Verità nascoste di Nikki Potter (/viewuser.php?uid=51144)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ancora più lontani ***
Capitolo 2: *** I cry for you ***
Capitolo 3: *** Scacco matto a Moran: Sherlock's heart is burned ***
Capitolo 4: *** Mycroft indaga: chi diavolo è John Holmes? ***
Capitolo 5: *** Running back to you ***
Capitolo 6: *** Finalmente tu ***
Capitolo 7: *** The departure: you're the only exception ***
Capitolo 8: *** Caos: vivere o morire ***
Capitolo 9: *** I'm fine...not really ***
Capitolo 10: *** Back to London, back to Sherlock ***
Capitolo 1 *** Ancora più lontani ***
S&J1
VERITA' NASCOSTE
1. ANCORA PIU' LONTANI
My hands are cold my body's numb
I'm still in shock what have you done
My head is poundin, my vision's blur
Your mouth is moving, I don't hear a word
I'm falling through the doors of the emergency room
Can anybody help me with these exit wounds
I don't know how much more love, this heart can lose
And I'm dying, dying from these exit wounds
(The Script- Exit Wounds)
23 mesi dopo...
Era una giornata di maggio, abbastanza calda per gli standard di Londra.
John uscì dal suo minuscolo appartamento in una via periferica
della città. Nonostante fossero passati quasi due anni non aveva
ancora avuto il coraggio di tornare a Baker Street, perchè lui
non c'era, e la consapevolezza che non sarebbe più tornato
l'avrebbe colpito ancora più forte di quanto non stesse
già facendo.
Scese gli scalini velocemente, sapeva che Greg lo stava aspettando per
andare a pranzo insieme. Finalmente aveva divorziato da sua moglie e
ognitanto si concedevano qualche uscita insieme come due vecchi amici
scapoli. E i loro discorsi non deviavano mai verso Sherlock. Era un
accordo tacito che avevano preso la prima volta che si erano visti dopo
il fatto.
Non parlare di lui era più facile, entrambi concentrati
nell'impresa impossibile di cancellare dalle loro menti quell'essere
umano eccentrico e decisamente fuori dal comune che per un po' aveva
incrociato il cammino della loro vita scombussolandola.
Non parlava mai di lui con nessuno, eppure andava al cimitero quasi tutti i giorni quando staccava da lavoro.
Lavorava da più di un anno e mezzo come medico all'ambulatorio
del S. Mary Hospital, lavorare significava avere per una consistente
parte della giornata il cervello impegnato in qualcosa che non fosse
Sherlock, i suoi occhi, la sua voce profonda e baritonale, le melodie
che gli suonava col violino, il suo ghigno compiaciuto quando risolveva
un enigma particolarmente difficile.
Tutte cose che gli ritornavano alla memoria con forza quando si fermava
davanti a quella lapide di marmo nero. E gli raccontava la sua stupida,
normale e incredibilmente noiosa giornata.
Uscì fuori in strada distogliendosi dal pensiero di Sherlock e sorridendo a Greg.
"Come va?" domandò dandogli una pacca sulla spalla.
"Tutto bene".
Sentì uno strano formicolio alla nuca, indice che stava per accedere qualcosa, glielo diceva il suo istinto da soldato.
"John che c'è?" domandò Greg notandolo strano.
Si fissò intorno, e poi lo vide, il riflesso di un mirino puntato verso di loro.
Nel momento in cui spinse se stesso e Greg a terra sentì il
rumore chiaro e improvviso di uno sparo. Non era ancora a terra che
aveva giù la mano sulla browning 9mm che ormai portava sempre
con sè.
Si mise in ginocchio e puntò sicuro la pistola premendo il grilletto nello stesso momento in cui sentiva un altro sparo.
Fu questione di un secondo, sentì una fitta lancinante e la
carne lacerarsi appena sopra il cuore. Chiuse gli occhi per il dolore
che aumentò quando cadde a terra di schiena.
"John!"
Sentiva Greg urlare il suo nome e le grida dei passanti che spaventati
avevano assistito alla scena. Sentiva ancora di avere la pistola in
mano e la mano di Greg premuta lì dove c'era la ferita.
Probabilmente stava chiamando il 911, non sentiva bene, tutti i rumori
diventavano sempre più ovattati e sentiva sempre più
freddo.
"John! Non mollare!"
Socchiuse gli occhi vedendo in modo molto sfocato il viso sconvolto di Greg.
"Va...tutto bene...sto...andando...da lui..." riuscì a sussurrare sentendo il respiro sempre più affannoso.
Stava per tornare da Sherlock, ed era quasi felice del fatto che presto
sarebbero stati di nuovo insieme, come era giusto che fosse.
Nella mente solo il viso di Sherlock, quella fu l'ultima cosa che vide prima del buio.
Due ore dopo...
Avevano perso Moran, maledizione! E stavolta non avevano idea di dove
fosse, ci sarebbero voluti di nuovo mesi per ritrovarlo, altri mesi che
lo avrebbero tenuto ancora lontano dalla sua vita e da John.
Si passò le mani tra i capelli cercando di calmarsi. La prossima volta l'avrebbero catturato.
Sentì la porta della sua stanza aprirsi e si rimise seduto composto per accogliere l'ingresso di Mycroft.
Notò subito che era agitato e preoccupato, era successo
qualcosa, di sicuro, era raro vedere suo fratello perdere il suo aplomb.
"Mycroft?"
Perchè si sentiva il cuore in gola?
Mycroft entrò lentamente chiudendo la porta alle sue spalle e
appoggiandosi ad essa come sostegno. Sospirò profondamente.
"E' successo qualcosa, Sherlock".
Rimase zitto in attesa di altro. Perchè aveva un brutto presentimento? Centrava forse Moran?
"Non so come dirtelo, ma tanto se non lo faccio io presto lo saprai dai
giornali..." Mycroft sospirò di nuovo. "Si tratta di John".
Non si rese nemmeno conto di aver trattenuto il respiro. Allora aveva ragione, era successo qualcosa a John...
"L'ispettore Lestrade mi ha appena chiamato dal S. Mary Hospital...John è morto, Sherlock" riferì Mycroft grave.
Una pugnalata nel petto, al cuore, ecco quello che sentì in quel
momento. John, il suo John era morto. Chiuse gli occhi stringendo forte
le labbra per reprimere l'urlo che voleva uscire. Si era finto morto,
aveva fatto tutto quello per salvarlo e poi alla fine era stato tutto
inutile.
"Com'è successo?" riuscì a chiedere con voce inespressiva.
"Era appena uscito dal suo appartamento, doveva andare a pranzo con
Lestrade...poi qualcuno gli ha sparato" lo informò Mycroft.
Alzò la testa spalancando gli occhi, una chiara domanda gli si leggeva in volto.
"Sì, è stato Moran, John gli ha sparato colpendolo prima
di...essere colpito a sua volta. Hanno fatto passare il DNA negli
archivi dei ricercati ed è risultato essere quello di Moran"
rispose Mycroft.
Sherlock annuì chiudendo gli occhi. Aveva fallito, e il prezzo
del suo fallimento era stata la morte dell'unica persona che per lui
contava qualcosa, John.
"Lasciami solo" disse perentorio.
Un attimo di esitazione e poi sentì la porta aprirsi e
chiudersi. Solo allora permise alle lacrime di bagnargli il volto e a
quell'urlo di uscire.
Non sapeva che Mycroft era lì fuori, appoggiato alla porta ad
ascoltare con angoscia il suo dolore, la sua rabbia, le sue urla e il
rumore di oggetti infranti.
Sentiva dei bip, rumore decisamente strano visto che avrebbe dovuto
essere in paradiso. Da Sherlock. Ma del consulente investigativo
nemmeno l'ombra, c'era solo buio e nient'altro. Poi una voce, la sua
voce che lo chiamava per nome, esortandolo a non arrendersi e ad aprire
gli occhi.
E fu quello che fece, ritrovandosi in una stanza dalle pareti bianche con un dottore chino su di lui.
A giudicare dalla strumentazione che aveva intorno dovevano appena
averlo estubato. Dunque era in un ospedale ed era ancora vivo.
"John, mi sente?" disse il dottore.
Lesse il cartellino, L. Smith cardiochirurgia.
"Sì" mormorò con voce rauca per il tubo che aveva tenuto in gola per non sapeva ancora quanto.
"Si trova al S. Mary Hospital, le hanno sparato, ricorda qualcosa?" domandò il dottor Smith.
Corrugò la fronte, si ricordava in modo sfocato tutto quanto.
Annuì.
"Il proiettile l'ha colpita appena sopra il cuore, mancando di
pochissimi millimetri l'arteria carotidea...è stato fortunato
signor Watson, deve avere qualcuno che la protegge da lassù".
Sherlock, pensò automaticamente a lui. Quel bastardo l'aveva protetto anche da morto.
"E' così" disse con gli occhi lucidi. "Da quanto sono qui?"
"Un paio di giorni. Credo però ci sia una cosa che debba sapere
con urgenza" rispose il dottor Smith allontanandosi quel tanto per far
entrare nel suo campo visivo due individui vestiti in giacca e cravatta
grigio scuro con tanto di capello in testa.
Dal portamento e dal tipo di vestiario assomigliavano parecchio a quella carogna di Mycroft Holmes.
"Siete dei servizi segreti" disse John con ovvietà.
"Complimenti signor Watson per la brillante deduzione" disse il più vecchio tra i due.
Doveva avere più di sessant'anni, capelli brizzolati più
sul bianco che sul grigio; gli occhi di un grigio ferro e il taglio severo
della bocca indicarono quanto fosse parecchio stronzo di atteggiamento.
L'altro invece doveva essere di circa sei o sette anni più
giovane di John, biondo con gli occhi scuri e il classico viso da
angioletto che nascondeva qualcosa.
Sherlock sarebbe stato orgoglioso della sua rapida analisi.
"Con chi ho l'onore di parlare?" dalla sua voce trasparì un filo di ironia.
"Mark Patterson e Steven Colfer" si presentò il vecchio per poi informarlo anche del nome dell'altro agente.
"Che volete da me?"
Era idiota, come diceva sempre Sherlock, ma era ovvio che quei due
volessero qualcosa da lui, qualcosa di preciso visto che erano venuti
fino al suo capezzale.
"L'abbiamo inserita in un programma di protezione, signor Watson" disse Colfer.
Alzò un sopracciglio, quelli non avrebbero fatto mai qualcosa per niente.
"In cambio del suo servizio" aggiunse infatti Colfer.
John rise internamente, aveva fatto bingo.
"Sappiamo per certo che chi ha tentato di ucciderla era Sebastian Moran, ne ha mai sentito parlare?" indagò Patterson.
Certo, tutti i soldati di stanza in Afghanistan sapevano chi era Moran,
uno dei migliori cecchini dell'esercito prima di tradire la patria.
Annuì.
"Lei lo ha ferito, per questo siamo riusciti ad identificarlo" spiegò Colfer.
"Allora? Che volete che faccia?" domandò John impaziente.
In quei due anni aveva preso senza volerlo a diventare parecchio
scontroso e intrattabile, aveva assimilato quasi i peggiori difetti del
suo ex coinquilino. Al momento non gli importava granchè di
essere scontroso con quei due sconosciuti.
"Vogliamo che lei torni in Afghanistan a servire il suo paese,
ovviamente sotto una falsa identità" rivelò Patterson.
"E se rifiutassi?" domandò per curiosità più che altro.
"Non credo che abbia molta scelta visto che tutti la credono morto" aggiunse Patterson.
Gli ci volle qualche secondo per comprendere appieno quelle parole prima di esplodere in un rabbioso "COSA?!"
"Se non vuole andare in Afghanistan possiamo sempre rinchiuderla in
qualche zona sicura del paese dove nessuno potrà sapere della
sua esistenza, almeno fino a quando non catturiamo Moran" disse Colfer.
"Se mai ci riuscirete" non si trattenne dal dire John con disprezzo.
Aveva ragione Mycroft, non ci si poteva fidare del tutto dei servizi
segreti, erano mercenari pagati per i loro servigi, ed erano degli
stronzi. Non aveva molta scelta, e in fondo non gli dispiaceva tornare
in Afghanistan, sentire quell'adrenalina prima di una missione che ti
faceva sentire quasi invincibile, quell'adrenalina era decisamente
meglio di qualunque droga. E poi forse andare lontano da Londra gli
avrebbe fatto bene, anche se aveva già la consapevolezza che il
pensiero di Sherlock lo avrebbe accompagnato anche lì.
"Allora, Watson che vuole fare?" domandò Patterson.
"Accetto, solo con alcune condizioni" rispose dopo aver riflettuto rapidamente.
Patterson e Colfer lo guardarono in attesa delle sue richieste.
"Non voglio che Mycroft Holmes sappia qualcosa della mia partenza o che sono ancora vivo" disse subito.
Non voleva più il maggiore dei fratelli Holmes alle costole,
perchè sapeva che per tutto quel tempo, dalla morte di Sherlock,
era stato costantemente osservato. Non che questo fosse poi servito a
molto, visto che comunque Moran era riuscito a sparargli dritto al
torace.
"D'accordo, c'è altro?" chiese Colfer.
"Il mio nuovo nome sarà John Harry Holmes, e non ammetto obiezioni" disse John serio e irremovibile.
"Va bene, come vuole. Quando potrà lasciare l'ospedale le daremo
tutte le informazioni necessarie e poi partirà subito per la
provincia afghana di Helmand dove sarà assegnato al distretto di
Lashkar Gah. Grazie per la sua collaborazione, dottor Watson"
replicò Patterson.
Collaborazione...non che gli avessero dato molta scelta.
"Ah, dottor Watson, complimenti, non era facile beccare Moran dalla sua
posizione. Mai pensato di fare il cecchino?" aggiunse Patterson con una
scintilla di quella che pareva ammirazione negli occhi.
"No, mi sono arruolato solo per curare i miei compagni e per dare il
mio contributo come medico. Comunque accetto i complimenti" rispose
John.
Colfer e Patterson annuirono e dissero solo "Capitano Watson" prima di
uscire assieme al dottor Smith e lasciarlo solo a pensare a come nel
giro di due giorni la sua vita era cambiata.
ANGOLO AUTRICE
Spero che
questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito. La storia
conta in tutto 10 capitoli già scritti, per cui
aggiornerò con regolarità circa due o tre volte alla
settimana.
Grazie per la vostra attenzione, un bacio
Nikki Potter
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Capitolo 2 *** I cry for you ***
S&J2
2. I CRY FOR YOU
And this kind of pain, only time takes away
That's why it's harder to let you go
And nothing I can do, without thinking of you
That's why it's harder to let you go
But if there's a pill to help me forget,
God knows I haven't found it yet
But I'm dying to, God I'm trying to
Trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can't see the silver lining, from down here on the floor
And I just keep on trying, but I don't know what for
'Cause trying not to love you
Only makes me love you more
(Nickelback - Trying Not To Love You)
Fissò il suo nuovissimo passaporto. La foto l'aveva scattata
solo mezz'ora prima, i capelli lunghi ora solo un paio di centimetri
mettevano maggiormente in evidenza i suoi occhi azzurri che tanto erano
piaciuti a Sherlock.
Osservò con orgoglio la scritta nero su bianco Holmes, come se in qualche modo fosse legato a lui.
Come se foste sposati, gli disse la sua voce interna che aveva lo stesso tono facilmente irritabile proprio del consulente investigativo.
Non aveva problemi a dire che aveva amato e amava Sherlock, ma allo
stesso tempo non era nemmeno gay. L'unico uomo per cui aveva provato
un'attrazione fisica che si era sempre ostinato a negare con ogni
particella del suo corpo era Sherlock, solo lui e basta. Se ne era reso
conto sempre di più in quei due anni di inferno, lui amava
Sherlock e una parte di sè lo avrebbe sempre amato. Per questo
era consapevole che non avrebbe mai potuto dimenticarlo, perchè
lentamente come una droga era entrato dentro di lui, e non c'era
più modo di farlo uscire.
Poi fissò l'altro nome, Harry...il diminutivo di Harriet, sua
sorella, per ricordargli sempre chi era davvero e avere ancora un
legame con la sua vecchia vita.
Non c'era nome più azzeccato.
Aveva visto dal Telegraph le immagini del suo funerale e gli dispiacque
solo che in quel momento probabilmente sua sorella, Lestrade e Mrs
Hudson stavano soffrendo per la sua presunta morte.
Ma ormai aveva deciso e non poteva più combiare idea.
Apprese anche dall'articolo di giornale che la sua tomba era stata posta proprio di fianco a quella di Sherlock, -perchè così avrebbero desiderato entrambi- aveva detto Mrs Hudson.
Ah, quella cara donna aveva proprio ragione.
Erano sempre stati loro due, Sherlock e John e John e Sherlock, punto e fine. Ed erano così anche da morti.
