Little boy named Train.

di Cornfield
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lapse in nowhere. ***
Capitolo 2: *** We're living in repetition. ***
Capitolo 3: *** Tonight my heart's on the loose. ***
Capitolo 4: *** I just wanna be your friend. ***
Capitolo 5: *** I'm spiralling down to the hole in the ground. ***



Capitolo 1
*** Lapse in nowhere. ***


Premessa: il fandom dei Green Day ormai è quasi pieno delle storie di St.Jimmy , Jesus of Suburbia e Co. e anche di quei poveri figli Christian e Gloria. Cosi ho pensato, perché non basare una fan fiction sulla trilogia? In un certo senso anche quei tre album sono una storia. Come dichiarato dagli stessi tre porcellini (chiamati erroneamente Green Day): UNO è l’atmosfera adeguata prima di qualsiasi festa, DOS è la festa vera e propria, TRE è il dopo sbornia. Quindi ho deciso di dar vita (?) al personaggio descritto in “Little boy name Train” appunto  questo treno (che poteva darsi un nome migliore eh).Questo più che un capitolo, è solo l’introduzione, perciò è molto corto. Scommetto che leggendo la premessa, sarete già scappati a gambe levate, se non lo avete fatto ANYWAY. Buona lettura:)

LITTLE BOY NAMED TRAIN
1.


Lapse in nowhere.
 
Finalmente riusci ad aprire gli occhi.
Ma cosa vedeva esattamente? La sua mente era offuscata, ma da cosa? Da nessun pensiero. Non sapeva cosa pensare. Perché non sapeva cosa pensare? Non sapeva niente. Dove si trovava? Non riusciva ad identificare niente tra quella coltre bianca, la nebbia. Era confuso. Perché esattamente? Da che cosa era offuscata la sua mente? Perché non sapeva cosa pensare? Dove si trovava? Di nuovo queste domande si infilarono nella sua testa all’infinito. Ma non riusciva mai a darsi risposte, se ne esistevano.
Provò a richiudere gli occhi, ma vedeva solo il nero più totale, o forse qualcos’altro.
Immagini.
Immagini strane, frammentate.
Che tipo di immagini? No, non era il momento di aggiungere altri punti interrogativi.
Ora riusciva ad identificare un volto tra quelle immagini sfuggenti.
Un volto maledetto che conosceva.
Sorrise istintivamente.
Era una donna, o almeno gli sembrava una donna.
Riconobbe subito quel rossetto sbavato, quei capelli tinti di rosa e quel vestito scollato.
Cominciò a ricordare qualcosa, qualcosa di misterioso, divertente, che riusciva ad assaporare piano piano mentre la sua mente si divincolava tra quelle immagini.
La testa gli stava scoppiando.
Sentiva delle scariche elettriche dentro di se che ogni volta rivelavano altri particolari.
Sentiva tanto rumore, tanto fracasso, tante luci stroboscopiche intorno.
Riusci a vedere che teneva qualcosa in mano. Un vaso?
Un telefono?
No, una bottiglia di birra vuota.
E poi questa ragazza che lo prese per la camicia.
Le immagini cominciarono a diventare sempre chiare e concise.
Stava ricordando sempre più cose.
Ora vedeva un altro volto. Un volto gentile.
Decise di inoltrarsi in quegli sprazzi di immagini nella sua mente, per capire dove si trovava, cosa ci faceva li.
Ma soprattutto chi era.
 

 

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Capitolo 2
*** We're living in repetition. ***


2.

We're living in repetition.

Cercò di sforzare a dare un senso a quelle immagini che gli sfilavano una ad una nella mente, immagini sfuggenti, confuse.
Ora vedeva un tavolo.. o era un letto?
Stava ricordando, stava ricordando all’improvviso tutto. Dall’inizio.

