplice che abbia mai fatto»

«E sei sicuro che lui voglia passarne con te, di tempo?» domandò Louis. Harry non avrebbe voluto degnarlo di risposta, perché insomma, ma era contento e si sentiva buono e gentile.

«Sono sicuro. Te l’ho detto, l’ho già rivisto. Usciamo anche stasera. Comunque, qui mi serve il tuo aiuto» disse, arrivando al punto. «Dopo aver scoperto tutto, sono tornato a letto, invece di andarmene. Ovviamente. E la mattina ho fatto finta di essere tipo l’uomo perfetto e gli ho fatto la colazione. Non è che potessi dirgli che sono un giornalista, quindi gli ho detto che, dopo una lunga pausa, ho iniziato a studiare inglese e che lavoro part time in un panificio. Vedi di non dimenticartene, eh. Non buttarmi tutto all’aria o ti strozzo» concluse.

«Ma se neanche lo conosco» obiettò giustamente Louis.

«Be’, non si sa mai. Anzi, dovresti trovarti una specie di falsa identità anche tu, giusto in caso. E evita di inventartela sul momento, se no ti confondi. E niente cose idiote o che abbiano a che fare con supereroi; e no,» disse, prevenendo l’altro. «non puoi fare lo skater. E neanche il cantante di fama mondiale»

«Rovini sempre tutto il divertimento» sentenziò l’altro, braccia incrociate ed espressione imbronciata.

«Ma mi ami lo stesso» gli sorrise Harry.

«Sei fortunato che sia vero» sbuffò Louis, quasi ghignando di rimando.

Harry si alzò dal divano. Era l’ora di iniziare a prepararsi. Cominciava lo show, e lui doveva essere perfetto.

 

 

Note:

Ok, qui facciamo un balzo in avanti di una settimana e scopriamo cosa ci facesse Harry, nel primo capitolo, al Times (che ho scelto perché volevo una cosa figa e un giornale credibile. Insomma, Harry ha degli standard elevati).

C’è anche Louis <3 tanto per, nel prossimo arriva Liam!

Non c’è Zayn, in questo (e lo so che la cosa è taaaanto triste), perché è più che altro un capitolo di passaggio che mi serviva per spiegare meglio le ragioni e le reazioni di Harry. Che, sì, è un po’ meschino, per usare un eufemismo. J

Uhm… non credo ci sia altro da aggiungere (?).

Grazie mille a chi legge e segue e perde tempo sopra questa cosa!

Alla prossima ;-)

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Capitolo quattro.

 

Zayn entrò nella tavola calda e si guardò intorno. Cercò Liam con lo sguardo, tanto era sicuro che l’altro fosse già arrivato. Al contrario di lui, suo fratello aveva il magnifico pregio di essere puntuale in tutto.

Lo vide seduto a un tavolo in fondo al locale, in mano il cellulare. Sicuramente era su Twitter, si disse Zayn, visto che sembrasse viverci. Liam era un personal trainer, e un sacco di gente, sia che fossero suoi clienti, sia che non lo avessero mai visto in faccia, gli chiedeva consigli. Era una specie di piccola celebrità, su Internet. Zayn e Niall non facevano che prenderlo in giro, per quello.

Era talmente preso da quello che stava facendo, che si accorse dell’arrivo di Zayn solo quando questi ormai era già seduto e aveva iniziato a sfogliare il menù.

«Ciao!» salutò, con voce sorpresa, allargando gli occhi marroni da cucciolotto.

«No, continua pure a parlare con i tuoi fan» lo prese in giro, sorridendo.

«Ah ah» commentò, solo, Liam, facendogli una linguaccia.

«Nervoso?» gli chiese dopo un po’, indicando il labbro che Zayn si stava torturando, cosa che faceva sin da piccolo solamente quando c’era qualcosa che lo preoccupava.

«Un po’» rispose, intuendo a cosa il fratello si riferisse. «Sai, è l’ultimo, e non mi sembra ancora vero che stia per finire» aggiunse, scrollando le spalle.

Liam rimase per un po’ a fissarlo, quasi con espressione scettica. «E poi?»

L’altro arrossì lievemente, perché un po’ si vergognava di dirlo. Insomma, probabilmente si sarebbe guadagnato solo uno scappellotto, dall’altro, perché era una cosa idiota, ma non poteva far a meno di avere paura.

«E se non piace a nessuno?» disse lo stesso, tanto sapeva che Liam non avrebbe mollato la presa finché non avesse confessato cosa lo angustiasse. E probabilmente già se lo immaginava, quello che gli passava per la testa: sin da dodicenni, cioè sin da quando si erano conosciuti, avevano sviluppato quella specie di collegamento mentale che inquietava sempre tutti.

«Io l’ho letto, e l’ho adorato» lo rassicurò.

«Sì, ma tu sei tu e Niall è Niall» disse, prima che Liam stesso nominasse il loro amico comune.

«E allora? Siamo mai stati parziali?» aspettò che Zayn alzasse gli occhi al cielo e scuotesse la testa, come sapeva avrebbe fatto. «Appunto. È geniale. Tu sei geniale, e tutti lo adoreranno. O magari no. Qualcuno lo odierà, perché niente al mondo piace a tutti»

«Niall obietterebbe che la pizza piace a tutti» scherzò Zayn.

«Be’, non è detto. E, poi, non sarebbe un esempio pertinente» contestò l’altro.

Anche se come discorso non sembrava troppo incoraggiante, in realtà aveva ottenuto l’effetto desiderato. L’aveva rassicurato, ma quello era qualcosa che a Liam riusciva sempre, con lui. Era tipo la sua valeriana a portata di mano, e allo stesso tempo era uno dei pochi muri portanti della sua vita.

Letteralmente, non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lui.

E, davvero, l’idea che all’inizio lo odiasse e non potesse vederlo e non volesse parlarci, per quanto comprensibile, adesso gli sembrava assurda. Almeno tanto assurda quanto un mago malvagio che tutti credono morto ma che non lo è perché, oh, ha diviso la sua anima in tanti piccoli pezzi e si è divertito a spargerla per il mondo.

E non era solo il fatto che Liam fosse tutta la famiglia che gli fosse rimasta – cosa vera, per altro. Il fatto che lo capisse meglio di chiunque altro, anche meglio di Niall, non era imputabile ai geni. Il loro rapporto era in quel modo, semplicemente. Non gli serviva parlare, uno sapeva sempre quello che l’altro pensasse e provasse senza bisogno di tanti discorsi.

Zayn aveva spesso sentito parlare di particolari legami che univano i gemelli, ma lui e Liam non lo erano neanche un po’. Anzi, non avevano mai neanche vissuto sotto lo stesso tetto e per colpa del padre si erano conosciuti quando ormai erano adolescenti; per questo, secondo lui, il loro rapporto era ancor più sorprendente e l’unico al quale non avrebbe potuto rinunciare per nulla al mondo.

E per Liam era la stessa cosa. Non si ricordava neanche l’ultima volta che si erano detti un semplice ti voglio bene, ma a loro non era mai servito per sapere di essere qualcuno di fondamentale per l’altro.

*

Harry gli aveva detto che sarebbe passato a prenderlo, senza però dirgli dove aveva in mente di portarlo. È una sorpresa, si era limitato ad accennare, non aggiungendo altro.

Il più piccolo si era dimostrato piuttosto tenero, gli aveva mandato sms carini che gli chiedevano semplicemente come stesse o cosa stesse facendo; quando si erano rivisti per la prima volta, erano andati a fare una lunga passeggiata in un parco non troppo lontano da casa sua e aveva scoperto che l’altro era praticamente incapace di fare battute divertenti, ma – proprio perché facevano davvero schifo – stranamente facevano anche ridere. Zayn non era molto sicuro che la cosa avesse senso.

Gli rimanevano solo dieci minuti di tempo, e i suoi capelli non volevano saperne di stare acconciati nel solito ciuffo, per cui alla fine Zayn decise di lasciarli giù e di indossare semplicemente una cuffia.

Harry arrivò puntuale e, non appena lo vide, gli sorrise, il volto illuminato e ingentilito dalle solite fossette adorabili.

«Adesso me lo dici dove andiamo?» chiese Zayn, quasi incapace di attendere troppo.

Harry scosse la testa, se possibile allargando ancora di più il sorriso.

«Cinque minuti e lo scoprirai. Spero tu abbia un buon equilibrio» disse misteriosamente.

*

«Stai scherzando, vero?» fece Zayn, scettico. «Sono pessimo sui pattini a rotelle e da piccolino cadevo sempre e rompevo tutti i pantaloni, te le immagini tutte le culate che sono in grado di dare sul ghiaccio?» Harry l’aveva portato in una di quelle piste di ghiaccio che aprono solo per la stagione invernale, solitamente piena di bambini che schiamazzano e che si divertono a rincorrersi e a tagliare la strada ai poveri pattinatori ignari. Quella sera sembrava essere particolarmente affollata. No, grazie, pensò Zayn, preferisco vivere.

«Daiiiii» supplicò l’altro. «Giuro che è divertente!» continuò, mettendo su il broncio, nella speranza di convincere l’altro.

«Oh, ci sono stato una volta, con Liam» e poi, visto che Harry lo stava guardando interrogativamente «mio fratello» spiegò, «Ho portato i segni dei ruzzoloni per una settimana» niente l’avrebbe convinto a rinfilare quegli arnesi mortiferi. Niente.

«Daiiiiii» rifece Harry, questa volta posando le mani sulle spalle del più grande, con fare volutamente seducente. «Ti insegno io» disse, come se quello spiegasse tutto.

Zayn lo stava ancora guardando come se fosse pazzo, per cui l’altro continuò, la stretta che si faceva più delicata e i polpastrelli che si muovevano circolarmente.

«Ti tengo io. Fidati di me, giuro che non ti faccio cadere» e Zayn, con un sospiro forzato, acconsentì, perché in fin dei conti poteva davvero provare a fidarsi e magari Harry, al contrario di Liam, l’avrebbe aiutato veramente e non avrebbe solamente riso a ogni suo scivolone.

*

Harry si era davvero messo in testa di potergli insegnare a pattinare, anche se Zayn pensava fosse impossibile.

Ma magari si sbagliava, perché, contro ogni previsione, era riuscito a starsene in piedi su quei trabiccoli per più di mezzora, facendo più e più giri della pista. Certo, Harry lo teneva per mano, e la velocità era limitata, ma per iniziare Zayn pensava di potersi considerare soddisfatto.

E, evidentemente, anche Harry pensava la stessa cosa, visto che lo guardava contento. Un paio di volte gli aveva evitato una caduta certa, sostenendolo praticamente per le ascelle (maledetti diavoli travestiti da bambini che tagliano la strada alla gente ignara), ma altre era riuscito a tenersi in piedi da solo, guadagnandosi una leggera stretta alla mano e un sorriso soddisfatto, da parte dell’altro.

A pensarci bene, Zayn si sentiva un po’ idiota. Harry l’aveva portato a fare una cosa romantica, e lui davvero non se lo aspettava. Aveva pensato che l’altro lo avrebbe portato a cena, a proposito, muoio di fame, e magari in un qualche locale o a vedere un film o comunque qualcosa di più vicino a quella che sembrava essere la personalità dell’Harry che aveva conosciuto alla festa. Forse, Zayn doveva arrendersi davvero all’evidenza che la sua prima impressione fosse sbagliata e che, all’altro, lui potesse piacere sul serio. Arrossendo, pensò che di sicuro a lui Harry piaceva. Forse anche più di quanto si sarebbe aspettato dopo una sola settimana che lo conosceva.

*

Erano andati pure a prendersi un panino in un localetto non troppo distante da lì, dove Zayn ogni tanto andava con Niall. Il moro aveva così tanta fame che si sarebbe mangiato un tavolino, per cui avevano optato per un posto dove il servizio fosse il più veloce possibile.

«Ahh, non mi fiderò mai più di te!» si lamentò Zayn, sedendosi e sbattendo inevitabilmente il sedere sulla seggiola. Alla fine era caduto. Probabilmente era colpa sua: dopo quasi un’ora che tutto era filato liscio, aveva iniziato a credere di aver davvero imparato, aveva lasciato la mano di Harry, così, per prova, e aveva provato a pattinare da solo. Evidentemente improvvisarsi un piccolo Plushenko non era stata l’idea più geniale che avesse mai avuto, perché neanche due passi e si era ritrovato per terra, sdraiato imbarazzatamente sul ghiaccio.

E visto che, oltre al suo sedere, anche l’ego era vagamente ferito, aveva deciso che era tutta colpa di Harry (che faticosamente aveva cercato di non ridere), perché lui era l’esperto e suo il compito di impedirgli di fare sciocchezze del genere.

«Ma se hai fatto tutto da solo!» esclamò, indignato. Zayn scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo, neanche l’altro fosse un bambino di cinque anni testardo e duro di comprendonio.

Finalmente arrivò la cena, e per qualche attimo mangiarono in silenzio, con Harry che ogni tanto gli lanciava occhiate divertite e Zayn che gli rispondeva con fare scioccato.

«Domenica prossima giocate in casa?» domandò Harry, interessato. Zayn annuì.

«Ti scoccia, per caso, se vengo a vedervi?» 

«No. No, certo che no» rispose Zayn, contento che l’altro glielo avesse chiesto. Durante il primo appuntamento, Harry gli aveva chiesto cosa facesse, se studiasse o meno, e Zayn aveva detto una mezza verità, non sentendosela di dirla intera. In fondo uscivano insieme da neanche dieci giorni, e neanche suo padre sapeva della sua ‘doppia identità’ (che faceva molto supereroe, ma che in realtà era molto meno emozionante). Non che quello volesse dir molto, in ogni caso.

Per cui, gli aveva solo detto che, finite le superiori, aveva frequentato un corso di scrittura creativa (vero), ma che alla fine aveva preferito accettare il posto d’allenatore della squadra di calcio in cui anche lui aveva giocato fino a pochi anni prima (vero anche questo). Aveva fatto dei corsi e in un paio d’anni si era ritrovato, da allenare bambini con ancora il latte sulle labbra, ad allenare la squadra juniores.

Non che avesse davvero bisogno di un lavoro, ma aveva sempre amato il calcio, e quello era anche un buon modo per tenersi occupato durante il giorno facendo qualcosa che lo divertisse.

In pratica aveva solo omesso di dire che in realtà la sua prima occupazione era scrivere libri di fantasia, e quando Harry gli aveva chiesto come fosse possibile che con quel lavoro avesse una casa del genere, aveva detto che era di suo padre (questo era falso. A suo padre non avrebbe chiesto neanche una stringa per le scarpe).

Harry sorrise e aprì la bocca per dire altro, ma Zayn non seppe mai cosa perché proprio in quel momento la voce di Niall lo chiamò, costringendolo a voltarsi e a dargli udienza.

Niall, gli disse non appena raggiunto il tavolo, li aveva visti dalla strada e dunque era entrato per salutarli. Zayn sentì che le guance iniziavano a imporporarsi leggermente: all’amico aveva detto di Harry, ma non pensava che gliel’avrebbe dovuto presentare così presto; rendeva le cose troppo più serie. Ma visto che era lì, certo sarebbe stato maleducato, se non lo avesse fatto.

«Niall, lui è Harry» disse senza particolare intonazione. Niall lo guardò strano, come a dire brutto scemo, lo so che è Harry, non sono mica rimbecillito, perché erano andati tutti alla stessa scuola e c’era stata la sera della festa e Zayn gliene aveva parlato.

«Comunque» riprese Niall. «Mi vedo con Liam, beviamo qualcosa al solito posto. Vi unite a noi?»

Zayn guardò Harry, che ricambiò lo sguardo. Come vuoi tu, diceva.

E non è che non gli andasse una birra o che fosse tardi per lui, ma Harry il giorno dopo doveva lavorare di sicuro e, in tutta sincerità, voleva solo passare un altro po’ di tempo col ragazzo seduto di fronte a lui.

«Ehm» iniziò, con un sorriso di scuse. «Sarà per la prossima volta, Niall»

 

 

Note:

Ahhh, sorry per il ritardo, ieri è stata una giornata frenetica e non ce l’ho fatta ad aggiornare! Per farmi perdonare (se ce la faccio), mercoledì posto qualcosa che è sepolto nel pc da secoli, tanto che quasi puzza J Una Zarry (perché sono tipo geneticamente incapace di scrivere altro), fatemi sapere se vi può interessare ;)

Cooomunque, direi che siamo entrati più nel vivo della storia (?). Mi scuso un sacco per tutte le citazioni Disney che ficco qua e là, anche questo è qualcosa di connaturato in me!

Grazie a tutti, chi legge segue storce il naso commenta, chi più ne ha, più ne metta!

Alla prossima J

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Capitolo cinque.

 

Harry si era portato dietro Louis, perché il calcio lo annoiava da morire e senza di lui probabilmente si sarebbe suicidato dopo i primi dieci minuti. Evitava di farsi trovare in casa quando giocava il Manchester, squadra tifata dal suo coinquilino, e se non riuscivano ad attirare la sua attenzione bei fusti della sua età o giù di lì, di sicuro non ci sarebbero riusciti degli adolescenti brufolosi. Ma voleva dimostrarsi interessato agli occhi di Zayn, che stava in quel momento dando le ultime indicazioni ai suoi giocatori, le mani che si muovevano frenetiche in aria e lo sguardo affamato di vittoria.

«Quello è Zayn?» domandò Louis, indicandolo con un movimento della testa.

«Quello è Zayn» rispose tranquillamente l’altro.

«Niente male» commentò. Harry lo guardò storto. «Ok, è un figo assurdo. Così va bene?»

«Va meglio» fece, abbozzando un sorriso. Una volta di più, Harry si ritrovò ad ammirare l’altro ragazzo, il suo corpo – che in due settimane aveva imparato a conoscere – fasciato da una tuta larga e i suoi capelli costretti sotto una cuffia.

I suoi pensieri furono interrotti, prima che passassero da innocui a perversi, da Louis che con una gomitata lo informava che la partita stava per iniziare.

«Era ora» borbottò a denti stretti il più piccolo «Speriamo finisca in fretta»

*

Erano state le due ore scarse più lunghe della sua vita. Aveva i piedi anchilosati dal freddo e le labbra iniziavano a screpolarsi. Non aveva la più pallida idea di chi avesse vinto e dalla sua posizione non riusciva neanche a vedere bene Zayn. L’unico momento meno noioso degli altri era stato quando un suo giocatore aveva fatto una qualche cavolata – Harry non avrebbe saputo dire quale, preso com’era a trafficare con il suo cellulare – e Zayn si era avvicinato alla linea laterale e aveva alzato la voce e tutti in campo l’avevano guardato straniti. Allora lui aveva fatto avvicinare a sé il ragazzino e gli aveva passato un braccio sulle spalle e aveva iniziato a parlargli come avrebbe fatto un fratello maggiore, l’espressione addolcita e quasi apologetica.

Tirò un sospiro di sollievo al triplice fischio dell’arbitro, che decretava la sua libertà, oltre che la fine della partita, e si complimentò della sua scelta di farsi accompagnare dall’amico quando quest’ultimo, prevendendo la sua domanda, gli disse che la squadra di Zayn aveva vinto 2 a 1.

«Buon per te» aggiunse malizioso, corredando il tutto con un’occhiata espressiva e un’alzata di sopracciglia.

Harry gli rispose con una gomitata, contornata, però, da un sorriso ugualmente significativo, e si alzò dalla gradinata che gli aveva congelato il sedere, con l’intenzione di raggiungere Zayn, pensando che fosse ancora a festeggiare con la squadra. Ma tempo dieci secondi, e l’aveva perso di vista.

Quando l’altro tornò finalmente nel suo campo visivo, era avviluppato nell’abbraccio di qualcuno che non riusciva a vedere in viso.

«Che cazzo…?» iniziò, lasciando la frase a metà e attirando l’attenzione di Louis.

«Uh-uh. Sembrano intimi, quei due» esclamò, perché evidentemente infilare il dito nella piaga era quello che gli riusciva meglio. Che poi, piaga. A lui, di Zayn, interessavano solo i retroscena.

«Sta’ zitto»

*

Venne fuori che la persona che Zayn stava abbracciando con tanto calore altri non era che suo fratello, Liam.

Harry era arrossito, quando l’altro li aveva presentati, un po’ perché faceva strano conoscere così presto i parenti dell’altro, un po’ perché si era sentito davvero stupido, quando Zayn gliel’aveva detto. Quando si era avvicinato con Louis agli altri tre – solo a due passi da loro si era accorto della presenza di Niall, praticamente nascosto dalla montagna di muscoli del ragazzo che stava cercando di inglobare Zayn – aveva reso nota la sua presenza con un leggero colpo di tosse, e, non appena Zayn si era accorto di lui, il suo viso si era illuminato di reale contentezza e aveva districato le braccia dall’energumeno per stringere lui, che in tutta risposta, aveva sì ricambiato l’abbraccio ma aveva continuato a guardarlo un po’ curioso un po’ accusatorio. O almeno credeva che quella fosse la sua espressione. Non che Zayn ne fosse rimasto perplesso o impressionato. Il moro poi si era voltato, aveva allargato il suo sorriso, mostrando i suoi denti bianchi e perfetti (la lista delle cose perfette che riguardavano Zayn era lunga un chilometro, aveva pensato Harry), e proprio come aveva fatto la settimana prima con Niall, gli aveva fatto conoscere Liam. Lui, per par condicio, aveva presentato a tutti Louis, dicendo semplicemente che era il suo coinquilino. Sinceramente, non sapeva quale storia l’altro si sarebbe inventato, se gli avessero chiesto cosa facesse nella vita, ma anche se tre quarti delle volte Louis si comportava da emerito imbecille, Harry sapeva di potersi fidare di lui, per le cose importanti.

*

Niall aveva proposto di andare tutti e cinque a mangiare qualcosa e Liam l’aveva preso in giro dicendo che il suo stomaco era un buco nero.

Seduti al tavolino di Nando’s, Harry poteva chiaramente comprendere il perché di quella battuta con i suoi occhi. Probabilmente buco nero non bastava neanche, a descrivere la voracità con cui il ragazzo mangiava. E, d’accordo, la cosa era vagamente disgustosa, ma allo stesso tempo ilare, e da quanto poteva leggere sul volto di Louis, l’amico la pensava allo stesso modo.

«Non ci fate troppo caso» la voce di Zayn li strappò da quello spettacolo. «È normale amministrazione» concluse, indicando con un cenno del mento l’amico.

«E se vi state chiedendo dove mette tutto quello che ingurgita… be’, questo è uno dei misteri dell’universo» aggiunse Liam, guardando affettuosamente l’amico svuotare la seconda porzione di pollo e ordinarne una terza.

«E la cosa si fa ancora più assurda se pensate che tutto quello che fa durante il giorno è sfogliare pagine e tutta la sua attività fisica consiste nel camminare dal divano al frigorifero e ritorno» terminò Zayn, con tono scherzoso.

«Ah, tutta invidia, la vostra. Ho una linea invidiabile e la mantengo senza alzare un dito, mentre voi faticate in quella puzzolente palestra o al freddo in quel campetto umidiccio» Niall rispose facendo la linguaccia ai due amici, finalmente rivolgendo agli altri quattro un po’ d’attenzione. Almeno fino al ritorno del cibo.

Harry si avvicinò all’orecchio di Zayn, mentre una mano andava a posarsi prima sulla spalla dell’altro poi a intrecciarsi ai suoi capelli. «Se il bel sedere che ti ritrovi è dovuto al calcio, quasi quasi questo sport inizia a piacermi» sussurrò, in modo che sentisse solo lui. Il più grande arrossì talmente tanto che neanche la sua pelle olivastra riuscì a nascondere la sfumatura rosata, attirando gli sguardi degli altri tre su di sé come il miele fa con le api.

«Non ti piace il calcio?» chiese, scegliendo di sorvolare sul commento dell’altro riguardo al suo fondoschiena.

Harry si morse un labbro, dandosi dell’idiota. Non voleva che Zayn pensasse che lui appartenesse alla schiera di chi sostiene che rincorrere una palla per 90 metri fosse da imbecilli (cosa vera, tra l’altro), ma che, al contrario, si era subito quel pomeriggio appositamente per dimostrarsi interessato e interessante. Perché non imparava a stare zitto e magari evitava di sputtanare tutti i suoi sforzi, una buona volta, eh?

Ma, contrariamente a ogni sua aspettativa, lo sguardo di Zayn si addolcì all’inverosimile e qualcosa che Harry non avrebbe saputo definire passò un secondo nei suoi occhi e, veloce come era arrivato, sparì.

«Quindi oggi sei venuto ad annoiarti solo per me?» domandò con fare giocoso. Però, a Harry, non fuggì il velo di speranza che l’altro sotto sotto cercava di nascondere; trasse un metaforico sospiro di sollievo.

«Mi merito un premio, vero?» alzò un sopracciglio, nel modo che aveva appreso da Louis e che sapeva essere provocante, ma prima che Zayn potesse rispondergli, l’amico gli diede un colpetto sul braccio e poi una leggera tirata che lo costrinse a voltarsi.

«Liam è un personal training, non è fantastico?» esclamò eccitato Louis.

No, davvero, non ci vedeva nulla di fantastico in uno che ti aiuta a spaccarti la schiena. Ma evitò di dirlo e se ne uscì con un finto interessato «Ah sì?» che si rivelò essere tutto quello che Liam stesse aspettando per iniziare a parlare a manetta di pesi da sollevare e asciugamani per il sudore. Vide con la coda dell’occhio Zayn scuotere la testa, mentre guardava il fratello con gli occhi pieni di affetto.

Si chiese se un giorno tutto quell’affetto l’avrebbe rivolto a lui.

Si diede un calcio mentale sugli stinchi.

Chi se ne fregava del suo affetto, quello che voleva lui valeva molto di più.

*

Si salutarono dopo un’altra oretta passata a parlare del più o del meno. Harry, sinceramente, avrebbe preferito andare a casa di Zayn e fare un po’ di ginnastica da camera (tutto quel parlare di grassi da perdere l’aveva segretamente impensierito), ma lui e Louis erano usciti con un’unica auto e, disse a Zayn, domani devo lavorare. Che non era affatto vero. L’articolo lo aveva impostato, ma ancora non aveva nulla di davvero interessante da scriverci. Il che era triste, erano già trascorse due settimane dalla prima notte e lui si trovava ancora fermo al punto di partenza.

«Ci sentiamo domani, va bene?» disse al più grande, dopo averlo castamente baciato e prima di allontanarsi definitivamente ed entrare in macchina. L’altro sorrise e fece semplicemente sì con la testa.

Con un ultimo gesto della mano rivolto a tutti e tre, mise in moto e si diresse verso il loro appartamento.

*

«Credo di avere una cotta per Liam» proruppe Louis, non appena varcarono la soglia di casa.

«No. No, no e no. Ma sei scemo?» lo sapeva che Louis avrebbe incasinato tutto, in un modo o nell’altro.

«Perché?»

«Perché devi incasinare tutto?» sbottò Harry, passandosi una mano tra i capelli e incasinando i suoi ricci naturalmente ribelli.

«Non incasinerò nulla. Sono stato bravo stasera, no?» disse Louis, con quello che voleva essere un tono ragionevole, ma che su di lui era solo assurdo.

«Quando sei stato bravo? Quando hai iniziato a fare le moine al prezioso fratello del ragazzo che io frequento solo per lavoro? O quando hai detto che tieni un corso di teatro e che ti farebbe piacere se venissero a vedere uno spettacolo di cui tu in realtà non sei il regista o lo sceneggiatore o che cazzo ne so io perché, oh guarda un po’, sei un cazzo di giornalista!» quasi urlò Harry, le mani che prudevano dalla voglia di strozzarlo.

«Be’, la stagione teatrale non è ancora iniziata e tu hai solo due mesi per scrivere quest’articolo. Il che significa che io ho un ragionevole ammonto di tempo per cercare di entrare nelle mutande di Liam, senza che nessuno si faccia male. So tenere a freno la lingua, non sono uno sprovveduto totale»

«Giuro che se mandi tutto all’aria ti ammazzo» sibilò a denti stretti il più piccolo.

Louis posò sulle sue spalle le sue mani affusolate, stringendole delicatamente.

«E io ti giuro che non succederà nulla»

«Vedi che questa sottospecie di cotta non si trasformi in qualcos’altro» lo avvertì Harry. «Non credo che quando Liam scoprirà tutto sarà ben disposto nei tuoi confronti» concluse, perché in fin dei conti era vero.

«Forse questo dovresti ripeterlo a te stesso» ribatté tranquillamente l’altro, intrecciando i suoi occhi a quelli di Harry.

«Cosa intendi?» fece Harry, che si era perso e non riusciva più a seguire il discorso dell’altro. O magari cercava di fare il finto tonto. Non lo sapeva più neppure lui.

