Just a Landing

di Dreamer91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Appartamento ***
Capitolo 2: *** Di sfuggita ***
Capitolo 3: *** Qualcuno come te ***
Capitolo 4: *** La maschera del principe ***
Capitolo 5: *** 2113, Lower East Side ***
Capitolo 6: *** Il codice etico del buon vicinato ***
Capitolo 7: *** Vino bianco e pesce al cartoccio ***
Capitolo 8: *** Stagisti seccanti e ragazzini annoiati ***
Capitolo 9: *** Coinquilini ***
Capitolo 10: *** Il linguaggio di Marc Jacobs e l'irritabilità delle star ***
Capitolo 11: *** Imparare a splendere ***
Capitolo 12: *** Giacche eleganti e pianoforti bianchi ***
Capitolo 13: *** Una soluzione apparente ***
Capitolo 14: *** Thè verde in tazza rossa ***
Capitolo 15: *** Parenti serpenti ***
Capitolo 16: *** Una giornata nera ***
Capitolo 17: *** Quando New York diventa la tua migliore consigliera ***
Capitolo 18: *** Il ragazzo sul dondolo ***
Capitolo 19: *** Dietro lo spioncino della porta... ***
Capitolo 20: *** Il principe triste e l'ascensore malvagio ***
Capitolo 21: *** Il curioso caso di Artie Abrams ***
Capitolo 22: *** Rompere gli schemi ***
Capitolo 23: *** Quando la realtà supera l'immaginazione ***
Capitolo 24: *** La tazza sorridente ed il ninja sul terrazzo ***
Capitolo 25: *** Il conforto di un amico ***
Capitolo 26: *** Lacrime di nostalgia e torta al cioccolato ***
Capitolo 27: *** Proposte decisamente indecenti ***
Capitolo 28: *** Le sue dita sulla chitarra ***
Capitolo 29: *** Ad essere coraggiosi ci si guadagna sempre ***
Capitolo 30: *** La resa dei conti ***
Capitolo 31: *** Senza respiro ***
Capitolo 32: *** Le Emozioni di una Notte ***
Capitolo 33: *** Direttamente proporzionale ***
Capitolo 34: *** In un modo o nell'altro ***
Capitolo 35: *** Paura di cadere e voglia di rialzarsi ***
Capitolo 36: *** Intrusi indesiderati e confidenze tra amici ***
Capitolo 37: *** Afferrare un'occasione ***
Capitolo 38: *** Il Volo della Farfalla e il Potere di Cupido ***
Capitolo 39: *** Per sempre e anche oltre ***
Capitolo 40: *** Timori infondati e Sogni a portata di mano ***
Capitolo 41: *** Quando è impossibile svegliarsi ***
Capitolo 42: *** Soltanto un pianerottolo ***
Capitolo 43: *** Epilogo n°1 ***
Capitolo 44: *** Epilogo n°2 ***
Capitolo 45: *** Epilogo n°3 ***
Capitolo 46: *** Epilogo n°4 ***
Capitolo 47: *** Epilogo n°5 ***
Capitolo 48: *** Epilogo n°6 ***
Capitolo 49: *** Epilogo n°7 ***
Capitolo 50: *** Epilogo n°8 ***
Capitolo 51: *** Epilogo n°9 ***



Capitolo 1
*** L'Appartamento ***


fff
Buongiorno a tutti, anime innocenti appena capitate (forse per sbaglio? ^_^) su questa storia... Bene, credo che le presentazioni in certi casi siano d'obbligo... mi chiamo Fabiana, alias Dreamer91 e lo so, fino a questo momento non ho pubblicato nulla, neanche una misera OS.. mi sono limitata ad essere lettrice silenziosa delle meravigliose storie che circolano nella sezione "Glee" del sito. Il fatto che io sia fan sfegatata della serie (e della Klaine, nello specifico!) è un dettaglio abbastanza scontato, ma spiegare cosa mi abbia spinta a dedicarmi ad una storia tutta mia... beh, è un pò più complicato... diciamo che mi piace sperimentare, mi piace mettermi alla prova, mi piace mettere nero su bianco ciò che mi passa per la testa, e cosa più importante di tutte, mi piace scrivere ^_^ eh già! Se potessi farei solo questo nella vita, ma.. ora non divaghiamo che altrimenti c'è gente che si annoia (tipo me XD)... cosa stavo dicendo? ah sì, la storia... beh, non ho molto da dire... mi è venuta così, mentre osservavo dal balcone di casa il mio vicino traslocare nell'appartamento di fianco al mio e booom... la lampadina dell'ispirazione si è accesa. ^_^ adesso, non starò qui ad assillarvi sul resto, perché voglio che vi godiate serenamente questo primo capitolo e poi sono curiosa di sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare (avrei già scritto parecchi capitoli ed avrei anche in mente l'esatta trama nella mia mente, però a voi l'ultima parola ^_^) quindi, buona lettura e fatemi sapere ;)
p.s. Aggiornerò una volta a settimana, sempre lo stesso giorno (quindi il Giovedì...) ma vi prometto che appena la sessione estiva sarà finita aumenterò la frequenza a due volte a settimana. Scusate... colpa dell'università, io non c'entro -__-'







New York City. 11 Marzo 2012. Ore 10.32 A.M. (Domenica)


Erano quasi quaranta minuti che stavo seduto in quella macchina, a guardare il paesaggio fuori dal finestrino cambiare gradualmente da un quartiere all'altro di New York, in maniera talmente tanto continua, da sembrare quasi un effetto cinematografico, e a chiedermi inevitabilmente quando, il mio accompagnatore non che guida turistica, e - ahimé - mio migliore amico, si sarebbe deciso a fermarsi.
"Durerà ancora molto questa tortura?" domandai dopo l'ennesimo sospiro frustrato.
"Ci siamo quasi!" mormorò lui, procedendo lentamente a causa del traffico. Incredibile come a New York il traffico fosse permanente. A qualsiasi ora del giorno e della notte ci si rimaneva imbottigliati. Inevitabilmente.
"Ascolta Bas... anche se sono qui soltanto da sette anni, conosco New York come le mie tasche... quindi non capisco cosa stiamo..."
"Un pò di fiducia ok? Ti chiedo solo questo Blaine!" mi implorò girandosi un attimo a guardarmi, distogliendo la sua attenzione dalla guida. Sbuffai, tornando a concentrarmi sui marciapiedi - anch'essi trafficati - e le vetrine allestite. Eravamo sulla 14th strada, costeggiando l'East River e non avevo la minima idea di dove stessimo andando.
"C'entra qualcosa con l'appartamento che sto cercando per caso?" domandai qualche istante dopo fissandomi a guardare una vecchietta con un cappello a fiori che attraversava la strada davanti a noi. Lo sentii sorridere
"Forse!" mormorò divertito
"Mi sembrava di averti detto di tirartene fuori... non voglio ritrovarmi ad abitare in una bettola piena di topi, con vicini chiassosi e prostitute che dispensano servigi fuori dalla mia finestra... e per quanto apprezzi il tuo adorabile interessamento alla questione io credo sia meglio..."
"Siamo arrivati!" esclamò entusiasta fermando finalmente la macchina accanto ad un lato della carreggiata. Sbigottito, lanciai un'occhiata al palazzo davanti al quale ci eravamo appena fermati e quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. Lentamente mi girai verso il mio - ormai ex - migliore amico e gli lanciai un'occhiata di sbieco
"Stai scherzando spero!" mormorai
"Perché scusa? Non ci sono topi né prostitute per strada... per quanto riguarda i vicini non so... non li ho interrogati... però..."
"Sebastian!" lo bloccai passandomi una mano sul viso "Lower East Side... sul serio?"
"Non ti seguo, B..." mi fece visibilmente confuso slacciandosi la cintura
"Bastian dovrò vendermi un rene per pagarmi l'affitto... e quando avrò terminato gli organi, mi toccherà scendere in strada e fare compagnia a quelle famose prostitute per andare avanti!" gli spiegai concitato. Essere il figlio di un noto industriale dell'Ohio, aveva fatto sì che Sebastian non avesse mai avuto problemi di soldi. Chiedi e ti sarà dato, questo era il motto in casa Smythe. In un certo senso i suoi genitori compensavano l'affetto che non riuscivano a dargli con un sostanzioso conto in banca a sei cifre. Soltanto che io di cognome non facevo Smythe ed il mio conto in banca era come il film di Dario Argento... Profondo Rosso. Chiedere i soldi ai miei era fuori discussione. Per quanto non navigassimo nell'oro, possedevamo comunque una buona risorsa, eppure non mi ero mai permesso di chiedere loro di attingervi. Perché per me sarebbe stata un'atroce sconfitta... dopo tutte le battaglie con mio padre, per ottenere un pò di libertà, lasciare l'Ohio e approdare a New York, non era proprio il caso di tornare all'ovile soltanto per chiedergli di firmarmi qualche assegno. Probabilmente mia madre lo avrebbe fatto, ma per il quieto vivere avrebbe scosso la testa anche lei. Era per questo motivo che, da quando avevo messo piede a New York, ormai sette anni prima, avevo iniziato a lavorare per tirare avanti. Non interessava la natura dell'occupazione... l'importante era avere a fine mese il portafoglio quanto meno in uno stato soddisfacente.
Per l'alloggio, fino a quel momento avevo vissuto con Sebastian, mio migliore amico, ed eterno punto di riferimento. Forse l'unico in realtà. Eravamo andati a scuola assieme e avevamo perfino condiviso la stanza. Lo conoscevo meglio di quanto potessi conoscere me stesso ed era stato quasi automatico andare a vivere assieme una volta trasferiti nella grande mela. Le premesse erano buone: tu non rompi le scatole a me, io non le rompo a te, facciamo a metà con le spese, e ognuno cucina per l'altro a giorni alternati. Ed era andata bene per i primi tempi, giusto fino a che i soldi che mia madre mi aveva infilato di nascosto in una valigia prima di partire, non erano finiti. Dopodiché dal dividere le spese al cinquanta e cinquanta, eravamo passati a farlo al trenta e settanta, al dieci e novanta fino a che l'affitto per me non era rimasto che un lontano ricordo e Sebastian non aveva iniziato a pagarmi perfino la spesa. Era stato allora che avevo iniziato a lavorare sodo, anche per diciotto ore al giorno, a dormire veramente poco e male, a sbalzare da una parte all'altra di New York, a stare a casa sempre meno, a dimagrire. E a Sebastian quella situazione non piaceva. Si era perfino offerto di prestarmi dei soldi
"Me li ridarai appena portai, B... non sono di certo un regalo!" mi aveva detto quel giorno, ma io, un pò per orgoglio, un pò per la stanchezza che avevo addosso - erano ventisette ore che non dormivo - avevo rifiutato. Dovevo farcela da solo, dovevo dimostrarlo a mio padre, a mia madre, ma soprattutto a me stesso. Diciamo che nell'ultimo periodo le cose stavano iniziando a funzionare. Avevo tre lavori - la mattina presto davo una mano in un forno a legna a fare il pane e le focacce, subito dopo, scappavo in un supermercato di TriBeCa, dove lavoravo come magazziniere, dopodiché, ormai distrutto fisicamente e mentalmente, correvo a casa per una doccia e per togliermi i vestiti che avevo indossato la mattina alle cinque per poi correre verso l'unico lavoro che davvero mi dava soddisfazioni: cantavo e suonavo in un pub sulla riva occidentale di Manatthan. Certo, era stancante, a volte mi veniva da piangere per la mole di lavoro che ero costretto a sostenere e per la voglia di dormire che incombeva minacciosa sulla mia testa, ma avevo imparato che se volevo ottenere qualcosa, dovevo combattere, stringere i denti e andare avanti. E magari intanto accordare la chitarra e suonare qualcosa. Quello sicuramente avrebbe aiutato.
Proprio perché ultimamente gli affari andavano notevolmente meglio, avevo deciso di lasciare l'appartamento di Sebastian - perché era inutile girarci intorno... anche se ormai potevo permettermi l'affitto di quel trilocale, il mio amico mi avrebbe lapidato piuttosto che accettare i miei soldi - e trovare qualcosa per me, a misura di Blaine Anderson, magari più vicino ai tre luoghi dove lavoravo. Quando lo avevo detto a Sebastian per la prima volta, lui aveva alzato la testa dal libro di diritto privato - sì, Sebastian Smythe stava seguendo il praticantato dopo essersi laureato brillantemente in legge, l'unica facoltà adatta ad uno come lui - e mi aveva guardato malissimo.
"Cosa c'è che non va in questo appartamento?" mi aveva chiesto. Io ero stranamente arrossito. Mi sentivo un mostro ingrato
"Non c'è niente che non va, lo sai... anzi... non smetterò mai di ringraziarti per quello che fai ogni giorno per me, soprattutto quando arrivano le bollette e l'avviso per l'affitto, però, ecco... ho soltanto bisogno di qualcosa di... mio.." avevo risposto con estrema difficoltà. Lui aveva spalancato gli occhi in maniera quasi indecente
"Ma questa é casa tua Blaine!" mi aveva fatto notare
"No Sebastian... io sono soltanto un parassita che vive alle tue spalle, in una delle tre camere da letto di questo appartamento, che fa la spesa al supermercato con i tuoi soldi, che ti cucina italiano ogni giovedì sera e che passa l'aspirapolvere al posto tuo quando tu devi andare in studio... questa casa non è mia!" avevo sbottato iniziando a camminare nervosamente per la cucina, sotto il suo sguardo preoccupato. Lui si era sfilato gli occhiali che usava per leggere e li aveva poggiati sul libro con un sospiro
"Credevo ne avessimo già parlato, B!" iniziò con un tono particolarmente stanco, non seppi se a causa della mole di lavoro che gli avevano assegnato o se per colpa del discorso che stavamo nuovamente affrontando "Io i tuoi soldi non li voglio... non voglio niente da te. Mi basta saperti da qualche parte in giro per casa, anche se soltanto per un paio d'ore al giorno, trovare le tue magliette colorate nella lavatrice assieme alle mie camicie bianche e soprattutto dover apparecchiare la tavola per due persone. Del resto non mi interessa!" e mi si era stretto il cuore.
"Bastian..."
"Davvero Blaine... prima o poi troverai il modo per sdebitarti con me di tutta questa gentilezza, perché lo sai che non faccio mai niente per niente... ma ora non è il momento. Limitati a goderti New York e prendi la vita come ti viene... imparando ad evitare le mie lavatrici magari!" e mi aveva sorriso. Sbuffai. Era successo una volta... e che cavolo, non c'era bisogno di puntualizzarlo continuamente. Il discorso era morto lì, anche perché avrei dovuto attaccare il turno al pub e quindi ero scappato via, come al solito. Ma per i mesi successivi non avevo fatto altro che pensarci, senza riuscire a togliermi dalla testa che, andare a vivere da solo, sarebbe stata la scelta migliore, per entrambi. E difatti, ero stato ascoltato.
Il karma aveva voluto che Sebastian conoscesse un ragazzo, Daniel, due anni più piccolo di lui, che lavorava presso lo stesso studio legale, con una grande voglia di imparare e una infinita vitalità. Era stato come un ciclone entrato nella sua vita. Da semplici colleghi erano diventati pian piano grandi amici, amanti e poi fidanzati ufficiali. E stavano insieme ormai seriamente da quasi due anni. Per me che lo conoscevo, immaginare Sebastian fidanzato era davvero strano. Lui, il più libertino e promiscuo dell'intera costa occidentale, aveva messo la testa a posto e aveva deciso di diventare monogamo. E a conti fatti ci stava riuscendo alla perfezione. Daniel era un ragazzo straordinario, e non ci avevamo messo molto a diventare grandi amici. Con in comune la passione per la musica e per Katy Perry, avevo stretto un bel rapporto d'amicizia ed era nata una sorta di convivenza a tre. Ormai Daniel passava più tempo da noi che a casa sua, dove viveva con i suoi genitori, tanto che un giorno Sebastian, non seppi se scherzando o seriamente, gli buttò lì la frase
"Non capisco cosa ci torni a fare a casa dei tuoi... faresti prima a invaligiare una manciata di vestiti e venire a stare direttamente qui. Lo spazio nel mio letto per te ci sarà sempre!" Daniel era quasi scoppiato a piangere dalla gioia saltandogli in braccio ed io mi ero limitato a trattenere un sorriso intenerito e a sgattaiolare via dalla stanza, perché immaginavo che dopo una richiesta del genere... beh, volessero stare quantomeno da soli. Quindi ormai erano cinque mesi che io Sebastian e Daniel vivevamo sotto lo stesso tetto - sempre a spese del secondo che si era rifiutato categoricamente di far pagare le spese al suo ragazzo nonostante quest'ultimo lo avesse minacciato più volte con tanto di lama affilata tra le mani - e ormai la situazione iniziava a diventare insostenibile. Durante quelle poche ore che mi trovavo a casa mi sentivo terribilmente di intralcio, anche se tornando li trovavo innocentemente accoccolati sul divano a guardare un film, o li sorprendevo in bagno insieme - uno intendo a farsi la barba, l'altro ad asciugarsi i capelli. Ed era per questo che per la seconda volta mi ero ritrovato a sospirare e ad esordire a gran voce entrando in cucina, dove, neanche a dirlo, Sebastian stava studiando
"Da domani inizio a cercarmi un appartamento!" avevo esclamato risoluto. Lui per la seconda volta aveva alzato la testa ma quella volta non si era tolto gli occhiali, né aveva sospirato. Buon segno? Dopo quelli che erano sembrati secoli, era scoppiato a ridere, lasciandomi interdetto ed aveva risposto
"Ed io sarò lieto di darti una mano!" dopodiché ci eravamo trovati a sorriderci a vicenda come due idioti e a ridere assieme subito dopo.
Ed era iniziata così la mia caccia. Trovare un appartamento accettabile a New York, non esageratamente costoso, possibilmente in un quartiere tranquillo, in una posizione ottimale tra il pub, il panificio e il supermercato. Era chiedere troppo? Sebastian si era dato davvero da fare, forse iniziando a sentire davvero la fretta di liberarsi di me, solo che i suoi canoni di ricerca erano estremamente discordanti dai miei. Fino ad allora mi aveva fatto vedere ben cinque appartamenti il migliore dei quali aveva una vista incredibilmente caratteristica su un vicoletto pieno di negozi a luci rosse e locali notturni alquanto equivoci. Era per questo che avevo sentitamente pregato il mio amico di tirarsene fuori e di limitarsi a darmi una mano nella preparazione delle valigie con la semplice promessa che, dopo aver trovato l'appartamento giusto, mi avrebbe aiutato con il trasloco.
Ma in quel momento, in quella macchina, davanti a quel palazzo, in quella Lower East Side, mi sembrava di aver parlato al vento per giorni interi. Eppure lui continuava a sorridermi incoraggiante, orgoglioso di chissà che cosa.
"Non fare l'esagerato Blaine... questa volta penso di aver trovato il posto giusto per te! Coraggio, scendi che te lo mostro!" mi incitò scendendo dall'auto e raggiungendomi sul marciapiede
"Anche l'ultima volta lo pensavi, Seb... e siamo dovuti scappare a gambe levate da un travestito in minigonna e tacchi a spillo!" gli ricordai lanciando un'occhiata al palazzo color porpora - innocuo e all'apparenza rispettabile - che si stagliava per ben quattro piani davanti a noi. Sebastian scoppiò a ridere cacciando un mazzo di chiavi dalla giacca e aprendo il portoncino di metallo
"Ok, ammetto che quella forse non è stata una grande idea..."
"Forse?" feci io ironico
"Ma ti assicuro che questa volta sarà diverso. Questa volta ho fatto centro!" ed entrammo nel portone, elegantemente decorato, seppure abbastanza sobrio. Prendemmo l'ascensore, mentre il mio amico non la smetteva di sorridere e di rigirarsi le chiavi tra le mani ed io, ansioso e impaurito, lo guardavo con sospetto. Ci fermammo al quarto piano, l'ultimo, e Sebastian si diresse spedito verso la porta alla nostra sinistra ed inserì la seconda chiave nella toppa.
"Ehm... Sebastian?" lo chiamai incerto, mentre apriva la porta ed entrava tranquillamente dentro l'appartamento
"Sì?" finalmente si voltò verso di me e mi guardò curioso, ancora immobile sullo zerbino
"Questa cosa non dovrebbe farla, che so... un agente immobiliare in giacca e cravatta, magari in maniera ufficiale e soprattutto in un altro giorno che non sia la domenica?" gli domandai allora. Lui scoppiò a ridere addentrandosi di più nei meandri a me ancora sconosciuti dell'appartamento
"Coraggio B, non essere timido... in via del tutto ufficiosa, oggi sarò il tuo personalissimo agente immobiliare, senza cravatta né la pretesa di un extra bonus vista l'eccezionalità della giornata!" e mi fece l'occhiolino invitandomi ad entrare con la mano. Deglutii dopodiché feci come mi aveva detto chiudendomi la porta alle spalle.
Subito mi guardai intorno. Mi trovavo in un piccolo ingresso, relativamente spoglio, fatta eccezione per un paio di ganci per i cappotti, sulla destra ed un porta-ombrelli dal discutibile gusto alla sinistra. Davanti a me si apriva un enorme, forse esagerato, soggiorno, con un grande divano ad angolo, coperto da un lenzuolo, un tavolo rettangolare, una libreria a muro vuota e piena di polvere ed un paio di quadri poggiati per terra, che probabilmente un tempo erano stati appesi alle pareti. Sulla sinistra la porta della cucina, che da lì non riuscivo a vedere, mentre sulla destra la porta-finestra che si affacciava su quello che sembrava un balcone. Di fronte alla porta di ingresso, in linea d'aria, un altro piccolo corridoio, nel quale riuscivo a scorgere altre tre porte, probabilmente due delle quali erano il bagno e la camera da letto.
"Puoi anche staccarti dalla porta, Blaine... il parquet non ti mangia!" mi ammonì Sebastian diretto in cucina. Sbalordito, mi riscossi dal momento di trance e lo seguii. La cucina in questione era piccola, ma carina, sviluppata ad angolo retto su due pareti continue, e perfino con un bel tavolo di legno poggiato sulla parete opposta.
"Bene, questa è la cucina... direi abbastanza decente, quasi abitabile... finestra con vista sulla strada da cui siamo saliti, fuochi perfettamente funzionanti, e frigo nella norma... diciamo che è su misura di un single distratto e affamato come te!" spiegò fingendosi davvero un esperto, mostrandomi meglio la stanza con un gesto plateale. Sbattei più volte le palpebre senza riuscire a parlare. Dopodiché mi spinse di nuovo nel salone, che sembrava ancora più grande visto da quella angolazione, e entusiasta mi fece notare che i mobili erano quasi nuovi e che quella libreria appesa al muro era perfetta per tutti i miei libri e i miei spartiti. Senza neanche chiedermi niente, mi spinse verso il corridoio, ed aprì la prima delle tre porte che si rivelò uno stupendo bagno, con tanto di doccia, vasca, sanitari e finestra discreta che dava sulla facciata orientale del palazzo. La porta di fianco era la camera da letto, anch'essa particolarmente grande, dominata perlopiù da un letto matrimoniale, coperto da un altro lenzuolo bianco, un armadio nero a tutta altezza e un settimino dello stesso colore, poggiato sotto una finestra che rimandava la stessa immagine di quella della cucina. Lì Sebastian mi aveva sorriso complice facendomi notare che il letto matrimoniale era un input perfetto per rimettere in riga la mia vita sentimentale. Oppure mi sarei potuto prendere un cane, su quello mi lasciò carta bianca. Mi spinse poi verso la terza porta, lo sgabuzzino - perfetto per riporre il mio caos creativo e la ciotola del cane. Ed infine, proprio quando credevo di aver visto tutto, entusiasta come solo un bambino di cinque anni può esserlo dopo aver ricevuto i complimenti dalla maestra, mi guidò fino al balcone che aprì. Quello che vidi mi lasciò senza fiato: quello che erroneamente avevo creduto un semplice balcone, era in realtà un terrazzo, circondato su due lati da un cespuglietto ben curato che si affacciava su una stupenda vista dell'East River e la costa meridionale della città. C'era un piccolo dondolo bianco poggiato alla parete, e il pezzo di muretto che non era decorato con le piante, comunicava armoniosamente con il terrazzo di fianco. La vista era a dir poco fenomenale e non potei fare a meno di immaginarmi seduto su quel dondolo, la sera, magari con la chitarra in grembo, la matita in bocca e gli spartiti sparsi sul pavimento. Quella zona di New York illuminata solo dai fari delle auto e dai lampioni della strada, sarebbe stato tanto suggestiva quanto d'ispirazione per il sottoscritto.
"Allora... che te ne pare?" mi domandò finalmente, guardandomi con un sorriso speranzoso
"Sebastian... io..."
"Lo so, lo so... stai cercando il modo migliore per ringraziarmi e non sai da dove iniziare. Ti do una mano io... Sebastian, luce della mia vita, ti sono debitore.. mi hai appena regalato la gioia più grande con questo appartamento, ed hai ragione, è proprio adatto per me... e sai cosa facciamo ora per festeggiare... chiamiamo anche Daniel e andiamo tutti insieme a pranzo dal thailandese sulla 7th strada, ah è chiaro... offro io!" e mi sorrise entusiasta
"Sebastian!" lo chiamai lentamente, distogliendo finalmente lo sguardo dal dondolo e puntandolo su di lui
"Cosa c'è?"
"Ribadisco... spero tu stia scherzando..." biascicai incerto. Fargli capire che neanche tra mille anni mi sarei potuto permettere un appartamento del genere, doveva essere un'impresa titanica a quanto pareva.
"Non capisco, B... ma l'appartamento ti piace oppure..." tentò lui incerto
"Sì, Sebastian, mi piace... e anche tanto..." risposi esasperato alzando gli occhi al cielo
"Bene! E allora qual'è il problema?" domandò con un sorriso
"Il problema..." iniziai perdendomi in un sospiro, dopo essermi accorto di aver alzato inconsapevolmente il tono della voce. Adesso il vicino rumoroso ero diventato io, senza neanche abitarci in quel palazzo. Abbassai la voce e continuai "Lower East Side, Sebastian..."
"Cazzo, Blaine, se ripeti ancora una volta il nome di questo quartiere giuro che ti lancio giù dal balcone!" sbottò lui passandosi una mano tra i capelli, perfettamente sistemati all'insù. Si prese qualche secondo per calmarsi, mentre io incrociavo le braccia al petto e lo guardavo malissimo. Ci sarebbe arrivato da solo prima o poi alla soluzione del mistero
"D'accordo siamo a Lower East Side... e allora?" mi domandò finalmente sbuffando appena
"Non posso permettermelo... e lo sai!" risposi stizzito. Era atrocemente crudele mostrarmi cosa esattamente volevo, e contemporaneamente farmi capire che tanto non avrei mai potuto averlo, perché non avrei trovato i soldi necessari per pagarlo. Neanche tra mille anni, appunto!
Lui alzò un sopracciglio e fece un mezzo sorriso
"Se solo mi avessi lasciato finire di parlare, ti avrei spiegato il perché mi sono permesso di mostrarti un appartamento tanto bello, in un quartiere tanto prestigioso, nonostante tu non abbia grandi risorse da parte!" mi fece  allora, affondando le mani nelle tasche dei jeans
"Sarebbe?" domandai scettico. Cosa diavolo si era inventato quell'idiota?
"Vedi, uno dei soci dello studio legale presso il quale lavoro, è il proprietario di questo grazioso appartamento, e cerca affittuari da quando la sua adorata e viziatissima figliola ha pensato bene di rifiutare questo modesto regalino che suo padre le aveva concesso per i suoi ventun anni... un quartiere troppo sputtanato, parole sue!" mi spiegò divertito
"Aspetta... il tuo capo ha regalato questo appartamento... a sua figlia per il suo compleanno?" domandai sbigottito
"Esatto!"
"E lei lo ha.. rifiutato?"
"Già... più si ha e più si pretende di avere!" fece lui alzando le spalle
"D'accordo... e cosa c'entro io con questo tizio?" domandai allora sempre più confuso
"Beh, te l'ho detto.. lui cerca qualcuno a cui affittare l'appartamento, dato che ormai rivenderlo sul mercato sarebbe un pessimo affare, e guarda caso l'altro giorno mi ha chiesto se conoscessi qualcuno interessato!" e mi fece l'occhiolino in maniera complice. Incredibile come certe cose capitassero davvero a fagiolo. Peccato che continuassimo a parlare di un appartamento di chissà quante migliaia di dollari in pieno centro. Eravamo a meno di venti minuti da Broadway, ce ne rendevamo conto?
"E quanto ti avrebbe chiesto di affitto?" chiesi sull'attenti, dato che ormai mi aspettavo che la batosta arrivasse da un momento all'altro. E fu lì che il suo sorriso si allargò notevolmente
"A tua discrezione!" esclamò soltanto
"P-prego?"
"Ma sì... lui non ha problemi di soldi, e di certo non gli cambierebbe la vita ottenere degli introiti straordinari nell'affittare questo posto... vuole semplicemente una cifra simbolica per non sentirsi ancora di più in colpa per aver sprecato all'incirca mezzo milione di dollari per fare un regalo non gradito! Lui ha detto che andrebbero bene anche cento dollari al mese, bollette e condominio esclusi, l'importante è che gli assicuro di mettergli in casa una persona tranquilla e fidata! E tu fai al caso suo!" mi spiegò soddisfatto. Non ci potevo credere, non poteva essere vero. Avevo trovato davvero l'appartamento perfetto a... cento dollari al mese? Ed era davvero stato Sebastian a trovarmelo? Era uno scherzo? C'era una telecamera nascosta dietro uno di quei perfettissimi cespugli?
"Allora... che ne dici? Sono o non sono il migliore?" mi domandò con un sorriso contagioso che non riuscii a non ricambiare con trasporto. Pochi istanti dopo mi ritrovai con le braccia attorno al suo collo, in uno strepitio di gioia
"Non ci posso credere, Bas... non ci posso credere!" urlai infischiandomene dei vicini - i miei futuri vicini - ma non riuscivo a contenere la contentezza e l'emozione. Lui ridacchiò ricambiando la stretta
"Quindi che faccio?... dico al proprietario di bloccare l'appartamento?" mi domandò retorico scostandomi un pò per guardarmi negli occhi. Io, che probabilmente ero talmente tanto scioccato da avere perfino gli occhi lucidi, gli sorrisi
"E me lo chiedi... fallo immediatamente!" risposi scoppiando in una sonora risata liberatoria contagiando anche lui. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e compose un numero
"Signor Fabrey? Salve sono Sebastian Smythe.. la chiamavo per via di quell'appartamento..." qualche secondo di pausa in cui mi ritrovai inconsapevolmente a sudare freddo. E se avesse cambiato idea? E se avesse deciso di aumentare l'affitto? E se mi avesse ritenuto non idoneo per abitarci? Il sorriso di Sebastian ebbe il potere di farmi calmare all'istante
"Esatto.... avrei appena trovato il suo futuro inquilino!"



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Capitolo 2
*** Di sfuggita ***


(2). Kurt Salveeeee...
Lo so, so che avevo detto che avrei aggiornato Giovedì e bla bla bla... ma oggi fa davvero caldo (39 maledettissimi gradi -__-) e non ho proprio voglia di studiare... pertanto mi sono detta, ma, quasi quasi un altro capitolo lo pubblico tanto per distrarsi un pò ed eccolo ^^... prima di tutto i ringraziamenti... sono stata davvero contenta nel vedere che tutto sommato la storia piace e ringrazio le 19 persone che l'hanno inserita tra le preferite/seguite/ricordate. Ma soprattutto ringrazio le tre anime pie che si sono premurate di lasciare una recensione. Siete state davvero dolcissime e spero che qst secondo capitolo non deluda le vostre aspettative (sì, sono parecchio in ansia in effetti ^^) allora.. in questo capitolo si sveleranno un pò di cose ma soprattutto... ehhhh... ma soprattutto non ve lo dico perchè se no vi tolgo tutto il bello (me cattivaaaaa XD) vi dico solo che abbiamo cambiato narratore, che effettivamente siamo ancora nella stessa giornata (controllate sempre le date e gli orari che sono importanti!) e che qualcosa inizia ad intuirsi già da ora, anche se mi rendo conto sia ancora presto. Bene, gente io vi lascio al capitolo, con la speranza di ritrovare lo stesso tipo di affetto, magari sempre in crescendo ^^... Kisses
P.s. A questo punto, avendo aggiornato oggi, ci vediamo Venerdì invece di Giovedì... poi per il futuro vedremo ^^




 

New York City. 11 Marzo 2012. Ore 11.13 A.M. (Domenica)


Ero in ritardo, neanche a dirlo, come al solito. Eppure, ripercorrendo mentalmente la mia tabella di marcia che il giorno prima avevo stilato per essere perfettamente preciso e puntuale a tutti i miei appuntamenti, non pensavo di aver fatto errori. Mi ero svegliato alle sei e trenta come ogni mattina, mi ero vestito, avevo fatto colazione ed ero scappato in studio per ritirare i campioni per la sfilata della settimana successiva da portare subito dopo in sartoria. Dopodiché mi ero dovuto incontrare con il mio capo, per selezionare tre modelle nuove per la campagna di costumi da bagno del 2013, ed ero corso in redazione per assistere ad una rassegna stampa nella sala congressi dell'edificio. E in quel momento mi ritrovavo a correre come un forsennato in direzione casa, perché dovevo recuperare dei bozzetti che mi ero dimenticato la mattina e portarli con estrema urgenza all'atelier "Yves Saint Laurent" di Chelsae, prima che il mio capo mi tagliasse le gambe con un'affilatissima spada antica. Dove diavolo avevo la testa? Perché non riuscivo ad essere efficiente come una volta? Più andavo avanti e più mi rincoglionivo?
Attraversai un paio di incroci senza neanche guardare, tanto che la seconda volta un taxi mi aveva evitato davvero per miracolo - evidentemente ero protetto dall'aurea maligna del signor Chang, il mio principale, che nella sua asiatica compostezza, mi impediva perfino di ammazzarmi liberamente sotto qualche macchina - ma riuscii incredibilmente ad arrivare al mio palazzo e a trovare la chiave giusta da inserire nella toppa del portone. Mi precipitai a chiamare l'ascensore, che neanche a dirlo era all'ultimo piano e spazientito iniziai a pigiare senza sosta il pulsante rosso, invano, perché non si decideva a scendere. Era rotto per caso? Eppure quella mattina ricordavo... no, come non detto, ero sceso a piedi! Beh, ma in quel momento ne avevo bisogno per fare prima e perché ormai avevo un polmone e la milza fuori uso. Non sarei riuscito a salire neanche mezzo gradino prima di stramazzare al suolo. Pigiai altre due volte il pulsante della chiamata scalpitando sul posto, impaziente
"Coraggio, stupido aggeggio... coraggio... mi farai fare tardi!" lo pregai, e sembrò funzionare, perché il piccolo monitor colorato indicò che era iniziata una lenta discesa. Sospirai, evitando accuratamente di guardare l'orologio, altrimenti mi sarei messo addosso altra inutile ansia - e come insegnavano gli antichi maestri giapponesi, o coreani, o quello che erano, la gatta frettolosa aveva fatto i gattini ciechi - ed iniziai a saltellare da un piede all'altro impaziente. Cavolo, erano soltanto quattro piani. Se ne avesse dovuti fare quindici, quanto tempo ci avrebbe impiegato? Come facevano le persone che abitavano nei mastodontici grattacieli della città, quando avevano fretta, ad aspettare che un ascensore facesse ben centotredici piani fino a fermarsi al pianterreno per accoglierli? C'erano anche bar e centro benessere in quelle cabine? Perché altrimenti non si spiegava.
Finalmente il familiare "ding" delle porte scorrevoli che si aprivano mi fece sospirare e inconsapevolmente sorrisi. Feci per entrare ma fui bloccato da due figure che erano intente invece ad uscire dalla cabina.
"Ops... chiedo scusa!" mormorai arrossendo. Che idiota che ero. Non mi ero neanche accorto che fosse occupato, tanto ero preso dal mio ritardo - appunto, sei in ritardo, spicciati!
"No, figurati, nessun problema!" mi rispose uno dei due, quello più alto, con un sorriso, mentre i suoi occhi verdi si fermavano per un istante a scrutarmi incuriositi. Se possibile arrossii ancora di più, chiedendomi cosa diavolo avessi in faccia da destare tutta quella curiosità in quello sconosciuto. Certo, i miei colleghi e il mio ragazzo me lo dicevano spesso... a quanto pareva ero uno che sapeva facilmente attirare l'attenzione, perfino rimanendo fermo in un angolo a bocca chiusa, ma arrivare addirittura a scatenare quella reazione... quel tipo mi stava forse... analizzando?
I due ragazzi uscirono finalmente dalla cabina, e diedi un'occhiata veloce al più basso, che se ne stava con la testa abbassata sul suo telefono a digitare un messaggio alla velocità della luce. Non riuscii neanche a guardarlo negli occhi, tanto era preso da quello che stava facendo - avvertiva per caso i suoi cari che la fine del mondo era appena iniziata? - ma distinsi senza problemi una massa informe, eppure stranamente ordinata di ricci neri, che si muovevano con lui, quasi a tempo di musica. Accennando un saluto educato entrai nella cabina e subito venni investito da una scia di profumo, evidentemente lasciata da uno dei due. Sgranai gli occhi, riconoscendolo all'istante: era 212 di Carolina Herrera, uno dei miei preferiti, e la cabina ne era completamente satura. Dio Santissimo, quale dei due ragazzi avrei dovuto ringraziare per quel dono gradito a metà mattinata?
Alzai lo sguardo un'ultima volta, questa volta trovando il ragazzo più alto di spalle intendo a parlare, e il più basso, che aveva riposto il cellulare e si era girato verso l'ascensore ancora aperto. Proprio mentre le due porte automatiche stavano per chiudersi vidi l'ennesima cosa che quel giorno mi fece bloccare il respiro in gola: un paio di occhi dal colore indefinito, - oro, verdi, castani - eppure ugualmente bellissimi, si erano inchiodati nei miei e non li avevano lasciati fino a che il "ding" dell'ascensore che ripartiva non ci aveva divisi, facendomi ritornare bruscamente alla realtà.

New York City. 11 Marzo 2012. Ore 03.25 P.M. (Domenica)

"Cioè, tu non puoi capire... è stata davvero un'atrocità!" esclamò schifata la modella, mentre una truccatrice era impegnata a stenderle il phard sulle guance e l'hair stylist provvedeva a farle dei morbidi boccoli su tutta la testa
"Sì, Santana, ti credo... in effetti deve essere stato un trauma non indifferente!" mormorai seccato, mentre prendevo appunti su cosa il mio capo - dopo avermi ripreso per il mio ritardo, sempre molto zen, mai esagerando - mi aveva dato da fare. Santana intanto, la modella ispanica che avevamo scelto per il nuovo servizio di intimo della nostra agenzia, sbuffava e continuava a raccontarmi nel dettaglio la sua traumatica esperienza dopo una sfilata di moda a Milano. Ma io, sinceramente, non le prestavo la minima attenzione.
Quando avevo iniziato quel lavoro, ormai cinque anni prima, pieno di allegria e buoni propositi, mi sarei venduto un braccio pur di discorrere tranquillamente con una di quelle svampite modelle tutte tette e culo, che poi puntualmente finivano su qualche copertina importante, soltanto per correre alla prima edicola, sventolare la copia del giornale in questione e gridare "Io questa qui la conosco, ho parlato con lei, poco prima che facesse questa foto qui!". Ma fortunatamente l'euforia era sempre stata qualcosa di passeggero, e infatti come tale era destinata a svanire. Ormai niente mi entusiasmava come prima, nonostante facessi il lavoro che avevo sempre sognato - lavoravo presso un'agenzia di moda nel centro di New York - eppure mi sentivo incompleto. Certo, facevo ciò che volevo, ciò per cui avevo abbandonato il mio insulso paesino senza alcun futuro... tuttavia, sentivo che c'era qualcosa, qualcosa che ancora non avevo ma che volevo disperatamente. Forse perché in fin dei conti, nonostante lavorassi nel mondo della moda, non avevo mai visto un mio bozzetto prendere forma e consistenza, né tanto meno avevo mai ricevuto risposta alle innumerevoli lettere di presentazione che mi ero prodigato ad inviare nelle varie agenzie. La verità era che volevo creare la moda, non farne parte. Volevo rivoluzionarla e volevo piangere come un bambino durante la mia prima grande sfilata mentre tutto il pubblico si alzava applaudendo e io avanzavo con accanto le mie modelle ed i miei preziosissimi abiti. E allora il marchio Kurt Hummel sarebbe diventato una leggenda.
Ma ben presto mi ero scontrato faccia a faccia con la dura realtà ed avevo capito che, per quanto bravo e talentuoso una persona potesse essere, rimaneva un emerito sconosciuto, un semplice tuttofare nelle mani di chi, sapendo armeggiare bene i contanti, aveva fatto strada. Ma io avevo la passione cosa che a loro ovviamente mancava e credevo di aver almeno un pò di talento necessario. Loro possedevano soltanto i soldi. Ma, ovviamente, mi rendevo conto che ormai contavano soltanto quelli.
Ero stato fortunato a trovare lavoro presso l'agenzia del signor Chang, un noto industriale di origine orientale e a tempo perso capo dell'agenzia di moda "Sogni di tessuto". Mi ci ero trovato da subito bene soprattutto perché in quell'ambiente la mia sessualità non rappresentava un limite, anzi... era un incentivo, una sorta di marchio che faceva immediatamente capire a tutti che io ero un intenditore perché, insomma, diciamocelo, i ragazzi gay sono nati per fare moda e per seguirla, giusto?
Era in questo via vai di modelle, truccatrici e stilisti che avevo conosciuto David. Aveva trent'anni, faceva il fotografo di moda e all'inizio era perfino fidanzato con una ragazza, una certa Eleonor. Poi non seppi cosa era scattato in lui, perché da un giorno all'altro mi ero ritrovato le sue labbra incollate alle mie e da allora erano quattro anni che stavamo assieme. Tra alti e bassi, tra litigi, presunte separazioni e tanto, tantissimo sesso pacificatore. Lui era stato il mio primo ed unico ragazzo. Sì, perché trovare un ragazzo gay nel posto da cui venivo io sarebbe stata un'autentica impresa, tuttavia sotto quel punto di vista New York aveva portato fortuna. Non ero certo di amare David. Sapevo di stare bene con lui, sapevo di piacergli - e anche tanto - ma soprattutto sapevo che lui fosse l'unico essere vivente rimasto al mondo, dopo la morte di mio padre, ad interessarsi davvero al sottoscritto. Mi bastava sapere di essere ogni tanto nei suoi pensieri, di ricevere qualche suo messaggio sdolcinato ogni tanto, per sentirmi sollevato. Non felice, semplicemente sollevato. Un pò come per il lavoro. Tendevo - forse a torto - ad accontentarmi, forse nella fiabesca speranza che prima o poi avrei ottenuto tutto ciò che desideravo, un ragazzo che amavo davvero, ed un lavoro gratificante su scala internazionale.
"Kurt.. ma mi stai ascoltando?" mi chiese Santana, la modella ispanica, scuotendomi appena il braccio. Ecco, mi ero incantato un'altra volta a fantasticare
"Sì... Santana, scusa... mi ero un attimo distratto. Stavi dicendo?" le domandai mentre la truccatrice recuperava la sua valigetta e spariva e l'hair stylist le spruzzava la lacca fissante
"Mi chiedevo se della serata di beneficenza del 
Gansevoort te ne occupassi tu! Ho sentito dire che ci saranno i migliori stilisti della piazza e poi cantanti, attrici famose, industriali..."
"E ovviamente vorresti esserci anche tu, dico bene?" le chiesi divertito, facendola arrossire appena
"É chiaro! Questo sarebbe un buon modo per farsi notare!" mi rispose accennando un sorriso e ammirandosi estasiata allo specchio e scuotendo appena la testa per ravvivare i boccoli
"Santana... tu non hai bisogno di un evento mondano per farti notare. Ti ricordo che il tuo manager ti ha scoperta mentre camminavi tranquillamente al supermercato, con tanto di tuta e carrello al seguito e non ci ha pensato neanche un minuto prima di scritturarti!" le dissi mettendomi dietro di lei e osservandola attraverso lo specchio. Lei mi sorrise grata per poi girarsi verso di me
"Sei bellissima San, e se il mondo ancora non lo ha capito, dopo questo servizio, rimarrà senza fiato, parola di intenditore!" e le feci l'occhiolino. Lei scoppiò a ridere, aggiustandosi un pò le bretelle del piccolo bikini di scena con il quale avrebbe dovuto fare le foto
"Grazie Kurt, sei davvero un amico. E a volte stento a credere che tu sia veramente gay. Come mio fidanzato saresti perfetto!" scherzò alzandosi
"Mmm... ci penserò... magari se domani mi riscopro magicamente etero, ti faccio uno squillo!" e con un'ultima risata la lasciai andare al suo lavoro, avvicinandomi ad un'altra truccatrice per darle le direttive sulla successiva ragazza.
Santana era una delle poche modelle simpatiche dell'ambiente. E nonostante fosse bella da mozzare il fiato - ero gay, mica cieco - non era affatto stupida né sprovveduta. Aveva una testa funzionante ancorata perfettamente al resto del corpo, e non era mancata occasione che fosse riuscita a ribellarsi alle angherie del mestiere: solita roba, qualche direttore di moda pronto a promettere fama e fortuna a giovani modelle ancora in fasce, per una semplice e squallida scopata. Ma lei si era rifiutata spesso e non si era mai abbassata a questi livelli. Quello che aveva, se lo era guadagnato con l'impegno e il naturale talento, anche grazie al suo manager, un veterano dell'ambiente, un certo Sam Evans. Un tipo particolare, con un'enorme bocca da trota - denominazione a cura di Santana stessa - e uno strano ciuffo che faceva tanto boy band di altri tempi. Ma nonostante il discutibile gusto nel vestire e l'ambigua natura sessuale - io ero convinto fosse gay, per Santana era semplicemente troppo indaffarato per dedicarsi a qualsivoglia relazione - era una persona brillante e capace ed era riuscito a portare alla ribalta numerose modelle, molte delle quali erano perfino arrivate a sfondare oltreoceano. Se non era bravura quella.
In quel momento il mio cellulare prese a squillare e chiedendomi chi fosse a disturbarmi a quell'ora, risposi senza neanche guardare lo schermo
"Sì?"
"Kurt... sono io!"
"Oh, ciao, Mercedes... che bello sentirti!" e lo pensavo davvero. Lei era una delle poche persone con cui avevo frequentato il liceo e che avevo ancora il piacere di rimanere in contatto
"Scusa se ti disturbo, magari starai lavorando e sarai impegnatissimo..."
"Ma no, figurati... dimmi pure..." la incitai mentre indicavo alla truccatrice i colori che avrebbe dovuto usare sulla modella biondissima e - neanche a dirlo - svampita che aspettava sul suo sgabello
"Ecco, mi stavo chiedendo se questa sera avessi da fare. Avevo pensato di cenare con te, sai, come ai vecchi tempi. Tranquillo è un posto ok, niente confusione né troppe pretese. Mi basta sapere che hai voglia di fare quattro chiacchiere con una vecchia amica!" e la voce le si intenerì sull'ultima parte lasciandomi senza fiato. Sorrisi, ricordando con piacere tutte le nostre chiacchierate durante il liceo, a casa sua, davanti ad una scodella di pop corn, o le nostre serate film. Mi mancavano quei tempi, ed era incredibile, pensandoci, come fossero passati ben sette anni dall'ultima volta che effettivamente lo avevamo fatto. Mercedes aveva ragione, dovevamo rimediare.
"Ma certo, tesoro, per te ho sempre tempo. Ci vediamo alle otto?" le chiesi mentre procedevo spedito verso il set, dove intravedevo una Santana completamente trasformata, mettersi in posa poggiata con la schiena al cofano di una macchina d'epoca
"Perfetto. Ti vengo a prendere io. Ti posto in un posto speciale!" era entusiasta a dir poco
"Dimmi almeno come devo vestirmi!" le chiesi divertito
"Credo che il classico stile alla Kurt Hummel vada più che bene!" mi rispose ridacchiando dopodiché delle voci in sottofondo la chiamarono e lei fu costretta a lasciarmi, promettendomi di rivederci quella stessa sera.

New York City. 11 Marzo 2012. Ore 08.40 P.M. (Domenica)

"Allora, Kurt... ti piace?" mi domandò la mia amica, una volta seduti ad un tavolino di legno del locale. Diedi un'occhiata in giro sorprendendomi di ritrovarlo quasi del tutto pieno, nonostante a conti fatti fosse un luogo quasi del tutto sconosciuto. Dovevo ammettere però, che era arredato bene. Era una sorta di Irish Pub, con tanto di bancone di legno lungo tutto una parete, pieno di distributori di birre e un piccolo palco esattamente di fronte a noi. Molto discreto, dovevo ammetterlo.
"Sì, mi piace... su queste cose ci sai davvero fare, non c'è che dire!" esclamai sorridendo, mentre una giovane ragazza con una coda di cavallo bionda, le lentiggini e due splendidi occhi celesti si avvicinava a noi e sorridendoci ci diceva
"Buonasera ragazzi... io sono Brittany, ma potete chiamarmi anche Britt, e sarò la vostra personale cameriera della serata!" esclamò mentre cacciava un taccuino dalla tasca del grembiule che aveva in vita
"Ah però... abbiamo anche la cameriera personale... hai visto che figata, Kurt?" mi fece Mercedes divertita. La ragazza - Britt - scoppiò a ridere
"In realtà ci sono soltanto io che servo ai tavoli qui dentro, quindi..." e l'ingenuità con cui lo disse o il sorriso che usò per farlo ci fece ridere di gusto. Ordinammo un paio di panini e due birre dopodiché Brittany sparì in cucina. Intanto il locale si era del tutto riempito e iniziavano perfino ad arrivare persone in eccesso, che però aspettavano imperterrite che qualche tavolo si liberasse
"Dimmi... come ti vanno le cose?" mi chiese qualche istante dopo Mercedes, distogliendomi dalla mia abituale analisi di ogni luogo frequentassi
"Solita vita...tanto lavoro, poco tempo per me... però in compenso la scorsa settimana ho avuto il piacere di incontrare Valentino in persona... tu non puoi immaginare quanto il suo viso sia tirato.. ormai è diventato la caricatura di se stesso!" e ridacchiai al solo ricordo. Ormai incontrare stilisti famosi non mi faceva più effetto. Non più.
Mercedes mi sorrise, mentre Brittany si avvicinava per posare le due birre e lasciarci un altro sorriso cordiale
"E David? Lui come sta?" mi domandò cauta qualche istante dopo. Trattenni il fiato per alcuni secondi osservando distrattamente la schiuma della mia birra, iniziare a sfumare
"Lui... lui sta bene!" biascicai in risposta. Lei annuì, e distolse lo sguardo.
Solo in quel momento mi tornò in mente l'effettivo motivo che ci aveva allontanati gradualmente, nonostante durante il periodo delle superiori io e lei fossimo praticamente inseparabili. David e Mercedes non si erano mai sopportati. Non avevo mai capito se si trattasse di un istinto a pelle o se fosse successo qualcosa tra di loro di cui io non ero a conoscenza. Sapevo soltanto che, da quando la mia relazione con Dave era diventata ufficiale, ufficiale era diventata anche la mia "rottura" con Mercedes. E quello fu uno dei tanti motivi per cui ogni tanto mi sentissi mancare la terra sotto i piedi. Una volta soltanto avevo provato a chiedere alla mia amica come mai non volesse mai uscire con noi a cena o perché declinasse sempre gli inviti a venire a casa mia quando c'era anche David. Lei - mi ricordo come se fosse ieri - mi aveva guardato con una luce strana negli occhi e mi aveva detto
"Non lo so Kurt... David mi inquieta... e quello che mi spaventa più di tutto è che tu ti sia attaccato così tanto a lui. Sono preoccupata per te!"
"Preoccupata per me? Mercedes ma cosa..."
"Soltanto una cosa, Kurt... stai attento!" e aveva liquidato lì il discorso, inventandosi una scusa, e scappando via da casa mia, letteralmente di corsa. Questo era successo tre anni prima. E da allora io e Mercedes ci eravamo visti sì e no dieci volte in tutto. La scusa era sempre la stessa: io sono impegnato con il mio lavoro e lei con il suo - Mercedes lavorava in teatro, faceva la coach vocalist per una nota compagnia - e nessuno dei due sembrava dispiacersi poi tanto. Dovevo ammettere però, quando potevo permettermi due minuti di tempo per pensarci, che mi mancava, terribilmente. Mi mancava il suo essere estremamente protettiva nei miei confronti, il suo sorriso sincero, la sua strabiliante energia, la sua grinta e soprattutto la forte autostima che aveva di sé, grazie alla quale molte volte ero riuscito a rialzarmi anche io. Mercedes era stata l'unica vera amica che avessi mai avuto, l'unica che mi aveva apprezzato già prima, quando non ero ancora l'assistente del signor Chang, quando ero un semplice adolescente gay, che aveva avuto la sfortuna di capitare in una scuola fatta solo di sportivi pompati e omofobi del cazzo. Non avrei smesso un solo istante di ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per me. Ma, in un certo senso, non riprendendo più in mano quel famoso discorso iniziato ben tre anni prima, era come se lo avessi al tempo stesso messo da parte e cancellato, con la precisa intenzione di non ricordarlo più. Forse era la paura a fottermi. In fondo, lo aveva sempre fatto.
"Chissà se qualcuno canterà stasera!" si chiese lei ad un certo punto, indicando il piccolo palco, e l'asta del microfono poggiata sopra. Sorrisi spontaneamente mentre un altro vago ricordo si faceva strada nella mia testa. Un ricordo che sapeva di un'aula grande e luminosa, di tante sedie rosse, di un professore che a tempo perso insegnava spagnolo pur non sapendo neppure parlarlo, ma soprattutto sapeva di migliaia di speranze e di sogni espressi attraverso bellissime canzoni.
"Puoi sempre farlo tu!" buttai lì, sorseggiando un pò di birra. Lei spalancò gli occhi e arrossì, per quanto la sua carnagione meravigliosamente scura glielo permettesse
"Stai scherzando spero... Kurt, lo sai che io non canto più!" mormorò abbassando lo sguardo
"Sì, Cedes, lo so... quello che non ho ancora capito è il perché!" ammisi con un sospiro. Lei scosse la testa, alzando di nuovo lo sguardo verso il microfono
"Non lo fai più neanche te, per quanto io ne sappia!" rispose poco dopo. Persi un paio di battiti. Cantare. Cantare. Cantare.
"Il motivo lo conosci bene!" sbottai infastidito. Su certi argomenti ero particolarmente sensibile e lei lo sapeva. Mi meravigliai di come, nonostante questo - nonostante lei quel giorno fosse stata con me, a piangere - avesse trovato il coraggio per chiedermelo.
"Kurt... sono passati sei anni... possibile che tu continui a nasconderti dietro questo alibi?" mi domandò scioccata poggiando i gomiti sul tavolino. Sentii gli occhi bruciarmi
"La morte di mio padre non è un alibi, Mercedes!" scandii bene con un sibilo "É un dato di fatto, punto!" e stizzito presi un altro sorso di birra
"Questa non è una giustificazione, Kurt!" mi riprese. Avrei voluto dirle che non era una giustificazione che stavo cercando. Non volevo semplicemente parlarne. Era vero, erano passati sei anni, ma per me, ogni singolo giorno faceva male e bruciava come fosse una lama affilata nel cuore. E cantare - fare quello che avevo sempre fatto con leggerezza, prima che tutto... cambiasse - mi faceva stare solo peggio. Così avevo semplicemente smesso di farlo. Fine della questione
"Io non canto, mi dispiace!" esclamai allora risoluto, riacquistando un pò della calma che stava iniziando a vacillare
"Beh, dispiace più a me credimi!" borbottò, forse nella speranza di non farsi sentire. Intanto Brittanny, sempre sorridendo, ci aveva appena lasciato i panini ed era volata verso un altro tavolo. Fantastico, mi era passata anche la fame.
"Vado un attimo in bagno, torno subito!" biascicai, non preoccupandomi neanche di recepire la sua risposta. Mi alzai dal tavolo afferrando il cellulare e mi rifugiai di corsa nel bagno degli uomini. Una volta di fronte allo specchio sospirai: avevo una pessima cera. Un pò per la stanchezza accumulata, un pò per via delle numerose preoccupazioni che mi portavo dietro, ma più che altro erano ancora evidenti i segni della mia discussione con Mercedes. Ero partito da casa con tutte le migliori intenzioni: passare una serata tranquilla con un'amica, magari mangiando qualcosa di particolare e facendo quattro chiacchiere a cuor leggero. Invece in meno di mezz'ora tutto era andato in rotoli. E volevo scappare, letteralmente, rifugiarmi nel mio appartamento e provare a cancellare con qualche crema idratante le tracce delle lacrime che mi avrebbero devastato da lì a breve. Pensavo di averle finite, e invece, erano sempre in agguato, pronte a venire fuori all'improvviso. Peccato che quello fosse il momento meno opportuno.
All'improvviso il mio I-Phone prese a suonare e mi affrettai a vedere chi fosse, dando le spalle allo specchio.
"Pronto?"
"Ehi Kurt... dove sei?" la voce preoccupata, e anche un pò innervosita del mio ragazzo mi fece stringere gli occhi
"David... ciao... sono... in un locale con... con Mercedes... era tanto che non ci vedevamo e allora abbiamo pensato di..."
"E ti costava tanto avvisarmi?" mi domandò nervoso, mentre in sottofondo avvertivo il rumore del motore della sua macchina sfrecciare a chissà quale assurda velocità verso chissà quale posto
"Sì, scusa hai... ragione... non so proprio dove ho la testa ultimamente!" mormorai atono, passandomi una mano sul viso. Ecco, quella era un'altra conversazione di cui avrei fatto volentieri a meno
"Sicuramente non dove ci sono io!" borbottò, facendomi alzare gli occhi al cielo
"Su coraggio Dave... non iniziare..."
"A fare cosa Kurt? A farti presente che sono ben dieci giorni che non ci vediamo... dieci fottutissimi giorni in cui tu non sei capace neanche di prenderti un paio d'ore di tempo da dedicare a quello stronzo del tuo ragazzo? É di questo che stiamo parlando Kurt?" mi chiese fuori di sé, e intanto il motore continuava a ruggire in sottofondo
"No, immagino di no..." biascicai, poggiando la schiena al lavandino e maledicendomi per aver deciso di uscire quella sera
"Però, in compenso il tempo per la tua amica, lo trovi sempre... dico bene?" sputò ancora acido, e quello fu troppo anche per me
"Dio Santo, David... è soltanto una stupidissima serata con una mia vecchia amica... cosa devo fare? Chiudermi in casa e aspettare che tu venga per la solita scopata e rimanere placidamente disteso mentre tu raccatti le tue cose e mi lasci passare da solo la notte, come sempre?" urlai senza riuscire più a trattenermi. Al diavolo il luogo pubblico e al diavolo pure il Kurt placido e tranquillo.
Solo in quel momento mi resi conto di una cosa, in quel bagno non ero solo. All'improvviso una delle due porte alla mia destra, si aprì, molto lentamente ed un ragazzo con la testa bassa ne uscì. Arrossii all'istante.
Cazzo, cazzo, cazzo...
Il ragazzo si avvicinò al secondo lavandino e sempre a testa molto bassa prese una piccola quantità di sapone ed aprì l'acqua corrente. Abbassai istintivamente gli occhi anche io, puntandoli sui suoi jeans stretti e scuri e sulle converse blu consumate. Che figura di merda che avevo fatto. Intanto David aveva preso ad urlare dall'altro capo del telefono, improperi in ogni lingua e probabilmente il motore aveva ruggito ancora, ma in quel momento non mi interessava. Mi sentivo sprofondare nell'imbarazzo perché avevo appena buttato nel cesso anche la mia integrità, di fronte ad un perfetto sconosciuto.
Il ragazzo in questione finalmente alzò gli occhi e ci ritrovammo a poche spanne di distanza, occhi negli occhi. E per poco non spalancai la bocca come un idiota. Quegli occhi. L'oro, il verde ed il castano mischiati insieme. Di nuovo.
Lui con molta discrezione mi sorrise - un piccolo sorriso dolce e comprensivo, non schifato, disgustato per quello che aveva appena sentito - dopodiché prese un paio di salviette dal distributore a muro e si asciugò con molta cura le mani. Aveva le maniche della maglia tirate fino sopra i gomiti, e ad un braccio luccicavano decine e decine di braccialetti di ogni forma e colore. Ma per la seconda volta quel giorno non ebbi modo di analizzarlo davvero nei dettagli perché lui, dopo un canestro perfetto dei fazzolettini, nel cestino del bagno, ritornò nel locale.
Solo allora ripresi a respirare regolarmente.
"Kurt? Kurt, dannazione... mi senti? Telefono del cazzo..."
"Sì... si.. ti sento!" mormorai allora
"Kurt... dobbiamo parlare, subito!" mi ordinò perentorio. Io sospirai, mentre una lacrima mi sfuggiva incontrollata. Mi affrettai ad asciugarla con la mano libera
"No, David non stasera. Domani!" e detto questo chiusi il telefono che per sicurezza spensi, tornandomene anche io nella confusione rassicurante di quel maledetto pub.   

