Ottimi presupposti per un'amabile ossessione

di kyuukai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un mondo di ghiaccio e gelo ***
Capitolo 2: *** 2. Il primo bagliore di speranza e tepore ***
Capitolo 3: *** 3. Il nome è ciò che si ha di più prezioso e pericoloso al mondo ***
Capitolo 4: *** 4. I semi dell'ossessione: l'affetto ***



Capitolo 1
*** Un mondo di ghiaccio e gelo ***


Prologo:

Hashirama aveva solo cercato un aiuto, una fonte di calore che lo potesse salvare da un mondo gelido ed ostile che voleva rubargli ogni briciolo di umanità e giovinezza. E l'amore che tanto avrebbe voluto diffondere nei cuori delle persone.
E lo avrebbe trovato, un'anima ardente e ribelle più di lui. Ma non avrebbe mai pensato di rimanervi bruciato.

- V -

Attenzione: l'intera storia contiene spoilers riguardanti il manga, dal capitolo 620 in poi. Se quindi non state seguendo il manga o non siete arrivati a quel punto, sarebbe meglio evitare di leggere.
La storia comunque riporta alcuni eventi non in ordine cronologico del manga, o leggermente diversi. Leggete sapendo questo.

Ed ora cominciamo.


Capitolo 1 - Un mondo di ghiaccio e gelo


Il primo ricordo che Hashirama aveva di aver ricevuto un bacio fu da sua madre, dopo aver superato la sua prima missione ed essere tornato indenne.

Ovvero vivo.

Aveva avuto otto anni all'epoca, e non riusciva a richiamare alla mente un'altra occasione del genere. È molto probabile che fosse stata quella la prima volta.

Gli aveva schioccato un bacio inatteso sui capelli corti, abbastanza duraturo per sentire il suo respiro caldo tra i ciuffi. Poteva ricordare ancora il suo imbarazzo di fronte al gesto e quanto i fratelli lo avevano preso in giro per essere arrossito a quel modo, anche a giorni di differenza.

Era naturale però una reazione del genere.

Hashirama aveva avuto la sfortuna di essere nato in un mondo freddo, ghiacciato, dove l'unico modo con cui le persone hanno contatto è attraverso la guerra, e le innumerevoli battaglie. Con le armi ben salde fra le mani, e l'odio gelido emanato dalle urla disumane e dalla voglia bestiale di uccidere il proprio contendente, e gioire solo dopo averlo brutalmente terminato.

Il freddo poi prendeva possesso del corpo dello shinobi più avventato, togliendogli il respiro vitale per sempre. Ed allora non era solo la sua anima a diventare ancora più gelida, ma anche le membra. Poi era la fine.

Il concetto di morte non era estraneo al ragazzino, nonostante a giovane età. In un mondo come il suo fin da piccoli si comprende il significato di vita e morte. D'altronde erano costretti a combattere contro l'una e preservare l'altra ogni giorno.

Hashirama non voleva quel tipo di contatto. Avrebbe preferito avere altre carezze dalla madre, o sorrisi dal padre, parole di consenso, complimenti, e non colpi, contusioni e tagli provocati dai combattimenti, e da persone che probabilmente, come lui, erano state costrette a lanciarsi in una guerra di cui non sapevano neppure la ragione. Spinti ad uccidere persone sconosciute, ed odiarli per aver tentato di aver provato a difendere la loro vita con tutto ciò che avevano.

Non c'era nulla di male nel rendere effettivo e reale l'affetto che si prova per gli altri, tradurli in gesti amorevoli con cui curarsi delle persone più importanti della loro vita. Il bambino aveva apprezzato tanto il bacio, si era sentito la testa riscaldarsi per un attimo, appena la madre aveva posato le labbra. Il suo amore era passato attraverso quelle a lui, togliendo il freddo che lo scontro di poche ore prima aveva fatto calare sul piccolo. Si era sentito così vivo e felice per un attimo, tanto tanto caldo...

Ne desiderava altri.

Ma le sue speranze furono vane. Di ritorno dalla missione successiva la madre non lo aveva degnato neppure di uno sguardo. Hashirama si era sentito gelare il cuore quando addirittura lo rimproverò per essere rimasto fermo a grondare sangue sul pavimento della cucina.

Primo di una famiglia di quattro fratelli, era stato lui a prendesi cura dei più piccoli mentre i genitori erano al fronte. Lui a difendere la casa in loro assenza, cucinare, aiutarli a lavarsi, ed insegnargli i primi rudimenti di autodifesa.

Non aveva vissuto una gioventù spensierata, non ricordava neppure di aver mai giocato come adorava fare suo fratello Itama nel tempo libero. Lo avevano sempre ricoperto di tanta responsabilità, troppa per un bambino.

Ma erano in guerra, doveva capirlo, e sacrificare la sua giovinezza in cambio della sopravvivenza e prestigio del suo clan. Così almeno gli avevano insegnato fin dalla nascita.

Eppure invece di chiudersi a riccio in sé stesso, e diventare un gelido adulto o una pallida prematura imitazione, era rimasto solare e gioioso. Come un bambino cresciuto lontano dalla guerra.

Custodì con cura la memoria del primo bacio donatogli dalla madre, e passò l'esperienza e l'appagamento ricevuto ai fratelli, per insegnarli qualcosa di positivo e bello.

Non voleva che loro avessero il suo stesso destino. Che, come lui, fin dalla tenera età di otto anni era stato portato sul campo di battaglia, ed aveva visto i suoi stessi compagni essere sgozzati brutalmente sotto i propri occhi, pugnalati alle spalle e cadere uno dopo l'altro, come tanti pezzi di legno freddi e senza vita.

Hashirama aveva testimoniato tutto, memorizzato, e chiuso in una parte della sua mente che non amava aprire, eppure vitalmente utile una volta spinto a combattere.

Solo allora. Poi tornava al ricordo gentile che amava, e vi ci si aggrappava con tutte le sue forze. Vi ci si scaldava l'animo accanto.

La sua luce gioviale salvò anche l'animo dei suoi fratelli, che crebbero amandolo ed abituati alle sue battute a volte infantili, alle sue carezze e gentilezze. Festeggiava ogni fine di missione, vittoriosa o meno, posando le labbra sulle guance dei fratelli appena tornavano a casa, tra le risate e i sorrisi. O i bronci messi da Tobirama, che sollevavano ancora più risa.