«Dico solo che ogni tanto il modo in cui lo guardi sembra tutto meno che finto e che quando sorride-»

«Sono un bravo attore, evidentemente» tagliò corto Harry.

«Non lo sei mai stato» lo contraddisse l’amico, che quella sera si stava divertendo a interpretare la parte del grillo parlante, a quanto pareva.

«Sarò migliorato» sperò che Louis lasciasse cadere il discorso, cosa che – per fortuna – fece. Anche perché, davvero, non avrebbe saputo cosa dirgli per fargli capire che non provava nulla per Zayn. O meglio, l’altro ragazzo gli piaceva e il suo sorriso era… wow, chiunque ne sarebbe rimasto affascinato, ed era dolce e chiuso e schivo tutto insieme, ma piano piano lasciava intravedere sempre qualcosa di più di sé e- ma no, nulla si sarebbe mai frapposto tra lui e un suo qualsiasi obiettivo.

Neanche un ragazzo con gli occhi troppo grandi e lo sguardo troppo triste.

 

 

 

Note:

Sorry sorry sorry K

Come sempre, un enorme grazie a chi legge e specialmente a chi commenta!

A presto!!!

^__^

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Capitolo sei.

 

Zayn lasciò una scia di baci lungo tutta la clavicola del ragazzo sdraiato sotto di sé. Sentì le mani di Harry risalire dal collo fino a immergersi fra i suoi capelli. Ogni volta che toccava o leccava o mordeva un punto particolarmente sensibile del suo corpo, l’altro glieli stringeva. Aveva ormai imparato che se succhiava proprio sotto l’orecchio, Harry buttava indietro la testa e spalancava le labbra, mentre se gli mordeva un capezzolo dalla sua bocca uscivano lievi gemiti che facevano sempre sorridere Zayn.

Harry era una visione. I ricci tutti sparsi sul cuscino, il respiro leggermente affannoso, le labbra turgide e il corpo sconvolto da un piacere che ancora non era abbastanza.

«Zayn Zayn Zayn» ripeté come fosse un mantra. Il moro lo baciò a labbra aperte, guardandolo negli occhi. Talvolta, il verde dell’iride di Harry sembrava pozzi d’acqua durante un giorno tetro. E lui si ritrovava ad affogarci dentro, proprio come avrebbe fatto in un lago reale, e a chiedersi se questa fosse una cosa positiva o negativa.

Si sollevò un po’, liberando per qualche istante il corpo di Harry dal suo peso, e mentre con una mano apriva il cassetto dove teneva tutto quello che gli serviva, con l’altra fece girare il più piccolo. Lasciò leggeri baci su tutto il suo collo, mentre era la volta in cui la sua mano andava a perdersi fra i capelli dell’altro. Lo preparò con gentilezza, e allo stesso tempo appoggiò il mento sulla spalla dell’altro; il naso solleticava il suo collo che profumava ancora vagamente di bagnoschiuma, di Harry, di sesso e anche un po’ di lui, tutto insieme.

«Sei pronto?» chiese all’altro, che emise solo un vago lamento, soffocato dal cuscino, e che portò indietro i fianchi: un gesto valeva mille parole.

Zayn entrò in lui e afferrò le mani di Harry che stavano ai lati della sua testa, le portò più su e le strinse, aspettando che l’altro si fosse aggiustato e lo pregasse di iniziare a muoversi.

E poi Zayn iniziò a spingere, la fronte appoggiata alla grande schiena di Harry, Harry che voleva dipiùdipiùdipiù e che lo urlava e che muoveva i suoi fianchi andando incontro alle spinte del più grande e che si aggrappava alle mani di Zayn come fossero un’àncora di salvezza.

Quando sentì che tutto stava per raggiungere l’apice, Zayn strinse un fianco di Harry, portando entrambi ad appoggiarsi su un lato, andando poi a stringere l’erezione dell’altro, che emise un gemito strozzato e posò una mano su quella che Zayn aveva appoggiato sul suo corpo.

Quando Zayn venne, morse la spalla di Harry, che, dal canto suo, non se ne accorse, troppo preso a godersi il proprio orgasmo e la sensazione di Zayn dentro di lui.

*

«Ti ho fatto male?» chiese Zayn, posando un bacio sulla spalla dove spiccava il calco dei suoi denti.

Harry scosse la testa, attirandolo a sé, fino a che la guancia di Zayn non si ritrovò dalle parti del suo cuore, che ormai aveva ripreso a battere a velocità regolare.

Era stanco ed era nervoso perché il suo libro sarebbe uscito fra la fine delle feste e il suo compleanno, cioè in uno sputo di giorni, ma la compagnia di Harry gli risollevava sempre il morale. E se all’inizio aveva pensato che passare del tempo con l’altro ragazzo sarebbe stato un modo perfetto per sfogarsi, adesso si sentiva davvero affezionato al più piccolo. E anche se si conoscevano, da quanto? Tre settimane? Chi se ne fregava, non è che potesse decidere lui cosa provare per chi e quando. E poi non si sentiva così felice e non stava così bene con qualcuno da un sacco di tempo, e di certo non sapevano tutto l’uno dell’altro, ma aveva il buon presentimento che con Harry, magari, potesse nascere qualcosa di serio. Ma preferiva non essere lui a portare a galla l’argomento, per paura di trovarsi pagine avanti anni luce, in quella storia, rispetto all’altro.

E, anche se di certo non gli sarebbe dispiaciuto essere il suo ragazzo, in quel momento poteva considerarsi soddisfatto della sensazione di calore che gli davano le braccia di Harry strette intorno a lui.

Con un sospiro, in quella posizione e proprio perché era stanco, si addormentò.

*

Si risvegliò che era passata da un pezzo l’ora di cena. Si sentiva una voragine nello stomaco profonda come l’inferno, ma il suo letto era così caldo e confortevole che per uscirne avrebbe avuto bisogno di una forza di volontà che non possedeva. E poi preferiva di gran lunga restarsene lì sdraiato e accoccolato a Harry.

Distese un braccio, con l’intenzione di afferrare delicatamente una qualsiasi parte del corpo dell’altro, ma si ritrovò a stringere solo un lenzuolo sfatto e un cuscino sgualcito.

Si tirò su coi gomiti e gettò uno sguardo lungo tutta la stanza.

I vestiti di Harry erano ancora appoggiati sulla scrivania, mischiati ai suoi, quindi di sicuro era ancora in casa. Poi si accorse che, dalla porta solamente socchiusa, filtrava la luce artificiale del corridoio e che, se faceva attenzione, di quanto in quanto poteva captare la voce bassa dell’altro. Anche se non riusciva a decifrare le parole, sicuramente stava parlando con qualcuno a cui voleva veramente bene, se il tono tenero che stava usando era di qualche indicazione.

Dopo qualche altro secondo, la luce si spense e la figura alta di Harry apparve alla porta. Sorrise all’espressione sorpresa che l’altro aveva assunto non appena si era reso conto che Zayn fosse sveglio.

«Ti ho svegliato?» chiese gentilmente mentre si risistemava sotto le coperte.

«No, non preoccuparti. Credo sia stata la fame» era curioso di sapere con chi stava parlando al telefono, ma in realtà non aveva nessun titolo che gli desse l’autorità a chiederglielo, per cui sperò che fosse l’altro a dirglielo di sua iniziativa.

«Vuoi che cucini qualcosa?» fece, mettendosi seduto con tutta la lentezza del mondo. Zayn negò, perché in fondo non voleva lasciare quella stanza per davvero.

«Era mia madre al telefono, comunque» disse Harry, rimettendosi steso per l’ennesima volta e voltandosi verso di lui.

«Ah sì?»

«Ah ah» iniziò, mentre con una mano andava ad accarezzare i capelli di Zayn, che sorrise al gesto. Il fatto che lo trovasse piacevole era un po’ assurdo, visto quanto ne era geloso. «Voleva sapere quando vado a casa, per Natale»

Cavolo, non ci aveva fatto caso che mancavano solo cinque giorni al venticinque. Non che questo fosse troppo strano, comunque. Praticamente non lo festeggiava da quando aveva otto anni e a ben vedere non poteva dire che fossero mai stati dei veri Natali. Di quelli trascorsi in famiglia, con la casa tutta addobbata a festa, i carillon che emettono carole natalizie a tutte le ore, cenoni coi parenti. Tutte cose che in fondo a Zayn erano mancate, e – anche se non lo aveva mai detto a nessuno – avrebbe davvero voluto provare almeno una volta nella vita la sensazione di calore e di gioia di cui tutti sembravano così tanto innamorati. Non lo aveva mai detto neanche a Liam, ma sapeva che suo fratello provava la stessa cosa, glielo leggeva negli occhi ogni anno. Ma, alla fine, quello che aveva era più che sufficiente a farlo star bene.

«A Holmes Chapel?» Harry, al contrario suo, non era originario di Londra e la prima volta che gli aveva nominato quel paesino, si era un po’ stupito. Insomma, si ricordava di Harry dalle superiori, ma non avendoci mai parlato e interessandosi poco di suo a quello che gli accadeva intorno, non aveva fatto caso al fatto che nessuno sapesse chi fosse o allo sguardo sperduto che sicuramente doveva aver avuto in primi tempi. E la sera della festa alle sue origini si era interessato ancora di meno. Poi erano usciti insieme e Harry gli aveva parlato un po’ della sua infanzia e gli aveva raccontato di come con i suoi si fosse trasferito lì proprio in concomitanza dell’inizio delle superiori, perché suo padre era stato mandato nella capitale dall’azienda in cui lavorava.

E poi gli aveva detto di come i suoi si fossero lasciati e del fatto che, qualche tempo dopo, sua madre era tornata a Holmes Chapel per stare più vicino a suo nonno, che era malato, mentre Harry era restato con suo padre per finire la scuola. Di come ogni giorno gli mancasse la madre non ne aveva parlato, ma si percepiva benissimo dal tono vagamente dimesso di cui la sua voce si era colorata.

«Sì» disse, annuendo, senza smettere di accarezzargli i capelli. «Pensavo di partire la Vigilia e tornare il ventisei. Mi ha detto che sono un mascalzone, perché non la vedo da secoli e comunque resto su pochissimo, ma purtroppo non sono riuscito a sganciarmi al lavoro. Ha detto che spera che mi si brucino i capelli mentre metto in forno il pane. Non sono molto sicuro scherzasse» abbozzò un sorriso.

«Scherzava di sicuro. I tuoi capelli sono troppo belli per potergli augurare una cosa del genere»

Sul volto di Harry apparvero due profonde fossette, suo marchio di fabbrica.

«E tu che farai di bello?» chiese, curioso.

«In realtà nulla di che» rispose, con un’intonazione incolore.

Tempo cinque secondi, l’espressione di Harry da allegra divenne vagamente più seria, quasi cauta.

«Pensavo…» iniziò insicuro. «Pensavo che, magari, se non fai nulla… ecco, magari puoi venire con me» probabilmente si accorse dell’espressione dubbiosa di Zayn, perché aggiunse: «Mia madre si lamenta sempre che non gli faccio conoscere mai nessuno, e lei è meravigliosa e ti adorerebbe e… è troppo? Troppo presto?»

«Ehm…» sinceramente sì? Ma dirglielo così gli pareva brutto, anche perché Harry aveva un certo non so che di speranzoso nei tratti del volto. «Io non lo so… un po’ sì, credo» iniziò. «Ma più che altro io e Liam abbiamo la tradizione di pranzare qui insieme, guardarci un film e poi, a cena, di andare da Niall. E-» e anche se faceva acqua da tutti i pori, secondo l’idea tipica di Natale che almeno il 90% della popolazione condivideva, quella era la tradizione che si era costruito per sé. Era sua e di Liam e di Niall e di nessun altro, e poteva sembrare una giornata noiosa agli occhi di tutti, ma ben presto aveva capito che famiglia non significa semplicemente persone con cui condividi qualche gene e aveva smesso di sperare in qualcosa che suo padre non gli avrebbe mai potuto dare – padre dal quale ormai non voleva neanche più nulla –, e tutto l’affetto che gli serviva lo riceveva ogni giorno da quei due ragazzi che avevano, dopo tutti quegli anni, ancora la forza di sopportarlo.

E sì, qualche volta sperava che la sua vita fosse andata in modo completamente diverso, ma poi si diceva che magari non avrebbe mai avuto l’opportunità di conoscere Niall e Liam, se così fosse stato, e sapeva che loro erano la cosa migliore che gli fosse mai capitata e che non li avrebbe scambiati con niente al mondo.

«Oh» fece Harry, riprendendo a sorridere. «Non stai con i tuoi?»

«Mia madre è morta quando avevo otto anni e in realtà con mio padre non parlo molto» di’ pure che per te è morto anche lui, si disse Zayn. Ma evitò di metterla su quel piano, perché avrebbe solo portato Harry a fargli domande alle quali davvero non voleva rispondere. Aver nominato sua madre già gli sembrava abbastanza, fare silenzio sul resto era un compromesso accettabile.

«Oh, mi dispiace» disse solo, e Zayn gli fu grato per non aver chiesto altro. Non è che non si fidasse di Harry, anzi; e di certo vi erano molte storie simili alla sua, nel mondo, e anche di più tragiche. Semplicemente non gli piaceva parlarne né pensarci troppo, e farlo gli avrebbe rovinato l’umore e questa era l’ultima cosa che voleva. Magari un giorno gliel’avrebbe raccontato, ma non lì e in quel momento, quando ancora il suo corpo era avvolto da un piacevole tepore e il volto di Harry era così vicino al suo che gli sarebbe bastato fare un leggero movimento in avanti per baciarlo.

E allora lo fece, un centimetro e le sue labbra si posarono su quelle vagamente a cuore di Harry. Restarono così, a scambiarsi baci dolci e lenti, per qualche momento o forse per qualche ora, Zayn non avrebbe saputo dirlo.

«E la vigilia? Fai qualcosa?» gli chiese il più piccolo, quando si separarono.

«No, mangerò tutta la carne che riesco ad infilare nello stomaco, in barba alla tradizione» rispose. Faceva così da quando era indipendente e poteva decidere da solo cosa mangiare; era una specie di forma di ribellione contro il padre che da piccolo lo costringeva sempre a mangiare pesce, alla Vigilia. Il che era assurdo, per loro il Natale non era una festa religiosa. Era una cosa che probabilmente non avrebbe mai capito e che aveva smesso da tempo di cercare di spiegare. Ormai non gliene fregava neanche più nulla, ma quella specie di reazione era diventata un’altra assurda tradizione, per lui, e anche se sapeva che era da idioti, non l’aveva mai abbandonata.

«Che ne dici se mangiamo un sacco di carne insieme?» propose Harry.

«Ma non avevi l’intenzione di partire proprio il ventiquattro?» perché, se non si era improvvisamente ammattito, glielo aveva detto solo qualche minuto prima.

«Sì, ma posso partire anche la mattina di Natale ed essere ancora lì per pranzo» rispose, cercando di essere convincente.

Zayn sorrise. Gli dispiaceva togliere tempo alla madre di Harry, ma in fondo l’idea di passare qualche momento di festa con il ragazzo era troppo allettante da essere rifiutata.

 «Sembra proprio un bel piano»



Note:

Stanca stanca, ancora in ritardo, di frettaaaa ^_^

Tanti baci a tutti (chi è andato a vedere i bimbi a Verona o a Milano? *__*)

A presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Capitolo sette.

 

«Quando hai detto che torni?»

Louis entrò nella sua stanza, ma lui non perse tempo a guardarlo e continuò a preparare la valigia. Era in super ritardo, aveva detto a Zayn che sarebbe andato da lui verso le quattro per preparare la cena insieme, ma erano le tre abbondanti e ancora non era pronto. Era quasi in alto mare, anzi, e davvero non aveva tempo da dedicare a Louis.

«Il ventisei» rispose ugualmente.

«E parti stasera?» ma non gliel’aveva già detto? Harry sbuffò, perché odiava ripetere le cose venti volte, aveva come l’impressione di parlare con gente stupida. O poco interessata ad ascoltarlo.

«Te l’ho già detto, parto domani mattina sul presto» buttò fuori, mentre andava in bagno per radunare spazzolino e simili.

«Ah, già. Così domani puoi scambiare i regali con il tuo ragazzo. Che dolce»

«Non credo avremo tempo domani, quindi penso che lo faremo stanotte» disse, scrollando le spalle. «E non è il mio ragazzo, idiota» aggiunse in fretta, ripensando a quello che Louis aveva detto. Gli diede le spalle, con la scusa di dover raccattare degli abiti dall’armadio, perché non vedesse che era arrossito come un adolescente. Cazzo, Zayn non era il suo ragazzo, era il suo lavoro, e Louis lo sapeva meglio di lui. E anche se non lo fosse stato, non è che avessero ufficializzato nulla, per cui no, non era affatto il suo ragazzo. Anche se ammetteva che, magari, potevano dare quell’impressione.

«Be’, quella è l’impressione che date. State sempre insieme, sempre appiccicati, sembrate piccioni in amore» si sentì obbligato a replicare Louis.

«Be’, non è così, lo sai benissimo perché lo frequento» nel suo cervello, per farla breve, si era abituato a dire lavoro, ma evitava di farlo ad alta voce; lo faceva sentire una specie di prostituta, oltre che uno stronzo assurdo. Ma, alla fine, non si era mai fatto problemi né col sesso senza legami né con le bassezze, non vedeva perché doveva iniziare adesso che era tanto così dal raggiungere il suo obiettivo. Il fine giustifica i mezzi, si ripeteva.

«Ma Zayn non lo sa, a meno che tu non glielo abbia detto, cosa che dubito fortemente» ah, odiava quando Louis faceva il saccente. Non era vero, lo amava, ma di solito non lo faceva con lui, per cui era più divertente.

Sbuffò per quella che doveva essere la centesima volta in cinque minuti, e non lo degnò di risposta.

«Ho saputo che l’hai anche invitato a conoscere tua madre» continuò, affatto scoraggiato.

«E chi te l’avrebbe detto?» domandò, curioso.

«Me l’ha detto Liam»

«Ah sì, Liam? E come va con l’unico ragazzo che non dovresti guardare neanche da lontano?» chiese, un po’ per cambiare discorso, un po’ perché quella cosa lo faceva davvero arrabbiare.

«Oh, Hazza, non fare il ragazzino. Siamo solo amici, mi dà solo consigli in palestra. E ha la ragazza, per cui ho lasciato perdere ancora prima di provarci sul serio»

Harry tirò un sospiro di sollievo. «Bene» mormorò tra i denti.

Riportò l’attenzione ai suoi vestiti ancora tutti stesi sul letto, sperando fortemente che Louis capisse l’antifona, quella volta, e uscisse da lì.

«Insomma? Gliel’hai chiesto sul serio?» ovviamente aveva osato sperare troppo.

«Sì, gliel’ho chiesto. Ma sapevo che avrebbe detto di no, ci vediamo da neanche un mese! Neanch’io vorrei conoscere i suoi genitori così presto» si morse il labbro non appena sentì risuonare per la stanza le sue ultime parole. Si sentì più stronzo del solito anche solo a pensare quello che aveva detto, dopo le confessioni a mezza voce che Zayn gli aveva fatto pochi giorni prima. Non avrebbe saputo dire perché, ma quelle poche informazioni gli avevano fatto stringere lo stomaco dalla tristezza. Non gli aveva chiesto altro, perché aveva capito che Zayn non si sentiva ancora pronto a parlargliene e perché sapeva che aveva ancora tempo per scoprire tutto. Un tutto che si era fatto improvvisamente più interessante. E così, in pochi attimi, aveva scacciato la brutta sensazione con quella soddisfatta che era sempre legata a una qualche notizia importante.

E se ogni volta che ripensava al volto di Zayn – le sue mani tra i capelli neri e gli occhi più scuri del solito – riprovava di nuovo quella morsa alle viscere, non era perché provasse qualcosa per l’altro. Non era così scemo da farsi fregare da due occhioni da cerbiatto.

«Oh, certo che lo sapevi» ironizzò il più grande.

«Senti, gliel’ho chiesto solo perché credesse che per me è una cosa seria e tutte quelle cazzate lì. Se no me lo spieghi come faccio a farlo aprire e a scoprire di più di suo fratello e di tutto il suo passato? Ho cercato anche di più sul padre, ma internet è piena di favole e di versioni contrapposte, in realtà è piena del nulla più totale, e non è che possa andare da Liam, ti pare? E poi, comunque, a me serve la visione delle cose di Zayn, non voglio che l’articolo sia solo un elenco sterile di date o una di quelle biografie che si studiano a scuola» spiegò Harry, guardando l’amico, arrendendosi a dargli quello che voleva.

«Quindi l’hai invitato solo per fargli credere che tu stia facendo sul serio?»

«Ah ah»

«E ha funzionato?» continuò.

«E che ne so» ora iniziava quasi a stufarsi. Voleva bene al suo coinquilino, ma qualche volta era insopportabile.

«Non sai se prova qualcosa per te o non sai se ti ha raccontato qualcosa?»

Ma pensava di essere divertente?

«Louis, ti prego…» sibilò esasperato, il ti prego pronunciato come fosse una minaccia.

«Harry, vedi di non affezionarti tu, mentre provi con tutte le tue forze a-»

«Ti ho già detto che non ci sono pericoli, mi pare» lo interruppe. Sentiva il fumo uscirgli dalle orecchie.

«Sì, lo so. Sta’ attento comunque» ribadì, prima di voltarsi per uscire finalmente dalla sua camera. «E salutami Anne»

*

Qualche giorno prima erano andati in macelleria; avevano comprato un po’ di tutto, a parte maiale, e Harry aveva sorriso all’espressione felice e soddisfatta che Zayn aveva fatto non appena erano usciti.

Quando, dopo essere sopravvissuto all’interrogatorio di Louis, si era ritrovato a bussare alla porta di Zayn, sapeva già che avrebbe dovuto preparare tutto lui, perché l’altro era negato, e probabilmente avrebbe cercato di cucinare il vitello come fosse un piatto di maccheroni. Ma non si lamentava, i fornelli erano la sua passione segreta.

Zayn l’accolse con un bacio veloce e lo trascinò in cucina.

Harry prese il suo tempo per togliersi cappotto, cuffia e guanti, ma si sentiva perforare da parte a parte dallo sguardo intento dell’altro; evidentemente aveva fretta, il che era assurdo, perché tanto lo sapevano che avrebbero finito per cenare alle undici, come già era successo altre volte, e in più la maggior parte della carne l’aveva già preparata lui quella mattina.

«Perché hai tutta questa fretta?» domandò curioso.

«Non ho fretta» protestò Zayn, beccandosi un’occhiata scettica da parte di Harry.

«Ma se non riesci neanche a tener fermi i piedi» lo canzonò il più piccolo.

«È che non vedo l’ora che sia stasera» rispose in fine, scrollando le spalle.

«Allora mi aiuti? Così facciamo prima» magari si stava scavando la fossa, ma aveva la vaga impressione che vedere Zayn all’opera l’avrebbe divertito da matti.

*

Zayn voleva fare i biscotti. Così abbiamo qualcosa da sgranocchiare mentre guardiamo il film sicuramente orribile che hai portato, spiegò. E poi ne avrebbe fatti abbastanza anche per Liam e Niall, così da avere la loro imperitura gratitudine.

«Che ingredienti mi servono?»

«Uova, latte e farina, come è scritto nel libro di cucina» rispose Harry, alzando gli occhi al cielo, perché evidentemente l’altro non sapeva neanche leggere.

«Cuc.no vuol dire cucchiaino» aggiunse random sbirciando il libro da sopra la spalla dell’altro, tanto sapeva gliel’avrebbe chiesto, presto o tardi.

Zayn gli face la linguaccia e iniziò a preparare tutto quello che gli serviva, oltre i vari ingredienti. Scodelle, qualche cucchiaio, un bicchiere per misurare il latte…

«Non dirmi che non hai una bilancia» s’intromise Harry, divertito.

«Non è che me ne faccia molto di una bilancia, io. Nel forno ci tengo i maglioni, di solito; questa cucina è praticamente vergine» disse Zayn, grattandosi pensosamente una tempia.

Harry decise che non avrebbe commentato né fatto battute di cattivo gusto, si rigirò e continuò a preparare il coniglio.

«Come faccio a pesare farina e zucchero?» lo interruppe Zayn.

«Harryyyyy» fece con tono infantile, quando l’altro non lo calcolò di striscio.

«Harryyyyyyyyyyyyyy»

«Fai a-» un pugno di farina gli arrivò dritta in faccia, tutta sulle labbra e sul naso e un po’ su gli occhi e tra un battito di ciglia e l’altro poteva vedere Zayn tenersi la pancia, da quanto stava sghignazzando.

«Vuoi la guerra?» chiese, indignatamente retorico, mentre con una mano raggiungeva il sacchetto di farina e ne tirava fuori una manciata.

*

Zayn aveva dovuto rinunciare all’idea del dolce, perché dopo aver imbiancato tutta la stanza – oltre che loro stessi – non erano rimasti ingredienti a sufficienza.

Ma, alla fine, avevano comprato talmente tanta carne che per finirla ci sarebbero voluti giorni, di posto per altro davvero non avevano.

«È l’anatra più buona che abbia mai assaggiato, giuro» si complimentò Zayn. Harry scrollò le spalle, come se l’altro avesse detto una sciocchezza, ma arrossì lievemente comunque per il complimento.

 «Vorrei che cucinassi per me ogni giorno» esclamò Zayn con aria sognante. Poi, accortosi di come poteva suonare, abbasso gli occhi sul piatto e tossicchiò leggermente.

Harry si ritrovò a sorridere, pensando che magari sarebbe stato bello: cucinare per qualcuno lo rendeva più felice che farlo solo per se stesso. Si dette un mentale calcio nel sedere.

«Se vuoi che ti faccia da domestico mi devi pagare, però» disse, per togliere dall’imbarazzo Zayn e per cambiare argomento. Pensare di cucinare per Zayn l’aveva fatto agitare e quello non era mai un buon segno.

*

Harry aveva scelto il Titanic. Che era tutto meno che un film natalizio o una commedia romantica e allegra adatta a un giorno di gioia; nondimeno era uno dei suoi preferiti e l’avrebbe rivisto in continuazione. A dispetto dei suoi gusti cinematografici, Harry non un ragazzo propriamente romantico, ma aveva come l’impressione che all’altro sotto sotto cose quel genere di cose potesse far piacere e, se la prima volta che gli aveva preparato la colazione, il gesto era stato del tutto calcolato, con il passare del tempo si era ritrovato sempre di più a fare piccole cose o avere certi pensieri per l’altro, del tutto spontanei. Quello avrebbe dovuto preoccuparlo, forse, e ogni tanto nella sua testa risuonavano le parole di Louis, ma Harry le scacciava ogni volta, dicendosi che probabilmente si stava solo abituando. Si trattava di qualcosa di meccanico, ecco.

Zayn aveva fatto finta di lamentarsi, borbottando qualcosa su cartoni animati e film dell’orrore, anche se Harry non riusciva a capire cosa uno potesse azzeccarci con l’altro.

A un certo punto, era quasi certo che Zayn si fosse addormentato, la testa pesantemente appoggiata sulla sua spalla, con la bocca leggermente aperta, il respiro più pesante e rallentato e le ciglia infinite che gettavano ombra sugli zigomi pronunciati. Se c’era una cosa che a Harry piaceva dell’altro, più delle labbra carnose o dell’accento strano, più degli occhi profondi o del naso perfetto, addirittura più del tatuaggio super sexy della clavicola, erano gli zigomi. Sarebbe stato le ore ad accarezzarli o solo ad ammirarli, soprattutto i giorni in cui era troppo pigro per farsi la barba e allora erano quasi più in evidenza, e Zayn – se possibile – diventava ancora più eccitante, e Harry avrebbe passato la sua mano sul volto dell’altro tutto il giorno, apprezzando il contrasto tra pelle liscia e ruvida, e l’avrebbe ricoperto di baci e morsi, forse l’avrebbe mangiato, perché se era buono quanto bello, allora doveva essere la cosa più gustosa sulla faccia della terra.

Sentì l’altro strusciarsi contro il suo braccio, strizzare gli occhi nel vago tentativo di riacquisire coscienza.

«Ehi, questa è la mia parte preferita» fece Harry, a bassa voce.

Jack e Rose, sullo schermo, stavano ballando e ridendo alla festa con quelli della terza classe. A Harry era sempre piaciuto quel momento, la contrapposizione sociale che descriveva e l’indipendenza che Rose desiderava ogni momento un po’ di più.

«È perché Dicaprio è tutto sudato, vero?» biascicò Zayn, la voce un po’ impastata dal sonno.

«Anche» rispose criptico.