*
Era notte ed era riuscito a sgattaiolare fuori dall'enorme villa
supersorvegliata di Mycroft. Si coprì meglio col cappotto e a
passo sicuro entrò nel cimitero. Si guardò attorno con
cura, ma non vide nessuno, e poi finalmente si fermò.
Davanti a lui una lapide identica alla sua, solo che su quella c'era scritto un nome diverso.
"John..." proruppe prima di inginocchiarsi a terra e appoggiare la
fronte sul marmo freddo mentre le lacrime gli inondavano le guance e i
singhiozzi uscivano dalla sua bocca senza che potesse bloccarli. Rimase
lì per non seppe quanto tempo, era addirittura iniziato a
piovere, ma non se ne curò.
John era morto, non riusciva a pensare ad altro.
Si rimise in piedi solo quando realizzò che la pioggia non lo
bagnava più. Mycroft era dietro di lui, con un'espressione
preoccupata e sofferente sul viso, e riparava entrambi col suo
enorme ombrello nero.
Sentì la sua mano sulla spalla e forse per la prima volta
sentì veramente Mycroft vicino e apprezzò sul serio che
lui fosse lì e che non dicesse nulla di banale.
Tirò su col naso e quando si sentì pronto si
allontanò da quella lapide, al suo fianco Mycroft che lo
riparava dalla pioggia e che voleva impedirgli di spezzarsi.
*
L'aereo del governo britannico era appena atterrato nella base militare
inglese a Lashkar Gah. Gli era stato detto che solo il capo del SIS
(Secret Intelligence Service), ovvero John Sawers, e il capo dell'ISAF
in carica sapevano la sua reale identità.
Per tutti gli altri lui era il Capitano John Holmes, medico militare.
La sua nuova vita cominciò non appena poggiò un piede sul
suolo afghano, per lui carico di ricordi di quella che sembrava una
vita fa.
"Capitano Holmes? La stavamo aspettando, sono il Generale Arthur
Richards, il capo della sua base" si presentò subito un uomo sui
cinquanta, capelli neri con qualche striatura grigia, mascella notevole
e un paio di baffetti che gli davano ancora una maggiore aura di
autorità.
"Generale" John fece subito il saluto militare.
"Riposo Holmes. Venga con me, le spiego in cosa consiste la sua
presenza qui" rispose Richards camminando verso una struttura di un
piano solo, il centro della base attorno a cui c'erano nemerose tende
in cui presto anche lui avrebbe dormito assieme agli altri.
*
9 mesi dopo...
281. 281 giorni senza John. A volte gli sembrava veramente di impazzire.
La sua unica ragione di vita era diventata arrestare Moran e farlo a
pezzi. Sapeva che Mycroft era preoccupato per lui, soprattutto su cosa
avrebbe fatto una volta dopo aver arrestato quel bastardo, ma nemmeno
lui ne aveva idea. Probabilmente si sarebbe fatto sopraffare dalla
sofferenza e dall'apatia, perchè se adesso la sua mente lavorava
febbrile per scovare l'assassino di John dopo sarebbe stata in
sovraccarico di lui, del suo John, a cui pensava già comunque
sempre.
Mycroft aprì la porta della sua stanza, il cappotto al braccio. "Sappiamo dov'è".
"Dove?" Sherlock balzò subito in piedi.
"Bucarest, ha intenzione di eliminare un esponente politico di alto spicco..." rispose Mycroft conciso.
"Andiamo a prenderlo" Sherlock lo seguì fuori, negli occhi solo furia omicida.
*
John fissava da diversi minuti il soffitto che consisteva nel tessuto
impermeabile verde della tenda dove alloggiava da svariati mesi.
Aveva stretto amicizia con tutti quelli della sua squadra anche se
l'unica persona a cui aveva parlato di Sherlock era solo il suo
compagno di tenda, un ragazzo di appena 22 anni, decisamente simpatico
e un hacker pazzesco. Sherlock l'avrebbe definito a dir poco geniale
nel campo dell'informatica. Si chiamava Robert Paxton, e conosceva
anche Mycroft Holmes che gli aveva offerto un paio di volte di lavorare
con lui.
Era l'unico a cui aveva parlato di Sherlock, una sera di due mesi prima.
Questo perchè tutte le sere prima di addormentarsi fissava una
foto con uno Sherlock col suo classico ghigno furbo che portava sempre
con sè, nelle tasche della divisa.
E quella volta Robert gli aveva semplicemente chiesto chi fosse, e gli aveva semplicemento risposto "E' Sherlock".
John gli aveva raccontato a grandi linee chi era stato Sherlock
per lui. Il suo migliore amico, il suo confidente e per un anno e mezzo
il suo compagno di vita in mezzo a quel casino criminale a Londra.
Rob era convinto che Sherlock fosse il suo compagno, e John per la
prima volta non aveva smentito la cosa. Considerava Sherlock come il
compagno che aveva perso, e per una volta non trovò strano che
qualcuno li definisse una coppia. In fondo lo erano sempre stati, solo
che lui non aveva mai voluto vedere le cose come erano realmente.
Era quello il rimpianto più grande della sua vita.
Il lieve russare di Rob gli indicò che si era addormentato.
Facendo meno rumore possibile si alzò dalla sua brandina e
uscì fuori nell'aria notturna di Lashkar Gah. Il campo era
silenzioso rispetto alle ore diurne dove c'era sempre un gran viavai di
soldati che ridevano e parlavano, o di feriti nell'ospedale da campo
che urlavano per le ferite subite.
Il compito di John consisteva nel fare da chirurgo nell'ospedale e
anche di andare in missione a sud, al confine col Pakistan e bloccare
qualsiasi incursione da parte dei talebani.
Faceva sia da medico che da cecchino, Patterson aveva ragione quando
diceva che aveva sul serio una buona mira. Questo gli aveva consentito
di salvare uno della loro squadra, il soldato d'assalto appena 25enne
Scott Robins e anche un soldato americano dai colpi dei talebani.
Nel giro di sei mesi era stato promosso al grado di maggiore e tutti al
campo lo stimavano considerandolo un uomo dal forte carisma e di saldi
principi morali.
Senza nemmeno accorgersene era arrivato quasi alla fine del loro campo,
in cima a una collina arida dove l'erba era assente. Faceva fresco, ma
non aveva freddo, nonostante non avesse portato con sè nessuna
giacca.
Si sedette per terra e tirò fuori di nuovo la foto stropicciata
e consunta di Sherlock e sorrise malinconico quando fissò quegli
occhi color ghiaccio. Sentì una lacrima rigargli la guancia e
con il dorso della mano la cancellò.
"Mi manchi Sherlock" mormorò prima di alzare lo sguardo verso il cielo stellato afghano.
Non sapeva che Sherlock, anche se due ore indietro rispetto a lui,
stava facendo lo stessa cosa, guardava il cielo sopra Bucarest
pensando a lui.
ANGOLO AUTRICE
Spero che questo capitolo vi sia paciuto.
Ringrazio soprattutto Yami Hihara, stella13 e carelesslove per aver recensito.
Un bacio
Nikki Potter
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Capitolo 3 *** Scacco matto a Moran: Sherlock's heart is burned ***
S&J3
3. SCACCO MATTO A MORAN: SHERLOCK'S HEART IS BURNED
I'm about to lose my mind
You've been gone for so long
I'm running out of time
I need a doctor
Call me a doctor
I need a doctor, doctor
To bring me back to life
(Eminem - I Need A Doctor)
283 giorni. Finalmente dopo 283 giorni dalla morte di John avevano
acciuffato quel bastardo proprio mentre stava per sparare al ministro
degli interni rumeno.
Seguì Mycroft nella sala interrogatori della base sconosciuta dei Servizi Segreti dentro cui era rinchiuso Moran.
Mycroft, essendo un pezzo grosso del governo, era riuscito a fare in
modo che Sherlock potesse vederlo da solo per qualche minuto, con lui
presente ovviamente. Temeva che se lasciato da solo Sherlock avesse
potuto sul serio ucciderlo.
Mycroft aprì la porta di acciaio ed entrò nella stanza
non molto grande dove Moran era seduto, le manette alle mani, dietro
l'unico tavolo presente nella stanza assieme ad un'altra sedia vuota
posta proprio davanti a lui, su cui Sherlock si sedette con lentezza.
Notò che stranamente Moran non era per nulla sorpreso di vederlo, come se sapesse che sarebbe arrivato.
"Sherlock Holmes" ghignò Moran beffardo.
"Non sembri sorpreso di vedermi, Moran".
Moran accentuò di più il ghigno. "Non lo sono affatto,
sono mesi che so che sei vivo, precisamente dai primi di maggio dello
scorso anno".
Sherlock corrugò le sopracciglia poi la verità gli
piombò di colpo davanti agli occhi prima che Moran dicesse tutto
il resto, che passò attraverso di lui come aria, mentre lo
sguardo era perso e il cervello registrava a una ad una quelle parole
che erano solo la conferma della sua deduzione.
John era morto per colpa sua. Ora ne aveva la completa certezza.
"Ho riconosciuto il tuo travestimento quando tu e gli uomini di tuo
fratello stavate per catturarmi a Berlino. E quando ho saputo che eri
vivo ho deciso di fartela pagare, di farti soffrire come io stavo
soffrendo per Jim. Così sono andato a Londra con un passaporto
falso e ho sparato al tuo caro dottore. Dovevi vedere quanto
sangue...anche se prima di morire il tuo soldatino mi ha beccato la
spalla, ma niente di che, il proiettile è passato da parte a
parte. E io mi sono gustato tutta la scena, Holmes, del tuo cucciolotto
che si spegneva lentamente ed è stato...decisamente appagante"
raccontò Moran sadico.
Sherlock lo afferrò per la collottola, la rabbia che gli scorreva nelle vene.
"Picchiami pure, ma niente farà tornare il tuo amico nel mondo
dei vivi. Hai perso, Sherlock Holmes. E io ho mantenuto appieno la
promessa di Jim, ti ho bruciato il cuore" detto questo Moran
scoppiò in una risata isterica da pazzo maniaco che si
interruppe solo quando Sherlock gli tirò un potente destro sul
naso, rompendoglielo.
"Sei morto!" esclamò Sherlock buttandosi su di lui e iniziando a
prenderlo a pugni, mentre intanto Moran non la smetteva di ridere.
Smise solo quando due uomini di Mycroft lo afferrarono per entrambe le
braccia allontanandolo da quella carcassa piena di sangue che
continuava nella sua risata di scherno.
Aveva notato che Mycroft comunque l'aveva lasciato sfogare per un
minuto buono prima di chiamare i suoi tirapiedi e mentalmente lo
ringraziò per avergli permesso di sfogare la sua furia su
quell'essere immondo.
Seguì Mycroft fuori come un automa diretto a farsi medicare la
mano, le cui nocche sanguinavano per i colpi che aveva sferrato con
tutta la forza che possedeva.
E per tutto il tempo in cui un medico gli attorcigliò una benda
intorno alla mano ferita cercò di evitare con cura lo sguardo
preoccupato del fratello, perchè entrambi sapevano già
cosa sarebbe successo.
Ora che non poteva più distruggere Moran, Sherlock avrebbe dato inizio alla distruzione di se stesso.
"Ehi John, non sai cos'ho sentito" esordì un suo compagno di reggimento, Thomas Bradley, cecchino trentenne del Sussex.
John si mise a sedere sulla sua brandina, subito imitato da Rob, ed entrambi fissavano curiosi l'amico.
"Che è successo, Tom?"
"Ho sentito una telefonata al Generale Richards...a quanto pare i
Servizi Segreti inglesi hanno catturato a Bucarest il ricercato numero
uno, Sebastian Moran" rivelò Thomas tutto contento.
John si irrigidì. L'avevano catturato finalmente, il suo pseudo assassino.
"Dici sul serio?" replicò Rob.
Tom annuì. "Sì, ma non so altro, anche se ho sentito il
Generale fare il nome di un certo pezzo grosso del governo che dovrebbe
aver coordinato l'operazione...un certo Mycroft Holmes...è un
tuo parente John?"
Mycroft...oddio, doveva respirare e continuare a sembrare perfettamente normale.
"No, però lo conosco. E' geniale quanto stronzo" disse John.
"Il Generale ha fatto anche un altro nome...mai sentito per quello che
ne so...un tale Moriarty, avete idea di chi sia?" aggiunse Tom.
John impallidì di botto e gli altri due lo fissarono confusi.
"John, ti senti bene?" chiese Rob.
John gli strinse una spalla fissandolo serio. "Ho bisogno del tuo
aiuto...o meglio del tuo genio informatico. Devo scoprire tutto su
questa operazione, su Moran e Moriarty".
Rob annuì serio. "D'accordo...quindi tu sai chi sono..."
John fece un cenno di assenso. "Sono stati i miei due arcinemici".
Ricordò di aver detto a Sherlock all'inizio della loro
conoscenza che le persone normali non avevano arcinemici. Beh la sua
vicinanza con Sherlock lo aveva reso diverso dagli altri e
inconsapevolmente da quel giorno in cui aveva incontrato i suoi occhi
color ghiaccio anche lui, come il consulente investigativo, aveva
smesso di essere normale.
La sua vita aveva smesso di essere normale, una routine che continuava
a ripetersi, ma era stato un continuo susseguirsi di inseguimenti ed
emozioni forti che lo avevano portato lontano dagli altri, e
così nei due anni di inferno a Londra aveva compreso che non
sarebbe più riuscito a omologarsi agli altri comuni mortali che
non avevano niente per la testa a parte lavorare e tornare a casa alla
sera.
Lui non era più uno di loro e aveva perso la sua guida.
E ora si stava affidando a due soldati normali che erano diventati suoi
amici per sapere tutto quello che c'era da sapere sulla cattura di
Moran e su Moriarty.
"Conta pure su noi due" disse Rob serio.
John diede una pacca sulla spalla di entrambi, grato del loro aiuto.
Era passata una settimana dall'arresto di Moriarty e com'era prevedibile il processo autodistruttivo era cominciato da subito.
Mycroft si passò una mano tra i capelli, davanti a lui un
bicchiere di whisky, ne aveva davvero bisogno. Sherlock aveva
ripreso a darci giù pesante, con eroina e se non bastava pure
cocaina.
Gli sembrò di fare un salto indietro nel passato, a quando
Sherlock era un teenager incompreso da tutti che si faceva di qualunque
droga riuscisse a trovare.
Lui era riuscito a fare in modo che nessuno gli vendesse più
quella roba e a farlo smettere puntando sul fatto che quelle sostanze
rovinavano il cervello. E Sherlock per un po' l'aveva odiato, ma non
gliene era mai interessato, in compenso gli aveva con ogni
probabilità salvato la vita.
E ora era successo di nuovo. E stavolta la cosa era più seria,
perchè sapeva che Sherlock si drogava nel tentativo di alleviare
il senso di colpa che lo attanagliava e per dimenticarsi di aver perso
John.
Purtroppo era ben consapevole che quando un Holmes si innamorava di
qualcuno dava tutto se stesso senza mezze misure, compreso distruggersi se si perdeva
l'altra persona. Grazie al cielo a lui non era mai capitato di provare
qualcosa di così forte per qualcuno, e di certo in ogni caso era
sempre stato di carattere più stabile rispetto a suo fratello.
Gli dispiaceva farlo ma doveva puntare su John per tirarlo fuori da
quel tunnel. E con molte probabilità Sherlock gli avrebbe urlato
addosso e lo avrebbe odiato di nuovo peggio di prima, ma almeno lo
avrebbe salvato da se stesso.
Decise che doveva finire immediatamente quella situazione e si
alzò con risolutezza avviandosi verso la stanza di Sherlock, non
curandosi di non avere indosso la giacca e di avere slacciato un
bottone del panciotto.
Nemmeno lui sembrava se stesso. Ma del resto la sua vita era basata sul
difendere il suo paese e preoccuparsi costantemente di Sherlock.
Si slacciò il primo bottone della camicia bianca e poi, dopo
aver preso un respiro profondo, aprì la porta senza nemmeno
bussare. L'immagine che vide lo fece tornare al passato.
Sherlock seduto per terra con le gambe raccolte, nell'angolo della
stanza, una manica della camicia grigia arrotolata fin sopra il gomito
da cui riusciva a vedere i segni delle iniezioni, lo sguardo fisso nel
vuoto e il viso mortalmente pallido.
Aveva giurato a se stesso che non sarebbe più successo e invece...anche lui aveva fallito.
I suoi uomini non erano riusciti a proteggere John e questo era il
risultato, suo fratello più morto che vivo e più fatto
che mai.
"Sherlock".
Suo fratello alzò finalmente gli occhi verso di lui, segno che non era del tutto fuori. "Va via Mycroft".
"Sai perfettamente che non lo farò" replicò ovvio. "Devi smetterla con le droghe".
"Non puoi dirmi cosa fare della mia vita" ribatté Sherlock aggressivo.
"No di certo, ma John non sarebbe affatto contento" disse diretto con l'intento di scuoterlo.