Erano quattro fratelli caldi, tiepidi e pieni di energie, e di sogni per un futuro luminoso. Chi più chi meno.

Sarebbe stato così bello rimanere assieme, vicini, per sempre, e diffondere il loro calore al mondo intero. O semplicemente ai loro frigidi genitori.

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Kawarama fu il primo a cadere sotto i colpi della guerra. Il fratello era venuto a mancare a soli sette anni. Il primo che Hashirama aveva mai visto sorridere con il cuore, pur vestendo un'armatura grondante di sangue di altri...

Un giorno non tornò più a casa. Il fratello maggiore era rimasto stato tutto il mattino lì ad aspettarlo.

Fu il padre, con la sua usuale voce monocorde, a rivelargli che era stato ucciso durante un agguato.

E il suo cuore andò in frantumi. Era come se qualcuno gli avesse appena tolto una parte importante di lui.

Era perso.

Il fratello avrebbe custodito il ricordo dei suoi sorrisi e carezze come un tesoro, e provato ad emularlo quando l'occasione lo avrebbe richiesto per tranquillizzare i fratelli minori, proprio come gli aveva insegnato l'anima gentile di Kawarama.

Suo padre, alla vista del suo cadavere durante la veloce funzione funebre, non versò neppure una lacrima. Il giovane Senju provò a fare altrettanto, non davanti alla salma del fratello amato racchiusa in un telo di lino. Era tutto così gelido, tremendamente freddo per lui.

Quando fallì, e scoppiò a piangere in silenzio, venne percosso violentemente dal genitore.

-Questo è un mondo non adatto ai sentimenti ed alle emozioni, Hashirama- aveva sentenziato con freddezza, trafiggendolo con gli occhi vuoti -Se vuoi sopravvivere, farai bene a sbarazzartene-

Lo lasciò a gemere faccia a terra, immerso nel gelo delle sue parole, i fratelli minori ugualmente scossi alle sue spalle, avvolti da un silenzio timoroso.

Era un mondo freddissimo, ed Hashirama non sapeva quanto ancora sarebbe stato capace di sopportare quel gelo mortale.

 

… Prima di quanto avrebbe sperato sarebbe arrivata un'altra persona ad infiammare la sua voglia di calore e scuotere la sua umanità dal freddo che voleva insinuarsi sin dalla sua gioventù.

Colui che avrebbe rappresentato il suo salvatore e persecutore.

- V -

Vi dirò, sono più che eccitata all'idea di continuare questa storia. È un po' diversa da come sono abituata a scrivere, questa è una sorta di esperimento.

Inoltre, avrete notato il raiting arancione, ve n'è una ragione ben precisa, ma riguarda capitoli futuri. Sappiate comunque che potrei anche alzare gli avvertimenti fino al rosso, dipende da cosa vi possa piacere di più. Lemon e lime possono essere inserite volendo, ma non sono necessarie.

Allora, cosa ne pensare? Se potete, lasciatemi una recensione e fatemelo sapere. Alla prossima.

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Capitolo 2
*** 2. Il primo bagliore di speranza e tepore ***


Hashirama non era nato come un genio.

Non sapeva nulla di genjutsu, se la cavava abbastanza nel controllo del chakra e non eccelleva in taijutsu. I suoi ninjutsu poi erano appena passabili.

E i suoi genitori non mancavano occasione per ricordarglielo.

Era un ragazzo ordinario, troppo per una famiglia di fenomeni padroni dell'arte del legno, rara e rinomata in tutto il mondo, oltre che temuta. Troppo per il ragazzino che in futuro avrebbe dovuto guidare l'intero clan alla grandezza che suo padre osannava così tanto, ma di cui Hashirama non capiva un bel niente.

Che come la prima foglia di un ramo nuovo, nato da un albero che da millenni combatteva contro gli agenti atmosferici, doveva ergersi al di sopra di tutto e tutti, e scintillare di luce, fredda luce propria.

Hashirama, purtroppo per lui, si rivelò col passare del tempo essere una foglia fin troppo tenera e verde, scaldata da un barlume di sole che dalle fronde superiori riusciva a malapena a raggiungerlo.

Doveva essere temprato, prima che una folata di vento troppo forte lo tagliasse di netto.

Si sarebbe potuto provvedere anche ad evitare questo.

La madre, dichiarata sua istruttrice, lo mise a dura prova ogni dì, sottoponendolo alle missioni e allenamenti quasi impossibili per le sue abilità. Gli strappò quel poco di luce che gli rimaneva senza pietà, stando a guardare il suo dolore con gelida severità, conscia che aveva fallito ancora una volta.

Arrendersi non serviva a nulla, o meglio, serviva a farla andare sulle furie prima del solito e subire la sua ira più a lungo.

Il padre non era di aiuto. Quando di sera si riunivano per la cena, la madre gli riferiva gli esiti dell'allenamento con voce grave. E l'uomo lo fissava scoraggiato e deluso ogni volta, tanto che il ragazzino raramente toccava il cibo disposto davanti a sé.

Tobirama si limitava a stare in silenzio, Itama a tremare al suo fianco, troppo impaurito per sostenere il maggiore. Soprattutto quando una volta al mese venivano esaminati uno per uno dal padre per vedere i loro miglioramenti.

In quelle occasioni il più grande riusciva a malapena a trascinarsi nel suo futon, tanto contuso e dolorante era. Senza cena ovviamente. Quella era la punizione migliore che gli potessero infliggere.

Perché Hashirama era inadeguato, un inetto, un fallimento di figlio. La sua fiamma stava morendo sotto le parole gelide dei genitori e degli anziani, insoddisfatti dai risultati dei suoi allenamenti, giorno dopo giorno.

Il ragazzo si sentiva letteralmente soffocare da tutte quelle foglie morte che gli impedivano di sentire il calore già flebile che la vita potesse offrirgli. Lo sovrastavano, lo schiacciavano sotto il peso delle loro azioni e parole, e a lui non rimaneva che stare a guardare. Non aveva il potere, neppure la forza per ribellarsi.

Non più.

