Hexenzirkel

di JeanGenie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Biancaneve (Quoddam ubique…) ***
Capitolo 2: *** II - La Principessa - (...quoddam semper...) ***



Capitolo 1
*** I - Biancaneve (Quoddam ubique…) ***


Hexenzirkel



I

Biancaneve




(Quoddam ubique…)





-Thrice the brinded cat has mewed!
-Thrice and once the hedge-pig whined!
-Harpy cries: " 'tis time! 'tis time!"

Round about the cauldron go,
in the poisoned entrails throw
Skin of toad and spike of bone,
sharpened on an eagle stone
Serpent's egg and dancing dead,
effigy of beaten lead
Double double trouble you,
bubble in a witches' brew

(Omnia, Wytches Brew)





Nostra Signora dei Sospiri dischiudeva le labbra in pallidi gemiti cercando e attendendo, cercando e attendendo, cercando e attendendo. Le sue membra si erano fatte deboli, la sua carne aveva bisogno di abbeverarsi alla fonte degli spiriti colmi di sogni e speranza. Il suo lamento si spandeva sulle fronde cupe degli alberi, sui tetti rossi delle case, si insinuava tra le navate delle chiese, scivolava sulle schiene dei passanti che provavano l'improvviso impulso di farsi il segno della croce e accelerare il passo. Nostra Signora dei Sospiri sibilava come un serpente che muta pelle e rinasce più forte, e chiedeva, chiedeva nuove braccia, nuove mani, nuove anime che si prostrassero ai suoi piedi. La sua anima immonda e inquieta attendeva e ricopriva la foresta e la città mentre coloro ancora legati a un'esistenza effimera si domandavano cosa fosse quel caldo torrido così insolito e opprimente. Nostra Signora dei Sospiri rideva di loro nell'ombra e il suo riso era rauco e strozzato perché alla sua genia non è concesso provare gioia, neppure quando essa è malvagia.


Friburgo, 30 Giugno 1930


La lettera che aveva scritto a Carol Banyon avrebbe preso la via di Parigi non appena il treno si fosse fermato, permettendole di prendere possesso della città di Friburgo.
A Lise Blanc era mancato il coraggio di consegnarla a mano, sebbene Carol avesse smesso da qualche giorno di mostrarsi delusa e di tentare di convincerla a cambiare destinazione.
"Torna con me a New York, Lise. Prenditi il tuo tempo. Non è necessario che tu vada fin là."
Lise se lo era sentito ripetere per settimane, prima ancora che le arrivasse una risposta positiva da parte della Tham Akademy alla sua richiesta.
Lise aveva dovuto trattenersi per non far notare a Carol che "fin là" era una formula che sarebbe stata da applicare con più sensatezza agli Stati Uniti piuttosto che a una nazione limitrofa e a una città sul confine.
"Hai fatto la scelta migliore" l'aveva invece appoggiata Mathias, e questo era stato lo spunto per un'accesa discussione tra lui e Carol.
Lise aveva provato una sottile e piacevole soddisfazione nel vederli battagliare in quel modo. Le sembrava quasi che si stessero contendendo la sua anima e questo stuzzicava il suo orgoglio. Era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui era riuscita a sentirsi tanto importante. Lise Blanc non era rimasta affatto stupita quando Mathias le aveva detto di avere lavorato spesso con i ballerini usciti dalla Tham Akademy e di considerarla la migliore scuola sulla piazza. Le sembrava ovvio che Mathias avesse tuttora affari con l'attuale proprietà; non si entusiasmava mai così tanto se non c'era da trarne un vantaggio personale. E Lise non era di sicuro nella posizione di biasimarlo.
Rivoglio quello che è mio, quello che mi spetta, quello che desidero, quello per cui sono nata.
Lise aveva alzato gli occhi verso Mathias, seduto di fronte a lei, mentre il treno rallentava l'andatura. Il coreografo aveva insistito per accompagnarla, manifestando il desiderio di rivedere ad ogni costo "la cara Madame Lorena". A Lise non era dispiaciuto averlo come compagno di viaggio. E ora aveva tutta l'intenzione di lasciare che fosse lui ad occuparsi di tutti i bagagli.
Con un abbondante sbuffo di vapore il treno si era fermato, mentre un addetto alle ferrovie dal marciapiede gridava "Friburgo, signore e signori, stazione di Friburgo."
Lise aveva chiuso gli occhi e respirato profondamente. Troppe cose dipendevano da quel soggiorno.
"Cosa ci hai messo qui dentro? L'Opéra smontata pezzo per pezzo?" aveva protestato Mathias trascinando le sue valige fino all'atrio. I capelli giallo pallido gli si erano incollati al cranio che grondava sudore.
Così impari a voler risparmiare sui facchini…
Quel mezzogiorno di fine giugno li aveva accolti con una cappa di calura soffocante e decisamente insolita per quella zona. Le calze di seta nera si erano appiccicate alle sue gambe e a Lise non restava che farsi vento con la lettera destinata a Carol. Di togliere guanti e cappello non se ne parlava. Voleva entrare alla Tham Akademy in perfetto ordine.
Mentre stava decidendo se cercare una vettura che la conducesse immediatamente a destinazione, oppure fermarsi a prendere una bevanda rinfrescante, un uomo era entrato nell'edificio dirigendosi a passo spedito verso di loro; era giovane e piacente e aveva esibito un sorriso smagliante e bianchissimo, accentuato ulteriormente dai baffi curati. Nonostante gli abiti da adulto, il completo color panna e il cappello a tesa ampia, Lise si era resa conto che era davvero poco più di un ragazzino.
"Signorina Blanc? Madame Lorena mi ha dato l'incarico di condurla all'Accademia."

Il giovane si chiamava Lucas Vogel ed era uno studente del secondo anno. Non sembrava dispiaciuto per l'incombenza che la direttrice della Tham Akademy gli aveva affidato, come se per lui fosse un'abitudine. Lise si era chiesta se quella BMW a quattro posti che faceva filare di gran carriera fosse sua. Probabilmente quel giovanotto era qualcosa di più che un ballerino.
Il tragitto era più lungo di quanto Lise avesse immaginato, tanto da portarla a sospettare di stare subendo un non richiesto giro turistico, sospetto confermato dall'ininterrotto illustrare le bellezze delle mura esterne da parte della loro guida. Non che non avesse effettivamente ragione, aveva pensato Lise, osservando la gloria di un San Giorgio trionfante che dominava con la sua figura una torre dell'orologio che segnava implacabile le dodici e trenta.
"Schwabentor" aveva spiegato il ragazzo alla guida. "Se me lo permette vorrei portarla visitare al città vecchia, uno di questi giorni."
"Certo, perché no?" gli aveva risposto Lise distrattamente senza riuscire a staccare gli occhi dal guerriero in armatura. Se ne stava di guardia, come a non voler far passare un altro genere di draghi malefici. Eppure Lise sapeva che qualcuno aveva lanciato il suo guanto di sfida dalla foresta in agguato.
Magnifica. La culla verde e cupa circondava la città e la possedeva. La vista di tutti quegli alberi le faceva girare la testa. Non c'erano guerrieri che potessero tenere testa a quella forza primordiale e colei che stava andando a cercare lo sapeva bene. E come a voler rispondere al filo dei suoi pensieri, il paesaggio era mutato e l'automobile era stata risucchiata dall'intrico di ombre alternate a rapidi fasci di luce improvvisa.
Una strada con troppe buche si snodava nel folto degli alberi secolari. L'Accademia si proteggeva in quel modo da occhi indiscreti. Lise aveva fissato lo sguardo davanti a sé nell'attesa di vederla comparire. Stava per affondare le mani nello scrigno dei gioielli più preziosi che potesse concepire. Il cuore le era salito fino in gola. La tentazione di rinunciare, di tornare a Parigi con Mathias l'aveva colpita con una violenza spaventosa.
Crack.
Il rumore dell'osso spezzato era sempre stato unicamente nella sua testa, eppure anche in quel momento le sembrava di ricordarlo in modo nitido e doloroso. Non aveva scelta. La Tham Akademy era la sua unica via d'uscita.
Quando finalmente lo splendido edificio vermiglio era apparso in fondo al sentiero, maestoso e incoronato da quel bosco secolare, Lise si era resa conto di quanto desiderasse penetrare fra le sue mura che narravano antichi racconti e segreti, sebbene non avesse che qualche decennio di esistenza da sostenere sui suoi capitelli intarsiati d'oro.
Nonostante il caldo torrido, Lise aveva avvertito un lungo brivido scuoterle le ossa.
Le sue radici invece sono vecchie come il mondo.