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Capitolo 3
*** Qualcuno come te ***


(3). Canzone (B) Buon Venerdì a tutti e come promesso rieccomi con il terzo capitolo. Altro cambio di narratore gente, ma ancora una volta la giornata è la stessa (sì a New York le giornate sono fatte da 72 ore ^^) attenti perchè gli incontri frugali non sono finiti ma soprattutto qst capitolo credo spieghi un pò di più il rapporto tra Sebastian e Blaine (che fortunatamente in molti avete apprezzato - inclusa me ^^) e qualcosa del passato sentimentale di Blaine... so che potrà sembrare un pò triste quello che dirà, ma vi prego di avere fede perchè tanto non tutto è perduto! Ci terrei, prima di lasciarvi al capitolo, a specificare un paio di cose: numero uno, come forse avrete notato dalle foto che sclgo per i front dei vari capitoli, lo "stile" di questo Blaine è più simile allo stile di Darren piuttosto che del Blaine della Fox... mi spiego, non perché io non adori come si veste nella serie (i suoi papillon rimarranno impressi nella mia mente per sempre *___*) è solo che x questo tipo di Blaine, il suo carattere e la sua vita ce lo vedevo più come Darren... quindi vestiti più etero (per modo di dire, perché si sa, Darren è tutto tranne che etero XD) e niente gel per capelli (perché diciamocelo... quel maledetto gel un pò lo rovina... quei ricci sono meravigliosi al naturale *___*). Numero due: non l'ho specificato prima, ma in questa storia cercherò di far entrare comunque tutti i personaggi della serie: avete già incontrato Sebastian, Mercedes, David, Santana... e qui sotto ce ne saranno altri due... quindi dietro la storia principale cercherò di far nascere tutte le altre coppie, con un unico filo conduttore che è la Klaine ^^... bene, avevo detto di non dilungarmi troppo, ma ovviamente... ^^ beh, che dire? Grazie ancora a tutti per le seguite/preferite/ricrodate ma soprattutto per le magnifiche recensioni. Spero il capitolo piaccia e non vedo l'ora di leggere i commenti (sperando ce ne siano ^^) un bacione a tutti e un grazie speciale alla dolce Tamara e ai nostri scleri su fb :*
p.s. Aggiornamento a Giovedì prossimo (scusate sono completamente fusa per l'università e prima mi sarebbe praticamente impossibile. Abbiate solo un pò di pazienza perché dal 24 in poi sarà tutto finito *__*) un bacioneeeeee





New York. 11 Marzo 2012. Ore 08.45 P.M. (Domenica)

Da quando ero arrivato al pub quella stessa sera, mi ero subito meravigliato di quanta gente ci fosse. Certo, era domenica, un qualsiasi locale si sarebbe aspettato un pienone, ma non.. quello. Era ancora quasi del tutto sconosciuto, il proprietario era ancora alla ricerca di personale, e se riempivamo dieci tavoli in tutto, in una serata, era per carità di Dio, non di certo per fortuna.
Mi avvicinai elettrizzato al bancone, e mi sporsi alla ricerca del proprietario
"Ehi Puck... ci sei?" lo chiamai allora e pochi istanti dopo ricomparve di scatto da sotto lo scaffale facendomi saltare sul posto
"Mi cercavi?" mi domandò divertito posando sul bancone un bicchiere pulito. Mi portai una mano al cuore, cercando di riprendere fiato
"Brutto stronzo.." borbottai mentre lui, ridendo come un pazzo mi riempì il bicchiere con una birra bionda e me lo posò con un leggero tonfo davanti
"Tieni, questo te lo offro io per farmi perdonare!" e mi fece l'occhiolino tornando ad affaccendarsi sotto il bancone. Iniziai a sorseggiare la mia birra dando un'occhiata all'orologio che avevo al polso. Mancavano ancora tredici minuti.
"Ehilà bel brunetto! Che piacere riaverti qui!" mi salutò Brittanny, la cameriera, nonché unica aiutante di quel locale, oltre ai due ragazzi che lavoravano in cucina. Io le sorrisi
"Il piacere è tutto mio!" le risposi facendola ridacchiare. Puck, il proprietario con la cresta, sbucò nuovamente all'improvviso, quella volta spaventando anche la povera ragazza
"Tutte le volte che vi vedo flirtare così spudoratamente mi sorge spontanea una domanda..." iniziò pulendo con una pezza bianca il fondo di un bicchiere. Io alzai un sopracciglio in attesa dell'imminente cazzata che avrebbe sparato
"Ma se voi due vi piacete così tanto... perché diavolo non vi concedete una sana scopata?" e mise su un'aria pensierosa, quasi credibile. Scoppiai a ridere di gusto mentre Brittany, per niente imbarazzata dalla domanda del suo principale, scuoteva la testa e rispondeva
"E chi ti dice che non lo abbiamo già fatto?" domandò divertita, posando un ordine sul bancone e prendendo un vassoio per poggiarvi due bicchieri di birra e una lattina di Coca. Fu il turno di Puck per scoppiare a ridere
"Beati voi, ragazzi miei... beati voi!" e sparì in cucina per consegnare l'ordine che Brittany gli aveva consegnato
"Non cambierà mai!" mormorò la ragazza sistemandosi meglio il vassoio tra le mani. Mi ero sempre chiesto come facesse a tenerlo su perfettamente dritto, senza alcuna paura di rovesciarlo. Io, forse, ero troppo goffo e maldestro e quel vassoio, in mano mia, non sarebbe sopravvissuto neanche vuoto.
"Lo spero proprio, Britt!" esclamai poggiando il bicchiere ormai vuoto sul bancone e puntando gli occhi sul palco. Il mio palco. Brittany intercettò il mio sguardo e sorrise
"Sei pronto?" mi domandò con un sorriso incoraggiante
"Sempre!" mormorai, per poi sorriderle di rimando e dirigermi spedito verso il palco. Recuperai la chitarra, la mia fedelissima compagna di vita, da dietro una cassa e iniziai a collegarla all'amplificatore. Intanto il vociare continuo invadeva il locale. Mi ero sempre chiesto cosa si provasse a cantare di fronte ad una platea attenta e partecipe. Chissà se quella sera avrei avuto l'onore di scoprirlo finalmente. Sì, perché nonostante fossero quasi tre mesi che lavorassi lì dentro, nessuno mai aveva prestato troppa attenzione a quel piccolo ragazzo che si uccideva a cantare sul palco, strimpellando con amore la chitarra. Nessuno. Troppo impegnati a mangiare, a bere, a chiacchierare, a sovrastare con le loro voci la mia. Ed io puntulamente mi avvilivo. Solo che poi Puck mi dava una pacca sulla spalla e con un sorriso incoraggiante mi assicurava di essere stato fenomenale e di non essersi perso neanche una canzone. Dopodiché mi dava appuntamento alla sera successiva. Era un grande, dovevo ammetterlo. Credeva in me e mi dava la possibilità di sfogarmi nell'unico modo che ritenevo possibile: la musica.
La gente non voleva ascoltarmi? Poco male, avrei cantanto ancora una volta per me, soltanto ed esclusivamente per me.
Presi un profondo respiro, riempiendomi i polmoni d'aria, e guardai per la prima volta la gente rumorosa che tranquillamente continuava a mangiare. Solo qualcuno sembrava essersi accorto di me, perché incuriosito aveva alzato la testa nella mia direzione e mi scrutava, forse in attesa che cominciassi a cantare e decretare così che non meritavo attenzione. Ero meno importante del loro panino farcito, insomma.
Da quell'angolazione tutta quella gente faceva ancora più impressione. Non avevo mai avuto attacchi di panico nella mia vita, né mi ero mai vergognato a cantare davanti a tanta gente. Lo avevo fatto durante le competizioni canore a scuola - con Sebastian e i Warblers - lo avevo fatto già mille volte in quel locale. Eppure, quella sera, mi sentivo stranamente agitato. Forse la consapevolezza di aver finalmente trovato l'appartamento perfetto mi faceva stare così.
In quel momento, alzando lo sguardo verso il bancone, trovai a fissarmi un paio di occhi verdi, divertiti ed intensi, e il loro proprietario, accompagnato dal suo inseparabile ragazzo, mi fece un gesto incoraggiante sollevando il suo bicchiere di birra e mimando un "In bocca al lupo!". Non riuscii a trattenermi dal sorridere, forse un pò arrossendo.
Mi avvicinai al microfono, stringendo forte la mia chitarra, dopodiché picchiettai l'indice per vedere se era acceso e presi posto sullo sgabello alto dietro di me. Un bel respiro e si comincia
"Ehm... buonasera a tutti..." esordii catturando l'attenzione generale del locale e fu quasi spaventoso vedere come una settantina di teste si fossero girate in contemporanea verso di me, attirante dalla mia voce. Mi trattenni dal sussultare e continuai
"Io sono Blaine e spero di diventare un piacevole sottofondo per la vostra serata... grazie!" mormorai sorridendo, mentre un tavolo di quattro ragazze ridacchiava coinvolto e un altro paio di tavoli aveva perfino applaudito. Waw... forse non sarebbe andata poi tanto male quella sera.
Iniziai a pizzicare dolcemente le corde della chitarra, ricevendone in cambio i primi accordi della canzone. Il tavolo delle ragazze riconobbe il motivo immediatamente e accenno un applauso entusiasta. Con un sorriso lanciai un'occhiata verso Sebastian che se ne stava placidamente appoggiato al bancone, a sorridermi. Chissà se quella canzone gli avrebbe fatto ricordare qualcosa.

I heard
That you're settled down
That you
Found a girl
And you're
Married now

Sì, era una canzone da donna. Era una canzone di Adele. Ed io ero un uomo. Ma dopo aver cantato per tutta la mia adolescenza cover di Katy Perry e di P!nk, me ne infischiavo altamente. Io le canzoni le sceglievo per quello che mi trasmettevano. Per quello che volevo esprimere. Non certo per il sesso del cantante.

I heard
That your dreams came true
I guess she gave you things
I didn't give to you

Alzai per un istante gli occhi sul mio migliore amico al bancone. Continuava a sorridermi, segno che avesse capito perfettamente il perché avessi scelto di cantare quella canzone. Non ero stato io il primo a cantarla. C'era stato un tempo, tanto lontano da sembrare quasi irreale, in cui un altro Blaine - con la testa piena di gel - e un altro Sebastian - che aveva fama di essere un grande stronzo - erano stati insieme. C'erano stati baci - tanti, tantissmi baci - c'erano state nottate insonni, passate ad esaminare nel dettaglio ogni minima porzione del corpo nudo dell'altro, c'erano state liti infinite, bronci infantili, confessioni che erano costate tanto, soprattutto l'orgoglio. E poi, proprio quando avevo iniziato a credere di aver rovinato tutto, amicizia compresa, con le parole, era arrivata la canzone. Una specie di preghiera implicita. Una supplica che il mio amico mi rivolgeva, nella speranza che lo perdonassi, che cancellassi quei mesi passati a far finta di essere fidanzati, e a ricominciare la storia da dove ci eravamo interrotti: semplicemente Blaine e Sebastian, amici, colleghi, fratelli.
Ed io, ascoltanto quelle parole, che per la prima volta sembravano assumere un nuovo significato mi ero ritrovato a sorridergli grato per avermi aperto gli occhi. Io e lui non eravamo fatti per stare assieme. Potevamo essere grandi amici, ma non di certo fidanzati. E lui, per il mio bene, aveva provato a dirmelo in tanti modi. Il migliore che alla fine aveva trovato, e che aveva fatto più effetto, era stato senza dubbio con quella canzone.

Old friend, why are you so shy?
It ain't like you to hold back or hide from the lie.

Era inutile continuare a mentire. Ci saremmo fatti male a vicenda. Questo era chiaro ad entrambi. Quello che mi aveva fottuto, era stato l'essermi innamorato di lui. O almeno credevo di averlo fatto. Forse era stata semplicemente la voglia troppo grande di trovare qualcuno troppo in fretta. Aver trovato Sebastian che provava qualcosa per me - anche del semplice affetto - era stato come trovare un appiglio, al quale aggrapparmi con tutte le forze e la speranza di non cadere mai giù. Ma io il fondo lo avevo toccato lo stesso, certo, non grazie a lui. Ma dopo di lui.


I hate to turn up out of the blue uninvited,
But I couldn't stay away, I couldn't fight it,
I had hoped you'd see my face,
And that you'd be reminded that for me it isn't over.

Dopo Sebastian era arrivato Jeremiah. Un commesso della Gap, faccia pulita, ragazzo rispettabile e gentile. Una sorta di piccolo Daniel della mia vita. Solo che io avevo ancora diciassette anni e non mi chiamavo Sebastian Smythe. E già questo avrebbe dovuto essere per me un campanello dall'allarme.

Never mind, I'll find someone like you,
I wish nothing but the best for you, too,
Don't forget me, I beg,
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"
Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead, yeah.

Era stato fin troppo facile e veloce. Conoscerlo, invaghirmene, conquistarlo, finire nel suo letto. Il passo successivo sarebbe stato quello di presentarlo ai miei genitori e a mio fratello. Dopodiché sarebbe toccata la parte peggiore. Farlo conoscere a Sebastian.

You know how the time flies,
Only yesterday was the time of our lives,
We were born and raised in a summer haze,
Bound by the surprise of our glory days.

Ma a quel punto non ci eravamo mai arrivati. Il suo passo successivo era stato quello di farsi trovare a letto con un altro. Nel nostro letto. Lo stesso dove aveva giurato di provare qualcosa per me che fosse un gradino sopra il semplice affetto. Lo stesso in cui io gli avevo detto di amarlo. Probabilmente l'errore che avevo nuovamente fatto, era stato quello di dare per scontate troppe cose, ma soprattutto di aprire il mio cuore all'ennesima persona che non aveva intenzione di afferrarlo e prendersene cura. Solo che Jeremiah non aveva avuto pietà di me. Non aveva provato a spiegarmi, né a corrermi dietro, né mi aveva cercato più dopo quell'episodio. Semplicemente era sparito. Neppure una canzone ad accompagnare i titoli di coda della nostra storia.

I hate to turn up out of the blue uninvited,
But I couldn't stay away, I couldn't fight it,
I had hoped you'd see my face,
And that you'd be reminded that for me it isn't over.

Dopo Jeremiah, fatta eccezione per un paio di ragazzi conosciuti per caso e con i quali mi ero limitato a trascorrere una piacevole serata a beneficio reciproco, non mi ero più permesso di cedere. Avevo eretto un muro a difesa personale ed avevo impedito a tutti, perfino a quello che sembrava più serio e raccomandabile, di avvicinarsi troppo a me. Mi conoscevo d'altronde: sotto quel punto di vista ero fatto male, tendevo ad affezionarmi troppo. Lasciarsi andare oltre un certo limite, equivaleva a perdere la bussola e la ragione. Ed io mi ero già smarrito due volte. Credevo fosse più che sufficiente per un ragazzo di venticinque anni.

Never mind, I'll find someone like you,
I wish nothing but the best for you, too,
Don't forget me, I beg,
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"

Sebastian, al contrario di tutti gli altri, c'era sempre stato. Segno che della nostra amicizia davvero gli importasse qualcosa. E infatti da allora non aveva smesso un attimo di cercare qualcuno che andasse bene con me. Ed era stato un pò la stessa questione dell'appartamento: lo avevo pregato di tirarsene fuori, altrimenti avrei corso il rischio di finire tra le grinfie di qualche pazzo con la fissa del sadomaso. Tuttavia, pensandoci, mi aveva salvato la vita quella mattina, sorprendendomi con quell'appartamento, tirato fuori dal cilindro. Chissà se il suo capo aveva anche un figlio gay da presentarmi. In tal caso, ci avrei messo la firma, avrei eretto un monumento a Sebastian. Ed avrei impedito perdonalmente ai piccioni di deturparlo.

Nothing compares,
No worries or cares,
Regrets and mistakes, they're memories made,
Who would have known how bittersweet this would taste?

Il pubblico, con mia grande sorpresa, non mi ignorava. O meglio. La maggior parte di loro mi seguiva rapita - incluse le quattro ragazzine esagitate - e qualcuno aveva già applaudito un paio di volte. Mi sentivo euforico. Quella era una giornata da inserire nel memorandum della mia vita. Ad un tratto l'occhio mi cadde su un tavolo, quasi di fronte al palco, nella zona più estrema, poggiato al muro, con due persone sedute, intente a guardarmi. Erano una ragazza di colore, abbastanza in carne che batteva il tempo della canzone con la mano sul tavolino di legno, ed un ragazzo, all'apparenza più giovane di lei, che mi guardava come rapito. Mi si bloccò qualcosa in gola e ne approfittai della pausa nella canzone per ingoiare un pò e mandarla giù. Quel ragazzo... era lo stesso che avevo trovato in bagno poco prima. Quello che avevo sorpreso ad urlare come un indemoniato a colui che avevo intuito fosse il ragazzo - lo aveva chiamato David e aveva fatto capire in maniera molto esplicita che la loro fosse una relazione fisica e a quanto pareva duratura. Mi ero sentito uno spione, costretto in quel piccolo bagnetto, dopo aver involontariamente assistito a quella sfuriata telefonica. E quando ero stato costretto ad uscire - dovevo cantare, causa di forza maggiore - non ero riuscito a sopportare il peso del suo sguardo. Avevo immaginato di trovarci accusa e fastidio. Per questo mi ero limitato a lavarmi in fretta le mani e a scappare via di lì. Certo, non ero riuscito a trattenere un sorriso colpevole e dispiaciuto, incrociando per un attimo uno splendido paio di occhi azzurri, ma era stata davvero questione di secondi, e ormai non ricordavo neanche più come fosse fatto. Amen.

Nevermind, I'll find someone like you,
I wish nothing but the best for you,
Don't forget me, I beg,
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"

A quella distanza e con quella luce pessima non riuscivo a distinguerne bene i lineamenti. Se poi ci mettiamo che ero anche senza lentine, facevamo bingo. Per la fretta quella sera avevo dimenticato di metterle. D'altronde, la musica dovevo sentirla, mica vederla. Così, decisi di lasciar perdere, facendo vagare lo sguardo per la sala, ammiccando alle ragazzine impazzite e sorridendo ancora a Sebastian e Daniel - quest'ultimo con il braccio intorno alle spalle del primo.

Nevermind, I'll find someone like you,
I wish nothing but the best for you, too,
Don't forget me, I beg,
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead,"
Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead.

Terminai la canzone, proprio nel momento in cui uno scrosciante applauso si disperdeva nel locale. Ero strabiliato. Mai, da quando suonavo lì, avevo ottenuto tale reazione. Forse qualcosa del genere la potevano ricordare le competizioni canore con il mio Glee Club. Eppure lì, gli applausi dovevano essere spartiti tra venti ragazzi che cantavano. Quella sera, quel fragore era tutto per me.
Sorrisi imbarazzato, grattandomi la nuca
"Vi ringrazio... siete troppo buoni!" mormorai al microfono suscitando un'altra ondata di applausi. Il tavolo delle ragazze - ormai mie fans sfegatate - chiese a gran voce un bis e non me lo feci ripetere due volte, sorridendo e ritornando a concentrarmi sulle corde tese della mia chitarra. Quella volta mi concessi una cover di Katy Perry - neanche a dirlo - ovvero "Hot N Cold", per la gioia di Sebastian la cui risata cristallina mi arrivò limpida alle orecchie nonostante la musica e la confusione. Quella volta, vuoi per via del ritmo più movimentato, vuoi perché ormai mi ero conquistato il mio piccolo fanclub, ottenni ancora più successo, tanto che quasi tutto il locale aveva smesso di dedicare attenzione a panini e bibite, per concentrarsi su di me. Mi sentivo così potente. Era quella la meravigliosa sensazione che avrei voluto provare tutto il tempo. Rendere quella soddisfazione permanente e duratura, e possibilmente anche proficua. Chissà... magari a sopresa una sera, dal pubblico, si sarebbe fatto avanti un talent scout che porgendomi il suo biglietto da visita mi avrebbe assicurato il disco di platino. Magari era proprio quella la mia sera. Dopo l'appartamento e la standing ovation... era chiedere troppo?
La terza canzone che cantaii fu quella di un uomo, ovvero Bruno Mars con "Just The Way You Are" e anche quella fu un successo. Dopo quella mi congedai un istante con la scusa di dover rinfrescare un pò la gola e scesi dal palco. Raggiunsi il bancone, mentre il vociare confuso riprendeva a dominare il locale.
"Eccola qui, la nostra piccola star!" esclamò Sebastian allargando le braccia in un gesto ammirato, facendomi ridere
"Cavolo, Blaine... li hai letteralmente conquistati!" si unì Daniel dandomi una pacca sulla spalla. Intanto Puck si era avvicinato a noi e mi stava porgendo una bottiglietta d'acqua
"Ancora un paio di pezzi come quelli... e li avrai tutti ai tuoi piedi!" esclamò soddisfatto il ragazzo con la cresta facendomi l'occhiolino. Ero contento di vederlo così allegro. La serata stava andando bene. Lui aveva ottenuto il suo pienone - il primo forse da quando aveva aperto - ed io la mia platea urlante. Avevamo fatto entrambi centro quella sera, poco ma sicuro.
"Dì, la verità... li hai drogati prima di salire sul palco?" mi domandò divertito Daniel mentre Sebastian ridacchiava osservando le ragazzine del famoso tavolo, sbracciarsi per ottenere la mia attenzione
"Credimi Dan, normalmente non sarebbe bastato neanche quello... non so cosa sia successo questa sera. Forse siete voi due a portare fortuna!" e bevvi un lungo sorso d'acqua avvertendo le corde vocali sospirare sollevate
"E allora verremo molto più spesso, vero Seb?" chiese conferma al compagno con un sorriso ma lui era troppo impegnato a formulare l'ennesimo pensiero malefico per assecondarlo. Mi accigliai confuso seguendo il suo sguardo e notando come le quattro ragazze fossero particolarmente su di giri. Qualche istante dopo la voce di Sebastian tornò a farsi sentire
"Scommetto cinquanta dollari che prima della fine di questa serata, una di quelle quattro oche ti chiederà il numero!" esclamò malizioso e scoppiai a ridere.
"Probabile!" confermò Daniel annuendo. Io scossi la testa sorseggiando un altro pò dalla mia bottiglia e in quel momento lo vidi per la terza volta quella sera: il ragazzo del bagno, il ragazzo di David. Mi passò accanto seguito a ruota dalla ragazza di colore e chiese a Puck, con voce molto più tranquilla rispetto a quella usato per parlare al telefono, il conto. Senza neanche accorgermene lo seguii con lo sgaurdo, soffermandomi ad analizzarne il corpo slanciato e perfettamente definito - seppure non in maniera esagerata - e il profilo del viso vagamente infantile e dolce. Aveva qualcosa di... regale quasi. Qualcosa difficile da spiegare a parole, ma ugualmente calamitante. Mi resi conto di essermi messo a fissarlo troppo tardi, nello stesso istante in cui se ne accorse anche lui. Alzò lo sgaurdo su di me e rimanemmo incatenati per alcuni istanti prima che mi sorprendesse con un piccolo sorriso ed un lieve cenno del capo - era un saluto quello? - dopodiché uscì dal locale, ancora seguito dalla ragazza. A scoppio ritardato sorrisi di rimando, proprio quando non ce n'era più bisogno.
"Blaine... ti conviene tornare sul palco, prima che la folla inferocita inizi a tirarti dietro il contenuto dei loro panini!" mi avvertì Puck, destreggiandosi abilmente dietro il bancone ed io, salutando i miei due amici e ormai portafortuna, tornai alla mia postazione. Prima di inforcare la chitarra però, un leggero tocco sulla spalla mi fece voltare e mi ritrovai due occhi marroni contornati da lunghe ciglia da cerbiatto che mi scrutavano imbarazzati.
"Sì?" feci io sorridendole e aspettandomi magari una richiesta per il prossimo brano oppure dei complimenti diretti. Lei deglutì a fatica dopodiché arrossendo ancora di più parlò
"Scusa se ti disturbo... è che... io e le mie amiche ci stavamo chiedendo se... ecco... se sei già impegnato!" si mangiò un paio di parole ma il senso della frase mi arrivò chiaro e limpido. Lanciai una veloce occhiata al famoso tavolo delle mie accanite sostenitrici, non meravigliandomi di trovarne soltanto tre. Così sorrisi, cercando di essere il più tranquillo gentile possibile e le risposi
"No, non sono impagnato!" esclamai e subito un sorriso speranzoso si affacciò sul suo viso ma mi affrettai ad aggiungere "Però mi dispiace... non sono interessato... sono gay!" e con un ultimo piccolo sorriso la vidi spegnersi lentamente, arrossire fino alla punta dei capelli ed annuire delusa. Dopodiché tornò al tavolo dalle sue colleghe per comunicare l'amara notizia. Fu buffo vedere come la reazione della prima fosse passata rispettivamente alle altre tre in meno di cinque secondi. Quella volta non trattenni una risata, risistemandomi sullo sgabello e abbracciando di nuovo la chitarra. Probabilmente mi ero appena giocato quattro potenziali sostenitrici per il futuro, però di una cosa ero certo - e lo pensavo mentre alzavo la testa verso il bancone e sorridevo al mio amico che era intendo a scuotere la testa divertito e a mormorare "Lo sapevo, ci avrei giurato!" - che Sebastian Smythe non sbagliava mai!

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Capitolo 4
*** La maschera del principe ***


(4). Discorso con Dave Buongiorno a tutti e buon Giovedì miei cari... puntuale come un orologio svizzero, e reduce da un esame all'Università ieri eccomi qui a pubblicare per voi. Non vedevo l'ora, giuro... dunque, qualche parolina sul capitolo: cambia di nuovo narratore (finalmente cambia giorno, evviva!) e forse scoprirete qualcos'altro sulla sua vita sentimentale che probabilmente non vi piacerà (già non piace a me)So che è triste, so che non se lo merita, so che è ingiusto, ma abbiate fede ^^ Inoltre, inizieremo a scoprire che in questo famoso condominio c'è tanta bella gente che sicuramente conoscerete già, con annessa sorpresa^^... (come vi ho detto lo scorso capitolo, ci sono tutti, nascosti ma... ci sono ^^) Beh, che altro dire? Grazie alle magnifiche persone che inseriscono la storia tra seguite/preferite/ricordate (waw siete in 49 *___*) ma soprattutto a chi recensisce... sapere il parere di ognuno di voi mi farebbe enormemente piacere, dico sul serio ^^ se avete voglia, io sono qui in attesa. Un bacione grande e una 3X05 a tutti XD
p.s. Ci vediamo mercoledì... ;)




New York City. 12 Marzo 2012. Ore 10.02 A.M. (Lunedì)

Ero stanco, a dir poco. Completamente distrutto. Fortunatamente il mio capo mi aveva dato la mattinata libera e dunque potevo prendermela comoda, e prendersela comoda equivaleva a permettersi di essere ancora a letto alle dieci del mattino. Nessun suono insistente della sveglia ad interrompere il mio dolce sonno. Nessuna fretta incalzante. Nessun appuntamento che si accavallava inevitabilmente con altri dieci. Niente di niente. Solo io, il mio cuscino e le mie lenzuola profumate di lavanda. Lasciare quel giaciglio caldo e confortevole sarebbe stato un vero peccato, nonostante fossi già sveglio da un pò. Mi limitavo a starmene accucciato su un fianco, in una specie di posizione fetale, ad occhi socchiusi, ad analizzare ogni oggetto della mia stanza, reso quasi irriconoscibile dalla semi-oscurità. Che goduria le tapparelle abbassate a fare schermo alla luce del sole. E pensare che lì fuori c'era gente che lavorava, che correva, che portava avanti il mondo. Io, a conti fatti, lo facevo ogni giorno... se per una volta mi fossi messo da parte, sospettavo che nessuno ci avrebbe fatto poi tanto caso.
Proprio mentre l'ennesimo sospiro soddisfatto mi usciva dalle labbra, il campanello di casa prese a suonare. Con insistenza anche. Con molta, fastidiosissima insistenza. Chi diavolo era che osava interrompere il mio dolce far niente tipico da mezza giornata libera? Il postino, sicuro. Magari aveva un pacco per me. Ora che ci pensavo bene, aspettavo un ordine fatto su un catalogo - un paio di splendidi pantaloni neri, dei quali mi ero innamorato subito - e forse erano proprio loro a bussare. Fretta di vedere come meravigliosamente mi calzassero?
Con un verso frustrato, scalciai le coperte da un lato e, a piedi nudi, mi incamminai verso l'ingresso. Venni colto all'improvviso da un brivido, così tornai indietro a recuperare una felpa e indossarla. Intanto il campanello aveva suonato altre tre volte.
"E per la miseria... sto arrivando!" urlai spazientito, sbattendo i piedi ad ogni passo. Tolsi il chiavistello alla porta e l'aprii quasi con violenza, interrompendo a metà un altro squillo. Sorpreso da ciò che vi trovai, spalancai per un istante gli occhi e salutai allo stesso tempo il mio bellissimo acquisto per corrispondenza, dato che lì, si trattava di qualcosa di più importante da sbrigare.
"David!" lo salutai sorpreso, afferrando la porta blindata e stringendola con forza. Primo passo: cercare di reprimere la rabbia, in qualsiasi modo possibile
"Ah, ma allora ci sei!" esclamò ovvio, alzando un sopracciglio. Bene, era nervoso al punto giusto. Si prospettava come sempre, un pessimo inizio di conversazione
"Sì, ci sono. Scusa se ci ho messo tanto per venire ad aprire, ma sai... volevo approfittare della mia unica mattinata libera che mi concedono in un anno intero, per riposare un pò!" sputai acido. Secondo passo: far fuoriuscire lentamente l'acido che si sente distintamente in gola. Aiuta molto
"Non mi hai detto di avere la giornata libera!" mi accusò stringendo gli occhi in tono di sfida. Sospirai stanco
"La mattina, David... soltanto la mattina. Alle tre devo tornare in agenzia!" precisai. Avere a che fare con lui, a volte, mi faceva sentire estremamente infantile. Forse, lo facevo perché sapevo fosse l'unico modo per farmi capire.
"Non mi hai detto niente ugualmente!" mormorò a sua volta
"E quando te lo avrei dovuto dire, sentiamo! Ieri sera, mentre al telefono mi accusavi come al solito di essere un egoista?" domandai, cercando di rimanere calmo. Più mi agitavo e peggio sarebbe stato. Lui, come avevo immaginato, quella volta non rispose. Abbassò la testa, puntando gli occhi sul mio zerbino e scosse la testa. Presi un profondo respiro, dopodiché mi scansai appena, per invitarlo ad entrare. Lui, confuso, mi guardò per qualche istante, per poi decidersi e muovere le gambe fino al mio appartamento. Solo allora forse si rese conto del mio abbigliamento, della mia tuta comoda che usavo per dormire, e forse dei miei capelli disordinati, perché si passò una mano dietro la nuca e arrossì
"Mi dispiace averti disturbato!" mormorò imbarazzato, del tutto diverso dal tono usato poco prima per aggredirmi. Eccolo lì, un'altra versione di David. Più insicura e forse più vera.
"Non preoccuparti... a breve mi sarei alzato comunque!" minimizzai dirigendomi verso la cucina per mettere su un pò di caffè. Sentii i suoi passi alle mie spalle e il rumore pesante di una sedia che veniva strisciata sul pavimento. Infatti, una volta presa la moka lo ritrovai seduto al tavolo, con le mani incrociate e la faccia distrutta. Solo in quel momento mi accorsi delle profonde occhiaie che aveva sul viso, e degli occhi rossi.
"Dio Santo, Dave... ma hai dormito stanotte?" gli domandai avvicinandomi. Lui sorrise e scosse la testa
"Soltanto tu sei capace di preoccuparti per me dopo quello che ho fatto!" mormorò amaro. Sospirai poggiandogli una mano sulla spalla e stringendogliela
"Quello che fai o non fai, non potrà mai cambiare quello che provo per te, Dave... io ti voglio bene, davvero!" assicurai, e lui finalmente sollevò lo sguardo puntando gli occhi nei miei, un pò spaesato
"Davvero, Kurt... tu mi vuoi bene?" mi chiese allora con un filo di voce. Spiazzato sbattei un paio di volte le palpebre prima di rispondere
"Certo che te ne voglio... che domande!" avevo come l'impressione di essere appena entrato in un campo minato. Di lì a poco sarebbe scoppiato l'inferno
"Kurt... io..." iniziò a parlare ma la suoneria del mio telefono lo interruppe. Mormorando uno "Scusa torno subito!" corsi nella stanza a recuperare l'iPhone per rispondere
"Pronto?"
"Buongiorno bellissimo ragazzo del piano di sopra!" mi rispose una voce allegra e distesa che mi fece immediatamente ridacchiare
"Buongiorno anche a te meravigliosa e giovanissima madre del piano di sotto!" feci a mia volta divertito. Lei scoppiò a ridere, seguita a ruota da qualcuno, probabilmente al suo fianco, la cui risata pareva vagamente assomigliare ad un dolce scampanellio.
"Non ti ho visto uscire questa mattina... i casi sono due... o ti sei calato giù dal terrazzo oppure..." ma la interruppi subito
"Oppure sono ancora a casa... sì, avevo una mezza giornata libera e me la sono goduta tranquillamente tra le mie adorate lenzuola!". Fino a che qualcuno non era arrivato per distruggere l'idillio. Lei rise di nuovo
"Hai fatto bene, Kurt... non hai mai un momento libero per te... mi domando come lo facciano a considerare lavoro quello che fai... sembra più un lento e consecutivo massacramento di gruppo!" disse allora, con un verso stizzito
"Lo so Rachel... ma che vuoi farci... è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo. Altrimenti come potresti tu, giovane madre senza carriera, sognare ad occhi aperti sulle riviste di moda che segretamente ti fai consegnare a domicilio ogni mese?" la provocai allora con un sorrisetto
"Ma... Hummel! Cosa fai... spii la mia posta adesso?" domandò in un misto tra l'indignato e il divertito
"A tempo perso... sì!" ammisi e scoppiammo a ridere di nuovo, insieme.
"Asp.. ahia... Lea... non si tirano i capelli di mamma in questo modo... ne avevamo già parlato, o sbaglio?" domandò lei, mentre un'altra piccola risata mi arrivava chiara all'orecchio
"Ma io voglio dire ciao..." una vocina brontolò vicino all'apparecchio, dopodiché la mia amica tornò a rivolgersi a me
"C'è la tua fidanzata segreta che vuole salutarti... aspetta un istante!" mi informò mentre lentamente sul mio viso si formava un sorriso intenerito. Pochi istanti dopo la voce di una bambina riempì il silenzio
"Zio Kurt!" gridò lei, tanto che dovetti allontanare il telefono dall'orecchio, divertito fino all'inverosimile
"Tesoro mio... come stai?" le domandai, mentre sentivo in sottofondo Rachel brontolare e chiedersi esasperata chi avesse insegnato a sua figlia ad urlare in quel modo poco femminile
"Bene... sai, ieri ho perso un altro dentino!" mi informò fiera, probabilmente sorridendo per mostrarmi ingenuamente la sua mancanza
"E brava la mia principessina... questo significa che stai diventando grande!" le dissi con tono disteso
"Grande come te e la mia mamma?" chiese lei subito, evidentemente molto incuriosita dall'argomento
"No, Lea... molto, molto più grande!" le risposi ottenendo un gridolino eccitato da parte sua, al quale Rachel rispose con un altro lamento. Ridacchiai ancora, ringraziando mentalmente la mia adorata amica, e vicina, per il tempismo che aveva usato per chiamarmi. Se non ci fossero state lei e la piccola Lea a distrarmi, in quel momento sarei stato ancora in cucina ad iniziare un discorso poco facile con il mio fantomatico ragazzo. Ed io in quel momento avevo soltanto bisogno di rilassarmi e sorridere. E Rachel e Lea erano perfette per questo
"Su coraggio tesoro... saluta Kurt e fila a metterti le scarpe... dobbiamo andare a prendere i nonni all'aeroporto!" esclamò Rachel mentre la piccola sbuffava sonoramente
"Ciao zio Kurt... devo andare... mi prometti di venirmi a trovare appena puoi?" mi chiese teneramente
"Ma certo, piccola... non vedo l'ora!" le confermai sincero mentre con un altro verso emozionato, probabilmente lanciava il telefono alla madre e correva a prendere le famose scarpe
"Non oso immaginare la delusione che proverà il giorno in cui verrà a sapere che non potete sposarvi perché sei gay!" mormorò Rachel qualche istante dopo divertita
"Non infrangiamo i suoi sogni per il momento. Lo sai che continuerò ad essere il suo principe finché vorrà e ne avrà bisogno!" le assicurai, più che altro per farle capire che, come sempre, sia lei che sua figlia potevano fare affidamento su di lei. Il versetto che le uscì dalla bocca, mi fece intuire che si fosse commossa. Maledetta Rachel sentimentale
"Adesso però devo andare sul serio.. ci sentiamo più tardi... un bacio Kurt... e grazie!" mi disse mentre le grida gioiose di Lea mi arrivavano forti e chiare alle orecchie
"D'accordo, Rach... saluta i tuoi genitori... un bacione!" e con un'ultima risata chiusi la comunicazione. Non feci in tempo a girarmi che un paio di braccia particolarmente muscolose mi strinsero in una presa ferrea ed il viso di David si poggiò delicatamente sulla mia spalla. Rimasi immobile, cercando di non dare troppo a vedere quanto poco riuscissi a tollerare ormai quel contatto
"Chi è che ti fa ridere così tanto?" mi domandò in un soffio, diretto al mio orecchio. Sbuffai. Rieccolo, un implicito modo per tenermi sotto controllo ed esprimere la sua innata gelosia
"Lea... la figlia di Rachel!" risposi atono, mentre le sue mani si posavano sui miei fianchi, iniziando a massaggiarli lentamente
"Quella innamorata di te?" chiese allora, sfiorandomi il collo con il naso. Ero sorpreso di come ormai neanche quello mi facesse più effetto. Eppure... la passione c'era sempre stata. Cosa diavolo mi stava succedendo?
"Mmm... David... è una bambina di quattro anni... sei geloso anche di lei adesso?" domandai esasperato, mentre sollevavo appena il collo per dargli più libero accesso. Era più che altro un movimento spontaneo, fatto senza pensarci troppo.
"Chiunque metta gli occhi su di te, è da ritenere un possibile pericolo. Tu sei mio... mio e basta!" mormorò spingendo volutamente il bacino verso il mio fondoschiena, provocandomi il primo brivido di piacere. Ecco, forse qualcosa si stava svegliando. Lentamente, ma lo stava facendo. Forse era colpa del sonno arretrato. O forse, i discorsi lasciati ancora a metà tra di noi, mi impediva di lasciarmi completamente andare.
"Dave... pensavo dovessimo parlare!" sospirai, mentre la punta del suo naso era stata sostituita dalle labbra umide. Lui sorrise, spingendo nuovamente i fianchi in avanti. Quella volta mi scappò chiaramente un gemito dalle labbra
"Ma infatti lo stiamo facendo, Kurt... soltanto... non c'è bisogno di usare le parole!" mi rispose intrufolando la mano sotto la felpa e la maglietta accarezzandomi la pelle del fianco. La pressione dei suoi fianchi spalmati dietro di me, iniziava a diventare insistente e insopportabile. Mi domandavo il perché di tutta quella attesa. Normalmente saremmo già arrivati ad intrecciarci nel mio letto, e tanti saluti ai romantici e sognati preliminari. Il fatto che stesse dedicando così tante attenzioni a me e al mio corpo, era davvero strano. Che quello fosse il suo modo per chiedere scusa? Chissà perché, non mi meravigliai molto del fatto che per scusarsi, usasse ugualmente il sesso. Quello era l'unico linguaggio che riusciva correttamente ad usare.
Io, però, stanco di quell'attesa, e per niente abituato, mi girai nella sua stretta ed iniziai a sbottonargli la camicia con impazienza
"K-Kurt..." mormorò cercando le mie labbra e trovandole poco dopo. Accolsi quasi immediatamente la sua lingua impaziente, mentre facevo scivolare la camicia dalle spalle e subito dopo iniziavo a slacciare la cintura. Lui mugugnò qualcosa, ma venne colto da un gemito, quando feci scivolare casualmente la mano nei suoi jeans, ancora sopra i boxer
"Kurt... co-cosa... cosa stai facendo?" mi domandò, confuso, eppure particolarmente eccitato. Lo guardai parecchio male
"Mi sembra sia abbastanza chiaro!" risposi cercando di nuovo il contatto con le sue labbra. Più ero impegnato con qualcosa, qualsiasi cosa, e meno occasioni avevo per riflettere. Ormai far vagare la mente era diventato pericoloso. Approfittare di un momento come quello sarebbe valso come un sospiro di sollievo. E lui, per quanto non sembrasse dello stesso avviso, si lasciò trascinare da me e dalle mie labbra, riprendendo esattamente da dove avevamo interrotto.
Quello che successe dopo, fu come al solito, confuso e meccanico. Una dei tanti ricordi sovrapponibili alle migliaia di altre volte in cui ci eravamo trovati nella stessa situazione. Lui spogliava me, io spogliavo lui. Ci ritrovavamo sul mio letto, completamente nudi e particolarmente famelici fino a che, dopo una spinta leggermente violenta ed un gemito più di dolore che di piacere, spezzato dalle sue labbra che ancora un volta bloccavano le mie, non iniziavamo a prendere l'uno dall'altro ciò che veramente stavamo cercando. In quei momenti, privi di emozioni vere e di sentimenti autentici, mi ritrovavo ad odiarmi. Mi facevo quasi schifo, così diverso dal solito me, così distante dal vecchio Kurt romantico e sognatore, che aveva desiderato per tutta la sua adolescenza di essere corteggiato, ammirato, venerato e rispettato per ciò che era, non per il suo corpo. Non avevo mai capito cosa era successo. Cosa fosse cambiato esattamente in me da quando ero capitato tra le mani di David. Quale fosse l'effettiva causa scatenante di tutto. E forse, neanche me ne ero preoccupato più di tanto a cercarla, perché sotto sotto mi andava bene così. Ed era proprio questo, che di me, mi faceva più ribrezzo. L'essermi trasformato così tanto e l'aver poi capito di esserne perfettamente cosciente e complice.
Kurt Hummel... ma che fine hai fatto?
"Kurt... Kurt..." sentii ansimare David più forte nel mio orecchio, segno che stesse per raggiungere il limite, come sempre prima di me. Gli avvolsi i fianchi con le gambe, sperando che così facendo avrei accelerato il tutto e saremmo passati direttamente al momento in cui lui si rivestiva e andava via. Solo allora avrei ricominciato a respirare.
Il suo respiro era sempre più veloce, così come le sue spinte. Mi ero sempre chiesto se si fosse mai realmente preoccupato di cosa volessi io, di cosa mi facesse piacere e cosa detestassi in momenti come quello. Il fatto che diventasse così aggressivo, a tratti anche un pò animalesco, non mi era mai piaciuto. Avevo provato a farglielo presente una volta, ma lui era troppo permaloso e avevo lasciato perdere. Chi si accontenta gode, Kurt... e tu limitati ad accontentarti per il momento.
"Dimmi che mi ami, Kurt... dimmelo..." sussurrò lui, mordendomi un lobo, forse nel tentativo di sembrare sensuale. Strinsi gli occhi proprio perché temevo arrivassimo a quello. Le uniche volte in cui David se ne preoccupava, era quando si sentiva prossimo all'orgasmo. Forse, gli serviva come incentivo per raggiungere l'apice, una sorta di gratificazione personale. E d'altronde, chi ero io per infrangere i suoi sogni di gloria?
"Sì... Ti amo..." mormorai con il tono più coinvolto che riuscissi a trovare, dopodiché sospirai sollevato, sentendolo affrettarsi ad uscire da me per dare forma al suo piacere.
Qualche istante dopo, si accasciò al mio fianco, con gli occhi chiusi e il respiro affannato, coperto da un leggero strato di sudore, mentre io, per pudore, recuperavo il lenzuolo e me lo avvolgevo attorno al corpo. Non volevo mi vedesse, per qualche strano motivo la mia mente lo registrava come qualcosa di troppo personale, al quale lui non poteva accedere. Evitai di guardarlo negli occhi, mentre con molta discrezione mi allontanavo da lui, con il basso ventre in fiamme, dato che come al solito lui non si era preoccupato di soddisfarmi.
Forse passarono cinque o sei minuti - un nuovo record in realtà - prima che aprisse gli occhi e sorridesse
"Che ti avevo detto... le parole sono inutili!" esclamò soddisfatto. Io alzai un sopracciglio scettico
"A noi servirebbero però, David. Eccome se ci servirebbero..." mormorai stringendomi le ginocchia al petto, mentre avvertivo la voragine iniziare ad allargarsi lentamente, come ogni volta.
"Porca puttana quanto è tardi... ho un servizio fotografico alle undici dall'altra parte della città! Devo scappare!" esclamò saltando giù dal letto e iniziando velocemente a rivestirsi. Io mi premurai di chiudere bene gli occhi. Come volevasi dimostrare.
Alzai lo sguardo soltanto quando me lo ritrovai di nuovo al mio fianco, tutto vestito e nuovamente di buon umore. Beato lui
"Ci sentiamo dopo, dolcezza... e questa volta vedi di non dimenticarti di me, chiaro?" mi fece divertito, accennando un mezzo occhiolino. Sorrisi amaramente
"E come potrei... suona tanto come una minaccia la tua!" borbottai mentre con una risata si alzava e andava via. Il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva fu come una colpo di pistola diretto al cuore.
Niente bacio, niente carezze, niente grazie, niente... di niente.
Fu in quel momento che richiusi gli occhi e mi lasciai andare alle lacrime. Calde e dolorose lacrime che scivolavano libere sulle mie guance, ormai senza più freni, senza più dover fingere. Mi facevo schifo. Facevo schifo io, quello che avevo fatto, quello che avevo detto. Ero dilaniato e non me ne rendevo conto. Più andavo avanti e più la voragine che avevo nel petto si ingrandiva, mi consumava e mi divorava. Prima o poi ne sarei stato risucchiato, me lo sentivo.
Ancora scosso dai singhiozzi scesi dal letto e camminai verso il bagno aprendo l'acqua della doccia e infilandomi dentro, senza neanche aspettare che si riscaldasse. Avevo fretta di levarmi di dosso tutto lo schifo accumulato quella mattina. Le impronte delle mani, i respiri accelerati, le bocche fameliche. Volevo cancellare tutto quanto e tornare ad indossare la maschera del solito Kurt, il ragazzo infallibile e caparbio, quello sorridente e con la battuta sempre pronta, sperando che nessuno come al solito facesse caso al buco che mi si apriva nel centro del petto. Ero bravo a fingere o era la gente troppo impegnata per notarlo.
Poggiai una mano al muro della doccia, scosso da altri singhiozzi, e abbassai la testa, circondato da un getto d'acqua che andava lentamente riscaldandosi.
Forse quel giorno sarebbe stato più difficile riuscirci. Forse dovevo seriamente iniziare ad amarmi un pò di più. Forse... dovevo semplicemente smetterla di fingere.

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Capitolo 5
*** 2113, Lower East Side ***


ss Buon mercoledì a tutti... ^^ prima di tutto vorrei rendervi partecipi di una bella notizia: finalmente la sottoscritta ha terminato gli esami della seduta estiva, ergo ora ho più tempo libero per dedicarmi alle cose che amo e che reputo più importanti (sì, l'Università passa sempre in secondo piano ^^). Bene, prima di tutto, vorrei ringraziarvi per l'affetto dimostrato nello scorso capitolo e sono davvero contenta che la storia vi inizi a piacere... ho sempre il timore di sbagliare qualcosa e rovinare tutto. Lo so, sto torturando ingiustamente il povero Kurt con la storia di David (la scena descritta nello scorso capitolo è stata faticosa da scrivere, ve lo assicuro!) ma abbiate fede e pazienza... per farmi perdonare qui sotto potrete leggere magari qualcosa che vi piacerà ;) è già un inizio, no? Beh ora vado... ci vediamo tra quattro giorni (non vi faccio più aspettare una settimana ^^) ovvero Domenica. Un bacio a tutti e grazie di cuore, davvero.


New York City. 15 Marzo 2012. Ore 07.36 P.M. (Giovedì)


"Ripetimi ancora una volta.. perché sono qui e come mai sono tutto sudato?" si lamentò Sebastian poggiando un cartone particolarmente pesante sul pavimento e sospirando stanco. Io, che ero dietro di lui, trascinando due piccoli trolley, ridacchiai
"Perché sotto sotto mi vuoi bene e perché mi avevi assicurato di aiutarmi con il trasloco una volta firmato il contratto.. indi per cui... eccoci qui!" e, con una pacca amichevole, mi diressi di nuovo verso le scale per scendere verso la sua macchina e recuperare altri scatoloni. Non ci avevo mai fatto caso di quanta roba avessi. Qualcosa portata direttamente da Westerville dopo il diploma, altro preso in seguito a New York. Quello sommato a questo, dava tanta fatica per le nostre povere braccia stanche. Era più di un'ora che salivamo cartoni, valigie, buste. Eravamo esausti, ma dovevamo approfittare per forza di quel pomeriggio che il supermercato mi aveva dato libero. Mi sentivo in colpa per aver costretto il mio amico a sfruttare a sua volta una giorno di ferie, ma senza il suo aiuto, sarei ancora nella vecchia casa ad imballare la roba. Quattro braccia erano meglio di due.
"Ti sei accertato che non fossi ubriaco quando te l'ho detto?" mi chiese pensieroso, mentre recuperavo dal cofano un cartone e glielo passavo in maniera poco delicata. Lui infatti sussultò sotto il suo peso e mi guardò male
"Cosa cazzo ci hai messo in questi scatoli? Pietre? Cadaveri fatti a pezzi? Dillo che li selezioni in base al peso e che quelli più pesanti li riservi per me!" mi accusò con un'occhiataccia, che mi fece ridacchiare
"Ti vanti tanto di essere alto e muscoloso... usa la forza che madre matura ti ha donato e aiuta il tuo povero amico in difficoltà!" scherzai facendolo sbuffare
"Prega che dopo questa sfacchinata, non sarò più in grado di reggermi in piedi, altrimenti te lo darò io un vero motivo per essere in difficoltà!" borbottò imboccando le scale per risalire al quarto piano. Poi, la fortuna aveva voluto che l'ascensore quel giorno fosse fuori uso. Secondo Sebastian era stata una divinità superiore che cercava di dirci di rinunciare e tornarcene a casa. Secondo me lui era fin troppo pigro e quell'aggeggio infernale, troppo sensibile.
La suoneria del cellulare di Sebastian ci interruppe, proprio mentre stavamo per ritornare giù
"É Daniel!" mormorò con un sorriso quasi emozionato, allontanandosi per rientrare nell'appartamento e parlare tranquillamente. Scossi la testa divertito per poi riprendere a scendere verso la macchina. Sebastian, quando si trattava del suo ragazzo, cambiava drasticamente. Si trasformava in una sorta di panetto di burro che con niente si sarebbe sciolto al sole. Era la classica personalità multipla... normalmente faceva il figo della situazione, scalfito da niente e da nessuno, sempre pronto a provocare e a lamentarsi. Quando Daniel era nei paraggi, diventava un cucciolo di Labrador, con tanto di coda scodinzolante. Forse era semplicemente bisognoso di attenzioni e a quanto pareva, aveva trovato la persona adatta. Mi ero chiesto spesso come facesse, un ragazzo così tranquillo e pacato come Daniel a tenere il passo con Sebastian. Mi era bastato vederli assieme, vedere come si guardavano, come si parlavano o semplicemente come stavano seduti nella stessa stanza, per capirlo: quei due si completavano a vicenda. Sebastian era per Daniel la parte euforica e incontrollata, che lo trascinava nei locali equivoci soltanto per ridere un pò, e che probabilmente gli stava trasmettendo il brivido dell'avventura. Daniel invece, era per Sebastian la parte riflessiva e paziente, quella che ogni tanto gli faceva preferire un film da guardare a casa stretti nel divano sotto una coperta di pile o che gli faceva semplicemente cambiare stile di vita. Sebastian senza Daniel sarebbe tornato ad essere quel freddo involucro che era sempre stato. E mai avrei augurato al mio migliore amico una cosa del genere. Ero stato il primo ad essere felice per la loro storia e sarei stato anche il primo a combattere per farla funzionare. Per questo molte volte mi ero ritrovato a discutere animatamente con Sebastian, per fargli capire che, abbandonare un pò del suo caratteraccio permaloso e prepotente, non avrebbe fatto altro che giovare al loro rapporto. Lui mi aveva dato retta, o forse si era reso conto che, ormai, non poteva fare altrimenti. Daniel rappresentava per lui qualcosa di troppo importante e lui di certo non se lo sarebbe fatto scappare per nulla al mondo.
E tu, Blaine... quando ti deciderai a fermarti un attimo per dare la possibilità a qualcun altro di affacciarsi nel tuo cuore?
Difficile... davvero molto diff...
"Ma porca puttana porca..." gridai mentre un cartone - sicuramente imballato da Sebastian - si apriva e tutto il suo contenuto si riversava bellamente in strada. Ok, iniziavo a pensare che la divinità superiore ce l'avesse proprio con me quel giorno.
Mi affrettai a recuperare i libri caduti a terra e gli spartiti che si erano dispersi per tutto il marciapiede, imprecando a mezza voce e sperando che Sebastian si desse una mossa. Complimenti spilungone, aveva scelto proprio un bel momento per sparire.
"Ti serve una mano?" una voce alle mie spalle si intromise soavemente. Aggrottai le sopracciglia, per poi girare appena la testa e vedere chi avesse parlato. Mi ritrovai la luce del sole che stava tramontando negli occhi e il sorriso incerto di un ragazzo che mi osservava attentamente.
"Ehm... no, figurati... mi si è disintegrato un cartone tra le mani ma... adesso rimedio subito. Grazie lo stesso!" risposi tornando a concentrarmi sulla mia roba, impilando i libri uno sull'altro. Con la coda dell'occhio vidi lo sconosciuto inginocchiarsi accanto a me ed allungare una mano per afferrare gli spartiti e sistemarli ordinatamente in sequenza. Lo osservai, mentre, attento e concentrato, se ne stava con le labbra contratte in una smorfia buffa.
"Sei gentile, davvero, ma... non ce n'era bisogno!" mormorai. Lui ridacchiò per poi girarsi finalmente verso di me e guardarmi negli occhi
"Ce n'era bisogno eccome, credimi. Quando mi sono trasferito, anche io ho avuto lo stesso tipo di... incidente e avrei tanto voluto che qualcuno mi desse una mano a recuperare le mie mutande sparse su tutto il marciapiede!" esclamò divertito ma la sua risata si bloccò a metà. Alzò un sopracciglio confuso, dopodiché lo vidi distintamente aumentare appena la presa sugli spartiti, stropicciandoli leggermente, ed intensificare lo sguardo
"Ma non è possibile... mi stai facendo stalking per caso?"mi domandò, quasi sconvolto mentre un cipiglio confuso mi si disegnava sul volto
"Prego?"
"É la terza volta che ci vediamo in meno di una settimana.. e quando abiti in una città di otto milioni di abitanti non può trattarsi di una coincidenza!" sbottò infastidito, squadrandomi da capo a piedi, per quanto la mia posizione rannicchiata glielo permettesse. Aspetta... era la terza volta che... ci vedevamo?
Guardai meglio lo sconosciuto accanto a me, soffermandomi in particolare sullo strano colore dei suoi occhi. Azzurri? Grigi? Verdi? Dove li avevo già visti?
"Ma tu sei il ragazzo del pub?" domandai allora, colto da un'improvvisa illuminazione "Quello che gridava nel bagno..." aggiunsi. Lui arrossì all'istante abbassando lo sguardo e quella fu l'ulteriore dimostrazione di quanto poco delicato fossi a volte. Così mi affrettai ad aggiungere
"Comunque non ti sto facendo stalking... in realtà abito qui e come hai avuto modo di vedere, lavoro in quel pub. Quindi in teoria, tra i due, sei tu che stai facendo stalking a me!" tentai di alleggerire un pò la situazione con una risata distesa, sperando che non decidesse di arrabbiarsi ancora di più e andarsene, lanciando in aria tutti i miei poveri spartiti. Lui alzò finalmente la testa e mi guardò curioso
"Abiti qui?" mi domandò
"Sì... proprio in questo portone!" risposi indicandolo con un cenno per poi aggiungere, senza motivo "Al quarto piano!"
Certo, Blaine, dai pure le tue coordinate bancarie a questo sconosciuto così abbiamo completato l'opera. Ma i tuoi genitori non ti avevano insegnato che non si parla con gli estranei?
La notizia parve sconvolgerlo parecchio perché spalancò la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse subito, per aprirsi poco dopo in un sorriso
"Dio che stupido che sono... ti prego di perdonarmi!" si affrettò a dire, ricominciando a raccogliere i fogli caduti. Lo guardai male, particolarmente preoccupato e iniziando a prepararmi mentalmente a dover sfoderare qualche mossa di boxe per difendermi. Lui si accorse subito del mio sguardo stranito perché scoppiò a ridere ed aggiunse
"Tranquillo non sono un maniaco... abito anche io in quel palazzo... al quarto piano!" e mi sorrise apertamente lasciandomi di stucco.
"Quindi tu sei il mio..."
"Vicino, esattamente!" completò lui la frase per me annuendo piano. Sospirai rilassato, mettendo da parte pratiche di difesa personale e paure inspiegabili per aprirmi in un sorriso cordiale
"Chi lo avrebbe mai detto!" mormorai compiaciuto. Se solo quella sera avessi saputo di ritrovarmi il ragazzo urlante incontrato per caso in un bagno, come vicino di casa, sarei scoppiato a ridere, senza dubbio. Lui mi guardò confuso, probabilmente la mia esclamazione era piuttosto ambigua così mi affrettai a porgergli la mano per le presentazioni
"In tal caso... piacere, Blaine Anderson!" e accompagnai il tutto con un bel sorriso che lui ricambiò immediatamente, stringendomi a sua volta la mano
"Kurt Hummel... benvenuto al 2113 di Lower East Side!" mi disse divertito facendomi ridacchiare
"Ti ringrazio... mio nuovo simpaticissimo dirimpettaio!" e gli feci l'occhiolino, più per abitudine che per altro e involontariamente lo feci arrossire.
"Cosa cazzo hai combinato?" ad un tratto la voce di Sebastian tornò a farsi sentire, spaventando sia me che Kurt
"Sebastian!" lo ammonii turbato. Quante volte gli avevo detto di non arrivare così all'improvviso? Avevo il cuore debole per certe cose io.
"Non ti posso lasciare solo per dieci minuti e guarda che succede!" sbottò indicando con un gesto seccato l'intero marciapiede ancora pieno di fogli e libri
"Non l'ho fatto di proposito... si è aperto questo cartone ed è caduto tutto. Anzi... invece di startene lì come un idiota, dacci una mano!" abbaiai io. Se c'era una cosa che non sopportavo, erano gli scansafatiche. E lui era il prototipo degli scansafatiche.
"Dacci?" fece lui curioso, lanciando un'occhiata sorpresa - e anche un pò compiaciuta - verso il ragazzo accanto a me. Kurt si affrettò ad alzarsi e a sorridergli cordialmente
"Kurt Hummel... piacere!" e gli porse la mano che Sebastian accolse con entusiasmo. "Sono il vostro vicino di pianerottolo... cioè... abiterai anche tu qui? Siete..."
"No, no... per carità!" intervenni io alzandomi in piedi - constatando amaramente che come al solito ero il più basso - "Abbiamo già provato a vivere insieme io e lui... una volta basta e avanza!" e lanciai al mio amico un'occhiata di ammonimento dato che continuava a guardare Kurt, come se volesse mangiarlo
"Non sputare nel piatto dove hai mangiato, nano!" mi rimproverò allora con un'occhiata stizzita per poi tornare a guardare ammirato l'altro ragazzo senza avergli ancora restituito la mano
"Comunque io sono Sebastian Smythe... sono qui solo in veste di unico amico decente, dotato di un briciolo di forza fisica, per aiutare il pigmeo a traslocare!" spiegò indicandomi distrattamente con un cenno del capo. Kurt mi lanciò un'occhiata preoccupata alla quale risposi con un sorriso rassicurante. Effettivamente Sebastian a primo impatto faceva una strana impressione. Ci eravamo passati tutti.
"E allora vedi di renderti utile e recupera quei libri dietro di te!" lo ammonii seccato, distraendolo dalla sua contemplazione
"Non posso mi dispiace. Daniel reclama la mia attenzione e non posso far finta di niente!" mi annunciò con un sorrisetto divertito, ben poco raccomandabile
"Non esiste... mancano ancora una decina di scatoli, più due borsoni da scaricare!" mi lamentai. Lo sapevo che prima o poi mi avrebbe mollato lì, succube del mio destino
"Tranquillo scricciolo... ti lascio la macchina così puoi fare con calma. Passo a prendermela domani mattina!" mi diede quella che per lui era un'amichevole pacca sulla spalla per poi recuperare la giacca dal sedile posteriore ed allungare una mano verso di me, in attesa. Io sollevai un sopracciglio confuso e anche leggermente infastidito
"Cosa vuoi adesso? La paga per il disumano sforzo che hai fatto fino ad ora?" chiesi stizzito, guardandolo male. Lui scosse la testa
"Ti ho detto che ti lascio la macchina... secondo te io adesso come me ne torno a casa?" mi domandò a sua volta, in tono retorico. La consapevolezza mi colpì come uno schiaffo. Bruttissimo pezzo di merda...
"No, Sebastian, scordatelo!" abbaiai
"Coraggio B... come faccio altrimenti?"
"Non me ne frega niente... prendi un autobus... o ti fotti a scendere sotto terra e aspetti la metropolitana!" ringhiai incrociando le braccia. Non avrei ceduto, neanche tra mille anni. Ero testardo e molto anche.
"Sai che soffro di claustrofobia!" mi ricordò pacato
"Ne soffri solo quando decidi tu!" sbottai in risposta. Rimase in attesa, con un fastidioso sorrisetto sulle labbra. Oh, al diavolo. Quello stronzo lo aveva fatto a posta. Era tutto calcolato, fin dall'inizio. Feci un verso infastidito, per poi infilare le mani nella tasca dei jeans e tirare fuori una chiave. Sebastian si illuminò all'istante
"Oh, adesso sì che ragioniamo!" esclamò soddisfatto allungando un pò di più il braccio per afferrarla. Ma prima di dargliela vinta strinsi gli occhi e sussurrai in tono minaccioso
"Fammi ritrovare un semplice piccolo graffio ed io ti giuro, Sebastian Smythe, ti giuro che ti farò pentire di essere nato!" bisbigliai facendolo ridacchiare. Mai che mi prendesse sul serio. Forse ero io a non metterci la giusta intensità. O era lui a conoscermi fin troppo bene ormai.
"D'accordo mamma... starò attento!" mi rispose afferrando le chiavi in un gesto secco e facendomi l'occhiolino. Cosa mi tratteneva ancora dall'ucciderlo, non lo avevo capito.
Per tutto il nostro battibecco, il mio nuovo vicino, Kurt, non aveva aperto bocca. Lo avevo sentito ridacchiare un paio di volte, ma era rimasto fermo immobile a seguire il nostro piccolo siparietto. Forse da fuori risultavamo buffi chissà. Si limitava a stringere ancora al petto i miei spartiti
"Bene io vado... Kurt Hummel... è stato un piacere conoscerti. Ci saranno altre occasioni per vederci ed approfondire il rapporto!" fece Sebastian allegro
"C-certo... senza ombra di dubbio!" mormorò Kurt, arrossendo appena, forse colto dal peso della malizia con cui Sebastian gli si era rivolto
"Magari possiamo invitare anche Daniel... il tuo ragazzo... che te ne pare, Seb?" domandai io, con un sorrisetto divertito sul volto, stringendogli una mano sulla spalla per fargli capire di smetterla ed andare via. Lui mi guardò male, di nuovo
"Sì, perché no!" mormorò atono, e forse un pò anche deluso. Gli stavo rovinando la piazzata dopotutto. Sentii Kurt ridacchiare al mio fianco e inspiegabilmente sorrisi anche io. Sbuffando appena e dopo avermi tirato uno schiaffetto dietro la nuca per ripicca, Sebastian attraversò la strada per recuperare la mia moto - quella che non doveva permettersi di graffiare, per intenderci - si allacciò il casco, vi salì sopra e, dopo un ultimo saluto partì.
"Ti fidi così tanto di lui, da lasciargliela guidare?" mi domandò qualche istante dopo Kurt, una volta che la moto e il suo autista furono spariti dietro un angolo. Io sospirai e scossi la testa, rassegnato
"É una specie di fratello per me... se non mi fido di lui, di chi dovrei farlo?" domandai con un sorriso, e tornai sospirando a dedicarmi alla mia raccolta. Senza preavviso anche Kurt si riaccucciò al mio fianco
"Dai lascia, faccio io... ti ho rubato fin troppo tempo!" gli dissi cercando di afferrare gli spartiti dalle sue mani ma lui non me lo permise
"Non pensarci neanche. Mi fa piacere. E poi adesso che il tuo amico ti ha lasciato solo, qualcuno dovrà pur aiutarti, no?" mi fece lui sorridente, allungandosi un pò per recuperare altri libri. Nel farlo la camicia sottile che aveva addosso si sollevò appena, scoprendo una porzione di pelle di un'incantevole tonalità, chiarissima, quasi trasparente, che alla luce di quel tramonto newyorkese sembrava quasi eterea. Mi riscossi immediatamente da quel momento di trance, per poi darmi immediatamente dello stupido. Cosa diavolo mi prendeva? Sebastian mi aveva contagiato?
"Sì, ma..." provai a dire allora
"Niente ma... siamo vicini adesso. Dobbiamo aiutarci reciprocamente. Consideralo il mio benvenuto nel palazzo!" e detto questo si alzò per recuperare il cartone e provare a sistemarlo, ed io gli sorrisi grato.
Una decina di scatoloni dopo, e tante, tantissime scale salite e scese in sequenza, ci ritrovammo nel mio appartamento esausti
"Non credo di aver mai fatto tante scale tutte insieme nella stessa giornata in vita mia!" esclamò lui poggiando l'ultimo cartone nel salotto con un sospiro
"In questo condominio non sono tutti cordiali come te. L'ascensore ad esempio mi si è subito ammutinato contro!" scherzai dirigendomi in cucina per prendere da bere. Almeno qualcosa di fresco gliela dovevo, e per fortuna Sebastian mi aveva fatto la spesa - si sperava per l'ultima volta. Lui mi seguì a ruota ridacchiando
"Tranquillo, non è sempre così. Diciamo che sei stato semplicemente sfortunato!" mi informò. Io gli passai una birra e lui la accettò con un accenno di sorriso. Ne bevvi un pò dalla mia bottiglia, dopodiché curioso mi ritrovai a chiedere
"Come sono gli altri condomini... cioè... cosa mi devo aspettare?" lui mi guardò, colpito dalla domanda, ma mi sorrise poco dopo
"É tutta gente tranquilla.. molto educata e cordiale!" mi informò allora giocherellando con l'etichetta della sua birra "Al piano di sotto abita una mia cara amica con sua figlia. É una ragazza madre.. il suo ragazzo l'ha abbandonata dopo che lei gli aveva detto di essere incinta. Da allora non si è più fatto vedere, e credimi... in un certo senso è meglio per lui!" spiegò con una strana smorfia sul viso
"Perché dici che è meglio? Lei è insopportabile?" domandai curioso
"No, no... se si facesse vedere, io lo ucciderei!" mi spiegò con un sorriso che mi fece scoppiare a ridere.
"Logico!" mormorai
"Sempre al terzo piano abita una ragazzo... un pò strano in realtà... una specie di gigante, uno sportivo mi pare. Non facciamo molta conversazione e sinceramente mi incute un pò di paura. Quindi mi limito a salutarlo quando lo incontro nell'atrio e a preferire le scale se per caso dobbiamo condividere lo spazio in ascensore!" aggiunse divertito
"Devo preoccuparmi?" domandai agitato. Lui scoppiò a ridere di gusto. Una bella risata distesa e contagiosa
"Non ha mai ucciso nessuno... che io sappia!" mi informò
"Non si sa mai... c'è sempre una prima volta!" mormorai rabbrividendo al solo pensiero. Un gigante, eh? Bene, per me già Sebastian rappresentava un ostacolo insormontabile, figuriamoci questo tizio del terzo piano. Nota mentale, procurarsi una scala molto lunga ed usarla per salire e scendere direttamente dal terrazzo
"Al secondo piano abita una ragazza, un'orientale molto dolce ed educata... fa la babysitter alla figlia della mia amica, perché in questa società ipocrita e razzista, a quanto pare non c'è spazio per lei..." mormorò schifato con un sospiro "Mentre di fianco a lei c'è una famiglia... o meglio... una coppia di novelli sposi da poco trasferiti!" e lo disse con un sorriso, quasi emozionato. Sembrava molto affezionato a tutti gli inquilini di quel palazzo, gigante compreso.
"E al primo piano... chi ci abita?" chiesi curioso dato che lui non accennava a continuare. Si rabbuiò appena
"Mmm... il primo piano è tutto occupato da una ragazzo... è un tipo un pò strano. Se ne sta tutto il giorno chiuso in casa, con le tende chiuse e le tapparelle abbassate. Non lo viene a trovare quasi mai nessuno, non si sa perché. Non sappiamo neanche che faccia abbia... sappiamo solo si chiami Abrams di cognome, perché lo abbiamo letto sulla buca della posta. Niente di più!" mi spiegò allora
"Forse è un tipo solitario... non ama la compagnia!" affermai senza pensarci. Io non osavo immaginare cosa avrei fatto da solo, chiuso per tanto tempo in una casa, senza vedere nessuno. Sarei sicuramente impazzito. O avrei iniziato a parlare con i muri e ad addestare le tende del salone
"Non saprei... è una specie di mistero qui nel palazzo. Tutti ci chiediamo la stessa cosa!" aggiunse pensieroso. Sembrava molto turbato, e ingenuamente mi chiesi perché. D'altronde non lo conosceva, non sapeva nulla di più, eccetto il suo cognome, e allora come mai se lo prendeva così tanto a cuore? Sentii il bisogno inspiegabile di cambiare argomento e provare a farlo sorridere
"E del quarto piano.. cosa mi sai dire?" domandai con un sorriso sornione. Lui scoppiò subito a ridere facendomi sospirare soddisfatto
"Il quarto piano è il migliore, te lo assicuro. L'interno otto è stato disabitato fino ad oggi... qui nel palazzo lo chiamavamo l'appartamento fantasma!" mi informò divertito
"E l'interno sette? Da chi è abitato?" domandai curioso di conoscere un pò della sua storia. D'altronde eravamo appena diventati vicini di casa, un minimo di cordialità era d'obbligo. E poi... sotto sotto avrei voluto trovare una spiegazione per quello a cui avevo assistito qualche giorno prima al pub, anche se sapevo di non averne alcun diritto. Lui mi lanciò uno strano sguardo, dopodiché sorrise, mordendosi un labbro
"L'interno sette è occupato da un ragazzo di venticinque anni che si è trasferito qui sei anni fa e che lavora in un'agenzia di moda come segretario sbarra tuttofare di un noto imprenditore. In pratica io faccio il lavoro sporco e lui ci mette la faccia!" mi raccontò con una smorfia
"Waw... agenzia di moda... chissà quante ragazze mozzafiato incontrerai ogni giorno!" mormorai, curioso di sapere come avrebbe reagito. Volevo vedere se avrebbe approfittato di quel commento per nascondersi dietro ad un dito oppure si sarebbe svelato per quello che era in realtà, senza vergogna. Mi lanciò una strana occhiata divertita
"Scherzi? Allora non stavi ascoltando davvero l'altra sera in quel bagno!" rispose scuotendo la testa. Bene, lo aveva ammesso. Aveva tutta la mia stima
"Sono un tipo discreto... tendo a farmi i fatti miei!" risposi ridacchiando
"Comunque a scanso di equivoci.. sì, sono gay... fin dalla nascita credo.. e forse anche da prima!" e lo disse con tale naturalezza da farmi sorridere sollevato. Tu guada quanto era piccolo il mondo. Stavo giusto per farglielo presente quando intervenne, anticipandomi
"Adesso tocca a te però... dimmi chi sei... credo di meritarmelo dopo averti aiutato a portare su dieci pesantissimi scatoloni, senza ascensore!" esclamò finendo la sua birra e poggiandola sul tavolo. Imbarazzato mi passai una mano tra i ricci e sorrisi
"Se proprio insisti... mi chiamo Blaine Anderson, ma questo già lo sai... ho venticinque anni e sono di Westerville, Ohio. Mi sono trasferito qui a New York sette anni fa, dopo il diploma, per inseguire i miei sogni discografici. Ma per il momento le uniche cose che sono riuscito ad ottenere sono tre lavori sfiancanti e questo bell'appartamento in centro!" ed indicai la stanza con un gesto soddisfatto. Lui parve particolarmente attento, e anche un pò sorpreso ma non disse nulla. Si limitò a sorridere ed abbassare lo sguardo. Dopo quella che parve un'eternità, durante la quale nessuno dei due parlò, si decise a dire qualcosa
"Hai davvero una bellissima voce. L'altra sera ti... mi hai davvero emozionato!" esclamò gentile e all'apparenza sincero
"Ti ringrazio... ma il merito è anche di Noah, il proprietario del locale, che mi da la possibilità di esibirmi ogni sera... altrimenti credo che impazzirei!" e sorrisi da solo
"Ho visto degli spartiti prima... componi anche?" mi chiese curioso
"Ogni tanto sì... ma sono solo strofe buttate giù un pò a caso, niente di che!" e imbarazzato mi grattai la nuca e distolsi lo sguardo. Quegli occhi erano magnetici e sembravano scrutarmi nel profondo.
"L'intenzione sarebbe quella di far diventare la mia passione il mio lavoro... ma mi sono scelto una strada lunga e difficile purtroppo!" mormorai sorridendo distrattamente
"Io personalmente ai sogni che si realizzano come per magia, ho smesso di crederci da un pezzo... però, chissà... magari tu sei più fortunato di me!" esclamò scrollando le spalle, in un tono decisamente amaro. Lo scrutai confuso, colpito da quella esclamazione tanto cruda. Certo, io dalla vita non avevo avuto regalato quasi niente, ma perlomeno continuavo a sperare di realizzare qualcosa. Avevo solo venticinque anni ed un'intera città a mia disposizione. A Kurt, a prima impressione, sembrava essere andata decisamente meglio - per quanto riguardava il lavoro o il fatto che potesse permettersi tranquillamente un appartamento di quella portata - eppure sembrava mille volte più abbattuto di quanto avrei invece dovuto essere io. Cosa diamine gli era successo? Già amaramente deluso dalla vita a soli venticinque anni?
"Si chiamano sogni... è normale che debba volerci un pò di fortuna per farli avverare... ma, non bisogna smettere di crederci... mai! Altrimenti che sogni sarebbero?" provai a sdrammatizzare un pò, perché proprio non mi andava giù quella sua espressione dura e cinica. Ne ottenni solo una smorfia ed un'occhiata incerta
"Si chiamano sogni proprio perché sono destinati a rimanere tali... altrimenti si chiamerebbero obiettivi... conquiste... desideri..." e scrollò di nuovo le spalle. Inarcai un sopracciglio colpito. Diamine, quel ragazzo era testardo.
"Woah... sono colpito... sei..." provai a descriverlo con una sola parola ma non mi venne niente. Non volevo essere di certo offensivo, anche perché nonostante tutto mi stava simpatico e volevo mantenere buoni i rapporti di vicinato. Per mia fortuna non ci vide nulla di male, scoppiò a ridere passandosi una mano sulla guancia
"Sono strano, lo so. Ma ci farai l'abitudine, fidati!" e mi sorprese facendomi l'occhiolino. Era soggetto anche a sbalzi d'umore? Ridacchiai colpito, e feci sparire nell'immondizia le due bottiglie vuote. La sua voce tornò a farsi sentire, nuovamente tranquilla e distesa, qualche istante dopo
"Scommetto che non hai ancora avuto modo di vedere l'aspetto più sensazionale di questo appartamento!" esclamò ridacchiando. Lo guardai confuso
"E sarebbe?" lui si alzò e mi fece segno di seguirlo. Attraversammo il salone e, ovviamente da esperto, aprì la portafinestra del terrazzo e sparì all'esterno. Io lo seguii senza dire niente e solo una volta che fui fuori anche io parlai
"Se ti riferisci al terrazzo... posso affermare con assoluta certezza che è stato il motivo principale che mi ha permesso di prendere in affitto questo posto!" spiegai sorridendo, felice di ritrovare dondolo, piante e tavolino nella stessa identica posizione della domenica precedente, in cui li avevo visti per la prima volta. Kurt scosse la testa con un mezzo sorriso
"Non mi riferivo a questo!" mormorò, per poi puntare gli occhi verso l'orizzonte e sospirare "Ma a quello!" ed indicò davanti a sé. Io curioso mi girai a guardare e ciò che vidi mi lasciò senza fiato: il sole era quasi del tutto tramontato all'orizzonte e colorava il cielo di arancione e viola, rispecchiandosi magicamente nel fiume e creando magnifici giochi di luce sulle vetrate dei grattacieli. Non avevo mai visto niente del genere. Era intenso e surreale, quasi da cartolina. Uno di quei paesaggi che riesci a vedere solo su riviste, con la possibile spiegazione che si tratti di banali ritocchi al computer. Eppure qualcosa di reale c'era, ed io stavo assistendo in prima fila.
"Dio mio..." mormorai avvicinandomi al cespuglio per vedere meglio, con gli occhi ancora sgranati e il cuore martellante nel petto. Era una vista emozionante, davvero
"Già.." mi fece eco lui. Iniziavo a sentirmi un privilegiato. Aver avuto l'occasione di poter affittare un posto del genere e contemporaneamente essere convinto di non meritarmelo affatto. Chissà quanti sforzi avevano fatto Kurt e gli altri condomini per permetterselo, mentre io sganciavo al proprietario cento miseri dollari al mese. Certo, di sacrifici ne facevo tanti anche io, ma quell'appartamento era davvero un sogno.
Hai visto, Kurt, che ho ragione io... Quando non smetti di crederci, i sogni si avverano sul serio...
"Beh, mi scuserai, ma adesso devo proprio andare!" esclamò lui qualche istante dopo, infrangendo quel momento di contemplazione. Gli sorrisi e lo accompagnai fino alla porta per salutarlo meglio e ringraziarlo
"Non dirlo più, Blaine. Per me è stato un piacere, almeno abbiamo avuto modo di conoscerci un pò meglio!" e mi sorrise sincero
"Certo, quello sì... ma spero avremmo modo in futuro di approfondire..." risposi e lui fece un mezzo sorriso divertito, che mi fece tornare in mente le parole del mio amico di poco prima "Non nel... senso in cui intendeva Sebastian, tranquillo!" specificai divertito a mia volta facendolo ridere
"Ottimo!" mi rispose voltandosi per raggiungere la sua porta. Ma prima che andasse via, ci tenni a specificare una cosa, per evitare futuri fraintendimenti tra di noi
"Sono gay anche io comunque!" affermai facendolo girare nuovamente verso di me. La sua espressione mutò gradualmente da confusa a sorpresa, per poi sfociare in un sorriso
"Sai... lo avevo capito... ho un ottimo radar per certe cose!" mormorò e scoppiammo a ridere assieme
"Io, ci tenevo a dirtelo così... sì, insomma... puoi contare sul mio... ehm... supporto morale?" ma che cazzo stavo dicendo? Ero fuori di testa per caso? Supporto morale?
Con mia grande sorpresa non si offese affatto, né mi chiuse la porta in faccia. Scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con la mano e facendomi arrossire
"Scusa, non sto ridendo di te, davvero... è che... non ho mai.. avuto un amico come... come me e mi sembra strano, ecco!" mi spiegò scuotendo la testa
"C'è sempre una prima volta!" gli feci presente sorridendo e poggiando una spalla allo stipite della porta. Lui mi scrutò per bene per qualche secondo per poi annuire felice
"Hai ragione... c'è sempre una prima volta!"