Per essere il futuro detentore del potere del clan era davvero mediocre ciò che riusciva a fare, se ne rendeva conto da solo, ma cosa avrebbe potuto fare? Solo piangerne aspramente la notte, con il viso affondato nel cuscino per impedire ai genitori di sentirlo gemere e singhiozzare.

Solo l'amore per i fratelli riusciva a mantenere integra la sua sanità mentale e gli impediva di scappare di casa durante la notte, via da quella casa gelida.

Per andare dove poi? Lì fuori c'era una guerra, forse anche peggiore dei colpi di sua madre. Delle parole gelide del padre, degli sguardi indifferenti degli altri membri del clan.

-Nii-san, riposa per favore- lo supplicava nel cuore della notte Itama, avvertendo i suoi tremori dovuti al tormento fisico e mentale del più grande, al primo suono del suo respiro spezzato, prima delle lacrime. Il piccolo aveva preso l'abitudine di avvicinare il suo futon a quello del fratello e premersi contro la sua schiena, senza abbracciarlo perché ovviamente gli avrebbe arrecato solo altro dolore. Ma abbastanza da rassicurarlo con la sua presenza e calore. Solo così riuscivano a prendere sonno, rincuorandosi l'un l'altro in silenzio.

Quei piccoli momenti di felicità, barlumi di speranza e tepore, morivano col levarsi del sole, e la voce monocorde di Tobirama che li avvisava che la colazione era pronta.

Era un ciclo infinito di totale gelo, indifferenza, odio, un pizzico di calore, e di nuovo un tuffo violento nel freddo odio. Bastava un assaggio di tepore per far affrettare l'inverno nella vita di Hashirama, tanto che cominciò a pensare che non ne valesse la pena sentirlo.

Vivere un attimo di felicità, e poi il resto dell'esistenza diventare statue di ghiaccio come i genitori e gli anziani?

Sarebbe mai finito? O l'unico vero, eterno sollievo sarebbe stata la morte?

Sconfortato come non mai il giovane si era diretto lontano da quel clan così distante e gelido, in cerca di un qualcosa che desse senso alla sua esistenza.

Un barlume, un pizzico di vitalità che non era più capace di produrre da solo.

Doveva forse rassegnarsi che prima o poi sarebbe andato a finire anche lui nella stessa fossa dove ora riposava suo fratello?

I suoi passi stanchi e addolorati lo portarono lungo il fiume che delimitava il loro territorio. Da piccoli lui e i suoi fratelli avevano passato tanto di quel tempo libero lì a schizzarsi l'acqua a vicenda, con la scusa di lavarsi.

Kawarama e i suoi sorrisi invasero la sua mente gelida all'istante, ed il giovane Senju si perse nei ricordi di una vita quasi mai esistita.

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Hashirama poteva quasi vedere il fantasma del fratello scomparso rincorrere lui e i suoi fratellini nel fiume, sotto il sole ridente che aveva splenduto raramente quando era ancora in vita. Le loro risa alte e spensierate nelle orecchie accompagnavano la federe riproduzione, tanto che pensò davvero per un attimo di essere tornato indietro nel passato più tiepido.

Ma durò giusto un attimo, un leggero tonfo nell'acqua bastò per farlo riscuotere dall'illusione. Percorse con lo sguardo vuoto l'intera lunghezza del corso d'acqua, rassegnato. Non vi era più nessuno. Anche su quel posto era calato il gelo ed il silenzio.
Non vi era dunque nessuna speranza per lui?

Di nuovo quel tonfo in acqua.

“Ma cosa...?”.

Tutto ad un tratto i suoi occhi scuri guizzarono, guidati dal suono che aveva avvertito in precedenza. La sorpresa che lo colse fece persino svanire la fredda vuotezza che li aveva quasi fatti padroni.

C'era già qualcuno seduto tra le rocce, una piccola forma scura. I quali occhi scurissimi ed intensi erano già puntati verso di lui.

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Il primo vero amico che aveva mai avuto, al di fuori del suo clan, lo aveva conosciuto quando aveva avuto all'incirca undici anni.

Lo aveva trovato proprio lì, sulla riva del fiume che conosceva così bene, mentre stava provando a lanciare i ciottoli sul pelo dell'acqua e farlo arrivare sull'altra riva.
Bastò un'occhiata generica per capire che non apparteneva alla sua gente, ma questo di certo non lo scoraggiò o fermò dall'avvicinarsi al giovane, mosso solo da genuina curiosità.

Era stanco di uccidere alla cieca ogni forma di vita sconosciuta che osasse pararsi davanti, e negli occhi del ragazzo ignoto poteva leggere lo stesso sentimento. Come si era messo sulla difensiva non appena i loro occhi erano arrivati a legarsi, e le spalle tendersi pronte a scattare al minimo accenno di minaccia mano a mano che i suoi passi si facevano sempre più vicini spiegava molto più delle parole.

Anche lui doveva essere uno shinobi, come lui, in tenera età.

Fu quello più di tutto a dargli il coraggio di accostarsi a lui, raccogliere una pietra e mostrargli in silenzio come si faceva a farla volare dall'altra parte della fiume.

Il ragazzo dai capelli corvini lo seguì con occhi attenti, senza perdere di considerazione neppure un suo gesto, sempre sul chi va là.

Poi sbuffò e con un mezzo broncio sul viso aveva ritentato ancora una volta.

-Tch, ci sarei riuscito da solo lo stesso-
Hashirama abbozzò un sorriso alle parole mugugnate tra i denti, e rimase al suo fianco per testimoniare se ci sarebbe davvero riuscito.

Non gli chiese il suo nome, neppure il suo inatteso compagno lo fece.
Ed andava bene così.
Il giovane Senju aveva ucciso fin troppe persone per un nome. Non voleva togliere la vita anche a quel ragazzo bizzarro appena incontrato, che imparò ben presto aveva come prerogativa cambi d'umore repentini ed una lingua singolarmente tagliente.
Si divertirono, a loro modo, a lanciare le pietre lungo il fiume, scambiarono ben poche parole nel mentre. Le ore del pomeriggio volarono come i loro ciottoli, veloci e piacevoli come mai. Lontane da qualunque preoccupazione e pensiero negativo.
E da questo inatteso incontro nacque un gradevole calore, abbastanza da metterlo di buon umore e rendergli possibile sopportare ancora una volta il gelo della sua casa.