"Tu non sai niente di John!" esclamò Sherlock alzandosi in piedi.
"Ha lottato per farti smettere di fumare anche solo le sigarette. In
questo momento sarebbe molto deluso di vederti così"
replicò Mycroft duro.
Credeva che Sherlock gli avrebbe sul serio tirato un pugno, ma aveva
comunque corso quel rischio. Invece lo spiazzò completamente
iniziando a piangere e abbracciandolo per forse la prima volta in tutta
la vita.
Rimase per un attimo rigido per la sorpresa prima di appoggiare
delicatamente le mani sulla sua schiena con goffaggine. Non era
minimamente abituato a gesti di quel tipo.
"Mi manca, Mycroft" proruppe Sherlock con voce tremendamente roca tra i singhiozzi.
Non gli disse che sapeva come si sentiva, perchè non era vero,
non ne aveva la minima idea, e lo sapevano entrambi. Disse solo l'ovvio.
"Lo so. Ma devi essere forte, per lui. Devi renderlo orgoglioso di te" mormorò triste.
Sentì Sherlock tirare su col naso e stringerlo più forte. "Per John".
"Per John" ripeté Mycroft.
Nel cuore sollievo, perchè sapeva di averlo salvato un'altra
volta. Anzi, era stato di nuovo John a salvarlo da se stesso.
Stava disubbidendo alle regole ma al momento a nessuno di loro tre importava più di tanto.
Lui doveva sapere tutto, o sarebbe andato fuori di testa.
Perchè Richards aveva nominato Moriarty? Era quella la domanda
che lo tormentava da più di una settimana e non ce la faceva
davvero più.
Inizialmente Rob aveva cercato qualcosa su internet ma non aveva
trovato nulla, doveva essere stata proprio un'operazione top secret.
John non ne aveva avuto il minimo dubbio, se dietro c'era Mycroft poi
di sicuro era stata una cosa segretissima.
Per scoprire qualcosa Rob sarebbe dovuto entrare nel laptop di Mycroft
e la scarsa connessione aveva reso la cosa ancora più
difficile di quanto già non fosse. Era notte fonda quando Rob
disse a lui e Tom di avercela fatta con un tanto di "Quel Mycroft
è proprio un osso duro".
Non ne aveva dubbi, era il fratello di Sherlock, altrettanto geniale,
per cui già immaginava gli ostacoli che il suo amico aveva
dovuto superare.
Tuttavia non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione
quando comparve sul notebook di Rob la schermata del laptop di Mycroft.
Ovviamente la bandiera inglese come sfondo, decisamente scontato.
"Vediamo che cosa ha combinato di recente col pc" Rob schiacciò
una serie di testi e poi apparve come una lista con le ultime
operazione attuate da Mycroft.
Rimase stupito nel riconoscere i nomi di due pillole di antidepressivi.
Mycroft depresso non ce lo vedeva proprio. Li aveva ordinati due giorni
prima a nome di un certo Jeremiah Johnson, nome chiaramente fasullo.
"Questo è il rapporto sulla cattura di Moran, sei pronto
Johnnie?" Rob indugiò con la freccia sopra quel link che sperava
avrebbe risposto a parte delle sue domande.
Sentì su di sè lo sguardo di Rob e Tom e annuì convinto.
Rob cliccò e davanti a loro comparve un documento ufficiale con tanto di simbolo della nazione in testa.
Lesse in modo febbrile, ma il documento non diceva nient'altro che non
sapesse già, tranne che erano riusciti a catturare Moran
perchè avevano scoperto la sua intenzione di abbattere il
ministro degli interni rumeno.
"C'è anche il link di un video, probabilmente un'intervista
rilasciata senza giornalisti e inviata a tutti i programmi di
cronaca...ormai è una cosa molto usata negli affari di governo"
spiegò Rob.
Poi cliccò e davanti a loro comparve Mycroft Holmes seduto
dietro una scrivania, perfettamente tranquillo e impeccabile
nell'abbigliamento.
"Parlo a nome del nostro governo quando dico che siamo felici di aver
finalmente preso il criminale numero uno che minacciava lo stato. Come
molti di voi sanno Moran non è solo reo di crimini perpetuati in
Afghanistan, ma è anche accusato di aver ucciso come sicario
numerosi personaggi di spicco, l'ultimo meno di un anno fa e proprio
nel centro di Londra, il dottor John Watson. Lo conoscevo personalmente
in quanto intimo amico e coinquilino di mio fratello, Sherlock Holmes,
e sono felice di poter dire che la sua morte, con la cattura di Moran,
è stata in qualche modo vendicata".
John ascoltava rapito le parole di Mycroft che rimanevano impresse nel
suo cervello. Notò un ghigno di trionfo comparirgli sul viso e
il suo cuore batté più velocemente.
"Con la sua testimonianza posso anche dire che sì, James
Moriarty esisteva davvero e che Moran era il suo braccio destro. Lo
stesso Moran ci ha confermato di aver visto morire Moriarty sul tetto
del San Bartholomew's Hospital la mattina del suicidio di mio fratello,
dopo essersi sparato in bocca, e di aver portato via lui stesso il
corpo prima che altri lo trovassero. Ci ha rivelato anche tutto il
piano che ha portato al suicidio di mio fratello. Non posso negare che
mio fratello fosse particolarmente eccentrico e sociopatico,
però quel giorno non si è buttato perchè si era
finto un genio, ma perchè era stato ricattato da Moriarty. Se
non l'avesse fatto tutti i suoi migliori amici sarebbero morti, ognuno
di loro aveva qualcuno pronto a sparargli se Sherlock non si fosse
buttato. Lo stesso Moran ci ha rivelato di avere l'arma puntata contro
John Watson e di non aver premuto il grilletto solo dopo aver visto il
cadavere di mio fratello. Comunque chi ha conosciuto realmente mio
fratello e sapeva quanto fosse davvero geniale, non ha mai dubitato per
un secondo che fosse un bugiardo. Primo fra tutti il suo migliore amico
John Watson, che ha da sempre sostenuto che se Sherlock aveva fatto
quello che aveva fatto di sicuro era per un buon motivo. E aveva
ragione. Bene, non ho altro da dire".
Il video terminò e solo allora John si rese conto di avere il
viso bagnato di lacrime. Sherlock era morto per salvare lui, e
probabilmente anche Lestrade e Mrs Hudson. Lo sapeva, aveva da sempre
saputo di centrare in qualche modo con la sua decisione di buttarsi. E
l'amarezza per la sua morte si attenuò leggermente alla
consapevolezza che finalmente l'immagine di Sherlock era stata ripulita
da tutto il fango che per tutto quel tempo gli era stato gettato
addosso.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere le facce di Anderson e Donovan,
i due idioti che per primi, per invidia, avevano accusato Sherlock di
crimini che non aveva mai commesso e di essere un impostore.
"Sherlock Holmes...è quello Sherlock, vero?" domandò Rob confuso ed esitante.
John annuì asciugandosi le guance con i palmi delle mani.
"Quindi tu sei John Watson" dedusse Tom.
John annuì di nuovo, sapeva che tanto non avrebbero detto nulla
a nessuno. "Sono stato inserito in un programma di protezione dopo che
Moran mi ha sparato e quasi fatto fuori. Tutti credono che io sia
morto".
"Cavolo!" commentò Rob stupito.
"Ehm...John mi dispiace per il tuo amico Sherlock" disse Tom incerto.
John gli sorrise. "Lo so, ma almeno ora so che ha avuto giustizia e che può riposare in pace".
Sentì le pacche sulle spalle di entrambi e il peso sul suo cuore
diminuì lentamente alla consapevolezza che ora tutti sapevano
che Sherlock Holmes era stato per davvero un genio e un grand'uomo.
ANGOLO AUTRICE
Ringrazio tutti i lettori e soprattutto norwamnesio che ha recensito: sono contenta che la ff ti piaccia :)
Un bacio a tutti
Nikki Potter
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Capitolo 4 *** Mycroft indaga: chi diavolo è John Holmes? ***
S&J4
4. MYCROFT INDAGA: CHI DIAVOLO E' JOHN HOLMES?
Run away, run away, I'll attack
Run away, run away, go change yourself
Run away, run away, now I'll attack
I'll attack, I'll attack, I will attack
(30 Seconds To Mars - Attack)
Più di due mesi dopo...
Quel giorno tanto temuto era arrivato. L'anniversario della morte di John.
Erano due mesi che ormai era ritornato alla sua vita, che tutti
sapevano che era vivo, ma sentiva che mancava costantemente qualcosa.
Quel qualcosa era il sorriso rassicurante di John, la sua piacevole
compagnia.
Gli mancava ogni minuto di ogni giorno e non ci poteva fare niente.
Persino risolvere i casi non lo entusiasmava più, perchè
con John era stato tutto molto più divertente e appassionante.
Tuttavia aveva promesso davanti alla tomba di John che non avrebbe
più assunto nessuna droga, ed erano ormai più di otto
settimane che era completamente pulito.
Mycroft non lo mollava un attimo, sapeva che era sempre costantemente
preoccupato di una sua possibile ricaduta, ma non c'era pericolo. Lo
aveva promesso a John, e sarebbe morto piuttosto di infrangere quel
giuramento.
Non era tornato a vivere al 221B, nonostante Mrs Hudson avesse
particolarmente insistito, ma non se la sentiva di entrare lì e
non vedere in giro le cose di John. E poi quello era il nido di loro
due, non poteva tornare lì senza di lui.
Per cui viveva ancora insieme a Mycroft nella sua immensa villa appena fuori dalla città.
E quasi tutti i giorni, come John aveva fatto con lui, andava al
cimitero, davanti a quella lapide e gli raccontava dei suoi nuovi
esperimenti e dei casi e di quanto gli mancasse non averlo lì
con lui.
Mycroft andò a ritirare il suo laptop dal miglior tecnico
informatico che lavorava per lui che lo aveva completamente
riformattato aggiornandolo delle protezioni più nuove e
sofisticate.
Per questo si stupì parecchio quando Trevor gli riferì
che il suo laptop era stato hackerato un paio di mesi prima.
"La cosa strana è che è rimasto nel suo pc solo per circa
mezz'ora, poi ha chiuso tutto. Ma si sa, queste cose lasciano sempre
dei segni" spiegò Trevor.
"Sai chi è?" domandò Mycroft agitato.
"Uno dei migliori informatici sulla piazza, persino io lo conosco di
vista, Robert Paxton. Al momento è da parecchi mesi di stanza in
Afghanistan. Infatti si è collegato dalla base militare a
Lashkar Gah" rispose Trevor con ammirazione.
Sapeva benissimo chi era Paxton, gli aveva chiesto un paio di volte di
lavorare per lui prima che si arruolasse più di un anno fa. Ma
per quale assurdo motivo era entrato nel suo laptop? Quello non
riusciva proprio a capirlo.
"Trevor cercami tutte le informazioni possibili su Paxton. E quando dico tutto intendo tutto" ordinò Mycroft.
Trevor annuì. "Sarà fatto signore".
Sherlock rise come non faceva ormai da parecchio tempo. Suo fratello
era stato preso per il naso da un soldato, davvero divertente.
Mycroft lo fissò dalla sua poltrona stizzito. "Non c'è nulla da ridere".
"Probabilmente il tuo laptop è il più protetto di tutta
la nazione e quel tizio dall'Afghanista è riuscito ad
entrarci...ammetterai con me che non è una cosa possibile a
tutti, deve essere davvero un genio per esserci riuscito ed essere
anche stato in grado di fare in modo che tu non te ne accorgessi"
notò Sherlock con tono divertito e ammirato insieme.
"Non per niente gli ho proposto di lavorare per me, ma mi ha sempre
detto di preferire l'azione militare" replicò Mycroft irritato.
"Ha intuito subito che sei insopportabile" commentò Sherlock convinto.
"Senti chi parla" replicò Mycroft con divertimento.
"Touché" rispose Sherlock sorridendo.
Quel tizio era un miscuglio tra lui e John. Mente geniale come la sua
ed era un soldato in Afghanistan e aveva senso del dovere come John.
Dopo una settimana Mycroft trovò sulla sua scrivania una penna USB con attaccato un post-it giallo.
Qui dentro c'è tutto quello che ho trovato. T.
Con curiosità crescente inserì la chiavetta nel laptop e
subito gli si presentò davanti agli occhi l'intera vita di
Robert Paxton, vita, morte e miracoli, persino che era allergico alle
fragole e i ruoli che aveva interpretato nelle recite della scuola alle
elementari.
Trevor aveva fatto davvero un ottimo lavoro.
Lesse del suo lavoro in Afghanistan, aveva partecipato a parecchie
missioni, e il plotone di cui faceva parte era composto da altri cinque
soldati, due cecchini, Thomas Bradley e Rupert Putton, altri due
soldati d'assalto, Michael Pratt e Alex Stevens che era il capo e poi
un medico, tale John Holmes.
John Holmes...no, non era un suo parente da quello che ricordava, poi del resto il cognome Holmes era molto diffuso.
Cliccò sul link di John Holmes e con suo enorme disappunto
comparve una finestra con scritto in stampatello TOP SECRET (fare
riferimento a M. Patterson, SIS).
Corrugò le sopracciglia. Di solito in quei casi la persona era
sotto la protezione del governo, tuttavia scandagliò a fondo il
suo hard-disk mentale ma niente, non era a conoscenza di questo John
Holmes e nemmeno di quale fosse la sua vera identità. La cosa
gli puzzava, perchè lui sapeva tutti i progetti, o almeno
così credeva fino a quel momento. Per di più Patterson
non era nemmeno un suo superiore e la cosa lo irritò parecchio.
Perchè diavolo lui non sapeva chi fosse John Holmes?
Guardò l'orologio, non erano nemmeno le sette e mezza e sapeva
per certo che Patterson entrava nel suo ufficio alle otto tutte le
mattine, con in mano, a giudicare dall'odore, un caffé nero e
stretto di Starbucks senza zucchero.
Si alzò e uscì dal suo ufficio salendo di un piano le
scale, poi svoltò a destra ed entrò senza preamboli
nell'ufficio di Patterson chiudendosi la porta alle spalle.
Si guardò intorno, era abbastanza piccolo, per cui non gli ci sarebbe voluto molto per trovare ciò che cercava.
Dove avrebbe nascosto Patterson un documento top secret? A passo sicuro
andò dall'altra parte della scrivania e osservò i tre
cassetti, ognuno dotato di serratura. Di sicuro quello più in
basso, che ovviamente era chiuso a chiave.
La chiave doveva essere lì nascosta da qualche parte, non
potevano uscire dallo stabile con chiavi o qualsiasi cosa avesse a che
fare con progetti top secret e governativi, altrimenti si rischiava
che finissero nelle mani sbagliate.
Patterson era un uomo all'antica, parecchio serio e dedito al lavoro,
di sicuro aveva lasciato la chiave in un posto nascosto all'interno
dell'ufficio per averla sempre a portata di mano e di occhio.
Si sedette sulla sua sedia di pelle girevole e si guardò
attorno. Doveva essere qualcosa che vedeva tutti i giorni, qualcosa di
comune in un ufficio che non avrebbe destato sospetti.
Ghignò, il vaso di ceramica cinese posto sul terzo piano della
libreria alla sua destra. Si alzò, prese il vaso e lo
rovesciò. Si ritrovò una piccola chiave di ottone in mano
e assunse un'espressione compiaciuta.
Decisamente facile. Tornò a prestare attenzione al cassetto
della scrivania e il suo sorriso aumentò quando sentì la
serratura scattare. Senza esitare aprì il cassetto e vide
quattro o cinque cartelle ocra, ma lui ne cercava solo una, l'ultima,
su cui c'era scritto in stampatello con l'indelebile nero JOHN HARRY
HOLMES.
Si rimise dritto in piedi fissando il nome con le sopracciglia
aggrottate e poi aprì il fascicolo. Mano a mano che leggeva i
suoi occhi si assottigliavano e le sue labbra assumevano un taglio duro
per la rabbia. Patterson era nei guai.
Quando quella mattina Patterson entrò nel suo ufficio non si
aspettava di certo di trovare seduto davanti alla scrivania Mycroft
Holmes, apparentemente tranquillo. Ma se lo si guardava negli occhi si
poteva chiaramente leggere quanto fosse furioso.
"Holmes, che ci fai nel mio ufficio?"
"Non lo so Patterson, dimmelo tu. C'è qualche motivo per cui dovrei essere qui?" replicò Mycroft con sarcasmo.
Notò Patterson fissarlo confuso. Comprese tutto quando
notò una cartella sulla sua scrivania, una cartella che non
avrebbe mai dovuto essere lì e che Holmes non avrebbe mai dovuto
vedere.
"Come diavolo hai fatto a trovare la chiave?"
"Voi comuni esseri umani siete tutti così prevedibili..." fu
l'odiosa risposta di Mycroft, ormai non cercava nemmeno più di
nascondere la rabbia.
