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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The one who's never gonna learn it ***
Capitolo 2: *** The one on his first date ***
Capitolo 3: *** The one who gets his first bite mark ***
Capitolo 4: *** The one in exchange ***
Capitolo 5: *** The one in love ***
Capitolo 6: *** The one lost in pain ***
Capitolo 1 *** The one who's never gonna learn it ***
01
Le
porte aperte
dell'Istituto furono la conferma del suo sospetto.
Stava succedendo qualcosa di serio, se Hodge l'aveva contattato, e
soprattutto
se i Cacciatori avevano lasciato le porte della loro preziosa
roccaforte
spalancate in quel modo.
Magnus inspirò leggermente, serrando le labbra.
L'hai giurato, ricordi? Niente più interferenze nel
loro mondo.
Hai già visto abbastanza di come va a finire, per i mortali.
Non è il caso di replicare.
E non è te che dovrebbero chiamare, per risolvere i loro
guai.
Oh si, se lo era ripetuto più volte. Hodge aveva chiesto
aiuto per uno dei suoi
giovani allievi, rimasto ferito durante una lotta contro uno dei demoni
superiori.
Perchè lui? Perchè non chiedere aiuto ai Fratelli
Silenti?
Non lasciarti coinvolgere, come secoli fa.
Diamine, in ottocento anni, qualcosa dovresti averla imparata.
E ciò nonostante, i piedi si mossero autonomamente per farlo
entrare
nell'Istituto, silenzioso come un felino, un ciuffo di capelli corvini
che,
diversamente dagli altri, gli ricadeva penzoloni sulla fronte. Non
aveva avuto
il tempo di curarsi, come faceva ogni mattina. Non era neppure l'alba.
E Hodge
non aveva mentito riguardo al demone, perchè l'intenso odore
di sangue
demoniaco non poteva sfuggire alle sue narici.
Non lasciarti coinvolgere.
E' una storia già vissuta.
Quanto può sopravvivere un mortale al veleno di un demone
superiore?
Sei venuto ad assistere alla morte di un ragazzino, questo hai fatto.
Ottocento anni, e non hai imparato niente.
Non si accorse di star stringendo leggermente i pugni, mentre saliva le
scale
dell'Istituto, avvolto in uno spettrale quanto strano silenzio. Non che
si
fosse aspettato un comitato di benvenuto, o Hodge sulla soglia della
porta, ma
sembrava che quell'edificio a lui fin troppo familiare fosse vuoto.
Potresti sempre voltarti e andartene adesso. Non è
troppo tardi.
“Hodge,
dove diavolo
sei!! Jace! Clary!”
La voce della ragazza che aveva urlato era intrisa di terrore, oltre
che di una
certa isteria. Magus era appena arrivato sul ballatoio, quando la vide
scendere
di corsa dalle scale del piano superiore, i lunghi capelli lisci
sconvolti e
insanguinati, il viso teso in una smorfia di angoscia. Così
tanto diversa dalla
bellissima e sensuale gatta che si era presentata alla sua festa.
Così tanto simile
alla ragazzina terrorizzata che doveva essere al momento.
Una storia che conosci, no?
“...Magnus
Bane?”
Isabelle aveva messo d'istinto la mano sul pugnale nella cintola, in un
primo
momento pronta a scattare per difendersi, poi geuinamente basita. Sava
succedendo troppo, e troppo in fretta.
“L'unico e inimitabile.” Magnus avanzò
verso di lei, le mani in tasca e il
passo sicuro. “Dov'è Hodge?”
“E' quello che vorrei sapere anche io," replicò
frettoosamente Isabelle,
guardandosi in giro. Sembrava frenetica e sgraziata nei gesti.
“Non trovo nè
lui, nè Jace-nemmeno Clary, e i maledettissimi Fratelli
Silenti dovrebbero
essere già qui! Quanto tempo credono che abbia
Alec?”
Magnus
la osservò per
un momento, e gli occhi di giada si posarono sul brutto taglio che le
sfigurava
uno zigomo. Il sangue si era già incrostato, e a giudicare
dal modo in cui le
parole le uscivano cariche di angoscia, probabilmente nemmeno si
accorgeva del
dolore al viso. Gli venne del tutto spontaneo sfiorarle la guancia con
le dita,
e in pochi istanti il taglio si richiuse, pulito.
Isabelle
allargò gli
occhi, toccandosi lo zigomo. Non appena realizzò che cosa le
aveva fatto, si
avvinghiò agli avambracci di Magnus, che per riflesso
inarcò le sopracciglia.
“Devi
aiutarlo! Magnus,
per favore-”
“Devo
essermi perso il
contratto in cui è esplicitato questo mio dovere…”
Isabelle
ringhiò
qualcosa in una lingua incomprensibile, al limite della frustrazione.
“Non
mi importa se
dovrò costringerti o supplicarti, maledizione! E’ mio fratello quello che sta morendo in
quella dannata stanza, tutti
quelli che dovrebbero aiutarlo gli stanno voltando le spalle! I
Fratelli
Silenti che per un Cacciatore adolescente nemmeno si scomodano, Hodge
che è
sparito-sei l’unica speranza che mi resta, e per
l’Angelo, farò qualsiasi
dannata cosa perché
almeno tu lo aiuti!”
Magnus
rimase in
silenzio, stringendo appena gli occhi da gatto. Aveva già
visto quella
disperazione negli occhi di una donna, e non una sola volta. Aveva
già sentito
quel tono, l’arroganza che la disperazione è in
grado di darti, la prepotenza
di chi non ha più nulla da perdere, perché sta
già perdendo tutto nella persona
più cara che scivola via.
Ci
stai ricadendo.
Ti
sei ripromesso di non interferire mai più nei loro affari.
Non
dopo la rivolta. Non dopo William.
“Dov’è
tuo fratello?”
Ci
sei ufficialmente ricaduto.
Ottocento
anni di idiozia.
Isabelle
si concesse
pochi istanti di sollievo, prima di lanciarsi in una corsa sfrenata
lungo il
corridoio. Arrivò per prima nella stanza, probabilmente
l’infermeria
dell’Istituto, dato che di letti ce n’erano
parecchi, esattamente come la
collezione di vasetti e calici etichettati come pozioni curative.
Magnus la
vide chinarsi sull’unica sagoma sdraiata, e fu allora che lo
riconobbe. Era il
ragazzo dagli occhi blu che aveva visto alla festa, l’unico
del gruppetto che
avesse dimostrato un po’ di umiltà, e non
quell’arroganza tutta giovanile che
aveva letto nello sguardo del suo amico biondo.
A
chi vuoi mentire, quegli occhi ti hanno ricordato lui.
La
genetica è una gran puttana.
Soprattutto
considerando che agisce secondo una logica strana.
“Non
riusciamo a
curarlo, gli iratze non hanno
alcun
effetto, e nemmeno i soliti intrugli di Hodge,”
mormorò frenetica Isabelle,
voltandosi a guardarlo, i grandi occhi scuri velati dal panico.
Magnus
la superò,
avvicinandosi al letto dalla parte libera. Alec, questo quindi era il
nome del
ragazzo con gli occhi blu. Anche lui era irriconoscibile, rispetto alla
sera
della festa. Mortalmente pallido, il viso contratto in una smorfia di
dolore, i
capelli corvini in parte appiccicati alla fronte, in parte sparati in
tutte le
direzioni. Gli appoggiò una mano sulla fronte, per rendersi
conto della
situazione. Era ghiacciata, sotto la patina di sudore.
“Alec?”
mormorò
leggermente. “Puoi sentirmi?”
“Non
ha più ripreso
conoscenza da quando siamo arrivati qui.”
Magnus
non sollevò gli
occhi su Isabelle, non ne aveva bisogno. Poteva intuire che nel suo
sguardo ci
fossero disperazione e speranza insieme, perché
probabilmente in lui vedeva la
soluzione al problema.
Soluzione?
Quale?
Il
veleno è già arrivato al cuore, sta morendo.
E’
il veleno di un demone superiore, la magia curativa non funzionerebbe.
Ed
è debole, ferito gravemente, anche senza il veleno non
potrei scommettere che
si riprenderebbe.
Isabelle
aspettò che lo
stregone scansasse la mano, prima di riprendere la pezzuolina per
asciugare il
viso e il collo del fratello. Era sui carboni ardenti, come se temesse
che
dandogli fretta, Magnus si sarebbe rifiutato di guarirlo.
Dille
la verità. Suo fratello morirà.
Non
può farcela.
Magnus
inspirò a fondo,
serrando le mascelle. L’immagine di Alec alla festa gli era
appena tornata in
mente. I suoi occhi blu onesti, così diversi da quelli di
Gideon e Gabriel.
Così umili, semplici, ripuliti da ogni forma di arroganza a
cui ormai era
abituato. Una qualità di blu così terribilmente
simile a quella di Will, eppure
più pacati. Lo sguardo semplice di un ragazzo che era
arrossito ad un
complimento, e aveva abbassato gli occhi sentendo parlare del male
compiuto dai
suoi predecessori.
Si
può morire a diciott’anni? Con il mondo intero che
non aspetta che te?
E’
la loro legge, la venerano tanto. Sacrificano i loro figli a queste
stronzate.
Non
c’è niente che tu possa fare per cambiare questa
follia.
“Magnus?”
“Esci
dalla stanza, e
chiudi la porta.”
Nota
personale: niente più inutili giuramenti che tanto
infrangerai comunque.
Sobrio
o ubriaco che sia.
Isabelle
esitò, come se
le risultasse difficile anche solo l’idea di lasciare il
fratello, ma non osò
replicare. Girò sui tacchi e obbedì, chiudendosi
la porta alle spalle con un
rumore netto.
“Mi
devi un favore,
Alec Lightwood…” mormorò piano Magnus,
mentre si liberava dalla giacca viola
acceso, lasciandola cadere sulla sedia poco distante. Guardò
ancora una volta
il ragazzo, scansandogli i capelli dalla fronte, accarezzandogliela.
“…e io non
sono uno che dimentica i propri crediti. Quindi, vedi di sopravvivere
abbastanza da ripagarmi.”
Alec
non replicò né si
mosse, il respiro ridotto ad un rantolo terribilmente lento e appena
percepibile. Era questione di minuti. Magnus inspirò a fondo
e chiuse gli
occhi, posando entrambe le mani sul suo petto. Sussurrò
alcune parole che i
mortali non avrebbero saputo distinguere, perché non era una
lingua del loro
mondo, e percepì l’energia fluirgli attraverso le
vene fino alle dita. Ma non
era abbastanza, non per Alec, che stava per essere sconfitto dal veleno
del
demone. Le parole mutarono ritmo e intensità, e la lingua
divenne quella ancora
meno nota, una lingua che lui per primo avrebbe pagato pur di non
conoscere. La
lingua dei demoni. La lingua di suo padre. Magnus Bane stava per
intingere il piede nel lago maledetto della magia nera, per un
Cacciatore
adolescente che neppure conosceva.
A
dopo l’ironia della cosa, eh.
Quella
specie di mantra
che continuava a ripetere era diverso dalle solite magie curatrici a
cui era
abituato. Sentì nettamente l’energia triplicarsi,
scorrere insieme al sangue
come fosse una linfa maledettamente vitale, quasi avesse una voce
suadente
tutta sua che gli ricordava quanto le sue origini gli avrebbero
concesso, se
solo lui si fosse concesso a loro. Magnus restò concentrato,
cercando di
focalizzare solo su Alec. Sul modo in cui lo aveva guardato mentre si
parlava
della rivolta. Sul rossore tenero che gli aveva colorato le guance
pallide,
quando gli aveva lanciato l’invito a fine festa. Un ragazzo,
era solo un ragazzo. Non poteva
morire. Non doveva morire. Il
mantra divenne più
frenetico, le parole pronunciate più in fretta, e Magnus
avvertì distintamente
la sensazione di poter sfiorare il veleno quasi fosse una sorta di
corda, un
serpente che stava iniziando a danzare ai suoi ordini. Perse la
cognizione del
tempo, perché non seppe mai realmente quanto ci
impiegò, ma alla fine il
serpente scuro si piegò al suo volere, dissolvendosi in una
nuvola nera in
mezzo a scintille rosse come il fuoco.
Magnus
socchiuse gli
occhi, sbattendoli un paio di volte prima di riaprirli del tutto. Si
scansò un
velo di sudore dalla fronte, sbuffando fuori l’aria, e per un
momento
sentì le
forze vacillare.
Era
un po’ che non mettevi mano a questa magia, mh?
Un po’ fuori esercizio.
Alec
era ancora
immobile, sul letto. Ad eccezione di un debole singulto, non sembrava
fosse
cambiato nulla. Ora il suo corpo era tornato libero dal veleno del
demone, ma
le ferite gravi erano ancora tutte lì. Magnus si
chinò su di lui, prendendogli
il viso fra le mani, portandogli le dita alle tempie.
“Sono
abbastanza sicuro
che tu possa sentirmi, perciò ascoltami
bene…” gli sussurrò. “Adesso
dobbiamo
lottare insieme, d’accordo? Non puoi pretendere che faccia
tutto io. Sto anche
lavorando gratis, per cui sei doppiamente tenuto a fare la tua parte.
Sono stato
chiaro, Alec Lightwood?”
Non
ti arrendere.
Non
adesso.
Hai
tutta la vita davanti, maledizione.
~
* ~*~
Isabelle
si stava
torcendo le dita, seduta per terra come quando era piccola, le
ginocchia
strette al petto e la schiena appoggiata al muro, davanti a quella
porta che
continuava ad essere chiusa da ore. Jace non era tornato, e neppure
Hodge.
Nessuno dei Fratelli Silenti si era scomodato, e Magnus Bane era chiuso
nell’infermeria da oltre due ore. Aveva provato a contattare
il Circolo, ma non
era servito a nulla. Avrebbe dato metà della sua vita
perché su quel letto ci
fosse stata lei, e non suo fratello. Alec avrebbe saputo cosa fare,
come
comportarsi, a chi rivolgersi. Lei al momento si sentiva
così maledettamente
insicura, fragile, travolta dal terrore. Non era pronta a perdere suo
fratello.
E non riusciva a capire come Jace e Hodge li avessero lasciati in
quelle
condizioni, sebbene in quanto Cacciatrice, il sospetto che fosse
successo
qualcosa di grave si stava insinuando prepotente nel fiume di pensieri
rivolti
a suo fratello. Si scansò i capelli dal viso, asciugandosi
una lacrima tardiva
con nervosismo, tirando su col naso. Non riusciva neppure a sentire il
dolore
fisico dei colpi presi da Abbandon, o meglio, era grata ad ogni livido
che con
quella fitta la faceva sentire ancora viva, ancora con i piedi per
terra.
Doveva riprendersi la lucidità, rialzarsi, riprovare con il
Circolo. Doveva
semplicemente rimettersi in piedi, da guerriera, come sempre. Ma da
sola,
questa volta. Senza i suoi fratelli. Si stava alzando lentamente, come
se le
pesasse, ma quando vide la porta socchiudersi scattò in
piedi, il respiro mozzo
in gola.
Magnus
aveva lo stesso
aspetto di quando era arrivato, apparentemente distaccato, tranquillo,
sebbene
il colorito olivastro fosse un po’ più pallido di
prima. Lasciò la porta
socchiusa alle sue spalle, incrociando le braccia al petto.
“Siete
abituati così,
voi?” le domandò, placido. “Sono quasi
le sette, e non c’è l’ombra di un
caffè.
Dopo la sveglia che mi avete dato, ce ne vorrebbe un pentolone, non
credi?”
“Alec?”
“E’
vivo,” rispose
Magnus, e il tono scherzoso scemò in uno più
serio. Rimase appoggiato con la
spalla alla soglia della porta, le braccia incrociate al petto,
l’aria almeno
in apparenza tranquilla. “Ma se vuoi che ti dica che
è fuori pericolo, mi
dispiace ma non ne ho la certezza. Non ancora. Le sue ferite erano
molto gravi,
è già un miracolo che abbia resistito
tanto.”
Isabelle
si morse le
labbra, cercando di trattenersi.
“Voglio
andare da lui.”
Magnus
la osservò per
un interminabile momento. Isabelle Lightwood era una ragazzina.
Probabilmente
un’ottima Cacciatrice, ma anche e soprattutto una ragazzina
spaventata. E sola,
al momento. Perché Hodge, almeno all’apparenza, si
era volatilizzato con uno
dei suoi allievi in fin di vita, e non era rimasto nessuno a tenerle la
mano
durante quelle ore di attesa.
In
poche parole, stai avendo pena di lei.
Andiamo
bene.
“A
questo punto,
madamigella, procederei per ordine di priorità. Per cui
partiamo dal mio
ettolitro di caffè. Poi torni qui, ti lasci sistemare, dal
momento che non
sarebbe molto utile che tuo fratello ti vedesse ridotta
così, e poi forse
sarebbe il caso di capire che fine ha fatto Hodge.”
“Devo-devo
ricontattare
il Circolo. Non riesco a raggiungere né lui né
Jace, se riesco a dare
l’allarme, o almeno a raggiungere i miei genitori- ”
“Vedi,
ce ne sono di
cose da fare,” Magnus le rivolse un sorrisetto sghembo.
“Dopo il mio caffè,
naturalmente.”
Isabelle
serrò le
labbra, mordendosele con forza. Avrebbe voluto mandare al diavolo lui,
il suo
caffè e la sua gelatina glitterante, ma quell’uomo
aveva probabilmente salvato
la vita di Alec. E ora come ora, era l’unico riferimento in
un momento in cui
sarebbe stata completamente sola. Inghiottì la risposta,
dunque, e con un
sospiro stizzito si diresse verso le scale.