Quando mise piede nel territorio dei Senju, di ritorno da quel pomeriggio passato sulle rive del fiume, Hashirama lo fece senza paura né timore di affrontare di nuovo gli adulti gelidi. Si sentiva quasi come una fenice, appena rinata dalle proprie ceneri.

Tutto grazie al suo nuovo, misterioso amico.

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Capitolo 3
*** 3. Il nome è ciò che si ha di più prezioso e pericoloso al mondo ***


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Dopo i primi incontri impacciati, accorti ed ancora incerti, i due ragazzini cominciarono ad aprirsi gradualmente, soprattutto il suo taciturno compagno di giochi.

O così almeno aveva pensato inizialmente.

Nonostante ci tenesse ad apparire freddo e quanto più maturo possibile, il giovane era una persona che si dilettava nell'arte della parola, conosceva alcune di cui l'altro non conosceva neppure il significato, intavolava discorsi che nessuno avrebbe pensato che un ragazzino potesse mai sostenere e si perdeva nel turbinio delle sue idee per ore, trascinando con s'è Hashirama, rapito da tanta intelligenza.

Oltre ciò era insofferente, a volte pareva che per una semplice manchevolezza o sciocchezza potesse prendere fuoco da capo a piedi tanto si infuriava con il compagno di giochi. Sbottava non poco quando Hashirama faceva qualcosa che lo infastidiva. Aveva delle singolari esplosioni di rabbia di tanto in tanto, le sue urla risuonavano per tutto il bosco spaventando tutta la sua popolazione, oltre che il povero ragazzo e le sue orecchie.

Quel tipo dai capelli corvini semplicemente aveva un carattere troppo eruttivo per riuscire a contenere ogni suo sentimento o commento.

Hashirama pensava, scherzando, che se ci avesse provato a contenersi anche un poco, sarebbe esploso ben presto. E le sue urla si sarebbero sentite fino agli angoli più remoti del Paese della Terra.

Imparò ben presto dunque che l'unico modo per difendersi dalle sue accuse (ridicole il più delle occasioni) e rimproveri era quello di fingersi abbacchiato e ferito dalle sue parole, accucciarsi a terra e abbracciare le ginocchia a capo chino. Solo allora pareva calmarsi, forse impietosito, forse perché la gola cominciava a bruciare, e nel giro di una mezz'ora tornava quieto e tranquillo, come se nulla fosse accaduto.

Capì inoltre che più tempo passava lontano dal fiume, più il suo cuore diventava gelido, assalito dagli animi freddi che lo attorniavano sempre, che tiravano i fili che costringevano le sue mani per creare una loro copia perfetta.

Hashirama non lo avrebbe mai accettato. Non ora che aveva trovato la cura per ogni suo male, per il gelo che minacciava di calare sulle sue spalle ogni ora, minuto che passava lontano da esso.

Purtroppo però era necessaria la sua presenza sul fronte di combattimento non aveva altra scelta che vestire la sua armatura e seguire i fratelli, a testa bassa.

Era il suo compito, come Senju, e non poteva farci nulla. E dovere, in qualità di fratello maggiore, aiutare i minori e difenderli con tutto sé stesso, conscio che i genitori non lo avrebbero fatto.

Ogni grido, ogni colpo di arma inflitto e ricevuto, ogni glaciale ordine al massacro gli sottraeva con prepotenza tutta la felicità che aveva accumulato in quelle poche ore tiepide al fiume.

Come se nulla fosse successo. Come se i ricordi di quei lieti pomeriggi passati lontani dal tempo, dalle circostanze e spazio fossero stati solo frutto della sua fervida immaginazione, o un sogno remoto.

Quando per le missioni Hashirama era costretto a stare lontano da casa sentiva davvero una fitta al petto per non avere la possibilità di recarsi nel suo posto preferito e segreto.

Ed incontrare il suo nuovo amico.

Andare in riva al fiume divenne quasi un bisogno fisico dopo ogni battaglia, scontro ed uccisione.

Ovviamente il suo compagno non era perennemente lì, in alcune occasioni non si incontrarono per nulla anche per giorni, ma andava bene lo stesso. Ognuno aveva la propria vita da vivere, e stare con lui era un insolito modo per riprendere fiato quando i tempi si facevano più scuri e negativi.

In mancanza del giovane, comunque, bastava sedersi sulla riva, avvolto dalla calma e pace della natura, ed osservare l'acqua brillare sotto i caldi raggi di sole, capace anche di portarsi via tutti i suoi pensieri più gelidi, per tornare tiepido e vitale.

Rifugiarsi in quel luogo era l'unico modo che aveva per rendersi libero dalle grinfie ghiacciate dei genitori e dalle loro aspettative, sentire meno lo sporco dato dal sangue delle sue vittime sulle mani, ribellarsi ed affermare la propria individualità.

E condividerla con il suo amico.

Hashirama provò fin da subito una sorta di simpatia (attrazione) per il ragazzino sconosciuto. Dopo il loro primo incontro era tornato anche lui sulle rive, nonostante sapesse che Hashirama avrebbe fatto altrettanto. Ed ancora una volta decisero di tacito accordo di non attaccarsi, anzi, approfondire la loro conoscenza, cautamente, passo dopo passo. Sempre attenti a tenere per sé particolari che li avrebbero traditi subito.

Il ragazzo dai capelli corvini più di lui, ad essere sinceri. Ad Hashirama quasi dispiaceva di non potergli dire la verità, di aprirsi totalmente a lui e dare così nuovo impulso alla loro bizzarra relazione.

Aveva bisogno di più calore, e il compagno era l'unico capace di fornirgliene di così piacevole.

Purtroppo però i segreti che tenevano nascosti fungevano anche da schermo fra i due, uno del quale sarebbe stato mortale solo provare a scalfire.

(Hashirama però aveva già accarezzato più volte l'idea di poterlo fare, nonostante sapesse che sarebbe significato la fine per entrambi, e vi passava il palmo della mano come a tastare la gelida superficie odiata che gli impediva di rivelarsi per ciò che era davvero).