«Uhm. Io lo preferisco più adesso» commentò, rivolgendo gli occhi alla televisione.

«Io preferisco te» sputò fuori Harry, prendendolo per le spalle e spingendolo lentamente contro il divano, facendolo sdraiare e stendendosi sopra di lui subito dopo, dalla punta dei piedi fino al petto così stretti che tra di loro non passava neanche l’aria.

 «Be’, ovvio, io sono irresistibile» si lodò scherzosamente il più grande, addolcendo lo sguardo all’inverosimile.

Harry lo baciò, solo un leggero contatto di labbra, pensando che era vero, che Zayn era irresistibile, ma lui era sicuramente immune a tutto il suo fascino.

Se poi, da qualche giorno, ogni volta che Zayn lo toccava, gli veniva la pelle d’oca e quando gli sorrideva, si ritrovava il cuore pericolosamente vicino allo stomaco – be’, quello non significava nulla.

 

 

 

Note:

Dedicato a Gre perché sìììììììììì! Grande, grande, grande! Accontentati, perché una storia ex novo non ce l’ho, di questi tempi è già tanto se riesco ad aggiornare. Super triste.

Non fate caso ai riferimenti disneyani, come al solito J i maglioni nel forno sono di proprietà di Carrie Bradshaw <3

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! Se fa schifo, ditelo pure, non mi offendo e non mordo!

(Non ho avuto tempo di rileggere, se c’è qualche castroneria, ditemelo che la correggo, pleaseeee)

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Capitolo otto.

 

Zayn affrettò il passo, perché come sempre era in ritardo.

Aveva appuntamento con Liam e Niall al loro solito caffè, ma si era addormentato sul divano mentre ascoltava un po’ di musica e quando si era svegliato l’ora d’incontro era passata da dieci minuti e i suoi capelli erano un disastro. Aveva perso un quarto d’ora davanti allo specchio, cercando di dargli una vaga forma, perché se c’era una cosa con cui era fissato, quella era uscire sempre e solo se era presentabile al 100%.

«Scusate scusate scusate» disse, accostandosi ai due amici, già seduti al tavolo.

«Sembra ti sia passato sopra un treno» scherzò Niall, sempre affascinante.

«Stanotte praticamente non ho dormito e oggi mi sono addormentato sul divano. Mi sono svegliato tipo mezzora fa e ho un sonno bestia e-»

«Ok, ok. Va bene, abbiamo capito» l’interruppe Liam, sorridendo.

«E perché non hai dormito? Hai fatto le ore piccole col tuo ragazzo, eh?» intervenne il biondo, un po’ per curiosità e un po’ per prenderlo in giro.

«Non è il mio ragazzo» ripeté a Niall per l’ennesima volta, anche se, cazzo, quanto l’avrebbe voluto. «E comunque, no, Harry non c’entra nulla. Non che siano fatti tuoi» rispose in modo vagamente acido. Ma si era appena svegliato, quella doveva essere una scusante abbastanza valida. «Semplicemente non riuscivo a dormire,» ma era sempre così prima dell’uscita di un suo libro. «e quindi mi sono messo a leggere. Il problema è che alle cinque ero ancora sveglio e alle nove avevo gli allenamenti con la squadra» Ordinò un caffè, nella speranza lo tenesse lucido e attivo per più di dieci minuti.

Non ci poteva far nulla, se non riusciva a dormire. Non è che se lo potesse imporre con la forza o con l’ipnosi o con altre stronzate del genere. Quindi, piuttosto che rigirarsi inutilmente nel letto all’infinito, aveva pensato di iniziare il libro che Harry gli aveva regalato per Natale.

Harry gli aveva detto che sbirciando nella sua libreria aveva visto che non aveva nulla di Hermann Hesse. È una specie di peccato mortale, aveva commentato.

Zayn sorrise al ricordo della volta in cui Harry gli aveva chiesto cosa ci fosse nella stanza che restava sempre chiusa. Era ovvio che prima o poi l’avrebbe fatto e da tempo aveva provveduto a togliere di mezzo tutto quello che riguardasse Mick Stone. Harry passava più tempo lì che a casa propria e quello che gli aveva raccontato su Louis gli aveva fatto passare ben presto la voglia di vedere il suo appartamento, almeno per il momento.

Quando gli aveva detto che studiava inglese, non c’aveva fatto troppo caso, ma Harry era ossessionato dalla letteratura tanto quanto lui e la cosa era semplicemente fantastica. Potevano restare ore e ore a parlare di un singolo libro, spesso anche solo di un semplice passaggio, le loro idee che si intrecciavano alla visione dell’altro di questo o quel personaggio. E senza che se ne rendesse conto, in quei momenti riusciva ad aprirsi con Harry come fino ad allora aveva fatto solo con Liam e Niall, e lo faceva senza pensarci troppo, tutte le sue sensazioni e le sue emozioni nascoste malamente dalle sue opinioni o dalle sue critiche. Spesso si chiedeva se era così anche per Harry, ma poi, ogni volta che questi legava una lettura a un ricordo e i suoi occhi brillavano come se in essi fossero rimaste intrappolate tutte le stelle del cielo, si diceva che sì, sicuramente lo era.

«Caspita, doveva essere un libro meraviglioso, per tenerti sveglio così tanto» commentò Niall. Zayn annuì, anche se non era completamente certo che il tono dell’altro fosse davvero serio. Meraviglioso lo era davvero, comunque. Ed era anche un po’ assurdo che non lo avesse mai letto o che non fosse tra i libri di sua madre. Narciso e Boccadoro. Non sapeva come Harry ci fosse riuscito, se fosse stato un caso o se in poco tempo avesse imparato a conoscerlo così bene, ma Zayn si sentiva proprio come Boccadoro. Sempre alla ricerca di qualcosa qualcosa qualcosa.

Quando era bambino non aveva fatto altro che sognare l’approvazione del padre, e poi il ritorno della madre, e forse senza rendersene conto aveva anche aspettato quella persona; il che era un po’ assurdo, era sempre stato piuttosto sicuro che l’altra metà della mela, l’anima gemella, fossero favole inventate per far addormentare le bambine sognatrici, favole che a lui non dicevano nulla. E, in parte, ne era ancora convinto, ma c’era qualcosa nel ragazzo con il quale si addormentava quasi ogni sera e con il quale si svegliava quasi ogni mattina che gli diceva che no, il principe azzurro non esisteva, ma che forse Harry era la persona giusta per lui.

La realizzazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno.

«Forse è quello giusto» disse, perché anche se era la persona più riservata che Dio avesse posto sulla terra, a Niall e Liam diceva sempre tutto. E forse perché era un po’ spaventato, e aveva bisogno di qualche avviso.

«Il libro?» chiese Niall. Liam gli diede un leggero scapaccione sulla nuca e gli lanciò un’occhiata di sbieco.

«Harry» rispose poi al suo posto. Zayn annuì lentamente.

«È troppo presto?» perché nessuno aveva mai scritto un libretto d’istruzioni, per problemi come il suo? Magari da qualche parte c’era un elenco di regole, cos’era permesso e cosa no, e nessuno si era mai preoccupato di parlargliene e lui non l’aveva mai letto e adesso si ritrovava innamorato troppo presto e-

Innamorato? Oh cazzo. Zayn avrebbe voluto sbattere la testa sul tavolo.

«È troppo presto» si rispose da solo, la voce che lasciava trasparire una crescente angoscia e le mani tra i capelli.

«Non esiste un troppo presto o un troppo tardi, Zayn» intervenne Liam. Zayn lo guardò poco convinto.

«Non stai parlando di una scienza esatta. Non puoi costringerti a provare qualcosa se non lo provi e, allo stesso modo, non puoi non provare qualcosa che provi» continuò.

«Mi sono perso» biascicò Niall, ma nessuno dei due gli diede attenzione.

«Ma… ma non conosce tutto di me, non sa di Mick, e io non so tutto di lui e-»

«Il fatto che non sappiate tutto l’uno dell’altro non cambia il fatto che tu possa esserne innamorato, no? Tu sei sempre tu, a prescindere da tutto, e lui è sempre lui. Quello che ha fatto conta in rapporto a chi lui è diventato, alla persona che è adesso. Quello è l’importante» disse Liam, ragionevole. «Quello e ciò che senti per lui»

Liam sorrise e Niall alzò le spalle. «Magari l’amore è un po’ come la birra» intervenne. «nessun orario è mai troppo presto»

Liam lo guardò male e Zayn scoppiò a ridere.

«Questo perché sei disturbato, Niall» commentò, e per metà ne era convinto.

Suo fratello gli diede una leggera pacca sulla spalla e Zayn pensò che fosse fortunato ad avere due persone del genere, nella sua vita.

*

Era l’ultimo giorno dell’anno e un po’ a Zayn dispiaceva che stesse per finire. Aveva sempre come l’impressione che il tempo corresse troppo in fretta, che la vita gli scivolasse tra le dita senza che lui riuscisse a fare nulla per fermarla e aveva una continua paura di restare indietro rispetto a tutti. E poi era la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, anche se non cambiava mai nulla. E, se proprio quell’anno che le cose avevano iniziato ad andargli davvero bene e lui era felice, il mondo avesse deciso di rivoltarglisi contro e mandargli tutto a puttane?

Zayn prese un bel respiro. Stava pensando cose pazze, senza senso, e forse avrebbe fatto meglio a calmarsi. Inspira-espira. Ecco, che l’amore rende deficienti lo sapeva, ma non pensava così tanto.

In ogni caso lui non aveva tempo da perdere in assurdi pensieri, doveva ancora farsi una doccia e vestirsi e rendersi presentabile prima che Harry passasse a prenderlo.

*

Avevano deciso che avrebbero aspettato la mezzanotte in piazza e che poi avrebbero raggiunto Liam e Niall a una festa lì vicino. Neanche a farlo apposta, pure Louis sarebbe stato là e questo aveva rallegrato Harry.

Passo il capodanno con Louis da quando lo conosco, gli aveva rivelato e Zayn gli aveva sorriso e risposto che per lui era lo stesso con i suoi due amici.

Harry l’aveva stretto e aveva passato le mani lungo tutta la sua schiena.

«Perfetto» aveva detto, prima di baciarlo.

*

Mancava mezzora a mezzanotte e Zayn non sentiva neanche più freddo, colpa del troppo vino che aveva bevuto a cena. Sentiva un leggero ronzio alle orecchie e si sarebbe fatto volentieri una birra.

Harry gli stava parlando, ma Zayn avrebbe preferito di gran lunga baciarlo. Per questo gli tappò la bocca con la propria a metà di un discorso di cui non aveva capito neanche una parola, il sapore dell’altro che lo ubriacava più dell’alcol puro.

La città era stupenda, illuminata a festa. Ogni tanto scoppiava qualcosa, fuochi d’artificio, risate, allarmi d’auto, e Zayn aveva incontrato gente che non vedeva da secoli.

Si stava divertendo un mondo e non si era mai sentito così a suo agio in mezzo a tante persone. Non sapeva se c’entrava l’alcol, ma di certo era anche merito di Harry. Harry che gli stringeva la mano, Harry che raccontava storie che dovevano essere divertenti ma che non lo erano affatto, Harry che sorrideva con quelle sue belle fossette, solo per lui.

«Andiamo a ballare» gli propose, eccitato.

«Tu vuoi ballare?» rispose Harry con fare a metà tra lo sconvolto e il divertito.

Zayn scollò le spalle e annuì più volte.

«Ah, sei proprio ubriaco!» esclamò l’altro, prendendolo comunque per mano e trascinandolo in mezzo ad altre coppie intente a rendersi ridicole.

«Nooo, sono solo felice!» lo contraddisse il più grande, ridacchiando mentre Harry gli faceva fare una giravolta.

«Ok, meraviglia»

*

A pochi secondi dall’inizio del nuovo anno, Harry lo strinse e, fregandosene di unire la propria voce a quella degli altri per il tradizionale conto alla rovescia, Zayn lo baciò.

TiamoTiamoTiamo, si ritrovò a pensare Zayn, mentre l’altro ricambiava e gli mordeva un labbro e passava le mani fra i suoi capelli.

«Ti amo» gli disse non appena si staccarono, perché evidentemente non gli funzionava più il filtro tra cervello e bocca. Non avrebbe davvero voluto dirglielo, anzi l’aveva realizzato da così poco che gli serviva tempo per rielaborare-capire-accettare tutto, e invece se l’era lasciato scappare e adesso non se lo poteva più riprendere indietro e Harry gli avrebbe riso in faccia e-

«Sei ubriaco» fece Harry, sorridendo e passando le dita sulle guance di Zayn, che sinceramente non capiva. Era la sua risposta? O era una costatazione? E sì, ok, era ubriaco, ma non per questo quello che aveva detto era meno vero. Anzi, biasimava il vino per averlo reso così spontaneo.

«Ti amo anche da sobrio» si corresse. Forse Harry era lento di comprendonio tanto quanto lo era a parlare, quindi Zayn doveva essere più chiaro possibile.

Harry chiuse gli occhi e appoggiò la fronte alla sua, i nasi che si toccavano in un bacio all’eschimese.

«Ti amo anch’io»

 

 

 

Note:

Oh mio Dio, sono così in ritardo che neanche Trenitalia K

Grazie mille a chi ancora segue questa storia!

Congratulazioni alla Greeeee (fino a che non scrivo qualcosa di nuovo e accettabile ogni capitolo sarà dedicato a te, dottoressaaaaa xD)

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Capitolo nove.

 

Harry aveva passato l’ultima settimana a osservare come Zayn diventasse sempre più nervoso man mano che il giorno dell’uscita del suo libro si avvicinava.

Ormai aveva capito che se si stava mordendo un labbro, allora stava pensando a quello. Se sospirava dal nulla, idem. Lo faceva sorridere l’idea di conoscere l’altro così bene da aver imparato a leggere il linguaggio del suo corpo, e allo stesso tempo la cosa lo impensieriva un po’.

Soprattutto perché ogni volta, insieme a quei pensieri, non voluto arrivava il ricordo della sera di Capodanno e, anche impegnandosi al massimo, non riusciva a liberarsene per ore.

Le prime volte che aveva risentito dentro la sua testa quel ti amo, l’aveva semplicemente scacciato come avrebbe fatto con una mosca particolarmente fastidiosa. Poi, però, era diventato sempre un po’ più difficile, fino a che – per mettersi l’anima in pace – c’aveva riflettuto ed era giunto alla conclusione che, sì, gli aveva risposto, ma che in fondo quello non voleva dire che amasse Zayn davvero. Anzi, era stato molto furbo – e, infatti, si era complimentato con se stesso – perché adesso l’altro pensava che anche Harry provasse per lui qualcosa di forte e magari si sarebbe aperto e lui avrebbe potuto scrivere quel maledetto articolo e finalmente chiuderla con tutto. Chiuderla con i baci lenti e dolci che si scambiavano la mattina, chiuderla con le passeggiate mano nella mano e con tutte quelle cose dannatamente romantiche che gli facevano venire il mal di stomaco.

Magari avrebbe dovuto farlo bere. Così forse si sarebbe rilassato, avrebbe evitato di strapparsi i capelli a furia di passarci le mani in mezzo e si sarebbe aperto tanto da dirgli qualcosa – qualsiasi cosa, perché era disperato – che avrebbe potuto usare. Mancava poco più di un mese e Zayn gli aveva raccontato pochissime cavolate, come di quella volta quando da bambino aveva fatto un pupazzo di neve con la madre.

Harry si ritrovò a sorridere al ricordo di come Zayn fosse pensieroso, ma allo stesso tempo quasi in pace con il mondo, mentre glielo raccontava.

Si passò una mano sul volto. Anche se Zayn era tenero – e ok, Harry ormai non poteva più fingere di non trovarlo adorabile (non che quello volesse dire nulla, pensò) –, a lui serviva qualcosa di più interessante, se no addio Times. E non voleva neanche pensare a quanto Louis l’avrebbe preso in giro, se non fosse riuscito a portare a termine il lavoro.

*

Alla fine, Harry aveva proposto a Zayn di uscire, quella sera.

L’altro c’aveva pensato un po’ – e Harry poteva quasi leggere la lista mentale dei pro e dei contro che stava facendo – ed era giunto alla conclusione che passare qualche ora a svagarsi non poteva fargli che bene.

Aveva lasciato che Zayn scegliesse il posto, perché preferiva evitare di portarlo nei locali che lui frequentava di solito. Non sapeva mai chi avrebbe potuto incontrare e chi avrebbe potuto mandare a quel paese tutto il suo duro lavoro, anche solo con una parola.

E Zayn l’aveva trascinato in una specie di disco-pub gay-friendly, di cui conosceva il proprietario e in cui ogni tanto andava con Niall. O meglio, aveva specificato, ci andava con Niall quando questi lo costringeva ad alzare le chiappe dal divano, nei periodi di misantropia più cupa che ogni tanto lo sommergevano.

Il locale era carino, comunque, se ti piaceva il genere. Harry si trovava sempre a suo agio in mezzo alla gente, gli sguardi che riceveva dalle donne, anche se non gli interessavano, lo inorgoglivano e quelli degli uomini lo eccitavano, e be’, era sempre stato un predatore nato e quei posti, per lui, erano come la savana per i leoni.

E in più era una vita che non passava una serata del genere. Con Louis aveva l’abitudine di andare ogni fine settimana in un locale diverso, bere qualcosa – spesso più che qualcosa – e preferibilmente andare a letto con qualcuno. Da quando era iniziata quella cosa con Zayn, invece, aveva rallentato un po’ i ritmi, tant’è che ogni tanto l’amico si era lamentato di quanto poco ormai si vedessero. L’aveva accusato di passare ogni minuto con Zayn, di vivere con l’altro, praticamente, e Harry l’aveva guardato male e non aveva risposto. Era veramente stufo di giustificarsi in continuazione con Louis, che più di chiunque avrebbe dovuto capire perché faceva quello che faceva, si comportava come si comportava e diceva quello che diceva.

E poi non è che potesse rischiare che qualcuno che conosceva entrambi lo vedesse mentre rimorchiava uno a caso e lo andasse a dire a Zayn.

E comunque non ne aveva neanche bisogno. Il sesso con Zayn era il migliore della sua vita, e lui di materiale per far paragoni ne aveva in abbondanza. E anche se non era mai stato una persona da relazioni e aveva sempre pensato che con un partner fisso sarebbero subentrate anche noia e monotonia, i momenti d’intimità con l’altro non lo stufavano mai, ma come al solito preferiva non riflettere troppo sulla cosa. Evidentemente condividevano una sintonia particolare, ma in fondo, si diceva, neanche quello voleva dire nulla.

*

Harry aveva costretto Zayn a ballare. All’inizio l’altro aveva riso alla proposta e aveva declinato l’offerta, dicendo di essere davvero negato. Praticamente ho due piedi sinistri, aveva affermato con convinzione, prima di trascinarlo al bancone.

Dopo due birre e un Jack e coca, Harry l’aveva preso per il polso e aveva messo su un’espressione alla quale era sicuro che Zayn non avrebbe saputo resistere.

«Su, balliamo» aveva richiesto. «Fallo per me» e Zayn aveva ceduto.

*

In effetti, Zayn era poco portato. Aveva quasi ucciso con una mano volante un emerito sconosciuto che aveva avuto l’ardire di avvicinarglisi troppo e aveva rovesciato addosso a Harry il drink che stava bevendo.

Ma il volto di Zayn era tutto un sorriso, e Harry non era riuscito proprio a prendersela per una maglietta macchiata.

A un certo punto gli era quasi venuto da ridere; Zayn si era avvicinato e aveva passato le braccia intorno al suo collo, stringendoselo addosso. Aveva iniziato a muoversi più lentamente, con un sorriso provocante dipinto in faccia, mentre accanto a loro tutti continuavano a dimenarsi come non ci fosse un domani. Gli era tornata in mente la scena topica de Il tempo delle mele, solo che nessuno dei due aveva nelle orecchie cuffiette dalle quali sentire musica romantica, e Harry aveva come l’impressione che visti da fuori sembrassero due idioti. Ma poi Zayn aveva iniziato a strusciarsi contro di lui e le occhiate stranite che stavano ricevendo erano diventate l’ultimo dei suoi problemi.

*

«Vado un attimo in bagno» urlò Harry, per sovrastare tutto il frastuono.

«E io vado al bancone a prendere una birra» rispose Zayn, strascicando un po’ le parole. «La dividiamo, ok?» aggiunse poi, dopo aver notato lo sguardo un po’ incerto di Harry, che stava quasi iniziando a preoccuparsi che l’altro avesse scelto come obiettivo quello di star male tutta la notte e vomitare anche l’anima.

Harry annuì e, dopo avergli dato un bacio veloce sulle labbra, si diresse verso i bagni.

Dopo aver controllato l’entità del danno alla maglietta ed essersi dato una sistemata ai ricci, ritornò alle luci stroboscopiche e alla musica assordante e perse qualche attimo prima di riuscire a ritrovare Zayn in mezzo a tutta quella folla.

Si diresse verso di lui, che era seduto al bancone, ma quando fu a una manciata di passi notò che non era solo.

Un ragazzo, che doveva aver qualche anno in più di loro, stava parlando con lui, avvicinandosi al suo orecchio per farsi sentire, in modo assolutamente ridicolo. Di certo non c’era bisogno di arrivare praticamente a succhiarglielo, pensò Harry, e la mano che l’estraneo teneva sulla spalla di Zayn, come a reggersi, era perfettamente inutile.

Harry sentì una sensazione allo stomaco alla quale avrebbe preferito non dare un nome e senza la quale aveva sempre vissuto benissimo. Sarebbe stato molto più felice se le cose avessero continuato ad andare in quella direzione, ma non è che potesse darsi una botta all’addome per strapparsela con la forza di dosso.

Magari sono solo stanco e ubriaco, cercò di convincersi, anche se sapeva che difficilmente quelle potevano essere le cause dell’improvviso malessere che l’aveva colto.

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo per tranquillizzarsi e scacciare i pensieri negativi dalla testa. Riprese a camminare.

«Ehi» salutò, aspettando che Zayn si girasse. L’altro gli sorrise e Harry non sprecò tempo a sporgersi verso di lui e dargli un bacio che non aveva nulla a che vedere con la castità di quello precedente. Quando si staccarono, si voltò verso l’altro ragazzo, che era rimasto a fissarli e aveva in faccia un’espressione curiosa.

Harry non riuscì a evitare di posare una mano sulla spalla di Zayn, con fare possessivo. Quel piccolo mostro che si agitava ancora dentro di lui, fece le fusa al pensiero che con quei gesti Harry aveva messo le cose in chiaro con lo sconosciuto.

Avrebbe voluto presentarsi ma non sapeva cosa dire oltre a sono Harry, perché ‘un amico di Zayn’ era riduttivo e ‘il ragazzo di Zayn’, be’, sarebbe stata una mezza bugia.

«Lui è Steve» disse Zayn, togliendolo dall’impiccio.

«E tu sei Harry, immagino» esclamò il non più sconosciuto Steve. Harry si stupì che l’altro già lo conoscesse, anche perché Zayn di lui non gli aveva mai parlato e dubitava fosse un suo amico.

«Io e Steve abbiamo avuto una storiella, qualche anno fa. Nulla di troppo serio, però» spiegò Zayn.

Harry studiò il disappunto quasi impercettibile di cui si colorò il volto di Steve.

Forse per Zayn non era stato nulla di importante, ma per l’altro di certo non era così. Nondimeno, Harry trasse un virtuale sospiro di sollievo, all’idea che a Zayn dell’altro non importasse nulla e che in quel momento nella sua vita ci fosse solo lui. Per l’articolo, ovviamente. Di certo non per cose assurde come l’amore vero o sciocchezze simili.

«Mi stava dicendo che è strano che, dopo tutto questo tempo, ci siamo rincontrati qui» aggiunse, con gli occhi un po’ vacui. «E io gli ho detto che ero con te e che eri al bagno e che dovevo prendere un’altra birra… che non ho preso» terminò a mo’ di scusa.

«Meglio così, hai bevuto abbastanza» dichiarò Harry. «Forse è il caso che torniamo a casa, eh» non era propriamente una domanda, né un ordine. Più qualcosa di simile a una proposta, che Zayn sembrò più che felice di seguire. Evidentemente tutto l’alcol che aveva ingerito non l’aveva reso incapace di intuire i limiti del suo corpo, e questo era di per sé strano. O, forse, aveva solo voglia di andare a letto e dormire addosso a lui, come faceva di solito.

Harry l’aiutò ad alzarsi e a uscire dal locale, dopo aver salutato Steve e avergli detto che piacere fosse stato averlo conosciuto. Si accorse che quella era l’unica bugia che avesse detto da un po’ di tempo a quella parte; piuttosto, si disse, era più probabile che ne avesse dette così tante che ormai queste si confondevano con la verità e lui non era più in grado di distinguerle.

Decise, comunque stessero i fatti, che la versione ufficiale sarebbe stata l’ultima e che la prima non era nemmeno da prendere in considerazione.

*

«Sai» iniziò Zayn, con gli occhi già chiusi e la testa già appoggiata alla sua spalla come sempre, quando dormivano insieme (e forse Louis aveva ragione, si disse Harry; non riusciva neanche più a ricordare se il suo materasso fosse duro o morbido). «Quando ci siamo conosciuti, te lo ricordi?» chiese. Poi, senza aspettare una risposta, continuò. «Non pensavo che sarebbe finita così»

«Così come?» domandò Harry, curioso.

«Così» disse semplicemente l’altro. E poi, visto che Harry non rispondeva – come si aspettasse una chiarificazione – spiegò «Pensavo che te ne saresti andato a metà notte e che non ti avrei più visto»

«E invece sono ancora qua» commentò, perché in fondo era vero.

«Già» fece Zayn, sopprimendo uno sbadiglio. «Credo che dovresti essere il mio ragazzo» disse dal nulla.

Harry scoppiò a ridere. Non tanto all’idea, quanto al tono usato dall’altro.

«No, dico davvero» l’assicurò Zayn, tirandosi un po’ su per guardarlo negli occhi.

Harry provò a deglutire, ma si accorse di non avere saliva in bocca. Era quello che aspettava, che l’altro si legasse a lui così tanto da volerlo ufficialmente. Era un passo importante, lo sapeva bene. Allo stesso tempo, però, aveva la vaga impressione che il cuore non avrebbe dovuto battergli impazzito nel petto, all’idea – neanche fosse una tredicenne alle prime armi. E probabilmente avrebbe dovuto saper controllare le sensazioni che provava alla bocca dello stomaco, anche se non era convinto fosse davvero possibile farlo.

Forse era stato zitto per troppo tempo, perché il viso di Zayn era tutto insicurezza e tristezza e Harry si sentì male come mai prima d’allora, senza volerne davvero sapere il motivo.

Ma era tardi ed era stanco e quella conversazione lo stava uccidendo.

«Lo credo anch’io» rispose. Zayn corrugò la fronte, come non si ricordasse più a cosa Harry si stesse riferendo, poi una luce di comprensione gli illuminò gli occhi e, sorridendo, si riabbassò sul suo petto.

«Bene» biascicò solamente, prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno.

Harry si passò una mano sugli occhi, prima di posarla tra i capelli di Zayn, accarezzandolo delicatamente per non svegliarlo.

Lasciò un bacio leggero sulla tempia dell’altro, prima di chiudere anche lui gli occhi e liberare la mente da strani pensieri.

Riuscì ad addormentarsi solo quando le prime luci dell’alba avevano già iniziato a filtrare attraverso le persiane chiuse.

 

 

Note:

Sorry, ma i bimbi ubriachi sono tipo il mio punto debole. Ehm, lo so che questo dovrebbe darmi da pensare L

Cooomunque, grazie come sempre!

Per Gre, dottorééé! (credo che ‘sta cosa durerà in eterno, perché non riuscirò mai più a scrivere una one-shot)

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Capitolo dieci.

 

Zayn si svegliò con l’odore di cornetti appena sfornati nelle narici.

Si strofinò gli occhi e lentamente li aprì. Seduto accanto a lui sul letto, Harry teneva in mano un vassoio sul quale faceva bella mostra di sé quella che doveva essere la sua colazione.

«Buon compleanno» sussurrò allegro, sorridendo all’espressione disorientata che di sicuro aveva in volto. Giusto, era il suo compleanno, e tra tutto se l’era quasi scordato. Non si ricordava neanche di averlo detto a Harry, ma l’idea che l’altro si fosse informato era davvero tenera. Anche se, magari, Liam gliel’aveva fatto sapere tramite Louis, visto che sembravano essere diventati inseparabili.

«Oh, grazie» rispose, tirandosi su.

«Te l’avevo detto che un giorno te li avrei fatti» spiegò Harry, passando il vassoio a Zayn e andandosi a stendere sulla parte del letto che ormai era diventata sua.

