Dell'Oscuro e dell'Amore

di TRGG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 - Introduzione ***
Capitolo 2: *** 01 - Ninna nanna ***
Capitolo 3: *** 02 - Pietas ***
Capitolo 4: *** 03 - Un dono gradito [The Respect] ***
Capitolo 5: *** 04 - Il compito di Davan ***
Capitolo 6: *** * Introductio et rondò * ***
Capitolo 7: *** La notte di Natale ***



Capitolo 1
*** 00 - Introduzione ***


**Dell'Oscuro e dell'Amore**

**Dell'Oscuro e dell'Amore**

 

 

-Introduzione-

 

“Una sera fa, mentre mi godevo il meritato riposo, ho sognato di essere distesa accanto all' Oscuro, ed io pure avvertivo una profonda devozione, un affetto semplice e tormentato insieme, che mi portava a baciarlo teneramente sulla tempia, quando alzandosi, mi lasciava con delle strane ragazze vestite di nero. Un sogno meraviglioso.”

-da un post di Nimue-

 

Perché l'Oscuro Signore? Perché, fra la miriade di personaggi creati da J.K. Rowling, abbiamo scelto proprio Tom Riddle? Semplice, lo amiamo. Ognuna di noi coglie in lui una differente sfumatura, una sfaccettatura celata ad altri e cerca di comunicarla a chi ci circonda: v'è chi vede un mago crudele e v'è chi vede un uomo tormentato. In lui, uomo e mago si affrontano e combattono anche se in apparenza quest'ultimo ha la meglio. Ma è così? Non sappiamo molto di lui, ben poco della sua infanzia e fanciullezza, molto dell'ascesa e declino. Ma è descritto attraverso gli occhi dei suoi nemici e questo ci preclude la possibilità di indagare nell'oscurità del mago alla ricerca dell'uomo: un personaggio, a mio personale avviso, con un potenziale e uno spessore psicologico che va ben oltre il “Tu-Sai-Chi crudele, malvagio e temuto” e che per questo non riceve l'interesse che merita.

Anche i sentimenti umani hanno varie sfumature, e di certo l'amore non fa eccezione. Spesso s’intende per amore solo una parte di esso. Ma c'è l'amore puro d'innocenza e quello malato che trova soddisfazione nell'uccidere l'oggetto di tale sentimento. La devozione è una forma d'amore ed anche se si dice che l'amore è cieco, con il suo aiuto si vede in chi si ama ciò che altri non scorgono. Ma esiste anche l'amore di una madre augurante ogni bene e pronto a ogni sacrificio. L'amore filiale, spontaneo e ingenuo.

Di primo acchito le parole Voldemort e Amore messe insieme sembrerebbero un ossimoro, ma non è così e questo è lo scopo di questo progetto: confrontare l'uomo e il mago con questo sentimento e cercare di comprendere in che modo e in che misura l'amore abbia influenzato la sua vita. Ché questo sarà anche un viaggio nel tempo, dai primissimi istanti a poco tempo prima della battaglia finale.

Perché amare o non-amare l'Oscuro? Risponderemo a questa domanda con i racconti che vi accingete a leggere e cercheremo di essere convincenti, nella speranza che impariate ad amarlo anche voi.

 

A Mrs. Black, la nostra Fondatrice, con l'augurio di trovare la meritata felicità.

 

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Capitolo 2
*** 01 - Ninna nanna ***


**Dell'Oscuro e dell'Amore

*. Ninna Nanna .*

-Herentas Meridiae-

 

 

*Nia, nia, nia

oles e mane exù pedìa

pedìa ce kiatere

telun’ dota ciarma mene

 

Nana, nana, nana

dekatrìa na kami e mana

dekatrì massarie

ce to diome mian jana

 

Nedda, nedda, nedda

senza mai mu pai junnedda

mo léone e kristianì

tì senza mai mu pai junnì

 

Na, na, na

ce o pedìmmu mu petà

ce pai panu panu

ma’a puddhìa ta petenà

pai panu’s tin anghéra

m’a puddhia tis primavera

 

 

 

È difficile mantenere le note lunghe: il mio bambino preme sul diaframma e non riesco a prendere sufficiente fiato. Ma non importa perché lui -o lei- sembra aver apprezzato la mia ninna nanna: sento il suo piccolo cuoricino battere sotto le mie dita; lo sento muoversi dentro di me come per dimostrarmi il suo affetto figliare, la sua riconoscenza per la sua imminente venuta al mondo. Puntando appena i piedi sull'erba, mi lascio cullare dalla sedia a dondolo e guardo il cielo di questo giorno di fine Maggio, così chiaro e bello, circondata dalle mie rose. Sorrido ai miei pensieri e alle mie speranze di madre.

Sarò capace di crescere un figlio? Ho solo ventidue anni e sono la più piccola fra i miei cugini, non ho esperienza con i bambini. Ho la mia amica, certamente lei sa come fare, ma come farò quando lei non potrà venire da me? Questi dubbi mi assillano da quando ho saputo di aspettare un bambino. Sono sciocca, vero? Mammà dice che la mia è solo ansia e che, come in tutte le cose, ho solo bisogno di imparare.

Su una cosa sono sicura: la vita di mio figlio -o figlia- sarà diversa dalla mia. Ho avuto i bocconi migliori della tavola di mio padre; sono stata viziata e vezzeggiata da balie e tate; sono cresciuta nella bambagia ed ho avuto il meglio di quello che l'oro può comperare. Il mio bambino, invece, non potrà avere tutto questo: lo stipendio di mio marito ci permette appena di vivere in modo onorevole; e raramente un suo cliente paga degli extra. Però il mio bambino avrà qualcosa che io non ho avuto: due genitori amorevoli che gli vorranno un mondo di bene.

Io già lo amo, lo ho amato dal primo istante, dalla prima volta che lo ho sentito muoversi dentro di me. Dalla prima volta che ho condiviso un sogno con lui -o lei.

E sarà grande. Non so ancora se fra la gente di mio marito o la mia gente, ma il frutto del mio grembo sarà grande. Sento che sarà bellissimo -o bellissima; una perfetta armonia fra mio marito e me: spero che abbia i suoi occhi, sono di un verde così raro e bello! E di certo avrà la famigerata voglia della mia famiglia, nello stesso punto dove è la mia… mi chiedo cosa penserà mio marito quando la vedrà. Probabilmente che non ho avuto sufficienti pasticcini alla fragola. Tutti s’innamoreranno di lui –o lei- ed avrà stuoli di ammiratrici –o ammiratori: avrà il fascino misterioso della mia famiglia e la quieta bellezza di mio marito. La sua impulsività nel prendere le decisioni e il mio rigore nel fare le cose; la sua intelligenza e la mia intuizione. La calma e la passionalità che condividiamo. Sarà la perfezione.

Frequenterà la mia stessa scuola, su questo non c’è alcun dubbio, ed avrà una carriera scolastica invidiabile: studente modello, Prefect e infine Head Boy –o Girl. Ma gli –o le- lascerò seguire la sua strada, sarà lui –o lei- a decidere il suo futuro e mio marito ed io, i suoi genitori, saremo sempre al suo fianco con il nostro amore e il nostro sostegno: ma qualunque sia la sua scelta, sarà grande. Chissà, forse sarà il prossimo Ministro della Magia o il futuro Preside di Hogwarts! Oppure scoprirà un incantesimo o una pozione innovativa; si dedicherà all’Aritmanzia e risolverà equazioni che al giorno d’oggi sono impossibili. Oppure potrà decidere di seguire le orme del mio illustre antenato e diventare uno dei maghi –o streghe- più potenti del secolo: un uomo –o una donna- da guardare con ammirazione e da ergere a modello. O molto più semplicemente prenderà la stessa strada di mio marito e diventerà il più grande avvocato d’Inghilterra, e chissà, forse siederà financo nella Camera dei Comuni.

Scalcia dentro di me, come se volesse dirmi qualcosa: bacio la punta delle mie dita e sfioro il mio ventre pieno di vita e speranze con un sorriso amorevole. il mio bambino nascerà fra circa un mese, e quel giorno io… io dirò tutto a mio marito. Non sarebbe giusto far crescere questa creatura nella menzogna: deve crescere sapendo che suo padre è un Muggle e sua madre una strega. Sento qualcosa stringermi il cuore, come un presagio: e se Tom non ci accettasse per quello che siamo? Se lui me lo chiedesse, sarei disposta a rinunciare alla mia natura di strega pur di continuare ad avere al mio fianco le due persone che amo più di me stessa –il mio bambino e mio marito. E se, saputa la verità, lui mi lasciasse da sola? Se il suo amore fosse insufficiente? Sarei costretta a crescere questo bambino da sola, con l’aiuto di pochi fidati amici… il mio bambino scalcia di nuovo e sento il mio stomaco brontolare.

“Sembra che abbiamo fame… vero, tesoro della mamma?”

Appoggiandomi sui braccioli della sedia mi alzo e reggendo con una mano il mio grembo, vado in cucina a prepararmi un piccolo spuntino: il bambino si muove, come se la promessa di cibo lo rallegrasse. Sorrido a me stessa e lascio che l’acqua scorra sulle mie mani e sulla frutta: non importa cosa accadrà e non importa cosa ci riservi il futuro, la vita del mio bambino sarà colma d’amore.