Un profumo denso e carnale, come di spezie ed essenze che volessero coprire qualcosa che marciva, sembrava circondare l'edificio. L'interno invece sapeva di cibo saporito, umori di cucina, dolci cremosi. Lise Blanc si era resa conto di avere una fame da lupi.
"In tempo per il pranzo" aveva commentato Mathias dando voce anche ai suoi pensieri.
In attesa di conoscere la loro sorte, Lise si era guardata attorno ammaliata. Stucchi, marmi, piastrelle multicolori, tinte violente e inattese, altre porte spalancate su altri locali i cuoi colori ferivano quasi gli occhi con la loro violenza. Pareti ricoperte di antico e arabescato velluto blu, balaustre d'oro e un'atmosfera che parlava quasi di perduti regni d'oriente. Di certo non era ciò che si era aspettata. Ma doveva esserci un senso. Le erano tornate in mente le pagine de "La Maschera della Morte Rossa" di Poe, con quel continuo rincorrersi di stanze variopinte e mortali. Ma non c'erano incarnazioni pestilenziali in vista, solo una ragazza che percorreva l'atrio lanciandole occhiate intimidite, e una dama bionda, in abito grigio e con l'aria compita che era venuta loro incontro seguita da una bambina di circa dieci anni.
È lei? si era chiesta Lise tremando prima che la donna rivolgesse un sorriso amabile a Mathias.
"Mio caro, non ti aspettavamo." Poi si era rivolta a lei. "Signorina Blanc. Non so dirle quanto siamo onorati di averla qui. Mi chiamo Martha Tanner e mi occupo degli allievi dell'ultimo anno. Lei…" La sua mano era calata affettuosamente sulla testa altrettanto bionda della bambina. "… è mia figlia Elizabeth."
"Lieta di conoscerti, Elizabeth" le aveva detto Lise, sentendosi trafitta da quegli occhi glaciali e per nulla innocenti.
La piccola si era profusa in una garbata riverenza e Lise aveva riportato la propria attenzione sull'insegnante.
"L'onore è solo mio, signora Tanner. Spero che il rapporto reciproco possa dare abbondanti frutti sia per me che per voi."
"Ne sono più che certa." La donna le aveva regalato un sorriso soave. "Potremo dedicarle tutto il tempo di cui ha bisogno, signorina Blanc. Le lezioni sono sospese fino a settembre e solo quattro degli allievi trascorreranno l'estate qui. Se lo desidera potrà fare gli esercizi di base con loro, oppure…"
"Ne sarei lieta" l'aveva interrotta Lise. "È mio desiderio pesare il meno possibile sulle vostre abitudini."
Di nuovo quel sorriso affettuoso, stavolta accompagnato da un attento scrutarla a cui Lise non seppe sottrarsi. "Nessun peso. Lucas porterà i suoi bagagli nella stanza degli ospiti che le abbiamo assegnato. Noi stavamo per metterci a tavola. Desiderate unirvi a noi o preferite riposarvi dopo il viaggio?"
Lise aveva anticipato la risposta di Mathias. "Ci sarà anche Madame Lorena?"
Quella era una cosa che contava davvero. L'erede. Colei che aveva preso il posto della fondatrice.
Il sorriso della signora Tanner si era fatto più largo e leggermente ambiguo.
"Certamente. Anche lei è ansiosa di conoscerla."

Madame Lorena non era esattamente come Lise se l'era aspettata. Più giovane, sui trentacinque anni, estremamente elegante, ma con dei dettagli eccentrici che la distinguevano dall'immagine tipica di un'insegnate di danza. E nell'insieme poteva dirsi molto bella. Nonostante la stagione indossava una abito di velluto color seppia che lascia scoperte solo la testa e le mani sottili e fredde, come Lise aveva scoperto quando lei l'aveva abbracciata dicendosi lieta di conoscerla.
Il volto, nonostante i lineamenti decisi, trasmetteva una sorta di strana dolcezza. Una lunga treccia castana le cadeva sul petto e il suo unico ornamento era una pesante catena d'argento. Lise sentiva di poterla definire 'regale'. Aveva moltissime domande da porle, ma avrebbe dovuto attendare l'occasione opportuna. Intanto lasciava che Mathias si godesse le attenzioni che i commensali sembravano ansiosi di rivolgergli.
Lise aveva affondato il coltello nella fetta d'arrosto di fronte a lei riflettendo sulla situazione. Gli allievi, tre ragazze e Lucas, e perfino la figlioletta della signora Tanner, erano insieme a tavola. Ogni divisione gerarchica sembrava azzerata, anche se Madame Lorena sedeva solennemente a capotavola.
Probabilmente dipendeva dal fatto che la scuola fosse praticamente vuota e non avrebbe avuto senso preparare più tavole apparecchiate.
Il suono delle loro chiacchiere e delle posate rimbombava perfino tra le pareti azzurre della sala da pranzo. Mathias aveva appena manifestato l'intenzione di fermarsi per qualche giorno. Lise considerava quella scelta una seccatura. Sperava solo che non le stesse appiccato.
"Non hai dea del piacere che ci fa questa tua decisone, Mathias. Avere qui te e la signorina Blanc è meraviglioso. Anche se vorrei che entrambi tornaste in autunno, quando riprenderemo le lezioni" aveva dichiarato Madame Lorena, scrutando con attenzione il vino rosso nel bicchiere che aveva sollevato davanti agli occhi. Ancora una volta Lise aveva ammirato le sue unghie lunghissime e curate. "Purtroppo alcune delle nostre allieve non torneranno alla fine delle vacanze" era andata avanti. "Il crollo della Borsa non ha avuto pietà neppure del talento artistico. Diciamo che alcune famiglie non possono più permettersi la retta."
Mathias aveva annuito gravemente. "E temo che neppure l'Europa sarà risparmiata. Possiamo chiudere gli occhi e fingere che non sia così, ma ne subiremo le conseguenze anche noi. A proposito…" Mathias aveva esitato un istante. "Immagino che per voi sia stato un colpo terribile, il suicidio di quella ragazza."
Nella sala era calato un silenzio di piombo, rotto all'improvviso dal singhiozzare di una delle ragazze. Mathias era stato decisamente inopportuno. La cosa aveva suscitato clamore. Di fronte alla notizia del crack finanziario subito da suo padre, all'idea della povertà, una delle allieve si era impiccata, lasciando una straziante lettera d'addio.
"Certo che è stato un colpo terribile, Mathias…" aveva mormorato Lise evidenziando l'ovvio. "Ma qui l'atmosfera non sembra averne risentito" aveva aggiunto subito con un sorriso. "Questa accademia ha un'aria fiabesca, se mi concedete il termine. Mi dica, Madame, sua madre è stata la direttrice prima di lei, vero? Colei che rilevò la scuola dopo la morte della fondatrice…"
Non aveva resistito. Sapeva di aver compiuto un passo azzardato, ma attendere ancora l'avrebbe uccisa.
"Esatto" aveva confermato Madame Lorena senza una parola di più.
Ma Lise sentiva di non poter demordere così in fretta. "Lei l'ha conosciuta? Mi piacerebbe che me ne parlasse, più tardi. Ho letto qualcosa a riguardo e confesso che è una figura che mi affascina."
"Cosa esattamente la affascina della fondatrice, signorina Blanc?" aveva chiesto la signora Tanner con un tono stizzito che Lise non sapeva come interpretare. "Spero che non crederà alle storie assurde che si raccontavano su di lei e che l'hanno portata alla morte."
"Il fatto che fosse una strega? Io ci credo" si era intromessa una delle allieve, una ragazza minuscola con una testa di ricci folti che sembravano non volerne sapere di stare a bada. "Mia nonna mi raccontava sempre che…"
"Non dire sciocchezze, Kate!" l'aveva interrotta la signora Tanner.
"Non mi interessa questo aspetto di Elena Markos" aveva detto Lise pronunciando per prima quel nome proibito. "Per quanto mi riguarda, la sua unica colpa fu quella di essere una straniera che era riuscita nell'impresa di avere successo. E per questo ha pagato. Ma è bello vedere come la sua opera, grazie a voi, non sia andata perduta." Lise aveva rivolto un sorriso deliziato a Madame Lorena. Più tardi avrebbero parlato del resto. Per il momento si era limitata a gettare l'amo.
"Lei si dimostra saggia e intelligente, oltre che bellissima, signorina. Sappia che l'intero corpo insegnate è a sua disposizione. Faremo di tutto per permetterle di incantarci come fece lo scorso anno allo Stadttheater, con Coppelia."
"Mi avete vista?" aveva chiesto Lise entusiasta come una bambina. La sua ultima tournee prima dell'incidente, in una paese decisamente ostile, visto il modo in cui si erano messe le cose sul fronte del Reno. Eppure avevano osato. Ed era stato un successo. Ricordava benissimo la sensazione di essere adorata dal pubblico. La vanità era decisamente il peccato più delizioso nel quale amasse indugiare.
"Certo" aveva confermato la signora Tanner. "È stata la lezione più efficace che potessimo dare ai nostri studenti. E la mia Elizabeth ha deciso da quella sera che tipo di persona vuole diventare, non è vero, tesoro?"
Lise si era voltata verso la bambina seduta al suo fianco che la stava scrutando con i suoi indagatori occhi di ferro. Quello sguardo la metteva a disagio e non sapeva perché. In fondo si trattava solo di una bambina come tante.
Controllo, Lise, si era ordinata. Non puoi vincere questa partita se ti fai battere così facilmente.
"Mi fa molto piacere" aveva commentato, poi si era voltata di nuovo verso Madame Lorena. "Può concedermi qualche minuto del suo tempo, questa sera, Madame? Ho davvero bisogno di parlarle a quattr'occhi."

