The Tin Man Finds His Heart

di Tawariell
(/viewuser.php?uid=2481)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il punto di vista di uno scienziato di alto rango molto particolare, un uomo di latta che troverà il suo cuore

Sono nato in un'epoca di avanguardia tecnologica, ogni cosa era portata di mano, abbiamo sempre viaggiato a grandi velocità, superato limiti invalicabili, il sapere era alla portata di tutti od almeno così pensavo.

Sono quello che tutti definireste uno scienziato di alto rango, ho sempre amato studiare, anche se amare non è la parola esatta, non l'ho mai sentita fino a quando non ho incontrato l'altra gente, quelli meno evoluti, quelli che il mio popolo definisce ora nativi.

Mi scelsero fin da bambino per il mio alto quoziente intellettivo, fui selezionato insieme a mille altri e riempito di nozioni: matematica, fisica, chimica, scienza, anatomia, astronomia la mia vita è sempre stata quella.

In mezzo a formule matematiche e fisiche, non ho mai avuto altro e non ho mai desiderato altro, volevo apprendere, apprendere, volevo che le vette del mio sapere arrivassero fino al cielo, non c'era limite per me.

Più apprendevo e più volevo apprendere, abbiamo sempre voluto varcare tutti i confini del tempo e dello spazio, non esisteva nulla di impossibile ed i nostri insegnanti ci guidavano in tal senso.

Eravamo divisi in gruppi di una decina di persone, credo di aver avuto tre anni quando risolsi la mia prima equazione e dovevo averne avuti due in più quando capì che avrei potuto viaggiare nel tempo.

La mia idea non colse impreparati i nostri tutori, le sole figure di adulti, se così posso definirli, con cui avevo a che fare, non avevo mai visto i miei genitori biologici e non mi è mai interessato conoscerli, come del resto loro con me: per quello che ne sapevo la nostra razza era sempre stata riprodotta in vitro.

La cosa mi andava bene e non mi aveva mai particolarmente interessato, ero preso da altre cose, volevo viaggiare nel tempo con me lo volevano altri ragazzi che avevano sviluppato teorie simili alle mie, ma che appartenevano ad altri gruppi.

Finimmo dunque per essere smistati in unico gruppo per poter lavorare insieme arrivando a creare la nostra macchina del tempo, ci impiegammo pochi mesi a farla unendo le nostre menti così superiori a quelle degli altri.

Ci sentivano degli eletti. Dei predestinati.

Noi e solo noi avremmo potuto viaggiare nel tempo e scoprire come era nato l'universo.

Anzi gli universi.

Fin da piccoli avevamo sempre saputo dell'esistenza di mille altri universi simili al nostro ma leggermente diversi, ci era stato spiegato che ogni volta che si compiva una scelta nasceva un altro universo simile al nostro dove avevamo fatto una scelta differente.

Avevo pensato a mille altri esseri come me? Qualche volta e l'idea mi sembrava stravagante anche perché non riuscivo ad immaginare di compiere scelte diverse da quelle che avevo fatto.

Era incredibile ma anche se avevo molta immaginazione in tutti i campi, non riuscivo ad averne su me stesso forse perché mi andavo bene così.

Uno degli eletti che poteva viaggiare nel tempo e conoscere il principio e la fine di tutto.

La prima volta che vidi il big bang fu come essere investiti da una scia di luce, potente e misteriosa.

E quando vidi il big cranch fu invece come essere risucchiati dal buio.

Tuttavia, in entrambi i casi, non ebbi mai la minima paura, ero semplicemente affascinato dalla potenza della natura.

Solo molto più avanti avrei scoperto delle cose che mi avrebbero toccato veramente nel profondo, in un modo che non avrei mai immaginato.

Tutto iniziò quando i nostri insegnanti ci portarono quell'antica pergamena.

Fu il principio e la fine di tutto il mio mondo.

Così come lo conoscevo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Iniziammo a viaggiare nel passato solo per conoscere la storia, la nostra era solo curiosità di scienziati, non avevamo secondi fini e cercavano di non farci vedere, in genere privilegiavano i momenti più importanti della storia, quando c'era molta gente ed era quindi più facile camuffarsi tra la folla.

Non che fosse mai stato un problema, eravamo talmente evoluti rispetto a loro che i nostri movimenti veloci e repentini sfuggivano al loro occhi, solo che ogni tanto commettevamo l'errore di fermarci troppo a lungo in un posto perché affascinati dal momento storico e qualcuno riusciva a scorgerci.

La cosa non ci preoccupava, così come ci lasciava indifferenti l'idea di finire su quadri e fotografie dell'epoca, sapevamo bene che tutti ci avrebbero scambiati per persone comuni un po' curiose: difficilmente la gente si pone domande.

Tuttavia, un giorno arrivò quella pergamena, i nostri insegnanti ne erano affascinati, ci parlavano di questa essa come se fosse il più antico mistero mai risolto dalla nostra razza anche perché era scritto nella nostra lingua moderna eppure era vecchio di millenni.

Quando iniziammo a viaggiare nella storia, soprattutto in quell'antica, scoprimmo che la nostra lingua derivava da mille idiomi diversi, dalle lingue mesopotamiche all'Yiddish, passando per le lingue dei pellirossa ed arrivano a quelle di Maya ed Aztechi.

La cosa mi impressionò, mi fece pensare a quel mito di quel libro, la Bibbia, dove in una città si parlava una sola lingua che poi si divise in mille altre, mille altre che solo noi riuscivano a capire e che avevamo ricomposto insieme.

La mia razza era così antica? Veniva da quelle terre lontane?

Passavo le ore a studiare la profezia, solo che non riuscivo a trovare altro significato che quelle poche parole scritte su quel misterioso ragazzo.

Già, Il Ragazzo.

Non sono mai riuscito a chiamarlo per nome e temo che mai ci riuscirò, soprattutto ora che lo conosco bene e non mi baso più solo sulle leggende che parlavano di lui.

Era diverso da quello che mi aspettavo, totalmente diverso.

Gli altri ed io lo cercammo in varie timeline ed in vari universi sia nel passato che nel futuro convinti che prima o poi lo avremmo visto, almeno una volta, loro si sarebbero accontentati di quello, io no.

Lo sapevo già allora, ma fui abile a mentire, a camuffarmi, a non far vedere che ero un diverso tra i diversi semplicemente perché mentivo anche a me stesso e curiosamente era una cosa che avevo in comune con qualcuno.

Lasciai andare avanti gli altri, quando lo vidi, fingendo di non averlo notato, comportandomi con la solita calma, loro invece ostentavano una certa sorpresa che non provavano, tutti tranne August, che era come me.

December era davanti, come sempre, con la solita aria da capo, sembrava fosse nato per quel ruolo e tutti gli ubbidivano docilmente, anche per me era stato naturale farlo e non cambiò niente in quel momento, però mi rimase in testa la data di quel nostro viaggio.