E il suo amico lo sapeva bene, per questo era stato sempre restio a concedere più di qualche commento sulla sua vita reale, al di fuori di quella dimensione aurea.

I suoi gesti, sicuri nonostante l'età, erano precisi ed incisivi, mai guidati dall'incertezza o casuali. Come tanti aveva gli ideali, i sogni, ed avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per vederli realizzarsi. Hashirama ne era certo, e bastava ascoltarlo per essersene convinto.

Ma a differenza di tanti non sognava qualcosa solo per sé, la sua natura non prevedeva assolutamente l'egoismo. Non sognava di vincere un'altra battaglia, vivere semplicemente un altro giorno per vantarsene e continuare con la consapevolezza di aver fatto del male, di aver ucciso.

La gloria personale e la sete di sangue non contraddistingueva quel giovane sconosciuto. Il potere, e il diritto di guidare il proprio clan una volta battuto il precedente.

Affatto.
Desiderava la pace, ed oltre di essa un mondo totalmente nuovo, dove tutti i clan potessero vivere tranquillamente assieme, senza combattere tra di loro, senza sete di potere. Dove ognuno potesse rispettare il prossimo, riconoscersi come uguali, come shinobi validi e degni di sopravvivere.

Un angolo di cielo in cui i giovani non fossero costretti a vivere, vedere e respirare la morte ogni giorno, e che potessero crescere senza pensieri, che potessero giocare indisturbati senza minacce incombenti. E sperare di vivere oltre i vent'anni di vita.

Un'utopia, perfino per un sognatore come Hashirama, che rimase stordito da un'idea del genere e la possibilità di farla diventare realtà. Ascoltò comunque le sue vedute, le commentò, si scambiarono idee ed opinioni sulla situazione del mondo.

Modellò i suoi sogni assieme al suo amico.

-Deve cambiare, per forza- aveva mormorato il compagno, alzandosi per provare a tirare una pietra dall'altra parte del fiume -Ho bisogno che il mondo stia a sentire la mia richiesta, prima che si distrugga da solo. Devo raggiungere quante più coscienze possibili-

Il ciottolo schizzò via dalle sue mani esperte, solcò una piccola onda, ma poi sprofondò. Il ragazzo sbuffò imbronciato e poi incrociò le braccia sul petto.

-Solo così potrò mettere fine a questa dannata guerra senza senso e salvare i miei fratelli-

Una divina rivelazione, ecco ciò che ebbe nel sentirgli proferire quelle parole così profonde e impossibilmente magnifiche.

Hashirama osservò rapito il suo profilo risoluto come fosse la prima volta che lo vedesse. Sotto una luce nuova. Si sentì risucchiare, perdere nel suo sguardo intenso, fiammeggiante dalle larghe vedute.

Non aveva mai incontrato una divinità. Ma semmai fosse accaduto, si sarebbe aspettato che avesse le sue sembianze, la sua presenza, e la sua stessa voce.

Era una luce che brillava coraggiosa nell'oscurità, una fiamma indomita che non sarebbe mai morta, decisa a far avverare i suoi sogni qualunque costo.

Nonostante l'apparenza stoica, bisbetica e facilmente volubile, il suo amico era la persona più calda che avesse mani incontrato, animato da una passione fiammeggiante tale da neppure avvertire il gelo disposto attorno a lui.

Stando al suo fianco poteva sentire letteralmente le fiamme emanate dal suo corpo giovane e dalle sue parole illuminanti.
Era lavico, bollente e piacevole in una maniera totalmente masochista.

(Perché effettivamente, solo in tarda età, Hashirama avrebbe realizzato di esserlo stato davvero tanto, dopo essere stato ossessionato da quel ragazzo che era sempre stato irraggiungibile fin dall'inizio.
Ad allungare le mani sul fuoco, ovviamente, ci si brucia.
E quelle di Hashirama, fatte di legno grezzo, provavano un bizzarro quanto latente piacere nel lasciarsi avvolgere dalle fiamme indomite del giovane
).

- V -

Dopo quell'occasione, quel discorso così profondo e avvinghiante, qualcosa cambiò tra i due ragazzini, mano a mano che continuavano ad incontrarsi nel loro posto preferito.

Le volte successive in cui si incontrarono si salutarono quasi da amici, a loro modo, con rapidi cenni del capo in un caso e un sorriso pieno di felicità nell'altro.

Fu già un passo in avanti, un briciolo di fiducia sottintesa che si stabilì tra di loro, molto gradita per entrambi.

Solo molto tempo dopo, quasi due mesi, si scambiarono ciò che era rimasto della loro umanità.

Il giovane, avventato Senju lo aveva fatto senza pensarci, quando il moro aveva provato a chiamarlo, mentre stavano correndo verso l'acqua cristallina dopo un'intensa scalata della parete rocciosa dietro di loro. Hashirama era rimasto indietro, e l'altro, sempre meno paziente, aveva urlato un furioso:

-Ehi, muoviti, ….!-

Si era accorto troppo tardi di non sapere il suo nome. Aveva chiuso la bocca, un misto di dispiacere e amarezza dipinto sul viso. Dimenticò persino il motivo per cui voleva rimproverarlo.

L'altro si accigliò all'istante.

Non avrebbe mai voluto vederlo con quell'espressione scontenta, mai più.

-Il mio nome è Hashirama- aveva detto allora un attimo dopo tutto d'un fiato, per rincuorare il giovane.

E (l'odiato) schermo tra di loro si incrinò pericolosamente.

Occhi nerissimi nascosero appena lo sconcerto per aver fatto una cosa del genere, il giovane Senju non li aveva mai visti più grandi di allora. Ma come sempre seppe riprendersi in men che non si dica, e per nascondere i suoi pensieri gli diede le spalle, ed andò a riposare sotto un albero, lontano da lui, senza dire nient'altro.

Il suo amico aveva volontariamente lasciato correre, si accorse. Probabilmente stava provando a capire da che clan derivava ora.

Fu con riluttanza e paura che il ragazzo si sedette su una roccia in prossimità del fiume, alla larga dal ragazzo che si stava rigirando una pietra nelle mani. Con aria pensosa.

Gli occhi nerissimi sempre puntati su di lui ovviamente, a ricordargli la colpa di cui si era ricoperto.