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Capitolo 6
*** Il codice etico del buon vicinato ***


(6) Inquilini (B) Buona domenica a tutti, popolo di EFP... dopo una mezza giornata di piscina, durante la quale ho avuto l'assurda capacità di scottarmi soltanto un braccio (divento sempre più brava ^^) eccomi con l'aggiornamento... dunque, devo dire che a questo capitolo ci sono molto affezionata perchè... nonostante a conti fatti non succeda poi molto, lo trovo molto dolce, soprattutto per un particolare che nello specifico Kurt introdurrà e che poi diventerà una specie di filo conduttore per il loro rapporto (vediamo se capite a cosa mi riferico ^^) e soprattutto conosceremo meglio uno degli inquilini del 2113 di Lower East Side... perché ricordiamoci che oltre a Kurt e Blaine il palazzo ospita altre persone ^^ (che poi non ve l'ho chiesto, ma... le avete riconosciute tutte???) dunque detto ciò, suppogo sia il caso di lasciarvi al capitolo e darvi appuntamento a Mercoledì (questa volta solo tre giorni, dai ^^) un bacione a tutti e vi ringrazio per l'affetto, perché continuate a seguire la storia ma soprattutto perché recensite... A presto ;)
p.s. Piccola curiosità... la bambina che è nell'immagine qui in basso (che poi sarebbe Lea, la figlia di Rachel, è davvero Lea Michele da piccola... quindi, si somigliano molto mamma e figlia XD



New York City. 16 Marzo 2012. Ore 09.55 A.M. (Venerdì)

Non mi sembrava ancora vero. Avere un così splendido appartamento in centro con vista sull'East River, e potermelo tranquillamente permettere senza dover cadere nelle mani degli strozzini. Il sogno di una vita, praticamente. Avevo chiamato i miei genitori la sera prima, dopo aver terminato il trasloco, e avevo descritto loro l'appartamento nei minimi dettagli, accompagnato dai gridolini di gioia di mia madre e le esclamazioni fiere ed incoraggianti di mio padre. Quasi avevo le lacrime agli occhi per l'euforia, mentre raccontavo loro della magnifica vista che si poteva ammirare dal terrazzo - vista che era stato Kurt a farmi apprezzare ancora di più nello specifico - e mentre soddisfatto li invitavo a venirmi a trovare il prima possibile. E loro, neanche a dirlo, avevano accettato entusiasti, mia madre soprattutto, mentre mio padre aveva chiuso la comunicazione borbottando
"Finalmente quello spilungone disgraziato del tuo amico si è dimostrato utile in qualcosa!" facendomi ridere. Ero troppo su di giri perfino per rimproverarlo dell'astio che sembrava provare da sempre nei confronti di Sebastian. Non era dovuto al fatto che fossimo stati insieme e che mi avesse fatto soffrire per un periodo, né che fosse un altro ragazzo gay. Semplicemente lo odiava. Senza apparente motivo. Ed io, per il quieto vivere, avevo preferito evitare sempre di farli trovare nella stessa stanza.
Quella mattina, mentre il sole splendeva quasi fosse un segno premonitore nel cielo, per la prima volta feci colazione nella mia cucina nuova, seduto al tavolo, con la mia tazza di cereali e il mio caffè, con un sorriso stampato in faccia, contento di non dover lottare contro nessun coinquilino scroccone per il possesso della doccia o del tostapane.
Proprio mentre sciacquavo la tazza nel lavandino, canticchiando un motivetto inventato sul momento, il mio cellulare iniziò a suonare insistentemente sul tavolo. Mi affrettai ad asciugarmi le mani bagnate e me lo portai all'orecchio senza neanche controllare chi fosse
"Pronto?"
"Ti pare normale che io debba venire a sapere da mio padre che mio fratello è andato a vivere finalmente da solo?" borbottò una voce. Ridacchiai, bloccando il cellulare tra la spalla e l'orecchio e sistemando cereali e latte nello scaffale e nel frigo.
"Sì, Coop, hai ragione, sono un mostro... e faccio ammenda per questo!" risposi divertito
"E credi che questo basti? Come minimo mi devi una cena pagata da Sardi!" propose subito
"Cooper... ho cambiato appartamento... non sono mica diventato ricco!" gli ricordai, dirigendomi verso la camera da letto per prendere lo zaino che mi portavo sempre dietro. Diedi un'occhiata alla radiosveglia che segnava le dieci in punto e mancava un'ora esatta all'inizio del mio turno al supermercato. Fortunatamente al forno il proprietario mi aveva concesso una giornata di libertà per via del trasloco, ma il mio secondo capo non era stato tanto clemente.
"Ancora non riesco a spiegarmi come ha potuto uno squattrinato come te, arrivare a permettersi un appartamento in un quartiere tanto lussuoso. Ho fatto delle ricerche, sai... sembra che in quella zona ci abitino ben quattro giorcatori dell'NBA e una decina di fotomodelle. Dimmi, Blaine... tu cosa c'entri con queste persone?" mi chiese mio fratello dopo un pò. Sempre il solito sbruffone, la solita ironia senza capo né coda. Ed io mi ritrovai a scuotere la testa rassegnato
"Chiedilo a Sebastian... perché adesso devo lasciarti. Ho un lavoro io, nel caso te lo fossi dimenticato, perché non mi piace vivere alle spalle degli altri!" sentenziai recuperando le chiavi e il portafoglio ed infilandoli nella sacca
"Oh-oh... cosa sentono le mie povere orecchie... era per caso dell'ironia quella?" domandò fintamente stupito, mentre il rumore di un paio di clacson mi arrivava attraverso l'apparecchio. Feci una smorfia. No, la fastidiosa presunzione di Cooper Anderson non mi avrebbe rovinato la giornata.
"Ti auguro buona giornata, fratellone. Spero riuscirai a concludere qualcosa di sensato prima che tramonti il sole. E anche se tanto non ci crederai... ti voglio bene!" e chiusi la comunicazione, senza dargli modo di replicare. Per mia fortuna, mio fratello aveva deciso di cercare la gloria dall'altro lato degli Stati Uniti, a Los Angeles, dato che - secondo la sua modesta ma espertissima opinione - il cinema sulla costa Atlantica era destinato a sprofondare nell'abisso del nulla, accompagnato da Broadway. E dunque eravamo costretti a vederci solo due volte l'anno: il giorno del Ringraziamento e a Natale. Per allora, grazie alla distanza, riuscivo sempre a trovare il modo per ignorarlo o per sopportare le sue battute fastidiose e pungenti. Non che non ci volessimo bene, diavolo, eravamo fratelli dopotutto, era normale volersene. Eppure, c'era qualcosa nel suo essere arrogante e credersi sempre superiore, che mi infastidiva profondamente. Quando eravamo piccoli ed io tornavo a casa tutto soddisfatto con qualche bella notizia o con un voto positivo, lui era sempre pronto a screditarlo, borbottando frasi come "Io avrei fatto di meglio!" o "Il genio degli Anderson si è bloccato alla prima generazione!". Probabilmente, come si ostinava a dire mia madre, lo faceva per spronarmi. Io credevo lo stesse facendo nel modo sbagliato.
Con un sospiro mi chiusi la porta di casa alle spalle - Diavolo.. il mio nuovo appartamento! - e mi fermai davanti l'ascensore per chiamarlo. Ma qualcosa catturò la mia attenzione. Sulla mia porta d'ingresso c'era un piccolo post-it giallo canarino che sembrava contenere un messaggio. Incuriosito lo staccai con un gesto secco e lo lessi
*Salve, giovane ragazzo gay! Mi sono permesso questa piccola trasgressione al codice etico del buon vicinato, per augurarti una buona giornata. Così si fa al 2113 di Lower East Side tra inquilini, o almeno... così faccio io! A presto! Kurt*
Mi scappò una risata senza che riuscissi a trattenerla e strinsi delicatamente il post-it tra le mani, lanciando un'occhiata alla porta chiusa di Kurt. A quell'ora era sicuramente già a lavoro, però... sarebbe tornato prima o poi, o no? Così, rischiando di arrivare tardi, tornai dentro, cercai tra le cianfrusaglie ancora sparse nei cartoni - che non avevo avuto tempo di sistemare - trovai un blocchetto di post-it colorati ed una penna. Mi mordicchiai un pollice pensieroso per poi scrivere di getto una risposta, staccare il foglietto e correre fuori. Lo appiccicai bene sul legno della porta e soddisfatto tornai a premere il pulsante dell'ascensore. Ma lo trovai occupato, così, sconsolato, decisi di scendere a piedi per fare prima. D'altronde, dopo aver trasportato decine di scatoli su e giù senza quel coso, potevo tranquillamente usare le scale senza particolari problemi.
Scesi le prime tre rampe fischiettando - sì, il messaggio inaspettato di Kurt, mi aveva notevolmente migliorato l'umore - ma mi bloccai al piano inferiore, trovandomi di fronte una ragazza con tre buste in mano che tentava disperatamente di tenere aperta la porta dell'ascensore. Le sorrisi gentile e mi affrettai ad aiutarla
"Aspetta... altrimenti così ti cade tutto!" l'avvertii, mentre lei, appena sorpresa si imbronciava
"Il giorno in cui avrò bisogno dell'aiuto di un uomo per portare dentro la spesa, ti farò un fischio, ok?" borbottò. Io la guardai sorpreso. Ma cosa diamine prendeva alla gente quella mattina?
"Woah... ti chiedo scusa... speravo solo di... esserti d'aiuto. Ma se non vuoi, fa niente!" scrollai le spalle leggermente offeso. Lei sospirò e finalmente alzò gli occhi su di me. Ebbe una strana reazione perché li spalancò appena ed arrossì leggermente
"Scusa!" mormorò subito, poggiando finalmente le buste per terra, e passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata "Scusami, davvero... sono stata pessima. É che oggi sembra andarmi tutto male... mi hanno bloccato il bancomat, ho rotto le calze vicino ad un cespuglio e il supermercato aveva terminato il mio yougurt integrale preferito!" e scosse la testa desolata. Le diedi un'occhiata veloce: era leggermente più bassa di me, nonostante portasse un paio di zeppe colorate, le calze a fantasia le arrivavano al ginocchio, la gonna gialla intonata al cerchietto che le teneva ferma la frangetta, un top bianco ed un borsa a tracolla rossa. Sembrava una bambolina di porcellana, con i suoi lunghi capelli castani e i grandi occhi da cerbiatto. All'istante collegai quel viso alla descrizione che Kurt mi aveva fatto la sera prima: doveva trattarsi della sua cara amica che abitava al terzo piano. Le sorrisi senza remore
"Tranquilla... non me la sono presa, davvero!" le assicurai. Lei annuì e poi parve illuminarsi per qualcosa perché si aprì in un piccolo sorriso emozionato
"Tu devi essere il nuovo affittuario del quarto piano, immagino!"
"Esatto... Blaine Anderson, piacere!" e le allungai una mano. Lei me la strinse subito, sistamendosi la tracolla sulla spalla
"Rachel Berry... piacere mio!" si presentò
"Kurt mi ha parlato di te!" aggiunsi sperando di farle piacere, e difatti sorrise emozionata
"Spero non ti abbia detto nulla di diffamatorio!" scherzò
"Figurati, semmai il contrario!" e le feci l'occhiolino per rassicurarla, facendola arrossire ancora un pò. Stava per rispondermi quando una piccola furia ci interruppe
"Mamma, mamma... vieni a vedere.. dalla finestra della cucina si vedono meglio!" gridò concitata tirando la gonna della ragazza per richiamare la sua attenzione. Spostai lo sguardo verso il basso e vi trovai una graziosa bambina, quattro o cinque anni al massimo, con due lunghe trecce ed un vestitino rosa confetto. Il musetto tirato in una smorfia davvero buffa ma tanto adorabile. L'aveva chiamata mamma, giusto? Quanti anni aveva quella ragazza?
"Lea, tesoro mio, te l'ho già detto. Nessun mostro preistorico minaccia la nostra incolumità... puoi stare tranquilla!" borbottò la ragazza accarezzandole la testa, in un misto tra l'esasperato e il divertito. Sorrisi spontaneo.
"Ma mamma, io li ho visti... erano davvero tanti... e sembravano tanto cattivi!" si lamentò lei stringendo le braccia al petto e mettendo il broncio. La ragazza roteò gli occhi e mi accennò un sorriso stanco
"Ti prego di scusare l'irruenza di mia figlia... è una piccola peste senza controllo. Coraggio, piccola... saluta Blaine!" le picchiettò delicatamente l'indice sulla testolina e finalmente la bimba parve accorgersi di me. Mi squadrò dalla testa ai piedi con un cipiglio confuso. Io mi inginocchiai per avere gli occhi esattamente alla sua altezza e le sorrisi
"Ciao principessa... io mi chiamo Blaine, piacere. Tu, come ti chiami?" le domandai piegando la testa di lato. Lei arrossì vistosamente e fece mezzo passo indietro poggiando le spalle alle gambe della madre
"Lea!" mormorò timidamente, cosa che mi fece sorridere ancora di più. Dio, se c'era una cosa che adoravo da impazzire dopo la musica, era l'innocenza e la purezza dei bambini. Erano così limpidi, ogni emozione si leggeva perfettamente sui loro volti senza doverla andare a cercare. Quella bambina in particolare sembrava così tenera e timida. Eppure la luce che gli intravedevo negli occhi mi fece immediatamente capire quanto fosse intelligente e sveglia, nonostante tutto.
"Lea..." ripetei "Lo sai che hai un nome bellissimo?" le feci continuando a sorriderle. Lei si attaccò ad una treccia accennando un sorriso
"Me lo ha dato la mia mamma... piace anche a me!" rispose fiera. Lanciai un'occhiata verso l'altro, e trovai Rachel che accarezzava teneramente i capelli della piccola.
"Tu abiti qui?" mi domandò la bimba, facendosi coraggio. Annuii con vigore
"Certo... proprio al piano sopra il tuo!" confermai. Lei si fece titubante
"Ma lì ci abita Kurt... vivete insieme?" domandò ancora, confusa. Io e Rachel scoppiammo a ridere. Ecco, l'innocenza di cui parlavo, appunto.
"No, tesoro... Blaine abita nell'appartamento accanto a quello di Kurt... sono vicini di casa, come lo siamo noi e il signore che abita lì!" le disse la madre, indicando la porta chiusa di fronte a lei. La bimba annuì piano, per poi lanciarmi un'occhiata furtiva
"E allora se abiti anche tu qui, sei in pericolo, come lo siamo noi!" mormorò mordendosi un labbro. Quella volta fui io ad incuriosirmi
"In pericolo?"
"Pff... ignorala... è da stamattina che le è presa questa fissa dei mostri che tentano di invadere il nostro palazzo! Pensa che appena ho aperto la porta si è fiondata in camera a cacciare il kit per il pronto soccorso!" mi spiegò Rachel con mezzo sorriso mentre la bambina era tornata combattiva a tirarle l'orlo della gonna
"Ma mamma, è la verità... sono grandi ed hanno le zanne anche in testa!" e fece grandi gesti per spiegarsi meglio. Mi venne di nuovo da ridere, ma provai a mascherare con un colpo di tosse
"Tesoro, smettila... inizi a diventare seccante!" la ammonì agitando l'indice. La bimba, mise su una smorfia arrabbiata ed incrociò le braccia al petto
"Dimmi un pò, Lea... dove sono questi mostri?" le chiesi, provando a darle corda. I miei amici me lo dicevano spesso: in alcuni casi ero davvero un bambinone, e mi divertivo da matti a seguire il filone delle buffe idee tirate fuori dalla bocca dei bambini. Erano imprevedibili. La bimba parve illuminarsi perché si portò una mano davanti la bocca, per sembrare cospiratoria e borbottò
"Fuori dal nostro portone... ci stanno aspettando!" io annuii complice e le feci segno con la mano di avvicinarsi e lei non se lo fece ripetere due volte
"Ti svelo un segreto, Lea, ma tu devi promettermi di non dirlo a nessuno!" le feci a bassa voce. Lei si incorciò le dita due volte davanti la bocca e sorrise in attesa
"Io sono uno scaccia-mostri professionista e sono venuto qui per proteggere te e i tuoi amici. Adesso scendo giù e li mando via così non potranno più farvi del male!" e le feci un occhiolino complice. L'espressione sul suo volto parve aprirsi lentamente: spalancò gli occhi e la bocca per poi illuminarsi
"Davvero sei uno scaccia-mostri? Come quelli della tv?" mi chiese elettrizzata
"Certo... proprio come quelli della tv!" confermai
"E hai anche tu il lanciafiamme?" domandò sempre più contitata sbattendo velocemente le palpebre e saltellando sul posto. Io mordendomi un labbro per mascherare un sorriso, pichiattai la mano sulla sacca che avevo poggiato a terra
"Tutto qui dentro!" le dissi. Lei guardò attentamente la borsa spostando il peso da un piede all'altro, come se stesse decidendo se darmi credibilità oppure no. Probabilmente il sorriso mite che le rivolsi parve rassicurarla perché gli angoli della bocca le si sollevarono all'istante
"Mamma, hai sentito? Blaine ci salverà da quei mostri con le zanne in testa!" saltellò gioiosa, sbattendo le mani. Io e Rachel ci sbambiammo uno sguardo d'intesa e lei mi ringraziò con un cenno
"Ora però, devo proprio andare... il mondo ha bisogno di me!" esclamai risollevandomi in piedi e recuperando la sacca. Lea spalancò di nuovo gli occhi
"Perché... ce ne sono degli altri di mostri come quelli?" domandò stupita. Io annuii
"Certo... in ogni angolo della città... ma tu devi stare tranquilla! Ora che ci sono io, nessuno sarà più in pericolo!" e le feci un mezzo saluto militare che la fece ridere di gusto. Poi, tornando imbarazzata mi allungò una manina che io strinsi all'istante
"Gra-zie!" mormorò per poi scappare di corsa all'interno dell'appartamento. La risata di Rachel si unì ben presto alla mia.
"Oddio... non l'avevo mai vista così loquace con un estraneo... voglio dire... mostra sempre una certa diffidenza verso le persone di sesso maschile. Sarà perché inconsciamente odia suo padre per averla abbandonata e quindi..." abbassò la testa e si aprì in un sorriso amaro. Io, appena a disagio per quella confessione, provai a sdrammatizzare un pò
"Beh in un certo senso, tua figlia non si è smentita... forse le stò simpatico perché ha capito che sono gay!" e scrollai le spalle con naturalezza.
Ti prego, fa che non sia omofoba, fa che non sia omofoba...
"Sei... gay?" domandò quasi sconvolta. Un'improvvisa stretta allo stomaco mi fece sentire come al solito fuori posto. Maledetta la mia boccaccia
"Sì?" feci io in risposta, cauto e appena spaventato. Ecco, una possibile bella amicizia, stroncata sul nascere a causa del solito pregiudizio del cazzo. Lei, dopo qualche altro secondo di incertezza, scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca
"Dio, che sciocca... dovevo capirlo. Eri troppo gentile per essere un ragazzo etero!" esclamò tra le risate. Beh, il fatto che stesse ridendo, era una cosa positiva, no? "Mi hai perfino chiesto se mi servisse aiuto con la spesa... se non è gay questo!" e scosse la testa. Ok, ero confuso. Mi stava facendo un complimento, oppure le sue erano cattiverie velate dal sarcasmo. Lei parve notare la mia espresione titubante, perché si affrettò ad agitare le mani e a parlare
"No, no... non fraintendermi, non ho nulla contro gli omosessuali, anzi... sono figlia di due padri gay e perfino il mio migliore amico lo è, che tra parentesi sarebbe anche il tuo vicino di casa!" spiegò con calma e con un bel sorriso sincero. Sospirai
"Oh meno male.. stavo decidendo con quale delle tante armi nascoste nella mia sacca, colpirti!" scherzai unendomi poi alle sue risate. Lei sospirò teatralmente dopodcihé riafferrò le borse della spesa con tutte e due le mani
"Certo che la vita è proprio ingiusta... mi piazza nel palazzo due bellissimi ragazzi educati e gentili, mi fa illudere e poi mi fa amaramente scoprire che sono entrambi gay. Questo è il karma, senza dubbio... in una vita precedente devo aver fatto del male a qualcuno.. altrimenti non si spiega!" borbottò mentre entrava nell'appartamento per depositare le borse. Io ridacchiai, imboccando la rampa di scale per scendere
"Buona giornata Rachel e.. felice di averti conosciuto!" la salutai. La sua risposta mi arrivò quando ormai ero arrivato al secondo piano
"Buona giornata anche a te Blaine... a presto!"
Uscii dal portone, fischiettando allegro. Certo, mi aspettava un'altra estenuante giornata passata a scaricare ogni sorta di genere alimentare in magazzino, però... ero sereno, e lo avrei fatto con il sorriso sulle labbra. Mi avvicinai alla mia moto - che Sebastian mi aveva gentilmente portato la sera prima, quando era venuto a sentirmi cantare come al solito al pub - e staccai il casco dal gancio. Qualcosa però colpì la mia attenzione: un gruppetto di ragazzi erano seduti su una panchina del marciapiede di fronte, giubbotti di pelle neri, anfibi, jeans strappati ed impressionanti creste colorate sulla testa. E allora capii: quelli erano i mostri di cui parlava la piccola Lea. Sorridendo mi avvicinai a loro
"Ehi dico a voi... quanto volete per andarvene all'istante da qui?" domandai loro, sperando non avessere fumato troppo per non capirmi. Uno di loro mi guardò incuriosito perché fu l'unico a parlare
"Venti dollari!" esclamò pronto. Sorrisi vittorioso, era stato più facile di quanto pensassi
"Io ve ne do cinquanta e voi mi promettete di non farvi mai più vedere da queste parti, intesi?" proposi loro tirando fuori dalla tasca i soldi e porgendoli al ragazzo che aveva parlato. Lui, sorpreso, mi guardò, mi strappò i soldi di mano e si aprì in un sorriso entustiata
"Oh, amico... ci smaterializziamo all'istante. Forza, ragazzi... andiamo!" e i suoi compari, senza neanche protestare, si alzarono e si avviarono verso la strada. Prima di allontanarsi il ragazzo però mi sorrise, furbo, quasi avesse fatto l'affare del secolo
"Grazie fratello!" e raggiunse gli altri. Io sorrisi divertito, ritornando alla moto ed infilandomi il casco.
"Prego, fretello... tanto quei cinquanta dollari erano falsi... da Sebastian con amore!"

New York City. 16 Marzo 2012. Ore  09.45 P.M. (Venerdì)

Con un sospiro stanco mi accasciai allo specchio dell'ascensore e premetti il pulsante con il numero quattro per salire. Ero distrutto. Quel giorno Chang mi aveva fatto girare quasi tutti gli atelier maschili, alla ricerca di un completo elegante che potesse indossare per la laurea di suo nipote. E d'accordo che ero il suo punto di riferimento per questo tipo di cose e che - come lui stesso aveva affermato - si fidava ciecamente del mio gusto in fatto di abiti, ma quando è troppo, è troppo anche per uno come me. Prima o poi sarei esploso.
Avevo urgente bisogno di un bagno caldo e di qualcosa di altamente calorico da ficcare in bocca. E poi avevo bisogno del mio cuscino, l'unico uomo della mia vita a non abbandonarmi durante la notte. La cabina sobbalzò appena, arrivata al piano ed io uscii automaticamente. All'improvviso nel mio campo visivo si registrò uno scatto e mi ritrovai la figura di qualcuno prepotentemente ferma sul posto ad aspettarmi. Ero pronto a strillare, fino a richiamare l'attenzione di tutta la zona, ma un'acuta voce familiare mi fece bloccare in tempo
"Da quando tu e il nuovo vicino sexy e gentile, vi scambiate messaggi sdolcinati tramite questi buffi bigliettini colorati?" mi domandò Rachel curiosa, sbattendomi in faccia un pezzo di carta che non riuscii bene ad identificare. Riuscii soltanto a vederne il colore - un fucsia acceso - dopodiché spostai confuso lo sguardo su di lei
"Aspetta... cosa?" domandai a mia volta seriamente perplesso. Rachel lo sapeva che dopo un'intera giornata di lavoro non connettevo, eppure ogni volta sembrava dimenticarsene. Sbuffò, per poi indicarmi con un cenno il biglietto e così confuso lo afferrai. Non era un semplice biglietto fucsia, ma si trattava di un post-it, con su scritto qualcosa
*Buongiorno a te, vicino! Devo dire che la mia giornata è iniziata splendidamente... le notti a Lower East Side sembrano più magiche! Non preoccuparti, comunque... trasgredisci pure quando vuoi, io non mi offendo :) B.*
Quando finii di leggere quel messaggio un nome mi echeggiò limpido nella mente.
Blaine...
Sorrisi inconsapevolmente, felice che avesse apprezzato il mio gesto e che non se la fosse presa. Anzi, aveva addirittura ricambiato... meglio di quanto mi aspettassi.
"E allora? Ti decidi a spiegarmi?" si lamentò Rachel, sbattendo nervosamente il piede per terra. Nascosi prontamente il biglietto in tasca - certo, come se lei non lo avesse già letto - e la scansai per aprire la porta
"Dove l'hai lasciata tua figlia? Non dirmi che è sola a casa in questo momento!" sviai abilmente. Lei sbuffò
"Non ci provare, Hummel... non mi freghi!" mi ammonì caparbia "E comunque Lea è da Tina, puoi stare tranquillo!" accennai un sorriso per poi entrare finalmente a casa, dopo ben dodici ore da quando vi ero uscito. Sentii i passi svelti ma decisi di Rachel seguirmi a breve distanza
"Quindi?" mi incalzò. Io intanto mi stavo liberando della tracolla e della giacca con tutta la calma che dispondevo
"E quindi... cosa?"
"Cos'è questa storia dei messaggini segreti? David lo sa?" domandò agitandosi. Era curiosa da matti, glielo si leggeva in faccia. Ma purtroppo per lei, non c'era alcuna storia su cui spettegolare
"Rachel, per piacere, non iniziare le tue scenggiate da drama queen, perché non c'è nessun messaggino segreto. E cosa c'entra David adesso?" chiesi confuso. Lei sorrise sorniona
"Suppongo che il tuo meraviglioso e dolcissimo ragazzo fotografo, debba iniziare a preoccuparsi visto il bel pezzo di vicino che ti è capitato!" e fece un cenno verso il pianerottolo. Io alzai gli occhi al cielo. Inutile, eccone un'altra che odiava a morte David. Rachel e Mercedes si erano incontrate solo un paio di volte, ma sospettavo sarebbero andate molto d'accordo.
"E tu come fai a sapere che ho un... bel pezzo di vicino?" domandai sorpreso. Lei ridacchiò lisciandosi una lunga ciocca di capelli tra le mani
"Incontrato stamattina. Stop. Carino da morire. Stop. Davvero ottima impressione. Stop. Lea è letteralmente impazzita per lui. Stop!" telegrafò divertita, strappandomi un sorriso
"Lea?" chiesi curioso. Lei annuì con vigore e si avvicinò
"Sì, Kurt... dovevi vederlo... le sorrideva, la guardava negli occhi in maniera così dolce e pacata, le ha perfino tenuto il gioco.. è riuscito a conquistarsi la sua fiducia in pochissimi minuti. Mai visto niente del genere!" era sbalordita, e anche io. Sapevo che Lea, per via della sua brutta esperienza personale, non aveva mai dato troppa confidenza agli estranei, nonostante per la sua età fosse una cosa normale e spontanea. Erano gli uomini in particolar modo a crearle problemi. Gli unici che sembravano fare eccezione erano i suoi adorati nonni materni e... beh, io.
"Ci sa fare... dobbiamo ricornoscerglielo!" mormorai con un sorriso. Lei annuì convinta
"E tra l'altro... ho saputo, così per caso, che il tuo nuovo vicino sembra interessato al sesso forte... siamo a cavallo, no?" e entusiasta batté le mani in un piccolo applauso. Io confuso la guardai male
"Mi sono perso qualche passaggio, credo... cosa c'entra il cavallo con Blaine adesso?" domandai grattandomi la nuca. Lei ridacchiò
"Pensaci Kurt... un magnifico ragazzo gay si è appena trasferito sul tuo stesso pianerottolo. E dopo neanche un giorno siete già così in confidenza da arrivare a lasciarvi bigliettini colorati attaccati alla porta, perché non negarlo... ci sono arrivata perfettamente da sola che quel post-it è la risposta a qualcosa che gli avevi scritto tu per primo!" e mi puntò il dito contro con tono minaccioso. Io mi morsi la lingua e lei prese il mio silenzio come una confessione
"Dovrà pur significare qualcosa, no? Io credo sia arrivato il momento giusto per mollare quella zavorra del tuo ragazzo e di cedere ai fumi della passione travolgente che Blaine sembra spruzzare da ogni poro!" esclamò maliziosa, con un piccolo occhiolino. Indignato spalancai gli occhi
"Rachel... per l'amor di Lady Gaga, ma ti ascolti quando parli?" domandai scandalizzato. Mi sarei tappato le orecchie con le mani, ma mi sembrava fin troppo esagerato
"Perché, che ho detto?"
"Non c'è nessun motivo al mondo per il quale io debba lasciare David per via di... un ragazzo vagamente carino che si è appena impiantato a meno di tre metri da me!" mormorai gesticolando.
"Vagamente carino?" sbottò lei, indignandosi a sua volta
Ecco, sì, forse ho esagerato...
"Rachel!" gracchiai
"Kurt... sarei pronta a dartene mille di buoni motivi per cui tu debba lasciare quel pallone gonfiato!" esclamò puntandomi ancora l'indice contro. Glielo avrei tagliato un giorno o l'altro quel dannato dito
"Sentiamo... sono davvero curioso!" le concessi alzando gli occhi al cielo
"Partiamo dal primo? Beh... è maleducato e davvero, Kurt, io non so come tu faccia a sopportarlo. Due... è presuntuoso, vuole stare sempre al centro dell'attenzione e te lo dice una che di attenzione ne vorrebbe ricevere a vagonate ogni giorno. Tre... è un incapace, riuscirebbe a rovinare perfino la più perfetta delle occasioni. Quattro... è ossessivo, sbarra possessivo... gli manca davvero poco così prima che diventi uno stalker... dimmi, Kurt, devo continuare?" mi sfidò incorciando teatralmente le braccia al petto. Io sospirai. D'accordo, quattro su quattro, era stata brava, bisognava concederglielo.
"No... credo sia sufficiente!" borbottai passandomi stancamente una mano sulla faccia. Odiavo quando le persone dimostravano di avere ragione. E odiavo ancora di più quando avevano ragione su David. Semplicemente confermavano qualcosa di cui io ero già a conoscenza
"E considera che ho tralasciato di proposito il motivo più importante..." aggiunse alzando un sopracciglio io la guardai eloquente per farla continuare "Tu non lo ami!" sentenziò asciutta. Io feci un profondo respiro per evitare di dare di matto. Quella discussione mi agitava terribilmente. Ma la cosa che più in assoluto mi turbava, era il fatto che non riuscissi a trovare alcuna argomentazione per ribattere
"Rachel ascolta... non per essere scortese ma... ho passato una giornata infernale e sono stanco. Vorrei solo rilassarmi un pò... quindi ti spiacerebbe se rimandassimo questa conversazione ad un altro momento?" tentai esasperato. Lei sospirò
"D'accordo, ti lascio riposare. Ma non credere sia finita qui. Vi terrò d'occhio... sia te che Blaine!" mi avvertì con un sorriso. Ricambiai e l'accompagnai alla porta. Ci scambiammo un breve abbraccio prima di salutarci
"Kurt, io ti voglio bene e vorrei soltanto che al tuo fianco ci fosse la persona giusta... quella che più ti merita. Non prendertela se mi preoccupo per te, ti prego!" mi sussurrò nell'abbraccio. Io sorrisi commosso
"Lo so, Rachel... e ti ringrazio!" le lasciai un bacio sulla guancia e prima che potesse imboccare le scale per scendere al suo piano le dissi
"Ti voglio bene anche io, tesoro!" e lei semplicente sorrise e andò via. Chiusi la porta con un sospiro e mi appoggiai al legno, chiudendo gli occhi.
Quella si era rivelata una giornata infernale, ed ero letteralmente a pezzi. Senza dubbio la chiacchierata con Rachel e la sua ennesima ramanzina su quanto David fosse sbagliato per me e quanto fossi stupido io a starci ancora assieme, non ci voleva proprio. Non aveva fatto altro che aggiungere altro peso al già immane macigno che mi portavo addosso. Ormai sospettavo che un semplice bagno caldo non sarebbe bastato per rilassarsi.
Inconsciamente feci scivolare una mano in tasca e subito toccai il biglietto. Lo tirai fuori e lo lessi per la seconda volta, facendo attenzioni a particolari che prima non avevo notato: la grafia tonda e morbida, le o paffute, le a non chiuse, le t tagliate esattamente a metà. Il sorriso che aveva lasciato a fine messaggio diceva tutto di lui: era solare, cordiale, gentile. Proprio come aveva detto Rachel. E poi, si era firmato semplicemente con una B, sicuro che tanto io avrei ugualmente capito.
Di B che mi sorridono e mi fanno sorridere così solo per un banale post-it fucsia, ce n'è soltanto uno...
Senza pensaci troppo, staccai un altro post-it giallo e scarabbocchiai una frase dopodiché con un fulmineo scatto aprii la porta, appiccicai il biglietto sulla sua, e mi richiusi in casa con il cuore a mille, quasi avessi appena combinato un guaio irreparabile. Soltanto che, invece di piangere e preoccuparmi, iniziai a sorridere con il cuore un pò più leggero.

New York City. 16 Marzo 2012. Ore 0.12 A.M. (Venerdì)

Parcheggiai la moto proprio sotto il portone, ringraziando qualunque Dio di qualsiasi religione, mi avesse fatto quel regalo a fine serata, e strisciando i piedi entrai nell'ascensore. Quella sera non avrei neanche mangiato. Avevo talmente tanto sonno e un dolore così intenso alle ossa - per via di quel maledetto trasloco del giorno prima - che mi sarei direttamente fiondato nel letto, non appena avessi aperto la porta. E l'intento era proprio quello, se solo qualcosa, una volta uscito dalla cabina, non avesse attirato la mia attenzione. Un altro post-it giallo.
*Visto che ho il tuo benestrare per quanto riguarda le trasgressioni, mi sento in dovere di augurarti anche la buonanotte. E ricordati che le seconde notti a Lower East Side, sono sempre le migliori. ;) K.*
Sorrisi lanciando un'occhiata alla sua porta ancora chiusa, avvertendo uno strano calore al petto. Era davvero divertente quella sottospecie di corrispondenza che avevamo iniziato quel giorno. Sinceramente iniziai a sperare che non finisse mai. Mi serviva una piccola routine in tutta quella novità. Entrai in casa per afferrare carta e penna dopodiché attraversai il pianerottolo per attaccare il biglietto, ma prima che potessi farlo la sua porta si aprì e mi ritrovai davanti un paio di splendidi occhi azzurri ed un piccolo timido sorriso. Scoppiai a ridere, rimanendo perfettamente in silenzio e con un gesto pieno di naturalezza, allungai la mano per appiccicare il post-it - rigorosamente fucsia - sulla sua fronte. Lui - che io avevo immaginato reagire nel peggiore dei modi, sbraitando per quell'azione tanto spropositata e avventata - alzò gli occhi verso il biglietto, quasi sperasse di leggerlo da lì, lo staccò con un sorriso divertito e lo lesse.
*Così come migliori sono i vicini! :P B* c'era scritto. Lui, senza dire una parola, mi fece segno di aspettare, corse in casa a prendere qualcosa e tornò poco dopo con un post-it - giallo, ovvio - che senza pensarci, mi attaccò sul petto, all'altezza del cuore. Prima di staccarlo e leggerlo gli lanciai un'occhiata divertita che lui ricambiò all'istante
*Anderson non ci siamo proprio... troppa confidenza già dal secondo giorno. Non va affatto bene :P*
Mi portai una mano alla bocca per coprire la risata, dopodiché con un occhiolino mi allontanai. Potevamo decretare conclusa la sessione di post-it giornaliera. Adesso potevo dire di non vedere l'ora di alzarmi l'indomani per iniziarne un'altra.
"Buonanotte Kurt!" mormorai lanciandogli un ultimo sguardo dalla porta d'ingresso, prima di chiudere
"Buonanotte a te, Blaine!"
E ora sì, che la giornata può ritenersi conclusa...

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Capitolo 7
*** Vino bianco e pesce al cartoccio ***


(...) Cena Buonasera a tutti... dopo un'estenuante giornata passata fuori di casa (e di conseguenza lontana dal mio adorato pc!) rieccomi per il promesso aggiornamento del Mercoledì. Dunque... capitolo abbastanza interessante, soprattutto perché "qualcuno" inizierà a cedere un pò e a far capire qualcosa di più del proprio passato.. chissà chi! Sono davvero contenta che la storia dei post-it sia piaciuta così tanto... io mi sono divertita immensamente a scriverla, Kurt, l'ha messa in mezzo.. dovete ringraziare entrambi XD Non mi sembra di dover dire molto altro, per questo ciancio alle bande, buona lettura. Grazie come sempre a chi mi segue ma soprattutto a chi lascia un segno tangibile con le magnifiche recensioni che leggo e che ogni volta mi riempiono il cuore. Siete voi la mia ispirazione ;)
P.s. Ci vediamo Sabato (sono stata minacciata dalla mia stalker (Tamara ^^), quindi ringraziate lei, perché io altrimenti avrei aggiornato Domenica!) XD




New York City. 19 Marzo 2012. Ore 09.58 P.M. (Lunedì)

Ero dilaniato, dall'interno. Avevo un dolore insopportabile all'altezza del petto che non riuscivo a scacciare via neanche più con le lacrime.
Avevo discusso con David - di nuovo - ero oberato di lavoro da più di due settimane, non riuscivo a dormire come avrei voluto e, dulcis in fundo, era arrivato Max, il nuovo stagista tutto fare, il pupillo dell'agenzia e il perfetto collaboratore di Mister Chang.
Quello era uno di quei momenti in cui avrei voluto mettere in valigia quattro vestiti, prendere l'aereo e partire, per andare ad abbracciare qualcuno di familiare che mi avrebbe potuto sorridere e far sentire meglio. Peccato che subito dopo la solita amara consapevolezza mi colpiva all'improvviso: io non avevo più nessuno, e quindi... chi mai avrei potuto raggiungere?
Dio, papà.. quanto mi manchi...
Mentre camminavo sul marciapiede che costeggiava la fila di palazzi della mia strada, avvertii ancora la voglia di piangere. Era un periodo nero per me e in più ci si metteva quella assurda voglia di contatto umano - di vero, genuino, complice contatto umano - talmente tanto forte da far tremare le gambe. Mi vergognavo come un ladro per questo: avevo un fidanzato che avrebbe potuto tranquillamente pensarci, ma l'unica cosa che volevo era allontanarmi il più possibile da lui e dalla sua presenza tossica e asfissiante. Avevo sviluppato una sorta di costante insofferenza nei suoi confronti che, più il tempo passava, più si ingigantiva e peggiorava. Prima o poi avrei dovuto fare i conti con la realtà e decidermi ad affrontare il discorso con David. Glielo dovevo, ma soprattutto lo dovevo a me.
Entrai nell'ascensore con un sospiro e mi poggiai con la schiena allo specchio, chiudendo per un istante gli occhi. Venni avvolto da una leggera nuvola di profumo che mi fece inconsapevolmente sorridere
Blaine..
Doveva essere passato da lì poco prima perché il suo profumo era ancora perfettamente intatto. Annusai avidamente l'aria, sospirando beato e riaprii gli occhi solo quando una leggera scossa mi avvertii che eravamo giunti al mio piano. Uscito dalla cabina, lanciai un'occhiata alla mia destra e quello che vidi mi fece sorridere intenerito. Fermo sulla soglia di casa sua, c'era Blaine, che mi dava le spalle, con un enorme pacco tra le mani, la custodia della chitarra inforcata sulla spalla, una busta trasparente legata al braccio e l'orecchio schiacciato contro la spalla, impegnato in una telefonata. E in tutta quella confusione cercava disperatamente di infilare la chiave giusta nella toppa della porta senza farsi scappare nulla dalle mani. Era così buffo, tutto storto e all'apparenza in difficoltà che mi venne spontaneo avvicinarmi
"Sì mamma, te l'ho detto.. puoi venire quando vuoi, anche se papà è impegnato con il lavoro.. qui di posto per te ce n'è sempre.." stava parlando al telefono, con la voce affaticata. Forse quel pacco enorme che stringeva al petto doveva pesare davvero. Gli picchiettai un dito sulla spalla e lui finalmente si girò verso di me, confuso. Non appena mi vide si aprì in un sorriso a dir poco incantevole e limpido che mi fece tremare appena le gambe.
Dio, da quant'è che non mi capita di provare una cosa così? E si è limitato a sorridermi...

"Serve una mano?" domandai in un sussurro per non disturbare la sua conversazione. Lui ridacchiò, arrossendo appena e mormorando un
"Magari!" così io mi sbrigai a recuperare il mazzo di chiavi dalle sue mani e aprii finalmente la porta dell'appartamento
"No, mamma, non esiste che io torni a Westerville per Natale quest'anno... Il panificio ed il supermercato sono aperti fino al ventiquattro e il pub non chiude neanche a capodanno! Non posso permettermi di assentarmi, non ora!" spiegò concitato, arrancando a stento verso il tavolo del soggiorno per posare il pacco e poi liberarsi della chitarra, finalmente afferrando il cellulare in mano. Io molto discretamente poggiai il mazzo di chiavi sul mobiletto dell'ingresso e gli accennai un saluto con la mano, per fargli capire che me ne stavo andando. Lui, però, mi fece segno di aspettare e mi rivolse un altro incredibile sorriso che mi fece perdere un altro battito. Quel ragazzo per caso frequentava dei corsi specifici per quello? Si allenava di notte? Certo, lavorare in un locale frequentato da ragazzine in piena crisi ormonale e donne attempate ormai disilluse dalla perfetta vita coniugale, poteva aver sviluppato in lui una perfetta propensione nell'arte del flirt. Ammiccare a chiunque, sempre e per qualsiasi motivo. C'era gente al mondo che sarebbe andata avanti solo grazie a quello. Blaine, rientrava perfettamente nella categoria.
"D'accordo, prometto di stare attento, di non fumare e di non seguire i consigli di Sebastian! Adesso però devo lasciarti. A presto, mamma, un bacio! Saluta papà!" e con una risata distesa mise giù. Dopodiché puntò gli occhi nei miei e mi sorrise allegramente
"Dì un po', vicino.. Come fai a spuntare fuori dal nulla proprio al momento giusto? È un caso oppure passi le tue giornate dietro la porta a controllarmi dallo spioncino?" mi domandò divertito. Io scoppiai a ridere, per la prima volta dopo non so quanto tempo e il suono della mia risata fu quasi surreale anche per me. Non riuscivo quasi più a ricordarla
"Sinceramente al caso io non ci ho mai creduto!" scherzai scuotendo la testa. Fu il suo turno per ridacchiare
"Allora siamo in due!" e mi fece l'occhiolino. Altra botta al cuore. Altro giro altra corsa.
"Come mai a casa a quest'ora? Non dovresti essere al pub?" domandai curioso. Lui si morse un labbro, leggermente imbarazzato e si grattò la nuca
"Ehm... se ti confesso un segreto, prometti... di non dirlo a nessuno?" mi fece allora accennando un sorriso. Io annuii immediatamente e lui sospirò
"Ho rifilato una bugia a Puck stasera... gli ho detto che non mi sentivo molto bene e che preferivo rimanere a casa!" e scrollò le spalle.
"E perché mai lo avresti fatto?"
"Beh... ti capita mai di essere stanco di tutto e di tutti e di sentire l'esigenza di... prenderti una pausa?" mi domandò guardandomi diritto negli occhi. Io spalancai appena i miei, perché, diamine, era esattamente ciò che avevo pensato per tutto il giorno. Possibile che io e Blaine ci fossimo trovati a provare la stessa cosa nello stesso giorno? Era surreale, davvero.
"Mmmm..." biascicai a testa bassa. Non volevo di certo mettermi a piangere di fronte a lui, ma quel giorno mi sentivo così maledettamente vulnerabile, e l'aver capito che in fondo anche lui lo fosse - lui con il suo sorriso genuino, la sua risata fresca, i suoi occhi limpidi e sinceri - beh, ingenuamente mi fece sentire meno solo.
"Sì, lo so a cosa stai pensando... che sono uno scansafatiche irresponsabile, però ti posso assicurare di non aver lasciato Puck senza la sua musica... mi sono fatto sostituire da un amico e prometto di farmi perdonare domani sera!" e mi rivolse un timido sorriso, quasi volesse scusarmi. Mi ritrovai ad arrossire inconsapevolmente
"Blaine, tranquillo... non c'è bisogno che ti giustifichi con me... ti capisco perfettamente. Non sai quanto vorrei prendermi una pausa da... tutto questo, proprio come hai fatto tu!" ammisi sincero
"E allora fallo!" mormorò in risposta lui, automaticamente. Sorrisi amaro
"Se potessi permettermelo, lo farei, credimi!" risposi con un sospiro. Lui mi guardò attentamente per qualche secondo per poi tornare a sorridermi gioioso
"Ti fermi a cena?" mi chiese cambiando discorso con tutta la tranquillità di cui disponeva. Lì, su due piedi rimasi di sasso. Di certo non mi sarei mai aspettato un cambio di rotta del genere e con quella naturalezza. Cioè... mi aveva davvero invitato a cenare con lui? Eravamo già arrivati a quel livello di confidenza?
Senza sapere il perché mi ritrovai ad annuire e ad accettare il suo invito, rivolgendogli un sorriso mite che lui ricambiò.
"Chiudi la porta allora e accomodati!" mi disse recuperando la busta e sparendo in cucina. Io, riprendendomi dal mio momentaneo attimo di paralisi - maledetto sorriso! - mi richiusi la porta alle spalle e mi liberai della tracolla posandola a terra, accanto al portaombrelli.
Con un sospiro stanco mi affacciai in cucina, dove lui stava armeggiando con un paio di padelle ed un tagliere
"Suona troppo indiscreto se l'ospite domanda al padrone di casa cosa intende cucinare?" domandai infilando le mani nelle tasche dei jeans. Lui sorrise, le fossette ai lati della bocca
"No, certo che no... ma se hai pazienza, preferirei non dirtelo e farti una sorpresa!" affermò gasato, tirandosi su le maniche della maglietta e lavandosi le mani nel lavandino.
"Il mio vicino sa cucinare?" domandai scettico per provocarlo un po'. In effetti me lo immaginavo perfettamente in veste di cuoco, chissà perché. Lui fece un sorriso divertito, asciugandosi le mani con una salvietta colorata e aprì la busta misteriosa che aveva salito a casa assieme al pacco e alla chitarra.
"Scherzi? Io sono un asso ai fornelli. Pensa che Daniel, il ragazzo di Sebastian, si è quasi messo a piangere quando ha saputo che avrei lasciato l'appartamento, perché... parole sue... non potrebbe vivere allo stesso modo senza la mia cucina!" e soddisfatto tirò fuori un pacchetto di carta bianco accuratamente arrotolato
"Spero tu non sia allergico a nulla!" esclamò lanciandomi uno sguardo preoccupato
"Figurati! Sono sopravvissuto per sei anni alla mia pessima cucina... Potresti propormi perfino uno scoiattolo, ed io lo apprezzerei ugualmente!" risposi suscitando le sue risate. Incredibile quanto fossero belle e contagiose.
Non hai nulla che ti preoccupa nella tua vita, vero Blaine? Altrimenti come faresti ad essere così... dannatamente rilassato?...