 
Mi svegliavi di soprassalto in una pozza di sudore.
Guardai la sveglia. Erano le 7:04 di mattina.
Avevo di nuovo sognato lei, mentre la baciavo, sembrava cosi vero.
Ancora una volta.
Per la millesima volta.
Sospirai e mi misi la testa sotto il cuscino.
Ogni fottutissima notte vivevo nell’illusione. Speravo, credevo che nella mia immaginazione anche lei fosse innamorata di me, addormentandomi in quella beatitudine. Ma ogni mattina realizzavo che non era cosi.
Io ero un disastro, lei era un’opera d’arte per cosi dire.
Mi alzai dal letto contro voglia. Un altro giorno di scuola merdoso, un altro passo verso la schiavitù. Odiavo profondamente la scuola, la prigione. Mi sarei reso ancora una volta ridicolo davanti a Juliet, ero un clown. Odiavo soprattutto quel maiale del cazzo, ma tutti lo chiamavano Robert. Raramente avevo parlato con lui, ma non mi è mai piaciuto in ogni caso. Si credeva il salvatore dell’umanità, magari con la barba incolta e un aureola in testa.
La vita è bastarda e crudele. Lui era un bastardo.
Forse ero pazzo, forse meditavo vendetta nei confronti di una persona che a malapena conoscevo, forse eravamo tutti i pazzi. La vita è una pazzia, succedono cose pazze, in questo fottuto mondo.
Addentai l’ultimo pezzo di ciambella prima di uscire da casa con un sorriso falso stampato sulla faccia.
 
Guardai il mio orologio da polso. Ero in ritardo.
Corsi a perdifiato tra le strade di quella città.. Come si chiamava esattamente? Non avevo mai prestato attenzione al suo nome, ero soltanto un suo residente che voleva evadere in qualche modo, dalla prigione che si era creato lui stesso. La mia vita era cosi strana. Era basata solo sulla conquista di Juliet. Poi era sempre la solita monotonia. Tornavo a casa dalla scuola stanco della gente, mangiavo quasi sempre da solo, cagavo, non facevo i compiti, componevo canzoni. Forse l’unico momento in cui mi sentivo felice era quando impugnavo la mia chitarra. Ma ero certo che tutto ciò che suonavo era solo merda.
Mia madre tornava verso le 4 mattina, sempre ubriaca.
Non so chi sia il mio vero padre, forse una bottiglia di birra.
E poi? E poi basta.
Mi rintanavo nelle coperte, facevo i miei soliti filmini mentali e mi addormentavo.
Basta, niente di più. La monotonia mi stava uccidendo piano.
“Fred!”
“Mi dispiace tantissimo lo so sono in ritardo, scusa, non volevo! La sveglia non ha suonato, cioè si ha suonato però credo di non averla sentita, o forse si ma l’ho spenta subito. Ma io ora che ci penso non uso la sveglia per svegliarmi, lo faccio da solo. Tu usi la sveglia?” Farfugliai tutte quelle parole in pochi secondi, saltando qualche vocale.
“Ehy rilassati, non sei in ritardo! L’autobus non è ancora arrivato!”
Solo in quel momento mi ricordai che l’orologio andava avanti di quindici minuti.
Se fosse stata una persona normale a parlare avrei lasciato correre tutto ciò, facendo una sonora risata. Ma quella non era una persona normale, era Juliet. Quei suoi capelli castani, i suoi occhi penetranti dello stesso colore, con la pelle rosea, il volto gentile … Sudavo freddo. Coglione perché non riuscivi a dire niente?
In quel momento, salvandomi dall’imbarazzo momentaneo, arrivò Jordan, il mio migliore amico per cosi dire. Ma di solito non uscivo con nessuno, parlavo solo con me stesso.
Ci salutò con un cenno e noi ricambiammo.
“Avete sentito la novità?”
Io e Juliet negammo con la testa all’unisono.
“Robert ha picchiato uno della seconda H, per le solite cazzate credo”.
Appena Jordan pronunciò quel fatidico nome, feci una smorfia.
