Con gli occhi chiusi di Alphesiboei (/viewuser.php?uid=400446)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Titolo: Con
gli occhi chiusi.
Pairing: Harry/Zayn
Rating: R/NC17
Trama: Harry
ha alcune certezze nella vita; la più salda è che
diventerà un giornalista di
successo. Zayn, d’altro canto, è tutto
un’insicurezza.
Note: Allora,
innanzitutto questa è una Zarry; questo implica che la
storia è slash, se non
vi piace, non leggete! La storia è tutta scritta, quindi la
possibilità che
rimanga incompiuta è quasi pari a zero! Sono diciassette
capitoli più un breve
epilogo, e dovrei tranquillamente riuscire a garantire un aggiornamento
settimanale!
Disclaimer: gli
One Direction non mi appartengono bla bla bla.
Grazie
mille a Gre per il banner!!! Si vede che, tra le due, l'artista
è lei, eh?
Bisogna trovare il
proprio sogno perché la strada diventi facile.
Ma non esiste un
sogno perpetuo.
Ogni sogno cede il
posto a un sogno nuovo,
e non bisogna volerne
trattenere alcuno.
Demian –
Hermann Hesse
Capitolo uno.
Harry fremeva
dall’eccitazione. Non stava più nella pelle.
Era la sua grande occasione, lo sapeva, lo sentiva nelle ossa.
Oltrepassò il grande
portone della redazione del Times e si
diresse dalla segretaria che stava all’ingresso.
«Sono Harry Styles, ho un
appuntamento con il direttore»
comunicò brevemente.
La giovane segretaria
afferrò il citofono che stava sulla
scrivania e controllò che quanto le era stato detto fosse
vero.
«Può
accomodarsi, la sta aspettando» lo informò,
dandogli le
indicazioni senza degnarlo di un ulteriore sguardo.
Quando si ritrovò di
fronte alla porta giusta, prese un
profondo respiro per darsi forza. Tutto cominciava da lì, e
se quell’incontro
fosse andato bene, la sua vita avrebbe preso una svolta decisiva.
*
Una
settimana prima.
Stranamente, quella festa di ex
alunni lo stava divertendo.
Un po’ perché rendersi conto di quanto fossero
cambiati in peggio la maggior
parte di quegli idioti, in cinque anni, non poteva che rallegrarlo, un
po’
perché, d’altra parte, trovava sempre qualcuno con
cui tornare a casa, dopo una
festa, e quella delle superiori non avrebbe fatto eccezione.
Stava parlando amabilmente con un bel
ragazzo castano,
capelli corti e occhi verdi, ma quello che gli stava dicendo era tutto
meno che
interessante. Il che non era davvero importante, visto che al massimo
se lo
sarebbe portato a letto, ma la sua cadenza noiosa stava comunque
rendendo
pesante il compito di rimorchiarlo.
Proprio mentre gli stava raccontando
di quanto fosse
pazzesco il suo lavoro allo studio legale Reichs e French, una bionda
sbucò
fuori dal nulla, si aggrappò al suo braccio e lo
salutò con bacio sulla bocca.
Harry, odorata la via di fuga, si scusò e si
allontanò in direzione del bar. Poco
male, pensò.
Tanto più che, mentre
aspettava il Gin Lemon che aveva
appena chiesto al barista, notò poco distante uno dei
più bei ragazzi che
avesse mai visto. Sorrideva tranquillamente a un altro ragazzo, biondo
e dalla
risata più rumorosa che avesse mai sentito. I capelli erano
neri e corti,
agghindati leggermente all’insù, e gli occhi erano
marroni, forse marrone
chiaro, e grandi e le ciglia erano lunghissime e wow.
E si era accorto che Harry lo stava fissando, perché, quando
si era voltato brevemente verso la sua parte e aveva per caso
incontrato il suo
sguardo, era arrossito adorabilmente e in fretta era tornato a guardare
l’amico. Se erano indicative, poi, le occhiate che
l’altro, forse involontariamente,
forse no, ogni tanto gli lanciava, Harry poteva dirsi sicuro che
nessuna
ragazza sarebbe arrivata a rompergli le uova nel paniere, quella volta.
Non voleva avvicinarsi quando era
accerchiato da gente,
quindi per un po’ si era limitato a tenerlo
d’occhio da lontano. Se lo
ricordava. Era più grande di un anno, dunque non avevano mai
seguito nessun
corso insieme, e non si erano mai parlati. Non era neanche sicuro di
ricordarsi
il nome. Zain. Zaine. Qualcosa del genere, insomma. Guardando indietro
con gli
occhi della memoria, Harry si disse che poteva immaginare che sarebbe
cresciuto
bene. Solo, non così bene.
Doveva per
forza provarci, o si sarebbe mangiato le mani per sempre.
A un certo punto, dopo qualcosa come
il quarto, quinto
drink, vide l’oggetto delle sue brame appoggiato al muro,
quasi di fronte a
lui. Da solo. Era il momento che stava aspettando. Cercando di assumere
la sua
camminata più seducente, si diresse verso la sua preda, che
nel frattempo aveva
intrecciato gli occhi ai suoi e lo stava guardando con
un’espressione a metà
tra l’incerto e l’interessato. Bene,
si disse Harry, sarà divertente.
*
E divertente lo era stato.
Zayn – c’era
andato vicino – era silenzioso e rispondeva a
monosillabi, ma, Harry ne era certo, non gli avrebbe opposto troppa
resistenza.
«Che ne dici se ce ne
andiamo da qui?» gli chiese, infatti,
dopo neanche quaranta minuti. Di solito avrebbe aspettato almeno lo
scoccare
dell’ora. Ma l’alcol iniziava a farsi sentire e le
sue (poche) barriere
inibitrici erano cadute tutte, una dopo l’altra.
«D’accordo»
rispose Zayn, anche lui annebbiato dai bicchieri
di troppo. «Vediamoci all’entrata, fuori. Devo
salutare delle persone»
Harry fece cenno di sì con
la testa. Probabilmente doveva
dire a Niall, l’amico biondo, che se ne andava.
Fuori faceva abbastanza freddo, erano
gli ultimi giorni di
novembre, ed era vestito abbastanza pesantemente, pur non essendo un
tipo freddoloso.
Aspettò qualche minuto e proprio mentre iniziava a stufarsi,
Zayn uscì
dall’edificio, una mano nella tasca del giacchetto di pelle e
l’altra a
sistemarsi il ciuffo.
Harry gli sorrise maliziosamente,
perché sapeva che
funzionava sempre, anche se ormai il suo obiettivo l’aveva
raggiunto.
«Io vivo con
un’altra persona, che è tutto meno che
rispettosa e silenziosa…» fece, quasi lasciando in
sospeso la frase. Non che ci
sarebbero stati davvero grossi problemi ad andare nel suo appartamento,
se
proprio non potevano farne a meno, però Louis era una piaga,
quando voleva
dargli noia, e, sicuro come il fatto che il sole l’indomani
sarebbe sorto, se
lo avessero trovato sveglio non li avrebbe lasciati in pace per un bel
po’.
Zayn sembrò pensarci, poi
scrollò le spalle e buttò fuori un
laconico andiamo da me.
«Se sei in macchina, ti
seguo» disse Harry, iniziando a
tirar fuori le chiavi.
«No, ero con
Niall»
Lo guidò fino alla sua
scassata automobile di seconda mano,
comprata poco dopo la fine dell’università con
gran parte dei suoi risparmi e
un piccolo aiuto di sua madre.
«Da che parte
vado?»
*
Casa di Zayn era un super attico
nella zona più costosa di
Londra. Il ragazzo non gli aveva detto di essere così ben
quotato. Non che gli
importasse, comunque. Probabilmente, se fosse stato in condizione, se
la
sarebbe filata a metà notte.
Non fece troppo caso
all’arredamento, anche perché l’unica
cosa che gli interessava era dove fosse la camera da letto. Era
eccitato e non
vedeva l’ora di togliersi i vestiti di dosso. Per lo stesso
motivo, rifiutò con
grazia quando il padrone di casa gli chiese se volesse qualcosa da bere.
Zayn sembrava impacciato, quasi fosse
la sua prima volta con
un altro uomo. Gli venne il dubbio e glielo chiese. Non voleva
ritrovarsi ad
andare a letto con un novellino che magari poteva costruire
chissà che castelli
su quella che invece non sarebbe stato altro che una sana scopata. E la
sola
vista di Zayn gli faceva venire in mente tutto meno che tocchi lievi e
parole
dolci.
Per fortuna l’altro
negò con un cenno del capo e lentamente
si avvicinò.
Harry lasciò cadere a
terra il suo giacchetto e con un solo
passo gli fu di fronte. «Andiamo in camera tua» gli
sussurrò a un palmo dalle
labbra.
Zayn non se lo fece ripetere due
volte e, senza neanche
assicurarsi che l’altro lo stesse seguendo, si
voltò e si diresse a passo
veloce verso quella che doveva essere la sua stanza.
Un letto enorme era in bella vista,
ma anche questo
interessava poco, a Harry. L’importate era che fosse un letto
e soprattutto che
ci si ritrovassero stesi sopra in fretta.
Zayn si stava togliendo le scarpe e
Harry velocemente seguì
il suo esempio, poi non resistette più.
Lo afferrò per le spalle,
facendo scivolare le mani tra i suoi
capelli. L’altro, per la sorpresa, aprì
leggermente la bocca e Harry non perse
tempo a coprirgliela con la sua, mordendogli il labbro e infilandoci la
lingua.
Fece fuori un vestito dopo l’altro e lo spinse sul letto.
Lì, completamente
nudo e disteso fra le coperte rosse, Zayn era la persona più
sexy che Harry
avesse mai visto in tutta la sua vita.
Si posizionò fra le sue
gambe, le mani che toccavano ovunque
meno dove Zayn avrebbe davvero voluto, la tensione che saliva a ogni
respiro;
Harry lo coinvolse di nuovo in un bacio umido, per poi staccarsi
mordendogli il
labbro inferiore e passare a leccare e succhiare la pelle del collo, un
capezzolo e poi l’altro, lasciando dovunque scie di fuoco.
Più il respiro di Zayn si
faceva veloce, più Harry diventava
audace. Quando Zayn si lasciò fuggire un gemito, Harry lo
prese in bocca,
aiutandosi con la mano per dove non riusciva ad arrivare. Sentire
l’altro contorcersi
dal piacere sotto di lui stava eccitando Harry ancor più di
quanto non lo fosse
già. Accarezzandogli la coscia, si lasciò uscire
l’uccello di Zayn dalla bocca
e si riportò verso il volto dell’altro, per
guardarlo negli occhi.
«Dove tieni-»
Non riuscì neanche a
finire la frase che Zayn si sporse ad
aprire un cassetto del comodino accanto al letto, tirando fuori
lubrificante e
preservativo. Zayn gli lanciò uno sguardo che parlava di
passione e bisogno, e
si riabbassò sul letto, le gambe piegate e spalancate per
Harry.
Il più piccolo lo
preparò e fece lo stesso con sé, poi, con
un sospiro di sollievo, portò alle spalle le gambe di Zayn
e, quanto più
delicatamente gli fosse possibile, entrò in lui.
Zayn era stretto e caldo e
meraviglioso, e le sue unghie
erano conficcate sulla sua schiena e probabilmente i graffi sarebbero
rimasti
per giorni. Aspettò che l’altro gli facesse cenno
di muoversi e, quando Zayn
fece leggermente oscillare i fianchi, iniziò a spingere e a
spingere e a
spingere, i suoi gemiti che si univano a quelli di Zayn nella
più piacevole
delle colonne sonore.
Troppo presto perché
quelle sensazioni finissero, Harry sentì
che stava per venire, le spinte si facevano più irregolari e
faticava anche
solo a pensare; afferrò l’erezione di Zayn e
iniziò a pomparla, finché non
venne con un suono strozzato, tutto nella sua mano e sul proprio
ventre, il
sedere che si contraeva intorno a Harry, portando all’orgasmo
anche lui.
Il volto nascosto
nell’incavo del collo di Zayn, Harry
riprese fiato e regolarizzò il respiro, uscì da
lui e afferrò la maglietta
abbandonata a terra più vicino al letto, e, fregandosene
altamente che fosse la
sua, la utilizzò per pulire l’altro e se stesso.
«Ti dispiace se riposo un
po’ qui?» chiese, dopo aver
gettato di nuovo la maglietta per terra.
«Fai pure, ma non
aspettarti che io ti prepari la colazione,
domani» rispose l’altro, la voce stanca e gli occhi
che si chiudevano, mentre
si posizionava sotto le coperte. «Spengi la luce, tanto che
ci sei» aggiunse,
la testa appoggiata al cuscino e l’espressione beata. Da
pazzescamente fico a
incredibilmente adorabile in dieci secondi, doveva essere una specie di
record.
Spenta la luce, si stese anche lui
sotto le coperte e,
girato con la schiena verso Zayn, si addormentò.
*
Quando si svegliò,
dovevano essere passate poche ore. Fuori
era ancora buio e lui era stanco morto, ma aveva davvero bisogno del
bagno.
Cercando di far più
silenzio possibile e senza svegliare
l’altro, raccattò i propri vestiti e
uscì dalla stanza, chiudendo dietro di sé
la porta.
Si avvicinò a quello che
doveva essere il bagno e poggiò una
mano sulla maniglia, abbassandola. La porta rimase immobile, chiusa a
chiave.
Il suo cervello urlava mistero!mistero!mistero!
ma la sua vescica la pensava diversamente, quindi
lasciò vagare lo sguardo
lungo tutto il corridoio fino a che non trovò
un’altra stanza. E questa sì, si
aprì e, grazie a Dio,
era il bagno.
Lavandosi le mani, lanciò
uno sguardo verso lo specchio che
era di fronte a sé. Aveva dei capelli orribili; ci
passò le mani, ma niente.
Più per curiosità che nella speranza di trovare
qualcosa che potesse sistemare
quel disastro, iniziò ad aprire i numerosi sportelli
dell’armadietto che stava
tutto intorno allo specchio.
Proprio mentre stava per richiudere
l’ultimo, con i suoi
occhi mezzi addormentati vide un piccolo oggetto dorato che stonava,
fra tutto
quel gel. Una piccola chiave. Il suo pensiero andò
automaticamente alla porta
chiusa. Quel mistero, che al 90% non era affatto un mistero,
l’aveva
risvegliato del tutto. Afferrò la chiave e uscì
dal bagno. Senza neanche
controllare che Zayn dormisse ancora, provò a infilarla
nella serratura e a
girarla. E, neanche fosse stato il suo giorno fortunato, la porta si
aprì.
La stanza era quanto di meno
interessante ci fosse. Ma,
Harry si disse, se era chiusa, magari valeva comunque la pena darle
un’occhiata.
C’era soltanto
un’enorme libreria, addossata a una parete, e
una scrivania, di quelle vecchio stile, che mai si sarebbe immaginato
per Zayn,
al centro.
Da buon giornalista, era amante della
letteratura – quella
vera; tendeva anche a giudicare le persone in base alle letture: se
queste non
erano interessanti, allora, molto probabilmente, neanche la persona lo
era.
Sugli scaffali erano disposte con
ordine quelle che
sembravano edizioni preziose, e non poté far a meno di
provare un po’ d’invidia
a quella vista. L’opera completa di Shakespeare e quella di
Oscar Wilde erano
in bella mostra accanto a Omero, senza un criterio preciso.
Per questo, quando si
trovò di fronte a volumi fantasy, si
ritrovò ad alzare un sopracciglio. Quei testi stonavano un
po’ rispetto
all’insieme, e per questo ne prese in mano uno.
Conosceva l’autore, era
venuto fuori da un paio di anni e
già aveva pubblicato quattro, cinque volumi. In
realtà, di lui non aveva letto
nulla, perché il fantasy non era il suo genere, ma era
impossibile non sapere
almeno i titoli della saga o conoscerne a grandi linee la trama. Aveva
fatto
scalpore, un successo mondiale, soldi a palate.
E, se non ricordava male, il nome
– Mick Stone – era uno
pseudonimo. Nessuno sapeva chi fosse veramente, si diceva.
Rimettendo il volume a posto,
notò che quello accanto era
identico a quello appena posato. Prese anche quello, magari
è tipo il sequel. E invece no, il titolo era lo
stesso, così
come l’incipit. E quelle due non erano le uniche copie
identiche.
Questo sì, che gli parve
strano. Da fissato, più che da
appassionato. O, forse da…
Corse alla scrivania,
perché in fondo era proprio come un
gatto: indipendente, ruffiano e curioso.
Vi era appoggiato solo un PC spento,
ma che provò comunque
ad accendere. La fortuna evidentemente si era presa una pausa,
perché chiedeva
la password. Senza darsi per vinto, iniziò a frugare tra i
vari cassetti.
Aprì l’ultimo.
Emise un urlo di gioia silenzioso.
Non era la password. Era qualcosa di
meglio.
Era una copia del testo originale di
un volume, ancora
inedito, della suddetta saga.
Note:
Non so, potrebbe esserci qualcosa di
poco chiaro, ma, in
teoria, nei prossimi capitoli alcune domande troveranno la loro
risposta! Ovviamente,
mi farebbe molto piacere ricevere qualche opinione, graditissime le
critiche, e
se doveste trovare qualche errore, vi prego vi prego vi prego di
segnalarmelo!
(Giuro che scrivere le note è
stato più difficile che scrivere
la storia)
Alla prossima settimana!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Capitolo due.
Zayn si svegliò con
l’odore di bacon nelle narici. Guardò
l’orologio. Aveva poco meno di due ore, prima di doversi
vedere con Niall. E doveva
solo farsi una doccia,
perché puzzava
da far schifo, vestirsi e fare colazione. Tutto quello che avrebbe
voluto,
invece, era tornarsene a dormire.
Ma sentiva odore di bacon, il che
– qualcosa gli disse – era
strano. A meno che i suoi fornelli e i suoi utensili non avessero
deciso di
protestare per la mancanza d’uso e di darsi da fare da soli,
qualcun altro era
di là ad armeggiarci indisturbato.
Si alzò e
s’infilò i boxer, l’aria fresca che lo
colpiva e
gli faceva venire la pelle d’oca.
Stropicciandosi gli occhi, nella
speranza di eliminare gli
ultimi residui di sonno, camminò fino in cucina, dove Harry
stava
apparecchiando la tavola.
Si prese del tempo per guardarlo
indisturbato. Era piuttosto
stupito, di trovarlo lì: non credeva sarebbe rimasto a
dormire, figurarsi a
fargli la colazione. La cosa, comunque, gli fece piuttosto piacere.
L’altro alzò lo
sguardo e lo vide. Gli sorrise, e Zayn giurò
che quello era completamente diverso dalla vasta gamma di sorrisi che
gli aveva
riservato la sera prima. L’avrebbe definito quasi dolce.
«Ho fatto la
colazione» annunciò, come se non fosse ovvio.
«Visto che ieri hai detto che non me l’avresti
fatta tu, mi sono preso il
permesso»
«Sono musulmano, niente
maiale» disse indicando i fornelli.
Harry fece una faccia vagamente
delusa.
«Oh. Posso cucinarti una
frittata, vuoi?»
Zayn annuì, mettendosi a
sedere. Pochi minuti dopo, Harry
gli posò davanti il piatto e si mise seduto pure lui.
Mangiarono in silenzio, e
sinceramente Zayn non sapeva
proprio cosa dirgli e le occhiate che ogni tanto l’altro gli
lanciava non lo
aiutavano a mettersi a proprio agio.
«Tra poco devo
uscire» proferì, perché davvero non gli
veniva in mente altro, anche se sembrava volesse cacciarlo e liberarsi
di lui il
più in fretta possibile, detta così.
«Oh, certo»
commentò Harry, prendendo tre bocconi in fila,
neanche gli avesse detto che entro due secondi doveva essere fuori da
casa sua.
«Non
c’è bisogno che ti strozzi,
però» aggiunse, abbozzando
un sorriso, non volendo che la conversazione languisse subito.
L’aveva
piacevolmente stupito, facendosi trovare lì, a cucinare e
tutto, magari parlandoci
veramente, senza la testa annebbiata dall’alcol e
dall’eccitazione, si sarebbe
stupito ancora di più.
«Magari, la prossima volta,
ti faccio un croissant o una
pizzetta salata» disse l’altro, indicando il piatto
vuoto.
Zayn arrossì. Il
più piccolo aveva appena accennato alla
possibilità di una prossima volta
e magari
non lo aveva neanche fatto apposta, ma la cosa quasi non gli era
dispiaciuta.
Piuttosto, gli sembrava strano. Ieri sera avrebbe messo la mano sul
fuoco sul
fatto che Harry non cercasse null’altro che una botta e via.
Ma probabilmente
era solo lui che leggeva nelle sue parole più di quello che
ci fosse scritto.
«Sei capace?»
domandò, gli occhi spalancati, perché in fondo
lui sapeva farsi giusto il tè.
«Ah-ah»
deglutì «lavoro in un panificio da un
po’ di tempo»
«Da dopo la
scuola?»
«Sì. Non avevo
voglia di frequentare l’università. Poi, due
anni fa ho capito che avevo fatto una cazzata e mi sono iscritto.
Studio
inglese, ma lavoro ancora lì part-time»
raccontò.
Inglese? Interessante.
Probabilmente aveva la faccia illuminata come un pazzo e la sua
espressione era
emozionata e sicuramente gli avrebbe fatto paura, ma non
c’era nulla che gli
piacesse più della letteratura e della sintassi e delle
virgole.
A proposito
di
virgole, pensò, devo
muovermi
davvero, se no Niall chi lo sente.
«Senti, non so tu, ma io
avrei proprio bisogno di una
doccia» disse, alzandosi e lanciando all’altro uno
sguardo che sperava parlasse
più di mille parole.
Evidentemente, Harry aveva recepito
il messaggio, perché gli
sorrise maliziosamente e, dopo essersi alzato a sua volta, lo
seguì lungo il
corridoio e fino al bagno.
*
Gli mancava quel tipo di doccia,
fatta di carezze e occhiate
infuocate, pensò mentre si stava vestendo. Era un secolo che
non ne condivideva
una. L’ultima era stata con una sua ex fiamma che non sentiva
da una vita e
mezzo.
Harry stava di fronte a lui, ancora
senza maglietta, con i
tatuaggi in bella mostra. Avrebbe voluto quasi sapere i loro
significati, ma
non gli sarebbe sembrato giusto chiederglieli, intromettendosi negli
affari di
un’altra persona, quando lui per primo condivideva i suoi a
stento anche con i
suoi più cari amici.
Zayn si era sempre considerato
abbastanza bravo, a capire la
gente, pur essendo fondamentalmente asociale e misantropo. Con Harry,
invece,
gli restava difficile, a meno che la situazione non fosse di natura
sessuale;
allora, l’altro diventava un libro aperto.
Quindi, il problema era comprendere
se quella notte sarebbe
morta lì, ancor prima di nascere o se poteva sperare di
ripetere l’esperienza.
O magari era un problema solo per lui. Che poi, problema. Non esageriamo, si disse Zayn. Certo,
Harry gli piaceva fisicamente
e, per quel poco tempo che avevano passato insieme, poteva quasi
esporsi a dire
che lo stimolasse anche intellettualmente. Ma non è che se
lo fosse portato a
letto con la speranza di mettere su casa con lui, comprare un cane o
adottare
marmocchi.
Ma adesso più che mai, con
l’uscita attesissima dell’ultimo
capitolo della sua saga, aveva proprio bisogno di uno sfogo. E se
questo sfogo
era fisso, sicuro e sexy da morire, tanto meglio.
Guardò Harry finire di
vestirsi, infilandosi i calzoni, a
contatto con la pelle perché aveva rifiutato i boxer che
Zayn gli aveva
offerto, e la camicia della sera prima. Tutto completamente sgualcito
per
essere stato strappato senza troppa attenzione da dosso ed essere stato
gettato
a terra; e forse, anche per questo, lo facevano sembrare ancora
più eccitante.
Ecco,
pensò, e adesso che gli dico?
Non gli venne in
mente nulla d’intelligente, per cui se ne restò in
silenzio. Harry, al
contrario, si voltò verso di lui –
l’espressione un po’ incerta.
«Ti dispiace, non so, se
qualche volta ci rivediamo?»
chiese, le mani che non riuscivano a star ferme, e che un attimo erano
tra i
capelli, quello dopo a lisciare qualche piega inesistente dei pantaloni.
«Sì,
perché no» rispose Zayn, cercando di non sembrare
troppo galvanizzato dall’idea e sperando di apparire
tranquillo e rilassato.
«Sai già dove abito, ma magari ti do anche il mio
numero, così non rischi di
venire qui e non trovarmi a casa» aggiunse, credendo fosse un
discorso sensato
e non da stalker innamorato, cosa che – ovviamente
– non era.
«Certo» fece
allegro, iniziando a tirar fuori il cellulare.
Segnatolo, gli fece uno squillo. Così puoi chiamarmi quando vuoi, anche tu,
spiegò, sempre più
sorridente, le fossette che si facevano via via più
accentuate.
E forse non sarebbe successo nulla
con Harry, si disse Zayn,
ma da tempo aveva imparato a non disperare nel futuro e a non prendere
sotto
gamba il destino.
*
«Sei in ritardo di cinque
minuti» scherzò Niall, quando se
lo ritrovò alla porta.
Zayn entrò e si tolse il
giacchetto, senza sprecarsi a
rispondere.
«Vuoi qualcosa da
mangiare?» gli chiese il padrone di casa.
Zayn scosse la testa e guardò l’altro sparire in
cucina e tornarsene con un
enorme pacchetto di patatine in mano. Ormai, non si stupiva neanche
più che
riuscisse a mangiare cose del genere alle undici della mattina.
Niall si posizionò sul
divano, le gambe incrociate sotto di
lui e una mano già infilata nel pacchetto. Un sopracciglio
era alzato e i suoi
occhi azzurri erano fissi nei suoi.
«Allora?»
iniziò quando Zayn non diede segno di voler
iniziare a parlare. «Col super modello? Harry, giusto?
Com’era?»
Zayn sbuffò. Era
lì per parlare di lavoro e Niall gli
chiedeva com’era andata col tizio che l’aveva
rimorchiato la sera prima?
Tipico. Non c’era troppo da stupirsi. Praticamente erano
amici dalla culla,
erano cresciuti insieme e sapevano tutto l’uno
dell’altro. E poi Niall era
incapace di farsi gli affari propri.
Dunque glielo raccontò,
senza troppi particolari. Anche
perché era un po’ confuso e magari gli sarebbe
servito Liam, in quel momento,
Liam che l’avrebbe ascoltato con attenzione e avrebbe saputo
consigliarlo, ma
visto che non c’era si sarebbe dovuto accontentare di Niall.
Se lo doveva aspettare che Niall
avrebbe solo riso per i
momenti di silenzio imbarazzante o che l’avrebbe preso in
giro per come si era
concluso tutto.
«Ahh, non servi a
nulla!»
«Ehi, se
volevi avere un consiglio serio, potevi andare da tuo fratello! Che ti
aspetti
da me?!» commentò, mettendo in bocca una enorme
manciata di patatine.
«Liam è in
palestra, te l’ho detto. Mi sa che non ce la fa
neanche per pranzo» disse Zayn, mentre l’altro
tornava in cucina a prendersi
altro cibo.
Liam, in realtà, era suo
fratellastro, perché avevano madri
diverse, ma – anche se all’inizio l’altro
aveva faticato un sacco per
conquistare la fiducia di Zayn – si erano sempre considerati
e voluti bene come
veri fratelli.
«Senti, non te la prendere
troppo, ok, e non perderci il
sonno. Anche se sembrava che volesse solo scoparti, magari sei
così figo che ha
cambiato idea. O magari, anche se ha chiesto di rivederti e ha il tuo
numero,
non lo risentirai comunque» disse Niall, cercando di fare il
serio.
Sì, di sicuro aveva
ragione Niall. Solo che quel
cambiamento, nel comportamento dell’altro, da seducente a
premuroso nel giro di
due ore, lo aveva disorientato. E comunque non valeva la pena pensarci
troppo,
in quel momento, tanto più che come diceva Niall forse non
lo avrebbe neanche
più rivisto.
«Già»
fece Zayn. Come a voler concludere il discorso, tirò
fuori il manoscritto dell’ultimo libro, che avrebbe dovuto
consegnare una
settimana prima. Ma Zayn era talmente maniacale, che se non era
convinto che
ogni cosa fosse perfetta non avrebbe mai messo nulla nelle mani di
Niall, il
suo editore.
Tutto gli sembrava ancora assurdo,
quando ci pensava.
Due anni prima non era altro che un
ragazzino troppo ricco e
con la fantasia troppo fervida, che scribacchiava dovunque gli
capitasse,
perché era l’unico modo che conosceva per
liberarsi di ogni problema. Poi Niall
era entrato a lavorare nella casa editrice del padre e aveva voluto
assolutamente che Zayn provasse a far leggere a qualche loro editore
quello che
aveva scritto. E così gli aveva dato retta,
perché nessuno sano di mente si
sarebbe messo a discutere qualcosa con Niall (che non gli avrebbe dato
tregua e
avrebbe messo su facce da cucciolo per convincerlo e lo avrebbe
importunato di
mattina, svegliandolo a orari indicibili, e di notte, tenendolo in
piedi), ma
l’aveva avvertito di volerli
spedire
anonimi, e Niall aveva detto che poteva inventarsi un nome e che lui
stesso
avrebbe garantito per l’amico. E per qualche Santo in
paradiso (o per la ruota
della Fortuna o qualche congiunzione astrale) si era ritrovato con un
contratto
e una serie famosa in tutto il mondo su una ragazzina con
un’infanzia
difficile, che scopre di essere una strega, una specie di caso
editoriale senza
precedenti e milioni di persone che non volevano altro che conoscere il
suo
vero nome e vederlo in faccia.
Ma no, grazie. A Zayn piaceva la sua
vita, non voleva
vedersela distrutta da paparazzi invadenti e cose del genere.
Per questo solo Niall e Liam sapevano
che Mick Stone era
lui, e così sarebbe rimasto più a lungo possibile.
Note:
Alloooora! Lo scrivo in fondo, anche
se magari sarebbe stato
meglio metterlo all’inizio, ma va be’: la serie di
cui Zayn è l’autore esiste,
perché io ero troppo pigra per inventarmene una di sana
piana, che in più avesse
un senso e una trama. E così al massimo ci saranno
lievissimi riferimenti, che
comunque non sono per nulla importanti ai fini della storia. Ho fatto
giusto un
cambiamento di sesso al protagonista J
Ah, mi ero dimenticata di dire che il
titolo ‘Con gli occhi
chiusi’ è un riferimento a un romanzo di Federigo
Tozzi. Solo il titolo, il
resto non ci azzecca nulla xD
Grazie mille a tutti quelli che
perdono due minuti del loro
tempo a leggere questa cosa e uno ancora più grande a chi
lascia anche un
pensiero!
Alla prossima J
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Capitolo tre.
Una
settimana dalla
festa
Il Times, il Times!
Non poteva crederci. Era come il sogno proibito di qualsiasi
giornalista, e lo
stava vivendo lui! Lui! Che era ancora fresco di laurea! Non era
possibile
essere così fortunati nella vita: aveva trovato per pura
serendipità lo scoop
dell’anno, del decennio!, e tutto quello che avrebbe dovuto
fare era passare
tempo con Zayn.
Harry sapeva di essere un novellino,
ma non era idiota.
Ovviamente si era tenuto il nome per sé e al direttore non
aveva fatto altro
che dire di poter scrivere un articolo sul vero volto dietro la
maschera di
Stone. E ovviamente l’uomo si era messo subito
sull’attenti. Harry gli avrebbe
quasi riso in faccia. Quando era entrato, l’aveva squadrato,
probabilmente
l’aveva reputato troppo giovane, per essere in gamba, e nella
sua testa stava
già pensando a un modo per sbarazzarsi di lui. Ma Harry era
davvero, davvero
tenace, non si sarebbe fatto abbattere da nessuno sguardo
disinteressato. E poi
sapeva di avere tra le mani un articolo potenzialmente dorato. E se era
andato
dal giornale più prestigioso d’Inghilterra invece
che da una qualsiasi rivista
scandalistica era perché non voleva semplicemente vendere
un’informazione
preziosa e far sapere al mondo di Zayn, ma perché voleva
scrivere un articolo che
fosse degno di essere chiamato tale e che avrebbe dato il via alla sua
carriera,
se possibile.
Rientrò in casa che
probabilmente i suoi piedi si trovavano
a trenta centimetri dal pavimento, per la gioia.
Trovò Louis sul divano e
lo salutò, la voce che non poteva
non far trapelare tutta la sua contentezza.
Il suo coinquilino si
voltò e lo guardò un po’ stranito,
perché evidentemente si era svegliato male e non riusciva a
credere che qualcun
altro non fosse abbattuto quanto lui.
«Che cos’hai da
essere così felice?» gli chiese, infatti,
con tono acido, ritornando subito dopo a guardare la televisione.
«Guardi
Dragonball?» disse Harry, senza rispondere alla
domanda. Non perché non volesse raccontarglielo (anzi, non
vedeva l’ora di
vantarsi con lui), ma perché voleva la sua completa
attenzione.
«Già. Zitto,
Goku sta per sconfiggere Majin Bu. È un momento
pieno di pathos» esclamò, con gli occhi ancora
incollati allo schermo.
«Ma se l’avrai
visto mille volte!» lo prese in giro Harry,
perché era vero. Lo conosceva a memoria ed era assurdo che
invece di lavorare
perdesse tempo così. «Non hai un articolo da
scrivere?»
Louis lo guardò male. Era
il tipo di persona che arrivava
sempre all’ultimo, a fare le cose, che si malediceva quando
si trovava con
pochissimo tempo e che si riprometteva di non ritrovarsi mai
più in quella
situazione. Solo per venir meno al suo impegno già il giorno
dopo.
Anche se l’altro era
più grande, Harry gli faceva da
fratello maggiore, nonché da agenda e da cuoco. Senza di
lui, Louis si sarebbe
dimenticato di qualsiasi impegno e avrebbe mangiato solo cereali.
«Indovina chi ho incontrato
oggi» ovviamente non glielo
aveva detto che si sarebbe visto col direttore del Times,
perché anche se era
quasi impossibile, non era detto che gli avrebbe davvero pubblicato un
articolo
del genere, e a Harry non piaceva parlare delle sue sconfitte, grandi o
piccole
che fossero.
«La fata Turchina che ti ha
detto che se non starai zitto ti
trasformerà in un ciocco di legno»
proferì Louis.
«Tu guardi troppi cartoni
animati, Louis, e ti fai troppe
poche docce» aggiunse, dopo essersi seduto vicino
all’altro.
Per quanto potesse non sembrare,
Harry adorava l’amico, e
l’altro adorava lui anche di più; per questo il
loro rapporto era così perfetto.
Louis per lui avrebbe fatto di tutto e Harry, d’altro canto,
non si faceva
sfuggire nessuna occasione per chiedere favori all’altro.
Si erano conosciuti
all’università, perché Louis era
rimasto
indietro in un paio di corsi. Non aveva voglia di studiare, diceva.
C’era
sempre una festa a cui partecipare o una ragazza o un ragazzo da
viziare e il
tempo da dedicare ai libri diventava sempre di meno. Poi, aveva
conosciuto
Harry, appunto. Aveva cercato di tirarselo dietro a ogni party o in
qualsiasi
mattata il suo cervello pazzo congegnasse, ma l’ambizione del
più piccolo era
tale che nulla, neanche Louis Tomlinson, sarebbe riuscito a farlo
distrarre. E,
infatti, era successo il contrario: per quanto potesse sembrar strano,
erano
diventati così amici da essere inseparabili e, piano piano,
la determinazione
di Harry era diventata quella di Louis.