«Li hai cucinati tu? Davvero?» chiese un po’ stupito. L’altro annuì e basta, invitandolo con un gesto a mangiare.

«Hai dei piani per stasera?» Harry buttò là, vagamente.

«Uhm» cominciò dopo aver deglutito il primo boccone. «È buonissimo!» si complimentò, cambiando discorso. Da quando conosceva Harry il suo stomaco si era abituato a mangiare davvero bene, quello era certo. «Comunque, di solito mi vedo con Niall e Liam a cena. O magari ordiniamo qualcosa» rispose, scrollando le spalle.

Si voltò a guardare Harry che, notò, aveva assunto un’espressione incerta. Si diede mentalmente dello stupido, perché evidentemente quello era il suo modo per chiedergli se voleva passare del tempo con lui e Zayn aveva come declinato l’offerta senza pensarci troppo.

«Ma» iniziò cercando di rimediare. «posso vederli a pranzo» controllò l’orologio. Sì, c’era tempo, quel pazzo del suo ragazzo (ah, ragazzo!, ancora non ci credeva di poterlo chiamare in quel modo) l’aveva svegliato alle nove. Non si svegliava così presto da ere geologiche.

«Sicuro? Non vorrei crear-»

«Certo che sono sicuro» lo rassicurò. Un po’ gli dispiaceva interrompere quella tradizione e poi era una vita che non vedeva i suoi amici, ma sapeva che avrebbero capito. E poi erano sempre stati i primi a spingerlo a uscire e a incontrare gente ed erano felici quanto lui che le cose con Harry stessero andando nel verso giusto.

«Allora che ne dici se ti rapisco oggi pomeriggio e ti tengo prigioniero per tutta la sera e per tutta la notte?» propose con tono malizioso.

«E dove vorresti portarmi?» non che quello fosse davvero importante, a lui bastava passare del tempo con l’altro; a fare cosa era secondario.

«Vedrai, ti piacerà» disse evasivo, contribuendo solo ad aumentare la sua curiosità.

Zayn lasciò cadere l’argomento e, dopo aver individuato il suo cellulare e aver mandato un messaggio identico a Niall e Liam, finì di mangiare.

*

Si erano dati appuntamento per pranzare in una tavola calda che frequentavano spesso e che era tanto accogliente quanto il cibo era buono, a detta di Niall.

Quella volta era in perfetto orario, e quando arrivò non c’erano né suo fratello né il suo migliore amico. Fece giusto in tempo a mettersi a sedere che i due varcarono la soglia con un identico sorriso e l’aria infreddolita.

Niall praticamente gli si fiondò addosso, abbracciandolo e riempiendolo di baci a schiocco su entrambe le guance. Zayn mise su una faccia disgustata.

Liam li stette a guardare, ridendo sotto i baffi, per poi andare in soccorso del fratello e liberarlo dalla piovra bionda.

«Allora, come ci si sente con ventiquattro anni addosso?» chiese Liam, retorico.

«Non ce lo dire, non lo voglio sapere. Lalala» iniziò a canticchiare Niall, coprendosi le mani con le orecchie. Zayn scosse la testa, sorridendo inevitabilmente alla scena.

«Be’, fra non molto lo scoprirai, non c’è davvero bisogno che te lo dica»

«Ah, ti diverti a girare il dito nella piaga» lo accusò Niall, che da eterno Peter Pan si preoccupava in continuazione del tempo che passava troppo in fretta e dei capelli bianchi (che non aveva) e delle rughe (invisibili) del volto.

Zayn lasciò cadere il discorso con una risata.

Mangiarono in tutta tranquillità, fino al dolce, quando Niall, subito seguito da Liam, iniziò a intonare tanti auguri a te, attirando l’attenzione di tutti i clienti e facendo vergognare a morte Zayn che – davvero – avrebbe dovuto aspettarselo.

Come avrebbe dovuto aspettarsi che prima o poi Niall avrebbe dato sfogo alla sua naturale curiosità.

«Allora, dove ti porta stasera il tuo ragazzo?» chiese, infatti.

«Uhm, non lo so, in realtà» rispose, con una scrollata di spalle.

«Ehi» subentrò Liam. «C’è qualcosa che non c’hai detto. Lo sento» sostenne, picchiettandosi una tempia.

Zayn lo guardò sconcertato.

Poi gli occhi del fratello si spalancarono, come fosse giunto alla più grande realizzazione del secolo.

«Gliel’hai chiesto? O l’ha fatto lui? Adesso state insieme?»

Niall lo fissò oltraggiato. «State insieme e non ce l’hai detto?»

«No. Cioè, sì, ma non è che non volessi farlo, solo non c’è stato il tempo» cercò di giustificarsi. «E poi come l’avresti capito, tu?» passò al contrattacco, per sentirsi un po’ meno giudicato.

«Be’, Niall l’ha chiamato il ‘tuo ragazzo’ e tu non hai smentito. Di solito facevi lunghi discorsi sul per come e il perché non lo fosse. Ho solo fatto due più due» spiegò, semplicemente.

 «Adesso racconti tutto» ordinò Niall.

Zayn alzò gli occhi al cielo. I suoi due amici, qualche volta, erano peggio di due adolescenti pettegole.

*

«Sei pronto?» Harry domandò non appena Zayn ebbe spalancato la porta.

«Non si saluta più?» esclamò Zayn, fingendo di essere quasi oltraggiato dal comportamento dell’altro.

Harry sorrise e si avvicinò, stringendolo e gratificandolo con un breve bacio.

«Sei pronto?» ripeté, prendendolo leggermente in giro.

Zayn mise su il broncio, ma poi annuì leggermente con la testa, infilò il giacchetto e seguì Harry in macchina.

«Dove mi porti?» chiese. Non ottenne risposta. Non che ci sperasse davvero.

*

Avevano raggiunto la parte opposta della città, cosa che disorientò Zayn. C’era stato un paio di volte, in un locale, ma a malapena si ricordava l’interno del posto, figurarsi la strada per arrivarci o il quartiere in sé.

Harry parcheggiò la macchina in un piccolo spiazzo e poi si voltò a sorridergli. Gli parse vagamente nervoso e Zayn non ne capiva il motivo.

«È il mio posto preferito. Ci vengo praticamente una volta ogni due giorni e ci passo ore intere. E…» si interruppe, forse incerto su come continuare. «Niente, mi piaceva condividerlo con te»

A Zayn si gonfiò il cuore, per una serie di motivi che convergevano tutti nella semplice presenza di Harry davanti a sé.

«Ti amo» gli disse, anche se lo spaventava a morte ammetterlo ad alta voce, perché era vero, perché non si era mai sentito in quel modo per nessun altro e perché se non lo avesse fatto sarebbe scoppiato.

«Anch’io» rispose Harry, semplicemente, il volto che si apriva a un sorriso più tranquillo. «Andiamo»

*

La prima cosa che lo colpì fu il nome del negozio dentro al quale Harry stava entrando.

La casa dell’inchiostro.

Anche solo il nome lo eccitava.

La seconda fu l’odore. Era quello tipico di pagine ingiallite dal tempo, quello di libri vecchi di un paio di generazioni. Era l’odore che avrebbe scelto come suo preferito tra tutti quelli esistenti, fosse stato costretto a farlo.

Capiva bene perché quel posto fosse il preferito di Harry.

Era enorme, i libri erano dappertutto e allo stesso tempo erano impilati negli scaffali con ordine. Si vedeva con una sola occhiata che il proprietario ci teneva, che per lui quello non doveva essere un semplice lavoro – forse più di una passione. Non c’era un briciolo di polvere, ogni libro aveva posto nella sua specifica sezione ed era stato infilato tra altri due secondo un ferreo ordine alfabetico, che aiutava il lettore a non impazzire nella ricerca.

Erano libri usati, edizioni ormai non più stampate da anni, a cercare si poteva trovare anche qualcosa di raro, forse. Ma, anche se non tutti erano in perfette condizioni, ogni copia era avvolto da un alone particolare. Ogni tomo era appartenuto a qualcun altro che l’aveva sfogliato, l’aveva letto con più o meno interesse, l’aveva vissuto. E il fatto che poi l’avesse rivenduto non voleva automaticamente dire che non l’avesse amato.

«Ho iniziato a venire qui quando non avevo abbastanza soldi per comprare tutti i libri che volevo leggere. Si risparmia. E, non lo so, deve essere l’aria accogliente o l’odore» Zayn sorrise, perché Harry la pensava come lui. «e in pochi mesi non potevo far a meno di venire sempre più spesso» abbozzò un mezzo sorriso.

Zayn annuì quasi con solennità, andando a sfiorare con le punta delle dita i libri davanti a sé.

E poi si perse nel suo mondo, come gli accadeva sempre in posti del genere, fossero biblioteche o librerie o piccole bancarelle.

Si perse così tanto che si ritrovò al secondo piano senza accorgersene e mentre camminava di lato, gli occhi rivolti ai titoli, si scontrò con un corpo fermo.

«Ehi, meraviglia»

Quasi si era dimenticato di essere lì con Harry.

Distese le labbra in un sorriso di scuse, perché gli era andato addosso, perché aveva perso la cognizione del tempo, perché aveva vagato per il negozio da solo, senza curarsi del suo ragazzo.

Riportò l’attenzione allo scaffale che aveva di fronte. Classici russi.

«Visto qualcosa di interessante?» chiese. La domanda più stupida del secolo. Erano in una libreria. C’erano cose interessanti a ogni centimetro quadro.

Harry gli mostrò i libri che aveva in mano. Dickens, Rimbaud, Catullo. Zayn si complimentò mentalmente con l’altro per le scelte.

«Questo l’ho letto qualche anno fa. Ho sempre avuto il desiderio di rileggerlo, sai? Tutti quei nomi russi e le varie storie nella storia hanno finito per confondermi» commentò, prendendo la copia di Delitto e castigo che faceva bella mostra di sé di fronte a loro. «L’hai letto?»

Harry scosse leggermente la testa.

«Dostoevskij è geniale. È scontato da dire, ma comunque vero. Sai, non solo per le trame e gli intrecci in sé, ma più per lo studio psicologico dei personaggi e della società, sei come nella testa di Raskolnikov, mentre leggi, vivi tutti i suoi malesseri interiori, il suo senso di colpa diventa il tuo e ti divora dentro proprio come fa con lui»

Si voltò verso Harry, che aveva come lo sguardo appannato, come fosse troppo immerso nei suoi pensieri. Zayn tossicchiò per risvegliarlo.

L’altro si riscosse e poi lo guardò. Una strana emozione colorò per qualche istante i tratti del volto dell’altro, ma sparì troppo in fretta perché Zayn riuscisse a decifrarla.

«Ti è proprio piaciuto» commentò poi, spazzando via qualsiasi strano pensiero Zayn avesse formulato in quei pochi secondi.

«Già» rispose semplicemente, iniziando a rimettere a posto il volume, cambiando però a metà via idea. «Se non l’hai letto, devi farlo» disse, porgendoglielo.

 Harry prese il libro in mano, con sguardo dubbioso e forse intimorito (ma anche no, pensò Zayn, non avrebbe avuto senso) e lo aggiunse a quelli che già aveva in mano.

«Andiamo?» propose, poi, Harry. «Mi avevi promesso tutta la sera e la notte, ricordi?»

*

Quando erano risaliti in macchina, si era aspettato che l’altro lo portasse in qualche ristorante o in un qualche altro locale in cui cenare.

Invece si erano fermati di fronte a una palazzina piuttosto anonima e, mentre i battiti del cuore subivano una stupida accelerata, aveva realizzato che erano sotto casa di Harry e Louis.

«Louis non è ancora tornato dalle vacanze natalizie» aveva spiegato. «E direi che è assurdo che dopo più di un mese ancora tu non abbia visto il mio regno» aveva concluso, scherzando.

*

L’appartamento era piccolo, ma caldo e confortevole.

Lo travolse subito l’odore di pollo e gli venne l’acquolina in bocca a pensare alla cena che evidentemente Harry aveva preparato appositamente per il suo compleanno.

Harry lo fece sistemare, dicendogli di fare come fosse a casa propria e poi gli portò un bicchiere di quello che doveva essere prosecco. Per brindare, spiegò.

Poi fece strada in cucina, perché nel salotto era già tanto entrasse un divano. E wow, pensò Zayn.

La tavola era apparecchiata semplicemente, ma con cura. Ed era imbandita. Ogni suo singolo piatto preferito era disposto sopra la superficie orizzontale, e Zayn non poteva credere che Harry avesse sprecato tutto quel tempo per fare una cosa così carina per lui.

«Non avresti dovuto» disse, ammirando il tutto e Harry stesso, che con l’espressione nervosa era bello come non mai.

«Volevo» sussurrò solo.

E magari Zayn era uno sciocco romantico che non si era mai accorto di esserlo prima, o forse era Harry che rendeva tutto speciale e diverso e importante, ma un groppo antipatico gli serrava la gola – perché nessuno aveva mai fatto nulla del genere per lui e lui stesso non sapeva di volerlo, fino a quel momento, ma evidentemente era così – un groppo che non riuscì a ingoiare neanche per dire un educato grazie o un pazzo mi vuoi sposare?

Harry sembrò leggergli nel pensiero, perché si avvicinò, stringendo con le sue grandi mani le guance di Zayn e posando un bacio leggero sulle sue labbra.

«Mangiamo?» chiese a bassa voce, quasi non volesse rompere l’atmosfera.

Zayn si ritrovò ad annuire per la centesima volta in quel giorno e, con la convinzione di star vivendo su una nuvola, sedette di fronte a Harry.

 

 

Note:

Ehm, non so che scrivere? Se non grazie a tutti, come sempre J J

E a presto!?

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Capitolo undici.

Era tutto il giorno che mandava messaggi o provava a chiamare Zayn, ma non otteneva alcuna risposta.

All’inizio non si era preoccupato, a Zayn piaceva dormire fino a tardi, farsi una corsa al parco, vedersi con Niall e Liam, forse aveva gli allenamenti e lui si era dimenticato, ma no, perché erano le sette di sera e non aveva ancora ricevuto alcun segnale di vita da parte dell’altro.

Era strano anche per uno solitario come il suo ragazzo (ormai non ci faceva neanche più caso, quando lo etichettava così, nella sua mente).

Rientrò in casa e salutò Louis, che come al solito era sdraiato sul divano.

Non era da solo, e quando la testa dell’ospite del suo coinquilino si voltò verso di lui, Harry sentì una leggera speranza farsi largo dentro di sé.

Seduto vicino a Louis, ma più compostamente, c’era Liam.

E se, al mondo, esisteva qualcuno che potesse dirgli dove si fosse nascosto Zayn, be’, quello era suo fratello.

«Ehi, sai dov’è Zayn?» non perse tempo in inutili chiacchiere, perché – anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce – il silenzio da parte dell’altro iniziava a innervosirlo. Magari era solo lui a essere esageratamente apprensivo, ma non poteva farci nulla.

«Immagino a casa» rispose Liam, consultando l’orologio.

«L’ho chiamato varie volte, sia a casa che sul cellulare, ma non risponde» lo informò, mentre si passava per l’ennesima volta le mani tra i capelli.

Liam lo fissò, aprì la bocca per parlare ma poi la richiuse, insicuro.

«Be’, oggi è il diciannove, giusto?» Harry annuì. «È un giorno un po’ particolare, per lui. Domani sarà tutto a posto»

Harry lo guardò stranito. E quello che voleva dire? Che ogni tanto Zayn giocava al Giorno Del Silenzio senza avvertirlo e lui doveva semplicemente lasciarlo fare?

«Se mi dici così, voglio vederlo ancora di più» disse, rimettendosi il giacchetto che aveva tolto solo qualche attimo prima e riprendendo in mano le chiavi dell’auto. «Dici che è a casa, comunque?» domandò per sicurezza.

«Credo di sì, ma, Harry, penso sia inutile, sai? Anche se mi presentassi io, a casa sua, non mi farebbe entrare. Vuole stare da solo, e… forse dovresti rispettarlo?»

E se avesse avuto bisogno di lui, invece? Di qualcuno con cui parlare e sfogarsi o anche solo che lo stringesse e gli dicesse che tutto andava bene?

Non disse nulla, ma forse tutti i suoi dubbi trasparirono dal suo volto, perché Liam sospirò, come sconfitto, e tirò fuori una mazzo di chiavi.

«Questa è la mia copia. Riportamela quando non ti serve più, ok?»

Harry lo ringraziò e si preparò a fare, nel minor tempo possibile, la strada che era ormai diventata familiare.

*

Suonò il campanello. Liam aveva ragione, constatò Harry, perché Zayn non venne ad aprire.

Cercando di fare meno rumore possibile, girò la chiave nella toppa e richiuse la porta delicatamente.

L’appartamento era immerso nel buio, come se nessuno fosse in casa. Harry sperò non fosse così.

Guardò in salotto e poi in cucina, ma entrambe le stanze erano scevre della presenza dell’altro ragazzo e così Harry si avviò verso la camera da letto. Aveva un buon presentimento.

E infatti Zayn era lì, nascosto dalle coperte. Harry evitò di accendere la luce, nel caso l’altro dormisse. Il che di per sé era assurdo, erano solo le otto della sera, a quell’ora di solito non avevano neanche cenato.

Si avvicinò al letto, togliendosi mano a mano i vestiti. Cercando di non scoprire Zayn, si infilò accanto al corpo dell’altro, che si mosse, avvicinandosi alla nuova fonte di calore. Erano così abituati a dormire insieme che probabilmente, quello di Zayn, era stato un movimento inconscio.

Una parte di Harry avrebbe voluto guardarlo mentre dormiva, quasi vegliare sul suo sonno; l’altra voleva svegliarlo e sapere cosa gli fosse preso, perché non si fosse fatto vivo per tutto il giorno e se potesse fare qualcosa per aiutarlo.

Non dovette decidere tra le sue due inclinazioni, perché – tempo un paio di secondi – Zayn si voltò verso di lui, aprendo lentamente gli occhi.

Non poteva vederlo bene in faccia, e questa cosa non lo stava facilitando a capire come l’altro stesse reagendo alla sua presenza.

«Ehi» sussurrò Zayn, la voce arrochita dal sonno.

Harry tirò un mentale sospiro di sollievo. Se non lo aveva buttato fuori a calci, magari aveva fatto bene ad andare da lui.

«Ehi» rispose di rimando, stendendo una mano e spostandogli i capelli che erano ricaduti sulla fronte durante il sonno.

«Come sei entrato?» chiese, e Harry rifletté che ancora il tono era pacato e affatto accusatorio.

«Liam» rispose solamente, guardando l’altro fare un leggero cenno d’assenso.

Zayn non disse nulla, ma si limitò a fissarlo per qualche secondo e Harry avrebbe davvero voluto accendere la luce per capire se lo stesse uccidendo con lo sguardo o se fosse contento della sua presenza.

Poi, lentamente, Zayn si fece più vicino, fino a che la sua testa non si ritrovò sul petto di Harry.

Il più piccolo passò un braccio intorno all’altro, stringendolo gentilmente, e – mentre Zayn riposava con gli occhi chiusi – i suoi erano fissati al soffitto e tutti i suoi pensieri vagavano preoccupati tra le ipotesi di quello che poteva essere successo a Zayn e i modi per farglielo rivelare.

*

Dopo quelle che parvero ore, Zayn si mosse e si mise supino, emulando la posizione di Harry.

«Mi dispiace se sono scomparso» iniziò con tono incerto, la voce che quasi tremava. Harry stette in silenzio, ansioso di sapere tutto o qualcosa o una minima parte o anche solo un aneddoto. Andava bene qualsiasi cosa, voleva solo sentire la voce di Zayn spiegarsi, rassicurarlo, tranquillizzarlo.

Sembrò quasi che Zayn avesse finito di parlare, e Harry già aveva cominciato a pensare a come fargli domande che non fossero esageratamente intrusive, quando l’altro continuò.

«È solo che avevo bisogno di tempo. Per stare un po’ da solo» disse, voltando il viso verso Harry, una domanda muta dipinta nella linea delle labbra.

Forse avrebbe dovuto prendere in mano la situazione, pensò Harry, chiedergli se andava bene che lui fosse lì in quel momento, a disturbare la sua solitudine, e cosa avesse fatto tutto il giorno, perché non avesse avuto il tempo o la voglia di rispondere a uno dei suoi messaggi per fargli sapere che era vivo, ma qualcosa gli disse che avrebbe fatto meglio a stare zitto e lasciar parlare Zayn.

«Ma sono contento che tu sia qui, adesso» mormorò, riportando lo sguardo al soffitto, come a volersi nascondere da quello di Harry.

Harry avrebbe voluto rispondergli con un semplice anch’io, ma ancora non sapeva trovare il coraggio di aprir bocca, quindi si limitò a cercare la mano di Zayn con la propria e a stringerla, così da fargli sapere con quel semplice gesto che lui era lì, pronto ad ascoltarlo.

«Sono stato a trovare mia madre» affermò dopo qualche altro attimo di silenzio.

Harry sentì la sua fronte aggrottarsi, perché, se di una cosa era certo, era che Zayn gli aveva detto che sua madre era- oh. Oh.

Harry strinse ancora di più la mano attorno a quella dell’altro, in seguito alla realizzazione.

«Non ci vado spesso, ma ogni anno, in questo giorno le porto quelli che erano i suoi fiori preferiti. Mi ricordo che la casa ne era sempre invasa e il loro odore era ovunque» iniziò a raccontare Zayn, senza lasciare la sua mano, ma continuando a tenere lo sguardo fisso al soffitto.

«È l’anniversario della sua morte?» chiese Harry, per pentirsene subito dopo. Ovvio che lo fosse, che domanda idiota. Ma Zayn parve non farci troppo caso, perché semplicemente annuì. 

«Lo so che è sciocco da parte mia, sparire così. Di solito cerco di non pensare troppo a lei e ci riesco anche abbastanza bene, ma ogni diciannove gennaio è come se il mio cervello non riuscisse ad arginare i ricordi. Allora ho solo bisogno di stare con lei. È tanto stupido, vero?» Harry era quasi certo che, fosse stato meno buio, avrebbe notato le guance dell’altro colorarsi.

«No che non lo è» sussurrò, per confortarlo. Zayn si voltò lentamente verso di lui, prima con la sola testa poi anche col corpo. Harry lo imitò, in modo che le loro fronti quasi si sfiorassero. Finalmente poteva guardarlo negli occhi per più di una frazione di secondo. Harry posò un bacio leggero su una tempia dell’altro, che lo ricambiò con un sorriso ancora teso e per niente felice.

Non pensava fosse possibile che i sentimenti di qualcun altro lo coinvolgessero così tanto, ma vedere Zayn in quelle condizioni lo stava preoccupando e allo stesso tempo gli faceva desiderare di trovare un modo per consolarlo. E Harry non era mai stato il più bravo dei consolatori e probabilmente non aveva neanche il tatto necessario per esserlo.

«Come è morta?» domandò, rendendosi conto due secondi dopo che le parole gli erano scappate di bocca, che no, davvero, in quanto a delicatezza faceva pena.

«È una storia lunga» disse Zayn, dopo qualche attimo di silenzio.

Harry avrebbe voluto replicare con qualcosa sulla lunghezza d’onda di ho tutto il tempo che vuoi, ma faceva troppo film di seconda categoria e lui non era il tipo da parole così scontate.

«Io…» continuò Zayn, togliendolo dall’imbarazzo. «Io e Liam siamo fratellastri. Abbiamo lo stesso padre. Una volta ti ho detto che non ci parlo molto, con lui, e che questa casa è sua. Non è vero. Non sento mio padre da quasi tre anni, da quando sono andato ad abitare da solo, e credo che le cose tra di noi non cambieranno mai. E questo appartamento in parte l’ho comprato con l’eredità di mia madre»

E, Harry notò che, se per l’altro iniziare a parlare di sé era difficile, dopo aver iniziato, tutto si semplificava.

«Quando ero piccolo non capivo nulla di quello che accadeva tra i miei genitori; a mia madre, soprattutto. Credo sia normale, in un certo senso. Lei con me era sempre allegra, giocavamo insieme e mi leggeva storie su storie, guardavamo i cartoni animati. Era normale, insomma. A otto anni, per me lei era perfetta e stava bene. Era felice, come lo ero io» la voce di Zayn era tranquilla, come se quello che stesse raccontando non lo riguardasse, ma Harry aveva imparato a riconoscere i segni del nervosismo dell’altro e il movimento minuscolo ma incessante delle sue mani gli parlava più del suo tono.

«Erano entrambi di buona famiglia. Sai, ben educati, ben vestiti, grossi conti in banca» disse, seguendo un filo logico che era tutto suo. «Mia madre era un avvocato. Era in gamba, da quanto mi hanno raccontato. Ostinata come un mastino. Mio padre ha e aveva una compagnia d’assicurazioni piuttosto grande e spesso non c’era. Neanche mia madre, in realtà; avevo una tata e la casa era così grande che avevamo una cuoca e un paio di governanti, e tutte quante, se potevano, passavano del tempo con me. Alla fine era piuttosto divertente comunque. E mia madre, di tempo per me, ne trovava sempre. Mio padre era un po’ il mio eroe, invece. Credo che anche questo sia piuttosto normale» fece Zayn, le labbra piegate in un sorriso amaro. «A dodici anni ho scoperto di essere un piccolo Arturo nell’isola di Procida e che lui era tutto meno che un grand’uomo. Ogni tanto ci penso, e non sono sempre stato così. Chiuso, intendo. Da piccolo facevo amicizia facilmente e a scuola ero sempre circondato da altri bambini. Penso che sapere che mia madre fosse morta per colpa di mio padre mi abbia aperto gli occhi. O forse me li ha chiusi, non lo so. Fatto sta che non sono più riuscito a fidarmi di nessuno. Se non potevo farlo con il mio stesso padre, di chi altri avrei potuto aver fiducia» e non era una domanda, solo una rassegnata affermazione. Harry non ci stava capendo molto in realtà. Sapeva solo che vedere Zayn così lo stava uccidendo e che doveva solo tenerlo stretto e aspettare.

«Non è che l’abbia uccisa, ovviamente. Ma è un po’ come se l’avesse fatto. A dodici anni ho anche incontrato Liam per la prima volta. Aveva sempre vissuto con la madre a un paio di ore di distanza da Londra, in un paesino piccolino, dove lei lavorava in un ristorante, fino a quando non morì di cancro. I suoi nonni abitavano a Londra ed erano i suoi unici parenti, per cui si trasferì da loro, anche se non avevano mai avuto molti contatti, dato che con sua madre non si parlavano troppo. Anche se mio padre non lo aveva riconosciuto legalmente, ogni tanto andava a trovarlo, sin da piccolo. Passava a loro dei soldi, per aiutarli e, se la madre di Liam non aveva mai chiesto nulla di più, i suoi nonni premettero per un aiuto più grande. Il che mi sembra anche piuttosto giusto. Il fatto è che in casa iniziarono a spargersi varie voci e un giorno sentii parlare Amy e Lisa, le due cameriere, di questa storia di cui io non sapevo nulla e indignato, perché non potevo credere che mio padre avesse un altro figlio e io non ne sapessi nulla, ma anche curioso, ne ho parlato con lui. Non ti dico la sua reazione. È sbiancato completamente e mi ha fatto sedere, cercando di riprendersi e di non dare a vedere che l’avevo sconvolto. Neanche fossi deficiente. Venne fuori che sì, avevo un fratello – un fratellastro, come continuavo a ribattere io – e che si chiamava Liam e che sarebbe venuto alla mia stessa scuola a partire dal trimestre successivo. Mi chiusi a riccio. Non parlavo con mio padre, non scherzavo più con Amy e non giocavo neanche con Sam, il cane che avevo da piccolo. Solo con Niall riuscivo a stare ancora bene. E dal momento in cui Liam ha iniziato a venire a scuola, non c’è stato giorno in cui non abbia provato a parlarmi. Davvero, non so come facesse a sopportare il mio atteggiamento, visto che continuavo ad allontanarlo e a trattarlo male, ma poi ho scoperto che è la persona più buona del mondo e di ciò ne sono grato, se no a quest’ora non avrei nessun fratello. Comunque c’è voluto un po’ perché diventassimo amici. Lui non faceva altro che sedersi vicino a me durante le lezioni che avevamo insieme e provare a pranzare con me e Niall. Poi un giorno me lo sono ritrovato proprio allo stesso tavolo con quel traditore del mio migliore amico e quando all’uscita di scuola Niall ha iniziato a farmi una specie di ramanzina, io l’ho mandato a quel paese. Ma non sono mai stato bravo a tenergli il muso e neanche a non aver fiducia in lui. Te l’ho detto che lui era l’unico con il quale riuscissi a essere sempre lo stesso Zayn. Per cui ho provato a smettere di comportarmi da stronzo e be’, è venuto fuori che io e Liam siamo anime gemelle. Non nel senso classico, ovviamente, ma lo siamo lo stesso. C’è voluto anche un po’ perché io capissi che non era colpa sua, tutto quello che era successo a mia madre» concluse con un fil di voce.

