Cigno Nero

di I Fiori del Male
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cigno nero ***
Capitolo 2: *** Il cigno ha un nome ***
Capitolo 3: *** Il cigno è fragile ***
Capitolo 4: *** il cigno è stupore ***
Capitolo 5: *** Trappola lontano dal cigno ***
Capitolo 6: *** Il cigno è lussuria ***
Capitolo 7: *** Il cigno è amore ***
Capitolo 8: *** A ciascuno il suo cigno ***
Capitolo 9: *** Ogni cigno ha la sua storia ***
Capitolo 10: *** Verità della morte di un cigno ***
Capitolo 11: *** Affinché un cigno ferito torni a danzare ... ***
Capitolo 12: *** In memoria del cigno, propositi di vendetta. ***
Capitolo 13: *** 13 - Anche un Cigno sa essere crudele. ***



Capitolo 1
*** Il cigno nero ***


                                                                                                                     
                                                                                                                      CAPITOLO I

                                                                                                                      Il cigno nero
 


Notte. È il momento di quelle creature ambigue che cercano le tenebre per poter essere se stesse: gli uomini.

Death City è grande, ma non c’è un angolo di questa città in cui non si possa trovare un qualsiasi locale dove indossare la propria maschera preferita.

Soprattutto i ragazzi il sabato notte non perdono occasione per sfoggiare i loro abiti migliori, per dimostrarsi diversi, sfogare le proprie represse pulsioni, e Soul Eater Evans non fa eccezioni, anzi: rappresenta di questo traffico di anime in mutamento l’espressione più valida.

Abilissimo pianista, amante della musica classica, ora si aggira per i vicoli bui della sua città con indosso una maglietta dei nirvana e i jeans strappati, le converse consunte proprio come la sua anima. La verità è che lui come tutti gli altri ha bisogno ogni tanto di staccare da quella bolla di sapone dove è rinchiuso con la sua famiglia: gente per bene, uomini in giacca e cravatta, donne in tacchi e abito da cocktail. Serate di beneficienza, concerti classici, serate a teatro ... nessuno ha saputo leggere dentro il fiammeggiare dei suoi occhi cremisi, è un pubblico troppo incantato dal candore dei suoi capelli quello che lo circonda.

Questo è ciò che gli piace di quei sabato sera passati a vagabondare da un locale all’altro: nessuno bada ai suoi capelli e a quell’impressione di falsa innocenza che donano, tutti lo conoscono per la fame del suo sguardo e del suo cuore.

Un altro locale, un altro brano. Black Star lo sta aspettando proprio li dentro, probabilmente si sarà già scolato qualche litro di Vodka senza perdere assolutamente il controllo di se stesso, come anni di sbronze gli hanno insegnato ... o forse è stato proprio lui. Nella folla si riconosce a colpo d’occhio la chioma azzurrina accentuata dalle luci strobo fatte a posta per far perdere il senno assieme all’alcol e agli stupefacenti.

“ehi, Black sta....”

Proprio mentre sta per chiamare il suo amico, troppo preso dal bicchiere che tiene in mano per notarlo, qualcos’altro cattura immediatamente il suo sguardo:
proprio lì in mezzo alla pista, dove si è aperto un varco costruito per il suo sguardo, c’è una ragazza che in se possiede tutti i contrasti del mondo. Il tubino nero che indossa la fa semplice, ma i capelli biondi raccolti in un morbido chignon la rendono sofisticata. I tacchi quindici non fanno che evidenziare quanto meravigliose siano le sue gambe, donandole un’aria tremendamente sexy, ma ha poco senso del ritmo e questo la fa sembrare davvero goffa. Gli occhi verdi splendenti, incorniciati da lunghe ciglia incurvate dal mascara ed esaltati da un trucco scuro perfetto, si guardano attorno mostrando intraprendenza ma non appena un ragazzo le si avvicina lei arretra e arrossisce, timida.

La mente di Soul lavora frenetica mentre cerca di dare un nome a quella splendida creatura, ricca di sfaccettature come un diamante e certamente altrettanto preziosa, poi realizza:

Un cigno. Un cigno nero ...


 
 
Il sole è impietoso, nei confronti di Soul e del suo amico. Entrambi già detestano la luce del giorno, che non permette loro di essere se stessi senza doversi nascondere dai giudizi della gente, ma l’odio che provano nei suoi confronti non dev’essere mai stato tanto forte come quello nei confronti di questa mattina che lascia loro pesanti postumi, dopo aver ingerito quantità scandalose di alcol ed essere tornati nella loro casa immersa nel caos barcollando e mugugnando frasi incomprensibili all’indirizzo dei passanti. Era così che piaceva loro trascorrere del tempo insieme, dimentichi entrambi delle regole, delle convenzioni sociali, fedeli solo al proprio credo, quello della libertà.

Da qualche parte nella mente di Soul si fece strada l’idea di aver sognato una ragazza a dir poco stupenda, intenta a muovere le anche in maniera poco convincente al centro di una pista, ignara di essere attraente, forse perfino convinta di non esserlo affatto. Subito dopo, il risveglio gli regalò la convinzione di non aver sognato. Quella ragazza l’aveva vista davvero, nell’ultimo locale in cui era stato la sera prima. Immediatamente i suoi occhi cremisi presero a bruciare di quel ben noto desiderio, incapaci di trattenersi sebbene fosse giorno e fosse ora di recitare la sua prima parte teatrale della giornata: quella dello studente.

Doveva trovarla. Sapeva che non sarebbe stato facile, si era talmente concentrato nell’osservarla, da dimenticarsi di chiedere almeno un nome che non fosse quello che le aveva dato lui. Il cigno nero, che compare solo di notte perché di giorno si noterebbe troppo, proprio come lui.



Porto già avanti una fanfiction dedicata a Soul Eater, che è la mia medicina ed è quasi al termine.  Ho provato a scrivere un crossover fra Soul Eater e Madoka Magica, ma ad un certo punto ho avuto un blocco e non sono più riuscita a scrivere nulla su quella storia. Adesso provo con questa, che per il momento è una SoulxMaka, ma che più avanti potrebbe mutare in qualcosa di più complicato ... spero che stavolta mi vada bene! :)  Incrocio le dita! :D  Voi che ne pensate? 

Taiga - chan <3

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Capitolo 2
*** Il cigno ha un nome ***


                                                                                                                 CIGNO NERO

                                                                                                 CAPITOLO II – Il cigno ha un nome.


 
È risaputo che per ognuno di noi c’è la parte mancante ad aspettarci da qualche parte. È un pensiero molto romantico, che per alcuni diventa una consolazione quando si comincia a credere di non avere un posto e uno scopo nel mondo, ma il significato di questa affermazione non corrisponde a verità: sono davvero poche le persone che riescono a passare la propria vita assieme alla persona predestinata, la maggior parte si limita a prestare il proprio cuore a qualcun altro, spesso con pessimi risultati, e anche per Soul era sempre stato così.

Poi il tempo si era fermato, e al ragazzo era parso di trovarsi in una sala gremita di gente, quella per bene di cui faceva parte la sua famiglia, illuminato da un occhio di bue mentre si confrontava con l’unico, vero e solo amore della sua vita: il pianoforte. Lì ogni tasto corrispondeva a un brivido, ogni nota un nuovo messaggio per il cuore.  Per questo lo amava. Era un passaggio per i comuni mortali verso il suo mondo fatto esclusivamente di musica.

Anche quella ragazza,  lui lo sentiva, era un passaggio per un altro mondo, creato solo ed esclusivamente per lui, che si era aperto per un attimo quella sera, per poi sparire alla sua vista, lasciando intendere di voler essere trovato, proprio come accadeva con i tesori.

Lui di certo non si sarebbe fatto pregare più di tanto.

Mentre pensava a tutto questo, si era preparato per una nuova mattina alla Shibusen, la scuola più esclusiva di Death City: rette esorbitanti, insegnanti di massimo livello, servizi extra anche troppo lussuosi, la garanzia di avere un futuro davanti a se. In breve tutto quello che i suoi genitori desideravano per lui, e che lui stesso non voleva. La sua vera vita era lì dove si trovava in quel momento, più vicino ai bassifondi che ai quartieri alti, dove a parlare non erano i soldi, ma la forza delle proprie convinzioni.

“Black Star! Muoviti!” urlò Soul all’indirizzo del suo amico, che non aveva ancora finito di prepararsi, ostacolato dai postumi di una sbornia che non era riuscito, stavolta, a controllare.

“e dammi un attimo!  Hai tutta questa fretta di andare a scuola?!”

No che non ce l’aveva, pensò Soul con un ghigno. Aveva solo fretta di tornare all’esterno, dove lo aspettava, da qualche parte, il suo passaggio segreto.

 
 
“Tsubaki! Ci sei?”

Una ragazza dai capelli biondo cenere legati in due codine se ne stava a braccia conserte di fronte ad una porta d’ingresso lasciata semichiusa, oltre la quale un’altra ragazza correva qua e la alla ricerca delle chiavi di casa, senza le quali non poteva assolutamente uscire.

“arrivo!”

“dai muoviti, mica andiamo ad una scuola qualunque, dove se fai ritardo al massimo ti fanno una predica lunga come una casa! Stiamo parlando della Shibusen!”
Dall’altra parte della porta socchiusa giunse un sospiro scocciato.

“lo so, Maka, lo so! Ma senza chiavi proprio non poss ... ah! Eccole!”

Finalmente Tsubaki si decise ad uscire, così Maka fu fatta contenta ed arrivarono a  scuola in orario come al solito.

Erano appena arrivate, quando una voce si fece strada tra la folla, proveniente da qualche parte vicino alla porta d’ingresso:

“Maka! Ciao!”

Una ragazza con i capelli rosa pallido agitava debolmente un braccio, in segno di saluto.

“Crona!” Maka mollò Tsubaki li dove si trovava e cominciò a correre in direzione della ragazza. Nella foga, senza accorgersene, urtò pure qualche studente che se la prendeva con più calma.

“ehi! Piano!” urlò Soul, quando Maka gli urtò pesantemente una spalla.

Lei si voltò di scatto, frustando l’aria coi codini, e lo guardò con occhi spalancati.

“scusa ...” disse debolmente, per poi riprendere a correre.

 
Soul era uno che, generalmente, aveva una buona memoria fotografica, ma se anche non l’avesse avuta c’era una cosa che mai avrebbe potuto scordare in vita sua, ed era proprio quel paio d’occhi verdi splendenti che, per un attimo, lo avevano trapassato, sorprendendolo dolorosamente come una lama gelida infilata a tradimento tra le costole.

La vide correre fino all’entrata e raggiungere quella che doveva essere un’amica, rendendosi conto che se non si fosse girata non l’avrebbe mai riconosciuta.

Quella che aveva di fronte era poco più di una bambina, o forse era un’impressione data dalle codine e la gonna scozzese? Poco importava, era ormai certo che fosse lei, nella sua forma diurna certo, ma pur sempre lei. In fondo lui sapeva già che il cigno nero non si sarebbe mai mostrato di giorno senza un qualche tipo di travestimento ...

“Black Star ... ci vediamo più tardi, ok?” disse, e se ne andò, senza rendersi conto di parlare al vuoto, perché Black Star non era più accanto a lui da un pezzo. Una ragazza intenta ad aggiustarsi la lunga coda di cavallo scura aveva assorbito completamente la sua attenzione.


 
Il cigno nero era lì, a pochi passi da lui, intento a chiacchierare con la sua amica, ignaro di essere seguito, braccato, studiato.

Rideva, poi si grattava il naso, spalancava gli occhi per poi gonfiare le guance e rifilare uno spintone alla malcapitata ragazza, che evidentemente doveva aver detto qualcosa di sbagliato o di stupido. Sorrideva leggermente e un attimo dopo rimetteva il broncio ... in fondo la vera natura delle persone può nascondersi solo fino ad un certo punto, restava sempre ricca di sfaccettature, di espressioni, proprio come i suoni di un pianoforte.

“Maka, oggi chi abbiamo alla prima ora?” chiese la ragazza coi capelli rosa.

E così il cigno nero finì per avere un nome come tutti: Maka.

Senza farsi sentire, Soul accarezzò quel nome con la lingua, assaporandone le molteplici sfumature che vi si potevano applicare, immaginando centinaia di situazioni più o meno lecite di cui lei era sempre protagonista, dimentico del fatto che centinaia di occhi lo stavano fissando, come ogni mattina.

La famiglia degli Evans era conosciutissima a Death City, essendo una delle più ricche e facoltose, ma Soul ne rappresentava un risvolto totalmente sconosciuto. Alla Shibusen c’erano molti ragazzi entrati grazie a delle borse di studio, che quindi di certo non abitavano nella parte alta di Death City, dove le case avevano affitti stellari. Questo voleva dire che la notte si aggiravano nei bassifondi proprio come lui, e lo avevano sicuramente notato, chiedendosi perché mai un membro di una famiglia del genere amasse frequentare quei luoghi.