"Lei deve essere pazza a fare quel nome fra le pareti della scuola. Vietatissimo" le ave detto Lucas quel pomeriggio, mentre lei si concedeva una fetta di torta con cioccolato, panna e amarene, infischiandosene dei chili che avrebbe dovuto togliersi di dosso per quel peccato di gola, dopo averla scortata tra vicoletti suggestivi e canali che, con il loro scorrere erano bastati a darle l'impressione che facesse meno caldo.
Lise aveva dimostrato finta indifferenza a quel rimprovero. Non era da lui che poteva venire l'aiuto che stava cercando. Quel ragazzo non sapeva niente, solo chiacchiere e ricordi vaghi di vent'anni prima carpiti a chi era stato testimone se non artefice dei fatti. E lei non voleva notizie di seconda mano.
La signora Tanner aveva insistito perché visitasse Friburgo, obbligando Lucas a farle da chaperon e, nonostante la città fosse davvero carina, Lise si sentiva mortalmente stanca per aver camminato troppo. La caviglia le faceva male, un dolore pulsante che bruciava all'interno di tendini e muscoli come se volesse corroderli. Lise aveva buttato giù una doppia dose sue gocce. Se non avessero fatto effetto in fretta non sarebbe riuscita a dormire e aveva bisogno di riposare per iniziare a lavorare seriamente dal giorno seguente.
Si era scrutata nello specchio, nell'irreale penombra azzurra che riempiva la stanza che le avevano assegnato. Sembrava più vecchia dei suoi vent'anni e non sapeva dire quando fosse successo. Aveva sempre curato molto la propria bellezza: bramava un ideale che aveva deciso di raggiungere fin da bambina e per ottenerlo aveva fatto di tutto, evitando quanto più possibile la luce del sole in modo che la sua pelle restasse bianca e tingendo i capelli naturalmente biondi del nero più cupo che potesse concepire. Ma più di tutto aveva trasformato il proprio corpo in una perfetta e leggera piuma che sembrava non avere peso. E proprio quel corpo stupendo ora l'aveva tradita.
No, non il mio corpo. Altri mi hanno azzoppata come un cavallo che ormai non serve più a nessuno. Ma non è finita. Non ancora.
Dopo un leggero bussare la sua porta si era aperta prima che lei dicesse alcunché. Lise si era alzata dalla toeletta vedendo entrare Madame Lorena.
"Buonasera, signorina Blanc. Si è sistemata bene? La stanza è di suo gradimento?"
Troppo piccola, avrebbe voluto obiettare Lise, ma aveva scelto di tacere. "Va benissimo, grazie. Sono felice che sia venuta."
"Solo per poco" aveva affermato Madame Lorena gironzolando per la stanza e guardandosi intorno come se la vedesse per la prima volta. Lise sperava che abboccasse in fretta a tutte le esche che aveva sistemato in giro per lei. "Dopo cena noi insegnanti torniamo a casa e le allieve non hanno il permesso di lasciare le loro stanze. Non che io creda che lo facciano davvero" aveva concluso con una risatina.
"Rispetterò le vostre regole" l'aveva rassicurata Lise. Quella donna aveva un'aria estremamente fragile.
Se mi sono sbagliata non cambierà nulla. Ma se ho ragione…
Le dita di Madame Lorena avevano sfiorato la copertina delle "Confessioni di un oppiomane" che Lise aveva poggiato sul tavolo da notte. "Che strane letture, mia cara ragazza" aveva sussurrato.
"Può darsi. Per questo leggo, e molto, solo quando sono da sola. Per evitare commenti di questo genere."
Aveva notato il volume rilegato in pelle verde che spiccava nella sua valigia ancora aperta sul pavimento? Non poteva non averlo visto, eppure faceva finta di niente.
E cosa ti aspettavi?
Eppure aveva bisogno di studiare le sue reazioni immediatamente.
"In realtà, la parte su Levana e le Nostre Signore del Dolore è scritta in un modo ammaliante, anche se ermetico. Piuttosto, De Quincey scrive che la maggiore delle tre sorelle è la Madre delle Lacrime, mentre Varelli afferma che questo onore è stato dato dalla sorte alla Madre dei Sospiri…"
Per un istante le era parso di cogliere una luce ultraterrena e verdastra negli occhi della donna, ma l'impressione era svanita subito.
"Mi perdoni, ma devo confessarle la mia assoluta ignoranza. Non ho la più pallida idea di cosa lei stia parlando. Levana?"
Le sembrava sincera e la cosa non le piaceva. Non le restava che sperare che fosse molto abile a fingere.
"Elena Markos avrebbero reagito in modo diverso." Lise l'aveva vista impallidire e stavolta non si trattava di un'illusione ottica dovuta alla luce fioca.
"Mi ascolti, signorina Blanc. Qui pratichiamo unicamente la danza classica. Se è venuta qui nella speranza di trovarvi altro, sappia che ha fatto un viaggio a vuoto. Ci abbiamo messo venticinque anni a ricostruire la reputazione della Tham Akademy e non intendiamo rivangare vecchie storie di fattucchiere e credenze popolari. Elena Markos credeva in alcune cose e per questo ha pagato con la vita. Noi crediamo in altre cose: danza, disciplina, musica, sacrificio. Il resto ha il valore di una favola, e preferiamo che nessuno tocchi argomenti di genere diverso." Aveva detto tutto senza riprendere fiato. Sembrava perfino spaventata.
Lise poteva considerarla dunque la prima delusione derivata dal suo soggiorno.
Quindi neppure da te saprò nulla. Dovrò cercare più a fondo.
"Non la capisco. Al vostro posto sarei fiera di onorare il ricordo di una simile donna. Ma anche in questo caso, mi adeguerò. Stia tranquilla, Madame. Come le ho detto, non intendo procurarvi fastidi di alcun genere."
Madame Lorena l'aveva scrutata a lungo, come a voler sondare la sincerità delle intenzioni appena manifestate. L'analisi doveva essersi rivelata soddisfacente perché la donna era parsa rilassarsi e le aveva detto cortesemente "Mi racconti del suo incidente, adesso."