Appena anche Harry si era laureato, a
distanza di un anno e
qualche mese da Louis, i due erano andati a vivere insieme.
L’appartamento era
modesto, anche perché, all’inizio specialmente,
era stato difficile trovare
incarichi. Louis era stato assunto come giornalista sportivo da un
quotidiano
della città, e lavorare lì gli piaceva,
perché era fissato col calcio, e gli
sarebbe piaciuto da impazzire lavorare in televisione, in uno di quei
programmi
dedicati allo sport. Harry, invece, era più interessato alla
politica, ma in
fondo, per arrivare in alto, era disposto a fare e a scrivere di tutto.
«Non ci crederai
mai» iniziò, perché tanto la puntata
stava
per finire e se avesse aspettato che l’altro fosse pronto ad
ascoltarlo
sarebbero passate ore. «Avevo un appuntamento con il signor
Bennett» aspettò
una qualche forma di riconoscimento da parte dell’altro. Un
grido di sorpresa,
un sobbalzo, una mano al cuore. Qualcosa. Tutto quello che ottenne fu
un sopracciglio
alzato e un cambio di canale. Ma è
serio?
si disse Harry, è
impazzito o è
scemo. Io lo ammazzo.
«Ma sei scemo?»
glielo chiese, per sicurezza.
Louis si voltò verso di
lui, girando anche il busto. Oh, se per avere
la tua attenzione dovevo
offenderti, bastava dirlo, pensò, traendo un
sospiro di sollievo.
«Finalmente» borbottò a mezza voce.
«Il signor Bennett,
capisci?» perché in fondo ripetita
iuvant. «Del Times»
aggiunse quando gli fu chiaro che altrimenti non
sarebbe arrivato da nessuna parte.
Negli occhi dell’amico
passò una luce di comprensione. «Quel
Bennett? Mi prendi per il culo? E che dovevi dirgli, scusa?»
disse, come fosse
assurda l’idea che lui avesse bisogno di parlare con il
direttore del giornale
più importante del paese.
«Dovevo proporgli una
storia» disse solamente.
«Ma»
boccheggiò il più grande.
«Ma… che storia? E poi si può
fare? E comunque ti ha ascoltato davvero? Sul serio? Ma sei certo che
fosse il
giusto Bennett, eh?»
Harry lo guardò male,
perché non si meritava altro che
quello. Però era molto più importante gratificare
il suo ego che rimanere
offesi, per cui aveva bisogno dei complimenti che, inevitabilmente,
Louis gli
avrebbe fatto dopo aver sentito la sua storia.
«Sì. Ovvio, quel
Bennett. Comunque, avrò bisogno del tuo
aiuto. Che tu mi regga il gioco, insomma» chiosò
Harry.
«Eh? Sì, ci
sto» fece, annuendo, anche se ancora non sapeva
nulla e non ci stava più capendo niente.
«Hai presente la festa
della settimana scorsa? Ti ricordi il
tipo che ho rimorchiato, no? Quello che ho rivisto anche un paio di
giorni fa?»
iniziò Harry, partendo dall’inizio.
«Zayn qualcosa»
confermò l’altro.
«Malik»
completò Harry per lui. «Be’, la sera
della festa
siamo andati a casa sua. Dovresti vederla. Un super attico, giuro, ma
lì per lì
non c’ho fatto caso» disse con un sorriso saputo.
«Solo che ero stanco e mi
sono fermato a riposare un po’. Sai come faccio, no? Esco
sempre prima
dell’alba e tutto. E, infatti, saranno state più o
meno le tre o giù di lì, mi
sono svegliato e mi sono messo a cercare il bagno. Solo che, in breve,
al suo
posto trovo uno studio. E nello studio una scrivania. E in un cassetto
della
scrivania» attimo di silenzio per creare la giusta dose di
suspance. Louis si
stava innervosendo, Harry lo vedeva. «Il manoscritto del
libro, che deve ancora
uscire, di Mick Stone. Quel Mick
Stone, il suo nome almeno ti dice qualcosa?» si
accertò, perché evidentemente
Louis stava invecchiando e iniziava ad avere seri problemi a collegare
volti e
nomi.
«Non ci credo»
cacciò uno strillo Louis, che evidentemente
quella volta aveva capito tutto senza bisogno di sostegno. Stiamo migliorando, pensò
l’altro quasi malignamente. «Cioè, tu
sei
andato a letto con Mick Stone? Mick Stone è Zayn?»
«Zayn Malik è
Mick, direi» lo corresse Harry.
«Non ci posso credere. Con
tutto il sesso casuale che fai,
uno si aspetterebbe che ti ritrovassi tra le mani un caso di sifilide,
non una
scoperta del genere! E tu sei andato da Bennett a dirglielo?»
disse tutto d’un
fiato l’altro.
«Sì,
cioè no» rispose Harry, emozionato per la reazione
del
collega. «Gli ho detto che sono nelle condizioni di scrivere
un pezzo sul
passato della persona che si nasconde dietro al nome di Stone. Lui mi
ha preso
per pazzo. Ma io sono il genio del convincimento, quindi a fine
incontro mi ha
quasi pregato di fargli avere l’articolo» ok, non
è che l’avesse proprio
pregato, ma la verità non era troppo distante.
«E quindi?»
chiese Louis, che adesso sembrava sul serio
interessato.
«E quindi dovrò
scrivere un pezzo su Zayn, svelare la sua
identità, ma soprattutto il suo passato e la sua
personalità. Capire cosa c’è
dietro la streghetta e tutte quelle cazzate lì. Una cosa da
inserto culturale,
insomma. Non proprio il mio genere, ma chi se ne frega. Il Times,
Louis, il
Times!» ripeté, impazzito. «E non sai
neanche la parte migliore! Ho fino a metà
febbraio per scrivere questo articolo, e se Bennett ne sarà
soddisfatto – e lo
sarà perché sono un genio – mi
assumerà! Il Times! Certo, il contratto è solo
di tre anni e all’inizio specialmente dovrò
scrivere di stronzate e farò un
sacco di gavetta, ma il T-»
«Il Times, abbiamo capito
tutti, in sala» concluse per lui,
sorridendo. «Wow, non so che dire. Non ci credo»
«Ha detto che probabilmente
ho un fiuto incredibile per le
buone storie» si vantò, scrollando le spalle.
«No, dico, non posso
credere che tu ti scopi uno e poi
scopri che è tipo l’uomo più ricco
d’Inghilterra ma che, non si sa come,
nessuno sembra conoscere né di nome, né di
faccia. A proposito, com’è?»
perché
anche l’occhio vuole la sua parte.
«Mi sono mai portato a
letto uomini di brutto aspetto?»
domanda retorica. «Ti dico solo che passare tempo con lui per
scoprire ogni suo
segreto sarà la cosa più semplice che abbia mai
fatto»
«E sei sicuro che lui
voglia passarne con te, di tempo?»
domandò Louis. Harry non avrebbe voluto degnarlo di
risposta, perché insomma,
ma era contento e si sentiva
buono e gentile.
«Sono sicuro. Te
l’ho detto, l’ho già rivisto. Usciamo
anche
stasera. Comunque, qui mi serve il tuo aiuto» disse,
arrivando al punto. «Dopo
aver scoperto tutto, sono tornato a letto, invece di andarmene.
Ovviamente. E
la mattina ho fatto finta di essere tipo l’uomo perfetto e
gli ho fatto la
colazione. Non è che potessi dirgli che sono un giornalista,
quindi gli ho
detto che, dopo una lunga pausa, ho iniziato a studiare inglese e che
lavoro
part time in un panificio. Vedi di non dimenticartene, eh. Non buttarmi
tutto
all’aria o ti strozzo» concluse.
«Ma se neanche lo
conosco» obiettò giustamente Louis.
«Be’, non si sa
mai. Anzi, dovresti trovarti una specie di
falsa identità anche tu, giusto in caso. E evita di
inventartela sul momento,
se no ti confondi. E niente cose idiote o che abbiano a che fare con
supereroi;
e no,» disse, prevenendo l’altro. «non
puoi fare lo skater. E neanche il
cantante di fama mondiale»
«Rovini sempre tutto il
divertimento» sentenziò l’altro,
braccia incrociate ed espressione imbronciata.
«Ma mi ami lo
stesso» gli sorrise Harry.
«Sei fortunato che sia
vero» sbuffò Louis, quasi ghignando
di rimando.
Harry si alzò dal divano.
Era l’ora di iniziare a
prepararsi. Cominciava lo show, e lui doveva essere perfetto.
Note:
Ok, qui facciamo un balzo in avanti
di una settimana e
scopriamo cosa ci facesse Harry, nel primo capitolo, al Times (che ho
scelto perché
volevo una cosa figa e un giornale credibile. Insomma, Harry ha degli
standard
elevati).
C’è anche Louis
<3 tanto per, nel prossimo arriva Liam!
Non c’è Zayn, in
questo (e lo so che la cosa è taaaanto
triste), perché è più che altro un
capitolo di passaggio che mi serviva per
spiegare meglio le ragioni e le reazioni di Harry. Che, sì,
è un po’ meschino,
per usare un eufemismo. J
Uhm… non credo ci sia
altro da aggiungere (?).
Grazie mille a chi legge e segue e
perde tempo sopra questa
cosa!
Alla prossima ;-)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Capitolo
quattro.
Zayn entrò nella tavola
calda e si guardò intorno. Cercò
Liam con lo sguardo, tanto era sicuro che l’altro fosse
già arrivato. Al
contrario di lui, suo fratello aveva il magnifico pregio di essere
puntuale in
tutto.
Lo vide seduto a un tavolo in fondo
al locale, in mano il
cellulare. Sicuramente era su Twitter, si disse Zayn, visto che
sembrasse
viverci. Liam era un personal trainer, e un sacco di gente, sia che
fossero
suoi clienti, sia che non lo avessero mai visto in faccia, gli chiedeva
consigli.
Era una specie di piccola celebrità, su Internet. Zayn e
Niall non facevano che
prenderlo in giro, per quello.
Era talmente preso da quello che
stava facendo, che si
accorse dell’arrivo di Zayn solo quando questi ormai era
già seduto e aveva
iniziato a sfogliare il menù.
«Ciao!»
salutò, con voce sorpresa,
allargando gli occhi marroni da cucciolotto.
«No,
continua pure a parlare con
i tuoi fan» lo prese in giro, sorridendo.
«Ah
ah» commentò, solo, Liam,
facendogli una linguaccia.
«Nervoso?»
gli chiese dopo un
po’, indicando il labbro che Zayn si stava torturando, cosa
che faceva sin da
piccolo solamente quando c’era qualcosa che lo preoccupava.
«Un
po’» rispose, intuendo a cosa
il fratello si riferisse. «Sai, è
l’ultimo, e non mi sembra ancora vero che
stia per finire» aggiunse, scrollando le spalle.
Liam
rimase per un po’ a
fissarlo, quasi con espressione scettica. «E poi?»
L’altro
arrossì lievemente,
perché un po’ si vergognava di dirlo. Insomma,
probabilmente si sarebbe
guadagnato solo uno scappellotto, dall’altro,
perché era una cosa idiota, ma
non poteva far a meno di avere paura.
«E
se non piace a nessuno?» disse
lo stesso, tanto sapeva che Liam non avrebbe mollato la presa
finché non avesse
confessato cosa lo angustiasse. E probabilmente già se lo
immaginava, quello
che gli passava per la testa: sin da dodicenni, cioè sin da
quando si erano
conosciuti, avevano sviluppato quella specie di collegamento mentale
che
inquietava sempre tutti.
«Io
l’ho letto, e l’ho adorato»
lo rassicurò.
«Sì,
ma tu sei tu e Niall è
Niall» disse, prima che Liam stesso nominasse il loro amico
comune.
«E
allora? Siamo mai stati parziali?»
aspettò che Zayn alzasse gli occhi al cielo e scuotesse la
testa, come sapeva
avrebbe fatto. «Appunto. È geniale. Tu sei
geniale, e tutti lo adoreranno. O
magari no. Qualcuno lo odierà, perché niente al
mondo piace a tutti»
«Niall
obietterebbe che la pizza
piace a tutti» scherzò Zayn.
«Be’,
non è detto. E, poi, non
sarebbe un esempio pertinente» contestò
l’altro.
Anche
se come discorso non sembrava
troppo incoraggiante, in realtà aveva ottenuto
l’effetto desiderato. L’aveva
rassicurato, ma quello era qualcosa che a Liam riusciva sempre, con
lui. Era
tipo la sua valeriana a portata di mano, e allo stesso tempo era uno
dei pochi
muri portanti della sua vita.
Letteralmente,
non sapeva cosa
avrebbe fatto senza di lui.
E,
davvero, l’idea che all’inizio
lo odiasse e non potesse vederlo e non volesse parlarci, per quanto
comprensibile, adesso gli sembrava assurda. Almeno tanto assurda quanto
un mago
malvagio che tutti credono morto ma che non lo è
perché, oh, ha diviso la sua anima
in tanti piccoli pezzi e si è divertito a
spargerla per il mondo.
E
non era solo il fatto che Liam
fosse tutta la famiglia che gli fosse rimasta – cosa vera,
per altro. Il fatto
che lo capisse meglio di chiunque altro, anche meglio di Niall, non era
imputabile ai geni. Il loro rapporto era in quel modo, semplicemente.
Non gli
serviva parlare, uno sapeva sempre quello che l’altro
pensasse e provasse senza
bisogno di tanti discorsi.
Zayn
aveva spesso sentito parlare
di particolari legami che univano i gemelli, ma lui e Liam non lo erano
neanche
un po’. Anzi, non avevano mai neanche vissuto sotto lo stesso
tetto e per colpa
del padre si erano conosciuti quando ormai erano adolescenti; per
questo,
secondo lui, il loro rapporto era ancor più sorprendente e
l’unico al quale non
avrebbe potuto rinunciare per nulla al mondo.
E
per Liam era la stessa cosa.
Non si ricordava neanche l’ultima volta che si erano detti un
semplice ti voglio bene, ma a loro
non era mai
servito per sapere di essere qualcuno di fondamentale per
l’altro.
*
Harry
gli aveva detto che sarebbe
passato a prenderlo, senza però dirgli dove aveva in mente
di portarlo. È una sorpresa,
si era limitato ad
accennare, non aggiungendo altro.
Il
più piccolo si era dimostrato
piuttosto tenero, gli aveva mandato sms carini che gli chiedevano
semplicemente
come stesse o cosa stesse facendo; quando si erano rivisti per la prima
volta,
erano andati a fare una lunga passeggiata in un parco non troppo
lontano da
casa sua e aveva scoperto che l’altro era praticamente
incapace di fare battute
divertenti, ma – proprio perché facevano davvero
schifo – stranamente facevano
anche ridere. Zayn non era molto sicuro che la cosa avesse senso.
Gli
rimanevano solo dieci minuti
di tempo, e i suoi capelli non volevano saperne di stare acconciati nel
solito
ciuffo, per cui alla fine Zayn decise di lasciarli giù e di
indossare
semplicemente una cuffia.
Harry
arrivò puntuale e, non
appena lo vide, gli sorrise, il volto illuminato e ingentilito dalle
solite
fossette adorabili.
«Adesso
me lo dici dove andiamo?»
chiese Zayn, quasi incapace di attendere troppo.
Harry
scosse la testa, se
possibile allargando ancora di più il sorriso.
«Cinque
minuti e lo scoprirai.
Spero tu abbia un buon equilibrio» disse misteriosamente.
*
«Stai
scherzando, vero?» fece
Zayn, scettico. «Sono pessimo sui pattini a rotelle e da
piccolino cadevo
sempre e rompevo tutti i pantaloni, te le immagini tutte le culate che
sono in
grado di dare sul ghiaccio?» Harry l’aveva portato
in una di quelle piste di
ghiaccio che aprono solo per la stagione invernale, solitamente piena
di
bambini che schiamazzano e che si divertono a rincorrersi e a tagliare
la
strada ai poveri pattinatori ignari. Quella sera sembrava essere
particolarmente affollata. No, grazie, pensò
Zayn, preferisco vivere.
«Daiiiii»
supplicò l’altro.
«Giuro che è divertente!»
continuò, mettendo su il broncio, nella speranza di
convincere l’altro.
«Oh,
ci sono stato una volta, con
Liam» e poi, visto che Harry lo stava guardando
interrogativamente «mio
fratello» spiegò, «Ho portato i segni
dei ruzzoloni per una settimana» niente
l’avrebbe convinto a rinfilare quegli arnesi mortiferi.
Niente.
«Daiiiiii»
rifece Harry, questa
volta posando le mani sulle spalle del più grande, con fare
volutamente
seducente. «Ti insegno io» disse, come se quello
spiegasse tutto.
Zayn
lo stava ancora guardando
come se fosse pazzo, per cui l’altro continuò, la
stretta che si faceva più
delicata e i polpastrelli che si muovevano circolarmente.
«Ti
tengo io. Fidati di me, giuro
che non ti faccio cadere» e Zayn, con un sospiro forzato,
acconsentì, perché in
fin dei conti poteva davvero provare a fidarsi e magari Harry, al
contrario di
Liam, l’avrebbe aiutato veramente e non avrebbe solamente
riso a ogni suo
scivolone.
*
Harry
si era davvero messo in
testa di potergli insegnare a pattinare, anche se Zayn pensava fosse
impossibile.
Ma
magari si sbagliava, perché,
contro ogni previsione, era riuscito a starsene in piedi su quei
trabiccoli per
più di mezzora, facendo più e più giri
della pista. Certo, Harry lo teneva per
mano, e la velocità era limitata, ma per iniziare Zayn
pensava di potersi
considerare soddisfatto.
E,
evidentemente, anche Harry
pensava la stessa cosa, visto che lo guardava contento. Un paio di
volte gli
aveva evitato una caduta certa, sostenendolo praticamente per le
ascelle (maledetti diavoli travestiti da
bambini che
tagliano la strada alla gente ignara), ma altre era riuscito
a tenersi in
piedi da solo, guadagnandosi una leggera stretta alla mano e un sorriso
soddisfatto,
da parte dell’altro.
A
pensarci bene, Zayn si sentiva
un po’ idiota. Harry l’aveva portato a fare una
cosa romantica, e lui davvero
non se lo aspettava. Aveva pensato che l’altro lo avrebbe
portato a cena, a proposito, muoio di fame,
e magari in
un qualche locale o a vedere un film o comunque qualcosa di
più vicino a quella
che sembrava essere la personalità dell’Harry che
aveva conosciuto alla festa.
Forse, Zayn doveva arrendersi davvero all’evidenza che la sua
prima impressione
fosse sbagliata e che, all’altro, lui potesse piacere sul
serio. Arrossendo,
pensò che di sicuro a lui Harry piaceva. Forse anche
più di quanto si sarebbe
aspettato dopo una sola settimana che lo conosceva.
*
Erano
andati pure a prendersi un
panino in un localetto non troppo distante da lì, dove Zayn
ogni tanto andava
con Niall. Il moro aveva così tanta fame che si sarebbe
mangiato un tavolino,
per cui avevano optato per un posto dove il servizio fosse il
più veloce
possibile.
«Ahh,
non mi fiderò mai più di
te!» si lamentò Zayn, sedendosi e sbattendo
inevitabilmente il sedere sulla
seggiola. Alla fine era caduto. Probabilmente era colpa sua: dopo quasi
un’ora
che tutto era filato liscio, aveva iniziato a credere di aver davvero
imparato,
aveva lasciato la mano di Harry, così,
per prova, e aveva provato a pattinare da solo. Evidentemente
improvvisarsi
un piccolo Plushenko non era stata l’idea più
geniale che avesse mai avuto,
perché neanche due passi e si era ritrovato per terra,
sdraiato
imbarazzatamente sul ghiaccio.
E
visto che, oltre al suo sedere,
anche l’ego era vagamente ferito, aveva deciso che era tutta
colpa di Harry
(che faticosamente aveva cercato di non ridere), perché lui
era l’esperto e suo
il compito di impedirgli di fare sciocchezze del genere.
«Ma
se hai fatto tutto da solo!»
esclamò, indignato. Zayn scrollò le spalle e
alzò gli occhi al cielo, neanche
l’altro fosse un bambino di cinque anni testardo e duro di
comprendonio.
Finalmente
arrivò la cena, e per
qualche attimo mangiarono in silenzio, con Harry che ogni tanto gli
lanciava
occhiate divertite e Zayn che gli rispondeva con fare scioccato.
«Domenica
prossima giocate in
casa?» domandò Harry, interessato. Zayn
annuì.
«Ti
scoccia, per caso, se vengo a
vedervi?»
«No.
No, certo che no» rispose
Zayn, contento che l’altro glielo avesse chiesto. Durante il
primo
appuntamento, Harry gli aveva chiesto cosa facesse, se studiasse o
meno, e Zayn
aveva detto una mezza verità, non sentendosela di dirla
intera. In fondo
uscivano insieme da neanche dieci giorni, e neanche suo padre sapeva
della sua
‘doppia identità’ (che faceva molto supereroe,
ma che in realtà era molto meno emozionante). Non che quello
volesse dir molto,
in ogni caso.
Per
cui, gli aveva solo detto
che, finite le superiori, aveva frequentato un corso di scrittura
creativa
(vero), ma che alla fine aveva preferito accettare il posto
d’allenatore della
squadra di calcio in cui anche lui aveva giocato fino a pochi anni
prima (vero
anche questo). Aveva fatto dei corsi e in un paio d’anni si
era ritrovato, da
allenare bambini con ancora il latte sulle labbra, ad allenare la
squadra
juniores.
Non
che avesse davvero bisogno di
un lavoro, ma aveva sempre amato il calcio, e quello era anche un buon
modo per
tenersi occupato durante il giorno facendo qualcosa che lo divertisse.
In
pratica aveva solo omesso di
dire che in realtà la sua prima occupazione era scrivere
libri di fantasia, e
quando Harry gli aveva chiesto come fosse possibile che con quel lavoro
avesse
una casa del genere, aveva detto che era di suo padre (questo
era falso. A suo padre non avrebbe chiesto neanche una
stringa per le scarpe).
Harry
sorrise e aprì la bocca per
dire altro, ma Zayn non seppe mai cosa perché proprio in
quel momento la voce
di Niall lo chiamò, costringendolo a voltarsi e a dargli
udienza.
Niall,
gli disse non appena
raggiunto il tavolo, li aveva visti dalla strada e dunque era entrato
per
salutarli. Zayn sentì che le guance iniziavano a
imporporarsi leggermente:
all’amico aveva detto di Harry, ma non pensava che
gliel’avrebbe dovuto
presentare così presto; rendeva le cose troppo
più serie. Ma visto che era lì,
certo sarebbe stato maleducato, se non lo avesse fatto.
«Niall,
lui è Harry» disse senza
particolare intonazione. Niall lo guardò strano, come a dire
brutto scemo, lo so che è Harry,
non sono
mica rimbecillito, perché erano andati tutti alla
stessa scuola e c’era
stata la sera della festa e Zayn gliene aveva parlato.
«Comunque»
riprese Niall. «Mi
vedo con Liam, beviamo qualcosa al solito posto. Vi unite a
noi?»
Zayn
guardò Harry, che ricambiò
lo sguardo. Come vuoi tu, diceva.
E
non è che non gli andasse una
birra o che fosse tardi per lui, ma Harry il giorno dopo doveva
lavorare di
sicuro e, in tutta sincerità, voleva solo passare un altro
po’ di tempo col
ragazzo seduto di fronte a lui.
«Ehm»
iniziò, con un sorriso di
scuse. «Sarà per la prossima volta,
Niall»
Note:
Ahhh,
sorry per il ritardo, ieri
è stata una giornata frenetica e non ce l’ho fatta
ad aggiornare! Per farmi
perdonare (se ce la faccio), mercoledì posto qualcosa che
è sepolto nel pc da
secoli, tanto che quasi puzza J Una Zarry
(perché sono tipo geneticamente incapace
di scrivere altro), fatemi sapere se vi può interessare ;)
Cooomunque,
direi che siamo
entrati più nel vivo della storia (?). Mi scuso un sacco per
tutte le citazioni
Disney che ficco qua e là, anche questo è
qualcosa di connaturato in me!
Grazie
a tutti, chi legge segue
storce il naso commenta, chi più ne ha, più ne
metta!
Alla
prossima J
|
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Capitolo cinque.
Harry si era portato dietro Louis,
perché il calcio lo
annoiava da morire e senza di lui probabilmente si sarebbe suicidato
dopo i
primi dieci minuti. Evitava di farsi trovare in casa quando giocava il
Manchester,
squadra tifata dal suo coinquilino, e se non riuscivano ad attirare la
sua
attenzione bei fusti della sua età o giù di
lì, di sicuro non ci sarebbero
riusciti degli adolescenti brufolosi. Ma voleva dimostrarsi interessato
agli
occhi di Zayn, che stava in quel momento dando le ultime indicazioni ai
suoi
giocatori, le mani che si muovevano frenetiche in aria e lo sguardo
affamato di
vittoria.
«Quello
è Zayn?» domandò Louis,
indicandolo con un movimento della testa.
«Quello
è Zayn» rispose
tranquillamente l’altro.
«Niente
male» commentò. Harry lo
guardò storto. «Ok, è un figo assurdo.
Così va bene?»
«Va meglio» fece,
abbozzando un sorriso. Una volta di più,
Harry si ritrovò ad ammirare l’altro ragazzo, il
suo corpo – che in due
settimane aveva imparato a conoscere – fasciato da una tuta
larga e i suoi
capelli costretti sotto una cuffia.
I suoi pensieri furono interrotti,
prima che passassero da
innocui a perversi, da Louis che con una gomitata lo informava che la
partita
stava per iniziare.
«Era ora»
borbottò a denti stretti il più piccolo
«Speriamo
finisca in fretta»
*
Erano state le due ore scarse
più lunghe della sua vita.
Aveva i piedi anchilosati dal freddo e le labbra iniziavano a
screpolarsi. Non
aveva la più pallida idea di chi avesse vinto e dalla sua
posizione non
riusciva neanche a vedere bene Zayn. L’unico momento meno
noioso degli altri
era stato quando un suo giocatore aveva fatto una qualche cavolata
– Harry non
avrebbe saputo dire quale, preso com’era a trafficare con il
suo cellulare – e
Zayn si era avvicinato alla linea laterale e aveva alzato la voce e
tutti in
campo l’avevano guardato straniti. Allora lui aveva fatto
avvicinare a sé il
ragazzino e gli aveva passato un braccio sulle spalle e aveva iniziato
a
parlargli come avrebbe fatto un fratello maggiore,
l’espressione addolcita e
quasi apologetica.
Tirò un sospiro di
sollievo al triplice fischio
dell’arbitro, che decretava la sua libertà, oltre
che la fine della partita, e
si complimentò della sua scelta di farsi accompagnare
dall’amico quando
quest’ultimo, prevendendo la sua domanda, gli disse che la
squadra di Zayn
aveva vinto 2 a 1.
«Buon per te»
aggiunse malizioso, corredando il tutto con
un’occhiata espressiva e un’alzata di sopracciglia.
Harry gli rispose con una gomitata,
contornata, però, da un
sorriso ugualmente significativo, e si alzò dalla gradinata
che gli aveva
congelato il sedere, con l’intenzione di raggiungere Zayn,
pensando che fosse
ancora a festeggiare con la squadra. Ma tempo dieci secondi, e
l’aveva perso di
vista.
Quando l’altro
tornò finalmente nel suo campo visivo, era
avviluppato nell’abbraccio di qualcuno che non riusciva a
vedere in viso.
«Che
cazzo…?» iniziò, lasciando la frase a
metà e attirando
l’attenzione di Louis.
«Uh-uh. Sembrano intimi,
quei due» esclamò, perché
evidentemente infilare il dito nella piaga era quello che gli riusciva
meglio.
Che poi, piaga. A lui, di Zayn, interessavano solo i retroscena.
«Sta’
zitto»
*
Venne fuori che la persona che Zayn
stava abbracciando con
tanto calore altri non era che suo fratello, Liam.
Harry era arrossito, quando
l’altro li aveva presentati, un
po’ perché faceva strano conoscere così
presto i parenti dell’altro, un po’
perché si era sentito davvero stupido, quando Zayn
gliel’aveva detto. Quando si
era avvicinato con Louis agli altri tre – solo a due passi da
loro si era
accorto della presenza di Niall, praticamente nascosto dalla montagna
di
muscoli del ragazzo che stava cercando di inglobare Zayn –
aveva reso nota la
sua presenza con un leggero colpo di tosse, e, non appena Zayn si era
accorto
di lui, il suo viso si era illuminato di reale contentezza e aveva
districato
le braccia dall’energumeno per stringere lui, che in tutta
risposta, aveva sì
ricambiato l’abbraccio ma aveva continuato a guardarlo un
po’ curioso un po’
accusatorio. O almeno credeva che quella fosse la sua espressione. Non
che Zayn
ne fosse rimasto perplesso o impressionato. Il moro poi si era voltato,
aveva
allargato il suo sorriso, mostrando i suoi denti bianchi e perfetti (la
lista
delle cose perfette che riguardavano Zayn era lunga un chilometro,
aveva
pensato Harry), e proprio come aveva fatto la settimana prima con
Niall, gli
aveva fatto conoscere Liam. Lui, per par condicio, aveva presentato a
tutti
Louis, dicendo semplicemente che era il suo coinquilino. Sinceramente,
non
sapeva quale storia l’altro si sarebbe inventato, se gli
avessero chiesto cosa
facesse nella vita, ma anche se tre quarti delle volte Louis si
comportava da
emerito imbecille, Harry sapeva di potersi fidare di lui, per le cose
importanti.
*
Niall aveva proposto di andare tutti
e cinque a mangiare
qualcosa e Liam l’aveva preso in giro dicendo che il suo
stomaco era un buco
nero.
Seduti al tavolino di
Nando’s, Harry poteva chiaramente
comprendere il perché di quella battuta con i suoi occhi.
Probabilmente buco nero non bastava
neanche, a
descrivere la voracità con cui il ragazzo mangiava. E,
d’accordo, la cosa era
vagamente disgustosa, ma allo stesso tempo ilare, e da quanto poteva
leggere
sul volto di Louis, l’amico la pensava allo stesso modo.
«Non ci fate troppo
caso» la voce di Zayn li strappò da
quello spettacolo. «È normale
amministrazione» concluse, indicando con un cenno
del mento l’amico.
«E se vi state chiedendo
dove mette tutto quello che
ingurgita… be’, questo è uno dei
misteri dell’universo» aggiunse Liam,
guardando affettuosamente l’amico svuotare la seconda
porzione di pollo e
ordinarne una terza.
«E la cosa si fa ancora
più assurda se pensate che tutto
quello che fa durante il giorno è sfogliare pagine e tutta
la sua attività
fisica consiste nel camminare dal divano al frigorifero e
ritorno» terminò
Zayn, con tono scherzoso.
«Ah, tutta invidia, la
vostra. Ho una linea invidiabile e la
mantengo senza alzare un dito, mentre voi faticate in quella puzzolente
palestra o al freddo in quel campetto umidiccio» Niall
rispose facendo la
linguaccia ai due amici, finalmente rivolgendo agli altri quattro un
po’
d’attenzione. Almeno fino al ritorno del cibo.
Harry si avvicinò
all’orecchio di Zayn, mentre una mano
andava a posarsi prima sulla spalla dell’altro poi a
intrecciarsi ai suoi
capelli. «Se il bel sedere che ti ritrovi è dovuto
al calcio, quasi quasi
questo sport inizia a piacermi» sussurrò, in modo
che sentisse solo lui. Il più
grande arrossì talmente tanto che neanche la sua pelle
olivastra riuscì a
nascondere la sfumatura rosata, attirando gli sguardi degli altri tre
su di sé
come il miele fa con le api.
«Non ti piace il
calcio?» chiese, scegliendo di sorvolare
sul commento dell’altro riguardo al suo fondoschiena.
Harry si morse un labbro, dandosi
dell’idiota. Non voleva
che Zayn pensasse che lui appartenesse alla schiera di chi sostiene che
rincorrere una palla per 90 metri fosse da imbecilli (cosa vera, tra
l’altro),
ma che, al contrario, si era subito quel pomeriggio appositamente per
dimostrarsi interessato e interessante.
Perché non imparava a stare zitto e magari evitava di
sputtanare tutti i suoi
sforzi, una buona volta, eh?
Ma, contrariamente a ogni sua
aspettativa, lo sguardo di
Zayn si addolcì all’inverosimile e qualcosa che
Harry non avrebbe saputo
definire passò un secondo nei suoi occhi e, veloce come era
arrivato, sparì.
«Quindi oggi sei venuto ad
annoiarti solo per me?» domandò
con fare giocoso. Però, a Harry, non fuggì il
velo di speranza che l’altro sotto
sotto cercava di nascondere; trasse un metaforico sospiro di sollievo.
«Mi merito un premio,
vero?» alzò un sopracciglio, nel modo
che aveva appreso da Louis e che sapeva essere provocante, ma prima che
Zayn
potesse rispondergli, l’amico gli diede un colpetto sul
braccio e poi una
leggera tirata che lo costrinse a voltarsi.
«Liam è un
personal training, non è fantastico?»
esclamò
eccitato Louis.
No, davvero, non ci vedeva nulla di
fantastico in uno che ti
aiuta a spaccarti la schiena. Ma evitò di dirlo e se ne
uscì con un finto
interessato «Ah sì?» che si
rivelò essere tutto quello che Liam stesse
aspettando per iniziare a parlare a manetta di pesi da sollevare e
asciugamani
per il sudore. Vide con la coda dell’occhio Zayn scuotere la
testa, mentre guardava
il fratello con gli occhi pieni di affetto.
Si chiese se un giorno tutto
quell’affetto l’avrebbe rivolto
a lui.
Si diede un calcio mentale sugli
stinchi.
Chi se ne fregava del suo affetto,
quello che voleva lui
valeva molto di più.
*
Si salutarono dopo un’altra
oretta passata a parlare del più
o del meno. Harry, sinceramente, avrebbe preferito andare a casa di
Zayn e fare
un po’ di ginnastica da camera (tutto quel parlare di grassi
da perdere l’aveva
segretamente impensierito), ma lui e Louis erano usciti con
un’unica auto e,
disse a Zayn, domani devo lavorare.
Che non era affatto vero. L’articolo lo aveva impostato, ma
ancora non aveva
nulla di davvero interessante da scriverci. Il che era triste, erano
già
trascorse due settimane dalla prima notte e lui si trovava ancora fermo
al
punto di partenza.
«Ci sentiamo domani, va
bene?» disse al più grande, dopo
averlo castamente baciato e prima di allontanarsi definitivamente ed
entrare in
macchina. L’altro sorrise e fece semplicemente sì
con la testa.
Con un ultimo gesto della mano
rivolto a tutti e tre, mise
in moto e si diresse verso il loro appartamento.
*
«Credo di avere una cotta
per Liam» proruppe Louis, non
appena varcarono la soglia di casa.
«No. No, no e no. Ma sei
scemo?» lo sapeva che Louis avrebbe
incasinato tutto, in un modo o nell’altro.
«Perché?»
«Perché devi
incasinare tutto?» sbottò Harry, passandosi una
mano tra i capelli e incasinando i suoi ricci naturalmente ribelli.
«Non incasinerò
nulla. Sono stato bravo stasera, no?» disse
Louis, con quello che voleva essere un tono ragionevole, ma che su di
lui era
solo assurdo.
«Quando sei stato bravo?
