Like a dream but better.

di weretogether
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How are you, doll? ***
Capitolo 2: *** ''why are you crying, doll?'' ***
Capitolo 3: *** AVVISO. ***



Capitolo 1
*** How are you, doll? ***


Capitolo 1. ''How are you, doll?''

Mi svegliai di soprassalto, del resto come tutte le altre mattine. L’avevo visto di nuovo.
Erano ormai mesi che quello strano ragazzo dai capelli biondi color del sole popolava i miei sogni. Ci incontravamo tutte le notti al solito posto e parlavamo per ore e ore, finché quella stramaledettissima sveglia non suonava, allora tutto finiva.
Quella notte ci eravamo lasciati in modo brusco, di giorno dovevo fare tante di quelle cose che avevo puntato la sveglia alle sei del mattino, così ci eravamo lasciati senza nemmeno salutarci.
Scesi dal letto, andai in bagno e lavai la faccia. Vidi la mia immagine riflessa sullo specchio, le occhiaie tornavano a farsi vedere, lo studio e quel biondino stavano facendo bene il loro lavoro.
Andai in cucina, mamma dormiva ancora, così preparai la colazione per entrambe, consapevole che si sarebbe svegliata poco dopo.
Misi i toast nei rispettivi piatti e mamma arrivò poco dopo.
Ci sedemmo a fare ‘colazione’, ma nessuna delle due parlò. Da quando papà se ne era andato i nostri pranzi erano così fastidiosamente silenziosi, era proprio per questo che la maggior parte delle volte preferivo pranzare a scuola e in genere stavo da Kel.
-come mai così presto?- chiese lasciandomi perplessa.
Aveva parlato? Erano mesi che non mi chiedeva qualcosa, le uniche occasioni in cui ci scambiavamo qualche parola era quando tornavo da scuola, perché voleva sapere come era andata, e quando la sera andavo a dormire, e doveva avvertirmi che la mattina seguente non l’avrei trovata.
-avevo voglia di andare a fare una passeggiata al parco.- risposi io esitando un po’.
-così presto?-
-si, così presto.- mi alzai e, dirigendomi verso la mia camera, posi fine a quello straziante discorso, indubbiamente forzato.
Mi vestii e uscii di casa, andai al solito parchetto e continuai a leggere il libro che avevo iniziato appena il giorno prima. La mia vita era così dannatamente monotona.
Stavo sempre o a casa o a scuola e la mia unica amica era Kelly. Odiavo tutto di me e della mia vita, gli unici momenti in cui riuscivo veramente ad apprezzare ciò che avevo era la notte, quello splendido ragazzo dagli occhi color nocciola era il mio unico punto di riferimento da quella notte in cui, per chissà quale ragione, iniziò a popolare i miei sogni.
Lui si ritrovò nei miei sogni e io nei suoi. Lui, Justin Bieber, diciannovenne canadese popolava i sogni di Jessie Carter, diciassettenne londinese, e viceversa.
Era una cosa abbastanza strana, e, ad essere sinceri, dapprima nessuno dei due apprezzava l’altro, ma col passare del tempo ci siamo abituati a questa strana ‘vita notturna’.
Amavo vedere il suo meraviglioso sorriso al chiarore della luna, e, non lo nego, mi attraeva molto.
-Jessie?- disse una voce.
Mi girai di scatto per capire chi fosse, anche se con la coda dell’occhio avevo già visto Tyler.
Quel ragazzo mi stava dietro da anni, ma questo non significa che sono una bella ragazza, e, inconsapevolmente, gli avevo sempre dato via libera con me.
Eravamo usciti insieme un paio di volte, ma niente di più, per me era solo amicizia, e anche per lui, questo è quello che credevo.
-Tyler.- finsi un sorriso, in realtà era arrivato nel momento meno opportuno.
-che ci fai qui?-
-avevo voglia di uscire un po’ e ho preferito uscire all’alba, tu?-
-la mattina vado sempre a correre prima di andare a scuola.-
Perfetto, significa che la prossima volta prima di decidere di uscire alle 6:30 di mattina da casa, ci penso due volte.
Non potevo starmene con quella meraviglia di ragazzo al posto di incontrare lui?
-ah, capisco.- sorrisi.
-posso sedermi?-  sorrise lui indicando la parte libera della panca sulla quale stavo seduta.
-certo.- ed ecco che ho bruciato una mattina.
 