“Non ti sta molto simpatico quel tipo vero?” Continuò.
“A me non stanno mai simpatici i tipi che si atteggiano alle Gesù Cristo”
“Bhé dovrai cambiare idea su di lui, più che altro perché ci accompagnerà alla festa di domani sera, perciò non combinare casini, è l’unico che può darci un passaggio.”
“Atto di carità improvviso?” Fece Juliet quasi infastidita.
Io invece ero rimasto pietrificato alla parola “festa”. Non ero mai andato ad una festa, non sapevo neanche dell’esistenza di quella festa. Ero piombato all’improvviso in una strana inquietudine. Sono sempre stato un asociale di merda. E all’improvviso qualcuno mi invitata ad un suo party? Cercai di nascondere i miei dubbi, ma Jordan parve accorgersene.
“Stai progettando qualche piano nei confronti di Robert, Fred?”
“Di che festa parli?” Perché cazzo lo avevo detto? Dovevo imparare a trattenermi i pensieri nella mia fottuta testa. Juliet e Jordan fecero una risatina soffocata.
“Mio Dio amico, scusa se te lo dico, ma dove cazzo vivi? Se ne parla in tutta la scuola! La festa di Daisy, in un pub non lontano da qui.” Disse Jordan.
La mia espressione però era ancora visibilmente perplessa.
“Ci verrai vero?”
Oddio.
Ci andrò? Mi domandai da solo.
No. Era la mia prima festa. E a quanto pare tutta la scuola doveva andarci, e mettersi in ridicolo davanti a tutta la scuola non mi entusiasmava per niente.
Fred? Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Prima vuoi scappare dalla monotonia e alla minima occasione ti arrendi subito? Vuoi davvero mangiare per sempre patatine surgelate? Hai 17 anni, PUOI, DEVI divertirti!
“No, non credo”. Feci improvvisamente.
I due miei amici mi guardarono in cagnesco.
“Sei sempre stato pessimo con le battute”. Sussurrò Jordan quasi per auto convincersi. Ma mi conosceva troppo bene, sentiva l’odore della mia paura. Sospirò amaramente. Si avvicinò a me e mi prese per le spalle.
“Fred, quanti anni hai?”
“Diciassette e mezzo …”
“E non credi sia ora di farti una vita sociale?”
“Io ho una vita sociale.”
“Con i pupazzetti dei Pokemon? Per favore non mentirmi, ti conosco dalle elementari, conosco tutto di te, perfino la taglia dei tuoi jeans.”
“Lasciami stare Jordan, di certo non sarai tu a darmi lezioni di vita”.
“Tu la vita non la vivi.”
“Te ne fregherebbe qualcosa a te?”
Jordan mi lasciò improvvisamente. Juliet era silenziosa. Mi stavo completamente smerdando davanti a lei, e il peggio era che neanche i pupazzetti dei Pokemon mi facevano da compagnia.
“La vita è una supposizione e si sta esaurendo” Esordi il mio amico.
“Da quale citazione hai rubato ciò?”
“Sto solo cercando di farti capire che dovresti seriamente uscire. Uscire fuori, non parlare solo con noi due. Cogliere l’attimo. Sei troppo giovane per morire tra le mura della tua casa. Lasciati andare Fred, lasciati andare. E vivi, vivi la vita. Perché la stai seriamente sprecando. Perciò tu domani sera verrai a quella fottutissima festa per divertirti, è chiaro? Ora ti riformulo la domanda. Signor Edwin Fred Twoghit, lei il giorno 12/05/2012, verrà cortesemente alla festa della signorina Daisy Clambert?”
Il suo sguardo era freddo ed impenetrabile. Non sapevo cosa pensare.
L’autobus era arrivato, cosi decisi di squagliarmela prima di rispondere, ma Jordan mi prese per il polso, volendo ottenere una risposta.
La mia risposta era un no secco, ma prima di parlare guardai per un attimo Juliet, speranzosa di vedermi pronunciare un si trionfale.
“L’invito è accettato” Feci, come al solito, senza neanche volerlo.
 