Solo quando aveva poggiato la testa sul cuscino Lise si era resa conto di quanto fosse stanca. Le palpebre erano diventate improvvisamente pesanti e a stento aveva trovato la forza di spegnere l'abat-jour.
E quando si era ritrovata in quello strano ambiente, tra alambicchi, libri antichi e simboli magici, Lise era stata immediatamente consapevole di stare sognando. Eppure riusciva a toccare quegli oggetti e a sentire gli odori speziati che riempivano l'ambiente, a sentire ogni dettaglio del viso dell'uomo che leggeva chino su un testo greco, seguendo le parole con il dito. Lise lo osservava eppure era lui, sentiva come lui e vedeva ciò che i suoi occhi vedevano. In qualche modo sapeva che quella era una stanza della sua casa in cui a nessuno era concesso entrare, eppure, nonostante avesse chiuso a chiave, la porta di noce si era aperta per lasciar passare tre ospiti impreviste.
L'uomo aveva osservato con aria spiritata le tre intruse. Indossavano dei lunghi mantelli il cui cappuccio impediva di vederle bene in viso. Ma l'uomo non aveva bisogno di osservare i loro lineamenti, dal momento che le aveva conosciute la sera precedente nel salotto dell'eccentrica Lady Gyhalal.
"Tre straniere", le aveva definite la dama. Tre medium che non hanno pari. Mi hanno fatta parlare col mio defunto marito…"
L'uomo all'inizio aveva pensato che fossero delle ciarlatane, ma poi la maggiore delle tre sorelle, perché di tre sorelle si trattava, aveva sussurrato nelle sue orecchie segreti che lui aveva cercato di afferrare per tutta la vita.
E anche quella notte era stata lei a prendere la parola. Si era avvicinata al fuoco, lasciando che le fiamme la rendessero più distinguibile, subito imitata dalle altre due, come a volere diminuire la distanza tra loro. L'uomo si era reso conto che quei mantelli, che gli erano sembrati neri come la notte, avevano invece tinte diverse, benché molto scure. La sua interlocutrice era avvolta in un drappo di velluto del colore della terra bruciata dal sole e, come per le altre, sul velluto spiccavano simboli che lui conosceva bene, ricamati in oro.
Nonostante il timore che provava, non poteva fare a meno di trovarle magnifiche. La maggiore aveva sporto le dita sottili e apparentemente giovani verso il fuoco, come a volersi scaldare dopo avere subito il freddo e l'umidità di Londra, e finalmente aveva spiegato il motivo della loro visita.
"Perdonaci se veniamo a disturbarti a quest'ora. Ma dobbiamo commissionarti un lavoro che solo tu puoi portare a termine. "Aveva fatto una pausa che era servita a dare maggiore peso alla richiesta che stava per porgli. "Un'opera per la quale è necessaria l'abilità di Varelli l'alchimista così come quella di Varelli l'architetto. Si tratta di tre case, Emiliano, da erigere nei tre luoghi che ti indicheremo, una per ciascuna di noi."
Con un cenno del capo la donna aveva invitato la più alta delle tre ad avvicinarsi. Costei teneva in mano un rotolo come Emiliano Varelli ne aveva visti a dozzine. Progetti. Non appena era riuscito a guardarla meglio si era reso conto di quanto fosse bella. La sera precedente non se ne era quasi accorto ma in quel momento, quell'unica ciocca di capelli lunghissimi, sfuggita al cappuccio del mantello viola solo per scivolarle sul petto, quelle labbra carnose, quegli occhi ammaliatori e quella pelle perfetta erano diventati il centro assoluto dell'universo.
"Incantevole come una lacrima sul volto di fanciulla", aveva mormorato mentre lei sgomberava con un gesto brusco il ripiano del tavolo, facendo finire tutto a terra.
Più tardi Varelli si sarebbe disperato per le fiale finite in frantumi, ma in quel momento esisteva solo il profilo dell'ammaliatrice che srotolava i progetti, forse pretendendo che lui vi prestasse attenzione.
"Non distrarti, Emiliano…" aveva canticchiato la terza visitatrice scivolandogli accanto. Varelli era arretrato. Nero. Nero intenso e assoluto era il colore della terza sorella. Minuta, dai lineamenti simili a quelli di uno scoiattolo curioso e gli occhi scuri e… folli?
Il suo sorriso malvagio lo faceva stare male. Voleva che se ne stesse lontana.
"Oh, guardate. Ha paura. Ha tanta, tanta paura." Di nuovo quella risatina infantile.
"Lascialo stare" aveva detto la maggiore con aria annoiata. "Osserva, Emiliano. Non hai tempo per giocare con le mie sorelle, ora." Quindi aveva poggiato la mano sui fogli parti per richiamare la sua attenzione, e Varelli aveva finalmente posato gli occhi sui progetti.
Uno dopo l'altro li aveva osservati, ripetendo in modo ossessivo "Impossibile… impossibile…"
Tre dimore, tre scrigni, tre punti di convergenza per tutto il potere che muoveva gli astri e regolava la vita e la morte.
"Realizzale. Hai cinque anni di tempo per ognuna di loro. I costi non sono un problema. Che tu voglia denaro, potere o conoscenza, nulla ti sarà negato."
Gli occhi di Varelli non riuscivano a staccarsi dalle intricate viscere d'inchiostro che rappresentavano l'interno della casa destinata a sorgere a New York. Era puro delirio, era di certo destinata alla dama in nero.
Si era passato una mano sugli occhi, come a voler scacciare visioni indesiderate. Chi erano? Perché avevano scelto lui? Erano più che semplici alchimiste, streghe, medium o qualunque altra cosa di cui lui avesse conoscenza. Tre come le Parche, perfette come le fasi lunari, implacabili come le età dell'uomo. Troppe erano le domande che avrebbe voluto porre. Troppe erano le domande che non riusciva a formulare.
"Perché?" era riuscito mormorare, concentrandosi sulla struttura più logica e aggraziata della casa che sarebbe sorta a Friburgo e sull'eleganza classica del palazzo romano.
"Una profezia, naturalmente" aveva spiegato l'ammaliatrice. "Abbiamo scrutato il futuro. Nel secolo che si avvicina arriverà la nostra fine. Dobbiamo proteggerci. Queste dimore saranno le nostre roccaforti."
Con quelle labbra magnifiche avrebbe potuto dirgli qualunque cosa, ingannarlo, perfino ordinargli di morire. Non avrebbe avuto alcuna importanza. Ma non erano le sue dita che ora gli accarezzavano i capelli.
"Su, su." Non hai bisogno di sapere altro" aveva sussurrato la signora in nero. Poi gli aveva circondato il collo con le braccia. "Te l'hanno mai detto che sei davvero tanto bello?" Poi aveva inclinato la testa, come una bambina che chiede un giocattolo. "Posso tenerlo con me?"
Varelli aveva provato un'improvvisa vertigine. Angoscia e desiderio si erano fusi insieme. Avrebbe voluto fuggire, eppure non riusciva e neppure desiderava sottrarsi a quella stretta.
"No, non adesso. Deve lavorare per noi. Non può essere il tuo trastullo" aveva sentenziato la maggiore.
La sottile figura in nero lo aveva lasciato andare con espressione delusa. Varelli aveva spostato gli occhi dall'una all'altra, senza riuscire a fermarsi. Era in presenza di qualcosa di straordinario. Non era neppure certo che fossero umane.
"Non ho detto che accetto l'offerta. Chi siete voi? Che cosa siete?"
"Che domanda ingenua" aveva risposto la maggiore con un sorriso annoiato. "Siamo tre e siamo una. Possiedi già la risposta."
Varelli aveva chinato il capo, e Lise, nella sua mente, con lui. Eppure lui si era voltato, come se percepisse la sua presenza, se vedesse il suo corpo tonico di ballerina avvolto dalla seta della camicia da notte a pochi passi da lui. L'aveva fissata dritta negli occhi e aveva mormorato tre parole, tre nomi che avrebbero posto per sempre un sigillo che non si sarebbe più spezzato sull'esistenza delle tre sorelle. Due nomi ignoti e un terzo che lei conosceva bene.
La gola le si era chiusa, gli occhi si erano spalancati nel buio e la stanza si era messa a sussurrare, lì, alla Tham Akademy, in sincrono con ciò che restava di un sogno svanito.
Sveglia. Immobile. Non riusciva a muovere un muscolo. Qualcosa di caldo e pesante le gravava sul petto.
Incubo… aveva pensato immediatamente.
Non le accadeva più da quando aveva dodici anni, e adesso era tornato. Sua nonna non aveva forse detto che non se ne andavano mai via definitivamente? Sentiva l'alito della bestia notturna, quell'odore nauseabondo di carne cruda, sul viso e le dava i conati..
Le pareti bisbigliavano e quelle voci erano aghi nelle sue orecchie.
Le parole… Non riusciva a capire le parole.
"Vattene" era riuscita a dire. Le era stato concesso di vedere le Tre Madri. Aveva guardato il viso di Nostra Signora dei Sospiri. Non poteva permettere che un banale Incubo le togliesse la forza in quella notte stregata. Lei era oltre quel tipo di paura infantile. Il respiro era tornato, il senso di oppressione scomparso. Poi era arrivato quel gemito sommesso. Lo udiva chiaramente fuori dalla stanza.
Stai osando troppo. Fermati, si era detta. Ma come una sonnambula era scivolata giù dal letto a piedi nudi ed era arrivata alla porta. Quel sospiro doloroso riempiva il corridoio. Immobile, a pochi metri da lei, stava Kate, l'allieva che aveva avuto l'audacia di insinuare che Elena Markos fosse e una strega. Ma non era lei la fonte di quel suono straziante.
"Che cos'è?" le aveva chiesto Lise bruscamente.
"Lo sente anche lei, signorina Blanc? Quando ne ho parlato agli altri mi hanno presa per pazza."
Lise le aveva fatto cenno di avvicinarsi, poi l'aveva spinta all'interno della sua stanza, chiudendo a chiave.
"Succede tutte le notti?" le aveva chiesto.
La ragazza sembrava più spaventata da lei che da quel suono inspiegabile. "No… Non sempre. Jane lo sentiva. È lei che me l'ha fatto notare… e poi si è impiccata. Jane diceva che era il fantasma di Elena Markos che vagava ancora per i corridoi della scuola."
Stupida…
"Che cosa sai di Elena Markos, Kate? È qui che l'hanno uccisa? È qui che…"
"No, nel bosco. Gli abitanti erano terrorizzati dall'accademia. La bruciarono viva all'esterno."
Quella piccola impicciona dunque aveva informazioni a lei ignote. Sarebbe stato meglio tenersi vicine sia lei che la sua lingua lunga.
"Tu sai dove, Kate? Voglio vedere il posto esatto."

Johannes Herkel viveva di ingranaggi e magia. Non che trovasse molta differenza tra gli uni e l'altra. Entrambi avevano delle regole. Se venivano rispettate, tutto funzionava splendidamente. Gli orologi ticchettavano intorno a lui. A mezzanotte lo avrebbero salutato in coro. Cinguettii, campanelle, squilli di piccole trombe. Johannes amava la loro compagnia. E nel palazzo che ospitava la sua bottega e il suo appartamento non c'erano altri inquilini che potessero essere disturbati dal frastuono. Accanto a lui c'era una lettera della sua vecchia amica Carol, che lui aveva letto e riletto. Intorno a lui c'erano occhi che non smettevano di scrutarlo invisibili. Johannes non ne era infastidito. Che guardassero pure. Per il momento aveva ancora la forza necessaria ad impedire loro di toccarlo. Presto non sarebbe più stato così e qualcun altro avrebbe preso il suo posto. O almeno era ciò che lui e Carol speravano. Johannes sapeva che il futuro è mutevole. Quando aveva osservato le tragedie a venire, l'Europa avvolta dalle fiamme, il delirio al potere, si era detto che forse avrebbe potuto fare qualcosa per evitarlo. Poi aveva riflettuto e si era reso amaramente conto di quanto fosse vecchio.
"Proteggila. Non permettere che cada in mano loro. Forse lei potrà essere il tuo successore. Se impedisci alla sua anima di scivolare via…"
Ci avrebbe provato. Sarebbe stato il suo ultimo compito.
"Ti piace quello che vedi, vecchia strega sconfitta?" aveva sussurrato all'ombra con tono beffardo. E la sensazione di essere osservato si era dissolta.
Oh, lei gliel'avrebbe fatta pagare per averla insultata, ne era sicuro. Ma quel momento era ancora lontano.