Quando hai iniziato a fare le moine
al prezioso fratello del ragazzo che io frequento solo per lavoro? O
quando hai
detto che tieni un corso di teatro e che ti farebbe piacere se
venissero a
vedere uno spettacolo di cui tu in realtà non sei il regista
o lo sceneggiatore
o che cazzo ne so io perché, oh guarda un po’, sei
un cazzo di giornalista!»
quasi urlò Harry, le mani che prudevano dalla voglia di
strozzarlo.
«Be’, la stagione
teatrale non è ancora iniziata e tu hai
solo due mesi per scrivere quest’articolo. Il che significa
che io ho un
ragionevole ammonto di tempo per cercare di entrare nelle mutande di
Liam,
senza che nessuno si faccia male. So tenere a freno la lingua, non sono
uno
sprovveduto totale»
«Giuro che se mandi tutto
all’aria ti ammazzo» sibilò a
denti stretti il più piccolo.
Louis posò sulle sue
spalle le sue mani affusolate,
stringendole delicatamente.
«E io ti giuro che non
succederà nulla»
«Vedi che questa
sottospecie di cotta non si trasformi in
qualcos’altro» lo avvertì Harry.
«Non credo che quando Liam scoprirà tutto
sarà
ben disposto nei tuoi confronti» concluse, perché
in fin dei conti era vero.
«Forse questo dovresti
ripeterlo a te stesso» ribatté
tranquillamente l’altro, intrecciando i suoi occhi a quelli
di Harry.
«Cosa intendi?»
fece Harry, che si era perso e non riusciva
più a seguire il discorso dell’altro. O magari
cercava di fare il finto tonto.
Non lo sapeva più neppure lui.
«Dico solo che ogni tanto
il modo in cui lo guardi sembra
tutto meno che finto e che quando sorride-»
«Sono un bravo attore,
evidentemente» tagliò corto Harry.
«Non lo sei mai
stato» lo contraddisse l’amico, che quella
sera si stava divertendo a interpretare la parte del grillo parlante, a
quanto
pareva.
«Sarò
migliorato» sperò che Louis lasciasse cadere il
discorso, cosa che – per fortuna – fece. Anche
perché, davvero, non avrebbe
saputo cosa dirgli per fargli capire che non provava nulla per Zayn. O
meglio,
l’altro ragazzo gli piaceva e il suo sorriso era… wow, chiunque ne sarebbe rimasto
affascinato, ed era dolce e chiuso
e schivo tutto insieme, ma piano piano lasciava intravedere sempre
qualcosa di
più di sé e- ma no, nulla si sarebbe mai
frapposto tra lui e un suo qualsiasi
obiettivo.
Neanche un ragazzo con gli occhi
troppo grandi e lo sguardo
troppo triste.
Note:
Sorry sorry sorry K
Come sempre, un enorme grazie a chi
legge e specialmente a
chi commenta!
A presto!!!
^__^
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Capitolo sei.
Zayn lasciò una scia di
baci lungo tutta la clavicola del
ragazzo sdraiato sotto di sé. Sentì le mani di
Harry risalire dal collo fino a
immergersi fra i suoi capelli. Ogni volta che toccava o leccava o
mordeva un
punto particolarmente sensibile del suo corpo, l’altro glieli
stringeva. Aveva
ormai imparato che se succhiava proprio sotto l’orecchio,
Harry buttava
indietro la testa e spalancava le labbra, mentre se gli mordeva un
capezzolo
dalla sua bocca uscivano lievi gemiti che facevano sempre sorridere
Zayn.
Harry era una visione. I ricci tutti
sparsi sul cuscino, il
respiro leggermente affannoso, le labbra turgide e il corpo sconvolto
da un
piacere che ancora non era abbastanza.
«Zayn Zayn Zayn»
ripeté come fosse un mantra. Il moro lo
baciò a labbra aperte, guardandolo negli occhi. Talvolta, il
verde dell’iride
di Harry sembrava pozzi d’acqua durante un giorno tetro. E
lui si ritrovava ad
affogarci dentro, proprio come avrebbe fatto in un lago reale, e a
chiedersi se
questa fosse una cosa positiva o negativa.
Si sollevò un
po’, liberando per qualche istante il corpo di
Harry dal suo peso, e mentre con una mano apriva il cassetto dove
teneva tutto
quello che gli serviva, con l’altra fece girare il
più piccolo. Lasciò leggeri
baci su tutto il suo collo, mentre era la volta in cui la sua mano
andava a
perdersi fra i capelli dell’altro. Lo preparò con
gentilezza, e allo stesso
tempo appoggiò il mento sulla spalla dell’altro;
il naso solleticava il suo
collo che profumava ancora vagamente di bagnoschiuma, di Harry, di
sesso e
anche un po’ di lui, tutto insieme.
«Sei pronto?»
chiese all’altro, che emise solo un vago
lamento, soffocato dal cuscino, e che portò indietro i
fianchi: un gesto valeva
mille parole.
Zayn entrò in lui e
afferrò le mani di Harry che stavano ai
lati della sua testa, le portò più su e le
strinse, aspettando che l’altro si
fosse aggiustato e lo pregasse di iniziare a muoversi.
E poi Zayn iniziò a
spingere, la fronte appoggiata alla
grande schiena di Harry, Harry che voleva dipiùdipiùdipiù
e che lo urlava e che muoveva i suoi fianchi andando incontro
alle spinte
del più grande e che si aggrappava alle mani di Zayn come
fossero un’àncora di
salvezza.
Quando sentì che tutto
stava per raggiungere l’apice, Zayn
strinse un fianco di Harry, portando entrambi ad appoggiarsi su un
lato,
andando poi a stringere l’erezione dell’altro, che
emise un gemito strozzato e
posò una mano su quella che Zayn aveva appoggiato sul suo
corpo.
Quando Zayn venne, morse la spalla di
Harry, che, dal canto
suo, non se ne accorse, troppo preso a godersi il proprio orgasmo e la
sensazione di Zayn dentro di lui.
*
«Ti ho fatto
male?» chiese Zayn, posando un bacio sulla
spalla dove spiccava il calco dei suoi denti.
Harry scosse la testa, attirandolo a
sé, fino a che la
guancia di Zayn non si ritrovò dalle parti del suo cuore,
che ormai aveva
ripreso a battere a velocità regolare.
Era stanco ed era nervoso
perché il suo libro sarebbe uscito
fra la fine delle feste e il suo compleanno, cioè in uno
sputo di giorni, ma la
compagnia di Harry gli risollevava sempre il morale. E se
all’inizio aveva
pensato che passare del tempo con l’altro ragazzo sarebbe
stato un modo
perfetto per sfogarsi, adesso si sentiva davvero affezionato al
più piccolo. E
anche se si conoscevano, da quanto? Tre settimane? Chi se ne fregava,
non è che
potesse decidere lui cosa provare per chi e quando. E poi non si
sentiva così
felice e non stava così bene con qualcuno da un sacco di
tempo, e di certo non
sapevano tutto l’uno dell’altro, ma aveva il buon
presentimento che con Harry,
magari, potesse nascere qualcosa di serio. Ma preferiva non essere lui
a
portare a galla l’argomento, per paura di trovarsi pagine
avanti anni luce, in
quella storia, rispetto all’altro.
E, anche se di certo non gli sarebbe
dispiaciuto essere il
suo ragazzo, in quel momento poteva considerarsi soddisfatto della
sensazione
di calore che gli davano le braccia di Harry strette intorno a lui.
Con un sospiro, in quella posizione e
proprio perché era
stanco, si addormentò.
*
Si risvegliò che era
passata da un pezzo l’ora di cena. Si
sentiva una voragine nello stomaco profonda come l’inferno,
ma il suo letto era
così caldo e confortevole che per uscirne avrebbe avuto
bisogno di una forza di
volontà che non possedeva. E poi preferiva di gran lunga
restarsene lì sdraiato
e accoccolato a Harry.
Distese un braccio, con
l’intenzione di afferrare delicatamente
una qualsiasi parte del corpo dell’altro, ma si
ritrovò a stringere solo un
lenzuolo sfatto e un cuscino sgualcito.
Si tirò su coi gomiti e
gettò uno sguardo lungo tutta la
stanza.
I vestiti di Harry erano ancora
appoggiati sulla scrivania,
mischiati ai suoi, quindi di sicuro era ancora in casa. Poi si accorse
che,
dalla porta solamente socchiusa, filtrava la luce artificiale del
corridoio e
che, se faceva attenzione, di quanto in quanto poteva captare la voce
bassa
dell’altro. Anche se non riusciva a decifrare le parole,
sicuramente stava
parlando con qualcuno a cui voleva veramente bene, se il tono tenero
che stava
usando era di qualche indicazione.
Dopo qualche altro secondo, la luce
si spense e la figura
alta di Harry apparve alla porta. Sorrise all’espressione
sorpresa che l’altro
aveva assunto non appena si era reso conto che Zayn fosse sveglio.
«Ti ho
svegliato?» chiese gentilmente mentre si risistemava
sotto le coperte.
«No, non preoccuparti.
Credo sia stata la fame» era curioso
di sapere con chi stava parlando al telefono, ma in realtà
non aveva nessun
titolo che gli desse l’autorità a chiederglielo,
per cui sperò che fosse
l’altro a dirglielo di sua iniziativa.
«Vuoi che cucini
qualcosa?» fece, mettendosi seduto con
tutta la lentezza del mondo. Zayn negò, perché in
fondo non voleva lasciare
quella stanza per davvero.
«Era mia madre al telefono,
comunque» disse Harry,
rimettendosi steso per l’ennesima volta e voltandosi verso di
lui.
«Ah
sì?»
«Ah ah»
iniziò, mentre con una mano andava ad accarezzare i
capelli di Zayn, che sorrise al gesto. Il fatto che lo trovasse
piacevole era
un po’ assurdo, visto quanto ne era geloso. «Voleva
sapere quando vado a casa,
per Natale»
Cavolo, non ci aveva fatto caso che
mancavano solo cinque
giorni al venticinque. Non che questo fosse troppo strano, comunque.
Praticamente non lo festeggiava da quando aveva otto anni e a ben
vedere non
poteva dire che fossero mai stati dei veri
Natali. Di quelli trascorsi in famiglia, con la casa tutta
addobbata a
festa, i carillon che emettono carole natalizie a tutte le ore, cenoni
coi
parenti. Tutte cose che in fondo a Zayn erano mancate, e –
anche se non lo
aveva mai detto a nessuno – avrebbe davvero voluto provare
almeno una volta
nella vita la sensazione di calore e di gioia di cui tutti sembravano
così
tanto innamorati. Non lo aveva mai detto neanche a Liam, ma sapeva che
suo
fratello provava la stessa cosa, glielo leggeva negli occhi ogni anno.
Ma, alla
fine, quello che aveva era più che sufficiente a farlo star
bene.
«A Holmes
Chapel?» Harry, al contrario suo, non era
originario di Londra e la prima volta che gli aveva nominato quel
paesino, si
era un po’ stupito. Insomma, si ricordava di Harry dalle
superiori, ma non
avendoci mai parlato e interessandosi poco di suo a quello che gli
accadeva
intorno, non aveva fatto caso al fatto che nessuno sapesse chi fosse o
allo
sguardo sperduto che sicuramente doveva aver avuto in primi tempi. E la
sera
della festa alle sue origini si era interessato ancora di meno. Poi
erano
usciti insieme e Harry gli aveva parlato un po’ della sua
infanzia e gli aveva
raccontato di come con i suoi si fosse trasferito lì proprio
in concomitanza
dell’inizio delle superiori, perché suo padre era
stato mandato nella capitale
dall’azienda in cui lavorava.
E poi gli aveva detto di come i suoi
si fossero lasciati e
del fatto che, qualche tempo dopo, sua madre era tornata a Holmes
Chapel per
stare più vicino a suo nonno, che era malato, mentre Harry
era restato con suo
padre per finire la scuola. Di come ogni giorno gli mancasse la madre
non ne
aveva parlato, ma si percepiva benissimo dal tono vagamente dimesso di
cui la
sua voce si era colorata.
«Sì»
disse, annuendo, senza smettere di accarezzargli i
capelli. «Pensavo di partire la Vigilia e tornare il
ventisei. Mi ha detto che
sono un mascalzone, perché non la vedo da secoli e comunque
resto su
pochissimo, ma purtroppo non sono riuscito a sganciarmi al lavoro. Ha
detto che
spera che mi si brucino i capelli mentre metto in forno il pane. Non
sono molto
sicuro scherzasse» abbozzò un sorriso.
«Scherzava di sicuro. I
tuoi capelli sono troppo belli per
potergli augurare una cosa del genere»
Sul volto di Harry apparvero due
profonde fossette, suo
marchio di fabbrica.
«E tu che farai di
bello?» chiese, curioso.
«In realtà nulla
di che» rispose, con un’intonazione
incolore.
Tempo cinque secondi,
l’espressione di Harry da allegra
divenne vagamente più seria, quasi cauta.
«Pensavo…»
iniziò insicuro. «Pensavo che, magari, se non fai
nulla… ecco, magari puoi venire con me»
probabilmente si accorse
dell’espressione dubbiosa di Zayn, perché
aggiunse: «Mia madre si lamenta
sempre che non gli faccio conoscere mai nessuno, e lei è
meravigliosa e ti
adorerebbe e… è troppo? Troppo presto?»
«Ehm…»
sinceramente
sì? Ma dirglielo così gli pareva
brutto, anche perché Harry aveva un certo
non so che di speranzoso nei tratti del volto. «Io non lo
so… un po’ sì, credo»
iniziò. «Ma più che altro io e Liam
abbiamo la tradizione di pranzare qui
insieme, guardarci un film e poi, a cena, di andare da Niall.
E-» e anche se
faceva acqua da tutti i pori, secondo l’idea tipica di Natale
che almeno il 90%
della popolazione condivideva, quella era la tradizione che si era
costruito
per sé. Era sua e di Liam e di Niall e di nessun altro, e
poteva sembrare una
giornata noiosa agli occhi di tutti, ma ben presto aveva capito che famiglia non significa semplicemente persone con cui condividi qualche gene e
aveva smesso di sperare in qualcosa che suo padre non gli avrebbe mai
potuto
dare – padre dal quale ormai non voleva neanche
più nulla –, e tutto l’affetto
che gli serviva lo riceveva ogni giorno da quei due ragazzi che
avevano, dopo
tutti quegli anni, ancora la forza di sopportarlo.
E sì, qualche volta
sperava che la sua vita fosse andata in
modo completamente diverso, ma poi si diceva che magari non avrebbe mai
avuto
l’opportunità di conoscere Niall e Liam, se
così fosse stato, e sapeva che loro
erano la cosa migliore che gli fosse mai capitata e che non li avrebbe
scambiati con niente al mondo.
«Oh» fece Harry,
riprendendo a sorridere. «Non stai con i
tuoi?»
«Mia madre è
morta quando avevo otto anni e in realtà con
mio padre non parlo molto» di’
pure che
per te è morto anche lui, si disse Zayn. Ma
evitò di metterla su quel
piano, perché avrebbe solo portato Harry a fargli domande
alle quali davvero
non voleva rispondere. Aver nominato sua madre già gli
sembrava abbastanza,
fare silenzio sul resto era un compromesso accettabile.
«Oh, mi dispiace»
disse solo, e Zayn gli fu grato per non
aver chiesto altro. Non è che non si fidasse di Harry, anzi;
e di certo vi
erano molte storie simili alla sua, nel mondo, e anche di
più tragiche.
Semplicemente non gli piaceva parlarne né pensarci troppo, e
farlo gli avrebbe
rovinato l’umore e questa era l’ultima cosa che
voleva. Magari un giorno
gliel’avrebbe raccontato, ma non lì e in quel
momento, quando ancora il suo
corpo era avvolto da un piacevole tepore e il volto di Harry era
così vicino al
suo che gli sarebbe bastato fare un leggero movimento in avanti per
baciarlo.
E allora lo fece, un centimetro e le
sue labbra si posarono
su quelle vagamente a cuore di Harry. Restarono così, a
scambiarsi baci dolci e
lenti, per qualche momento o forse per qualche ora, Zayn non avrebbe
saputo
dirlo.
«E la vigilia? Fai
qualcosa?» gli chiese il più piccolo,
quando si separarono.
«No, mangerò
tutta la carne che riesco ad infilare nello
stomaco, in barba alla tradizione» rispose. Faceva
così da quando era
indipendente e poteva decidere da solo cosa mangiare; era una specie di
forma
di ribellione contro il padre che da piccolo lo costringeva sempre a
mangiare
pesce, alla Vigilia. Il che era assurdo, per loro il Natale non era una
festa
religiosa. Era una cosa che probabilmente non avrebbe mai capito e che
aveva
smesso da tempo di cercare di spiegare. Ormai non gliene fregava
neanche più
nulla, ma quella specie di reazione era diventata un’altra
assurda tradizione,
per lui, e anche se sapeva che era da idioti, non l’aveva mai
abbandonata.
«Che ne dici se mangiamo un
sacco di carne insieme?» propose
Harry.
«Ma non avevi
l’intenzione di partire proprio il
ventiquattro?» perché, se non si era
improvvisamente ammattito, glielo aveva
detto solo qualche minuto prima.
«Sì, ma posso
partire anche la mattina di Natale ed essere
ancora lì per pranzo» rispose, cercando di essere
convincente.
Zayn sorrise. Gli dispiaceva togliere
tempo alla madre di
Harry, ma in fondo l’idea di passare qualche momento di festa
con il ragazzo
era troppo allettante da essere rifiutata.
«Sembra
proprio un
bel piano»
Note:
Stanca stanca, ancora in ritardo, di
frettaaaa ^_^
Tanti baci a tutti (chi è
andato a vedere i bimbi a Verona o
a Milano? *__*)
A presto!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Capitolo
sette.
«Quando hai detto che
torni?»
Louis entrò nella sua
stanza, ma lui non perse tempo a
guardarlo e continuò a preparare la valigia. Era in super
ritardo, aveva detto
a Zayn che sarebbe andato da lui verso le quattro per preparare la cena
insieme, ma erano le tre abbondanti e ancora non era pronto. Era quasi
in alto
mare, anzi, e davvero non aveva tempo da dedicare a Louis.
«Il ventisei»
rispose ugualmente.
«E parti
stasera?» ma non gliel’aveva già detto?
Harry
sbuffò, perché odiava ripetere le cose venti
volte, aveva come l’impressione di
parlare con gente stupida. O poco interessata ad ascoltarlo.
«Te l’ho
già detto, parto domani mattina sul presto»
buttò
fuori, mentre andava in bagno per radunare spazzolino e simili.
«Ah, già.
Così domani puoi scambiare i regali con il tuo
ragazzo. Che dolce»
«Non credo avremo tempo
domani, quindi penso che lo faremo
stanotte» disse, scrollando le spalle. «E non
è il mio ragazzo, idiota»
aggiunse in fretta, ripensando a quello che Louis aveva detto. Gli
diede le
spalle, con la scusa di dover raccattare degli abiti
dall’armadio, perché non
vedesse che era arrossito come un adolescente. Cazzo, Zayn non era il
suo
ragazzo, era il suo lavoro, e Louis lo sapeva meglio di lui. E anche se
non lo
fosse stato, non è che avessero ufficializzato nulla, per
cui no, non era affatto il suo
ragazzo. Anche se ammetteva
che, magari, potevano dare quell’impressione.
«Be’, quella
è l’impressione che date. State sempre insieme,
sempre appiccicati, sembrate piccioni in amore» si
sentì obbligato a replicare
Louis.
«Be’, non
è così, lo sai benissimo perché lo
frequento» nel
suo cervello, per farla breve, si era abituato a dire lavoro,
ma evitava di farlo ad alta voce; lo faceva sentire una
specie di prostituta, oltre che uno stronzo assurdo. Ma, alla fine, non
si era
mai fatto problemi né col sesso senza legami né
con le bassezze, non vedeva
perché doveva iniziare adesso che era tanto così
dal raggiungere il suo
obiettivo. Il fine giustifica i mezzi,
si ripeteva.
«Ma Zayn non lo sa, a meno
che tu non glielo abbia detto,
cosa che dubito fortemente» ah, odiava quando Louis faceva il
saccente. Non era
vero, lo amava, ma di solito non lo faceva con lui, per cui era
più divertente.
Sbuffò per quella che
doveva essere la centesima volta in
cinque minuti, e non lo degnò di risposta.
«Ho saputo che
l’hai anche invitato a conoscere tua madre»
continuò, affatto scoraggiato.
«E chi te
l’avrebbe detto?» domandò, curioso.
«Me l’ha detto
Liam»
«Ah sì, Liam? E
come va con l’unico ragazzo che non dovresti
guardare neanche da lontano?» chiese, un po’ per
cambiare discorso, un po’
perché quella cosa lo faceva davvero arrabbiare.
«Oh, Hazza, non fare il
ragazzino. Siamo solo amici, mi dà
solo consigli in palestra. E ha la ragazza, per cui ho lasciato perdere
ancora
prima di provarci sul serio»
Harry tirò un sospiro di
sollievo. «Bene» mormorò tra i
denti.
Riportò
l’attenzione ai suoi vestiti ancora tutti stesi sul
letto, sperando fortemente che Louis capisse l’antifona,
quella volta, e
uscisse da lì.
«Insomma?
Gliel’hai chiesto sul serio?» ovviamente aveva
osato sperare troppo.
«Sì,
gliel’ho chiesto. Ma sapevo che avrebbe detto di no, ci
vediamo da neanche un mese! Neanch’io vorrei conoscere i suoi
genitori così
presto» si morse il labbro non appena sentì
risuonare per la stanza le sue
ultime parole. Si sentì più stronzo del solito
anche solo a pensare quello che
aveva detto, dopo le confessioni a mezza voce che Zayn gli aveva fatto
pochi
giorni prima. Non avrebbe saputo dire perché, ma quelle
poche informazioni gli
avevano fatto stringere lo stomaco dalla tristezza. Non gli aveva
chiesto altro,
perché aveva capito che Zayn non si sentiva ancora pronto a
parlargliene e
perché sapeva che aveva ancora tempo per scoprire tutto. Un
tutto che si era
fatto improvvisamente più interessante. E così,
in pochi attimi, aveva
scacciato la brutta sensazione con quella soddisfatta che era sempre
legata a
una qualche notizia importante.
E se ogni volta che ripensava al
volto di Zayn – le sue mani
tra i capelli neri e gli occhi più scuri del solito
– riprovava di nuovo quella
morsa alle viscere, non era perché provasse qualcosa per
l’altro. Non era così
scemo da farsi fregare da due occhioni da cerbiatto.
«Oh, certo che lo
sapevi» ironizzò il più grande.
«Senti, gliel’ho
chiesto solo perché credesse che per me è
una cosa seria e tutte quelle cazzate lì. Se no me lo
spieghi come faccio a
farlo aprire e a scoprire di più di suo fratello e di tutto
il suo passato? Ho
cercato anche di più sul padre, ma internet è
piena di favole e di versioni
contrapposte, in realtà è piena del nulla
più totale, e non è che possa andare
da Liam, ti pare? E poi, comunque, a me serve la visione delle cose di
Zayn,
non voglio che l’articolo sia solo un elenco sterile di date
o una di quelle
biografie che si studiano a scuola» spiegò Harry,
guardando l’amico,
arrendendosi a dargli quello che voleva.
«Quindi l’hai
invitato solo per fargli credere che tu stia
facendo sul serio?»
«Ah ah»
«E ha
funzionato?» continuò.
«E che ne so» ora
iniziava quasi a stufarsi. Voleva bene al
suo coinquilino, ma qualche volta era insopportabile.
«Non sai se prova qualcosa
per te o non sai se ti ha
raccontato qualcosa?»
Ma pensava di essere divertente?
«Louis, ti
prego…» sibilò esasperato, il ti prego pronunciato come fosse una
minaccia.
«Harry, vedi di non
affezionarti tu, mentre provi con tutte
le tue forze a-»
«Ti ho già detto
che non ci sono pericoli, mi pare» lo
interruppe. Sentiva il fumo uscirgli dalle orecchie.
«Sì, lo so.
Sta’ attento comunque» ribadì, prima di
voltarsi
per uscire finalmente dalla sua
camera. «E salutami Anne»
*
Qualche giorno prima erano andati in
macelleria; avevano
comprato un po’ di tutto, a parte maiale, e Harry aveva
sorriso all’espressione
felice e soddisfatta che Zayn aveva fatto non appena erano usciti.
Quando, dopo essere sopravvissuto
all’interrogatorio di
Louis, si era ritrovato a bussare alla porta di Zayn, sapeva
già che avrebbe
dovuto preparare tutto lui, perché l’altro era
negato, e probabilmente avrebbe
cercato di cucinare il vitello come fosse un piatto di maccheroni. Ma
non si
lamentava, i fornelli erano la sua passione segreta.
Zayn l’accolse con un bacio
veloce e lo trascinò in cucina.
Harry prese il suo tempo per
togliersi cappotto, cuffia e
guanti, ma si sentiva perforare da parte a parte dallo sguardo intento
dell’altro; evidentemente aveva fretta, il che era assurdo,
perché tanto lo
sapevano che avrebbero finito per cenare alle undici, come
già era successo
altre volte, e in più la maggior parte della carne
l’aveva già preparata lui
quella mattina.
«Perché hai
tutta questa fretta?» domandò curioso.
«Non ho fretta»
protestò Zayn, beccandosi un’occhiata
scettica da parte di Harry.
«Ma se non riesci neanche a
tener fermi i piedi» lo canzonò
il più piccolo.
«È che non vedo
l’ora che sia stasera» rispose in fine,
scrollando le spalle.
«Allora mi aiuti?
Così facciamo prima» magari si stava
scavando la fossa, ma aveva la vaga impressione che vedere Zayn
all’opera
l’avrebbe divertito da matti.
*
Zayn voleva fare i biscotti. Così abbiamo qualcosa da sgranocchiare
mentre guardiamo il film sicuramente
orribile che hai portato, spiegò. E poi ne avrebbe
fatti abbastanza anche
per Liam e Niall, così da avere la loro imperitura
gratitudine.
«Che ingredienti mi
servono?»
«Uova, latte e farina, come
è scritto nel libro di cucina»
rispose Harry, alzando gli occhi al cielo, perché
evidentemente l’altro non
sapeva neanche leggere.
«Cuc.no
vuol dire
cucchiaino» aggiunse random sbirciando il libro da sopra la
spalla dell’altro,
tanto sapeva gliel’avrebbe chiesto, presto o tardi.
Zayn gli face la linguaccia e
iniziò a preparare tutto
quello che gli serviva, oltre i vari ingredienti. Scodelle, qualche
cucchiaio,
un bicchiere per misurare il latte…
«Non dirmi che non hai una
bilancia» s’intromise Harry,
divertito.
«Non è che me ne
faccia molto di una bilancia, io. Nel forno
ci tengo i maglioni, di solito; questa cucina è praticamente
vergine» disse
Zayn, grattandosi pensosamente una tempia.
Harry decise che non avrebbe
commentato né fatto battute di
cattivo gusto, si rigirò e continuò a preparare
il coniglio.
«Come faccio a pesare
farina e zucchero?» lo interruppe
Zayn.
«Harryyyyy» fece
con tono infantile, quando l’altro non lo
calcolò di striscio.
«Harryyyyyyyyyyyyyy»
«Fai a-» un pugno
di farina gli arrivò dritta in faccia,
tutta sulle labbra e sul naso e un po’ su gli occhi e tra un
battito di ciglia
e l’altro poteva vedere Zayn tenersi la pancia, da quanto
stava sghignazzando.
«Vuoi la guerra?»
chiese, indignatamente retorico, mentre
con una mano raggiungeva il sacchetto di farina e ne tirava fuori una
manciata.
*
Zayn aveva dovuto rinunciare
all’idea del dolce, perché dopo
aver imbiancato tutta la stanza – oltre che loro stessi
– non erano rimasti
ingredienti a sufficienza.
Ma, alla fine, avevano comprato
talmente tanta carne che per
finirla ci sarebbero voluti giorni, di posto per altro davvero non
avevano.
«È
l’anatra più buona che abbia mai assaggiato,
giuro» si
complimentò Zayn. Harry scrollò le spalle, come
se l’altro avesse detto una
sciocchezza, ma arrossì lievemente comunque per il
complimento.
«Vorrei
che cucinassi
per me ogni giorno» esclamò Zayn con aria
sognante. Poi, accortosi di come
poteva suonare, abbasso gli occhi sul piatto e tossicchiò
leggermente.
Harry si ritrovò a
sorridere, pensando che magari sarebbe
stato bello: cucinare per qualcuno lo rendeva più felice che
farlo solo per se
stesso. Si dette un mentale calcio nel sedere.
«Se vuoi che ti faccia da
domestico mi devi pagare, però»
disse, per togliere dall’imbarazzo Zayn e per cambiare
argomento. Pensare di
cucinare per Zayn l’aveva fatto agitare e quello non era mai
un buon segno.
*
Harry aveva scelto il Titanic. Che
era tutto meno che un
film natalizio o una commedia romantica e allegra adatta a un giorno di
gioia;
nondimeno era uno dei suoi preferiti e l’avrebbe rivisto in
continuazione. A
dispetto dei suoi gusti cinematografici, Harry non un ragazzo
propriamente
romantico, ma aveva come l’impressione che
all’altro sotto sotto cose quel
genere di cose potesse far piacere e, se la prima volta che gli aveva
preparato
la colazione, il gesto era stato del tutto calcolato, con il passare
del tempo
si era ritrovato sempre di più a fare piccole cose o avere
certi pensieri per
l’altro, del tutto spontanei. Quello avrebbe dovuto
preoccuparlo, forse, e ogni
tanto nella sua testa risuonavano le parole di Louis, ma Harry le
scacciava
ogni volta, dicendosi che probabilmente si stava solo abituando. Si
trattava di
qualcosa di meccanico, ecco.
Zayn aveva fatto finta di lamentarsi,
borbottando qualcosa
su cartoni animati e film dell’orrore, anche se Harry non
riusciva a capire
cosa uno potesse azzeccarci con l’altro.
A un certo punto, era quasi certo che
Zayn si fosse
addormentato, la testa pesantemente appoggiata sulla sua spalla, con la
bocca
leggermente aperta, il respiro più pesante e rallentato e le
ciglia infinite
che gettavano ombra sugli zigomi pronunciati. Se c’era una
cosa che a Harry
piaceva dell’altro, più delle labbra carnose o
dell’accento strano, più degli
occhi profondi o del naso perfetto, addirittura più del
tatuaggio super sexy
della clavicola, erano gli zigomi. Sarebbe stato le ore ad accarezzarli
o solo
ad ammirarli, soprattutto i giorni in cui era troppo pigro per farsi la
barba e
allora erano quasi più in evidenza, e Zayn – se
possibile – diventava ancora
più eccitante, e Harry avrebbe passato la sua mano sul volto
dell’altro tutto
il giorno, apprezzando il contrasto tra pelle liscia e ruvida, e
l’avrebbe
ricoperto di baci e morsi, forse l’avrebbe mangiato,
perché se era buono quanto
bello, allora doveva essere la cosa più gustosa sulla faccia
della terra.
Sentì l’altro
strusciarsi contro il suo braccio, strizzare
gli occhi nel vago tentativo di riacquisire coscienza.
«Ehi, questa è
la mia parte preferita» fece Harry, a bassa
voce.
Jack e Rose, sullo schermo, stavano
ballando e ridendo alla
festa con quelli della terza classe. A Harry era sempre piaciuto quel
momento,
la contrapposizione sociale che descriveva e l’indipendenza
che Rose desiderava
ogni momento un po’ di più.
«È
perché Dicaprio è tutto sudato, vero?»
biascicò Zayn, la
voce un po’ impastata dal sonno.
«Anche» rispose
criptico.
«Uhm. Io lo preferisco
più adesso» commentò, rivolgendo gli
occhi alla televisione.
«Io preferisco
te» sputò fuori Harry, prendendolo per le
spalle e spingendolo lentamente contro il divano, facendolo sdraiare e
stendendosi
sopra di lui subito dopo, dalla punta dei piedi fino al petto
così stretti che
tra di loro non passava neanche l’aria.
«Be’,
ovvio, io sono
irresistibile» si lodò scherzosamente il
più grande, addolcendo lo sguardo
all’inverosimile.
Harry lo baciò, solo un
leggero contatto di labbra, pensando
che era vero, che Zayn era irresistibile, ma lui era sicuramente immune
a tutto
il suo fascino.
Se poi, da qualche giorno, ogni volta
che Zayn lo toccava,
gli veniva la pelle d’oca e quando gli sorrideva, si
ritrovava il cuore
pericolosamente vicino allo stomaco – be’, quello
non significava nulla.
Note:
Dedicato a Gre perché
sìììììììììì!
Grande, grande, grande!
Accontentati, perché una storia ex novo non ce
l’ho, di questi tempi è già
tanto se riesco ad aggiornare. Super triste.
Non fate caso ai riferimenti
disneyani, come al solito J
i maglioni nel forno sono di proprietà di Carrie Bradshaw
<3
Se vi va, fatemi sapere cosa ne
pensate! Se fa schifo,
ditelo pure, non mi offendo e non mordo!
(Non ho avuto tempo di rileggere, se
c’è qualche
castroneria, ditemelo che la correggo, pleaseeee)
|
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Capitolo
otto.
Zayn affrettò il passo,
perché come sempre era in ritardo.
Aveva appuntamento con Liam e Niall
al loro solito caffè, ma
si era addormentato sul divano mentre ascoltava un po’ di
musica e quando si
era svegliato l’ora d’incontro era passata da dieci
minuti e i suoi capelli
erano un disastro. Aveva perso un quarto d’ora davanti allo
specchio, cercando
di dargli una vaga forma, perché se c’era una cosa
con cui era fissato, quella
era uscire sempre e solo se era presentabile al 100%.
«Scusate scusate
scusate» disse, accostandosi ai due amici,
già seduti al tavolo.
«Sembra ti sia passato
sopra un treno» scherzò Niall, sempre
affascinante.
«Stanotte praticamente non
ho dormito e oggi mi sono
addormentato sul divano. Mi sono svegliato tipo mezzora fa e ho un
sonno bestia
e-»
«Ok, ok. Va bene, abbiamo
capito» l’interruppe Liam, sorridendo.
«E perché non
hai dormito? Hai fatto le ore piccole col tuo
ragazzo, eh?» intervenne il biondo, un po’ per
curiosità e un po’ per prenderlo
in giro.
«Non è il mio
ragazzo» ripeté a Niall per l’ennesima
volta,
anche se, cazzo, quanto
l’avrebbe
voluto. «E comunque, no, Harry non c’entra nulla.
Non che siano fatti tuoi»
rispose in modo vagamente acido. Ma si era appena svegliato, quella
doveva
essere una scusante abbastanza valida. «Semplicemente non
riuscivo a dormire,»
ma era sempre così prima dell’uscita di un suo
libro. «e quindi mi sono messo a
leggere. Il problema è che alle cinque ero ancora sveglio e
alle nove avevo gli
allenamenti con la squadra» Ordinò un
caffè, nella speranza lo tenesse lucido e
attivo per più di dieci minuti.
Non ci poteva far nulla, se non
riusciva a dormire. Non è
che se lo potesse imporre con la forza o con l’ipnosi o con
altre stronzate del
genere. Quindi, piuttosto che rigirarsi inutilmente nel letto
all’infinito,
aveva pensato di iniziare il libro che Harry gli aveva regalato per
Natale.
Harry gli aveva detto che sbirciando
nella sua libreria
aveva visto che non aveva nulla di Hermann Hesse. È
una specie di peccato mortale, aveva commentato.