Magnus
aspettò che si
fosse allontanata, prima di staccarsi dal muro e tornare verso
nell’infermeria.
Era molto meno buia, ora che la luce filtrava dal finestrone al lato
della
stanza. Era ancora immersa in un silenzio irreale, sebbene ora fosse
spezzato
dal respiro ansante di Alec. Magnus si sedette sul bordo del letto
accanto a
lui, osservandolo per un momento. Per quanto ancora sofferente, ora
sembrava
molto più vivo di quando aveva iniziato a curarlo. Il viso
mortalmente pallido adesso
era più colorito, il battito era più regolare, il
respiro meno debole. Gli
aveva saldato le ossa e richiuso ogni ferita, sebbene quelle alla gamba
e i
morsi al petto avessero avuto bisogno di un bendaggio, esattamente come
la
tempia, ancora livida per il colpo preso. La magia curativa aveva fatto
il suo
dovere, ora toccava a lui resistere e riprendersi. E il suo corpo stava
lottando, a giudicare dalla febbre alta che non sembrava dargli tregua.
Continuava ad agitarsi nel letto, mugugnando qualcosa di poco chiaro,
stringendo la coperta con forza nel pugno. Magnus avrebbe voluto
alleviargli
quella pena, pronunciare un incantesimo che gli riportasse la
temperatura ai
livelli normali, ma quel ragazzo non era più in condizioni
di reggere altri
incantesimi, non dopo aver sopportato magia oscura, veleno di un demone
superiore e ferite mortali, tutto insieme in poche ore.
Non
posso aiutarti di più, Alec.
Devi
farcela da te.
“Shh…”
Alec biascicò
qualcosa di poco chiaro, e Magnus si sporse ad accarezzargli la tempia
sana con
il dorso delle dita. “Ti manca davvero poco, sai. Devi solo
resistere ancora un
po’. Presto starai meglio.”
Alec
singultò
bruscamente, socchiudendo gli occhi. Li spostò su Magnus,
senza veramente
vederlo, ma guardando nella sua direzione. La mano che stringeva il
lenzuolo si
serrò disperatamente attorno al suo polso, mentre
inghiottiva un singulto,
sforzandosi di parlare.
“Is-Isabelle…
e Jace…
in p-pericolo…”
“Stanno
bene, tutti e
due” replicò pacato Magnus, continuando ad
accarezzargli la tempia e la guancia
madide di sudore.
Tu
stai facendo a cazzotti con la morte, e ti preoccupi per loro.
“…d-demone…”
“Spedito
in vacanza da
un Cacciatore con un gran bel sedere,” gli rispose Magnus,
sorridendo appena. Scrollò
leggermente le dita, e la pezzuolina con cui gli aveva ripulito le
ferite tornò
completamente linda, umida di acqua fresca. La usò per
rinfrescargli la fronte,
accarezzandogli con insolita dolcezza il viso.
“Andrà tutto bene, Alec. Puoi
fidarti.”
Alec
sbattè leggermente
gli occhi, guardandolo. Mormorò qualcosa, ma aveva la voce
impastata e forse
non aveva neppure pronunciato qualcosa di sensato. Richiuse gli occhi,
cercando
col viso quella sensazione di fresco che avvertiva grazie alle carezze,
e inspirò
più a fondo, senza lasciare la presa sul polso dello
stregone. Magnus non osò
scrollarsi quella mano di dosso, né ammettere a se stesso
quanto quella
situazione lo stesse coinvolgendo. Alec Lightwood non poteva morire,
doveva
poter riaprire quegli occhi incredibilmente blu e godersi la vita.
Doveva
semplicemente farcela, perché lo meritava molto
più di tanta gente che in
ottocento anni gli era capitata davanti. Perché sarebbe
diventato un grande
Cacciatore, e non nel senso guerriero del termine. Aveva dimostrato di
avere il
cuore al posto giusto, cosa tutto fuorchè scontata in uno
della sua razza.
Forza
e coraggio, Alec.
Sei
arrivato. Ti manca solo lo sprint finale.
Scommetto
su di te.
~*~*~
Isabelle
non riusciva a
contenere il sorriso, seduta sul letto del fratello, mentre gli
accarezzava il
viso umido con la pezzuolina. Dopo ore di ansia e angoscia, finalmente
poteva
tirare un sospiro di sollievo. Alec riposava tranquillo, il respiro
regolare,
il battito più stabile, il viso ancora pallido ma non
più arrossato dalla
febbre violenta, che era andata via da sola. Le sembrava quasi irreale
ammetterlo ad alta voce, ma finalmente suo fratello era fuori pericolo.
Non osò
dire nulla, mentre Magnus posava la mano sulla sua fronte, controllando
probabilmente per l’ultima volta le sue condizioni.
“Direi
che è come nuovo.
Più o meno.” Magnus piegò le labbra in
un sorriso sghembo, senza nascondere una
certa fierezza. Spostò la mano dalla fronte di Alec,
accarezzandogli la tempia
un’ultima volta, prima di infilare entrambe le mani nelle
tasche. “Le
fasciature che gli ho lasciato, sarà meglio che le tenga
fino alla fine della
settimana. Cambiale una volta al giorno, vedrai che le ferite
cicatrizzeranno
abbastanza in fretta, nonostante tutto.”
“Ricevuto,”
Isabelle
annuì, mettendo via la pezzuolina. “Non so come
avrei fatto se non ci fossi
stato tu.”
Magnus
scrollò le
spalle. “Avresti preparato un caffè meno
forte.”
Isabelle
alzò gli occhi
al cielo, senza impedirsi un mezzo sorriso. C’era ancora da
capire dove fossero
Jace e Hodge, ma era riuscita a sentire sua madre ed avvertirla. Alec
era fuori
pericolo. Sentiva di essere tornata in sé, nel pieno delle
sue capacità di
Cacciatrice, lucida e razionale. E pronta a fare il sedere di Jace a
stelle e
strisce per essere scomparso senza avvertirla.
Magnus
inclinò il capo,
accarezzando con lo sguardo Alec. Il suo sonno era finalmente
tranquillo, e gli
faceva venire una gran voglia di sdraiarsi accanto a lui, e aspettare
il suo
risveglio giocherellando con quei capelli tanto spettinati, o
sfiorandogli con
le dita le labbra piene, per il solo gusto di vederlo arrossire
nell’istante in
cui avesse riaperto gli occhi.
Forse
è arrivato il momento di andare, mh?
Decisamente.
Con
aria del tutto
tranquilla e naturale, raccolse la giacca viola dalla sedia su cui
l’aveva
lanciata, infilandosela. “Bene, se non ci sono altri fuori
programma…” si
sistemò meglio il colletto, infilando le mani nelle tasche
dei jeans. “…posso
tornare ai miei affari.”
Isabelle
si alzò in
piedi, umettandosi le labbra. “Magnus… grazie.
Grazie davvero.”
“A
buon rendere,
Isabelle.” Lo stregone scrollò una spalla,
pizzicandole il mento, prima di
dirigersi verso l’uscita.
“Magnus,
aspetta!”
“Devo
curare anche il
gatto, o posso andare?”
“Come
facevi a sapere…
chi ti ha detto di venire?” Isabelle inclinò il
capo, accigliandosi. “Alec ti
deve la vita, e non sappiamo nemmeno perché tu fossi
qui.”
Magnus
schioccò le
labbra, con un mezzo sorriso. Quella si che era una buona domanda.
Hodge lo
aveva chiamato, ma l’aveva deciso lui di venire. Oh si. Di
restare, di lottare
assieme a quel ragazzo, di aspettare che fosse fuori pericolo, tutte
scelte
sue.
Già,
perché eri qui?
Per farti di nuovo trascinare nei loro casini?
Non
le rispose, se non
con un cenno di saluto, prima di uscire dalla stanza e in pochi passi,
dall’Istituto.
Almeno
lo sai, si, di aver fatto una cazzata?
Forse.
O forse no.
Come
si dice… il tempo è galantuomo, e
svelerà quel che c’è da svelare.
Qualsiasi
cosa sia.
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Capitolo 2 *** The one on his first date ***
Tutto
ciò aveva
dell’ironico.
Alec
aveva affrontato
battaglie ben più grandi della sua età, e stare
dietro a Jace significava anche
mettersi in costante pericolo per il puro gusto
di farlo, ammesso che di gusto si
potesse parlare. E mai, in una di queste occasioni, si era ritrovato a
maledire
i palmi delle sue mani… perché sudaticci e
malfermi.
Camminava
– o meglio,
zoppicava – per la strade di Brooklyn da qualche decina di
minuti, sicuro di
non essere in ritardo ma non volendo neppure presentarsi in anticipo.
Nascondeva le mani sudate con ostinazione nelle tasche del giubotto, i
capelli
corvini spettinati dal vento, i grandi occhi blu che al solito
spiccavano
nettamente sul colorito pallido. Il maglione che indossava li metteva
ancora
più in evidenza, maglione che, ovviamente, per
puro caso una totalmente
inconsapevole Isabelle aveva fatto trovare sul letto del
fratello.
Tutto
questo è assurdo.
Jace
mi darebbe della mondana tredicenne.
…e
si era detto niente Jace stasera, quindi no.
Me
lo dico da solo, il che è anche peggio.
Probabilmente
ci avrà già ripensato, oltretutto.
Ecco,
quel pensiero se
da un lato gli lasciò una stretta amara alla bocca dello
stomaco, dall’altro lo
incoraggiò a procedere alla volta della casa di Magnus. Di
sicuro uno come lui,
per giunta con la sua fama e la sua storia, non si sarebbe presentato a
un
appuntamento smozzicato a fil di voce da un ragazzino incasinato come
lui. Si,
Alec era abbastanza certo che Magnus non si sarebbe presentato al loro
appuntamento.
Il
che gli fece tornare
l’onnipresente smorfia corrucciata, e le mani asciutte in
pochi istanti.
E
mi ci sono anche illus-
“Alexander?”
La
voce divertita gli
fece spalancare gli occhi, e in quel momento Alec realizzò
che aveva superato
il portone di casa Bane, procedendo senza pensare verso la fine del
marciapiede. Si voltò, il viso ancora più
pallido, e riconobbe immediatamente
il divertimento nello sguardo felino di Magnus, che lo stava osservando
con la
testa inclinata.
“Ahm…”
Magnus
curvò le labbra
in un sorrisetto storto, incrociando le braccia al petto. “Ti
avrei anche
salutato, quando mi sei passato davanti stile metropolitana, ma non
volevo
interrompere il flusso di coscienza.”
“Io,
uhm…” Alec
arrossì, passandosi la mano sulla nuca e sentendosi
profondamente idiota. E
ovviamente, le mani erano tornate a sudare. “Scusa, ero
sovrappensiero e non mi
sono accorto di essere arrivato.”
Non
solo è venuto.
Ci
ho anche fatto una figura pessima.
Fantastico.
E’ così che si inizia un degno primo appuntamento.
Magnus
sembrò leggergli
nel pensiero, perché il suo sorriso si sciolse in una
smorfietta divertita, ma
benevola. “La classica ansia da prestazione del primo
appuntamento, Alec, non
la scampa nessuno. Tranne me, ovviamente.”
Sempre
più rosso, Alec
accennò un sorriso, prendendosi qualche istante per
osservare lo stregone. I
capelli scuri erano ovviamente cosparsi di una gelatina glitterata che
li
teneva su, in una sorta di cresta, che tutto sommato calzava bene con i
jeans
di pelle di drago e la giacca bianca. Magnus aveva un suo stile,
probabilmente
discutibile, ma una cosa non si poteva negare: che gli stesse non bene,
ma di
più.
“Mi
fa piacere che ti
piaccia quello che vedi.”
Alec
arrossì
furiosamente, affrettandosi a scuotere la testa. “Ehi, non
è che ti stessi
fiss-”
Non
riuscì a finire la
frase, comunque, perché Magnus si avvicinò e lo
baciò, le labbra ancora piegate
in un sorriso. Non approfondì il contatto, per quanto il
profumo del ragazzo e
della sua pelle lo richiedessero a gran voce, ma si limitò
ad un bacio a stampo
che si concluse in pochi istanti.
“Regola
numero uno dei
primi appuntamenti,” gli disse, tornando a guardarlo
sornione. “Si è
autorizzati a fissare e apprezzare la controparte.”
Alec
bofonchiò qualcosa
di poco chiaro in risposta, ma non c’era molto da obiettare.
Non con il sapore
di Magnus sulle labbra, e la sensazione di pizzicore al cuore che
richiedeva di
più. Rabbrividì quando sentì la mano
dello stregone sulla propria schiena,
mentre gli faceva cenno in direzione dell’incrocio davanti a
loro.
“Non
so tu, ma stasera
ho voglia di cibo italiano. C’è un posticino
abbastanza buono a cinque isolati
da qua, che ne dici?”
“Per
me va benissimo,”
Alec inspirò appena, infilando le mani di nuovo nelle tasche
del giubotto. “Non
sono mai stato in un ristorante italiano.”
“E’
una delle mie
cucine preferite.” Magnus sorrise largamente, e ad Alec non
sfuggì quanto fosse
luminoso quel viso, con quell’espressione divertita e
tranquilla. “Sarà che amo
l’Italia in generale. Ci sei mai stato?”
Alec
scosse la testa,
camminando. “No, conosco solamente Idris e New
York.”
Magnus
strabuzzò gli
occhi. “Dici davvero?”
Alec
fece spallucce.
“Beh, non abbiamo molto tempo per viaggiare, quando studiamo,
intendo. Fino a
sedici anni, fra teoria e pratica, abbiamo un casino di materie
da-”
“E
io resterò sempre
dell’idea che troppo studio nuoce gravemente alla
salute,” rispose rilassato
Magnus. “Il mondo è pieno di luoghi interessanti,
magici anche senza la magia
per come la conosciamo noi. E meritano tutti di essere visti e
vissuti.”
“Hai
girato il mondo?”
“Non
abbastanza. Ma
qualcosina l’ho vista.”
“Tutto
considerato,
potresti partire in qualsiasi momento con uno zaino e la tua
magia… insomma,
non ti mancherebbe niente, no?”
Magnus
inarcò appena le
sopracciglia, e per un momento rimase chiuso in un enigmatico silenzio,
prima
di increspare le labbra in una smorfia vispa. “Chi lo sa. Ma
prendo per buono
il tuo suggerimento, la mia prossima vacanza sarà un giro
intorno al mondo con
uno zaino in spalla.”
~*~*~
Ed
ecco la seconda cosa
che stava facendo ricredere Alec su Brooklyn: il ristorante italiano
aveva una
cucina più che buona, Magnus aveva scelto i piatti migliori,
quelli che già
aveva assaggiato e qualche novità, e già da un
po’ il loro tavolo si era
trasformato in un trionfo di manicaretti dai colori accesi, un piatto
in legno
ricoperto di fritturine miste troneggiante al centro.
“Adesso
hai capito
perché sono di casa, qui?”
“Diamine,
mi meraviglio
del fatto che non hai ancora sequestrato il cuoco!”
Magnus
ridacchiò,
assaporando a piccoli morsi un bocconcino di mozzarella.
“L’idea mi ha
sfiorato, una volta o due,” gli rispose, guardandolo
divertito. “Ma non credo
che il Presidente gradirebbe.”
Alec
inghiottì la sua
cucchiaiata di ravioli freschi, osservando le altre portate con la
semplicità e
l’avidità di un ragazzino, strappando un sorriso a
Magnus.
“Jace
mi ucciderebbe,
se sapesse che conosco un posto dove si mangia tanto bene, e non ne
abbiamo mai
approfittato in assenza di mia madre.”
Sentendosi
osservato
dagli occhi da gatto di Magnus, Alec alzò lo sguardo per
incontrarli. Sembrava
incuriosito, e al tempo stesso disposto a lasciargli scegliere quanto
rivelare
di sé.
“Mia
madre e mio padre
non sono ancora tornati, e in genere è mia madre a cucinare.
Izzy è incapace,
anche se le diamo atto che si impegna. Ma in genere quando lei si
avvicina ai
fornelli, noi abbiamo il tacito accordo di uscire a procacciarci cibo
commestibile
come piano B.”
Magnus
increspò le
labbra e rise leggermente, rilassandosi contro lo schienale della
sedia, e Alec
non potè fare a meno di notare che aveva davvero un bel
suono, la sua risata. La
tensione di poco prima era scemata in gran parte, ora si sentiva
più a suo
agio. Non che fosse questo gran chiacchierone, insomma, ma almeno aveva
smesso
di sentire la lingua appiccicata al palato.
“La
dura vita da
giovani Cacciatori,” esclamò Magnus, portandosi il
dorso di una mano alla
fronte e ridendo piano. Scrollò una spalla, prendendo con le
dita una delle
fritturine dal piatto di legno. “Non smetterò mai
di pensare che voi ragazzi
siete tutto lavoro, e niente spasso.”
“Ne
hai conosciuti
parecchi di Nephilim?”
“Anche
troppi, oserei
dire.”
“Quanti
anni hai?”
“Non
lo sai che non si
chiede l’età, né alle signore
né agli stregoni?” Magnus gli rivolse un sorriso
sfacciato, inghiottendo il boccone e facendo un cenno vago con la mano.
“Più o
meno, trecento. Diciamo che non sono così interessato a
tenere il conto.”
“Wow”
Alec inarcò le
sopracciglia, contenendo un’esclamazione stupita. “Deve essere
strano.”
“Avere
trecento anni?”
“Aver
visto il mondo
cambiare per tanto tempo,” Alec inclinò appena il
capo, guardandolo pensieroso.