Note: Una nuova storia, in quattro capitoli, nata in una notte d'insonnia quando, su Rai Movie, in una serata dedicata a Dario Argento, ho potuto rivedere, dopo anni, il leggendario 'Suspiria', primo della trilogia dedicata alle Nostre Signore del Dolore, create da Thomas de Quincey nelle sue "Confessioni di un oppiomane" e rielaborate dal maestro dell'orrore nostrano.
Del ciclo delle Tre Madri, 'Suspiria' è decisamente il migliore. Tuttavia, vista la mia ossessione per il filologicamente corretto in questa storia non ho potuto fare a meno di tenere conto anche dell''ottimo "Inferno" e del (purtroppo) terribile 'La Terza Madre' (perché l'hai fatto, Dario?)
Madame Blanc (Joan Bennett), nel film del 1977, è la vicedirettrice della Tham Akademy, nonché il braccio destro della ormai derelitta Mater Suspiriorum, Elena Markos. Mi sono chiesta chi fosse da giovane, come avesse iniziato a praticare sia la danza che la stregoneria e soprattutto come fosse finita al servizio della Madre. Da lì è nato tutto. Mi ha aiutata a trovare la giusta atmosfera rivedere 'Dietro la porta chiusa' dove la Bennett (giovane e bellissima) interpretava la sposa turbata di un uomo che aveva come macabro passatempo quello di collezionare ricostruzioni stanze in cui si erano svolti efferati omicidi.
I riferimenti alla trilogia in questo primo capitola sono parecchi. Se volete divertirvi a scovarli da soli non leggete oltre.
Carol Bayon viene nominata in 'Suspiria' ed è la zia della protagonista Suzy (ho usto i nomi della distribuzione internazionale). Madame Blanc dice di averla conosciuta e di ricordarla come una protettrice di artisti.
La ragazzina, Elizabeth Tanner, è la futura signora Tanner (Alida Valli).
Il nome Varelli, nella trilogia, è ignoto, ma sappiamo che comincia per E.
Per la data della costruzione delle Tre case mi sono basata sulle targhe viste nei film concludendo che la costruzione di ognuna ha richiesto una decina d'anni.
Ne "La Terza Madre", Argento racconta che Elena Markos si è ridotta all'orrido stato che vedimo in Suspiria dopo un combattimento con la strega bianca Elisa Mandy, ma questo contraddice il fatto che Elana sia bruciata viva in un incendio, agli inizi del '900, come narrato in 'Suspiria'. Mi è venuta in aiuto la Mater Tenebrarum che in 'Inferno', mentre la sua dimora è in fiamme dice: "Sta bruciando tutto. È già successo in passato." Il che fa pensare che le tre sorelle streghe di roghi ne abbiano visti (e subiti) parecchi.

Infine: un ringraziamento a Nisi Corvonero, che è stata la mia risorsa enciclopedica per quanto riguarda la città di Friburgo e l'intera zona della Foresta Nera. Inoltre l'idea del personaggio dell'orologiaio Johannes Herkel è sua.
Grazie mille anche a Rowena che mi ha fornito un quadro molto esaustivo circa la situazione della danza nei primi anni '30.
E grazie anche a Francine che ha sistemato perfino le virgole.

Al prossimo capitolo.



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Capitolo 2
*** II - La Principessa - (...quoddam semper...) ***






II

La Principessa

(… quoddam semper… )



Fillet of a fenny snake,
In the cauldron boil and bake
Eye of newt and toe of frog,
Wool of bat and tongue of dog
Lizard leg and fairy wing,
round about the cauldron sing
Double double trouble you,
bubble in a witches' brew


(Omnia, Wytches Brew)




Nel cuore del bosco le fanciulle innocenti avevano smarrito la via, da quando Nostra Signora dei Sospiri aveva memoria. E dal momento che ella esisteva da sempre, il bosco da sempre aveva fatto in modo che fanciulle innocenti smarrissero la via. La serva si aggrappava al braccio della principessa, sebbene fosse la serva a dover fare da guida. “Cosa è stato?” chiedeva a ogni frullare d’ali, mentre la luce livida dell’alba tagliava il fogliame. E la principessa dimostrava noia e desiderava affrettarsi verso il luogo in cui il delitto umano era stato compiuto. Nostra Signora dei Sospiri era in grado di ricordare perfettamente l’odore della carne bruciata, le grida, il fumo acre. Era sempre lo stesso, ogni volta che accadeva. Ed era già accaduto molte, moltissime volte. La principessa aveva calciato con la punta delle pantofole un mucchietto di foglie secche. “Qui sembra autunno. Ma non c’è altro.” E Nostra Signora dei Sospiri aveva fatto correre il suo alito gelido sulla sua schiena, un artiglio invisibile che percorreva la sua spina dorsale, un sussurro a sibilarle nelle orecchie che cercavano risposte. “Torna a dormire, bambolina. Non è questa la strada che ti porterà a me. Cerca nelle viscere della strega, principessa, dove i morti incontrano i vivi. Oppure smarrisciti per sempre.”

Kate Hassler aveva condotto Lise nel luogo in cui Elena Markos era stata uccisa due giorni dopo. Si erano alzate all’alba ed erano sgattaiolate fuori prima che gli altri si svegliassero.
Lise era rimasta delusa dalla visita a quel luogo di morte. Nessuna vibrazione, nessun segno che lì vi fosse avvenuto un terribile episodio di giustizia sommaria. Solo una piccola radura, più secca rispetto al resto del bosco.
“L’hanno presa poco prima dell’alba e l’hanno trascinata qui. Si dice che Elena abbia invocato Satana più volte e che lui abbia risposto condannando a una morte atroce i suoi boia.
Satana. Elena Markos non avrebbe mai invocato Satana. Si sarebbe rivolta a lei
Quella mattina Lise aveva capito che non poteva affidarsi alle chiacchiere di chi non sapeva neppure di cosa stesse parlando. Non aveva più toccato l’argomento neppure con Madame Lorena e la signora Tanner, concentrandosi unicamente sulla propria guarigione.
Madame Lorena sembrava provare un gusto sadico nel costringerla a ripeterle la meccanica dell’incidente. Un’altra volta ancora e Lise si sarebbe avventata sulla sua faccia.
“Gliel’ho detto. Klimentiy mi ha presa amale. Mi sono sbilanciata a causa sua. Ho mancato l’appoggio e la caviglia a ceduto.”
Klimentiy. Si era difeso, naturalmente. Aveva tentato di far ricadere la colpa su di lei. Cosa poteva aspettarsi da uno che aveva imparato a ballare da quel bestemmiatore anarchico di Djagilev?
Sarebbe dovuto finire nella tomba con lui, a marcire con tutta la sua compagnia. Invece…
Invece Klimentiy sarebbe stato il Principe Schiaccianoci nel nuovo allestimento, mentre lei stava ancora cercando un modo per tornare a ballare. Quella era la sua ultima possibilità. Ma non riusciva a superarre quell’assurdo blocco. E la faccia mortificata di Lucas non l’aiutava.
“Lui non è in grado” aveva detto Lise camminando su e giù per la grande sala dalle pareti gialle mentre la propria figura la imitava dallo specchio sulla parete di fondo. “È un dilettante. Non posso dargli fiducia.” Sapeva di ferirlo, ma aveva bisogno di prendersela con qualcuno.
Mathias aveva strimpellato qualche nota al piano. “Nessuno è all’altezza a sentire te, principessa.”
Lise lo aveva fulminato con li occhi. “Cosa vorresti dire?”
“Che sei perfettamente guarita. Ma il problema è nella tua testa. Non ti fideresti neppure di Nijinskij.”
“Mi. Fa. Male” aveva scandito Lise. “E lui è solo un ragazzino.”
Madame Lorena l’aveva studiata per dei secondi eterni. Anche quel giorno indossava uno dei suoi abiti scuri che la avvolgevano completamente come un sudario macabro. Ma sotto la lunga gonna blu aveva delle scarpette da punta.
“Suona per me, Mathias” aveva ordinato, poi aveva fatto cenno a Lucas di avvicinarsi.
La presa del ragazzo sulla vita sottile della direttrice era sicura, mentre lei si trasformava in una oscura farfalla sulle note del Valzer Triste di Sibelius.
Mi fai venire voglia di tagliarmi le vene, Mathias… aveva pensato Lise, eppure la malinconia che quel passo a due improvvisato le trasmetteva era quasi piacevole.
Per nulla impedita dalla gonna pesante, Madame Lorena si affidava a quel ragazzo con un abbandono che Lise aveva dimenticato da tempo. E lui non stava sbagliando nulla.
Quando l’ultima nota si era spenta, Lise aveva applaudito. “Perfetto. Ma io non ci riesco.”
Madame Lorena le si era avvicinata. “Che cosa si aspettava, signorina Blanc, venendo qui? Cosa pensava che potessimo fare per lei?”
“Non lo so. Forse una maledetta stregoneria!” aveva gridato e gli altri tre l’avevano fissata come se fosse pazza. “Scusatemi. Sono nervosa. Credo che andrò in città per distrarmi un po’. Da domani farò sul serio, lo prometto.”
Poi era uscita dalla sala e si era diretta verso lo spogliatoio. Ma aveva fatto solo pochi passi quando aveva udito qualcuno sussurrare nel suo orecchio “Principessa…”
Si era volata di scatto, pur sapendo che con lei non c’era nessuno. Un rivolo di sudore gelido le era scivolato lungo la schiena. Era completamente sola nel lungo corridoio dalle pareti rosse che ora le sembrava minaccioso e senza fine.
“Elena…?” aveva chiesto terrorizzata all’idea di ricevere una risposta. Ma non era accaduto nulla. Lise aveva percorso correndo i pochi metri che la separavano dalla sicurezza rappresentata dallo spogliatoio, aveva ripreso fiato e si era concessa una risata.
Suggestione… si era detta, e quando avevano bussato aveva ormai ritrovato il controllo.
La testolina bionda di Elizabeth era apparsa dall’uscio dischiuso. “Ti disturbo? Madame Lorena chiede se puoi portarmi con te in città. Non ti darò fastidio. Devo solo comprare dei libri di algebra.”
Fantastico. Da etoile a balia.
Ma Lise sapeva di non poter dire di no, anche se avrebbe preferito starsene per conto suo. E in fondo Elizabeth era una bambina fin troppo tranquilla.