"Niente scoiattoli questa sera, mi dispiace!" mi informò divertito "Stasera lo chef ha previsto qualcosa di un tantino più... raffinato!" e mi fece l'occhiolino, srotolando la carta con cura. Io curioso mi affacciai per sbirciare cosa mai ci fosse e subito intravidi l'occhietto vitreo di un bellissimo pesce, abbastanza grande, che mi fissava da sopra la carta. Trattenni a stento un sorriso
"Dio... adoro il pesce!" mormorai mentre lo stomaco borbottava allegramente, allettato da quella vista. Blaine aprì il getto dell'acqua per ripulirlo e ridacchiò sollevato
"Meno male... ti avrei negato il saluto in futuro se mi avessi detto che non ti piaceva!" esclamò divertito
"Ti posso dare una mano? Ti prego... non farmi sentire un perfetto idiota che ti guarda mentre cucini!" lo implorai avanzando di qualche passo. Lui si guardò in giro, forse per trovarmi qualcosa da fare, per poi rispondermi
"Puoi apparecchiare la tavola, se vuoi... guarda, trovi tutto nei primi due cassetti lì sotto!" e mi indicò un mobile accanto al forno. Io recuperai la tovaglia, un pacco di tovaglioli di carta e le posate e domandai
"Mangiamo qui in cucina?" lui si voltò a guardarmi per poi guardare il piccolo tavolo, pensieroso. Il suo sguardo fece un breve tragitto, prima posandosi su di me per poi spostarsi oltre la porta della cucina
"C'è un tavolo anche fuori, sul terrazzo, se vuoi..." mormorò con mezzo sorriso. Io annuii, sinceramente colpito dalla sua bella idea e mi diressi spedito verso il balcone. Effettivamente c'era un bel tavolino di plastica, quadrato e quattro sedie impilate l'una sull'altra. Lo ripulii un pò con dei tovaglioli per poi sistemare la tavola con cura e precisione. Certo, non sapevo cucinare, ma almeno la soddisfazione di metterci un pò di classe nella preparazione della tavola... era il minimo. Tornai dentro a recuperare dei bicchieri, mentre Blaine era intento ad avvolgere il pesce nella carta argentata. Anche vederlo ancora crudo metteva l'acquolina in bocca. Provando ad ignorare il fatto che passando vicini ci eravamo scambiati quasi inconsapevolmente un sorriso, ritornai sul terrazzo e mi fermai ad osservare la città brillare nelle luci della notte. Tutti quei colori che risaltavano nonostante il buio, i fari delle macchine, i rumori della vita. Quella era New York ed io mi rendevo sempre più conto di viverci da ben sei anni, di averlo sognato da sempre, ma di non essermela mai davvero goduta a pieno. Potevo dire di vivere a New York ma non di essere un newyorkese. Alcune volte, soprattutto in momenti come quello, mi chiedevo se la voragine che avvertivo nel petto, dipendesse dal fatto che sentissi davvero la mancanza di Lima, del mio piccolo mondo circolare e chiuso, così stretto nelle sue mentalità, così maledettamente ipocrita e cattivo, eppure così familiare. Era da quando era morto mio padre che non ci tornavo. E non saputo dire con certezza se ci sarei mai davvero tornato. Non avevo motivi per farlo, non c'era più nulla che mi legava a quel posto. Eppure... neanche New York aveva nulla che sembrava trattenermi, ma vi rimanevo ugualmente. Era paura la mia? Temevo di ripiombare nell'apatia che aveva caratterizzato la mia intera adolescenza passata a Lima e soprattutto al McKinley, allontanandomi dalla grande mela? Come potevo arrivare a provare sentimenti così contrastanti nello stesso momento?
Questo è ciò che provano le persone che si sentono incomplete, suppongo... quelle che non riescono a trovare il loro posto nel mondo...
Mi tornò alla mente quella voglia inspiegabile di contatto umano che avevo avvertito anche poco prima, tornando a casa. Ma di cosa avevo esattamente bisogno? Di un abbraccio? Di un bacio? Di una carezza? Di cosa, Kurt?
"Ci vogliono una quindicina di minuti e poi sarà pronto!" mi avvertii una voce alle mie spalle che mi fece sobbalzare. Mi portai una mano sul cuore mentre mi giravo a guardare Blaine avanzare con una bottiglia di vino tra le mani. Mi lanciò un'occhiata colpevole e si affrettò a dire
"Oddio, scusa... non volevo spaventarti!" io scossi la testa con un leggero sorriso
"No, tranquillo... capita a volte che mi estranei totalmente dal mondo... non riesco a capire come, ma... succede molto più spesso ultimamente!" mormorai scrollando le spalle. Lui mise su una smorfia pensierosa, armeggiando con un apribottiglie di metallo
"Problemi sul lavoro?" domandò in tono leggero. Non sembrava la domanda di un impiccione. Più che altro sembrava un amico sinceramente preoccupato per un amico. Ed io non ci ero molto abituato. Certo, avevo Rachel che si impicciava spesso dei fatti miei, che domandava, che indagava curiosa, ma... di amici maschi... beh, non ne avevo mai avuti. Diciamo che fino a che avevo vissuto a Lima, nessun sano di mente avrebbe osato avvicinarsi ad un ragazzo omosessuale, che avrebbe rischiato di contagiarli con il suo male; da quando ero andato a vivere a New York aveva pensato che tutto sarebbe cambiato, che avrei potuto trovare anche io un gruppo di amici, di entrambi i sessi, ne sentivo un disperato bisogno. Ma poi era arrivato David, e questo aveva chiuso amaramente il cerchio.
Sospirai spostando di nuovo lo sguardo sull'East River illuminato dai lampioni della strada e dei battelli ancorati a riva
"Alzi la mano chi non ha mai avuto problemi in quel campo!" scherzai sollevando un sopracciglio. Mi resi conto troppo tardi di aver calcato un pò la mano e che la voce mi era uscita fuori eccessivamente acida. Così, maledicendo me stesso, gli lanciai un'occhiata allarmata. Lui mi guardava in un misto tra il sorpreso e l'imbarazzato. Non riuscii neppure a sostenere troppo il suo sguardo, perché mi spostai a guardare la bottiglia che stringeva con una mano, alla quale stava lentamente sfilando il tappo di sughero
"Mmmm... devo dire che è sempre un tantino scioccante trovare tanta amarezza nella voce di un ragazzo di soli venticinque anni!" mormorò facendo pressione con l'apribottiglie e quello si sfilò con un delicato "pop"
"Ma, ovviamente... questo non è affar mio e pertanto... facciamo finta di niente e pensiamo a goderci questo vino!" avvertii distintamente la sua voce accompagnata da un sorriso e trovai il coraggio di rialzare lo sguardo. Stava versando il vino - bianco! - nei bicchieri e alla fine me ne porse uno. Io lo afferrai, rabbrividendo appena nel momento in cui le nostre mani si sfiorarono per caso. E sempre per caso mi ritrovai ad arrossire. Lui assaggiò un goccio di vino dal suo bicchiere e fece una smorfia di apprezzamento
"Maledizione... quello stronzo di Sebastian ha avuto ragione anche questa volta!" e ridacchiò colpito, scuotendo il capo. Evidentemente si riferiva ad un discorso fatto con il suo amico, quello del trasloco, e per questo me ne rimasi in silenzio ad assaggiare il mio bicchiere. Era buono, davvero... fresco ed effervescente, proprio l'ideale da bere con il pesce.
"Vi conoscete da molto tempo tu e Sebastian?" me ne uscii fuori con quella domanda, passandomi il bicchiere fresco sulla guancia distrattamente. Lui mi guardò perplesso per qualche secondo, facendomi arrossire. Perché mi guardava in quel modo? Che avevo detto?
"Fammi capire una cosa, Kurt... ma il nostro è un rapporto unilaterale?" mi domandò perplesso
"C-cosa?"
"Parliamo solo ed esclusivamente di me, di quello che faccio, del mio passato... io di te non so praticamente nulla, se non che lavori presso un'agenzia di moda e che sei fidanzato con un certo David. E di certo non ti costringerò mai a parlarmi di cose che non vuoi, ma... suppongo che un minimo di confidenza ce la possiamo permettere, visto che ti ho appena invitato a cenare a casa mia, non credi?" mi fece poggiando la schiena al tavolo ed incrociando le braccia. Io sorpreso, spalancai appena gli occhi. Mai mi sarei aspettato una reazione simile
"Quindi tu... mi hai chiesto di rimanere a cena da te... affinché io ti raccontassi i fatti miei?" domandai confuso. Lui fece una smorfia, quasi offesa
"Certo che no, Kurt, per chi mi hai preso? Però non ti nascondo che per una volta vorrei essere io a scoprire qualcosa di te... qualcosa che non so!" e si strinse nelle spalle. Sembrava appena deluso, ma non sembrava mi stesse accusando di qualcosa. All'improvviso mi resi conto che in effetti non gli avevo raccontato praticamente nulla di me. Probabilmente lo avevo fatto senza pensarci. O molto più probabilmente ne ero consapevole e non volevo ammetterlo. Era difficile aprirsi con qualcuno che non si conosce. Eppure... lui lo aveva fatto, mi aveva raccontato un pò della sua vita. Lo avrei trovato così facile anche io?
"Comunque, non importa dai... non roviniamoci la serata!" si aprì in un sorriso e poi bevve un altro sorso di vino "E per rispondere alla tua domanda... sì, io e Sebastian ci conosciamo dal secondo anno delle superiori.. abbiamo frequentato la stessa scuola e siamo stati perfino insieme per un periodo.. Poi dopo il diploma ci siamo trasferiti qui ed abbiamo convissuto sotto lo stesso tetto fino a che io non ho preso in affitto questo appartamento!" spiegò tranquillamente, come a voler sottolineare di non aver alcun problema a parlare di sé, che non era poi così brutto. Forse fu questa consapevolezza, o molto più probabilmente il sorriso che mi rivolse, che mi fecero trovare il coraggio per aprire la bocca
"Io... sono nato e cresciuto a Lima... in Ohio!" mormorai stringendo tra le mani il bicchiere ancora mezzo pieno. Lui mi guardò confuso, aprendo un paio di volte la bocca senza emettere alcun suono. Sì, immaginavo quella reazione
"Sei... sei anche tu dell'Ohio?" mi domandò sorpreso. Io annuii molto lentamente "Ma... perché non me lo hai detto subito?"
"Ecco io... non ho un bel ricordo di quella città e per questo... preferisco evitare di pensarci, quando è possibile!" confessai, mordendomi un labbro, incredibilmente nervoso
"O-okay... credo di capirti... l'Ohio non è uno Stato particolarmente famoso per la sua apertura mentale nei confronti dell'omosessualità!" affermò cercando di trovare da solo un senso alle mie parole. Avrei voluto dirgli che non era soltanto questo il motivo... ma non ebbi il coraggio di parlare
"Però... ci tornerai spesso! Voglio dire... per andare a trovare i tuoi genitori!" esclamò pratico. Avvertii distintamente una morsa stringermi le budella ed io automaticamente aumentai la presa attorno al bicchiere rischiando di mandarlo in mille pezzi. Abbassai lo sguardo, pregando una divinità alla quale non avevo mai creduto - seppure fosse mai esistita! - di non farmi piangere. Almeno non davanti a lui. Sapevo essere forte per tante cose. Sapevo ignorare, far finta di niente, stringere i denti e sopportare il dolore. Ma il ricordo dei miei genitori rimaneva e sarebbe per sempre rimasto, il mio tallone d'Achille.
"O-oh... merda! Mi sa che ho appena fatto una gaffe!" mormorò Blaine dopo qualche secondo di mutismo generale, così mi ritrovai ad alzare lo sguardo e a ritrovarmi i suoi occhi preoccupati e dispiaciuti, incollati ai miei "I tuoi sono...?" ma non riuscì a completare la frase ed io non riuscii a dire nulla, limitandomi stupidamente ad annuire. Lui sospirò poggiando il bicchiere sul tavolo e passandosi una mano tra i ricci
"Mi dispiace, Kurt! Io... io sono inopportuno, l'essere più inopportuno dell'intero universo e se non imparo a chiudere questa dannata boccaccia..." si agitò, ma io mi ritrovai stranamente a sorridere intenerito e ad intervenire
"Tranquillo, Blaine... tu non c'entri nulla... non potevi saperlo!" affermai con più serenità di quanto mi aspettassi. Lui mormorò qualcosa sottovoce, torturandosi le mani. E allora decisi che era il caso di andare avanti. Glielo dovevo, e soprattutto lo dovevo a me. Dovevo provare a fidarmi di qualcuno, e Blaine sembrava adatto.
"Mia madre... lei è morta quando avevo otto anni circa. Da allora sono cresciuto soltanto con la presenza di mio padre accanto che ha cercato con tutte le sue forze di non farmi mancare mai niente. Mi ha sempre... sostenuto e accettato nonostante la mia sessualità e beh... è stato il miglior padre che potessi chiedere!" sorrisi nostalgico, richiamando alla memoria il suo viso gioviale e la sua espressione costantemente burbera ma maledettamente dolce. E ancora una volta avvertii la voglia di mettermi a piangere
"Questo fino a che un secondo infarto non se l'è portato via sei anni fa!" conclusi amaramente, mandando giù un altro sorso di vino
"E sei figlio unico?" mi domandò ancora un pò turbato dalle mie parole
"Esatto... praticamente non ho alcun legame con quella città... per questo non ci sono mai più tornato!" confermai.
"E ti mancano?" alzai gli occhi per puntarli nei suoi, così stranamente espressivi e lucidi. Forse fu per quello che non riuscii a frenare le parole
"Sempre... ogni maledetto giorno!" soffiai. Blaine sospirò spostando lo sguardo verso la città illuminata
"Certo che la vita è proprio strana... ci allontana dalle persone che più amiamo senza alcun riguardo. Come se volesse punirci per qualcosa che però non abbiamo fatto!" mormorò estremamente pensieroso, aggrottando appena la fronte
"Già... proprio strana!" mi accodai, perdendomi per un attimo a contemplarlo. C'era un leggero venticello fresco quella sera che gli muoveva appena qualche riccio sulla testa. Sembravano così morbidi, nonostante non avessero una piega sempre perfetta, non erano mai in disordine. Avvertii l'assurdo desiderio di accarezzarglieli, e di non limitarmi soltanto a quello. Scesi più giù sulle sopracciglia folte e con quella strana forma tutto sommato interessante, gli occhi concentrati altrove, di quel colore ancora indecifrabile, la bocca appena arricciata in una smorfia pensierosa. Scesi ancora, accarezzando con lo sguardo il collo, le spalle abbastanza larghe e ben formate, il petto largo, le braccia tese e muscolose, lasciate scoperte dalle maniche sollevate, la pancia piatta, i fianchi fasciati perfettamente dai jeans, il...
Il suono di un timer proveniente dalla cucina ci fece sobbalzare entrambi e Blaine, allegro, mi rivolse un sorriso ed esclamò
"Preparati... è pronta la cena!" e sparì in casa. Il non averlo più davanti agli occhi mi fece immediatamente realizzare cosa avessi fatto: Dio, lo avevo seriamente radiografato dalla testa ai piedi? Avevo sospirato davvero un istante prima che quel maledetto timer suonasse? Avevo trovato affascinante e... sexy... ciò che avevo visto? Beh, a giudicare dal fatto che in quel momento avvertissi chiaramente il cuore galopparmi nel petto, immaginai di sì. Ma d'altronde... Blaine era indubbiamente un bellissimo ragazzo, oltre che estremamente carismatico e gentile, dunque era normale che mi fossi perso in apprezzamenti su di lui. Certo... la prossima volta magari avrei potuto evitare di concentrarmi così tanto e di assumere un'espressione beata. Giusto per non fare la figura dell'idiota. E magari mi sarei perfino potuto ricordare di essere fidanzato, tanto per dire qualcosa.
"Mmmm... c'è un profumo che neanche immagini!" esclamò tornando sul terrazzo e stringendo una teglia di alluminio ricoperta. Io curioso mi avvicinai e subito mi colpì un odore incredibilmente succulento che fece borbottare rumorosamente il mio stomaco. Imbarazzato me lo coprii stupidamente con una mano, mentre Blaine mi lanciava un'occhiata divertita e tentava di trattenere malamente una risata
"Qui qualcuno è veramente affamato, eh?" mi provocò con un sorriso divertito
"É colpa tua... mi hai riempito di aspettative... adesso io e il mio stomaco siamo davvero curiosi!" risposi disteso e presi posto su una sedia di plastica. Lui sorrise e scoprì con un gesto teatrale la teglia rivelando due splendide orate - ecco che pesce era! - avvolte accuratamente in fogli di stagnola, circondate da patate al forno tagliate a fette. Rimasi piacevolmente stupito dalla sorpresa e gli lanciai un'occhiata di apprezzamento. Lui, senza smettere di sorridere, mi posò una delle due orate nel piatto, aggiungendo delle patate e si servì a sua volta, prendendo posto a sedere
"A te l'onore di assaggiare per primo questa meraviglia!" mi invitò versando ad entrambi un altro bicchiere di vino.
"Sfida accettata!" mormorai aprendo la stagnola - Dio, che profumino! - e afferrando la forchetta. Con molta attenzione a tener ferma la lisca, staccai un pò di pesce e me lo portai alla bocca. Il sapore delicato e appena aromatizzato mi riempì all'istante, facendomi sospirare. Era a dir poco delizioso
"Dunque?" mi domandò lui, fingendosi disinteressato, mentre scartava il suo pesce  
"Non ho parole!" mormorai affrettandomi a staccarne un altro pezzo. Lui ridacchiò illuminandosi. Gli occhi quando faceva così gli brillavano in maniera incredibile
"Meno male... confesso di aver temuto parecchio il tuo giudizio!" esclamò portandosi la forchetta alla bocca
"Addirittura?" feci io assaggiando un paio di patate, anche quelle ad una perfetta cottura. Lui annuì arrossendo deliziosamente
"Sì... cioè... mi sarebbe dispiaciuto.. deluderti!" rispose infilzando crudelmente un paio delle sue patate, con lo sguardo nel piatto. Io avvertii un moto di tenerezza nei suoi confronti e mi ritrovai a sorridere al mio piatto. Bene, il mio vicino, praticamente quasi un estraneo per me, aveva paura di deludermi con una cena. Il mio ragazzo, dopo quattro anni di relazione, non si era mai fatto venire scrupoli a proposito.
"Tranquillo... un piccolo capolavoro come questo non può assolutamente deludere!" lo rassicurai. Lui accettò di buon grado i complimenti sorridendo, dopodiché afferrò il suo bicchiere pieno e lo portò verso di me
"Brindiamo!" propose su di giri. Io d'istinto afferrai il mio bicchiere e lo avvicinai al suo
"A cosa?" domandai. Lui ci pensò su, grattandosi il mento per poi lanciarmi un'occhiata divertita e dire
"A noi... a questa cena e alla nostra amicizia che può ufficialmente iniziare!" io mi ritrovai a ridacchiare
"E sia!" sbattei il bicchiere con il suo e il suono del vetro si perse nella notte, accompagnato dai nostri sorrisi silenziosi. Ne bevemmo entrambi un sorso, senza mai abbandonare il contatto visivo con l'altro e mi sentii gasato, carico, per la prima volta dopo tanto tempo, sereno. Completamente un'altra persona dal Kurt che era ritornato a casa meno di mezz'ora prima. I problemi con il lavoro erano spariti, le discussioni interminabili con David non esistevano più, la stanchezza sembrava essersi trasformata in energia da un momento all'altro. E tutto per merito di un vicino che era appena diventato mio amico e di una deliziosa e tranquilla cena, su un terrazzo. Sotto il vigile sguardo di una splendida New York. 

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Capitolo 8
*** Stagisti seccanti e ragazzini annoiati ***


Buon Sabato, miei dolcissimi lettori... e mentre fuori il sole splende e l'anticiclone africano non ci fa dormire (-___-) io sono qui che vi pubblico il capitolo otto. Allora... con calma: le basi dell'amicizia tra i due dirimpettai, sono state gettate, adesso però cosa succederà? Sarà così semplice come tutti noi speriamo? Ci sarà qualcuno (mmm tipo David?) a dare fastidio? Arriveranno nuovi personaggi? Darren Criss la smetterà di fingere di essere etero? XD Queste sono tutte domande che dovrebbero perseguitarvi da qui fino alla fine della storia (soprattutto l'ultima ^^) ed io vi prometto di non farmi scappare nulla ;) a parte... che in questo capitolo arriverà qualcuno di mooooolto speciale. Tocca a voi fare le supposizioni ^^ Bene, detto questo vi lascio alla lettura. Un bacione e un ringraziamento speciale a chi recensisce e mi fa sorridere tutte le volte come una scema *___* vi amo davvero <3
p.s. Doveroso ringraziamento alla mia amata stalker che si è letteralmente uccisa ieri a crearmi questa fantasticosa immagine di inizio capitolo... a quanto pare Blaine le ha dato parecchi problemi (ma è sempre lui che da fastidio, non avevamo dubbi XD) tesoro mio, la adoro ed è giusto che stia qui in prima fila... un bacio grande pure a te ^^ Ah, non te l'ho detto? Sei ufficialmente stata assunta come mia artista ufficiale, quindi... mettiti l'anima in pace ^^




New York City. 22 Marzo 2012. Ore 02.40 P.M. (Giovedì)


Essere gay in un ambiente come quello della moda, a volte era davvero una bella seccatura. Ogni giorno, nei backstages dei set fotografici, gironzolavano modelle mezze nude, ed i pochi fotografi etero che frequentavano l'ambiente, sembravano apprezzare in maniera particolare. Uno di questi era senza dubbio David. Per quanto tutti sapessero che stessimo assieme, lui non aveva mai nascosto il fatto che avesse ancora un certo interesse per le donne. Lui si definiva bisessuale. Io credevo semplicemente fosse un porco bugiardo. Ma quello lo potevo senza dubbio aggiungere alla lista di difetti che Rachel si era premurata si stilare per me qualche sera prima. Il numero cinque, direi.
"Kurt... hai visto per caso Ron da qualche parte? Avrebbe dovuto sistemare l'acconciatura di Lorena per il servizio, ma è sparito!" mi domandò una ragazza agitata, torturandosi tra le mani una cartelletta verde. Sospirai, stanco e seccato. Alcuni si ricordavano di me, soltanto quando si perdevano qualche truccatore o un parrucchiere. Poi, da quando Chang mi aveva affiancato quel maledetto stagista - Max... che nome di merda! - ero diventato inservibile. Mi stava attaccato come una cozza allo scoglio e potevo giurare di averlo visto un paio di volte scodinzolare. Per fortuna il suo periodo di prova era quasi terminato, per via del suo contratto settimanale. Poi lo avrebbero spedito ad un'altra agenzia. Già provavo pena per quel povero assistente che lo avrebbe preso in custodia. Magari era un altro Kurt in un'altra parte di New York. Sperai almeno per lui che le cose andassero meglio e che avesse almeno avuto la fortuna di trovarsi un fidanzato - o una fidanzata - degno di questo nome.
"Era vicino al guardaroba... stava parlando con il fotografo per l'intimo!" rispose Max, efficiente e fastidioso come sempre, anticipandomi. La ragazza annuì e lo ringraziò senza neanche degnarmi di un saluto.
Ancora un paio di giorni, Kurt... resisti solo un altro paio di giorni...
"Senti, Max... me lo andresti a prendere un caffè allo Starbucks all'angolo? Ho voglia di tanta panna e di un pò di latte..." mormorai con un mezzo sorrisetto divertito. Volevo la mia rivincita, in un modo o nell'altro. Lui, sentendosi utile, ma soprattutto perché quella era effettivamente la prima volta che gli rivolgevo la parola da quando era arrivato, annuì con vigore e corse via per adempire al suo importante compito. Peccato per lui che non ci sarebbe riuscito tanto presto.
Forse avrei dovuto dirglielo, che lo Starbucks più vicino si trova a sette isolati da qui?...
Soddisfatto e gongolante, mi avviai verso il set di intimo, per dare un'occhiata alla situazione. Le modelle che avevamo scelto erano davvero sensazionali. E una di queste ovviamente era Santana. In quel momento stava posando su un set di una spiaggia finta, con tanto di sabbia ed ombrellone colorato. Ed era davvero bellissima. Non bisognava per forza essere etero per accorgersene. Ci fu un attimo in cui i nostri sguardi si incrociarono e lei mi fece l'occhiolino complice. Quel gesto, però, il fotografo parve non apprezzarlo molto. David si girò verso di me, stringendo la macchina fotografica tra le mani e mi lanciò un'occhiataccia di fuoco
"Kurt, ti dispiace?" mi ammonì infastidito. Io sbuffai alzando gli occhi al cielo e mi allontanai appena, per poggiarmi ad una colonna e continuare a guardare il servizio indisturbato.
"Allora, Santana... sono gli ultimi venti scatti, vediamo di movimentare un pò la scena... fai l'amore con la macchina fotografica, da brava!" la incitò sorridendole sornione. Bene, si era perfino messo a provarci con le modelle, davanti ai miei occhi. Per fortuna Santana non era il tipo di ragazza da raccogliere questo tipo di provocazioni, soprattutto perché lei mi voleva bene, ma quante altre ragazze sarebbero state come lei? Era mai capitato che in quei quattro anni, ci avesse provato con qualcuna, riuscendo ad ottenere poi le sue attenzioni? E perché diavolo non ci avevo mai pensato? Bene, ci mancavano le pulci nell'orecchio che io stesso ero riuscito a mettermi
"D'accordo... dieci minuti di pausa, poi tocca a Jane!" annunciò David, sistemando la macchina fotografica a terra e dando un paio di pacche di incoraggiamento ai suoi collaboratori. Provai ad ignorarlo, girando la testa dall'altra parte, curioso di vedere se avesse avuto il coraggio di avvicinarsi a me, per rivolgermi quantomeno la parola. Quando era al lavoro si trasformava completamente: diventava freddo e distaccato, quasi non ci conoscessimo. Non che in intimità fosse molto più dolce o affettuoso, ma perlomeno non mi ignorava così esplicitamente.
Come immaginavo, si allontanò verso il backstage senza neanche rivolgermi un cenno, seguito da una piccola fila di assistenti. Sbuffai, passandomi una mano sul viso
"Stanco?" mi domandò Santana avvicinandosi, e coprendosi con un accappatoio. Lei almeno aveva il pudore di coprirsi una volta finito il lavoro. Altre modelle se ne infischiavano
"Seccato più che altro!" mormorai con mezzo sorriso
"Problemi con David?" provò stringendo le braccia al petto, con un'espressione comprensiva. Sospirai. Ed erano tre. Dovevo ricordarmi di organizzare una serata di chiacchiere e poker tra lei, Mercedes e Rachel. Come in una puntata di Desperate Housewives. Solo che invece di sparlare dei vicini assassini, avrebbero condiviso le loro pessime impressioni su David.
"No, è tutto ok, tranquilla... niente di irrisolvibile!" mentii spudoratamente. Ormai mi veniva così naturale. Ero talmente tanto bravo a farlo, da risultare quasi sincero perfino ai miei occhi.
"Come va l'organizzazione della serata di beneficenza?" domandò lei curiosa, cambiando per fortuna argomento. Le sorrisi divertito. Mi sembrava strano che ancora non avesse tirato fuori la questione della festa quella settimana
"É tutto pronto. Manca solo da chiamare il catering, ma se ne occupa la pr dell'agenzia!" risposi dando un'occhiata ad una modella scheletrica che accarezzava placidamente il braccio di un David sorridente a meno di due metri da noi
"E... per gli inviti?" domandò fingendosi indifferente. Sbuffai una mezza risata, tornando a guardarla
"Li ho spediti ieri mattina, sono già in viaggio!" risposi ed era vero. Avevo passato tutta la giornata a stampare inviti ed imbustarli. Nel terzo millennio, l'era della tecnologia e della Apple, la mia agenzia ancora faceva affidamento sulla posta ordinaria. Secondo Chang era un ottimo modo per mantenersi legati alle proprie origini. Mmm... tanto valeva allora ingaggiare dei piccioni viaggiatori. Oppure vendere i suoi due graziosi iPad, e pagare un fattorino per consegnarle direttamente a mano.
"Bene..." mormorò lei, mordendosi un labbro. Era in ansia, si vedeva da lontano, ed io ero sicuro di sapere anche il motivo
"Stai tranquilla, bambolina... tra quegli inviti c'era anche il tuo!" la informai con un sorriso e lei si illuminò all'istante. Elettrizzata mi buttò le braccia al collo e mi strinse forte, sotto le occhiate maliziose delle altre modelle e dei tecnici. Probabilmente era appena partito il pettegolezzo che vedeva l'assistente personale di Chang, portarsi a letto la modella ispanica.
"Oddio, Kurt... sei un tesoro. Io ti adoro, letteralmente!" mi annunciò stampandomi un sonoro bacio sulla guancia, le labbra ancora piene di rossetto
"Calma, signorina... stiamo dando spettacolo!" la ripresi divertito, ma sinceramente me ne infischiavo. David poteva permettersi il lusso di provarci con delle modelle taglia 36, ed io invece non potevo neppure scambiare due chiacchiere con una cara amica?
"Ok, ok... reazione spropositata, hai ragione!" si calmò, ancora tutta sorridente per poi accigliarsi di botto
"Cosa c'è adesso?" le domandai preoccupato. Lei mi guardò spalancando bocca ed occhi, quasi avesse visto un fantasma
"Maledizione, Kurt... è una catastrofe!" borbottò portandosi una mano al petto. Ok, iniziavo a preoccuparmi seriamente anche io
"Cosa, Santana?... per l'amor del Cielo, mi stai facendo spaventare!" le dissi agitato. Lei fece un lungo respiro per poi mormorare, quasi senza voce
"Non ho il vestito adatto!" facendomi sbottare in una risata liberatoria. Per un momento avevo davvero temuto il peggio. Dannate ragazze e le loro manie da drama queen.
Senti chi parla...
"Tranquilla, San... lunedì zio Kurt ti porta a fare shopping di classe!" le annunciai divertito, impettendomi appena. Lei sorrise illuminandosi ancora ma, prima che potesse di nuovo saltarmi al collo, la bloccai prontamente
"Ferma là... le smancerie rimandiamole ad un altro momento. E corri a cambiarti, altrimenti il tuo fotografo se la prenderà di nuovo con me!" le dissi con un sorriso e lei senza farselo ripetere, mi lanciò un bacio con la mano e corse via. Erano momenti come quello che mi rendevano fiero del mio lavoro. Il poter essere utile veramente a qualcuno, poter renderlo felice con poco. E sapere di avere un'amica, nascosta sotto chili di trucco e lacca, pronta ad abbracciarmi come probabilmente non aveva mai fatto nessuno.
Me ne tornai dietro le quinte, per dare un'occhiata al secondo turno di ragazze che avrebbe posato quel giorno, ma venni bloccato da qualcuno
"Ti sembra il caso di metterti a flirtare con le modelle davanti a tutti, nel luogo in cui io lavoro?" mi domandò David acido fulminandomi con lo sguardo. Sospirai, sentendomi nuovamente stanco all'improvviso.
Alla fine, quello che flirta con le modelle sarei io...
"Tornatene alla tua macchinetta fotografica, Dave... magari lei saprà renderti più felice di quanto non sappia fare il tuo ragazzo!" gli risposi senza il minimo sentimento, liberandomi della sua stretta e sparendo dietro le tende del backstage. Proprio in quel momento, all'improvviso venni colto da un dubbio esistenziale: Dove diavolo era finito Max?

New York City. 22 Marzo 2012. Ore 11.52 P.M. (Giovedì)


"Buonanotte, Noah... ci vediamo domani sera!"
"Buonanotte a te, Blaine... e grazie!"
Quella sera la temperatura esterna era particolarmente pungente. Eravamo tecnicamente entrati in Primavera, nella stagione dei fiori e dei primi caldi. In teoria. In pratica, invece, faceva ancora parecchio freddo, almeno dopo una certa ora. Con un sospiro e stringendomi maggiormente la sciarpa al collo, mi avviai verso il parcheggio, ormai semivuoto, dato che la serata era quasi giunta al termine. Entro mezz'ora Puck avrebbe chiuso il locale e perfino lui sarebbe tornato a casa.
Quella serata si era rivelata particolarmente tranquilla, fatta eccezione per un paio di tipi abbastanza loschi che per poco non si erano messi a fare a botte nel locale. Era dovuto intervenire Puck in persona per separarli e per cacciarli a calci fuori. Brittany si era spaventata molto e Joe, dalla cucina, era uscito per calmarla un pò. L'ambiente si era fatto acceso e stranamente elettrico per qualche minuto, fino a che, facendomi coraggio, non avevo stretto la chitarra al petto e non avevo ripreso a suonare, tirando fuori una canzone di Bob Sinclear. E la cosa era sembrata funzionare, perché i clienti non avevano abbandonato affatto i loro tavoli, anzi erano rimasti attentamente ad osservarmi e a seguire il tempo con la testa o picchiettando le mani sul tavolo. Puck per la prima volta uscito da dietro il suo bancone, mi aveva ringraziato con un gesto e perfino Brittany si era ripresa, tornando a servire ai tavoli e lasciando libero Joe di tornare in cucina. Una serata da film, cose che si spera capitino soltanto dietro uno schermo e mai nella vita reale. Ma d'altronde quella era New York: se ne vedevano davvero tante, molte cose davvero assurde o raccapriccianti. Credevo fermamente che bisognasse avere del fegato per viverci o per sopravviverci. Quei sette anni passati lì, me lo avevano fatto capire completamente.
E fu proprio in quel momento in cui capii che davvero non avevo ancora visto tutto: all'improvviso, infatti, proprio mentre ero impegnato a sganciare il casco dal manubrio per indossarlo, sentii un guaito provenire da dietro un cespuglio, seguito immediatamente da dei violenti colpi e da delle risate particolarmente sguaiate.
"Ma che cavolo.." per natura tendevo sempre a non ignorare nulla, ero curioso e quello mi bastò per lasciare il casco e dirigermi verso il cespuglio incriminato. Una volta aggirato l'ostacolo, vidi le schiene di due ragazzi che mi coprivano a tratti la visuale ma da lì vicino i guaiti si erano fatti ancora più forti. Con il cuore a mille, anche a causa della scarsa illuminazione, mi avvicinai ancora di più e quello che finalmente riuscii a scorgere ai piedi dei due giovani mi fece letteralmente gelare il sangue nelle vene. A terra, raggomitolato come un fagottino, stava un batuffolo di pelo grigio, tremante e dal quale provenivano i guaiti che in quel momento si intensificarono tanto da diventare spaventosi. I due ragazzi avevano dei bastoni tra le mani e continuavano a punzecchiarlo ripetutamente sulla testa, sulla coda, sulla schiena tremante. Poi all'improvviso uno dei due lo colpì più forte, facendolo abbaiare flebilmente e il cucciolo si spostò di qualche centimetro forse nella speranza di scappare da quei due mostri
"Guarda che cazzone... non riesce neanche a stare in piedi!" lo derise l'altro, ricominciando a pungolargli la piccola coda. Le risate sguaiate dell'amico non riuscii neanche a sentirle. Mi si era annebbiata la vista e tutto ciò che feci dopo fu frutto dell'istinto e della rabbia. Di paura non ne era rimasta la minima traccia
"Ehi, pezzi di merda... che cazzo state facendo a quel cane?" gridai facendoli sobbalzare entrambi. Si girarono a guardarmi e lì mi resi conto con amarezza e disprezzo che potevano avere sì e no sedici anni per uno. Uno dei due spalancò gli occhi spaventato e gettò a terra la mazza con la quale si era ampiamente divertito fino a quel momento
"Niente!" mormorò subito alzando le mani in segno di resa. Avanzai di mezzo passo e lui conseguentemente arretrò, incespicando in un sasso.
"E tu chi cazzo saresti?" mi domandò l'altro, per nulla intimorito, con tono di sfida. Lo squadrai bene. Era un pò più basso di me, mingherlino, viso scocciato e fin troppo prepotente. Proprio il tipo di ragazzo che non riuscivo a digerire.
"Io sono quello che spaccherà la faccia ad entrambi se non vi allontanate immediatamente da quella povera bestia!" sentenziai in un sibilo avanzando ancora. Quella volta anche il secondo ragazzo parve spaventarsi appena perché fece mezzo passo verso l'amico che mi guardava ancora terrorizzato. Ma nessuno dei due parve recepire pienamente il concetto
"O, se preferite, posso sempre chiamare la polizia... credo che gli agenti saranno piuttosto curiosi di sapere la vostra piacevole storia!" li minacciai con mezzo sorriso. Quelle parole ebbero l'effetto sperato, perché il primo ragazzo, quello spaventato, si affrettò ad afferrare la manica della giacca dell'amico e a strattonarlo
"Cazzo, Dylan, andiamocene... questo la chiama veramente la polizia!" esclamò terrorizzato. L'altro mi guardò con odio, forse ancora indeciso su cosa fare o su cosa potessi fare io
Sì, Dylan... ascolta il tuo amichetto e va via... ma devi correre... correre molto veloce...
"Non ci credo!" mormorò infatti. Feci una smorfia, colpito dal suo temerario coraggio e così afferrai il telefono dalla tasca dei jeans e feci scorrere il dito sullo schermo per sbloccarlo
"D'accordo... l'hai voluto tu..." dissi e, sperando di avere la meglio quella volta, finsi di digitare il numero della polizia sul tastierino. In realtà digitai dei numeri a caso, per temporeggiare. Far venire la polizia avrebbe significato mettere in mezzo anche Puck che stava lì davanti e farmi perdere altro tempo. Ero stanco, volevo solo tornarmene a casa a dormire.
Un movimento mi avvertì che i due ragazzi avevano approfittato della mia distrazione per darsela a gambe e difatti, alzando lo sguardo non trovai più nessuno. Sorrisi soddisfatto e rimisi il cellulare in tasca. Con un sospiro mi avvicinai alla palla di pelo, che ancora guaiva leggermente. Mi inginocchiai per poi passare delicatamente un dito sulla schiena
"Ehi... piccoletto..." mormorai ma lui, spaventato, abbaiò e si spostò di nuovo. Faceva una tenerezza incredibile e ancora sentivo il sangue ribollirmi nelle vene al pensiero che quei due bastardi avessero osato fargli del male. Mi domandai immediatamente cosa fare. Non potevo di certo lasciarlo lì, probabilmente condannandolo ad una morta certa. Però, portarlo ad una clinica veterinaria avrebbe comportato dare spiegazioni ad un medico di turno, e perdere di conseguenza altro tempo. Che cosa avrei dovuto fare?
Con un sospiro, e con molta lentezza, afferrai il cucciolo, che si fece tirare su senza protestare - era davvero piccolissimo - e lo strinsi al petto. Lui aprì appena gli occhi e mi guaì in faccia
"Tranquillo, amico... ora sei al sicuro! Stasera sei ospite a casa mia!" lo rassicurai ritornando verso il parcheggio. Lui non provò neanche a scappare, limitandosi ad accucciarsi meglio e a tremare ancora. Lo infilai nel cappotto, stringendolo per bene e dopo essermi assicurato che non potesse andare da nessuna parte, mi infilai il casco e partii verso casa.
Venti minuti dopo, con il cucciolo stretto al petto, arrivai al mio piano con l'ascensore, accarezzando distrattamente la testolina morbida del cane. Era così indifeso e stava tranquillamente appeso a me, nonostante stesse ancora tremando. Arrivato davanti la porta, un nuovo post-it giallo canarino mi sorprese facendomi sorridere
"Hai visto, piccoletto? Abbiamo posta!" gli feci spostandolo su un braccio per poter staccare il biglietto e inserire le chiavi nella toppa. Una volta dentro, mi concessi un momento per leggerlo
*Oggi non ci siamo visti per tutto il giorno.. è davvero triste abitare a due passi di distanza e sperare in un colpo di fortuna per vedersi. Beh, spero che la tua giornata sia stata migliore della mia. Poi mi racconterai... buona notte, amico vicino. Kurt*
Sospirai felice, posando il biglietto sul tavolo e dirigendomi verso il tappeto del salone. Vi poggiai il cucciolo, che subito si accucciò, raccogliendo zampe e coda sotto il didietro. Ridacchiai intenerito e lo accarezzai ancora.
"Credo proprio di aver sbagliato prima... non sei affatto grigio... sei solo molto sporco!" mormorai mentre lui, coraggiosamente mi annusava la mano e decretava finalmente che andavo bene per le coccole. Non me lo feci ripetere due volte. Mi liberai della giacca che lanciai sul divano e iniziai ad accarezzarlo insistentemente sulla schiena. Pian piano il cucciolo parve sciogliersi perché si allungò, stiracchiandosi per bene, e si avvicinò di più a me, assecondando le carezze e cercando la mia mano. Avevo sempre desiderato un cucciolo tutto per me, ma quella vita assurda che facevo non me lo aveva mai permesso. Per di più secondo mia madre era una stupida perdita di tempo e di denaro. Ma forse lei lo diceva perché i suoi genitori non le avevano mai permesso di tenerne uno, e quindi per dispetto, non ne aveva mai preso uno per me.
"Ok, campione... vediamo cosa c'è in cucina per te!" e detto questo mi allontanai per cercargli qualcosa da mangiare. Non avevo idea di quanto piccolo fosse quel cane, ma sperai vivamente che avesse già fatto lo svezzamento, altrimenti non avrei davvero saputo come fare. Tornai poco dopo in salone con due ciotoline, una piena d'acqua e l'altra con della mela cotta. Avevo letto da qualche parte che i cuccioli, come i bambini, potevano mangiare frutta cotta o passata da piccoli, a patto di non esagerare.
"Spero gradirai la cena, anche perché purtroppo non c'è molto altro!" mormorai ma non trovai nessuno ad aspettarmi. Confuso, poggiai le ciotole in un angolo e mi accucciai sul pavimento per cercarlo. Bene, quella sera mi mancava soltanto il nascondino con il cane, in effetti.
"Ma dove ti sei..." un piccolo guaito mi fece sollevare la testa di scatto e puntare lo sguardo verso il corridoio "No... non mi dire che..." con uno scatto fulmineo, degno dei migliori centometristi, corsi in camera da letto e scoppiai a ridere di gusto davanti alla scenetta che mi si presentò davanti agli occhi: il cagnolino era intento ad abbaiare e a scodinzolare energicamente contro una piccola piramide di vestiti che probabilmente aveva tirato giù dalla sedia, dove li avevo poggiati dopo averli tirati dalla asciugatrice. Probabilmente nella sua testa, quel piccolo cumulo rappresentava una minaccia, e pertanto andava addomesticata. Avrei voluto filmarlo e poi mandarlo a mia madre. Poi le avrei detto
"Guarda, mamma... non è adorabile? Possiamo tenerlo?"
Ridacchiando mi avvicinai al cucciolo e lo sollevai da terra. Me lo portai con il musetto davanti al viso e gli sorrisi
"Senti, senti che voce che hai... abbiamo a che fare con un tenore in fasce!" scherzai e lui in risposta fece un mezzo bau. Lo riportai in salotto poggiandolo davanti alle ciotoline e gliele indicai
"Questa è la tua cena, campione... vedi di fartela piacere!" ma non ci fu neanche bisogno di insistere perché lui parve apprezzare. Si accanì contro la mela, divorandola in meno di un minuto, per poi bere lunghi sorsi d'acqua. E non smise neanche un secondo di scodinzolare.
Recuperai il cellulare dalla tasca e composi un messaggio, continuando a tenere d'occhio il cane che, finito il pasto, era partito alla scoperta del mio soggiorno
*Sei ancora sveglio?*
"Ehi, cane... non lì, che ti fai male!" lo ammonii riacciuffandolo prima che potesse arrampicarsi su una sedia. Era davvero lesto per essere un cucciolo. Lo ritrascinai sul tappeto, sedendomi accanto a lui per fargli altre coccole, nella speranza di tenerlo buono. Un piccolo cinquettio, mi avvisò dell'arrivo di un nuovo messaggio
*Ancora per poco... Daniel mi ha costretto a guardare il dvd di Titanic... adesso so che quando la gente si lamentava del fatto che durasse tre ore.. non scherzava affatto!*
Ridacchiai, rispondendo velocemente al messaggio, e contemporaneamente bloccando la piccola peste pelosa che ritentava la fuga
*Hai tutta la mia comprensione. In cambio però, pretendo un pò della tua al momento!*
Il cucciolo tentò si mordermi la mano per liberarsi, ma aveva dei denti davvero piccoli, e più che altro finì con il farmi il solletico
*Che hai combinato?*
Sorrisi, immaginando la faccia di Sebastian leggendo la mia risposta. Probabilmente perfino Daniel avrebbe messo in pausa l'idillio d'amore tra Rose e Jack per concedersi il suo momento di confusione
*Ho un cane*
"Bene... e adesso guarda che succede!" mormorai al cane che mi guardò piegando la testolina di lato e abbaiando piano. Come immaginavo il mio telefono prese a suonare, facendolo spaventare appena e facendo ridere me
Come volevasi dimostrare...
Accettai la chiamata, lasciando libero il cane di scorrazzare un pò
"Il transatlantico è già affondato?" domandai portando il telefono all'orecchio. La voce di Sebastian mi arrivò appena assonnata ma perfettamente vigile
"Che diavolo significa che hai un cane? Sei impazzito per caso?" mi aggredì sconvolto, ma la voce di Daniel si aggiunse alla sua, notevolmente più elettrizzato
"Dio che bello, Blaine... che razza è? Quanto è grande? Dove lo hai trovato? Ce lo farai vedere, vero?" mi tartassò di domande come sanno fare solo i bambini più piccoli. Scoppiai a ridere di gusto, attirando l'attenzione del cucciolo, impegnato ad aggredire le frange del tappeto
"Daniel, tesoro mio, come diavolo fai ad avere tutta questa energia dopo tre ore di un film del genere?" gli domandò Sebastian sconcertato facendolo sbuffare
"Tanto lo so che ti è piaciuto.. ho visto perfettamente che ti sei commosso quando Jack è morto assiderato nell'Oceano!" si difese il più piccolo, probabilmente colpendolo con qualcosa perché sentii l'altro borbottare un 'ahia!'
"Non mi sono commosso... è colpa dell'allergia, lo sai!" borbottò ancora e lì mi aggiunsi io
"Certo.. la tua allergia è parente della claustrofobia, Bas... compare solo quando ne hai bisogno!" esclamai facendo ridere Daniel
"Ben detto!" si accodò
"Molto divertente... ma vediamo di non cambiare argomento... allora, nano... che diavolo è questa storia che hai un cane?" mi domandò tornando confuso. Io lanciai un'occhiata al cucciolo, ancora nel pieno della sua lotta contro il tappeto sospetto
"Che ti devo dire, Seb... capita che a volte ti trovi davanti qualcosa e pensi 'Ah eccoti, ti cercavo da una vita!' e così è successo stasera con questo cane!" esclamai teatrale, scatenando un momento di silenzio dall'altra parte del telefono. Il silenzio fu interrotto dalla voce di Daniel, nuovamente elettrizzata
"É maschio o femmina?" domandò facendomi ridere
"Non saprei... non ho controllato sinceramente!" risposi sincero
"Eh beh... che aspetti? Forza fallo ora!" mi incoraggiò e allora, dopo aver messo il vivavoce e poggiato il telefono sul tappeto, recuperai il cucciolo che guaì appena indispettito e me lo portai in grembo. Ignorando i gridolini di gioia di Daniel che si esaltava per aver sentito il suo verso tramite il telefono, iniziai la mia ispezione. Ok, da dove si partiva per verificare il sesso di un animale?
"Allora? É una signorina, ci scommetto!" mormorò estasiato Daniel, probabilmente agitandosi sul divano per l'emozione
"Andiamo... se ha deciso di seguire Blaine, deve essere per forza un maschio. Gli animali le percepiscono certe cose!" si oppose Sebastian
"E se fosse gay?" provò ancora il più piccolo, pensieroso. Sebastian sbottò in una risata
"Tanto meglio.. un altro membro da aggiungere al club!" esclamò divertito. Io nel frattempo, ero quasi del tutto sicuro che fosse maschio. O almeno credevo che quel piccolo affarino rosa in mezzo alle gambe fosse... sì, insomma... era maschio, punto!
"Uno a zero per Sebastian!" risposi lasciando libero finalmente il cane, che corse subito di nuovo verso le frange. Il ragazzo esultò
"Lo sapevo. Buon sangue non mente!" esclamò soddisfatto. Daniel sbuffò, ma non perse il suo entusiasmo
"Come hai intenzione di chiamarlo?" domandò ancora
"No, no... niente nomi. Domani lo porto al canile. Non posso tenerlo!" sentenziai scuotendo la testa, provando a far capire allo stesso tempo anche al cucciolo accanto a me di non affezionarsi troppo al tappeto, perché non glielo avrei di certo fatto portare via.
"Come no? Ma questa è un'ingiustizia, Blaine... non puoi fare una cosa del genere a quella povera creatura!" si lamentò Daniel sconvolto. La sua voce mi arrivò particolarmente acuta all'orecchio, segno che avesse rubato il telefono dalle mani di Sebastian per parlarmi più chiaramente
"Daniel... lo sai che a casa ci sto poco e niente! Come pensi possa accudire un cane se a malapena riesco a trovare del tempo per badare a me stesso?" gli feci presente passandomi una mano tra i ricci, stanco morto
"Per una volta sono d'accordo con il nano!" mormorò Sebastian
"Ti daremo una mano noi.. gli porteremo da mangiare quando tu sarai al lavoro o potremmo perfino portarlo al parco, che ne dici Seb?" domandò su di giri
"Ma neanche per idea... non faccio il baby-sitter di nessuno, figurati se mi metto a perdere tempo dietro ad un sedere peloso... no Signore!" sentenziò sconvolto e risoluto. Quello che accadde dopo potei soltanto intuirlo, perché la voce di Sebastian si fece sempre meno dura
"No... è inutile che mi guardi con quegli occhi da triglia... quando dico no è no!" mormorò, ma sentivo anche io quanto fosse ad un passo dal cedere. Così, ridacchiando accarezzai il cucciolo e mi beai degli ultimi lamenti di Sebastian fino a che non cedette completamente
"Ok, ok... magari un paio di volte a settimana, si può anche discutere!" si arrese e Daniel esultò
"Hai visto, Blaine? Non devi preoccuparti... saremo un trio di papà sensazionali e il cucciolo sarà il più fortunato del mondo!" esclamò entusiasta e per un attimo ci credetti anche io. Immaginai come sarebbe stato bello avere una presenza scodinzolante in giro per la casa e di quale sensazione potesse trasmettere tutte le volte che fossi ritornato. In fondo, era stato stesso Sebastian a suggerirmi di prendermi un cane, quando mi aveva mostrato l'appartamento, dunque... che male c'era se per una volta gli davo retta?
"D'accordo, ragazzi... ne riparliamo domattina. Adesso sono stanco morto e ho solo voglia di buttarmi nel letto!" informai con uno sbadiglio
"Bene, la notte porta consiglio!" fece Daniel soddisfatto
"Ehi, B... chiedi al cane se preferisce stare sotto o sopra. Così iniziate a porre le basi per una solida convivenza!" scherzò Sebastian ma io non gli diedi retta, augurando ad entrambi la buonanotte e chiudendo la conversazione. Sospirai alzandomi - con molta fatica, lo ammetto! - e strisciando i piedi mi diressi in bagno per lavarmi i denti. Era stata una lunga giornata e l'indomani si prospettava nello stesso identico modo. La Domenica era così lontana, maledizione. Se solo pensavo che la sveglia sarebbe suonata soltanto dopo poche ore, mi veniva da piangere. Avevo così bisogno di dormire, che avrei mandato volentieri al diavolo tutto, pane e casse d'acqua, per passare un'intera giornata nel letto a fare niente. Avrei recuperato il sonno perso così, no?
Sbadigliando attraversai il corridoio ma l'abbaiare leggero del cucciolo mi attirò di nuovo in salone. Il piccolo animale aveva abbandonato la sua guerra personale contro il tappeto per prendersela con qualcos'altro. Mi avvicinai e gli strappai dalle zampe pelose l'oggetto in questione. Era il post-it di Kurt, quello che avevo trovato rientrando, probabilmente quella peste lo aveva fatto cadere per terra.
"Ehi, campione... grazie per avermelo ricordato!" mormorai con un sorriso. Recuperai un post-it arancione dal blocco e scrissi veloce una risposta che poi corsi ad appiccicare alla sua porta, facendo il prima possibile, onde evitare che il cane scappasse.
Dopodiché mi diressi in camera da letto, mi liberai dei vestiti e mi fiondai sotto le lenzuola, mugugnando soddisfatto. Quello era il mio momento preferito della giornata, in assoluto. Liberarsi del peso e della costrizione degli abiti, per abbandonarsi alla debolezza e alla stanchezza. Durante il giorno non era concesso. La notte era perfetta invece. Perfino uno come me, impegnato fino alla punta dei ricci, poteva concedersi questo lusso.
Non passò molto prima che un leggero guaito mi giunse chiaramente dalla destra. Mi coprii la testa con il cuscino, sperando di scacciarlo, ma niente, quello continuò fino a diventare più insistente. Così, sbuffando mi affacciai dal bordo del letto ritrovandomelo seduto, con la coda arrotolata su un fianco, la testolina rivolta verso il letto e gli occhi grandi e lucidi.
Dannazione... adesso so cosa intende Sebastian quando dice che ogni tanto tiro fuori lo sguardo da cucciolo abbandonato per ottenere ciò che voglio...
Sorridendo divertito, lo afferrai e lo misi sul letto, al mio fianco, accarezzandolo piano
"E d'accordo, piccolo... stasera dormi qui... domani decideremo cosa farne di te!" mormorai con un sospiro mentre lui si accoccolava con la testolina sulla mia mano e chiudeva gli occhi. Subito seguii il suo esempio, e per la prima volta dopo tanto tempo, quel letto a due piazze non mi sembrò poi tanto grande.



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Capitolo 9
*** Coinquilini ***


Buon salve a tutti e soprattutto buon Mercoledì ^^ Fa un caldo bestiale ma questo non mi ferma (niente mi ferma ormai XD) quindi eccomi qui. Prima di tutto waw... quante belle recensioni ha ottenuto lo scorso capitolo *__* (scommetto sia merito del piccoletto peloso, eh? ^^) sono davvero lusingata grazie a tutti. Spero che anche questo capitolo piaccia anche se.. ecco.. potreste come dire.. iniziare seriamente a sviluppare un certo istinto omicida nei confronti di un certo personaggio.. O__o spero che la vostra ira non si ripercuota su di me (io non c'entro XD) e se volete un consiglio.. leggete con attenzione la seconda parte... lì ci sono i primi segni di.. squilibri ormonali ^^ bene, non vi dico più nulla quindi mi vaporizzo.. grazie ancora a tutti siete i miei angeli :* ci vediamo Sabato con l'aggiornamento (fissiamo i giorni Sabato e Mercoledì così nessuno si preoccupa.. nel caso dovessi ritardare vi faccio sapere!)
p.s. Un grazie particolare alla mia artista (Tamara, sempre lei ^^) per la magnifica immagine qui sotto.. ti adoro, lo sai <3




New York City. 23 Marzo 2012. Ore 08.40 A.M. (Venerdì)


Quella mattina stranamente David mi aveva chiamato e chiesto di fare colazione assieme prima di andare a lavoro. Avrebbe dovuto portare a termine il servizio fotografico dunque avremmo fatto la strada assieme verso l'agenzia. Mi era parsa una richiesta assurda. Mai, in quattro anni, mi aveva chiesto di fare colazione assieme, anche perché lui normalmente si svegliava non prima delle dieci ed io a quell'ora ero già in pieno fermento. Quindi curioso al massimo, avevo accettato, seppure titubante, e in quel momento stavo finendo di prepararmi, perché a momenti sarebbe arrivato. Non seppi dire con certezza se fossi felice o meno. Probabilmente avrei potuto stabilirlo soltanto una volta seduti al tavolino del bar, dopo averci parlato. In teoria, dopo la semi-discussione avuta sul set fotografico il giorno prima, io ero ancora arrabbiato con lui. Non ci eravamo più detti nulla, né tanto meno lui si era degnato di chiedermi scusa. Nessun messaggio della buonanotte, nessuna chiamata pacificatrice. Un semplice messaggio - molto freddo in realtà - il giorno dopo, in cui mi chiedeva se volessi fare colazione con lui prima del lavoro. Evidentemente la coda di paglia gli era cresciuta troppo e iniziava ad essere fastidiosa.
Il suono del citofono mi sorprese proprio mentre stavo recuperando la tracolla e così corsi a rispondere
"Sì... arrivo!" lo avvisai e lui grugnì in risposta.
Perfetto... è già di ottimo umore a prima mattina...
Con un sospiro recuperai le ultime cose e chiusi la porta. Senza pensarci troppo sollevai gli occhi e sorrisi da solo alla vista dell'ennesimo post-it di Blaine. Quella volta aveva optato per l'arancione. Mmm... dovevo ricordarmi di comprare un nuovo blocchetto, perché i miei erano soltanto gialli. Lui almeno aveva più varietà. Lo staccai con il cuore in gola, stranamente elettrico e lo lessi avidamente
*Buonasera/Buongiorno, amico vicino... facciamo dei lavori terribili, rassegniamoci all'idea :( comunque sia, io questa sera non dovrei andare al pub, quindi se tu ne hai voglia, ma soprattutto sei libero, possiamo vederci a casa mia intorno alle otto. Se ci sei bussa pure, mi trovi qui :) ah... devo presentarti qualcuno, vedrai... ti piacerà ;) Buona giornata, sperando sia migliore di quella di ieri! B*
"Deve presentarmi qualcuno? E chi sarà mai?" mi domandai curioso, accarezzando il biglietto con il pollice, e avvertendo sotto i polpastrelli i leggeri solchi lasciati dalla penna. Sorrisi, felice che quella piccola ed innocente corrispondenza continuasse senza problemi e mi infilai il post-it nella borsa. Credevo fermamente che quella cosa ci rendesse estremamente più vicini di quanto non fossimo già, e poi ci permetteva di tenerci sempre in contatto, nonostante gli orari tanto diversi. Dovevo ricordarmi di chiedere il suo numero, così... tanto per aggiungerne un altro alla rubrica.
Entrando in macchina di David la prima cosa che mi colpì fu l'assurda puzza di fumo, testimoniata da una densa nuvoletta grigiastra
"Ti sei messo a fumare adesso?" gli domandai infastidito, aprendo immediatamente il finestrino per cambiare l'aria. Se c'era una cosa che odiavo era la puzza di fumo impregnata sui vestiti. Mi disgustava e questo David lo sapeva
"Dio, Kurt... che palle! Quando fai così sembri mia madre!" si lamentò mettendo in moto. Ecco, perfetto. Niente sorrisi, niente bacio del buongiorno, niente complimenti sul outfit scelto. Ma d'altronde, cosa mi aspettavo? Stupido io a crederci ancora.
"Fa come vuoi, Dave... la vita è tua, ed hai tutto il diritto di rovinartela! Ti prego solo di risparmiare la mia!" sbottai allacciandomi la cinta per poi portare il viso verso il finestrino aperto per respirare aria pulita. Lui quella volta non rispose e rimanemmo in silenzio per cinque isolati fino a che non fermò la macchina davanti ad uno Starbucks. Il mio stomaco esultò riconoscente. Feci per scendere quando la sua mano mi bloccò
"Aspetta vado io... solito cappuccino decaffeinato in tazza grande?" mi domandò. Io sgranai gli occhi, non tanto perché finalmente era riuscito a memorizzare il modo in cui prendevo il caffè - lo stesso da quattro anni - ma perché avevo finalmente realizzato che, fare colazione assieme, significava consumarla in macchina. Durante il viaggio verso il set. Nessun tavolino, nessun cameriere sorridente a prendere l'ordinazione, nessuna fila al bancone dei dolci, o indecisione su cosa prendere. Solo uno stupido cappuccino in tazza grande da consumare in auto. Con l'unica magra consolazione che si sarebbe trattato di un decaffeinato.
Abbassai la testa, mentre avvertivo chiaramente il cuore perdere qualche battito per la scottante delusione e gli occhi bruciare fastidiosi.
"S-sì, grazie!" mormorai in risposta e non ebbi neanche il coraggio di chiedergli almeno di portarmi anche un cornetto, che lui sparì all'interno. Desolato, mi strofinai gli occhi per asciugarli un pò, e mi accasciai ancora di più al sedile. Era amarezza quella che avvertivo chiaramente nello stomaco, bruciava più di un acido. Era corrosiva, senza ombra di dubbio.
Con un sospiro mi persi qualche istante a contemplare le persone comodamente sedute all'interno del locale, con il loro bicchieri con logo del bar e i loro dolciumi ipercalorici. Avrei mandato al diavolo la mia dieta ferrea per uno di quelli. Ma non era solo il cornetto a mancarmi in quel momento. Mi mancava la complicità che la coppia sulla destra sembrava avere, la leggerezza che trasmetteva il gruppetto di ragazze al centro del locale, il sorriso che si scambiavano mamma e figlia al tavolo accanto al pilastro. Mi mancava tutto quello e a quanto pareva dovevo farci il callo perché secondo David meritavo semplicemente un misero cappuccino decaffeinato in tazza grande. E forse, aveva ragione lui.
Inconsapevolmente infilai le mani nella borsa che avevo poggiato sulle gambe e tirai fuori il post-it, appena stropicciato di Blaine. Mi costrinsi a pensare ad altro, ad immaginare chi fosse la persona che mi avrebbe presentato quella sera, e quanti sorrisi destabilizzanti mi avrebbe rivolto. E quello parve aiutare perché mi ritrovai a sorridere beato e a riempire con quel calore, un pò dello spazio nello stomaco, lasciato vuoto dal cornetto.