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Capitolo 3
*** Tonight my heart's on the loose. ***


3.

Tonight my heart's on the loose.

Arrivammo a scuola con una precisione chirurgica, esattamente due minuti prima che la campanella suonasse.
Mentre i professori avrebbero spiegato qualcosa che non sarebbe mai lontanamente finita a rimbombare nella mia mente, avrei inventato una scusa per non andare al party.
“Sai Fred, non credevo che  accettassi l’invito! Sono contenta che anche tu venga.” Fece Juliet. Mi sorrise. Era il più bel fottuto sorriso che avessi mai visto. Ogni volta che lo faceva sognavo di assaporare le sue labbra. Ma poi lei mi respingeva e si allontanava. E io rimanevo da solo. Come sempre. Perfino i miei sogni erano patetici.
Non potevo sprecare quella occasione. Tutti mi conoscevano effettivamente come un asociale. Cominciai a rimuginarci su. Ne valeva la pena? Non ero mai andato ad una festa. Come ci si comportava? No. Non dovevo assolutamente pensarlo, perché io non ci sarei mai andato.
Guardai Juliet. Era più felice del solito e canticchiava If dei Pink Floyd allegramente. Non avevo mai conosciuto una ragazza simile. Nonostante vivesse in una situazione familiare difficile, non era mai triste o sconvolta. Anzi lei stessa mi confortava a causa dei miei demoni interiori e mi strappava un sorriso, seppur nervoso. Era forte, indipendente, senza paura, una di quelle che non si sgretolano facilmente. Era Juliet.
Entrai in classe svogliatamente, ma sbattei contro qualcosa di duro. Alzai gli occhi e deglutii.
Una figura possente, massiccia e che puzzava di burro di arachidi. Robert.
Mi spinse violentemente sul muro e si avvicinò. Provai ad articolare qualcosa, ma ciò che usci dalla mia bocca fu un sussurro : “C-cosa vuoi?”
Fece una risata amara. “Voglio solo un’informazione. Sei tu quel coglione che ha spifferato alla preside ciò che ho fatto ieri sera?”Un gruppetto di ragazzi si era accerchiato in torno a noi. Ero pietrificato. Non sapevo neanche di cose stesse parlando, sicuramente avrà picchiato qualcuno, ma non ero stato io a parlare con la preside. Eppure non riuscivo a dire niente. Rimanemmo in silenzio, tutti. Il professore non era ancora arrivato.
“BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!” Robert si scaraventò contro di me e mi tirò il pugno sinistro sulla faccia. Barcollai e cominciai a vedere tutto sfocato, sentendo il sapore del sangue che mi penetrava nella bocca.
“Stronzo di merda, ti uccido!” Mi prese a calci, mentre io non riuscivo a controllare tutti e cinque i sensi. Sentii una voce familiare.
“Robert stai fermo cazzo! Non ha fatto niente!” Gridò Juliet. Robert si fermò e respirava faticosamente.
Mi diede un ultimo calcio allo stomaco e si avvicinò a lei. Nei suoi occhi lessi che non aveva paura, quella ragazza non aveva mai paura. Volevo fare qualcosa, ma non riuscivo a muovermi. Non per il dolore,  per la codardia.
Robert sussurrò: “Il tuo fidanzato lo difendi sempre no?”
Juliet gli piantò un piede sul suo. “Sparisci.”
Il mastino fece un sorriso beffardo ma alla fine uscii dalla classe.
Lei mi tese una mano per alzarmi. “Tutto bene?” Annuii senza convinzione. Ero apposto, solo un po’ di dolori qua e là, ma niente di che. Ciò che non andava bene era tutto il resto. Lei mi aveva salvato. E non il contrario. Ero un fottuta idiota. Sbagliavo tutto. Perché sbagliavo tutto? Un magone cominciò a crescermi pretenziosamente.
 
“Davvero, non c’è bisogno che mi accompagni, Juliet.”
“Ma dai, hai ancora l’occhio nero!”
Cosi mi feci trasportare verso casa, con una busta di ghiaccio in testa.
“Mi dispiace tanto, scusa. Ora sicuramente Robert non vorrà più accompagnarci alla festa. Non..” Mi fermai un attimo, non potevo dirle che ero rimasto pietrificato per la paura.
“Non mi ha dato il tempo di rispondere.”
“Tranquillo, Jordan ha parlato con lui e ha detto che porta chiunque, non fa distinzione tra persone normali, spie o froci, testuali parole.” Ridemmo all’unisono, ma in realtà speravo che Robert rifiutasse con tutto il mio cuore.
“Davvero, scusami.”
Juliet mi fissò. Cominciai a diventare rosso.
“Ecco siamo .. siamo arrivati.” Mormorò.
Fece per andarsene. Senza che l’azione potesse essere controllata dal mio cervello, la presi per il braccio, trattenendola. Non sapevo perché l’avevo fermata. Non sapevo cosa stavo per dire, ma lo feci.
“Vuoi restare la notte con me, a casa mia?”. La colsi alla sprovvista.
Silenzio.
Sono solo disgustato e stanco di sentirmi così solo… “ Balbettai, cercando di giustificarmi.
Ero più stupito io che lei da quell’affermazione improvvisa.
Juliet sembrò finalmente uscire dalla trans.
“Oh, ehm ..”
Deglutii.
“Certo.”
Rimanemmo impalati li fuori al freddo, io con un sorriso ebete stampato sulla faccia.
“Vuoi entrare?”
“Direi di si … tira un’aria gelida.”
Mi maledissi subito per aver chiesto quella domanda cogliona, esattamente come me.  Stavo diventando ancora più impacciato di quanto non  lo fossi già.
Aprii la porta e la lasciai passare. Né lei, ne Jordan erano mai entrati nel mio tugurio personale. Quel posto dove passavo a consumare la mia inutile vita in attesa della morte. Qualche volta uscivo e camminavo chilometri e chilometri, quasi a cercare una risposta che non trovavo mai, a rincorrerla. Perché esattamente esistevo? Ero soltanto uno dei tanti sgorbi di madre natura nati da una sbronza. Se non fossi esistito, nessuno ne avrebbe pagato le conseguenze. Mi sentivo inutile.
 