Quando stava per entrare in classe si fermò sulla soglia, intento a contemplare la ragazza che invece continuava a percorrere il corridoio, nella speranza di riuscire a capire in che classe si trovasse. La fortuna fu dalla sua parte: si trovavano a sole tre aule di distanza. In quel momento un paio di ragazze ne approfittarono per avvicinarsi.

“s-scusami ...”

Soul si voltò di scatto, interrotto nelle sue fantasie.

“si?”

“ecco ... io vorrei ... tieni!”

Gli mollò una busta in mano e se ne andò correndo, seguita dall’amica.

Soul aprì la busta non tanto per sapere cosa ci fosse scritto in quella lettera, perché alle dichiarazioni era più che abituato, ma per sapere luogo e orario dell’incontro nel quale avrebbe dovuto dare la sua risposta, che sarebbe stata ovviamente negativa. Al momento, l’unica idea che gli passava per la testa era: conoscere Maka, e con una ragazza sottobraccio sicuramente non ci sarebbe riuscito.


 
“ehi! Maka! Finalmente! Mi hai lasciata sola all’entrata!”

Maka alzò lo sguardo verso l’ultima fila di banchi e li si diresse insieme a Crona.

“ah! Tsubaki scusa ... Crona è tornata solo oggi dall’ospedale, avevo proprio fretta di salutarla e farmi dire un po’ di cose sulla sua degenza ...”

Crona era una creatura anch’essa molto particolare, sebbene non nel senso inteso da Soul. Passava la sua vita da un ospedale all’altro, per via di un forte disturbo alimentare che proprio non voleva saperne di lasciarla in pace, nonostante la stesse tormentando da più di tre anni. Crona era anoressica, la sua esistenza era una continua lotta fra i poli opposti della sua mente: la Crona normale e quella soggiogata dalla malattia. Maka era l’unica con cui lei riuscisse a parlare del suo problema e, qualche volta, a riscattare un po’ della sua vita normale, perché Maka era sua amica d’infanzia, il suo angelo protettore, la ragazza fortissima che, un giorno, gliel’aveva promesso, l’avrebbe aiutata a liberarsi di quell’ossessione.

“ok, va bene, ma grazie al tuo abbandono mi sono ritrovata alla mercè di un idiota coi capelli azzurri che non ha fatto altro che chiedermi di uscire per tutto il tempo, nonostante i continui rifiuti ... Maka, lo sai che ho bisogno di te in certe situazioni!”

Tsubaki diceva così perché Maka era una ragazza che faceva paura agli uomini solo con lo sguardo. Nonostante non fosse affatto brutta provava nei confronti degli uomini un disgusto palese e un disprezzo che, sistematicamente, faceva allontanare i ragazzi. Era tutta colpa di suo padre Spirit se lei aveva quella visione del genere maschile e a scuola lo sapevano tutti, perché lui era un insegnante e troppe volte si era fatto beccare nel ripostiglio delle scope o in qualche bagno intento ad “amoreggiare” con qualche insegnante, o operatrice scolastica, troppo sexy.

“si ... hai ragione, scusa ...”

Crona alzò una mano come a chiedere la parola.

“dimmi, Crona, e smettila di alzare la mano quando vuoi parlare, quello si fa solo a lezione!” la rimproverò Maka.

“m-Maka .... ma tu non hai notato niente, oggi?”

“cosa avrei dovuto notare?”

“Tsu-Tsubaki ha appena parlato di un ragazzo coi capelli azzurri. I-Invece stamattina c’era un ragazzo coi capelli bianchi i-in corridoio che ci ha se-seguite per tutto il te-tempo ...”

“davvero? “ chiese Maka, stupita. Proprio non se n’era accorta.

“s-si ... il ragazzo che di-dice Tsubaki è Bla-black Star, mentre l’altro è S-soul Eater E-Evans ...”

“STAI DICENDO SUL SERIO?” urlò Tsubaki.

“s-si ...” rispose timidamente Crona.

“che c’è da scaldarsi tanto?” chiese Maka.

“No, Maka, vorresti dirmi che non conosci Black Star e Soul Eater Evans? “

“No!” esclamò lei in risposta. In fondo perché avrebbe dovuto interessarsi a loro, di certo non erano diversi dagli altri!

“sono i più famosi della scuola ... pare che siano amici per la pelle ed entrambi di famiglie piuttosto in vista qui a Death City, anche se Evans è un po’ più in alto di Star ... cioè ... sono stata appena corteggiata da Black Star in persona e ho rifiutato le sue avances! Chiunque avrebbe pagato per stare al mio posto!”

“bah!” sbuffò Maka, scettica.

“e dici che Soul vi stava seguendo, Crona? Come fai ad esserne sicura? In fondo tutte le classi si trovano lungo lo stesso corridoio quindi è facile che si sia semplicemente trovato dietro di voi ... “

“s-si ma ... aveva gli occhi a-appiccicati a Ma-Maka ... cioè...”

“ma va! Crona, non ci pensare nemmeno, sicuramente è stata una coincidenza, penso che anche lui sappia che fine faccio fare ai ragazzi ...” e detto questo i suoi occhi si accesero di una luce sinistra, lo sguardo che precedeva i suoi celebri Maka-chop, ma fu solo un attimo. Subito dopo il suo sguardo si caricò di un sottile velo di tristezza, che le sue amiche non notarono.


 
 
Soul era appena uscito dalla propria classe per prendere una boccata d’aria, quando ritrovò il suo cigno appoggiato al davanzale di una finestra del corridoio, lo sguardo smeraldino rivolto al cielo azzurro, le code leggermente ondeggianti al vento. Poggiato alla parete opposta si crogiolò nell’osservarla, scoprendo di desiderarla anche in quella veste infantile e poco curata. Se avesse potuto sapere cosa passava per la testa di quella ragazza avrebbe certamente fatto i salti di gioia perché da qualche parte nel suo inconscio, dove il suo rifiuto per gli uomini non poteva ancora scattare come un allarme, Maka cominciava a desiderare di voler essere guardata ancora dagli occhi di quello stesso ragazzo che in quel preciso istante stava realizzando, senza saperlo, il desiderio ancora nascosto a lei stessa. 


Ed ecco anche il secondo capitolo di questa storia. Sto cercando di renderla quanto più possibile vicina allo spirituale, al pensiero, al sentimento più che alla fisicità, ma sappiate che questa atmosfera non durerà a lungo, perchè Soul ha molti segreti .... Che ne dite? Vi piace? Ditemelo con una recensione, se vi va! :D 

Taiga - chan

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Capitolo 3
*** Il cigno è fragile ***


CIGNO NERO
CAPITOLO III – Il cigno è fragile.
 

Cominciava a pensare di essere, nel profondo, uno stalker nato, e chiunque avrebbe avuto la stessa impressione nel vedere come la sua esistenza fosse totalmente condizionata dagli spostamenti di Maka. Fatta eccezione per le ore di lezione, durante le quali gli era consentito di uscire al massimo due volte in tutto e non era nemmeno sicuro di trovarla fuori dalla classe, passava tutto il suo tempo a seguirla, e tuttavia non poteva ancora dirsi innamorato. Ingrediente necessario per la nascita di un tale sentimento, secondo Soul, era la conoscenza di una persona. L’amore a prima vista non faceva parte della sua vita. Allora perché la seguiva? Ne era semplicemente attratto, come la gravità ci attira tutti al suolo. Era un fatto inevitabile, assolutamente impossibile da modificare. Voleva conoscerla, sapere tutto quello che poteva su di lei, osservarla in ogni frangente, e non sapeva l’esatto perché.

Passò una settimana, durante la quale lui la seguì in ogni momento possibile, dimostrando di avere la capacità di passare inosservato nonostante fosse un soggetto tutt’altro che solito ...

... e giunse il sabato notte.


 
“Black Star, piantala di specchiarti, mi sembri una ragazzina isterica!”

“tappati quella fogna stronzo! Tu piuttosto, lo sai che cos’è, uno specchio? No perché sei ridotto uno schifo! Adesso ho capito perché è una settimana che non ti porti più a letto una ragazza! Non ti si può guardare! Dovresti prendere esempio dal dio che ho di fronte!”

No, non hai capito proprio un cazzo ... pensò Soul.

Già, era una settimana che non accettava più le avances di qualche ragazza. All’appuntamento scritto nell’ultima lettera nemmeno si era presentato, eppure anche quella era una ragazza che forse gliel’avrebbe data subito, senza farsi tanti problemi.  Solo non gli interessava. Ogni fibra del suo essere, al calare del sole di quel giorno, aveva preso a tremare, come conscia del fatto che, di li a poche ore, il cigno sarebbe riapparso nella sua forma più pura.

 
Un altro sabato sera, ma le strade sono le stesse e i locali pure, così come le persone che si affollano attorno a essi. Qua e la tra la gente riconosce ogni tanto qualche altro volto dell’alta società, probabilmente già strafatto di cocaina. Finge di non vederlo, mentre l’altro lo osserva col terrore puro dipinto sul volto, come se lui fosse la spia, quando in realtà non gliene  frega assolutamente niente. Lui sa di loro, loro sanno di lui, ma nessuno parla, per il bene di entrambi. Con i segreti oscuri funziona così.

“oh! Entriamo qui!” dice Black Star, quasi urlando, per sovrastare i mille rumori provenienti da ogni dove.

Soul alza lo sguardo, scoprendo di trovarsi di fronte allo stesso locale di quella magica sera. Non riesce a trattenere un ghigno soddisfatto.
Il destino ha cominciato a muovere i suoi ingranaggi.

 
 
“Maka, che vuoi da bere?”

La ragazza si volta verso Liz, seduta affianco a lei. Ne osserva per un attimo l’abbigliamento e il modo in cui riesce ad essere in ogni cosa completamente diversa da lei. È così a suo agio in quel posto caotico e pieno di gente che ha fretta di bruciare la propria vita, pur essendo una che la sua l’ha già bruciata, per strada, nei quartieri della criminalità organizzata americana, e sa che sarebbe meglio potersela godere ... ma forse è proprio per questo che si trova così bene, perché capisce quella necessità bruciante che invece a lei, ragazza dedita agli studi e al successo per il futuro, indifferente di fronte all’urgenza del presente e con un forte rifiuto per il passato, non l’ha mai nemmeno sfiorata.

“non so ... scegli tu.” Le risponde indifferente. Un alcolico vale l’altro, quando si cercano di dimenticare i propri dolori. Pochi minuti dopo Liz torna con la sua panacea, un bel bicchiere di vodka pesca lemon. Maka lo prende e lo osserva, concentrandosi sul modo in cui il liquido riflette le luci del locale mentre da qualche parte, al di la di quella momentanea fissazione, il suo cervello si sta chiedendo che ci fa lei li, vestita di tutto punto con un altro dei completi sexy che Tsubaki le ha comprato, un miniabito rosso fuoco senza spalline, segnato in vita da una cintura nera lucida come le scarpe che le stanno facendo un male cane. La verità è che di certo non l’hanno trascinata a forza come aveva voluto far credere alle sue amiche, solo le piaceva, una sera a settimana, diventare una ragazza normale, che non aveva paura ne provava schifo degli uomini, che anzi si divertiva ad adescarli per divertimento o per noia, che poteva e doveva essere guardata e desiderata.

A Maka insomma, come accade a tutte le ragazza della sua età, mancava l’amore, mancava la passione.

 
“Soul, che vuoi da bere?”

“Invisibile” risponde lui, soprappensiero, mentre percorre con lo sguardo le curve del suo cigno, imprigionate in un abito che lascia davvero poco all’immaginazione visto quant’è aderente.

Questa volta i capelli sono sciolti, il trucco sugli occhi quasi inesistente, ma le labbra sono rosse come quell’abito e come i suoi stessi occhi, come se questi ne avessero assorbito il colore a forza di guardarli. È , da qualsiasi punto lui cerchi di vederla, tremendamente sexy. Sussulta quando la vede alzarsi e dirigersi verso il bancone, proprio dov’è seduto lui.