New York City. 23 Marzo 2012. Ore 07.50 P.M. (Venerdì)

Ma quanto diavolo arrivavano le otto? Era più di mezz'ora che fissavo impaziente l'orologio ma pareva scorrere a rallentatore quella sera. Sicuramente lo faceva di proposito, non c'erano altre spiegazioni. Ero uscito dal lavoro facendo una corsa, con la paura di arrivare tardi, ma la dea bendata sembrava essere dalla mia parte perché mi aveva fatto trovare in orario perfetto per entrambe le coincidenze della metropolitana. Quindi ero arrivato a casa con mezz'ora di anticipo e le otto sembravano ancora così lontane.
Ero tentato di infischiarmene e di correre al suo appartamento e bussare ugualmente, ma mi trattenni. Se su quel biglietto mi aveva scritto quell'orario, ci sarà stato un motivo, no? Magari prima era impegnato o avrebbe avuto ospiti. Magari uno di quegli ospiti sarebbe stata proprio la persona che avrebbe dovuto presentarmi. Magari era un ragazzo. Il suo ragazzo.
Ok, perché mi sto agitando all'idea? Perché sono un idiota, ecco perché...
Impaziente lanciai un'altra occhiata all'orologio appeso in salotto che mi annunciava ancora nove minuti alle otto. Per scrupolo controllati anche l'orario sull'iPhone, ma il mio telefono si dimostrò ancora più perfido perché di minuti lì ne mancavano addirittura dodici.
Sbuffando andai in bagno per specchiarmi ancora e controllare che i capelli non si fossero ammusciati per l'ansia. Che poi, pensandoci... non sarebbe stato troppo assurdo presentarsi esattamente alla sua porta alle otto spaccate? Blaine avrebbe potuto pensare che mi fossi impiantato davanti all'orologio come un maniaco e fossi scattato allo scoccare dell'ora x. Che poi in effetti era ciò che stava succedendo, ma non mi sembrava il caso di farglielo sapere. Quando solitamente si danno gli appuntamenti - oddio, perché quello era un appuntamento? - ci si aspetta sempre che l'altro ecceda un pò con l'orario. Si dice le dieci ma ci si vede alle dieci e dieci, no? Quindi avrei dovuto inserire almeno qualche minuto altrimenti avrei fatto una pessima figura. Frustrato tornai in salotto e ricontrollai l'orario. Mancavano cinque minuti. Bene, se a quei cinque ne avessi aggiunti... tipo... altri dieci? No, troppo... sarei passato per un ritardatario e per uno poco interessato alla nostra amicizia e poi non avrei resistito ancora così tanto. Quindi decisi di optare per una via di mezzo. Quattro minuti in più potevano anche andare, erano un ottimo compromesso.
Bene, alle otto e zero quattro busserò alla sua porta e...
Il campanello suonò all'improvviso facendomi sobbalzare e mi scappò perfino il telefono dalle mani, che per fortuna cadde sul divano. Con il cuore in gola, sperando che non fosse né Rachel né tanto meno David - delle sue improvvisate quel giorno ne avevo fin sopra i capelli - aprii la porta. Mi ritrovai davanti un paio di occhi color caramello, ed un magnifico sorriso allegro.
"Ehi... ma allora ci sei!" esclamò contento. Persi un paio di anni e forse anche un pò di dignità a causa dei suoi occhi luminosi e del sorriso con tanto di fossette sulle guance e feci una fatica immane per trovare la voce e i vocaboli grammaticalmente esatti per rispondergli
"S-sì... sono... qui!" mormorai stupidamente facendolo ridacchiare
"Lo vedo!" rispose indicandomi ed io arrossii dandomi dell'idiota. Bene, ottimo inizio di conversazione
"Non ho trovato nessun post-it sulla porta tornando a casa quindi ho immaginato che la tua fosse una risposta affermativa!" mi disse allegramente stringendo appena gli occhi per permettere al sorriso di allargarsi ancora di più. E permettere al suo viso di diventare ancora più bello.
"Oh... sì, certo, era... mi piacerebbe... insomma..." maledizione, che diavolo di fine avevano fatto tutte le parole immagazzinate nel mio cervello? Suicidate con i neuroni? Sarei riuscito entro fine serata a mettere insieme un paio di sostantivi e qualche verbo per una frase di senso compiuto, o avrei dato ulteriore dimostrazione a Blaine di quanto fossi idiota?
Per mia fortuna si limitò a sorridermi incoraggiante e mi indicò l'appartamento alle sue spalle
"Coraggio... chiudi tutto e seguimi!" e detto questo aspettò che recuperassi chiavi e telefono per poi entrare in casa sua.
Varcando la soglia, avvertii chiaramente un delizioso odore di vaniglia, probabilmente bagnoschiuma che mi fece sospirare beatamente. Blaine e la sua casa profumavano di buono, che bella scoperta che avevo fatto. Mi guardai attentamente attorno, alla ricerca della misteriosa persona della quale avrei dovuto fare la conoscenza. Ma, a parte me e lui, in quella casa sembrava non esserci più nessuno
"Allora... sul biglietto mi hai scritto che avresti dovuto farmi conoscere una persona..." indagai sorridendo e lui, che era visibilmente più elettrizzato di me, si aprì in un sorriso. L'ipotesi del fidanzato nuovo si faceva sempre più concreta.
"Sicuro... aspetta qui... lo rendo presentabile prima di fartelo conoscere!" e con lo stesso sorriso splendido scappò - letteralmente - in camera da letto. Sospirai, leggermente a disagio. Ok, probabilmente era andato a dire al suo nuovo ragazzo di rivestirsi perché... sì insomma, se era in camera da letto, era chiaro fosse nudo. Beh, si trovava a casa del suo fidanzato, sarebbe stato più che normale, no?
Che idiota... ed io che mi sono perfino messo a contare i secondi sull'orologio...
"Bene... qui è tutto pronto!" annunciò la voce elettrizzata di Blaine dal corridoio. Provai a mettere da parte l'inspiegabile delusione che sembrava nascermi gradualmente nel petto, e tentai un sorriso impaziente
"Kurt... sono lieto di presentarti il mio nuovo coinquilino..." e fece un gesto teatrale, forse in attesa che qualcuno a quell'annuncio uscisse dalla stanza. Cosa aveva detto? Coinquilino? Oh mio Dio. Era più grave di quanto avessi pensato. Erano già andati a convivere. Progettavano già un futuro insieme. E da quando andava avanti quella storia? Perché ne venivo a conoscenza solo ora? E perché diavolo mi sentivo tanto deluso? Blaine era mio amico, non doveva di certo rendermi conto di ciò che faceva, della sua vita sentimentale. Ci conoscevamo da troppo poco per pretendere molto altro rispetto a quello che già avevamo. E quindi perché mi facevo tutti quegli inutili problemi?
"Cooper!" annunciò entusiasta, ma dalla porta non uscì nessuno.
Mmm... Cooper... già sento di odiarlo... davvero un nome pessimo...
"Coraggio... non essere timido!" lo incoraggiò Blaine, e fu davvero strano perché i suoi occhi puntarono verso il basso. Cosa diamine stava guardando? Proprio quando ormai avevo iniziato a pensare seriamente male, qualcosa accadde. I miei occhi catturarono un movimento, molto in basso, ed avvertii chiaramente il cuore fermarsi nel petto e stringersi in una piacevole morsa.
Un piccolo cucciolo di Labrador bianco, con un buffo nastrino blu legato al collo a mò di fiocchetto, avanzava timidamente nel corridoio, sculettando leggermente e sbandando appena. Non appena mi vide si bloccò, in mezzo al corridoio e si sedette pesantemente a terra per studiarmi. Piegò la testolina di lato, facendo sì che il fiocco si spostasse verso l'alto e mosse una zampetta per grattarsi il fianco solleticato dal nastrino.
"Oh mio... Dio.." mormorai mentre le labbra mi si stendevano in un sorriso intenerito ed emozionato. Non avevo mai visto un cucciolo tanto piccolo e dolce. Era... oh mio Dio, era bellissimo.
"Forza, Coop... fatti vedere dal nostro vicino... non fare il maleducato!" lo incoraggiò ancora Blaine spingendogli un pò il fondoschiena con una mano. Il cane fece un verso infastidito, ma si mosse avanzando verso di me. Istintivamente mi piegai sulle ginocchia per poterlo accarezzare ma lui, molto diffidente non si lasciò toccare, limitandosi a farmi un giro attorno, annusandomi attento. Io lo lasciai fare, reprimendo l'impulso di posare le mani su quel meraviglioso pelo lucido e straordinariamente bianco, che sembrava morbidissimo. Finita la sua ispezione, si accomodò di fronte a me, ed abbaiò.
"Credo sia il suo modo per dirti che sei ok... che puoi accarezzarlo!" mi informò Blaine avvicinandosi. Io non me lo feci ripetere due volte. Allungai una mano e gliela portai sulla testolina. Avevo ragione... era morbidissimo. E dannazione, profumava. Era lui a profumare di vaniglia, segno che fosse reduce di un recente bagnetto. Mi sedetti meglio a terra, infischiandomene dei miei costosi jeans firmati e della ipotetica polvere, e presi ad allisciargli il pelo della schiena. Lui, soddisfatto si avvicinò, accoccolandosi con le zampe sulla mia gamba. Ridacchiai divertito
"Ma sei un coccolone allora..." mormorai colpito e alla mia risata si aggiunse quella allegra e distesa di Blaine.
"Oh sì... vedessi le feste che mi ha fatto quando sono tornato a casa questo pomeriggio!" mi confermò poggiandosi allo schienale del divano e guardando teneramente il cucciolo
"Dio, Blaine è... bellissimo!" mormorai incantato grattandogli un orecchio "Chi te lo ha dato?"
"Nessuno in realtà... l'ho trovato!" rispose scivolando a sedere accanto a me a gambe incrociate
"L'hai trovato?" domandai alzando gli occhi. I suoi erano ancora fissi sul cane, e ne sembrava completamente rapito.
"Ieri sera... sono uscito dal pub e me ne stavo tornando a casa quando ho sentito dei rumori strani dietro ad un cespuglio. Sono andato a controllare e ci ho trovato lui... insieme a due ragazzini..." mormorò stringendo le mani a pugno. Sembrava nervoso. Come se qualcosa in quel ricordo lo infastidisse terribilmente. Lo guardai stranito, cercando di capire, mentre il cucciolo gli si avvicinava per farsi coccolare da un altro paio di mani. Blaine lo sollevò da terra e se lo posò in grembo. Era strano, sembrava non volesse continuare a raccontare, si era inspiegabilmente bloccato. Lo osservai attentamente, la serenità che gli si leggeva sul volto era leggermente sporcata da una strana durezza dei lineamenti, dovuta a qualcosa che ancora ignoravo. Provai a capire da solo a cosa si stesse riferendo. Aveva detto che il cucciolo era da solo, assieme a due ragazzini, dietro ad un cespuglio, e che si sentivano dei rumori. Vuoi vedere che...
"Oh Santo... gli stavano facendo del male, non è vero?" domandai in un soffio, sconvolto. Blaine mi guardò, con lo sguardo colmo di gratitudine, probabilmente per avergli risparmiato la fatica di dirmelo. Annuì lentamente senza distogliere lo sguardo dal mio.
"Non ci credo...." sussurrai disgustato. Guardai il cucciolo accoccolato tra le gambe di Blaine, il piccolo muso schiacciato nella sua mano e la coda che gli accarezzava distrattamente un braccio. Era così piccolo e indifeso. Mi venivano i brividi al solo pensiero che qualcuno potesse anche solo pensare di fargli del male
"É la verità purtroppo... dovevi vederli, Kurt... due ragazzini annoiati e presuntuosi che credevano di divertirsi molestando una povera bestia innocente che non avrebbe mai potuto difendersi!" esclamò furente scuotendo la testa. Il cucciolo, forse avvertendo il suo cambio d'umore, si agitò appena, ma io prontamente allungai una mano per accarezzargli le orecchie e tranquillizzarlo
"É orribile!" mormorai scioccato. Che male poteva mai avergli fatto quel cucciolo? Perché prendersela con lui se le loro serate risultavano noiose e non sapevano come altro divertirsi? Classici teppistelli da quattro soldi. Si inizia sempre così, torturando qualche lucertola, maltrattando un cane o un gatto e poi si passa alle rapine a mano armata nei discount di periferia. Ma in che razza di civiltà vivevamo? Che diavolo suggeriva loro il cervello, se mai ne avessero avuto uno?
"Beh è stato fortunato, no? Alla fine ha trovato te!" esclamai sorridendo, cercando di risollevare un pò l'umore di tutti, incluso il cane. Blaine per la seconda volta mi guardò riconoscente e riuscì perfino ad aprirsi in un sorriso
"Oppure sono stato fortunato io a trovare lui!" rispose grattandogli la pancia. Ridacchiai, intenerito dall'espressione buffa che il cucciolo aveva messo su e per i leggeri guaiti di gioia che emetteva di tanto in tanto
"Quindi hai deciso di tenerlo?" domandai in tono speranzoso. La successiva domanda sarebbe stata, se e quante volte a settimana avrei potuto fargli visita. Quel cane era troppo tenero per riuscire a staccarsene. Blaine ridacchiò
"Non penso di aver avuto altra scelta. Tra i suoi occhietti teneri e le richieste disperate di Daniel, non sono riuscito a tirarmi indietro!" sospirò divertito. Trattenni un urletto di gioia, ma il sorriso vittorioso quello no, quello lo liberai senza problemi. Lui se ne accorse e ricambiò all'istante
"Come hai detto che si chiama?" domandai curioso e lì scoppiò di nuovo a ridere, completamente dimentico dei ragazzini e delle loro bravate
"Cooper!" esclamò fiero. Il cane, quasi avesse capito che quello era il suo nome, alzò la testa, la girò appena per vedere se c'era qualcosa di nuovo o di anomalo, ma non trovando niente, tornò ad accucciarsi con un sospiro
"Cooper? Come... cioè... perché..." proprio non mi riusciva formulare una domanda sensata. Lui però non si offese affatto scoppiando in un'altra leggera risata
"Mio fratello si chiama così!" mormorò tranquillamente. Aspetta... Blaine aveva un fratello?
"E tu chiami un cane... con il nome di tuo.. fratello?" ero confuso, davvero. Cos'era quello.. un dispregiativo per il cane o un complimento per suo fratello? Ridacchiò di gusto, passandosi una mano tra i ricci
"Sì, lo so, è strano... e ti sembrerà anche infantile, ma... in un certo senso credo di averlo fatto per dispetto... nei suoi confronti!" mi spiegò serenamente. Ovviamente non ci fu bisogno che specificasse per capire che si stesse riferendo al fratello e non al cane.
"Dispetto?" domandai confuso. Probabilmente quelle erano questioni personali ed io mi sarei dovuto fare i fatti miei. Ma sì sa, la curiosità era donna ed io in occasioni tipo quella tirava fuori la mia parte femminile
"Beh, vedi.. io e Cooper non abbiamo mai avuto un rapporto facile. Ci sono parecchi anni di differenza a separarci e lui non ha mai perso occasione per mettermi i bastoni tra le ruote o cercare di sminuirmi agli occhi degli altri. Io per lui sono sempre stato l'eterno secondo, il fallito di casa e questo ovviamente, crescendo, non è affatto cambiato, anzi!" si prese una pausa per concentrarsi nel ricordare qualcosa "Pensa che... da quando mi sono trasferito qui a New York, non è mai venuto una sola volta a trovarmi. Ha sempre trovato scuse, il più delle volte davvero assurde e non si mai nemmeno degnato di invitarmi giù in California da lui. Ormai ci si vede soltanto per le feste comandate e neanche con piacere a dirla tutta. Sembra... sia costantemente infastidito da me, sembra non gli importi niente della mia vita o delle mie emozioni. Non si è mai risparmiato un commento cattivo e mai, in venticinque anni gli ho sentito dire che
ero stato bravo o che mi voleva bene. Eppure dovrebbe essere.. naturale, immagino... siamo fratelli, no?" e chiese conferma girandosi verso di me. Ero letteralmente spiazzato. Non solo avevo appena scoperto che, in un punto imprecisato della California, Blaine aveva un fratello di nome Cooper, ma che quest'ultimo era tutto tranne che un fratello. Era davvero strano, ma non riuscii neanche per un attimo di dubitare delle sue parole. Le presi immediatamente per vere, ma per l'imbarazzo abbassai gli occhi
"Non saprei... sono figlio unico!" mormorai stupidamente, arrossendo. Blaine sospirò tornando a guardare il cucciolo ormai addormentato
"Io però gli voglio bene... non riesco a non volergliene e vorrei tanto che.. una sera di queste mi chiamasse per chiedermi come me la passo o semplicemente per fare due chiacchiere. Io probabilmente gli parlerei perfino del cane e del fatto che ha il suo nome. Chissà come la prenderebbe..." si domandò con mezzo sorriso, per poi ridacchiare "Ci scommetto che inizierebbe ad urlarmi improperi in ogni lingua... sarebbe davvero tipico di lui!" e scosse la testa divertito. Lo guardai assorto, davvero dispiaciuto di vederlo così triste e malinconico per la mancanza di un affetto che gli spettava di diritto ma che non aveva mai ricevuto. Si vedeva chiaramente quanto il fratello gli mancasse, ma sospettavo che per lui fosse stato già un grande sforzo ammetterlo. Le parole mi scapparono dalla bocca prima che potessi controllarle
"Perché non lo chiami tu, invece di aspettare che sia lui a farlo?" gli domandai arrossendo subito dopo. Ma io dico.. perché non mi sigillavo le labbra e non mi limitavo ad annuire e a farmi un pacchetto di cazzi miei? Gli occhi di Blaine saettarono nei miei, facendomi arrossire ancora di più. E proprio quando avrei giurato fosse sul punto di mandarmi al diavolo, lo vidi arrossire a sua volta e mordersi un labbro
"Io... ecco... non saprei..." si mangiò un paio di parole, ma il senso più o meno era chiaro. Moriva dalla voglia di farlo ma qualcosa pareva bloccarlo. Forse l'orgoglio o molto più probabilmente la paura di un ennesimo rifiuto. Ma era chiaro che mai nessuno avesse insistito più di tanto con lui perché altrimenti avrebbe ceduto molto prima. Provai ad immedesimarmi nei panni di un amico di vecchia data - tipo Sebastian - e di trovare il consiglio migliore da dargli. In quel momento, quello più sensato, sembrava anche quello più rischioso
"Non pensarci troppo, Blaine... prendi il telefono e fallo!" suggerii diretto e conciso. Lui mi guardò sgranando appena gli occhi
"Ora?" domandò confuso. Io annuì deciso e lui con un sospiro profondo mi passò il cane per poi alzarsi e sparire in camera da letto. Avevo immaginato volesse un pò di privacy, come era comprensibile che fosse, così abbracciando delicatamente il cane - il piccolo Cooper - mi alzai da terra e andai a sedermi sul divano per stare più comodo, dato che immaginavo si sarebbe trattata di una lunga conversazione. La voce di Blaine, però, mi arrivò proprio mentre mi accomodavo con il cane in braccio, ed esattamente dietro di me
"Ehià, Coop... come... come va?" chiese imbarazzato, mordendosi un labbro. Rimase in trepidante attesa, forse qualche secondo di troppo
"Deve esserci per forza un motivo se ho deciso di chiamarti? Non posso aver avuto semplicemente voglia di sentirti?" sbottò infastidito, alterandosi. Mi girai per guardarlo e tentare di ammonirlo e parve funzionare perché arrossì appena e moderò sensibilmente la voce
"Sono contento che quel regista ti abbia dato la parte alla fine... devi essere stato sensazionale!" mormorò per poi ridacchiare e scuotere la testa "Sì, non lo metto in dubbio!" e la conversazione continuò così, per diversi minuti, senza dubbio molto più tranquillamente di come era partita. Ad un tratto Blaine, dopo essersi fatto coraggio chiese
"Coop... ecco io mi chiedevo se... ti andrebbe di venire a stare un pò da me... magari quando hai finito di girare, per qualche giorno. Tanto qui di posto per te ce n'è!" rimase in trepidante attesa, torturandosi i ricci della fronte e anche io trattenni il fiato. Lui sgranò all'improvviso gli occhi e lì temetti il peggio.
Ecco, gli ha detto di no. Lo sapevo, lo sapevo... è stata una pessima idea e adesso se la prenderà con me, perché sono stato un pessimo amico...
"Woah... è grandioso... certo... allora ci vediamo la prima settimana di Aprile... è... fantastico, davvero!" mormorò con un sorriso luminoso e anche vagamente emozionato. Sospirai felice. Per un momento avevo temuto davvero il peggio
"D'accordo, non vedo l'ora. Ah... Cooper? Devo dirti una cosa, però!" buttò lì la frase, aggirando il divano e sedendosi accanto a me e al cane per accarezzarlo sulla testa "Ecco, io non vivo più da solo... ho un coinquilino. É uno splendido cucciolo di Labrador di tre mesi e indovina un pò... l'ho chiamato Cooper!" ci guardammo negli occhi per un istante mentre dall'altro lato del telefono scendeva un assurdo silenzio. Scoppiammo a ridere entrambi di gusto, comprendo quasi completamente le grida indignate del povero Cooper. Quello vero però.
 


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Capitolo 10
*** Il linguaggio di Marc Jacobs e l'irritabilità delle star ***


(...) Marc Jacobs (K) Ola bella gente, eccomi qui puntuale e scattante.. dunque, siamo arrivati a quota dieci e me essere felicissima ^^ Ho notato che il piccolo Cooper (il cucciolo, non il fratellone che sclera al telefono XD) è piaciuto a tutti e sono contenta... ci voleva un batuffolo scodinzolante a casa di Blaine e a quanto pare le proteste di Daniel hanno fatto effetto ;) Adesso bisogna vedere se con lui cambierà qualcosa. Ribadisco, David è uno stronzo, ma se può farvi stare meglio, per due o tre capitoli dovrebbe sparire completamente quindi, dolci lettori, tirate un sospiro di sollievo ^^ A questo capitolo ci tengo molto, l'ho scritto quasi all'inizio (si lo so sono strana e non scrivo i capitoli in ordine XD) perché apre una parte della storia importante e perché mette le basi per qualcosa che leggerete fra qualche altro capitolo, quindi un pò di pazienza ^^ Bene, come sempre ringrazio con il cuore in mano tutte le anime pie che mettono la storia tra seguite/ricordate/preferite ma soprattutto alle splendide persone che recensiscono e che mi fanno battere il cuore di gioia, come quando Kurt guarda Blaine, per intenderci ^^ Bene, vi lascio al capitolo, sperando riesca a farvi fare qualche risata e... ci vediamo Mercoledì... un bacione :)
p.s. Una premessa... io non ho niente contro Bon Jovi... sappiatelo prima di inveirmi contro.. ahahahah ;)
n.b. E come sempre un grazie speciale alla mia artista Tamara... ti lovvo <3





New York City. 26 Marzo 2012. Ore 12.50 P.M. (Lunedì)

Stare seduto e riflettere, per uno come me era davvero un privilegio troppo grande, una debolezza che non potevo permettermi. Eppure lo stavo facendo. D'altronde, nessuno dei miei superiori mi vedeva e ad occhi esterni, sarei risultato un semplice collaboratore in attesa di valutare un altro capo proposto da una delle modelle dell'agenzia per cui lavoravo. Per questo avevo deciso di accompagnare Santana presso l'atelier di Marc Jacobs a Bleecker Street di Manatthan. La verità era che morivo dalla voglia di concedermi una pausa, bere un flûte di champagne, e sbirciare qualcosa nel reparto maschile dell'atelier, prima di uscire. Sì, la vita dell'assistente di moda era davvero faticosa.
"Come mi sta?" mi domandò ad un tratto Santana uscendo finalmente dal camerino e mostrandomi un vestito che per poco non mi fece prendere un infarto e sputare ovunque il mio prezioso champagne. Cosa diavolo si era messa addosso? Era un vestito nero, anzi, delle strisce di vestito nero messe a caso su una stoffa argentata, tutto confuso, disordinato, sembrava un grande rotolo di carta igienica. E questo era il commento più carino che riuscissi a trovare
"Oh mio Dio... dove diavolo lo sei andato a pescare questo?" domandai quasi senza voce spalancando gli occhi. Lei, innocentemente si guardò allo specchio non capendo
"Non ti piace?" mi domandò confusa
"Certo che no! Se mi vuoi un minimo di bene vai a togliertelo immediatamente! Santo Cielo... deve essere capitato qui per sbaglio... non può davvero appartenere alla collezione di Marc Jacobs!" e mi passai una mano sulla fronte, agitato e sconvolto. Santana mi guardò perplessa per qualche secondo e dopo un'ultima occhiata sospettosa allo specchio fece come le avevo detto e sparì di nuovo dietro la tenda del camerino. Con un lungo sospiro poggiai il bicchiere sul tavolino accanto alla poltroncina sulla quale ero seduto, e recuperai l'agenda personale che mi portavo sempre dietro. Mancavano soltanto cinque giorni alla serata di beneficenza che la mia agenzia aveva organizzato, e ormai tutto era pronto: gli inviti erano stati spediti per tempo, il catering organizzato, la sala prenotata, il cantante ingaggiato. E a Santana mancava il vestito. Ed io ero lì per aiutarla. Peccato lei cercasse di farmi fuori prima del tempo.
"Questo?" fece dopo qualche minuto, uscendo dalla tenda, un pò intimorita. Quella volta aveva indossato una specie di tunica dal colore poco chiaro, con uno strano motivo quadrettato che le arrivava quasi alle caviglie. Una specie di monaca con un cattivo gusto estetico. Evitai di commentare e assunsi un'espressione piuttosto eloquente
"Non va bene neanche questo, eh?" mi domandò triste, facendo un mezzo giro, forse nella speranza di convincermi. Scossi la testa e lei sospirò
"Non troverò mai nulla che mi piaccia e che allo stesso tempo piaccia anche a te!" mormorò mortificata
"Ti sbagli dolcezza... il tuo problema è che ti lasci guidare da una specie di radar difettoso verso l'orrido. Tu i capi non devi vederli, ma sentirli... loro ti parlano, ti sussurrano dolcemente all'orecchio, ti consigliano!" le spiegai alzandomi e fiancheggiandola
"Ah sì? Beh, forse parlano una lingua a me sconosciuta!" mi rispose sconsolata
"Lascia fare a me!" le dissi facendole l'occhiolino. Lei mi sorrise entusiasta e mi lasciò andare. Iniziai a vagare per il salone, guardando con occhio critico tutti i capi d'abbigliamento.
"Dunque, caro Marc Jacobs... abbiamo una splendida modella taglia 38 da vestire, carnagione ambrata, capelli neri e un pessimo gusto in fatto di vestiti. Cosa hai da propormi?" sussurrai sfiorando un abito nero da cocktail di un elegante tessuto italiano.
"Posso aiutarla?" la voce squillante di una commessa in tailleur nero mi fece sobbalzare. La guardai male, chiedendomi quale incosciente avesse mai permesso ad un'oca del genere di entrare in un tempio così sacro. Non le avevano mai insegnato che quando un cliente era assorto nella contemplazione, non bisognava disturbarlo, per nessun motivo al mondo?
Coraggio, Kurt... cerca di essere quantomeno educato...
"No, grazie... faccio da solo!" risposi ignorando il suo sorriso che lentamente si spegneva deluso. Sapevo che in posti come quelli, le commesse andassero a "commissione" ma purtroppo per lei io ero un intenditore e me ne facevo davvero poco di una personal shopper. Così tornai a dedicarmi alla mia scelta, colpito da un paio di miniabiti dai colori sgargianti. Il viola stava di incanto addosso ad una come Santana.
Proprio quando credevo di aver trovato l'abito perfetto, il mio telefono iniziò a suonare con insistenza. Ecco fatto, mi sembrava strano che per una mattinata intera nessuno si fosse fatto ancora sentire. Sembrava che il mondo non potesse davvero fare a meno di me, per qualche ora. Così, con un sospiro frustrato afferrai il mio iPhone e senza neanche vedere chi fosse, accettai la chiamata
"Kurt Hummel!" esclamai secco, controllando la lunghezza del vestito che avevo scelto e domandandomi contemporaneamente quali scarpe stessero meglio.
"Kurt... sono Kristen... sono passata in sede, ma non ti ho trovato!" mi rispose la voce della pr dell'agenzia.
"Sì Kris, scusa... sono in giro con una modella per una commissione. Cosa volevi?" incastrai il telefono tra l'orecchio e la spalla ed esaminai bene un paio di pochette dello stesso colore delle scarpe che avevo scelto e che stringevo tra le mani
"É successo un mezzo casino, Kurt... anzi, per citare il tuo ragazzo fotografo, siamo nella merda fino alla punta dei capelli!" mi spiegò agitata e la cosa mi preoccupò all'istante, catturando la mia attenzione. Soprattutto perché aveva tirato in ballo David e la cosa non mi piaceva affatto
"Cosa è successo?" domandai allora
"Il cantante per la serata di beneficenza di sabato... ha disdetto un'ora fa!" tagliò corto. Spalancai gli occhi, recuperando finalmente il telefono che rischiava di cadere
"Bon Jovi ha disdetto?" gridai in preda al panico, attirando l'attenzione di tutte le commesse e i clienti di quel reparto. Ma me ne infischiavo, lì eravamo nell'emergenza più totale, c'era poco da essere gentili ed educati
"E perché avrebbe fatto una cosa tanto stupida?" domandai allora
"Non so che dirti... il suo manager ha parlato di disaccordi con l'agenzia e di malintesi irrisolvibili!" mi spiegò pratica. Dalla voce affaticata che aveva, doveva sicuramente essere parecchio indaffarata come al suo solito
"Malinteso un cazzo. Quel suo bel faccino del New Jersey sarebbe costato trentamila dollari all'agenzia. Altro che disaccordi!" strillai inviperito. Avevo trattato io stesso con il manager di quel bastardo, perché il signorino era troppo famoso ed importante per degnarsi di presentarsi ad un incontro di lavoro. Lui - il manager - era sembrato entusiasta e avevamo chiuso le trattative a trentamila dato che non sarei riuscito a scendere di più. Eravamo entrambi soddisfatti e perfino il mio capo mi aveva fatto i complimenti. Adesso non poteva darmi buca, ne avrebbe rimesso il buon nome della mia agenzia, ne avrebbe rimesso la serata di beneficenza, ma soprattutto ne avrei rimesso io. Doveva quanto meno darmi una spiegazione plausibile, e sarebbe dovuto venire Bon Jovi in persona a strisciare da me, per convincermi.
"Sembrava pazzesco anche a me, Kurt... sono stata al telefono con lui fino a dieci minuti fa per cercare di convincerlo, ma sembra irremovibile!" mi spiegò mentre la confusione di New York che la circondava mi arrivava chiaramente attraverso l'apparecchio. Strinsi con forza il vestito tra le mani ed emisi un verso frustrato. Lo sapevo, sapevo che era filato tutto troppo liscio fino a quel momento. Doveva per forza succedere qualcosa altrimenti sarebbe stato fin troppo strano.
Prima di strappare per la rabbia quel prezioso - e costosissimo - vestito, intercettai con lo sguardo l'oca di poco prima e le feci segno di avvicinarsi. Lei obbedì all'istante
"Mi faccia un piacere... porti questo a quella ragazza mulatta che aspetta nei camerini. La riconoscerà dal pessimo senso estetico che la caratterizza, non può sbagliarsi!" e le diedi tutto ciò che avevo scelto fino ad ora. Lei sorrise e si allontanò efficiente.
"Ascolta Kristen... facciamo così: inoltrami il numero di questo incompetente così ci parlo direttamente io. Voglio vedere se ha il coraggio di dire anche a me che ci sono stati dei... malintesi!" masticai con rabbia le parole, poggiando una mano sul fianco
"D'accordo, dieci secondi e sarà tuo. Ah.. Kurt? Grazie... sei un tesoro, come sempre!" e mise giù. Con un sospiro attesi che mi arrivasse il suo messaggio con il numero, e lentamente tornai nel camerino, incrociando la commessa bionda, sorridente e stranamente elettrizzata
"Mi permetta di dirglielo. Ha fatto un'ottima scelta. Le sta d'incanto!" esclamò poggiandomi una mano sul braccio, in un eccesso di confidenza. Stavo per sollevare un sopracciglio infastidito e farle presente che io e lei non avevamo mai mangiato allo stesso tavolo, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Una stupenda versione di Santana, stretta in un miniabito bianco, un paio di vertiginosi tacchi neri ed una borsetta coordinata, mi si era materializzata davanti agli occhi e per qualche istante mi fece dimenticare della rabbia, di Bon Jovi, del suo manager e di quella stupida festa. Sorrisi inconsapevolmente, facendola arrossire
"Allora?" mi domandò avanzando verso di noi, appena intimidita
"Questo... è Marc Jacobs!" esclamai fiero, applaudendo. Scoppiammo a ridere di gusto, inclusa la commessa.

New York City. 26 Marzo 2012. Ore 02.02 P.M. (Lunedì)

"Come sarebbe a dire che erano pochi? Ma lei si rende conto che una cifra del genere potrebbe salvare cinquanta famiglie in Ecuador?" sbottai spazientito, infilzando con la forchetta il mio gamberetto. Santana mi guardava spaventata e divertita allo stesso tempo, gustando l'ottimo vino che il cameriere ci aveva portato. Ci eravamo fermati a mangiare da "Tello" un ristorante italiano con specialità di mare, sulla 8th Avenue. Ma a me sembrava passato l'appetito. Era più di mezz'ora che inveivo al telefono con l'agente idiota di Bon Jovi e l'unica cosa che avevo guadagnato, era una grande mal di testa.
"Sì, capisco perfettamente la portata del nome del suo cliente ma capisco altrettanto perfettamente che lei si è trovato un capo tirchio e estremamente stronzo! Ha presente cosa significano le parole: evento di beneficenza? Beh, io non credo altrimenti non saremmo qui a parlare di raddoppiare il prezzo per una misera serata!" sbattei con forza il pugno sul tavolo facendo sobbalzare la povera Santana e un altro paio di persone. Ok, forse stavo esagerando ma quel tipo e la sua fottuta fedeltà verso un riccone del genere, mi davano sui nervi
"No che non le chiedo scusa per quello che ho appena detto... è quello che penso e sarei disposto a ripeterglielo all'infinito anche perché non so se lo sa, ma mi avete cacciato in un bel casino lei e il suo adorato cantante dei miei stivali. Adesso cosa dico alle trecentottanta persone che tra cinque maledetti giorni arriveranno all'evento aspettandosi di trovare un cantante ad intrattenerli e troveranno soltanto un palco vuoto?" gli domandai furioso ottenendo soltanto altri strilli sconclusionati. Quel tipo doveva ringraziare che ci trovavamo a New York e che otto milioni di persone erano davvero troppe. Altrimenti sarebbe finito veramente male.
"Bene, la ringrazio della pessima professionalità dimostrata. E stia sicuro, farò un'ottima pubblicità di lei e del suo cliente ai personaggi illustri che incontrerò questo sabato. Addio!" e chiusi con forza il telefono scaraventandolo malamente sul tavolino. Grugnii infastidito, e mi poggiai alla spalliera della sedia incrociando le braccia al petto. Parlare con quel tipo ottuso ed arrogante non era servito a niente, maledizione. Ero punto e a capo e mancavano soltanto cinque fottuti giorni.
"Niente, eh?" mi domandò Santana con la forchetta a mezz'aria indicando con il capo il mio telefono ormai muto
"Brutto stronzo bastardo... chi diavolo ti credi di essere? Solo perché hai venduto qualche milione di dischi e hai vinto uno o due Golden Globe questo non ti autorizza a montarti la testa e ad essere tanto taccagno!" inveii contro il mio stesso telefono, quasi stessi ancora parlando con quel tipo
"Quanto aveva chiesto?" mi chiese lei, tranquilla e per niente infastidita dal mio tono agitato
"Sessantamila dollari. Cioè, ti rendi conto? Vieni invitato ad un evento di beneficenza, già questo dovrebbe farti capire che in un certo senso non dovresti neanche pretendere di essere pagato. Ma va bene, ti concedo dei soldi... e ovviamente trentamila dollari, no, seriamente trentamila, non gli bastano perché lui non può di certo impegnarsi una serata intera per due miseri spicci. Ma dico, siamo impazziti? Neanche gli avessimo chiesto di cantare in finlandese mezzo nudo. Bastava strimpellare un pò la chitarra, cantare due canzoni e poi se ne sarebbe anche potuto andare al diavolo!" alzai le braccia al cielo seccato al massimo. Non pensavo di perdere così facilmente il controllo. Normalmente ero una persona calma e ragionevole. Bon Jovi era stato capace di trovarsi un manager che mi aveva fatto perdere calma e ragione in un colpo solo.
"Dio, e adesso chi lo sente Chang!" mormorai in un lamento. Ero sicuro che quella volta mi avrebbe ucciso. E al diavolo lo zen, l'incenso e la buona educazione. Ci avevo messo l'anima e il cuore per organizzare assieme a Kristen quell'evento, non potevo permettermi andasse tutto a rotoli in quel modo. Non per colpa di uno stupido cantante viziato.
"Coraggio, Kurt... non c'è motivo di farsi prendere dal panico, una soluzione si trova sempre!" mi disse Santana, pulendosi la bocca con il tovagliolo. La guardai estremamente male
"No hai ragione... che motivo c'è di disperarsi dopotutto!?" feci allora sarcastico. Lei si aprì subito in un sorriso soddisfatto
"Ecco appunto!"
"No, Santana, tu forse non ti rendi conto!" gridai allora, facendo girare perfino un paio di persone al di fuori del locale, al di là del vetro accanto al quale eravamo seduti "Chang mi ha affidato questo evento perché si fida di me e perché vuole che tutto sia organizzato con cura e con eleganza. Adesso dimmi tu come posso andare da lui e dirgli che all'ultimo momento il cantante che avevo contattato ha disdetto e che per cercare di migliorare la situazione sono arrivato a dargli dello stronzo per telefono!" ero fuori di me, letteralmente
"Sì, in effetti questo avresti potuto risparmiartelo!" mormorò con un sorrisetto divertito, bevendo un sorso del suo vino bianco. Mi lasciai andare ad un lungo sospiro mettendomi le mani nei capelli. E al diavolo la lacca.
"Sono rovinato!" mormorai afflitto, sul punto di scoppiare a piangere. Lo avrei fatto se solo non fossimo stati in un luogo pubblico in cui già metà delle persone mi guardava preoccupata. Santana allungò una mano e mi accarezzò una guancia
"Kurt, ascolta, non sei rovinato. Troveremo una soluzione. Fidati di me!" mi assicurò con un sorriso
"Cosa ti fa essere così sicura?" le domandai scettico.
"Credo in te e nelle tue capacità. Fino ad ora non hai mai deluso nessuno e quello che hai fatto poco fa in quell'atelier ne è stata l'ulteriore prova! Tu hai talento, devi soltanto trovare la forza di riprenderti da questa bella botta, rialzarti e tornare a combattere!" mi disse dolcemente, stringendomi un avambraccio. Mi ritrovai stranamente a crederle
"Trovare un vestito che ti stesse bene in un negozio così fornito e alla moda, non mi sembra poi tanto difficile!" borbottai con l'accenno di un sorriso ad incresparmi le labbra. Lei ridacchiò
"Non contraddirmi Hummel, oppure torno indietro e cambio ciò che ho comprato con il primo vestito che ho visto!" mi minacciò divertita, facendomi ridere.
"Grazie Santana... sei... davvero un'amica!" le mormorai commosso. Lei fece una smorfia bevendo l'ultimo sorso del suo vino
"Non devi ringraziarmi. Lo sai che lo faccio con piacere. Adesso riflettiamo... chi conosciamo che potrebbe sostituire senza problemi Bon Jovi con un così breve preavviso?" domandò pensierosa. Mmm... bella domanda.
Mi sarebbe servito un cantante, quanto meno accettabile e musicalmente dotato, al quale sarebbe andato bene presentarsi ad una folla di persone che acclamavano a gran voce un pezzo grosso come Bon Jovi e che si sarebbe accontentato senza problemi dei trentamila dollari - i famosi due spicci - che era disposta a sborsare l'agenzia. Bella fregatura.
Stavo giusto per far presente a Santana che sarebbe stato più semplice richiamare l'agente di Bon Jovi e implorare a gran voce il suo perdono, quando un'illuminazione mi colpì in pieno.
Ma certo...
"San... credo di aver trovato la persona che fa per noi!" mormorai elettrizzato e incredulo mentre l'idea che mi era venuta iniziava a diventare sempre più fattibile e geniale
"Enrique Iglesias?" domandò curiosa. Io scossi la testa con un sorriso a trentadue denti
"No... meglio, molto meglio!"

New York City. 26 Marzo 2012. Ore 03.50 P.M. (Lunedì)

"Non ho ancora ben capito Kurt... cosa ci siamo venuti a fare qui?" mi domandò confusa Santana avanzando tra i reparti del supermercato, con andatura sicura e disinvolta, mentre mi veniva dietro e allo stesso tempo attirava incredibilmente tutti gli sguardi su di lei. Ecco come aveva fatto Sam Evans a notarla. E meno male che quel giorno non indossava la tuta ma uno splendido pantalone aderente rosso fuoco ed una camicetta a fiori. Tutto firmato Giorgio Armani.
"Stiamo cercando la nostra star!" le risposi semplicemente scrutando furtivo tra uno scaffale e l'altro
"Cerchiamo un cantante in un... supermercato?" chiese scettica, abbassando la voce, quasi fossimo in missione segreta.
"Abbi fede!" mormorai, avventurandomi nel reparto macelleria. Non avevo idea di dove lavorasse precisamente. Probabilmente me lo aveva anche detto ma io ero stato distratto da qualcosa - dai suoi occhi o dal suo sorriso - e non avevo memorizzato il concetto. Peccato che in quel momento ne avessi seriamente bisogno.
Ero quasi tentato di chiedere informazioni ad un ragazzone alto e muscoloso con la divisa verde del supermercato, quando una figura in lontananza che trascinava un pesante carrello stracolmo di casse d'acqua, attirò la mia attenzione.
"Bingo!" mormorai elettrizzato accelerando il passo nella sua direzione. Avvertii il rumore dei tacchi di Santana dietro di me e da un momento all'altro mi sarei aspettato una sua domanda. Ma quella volta non arrivò. Ci avvicinammo al povero e affaticato ragazzo in divisa verde, piegato verso il ripiano dei fardelli dell'acqua. Da vicino ne fui ancora più sicuro: quel ragazzo era bello da mozzare il fiato perfino con quell'orrida divisa addosso. Altro che rotoli della carta igienica. Dovevo ricordarmi di fargli fare un salto nel reparto maschile di Marc Jacobs
"Mi scusi... posso chiederle un'informazione?" esclamai non riuscendo a trattenere un certo sorriso divertito, mentre lui, richiamato all'attenzione si alzava e si preparava a sorridere al cliente
"Cer..." ma si bloccò spalancando appena gli occhi, sorpreso "Kurt? Che... ci fai qui?" e si lasciò scappare un sorriso sorpreso e appena imbarazzato.
"Sono venuto a fare la spesa... cosa c'è, devo chiedere prima il permesso a te per farlo?" risposi provocandolo, facendolo ridacchiare
"No, certo che no... soltanto che TriBeCa è un pò lontana rispetto a Lower East Side e credevo ti fermassi al supermercato all'angolo per rifornirti. Non ti ho mai visto prima da queste parti!" mi spiegò allegro e cordiale. Come sempre d'altronde. Ridacchiai grattandomi la guancia
"Ok, sono poco credibile lo ammetto... ma speravo ti ci volesse un pò di più per smascherarmi!" esclamai facendolo ridere. Lo avevo già detto che era particolarmente bello quel giorno?
"Ehm... Kurt?" la voce di Santana mi giunse alle spalle senza preavviso e subito mi ricordai di lei, del manager di Bon Jovi e del motivo per cui eravamo in quel supermercato di TriBeCa.
"Sì, giusto... Santana, questo è Blaine, il mio vicino di casa e nostro magnanimo salvatore!" esclamai entusiasta indicandolo con la mano. Sia Santana che Blaine ebbero pressappoco la stessa reazione di stupore: spalancarono gli occhi e mi guardarono confusi
"Il tuo vicino?"
"Il vostro magnanimo salvatore?" chiesero infatti prima una e poi l'altro. Sorrisi non potendo farne a meno. Sarebbe stata una lunga conversazione ma ormai il mio cervello era già partito per la tangente e aveva già organizzato tutto perfettamente. Che lui non avesse ancora detto di sì, era un dettaglio davvero irrilevante per me.
"Tra quanto finisci il turno?" domandai a Blaine allora, per tagliare corto. Lui, ancora confuso diede un'occhiata all'orologio che aveva al polso e rispose
"Un'ora!"
"Perfetto. Ci vediamo qui fuori... dobbiamo parlare!" e dopo averlo salutato e avergli augurato buon lavoro con un sorriso radioso che lo lasciò alquanto interdetto, ci dirigemmo verso l'uscita. Solo allora Santana mi rese partecipe dei suoi maliziosi pensieri
"Vicino di casa, eh?" mi domandò con una voce fin troppo divertita
"Sì... perché?"
"É un figo da paura... Dove lo hai nascosto fino ad ora, Kurt?" chiese scettica mentre attraversavamo le porte automatiche e tornavamo nel caos della strada. Io mi inforcai gli occhiali da sole, pronto ad infrangere un altro povero cuore caduto nella trappola caramellata degli occhi di Blaine Anderson
"Mi dispiace dirtelo, bambolina... questo figo da paura, come lo chiami tu... è gay!" le spiegai. Lei scoppiò a ridere ravvivandosi i capelli con le mani
"Oh, ma questo lo avevo capito, Kurt... infatti mi stavo giusto chiedendo cosa aspettassi a mollare David e a provarci con lui. Siete semplicemente perfetti insieme!" esclamò allora. Io la ignorai bellamente recuperando il telefono per rendere partecipe anche Kristen della mia geniale trovata. Il fatto che Blaine non sapesse ancora un bel niente, rimaneva un dettaglio. Lo avrebbe scoperto a breve e avevo come l'impressione che l'assegno a quattro zeri che gli avrei messo sotto gli occhi, lo avrebbe convinto all'istante.
Beccati questa Bon Jovi...  

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Capitolo 11
*** Imparare a splendere ***


(...) Chiacchiere al bar Buon Ferragosto a tutti.. mentre voi passate la giornata fuori tra mare e montagna immagino, io sono qui inchiodata nella mia insulsa cittadina che di "Potenza" non ha proprio niente, ad aggiornare e probabilmente qst sarà l'unico momento bello della giornata, ma sorvoliamo, va ;) dunque, poche parole per dirvi che in questo capitolo vedremo la discussione tra Kurt e Blaine sulla festa (dove Santana farà il terzo incomodo XD) e la successiva decisione del nostro ricciolone preferito... chi ci scommette su di lui? ^^ Bene, capitolo abbastanza lungo e cosa più importante, come vi avevo già accennato.. niente David nei paraggi ;) bene, vi lascio alla lettura, ringraziando come sempre le anime pie che leggono, recensiscono e continuano a mostrarmi il loro affetto.. vi amo di bene ^^ Ci vediamo sabato per l'aggiornamento di uno dei miei capitoli preferiti... vi avverto.. dal prossimo in poi... ci vorrà taaaanto sangue freddo per leggere XD bacioni
p.s. Mi stancherò mai di ringraziare la mia grafica ufficilae, tale Tamara? No, probabilmente no... quindi, grazie tesoro mio :*
n.b Spazio per la pubblicità occulta (che tanto occulta non è, visto che è comunque roba mia ^^ (oggi sono insofferente verso questo aggettivo possessivo Chissà perchè...!): io avere scritto una piccola One Shot nella sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe piacere se ci deste unìocchiata.. ok, pubblicità finita, mi dileguo... ancora auguri a tutti ;)





New York City. 26 Marzo 2012. Ore 05.03 P.M. (Lunedì)

Ero curioso. Da morire. Generalmente non avevo mai saputo trattenermi quando si trattava di sorprese o cose di questo genere per questo chi mi conosceva tendeva a non farmene. Ero un bambino di cinque anni che la maggior parte della volta rischiava di rovinare tutto per una stupidaggine. La maledetta curiosità. Per poco non schiacciai il piede ad un signore con il carrello dell'acqua, distratto com'ero a pensare al mio recente incontro con Kurt. Cosa mai avrebbe dovuto dirmi? Era importante? A giudicare da quanto fosse emozionato ed esuberante avrei immaginato di sì. Non lo avevo mai visto tanto su di giri. E chi era quella ragazza che lo accompagnava? A giudicare da fisico e dai vestiti costosi, doveva trattarsi di una modella ben pagata. Ma d'altronde, con il mestiere che faceva Kurt, era chiaro ne fosse sempre a contatto. E poi mi aveva indicato e aveva detto che ero il loro salvatore? Sì, ma... salvatore di cosa?
Non riuscendo più a trattenermi, alle cinque in punto, corsi in magazzino, mi liberai della divisa e come un pazzo recuperai la giacca ed uscii dal supermercato. Feci un mezzo slalom tra la gente che affollava il marciapiede e in un primo momento, non vedendo né Kurt, né la modella, temetti si fossero stancati di aspettarmi e se ne fossero andati. Ma proprio quando iniziavo ad abbattermi, sentii un richiamo
"Ehi, Blaine? Blaine... siamo qui!" mi girai in direzione della voce, e li vidi, seduti ad un tavolino esterno di un bar dall'altra parte della strada, e sorrisi raggiante. Che sciocco che ero stato. Davvero avevo creduto che Kurt mi avrebbe giocato uno scherzo del genere? Che motivo avrebbe avuto poi? Era stato lui a venirmi a cercare, dunque...
Attraversai la strada secondo il più rigido insegnamento civico, guardando prima a destra e poi a sinistra e li raggiunsi
"Scusaci... nell'attesa ci siamo presi un caffè. Ne vuoi uno anche tu?" mi chiese Kurt indicando il suo bricco di cartone mentre la modella era al telefono con qualcuno. Mi sedetti in mezzo a loro e scossi la testa
"No, grazie, niente caffè dopo l'una!" risposi con un mezzo sorriso, ricordandomi tutte le volte che Daniel mi aveva bastonato, per via del mio eccessivo uso di caffeina. Lui sorrise pratico e rimase in attesa che la sua amica terminasse la chiamata. Solo allora mi accorsi di una cosa: quei due erano vestiti di tutto punto, sembravano appena usciti da un set fotografico ed erano così perfettamente al loro agio in un ambiente tanto raffinato come quel bar. Mi sentii estremamente fuori luogo con il mio insulso paio di jeans e la mia maglietta blu con il cappuccio. Se solo mi avesse avvertito, sarei scappato a casa a cambiarmi e ad indossare perlomeno una camicia. Kurt Hummel mi faceva un brutto effetto.
La modella chiuse la chiamata e si scusò con un sorriso particolarmente cordiale che mi fece sentire ancora più a disagio
"Scusate era il mio manager... a quanto pare il mese prossimo si parte per i Caraibi per un servizio fotografico in costume!" spiegò elettrizzata
"Sam è un grande!" esclamò Kurt bevendo un sorso di caffè
"Sa il fatto suo!" rispose la ragazza annuendo. Io rimasi in silenzio a sorridere imbarazzato. Ero fuori luogo e quei discorsi ne erano la prova. La modella si sbarazzò degli occhiali da sole, che incastrò nei capelli, e mi rivolse un sorriso luminoso - dannazione come facevano ad essere così belle anche senza trucco?
"Allora, direi che è giunta l'ora di presentarsi come si deve, chico!" e detto questo mi porse la mano che afferrai all'istante "Santana Lopez. Modella superpagata da sei mesi!" e lo disse con tale naturalezza che non riuscii a trovarla minimamente presuntuosa, ma scoppiai a ridere
"Blaine Anderson. Commesso-schiavo, omino del pane e... a tempo perso, strimpellatore da strapazzo!" risposi divertito facendo ridere sia lei che Kurt. Santana alzò lo sguardo verso quest'ultimo e gli sorrise maliziosa
"Ah, adesso capisco cosa intendevi prima!" esclamò
"Te l'ho detto, tesoro. Non potrei mai tirarti una fregatura!" mormorò con un sorriso sornione il ragazzo. Io li guardai confuso. Possibile mi fossi perso una parte della conversazione?
"Allora Blaine... come stai?" mi domandò Kurt su di giri. Cosa si era fumato? Non lo avevo mai visto così elettrico. Forse Daniel aveva ragione, la caffeina non faceva affatto bene.
"Mmm suppongo bene... un pò stanco magari, ma... non posso lamentarmi!" risposi e chissà per quale motivo il mio commento lo fece scoppiare a ridere di gusto.
"E tu Kurt... tu stai bene?" chiesi seriamente preoccupato inarcando un sopracciglio
"Io? Sto magnificamente bene... la giornata non potrebbe andare meglio. Dico bene Santana?" chiese conferma alla ragazza che sorrise a sua volta divertita da qualcosa che ancora ignoravo
"Certo, mi amor! Sorvolando sul fatto che hai aggredito verbalmente un uomo e che hai dato del tirchio a Bon.." ma la risata quasi isterica di Kurt si sovrappose alla voce della ragazza
"Che simpatica la mia adorata Santana... sempre con la voglia di scherzare!" e vidi chiaramente la modella sobbalzare, come se fosse stata colpita da qualcosa ed il suo sguardo farsi aggressivo nella direzione di Kurt, Ok, cosa stava succedendo?
"Kurt, io... credo di essere leggermente confuso al momento!" ammisi osservandoli, quasi fossi stato messo davanti a due pazzi intenti a litigare. Ok, forse non escludevo più il fatto che Kurt si fosse divertito ad organizzarmi uno scherzo, altrimenti non si spiegava il suo comportamento
"Tranquillo, Blaine, adesso ti spiegherò tutto e ti prometto anche che, quando avrò finito di parlare, ti lascerò un pò di tempo per riflettere e trovare il modo migliore per ringraziarmi a dovere!" esclamò allegramente facendomi l'occhiolino
"R-ringraziarti?" domandai sorpreso. Lui e la modella si guardarono per un lungo istante, dopodiché scoppiarono a ridere
"Kurt, il pasticcino qui, ha ragione... forse dovresti prendertelo tu del tempo, alla fine, per ringraziarlo come si deve!" ridacchiò Santana, ambiguamente maliziosa, poggiando la schiena alla sedia e infilando di nuovo gli occhiali da sole.
Pasticcino?...
"Credimi San... con quello che ho da offrirgli, sono sicuro non ci sarà neanche bisogno!" rispose lui divertito bevendo un sorso dal suo bicchiere e sorridendomi elettrizzato.
"Kurt?" lo chiamai preoccupato
"Allora, Blaine... direi di iniziare a parlare di affari!"

New York City. 26 Marzo 2012. Ore 05.17 P.M. (Lunedì)

"Ok, ricapitoliamo e vediamo se ci ho capito qualcosa di tutta questa storia: il tuo capo ti ha affidato l'organizzazione di una serata di beneficenza per questo sabato, serata per la quale avevi chiamato Bon Jovi per esibirsi!" ripetei gesticolando nervosamente con le mani. Alla fine il caffè me lo ero fatto portare anche perché stavamo affrontando un argomento per cui un aiuto del genere era davvero gradito. Poi tanto Daniel non sarebbe mai venuto a saperlo.
"Esatto!" confermò Kurt, con le gambe incrociate e ancora quel sorriso soddisfatto sul volto, di chi ha già la vittoria in tasca
"Ma lui ti ha dato buca!" aggiunsi
"Che il Cielo lo fulmini! Giuro sulla mia preziosa collezione di foulard di Alexander McQueen che farò sparire tutte le sue canzoni dal mio iPod appena torno a casa!" mormorò stringendo il pugno ed inveendo contro qualcuno.
"E tu adesso stai cercando un sostituto!" constatai allora
"Giusto anche questo!"
"E hai pensato a... me?" domandai non riuscendo più a trattenere lo scetticismo. Lo sapevo fin dall'inizio che quella situazione aveva qualcosa di anomalo. Mentre Kurt me la spiegava nel dettaglio, più andava avanti e più me ne convincevo.
"Sì... non è semplicemente geniale!?!" fece lui in risposta tornando allegro e gasato come lo era stato fino ad allora. Quel lato del suo carattere in un certo senso mi spaventava. Mi faceva venire la strana voglia di annuire cautamente e poi provare ad allontanarmi con la speranza che non mi venisse dietro. Eppure, abitavamo nello stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo. Sospettavo mi avrebbe trovato all'istante. Presi un profondo respiro e finalmente diedi voce al pensiero che mi premeva per uscire da quindici minuti a quella parte
"Assolutamente no, Kurt! É un'assurdità! Io non posso cantare davanti a trecentottanta persone tra presentatori famosi, attori e modelle! Non esiste proprio!" sbottai finalmente. E al diavolo l'educazione e il buon senso. Non poteva davvero chiedermi una cosa del genere.
"Non considerando il fatto che ci sarà anche la moglie di Obama!" mormorò Santana che fino a quel momento era rimasta in silenzio, sollevando gli occhi dal suo iPad e guardandoci con un'assurda calma
"Che cosa?" quasi mi strozzai con la mia stessa saliva ma notai chiaramente sul viso di Kurt dipingersi una smorfia di disappunto in direzione dell'amica
"Ma no... figurati se Michelle si degnerà di farsi vedere sabato sera... con tutti gli impegni da first lady!" tentò di sviare lui con un sorriso tirato
First Lady?...
"Tu... chiami la moglie del Presidente... Michelle?" boccheggiai sconvolto, con una mano tra i capelli. Ok, quello era davvero troppo. Cos'altro mi serviva ancora per capire che tutto quello non aveva niente a che fare con me e che dovevo alzarmi e andare a casa? Mi sarei dovuto fare una doccia e cambiare per correre al pub di Puck eppure rimanevo ancorato a quella maledetta sedia, in quel maledetto bar ad ascoltare le fantasie di due pazzi che meritavano soltanto di essere internati. Forse... era per colpa di Kurt se ancora rimanevo lì, nonostante tutto. E fu proprio lui a parlare e ad interrompere quel momento di silenzio in cui eravamo capitati
"Spiegami Blaine.. perché non vuoi cantare?" mi domandò pragmatico, sporgendosi verso di me, poggiando i gomiti sul tavolo
"Perché no!" risposi in un lamento "Perché io non sono Bon Jovi, Kurt... non sono neanche un vero cantante!" risposi con ovvietà, sperando che quello sarebbe bastato a farglielo capire. Ma, come imparai ben presto, io mi reputavo testardo, soltanto perché non avevo ancora conosciuto bene Kurt Hummel
"Oh andiamo Blaine. Uno che ha una voce come la tua, non può davvero credere di non essere un cantante!" mormorò gesticolando
"Una voce come la tua!" sospirò Santana al mio fianco, in tono malizioso e fintamente sognante, che volli provare ad ignorare. Ma Kurt no, Kurt reagì istintivamente, infastidito e tirò un altro calcio sotto il tavolo alla ragazza che incassò il colpo con un lamento
"Kurt..." lo chiamai esasperato passandomi una mano sulla faccia "Strimpellare due cover di Katy Perry in un anonimo pub è una cosa. Cantare davanti a quasi quattrocento persone che forse ne possano capire di musica, è un'altra! Che figura vuoi farmi fare?" stentavo a credere che il suo fosse un piano ben congegnato per rendermi ridicolo davanti ad una marea di gente. Una cosa del genere Kurt non avrebbe mai potuto pensarla, no?
"La figura di un ragazzo che ha talento. Ma lo ammetto... hai una pessima opinione di te stesso!" e mi indicò quasi offeso. Sbuffai non sapendo più a cosa attaccarmi. Mettermi a gridare in un luogo pubblico sarebbe stato poco educato, eppure - con tutta la stanchezza e la fretta che avevo addosso - in quel momento mi sembrava l'unica soluzione.
"Facciamo così... devi esibirti al pub stasera, giusto?" mi domandò
"Se riesco ad arrivarci!" borbottai
"Perfetto... io e Santana verremo a vederti e così anche lei potrà constatare quanto sei bravo. Dopodiché, ti propongo un accordo... una specie di sfida..." e si aprì in un sorriso complice
"Di che si tratta?" domandai curioso
"Se riuscirai ad ottenere gli applausi di più della metà della sala per una singola esibizione... tu accetti di venire a cantare sabato al posto di Bon Jovi!" ed allungò una mano verso di me, come a voler suggellare il patto. Mi lasciai scappare una risata divertita, colpito dalla sua tenacia. Dovevo ammetterlo, ci sapeva davvero fare.
"Coraggio Blaine... dai a me e a te stesso questa possibilità. Mi salveresti da un grande casino ed io ti sarei grato a vita. E se tutto andrà bene come ho pianificato, ne ricaverai soltanto cose positive!" e mi incoraggiò con un sorriso. Lo guardai attentamente negli occhi, colpito dalla sicurezza del suo tono e poi abbassai lo sguardo fino al palmo della sua mano ancora aperta sul tavolino. Beh, d'altronde... si parlava soltanto di farlo venire ad assistere alla mia esibizione al pub quella sera e non era ancora detto dovesse averla vinta. Ottenere gli applausi di più della metà della sala? Mmm... questa sarebbe stata davvero bella da vedere, soprattutto considerando che era lunedì. Così gli sorrisi e gli strinsi la mano
"Affare fatto, Hummel. Vediamo chi la spunterà alla fine!" esclamai divertito. Lui ridacchiò facendomi l'occhiolino
"Mi dispiace per te, Anderson... ma... me la sento buona stasera!"

New York City. 26 Marzo 2012. Ore 08.48 P.M. (Lunedì)

Seduto al bancone del pub, mi sfregai le mani sui jeans, sudate e tremanti e controllai per l'ennesima volta la sala. C'era gente, molta gente, più di quante ce ne si aspetterebbe per un lunedì sera. E pensare che Puck voleva decretare quel giorno come chiusura forzata. Solo adesso capivo il perché non lo avesse fatto, e contemporaneamente capii di essere fottuto: essendo ordinario giorno di chiusura della maggior parte dei locali del quartiere, la gente si riversava in quel pub, e per questo era così insolitamente pieno. Ed io che avevo accettato la sfida di Kurt, consapevole di avere già la vittoria in pugno. Essere ignorati da dieci tavoli sarebbe stato relativamente facile ma con il locale pieno... diventava quasi un'impresa.
"Eccola, la mia gallina dalle uova d'oro!" esordì una voce tremendamente vicina e girandomi di scatto mi ritrovai il volto sorridente di Kurt a pochi centimetri dal mio. Arrossii all'istante e ringraziai la semi-oscurità del locale che probabilmente mi stava salvando
"Ah eccovi... siete venuti!" mormorai spostando lo sguardo nervosamente da lui alla modella - che con quel semplice paio di jeans e quella canotta blu, sembrava un'altra persona.
"Certo che siamo venuti, Blaine... avevamo un accordo mi pare. Ed io non mi rimangio mai la parola data!" e mi fece l'occhiolino scrutando la sala con fare cospiratorio. Vidi distintamente un sorrisetto formarsi sulle sue labbra. Soddisfazione... era soddisfazione pura quella che gli si dipingeva sul volto. Sì, ero decisamente fottuto.
"É davvero carino qui... molto caratteristico!" esclamò Santana entusiasta scrutando a sua volta il locale. Puck, attratto dal suo commento e, soprattutto, dalla sua fisicità, fece prima un mezzo fischio di approvazione che attirò la sua attenzione, per poi risponderle con tono orgoglioso
"Modestamente me ne prendo tutto il merito!" la ragazza ridacchiò, ignara dell'effetto che stava avendo sul povero Puck e proprio in quel momento si avvicinò Brittany a noi
"Ehi artista... non ci presenti i tuoi amici?" domandò posando il vassoio sul bancone e sorridendo cordiale.
"Britt... loro sono Kurt e Santana... ragazzi lei è Brittany... la factotum del locale!" e con gesti meccanici indicai prima un lato e poi l'altro. Dannazione, da quando in qua ero così agitato prima di un'esibizione?
"Piacere Kurt e Santana!" fece lei allegra ed innocente come sempre, scuotendo la mano a mò di saluto
"Britt me lo recuperi un tavolo per gli amici del nostro Blaine?" le chiese Puck allora, lanciando un'occhiata speranzosa al locale. Forse aveva paura che non trovando posto quei due se ne sarebbero andati. Con Kurt però non c'era da meravigliarsi troppo... sarebbe stato capace di attendere in piedi per tutta la serata pur di ottenere ciò che voleva.
"Diamine, Noah... c'è un sacco di gente stasera, e siamo arrivati a riempire perfino i tavoli accanto alla cucina, quelli che non vuole mai nessuno!" rispose lei desolata scuotendo armoniosamente la lunga coda bionda
"Addirittura?" fece lui sorpreso sporgendosi per vedere meglio. Effettivamente c'era davvero tanta gente. Davvero troppa. E l'ansia era a livelli storici
"Possiamo sistemarci anche qui al bancone, non è vero San?" chiese allora Kurt - come volevasi dimostrare - interpellando l'amica stranamente silenziosa. Alzando appena gli occhi la trovai intenta a scrutare qualcosa e riprendersi con un piccolo sobbalzo alla domanda del ragazzo
"Eh?... Oh... sì certo... sarebbe perfetto!" rispose stranamente a disagio. Brittany sorrise sollevata
"Oh fantastico... vado a prendervi le tovagliette per i coperti e le posate. Intanto... cosa posso portarvi da bere?" domandò efficiente. Fu Santana ad aprire la bocca quella volta, ma Puck la anticipò
"Tranquilla Britt, ci penso io... tu vai a portare queste birre al tavolo diciotto!" e le passò il vassoio pieno con una certa urgenza, per poi rivolgersi completamente ai due ragazzi - a Santana più che altro - e chiedere
"Allora... Cosa vi posso dare?"
"Per me una coca light, grazie... per te, tesoro?" fece Kurt rivolto all'amica. Lei, stranamente tornata assente, si perse qualche istante a contemplare la sala per poi mormorare
"Una bionda..."
"Piccola... media... o grande?"
"Fai tu!" alzò le spalle sconsolata e prese posto sullo sgabello. Quel suo strano atteggiamento mi diede da pensare. Era entrata nel locale con un così bel sorriso luminoso, cosa le era successo in meno di dieci minuti? Le avances di Puck l'avevano turbata? Oppure cenare ad un bancone anziché seduta comodamente ad un tavolo, per lei era tanto fastidioso?
"Allora, caro il mio Blaine.. sei pronto?" mi domandò allegramente Kurt, stringendomi l'avambraccio, distogliendomi dai miei pensieri
"P-pronto?... Per cosa?" chiesi confuso
"Ma come per cosa... per cantare, no?" e si aprì in una bella risata distesa che mi fece tremare appena le gambe "E per farmi vincere la scommessa!" e mi lasciò un occhiolino complice e divertito. All'improvviso ero a corto di salivazione. Possibile che Kurt avesse iniziato a... flirtare con me? Quell'impressione l'avevo avuta già durante la nostra chiacchierata d'affari al bar, ma avevo avuto altro a cui pensare in quel momento. Adesso, a mente, diciamo, fredda, ci facevo più caso. Possibile che tutta quella confidenza e quella gioia che gli leggevo negli occhi fosse legata semplicemente alla storia del nostro accordo?
"Blaine, non per metterti fretta, ma se non ti decidi ad alzare il culo da quello sgabello e a salire su quel palco, giuro che ti caccio a calci dal mio locale. E stai sicuro che stavolta lo faccio!" mi minacciò Puck in tono leggero, passando a Santana e Kurt le bibite ordinate. Io annuii distratto e prima di allontanarmi, diedi un'ultima occhiata al pubblico, per poi deglutire - neanche a dirlo, a vuoto.
Racimolando tutto il coraggio di cui disponevo raggiunsi il palco, avvertendo addosso non solo lo sguardo elettrizzato di Kurt, ma anche quello curioso di tutta quella gente. La miseria... ero stato capace di condividere la stanza prima e l'appartamento poi, per dieci anni con Sebastian. Se non era coraggio quello!
Collegai la mia fedele ed insostituibile chitarra all'amplificatore e provai due accordi a caso prima di decretarla pronta. Feci un lungo sospiro e provai a trovare del positivo in quella faccenda: Sebastian e Daniel non avrebbero fatto incursione nel locale, non quella sera. Si trovavano a Harrisburg, in Pennsylvania, a fare visita a dei parenti di Daniel. Ci mancavano soltanto i commenti idioti del mio migliore amico idiota per completare la serata.
Feci un ultimo sospiro dopodiché, senza neanche preoccuparmi di salutare come al solito la sala - speravo stupidamente che così facendo li avrei fatti indispettire per la mia maleducazione ed incentivarli ad ignorare me e la mia chitarra - iniziai a suonare. Decisi di seguire la scaletta che mi ero prefissato, nonostante tutto. Nonostante Kurt, Santana, e quella assurda scommessa

Are you calling for.... our last dance?
I see it in your eyes.... in your eyes
Same old moves for... a new romance
I could use the same old lines ...
But I'll sing...