 

 

 

*ninna nanna salentina

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Capitolo 3
*** 02 - Pietas ***


Pietas
-Nimue-


Gli Angeli, che vegliavano ai lati della pesante porta della Cappella della Santa Vergine, erano orrendi; più il bambino li fissava e più nella sua testa si rafforzava la convinzione che le creature digrignanti, poste su pilastri di marmo bianco, non avessero nulla a che spartire con il mondo celeste, quello che Padre Harold chiamava "Il Paradiso".
Erano statue di pietra fredda, scalfite dal terremoto che aveva squassato la cittadina cinque anni addietro, lo stesso anno nel quale era nato, rammentò il bimbo, ma si concentrò sulle pieghe ai lati di quelle bocche spalancate in qualche coro, tutt' altro che divino, e gli parvero dei ragazzini, come lui, certo ben più grassi, con un velo leggero che si posava sul "Sedere davanti", come lo definiva Suor Angela, ma erano due bambini, muscolosi, rugosi come dei vecchi e privi di anima, erano esseri ripugnanti e mostruosi.
Thomas si girò istintivamente, sentiva su di sé lo sguardo apatico di quegli scherzi della scultura, ma le grida gioiose dei compagni, radunati nel cortile, lo distrasse : alcuni di loro saltellavano in cerchio, stringendosi per mano, altri correvano come se avessero avuto il Diavolo alle costole, e ridevano, forse neppure capivano d' essere stati rifiutati dai genitori, di calpestare il suolo terreste perché le madri non avevano avuto il coraggio di strangolarli ed erano finiti in una voliera, in esposizione per quegli ipocriti che facevano loro visita.
Erano soggetti di pietà, e Thomas odiava esserlo, perché qualcosa nella sua anima urlava, scalciava per mostrargli la sua forza, la sua superiorità, persino a Padre Harold ed alle sue parole, perfino ai mostri che continuavano a spiarlo dalle loro colonne.
Gli Angeli, si disse Thomas, erano soavi, leggiadri, delicati come i fiori che i suoi compagni calpestavano, come la sua mamma, che era divenuta una di quei dolci individui, che nel cantare donavano la pace e i bei sogni ai vivi.

Katlin era entrata con la scusa di aver bisogno dei bagni, ma aveva scorto Riddle alla finestra, la sua banda di amici lo considerava un pazzo, sostenevano che parlasse con la mamma, morta di parto, che cantilenasse parole sconosciute e sibilanti, che la sua natura fosse malvagia, perciò tentavano di sottomerlo, ma essendo Thomas crudele, non s' era mai piegato.
Una sera Anthony, il più robusto fra i dodici, l' aveva trascinato giù dal letto, nel buio l' aveva colpito con una saponetta da bucato, rubata a Suor Cecilia, nella lavanderia, sulla pancia magra e tesa e sulle parti sconce.
" Un altro colpo e finiva nel vostro dormitorio, Kitty" aveva riso al mattino.
Katlin aveva sbuffato : " Sai che gioia finire in cella d' isolamento perché ti piace colpire dove non è... Da bravi cristiani !".
" Sì, ma doveva piacergli, perché non ha neppure urlato... Zitto, come una statua... Io comincio a perdere il gusto, perché non ha voglia di ribellarsi, di piangere, se ne sta fermo, come un pupazzo... Sai, credo davvero che sia strano" aveva ribattuto Anthony.
Era bizzarro che non cedesse, neppure quando gli avevano fatto assaporare le mutande sporche di Giles, che pur essendo abbastanza femmineo ed affabile nei modi, era solito fare una sorta di lago di pipì ogni santa notte.
Anthony e Fred avevano udito il piagnucolio di Giles, così gli avevano detto di finire l' opera in piedi, e di consegnargli poi gli slip.
" Perché ?" aveva chiesto Giles.
" Un prezzo da pagare, Giles, domani mattina, frate Karl noterà che il materasso è asciutto e non ti farà pulire la camerata" aveva detto Fred.
Thomas s' era trovato col naso tappato, neppure uno malvagio quanto lui sembrò resistere molto senza l' aria, spalancate le fauci, la stoffa impregnata di piscio era entrata gocciolante nel suo palato.
I due prodi avventurieri avevano ricevuto una magra soddisfazione, per cotale impresa : Thomas s' era assorto a fissare la finestra, mentre un raggio color miele colpiva il suo viso arrossato, lordo d' urina e di saliva.
" Uffa... Si fosse agitato un po'... In segno di rispetto" aveva borbottato Fred : " Insomma, pure uno strambo come Riddle non andrà a bersi la piscia di Giles, vero ?".
" Lo spero..." aveva concluso Kitty.
Thomas s' era limitato a sciacquarsi la bocca e lavarsi con cura i denti, al mattino.
I ragazzini le avevano provate proprio tutte, rischiando " Il giro di rosario" di Padre Harold, ma Riddle era inamovibile dal suo mutismo crudele.
" Non canta mai" aveva sentito dire a Suo Marie, che a teneva l' ordine durante la Messa.
Kitty non riusciva ad analizzare Thomas, era così distante da lei e dai dodici, incapace di divertirsi o di soffrire, e una volta s' era interrogata sulla provenienza di Riddle, che un padre pareva averlo, dato che elargiva una donazione annua al pio collegio e frate Benvoglio lo registrava con gaudio, ospitando il signor Riddle in un salotto dove era ammessi i futuri genitori di uno dei bambini.
Riddle, però, non desiderava Thomas con sé, e se Suor Rita avesse ragione nel sostenere che un uomo non è adatto ad educare un figlio, allora i soldi del signor Riddle potevano essere impiegati perché una balia lo istruisse da buon cristiano.
Il registro di frate Benvoglio non contava molte donazioni di parenti, il che significava che il signor Riddle era proprio entusiasta dello sbarazzarsi di Tom, ed la ragione era una : Thomas era strano.
Kitty immerse la manina neri riccioli scuri che teneva legati, la coda s' era disfatta durante i giochi pomeridiani, ma conosceva le regole e se fosse andata in Refettorio con i capelli sciolti avrebbe avuto tre colpi di verga.
" Ciao, Thomas, devi confessarti ?" domandò indifferente la piccola, avvicinandosi con cautela a lui.
Katlin era simile ad un felino : magra, scattante e precisa nei movimenti sempre aggraziati, dalle maniere deliziose di una gattina con le suore ed i preti, mentre sapeva ben graffiare, abbindolare e primeggiare sul gruppo di ragazzi ai suoi ordini.
Era carina, amata da Suor Rita, da frate Karl e da Padre Harold, la sua voce era gradita a Suor Marie, Kitty era una ruffiana, lo era per necessità, per sopravvivenza, per rischiare quanto bastava per mostrare ai compagni di poter fare le musa se giustamente ricompensata, perché era la sua indole a comandarlo, Katlin non s' era mai posta il problema. Non a 6 anni.
" Sì... Padre Harold m' ha ordinato di presentarmi" rispose Thomas, quasi irritato.
" Padre Harold ci fa confessare il Venerdì, non il Martedì" replicò Kitty.
" Io non ci posso far nulla" disse allora Thomas.
Kitty incrociò le braccia : " Sì, che puoi, entra, dì quattro cose a Padre Harold ed esci" ribatté piccata.
" Padre Harold chiede di più... Vuole che perdoni il mio papà" ammise Tom, e non la fissò, alzò gli occhi verdi ai due Angeli.
" Dì che lo perdoni...".
Il silenzio che seguì la sua dichiarazione, paralizzò Kitty, una paura sconosciuta, più profonda ed angosciante dell' essere frustata col rosario o bastonata, era terrore, quello che si nutre davanti ad un demone.
Gli occhi di Thomas assumevano un colore oscuro, dolente come il sangue che sgorga da una ferita, Kitty fece un balzò indietro.
" Dovrei perdonare il mostro che ha ucciso la mia mamma ?" urlò con una tale veemenza che persino le statue parvero vibrare, ripetere quella rabbiosa accusa.
Katlin tolse dalla propria testa quel rombo assordante e balbettò : " No... Tu devi... Farlo credere al prete" spiegò titubante.
Thomas le voltò le spalle : " Mai, neanche se fosse una bugia ! Io odio quel mostro, lo ucciderò e vedrò i veri angeli, non questi schifosi pezzi di pietra !" ribatté ansante.
Suor Rita chiuse la porta d' entrata con un tonfo, Kitty era uscita dal parco, ma si era accorta che non aveva alcuna intenzione d' andare al bagno, ma solo di parlare con il piccolo Riddle.
Era triste constatare che un uomo generoso come il signor Riddle avesse avuto un' erede contaminato dal Demonio, ma non sarebbe potuto essere diversamente, essendo il figlio di una schiava del Demonio, crudele ed ingannatrice.
Il buon Thomas Riddle desiderava che Tom restasse fra le quelle sante mura, forse nutriva speranze senza luce, eppure Suor Rita non desiderava deluderlo e lo rincuorava, assicurandogli che Tom sarebbe stato accudito e lo era.
" Thomas, come puoi parlare così davanti ad un luogo sacro e rinnegare la gloria degli Angeli ?" lo inquisì ferocemente, scansando Kitty e fissando il bimbo.
Era una donna alta, magra, costringeva il proprio corpo a privarsi del cibo, voleva che i suoi occhi bruciassero per le ore di veglia trascorse a pregare, implorava la misericordia divina, la venuta del Giudizio e della Vita Eterna, chiedeva a Dio d' accogliere tutti i suoi orfani, persino Thomas, di abbracciarli e dar loro amore e pietà.
La pietà guidò la sua mano, dalle dita adunche, ossute, sulla bocca di Thomas.
Kitty sentì una fitta al cuore : era diventata una traditrice !
Non importava che commissionasse le bravate di Anthony e Fred o che ritenesse Thomas strano, la prima ed inviolabile regola del collegio era non compromettere un compagno davanti alle sottane nere.
Era sconvolta della propria stoltezza e desiderava solo tirar fuori Thomas dai guai, per la propria coscienza, per la lealtà che non deve mai essere infranta fra compagni.
Scappò fuori, sapeva che Thomas non avrebbe ritirato le sue affermazione su quei blocchi di pietra, che avrebbe detto a Suor Rita di odiare il padre, così chiamò a sé Fred.
" Kitty, hai visto suor Cecilia spogliarsi ?" ridacchiò il ragazzino.
" No... Ho messo Riddle nei pasticci con Suor Rita" ammise in fretta Kitty.
Fred si passò una mano nei capelli ambrati : " O Cielo ! Come hai... ?
Hai bisogno di una mano ?
Sai bene che la colpa è tua, Kitty, queste regole sono più sacre delle scemenze di Padre Harold... Uffa... Ti uccideranno le compagne !" ribatté Fred.
Udirò uno schiocco, potente, sadico : il Rosario di Suor Rita sulla bocca di Thomas.
" Colpa mia !" pianse Kitty.
" Sì, Kitty" disse severamente Fred.
La bambina s' avvicinò alla porta, c' era uno strano silenzio, un pianto sommesso, una preghiera strozzata.
Kitty spinse l' uscio, non le mai parso così pesante.
Vide due figure, ammantate del nero imposto ad ogni buon cristiano.
Una era rigidamente in piedi, la seconda era inginocchiata al suolo, con le mani congiunte.
Kitty deglutì aria, procedette a piccoli passi, impaurita.
"Misere nobis, pietà... Miserere nobis !" cantilenava la voce.
Era un' immagine splendida ma agghiacciante quanto le immagini dell' Apocalisse : Thomas M. Riddle era sporco del sangue che scivolava dal mento, al grembiule, Suor Rita era a terra, il Rosario bianco, imbrattato di sangue volta verso gli Angeli di pietra.
Stava singhiozzando : " Pietà" e parole tronche.
Kitty non ne capì il motivo, sino a quando non notò l' acqua sul pavimento, due piccole chiazze bagnate. Alzò gli occhi, quelle orbite spalancate, di fredda pietra erano colme di pianto. Il pianto di un bambino senza più speranza.
" Sono le lacrime degli Angeli !" urlò Katlin.
Thomas fece un ghigno sarcastico e non proferì parola, in un certo senso, era vero, ma l' unico Angelo che di lui poteva piangere era sua madre.