“Che babbeo che sono stato” pensò abbacchiato poggiando il viso sulle ginocchia. Era stato troppo imprudente, in un attimo aveva buttato alle spalle il ferreo allenamento al quale la madre lo aveva abituato sin da giovanissimo, ed anche tutti i suoi insegnamenti.

Per un nome, Hashirama era stato costretto fin da piccolo a chiudere il proprio cuore, la sua umanità, e levare l'arma verso lo sventurato. Per un nome aveva dovuto cambiare la personale considerazione di un individuo ed attaccare senza tanti ripensamenti.

Era una regola d'oro fra gli shinobi, probabilmente i genitori dell'altro ragazzo li avevano passati anche a lui.

Hashirama era spacciato.

E come aveva temuto, infatti, il ragazzo non tardò troppo a materializzarsi alle sue spalle, senza neppure fare un rumore. Se ne accorse solo per la folata di vento scatenata dal suo atterraggio, e per colpa di un brivido lungo la schiena che lo scosse per intero.

Per poco Hashirama non sobbalzò per la sorpresa. Levò di scatto il viso cinereo all'altro e rimase in attesa.

Se proprio doveva morire lo avrebbe fatto a testa altra, ma non avrebbe trovato il cuore di fermare le mani del ragazzo dal togliergli la vita. Non era giusto.

Non dopo aver sentito i grandi progetti che aveva intenzione di realizzare. A confronto i suoi sogni erano ridicoli.

Quello lo guardò dritto in viso, con un'espressione profonda, troppo difficile da decifrare nella sua complessità. Hashirama era incapace di pensare a qualunque cosa, ogni pensiero estinto nel momento preciso in cui si era materializzato alle sue spalle.

Dava per certo solo che non sarebbe arrivato a quella sera.

Ed invece alla fine il giovane sospirò profondamente, prima di passarsi una mano tra i capelli corvini, gli occhi intensi rivolti al fiume davanti a loro.

-Madara-

Il ragazzo aveva tirato fuori l'argomento di spontanea volontà, sorprendendo il giovane Senju, che riprese a guardarlo ancora più sconcertato. L'altro scosse il capo alla sua espressione da pesce lesso, contenendo appena uno sbuffo vagamente divertito.

-Non posso dirti il cognome- continuò poi, prendendo posto accanto a lui.

Hashirama si sentì immediatamente molto più leggero, e invaso da un calore incredibile, anche se non era avvenuto alcun contatto fisico.

Aveva annullato ancora una volta la distanza tra di loro con poche, semplici parole. E scheggiato ancora più profondamente il vetro che li separava.

Hashirama gli sorrise riconoscente per la considerazione, e si affrettò a porgergli la mano, per suggellare l'attimo. Madara non accettò di stringergliela, ma annuì con fermezza.

Non ci rimase male. Era troppo impegnato a digerire l'informazione appena ricevuta e la scarica di eccitazione derivante da essa.

Madara.

“È davvero un nome magnifico” pensò mentre l'amico faceva volare la sua pietra sull'altra sponda, come se nulla fosse stato.

Per Hashirama invece era l'esatto contrario. Il fatto che Madara avesse deciso di condividere un segreto, un nome per il quale probabilmente in passato aveva dovuto uccidere, con lui, significava che aveva riposto fiducia in lui.

Calda, tiepida, bellissima, appagante fiducia, che nessuno aveva riposto in lui prima, che Hashirama non avrebbe mai voluto tradire.

Non sarebbe mai più stato lo stesso di prima.

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Sono consapevole che i primi capitoli probabilmente sono sembrati noiosi e senza particolari eventi, ma erano fondamentali per cominciare la storia. Da questo punto, spero qualcuno lo abbia notato, cominceremo ad andare più in profondità nella mente di Hashirama, e vedere occasioni che nel manga non abbiamo ancora visto tra i due.
Il che vorrà dire anche qualche interazione in più. Interpretate a vostro piacimento la scorsa frase.
Spero sia stato di vostro gradimento, e soprattutto, fatemi sapere se desiderate leggere qualche lemon nella storia, fino ad ora ho avuto solo una risposta, quindi se continuate a rimanere in silenzio deciderà lei per voi *ride sommessamente* . Fatemelo sapere con un commento, oppure contattatemi su Tumblr o su FB, troverete i link utili nella mia home page.
Passo e chiudo.

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Capitolo 4
*** 4. I semi dell'ossessione: l'affetto ***


Hashirama scoprì ben presto quanto amasse essere competitivo Madara.

Oh, lo aveva già sospettato fin dall'inizio, certo, vedendo come aveva reagito quando giocavano a far saltare le pietre lungo il fiume. Hashirama si era sempre dimostrato più abile nel farlo, i suoi ciottoli sfioravano tre volte il pelo dell'acqua prima di cadere. L'altro solo due volte. E la cosa pareva infastidirlo parecchio.

Per tale ragione non perdeva occasione di proporre ogni tipo di sfida per dimostrarsi migliore del giovane Senju, in qualcosa di diverso rispetto a quel “gioco triviale” al quale pareva sempre perdere. Questo non impediva comunque a Madara di ritentare ogni giorno, e scatenare un gran baccano quando il risultato rimaneva sempre lo stesso.

Hashirama trovata il tutto semplicemente troppo divertente e riusciva a malapena a trattenere la risata spensierata che scatenava ancora di più l'ira del suo amico.

Era una persona che riusciva a far diventare una gara qualunque cosa, dalla più comune sfida di far arrivare le pietre dall'altra parte del fiume, alle corse, alla scalata della grande parete di roccia oltre la foresta, alla più infantile ripicca di mantenere la pipì più a lungo del compagno.

Hashirama ci faceva le migliori risate a ripensare alla prima volta in cui aveva testimoniato quel piccolo punto debole di Madara. Quando non riusciva più a trattenerle, per correttezza e per non rimetterci la pelle, si allontanava per dar sfogo all'eccesso di ilarità che lo prendeva di tanto in tanto, abbastanza da non farsi sentire da Madara, che altrimenti lo avrebbe guardato male per l'intera giornata e tenuto il broncio per giorni interi. Eventualmente avrebbe sbottato come suo solito, urlato ai venti la sua rabbia e fatto deprimere il moro incolpato. Ma facevano sempre pace alla fine.