“Assistere a tutti i cambiamenti che ci sono stati. Nel
nostro mondo, fra i
mondani…”
Per
qualche istante,
Magnus rimase in silenzio. Alla fine si limitò a fare
spallucce, prendendo un
pezzetto di pane. “E’ molto meno appariscente di
quanto immagini, Alec. E’ come
vedere un figlio che da bambino, diventa adulto. E commette sempre gli
stessi
errori, bambino o adulto che sia.”
Alec
non rispose. Non
avrebbe saputo cosa dire, non era il Jace della situazione lui, ma
aveva
percepito tanto dietro quelle parole apparentemente mormorate a caso.
Magnus
probabilmente voleva apparire come il classico menefreghista, ma gli
era
sembrato di percepire qualcosa nel suo tono. Quasi una certa triste
nostalgia.
In
trecento anni, avrà avuto anche più di una storia
seria.
Hai
mai perso qualcuno che amavi?
…domanda
da mondana tredicenne, vero Jace?
“Ti
perdi spesso a
pensare, tu?”
Alec
arrossì
furiosamente. “No, non… stavo solo-”
“Pensando?”
Magnus
ridacchiò, facendogli un occhiolino. “E’
un difetto di chiunque non abbia avuto
una sana infanzia di videogiochi.”
“…come?”
“…non
dirmi. Non hai
mai giocato-non ci credo!”
Magnus
trabuzzò gli occhi, scuotendo la testa come fosse sdegnato
al solo pensiero.
“Mai abbattuto un aeroplanino a colpi di fucile?”
Alec
scrollò il capo,
grattandosi una tempia. “E’ come decapitare demoni,
no?”
“Ci
mancherebbe, è
molto meglio! Ho capito, ci penso io. Appena finiamo di mangiare,
andiamo a
casa mia e ti faccio vedere cosa intendo. E non ho intenzione di
morderti, non
ancora, almeno, quindi non c’è bisogno che mi
diventi un peperone.”
Inutile
anche dirlo,
Alec arrossì e brontolò qualcosa, fissando il suo
piatto quasi vuoto.
~*~*~
Il
primo pensiero di
Alec nel vedere quella specie di affare con cui stava trafficando
Magnus di
fronte alla televisione, era stato quanto dovesse essersi affezionato
ai
mondani nel corso di quei lunghi trecento anni. Il secondo pensiero,
dedicato
alla sua posizione china con il sedere bene in vista, era stato
prontamente
soffocato dal consueto rossore sulle guance. Il terzo pensiero,
arrivato dopo
il controller dell’affare infernale e la spiegazione sulle
regole del gioco,
era stato molto più tipico di Alexander Lightwood.
“I
mondani desiderano
davvero fare la guerra, se insegnano questo ai loro figli,”
mormorò poco
convinto, premendo a ripetizione i tasti per evitare gli attacchi del
fantoccio
mosso da Magnus.
Non
avete mai provato che significa usarla davvero, una spada come quella?
Non è divertente, è un compito ed è
una cosa seria.
A
meno che non siate tutti replicanti di Jace.
E
la cosa sarebbe seriamente inquietante.
“Tutta
questa serietà
perché ti sto facendo il culetto a stelle e strisce,
Alexander?” Magnus
arricciò gli occhi felini in una smorfietta furba e
divertita, intensificando
gli attacchi del suo guerriero. Poche mosse, e il fucile a raggi laser
del suo
fantoccio abbattè senza pietà quello di Alec,
facendolo esplodere in
un’esultanza con tanto di ballettino improvvisato.
“Si,
ti ci vorrei
vedere dal vivo, a te e questi affari.” brontolò
Alec, vagamente arrossito più
per lo sculettare di Magnus che non per la sconfitta in sé.
Quando gli sedette
di nuovo accanto, fece una smorfia e gli porse il controller.
“Sul serio, i
ragazzini mondani giocano così?”
“Mh,
non fare tanto lo
sdegnoso, tesoro” Magnus si sedette più che comodo
sul divano, facendogli una
carezza alla guancia col dorso della mano. “Voi figli dell’Angelo, non mi pare
che scherziate. A che età iniziano
ad addestrarvi, ricordami un po’?”
“Ma
è diverso, noi
abbiamo… è il nostro dovere, siamo nati per
questo” replicò Alec, il tono serio
e deciso, ma non duro o saccente. “Ci addestriamo fin da
piccoli perché i
demoni non fanno differenza fra adulti e bambini, dobbiamo poterci
difendere.
Ma questo…”
“Si?”
Alec
si mordicchiò le
labbra. “Non voglio offendere nessuno, ma è come
insegnare che la violenza è
l’unico divertimento, ecco tutto.”
Magnus
non rispose, si
limitò a guardarlo negli occhi per un lungo momento, lungo
abbastanza perché
Alec avvampasse di nuovo. Erano così vicini che il suo
profumo gli invadeva le
narici, una fragranza esotica, piacevole. E quando le lunghe dita
affusolate presero
a giocherellare con i capelli alla base della sua nuca, Alec si
trattenne dal
socchiudere gli occhi.
“Sei
così… unico nel
tuo genere,” mormorò Magnus, continuando ad
accarezzarlo con lo sguardo e le
dita. “Sono molto più abituato a Cacciatori come
il tuo amico Jace, o tua
sorella.”
Alec
deglutì, senza
osare sottrarsi alla piacevole tortura sulla nuca. Era abbastanza certo
di
avere la pelle d’oca. “E’…
negativo?”
Magnus
sorrise e scosse
la testa. “Al contrario.”
I
brividi si
moltiplicarono nell’istante in cui la mano libera di Magnus
risalì lungo il suo
fianco, infilandosi sotto il maglione per accarezzarlo direttamente, e
Alec si
morse appena le labbra, senza distogliere lo sguardo. Potè
giurare di aver
letto qualcosa di indefinibile nello sguardo di Magnus, ma
dimenticò tutto
nell’istante in cui sentì di nuovo le sue labbra
sulle proprie. Fu un po’ come
prendere fuoco, sentire tutto il corpo prendere vita ovunque quelle
mani
affusolate scorressero esperte. Nessun gesto era lasciato al caso,
qualsiasi
movimento del corpo di Magnus, delle sue labbra, gli stavano suscitando
sensazioni che non aveva mai provato prima. Rispose al bacio con
l’irruenza
dell’inesperienza, una mano avvinghiata ai suoi capelli,
l’altra più ardita si
fece strada sulla schiena dello stregone, infilandosi sotto la maglia
viola.
Magnus emise un sospiro di piacere contro le sue labbra, stringendolo
di più a
sé. Quando si ritrasse dal bacio, Alec si morse le labbra
per non lamentarsi ad
alta voce, anche se non potè trattenere il gemito
successivo, quando le labbra
di Magnus presero ad attaccare una porzione del suo collo proprio sotto
l’orecchio, accanendosi in una dolce tortura.
Il
tempo si prolungò in
un un lungo istante di fuoco, e Alec non realizzò che era il
suo il respiro leggermente
affannoso che riempiva l’aria, non finchè
sentì le labbra di Magnus sfiorare
nuovamente le proprie in un bacio più lento, lungo, e poi fu
la volta del suo
indice, che gli sfiorò le labbra piene altrettanto
lentamente.
“Tu
nemmeno puoi
immaginare quanto ti desideri in questo momento,” gli
mormorò all’orecchio
Magnus, e solo un attimo dopo, pigiandogli appena le labbra, si fece
indietro.
Alec
sbattè gli occhi,
cercando di recuperare la lucidità. Ok che non aveva
esperienza in materia, ma
dopo tutto quello e quelle parole,
perché Magnus si era allontanato sul divano? Lo
guardò confuso, accigliandosi.
Ho
fatto qualcosa di sbagliato…?
Magnus
sembrava
rilassato e tranquillo, sebbene il suo sguardo tradisse tutto il suo
tumultuoso
desiderio. Sorrise leggermente, appoggiando la guancia ad una mano,
senza
smettere di fissarlo. “Da quanto tempo sei innamorato di
Jace?”
Alec
rimase senza fiato
per un paio di secondi. Socchiuse le labbra, cercando di pensare ad una
risposta logica, ma le parole lo stavano fregando più del
solito. Sentiva
ancora troppo forte ogni sensazione di qualche istante prima, per di
più quello
era l’argomento tabù
della sua vita,
più ancora del suo stesso essere gay.
Ma
come-come diavolo lo sa?
Gliel’ha detto Clary.
Lo
sapevo.
Avrei
dovuto-
“Lo
stai facendo di
nuovo,” canticchiò Magnus, ridendo e
appoggiandogli una mano sul ginocchio.
“Rilassati, Alexander. Non voglio metterti in
difficoltà. Nessuno mi ha detto
nulla, se te lo stai chiedendo. Sono un buon osservatore.”
Alec
si morse le
labbra, abbassando lo sguardo. Non sapeva davvero cosa rispondergli.
Anche
perché quel discorso proprio in quel momento…
Ma
certo.
Pensa
che io sia qui solo perché voglio vedere cosa si prova.
“Ascolta,
se-se pensi
che io sia venuto qui stasera per… non volevo prendermi
gioco di te, n-”
La
risata di Magnus lo
interruppe, e Alec lo fissò confuso. Non era scherno,
sembrava davvero
divertito.
“Tesoro,
ti assicuro
che non è facile prendermi in giro,
mi vanto di non lasciar accadere mai niente che non voglio.”
Il sorrisetto
sghembo di Magnus non vacillò, neppure quando
sfiorò con la punta delle dita
una runa che spuntava dal colletto del maglione di Alec, strappando un
brivido
a entrambi. “Mi chiedo solo… vuoi
dimenticarlo?”
Alec
deglutì,
inspirando profondamente. “Tra me e lui non potrà
mai esserci niente.”
Se
solo sapesse…
No,
per carità.
“Mh.”
Magnus continuò a
giocherellare con le dita lungo la runa sul collo di Alec, guardandolo.
“Dunque
io sarei la seconda scelta…?”
“No,”
Alec scosse la
testa, gli occhi blu, se possibile, di un colore ancora più
intenso del solito.
“Io non-non so cosa sei, o siamo,
non
so nemmeno che sta succedendo qui. Ma non…”
Non
sei una seconda scelta, ok?
Magnus
tornò ad
avvicinarsi, posandogli una mano sulla guancia. Gli
accarezzò lo zigomo col
pollice, senza smettere di guardarlo negli occhi.
“Ehi,” sussurrò. “Non
c’è
bisogno di dare un nome a tutto questo. Tutto ciò che ti
chiedo… voglio solo
sapere, Alec, se davvero sei disposto… un passetto alla
volta… a lasciarti alle
spalle il suo amore per lui.”
Alec
si morse le
labbra, accigliandosi appena.
Jace?
Lui è tutto ciò che io non potrò mai
avere.
Non
lo può nemmeno sapere.
“Non
ho fretta, ti
posso aspettare” continuò lo stregone, sorridendo
appena e passandogli il
pollice sulle labbra. “Posso anche aiutarti a dimenticarlo,
ma devi volerlo tu.
E’ tutto ciò che voglio sapere.”
Alec
inspirò a fondo.
Era una richiesta più che giusta, e al tempo
stesso… nella sua giusta fermezza,
non gli faceva paura. Si, non era convinto di poter imbavagliare i suoi
sentimenti per Jace dalla sera alla mattina, ma una cosa non poteva
negarla:
Magnus riusciva a toccare corde che nessuno aveva fatto prima, e non
solo
fisicamente parlando. I suoi occhi così strani, quel suo
stile bizarro, la sua
voce calda e tranquilla, tutto di lui gli faceva desiderare di più. Non gli aveva chiesto
una
promessa d’amore, ma semplicemente la certezza che non lo
avrebbe usato e
gettato se Jace si fosse accorto di lui. E questo non sarebbe mai, mai
accaduto. Forse lui era davvero l’unico…
l’unico che poteva prenderlo per mano,
e fargli sognare qualcosa di diverso.
E
perché sapeva bene di
non essere bravo con le parole, Alec si sporse e replicò con
un bacio,
affidando a quel contatto molto meno impacciato la sua risposta, e
quelle
sensazioni che non si sarebbero concretizzate facilmente a parole. Di
una cosa
fu certo: la risposta altrettanto impetuosa di Magnus era la prova che
stavano
davvero parlando la stessa lingua.
Non
te ne andare, ok?
Non te ne andare.
Ma
che emozione, tre
recensioni *____* grazieeeeee ♥ ♥ ♥
Adamantina:
sai che anche io ero Jalec in origine? :D poi seguendo
l’evoluzione delle cose,
sono diventata una Malec di cuore J
grazie da
morire per i tuoi complimenti, mi hanno resa felice *__* ♥
Mizar:
grazie mille *___* sai, della storia del padre di Magnus si sa ancora
molto
poco, fa parte di quel che Cassandra (e Magnus) si tengono ancora
stretti… si
sa solamente che suo padre è uno dei Principi
dell’Inferno, i demoni superiori,
ma per nome e cognome, restiamo in attesa… ♥
Ginny
Potter:
grazie mille carissima *___* i tuoi aaaws sono motivo di gioia J
corro a recensirti, fra l’altro, che non l’ho
ancora fatto! ♥
Alla
prossima, e grazie
ancora! :D
|
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Capitolo 3 *** The one who gets his first bite mark ***
Jace slid the blue shirt over his head.
Dressed, he
padded after Alec into the hallway. “You have something on
your neck," he
observed.
Alec's hand flew to his throat.
“What?”
“Looks like a bite mark,”
said Jace. “What were you
doing out all night, anyway?”
“Nothing.” Beet red, his
hand still clamped to his
neck, Alec started down the corridor. Jace followed him. “I
went walking in the
park. Tried to clear my head.”
“And ran into a vampire?”
“What? No! I fell.”
“On your neck?”
Cassandra
Clare, City of Ashes
Una
delle cose che
accomunava Magnus e il Presidente, era l’udito. Avevano
entrambi percepito,
prima ancora che il citofono gliene desse conferma, che quei passi un
po’
trascinati lungo le scale appartenevano proprio ad Alec. Sorpreso
quanto
contento, Magnus abbandonò il suo progetto di prepararsi la
cena da solo e gli
andò incontro, raccogliendo il Presidente lungo il tragitto
con un movimento
agile del polso, e aprendo la porta con la mano libera.
“Quindi
siamo alla fase
delle sorprese, eh?”
Alec
si trascinò dentro
l’appartamento, e il sorriso scivolò via dalle
labbra di Magnus. Non era tanto
l’aria trasandata, se possibile, più del solito.
Non erano passate neppure due
settimane dallo scontro con Abbandon, Alec si era ripreso bene,
nonostante si
ciondolasse ancora un po’ su quella gamba. Adesso
però ci stava zoppicando
pesantemente. E aveva un’aria tutto fuorchè
allegra. Magnus mise giù il
Presidente, che andò a strusciarsi contro la gamba sana del
nuovo arrivato, per
poi sfilare elegantemente via.
“Stai
zoppicando.”
“Sono
due settimane che
zoppico,” Alec fece una smorfietta vaga, come se fosse
l’ultimo dei suoi
problemi. “L’hai detto anche tu, deve sistemarsi la
ferita…”
“Sono
due settimane che
ti trascini la gamba, stasera non ti ci
appoggi.” Magnus agganciò un dito alla
tasca dei jeans di Alec,
trascinandoselo verso uno dei tre divani di fronte al finto camino. Lo
fece
sedere con un gesto piuttosto imperativo, prendendo posto sul tavolino
di
fronte e tirandosi sulle proprie gambe quella dolorante del ragazzo.
“Che hai
fatto?”
Alec
si massaggiò la
nuca, spettinandosi di più. “Ahm… un
demone dragone.”
“Un
demone dragone?”
Magnus alzò gli occhi, accigliandosi. In quel momento
notò anche il brutto
graffio lungo la guancia, già in fase di cicatrizzazione.
“Ma non si erano
estinti?”
Alec
alzò gli occhi al
cielo. “Jace è riuscito a provare il
contrario.”
Magnus
serrò le
mascelle e non replicò, spostando la sua attenzione sulla
gamba. Soffiò a fil
di voce poche parole, e la mano, avvolta da un bagliore blu,
passò sicura lungo
la stessa porzione di pelle che solo due settimane prima aveva curato
con tanta
difficoltà.
Ovvio.
Jace
decide di fare il pazzo, e tu gli vai dietro.
Cosa
importa se questo ti mette in pericolo di vita.
O
è il Concilio, o è Jace.
“Meglio?”
“Molto,”
Alec buttò
fuori un sospiro profondo, scrollando appena il capo. “Ma non
era importante.
Voglio dire… non sono qui perché mi curassi. Jace
mi ha fatto un paio di iratze-”
“Forse
Jace avrebbe potuto provare a pensare, prima di giocare a uccidere la
noia e i demoni che neppure esistono più,”
replicò sferzante Magnus, la cui
mano era tornata normale. “E magari ricordarsi che, fino a
due settimane fa, la
tua gamba era un simpatico puzzle da seicento pezzi.”
“Non
è un buon momento
per lui, ok?” replicò stancamente Alec, passandosi
le dita lungo la fronte come
fosse esausto. “Non mi ha costretto nessuno a
seguirlo.”
Come
se non lo sapessi.
E
come se non fosse anche peggio, questo.
Magnus
inclinò il capo,
lasciando che gli occhi felini scorressero lungo il viso e il corpo del
ragazzo
alla ricerca di altri danni. A parte una immensa stanchezza, sembrava a
posto.
E molto triste. Inghiottì, lasciando andare la sua gamba e
prendendo posto
accanto a lui. Ironia della sorte, per una volta avevano qualcosa di
simile
addosso: entrambi una felpa blu. Ovviamente, quella di Magnus era blu
elettrico.