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Capitolo 4
*** 03 - Un dono gradito [The Respect] ***


Un dono gradito ( The negress)

Un dono gradito ( The Respect)



La lama argentea affondò nel sangue della carne appena scottata sulle braci, il ragazzo se ne portò alle labbra un boccone, quasi svogliato.

“ Stiamo regredendo” esclamò d’ un tratto la voce glaciale e severa di Ares Ludwig Malfoy: “Saremo costretti a dividere l’ aria stessa con ignobili creature… Esseri che dovrebbero lustrarci le scarpe, non aspirare a rubarcele davanti al mondo intero”.

Thomas M. Riddle non prestò attenzione a quel proclama autorevole, ogni giorno v’ era un motivo plausibile per restringere la cerchia degli eletti, coloro che avrebbero beneficiato della mistica compagnia dei signori Ares e Lucie Malfoy.

“ Sbaglio o è una faccenda epidermica ?” lo sfidò Rigel Black, sorridendo complice, in una parentesi a loro dire “ludica”.

“ E’ una storia culturale lunga e tormentata, amico mio” sospirò tristemente Ares Malfoy : “Dove non v’è alcun tipo di pelle ad uscirne pulita”.

Riddle volse il capo verso il Prefetto Serpeverde e il rampollo dei Black; non aveva capito né a chi alludessero, né a cosa volessero approdare.

“ Se non vi disturbasse” iniziò Riddle con compita e beffarda cortesia : “ Potrei essere messo a parte di tale discussione ?”.

Black si limitò ad indicagli il tavolo Corvonero, ove regnava un educato cicaleccio di menti dotte, ormai lontane dall’ ignoranza che – erano persuasi – imperasse sul globo terreste.

Thomas M. Riddle scrutò dei ragazzi confutare tra loro, una bionda fanciulla, dalla radiosa bellezza sorseggiare educatamente dal calice, senza toccare cibo e poi, finalmente, individuò la pietra dello scandalo : Isoke Glenn, studentessa del quinto anno, originaria degli Stati Uniti d’ America.

Il giovane respirò l’ aria umida e scosse il capo, avrebbe voluto commentare che il distinto signor Malfoy, Prefetto Serpeverde dal sangue più puro d’ acqua che sgorga dalla montagna, faceva le medesime osservazioni volgari e superficiali d’ un minatore babbano ubriaco, ma tacque, egli stesso non nutriva grande simpatia per la signorina Glenn di Corvonero.

Isoke era la terza di ben otto pargoli sparsi nella metropoli di New York, e da quel che aveva udito Thomas M. Riddle, era la prima donna di colore a varcare l’ austero cancello di Hogwarts.

La stampa magica aveva accolto la notizia come un invito a nozze: i titoli sdegnati contro la serena e ben accolta, decisione del preside Dippet d’ istruire una negra erano fioccati come cristalli di ghiaccio alla vigilia di Natale.

Quando Isoke Glenn era stata smistata, Thomas M. Riddle, era prigioniero del pio Istituto per orfani, ma in quei due anni, la ragazza non aveva beneficiato della rassegnazione dei compagni e destava scalpore il suo ostinato orgoglio, le sue assurde pretese di mangiare allo stesso tavolo della contessina Von Tessel, e della duchessa Winsdor.

Isoke era la feccia del genere umano, un essere inferiore, perché discendente d’ una razza schiavizzata e mantenuta nella più cupa e crudele ignoranza, per secoli vessata dagli avi di chi tendeva ora una mano per attenta a non sporcarsi con il sudicio aspetto della realtà.

“ Io credo sia pericolosa” disse inconsapevolmente Thomas M. Riddle.

Rigel Black parve meravigliato : “ Perché lo pensi ?”.

Il Serpeverde non gli rispose, onde evitare nuovi e spossanti interrogatori.

Isoke Glenn doveva essere apparire arrogante e fiera delle proprie origini, perché unicamente così avrebbe ottenuto il suo scopo: vendicarsi della razza che l’ aveva resa una miserabile schiava, che poteva essere stuprata, uccisa e venduta, come una bambola di stoffa.

Era bella, Isoke Glenn, più della duchessa, con i suoi gioielli tintinnanti; Isoke s’ imponeva per la grazia innata dei suoi modi, il suo incedere fiero ma leggiadro, quasi sfiorasse appena il pavimento, senza provocare la sinfonia di tacchi tanto cara alle sue compagne; era alta, quasi quanto un ragazzo, ma le sue forme femminee erano sbocciate, floride ma fresche, innocenti e maliziose come il suo sguardo che non si chinava neppure agli insulti più osceni.

Rigel Black era certo che una negra non potesse essere pura, o meglio, la sua purezza non era paragonabile a quella delle fanciulle oneste, le donne nere erano abituate a concedersi con la forza o per denaro da tempi immemori, quindi era inutile sprecare tempo a domandarsi se Isoke Glenn arrecasse o meno disonore al Cosa di Rowena Ravenclaw, ella non era in grado d’ agire altrimenti: era nata con tale inclinazione nel suo stesso sangue.

Thomas M. Riddle l’ osservò masticare compostamente, le posate strette nelle dite scure, adornate da anelli sottili; la Prefetto l’ aveva ripresa a causa della lentezza con la quale mangiava, ma chiaramente era un semplice pretesto per umiliarla pubblicamente.

“ Hai saputo che la negra rischia di pulire le latrine sino al prossimo secolo ?” chiese Goyle, nel suo giornaliero sfoggio di stile.

“ E’ nell’ ordine delle cose” disse atono Ares Malfoy.

“ No, quella … Donna ha decisamente passato il segno !” s’ intromise Lucie, contraendo la mani in uno spasimo isterico : “ Ha consegnato un tema di Incantesimi copiato… La Glenn era stata inizialmente premiata con un voto alto, ma la verità è venuta a galla”.

“ Se fosse stata scaltra avrebbe sostituito alcuni avverbi ed aggettivi, e si sarebbe salvata, la stupidità va punita” replicò Thomas M. Riddle.