Zayn sorrise al ricordo della volta
in cui Harry gli aveva
chiesto cosa ci fosse nella stanza che restava sempre chiusa. Era ovvio
che
prima o poi l’avrebbe fatto e da tempo aveva provveduto a
togliere di mezzo
tutto quello che riguardasse Mick Stone. Harry passava più
tempo lì che a casa
propria e quello che gli aveva raccontato su Louis gli aveva fatto
passare ben
presto la voglia di vedere il suo appartamento, almeno per il momento.
Quando gli aveva detto che studiava
inglese, non c’aveva
fatto troppo caso, ma Harry era ossessionato dalla letteratura tanto
quanto lui
e la cosa era semplicemente fantastica. Potevano restare ore e ore a
parlare di
un singolo libro, spesso anche solo di un semplice passaggio, le loro
idee che
si intrecciavano alla visione dell’altro di questo o quel
personaggio. E senza
che se ne rendesse conto, in quei momenti riusciva ad aprirsi con Harry
come
fino ad allora aveva fatto solo con Liam e Niall, e lo faceva senza
pensarci
troppo, tutte le sue sensazioni e le sue emozioni nascoste malamente
dalle sue
opinioni o dalle sue critiche. Spesso si chiedeva se era
così anche per Harry,
ma poi, ogni volta che questi legava una lettura a un ricordo e i suoi
occhi
brillavano come se in essi fossero rimaste intrappolate tutte le stelle
del
cielo, si diceva che sì, sicuramente lo era.
«Caspita, doveva essere un
libro meraviglioso, per tenerti
sveglio così tanto» commentò Niall.
Zayn annuì, anche se non era completamente
certo che il tono dell’altro fosse davvero serio.
Meraviglioso lo era davvero,
comunque. Ed era anche un po’ assurdo che non lo avesse mai
letto o che non
fosse tra i libri di sua madre. Narciso e
Boccadoro. Non sapeva come Harry ci fosse riuscito, se fosse
stato un caso
o se in poco tempo avesse imparato a conoscerlo così bene,
ma Zayn si sentiva
proprio come Boccadoro. Sempre alla ricerca di qualcosa qualcosa
qualcosa.
Quando era bambino non aveva fatto
altro che sognare
l’approvazione del padre, e poi il ritorno della madre, e
forse senza
rendersene conto aveva anche aspettato quella
persona; il che era un po’ assurdo, era sempre stato
piuttosto sicuro che
l’altra metà della mela, l’anima
gemella, fossero favole inventate per far
addormentare le bambine sognatrici, favole che a lui non dicevano
nulla. E, in
parte, ne era ancora convinto, ma c’era qualcosa nel ragazzo
con il quale si
addormentava quasi ogni sera e con il quale si svegliava quasi ogni
mattina che
gli diceva che no, il principe azzurro non esisteva, ma che forse Harry
era la
persona giusta per lui.
La realizzazione lo colpì
come un fulmine a ciel sereno.
«Forse è quello
giusto» disse, perché anche se era la
persona più riservata che Dio avesse posto sulla terra, a
Niall e Liam diceva
sempre tutto. E forse perché era un po’
spaventato, e aveva bisogno di qualche
avviso.
«Il libro?»
chiese Niall. Liam gli diede un leggero
scapaccione sulla nuca e gli lanciò un’occhiata di
sbieco.
«Harry» rispose
poi al suo posto. Zayn annuì lentamente.
«È troppo
presto?» perché nessuno aveva mai scritto un
libretto d’istruzioni, per problemi come il suo? Magari da
qualche parte c’era
un elenco di regole, cos’era permesso e cosa no, e nessuno si
era mai
preoccupato di parlargliene e lui non l’aveva mai letto e
adesso si ritrovava
innamorato troppo presto e-
Innamorato?
Oh cazzo. Zayn
avrebbe voluto sbattere la testa sul tavolo.
«È troppo
presto» si rispose da solo, la voce che lasciava
trasparire una crescente angoscia e le mani tra i capelli.
«Non esiste un troppo
presto o un troppo tardi, Zayn»
intervenne Liam. Zayn lo guardò poco convinto.
«Non stai parlando di una
scienza esatta. Non puoi
costringerti a provare qualcosa se non lo provi e, allo stesso modo,
non puoi non provare qualcosa che
provi»
continuò.
«Mi sono perso»
biascicò Niall, ma nessuno dei due gli diede
attenzione.
«Ma… ma non
conosce tutto di me, non sa di Mick, e io non so
tutto di lui e-»
«Il fatto che non sappiate
tutto l’uno dell’altro non cambia
il fatto che tu possa esserne innamorato, no? Tu sei sempre tu, a
prescindere
da tutto, e lui è sempre lui. Quello che ha fatto conta in
rapporto a chi lui è
diventato, alla persona che è adesso. Quello è
l’importante» disse Liam,
ragionevole. «Quello e ciò che senti per
lui»
Liam sorrise e Niall alzò
le spalle. «Magari l’amore è un
po’ come la birra» intervenne. «nessun
orario è mai troppo presto»
Liam lo guardò male e Zayn
scoppiò a ridere.
«Questo perché
sei disturbato, Niall» commentò, e per
metà
ne era convinto.
Suo fratello gli diede una leggera
pacca sulla spalla e Zayn
pensò che fosse fortunato ad avere due persone del genere,
nella sua vita.
*
Era l’ultimo giorno
dell’anno e un po’ a Zayn dispiaceva che
stesse per finire. Aveva sempre come l’impressione che il
tempo corresse troppo
in fretta, che la vita gli scivolasse tra le dita senza che lui
riuscisse a
fare nulla per fermarla e aveva una continua paura di restare indietro
rispetto
a tutti. E poi era la fine di un ciclo e l’inizio di un
altro, anche se non
cambiava mai nulla. E, se proprio quell’anno che le cose
avevano iniziato ad
andargli davvero bene e lui era felice, il mondo avesse deciso di
rivoltarglisi
contro e mandargli tutto a puttane?
Zayn prese un bel respiro. Stava
pensando cose pazze, senza
senso, e forse avrebbe fatto meglio a calmarsi. Inspira-espira.
Ecco, che l’amore rende deficienti lo sapeva, ma
non pensava così tanto.
In ogni caso lui non aveva tempo da
perdere in assurdi pensieri,
doveva ancora farsi una doccia e vestirsi e rendersi presentabile prima
che
Harry passasse a prenderlo.
*
Avevano deciso che avrebbero
aspettato la mezzanotte in
piazza e che poi avrebbero raggiunto Liam e Niall a una festa
lì vicino.
Neanche a farlo apposta, pure Louis sarebbe stato là e
questo aveva rallegrato
Harry.
Passo il
capodanno con
Louis da quando lo conosco, gli aveva rivelato e Zayn gli
aveva sorriso e
risposto che per lui era lo stesso con i suoi due amici.
Harry l’aveva stretto e
aveva passato le mani lungo tutta la
sua schiena.
«Perfetto» aveva
detto, prima di baciarlo.
*
Mancava mezzora a mezzanotte e Zayn
non sentiva neanche più
freddo, colpa del troppo vino che aveva bevuto a cena. Sentiva un
leggero
ronzio alle orecchie e si sarebbe fatto volentieri una birra.
Harry gli stava parlando, ma Zayn
avrebbe preferito di gran
lunga baciarlo. Per questo gli tappò la bocca con la propria
a metà di un
discorso di cui non aveva capito neanche una parola, il sapore
dell’altro che
lo ubriacava più dell’alcol puro.
La città era stupenda,
illuminata a festa. Ogni tanto
scoppiava qualcosa, fuochi d’artificio, risate, allarmi
d’auto, e Zayn aveva
incontrato gente che non vedeva da secoli.
Si stava divertendo un mondo e non si
era mai sentito così a
suo agio in mezzo a tante persone. Non sapeva se c’entrava
l’alcol, ma di certo
era anche merito di Harry. Harry che gli stringeva la mano, Harry che
raccontava storie che dovevano essere divertenti ma che non lo erano
affatto,
Harry che sorrideva con quelle sue belle fossette, solo per lui.
«Andiamo a
ballare» gli propose, eccitato.
«Tu vuoi
ballare?» rispose Harry con fare a metà tra lo
sconvolto e il divertito.
Zayn scollò le spalle e
annuì più volte.
«Ah,
sei proprio ubriaco!»
esclamò l’altro, prendendolo comunque per mano e
trascinandolo in mezzo ad
altre coppie intente a rendersi ridicole.
«Nooo,
sono solo felice!» lo
contraddisse il più grande, ridacchiando mentre Harry gli
faceva fare una
giravolta.
«Ok,
meraviglia»
*
A
pochi secondi dall’inizio del
nuovo anno, Harry lo strinse e, fregandosene di unire la propria voce a
quella
degli altri per il tradizionale conto alla rovescia, Zayn lo
baciò.
TiamoTiamoTiamo, si ritrovò a
pensare Zayn, mentre l’altro
ricambiava e gli mordeva un labbro e passava le mani fra i suoi capelli.
«Ti
amo» gli disse non appena si
staccarono, perché evidentemente non gli funzionava
più il filtro tra cervello
e bocca. Non avrebbe davvero voluto dirglielo, anzi l’aveva
realizzato da così
poco che gli serviva tempo per rielaborare-capire-accettare tutto, e
invece se
l’era lasciato scappare e adesso non se lo poteva
più riprendere indietro e
Harry gli avrebbe riso in faccia e-
«Sei
ubriaco» fece Harry,
sorridendo e passando le dita sulle guance di Zayn, che sinceramente
non capiva.
Era la sua risposta? O era una costatazione? E sì, ok, era
ubriaco, ma non per
questo quello che aveva detto era meno vero. Anzi, biasimava il vino
per averlo
reso così spontaneo.
«Ti
amo anche da sobrio» si
corresse. Forse Harry era lento di comprendonio tanto quanto lo era a
parlare,
quindi Zayn doveva essere più chiaro possibile.
Harry
chiuse gli occhi e appoggiò
la fronte alla sua, i nasi che si toccavano in un bacio
all’eschimese.
«Ti
amo anch’io»
Note:
Oh
mio Dio, sono così in ritardo
che neanche Trenitalia K
Grazie
mille a chi ancora segue
questa storia!
Congratulazioni
alla Greeeee
(fino a che non scrivo qualcosa di nuovo e accettabile ogni capitolo
sarà
dedicato a te, dottoressaaaaa xD)
|
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
Capitolo nove.
Harry
aveva passato l’ultima
settimana a osservare come Zayn diventasse sempre più
nervoso man mano che il
giorno dell’uscita del suo libro si avvicinava.
Ormai
aveva capito che se si
stava mordendo un labbro, allora stava pensando a quello. Se sospirava
dal
nulla, idem. Lo faceva sorridere l’idea di conoscere
l’altro così bene da aver
imparato a leggere il linguaggio del suo corpo, e allo stesso tempo la
cosa lo
impensieriva un po’.
Soprattutto
perché ogni volta,
insieme a quei pensieri, non voluto arrivava il ricordo della sera di
Capodanno
e, anche impegnandosi al massimo, non riusciva a liberarsene per ore.
Le
prime volte che aveva
risentito dentro la sua testa quel ti
amo, l’aveva semplicemente scacciato come avrebbe
fatto con una mosca
particolarmente fastidiosa. Poi, però, era diventato sempre
un po’ più
difficile, fino a che – per mettersi l’anima in
pace – c’aveva riflettuto ed
era giunto alla conclusione che, sì, gli aveva risposto, ma
che in fondo quello
non voleva dire che amasse Zayn davvero. Anzi, era stato molto furbo
– e,
infatti, si era complimentato con se stesso –
perché adesso l’altro pensava che
anche Harry provasse per lui qualcosa di forte e magari si sarebbe
aperto e lui
avrebbe potuto scrivere quel maledetto articolo e finalmente chiuderla
con tutto.
Chiuderla con i baci lenti e dolci che si scambiavano la mattina,
chiuderla con
le passeggiate mano nella mano e con tutte quelle cose dannatamente
romantiche
che gli facevano venire il mal di stomaco.
Magari
avrebbe dovuto farlo bere.
Così forse si sarebbe rilassato, avrebbe evitato di
strapparsi i capelli a
furia di passarci le mani in mezzo e si sarebbe aperto tanto da dirgli
qualcosa
– qualsiasi cosa, perché era disperato –
che avrebbe potuto usare. Mancava poco
più di un mese e Zayn gli aveva raccontato pochissime
cavolate, come di quella
volta quando da bambino aveva fatto un pupazzo di neve con la madre.
Harry
si ritrovò a sorridere al
ricordo di come Zayn fosse pensieroso, ma allo stesso tempo quasi in
pace con
il mondo, mentre glielo raccontava.
Si
passò una mano sul volto.
Anche se Zayn era tenero – e ok, Harry ormai non poteva
più fingere di non
trovarlo adorabile (non che quello
volesse dire nulla, pensò) –, a lui
serviva qualcosa di più interessante,
se no addio Times. E non voleva neanche pensare a quanto Louis
l’avrebbe preso
in giro, se non fosse riuscito a portare a termine il lavoro.
*
Alla
fine, Harry aveva proposto a
Zayn di uscire, quella sera.
L’altro
c’aveva pensato un po’ –
e Harry poteva quasi leggere la lista mentale dei pro e dei contro che
stava
facendo – ed era giunto alla conclusione che passare qualche
ora a svagarsi non
poteva fargli che bene.
Aveva
lasciato che Zayn
scegliesse il posto, perché preferiva evitare di portarlo
nei locali che lui
frequentava di solito. Non sapeva mai chi avrebbe potuto incontrare e
chi
avrebbe potuto mandare a quel paese tutto il suo duro lavoro, anche
solo con
una parola.
E
Zayn l’aveva trascinato in una
specie di disco-pub gay-friendly, di cui conosceva il proprietario e in
cui
ogni tanto andava con Niall. O meglio, aveva specificato, ci andava con
Niall
quando questi lo costringeva ad alzare le chiappe dal divano, nei
periodi di
misantropia più cupa che ogni tanto lo sommergevano.
Il
locale era carino, comunque,
se ti piaceva il genere. Harry si trovava sempre a suo agio in mezzo
alla
gente, gli sguardi che riceveva dalle donne, anche se non gli
interessavano, lo
inorgoglivano e quelli degli uomini lo eccitavano, e be’, era
sempre stato un
predatore nato e quei posti, per lui, erano come la savana per i leoni.
E
in più era una vita che non
passava una serata del genere. Con Louis aveva l’abitudine di
andare ogni fine
settimana in un locale diverso, bere qualcosa – spesso
più che qualcosa –
e preferibilmente andare a
letto con qualcuno. Da quando era iniziata quella cosa con Zayn,
invece, aveva
rallentato un po’ i ritmi, tant’è che
ogni tanto l’amico si era lamentato di
quanto poco ormai si vedessero. L’aveva accusato di passare
ogni minuto con
Zayn, di vivere con l’altro, praticamente, e Harry
l’aveva guardato male e non
aveva risposto. Era veramente stufo di giustificarsi in continuazione
con
Louis, che più di chiunque avrebbe dovuto capire
perché faceva quello che
faceva, si comportava come si comportava e diceva quello che diceva.
E
poi non è che potesse rischiare
che qualcuno che conosceva entrambi lo vedesse mentre rimorchiava uno a
caso e
lo andasse a dire a Zayn.
E
comunque non ne aveva neanche
bisogno. Il sesso con Zayn era il migliore della sua vita, e lui di
materiale
per far paragoni ne aveva in abbondanza. E anche se non era mai stato
una
persona da relazioni e aveva sempre pensato che con un partner fisso
sarebbero
subentrate anche noia e monotonia, i momenti
d’intimità con l’altro non lo stufavano
mai, ma come al solito preferiva non riflettere troppo sulla cosa.
Evidentemente condividevano una sintonia particolare, ma in fondo, si
diceva, neanche
quello voleva dire nulla.
*
Harry
aveva costretto Zayn a
ballare. All’inizio l’altro aveva riso alla
proposta e aveva declinato
l’offerta, dicendo di essere davvero negato. Praticamente
ho due piedi sinistri, aveva affermato con
convinzione, prima di trascinarlo al bancone.
Dopo
due birre e un Jack e coca,
Harry l’aveva preso per il polso e aveva messo su
un’espressione alla quale era
sicuro che Zayn non avrebbe saputo resistere.
«Su,
balliamo» aveva richiesto.
«Fallo per me» e Zayn aveva ceduto.
*
In
effetti, Zayn era poco
portato. Aveva quasi ucciso con una mano volante un emerito sconosciuto
che
aveva avuto l’ardire di avvicinarglisi troppo e aveva
rovesciato addosso a
Harry il drink che stava bevendo.
Ma
il volto di Zayn era tutto un
sorriso, e Harry non era riuscito proprio a prendersela per una
maglietta
macchiata.
A
un certo punto gli era quasi
venuto da ridere; Zayn si era avvicinato e aveva passato le braccia
intorno al
suo collo, stringendoselo addosso. Aveva iniziato a muoversi
più lentamente,
con un sorriso provocante dipinto in faccia, mentre accanto a loro
tutti
continuavano a dimenarsi come non ci fosse un domani. Gli era tornata
in mente
la scena topica de Il tempo delle mele,
solo che nessuno dei due aveva nelle orecchie cuffiette dalle quali
sentire
musica romantica, e Harry aveva come l’impressione che visti
da fuori
sembrassero due idioti. Ma poi Zayn aveva iniziato a strusciarsi contro
di lui
e le occhiate stranite che stavano ricevendo erano diventate
l’ultimo dei suoi
problemi.
*
«Vado
un attimo in bagno» urlò
Harry, per sovrastare tutto il frastuono.
«E
io vado al bancone a prendere
una birra» rispose Zayn, strascicando un po’ le
parole. «La dividiamo, ok?»
aggiunse poi, dopo aver notato lo sguardo un po’ incerto di
Harry, che stava
quasi iniziando a preoccuparsi che l’altro avesse scelto come
obiettivo quello
di star male tutta la notte e vomitare anche l’anima.
Harry
annuì e, dopo avergli dato
un bacio veloce sulle labbra, si diresse verso i bagni.
Dopo
aver controllato l’entità
del danno alla maglietta ed essersi dato una sistemata ai ricci,
ritornò alle
luci stroboscopiche e alla musica assordante e perse qualche attimo
prima di
riuscire a ritrovare Zayn in mezzo a tutta quella folla.
Si
diresse verso di lui, che era
seduto al bancone, ma quando fu a una manciata di passi notò
che non era solo.
Un
ragazzo, che doveva aver
qualche anno in più di loro, stava parlando con lui,
avvicinandosi al suo
orecchio per farsi sentire, in modo assolutamente ridicolo. Di certo
non c’era
bisogno di arrivare praticamente a succhiarglielo, pensò
Harry, e la mano che
l’estraneo teneva sulla spalla di Zayn, come a reggersi, era
perfettamente
inutile.
Harry
sentì una sensazione allo
stomaco alla quale avrebbe preferito non dare un nome e senza la quale
aveva
sempre vissuto benissimo. Sarebbe stato molto più felice se
le cose avessero
continuato ad andare in quella direzione, ma non è che
potesse darsi una botta
all’addome per strapparsela con la forza di dosso.
Magari sono solo stanco e ubriaco, cercò
di convincersi, anche se
sapeva che difficilmente quelle potevano essere le cause
dell’improvviso
malessere che l’aveva colto.
Chiuse
gli occhi e prese un
respiro profondo per tranquillizzarsi e scacciare i pensieri negativi
dalla
testa. Riprese a camminare.
«Ehi»
salutò, aspettando che Zayn
si girasse. L’altro gli sorrise e Harry non sprecò
tempo a sporgersi verso di
lui e dargli un bacio che non aveva nulla a che vedere con la
castità di quello
precedente. Quando si staccarono, si voltò verso
l’altro ragazzo, che era
rimasto a fissarli e aveva in faccia un’espressione curiosa.
Harry
non riuscì a evitare di
posare una mano sulla spalla di Zayn, con fare possessivo. Quel piccolo
mostro
che si agitava ancora dentro di lui, fece le fusa al pensiero che con
quei
gesti Harry aveva messo le cose in chiaro con lo sconosciuto.
Avrebbe
voluto presentarsi ma non
sapeva cosa dire oltre a sono Harry,
perché ‘un amico di Zayn’ era riduttivo
e ‘il ragazzo di Zayn’, be’, sarebbe
stata una mezza bugia.
«Lui
è Steve» disse Zayn,
togliendolo dall’impiccio.
«E
tu sei Harry, immagino»
esclamò il non più sconosciuto Steve. Harry si
stupì che l’altro già lo
conoscesse, anche perché Zayn di lui non gli aveva mai
parlato e dubitava fosse
un suo amico.
«Io
e Steve abbiamo avuto una
storiella, qualche anno fa. Nulla di troppo serio,
però» spiegò Zayn.
Harry
studiò il disappunto quasi
impercettibile di cui si colorò il volto di Steve.
Forse
per Zayn non era stato
nulla di importante, ma per l’altro di certo non era
così. Nondimeno, Harry
trasse un virtuale sospiro di sollievo, all’idea che a Zayn
dell’altro non
importasse nulla e che in quel momento nella sua vita ci fosse solo
lui. Per
l’articolo, ovviamente. Di certo non per cose assurde come
l’amore vero o sciocchezze
simili.
«Mi
stava dicendo che è strano
che, dopo tutto questo tempo, ci siamo rincontrati qui»
aggiunse, con gli occhi
un po’ vacui. «E io gli ho detto che ero con te e
che eri al bagno e che dovevo
prendere un’altra birra… che non ho
preso» terminò a mo’ di scusa.
«Meglio
così, hai bevuto
abbastanza» dichiarò Harry. «Forse
è il caso che torniamo a casa, eh» non era
propriamente una domanda, né un ordine. Più
qualcosa di simile a una proposta,
che Zayn sembrò più che felice di seguire.
Evidentemente tutto l’alcol che
aveva ingerito non l’aveva reso incapace di intuire i limiti
del suo corpo, e
questo era di per sé strano. O, forse, aveva solo voglia di
andare a letto e
dormire addosso a lui, come faceva di solito.
Harry
l’aiutò ad alzarsi e a
uscire dal locale, dopo aver salutato Steve e avergli detto che piacere
fosse
stato averlo conosciuto. Si accorse che quella era l’unica
bugia che avesse
detto da un po’ di tempo a quella parte; piuttosto, si disse,
era più probabile
che ne avesse dette così tante che ormai queste si
confondevano con la verità e
lui non era più in grado di distinguerle.
Decise,
comunque stessero i
fatti, che la versione ufficiale sarebbe stata l’ultima e che
la prima non era
nemmeno da prendere in considerazione.
*
«Sai»
iniziò Zayn, con gli occhi
già chiusi e la testa già appoggiata alla sua
spalla come sempre, quando
dormivano insieme (e forse Louis aveva ragione, si disse Harry; non
riusciva
neanche più a ricordare se il suo materasso fosse duro o
morbido). «Quando ci
siamo conosciuti, te lo ricordi?» chiese. Poi, senza
aspettare una risposta,
continuò. «Non pensavo che sarebbe finita
così»
«Così
come?» domandò Harry,
curioso.
«Così»
disse semplicemente
l’altro. E poi, visto che Harry non rispondeva –
come si aspettasse una
chiarificazione – spiegò «Pensavo che te
ne saresti andato a metà notte e che
non ti avrei più visto»
«E
invece sono ancora qua»
commentò, perché in fondo era vero.
«Già»
fece Zayn, sopprimendo uno
sbadiglio. «Credo che dovresti essere il mio
ragazzo» disse dal nulla.
Harry
scoppiò a ridere. Non tanto
all’idea, quanto al tono usato dall’altro.
«No,
dico davvero» l’assicurò
Zayn, tirandosi un po’ su per guardarlo negli occhi.
Harry
provò a deglutire, ma si
accorse di non avere saliva in bocca. Era quello che aspettava, che
l’altro si
legasse a lui così tanto da volerlo ufficialmente. Era un
passo importante, lo
sapeva bene. Allo stesso tempo, però, aveva la vaga
impressione che il cuore
non avrebbe dovuto battergli impazzito nel petto, all’idea
– neanche fosse una
tredicenne alle prime armi. E probabilmente avrebbe dovuto saper
controllare le
sensazioni che provava alla bocca dello stomaco, anche se non era
convinto
fosse davvero possibile farlo.
Forse
era stato zitto per troppo
tempo, perché il viso di Zayn era tutto insicurezza e
tristezza e Harry si
sentì male come mai prima d’allora, senza volerne
davvero sapere il motivo.
Ma
era tardi ed era stanco e
quella conversazione lo stava uccidendo.
«Lo
credo anch’io» rispose. Zayn
corrugò la fronte, come non si ricordasse più a
cosa Harry si stesse riferendo,
poi una luce di comprensione gli illuminò gli occhi e,
sorridendo, si riabbassò
sul suo petto.
«Bene»
biascicò solamente, prima
di chiudere gli occhi e abbandonarsi al sonno.
Harry
si passò una mano sugli
occhi, prima di posarla tra i capelli di Zayn, accarezzandolo
delicatamente per
non svegliarlo.
Lasciò
un bacio leggero sulla
tempia dell’altro, prima di chiudere anche lui gli occhi e
liberare la mente da
strani pensieri.
Riuscì
ad addormentarsi solo
quando le prime luci dell’alba avevano già
iniziato a filtrare attraverso le persiane
chiuse.
Note:
Sorry,
ma i bimbi ubriachi sono
tipo il mio punto debole. Ehm, lo so che questo dovrebbe darmi da
pensare L
Cooomunque,
grazie come sempre!
Per
Gre, dottorééé! (credo che
‘sta
cosa durerà in eterno, perché non
riuscirò mai più a scrivere una one-shot)
|
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Capitolo dieci.
Zayn
si svegliò con l’odore di
cornetti appena sfornati nelle narici.
Si
strofinò gli occhi e
lentamente li aprì. Seduto accanto a lui sul letto, Harry
teneva in mano un
vassoio sul quale faceva bella mostra di sé quella che
doveva essere la sua
colazione.
«Buon
compleanno» sussurrò
allegro, sorridendo all’espressione disorientata che di
sicuro aveva in volto.
Giusto, era il suo compleanno, e tra tutto se l’era quasi
scordato. Non si
ricordava neanche di averlo detto a Harry, ma l’idea che
l’altro si fosse
informato era davvero tenera. Anche se, magari, Liam
gliel’aveva fatto sapere
tramite Louis, visto che sembravano essere diventati inseparabili.
«Oh,
grazie» rispose, tirandosi
su.
«Te
l’avevo detto che un giorno
te li avrei fatti» spiegò Harry, passando il
vassoio a Zayn e andandosi a
stendere sulla parte del letto che ormai era diventata sua.
«Li
hai cucinati tu? Davvero?»
chiese un po’ stupito. L’altro annuì e
basta, invitandolo con un gesto a
mangiare.
«Hai
dei piani per stasera?»
Harry buttò là, vagamente.
«Uhm»
cominciò dopo aver
deglutito il primo boccone. «È
buonissimo!» si complimentò, cambiando discorso.
Da quando conosceva Harry il suo stomaco si era abituato a mangiare
davvero
bene, quello era certo. «Comunque, di solito mi vedo con
Niall e Liam a cena. O
magari ordiniamo qualcosa» rispose, scrollando le spalle.
Si
voltò a guardare Harry che,
notò, aveva assunto un’espressione incerta. Si
diede mentalmente dello stupido,
perché evidentemente quello era il suo modo per chiedergli
se voleva passare
del tempo con lui e Zayn aveva come declinato l’offerta senza
pensarci troppo.
«Ma»
iniziò cercando di
rimediare. «posso vederli a pranzo»
controllò l’orologio. Sì,
c’era tempo, quel
pazzo del suo ragazzo (ah, ragazzo!, ancora
non ci credeva di poterlo chiamare in quel modo) l’aveva
svegliato alle nove.
Non si svegliava così presto da ere geologiche.
«Sicuro?
Non vorrei crear-»
«Certo
che sono sicuro» lo
rassicurò. Un po’ gli dispiaceva interrompere
quella tradizione e poi era una
vita che non vedeva i suoi amici, ma sapeva che avrebbero capito. E poi
erano
sempre stati i primi a spingerlo a uscire e a incontrare gente ed erano
felici
quanto lui che le cose con Harry stessero andando nel verso giusto.
«Allora
che ne dici se ti rapisco
oggi pomeriggio e ti tengo prigioniero per tutta la sera e per tutta la
notte?»
propose con tono malizioso.
«E
dove vorresti portarmi?» non
che quello fosse davvero importante, a lui bastava passare del tempo
con
l’altro; a fare cosa era secondario.
«Vedrai,
ti piacerà» disse
evasivo, contribuendo solo ad aumentare la sua curiosità.
Zayn
lasciò cadere l’argomento e,
dopo aver individuato il suo cellulare e aver mandato un messaggio
identico a
Niall e Liam, finì di mangiare.
*
Si
erano dati appuntamento per
pranzare in una tavola calda che frequentavano spesso e che era tanto
accogliente quanto il cibo era buono, a detta di Niall.
Quella
volta era in perfetto
orario, e quando arrivò non c’erano né
suo fratello né il suo migliore amico.
Fece giusto in tempo a mettersi a sedere che i due varcarono la soglia
con un
identico sorriso e l’aria infreddolita.
Niall
praticamente gli si fiondò
addosso, abbracciandolo e riempiendolo di baci a schiocco su entrambe
le
guance. Zayn mise su una faccia disgustata.
Liam
li stette a guardare,
ridendo sotto i baffi, per poi andare in soccorso del fratello e
liberarlo
dalla piovra bionda.
«Allora,
come ci si sente con
ventiquattro anni addosso?» chiese Liam, retorico.
«Non
ce lo dire, non lo voglio
sapere. Lalala» iniziò a canticchiare Niall,
coprendosi le mani con le
orecchie. Zayn scosse la testa, sorridendo inevitabilmente alla scena.
«Be’,
fra non molto lo scoprirai,
non c’è davvero bisogno che te lo dica»
«Ah,
ti diverti a girare il dito
nella piaga» lo accusò Niall, che da eterno Peter
Pan si preoccupava in
continuazione del tempo che passava troppo in fretta e dei capelli
bianchi (che
non aveva) e delle rughe (invisibili) del volto.
Zayn
lasciò cadere il discorso
con una risata.
Mangiarono
in tutta tranquillità,
fino al dolce, quando Niall, subito seguito da Liam, iniziò
a intonare tanti auguri a te,
attirando l’attenzione
di tutti i clienti e facendo vergognare a morte Zayn che –
davvero – avrebbe
dovuto aspettarselo.
Come
avrebbe dovuto aspettarsi
che prima o poi Niall avrebbe dato sfogo alla sua naturale
curiosità.
«Allora,
dove ti porta stasera il
tuo ragazzo?» chiese, infatti.
«Uhm,
non lo so, in realtà»
rispose, con una scrollata di spalle.
«Ehi»
subentrò Liam. «C’è
qualcosa che non c’hai detto. Lo sento» sostenne,
picchiettandosi una tempia.
Zayn
lo guardò sconcertato.
Poi
gli occhi del fratello si
spalancarono, come fosse giunto alla più grande
realizzazione del secolo.
«Gliel’hai
chiesto? O l’ha fatto
lui? Adesso state insieme?»
Niall
lo fissò oltraggiato.
«State insieme e non ce l’hai detto?»
«No.
Cioè, sì, ma non è che non
volessi farlo, solo non c’è stato il
tempo» cercò di giustificarsi. «E poi
come
l’avresti capito, tu?» passò al
contrattacco, per sentirsi un po’ meno
giudicato.
«Be’,
Niall l’ha chiamato il ‘tuo
ragazzo’ e tu non hai smentito. Di solito facevi lunghi
discorsi sul per come e
il perché non lo fosse.
Ho solo fatto
due più due» spiegò, semplicemente.
«Adesso racconti
tutto» ordinò Niall.
Zayn
alzò gli occhi al cielo. I
suoi due amici, qualche volta, erano peggio di due adolescenti
pettegole.
*
«Sei
pronto?» Harry domandò non
appena Zayn ebbe spalancato la porta.
«Non
si saluta più?» esclamò
Zayn, fingendo di essere quasi oltraggiato dal comportamento
dell’altro.
Harry
sorrise e si avvicinò,
stringendolo e gratificandolo con un breve bacio.
«Sei
pronto?» ripeté, prendendolo
leggermente in giro.
Zayn
mise su il broncio, ma poi
annuì leggermente con la testa, infilò il
giacchetto e seguì Harry in macchina.
«Dove
mi porti?» chiese. Non
ottenne risposta. Non che ci sperasse davvero.
*
Avevano
raggiunto la parte
opposta della città, cosa che disorientò Zayn.
C’era stato un paio di volte, in
un locale, ma a malapena si ricordava l’interno del posto,
figurarsi la strada
per arrivarci o il quartiere in sé.
Harry
parcheggiò la macchina in
un piccolo spiazzo e poi si voltò a sorridergli. Gli parse
vagamente nervoso e
Zayn non ne capiva il motivo.
«È
il mio posto preferito. Ci
vengo praticamente una volta ogni due giorni e ci passo ore intere.
E…» si
interruppe, forse incerto su come continuare. «Niente, mi
piaceva condividerlo
con te»
A
Zayn si gonfiò il cuore, per
una serie di motivi che convergevano tutti nella semplice presenza di
Harry
davanti a sé.
«Ti
amo» gli disse, anche se lo
spaventava a morte ammetterlo ad alta voce, perché era vero,
perché non si era
mai sentito in quel modo per nessun altro e perché se non lo
avesse fatto
sarebbe scoppiato.
«Anch’io»
rispose Harry,
semplicemente, il volto che si apriva a un sorriso più
tranquillo. «Andiamo»
*
La
prima cosa che lo colpì fu il
nome del negozio dentro al quale Harry stava entrando.
La casa dell’inchiostro.
Anche
solo il nome lo eccitava.
La
seconda fu l’odore. Era quello
tipico di pagine ingiallite dal tempo, quello di libri vecchi di un
paio di
generazioni. Era l’odore che avrebbe scelto come suo
preferito tra tutti quelli
esistenti, fosse stato costretto a farlo.
Capiva
bene perché quel posto
fosse il preferito di Harry.
Era
enorme, i libri erano
dappertutto e allo stesso tempo erano impilati negli scaffali con
ordine. Si
vedeva con una sola occhiata che il proprietario ci teneva, che per lui
quello non
doveva essere un semplice lavoro – forse più di
una passione. Non c’era un
briciolo di polvere, ogni libro aveva posto nella sua specifica sezione
ed era
stato infilato tra altri due secondo un ferreo ordine alfabetico, che
aiutava
il lettore a non impazzire nella ricerca.
Erano
libri usati, edizioni ormai
non più stampate da anni, a cercare si poteva trovare anche
qualcosa di raro,
forse. Ma, anche se non tutti erano in perfette condizioni, ogni copia
era
avvolto da un alone particolare. Ogni tomo era appartenuto a qualcun
altro che
l’aveva sfogliato, l’aveva letto con più
o meno interesse, l’aveva vissuto. E
il fatto che poi l’avesse rivenduto non voleva
automaticamente dire che non
l’avesse amato.
«Ho
iniziato a venire qui quando
non avevo abbastanza soldi per comprare tutti i libri che volevo
leggere. Si
risparmia. E, non lo so, deve essere l’aria accogliente o
l’odore» Zayn
sorrise, perché Harry la pensava come lui. «e in
pochi mesi non potevo far a
meno di venire sempre più spesso»
abbozzò un mezzo sorriso.
Zayn
annuì quasi con solennità,
andando a sfiorare con le punta delle dita i libri davanti a
sé.
E
poi si perse nel suo mondo,
come gli accadeva sempre in posti del genere, fossero biblioteche o
librerie o
piccole bancarelle.