“Scusa,
non volevo
piombare qui senza avvertire.”
“A
me non dispiace per
niente,” Magnus abbozzò un sorriso, facendogli
scorrere il dito lungo il
graffio sulla guancia e risanandoglielo completamente.
L’istinto di gelosia che
il solo nome di Jace gli dava, aveva ceduto il posto alla
preoccupazione. “Ti
fermi qui a cena? Stavo provando a fare una pizza. Ma credo che il
tentativo
possa classificarsi come fallito.”
“Lo
vorrei da morire,
credimi” Alec si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia,
passandosi stancamente
le mani sul viso. “Ma è tornata mia madre. Insieme
a… un bel po’ di brutte
nuove.”
Magnus
inarcò appena le
sopracciglia. Infilò con dolcezza la mano sotto la felpa del
ragazzo,
sfiorandogli la pelle della schiena lentamente, dolcemente. Lo
sentì
rabbrividire, poi rilassarsi un po’.
“Del
tipo?”
“Del
tipo, che Jace non
ci aveva detto niente su Hodge.” Alec si morse le labbra,
serrando i pugni.
“Isabelle e io eravamo ancora convinti che fosse disperso, e
invece… a quanto
pare, era alleato di Valentine. E’ stato lui a consegnare
Jace a suo… padre.”
“E’
stato lui anche a
chiamare me, per dirmi che tu eri ferito gravemente.”
“Tutti
questi anni
insieme!” Alec scattò in piedi, anando ad
appoggiarsi con un gomito contro la
finestra. Non gli era semplice aprirsi, rivelarsi… scoprirsi
vulnerabile con
qualcuno. “L’ho sempre considerato il nostro
maestro. Ho provato pena per lui,
ogni volta che ho pensato a quanto dovesse essere dura la sua
condanna.”
Magnus
non si mosse.
Aveva imparato a conoscerlo, quel ragazzo. Uno sfogo…
aprirsi. Probabilmente
era quanto gli risultava più difficile. E il fatto che fosse
lì, da lui, che
fosse proprio a lui che si stava
mostrando vulnerabile, gli gonfiava il cuore di un milione di emozioni
diverse.
“Perché
tutto questo
dovrebbe cambiare?”
“Stai
scherzando, o non
mi hai sentito?”
“Né
l’uno, né l’altro.”
“E’
un alleato di
Valentine!”
“Ed
è così facile
tracciare una linea fra bianco e nero, quando c’è
la guerra di mezzo?” Con un
lieve sospiro paziente, Magnus si alzò in piedi,
raggiungendolo. Infilò le mani
nelle tasche dei jeans strappati, facendo spallucce. “La
vostra legge è
durissima, e spesso parziale. Hodge ha pagato per i misfatti di molti,
a suo
tempo, e ha pagato un prezzo carissimo. Ti rendi conto cosa significhi
dover
rinunciare alla propria libertà, Alexander? Si
può dire che il tappeto rosso
verso Valentine, gliel’abbia praticamente steso il
Circolo.”
Alec
si voltò, basito.
“Stai forse dicendo- ”
“Che
Hodge è un
agnellino innocente? No, assolutamente no.” Magnus
incrociò le braccia al
petto, alzando il mento. “Ho combattuto contro quelli come
lui a suo tempo,
Alec. Ma è vero che ha pagato un prezzo troppo alto,
qualcosa che lo ha messo
in condizione di attendere, desiderare il ritorno dell’unico
che poteva tirarlo
fuori dai guai.”
Tu
non sei come loro, non ragioni per bianco o nero.
Esiste
il grigio, Alec.
Non
dimenticarlo.
Alec
non replicò,
incapace di staccare gli occhi dallo sguardo magnetico di Magnus. Alla
fine,
esitando, tornò ad appoggiarsi alla finestra, la fronte
contro il braccio. “Credevo
che significassimo qualcosa per lui…”
“E
infatti è così.”
Magnus fece un piccolo sorriso, avvicinandosi e appoggiando entrambe le
mani
sui fianchi di Alec. Gli depositò un bacio sulla spalla,
appoggiandovi poi il
mento. “Guarda che cosa ha fatto prima di fuggire. Ha
chiamato l’unico che
potesse salvarti.”
“Ma
ha consegnato
Jace…”
“…a
suo padre, sapendo
che non gli avrebbe torto un capello.” Magnus
strofinò leggermente il naso
contro il collo di Alec, incrociando il suo sguardo nel riflesso della
finestra, al di sopra di una Brooklyn straordinariamente illuminata.
“Nessuno
di voi tre è mai stato realmente in pericolo per mano sua.
Se ci rifletti, sei
libero di pensare quel che vuoi di Hodge Starkwheater. Ricordati solo
che non
ce l’ha mai avuta con voi, e che anzi, ti ha protetto e
salvato, a modo suo.”
Alec
si morse le
labbra, abbassando gli occhi sulle luci in lontananza, sotto la
finestra.
Rimase in silenzio, lasciandosi cullare dai brividi che gli davano le
carezze
di Magnus sui fianchi. Sospirò più profondamente
quando le lunghe mani
affusolate risalirono leggermente lungo la sua pelle, percorrendo le
ossa del
bacino, e gli sfuggì un tremito.
“Sei
più teso di una
corda di violino,” Magnus gli sfiorò
l’orecchio con le labbra, depositandogli
un bacio sul collo. Suo malgrado, tirò via le mani e le
appoggiò sulle spalle
del ragazzo, costringendolo a voltarsi. Si prese un istante per godere
del
rossore sulle sue guance, prima di dargli un buffetto al mento.
“Non è solo
Hodge il problema. Non è così?”
Alec
esitò. Sembrava
fosse sui carboni ardenti.
“Alexander…”
Magnus
sorrise leggermente, scrollando il capo e guardandolo quasi intenerito.
“E’
dura essere sempre quello responsabile del gruppo. Perché
non ti apri, almeno
con me? Non c’è nessuno che andrà dire
che cosa mi hai detto, il Presidente ha
il suo tonno, figurati se possiamo interessargli noi. E anche se non
sembra, il
gossip dei Nephilim non mi riguarda affatto, non sarà
oggetto di racconti alla
mia prossima festa.”
Meglio
fuori che dentro, no?
Sempre
quel broncio…
Non
è giusto che sia sempre tu quello responsabile.
Sei
un ragazzo quanto gli altri, che diavolo.
“Si…
si tratta di
Jace.”
Avrei
dovuto intuirlo.
Alec
si ciondolò sui
talloni, tirando su col naso. Era accigliato, come se stesse cercando
di tenere
sotto controllo la rabbia prima che gli sfuggisse di mano.
“Noi siamo parabatai,
eppure non mi ha detto niente
di Hodge. Non mi ha detto niente di un’infinità di
altre cose… le ho dovute
scoprire stasera da mia madre. E quindi non ho nemmeno potuto
giustificarlo con
lei.”
“Perché
avresti
dovuto?” Magnus fece un enorme sforzo a non sembrare
infastidito. Alec gli
stava aprendo il suo cuore, non poteva permettere alla gelosia di
mettersi in
mezzo. “Non devi sempre prendere le sue difese,
può farlo anche da solo.”
Proprio
non te ne rendi conto.
Tutti
accecati dalla bellezza del pericolo, dal fascino del
rischio…
Jace,
Will, è un cerchio che non si chiude.
“Lo
fa uno schifo,” replicò
Alec, scuotendo la testa, il broncio più visibile ora.
“Nasconde le cose,
attacca chi gli fa delle domande, lui e quella sua maledetta
ironia…”
“Ma
se è innocente, è
innocente.”
“Non
è così semplice,
non se tutti credono che sia una sorta di spia.”
“In
effetti come
identikit...”
“Appunto.”
Alec si
appoggiò di schiena alla parete, sbuffando e passandosi una
mano fra i capelli
neri. “Io so che non è così, so che
Jace non sapeva niente del suo vero padre.
Ma sono il suo parabatai, a me non
darebbero ascolto. Direbbero che gli crederei in ogni caso.”
Magnus
reclinò
leggermente il capo prima verso destra e poi verso sinistra, quasi come
volesse
allentare la tensione dei muscoli del collo.
“Ahimè, sei un po’ di parte.”
“E’
per questo che
dovrebbe essere lui a rispondere nel verso giusto, una volta tanto! E
ovviamente non lo fa. E il bello è che non lo fa nemmeno con
noi.”
“Cosa
ne dice tua
madre?”
Un
velo di tristezza incupì gli occhi blu di Alec.
“Ha... bisogno di conferme.”
Magnus annuì lentamente. Le poche parole dette, le mille non
dette e lo sguardo
basso di Alec gli avevano fatto capire finalmente il vero problema. Non
era
così frustrante che il Circolo dubitasse di Jace,
perchè credendo in lui, gli
sarebbe rimasto accanto finchè la verità non
fosse venuta fuori, caratteraccio
o meno. Il vero problema era sua madre, Maryse Lightwood. Alec non
aveva il
coraggio di ammetterlo ad alta voce, ma lo faceva soffrire che perfino sua madre, che per Jace
ricopriva lo stesso ruolo, fosse fra quei dubbiosi. Anche
perchè questo metteva
Alec in mezzo ad un'altra brutta faccenda: come aiutarli a capirsi, pur
dando
ragione ad entrambi, visto che nessuno dei due lo avrebbe ascoltato o
avrebbe
fatto il primo passo indietro?
Oh, Alec.
E’ dura essere papà orso.
E tu sei troppo piccolo per questo ruolo.
Guarda quanto ti pesa.
Alec
aveva ancora il mento chino, quando se lo sentì sollevare da
Magnus. Non si era
accorto che fossero così vicini, e in qualche modo il suo
profumo di sandalo
riuscì a distrarlo da quella sensazione opprimente che
provava da che aveva
parlato con sua madre. Magnus gli accarezzò la guancia col
dorso delle dita,
appoggiandosi con il braccio al muro, senza smettere di guardarlo negli
occhi.
“Non hai una posizione facile, lo so” gli
mormorò, lasciando che le dita
scivolassero fin sul lato del collo, dove la mano si distese,
carezzevole. “Credi
a chi ne ha viste di tutti i colori in questi anni, l'innocenza non
può essere
nascosta a lungo. Tua madre e gli altri si renderanno conto che Jace,
per
quanto meriterebbe un vaso in fronte, non ha alcun legame con Valentine
Morgenstern. Ok?”
Alec annuì, rivolgendogli uno sguardo grato. Fu lui a
baciarlo per primo, più
sicuro di sè, eppure al tempo stesso impacciato per lo
slancio. Magnus sospirò
contro le sue labbra, rispondendo al bacio e rallentandone i ritmi,
accarezzandogli la nuca fino alla base dei capelli.
Rabbrividì quando si sentì
attirare con decisione contro di lui, e quasi sorrise. Alec era letale
per i
suoi sensi. La sua innocenza, la sua disarmante inesperienza, il fatto
che si
lanciasse in ogni contatto di getto, di cuore, con quella
passionalità che
al resto del mondo era preclusa, perfino
a Jace, era abbastanza da fargli perdere la testa come non
gli era mai
capitato in tutti quei secoli. Gli bastò sentire le sue mani
callose lungo la
schiena, per desiderare di più. La mano con cui gli stava
accarezzando i
capelli scese a stringergli con dolce fermezza la spalla, spingendolo
di
schiena contro la parete, mentre interrompeva il bacio per poter
marchiare ogni
centimetro della sua pelle. Si accanì su un punto del collo
proprio sotto
l'orecchio, un punto che, aveva scoperto, lo faceva rabbrividire di
più. Quando
sentì Alec soffiare il suo nome in un gemito, non si
trattenne dal succhiare la
piccola porzione di pelle con più enfasi del solito,
lasciandovi un segno rosso
ben visibile.
Che
lo sappiano, che sei mio.
Diavolo,
Alec.
Mi
stai facendo perdere la testa, e nemmeno lo sai.
Non
fu molto chiaro chi
dei due avesse cominciato, ma in una manciata di secondi, le due felpe
erano
volate per terra. Alec era letteralmente avvinghiato a Magnus, una mano
stretta
forte alla sua spalla, alla ricerca del battito stabile e rassicurante
del suo
cuore. Magnus non interruppe il bacio, molto più audace di
tutti quelli che si
erano scambiati in quelle due settimane, e lasciò le dita
affusolate libere di
percorrere ogni muscolo, ogni runa, ogni cicatrice che ricoprisse il
suo addome
e il suo petto. Quando la mano scivolò oltre il bordo delle
mutande, Alec
sussultò bruscamente e si sottrasse al bacio, arrossendo
furiosamente.
…ah.
Giusto.
E’
la tua prima volta.
Magnus
riprese fiato,
inspirando a fondo. Si appoggiò di nuovo al muro,
accarezzando la guancia
violacea di Alec, guardandolo dritto negli occhi blu. Avevano assunto
una
tonalità, se possibile, ancora più profonda e
intensa. “Io non posso fare
niente per aiutare Jace,” mormorò, la voce
arrochita dal desiderio. “Ma posso
aiutare te. Posso aiutarti a sentire.
Ad avere il… il tuo angolo di pace.”
Alec
deglutì, rosso in
viso come forse non era mai stato. La verità era che gli
stava costando restare
separato, seppur tanto poco, da quelle labbra e quelle mani. Voleva
sentirsi
vivo, come solo Magnus lo faceva sentire. Voleva impazzire dal piacere,
e
vederlo a sua volta dimenarsi per le sensazioni forti. Lo
accarezzò avidamente
con lo sguardo, tornando a incrociare i suoi occhi. Non era Jace, con
la frase
giusta al momento giusto, ma voleva trovare qualcosa di brillante da
dire, per
esprimere quella matassa ingarbugliata di emozioni e sensazioni.
“…tu
non hai l’ombelico.”
Passò
qualche
interminabile secondo di silenzio e immobilità, prima che
Magnus inarcasse
appena le sopracciglia, e Alec si sbattesse entrambe le mani in faccia,
maledicendosi in tutte le lingue conosciute. Magnus non potè
proprio
evitarselo… scoppiò a ridere, e di cuore anche.
“Arguta
osservazione.”
“Ah,
i-io…uhm.”
Ancora
ridendo piano,
Magnus scosse la testa, tornando a guardare il ragazzo. Gli
baciò a stampo le
labbra, pizzicandogli il mento fra le dita, gustandosi ogni dettaglio
della timidezza
espressa da quel viso così bello. Quegli
occhi. Per quegli occhi si sarebbe anche dannato
l’anima.
Io
sono più fottuto di quel che mi rendo conto di essere.
Alec
si mordicchiò le
labbra già gonfie per i baci, guardandolo dritto negli occhi
d’ambra.
“Vuoi-vuoi stare con me?”
“Anche
se non ho
l’ombelico?”
Alec
emise una specie
di protesta poco chiara, e Magnus ridacchiando lo zittì con
un bacio. Ogni pensiero
divertito si volatilizzò a quella nuova ondata di carezze, e
questa volta,
quando le dita esperte e sicure di Magnus sbottonarono i suoi jeans per
infilarsi all’interno, Alec si limitò a un gemito
soffocato, ma non osò
sottrarsi a quella dolce tortura. Si inarcò bruscamente,
mordendosi forte le
labbra e stringendo gli occhi, e per quanti splendidi amanti potesse
aver avuto
in quei lunghi ottocento anni, Magnus realizzò che mai prima
di allora il cuore
gli aveva mancato un battito come per Alec Lightwood.
~*~*~
Il
Presidente sarebbe
stato la sveglia peggiore, se Magnus non lo avesse afferrato al volo
per la
collottola prima che potesse zampettare sul letto. Morbidamente
adagiato sul
fianco, la testa sorretta dal braccio piegato, lo stregone sorrise al
suo
gatto, ignorandone l’espressione poco felice.
“Scusa
tanto,
Presidente,” sussurrò, mettendo giù il
felino. “Diamogli altri cinque minuti.”
Il
gatto non sembrò
molto convinto della scusa, e filò via dalla stanza con
un’offesissima coda
dritta in bell’evidenza. Magnus sorrise divertito, e riprese
ad accarezzare a
fior di pelle il braccio nudo di Alec, che dormiva della grossa accanto
a lui. Avevano
fatto l’amore più volte, completamente dimentichi
anche del tempo, o
dell’iniziale desiderio di Alec di tornare subito a casa. E
alla fine erano
crollati entrambi, sebbene il sonno di Magnus fosse durato
un’oretta scarsa.
Aveva addosso troppe emozioni, per riuscire a dormire. Troppe
sensazioni. Si
sentiva vivo come mai si era sentito in tutti quei secoli. Stare con
Alec era
stato semplicemente incredibile, come se fossero nati per poter stare
insieme,
lì dove l’uno iniziava, l’altro lo
completava. E ogni gesto, ogni emozione, era
come amplificata proprio dall’unicità
dell’esperienza. Perché Alec, così come
l’aveva visto e sentito lui, non era mai stato di
nessuno. Magnus ne accarezzò nuovamente il profilo
con lo
sguardo, seguendo la curva delle ciglia nere, il movimento lento del
respiro
fra le labbra socchiuse, i capelli più spettinati del solito
che gli
ricoprivano la fronte, la pelle tonica e vibrante del torace, ricoperta
dalle
rune antiche, il petto nudo che si alzava e abbassava lentamente. Il
consueto
broncio era rilassato in un’espressione pacifica, tranquilla.
Avendo potuto
fare a modo suo, Magnus lo avrebbe lasciato dormire ancora. Ma
conoscendolo,
non gli avrebbe fatto un favore.
“Principessa
Aurora…”
canticchiò a bassa voce, pizzicandogli il naso fra le dita e
pigiandoglielo.