Lucie proseguì, incentivata dalla curiosità generale : “ La negra ha provato a sviare i sospetti, ma il professore non era uno sciocco: quando la contessina Von Tessel l’ ha accusata innanzi alla classe di averle rubato gli appunti, al fine di pavoneggiarsi con la sua gente, è stato chiaro come il Sole l’ inganno !”.

Ares annuì onnisciente : “ I Serpeverde non canteranno vittoria, poiché il docente non ha sottratto punti a Corvonero, ma posso essere d’ accordo: la negra è della sua gente, spero che vi torni.

Ha scempiato abbastanza la scuola e la magia con i suoi rituali da sciamano di una tribù di selvaggi” soggiunse.

“ Avrebbe dovuto accettare la proposta fattale dal preside” disse Rigel: “ Un piano di studi più leggero.

Noi siamo impossibilitati a comprendere la difficoltà che i negri affrontano nel leggere i comuni testi scolastici, nell’ imparare a scrivere come si conviene, nel sottostare alle regole basilari, a cui noi non badiamo neppure, la negra deve essere tesa per questi motivi”.

“ Non è incatenata al baldacchino, ci sono istituti a loro diretti” sbottò Lucie: “ Se la sua mente non è adatta alle discipline, perché ricorrere a mezzi così squallidi ?”.

“ Mia cara” spiegò pazientemente Black: “ Recenti rapporti condotti da scienziati e Guaritori di indiscusso valore hanno evidenziato come la popolazione in questione sia avvezza alla truffa al gioco d’ azzardo ed alla decadenza morale.

Ripeto : noi non possiamo giudicarli, dobbiamo comprenderli, non aspettarci che s’ adeguino alla nostra civiltà”.

I Malfoy assentirono con generosità.

Isoke Glenn terminò il pasto e se ne andò, nessuno le rivolse la parola, finsero di non accorgersi della sua inopportuna presenza, ma la spiavano ed Isoke non badava a loro.

Thomas M. Riddle sedette ad una scrivania, nella sala comune, il terzo anno era notevolmente impegnativo, il pomeriggio si perdeva nella sera, il Sole era già morto, quando egli aveva finito i compiti.

“ Riddle, prendi pure la mia mappa stellare” ordinò quieta Fides: “ Sono una pessima disegnatrice, ma i nomi dei pianeti sono giusti: Ally me li ha riferiti.

Intanto faccio una breve lettura al tuo scritto di Trasfigurazione”.

Thomas M. Riddle non s’ oppose ma gli parve strano, bizzarro, quasi infamante che la contessina Von Tessel avesse accusato Isoke Glenn di una pratica assai comune: tutti avevano preso appunti altrui, senza essere sbugiardati in pubblico.

Era spontaneo quanto coricarsi la sera, quanto nascondere i dolci perché non venissero presi da altri. Era una regola non scritta.

Isoke Glenn era una ragazza solitaria e discreta, non l’ aveva mai sorpresa con una compagna, al massimo i Prefetti la riconducevano alla loro ala con aspre parole, null’ altro.

Era accusata di emanare afrori dalla sua epidermide, benché si lavasse ogni giorni, era costretta a nascondere i capelli crespi in una crocchia, perché erano considerati volgari ed antiestetici.

I maghi avevano le scialbe paternali dei babbani, delle suore che parlavano dei pagani, di coloro che scacciano chi non è stato generato da cosa conoscevano e stimavamo.

I babbani stimavano se stessi, i cristiani veneravano la loro pudicizia, i maghi come Malfoy la propria stirpe ed Isoke Glenn era la brezza di una nuova Era, dei riti pagani, della consapevolezza che oltre la ragione, oltre la magia, ognuno era degno di palesare l’ anima che era un volto dell’ universo : Isoke Glenn non era una negra sciocca ed inferiore; era una ragazza differente dalla contessina Von Tessel.

Thomas M. Riddle non avrebbe saputo spiegare la ragione per la quale avvertiva affinità tra la condizione della negra e la sua: un Serpeverde orfano.

Il giovane si perse in altri pensieri, il test di Trasfigurazione lo coinvolse in altre angosce, restò alzato sino a notte tarda, con la compagnia di Black che voleva scrivere una lettera al padre, s’ alzò all’ alba, ansioso di portare a termine il compito e non ricordò Isoke Glenn sino a quando non la vide.

Cammina a testa alta verso l’ aula d’ Incantesimi, i libri stretti al petto, i polsini della camicetta ben stirati, la mantellina che frusciava piacevolmente contro la parete.

“ Ecco, la negra” disse disgustato Goyle.

Thomas M. Riddle si girò, impacciato perché era come se fosse stato additato ancora una volta da quei pettegoli maghi pieni di boria.

Isoke Glenn non guardava niente, seria e fiera, conscia di non doversi vergognare, anzi di avere la verità tra le mani, fra quei libri che studiava, nella sua coscienza che le imponeva di non abbassarsi ai livelli della contessina Von Tessel.

Thomas M. Riddle lo sapeva.

Una pergamena sigillata scivolò sul pavimento di marmo, un tonfo morbido, seguito da una lieve corsa del rotolo sigillato da ceralacca.

Thomas M. Riddle si inginocchiò, afferrò la sottile cartapecora e si rialzò.

“ Signorina, mi perdoni, ma ha perduto questo” la chiamò gentilmente egli.

Isoke s’ accigliò perplessa, quasi confusa e spaventata che il Serpeverde cercasse d’ umiliarla, ma il ragazzo tendeva gentilmente il rotolo chiuso.

“ Grazie” sussurrò prendendo l’ oggetto.

“ Prego, buongiorno signorina” si congedò Thomas M. Riddle con un cenno del capo.

 

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Capitolo 5
*** 04 - Il compito di Davan ***