Harry avrebbe voluto chiedergli cosa fosse successo alla madre, perché era un po’ il centro di tutta la storia ed era quello che stava facendo soffrire Zayn e se non lo sapeva come poteva lui aiutarlo? Non ci sarebbe riuscito comunque – probabilmente, ma almeno avrebbe potuto tentare.

Zayn lo guardò negli occhi per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare. Forse vi lesse un po’ di confusione e, insieme, la sua muta domanda, perché riprese a parlare quasi subito.

«Quando lei è morta, io ero piccolo e non capivo. Non capivo che non sarebbe più tornata e che non l’avrei mai più vista né sentita ridere. Mi dissero le solite stupidaggini che si rifilano ai bambini. Ma, dopo aver scoperto di Liam, ero già abbastanza grande da farmi domande. E da farle agli altri. Mio padre non voleva parlarne, ma Lisa era una grande chiacchierona e mi considerava un po’ come un fratellino piccolo. Se io le stavo intorno mentre spazzava per casa, lei neanche si accorgeva di quello che raccontava. Un giorno…» Harry lo vide deglutire e prendere un respiro. «Un giorno le chiesi come fosse morta mia madre. A me avevano parlato di un incidente, senza troppi particolari. Lisa… Lisa mi disse che mia madre stava male già da un po’ di tempo. Che prendeva delle medicine contro la depressione da quando aveva scoperto che mio padre l’aveva tradita da sempre, forse anche da prima che si sposassero, e che aveva un figlio con un’altra. È un po’ assurdo pensare come io non ne sapessi nulla mentre Amy e Lisa sapessero tutto, ma alla fine loro vivevano con noi e avevano l’abitudine di ficcare il naso ovunque, quindi direi che non c’è troppo da stupirsi. Ma se a otto anni vivevo nel mio mondo, a dodici ero piuttosto furbo; continuai a farle domande fino a che non mi disse che una sera l’avevano trovata morta nella vasca da bagno. E che… e che vicino a lei c’era un tubetto vuoto di sonniferi. Penso l’avesse ingoiato tutto e che quando la trovarono era troppo tardi per provare a chiamare anche l’ambulanza. Mi ricordo che quando me l’ha detto sono rimasto zitto per così tanto che lei si è voltata, mi ha guardato ed è quasi svenuta, giuro. Fino a quel momento era così persa nel suo racconto e nei suoi lavori di pulizia che non si era davvero resa conto di star parlando con me» Zayn finì, con un mezzo sorriso che non arrivò agli occhi lucidi.

Harry non sapeva cosa dire. Non sapeva neanche se esistesse qualcosa che avrebbe fatto star meglio l’altro. Probabilmente no.

«È passato un sacco di tempo, comunque» e Harry sapeva che con queste parole l’altro stava solo cercando di minimizzare il suo dolore. Lo strinse un po’ di più, per fargli capire che era lì e che non c’era bisogno di indossare una maschera, con lui.

«Grazie di essere venuto» mormorò a bassa voce, dopo qualche minuto di silenzio, accoccolandosi meglio fra le braccia di Harry.

«Non mi devi ringraziare, Zayn. Io non so… non so che-»

«Non devi dire nulla. Sto bene, davvero» lo interruppe l’altro. «Te l’ho raccontato non perché tu mi consolassi, ma perché volevo dirtelo, perché, dopo tutto questo tempo, ho trovato qualcun altro – oltre Liam e Niall – di cui fidarmi» disse. «Mi fido di te» ripeté, quasi fosse sorpreso e l’avesse realizzato anche lui in quel momento.

Harry gli sorrise e posò un bacio leggero sulla sua guancia, mentre Zayn – con il volto più sereno e con un sospiro lieve – chiudeva gli occhi.

Harry si sentì stringere il cuore. Sapeva che Zayn nascondeva qualcosa di triste, gliel’aveva letto nello sguardo tempo addietro, ma sentire la sua voce raccontargli la sua storia aveva ucciso un po’ anche lui.

*

Fu solo quando ormai Zayn si era addormentato da tempo, mentre lui non riusciva a prender sonno, che si accorse che, senza cercarla troppo, aveva ottenuto la sua storia.

Aveva ottenuto la sua storia ed era perfetta, più di quanto avesse osato sperare.

Qualcosa, che si rifiutò di riconoscere come senso di colpa, lo colpì come un calcio allo stomaco.

Guardò Zayn dormire beatamente, la testa appoggiata al suo petto. Zayn che si era aperto completamente a lui, che si fidava e che lo amava.

Non gliene importava, si disse. Non gliene importava nulla, perché c’era qualcosa di più grande che desiderava voleva ambiva con tutto se stesso. E l’avrebbe ottenuto a qualsiasi costo, anche a quello di infrangere ogni più piccola speranza del ragazzo che teneva tra le braccia in quel momento.

Harry chiuse gli occhi, ripetendosi come un mantra quelle parole; non mi importa-non mi importa-non mi importa. Finse di crederci veramente, fino al punto in cui non si convinse della loro veridicità e si addormentò.

Era quasi l’alba.

 

 

 

Note:

Ah, Harry è bipolare! No, scherzo, è solo in fase di rifiuto… tipo da sempre.

Grazie a chi ancora segue ‘sta roba, anche se aggiorno ogni morto di papa!

Alla prossima J

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Capitolo dodici.

 

Ehi, dove sei?

Zayn si guardò intorno, pensando se rispondere al messaggio subito o aspettare un po’.

Tre giorni prima aveva raccontato tutto il suo passato a Harry. L’unica cosa che l’altro ancora non conosceva di lui era Mick e già da un po’ stava riflettendo se parlargliene o meno. Alla fine aveva deciso che sì, glielo avrebbe detto al più presto, perché si sentiva in colpa per aver mantenuto quel segreto – che per lui aveva così tanta importanza – per tutto quel tempo, e perché si fidava dell’altro. Solo, voleva farlo nella tranquillità della sua casa, dove avrebbe potuto fargli vedere i manoscritti, a seguito di una cena preparata da Harry, possibilmente.

Rispose al messaggio, dandogli le indicazioni per come raggiungerlo.

Mise a posto il cellulare e si diede una spinta, facendo oscillare avanti e indietro l’altalena sulla quale era seduto da una mezzora abbondante.

*

«Ehi» il saluto di Harry raggiunse le sue orecchie e lo fece voltare.

«Ehi»

Vide l’altro guardarsi intorno. Il parco giochi era deserto, ma era quasi fine gennaio per cui era più che naturale lo fosse. Anche il tempo e la temperatura si confacevano alla stagione, un vento freddo soffiava tra gli alberi spogli e scomponeva i ricci altrimenti perfetti di Harry, ma per fortuna non c’erano nuvole che suggerissero la possibilità di qualche precipitazione indesiderata. Il che era quasi un miracolo, per la piovosa Londra.

Zayn scese dall’altalena, che era sempre stato il suo divertimento preferito, e raggiunse l’altro, a pochi passi di distanza.

Lo salutò calorosamente, andando a scompigliare ancora di più i suoi capelli con le dita, tanto non c’era nessuno, e poi lo prese per mano.

Zayn camminò fino a raggiungere una casetta in legno, un gioco che aveva sempre ritenuto completamente inutile. Si sedette sul pavimento impolverato, fregandosi di sporcarsi, e aspettò che l’altro facesse lo stesso.

«Ci venivo sempre da bambino, con la mia tata. Ma qualche volta mi ci portava anche mia madre» spiegò, sorridendo. Quelli erano i giorni che preferiva. «Tu mi hai portato nel tuo posto preferito, io ti porto nel mio. Lo so che non è bello come la tua libreria, ma ho un sacco di ricordi legati a questi giochi» sorrise di riflesso alle labbra incurvate all’insù di Harry, che – da parte sua – si sporse leggermente e lo baciò di nuovo.

«Quando volevano tornare a casa, io venivo sempre a rintanarmi qui. Come se, dentro questa catapecchia di legno minuscola, fosse impossibile entrare, per loro. Il che è piuttosto assurdo, lo so» rise al ricordo, la voce divertita di Harry che si mischiava alla sua come nella più sdolcinata delle canzoni.

«Ho continuato a venire qui anche dopo» non approfondì il dopo, perché gli aveva raccontato già tutto e sapeva che l’altro avrebbe capito. «Immagino che non sia legato solo a bei ricordi, in effetti» approfondì, scrollando le spalle. Ma questi erano più forti e vividi di quelli brutti, per cui quello era rimasto il suo posto comunque.

Restarono in silenzio per un altro po’, fino a che Harry non aprì bocca praticamente per la prima volta, dopo essere arrivato.

«Ti va se creiamo un altro bel ricordo?» propose con fare malizioso, mentre delicatamente spingeva l’altro a distendersi sul pavimento di legno e iniziava a slacciargli i pantaloni.

Zayn emulò il ghigno dell’altro.

Harry sapeva sempre come comportarsi e cosa dire per farlo stare bene.

*

Era domenica pomeriggio, Harry non lavorava e la squadra di Zayn aveva giocato il giorno precedente; dopo aver pranzato insieme, ripulito la cucina e lavato i piatti – ed essersi bagnati completamente nel farlo, perché evidentemente non avevano più di vent’anni, ma solo cinque e non erano in grado di resistere alla possibilità di darsi battaglia con qualsiasi cosa fosse alla loro portata – si erano rilassati per un po’ sul divano, davanti alla TV, che però non passava nulla di interessante.

Zayn si stava quasi per addormentare, quando si ricordò che avevano finalmente inaugurato la mostra di Artemisia Gentileschi che voleva vedere e magari quel pigro pomeriggio poteva essere l’occasione perfetta.

«C’è una mostra di una pittrice italiana che vorrei tanto vedere. Che ne dici se ci andiamo?»

*

I dipinti erano arrivati a Londra un po’ da tutto il mondo e lì sarebbero rimasti fino alla fine della primavera.

Zayn non era propriamente un esperto, ma l’arte lo affascinava. Gli piacevano i colori e le forme e le sensazioni che le opere gli procuravano, anche se il suo di certo non era un occhio critico.

Harry aveva detto di non sapere neanche chi fosse Artemisia, ma – nondimeno – adorava fare sempre nuove scoperte e quindi aveva subito concordato con la proposta di Zayn.

Il museo era piuttosto grande e, oltre alla pittrice, vi erano anche dipinti di alcuni pittori della scuola caravaggesca. Non c’era neanche troppa gente, il che era perfetto, si disse Zayn. Gli piaceva ammirare ogni quadro senza fretta, senza paura di intralciare e di frapporsi allo sguardo di altri, avvicinarsi il più possibile a ogni dipinto che attirava la sua attenzione per studiare le espressioni degli uomini e delle donne ritratti. Da scrittore, era interessato a ogni aspetto della psicologia umana, ed essa traspariva anche dalla più semplice raffigurazione, da ogni ruga del volto, da ogni posizione del corpo, proprio come da ogni riga di un libro sarebbe dovuta emergere la caratterizzazione di un personaggio.

All’entrata gli avevano dato un piccolo opuscolo su quella che era la vita della pittrice e qualche informazione sui dipinti più famosi esposti.

Qualcosa sapeva già, per cui lo passò a Harry, che iniziò a leggere, interessato.

Presero a vagare per il museo, Harry al suo fianco che beveva le poche conoscenze che aveva da condividere, fino a quando non si ritrovarono di fronte al dipinto Susanna e i vecchioni.

«Questo» disse Zayn, indicandolo. «dovrebbe essere uno dei primi dipinti. Forse proprio il primo, se non ricordo male»

«È angosciante» commentò Harry, che lo guardava rapito.

Zayn sorrise; un po’ inquietante lo era davvero. «Sì, be’. Rappresenta una scena biblica, ma, soprattutto, molti dicono che i due vecchioni sarebbero il padre e Agostino. Un paragone più che azzeccato, se pensi alle due vicende»

Harry lo guardò con curiosità.

«Il padre, Orazio, introdusse Agostino, un maestro affermato, ad Artemisia. Per insegnarle, praticamente. Solo che, invece di attenersi ai suoi soli compiti di insegnante, questi la stuprò. Se fai caso a come i due uomini sovrastino la fanciulla e sai questo, si può comprendere perché il dipinto ti dia l’idea di essere inquietante»

«È stata stuprata?» chiese quasi a volere una conferma.

«Ah-ah, e lui è stato condannato, mi pare. E lei è diventata un mito del femminismo, anche perché fare la pittrice, nel ‘600, non era un mestiere semplice»

«Una donna forte» asserì Harry.

«Una donna consapevole di quello che voleva» lo corresse Zayn, riprendendo a camminare.

Andarono avanti per un altro po’, chiacchierando di niente e ridendo per nulla, ammirando i dipinti più interessanti, fino a che Zayn non richiamò l’attenzione di Harry su di uno che si trovava nella parte opposta della stanza in cui stavano in quel momento.

«Ok, se quello di prima era inquietante, non so questo cosa sia» commentò Harry, ammirando la forza brutale della scena ritratta, il rosso del sangue sul bianco del lenzuolo e gli sguardi concentrati delle due donne raffigurate.

«Già, anche questo è stato interpretato, in chiave psicologica, come il desiderio di rivalsa di Artemisia per la violenza subita»

«Quindi Oloferne» iniziò Harry, leggendo il titolo dell’opera. «sarebbe Agostino» disse, più che chiedere. Zayn annuì lievemente, ancora preso dalla scena cruenta.

«Le donne non sembrano troppo sconvolte dal fatto che stanno uccidendo un uomo» aggiunse.

«In effetti sembrano abbastanza impassibili, sì…» convenne Zayn. «Se fossi stato in lei, anch’io avrei voluto una qualche vendetta, comunque. Voglio dire, l’ha stuprata! E lui era il suo maestro, gliel’aveva presentato suo padre. Si fidava di lui! Di certo non poteva vendicarsi in un modo così drastico» specificò. «come ucciderlo, ma riversare i propri sentimenti in una tela o in una pagina di un libro o nel testo di una canzone non ha mai fatto male a nessuno. Credo»

Riprese a camminare, spostando lo sguardo da quel capolavoro, perché tutto quel nero gli stava facendo nascere un magone allo stomaco.

«Da che parte andiamo?» chiese, visto che la stanza si apriva sia a destra che a sinistra in altre due sale. Non ottenendo alcuna risposta, voltò la testa e si rese conto che Harry non era dietro di lui come si aspettava, ma era rimasto fermo di fronte alla Giuditta che decapita Oloferne.

Tornò sui suoi passi, perché se Harry voleva ancora guardare quel dipinto, Zayn di certo l’avrebbe aspettato e avrebbe anche provato a superare qualsiasi sua crescente angoscia.

Quando gli fu accanto, passò un braccio lungo il suo fianco ma l’altro non fece nessun movimento che riconoscesse la sua presenza. Allora, guardandolo meglio in viso, si rese conto che Harry era notevolmente più pallido di qualche attimo prima e che il suo sguardo era vagamente perso, proprio come gli era accaduto altre volte negli ultimi giorni. La cosa iniziava a preoccupare Zayn, che cercò di riscuotere l’altro chiamandolo per nome.

Harry sembrò come uscire da uno stato di trance, a sentire la voce di Zayn, ma quando posò i suoi occhi su di lui, lo guardò come fosse stato un fantasma e la cosa non fece che impensierirlo ancora di più.

«Ti senti poco bene?» gli chiese, gentilmente.

Vide Harry deglutire con un po’ di fatica e annuire lentamente.

«Che ne dici se usciamo a prendere un po’ d’aria?» propose, perché magari era proprio quello che gli serviva.

«Sì, forse è meglio» concordò Harry, il quale si lasciò guidare dall’altro fino all’uscita, mansueto.

*

In pochi attimi, Harry riprese un po’ di colore e la vacuità abbandonò i suoi occhi. Ma le sue labbra continuavano a tremare, così come con le mani continuava a sistemarsi i capelli. Sembrava nervoso, si disse Zayn, e non riusciva a capirne il motivo.

Harry gli sorrise, probabilmente con l’intento di essere rassicurante, ma Zayn non era così cieco da farsi abbindolare a quel modo.

«Che succede?» domandò quindi, con il tono più premuroso che possedesse.

«Niente, davvero» rispose Harry, che – vedendo la sua occhiata scettica – aggiunse. «Probabilmente è un calo di zuccheri. Stanotte ho dormito poco e male, forse dovrei andare a casa a riposarmi» ragionò, e Zayn si disse che forse stava reagendo esageratamente e che aveva ragione l’altro. In fin dei conti, quelle erano cose che potevano accadere a tutti e dovunque. Dopo una bella dormita, l’altro sarebbe stato in forze, era sciocco anche solo preoccuparsi.

«D’accordo» cedette infine. «Ti accompagno a casa, ok?»

Harry annuì, mentre – Zayn notò – un vago sollievo si faceva largo sul suo bel volto.

*

Quando arrivarono a casa di Harry e Louis, quest’ultimo non c’era e il silenzio era quasi tangibile, ma non per questo poco confortevole.

Zayn non sapeva cosa fare, se restare o andarsene, perché Harry, senza dire una parola, si era tolto il giacchetto e le scarpe, era andato in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua – facendo un gesto d’offerta al più grande – e poi si era incamminato in direzione della sua camera da letto. Ma non l’aveva invitato a raggiungerlo e, visto che non si sentiva troppo in forma, magari preferiva restare da solo.

Stava quasi sparire oltre il corridoio, quando si voltò a guardarlo, negli occhi un’espressione stupita.

«Non vieni?»

Era tutto quello di cui Zayn aveva bisogno per togliersi a sua volta scarpe e cappotto e stendersi accanto a lui sul letto, abbracciandolo teneramente e aspettando che si addormentasse.

 

 

Note:

Buon fine agosto (sigh) a tutti!!!

Nell’attesa che esca il film, (sopravvivremo? Ne dubito) grazie a tutti come sempre <3

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Capitolo tredici.

 

Quando si risvegliò, Zayn non era più accanto a lui. Trasse un sospiro di sollievo. Un altro seguì il precedente quando trovò un biglietto da parte dell’altro ragazzo, appoggiato al comodino, che lo informava che era dovuto scappare per cenare col fratello e che lo pregava di chiamarlo non appena si fosse svegliato. Quello, perlomeno, significava che Zayn non era neanche in bagno o in cucina e che Harry aveva del tempo tutto per sé. Per riflettere e strapparsi i capelli.

Quanto era idiota. Si era imbambolato come un cretino, di fronte a quel quadro, e il peggio era che le parole di Zayn ancora gli rimbombavano in testa. Lei si fidava-lei si fidava-lei si fidava, quella cazzo di fiducia era anche tutto quello su cui sembrava essere basata la loro relazione, ma Harry sapeva benissimo che era anche l’unica cosa che in realtà sarebbe dovuta mancare. Zayn l’aveva riposta in lui, che non se la meritava affatto e che, anzi, l’avrebbe fatto soffrire come il peggiore degli stronzi.

Aveva già scritto l’articolo. Era venuto fuori divertente nei punti giusti, ma anche profondo, quasi uno studio psicologico. Ne era fiero, e Zayn ne usciva benissimo, perché in fondo, Harry lo sapeva, lui era stupendo. Era stupendo, ma non poteva essere suo, perché nel momento in cui avesse scoperto tutto, non l’avrebbe più voluto vedere e l’avrebbe anche odiato con tutte le sue forze. E Harry sapeva anche che, al contrario della sua fiducia, quell’odio se lo sarebbe meritato eccome.

*

«Il tuo ragazzo ha detto di chiamarlo, appena ti svegli» fu la prima cosa che gli disse Louis, appena mise piede in salotto.

Come al solito, l’aveva trovato a non far nulla di fronte alla televisione.

«Ero qui quando se n’è andato» specificò, per dar risposta allo sguardo inquisitorio di Harry.

«Domani vado da Bennett» lo informò il più piccolo, cambiando discorso.

Era inutile rimandare, e più tardi avesse consegnato l’articolo, più difficile sarebbe stato.

Louis lo guardò incerto. «Sei sicuro?»

«Certo, l’ho corretto. Ormai è pronto» disse, sapendo di non aver risposto alla domanda di Louis.

«Intendo… sei sicuro di volerlo ancora fare?» insistette infatti l’altro.

«Sono sicuro» confermò Harry, orgoglioso che la sua voce non avesse tradito l’incertezza che invece provava con ogni fibra del suo essere.

Louis fortunatamente lasciò cadere il discorso.

«Stasera usciamo a festeggiare» disse Harry, cercando di fingere entusiasmo. Louis gli sorrise, anche se la felicità non raggiunse i suoi occhi, e con un semplice gesto acconsentì.

*

La discoteca era affollata. Non quanto lo sarebbe stata di venerdì o sabato, ma sufficientemente da divertirsi. Harry aveva indossato i pantaloni più stretti che possedeva e una camicia attillata, con i primi bottoni slacciati, che lasciavano intravedere le due rondini che si era tatuato sul petto non troppo tempo addietro.

Quella sera si sentiva una rondine lui stesso. O meglio, stava lavorando per sentirsi come uno di loro. Libero di librarsi in aria se la vita diventava uno schifo, di scappare lontano da problemi e sentimenti non voluti, di spiccare il volo verso i propri sogni.

L’unico aiuto che, fino a quel momento, avesse trovato per raggiungere il proprio obiettivo era l’alcol.

Magico alcol. Santo subito.

Rise dei suoi stessi pensieri, perché quando era ubriaco lo standard delle battute che lo facevano sghignazzare si abbassava notevolmente.

Dapprincipio le mani e poi tutto il corpo si facevano leggeri, poi iniziava a parlare con difficoltà sempre più evidente e alla fine inciampava ogni due passi. Per non parlare della testa, che sembrava fluttuare in un mare di nebbia. Adorava quelle sensazioni. Come aveva detto, alcol, santo subito.

Si guardò intorno, alla ricerca di Zayn. Poi si ricordò di non essere lì con Zayn, ma con Louis. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che era uscito senza il suo ragazzo che cercarlo tra la folla era diventata un’abitudine.

Avvistò Louis in mezzo alla pista, mentre si dimenava, schiacciato da corpi maschili che Harry da quella distanza e con la vista appannata non riusciva a giudicare degnamente. Di certo, non avevano la stessa bella pelle di Zayn, né i suoi occhi magnetici. Sarebbe stato impossibile trovare qualcuno con occhi belli come i suoi, anche in mezzo a tutta quella gente. Non sarebbe bastato il mondo, si disse Harry. E proprio come prima si ritrovò a ridacchiare come uno sciocco.

Smise di pensare e si limitò a cercare di raggiungere Louis senza far cadere i bicchieri che teneva in mano. Li avrebbe bevuti entrambi, ma qualcosa gli diceva che, se l’avesse fatto, qualcuno avrebbe dovuto chiamare un’ambulanza per lui. Voleva evitare di passare una notte all’ospedale perché l’indomani doveva andare al Times e lo avrebbero assunto e lui avrebbe realizzato il suo bellissimo sogno. Non vedeva l’ora.

Butto giù metà drink in un solo sorso.

*

Stava ballando con quello che pensava fosse Louis. Solo che il suo migliore amico non aveva né i capelli biondi né un piercing al sopracciglio. Il che era un peccato, era sexy da morire. Si chiese come sarebbe stato su Zayn. Probabilmente avrebbe intaccato la perfezione del suo volto, che comunque non aveva bisogno di nessun pezzo di metallo per essere sexy. Cazzo, quanto era sexy Zayn. Quando si muoveva e parlava e respirava.

Harry scrollò la testa, sperando che quei pensieri inopportuni uscissero da lì, assieme al movimento.

Iniziò a strusciarsi contro l’estraneo, a ritmo di musica. Musica orribile, tra parentesi, quasi brutta quanto quella che ascoltava Zayn. Lui glielo diceva sempre di migliorare i suoi gusti, ma non c’era verso di portargli via i suoi CD RnB. Che spreco di udito perfettamente funzionante.

Si sarebbe dato un calcio in testa, ma la cosa era fisicamente impossibile – e il pensiero lo faceva ridere, come la maggior parte della cose, quella sera – perché Zayn continuava, non richiesto, a fare irruzione nella sua testa e magari l’unica soluzione era la decapitazione. Sì, un bel taglio netto. Ma anche no, si disse, il più ormai era fatto, doveva resistere solo un’altra manciata di ore e avrebbe potuto dimenticarsi di tutta quella storia, e lui di certo non era il tipo da tirarsi indietro all’ultimo secondo.

*

Oltre che Louis, aveva perso di vista anche il ragazzo biondo, ma forse era meglio così, perché lo sconosciuto moro contro il quale si stava strusciando in quel momento era decisamente più di suo gusto. E di certo non c’entravano il filo di barba che aveva sul mento o il naso perfetto o gli occhi profondi.

Era piuttosto eccitato e si sarebbe fatto un altro Jack, avesse potuto. Ma raggiungere il bar avrebbe significato spostare le mani di Zayn dal suo corpo e quella era l’ultima cosa che voleva.

Cioè, non di Zayn.

Dello sconosciuto numero due, che non si era neanche presentato. Ecco, Zayn era di certo più educato.

Si disse che però, a lui, non gliene importava nulla e che le buone maniere potevano anche andare a farsi una girata. Iniziò a trascinare numero due verso il bagno, dove era già stato per motivi fisiologici e che sapeva non essere pulito e spazioso come quello di Zayn, ma che sarebbe andato bene comunque.

Appena entrati, la luce ferì i suoi occhi, per questo decise di chiuderli, subito dopo aver spalmato numero due contro la parete più vicina e aver fatto collidere le loro labbra.

Gli ficcò la lingua in bocca, aspettando di riconoscere il sapore di menta e di sigaretta mescolato insieme, ma tutto quello che sentì fu fragola e pesca e alcol e c’era qualcosa di strano, perché Zayn non beveva cocktail fruttati. Spalancò gli occhi.

Non era Zayn, ma numero due, quello che stava baciando in quel modo vagamente osceno.

Gli veniva da vomitare. Magari l’avrebbe fatto sulle scarpe di numero due, tanto erano brutte. Non come quelle di Zayn, di pelle nera, morbide e comode.

«Ehi, che ti prende?» chiese lo sconosciuto. Anche la voce e il tono e l’accento erano diversi. Erano tutti sbagliati.

Ora gli veniva anche da piangere. Ma non l’avrebbe fatto di certo. Anche perché, davvero, non c’era nulla di cui essere tristi, domani sarebbe andato a conquistare un posto nel giornale più importante del Regno Unito e tutto sarebbe stato meraviglioso e gli uccellini avrebbero cantato per lui e sarebbe piovuta cioccolata e le nuvole, rigorosamente fatte di zucchero filato, sarebbero scese e gli si sarebbero offerte in dono.

Non c’era nulla di cui essere tristi. Nulla.

Riprese a baciare numero due, le mani appoggiate alla parete, ai lati del volto dell’altro.

Registrò un movimento dell’altro, quando le sue mani iniziarono a slacciargli la camicia. E ok. Era ok.

Gliel’aveva aperta tutta e forse gliela voleva togliere, ma no, grazie, era freddo, per cui, divincolandosi un po’, glielo impedì.

Le mani di due, troppo curate per essere quelle di Zayn, che aveva sempre un po’ di inchiostro sulle dita, presero a lottare con la cintura che, da brava bimba, stava opponendo strenua resistenza.

Dopo qualche secondo, due emise un suono di vittoria e agganciò la zip, abbassandola. Quel rumore lieve non era mai parso così tanto sinistro a Harry, che, per quella che doveva essere solo la seconda volta da quando aveva iniziato a ballare con due, lo guardò in viso. Che era orribile, a dirla tutta.

E non solo paragonato a quello di Zayn, perché al confronto tutti i visi erano orribili, ma a prescindere. In generale. In assoluto. Era universalmente orribile.

Ora voleva vomitare e piangere insieme.

Cercando di evitare entrambe le cose, si staccò di scatto dall’altro uomo e si tirò su la zip, si divincolò e uscì dal bagno, cercando nel frattempo di riallacciarsi cintura e camicia.

Quando ritrovò Louis, si rese conto che forse non era riuscito a contenere le lacrime, se lo sguardo triste e preoccupato dell’amico era indicativo. Si passò una mano sulle guance. Magari erano lacrime di gioia, perché tutto stava andando alla perfezione. Tutto.

*

Faceva tutto schifo. Tutto.

E, davvero, com’era possibile? Come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione assurda? Era insensato; era insensato che lui si trovasse a un palmo da tutto quello che aveva sempre voluto e che, tutto d’un tratto, esso non gli sembrasse più così appetibile.