Chiusi volontariamente gli occhi, concentrandomi esclusivamente sulle note e sulle parole della canzone. Quella che avevo scelto per iniziare la serata, era una canzone davvero speciale per me. Era strano che uno che aveva sempre decantato il suo straordinario e sconfinato amore per la musica energica e sfrontata di Katy Perry, si affezionasse così tanto ad un'altra così lenta e malinconica. Ma quella di James Blunt, come quella di Adele che mi aveva dedicato Sebastian quando ci eravamo lasciati, aveva per me un significato. Non riguardava però, né lui né tanto meno Jeremiah. Riguardava semplicemente Blaine.

Shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out, but it paved the cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I, just shone, just shone

Era strano in effetti che mi dedicassi una canzone. Ma, dopo tutte le volte in cui mi ero sentito sommergere dall'irruenza e dalla presenza opprimente delle altre persone - mia madre, mio padre, mio fratello, Sebastian, Jeremiah - avevo deciso di smetterla. E di prendermi più cura di me stesso. Di iniziare ad imparare a splendere. Come se fosse stata l'ultima volta.

And when silence greets... my last goodbye
The words I need are in you're eyes
And I'll sing .....

Stranamente mi ritrovai a sorridere. Sì, sorridere perché forse, quella storia di Kurt, non era tanto pessima, guardata ed analizzata dal giusto punto di vista. Ammettendo che ero stato troppo affrettato a giudicarla assurda, con il senno di poi, sembrava allettante. Cioè... se la cosa fosse stata davvero un successo, come Kurt sembrava sicuro, allora ne avrei senza dubbio guadagnato. Magari, tra quelle trecentottanta persone, si nascondeva un discografico. Oppure un altro cantante, sentendo la mia voce, avrebbe proposto al proprio manager di scritturarmi per formare una band. O magari...

Shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out but it paid for the cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I just shone, just shone

Certo che sognavo proprio in grande. Andava bene imparare a splendere, ma... esagerare no. Quello era senza dubbio dannoso. Non imparavo mai, d'altronde. Senza conoscere le mezze misure, ero sempre stato capace di buttarmi a capofitto in qualcosa che ritenevo giusta per me anche se quella alla fine si rivelava la più fallimentare scelta della mia vita. Era successo con Jeremiah dopotutto. E forse, stava succedendo ancora. Senza neanche accorgermene mi ero ritrovato a cantare quella maledetta canzone con più intensità del normale, quasi volessi a tutti i costi impressionare il pubblico. Quasi volessi a tutti i costi impressionare Kurt. Avevo inconsapevolmente accettato la sua proposta, pur senza aver ottenuto ancora il giudizio del pubblico.

So shine on, just shine on
Close your eyes and they'll all be gone
They can scream and shout that they've been sold out, but it paid for the cloud that we're dancing on
So shine on, just shine on
With your smile just as bright as the sun
Cause they're all just slaves to the Gods they've made
But you and I just shone, just shone.....

Che poi, pensandoci. Perché diavolo mi tornava in mente Jeremiah, soltanto mentre cantavo stucchevoli canzoni? Perché invece, mentre intonavo i Muse, o gli Evanescence sotto la doccia, non pensavo mai a lui, a noi, al suo viso e a quello che mi aveva fatto? Possibile, facesse ancora tanto... male?
Con un sospiro chiusi gli ultimi accordi della canzone e riaprii gli occhi. Sarebbe stato decisivo: o dentro o fuori, quello era lo show business. E non credevo Kurt mi avrebbe dato una seconda possibilità. Cavolo, proprio quando mi ero deciso ad accettare?
Il pubblico stranamente taceva. Non volava una mosca, fatta eccezione per il rumore di alcune stoviglie della cucina, e il ronzio delle casse. Mi ritrovai con il battito del cuore nelle orecchie e di nuovo la gola secca.
Non alzare gli occhi verso Kurt... non alzare gli occhi verso Kurt...
Diavolo, era andata peggio di quanto pensassi. E d'accordo, non ero un cantante, ma non credevo di essere così pessimo. Dopotutto le mie standing ovation le avevo avute, non ultima quella della serata in cui avevo incontrato per la prima volta Kurt. E allora... cosa diamine succedeva?
All'improvviso il mio monologo interiore fu interrotto da qualcuno che in fondo alla sala aveva iniziato ad applaudire. Non feci in tempo a girarmi per ringraziarlo della clemenza, che subito ne partirono degli altri, e poi altri ancora, fino a che tutta la sala non si ritrovò ad applaudire e fischiare e gridare complimenti. Senza fiato. Ero semplicemente senza fiato.
Finalmente alzai lo sguardo verso il bancone, dove trovai Santana con gli occhi sgranati e intenta ad applaudire vigorosamente. E Kurt... beh lui aveva uno splendido sorriso aperto e luminoso sul volto. Ma non era il sorriso di chi aveva vinto, e ottenuto quello che voleva. Era più che altro il sorriso di un amico, contento del successo che avevo ottenuto.
E non potei fare a meno di sorridergli a mia volta ed annuire, stranamente ed improvvisamente commosso realizzando che, sì, mi ero fottuto con le mie mani. Ma mai, prima di allora, ero stato più contento di quel momento.

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Capitolo 12
*** Giacche eleganti e pianoforti bianchi ***


(...) Serata di gala (K) Buon Sabato a tutti... dunque dunque... Siete pronti ad indossare l'abito elegante? Perché questa sera siete tutti invitati ad una festa... smoking per lui, abito da sera per lei.. e.. occhio al musicista.. solo roba buona XD ahahahah, non sono impazzita è che finalmente è arrivata la grande serata e vi avverto che sarà una cosa moooolto interessante ^^ come vi avevo promesso qualcosa inizia a muoversi e se io fossi in voi, non mi perderei il prossimo capitolo, dico solo questo! Bene, detto questo vi lascio alla lettura ringraziando come sempre le splendide persone dall'anima d'oro che mi seguono e recensiscono con così tanto amore. Vi adoro tutti, uno per uno. Ci vediamo Mercoledì... ciaoooooo ^^
p.s. E nonostante la febbre e la stanchezza che sembra averla colta preparatissima, la mia adorata tesora si è messa al lavoro e mi ha ugualmente creato questa meraviglia... tesoro mio, ti adoro, dal profondo del cuore <3...
n.b Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una piccola One Shot nella sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità finita, mi dileguo ;)
New York City. 31 Marzo 2012. Ore 06.40 P.M. (Sabato)

Era arrivato Sabato finalmente. Era arrivata la tanto temuta serata di beneficenza, e quella stessa sera si sarebbe deciso il mio destino: sarei stato cacciato a calci dalla porta di emergenza, oppure mi avrebbero acclamato tutti a gran voce, come il salvatore dell'evento?
Ero stranamente sereno, poco agitato, e non avevo neppure trovato problemi indossando il completo elegante che mi ero fatto spedire dall'agenzia. Avevo sistemato i capelli, mi ero spruzzato la mia colonia preferita ed ero pronto a prelevare il mio adorato vicino - nonché vera star della serata - per poi recarci assieme all'evento. Era il minimo che potessi fare per sdebitarmi con lui dopo avermi letteralmente salvato, accettando di cantare. Benché lui non ne fosse ancora completamente convinto, perlomeno aveva smesso di guardarmi in cagnesco tutte le volte che ne parlavamo. Lui mi diceva che era colpa dell'agitazione se reagiva così. Ed io non potevo fare a meno di sorridergli incoraggiante, ricordandogli che, se avevo avuto fiducia in lui e nella sua voce, non c'era alcun motivo per farsi prendere dal panico. Ero fermamente convinto di aver fatto la scelta giusta ed ero sicuro che a fine serata mi avrebbe ringraziato e saremmo finiti a ridere come due pazzi, magari anche un pò brilli, sul pianerottolo del nostro palazzo.
Suonai il campanello del suo appartamento e rimasi in attesa con un sorriso rilassato sul volto. La voce di Blaine mi arrivò ovattata, a causa della porta che ci divideva
"Ah... arrivo... un attimo!" gridò. Sentii il rumore di qualcosa di particolarmente pesante che cadeva per terra, il leggero abbaiare di Cooper e l'imprecazione a mezza bocca di Blaine, che mi fecero ridacchiare. La porta si aprì in quell'istante e per un attimo mi mancò il fiato in gola: mi sarei aspettato di ritrovarmelo davanti completamente vestito, magari solo con la giacca da indossare e il papillon o la cravatta - a seconda di ciò che alla fine aveva scelto - da annodare. Trovarlo invece mezzo nudo - oh Santo Cielo - con addosso soltanto una t-shirt nera ed un paio di boxer - non guardare, Kurt, non guardare! - fu una specie di botta al cuore.
Chissà perché poi, quando hai bisogno della saliva, questa si diverte a giocare a nascondino...
"Oh, Kurt... ciao!" mi salutò, come se nulla fosse "Scusa, ho fatto leggermente tardi... un casino al supermercato... ma prometto di prepararmi in meno di cinque minuti!" e pensò bene di stordirmi un altro pò con un sorriso radioso. Ma diamine, non aveva pudore quel ragazzo? Si rendeva conto che aprire così la porta ad un ragazzo gay e sessualmente poco appagato e frustrato, equivaleva ad un esplicito invito a...
"N-no no... tranquillo... fai pure con calma. Sono io che sono sempre esagerato... tendo ad anticipare!" tentai di spiegare con la gola secca ed un sorriso tirato.
"Vieni, entra. E fai come se fossi a casa tua!" mi invitò dentro, sparendo in corridoio e poi in bagno. La tentazione di seguirlo e chiedergli ingenuamente se avesse bisogno di una mano era tanta, soprattutto perché, nonostante mi fossi imposto di non guardare - per preservare la mia sanità mentale - l'occhio mi ci era caduto su... sotto... sì, insomma, avevo potuto constatare che Madre Natura dopotutto si era fatta perdonare ampiamente per la storia dell'altezza. E com'è che si diceva? Non tutti i mali vengono per nuocere!
Ma che diavolo mi metto a pensare?...
Solo in quel momento mi resi conto di essere ancora sulla porta, come imbambolato, magari in attesa che tornasse e mi desse modo di ammirare meglio il lato b. Morivo dalla curiosità di sapere se anche lì la Natura avesse contribuito in maniera sostanziosa. Con un sospirò mi chiusi la porta alle spalle ed entrai nel salone.
La casa di Blaine, per quanto fosse l'esatto riflesso della mia come disposizione e grandezza, era esattamente il contrario: caotica, calorosa, vissuta. Così incredibilmente simile a lui. Diedi un'occhiata al tramonto che colorava il cielo newyorkese di arancione dalla porta-finestra del soggiorno e ancora una volta ne rimasi affascinato: New York era famosa per tante cose, una di queste era il fatto che gli abitanti si lamentassero dell'altezza dei grattacieli che impedivano la vista delle stelle, del sole, dei tramonti e delle albe. Quella zona della città, più residenziale, con un'aria quasi europea, faceva senza dubbio eccezione.
"Sai... ancora non credo di aver realizzato completamente quello che stiamo andando a fare!" mi gridò Blaine, probabilmente dalla camera da letto ed io di riflesso, spostai lo sguardo in quella direzione. Sorrisi leggermente
"Non ti starai tirando indietro proprio adesso, Anderson?!" scherzai sedendomi sul divano e accavallando automaticamente le gambe. Il piccolo Cooper sonnecchiava tranquillo sul divano, muovendo appena la codina. Allungai una mano per lasciargli una carezza, mentre la risata di Blaine mi arrivò chiara e cristallina, quasi fosse nella stanza con me
"Te l'ho già detto, Kurt... io non sono Bon Jovi!" rispose facendomi ridere.
"No, infatti... tu non sei Bon Jovi!" gli feci eco "Sei molto meglio!" ma la seconda parte l'aggiunsi in un tono troppo basso perché la sentisse
"Alla fine si è capito se la moglie del presidente verrà davvero oppure no?" mi domandò allegro, e la sua voce, troppo vicina, mi fece capire che era dietro di me. Mi girai ed una parte di me - non mi vergogno ad ammetterlo - sperava fosse ancora mezzo nudo. Ma rimasi deluso. Aveva indossato il pantalone nero del completo, la camicia bianca infilata dentro e la cinta stretta in vita. La giacca la teneva stretta tra le mani e il papillon era ancora slacciato sulle spalle. I capelli, domati appena con il gel, rimanevano comunque morbidi e ribelli e - prima non ci avevo fatto caso, troppo distratto a pensare a... ad altro - si era fatto la barba e il viso liscio lo faceva sembrare notevolmente più giovane. Ma non c'era niente da fare: rimaneva ugualmente bellissimo. Con quel vestito poi. Cercai di fare mente locale per ricordarmi come si respirasse e cosa diamine mi avesse chiesto. Per colpa di quella vista mozzafiato che mi si era parata davanti agli occhi, avevo dimenticato entrambe le cose. Dovevo ammettere che, se avessi dovuto scegliere in che modo quel ragazzo stava meglio - se mezzo nudo o se con indosso uno splendido vestito elegante di Gucci - mi sarei trovato in grande difficoltà. Pensandoci, per tagliare la testa al toro, avrei dovuto vederlo anche completamente nudo per... giudicare meglio. Semplice indagine a sfondo pedagogico, sia chiaro.
"C-come scusa?" domandai allora, optando per la tecnica, fare finta di essere distratti e pensierosi. Lui sorrise scuotendo la testa, legandosi con poche mosse in papillon alla gola. Era bravo, dovevo ammetterlo.
"Nulla... ignorami! Quando sono nervoso, straparlo!" e ridacchiò aggiustando il fiocco, raddrizzandolo e lisciandolo per bene. Avrei voluto avere un pò più di confidenza con lui. Mi sarei sicuramente alzato da quel maledetto divano e glielo avrei sistemato personalmente. Tutto pur di mettergli le mani addosso.
Ok, detta così, fa tanto maniaco...
"Io quando sono nervoso comincio a ridere come una ragazzina isterica e bevo... bevo un sacco!" cacciai fuori, pentendomene un secondo dopo. Che cretino che ero stato. Tanto valeva dirgli anche che ero un fan sfegatato di Lady Gaga e che avevo un piccolo altarino in suo onore nell'armadio. Sembrava la serata delle confidenze imbarazzanti d'altronde. Se non altro ebbi il potere di farlo ridere
"Dimmi solo se devo tenerti d'occhio stasera e se devo tenere il conto di quanti bicchieri di champagne ingerirai!" mi disse infilando la giacca
"Fino a tre bicchieri, sono ancora sotto controllo!" lo avvisai con un sorriso alzandomi finalmente in piedi. Lui si guardò enigmatico e anche leggermente imbarazzato
"Cosa c'è?"
"Quanti bottoni devo...?" indicò la giacca e lì, finalmente, con un sorriso mi avvicinai a lui
"Lascia che ti spieghi una cosa..." iniziai con l'espressione di chi sa il fatto suo "Quando si porta una giacca tipo questa, con tre bottoni, di norma si chiude solo quello al centro!" e senza chiedergli il permesso, mi allungai per farlo io stesso, ignaro del fatto che le mie guance ed il mio cuore avessero deciso di ribellarsi automaticamente. Infilato il bottone nell'asola, feci scivolare le dita più su, incredibilmente concentrato "Ma data l'importanza della serata e dato che non hai un filo di pancia... puoi chiudere anche questo!" ed infilai anche il primo bottone più in alto nell'asola della giacca. Senza rendermene conto avevo smesso di respirare. Eravamo a meno di mezzo passo l'uno dall'altro, potevo chiaramente sentirne il profumo - quel meraviglioso Carolina Herrera che invadeva ogni giorno la cabina dell'ascensore, per la mia gioia - e perfino il respiro appena accelerato. Avevo una fottuta paura di alzare lo sguardo e rimanere intrappolato in quelle due splendide iridi cangianti, che senza dubbio mi stavano fissando. Ne avvertivo perfettamente il peso addosso.
"E... l'ultimo?" mi chiese in un soffio. Che diavolo stava succedendo? Perché l'atmosfera tutto ad un tratto era diventata così tesa ed elettrica e noi sembravamo così... turbati? O almeno, perché io lo sembravo? Scossi la testa
"No, quello rimane aperto... in ogni caso!" risposi con la voce bassissima, ancora stordito dal suo profumo e dalla sua presenza. La situazione iniziava a diventare pericolosa anche perché sentivo chiaramente che in me qualcosa si stava muovendo. Non mi ero mai sentito prima in quel modo, così preso e maledettamente vulnerabile. Ma era, piacevole... tutto sommato. Se non fosse che uno come me, non poteva permettersi di perdere il controllo... mai!
Mi schiarii la voce, togliendo la mano che avevo poggiato sul suo petto - Dio, potevo avvertirne il calore anche da sopra quegli strati di vestiti - e mi allontanai di qualche passo con la scusa di osservarlo meglio. Mi sentivo le guance in fiamme ma sperai non ci facesse troppo caso. Alzai gli occhi per incontrare i suoi, ma me ne pentii all'istante. Erano appena spalancati, lucidi e attenti. E mi guardava in un modo.. maledizione!
"Bene.. direi che... sei perfetto!" esclamai nel tentativo di stemperare la tensione e accennai un sorriso
"Anche tu lo sei!" mormorò in risposta ma più che un complimento rivolto al mio abbigliamento, mi parve un'esclamazione, scivolata per sbaglio dalla sua bocca, colma di qualcosa che su due piedi non seppi classificare. Ma sicuramente non era il genere di complimenti che ci si sarebbe aspettati da un amico.
Quella volta fu lui a riscuotersi, distogliendo lo sguardo e recuperando dal tavolo l'orologio che strinse al polso, il portafoglio che infilò nella tasca interna della giacca e il telefono. Fece una veloce carezza a Cooper promettendogli di tornare presto, dopodiché tornò a rivolgersi a me
"Vogliamo andare?" mi domandò con la voce leggermente tesa, ma appena più rilassato rispetto a qualche istante prima. Io annuii, incapace di aprire bocca e lo precedetti fino al pianerottolo, in silenzio e altrettanto in silenzio lo aspettai mentre chiudeva la porta di casa e prendevamo l'ascensore. Nella cabina provai a concentrarmi su qualcos'altro che non fosse il suo profumo, i suoi occhi che ancora sentivo incollati a me, la sua voce roca, il suo bellissimo...
"Come ci arriviamo alla festa?" mi domandò all'improvviso, mentre le porte automatiche si aprivano e lui galantemente mi faceva uscire per primo
"Useremo la mia macchina!" risposi con la voce ancora appena tremante
"Tu hai una macchina?" fece sorpreso affiancandomi. Uscimmo in strada e lo guidai verso destra, fino alla fine della palazzina, per poi girare ancora a destra, verso un piccolo cortile
"Sì, ma non la uso molto spesso... preferisco godermi la città sulle mie gambe!" spiegai tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il telecomando con il quale aprii le portiere della mia Volvo. Ora che ci pensavo, Blaine era il primo ragazzo a salirci. Neanche David aveva mai avuto l'onore, dato che, le poche volte che eravamo usciti insieme lo avevamo sempre fatto con la sua. In un certo senso quella considerazione mi mise ancora più a disagio.
Entrammo in auto, nuovamente in religioso silenzio, dopodiché misi in moto, feci manovra e tornai sulla strada principale, direzione Meatpacking District
"Kurt?" mi chiamò lui, mentre era rapito dalle luci della strada che sfilavano fuori dal finestrino, la città ormai immersa nel buio della sera
"Dimmi!"
"Ora che ci penso... non ho ancora avuto modo di ringraziarti!" esclamò aprendosi in un sorriso timido e si girò a guardarmi. Storsi la bocca in una smorfia confusa
"Ringraziarmi... per cosa?"
"Per questa opportunità che mi stai dando. Per aver pensato subito a me e, soprattutto.. per la fiducia che sembri avere nei miei confronti. Potrà non significare nulla per te, ma per me, invece, vuol dire tanto, davvero!" mi disse serio ed intenso "Grazie!" aggiunse allora. Io non potei trattenermi dal sorridergli sereno, l'imbarazzo di poco prima appena scemato
"Non sei tu che devi ringraziare me, Blaine, semmai è il contrario!" gli feci presente "Ma comunque ci penseremo a fine serata... dopo potremmo parlarne e... risolvere la faccenda!" senza volerlo avevo rincarato la dose, aggiungendo una nota appena maliziosa. Sperai vivamente non ci facesse caso. Io, per "risolvere la faccenda" intendevo dargli l'assegno per l'esibizione, dato che dopo la prima volta non ne avevamo più parlato. Ma, detta in quel modo, poteva sembrare mi stessi riferendo alla scenetta poco tranquilla che si era svolta nel suo soggiorno. Benché non fosse successo praticamente niente, entrambi ci eravamo accorti che qualcosa fosse cambiato. Che l'atmosfera fosse diversa, che noi lo eravamo.
"Già... risolveremo la faccenda... dopo!" mormorò allora lui e per la seconda volta provai ad ignorare quel tono strano, ambiguo che sembrava celare qualcosa di più.
Perfetto... la serata è appena cominciata eppure io mi sento già estremamente esausto...

New York City. 31 Marzo 2012. Ore 07.27 P.M. (Sabato)

Arrivammo all'Hotel Gansevoort sulla 18 ninth Avenue, fortunatamente in perfetto orario. La serata sarebbe iniziata alle otto precise, così come prevedevano gli inviti che avevo fatto recapitare agli ospiti. Parcheggiammo in un'area riservata e raggiungemmo la sala principale dell'albergo, sotto la reception, chiaramente indicata per l'occasione tramite una miriade di eleganti cartelli. Era stata Kristen, la pr dell'agenzia ad occuparsi di quello e dell'allestimento interno della sala. Gli accordi erano quelli: io mi sarei occupato di trovare la giusta location, ma per il resto doveva pensarci lei. Non mi pagano abbastanza per fare tutto da solo.
Condussi Blaine fino alla grande sala dove si sarebbe tenuta la festa e, una volta entrati, venimmo accolti da uno spettacolo a dir poco fantastico: tavoli rotondi dominavano quasi tutto il grande salone, oro, bianco ed avorio ovunque, un palco nella parete opposta sul quale spiccava un microfono ed un meraviglioso pianoforte bianco, un magnifico buffet già perfettamente allestito, camerieri sparsi per la sala, in attesa di iniziare il loro compito, alcuni invitati già arrivati, seduti attorno ai tavoli o raggruppati per la sala intenti a scambiarsi quattro chiacchiere. Vista così, non sembrava un disastro, dopotutto. Forse qualcosa la potevamo ancora salvare.
Individuai un paio di facce conosciute, tra cui qualche modella, che salutai con gesti meccanici e mi avvicinai a Kristen, visibilmente agitata
"Allora... come procede?" le domandai con un sorriso genuino. Lei sbuffò, spostandosi un lungo boccolo che le ricadeva sulla fronte, e strinse il suo blocco degli appunti al petto
"Alla grande... se non consideriamo il fatto che due camerieri non si sono presentati e che il catering ha già servito i primi piatti, nonostante abbia espressamente chiesto di attendere fino all'arrivo degli ospiti. Ah e quasi dimenticavo... la direzione dell'albergo ci ha messo a disposizione solo un terzo dei posti auto che avevamo richiesto. In pratica la maggior parte degli invitati dovrà lasciare la macchina dove capita!" e con un verso frustrato, schioccò le labbra. Le sorrisi incoraggiante
"Mmm... pensavo peggio in effetti!" risposi lanciando un'occhiata all'entrata della sala, dalla quale provenivano una decina di persone ben vestite. Solo allora mi resi conto di Blaine, ancora fermo al mio fianco, con le mani in tasca e l'aria appena spaesata
"Kris, permetti... volevo farti conoscere Blaine Anderson... il nostro intrattenitore musicale!" le dissi indicando Blaine - che sobbalzò ed arrossì appena. La ragazza, appena stupita, lo esaminò a fondo prima di accennare un sorriso
"Non credo di averti mai visto, ma... se Kurt ti ha ritenuto tanto bravo da poter sostituire Bon Jovi.. allora suppongo tu sia ok!" affermò divertita, lottando nuovamente con quel ciuffo ribelle. Blaine ridacchiò
"Ti ringrazio per la fiducia!" mormorò in risposta lui
"Beh, scusate ma ora devo andare... vado a vedere se l'agenzia mi ha recuperato qualche cameriere, altrimenti dovrò mettermi un grembiule in vita e servire io stessa ai tavoli!" e con un'evidente smorfia di disappunto, si allontanò. Io sbuffai una risata
"Perdonala... in questi giorni ha dovuto sopportare un livello di stress non indifferente!" la giustificai allora, osservando come se la stesse prendendo con uno dei camerieri proprio in quel momento
"Anche tu... eppure non stai gridando contro nessuno!" esclamò lui divertito
"Sono molto bravo a gestire l'ansia ed il nervosismo!" risposi semplicemente con un'alzata di spalle
"Sì ricordo... risata isterica e tanto champagne!" commentò con un sorriso allegro che gli illuminò il volto e gli fece formare quelle stupende fossette ai lati delle labbra. Scoppiai a ridere, colpito dalla sua prontezza di riflessi e dal suo spiccato umorismo. Nonostante il nervosismo che immaginavo avesse addosso, riusciva ugualmente a fare dell'ironia. In quel momento a noi si aggiunse la voce profonda e divertita di Santana che avanzò nel suo splendido abito bianco di Marc Jacobs - più la guardavo e più mi convincevo di aver fatto la scelta giusta - perfettamente truccata, con una lunga treccia laterale che le accarezzava una spalla ed un sorriso radioso
"Eccoli qui i miei vicini preferiti!" esclamò infilando un braccio sotto al mio e facendo l'occhiolino a Blaine
"Buonasera!" la salutammo io e Blaine in coro e quest'ultimo dopo un'occhiata di apprezzamento aggiunse
"Sicuramente ne riceverai tanti di complimenti questa sera, Santana... ma permettimi di dirti con tutta sincerità che sei bellissima!" e lo disse con tale naturalezza da farmi provare appena un pò di invidia per la modella. Ma giusto un pochino.
"Oh Blaine, ti ringrazio... che galantuomo!" e si aprì in un sorriso appena imbarazzato, accarezzandosi la treccia "Si vede che è il mio destino... quello di ricevere complimenti sinceri e disinteressati soltanto da ragazzi gay!". La guardai male, spalancando gli occhi. Non era il genere di commenti che era il caso di fare così a cuor leggero. Non sapevo come lui avrebbe potuto prenderla dopotutto. A Blaine poteva dare fastidio il fatto che lo avessi detto a Santana, una perfetta estranea per lui. Ma mi sorprese, come sempre. Scoppiò a ridere, per nulla infastidito o imbarazzato
"Dovresti esserne fiera piuttosto... ricevere complimenti da ragazzi gay, è come riceverne da altre ragazze... alcuni di loro sanno essere perfino più invidiosi!" e le fece l'occhiolino in modo complice facendo ridere sia lei che me. Più lo conoscevo e più lo adoravo. Era un ragazzo fantastico, mai prevedibile e incredibilmente dolce ed educato. Non so cosa avrei dato per poter avere un ragazzo del genere sempre al mio fianco. Non come David. Ma quella era un'altra storia
"A proposito di questo... posso approfittare della tua gentilezza per chiederti una cosa?" domandò Santana facendosi stranamente imbarazzata.
"Certo... dimmi pure!" acconsentì Blaine. La guardai arrossire appena sulle guance, cosa assai strana: quella ragazza non era mai arrossita, neanche durante i più ambigui servizi fotografici. Cosa le stava succedendo?
"Ecco... mi stavo chiedendo.. quella.. quella ragazza che lavora in quel pub... quello in cui canti la sera..." balbettò attorcigliandosi la punta della treccia tra le dita
"Brittany?" domandò lui interrompendola. Lei sussultò appena e il rossore si fece più intenso. Assottigliai lo sguardo. Iniziavo ad annusare qualcosa di strano. Possibile che... no, ma dai... che assurdità...
"Sì, lei!" confermò con un sussurro "É anche lei una modella non è vero?" la risata di Blaine si distese bassa ed intensa, provocandomi qualche piccolo brivido sulla nuca
"Brittany una modella? No, certo che no... frequenta l'Accademia d'Arte durante il giorno e la sera lavora nel pub di Puck... non ha mai fatto la modella, anche se, pensandoci, la grazia e il portamento ce li avrebbe!" e si passò una mano sul mento, pensieroso. Santana si aprì in un piccolo sorriso timido
"Accademia d'Arte?" domandai curioso, dando così il tempo alla mia amica per riprendersi un pò
"Sì... è al terzo anno. Ho visto qualche suo lavoro e devo dire che è davvero brava. Una ragazza con la testa sulle spalle... lavora per mantenersi gli studi e per aiutare un pò a casa. Il padre ha perso il lavoro un paio di mesi fa e sua madre sta attraversando un periodo molto... particolare. Tuttavia... non ha mai dato segni di incertezza né l'ho mai vista abbattuta o triste. Sempre con il sorriso sulle labbra... sempre perfettamente disponibile e gentile!" spiegò con un tenero sorriso. Si vedeva quanto le volesse bene. Quella Brittany sembrava davvero una brava ragazza, ma d'altronde aveva fatto quella impressione positiva anche a me, pur avendola incontrata soltanto due volte. Santana strinse appena la presa attorno al mio braccio e sorrise incerta. Quello fu il segnale chiaro che qualcosa di strano stava accadendo. E sotto ai miei occhi soprattutto
"Penso le farebbe enormemente piacere scambiare quattro chiacchiere con un'amica... non l'ho mai vista uscire con nessuno da quando la conosco!" aggiunse Blaine con una strana espressione complice sul volto "E credo tu sia perfetta per questo, Santana!"
"Io?" domandò lei sbarrando gli occhi. Blaine sorrise annuendo
"Certo.. l'altra sera, quando siete venuti al locale per vedermi cantare, lei... beh, è rimasta particolarmente colpita da te. Ti ha trovata molto simpatica e.. si insomma... credo volesse conoscerti meglio, ecco!" le spiegò annuendo convinto. Un sorriso mi si aprì inconsapevolmente sul volto. A quanto pareva Blaine ci era arrivato prima di me. E pensare che ero io l'amico di Santana. Possibile non me ne fossi mai accorto?
"D-dici sul... serio?" domandò lei senza fiato. Io e Blaine incrociammo lo sguardo per un solo istante. Ma fu sufficiente per comprenderci all'istante e sorriderci complici
"Certamente... anzi guarda facciamo così... ti lascio il suo numero così potrai contattarla tu stessa e potrete iniziare a sentirvi.. sono sicuro le farebbe molto piacere!" Blaine tirò fuori il cellulare dalla giacca e iniziò a fare scorrere le dita sul display. Sanatana al mio fianco era letteralmente congelata. Toccò a me scuoterla mentre Blaine attendeva in silenzio, un sorriso disteso sul volto
"Ehm... tesoro... il cellulare!" le ricordai e lei, immediatamente si frugò nella borsetta e tirò fuori il suo iPhone, in trepidante attesa. Blaine, nascondendo un sorriso divertito glielo dettò e lei, con le mani leggermente tremanti, e sotto la mia sorveglianza, lo memorizzò. Avrei dovuto ringraziare Blaine anche per quello come prossima cosa.

New York City. 31 Marzo 2012. Ore 09.12 P.M. (Sabato)

La festa stava procedendo nel migliore dei modi. Gli invitati erano arrivati, i piatti erano iniziati a girare, Kristen aveva recuperato un paio di camerieri e perfino Chang sembrava soddisfatto. Ad un certo punto si era perfino avvicinato a me e mi aveva mormorato
"Ottimo lavoro Hummel... ho fatto davvero bene a fidarmi di lei!" ed io, sorridendo in maniera educata ma profondamente colpito ed eccitato, gli feci segno di un brindisi con il bicchiere che lui colse al volo prima di allontanarsi. Sospirai beato. Come avevo immaginato, ricevere i complimenti dal capo, aveva un peso molto gratificante.
Diedi un'occhiata alla sala, ghermita di volti noti della televisione e del grande schermo, modelle, personaggi importanti della finanza. E tra questi, quasi spiccasse tra la folla illuminato da un faro invisibile, c'era Blaine. Seduto ad un tavolo accanto a Santana e Sam, che ci aveva raggiunti poco dopo la modella, intenti a chiacchierare animatamente, come grandi amici. Santana, dopo aver ricevuto il numero di Brittany, non aveva smesso un attimo di sorridere ed io, sarei stato pronto a scommettere che probabilmente sarebbe stato così ancora per un bel pò.
Guardai l'orologio e decretai che era giunto il momento. Il suo momento.
Mi avvicinai al tavolo, senza togliergli gli occhi di dosso. Mi chiesi se si fosse mai reso conto di quanto charme avesse e di quanto magnetismo paresse circondarlo. Forse ero solo io a sentirmi così attratto da lui, o forse era semplicemente bellissimo, ed era un dato di fatto.
"Blaine!" lo chiamai, distogliendolo dalla conversazione con Sam. Lui si girò a guardarmi, facendomi appena tremare per il sorriso che involontariamente mi rivolse. Lui colse il mio sguardo all'istante e si fece subito serio.
"É ora?" domandò soltanto, stringendo appena il tovagliolo in un pugno. Io annuii lasciandogli un sorriso di incoraggiamento
"Coraggio Blaine.. sono sicuro che farai scintille lì sopra!" lo esortò Santana dandogli una pacca sul braccio e Sam le si accodò subito
"Infatti.. sono davvero curioso di sentirti cantare." lui tentò un sorriso, e si alzò. Insieme ci dirigemmo verso il palco e ne facemmo il giro fino alle scalette che erano sul retro. Prima di farlo salire, lo bloccai per un polso e inchiodai gli occhi ai suoi. Ne lessi immediatamente tutta l'ansia e il terrore che fino ad allora era riuscito a mascherare. Mi fece incredibilmente tenerezza.
"Stai tranquillo, Blaine... andrà benissimo!" lo rassicurai in un sussurro. Lui deglutì, guardandosi le punte delle scarpe
"E se invece si dovesse trasformare in un autentico disastro?" domandò tremando appena con la voce
"Non succederà. Ricordi? Io credo in te e nel tuo talento. E non puoi assolutamente fare nulla per deludermi, è chiaro?" cercai il suo sguardo sfuggente per imprimere meglio quelle parole e vidi i suoi occhi luccicare e un sorriso timido aprirsi sulle sue labbra
"Kurt..." tentò di dire
"Ora sali su quel palco, e dimostra a tutte queste persone quanto vali! Io sarò tra di loro a fare il tifo per te!" e con un gesto forse troppo azzardato, mi avvicinai per lasciargli un bacio sulla guancia. Lui sorpreso spalancò gli occhi ma non disse nulla. Mi allontanai all'istante con le guance rosse e il cuore a mille, spinto da una forza incredibilmente potente, carico di adrenalina. Proprio in quel momento sentii la tasca vibrare. Qualcuno mi stava chiamando. Qualcuno mi disturbava durante la festa di beneficenza. Era David, ci avrei scommesso.
Raggiunsi il tavolo di Santana e Sam, continuando ad ignorare il telefono che vibrava imperterrito mentre con un sorriso emozionato guardavo Blaine salire sul palco e ringraziare timidamente gli applausi che erano automaticamente partiti. Poi si sedette al pianoforte e dopo un lungo sospiro iniziò a suonare. E lì, in momento, in quella sala perfettamente allestita, in mezzo a quasi quattrocento persone, mi sentii immediatamente a casa.
Mi dispiace, David... ora non posso risponderti... sono impegnato ad ascoltare la voce di un angelo...
 

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Capitolo 13
*** Una soluzione apparente ***


(...) Dopo Festa (B) Sale a tutti miei adorati cuccioli di Labrador... è finalmente arrivato il tanto atteso Mercoledì, e oggi finalmente si saprà cosa diavolo intendesse dire quella scimmia dell'autrice dicendo che questo capitolo sarebbe stato "particolare"... ehm ehm... probabilmente qualcuno di voi a fine capitolo mi odierà, qualcun altro mi adorerà... state pur certi che quello che succederà... cambierà decisamente le carte in tavola. Bene... nascondete i bambini e... sì insomma... tenetevi pronti per tutto ^^ detto questo vi lascio e ci vediamo Sabato ;)
p.s. Nonostante sia senza computer, la mia artista riesce comunque a farmi queste meraviglie.. e devo dire che questa settimana si è superata... spero che il capitolo valga come ricompensa, tesoro mio :*
n.b Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una piccola One Shot nella sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità finita, mi dileguo ;)






New York City. 01 Aprile 2012. Ore 09.45 A.M. (Domenica)


Mi sentivo bene, stranamente rilassato, in pace con il mondo. Con gli occhi ancora chiusi, mi lasciai scappare un mugugno di beatitudine, strofinando il naso sul cuscino. Perfino le lenzuola sembravano avere un profumo diverso. Più buono, più dolce. Cercai di fare mente locale e ricordarmi se per caso avessi cambiato detersivo, ma l'unica cosa alla quale volevo pensare in quel momento era il mio letto, mai stato così comodo prima di allora, e le ore di sonno che mi sarei potuto regalare quella mattina dato che forno e supermercato erano chiusi. Il beneficio della domenica.
Mi stiracchiai lentamente, giusto per sentire ogni singolo muscolo risvegliarsi. Ecco il mio programma: mi sarei alzato per andare in bagno e per mettere qualcosa nel mio stomaco brontolante, poi sarei tornato nel letto a dormire. Comodo, no?
Allungando il braccio urtai qualcosa: qualcosa di morbido e incredibilmente liscio e caldo. Ed era tutto tranne che il manto peloso di Cooper. Sembrava... sembrava...
Con la fronte aggrottata, girai la testa dall'altro lato e finalmente aprii gli occhi. Quello che trovai mi fece bloccare il respiro in gola e contemporaneamente la mia mente fu invasa dai ricordi.

New York City. 01 Aprile 2012. Ore 02.15 A.M. (Domenica)

"E perché... quando James Lipton mi ha detto di essere sicuro di avermi sentito cantare al Fillmore di San Francisco e io gli ho risposto di non essere mai neppure stato in California... l'hai vista la sua faccia stupita?" feci, incapace di trattenere le risate
"No, quella devo essermela persa... ero ancora sotto shock dopo che Paris Hilton ti è quasi saltata addosso, confessandoti il suo amore!" si passò una mano sulla faccia ridendo a crepapelle. Ricordai perfettamente la scena e il sorriso della ragazza che diventava quasi spaventoso. Ma in quel momento mi sembrava la cosa più esilarante del mondo
"Penso avesse esagerato un pò con lo champagne la poveretta!" commentai scuotendo la testa
"Questo è sicuro... vedrai che figura ci farà domani quando sulle migliori testate di gossip, uscirà il suo bel didietro al vento, quando è inciampata nel vestito di quella modella svedese!" e detto questo scoppiammo a ridere di nuovo, quasi in sincrono. Mi accarezzai una mano distrattamente
"Oddio... mi fanno male le mani tante sono state le persone a cui le ho strette stasera..." mormorai con un sorriso felice
"Ti hanno assalito, letteralmente!" annuì Kurt guidando tranquillamente tra le strade trafficate di New York senza alcun problema. Neanche tutte quelle risate sembravano distrarlo. "Ma per fortuna questo non ti ha impedito di suonare il pianoforte in quel modo quasi divino!" e si girò appena per sorridermi ammirato. Nonostante le risate, non riuscii a trattenermi dall'arrossire
"Divino?" lo scimmiottai
"Dico sul serio, Blaine... sei stato... Dio... mi hai fatto venire la pelle d'oca. Ma d'altra parte, se ne sono accorti tutti in quella sala. Pensa che Santana ha dovuto chiudere la bocca di Sam che era rimasta spalancata e poi non ha smesso un attimo di ripetere quanto tu fossi bravo e quanto belle fossero le canzoni che avevi scelto!" mi raccontò entusiasta. Sinceramente non lo avevo ascoltato completamente. Il mio cervello si era inceppato quando aveva sentito "pelle d'oca". Era una cosa... buona, no?
"Mi sono affidato... all'istinto!" mormorai con mezzo sorriso. Lui ridacchiò
"E hai fatto bene. I miei complimenti!" convenne, attraversando l'incrocio e svoltando nella nostra strada. A quell'ora la città era ancora perfettamente viva. Quello era il bello di abitare a New York: una città di questo calibro non andava mai a dormire, neanche alle due di notte. C'era gente che passeggiava sui marciapiedi, locali aperti, macchine che sfrecciavano frenetiche, sirene in lontananza. Ma nessuno si accorse di quei due ragazzi che rientravano nel loro condominio ancora scossi dalle risate, quasi fossero ubriachi. Sarebbe stato difficile far capire loro che non ridevamo come due pazzi a causa dell'alcool - io almeno, eccetto un bicchiere di champagne, non avevo toccato più nulla - ma per via dell'adrenalina che era salita a mille.
Continuammo a ridere per qualcosa di assurdo, perfino nell'ascensore, seppure avessimo cercato di trattenerci, per evitare di svegliare tutto il palazzo. Arrivati al nostro piano, ci ritrovammo uno di fronte all'altro, esattamente in mezzo al pianerottolo.
Solo allora, guardandolo in uno strano ma intenso momento di serietà, mi resi conto di una cosa
"Dobbiamo finire quel discorso, ricordi?" esclamai allora, non riuscendo a trattenermi. Lui piegò la testa di lato, pensieroso
"Quale... discorso?"
"Quello che abbiamo rimandato prima... quando eravamo in macchina!" specificai mentre un'espressione di sorpresa si dipinse sul suo volto
"Oh... te ne sei ricordato!" fece sgranando appena gli occhi
"Certo che me ne sono ricordato... ed ero serio prima, quando ti ringraziavo per l'opportunità e per la fiducia. Se non fosse stato per te, Kurt... io non avrei..." ma mi bloccai, cercando le parole adatte che non volevano arrivare. E dire che ero sempre stato bravo con le parole. Ma forse ne avevo usate troppe per quella sera, ringraziando per i complimenti che avevo ricevuto, e le avevo miseramente esaurite. In quel momento, proprio quando mi sarebbero servite di più... non ne avevo.
"Blaine!" mi chiamò lui stringendomi una spalla e lì mi accorsi di aver abbassato lo sguardo imbarazzato
"Kurt, io..." ritentai
"Shhh... basta, ok? Va bene così!" mi rassicurò con un sussurro ed un piccolo sorriso che ebbe il potere di provocarmi un brivido.
La famosa pelle d'oca...
"Tu hai salvato me dalla rovina... io ho permesso a te di realizzare una specie di sogno... siamo pari, no?" esclamò sereno, fin troppo vicino e diamine... profumava di buono! Per quanto ancora sarei riuscito a resistere? Già prima, quando eravamo nel mio soggiorno, a meno di un passo di distanza, avevo sentito un'urgenza inspiegabile impossessarsi di me, e se fossi stato un pò meno coscienzioso e lui un pò meno fidanzato, non mi sarei fatto troppi scrupoli e l'avrei baciato. E a proposito di David... come mai lui non era venuto? Sapeva della serata di beneficenza? Sapeva che era stato Kurt ad organizzarla? Sapeva che io avevo cantato e suonato? Sapeva che James Lipton in persona mi aveva stretto la mano e fatto i complimenti?
"Permettimi almeno di... offrirti qualcosa da bere... per festeggiare!" tentai di aggrapparmi ad un piccolo appiglio, nel bel mezzo del nulla. Mi diedi dello stupido, immediatamente. Cosa diamine credevo di fare, invitando un mio amico, e mio vicino, a casa mia a quell'ora con la banalissima scusa del bere insieme una birra? Quale sano di mente avrebbe..
"Ok!" rispose lui, lasciandomi per la seconda volta senza fiato
"Ok?"
"Sì, ok... va bene... d'accordo... si può fare..." aggiunse ridacchiando e facendo ridere anche me. Con un sospiro mi girai ed aprii la porta. Accesi le luci e con la coda dell'occhio mi accertai che fosse davvero ancora lì, dietro di me. Avrebbe benissimo potuto approfittare della mia distrazione per svignarsela, chiudersi nel suo appartamento e poi urlare da dietro la porta che era stanco, e che non era il caso per noi di continuare a stare insieme, se nell'aria circolava quel genere di tensione. Ne andava della nostra amicizia e del suo rapporto con David. O almeno, questo era quello che una persona coscienziosa e molto fidanzata avrebbe fatto.
Salutai il piccolo Cooper, che sembrava molto più interessato alla sua preziosa coperta colorata per la nanna, per darmi retta, e così mi limitai ad accarezzargli un orecchio ricevendone in cambio un verso di ringraziamento.
"Sai a cosa stavo pensando?" mi fece ad un tratto Kurt, grattandosi il mento e avanzando nel salone.
"No, cosa?"
"Stasera tra tutti quei manager e personaggi dello spettacolo... ci potrebbe essere stato un talent scout o un agente in cerca della sua prossima stella. Magari questo presunto tizio ti ha visto, ti ha trovato sensazionale e domani mattina ti scritturerà per un contratto discografico del valore di milioni di dollari!" e aprì le braccia per sottolineare la portata gigantesca della cosa. Io scoppiai a ridere, di nuovo
"Mmmm interessante... e sentiamo, come farà a chiamarmi se non sa neanche il mio numero?" lo provocai avvicinandomi. Lui accettò la sfida con un mezzo sorriso
"Chiamerà Kristen che poi chiamerà me ed io... busserò alla tua porta per darti la meravigliosa notizia!" spiegò entusiasta. Dovevo ammettere che l'idea era davvero allettante. Peccato avessi altro di molto più interessante a cui pensare in quel momento. Ed avanzai ancora
"D'accordo, Hummel... ma pensandoci... se davvero ci fosse stato un agente discografico lì in mezzo... perché non si è fatto avanti da solo per lasciarmi il suo bigliettino da visita?" tentai ancora. Lui mi guardò male, divertito fino all'inverosimile per i miei continui tentativi di sabotaggio
"Era troppo timido?" fece in risposta, facendomi ridacchiare. Altro passo verso di lui
"Un agente discografico timido... sarebbe un pò come trovare una modella zoppa!" esclamai provocando un'altra ondata di risate.
"Aspetta ci sono..." si calmò, ponendo avanti le mani "Lui o lei, volevano parlarti, ma la vista delle mutande fucsia di Paris li ha scioccati talmente tanto che hanno preferito allontanarsi con disappunto!" fantasticò. Ci guardammo per due secondi, seri, dopodiché scoppiammo a ridere. Io mi tenevo la pancia, iniziava quasi ad essere doloroso. Se non altro le guance facevano male.
"Ma come fai?" domandai tra una risata e l'altra facendo un altro passo. Ormai eravamo davvero vicini, forse più di prima. Sentivo perfettamente il suo respiro, accelerato a causa delle continue risate, le guance erano appena rosse per lo stesso motivo e il suo profumo era semplicemente delizioso. Nella mia testa feci finta che era per causa mia se il respiro e le guance fossero in quelle condizioni. Ma il profumo persisteva in ogni caso.
"A fare cosa?" mi domandò a sua volta. Mi morsi il labbro per evitare di rispondere di getto, senza pensare. Non potevo permettermi di rovinare quell'atmosfera per una parola sbagliata. Avevamo fatto tanto per ritrovarci di nuovo così, nonostante tutto. Lui non era ancora scappato ed io non volevo di certo dargli un valido motivo per farlo. Soprattutto se David continuava a rimanere un particolare nascosto della sua vita. Non riuscendo a trovare le parole adatte - per la seconda volta in meno di dieci minuti - decisi di scuotere la testa e tacere. Lo sentii sospirare. Mi sarei aspettato qualcosa di decisivo a quel punto, tipo lui che seccato dalla mia vicinanza, mi salutasse e andasse a dormire. Nel suo appartamento. Dall'altro lato del pianerottolo. Ma non lo fece
"Blaine..." mi chiamò invece, in un sussurro che mi fece chiudere gli occhi d'istinto "Sento il bisogno di dirti una cosa..."
No, ti prego, non farlo... vattene e basta, senza dire niente. Altrimenti non lo sopporterei...
"Vorrei farti presente che stasera ho bevuto semplicemente una coppa di sidro di mele e nient'altro!" esclamò con la voce appena malferma, ma ugualmente soddisfatta. Confuso alzai lo sguardo
E... quindi?...
"Non capisco!" mormorai. Lui sorrise, arrossendo appena, prima di avanzare di mezzo passo verso di me e rispondere in un sussurro
"Non voglio che pensi che ciò che sto per fare... sia dettato dall'alcool. Lo faccio, perché sono io a volerlo!" ma non feci in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, perché mi ritrovai prontamente le labbra bloccate dalle sue. Rimasi scioccato, senza fiato, e con gli occhi spalancati. Le sue labbra erano semplicemente posate sulle mie, in un caso bacio a stampo, ed io l'unica cosa che riuscivo a pensare era:
"Dio... ha le labbra più morbide di quanto avessi immaginato!"
Coraggio, Blaine... mettici almeno un pò di impegno...
Provai a riprendermi il più in fretta possibile, iniziando con il chiudere gli occhi - altrimenti che figura ne avrei fatto? E adesso? Cosa avrei dovuto fare?
Per la seconda volta Kurt pensò per entrambi, muovendo le labbra per venirmi incontro. Mi ritrovai a sollevare una mano e a posargliela sulla guancia. Lui sussultò appena, ma rimase lì fermo, incollato fortunatamente a me. Quasi gli avessi dato, con quel gesto, il permesso per muoversi, mi posò entrambe le mani sulle spalle. Per un momento credetti volesse allontanarmi, ma mi sbagliavo. Cercava semplicemente di avvicinarmi maggiormente, di aumentare il contatto fisico. Ed io mi resi effettivamente conto di non essere nelle condizioni più adatte per muovermi.
Spinto da una forza ed un coraggio che mai avrei creduto di avere, provai ad aprire appena le labbra per far scivolare fuori la lingua. Ecco, lì sarebbero arrivati gli schiaffi e le urla, perché non mi sarei dovuto permettere e perché noi eravamo solo amici. A poco sarebbe valso fargli presente che era stato lui a baciare me e non il contrario.
Ma non mi scacciò. Con un sospiro mi lasciò passare e ad accogliermi trovai la sua lingua pronta e dannatamente liscia
Se questo è un sogno.. per favore non svegliatemi...
La mia mano rimase ferma, ancorata alla sua guancia accarezzandola appena, per quanto quel momento di passione improvvisa potesse ammettere della dolcezza del genere. Le sue invece, abbandonarono le mie spalle per scivolare tra i miei ricci e stringerli appena, senza provocarmi alcun dolore. Sentivo di essere sul punto di andare a fuoco. Mi sentivo vivo, elettrico e straordinariamente appagato. E in tutte quelle emozioni, riuscii perfino a sentirmi a casa, come mai prima di allora. Il bacio continuò così, passionale ed intenso fino a che non avvertimmo entrambi la necessità di respirare e fummo costretti a separarci. Ma lui non scappò neanche quella volta. Rimase con le mani immerse nei miei capelli e riaprì gli occhi insieme ai miei. Li trovai incredibilmente chiari, limpidi, appena lucidi per l'eccitazione. Fu una scarica di adrenalina diritta al cervello. E non solo al cervello.
"Vorrei approfittare di questo momento per specificare che neanche io ho toccato più di un bicchiere questa sera... dunque sono.. perfettamente sobrio e consenziente!" mormorai a pochi centimetri dalla sua bocca. La voce roca
"Consenziente?" domandò divertito, la voce più bassa del solito. Io sorrisi scuotendo la testa
"Consapevole... volevo dire consapevole!" mi corressi. Lui annuì e sospiro piano, accarezzandomi la nuca. Resistetti alla tentazione di mettermi a fare le fusa come un gatto. Aveva un tocco così delicato ma allo stesso tempo erotico. Poggiai la fronte alla sua, perdendomi sotto le sue carezze e il suo profumo.
"Kurt..."
"Mmmh?"
"Cosa... cosa stiamo... facendo?" trovai il coraggio di domandare. Mi sarei voluto prendere a pugni da solo. Che diavolo di bisogno c'era di chiedere una cosa del genere? Non potevo semplicemente starmene zitto e godermi il momento? Dovevo per forza dargli un valido motivo per scappare? Perché le parole, che fino ad allora non venivano fuori, tutto ad un tratto, sbucavano come funghi?
Lui sospirò, sfiorando la mia guancia con la punta del naso
"Non lo so, Blaine... non lo so davvero!" mi rispose in un sussurro, direttamente nell'orecchio. Fu il mio turno per sospirare "So solo che non voglio smettere!" aggiunse. Il cuore fece una mezza capriola nel petto e tamburellò frenetico contro le costole.
Coraggio, Blaine, dillo... a questo punto cosa ci perdi?...
"E allora siamo in due!" risposi con mezzo sorriso, scendendo lentamente con le mani sul suo petto. Spostò il viso, fino ad intercettare nuovamente il mio sguardo e questo contatto ritrovato fece scattare qualcosa nella testa di entrambi perché un secondo dopo ci ritrovammo di nuovo incollati e smaniosi. Quelle labbra erano la cosa più deliziosa e delicata che avessi mai assaggiato. E la cosa più meravigliosa, era stato scoprire come si adattassero perfettamente alle mie. Sembravano nate per rimanere unite.
Spinti dalla scia di questa insana passione, mi ritrovai a posare le mani sul nodo della cravatta e a sfilargliela con pochi gesti. Lui invece, quasi in risposta, mi sciolse il papillon ed iniziò a far scivolare le mani sui bottoni della giacca.
"Lascia che ti spieghi una cosa..." ... "Quando si porta una giacca tipo questa, con tre bottoni, di norma si chiude solo quello al centro!" ... "E... l'ultimo?" ... "No, quello rimane aperto... in ogni caso!"...
Mi scappò un sorriso nel ricordare quel discorso quasi assurdo che avevamo fatto poco tempo prima. A pensarci non era cambiato praticamente nulla da allora: eravamo ancora noi due, incredibilmente attratti l'uno dall'altro, con una strana adrenalina addosso e la voglia di spogliarci il prima possibile. Troppi strati di abiti a dividerci, e questo non andava affatto bene.
Mi fece liberare della giacca mentre le mie mani si erano già impossessate della sua camicia e l'avevano tirata delicatamente dai pantaloni: non volevo rischiare di rovinargli un vestito che pareva particolarmente costoso solo perché fremevo di sentire la sua pelle nuda e calda contro la mia. Dovevo provare a trattenermi, almeno per il momento. Ma ero smanioso, volevo di più, volevo lui. E tutta quell'attesa, tutta quella lentezza, mi stava uccidendo. Lo feci indietreggiare di qualche passo, fino a fargli scontrare la schiena con la spalliera del divano dove si appoggiò e io di conseguenza mi appoggiai a lui, tra le sue gambe. A quella distanza il minimo movimento diventava pericoloso, e difatti me ne accorsi quasi subito quando, dopo un suo millimetrico spostamento dei fianchi, i nostri bacini entrarono in contatto, incandescenti, facendo sospirare entrambi.
Dio Santo...
In poco tempo venne via anche la sua giacca e la camicia bianca, seguita a ruota dalla mia. Non resistetti neanche un attimo alla vista della sua pelle nivea e perfetta del petto e mi avventai con le mani, accarez
zandolo placidamente. Era liscio e maledettamente caldo e nonostante fosse magro e non particolarmente muscoloso, ne sentivo perfettamente gli addominali sotto il mio tocco febbrile. Abbandonai per un istante le sue labbra per dedicarmi all'invitante collo altrettanto bianco e liscio, iniziando a giocare con la pelle dietro l'orecchio, accarezzandola con le labbra, baciandola e poi leccandola. Era gustoso, aveva un buon sapore.
"B-blaine... potresti... potresti evitare di..." mi domandò con la voce tremante. Alzai lo sguardo per incontrare il suo e lo trovai eccitato ed impaziente
"Di fare cosa?"
"Il collo... potresti, ecco... tenerti alla larga dal collo? Sai, non vorrei che..." imbarazzato mi sorrise, ed io capii dove volesse arrivare. Già, David. Gli sorrisi di rimando, lasciandogli un morbido bacio sulla guancia
"Non c'è problema!" sussurrai mentre scivolava con le mani per tutta la lunghezza della mia schiena
"In compenso... c'è tanta altra pelle con cui divertirsi!" sussurrò provocante nel mio orecchio facendomi perdere completamente la ragione. Mi lasciai scappare un gemito, fiondandomi all'istante sulle sue labbra e spingendo quasi in simultanea il bacino in avanti. Mugugnò di sorpresa e per la pressione, ma si adattò senza problemi al mio ritmo. Non so quanto ancora saremmo durati - quanto ancora io sarei durato - ma mi rendevo anche conto di voler andarci piano con Kurt. Sentivo che c'era qualcosa di profondo che in quel momento ci stava legando, e non volevo ridurre tutto a del semplice contatto fisico. Avevo un disperato bisogno di lui - in tutti i sensi - ma dovevo controllarmi. Così rallentai il ritmo del bacio e allontanai appena il bacino che iniziava a diventare insistente e fin troppo spinto ed esplicito. Un altro pò e avrei rischiato di fare una pessima figura, e venire nelle mie stesse mutande. Direi che non era proprio il caso.
Scesi con le labbra sul petto, mentre le sue mani, ancorate ai ricci, mi guidavano senza fretta. Aveva un sapore dolce, come di vaniglia mista a qualcos'altro... un sapore mai provato prima. C'era stato un tempo, tanto lontano, in cui avevo creduto che Sebastian avesse un corpo meraviglioso ed un'incredibile capacità di usarlo. C'era stato poi, il tempo per credere che Jeremiah fosse nettamente più bello e aggraziato nei movimenti. In quel preciso momento, mentre lentamente tornavo ad appropriarmi delle labbra di Kurt, iniziai seriamente a dubitare di tutto ciò che avevo affermato prima di conoscerlo. Non c'era corpo, viso, odore, consistenza o calore, migliori di quelli di Kurt. Lui era... l'essenza perfetta.
Le mani di Kurt abbandonarono i miei capelli, per scendere lentamente sulle spalle, accarezzarmi il petto e poi sparire oltre i fianchi. Soltanto quando avvertii una sua carezza particolarmente esplicita al di sotto della cintura, mi resi conto di quanto fossi pericolosamente vicino. Mi precipitai ad afferrargli il polso mentre un gemito mi scivolava dalle labbra. Lui preoccupato mi guardò
"Ho fatto... qualcosa che non va?" domandò in un soffio. Io sorrisi, scuotendo la testa e gli accarezzai la guancia con le labbra
"Affatto... mi stavo solo chiedendo se non fosse meglio... andare di là... in camera!" mormorai prendendo coraggio. Temevo di aver osato troppo, nonostante a conti fatti fossimo entrambi mezzi nudi e particolarmente eccitati. Ma un conto era spogliarsi e farsi prendere dalla accecante passione nel salotto di casa, un'altra era spostarsi volontariamente in camera da letto. Da lì in poi sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Lui parve pensarci per qualche istante, mordendosi un labbro. Stava forse cercando le parole più gentili per farmi capire di averci ripensato e che dovevo spostarmi e lasciarlo passare? Dio... non lo avrei sopportato. Ma prima che potessi farmi prendere ancora di più dal panico, eccola la sua voce tornare a farsi sentire
"Andiamo!" esclamò accennando un sorriso. E fu lì che effettivamente iniziai a non capirci più nulla. Risposi al suo sorriso e gli afferrai la mano per guidarlo nella mia stanza.