Il compito di Davan
-Nimue-

Era una gelida Domenica di Gennaio, la prima che trascorrevo a Hogwarts a seguito delle vacanze natalizie e la malinconia, che temevo di provare, era un leggero velo, che si posava fra me e ciò che scrutavo.
Le fiamme crepitavano vivacemente in quella sorta di galleria di pietra, talvolta sembravano voler uscire dalla cornice del camino, per lambire il tappeto sul quale egli e due, fra i suoi più fidati amici, appoggiavano le scarpe nere, così lucide da riflettere i bagliori dorati.
L’ aria fredda, che penetrava dagli infissi delle scarse finestre, aveva convinto molte ragazze a rintanarsi nei baldacchini, così da chiacchierare di fidanzati e vestiti da ballo senza dover portare la mantellina di lana.
Io attendevo la merenda, con una certa ansia, ad essere sincera, e avvolta la sciarpa al collo, brandivo la lunga piuma rossa, fra le dita un po’ intirizzite; chi, distrattamente, si fosse interrogato sulla mia presenza, n’avrebbe concluso che vergavo il consueto tema di Storia della Magia, ma sentivo che non era una visione menzognera, che attraverso metodi poco ortodossi, seguendo una logica assurda, io compivo il mio dovere, tracciando linee armoniosamente decide, al posto di sterili parole.
Max aveva scherzato, sostenendo che utilizzavo una penna strappata dalla coda d’una Fenice, o meglio, Max aveva citato un’altra parte anatomica della creatura magica, con la sua voce baritonale, ed egli, il CapoScuola, l’ aveva ammonito sulla volgarità del termine, sbraitato nella Sala Grande all’ora di pranzo; Max aveva annuito, salvo poi riprendere a ridere.
Io, invece, avevo provato un’ emozione pungente allo stomaco, e mi sarei ingozzata con una delle cosce di pollo che avevo posato sul piatto, ma Nicole mi aveva dato una pacca sulla schiena, ed io avevo tossito.
Egli m’ aveva notato allora, credo : “ Esistono dei graziosi utensili argentati, di foggia curiosa, accanto a lei, signorina” aveva detto in un tono causticamente disgustato : “ Le saremmo grati, se li usasse al posto delle mani per portarsi il cibo alla bocca”.
Rimasi inebetita dalla sua sottile crudeltà, avevo posato l’ osso alacremente spolpato, ed non ero riuscita a chinare la testa, in segno di remissione, perché ero troppo stupita dalle reciproche reazioni perché riuscissi anche solo a balbettare delle scuse.
“ Se aguzzasse la vista, inoltre” aveva ripreso quieto e severo : “ Potrebbe notare un triangolo di stoffa bianca, con lo Stemma della nostra amata Casa, è denominato * Tovagliolo*, taluni lo usano per detergersi la bocca, od il mento insozzati dagli intingoli delle portate, inutile aggiungere che saremmo invasi da gaudio se mai lo considerasse per la propria pulizia, signorina”.
La pubblica umiliazione era conclusa, tra lo sdegno di Nicole e la vergogna, che m’ imporporava il viso.
Non ero stata cresciuta in un porcile, fra gente rozza, ignorante e priva di dignità, ero una ragazza che portava il nome di una Casata antica ed agiata.
Mia madre era una meravigliosa Regina di Ghiaccio, i suoi occhi verdi non erano mai ombreggiati da sensazioni, erano semplici gemme, la sua pelle lattea resa perfetta dalla cipria babbana che ne copriva le efelidi. Ella non mangiava più d’ una volta al giorno, sminuzzava persino i dolci in minuscoli pezzi che si portava alla bocca carnosa e rosata come un giglio, la dischiudeva appena per masticare compostamente, annoiata da quella prassi odiosa che le garantiva la sopravvivenza.
Quando nacqui sperò che fossi simile a lei, con il suo stile raffinato, la sua figura alta e regale, con la sua medesima aridità emotiva, ma la delusi, poiché era una rozza irlandese, volgare come lo era mio padre, e ciò non mi fu mai perdonato dalla Regina di Ghiaccio.
Io, Davan Cathrine O’ Ryan, a 15 anni sfoggiavo un volto rubicondo, tondo quanto una mela, paffuto sulle gote rosate, coperto da lentiggini sul naso all’ insù, un po’ stretto, e sotto l’ ombra delle ciglia castane; gli occhi erano del colore delle nocciole mature, che si sgranavano con facilità, che tradivano ogni mio sentimento. Ero piuttosto piccola, d’ altezza, in compenso il mio seno era rigoglioso, tanto da farmi indossare le camicette delle studentesse del settimo anno, ed i fianchi erano larghi, mia nonna mi aveva lodato dicendo che : “ Avrei potuto partorire sei gemelli, come un cane da caccia”.
Ero la dea dell’ abbondanza, una Venere primitiva, ripeteva Nicole, al fine di sollevare la mia autostima dalla suola, sotto la quale era calpestata.
La mia amica si prodigava nell’ esaltare i miei lati positivi, appesantiti dai lauti pasti : tenevo la cintura stretta, per evidenziare il punto vita, le camicie erano rigonfie per dissimulare il ventre, infine mi acconciava i capelli in una coda, da cui sfuggivano due boccoli naturali : “ A snellire il viso” a parere di Nicole.
Era strano che, nello specchio, vedessi un barilotto di birra con due cavatappi ai lati.
Non avevo neppure il diritto di definirmi “obesa”, di far ridere gli altri, di far passare l’ appetito : ero una golosa, e la comparsa del mio ciclo lunare non aveva risolto il problema, se non rendendo il petto quasi incontenibile.
Certo, non mi comportavo come una maestra di bon ton ad una banale cena, ma Nicole sosteneva che una “signorina” lo è in qualsiasi situazione e Thomas Riddle doveva pensarla come lei.
Era un giovane dall’ educazione squisita e glaciale; la sua era una voce da uomo, priva d’ inflessioni dialettali, pacata, ferma, autoritaria ed implacabile come il colpo d’ una frusta, le labbra si muovevano appena, sorrideva raramente, con amarezza o sarcastico distacco, seppi che si radeva ogni mattina, pur avendo diciassette anni.
La sua divisa era impeccabile, la sua condotta perfetta, ma Thomas cercava la solitudine, rifiutando anche le feste private dei rampolli più ricchi ed affascinanti di Hogwarts, passando le sue serate fra i libri, era un bizzarro comportamento per un orfano Mezzosangue.
Era già assurdo che fra noi, Serpeverde, fosse arrivato un Mezzosangue, cresciuto da religiosi, che aveva le movenze di un principe nel proprio palazzo, ed era per questo che destava ammirazione, desiderio e rabbia, fra i ragazzi e le ragazze della Casa.
Presi l’ abitudine d’ osservarlo, da quella sera, non m’ importava che mi vedesse o meno, non ero l’ unica a seguirlo con lo sguardo adorante, anche se cercavo di essere discreta.
Thomas era in Sala Comune a controllare i suoi scritti e le divise delle matricole, quando io sostavo in pigiama nel letto, indecisa se scaraventarmi sotto la doccia o fingere un malore.
In Sala Grande, sorseggiava una tazza di caffè nero, con un pizzico di zucchero, era una parentesi piacevole, dato che ostentava calma, rilassando la schiena sulla sedia, non sfiorava i dolciumi, però, io adornavo la mia cioccolata calda con panna, la spolveravo di cacao e prendevo due brioches alla crema.
Finito di consumare la sua colazione, Thomas non s’ alzava : con le braccia incrociate, o le mani sulla tovaglia, restava, silenzioso, rifletteva, sembrava che nessuno riuscisse a distarlo, ma era attento, pronto a rimproverare uno studente che violava le regole.
Thomas era presente, sveglio, eppure lontano da noi, dalla scuola.
Nicole disse che fosse solito sedurre delle ragazze e poi le lasciasse, senza curarsi della loro reputazione e della loro sofferenza; era indifferente a qualunque supplica e sosteneva che le sue amanti : “ Desideravano quello che lui offriva loro”, così, pareva avesse confidato a Corrad Malfoy.
Io sognavo un’ ora di passione con lui, non potevo negarlo, dargli il mio trasporto emotivo, il mio corpo, anche a costo d’ essere disprezzata da tutta Hogwarts, Elfi Domestici inclusi, a costo d’ essere picchiata con il guanto di ferro di mio padre e d’ essere ripudiata da mia madre.
Io, ero la paradia di una donna, di una Serpeverde come Nicole, sottile come un capello, bionda come sulla cute le crescessero fili d’ oro, la cui femminilità era nella voce acuta, nei modi aggraziati.
Nicole era adatta alla bellezza, al carisma di Thomas, io potevo solo ambire che la mantellina oscurasse il mio tozzo sembiante, che neppure un ergastolano di Azkban avrebbe sfiorato.

Era una gelida Domenica di Gennaio, ed io imprimevo il viso di Thomas M. Riddle nella sua cinica, tenera e severa beltà sulla pergamena.
Il suo sorriso era tagliente, ammaliante, seducente, il suo fisico prestante, facevo del mio meglio per rendergli giustizia.
“ Una tazza di tè, miei fedeli ?” chiese Thomas, al solito distratto, poco interessato ai discorsi dei compagni.
Corrad Malfoy scattò in piedi : “ Sì, staranno servendo la merenda, vado a rinfrescarmi il viso, Goyle accompagnami” rispose il ragazzo, allacciando la cravatta.
I due s’ eclissarono ed io fui con lui. Soli.
Le guance subitamente cambiarono ogni tinta che l’ epidermide potesse assumere, avrei dovuto fuggire, ma stavo terminando il ritratto.
“ Davan… Sei qui “ cinguettò Nicole : “ Ho incrociato Corrad, era sicuro ti saresti scaraventata in Sala Grande, ti prego, Davy, aspettami e scendiamo insieme”.
Nicole scomparve nei Dormitori dopo l’ aver rinfrescato il concetto che sarei stata capace di sbranare un Ippogriffo vivo.
L’ imbarazzo rischiava di farmi scoppiare in lacrime, perciò, raccolsi i libri, china sulla scrivania e posai la piuma.
Presi la fiala d’ inchiostro nero, avendo tra le mani anche una cartellina di cuoio rosso ed, ovviamente, come esigeva il mio modo d’ essere, la bottiglietta cadde.
La tovaglia si impregnò di liquido, restai immobile ad osservare la macchia allargarsi.
Era come se il mio cuore fosse trafitto da quelle schegge di vetro.
Thomas prese i tomi, li poggiò sul divano, fece lo stesso con le pergamene che non guardò, in un voluto gesto di rispetto.
Reparo !” ordinò brusco, e l’ ampolla si materializzò fra le sue dita.
Tremai un attimo, il ragazzo puntò la bacchetta : “ Accio Inchiostro !”.
Tese la boccetta : “ Non è cosa grave… Davan” disse Thomas.
“ Sono molto impacciata… Lei me l’ ha fatto notare” riuscii a bisbigliare, con un singhiozzo trattenuto.
“ Avrei dovuto permettere che i Grifoni si facessero beffe di noi ?
Ho delle priorità, un compito, tutti noi l’ abbiamo, questo non significa che si odi chi si rimprovera o punisce” spiegò con la pacatezza dell’ insegnante di Trasfigurazione.
“ Si condanna il peccato e non il peccatore” ironizzai, così come m’ era spontaneo fare.
“ Oh… Non sono salito al Soglio di Pietro, Davan, chiamami per nome, Corrad ripete che ti faccio paura… Si sbaglia, hai uno sguardo particolare, di qualcuno che fa il suo dovere, ma che si diverte” rispose in tono cordiale.
Presi l’ inchiostro : “ Grazie” dissi piano.
“ Di nulla, è gradevole essere galante con le donne, nevvero ?” scherzò Thomas.
“ E con me ?” lo provocai con tristezza furiosa.
Thomas fece un cenno di stizza : “ Davan, sii meno infantile… Un certo Black ti ha messo gli occhi addosso, pare, sa come so io che… Sarai una donna bella e quel che conta, intelligente”.
Mi congedai, ero di spalle quando udii la voce : “ Hai una bocca meravigliosa, davvero sensuale, Davan, buona serata” disse Thomas M. Riddle.