Si
perse così tanto che si
ritrovò al secondo piano senza accorgersene e mentre
camminava di lato, gli
occhi rivolti ai titoli, si scontrò con un corpo fermo.
«Ehi,
meraviglia»
Quasi
si era dimenticato di
essere lì con Harry.
Distese
le labbra in un sorriso
di scuse, perché gli era andato addosso, perché
aveva perso la cognizione del
tempo, perché aveva vagato per il negozio da solo, senza
curarsi del suo
ragazzo.
Riportò
l’attenzione allo
scaffale che aveva di fronte. Classici russi.
«Visto
qualcosa di interessante?»
chiese. La domanda più stupida del secolo. Erano in una
libreria. C’erano cose
interessanti a ogni centimetro quadro.
Harry
gli mostrò i libri che
aveva in mano. Dickens, Rimbaud, Catullo. Zayn si
complimentò mentalmente con
l’altro per le scelte.
«Questo
l’ho letto qualche anno
fa. Ho sempre avuto il desiderio di rileggerlo, sai? Tutti quei nomi
russi e le
varie storie nella storia hanno finito per confondermi»
commentò, prendendo la
copia di Delitto e castigo che
faceva
bella mostra di sé di fronte a loro.
«L’hai letto?»
Harry
scosse leggermente la
testa.
«Dostoevskij
è geniale. È
scontato da dire, ma comunque vero. Sai, non solo per le trame e gli
intrecci
in sé, ma più per lo studio psicologico dei
personaggi e della società, sei
come nella testa di Raskolnikov, mentre leggi, vivi tutti i suoi
malesseri
interiori, il suo senso di colpa diventa il tuo e ti divora dentro
proprio come
fa con lui»
Si
voltò verso Harry, che aveva
come lo sguardo appannato, come fosse troppo immerso nei suoi pensieri.
Zayn
tossicchiò per risvegliarlo.
L’altro
si riscosse e poi lo
guardò. Una strana emozione colorò per qualche
istante i tratti del volto
dell’altro, ma sparì troppo in fretta
perché Zayn riuscisse a decifrarla.
«Ti
è proprio piaciuto» commentò
poi, spazzando via qualsiasi strano pensiero Zayn avesse formulato in
quei
pochi secondi.
«Già»
rispose semplicemente,
iniziando a rimettere a posto il volume, cambiando però a
metà via idea. «Se
non l’hai letto, devi farlo» disse, porgendoglielo.
Harry prese il libro in
mano, con sguardo
dubbioso e forse intimorito (ma anche no,
pensò Zayn, non avrebbe avuto senso)
e lo aggiunse a quelli che già aveva in mano.
«Andiamo?»
propose, poi, Harry.
«Mi avevi promesso tutta la sera e la notte,
ricordi?»
*
Quando
erano risaliti in
macchina, si era aspettato che l’altro lo portasse in qualche
ristorante o in
un qualche altro locale in cui cenare.
Invece
si erano fermati di fronte
a una palazzina piuttosto anonima e, mentre i battiti del cuore
subivano una
stupida accelerata, aveva realizzato che erano sotto casa di Harry e
Louis.
«Louis
non è ancora tornato dalle
vacanze natalizie» aveva spiegato. «E direi che
è assurdo che dopo più di un
mese ancora tu non abbia visto il mio regno» aveva concluso,
scherzando.
*
L’appartamento
era piccolo, ma
caldo e confortevole.
Lo
travolse subito l’odore di
pollo e gli venne l’acquolina in bocca a pensare alla cena
che evidentemente
Harry aveva preparato appositamente per il suo compleanno.
Harry
lo fece sistemare,
dicendogli di fare come fosse a casa propria e poi gli portò
un bicchiere di
quello che doveva essere prosecco. Per
brindare, spiegò.
Poi
fece strada in cucina, perché
nel salotto era già tanto entrasse un divano. E wow, pensò Zayn.
La
tavola era apparecchiata
semplicemente, ma con cura. Ed era imbandita. Ogni suo singolo piatto
preferito
era disposto sopra la superficie orizzontale, e Zayn non poteva credere
che
Harry avesse sprecato tutto quel tempo per fare una cosa
così carina per lui.
«Non
avresti dovuto» disse,
ammirando il tutto e Harry stesso, che con l’espressione
nervosa era bello come
non mai.
«Volevo»
sussurrò solo.
E
magari Zayn era uno sciocco
romantico che non si era mai accorto di esserlo prima, o forse era
Harry che
rendeva tutto speciale e diverso e importante, ma un groppo antipatico
gli
serrava la gola – perché nessuno aveva mai fatto
nulla del genere per lui e lui
stesso non sapeva di volerlo, fino a quel momento, ma evidentemente era
così –
un groppo che non riuscì a ingoiare neanche per dire un
educato grazie o un pazzo mi vuoi sposare?
Harry
sembrò leggergli nel
pensiero, perché si avvicinò, stringendo con le
sue grandi mani le guance di
Zayn e posando un bacio leggero sulle sue labbra.
«Mangiamo?»
chiese a bassa voce,
quasi non volesse rompere l’atmosfera.
Zayn
si ritrovò ad annuire per la
centesima volta in quel giorno e, con la convinzione di star vivendo su
una
nuvola, sedette di fronte a Harry.
Note:
Ehm,
non so che scrivere? Se non
grazie a tutti, come sempre J J
E
a presto!?
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Capitolo undici.
Era
tutto il giorno che mandava
messaggi o provava a chiamare Zayn, ma non otteneva alcuna risposta.
All’inizio
non si era
preoccupato, a Zayn piaceva dormire fino a tardi, farsi una corsa al
parco,
vedersi con Niall e Liam, forse aveva gli allenamenti e lui si era
dimenticato,
ma no, perché erano le sette di sera e non aveva ancora
ricevuto alcun segnale
di vita da parte dell’altro.
Era
strano anche per uno
solitario come il suo ragazzo (ormai non ci faceva neanche
più caso, quando lo
etichettava così, nella sua mente).
Rientrò
in casa e salutò Louis,
che come al solito era sdraiato sul divano.
Non
era da solo, e quando la
testa dell’ospite del suo coinquilino si voltò
verso di lui, Harry sentì una
leggera speranza farsi largo dentro di sé.
Seduto
vicino a Louis, ma più
compostamente, c’era Liam.
E
se, al mondo, esisteva qualcuno
che potesse dirgli dove si fosse nascosto Zayn, be’, quello
era suo fratello.
«Ehi,
sai dov’è Zayn?» non perse
tempo in inutili chiacchiere, perché – anche se
non lo avrebbe mai ammesso ad
alta voce – il silenzio da parte dell’altro
iniziava a innervosirlo. Magari era
solo lui a essere esageratamente apprensivo, ma non poteva farci nulla.
«Immagino
a casa» rispose Liam,
consultando l’orologio.
«L’ho
chiamato varie volte, sia a
casa che sul cellulare, ma non risponde» lo
informò, mentre si passava per
l’ennesima volta le mani tra i capelli.
Liam
lo fissò, aprì la bocca per
parlare ma poi la richiuse, insicuro.
«Be’,
oggi è il diciannove,
giusto?» Harry annuì. «È un
giorno un po’ particolare, per lui. Domani sarà
tutto a posto»
Harry
lo guardò stranito. E
quello che voleva dire? Che ogni tanto Zayn giocava al Giorno Del
Silenzio
senza avvertirlo e lui doveva semplicemente lasciarlo fare?
«Se
mi dici così, voglio vederlo
ancora di più» disse, rimettendosi il giacchetto
che aveva tolto solo qualche
attimo prima e riprendendo in mano le chiavi dell’auto.
«Dici che è a casa,
comunque?» domandò per sicurezza.
«Credo
di sì, ma, Harry, penso
sia inutile, sai? Anche se mi presentassi io, a casa sua, non mi
farebbe
entrare. Vuole stare da solo, e… forse dovresti
rispettarlo?»
E
se avesse avuto bisogno di lui,
invece? Di qualcuno con cui parlare e sfogarsi o anche solo che lo
stringesse e
gli dicesse che tutto andava bene?
Non
disse nulla, ma forse tutti i
suoi dubbi trasparirono dal suo volto, perché Liam
sospirò, come sconfitto, e
tirò fuori una mazzo di chiavi.
«Questa
è la mia copia.
Riportamela quando non ti serve più, ok?»
Harry
lo ringraziò e si preparò a
fare, nel minor tempo possibile, la strada che era ormai diventata
familiare.
*
Suonò
il campanello. Liam aveva
ragione, constatò Harry, perché Zayn non venne ad
aprire.
Cercando
di fare meno rumore
possibile, girò la chiave nella toppa e richiuse la porta
delicatamente.
L’appartamento
era immerso nel
buio, come se nessuno fosse in casa. Harry sperò non fosse
così.
Guardò
in salotto e poi in
cucina, ma entrambe le stanze erano scevre della presenza
dell’altro ragazzo e
così Harry si avviò verso la camera da letto.
Aveva un buon presentimento.
E
infatti Zayn era lì, nascosto
dalle coperte. Harry evitò di accendere la luce, nel caso
l’altro dormisse. Il
che di per sé era assurdo, erano solo le otto della sera, a
quell’ora di solito
non avevano neanche cenato.
Si
avvicinò al letto, togliendosi
mano a mano i vestiti. Cercando di non scoprire Zayn, si
infilò accanto al
corpo dell’altro, che si mosse, avvicinandosi alla nuova
fonte di calore. Erano
così abituati a dormire insieme che probabilmente, quello di
Zayn, era stato un
movimento inconscio.
Una
parte di Harry avrebbe voluto
guardarlo mentre dormiva, quasi vegliare sul suo sonno;
l’altra voleva
svegliarlo e sapere cosa gli fosse preso, perché non si
fosse fatto vivo per
tutto il giorno e se potesse fare qualcosa per aiutarlo.
Non
dovette decidere tra le sue
due inclinazioni, perché – tempo un paio di
secondi – Zayn si voltò verso di
lui, aprendo lentamente gli occhi.
Non
poteva vederlo bene in
faccia, e questa cosa non lo stava facilitando a capire come
l’altro stesse
reagendo alla sua presenza.
«Ehi»
sussurrò Zayn, la voce
arrochita dal sonno.
Harry
tirò un mentale sospiro di
sollievo. Se non lo aveva buttato fuori a calci, magari aveva fatto
bene ad
andare da lui.
«Ehi»
rispose di rimando,
stendendo una mano e spostandogli i capelli che erano ricaduti sulla
fronte
durante il sonno.
«Come
sei entrato?» chiese, e
Harry rifletté che ancora il tono era pacato e affatto
accusatorio.
«Liam»
rispose solamente,
guardando l’altro fare un leggero cenno d’assenso.
Zayn
non disse nulla, ma si
limitò a fissarlo per qualche secondo e Harry avrebbe
davvero voluto accendere
la luce per capire se lo stesse uccidendo con lo sguardo o se fosse
contento
della sua presenza.
Poi,
lentamente, Zayn si fece più
vicino, fino a che la sua testa non si ritrovò sul petto di
Harry.
Il
più piccolo passò un braccio
intorno all’altro, stringendolo gentilmente, e –
mentre Zayn riposava con gli
occhi chiusi – i suoi erano fissati al soffitto e tutti i
suoi pensieri
vagavano preoccupati tra le ipotesi di quello che poteva essere
successo a Zayn
e i modi per farglielo rivelare.
*
Dopo
quelle che parvero ore, Zayn
si mosse e si mise supino, emulando la posizione di Harry.
«Mi
dispiace se sono scomparso»
iniziò con tono incerto, la voce che quasi tremava. Harry
stette in silenzio,
ansioso di sapere tutto o qualcosa o una minima parte o anche solo un
aneddoto.
Andava bene qualsiasi cosa, voleva solo sentire la voce di Zayn
spiegarsi,
rassicurarlo, tranquillizzarlo.
Sembrò
quasi che Zayn avesse
finito di parlare, e Harry già aveva cominciato a pensare a
come fargli domande
che non fossero esageratamente intrusive, quando l’altro
continuò.
«È
solo che avevo bisogno di
tempo. Per stare un po’ da solo» disse, voltando il
viso verso Harry, una
domanda muta dipinta nella linea delle labbra.
Forse
avrebbe dovuto prendere in
mano la situazione, pensò Harry, chiedergli se andava bene
che lui fosse lì in
quel momento, a disturbare la sua solitudine, e cosa avesse fatto tutto
il
giorno, perché non avesse avuto il tempo o la voglia di
rispondere a uno dei
suoi messaggi per fargli sapere che era vivo, ma qualcosa gli disse che
avrebbe
fatto meglio a stare zitto e lasciar parlare Zayn.
«Ma
sono contento che tu sia qui,
adesso» mormorò, riportando lo sguardo al
soffitto, come a volersi nascondere
da quello di Harry.
Harry
avrebbe voluto rispondergli
con un semplice anch’io,
ma ancora
non sapeva trovare il coraggio di aprir bocca, quindi si
limitò a cercare la
mano di Zayn con la propria e a stringerla, così da fargli
sapere con quel
semplice gesto che lui era lì, pronto ad ascoltarlo.
«Sono
stato a trovare mia madre»
affermò dopo qualche altro attimo di silenzio.
Harry
sentì la sua fronte
aggrottarsi, perché, se di una cosa era certo, era che Zayn
gli aveva detto che
sua madre era- oh. Oh.
Harry
strinse ancora di più la
mano attorno a quella dell’altro, in seguito alla
realizzazione.
«Non
ci vado spesso, ma ogni
anno, in questo giorno le porto quelli che erano i suoi fiori
preferiti. Mi
ricordo che la casa ne era sempre invasa e il loro odore era
ovunque» iniziò a
raccontare Zayn, senza lasciare la sua mano, ma continuando a tenere lo
sguardo
fisso al soffitto.
«È
l’anniversario della sua
morte?» chiese Harry, per pentirsene subito dopo. Ovvio che
lo fosse, che
domanda idiota. Ma Zayn parve non farci troppo caso, perché
semplicemente
annuì.
«Lo
so che è sciocco da parte
mia, sparire così. Di solito cerco di non pensare troppo a
lei e ci riesco
anche abbastanza bene, ma ogni diciannove gennaio è come se
il mio cervello non
riuscisse ad arginare i ricordi. Allora ho solo bisogno di stare con
lei. È
tanto stupido, vero?» Harry era quasi certo che, fosse stato
meno buio, avrebbe
notato le guance dell’altro colorarsi.
«No
che non lo è» sussurrò, per
confortarlo. Zayn si voltò lentamente verso di lui, prima
con la sola testa poi
anche col corpo. Harry lo imitò, in modo che le loro fronti
quasi si
sfiorassero. Finalmente poteva guardarlo negli occhi per più
di una frazione di
secondo. Harry posò un bacio leggero su una tempia
dell’altro, che lo ricambiò
con un sorriso ancora teso e per niente felice.
Non
pensava fosse possibile che i
sentimenti di qualcun altro lo coinvolgessero così tanto, ma
vedere Zayn in
quelle condizioni lo stava preoccupando e allo stesso tempo gli faceva
desiderare
di trovare un modo per consolarlo. E Harry non era mai stato il
più bravo dei
consolatori e probabilmente non aveva neanche il tatto necessario per
esserlo.
«Come
è morta?» domandò,
rendendosi conto due secondi dopo che le parole gli erano scappate di
bocca,
che no, davvero, in quanto a delicatezza faceva pena.
«È
una storia lunga» disse Zayn,
dopo qualche attimo di silenzio.
Harry
avrebbe voluto replicare
con qualcosa sulla lunghezza d’onda di ho
tutto il tempo che vuoi, ma faceva troppo film di seconda
categoria e lui
non era il tipo da parole così scontate.
«Io…»
continuò Zayn, togliendolo
dall’imbarazzo. «Io e Liam siamo fratellastri.
Abbiamo lo stesso padre. Una
volta ti ho detto che non ci parlo molto, con lui, e che questa casa
è sua. Non
è vero. Non sento mio padre da quasi tre anni, da quando
sono andato ad abitare
da solo, e credo che le cose tra di noi non cambieranno mai. E questo
appartamento in parte l’ho comprato con
l’eredità di mia madre»
E,
Harry notò che, se per l’altro
iniziare a parlare di sé era difficile, dopo aver iniziato,
tutto si
semplificava.
«Quando
ero piccolo non capivo
nulla di quello che accadeva tra i miei genitori; a mia madre,
soprattutto. Credo
sia normale, in un certo senso. Lei con me era sempre allegra,
giocavamo insieme
e mi leggeva storie su storie, guardavamo i cartoni animati. Era
normale,
insomma. A otto anni, per me lei era perfetta e stava bene. Era felice,
come lo
ero io» la voce di Zayn era tranquilla, come se quello che
stesse raccontando
non lo riguardasse, ma Harry aveva imparato a riconoscere i segni del
nervosismo dell’altro e il movimento minuscolo ma incessante
delle sue mani gli
parlava più del suo tono.
«Erano
entrambi di buona
famiglia. Sai, ben educati, ben vestiti, grossi conti in
banca» disse, seguendo
un filo logico che era tutto suo. «Mia madre era un avvocato.
Era in gamba, da
quanto mi hanno raccontato. Ostinata come un mastino. Mio padre ha e
aveva una
compagnia d’assicurazioni piuttosto grande e spesso non
c’era. Neanche mia
madre, in realtà; avevo una tata e la casa era
così grande che avevamo una
cuoca e un paio di governanti, e tutte quante, se potevano, passavano
del tempo
con me. Alla fine era piuttosto divertente comunque. E mia madre, di
tempo per
me, ne trovava sempre. Mio padre era un po’ il mio eroe,
invece. Credo che
anche questo sia piuttosto normale» fece Zayn, le labbra
piegate in un sorriso
amaro. «A dodici anni ho scoperto di essere un piccolo Arturo
nell’isola di
Procida e che lui era tutto meno che un grand’uomo. Ogni
tanto ci penso, e non
sono sempre stato così. Chiuso, intendo. Da piccolo facevo
amicizia facilmente
e a scuola ero sempre circondato da altri bambini. Penso che sapere che
mia
madre fosse morta per colpa di mio padre mi abbia aperto gli occhi. O
forse me
li ha chiusi, non lo so. Fatto sta che non sono più riuscito
a fidarmi di
nessuno. Se non potevo farlo con il mio stesso padre, di chi altri
avrei potuto
aver fiducia» e non era una domanda, solo una rassegnata
affermazione. Harry
non ci stava capendo molto in realtà. Sapeva solo che vedere
Zayn così lo stava
uccidendo e che doveva solo tenerlo stretto e aspettare.
«Non
è che l’abbia uccisa,
ovviamente. Ma è un po’ come se l’avesse
fatto. A dodici anni ho anche
incontrato Liam per la prima volta. Aveva sempre vissuto con la madre a
un paio
di ore di distanza da Londra, in un paesino piccolino, dove lei
lavorava in un
ristorante, fino a quando non morì di cancro. I suoi nonni
abitavano a Londra
ed erano i suoi unici parenti, per cui si trasferì da loro,
anche se non
avevano mai avuto molti contatti, dato che con sua madre non si
parlavano
troppo. Anche se mio padre non lo aveva riconosciuto legalmente, ogni
tanto
andava a trovarlo, sin da piccolo. Passava a loro dei soldi, per
aiutarli e, se
la madre di Liam non aveva mai chiesto nulla di più, i suoi
nonni premettero
per un aiuto più grande. Il che mi sembra anche piuttosto
giusto. Il fatto è
che in casa iniziarono a spargersi varie voci e un giorno sentii
parlare Amy e
Lisa, le due cameriere, di questa storia di cui io non sapevo nulla e
indignato, perché non potevo credere che mio padre avesse un
altro figlio e io
non ne sapessi nulla, ma anche curioso, ne ho parlato con lui. Non ti
dico la
sua reazione. È sbiancato completamente e mi ha fatto
sedere, cercando di
riprendersi e di non dare a vedere che l’avevo sconvolto.
Neanche fossi
deficiente. Venne fuori che sì, avevo un fratello
– un fratellastro, come
continuavo a ribattere io – e che si chiamava Liam e che
sarebbe venuto alla
mia stessa scuola a partire dal trimestre successivo. Mi chiusi a
riccio. Non
parlavo con mio padre, non scherzavo più con Amy e non
giocavo neanche con Sam,
il cane che avevo da piccolo. Solo con Niall riuscivo a stare ancora
bene. E
dal momento in cui Liam ha iniziato a venire a scuola, non
c’è stato giorno in
cui non abbia provato a parlarmi. Davvero, non so come facesse a
sopportare il
mio atteggiamento, visto che continuavo ad allontanarlo e a trattarlo
male, ma
poi ho scoperto che è la persona più buona del
mondo e di ciò ne sono grato, se
no a quest’ora non avrei nessun fratello. Comunque
c’è voluto un po’ perché
diventassimo amici. Lui non faceva altro che sedersi vicino a me
durante le
lezioni che avevamo insieme e provare a pranzare con me e Niall. Poi un
giorno
me lo sono ritrovato proprio allo stesso tavolo con quel traditore del
mio
migliore amico e quando all’uscita di scuola Niall ha
iniziato a farmi una
specie di ramanzina, io l’ho mandato a quel paese. Ma non
sono mai stato bravo
a tenergli il muso e neanche a non aver fiducia in lui. Te
l’ho detto che lui
era l’unico con il quale riuscissi a essere sempre lo stesso
Zayn. Per cui ho
provato a smettere di comportarmi da stronzo e be’,
è venuto fuori che io e
Liam siamo anime gemelle. Non nel senso classico, ovviamente, ma lo
siamo lo
stesso. C’è voluto anche un po’
perché io capissi che non era colpa sua, tutto
quello che era successo a mia madre» concluse con un fil di
voce.
Harry
avrebbe voluto chiedergli
cosa fosse successo alla madre, perché era un po’
il centro di tutta la storia
ed era quello che stava facendo soffrire Zayn e se non lo sapeva come
poteva
lui aiutarlo? Non ci sarebbe riuscito comunque –
probabilmente, ma almeno
avrebbe potuto tentare.
Zayn
lo guardò negli occhi per la
prima volta da quando aveva iniziato a parlare. Forse vi lesse un
po’ di
confusione e, insieme, la sua muta domanda, perché riprese a
parlare quasi
subito.
«Quando
lei è morta, io ero
piccolo e non capivo. Non capivo che non sarebbe più tornata
e che non l’avrei
mai più vista né sentita ridere. Mi dissero le
solite stupidaggini che si
rifilano ai bambini. Ma, dopo aver scoperto di Liam, ero già
abbastanza grande
da farmi domande. E da farle agli altri. Mio padre non voleva parlarne,
ma Lisa
era una grande chiacchierona e mi considerava un po’ come un
fratellino
piccolo. Se io le stavo intorno mentre spazzava per casa, lei neanche
si
accorgeva di quello che raccontava. Un giorno…»
Harry lo vide deglutire e
prendere un respiro. «Un giorno le chiesi come fosse morta
mia madre. A me
avevano parlato di un incidente, senza troppi particolari.
Lisa… Lisa mi disse
che mia madre stava male già da un po’ di tempo.
Che prendeva delle medicine
contro la depressione da quando aveva scoperto che mio padre
l’aveva tradita da
sempre, forse anche da prima che si sposassero, e che aveva un figlio
con
un’altra. È un po’ assurdo pensare come
io non ne sapessi nulla mentre Amy e
Lisa sapessero tutto, ma alla fine loro vivevano con noi e avevano
l’abitudine
di ficcare il naso ovunque, quindi direi che non
c’è troppo da stupirsi. Ma se
a otto anni vivevo nel mio mondo, a dodici ero piuttosto furbo;
continuai a
farle domande fino a che non mi disse che una sera l’avevano
trovata morta
nella vasca da bagno. E che… e che vicino a lei
c’era un tubetto vuoto di
sonniferi. Penso l’avesse ingoiato tutto e che quando la
trovarono era troppo
tardi per provare a chiamare anche l’ambulanza. Mi ricordo
che quando me l’ha
detto sono rimasto zitto per così tanto che lei si
è voltata, mi ha guardato ed
è quasi svenuta, giuro. Fino a quel momento era
così persa nel suo racconto e
nei suoi lavori di pulizia che non si era davvero resa conto di star
parlando
con me» Zayn finì, con un mezzo sorriso che non
arrivò agli occhi lucidi.
Harry
non sapeva cosa dire. Non
sapeva neanche se esistesse qualcosa che avrebbe fatto star meglio
l’altro.
Probabilmente no.
«È
passato un sacco di tempo,
comunque» e Harry sapeva che con queste parole
l’altro stava solo cercando di
minimizzare il suo dolore. Lo strinse un po’ di
più, per fargli capire che era
lì e che non c’era bisogno di indossare una
maschera, con lui.
«Grazie
di essere venuto» mormorò
a bassa voce, dopo qualche minuto di silenzio, accoccolandosi meglio
fra le
braccia di Harry.
«Non
mi devi ringraziare, Zayn.
Io non so… non so che-»
«Non
devi dire nulla. Sto bene,
davvero» lo interruppe l’altro. «Te
l’ho raccontato non perché tu mi
consolassi, ma perché volevo dirtelo, perché,
dopo tutto questo tempo, ho
trovato qualcun altro – oltre Liam e Niall – di cui
fidarmi» disse. «Mi fido di
te» ripeté, quasi fosse sorpreso e
l’avesse realizzato anche lui in quel
momento.
Harry
gli sorrise e posò un bacio
leggero sulla sua guancia, mentre Zayn – con il volto
più sereno e con un
sospiro lieve – chiudeva gli occhi.
Harry
si sentì stringere il
cuore. Sapeva che Zayn nascondeva qualcosa di triste,
gliel’aveva letto nello
sguardo tempo addietro, ma sentire la sua voce raccontargli la sua
storia aveva
ucciso un po’ anche lui.
*
Fu
solo quando ormai Zayn si era
addormentato da tempo, mentre lui non riusciva a prender sonno, che si
accorse
che, senza cercarla troppo, aveva ottenuto la sua storia.
Aveva
ottenuto la sua storia ed
era perfetta, più di quanto avesse osato sperare.
Qualcosa,
che si rifiutò di
riconoscere come senso di colpa, lo colpì come un calcio
allo stomaco.
Guardò
Zayn dormire beatamente,
la testa appoggiata al suo petto. Zayn che si era aperto completamente
a lui,
che si fidava e che lo amava.
Non
gliene importava, si disse.
Non gliene importava nulla, perché c’era qualcosa
di più grande che desiderava
voleva ambiva con tutto se stesso. E l’avrebbe ottenuto a
qualsiasi costo,
anche a quello di infrangere ogni più piccola speranza del
ragazzo che teneva
tra le braccia in quel momento.
Harry
chiuse gli occhi,
ripetendosi come un mantra quelle parole; non
mi importa-non mi importa-non mi importa. Finse di crederci
veramente, fino
al punto in cui non si convinse della loro veridicità e si
addormentò.
Era
quasi l’alba.
Note:
Ah,
Harry è bipolare! No,
scherzo, è solo in fase di rifiuto… tipo da
sempre.
Grazie
a chi ancora segue ‘sta
roba, anche se aggiorno ogni morto di papa!
Alla
prossima J
|
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
Capitolo dodici.
Ehi, dove sei?
Zayn
si guardò intorno, pensando
se rispondere al messaggio subito o aspettare un po’.
Tre
giorni prima aveva raccontato
tutto il suo passato a Harry. L’unica cosa che
l’altro ancora non conosceva di
lui era Mick e già da un po’ stava riflettendo se
parlargliene o meno. Alla
fine aveva deciso che sì, glielo avrebbe detto al
più presto, perché si sentiva
in colpa per aver mantenuto quel segreto – che per lui aveva
così tanta
importanza – per tutto quel tempo, e perché si
fidava dell’altro. Solo, voleva
farlo nella tranquillità della sua casa, dove avrebbe potuto
fargli vedere i
manoscritti, a seguito di una cena preparata da Harry, possibilmente.
Rispose
al messaggio, dandogli le
indicazioni per come raggiungerlo.
Mise
a posto il cellulare e si
diede una spinta, facendo oscillare avanti e indietro
l’altalena sulla quale
era seduto da una mezzora abbondante.
*
«Ehi»
il saluto di Harry
raggiunse le sue orecchie e lo fece voltare.
«Ehi»
Vide
l’altro guardarsi intorno.
Il parco giochi era deserto, ma era quasi fine gennaio per cui era
più che
naturale lo fosse. Anche il tempo e la temperatura si confacevano alla
stagione, un vento freddo soffiava tra gli alberi spogli e scomponeva i
ricci
altrimenti perfetti di Harry, ma per fortuna non c’erano
nuvole che
suggerissero la possibilità di qualche precipitazione
indesiderata. Il che era
quasi un miracolo, per la piovosa Londra.
Zayn
scese dall’altalena, che era
sempre stato il suo divertimento preferito, e raggiunse
l’altro, a pochi passi
di distanza.
Lo
salutò calorosamente, andando
a scompigliare ancora di più i suoi capelli con le dita,
tanto non c’era
nessuno, e poi lo prese per mano.
Zayn
camminò fino a raggiungere
una casetta in legno, un gioco che aveva sempre ritenuto completamente
inutile.
Si sedette sul pavimento impolverato, fregandosi di sporcarsi, e
aspettò che
l’altro facesse lo stesso.
«Ci
venivo sempre da bambino, con
la mia tata. Ma qualche volta mi ci portava anche mia madre»
spiegò,
sorridendo. Quelli erano i giorni che preferiva. «Tu mi hai
portato nel tuo
posto preferito, io ti porto nel mio. Lo so che non è bello
come la tua
libreria, ma ho un sacco di ricordi legati a questi giochi»
sorrise di riflesso
alle labbra incurvate all’insù di Harry, che
– da parte sua – si sporse
leggermente e lo baciò di nuovo.
«Quando
volevano tornare a casa,
io venivo sempre a rintanarmi qui. Come se, dentro questa catapecchia
di legno
minuscola, fosse impossibile entrare, per loro. Il che è
piuttosto assurdo, lo
so» rise al ricordo, la voce divertita di Harry che si
mischiava alla sua come
nella più sdolcinata delle canzoni.
«Ho
continuato a venire qui anche
dopo» non approfondì il dopo,
perché gli
aveva raccontato già tutto e sapeva che l’altro
avrebbe capito. «Immagino che
non sia legato solo a bei ricordi, in effetti»
approfondì, scrollando le
spalle. Ma questi erano più forti e vividi di quelli brutti,
per cui quello era
rimasto il suo posto comunque.
Restarono
in silenzio per un
altro po’, fino a che Harry non aprì bocca
praticamente per la prima volta,
dopo essere arrivato.
«Ti
va se creiamo un altro bel
ricordo?» propose con fare malizioso, mentre delicatamente
spingeva l’altro a
distendersi sul pavimento di legno e iniziava a slacciargli i pantaloni.
Zayn
emulò il ghigno dell’altro.
Harry
sapeva sempre come
comportarsi e cosa dire per farlo stare bene.
*
Era
domenica pomeriggio, Harry
non lavorava e la squadra di Zayn aveva giocato il giorno precedente;
dopo aver
pranzato insieme, ripulito la cucina e lavato i piatti – ed
essersi bagnati
completamente nel farlo, perché evidentemente non avevano
più di vent’anni, ma
solo cinque e non erano in grado di resistere alla
possibilità di darsi
battaglia con qualsiasi cosa fosse alla loro portata – si
erano rilassati per
un po’ sul divano, davanti alla TV, che però non
passava nulla di interessante.
Zayn
si stava quasi per
addormentare, quando si ricordò che avevano finalmente
inaugurato la mostra di
Artemisia Gentileschi che voleva vedere e magari quel pigro pomeriggio
poteva
essere l’occasione perfetta.
«C’è
una mostra di una pittrice
italiana che vorrei tanto vedere. Che ne dici se ci andiamo?»
*
I
dipinti erano arrivati a Londra
un po’ da tutto il mondo e lì sarebbero rimasti
fino alla fine della primavera.
Zayn
non era propriamente un
esperto, ma l’arte lo affascinava. Gli piacevano i colori e
le forme e le
sensazioni che le opere gli procuravano, anche se il suo di certo non
era un
occhio critico.
Harry
aveva detto di non sapere
neanche chi fosse Artemisia, ma – nondimeno –
adorava fare sempre nuove
scoperte e quindi aveva subito concordato con la proposta di Zayn.
Il
museo era piuttosto grande e,
oltre alla pittrice, vi erano anche dipinti di alcuni pittori della
scuola
caravaggesca. Non c’era neanche troppa gente, il che era
perfetto, si disse
Zayn. Gli piaceva ammirare ogni quadro senza fretta, senza paura di
intralciare
e di frapporsi allo sguardo di altri, avvicinarsi il più
possibile a ogni
dipinto che attirava la sua attenzione per studiare le espressioni
degli uomini
e delle donne ritratti. Da scrittore, era interessato a ogni aspetto
della
psicologia umana, ed essa traspariva anche dalla più
semplice raffigurazione,
da ogni ruga del volto, da ogni posizione del corpo, proprio come da
ogni riga
di un libro sarebbe dovuta emergere la caratterizzazione di un
personaggio.
All’entrata
gli avevano dato un
piccolo opuscolo su quella che era la vita della pittrice e qualche
informazione sui dipinti più famosi esposti.
Qualcosa
sapeva già, per cui lo
passò a Harry, che iniziò a leggere, interessato.
Presero
a vagare per il museo,
Harry al suo fianco che beveva le poche conoscenze che aveva da
condividere,
fino a quando non si ritrovarono di fronte al dipinto Susanna
e i vecchioni.
«Questo»
disse Zayn, indicandolo.
«dovrebbe essere uno dei primi dipinti. Forse proprio il
primo, se non ricordo
male»
«È
angosciante» commentò Harry,
che lo guardava rapito.
Zayn
sorrise; un po’ inquietante
lo era davvero. «Sì, be’. Rappresenta
una scena biblica, ma, soprattutto, molti
dicono che i due vecchioni sarebbero il padre e Agostino. Un paragone
più che
azzeccato, se pensi alle due vicende»
Harry
lo guardò con curiosità.
«Il
padre, Orazio, introdusse
Agostino, un maestro affermato, ad Artemisia. Per insegnarle,
praticamente.
Solo che, invece di attenersi ai suoi soli compiti di insegnante,
questi la
stuprò. Se fai caso a come i due uomini sovrastino la
fanciulla e sai questo,
si può comprendere perché il dipinto ti dia
l’idea di essere inquietante»
«È
stata stuprata?» chiese quasi
a volere una conferma.
«Ah-ah,
e lui è stato condannato,
mi pare. E lei è diventata un mito del femminismo, anche
perché fare la
pittrice, nel ‘600, non era un mestiere semplice»
«Una
donna forte» asserì Harry.
«Una
donna consapevole di quello
che voleva» lo corresse Zayn, riprendendo a camminare.
Andarono
avanti per un altro po’,
chiacchierando di niente e ridendo per nulla, ammirando i dipinti
più
interessanti, fino a che Zayn non richiamò
l’attenzione di Harry su di uno che
si trovava nella parte opposta della stanza in cui stavano in quel
momento.
«Ok,
se quello di prima era
inquietante, non so questo cosa sia» commentò
Harry, ammirando la forza brutale
della scena ritratta, il rosso del sangue sul bianco del lenzuolo e gli
sguardi
concentrati delle due donne raffigurate.
«Già,
anche questo è stato
interpretato, in chiave psicologica, come il desiderio di rivalsa di
Artemisia
per la violenza subita»
«Quindi
Oloferne» iniziò Harry,
leggendo il titolo dell’opera. «sarebbe
Agostino» disse, più che chiedere. Zayn
annuì lievemente, ancora preso dalla scena cruenta.