New York City. 01 Aprile 2012. Ore 09.47 A.M. (Domenica)

Rimasi immobile a fissare il corpo nudo ed addormentato di Kurt per un tempo indefinito. Mi sarei aspettato di risvegliarmi da un momento all'altro e scoprire che in realtà nel mio letto non c'era nessuno e che la mia fervida immaginazione mi aveva giocato un altro brutto scherzo. Ecco a cosa portava il vivere da soli per troppo tempo, il non aver contatti fisici per lunghi periodi. L'illusione ottica - anche detta allucinazione - era il primo sintomo della pazzia.
Eppure... sembrava tutto così reale. La sua schiena liscia che si alzava e abbassava ritmicamente con il suo respiro, i capelli disordinati e schiacciati sul cuscino, il braccio abbandonato lungo un fianco, così vicino al mio. Provai a darmi un pizzicotto sulla pancia, ma non ce ne fu bisogno. Il constatare che sotto il lenzuolo non portassi nulla, fu sufficiente. Arrossii appena, girandomi su un fianco, ad osservare meglio la magnifica figura che mi dormiva accanto e quasi inconsapevolmente sorrisi. Era così bello, indifeso e rilassato. Ed io sentii il petto riempirsi di orgoglio per il fatto che probabilmente, parte di quella serenità che gli dipingeva il volto era merito mio. Merito mio e della stupenda notte che avevamo passato insieme. Stentavo ancora a crederci, eppure era così. Lo testimoniava il leggero intorpidimento che avvertivo alle gambe, le lenzuola del mio letto sconvolte, il resto dei nostri vestiti sparsi per il pavimento. Lo testimoniavano ancora più chiaramente l'involucro ormai vuoto del preservativo sul comodino o la boccetta del lubrificante lasciata aperta per via della foga del momento - nota mentale: ringraziare Sebastian ed i suoi assurdi ed imbarazzanti regali che mi avevano senza dubbio salvato la serata. Nella mia mente era tutto ancora così confuso, ma ricordavo perfettamente la sensazione che avevo provato, nel trattenere il respiro entrando nel suo corpo. Era stato... come sentirsi completo, trovare l'esatta collocazione nel mondo e contemporaneamente sentirsi tanto piccolo e inutile di fronte a tale perfezione. Sì, perché Kurt era la perfezione. Tutto in lui era dannatamente esatto e speciale da essere quasi doloroso. Non aveva abbandonato la mia mano neanche per un attimo, l'aveva stretta forte, intensificando la presa mano a mano che le spinte aumentavano, e probabilmente aveva continuato a stringerla anche durante la notte, ma purtroppo i movimenti del sonno ci avevano portati a separarci. Poco male, avrei potuto stringergliela io ora, se solo non avessi avuto l'assurda e attanagliante paura che si potesse svegliare, mettere a gridare sconvolto e scappare via. Assurdo come avessi ancora paura che potesse avere una reazione del genere. In fondo... dopo quello che era successo, non potevo ancora avere dubbi... o no?
Indeciso su come comportarmi, se rimanere fermo a fissarlo e a fantasticare su di lui, o svegliarlo - magari con un bacio, come nelle favole - decisi di fare quello che sembrava essere più indolore possibile. Mi mossi lentamente, sgusciando fuori dal letto e pregando le molle del materasso di non fare troppo rumore. Mi allungai verso la sedia e recuperai il pantalone di una tuta e una t-shirt nera e, facendo molta attenzione a non inciampare in scarpe e pantaloni ammucchiai in varie parti del pavimento, uscii dalla stanza.
Il salone sembrava la fotocopia della camera da letto: vestiti sparsi, camicie per terra, giacche abbandonate pigramente. Con il cuore palpitante, raccolsi tutto e li depositai ordinatamente sul divano, concedendomi qualche secondo di perdizione, annusando spudoratamente la camicia di Kurt. Cooper per fortuna aveva fatto il bravo, non aveva sbranato niente, limitandosi ad addormentarsi sulla mia giacca sul pavimento. Lo scostai con delicatezza, accarezzandolo e lui, infastidito si allontanò, diretto alle sue ciotole. Dopodiché sospirai ed andai in cucina. Ci voleva la colazione per tutti, urgentemente.
 
New York City. 01 Aprile 2012. Ore 10.02 A.M. (Domenica)

Se c'era una cosa che odiavo della vita, era quell'assurda sensazione che si provava appena svegli, quando arrivi a constatare seccato che avresti avuto davvero bisogno di dormire un altro pò, eppure qualcosa, magari un bisogno fisiologico impellente oppure il borbottare dello stomaco vuoto, erano lì in agguato, pronti a svegliarti. Se poi le due cose si univano assieme, era la fine. Così, estremamente frustrato, mi tirai a sedere, stropicciandomi gli occhi e feci per alzarmi. Ma quasi immediatamente capii che qualcosa non quadrava: che fine avevano fatto le mie preziose ciabatte di Alviero Martini e, soprattutto, perché diavolo ero completamente nudo?
Confuso diedi un'occhiata veloce alla stanza... niente armadio a tre ante, niente specchio intarsiato, niente poltroncina di velluto, niente di niente. Ma di chi diavolo era quella stanza, e perché era così dannatamente simile alla mia? Qualcosa all'improvviso intercettò il mio sguardo: una foto sul comodino, un gruppetto di ragazzi - cinque o sei - si abbracciavano sorridenti davanti l'obbiettivo, uno diverso dall'altro, ma tutti con le stesse divise blu e rosse. Tra tutti quei volti così giovani e allegri ne riconobbi all'istante due: il primo, il più alto di tutti era senza dubbio Sebastian, con lo stesso ghigno sbruffone con cui si era presentato a me la prima volta. Il secondo era...
Un rumore di stoviglie proveniente dalla cucina mi fece sobbalzare. Merda, ora sì che ricordavo.
Mi affrettai a recuperare i miei boxer e i pantaloni dal pavimento, ignorando quella piccola bustina strappata e quel tubetto che avevo intravisto sull'altro comodino. Dopodiché mi concessi qualche secondo per calmarmi ed analizzare la situazione.
Ok, con calma... ero andato a letto con Blaine, il mio vicino di casa, nonché amico, ed avevamo passato tutta la notte assieme. E allora perché la cosa, invece di farmi uscire di testa, di farmi impazzire e sentire uno schifo, mi faceva sorridere e sentire una strana ma piacevole morsa allo stomaco? Che diamine di reazione era quella? Ero fidanzato, per Dio... avrei dovuto come minimo indignarmi o sotterrarmi in qualche fossa per la vergogna e il disprezzo. Ma invece... ad essere sinceri mi ero ricordato di David, solo perché mi ero costretto a farlo. E, inoltre... sembravo immune a qualsiasi tipo di senso di colpa al momento. Cos'è che dicevano sempre nei film? La consapevolezza che ti prende il giorno dopo è davvero brutta da sopportare? Che ci si sentiva dei mostri, delle persone sporche e insensibili? Non avevano mai parlato di pace dei sensi, soddisfazione, beatitudine e calore alla bocca dello stomaco? No?
Sistemandomi alla meglio i capelli, che sospettavo fossero un disastro - ma benedetto ragazzo... non ce l'aveva uno specchio in camera? - mi concessi un lungo sospiro ed uscii dalla stanza. Nel soggiorno i rumori che avevo sentito poco prima si fecero più forti, e venni investito da un delizioso profumo di pancakes e di caffè. Mi tenni lo stomaco che brontolò di nuovo avanzando di qualche altro passo. Con la coda dell'occhio vidi il resto dei miei vestiti poggiato delicatamente sul divano e mi lasciai scappare un sorriso, anche se non avevo un motivo reale per farlo. Mi era semplicemente parso un gesto così... premuroso. Cooper, vedendomi, mi trotterellò accanto, per annusarmi e soddisfatto sparì in camera. Era un cane furbo, avrebbe senza dubbio approfittato della distrazione del padrone, per infilarsi nel letto.
Con mezzo sorriso sul volto, mi feci coraggio e mi affacciai in cucina. La prima cosa che mi colpì, oltre ad un'altra ondata profumata di cibo, fu il leggero e armonico canticchiare di qualcuno. Era un motivetto allegro e ritmato, che non seppi bene identificare, ma che mi piacque all'istante. Blaine mi dava le spalle e se ne stava davanti ai fornelli, con una paletta in mano e il manico della padella dei pancakes nell'altra. I fianchi gli si muovevano a tempo con la musica e fu la cosa più esilarante e buffa che avessi mai visto e difatti non potei trattenermi dallo scoppiare a ridere di gusto, attirando la sua attenzione.
Si girò a guardarmi sorpreso per poi aprirsi quasi immediatamente in un fantastico sorriso gioioso che gli fece comparire di nuovo due stupende fossette sulle guance
"Spero tu non stia ridendo di me, Hummel... altrimenti niente colazione per te stamattina!" mi minacciò divertito, prendendo un piatto dalla credenza - Dio, si era perfino sollevato sulle punte per farlo - e posando il pancake appena finito con molta delicatezza e attenzione
"Scusa è che... eri... particolarmente buffo!" mi giustificai indicandolo. Lui mi guardò confuso
"Buffo?"
"Stavi sculettando, Blaine... in cucina... davanti ai fornelli... con in mano una paletta per girare le frittelle!" gli feci presente. Ridacchiò divertito, posando il piatto sul tavolo e spegnendo il fuoco sotto la padella. Si girò nuovamente verso di me e mi sorrise ancora, quella volta mite e sereno
"Buongiorno!" mormorò. Sospirai mordendomi l'interno di una guancia
"Buongiorno!" gli feci eco
"Prego, accomodati..." e mi fece segno verso una sedia "Ti sarei venuto a svegliare io tra poco... il tempo di finire di preparare la colazione!" mi avvertii prendendo posto a sua volta. Mi sedetti anche io, di fronte a lui e subito mi versai un pò di caffè e lo stesso feci per la sua tazza
"Quindi tu... prepari la colazione a tutti quelli con cui passi la notte?" domandai curioso e divertito allo stesso tempo. Il mio intento era quello di provocarlo. Semplice curiosità, nulla di più. Lui spalancò gli occhi ed arrossì appena dietro la tazza. Si schiarì la voce e tentò un sorriso
"No, certo che no... tu sei... non capita spesso, ecco!" mormorò imbarazzato, impugnando la forchetta e iniziando a tagliare il suo pancake
"Mmmm... quindi sono un privilegiato!" lo provocai ancora. Lui colse l'ironia e scoppiò a ridere
"In un certo senso sì. Diciamo che lo faccio anche per farmi perdonare, sai... nel caso in cui non fossi stato un granché durante la notte!" esclamò allusivo. Mi scappò da ridere ma a scapparmi dalla bocca furono anche le parole
"Oh, credimi... non hai nulla di cui farti perdonare!" ma subito me ne pentii arrossendo fino alla punta delle orecchie. Ok, magari quello avrei anche potuto evitare di dirlo. Fu il suo turno per ridacchiare del mio imbarazzo e si ficcò in bocca un pezzo di pancake, emettendo un leggero gemito di assenso.
Dio, i suoi gemiti...
Mi costrinsi alla calma, affondando la forchetta nel mio piatto e staccando un pezzo. Sembrava davvero invitante. Lo portai in bocca curioso e constatai all'istante che, nel caso in cui la notte con lui si fosse dimostrata deludente, Blaine si sarebbe ugualmente fatto perdonare con la colazione. Era sublime... mai assaggiato nulla di più buono. E tra l'altro... pensandoci, avrei dovuto aspettarmelo, dopo quella magnifica cena a base di pesce alla quale mi aveva invitato due settimane prima. Era davvero bravo in cucina, bisognava dargliene atto.
"Com'è? Ti piace?" mi chiese ansioso indicando il mio piatto
"Squisito!" risposi con un sorriso. Lui soddisfatto mi fece l'occhiolino e bevve un altro sorso di caffè. Era quella l'occasione migliore per parlare di quello che era successo durante la notte? Era quello il momento per i mea culpa e le scuse?
"So a cosa stai pensando, Kurt..." mi fece ad un certo punto, inghiottendo l'ultimo boccone di pancake. Io stupito inarcai un sopracciglio
"Ah sì? E a cosa starei pensando, sentiamo!" lui prese a giocherellare con la tazza prima di rispondere
"Stai cercando le parole più adatte da dirmi per farmi capire che dovrei dimenticare quello che c'è stato stanotte perché è stato un grandissimo ed imperdonabile sbaglio che non dovrà mai più ripetersi!" disse a testa bassa e il suo tono abbattuto fu come una pugnalata al cuore. Davvero credeva fossi tanto prevedibile?
"In realtà... quest'idea non mi ha sfiorato la mente neanche per un attimo!" mormorai in risposta facendogli scattare la testa e i suoi occhi cangianti tornarono a concentrarsi nei miei "Non ho intenzione di dimenticare nulla, né tanto meno di chiedere a te di farlo... sono perfettamente convinto che quello che è successo tra di noi la scorsa notte sia stato voluto da entrambi e pertanto non vedo perché sia necessario cadere nei soliti cliché da film in cui due che sono stati a letto insieme fingono di odiarsi a morte e si distruggono l'intera esistenza credendosi vittime del peccato carnale. Abbiamo passato la notte assieme e se posso permettermi di dirti una cosa senza sembrare troppo sfacciato... sono stato bene, molto bene e per questo non considero quello che abbiamo fatto un errore!" spiegai con calma. Lui annuì brevemente per poi rasserenarsi e concedermi un sorriso rilassato
"E quindi... cos'è stato?" domandò. Io scrollai le spalle
"Chiamiamolo un felice intermezzo delle nostre vite... ci siamo voluti prendere una pausa dal resto del mondo. Direi che ce la siamo ampiamente meritata, che dici?" e gli sorrisi complice. Lui ridacchiò
"Sono perfettamente d'accordo con te!" mi fece sapere infatti "Con tutto quello che hai detto... cioè... anche io sono... stato molto bene con te stanotte!" confessò poi arrossendo appena, gli occhi limpidi ancora incollati ai miei e quella intensità mi fece tremare appena. Diedi la colpa al fatto che fossi seduto a tavola a petto nudo, e mi limitai a sorridergli.
Blaine è stato bene con me.. cioè, gli è piaciuto...
Finimmo di mangiare in tranquillità, parlando nuovamente della serata di beneficenza, concedendoci l'ennesima risata nel ricordare ancora una volta le mutande al vento di Paris Hilton.
"Bene, io direi che è giunta l'ora di tornare a casa. Ho bisogno urgente di una doccia e di un cellulare per telefonare Kristen e leggere insieme le prime recensioni sulla festa!" esclamai dopo averlo aiutato a lavare i piatti - nonostante lui avesse categoricamente detto di non aver bisogno del mio aiuto. Tornammo in salotto dove recuperai la camicia e la giacca ed indossai entrambe in maniera molto approssimativa. Dovevo fare soltanto un paio di passi per raggiungere il mio appartamento, ma di certo non volevo che qualcuno mi vedesse in quello stato. Ci mancavano soltanto le voci di condominio.
"Fammi sapere cosa dicono queste famose recensioni... soprattutto quelle che parlano di me!" scherzò lui affondando le mani nelle tasche del pantalone. Io ridacchiai recuperando la cravatta e infilandola in tasca
"Ci puoi giurare... sarei proprio curioso di vedere che faccia farà il manager di Bon Jovi quando tutta la critica discografica acclamerà a gran voce il talento straordinario di Blaine Anderson. Si mangerà i gomiti per la rabbia ed io mi crogiolerò nella soddisfazione!" ghignai divertito facendolo ridere
"Aspetta a cantar vittoria... magari i critici non saranno così magnanimi e il tuo amico manager finirà con il farsi due grasse risate alle nostre spalle!" mormorò. Io scossi la testa
"Te lo ripeto, Blaine... hai una pessima considerazione di te... e la cosa non va affatto bene!" gli dissi. Sistemai meglio la cravatta in tasca e nel farlo toccai qualcosa. Un foglietto di carta, ripiegato. Lo tirai fuori e all'istante mi ricordai di una cosa importante
"Oh... già che sciocco, quasi dimenticavo!" mormorai porgendoglielo "Questo è per te!" lui lo afferrò titubante
"Che cos'è?"
"Il tuo assegno per la serata... il compenso che ti spetta per esserti esibito per la nostra agenzia!" gli spiegai. Lui lo osservò a lungo, prima di aprirlo, ancora titubante
"Ma Kurt... non ce n'era bisogno... lo sai, l'ho fatto per fare un piacere a te, non di certo per i soldi!" si lamentò
"Sì ed io non smetterò mai di ringraziarti per questo.. ma i soldi ti spettano ugualmente e poi comunque l'agenzia sarebbe stata disposta a cacciarli per Bon Jovi e quindi, visto che tu ti sei esibito al posto suo, quei soldi sono tuoi di diritto!" lui pensieroso si fermò ad analizzarlo per poi assumere un cipiglio confuso
"Ehm Kurt... credo ci sia un errore qui!" mi fece presente
"Mi sono dimenticato di cambiare il nome dell'intestatario?" domandai avvicinandomi per guardare l'assegno. In cima in bella mostra c'era scritto chiaramente Blaine Anderson, quindi non era quello l'errore
"La cifra, Kurt.. immagino ci siano un paio di zero in più!" mormorò indicandomi i numeri. Controllai anche quelli, perché forse la fretta mi aveva giocato un brutto scherzo e avevo scritto male trentamila dollari. Ma gli zeri c'erano tutti, non mancava nulla
"No, Blaine... la cifra è corretta!" gli feci notare allora. Lui spalancò gli occhi e si lasciò scivolare l'assegno dalle mani che, dopo un paio di giravolte, cadde a terra
"Blaine?"
"Oh porca puttana!" sbottò sbiancando di colpo.
"Salute!" feci io, sorpreso da tanta finezza mal tenuta, piegandomi a riprendere l'assegno caduto, prima che potesse capitare per sbaglio nella bocca di Cooper.
"Kurt... trentamila...!" boccheggiò sgranando gli occhi
"Eh lo so... l'ho compilato io stesso l'assegno per il signor Chang!" gli feci presente, ma quella sua espressione scioccata iniziava a preoccuparmi. Sembrava avesse perfino smesso di respirare. E non credevo fosse un buon segno
"Dollari!" aggiunse ancora coprendosi la bocca con la mano
"Dollari, Blaine... in che valuta li volevi... in euro?" gli chiesi divertito, posando l'assegno sul tavolo per tenerlo più al sicuro. Avevo come l'impressione che Blaine non fosse molto pronto per riprenderlo in mano
"E sono miei?" esitò portandosi la mano sul petto. Ok, avevo detto che vederlo canticchiare e muovere i fianchi mentre preparava i pancakes era buffo. Ma vederlo in quello stato, spaesato e quasi senza la lucidità, era decisamente più esilarante. Ma per rispetto, provai a trattenermi dallo scoppiare a ridergli in faccia
"Certo, Blaine, sono tutti tuoi! Aspetta soltanto un paio di giorni dopodiché potrai andare in banca ad incassarli!" gli diedi un'amichevole pacca sulla spalla, più che altro per scuoterlo un pò. Ecco, quella era senz'altro una reazione genuina di una persona normale alla vista di un assegno di tale portata. Per alcuni quei soldi erano due spicci, per altri - per un ragazzo che per mantenersi faceva tre lavori, alzandosi sei giorni su sette alle quattro di mattina, dormendo poco e niente, con tanti sogni e pochissime speranze di realizzarli - beh quei trentamila dollari valevano molto di più. E sinceramente in quel momento ero molto più contento di darli a lui che ad una celebrità già ricca sfondata. Blaine se li meritava tutti, fino all'ultimo centesimo.
Neanche a dirlo, mi ritrovai le sue braccia attorno al collo e il corpo completamente schiacciato addosso al mio. E fu come tornare indietro di sette o otto ore. Quando non c'erano ancora pancakes, o assegni a distrarci.
"Dio, Kurt... io non so cosa dire..." mormorò direttamente nel mio orecchio e dal suo tono di voce, capii che si era commosso. Sorrisi, stringendolo leggermente per le spalle
"Credo che un 'Ehi amico, grazie mille!' possa bastare!" risposi divertito. Lui ridacchiò contro la mia guancia per poi scostarsi appena e mormorare a pochi millimetri dalla mia bocca
"Grazie Kurt... dal profondo del cuore!" e qualcosa mi si strinse nello stomaco, ma non era la colazione.
"Adesso vado sul serio... Kristen sarà già in piedi da ore... quella ragazza non dorme mai... è una perfetta newyorkese!" ridacchiai allontanandomi, prima di cadere di nuovo nella tentazione di baciarlo e ricominciare da capo ciò che avevamo fatto durante la notte. Lui annuì, con gli occhi ancora lucidi e mi seguì fino alla porta. Attraversai il pianerottolo e aprii l'appartamento, ma prima di entrarci, mi girai ancora verso di lui, che se ne stava appoggiato allo stipite, con un dolcissimo sorriso sulle labbra e l'aria serena. La stessa espressione beata con cui mi aveva augurato il buongiorno poco prima. Sembrava stesse guardando qualcosa di meraviglioso e stentavo a credere che dall'altro lato ci fossi davvero io. Così, tentai l'ultimo insensato e istintivo gesto prima di tornare alla routine quotidiana. Volevo chiudere il nostro felice intermezzo - come io stesso lo avevo chiamato - nel migliore dei modi. Ritornai velocemente sui miei passi ed azzerai la distanza poggiando le mie labbra sulle sue. Lui quella volta non si fece cogliere impreparato come la sera prima, rispose quasi immediatamente, seguendo i movimenti lenti ma decisi della mia lingua. Dio... sapeva di caffè e miele ed era così fottutamente buono. A malincuore dovetti staccarmi, anche perché gli stessi vicini che mi avrebbero potuto vedere mezzo nudo, si sarebbero senza dubbio scandalizzati nel vedere quello. Poggiai per un istante la fronte alla sua e ad occhi chiusi mi presi un secondo per annusare il suo magnifico odore. Sì, perché ormai il profumo di Carolina Herrera non si sentiva quasi più, ma il suo odore, l'odore del corpo di Blaine, della sua pelle, dei suoi capelli.. quello persisteva, e sperai vivamente rimanesse anche incollato a me, per il resto della mia vita.
"Buona giornata, Blaine. E grazie di tutto!" mormorai
"Grazie a te, Kurt... passa una buona giornata anche tu!" mi rispose accarezzandomi una guancia. Mi allontanai con un ultimo sorriso per poi tornare a porre il solito pianerottolo di distanza tra noi, chiudendomi la porta alle spalle con un lungo sospiro. Bene, il felice intermezzo era finito. Da lì in poi ricominciava la vita vera. E difatti il mio telefono, che prese insistentemente a vibrare, me lo ricordò all'istante. Lo portai all'orecchio, improvvisamente stanco e frustrato
"Pronto?"
"Kurt... si può sapere dove cazzo sei finito?"
David, appunto...

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Capitolo 14
*** Thè verde in tazza rossa ***


Buon Sabato a tutti miei carissimi e dolcissimi amici di Efp.. dunque iniziamo con il dire che lo scorso capitolo, contro ogni previsone, ha fatto il BOTTO ^^ chi se lo sarebbe mai aspettato.. ben 13 recensione ed io che piangevo come una scema per la commozione ç__ç davvero, non so come ringraziarvi.. ebben si, Blaine e Kurt hanno ceduto ai fiumi della passione e come ognuno di voi si è chiesto adesso cosa ne sarà di lui e David? mmm.. non posso dirvi molto però, si accettano scommesse.. la più fantasiosa vince un premio ;) in questo capitolo come vi ho preannunciato vedremo l'opinione della serata da parte di Kurt e anche l'inizio di un'altra questione importante che non riguarda la Klaine, però... bene bene, vi lascio con un comunicazione di servizio: io Sabato prossimo non dovrei essere a casa perchè passo il week-end fuori ergo, niente pc e niente aggiornamento :( tuttavia dovrei tornare Domenica sera quindi vi faccio una domanda: cosa preferireste, che aggiornassi Lunedì (perchè domenica non penso proprio di riuscirci) però questo significherebbe slittare tutti fli aggioramenti e fare quindi non più Mercoledì e Sabato ma Lunedì e Giovedì... oppure che salti l'aggiornamento e riprenda direttamente da Mercoledì 5 Settembre? Ditemi voi cosa preferite, io sono a vostra disposizione ;) bene, vi lascio al capitolo e come sempre ringrazio tutti ma nello specifico i 13 angeli che mi hanno fatta commuovere e sentire un pò speciale.. vi amo di bene ^^
p.s. Solito ringraziamento alla mia artista, che tuttavia non si sa come, non è soddisfatta di questa immagine.. glielo dite voi che è semplicemente perfetta ??? *__*
n.b Spazio per la pubblicità occulta: io avere scritto una piccola One Shot nella sezione "Glee Cast" ovviamente sulla CrissColfer e beh... mi farebbe piacere se ci deste un'occhiata.. ok, pubblicità finita, mi dileguo ;)

New York City. 01 Aprile 2012. Ore 11.35 A.M. (Domenica)

Uscire dalla doccia, freschi e profumati, sentendosi puliti ed in pace con il mondo non aveva prezzo. Mi sentivo leggero, come non succedeva da tanto, nonostante la recente chiamata, come al solito molto poco educata di David, fosse arrivata puntuale a cercare di rovinare l'atmosfera. Aveva sbraitato attraverso l'apparecchio per più di trenta minuti ed io lo avevo semplicemente lasciato fare, attivando il vivavoce, e provvedendo ad aprire l'acqua della doccia per farla riscaldare e controllare perfino lo stato della mia faccia. Ero stato sorpreso nel trovare ogni lineamento disteso e rilassato, nonostante a conti fatti avessi saltato i miei rituali di cura estetica sia la sera prima che quella stessa mattina.
Per mia fortuna le grida di David non riuscirono a rovinarmi l'umore, soprattutto perché in quel momento lui si trovava a Montréal per un corso di aggiornamento e quindi di chilometri a separarci ce ne erano abbastanza per farmi stare tranquillo. Infatti, dopo avergli assicurato che ero vivo e che ero stato impegnatissimo per la serata di beneficenza, chiusi la comunicazione con un sospiro e mi buttai sotto la doccia. Ne ero fuoriuscito soltanto mezz'ora dopo, con la pelle profumata di talco e i capelli gocciolanti. Avvertivo perfettamente il sorriso stirarmi le labbra e non potei fare a meno di provare il desiderio di guardarlo: per questo mi avvicinai allo specchio del bagno, quello sopra il lavandino e rimasi senza parole: il sorriso c'era, era aperto, sincero, mite e spontaneo. Quando era stata l'ultima volta che avevo messo su un'espressione del genere? Che cosa era successo di tanto sorprendente da farmi stare così?
La risposta arrivò quasi immediata: mi bastò spostare lo sguardo, sempre attraverso lo specchio, più giù, all'altezza del petto: c'erano una decina di segni rossi, inequivocabilmente provocati da un paio di labbra particolarmente capaci e paradisiache. Con la punta delle dita, sfiorai quei segni rossi, stringendo un labbro tra i denti, e avvertendo chiaramente una piacevole fitta allo stomaco. Dio, non mi ero mai sentito così.. sembravo un quindicenne appena reduce dalla sua prima volta e difatti, pensandoci un pò era vero. Avevo fatto l'amore con Blaine, il mio vicino, nonché mio amico, ed era stata una delle esperienze più belle ed appaganti della mia vita. Come avevo notato, una volta svegliatomi nel suo letto, avvolto dal profumo delle sue lenzuola, neanche il minimo senso di colpa si era impossessato di me: l'unica cosa che avevo avvertito era stata una gradevole sensazione di appagamento e di pace assoluta. Esattamente il genere di sensazioni che avevo sempre immaginato di sentire dopo, nelle mie più scabrose fantasie adolescenziali. Il solo fatto che queste fossero state malamente sostituite con le immagini e i ricordi del corpo di David schiacciato addosso al mio, mi aveva sempre fatto provare uno strano senso di inadeguatezza. Era come se per una vita intera, prima di conoscere Dave, mi fossi semplicemente fatto dei film, costruito dei castelli di carta immaginari, destinati a distruggersi inevitabilmente al suolo. La mia prima volta con David non aveva avuto niente di tutto ciò che avevo anche solo osato immaginare.
Non c'era stato il romanticismo, le carezze, la giusta preparazione - anche se ammettevo, forse, fosse dipeso dalla scarsa informazione di entrambi in merito, dato che comunque lui prima di me era sempre e solo stato con delle ragazze - le giuste parole, le giuste motivazioni, la reale carica emotiva, la minima volontà. Era stato tutto fin troppo meccanico e semplice. Ero arrivato subito a pensare, una volta terminato, che il sesso faceva schifo e che tutte quelle persone che lo lodavano così tanto, erano degli ipocriti bugiardi. Io non avevo provato la minima soddisfazione - nonostante per fortuna la prima volta David si fosse almeno preoccupato di fare venire anche me, anche se con molto ritardo e in maniera affrettata - e non avevo mai realmente provato la voglia di rifarlo. Avevo sentito dire che, una volta provato, non ci si sarebbe più riusciti a staccarsene. Evidentemente quelle erano parole provenienti dalle stesse persone a cui il sesso piaceva così tanto.
Eppure, in cuor mio, sapevo - sapevo, così intensamente da far male - che non era così. Il contatto fisico era molto di più, qualcosa di molto più profondo e intenso, qualcosa di inspiegabile a parole. Qualcosa per cui avrebbe sempre valso la pena aspettare. Un pò come i miei sogni da adolescente suggerivano. E che forse - forse! - la colpa di tutta quella insoddisfazione e delusione dipendeva esclusivamente da David. Da me e lui insieme. Dal fatto che non ci fosse mai stato amore a legarci. Dal fatto che mai in me ci fosse stato il minimo desiderio di provarlo. Di farci sesso.
E, a venticinque anni compiuti, finalmente avevo avuto la mia conferma. Avevo capito cosa significava fremere sotto il tocco di qualcuno, goderne ogni aspetto, ogni carezza, ogni sospiro. Avevo capito cosa significava tremare come una foglia tra le mani di un ragazzo, forse spaventato quanto me - se non di più - continuamente accarezzato dal suo sguardo intenso e vigile, e dalle sue labbra morbide. Avevo capito cosa significava essere amato - anche solo fisicamente - e rispettato per quello che si è. Perché questo era tutto ciò che Blaine quella notte era riuscito a fare. Gli era bastata soltanto una notte, in confronto ai quattro anni che invece aveva avuto David, per farmi tornare la speranza e l'insana euforia di riprovare.
Era stato perfetto, e perfetto era anche riduttivo: Blaine era stato dolce, passionale, intenso, delicato. Mi aveva tenuto per mano per tutto il tempo e non aveva distolto i suoi occhi dai miei neanche per un istante. Mi ero sentito vulnerabile, soggiogato da quelle meravigliose iridi dorate, rese magnifiche dalla semi-oscurità della stanza - le luci di New York che entravano discretamente dalla finestra alla nostra sinistra - ma allo stesso tempo mi sentivo al sicuro, circondato dalle sue braccia e schiacciato appena sotto il suo corpo caldo. Era stato un susseguirsi di baci umidi, di sospiri, di sfioramenti casuali ma allo stesso tempo da togliere il fiato. Preliminari infiniti, ai quali io non ero stato di certo abituato. Ci eravamo trovati entrambi nudi - e Dio, lui era semplicemente da togliere il fiato - eppure nessuno dei due aveva sentito la smania o la fretta di raggiungere l'apice. Ci eravamo studiati, analizzati, accarezzati lentamente. Ci eravamo sorrisi nella semi-oscurità rassicurante ed avvolgente della stanza e nessuno dei due aveva osato dire una parola. Era senza dubbio stato molto meno imbarazzante di quanto avrei mai potuto credere. Anche quella mattina, al risveglio e durante la colazione: era stato naturale, come se non fosse la prima volta.
Sorridendo repressi un piccolo brivido e mi diressi nella camera da letto per vestirmi. Sciolsi il nodo dell'asciugamano attorno alla vita e mi avvicinai alla cassettiera per recuperare un paio di boxer. Nel farlo passai davanti al lungo specchio intarsiato che avevo nell'angolo e lo sguardo cadde inavvertitamente sul mio corpo. Prima di allora avevo sempre provato una sorta di avversione verso me stesso, quella pelle eccessivamente chiara e fin troppo delicata, quei lineamenti sottili e infantili, quei pochi muscoli affusolati che mi distendevano le braccia e le gambe. Certo, avevo un bel sedere, ma il mio fascino probabilmente finiva lì. Quella notte, così completamente tra le mani di Blaine, mi ero sentito semplicemente meraviglioso, perché era stato lui a farmelo credere, anche senza parlare.
Scossi la testa, arrossendo appena e mi infilai l'intimo. Passando davanti all'armadio non potei fare a meno di ritornare di nuovo alla sera prima - volutamente o senza pensarci - e la cosa che in quel momento mi colpì come uno schiaffo fu ciò che realizzai: Blaine non era rimasto completamente in silenzio per tutta la notte. No, lui aveva parlato, esattamente quando le cose si erano riscaldate di nuovo, circa mezz'ora di coccole più tardi. Si era avvicinato pericolosamente al mio viso, mi aveva sfiorato la guancia con la punta del naso e mi aveva fatto una domanda. Una domanda che mi aveva spiazzato, mi aveva fatto bloccare il cuore nel petto e spalancare gli occhi.
"In che modo preferiresti continuare?"...
All'inizio credevo seriamente di aver capito male. Forse la sua era soltanto una domanda frustrata e mi chiedeva di mettere fine a quella tortura lunga che stava tramortendo entrambi e arrivare in fondo. Ma c'era ben altro dietro quella semplice e intimorita domanda
"Eh?"...
Ricordavo perfettamente il rossore tingere le guance di Blaine e il suo respiro solleticarmi il collo. I suoi occhi erano lucidi e appena dilatati mentre mi rispondeva
"Intendevo... di solito, come... preferisci... cioè... insomma... sotto o... o sopra?"...
Il ricordo mi fece scoppiare a ridere mentre facevo passare la testa nel buco del collo della maglia. Certo, in quel momento riuscivo a ridere disteso e tranquillo. Durante la notte, con Blaine, sotto di lui, che era rosso come un peperone dopo avermi appena detto una cosa del genere... era stato un altro paio di maniche. Mi si era completamente azzerata la salivazione - non che prima ce ne fosse poi molta - e avevo sentito qualcosa sciogliersi dentro. Davvero mi stava chiedendo dove preferissi stare? Mi chiedeva cosa volevo? Chiedeva... il mio parere? David non lo aveva mai fatto: era sempre stato un lui sopra ed io sotto, lui l'uomo forte ed io la femminuccia debole e passiva. Non mi aveva mai lasciato provare, non avevo mai neanche osato chiederglielo. Perché forse ingenuamente avevo creduto andasse bene così, che nella coppia ci fossero dei ruoli fissi e che quindi nel nostro caso lui dovesse dare e io ricevere - anche se poi a conti fatti non ricevevo proprio niente. Ecco perché quella sua domanda mi aveva sconvolto tanto: non era quindi poi tanto scontato che io nella coppia dovessi fare il passivo, se Blaine era arrivato a chiedermi cosa preferissi fare. Subito dopo, la sorpresa aveva lasciato lo spazio al sollievo e alla trepidazione. Si era fatta strada in me la cocente curiosità di provare cosa significasse stare dall'altro lato, che sensazioni si avvertissero nell'affondare dentro qualcuno. Dentro di lui, nello specifico. Ma in quel momento, non so cosa, mi bloccò. Mi sentii inadeguato e impreparato per una cosa tanto importante così mi limitai a borbottare, arrossendo
"Sotto..."...
Lui aveva annuito e mi aveva perfino chiesto se ero sicuro. Io con un sorriso e dopo avergli stretto le gambe intorno alla vita, gli avevo fatto capire che sì, ero sicuro. E con il senno di poi, era stata davvero una mossa saggia la mia. 
Infilai anche i pantaloni della tuta e tornai in bagno a tamponarmi i capelli bagnati. Una volta ritrovata la mia immagine riflessa nello specchio, mi ritrovai a chiedermi se ci fosse mai stata una volta in cui avessi provato una cosa del genere dopo aver fatto sesso con David. Mi era mai passata per l'anticamera del cervello, l'idea di mettermi a scandagliare ogni singolo istante del nostro momento di intimità? Mi ero mai concentrato tanto? I ricordi erano stati mai così chiari e così maledettamente piacevoli? La risposta arrivò all'istante, scivolandomi perfino fuori dalle labbra
"No!"
Perfino in una situazione tanto passionale, Blaine era riuscito ad andarci piano e ad essere estremamente delicato. Non avevo sentito il minimo dolore - dato che lui aveva seguito tutte le procedure adeguate del caso, per intenderci - ma solo un'avvolgente passione che mi aveva sconvolto nell'esatto istante in cui, dopo aver frettolosamente indossato il preservativo, era affondato lentamente in me. Neanche in quell'occasione ero riuscito a distogliere gli occhi dai suoi, così magnetici e meravigliosamente velati dal piacere. Neppure a distanza di ore da quel momento, seppi dire cosa scatenò maggiormente in me l'eccitazione che in breve tempo mi aveva trascinato fino all'orgasmo. Forse le sue labbra che continuamente cercavano le mie, catturando i miei spropositati gemiti; forse i suoi occhi fatti di oro liquido; forse la sua mano che era furtivamente scesa sul mio ventre per aiutarmi ad aumentare il piacere. O forse fu semplicemente un insieme di tante cose. Il risultato però non cambiava: per la prima volta dopo quattro anni, avevo scoperto il piacere del sesso. Anzi, dell'amore.
E sono perfino venuto prima di lui, pensa...
Con un sospiro, spensi il phon e lo riposi nel mobiletto, sistemai un pò il ciuffo ribelle e tornai in salotto per recuperare il telefono. Mi affrettai ad inviare una mail a Kristen in cui le chiedevo dettagli sugli interventi dei critici in merito alla serata ed io stesso spulciai qualche sito di gossip sul mio iPad, curioso da morire. Trovai poco e niente e così mi arresi al fatto che dovessi attendere la provvidenziale risposta della mia adorata pr. Lanciai un'occhiata all'orologio e mi accorsi che era da poco passato mezzogiorno e quindi l'ora di pranzo si avvicinava pericolosamente. Ma non avevo la minima voglia di mettermi a cucinare. Indeciso su cosa fare, afferrai il telefono e il mazzo di chiavi di casa ed uscii. Lanciai un'occhiata furtiva alla sua porta e tentai inutilmente di reprimere un sorriso.
Dietro quella spessa porta di legno e acciaio c'è un magnifico ragazzo dal corpo splendido che stanotte mi ha fatto sentire speciale...
Scesi al piano di sotto e bussai al campanello. Non ero per niente sicuro di trovarci qualcuno ma avvertivo il disperato bisogno di parlare con una voce amica, e lei era la persona adatta. La porta si aprì lentamente rivelando una sconvolta Rachel con tanto di pinza per capelli ancorata in testa ed una maxi felpa che le lasciava scoperta una spalla ma in compenso arrivava a coprirle fino a metà coscia.
"Kurt!" un piccolo sorriso stanco le si aprì sul volto
"Ehilà, Rach... disturbo?" domandai incrociando le dita e tentando un sorriso speranzoso. Lei scosse la testa
"Tu non disturbi mai... accomodati!" e si fece da parte per farmi passare. Entrai in salotto e notai che la casa non era ridotta tanto meglio della sua proprietaria. C'erano giocattoli ovunque, la cucina era letteralmente nel caos, alcuni vestiti colorati di Lea erano appesi alle spalliere delle sedie e si sentiva un vago odore di disinfettante nell'aria. Con la coda dell'occhio notai Rachel intenta a sistemarsi frettolosamente la felpa e i capelli scombinati. Ero a dir poco sconvolto. Non avevo mai visto quella casa, né tanto meno la mia amica ridotte in quello stato. E la cosa più strana in assoluto fu che si avvertiva chiaramente la mancanza di qualcosa. Per la precisione di qualcuno.
"Lea?" domandai sollevando un sopracciglio e scrutando il corridoio, magari sperando di vederla sbucare correndo da una delle stanze. Lei si affrettò a raccogliere un paio di pupazzi dal pavimento per poi gettarli in un contenitore di plastica trasparente
"Con i miei genitori. L'hanno portata a fare un giro sul battello per l'East River!" rispose atona, muovendo le mani. Feci un verso strano, ancora non del tutto convinto di cosa stesse esattamente succedendo lì dentro. Si avvertiva chiaramente una strana atmosfera, non solo per il disordine o la curiosa assenza di Lea - mi pareva assai strano che Rachel l'avesse lasciata andare da sola su quel battello... difficilmente riusciva a staccarsi da lei anche se si trattava dei suoi genitori - era più che altro qualcosa che galleggiava silenziosamente nell'aria. Qualcosa che si avvertiva.
"Rachel!" la chiamai insospettito. Il suo mormorio mi arrivò ovattato, mentre era accucciata per terra a raccogliere le bambole della figlia
"Rachel!" ritentai avvicinandomi "Tesoro, è successo qualcosa?" e fu in quel momento che il fragile equilibrio che sembrava pendere sulle nostre teste in quella stanza disordinata, si ruppe. Dalla bocca di Rachel uscì prepotentemente un singhiozzo che subito la sua mano corse a coprire, ma era troppo tardi. Mi accucciai immediatamente al suo fianco, sgranando gli occhi spaventato e sorpreso mentre le lacrime si rincorrevano frenetiche sulle sue guance. Non avevo mai visto Rachel piangere. In quei quattro anni e mezzo in cui avevo avuto il piacere di conoscerla e condividere il palazzo con lei, si era sempre mostrata solare, irriverente, testarda, fastidiosa e particolarmente egocentrica. Ma mai, neppure durante i mesi di gravidanza, si era fatta vedere tanto fragile e vulnerabile. Stentavo quasi a riconoscerla. Le posai una mano sulla spalla, impacciato ed incapace di trovare le parole giuste per iniziare una conversazione. Cosa avrei dovuto fare? Chiederle di nuovo cosa la tormentasse oppure lasciarla prima sfogare e poi tentare una seconda volta?
Fu lei a quel punto a decidere per me. Si sporse e mi abbracciò, stritolandomi in una stretta ferrea, assai insolita ed inaspettata da una ragazza tanto esile e minuta. Sorpreso ricambiai la stretta, accarezzandole le spalle, scosse dai continui singhiozzi. Dio, era straziante sentirla piangere in quel modo. Sembrava decisa a versare tutte le lacrime che fino ad allora aveva trattenuto e chissà per quale motivo aveva scelto proprio quel momento per farlo. Con me.
Mi feci coraggio, dopo un lungo sospiro e ritentai
"Rachel..." la voce mi era uscita più instabile ed insicura di quanto non volessi "A me puoi dire tutto, lo sai. Qualsiasi cosa, tesoro, qualsiasi. Sono pronto ad ascoltarti!" le assicurai allora, incapace di dire altro. Sperai che la mia voce, nonostante fosse tremolante, apparisse convincente e le facesse capire quanto fossi stato sincero. Volevo davvero che lei si aprisse con me, che la smettesse di fare la ragazza forte e combattiva e provasse ad essere semplicemente una ragazza di ventiquattro anni, sola e fragile. Dimostrasse di aver bisogno di aiuto. Per mia fortuna, funzionò. Si scostò appena e si affrettò ad asciugarsi il viso
"Dio, Kurt, mi... dispiace. Ti sono saltata addosso così... devo essere in uno stato pietoso!" mormorò tra i singhiozzi, fatti più leggeri
"Diciamo che la tua faccia potrebbe aver visto giorni migliori!" scherzai facendole l'occhiolino. Lei ridacchiò passandosi la manica della felpa sotto il naso rosso
"Coraggio... alzati e vatti a dare una rinfrescata. Io metto su un pò di thè, così tu con calma mi racconti tutto, ok?" le proposi serenamente accarezzandole una spalla. Il labbro inferiore le tremolò appena e temetti fosse sul punto di esplodere di nuovo. Quella volta però si limitò ad annuire, alzarsi in piedi e sparire in bagno. Io con un sospiro mi diressi in cucina e, dopo una breve ricerca trovai tutto l'occorrente per il thè - una ragazza metodica come Rachel Berry, poteva essere anche molto prevedibile.
Proprio mentre l'acqua aveva iniziato a bollire, la mia amica fece il suo ingresso in cucina e fui felice di trovarla con i capelli ordinatamente legati in una coda di cavallo, la faccia pulita, anche se ancora un pò rossa, e perfino un fuseaux addosso. Adesso iniziava a somigliare un pò di più alla solita e fastidiosa Rachel di sempre.
Con un sorriso incoraggiante le versai il thè verde nella tazza e ne preparai una anche per me, dopodiché mi sedetti sulla sedia di fronte. Lei non sembrava minimamente intenzionata ad aprire bocca ed io ancora un volta mi ritrovavo senza parole. Ma mi dovetti fare coraggio perché, se lei non aveva la forza di cominciare a raccontare, io, volente o nolente, avrei dovuto cacciarle a forza le parole dalla bocca.
"Dunque... questo tuo... stato d'animo, ha per caso qualcosa a che fare con il padre di Lea? Si è fatto vivo?" tentai, temendo il peggio. Lei sgranò gli occhi posandoli finalmente nei miei e scosse energicamente la testa
"No, assolutamente!" rispose convinta ed io sospirai. Almeno il peggio lo avevamo scongiurato
"Problemi con i tuoi genitori?" provai ancora riscaldandomi le mani con la ceramica calda della tazza. Di nuovo scosse la testa
"Macché... loro sono sensazionali. Mi domando come facciano ancora a sopportarmi!" mormorò sconsolata
"Forse perché ti amano, Rach?" le domandai retorico. Lei ingoiò qualcosa di molto faticoso e spostò lo sguardo sul tavolo
"Già... sarà come dici tu!" biascicò atona. Sospirai sempre più frustrato. Non andava affatto bene. Credevo di aver fatto un passo avanti a portarla in cucina e preparale qualcosa di caldo nella speranza che riuscisse ad aprirsi almeno un pò. Dovevo dire che il primo tentativo era miseramente fallito. Così tentai un'altra via
"Ascoltami bene Rachel Berry... io non sono uno strizzacervelli, né tanto meno un veggente. Non possiedo la capacità di leggerti in quella piccola testolina incasinata che ti ritrovi, pertanto gradirei che tu stessa ti decidessi a farmi capire cosa accidenti ti sta succedendo! E gradirei anche che lo facessi nel più breve tempo possibile, grazie!" sentenziai, cercando di apparire duro e perentorio anche se dentro mi sentivo un mostro. Volevo stringerla di nuovo e consolarla e di certo non credevo che trattarla tanto duramente fosse giusto. Ma non sapevo come prenderla, come gestire la situazione e quindi le avrei provate un pò tutte. E proprio quando stavo per passare al piano c, lei parve risvegliarsi. Tornò a guardarmi negli occhi e con un sospiro iniziò a parlare
"Ieri sera sono uscita con Finn... ha portato me e Lea al cinema a vedere il remake del Re Leone!" esclamò tutto d'un fiato, lasciandomi interdetto
"Finn? Intendi... Finn Hudson... il gigante? Quello che abita qui di fronte?" le domandai confuso. Lei annuì mesta
"Sì, proprio lui!" confermò
"Non... sapevo che tu e lui usciste insieme!" mormorai sconcertato. Lei spalancò gli occhi ed arrossì
"No, noi... noi non usciamo insieme! O meglio, lo abbiamo fatto, ma... è successo solo una volta... ieri sera!" specificò accaldata
"Mmm... d'accordo. Tu, Lea e il vostro vicino alto due metri siete usciti insieme per andare a vedere un cartone animato al cinema... e?" la esortai a continuare, perché era chiaro come il sole che ci fosse dell'altro. Si spostò appena la frangetta di lato, imbarazzata
"E niente... abbiamo visto il film e lui ha insistito per offrire non solo i biglietti sia per me che per Lea, ma all'uscita ci ha anche comprato un gelato!" e accennò un mezzo sorriso
"Che galantuomo!" mormorai ironico
"É stato gentile!" ribatté in risposta, quasi offesa ed io allora alzai le mani a mò di scusa
"D'accordo... abbiamo appena scoperto di avere un principe azzurro nel palazzo. C'è altro degno di nota che ti senti di aggiungere?" la provocai con mezzo sorriso. Il mio intento era quello di cavarle dalla bocca tutto il possibile. E con lei solo determinate tecniche andavano bene. Provare a smontarle tutti i buoni propositi era una di quelle
"Non essere tanto prevenuto nei suoi confronti. É una persona piacevole, divertente e molto premurosa. Lea si è divertita tanto e stamattina mi ha perfino chiesto se poteva invitare anche lui alla escursione con i nonni!" spiegò concitata. Ci teneva parecchio a mettere in luce gli aspetti positivi di Finn, eh? Accavallai le gambe, sempre più curioso e colpito
"E la madre di Lea... cosa ne pensa lei di Finn Hudson?" domandai con una punta di malizia nella voce. Rachel avvampò di nuovo, e si mosse nervosa sulla sedia, ondeggiando da una parte all'altra
"Te l'ho detto... è molto... piacevole!" rispose in un sussurro
"Rachel!" la ammonii "Intendevo... cosa ne pensi veramente!" specificai guardandola in maniera eloquente. Lei sgranò appena gli occhi sorpresa, per poi mordersi un labbro
"Io... ecco..." borbottò indecisa ma qualcosa nel mio sguardo rassicurante e mite parve darle il giusto coraggio perché sospirò e sputò finalmente il rospo
"Mi piace!" esclamò in un soffio "Tanto!" aggiunse e un leggero rossore le dipinse discretamente le guance. Un sorriso mi si aprì sul viso e finalmente abbandonai la mia vaga aria fintamente infastidita, per battere le mani contento
"Eureka... la Berry finalmente è capitolata!" esclamai raggiante facendola ridacchiare
"Smettila, cretino... non è capitolato proprio un bel niente!" borbottò divertita
"Ma come, Rach, non capisci? Hai finalmente trovato un ragazzo degno di nota che sembra essere interessato non solo a te ma anche a tua figlia! E per di più il ragazzo in questione ti piace... cosa vuoi di più?" domandai stringendo le spalle in una posa di ovvietà. Lei mi guardò attentamente per poi rabbuiarsi di nuovo e sospirare
"Kurt... io ho... paura!" sussurrò imbarazzata, stringendo la tazza tra le mani. Sgranai gli occhi sorpreso
"Paura... di cosa?"
"Di sbagliare, di nuovo!" specificò guardandomi eloquentemente negli occhi. Quello bastò a farmi capire
"Rachel, tesoro, ascoltami. Il padre di Lea è acqua passata ormai e non devi permettergli di rappresentare ancora un ostacolo per te e per la tua vita. Sei giovane e bella ed hai soltanto ventiquattro anni. É giusto e legittimo che tu voglia rifarti una vita e non devi in nessun modo precluderti nulla!" la incoraggiai convinto. Lei si perse nell'ennesimo sospiro affranto
"Io non posso permettermi di fare di nuovo la stessa fine, lo capisci? Adesso ho una figlia alla quale badare e l'ultima cosa di cui avrei bisogno è l'ennesima fregatura che la vita sembra tanto ben disposta a darmi!" spiegò abbattuta, con lo sguardo lucido. Allungai una mano sul tavolo per stringere la sua e ne accarezzai il dorso
"L'unica cosa che posso dirti è... goditi questa opportunità. Goditi Finn e tutto quello che potrebbe offrirti, senza provare alcun tipo di rimorso. Fate le cose con calma, coinvolgete sempre Lea, in ogni cosa che fate, rendetela partecipe di tutto. E vedrai, Rachel... tutto si aggiusta, tutto prenderà la giusta forma. E anche una vita scombinata come la tua, finirà per somigliare a quelle delle favole!" le dissi con un sorriso mite. Lei, con gli occhi velati di lacrime, si morse un labbro e mi rivolse un mezzo sorriso commosso.
"E ricorda... sei molto più coraggiosa di quanto tu voglia far credere!" aggiunsi sincero. Si portò l'altra mano libera sotto gli occhi per asciugarli con un gesto veloce per poi rivolgermi un sorriso radioso e finalmente disteso
"Dio, Kurt... tu sei..." provò a dire ma le parole le morirono in bocca
"Sono il migliore amico del mondo... lo so, Berry... lo so!" scherzai ghignando divertito e facendola ridacchiare
"Anche!" mormorò scuotendo la testa "Ma sei molto di più... sei come... il fratello che non ho mai avuto e che ogni giorno dimentico di avere!" ammise in una smorfia commossa. Mi schiarii la voce, sul punto, forse di commuovermi anche io. Bene, ecco la versione 'ragazzina soggetta a frequenti piagnistei-Hummel'. Ridacchiai imbarazzato
"Dio, Berry... non so se sarei mai sopravvissuto con una sorella come te!" scherzai bevendo una sorso del mio thè, ormai freddo. Rachel mise su una finta aria offesa che mi fece ridere di gusto
"Ma... ammetto di volerti un gran bene, Rachel. Non sai quanto!" ammisi però, con il cuore in mano. Lo sguardo le si addolcì di nuovo e mi sorrise dolcemente
"Anche io, Hummel... ti voglio un bene dell'anima!" si accodò accarezzandomi un'ultima volta la mano per poi alzarsi e riporre la sua tazza nel lavandino, decretando finita la nostra conversazione e finalmente giunta l'ora del pranzo. Ovviamente mi chiese di rimanere a farle compagnia ed io, ridacchiando mesto annuì felice, incapace di ammettere che quello era il mio obbiettivo fin dall'inizio. Tornare a pensare al reale motivo che mi aveva spinto circa mezz'ora prima a scendere nel suo appartamento, mi fece anche ricordare di un'altra cosa, forse più importante. Guardai Rachel di sottecchi, intenta a sciacquare energicamente nel lavello le due tazze usate per il thè e alla fine decisi di mettere in tavola un'altra patata bollente. Forse la più bollente
"Rachel... avrei anche io una cosa da dirti!" iniziai posandomi con la schiena allo sportello del frigo. Lei alzò un sopracciglio e con un sorriso curioso mi invitò a continuare. Io presi un lungo respiro per poi finalmente esclamare
"Stanotte ho fatto l'amore con Blaine!" e... boom. Quello fu più o meno il rumore che fece la tazza rossa di ceramica che si schiantava per terra in mille pezzi.  

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Capitolo 15
*** Parenti serpenti ***


( Salve a tutti miei patatini patatosi (sì, sono uscita di testa XD) nonostante la connessione che oggi ha deciso di fare i capricci e la fretta che ho addosso... eccomi ad aggiornare. Due parole prima di lasciarvi al capitolo... dunque, se sbirciate l'immagine (gentilmente offerta dalla mia adorata Tamara ^^) potrete vedere che questa volta abbondiamo in bei faccini... eh sì, miei cari, arriva il grande Anderson ^^ non so se essere felice o terrorizzata, giudicherete voi (è un combinaguai, ve lo dico fin da ora XD) e per quanto riguarda il biondo... beh, secondo voi chi può mai essere??? eheheh ^^ prima o poi doveva avere un volto anche lui ;) bene, lo scorso capitolo ha fatto scalpore, o meglio, l'ultima frase lo ha fatto... ahahahah eh sì, Kurt non ha davvero il minimo tatto, perdoniamolo... cmq sia, ora vado e vi lascio al capitolo. Ringrazio le dieci magnifiche persone che hanno recensito e mi hanno fatta stare bene con le loro fantastiche parole. Io vi adoro, oltre ogni limite, siete la mia forza ;) Un bacio a tutti...
Comunicazione di servizio: Aggiornamento spostato a Lunedì e a Giovedì... quindi non ci vedremo Sabato 01 Settembre perché come vi ho detto non ci sono, ma direttamente Lunedì 03 Settembre, per poi continuare a fare così: il lunedì e il Giovedì... lo trovo più comodo diciamo ;)
p.s. Tamara mia, so che con queste immagini ti ho fatto venire un colpo al cuore però... ti ringrazio :*






New York City. 02 Aprile 2012. Ore 07.35 P.M. (Lunedì)


Generalmente io nella mia vita non ero mai stato tipo da odiare i lunedì. Certo, erano giorni insulsi, che segnavano inesorabilmente l'inizio di una nuova settimana, così vicini alla fine del week-end ma altrettanto maledettamente lontani da quello successivo. La mia settimana, da quando ero diventato newyorkese a tutti gli effetti, non aveva mai avuto fine. Non c'erano state le domeniche di risposo, i sabati passati a fare le ore piccole in discoteche, i venerdì spesi ad ubriacarsi in locali scadenti. Erano stati semplicemente giorni sommati ad altri giorni di inesorabile e stancante lavoro. Una ruota che sembrava girare sempre nello stesso verso: l'unica differenza evidente, era un'altra pagina che veniva strappata dal calendario appeso al muro della cucina. Ma la differenza era solo quella.
Tuttavia, dovevo ammettere, per la prima volta nella mia vita - vita è una parolone... diciamo i primi venticinque anni - di aver iniziato ad apprezzare sul serio i lunedì. Quella mattina, tutto pimpante e pieno di motivazioni, ero arrivato al forno, dirigendomi senza indugio da Matt, il mio capo e proprietario della baracca e avevo esclamato a gran voce, mettendo le mani sui fianchi
"Matt... apri bene le orecchie perché questo baldo giovane sta per abbandonare la nave!" lui aveva sgranato gli occhi facendosi scappare dalle mani un panetto morbido di pane che cadde sul bancone
"Beata Vergine... stai per morire ragazzo?" domandò facendosi il segno della croce. Fu il mio turno per sgranare gli occhi, scioccato e per poco dimenticai di essere in compagnia di altre persone, perché le mani stavano giusto per abbandonare i fianchi per stringersi attorno a qualcos'altro data la sentenza appena pronunciata. Ma per fortuna mi trattenni
"No, no.. ma che vai a pensare! Semplicemente... mi licenzio. Ti do il preavviso di due settimane dopodiché... tanti saluti a pizze e focaccine!" e fiero e contento recuperai il grembiule per legarmelo in vita. Matt sospirò per poi guardarmi curioso
"Hai vinto alla Lotteria per caso?" ridacchiai lasciandogli una pacca sulla spalla
"Ancora meglio!" mormorai e la discussione finì lì, con il confuso Matt che era rimasto immobile a grattarsi il mento e me, che avevo iniziato energicamente a stendere la pasta per la pizza. Poi più tardi, esattamente alle undici, la scena si era ripetuta, ma l'ambiente e il datore di lavoro erano completamente diversi. Con Margareth Steele, una delle proprietarie del gruppo alimentare presso il quale lavoravo, il rapporto era notevolmente più formale e di certo non mi sarei mai permesso di dispensare sorrisi vittoriosi o pacche amichevoli sulle spalle. Così, alle undici meno cinque - tanto per non rubare tempo prezioso al lavoro - mi ero recato nel suo ufficio, avevo bussato ed ero stato accolto dalla solita gelida professionalità. Le avevo comunicato che mi stavo licenziando e che da quel giorno iniziavano le due settimane di preavviso previste dalla legge. Lei si era limitata ad annuire e ad augurarmi un buon proseguimento di giornata. Con un sospiro stanco era iniziato il mio turno ma neanche quello era riuscito a cancellare il mio sorriso.
Ero letteralmente al settimo cielo. Quasi avessi le ali sotto ai piedi, distribuivo sorrisi a tutti i clienti - una vecchietta mi aveva perfino detto che ero davvero un bel ragazzo. "Grazie mille, signora. Anche lei è davvero una bella ragazza!" le avevo risposto facendola arrossire - e quella mattina neppure i fardelli delle bottiglie di plastica mi sembravano poi così pesanti. I miei colleghi mi guardavano male, alcuni divertiti, altri infastiditi da tanto entusiasmo. Uno, il più anziano e scorbutico tra tutti, mi aveva perfino mormorato un "Ti tengo d'occhio, ragazzo!" sparendo dietro una pila di scottex da cucina. Ma non mi interessava, minimamente. Io sapevo di avere un buon motivo per essere così felice - oh, eccome se lo sapevo.
Vi dice qualcosa un assegno con ben quattro zeri, firmato da Micheal Chang Jr. intestato, niente di meno, che ad un certo Blaine Anderson?...
Come una furia alle cinque ero scappato verso casa per cambiarmi, fare due coccole a Cooper - Daniel era passato da casa mia circa mezz'ora prima, come promesso, per portarlo fuori - e lasciare un post-it per Kurt in cui, a lettere cubitali e con tanto di faccine sorridenti, gli spiegavo di aver dato il preavviso e che mi sarebbe piaciuto festeggiare con lui quella sera. Quindi gli avevo chiesto di raggiungermi al locale, o al massimo di vederci dopo il lavoro se fosse stato ancora sveglio. Avevo un'insana voglia di condividere quella euforia con qualcuno. No, rettifico. Avevo un'insana voglia di condividere quella euforia con Kurt. Non avrei voluto festeggiare con nessun altro al mondo se non con lui: era stato Kurt a trovarmi quell'ingaggio alla festa di beneficenza ed era stato lui a darmi l'assegno - che custodivo gelosamente nel primo cassetto del mio comodino. E poi, dopo averlo salutato sulla soglia della porta la mattina precedente, non ci eravamo più visti né sentiti. In effetti quel post-it che in quel momento stavo attaccando sulla sua porta con tanta cura era il primo contatto dopo un'intera giornata passata lontani e dovevo ammettere, anche se con uno strano nodo alla gola, che mi era mancato. Mi erano mancati i suoi occhi che mi scrutavano attenti e curiosi, mi era mancata la sua risata ma più di tutto mi era mancato il calore del suo corpo nel letto quella notte. Lo so, era stupido da dire soprattutto perché era successo solo una volta e ci eravamo messi d'accordo sul definire la cosa come una semplice parentesi piacevole nelle nostre vite. Ma mi rendevo anche conto di provare una strana stretta allo stomaco ogni volta che ripensavo a quei momenti trascorsi assieme - la notte, la mattina successiva, la colazione, il bacio sulla porta - e che, come Sebastian Smythe aveva sempre affermato, ero stato solo fin troppo a lungo.
I miei pensieri furono interrotti dal rumore dell'ascensore che annunciava il suo arrivo al piano con un leggero ding. Guardai immediatamente l'orologio, sorpreso che Kurt fosse tornato così presto, ma mi preparai ad accoglierlo con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto essere più fortunato. Così saremmo andati direttamente insieme al pub e avremmo festeggiato la mia...
"Oh, guarda tu chi si vede... stavi aspettando me per caso?" per la sorpresa mi scivolò la borsa dalle mani che cadde a terra con un tonfo sordo
"Cooper!" esalai scioccato. Non ci potevo credere. Non poteva essere vero. Mio fratello mi sorrise, lasciando cadere a sua volta un voluminoso zaino rosso per terra - per quanto diavolo aveva intenzione di fermarsi? - e allargando le braccia
"Su, coraggio, schizzo. Vieni qui ed abbraccia il tuo adorato fratellone!" mi invitò. Io, ancora disorientato, mi avvicinai per stringerlo e le sue braccia per poco non mi soffocarono. A cosa dovevo tutto quel trasporto?
"Dio, Coop... potevi avvisarmi che saresti arrivato oggi... mi sarei perlomeno preparato a... ad accoglierti!" mormorai annaspando tra le sue braccia, in cerca d'aria. Lui ridacchiò, assestandomi due pacche dolorose sulle spalle - era sempre stato molto più forte di me, oltre che più alto
"Ma, schizzo... se te lo avessi detto non ci sarebbe stato lo stesso pathos... lo sai che io mi nutro di emozioni e questa..." intensificò l'abbraccio mentre avvertivo con timore un paio di costole scricchiolare pericolosamente "Beh, questa è senza dubbio una gran bella emozione!" sentenziò soddisfatto
Se non altro, hai rischiato di farmi venire un infarto...
"Già, ehm..." finalmente mi liberai della sua stretta ferrea e potei guardarlo in viso, dopo mesi. Non era cambiato poi molto: bello e luminoso come sempre. Sorriso aperto, quasi allucinato, denti bianchissimi, ciuffo perfettamente tirato all'insù. Stentavo ancora a credere che fossimo fratelli io e lui. Fisicamente, a parte forse la forma degli occhi, non ci somigliavamo per niente. E caratterialmente poi... il giorno e la notte, il bianco e il nero
, l'Europa e l'Australia. Certo avevamo entrambi grandi aspettative per la vita e dei sogni da realizzare. Ma io combattevo ogni giorno per potermeli conquistare... lui si limitava a sorridere e a fingere di saper fare qualcosa.
"Allora... questo famoso appartamento?" mi domandò curioso, girando la testa verso la porta di Kurt. Da lì il biglietto verde mela che avevo lasciato si vedeva alla perfezione e quindi, prima che lui potesse leggerlo, mi affrettai ad afferrargli un braccio e a trascinarlo verso la mia porta
"É questo qui. Aspetta adesso te lo faccio vedere!" annunciai con un certo imbarazzo. Aprii la serratura e gli feci segno di entrare. Lui, mormorando qualcosa di incomprensibile, iniziò a sondare l'appartamento. Iniziò con il soggiorno, accarezzò la spalliera del divano, scrutò appena quel piccolo pezzo di terrazzo che riusciva ad intravedere, si affacciò in cucina controllando i mobili e poi si diresse in bagno. Controllò dietro la porta, quasi stesse bonificando l'appartamento di un serial killer, per poi annuire distrattamente e dirigersi in camera da letto. Qui qualcosa lo bloccò e finalmente mi lanciò un'occhiata curiosa
"Immagino che quel coso lì sia..." mormorò diffidente indicando qualcosa nella stanza. Io mi avvicinai curioso per controllare e subito la testolina pelosa di Cooper - il cucciolo - si sollevò dal letto per scrutare entrambi. Io ridacchiai avvicinandomi e presi il cucciolo in braccio che si lamentò appena
"Bene... Cooper ti presento... Cooper... tranquillo non morde!" assicurai accarezzando la testa del cane
"Vorrei ben vedere!" mormorò mio fratello scrutando entrambi con un'aria stizzita
"Non ce l'avevo con te... parlavo con il cucciolo!" scherzai avvicinandoglielo, ma mio fratello saltò quasi sul posto facendo due passi indietro
"Più tempo passa, e più le tue battute perdono di efficacia, schizzo... dovresti seriamente pensare di frequentare un corso... magari ne gioverà anche la tua autostima!" esclamò con tono professionale, quasi fosse pane per i suoi denti. Feci una smorfia infastidita rimettendo il cane sul letto e dirigendomi in soggiorno. Mi era sembrato strano che non avesse ancora tirato fuori nessuna delle sue frecciate al cherosene
E dannazione, odio quando mi chiama schizzo...
"Ascolta Coop... mi dispiace, ma io devo andare a lavoro!" annunciai dandogli le spalle
"E mi lasci qui?" domandò preoccupato "Da solo?" con la coda dell'occhio lo vidi lanciare un'occhiata strana verso la camera da letto.
"Di cosa hai paura? Che il cane ti aggredisca?" lo beffeggiai divertito. Lui sbuffò, passandosi una mano tra i capelli
"Diamine, schizzo... credevo riservassi un'accoglienza diversa al tuo adorato fratellone. Non puoi lasciarmi qui, come se niente fosse, dopo avermi invitato! É davvero poco carino!" mi ammonì fingendosi offeso. Ok, dovevo ammettere che le sue doti di attore erano notevolmente migliorate dall'ultima volta in cui ci eravamo visti. I casi erano due: o si era messo seriamente a studiare recitazione, oppure... diceva sul serio. Si era offeso?
Sospirai, già stanco e pentito di averlo invitato, e sconsolato mormorai
"Puoi venire con me, se proprio vuoi..." ma non feci in tempo a dirlo che lui era già fuori dalla porta, di nuovo raggiante e propositivo
"Beh e allora che cosa stiamo aspettando? Usciamo di qui e andiamo a conquistare New York!" esclamò elettrizzato premendo il tasto dell'ascensore. Con un sospiro, che più che altro pareva un ringhio, mi chiusi la porta alle spalle e prima di entrare nella cabina con un esagitato Cooper Anderson, lanciai un'occhiata distratta alla porta chiusa di Kurt, sulla quale ancora faceva mostra di sé il mio biglietto.
Speriamo che almeno lui venga... migliorerebbe notevolmente la mia serata...