Passammo la notte a guardare un film finché non ci addormentammo, ci scambiammo poco più che due parole, com’era previsto. Non dovevo invitarla. Lo sapevo. Cercai di trattenere le lacrime quando la vidi andarsene senza potere fare nulla.
Il giorno dopo perciò mi resi conto che dovevo davvero finirla. Dovevo finirla con il mio amore spropositato perché non serviva a niente, dovevo finirla a rimanere rinchiuso in casa mia, dovevo finirla a preoccuparmi, dovevo finirla a fare attenzione a tutto, a bere solo acqua, a controllare sempre la data di scadenza. E dovevo vivere.
Robert passò con la sua macchina sgangherata in anticipo. Prima che potesse suonare aprii la porta e sostenni il suo sguardo. Quella notte il mio cuore era appeso ad un cappio, era a piede libero. Quella notte il romanticismo non c’era. Quella notte mi sarei lasciato alle spalle tutti i miei fottuti problemi. Quella notte Juliet non esisteva. Quella notte esisteva invece il divertimento, la musica ad alta volume, l’alcool e la droga. Quella notte mi sarei davvero sentito un diciassettenne.
Ero pronto per qualsiasi cosa. Per la prima volta mi sentivo libero.
Entrai in macchina spavaldamente.
Jordan mi fissò visibilmente sorpreso che io avessi accettato l’invito.
“Pronto?” Mi chiese.
“Credo di sentire l’adrenalina penetrarmi nel corpo.” Non lo dissi per finta, ma per la prima volta veramente. Non stavo neanche mentendo a me stesso.
Robert accese il motore e cosi partimmo verso il pub mentre la città era in pigiama, non sapendo che un ragazzo era cambiato in un giorno, per fare tutto ciò che non aveva mai fatto.
Il nostro accompagnatore parcheggiò.
Scendemmo dalla macchina.
 
 
 
 
La mia vita cominciava da li.



*Spazio autrice*
Questa volta ho aggiornato un pochino più tardi rispetto ai miei tempi abituali (?), settimana un pò dura, tutto qui. Comunque gente ammettiamolo, soprattutto la prima parte fa schifo sù. Ho scritto della rissa tra il nostro caro amico Treno e Robert giusto perché altrimenti il capitolo era cortissimo e potevo risparmiarmi anche il "Vuoi restare la notte con me, a casa mia?". L'ho scritto solo per non escludere Stay the Night (canzone appunto di UNO). Il tema centrale è diciamo il fatto che Fred all'improvviso capisce di dover vivere la vita e non vede l'ora di potersi divertire, senza badare al romanticismo ( Oh love). Comunque sia è uscito uno schifo, non so perché. Con il prossimo capitolo diamo inizio alla festa, quindi spero sia più coinvolgente. E nient'altro, tanti bei kiz kiz.

  Ciau. 


 

 

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Capitolo 4
*** I just wanna be your friend. ***


4.

I just wanna be your friend.
La porta del pub era socchiusa.
Jordan,  Robert e Juliet entrarono, precedendomi.
Prima di inoltrarmi anche io in quel chiasso mi girai indietro.
La strada era desolata, buia, tetra. Le luci si erano fulminate da tempo.
Chissà quante anime perse vagavano li, chissà quanti spettri chiamavano il nome di qualcuno.
Era la fine che gli aspettava, dopo la loro vita passata ad oziare, a rimanere in casa da soli e rimuginare suoi propri pensieri. E solo dopo essere diventati esseri insignificanti, esseri morti, si sarebbero pentiti.
Quella era la fine che poteva aspettarmi.
Ma non doveva aspettarmi.
Entrai nel pub estasiato e le luci stroboscopiche mi stravolsero.
In un primo impatto non capii niente, gente che si addossava a me, pogava, ballava e che faceva qualcosa di più di un semplice bacio.
Era tutto cosi strano. Cominciai a sentirmi soffocato, ingoiato in una morsa di ferro. Sentivo il sudore fetido sulla mia pelle, l’odore di sigaretta che si spargeva nella stanza e che si impregnava sui miei vestiti.
Persi subito di vista i miei amici. Ma quella sera i miei amici non erano loro.
Sentii una voce che non apparteneva agli spetti vaganti, ma a qualcos’altro. Bottiglie di birra, vodka, liquori sparse per terra, sui tavoli e le sedie, nelle mani delle persone.
Non avevo mai bevuto in vita mia.
Improvvisamente fui spinto e caddi rovinosamente sul pavimento fetido.
“Oh, scusa!”
Scrutai tra la folla per vedere chi aveva parlato.
Qualcuno mi tese una mano e mi rialzai.
Rimasi colpito dalla mano che stavo impugnando: liscia e in carne, con unghie affilate come rasoi e smalto rosa. Ma ero rimasto ancora più sorpreso vedendo chi la tendeva.