"Holmes non eri autorizzato..." esordì Patterson.
"Tu non eri autorizzato a fare tutto questo senza dirmelo!" lo interruppe Mycroft alzandosi in piedi.
Si fissarono negli occhi, era chiara la tensione tra di loro come
l'astio. Patterson non aveva mai sopportato che Holmes fosse più
intelligente di lui e l'altro lo sapeva perfettamente.
"E comunque questa protezione nei confronti del dottor Watson sarebbe
già dovuta terminare quando abbiamo catturato Moran, ma immagino
che sia stato tu a bloccare in Afghanistan tutti i siti internet sul
ritorno di mio fratello, in modo che John non potesse sapere nulla,
vero?" lo interrogò Mycroft.
La non risposta di Patterson per lui fu sufficiente.
"Dimmi un po' Patterson" calcò bene il suo disprezzo sul cognome
"non hai fatto tutto questo per proteggere un civile, ma perchè
mi odi...ma la tua azione non ha avuto ripercussioni su di me ma su
qualcuno a me molto vicino e sta pur certo che te la farò
pagare".
"Dovrei tremare di paura?" lo schernì Patterson.
"Adesso scusami ma devo andare a recuperare un civile e riportarlo alla
sua vita" disse Mycroft gelido prendendo in mano la cartella.
"Non puoi farlo..."
"Lascerò decidere al dottor Watson cosa fare, dopo che
avrà saputo tutta la verità. Ma non ho dubbi che
tornerà a Londra, dopo che avrà scoperto di mio fratello.
E per tua informazione sì, io al posto tuo tremerei di paura"
detto questo Mycroft, con la cartella di John Holmes sotto braccio,
uscì dall'ufficio lasciando lì Patterson sconvolto per il
confronto appena avvenuto.
ANGOLO AUTRICE
Nel caso
non si fosse notato Mycroft è uno dei miei psg preferiti, che ci
posso fare??? Del resto figuriamoci se poi uno come Mycr non veniva a
scoprire tutto, è pur sempre un Holmes anche se non è un
consulente investigativo...
Ringrazio carelesslove per aver recensito e tutti quelli che hanno messo la mia ff tra le preferite, seguite o ricordate.
Grazie, un bacio e a presto
Nikki Potter
|
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Capitolo 5 *** Running back to you ***
S&J5
5. RUNNING BACK TO YOU
All this time we were waiting for each other
All this time I was waiting for you
We got all these words can't waste them on another
So I'm straight in a straight line
Running back to you
(OneRepublic - All This Time)
Robert Paxton era abbastanza confuso e sorpreso. Il Generale Richards,
per motivi non precisati, voleva vederlo. Si fermò davanti alla
porta del suo ufficio e bussò.
"Venga dentro, tenente Paxton" disse Richards agitato.
Rob entrò e rimase perplessò quando vide Richards allungargli la cornetta del telefono.
"Una persona importante del governo inglese ti cerca. Rispondi a tutti
le sue domande" Richards gli ficcò in mano il telefono e
uscì l'ufficio lasciandolo solo.
Ancora confuso avvicinò la cornetta all'orecchio. "Pronto?"
"Tenente Paxton? Sono Mycroft Holmes" rispose una voce burbera.
Oh cazzo!
"Signor Holmes...non mi aspettavo una sua chiamata..."
"Volevo complimentarmi con lei per essere riuscito a penetrare nel mio laptop".
Merda, merda, merda.
"Non è stato per nulla facile, signore" ammise.
"Immagino...senta so che fa parte della sua squadra un certo John Holmes...come sta? E' vivo?"
Percepì una nota di preoccupazione nella voce di Mycroft Holmes.
"Sì, sta bene, in questo momento sta operando uno dei nostri".
"Bene, non gli dica assolutamente nulla di questa telefonata...lei sa chi è, giusto?"
Rob ghignò. "Certo che lo so. Stia tranquillo, non gli dirò una parola".
"Perfetto, sappia solo che presto salterà fuori tutta la verità".
"Compresa una spiegazione sul perchè i siti di suo fratello qui sono bloccati?" indagò Rob.
"Compreso quello. Grazie tenente, arrivederci".
"Arrivederci, signor Holmes" Rob riattaccò la cornetta.
Sul suo viso spuntò un sorriso enorme prima di uscire dall'ufficio del Generale.
Prima di dire tutto a Sherlock si era assicurato che John fosse vivo,
non voleva dargli delle false speranze, altrimenti l'avrebbe distrutto
sul serio.
Ma aveva saputo che John era vivo e stava bene, ed era giunto il momento che finalmente anche Sherlock lo sapesse.
"Sherlock!" entrò nella sua stanza ovviamente senza bussare.
Sherlock gli dava le spalle, chino su un microscopio e attorniato da un centinaio di provette dai colori più disparati.
"Che c'è, Mycroft? Sembri agitato" notò Sherlock senza distogliere lo sguardo dal vetrino che stava analizzando.
"Interrompi subito quello che stai facendo e siediti" Mycroft
versò un bicchiere di whisky per entrambi, Sherlock ne avrebbe
avuto bisogno di sicuro per reggere la bomba.
Sentendo il tono imperioso di Mycroft e vedendolo preparargli un whisky
intuì che si trattava davvero di qualcosa di importante,
confermato dalla cartella che aveva in mano.
"Un nuovo caso di importanza nazionale?" domandò ironico avvicinandosi alla poltrona.
"Non proprio" rispose Mycroft passandogli il bicchiere e sedendosi davanti a lui.
Sherlock prese il bicchiere e si sedette in attesa.
Mycroft prese un respiro profondo. "Ho scoperto perchè Paxton è entrato nel mio laptop".
"Hai intenzione di dargli la caccia?" commentò Sherlock ironico prendendo un sorso di whisky.
Mycroft assunse un'espressione seria. "Cercava informazioni sulla cattura di Moran".
Sherlock corrugò le sopracciglia irrigidendosi. "Hai scoperto perchè?"
"Suppongo gliel'abbia chiesto uno della sua squadra, tale John Holmes" rispose Mycroft.
"Mai sentito" disse Sherlock subito.
"Lo so, ho scoperto questa mattina che è in un programma di protezione sotto falso nome" spiegò Mycroft.
"Hai già mandato i tuoi uomini a recuperarlo?" domandò Sherlock.
Mycroft esitò. "Veramente...credo che dovremmo andarci noi due personalmente".
Sherlock lo fissò confuso. "In Afghanistan?"
"Precisamente" Mycroft annuì.
"Perchè?" Sherlock non riusciva a capire.
"Perchè si tratta di John" rispose Mycroft.
"Sì, di John Holmes, l'hai già detto..." mormorò
Sherlock che inspiegabilmente sentì il suo cuore aumentare i
battiti.
Mycroft scosse il capo. "Di John Watson, del tuo John, Sherlock".
Sherlock sgranò gli occhi. No, non era possibile, Moran gli aveva sparato, lui era morto...
"Ti sbagli Mycroft, se fosse vivo John sarebbe tornato da me più
di due mesi fa, alla notizia che ero tornato" disse Sherlock con
ovvietà.
"L'avrebbe fatto di sicuro, se solo in Afghanistan tutti i siti
contenenti le informazioni su di te non fossero stati bloccati. Lui non
ha la minima idea che tu sia vivo" ribatté Mycroft.
Sherlock gli rivolse uno sguardo shockato. "Non è possibile..."
"Lo credevo anch'io, ma leggi tu stesso" Mycroft gli passò la cartella di John Harry Holmes.
Già solo dal nome capì che era lui. L'aprì senza
esitazione e la prima cosa che vide fu una foto di John con i capelli
molto corti appuntata con una graffetta al primo foglio contenente
tutte le false generalità che erano servite per creare dei
documenti falsi. Scorse tutto velocemente, sempre più avido di
risposte, di sapere tutto di John.
Era andato in Afghanistan appena una settimana dopo che Moran gli aveva
sparato e si era salvato per miracolo. Era in mezzo alle bombe e alla
guerra da più di un anno e ogni giorno sarebbe potuto morire.
Lesse col cuore in gola l'elenco di missioni a cui aveva partecipato e
di come era stato ferito una volta al braccio da un pezzo di cemento
che si era staccato da una casa che era esplosa, e da una bomba che
aveva ucciso altri due commilitoni lasciando lui con un leggero trauma
cranico e una ferita sulla fronte.
"Sei sicuro che sia vivo?" domandò col cuore in gola.
Le informazioni si fermavano a tre mesi prima.
Mycroft annuì. "Prima di venire a dirtelo sono riuscito a
contattare Paxton che mi ha confermato che John è in buona
salute".
Sherlock abbandonò il capo all'indietro rilasciando un enorme
sospiro di sollievo, come se un gigantesco masso se ne fosse finalmente
andato. E Sherlock rise, gli occhi lucidi e la mente piena di John,
dicendo un paio di volte il suo nome.
"Come mai l'hai saputo solo adesso?"
"A quanto pare una delle condizioni di John era che io non ne sapessi
nulla. Sai anche tu che non è di certo il mio fan numero uno"
rispose Mycroft ovvio.
"Bene, andiamo a prenderlo" Sherlock balzò subito in piedi.
"Ho già fatto preparare il jet, poche ore e lo vedrai" Mycroft lo seguì in corridoio.
"E lo riporteremo a Londra" disse Sherlock felice come non mai.
"No Sherlock, lo riporteremo da te" lo corresse Mycroft.
Erano sul jet da quella che sembrava una vita e per tutto il tempo non
aveva staccato lo sguardo dalla cartella di John, in particolare dalla
sua foto, vecchia di un anno. Sapeva che quando si sarebbe specchiato
di nuovo nei suoi occhi azzurri finalmente quell'incubo sarebbe del
tutto finito.
Crederlo morto era stata la cosa più atroce che aveva sopportato
in tutta la sua vita e che tuttavia lo aveva reso anche più
umano. Ora con Mycroft aveva un rapporto decente, John li aveva
inconsapevolemente avvicinati. E per di più era in grado di
provare sentimenti, anche se solo verso John in maniera profonda e
totale.
Sapeva per certo che non voleva mai più rivivere il dolore della
sua perdita, un dolore che gli aveva sul serio spaccato il cuore in
due. Perchè John gli aveva fatto capire che anche lui ne aveva
uno.
Con l'indice accarezzò il viso di John che fissava l'obiettivo con espressione seria, da vero soldato.
Alzò lo sguardo e notò dall'altra parte del jet Mycroft
bere il tè e leggere il Telegraph. Sorrise, era sempre il
solito, nemmeno su un jet poteva fare a meno del tè inglese.
Si appoggiò col capo al sedile, lo sguardo puntato sulla parte
di cielo che vedeva dall'oblò e il pensiero su John. Le emozioni
che aveva provato nelle ultime ore lo avevano lasciato a dir poco
stravolto. Non si accorse nemmeno di scivolare nel sonno, in mano la
foto di John.
Si svegliò solo quando annunciarono l'imminente atterraggio
nell'aeroporto militare di Lashkar Gah. Si allacciò la cintura e
notò che il tè di Mycroft era sparito come anche il
giornale, ma quanto aveva dormito?
"Quattro ore, più o meno" rispose Mycroft alla sua domanda inespressa.
Guardò l'orologio che aveva al polso aggiungendo mentalmente quattro
ore e mezza. Erano le due di notte, decisamente un orario non molto
adatto per andare da John.
Un tempo non si sarebbe fatto problemi ad andare da lui negli orari
più impensabili, ma Mycroft gli aveva detto che John aveva
operato con molta probabilità per tutto il giorno e di sicuro
era a pezzi. Un tempo avrebbe pensato solo a se stesso, invece adesso
pensava anche a John e si preoccupava per lui. John aveva bisogno di
riposarsi e lui si sarebbe imposto di aspettare almeno le sei di
mattina prima di precipitarsi da lui come un disperato.
"Atterraggio effettuato con successo. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento..."
Sherlock smise di ascoltare quelle parole inutili e si catapultò
fuori rimanendo stupito di quanto la notte afghana fosse fredda.
Indossò il suo cappotto nero e si fissò intorno, con la
consapevolezza che finalmente John era distante solo un paio di
chilometri da lui.
John si svegliò con una strana sensazione nello stomaco.
Fissò l'orologio che aveva legato al polso, le quattro e mezza
del mattino. Si passò una mano sul viso e poi afferrò in
modo automatico la foto decisamente rovinata di Sherlock che aveva
messo nella tasca dei pantaloni della divisa prima di iniziare
l'operazione durata ben sette ore per salvare il sottotenente Berry.
Aveva dato fondo a tutta la sua bravura e abilità e con enorme
soddisfazione aveva salvato la vita di quel ragazzo.
Fissò la foto e subito si perse con malinconia nel ricordare
com'era difficile e allo stesso tempo emozionante e travolgente stare
dietro alla vita frenetica di Sherlock e alle sue pazzie. Allora si
chiedeva molto spesso quando avrebbe fatto saltare in aria la casa con
uno dei suoi esperimenti o come fosse arrivato a dedurre tutta la sua
vita da un semplice telefono cellulare. Ricordava specialmente quando
suonava il violino apposta per lui. Sapeva che non gli faceva bene
sostare nei ricordi passati, ma era più forte di lui. Sarebbe
stato ancora in grado di riconoscere la risata di Sherlock tra mille,
ricordava perfettamente quanto i suoi occhi color ghiaccio fossero
intensi, se chiudeva gli occhi riusciva a vedere Sherlock nei minimi
dettagli, non aveva dimenticato niente di lui.
Notò la luce del sole fare capolino nella tenda, l'alba stava
sopravvanzando, aveva passato senza nemmeno rendersene conto due ore a
fissare il soffitto ricordando la sua vita a Londra a fianco dell'unico
consulente investigativo al mondo. E con una fitta al cuore si accorse
che quella vita gli mancava come l'aria, ma ormai il suo ossigeno, il
suo Sherlock non c'era più e doveva adattarsi, suo malgrado.
"Buongiorno John" lo salutò Rob mettendosi seduto e
strofinandosi gli occhi con una mano per scacciare gli ultimi residui
di sonno.
"Buongiorno" rispose John alzandosi.
"Sembri strano, oggi" notò Rob mettendosi in piedi e uscendo dalla tenda subito dietro di lui.
John alzò le spalle, in effetti la sensazione alla bocca dello stomaco c'era ancora.
"Ehi ragazzi, ci sono novità grosse" li informò Tom raggiungendoli tutto gongolante.
Rob fece una strana espressione, John notò che non sembrava minimamente sorpreso.
"Stanotte è arrivato un jet con sopra un pezzo grosso del governo" annunciò loro Tom.
Proprio in quel momento notarono una jeep verde scuro fermarsi proprio davanti all'entrata della base.
Era abbastanza lontana, ma Rob gli porse un binocolo grazie a cui
riuscì a mettere tutto pienamente a fuoco, e rimase sorpreso di
vedere scendere Mycroft.
"Che ci fa qui Mycroft Holmes?" sbottò confuso.
"Perchè diavolo ha un ombrello?" domandò Tom, che a sua volta stava fissando tutto con il suo binocolo.
"Ce l'ha sempre a dietro, è una sua mania" rispose John e Rob annuì in perfetto accordo con le sue parole.
Poi sentì la stretta alla stomaco aumentare e la testa
iniziò a girare leggermente. Non era possibile, eppure dietro a
Mycroft era sceso...Sherlock, impeccabile nel suo completo classico
nero con tanto di camicia bianca.
"Sherlock" proruppe lasciando cadere nella sabbia il binocolo.
Senza nemmeno rendersene conto iniziò a correre verso di lui,
zigzagando tra le tende dei suoi compagni, sgusciando tra i vari
soldati che si erano appena svegliati e chiacchieravano di cose futili.
Corse più veloce che poté, perchè doveva
raggiungerlo, ancora la confusione in testa, perchè lui era
morto, Cristo, era morto. L'aveva visto con i suoi occhi buttarsi
giù dal Bart's, l'aveva visto sul marciapiede in mezzo a una
pozza di sangue col cranio fratturato, gli aveva tastato il polso e non
aveva sentito nessun battito.
Come medico era stato certo della sua diagnosi, era morto, eppure i
suoi occhi glielo avevano appena mostrato vivo e vegeto con Mycroft
scendere da quella jeep.
E a meno che non fosse diventato pazzo, era sicuro di averlo visto. Era
lui, e il suo cuore batteva più veloce non solo per la corsa che
stava facendo, ma anche per la speranza che tutto ciò non fosse
stato solo una sua allucinazione.
ANGOLO AUTRICE
Capitolo svolta!! Spero vi sia piaciuto.
Grazie
Nikki Potter
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Capitolo 6 *** Finalmente tu ***
S&J6
6. FINALMENTE TU
Then I see your face, I know I'm finally yours
I find everything I thought I lost before
You call my name, I come to you in pieces
So you can make me whole
(Red- Pieces)
Era davvero divertito, non pensava che avrebbe mai visto Mycroft in una
jeep in mezzo al deserto, non ricordava nemmeno di averlo mai visto in
un normale taxi...