Era il 2036 e vidi Il Ragazzo guidare una rivolta contro la parte turpe della nostra razza.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Quel primo viaggio in un passato molto vicino al nostro mi aveva lasciato addosso una sensazione strana non tanto per la vista di quello strano ragazzo, fu per la guerra.

Non era una cosa a cui era abituato e non la comprendevo, è sempre stata fuori dai miei schemi, l'avevo studiata, ma mi è sempre sembrata illogica forse perché non avevo mai dovuto lottare per qualcosa.

Ho sempre avuto una vita tranquilla, in mezzo agli studi e tra i vari laboratori, non ho mai neanche girato tanto il mio mondo, non mi è mai interessato.

Sono quello che definirete un topo da laboratorio.

Ho iniziato a vedere all'esterno di questo laboratorio quando iniziammo a viaggiare nel tempo, allora sì che cominciai ad essere affascinato dai luoghi, sia da quelli naturali che da quelli creati dall'opera dell'uomo.

Ricordo che passai una giornata intera ad ammirare l'architettura di Mont Matre, scordandomi persino di mangiare, ero affascinato letteralmente.

Quelle cupole bianche, quella pura magnificenza creata da uomini vissuti secoli addietro mi colpì nel profondo lasciandomi dentro anche una strana sensazione.

Avrei voluto fare anche io qualcosa per essere ricordato in eterno.

Dopo il viaggio nel 2036 passai giorni e giorni sui miei grafici, non parlando con nessuno, cosa di cui nessuno si accorse, erano tutti troppi impegnati ad organizzare il prossimo viaggio, quello che non sapevano era che pure io stavo organizzando un viaggio.

Non sapevo niente di concetti come libertà od autodeterminazione dei popoli, sapevo solo che non mi era piaciuto vedere persone della mia razza spadroneggiare in quel modo su altri uomini, trattandoli come esseri inferiori, usandoli come cavie ed arrivando a ridurre il mondo in quel modo.

Finalmente capivo perché non potevano uscire molto, perché l'aria e l'acqua erano avvelenate e perché vivevano sempre richiusi.

Eravamo stati noi.

O meglio alcuni di noi.

Non potevo permettere che avvenisse.

Passai un'ora a fissare il cielo plumbeo dove il sole non si vedeva quasi più e ripensai invece al sole che avevo visto solo seicento anni prima.

Era malato, ma era vivo.

Mentre gli altri dormivano andai nel laboratorio della Macchina del tempo, ma prima disattivai allarmi e telecamere, facendo in modo che nessuno si accorgesse del mio passaggio e dopo un'ultima occhiata preoccupata, digitai la data che avevo memorizzato facilmente poche ore prima e poi partì.

Mi ritrovai in una Boston diversa da quella che avevo intravisto dalle finestre del nostro palazzo e diversa anche da quella del 2036, era una città caotica, stracolma di gente ed inquinata, ma era come il suo sole.

Non ero lontano da dove avevo intravisto Il Ragazzo, l'università di Harvard, sapevo che si rifugiavano spesso in un laboratorio sotterraneo così con molta facilità lo raggiunsi, ma purtroppo non trovai lui.

C'era solo un uomo più anziano, in pigiama, che si stava preparando la colazione e a giudicare dai lineamenti doveva essere il padre del ragazzo.

Mi avvicinai con apparente calma ma lui subito se ne accorse e mi domandò

-Suppongo che tu non sia venuto per un panino

-Dovete avvisare gli altri. Loro stanno arrivando.

L'uomo mi guardò stupito

-Chi sta arrivando?

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Rientrai nel mio tempo alcuni giorni dopo, nessuno si sarebbe accorto di nulla, ma dovevo assolutamente aiutare quella famiglia a fermare la parte turpe della mia razza, sapevo che avrebbero potuto farlo perché con loro c'era il ragazzo.

Quello che mi turbò di quei pochi giorni nel 2016 è che tutti loro parevano conoscermi, soprattutto il ragazzo che continuava a chiedersi perché lo avessi salvato al lago Reiden.

Anche la donna che lui amava, Olivia, si domandava di continuo se la mia premonizione sulla sua morte fosse ancora valida.

I loro pensieri mi deconcentravano così chiesi ed ottenni di rimanere da solo con il padre del ragazzo, il dottor Bishop, in modo da spiegargli al meglio sia come rendere efficace il mio piano sia come nasconderlo poi con assoluta calma partizionai la sua memoria perché sapevo che Loro avrebbero cercato di leggergli dentro.

Rientrai nel mio tempo dopo un'ultima occhiata furtiva al ragazzo ed alla donna che amava, lui continuava ad essere totalmente inconsapevole del suo destino eppure leggevo nel suo io profondo che aveva già fatto qualcosa di incredibile.

Un ponte tra universi.

Nel 2609 nessuno si era accorto del mio viaggio nel passato, ero stato bravo a nascondere le mie tracce anche se non riuscivo a fidarmi totalmente dei miei colleghi scienziati, in particolare di uno dei più giovane, March.

Aveva qualcosa che mi turbava.

Sembrava realmente privo di emozioni.

Alcuni anni più tardi dopo la mia sortita nel 2016 December ci convocò per portarci di nuovo indietro nel tempo, spiegando che avremmo assistito a qualcosa di miracoloso, qualcosa che avrebbe fatto capire a tutti noi quanto il ragazzo fosse importante non solo per noi.

Arrivammo nel 2011, nel maggio 2011, a New York mentre era in corso una tempesta di lampi sia nell'universo dove risiedeva il Ragazzo che nell'altro: December ci spiegò che ciò era avvenuto perché il Walter Bishop dell'altro universo aveva attivato il Vacuum usando il sangue del nipote Henry, nato dalla relazione con la loro Olivia Duhnam.

Quelle informazioni, per me, non significarono nulla, tranne quelle sul Vacuum, nessuno avrebbe dovuto toccarlo, tranne lui, non andava bene, lo sapevo.

Mi posizionai non lontano dall'enorme statua bianca riuscendo ad isolare la mia mente dagli altri, finendo per entrare nella mente del ragazzo, vivendo con lui il suo viaggio in un 2026 che nessuno di noi aveva mai visto.

Un 2026 dove l'altro universo era stato distrutto e questo stava morendo.

Sentì l'angoscia terribile del giovane, la sua paura di essere la causa di tutto, la sua voglia di fare una scelta impossibile e poi di sparire per non far morire quella donna, a cui teneva sopra ogni cosa.

Non avevo mai sentito una sensazione tanto forte, mi sentì invadere da tutto, quasi scuotere.

Era quello che loro chiamavano Amore.