“mi fai un rum e coca, per favore? Grazie.” Dice, senza nemmeno notare la sua presenza, tutta concentrata nell’obiettivo di perdere un po’ il senno bevendo più del necessario, per poi buttarsi in pista ad attirare l’attenzione. È bella, troppo bella, lui quasi trattiene il fiato mentre lei si piega leggermente sul bancone, assolutamente ignara dell’effetto che ha su di lui, del modo in cui l’ha mentalmente schiavizzato per una settimana. Parte un brano nuovo dalla console del dj, un pezzo più pacato che pare quasi profetico:

 

it’s lust, it’s torcherous
you must be sorcerous
‘cause you just did the impossible …
 

Lei aveva davvero fatto l’impossibile, catturando la sua attenzione come una falena attratta dalla fiamma. Sarebbe stata altrettanto pericolosa per lui? Mentre si perdeva in quei pensieri lei beveva, beveva e beveva senza ritegno. Si chiese cosa ci fosse dietro, perché a lui pareva quasi che si stesse costringendo a bere, ad ogni bicchiere che mandava giù la vedeva contorcere il volto in una smorfia di evidente disgusto.

Dopo mezz’ora passata così la vede dirigersi in mezzo alla pista, il passo un po’ incerto sugli eleganti tacchi quindici. Comincia a ballare, proprio non ha il senso del ritmo ma ha ben altre armi a propria disposizione, che funzionano probabilmente con tutti i ragazzi presenti in sala.

Infatti quando arriva si voltano in molti verso di lei, alcuni provano ad avvicinarsi, ma l’incantesimo si rompe subito: lei si scosta, sembra imbarazzata, ma allora perché si è buttata in pista?

 
Maka vorrebbe saper ballare, ma soprattutto vorrebbe saper resistere. L’alcol le annebbia il cervello, ma non c’è niente da fare, ovunque si volta vede il volto di suo padre dietro quello di chi le sta attorno, ed è il volto di un porco che ha tradito la famiglia e che non si cura affatto della figlia, il volto di un uomo che torna a casa ubriaco la sera, che si scopa tutto il personale scolastico femminile e che non si stanca mai di tirare colpi di forbice al sottilissimo filo che li lega, padre e figlia. Non c’è nemmeno un accenno di curiosità verso il suo carattere, in quegli occhi. Tutto ciò a cui pensano quelle menti è il sesso, l’idea della botta e via, della noncuranza, l’idea di vivere il presente per il presente, e lei che vive per il futuro questo non lo accetta, non ce la fa, è troppo ...

Ed è anche troppo tardi quando si accorge che il pavimento è decisamente troppo vicino.

 
“cazzo!”

Black Star fa un salto sullo sgabello a quell’esclamazione improvvisa e violenta.

“Soul, che è succ ...”

Ma Soul non c’è più.

 
È la prima volta che le loro pelli si sfiorano. Il contatto tra la sua mano e la pelle liscia della ragazza quasi gli fa perdere il senno, ma poi scuote la testa violentemente: non è il momento! Deve portarla fuori di li, lontana da tutti quegli sguardi che invece di verificare le sue condizioni le sbirciano sotto la gonna. La prende in braccio, sorprendendosi della sua leggerezza e rendendosi conto solo in quel momento di quanto in realtà sia esile e di forme ne abbia proprio poche.
 
Non è facile per Soul aprire la porta di casa con Maka in braccio, ma quando alla fine ci riesce, come prima cosa si dirige direttamente in camera e adagia la ragazza sul suo letto. Respira, e il cuore batte regolare, come può sentire stringendo la propria mano su quel polso magro e pallido, però la sbronza le ha messo la febbre. Non c’è altro che può fare se non preparare degli impacchi con acqua fredda e attendere che si riprenda ed è proprio questo quello che fa, ma mentre la osserva, mai stanco di poggiarle i suoi occhi addosso e lasciar vagare su di lei i suoi pensieri, il sonno lo vince, lasciandolo con una mano del suo cigno tra le sue.


 
N.B. la canzone cui si fa cenno in questo capitolo è Space Bound di Eminem, che secondo me rende benissimo in quelle poche parole la natura dell’attrazione che Maka Esercita su Soul.

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Capitolo 4
*** il cigno è stupore ***


CIGNO NERO
CAPITOLO IV – il cigno è stupore.

 
Dove sono?

Maka apre gli occhi e si rende subito conto di non trovarsi in casa sua, nonostante il suo sguardo sia puntato su un anonimo soffitto bianco, perfettamente identico a quello della sua camera. Appena tenta di alzarsi un po’, la testa le gira, per cui decide di rimanere sdraiata, ma anche da quella posizione tenta di controllare che tutto sia al suo posto: il vestito c’è, reggiseno e slip pure, quindi non è successo nulla di quello che lei ha pensato appena sveglia. Quando cerca di muovere il braccio sinistro, però, si accorge che qualcosa lo blocca. Volta stancamente la testa.

Soul sta dormendo ancora beatamente. I capelli gli ricadono a larghi ciuffi sugli occhi chiusi, respira regolarmente, e ha stampato un mezzo sorriso sul volto. Nel sonno, si è stretto al braccio di Maka con forza, come se avesse paura di vederla andare via per sempre.

L’impressione che le da quel ragazzo è particolare. Sembra essere una persona fuori dal comune, o forse è solo quel colore di capelli appariscente, ma anche molto buona. Non lo conosce, tutto quello che ricorda è di essersi sentita male sulla pista da ballo, quindi probabilmente deve esser stato lui a soccorrerla, e questo è già un punto a suo favore.

Accidenti! Liz e Tsubaki penseranno ....

Ma mentre pensa a Tsubaki qualcosa le scatta nel cervello e lei si volta di nuovo ad osservare il ragazzo, mentre nella testa si fa strada l’eco della voce di Crona, che racconta di un ragazzo dai capelli bianchi e gli occhi rossi che le seguiva nel corridoio principale della Shibusen. Com’era che si chiamava? Eater qualcosa .... Evans ....

“Soul Eater Evans!” esclama ad alta voce, senza accorgersene.

Solo allora il ragazzo apre lentamente gli occhi, sotto lo sguardo stupito di Maka, e quello che vede lo lascia senza parole: il suo cigno la sta fissando, è giorno e non ha ancora cambiato aspetto. Si trova li, sul suo letto, insieme a lui, bella come la sera prima, forse di più nella luce purificatrice del giorno, così diversa dallo scintillio sinistro della luna.

Maka dal canto suo non può che restare di sasso alla vista di quegli occhi.

Come se un gioielliere vi avesse incastonato delle gemme ...

È un colore straordinario, fatto di mille sfumature in cui si può perdersi come in un labirinto senza fine, ma quello che la stupisce più di tutto, è che quegli occhi che non la conoscono sembrano guardare oltre la maschera fatta di carne e sangue, dritti verso l’essenza delle mille cose che lei, come ogni essere umano, è in grado di essere, di interpretare, di sognare. Dietro quegli occhi e quel mezzo sorriso, per la prima volta nella sua vita, Maka non vede il volto di suo padre, e questo le dice molte cose, per alcune delle quali è troppo presto.

 
Gli incantesimi non durano molto, si sa, le favole lo insegnano bene e nella mente di tutti rimane indelebile il ricordo di Cenerentola che scappa dal principe azzurro e perde una scarpetta nella fretta di inseguire la mezzanotte.

Così fa irruzione Black Star.

“ehi, amico! Finalmente hai ricominciato a darti da fare! Cazzo era or...”

“CHIUDI QUELLA FOGNA COGLIONE!”

A quell’urlo Maka si spaventa, è un cambio repentino negli occhi di quel ragazzo a metterle quasi paura, ma soprattutto il suo amico, che sembra far parte di quella folla che la fissa senza vederla davvero, come dimostrato dal commento poco carino nei suoi confronti, che sarebbe potuto benissimo uscire dalla bocca di suo padre.

“io ... io devo andare.” Dice allora con voce flebile, rivolta a Soul e a lui soltanto, decisa ad ignorare la presenza di Black Star, ma la sua è una preghiera: vorrebbe parlare con lui, conoscerlo meglio, per capire come mai lo vede diverso, ma non ha tempo, spera di averne a sufficienza in futuro, e lo stesso vale per lui e traspare dai suoi occhi che non sanno nasconderle nulla.

“si”, risponde semplicemente, ed anche li ci sono mille promesse, sembra che stia parlando di qualcosa di molto più importante.

Allora lei si alza, recupera le scarpe vicino al letto, le indossa ed esce dalla stanza, senza degnare di un solo sguardo Black Star.


 
 
“sei proprio una testa di cazzo.”

“ma che vuoi Soul non rompere i coglioni! Come se fosse la prima volta che entro in una stanza dopo che hai scopato con qualcuna e faccio commenti! E come se tu non lo facessi mai poi! Pezzo di merda!”

“sei un coglione, adesso sono sicuro. Ma non hai visto che stava ancora vestita di tutto punto! Non abbiamo fatto un cazzo, ok!?”

A quelle parole Black Star scoppia a ridere sguaiatamente.

“non ci posso credere! Il grande Soul Eater Evans va in bianco! Ma che ti prende, amico, hai bisogno di un medico. E allora che cazzo avete fatto tutta la notte? Te ne sei andato con quella che eravamo appena arrivati, di tempo ne hai avuto una cifra!”

Che mi prende ... non mi prende un cazzo Black Star ... proprio un cazzo ...

Pensandoci meglio, qualcosa gli prende invece. Si è stancato di quelle ragazze vuote, che si danno con facilità come se il corpo non fosse il loro, si è rotto di quelle notti senza significato che lo lasciano esausto di piacere e ogni volta un po’ più consunto nell’anima, come se per ognuno di quei cuori spezzati stesse pagando pegno. Alcune di loro sono fidanzate e hanno discusso col proprio ragazzo, così lo incontrano e sfogano su di lui i loro istinti lussuriosi, altre sono tremendamente sole pur essendo niente affatto brutte, e in lui trovano una momentanea conferma di valere qualcosa, ma questo non lo consola, sa che in realtà per loro non cambia proprio nulla, restano sempre vuote. Persone così possono riempirsi solo con l’amore, e lui non può dargliene.

 
Per quanto riguarda Maka, invece, non farebbe mai e poi mai fatto quello che Black Star gli dice. Qualche volta lo immagina, ma non c’è niente di sporco nella sua immaginazione, non è l’idea di scopare con lei, quanto piuttosto quella di donarglisi per intero, senza riserve, rendersi suo in ogni senso. Gli pare quasi una venerazione e non riesce ad immaginare come può trasformarla in realtà senza che tutto si macchi di peccato, in quella città che ne trasuda da ogni mattone.

 
 
In questo preciso istante, mentre Soul continua a discutere con Black Star di cose che, probabilmente, non capirà mai, Maka è tornata a casa propria, si è stesa sul letto, di fianco, e immagina che Soul sia lì, ancora intento a fissarla in quel modo che non ha mai visto e che, ora lo sa, era quello che aveva sempre desiderato, a cui non sa dare un nome, come del resto non sa farlo lui.

 

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Capitolo 5
*** Trappola lontano dal cigno ***


CIGNO NERO

CAPITOLO V – trappola lontano dal cigno

 
“Maka, ma dove sei finita ieri? A un certo punto sei sparita, menomale che quando sei tornata c’era Patty a casa, o non saresti rientrata perché hai anche lasciato la borsetta al tavolo ...”

Liz, come al solito, predica. Ma che gliene frega di dove sono stata? E soprattutto è strano non sentire ancora qualche battuta sconcia sulla mia assenza. Ah già, Patty non è qui, e nemmeno Blair. Mi basterà aspettare stasera.

“tranquilla, non mi sono sentita troppo bene e un ragazzo mi ha aiutata. Mi ha portata a casa sua e ...”

Ed ecco che sul volto di Liz compare la consueta espressione maliziosa.

“non cominciare, non è successo proprio niente!”

“si, si va bene, ma questo chi è?”

In quel momento Maka si rende conto che Liz,  probabilmente, conosce Soul.

Nello stesso momento si rende conto di averlo pensato per nome, con una confidenza per lei innaturale.

“Soul Eater Evans.”

“non ci credo.” Risposta secca.

“come, non ci credo! che, mi hai preso per una bugiarda?”

“no, ma ... “

“ma, cosa?” Maka comincia ad irritarsi.

“è che Soul proprio non è tipo da accompagnare una ragazza a casa sua e non farci niente ... insomma, lo sanno tutti! Lui e Black Star sono i più desiderati della scuola, tutti i sabato notte fanno strage di donne!”

“ah ...” è quasi delusione quella che prova per un attimo, ma poi si riscuote. Chi se ne frega di quello che dicono e pensano gli altri, in fondo lei è sempre stata fedele a se stessa, e quello che ha visto non corrisponde affatto a quello che Liz ha appena detto. Per un attimo le torna in mente la scena di quel ragazzo che le dorme affianco, e proprio non riesce a mettere sullo stesso piano quel che ha visto lei con quello che tutti dicono di lui.

“eppure non è successo niente. Ha dormito con me, e basta."

Alla fine Maka si decide ad ignorare l’espressione scettica di Liz, visto che tanto ne uscirebbe comunque sconfitta, e lei se ne torna nella sua stanza, lasciando Maka libera di pensare a quando potrà arrivare il giorno in cui si incontreranno ancora.