Il suo sogno di tutta una vita era meno desiderabile del sorriso e della felicità e della serenità di un’altra persona. No, non di un’altra persona. Di Zayn.

Si chiese quando il bene di Zayn fosse diventato più importante del proprio. Anzi, quando le due cose fossero diventate inseparabili. Quando, per stare bene, era diventato necessario sapere che Zayn stesse bene.

Appunto, insensato. Come aveva detto.

Era seduto sul suo stupido letto e in mano aveva il suo stupido articolo. Ne aveva stampata una copia, per sicurezza, e un’altra l’aveva inserita in una penna USB. Leggendo quello che aveva scritto, l’unica cosa che gli veniva in mente era che avrebbe fatto bene a bruciare quei fogli e a rompere quello stupido aggeggio.

Se l’avesse fatto e avesse detto tutto a Zayn, magari lui l’avrebbe ripreso e l’avrebbe abbracciato e gli avrebbe detto che tutto andava bene. O magari no, magari l’avrebbe odiato comunque, ma almeno nessuno avrebbe saputo nulla di una storia che lui aveva confidato a Harry. A Harry perché si fidava e lo amava.

E lui… anche lui amava Zayn, perché, se così non era, allora proprio non sapeva spiegare cosa stesse succedendo dentro la sua testa.

Cazzo, quanto l’amava.

Era un imbecille. Qualsiasi persona con un po’ più sale in zucca l’avrebbe capito decenni prima. Lui invece no. C’aveva messo un secolo e mezzo. E il bello era che all’inizio era convinto che ce l’avrebbe fatta,  a portare avanti il suo piano senza provare nulla per Zayn. Quello sì, che non aveva senso. Aveva meno senso di tutte le cose senza senso. Bastava guardarlo una volta per capire che Zayn era qualcuno impossibile da dimenticare e del quale non innamorarsi.

Che gli era preso? Non poteva scrivere di fiori e farfalle o di quanto fosse azzurro il cielo? Di certo non si sarebbe trovato in quella situazione, se ci avesse pensato prima.

«Come stai?» la voce di Louis lo trasse dai suoi pensieri.

«Male» rispose sincero. Ecco, le lacrime avevano ripreso a spingere per uscire e lui si era reso già abbastanza ridicolo, per quella sera.

Poi, Louis si avvicinò, si sedette sul letto accanto a lui e gli passò un braccio sulle spalle, e Harry non riuscì più a trattenerle. Avrebbe smesso di provarci decise, un po’ perché faceva pena, a farlo, un po’ perché – come diceva sua madre – meglio fuori che dentro.

Nascose il volto nell’incavo del collo dell’amico, che iniziò a sussurrare parole che alle orecchie di Harry non avevano senso, ma che nondimeno erano dolcissime e che, nel giro di una due tre ore, forse l’avrebbero calmato.

«Non posso farlo» balbettò con voce roca, non appena le lacrime si fermarono abbastanza da permettergli di parlare. «N-non…»

«Shhh» mormorò il più grande, accarezzandogli i capelli. «Va tutto bene»

«N-no, non va tutto b-bene!» urlò, scostandosi dal suo abbraccio e guardandolo in faccia. «Non posso farlo, perché avevi ragione tu, ok? Lo… amo Zayn» ammise per la prima volta ad alta voce. «e non posso farlo, perché vorrebbe dire farlo soffrire e perderlo, ma soffrirà e lo perderò comunque e… cazzo» imprecò.

«Harry» iniziò. «Harry» ripeté con più convinzione, affinché l’altro lo guardasse negli occhi. «Va bene se non puoi farlo e se lo ami, d’accordo. Va bene. Va bene se sei umano» dichiarò, i pollici che lentamente e circolarmente si muovevano sulle gote del più piccolo.

«Ma… ma è il mio sogno» disse con rassegnazione, come se questo spiegasse tutto.

«E Zayn?» chiese Louis.

«Zayn cosa?»

«È più o meno importante?» specificò.

Harry non aveva bisogno neanche di pensarci due volte, e questo lo spaventava ancora di più.

«Domani vado da Bennett» disse infine. «A dirgli che non posso più scrivere l’articolo» concluse, osservando come il volto di Louis si fosse illuminato a quelle parole, neanche gli avesse detto che, inaspettatamente, il suo compleanno era stato anticipato al giorno seguente.

«Ora dormi, ok?» gli disse solo, mentre lo faceva stendere sul letto e lo copriva con le coperte.

«E, Harry» richiamò la sua attenzione prima di uscire. «Non esiste un sogno perpetuo, d’accordo. Ogni sogno cede il posto a un sogno nuovo e non ti devi preoccupare, se succede, ok? Sarà sciocco, ma segui il tuo cuore» disse, sorridendo, prima di fargli un ultimo cenno di saluto e spegnere la luce.

Forse non faceva tutto schifo. Forse era come diceva Louis, non esistevano sogni che duravano per sempre. Forse anche per lui era arrivato un nuovo sogno.

Allora, forse era proprio Zayn, il suo nuovo sogno.

 

 

Note:

Ououo, carissime, non so mai che scrivere nelle note, questa volta meno del solito ma va be’. Colpa di This is us, porca paletta.

Cooomunque, manca poco, manca poco!

Grazie a tutti, come sempre <3 <3 <3

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Capitolo quattordici.

 

Zayn sapeva che non era successo nulla, che Harry stava bene e che probabilmente aveva solo dormito fino a tardi. Ma non lo aveva richiamato e, anche se non era in pensiero, non aveva niente da fare, quella mattina, per cui andare a trovarlo gli era sembrata la cosa più ovvia.

Quando Louis venne ad aprirgli il portone, il coinquilino di Harry indossava cappotto e sciarpa e sembrava pronto per uscire.

«Ciao» lo salutò, incerto.

«Ehi» rispose Louis, guardandolo in modo così strano che Zayn si chiese se magari fosse sporco in volto. «Vieni, entra» si riscosse, quasi subito. «Harry non c’è» lo informò, non appena varcò la soglia.

«E tu stavi per uscire» finì Zayn per l’altro, che semplicemente annuì.

«Comunque, dovrebbe rientrare tra poco. Puoi aspettarlo qui, se vuoi» propose con un sorriso, mentre si infilava anche i guanti.

«D’accordo, grazie» accettò volentieri, perché davvero non aveva voglia di tornarsene a casa a non far nulla. In più, se i suoi calcoli non erano errati, Harry sarebbe già dovuto essere a casa, di rientro dal turno al panificio, per cui probabilmente sarebbe tornato a momenti.

Louis lo salutò con un a presto e si fiondò fuori dall’appartamento, lasciandolo in salotto, libero di vagare e fare quello che preferiva.

*

In televisione non c’era nulla e mettere su un film, che poi avrebbe dovuto interrompere, non aveva molto senso. Decise che avrebbe aspettato in camera di Harry, anche se lì dentro regnava il più completo caos.

Notò la copia di Delitto e castigo che avevano comprato insieme, sul comodino, il letto ancora sfatto, i vestiti sparsi un po’ ovunque – tra i quali c’era anche una sua maglietta che Harry utilizzava per dormire quando era troppo freddo per farlo completamente nudo.

L’armadio era spalancato e mezzo vuoto, perché la maggior parte degli abiti puliti era stata abbandonata, ripiegata, su un lato della scrivania. Per il resto, quest’ultima era piuttosto libera, solo qualche foglio era stato appoggiato qua e là, mentre al centro faceva bella mostra di sé un computer portatile.

Si stese sul letto, appoggiando la testa al cuscino. Ispirò l’odore di Harry che ormai era familiare come l’avesse conosciuto da sempre e si perse un po’ a fissare la monotonia del bianco del soffitto.

Tutto quel silenzio l’avrebbe quasi spinto a chiudere gli occhi e addormentarsi di nuovo, perché la notte prima aveva dormito pochissimo; l’avrebbe anche fatto se – giratosi su un fianco – non avesse notato, ai piedi della scrivania, quelli che, a vedersi, sembravano due o tre fogli spillati assieme. Da bravo maniaco dell’ordine qual era, senza pensarci si alzò e li raccolse, con l’intenzione di appoggiarli sulla superficie di legno. Senza volerlo davvero, l’occhio gli cadde sulle prime parole del testo.

Se qualcuno glielo avesse chiesto, non avrebbe saputo dire se avrebbe preferito leggere quelle parole nere su bianco due mesi prima oppure non leggerle mai.

*

Sentì la chiave girare nella toppa.

Non sapeva neanche lui perché fosse rimasto in quella casa, in quella stanza e in quella posizione ad aspettare che Harry tornasse.

«Zayn, sei tu?» sentì chiamarsi dal salotto. «Ho visto il capp-» si interruppe, poi, entrando nella sua stessa camera da letto. «Che c’è?» quasi sussurrò, un po’ incerto. Zayn si chiese da quando le sue espressioni fossero diventate così facili da leggere, per l’altro. Probabilmente da quando, come un idiota, si era aperto abbastanza da farlo entrare nella sua vita, si rispose da solo. Avrebbe voluto essere in possesso di una qualche gomma magica che cancellasse le ultime settimane o – meglio ancora – di una macchina del tempo che lo riportasse a quella stupida festa o- o, boh, non lo sapeva neanche lui. L’unica cosa di cui era consapevole era che tutto ciò era impossibile e sperarlo non lo avrebbe condotto da nessuna parte.

«Com’è andata al Times?» disse, concentrandosi sulla reazione di Harry, che non tardò ad arrivare.

Vide i suoi occhi passare da un iniziale momento d’incomprensione a uno che a Zayn sembrò molto simile al terrore.

E se non era sicuro di aver decifrato correttamente i suoi occhi (che poi chi era che diceva che gli occhi sono lo specchio dell’anima? Se era così, allora Harry era una specie di illusionista, perché lui di quanto fosse stronzo e subdolo e arrivista non se ne era mai accorto), la stessa cosa non poteva dirsi del pallore che si fece largo nel suo volto – che Zayn attribuì alla consapevolezza di essere stato scoperto – e al tremore delle mani – che comunque poteva essere facilmente simulato.

«Zayn, io-» balbettò Harry, a corto di scuse.

«Puoi spiegare, immagino» terminò la frase per l’altro, con un tono che uscì dieci volte più cattivo di quanto avrebbe voluto. Non riuscì a pentirsi della relazione che le sue parole ebbero sull’altro, che prese a mordersi un labbro, gli occhi spalancati e lucidi.

Cavolo, era un attore consumato, e lui non se ne era mai accorto.

Doveva essere cieco o profondamente stupido. Non sapeva quale tra le due opzioni fosse meno invitante.

«S-sì, ti prego» si riprese Harry. «Posso, Zayn. Per favore» sussurrò, ma il più grande si era già alzato, – come sapeva avrebbe dovuto fare sin da subito, due secondi dopo aver letto quell’articolo scritto da Harry, che parlava di lui, di tutto quello che gli aveva raccontato e anche di più – pronto ad andarsene, uscire da quella casa e da quella storia che in realtà era una triste messinscena, e dalla vita dell’altro, come sarebbe stato meglio avesse fatto dopo averci parlato i primi due secondi, a fine novembre.

«Non so neanche cosa si dice in questi casi» commentò Zayn, senza riuscire a trattenere delusione e amarezza.

Vide l’altro immobile, ancora accanto alla porta, col giacchetto addosso, probabilmente preso troppo in contropiede per riuscire a reagire. Non che Zayn si aspettasse più nulla, da Harry.

«Addio» proferì solamente, passandogli accanto, stando ben attento a non sfiorarlo neanche per sbaglio, perché anche il più piccolo contatto, in quel momento, l’avrebbe ucciso.

Come si aspettava, l’altro non lo richiamò per fermarlo.

*

Forse era stata la consapevolezza di essere finalmente nell’intimità della propria casa o il fatto che, dovunque si girasse, vedesse ricordi di se stesso e Harry, ma appena varcata la soglia non riuscì più a trattenere quelle stupide lacrime che stavano premendo per uscire da non sapeva neanche più lui quanto.

Non aveva nulla contro le lacrime, beninteso. Era consapevole che piangere non lo rendeva meno uomo.

Non credeva ce ne fosse bisogno, però. In fin dei conti per cosa stava soffrendo, per una storia finita male?, per un amore perduto?, per delle speranze infrante? A ben vedere nessuna di quelle cose era mai stata reale, per cui non avrebbe dovuto neanche pensarci due volte, prima di buttarsi quei due mesi, e specialmente Harry, alle spalle. Metterli in una scatola e chiuderla sotto il pavimento. Aspettare che la polvere ricoprisse tutto, così da non riuscire più a distinguere nulla.

Ma mentre gli occhi cadevano sul divano, non poteva far a meno di ricordare della sera in cui avevano distrutto un cuscino a forza di darsi battaglia sul pavimento o di come vi avessero spesso cenato insieme dopo una lunga giornata. Giornata che Harry aveva passato a studiare inglese o a sfornare pane. O almeno quello era ciò che credeva. Probabilmente l’altro non aveva mai impastato farina in vita sua o, se l’aveva fatto, era stato anni addietro. Harry faceva i cornetti più buoni che avesse mai mangiato. Solo che non li faceva davvero lui, evidentemente. Avrebbe dovuto scoprire dove li comprava. O forse no, ché poi avrebbe rischiato di incontrarlo e quella era l’ultima cosa che voleva.

Avrebbe voluto stendersi e dormire. Il suo letto era ancora sfatto e, anche se il calore era di certo scomparso da tempo, le coperte l’avrebbero tenuto al caldo. Aveva i piedi congelati, come sempre. Magari avrebbe dovuto fare un bagno bollente.

Era indeciso. Optò per il letto. Mise piede nella stanza e non resistette più di due secondi.

Forse era idiota o solo molto masochista, perché se l’ingresso aveva stimolato quella reazione, cosa avrebbe potuto fare la camera da letto? Provocargli conati di vomito, a quanto pareva.

C’era così tanto Harry in quella stanza, e lui non se ne era mai accorto sul serio, che forse avrebbe dovuto trasferirsi, magari cambiare città, per andare sul sicuro.

Che stupidaggine. Non era stato mai nulla, quindi non gliene sarebbe importato nulla. Filava. Liscio come l’olio.

E decise che, se alla fine era uscito dalla camera, non era per i ricordi o l’odore o la vista di ogni centimetro quadrato, ma solo perché aveva cambiato idea e voleva guardare un po’ di TV, sdraiarsi sul divano (che magari avrebbe cambiato davvero, perché era vecchio e scomodo. Ovviamente) e forse avrebbe dormito lì, sotto al plaid con stampato quel buffo cane, che Liam gli aveva regalato.

Si tolse le lenti a contatto. Non perché iniziassero a bruciargli gli occhi a causa delle lacrime, no di certo, ma solo perché se si fosse addormentato, poi si sarebbe risvegliato tra dolori lancinanti. E si mise gli occhiali, che portava poco perché lo facevano sembrare troppo intellettuale, anche per lui. Harry aveva detto di preferirlo in quel modo, soprattutto se aveva anche il ciuffo abbassato, che lo addolcivano e ingiovanivano, ma probabilmente quella era solo una delle innumerevoli stronzate che l’altro gli aveva rifilato.

Era bravo, a raccontare cavolate, quello era sicuro. Avrebbe dovuto fare il truffatore, di mestiere (e un po’, truffatore lo era stato, si disse Zayn), non il giornalista.

Non che non fosse bravo anche in quello, l’articolo era divertente e interessante e ben scritto, commovente e intimo tutto insieme.

Zayn aveva odiato ogni parola, ma non dubitava che glielo avrebbero pubblicato.

In tutto quel casino di sentimenti non c’aveva pensato, ma la sua vita ne sarebbe uscita stravolta. Non era pronto al polverone che l’avrebbe sommerso e sinceramente non sapeva se mai lo sarebbe stato. Non riusciva a credere che quel ragazzo pieno di vita e di attenzioni, dolce e premuroso, chiassoso e divertente, in realtà non fosse altro che un arrivista disposto a tutto. Cazzo, era venuto a letto con lui, si era insinuato nella sua stupida vita per cavargli dalla bocca ogni singola informazione e tutto quello probabilmente l’aveva fatto senza un singolo rimorso di coscienza, senza pensarci due volte.

Si era come prostituito per un cazzo di articolo. Non ce la faceva a pensare di aver amato qualcuno che si abbassava a tanto per cosa, poi? Lavoro fama soldi?

Non l’aveva amato, si rassicurò, e di certo non lo amava. Non amava il vero Harry, ma solo quella specie di miraggio che l’altro gli aveva fatto vedere e conoscere.

Aveva sempre pensato di essere bravo a capire le persone. Forse Harry l’aveva accecato con tutta la polvere luccicante che si era spalmato addosso per apparire qualcuno che non era, e lui non se ne era accorto, troppo preso ad ammirarlo.

Ecco quello che si otteneva a fidarsi di qualcuno così, dal nulla.

La colpa era sua, lo sapeva bene. Stupido lui ad aver creduto che qualcuno sarebbe riuscito davvero ad amarlo per quello che era.

Zayn chiuse gli occhi. Si sentiva patetico. E patetici erano i suoi annichilenti pensieri, patetico il suo stupido televisore che non faceva vedere metà dei canali e patetico il suo stomaco vuoto che chiedeva di essere sfamato.

Lo ignorò. Se avesse ingerito qualcosa, l’avrebbe vomitato seduta stante.

*

Era uscito con Niall. Non ce la faceva più a stare chiuso in casa, tempo altri due secondi e sarebbe scoppiato. Liam non c’era, per fortuna: non avrebbe sopportato le sue occhiate indagatorie. Anche l’amico si era accorto della miseria in cui era annegato, ma Zayn sapeva che avrebbe aspettato fino a che lui non si fosse sentito pronto a parlargli (anche se non sembrava, Niall sapeva essere paziente, all’occorrenza). Liam, al contrario, si sarebbe preoccupato e agitato e Zayn voleva evitare un terzo grado a tutti i costi.

Erano finiti in un pub. Di lunedì sera, era mezzo vuoto. Non che gliene fregasse qualcosa, non cercava nessuno. Ne aveva abbastanza degli uomini, fin sopra ai capelli, per un po’ non ne voleva sapere nulla e grazie mille. Erano tutti uguali, subdoli e incantatori, soprattutto quelli con le fossette. Le fossette erano l’inferno. Erano l’inferno dantesco e lui se ne sarebbe dovuto accorgere prima di caderci a capofitto.

Si sentiva piuttosto femminista e, per la prima volta da quando aveva imparato ad accettarsi e a volersi bene per chi era, desiderò essere etero e amare una ragazza, al posto di quel mezzo uomo con le mani troppo grandi e il cuore troppo piccolo.

Guardò l’interno del bicchiere che aveva davanti. Era quasi vuoto e lui aveva ancora sete.

Ordinò un’altra birra, mentre Niall gli sorrideva, accondiscendente.

La buttò giù nel giro di dieci minuti scarsi, perché anche se a lungo andare i problemi galleggiano nell’alcol, nell’immediato affondano come pesanti rocce.

Dopo un po’ perse il conto dei bicchieri scolati; non si ricordava neanche più perché avesse una dolorosa sensazione allo stomaco e perché non avesse pranzato né cenato. Sapeva solo che pensare a Harry gli dava spiacevoli calci allo stomaco, e dunque evitò di farlo, tanto più che Niall si stava mettendo in ridicolo di fronte a tutti, aiutato dal troppo alcol in circolo, facendolo ridere così tanto che per tre volte rischiò di scivolare giù dallo sgabello.

*

Tornò a casa che erano le due passate, l’alcol ancora in circolo, anche se – perlomeno – riusciva a camminare senza inciampare. Riuscì a infilare la chiave nella toppa al primo tentativo. La considerò una vittoria.

Quando aprì la porta, la luce del soggiorno lo accecò. Non ricordava di averla lasciata accesa, ma in quel momento era a malapena sicuro di come si chiamasse, per cui quello voleva dir poco.

«Zayn» sentì dire dall’ultima voce che voleva udire in quel momento.

E come si trovò di fronte il volto preoccupato e stanco di Harry, gli tornò in mente tutto quello che era accaduto la mattina.

«Che ci fai in casa mia?» sbottò, riuscendo in qualche modo a non incespicare nelle parole. Zayn si rese conto che la rabbia stava prendendo rapidamente il posto dell’amarezza e della delusione, e di tutto quello che aveva provato fino a poco prima.

«Io volevo p-»

«Vattene» lo interruppe, perché non gliene fregava nulla, lo voleva fuori di lì immediatamente.

«Zayn, ti prego» supplicò Harry, perché evidentemente non sapeva dire altro. E pensare che era un giornalista. La cosa lo fece quasi ridere.

«Vattene, ho detto» urlò, cercando di raggiungere la propria stanza, smettendo di guardarlo e di ascoltarlo, non controllando neanche se l’altro avesse fatto quanto gli aveva impartito.

«Cazzo» aveva fatto tre metri e aveva sbattuto contro uno stupido mobile, stupidamente posto nel suo stupido corridoio e adesso il suo stupido ginocchio gli lanciava stupide scintille di dolore che lo stupido alcol che aveva ingerito non riusciva ad attenuare.

Sentì le mani dell’altro poggiarsi sui suoi fianchi e sorreggerlo, neanche fosse in punto di morte. Cercò di divincolarsi, perché il tocco conosciuto di Harry aveva solo portato alla luce immagini che aveva cercato di seppellire con la birra e la testa aveva iniziato a girargli e le dita del più piccolo erano calde e perfette sulla sua pelle e gli mandavano scosse elettriche e gli facevano venire la pelle d’oca e brividi caldi e freddi avevano iniziato a scorrere lungo tutta la sua schiena.

«Lasciami» gli intimò, ma l’altro era diventato sordo, forse, perché la stretta si rafforzò e basta.

«Devo parlarti, ti prego» supplicò di nuovo, ma Zayn voleva far tutto meno che parlare.

Si sentì voltare, neanche fosse stato un calzino, e Harry era troppo vicino, col suo stupido volto e i suoi stupidi occhi.

Zayn fece salire una mano fino ai suoi capelli e li tirò. Li tirò così forte che Harry fu costretto a seguire con la nuca il movimento della mano di Zayn, per non ritrovarsi con una manciata di ricci in meno, la bocca spalancata, ma le mani ancora saldamente ancorate ai suoi fianchi.

Gli occhi gli caddero sul collo dell’altro: era arrossato ed esposto, sembrava fatto apposta per esser morso e Zayn non sapeva cosa gli fosse preso, ma non voleva più pensare. Non voleva più pensare a nulla.

 

 

Note:

Scusate tanto per il capitolo. Anche se non sembra, amo Zayn, eh! Giuro <3

Tutto questo angst ben si adatta al mio umore settembrino… che mese del cavolo L

Un bacione e grazie a tutti, as always!

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Capitolo quindici.

 

Si svegliò tutto indolenzito. Non era troppo presto, ma non doveva andare da nessuna parte, e il suo corpo gli intimava di rimettersi a dormire. Solo che non poteva, e non ci sarebbe nemmeno riuscito.

Guardò Zayn. O meglio, guardò la sua schiena. Avrebbe voluto toccarlo e svegliarlo come aveva fatto un sacco di mattine, ma non ne aveva il coraggio.

Non era sciocco, il sesso della notte appena trascorsa non significava nulla. Se non che Zayn non era in sé e probabilmente l’avrebbe odiato anche per quello.

Si mise supino. Pessima mossa, il fondoschiena gli faceva male e magari non sarebbe riuscito a sedersi senza digrignare i denti per qualche giorno.

Aveva provato. Aveva provato a parlare con Zayn, che non lo voleva ascoltare e, davvero, lui non lo biasimava, e aveva provato a scusarsi e a spiegarsi, perché forse l’altro avrebbe capito e l’avrebbe perdonato se solo gli avesse dato una possibilità.

E la notte precedente era andato a casa sua per quello, usando nuovamente le chiavi che – per fortuna – ancora non aveva restituito a Liam; di certo non si aspettava che Zayn l’avrebbe accolto a braccia aperte. Se si trovava tra le lenzuola del letto che così spesso avevano condiviso, non era perché Zayn l’avesse perdonato, a mo’ di figliol prodigo. Era consapevole che quello che avevano fatto era lontano anni luce da ciò che provava per Zayn.

Sentì i suoi occhi farsi lucidi. Si passò una mano sugli occhi e lì la lasciò, combattendo le lacrime. Da un paio di giorni piangere era tutto quello che riusciva a fare. Stava diventando ridicolo.

Zayn non l’aveva baciato neanche una volta. Al pensiero, sentì le guance inumidirsi. Zayn non voleva baciarlo e aveva evitato ogni suo tentativo. Aveva scansato le sue mani ogni volta che aveva provato ad accarezzarlo, l’aveva girato faccia al cuscino e l’aveva scopato. Harry si era anche stupito che si fosse almeno preoccupato di prepararlo, prima.

Lo Zayn di quella notte non esisteva, l’aveva creato lui con le sue azioni. Quello Zayn così freddo era solo una conseguenza delle sue bugie, questo Harry lo sapeva.

Aveva imparato a conoscerlo così bene da capire quello che Zayn provava, a ogni suo piccolo movimento. Sapeva quando l’altro voleva dolcezza o passione, da lui. A entrambi piaceva quando le spinte si facevano violente e le unghie penetravano nella carne e i denti lasciavano impronte sulle spalle. Quello, Harry lo adorava.

La notte precedente, invece, non era stato passionale, ma meccanico e distaccato. Si era sentito usato; avrebbe riso dell’ironia della situazione, se ne fosse stato in grado.

Era stato il sesso peggiore della sua vita, e Harry non poteva che prendersela con se stesso.

*

Si era vestito ed era andato in cucina perché non ce la faceva più a stare sdraiato accanto a Zayn, senza poter posare la testa sul suo petto, distanti come fossero stati due estranei.

Aveva preparato la colazione, proprio come il primo giorno, per non pensare a quello che sarebbe successo nel momento in cui Zayn l’avesse raggiunto. Aveva così tante cose da dirgli che non sapeva neanche da dove iniziare. Sapeva solo che doveva dire tutto, non tralasciare nulla, scoprirsi completamente come l’altro aveva fatto con lui. Aveva paura, perché sapeva che, forse, neppure quello sarebbe stato sufficiente.

Sentì dei passi farsi sempre più vicini. Prese un respiro per darsi coraggio e si voltò.

Zayn non sembrava stupito di trovarlo ancora lì. Il suo volto era tutto un rimpianto, ma Harry non avrebbe saputo dire se fosse stato per non averlo buttato fuori di casa a calci, la sera prima, o non averlo fatto almeno dopo averci fatto sesso. Forse era per averlo scopato a quel modo, perché Zayn era la persona più gentile che Harry avesse mai incontrato, a dispetto delle apparenze.

Harry era riuscito a rovinare anche quello. Si odiava più di quanto non si fosse odiato nelle ultime settimane.

«Ho fatto la colazione» constatò l’ovvio, poiché non sapeva da dove altro iniziare. L’altro annuì e si mise seduto. Era già qualcosa, si disse Harry.

Aspettò che Zayn avesse iniziato a mangiare, prima di prendere un altro profondo respiro e iniziare a parlare. O provare a farlo, perlomeno.

«Zayn, io-»

«Vuoi parlare, l’ho capito» intervenne, il tono piatto.

Almeno non aveva ancora cominciato a urlare o a cercare di cacciarlo. Era una conquista, visti i risultati ottenuti il giorno precedente.

«Io… sì, puoi» Harry disse, abbassando lo sguardo alle proprie mani, consapevole di non riuscire a sostenere quello dell’altro. «Puoi ascoltarmi? Giuro che se vorrai ancora che me ne vada, dopo che avrò finito, me ne andrò» per oggi, concluse dentro di sé. Non esisteva Santo in Paradiso per il quale avrebbe smesso di provare a riconquistare Zayn.

Zayn sembrò soppesare le parole di Harry in silenzio e poi, dopo quella che gli parve un’era geologica, annuì.

*

Partì dall’inizio, perché era l’unica cosa sensata da fare, e parlò della festa e di come avesse pensato che Zayn fosse uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto e del fatto che sì, in effetti, voleva solo una cosa da una notte e via, con lui; di come si fosse svegliato nel bel mezzo della notte; del bagno e della chiave; della scrivania e della scoperta.

Parlò della scelta di restare e fare la colazione. «Quello non ero io» disse, ed era vero. Tutto quello che aveva fatto durante i primissimi giorni era interessato e mirava a un solo scopo.

Parlò di come fosse andato al Times e avesse proposto a Bennett la storia. Di Louis che l’avvertiva di stare attento.