«Le
donne non sembrano troppo
sconvolte dal fatto che stanno uccidendo un uomo» aggiunse.
«In
effetti sembrano abbastanza
impassibili, sì…» convenne Zayn.
«Se fossi stato in lei, anch’io avrei voluto
una qualche vendetta, comunque. Voglio dire, l’ha stuprata! E
lui era il suo
maestro, gliel’aveva presentato suo padre. Si fidava di lui!
Di certo non
poteva vendicarsi in un modo così drastico»
specificò. «come ucciderlo, ma
riversare i propri sentimenti in una tela o in una pagina di un libro o
nel
testo di una canzone non ha mai fatto male a nessuno. Credo»
Riprese
a camminare, spostando lo
sguardo da quel capolavoro, perché tutto quel nero gli stava
facendo nascere un
magone allo stomaco.
«Da
che parte andiamo?» chiese,
visto che la stanza si apriva sia a destra che a sinistra in altre due
sale.
Non ottenendo alcuna risposta, voltò la testa e si rese
conto che Harry non era
dietro di lui come si aspettava, ma era rimasto fermo di fronte alla Giuditta che decapita Oloferne.
Tornò
sui suoi passi, perché se
Harry voleva ancora guardare quel dipinto, Zayn di certo
l’avrebbe aspettato e
avrebbe anche provato a superare qualsiasi sua crescente angoscia.
Quando
gli fu accanto, passò un
braccio lungo il suo fianco ma l’altro non fece nessun
movimento che
riconoscesse la sua presenza. Allora, guardandolo meglio in viso, si
rese conto
che Harry era notevolmente più pallido di qualche attimo
prima e che il suo
sguardo era vagamente perso, proprio come gli era accaduto altre volte
negli
ultimi giorni. La cosa iniziava a preoccupare Zayn, che
cercò di riscuotere
l’altro chiamandolo per nome.
Harry
sembrò come uscire da uno
stato di trance, a sentire la voce di Zayn, ma quando posò i
suoi occhi su di
lui, lo guardò come fosse stato un fantasma e la cosa non
fece che impensierirlo
ancora di più.
«Ti
senti poco bene?» gli chiese,
gentilmente.
Vide
Harry deglutire con un po’
di fatica e annuire lentamente.
«Che
ne dici se usciamo a
prendere un po’ d’aria?» propose,
perché magari era proprio quello che gli
serviva.
«Sì,
forse è meglio» concordò
Harry, il quale si lasciò guidare dall’altro fino
all’uscita, mansueto.
*
In
pochi attimi, Harry riprese un
po’ di colore e la vacuità abbandonò i
suoi occhi. Ma le sue labbra
continuavano a tremare, così come con le mani continuava a
sistemarsi i
capelli. Sembrava nervoso, si disse Zayn, e non riusciva a capirne il
motivo.
Harry
gli sorrise, probabilmente
con l’intento di essere rassicurante, ma Zayn non era
così cieco da farsi
abbindolare a quel modo.
«Che
succede?» domandò quindi,
con il tono più premuroso che possedesse.
«Niente,
davvero» rispose Harry,
che – vedendo la sua occhiata scettica – aggiunse.
«Probabilmente è un calo di
zuccheri. Stanotte ho dormito poco e male, forse dovrei andare a casa a
riposarmi» ragionò, e Zayn si disse che forse
stava reagendo esageratamente e
che aveva ragione l’altro. In fin dei conti, quelle erano
cose che potevano
accadere a tutti e dovunque. Dopo una bella dormita, l’altro
sarebbe stato in
forze, era sciocco anche solo preoccuparsi.
«D’accordo»
cedette infine. «Ti
accompagno a casa, ok?»
Harry
annuì, mentre – Zayn notò –
un vago sollievo si faceva largo sul suo bel volto.
*
Quando
arrivarono a casa di Harry
e Louis, quest’ultimo non c’era e il silenzio era
quasi tangibile, ma non per
questo poco confortevole.
Zayn
non sapeva cosa fare, se
restare o andarsene, perché Harry, senza dire una parola, si
era tolto il
giacchetto e le scarpe, era andato in cucina a prendersi un bicchiere
d’acqua –
facendo un gesto d’offerta al più grande
– e poi si era incamminato in
direzione della sua camera da letto. Ma non l’aveva invitato
a raggiungerlo e,
visto che non si sentiva troppo in forma, magari preferiva restare da
solo.
Stava
quasi sparire oltre il
corridoio, quando si voltò a guardarlo, negli occhi
un’espressione stupita.
«Non
vieni?»
Era
tutto quello di cui Zayn
aveva bisogno per togliersi a sua volta scarpe e cappotto e stendersi
accanto a
lui sul letto, abbracciandolo teneramente e aspettando che si
addormentasse.
Note:
Buon
fine agosto (sigh) a
tutti!!!
Nell’attesa
che esca il film,
(sopravvivremo? Ne dubito) grazie a tutti come sempre <3
|
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
Capitolo tredici.
Quando
si risvegliò, Zayn non era
più accanto a lui. Trasse un sospiro di sollievo. Un altro
seguì il precedente
quando trovò un biglietto da parte dell’altro
ragazzo, appoggiato al comodino,
che lo informava che era dovuto scappare per cenare col fratello e che
lo
pregava di chiamarlo non appena si fosse svegliato. Quello, perlomeno,
significava che Zayn non era neanche in bagno o in cucina e che Harry
aveva del
tempo tutto per sé. Per riflettere e strapparsi i capelli.
Quanto
era idiota. Si era
imbambolato come un cretino, di fronte a quel quadro, e il peggio era
che le
parole di Zayn ancora gli rimbombavano in testa. Lei
si fidava-lei si fidava-lei si fidava, quella cazzo di
fiducia
era anche tutto quello su cui sembrava essere basata la loro relazione,
ma
Harry sapeva benissimo che era anche l’unica cosa che in
realtà sarebbe dovuta
mancare. Zayn l’aveva riposta in lui, che non se la meritava
affatto e che,
anzi, l’avrebbe fatto soffrire come il peggiore degli stronzi.
Aveva
già scritto l’articolo. Era
venuto fuori divertente nei punti giusti, ma anche profondo, quasi uno
studio
psicologico. Ne era fiero, e Zayn ne usciva benissimo,
perché in fondo, Harry
lo sapeva, lui era stupendo. Era stupendo, ma non poteva essere suo,
perché nel
momento in cui avesse scoperto tutto, non l’avrebbe
più voluto vedere e l’avrebbe
anche odiato con tutte le sue forze. E Harry sapeva anche che, al
contrario
della sua fiducia, quell’odio se lo sarebbe meritato eccome.
*
«Il
tuo ragazzo ha detto di
chiamarlo, appena ti svegli» fu la prima cosa che gli disse
Louis, appena mise
piede in salotto.
Come
al solito, l’aveva trovato a
non far nulla di fronte alla televisione.
«Ero
qui quando se n’è andato»
specificò, per dar risposta allo sguardo inquisitorio di
Harry.
«Domani
vado da Bennett» lo
informò il più piccolo, cambiando discorso.
Era
inutile rimandare, e più
tardi avesse consegnato l’articolo, più difficile
sarebbe stato.
Louis
lo guardò incerto. «Sei
sicuro?»
«Certo,
l’ho corretto. Ormai è
pronto» disse, sapendo di non aver risposto alla domanda di
Louis.
«Intendo…
sei sicuro di volerlo
ancora fare?» insistette infatti l’altro.
«Sono
sicuro» confermò Harry,
orgoglioso che la sua voce non avesse tradito l’incertezza
che invece provava
con ogni fibra del suo essere.
Louis
fortunatamente lasciò
cadere il discorso.
«Stasera
usciamo a festeggiare»
disse Harry, cercando di fingere entusiasmo. Louis gli sorrise, anche
se la
felicità non raggiunse i suoi occhi, e con un semplice gesto
acconsentì.
*
La
discoteca era affollata. Non
quanto lo sarebbe stata di venerdì o sabato, ma
sufficientemente da divertirsi.
Harry aveva indossato i pantaloni più stretti che possedeva
e una camicia
attillata, con i primi bottoni slacciati, che lasciavano intravedere le
due
rondini che si era tatuato sul petto non troppo tempo addietro.
Quella
sera si sentiva una
rondine lui stesso. O meglio, stava lavorando per sentirsi come uno di
loro.
Libero di librarsi in aria se la vita diventava uno schifo, di scappare
lontano
da problemi e sentimenti non voluti, di spiccare il volo verso i propri
sogni.
L’unico
aiuto che, fino a quel
momento, avesse trovato per raggiungere il proprio obiettivo era
l’alcol.
Magico alcol. Santo subito.
Rise
dei suoi stessi pensieri,
perché quando era ubriaco lo standard delle battute che lo
facevano
sghignazzare si abbassava notevolmente.
Dapprincipio
le mani e poi tutto
il corpo si facevano leggeri, poi iniziava a parlare con
difficoltà sempre più
evidente e alla fine inciampava ogni due passi. Per non parlare della
testa,
che sembrava fluttuare in un mare di nebbia. Adorava quelle sensazioni.
Come
aveva detto, alcol, santo subito.
Si
guardò intorno, alla ricerca
di Zayn. Poi si ricordò di non essere lì con
Zayn, ma con Louis. Era passato
così tanto tempo dall’ultima volta che era uscito
senza il suo ragazzo che cercarlo
tra la folla era
diventata un’abitudine.
Avvistò
Louis in mezzo alla
pista, mentre si dimenava, schiacciato da corpi maschili che Harry da
quella distanza
e con la vista appannata non riusciva a giudicare degnamente. Di certo,
non
avevano la stessa bella pelle di Zayn, né i suoi occhi
magnetici. Sarebbe stato
impossibile trovare qualcuno con occhi belli come i suoi, anche in
mezzo a
tutta quella gente. Non sarebbe bastato il mondo, si disse Harry. E
proprio
come prima si ritrovò a ridacchiare come uno sciocco.
Smise
di pensare e si limitò a
cercare di raggiungere Louis senza far cadere i bicchieri che teneva in
mano.
Li avrebbe bevuti entrambi, ma qualcosa gli diceva che, se
l’avesse fatto,
qualcuno avrebbe dovuto chiamare un’ambulanza per lui. Voleva
evitare di
passare una notte all’ospedale perché
l’indomani doveva andare al Times e lo
avrebbero assunto e lui avrebbe realizzato il suo bellissimo sogno. Non
vedeva
l’ora.
Butto
giù metà drink in un solo
sorso.
*
Stava
ballando con quello che
pensava fosse Louis. Solo che il suo migliore amico non aveva
né i capelli
biondi né un piercing al sopracciglio. Il che era un
peccato, era sexy da
morire. Si chiese come sarebbe stato su Zayn. Probabilmente avrebbe
intaccato
la perfezione del suo volto, che comunque non aveva bisogno di nessun
pezzo di
metallo per essere sexy. Cazzo, quanto era sexy Zayn. Quando si muoveva
e parlava
e respirava.
Harry
scrollò la testa, sperando
che quei pensieri inopportuni uscissero da lì, assieme al
movimento.
Iniziò
a strusciarsi contro
l’estraneo, a ritmo di musica. Musica orribile, tra
parentesi, quasi brutta
quanto quella che ascoltava Zayn. Lui glielo diceva sempre di
migliorare i suoi
gusti, ma non c’era verso di portargli via i suoi CD RnB. Che
spreco di udito
perfettamente funzionante.
Si
sarebbe dato un calcio in testa,
ma la cosa era fisicamente impossibile – e il pensiero lo
faceva ridere, come
la maggior parte della cose, quella sera – perché
Zayn continuava, non
richiesto, a fare irruzione nella sua testa e magari l’unica
soluzione era la
decapitazione. Sì, un bel taglio netto. Ma anche no, si
disse, il più ormai era
fatto, doveva resistere solo un’altra manciata di ore e
avrebbe potuto
dimenticarsi di tutta quella storia, e lui di certo non era il tipo da
tirarsi
indietro all’ultimo secondo.
*
Oltre
che Louis, aveva perso di
vista anche il ragazzo biondo, ma forse era meglio così,
perché lo sconosciuto
moro contro il quale si stava strusciando in quel momento era
decisamente più
di suo gusto. E di certo non c’entravano il filo di barba che
aveva sul mento o
il naso perfetto o gli occhi profondi.
Era
piuttosto eccitato e si
sarebbe fatto un altro Jack, avesse potuto. Ma raggiungere il bar
avrebbe
significato spostare le mani di Zayn dal suo corpo e quella era
l’ultima cosa
che voleva.
Cioè,
non di Zayn.
Dello
sconosciuto numero due, che
non si era neanche presentato. Ecco, Zayn era di certo più
educato.
Si
disse che però, a lui, non
gliene importava nulla e che le buone maniere potevano anche andare a
farsi una
girata. Iniziò a trascinare numero due verso il bagno, dove
era già stato per
motivi fisiologici e che sapeva non essere pulito e spazioso come
quello di
Zayn, ma che sarebbe andato bene comunque.
Appena
entrati, la luce ferì i
suoi occhi, per questo decise di chiuderli, subito dopo aver spalmato
numero
due contro la parete più vicina e aver fatto collidere le
loro labbra.
Gli
ficcò la lingua in bocca,
aspettando di riconoscere il sapore di menta e di sigaretta mescolato
insieme,
ma tutto quello che sentì fu fragola e pesca e alcol e
c’era qualcosa di
strano, perché Zayn non beveva cocktail fruttati.
Spalancò gli occhi.
Non
era Zayn, ma numero due,
quello che stava baciando in quel modo vagamente osceno.
Gli
veniva da vomitare. Magari
l’avrebbe fatto sulle scarpe di numero due, tanto erano
brutte. Non come quelle
di Zayn, di pelle nera, morbide e comode.
«Ehi,
che ti prende?» chiese lo
sconosciuto. Anche la voce e il tono e l’accento erano
diversi. Erano tutti
sbagliati.
Ora
gli veniva anche da piangere.
Ma non l’avrebbe fatto di certo. Anche perché,
davvero, non c’era nulla di cui
essere tristi, domani sarebbe andato a conquistare un posto nel
giornale più
importante del Regno Unito e tutto sarebbe stato meraviglioso e gli
uccellini
avrebbero cantato per lui e sarebbe piovuta cioccolata e le nuvole,
rigorosamente
fatte di zucchero filato, sarebbero scese e gli si sarebbero offerte in
dono.
Non
c’era nulla di cui essere
tristi. Nulla.
Riprese
a baciare numero due, le
mani appoggiate alla parete, ai lati del volto dell’altro.
Registrò
un movimento dell’altro,
quando le sue mani iniziarono a slacciargli la camicia. E ok. Era ok.
Gliel’aveva
aperta tutta e forse
gliela voleva togliere, ma no, grazie, era freddo, per cui,
divincolandosi un
po’, glielo impedì.
Le
mani di due, troppo curate per
essere quelle di Zayn, che aveva sempre un po’ di inchiostro
sulle dita,
presero a lottare con la cintura che, da brava bimba, stava opponendo
strenua
resistenza.
Dopo
qualche secondo, due emise
un suono di vittoria e agganciò la zip, abbassandola. Quel
rumore lieve non era
mai parso così tanto sinistro a Harry, che, per quella che
doveva essere solo
la seconda volta da quando aveva iniziato a ballare con due, lo
guardò in viso.
Che era orribile, a dirla tutta.
E
non solo paragonato a quello di
Zayn, perché al confronto tutti i visi erano orribili, ma a
prescindere. In
generale. In assoluto. Era universalmente orribile.
Ora
voleva vomitare e piangere
insieme.
Cercando
di evitare entrambe le
cose, si staccò di scatto dall’altro uomo e si
tirò su la zip, si divincolò e
uscì dal bagno, cercando nel frattempo di riallacciarsi
cintura e camicia.
Quando
ritrovò Louis, si rese
conto che forse non era riuscito a contenere le lacrime, se lo sguardo
triste e
preoccupato dell’amico era indicativo. Si passò
una mano sulle guance. Magari
erano lacrime di gioia, perché tutto stava andando alla
perfezione. Tutto.
*
Faceva
tutto schifo. Tutto.
E,
davvero, com’era possibile?
Come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione assurda? Era
insensato; era
insensato che lui si trovasse a un palmo da tutto quello che aveva
sempre
voluto e che, tutto d’un tratto, esso non gli sembrasse
più così appetibile.
Il
suo sogno di tutta una vita
era meno desiderabile del sorriso e della felicità e della
serenità di un’altra
persona. No, non di un’altra persona. Di Zayn.
Si
chiese quando il bene di Zayn
fosse diventato più importante del proprio. Anzi, quando le
due cose fossero
diventate inseparabili. Quando, per stare bene, era diventato
necessario sapere
che Zayn stesse bene.
Appunto,
insensato. Come aveva
detto.
Era
seduto sul suo stupido letto
e in mano aveva il suo stupido articolo. Ne aveva stampata una copia,
per
sicurezza, e un’altra l’aveva inserita in una penna
USB. Leggendo quello che
aveva scritto, l’unica cosa che gli veniva in mente era che
avrebbe fatto bene
a bruciare quei fogli e a rompere quello stupido aggeggio.
Se
l’avesse fatto e avesse detto
tutto a Zayn, magari lui l’avrebbe ripreso e
l’avrebbe abbracciato e gli
avrebbe detto che tutto andava bene. O magari no, magari
l’avrebbe odiato
comunque, ma almeno nessuno avrebbe saputo nulla di una storia che lui
aveva
confidato a Harry. A Harry perché si fidava e lo amava.
E
lui… anche lui amava Zayn,
perché, se così non era, allora proprio non
sapeva spiegare cosa stesse
succedendo dentro la sua testa.
Cazzo,
quanto l’amava.
Era
un imbecille. Qualsiasi
persona con un po’ più sale in zucca
l’avrebbe capito decenni prima. Lui invece
no. C’aveva messo un secolo e mezzo. E il bello era che
all’inizio era convinto
che ce l’avrebbe fatta,
a portare avanti
il suo piano senza provare nulla per Zayn. Quello sì, che
non aveva senso.
Aveva meno senso di tutte le cose senza senso. Bastava guardarlo una
volta per
capire che Zayn era qualcuno impossibile da dimenticare e del quale non
innamorarsi.
Che
gli era preso? Non poteva
scrivere di fiori e farfalle o di quanto fosse azzurro il cielo? Di
certo non
si sarebbe trovato in quella situazione, se ci avesse pensato prima.
«Come
stai?» la voce di Louis lo
trasse dai suoi pensieri.
«Male»
rispose sincero. Ecco, le
lacrime avevano ripreso a spingere per uscire e lui si era reso
già abbastanza
ridicolo, per quella sera.
Poi,
Louis si avvicinò, si
sedette sul letto accanto a lui e gli passò un braccio sulle
spalle, e Harry
non riuscì più a trattenerle. Avrebbe smesso di
provarci decise, un po’ perché
faceva pena, a farlo, un po’ perché –
come diceva sua madre – meglio fuori che
dentro.
Nascose
il volto nell’incavo del
collo dell’amico, che iniziò a sussurrare parole
che alle orecchie di Harry non
avevano senso, ma che nondimeno erano dolcissime e che, nel giro di una
due tre
ore, forse l’avrebbero calmato.
«Non
posso farlo» balbettò con
voce roca, non appena le lacrime si fermarono abbastanza da
permettergli di
parlare. «N-non…»
«Shhh»
mormorò il più grande,
accarezzandogli i capelli. «Va tutto bene»
«N-no,
non va tutto b-bene!»
urlò, scostandosi dal suo abbraccio e guardandolo in faccia.
«Non posso farlo,
perché avevi ragione tu, ok? Lo… amo
Zayn» ammise per la prima volta ad alta
voce. «e non posso farlo, perché vorrebbe dire
farlo soffrire e perderlo, ma
soffrirà e lo perderò comunque e… cazzo»
imprecò.
«Harry»
iniziò. «Harry» ripeté
con più convinzione, affinché l’altro
lo guardasse negli occhi. «Va bene se non
puoi farlo e se lo ami, d’accordo. Va bene. Va bene se sei
umano» dichiarò, i
pollici che lentamente e circolarmente si muovevano sulle gote del
più piccolo.
«Ma…
ma è il mio sogno» disse con
rassegnazione, come se questo spiegasse tutto.
«E
Zayn?» chiese Louis.
«Zayn
cosa?»
«È
più o meno importante?»
specificò.
Harry
non aveva bisogno neanche
di pensarci due volte, e questo lo spaventava ancora di più.
«Domani
vado da Bennett» disse
infine. «A dirgli che non posso più scrivere
l’articolo» concluse, osservando
come il volto di Louis si fosse illuminato a quelle parole, neanche gli
avesse
detto che, inaspettatamente, il suo compleanno era stato anticipato al
giorno
seguente.
«Ora
dormi, ok?» gli disse solo,
mentre lo faceva stendere sul letto e lo copriva con le coperte.
«E,
Harry» richiamò la sua
attenzione prima di uscire. «Non esiste un sogno perpetuo,
d’accordo. Ogni
sogno cede il posto a un sogno nuovo e non ti devi preoccupare, se
succede, ok?
Sarà sciocco, ma segui il tuo cuore» disse,
sorridendo, prima di fargli un
ultimo cenno di saluto e spegnere la luce.
Forse
non faceva tutto schifo.
Forse era come diceva Louis, non esistevano sogni che duravano per
sempre.
Forse anche per lui era arrivato un nuovo sogno.
Allora,
forse era proprio Zayn, il
suo nuovo sogno.
Note:
Ououo,
carissime, non so mai che
scrivere nelle note, questa volta meno del solito ma va be’.
Colpa di This is
us, porca paletta.
Cooomunque,
manca poco, manca
poco!
Grazie
a tutti, come sempre <3
<3 <3
|
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
Capitolo quattordici.
Zayn
sapeva che non era successo
nulla, che Harry stava bene e che probabilmente aveva solo dormito fino
a
tardi. Ma non lo aveva richiamato e, anche se non era in pensiero, non
aveva
niente da fare, quella mattina, per cui andare a trovarlo gli era
sembrata la
cosa più ovvia.
Quando
Louis venne ad aprirgli il
portone, il coinquilino di Harry indossava cappotto e sciarpa e
sembrava pronto
per uscire.
«Ciao»
lo salutò, incerto.
«Ehi»
rispose Louis, guardandolo
in modo così strano che Zayn si chiese se magari fosse
sporco in volto. «Vieni,
entra» si riscosse, quasi subito. «Harry non
c’è» lo informò, non appena
varcò
la soglia.
«E
tu stavi per uscire» finì Zayn
per l’altro, che semplicemente annuì.
«Comunque,
dovrebbe rientrare tra
poco. Puoi aspettarlo qui, se vuoi» propose con un sorriso,
mentre si infilava
anche i guanti.
«D’accordo,
grazie» accettò
volentieri, perché davvero non aveva voglia di tornarsene a
casa a non far
nulla. In più, se i suoi calcoli non erano errati, Harry
sarebbe già dovuto
essere a casa, di rientro dal turno al panificio, per cui probabilmente
sarebbe
tornato a momenti.
Louis
lo salutò con un a presto
e si fiondò fuori
dall’appartamento, lasciandolo in salotto, libero di vagare e
fare quello che
preferiva.
*
In
televisione non c’era nulla e
mettere su un film, che poi avrebbe dovuto interrompere, non aveva
molto senso.
Decise che avrebbe aspettato in camera di Harry, anche se lì
dentro regnava il
più completo caos.
Notò
la copia di Delitto e castigo che
avevano comprato
insieme, sul comodino, il letto ancora sfatto, i vestiti sparsi un
po’ ovunque
– tra i quali c’era anche una sua maglietta che
Harry utilizzava per dormire
quando era troppo freddo per farlo completamente nudo.
L’armadio
era spalancato e mezzo
vuoto, perché la maggior parte degli abiti puliti era stata
abbandonata,
ripiegata, su un lato della scrivania. Per il resto,
quest’ultima era piuttosto
libera, solo qualche foglio era stato appoggiato qua e là,
mentre al centro
faceva bella mostra di sé un computer portatile.
Si
stese sul letto, appoggiando
la testa al cuscino. Ispirò l’odore di Harry che
ormai era familiare come
l’avesse conosciuto da sempre e si perse un po’ a
fissare la monotonia del
bianco del soffitto.
Tutto
quel silenzio l’avrebbe
quasi spinto a chiudere gli occhi e addormentarsi di nuovo,
perché la notte
prima aveva dormito pochissimo; l’avrebbe anche fatto se
– giratosi su un
fianco – non avesse notato, ai piedi della scrivania, quelli
che, a vedersi,
sembravano due o tre fogli spillati assieme. Da bravo maniaco
dell’ordine qual
era, senza pensarci si alzò e li raccolse, con
l’intenzione di appoggiarli
sulla superficie di legno. Senza volerlo davvero, l’occhio
gli cadde sulle
prime parole del testo.
Se
qualcuno glielo avesse
chiesto, non avrebbe saputo dire se avrebbe preferito leggere quelle
parole
nere su bianco due mesi prima oppure non leggerle mai.
*
Sentì
la chiave girare nella
toppa.
Non
sapeva neanche lui perché
fosse rimasto in quella casa, in quella stanza e in quella posizione ad
aspettare
che Harry tornasse.
«Zayn,
sei tu?» sentì chiamarsi
dal salotto. «Ho visto il capp-» si interruppe,
poi, entrando nella sua stessa
camera da letto. «Che c’è?»
quasi sussurrò, un po’ incerto. Zayn si chiese da
quando le sue espressioni fossero diventate così facili da
leggere, per
l’altro. Probabilmente da quando, come un idiota, si era
aperto abbastanza da
farlo entrare nella sua vita, si rispose da solo. Avrebbe voluto essere
in
possesso di una qualche gomma magica che cancellasse le ultime
settimane o –
meglio ancora – di una macchina del tempo che lo riportasse a
quella stupida
festa o- o, boh, non lo sapeva neanche lui. L’unica cosa di
cui era consapevole
era che tutto ciò era impossibile e sperarlo non lo avrebbe
condotto da nessuna
parte.
«Com’è
andata al Times?» disse,
concentrandosi sulla reazione di Harry, che non tardò ad
arrivare.
Vide
i suoi occhi passare da un
iniziale momento d’incomprensione a uno che a Zayn
sembrò molto simile al
terrore.
E
se non era sicuro di aver
decifrato correttamente i suoi occhi (che poi chi era che diceva che
gli occhi
sono lo specchio dell’anima? Se era così, allora
Harry era una specie di illusionista,
perché lui di quanto fosse stronzo e subdolo e arrivista non
se ne era mai
accorto), la stessa cosa non poteva dirsi del pallore che si fece largo
nel suo
volto – che Zayn attribuì alla consapevolezza di
essere stato scoperto – e al
tremore delle mani – che
comunque poteva essere facilmente simulato.
«Zayn, io-» balbettò
Harry, a corto di scuse.
«Puoi spiegare, immagino»
terminò la frase per l’altro, con un tono che
uscì dieci volte più cattivo di quanto avrebbe
voluto. Non riuscì a pentirsi
della relazione che le sue parole ebbero sull’altro, che
prese a mordersi un
labbro, gli occhi spalancati e lucidi.
Cavolo, era un attore consumato, e lui non se ne
era mai accorto.
Doveva essere cieco o profondamente stupido. Non
sapeva quale tra le
due opzioni fosse meno invitante.
«S-sì, ti prego» si
riprese Harry. «Posso, Zayn. Per favore»
sussurrò,
ma il più grande si era già alzato, –
come sapeva avrebbe dovuto fare sin da
subito, due secondi dopo aver letto quell’articolo scritto da
Harry, che
parlava di lui, di tutto quello che gli aveva raccontato e anche di
più –
pronto ad andarsene, uscire da quella casa e da quella storia che in
realtà era
una triste messinscena, e dalla vita dell’altro, come sarebbe
stato meglio
avesse fatto dopo averci parlato i primi due secondi, a fine novembre.
«Non so neanche cosa si dice in questi
casi» commentò Zayn, senza
riuscire a trattenere delusione e amarezza.
Vide l’altro immobile, ancora accanto
alla porta, col giacchetto
addosso, probabilmente preso troppo in contropiede per riuscire a
reagire. Non
che Zayn si aspettasse più nulla, da Harry.
«Addio» proferì
solamente, passandogli accanto, stando ben attento a
non sfiorarlo neanche per sbaglio, perché anche il
più piccolo contatto, in
quel momento, l’avrebbe ucciso.
Come si aspettava, l’altro non lo
richiamò per fermarlo.
*
Forse era stata la consapevolezza di essere
finalmente nell’intimità
della propria casa o il fatto che, dovunque si girasse, vedesse ricordi
di se
stesso e Harry, ma appena varcata la soglia non riuscì
più a trattenere quelle
stupide lacrime che stavano premendo per uscire da non sapeva neanche
più lui
quanto.
Non aveva nulla contro le lacrime, beninteso. Era
consapevole che
piangere non lo rendeva meno uomo.
Non credeva ce ne fosse bisogno, però.
In fin dei conti per cosa stava
soffrendo, per una storia finita male?, per un amore perduto?, per
delle
speranze infrante? A ben vedere nessuna di quelle cose era mai stata
reale, per
cui non avrebbe dovuto neanche pensarci due volte, prima di buttarsi
quei due
mesi, e specialmente Harry, alle spalle. Metterli in una scatola e
chiuderla
sotto il pavimento. Aspettare che la polvere ricoprisse tutto,
così da non
riuscire più a distinguere nulla.
Ma mentre gli occhi cadevano sul divano, non poteva
far a meno di
ricordare della sera in cui avevano distrutto un cuscino a forza di
darsi
battaglia sul pavimento o di come vi avessero spesso cenato insieme
dopo una
lunga giornata. Giornata che Harry aveva passato a studiare inglese o a
sfornare pane. O almeno quello era ciò che credeva.
Probabilmente l’altro non
aveva mai impastato farina in vita sua o, se l’aveva fatto,
era stato anni addietro.
Harry faceva i cornetti più buoni che avesse mai mangiato.
Solo che non li
faceva davvero lui, evidentemente. Avrebbe dovuto scoprire dove li
comprava. O
forse no, ché poi avrebbe rischiato di incontrarlo e quella
era l’ultima cosa
che voleva.
Avrebbe voluto stendersi e dormire. Il suo letto
era ancora sfatto e,
anche se il calore era di certo scomparso da tempo, le coperte
l’avrebbero
tenuto al caldo. Aveva i piedi congelati, come sempre. Magari avrebbe
dovuto
fare un bagno bollente.
Era indeciso. Optò per il letto. Mise
piede nella stanza e non
resistette più di due secondi.
Forse era idiota o solo molto masochista,
perché se l’ingresso aveva
stimolato quella reazione, cosa avrebbe potuto fare la camera da letto?
Provocargli conati di vomito, a quanto pareva.
C’era così tanto Harry in
quella stanza, e lui non se ne era mai
accorto sul serio, che forse avrebbe dovuto trasferirsi, magari
cambiare città,
per andare sul sicuro.
Che stupidaggine. Non era stato mai nulla, quindi non gliene
sarebbe importato nulla. Filava. Liscio come l’olio.
E decise che, se alla fine era uscito dalla camera,
non era per i
ricordi o l’odore o la vista di ogni centimetro quadrato, ma
solo perché aveva
cambiato idea e voleva guardare un po’ di TV, sdraiarsi sul
divano (che magari
avrebbe cambiato davvero, perché era vecchio e scomodo.
Ovviamente) e forse
avrebbe dormito lì, sotto al plaid con stampato quel buffo
cane, che Liam gli
aveva regalato.
Si tolse le lenti a contatto. Non perché
iniziassero a bruciargli gli occhi
a causa delle lacrime, no di certo, ma solo perché se si
fosse addormentato,
poi si sarebbe risvegliato tra dolori lancinanti. E si mise gli
occhiali, che
portava poco perché lo facevano sembrare troppo
intellettuale, anche per lui.
Harry aveva detto di preferirlo in quel modo, soprattutto se aveva
anche il
ciuffo abbassato, che lo addolcivano e ingiovanivano, ma probabilmente
quella
era solo una delle innumerevoli stronzate che l’altro gli
aveva rifilato.
Era bravo, a raccontare cavolate, quello era
sicuro. Avrebbe dovuto
fare il truffatore, di mestiere (e un po’, truffatore lo era
stato, si disse
Zayn), non il giornalista.
Non che non fosse bravo anche in quello,
l’articolo era divertente e
interessante e ben scritto, commovente e intimo tutto insieme.
Zayn aveva odiato ogni parola, ma non dubitava che
glielo avrebbero
pubblicato.
In tutto quel casino di sentimenti non
c’aveva pensato, ma la sua vita
ne sarebbe uscita stravolta. Non era pronto al polverone che
l’avrebbe sommerso
e sinceramente non sapeva se mai lo sarebbe stato. Non riusciva a
credere che
quel ragazzo pieno di vita e di attenzioni, dolce e premuroso,
chiassoso e
divertente, in realtà non fosse altro che un arrivista
disposto a tutto. Cazzo,
era venuto a letto con lui, si era insinuato nella sua stupida vita per
cavargli dalla bocca ogni singola informazione e tutto quello
probabilmente
l’aveva fatto senza un singolo rimorso di coscienza, senza
pensarci due volte.
Si era come prostituito
per
un cazzo di articolo. Non ce la faceva a pensare di aver amato qualcuno
che si
abbassava a tanto per cosa, poi? Lavoro fama soldi?
Non l’aveva amato, si
rassicurò, e di certo non lo amava. Non amava il
vero Harry, ma solo quella specie di miraggio che l’altro gli
aveva fatto
vedere e conoscere.
Aveva sempre pensato di essere bravo a capire le
persone. Forse Harry
l’aveva accecato con tutta la polvere luccicante che si era
spalmato addosso
per apparire qualcuno che non era, e lui non se ne era accorto, troppo
preso ad
ammirarlo.
Ecco quello che si otteneva a fidarsi di qualcuno
così, dal nulla.
La colpa era sua, lo sapeva bene. Stupido lui ad
aver creduto che
qualcuno sarebbe riuscito davvero ad amarlo per quello che era.
Zayn chiuse gli occhi. Si sentiva patetico. E
patetici erano i suoi
annichilenti pensieri, patetico il suo stupido televisore che non
faceva vedere
metà dei canali e patetico il suo stomaco vuoto che chiedeva
di essere sfamato.
Lo ignorò. Se avesse ingerito qualcosa,
l’avrebbe vomitato seduta
stante.
*
Era uscito con Niall. Non ce la faceva
più a stare chiuso in casa,
tempo altri due secondi e sarebbe scoppiato. Liam non c’era,
per fortuna: non
avrebbe sopportato le sue occhiate indagatorie. Anche l’amico
si era accorto
della miseria in cui era annegato, ma Zayn sapeva che avrebbe aspettato
fino a
che lui non si fosse sentito pronto a parlargli (anche se non sembrava,
Niall
sapeva essere paziente, all’occorrenza). Liam, al contrario,
si sarebbe
preoccupato e agitato e Zayn voleva evitare un terzo grado a tutti i
costi.
Erano finiti in un pub. Di lunedì sera,
era mezzo vuoto. Non che gliene
fregasse qualcosa, non cercava nessuno. Ne aveva abbastanza degli
uomini, fin
sopra ai capelli, per un po’ non ne voleva sapere nulla e
grazie mille. Erano
tutti uguali, subdoli e incantatori, soprattutto quelli con le
fossette. Le
fossette erano l’inferno. Erano l’inferno dantesco
e lui se ne sarebbe dovuto
accorgere prima di caderci a capofitto.