Come non ridere, quando gli vide fare una smorfietta quasi infantile,
con tanto
di labbra arricciate. “Sono le quattro del mattino, il mondo
dorme e il
principe Filippo sta ufficialmente svegliando la sua bella.”
Alec,
il viso ancora
arricciato, aprì un occhio soltanto. “Chi sarebbe
tutta questa gente?” mormorò,
la voce ancora impastata dal sonno.
Magnus
ridacchiò,
rubandogli un bacio. “Mondani con un gran senso
dell’attesa, considerando che
la principessa aveva oltre cent’anni e il fiato di un sonno
secolare, quando l’aitante
principe ventenne l’ha baciata.”
“Troppe
informazioni
tutte insieme,” brontolò Alec, rovesciandosi sul
fianco contro di lui e
nascondendo la faccia nel cuscino. Avrebbe poltrito con gioia, se solo
non si
fosse ricordato di sua madre a casa. Alzò la testa di
scatto, mancando di un
pelo il mento di Magnus. “Devo tornare prima che si accorgano
che non c’ero.”
Magnus
imbronciò le
labbra, restando languidamente disteso mentre Alec rimbalzava
giù dal letto.
Gli venne da ridere quando lo vide affrettarsi a cercare le mutande.
Solo
tu puoi essere timido dopo stanotte.
Ah,
Alexander.
“La
smetti di
fissarmi?”
“Chi,
io?”
“No,
il tuo gatto.”
“Ricordami
di
menzionare al Presidente che gli hai dato del guardone.”
Per
quanto indaffarato
a tirarsi su i jeans, Alec si lasciò scappare un sorrisetto
sghembo. Gli gettò
un’occhiata di sfuggita, mentre recuperava la felpa dal
corridoio. “E’ presto,
rimettiti a dormire.”
“Dopo,”
replicò
semplicemente Magnus, alzandosi. Molto meno vergognoso
dell’altro, si prese
tutto il tempo necessario a cercarsi mutande e pantaloni, senza
nascondere una
certa soddisfazione quando vide Alec stentare a chiudersi la lampo
della giacca
per guardare lui. “Hai fatto una specie di voto
all’angelo?”
“Mh?”
Alec, i capelli
sparati in aria per essersi infilato in fretta la felpa, lo
fissò confuso.
“Ci
torni scalzo a
casa?”
Alec
si guardò i piedi…
era completamente vestito, ma effettivamente non aveva le scarpe.
Borbottò
qualcosa fra i denti, cercandosi le scarpe, mentre Magnus rise di
gusto.
“La
pianti di ridere?”
“Nemmeno
per idea.”
Magnus
gli si avvicinò,
prendendo a sistemargli alla meglio i capelli. I suoi, ovviamente,
stavano su
perfettamente dritti e glitteranti nonostante
l’attività notturna. “Ti presto
un po’ di gel per questo casino?”
“Non
è il mio stile,
lasciali così.” Alec si rimise in piedi, questa
volta vestito per intero.
Inspirò profondamente, come se solo in quel momento avesse
realizzato che se ne
stava andando. Uncinò le dita al bordo dei pantaloni felpati
dello stregone,
abbozzando un sorriso. “Se non hai da fare, posso ripassare
domani. Cioè, oggi
in realtà. Insomma, stasera.”
“Non
mi devi sempre
chiedere il permesso di venire, lo sai?” Magnus gli
passò un dito sotto il
mento, sollevandoglielo per poterlo baciare. Era inteso come un piccolo
bacio
fugace, ma Alec gli si avvinghiò ai fianchi, e la cosa si
protrasse. Ci volle
parecchia forza di volontà per tirarsi indietro, e non
trascinarlo di nuovo sul
letto ancora disfatto. “O fili via adesso, o ti faccio
tornare direttamente
domani a casa tua.”
Alec
sorrise,
arretrando di un paio di passi. “Ok, allora.”
“Aspetta,”
Magnus
schioccò le dita, e il ragazzo si ritrovò in mano
una piccola chiave di ottone.
“Così non avrai bisogno di citofonare ogni
volta.”
Alec
osservò stupito la
chiave, prima di infilarla nella taschina della giacca, offrendo allo
stregone
un sorriso contento. “Grazie.”
Magnus
incrociò le
braccia al petto, rispondendo al cenno di saluto e restando ad
osservare mentre
Alec saltellava giù per le scale, evidentemente di
buonumore. Schioccò le dita
ancora una volta… e gli vide apparire
all’improvviso in mano un sano caffè
rubato dallo Starbucks a pochi isolati. La bevanda calda, apparendo di
colpo,
sie ra rovesciata in parte sui jeans. Alec fece una smorfia e si
voltò con il
suo solito broncio, e Magnus, facendo un enorme sforzo per non ridere,
sollevò
le mani in cenno di scuse. Quando chiuse la porta, si lasciò
andare alla risata
che quella faccia imbronciata meritava.
Ottocento
anni, e restare fregati da un ragazzino.
Si,
sono io.
Magnus
Bane, grande stregone di Brooklyn.
E
gran rincoglionito.
Ma
che bello, quante
recensioni *____* grazie!!! Non prevedevo di finire così in
fretta questo terzo
capitolo, ma devo dire che mi ha ispirato una canzone che secondo me
è
tantissimo Magnus/Alec (soprattutto in COLS), “Please
don’t go” dei Barcelona…
com’è struggente ç_ç
e un’altra
ispirazione, devo dire, è stata questo picspam (che ha
inquadrato Alec e Magnus
proprio come li vedo
io): http://piccolo-poo.livejournal.com/46437.html
Chibikitsune:
grazie infinite *___* è uno dei complimenti più
belli che potessi farmi! Comunque concordo, e ti dico che se ancora non
hai
letto l’ultimo libro di Cassandra, City of Lost Souls,
lì c’è molto più di
Magnus/Alec :P
Mizar:
ma quanto
sei dolce *^^* in effetti si, mi sono sempre immaginata Magnus un bel
mix di
modernità e buone vecchie maniere da gentleman :D
Adamantina:
grazie mille
anche a te, cara! Anche io adoro Alec e anche Magnus :D comunque non ti
sei
sbagliata, Magnus ha davvero ottocento anni… solo che
all’inizio, il furbone ad
Alec ne millanta trecento :D mi sembra sia in Città di
Cenere che Alec lo
scopre, con Magnus che fa il vago “700…
800… tanto non li dimostro!” ahahaha XD
IWillFindTheWords_J:
oh
ma grazie *__* anche io li adoro moltissimo, e sì, ho letto
tutta la saga. Calcola
che però io i libri di Cassie li ho letti in inglese,
preferisco di gran lunga,
anche perché altrimenti morirei nell’attesa, i
tempi di pubblicazione qui in
Italia sono geologici -___-
Un
bacio a tutti e
grazie sempre! Alla prossima!
|
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Capitolo 4 *** The one in exchange ***
Alec
swallowed. "We're going," he said. He spoke the words like an apology.
"Jace—a request
from the Seelie Court—it would be stupid to ignore it.
Besides, Isabelle's probably
already told them we're coming."
"There
is no chance I'm going to let you do this, Alec," Jace said in a
dangerous
voice. "I'll wrestle you to the ground if I have to."
"While
that does sound tempting," said Magnus, flipping his long silk sleeves
back,
"there is another way."
"What
other way? This is a directive from the Clave. I can't just weasel out
of it."
"But
I can." Magnus grinned. "Never doubt my weaseling abilities,
Shadowhunter,
for they are epic and memorable in their scope. I specifically
enchanted the contract
with the Inquisitor so that I could let you go for a short time if I
desired, as
long as another of the Nephilim was willing to take your place."
"Where
are we going to find another—Oh," Alec said meekly. "You mean
me."
Jace's
eyebrows shot up. "Oh, now you don't want to go to the Seelie Court?"
Alec
flushed. "I think it's more important for you to go than me. You're
Valentine's
son, I'm sure you're the one the Queen really wants to see. Besides,
you're charming."
Jace glared at him. "Maybe not at the moment," Alec amended. "But
you're usually charming. And faeries are very susceptible to charm."
"Plus,
if you stay here, I've got the whole first season of Gilligan's Island
on DVD,"
Magnus said.
"No
one could turn that down," said Jace.
[City of Ashes, Cassandra Clare]
~*~
“-on ha convinto il Segretario di Stato
Holden, che dopo un colloquio con l’ambasciatore
libanese…”
Il
Presidente Miao soffiò in direzione del televisore, con la
stessa felina
rapidità con cui Alec sollevò di scatto la testa,
interrompendo il bacio e
causando un mugolio di protesta da parte di Magnus. Il gatto
ignorò
tranquillamente l’occhiataccia del suo padrone. Non era certo
colpa sua se il
telecomando dell’enorme tv aveva avuto la malcapitata idea di
finirgli sotto le
zampe.
“Che
diavolo sto facendo…”
“Interrompi
senza un motivo una magnifica sessione di pomiciaggio,”
Magnus si appoggiò sui
gomiti, ancora sdraiato sul divano, una smorfia scontenta a piegargli
le labbra
mentre schioccando le dita riportava il silenzio nella stanza.
“Andiamo, non ti
starai sconvolgendo per un telegiornale mondano?”
Alec
gli lanciò un’occhiata esasperata, mentre si
riabbottonava alla meglio la
camicia. “Non sono ancora tornati”
“E
quindi?” Magnus fece un sorrisetto odiosamente divertito,
accompagnato da un
occhiolino. “Paura di dover restare mio prigioniero a
vita?”
Proprio
non ti entra in testa, eh?
“Se
così fosse, saresti nei guai anche tu… quindi non
mi esalterei così tanto alla
prospettiva”
Magnus
si alzò con i suoi soliti movimenti felini, i capelli
cosparsi di glitter
ancora in disordine per la felice attività di poco prima.
“Alexander, quando
imparerai che io non lavoro per voi
ragazzi? Io faccio delle cortesie, tutte dietro compenso,
sicchè non sono mai nei
guai”
Alec
gli rivolse un’occhiata imbronciata, cercando di evitare di
guardarlo. A
differenza sua, Magnus non si era minimamente preoccupato di darsi una
sistemata, ed era in piedi con i soli jeans verdi. Sbottonati, per di
più.
“Suvvia,
non sono nemmeno due ore. Non ci metteranno poco, che senso ha farsi
venire gli
attacchi d’ansia?”
Già,
perché tu non lo conosci.
Non
sai come ragiona,
quell’imbecille.
Ma
a cosa diavolo stavo pensando
quando ho accettato?
…eh.
Quasi
senza accorgersene, Alec si massaggiò assentemente la spalla
sinistra proprio
nel punto in cui aveva la runa da parabatai.
Magnus si limitò ad inarcare le sopracciglia, incrociando le
braccia al petto.
Decisamente gliela stava rendendo difficile.
“Non
mi fido di Jace”
“Mh,
in fondo è solo il tuo parabatai,
perché dovresti”
“Non
è questo il punto,” Alec sospirò,
appoggiandosi di schiena alla parete. Infilò
le mani nelle tasche dei jeans, cercando lo sguardo felino di Magnus.
“Jace è…
incasinato. Non solo per la questione di suo padre, lo hai visto anche
tu.
Quando c’è Clary di mezzo, non è
lucido. E’ per questo che volevo andare al
posto suo, farà di sicuro qualche cazzata”
Magnus
non disse nulla, si limitò a incrociare le braccia al petto,
inarcando le
sopracciglia. Ma ormai Alec aveva imparato a conoscerlo abbastanza da
sapere
che c’era irritazione, dietro quello sguardo apparentemente
distaccato.
Perché
ogni volta che salta fuori
questo argomento, ti girano?
“Si
può sapere perché fai quella faccia?”
“Quale
faccia?”
“Quella
che hai appena fatto,” Alec accennò col mento
nella sua direzione, arricciando
a sua volta il viso in una smorfia infastidita. “Come se
stessi dicendo
qualcosa di male”
“Non
è quello che dici, è quello che pensi. Ti
comporti come se fosse tuo compito
assicurarti che nemmeno l’aria faccia soffrire Jace”
Alec
lo fissò indignato. “E’ il mio parabatai,
forse non sai cosa vuol dire, ma è proprio-”
“Non venire a dire a me
che non so cosa significa il legame che unisce due parabatai,
Alexander” Magnus strinse
appena gli occhi, per un attimo attraversati da un’insieme di
emozioni inclassificabili.
Avanzò di un paio di passi, finchè non fu a pochi
centimetri dal viso di Alec. “Ne
ho conosciuti di talmente legati, da smettere di essere due
entità per diventarne
una sola. So perfettamente cosa
diventa uno di voi quando l’altro soffre, o è in
pericolo. Ed è proprio per
questo che mi da fastidio che ti ripari dietro una scusa,
perché questa è
una scusa”
“Quale
scusa, stai scherzan-”
“Non
è per il vostro legame che non riesci a stare lontano da
Jace,” Magnus inclinò
appena il capo, senza smettere di fissarlo. “E’
perché ne sei ancora innamorato.
E sei geloso di Clary, questa è la
verità” Alec aprì la bocca per
replicare, ma
Magnus inarcò le sopracciglia con una smorfia, quasi
sfidandolo a dire il
contrario. “Ti prego, correggimi se sbaglio”
“E
se anche fosse?” Alec serrò i pugni.
“Non si smette di amare una persona dalla
sera alla mattina, maledizione, e non solo nel senso che intendi tu!
Si, è vero
sono geloso di Clary. Ma non perché Jace può
stare con lei e non con me, perché
ti ho sempre detto che non mi aspetto proprio niente da lui. Non gli
direi mai
niente. Ma nessuno lo conosce come lo conosco io, e so che di Clary si
è
innamorato… sapendo che non può combinarci niente
perché è sua sorella. E se
già non fosse sufficiente la solita dose di autolesionismo
che si infligge,
adesso ha una scusa in più per odiarsi, per mettersi in
pericolo mentre ci ride
su. Normalmente ci sono io a guardargli le spalle, ora chi
c’è al mio posto?”
“Quindi
tu più che il parabatai,
sei la
badante di Jace?”
“Ma
ti stai ascoltando?!” Alec scosse la testa, indiavolato.
“Non hai sentito una
sola parola di quello che ti ho detto?”
“Ho
sentito perfettamente, Alexander, ma a questo punto te la faccio io una
domanda: hai cambiato idea?”
“…come?”
“Quando
sei venuto qui, quando abbiamo iniziato a uscire insieme, mi hai detto
che
volevi imparare a lasciarti alle spalle quello che provi per lui. Ora,
perché mi
sembra che tu abbia cambiato idea?”
“Perché
non stai ragionando, ecco perché!”
replicò duro Alec, scuotendo la testa. “Sono
preoccupato per lui-”
“Tu
sei SEMPRE preoccupato per lui!”
Sarebbe
stato interessante fare una classifica di chi fosse il più
sorpreso da quell’urlo,
se Magnus stesso, Alec, o il Presidente Miao, che fu comunque
l’unico a reagire
con un miagolio infastidito. Alec rimase immobile, gli occhi di un blu
più
scuro del solito, incapace di decifrare l’espressione di
Magnus. E forse
neppure lo stregone si aspettava di avere una reazione simile,
perché scosse la
testa, facendo un passo indietro.
“Sapresti
dirmi che cosa sta succedendo fra noi, Alexander?”
Alec
inghiottì, colpito da quel tono come un pugno allo stomaco.
Non era un
rimprovero, non era duro come fino a un attimo prima.
Sembrava… vulnerabile.
Una domanda onesta, come se davvero proprio lui, uno stregone
centenario, non
riuscisse a trovare la strada giusta con un cacciatore adolescente.
Ti
sto facendo del male?
Ma
soprattutto, hai ragione tu… io
qui che ci faccio?
Magnus
reagì a quel silenzio con una piccola smorfia amareggiata,
voltandosi e
avviandosi in direzione della sua camera da letto.
“Se
hai intenzione di guardare la televisione, non sopporto il volume
troppo alto”
Alec
non battè ciglio, neppure quando la porta della camera si
chiuse con una certa
violenza, accompagnata da una spruzzata di scintille blu.
Inspirò a fondo,
ignorando l’occhiata seccata del Presidente, cercando di
rielaborare tutto
quello che era appena successo. E soprattutto, cercando di capire
perché lo
sguardo ferito di Magnus fosse stato così devastante, da
fargli dimenticare per
un momento qualsiasi altra cosa fuori da quelle mura.
~*~*~
Quando
bussò leggermente alla porta, Alec sapeva già che
non avrebbe ricevuto alcuna
risposta. Ma non provò di nuovo, per quanto sarebbe stato
più corretto.
Socchiuse la porta della stanza da letto, sporgendo appena il capo per
dare a
Magnus tutto il tempo di sbattergliela magicamente in faccia, se avesse
voluto.
Ma la botta non arrivò, e dunque potè entrare.
Magnus se ne stava in piedi
davanti alla parete in vetro, le braccia incrociate al petto,
perfettamente
immobile a fissare le luci di una Brooklyn avvolta dal buio della sera
ormai
iniziata. Non poteva vederne il viso o cogliere il suo sguardo, ma Alec
non
potè impedirsi di accarezzare con gli occhi ogni singolo
muscolo di quella
schiena ancora nuda, visibilmente irrigidita.
“Non
mi pare di averti detto di entrare”
Alec
inghiottì, tornando coi piedi per terra. Il tono asciutto e
palesemente
infastidito di Magnus era stato una sveglia sufficiente. “Lo
so,” mormorò,
facendo un paio di passi nella stanza. Infilò le mani nelle
tasche dei jeans,
un gesto tipico di quando si sentiva a disagio. “Mi
sono… preso da solo il
permesso. Non mi piace lasciare le discussioni irrisolte”
Magnus
non replicò, ma dal modo in cui aveva allargato le scapole,
non sembrava
essersi rilassato proprio per niente.