-non ne potevo proprio più- sbuffai mentre camminavo con Kel verso casa sua.
Tyler era stato tutta la mattina con me, neanche a scuola mi aveva lasciato in pace, cosa che mi dava molto sui nervi.
-ma è un bravo ragazzo.- obbiettò lei.
Certo, ma non è Justin. 
Aspetta, aspetta, aspetta, ha detto che è un bravo ragazzo?
-cosa?- dissi facendo un sorrisino che le lasciava intuire ciò che stavo pensando.
-niente-
-Kel- dissi con un gridolino.
-non mi piace.- sbottò lei.
-Kel-
-dico sul serio.- disse per poi fingere di essere offesa.
-okay okay, se lo dici tu.- disse spingendola a malapena.
-usciamo oggi?- cambiò discorso lei.
 -non posso.- affermai io.
-perché?- mi chiese lei.
-ho cambiato gli orari delle lezioni.-
-preferisci un pianoforte a me?- chiese lei un po’ delusa.
-no, ma non posso mancare.-
-okay..-
-domani sera pizza, okay?- dissi come se dovessi farmi scusare.
-okay.- disse lei.
-allora ciao.- dissi facendole un cenno con la mano. Ricambiò e mi diressi verso la scuola.
Si, avevo tralasciato il fatto che il pianoforte era la mia vita.
I miei genitori erano sempre stati assenti, anche prima di separarsi, e la mia unica consolazione è stato quello strumento.
-Jes- affermò miss Hill. Quella donna mi aveva fatto da madre in quegli ultimi sette anni, era stata più presente della mia vera madre, e per quanto potessi odiarla durante le lezioni, fuori da quella scuola eravamo legatissime.
Era una donna di successo e mi sarebbe piaciuto essere come lei, talentuosa e amata da tutti.
Prima di aprire quella scuola, aveva suonato nelle migliori compagnie di ballo. Aveva suonato tante di quelle canzoni in quei balletti, che ormai li sapeva a memoria.
Le andai incontro abbracciandola, dopodiché inizio quell’inferno che durava tre ore.
 
Uscii dalla scuola alle sette di sera, passai al McDonald’s e cenai, poi tornai a casa. Mamma come al solito non c’era, non che la cosa mi dispiacesse.
Finii i compiti, feci la doccia, ed ecco che arrivava il momento più bello della giornata.
 
-come stai?- disse il biondo venendomi incontro.
Ogni volta dovevo aspettare qualche ora prima di vederlo, a causa del fuso orario.
-bene.- dissi sorridendo e abbracciandolo.
-come stai bambola?- ebbene si, dalla prima volta in cui l’avevo visto mi aveva chiamato ‘bambola’. La cosa era abbastanza fastidiosa, ma reggevo quel soprannome per quelle poche ore in cui potevo vederlo.
-bene. e tu Drew? come stai?- ‘Drew’ era il suo secondo nome.
-se ci fossi tu starei bene del tutto.-
Sorrisi alla sua affermazione, anche se sapevo che scherzava.
-scherza, scherza.- gli diedi un pugno sul braccio. Lui gridò fingendo di farsi male, quando in realtà sapevamo entrambi che non gli avevo fatto niente.
Ci sedemmo come al solito sull’erba. –ci sono novità.- sorrise lui.
-che novità?- chiesi curiosa.
-non posso dirtelo ora, ma appena saprò se è sicuro ti farò sapere.-
-allora perché me l’hai detto?- dissi con fare da bambina.
-per farti incuriosire.- mi fece la linguaccia lui.
-allora non lo voglio sapere più.- sbuffai io.
-sicura?- disse per poi iniziarmi a farmi il solletico.
Iniziai a correre in quel parco a me sconosciuto ma che era diventato familiare da mesi.
-tanto non mi prendi.- affermai.
-sic..- la voce di Drew fu interrotta.
-Justin?- urlai.- Justin.- ripetei.
-Jessie. – disse Justin. –Jessie.- ripeté questa volta lui.
Non riuscivo a vederlo più, poi mi sentii strattonare.
-Jessie, sono tornata.- affermò mamma.
Ed ecco che tutto tornava come prima.
Potevamo ancora andare avanti così? E se si, mi bastava?