Dentro di me pensai che avrei potuto usare quella cosa per avere il Ragazzo finalmente nel nostro tempo, nessuno si sarebbe accorto di nulla.

Entrai ancora più di prepotenza nella sua mente e gli parlai anche se sembrava che fossimo seduti su una panchina vicino ad un lago.

Lui era stanco, vecchio e con la barba incolta, ma quella strana luce non se n'era andata.

-La Macchina ubbidisce solo a te... lei sente ogni tua emozione, ogni tuo sentimento, ogni tuo desiderio e lo rende reale. E' fatta solo per te. Tu puoi fare qualunque cosa.

Mi fissò a lungo prima di rispondere – Posso dunque fare una scelta diversa e salvare tutti?

Annuì in silenzio impedendogli di vedere se stesso più giovane in compagna della sua Olivia, del piccolo Henry, di Walter, dell'altra Olivia e dell'altro Lincoln

-Li amo sopra ogni cosa. Farei di tutto per loro

-Era ciò che volevo sentirti dire.

Uscì dalla sua mente, non c'era bisogno di dire altro, quando ritornai Il ragazzo aveva creato il ponte ed era scomparso davanti alla vista di tutti, portandosi via anche il suo ricordo.

Od almeno così credevo.

-Avevi ragione, non si ricordano di Peter esordì December fissandomi con orgoglio

-E perché dovrebbero? Non è mai esistito risposi serafico.

Sapevo dove era finito.

Nel 2609.

Nel nostro tempo.

E li sarebbe rimasto per sempre.

Almeno questo era ciò che avevo fatto credere ai miei colleghi.

Il mio piano era totalmente diverso e nessuno di loro mi avrebbe fermato.

Nessuno.

La notte seguente, mentre loro ancora dormivano, non lontani da dove stavano tenendo il Ragazzo ignaro di tutto, rientrai nella nostra macchina del tempo anche se avrei dovuto definirla wormhole ed ancora una volta digitai una data diversa.

Stavo per partire quando mi accorsi di non essere solo.

Mi voltai notando che December, August ed October erano con me.

December fece un mezzo sorriso

-Gli altri non devono sapere.

Annuì in silenzio mentre la Boston del 1985 dell'altro universo apparve davanti ai nostri occhi.

Era l'inizio di tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
1985, Boston, Over There
 
Entrai nella grande casa che i Bishop avevano nel centro di Boston, nessuno mi vide, c'era un'atmosfera strana, qualcosa che non riuscivo a cogliere, non ancora.
Era un posto magnifico, arredato superbamente, in tutti gli universi il dottor Walter Bishop amava circondarsi di lusso e raffinatezze, tuttavia, in quel momento sentivo che di quelle cose non gli importava nulla.
Era seduto sul divano con gli occhi fissi con un grande paura dentro al cuore, la stessa paura che provava sua moglie, Elizabeth, quella di non vedere crescere il loro unico figlio, Peter, cercato, voluto, amato ed ora così dannatamente fragile.
Sua moglie, una donna inglese dall'aria sofisticata era seduta nella grande camera del piccolo, a cui stava tenendo la mano, era notte fonda, era sfinita, tutti erano sfiniti, compreso quel bambino, così strano.
O forse sembrava strano a me che non avevo mai visto bambini.
Mi avvicinai notando che Elizabeth era crollata addormentata mentre Peter aveva aperto gli occhi, faticava a dormire, fin da allora, una delle nostre caratteristiche.
Pensai che fosse un peccato che non ne avessimo ereditate altre.
Il bambino chinò la testa di lato, mettendosi a piangere, in silenzio.
Era stremato, però non voleva che i suoi lo vedessero così, temeva di farli soffrire già abbastanza con la sua malattia.
Si considerava un problema e credeva che senza di lui i suoi genitori sarebbero stati più liberi.
Come si sbagliava.
Mi avvicinai ancora di più facendo in modo che mi vedesse tanto non avrebbe ricordato nulla come non avrebbe ricordato nulla nel futuro.
“Ragazzo” lo chiamai
Mi fissò con i suoi occhi stanchi e malati
“Chi sei?”domandò mettendosi a sedere
“Un amico direste voi umani”
“Noi umani? Da dove vieni? Dallo spazio? Mio padre vorrebbe tanto conoscerti allora”
Mossi il capo lentamente
“No. Vengo dal 2609”
Peter sorrise
“Dal futuro?”
“Sì. Abbiamo bisogno di te”
A quel punto il ragazzino sbatté le palpebre
“Voi? Avete bisogno di me? Sono un ragazzino malato che non sa se vivrà fino a domani”
Scossi la testa
“Devi vivere. E' importante. Tu sei importante”
Peter sorrise triste
“E' una bugia?”
“No. Ho visto cosa farai. Per questo sono qui. Volevo scusarmi perché sto per cambiare deliberatamente il corso degli eventi. Lo faccio per noi e per voi.”
“Non ti capisco” rispose il piccolo.
“Neanche io”
Gli posai la mano sulla fronte facendolo crollare in un sonno profondo ed uscì dalla stanza sentendo che gli altri erano altrove.
Loro volevano il ragazzino per se.
Io non ne ero ancora sicuro.
Passai giorni e mesi a vigilare su casa Bishop, in attesa di qualcosa, sapevo che sarebbe successo sentivo che l'altro dottor Bishop passava le sue giornate davanti alla finestra su questo mondo mentre il dottor Bishop di questo lato cercava la cura.