Il giovane Senju adorava come riusciva a malapena a contenere la soddisfazione e contentezza dopo ogni sfida, soprattutto quando vinceva, si puliva un filo di sudore sulla fronte pallida e guardava il suo sfidante con aria di superiorità, il tratti del viso pallido totalmente rilassati in un ghigno orgoglioso per ciò che era riuscito a fare.

I suoi occhi parlavano da soli. C'era una ragione ben precisa dietro quella spavalderia latente, e ciò bastava a legittimarla, almeno per il suo amico.

 

(Hashirama non avrebbe mai affermato che Madara fosse vanesio ed ingiusto in tutta la sua vita).

 

Il tempo volò, i giorni divennero mesi, molti mesi, e sempre più veloci erano i passi di Hashirama mentre si dirigeva verso il suo posto preferito. Il richiamo era diventato semplicemente impossibile da non seguire.

Ma con l'esigenza a diventare più latente, arrivarono anche le conseguenze, e le precauzioni che dovette prendere per accertarsi che il suo piccolo paradiso personale rimanesse tale.
Il giovane Senju arrivò perfino a mentire e disobbedire la madre. Invece di aiutarla a casa nelle sue faccende scappava veloce come il fulmine, ancor prima che lo trovasse per assegnarglieli.

Quando poi prese l'addizionale abitudine di sgattaiolare via di soppiatto dopo pranzo ogni giorno per andare al fiume, ovviamente, cominciarono i problemi. Perché se i genitori non davano molta importanza alle sue fughe, i fratelli, con cui si sarebbe dovuto allenare quotidianamente, lo notarono subito. E cominciarono a fargli domande.

Il ragazzo le aveva evaso tutte, sempre in maniera vaga, purtroppo, facendo si che la loro curiosità sulla faccenda aumentasse sistematicamente. Accresciuto dal fatto che, ovunque andasse ogni volta che scappava di casa, tornava sempre contento e col sorriso sulle labbra. Perfino dopo le ramanzine aspre della madre, ed i severi appunti del padre, il maggiore continuava a sorridere e passava avanti.

Era come se avesse davvero trovato un modo a scampare a tutti quei pensieri gelidi che avevano minacciato la sua vita.

E lo avrebbe difeso gelosamente con le unghie e con i denti.

Qualora qualcuno un giorno lo dovesse seguire, magari Madara sarebbe scappato, spaventato. E non gli avrebbe più parlato dopo un tale tradimento, guardato, voluto giocare con lui, passare del tempo assieme...

Doveva mantenere il loro segreto. A tutti i costi.

Fintanto che avrebbe avuto la possibilità di andare a riscaldarsi l'animo lungo il corso d'acqua assieme a Madara, vedere la sua figura scura ferma sulla riva ad aspettarlo, già con una pietra in mano, sarebbe andato tutto bene.

Il suo tranquillo, caldo e piacevole piccolo segreto.

Non importava che al suo ritorno avrebbe dovuto affrontare le ire della madre, o le domande lievemente intimidatorie di Tobirama, o le occhiate gelide del padre.

Ne valeva assolutamente la pena. Perché nessuno mai prima di allora era riuscito a segnarlo così tanto ed ispirargli fiducia come Madara.
Gli adulti gli avevano insegnato fin da piccolo a portare rispetto per i maggiori e gli anziani, ad abbassare il capo e fare come loro ordinavano, senza mai mettere in discussione nulla.

Ma ciò non era una cosa spontanea. Era un valore trasmessogli artificialmente. Hashirama doveva rispettare sua madre e suo padre perché gli doveva la vita, un tetto sulla testa e i suoi fratelli.
Se quello forzato era davvero la vera essenza del rispetto, forse allora quello che provava per Madara era diverso.

Era stato un sentimento, sensazione nata spontaneamente dal suo cuore, ed anche l'esigenza di non ferirlo, o metterlo in difficoltà.
Che nome avrebbe potuto dare a tutto questo?
Forse “affetto”?
Effettivamente quando erano lontani Hashirama sentiva la sua mancanza, e perfino di notte desiderava che essa passasse in fretta in modo da poter correre da lui. Era in apprensione quando faceva ritardo, e tremava all'idea che lui potesse rimanere gravemente ferito sul campo di battaglia. Ma per fortuna non era mai capitato.

Di ritorno da una missione Hashirama ne portava sempre i segni, tanto che più volte l'amico lo aveva colto a leccarsi le ferite più fresche, abbacchiato e inondato da un senso di vergogna latente al pensiero che il ragazzo potesse vederlo ridotto a quel modo. L'amico invece ne tornava sempre intoccato, la pelle sempre più pallida e pulita, pura ed intoccata. Madara scuoteva la testa rassegnato, si sedeva al suo fianco e mentre gli faceva un'aspra ramanzina lo aiutava a fasciarle.
Il ragazzino era anche gentile, raramente, però in fondo aveva un cuore buono dietro le ferree barriere che il mondo gli aveva imposto di vestire in modo da sopravvivere. Faceva parte della sua autodifesa, che oltre a proteggerlo dal gelo sferzante, riusciva anche a farlo tornare incolume dagli scontri che doveva affrontare quasi quotidianamente.
Hashirama si era chiesto tante volte come combattesse Madara, come si comportasse sul campo di battaglia. Sarebbe stato sicuramente interessantissimo poterlo vedere.

Si divertiva ad immaginarlo con un vessillo al vento su una pila di shinobi agonizzanti sotto i suo piedi, le braccia strette al petto come suo solito, quel fiero sorriso mezzo abbozzato sulle labbra.
E gli occhi fiammeggianti fissi su di lui ai piedi del cumulo, con i sandali nel fango.

Realizzò ben presto che però, per colmare l'immagine gloriosa, mancava qualcosa. Forse era quell'ombra che avvolgeva il viso del ragazzo quando, parlando, si bloccava all'improvviso e stringeva le labbra con aria contrariata, come se avesse detto fin troppo.

Quell' (odiabile) ostacolo di vetro che continuava a separarli, a nascondere parte della loro natura.