Ha
ragione lui. In parte.
“Ok,
uhm…” Alec si morse le labbra, ciondolando i piedi
finchè non fu accanto al
letto. Si sedette sul bordo, strofinandosi le mani umidicce, come se
fissarsele
e non dover guardare la schiena di Magnus fosse una buona soluzione.
“Non serve
che tu risponda, mi accontento che mi ascolti, va bene? Poi sarai anche
libero
di sbattermi fuori a calci nel sedere”
“Ti
ricordo che non posso farlo”
“Si,
beh, il concetto l’hai capito” Alec storse le
labbra, evitando di commentare.
Razza
di testa dura…
“Hai
ragione quando dici che provo ancora qualcosa per Jace, anche se non
porterà
mai a nulla. Ci mancherebbe, per quanto mi riguarda lui non deve sapere
niente,
quindi…” Alec si grattò il
sopracciglio, mordendosi di nuovo le labbra. Non si
era preparato un discorso prima di entrare, aveva passato
un’ora a cercare di
capire cosa gli stesse capitando… e la soluzione che aveva
trovato era proprio
parlarne con l’unica persona con cui gli riusciva di essere
onesto fino al
midollo. L’unico che lo conoscesse senza il minimo muro.
“E hai ragione a darmi
dello stronzo se prima non sono stato in grado di rispondere alla tua
domanda”
Magnus
non si voltò, ma fece una sonora smorfia ironica. Alec si
ostinò ad ignorare la
provocazione.
“Non
lo so,” mormorò il ragazzo, continuando a fissarsi
le mani. “Non lo so come si
fa a smettere di amare qualcuno che non puoi avere, e non so cosa sta
succedendo fra me e te”
“Sei
decisamente uno con le idee chiare, complimenti”
“Non
ho mai detto di esserlo,” Alec si alzò in piedi,
affiancando Magnus e cercando inutilmente
di incrociare il suo sguardo d’ambra. “E mi rendo
conto di aver fatto un
casino, perché avrei dovuto prima sbarazzarmi completamente
di qualsiasi
emozione sbagliata verso Jace, e solo dopo avvicinarmi a te. Forse
sarei in
tempo a frenare questa cosa… qualsiasi nome
abbia… che c’è fra noi, ma la
verità è che non voglio frenarla. Ok?”
Magnus
finalmente staccò gli occhi dal panorama, avvertendo il
fremito nella voce di
Alec, e lo guardò dritto negli occhi.
“Sono
un egoista, hai ragione a pensarlo,” Alec si
massaggiò la nuca, facendo una
smorfia mortificata, ma ebbe il coraggio di sostenere quello sguardo
con tutta
l’onestà di cui era capace.
“Perché non ti so dire che cosa siamo, ma so cosa
sei tu per me. So che sei l’unico che mi conosce
completamente, che ha visto
anche il peggio di me, le mie paure, i miei difetti, e ancora non mi ha
defenestrato. Sei quello che… a cui penso quando-uhm,
quando… insomma, ti è
chiaro che intendo,” borbottò, col solito broncio
e un vago rossore sulle
guance. “Credevo che fossi solo una cotta, ma ci deve essere
dell’altro se mi
arrivi fin qui,” Alec si portò una mano sul petto,
all’altezza del cuore.
Inspirò leggermente, prima di scuotere la testa.
“Perciò, ecco la tua risposta.
No, non voglio continuare ad amare Jace se non come un fratello, e non
smetterò
di avere paura che la sua fottuta vena masochista gli incasini la vita.
No, non
è corretto chiederti di aspettare che la mia testa del
cavolo si riordini, e al
tempo stesso se penso a te fuori dalla mia vita, mi sembra di
ricominciare un
altro incubo, solo con un nome diverso. Quindi in
realtà… devi essere tu a
decidere che cosa vuoi fare, perché… io non ho
tipo alcun diritto di importi
proprio un accidente”
Magnus
si prese un lungo momento prima di rispondere, e quando lo fece, le
labbra
erano curvate in qualcosa di molto simile a un sorrisetto malcelato.
“Non
credo di averti mai sentito parlare tanto, da che ti conosco”
“Fatti
un po’ due domande…” Alec
alzò gli occhi al cielo, dando un colpetto di reni
alla parete a cui si era appoggiato. Tornò a sedersi sul
bordo del letto,
mettendosi a giocherellare con un filo della camicia fra le dita, come
se
servisse a sciogliere la tensione che ora sentiva alla bocca dello
stomaco. Non
era abituato ad aprirsi, ma Magnus rompeva tutti gli schemi ogni santa
volta. Non
si mosse quando sentì il materasso piegarsi leggermente
sotto il peso dell’altro,
che a quanto pare era scivolato a sedergli accanto con i suoi soliti
movimenti
felini e silenziosi.
“Non
mi è mai capitato di dover dividere le attenzioni di chi mi
piace,” mormorò Magnus
con calma, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia e guardando
avanti. “Non
sono mai stato geloso di qualcuno, perché non ne avevo
bisogno. Ho sempre avuto
accanto compagni che non avevano occhi che per me,” un
sorriso gli sciolse la
smorfietta pensierosa in una quasi divertita, mentre si voltava a
incrociare lo
sguardo di Alec. “Ma poi giustamente arrivi tu, che ti
disperi per un amore
impossibile, che vorresti fare il palo al culo e struggerti
correttamente al
balcone di Giulietta, piuttosto che fra le mie
braccia…”
Non
che sapesse dove stesse andando il discorso, ma Alec
ridacchiò, abbassando gli
occhi.
“…e
non riesco a pensare ad altro che al giorno in cui sarò io,
l’unico viso nel
tuo cuore”
Per
un momento gli sembrò che il cuore si fosse fermato. Alec
guardò Magnus dritto
negli occhi, perché non c’era bisogno di
aggiungere altro a quello sguardo.
Nessuno gli aveva mai detto qualcosa del genere. Nessuno gli aveva mai
fatto
provare quella sensazione. E per la prima volta nella sua vita, la
stella
abituata a risplendere di luce riflessa, osava sentirsi una vera e
propria
supernova.
“Credo
che tu valga la mia attesa,” Magnus sorrise appena.
“Quindi puoi smetterla di
sentirti un egoista, perché è una mia scelta
aspettarti. Manterrò il segreto su
di noi fintanto che non avrai messo ordine in quella zucca vuota che ti
ritrovi, e se riesci a stringere i tempi, ti assicuro che stappo un
dannato
champagne” aggiunse, con una impagabile faccia da schiaffi.
Probabilmente,
ripensandoci, sarebbe stato giusto dargli una risposta. Ma in quel
momento, l’unica
risposta di Alec fu sporgersi e baciarlo, e non certo con grazia e
delicatezza.
Si avvinghiò con la mano a quei capelli assurdi, baciandolo
come se un domani
non fosse garantito a nessuno dei due, e Magnus fece altrettanto,
accarezzandogli il collo con la mano. Non si interruppero,
perché per un
momento non c’erano i mille problemi della vita reale in
quella stanza, ma solo
due persone travolte dalle proprie emozioni. E fu proprio Alec che per
primo
lasciò scivolare le labbra lungo il corpo di Magnus,
assaporandone ogni
millimetro quasi con devozione, rabbrividendo ai suoi brividi, provando
una
miriade di sensazioni speculari alle sue, quando lo ricoprì
di attenzioni. Traendo
piacere semplicemente dal piacere del ragazzo dai capelli assurdi, che
sussurrava
il suo nome come nessuno aveva mai fatto. E Jace, i casini, le emozioni
difficili da gestire, tutta quella situazione contorta…
almeno per qualche ora,
svanirono in una nuvola di fumo, lasciandoli finalmente in pace.
Innanzitutto
scusate l’assenza, al trasloco si sono aggiunti un
po’ di casini vari, poi
metteteci studio e lavoro, non si ha mai un istante libero @_@ poi ci
sono
stati tutti i Clockwork Princess feelings XD e quindi ho rimandato un
po’. La
prossima volta cercherò di essere più puntuale :D
ma voglio ringraziarvi tutti
per le bellissime recensioni *___*
Odlisny:
grazie mille! Eh si, le traduzioni in italiano
hanno davvero tempi troooooppo lunghi -.-“ baci baci!
Chibikitsune:
grazie davvero per tutti i complimenti *_* si, io sono fortemente
convinta che
per quanto paziente, Magnus abbia avuto il suo momento di
“sbrocco” da geloso,
ed è giusto… poveretto insomma,
all’inizio Jace è un
“avversario” duro da battere
:D bacioni!
Mizar:
*____* sono ufficialmente onorata, grazie per ogni parola! Adoro
Magnus, sarà
che siamo schizzati in due XD un bacissimo!
Adamantina:
ne sono contentissima! Spero ti piaccia anche questo! Un bacione!
Melon:
*-* le tue parole mi hanno proprio scaldato il cuore…
speriamo di non
deluderti, né con questo capitoletto, né coi
prossimi! Un bacissimo!
Faffina:
e io mi commuovo di fronte alla tua recensione :D grazie ancora
tantissimo, un
bacione!
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Capitolo 5 *** The one in love ***
Alec
put his hands out. They were pale in the moonlight, wrinkled from water
and
dotted with dozens of silver scars. Magnus looked down at them, and
then back
at Alec, confusion darkening his gaze.
"Take
my hands," Alec said. "And take my strength too. Whatever of it you
can use to—to keep yourself going."
Magnus
didn't move. "I thought you had to get back to the ship."
"I
have to fight," said Alec. "But that's what you're doing, isn't it?
You're part of the fight just as much as the Shadowhunters on the
ship—and I
know you can take some of my strength, I've heard of warlocks doing
that—so I'm
offering. Take
it. It's yours."
[City
of Ashes, Cassandra Clare]
~*~
Magnus
tracannò letteralmente la birra, continuando a rigirarsi il
bicchiere fra le
dita. Con quelle luci psichedeliche, il liquido sembrava del colore di
uno di
quegli strani succhi fatati che aveva ordinato per la festa, e che
stava
accuratamente evitando. Non quanto i suoi ospiti, Nascosti di tutta
Brooklyn e
dintorni, che ora affollavano il suo appartamento invaso da musica ad
alto
volume e bibite e corpi sudati che si strusciavano senza falsi pudori.
Non
che si fosse aspettato grandi risultati, ma neppure quel party
organizzato
all’ultimo minuto stava funzionando. Continuava ad essere di
malumore, a
desiderare di spaccare qualcosa, e l’unico essere vivente che
avebbe potuto
placare quella frustrazione non si faceva vedere né sentire
da più di una
settimana.
Che
stronzo.
Sbuffando,
Magnus si appoggiò di schiena alla parete, passandosi una
mano sul viso
imperlato dal sudore. Si sentiva soffocare dentro quella casa, eppure
una volta
quelle feste gli facevano saltare a mille l’umore. Adesso gli
ricordavano
soltanto quanto fosse vuota la sua vita prima che Alexander Lightwood
ci fosse
scivolato inspiegabilmente dentro, sconvolgendo tutti i suoi schemi e
le sue
strambe abitudini.
Era
passata un’intera settimana dalla notte
dell’attacco alla nave. Ricordava ogni
dettaglio di quelle ore, ogni sensazione quando aveva stretto le mani
di Alec,
aveva sentito fluire la sua energia insieme alla propria, in un gesto
talmente
intimo per uno stregone che forse neppure si poteva spiegare ad alta
voce. I
Cacciatori si esprimevano in rune, ebbene lui avrebbe chiesto
l’aiuto del più
coinvolgente di quei simboli, per definire l’emozione provata
a sentirsi
un’unica energia con quella del ragazzo per cui sospettava di
avere molto più
che un interesse. Alec era scivolato in una pacata incoscienza e Magnus
l’aveva
stretto fra le braccia, beandosi per pochi istanti di quella calma
assurda in
mezzo alla tempesta. Solo due ragazzi fortemente uniti, uno stretto
all’altro,
su una specie di camioncino mezzo rotto a galleggiare in mezzo al
casino. Una
bella illusione durata il tempo che la magia facesse il suo corso,
curando
entrambi e restituendoli alla battaglia nell’unica forma che
quel mondo pazzo e
rompipalle sembrava voler accettare: un cacciatore e uno stregone.
Che
razza di stronzo.
“Magnus,
non balli?”
“No,
Darlene, non mi va”
“Oh
santo cielo, sei malato?”
Più
di quanto tu creda.
Sette
giorni e non un cenno, un saluto, una visita. E quando il giorno prima
Maryse
Lightwood era venuta a parlargli del portale, della sua richiesta di
trasportare se stessa e i figli assieme a Jace ad Alicante, ad
accompagnare la
madre si era presentata Isabelle. Isabelle,
non lui. E dal suo sguardo lievemente a disagio, aveva dovuto scoprire
che stavano
per trasferirsi ad Alicante per chissà quanto tempo.
Ti
odio.
Odio
non riuscire a odiarti.
Sei
proprio uno stronzo.
“Magnus,
che razza di festa è questa?” un giovane vampiro
coi capelli neri gli si
avvicinò ridendo, evidentemente già ubriaco,
ciondolandosi a tempo di musica.
“Dov’è l’artiglieria pesante,
eh?”
Magnus
lasciò scorrere lo sguardo sul corpo del ragazzo. Chett,
Jett, aveva un nome
strano che aveva sentito prima, ma ovviamente non lo ricordava. In
altri tempi,
se lo sarebbe trascinato volentieri in camera da letto. Ora riusciva
solo a
vedere quanto i suoi occhi non fossero i
suoi.
“Ah,
lascialo stare, Wyatt” una bionda con le orecchie dalla forma
strana gli gettò
un occhiolino. “Il grande stregone di Brooklyn stasera
è avvolto nei suoi
pensieri”
Magnus
fece una smorfietta, allontanandosi dalla parete con un colpetto di
reni.
“Siete un branco di ragazzine piagnucolose,”
mormorò col suo miglior sorriso
sghembo, pallida imitazione di quello che faceva di solito.
“E ciò nonostante,
non vi lancerò di sotto perché ho voglia di
divertirmi”
Wyatt
e la ragazza accolsero la novità con degli urletti di
approvazione, prendendo
subito a strusciarsi contro di lui quando Magnus posò il
bicchiere, scendendo
in quella che era effettivamente diventata la pista da ballo della
casa.
La
cosa migliore era concentrarsi sui movimenti. Pensare a muoversi
secondo il
ritmo frastornante della musica, sentire il calore dei liquori
scivolargli
lungo le vene, sperare che arrivassero presto ad offuscargli il
cervello.
Abbastanza presto da fargli dimenticare tutto.
Anche
quella sera passata in casa con lui, poco prima che tutto cambiasse,
quando si
era divertito a metterlo in imbarazzo in tutti i modi nel tentativo di
farlo
ballare. Decisamente Alec era il peggior tronco di legno con cui avesse
cercato
di danzare, eppure non si era mai divertito o emozionato tanto.
Pensa
ai movimenti.
Si
muove bene, questo Chett.
Perché
dovrei essere fedele a
qualcosa che non esiste?
Perché
è evidente che mi sono
sognato tutto.
“…ma
che diavolo…?”
C’era
un frastuono assordante di musica house in quella casa, eppure quella
voce
Magnus la percepì immediatamente. Lui.
Alec era appena entrato, per quel che poteva vedere, dato che aveva
ancora la
giacca addosso, e si stava guardando in giro a dir poco basito. Magnus
lo vide
e incontrò il suo sguardo, ma non fece un solo movimento
nella sua direzione.
Anzi, mostrandosi più divertito di quanto in
realtà non si sentisse, uncinò le
dita nei pantaloni di pelle del vampiro con cui stava ballando,
incollandoselo
ancora più scandalosamente addosso.
“Magnus!”
Alec sgomitò nella folla per raggiungerlo, guardandosi
attorno ancora
infastidito e perplesso. “Ma che sta succedendo
qui?”
“Non
lo vedi?” Magnus nemmeno si volse, continuando a ballare con
un più che
soddisfatto Wyatt. “E’ una festa, hai presente? Si
balla, si beve, ci si
diverte…”
Alec
sentì un fiotto d’acido allo stomaco, nel vedere
come la mano di Magnus
accarezzasse voluttuosamente il collo del vampiro con cui ballava. Si
impose di
mantenere i nervi saldi, comunque. “Ti devo parlare”
“Sono
occupato”
“E’
importante”
“Ah
davvero?” Magnus scansò con una manata piuttosto
improvvisa Wyatt, deciso a
baciarlo, tenendoselo comunque stretto mentre ballava, ma lo sguardo e
l’attenzione erano tutti per Alec. Ed erano improvvisamente
freddi e duri. “Ne
hai avuto di tempo, per venire a parlarmi. Se ti serve lo stregone che
di
recente ripara i cocci di voi cacciatori, mi dispiace ma è
fuori servizio. E
come puoi vedere, qui c’è una festa.
Quindi… se proprio vuoi fare qualcosa…”
con un ghignetto divertito e vagamente crudele, Magnus
riagguantò il vampiro,
per riprendere la loro danza sensuale. “Balla, giovane
cacciatore”
Alec
inarcò le sopracciglia, fissandolo come se fosse ubriaco,
prima di inclinare il
capo con fare irritato. Il suo solito broncio si incupì
ancora di più, dal
momento che Magnus sembrava davvero preso da quello che stava facendo.
E
soprattutto era deciso ad andare oltre, e farlo alla sua presenza.
Magnus lo
vide andare via con la coda dell’occhio, diretto verso il
tavolo con le
bevande.