Elizabeth aveva scampanellato fino a quando Lise era sta costretta a dirle di smetterla perché le faceva saltare i nervi. La ragazzina aveva obbedito senza protestare ma aveva aumentato il ritmo delle pedalate superandola e lanciandole l’ennesima occhiata feroce nel farlo.
Solo una volta passate le mura si erano parlate di nuovo.
Non avrebbe dovuto essere così brusca con la povera Elizabeth. Dopotutto era l’unica persona, all’interno dell’Accademia, a non essere convinta di sapere esattamente cosa fosse meglio per lei e a crederla una povera pazza perfettamente in salute.
“Dopo aver preso i tuoi libri ti comprerò un gelato. Ne hai voglia?” le aveva chiesto legando le biciclette ad un lampione.
Elizabeth le aveva concesso solo una smorfia. Dannata ragazzina. Possibile che fosse totalmente incapace di sorridere?
“Prima i libri” le aveva risposto.
Ovvio.
Sembrava quasi lei l’adulta, mentre Lise la seguiva nella grande libreria dall’altro lato del marciapiede. Era stato all’interno del negozio, mentre Elizabeth si occupava dei suoi acquisti, che Lise aveva cominciato a sentirsi osservata. Non avrebbe saputo definire con chiarezza la sensazione, ma sapeva di avere degli occhi ignoti su di lei. Quella sgradevole impressione non si era interrotta neppure all’esterno. Ma nessuna delle persone che aveva intorno sembrava badare a lei.
Mentre Elizabeth affondava svogliatamente il cucchiaino in una magnifica coppa di gelato, Lise non riusciva davvero a rilassarsi. C’era qualcosa di strano, anche se non riusciva a metterlo a fuoco. Poi aveva capito. Foglie gialle. Come nella radura in cui Elena Markos era stata uccisa. Chiazzavano gli alberi, i cespugli, ogni punto di verde che i suoi occhi riuscivano a vedere. Eppure, anche se non poteva esserne certa, aveva l’impressione che non fosse così quando erano arrivate in città. Solo la foresta che dominava le colline circostanti continuava a risplendere del suo verde cupo e compatto.
Assurdo.
E ancora più assurda era l’idea che le foglie appassissero al suo passaggio, eppure non poteva fare a meno di crederlo.
“Certo che ti spaventi con poco.” Elizabeth la stava fissando come se provasse per lei un misto di pena e disgusto.
“Prego?” le aveva chiesto Lise. Quella mocciosa non poteva sapere a cosa lei stesse pensando.
“Forse è solo un modo per dirti che stai sbagliando strada.”
“Finisci il tuo gelato. E non ti impicciare degli affari miei.”
Doveva considerare Elizabeth il suo Virgilio dantesco? Era troppo anche per lei. Aveva pur sempre una dignità da conservare.
La bambina aveva semplicemente sollevato le spalle. “Come vuoi” le aveva risposto passando all’attacco della ciliegia candita che galleggiava nel cioccolato semidisciolto.

Quando Lise era passata davanti al negozio di orologi la prima volta non aveva notato nulla di particolare. Era un negozio come ce ne erano decine. Tutta Friburgo sembrava di voler soffocare sotto il cinguettio dei cucù.
Sulla strada del ritorno, invece, i suoi occhi erano scivolati sul carillon. Era la cosa più strana che avesse mai visto. Tre figurine femminili in cerchio sotto un cupola di vetro, vestite di nero incatenate per i polsi l’una all’altra, giravano intorno a un minuscolo calderone, e l’intera scena poggiava su un pentacolo scarlatto.
Poteva sembrare a prima vista una rappresentazione delle tre streghe del Macbeth, sebbene le loro fattezze fossero quelle di tre fanciulle, ma qualcosa stonava nell’insieme. Le catene dorate lasciavano segni rossi sulle piccole braccia di porcellana. Ciascuna figura aveva un piede che sembrava voler arretrare oltre il cerchio ma che non riusciva a oltrepassare quella barriera scarlatta. Erano prigioniere.
“Le interessa quel carillon, signorina Blanc? Certo che le interessa.”
Un vecchio se ne stava sulla soglia della bottega e la osservava sorridendo. Aveva un’aria innocua ma Lise era troppo inquieta per avergli sentito pronunciare il proprio nome per abbassare le difese. Istintivamente aveva spinto Elizabeth dietro di sé come a volerla proteggere.
“Lei chi è?”
L’uomo aveva continuato a sorridere sotto i folti baffi bianchi, aggiustandosi sul naso gli occhiali dalla montatura d’oro.
“Semplicemente un orologiaio, signorina Blanc. Mi chiamo Johannes Herkel. Io e lei abbiamo un’amica in comune. Carol Banyon mi ha scritto per avvisarmi del suo arrivo. Ma venga dentro. Non è bene parlare di faccende private in strada. Ho già messo su l’acqua per il tè.”
Lise aveva abbassato gli occhi verso Elizabeth. Si era fatto tardi. Presto il sole sarebbe tramontato. La signora Tanner si sarebbe chiesta che fine avesse fatto fare a sua figlia. Ma le tre piccole streghe continuavano a girare.
“Suvvia, non le porterò via molto tempo. E quella signorinella troverà tante cose divertenti con cui giocare mentre noi parliamo.”
Un amico di Carol. Qualcuno che la stava aspettando. Qualcuno che conosceva la leggenda delle Tre Madri. Non poteva andarsene solo perché una bambina cenasse all’ora prevista. Lise aveva ricambiato il sorriso del vecchio.
“Lei ha un telefono, signor Herkel?”