Era di tacito accordo non parlare della propria famiglia, o mostrare le tecniche particolari in loro possesso. Hashirama non usò mai l'arte del legno, tipica del clan Senju, in sua presenza. Sarebbe stato troppo facile per Madara collegare le due cose, e non voleva metterlo a disagio, per nulla al mondo.

Notando la sua difficoltà in più di un'occasione, Hashirama si era affrettato a cambiare discorso o sfidarlo. Aveva davvero a cuore la sua felicità, ed a giudicare dall'espressione dell'amico, se n'era accorto anche lui e ne era grato.

-Va bene, andiamo- mormorò rialzandosi e sfiorando la sua spalla per chiedergli di seguirlo.

Hashirama, anche ad ore di distanza, avrebbe ricordato la sensazione della mano nel punto preciso dove lo aveva toccato per il più fugace degli attimi, la pressione di quelle dita forti e molto chiare sulla pelle sua.

Si, decise, teneva molto a Madara, forse tanto quanto ne voleva ai fratelli. Certamente più dei genitori.
(Hashirama non ne era cosciente allora ovviamente, ma quello rappresentò il primo passo verso la sua discesa.
Il sentimenti che aveva scambiato per affetto allora aveva dei connotati molto più seri.
Il nome giusto del sentimento era cieca venerazione
).

- V -

Itama fu il primo a sentire la differenza. Il suo umore era apparso fin da subito molto più vivace, era tornato caldo e fiducioso. E non lo aveva sentito più piangere di notte, dopo gli esami del padre o le punizioni della madre.

Il più piccolo gioiva nel vederlo così sinceramente contento, tanto da arrivare a fermare Tobirama dal riferirlo ai loro genitori, inventandosi scuse colorite per distrarlo.

Itama adorava il fratello, e per nulla al mondo avrebbe concesso a nessuno di farlo tornare in quello stato pietoso. Gli voleva abbastanza bene da lasciargli fare quello che voleva, se riusciva a farlo stare così bene e contento, si disse, ne valeva la pena.

Lui si sarebbe limitato a sorridere, amarlo ancora di più, e fare del suo meglio per renderlo ancora più contento, nel suo piccolo.

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La persona con cui Hashirama preferiva da sempre allenarsi era, ovviamente, Madara.

Non era severo ed intransigente come il padre, violento come la madre se falliva la sua missione, indifferente e freddo come suo fratello che si tirava indietro sempre all'ultimo minuto prima di fargli anche un lieve livido o troppo lieve e simpatetico come il più piccolo, che aveva paura persino ad alzare la spada in legno per scontrarsi con lui.

Madara era fiero, indomito, con una forza fisica pari ad un uomo del doppio della sua età e stazza, dato che era abbastanza magro per un bambino di dodici anni. Sapeva essere spietato, menare le mani con precisione e forza per ore intere, ma anche sapersi fermare una volta che lui avesse capito il suo errore e per lasciargli riprendere fiato. Pensava fosse costruttivo perfino parlare dei suoi sbagli, esaminarli nel dettaglio a battaglia finita con lui, seduti su una roccia, e spiegare come migliorare tecniche e mosse.

Si sentiva molto più motivato a dare il meglio di sé con il suo amico, ed accoglieva di buon grado sia le critiche che i complimenti.

I risultati non tardarono ad arrivare. Grazie agli allenamenti assieme al suo amico del fiume Hashirama migliorò notevolmente in taijutsu e ninjutsu tanto che perfino Tobirama lo notò durante uno dei loro tanti allenamenti. Itama fece buon viso a cattivo gioco, ovviamente, fingendosi ignaro di tutto.

Quella notte però dormì abbracciato al fratello maggiore, e dopo aver posato un delicato bacio sulla sua nuca scoperta si addormentò abbracciato a lui. Hashirama sorrise nel dormiveglia e strinse meglio le braccia del piccolo intorno al suo stomaco.

Purtroppo però rimaneva carente in genjutsu, anche perché pareva che Madara non riuscisse neppure a crearne una.
Sembrava appunto, dato che appariva sempre molto schivo quando tirava fuori il discorso delle tecniche illusorie. Forse era anche il suo clan era nemico degli Uchiha e perciò temeva quelle temibili tecniche oculari.
Hashirama aveva sentito dire, gli riferì mentre facevano una pausa, che solo nell'incontrare gli occhi con quelli di uno di loro sarebbe bastato per essere forzato ad immergersi in un luogo lontano dal tempo e dallo spazio, dove il cacciatore sarebbe stato il padrone di qualunque sua azione. Che si sarebbe perso ben presto il lume della ragione per colpa delle illusioni tremende che erano capaci di evocare. Di perdere sé stessi nelle mortali iridi cremisi, e non poter mai tornare indenni ed uguali dopo una tale esperienza.
Madara si era limitato ad ascoltarlo con evidente interesse, e sorridere enigmaticamente per tutta la durata del discorso, senza mai staccare gli occhi dai suoi.

L'altro ragazzo, non da meno, rimase ipnotizzato da essi, tanto da rimanerlo a fissare di rimando. Tutta quella attenzione in quel preciso istante cominciò a far tingere di rosso perfino le sue guance.

Non ne era abituato, ovviamente. E sentire il suo sguardo addosso tanto potente e penetrante lo stava facendo sentire leggermente a disagio, oltre che dargli una leggera sensazione di vertigine, di allontanamento, estraniamento totale dallo spazio e tempo corrente.

In origine aveva pensato che gli occhi di Madara fossero totalmente neri, tanto che la pupilla non si potesse distinguere dall'iride, ed erano profondi, inghiottivano lo sguardo di chiunque avesse la disdetta di guardarlo per più di due secondi. Avevano uno spessore e potere tale da far perdere la coscienza, la concezione del tempo e del luogo.

Tuttavia un paio di volte avrebbe giurato di intravedere una sfumatura rossastra in esse, soprattutto quando si fermavano ad asciugare le vesti sulla riva del fiume dopo una lunga corsa sul pelo dell'acqua.

Dopo una seconda, sgomenta occhiata, Hashirama provò ad auto convincersi che fosse stata la sua immaginazione od un gioco bizzarro di luci.

(Questo ovviamente non gli impedì di sostare di nuovo gli occhi su di lui, ancora più a lungo di quanto potesse essere considerato educato).

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