“Nephilim,”
brontolò Wyatt, senza nemmeno troppo fiato e in evidente
stato di eccitazione.
Sorrise divertito, stringendo Magnus per i fianchi. “Non
sanno neppure cosa sia
il divertimento”
In
realtà, è proprio così.
Magnus
non riuscì a impedirselo. Stava ballando per inerzia, ma con
lo sguardo seguiva
Alec. Gli aveva sempre detto di tenersi alla larga dalla roba che
servivano ai
suoi festini, a meno che non fosse proprio lui a dargliene, e sembrava
che gli
stesse obbedendo, visto che se ne stava di spalle alla parete, con le
braccia
conserte e lo sguardo truce, in attesa.
Guarda,
guarda pure.
Impara
che cosa significa farsi
salire la bile perché c’è qualcun altro.
E
non è un quarto di quello che
succede a me quando tiri fuori il tuo Jace.
“E’
troppo affollato qui,” Wyatt sorrise allusivo, passandogli le
braccia attorno
al collo. “Perché non facciamo un salto di
là…?”
“Più
tardi, Matt” rispose sbrigativamente Magnus, accigliandosi.
Il tizio che si era
appena avvicinato ad Alec gli era molto più che familiare,
considerando che
amava sbandierare la sua abilità nell’ammaliare le
menti umane per soggogarle.
Non che con un cacciatore avesse delle speranze, ma la sua vicinanza lo
infastidiva comunque.
Che
diavolo vuoi, Flanaghan?
“Magnus,
mi stai ascoltando?”
Flanaghan
fece scorrere un dito lungo il braccio scoperto di Alec, che lo
guardò con un
sopracciglio inarcato, e un momento dopo Wyatt si ritrovò a
ballare da solo.
“Magnus
complimenti, mi piace quando inviti questo genere di
bocconcin-”
Alec
non fece in tempo a replicare, dato che Magnus lo stava trascinando per
un
braccio, con una forza che non gli aveva mai mostrato. Lo spinse
sbrigativamente nella stanza da letto, dove due creature dalla
carnagione
verdastra si stavano divertendo alla grande contro l’armadio.
“Fuori,
prima che vi polverizzi”
I
due rimasero sorpresi dall’ingresso e dallo sguardo duro del
padrone di casa,
quindi si affrettarono ad obbedire, correndo fuori. Magnus
sbattè la porta
chiusa, appoggiando le mani sui fianchi con aria annoiata.
“Che
cosa diavolo vuoi?”
Alec
allargò appena le braccia. “Parlarti in maniera
civile? Non sapevo che avessi
una fe-”
“Certo
che non lo sapevi, Alexander, non avresti potuto saperlo, dato che non
ti fai
vivo da una settimana” Magnus intrecciò le braccia
al petto. “In fondo, non ti
servivo a niente. Perché dovevi venire?”
“Non
dire stronzate,” Alec inghiottì, facendo un paio
di passi verso di lui. Lo
sguardo duro di Magnus rivelava una ferita aperta che gli
mozzò il respiro. “Sai
che mio padre è ancora convalescente, la situazione non
è esattamente facile
all’Istituto”
“Oh
si, tua madre mi ha accennato qualcosa. Ad esempio, che ve ne andate ad
Alicante”
Alec
inspirò profondamente, facendo una smorfia. “Mi
aveva detto di restare con
nostro padre e Max, per questo non sono-”
“Certo,
perché tu fai sempre tutto quello che ti viene
ordinato!” Magnus sembrò
finalmente esplodere, sciogliendo l’intreccio delle braccia,
avanzando verso di
lui. Avrebbe tanto voluto che il suo sguardo tradisse solo offesa e
rabbia, non
quella ferita che sentiva aperta da giorni. “Sei un soldato
eccellente, il
figlio modello, un fratello talmente premuroso che si prende anche la
briga di innamorarsi del proprio parabatai, perché immagino che
tutto il
tuo tempo libero anche questa volta sia stato devoluto alla missione Salviamo l’eroe tormentato!”
“Questo
è ridicolo! Jace non c’entra niente stavolta, la
mia famiglia è in un momento
difficile e io sto solo facendo il mio dovere di figlio!”
“Doveri,
doveri, solo doveri! Tu nemmeno te ne rendi conto, Alexander. Non ti
ascolti.
Non ti ascolti mai,” Magnus scosse la testa, sbattendo le
mani sui fianchi. “O
forse sono io che mi sono illuso che stesse succedendo qualcosa fra me
e te.
Che tu avessi lo stesso bisogno che avevo io di vederti, e che quel
bisogno
fosse più forte di qualsiasi dannato dovere”
Vaffanculo.
Vaffanculo.
Alec
aprì la bocca… ma poi sembrò
ripensarci, perché rimase in silenzio.
Quell’espressione
confusa, quell’onnipresente broncio furono una coltellata.
Quindi
è vero che mi ero illuso.
Mi
ero illuso di poter subentrare
al tuo maledettissimo grande amore impossibile.
Mi
ero illuso che potessi amarmi.
Magnus
fece per superarlo, deciso a uscire da quella stanza prima che la sua
espressione potesse svelare tutta la sua delusione.
“Il
problema sono io! Non è Jace, non sei tu, sono io!”
Il
tono di profonda disperazione gli impedì di uscire. Magnus
si fermò di fronte
alla porta, senza voltarsi. Se si fosse voltato, se lo avesse guardato
negli
occhi a quel tono così sofferente, avrebbe ceduto di nuovo.
Alec
sembrava sui carboni ardenti. Per qualche istante rimase in silenzio,
mentre i
rumori assordanti della musica fuori dalla stanza riempivano
l’aria. Si passò
una mano fra i capelli, incasinandoseli ancora di più.
“Mio
padre e mia madre non sanno che sono gay,” mormorò
alla fine, con un tono che
sapeva di sconfitta. “Non lo immaginano, e non la
prenderebbero bene. La nostra
famiglia è già guardata male, con la storia di
Jace figlio di Valentine, e
tutto il passato dei miei. Non riesco a immaginare che cosa mi
direbbero, ma so
che se lo sapessero adesso… adesso che sono diventato un
cacciatore adulto, che
mio padre deve rimettersi… mia madre lo prenderebbe come
l’ennesimo scandalo.
Ne sono maledettamente sicuro”
Fantastico.
Una
insicurezza dopo l’altra.
Prima
era Jace. Adesso questo.
Non
finirà mai.
“E
che cosa vorresti fare?” Magnus cedette
all’impulso, e si voltò. “Mentirgli per
il resto della tua vita? Fingere di essere qualcuno che non sei, solo
per far
contenti i tuoi genitori?”
“Non
ho detto questo,” replicò Alec, altrettanto duro.
“Sto solo dicendo che non è
il momento migliore. E che se fossi venuto qui prima, si sarebbero
insospettiti…
mi sarei tradito, lo sai che sarebbe successo”
Magnus
emise un versetto di incredula frustrazione, scuotendo il capo.
“Perché
non vuoi capire-”
“No,
Alexander, sei tu che non vuoi capire” Magnus gli si
avvicinò, guardandolo
dritto negli occhi blu. “E la cosa peggiore è che
non vuoi capire te stesso.
Continui a nasconderti dietro un milione di insicurezze e divieti, ma
io so che
c’è dell’altro in te, perché l’ho visto,
maledizione. Ti impedisci di amare perché sei legato a Jace,
perché vorresti
amare lui ma al tempo stesso non vuoi dirgli niente, neppure che sei
gay,
dimostrando che hai paura di essere rifiutato dalla persona di cui
dovresti
fidarti di più. Ti impedisci di avere una relazione con me,
perché hai la
responsabilità del buon nome di famiglia. Quale buon nome,
Alec, i tuoi l’hanno
calpestato quando eri troppo piccolo per riuscire a parlare. Loro sono
andati
contro le leggi, tu che leggi infrangi nell’essere te stesso?
A chi fai del
male se ti liberi di queste paranoie ottuse, e continui a fare quello
che hai
sempre fatto da persona felice e appagata?”
Alec
non riuscì a rispondere. Sembrava sui carboni ardenti.
E
stronzo io, che adesso vorrei
solo poterti abbracciare.
Magnus
si ficcò le mani nelle tasche, unico sistema per non cedere
e accarezzargli la
guancia. Avrebbe voluto mantenere un tono duro, ma non ci
riuscì.
“Tu
sei passionale, Alexander. Il mondo questo non lo sa perché
non gliel’hai mai
mostrato, ma io lo so e l’ho visto. Non sei solo il soldatino
che obbedisce.
Hai un cuore enorme, che ha posto per tutti tranne che per se stesso.
Eppure
tutto questo lo rinneghi, e ti nascondi dietro delle paure che uno come
te
potrebbe vincere in un battere di ciglia, se solo lo volesse davvero.
Credevo
di valere la pena per te… di essere un buon motivo per
trovare la grinta di cui
hai bisogno, ma a quanto pare mi sono sbagliato”
Questo
sembrò scuotere Alec. “Non è
così, non sarei qui se davvero-”
“Se
davvero cosa, Alec?” Magnus sospirò, scuotendo
tristemente la testa. “Sono
stanco di aspettare che tu scelga me. C’è sempre
qualcosa che viene prima. C’è
sempre qualcuno che viene prima.
Forse dovresti fermarti e chiederti cos’è che vuoi
veramente”
“Io
so che non ho il diritto di chiederti altro tempo,” Alec
scosse appena la
testa. Era esitante, sembrava quasi non sapere cosa dire, come
comportarsi. Perché
le parole di Magnus gli erano arrivate dritte al cuore, con tutto
ciò che
questo significava.
Magnus
attese qualche istante il ‘però’ che
sembrava sospeso nell’aria… ma la frase
restò incompleta, sebbene gli occhi di Alec ne tradissero
ogni emozione. Oh no,
non gli era indifferente, e lui questo lo sapeva bene. Ormai quello
sguardo lo
conosceva bene.
Non
cambierà mai nulla se adesso ti
abbraccio, e ti dico che capisco.
Devi
capire tu che cosa vuoi, Alec.
Io
posso solo sperare che tu voglia
me.
Ma
non posso continuare così.
“No,
infatti” replicò piano, inumidendosi le labbra.
“Torna a casa, Alexander.
Scegli chi e cosa vuoi essere. Perché per quanto…
nonostante tutto, io non
riesco né voglio andare avanti in questo modo”
Alec
esitò, sul punto di rispondere. Inghiottì,
chiudendo per un momento gli occhi,
e annuì. Lo superò in silenzio, e Magnus si
impose di restare di spalle, o
avrebbe mandato all’aria tutta la sua spavalderia per
trattenerlo. Scrollarlo
fino a fargli entrare in quella zucca dura il ragionamento
più logico. Ma
doveva capirlo da solo, in fondo. Anche se questo significava rischiare
di
perderlo. Avrebbe pagato oro perché
quell’esitazione si fosse trasformata in un
discorso, una presa di posizione, ma ormai conosceva bene Alec
Lightwood.
Conosceva i suoi silenzi, e i suoi sguardi.
Ti
serve tempo.
Posso
solo dartelo, no?
La
porta si aprì, lasciando entrare il frastuono della festa,
per poi richiudersi
e rendere di nuovo quel caos come ovattato. Magnus chiuse gli occhi e
sbuffò,
passandosi le mani sul viso. Avrebbe volentieri dato un calcio a
qualcosa, se
questo non avesse rovinato le sue scarpe verde pisello. Si
lasciò cadere sul
letto, sdraiandosi di schiena a gambe e braccia larghe. E
sbuffò di nuovo.
Tu
guarda di chi dovevo andare ad
innamorarmi, io.
Karma
del cazzo.
Con
un pochino di tempo libero in più e l’ispirazione,
gli aggiornamenti sono più rapidi
:D
Un
grazie specialissimo per le mie tre recensioni *_____*
Maggyeberty:
ti ringrazio tantissimo *-* la penso come te, la loro storia
è bella proprio perché
sono due casini che ne creano uno ancora più
grosso… e più amabile!
Dontblinkcas:
ma grazie mille *_* si, il progetto è quello di
“riempire i buchi” fino all’ultimo
libro, ovviamente non sono Cassie ma immaginare non costa nulla :D
Terrybells85:
grazie tantissimo anche a te *-* spero di continuare a non deludere le
tue
aspettative!
Un
bacio a tutti, scappo a nanna! E grazie fin da ora a chi mi
lascerà un
commentino :D
|
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Capitolo 6 *** The one lost in pain ***
“Non
stare qui mentre mi alleno,
Max”
“Ma
Jace mi lascia guardare quando
lo fa!”
“Perché
è un pezzo d’idiota, sei
ancora piccolo”
“Lui
queste cose non le dice mai”
“…Max,
aspetta…”
“Non
mi piace essere insultato!”
“Non
ti stavo insultando…”
“Hai
detto che sono piccolo. Non è
così, fra due anni papà dice che potrò
cominciare ad addestrarmi anche io!”
“Hai
ragione, scusami. Però per
adesso non sei ancora pronto per… armi e rune, e demoni col
caratteraccio e
l’alito pesante”
“Ma
quando anche io sarò un
cacciatore, potrò venire con te e Jace?”
“Certo”
“Allora
insegnami a tirare con
l’arco!”
“Fra
due anni, di sicuro”
“No,
non fra due anni… adesso!”
“Hai
le dita troppo piccole, ti
faresti solo male. E poi serve potenziare i muscoli delle
braccia… altrimenti
come fai a tendere la corda? Guarda che è bella
dura”
“Davvero?
Tu lo fai sembrare così
semplice…”
“Se
ti alleni, lo è. Lo sarà anche
per te, vedrai”
“Mi
aiuterai?”
“Ovvio.
Quando riceverai le tue
prime rune, ti insegnerò a tirare”
“…e
mi regalerai il tuo arco!”
“E
ti regalerò il mio arco. Adesso
fila, se ti infilzo come un pollo, non ci sarà nessuno a cui
insegnare un bel
niente”
“Izzyyyyy!
Jaaaace!! Alec ha detto
che mi darà il suo arcooooo!”
L’acqua
bollente continuava a scendere copiosa sulla testa e sulle spalle di
Alec, ma
sembrava che lui non se ne accorgesse affatto. Era dentro la doccia da
quasi
un’ora, i pugni stretti fino a farsi sanguinare i palmi
contro la parete, i
capelli che gli gocciolavano sul viso, la pelle arrossata dal calore
dell’acqua. Ma il dolore fisico non si faceva sentire in
alcun modo. Non
abbastanza da coprire quello che gli stava frantumando il cuore in
pezzi da
poche ore.
E’
morto.
Max
non c’è più.
Max
non c’è più.
Sembrava
assurdo, continuava a ripeterselo e continuava a suonare irreale. Max
era un
bambino innocente, non era ancora un guerriero, non aveva preso parte
alla
battaglia che aveva lasciato tanti cadaveri sul suolo di Alicante
quella notte.
Eppure il suo corpo sarebbe stato bruciato assieme agli altri
l’indomani.
Perché Max era morto. E per quanto potesse ripeterselo come
un orribile mantra,
Alec continuava a non trovare alcun senso concreto in quelle parole.
E’
un bambino, Max è solo un
bambino.
Ma
è morto.
Perché?
Che motivo c’era?
Non
era una minaccia, e non sapeva
neppure difendersi.
Max
è un bambino, non può essere
morto.
…lo
è…
Alec
chiuse forte gli occhi e i pugni, abbassando la testa sotto il getto
d’acqua
della doccia. Ricordava distintamente ogni istante di quelle ore
terribili. Le
urla di sua madre contro la famiglia Penhallow, suo padre completamente
spento
e senza la forza di replicare ad alcunchè, la disperazione
di Izzy, il silenzio
sgomento di Jace.
E
lui?
Lui
aveva fatto il bravo figlio.
Aveva
cercato di calmare sua madre, chiedere aiuto a Jace, a suo
padre… placare il
pianto di Izzy, perfino. Fin quando suo padre, per impedire che la
moglie
sfoderasse le armi contro Jia Penhallow, gli aveva messo in braccio Max.
E’
morto.
Max
non c’è più.
L’acqua
stava diventando fredda.
Il
piccolo corpo di Max fra le sue braccia lo era stato anche di
più.
Alec
appoggiò la fronte contro il muro, gli occhi serrati ancora
più forte.
Ricordava perfettamente il modo in cui il collo spezzato del fratellino
si era
reclinato innaturalmente sul suo braccio, e aveva sentito il gelo che
solo un
corpo senza vita può trasmettere. Non si era reso conto di
aver praticamente
smesso di respirare, fin quando non aveva sentito la mano di Jace
stringergli
appena la spalla, mentre l’altra accarezzava i capelli di
Max. Alec lo aveva
fissato quasi inebetito, incapace di distinguere quel momento da tutte
le volte
che lo aveva riportato a letto, perché avevano sempre detto
che Max era una
specie di gatto capace di addormentarsi ovunque. E poteva sembrare che
dormisse, ma non era così. Non respirava. Max non respirava
più.
“Un
cacciatore mantiene sempre una
promessa, vero?”
“Certo,
è una questione di onore”
Max
era morto. Ucciso da chi avrebbe dovuto difenderlo. Senza la sua
protezione.
Ti
ho mentito.
Non
ho mantenuto la mia promessa.
Ti
ho mentito, Max.
“Alec?”
La
voce appena sussurrata sembrò il frutto della sua
immaginazione, confusa con il
rumore dell’acqua che gli scrosciava addosso. Alec socchiuse
gli occhi,
scorgendo un’ombra alta oltre il vetro smerigliato della
cabina della doccia.
Max
non c’è più.