Train, chissà perché, aveva un immagine nitida di quella ragazza.

Era alta e magra, sulla ventina. Sfoggiava tatuaggi, vestiva con una canotta corta e un pantaloncino. Aveva il rossetto sbavato e poi quella faccia …
Quella faccia trasudava di qualcosa di misterioso, pungente, eccitato, intenso.
Deglutii.
La ragazza rise.
“Sei nuovo no? “
Avevo la bocca secca, ero rimasto pietrificato. Qualsiasi risposta formulavo nella mia mente sembrava sempre patetica cosi mi limitai ad annuire.
Mi fissò per un paio di minuti.
“Come ti chiami?”
“Fred.” Ma potevo chiamarmi benissimo Mark, ora non sapevo più qual’era realmente il mio nome.
“Se vuoi posso fartelo conoscere.”
“Che cosa esattamente?”
Non rispose e cominciò a giocherellare con le mani con una bottiglia di birra.
Cercai di rompere quel silenzio che era stranamente piombato fra  noi due.
Non capivo cosa esattamente stesse succedendo.
“Qual è il tuo nome invece?”
Si avvicinò, fino a toccarmi la pelle. Cominciò a battermi il cuore.
Sentivo il suo profumo intenso penetrarmi dalle narici.
La sua bocca sussurrò qualcosa nelle mie orecchie.
“Lady Cobra.”
Deglutii di nuovo.
“Allora, vuoi conoscerlo?”
Il mio sguardo era stranito.
Stappo la bottiglia di birra e me la avvicinò al naso per sentirne l’odore pungente.
“Sei nuovo, si vede. Ora tu non devi far altro che conoscere il tuo nuovo amico: l’alcool.”
Ero ancora visibilmente dubbioso.
“Ascolta.” Continuò lentamente. “La maggior parte delle persone qui non è sobria. E non lo sei neanche tu, perché  tu sei ubriaco di preoccupazioni e nient’altro. Ed ora bevi.”
Era come la Madonna per i Cristiani, scesa dal cielo apposta per me. Non potei fare a meno di pensare a questo, eppure ero ancora titubante nel prendere la birra.
“Bevi.” Mi incitò.
Aveva tremendamente ragione.
“Ti sto aspettando.”
Ma il mio corpo non era abituato all’alcool …
“Ti sta aspettando.”
Che cosa importava.
Presi improvvisamente la birra e la svuotai tutta in un solo sorso.
Lady Cobra sorrise.
“Ti piace no?”
Il suo sapore era cosi avvolgente e fresco … Feci segno di portarmene un’altra.
E un’altra.
Non ragionai più.
Non riuscivo più a controllare i sensi.
Non riuscivo più a controllare me stesso.
Avevo un sorriso ebete stampato sulla faccia.
Salutavo tutti con la mano non sapendo neanche chi fossero.
Lady Cobra intanto mi portava a spasso come se fossi il suo cagnolino, presentandomi a tutti i suoi amici.
“Voglio essere solo tuo amico Lady Serpente. Ti piace il nome serpente? E’ più figo porca puttana!” Sbiascicai ubriaco.
“Puoi essere tutto ciò che vuoi.”
“Non voglio che tutto questo finisca, non lo voglio capisci? Non voglio suicidarmi, capisci?”
“Tranquillo, con questo non finirà niente.”
Mi presentò davanti una bustina con dentro delle pillole.
“Ho un tremendo malditesta Lady Serpente. Queste medicine possono alleviarmi il dolore, vero Lady Serpente?”
Sorrise maliziosamente.
“In realtà non è medicina. E’ qualcosa di più, qualcosa che ti fa stare ancora più bene. Qualcosa di eccitante e favoloso Fred.”
“E posso provare?”
“Certo.”
Mi porse la bustina di droga e feci per ingoiare tre pillole, feci per ingoiare la morte.
“Che cazzo fai Fred, fermati!”
Julie corse verso  di me e mi fermò il braccio.
“Non capisci che ti sta dando droga? Sei impazzito?!”
“E’ la mia medicina stronza.”
“O mio Dio, sei ubriaco fradicio! Dobbiamo uscire di qui Fred, ti stai rovinando! Non ho bevuto neanche un bicchiere d’acqua, capendo subito in quale festa ci trovavamo. Tu hai davvero esagerato porca puttana!”
“Lady serpente dice che la medicina è buona.”
“Lady serpente è una troia, ora vieni.”
Mi strattonò e mi prese per il polso per portarmi all’uscita, ma fu fermata violentemente da Lady Cobra.
“Sono una troia hai detto?”
“Anche una spacciatrice a quanto ho visto.”
“Ma non rompere i coglioni il tuo amico vuole solo divertirsi.”
“Il mio amico ha rischiato di morire per colpa tua!”
“Tanto morirà lo stesso prima o poi.”
“Ma almeno ti senti?  Ti rendi conto di cosa stavi per fargli? Togliti dalle palle.”
Io non capivo niente e ridevo. Ridevo mentre Juliet fu spinta a terra da Lady Cobra e cominciò a graffiarle la faccia con le unghie rosa. Ridevo mentre Lady Cobra chiamò i buttafuori che, prima di cacciare Juliet, le diedero due pugni in faccia. Invece avrei dovuto ridere di me stesso, perché ero patetico.
Presi un’altra birra.
E a quel punto non ero più neanche io.
O forse non lo sono mai stato.
Forse non ho mai saputo chi ero io.
Continuavo a brancolare, come se da un momento all’altro dovessi svenire.
“Lady serpente è ora di scopare.”
“Siamo un po’ troppo pervertiti eh?”
“Baciami li.”