L'avrebbe trovata, lo so.
Ma non doveva essere lui a farlo.
Non doveva.
Nella testa mi riecheggiarono le parole dell'altro dottor Bishop
“Se l'altro Peter non fosse stato malato suo padre non sarebbe stato altrettanto deciso a trovare una cura? Che Dio mi perdoni lo era”
E poi altre
“Ho preso un figlio che non era il mio: che Dio mi perdoni”
Non vi era scelta, né per lui né per me.
Percorsi con la solita calma il lungo corridoio che portava al laboratorio di Walter, del vero padre di Peter, ero calmo, tranquillo e nel contempo mi sentivo bruciare.
Non mi era mai successo.
Aprì la porta fissando quell'uomo così disperato e deciso, sapevo cosa stavo per fare.
Era una scelta scellerata avrei deliberatamente fatto soffrire quell'uomo, sua moglie ed il loro figlio condannandoli ad una vita di ricerca e di attesa, di bugie ed inganni.
Lo avrei fatto per un Bene Superiore.
Quello della mia gente e di loro tutti.
Feci un passo in avanti, l'uomo mi vide turbandosi immediatamente
“Chi sei?”
“Un ammiratore. Mi scusi se l'ho distratta dottor Bishop”
Il suo sguardo mi trapassò da parte a parte tuttavia non vi era odio, solo stanchezza, stava in qualche modo pregando lui che non credeva che nel potere della scienza, si stava appellando a qualcosa.
Avrei voluto indicargli che aveva trovato la cura, avrei voluto farlo, però niente mi distrasse dal mio obiettivo.
Dovevo cambiare il futuro.
E per farlo dovevo fare in modo che il Ragazzo fosse fin dall'inizio figli di due Mondi.
Il dottor Bishop si voltò mentre dentro di me provai qualcosa che gli umani avrebbero definito pietà perché davanti a me si parò l'immagine di lui che beveva angosciato per la sparizione del figlio che io e solo io avevo causato.
L'altro dottor Bishop aveva fatto solo quello che qualunque genitore avrebbe fatto: varcare confini sconosciuti pur di salvare il proprio figlio.
Mi allontanai fingendo angoscia con gli altri per quanto avevo causato
“Vi renderete conto che il momento era importante” provai a giustificarmi per poi sentirmi dire da August esattamente ciò che mi aspettavo
“Il ragazzo è importante. Ti sarà data la possibilità di riparare”
Annuì debolmente mentre il mio pensiero era già altrove, al lago Reiden.
Vidi il piccolo Peter che annegava e vidi il dottor Bishop nel futuro piangeva per questo, devastato dai sensi di colpa mentre i suoi demoni li additavano come mostro.
Guardai il lago ghiacciato con assoluta indifferenza.
Non mi faceva paura il freddo.
Mi tuffai puntando dritto al piccolo non degnando di uno sguardo Walter fino a che non avessi portati in salvo “suo” figlio.
Quanti pensieri nella mente di quest'ultimo.
Troppi.
Paura di essere stato rapito.
Paura di morire.
Voglia di lasciarsi andare all'acqua che lo stava tirando giù nella speranza che altrove sarebbe stato meglio.
Lo presi sui fianchi tirandolo su di peso ripetendogli mentalmente
“Devi vivere. Sei importante”
Sapevo che mi avrebbe sentito.
Lo portai sulla spiaggia ghiacciata accarezzandogli il volto terreo sentendolo tremare per la febbre alta e la paura.
Strano.
Non avevo mai accarezzato nessuno.
Lo avvolsi in una coperta poi tornai a buttarmi per andare a recuperare Walter.
Doveva essere lui a salvarlo.
Avevo bisogno di entrambi.
Li portai all'auto dell'uomo ed iniziai a guidare tra le neve alta, malgrado le apparenze sentivo uno strano freddo impossessarsi di me non era perché fossi bagnato, era per altro oppure sì?
Continuavo a pensare a quando avevo accarezzato il piccolo, a quando gli avevo parlato ed alla prima volta che lo avevo visto.
Aveva sempre quell'inquietudine nello strano.
“Non c'è niente di speciale in me” avrebbe detto alcuni anni dopo.
Di fianco a me Walter si svegliò, era spaventato più del bambino che dormiva stretto nella coperta che avevo recuperato, nessuno lo sapeva ma veniva dal mio tempo.
In poche ore avevo creato deliberatamente due paradossi.
“Perché ci ha salvati?” mi chiese infine Walter tremando di freddo.
“Il Ragazzo è importante. Deve vivere.”
Il dottor Bishop spalancò gli occhi nello stesso modo in cui lo aveva fatto suo figlio.
Sapevo che non si sarebbe accontentato di una risposta così evasiva
“Perché è importante?”
Lo guardai cercando di provare a confonderlo finché nella mia mente apparvero alcune parole dette da una donna di provincia
“Trova la crepa”
“Come?” balbettò Walter
“Nell'oscurità c'è sempre una crepa, dottor Bishop. E' da lì che entra la luce. Il Ragazzo è la crepa”
A quel punto il padre di Peter non riuscì a dire altro, persino lui era terrorizzato perché sentiva che stava per succedere qualcosa di spaventoso.
Qualcosa che né io né lui avremmo potuto fermare.
Non da soli almeno.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