Si sentiva piuttosto femminista e, per la prima
volta da quando aveva
imparato ad accettarsi e a volersi bene per chi era,
desiderò essere etero e
amare una ragazza, al posto di quel mezzo uomo con le mani troppo
grandi e il
cuore troppo piccolo.
Guardò l’interno del bicchiere
che aveva davanti. Era quasi vuoto e lui
aveva ancora sete.
Ordinò un’altra birra, mentre
Niall gli sorrideva, accondiscendente.
La buttò giù nel giro di
dieci minuti scarsi, perché anche se a lungo
andare i problemi galleggiano nell’alcol,
nell’immediato affondano come pesanti
rocce.
Dopo un po’ perse il conto dei bicchieri
scolati; non si ricordava
neanche più perché avesse una dolorosa sensazione
allo stomaco e perché non
avesse pranzato né cenato. Sapeva solo che pensare a Harry
gli dava spiacevoli
calci allo stomaco, e dunque evitò di farlo, tanto
più che Niall si stava
mettendo in ridicolo di fronte a tutti, aiutato dal troppo alcol in
circolo,
facendolo ridere così tanto che per tre volte
rischiò di scivolare giù dallo
sgabello.
*
Tornò a casa che erano le due passate,
l’alcol ancora in circolo, anche
se – perlomeno – riusciva a camminare senza
inciampare. Riuscì a infilare la
chiave nella toppa al primo tentativo. La considerò una
vittoria.
Quando aprì la porta, la luce del
soggiorno lo accecò. Non ricordava di
averla lasciata accesa, ma in quel momento era a malapena sicuro di
come si chiamasse,
per cui quello voleva dir poco.
«Zayn» sentì dire
dall’ultima voce che voleva udire in quel momento.
E come si trovò di fronte il volto
preoccupato e stanco di Harry, gli
tornò in mente tutto quello che era accaduto la mattina.
«Che ci fai in casa mia?»
sbottò, riuscendo in qualche modo a non
incespicare nelle parole. Zayn si rese conto che la rabbia stava
prendendo
rapidamente il posto dell’amarezza e della delusione, e di
tutto quello che
aveva provato fino a poco prima.
«Io volevo p-»
«Vattene» lo interruppe,
perché non gliene fregava nulla, lo voleva fuori
di lì immediatamente.
«Zayn, ti prego»
supplicò Harry, perché evidentemente non sapeva
dire
altro. E pensare che era un giornalista. La cosa lo fece quasi ridere.
«Vattene, ho detto»
urlò, cercando di raggiungere la propria stanza,
smettendo di guardarlo e di ascoltarlo, non controllando neanche se
l’altro
avesse fatto quanto gli aveva impartito.
«Cazzo» aveva fatto tre metri e
aveva sbattuto contro uno stupido
mobile, stupidamente posto nel suo stupido corridoio e adesso il suo
stupido
ginocchio gli lanciava stupide scintille di dolore che lo stupido alcol
che
aveva ingerito non riusciva ad attenuare.
Sentì le mani dell’altro
poggiarsi sui suoi fianchi e sorreggerlo,
neanche fosse in punto di morte. Cercò di divincolarsi,
perché il tocco
conosciuto di Harry aveva solo portato alla luce immagini che aveva
cercato di
seppellire con la birra e la testa aveva iniziato a girargli e le dita
del più
piccolo erano calde e perfette sulla sua pelle e gli mandavano scosse
elettriche e gli facevano venire la pelle d’oca e brividi
caldi e freddi
avevano iniziato a scorrere lungo tutta la sua schiena.
«Lasciami» gli
intimò, ma l’altro era diventato sordo, forse,
perché la
stretta si rafforzò e basta.
«Devo parlarti, ti prego»
supplicò di nuovo, ma Zayn voleva far tutto
meno che parlare.
Si sentì voltare, neanche fosse stato un
calzino, e Harry era troppo
vicino, col suo stupido volto e i suoi stupidi occhi.
Zayn fece salire una mano fino ai suoi capelli e li
tirò. Li tirò così
forte che Harry fu costretto a seguire con la nuca il movimento della
mano di
Zayn, per non ritrovarsi con una manciata di ricci in meno, la bocca
spalancata, ma le mani ancora saldamente ancorate ai suoi fianchi.
Gli occhi gli caddero sul collo
dell’altro: era arrossato ed esposto,
sembrava fatto apposta per esser morso e Zayn non sapeva cosa gli fosse
preso,
ma non voleva più pensare. Non voleva più pensare
a nulla.
Note:
Scusate tanto per il capitolo. Anche se non sembra,
amo Zayn, eh! Giuro
<3
Tutto questo angst ben si adatta al mio umore
settembrino… che mese del
cavolo L
Un bacione e grazie a tutti, as always!
|
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Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
Capitolo quindici.
Si svegliò tutto indolenzito. Non era
troppo presto, ma non doveva
andare da nessuna parte, e il suo corpo gli intimava di rimettersi a
dormire.
Solo che non poteva, e non ci sarebbe nemmeno riuscito.
Guardò Zayn. O meglio, guardò
la sua schiena. Avrebbe voluto toccarlo e
svegliarlo come aveva fatto un sacco di mattine, ma non ne aveva il
coraggio.
Non era sciocco, il sesso della notte appena
trascorsa non significava
nulla. Se non che Zayn non era in sé e probabilmente
l’avrebbe odiato anche per
quello.
Si mise supino. Pessima mossa, il fondoschiena gli
faceva male e magari
non sarebbe riuscito a sedersi senza digrignare i denti per qualche
giorno.
Aveva provato. Aveva provato a parlare con Zayn,
che non lo voleva
ascoltare e, davvero, lui non lo biasimava, e aveva provato a scusarsi
e a
spiegarsi, perché forse l’altro avrebbe capito e
l’avrebbe perdonato se solo
gli avesse dato una possibilità.
E la notte precedente era andato a casa sua per
quello, usando
nuovamente le chiavi che – per fortuna – ancora non
aveva restituito a Liam; di
certo non si aspettava che Zayn l’avrebbe accolto a braccia
aperte. Se si
trovava tra le lenzuola del letto che così spesso avevano
condiviso, non era perché
Zayn l’avesse perdonato, a mo’ di figliol prodigo.
Era consapevole che quello
che avevano fatto era lontano anni luce da ciò che provava
per Zayn.
Sentì i suoi occhi farsi lucidi. Si
passò una mano sugli occhi e lì la
lasciò, combattendo le lacrime. Da un paio di giorni
piangere era tutto quello
che riusciva a fare. Stava diventando ridicolo.
Zayn non l’aveva baciato neanche una
volta. Al pensiero, sentì le
guance inumidirsi. Zayn non voleva baciarlo e aveva evitato ogni suo
tentativo.
Aveva scansato le sue mani ogni volta che aveva provato ad
accarezzarlo,
l’aveva girato faccia al cuscino e l’aveva scopato.
Harry si era anche stupito
che si fosse almeno preoccupato di prepararlo, prima.
Lo Zayn di quella notte non esisteva,
l’aveva creato lui con le sue
azioni. Quello Zayn così freddo era solo una conseguenza
delle sue bugie,
questo Harry lo sapeva.
Aveva imparato a conoscerlo così bene da
capire quello che Zayn
provava, a ogni suo piccolo movimento. Sapeva quando l’altro
voleva dolcezza o
passione, da lui. A entrambi piaceva quando le spinte si facevano
violente e le
unghie penetravano nella carne e i denti lasciavano impronte sulle
spalle.
Quello, Harry lo adorava.
La notte precedente, invece, non era stato
passionale, ma meccanico e distaccato.
Si era sentito usato; avrebbe riso dell’ironia della
situazione, se ne fosse
stato in grado.
Era stato il sesso peggiore della sua vita, e Harry
non poteva che prendersela
con se stesso.
*
Si era vestito ed era andato in cucina
perché non ce la faceva più a
stare sdraiato accanto a Zayn, senza poter posare la testa sul suo
petto,
distanti come fossero stati due estranei.
Aveva preparato la colazione, proprio come il primo
giorno, per non
pensare a quello che sarebbe successo nel momento in cui Zayn
l’avesse
raggiunto. Aveva così tante cose da dirgli che non sapeva
neanche da dove
iniziare. Sapeva solo che doveva dire tutto, non tralasciare nulla,
scoprirsi
completamente come l’altro aveva fatto con lui. Aveva paura,
perché sapeva che,
forse, neppure quello sarebbe stato sufficiente.
Sentì dei passi farsi sempre
più vicini. Prese un respiro per darsi
coraggio e si voltò.
Zayn non sembrava stupito di trovarlo ancora
lì. Il suo volto era tutto
un rimpianto, ma Harry non avrebbe saputo dire se fosse stato per non
averlo
buttato fuori di casa a calci, la sera prima, o non averlo fatto almeno
dopo
averci fatto sesso. Forse era per averlo scopato a quel modo,
perché Zayn era
la persona più gentile che Harry avesse mai incontrato, a
dispetto delle apparenze.
Harry era riuscito a rovinare anche quello. Si
odiava più di quanto non
si fosse odiato nelle ultime settimane.
«Ho fatto la colazione»
constatò l’ovvio, poiché non sapeva da
dove
altro iniziare. L’altro annuì e si mise seduto.
Era già qualcosa, si disse
Harry.
Aspettò che Zayn avesse iniziato a
mangiare, prima di prendere un altro
profondo respiro e iniziare a parlare. O provare a farlo, perlomeno.
«Zayn, io-»
«Vuoi parlare, l’ho
capito» intervenne, il tono piatto.
Almeno non aveva ancora cominciato a urlare o a
cercare di cacciarlo.
Era una conquista, visti i risultati ottenuti il giorno precedente.
«Io… sì,
puoi» Harry disse, abbassando lo sguardo alle proprie mani,
consapevole di non riuscire a sostenere quello dell’altro.
«Puoi ascoltarmi?
Giuro che se vorrai ancora che me ne vada, dopo che avrò
finito, me ne andrò» per
oggi, concluse dentro di sé. Non
esisteva Santo in Paradiso per il quale avrebbe smesso di provare a
riconquistare Zayn.
Zayn sembrò soppesare le parole di Harry
in silenzio e poi, dopo quella
che gli parve un’era geologica, annuì.
*
Partì dall’inizio,
perché era l’unica cosa sensata da fare, e
parlò
della festa e di come avesse pensato che Zayn fosse uno dei
più bei ragazzi che
avesse mai visto e del fatto che sì, in effetti, voleva solo
una cosa da una
notte e via, con lui; di come si fosse svegliato nel bel mezzo della
notte; del
bagno e della chiave; della scrivania e della scoperta.
Parlò della scelta di restare e fare la
colazione. «Quello non ero io»
disse, ed era vero. Tutto quello che aveva fatto durante i primissimi
giorni era
interessato e mirava a un solo scopo.
Parlò di come fosse andato al Times e
avesse proposto a Bennett la
storia. Di Louis che l’avvertiva di stare attento.
«L’ha sempre saputo, lui, che
non ce l’avrei fatta. Avrei dovuto
ascoltarlo» Harry poteva vedere come l’espressione
di Zayn non fosse mutata di
una virgola, dall’inizio. «ma ero troppo orgoglioso
e testardo per vedere
quello che vedeva lui»
Parlò di come stare con Zayn fosse
diventato qualcosa di autentico
subito, per lui; di come non lo sentisse forzato, di come fosse facile
dimenticarsi che c’era un altro motivo se si trovava
lì. Di come avesse cercato
di negare l’evidenza anche a se stesso, fino a quando aveva
capito che non
sarebbe riuscito a concludere nulla.
«Quando mi hai raccontato tutto,
è… è assurdo, ma l’articolo
è l’ultima
cosa a cui ho pensato» Zayn sollevò un
sopracciglio, e Harry sapeva che quello
parlava di scetticismo. Sapeva anche che per Zayn era qualcosa di
difficile da
credere, per cui non insistette. «E il giorno dopo
l‘ho scritto e ricontrollato
e ricontrollato ancora, ma dentro di me accampavo scuse per non
consegnarlo.
‘Ho tempo’ mi dicevo. Poi ho capito che non sarei
mai riuscito a farlo, perché
anche se non volevo ammetterlo, cercando di entrare nella tua vita, tu
sei
entrato nella mia. E… sei nella mia testa e non riesco a
farti uscire e lo so
che ti senti tradito e hai ragione, ok? Ma era tutto vero, te lo giuro,
tutto,
e so che lo era anche per te. A Natale volevo davvero stare con te. E
quando mi
hai detto per la prima volta che mi amavi, ti ho risposto
perché sentivo la
stessa cosa pure io, non per seguire un piano che ho buttato nel cesso
due
secondi dopo averlo ideato» Harry avrebbe avuto bisogno
d’acqua, aveva la gola
secca da prima di iniziare quella conversazione.
«Il giorno della mostra» Harry
sapeva che Zayn avrebbe visto anche
quello come un tradimento, ma allo stesso tempo non poteva far finta di
nulla.
Sincerità assoluta; gliela doveva. «io e Louis
siamo usciti. Dopo; di sera. E
ho cercato di non pensare a te, ma di pensare all’articolo, e
continuavo a
dirmi che il giorno dopo l’avrei consegnato. Non ce la facevo
più, quelle cazzo
di righe stavano nel mio computer e rappresentavano la fine di tutto. E
ho
provato a divertirmi, mi dicevo che tempo qualche ora e avrei avuto
tutto
quello che avevo sempre sognato. Ma non riuscivo neanche a guardami
intorno,
ché tu eri ovunque. Eri il tizio al bar pieno di tatuaggi e
il bodyguard con
l'orecchino e il ragazzo moro con cui ballavo e… e che mi
volevo scopare» Zayn
non sbatté neanche le ciglia, e Harry avrebbe voluto
piangere per quella che
era la centesima volta nel giro di ventiquattro ore. «Ma non
riuscivo neanche a
baciarlo senza pensare che era tutto sbagliato e non riuscivo a capire
perché
tu non c’eri, mentre io ero lì con uno sconosciuto
che aveva i tuoi stessi
capelli ma non era te e credo di
essere stato sul punto di vomitare, quando sono scappato. Probabilmente
sarei
ancora lì se non ci fosse stato Louis» il viso di
Zayn gli diceva che a lui non
poteva fregargliene di meno.
«Ieri, quando ti ho trovato in camera
mia, ero appena stato da Bennett.
A dirgli che non potevo scrivere il pezzo. E te l’avrei
detto, solo che-»
«Solo che ti ho messo i bastoni tra le
ruote» lo interruppe Zayn, un
sorriso strano stampato in faccia.
Harry gliel’avrebbe volentieri strappato.
Gli mancava quello limpido e
felice, quello che gli illuminava il volto e gli occhi e tutta la
stanza. Era
colpevole anche di quello, si odiò giusto un altro
po’.
«Non mi crederai,» e adesso sul
viso di Zayn leggeva un enorme ma dai? «ma
non avrei potuto continuare
a mentirti, anche se sapevo che mi sarei ritrovato
così»
«Così come?» chiese,
fintamente interessato.
«Così»
accennò a loro due, in quella stanza, in quella situazione.
«Con
te che mi odii» e forse, fra tutte, quelle erano state le
parole più difficili
da far uscire dalla gola.
«Io non ti odio» e per un
attimo a Harry sembrò di cominciare a
respirare di nuovo per bene. «Per odiarti dovrei conoscerti.
E non so con chi
sono stato negli ultimi mesi, ma di certo non con te» per poi
ripiombare in un
baratro ancora più buio. Combatté con tutte le
sue forze, ma sentì gli occhi
inumidirsi. Li sbatté per non far scendere altre lacrime o
si sarebbe
prosciugato.
«All’inizio non ero io, ma ti
giuro che dopo… dopo sì. Ti giuro che la
persona che hai conosciuto è il vero Harry, la persona di
cui sei innam-»
«Hai finito?»
l’interruppe, tagliando la frase, ma soprattutto quel
sentimento che entrambi sapevano esistere tra di loro.
Harry non rispose. Sì, aveva finito e
no, voleva continuare fino a che
non lo avesse convinto.
«Allora» disse Zayn, prendendo
il suo silenzio come una conferma.
«vattene via»
«Zayn, io-» protestò
Harry, per essere nuovamente fermato a metà.
«Hai detto che te ne saresti andato, se
avessi voluto» dichiarò
semplicemente, alzandosi.
Harry cercò di trovare qualche motivo
– qualsiasi cosa – per restare,
ma alla fine depose le armi. Non voleva contrastare il desiderio di
Zayn, voleva
che l’altro si rendesse conto che il suo bene, per lui,
veniva davvero prima di
qualsiasi cosa. Anche se il suo bene, per il momento, era proprio non
avere
Harry davanti agli occhi.
«Ok» mormorò.
Raccolse le sue cose e si infilò il
cappotto. Si voltò un’ultima volta
verso Zayn, che fissava i piatti, lo sguardo disinteressato, ma i pugni
chiusi
e la mascella serrata che parlavano di tutt’altro.
Harry sapeva che, magari
forse ti
prego-ti prego-ti prego, c’era ancora una speranza,
per loro; che se non
avesse mollato, Zayn l’avrebbe visto per chi era davvero e
non per chi aveva
cercato di essere.
Si accorse che, mentre cercava di essere un grande
giornalista, senza
sentimenti e privo di scrupoli, Zayn era riuscito a far uscire il vero
Harry,
si accorse di aver vissuto tutto quel tempo con gli occhi chiusi, di
averli
aperti (e, insieme a loro, aver aperto il suo cuore) solo grazie a lui,
si
accorse che l’idea di vedere
per la
prima volta ciò di cui aveva veramente bisogno e non poterlo
avere era
insostenibile.
In tutto quello c’era una sottile,
crudele ironia.
*
Odiava le palestre, il loro rumore e specialmente
l’odore, anche se la
vista di corpi tonici compensava la sensazione del sudore che appiccica
la maglietta
alla schiena in modo odioso. In quel momento, a Harry di tutti quei
muscoli in
bella mostra non poteva importare di meno; era lì solo per
parlare con Liam.
Sapeva che poteva essere una pessima mossa, ma confidava nella
bontà d’animo
del fratello di Zayn. Aveva bisogno di un consiglio da parte di
qualcuno che
conoscesse Zayn e con cui l’altro – magari
– si fosse confidato. Era passata
mezza giornata da quando aveva lasciato casa del suo ragazzo (si
rifiutava di
pensare a Zayn diversamente) e già non ce la faceva
più a dargli spazio e
tempo, a stargli lontano. Ogni secondo, ogni respiro, ogni battito di
ciglia
era una tortura che l’avrebbe portato dritto verso una morte
lenta e dolorosa.
Vide Liam intento ad aiutare un tizio a sollevare
troppi pesi. Si
avvicinò e appena l’altro lo scorse, Harry si rese
conto che sì, Zayn aveva
parlato con lui, perché se i suoi occhi avessero potuto
lanciare fiamme, si
sarebbe ritrovato cotto a puntino nel giro di un battito di ciglia.
«Sto lavorando» mise le mani
avanti, prima ancora che Harry riuscisse
anche solo a salutarlo.
«Posso aspettare» disse. Tanto
non aveva nulla da fare: nessun lavoro a
cui dedicarsi e nessun ragazzo con cui passare del tempo. Magari si
sarebbe
comprato un gatto. O un cane. A Zayn piacevano i cani.
Liam lo guardò con attenzione per
qualche momento e infine annuì. Harry
non sapeva cosa l’altro avesse letto sul suo volto, ma
avrebbe comunque acceso
un cero in ringraziamento al suo Angelo Custode.
*
Aveva atteso al piccolo bar che c’era
all’ingresso per più di due ore,
e i frequentatori della palestra avevano iniziato a guardarlo male.
«Andiamo in macchina» propose
Liam, quando lo raggiunse dopo aver finito
di lavorare, i capelli ancora umidi dalla doccia e un borsone in
spalla. Harry
ebbe la vaga sensazione che l’altro avesse allungato
appositamente, per farlo
aspettare più a lungo possibile, il tempo trascorso negli
spogliatoi. Si
sarebbe meritato quello e altro, per cui non si lamentò.
«Zayn…»
iniziò, una volta dentro.
«Oggi l’ho chiamato e non mi ha
risposto, dunque sono andato da lui.
Continuava a dire di star bene, ma anche un cieco avrebbe capito che
mentiva»
disse, confermando i sospetti di Harry.
«Ti ha raccontato quello che gli ho
detto?» chiese, dopo qualche
attimo.
«Sì, a grandi linee.
Preferirei sentire direttamente tutto da te, però»
Harry annuì, tanto più che l’aveva
cercato per quello, o comunque con la
consapevolezza che avrebbe dovuto raccontare tutto una seconda volta.
Disse a Liam le stesse cose che aveva detto a Zayn,
nella speranza di
risultare sincero almeno a lui, anche se era il fratello sbagliato.
«Non ti arrabbiare con Louis, lui non
c’entra nulla. Ha anche cercato
di dissuadermi per tutto il tempo» aggiunse, in coda,
perché era vero e perché
glielo doveva, visto quanto il suo coinquilino tenesse
all’amicizia di Liam.
«Perché sei venuto da me?»
chiese dopo aver sentito tutto.
«Perché
non sapevo-non so cosa
fare» mormorò, guardandolo
con aspettativa.
«Speravi
ti aiutassi a far cosa?»
insistette.
«Non
lo so» quasi si lamentò.
«Qualsiasi cosa?» fece, ma gli uscì
più come una domanda che un’affermazione
vera e propria. «Come posso…»
lasciò in sospeso, cercando le parole.
«Farti
perdonare? Riconquistare
la sua fiducia?» venne in suo soccorso l’altro.
Harry
annuì, mordendosi un
labbro. Era così in ansia per tutta quella faccenda che gli
si sarebbe corroso
il fegato entro la fine della settimana.
«Zayn vuole a malapena parlarmi, non mi
ascolta! Non riesce neanche a
guardarmi e io-»
«Tu lo ami»
Harry lo fissò, perché
quella, invece, non era una domanda. Liam era
certo dei sentimenti di Harry proprio quanto lo era lui e questo in
parte lo
consolò.
«Sì»
sussurrò. «Sì, lo amo»
ripeté più deciso.
«Posso provare a parlare con lui,
ma… Harry, non-»
«Lo so» lo sapeva che sarebbe
stato difficile riconquistare la fiducia
di una persona come Zayn, che in quel campo aveva sempre ottenuto
soltanto
delusioni.
Harry era l’ennesima, sapeva anche
questo. Sperava non fosse quella che
avrebbe distrutto Zayn definitivamente.
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Capitolo 16 *** Capitolo sedici ***
Capitolo sedici.
Si svegliò che l’orologio
segnava appena le quattro.
Non si stupì più di tanto,
anzi, si poteva dire gli fosse andata di
lusso. La notte precedente era riuscito a dormire solo un paio di ore e
quella
prima ancora avrebbe voluto proprio dimenticarla.
Solo che il suo cervello stava cercando di
renderglielo impossibile in
tutti i modi; gli tornava in mente il volto pallido di Harry,
illuminato dalla
luce bianca del salotto, il dolore alla gamba – che poteva
vantare una piccola
mora all’altezza del ginocchio, il sapore
dell’alcol in bocca e la sensazione
di leggerezza alla testa e quella, orribile, di secchezza alla gola, la
mattina
dopo.
Più di tutto, però, il suo
cervello masochista gli inviava ricordi di
Harry, il tocco delle sue mani, il respiro accelerato, i suoi capelli,
più
ricci e indomabili del solito.
Lo sguardo triste e preoccupato che gli aveva
rivolto non appena aveva
messo piede in casa e che sembrava sincero, a dispetto di tutto.
La sua voce roca e rotta e che diceva parole che
non volevano uscirgli
dalla mente.
Scrollò la testa, come se con quel gesto
fosse possibile liberarsi
anche di tutti i pensieri indesiderati e inopportuni, e si
girò su un lato –
che da sempre era la sua posizione preferita per dormire. Avrebbe
preferito non
ricordarsi come fosse sdraiarsi in quel modo e stringere Harry. O
essere
stretto da lui e dalle sue stupide braccia, i piedi
dell’altro che riscaldavano
i suoi, sempre congelati.
Cercò di calmarsi, liberarsi da tutto e
tutti; prese qualche respiro
profondo: non servirono a nulla. Sapevano solo di lenzuola pulite. La
notte
precedente, dopo che la mattina aveva cacciato Harry, non si era curato
d’altro
che di far una doccia; a stomaco vuoto, quando non erano neanche le
dieci, si
era steso sul letto, esausto. Era stata la cosa più sciocca
che avesse mai
fatto, il che era tutto dire.
L’odore di Harry era ovunque e non lo
lasciava stare. La parte peggiore
era, però, che tutto quello gli faceva ripensare a come,
fuori di sé e senza
curarsi di Harry, l’avesse scopato su quello stesso materasso
neanche
ventiquattro ore prima. Di come avesse agito senza pensare ai
sentimenti della
persona che diceva di amare, neanche fosse un animale senza un briciolo
di
autocontrollo.
Lui non era così. O almeno sperava. A
quel punto, forse, non lo sapeva
più neppure lui.
Era inebriato dall’alcol, ma non poteva
dare la colpa delle sue azioni
unicamente alla troppa birra ingerita; quando se l’era
ritrovato in casa, la
mente non troppo lucida, era uscita tutta la rabbia che aveva
trattenuto fino a
quel momento, e tutto il resto era venuto di conseguenza.
La mattina, dopo essersi svegliato, aveva provato
repulsione per come
aveva trattato Harry, e si era alzato con l’intenzione di
scusarsi. Poi l’aveva
visto ai fornelli, nel perfetto remake di quello che era successo due
mesi
prima (e almeno tre o quattro giorni alla settimana fino da allora) e
l’impulso
era evaporato come neve al sole.
Non si era mai sentito così tradito,
come da quel ragazzo che conosceva
da poco più di sessanta giorni – che facevano solo
millequattrocentoquaranta
ore ma che sembravano infinitamente di più – e se
l’era detto mille volte che
era sciocco, ma non poteva farci nulla. Proprio come una volta Liam gli
aveva
detto che non poteva costringersi a non amare Harry, adesso non poteva
fingere
di non essere ferito. E forse la sua era stata una piccola vendetta,
forse
voleva farlo soffrire almeno un po’, perché non
era giusto che solo lui avesse
ogni fibra del suo essere dilaniata.
Non era cieco: quando Harry si era voltato,
lasciando perdere i
fornelli, aveva capito di esserci riuscito. Il fatto che quello lo
facesse solo
stare peggio, invece di rallegrarlo, era esplicativo – lo
sapeva – ma non aveva
voluto rifletterci troppo, sul momento. L’aveva lasciato
parlare, dicendosi che
almeno, dopo, tutto sarebbe finito. Se l’avesse mandato via,
Harry non sarebbe
tornato, no? Era quello che voleva, in fondo: essere lasciato in pace,
lasciarsi
alle spalle quella faccenda e passare oltre. Se poi tutti avessero
scoperto che
lui era Mick Stone grazie a quell’articolo, dimenticarla e
dimenticare Harry
sarebbe diventato più difficile, ma avrebbe affrontato i
problemi qualora gli
avessero bussato alla porta.
Fingendo un’indifferenza che non sentiva,
era stato zitto per tutto il
tempo, cercando di non credere a neanche una virgola di quello che le
labbra di
Harry stavano dicendo. Era stato difficile anche quello, come
praticamente
tutto quello che avesse fatto nell’ultimo periodo, ma credeva
di esserci
riuscito abbastanza. O almeno di aver dato l’impressione di
esserci riuscito.
E quando non ce l’aveva proprio
più fatta, l’aveva mandato via, non
guardandolo uscire dalla porta e dalla sua vita.
Fino a quel momento sembrava aver funzionato.
Almeno in parte. Harry
non si era fatto vivo con lui da due giorni, non gli aveva mandato
stupidi
fiori per scusarsi (il che gli diceva che almeno un po’
l’altro lo conosceva) e
non l’aveva assillato di chiamate.
Almeno in parte, perché era stato da
Liam, anche se non capiva bene a
far cosa.
Palese era invece che suo fratello avesse non solo
parlato con Harry
civilmente (e ok che era gentile di natura e tutto, ma dopo che gli
aveva
raccontato tutto lui, era così incazzato che, se avesse
incontrato Harry per
sbaglio, probabilmente gli avrebbe strappato via la testa) ma fosse
anche
arrivato alla conclusione che, anche se aveva fatto uno sbaglio enorme,
Zayn
avrebbe dovuto dargli un’altra possibilità.
«Ora tu vedi in lui solo il mostro nero,
ma quel ragazzo tiene davvero
a te. Da quando l’hai lasciato, è un morto che
cammina» gli aveva detto, serio
e ragionevole come solo Liam sapeva essere.
«Non l’ho lasciato»
aveva replicato. «Era tutto finto, Liam. Non stavamo
insieme davvero, era… non lo so neanche io
cos’era, ma pensarci mi fa venir
voglia di vomitare»
Liam aveva evitato di commentare l’ultima
parte. A Zayn piaceva essere
un po’ melodrammatico, ma allo stesso tempo sapeva che
probabilmente avrebbe
provato la stessa cosa pure lui, si fosse trovato nella sua situazione.
«Allora, dai a entrambi la
possibilità di un nuovo inizio, di essere un
voi» aveva consigliato,
perché era
inguaribilmente romantico.
Zayn avrebbe voluto esserne capace. Forse lo era,
ma si sentiva
bloccato. Dilaniato da due forze contrapposte, quella che gli diceva di
cancellarlo per sempre da ogni sua cellula e quella che gli urlava di
correre a
riprenderselo.
La paura, che aveva influenzato tutta la sua vita,
sembrava non essere
intenzionata a lasciarlo stare neanche quella volta.
*
Era talmente freddo che anche con i guanti poteva
sentire le sue mani
screpolarsi lentamente. L’aria gelida entrava da sotto la
giacca-vento e quel
poco sole che aveva rischiarato il pomeriggio ormai era sceso
completamente,
lasciando dietro di sé solamente desolazione.
Probabilmente era Zayn a sentirsi così,
e quelle erano le sciocche
parole che sgorgavano dal suo animo di scrittore.
Non era mai stato una di quelle persone a cui piace
piangersi addosso,
mentre adesso era tutto un piagnisteo; iniziava a perdere la stima di
se
stesso, oltre che la poca fiducia che aveva acquisito nel corso degli
anni.
Tutto ciò si andava a sommare alla lista
delle cose dannatamente
ridicole che gli stavano capitando e lui aveva perso da tempo il conto
di
quante fossero.
Benché fosse buio – e freddo,
gli ricordò la punta congelata del suo
naso – era contento di trovarsi lì. Ultimamente si
era sentito come un vampiro
nei giorni di luglio, chiuso in casa, con le tende tirate e le luci
spente.
Un po’ d’aria gli avrebbe fatto
bene e comunque doveva uscire per
forza. Aveva gli allenamenti e non poteva abbandonare i suoi ragazzi in
un
momento così delicato del campionato. La domenica seguente
avrebbero giocato in
casa contro la testa di serie, mentre loro erano terzi, a cinque punti
di
distanza dalla prima e a soli due dalla seconda.
Era una partita importante e la squadra era
galvanizzata e più grintosa
del solito. Allenarli, quella sera, era servito a risollevargli un
po’ il
morale. Tutti gli avevano trasmesso la propria carica e lui
l’aveva assorbita
tutta; sapeva che era solo un palliativo, che, non appena avesse
rimesso piede
in casa, si sarebbe sentito di nuovo vagamente depresso e, tra tutte le
mille
sensazioni, quella era l’unica che avrebbe preferito gli
restasse estranea per
sempre.
«Ciao, Mister!» lo
salutò Tom, borsone in spalla, pronto a tornare a
casa dopo la doccia. Aveva ancora i capelli umidi e di solito Zayn
l’avrebbe
ripreso per quella piccola sconsideratezza. Quella sera invece, rispose
al
saluto che l’aveva distolto dai suoi pensieri, e poi
tornò a focalizzare la sua
attenzione sul pallone che aveva di fronte. Ogni tanto, dopo
l’allenamento, restava
a fare qualche tiro o qualche esercizio specifico. L’odore
dell’erba lo
tranquillizzava e dare calci a qualcosa che non fosse il sedere di
Harry, in
quel momento, era proprio la cosa che gli ci voleva.
Non era neanche più arrabbiato, ormai.
O, almeno, non lo era con Harry.
Era deluso, ovviamente, e ce l’aveva con se stesso per essere
stato così
ingenuo, certo. Ma, ancora di più, era infuriato con il suo
cervello, con la
parte più irrazionale ed evidentemente sciocca, che non
faceva altro che
suggerire di dare a Harry un’altra chance. Da quando
l’altro aveva scoperto
tutte le carte, in cucina, non faceva altro che pensare che anche se
tutto
quello che c’era stato tra di loro era partito con il piede
sbagliato e per i
motivi meno nobili, dopo era continuato e cresciuto nella giusta
direzione. E
poi ci si era messo anche suo fratello, a fare l’avvocato del
diavolo e quella
stupida voce che gli diceva di correre da Harry si era fatta sempre
più
insistente, ma lui continuava a metterla a tacere, perché,
suvvia, come poteva?
Come poteva, anche avesse voluto e provato e
riprovato fino alla morte,
riuscire a fidarsi di nuovo di lui?
Liam diceva che doveva solo tentare e che Harry non
l’avrebbe deluso di
nuovo. E magari Zayn sottovalutava la propria capacità di
cancellare il passato
e voltare pagina.
Non sapeva cosa avrebbe dato per essere in grado di
aprire un nuovo
quaderno e cominciare tutto daccapo, con Harry.
Perché, in fondo, lui lo sapeva meglio
di chiunque altro, meglio di
Harry a cui negli ultimi giorni aveva mostrato solo la sua
indifferenza, meglio
di Niall che lo guardava preoccupato e meglio di Liam che cercava di
farlo
ragionare, che – rifiutando di ammettere di amare Harry
– stava solo cercando
uno scudo che lo difendesse da ulteriori dolori.
Che per quanto lo negasse, il problema era quello: amava Harry; sotto tutta quella coltre
amara che spesso lo
accecava, lo sapeva che l’unica cosa che non fosse cambiata
da dieci giorni
prima era quella.
La cosa che non sapeva era se sarebbe riuscito a
darsi (e a dare a
Harry) una seconda possibilità per essere felice, o almeno
provare a esserlo.
Se sarebbe riuscito a costruire qualcosa di vero, con
l’altro, e vedere dove
tutto ciò li avrebbe condotti.
Non sapeva quale parte del suo cervello avrebbe
prevalso, alla fine, e
forse quella condizione di incertezza era proprio la parte peggiore.
*
Dopo venti minuti in cui non aveva fatto altro che
tirare punizioni,
oltre alle gambe un po’ stanche, iniziava a sentirsi anche
osservato.
Sul campo, con lui, non c’era nessuno,
gli spogliatoi erano vuoti da
tempo e le panchine destinate ai giocatori erano completamente libere
da
presenza umana.
Lanciò uno sguardo verso le tribune e
scoprì che la fonte di quella
sensazione opprimente nasceva proprio da lì. Forse fermarsi
era stato stupido,
da parte sua. Harry evidentemente si era ricordato dei suoi orari e
aveva
deciso che dopo un giorno abbondante di silenzio era il caso di
cominciare a
importunarlo di nuovo.
Probabilmente aveva anche freddo, a star fermo,
seduto sulla plastica
congelata. Zayn si maledisse per tutta la preoccupazione che quel
ragazzo era
ancora in grado di fargli provare.
Quando Harry si accorse di essere stato scoperto,
si alzò in piedi,
l’espressione un po’ difensiva, i passi che
lentamente lo portavano ad avvicinarsi
alle scale che l’avrebbero condotto sul campo da gioco.