All’improvviso le immagine nella mente di Train cominciarono a diventare sempre più confuse. Riusciva ancora a vedere il viso maledetto di Lady Cobra che lo prese per la giacca. E poi che gli tolse la giacca. Che lo spogliò lentamente. E poi senti qualcosa di piacevole ed intenso. Sentiva che quella cosa che gli procurava tanta eccitazione non doveva finire.
Una botta.
Una botta molto forte.
Sangue.
Sapore di sangue nelle labbra.
Confusione.
Perdita di sensi.
 
“Però mi stavo divertendo dai.” Fece ironicamente Lady Cobra con una sigaretta in mano mentre guardava il corpo inerte di Train.
“Ne ho abbastanza di questi pivelli che si infiltrano nelle feste.” Disse una voce profonda, il buttafuori.
“Si, però effettivamente è davvero spassoso vederli bere la loro prima birra e poi bere un’altra bottiglia e un’altra!”
“Non ce l’ho fatta quando ti ha chiesto di fare sesso con te, stavo morendo dal ridere.”
“Si bhè, l’ho accontentato un po’. “
“Ma era ora che la finissi sul serio. Meno male che poi sono arrivato io con il mio gancio sinistro.”
“Il merito è tutto mio, devi ringraziare me per lo spettacolo.”
“Sul serio sei un genio. Come hai fatto a scoprire subito che era un coglione?”
“Viso pallido, sguardo perso …”
“Credo di non essermi mai divertito cosi tanto. Dovresti prendere qualche allocco in giro più spesso. Peccato che poi è arrivato quella li che lo ha fermato per prendere la droga. Poi a quel punto sarebbe diventato un vero spasso vederlo delirare.”
“Già.”
“Ma è morto?”
“Non credo che un pugno possa farlo decedere.”
“Si ma con tutto quello che si è bevuto …”
“Cosa te ne frega se è morto?”
“In effetti.”
Entrarono dentro il pub, mentre il sole cominciava a sorgere.



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Capitolo 5
*** I'm spiralling down to the hole in the ground. ***


5.