2600, dove un tempo sorgeva Boston

Entrai nella piccola stanza dove tenevamo Il Ragazzo, avevamo compiuto questa follia per tenerlo al sicuro da Loro, ma sapevo che non sarebbe durata.
Lo sapevo dal primo istante in cui lo convinsi a cancellarsi da quella linea temporale, non mi stupii affatto che ci fosse riuscito, quello che mi aveva lasciato perplesso era come lui ancora non fosse in grado di capire di cosa fosse in grado di fare.
Mi avvicinai al letto dove era tenuto in animazione sospesa, in un modo o nell'altro sapevo che sarebbe andato via da lì, sentiva il richiamo della sua famiglia anche in quello stato.
Nella stanza entrò March, era uno di noi, ma mi ero sempre fidato poco di lui, non sapevo spiegarmene la ragione, forse perché aveva quella strana luce nello sguardo ed ora ero solo perché August se n'era andato per quella ragazza.
Per quel sentimento che gli umani chiamano amore.
Sentimento che non comprendevo.
Non ancora.

Oppure cercavo di non comprendere altrimenti mi avrebbe levato la lucidità di fare ciò che andava fatto.
Il mio collega, nel frattempo, si era avvicinato al letto del giovane.
“Lo vuoi preparare per un test?”
“Lo abbiamo portato qui per questo no?” domandò con quel tono di voce così strano, così ambiguo.
“Non proprio” replicai con molta calma.
“Ti stai facendo influenzare da loro, dagli umani. Questa è la nostra guerra e lui ci serve” affermò con pacatezza. Troppa pacatezza.
Non dissi cosa pensavo, non era il momento, ammetto che una parte di me era persino interessata a quel test, volevo capire cos'altro fosse in grado di fare, se avevamo sempre avuto ragione su di lui.
Lo svegliò iniettandogli dei medicinali nella vena e subito Il Ragazzo si guardò in giro spaesato, tuttavia non appena incrociò il mio sguardo lo vidi rianimarsi
“Tu sei l'amico di mio padre... l'Osservatore... cosa ci faccio qui?”
Il mio primo impulso fu quello di cercare di rassicurarlo, ma non potevo, avrei rischiato di compromettere il mio piano per riportarlo a casa e salvare entrambi i mondi.
Il mio ed il suo.
“Abbiamo bisogno di farti dei test” fece March.
Il Ragazzo spalancò gli occhi
“A che scopo?”
Il mio collega scosse la testa mentre anche December era entrato nella stanza e si era avvicinato a lui
“Abbiamo sempre saputo chi fossi per questo September ti teneva d'occhio”
Di nuovo Il Ragazzo ci fissò senza capire
“E chi sarei?”
March non rispose mentre December passò dietro la schiena del giovane che provò ad alzarsi dal letto inutilmente
“Mi avete legato? Siete impazziti!” urlò furente notando le manette ai polsi.
Il nostro capo gli fece un piccolo taglio alla base del collo, vicino al cervelletto, provando a stimolarlo con un minuscolo coltello, il ragazzo non reagì cercando di non mostrare dolore.
“Tra poco non saranno più un fastidio” affermò December.
Ancora una volta ebbi quella strana sensazione, quel desiderio improvviso di portarlo via da quella follia ma di nuovo la curiosità scientifica ebbe il sopravvento soprattutto quando vidi i suoi occhi diventare di un colore indefinito
“Cosa... cosa mi state facendo?” balbettò tremando convulsamente ed un attimo dopo era scomparso.
March sorrise
“Avevamo ragione. E' Lui” disse semplicemente.
December guardò il letto vuoto
“E' stato in grado di attivarsi, ha visto vari futuri e ha visto come tornare al suo mondo. September riportalo qui.
Loro non devono sapere che Il Ragazzo è diventato Un Uomo”
Annuì debolmente spostandomi nell'universo dove il giovane aveva vissuto gran parte della sua vita, December mi seguì e parlammo a lungo in un bar.
Non l'avevo mai visto così.
Sembrava spaventato.
Mi ripeté quanto aveva detto nel nostro mondo ed io iniziai a costruire un apparecchio per cancellare le tracce del Ragazzo dalla propria linea temporale, ero determinato a farlo davvero eppure sentivo qualcosa.
Qualcosa che io stesso avevo messo in moto parlando con suo padre nel futuro e nel passato, qualcosa che mi stava fermando.
Ero un essere razionale, dotato di un intelletto superiore, avevo visto tutti i futuri possibili dell'umanità, non provavo emozioni, non ne avevo mai provate se non quella volta al lago e a casa dei Bishop dell'altro universo.
Arrivai ad Harvard con il mio apparecchio, stavo per accederlo quando sentii di nuovo quel qualcosa che si accentuò quando in lontananza captai alcuni pensieri.
“Walter... Walter... aiutami... sono qui... aiutami ti prego” era la voce del Ragazzo.
E poi quegli altri pensieri ancora più flebili
“Peter... ti aiuterò... torna da me... aggrappati a me... a noi, a me ed Olivia. Non ci mollare”
Una voragine si spalancò davanti ai miei occhi e lo vidi.
Vidi quel 2036 dominato dalla parte turpe della mia razza, tuttavia c'era qualcosa di sinistro.
Il Ragazzo non c'era.
Olivia Dunham non c'era.
La vidi morire attraversando il portale tra gli universi nel vano tentativo di fermare David Robert Jones.
Walter Bishop non c'era.
Si era impiccato nel suo laboratorio roso dai rimorsi per aver provocato la morte di due Peter.
Non volevo quel futuro.
Non doveva andare così.
Chiusi l'apparecchio, decidendo di fare un salto nel vuoto perché per la prima volta nella mia vita non avevo ascoltato la mia ragione, ma qualcos'altro, qualcos'altro che per gli umani era di vitale importanza.
Invece di rientrare nel mio tempo, andai nel maggio del 2012 per vedere se fossi riuscito a sistemare le cose.
Non ebbi nessuna paura quando quella strana donna di nome Jessica mi imprigionò con le rune di stasi per ordine del dottor Bell, sapevo che sarebbero arrivati Il Ragazzo ed Olivia, e non ebbi nessuna paura quando Jessica mi ferì, rimasi male invece nel vedere il turbamento e la strana richiesta di Olivia e del ragazzo.
Non mi era mai successo di venire a sapere da altri cosa avrei fatto, soprattutto dagli umani, decisi di andare ad indagare nel passato trovandomi a girare come una trottola tra il 2011 ed il 2012, fino a che con molta fatica riuscii ad arrivare al laboratorio.
Dovevo parlare al ragazzo.
Non solo per salvare Olivia.
Quando finalmente lui entrò nella mia mente non riuscii a dirgli tutto quello che volevo e dovevo dirgli.
Loro arrivarono prima.
Riuscii soltanto a dirgli che era importante, avrei voluto fare di più per  aiutarlo ma alla fine fu lui ad aiutare me, a liberarmi da Loro usando ancora una volta tecniche nostre in maniera naturale, troppo naturale.
Era così turbato, molto più di quanto gli avevo parlato da piccolo.
“Ti prego, so che tu puoi, aiutami a tornare a casa” disse con un filo di voce. Era sull'orlo del pianto.
“Sei stato a casa tutto il tempo”
“Non riesco a capire. Sono stato cancellato?”
Lo guardai cercando di trovare le parole che potessero rassicurarlo
“Non c'è una spiegazione scientifica. Posso fornirti una spiegazione che si basa solo sui principi umani. La tua
cancellazione non è stata possibile perché le persone che tengono a te non ti hanno voluto lasciar andare e tu
non hai voluto lasciar andare loro. Voi lo chiamate amore”
Mi fissò incredulo con un mezzo sorriso sulle labbra
“E Olivia?”
Per la prima volta in vita mia allargai la bocca in un piccolo sorriso
“E' la TUA Olivia”
Il Ragazzo ricambiò il sorriso ed io lo salutai con un cenno del capo mettendomi il cappello, non ebbi neanche bisogno di vedere dove stava andando.
Lo avevo finalmente aiutato.
Mentre mi allontanavo sentii una strana fitta alle membra, barcollai riuscendo a mantenermi in piedi, stava accadendo qualcosa che non avevo previsto.
Perso nel continuum spatium temporale camminavo con fatica cercando di trovare un punto dove fermarmi, sentivo una grande stanchezza impadronirsi di me, forse avevo chiesto troppo a me stesso.
Arrivai infine su una spiaggia che avevo conosciuto anni prima in compagnia di un amico, la stessa spiaggia in cui avevo predisposto ogni cosa.
Entrai nella casa attraversando i muri con meno facilità del solito, tuttavia non ne ero turbato, una volta dentro mi attaccai al pianoforte coperto di polvere come tutto il resto.
Quella casa non veniva usata da anni, però riuscivo a sentire l'eco di momenti felici.

Un bambino che correva in cucina 
“Papà, papà sei tornato!” urlava, il padre gli sorrise mollando per un attimo la padella e lo prese in braccio
“Ciao Pete” disse l'uomo accarezzandogli il viso e come altre volte in quei tocchi leggeri c'era anche una ricerca. Un bisogno. Un bisogno di sincerarsi che suo figlio fosse vivo.
“Hai fatto i pancake a forma di balena, grande” urlò il piccolo mentre la madre usciva dalla penombra.
Solo in quei momenti riusciva ad essere totalmente felice.
Solo in quei momenti riusciva a dimenticare che la la loro famiglia si basava su un inganno ai danni di un bambino e sulla sofferenza di un'altra famiglia.
Baciò il marito sulle labbra e poi il bambino, dimenticando il resto.