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Capitolo 6
*** * Introductio et rondò * ***


* Introductio et rondò *
- Herentas Meridiae-

Il mio nome è Erzsèbet Bathory, ma per molti anni fui conosciuta come Madame Chrysanthéme: non so perché mi chiamassero in quel modo, forse per la spregiudicatezza che mi accomuna alla mia omonona letteraria. Mio padre, Oscar Bathory, erede di un’importantissima famiglia di maghi, nella prima decade del nuovo secolo aveva sposato mia madre, Anna Nàdasdy: ancora non ho capito come ciò possa esser accaduto, dopotutto solo un Hufflepuff Mudblood –che sono le creature più stupide di questo mondo- potrebbe fare la pazzia di sposare un vampiro. Da questo matrimonio nascemmo io e mia sorella Marita, e c’è da ricordare che eravamo diametralmente opposte: in me il sangue vampiresco scorre copioso, e solo una certa tolleranza ai raggi del sole mi differenzia dai miei parenti materni; mentre in mia sorella la natura umana era molto più forte.
A causa di questo e di alcune “divergenze” con la mia famiglia, fui costretta ad andarmene di casa l’inverno seguente il mio diploma: è difficile dire cosa feci nei primi mesi, ricordo solo che avevo fame. Fame di sangue. La soluzione al mio problema si presentò quando mi ritrovai una sgualdrina Muggle fra le mani: in cambio della sua vita mi propose, tutta tremante e piangente, un affare che mi avrebbe assicurato un tetto sulla testa e sangue fresco tutte le volte che volevo: accettai ed aprimmo un bordello a Londra. In meno di dieci mesi non solo eravamo riuscite a pagare il debito, ma grazie ai miei incantesimi e alle mie pozioni il nostro locale era diventato il più rinomato. Luise –questo il nome della Muggle- faceva sì che solo i nostri clienti più importanti potessero avere un “incontro” con me, e quando avevo fame mi bastava affacciarmi alla balaustra e scegliere il mio “spuntino”.

La prima cosa che ricordo di quella fatidica sera di Luglio è lo specchio della mia camera, dove erano riflessi un cliente steso nel letto e la mia immagine -altro vantaggio di avere metà sangue umano. Mi alzai e raccolsi con un dito l’ultima goccia di sangue che colava dalla ferita.
“ Non sei stato male, ” bisbigliai leccandomi il dito, “ ma mi hai lasciata insoddisfatta.”
Avevo ancora fame, così mi avvolsi in una vestaglia di seta rosso scuro, uscii dalla mia stanza e mi affacciai alla balaustra, da cui godevo la migliore vista sul salone: i clienti sedevano su divani di seta bevendo champagne, fumando sigari e con una mulatta sulle ginocchia oppure ballavano un tango con una bionda; altri salivano con una bruna e mi salutavano con volgari apprezzamenti. Io restavo nell’ombra, ricambiando il saluto con l’apatia che avevo sviluppato nei confronti di quel genere d’uomo; e intanto guardavo, cercavo con lo sguardo chi avrebbe avuto l’onore di soddisfare il mio desiderio.
“ Non mi aspettavo di vederti a quest’ora, di solito ci metti più tempo.”
Sbuffai, non degnando di uno sguardo la Muggle. “ Ho ancora fame.”
“ L’Earl di *** ha chiesto di te, vorrebbe vederti questa sera.”
“ Ho ancora fame, stupida Muggle; o devo ripeterlo un’altra volta?” Dissi con rabbia sottile scoprendo i canini.
La Muggle indietreggiò di un passo, bianca come un fantasma, e balbettò.“ Ah, io... cioè, volevo solo... vicino al palco, sulla destra, ci sono quei ragazzi che ci hanno ridipinto il salone... hanno portato anche degli amici! Ho sentito dire che sono stati cresciuti dalle suore dell’Istituto del Monte Calvario... nessuno farà domande se uno di loro... ma prima vai almeno a salutare l’Earl...”
“ Quale tavolo?” chiesi incuriosita e affamata, “ non li vedo.”
Con la mano tremante m’indicò un tavolo particolarmente chiassoso: erano sei o sette ragazzi, fra i diciotto e i venti anni e dall’aspetto sano e robusto, decisamente appetitosi. Senza dire altro scesi nel salone, attorniata dagli sguardi ammiranti dei clienti e quelli timorosi e riverenti delle ragazze; mi fermai con il cliente che aveva chiesto di me per una parola e quindi con una scusa mi congedai; raggiunsi il tavolo già pregustando l’imminente pasto e guardandoli per scegliere il più succulento.
Fu allora che lo incontrai. Se ne stava discosto dagli altri, seduto nell’ombra, e guardava i suoi compagni e le ragazze dissimulando il suo disprezzo e disgusto: era bello, di quella bellezza magnifica e terribile di cui ben pochi possono vantarsi; tutto in lui, dai lineamenti alla postura, parlava di innata eleganza e raffinatezza; altero e regale nonostante gli indumenti non proprio nuovi. I nostri sguardi s’incrociarono per un istante ed io fui soggiogata dal suo fascino e dall’improvvisa consapevolezza di trovarmi alla presenza non di un comunissimo ragazzino, ma di un mago fuori dal comune: quel ragazzo mi aveva turbata e mi aveva fatto dimenticare la mia fame. Li raggiunsi e da brava maitresse chiesi il loro nomi, se gradivano il trattamento, quali fossero i loro gusti... e mentre davo loro corda, lo guardavo con la coda dell’occhio notando che il suo aspetto era familiare.
“ E tu, mio caro, come ti chiami?”
“ Thomas Marvolo Riddle.” Mi rispose dopo un po’ storcendo la bocca, come se avesse ingoiato qualcosa di disgustoso. Avevo già sentito quel nome, durante un Sorteggio forse, così sedetti accanto a lui e chiesi ancora inclinando la testa voluttuosamente.
“ A quale Casa appartieni?”
Mi guardò silenzioso, unico segno del suo stupore un nero sopracciglio inarcato seguito da un’improvvisa epifania. “ Slytherin, Madame Chrysanthéme. E voi?”
“ Toh, allora non ti spiacerà bere qualcosa con una vecchia compagna di Casa.” E dicendo questo lo presi per mano e lo condussi nella mia stanza.
“ Qual è il vostro nome? Non ricordo alcuna strega che si facesse chiamare come la protagonista di un romanzo francese.”
“ Diciamo che è un nome d’arte; in realtà mi chiamo Erzsèbet Bathory.”
“ Ah, la mezza vampira: questo spiegherebbe la presenza di una Pureblood in un bordello Muggle.”
“ Sono così ovvia?” dissi facendolo accomodare e indicai col naso il letto, “Spero non ti disturbi.”
Lui guardò il cadavere con indifferenza e scotendo la testa sedette su una poltrona e bevemmo del fire whisky brindando all’onore della nostra Casa.
“ Sapete, m’incuriosisce la presenza di una strega del vostro stato sociale in un posto come questo, Madame.”
“ Diamoci del tu e chiamami solo Erzsèbet, Thomas: mi fai sentire una vecchia di duecento anni quando ne ho solo tre più di te.”
“ Ed io ti prego di non chiamarmi in quel modo, mi ricorda... chiamami Lord Voldemort.”
Risi a quella richiesta assurda: aveva un viso troppo bello per un nome tanto brutto; e glielo dissi. “ Ti chiamerò con il tuo secondo nome, Marvolo. No, anzi, Malvolo ossia ‘voglio male’: spero che non ti crei problemi.”
“ Non dovrebbe essere malo? Comunque dimmi, Erzsèbet, come hai fatto a finire in questo buco?”
Ci scambiammo uno sguardo intenso e poi sorrisi stiracchiandomi voluttuosamente. “ Semplicemente un giorno litigai con mio padre, volavano parole grosse, siamo venuti alle mani e lo morsi ‘accidentalmente’: quell’arpia della mia matrigna tanto strepitò che dopo due ore ero in strada con solo la mia bacchetta e qualche vestito.”
“ Gea, Demetra e Persefone: una parricida! Non puoi immaginare quanto mi piacerebbe farlo...”
“ Cosa? Andartene di casa?”
“ No, uccidere mio padre, ma non so dove sia quel figlio di...”
E a quelle parole i suoi occhi e il suo sembiante mutarono, mostrando una rabbia e un astio che invocavano vendetta e sangue; ed io mi sentii bruciare da quei sentimenti, sentimenti che alimentarono in me quel fuoco che solo la carne può domare. Mi trattenni, e solo gli Dei sanno come ci riuscii; inclinai il busto in avanti, i nostri occhi allo stesso livello, e gli presi una mano.
“ Suppongo che tuo padre sia un Muggle e che tu non vada molto d’accordo con lui.”
Chinò la testa arrossendo, forse per rabbia o per imbarazzo, e ritirò la mano: mi sembrò tanto tenero e innocente in quel momento che non potei fare a meno di cedere alla mia lussuria. Non ho mai saputo se quella fosse la sua prima volta, ma o aveva esperienza oppure un gran talento. E sentirlo muoversi dentro di me, stringere il suo corpo caldo e trasudante, la sensazione delle sue mani e dei suoi baci sulla mia pelle e l’ardore e la foga istintiva che permeavano i nostri movimenti mi diedero un piacere che non avevo provato –e mai provai- con chiunque altro. Crollammo esausti, l’uno fra le braccia dell’altro, fra le lenzuola grondanti di umori e incuranti del cadavere che ci fissava con occhi vitrei e senza vita.
“ Torna, Malvolo, torna quando vuoi: a qualunque ora del giorno e della notte; Appari in camera mia, se vuoi.”
Con queste parole e con un bacio affamato lo congedai da me.