 
È domenica, e per Soul è giunto il momento di indossare un’altra maschera, quella del figlio modello degli Evans. Per lui è una tortura lasciare i bassifondi e andare a tuffarsi nell’alta società di Death City, ma è un compito a cui non può sottrarsi, se vuole mantenere intatta la sua libertà.

I suoi genitori proprio non sono tipi apprensivi, o perlomeno non nei suoi confronti. Quando lui aveva espresso il desiderio di staccarsi da quel mondo che non sentiva suo, proprio non c’erano state tutte le discussioni sul fatto che era ancora troppo giovane per andare a vivere da solo e tutte le altre cose che dei normali genitori penserebbero del proprio figlio sedicenne. D’altronde, la perla della famiglia era suo fratello Wes, che suonava divinamente il violino, lo strumento di famiglia. Per lui, l’amante del pianoforte, di spazio ce n’era troppo poco, e così alla fine se n’era andato davvero e Black Star, anche lui proprio fuori posto nella sua famiglia, lo aveva seguito.

Oggi Soul si aggira per le strade di Death City con indosso un elegante smoking, i capelli pettinati, il viso pulito, senza la minima traccia di stanchezza, e soprattutto non è a piedi. Osserva le strade della sua città dal finestrino oscurato di una Mercedes guidata da John, l’autista di famiglia.

“come mai oggi devo tornare a casa John?”

A casa. Gli suona innaturale quella parola, riferita al luogo in cui vive il resto della sua famiglia, ma è meglio che si abitui fin da subito a mantenere le apparenze: dovrà farlo per tutto il giorno.

“oggi è il compleanno del signor Wes, signore.”

“piantala di chiamarmi signore, John. Fai parte della mia famiglia da quando sei nato e ne sei l’unica parte rimasta buona”, lo ammonisce Soul, ghignando e ignorando totalmente il disagio che prova al pensiero di dover fare gli auguri a suo fratello, sforzandosi anche di cancellare ogni minima traccia di sarcasmo.

“d’accordo.” Risponde semplicemente John, trattenendo a fatica un sorriso. Quella era la ragione per cui si era proposto con fervore per andare a prendere il ragazzo in quei luoghi dove nessun autista desiderava spingersi a bordo di un Mercedes. Soul Eater Evans era un esemplare singolare del genere umano, con cui si trovava assolutamente in sintonia. In fondo era vero che lavorare con gli Evans gli impediva di pronunciare qualsiasi maldicenza nei loro confronti, ma non gli impediva di pensarne qualcuna, e in effetti gli Evans erano stati davvero sconsiderati col proprio figlio. Da quando poi lui se n’era andato, l’atmosfera che regnava in casa era diventata quasi insostenibile, senza gli intervalli divertenti che Soul creava combinando un casino dietro l’altro quando voleva dimostrare di starsi annoiando.
 
“siamo arrivati.” Lo avvisa John pacatamente, come se cercasse di rendere un po’ meno sgradevole quell’apparizione in famiglia. Soul lo ringrazia, capisce benissimo quello che sta facendo, poi scende dalla macchina cercando di cancellarsi dal viso l’aria del condannato a morte e immediatamente tutti gli occhi sono puntati su di lui.

Soul non ha bisogno di dire che pagherebbe per sapere cosa passa nella testa di tutti quelli che lo stanno fissando, perché lo sa già: lui ne ha visti molti, di quei ragazzi e quegli uomini incravattati, giù nei bassifondi dove ogni voglia può e deve essere soddisfatta, e loro se ne sono accorti. Molte di quelle donne, elegantissime in abito da cocktail, Dio solo sa quanto fossero volgari ammassate dentro quei vicoli bui, intente a svolgere prestazioni di natura sessuale gratuite a ragazzi evidentemente molto più prestanti dei propri mariti. Abbiamo già detto che il segreto va rispettato, nell’alta società, per il bene di tutti, e infatti Soul sa bene che tutta quella gente sta pensando proprio questo: eccolo qui, è solo un ragazzino, e senza dire una parola mi costringe alla venerazione pur di pararmi il culo. Infatti ora che è arrivato tutti applaudono, salutano, si complimentano con lui di cose che i suoi genitori hanno raccontato per salvare le apparenze e che non sono mai accadute, e a lui viene quasi da vomitare.

Prima non aveva niente di piacevole cui pensare per distrarsi, ogni cosa lo ricollegava tristemente al suo passato o gli faceva venire in mente l’incertezza del futuro, ma ora ogni testolina dai capelli color grano tra la folla lo fa sussultare. Maka gli solletica i nervi senza essere presente, ogni cosa ha il suo odore e porta i suoi colori, può vedere il mondo tingersi di verde come i suoi occhi ... ma mentre si smarrisce piacevolmente in quella marea smeraldina qualcosa lo riporta bruscamente a galla.

“figliolo ...”

È ricca di falsità, è la voce di suo padre. Riconosce quel tono basso e burbero, falsamente addolcito mentre presenta il suo amatissimo prezioso e geniale figlio a un altro uomo, forse suo collega in affari, che tiene sottobraccio una ragazza, più o meno anche lei sui sedici anni.

“questo è Mr. Bradley. Mr. Bradley, mio figlio Soul.”

L’uomo gli stringe energicamente la mano. È corpulento, probabilmente gli smoking può comprarli solo se fatti su misura, i baffi sono straordinariamente appuntiti, la voce roca ma allegra mentre presenta la ragazza.

“è questa è la mia bellissima figlia Helen.”

“molto piacere” sussurra debolmente la ragazza, dev’essere timida. Soul le concede un attimo di attenzione, come l’abitudine lo porta in fondo a fare con tutte le ragazze: ha i capelli corvini, lisci, lucidi e molto lunghi. Il taglio degli occhi è piuttosto orientale e anche la forma del viso è affilata, quindi deve avere qualche parentela asiatica. Gli occhi sono azzurri però. È una combinazione affascinante.

Black Star se la farebbe subito ...

Perché, lui no? Ma la risposta lui la sa già.

“Soul ...” di nuovo la voce di suo padre lo tira fuori dai suoi pensieri.

“sono lieto di annunciarti che io e Mr. Bradley siamo giunti ad un accordo tra le nostre società e che questo accordo, importantissimo per la famiglia oltre che una cosa che ci fa molto onore ...” sottolineò, tagliente, “verrà sancito con il matrimonio combinato tra te ed Helen.”

A Soul pare quasi di esser trascinato a viva forza in una gabbia al di la della quale tutti, scintillanti nella loro eleganza, ridono di lui e della stupidità che ha dimostrato credendo di essere libero. Mai una metafora è stata tanto vicina alla realtà.

 
 
*angolo autore* Rieccomi con un nuovo capitoloChiedo scusa per averci messo tanto a pubblicarlo, ma avevo problemi col computer T.T Comunque spero che vi piaccia :D 

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Capitolo 6
*** Il cigno è lussuria ***


CIGNO NERO
Capitolo VI – il cigno è lussuria

 

“NON – ME – NE – FREGA – UN – CAZZO!”

Soul pronuncia con tono piuttosto alterato questa frase, battendo entrambi i pugni su tavolo e facendo sussultare di spavento Helen. Lo nota, ma anche di quello non gliene frega un cazzo. Di lei non gliene frega un cazzo, ne tantomeno di suo padre, sua madre e suo fratello che rischiano di veder fallire la loro azienda se non riescono a convincerlo a sposarsi. Poco gliene importa anche dell’espressione indignata di Mr Bradley che per primo, fra tutti i membri dell’alta società, si ritrova col vero carattere di Soul sbattuto dritto in faccia. Prova anzi una viva soddisfazione, alla vista di quel volto scioccato.

“ lei è inutile che mi guarda così. Sua figlia se la può tenere ...” per un attimo, pare avere considerazione di quella ragazza, che forse è stata buttata li in mezzo senza preavviso proprio come lui, “ ... non che sia brutta, no”, precisa, voltandosi verso di lei, “ma io non ho intenzione di sposarmi a sedici anni, e soprattutto non per salvare una famiglia che ha considerazione di me solo quando le fa comodo, proprio come sta accadendo oggi.”.

“ma come ti permetti di ...” tenta di protestare il padre, ancora una volta tentando di salvare la situazione.

“MI PERMETTO, SI! SIETE UNA MASSA DI FALSI, DI GENTE CHE MI FA SCHIFO! E’ CHIARO? E IO I VOSTRI CAPRICCI ME LI SBATTO IN CULO, CAPITO? HO UNA MIA VITA ADESSO, QUINDI FATE SPOSARE WES, SE PROPRIO CI TENETE!”

Allora spalanca la porta del salone con rabbia e si dirige a passo svelto fuori da quella casa infernale, nel sole, fino al Mercedes nel quale John se ne sta ad attendere che Soul torni, ché tanto sa che tornerà presto. Per tale ragione sul suo viso spunta un sorriso, quando lo vede arrivare dopo solo mezz’ora di visita.

“dove la porto?”

“a casa, John”

E John sa di doversi introdurre di nuovo nei bassifondi.

 
Dopo poco, sono di nuovo nella bassa Death City, ma per far risparmiare a John la pena di salire per quelle stradine strette e diroccate, si fa lasciare alle porte del quartiere basso. Da lì si avvia a piedi, grato del fatto che non ci sia nessuno per strada, perché lì, in smoking, è davvero ridicolo.

La fatica che sta provando non lo disturba. Ogni passo affaticato su quei sampietrini a tratti rotti e storti è sfogo per la propria rabbia. Non permetterà mai loro di ingabbiarlo a quel modo, dovesse ammazzarli tutti, per quel che contano per lui!

Mentre pensa a queste cose qualche goccia d’acqua dall’alto si infila tra i suoi capelli, provocandogli un brivido: è gelida.

“che cazzo ...”

Imprecando, alza la testa restando di sasso: senza rendersene conto, stava passando davanti casa del suo cigno e proprio lei, in quel momento, è ciò che vede immersa nella luce del sole, intenta ad innaffiare i fiori sul balcone.

Maka, comandata da chissà quale filo, volge lo sguardo alla strada e lo vede che la sta guardando. La connessione interrotta quella stessa mattina si ripristina, con grande imbarazzo di entrambi.

“c-ciao ...” sussurra Maka, e per Soul è una sinfonia di suoni meravigliosi quella che esce dalla sua gola, talmente straordinaria da volerla sentire ancora, e ancora, e ancora, senza stancarsi mai. Da quella posizione, visto che Maka porta un vestitino, vede ancor più di quello di cui si accontenterebbe, ed è un attimo: la rabbia di quel giorno e il desiderio accumulatosi durante la settimana gli salgono alla testa assieme al sangue.

“ciao! Posso entrare? Sai, stamattina nemmeno ci siamo presentati ...” questa è la sua scusa.

Maka non risponde, ma sparisce dal balcone e un attimo dopo la porta che lui ha di fronte si apre. A fatica Soul riesce a nascondere l’impazienza che lo pervade.

“prego, entra pure.” Gli dice lei. “siamo soli ...” aggiunge poi ignara delle implicazioni di quelle due parole dette proprio a lui. Quando lei si volta di spalle per un attimo lui non può non farsi scappare un ghigno.

“siediti.” Lo invita, indicando il divano, posto al centro del salotto. “cosa posso offrirti? Una coca? Un succo di frutta? C’è della birra se vuoi.”. Soul non ha la più pallida idea di quale sforzo stiano costando a Maka quelle poche frasi di circostanza.

“una coca va benissimo, grazie.” Risponde lui, senza voltarsi a guardarla. Sa che non potrà resistere nemmeno mezzo minuto di più, se continua ad osservare l’ondeggiare di quella gonna sulle cosce bianche di Maka, lento e tentatore. Maka si dirige al banco della cucina e stappa una lattina di coca, per poi prendere un vassoio e posarvi due bicchieri e un po’ della pizza rustica che ha preparato la sera prima. Mentre si concentra in queste operazioni, riesce a sciogliere un po’ la lingua..

“Grazie, comunque.”

“di cosa?” chiede lui, dimentico per un attimo del suo salvataggio della sera precedente.

“grazie ... per avermi soccorsa.”

“ah! Non è niente, solo non potevo lasciarti lì.” Dice, cercando di mantenere un tono indifferente e mentendo in tal modo a se stesso. Non poteva certo dirle di essere quasi morto vedendola svenire in mezzo alla sala, sarebbe stato bizzarro ed esagerato.

Maka fa un mezzo sorriso che Soul non può vedere. Lui non sa, e forse non saprà mai secondo lei la natura degli altri uomini, quello che loro avrebbero fatto vedendola li a terra svenuta. Un brivido le passa lungo la schiena.