Io avevo rubato loro quei ricordi per un bene superiore.
Io.
Solo io.
Era tempo di rimediare
“Walter... Walter... so che puoi sentirmi.” feci con voce flebile.
Mentre lo attendevo guardai verso la finestra dove riuscivo a vedere il mio volto: era segnato dal tempo e per la prima volta in vita mia avevo dei capelli.
Mi passai la mano su di essi scoprendo una sensazione nuova mentre lacrime leggere mi rigavano le guance: da qualche parte il Ragazzo aveva cambiato il futuro, ora dovevo rendere stabile quel futuro.
Non passarono molte ore quando il dottor Bishop comparve sulla porta, ma non era più il mio amico, era ancora privato di quei ricordi.
Titubante si avvicinò verso di me.
“Chi siete?” farfugliò mentre io ero voltato di spalle, non per nascondermi.
Avevo solo bisogno di stare attaccato al pianoforte perché in qualche modo mi dava sicurezza.
Mi poggiò la mano sulla spalla, io mi girai e gli sorrisi
“September” disse guardandomi sconvolto.
Dovevo apparire invecchiato ai suoi occhi e di sicuro per lui era sconvolgente vedermi con tutti quei capelli.
Allargai il sorriso scuotendo la testa
“No, Walter. Il mio vero nome è Donald”
Il mio vecchio amico mi fissò con aria triste, potevo ancora sentire che era attanagliato da sensi di colpa non suoi.
“Cosa ti è successo?”
“Non devi preoccuparti per me, Walter. Non sono mai stato meglio in vita mia, credimi”
Walter annuì pensieroso
“In effetti così sembra”
“Sono qui per pagare il mio debito”
Il dottor Bishop spalancò gli occhi
“Debito?”
“Tu hai dei ricordi falsi a causa mia e degli altri. Non possono far niente adesso, lo so. Ma Loro hai visto cosa stanno facendo”
Walter sorrise amaro
“Lo so, ne parlammo fino a pochi giorni fa, costruendo il tuo piano, ma non mi hai mai detto perché Peter è la chiave”
Mi andai a sedere su una poltrona perché iniziavano a mancarmi le forze, avevo paura di non avere più poteri per ridargli tutto.
“Walter, sì che te lo dissi ma tu ora non ricordi a causa mia. Ti prego lasciami parlare”
Il mio tono autoritario, che stupì anche me, ebbe il potere di far tacere Walter: sorrisi pensando che solo Peter ci riusciva.
Era strano pensare quel nome.
Non ero mai riuscito ad usarlo.
“Per me è successo da poco, ma per te sono passati quattro anni. Insieme decidemmo di tenere al sicuro Peter da Loro, cancellandolo e tu mi facesti promettere che avrei vegliato su di lui. Ho mantenuto la promessa”
Walter scosse la testa
“Non so di cosa parli”
Ebbi il primo motto di stizza. Quell'uomo era davvero testardo
“Te l'ho già detto. Ti ho privato dei ricordi per proteggerlo da loro. Adesso voglio ridarti quei ricordi insieme al reale significato del piano però li partizionerò nella tua testa in modo che se loro dovessero torturarti non troverebbero nulla”
Il dottor Bishop mi guardò incuriosito
“Ti sei veramente umanizzato. Non ti ho mai sentito dire così tante parole tutte insieme, September”
Mi scappò una lieve risata, poi mi alzai e presi la sua testa tra le mani
“Te l'ho già detto, il mio vero nome è Donald” dissi prima di iniziare il mio lavoro nella sua mente sentendomi salire una strana consapevolezza.
Non avrei più rivisto né il 2036.
Né il 2600.
E la cosa non mi turbava affatto.
Ero finalmente vivo.
Ero finalmente un uomo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***



Capitolo 7
 
Boston 2036
 
Cammino stanco per quella che un tempo era una grande città, la parte turpe della mia razza ha preso il sopravvento, ma posso ancora fermare tutto questo, certo io personalmente non posso fare molto, sono riuscito solo a salvare il ragazzo modificando la linea temporale, ma la parte grossa di questa vicenda non è in mano mia, non è mai stata in mano mia.
Sono sempre stato un mero aiutante del tempo, ora lo so.
Zoppicando arrivo dietro ai giardini dell'ex università di Harvard, non c'è più molto tempo adesso, sono stanco sia di dentro che di fuori, debbo assolutamente parlare a tutti loro, sperando che nel frattempo abbiamo ritrovato quel bambino che li possa aiutare.