 

Mi veniva a trovare spesso; a volte mi trovava sola ed altre con un cliente: lui rimaneva fermo nell’ombra e attendeva che le mie pozioni avessero effetto. Parlavamo a lungo, senza remore, e fu durante quelle conversazioni che lui mi rivelò i suoi progetti per il futuro, all’epoca ancora incerti e non ben definiti: era il nostro argomento preferito e vedevamo il suo progetto prendere forma e consistenza ogni giorno che passava. Lo aiutai in tutti i modi, dandogli agganci, indicandogli in quali famiglie avrebbe trovato chi fosse disposto a seguirlo; presi per lui libri sulle Arti Oscure e feci in modo che potesse impratichirsi con le Imperdonabili: posso dire, e non senza una punta di orgoglio, di esser stata la sua prima seguace, almeno nei fatti. Poi un giorno fui io ad andare da lui: avevo una cosa importante da dirgli, una cosa che lo avrebbe reso molto felice. L’estate volgeva al termine e l’aria si faceva fresca; non dimenticherò la faccia che fece la suora che mi aprì la porta, ancora oggi mi viene da ridere. Lo aspettai nell’ingresso, infastidita dall’ambiente misero e dagli sguardi di bambini che spiavano da dietro le porte; quando arrivò mi salutò e mi offrì il braccio ed insieme andammo in un parco vicino.
“ Perché ti ostini a stare in questo tugurio? Sappiamo entrambi che non è posto per te.” Dissi altera.
L ui sospirò e scosse la testa. “ Non ho abbastanza galeoni per affittare una stanza e non posso toccare il lascito di mia madre prima dei ventuno anni.”
“ Ah, capisco. Ma perché non me lo hai detto prima?” ripresi con leggera stizza, “ Ora che lo sa, la tua Erzsèbet ti troverà un posto dove stare, un posto come si deve.”
“ Ma...”
“ Niente ma, o mi arrabbio e ti mordo.” Ci fermammo presso uno stagno e dopo esserci assicurati che non ci fosse nessuno gli indicai una panchina. “ Siediti, non voglio che tu svenga.”
Si sedette con un sospiro e, incrociate le braccia sul petto, mi guardò fisso, cercando di nascondere la sua curiosità. “ Allora, che cosa hai da dirmi?”
Risi un po’ stupidamente e dissi: “ So dove si trova...” E tacqui un secondo e ripresi allegramente, “ quel gran simpaticone del tuo paparino!”
Mi guardò colmo di stupore e maraviglia, letteralmente senza parole: boccheggiò per un po’, poi esclamò: “ Come? Quando?”
“ Giusto ieri sera: è venuto con degli amici o dei colleghi, così da perfetta padrona di casa mi sono informata sul suo conto.” Presi dalla borsa un pezzo di pergamena. “ Thomas Riddle, nato a Little Hangleton dove ancora risiedono i genitori, è avvocato e lavora per uno studio della City; un paio di anni fa si è separato da una certa Catherin Morris. Purtroppo non sono riuscita a sapere il suo indirizzo, ma ho sentito che la prossima settimana sarebbe andato dai suoi genitori e che non tornerà a Londra prima di metà Settembre.”
Chinò lo sguardo, tutto immerso nei suoi pensieri e dopo aver meditato a lungo mormorò: “ Potrei... potrei Apparire a Little Hangleton, trovare la casa e poi...”
“ Più facile di così non poteva essere!”
Si alzò e mi sollevò afferrandomi per la vita, baciandomi con passione e trasporto: se qualcuno lo avesse visto da una certa distanza, lo avrebbe preso per un giovane marito cui la sposa aveva annunciato di attendere un figlio. E quella stessa passione, quel trasporto del bacio mattutino li ritrovai quella sera, e le sere seguenti nei nostri amplessi. Il suo “battesimo di sangue” fu in quei giorni l’argomento delle nostre conversazioni: facevamo e disfacevamo progetti su progetti e finalmente giunse il giorno prestabilito: andò solo, dopotutto era una faccenda privata; io rimasi in trepidante attesa per tutto il pomeriggio e la sera. Tornò che era quasi mezzanotte, fradicio e tremante come un pulcino bagnato.
“ La prima volta è sempre così, ma vedrai che poi ti ci abituerai.” Gli dissi porgendogli un bicchiere colmo di liquore per dargli forza e lui bevve tutto d’un fiato.
Lo tirai a me, conscia del fatto che lui fosse ancora scosso: forse quella volta approfittai di lui, ma non mi ha mai rinfacciato nulla e forse era più lucido di quanto sembrasse. Fatto sta che poche ore più tardi era tornato quello di prima, anzi, più duro e freddo, ben temprato dall’esperienza appena vissuta.
In tutti questi anni sono rimasta accanto a lui, compagna fedele dal pronto consiglio ma davanti allo sfiorire della sua giovinezza, il mio ardore iniziale si è stemperato in qualcosa di più simile all’amicizia; ho visto altre donne condividere il letto con lui, spinte dalla propria volontà o dalla sua violenza, ma nessuna ha mai preso il mio posto: loro sono state possedute da lui ed io, sola, lo ho posseduto.

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Capitolo 7
*** La notte di Natale ***