La jeep era guidata da un soldato e al suo fianco c'era un altro militare col fucile in mano per sicurezza.
"Siamo arrivati, signore" rispose il soldato Hunt frenando davanti a una base militare.
Sherlock portò automaticamente lo sguardo sulla miriade di tende
verdi e il cuore batté più forte alla consapevolezza che
John era lì in mezzo, così vicino.
Seguì Mycroft fuori dall'abitacolo e si guardò per un
attimo attorno. John aveva vissuto lì per un anno per colpa di
un collega idiota di Mycroft. Con il costante rischio di morire.
Strinse una mano a pugno a quel pensiero. Si slacciò il primo bottone della camicia, faceva veramente caldo.
"Tu sta qui, io vado a parlare col Generale Richards" Mycroft gli
rivolse uno strano ghigno prima di voltarsi ed entrare nella struttura
lasciandolo solo.
Stare lì fermo con John a qualche metro...sì certo, non
ci credeva nemmeno Mycroft. Ghignò già pronto per partire
alla caccia di John quando sentì uno sguardo puntato in mezzo
alle scapole e poi quella voce dire il suo nome.
"Sherlock..."
Sentì il cuore saltare un battito mentre si voltava verso la
fonte di quella voce, verso John che lo fissava con gli occhi lucidi e
un'espressione stravolta. Lo osservò con attenzione maniacale,
registrando quante più cose possibili. Notò la linea
sottile e leggermente più chiara della ferita sulla fronte,
l'abbronzatura della sua pelle, i capelli corti come nella foto del
fascicolo top secret e i suoi occhi se possibile di un azzurro ancora
più intenso.
Non l'aveva mai visto vestito da soldato, e stampò bene
quell'immagine inserendola nella stanza del suo mind palace dedicata a
John, una stanza enorme. Aveva indosso i pantaloni della tuta mimetica,
gli stivali alti, una maglietta verde scuro e al collo, bene in vista,
una catena di metallo con la sua piastrina.
Era la cosa più bella che avesse mai visto nella sua intera
vita, giunse a questa conclusione prima di deglutire nel tentativo di
far sparire il magone che aveva in gola. Tentativo miseramente fallito.
Era lui, Sherlock lo fissava con attenzione e con una evidente emozione
negli occhi. Notò che era dimagrito e persino più pallido
di come ricordava lui. Ma i capelli erano rimasti gli stessi, gli occhi
invece erano più umani e al momento ci lesse l'immensa voglia
che aveva Sherlock di abbracciarlo, la stessa che aveva lui.
Ma le sue gambe erano immobili, i piedi di piombo, il suo corpo non voleva collabarare.
Sentì la vista appannarsi per le lacrime trattenute a forza
stringendo le labbra. Ancora non ci poteva credere, era lì
davanti a lui, vivo, e lo stava in pratica radiografando con gli occhi
registrando ogni suo cambiamento.
Lo notò avvicinarsi lentamente fermandosi a pochi centimetri da
lui. Allungando il braccio avrebbe potuto toccarlo, ma aveva
l'inconscia paura che non appena l'avesse fatto Sherlock sarebbe
scomparso di nuovo, come un fantasma.
Notò una lacrima sulla guancia di Sherlock e poi lui
parlò, con la sua voce bassa, dicendo solo una semplice parola.
"John".
All'udire il suo nome pronunciato da quelle labbra non riuscì
più a trattenere i singhiozzi e le lacrime che iniziarono a
scendere copiose. E Sherlock a quel punto abbandonò ogni
esitazione e lo abbracciò forte, piangendo a sua volta.
Finalmente erano di nuovo insieme.
E solo nel momento in cui John affondò il viso nell'incavo della
spalla di Sherlock realizzò appieno che era tutto vero, che lui
era lì sul serio, che non era un miraggio. Alzò le
braccia stringendolo a sua volta, affondando le dita nella schiena di
Sherlock, facendogli anche male probabilmente, ma non gli disse nulla,
nessuna protesta.
"John, calmati...va tutto bene, sono qui...finalmente sono qui..."
Commozione e felicità, ecco cosa percepì nella voce
di Sherlock. Cercò di respirare profondamente per riprendere un
minimo di controllo sullo scombussolamento in atto all'interno del suo
cuore.
Sentì Sherlock scostarsi leggermente, le sue mani sulle guance e
i suoi occhi color ghiaccio sciolto alla ricerca dei suoi.
"Sei vivo".
E a sentire quelle parole gli venne da ridere, perchè era tutto
talmente assurdo. "Io ho pensato per tre anni che tu fossi morto".
"Io per uno e mi è bastato...sono stato veramente male, John..." rispose Sherlock abbassando lo sguardo.
Capì subito a cosa si riferiva. "Ti sei drogato".
"Scusami, lo so di averti deluso...adesso però sono pulito,
completamente...non tocco più nemmeno le sigarette" disse
Sherlock sincero.
John rimase piacevolmente sorpreso. E capì che Sherlock essendo diverso da loro comuni mortali idioti,
era differente da loro anche nelle reazioni emotive in seguito ad
avvenimenti estremi, in quel caso la sua 'morte'...la sua sociopatia
l'aveva portato a trovarsi impreparato di fronte a quel dolore
così intenso che non aveva mai sperimentato, e si era buttato
sulla droga nel tentativo di attenuarlo.
Incredibile come al momento il più scosso dei due fosse proprio
Sherlock, lo sentiva tremare leggermente, lui che aveva sempre il
controllo sulla sua sfera emotiva ma non sul suo corpo, come era
successo a Baskerville.
E fece una cosa del tutto naturale, non si rese nemmeno bene conto al
momento delle implicazioni, ma appoggiò la fronte contro quella
di Sherlock, chiudendo gli occhi e godendosi il calore del respiro
dell'altro sul viso, le punte dei nasi che quasi si sfioravano.
Sherlock rimase spiazzato da quel gesto, ma poi anche lui imitò
il dottore chiudendo le palpebre e lasciandosi andare a quell'
intimità strana e mai avuta con nessun altro. Era piacevole
restare lì così, sentire il calore della pelle abbronzata
di John sulla fronte, sentirlo tra le sue braccia vivo e concreto.
Trattenne un gemito di protesta quando John si staccò fissandolo
con un sorriso. "Allora, mi vuoi dire come diavolo sei sopravvissuto a
quel volo o vuoi che continui a pensare di essere un pazzo e un medico
idiota visto che ho constatato coi miei occhi la tua presunta morte?"
"Come sempre guardi ma non osservi. Non ero io quello sul marciapiede,
e lo scontro col ciclista ti ha reso momentaneamente confuso e insieme
allo shock non hai colto le piccole differenze tra me e lui"
spiegò Sherlock vago.
"Non ci posso credere, quel ciclista l'avevi messo lì tu...e poi
hai chiesto aiuto a Molly per il cadavere" dedusse John. "Wow, prima
non avresti mai fatto una cosa simile, avresti cercato di fare tutto da
solo col tuo supercervello".
"Ho dovuto farlo se volevo poter tornare da te un giorno" rispose Sherlock diretto.
John spalancò leggermente gli occhi a quella rivelazione, la stretta allo stomaco sempre più forte.
E rimasero così, semplicemente a fissarsi per un bel po', fino a
quando la voce di un soldato li riportò alla realtà.
"Holmes e...Holmes, il Generale Richards vuole vedervi entrambi".
"Andiamo subito, Hamilton" rispose John in modo automatico staccando
lentamente gli occhi da quelli di Sherlock e afferrandogli il polso per
condurlo dal suo superiore.
"Perchè Holmes?" domandò Sherlock divertito seguendo John che non gli aveva ancora lasciato il braccio.
John deglutì e optò per la verità. "Per essere in
qualche modo ancora legato a te, per avere un piccolo pezzetto di te
qui con me...lo so, troppo sentimentale, da persone idiote..."
Sherlock lo fissò senza dire nulla, continuando a seguirlo in
quel corridoio, in testa solo quelle parole...sentimentale, certo, ma
c'era altro sotto...l'immenso affetto che John provava per lui e che
era una cosa reciproca, anche se molto spesso si trovava in
difficoltà a dimostrarglielo.
John apprezzò il silenzio di Sherlock, già si sentiva in
imbarazzo per quella che gli era sembrata quasi una dichiarazione,
qualsiasi commento da parte sua non avrebbe fatto altro che farlo stare
peggio. Si fermò davanti alla porta di Richards realizzando in
quel momento di stringere ancora con una mano il polso di Sherlock.
Eppure era refrattario a lasciarlo andare, e lo fece di malavoglia
bussando sulla porta di acciaio.
Non si stupì affatto di trovare Mycroft perfettamente seduto col
suo dannato ombrello in mano. Gli fece un cenno col capo, ricambiato,
prima di sedersi a sua volta davanti alla scrivania del Generale,
subito imitato da Sherlock.
A quanto sembrava Mycroft aveva spiegato tutto a Richards, chi fosse
sul serio, la protezione del governo etc. e a quanto aveva capito vista
la detenzione di Moran lui poteva benissimo tornare all'istante a
Londra e riprendere a essere il dottor John Watson, il paziente
coinquilino di Sherlock Holmes al 221B.
Alla fine del discorso tutti avevano lo sguardo puntato su di lui in
attesa di una sua risposta. Sentiva soprattutto lo sguardo di Sherlock
trafiggerlo, ma sapeva perfettamente che la sua risposta non gli
sarebbe per niente piaciuta.
"Non posso".
Due parole che gelarono Sherlock. Non se lo aspettava minimente,
credeva che John non avrebbe visto l'ora di tornare con lui a Londra,
evidentemente si era fatto un'idea sbagliata...eppure non gli sembrava
che fosse arrabbiato con lui, tutt'altro.
"John?"
John si voltò verso di lui per un secondo prima di fissare sia
Mycroft che Richards. "Scusate, ho bisogno di parlare per qualche
minuto da solo con Sherlock..."
Mycroft, che aveva già colto aria di litigata, non ci mise tanto a
darsela a gambe, seguito dal Generale che intanto gli avrebbe fatto
visitare tutto il campo.
Una volta che la porta si fu chiusa John sospirò, preparandosi
alla reazione di Sherlock che ovviamente non si fece attendere.
"Credevo volessi venire a casa con me".
La cosa che più lo colpì fu la delusione facilmente coglibile dal suo tono di voce.
"Evidentemente non ti sono mancato così tanto".
Ecco che la delusione lasciava il posto alla rabbia. Quando Sherlock
era preda delle sue emozioni diceva davvero delle grandissime cazzate,
come le comuni persone idiote. L'ultima frase ne era un chiaro esempio
lampante.
"Sei un idiota" disse solo.
Sherlock si alzò in piedi, un'espressione astiosa sulla faccia
che lo rendeva veramente orrendo. "A quanto pare non hai sofferto poi
tanto per la mia morte..."
Eh no, poteva accettare tutto ma quello no. Si alzò in piedi
fissandolo con qualcosa bloccato in gola che gli impediva di parlare.
E Sherlock, nonostante non fosse un genio di sentimenti ed empatia, capì dai suoi occhi di avere decisamente esagerato.
Lo notò bloccare il suo avanti indietro e la sua ira scomparire
per essere sostituita da una espressione contrita. "Scusami, non dovevo
dirlo".
"No, infatti" John gli tirò un pugno sullo zigomo facendolo cadere a terra.
Sherlock si portò una mano sulla zona colpita senza dire nulla, se l'era meritato in pieno.
John lo fissò sospirando. "Bene, adesso mi fai parlare? Grazie...io voglio tornare a Londra".
"E allora?" Sherlock era veramente confuso.
"Solo che ci tornerò fra due settimane, quando avrò finito la mia missione" spiegò.
Sherlock lo fissò contrariato, comprendendo finalmente. "Non
puoi per una volta lasciare da parte il tuo senso del dovere?"
John allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. "Non posso abbandonare i miei compagni, Sherlock".
"Posso sempre restare qui con te, due settimane non sono tante" disse Sherlock.
John scosse il capo sorridendo, aveva previsto le sue parole. "No,
è troppo pericoloso, tu e Mycroft siete due persone troppo in
vista, potrebbero rapirvi i talebani se trapelasse la voce che siete
qui. Non voglio che ti accada niente".
"Nemmeno io, qui è pericoloso John..." protestò Sherlock preoccupato.
"Questo lo so meglio di te, testone, per questo non voglio che resti
qui. Domani prendi il jet con Mycroft e torni a Londra" replicò
John.
"Ma..." iniziò Sherlock.
"E intanto vai a dare una sistemata al 221B e ci rimetti le nostre
cose, così quando torno sarà tutto come prima" lo
interruppe John.
Sherlock mise il broncio. "E va bene".
"Due settimane passano in fretta, Sherlock...se pensi ai tre anni che
abbiamo passato non sono niente" cercò di incoraggiarlo John.
Sherlock annuì, per una volta John aveva pienamente ragione. Veramente tre anni d'inferno.
John si coricò sulla brandina, stanco ma con un enorme sorriso
sulla faccia. Lui e Sherlock erano stati insieme tutti il giorno,
avevano parlato di cosa avevano combinato in quei tre anni lontani e un
paio di volte, anzi più di un paio a dir la verità,
avevano preso in giro l'ombrello di Mycroft. In realtà gli era
grato per essere stato vicino a Sherlock dopo la sua finta dipartita.
Ciò aveva fatto sparire il rancore che aveva nutrito verso di
lui per aver tradito Sherlock con Moriarty. Era sicuro che non avrebbe
mai capito fino in fondo il rapporto tra quei due testoni/geni.
Domani mattina alle nove Sherlock sarebbe tornato a Londra e, se da una
parte non voleva che andasse di nuovo via, dall'altra era sollevato
perchè lì era troppo pericoloso per lui e non sarebbe
riuscito a lavorare con lucidità e tranquillità sapendolo
lì in quella zona di guerra.
Stava per cadere definitivamente nelle braccia di Morfeo quando
sentì la tenda aprirsi seguita da dei passi. Si mise a sedere di
scatto completamente sveglio con la pistola in mano, puntata verso la
figura per nulla visibile a causa del buio.
"Sono io" mormorò Sherlock avvicinandosi maggiormente in modo che potesse vederlo in faccia.
John si rilassò nel riconoscere i suoi lineamenti e
abbassò l'arma. "Mi hai fatto prendere un colpo...che ci fai
qui? Non ti va bene il tuo alloggio extra lusso messo a disposizione da
Richards?"
Sherlock sorrise nel sentire l'ironia di John. "Non ci crederai ma
Mycroft russa impedendo al mio cervello di spegnersi quel tanto per un
sonnellino".
John rise piano per non svegliare Rob, anche se era ben consapevole che
non sarebbe bastata nemmeno una cannonata. Poi si spostò
sull'altro lato mettendosi sul fianco per fargli posto. "Muoviti prima
che cambi idea".
Sherlock non se lo fece ripetere stendendosi di fianco a lui.
John notò che i loro volti, appoggiati sul cuscino, erano
vicini, ma in un certo senso era tranquillizzante averlo lì.
Sherlock incatenò gli occhi a quelli di John e fu come non
respirare in un primo momento, ci lesse talmente tante cose, talmente
tante emozioni da esserne per un momento sopraffatto.
"Ti fa male?" John sfiorò coi polpastrelli il segno rosso sullo zigomo, conseguenza del suo pugno.
"Me lo sono meritato, John" rispose Sherlock senza staccare gli occhi
dai suoi. "Sai, ti ho sentito quel giorno, al cimitero, quando mi hai
chiesto di tornare da te, di non essere morto...non sai quanto è
stato difficile lasciarti andare via, vedere che ti allontanavi senza
poterti fermare..."
John notò Sherlock abbassare lo sguardo, e la tristezza nella
sua voce lo portò a compiere qualcosa che prima non avrebbe mai
osato fare. Si avvicinò a lui con il corpo e lo
abbracciò, senza dire nulla.
Sherlock rialzò lo sguardo incatenandolo al suo, era evidente che non se l'aspettava.
"E' stato lo stesso che ho provato io quando ti ho visto sul
cornicione, essere lì e non poterti fermare...adesso però
è finita, siamo insieme, ok?" John abbozzò un sorriso
ricambiato da Sherlock.
"Adesso dormiamo, è tardi" aggiunse John.
Sherlock annuì sistemandosi meglio nell'abbraccio confortevole e tranquillizzante di John.
ANGOLO AUTRICE
Finalmente
è arrivato il momento della reunion di questi due. Ditemi con un
commento se vi è piaciuto questo capitolo.