Lise aveva preso una tazza di tè, ma aveva rifiutato il vassoio con i dolci. Si stava concedendo troppi stravizi e non poteva permettere che lo zucchero insidiasse la linea dei suoi fianchi. Nella stanza accanto Elizabeth sembrava incantata da una ballerina che si muoveva con grazia ipnotica, grazie a uno straordinario meccanismo a molla. Non li avrebbe disturbati per un po’.
“Ti ho tenuta d’occhio per tutto il pomeriggio suppongo che tu te ne sia accorta” le aveva detto il padrone di casa.
Lise aveva annuito. “Così Carol ritiene che io abbia bisogno di un cane da guardia…” L’idea la faceva infuriare.
“Sai come vanno queste cose. C’è sempre una principessa sciocca che ficca il naso fiduciosa nell’antro della strega, e poi, puf!, te la ritrovi addormentata in una foresta di spine.”
Sciocca?
“Carol sa perché sono qui. Le alternative che lei mi ha offerto non erano valide.” Sentiva la rabbia crescere in lei. Cosa pensava di capire, Carol? E quel vecchio non sapeva nulla di lei. Se avesse cominciato a parlarle di magia bianca e magia nera si sarebbe messa a urlare. E Lise era certa che l’avrebbe fatto.
“Alcune strade sembrano agevoli ma si rivelano dei vicoli ciechi, mia claudicante ragazza.”
“Lei è un gran maleducato, lo sa?”
“E tu una streghetta saccente e arrogante. Ma te ne do atto: non abbiamo iniziato con il piede giusto.”
Quello era un dato di fatto. Non era lì per sentire prediche, men che meno da uno sconosciuto.
“Suppongo che la decisione spetti solo a me. Ma per scegliere in modo saggio mi servono informazioni, e non riesco a trovarle. Quel carillon in vetrina…”
“Il pesciolino ha abboccato all’esca.” Il vecchio aveva incrociato le mani sul tavolo con aria sorniona. “Che cosa vuoi sapere, signorina? Ti cucirai le labbra dopo aver ascoltato? Conosci la regola del Silentium, non è così? Ballerina…” L’ultima parola era stata pronunciata con un sarcasmo feroce. Quell’uomo si stava prendendo gioco di lei.
“Ballerina, sì. Fiera di esserlo. Del sudore versato per diventare ciò che sono. Non ho mai barato. Mai. Adesso voglio solo riprendermi ciò che è mio. Cosa c’è di sbagliato?”
“Il modo.”
“Ma per favore…”
Occhi da giudice. Lise era certa che la sua condanna fosse già stata decisa. E non le importava.
“Per ottantadue anni ho vissuto in questa città, signorina. Per ottantadue anni ho tenuto a bada il male di cui è impregnata. Ero qui ben prima che la Madre dei Sospiri decidesse di prendere dimora nella foresta, prima che iniziasse la costruzione della sua tana, prima che le sue adepte cominciassero ad allungare le loro viscide dita su queste strade, queste case, questa gente. Ho guardato Varelli negli occhi come ora sto guardando te. Solo che lui era venuto a chiedermi aiuto.”
“Visti i risultati, dubito che lei sia riuscito a darglielo.” Si era concessa di apparire scettica, di tirare fuori il sarcasmo. Non riusciva a immaginare Emiliano Varelli che chiedeva di essere salvato dalle streghe cattive.
“L’ho sognato, lo sa? Sono quasi certa che il suo spirito stia tentando di comunicare con me.”
Herkel aveva inarcato un sopracciglio. “Spirito? E chi ti dice che sia morto?”
Lise era rimasta con la tazza a mezz’aria. Aveva dato per scontato che la scrittura de “Le Tre Madri” fosse stata l’ultimo atto della sua esistenza.
“<7i>Non so quanto mi costerà rompere ciò che noi alchimisti abbiamo sempre chiamato Silentium. L'esperienza dei nostri confratelli ci ammonisce a non turbare le menti profane con la nostra sapienza. Io, Varelli, architetto in Londra…” aveva citato a memoria.
“Taci!” aveva ruggito Herkel guardandosi intorno con fare circospetto. “Tu devi essere pazza. Hai idea di ciò che si è messo in moto intorno a te? Scommetto che pensi di essere stata molto fortunata a trovare una copia di quel libro, non è vero? Sai cosa sono davvero le memorie di Varelli? Un’esca. Ne esistono solo sei, e loro ne conoscono perfettamente l’ubicazione Sono il mezzo che intendono usare per imprigionare coloro che secondo la profezia sono destinati a porre fine alla loro vita. E di te non resterà niente se la Madre dei Sospiri pensa che tu sia una di loro.”
La verità le era apparsa in tutta la sua semplicità. Herkel si sbagliava di grosso.
“Non è così” aveva mormorato. “Non è così. Io conosco i loro nomi. Varelli me li ha sussurrati in sogno. Io conosco i nomi di coloro che le Madri stanno cercando…”
Il cuore sembrava volerle schizzare fuori dal petto. Quello era potere. Merce di scambio. Quei tre nomi in cambio delle sue perdute ali.
“Se consoci l’identità dei loro futuri carnefici è bene che tu mi dia immediatamente questa informazione. È necessario proteggere queste persone…”
Chi è lo sciocco, ora?
“In realtà l’informazione è troppo preziosa per gettarla via così facilmente” gli aveva risposto con una tranquillità che era solo apparente. “Mi dia i mezzi per decidere, signor Herkel. Mi dica quello che sa sulle Tre Madri.”
Il vecchio si era alzato e aveva iniziato a muoversi per la stanza, fermandosi solo per osservare più da vicino uno dei suoi orologi.
“Se hai letto il libro , sai già quanto è necessario. Ma se preferisci posso procurarti dell’oppio.” Una risata rauca era uscita dalla sua gola. Quanti anni aveva quell’uomo? Da quanto aveva girato la boa del secolo?
“Tre divinità malvagie che si muovono tra gli uomini, in forma umana. Si circondano di servitori che praticano la magia, streghe devote che in cambio dei loro servigi ne ricevono benefici. Capisce quanto questo sia astratto?”
“E incredibile, vero? Tenero giglio bianco, vuoi conoscere la loro storia?” Herkel si era accostato di nuovo al tavolo. “Quando si cerca qualcosa, il rischio più grande è quello di trovarla, non lo sai?”
Questo non la spaventava affatto. Il suo unico terrore era quello di non poter più danzare. Niente altro.
L’uomo aveva sospirato, rassegnandosi al fatto che lei non avrebbe ceduto. “E va bene. Una e trina. La Dea e i suoi tre volti notturni. Parche, Furie, Graie. Le tre teste di Ecate. Questo narrano le leggende su di loro. Da sempre impregnano la notte di lacrime, sospiri e tenebre. Ma questo tu lo sai già. Allora chiudi gli occhi e immagina una casa, su una spiaggia lontana, le acque del Mar Morto che si rovesciano sulla rena, e tre sorelle, evitate come la peste dagli abitanti del luogo, se non quando si rivolgevano a loro perché usassero i loro oscuri poteri per ferire, uccidere, colpire le persone ostili. Un vicino troppo ricco, un amante traditore… Sono certo che anche questo ti è familiare. Furono loro le prime a codificare la Magia Nera. Il primo Grimorio fu scritto di loro pugno. La loro parola si diffuse. Altre streghe vennero alla oro soglia in cerca di conoscenza. Le più potenti divennero le loro serve, le più deboli vennero uccise, il loro sangue versato sui loro altari blasfemi. Fino a quando le tre sorelle giunsero al punto di non ritorno e stipularono un patto con la Triplice. I tre volti della Luna entrano in loro facendosi carne e trasmettendo loro un potere oscuro e senza limiti, e loro divennero immortali e crudeli, più di quanto la mente umana riesca a concepire. Da allora vagano per le strade del mondo, corrompendo anime, operando il male e attendendo il giorno in cui ogni strega uscirà dall’ombra e getterà le città dell’uomo nel terrore e ai loro piedi. E tu, ballerina, stai pensando di venire a patti con loro?”
Lise non aveva risposto, l’enormità del suo progetto all’improvviso sembrava sovrastarla. Se solo ci fosse stata un’alternativa l’avrebbe colta la volo. Ma così non era. E cosa pretendeva Carol da lei? Che si mettesse contro le Tre Madri? Che passasse il resto dei suoi giorni come una sorta di guardiana del faro, come era stato per quel vecchio orologiaio?
E poi accusi me di egoismo, Carol?
“Lei com’è sopravvissuto?” aveva chiesto a Herkel. “Se davvero la Tham Akademy ospita ancora la Mater Suspiriorum, perché lei tollera la sua presenza?”
“Perché la magia bianca non è debole come tu sembri pensare, principessa.”
Una risposta banale. Non sapeva davvero cosa farne.
“Si sta facendo tardi. Adesso devo andare davvero. La bambina non può saltare la cena.”
Il vecchio aveva annuito. “Torna a trovarmi quando vuoi. E rifletti su ciò che ti ho detto. Se resti troppo a lungo fra quelle mura maledette potresti rimetterci la vita.”
Non ci aveva mai pensato lucidamente. Da quando aveva lasciato Parigi si era ripetuta in continuazione che nulla l’avrebbe fermata. Ma non aveva pensato a quelle servitrici che la Madre dei Sospiri non aveva avuto interesse a salvare.
“Come è successo ad Elena Markos… Lei c’era, vero? Lei l’ha conosciuta. Se davvero era potente come dicono, se davvero lei era la testa della Congrega, la Regina Nera, perché la Mater Suspiriorum l’ha abbandonata e ha lasciato che la uccidessero? Non l’aveva forse servita bene?”
L’uomo l’aveva fissata sbalordito, poi era scoppiato a ridere fino a farsi sgorgare le lacrime dagli occhi. “Servita? Servita? Parli seriamente? Credi davvero che Elena Markos servisse la Mater Suspiriorum?”
Lise non si era mai sentita così stupida, e il fatto di non capirne neppure il motivo acuiva il suo disagio. Herkel alla fine aveva ritrovata il controllo e la sua espressione si era fatta più dolce ma anche piena di compatimento.
“Tesoro mio, Elena Markos era la Madre dei Sospiri.”
Lise aveva trattenuto il fiato. Le stava dicendo che la maggiore della sorelle era morta. Bruciata viva come una comune strega. Che alla Tham Akademy non avrebbe trovato altro che il suo spettro inquieto.
“Non è vero. Questo contraddice ciò che lei mi ha appena raccontato. Non può essere vero.”
Herkel stava giocando con lei. Le stava mentendo. Aveva parlato delle tre sorelle al presente. E ora asseriva che la Madre dei Sospiri era Elena Markos, condannata, arsa viva, uccisa.
“La risposta è elementare, giglio bianco. Ora fremi di rabbia e di paura. Ma non hai ancora visto nulla. Loro sono l’Inferno in terra. Puoi opporti o sprofondare. Non esiste una terza scelta. Carol è convinta che tu sia abbastanza forte da contenere il loro potere, impedire che il loro male si diffonda. Credimi, ho scrutato il futuro ed è terribile. Non posso cambiarlo. Sono troppo vecchio, ormai. Ma tu… è il momento di mettere da parte gli interessi personali. Scegli di essere una strega bianca, Lise.”
Quell’uomo sembrava davvero certo. Nessuna terza via. Non poteva sperare di ottenere ciò che era venuta a cercare senza perdere l’anima. L’aveva messo in conto. Ma in quel momento non poteva fare a meno di pensare a sua nonna, alla statuina di ceramica della Vergine sulla mensola e alle sue preghiere. Ora aveva una definizione. Sua nonna era stata una strega bianca. Sua nonna aveva fatto del bene.
Spetta sola me decidere, e non è facile.
Tre nomi erano tutto ciò che possedeva. E non aveva pensato che altre persone potessero andarci di mezzo.
“Credo di avere bisogno di dormirci su.”
Il vecchio aveva annuito. “Non sprecare il tuo tempo. Più resti in quel posto e più ne verrai infettata.”
Probabilmente aveva ragione. Ma ciò che contava era la conferma che la Tham Akademy non era solo uno specchietto per le allodole. E nonostante avesse sperato con tutta se stessa di non essersi illusa, l’idea di varcare di nuovo la soglia della dimora stregata le procurava una sensazione di angoscia imprevista.
La signora Tanner le aveva riservato un’occhiata gelida quando, ben oltre l’orario concordato, le aveva riconsegnato sua figlia.
Il sole era già calato quando erano scese dalle biciclette. Lise aveva temuto più di una volta di smarrirsi tra gli alberi ma Elizabeth aveva fatto strada come se la foresta notturna per lei non avesse segreti. E quando Lise aveva visto sbucare l’Accademia, con le sue mura non più rosse, nell’oscurità, ma quasi violacee, l’ansia che provava era cresciuta ulteriormente.
Non scrivere quei nomi. Custodiscili nella tua mente. Se vogliono conoscerli hanno bisogno che tu viva.
“Vi ho fatto tenere in caldo la cena” le aveva detto la signora Tanner seccata. Spero che si renderà conto che questo imprevisto obbligherà me e mia figlia a trascorrere la notte all’Accademia.”
“È una tragedia?” le aveva chiesto Lise sarcastica. E comunque potevano sempre andarsene non appena Elizabeth avesse finito di mangiare, anche se lei non capiva davvero che bisogno avessero le insegnanti di tornarsene in città tutte le sere.
Focolare domestico? Amanti segreti? O Sabba al chiaro di luna?
Aveva scrutato la signora Tanner dalla testa ai piedi. Non era decisamente una figlia della notte. Gli elementi di cui era in possesso erano confusionari. Secondo Herkel, la Madre dei Sospiri – o lo spettro di Elena Markos – dimorava ancora all’Accademia. Questo lei lo aveva intuito da subito,. Solo che non aveva identificato l’una con l’altra.
Non è vero. Lei è viva. Altrimenti perché dovrebbe temere quei tre nomi?
“Non credo che lei abbia alcun diritto di ironizzare, signorina.”
“Mi scusi.” Ed Elizabeth taceva. D’altra parte non era da lei farsi difendere da una bambina e neppure le interessava .
“Alla mamma non piace restare qui di notte” aveva commentato infine, fulminata dallo sguardo di sua madre.
“Non dire sciocchezze. Finisci di mangiare e fai silenzio.”
Lise aveva spostato gli occhi dall’una all’altra. Interessante. Il timore della signora Tanner spiegava anche la sua reazione spropositata per quel piccolo ritardo.
Paura del buio?
“Nell’assenza di luce non c’è nulla di più di ciò che esiste sotto il sole…” Lise aveva citato a memoria una delle frasi che le ripeteva sua nonna per permetterle di dormire tranquilla. Lei aveva smesso di crederci da molto tempo, ma in quel momento le era sembrata la cosa più appropriata da dire. Davvero la signora Tanner era spaventata dalle ore notturne? Un’informazione interessante in una giornata fruttuosa.
Lise si era alzata dal tavolo della cucina, lasciando la cena a metà.
Hai bisogno di qualcuno che ti conduca per mano lungo questi corridoi?
“Io ho finito. Credo che me ne andrò a dormire. Ci vediamo domattina.”
Quando il sole sarà alto e gli uccellini canteranno soavi…
Lise non aveva affatto paura, aveva scoperto, man mano che le ore passavano e il silenzio si faceva più pesante. Nonostante tutto, nonostante i racconti di Herkel, … vecchio pazzo…, e il volere di Carol Banyon che le era giunto attraverso di lui, Lise nella notte si muoveva a suo agio.
Non aveva ancora deciso cosa fare di se stessa, almeno non coscientemente, anche se era consapevole che il suo incontro con Herkel aveva un peso.
C’erano molte altre domande che voleva fargli. Se Varelli era vivo perché le Tre Madri, … due?... non estorcevano a lui la verità? Forse si nascondeva e neppure loro riuscivano a trovarlo. E perché si era messo in contatto con lei?
Perfino un alchimista che dovrebbe essere morto e sepolto si rifiuta di lasciarmi stare.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo per il potere che ora stringeva fra le dita.
C’era un battaglia silenziosa in corso, fra le pieghe occulte del mondo la cui sorte era in mano sua.
Tre nomi.
Erano passati mesi dall’ultima volta in cui aveva indossato un vero tutù. Eppure lo aveva infilato in valigia come se dovesse andare ad esibirsi e non solo a tentare di rimettersi in piedi.
Lo specchio le restituiva l’immagine di un cigno pronto a subire la definita condanna. Alle tre di notte Lise aveva lasciato la sua stanza indossando le scarpette da punta. Non c’erano sospiri nei corridoi illuminati da applique rosse e blu. Lei le stava voltando le spalle. O forse si limitava ad osservare.
Tre nomi.
Lise era scesa nella sala blu e aveva acceso le luci. Il chiarore si era fatto lo stesso del pieno giorno. Ancora specchi a farle da monito. Ma il rossetto che stringeva nel pugno era il mezzo che le avrebbe permesso di trattare con chi fino a quel momento si era rifiutata di parlare con lei.
Lise aveva sospirato per farsi coraggio, ma il suo tentativo era andato in fumo quando dal grammofono era fuoriuscita l’ouverture del Macbeth.
Lise aveva trattenuto il fiato mentre una paura feroce e incontrollabile prendeva possesso di lei. Era quella la risposta? Provava l’impulso di scappare eppure non riusciva a muovere un muscolo. Stava battendo i denti per il panico. Doveva ritrovare il controllo, perché quella era una prova.
Va bene, va bene, va bene…
“Insegnami ad ottenere ciò che voglio…” aveva detto sorprendendosi di quanto la sua voce fosse fredda.
Un nome. Gliene sarebbero comunque restati altri due.
Io non torno indietro.
Aveva tolto il cappuccio al rossetto e prima ancora che potesse riflettere su ciò che stava facendo lo specchio sulla parete aveva visto la propria uniformità interrotta da un deciso segno color sangue