Vorrebbe  esporgli quel pensiero, ma mentre gli si avvicina e torna a guardarlo negli occhi si blocca di nuovo. Quello sguardo le scava dentro senza ritegno, come potrebbe resistere? Poggia il vassoio sul tavolino e se ne sta li in piedi, le braccia abbandonate lungo i fianchi come se non fossero le proprie.

“siediti”, le dice Soul indicandole il posto affianco a lui. C’è un tremolio di impazienza nella sua voce, ma Maka è troppo assuefatta dai suoi occhi per accorgersene e fa come lui le ha detto.

“come ti chiami?” le chiede lui, fingendo di non aver mai sentito Crona pronunciare il suo nome. Vuole solo farla parlare.

“Maka.”

“io sono Soul. Soul Eater Evans.” Risponde, non sapendo a sua volta che lei conosce il suo nome, non avendola sentita chiamarlo quella stessa mattina.

Un attimo di silenzio, mille cose non dette, poi ...

“ah! Accidenti ....”

Si sente un rumore di vetri infranti: a Maka è scivolato di mano il bicchiere, e tentando il recupero si è anche versata un po’ di coca addosso. Le gocce marroni e fresche le percorrono la pelle fra il collo e i piccoli seni appena accennati sotto il vestito, e Soul non resiste più: molla il suo bicchiere sul tavolo, rischiando di rompere anche quello per la violenza del suo gesto, le prende le mani, bloccandole al di sopra del suo viso, e si butta su di lei, sul divano. Il desiderio è troppo forte, se deve bere coca cola, che sia dalla sua pelle! Dove la bevanda ha lasciato la scia lui fa scorrere la lingua seguendo dapprima il percorso e tracciando poi nuove strade a suo piacimento.

Sotto di lui, Maka geme di piacere.
 

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Capitolo 7
*** Il cigno è amore ***


CIGNO NERO
CAPITOLO VII – Il cigno è amore.

 
È una danza erotica quella che la lingua di Soul si affanna ad eseguire su ogni centimetro accessibile della pelle di Maka. Ogni recettore scatta sull’attenti, dominato dalla natura perversa che ciascuno di noi nasconde dentro di se, inclusa la ragazza che ora si agita sotto di lui. Non c’è modo di opporsi all’attrazione del sesso, al suo tipico odore e al calore dei corpi che si accendono di desiderio.

La pelle di Maka al tatto è molto più soffice di quanto si fosse reso conto la sera prima. Non gli basterebbero anni per spiegare come quella morbidezza gli faccia perdere il senno, come il tempo abbia smesso di scorrere eppure sia urgente toccarla ovunque il prima possibile, o ancora come lo spazio abbia perso ogni concretezza perché tutto, nell’universo, è Maka e lei soltanto. Il suo sapore ... sente che gli resterà in bocca per sempre, non c’è cibo al mondo che possa nasconderglielo, perché lui vuole sentirlo in eterno, e non c’è fiore che abbia fragranza più dolce. A stento sente i suoi gemiti intensi di piacere, tanto si trova perso nel suo, ma quando quella voce limpida e cristallina quasi urla il suo nome, ecco, allora come potrebbe non sentirlo?

“S-Soul!”
 
Come formassero una parola magica, quelle quattro lettere così intensamente pronunciate sciolgono l’incantesimo, e in un attimo Soul è di nuovo seduto sul divano, e Maka è tutta concentrata nello spazzare via i pezzi del bicchiere infranto, e non c’è musica ne odore ne sapore, solo strascichi d’immaginazione.

“m-mi dispiace, mi è scivolato ...” cerca di scusarsi lei, rompendo il silenzio.

“ah no ... non fa niente ...” risponde lui, ancora distratto dalle sue lussuriose visioni. Eppure si rende conto, senza sapere come, che quella ragazza è proprio come quel bicchiere: basta un attimo per farla scivolare via.
Passa qualche ora, e la casa si tinge dell’oro del sole al tramonto, e Soul sa qualcosa in più del suo cigno quando ne lascia la casa per tornare nella sua quotidianità. Sul volto si è dipinta un’espressione distesa, come di chi ha mangiato a sazietà, ed in effetti è proprio questo quel che ha fatto: ha nutrito la sua anima, così bisognosa di fatti, di storie, di ricordi del suo cigno, così impaziente di farli tutti suoi. Senza fatica si immagina, in un prato immerso nel sole, intento ad inseguire la sua chioma dorata fino allo sfinimento, cercando di cogliere ogni attimo un dettaglio che lo avvicini, che crei un legame, che sancisca un contratto e le impedisca di sottrarglisi. Ogni secondo è l’agonia dell’incertezza, quanto vorrebbe vedere con lei il domani ....

Ed è un attimo, quando quest’ultimo pensiero prende forma, e all’improvviso acquista anche peso, sostanza, e diventa insostenibile pensare oltre. Solo allora realizza di aver oltrepassato il passaggio ed esser giunto in un mondo al quale mai avrebbe pensato di arrivare.

 
Ed ogni cosa, attorno a lui, offre nutrimento d’amore.
 
 
Mi dispiace farvi magari restare delusi dalla brevità di questo scritto. Volevo che la consapevolezza di Soul prendesse forma in maniera rapida, che non lasciasse scampo ne a lui ne a voi, e spero di esserci riuscita. Il primo passo oltre il passaggio è stato fatto. Si comincia!

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Capitolo 8
*** A ciascuno il suo cigno ***


CAPITOLO VIII

A ciascuno il suo cigno

Sono innamorato.

Cazzo.

 

Tre infiniti giorni sono passati da quando ha fatto visita a Maka ma in qualche modo le sue attività cerebrali continuano a concentrarsi solo ed esclusivamente su quella scoperta, a dir poco sensazionale visto il soggetto che la riguarda.

Si è innamorato.

Non è difficile capire per quale ragione, fino ad allora, lo avesse ritenuto impossibile. Soul era sempre stato un inguaribile playboy, indifferente di fronte a parole quali amore e rispetto. C’era sempre stato solo il sesso. Abbiamo già visto come se ne fosse stancato, ora vediamo come la vita si stia rivelando ironica: proprio lui, che ha sempre preteso il controllo sulla sua vita, arrivando ad andarsene di casa e, in tempi più recenti, ad insultare uno degli uomini più in vista dell’alta società rifiutando di sposarne la figlia, si ritrova incapace di controllarsi nel suo stato attuale. Non capisce più nulla. Ne cosa stia succedendo, ne perché, ne quando sia cominciato, niente di niente. C’è solo un immenso senso di smarrimento e di agitazione.

Le farfalle nello stomaco. Proprio lui che ha sempre detto di essere in grado di bruciarle coi succhi gastrici quelle farfalle ... si ritrova a confrontarsi con quel sentimento che non lascia scampo e che in se conserva mille e più capacità. Non riesce a stare fermo ma non sa cosa fare, sa solo pensarla. Mille e mille immagini di Maka gli affollano la mente rendendogli impossibile riflettere oltre su qualsiasi altra cosa.

E anche Stein se n’è accorto.

“sai ... Evans, a me non frega proprio nulla che tu abbia la possibilità economica di acquistare l’intera scuola, insegnanti compresi. Se non ti decidi a prestare attenzione e a levarti dalla faccia quell’espressione da pesce lesso temo che dovrò ... vi vi se zio nar ti! È tutto chiaro ora?”

Soul non fa in tempo a rispondere che qualcuno bussa alla porta.

“avanti!” esclama seccato Stein, interrotto al culmine delle sue minacce.

“Professor Stein, buongiorno...”

“ah! Ciao, Maka. Dimmi pure.”

Per un attimo Soul medita sulla possibilità di ficcarsi nell’orecchio una matita per stapparlo, perché non è possibile che Stein abbia pronunciato il nome di Maka, poi il suo sguardo cade sulla soglia dell’aula.

In quel preciso istante Maka volge lo sguardo alle file più alte di banchi e incontra gli occhi di Soul. Di nuovo. È il silenzio. Un silenzio pesante, solido, che mette in imbarazzo chiunque ci si trovi di mezzo.

“Maka, cosa volevi dirmi?”. È Stein a rompere la tensione, costringendo Maka a distogliere lo sguardo.

“la professoressa Mjolnir la sta cercando, professor Stein. Mi manda a chiamarla.”

“ah, si, d’accordo, arrivo subito. Puoi andare Maka, grazie.”

Allora Maka gli volta le spalle e sparisce oltre la soglia.

“ehi, Soul, ma quella non è la tipa dell’altra notte?” chiede Black Star, come sempre un po’ troppo forte, infatti tutti quelli a portata d’orecchio si sono voltati verso di loro, incapaci di tenere a freno la curiosità. Molti bisbigliano eccitati di come Maka Albarn alla fine si sia fatta fregare come tutte le altre, altri si chiedono come sia in quelle situazioni, quando di solito è così fredda ... qualcuno da voce alle proprie sfrenate fantasie e allora è troppo, Soul non ce la fa più. È come se lui fosse un pittore e  qualcuno stesse stracciando il suo capolavoro.

“AVETE FINITO DI ROMPERE I COGLIONI? FATEVI I CAZZI VOSTRI! E NON PARLATE COSI’ DI MAKA!”

Di nuovo il silenzio, ma stavolta è la paura a premere il tasto mute. C’è anche un po’ di curiosità per quella reazione esagerata. Non è forse vero che non fa altro che scoparsele, tutte quante? Molte delle ragazze che si trovano in quella stessa classe lo sanno meglio di altre. Soul si rende conto che qualcosa è andato storto e, approfittando del fatto che Stein non c’è, guadagna l’uscita trascinandosi dietro Black Star, fermandosi solo una volta arrivato al campetto da basket li vicino.

“grande Soul, ci voleva un po’ d’aria! Comunque sa....”

“STAI ZITTO UN ATTIMO.”

Soul deve chiarire questa situazione almeno col suo amico o non ne uscirà. La varietà dei sentimenti che prova è troppo vasta perché possa tenersela tutta per se.

“ascolta ... il Soul che conoscevi è andato, finito, ok?”

“amico che cazzo dici?”. Adesso che lo vede così serio, anche Black Star comincia a preoccuparsi.

“quello che ho detto. Basta scoparmi tutte le ragazze che mi capitano a tiro, basta ubriacarmi tutte le notti e fare cazzate, basta tutto! Cazzo Black Star mi sono innamorato!” confessa, tutto d’un fiato, nascondendosi la faccia tra le mani perché l’amico non possa vedere quanto gli stia costando dire tutto questo.

Black Star per un attimo pare non capire. In volto gli si dipinge la smorfia più stupida del mondo mentre il suo cervello, programmato solo per fare cazzate, cerca di comprendere un discorso serio come quello senza andare in panne. Poi recupera la facoltà della parola e tutto quello che riesce a dire è: “ah.”

Soul si toglie le mani dal viso e lo fissa, esasperato.

“come ? Ma sei scemo? Hai capito quello che ho detto?”

“si che l’ho capito, non sono mica coglione!”

Soul si trattiene a stento dal commentare che invece è un coglione eccome! Lo fa solo perché qualcosa, nell’espressione di Black Star, lo distrae.

“e a te invece, che t’è successo? Che è ‘sta faccia?”

Black Star fissa un punto lontano, opposto agli occhi dell’amico mentre risponde: “e io che credevo che saresti stato tu a tirarmi fuori da ‘sto casino ... invece ci sei finito anche tu, cazzo!”

“no scusa, adesso sono io che sono coglione, perché non ho capito ... almeno non credo.”

“hai capito benissimo. Non so quando cazzo è successo ne perché, ma quella tizia mi sta risucchiando il cervello!”

Soul non può trattenersi da ridere. È sollievo, quello che lo pervade. Sollievo per non aver perso il suo amico, come credeva. Sollievo per aver invece trovato un altro punto che li lega, anche stavolta.

“primo, non è che ci sia molto cervello da succhiare in quel tuo cranio, secondo: chi è la tizia?”

“non lo so Soul ... non so come si chiama o da dove viene, non so niente di lei, niente! So solo che questi giorni sono stati un continuo inseguimento! Ovunque sta lei, ci sto anch’io. Non riesco a lasciarla perdere! Così ho pensato: cazzo, devo essere ... non riesco a dirlo, porca puttana! Almeno tu l’hai ammesso!”

Soul ride così tanto che gli occhi gli si riempiono di lacrime, ma smette dopo poco perché il suo amico è ancora troppo serio.

“be? Hai finito co ‘sta faccia?”

“tu non capisci ...”

In effetti, Soul non capisce. La sua vita si è trasformata senza dubbio in meglio, con l’arrivo di Maka, per cui non riesce a capire cosa ci sia da essere tanto scuri in volto. Ma Black Star, prima di potersi dedicare all’amore, ha ben altri conti da risolvere, e ne ha anche Soul, solo che non lo sa ancora.