Ringrazio Roby22 e herion per la recensione e tutti coloro che hanno aggiunto la ff tra le preferite, seguite e ricordate :)
Un bacio
Nikki Potter
|
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Capitolo 7 *** The departure: you're the only exception ***
S&J7
7. THE DEPARTURE: YOU'RE THE ONLY EXCEPTION
All of my doubt suddenly goes away somehow
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
(Christina Perri- A Thousand Years)
Quando Sherlock si svegliò era ancora buio, ma una cosa l'aveva
ben chiara, anche se non riusciva a vedere quasi nulla: le gambe sue e
di John erano intrecciate e le loro fronti erano appoggiate l'una
contro l'altra. Per non parlare delle sue braccia che stringevano in
maniera possessiva il suo soldato. E lo stesso faceva John con lui,
sentiva il peso del suo braccio sul fianco, ma la cosa non gli dava
minimamente fastidio, anzi.
Approffittò della posizione privilegiata per osservare il viso di John, non l'aveva mai avuto così vicino.
La fronte era spaziosa ma non troppo, i capelli se possibile erano
diventati anche più biondi, probabilmente schiariti dal sole, ed
erano lunghi un paio di centimetri. L'abbronzatura non faceva altro che
risaltare ulteriormente il biondo, e le palpebre al momento coprivano
un paio di occhi che lui sapeva essere azzurro mare con striature di un
verde pastello. Sulle labbra non troppo sottili, al momento era
disegnato un leggero sorriso, segno che evidentemente stava sognando
qualcosa di bello e sperò di esserne lui l'oggetto. Notò
anche la barba non fatta da due giorni che iniziava a vedersi, ma che
non toglieva nulla alla bellezza di John.
Non aveva di certo lineamenti sottili e delicati, ma sentiva rimescolarsi qualcosa nello stomaco tutte le volte che lo guardava.
Non seppe per quanto tempo restò a fissarlo, ritornò alla
realtà proprio grazie alla voce assonnata di John, quando l'alba
era appena spuntata.
"La smetti di fissarmi?"
Sorrise. "Devo fare il pieno di te prima di partire".
John aprì per pochi secondi un occhio, sul viso un ghigno. "Ok, fa come ti pare".
Sherlock continuò ad osservarlo.
"Ma sono proprio così interessante?" domandò John dopo un po' aprendo entrambi gli occhi.
Sherlock deglutì, ecco il pezzo forte di John, quegli occhi di
un azzurro unico in cui avrebbe voluto specchiarsi tutte le mattine.
Ecco, avrebbe voluto essere per sempre la prima cosa che John vedeva
alla mattina.
"Non sai quanto" rispose convinto.
"Se lo dici tu" fu la risposta di John.
"Fra poche ore devo partire" disse solo.
"Lo so".
"Non voglio lasciarti qui" aggiunse.
Era preoccupato di quello che sarebbe potuto succedergli, lì
erano in guerra, uomini morivano spesso e ogni giorno. Sentì un
brivido di paura lungo la schiena.
"Lo so" ripeté John con una nota di dolcezza nella voce.
"Se tu dovessi...morire io..." non riusciva nemmeno a dirlo.
Ma non gli fu necessario perchè John lo zittò appoggiando
l'indice sulle sue labbra. "So anche questo. Non ho nessuna intenzione
di morire...starò attento, te lo prometto. E poi ci sentiremo
ogni giorno, avere un fratello come Mycroft in questi casi può
tornare davvero utile".
Sherlock sorrise leggermente più tranquillo. "Già, è vero".
John lo fissò intensamente. "Sta tranquillo, andrà tutto bene".
Sherlock si rannicchiò affondando il viso nel petto di John,
annusando appieno il suo profumo di muschio, legno, sabbia e anche
polvere da sparo. Un profumo da soldato, il profumo di John.
John trattenne un sospiro prima di scendere dalla jeep assieme a
Sherlock. L'autista, il soldato semplice Brian Redding, l'avrebbe
aspettato lì, seduto davanti al volante, per riportarlo al campo.
Accompagnò Mycroft e Sherlock verso il loro piccolo aereo
privato che invadeva la pista dell'aeroporto militare di Lashkar Gah.
Intorno a loro altri militari spostavano carrelli con armi e non
sembravano notarli, forse l'unica cosa che stonava davvero in quel
luogo erano i vestiti di due normali civili che Mycroft e Sherlock
indossavano.
Sentiva una stretta al cuore al pensiero che Sherlock sarebbe di nuovo
andato via, ma era necessario per la sua sicurezza, al momento per lui
non c'era niente di più importante della sua vita.
Si fermò davanti alla scaletta del loro aereo e li fissò
entrambi. Mycroft si avvicinò allungandogli la mano con un
leggero sorriso sulla faccia.
Con il cuore pieno di gratitudine ricambiò la stretta, del resto
se non fosse stato per lui non avrebbe mai saputo che Sherlock era
ancora vivo e viceversa.
"Tienilo d'occhio" disse indicando Sherlock che sbuffò.
"Ovvio. A presto John" lo salutò Mycroft.
John lo vide allontanarsi e iniziare a salire la scaletta, evidentemente voleva lasciare lui e l'altro fratello da soli.
Fissò Sherlock e si commosse nel vedere i suoi occhi lucidi.
Cosa doveva dirgli? Non ne aveva la minima idea, il quel momento,
davanti a quegli occhi color ghiaccio, il suo cervello era in completo
black out.
"Io..." proruppe incerto.
Le parole gli morirono in gola, soffocate dall'abbraccio improvviso e
forte di Sherlock. In effetti non c'era da dire nulla, quel gesto era
già sufficiente ad esprimere le parole di entrambi: sta attento,
mi mancherai ma ci vedremo presto.
Sherlock si staccò tenendogli le spalle con entrambe le mani e rivolgendogli un sorriso.
"Ti aspetto al 221B" disse con voce leggermente roca.
John annuì. "Mi raccomando non far saltare in aria l'appartamento e sii gentile con Mrs Hudson".
"Fidati, sarò un inquilino modello".
"Sisi, certo, vedremo" replicò John un po' scettico. "Mi metterò in contatto con te appena posso".
Sherlock annuì. "Va bene...allora...ciao John".
Lo lasciò andare e lo osservò voltarsi e raggiungere la
scaletta. Sentì una profonda stretta allo stomaco e una strana
emozione si impadronì di lui, forse il pensiero che avrebbe
potuto non rivederlo mai più, che gli sarebbe potuto succedere
qualcosa...e non voleva avere nessun rimpianto...ecco, probabilmente
era quello che lo fece scattare facendogli prendere una decisione
coraggiosa e anche rischiosa sotto certi punti di vista.
"Sherlock!" esclamò ad alta voce correndo verso di lui e
afferrandogli il polso per farlo voltare di nuovo verso di sè.
Lo fissò per un secondo nei suoi occhi chiaramente sorpresi e
lì, sul primo gradino della scaletta, John annullò tutti
i suoi timori e lo fece. Cancellò la distanza tra i loro volti
facendo finalmente incontrare le loro labbra.
Gli bastava anche solo un breve contatto con quelle labbra perfette, ma
a sorpresa sentì una mano di Sherlock sulla nuca che gli
impedì di allontanarsi.
Come ulteriore risposta sentì le labbra di Sherlock schiudersi
per consentirgli un contatto più profondo, e fu con un brivido
lungo la schiena che entrò con la lingua nell'antro caldo della
sua bocca. E iniziò una danza inizialmente timorosa e delicata
tra le loro lingue, per poi diventare quasi violenta e urgente.
Sentiva di stringere tra le mani i bordi della giacca nera di Sherlock,
ne staccò una per toccargli il collo, quel collo bianco che di
notte gli faceva venire dei pensieri impuri...oh cosa avrebbe voluto
fare a quel lembo di pelle candida sotto cui riusciva a vedere le
vene...
Percepiva chiaramente la mano di Sherlock sulla schiena aprirsi al
massimo per poi chiudersi leggermente facendo affondare i polpastrelli
e le unghie nella sua pelle. Di sicuro se non avesse avuto indosso la
divisa gli avrebbe lasciato dei segni rossi.
Il primo a staccarsi fu Sherlock, per mancanza di ossigeno
probabilmente. Notò che lo fissava con uno strano luccichio
negli occhi e sulle labbra era disegnato un sorriso compiaciuto, labbra
che al momento erano rosse e gonfie...non ricordava di avergli
mordicchiato il labbro inferiore, talmente tante erano le sensazioni
che aveva provato. In effetti gli girava un po' la testa.
Appoggiò la fronte contro quella di Sherlock, come avevano
già fatto un paio di volte, ed entrambi cercarono di riprendere
fiato. Dopo circa mezzo minuto si allontanò scendendo dal
gradino e sorridendogli probabilmente come un idiota.
"Adesso posso lasciarti andare" disse solo con voce ancora leggermente affannata.
Sherlock annuì, anche lui con un sorriso durbans. "Quando torni dovremmo riprendere questo discorso".
John ghignò. "Ovvio".
Entrambi scoppiarono a ridere, una risata leggera e cristallina.
Sherlock salì i gradini al contrario per poterlo fissare il
più possibile, poi una volta in cima mise la mano aperta sopra
il cuore per poi richiuderla a pugno, portarsela alla bocca, baciarla e
poi riaprirla verso di lui.
John sapeva esattamente quello che Sherlock aveva intenzione di
comunicargli ma che non riusciva a dire a parole: il mio cuore è
tuo.
"Anche il mio" rispose infatti.
Sherlock annuì e gli rivolse un ultimo sorriso prima di entrare nell'aereo.
E con il cuore più leggero si allontanò dalla pista
osservando un consistente pezzo del suo cuore allontanarsi in attesa
dell'altra metà che l'avrebbe raggiunto tra due settimane.
"A presto Sherlock" sussurrò John al vento osservando l'aereo
diventare sempre più piccolo nel cielo afghano fino a scomparire.
Ovviamente, anche se Mycroft non gli disse nulla, Sherlock era
perfettamente a conoscenza che aveva visto tutta la scena da un
oblò.
"Hai qualcosa da dire?" domandò osservando la prima pagina del
Telegraph, grazie a cui non poteva vedere la sua espressione.
Mycroft abbassò il giornale quel tanto per poterlo guardare in
faccia, un bel ghigno sulle labbra. "Solo una parola: finalmente".
Sherlock aggrottò le sopracciglia.
"Tutti, persino io che di sentimenti non ci capisco niente, avevamo
capito che tra di voi c'era qualcosa di più di una semplice
amicizia...anche se devo dire che ero certo che saresti stato tu a fare
il primo passo, visto quanto John sia sempre stato convinto di essere
eterosessuale. A quanto pare questi tre anni hanno demolito le sue
certezze...o meglio tu gliele hai demolite, fratellino".
Sherlock fece una smorfia, odiava essere chiamato fratellino, e Mycroft
lo sapeva bene. Durò solo un secondo perchè poi
rifletté attentamente sulle parole di suo fratello.
"Quindi per te lui è ancora etero..."
"Credo che tu sia l'unica eccezione, Sherlock, l'unico che potesse
stravolgere tutto. Infatti è quello che hai fatto...sono felice
per voi due" disse Mycroft riprendendo a leggere il giornale.
Sherlock si abbandonò sul sedile, il sorriso dipinto sulla
faccia e in mente l'immagine di John e le sensazioni intense del bacio
che lo avevano lasciato tramortito. Era bastato solo un bacio a fargli
tremare le gambe, chissà il resto...sentì un brivido
lungo la schiena al solo pensiero.
Beh anche John era la sua eccezione...il suo cuore non avrebbe mai
potuto amare nessun altro se non colui che aveva sciolto il muro di
ghiaccio che lui stesso aveva costruito intorno per impedirgli di
soffrire.
Erano appena partiti e già non vedeva l'ora di stringere di
nuovo John, di baciarlo fino allo sfinimento e tutto il resto. Non
vedeva l'ora che quelle due settimane finissero per poter stare
finalmente con lui come entrambi a quanto sembrava volevano, come lui
aveva desiderato già da prima di fingere la sua morte.
Sentì qualcosa di duro nella tasca della giacca, e
aggrottò le sopracciglia confuso. Infilò la mano e
spalancò la bocca per la sorpresa.
Lì, sul palmo della sua mano, c'era la piastrina di John. Sul
davanti era inciso John H. Holmes e sul retro, scritto a mano con
qualcosa di contundente, solo il suo nome, Sherlock.
Probabilmente gliel'aveva infilata mentre lo stava baciando, era stato
talmente preso da lui e sorpreso anche che non se n'era proprio accorto.
Senza esitazione se la mise al collo e la strinse forte, l'avrebbe
fatto tutte le volte che la mancanza di John sarebbe diventata
insopportabile. Probabilmente era proprio per questo che gliel'aveva
data, per il suo carattere decisamente poco paziente.
John...pensava sempre a tutto il suo John.
Si sentivano tutti i giorni almeno una volta, di solito via Skype ma
era capitato anche solo per telefono anche se molto spesso saltava la
linea. John ricordava sempre con un sorriso quando Mrs Hudson l'aveva
visto con Skype vivo e vegeto. Era scoppiata a piangere mentre Sherlock
cercava maldestramente di consolarla senza grande successo in
realtà.
Non avevano più parlato loro due del famoso bacio, un po'
perchè tutte le volte che lo chiamava Sherlock era sempre a
Baker Street a riordinare l'appartamento e c'era sempre Mrs Hudson nei
paraggi, un po' perchè nemmeno lui era un asso nelle parole, ed
era innegabile che entrambi avevano voglia di rifarlo.
Lo capiva da come Sherlock lo guardava tutte le volte che accedeva su
Skype e si collegava con lui: riusciva a leggergli negli occhi quanto
lo volesse lì con lui e quanto fosse preoccupato.
Prima si raccontavano le rispettive giornate, anche se a volte
tralasciava qualcosa di un tantino pericoloso per non agitare Sherlock
che era già abbastanza nervoso di suo, poi ricordavano dei
vecchi momenti passati insieme oppure parlavano di Lestrade e Mrs
Hudson.
Ecco, la reazione che l'aveva stupito più di tutti era stata
quella di Greg. Si aspettava rabbia e invece l'aveva visto commosso e
decisamente sollevato quasi, quando l'aveva osservato sullo schermo del
laptop. Sherlock gli aveva rivelato che era stato Mycroft a sganciargli
la bomba, visto che nell'ultimo anno erano diventati parecchio amici.
Se l'era immaginato Mycroft che irrompeva nell'ufficio di Greg con
l'ombrello in mano e diceva "Sai la novità? John è vivo
ed è in Afghanistan, non è fantastico?"
No, di sicuro non gliel'aveva detto proprio così, però
rideva al solo pensiero della faccia che aveva fatto Greg,
perchè di sicuro Mycroft non era uno che andava tanto per il
sottile, come Sherlock nemmeno lui aveva la vaga idea di cosa fosse il
tatto. Perciò doveva avergli detto tutto senza preamboli o mezzi
termini, e se Greg non fosse stato un uomo forte di sicuro ci sarebbe
rimasto secco per un bell'infarto.
"Sai dove stiamo andando?" gli domandò Rob.
Erano sull'ultima di tre jeep dirette alla parte opposta della
città di Lashkar Gah per dare il cambio agli altri che li
aspettavano.
"Cambio turno di guardia Rob, te l'ho già detto" rispose John girandosi verso di lui.
Lui era seduto davanti con il tenente Murray e dietro c'erano Rob e il
sottotenente Ramsey. Tom invece era nella jeep davanti a loro con altri
due.
"Ancora quattro giorni poi andiamo a casa, non ne posso più.
Muoio dalla voglia di rivedere Alice" commentò Rob impaziente.
Lo capiva benissimo, anche lui non vedeva l'ora di stringere a
sè Sherlock. Tom invece aveva riferito loro di voler chiedere la
mano della sua storica fidanzata, Diane.
Insomma ognuno di loro aveva un valido e importante motivo per voler tornare a casa.
"Mi sa che nessuno di noi è più abituato alla pioggia di Londra" disse Murray divertito.
Scoppiarono tutti a ridere e fu l'ultima cosa che John ricordò
prima di vedere una palla di fuoco accompagnata da un forte boato.
Nello stesso istante a Londra Sherlock si svegliò di colpo dal
sonno leggero in cui era piombato dopo aver terminato la sera prima un
esperimento sulle unghie umane, nell'aria una strana sensazione.
ANGOLO AUTRICE
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e colgo l'occasione per augurare a tutti voi e alle vostre famiglie buona Pasqua.
Baci
Nikki Potter
|
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Capitolo 8 *** Caos: vivere o morire ***
S&J8
8. CAOS: VIVERE O MORIRE
La vita dell'uomo è fatta di scelte.
Sì o No. Dentro o Fuori. Su o Giù.
E poi ci sono le scelte che contano.
Amare o Odiare. Essere un Eroe o essere un Codardo.
Combattere o Arrendersi. Vivere o Morire.
Vivere o Morire, questa è la scelta importante.
E non sempre dipende da noi.