**

Eccomi qui con una nuova ff. 
E' una storia abbastanza diversa dalle altre, e magari dapprima potrà essere un po' monotona, anche se spero che non sa così, ma la mia intenzione è quella di fare
qualcosa di originale. 
Justin e Jessie che si incontrano in sogno.
Una storia insolita, un'amicizia nata per caso,
ma sta a voi scoprire cosa ne sarà di questa amicizia.

Spero in una vostra recensione :).


 

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Capitolo 2
*** ''why are you crying, doll?'' ***


Capitolo 2. ‘’why are you crying, doll?’’

Passai la notte a leggere, in poche ore finii quel libro che mi aveva tanto intrigato.
All’alba riuscii finalmente a prendere sonno, ma di Justin nemmeno l’ombra, ma del resto era sempre così, quando venivamo interrotti, non ci rivedevamo più, se non la notte successiva.
Quella dannata sveglia suonò alle sette e dieci, mi alzai a fatica dal letto e mi diressi in cucina. Guardatami allo specchio che si trovava nel corridoio, stabilii che era meglio non parlare con me, avrei potuto mordere.
Entrai in cucina e sul tavolo c’era un biglietto di mamma, c’era scritto ‘scusa, oggi sono uscita prima. buona giornata, ci vediamo a pranzo. –mamma’.
Letto il biglietto non mi stupii di ciò che c’era scritto, ormai era una cosa abituale, o usciva di mattina presto, o tornava la sera tardi, ma non stava mai a casa.
Giorno dopo giorno riuscivo a concludere che gli incontri notturni con Justin avvenissero per un motivo ben preciso, per darmi una ragione per sorridere.
Dopo aver fatto colazione, uscii di casa e incontrai Kel alla solita caffetteria dietro l’angolo.
-ehi.- disse per poi farmi un cenno con la mano.
-ehi.- dissi andandole incontro. 
-è tardi.- affermò lei. 
-si, ho fatto tardi oggi.- dissi per poi iniziare a camminare verso scuola.
Andavo al college e quello per me era il penultimo anno, dopodiché avrei fatto l’avvocato, per volere dei miei, anche se il mio unico sogno era quello di girare per il mondo, conoscere nuovi posti e nuove persone.
Sognavo di rifarmi una vita e di essere felice, perché di quella vita ne avevo piene le scatole e, nonostante tenessi molto a Kelly, odiavo quello schifo. Ero cresciuta tra genitori assenti e permessi di gite accettati solo per sentirsi meno in colpa.
Perché i miei erano quei tipi che ‘basta qualche giocattolo e ho comprato la felicità di mia figlia’, ma non capivano che l’unica cosa che poteva fare la mia felicità era una vera famiglia, e quella, al contrario di giocattoli e vestiti, non erano mai riusciti a darmela.
Entrammo a scuola, come al solito non mancavano i commenti dei più popolari, ma, al contrario di quanto pensassero, avevo smesso già da tempo, non di dar peso alle stronzate che dicevano, ma cercavo di non dar retta alle loro parole. Sapevano solo gettare merda sulle persone, e ormai tutti, o quasi, l’avevano capito. 
Andai verso il mio armadietto quando Kyle mi bloccò il passaggio. 
-Jessie.- sorrise.
-ciao Kyle.- dissi fredda. Era meglio starmi alla larga o non avrei risposto delle mie azioni.
-che succede?- disse capendo che il mio stato d’animo non era dei migliori.
-niente.-
-se ti serve qualcosa, io ci sono.- disse lui premuroso, ma in quel momento non avevo bisogno di qualcuno che facesse finta d’esserci per me, in quel momento avevo bisogno di qualcuno che ci fosse, sul serio, e nessuno era in grado di potersi assumere una responsabilità così grande, nemmeno Kyle.
-si, mi serve qualcosa.- risposi io mentre mi levai la sua mano di dosso e ripresi a camminare.
-dimmi tutto.- disse lui venendomi dietro.
-per favore, lasciami stare.- cercai d’essere più gentile possibile, anche se sapevo che la mia richiesta non era una delle migliori forme d’educazione.
Lui fece come gli avevo chiesto e, passandomi accanto, andò via. In quel momento mi sentii così maledettamente in colpa e odiai il mio fottutissimo caratteraccio, ma sapevo solo fare questo, respingere le persone. Il problema era che avevo imparato dalla vita che niente va secondo i piani, che le persone vanno via e che quando pensi di poter contare su qualcuno, quel qualcuno se ne va, e non ti resta più niente, e devi sbrigartela da sola, e io non avevo tempo per cercare qualcuno che alla fine se ne sarebbe andato.
Presi i miei libri dall’armadietto e Kel mi raggiunse –cos’è successo con Kyle?- chiese lei appena arrivata.
Non risposi. Lei capii e riprese a parlare –sei stata acida come al solito, vero? – chiese come se fosse la cosa più scontata del mondo.
-si, e, per favore, non voglio parlarne.- dissi per poi andarmene.
Ed ecco che avevo trattato male anche lei. Cos’altro potevo fare ancora per peggiorare le cose?
 