 

 È una notte troppo buia per i gusti di Black Star. C’è qualcosa che lo agita nel profondo nell’assenza di stelle e in quella mezza luna che gioca a nascondino con le nuvole, senza tuttavia riuscire a celare del tutto il suo ghigno malefico, divertita dalla pateticità crescente degli esseri umani che bagna con la sua flebile luce. Tutto, se illuminato dalla luna, perde colore, ma come una punizione il sangue che macchia la sua lama è più rosso che mai, sembra quasi avere il potere di tingergli le pupille. Ai suoi piedi, un corpo morto. Non è che l’ultimo di una lunga serie, ma quando ormai gli sembrava di averci fatto l’abitudine, ha ricominciato a soffrire della morte altrui. Non è così che pensa e agisce un assassino, se lo vedesse suo padre si vergognerebbe di chiamarlo figlio, ma cosa può farci? Maledice ancora una volta la luna che tinge d’argento le sue lacrime disperate, rendendole oltremodo visibili a chiunque. È grato di essere solo, e allo stesso tempo se ne dispiace, visto che ha solo undici anni. Ripensa a due anni prima, spegneva le sue nove candeline e desiderava rendere orgogliosa la sua famiglia, non sapendo quale strada avrebbe dovuto intraprendere per realizzare quel desiderio. Se l’avesse saputo, avrebbe chiesto di avere un altro sangue, ma il tempo di ripensarci e, sotto la guida di suo padre, era già diventato una macchina per uccidere, come succedeva da generazioni a tutti gli uomini della sua famiglia.

Osserva ancora quel corpo steso inerte al suolo, mentre la terra ne beve la linfa vitale. Non fa più male per un improvviso ritorno di coscienza, ma perché quel cadavere rappresenta per lui una negazione. Era proprio una bella ragazza, ed era molto più della SUA ragazza. Era il suo futuro, perché sapeva che l’avrebbe sposata. Almeno fino a quando una guerra tra clan non aveva segnato il suo destino, costringendo lui stesso a porre fine alla sua vita in quanto erede delle redini della sua famiglia. Aveva undici anni e la amava dell’amore degli adulti, e adesso è morta. In un attimo realizza che è proprio questo il suo destino, restare solo e non conoscere l’amore, perché potrebbe accadere di nuovo una cosa come questa e sa che non ce la farebbe a sopportarla un’altra volta.

 

Questa è la battaglia di Black Star che, seppure ormai lontano dalla sua famiglia, conserva quella consapevolezza di essere destinato alla solitudine, per il bene di chi gli sta intorno.

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Capitolo 9
*** Ogni cigno ha la sua storia ***


CIGNO NERO
Capitolo IX – Ogni cigno ha la sua storia.

 
Centodieci ... centoundici ... centododici ...

Nella penombra della sua stanza, quando l’alba non ancora accenna a spuntare ma la luce del sole arriva ad illuminare leggermente l’orizzonte, e nel silenzio che caratterizza questo momento della giornata, Black Star, di fronte al letto, esegue la sua dose di flessioni giornaliera.

Vorrebbe poter dire che si tratta solo di una questione di vanità personale, che la notte incubi terribili di un se stesso floscio e privo della benché minima traccia di virilità lo affliggono, vorrebbe avere problemi così. Problemi che non sono affatto tali. Ma in ogni spinta che lo allontana dal suolo e gli spreme una goccia di sudore in più c’è una necessità bruciante che deriva dalla folle paura di vedere, un giorno, suo padre sulla soglia di casa, pronto a fare di lui un cadavere ed un esempio per tutti coloro che pensano di poter sfuggire a quel mondo di sangue di droga e di soldi da cui è venuto fuori. Vuole essere pronto, Black Star, per quel giorno fatidico che sente sempre più vicino, ma ogni mattina si sveglia pensando che non lo sarà mai, chiedendosi per quanto ancora sarà in grado di far finta di possedere la speranza di un futuro.

Lui non ha un futuro, a fatica si è conquistato un presente, e in fondo non è cambiato da allora, da quando eseguiva gli ordini senza batter ciglio, non è cambiata la sua incapacità di affrontare i suoi sbagli. Si è sempre nascosto dietro le direttive, gli ordini, come fossero assoluti, come provenissero da Dio e non da un semplice uomo meschino, e anche adesso, quando pensa a tutte le atrocità che ha commesso, si dice che non è stata colpa sua, che non aveva scelta. Tutte balle. Sarebbe stato meglio se fosse morto. Almeno la sua pelle non si sarebbe impregnata di tutto quel sangue, su tutti il suo, di quella ragazza che lui credeva di poter amare, che lo vedeva per quel che era davvero, che non lo chiamava assassino perché faceva parte lei stessa di quel giro e sapeva cosa volesse dire, svegliarsi ogni mattina con la vita di un’altra persona sulla coscienza.

Anche se non ha un futuro, il suo cuore si ostina a battere più forte ogni volta che la vede, ma lui sa perché, perché proprio lei. In fondo, ne è la fotocopia, con quei capelli corvini liscissimi, gli occhi neri e la pelle candida. Qualche volta riesce a vedere anche lei ricoperta di sangue dalla testa ai piedi, sfregiata dalle sue mani impietose di assassino, e allora le gambe minacciano di non sostenerlo più e si sente uno psicopatico, perché è un po’ come se la sua mente si divertisse a giocare col suo cuore. La vede e si chiede se lei, quella bambina rimasta indelebile nei suoi ricordi, crescendo sarebbe diventata così.

Ad un tratto, quando ormai si è fatto giorno e la stanza è inondata di sole, Soul sbuca dal corridoio, il volto di chi ha dormito poco e male, o forse troppo bene.

“oh, ciao Black Star ... cazzo ma come fai a essere così sveglio a quest’ora?”

Nessuna risposta. Soul quella domanda gliela fa tutte le mattine. Tutte. Il perché non lo sa, ma ormai ha smesso di rispondergli che è un’abitudine che ha fin da bambino, anche perché ripensarci non lo fa stare meglio.

Soul sparisce alla vista, sicuramente diretto in cucina per fare colazione, e lui lo segue. Dopo qualche minuto, che Soul passa a tirar fuori quanto c’è di commestibile al mattino in dispensa e in frigo, l’albino si siede e, addentando un biscotto e versandosi il latte in una tazza sbeccata, gli fa la prima vera domanda della giornata:

“lei chi è?”

“lei...?” per un attimo, Black Star non afferra il senso della domanda.

“la tizia che ti piace, Black Star, cazzo sarai anche sveglio dalle cinque ma certe volte proprio non afferri ...”

“ah, quella ...” risponde lui, evasivo, come se si trattasse di un fatto di poca importanza. “ che te ne frega? Fatti i cazzi tuoi.”

“Liz Thompson? Oppure la sorellina? O magari quella bomba sexy... com’è che si chiama? Ah si, Blair ... eh?”

“ e chi sono queste?”

“amiche di Maka”

“non le conosco.” Afferma l’azzurro, ma  sa che quelle sono anche amiche di quella ragazza, perché le ha viste con lei in diverse occasioni, specie i sabato sera. Si rende conto anche di aver passato troppo tempo ad osservarla.

Disgustoso.

“e poi c’è quella ... ah si, Tsubaki.”

Il volto di Black Star si accende in maniera inequivocabile al suono di quel nome, tanto che Soul non può fare a meno di sghignazzare.

“bingo! Amico mio, sei una merda a mentire, lo sai? Però devo dire che hai buon gusto ... certo chissà di dov’è quella... ha un cognome stranissimo, qualcosa tipo Nakayukata ... Nakayamaha ... no, no ... non era così ... ah, ecco! Nakatsukasa. Tsubaki Nakatsukasa. Che sia giapponese?”

Black Star si paralizza. “cosa hai appena detto?”

“ti ho chiesto se non è giapponese.”

“no, prima.”

“il cognome, Nakatsukasa, perché?”

Ma Black Star non può rispondergli, non può. Ci vorrebbe una vita per spiegare l’incubo che quel cognome porta con se, la macchia che quell’intreccio di suoni gli ricorda, il corpo esangue di quella ragazzina steso a terra e una famiglia che giura obbedienza al clan degli Star, pur di non assistere mai più ad una cosa simile. Ci vorrebbe una vita e non sarebbe abbastanza per cancellare dalle pupille di Black Star il nome impresso sulla lapide di marmo bianco, scritto in caratteri che non conosce ma che sa leggere, per dovere e per amore.

 Miyuki Nakatsukasa, secondogenita dell’omonimo clan di ninja assassini di Death City.

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Capitolo 10
*** Verità della morte di un cigno ***


CIGNO NERO
Capitolo X – verità della morte di un cigno.

 
Troppo spesso Black Star si è reso conto di avere tutto e tutti contro di lui. Quando questo succedeva, prima, aveva l’abitudine crudele di eliminare l’ostacolo alla radice. Poco importava di che natura fosse, perché se gli impediva di giungere al suo obiettivo meritava solo di sparire. Questo è l’unico senso in cui si è sempre concesso di essere determinato. Questo è il solo tipo di determinazione fondamentale per un assassino.

Oggi però, Black Star è un’altra persona. Un ragazzo che ha avuto il coraggio di dire basta, e lo ha fatto lasciando la casa natia per vivere arrangiandosi da solo. Se riconoscesse il suo valore, sarebbe tutto molto più semplice, ma tutto ciò che vede di se stesso è ciò che è stato. A volte, durante la notte, quando Morfeo proprio non vuole saperne di fargli visita, nel buio gli sembra di scorgerla, la sua vita di un tempo, e tutto è tinto di rosso, tutto fa male agli occhi e al cuore, lo acceca al punto da non fargli vedere ciò che nel tempo è diventato: un mascalzone, forse, ma di quelli che a guardarli ti viene anche un po’ da sorridere. Il compagno di marachelle di Soul, il rubacuori, un po’ rissoso, ma che per i suoi pochi amici dona, se necessario , anche la vita.

Soul continua ad ingurgitare latte e biscotti, lasciando l’amico a riflettere nel suo silenzio, senza fargli capire quanto vorrebbe sapere ciò che lo agita dentro, che gli rabbuia il viso, dandogli l’aspetto di uno che si è ritrovato di fronte un cadavere. Non sa Soul, quanto sia arrivato vicino alla verità della vita di Black Star. Però sa che fa bene a starsene zitto, perché L’azzurro è uno che tiene ai suoi segreti, specie quelli che riguardano il periodo in cui viveva con la famiglia. Per qualche attimo, nella stanza regna il silenzio, rotto soltanto dal masticare di Soul, poi Black Star alza di nuovo lo sguardo a fissarlo, il suo amico, che non lo ha mai criticato, che ha sempre rispettato le sue scelte, chiedendosi cosa penserebbe, stavolta, di lui, se sapesse, se sapesse davvero chi è Black Star. Ha bisogno di parlare con qualcuno, deve raccontare la sua storia. Qualcuno oltre la sua famiglia e quella di Miyuki, di Tsubaki, deve sapere. Qualcuno che possa comprendere.

E allora, mentre Soul lo fissa con quegli occhi rossi che hanno sete di sapere e traffica col cellulare,  Black Star racconta di un bambino nato in una famiglia di assassini, un bambino che aveva tanti fratelli più grandi, tutti bravissimi a combattere, che ricevevano sempre sorrisi e pacche sulle spalle da papà. Lui non amava quel genere di cose, preferiva giocare con gli altri bambini, e scappava spesso di casa, perché altrimenti non avrebbe avuto niente e nessuno con cui giocare. Puntualmente però, suo padre andava a ripescarlo trascinandolo per un orecchio, sotto gli sguardi spaventati degli altri bambini, fino a quando nessuno volle più giocare con lui, per paura.

 Un giorno, aveva otto anni, la madre morì, e lui rimase completamente solo perché lei era l’unica in grado di capirlo, era quella che lo sottraeva alle botte del padre e se le prendeva al suo posto, quella che lo faceva sgattaiolare al parco di nascosto quando il padre partiva per lunghi viaggi, e all’improvviso se n’era andata per non tornare. Uno dei suoi fratelli aveva detto: su, in cielo. La mamma però non aveva mai volato e aveva una tremenda paura di farlo, l’aveva sempre avuta, quindi per tanto tempo il bambino fu convinto di poterla vedere ancora. Ma lei non tornava, nessuno faceva più i biscotti, e lui non usciva più di casa, stava sempre col papà.