Mandy




Le mani le tremavano, le gambe minacciavano di cederle. Eppure adesso si sentiva finalmente carica di un’energia che non provava più da mesi. Avrebbe voluto ballare, lì, in quel momento, davanti a quello specchio sporco. Poteva farcela? Poteva rischiare?
“Quattro piroette…” aveva sussurrato come se fosse una gentile richiesta.
Aveva preso fiato e poi era partita,. Le sue gambe erano andate da sole, come se una forza estranea la sollevasse da terra e la facesse girare. Libera.
Era scoppiata a ridere quando infine si era fermata. Ci voleva davvero così poco?
Ancor due nomi e poi sarebbe tornata quella di un tempo.
“Sono la tua serva, Signora dei Sospiri.”
Si aspettava altro in cambio. Lo pretendeva. Lise aveva fissato la scritta per un tempo che non avrebbe saputo quantificare. Solo quando la musica era cessata all’improvviso aveva trovato la lucidità necessaria per lasciare la sala e tornare nella sua stanza, correndo quasi ad occhi chiusi e senza provare dolore.
Tic toc tic toc tic toc.
Nel cuore della città il vecchio guardiano era chino su un cucù di ciliegio. Il piccolo meccanismo era inceppato. Gli altri invece danzavano felici.
Tic toc tic toc tic toc.
Poi il cinguettio. E un altro. E un altro. E campanelli. Trilli. Suoni. Insieme, come in un concerto sgraziato.
L’uomo aveva saputo subito che il suo momento era venuto. Troppo presto. C’erano ancora alcune cose che doveva fare. Ma non ne avrebbe avuto il tempo. Ora poteva solo sperare che la principessa non si smarrisse. O forse era troppo tardi.
Il rumore gli lacerava i timpani. Suoni che aveva sempre amato ora gli facevano sanguinare le orecchie.
Lei era lì?
No, a colpirlo era qualcuno dal grande potere e dal piccolo corpo. Una bambina. La bambina che aveva incontrato quel pomeriggio in compagnia della principessa. La bambina bionda amava le bambole come le amavano tutte le bambine. E stava giocando con una bambola. Un bambola che rappresentava lui. L’uomo percepiva i suoi movimenti, nonostante fosse lontana, laggiù nella foresta.
Stizzita. A infastidirla erano gli occhi di sua madre che la fissavano. Lei, più giovane, eppure più forte della sua spaventata genitrice, fedele ma intimorita.
Una stretta al petto. Almeno gli avrebbero risparmiato una morte cruenta. O forse, semplicemente, non volevano lasciare tracce.
“Non sei neppure venuta di persona…” Aveva protestato.

Vi prego, fateli tacere…
Nostra signora dei Sospiri non lo riteneva importante. La bambina aveva colpito il fantoccio con uno spillone d’argento. L’uomo aveva sentito il sapore del sangue salirgli in gola.


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