Ebbi la risposta alla mia domanda solo sei ore dopo, quando, uscita da scuola, mi resi conto che ero andata male in tutte le materie e che le due interrogazioni erano andate peggio.
Dopo essermi scusata con Kel e averla salutata, andai a casa. Aprii la porta e mi squillò il cellulare.
-si?- chiesi io avendo già visto chi fosse a chiamarmi.
-tesoro, scusami, ma non faccio in tempo a tornare a casa, in frig..- quando pronunciò quelle parole riattaccai, senza nemmeno farle concludere la frase.
Perché la mia vita doveva fare così schifo? Perché doveva tutto necessariamente andar male? Perché non potevo avere una vita normale?
In quel momento avevo solo bisogno di papà qui al mio fianco, perché, nonostante lo odiassi per essersene andato, nonostante ci avesse abbandonato, lo amavo più di quanto amassi me stessa. Era stato sempre assente, ed era vero, ma quando avevo bisogno di lui, bastava che lo chiamassi, ed era subito li, pronto ad ascoltarmi.
Ed era vero che non mi avevano mai dato una famiglia, ma lui c’era sempre stato, non come padre, ma come migliore amico.
Avevo tanta voglia di chiamarlo, ma se lui se ne era andato era perché non voleva più stare con noi, e io dovevo tenere duro e non crollare.
Mi sdraiai sul letto con le lacrime agli occhi e, ascoltando musica, mi addormentai.
Ero sicura che non avrei incontrato Justin, eppure mi trovavo in quell’enorme prato, ma lui non c’era, lui non era li.
Mi sedetti sulla solita panchina e mi asciugai le lacrime, non avevo voglia di piangere ancora.
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e rabbrividii a quel tocco.
Se non era Justin, chi altro poteva essere?
-bambola, perché piangi?- chiese lui sedendosi accanto a me e passandomi una mano tra i capelli.
-Drew, sei qui?- chiesi mentre un piccolo sorriso comparve sul mio viso. Era un caldo pomeriggio di maggio e il sole splendeva alto su di noi. Il suo volto era perfettamente illuminato dal sole a avrei voluto che quel momento non finisse mai.
Il suo tocco era dolce e i miei occhi risplendevano.
-n-niente.-balbettai non ricordando più il motivo per cui fino a qualche minuti prima stessi piangendo.
Quel ragazzo era capace di mandarmi nel pallone con una semplice domanda.
-ehi. –disse prendendo il mio viso tra le sue mani.- dimmi tutto.- fece un’altra pausa.- che succede bambola?- disse facendomi sorridere. Sapevamo entrambi quanto fastidio mi desse quel nome e sentirmi chiamare così anche quando era serio mi faceva sorridere.
-c’è che niente va bene. io non ce la faccio più. faccio finta d’essere forte quando non è così, e sto male, troppo male, ma nessuno se ne accorge e pian piano sto crollando, e io non voglio. mi sento così sola.- dissi per poi riprendere a singhiozzare involontariamente.- non riesco più a reggere il peso di tutto questo.- conclusi mentre avevo gli occhi gonfi di lacrime.