“Alec…”
Magnus esitò. La sua voce era bassa, pacata. “Mi
ha fatto entrare Jace. Sei lì
dentro da parecchio”
Magnus
era lì? Alec si scansò i capelli bagnati dal
viso, tirando su col naso. Cercò
di mettersi dritto, gettando un occhio alla doccia come se la vedesse
in quel
momento per la prima volta. Dov’era finita la spugna con cui
si era
letteralmente scartavetrato di violenza il sangue di dosso?
“Sono
andato a porgere le mie condoglianze ai tuoi genitori,”
continuò Magnus,
appoggiando una mano contro il vetro. Inclinò appena il
capo, cercando
disperatamente di vedere qualcosa. S’inumidì le
labbra, prima di riprendere.
“So che ti sta a cuore sapere di loro, prima che di te
stesso. Tua madre si è
calmata, ora. Sono con tuo fratello”
No,
non è così.
Non
c’è nessuno con Max, Max era
solo nel momento del bisogno.
Non
c’era nessuno.
Non
c’ero io.
“E’
tutto sotto controllo,” Alec fu grato al rumore
dell’acqua, che in parte
camuffò la sua voce rauca. Inghiottì,
rabbrividendo. L’acqua gelida sembrava
una cascata di coltellate alla schiena. Niente che riuscisse a superare
quel
senso di vuoto che lo stava mangiando vivo, comunque. “Esco
fra un momento”
Magnus
sospirò. Alec ne vide la sagoma scuotere leggermente il capo.
“Niente
è sotto controllo, e neppure deve esserlo. Hai perso tuo
fratello. Hai tutto il
diritto di vivere questo dolore senza nasconderti”
“N-Non
è tempo di lacrime,” la voce di Alec
tremò appena. “Isabelle è convinta che
sia
colpa sua, non capisce… mia madre e mio padre, loro non si
parlano da una vita…
Alicante è sotto attacco-”
“E
tu?” Magnus sentì il cuore stringersi in una
morsa. Lo stava facendo di nuovo.
“Alexander, metti via il peso del cielo dalle tue spalle per
un momento,
d’accordo?” gli disse, parlando piano. Era come
parlare ad un cavallo furioso,
aveva paura di vederlo sgretolarsi o esplodere, alzando la voce anche
solo di
un soffio. “Stanno soffrendo tutti, lo so. Ma stai soffrendo
anche tu”
Alec
non rispose. Strinse i pugni contro la parete, gocce di sangue a
macchiare
l’acqua che scivolava giù, e se non fosse stato
ossessivamente preso a
ripetersi quel tragico mantra, si sarebbe accorto che Magnus era appena
entrato
all’interno della doccia. Non lo sentì imprecare a
bassa voce, né schioccare le
dita per riscaldare immediatamente l’aria e
l’acqua, né tantomeno distinse il
rumore della maglietta che veniva sfilata via. Capì che era
entrato solo quando
si sentì circondare i fianchi con le braccia, avvertendo il
contatto fra la
propria schiena gelida e il suo petto caldo, pulsante di vita. Lo
sentì
sospirare, mentre spostava un braccio a cingerlo dalla spalla, per
poterlo
avvolgere meglio nella sua stretta.
“Alec…
sono qui con te. Possiamo affrontare questa cosa insieme, va
bene?”
“Sto
bene”
“Non
è così,” Magnus sospirò,
stringendolo meglio a sé e depositandogli un bacio
sulla spalla ancora gelida. Se possibile, prese a parlare ancora
più piano, le
labbra accanto al suo orecchio, mentre si affidava al proprio calore
corporeo
perché riportasse alla normalità quello del
ragazzo. “E non sarebbe neppure
giusto, perché… sarebbe come negare quello che
è successo. E non si può”
Passò
qualche istante di interminabile silenzio, mentre Alec continuava a
fissare
come in trance un punto della parete.
“Max
è morto”
“Lo
so,” soffiò fuori Magnus, chiudendo gli occhi a
sentire la voce di Alec tanto
atona. Gli baciò a fior di pelle la tempia, accarezzandogli
con dolcezza il
fianco. “E non è colpa di nessuno”
Alec
fece una smorfia amara, senza distogliere lo sguardo da quel punto
perso chissà
dove, oltre la parete. “Isabelle è convinta del
contrario,” replicò, quasi come
se stesse raccontando qualcosa a cui era estraneo. Perché
era impossibile, no?
In
guerra muoiono i soldati.
Gli
adulti.
Non
i bambini.
“Esiste
il nome e il cognome del vero assassino di Max, e di sicuro non
è il suo”
“Non
è stata colpa di Izzy”
“Certo
che no”
“La
colpa è solo mia”
Max.
Alec
percepì a stento la stretta in cui era avvolto farsi
più protettiva. Che lo
volesse o meno, il corpo stava tornando alla temperatura normale, e
aveva
smesso di tremare.
“Ero
sicuro che lo avresti detto,” Magnus sospirò
tristemente, scansandogli i
capelli dall’orecchio. “Alexander, non farlo. Non
serve a niente, ti farai solo
del male ingiustamente”
“Ingiustamente…”
Alec sembrò perdersi di nuovo in quel senso di vuoto,
incapace di percepire
altro. “Max era un bambino. Era solo un bambino. Non poteva
fare del male a
nessuno, eppure nessuno di noi l’ha protetto, nessuno lo ha
aiutato, e lui
credeva in noi. Lo abbiamo tradito, io l’ho
tradito. E’ come se l’avessi ucciso io”
“Sebastian
Verlac ha ucciso tuo fratello,” il tono di Magnus si fece
leggermente più duro.
“Ha tradito voi tutti, e si è macchiato di un
crimine putrido quanto la sua
anima. Nessuno di voi poteva prevedere-”
“Non
dovevo uscire,” qualcosa cambiò nella voce di
Alec. Divenne sottile, tremula…
come se stesse facendo l’impossibile per trattenere un
fardello di emozioni
pronto ad esplodere. “Non dovevo lasciare soli Izzy e Max. I
miei genitori me
li avevano affidati, dovevo restare con loro”
“Hai
fatto solo il tuo dovere,” Magnus riuscì
finalmente ad incrociare lo sguardo di
Alec nello specchio all’angolo della doccia. Il cuore gli si
attorcigliò
dolorosamente, nel vedere in che stato fossero i suoi occhi. Vuoti, smarriti. Occhi blu vuoti e
smarriti, ancora una volta.
“Sei un
cacciatore, il tuo posto era a combattere per la tua città
che stava cadendo
sotto l’attacco dei demoni. Fermare quei mostri era il tuo
modo di proteggerli”
“Se
fossi rimasto, forse Max sarebbe ancora vivo”
“O
forse sarei morto io,” con una delicatezza quasi surreale,
Magnus gli scansò i
capelli dagli occhi e lo strinse meglio a sé, continuando a
guardarlo
attraverso lo specchio. “Ricordi che mi hai salvato la vita,
prima? Per di più,
so che avete affrontato in tre Sebastian Verlac e per poco non ha avuto
la
meglio lui. Se fossi rimasto, forse ora i tuoi genitori piangerebbero
due
figli, invece di uno. Certe cose… certi eventi non possono
essere evitati,
Alec, e cercare una spiegazione all’impossibile
può solo farci impazzire”
Alec
rabbrividì bruscamente. Un fremito che non riconobbe come il
singhiozzo che
reclamava di uscire. Un pianto che non si era concesso, ma che gli si
era
imbottigliato proprio al centro del petto, impietoso. Reclamava di
uscire.
“Ti
prego… amore, ascolta la mia voce,” nessuno dei
due fece caso al termine usato
d’istinto da Magnus, a sua volta troppo preso ad accarezzare
con dolcezza la
nuca del ragazzo. “Io sono uno stregone, e sono anche
potente, lo sai. Eppure
ci sono cose che neppure io so spiegarmi, limiti che nemmeno io posso
oltrepassare, anche se richiamo tutta la magia di cui dispongo. Lo
stesso vale
per te… non hai abbandonato tuo fratello, hai cercato di
proteggerlo impedendo
che altri demoni lo raggiungessero. Né tu né
Isabelle potevate immaginare che
Sebastian fosse un traditore. Jia Penhallow è una
cacciatrice con anni di
esperienza alle spalle, per di più è una sua
parente, e non si è accorta di
niente. Questo non è il momento di cercare delle
colpe… il tempo della vendetta
verrà,” Magnus gli baciò leggermente il
collo, accarezzandogli il braccio. “Ora
è il momento di dire addio a tuo fratello, solo questo
conta”
Se
fosse stato in sé, Alec si sarebbe accorto del sollievo
nello sguardo di
Magnus, quando si decise a smettere di fissare il vuoto per cercare i
suoi
occhi nello specchio. Era come se in tutta quella nebbia di emozioni
convulse,
le parole di Magnus fossero riuscite a fare breccia. A scavarsi un
piccolo
passaggio, così da raggiungere il suo cuore. E fu come
sentire un milione di
punture d’aghi, su quel cuore, perché la prima
sensazione che lo risvegliò da
quel torpore da shock fu il dolore.
Max
è morto.
Alec
scosse appena la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Magnus
lo avvolse più saldamente nella sua stretta, baciandogli la
spalla con
dolcezza.
“Siamo
solo io e te… non c’è nessuno, ho
insonorizzato la stanza. Non ti vedranno e
non ti sentiranno, Alec, siamo solo io e te… piangi. Hai
perso tuo fratello.
Non negarti il dolore, impazziresti, e questo non posso
permetterlo”
Max
è morto.
Il
primo singhiozzo fu forte abbastanza da lasciarlo senza fiato. E poi ne
venne
un secondo. E un terzo. E alla fine Alec non capì neppure se
quel pianto
disperato fosse davvero il suo, se fossero state le sue gambe a cedere,
trascinando entrambi in ginocchio a terra. Il dolore gli irruppe nella
mente e
nel cuore con una prepotenza che non si aspettava, e lacerò
definitivamente
quella sensazione di vuoto e apatia. Il suo fratellino non sarebbe
tornato mai
più. Non gli avrebbe mai insegnato a tirare con
l’arco, e neppure lo avrebbe
aiutato ad addestrarsi, come gli aveva promesso. Non riconobbe come
propria la
voce che continuava a scusarsi, a ripetere fra i singhiozzi quanto gli
dispiacesse. Il dolore era così forte da impedirgli di stare
dritto, curvo
sotto il peso di un’emozione troppo violenta e impietosa.
E
pianse.
Alec
pianse come avrebbe voluto fare fin dal primo istante, e neppure seppe
per
quanto tempo.
L’acqua
non si raffreddò mai, e nemmeno la stretta di Magnus si
allentò. Qualche volta
gli sentì mormorare qualche parola in una lingua che non
riconobbe, o più
semplicemente iniziò ad accorgersi delle carezze e del suo
calore mentre lo
abbracciava forte, come a volerlo inglobare in sé. E fu un
gesto così naturale
cercare la sua mano e stringerla, quasi a volersi arpionare ad uno
scoglio
solido durante la peggiore delle tempeste.
Pianse
finchè il corpo non reclamò attenzione,
indebolito e massacrato dai crampi alle
gambe per la posizione innaturale. In qualche modo Magnus se ne rese
conto,
perché si mise seduto di spalle contro il vetro della
doccia, attirandolo a sé
e facendolo appoggiare con la schiena contro il proprio petto. Alec
aveva il
corpo ancora scosso dai sussulti e dai singhiozzi, anche se le lacrime
ormai
sembravano finite. Stanco, reclinò la testa indietro sulla
spalla di Magnus,
che gli baciò dolcmente la tempia, la guancia e il collo.
Alec sospirò appena,
cercando di nuovo la sua mano. Si sentiva talmente sfibrato e confuso
che non
riusciva neppure a pensare. L’unica cosa che continuava a
vedere era il corpo
senza vita di suo fratello fra le proprie braccia.
“So
che fa male,” Magnus inclinò appena il capo,
cercando lo sguardo di Alec nello
specchio. Aveva il viso rigato da due impercettibili linee
umide… lacrime.
“Vorrei poter fare qualcosa, ma
non posso. Non posso alleviare il tuo dolore”
Alec
socchiuse gli occhi, limitandosi a scuotere leggermente il capo. Non
credeva
neppure di avercela, una voce su cui fare affidamento. Non sarebbe
riuscito a
dire nulla.
“Imparerai
a convivere con il dolore,” continuò piano Magnus,
appoggiando il mento sulla
sua spalla. “E’ come ritrovarsi senza la mano
destra. Non sei morto… continui a
vivere. Ma tutta la tua vita deve essere ridisegnata,
perché… tutto quello che
facevi con la mano destra, devi imparare a farlo con la sinistra. E non
è
facile, anzi, ma alla fine diventa solo un’altra abitudine.
Il tempo non medica
nessuna ferita, ma ti insegna a convivere con le cicatrici”
Forse
fu il tono morbido che stava usando, il calore nella sua voce, o
più
semplicemente quella presenza forte e rassicurante insieme. Il cuore
continuava
a fargli male, ma oltre al dolore c’era qualcosa di diverso
che Alec stava
iniziando a percepire. Si mosse piano, usando solo la mano libera,
tirandosi
seduto in modo da poter guardare Magnus negli occhi. Gli vide inclinare
appena
il capo e accennare un sorriso, pizzicandogli il mento.
Non
voglio che tu te ne vada…
Iniziò
come un bacio lento, senza alcuna fretta, senza frenesia. Alec fu il
primo a
ricercare quel contatto, e Magnus lasciò che fosse lui a
dettare i tempi,
accarezzandogli lentamente la nuca. Alec lasciò scivolare la
mano lungo il suo
petto, soffermandosi all’altezza del cuore. Aveva un battito
strano, Magnus.
Più lento, eppure talmente stabile che sembrava il ritmo
più rassicurante che
avesse mai scandito la sua vita. Staccò le labbra dalle sue,
cercando
avidamente quel punto sul collo che ogni volta gli strappava un gemito
rauco, e
divincolò la mano dalla sua per sbottonargli i pantaloni
grigi. Il gemito
arrivò, ma accompagnato da un gesto malfermo con cui Magnus
lo allontanò
leggermente, guardandolo dritto negli occhi. Alec questa volta lesse
chiaro e
tondo il dubbio nel suo sguardo d’ambra.
Non
voglio perderti.
Non
voglio perderti mai più.
“Voglio
stare con te”
Magnus
sbattè gli occhi, socchiudendo le labbra. Lo stava guardando
come se non
credesse a quelle parole, come se le avesse aspettate da troppo tempo.
Abbastanza da non credere che sarebbero mai arrivate.
“Non…
non lo so che cosa succederà da domani,” Alec
scosse appena la testa, senza
distogliere lo sguardo. “Non so quanto mi resta da vivere,
non so che cosa ci
trovi di speciale in me… però so che voglio stare
con te. Fino a che avrò
respiro in corpo, ok?”
Alec
fece a stento in tempo a finire la frase, che Magnus lo stava divorando
avidamente. Un bacio che sapeva di gioia inattesa, di frenesia, di
bisogno. E
lui rispose allo stesso modo, perché in mezzo a tanto dolore
soffocante, quel
sentimento non si stava lasciando schiacciare, anzi. Aveva finalmente
trovato
forza e voce. E quel che restava dei vestiti dello stregone finirono
appallottolati in un angolo della doccia, mentre continuavano a
cercarsi e
divorarsi, ad unirsi ripetutamente, a gemere l’uno il nome
dell’altro come
fosse la più dolce delle preghiere. E ore dopo, quando si
rifugiarono sotto il
calore delle coperte ancora stretti l’uno
all’altro, Alec chiuse gli occhi
quasi immediatamente. Non ebbe il tempo di pensare a tutti gli incubi
che lo
aspettavano, al dolore, alla tristezza, alla paura di quello che
sarebbe
successo. Le braccia di Magnus lo circondavano e lo stringevano, e il
sonno lo
accolse senza problemi.
In
qualche modo, sarebbe andata bene.
In
qualche modo, avrebbe avuto la forza di andare avanti.
E
avrebbero affrontato ogni cosa insieme.
Che
voglia che avevo di scrivere questo capitoletto *-* ooh, finalmente
tutto come
dovrebbe essere :D E io devo un grazie grande quando un grattacielo a
tutti,
perché mi avete commossa con le vostre recensioni *____*
quindi special thanks
to:
Mizar:
ma grazie, che complimento importante *____*
Dontblinkcas:
mille grazie *-* anche io adoro Alec, perché nella sua
fragilità è uno di
quelli che cresce di più (lui e Simon) nell’arco
dei libri… ci si identifica
facilmente, è un insicuro cronico perennemente messo alla
prova dalla realtà,
povero cuore XD e si, questo è stato il suo punto di svolta
perché secondo me
aveva bisogno di un evento davvero forte, il classico ceffone in
faccia, che ti
fa rendere conto di cosa vuoi davvero. Bacini!
Pulla68:
grazie mille, sei gentilissima! *-*
Maggyeberty:
siamo in due a voler andare a quelle feste :D e grazie tipo GRAZIE XD
perché mi
hai detto delle cose bellissime *o* e anche questa volta, abbiamo Malec
struggenti… ma finalmente si sono trovati. Non ce
n’è, per me sono proprio due
calamite *-* in qualsiasi emozione, dolore o gioia, si attraggono e si
attirano
anche se si sforzano di fare il contrario *___* Bacissimiiii :3
Emilia_asr:
anche io amo molto Magnus *___* e ti sono più che grata per
le cose bellissime
che hai detto *-*
Bene,
adesso sgattaiolo via… un baciozzo enorme a tutti, grazie a
chi leggerà, a chi
recensirà… e ci si vede al prossimo capitoletto!
:D
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