Zayn notò come i suoi capelli facessero
mostra di una frangia quasi
completamente liscia: sapeva che quello voleva dire che Harry non aveva
fatto
altro che passarci le dita, sapeva che significava che
l’altro era nervoso
quanto lui. Forse di più, perché era Zayn ad
avere tra le mani le sorti della
loro relazione, mentre Harry non poteva far altro che restare a
guardare mentre
lui decideva come comportarsi, aspettare un sì o no, rodersi
il fegato
nell’attesa.
Zayn si morse un labbro, irritato, ancora di
più perché avrebbe dovuto
goderne, dei patimenti del più piccolo, non provare una
fastidiosa stretta allo
stomaco, a causa di essi. È
perché lo
ami. E, visto che lo ami, non vuoi vederlo triste. Se non vuoi vederlo
triste,
sai cosa devi fare, gli sussurrò
all’orecchio una vocina impertinente, che
aveva lo stesso accento di suo fratello e parlava parimenti veloce.
«Ciao» lo salutò
Harry con la voce più roca del solito, non appena fu
di fronte a lui.
Zayn evitò di pensare al motivo per il
quale, all’altro, le parole uscissero
più graffiate che mai. Probabilmente ero lo stesso che aveva
arrossato i suoi
occhi fino alle soglie del dolore, nelle ultime due notti (e mattine e
pomeriggi).
Non si fidava della sua voce, per cui rispose solo
con un vago
movimento della testa. Se ne pentì quasi immediatamente.
Forse Harry aveva
pensato che Zayn non lo ritenesse degno neanche di sprecare parole, per
lui, se
l’espressione che aveva in viso era un indizio, anche se
l’altro aveva cercato
di nasconderla subito.
«Cosa vuoi?» chiese, cercando
di non farla sembrare come un’accusa,
anche perché, in fin dei conti, vederlo aveva scombussolato
il suo stomaco e
accelerato i battiti del suo cuore. Harry gli era mancato, era inutile
negarlo,
anche se non si vedevano solo dal giorno precedente. Ma non era mai
capitato
che tra loro non ci fossero telefonate o messaggi, e le ore gli erano
parse
incredibilmente vuote e insignificanti, senza l’altro. Quello
l’aveva
sconvolto, forse più della consapevolezza di non riuscire a
odiare Harry. Lui
che aveva sempre vissuto bene nel silenzio della sua casa, che
sguazzava
allegramente nella dolcezza della solitudine, aveva odiato ogni singolo
minuto
in cui si era forzato a star lontano da Harry.
Il più piccolo era strisciato dentro la
sua vita e Zayn proprio non
sapeva come imparare di nuovo a fare a meno di lui.
Non impararlo.
Questa volta la voce nella sua testa era la sua (e
ne fu sollevato
perché sentire voci random non è mai una buona
cosa).
Era un consiglio semplicistico, che non teneva
conto di mille fattori,
e forse – proprio per questo – il migliore che ci
fosse.
Harry aprì la bocca e questo
offrì una scusa all’altro per allontanare
quella tentazione che si faceva ogni secondo più forte,
quasi insopportabile, e
concentrarsi su quello che stava invece per dire.
«Io volevo solo…» si
bloccò, forse insicuro di come continuare o di
come dire quello che voleva dire. O magari perché non sapeva
neanche lui cosa
volesse, pensò Zayn.
«Io… niente»
mormorò infine.
Zayn sentì montare dentro di
sé la delusione, che però era
completamente diversa da quella che aveva provato dopo aver letto
l’articolo.
Era una delusione che nasceva dalla speranza di
sentire qualcosa, da
parte di Harry. Qualcosa che lo convincesse, qualcosa che mettesse a
tacere il
suo orgoglio e lo spingesse a sorridere all’altro,
accarezzarlo abbraccialo
baciarlo. Cavolo, quanto voleva
baciarlo.
E udire la sua risata e le sue battute idiote, e
sentirsi chiedere in
continuazione se avesse mangiato abbastanza e parlare di libri e di
tutti gli
aneddoti del passato, quelli divertenti e quelli più
scabrosi, e tutto il
resto. Voleva tutto tutto tutto, e invece Harry se ne stava zitto.
Zayn avrebbe voluto dargli un calcio,
perché se non spiccicava parola,
lui come poteva dirglielo?
Perché non lottava? Solo un altro
po’? Un altro po’ per loro due e per
tutto quello che c’era in mezzo.
Zayn lo sapeva che tutto ciò era
ridicolo, che lui poteva mandare tutti
i suoi pensieri negativi a quel paese e riprendersi Harry. Ma se per
l’altro,
lui non era abbastanza per continuare a combattere solo per altri dieci
minuti
contro la sua ostinazione, allora dove sarebbero mai potuti arrivare?
Forse era meglio abbandonare tutto adesso, in
tempo, prima di bruciarsi
completamente, prima di ridursi in cenere, e salvare quel poco di loro
stessi
che era rimasto intatto.
Chiudersi quella storia alle spalle definitivamente
e comprare un
estintore per la prossima volta che si fossero scottati. Per
un’altra storia
con un’altra persona.
Forse, semplicemente, loro due non erano destino.
E, come dimostrazione definitiva, Zayn si
voltò, per andare a
riprendere il pallone e continuare da dove si era interrotto. Chiamami chiamami chiamami.
Ma quando si girò di nuovo, dove prima
c’era Harry, era rimasto solo il
nulla, concreto e pesante, della sua assenza.
Note:
Un capitolo ancora e poi è fatta; credo
che piangerò, shhhh.
Un bacione e un grazione a tutte <3
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
Capitolo diciassette.
Era passata quasi un’ora e mezzo da
quando aveva lasciato il campo da
calcio. Ormai non sentiva più le mani e il naso era un
cubetto di ghiaccio, ma
questi erano gli ultimi dei suoi problemi.
Non capiva cosa gli fosse preso. Non gli era mai
capitato di rimanere
senza parole, con la gola così secca da convincerlo che non
sarebbe mai più
riuscito a emetter suono.
Si era bloccato come un idiota e Zayn
l’aveva guardato come fosse un
pazzo.
Che poi, lo sapeva perché era
lì. O meglio, sapeva perché si fosse
recato al campo ma non perché fosse restato.
L’unica cosa che doveva fare era
lasciargli quella busta e invece si era fermato a guardarlo, rapito da
quella
figura che gli mancava come l’aria dopo un secondo di troppo
passato in apnea.
E non era riuscito a staccare gli occhi da lui, troppo preso a
piangersi
addosso, consapevole di quello che aveva perso. Forse per sempre. Era
ovvio,
poi, che Zayn l’avesse scoperto. Anche un cieco, prima o poi,
se ne sarebbe
accorto, della sua presenza.
Probabilmente aveva sentito i suoi pensieri
lamentosi – neanche fossero
corporei, i suoi sguardi patetici e il suo respiro spezzato,
perché i polmoni
non volevano proprio saperne di riempirsi di ossigeno.
L’unica sua consolazione era che la
lettera alla fine gliel’aveva
lasciata comunque.
Non era riuscito a dargliela a mano,
perché in quel momento non era
proprio in grado di far nulla e poi gli pareva troppo sdolcinato.
Più di quanto
non lo fosse davvero.
Ci aveva pensato per tutto il giorno precedente,
sin da quando aveva
parlato con Liam, a come fare per farsi ascoltare da Zayn. Ascoltare
veramente,
però. Non in quella mediocre imitazione avvenuta in cucina,
con l’altro che non
era neanche disposto a prendere in considerazione l’idea che,
magari, quello
che Harry stava dicendo potesse essere vero, che le sue parole
potessero essere
sincere.
Alla fine aveva deciso che nessuna rosa avrebbe
fatto cambiare idea a
Zayn, ma che qualcosa di scritto avrebbe potuto attirare perlomeno la
sua
attenzione, la sua curiosità. Avrebbe almeno avuto una
possibilità, in quel
modo. Una possibilità che Harry anelava, come un uomo nel
deserto anela un
sorso d’acqua. Era convinto che non ci fosse mai stato
qualcosa che aveva
desiderato più di un’altra chance, in vita sua.
Forse mai ci sarebbe stata.
E poi, scrivere era l’unica cosa che gli
riuscisse bene, tanto più che
aveva appena scoperto di non saper parlare. Forse l’indomani
avrebbe provato a
leggere il giornale e, all’improvviso, sarebbe diventato
analfabeta.
Dopo un’ora e mezza, comunque, credeva
che Zayn avesse ormai visto la
lettera che gli aveva lasciato.
Dopo che l’altro, probabilmente
spazientito dal suo mutismo, era
tornato a quello stupido sport che in quel momento aveva odiato
più del solito,
Harry era rimasto immobile per un’altra decina di secondi e
poi si era deciso
ad andarsene. Solo che non poteva farlo così, senza giocarsi
la sua ultima
carta. La borsa che di solito Zayn portava agli allenamenti era
appoggiata su
una delle panchine, e quello gli era parso il posto più
sicuro in cui lasciare
la sua ultima speranza.
Ultima magari no, ma probabilmente la
più efficace.
Era sicuro che lì l’avrebbe
vista. Quello lo sconfortava ancora di più.
Certo, poteva anche darsi che fosse ancora al campo
da calcio, a correr
dietro a quell’inutile affare sferico, ma era molto
più probabile che – a pochi
minuti da mezzanotte – Zayn ormai avesse trovato la sua
lettera, l’avesse letta
(se era fortunato) e poi l’avesse buttata.
Sperava l’avesse gettata nel cestino
giusto, almeno.
Il suo umorismo faceva più pena del
solito, ma si disse che in parte
era scusato. Per come si sentiva, era già tanto se in quel
momento era lì ad
aspettare che l’altro si facesse vivo, invece che a casa, a
piangersi addosso.
Nella lettera aveva scritto che l’avrebbe
aspettato, comunque, e così
avrebbe fatto, fosse anche morto assiderato. Magari Zayn lo stava solo
mettendo
alla prova, facendolo attendere così a lungo (almeno si
sarebbe spiegata la
parentela con Liam) e Harry era deciso a superare qualsiasi prova Zayn
gli
avrebbe posto dinnanzi, per riconquistarlo.
Anche stare seduto su quella panchina gelida a non
far altro che
struggersi con pensieri negativi. Anche se si sentiva stanchissimo.
Eppure non
aveva fatto nulla tutto il giorno (e d’accordo che quelle
notti non faceva che
rigirarsi nel letto, rimuginando tra sé, senza riuscire a
prender sonno), se
non – appunto – scrivere quella pseudo confessione.
L’aveva letta così spesso da
saperla ormai a memoria.
Aveva buttato già a getto tutto quello
che gli diceva di scrivere il
cuore (e sì, lo sapeva anche lui che si ama e si pensa con
il cervello, ma dire
cuore era più poetico), cercando di non frenare
l’istinto o l’ispirazione o
quello che era, per essere il più spontaneo possibile.
L’ultima cosa che voleva
era che Zayn leggesse qualcosa di artificioso e non sentito scritto da
lui. Era
già successo, e i risultati erano stati disastrosi, e, anche
se dubitava che la
situazione potesse peggiorare, voleva evitare di correre il rischio.
Non ho mai scritto
nulla di
altrettanto difficile,
Iniziava così. Nessun
‘caro’ o ‘tesoro’, neanche un
semplice ‘Zayn’.
perché so
già che anche questa
lettera potrebbe essere completamente inutile, proprio come tutto il
resto. E
magari neanche la leggerai. Non la aprirai e la getterai alla prima
opportunità.
Spero tanto di no, ma capirei se tu lo facessi. So che non me lo
merito, il tuo
tempo, e so che probabilmente sarai stufo di sentirmelo dire, ma mi
dispiace.
Mi dispiace così tanto, Zayn. Che ti ho preso in giro, e di
averti usato solo
per un mio egoistico scopo, senza badare ai tuoi sentimenti, di non
avertelo
detto prima, non badando neanche ai miei. In un certo senso,
però, sono anche
contento. Se non avessi scoperto nulla, a quest’ora non ci
ricorderemmo neppure
il nome dell’altro. Non credo nell’amore a prima
vista; anzi, prima di te,
l’amore era proprio fuori dalle mie corde. Non mi interessava
e di certo non lo
cercavo in te. So che suona brutto e brutale, ma è la
verità. Ti ho mentito su
quale lavoro faccio, e, anche se so che è tanto, forse
troppo, ti ho mentito
solo su questo. Quindi, no, non credevo nell’amore a prima
vista e non ci credo
tuttora. Tu eri bellissimo. Sei bellissimo, ma per quanto i tuoi occhi
siano
profondi e le tue labbra morbide, non è il tuo viso ad
avermi fatto innamorare.
Non è neanche il tuo corpo a mancarmi talmente tanto da non
riuscire quasi a
respirare, al solo pensiero. Sei tu, quello che dici e quello che
pensi, il tuo
passato che ti ha reso la persona che sei e che conosco e che amo, la
tua
risata che stravolge la mia giornata, la tua tenerezza e i tuoi silenzi
e la
tua ostinatezza, il tempo che impieghi la mattina a prepararti e
l’affetto che
nutri per la tua squadra e l’amore per i tuoi amici, la
gentilezza che dimostri
a tutti. Se non avessi aperto quella porta, adesso non saprei nulla di
tutto
ciò. E magari non ti ritroveresti a sentirti tradito anche
da me, ma l’idea di
non conoscerti, pensare a te come a un volto sfocato nel mio passato
invece che
come l’uomo che amo, è qualcosa di inimmaginabile.
Non rimpiango di averti conosciuto
e di essere entrato a forza nella tua vita, anche se i motivi erano
tutti
sbagliati, perché, invece, quelli per cui sono rimasto e
voglio rimanere sono
tutti giusti. Sono quelli di una persona che non pensava si sarebbe
ritrovato
in questa situazione e che era convinto l’avrebbe odiata,
addirittura, e che
aveva passato tutta la vita ad evitarla, ma che adesso non
può farne a meno.
Non posso fare a meno di te, Zayn. Anche se quello che ho fatto
è stato
orribile, spero lo stesso che neanche tu possa fare a meno di me. Lo so
che
sono egoista una volta in più. Mi dispiace anche per questo.
E mi dispiace per
questa lettera incoerente che forse era l’ultima cosa che tu
volessi leggere.
Continuo a impormi, lo so, ma non riesco a rinunciarci, a te e a noi.
So anche
che tu pensi che non ci sia mai stato un noi, te l’ho letto
negli occhi la
mattina scorsa. Ma ti sbagli, c’è e
c’è sempre stato e se solo tu riuscissi a
darci una possibilità, lo vedresti da solo. Mi hai
distrutto. Hai distrutto la
persona che ero convinto di essere e ne hai creata una nuova. O forse
hai solo
rotto la superficie e fatto venire a galla quello che c’era
sotto. Ma senza di
te, c’è solo materia informe. Senza di te, sono
solo materia informe, Zayn.
Continuava, con un’altra serie di motivi,
accatastati l’uno accanto
all’altro in flusso di coscienza che aveva un senso, ma
mancava di linearità.
Quella era l’ultima cosa che gli interessava.
Il problema che lo assillava, in quel momento, non
era la forma del
testo, ma il fatto che ancora Zayn non lo avesse raggiunto.
In calce, al posto della firma, aveva scritto che
l’avrebbe atteso
tutta la notte, fosse stato necessario, alla pista di pattinaggio dove
erano
stati per il loro secondo appuntamento. Gli era sembrata una cosa
romantica e
significativa, perché Zayn l’aveva intrappolato
tra le sue spire fin da subito,
anche se lui se ne era accorto anni luce dopo. Aveva passato
così tanto tempo a
negare i suoi sentimenti, che quasi c’era cascato.
Probabilmente era destinato
a fallire sin dall’inizio. E lui neanche ci credeva, al
destino. Glielo aveva
anche scritto, insieme a tutto il resto del fiume di parole.
Non ho mai creduto al
caso o
alle coincidenze, ma forse dovrei rivedere le mie convinzioni; se non
è stato
tutto merito del destino, allora tu sei il più grande colpo
di serendipità che
mi sia mai capitato.
Era stato smielato come non mai; non poteva farci
nulla se quello era
ciò che provava. Al massimo la colpa era di Zayn, visto che
era lui a mettergli
in subbuglio l’anima.
Forse, però, aveva esagerato, aveva
spaventato Zayn, che così non
sarebbe mai venuto.
Era quasi l’una di notte e non
c’era nulla che andasse bene.
*
Voleva piangere. Solo che, se lo avesse fatto, gli
avrebbero dovuto
fare un trapianto di dotti lacrimali o, in alternativa, una trasfusione
di Sali
minerali, perché neanche bevendo due litri d’acqua
ne avrebbe reintegrati in
numero sufficiente, visto quante volte si era trovato con le guance
bagnate,
nelle ultime 60 ore.
Iniziavano a fargli male gli occhi, anche per
questo, e presto gli
sarebbero caduti. Forse quella sarebbe stata una giusta punizione e
allora Zayn
l’avrebbe rivoluto. A saperlo, se li toglieva da solo.
Cominciava anche ad aver sonno e, anche se la
panchina era scomoda da
far paura, l’idea di addormentarsi lì sopra non
sembrava così cattiva. Fosse
stato sicuro di essere ancora vivo, l’indomani, se avesse
dormito in pieno
inverno all’addiaccio, l’avrebbe fatto. Ma no,
doveva stare sveglio, perché
magari Zayn sarebbe arrivato.
Doveva continuare ad aspettare Zayn.
*
Gli pizzicava la nuca. Provò a portare
una mano ai capelli, ma era
pesante, come fosse stata di bronzo, per cui lasciò perdere.
Il fastidio però
continuava e, adesso che ci faceva più attenzione, sembrava
più il tocco di
qualcosa. Harry spalancò gli occhi: ci mancava solo che,
dopo essersi addormentato
come un bambino invece di resistere nella veglia, strani insetti si
fossero
messi a banchettare sulla sua testa.
La sensazione scomparve.
In compenso, si fece più forte la
presenza di qualcuno seduto vicino a
lui. Sperava non fosse una prostituta o un barbone al quale aveva
rubato il
giaciglio. Lui non si poteva proprio muovere, poteva ancora
arriv…
Zayn.
Strabuzzò gli occhi. L’uomo
seduto accanto a lui era proprio colui che
stava aspettando da… ormai aveva perso il conto delle ore.
«Zayn» gracchiò,
perché era il signore dell’ovvio.
Zayn non lo stava guardando. Aveva il volto fisso
davanti a sé e in
mano la sua lettera stropicciata. Sembrava insicuro quasi quanto lui.
Harry
sperava che la sua presenza lì potesse valere come punto a
suo favore, ma evitò
di esultare, anche internamente, perché sapeva che
dall’altro poteva aspettarsi
qualsiasi cosa, anche che fosse lì per dargli un pugno.
Quello sì che sarebbe
stata una reazione lontana dalla persona che aveva conosciuto lui. Ma,
appunto,
ormai non si stupiva più di nulla.
«Zayn» ripeté, con
più convinzione. Guardami-guardami-guardami.
Voleva osservarlo negli occhi, vedere tutte le sue emozioni stampate
sulle iridi,
come fossero state un foglio bianco.
L’altro, però, ancora non
dette segno di aver notato la sua presenza.
Non che fosse possibile, ovviamente.
Decise di mettersi composto e aspettare i tempi
dell’altro. Aveva
aspettato più di quattro ore, constatò, gettando
un’occhiata all’orologio, di
certo poteva aspettare un altro po’.
«Anch’io»
proclamò Zayn dopo qualche minuto di mortale silenzio. Harry
pensò a cosa potesse significare, ma a quell’ora
non capiva neanche se la gente
gli parlava chiaramente, figurarsi se lo faceva per enigmi. Zayn si era
trasformato nella Sfinge e non aveva avvertito nessuno, evidentemente.
«Anche tu cosa?» si
informò dolcemente, perché se Zayn aveva deciso
finalmente di parlare, lui di certo non era intenzionato a lasciar
morire il
discorso.
«Non posso fare a meno di te»
sussurrò, la voce bassa, come stesse
confidando un segreto.
E un segreto un po’ lo era. Un
meraviglioso segreto che accese la
speranza di Harry.
«Ma…»
Nonono, nessun ma,
Zayn, nessun
ma. Avrebbe voluto
esser
sordo, piuttosto che sentire Zayn dire che, anche se non poteva fare a
meno di
lui, anche se gli dispiaceva e lo amava e tutto il resto, quello non
era
abbastanza. Che lui e quello che provavano non erano una motivazione
sufficiente per seppellire il vecchio e dar spazio al nuovo.
«Ma» ripeté, ogni
lettera e ogni secondo in cui stava in silenzio che
lo infilzavano a morte «non so se riesco a fidarmi»
concluse, guardandolo per
la prima volta da quando si era svegliato.
Harry pensò fosse ironico che Zayn
dicesse ciò nel luogo in cui Harry
gli aveva chiesto di fidarsi di lui per la prima volta, anche se per
una cosa
sciocca come un po’ d’equilibrio su dei pattini
troppo sottili.
Era ironico, sì, ma anche conturbante e
oppressivo, aveva il sapore di
un cerchio che si chiude, una strada che finisce.
Harry sapeva che toccava a lui, rispondere. Che
forse Zayn si aspettava
un suo grande discorso, dopo quel piccolo gesto che giaceva inutile tra
le sue
dita, proprio dove avrebbe voluto trovarsi lui, per sempre.
«Lo so» disse solo, invece.
L’aveva deluso per l’ennesima
volta. Harry osservò l’altro annuire in
modo quasi solenne, ogni movimento gli strappava un po’ di
aria. Zayn era
quello, per lui. Un uomo può vivere senza aria?
Quanto era patetico. Non si riconosceva
più. Forse non era neanche più
lui, gli alieni l’avevano rapito oppure era un sogno o una
realtà alternativa o
aveva preso un funghetto allucinogeno o forse si trovava in un film con
una
pessima trama e un regista ancor più pessimo, e lui per
tutto quel tempo non si
era accorto di esserne lo sciocco protagonista.
L’idea del film gli piaceva. Tutto
sarebbe finito e lui avrebbe ripreso
la sua vera vita. E, soprattutto, Zayn non gli avrebbe detto di non
valere
abbastanza.
«Non so che dire» si
sentì miagolare. Non si era neanche reso conto di
aver aperto bocca per parlare di nuovo, anche se – visto
quanto le sue parole
erano state profonde – forse avrebbe fatto meglio a
continuare a tacere.
«Credo che tu abbia già detto
abbastanza» replicò Zayn, senza
cattiveria nel tono. Era una semplice constatazione, e Harry lo
guardò un po’
incerto perché, no, affatto, non era riuscito a completare
una frase
intelligibile, come poteva…?
Poi Zayn sollevò leggermente la mano, e
Harry capì che si stava
riferendo alle parole che aveva sputato su quel foglio di carta.
«Io ti amo» confessò
Zayn, la voce sicura, ed era così tanto che non
glielo sentiva dire che Harry aveva quasi dimenticato come suonassero
quelle
parole, pronunciate dalle sue labbra.
Si sentì inadeguato per quel sentimento.
Lo sei, lo accusò una
vocina crudele al suo orecchio, e
improvvisamente il desiderio che Zayn trovasse qualcuno di migliore, di
più
giusto, di più buono, di più onesto – dipiùdipiùdipiù
– lo travolse.
«Zayn, non c’è
bisog-»
«Ti amo» lo interruppe
l’altro, e la spinta che pochi attimi prima
l’aveva fatto sentire altruista svanì, velocemente
come era nata, per lasciare
spazio solamente al suo bisogno spasmodico di stringere e respirare e
vivere
Zayn. «e anche se ho cercato di soffocarlo, di soffocarmi,
sapevo già che era tutto inutile, ok? E non sono
neanche bravo ad aprirmi e l’hai visto anche tu. Non so
neanche perché tu
voglia stare con me. Perché vuoi restare»
Harry l’avrebbe fermato di nuovo
volentieri, perché era serio? Come
poteva vedersi così poco e male, quando lui non riusciva a
togliergli gli occhi
di dosso, da quanto era perfetto – e, di nuovo, tutto
ciò aveva davvero poco a
che fare con il suo viso. Anche nelle sue imperfezioni, Zayn
– per Harry – era
perfetto.
«Me lo sono chiesto in continuazione, per
tutto il tempo. E poi ho
trovato l’articolo e in fondo aveva senso, no? Almeno
c’era un motivo e potevo
smettermi di scervellarmi per capire quale fosse. Solo che, anche se mi
dicevo
che ero stato stupido e che era ovvio, anche naturale, non sono
riuscito a
restare indifferente. Cazzo, credo che l’indifferenza sia
l’ultima cosa che
abbia provato in questi giorni. Mi sono sentito tradito e usato, e ti
ho
disprezzato e avrei voluto non averti mai conosciuto, ma, per quanto
possa
sembrare assurdo, non sono riuscito a odiarti. C’ho provato,
non sai quanto.
Immagino che questa sia solo l’ennesima cosa di cui sono
incapace»
Harry sentiva aleggiare sopra le loro teste un
altro ‘ma’. Non avrebbe
retto il colpo, nel caso.
«Ma»
Basta – bastabastabasta
– ‘ma’.
Era una congiunzione inutile, senza la quale tutti avrebbero vissuto
meglio.
Harry non aveva mai odiato di più qualcosa, in vita sua.
«Ma, anche se tutto mi diceva di non
farlo, il mio istinto mi spingeva
ogni giorno un po’ di più verso te. Ero convinto
stessimo andando nella stessa
direzione. Poi tutto è sfumato. È tutto
finito»
Harry stava per morire.
O forse per svenire, la sensazione era la stessa,
ne era certo, quindi
era scusato se confondeva le due cose.
«Zayn, ti prego»
c’era già tutto in quelle tre parole, che altro
doveva
o poteva aggiungere? Se tutto quello non era servito a nulla, allora
Harry non
sapeva proprio più che fare. Avrebbe tirato giù
la luna, per Zayn, avesse
potuto. Invece era solo un ragazzino fresco di laurea e senza un
lavoro, che
non era stato capace di riconoscere l’amore neanche dopo
essersi scontrato con
esso ogni giorno per due mesi. Forse era cieco e sordo e muto. Forse
era pazzo.
Cosa mai avrebbe potuto fare per riprendersi Zayn, se l’altro
non lo voleva?
«Harry» lo chiamò
Zayn, prendendogli una mano, il tocco insicuro di chi
non sa se fare qualcosa oppure no. Gli era mancata così
tanto la sua pelle, che
adesso che la risentiva contro la sua gli sembrava di trovarsi di
fronte al miracolo
stesso della vita. Cercò di ritrarla, anche se sembrava
andare contro tutte le
forze della natura, perché la sua pietà era
l’ultima cosa che voleva.
«Harry,» ripeté
Zayn, rafforzando la presa. «è finito tutto, ma
forse
hai ragione tu, ok? Possiamo voltar pagina, tornare
all’inizio, conoscerci di nuovo,
come fosse la prima volta; innamorarci di nuovo, come fosse la prima
volta. Vedere
dove tutto questo ci porterà»
Harry non riusciva a credere alle sue orecchie.
Forse, alla fine, era
svenuto davvero e quello era frutto della sua immaginazione.
Il tocco di Zayn era reale, però, il
respiro dell’altro a malapena lo
sfiorava ma c’era, era lì eccome, e in nessun
sogno potevano esistere occhi
brillanti come quelli di Zayn.
La figura di Zayn iniziava a sfocarsi. Harry ebbe
di colpo paura che
sarebbe scomparso, che davvero fosse solamente una proiezione dei suoi
desideri, ma poi si rese conto che le sue guance si erano fatte bagnate
e che
Zayn era più reale che qualsiasi altra cosa al mondo.
«Possiamo?» osò
chiedere, impaurito fosse tutto uno scherzo.
«Se vuoi ancora»
abbozzò Zayn, e forse era impazzito pure lui, se
diceva cose del genere.
«Come non ho mai voluto
nient’altro in vita mia»
Zayn sorrise, e wow, Harry
l’aveva visto tante volte, ma evidentemente era passato
troppo tempo anche per
quello, perché non si ricordava fosse più
luminoso del sole stesso.
«Posso baciarti come fosse di nuovo la
prima volta?»
Note:
Sorry sorry sorrrrry! Averi cancellato tutto, ma
poi non avrei
riscritto nulla, per cui questo è quello che è.
Odio anche solo pensarlo,
perché mi dà come l’impressione di non
aver fatto del mio meglio e tutto il
resto è un po’ una patetica scusa,
quindi… bah?
Domenica arriva l’epilogo, che
è super brevissimo, e poi finalmente
smetto di scassare!!!
Grazie come sempre a tutte <3
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Capitolo 18 *** Epilogo ***
Epilogo.
Era settembre, finalmente.
Non erano ancora riusciti ad andarsene da quella
città, da quando
l’estate era cominciata, ma alla fine erano arrivati quei tre
giorni di
completo relax anche per loro.
Harry aveva preso le ferie secoli prima, ma essendo
l’ultima ruota del
carro, non aveva potuto permettersi né troppi giorni
né un periodo migliore.
A Zayn non importava, comunque, e di certo non
importava neppure a
Harry, che aveva iniziato a vivere il suo vecchio sogno poco tempo dopo
che il
nuovo aveva misericordiosamente bussato alla sua porta. A Zayn era
venuto un
po’ da ridere, la prima volta che, parlando, era uscito il
discorso e Harry
l’aveva definito così: il
mio nuovo
sogno. Un po’ fiabesco e abbondantemente
sdolcinato, tanto che anche il più
piccolo era arrossito, ma questo non significava che a Zayn non avesse
fatto ugualmente
piacere.
La vita era strana, di questo Zayn era convinto da
molto, per cui il
fatto che Harry, fatta domanda, avesse ottenuto un posto da apprendista
proprio
al giornale che aveva ritenuto perso per sempre non l’aveva
stupito. L’aveva
imputato alla genialità del suo compagno e ne aveva gioito,
semplicemente. Si
ricordava dei primi giorni della loro relazione, quando avevano
iniziato
daccapo (anche se alla fine avevano solo ripreso da dove erano
arrivati), e di
come, saputa la notizia Harry l’avesse osservato, un
po’ guardingo, un po’
incerto, con in volto una domanda muta per lui. Va
bene? Che ne dici? Accetto? Se non sta bene a te, non sta bene
neanche a me? Ti riporta alla mente brutti ricordi? Forse
non una; forse
mille, ma Zayn le aveva spazzate via tutte perché, come
aveva sentito uscire
più e più volte dalla bocca di Harry nel corso
dei mesi, il Times!
Adesso, dunque, Harry lavorava molto più
di prima e aveva molto meno
tempo per stare con lui, ma Zayn lo vedeva radioso, e quello rendeva
felice
anche lui. L’aveva sempre ritenuto un luogo comune, ma
evidentemente si
sbagliava: le felicità della persona che ami sono anche le
tue. Di questo si
era convinto da poco.
«Hai preso tutto?» gli chiese
Harry, mentre controllava con lo sguardo,
per l’ennesima volta, l’interno della loro casa.
Anche quella era una novità recente.
Harry aveva abbandonato Louis al suo divano, che in
quei tempi
condivideva sempre più spesso con Liam, e si era traferito
nell’appartamento di
Zayn, facendosi largo tra le sue cose e facendo spazio per le proprie,
come da
tempo aveva fatto col suo cuore.
Quando a febbraio era accaduto quel mezzo disastro
che gli aveva
piagato le gambe e l’aveva messo in ginocchio, tornare da
Harry e aprirgli
ancora una volta il suo cuore era stato duro. Zayn doveva ammettere che
l’altro
aveva sudato e lavorato e mai perso la speranza, nell’attesa
che Zayn riuscisse
a fidarsi di nuovo, dimostrandogli ogni giorno che ne era degno. Nella
caparbietà e nell’ostinatezza
dell’altro, aveva visto quella luce e quell’amore
e quella dedizione che lo avevano convinto del tutto, che
l’avevano
rassicurato.
Non era stato facile, ma Zayn sapeva che la strada
sarebbe stata tutta
in salita, all’inizio. Allo stesso tempo, era anche certo che
valesse la pena
lottare per quello che di buono c’era e lasciarsi alle spalle
tutto il resto.
Era venuto fuori che aveva fatto la scelta giusta.
Che anche se, le prime
volte, si trovava a chiedersi se Harry volesse davvero lui o se invece
non
stesse ancora cercando altro, queste insicurezze erano cancellate
giorno dopo
giorno dall’uomo che aveva accanto.
In un certo senso, tutto era uguale e diverso a
prima. Era reale, meno
onirico, ma ridicolosamente eccitante ed emozionante, proprio come lo
era stato
in inverno. Dell’inverno, comunque, Zayn preservava bei
ricordi. Era la
stagione in cui si erano incontrati e conosciuti e poi amati, in cui
tutto era
bruciato ma poi rinato dalle sue stesse ceneri, e forse più
di un libro nuovo,
avevano semplicemente aperto un diverso capitolo.
Zayn non lo trovava strano, perché in
fondo loro erano sempre gli
stessi, solo più consapevoli di cosa cercassero e di chi
l’altro fosse e di
cosa cercasse a sua volta. Alla fine, proprio per questo, Zayn si era
rifiutato
di fare tabula rasa per tutto, di cominciare da zero, come se nulla ci
fosse
mai stato. In fondo l’altro aveva avuto ragione a dire che
l’Harry che aveva
conosciuto era quello reale, e aveva un numero abbondante di prove a
sostenere
ciò, anche se – a ben vedere – gli era
stato sufficiente quel pezzo di carta
che aveva rinvenuto sopra la sua borsa, carta in cui Harry si metteva a
nudo
per lui e si rivelava per la persona testarda e ambiziosa, ma anche
infinitamente dolce e appassionata che era.
E benché Zayn adorasse la loro vita
insieme, nella loro casa e con i
loro rispettivi lavori (lui, da parte sua, aveva iniziato un nuovo
progetto,
completamente diverso dal primo. La cosa era stupefacente quasi quanto
la sua
storia con Harry), aveva accarezzato l’idea di passare un
po’ di tempo da solo
con l’altro, senza telefonate inopportune, visite
più o meno gradite (anche se
non sempre e non in tutti i momenti), cose da fare e persone da vedere.
Solo loro due, sdraiati a non far nulla, come la
più classica e
monotona delle coppie.
Sorrise all’idea. Zayn era consapevole
che monotonia era la descrizione
più lontana che esistesse, per le loro giornate trascorse
insieme.
Si mise comodo sul sedile del passeggero,
aspettando e guardando Harry
chiudere a chiave il portone, girarsi e fargli una linguaccia come il
bambino
che era, e infine raggiungerlo.
«Pronto?» chiese Harry,
retorico, avviando il motore.
Zayn sorrise alla domanda sciocca da quanto
scontata.
Da tempo, ormai, anche se scottati e feriti,
avevano capito, accettato e
amato la consapevolezza di essere preparati a fare e provare e tentare
tutto,
al fianco l’uno dell’altro.
Fine.
Note:
Se non fossi tipo morta dentro, mi starei
asciugando una lacrimina ç__ç
Devo ancora capacitarmi di essere riuscita a
terminare una long, e
niente L
Ringrazio tutte le persone che hanno letto e messo
la storia tra le
preferite eccetera eccetera, ma soprattutto un grazie enorme va a
Sweetlove250513, Milu91 e Gre che mi hanno accompagnato con le loro
parole dal
primissimo capitolo fino a qui <3
Non so cos’altro dire… ehm,
vado a rivedermi il video di Story of my
life, perché sono masochista…
Notte a tutte, un bacione!
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