(Derek Shepherd, Grey's Anatomy 6x24)
John tossì forte aprendo piano
gli occhi. Lo scenario che gli si presentò davanti gli fece
venire un attacco di nausea che si impose di bloccare. Calma, doveva
ragionare. Sentiva ancora un ronzio nelle orecchie, dovuto al boato
dell'esplosione.
La loro jeep era capottata e lo legava al sedile solo la cintura di
sicurezza. Appoggiò una mano per terra mentre con l'altra
sganciò la cintura di sicurezza e con un agile mossa si
ritrovò coricato di pancia sulla capotte.
Gattonò verso Murray e gli mise una mano sul collo respirando sollevato. Sì, era vivo anche se privo di sensi.
"Oddio...ma che è successo?"
Rob, grazie a dio. "Stai bene?"
"John è scoppiata una bomba?" domandò Rob ancora confuso per il colpo preso.
"Come sta Ramsey?" chiese invece John.
"Si sta svegliando...ehi Michael, come ti senti?"
"Stordito" rispose semplicemente Ramsey.
Un gemito fece voltare John verso il tenente Charles Murray.
"Tenente..." proruppe John.
"Maggiore, credo che mi sia uscita la spalla sinistra" riferì Murray.
"Ok, sentite dobbiamo uscire dall'auto, non sappiamo se potrebbe esplodere" cercò di ragionare John.
Lì era il maggiore di grado, doveva coordinare lui tutto quanto.
Sganciò con attenzione Murray e notò infatti la spalla
sinistra dislocata. Con i piedi spaccò il vetro della sua
portiera che era bloccata e strisciò fuori graffiandosi le
braccia con qualche scheggia. Poi girò intorno alla jeep,
spalancò le altre tre portiere e aiutò Murray ad
uscire senza tirargli più di tanto il braccio sinistro.
Una volta che furono usciti tutti notò Rob guardarlo a occhi aperti.
"Che c'è tenente?"
In situazione di emergenza tutti erano stati abituati a chiamarsi per grado.
"Hai tutto il viso sporco di sangue, maggiore" rispose Ramsey.
In effetti sentiva il fastidio provocato dal sangue secco sulle guance
e sulla fronte, ma non ci aveva fatto più di tanto caso.
Guardò Murray. "Devo farti rientrare la spalla, ti avviso che sarà parecchio doloroso".
"Non importa, fa già un male cane" replicò Murray.
"Paxton tienilo fermo per l'addome" ordinò John e lo osservò stringere con entrambe le braccia la vita di Murray.
Gli prese il braccio e tirò con un colpo secco. Si sentì un rumore sinistro prima dell'urlo di Murray.
"Cazzo!"
"Ramsey portami la valigetta del pronto soccorso che c'era nella
jeep...vedi se c'è ancora" John avvicinò il braccio al
petto di Murray tenendolo piegato per alleviargli un minimo il dolore.
Dopo un paio di minuti Ramsey tornò con una valigetta bianca con sopra una croce rossa un po' sporca di terra.
John l'aprì e prese delle bende larghe per creare una fascia in
modo che Murray potesse tenere il braccio piegato. Solo una volta
completata la medicazione si guardò finalmente intorno.
Gli abitanti erano tutti chiusi in casa che li fissavano dalle
finestre, gli occhi terrorizzati. Poco più in là c'era
un'altra jeep che doveva aver rotolato un bel po' prima di fermarsi in
piedi con le ruote a terra vicino a un bazar di spezie.
"Allontanatevi dall'auto. Paxton vieni con me, andiamo a vedere se
qualcuno è ancora vivo" John iniziò a correre verso la
jeep seguito dal compagno.
In mente aveva diverse ipotesi, i talebani, Al-Quaeda...
Aprì una portiera e guardò dentro. I due soldati davanti
erano morti, avevano entrambi gli occhi aperti e vitrei. Merda.
"John, qui c'è Tom" disse Rob spostandosi per farlo passare.
John entrò dietro e notò Tom privo di sensi e mortalmente
pallido. Toccò con le dita la giugulare e sentì un debole
battito. Gli aprì la giacca e strappò la maglietta, ci
aveva visto giusto.
"Merda!"
"John, cos'ha?" domandò Rob preoccupato.
"Aiutami a tirarlo fuori" John sganciò la cintura e con l'aiuto
di Rob lo trascinò fuori coricandolo sulla strada sterrata.
"Cos'è?" Rob guardò terrorizzato il petto dell'amico che
stava diventando violaceo in corrispondenza soprattutto del cuore.
"E' un tamponamento cardiaco, dobbiamo drenare il pericardio per
alleviare la pressione o morirà. Presto, passami quel tubicino
che c'è lì dentro" John si infilò dei guanti di
lattice e afferrò un bisturi scartandolo e facendo una piccola
incisione appena sotto il cuore.
Poi prese l'ago spinale da 18 dalle mani di Rob disinfettandolo con uno spray.
"Che vuoi fare?" Rob era chiaramente teso.
John sospirò. "Dovrò andare alla cieca, non ho un ecocardiografo".
"Se sbagli?" osò chiedere Rob.
"Se sbaglio gli buco il cuore e lo uccido" rispose John cercando di stare calmo e respirare a fondo.
Poi lo fece, infilò l'ago spinale nella ferita da lui stesso
fatta e lo spinse in basso e verso la spalla, fino a quando non
uscì il sangue che andò a riversarsi in una sacca
attaccata all'altra estremità dell'ago. In contemporanea Tom
aprì gli occhi di scatto probabilmente per il dolore.
"Sta fermo Tom, ho quasi finito, va tutto bene. Rob tienilo fermo per le spalle" ordinò John.
Rob obbedì mentre Tom cercava di trattenere gemiti di dolore.
"Tu non morirai Tom, non oggi. Devi tornare dalla tua fidanzata e
dovete sposarvi, per cui scordatelo, chiaro?" disse John serio.
Tom annuì, gli occhi lucidi per il dolore.
"Generale abbiamo perso il cambio di guardia" esordì il capitano Cooper entrando di botto nell'ufficio di Richards.
"Che vuol dire che li avete persi?" Richards si alzò di scatto.
"I GPS delle tre jeep si sono spenti, non abbiamo più
comunicazioni con loro...temo il peggio" rispose Cooper preoccupato.
"Rintracciateli, andate nel luogo in cui sono stati segnalati l'ultima volta, muovetevi!" ordinò Richards.
"Sì signore, agli ordini signore" Cooper fece il saluto militare prima di uscire dalla stanza in fretta e furia.
Richards fissò la lista dei nomi dei dieci soldati inviati e gli
venne un colpo. Mycroft Holmes l'avrebbe fatto a pezzi, e stranamente
lui aveva un certo timore nei confronti di quell'uomo.
Ti prego Watson, devi essere vivo!
"Holmes, è scoppiata una bomba!" esclamò il ministro della difesa entrando nel suo ufficio.
"Dove? Quanti morti ci sono?" domandò Mycroft agitato.
"Afghanistan, non sappiamo ancora nulla, solo che è un attentato
rivendicato dai talebani" rispose il ministro sedendosi sulla sedia e
prendendosi la testa tra le mani.
"Afghanistan dove?"
"Lashkar Gah" rispose il ministro con un sospiro.
Mycroft chiuse gli occhi.
Ti prego, John no...ti prego...
Se John era morto sapeva che sarebbe stata la fine anche di Sherlock.
Suo fratello aveva già sofferto abbastanza, per la miseria.
Prese il numero di Richards che aveva sulla scrivania e lo compose,
cercando di restare tranquillo, mentre il ministro lo fissava curioso.
"Pronto? Sono Mycroft Holmes, passami subito il Generale Richards...all'istante soldato!"
Ecco che aveva tradito la sua agitazione, maledizione!
"Richards finalmente, c'era anche John Watson?" domandò solo.
Alla risposta affermativa chiuse gli occhi lentamente per poi riaprirli.
"Sapete se è vivo? Appena lo sa mi chiami, è un ordine!"
Riattaccò il telefono sotto lo sguardo sbigottito del ministro.
"Presto sapremo qualcosa in più, ho chiamato il capo della base
di Lashkar Gah. Dobbiamo solo aspettare, ministro" chiarì
Mycroft teso come una corda di violino.
Quello annuì ancora leggermente confuso, ma aveva imparato che
era del tutto inutile fare domande a Mycroft Holmes, per cui scelse il
silenzio.
"Abbiamo trovato l'altra jeep, è completamente bruciata" disse Ramsey raggiungendoli con Murray.
"Che bastardi!" esclamò Rob incazzato.
"Come sta?" Murray indicò Tom.
"E' grave ma se vengono a ripescarci in fretta starà bene" rispose John serio.
In risposta quasi alle sue parole sentirono il rumore di motori che stavano venendo verso di loro.
John rilasciò un sospiro di sollievo gettando la testa all'indietro alla vista di tre jeep con i soccorsi.
Si sentiva nervoso, uno strano peso lo attanagliava da quando si era
svegliato. Fissò la sveglia, erano le otto, un'ora e mezza che
era sveglio. Si era fatto una doccia, si era cambiato d'abito e adesso
stava leggendo il Telegraph, restando tuttavia teso.
La suoneria del cellulare lo avvertì dell'arrivo di un messaggio. Corrugò le sopracciglia, era Mycroft.
Vieni subito nel mio ufficio, è importante. MH
Sbuffò.
Non puoi venire tu qui? SH
Dopo alcuni secondi ricevette la risposta.
No. Sherlock è importante, davvero, vieni subito. MH
Fissò il messaggio confuso. Stava per rispondere quando Mrs
Hudson entrò trafelata nel salotto accendendo la televisione sul
canale della BBC News.
C'era l'edizone straordinaria del notiziario dove una giovane giornalista parlava velocemente, senza nemmeno respirare quasi.
"...alle sei e mezza ora locale di questa mattina, in Afghanistan,
nella città di Lashkar Gah è successo questo terribile
attentato che, come abbiamo già detto, ha portato alla morte
cinque dei nostri dieci soldati coinvolti ferendone gravemente un
sesto. Le uniche informazioni che ci sono giunte fanno pensare che
l'attentato sia stato opera dei talebani che spacciano droga nella
zona. L'ordigno non ha ucciso nessun civile. Per il momento non ci sono
altre notizie, sapremo dirvi presto qualcosa in più
sull'identità delle cinque vittime..."
Sherlock smise di ascoltare. John...oddio no!
"Sherlock" proruppe Mrs Hudson con gli occhi tremendamente lucidi.
Poi collegò il tutto ai messaggi di Mycroft, ma certo, lui lo sapeva...sapeva di certo qualcosa in più.
Si alzò in piedi, le mani tremanti.
"Vado da Mycroft, lui saprà qualcosa su John...la chiamo io, va bene?"
Mrs Hudson annuì. "Sta attento".
Sherlock prese di filato il cappotto e scese velocemente le scale
spalancando la porta del 221B e piombando in strada. Stava per chiamare
un taxi quando notò una macchina grigia fermarsi proprio davanti
a lui. Era Lestrade.
"Salta su, andiamo da tuo fratello".
Sherlock obbedì facendogli un cenno di gratitudine e poi
sfrecciarono tra le strade londinesi con tanto di sirena spiegata,
perchè quella per loro era una vera emergenza.
ANGOLO AUTRICE
Povero il mio John, come l'ho
bistrattato e fatto soffrire in questa ff, e dire che è il mio
personaggio preferito. Beh pure con Sherlock non sono stata clemente,
poveretto.
Beh spero che il capitolo vi sia
piaciuto e invece di una canzone all'inizio stavolta ho optato per una
frase tratta da uno dei miei telefilm preferiti, che secondo me si
sposava bene con questo cap.
Ringrazio Roby22 che mi ha lasciato ben due recensioni (grazie mille per i complimenti!) e Alesherly (contentissima che la ff ti piaccia :)), e chi ha messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate.
Un bacio
Nikki Potter
|
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Capitolo 9 *** I'm fine...not really ***
S&J9
9. I'M FINE...NOT REALLY
It's like I never lived before my life with you
So much was missing here I never even knew
I still picture the place we were
When I fell into your world
My heart is in you
Where you go you carry me
I bleed if you bleed
Your heart beats inside of me
You're keeping me alive
(The Afters - Keeping Me Alive)
Sherlock entrò senza tante cerimonie nell'ufficio di Mycroft seguito da Lestrade.
"Deduco che tu abbia visto il notiziario" disse Mycroft analizzandolo.
Sherlock era scarmigliato, chiaramente agitato e in ansia, e solo John
poteva ridurlo così. Per cui non gli ci era voluto
granché per capirlo.
"Sai qualcosa?" domandò Greg.
Sherlock appoggiò le mani alla sua scrivania. "Dimmelo Mycroft, ti prego...ho bisogno di sapere..."
Mycroft sgranò gli occhi. Sherlock era messo peggio dell'altra
volta, se era arrivato addirittura a pregarlo. Purtroppo non poteva
dirgli molto di più di quanto già sapesse, almeno per il
momento.
"Ho chiamato Richards appena l'ho saputo...John è tra quei dieci soldati" rispose Mycroft grave.
Sherlock chiuse gli occhi, il suo peggiore incubo si stava avverando.
Si stupì nel sentire la presa confortante di Mycroft sul polso.
"Mi chiamerà subito, appena saprà qualcosa in più. Per favore, calmati e aspetta pure qui" aggiunse.
Sherlock aprì gli occhi e annuì sedendosi sulla poltrona davanti alla scrivania.
Greg si accasciò sull'altra.
Non volò una sola parola, si guardarono in faccia per un tempo
che sembrava davvero interminabile, tanto che sussultarono tutti e tre
quando si sentì il telefono suonare.
Mycroft afferrò di scatto la cornetta. "Pronto?"
Non appena la jeep si fermò alla base John scese rapido accompagnando la barella con sopra Tom all'ospedale da campo.
Se la sarebbe cavata, grazie a dio.
Appena ritornò fuori tirò un respiro profondo per cercare
di smaltire almeno in parte tutta la tensione accumulata.
"Maggiore Watson?"
Alzò lo sguardo riconoscendo il sottotenente Hamilton, una
specie di assistente di Richards. Lo fissò per un istante
perplesso, poi capì tutto. Mycroft e...Sherlock, oddio doveva
star dando i numeri.
Non c'era bisogno che Hamilton parlasse, lo seguì correndo verso l'ufficio di Richards.
"Mycroft Holmes" disse solo.
Hamilton annuì confermando le sue deduzioni.
In quel momento pensava solo a come doveva essere preoccupato
Sherlock...era una speranza vana che non sapesse nulla, Mycroft non
l'avrebbe di certo tenuto all'oscuro.
Aprì senza tante cerimonie la porta di Richards e lo notò agitato dietro la scrivania.
"Watson, grazie al cielo sei vivo!"
"Devo parlare con Mycroft Holmes" disse senza preamboli.
Richards annuì e prese il telefono.
"Signor Holmes? Sono il Generale Richards, ci sono delle novità per lei".
Detto questo gli passò la cornetta prima di uscire in tutta fretta.
John fissò per un istante la cornetta prima di avvicinarla all'orecchio.
"Mycroft? Puoi passarmi Sherlock? Sono sicuro che è lì
con te, conoscendolo. E nel caso te lo stessi chiedendo io sto bene".
"Bene..." rispose solo Mycroft.
"Pronto?"
Sherlock notò Mycroft irrigidirsi all'improvviso e non sapeva se interpretarlo come un buono o un cattivo segnale.
"Bene..." rispose prima di allungargli la cornetta.
Lo guardò leggermente confuso, ma Mycroft annuì e gliela ficcò in mano con forza.
Esitante l'avvicinò all'orecchio. "Pronto?"
"Sherlock sono io, sto bene".
Chiuse gli occhi respirando per il sollievo, in quel momento la voce di
John per le sue orecchie era come la più dolce delle melodie.
"Sto bene" ripeté John più lentamente.
"John" disse solamente.
"Mi dispiace di averti spaventato".
"Ero terrorizzato, se ti fosse successo qualcosa io..." disse con le lacrime agli occhi.
"Sto bene, Sherlock, te l'ho detto" rispose John rapido.
Sherlock si raddrizzò meglio e notò solo in quel momento
che Mycroft e Lestrade erano usciti per lasciargli un po' di privacy.
"Voglio vederti con skype, adesso".
"Ehm...non credo sia una buona idea" rispose John.
"John?! Che cos'hai?!" Ecco, si stava di nuovo agitando.
"Niente, te l'ho già detto, io sto bene".
"E allora?"
"Non sono presentabile, mi sono subito precipitato qui..."
"John..." insistette Sherlock.
"Sono sporco di sangue" rivelò John.
"Di altri o tuo?" la sua voce tremò appena.
"Entrambi" confessò John.
Sherlock deglutì e rimase in silenzio per un paio di secondi, prima di dire un rigido "Dove sei stato ferito?"
"Sherlock non importa..."
"Dove, John?!" urlò senza nemmeno rendersene conto.