Faccio un lungo respiro e mi trasporto all'interno causando uno spostamento d'aria che fa svegliare tutti loro.
“September” esordisce Peter alle mie spalle. Ha un tono di voce molto cupo e basso segno palese di una rabbia trattenuta.
Deglutisco a vuoto. A quanto pare il destino ha deciso di presentarmi i conti tutti insieme.
“Ciao... Peter” replico voltandomi.
E' la prima volta che lo chiamo per nome e la cosa mi sembra alquanto strana.
“Abbiamo trovato la tua guida” dice Walter indicando il piccolo Michael a cui sorrido lievemente.
Avrei voglia di parlare anche con lui, ma non so se avrò il tempo, ora debbo pensare ad altro.
“Dunque ora sapete” affermo con voce apparentemente calma.
Il dottor Bishop si avvicina fissandomi con gli occhi fiammeggianti di ira.
“Ci hai usato come burattini per i tuoi scopi”
Scuoto la testa
“Sì e no Walter. Avrebbero preso Peter comunque, io mi sono solo limitato a far credere agli altri di essere d'accordo, ma il resto lo ha fatto tutto tuo figlio”
Il giovane Bishop si avvicina a sua volta
“Di che parli si può sapere?”
“Quando ti portammo nel nostro tempo provammo a stimolare parte della tua corteccia celebrale per vedere se avessimo avuto ragione nei tuoi confronti. Tu sei il capostite della nostra razza, ma levandoti quel chip hai compiuto una scelta che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato e hai cambiato il mio futuro come vedi”
Peter spalancò gli occhi
“Hai fatto uccidere Etta apposta per spingermi a metterlo? Era questo il vostro piano?” Lo vedo mettersi le mani sulla testa “Siete dei pazzi... ecco cosa intendevi quel giorno. Ero io il padre a cui ti riferivi”
Peter si lascia cadere su una sedia sconvolto mentre Olivia gli va incontro prendendogli la mano, posso sentire anche da questa distanza che è spaventata quanto lui perché deve aver compreso fino in fondo la portata nelle mie parole
“Ora derivi anche da me, non è così?”
Annuisco debolmente lasciandomi cadere a mia volta su una sedia
“Era una cosa che non avevo previsto, anche se sapevo che eravate destinati a stare insieme. Forse ha un senso perché da te Walter sintetizzò il farmaco che poi usò su Olivia e gli altri bambini”
Il dottor Bishop impallidisce chinando la testa e nello stesso istante suo figlio alza la testa fissandolo atterrito
“Bene... cioè male, abbiamo finito oppure verrà fuori che deriviamo entrambi da una rana?” domanda cercando di scherzare.
Walter scuote la testa
“Mi spiace figliolo, io avevo trovato qualcosa di strano dopo averti curato. Era un enzima, l'avevo intravisto anche nel mio Peter, ma non era così sviluppato. Tempo dopo lo studiai e mi accorsi che era la chiave dell'evoluzione umana. Così creai il cortexiphan con Belly e selezionammo apposta dei bambini dove era presente qualcosa di simile a quell'enzima”
Peter non riesce a levare gli occhi di dosso da suo padre, tutto gli sta cadendo addosso, l'infanzia solitaria e malata, il rapimento, le bugie e in ultimo le sperimentazioni subite. Non ha il coraggio di guardare in faccia Olivia che dolcemente lo abbraccia sussurrando – Nessuno quanto me può capire come ti senti, Peter.
Il giovane Bishop non reagisce se non chinando la testa e lasciandosi cullare da lei, è esausto, si aggrappa all'unica persona che non l'ha mai usato.
Mi alzo dalla sedia ed esco in corridoio seguito da Walter
“Stiamo costruendo la Macchina, vero September?”
Annuisco debolmente abbassando il capo
“Sì, ma a dire il vero, io non ho la minima idea di cosa possa farci Peter questa volta”
“Stai scherzando? Ci hai fatto mettere insieme di nuovo quel maledetto affare e non sai cosa farne?”
Guardo in faccia il mio amico
“E' così, Walter. “
“Ma ci hai portati qui apposta”
“Esatto, vi ho portato qui apposta, ma non posso prevedere tutto. Anche se diciamo di saperlo fare, vi è sempre una variabile imprevista, nel momento in cui ho deciso di appellarmi a quella variabile è cambiato tutto.”
Lo scienziato sospira irritato
“Non ti aspetterai sul serio che permetta a mio figlio di entrare di nuovo in quell'oggetto infernale!”
Sorrido con aria indulgente
“E' una scelta che non compete a nessuno di noi due, Walter. Abbiamo finito di giocare agli dei. Ora tocca a loro, noi possiamo solo decidere se aiutarli”
Walter mi fissa a lungo prima di rispondere
“Il bambino chi è?”
“L'hai capito da solo”
“E' tuo figlio?”
“Sì, ma esattamente come hai fatto tu, con il tuo, l'ho usato per i miei scopi.”
“E hai cercato di portarmi via Peter per questo. Lui è...”
Lo interrompo bruscamente
“Peter non è di nessuno, Walter, credevo che lo avessi accettato. E a voler puntualizzare è figlio dell'altro Walter che sta iniziando lentamente a ricordare, sappilo”
Il dottor Bishop mi guarda iroso e spaventato
“Non voglio perderlo un'altra volta” dice infine quasi farfugliando.
“Lo so, ma non dipende più da me o da te”
Peter ed Olivia ci raggiungono in corridoio
“A quanto pare debbo entrare di nuovo nella Macchina, non è così?” mi domanda in tono stanco.
Scuoto la testa
“E' tua la scelta, Peter. Io vi ho guidati fin qui. In questo tempo tu eri riuscito a fermarli in un altro modo, adesso io non riesco a vedere cosa accadrà. E non ci riescono neanche loro”
Peter sospira non riuscendo a parlare, Olivia gli stringe di nuovo la mano
“Non scomparirà, di nuovo, vero? Non possiamo essere arrivati di nuovo allo stesso punto con le stesse … è vero hai detto che non lo sai”
Sorrido mestamente
“Mi spiace, sono una pessima guida”
Olivia torna a guardare Peter, si fissano a lungo, sento di nuovo la loro paura, ma sento anche altro
“D'accordo, facciamolo” dice infine il ragazzo “Ma neanche io so cosa accadrà questa volta”
Walter non sa cosa dire, sta provando la stessa paura di allora, si avvicina al figlio e gli sorride triste
“Pete, io... io non basterebbero un milione di anni per riuscire a scusarmi per il male che ti ho fatto”
Il giovane Bishop guarda a lungo suo padre, è diviso tra rabbia e dolore, una parte di lui vorrebbe scagliarsi contro l'uomo che lo ha torturato, l'altra prova solo una grande tristezza
“Io... io... so che non sei più l'uomo di allora. Mi basta” sussurra infine abbracciandolo.
Walter lo stringe a se forte, desideroso ancora una volta di espiare, nella sua mente sta già cercando una via e so che Peter mi odierebbe perché non sto facendo niente per impedirglielo.
Usciamo tutti insieme dal laboratorio usando i condotti e dirigendoci, con due macchine diverse, dove la ribellione sta costruendo la Macchina, Walter è in Macchina con me quando ci troviamo imbottigliati a causa di un blocco a qualche chilometro di distanza.
“Ci fermeranno e manderanno a monte il piano”
“Walter, non è detto”
“Infatti, se li aiutiamo no”
Sorrido divertito
“Vuoi giocare a fare l'eroe, vero dottor Bishop?”
“Faremo guadagnare tempo a Peter ed Olivia”
Sghignazzo divertito mentre ferma l'auto, so già cos'ha in mente e dopotutto la cosa piace anche a me, subito Peter ed Olivia si accorgono della nostra manovra ed il giovane corre verso il padre
“Che vuoi fare?” domanda spaventato.
“Voglio farvi guadagnare tempo. Se prendono noi, non vi cercheranno”dice in tono risoluto Walter.
I due giovani spalancano gli occhi, Peter prende Walter per le spalle