«L’ha sempre saputo, lui, che non ce l’avrei fatta. Avrei dovuto ascoltarlo» Harry poteva vedere come l’espressione di Zayn non fosse mutata di una virgola, dall’inizio. «ma ero troppo orgoglioso e testardo per vedere quello che vedeva lui»

Parlò di come stare con Zayn fosse diventato qualcosa di autentico subito, per lui; di come non lo sentisse forzato, di come fosse facile dimenticarsi che c’era un altro motivo se si trovava lì. Di come avesse cercato di negare l’evidenza anche a se stesso, fino a quando aveva capito che non sarebbe riuscito a concludere nulla.

«Quando mi hai raccontato tutto, è… è assurdo, ma l’articolo è l’ultima cosa a cui ho pensato» Zayn sollevò un sopracciglio, e Harry sapeva che quello parlava di scetticismo. Sapeva anche che per Zayn era qualcosa di difficile da credere, per cui non insistette. «E il giorno dopo l‘ho scritto e ricontrollato e ricontrollato ancora, ma dentro di me accampavo scuse per non consegnarlo. ‘Ho tempo’ mi dicevo. Poi ho capito che non sarei mai riuscito a farlo, perché anche se non volevo ammetterlo, cercando di entrare nella tua vita, tu sei entrato nella mia. E… sei nella mia testa e non riesco a farti uscire e lo so che ti senti tradito e hai ragione, ok? Ma era tutto vero, te lo giuro, tutto, e so che lo era anche per te. A Natale volevo davvero stare con te. E quando mi hai detto per la prima volta che mi amavi, ti ho risposto perché sentivo la stessa cosa pure io, non per seguire un piano che ho buttato nel cesso due secondi dopo averlo ideato» Harry avrebbe avuto bisogno d’acqua, aveva la gola secca da prima di iniziare quella conversazione.

«Il giorno della mostra» Harry sapeva che Zayn avrebbe visto anche quello come un tradimento, ma allo stesso tempo non poteva far finta di nulla. Sincerità assoluta; gliela doveva. «io e Louis siamo usciti. Dopo; di sera. E ho cercato di non pensare a te, ma di pensare all’articolo, e continuavo a dirmi che il giorno dopo l’avrei consegnato. Non ce la facevo più, quelle cazzo di righe stavano nel mio computer e rappresentavano la fine di tutto. E ho provato a divertirmi, mi dicevo che tempo qualche ora e avrei avuto tutto quello che avevo sempre sognato. Ma non riuscivo neanche a guardami intorno, ché tu eri ovunque. Eri il tizio al bar pieno di tatuaggi e il bodyguard con l'orecchino e il ragazzo moro con cui ballavo e… e che mi volevo scopare» Zayn non sbatté neanche le ciglia, e Harry avrebbe voluto piangere per quella che era la centesima volta nel giro di ventiquattro ore. «Ma non riuscivo neanche a baciarlo senza pensare che era tutto sbagliato e non riuscivo a capire perché tu non c’eri, mentre io ero lì con uno sconosciuto che aveva i tuoi stessi capelli ma non era te e credo di essere stato sul punto di vomitare, quando sono scappato. Probabilmente sarei ancora lì se non ci fosse stato Louis» il viso di Zayn gli diceva che a lui non poteva fregargliene di meno.

«Ieri, quando ti ho trovato in camera mia, ero appena stato da Bennett. A dirgli che non potevo scrivere il pezzo. E te l’avrei detto, solo che-»

«Solo che ti ho messo i bastoni tra le ruote» lo interruppe Zayn, un sorriso strano stampato in faccia.

Harry gliel’avrebbe volentieri strappato. Gli mancava quello limpido e felice, quello che gli illuminava il volto e gli occhi e tutta la stanza. Era colpevole anche di quello, si odiò giusto un altro po’.

«Non mi crederai,» e adesso sul viso di Zayn leggeva un enorme ma dai? «ma non avrei potuto continuare a mentirti, anche se sapevo che mi sarei ritrovato così»

«Così come?» chiese, fintamente interessato.

«Così» accennò a loro due, in quella stanza, in quella situazione. «Con te che mi odii» e forse, fra tutte, quelle erano state le parole più difficili da far uscire dalla gola.

«Io non ti odio» e per un attimo a Harry sembrò di cominciare a respirare di nuovo per bene. «Per odiarti dovrei conoscerti. E non so con chi sono stato negli ultimi mesi, ma di certo non con te» per poi ripiombare in un baratro ancora più buio. Combatté con tutte le sue forze, ma sentì gli occhi inumidirsi. Li sbatté per non far scendere altre lacrime o si sarebbe prosciugato.

«All’inizio non ero io, ma ti giuro che dopo… dopo sì. Ti giuro che la persona che hai conosciuto è il vero Harry, la persona di cui sei innam-»

«Hai finito?» l’interruppe, tagliando la frase, ma soprattutto quel sentimento che entrambi sapevano esistere tra di loro.

Harry non rispose. Sì, aveva finito e no, voleva continuare fino a che non lo avesse convinto.

«Allora» disse Zayn, prendendo il suo silenzio come una conferma. «vattene via»

«Zayn, io-» protestò Harry, per essere nuovamente fermato a metà.

«Hai detto che te ne saresti andato, se avessi voluto» dichiarò semplicemente, alzandosi.

Harry cercò di trovare qualche motivo – qualsiasi cosa – per restare, ma alla fine depose le armi. Non voleva contrastare il desiderio di Zayn, voleva che l’altro si rendesse conto che il suo bene, per lui, veniva davvero prima di qualsiasi cosa. Anche se il suo bene, per il momento, era proprio non avere Harry davanti agli occhi.

«Ok» mormorò.

Raccolse le sue cose e si infilò il cappotto. Si voltò un’ultima volta verso Zayn, che fissava i piatti, lo sguardo disinteressato, ma i pugni chiusi e la mascella serrata che parlavano di tutt’altro.

Harry sapeva che, magari forse ti prego-ti prego-ti prego, c’era ancora una speranza, per loro; che se non avesse mollato, Zayn l’avrebbe visto per chi era davvero e non per chi aveva cercato di essere.

Si accorse che, mentre cercava di essere un grande giornalista, senza sentimenti e privo di scrupoli, Zayn era riuscito a far uscire il vero Harry, si accorse di aver vissuto tutto quel tempo con gli occhi chiusi, di averli aperti (e, insieme a loro, aver aperto il suo cuore) solo grazie a lui, si accorse che l’idea di vedere per la prima volta ciò di cui aveva veramente bisogno e non poterlo avere era insostenibile.

In tutto quello c’era una sottile, crudele ironia.

*

Odiava le palestre, il loro rumore e specialmente l’odore, anche se la vista di corpi tonici compensava la sensazione del sudore che appiccica la maglietta alla schiena in modo odioso. In quel momento, a Harry di tutti quei muscoli in bella mostra non poteva importare di meno; era lì solo per parlare con Liam. Sapeva che poteva essere una pessima mossa, ma confidava nella bontà d’animo del fratello di Zayn. Aveva bisogno di un consiglio da parte di qualcuno che conoscesse Zayn e con cui l’altro – magari – si fosse confidato. Era passata mezza giornata da quando aveva lasciato casa del suo ragazzo (si rifiutava di pensare a Zayn diversamente) e già non ce la faceva più a dargli spazio e tempo, a stargli lontano. Ogni secondo, ogni respiro, ogni battito di ciglia era una tortura che l’avrebbe portato dritto verso una morte lenta e dolorosa.

Vide Liam intento ad aiutare un tizio a sollevare troppi pesi. Si avvicinò e appena l’altro lo scorse, Harry si rese conto che sì, Zayn aveva parlato con lui, perché se i suoi occhi avessero potuto lanciare fiamme, si sarebbe ritrovato cotto a puntino nel giro di un battito di ciglia.

«Sto lavorando» mise le mani avanti, prima ancora che Harry riuscisse anche solo a salutarlo.

«Posso aspettare» disse. Tanto non aveva nulla da fare: nessun lavoro a cui dedicarsi e nessun ragazzo con cui passare del tempo. Magari si sarebbe comprato un gatto. O un cane. A Zayn piacevano i cani.

Liam lo guardò con attenzione per qualche momento e infine annuì. Harry non sapeva cosa l’altro avesse letto sul suo volto, ma avrebbe comunque acceso un cero in ringraziamento al suo Angelo Custode.

*

Aveva atteso al piccolo bar che c’era all’ingresso per più di due ore, e i frequentatori della palestra avevano iniziato a guardarlo male.

«Andiamo in macchina» propose Liam, quando lo raggiunse dopo aver finito di lavorare, i capelli ancora umidi dalla doccia e un borsone in spalla. Harry ebbe la vaga sensazione che l’altro avesse allungato appositamente, per farlo aspettare più a lungo possibile, il tempo trascorso negli spogliatoi. Si sarebbe meritato quello e altro, per cui non si lamentò.

«Zayn…» iniziò, una volta dentro.

«Oggi l’ho chiamato e non mi ha risposto, dunque sono andato da lui. Continuava a dire di star bene, ma anche un cieco avrebbe capito che mentiva» disse, confermando i sospetti di Harry.

«Ti ha raccontato quello che gli ho detto?» chiese, dopo qualche attimo.

«Sì, a grandi linee. Preferirei sentire direttamente tutto da te, però» Harry annuì, tanto più che l’aveva cercato per quello, o comunque con la consapevolezza che avrebbe dovuto raccontare tutto una seconda volta.

Disse a Liam le stesse cose che aveva detto a Zayn, nella speranza di risultare sincero almeno a lui, anche se era il fratello sbagliato.

«Non ti arrabbiare con Louis, lui non c’entra nulla. Ha anche cercato di dissuadermi per tutto il tempo» aggiunse, in coda, perché era vero e perché glielo doveva, visto quanto il suo coinquilino tenesse all’amicizia di Liam.

«Perché sei venuto da me?» chiese dopo aver sentito tutto.

«Perché non sapevo-non so cosa fare» mormorò, guardandolo con aspettativa.

«Speravi ti aiutassi a far cosa?» insistette.

«Non lo so» quasi si lamentò. «Qualsiasi cosa?» fece, ma gli uscì più come una domanda che un’affermazione vera e propria. «Come posso…» lasciò in sospeso, cercando le parole.

«Farti perdonare? Riconquistare la sua fiducia?» venne in suo soccorso l’altro.

Harry annuì, mordendosi un labbro. Era così in ansia per tutta quella faccenda che gli si sarebbe corroso il fegato entro la fine della settimana.

«Zayn vuole a malapena parlarmi, non mi ascolta! Non riesce neanche a guardarmi e io-»

«Tu lo ami»

Harry lo fissò, perché quella, invece, non era una domanda. Liam era certo dei sentimenti di Harry proprio quanto lo era lui e questo in parte lo consolò.

«Sì» sussurrò. «Sì, lo amo» ripeté più deciso.

«Posso provare a parlare con lui, ma… Harry, non-»

«Lo so» lo sapeva che sarebbe stato difficile riconquistare la fiducia di una persona come Zayn, che in quel campo aveva sempre ottenuto soltanto delusioni.

Harry era l’ennesima, sapeva anche questo. Sperava non fosse quella che avrebbe distrutto Zayn definitivamente.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Capitolo sedici.

 

Si svegliò che l’orologio segnava appena le quattro.

Non si stupì più di tanto, anzi, si poteva dire gli fosse andata di lusso. La notte precedente era riuscito a dormire solo un paio di ore e quella prima ancora avrebbe voluto proprio dimenticarla.

Solo che il suo cervello stava cercando di renderglielo impossibile in tutti i modi; gli tornava in mente il volto pallido di Harry, illuminato dalla luce bianca del salotto, il dolore alla gamba – che poteva vantare una piccola mora all’altezza del ginocchio, il sapore dell’alcol in bocca e la sensazione di leggerezza alla testa e quella, orribile, di secchezza alla gola, la mattina dopo.

Più di tutto, però, il suo cervello masochista gli inviava ricordi di Harry, il tocco delle sue mani, il respiro accelerato, i suoi capelli, più ricci e indomabili del solito. 

Lo sguardo triste e preoccupato che gli aveva rivolto non appena aveva messo piede in casa e che sembrava sincero, a dispetto di tutto.

La sua voce roca e rotta e che diceva parole che non volevano uscirgli dalla mente.

Scrollò la testa, come se con quel gesto fosse possibile liberarsi anche di tutti i pensieri indesiderati e inopportuni, e si girò su un lato – che da sempre era la sua posizione preferita per dormire. Avrebbe preferito non ricordarsi come fosse sdraiarsi in quel modo e stringere Harry. O essere stretto da lui e dalle sue stupide braccia, i piedi dell’altro che riscaldavano i suoi, sempre congelati.

Cercò di calmarsi, liberarsi da tutto e tutti; prese qualche respiro profondo: non servirono a nulla. Sapevano solo di lenzuola pulite. La notte precedente, dopo che la mattina aveva cacciato Harry, non si era curato d’altro che di far una doccia; a stomaco vuoto, quando non erano neanche le dieci, si era steso sul letto, esausto. Era stata la cosa più sciocca che avesse mai fatto, il che era tutto dire.

L’odore di Harry era ovunque e non lo lasciava stare. La parte peggiore era, però, che tutto quello gli faceva ripensare a come, fuori di sé e senza curarsi di Harry, l’avesse scopato su quello stesso materasso neanche ventiquattro ore prima. Di come avesse agito senza pensare ai sentimenti della persona che diceva di amare, neanche fosse un animale senza un briciolo di autocontrollo.

Lui non era così. O almeno sperava. A quel punto, forse, non lo sapeva più neppure lui.

Era inebriato dall’alcol, ma non poteva dare la colpa delle sue azioni unicamente alla troppa birra ingerita; quando se l’era ritrovato in casa, la mente non troppo lucida, era uscita tutta la rabbia che aveva trattenuto fino a quel momento, e tutto il resto era venuto di conseguenza.

La mattina, dopo essersi svegliato, aveva provato repulsione per come aveva trattato Harry, e si era alzato con l’intenzione di scusarsi. Poi l’aveva visto ai fornelli, nel perfetto remake di quello che era successo due mesi prima (e almeno tre o quattro giorni alla settimana fino da allora) e l’impulso era evaporato come neve al sole.

Non si era mai sentito così tradito, come da quel ragazzo che conosceva da poco più di sessanta giorni – che facevano solo millequattrocentoquaranta ore ma che sembravano infinitamente di più – e se l’era detto mille volte che era sciocco, ma non poteva farci nulla. Proprio come una volta Liam gli aveva detto che non poteva costringersi a non amare Harry, adesso non poteva fingere di non essere ferito. E forse la sua era stata una piccola vendetta, forse voleva farlo soffrire almeno un po’, perché non era giusto che solo lui avesse ogni fibra del suo essere dilaniata.

Non era cieco: quando Harry si era voltato, lasciando perdere i fornelli, aveva capito di esserci riuscito. Il fatto che quello lo facesse solo stare peggio, invece di rallegrarlo, era esplicativo – lo sapeva – ma non aveva voluto rifletterci troppo, sul momento. L’aveva lasciato parlare, dicendosi che almeno, dopo, tutto sarebbe finito. Se l’avesse mandato via, Harry non sarebbe tornato, no? Era quello che voleva, in fondo: essere lasciato in pace, lasciarsi alle spalle quella faccenda e passare oltre. Se poi tutti avessero scoperto che lui era Mick Stone grazie a quell’articolo, dimenticarla e dimenticare Harry sarebbe diventato più difficile, ma avrebbe affrontato i problemi qualora gli avessero bussato alla porta.

Fingendo un’indifferenza che non sentiva, era stato zitto per tutto il tempo, cercando di non credere a neanche una virgola di quello che le labbra di Harry stavano dicendo. Era stato difficile anche quello, come praticamente tutto quello che avesse fatto nell’ultimo periodo, ma credeva di esserci riuscito abbastanza. O almeno di aver dato l’impressione di esserci riuscito.

E quando non ce l’aveva proprio più fatta, l’aveva mandato via, non guardandolo uscire dalla porta e dalla sua vita.

Fino a quel momento sembrava aver funzionato. Almeno in parte. Harry non si era fatto vivo con lui da due giorni, non gli aveva mandato stupidi fiori per scusarsi (il che gli diceva che almeno un po’ l’altro lo conosceva) e non l’aveva assillato di chiamate.

Almeno in parte, perché era stato da Liam, anche se non capiva bene a far cosa.

Palese era invece che suo fratello avesse non solo parlato con Harry civilmente (e ok che era gentile di natura e tutto, ma dopo che gli aveva raccontato tutto lui, era così incazzato che, se avesse incontrato Harry per sbaglio, probabilmente gli avrebbe strappato via la testa) ma fosse anche arrivato alla conclusione che, anche se aveva fatto uno sbaglio enorme, Zayn avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.

«Ora tu vedi in lui solo il mostro nero, ma quel ragazzo tiene davvero a te. Da quando l’hai lasciato, è un morto che cammina» gli aveva detto, serio e ragionevole come solo Liam sapeva essere.

«Non l’ho lasciato» aveva replicato. «Era tutto finto, Liam. Non stavamo insieme davvero, era… non lo so neanche io cos’era, ma pensarci mi fa venir voglia di vomitare»

Liam aveva evitato di commentare l’ultima parte. A Zayn piaceva essere un po’ melodrammatico, ma allo stesso tempo sapeva che probabilmente avrebbe provato la stessa cosa pure lui, si fosse trovato nella sua situazione.

«Allora, dai a entrambi la possibilità di un nuovo inizio, di essere un voi» aveva consigliato, perché era inguaribilmente romantico.

Zayn avrebbe voluto esserne capace. Forse lo era, ma si sentiva bloccato. Dilaniato da due forze contrapposte, quella che gli diceva di cancellarlo per sempre da ogni sua cellula e quella che gli urlava di correre a riprenderselo.

La paura, che aveva influenzato tutta la sua vita, sembrava non essere intenzionata a lasciarlo stare neanche quella volta.

*

Era talmente freddo che anche con i guanti poteva sentire le sue mani screpolarsi lentamente. L’aria gelida entrava da sotto la giacca-vento e quel poco sole che aveva rischiarato il pomeriggio ormai era sceso completamente, lasciando dietro di sé solamente desolazione.

Probabilmente era Zayn a sentirsi così, e quelle erano le sciocche parole che sgorgavano dal suo animo di scrittore.

Non era mai stato una di quelle persone a cui piace piangersi addosso, mentre adesso era tutto un piagnisteo; iniziava a perdere la stima di se stesso, oltre che la poca fiducia che aveva acquisito nel corso degli anni.

Tutto ciò si andava a sommare alla lista delle cose dannatamente ridicole che gli stavano capitando e lui aveva perso da tempo il conto di quante fossero.

Benché fosse buio – e freddo, gli ricordò la punta congelata del suo naso – era contento di trovarsi lì. Ultimamente si era sentito come un vampiro nei giorni di luglio, chiuso in casa, con le tende tirate e le luci spente.

Un po’ d’aria gli avrebbe fatto bene e comunque doveva uscire per forza. Aveva gli allenamenti e non poteva abbandonare i suoi ragazzi in un momento così delicato del campionato. La domenica seguente avrebbero giocato in casa contro la testa di serie, mentre loro erano terzi, a cinque punti di distanza dalla prima e a soli due dalla seconda.

Era una partita importante e la squadra era galvanizzata e più grintosa del solito. Allenarli, quella sera, era servito a risollevargli un po’ il morale. Tutti gli avevano trasmesso la propria carica e lui l’aveva assorbita tutta; sapeva che era solo un palliativo, che, non appena avesse rimesso piede in casa, si sarebbe sentito di nuovo vagamente depresso e, tra tutte le mille sensazioni, quella era l’unica che avrebbe preferito gli restasse estranea per sempre.

«Ciao, Mister!» lo salutò Tom, borsone in spalla, pronto a tornare a casa dopo la doccia. Aveva ancora i capelli umidi e di solito Zayn l’avrebbe ripreso per quella piccola sconsideratezza. Quella sera invece, rispose al saluto che l’aveva distolto dai suoi pensieri, e poi tornò a focalizzare la sua attenzione sul pallone che aveva di fronte. Ogni tanto, dopo l’allenamento, restava a fare qualche tiro o qualche esercizio specifico. L’odore dell’erba lo tranquillizzava e dare calci a qualcosa che non fosse il sedere di Harry, in quel momento, era proprio la cosa che gli ci voleva.

Non era neanche più arrabbiato, ormai. O, almeno, non lo era con Harry. Era deluso, ovviamente, e ce l’aveva con se stesso per essere stato così ingenuo, certo. Ma, ancora di più, era infuriato con il suo cervello, con la parte più irrazionale ed evidentemente sciocca, che non faceva altro che suggerire di dare a Harry un’altra chance. Da quando l’altro aveva scoperto tutte le carte, in cucina, non faceva altro che pensare che anche se tutto quello che c’era stato tra di loro era partito con il piede sbagliato e per i motivi meno nobili, dopo era continuato e cresciuto nella giusta direzione. E poi ci si era messo anche suo fratello, a fare l’avvocato del diavolo e quella stupida voce che gli diceva di correre da Harry si era fatta sempre più insistente, ma lui continuava a metterla a tacere, perché, suvvia, come poteva?

Come poteva, anche avesse voluto e provato e riprovato fino alla morte, riuscire a fidarsi di nuovo di lui?

Liam diceva che doveva solo tentare e che Harry non l’avrebbe deluso di nuovo. E magari Zayn sottovalutava la propria capacità di cancellare il passato e voltare pagina.

Non sapeva cosa avrebbe dato per essere in grado di aprire un nuovo quaderno e cominciare tutto daccapo, con Harry.

Perché, in fondo, lui lo sapeva meglio di chiunque altro, meglio di Harry a cui negli ultimi giorni aveva mostrato solo la sua indifferenza, meglio di Niall che lo guardava preoccupato e meglio di Liam che cercava di farlo ragionare, che – rifiutando di ammettere di amare Harry – stava solo cercando uno scudo che lo difendesse da ulteriori dolori.

Che per quanto lo negasse, il problema era quello: amava Harry; sotto tutta quella coltre amara che spesso lo accecava, lo sapeva che l’unica cosa che non fosse cambiata da dieci giorni prima era quella.

La cosa che non sapeva era se sarebbe riuscito a darsi (e a dare a Harry) una seconda possibilità per essere felice, o almeno provare a esserlo. Se sarebbe riuscito a costruire qualcosa di vero, con l’altro, e vedere dove tutto ciò li avrebbe condotti.

Non sapeva quale parte del suo cervello avrebbe prevalso, alla fine, e forse quella condizione di incertezza era proprio la parte peggiore.

*

Dopo venti minuti in cui non aveva fatto altro che tirare punizioni, oltre alle gambe un po’ stanche, iniziava a sentirsi anche osservato.

Sul campo, con lui, non c’era nessuno, gli spogliatoi erano vuoti da tempo e le panchine destinate ai giocatori erano completamente libere da presenza umana.

Lanciò uno sguardo verso le tribune e scoprì che la fonte di quella sensazione opprimente nasceva proprio da lì. Forse fermarsi era stato stupido, da parte sua. Harry evidentemente si era ricordato dei suoi orari e aveva deciso che dopo un giorno abbondante di silenzio era il caso di cominciare a importunarlo di nuovo.

Probabilmente aveva anche freddo, a star fermo, seduto sulla plastica congelata. Zayn si maledisse per tutta la preoccupazione che quel ragazzo era ancora in grado di fargli provare.

Quando Harry si accorse di essere stato scoperto, si alzò in piedi, l’espressione un po’ difensiva, i passi che lentamente lo portavano ad avvicinarsi alle scale che l’avrebbero condotto sul campo da gioco.

Zayn notò come i suoi capelli facessero mostra di una frangia quasi completamente liscia: sapeva che quello voleva dire che Harry non aveva fatto altro che passarci le dita, sapeva che significava che l’altro era nervoso quanto lui. Forse di più, perché era Zayn ad avere tra le mani le sorti della loro relazione, mentre Harry non poteva far altro che restare a guardare mentre lui decideva come comportarsi, aspettare un sì o no, rodersi il fegato nell’attesa.

Zayn si morse un labbro, irritato, ancora di più perché avrebbe dovuto goderne, dei patimenti del più piccolo, non provare una fastidiosa stretta allo stomaco, a causa di essi. È perché lo ami. E, visto che lo ami, non vuoi vederlo triste. Se non vuoi vederlo triste, sai cosa devi fare, gli sussurrò all’orecchio una vocina impertinente, che aveva lo stesso accento di suo fratello e parlava parimenti veloce.

«Ciao» lo salutò Harry con la voce più roca del solito, non appena fu di fronte a lui.

Zayn evitò di pensare al motivo per il quale, all’altro, le parole uscissero più graffiate che mai. Probabilmente ero lo stesso che aveva arrossato i suoi occhi fino alle soglie del dolore, nelle ultime due notti (e mattine e pomeriggi).

Non si fidava della sua voce, per cui rispose solo con un vago movimento della testa. Se ne pentì quasi immediatamente. Forse Harry aveva pensato che Zayn non lo ritenesse degno neanche di sprecare parole, per lui, se l’espressione che aveva in viso era un indizio, anche se l’altro aveva cercato di nasconderla subito.

«Cosa vuoi?» chiese, cercando di non farla sembrare come un’accusa, anche perché, in fin dei conti, vederlo aveva scombussolato il suo stomaco e accelerato i battiti del suo cuore. Harry gli era mancato, era inutile negarlo, anche se non si vedevano solo dal giorno precedente. Ma non era mai capitato che tra loro non ci fossero telefonate o messaggi, e le ore gli erano parse incredibilmente vuote e insignificanti, senza l’altro. Quello l’aveva sconvolto, forse più della consapevolezza di non riuscire a odiare Harry. Lui che aveva sempre vissuto bene nel silenzio della sua casa, che sguazzava allegramente nella dolcezza della solitudine, aveva odiato ogni singolo minuto in cui si era forzato a star lontano da Harry.

Il più piccolo era strisciato dentro la sua vita e Zayn proprio non sapeva come imparare di nuovo a fare a meno di lui.

Non impararlo.

Questa volta la voce nella sua testa era la sua (e ne fu sollevato perché sentire voci random non è mai una buona cosa).

Era un consiglio semplicistico, che non teneva conto di mille fattori, e forse – proprio per questo – il migliore che ci fosse.

Harry aprì la bocca e questo offrì una scusa all’altro per allontanare quella tentazione che si faceva ogni secondo più forte, quasi insopportabile, e concentrarsi su quello che stava invece per dire.

«Io volevo solo…» si bloccò, forse insicuro di come continuare o di come dire quello che voleva dire. O magari perché non sapeva neanche lui cosa volesse, pensò Zayn.

«Io… niente» mormorò infine.

Zayn sentì montare dentro di sé la delusione, che però era completamente diversa da quella che aveva provato dopo aver letto l’articolo.

Era una delusione che nasceva dalla speranza di sentire qualcosa, da parte di Harry. Qualcosa che lo convincesse, qualcosa che mettesse a tacere il suo orgoglio e lo spingesse a sorridere all’altro, accarezzarlo abbraccialo baciarlo. Cavolo, quanto voleva baciarlo.

E udire la sua risata e le sue battute idiote, e sentirsi chiedere in continuazione se avesse mangiato abbastanza e parlare di libri e di tutti gli aneddoti del passato, quelli divertenti e quelli più scabrosi, e tutto il resto. Voleva tutto tutto tutto, e invece Harry se ne stava zitto.

Zayn avrebbe voluto dargli un calcio, perché se non spiccicava parola, lui come poteva dirglielo?

Perché non lottava? Solo un altro po’? Un altro po’ per loro due e per tutto quello che c’era in mezzo.

Zayn lo sapeva che tutto ciò era ridicolo, che lui poteva mandare tutti i suoi pensieri negativi a quel paese e riprendersi Harry. Ma se per l’altro, lui non era abbastanza per continuare a combattere solo per altri dieci minuti contro la sua ostinazione, allora dove sarebbero mai potuti arrivare?

Forse era meglio abbandonare tutto adesso, in tempo, prima di bruciarsi completamente, prima di ridursi in cenere, e salvare quel poco di loro stessi che era rimasto intatto.

Chiudersi quella storia alle spalle definitivamente e comprare un estintore per la prossima volta che si fossero scottati. Per un’altra storia con un’altra persona.

Forse, semplicemente, loro due non erano destino.

E, come dimostrazione definitiva, Zayn si voltò, per andare a riprendere il pallone e continuare da dove si era interrotto. Chiamami chiamami chiamami.

Ma quando si girò di nuovo, dove prima c’era Harry, era rimasto solo il nulla, concreto e pesante, della sua assenza.

 

 

 

Note:

Un capitolo ancora e poi è fatta; credo che piangerò, shhhh.