"Sulla fronte, all'attaccatura dei capelli, ma niente di che" rispose John sospirando. "Poi ho qualche graffio e basta".
"Ok" si impose di calmarsi respirando profondamente.
"Senti mi lavo, mi do' una sistemata e poi mi collego con skype, ok? Mi
dai un'ora? Anch'io ho bisogno di vederti...la tua preoccupazione mi
sta uccidendo..." disse John serio.
"Ok, un'ora. A dopo John".
"A dopo Sherlock".
Riattaccò il telefono e si abbandonò allo schienale della
poltrona. Odiava dipendere così tanto da un'altra persona,
però non era uno qualunque, era John...la verità era che
voleva abbracciarlo forte, talmente forte da non farlo più
andare via.
Si portò una mano al collo e strinse forte la sua piastrina,
come faceva tutte le volte che sentiva troppo la sua lontananza.
Doveva resistere ancora pochi giorni, e poi finalmente avrebbero
entrambi iniziato un nuovo capitolo della loro vita, un capitolo che
avrebbero percorso insieme, fino alla fine.
Dopo essersi lavato via quel sangue ed essersi fatto medicare John
corse nella sua tenda, prese il laptop di Rob e lo accese
immediatamente.
"Dai...dai..." mormorò impaziente.
Sapeva che Sherlock era spaventato e agitato a morte più di lui,
e non vedeva l'ora di rivedere il suo viso dopo tutto l'orrore che
aveva visto quel giorno.
Andò su skype e notò che Sherlock era già in
linea. Probabilmente lo stava aspettando andando avanti e indietro
facendo ragionamenti assurdi su cosa stesse facendo.
Attivò la videochiamata con lui accettata dopo nemmeno tre
secondi, e finalmente comparve davanti a lui il volto teso dell'uomo di
cui era disperatamente innamorato.
"Sherlock" proruppe con dolcezza e un gran sorriso.
Bastava solo vederlo per sentire un calore all'altezza del cuore che lo confortava come nient'altro riusciva a fare.
Notò i suoi occhi azzurro ghiaccio studiarlo con attenzione,
probabilmente per valutare la reale entità delle sue ferite e lo
lasciò fare, sapendo che una volta finito sarebbe stato
più tranquillo, anche perchè lui stava bene, era stato peggio di
così, ma forse era meglio se questo a Sherlock non lo diceva.
"Ero così preoccupato..." esordì Sherlock dopo un silenzio interminabile.
"Lo so...mi dispiace" rispose sentendosi in colpa.
"Non è stata colpa tua, non potevi prevederlo" ragionò Sherlock ora leggermente più calmo.
John si morse un attimo il labbro inferiore prima di parlare. "Continuo
a dire che mi sento bene...in realtà mi sento uno schifo,
Sherlock".
Sherlock gli rivolse uno sguardo comprensivo e affettuoso. "Vorrei poterti abbracciare in questo momento".
John abbozzò un piccolo sorriso. "Anch'io. Sai...mi sono sentito
così egoista oggi...pensavo solo che se fossi tornato con te non
avrei vissuto niente di tutto questo, magari adesso saremmo stati
insieme sul divano al 221B a guardare il Doctor Who o qualche altro
programma che tu ripeti idiota e non avrei...non avrei visto dei miei
compagni morti carbonizzati...mi sono sentito così egoista
perchè ero contento di essere ancora vivo, perchè avrei
potuto rivederti di nuovo".
"Non c'è niente di male John, ti sei ritenuto
fortunato...anch'io se è per quello. Non mi importava niente dei
cinque morti, purchè tu non fossi tra di loro. In questo senso
sono stato più egoista di te" ammise Sherlock.
"Siamo due egoisti" concluse John.
Sherlock scosse il capo. "No, l'aggettivo egoista è una
caratteristica che non fa parte di John Watson. Non sei stato egoista,
ma umano. Hai fatto di tutto per aiutare i tuoi compagni ancora vivi,
se fossi stato egoista ti sarebbe importato solo di te stesso".
John lo fissò con una tale intensità che il suo cuore
accelerò i battiti. Aveva gli occhi lucidi ma non avrebbe
pianto, non davanti a Sherlock per lo meno, perchè lo avrebbe
fatto stare peggio visto che non poteva stargli vicino come avrebbe
voluto.
"Mi manchi così tanto" ammise con voce roca.
"Anche tu, talmente tanto che mi sembra di impazzire a volte" rispose Sherlock con un'espressione dolce sul viso.
"Martedì mattina mi vedrai attraversare il salotto" lo informò John ora leggermente più felice.
"Martedì? Fra neanche quattro giorni" contò Sherlock.
"Già, e da quel momento in poi sarò tutto per te, solo per te" disse John con una nota maliziosa.
"Non vedo l'ora, maggiore".
Era appena uscito dall'ufficio di Richards ed era ancora incredulo. Gli
aveva comunicato che sarebbe rientrato in patria appena possibile.
Sarebbe partito quella sera stessa e sarebbe atterrato a Londra
lunedì mattina, un giorno prima del previsto.
Assieme a lui sarebbero tornati anche tutti gli altri sopravvissuti
all'attentato, chi con il congedo permanente come lui, chi solo per una
vancanza di tre o quattro mesi.
Nello stesso momento in cui aveva appreso la cosa aveva deciso di non
riferire nulla a Sherlock, gli avrebbe fatto una bella sorpresa.
Avrebbe chiamato Mycroft per dirgli di tacere al fratello del suo
arrivo anticipato, visto che di sicuro ne era venuto a conoscenza anche
prima di lui. Non vedeva l'ora di varcare la soglia del 221B di Baker
Street e abbracciare l'unico consulente investigativo esistente al
mondo.
ANGOLO AUTRICE
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Nel frattempo spero che questo vi sia piaciuto.
Ringrazio Alesherly per la recensione e tutti coloro che hanno messo la ff tra le ricordate, seguite e preferite.
Un bacio
Nikki Potter
|
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Capitolo 10 *** Back to London, back to Sherlock ***
S&J10
10. BACK TO LONDON, BACK TO SHERLOCK
And with this love song to you it's not a momentary phase,
you are my life, I dont' deserve you but you love me just the same.
And as the mirror says we're older I will not look the other way,
you are my life, my love, my only and that's the one thing that wont' change.
I will never stop trying, I will never stop watching as you leave,
I will never stop losing my breath every time I see you looking back at me.
I will never stop holding your hand, I will never stop opening your door,
I will never stop choosing you babe, I will never get used to you.
Still get my heart racing (you), still get my heart racing (for you)
(Safetysuit - Never Stop)
Aveva appena dato la
buonanotte a Sherlock su skype e stava infilando le ultime cose nel suo
borsone verde scuro, l'impazienza lo rendeva eccitato e nervoso come un
bambino.
"Non vedo l'ora di essere a casa" disse Rob contento.
"Già" disse John immaginando l'espressione di Sherlock quando l'avrebbe visto.
"A mia madre verrà un infarto, non le ho detto nulla" ridacchiò Rob.
"Nemmeno Sherlock lo sa" rivelò John mettendosi il borsone sulla
spalla sana e seguendo Rob fuori dalla tenda, verso le jeep che li avrebbero condotti alla pista di decollo del loro aereo.
"Secondo me ti salta addosso appena vede il tuo piede sbucare dalla porta" replicò Rob con un mega sorrisone.
John rise, sì in effetti la cosa era plausibile.
Delle dieci ore di volo solo due le aveva passate dormendo, era troppo
agitato al pensiero di poter di nuovo toccare e soprattutto baciare
Sherlock.
Oddio, le sue labbra le ricordava bene, così piene, morbide e a
forma di cuore...si modellavano perfettamente sulle sue invece sottili.
Ecco che sentiva un rimescolamento nello stomaco tutte le volte che ci
pensava. Sbirciò dall'oblò e notò che erano
proprio sopra il cielo di Londra, mancava davvero poco.
Infatti in quel momento il pilota annunciò di indossare le
cinture di sicurezza per l'atterraggio a Heathrow che sarebbe avvenuto
tra qualche minuto.
John obbedì e sospirò sorridendo quando sentì le ruote toccare terra. Era a casa.
Prese il suo borsone e scese velocemente dall'aereo, seguendo tutti gli altri.
Una volta sceso dalla scaletta si guardò intorno e non rimase
minimamente stupito di trovare Harriet, Mycroft, Greg e Mrs Hudson
ad attenderlo.
Harriet
gli corse incontro abbracciandolo di slancio. Se non se lo fosse
aspettato di sicuro sarebbero volati all'indietro tutti e due.
"Stai bene, vero?" gli prese il viso con entrambe le mani sorridendogli dolce.
Era in vena di ricoprire il ruolo della sorella maggiore apprensiva.
"Sto bene Harry" John la fissò attentamente e notò che era perfettamente sobria.
Sentì
un calore dolce invaderlo e le sorrise di rimando. Sua sorella, la sua
vera sorella, quella che da piccoli gli rompeva le scatole, quella
insicura che gli aveva confessato piangendo di essere lesbica, quella
che lo chiamava sempre per chiedergli consigli, era tornata finalmente.
Con gli occhi lucidi la strinse di nuovo a sè e Harriet gli toccò i capelli della nuca con affetto.
"Johnny?"
"Che c'è? Voglio solo abbracciare mia sorella" si
giustificò John inspirando l'odore del nuovo profumo floreale di
Harriet.
La
sentì ridere e poi gli sussurrò all'orecchio "E' da quando sei morto
che non bevo più. Neanche una goccia. L'ho giurato alla tua tomba. Io e
Sherlock abbiamo giurato insieme di guarire per te".
John sollevò il viso e la osservò palesemente felice. "Davvero?"
Harriet
annuì. "Vedi di non fare mai più una cosa del genere, mi è quasi venuto
un infarto quando Mycroft si è presentato a casa mia raccontandomi
tutto. E non potevo nemmeno bermi un brandy per scaricare la tensione".
John ridacchiò. "Mi sei mancata piattola".
Harriet gli diede un buffetto sulla nuca per il nomignolo con cui la chiamava da piccola.
"Su va a salutare Mrs Hudson, la sto sentendo piangere" mormorò Harriet spingendolo verso gli altri.
John
prese il borsone che aveva fatto cadere a terra per evitare di finire
steso insieme a sua sorella e fece un sorriso dolce a Mrs Hudson,
quando la vide asciugarsi
freneticamente gli occhi con un fazzoletto. La raggiunse titubante.
"Oh John".
Mrs Hudson lo abbracciò stretto e John appoggiò il borsone a terra ricambiando in pieno la stretta.
"Mrs Hudson come sta?"
"Benissimo figliolo" rispose la donna staccandosi per permettergli di salutare anche gli altri.
Greg lo abbracciò sorridendo. "Ci sei mancato".
"Lo stesso vale per me" rispose staccandosi e avvicinandosi a Mycroft.
Sapeva che sarebbe stato più opportuno stringergli la mano, ma
se ne infischiò allegramente e abbracciò anche lui che
rimase rigido per la sorpresa.
"Grazie per aver vegliato su Sherlock" mormorò con gratitudine.
"Grazie a te per averlo riportato alla vita" rispose Mycroft sincero.
Mrs Hudson gli mise in mano le chiavi del suo vecchio appartamento. "Credo che qualcuno ti stia aspettando".
"Ah fratello, benvenuto nel club" commentò sulla sua presunta omosessualità Harriet alzando il pollice.
John rise e strinse le chiavi, prese il borsone e dopo aver sorriso di nuovo a tutti
corse come un pazzo fuori dall'aeroporto dove riuscì
fortunatamente a trovare subito un taxi.
"Dove la porto signore?" domandò l'autista notando la sua divisa militare.
"Baker Street, 221B di Baker Street" rispose John euforico e nervoso.
John aveva osservato Londra dal finestrino, fino a quel momento non si
era pienamente reso conto di quanto quella città gli fosse
mancata.
Era bello rivedere finalmente quei luoghi così familiari e conosciuti.
Il taxi si fermò davanti al 221B e il suo cuore saltò un
battito. Pagò l'autista, che gli disse un bentornato a casa e
poi rimase alcuni secondi a fissare la porta di legno scuro che lo
separava dalla sua vecchia vita.
Fissò l'orologio, erano le sette di mattina appena passate.
Fece un sospiro prima di infilare la chiave nella serratura e aprire la
porta. Notò che c'era silenzio. Salì le scale piano,
silenziosamente e poi entrò nel salotto che tutto sommato era
abbastanza ordinato, tranne per il tavolo che era ingombro di fialette,
vetrini, microscopio e altri oggetti come giornali, penne, persino il
teschio.
Era evidente che non aveva riordinato perchè lo aspettava il mattino dopo.
Appoggiò il borsone vicino alla sua poltrona e, dopo aver
appurato con un'occhiata che non era nemmeno in cucina, optò per
la sua camera da letto. Sperò con tutto il cuore che stesse
dormendo e di non averlo svegliato, vista la sua abitudine di dormire
due ore per notte o non dormire affatto.
Aprì piano la porta della camera di Sherlock e rimase per un
minuto sulla soglia. Sì, stava dormendo profondamente con
indosso la vestaglia blu, i boxer e nient'altro. Deglutì prima
di sorridere e avvicinarsi cautamente al letto. Da quella prospettiva
poteva ammirarlo ancora meglio. Era bellissimo, il suo angelo personale.
Si tolse gli stivali e si coricò piano di fianco a lui, girato
verso la sua parte, continuando ad ammirarlo. Sarebbe potuto stare
così per sempre.
Dopo diversi minuti notò il viso di Sherlock cambiare
espressione, arricciare il naso e mormorare il suo nome. Sapeva cosa
stava succedendo, Sherlock aveva captato un odore familiare e lo aveva
catalogato come il suo.
Sherlock spalancò gli occhi all'improvviso, trafiggendo come
lame i suoi. Rimase senza fiato per qualche istante prima che Sherlock
realizzasse che era tutto reale, che non era frutto della sua
immaginazione o un sogno e gli saltasse addosso abbracciandolo stretto
e appoggiando la testa sulla sua spalla. Sentì la punta del suo
naso percorrere il suo collo su e giù, come se lo stesse
annusando, e una risata liberatoria gli uscì spontanea.
"John" mormorò Sherlock contro la pelle dietro il suo orecchio.
La sua risata si spense di colpo, a causa del fremito originato dal suo
fiato caldo che gli solleticava quella zona per lui sensibile.
Sherlock si staccò quel tanto per poterlo guardare negli occhi,
le labbra a pochi centimetri di distanza. Rimase immobile, attendendo
la sua prossima mossa, imponendosi di non forzarlo a fare
alcunchè.
Vide i suoi occhi particolarissimi farsi sempre più grandi e
più vicini e poi chiuse i suoi nel momento in cui sentì
quelle labbra morbide e carnose sulle sue. Socchiuse la bocca e
finalmente le loro lingue si incontrarono e iniziarono a giocare
insieme. Fu solo allora che mise una mano sulla nuca di Sherlock, tra i
suoi ricci corvini, per impedirgli di allontanarsi.
Sherlock incominciò poi a barciarlo dappertutto, continuando a
ripetere il suo nome, venerandolo quasi. Era la cosa più
romantica, dolce e al contempo erotica che gli fosse mai capitata.
John scollegò il cervello lasciandosi trascinare dall'ondata
travolgente di sensazioni che Sherlock gli stava rovesciando addosso.
John aprì gli occhi e il sorriso gli comparve automaticamente
sulla faccia. Era con Sherlock, nella loro casa e finalmente si sentiva
in pace e felice. Era esattamente dove voleva essere e con la persona
che amava accanto.
E dubitava seriamente che Sherlock gli avrebbe mai permesso di
andarsene da lui. Lo aveva dedotto dal modo in cui fino a poco prima si
erano amati e soprattutto dalla stretta possessiva con cui Sherlock lo
stava abbracciando da dietro. Si appoggiò di più con la
schiena al petto caldo del consulente investigativo e chiuse di nuovo
gli occhi per godere meglio di quella sensazione di tepore, protezione
e soddisfazione post-orgasmo.
Sorrise quando sentì le labbra carnose e calde di Sherlock
baciargli l'incavo del collo, mentre la sua voce profonda e virile gli
sussurrava ancora una volta di amarlo all'orecchio.
E lui in risposta si girò e lo coinvolse in un bacio mozzafiato
che prosciugò la riserva d'ossigeno di entrambi, mentre il sole
filtrava dalla finestra illuminandoli con la sua luce.
THE END
E'
finita....spero che questo capitolo come anche tutta la storia vi sia
piaciuta. Sono contenta di essermi finalmente cimentata in una ff su
Sherlock e John, questi due come tutta la serie tv sono entrati nel mio
cuore.
Ringrazio Alesherly, Roby22 e Luxy Charm per aver recensito lo scorso capitolo e tutti coloro che hanno messo la ff tra le preferite, ricordate e seguite.
Beh a presto, un bacio
Nikki Potter
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