“No.. no... ti prego. Ti uccideranno. Io non voglio perderti” balbetta tra le lacrime.
“Figliolo, il tempo che abbiamo... abbiamo avuto insieme lo abbiamo rubato, non lo cambierei per niente al mondo. Peter... sei la cosa più preziosa che ho. Di gran lunga la più preziosa e... e voglio aiutarti”
Il ragazzo lo abbraccia forte singhiozzando, sembra un bambino in quel momento, Walter lo stringe a se per dargli coraggio, vuole farlo per lui, per ripagarlo di tutto il male che gli ha fatto, per aiutarlo nella sua missione insieme ad Olivia. “Ti voglio bene, papà” sussurra Peter spaventato.
Piango anche io osservandoli, lanciando un'occhiata al piccolo Michael, gli do una lieve carezza, lui ricambia, non posso pretendere altro.
Quando padre e figlio si staccano, ci decidiamo ad allontanarci tra i prati per richiamare l'attenzione dei lealisti, Peter ci sta ancora guardando, lo sento e solo quando veniamo catturati, Olivia e Michael riescono a trascinarlo verso l'auto. Sa bene che non ci rivedrà più.
Anche da lontano riesco ad assistere a quella scena, vorrei poterne parlare a Walter, ma lui non riesce a schermarsi quanto me, nonostante gli abbia ripartizionato la mente.
Anche se sono rinchiuso in una cella, non la vedo, vedo invece Peter entrare di nuovo nella Macchina, cammina quasi barcollando, tanto che Olivia deve aiutarlo a fare le scale, sente un'angoscia nel cuore che non aveva mai avuto prima, vorrei poter dare loro il sostegno mio e di Walter, ma so che questa nostra cattura è l'unico modo che abbiamo per aiutarli.
“Liv, non so se ce la farò questa volta, io... non so cosa debbo fare. Non lo so”
Olivia lo bacia piano sulle labbra
“Non lo so neanche io. E ho paura quanto te. Non voglio perdere anche te, dopo Etta”
Peter la bacia a sua volta poi attende che lei sia scesa dalla scalinata ed entra nella Macchina.
Nella sua testa ed in quella di Olivia appaiono tante immagini, quando lo salvai, la forza della sua vera madre, il suo vero padre non così diverso da Walter, la sua vera casa così piena d'amore, malgrado tutto, l'incontro con Olivia, smarrita, fragile e forte quanto lui, i mille dialoghi con Walter, la sua paura di perderlo, la nascita di Etta e la gioia immensa che provarono entrambi quando nacque, il dolore devastante provato quando venne rapita, la felicità di riaverla e il dolore acuto di perderla di nuovo.
L'odio per Windmark, totalizzante, la voglia di vederlo morire, lui insieme agli altri, poi chissà perché vedo nella loro mente la mia immagine, quella di Michael e di August.
Cosa state pensando?
Anche noi vi abbiamo usato, non siamo diversi oppure sì?
Improvvisamente mi rendo conto che quelle immagini non le sto vedendo solo io, le stanno vedendo tutti quelli della mia razza.
Tutti quanti.
Ma perché?
Cosa state facendo amici miei?
Una piccola fitta quando sento non lontano da me Walter e Windmark discutere pesantemente, Windmark è tormentato da quelle immagini ed urla dietro a Walter
“Perché tutte queste emozioni nella mia testa? Sei tu che ci hai voluto così, ricordi?”
Walter lo guarda sconvolto
“Di che parli?”
“Dottor Bishop, ora so. Sei stato tu insieme al tuo amico William Bell a crearci dopo la morte di due Peter, usando il suo dna, impedendoci di provare emozioni perché erano solo male ed ora vieni ad accusarci?”
Il mio amico è annichilito dallo stupore, è stato lui a creare quei mostri? Non lo ricorda. Magari è stata un'altra versione di se, quella che ha realmente perso due Peter.
“Dove sono Peter Bishop ed Olivia Dunham? Dove sono?” urla inviperito.
“Non avrai mai mio figlio, fottiti bastardo” gli dice iroso sputandogli addosso. E' un attimo gli ruba la pistola e si spara in testa.
Lacrime scottanti mi scivolano lunghe le guance.
Addio amico mio. E perdonami.
Windmark in preda all'ira viene da me
“Traditore. Sei uno di noi”
Scuoto la testa tremando. Temo che ora sarà più facile per lui leggermi. Non riesco a smettere di pensare alla morte di Walter. Peter ed Olivia ne saranno devastati. Io lo sono già.
“No, non sono uno di voi. Non uso il mio sapere per dominare il mondo”
Windmark sorride maligno
“Sei arrivato a modificare varie volte la linea temporale per i tuoi scopi, non venire a fare la morale a me”
“I miei scopi non erano quelli di dominare l'umanità.” ringhio furente. Vorrei uccidermi anche io per fermarlo, non ho più molto tempo. Le emozioni mi stanno dominando. Walter, mi spiace.
Chiudo gli occhi sicuro ormai di aver tradito i miei amici quando sento un tonfo.
Windkmark è stramazzato per terra con gli occhi vitrei. Non si muove più. Le troppe emozioni lo hanno portato alla morte.
In lontananza vedo altri esseri come me cadere, ma non tutti, anzi sono una minoranza, gli altri escono in strada lasciandosi travolgere da quel fiume in piena.
Hanno accolto le emozioni invece di respingerle, esattamente come abbiamo fatto August, Michael ed io, hanno capito che possono essere una forza e non una debolezza, che si può vivere meglio attraverso esse, non ignorandole, ma usandole per il bene, come l'intelletto.
Sorrido tra le lacrime pensando che Walter sarebbe orgoglioso di Peter ed Olivia, hanno trovato una via che io non ero stato in grado di vedere, ma sapevo che l'avrebbero trovata insieme. Lo sapevo.
Svengo esausto e ritrovandomi poco dopo nel lettino del laboratorio.
Vorrei muovermi, ma non ci riesco, le torture di Windmark mi hanno devastato, riesco però a sentire dei singhiozzi violenti e li riconosco.
Peter sta piangendo suo padre.
Il suo dolore è così forte che fa quasi scomparire il mio, ha perso suo padre dopo averlo ritrovato, come è successo con sua figlia.
“Peter... Olivia” balbetto tenendogli occhi chiusi.
L'agente Dunham mi raggiunge
“September...” farfuglia lei. Ha una voce dolce e gentile. Le ho sempre voluto bene, in qualche modo, e non solo perché sarebbe diventata una Bishop.
“Sono felice di sapere... sapere che tu... tu... sei nostra madre” balbetto aprendo a fatica le palpebre.
“Lo sapevo che nostro padre avrebbe fatto la scelta giusta” aggiungo sorridendo.
Olivia sorride tristemente.
“Grazie, l'onore è tutto mio Donald”
“Conosci il mio nome, vedo” le parole mi escono a fatica “Voglio che sappiate che Walter è morto dicendo: Non avrai mai mio figlio, fottiti bastardo”
Olivia scoppia a ridere tra le lacrime e così anche Peter che trova finalmente la forza di staccarsi dalla salma di Walter per raggiungermi. Sta barcollando e Michael lo deve sostenere
Ha gli occhi cerchiati di rosso e sembra di nuovo il ragazzino fragile e malato di un tempo, ma oggi come allora ha tanta forza dentro di se.
Mi prende la mano.
“Grazie a voi, Bishop, ora ho una famiglia”. Chiudo gli occhi mentre Michael mi fa una lieve carezza ed il mio dono mi regala un ultimo spiraglio del futuro.
Peter, Olivia e Micheal sono in cimitero tra gli alberi, vi sono due tombe.
Quelle di Walter e Donald Bishop e sopra di esse il ragazzo e il bambino stanno piantando due tulipani bianchi.
Sorrido sentendomi mancare le forze.
Un fiore è simbolo di rinascita.
Il tulipano bianco è simbolo anche del perdono.
 
Fine

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1339115