Un bacione e un grazione a tutte <3

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


Capitolo diciassette.

 

Era passata quasi un’ora e mezzo da quando aveva lasciato il campo da calcio. Ormai non sentiva più le mani e il naso era un cubetto di ghiaccio, ma questi erano gli ultimi dei suoi problemi.

Non capiva cosa gli fosse preso. Non gli era mai capitato di rimanere senza parole, con la gola così secca da convincerlo che non sarebbe mai più riuscito a emetter suono.

Si era bloccato come un idiota e Zayn l’aveva guardato come fosse un pazzo.

Che poi, lo sapeva perché era lì. O meglio, sapeva perché si fosse recato al campo ma non perché fosse restato. L’unica cosa che doveva fare era lasciargli quella busta e invece si era fermato a guardarlo, rapito da quella figura che gli mancava come l’aria dopo un secondo di troppo passato in apnea. E non era riuscito a staccare gli occhi da lui, troppo preso a piangersi addosso, consapevole di quello che aveva perso. Forse per sempre. Era ovvio, poi, che Zayn l’avesse scoperto. Anche un cieco, prima o poi, se ne sarebbe accorto, della sua presenza.

Probabilmente aveva sentito i suoi pensieri lamentosi – neanche fossero corporei, i suoi sguardi patetici e il suo respiro spezzato, perché i polmoni non volevano proprio saperne di riempirsi di ossigeno.

L’unica sua consolazione era che la lettera alla fine gliel’aveva lasciata comunque.

Non era riuscito a dargliela a mano, perché in quel momento non era proprio in grado di far nulla e poi gli pareva troppo sdolcinato. Più di quanto non lo fosse davvero.

Ci aveva pensato per tutto il giorno precedente, sin da quando aveva parlato con Liam, a come fare per farsi ascoltare da Zayn. Ascoltare veramente, però. Non in quella mediocre imitazione avvenuta in cucina, con l’altro che non era neanche disposto a prendere in considerazione l’idea che, magari, quello che Harry stava dicendo potesse essere vero, che le sue parole potessero essere sincere.

Alla fine aveva deciso che nessuna rosa avrebbe fatto cambiare idea a Zayn, ma che qualcosa di scritto avrebbe potuto attirare perlomeno la sua attenzione, la sua curiosità. Avrebbe almeno avuto una possibilità, in quel modo. Una possibilità che Harry anelava, come un uomo nel deserto anela un sorso d’acqua. Era convinto che non ci fosse mai stato qualcosa che aveva desiderato più di un’altra chance, in vita sua. Forse mai ci sarebbe stata.

E poi, scrivere era l’unica cosa che gli riuscisse bene, tanto più che aveva appena scoperto di non saper parlare. Forse l’indomani avrebbe provato a leggere il giornale e, all’improvviso, sarebbe diventato analfabeta.

Dopo un’ora e mezza, comunque, credeva che Zayn avesse ormai visto la lettera che gli aveva lasciato.

Dopo che l’altro, probabilmente spazientito dal suo mutismo, era tornato a quello stupido sport che in quel momento aveva odiato più del solito, Harry era rimasto immobile per un’altra decina di secondi e poi si era deciso ad andarsene. Solo che non poteva farlo così, senza giocarsi la sua ultima carta. La borsa che di solito Zayn portava agli allenamenti era appoggiata su una delle panchine, e quello gli era parso il posto più sicuro in cui lasciare la sua ultima speranza.

Ultima magari no, ma probabilmente la più efficace.

Era sicuro che lì l’avrebbe vista. Quello lo sconfortava ancora di più.

Certo, poteva anche darsi che fosse ancora al campo da calcio, a correr dietro a quell’inutile affare sferico, ma era molto più probabile che – a pochi minuti da mezzanotte – Zayn ormai avesse trovato la sua lettera, l’avesse letta (se era fortunato) e poi l’avesse buttata.

Sperava l’avesse gettata nel cestino giusto, almeno.

Il suo umorismo faceva più pena del solito, ma si disse che in parte era scusato. Per come si sentiva, era già tanto se in quel momento era lì ad aspettare che l’altro si facesse vivo, invece che a casa, a piangersi addosso.

Nella lettera aveva scritto che l’avrebbe aspettato, comunque, e così avrebbe fatto, fosse anche morto assiderato. Magari Zayn lo stava solo mettendo alla prova, facendolo attendere così a lungo (almeno si sarebbe spiegata la parentela con Liam) e Harry era deciso a superare qualsiasi prova Zayn gli avrebbe posto dinnanzi, per riconquistarlo.

Anche stare seduto su quella panchina gelida a non far altro che struggersi con pensieri negativi. Anche se si sentiva stanchissimo. Eppure non aveva fatto nulla tutto il giorno (e d’accordo che quelle notti non faceva che rigirarsi nel letto, rimuginando tra sé, senza riuscire a prender sonno), se non – appunto – scrivere quella pseudo confessione.

L’aveva letta così spesso da saperla ormai a memoria. 

Aveva buttato già a getto tutto quello che gli diceva di scrivere il cuore (e sì, lo sapeva anche lui che si ama e si pensa con il cervello, ma dire cuore era più poetico), cercando di non frenare l’istinto o l’ispirazione o quello che era, per essere il più spontaneo possibile. L’ultima cosa che voleva era che Zayn leggesse qualcosa di artificioso e non sentito scritto da lui. Era già successo, e i risultati erano stati disastrosi, e, anche se dubitava che la situazione potesse peggiorare, voleva evitare di correre il rischio.

Non ho mai scritto nulla di altrettanto difficile,

Iniziava così. Nessun ‘caro’ o ‘tesoro’, neanche un semplice ‘Zayn’.

perché so già che anche questa lettera potrebbe essere completamente inutile, proprio come tutto il resto. E magari neanche la leggerai. Non la aprirai e la getterai alla prima opportunità. Spero tanto di no, ma capirei se tu lo facessi. So che non me lo merito, il tuo tempo, e so che probabilmente sarai stufo di sentirmelo dire, ma mi dispiace. Mi dispiace così tanto, Zayn. Che ti ho preso in giro, e di averti usato solo per un mio egoistico scopo, senza badare ai tuoi sentimenti, di non avertelo detto prima, non badando neanche ai miei. In un certo senso, però, sono anche contento. Se non avessi scoperto nulla, a quest’ora non ci ricorderemmo neppure il nome dell’altro. Non credo nell’amore a prima vista; anzi, prima di te, l’amore era proprio fuori dalle mie corde. Non mi interessava e di certo non lo cercavo in te. So che suona brutto e brutale, ma è la verità. Ti ho mentito su quale lavoro faccio, e, anche se so che è tanto, forse troppo, ti ho mentito solo su questo. Quindi, no, non credevo nell’amore a prima vista e non ci credo tuttora. Tu eri bellissimo. Sei bellissimo, ma per quanto i tuoi occhi siano profondi e le tue labbra morbide, non è il tuo viso ad avermi fatto innamorare. Non è neanche il tuo corpo a mancarmi talmente tanto da non riuscire quasi a respirare, al solo pensiero. Sei tu, quello che dici e quello che pensi, il tuo passato che ti ha reso la persona che sei e che conosco e che amo, la tua risata che stravolge la mia giornata, la tua tenerezza e i tuoi silenzi e la tua ostinatezza, il tempo che impieghi la mattina a prepararti e l’affetto che nutri per la tua squadra e l’amore per i tuoi amici, la gentilezza che dimostri a tutti. Se non avessi aperto quella porta, adesso non saprei nulla di tutto ciò. E magari non ti ritroveresti a sentirti tradito anche da me, ma l’idea di non conoscerti, pensare a te come a un volto sfocato nel mio passato invece che come l’uomo che amo, è qualcosa di inimmaginabile. Non rimpiango di averti conosciuto e di essere entrato a forza nella tua vita, anche se i motivi erano tutti sbagliati, perché, invece, quelli per cui sono rimasto e voglio rimanere sono tutti giusti. Sono quelli di una persona che non pensava si sarebbe ritrovato in questa situazione e che era convinto l’avrebbe odiata, addirittura, e che aveva passato tutta la vita ad evitarla, ma che adesso non può farne a meno. Non posso fare a meno di te, Zayn. Anche se quello che ho fatto è stato orribile, spero lo stesso che neanche tu possa fare a meno di me. Lo so che sono egoista una volta in più. Mi dispiace anche per questo. E mi dispiace per questa lettera incoerente che forse era l’ultima cosa che tu volessi leggere. Continuo a impormi, lo so, ma non riesco a rinunciarci, a te e a noi. So anche che tu pensi che non ci sia mai stato un noi, te l’ho letto negli occhi la mattina scorsa. Ma ti sbagli, c’è e c’è sempre stato e se solo tu riuscissi a darci una possibilità, lo vedresti da solo. Mi hai distrutto. Hai distrutto la persona che ero convinto di essere e ne hai creata una nuova. O forse hai solo rotto la superficie e fatto venire a galla quello che c’era sotto. Ma senza di te, c’è solo materia informe. Senza di te, sono solo materia informe, Zayn.

Continuava, con un’altra serie di motivi, accatastati l’uno accanto all’altro in flusso di coscienza che aveva un senso, ma mancava di linearità. Quella era l’ultima cosa che gli interessava.

Il problema che lo assillava, in quel momento, non era la forma del testo, ma il fatto che ancora Zayn non lo avesse raggiunto.

In calce, al posto della firma, aveva scritto che l’avrebbe atteso tutta la notte, fosse stato necessario, alla pista di pattinaggio dove erano stati per il loro secondo appuntamento. Gli era sembrata una cosa romantica e significativa, perché Zayn l’aveva intrappolato tra le sue spire fin da subito, anche se lui se ne era accorto anni luce dopo. Aveva passato così tanto tempo a negare i suoi sentimenti, che quasi c’era cascato. Probabilmente era destinato a fallire sin dall’inizio. E lui neanche ci credeva, al destino. Glielo aveva anche scritto, insieme a tutto il resto del fiume di parole.

Non ho mai creduto al caso o alle coincidenze, ma forse dovrei rivedere le mie convinzioni; se non è stato tutto merito del destino, allora tu sei il più grande colpo di serendipità che mi sia mai capitato.

Era stato smielato come non mai; non poteva farci nulla se quello era ciò che provava. Al massimo la colpa era di Zayn, visto che era lui a mettergli in subbuglio l’anima.

Forse, però, aveva esagerato, aveva spaventato Zayn, che così non sarebbe mai venuto.

Era quasi l’una di notte e non c’era nulla che andasse bene.

*

Voleva piangere. Solo che, se lo avesse fatto, gli avrebbero dovuto fare un trapianto di dotti lacrimali o, in alternativa, una trasfusione di Sali minerali, perché neanche bevendo due litri d’acqua ne avrebbe reintegrati in numero sufficiente, visto quante volte si era trovato con le guance bagnate, nelle ultime 60 ore.

Iniziavano a fargli male gli occhi, anche per questo, e presto gli sarebbero caduti. Forse quella sarebbe stata una giusta punizione e allora Zayn l’avrebbe rivoluto. A saperlo, se li toglieva da solo.

Cominciava anche ad aver sonno e, anche se la panchina era scomoda da far paura, l’idea di addormentarsi lì sopra non sembrava così cattiva. Fosse stato sicuro di essere ancora vivo, l’indomani, se avesse dormito in pieno inverno all’addiaccio, l’avrebbe fatto. Ma no, doveva stare sveglio, perché magari Zayn sarebbe arrivato.

Doveva continuare ad aspettare Zayn.

*

Gli pizzicava la nuca. Provò a portare una mano ai capelli, ma era pesante, come fosse stata di bronzo, per cui lasciò perdere. Il fastidio però continuava e, adesso che ci faceva più attenzione, sembrava più il tocco di qualcosa. Harry spalancò gli occhi: ci mancava solo che, dopo essersi addormentato come un bambino invece di resistere nella veglia, strani insetti si fossero messi a banchettare sulla sua testa.

La sensazione scomparve.

In compenso, si fece più forte la presenza di qualcuno seduto vicino a lui. Sperava non fosse una prostituta o un barbone al quale aveva rubato il giaciglio. Lui non si poteva proprio muovere, poteva ancora arriv…

Zayn.

Strabuzzò gli occhi. L’uomo seduto accanto a lui era proprio colui che stava aspettando da… ormai aveva perso il conto delle ore.

«Zayn» gracchiò, perché era il signore dell’ovvio.

Zayn non lo stava guardando. Aveva il volto fisso davanti a sé e in mano la sua lettera stropicciata. Sembrava insicuro quasi quanto lui. Harry sperava che la sua presenza lì potesse valere come punto a suo favore, ma evitò di esultare, anche internamente, perché sapeva che dall’altro poteva aspettarsi qualsiasi cosa, anche che fosse lì per dargli un pugno. Quello sì che sarebbe stata una reazione lontana dalla persona che aveva conosciuto lui. Ma, appunto, ormai non si stupiva più di nulla.

«Zayn» ripeté, con più convinzione. Guardami-guardami-guardami. Voleva osservarlo negli occhi, vedere tutte le sue emozioni stampate sulle iridi, come fossero state un foglio bianco.

L’altro, però, ancora non dette segno di aver notato la sua presenza. Non che fosse possibile, ovviamente.

Decise di mettersi composto e aspettare i tempi dell’altro. Aveva aspettato più di quattro ore, constatò, gettando un’occhiata all’orologio, di certo poteva aspettare un altro po’.

«Anch’io» proclamò Zayn dopo qualche minuto di mortale silenzio. Harry pensò a cosa potesse significare, ma a quell’ora non capiva neanche se la gente gli parlava chiaramente, figurarsi se lo faceva per enigmi. Zayn si era trasformato nella Sfinge e non aveva avvertito nessuno, evidentemente.

«Anche tu cosa?» si informò dolcemente, perché se Zayn aveva deciso finalmente di parlare, lui di certo non era intenzionato a lasciar morire il discorso.

«Non posso fare a meno di te» sussurrò, la voce bassa, come stesse confidando un segreto.

E un segreto un po’ lo era. Un meraviglioso segreto che accese la speranza di Harry.

«Ma…»

Nonono, nessun ma, Zayn, nessun ma. Avrebbe voluto esser sordo, piuttosto che sentire Zayn dire che, anche se non poteva fare a meno di lui, anche se gli dispiaceva e lo amava e tutto il resto, quello non era abbastanza. Che lui e quello che provavano non erano una motivazione sufficiente per seppellire il vecchio e dar spazio al nuovo.

«Ma» ripeté, ogni lettera e ogni secondo in cui stava in silenzio che lo infilzavano a morte «non so se riesco a fidarmi» concluse, guardandolo per la prima volta da quando si era svegliato.

Harry pensò fosse ironico che Zayn dicesse ciò nel luogo in cui Harry gli aveva chiesto di fidarsi di lui per la prima volta, anche se per una cosa sciocca come un po’ d’equilibrio su dei pattini troppo sottili.

Era ironico, sì, ma anche conturbante e oppressivo, aveva il sapore di un cerchio che si chiude, una strada che finisce.

Harry sapeva che toccava a lui, rispondere. Che forse Zayn si aspettava un suo grande discorso, dopo quel piccolo gesto che giaceva inutile tra le sue dita, proprio dove avrebbe voluto trovarsi lui, per sempre.

«Lo so» disse solo, invece.

L’aveva deluso per l’ennesima volta. Harry osservò l’altro annuire in modo quasi solenne, ogni movimento gli strappava un po’ di aria. Zayn era quello, per lui. Un uomo può vivere senza aria?

Quanto era patetico. Non si riconosceva più. Forse non era neanche più lui, gli alieni l’avevano rapito oppure era un sogno o una realtà alternativa o aveva preso un funghetto allucinogeno o forse si trovava in un film con una pessima trama e un regista ancor più pessimo, e lui per tutto quel tempo non si era accorto di esserne lo sciocco protagonista.

L’idea del film gli piaceva. Tutto sarebbe finito e lui avrebbe ripreso la sua vera vita. E, soprattutto, Zayn non gli avrebbe detto di non valere abbastanza.

«Non so che dire» si sentì miagolare. Non si era neanche reso conto di aver aperto bocca per parlare di nuovo, anche se – visto quanto le sue parole erano state profonde – forse avrebbe fatto meglio a continuare a tacere.

«Credo che tu abbia già detto abbastanza» replicò Zayn, senza cattiveria nel tono. Era una semplice constatazione, e Harry lo guardò un po’ incerto perché, no, affatto, non era riuscito a completare una frase intelligibile, come poteva…?

Poi Zayn sollevò leggermente la mano, e Harry capì che si stava riferendo alle parole che aveva sputato su quel foglio di carta.

«Io ti amo» confessò Zayn, la voce sicura, ed era così tanto che non glielo sentiva dire che Harry aveva quasi dimenticato come suonassero quelle parole, pronunciate dalle sue labbra.

Si sentì inadeguato per quel sentimento. Lo sei, lo accusò una vocina crudele al suo orecchio, e improvvisamente il desiderio che Zayn trovasse qualcuno di migliore, di più giusto, di più buono, di più onesto – dipiùdipiùdipiù – lo travolse.

«Zayn, non c’è bisog-»

«Ti amo» lo interruppe l’altro, e la spinta che pochi attimi prima l’aveva fatto sentire altruista svanì, velocemente come era nata, per lasciare spazio solamente al suo bisogno spasmodico di stringere e respirare e vivere Zayn. «e anche se ho cercato di soffocarlo, di soffocarmi, sapevo già che era tutto inutile, ok? E non sono neanche bravo ad aprirmi e l’hai visto anche tu. Non so neanche perché tu voglia stare con me. Perché vuoi restare»

Harry l’avrebbe fermato di nuovo volentieri, perché era serio? Come poteva vedersi così poco e male, quando lui non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, da quanto era perfetto – e, di nuovo, tutto ciò aveva davvero poco a che fare con il suo viso. Anche nelle sue imperfezioni, Zayn – per Harry – era perfetto.

«Me lo sono chiesto in continuazione, per tutto il tempo. E poi ho trovato l’articolo e in fondo aveva senso, no? Almeno c’era un motivo e potevo smettermi di scervellarmi per capire quale fosse. Solo che, anche se mi dicevo che ero stato stupido e che era ovvio, anche naturale, non sono riuscito a restare indifferente. Cazzo, credo che l’indifferenza sia l’ultima cosa che abbia provato in questi giorni. Mi sono sentito tradito e usato, e ti ho disprezzato e avrei voluto non averti mai conosciuto, ma, per quanto possa sembrare assurdo, non sono riuscito a odiarti. C’ho provato, non sai quanto. Immagino che questa sia solo l’ennesima cosa di cui sono incapace»

Harry sentiva aleggiare sopra le loro teste un altro ‘ma’. Non avrebbe retto il colpo, nel caso.

«Ma»

Basta – bastabastabasta – ‘ma’. Era una congiunzione inutile, senza la quale tutti avrebbero vissuto meglio. Harry non aveva mai odiato di più qualcosa, in vita sua.

«Ma, anche se tutto mi diceva di non farlo, il mio istinto mi spingeva ogni giorno un po’ di più verso te. Ero convinto stessimo andando nella stessa direzione. Poi tutto è sfumato. È tutto finito»

Harry stava per morire.

O forse per svenire, la sensazione era la stessa, ne era certo, quindi era scusato se confondeva le due cose.

«Zayn, ti prego» c’era già tutto in quelle tre parole, che altro doveva o poteva aggiungere? Se tutto quello non era servito a nulla, allora Harry non sapeva proprio più che fare. Avrebbe tirato giù la luna, per Zayn, avesse potuto. Invece era solo un ragazzino fresco di laurea e senza un lavoro, che non era stato capace di riconoscere l’amore neanche dopo essersi scontrato con esso ogni giorno per due mesi. Forse era cieco e sordo e muto. Forse era pazzo. Cosa mai avrebbe potuto fare per riprendersi Zayn, se l’altro non lo voleva?

«Harry» lo chiamò Zayn, prendendogli una mano, il tocco insicuro di chi non sa se fare qualcosa oppure no. Gli era mancata così tanto la sua pelle, che adesso che la risentiva contro la sua gli sembrava di trovarsi di fronte al miracolo stesso della vita. Cercò di ritrarla, anche se sembrava andare contro tutte le forze della natura, perché la sua pietà era l’ultima cosa che voleva.

«Harry,» ripeté Zayn, rafforzando la presa. «è finito tutto, ma forse hai ragione tu, ok? Possiamo voltar pagina, tornare all’inizio, conoscerci di nuovo, come fosse la prima volta; innamorarci di nuovo, come fosse la prima volta. Vedere dove tutto questo ci porterà»

Harry non riusciva a credere alle sue orecchie. Forse, alla fine, era svenuto davvero e quello era frutto della sua immaginazione.

Il tocco di Zayn era reale, però, il respiro dell’altro a malapena lo sfiorava ma c’era, era lì eccome, e in nessun sogno potevano esistere occhi brillanti come quelli di Zayn.

La figura di Zayn iniziava a sfocarsi. Harry ebbe di colpo paura che sarebbe scomparso, che davvero fosse solamente una proiezione dei suoi desideri, ma poi si rese conto che le sue guance si erano fatte bagnate e che Zayn era più reale che qualsiasi altra cosa al mondo.

«Possiamo?» osò chiedere, impaurito fosse tutto uno scherzo.

«Se vuoi ancora» abbozzò Zayn, e forse era impazzito pure lui, se diceva cose del genere.

«Come non ho mai voluto nient’altro in vita mia»

Zayn sorrise, e wow, Harry l’aveva visto tante volte, ma evidentemente era passato troppo tempo anche per quello, perché non si ricordava fosse più luminoso del sole stesso.

«Posso baciarti come fosse di nuovo la prima volta?»

 

 

Note:

Sorry sorry sorrrrry! Averi cancellato tutto, ma poi non avrei riscritto nulla, per cui questo è quello che è. Odio anche solo pensarlo, perché mi dà come l’impressione di non aver fatto del mio meglio e tutto il resto è un po’ una patetica scusa, quindi… bah?

Domenica arriva l’epilogo, che è super brevissimo, e poi finalmente smetto di scassare!!!

Grazie come sempre a tutte <3

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Epilogo.

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Era settembre, finalmente.

Non erano ancora riusciti ad andarsene da quella città, da quando l’estate era cominciata, ma alla fine erano arrivati quei tre giorni di completo relax anche per loro.

Harry aveva preso le ferie secoli prima, ma essendo l’ultima ruota del carro, non aveva potuto permettersi né troppi giorni né un periodo migliore.

A Zayn non importava, comunque, e di certo non importava neppure a Harry, che aveva iniziato a vivere il suo vecchio sogno poco tempo dopo che il nuovo aveva misericordiosamente bussato alla sua porta. A Zayn era venuto un po’ da ridere, la prima volta che, parlando, era uscito il discorso e Harry l’aveva definito così: il mio nuovo sogno. Un po’ fiabesco e abbondantemente sdolcinato, tanto che anche il più piccolo era arrossito, ma questo non significava che a Zayn non avesse fatto ugualmente piacere.

La vita era strana, di questo Zayn era convinto da molto, per cui il fatto che Harry, fatta domanda, avesse ottenuto un posto da apprendista proprio al giornale che aveva ritenuto perso per sempre non l’aveva stupito. L’aveva imputato alla genialità del suo compagno e ne aveva gioito, semplicemente. Si ricordava dei primi giorni della loro relazione, quando avevano iniziato daccapo (anche se alla fine avevano solo ripreso da dove erano arrivati), e di come, saputa la notizia Harry l’avesse osservato, un po’ guardingo, un po’ incerto, con in volto una domanda muta per lui. Va bene? Che ne dici? Accetto? Se non sta bene a te, non sta bene neanche a me? Ti riporta alla mente brutti ricordi? Forse non una; forse mille, ma Zayn le aveva spazzate via tutte perché, come aveva sentito uscire più e più volte dalla bocca di Harry nel corso dei mesi, il Times!

Adesso, dunque, Harry lavorava molto più di prima e aveva molto meno tempo per stare con lui, ma Zayn lo vedeva radioso, e quello rendeva felice anche lui. L’aveva sempre ritenuto un luogo comune, ma evidentemente si sbagliava: le felicità della persona che ami sono anche le tue. Di questo si era convinto da poco.

«Hai preso tutto?» gli chiese Harry, mentre controllava con lo sguardo, per l’ennesima volta, l’interno della loro casa.

Anche quella era una novità recente.

Harry aveva abbandonato Louis al suo divano, che in quei tempi condivideva sempre più spesso con Liam, e si era traferito nell’appartamento di Zayn, facendosi largo tra le sue cose e facendo spazio per le proprie, come da tempo aveva fatto col suo cuore.

Quando a febbraio era accaduto quel mezzo disastro che gli aveva piagato le gambe e l’aveva messo in ginocchio, tornare da Harry e aprirgli ancora una volta il suo cuore era stato duro. Zayn doveva ammettere che l’altro aveva sudato e lavorato e mai perso la speranza, nell’attesa che Zayn riuscisse a fidarsi di nuovo, dimostrandogli ogni giorno che ne era degno. Nella caparbietà e nell’ostinatezza dell’altro, aveva visto quella luce e quell’amore e quella dedizione che lo avevano convinto del tutto, che l’avevano rassicurato.

Non era stato facile, ma Zayn sapeva che la strada sarebbe stata tutta in salita, all’inizio. Allo stesso tempo, era anche certo che valesse la pena lottare per quello che di buono c’era e lasciarsi alle spalle tutto il resto.

Era venuto fuori che aveva fatto la scelta giusta. Che anche se, le prime volte, si trovava a chiedersi se Harry volesse davvero lui o se invece non stesse ancora cercando altro, queste insicurezze erano cancellate giorno dopo giorno dall’uomo che aveva accanto.

In un certo senso, tutto era uguale e diverso a prima. Era reale, meno onirico, ma ridicolosamente eccitante ed emozionante, proprio come lo era stato in inverno. Dell’inverno, comunque, Zayn preservava bei ricordi. Era la stagione in cui si erano incontrati e conosciuti e poi amati, in cui tutto era bruciato ma poi rinato dalle sue stesse ceneri, e forse più di un libro nuovo, avevano semplicemente aperto un diverso capitolo.

Zayn non lo trovava strano, perché in fondo loro erano sempre gli stessi, solo più consapevoli di cosa cercassero e di chi l’altro fosse e di cosa cercasse a sua volta. Alla fine, proprio per questo, Zayn si era rifiutato di fare tabula rasa per tutto, di cominciare da zero, come se nulla ci fosse mai stato. In fondo l’altro aveva avuto ragione a dire che l’Harry che aveva conosciuto era quello reale, e aveva un numero abbondante di prove a sostenere ciò, anche se – a ben vedere – gli era stato sufficiente quel pezzo di carta che aveva rinvenuto sopra la sua borsa, carta in cui Harry si metteva a nudo per lui e si rivelava per la persona testarda e ambiziosa, ma anche infinitamente dolce e appassionata che era.

E benché Zayn adorasse la loro vita insieme, nella loro casa e con i loro rispettivi lavori (lui, da parte sua, aveva iniziato un nuovo progetto, completamente diverso dal primo. La cosa era stupefacente quasi quanto la sua storia con Harry), aveva accarezzato l’idea di passare un po’ di tempo da solo con l’altro, senza telefonate inopportune, visite più o meno gradite (anche se non sempre e non in tutti i momenti), cose da fare e persone da vedere.

Solo loro due, sdraiati a non far nulla, come la più classica e monotona delle coppie.

Sorrise all’idea. Zayn era consapevole che monotonia era la descrizione più lontana che esistesse, per le loro giornate trascorse insieme.

Si mise comodo sul sedile del passeggero, aspettando e guardando Harry chiudere a chiave il portone, girarsi e fargli una linguaccia come il bambino che era, e infine raggiungerlo.

«Pronto?» chiese Harry, retorico, avviando il motore.

Zayn sorrise alla domanda sciocca da quanto scontata.

Da tempo, ormai, anche se scottati e feriti, avevano capito, accettato e amato la consapevolezza di essere preparati a fare e provare e tentare tutto, al fianco l’uno dell’altro.

 

Fine.

 

 

 

Note:

Se non fossi tipo morta dentro, mi starei asciugando una lacrimina ç__ç

Devo ancora capacitarmi di essere riuscita a terminare una long, e niente L

Ringrazio tutte le persone che hanno letto e messo la storia tra le preferite eccetera eccetera, ma soprattutto un grazie enorme va a Sweetlove250513, Milu91 e Gre che mi hanno accompagnato con le loro parole dal primissimo capitolo fino a qui <3

Non so cos’altro dire… ehm, vado a rivedermi il video di Story of my life, perché sono masochista…

Notte a tutte, un bacione!

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