* La notte di Natale *
– Nimue -

Il giovane passeggiava annoiato tra la folla, non erano rari gli spintoni di passanti che parevano fuggire da un pericolo mortale, spronati dai colpi di frusta di un padrone ingrato, e questo, inizialmente lo aveva irritato, ma adesso, era diverte osservare il volti tesi, le nuvole di aria che circondavano ovali buffi, arrossati dal gelo e dalla fretta.
Un giorno, nella solitudine della Biblioteca, aveva letto una favola, che narrava la punizione di un tizio che odiava il Natale, ma non era il suo caso : era, semplicemente, sciocco affannarsi ad ammassare regali e biglietti grondanti di luoghi comuni, in un giorno, il 25 Dicembre, che aveva distrutto la ragione di essere, ovvero la nascita del Cristo, per diventare la più chiassosa corsa agli affari dell’ anno.
Era uscito allo scopo di sentire la neve crepitare sotto le scarpe, come le scintille di un legno in fiamme, di respirare aria fresca, tanto da ghiacciargli i polmoni, e scordare la desolante povertà del suo momentaneo alloggio; presto avrebbe avuto soldi, potere e il mondo ai suoi ordini, ma nell’ attesa doveva accontentarsi di un monolocale, scarsamente illuminato, che aveva il vago odore di stantio.
Osservò la vetrina di un locale discretamente elegante, soppesò l’idea di sorseggiare una tazza di tè, di sentire il calore del liquidi scivolargli nel corpo, quando notò un riflesso, un’ immagine dai colori indistinti, che immobile, leggeva una pergamena dorata.
Era una ragazza, giovanissima, avvolta in un cappotto di lana, che rasentava il suolo, blu, come il fondale dell’ oceano, e le sue dita erano congestionate, eppure la pelle era levigata e chiara come porcellana, le unghie acuminate, come artigli di una gatta, e i capelli, erano ciocche lisce, lunghe sino alla schiena, di un biondo cenere, stranamente luminoso, il suo era un incarnato pallido, in cui brillavano due gemme di smeraldo, e la bocca, dalle labbra rosate, teneva i guanti tra i dentini, bianchi e graziosi come perle di una collana.
Egli si girò lentamente, e la fanciulla fu a pochi passi da lui, assorta nella lista dei doni, era graziosa, forse non la più bella, ma in quel pomeriggio, che si tingeva del rosso del tramonto, gli parve un simpatico diversivo.
Sorrise sarcastico, aveva trascorso un anno difficile, doloroso, uno svago, alla vigilia di Natale, un piccolo omaggio, della Natura, era ben accetto, pensò, iniziò a scrutare meglio la ragazzina, poteva avere 16 anni, ed essere una Mezzosangue, ma sembrava pura, e a cavallo donato non si guarda in bocca.
Ella riprese a camminare, portava delle scarpe pesanti, con un tacco affusolato, egli notò le curve, non del tutto sbocciate, l’idea di partenza prendeva forma rapidamente, e poi era sola, concentrata su quello che era sicura fosse il suo compito.
“Illusa” mormorò egli.
Non ricordava l’ultima volta in cui aveva assaporato la dolcezza di una donna, negli ultimi mesi si era impegnato a conoscere le sfaccettature della sessualità e gli stimoli che il sesso offriva, aveva soggiogato alcuni ragazzi, ma non era stato appagante, non sapeva dine il motivo, in vero, aveva la ferma convinzione che sia un maschio, sia una femmina, fossero degli strumenti, per dare e ricevere piacere, e la differenza era minima, eppure, nella pratica si scopriva un tradizionalista, scosse la testa, il nero dei capelli s’ illuminò di riflessi, non era perfetto.
Trattenne una risata, non era il caso di dare nell’ occhio.
C’ era un vicolo, era immerso nel buio, egli si stupì di come fosse facile, si intrufolò, fingendo di essere un ragazzo comune, sconcertato dalla mancanza di tempo, ed invece, era conscio di avere ore infinite a disposizione.
La fanciulla non gli badò, e raggiunse il vicolo, dove lui si era nascosto, contro la parete di pietra, umida e sporca, doveva cogliere l’ attimo, si convinse.
Un gesto, con un braccio solo, afferrò il polso di lei, la strattonò dentro il vicolo, con la mano libera, le tappò la bocca, e sentì i suoi denti morsicare con rabbia, la carne del palmo.
Era presa, esultò in silenzio egli, aveva il suo regalo.
La scaraventò contro il muro, ella batté la testa, sembrò restare stordita, da tanto terrore e dolore improvvisi, lo fissò con le iridi di smeraldo, come infuriata.
“ Ti spiegherò le regole, disse egli con serafica quiete, non le ripeterò, se le dovessi infrangere, pagherai le conseguenze, spero tu capisca.
Uno : se dovessi urlare, chiamare aiuto, usare la tua bacchetta, ti ucciderò, e ti assicuro che so farlo bene ed in fretta.
Due : mi seguirai, non hai nulla da temere, se le labbra resteranno serrate, se accennerai a ribellarti, ti butterò in un luogo dove ti torturerò sino allo stremo, ed anche questa è una mia specialità.
Tre : farai quello che ti dirò, come io dirò, e tutto andrà meravigliosamente, in caso contrario, io ti ucciderò.
Quattro : riponendo fiducia nella tua intelligenza, eviterò di legarti, di imbavagliarti, di immobilizzarti, se dovessi pentirmene, tu morirai.
Ti è chiaro ?”.
Gli occhi della preda, del dono, vagarono in cerca di una sagoma, ma c’era solo quel ragazzo misterioso, dal viso chiaro, eppure cupo come la notte, si lasciò sfuggire un singhiozzo ed annuì.
La mano di lui scivolò lentamente sul volto, tracciarono una scia di sangue, e restò fermo, a bloccarla per le braccia.
Silenzio, i passi erano lontani, l’aura di festa un sogno infranto; c’erano loro due.
“ Brava” disse egli, un sorriso sadico gli taglio il volto.
La ragazza fu sul punto di urlare, ma era tardi, lui aveva estratto la bacchetta : “ Tieniti forte, non aver paura… Non troppa, almeno” esclamò,la strinse a sé, e pronunciò una formula.
Viaggiarono, tra stelle morte, altre non nate, fra spiriti irrequieti e morti, ed infine, furono in una stanza.
Le pareti color crema erano spoglie, c’era il ritratto di un uomo severo, ammantato di nero, i cui bordi delle maniche erano di un verde intenso, avvolto da un serpente.
Il ragazzo la gettò a terra, su un tappeto, accanto al letto rassettato, ella si rannicchiò, con le ginocchia strette in grembo, le iridi che lo fissavano con rabbia ed umiliazione.
“ Bel soggetto, non trovi ?” domandò beffardo, indicando il quadro.
Ella tacque.
“ Parla !” le ordinò.
“ So chi è… Salazar Sepeverde, ha una cotta per lui ?” replicò, la voce tagliente, acida, e spezzata dalla paura.
Egli rise, non si sarebbe figurato un briciolo di sano umorismo in quella ragazzina pallida, dal sembiante etereo.
“ No, ho altri gusti” rispose piano, e stette in piedi, davanti a lei, che lo guardava, con l’autorità di un giudice. “ Il tuo nome, prego” le disse, mentre si sfilava il soprabito, egli.
“ Perché lo vuoi sapere ?” lo imbeccò.
Tom alzò la mano, fu sul punto di vibrare il colpo, ma quando lei chiudeva gli occhi intimorita, le sfiorò la guancia e ridacchiò : “ Tu rispondi e basta” ingiunse senza scomporsi.
“ Beatrice… Beatrice And…” iniziò, sul punto di piangere.
“ Ho chiesto il nome, non l’albero genealogico, Beatrice… Uhm… Beatrice è dolce e pieno di storia, lo trovo gradevole” commentò, distaccando le parole, assorto.
“ Sono felice che le piaccia” ringhiò Beatrice.
“ Sono Tom… Per te, sarò Tom, non fare altre domande” tagliò corto egli.
“ Hai la bacchetta con te ?” chiese Tom.
Beatrice fece cenno di no .
“ Alzati, Beatrice” ordinò Tom, tese la mano, e questa la sfiorò appena, per tornare eretta.
“ Perfetto, adesso, vedremo se stai mentendo” affermò serenamente Tom.
Sbottonò il cappotto di lei, sebbene Beatrice tremasse, e guardò nelle tasche, non aveva nulla con sé, soltanto la pergamena.
“ Brava” la lodò con un mezzo ghigno.
“ Avrei dovuto portarla e…” ruggì Beatrice.
“ No, non dire frasi, che avrebbero conseguenze nefaste… Per te” la rabbonì con sadica allegria Tom.
“ Adesso abuserà di me, suppongo” mormorò piegando la testa in direzione del letto.
“ Hai usato una parola assai brutta, spiacevole, disse Tom, non vorrei che tutto fosse squallido e violento, perché diviene noioso, e puoi quei termini : abusare, stuprare, violentare, sono osceni, crudi, più del loro significato”.
Beatrice scosse il capo biondo, e si asciugò delle lacrime furtive, non aveva scampo, ma chi l’aveva in quel mondo ?
“ Bene, cara Beatrice, aggiunse Tom, vediamo come riusciamo a raggiungere una perfetta alchimia”.
Tom circondò i fianchi della ragazza, l’ abbracciò, senza brutalità, ma Beatrice cercò di divincolarsi, parole tronche le morivano in gola, sentiva la sua angoscia aumentare e non gli spiaceva, la stretta era salda, e non si sarebbe liberata.
Tom posò le labbra sul collo lungo e bianco, era teso, sentiva i muscoli tendersi e vibrare, fra i suoi dinieghi sibilanti, le braccia cercavano di spingerlo via, ma non potevano, Tom, evitò la bocca, assaggiò quella pelle fresca, profumata, tipicamente femminile, che gli era mancata.
“ Un regalo gradito” sussurrò all’orecchio di Beatrice, mentre sondava quel fisico giovane, totalmente ignorante di quello che stava accadendo.
La spinse sul letto, e la raggiunse, con il suo peso, non fece fatica a rabbonirla, anzi, ella prese a respirare per rantoli.
“ Coraggio, calmati, se fossi un cadavere non mi fermerei… Parlo per il tuo bene” esclamò cinicamente sincero Tom.
Egli si disfò della giacca, sciolse il nodo della cravatta, e con pacatezza, fece scivolare a terra il maglione di lei, scorse un simbolo : “ Serpeverde ? Meraviglioso, Beatrice” osservò.
Le unghie di lei graffiarono le mani che la spogliavano, la figura si contorceva, come se avesse delle convulsioni, Tom le ignorò, non c’era rosa senza spine, ed era un miracolo che non dovesse giacere con una lurida Mezzosangue.
“ Falla finita, non ottieni nulla” le intimò annoiato.
Beatrice esplose in singhiozzi, gli chiese di non farle del male, che sua madre sarebbe perita dal dispiacere, che suo fratello minore l’ attendeva a casa, che era una comune strega, era seccante, decise Tom, la schiaffeggiò, ma il pianto proseguì, silenzioso.
“ Tua mamma non penserà che tu resti vergine a vita, no ? Non essere stupida, Beatrice, se la vedrai dal mio punto di vista sarà divertente, sei il mio regalo di Natale, e non rovinerai questa notte con le tue lamentele !” la voce si inalberò, gli occhi emanarono lampi rossi, sangue nel bulbo, Beatrice gemette piano, girò il viso e pianse.
Tom le divaricò le gambe, con decisione, Beatrice non aveva compreso la natura delle cose, ma fu semplice lasciarla lì, senza mutandine e calze, senza gonna.
Egli buttò a terra i pantaloni e la camicia, era nudo, come lei, Beatrice si mise una mano alla bocca, disperata.
“ Abbiamo tempo, trovo sia meglio fare con tranquillità” rise Tom.
Beatrice piangeva, ma si stava calmando, era il freddo, dedusse Tom, si sdraiò su di lei, la circondò con le braccia, giocò con i suoi capelli, accarezzò il seno, con le mani, con la lingua, e prese una pausa.
Beatrice non piangeva.
“ Sei calma ?” domandò.
Ella annuì.
“ Brava, perché viene il piatto forte” rispose Tom.
Ecco cosa era appagante in una donna, pensò mentre la violava, il senso di potenza, di possesso, in altre parole, la faceva sua, con gli uomini era solo una farsa, ma era semplice scivolare tra due gambe morbide, immergersi in un corpo, muoversi, sentire il sangue e gli umori scivolare, adagiarsi in un nido di carne, e spingere, come voleva, comodamente.
Beatrice era sua, persino la ragazza lo capiva e taceva.
Raggiunse l’ apice, ed ansimando si scostò.
Chiuse le palpebre, una splendida vigilia di Natale, pensò.
Beatrice si rannicchiò sul tappeto, la sentì singhiozzare, e poi calmarsi.
Tom si strinse nel letto : “ C’è spazio, qui è pulito” disse.
Attese, infine Beatrice arrivò, schivò il sangue e i liquidi persi sul lenzuolo e si sistemò accanto a Tom.
Non ci fu più freddo, nella stanza.

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