 Il papà gli disse un giorno che anche lui sarebbe diventato come i suoi fratelli, che doveva renderlo felice perché altrimenti la mamma si sarebbe arrabbiata. Fu un ricatto e il bambino era troppo piccolo per capirlo, così cominciò ad impegnarsi anima e corpo per raggiungere il livello dei fratelli, esercitandosi tutti i giorni con loro e prendendosi un sacco di botte da tutti, dicendosi che così sarebbe diventato forte, che la mamma sarebbe stata felice. Il giorno del suo nono compleanno, spegnendo le candeline espresse il desiderio di riuscire a rendere suo padre fiero di lui, senza sapere a cosa andava incontro. Cominciò il vero addestramento, e in breve quel bambino divenne un assassino.

 Passarono gli anni, ne compì quattordici. Era più libero, adesso, usciva di casa quando voleva, e nello stesso parco da cui era stato sottratto tante volte da piccolo conobbe una ragazzina, forse di dodici anni. Stava sempre sull’altalena, anche a quell’età, e si spingeva sempre fortissimo, contemplando il cielo.

 Quando udì la sua voce per la prima volta, pensò a come sarebbe stato triste sentire quella melodia celestiale pronunciare la parola “assassino”, perché quello era il suo nome, e tutti lo sapevano. Ma lei un giorno lo vide, e gli si avvicinò senza paura, dicendogli che lo conosceva, che sapeva il suo nome, che il suo nome era Black Star. Lui si stupì di non sentirsi chiamare assassino. Quel giorno parlarono a lungo e lei gli rivelò di essere la secondogenita dei Nakatsukasa, una famiglia di ninja assassini. Da quel momento passarono insieme ogni secondo libero, si innamorarono, di nascosto da tutti, e si baciarono anche, un giorno, in quello stesso parco dove si erano conosciuti.

 Mentre lo racconta, sente salirgli alle labbra il sapore di ciliegie che avevano quelle labbra, che diventa metallico come il sangue, quando infine è costretto a rivelare di averla uccisa, dopo uno scontro spietato, per ordine del padre, che nulla sapeva di loro e che, se anche avesse saputo, non avrebbe compreso. La sua famiglia non seppe mai di lui, e nemmeno lei. Non vide il suo volto prima di morire, ma a lui non fu concessa questa grazia, e così da allora ogni notte il suo corpo esanime e la sua spada grondante sangue si riaffacciano, implacabili, alla mente.

Rivelare tutto questo gli è costato molto, Soul se ne rende conto. Non ha mai visto Black Star tremare, non l’ha mai visto piangere, e adesso sta facendo entrambe le cose, li di fronte a lui. Non credeva che l’amore potesse fare questo, che potesse uccidere un uomo, e invece eccolo lì, l’esempio lampante. In nome di un sentimento ancestrale il suo cuore batte per la sorella della ragazza che ha ucciso. Soul non sa dire ancora se questo, per Black Star, possa rappresentare un riscatto o una punizione, ma vorrebbe fare qualcosa per favorire il destino perché, che lui se ne renda conto o meno, merita una seconda possibilità.

Adesso Black Star lo guarda, e sembra chiedergli con insistenza cosa sta pensando, se è ancora disposto ad essere suo amico, se riesce a capirlo anche se lui stesso non comprende dove possa essere finita la sua forza, allora, cosa lo abbia costretto a compiere quel gesto, cosa gli abbia impedito di scappare.

“avevi solo paura.” Soul sembra leggergli nel pensiero. “la paura abbatte ogni convinzione, ogni difesa, ogni attacco. Se non la sai gestire ti distrugge, o ti comanda. Tuo padre sapeva bene come usarla su di te, e tu, a quattordici anni, malgrado tutto, volevi vivere. Sarei scemo a non capirlo, Black Star. Volevi solo vivere, e questo non è sbagliato. Non avevi vissuto abbastanza da capire che potevi prenderla con te e scappare, ci hai messo un anno, per capire che dovevi andartene, e lo hai capito solo perché è successo quel che è successo, altrimenti forse saresti ancora lì. Io ci credo, credo nelle cose che devono accadere per forza, nei passi che si devono fare per arrivare a un certo punto.”

Un ghigno gli illumina il volto quando, scolatosi l’intero bicchiere di latte, aggiunge:

“non ho intenzione di chiamarti assassino, amico mio.” E mentre dice questo, preme un pulsante sul cellulare che tiene appoggiato al tavolo. Black Star nemmeno se ne accorge, preso com’è a piangere ancora, stavolta di sollievo.

Più tardi, nella sua stanza, mentre si prepara per un’altra noiosa giornata di scuola, Soul riprende il telefono. Rovistando nella cartella giusta, trova quello che cerca. Perfetto, si sente forte e chiaro.

Tsubaki Nakatsukasa, e anche tu, Maka Albarn. È ora che voi sappiate la verità.

 

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Capitolo 11
*** Affinché un cigno ferito torni a danzare ... ***


CIGNO NERO
Capitolo XI – affinché un cigno ferito torni a danzare ...

 
È una mattina serena, in cui il sole sembra voler avvolgere ogni cosa nella sua luce chiara e forte, e Soul cammina a passo spedito per le strade di Death City, diretto a scuola come sempre. Fa un caldo pazzesco e vorrebbe davvero rallentare il ritmo, ma se lo facesse non riuscirebbe ad arrivare in tempo per sottrarre Maka alla scuola e portarla con se.

Ha deciso, deve parlarle, e lo sconcerta non poco il fatto che sia stata la storia di Black Star, a fargli prendere quella decisione. Forse perché quello che è successo al suo amico gli ha dato l’impressione di essere un tipo di persona che si lascia sfuggire le cose quando gli stanno tra le mani. Ha continuato ad osservare Maka, senza parlarle, senza tentare di averla per se, malgrado l’amore che ancora gli brucia dentro, per un tempo infinito, come fosse sicuro del fatto che lei sarebbe rimasta lì. Ma lei non resterà per sempre, adesso se n’è reso conto. Una cosa qualsiasi potrebbe portargliela via, anche lo stesso amore che lo spinge a camminare più veloce, quindi è tempo che si confrontino.

A tratti Soul incontra gente che conosce, e alza un braccio per salutarle, stancamente. Da qualche parte un neonato sprigiona un pianto di protesta e una mamma gli si rivolge con dolcezza. Qualche donna stende i panni ad asciugare al sole, prima di uscire per il lavoro. Il postino gira in bici con l’aria mesta e stanca come la sua. Sembra tutto normale, ma di li a qualche ora, Soul lo sa, niente sarà più lo stesso, almeno per lui.

Passano dieci minuti, prima che riesca a vedere la Shibusen ergersi al di sopra delle case, con la sua struttura imponente e stravagante, nella quale si riversano come un fiume decine  e decine di ragazzi. Con un rapido sguardo, riesce ad individuare Maka: è appena fuori dal cancello, che parla con qualche amica.

Si ferma un attimo, nel tentativo di ricomporsi. Aggiusta la camicia, raddrizza il colletto, si asciuga il sudore dalla faccia con una manica, si annusa le ascelle, scoprendo con sollievo di non puzzare. Da una scrollata ai capelli e poi si decide ad avvicinarsi  a lei, tirando un sospiro profondo, per calmarsi.

Lei, prima ancora che lui le rivolga la parola, si volta e lo vede avvicinarsi. Sul suo volto sbuca evidente la sorpresa e anche una certa agitazione che comincia a pomparle il sangue più forte nelle vene. Le guance arrossiscono e lei sa che nel momento in cui aprirà di nuovo bocca la sua voce tremerà, come le sue ginocchia. Stringe la cartelletta più forte tra le mani, stropicciandola un po’, per evitare che tremino anche quelle.

Lui sorride leggermente, tentando disperatamente di darsi un tono.

“Ciao, Maka ...”

Con lei ci sono Crona e Kimina. La prima, alla vista di Soul, si nasconde istantaneamente dietro la seconda, stritolandole le spalle con le mani. Kimina sorride all’indirizzo di Maka, la saluta e se ne va, trascinandosi Crona dietro.

“c-ciao, Soul ..”

Lui si gratta dietro la testa, imbarazzato, cercando per un attimo le parole migliori.

“dovrei parlarti di una cosa importante.” Dice alla fine. “ti spiacerebbe saltare la scuola, per oggi?”

Maka resta interdetta dalla sua richiesta, per un attimo, ma Soul le ha messo curiosità e, deve ammetterlo, nel suo cuore si sta riaccendendo la speranza che questa cosa importante riguardi loro due.

“va bene ...”

Se ne vanno, diretti verso il parco vicino, quasi deserto tranne che per qualche studente intento a giocare a Basket. Appena arrivati si siedono su una panchina in penombra. Per un istante, entrambi si guardano attorno, come se volessero lasciare la parola all’altro. L’atmosfera si addensa pericolosamente finché Maka non chiede:

“di ... di cosa volevi parlarmi?”.

Mica facile!  Pensa lui.

“ecco ... “ prende un altro bel respiro. “volevo dirti che ... tu insomma ... ti amo!”

Maka rialza lo sguardo, fino ad allora tenuto basso, gli occhi spalancati fissi in quelli di Soul. Un altro momento di silenzio assoluto, se non fosse per i loro cuori, che battono con tanta forza da sentirsi con chiarezza. Poi Soul, trascinato da una qualche forza arcana e irresistibile, posa le sue labbra su quelle di Maka.

Si stupisce lui stesso della propria delicatezza. Ricorda di aver baciato prima, ma lo ricorda diverso, invasivo, ricolmo di sesso, privo di rispetto per se stesso e per l’altra, che lo sta baciando.

Questo è diverso. È dolce, attento. È uno di quei baci che ti stampano, indelebile, il sapore dell’altro sulle labbra. È pieno di promesse, di cose non dette, inesprimibili anche con quel ti amo, ancora più speciale per Soul che lo dice per la prima volta, per Maka che non se l’è mai sentito dire e che si vede riportata indietro, a quando i suoi genitori stavano ancora insieme e c’era sempre almeno un ti amo tra le loro parole e i loro sguardi.

All’improvviso Maka posa le mani sulle guance di Soul, spingendo verso di se quel bacio con forza, e lo fa per evitare che la gioia che prova la sciolga in singhiozzi, anche se i suoi occhi già traboccano di lacrime. Se ne stanno così per un po’, un tempo già di per se corto, che diventa questione di secondi quando si separano e si rendono conto di non aver respirato, tesi ad ascoltare ognuno la canzone che l’anima dell’altro sprigionava.

Si dicono un sacco di cose, si raccontano delle loro vite, del loro passato. È necessario per soddisfare la curiosità bruciante che ognuno ha dell’altro, la necessità di sentirsi, anche solo attraverso un racconto, parte della storia della persona amata. Così Maka racconta della sua famiglia, che era felice e unita, e di suo padre, ormai conosciuto solo per le sveltine col personale scolastico, il padre che ha dimenticato all’improvviso come ci si occupa di una figlia. Gli racconta quanto è brutto nascere con la convinzione che lo studio sia importante in un’epoca di stolti, delle prese in giro che ha sempre dovuto subire, dell’ingiusta impressione che la gente ha di lei. Racconta e racconta ancora, vuole arrivare al punto in cui Soul, sazio dei suoi discorsi, inizierà a parlare di se.

E quel punto arriva, e Maka, in poco più di mezz’ora, si vede svelata la ragione per cui sul volto di Soul manca sempre il sorriso, quello vero, in grado di far brillare gli occhi cremisi. Poi Soul si riscuote da quella magia e, giacché sta parlando di se, decide di cominciare a parlare di Black Star, talmente tanto amico da essere una parte di se, così sciocco all’apparenza ma con pesi insostenibili sulle spalle.

“ecco, Black Star è proprio una persona da cui, in apparenza, non ti aspetteresti nulla di buono. La verità è che la vita è stata ingiusta con lui in un modo che ne io ne tu possiamo immaginare ... voglio raccontarti questa cosa, vorrei che mi aiutassi a renderlo felice. Ci stai?”

Maka annuisce solenne, e Soul va avanti.

“Hai presente la tua amica ... Tsubaki? “ così comincia.

Maka sa già di quella che è stata la vita della sua amica. Sa anche di Miyuki, e sa che parlare di lei, anche oggi, le fa un male assoluto e mortale, ma tutto si aspetterebbe di sentire da Soul fuorché il fatto che sia stato Black Star a uccidere Miyuki.

“il padre era una di quelle persone in grado di non lasciarti vie di fuga, proprio come il mio. In certi casi, è il carattere a fare la differenza. Io sono fuggito prima di finire per mettere in gioco me stesso, e questo perché già possedevo il carattere necessario per ribellarmi. Lui, a quell’età, aveva solo il profondo desiderio di vivere, che al culmine di tutto aveva trionfato sull’amore che lui provava per Miyuki. Se non altro, lei non lo ha visto in volto, non ha compreso, prima di morire, di esser stata uccisa proprio da lui ...”