-bambola, tu non sei sola, ci sono io qui con te. sono un sogno, ed è vero, ma non c’è niente che possa separarci. tu sei forte, Jessie, lo sappiamo entrambi, e devi solo avere più fiducia in te stessa, non c’è niente che tu non possa fare.- mi accarezzò la guancia. –questo brutto periodo passerà, e so che te lo senti ripetere giorno per giorno, so che è una cosa che dicono tutti, so che vorresti anche tu che fosse così ma che non ci credi, ma fidati di me, passerà. perché il dolore finisce, prima o poi, ma finisce. e non importa quanto lontani siano questo ‘prima’ e questo ‘poi’, arriveranno, e ti assicuro che sarai felice, veramente felice.- sorrise.
Sussultai alle sue parole piene di significato, e forse aveva ragione. Era l’unico in grado di ascoltarmi e benedivo quella notte in cui, per caso, c’eravamo incontrati.
-grazie Justin.-
Lui si alzò e, sorridendo, iniziò a canticchiare qualcosa.
-Across the ocean, across the sea, starting to forget the way you look at me now. Over the mountains, across the sky, need to see your face and need to look in your eyes.- ripeté.
Sorrisi sentendo le sue parole, lui continuava a cantare, ma d’un tratto non lo vidi più e l’unica canzone che riuscii a sentire fu la mia suoneria.
Aprii gli occhi e mi alzai di scatto.
-pronto?- dissi rispondendo.
-Jessie, che fine hai fatto?- la voce di miss Hill tuonò dall’altra parte della cornetta.
-Jill, sono a casa, perché?-
-sono le otto e dovevi venire due ore fa a lezione, mi ero preoccupata, potevi almeno avvertire, sono stata in pensiero.- disse lei premurosa e, nonostante fossi un po’ confusa, apprezzai il fatto che si fosse preoccupata.
-sono le otto?- chiesi un po’ spaesata.
-si, che facevi?- chiese lei non capendo.
-io.. mi sono addormentata.- dissi un po’ imbarazzata.
-va beh, non ti preoccupare, recuperiamo domani con le lezioni, ma alle quattro puntuale e finiremo tardi. Preparati.-
-okay Jill, a domani.-
-ciao, e sono miss Hill.- sorrisi alla sua affermazione e prima che potessi risponderle riattaccò.
Feci la doccia, mia mamma non era ancora arrivata, e io avevo bisogno di sciacquar via i pensieri di quello strano pomeriggio.
 ‘cause everything’s gonna be alright’ pensai.
Justin, quel pomeriggio mi aveva davvero confuse le idee, ma la sua voce mi aveva cullato tutto il tempo e sapevo di potermi fidare di lui.
Prima o poi, le cose sarebbero cambiate?

**

Okay, con un po' di ritarto ma ho continuato.
Ecco il capitolo 2, è deludente e lo so, ma non sapevo come continuare.
Ripeto, dapprima può sembrarvi un po' noioso, ma il seguito sarà diverso, almeno è
quello che ho intenzione di fare.

Spero vi piaccia e in una vostra recensione.

Love u.

Alla prossima :).

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Capitolo 3
*** AVVISO. ***


Salve :). Volevo avvertire le ragazze che seguono questa ff che sto per cancellarla.
Non mi piace molto, forse magari in seguito la riprenderò, ma ora la cancello. 
Se vi va, ne sto scrivendo un'altra, ( scusate se sembro tipo 'lunatica').
Eccovi il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1758407&i=1

Scusate ancora.

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