I'm spiralling down to the hole in the ground.
Train riuscii ad aprire gli occhi a fatica, le palpebre sembravano di piombo.
Non riusciva a pensare a causa del mal di testa che gli soffocava il cervello.
Quelle immagini … quelle immagini gli avevano fatto capire da dove veniva, ma non perché era steso sull’asfalto ruvido e freddo e sentiva un fitto dolore alla trachea.
Scorse un imponente edificio che si ergeva davanti a lui.
Cos’era poi quella cosa appesa?
Un foglio?
Un cartello?
Cosa c’era scritto?
Provò ad alzarsi ma le gambe erano molli, ci rinunciò sconsolato.
“Train… Train Sta..”
Strinse gli occhi per riuscire a leggere.
“Train Stat..tion ..”
Era una stazione ferroviaria.
Decise che il suo nome sarebbe stato Train.
Lo decise cosi, perché era l’unica cosa che poteva decidere. Non poteva decidere di alzarsi, non poteva pensare, non poteva fare niente.
E quella fitta alla trachea si stava facendo sempre più forte.
E non capiva niente.
E quella nebbia era cosi opprimente.
Sentiva un vuoto dentro di lui, qualcosa che gli mancava.
Camminò a gattoni per raggiungere la stazione ma si accorse che era completamente abbandonata. Notò un altro edificio dall’altre parte della strada. Con grande sforzo arrivò fin li.
“CLOSE.”
Fottutamente chiuso. Era come se tutti si fossero dimenticati di lui apposta e lo avessero abbandonato in una città di fantasmi. Da solo.
Sotto la scritta “CLOSE” ce ne era un’altra, consumata dal vento.
“Dark..”
Train tolse la polvere dal cartello.
“Dark side..”
“Dark Side Pub.”
Pub.
Quella parola gli ricordava qualcosa.
Tristezza?
Assolutamente no.
Lacrime?
No.
Rimorsi?
No.
Felicità?
Poteva darsi, Train non conosceva la felicità.
Eccitazione?
Si.
Goduria?
Si.
Un nome si scagliò come un proiettile nella sua testa dolente e confusa.
Lady Cobra?
Si.
Train lo disse quasi ad alta voce.
Dov’era l’oggetto del suo desiderio? Lo aveva abbandonato?
Si guardò intorno e la cercò affannosamente con lo sguardo ma ciò che riusciva a vedere erano catapecchie in rovina, strade non asfaltate e nient’altro.
Le ultime immagini frammentarie riguardavano Lady Cobra che lo spogliava. E poi?
E poi fin li non ricordava nient’altro.
Si stese di nuovo sull’asfalto granuloso e chiuse gli occhi per cercare di ricordare qualcos’altro. Niente.
Perché non era nel suo letto?
Perché non era a casa sua?
Perché tutti lo avevano abbandonato?
Anche lui voleva abbandonarsi da solo. Era ad un punto morto, non aveva concluso niente. Forse era realmente morto?
E dov’era Lady Cobra? Le mancava. Lei non c’era e lui era un completo disastro.
Era perso.
Perché non c’era?
Voleva assaporare la sua pelle. Le mancava davvero.
Lei era riuscito a farlo sentire un altro.
Lei invece no. Gli sfuggiva il nome.
Juliet?
Juliet era cosi opprimente, ossessiva. Gli aveva raccomandato di non bere troppo. Cazzo, quella ragazza aveva seri problemi. Per tutta la vita, Train non aveva fatto altro che barricarsi in casa e lei lo sapeva benissimo. E quando si presentava l’occasione di divertirsi, ecco che diventa isterica. E l’aveva anche abbandonato.
Lady Cobra invece era con lui. Sentiva la sua presenza, il suo profumo. Sapeva che lo stava aspettando. Per qualche assurdo motivo la notte scorsa successe qualcosa. Qualcosa in quel pub che Train non riusciva ancora a ricordare.
Forse lo avevano aggredito? Ciò spiegava il fitto dolore che si era impossessato di lui.
Che cosa doveva fare?
Cercare, trovare Lady Cobra. Era l’unica persona di cui si ricordava e che gli ispirava fiducia.
Era l’unica cosa che poteva fare.
Non aveva ancora capito molto di quello che era successo.
Quindi si chiamava Train. E poi? Poi doveva cercare una ragazza che gli mancava da morire. Dopo ciò?
Non lo sapeva.
Perché non lo sapeva?
Troppe domande.
Dove si trovava?
Basta.
Dov’era Lady Cobra?
Finiscila Train.
Perché era dolorante?
“Lasciatemi in pace cazzo!” Gridò in preda all’ansia e la sua voce echeggiò.
Ma nessuno lo senti.
Nessuno.


*Spazio all'autrice*
Si, questo capitolo è corto e non dice nulla di nuovo, ma bhò, volevo lasciare un pò di suspence (?) TAN TAN TAN. Se a voi non vi spiace, mi lusinga avere una recensione (Traduzione: per favore porca Boia recensitemi perché nessuno mi caga :c)
Ciauz.
No one knows.

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