Lo sguardo di Soul si fa grave, pesante, mentre prende le mani di Maka tra le sue, preparandosi a supplicarla anche, se necessario.

“Ora, Black Star ha finito per innamorarsi di Tsubaki. Tutto sommato, è logico. Probabilmente, se avesse potuto crescere, Miyuki le sarebbe somigliata molto. Ma tu non credi che, se lei sapesse cosa lui ha fatto, non riuscirebbe mai ad amarlo? Lo credo anch’io. Però ...”

Una sua mano si stacca da quella di Maka per frugare nella tasca dei pantaloni. Ne estrae il telefono.

“ascolta.”

La conversazione di quella mattina fra Soul e Black Star fuoriesce, chiara e forte, dal telefono, e se all’inizio Maka riesce a mantenere quasi un’espressione distante, alla fine, quando Soul si rimette in tasca il telefono, sta piangendo di nuovo, di commozione.

“ti prego, Soul ... aiutiamoli.”

 

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Capitolo 12
*** In memoria del cigno, propositi di vendetta. ***


CIGNO NERO
Capitolo XII – In memoria del cigno, propositi di vendetta
 
Tsubaki ha lo sguardo perso nella luce abbacinante del sole, mentre la professoressa Mjolnir tenta in ogni modo di farsi ascoltare da tutti. Quello è uno di quei giorni in cui proprio non ha voglia di stare a sentire nessuno: tra poco meno di una settimana saranno passati due anni dalla morte della sua sorellina.

La natura è crudele, il mondo attorno a lei le è ostile. In questi giorni che per lei dovrebbero essere freddi e densi di pioggia, il sole splende come non mai, beffardo, sopra la sua testa, che di giorno in giorno si fa sempre più pesante. È per questo che le piace la notte, che esce così spesso la sera. Un po’ per dimenticare, un po’ perché ha impressione che la luna, seppur meravigliosa, mostri la sua bellezza con più rispetto per le pene dei mortali.

Non sa, Tsubaki, che la luce della luna non ha nulla di rispettoso, e che anzi spia il lato peggiore degli uomini che si risveglia solo la notte. Essa sa molte più cose di quanto chiunque desidererebbe sapere, e le ignora tutte con glaciale indifferenza che ferisce forse più della sfrontatezza del sole cocente, ma a lei, desiderosa di nascondere nel buio le sue sofferenze, di annegarle talvolta in un bicchiere, non interessa.

 
Maka e Soul passeggiano per il parco, godendosi quella giornata che sembra fatta solo per loro, approfittando del contatto tra le loro mani per saggiare la consistenza delle loro pelli, il profumo, la sensazione confortante del calore che dalle dita si dirama fino al centro del corpo, donando più forza anche al cuore. Ci sono diversi momenti in cui tacciono, perché non hanno parole, o perché non c’è bisogno di esse ed è sufficiente scrutarsi gli occhi e i riflessi prodotti dentro di essi dal sole che filtra tra i rami degli alberi. Qualche volta si sorprendono ad osservare la stessa cosa, pur non essendosi messi d’accordo. È un muto legame, visibile solo agli occhi di chi lo ha vissuto. Per tutti gli altri, non sono che due ragazzini che giocano a fare i grandi, e a loro non da fastidio, sono anzi contenti, perché nessuno si curerà di loro.

“oggi riporterò la registrazione su CD. Dovrai farla avere a Tsubaki, ma non è il caso che sappia che sei stata tu. Dovrà trovarla da sola, o potrebbe prendersela con te.”

Maka annuisce. “spero che lei capisca, che sia più intelligente di me. Forse io, al suo posto, non capirei, cercherei solo vendetta. Forse lo farà lo stesso ... se lo facesse? Non avremmo fatto altro che rovinare loro la vita ...”

Soul stringe le labbra. Capisce quello che vuole dire, eppure non gli sembra giusto. “ cosa hai provato, quando hai sentito quel che ha detto Black Star?”

Maka vaga lontano con lo sguardo. “ ho pensato che se quelle parole fossero state per me, sarei stata la persona più felice del mondo. Ma io e Tsubaki non siamo uguali, e io non ho vissuto quel dolore. E poi ... abbiamo scelto proprio un brutto momento.”

“perché?”

“tra pochi giorni saranno passati due anni esatti, dalla morte di Miyuki ...”

Mentre dice questo però, Maka non può fare a meno di pensare che ci sia qualcosa che guida i loro gesti, al di la delle apparenze, perché Soul ha scelto un momento come questo a sua insaputa, e lui, che la guarda come la vedesse per la prima volta, sta pensando la stessa cosa.
 
Il padre di Tsubaki se ne sta davanti all’altarino costruito per la sua figlia minore.

Una foto di Miyuki in primo piano campeggia al centro dell’altare. Affianco, c’è un bastoncino d’incenso che spande il suo dolce profumo nell’aria. Sa di giglio. I gigli erano i fiori preferiti della sua bambina e la madre non lo ha mai dimenticato. Nella foto, Miyuki ha un sorriso ampio e bellissimo. Nessuno si sarebbe mai aspettato, da quella bambina, che facesse parte di una famiglia di assassini, ed in effetti, malgrado fosse abile nelle arti del combattimento e nell’uso di armi, era come se non ne facesse parte perché, come diceva sempre, solo pensare di uccidere una persona le straziava l’anima. Malgrado questo, i suoi genitori e sua sorella l’avevano sempre amata e si erano ripromessi di proteggerla come meglio potevano, da quel mondo insanguinato.

Ogni giorno, Toshiro Nakatsukasa si inginocchia davanti all’altare, batte le mani e prega per l’anima della sua bambina.

“mi dispiace, amore mio, non sono riuscito a proteggerti ...” ripete, come una litania, più e più volte, dondolandosi sulle punte dei piedi e macchiandosi la camicia di silenziose lacrime. “mi dispiace, ma adesso posso vendicarti, ora so chi è stato ...”. La voce trema, ma la volontà è ferrea. Ha atteso questo momento per così tanto tempo da credere di aver sognato ogni cosa. Ha passato notti insonni nel tentativo di consolare sua moglie, mettere a tacere le sue grida disperate, cancellare dai loro cuori le macchie di sangue e di colpa, e adesso tutto questo sarà possibile. È stato lui, lo sanno. Lui che frequentava lo stesso parco giochi della sua bambina, il figlio minore di una famiglia senza pietà. Hanno aspettato, a lungo, con pazienza, ma tra pochi giorni l’anima della loro figliola vorrà abbeverarsi del sangue di chi l’ha uccisa, e non sarà certo suo padre, a negarle questo piacere.



 

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Capitolo 13
*** 13 - Anche un Cigno sa essere crudele. ***


13

ANCHE UN CIGNO SA ESSERE CRUDELE



Maka si rigira tra le mani il cd, nascosto in una bustina di carta azzurro cielo. E’ titubante, deve ammetterlo. Se c’é una cosa che ha dovuto imparare forzatamente nella vita è che le persone, spesso, appaiono in un modo e pensano l’opposto.

Sei la cosa più preziosa che ho, Maka...

Suo padre glielo diceva sempre. La cosa più preziosa. Non è poi passato molto tempo da quando l’ha sentito pronunciare quelle stesse parole l’ultima volta, ma ne è passato tantissimo dall’ultimo istante in cui le ha sentite vere. Troppo spesso adesso le utilizzava per guadagnarsi il suo affetto quando sapeva di aver fatto l’ennesimo passo falso, senza sapere che la cosa creava più danni che altro, perché accidenti, le cose davvero preziose non si scaraventano ripetutamente a terra con noncuranza, come lui faceva, costantemente, con il suo cuore.

Ecco, la maggior parte delle persone si comportava esattamente come lui, e lei aveva paura che Tsubaki, questa volta, non potesse rappresentare l’eccezione come al solito.

Le sei del mattino. Le lancette di metallo dell’orologio appeso di fronte al suo letto sono illuminate quel tanto che basta dalla luce dell’alba per farle notare quanto poco sia riuscita a dormire, presa com’è dai suoi pensieri.

Ti prego, fa che Tsubaki capisca...
 



Più giù nei bassifondi, Soul Eater Evans ha avuto sogni ugualmente tormentati e ricolmi di pensieri fastidiosi, solo che il suo orologio è digitale ed è poggiato sul comodino.

Vuole davvero che Black Star possa conoscere un po’ di sollievo. Anche lui a suo modo sa cosa significa sentirsi oppressi nella propria casa, vedersi portare via l’ossigeno e la libertà di agire e di pensare. Uno per i soldi, l’altro per la droga e le armi, ma alla fine il senso di soffocamento è pressoché identico. Gli sembra quindi giusto che anche Black Star, come lui grazie a Maka, abbia la possibilità di conoscere un mondo in cui non c’è puzza di sangue e di morte. .



 
La lezione è appena finita e, nel caos di gente che tenta di fuggire dall’ennesima ora di tedio, Maka fa scivolare non vista il CD tra i libri di Tsubaki, nella borsa aperta poggiata a terra. Non c’è altro modo per non farle capire chi glielo ha lasciato e darle comunque la possibilità di sapere come è andata veramente, quasi due anni fa.

“Hai fatto?”

Maka sussulta. Soul le è comparso alle spalle senza preavviso, silenzioso come un’ombra. Si incamminano verso i quartieri bassi.

“Si... Soul, io spero solo che tutto vada bene e che nessuno si faccia del male. Ma penso sia una speranza vana...”

Soul le stringe delicatamente la mano nella sua, in un gesto che vuole essere dolce e rassicurante al tempo stesso.

“vedrai che andrà tutto per il meglio”, le sussurra, eppure da qualche parte nei recessi del suo cuore anche lui pensa che le cose potrebbero finire male.



 
Glielo devo dire.

Black Star è giunto a un’inevitabile conclusione: Tsubaki deve sapere la verità. Il solo pensiero genera brividi che gli percorrono violentemente la schiena per poi trasformarsi, non sa nemmeno lui bene come, in lacrime che lottano per uscirgli dagli occhi.

Non è la paura di morire, no, anche se sa bene che la sua morte è pressoché scontata: Tsubaki è la primogenita di una famiglia di assassini d’elite e di certo non lo lascerà vivere con la colpa di aver ucciso sua sorella. Ma questo non lo spaventa anzi forse è l’unica cosa che lo rincuora. Ironia della sorte, la paura di morire gli aveva permesso di uccidere quella ragazzina che tanto amava, di compiere un gesto così definitivo e terribile, eppure adesso il pensiero quasi gli fa tirare un sospiro di sollievo in quella situazione assurda. In fondo cosa può  esserci di più giusto del morire per mano di Tsubaki? No, quel che lo intristisce e lo terrorizza è il dover perdere l’ultima speranza di conoscere nuovamente l’amore, la sola cosa che davvero è sempre mancata nella sua vita, anche quando i primi tempi lontano dalla casa di famiglia stentava ad arrivare a fine mese. Non sentiva mai la pancia vuota, solo il cuore.



 
Tsubaki Nakatsukasa trema dalla testa ai piedi, la mano stretta con forza alla cornetta del telefono nel timore di lasciarlo cadere. Suo padre le ha appena comunicato che quella stessa sera ci sarebbe stata un’importante riunione di famiglia.
“Nessun problema, padre, ci sarò.” Risponde lei, utilizzando il solito tono cortese e rispettoso, nel tentativo di nascondere l’agitazione: è molto tempo che suo padre non convoca il clan per una riunione e lei sa benissimo cosa significa.

Una volta chiusa la telefonata, è subito il momento dei preparativi. La borsa che di solito usa per i libri di scuola  viene riempita al volo con lo stretto necessario per un paio di giorni di permanenza, il resto senza dubbio lo avrebbe trovato a casa.

La fretta di partire non le permette di notare la busta azzurra che sbuca tra i libri, così estranea e misteriosa. Del resto, le parole di Toshiro Nakatsukasa, quando la figlia aveva lasciato la casa di famiglia per avvicinarsi alla Shibusen Academy, erano state molto chiare:

Tornerai a casa solo per conoscere il nome dell’assassino di tua sorella.



 
Salve a tutti!!!! Santo cielo, è tantissimo tempo che non pubblico nulla qui, circa dieci anni! Ma dovete sapere che la quarantena porta molte cose a tornare a galla e tra queste anche le mie fanfiction e il mio account qui su EFP son saltati fuori dai recessi del mio PC mentre tentavo disperatamente una ripulita per non farlo morire.
Sono conscia del fatto che non aver scritto nulla per anni e deleterio e che il mio stile possa essere cambiato radicalmente, vuoi l’età, vuoi la mole di libri letti nel frattempo che per me sono tutti grande fonte di ispirazione.
Spero in ogni caso che la storia vi stia piacendo. Fatemelo sapere con una recensione, non siate timidi!
  • I fiori del male

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