New York City. 02 Aprile 2012. Ore 08.42 P.M. (Lunedì)

Una volta arrivati al pub di Noah, iniziai quasi subito a capire che le cose, presa una brutta piega, difficilmente si sarebbero sistemate. E difatti, se già sopportare mio fratello mi era sembrata un'impresa titanica, avrei ben presto capito quanto ancora poco avessi visto in quella singola giornata.
Erano quasi le nove, quindi a breve sarei andato sul palco a cantare, quando nel pub aveva fatto il suo ingresso Sebastian, con al seguito il suo Daniel. In quel momento avrei voluto morire. Mio fratello e Sebastian si erano scambiati un lungo sguardo, dopodiché il mio amico aveva rotto il silenzio
"Non ci posso credere... Cooper Anderson a New York... a cosa dobbiamo questo onore?" gli domandò con mezzo sorriso e una pacca amichevole sulla spalla. Il più grande sorrise ed ammiccò - e in quel momento potei giurare di aver chiaramente visto una smorfia di disappunto sul viso di Daniel
"Sono qui per allargare i miei orizzonti, per fare esperienze, arricchire il mio bagaglio umano..." spiegò elettrizzato "E ovviamente... anche per controllare il mio schizzo preferito!" aggiunse stringendomi il braccio attorno alle spalle, nuovamente troppo forte. Sebastian scoppiò a ridere di gusto, evidentemente contento del fatto che ci fosse qualcun altro a dargli manforte per prendermi in giro. Lui e Cooper erano sempre andati stranamente d'accordo: avevano due caratteri molto fastidiosi, e prima di farli conoscere, avrei sempre dato per scontato che due così non si sarebbero mai potuti sopportare. Ma ovviamente mi avevano sorpreso entrambi. Dopo un primo scambio di battute acide, non so cosa era scattato in loro. Probabilmente una sorta di tacito sodalizio ai miei danni. Avevano una missione comune: rovinarmi la vita e dovevo ammettere che lo facevano molto bene. Due così, nella stessa serata non si reggevano.
Dopo quel simpatico scambio di convenevoli, finalmente Sebastian tornò a dare attenzione anche al suo ragazzo facendogli segno di avvicinarsi. Il viso di Daniel era ancora oscurato da una strana smorfia. Sembrava... infastidito?
"Cooper, permetti? Devo presentarti una persona..." annunciò e mio fratello mollò la presa dalle mie spalle per guardare meglio "Lui è Daniel... il mio ragazzo! Dan, questo è Cooper.. il fratello di... schizzo!" e mi sorrise divertito. Gli lanciai un'occhiataccia di fuoco ma i suoi occhi erano ritornati immediatamente sui due che in quel momento si stavano stringendo la mano
"Hai capito, Sebastian... sei diventato monogamo! Hai finalmente attaccato gli attrezzi al chiodo e deciso di mettere la testa a posto?" gli domandò esaminando attentamente Daniel, che arrossì, stringendosi appena più vicino al corpo del suo ragazzo. Quest'ultimo ridacchiò
"Puoi dirlo forte... sembra strano, ma è così!" esclamò fiero, poggiando il braccio attorno alle spalle di Daniel che sembrò rilassarsi appena, eppure era evidente che qualcosa non quadrasse. Il più piccolo non aveva ancora aperto bocca e la cosa era molto, molto strana. Daniel era come me... non riusciva neanche sotto tortura a stare zitto. Quindi, era chiaro che fosse successo qualcosa. Lui e Sebastian avevano litigato? Beh, se davvero lo avessero fatto, che senso avrebbe avuto venire al pub quella sera? Sarebbe stato più saggio rimanere a casa per chiarire, no? Eppure... guardai attentamente Daniel piegare la testa di lato e i suoi occhi saettare da una parte all'altra, alternando tra Sebastian e Cooper, per seguire il loro discorso. I suoi occhi erano... spenti, e continuava a darmi l'impressione di essere particolarmente infastidito. Ma da cosa?
La risata chiara e limpida di Sebastian che si diffondeva nell'aria dopo l'ennesima battuta di mio fratello, fu come un'illuminazione per me e all'istante capii: era geloso. Daniel era geloso di Cooper. Era geloso del suo rapporto con Sebastian, della confidenza che sembravano avere, delle battute che continuavano a scambiarsi, della mano di mio fratello ancora poggiata sulla spalla del suo ragazzo. Mi lasciai scappare un sorriso intenerito, perché era strano l'effetto che una gelosia così palese potesse fare. E allo stesso tempo provai un pò di invidia per Sebastian: anche a me sarebbe piaciuto avere un compagno così geloso. Per me la gelosia era sintomo di amore. E Daniel in quel momento era pieno di amore per Sebastian. Peccato che lui fosse troppo impegnato a far ridere mio fratello per accorgersene.
"Coraggio, Blaine... è il tuo momento!" mi avvisò Noah toccandomi appena una spalla. Io annuì scendendo dal mio solito sgabello e mi premurai di passare accanto a Daniel prima di allontanarmi, per stringergli un braccio e sussurrargli, in modo che soltanto lui potesse sentire
"Stai tranquillo, Dan... mio fratello è innocuo!" e gli feci l'occhiolino. Lui mi sorrise, arrossendo appena ma mi fece un piccolo cenno con la testa che io interpretai come di ringraziamento.

New York City. 02. Aprile 2012. Ore 11.35 P.M. (Lunedì)

*Per colpa di tuo fratello, ora Dan ha messo il muso!*
Mi aveva scritto Sebastian ed io gli avevo risposto con mezzo sorriso, mentre rientravamo nel mio appartamento. Io stanco morto, reduce da un'estenuante giornata di lavoro, Cooper pieno di vitalità. In quel momento stava parlando a raffica, passando tranquillamente da un argomento all'altro, senza cognizione di causa. Mi aveva perfino fatto venire il mal di testa.
*Per colpa di mio fratello succedono tante cose spiacevoli, ormai dovresti saperlo!*

risposi divertito, dispiaciuto che il malumore di Daniel dipendesse da qualcosa che aveva combinato Cooper. In fondo lo avevo invitato io a New York. Io lo avevo portato in quel pub. E io avrei potuto tirare qualcosa di molto pesante o magari appuntito in testa al mio migliore amico, non appena quei due avevano iniziato spudoratamente a flirtare come se niente fosse. Mio fratello era fatto così, ed io ormai ci avevo perso ogni speranza: ci provava con qualsiasi cosa respirasse. Era etero, ma non disdegnava di certo la compagnia dei bei ragazzi. E Sebastian sembrava proprio essere il suo tipo. Quest'ultimo poi, aveva sempre cercato solo la scusa per sfoderare le sue doti da seduttore e mio fratello era l'ideale. Peccato che in mezzo a quel simpatico quadretto ci fosse anche il povero Daniel che di certo non si meritava di essere trattato in quel modo. Probabilmente Sebastian non lo aveva neanche fatto di proposito - non volevo di certo credere che avesse fatto qualcosa appositamente per far soffrire il suo Dan - ma dovevo ammettere che delle volte esagerava senza neanche rendersene conto. Era impulsivo o forse semplicemente ancora troppo legato ai suoi vecchi modi di fare da stallone single.
*Già... peccato che adesso Daniel mi abbia chiuso fuori dalla nostra camera!*
Sgranai gli occhi sorpreso, mentre il piccolo Cooper - il cane, non mio fratello - scodinzolava ai miei piedi, così mi diressi in cucina per preparargli da mangiare. Mio fratello intanto continuava a parlarmi del suo ultimo successo cinematografico. Successo che immaginavo già, sarebbe accidentalmente stato un fiasco e i critici lo avrebbero cancellato dalla programmazione.
*Mi dispiace, Bas... ma quel poveretto non ha tutti i torti!*
Versai una generosa porzione di croccantini in una ciotola colorata - quel cane iniziava seriamente a mangiare più di quanto facessi io, il che era davvero strano vista la mia fama da discarica ambulante - e la posai in un angolo. Neanche a dirlo Cooper si avventò con la faccia dentro per ripulire tutto in tempo da record, soddisfatto.
*No, Blaine... forse non hai capito la gravità. Mi ha chiuso fuori dalla nostra stanza... a chiave!*
Ridacchiai, ricordandomi mentalmente di dover fare i miei complimenti a Daniel prima o poi. Quando voleva tirava fuori dal sacco un bel caratterino. Era capace di tenere testa allo spavaldo Sebastian. Se non era un merito quello.
*Se fossi in te, inizierei a pensare ad un modo per farti perdonare. E guai a te se metti in mezzo spogliarelli o qualsiasi altra diavoleria legata al sesso. Daniel ha bisogno di Sebastian in questo momento, non solo del suo corpo!*
Dubitavo fortemente che il mio amico mi avrebbe dato retta, ma a provare non costava nulla.
"Allora schizzo... penso di aver parlato fin troppo questa sera, è ora che metta un pò a riposo le corde vocali!" annunciò Cooper concludendo il suo ennesimo monologo da star. Sorrisi sollevato mentre le mie povere orecchie esultavano
"D'accordo, allora... dove preferisci dormire? Qui sul divano o nel letto matrimoniale con me e il cane?" lo provocai divertito. Mio fratello sconvolto lanciò un'occhiata al cucciolo, intento ad abbaiare flebilmente ad un laccio della sua scarpa
"Questo affare dorme con te?" mi domandò scioccato con una mano sul petto, degno dei migliori attori di Hollywood
"Certo... siamo già costretti a stare lontani per un'intera giornata. Almeno la notte la passiamo insieme!" esclamai tranquillo, divertito dalla sua reazione spropositatamente sconvolta
"In tal caso, penso che il divano possa andare molto più che bene!" mormorò grattandosi una guancia, infastidito. Soddisfatto mi diressi verso la camera per recuperargli un paio di lenzuola pulite ed un cuscino. Per trovarle, dovetti arrampicarmi nell'armadio, rischiando seriamente di spezzarmi l'osso del collo. Ci mancava soltanto che per colpa sua finissi all'ospedale.
Il cellulare cinguettò, avvertendomi dell'arrivo di un nuovo messaggio. Sebastian aveva capitolato?
*Ti pare normale che quell'idiota del tuo amico si sia messo a cantare "Sorry seems to be the hardest word" a squarciagola nel corridoio?*
Sgranai gli occhi, controllando il mittente. Ovviamente non si trattava di Sebastian ma di Daniel e... cosa diamine stava combinando quel deficiente?
*Immagino sia il suo bizzarro modo per chiederti scusa :)*
Scossi la testa divertito, mentre preparavo un altro messaggio per Sebastian
*Sorry seems to be the hardest word? Sebastian... sul serio?*
Immaginai perfettamente la scena: i due separati semplicemente dal legno della porta. Uno che cantava disperato i versi della canzone di Elthon John, l'altro che, disperato allo stesso modo, cercava di trattenersi dall'aprire quella porta per saltargli addosso e perdonarlo... pur di farlo smettere
*Beh, non sta funzionando. Quindi digli di smetterla!*
Appunto!
*Perché non glielo dici tu? Siete sotto lo stesso tetto, Dan... basta alzare un pò la voce e lui ti sente!*
E contemporaneamente era arrivata anche la risposta di Sebastian
*Me lo hai detto tu di cercare un modo per farmi perdonare che non contemplasse le avances fisiche!*
Alla fine era colpa mia? Non feci in tempo a rispondergli che il cellulare suonò di nuovo, con un altro mittente
*Non si merita niente. Benché meno di sentirmi implorare di smetterla. Quindi, Blaine... ti prego!*
Maledizione... mi avevano messo in mezzo. Per qualcosa che alla fine non avevo fatto io. Certo, ero responsabile di aver portato Cooper al pub con me, ma tutto il resto del casino lo aveva combinato Sebastian, io non c'entravo nulla
*Fai così, Bas... adesso smettila di tediarlo con quella lagna. Auguragli la buonanotte e vattene a dormire nella mia stanza. Domani mattina, prima di andare in studio, gli prepari la colazione e gli offri un passaggio. In poche parole: ti comporti da fidanzato! E fai un favore alla comunità... rinnova il tuo repertorio!*
Neanche dieci secondi e un nuovo messaggio di Daniel mi comparì sullo schermo
*Grazie :)*
Sorpreso e compiaciuto risposi
*Ha smesso?*
Sebastian mi aveva dato retta?
*Già...*
Mmm... però... ero bravo dopotutto. Ma la cosa che in quel momento mi preoccupava di più, era il fatto che il mio amico non avesse ancora risposto. Si era offeso per caso? Dio, Sebastian depresso era qualcosa di inguardabile ed atroce. Sarebbe stata troppo grande come punizione, perfino per lui
*Bas?*
Quella volta la sua risposta arrivò immediata e netta. Quasi fosse una fucilata
*Cosa?*
Ecco, era arrabbiato.
*Sono fiero di te :)*
Magari i complimenti lo avrebbero aiutato a sentirsi un pò meglio
*Ne riparliamo domani, B... e di a tuo fratello che, per quanto bello da togliere il fiato, rimane un grandissimo stronzo! Con affetto*
Ridacchiai, lasciando il cellulare sul comodino a caricare e, recuperate le lenzuola, tornai in salotto. Sentii la voce di qualcuno, ovattata e proveniente da un punto indefinito e mio fratello sembrava sparito. Aveva deciso di tornarsene in California? Reputava di aver fatto già abbastanza danni?
"Cooper? Che fine hai fatto?" lo chiamai ma invece della sua risposta, ottenni un sonoro bau da parte del cane che mi fece sorridere. Abbandonai le lenzuola e il cuscino sul divano e notai la porta-finestra aperta. Così uscii sul terrazzo e lì lo trovai.
"Ah mai sei qui!" esclamai avvicinandomi. Lui si girò a guardarmi, con una strana espressione in volto, un misto tra la soddisfazione e il divertimento. Stranamente mi abbracciò di nuovo, sollevandomi appena da terra
"Come sono contento che tu mi abbia fatto venire da te, Blaine!" disse accarezzandomi la schiena
Blaine?...
"Aehm... figurati!" risposi confuso e sorpreso dal suo ennesimo cambio d'umore. Era peggio di Sebastian sotto quel punto di vista
"Ma adesso... è meglio andare a letto. Abbiamo avuta una serata piuttosto... movimentata!" e ridacchiò, per chissà quale motivo sull'ultima parte. Mi scostai per guardarlo male
"Sì... io soprattutto!" mormorai facendolo ridere di gusto. Mi fece l'occhiolino e sparì all'interno. Rimasi qualche istante immobile, sconvolto. Ok, quella giornata era stata fin troppo lunga e complicata e di certo non mi sarei dovuto meravigliare se avessi avuto l'impressione che in quel momento mio fratello sembrava stesse flirtando perfino con me, giusto? Ero solo stanco, tutto lì. Così con un sospiro rientrai anche io, e dopo aver augurato la buonanotte a mio fratello, recuperai il piccolo Cooper e mi trascinai fino in camera da letto. Mi spogliai lentamente e crollai a peso morto tra le lenzuola. Le mie giornate a New York sembravano notevolmente più lunghe da qualche tempo a quella parte. I tre lavori massacranti, l'appartamento nuovo, la serata di beneficenza, l'assegno da trentamila dollari...
Dio, è vero...
Scattai a sedere, come punto da qualcosa, facendo sobbalzare appena il piccolo Cooper che si lamentò con un guaito
"Ma che fine ha fatto Kurt?"

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Capitolo 16
*** Una giornata nera ***


Buon Lunedì a tutti... di ritorno dal mio week-end di mare (e solo ora mi rendo conto che le zanzare maledette mi hanno praticamente uccisa -_-) eccomi qui ad aggiornare come promesso.. dunque, un paio di precisazioni prima di lasciarvi al capitolo: ho notato che non a molti di voi il personaggio di Cooper vada a genio, ed ammetto di essere stata una di voi un tempo... anche io non l'ho sopportato molto nella serie per quello che faceva al povero Blaine.. ed ecco, io non credo di esserci andata leggera neanche qui... quindi se a fine capitolo vorrete uccidere lui avete la mia benedizione, se invece vorrete uccidere me.. beh.. in tal caso vado a nascondermi ^^ Ringrazio le mie dolci lettrici che come sempre mi riempiono il cuore con le loro magnifiche recensioni ma voglio ringraziare anche qui inserisce la storia tra seguite/ricordate/preferite... e anche i lettori silenziosi.. lo so che ci siete ;) bene, vi lascio al capitolo, ricordatevi che qualsiasi cosa succeda... io vi voglio bene *corruzione mode on* XD ciao ciao... ci vediamo Giovedì ;)
p.s. Nonostante sia sommersa dalle cose da fare, la mia adorata artista ha creato questa opera d'arte qui sotto... *__* io non ho più parole per ringraziarti tesoro mio :*




New York City. 02 Aprile 2012. Ore 11.48 P.M. (Lunedì)


In cinque anni in cui avevo lavorato presso l'agenzia di Chang, mai prima di quel giorno, avevo fatto così tardi. Era quasi mezzanotte ed ero distrutto. Avevo male dappertutto, ogni muscolo, anche quelli di cui ignoravo l'esistenza. Il mio capo era in fibrillazione per l'uscita dei cataloghi autunno-inverno e quindi mi aveva costretto a trattenermi ben oltre l'orario di lavoro, per terminare l'istallazione dei set e programmare i nuovi cast. Per fortuna aveva avuto il buongusto di affiancarmi un'altra ragazza, altrimenti non sarei sopravvissuto neanche sotto effetto di sostanze stupefacenti.
Finalmente però, dopo ben quattordici ore - quasi quindici - che mancavo da casa e ne avevo fin sopra i capelli di tutto e di tutti, ero riuscito a fare ritorno all'ovile. Ero elettrico, irritato e infastidito. Qualsiasi cosa mi avrebbe fatto scattare, quasi fossi una donna in periodo di ciclo.
Con un sospiro frustrato uscii dall'ascensore e per un istante, l'unico istante di tutta la giornata, avvertii l'inspiegabile desiderio di sorridere. Di infischiarmene di tutto, della collezione, delle modelle, di Chang, del ciclo, e semplicemente... sorridere. Perché attaccato alla mia porta, come d'abitudine ormai, c'era un magnifico biglietto color verde mela, che pareva brillare in tutta la sua stravaganza
Dio, Blaine...
Lo afferrai accarezzandone la solita calligrafia morbida e lo lessi avidamente
*Kurt, tieniti ancorato allo zerbino perché sto per darti una notizia fenomenale. Stamattina ho dato il preavviso al formo e al supermercato - il lavoro al pub me lo tengo, non sono mica stupido :) - quindi sono "quasi" ufficialmente il ragazzo più felice di questa terra. Ed il merito, neanche a dirlo, è tuo! Quindi che ne dici se stasera festeggiamo? Se rientri presto puoi raggiungermi al pub così ti offro qualcosa lì, oppure, se ti è più comodo ci vediamo qui appena torno io. Aspetto il tuo post-it di risposta. A dopo. Un bacio B. ;)*
Sorrisi intenerito ma profondamente fiero di lui. Immaginavo che con un assegno del genere nelle mani, dopo essersi ripreso dallo shock iniziale, avesse deciso di lasciare i due lavori che più lo distruggevano fisicamente. Ed immaginavo anche che al pub di Puck non avrebbe mai rinunciato. Aveva fatto bene, ero fiero di lui.
Un bacio... un bacio... mi ha lasciato un bacio...
Sorridendo, aprii la porta, pronto a lasciare tutto sul divano e precipitarmi da lui. Un'occhiata lanciata di sfuggita all'orologio, però, mi fece bloccare. Dio, mancavano dieci minuti a mezzanotte. E se fosse già andato a dormire stanco di aspettarmi? Senza dubbio era già tornato a casa - mi pareva di aver visto la sua moto parcheggiata sotto il palazzo - e aveva anche visto il suo post-it ancora sulla mia porta, quindi aveva intuito che non fossi ancora tornato. Ma potevo davvero disturbarlo nonostante fosse così tardi? Il fatto di essere stati a letto assieme - ancora non riuscivo a reprimere un brivido se ci pensavo - mi dava questa autorizzazione?
Decisi di verificare prima che fosse realmente sveglio, così uscii sul terrazzo e mi affacciai discretamente dalla ringhiera che ci separava, per vedere all'interno del suo appartamento. La luce del salone era accesa e avvertivo chiaramente una voce provenire dall'interno, seppure ovattata dai vetri chiusi. Aveva ospiti?
Mi avvicinai un pò di più, aggrappandomi alle sbarre per vedere meglio ma proprio in quel momento la porta-finestra si aprì facendomi sussultare.
Eccolo...
Il sorriso che mi preparai a rivolgergli mi morì sul nascere. Quello non era Blaine. Era un altro ragazzo, alto, bel fisico, capelli castani elegantemente curati, due occhi color ghiaccio e labbra carnose. In una sola parola: bellissimo. Senza motivo mi sentii le gambe venire meno e dovetti aggrapparmi con maggiore forza alla ringhiera per non cadere. Il ragazzo - una specie di Dio greco - rimase qualche istante a contemplare rapito il paesaggio di New York, infilando le mani nelle tasche dei suoi strettissimi jeans. Chi diavolo era e perché mai si trovava a casa di Blaine a quell'ora?
Quasi fosse stato attratto dal mio sguardo, si girò verso di me e sorpreso sgranò appena gli occhi, che diventarono perfino più chiari
"Ciao!" esclamò. Perfino la sua voce sembrava armoniosa e perfetta, come il resto del suo corpo. Il cuore prese a battermi furioso nel petto, senza un apparente motivo
"Sei un amico di Blaine, non è vero?" mi domandò girandosi verso di me, per mostrarmi ulteriormente quanto fosse bello e fiero di esserlo. Avvertii qualcosa incrinarsi, ma preferii concentrarmi su altro. Dunque, cosa mi aveva chiesto? Se io e Blaine eravamo amici... mmm... bella domanda.
No che non lo siamo... io e lui... abbiamo fatto l'amore l'altra sera quindi.. non siamo amici...
"Sì!" sussurrai con molta fatica, meravigliandomi del soffio di voce che mi era uscito. Non sembrava neanche provenire da me. Lui sorrise, chissà per quale motivo
"Strano... lui non mi ha parlato di te!" esclamò spavaldo, ridacchiando. Rideva di me? E perché diamine io me ne stavo fermo immobile, come un invertebrato mentre quell'idiota si divertiva a beffeggiarmi?
"Certo... io e lui non abbiamo parlato poi molto stasera... in effetti!" e mi sorrise, malizioso, facendomi uno strano cenno verso l'appartamento, quasi volesse farmi capire qualcosa. Ma io continuavo ad ignorare. Anzi, a voler ignorare. La verità, immaginavo fosse troppo dolorosa da capire.
"Ma se lo stavi cercando, vado a chiamartelo. Sarà di certo contento di fare una pausa prima di riprendere!" mi disse gongolante, sempre più malizioso. Fare una pausa prima di riprendere?
No, non è possibile...
"Il gatto ti ha mangiato la lingua per caso?" mi chiese divertito. Mi sentivo strano. Tutto ad un tratto mi ritrovai debole e senza forze, quasi non fossi più capace di controllare il mio stesso corpo. Avvertivo solo l'eco del mio battito nelle orecchie, ovattato, quasi si trovasse a chilometri di distanza. Le mani ancora strette alla ringhiera, imploravano pietà, non ce la facevano più a stringere. Faceva male e non solo quello. L'unica cosa che non riuscivo a smettere di fare era guardare negli occhi quel ragazzo, spavaldo e divertito, evidentemente a conoscenza di qualcosa che ignoravo ma che stava lentamente - e atrocemente - prendendo forma nella mia mente
"Cooper? Che fine hai fatto?" all'improvviso la voce di Blaine e il successivo abbaiare del suo cane mi fecero sobbalzare e in preda al panico girai la testa verso la porta-finestra. Avevo il terrore che sarebbe uscito anche lui, magari unendosi al suo amico per continuare quel siparietto. Avevo davvero bisogno che anche Blaine mi facesse sentire uno schifo? No mi era già bastato quel ragazzo, le sue parole maliziose e le insinuazioni lasciate a metà, ma perfettamente chiare? Quanta considerazione possedevo ancora di me? Gli avrei permesso di farmi anche quello?
Così, riacquistando finalmente un briciolo di forze per reagire, lasciai la ringhiera e feci un paio di passi verso l'appartamento, nascondendomi al buio
"Ah mai sei qui!" quella volta la voce di Blaine - perché nominarlo faceva tanto male? - mi arrivò più vicina e per un momento temetti di non essere stato abbastanza veloce e lui magari era riuscito a vedermi. Ma scrutando meglio dalla mia posizione riparata, mi accorsi che il destinatario delle sue attenzioni non ero affatto io, ma il ragazzo bello e statuario che proprio in quel momento si era sporto ad abbracciarlo con trasporto. E quella fu un'altra botta diritta al cuore. Istintivamente mi ritrovai a paragonare quel loro abbraccio, con il nostro, la mattina precedente, quello che mi aveva dato dopo aver parlato dell'assegno, quello che sapeva ancora di noi e di quello che c'era stato durante la notte. E quindi era quello che Blaine faceva? Abbracciava tutti i ragazzi con cui era stato a letto? Li invitava nel suo appartamento, ci faceva sesso e magari sorrideva a tutti nello stesso magnifico modo destabilizzante? Era questo il suo segreto?
"Come sono contento che tu mi abbia fatto venire da te, Blaine!" disse il ragazzo, ancora stretto a lui. Mi portai una mano alla bocca, mentre il respiro accelerato iniziava a spaventarmi. Cosa diamine credevo di fare ora? Mettermi a piangere? Per lui? Per un fottuto bastardo il cui unico scopo fin dall'inizio era stato portarmi a letto? Cristo, avevo tradito David per lui. Che stupido che ero stato. Per un momento avevo perfino creduto che...
La voce del ragazzo sconosciuto mi arrivò di nuovo forte e chiara all'orecchio, quasi ci provasse gusto a farmi ribollire il sangue nelle vene
"Ma adesso... è meglio andare a letto. Abbiamo avuto una serata piuttosto... movimentata!" e ridacchiò, divertito come lo era stato fino a quel momento e quella per me fu la goccia finale, per cui decisi di rientrare in casa prima di compiere un gesto spropositato e magari afferrare qualche vaso per poi lanciarlo in testa ad entrambi.
Furioso e con le lacrime agli occhi, sbattei i piedi fino al bagno, dove chiusi la porta con violenza e mi ci accasciai contro, esplodendo in una serie di singhiozzi. Era la rabbia a farmi piangere in quel modo, ne ero convinto. Quello che il ragazzo sconosciuto mi aveva chiaramente fatto capire era che lui e Blaine avrebbero passato la notte assieme, probabilmente dopo aver trascorso parte della giornata nello stesso modo. Ed io in quel momento aggiungevo che lo avrebbero fatto soltanto un giorno dopo quello che era successo con me. Si era portato un altro ragazzo a casa, nello stesso letto, e non aveva neanche avuto la decenza di nasconderlo o quanto meno aspettare almeno qualche altro giorno.
Ma perché te la prendi così tanto, Kurt? D'altronde, cosa ti aspettavi?...
E poi, che diavolo di senso aveva lasciarmi quel post-it sulla porta, invitarmi perfino a casa sua per festeggiare, se poi sapeva perfettamente che con lui ci sarebbe stato un altro ragazzo? Forse, non ricevendo risposta da parte mia, aveva preferito trovarsi un altro passatempo. Forse... lo avevo giudicato male, e lui non era affatto il dolce e sincero ragazzo al quale io mi ero tanto stupidamente affezionato. Lui era semplicemente un fottuto bastardo che si portava a letto chiunque cadesse nella sua trappola. Era tutto studiato: i sorrisi, le occhiate, le sue parole. E poi quella maledetta sera dopo la festa.
E pensare che per me era stata la più bella degli ultimi sei anni...
Mi feci coraggio, rialzandomi dal pavimento e raggiungendo il lavandino per potermi dare una sciacquata, ignorando bellamente lo specchio. Ci avrei trovato qualcosa che non mi sarebbe piaciuta affatto e potevo farne sinceramente a meno. Ancora scosso da leggeri singhiozzi, mi diressi in camera per liberarmi dei vestiti ed indossare una maglia larga e sformata ed un pantalone morbido della tuta. Mi era passata perfino la fame, nonostante a conti fatti avessi mangiato soltanto uno yougurt per pranzo in tutta la giornata. Ero consapevole del fatto che, se avessi ingerito qualcosa, anche una semplice mela, sarei scappato in bagno a vomitare anche l'anima. Quindi preferivo rimanere a stomaco vuoto, tanto avevo già il cuore ed il cervello nella stessa identica situazione.
Passando per il soggiorno mi accorsi del suo post-it colorato che ancora sostava sul mio tavolo e una nuova ondata di furia mi attanagliò lo stomaco, così marciai verso il mio blocco
Dio... e pensare che avevo perfino comprato un nuovo blocchetto di post-it colorati per lui...
Scrissi con rabbia una risposta, marcando bene le lettere e sottolineandole di proposito con due righe nette. Volevo che afferrasse chiaramente il messaggio e quello, in quel momento, mi pareva l'unico modo. Così, una volta che fui soddisfatto della mia opera corsi ad attaccarlo - storto e appena decentrato - sulla sua porta.
Mi affrettai a raggiungere il mio letto, mentre avvertivo una nuova ondata di lacrime venire su, una volta passato il furore della rabbia. Affondai la faccia sotto il cuscino per attutire i lamenti, perché erano fastidiosi da sentire perfino per me. Quella delusione a fine serata proprio non ci voleva. Mi era precipitato il mondo addosso ed io, che forse un pò dovevo perfino aspettarmelo, non avevo fatto in tempo a spostarmi. Mi aveva colpito in pieno. Ma la cosa peggiore era che in fondo sentivo di non aver alcun diritto per avercela con lui. Non eravamo fidanzati - io lo ero, ma non con lui! - e quindi lui sarebbe stato libero di portare a casa chiunque avesse voluto. Ma in quel momento, la trovavo una cosa marginale, e riuscivo a pensare soltanto alla delusione e agli occhi maliziosi di quel maledetto ragazzo dal fascino indiscutibile. Ed io non potevo di certo competere con uno così.
Mi aggrappai al cuscino, stringendolo al petto e sperai che l'incoscienza del sonno non tardasse troppo ad arrivare, perché in quel momento era davvero l'unica cosa di cui avessi bisogno.
Ho passato una giornata d'inferno, ma grazie a te, Blaine, ho capito che quella è stata niente in confronto a quello che sei riuscito a farmi tu, in meno di trenta minuti...

New York City. 03 Aprile 2012. Ore 10.13 A.M. (Martedì)

Quella era senza dubbio una delle giornate più pesanti ed insopportabili che avessi mai vissuto. Non riuscivo a concentrarmi su niente, ero intrattabile e scostante e trovavo difficoltà perfino a fare cose elementari come inviare le e-mail alle modelle per confermare loro il servizio fotografico del giorno dopo. Chang mi aveva già ripreso un paio di volte ed avevo versato il mio adorato caffè sul costoso vestito di una modella che, indignata aveva gridato improperi per una buona mezz'ora.
Per questo mi ero nascosto nel mio piccolo ufficio ai piani alti del palazzo, per sfuggire a chiunque avesse attentato al mio già instabile equilibrio psico-fisico. Ma ovviamente...
"Eccoti finalmente... è tutto il giorno che ti cerco!" la voce allegra di Santana mi giunse fastidiosamente alta ed irritante alle orecchie, e mi ritrovai a stringere con forza la penna tra le mani
"Mi stai evitando per caso?" mi domandò lei divertita, sedendosi con naturalezza sulla scrivania, accanto al mio braccio, sfidando la mia precaria pazienza
"No, Santana... se non te ne sei accorta, sto lavorando! Di certo non mi perdo dietro a queste bambinate!" sentenziai strappando con forza un foglio sul quale lei si era seduta. Avvertii il suo sguardo puntato sulla nuca ma resistetti all'istinto di sollevare gli occhi
"Kurt... è successo qualcosa?" domandò dopo un lungo momento di silenzio. Strinsi forte gli occhi, reprimendo un verso seccato
Ti prego, Santana... vattene...
"No!" sputai fuori acido torturando il mouse per non prendermela ulteriormente con lei. Passarono altri secondi di silenzio, prima che la sua mano si avvicinasse a me e mi accarezzasse una guancia morbidamente. Mi scansai riluttante
"Kurt..."
"Santana sono davvero molto impegnato al momento... potresti..." finalmente alzai gli occhi e trovai i suoi appena spalancati e colmi di preoccupazione. Mi guardò intensamente, combattuta, ma alla fine annuì e senza dire altro, scese dalla scrivania e lasciò il mio ufficio. Mi dispiaceva davvero molto di averla trattata in quel modo, lei era l'ultima persona a meritarselo, ma aveva scelto davvero il momento meno opportuno per entrare nel mio ufficio e per fare conversazione. Avrei davvero voluto chiederle come stesse, con cosa fosse impegnata in quella settimana ma soprattutto se avesse contattato Brittany, la ragazza del pub, e nel caso, cosa si fossero dette. Tutto quello avrei potuto farlo se solo non fossi stato tanto nervoso ed irascibile. Per questo avevo preferito mandarla via. Per la sua e la mia sanità mentale e per non dire cose di cui poi mi sarei senza dubbio pentito in seguito.
Con un sospiro tornai alle mie mail, lanciando un'occhiata stanca verso l'orologio a parete che segnava ancora le dieci e trenta. La giornata era ancora dannatamente lunga.
Ero pronto a digitare l'ennesimo testo formale e asettico per la successiva oca senza cervello, quando un leggero bussare alla mia porta a vetri mi fece ringhiare infastidito
"Si può sapere cosa diamine volete tutti quanti da me oggi?" sbottai girandomi con la sedia verso la porta e per un istante mi mancò il fiato in gola. Mi sarei aspettato chiunque, chiunque, ma non lui.
Il primo momento di sorpresa e panico fu sostituito dalla rabbia più nera
"Che diavolo ci fai tu qui?" lo aggredii arrossendo all'istante, perché, maledizione, nonostante fossi incazzato nero con lui, rimaneva semplicemente bellissimo. Molto di più di quello sconosciuto sul suo terrazzo
"Buongiorno anche a te!" mormorò lui inarcando un sopracciglio sorpreso. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi dorati perché iniziavano seriamente a destabilizzarmi e mi costrinsi a guardare verso lo schermo del portatile
"Non lo è stato fino ad ora, figuriamoci adesso!" sbottai infastidito, fingendomi impegnato con qualcosa. In realtà non stavo neppure prestando la minima attenzione alla pagina bianca della mail. Semplicemente provavo a guardare da qualsiasi altra parte rispetto ai suoi occhi. Forse però, se avessi prestato un pò più di attenzione a lui e un pò meno allo schermo del pc, mi sarei reso conto prima del movimento alla mia sinistra e della sua mano poggiata accanto al mio braccio sulla scrivania
"Ti spiacerebbe spiegarmi questo?" mi chiese in un soffio spingendomi più vicino, con due dita, il mio post-it arancione. Lanciai un'occhiata di sbieco al biglietto in questione, lì dove quello che avevo scritto, ancora faceva bella mostra di sé.
"Cosa dovrei spiegarti? Non lo vedi... è un post-it!" esclamai ovvio, reprimendo la voglia di prenderlo a schiaffi 
"Oh questo lo vedo. Vorrei capire come mai, invece del solito buongiorno, sopra c'è scritto... fottiti!" mi spiegò confuso. In quel momento mi sarei voluto complimentare con me stesso. Che frase ad effetto che avevo trovato. Semplice e concisa. L'ideale, in pratica. Certo, tecnicamente non era davvero una frase ma... non era il caso di puntualizzare
"Non sono tenuto a darti spiegazioni!" sbottai alzandomi dalla sedia di scatto, perché la sua vicinanza era eccessiva ed iniziava a diventare insostenibile
"Perché ieri sera non sei più venuto da me? Dovevamo festeggiare!" cambiò discorso abilmente, spiazzandomi. Annaspai per qualche istante, fingendomi impegnato nella ricerca di qualcosa sullo scaffale e decisi di seguire la sua stessa tecnica. Per sviare le domande insidiose, basta attuare un astuto cambio di direzione
"Ma tu non dovresti essere al lavoro a quest'ora?" domandai infastidito sbattendo con forza un paio di cataloghi presi a caso dai ripiani
"Mi sono preso un paio d'ore di permesso..."
"E chi ti ha detto dove trovarmi?" insistetti
"Ho mandato un messaggio a Brittany e lei.. ha chiesto a Santana!" spiegò
Maledetta modella ispanica... a quanto pare le cose tra lei e la cameriera vanno bene..
"Quanta premura!" borbottai disinteressato, sollevando un sopracciglio. Praticamente finii con lo svuotare uno scaffale intero, solo per tenermi occupato e una volta finito, ricominciai a sistemare i cataloghi in ordine di altezza.
"Kurt... potresti... fermarti un attimo e darmi retta?" mi domandò leggermente sorpreso, mentre i suoi occhi continuavano a vagare incerti su di me. Grugnii infastidito
"Quello che ho detto a Santana prima, lo ripeto anche a te adesso. Se non riesci a vederlo da solo, sono molto impegnato al momento e gradirei non essere disturbato!" abbaiai avvertendo le guance arrossarsi per la rabbia. Sperai vivamente che la stessa reazione che aveva avuto la mia amica, l'avesse anche lui, e che girasse i tacchi e andasse via. Magari avrebbe perfino potuto cambiare appartamento e tornarsene dal suo adorato Sebastian.
Adesso anche lui ti da fastidio?...
Ma ovviamente qualcosa non andò come previsto, e mi ritrovai bloccato dalla sua ferrea e decisa stretta su un braccio. Il catalogo mi scivolò di mano e decine di fogli si persero sul pavimento. Alzai di scatto gli occhi e li incatenai con i suoi. Pessima scelta.. davvero pessima!
"Kurt..."
"Che diavolo vuoi da me, Blaine?" urlai senza riuscire più a trattenermi, nonostante i suoi occhi fossero come incollati a me. A quella mia esclamazione si allargarono appena sorpresi e la presa attorno al mio braccio si allentò appena
"Cosa è successo, Kurt? Perché... mi tratti così?" domandò in un sussurro flebile e sconvolto. Tremai appena, sotto il peso di quello sguardo e strattonai il braccio per liberarmi
"Hai anche il coraggio di chiedermi il perché ti tratto così... sei davvero assurdo!" mormorai con le guance in fiamme, abbassando di nuovo gli occhi
"Io... io non capisco!" aggiunse abbassando lentamente le braccia sui fianchi
"Chiedi spiegazioni al tuo amico. Magari lui sarà più chiaro di me!" esclamai acido piegandomi per raccogliere i fogli caduti
"Amico? Quale amico?" domandò subito confuso. Sbuffai furioso. Aveva anche la faccia tosta per fare finta di niente.
Ma guarda tu...
"Quello che ieri sera era a casa tua... sul tuo terrazzo... e che si vantava tanto della magnifica serata che avevate passato insieme e della nottata che ne sarebbe seguita! Quel ragazzo, Blaine!" spiegai con rabbia sollevandomi in piedi per fronteggiarlo e puntargli un dito contro. Lui sgranò gli occhi e parve perfino sbiancare appena, mentre forse si rendeva finalmente conto del fatto che io fossi a conoscenza della verità e che lui era stato davvero pessimo a nasconderla. Sempre con gli occhi spalancati, come due fanali, si ritrovò a chiedermi balbettando
"Co-sa ti ha... detto... esattamente?"
"Non ho voglia di ripeterti parola per parola quello che mi ha detto. Sappi soltanto che grazie a te ho passato la notte peggiore della mia vita e che sei perfino riuscito a farmi sentire uno schifo per aver tradito il mio ragazzo! Quindi ti faccio i miei più sinceri complimenti, Blaine, davvero. Sei stato bravo, devo ammetterlo perché avevi una missione precisa in testa e sei riuscito abilmente a portarla a termine. Ma adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola, perché ti assicuro che da questo momento in poi non vorrò più avere niente a che fare con te!" sentenziai acido ed infervorato, sempre puntandogli il dito contro. Lui continuava a stare muto e immobile, ancora gli occhi sgranati ed uno strano pallore diffuso su tutto il viso. Se solo non fossi stato così arrabbiato con lui mi sarei preoccupato di controllare che stesse respirando regolarmente perché a prima vista sembrava in apnea. Decisi che la discussione era conclusa e che doveva andare via, all'istante
"Adesso se non ti dispiace... avrei bisogno di lavorare" sibilai asciutto "E chiudi la porta quando esci!"
Lui aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito, dopodiché mi lanciò uno strano sguardo che non riuscii a decifrare, ma per mia fortuna mi ascoltò perché si mosse lentamente per uscire. Prima di chiudersi la porta alle spalle però, mi guardò ancora una volta e lo sguardo che nuovamente mi rivolse ebbe il potere di scuotermi completamente e farmi tremare appena.
Dio... i suoi occhi sono...
Solo il rumore della porta chiusa mi fece riprendere con un leggero sobbalzo. Lanciai un'occhiata alla stanza, il pavimento pieno di fogli e la scrivania colma di cataloghi inutili. E senza accorgermene mi lasciai scivolare sulla seria girevole, con le mani nei capelli e nuove lacrime agli occhi. E il mio biglietto arancione ancora accanto al mio braccio gridava a chiare lettere
*Fottiti!*

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Capitolo 17
*** Quando New York diventa la tua migliore consigliera ***


Aggiornamento del Giovedì, signori.. fa strano aggiornare oggi ma, vabbé sono dettagli ^^ dunque, oggi non ho molto da dire se non... waw che reazioni che ha ottenuto lo scorso capitolo, ha quasi fatto più scalpore di quello in cui sono andati a letto assieme il che è tutto un dire XD davvero mi dispiace per quello che è successo, so che molti non lo hanno apprezzato e che avrebbero voluto eliminarmi in maniera lenta e dolorosa ma vi prego solo di avere pazienza e di provare a comprendere gli atteggiamenti (per quanto irrazionali!) di due ragazzi di 25 anni che per la prima volta nella loro vita si trovano a fare i conti con dei sentimenti inaspettati e forse per questo ancora più intensi. Soprattutto per quanto riguarda Kurt, visto che per lui la situazione è leggermente più complicata ecco... ma diciamo che le cose si risolvono sempre prima o poi e che Cooper non ha fatto un guaio irrisolvibile (anzi!) bene... vi lascio al capitolo che immagino divorerete per la voglia di sapere cosa succederà adesso ^^ ci vediamo Lunedì con l'aggiornamento.. un mega bacio a tutti i miei adorati angeli.. vi porto nel cuore.. uno per uno ^^
p.s. Come sempre... l'immagine del capitolo è gentilmente offerta dalla mia adorata tesora (che è diventata ufficialmente il Daniel del mio Sebastian <3) quindi... godetevi anche quella ;)
n.b. Qualcuno mi aveva chiesto se avessi una pagina Facebook... beh, grazie alla sopracitata Tamara, sì ce l'ho ^^ vi lascio il link perchè mi farebbe piacere se mi seguiste anche da lì con magari qualche sorpresa tipo spoiler, immagini in anteprima o qualche altra informazione legata agli aggiornamenti. É una pagina nata da poco quindi.. è molto spoglia ma se mi date una mano la ingrandiremo assieme ;)





New York City. 03 Aprile 2012. Ore 08.34 P.M. (Martedì)

"Coraggio stupido uovo... vuoi deciderti a friggerti?" inveii contro la padella, brandendo in mano una forchetta, quasi fosse una spada leggendaria. Alla fine, dopo altre dodici ore di estenuante lavoro, il mio stomaco aveva deciso per me e la fame aveva preso il sopravvento su tutto il resto. Certo, non avrei fatto una cena da grandi chef, ma perlomeno qualcosa l'avrei ingerita.
Proprio mentre ero ancora impegnato a sputare sentenze poco felici sul mio uovo, il mio portatile, collegato alla presa della cucina, e posizionato sul tavolo, trillò.
Incuriosito mi avvicinai allo schermo, con la forchetta infilata in bocca e sollevai un sopracciglio, sorpreso di trovare una sessione della chat di Facebook aperta da Rachel Berry. Che diavolo di senso aveva mandarmi un messaggio su Facebook, quando abitavamo ad un misero piano di distanza?
*Ti è passata la rabbia?* 
Confuso e anche parecchio seccato, mi affrettai a risponderle
*Prego?*
*Non fare il finto tonto, Hummel... ho incontrato Tina poco fa e mi ha detto che stamattina le hai quasi tirato addosso la tua borsa, solo perché aveva osato chiederti come stessi...*
Dio... com'era sensibile la gente a volte, e che diamine!
*Alla tua amica non capita mai di avere una giornata no?*
*Capita a tutti, immagino...*
*Appunto*
*D'accordo... cosa ti angoscia Kurt Hummel?*
*Nulla!*
*Kurt!*
*Rachel!*
*Coraggio.. non farti pregare!*
Uno strano odore di bruciato mi arrivò fino alle narici facendomi scattare in piedi. Mi voltai verso la cucina e trovai la padella circondata dal fumo nero e il mio povero uovo - la mia cena, in realtà - completamente nero e carbonizzato. Con un gesto di stizza spensi il fuoco e buttai padella e contenuto nella spazzatura
*Spero tu sia contenta... mi hai appena fatto bruciare la cena!*
*Oh... mi spiace...*
*Vorrei ben vedere!*
*Se fossi stata a casa ti avrei invitato a mangiare da me, per farmi perdonare... ma...*
*Ma?*
*Sono da Finn!*
Oh fantastico. Mi mancava in effetti di assistere all'idillio amoroso di qualche amico. Dopo una giornata di inferno come quella, sarebbe stata la ciliegina sulla torta
*Lea ha insistito tanto per vederlo e così...*
*Bene!*
Non riuscivo neanche ad essere felice per le mie amiche. Santana sembrava aver trovato una ragazza con cui stringere amicizia, Rachel mostrava finalmente un pò di fiducia verso un uomo. Ed io, da pessimo amico qual'ero, l'unica cosa che riuscivo a fare era sbuffare infastidito? D'accordo essere giù di morale, ma trattare male anche lei mi sembrava troppo. Così, con un sospiro mi affrettai ad aggiungere
*E tu sei a casa di Finn... con il computer acceso... e chatti con me? Non ha il minimo senso, Berry!*
*Lui e Lea sono troppo impegnati a guardare la Sirenetta al momento, per prestarmi attenzione...*
*Pensa tu..*
*Ed io avevo un amico in difficoltà che necessita del mio aiuto! :)*
*Non ti seguo*
*Kuuuurt... e forza! Devi farti pregare per tirare fuori la verità?*
*No!*
*E allora dimmela... ora! Fa finta di avermi lì accanto a te proprio in questo momento!*
*Credimi Rachel.. se tu fossi qui con me in questo momento, ti metterei le mani addosso... solo per il semplice gusto di picchiare qualcuno!*
*Mmm... addirittura?*
*Ci puoi scommettere!*
*Bene... la situazione è più complicata di quanto pensassi... vediamo... mmm... c'entra David?*
Lo sapevo. Era scontato che finisse lì la discussione
*Secondo te tutti i miei problemi devono per forza avere a che fare con lui?*
*Hanno a che fare con lui?*
Sbuffai scuotendo la testa
*No... questa volta no!*
*Mmmm... Blaine?*
Sgranai gli occhi incredulo. Come diavolo aveva fatto ad indovinare al secondo tentativo? Quella ragazza aveva dei poteri paranormali, altrimenti non si spiegava. Mi morsi il labbro, tamburellando con le dita sulla tastiera, incapace di trovare le parole adatte. In pochi secondi dovevo decidere se essere sincero con lei e raccontarle così tutta la storia, oppure ignorarla, fingere e magari scaricarla con una scusa - Dio, ho fame! - lasciandola così libera di tornare a giocare alla famiglia felice con Lea e Finn. Ok, questa era troppo acida anche per me.
*Il tuo silenzio è particolarmente esplicito*
*Accontentati di quello allora, perché non ti dirò altro!*
*Che cosa avete combinato? Eravate caduti nella tela dell'amore passionale... cosa è successo dopo?*
*É successo che si è portato un altro ragazzo a casa.. soltanto un giorno dopo essere stato con me!*
Avrei voluto, con tutto il cuore, premere un tasto e cancellare tutto, davvero. E in un primo momento l'intenzione era quella, ma non seppi cosa, se la rabbia o la voglia di parlare con qualcuno, mi fecero premere invece il tasto dell'invio, e ciò che avevo scritto sotto sfogo, apparì anche sul computer di Rachel. Repressi un gemito frustrato, passandomi una mano sugli occhi. Tanto valeva ormai rimanere in attesa della sua reazione
*Stai scherzando spero!*
*No... potrei mai mettermi a scherzare su queste cose, secondo te?*
*Non ci credo... cioè... sembrava... così...*
*Già...*
*Beh, se davvero lo ha fatto, Kurt, tu non hai alcun diritto di avercela con lui!*
*Ok... ignorerò l'ultima frase per non permettere a questa tua svista, di rovinare la nostra amicizia!*
*Dico sul serio Kurt! Come credi si sia sentito lui il giorno dopo, realizzando che tu, a conti fatti, sei andato a letto con lui, nonostante fossi ancora fidanzato? Lo hai fatto diventare il tuo amante... non è affatto bello!*
Sgranai gli occhi, incredulo. Lo avevo fatto diventare il mio amante? Ma che diavolo...
*Diamine, Rachel, nessuno lo ha costretto!*
*Non ti sto accusando di niente, stai tranquillo. Cerca però di capire anche la sua posizione. Magari era arrabbiato con te, oppure...*
*Cosa?*
*Oppure voleva soltanto farti ingelosire un pò!*
Ok, quello era troppo. Rachel e le sue insinuazioni iniziavano seriamente a stancarmi. Avevo fame, ero nervoso, ero stanco morto, e non avevo la minima voglia di starla a sentire ancora. Così mi preparai a digitarle un messaggio per chiudere lì la conversazione quando il campanello decise per me. Che diavolo combinava? Era salita per parlarmi di persona? La chat non bastava più?
*Sei tu?*
le chiesi
*A fare cosa?*
Ma la ignorai, alzandomi per andare ad aprire. Lo facevo con curiosità, tranquillo del fatto che a quell'ora non avrebbe mai potuto essere Blaine, dato che si trovava al pub per cantare. E se non era Rachel... chi diavolo era?
"Ciao!" esclamò una voce incerta e sorpresa, una volta che la porta venne aperta. Mi ritrovai a mancare un paio di respiri e ad aggrapparmi con forza al legno. Era il ragazzo sconosciuto. Quello bellissimo e fastidioso che passava le nottate focose a casa di Blaine. Ed ora era lì, davanti alla mia porta - mentre l'appartamento di Blaine era aperto alle sue spalle e quindi dedussi fossi rimasto anche durante il giorno, magari per accoglierlo al suo rientro - aveva dei vestiti diversi e mi guardava curioso ed attento. E tutta quella sua perfezione, mi fece scattare di nuovo come una molla

"Cosa vuoi?" lo aggredii infatti e lui sussultò appena, forse sorpreso di vedere quanta forza potesse avere il ragazzo al quale il gatto aveva mangiato la lingua
"Parlare con te!" disse semplicemente. Parlare con me? Ma con che faccia?
"Beh io non ho tempo da perdere...!" borbottai e feci per chiudere la porta, con l'intenzione di farlo con quanta più forza possedessi, per imprimere meglio in concetto, ma lui fu più veloce e la bloccò con la mano
"No ti prego... aspetta: è importante!" mi implorò con uno strano sguardo allucinato, che ebbe il potere di farmi innervosire ancora di più
"Cosa vuoi ancora? Farmi il resoconto della magnifica nottata che tu e Blaine avete trascorso assieme? Beh, non mi interessa!" abbaiai sporgendomi appena verso di lui. Dannazione, visto sotto la luce del pianerottolo, invece che nella semi-oscurità del terrazzo, pareva ancora più bello e perfetto. Ed io mi sentivo sempre più idiota.
"No in realtà... sono venuto a chiederti scusa!" mormorò grattandosi la nuca, appena a disagio. Colpito, spalancai gli occhi, e lasciai uscire un lungo sospiro che mi svuotò lentamente lo stomaco. Non dissi nulla, aspettai che fosse lui a parlare.
"Sono stato davvero poco carino con te l'altra sera!" annunciò facendo mezzo sorriso e arrossendo appena
L'amante di Blaine si sta... davvero scusando con me?...

"Poco carino? Mmm.. io sinceramente avrei scelto un altro termine per descriverti!" gli dissi con un sorriso acido, che lo fece ridacchiare
"Sì, lo so... per questo sono venuto da te. Per scusarmi!" ribadì annuendo. 
"Beh, io delle tue scuse non so cosa farmene, dunque se non ti dispiace..." provai nuovamente a sbattergli la porta in faccia, ma quella volta, gli bastò parlare per bloccarmi
"Kurt... per favore!" mi implorò. Spostai in un lampo di furia gli occhi nei suoi ed avvertii chiaramente il sangue ribollire nelle vene e le tempie pulsare frenetiche. Quel pezzo di merda mi aveva... chiamato per nome? Ma come si permetteva? Chi gliela dava tutta quella confidenza? E soprattutto... chi diavolo glielo aveva detto? Blaine? Maledizione, maledizione, maledizione. Questa non poteva passarla liscia.
"Cosa vuoi, eh? Non ti è bastato prenderti gioco di me ieri sera? Con quale faccia adesso, vieni qui e pretendi che me ne stia di nuovo zitto ad ascoltarti?" gridai, fregandomene delle buone maniere e delle regole di condominio. Tanto Rachel era impegnata con Finn, Tina era ancora spaventata per la mia reazione aggressiva di quella mattina e mai si sarebbe sognata di dirmi qualcosa, i coniugi Schuester erano partiti per una breve vacanza e Abrams... figuriamoci se lui si sarebbe scomodato per un pò di rumore.
Che mi facessero causa... sti cazzi...
"Perché quello che ho da dirti è importante!" si giustificò stupidamente, gesticolando. Io grugnii infastidito pronto a sbattere una volta per tutte quella dannata porta, sperando magari di rompergli il setto nasale. Chissà se il suo angelico faccino sarebbe stato ugualmente tanto delizioso dopo. Chissà se Blaine lo avrebbe accolto nuovamente nel suo letto.
"Beh... chi se ne fotte!" sbottai molto poco finemente con un sorriso sarcastico. Strinsi il legno della porta e schioccai la lingua infastidito. Ora ne avevo abbastanza. Doveva lasciarmi in pace. Lui e quello stronzo del suo amichetto. Dovevano smetterla di infastidirmi e provare a...
"Blaine è mio fratello!" esclamò asciutto e risoluto, guardandomi direttamente negli occhi. Per la seconda volta, mi lasciai scappare un paio di respiri e quasi mi affogai con la mia stessa saliva
"Co-cosa?" feci con un verso strozzato. Che.Cosa.Aveva.Detto.Il.Ragazzo.Sconosciuto?
"Io e Blaine siamo fratelli. Io... sono Cooper!" mi spiegò tranquillamente. Il cuore prese a battermi in uno strano ritmo agitato. Non era veloce ma neanche un battito regolare. Era... alterno. Ed il mio cervello faticava a metabolizzare. Dannazione, non poteva essere... quel ragazzo non era l'amante di Blaine? Quel ragazzo era... suo fratello? Cooper?
"Non ti ha parlato di me?" mi domandò ingenuamente stringendosi nelle spalle, ma io non lo ascoltavo più. La mia mente mi aveva appena riproposto la scena della sera prima
Io, sul mio terrazzo, a parlare, anzi, più che altro ascoltare, le parole ambigue di un ragazzo divertito, attanagliato dalla delusione. All'improvviso la sua voce, proveniente da dentro l'appartamento. "Cooper? Che fine hai fatto?" aveva chiesto e subito dopo il cane aveva abbaiato. E ovviamente la mia mente aveva dato per scontato che ce l'avesse con lui, con il cucciolo. Non avrei mai potuto pensare fosse rivolto al ragazzo con me, a... suo fratello
... "Come hai detto che si chiama?"... "Cooper!"..."Cooper? Come... cioè... perché..."... "Mio fratello si chiama così!"
"Allora... ti ha parlato di me, vero?" mi richiese facendomi uscire dal mio breve stato di trance. Sospirai, proprio mentre lentamente si faceva strada in me l'atroce possibilità che io tanto testardamente non avevo provato a considerare
E pensare che sono stato io stesso a convincere Blaine a chiamarlo e a farlo venire qui...
"Sì!" riuscii a dire in un soffio
"Bene allora mi faciliterai il compito!" mormorò sollevato con un sospiro
"Ma... tu... non puoi essere..." balbettai io, ancora incredulo. Il problema non era che io non mi fidassi di lui, ma più che altro che trovassi ancora un pò di difficoltà ad accettare che la verità fosse in realtà così maledettamente banale.
"Ti faccio vedere la carta d'identità se vuoi... guarda ce l'ho qui...!" e si portò le mani sui jeans per tirare fuori i documenti, ma lo bloccai
"No no... ci.. credo!" mormorai arrossendo inspiegabilmente
"Bene!" mi sorrise apertamente e lì lo notai. E fu ancora meglio di qualsiasi documento potesse mai mostrarmi: il suo sorriso era l'esatta fotocopia di quello di Blaine. Erano entrambi aperti, contagiosi, sinceri ma soprattutto belli da mozzare il fiato. Come diamine avevo fatto a non accorgermene prima? Ero talmente tanto accecato dalla rabbia, da non aver prestato attenzione ad un elemento tanto palese?
"É che... non ha il minimo senso... tu... tu mi hai fatto credere che foste... che tu e lui.." balbettai indicandolo, incapace perfino di esprimere i miei stessi pensieri. Era un casino, tutto un grandissimo casino
"É proprio per questo che ora sono venuto qui a parlarti!" esclamò allora sollevando le spalle. Con un sospiro stanco, mi catturai un labbro tra i denti e poggiai una spalla allo stipite della porta
"D'accordo... sei riuscito ad ottenere la mia completa attenzione... ti ascolto!" lo esortai, davvero curioso di sapere finalmente la verità. Avevo bisogno che fosse lui stesso a dirmela, dopo avermi riempito di chiacchiere.
Il bugiardo che sfata i suoi stessi trucchi...
"Non avrei dovuto trattarti in quel modo ieri sera... mi sono... lasciato prendere la mano e credo di aver combinato un mezzo guaio!" mormorò storcendo appena il naso in una smorfia imbarazzata. Ed eccola un'altra espressione tipica di Blaine. Quei due ragazzi iniziavano lentamente a somigliarsi sempre di più sotto i miei stessi occhi
"Preferisco non commentare... va avanti!" borbottai incrociando le braccia al petto e lui prima di parlare si grattò il mento e fece mezzo sorriso
"Ecco... è che ti ho visto lì su quel terrazzo... sembravi in.. trepidazione ed ho immaginato stessi aspettando mio fratello. Non so neanche come mi sia venuta l'idea!" spiegò, quasi stesse parlando con sé stesso e non con me "
Lì su due piedi mi era sembrato... divertente. Volevo farti credere che mio fratello fosse una specie di latin lover da strapazzo... e che fosse abituato a portarsi ragazzi a casa!" ridacchiò da solo, scuotendo la testa. Io provai a studiarne i lineamenti marcati ma armoniosi per capire se ciò che stava dicendo fosse finalmente la verità. Dai suoi stessi occhi puntati così decisi nei miei, dedussi che sì... meritava la mia fiducia.
"Divertente... certo!" mormorai sarcastico. Sinceramente io non ci trovavo proprio nulla di divertente. Soprattutto se pensavo alle maledette borse che avevo sotto agli occhi a causa della precedente notte passata insonne e soprattutto alla lunga lista di persone che quella mattina avevano avuto la sfortuna di capitare a tiro mio e della mia funesta ira.
"Ma mai avrei immaginato che tra di voi ci fosse qualcosa... altrimenti non mi sarei di certo permesso!" portò le mani in avanti gesticolando. Sgranai gli occhi ed avvampai. Che significava la frase, 'Mai avrei immaginato che tra di voi ci fosse qualcosa?' Perché... tra me e Blaine... che cazzo gli aveva raccontato?
"C-come scusa?" ma lui ridacchiò, facendomi arrossire di un altro tono. Tornava a ridere di me?
"Dio, Blaine stamattina mi ha... distrutto. Non l'ho mai sentito gridare tanto... anzi chiedi scusa al resto dei condomini da parte mia... si saranno spaventati, immagino!" scosse la testa, sistemandosi elegantemente il ciuffo. Deglutii colpito dall'effetto e dal fascino che quel ragazzo emanava. Anche Blaine mi faceva quell'effetto, vero?
Direi proprio di sì...
"Ha gridato?" domandai confuso. Perché diciamocelo... Blaine che gridava proprio non riuscivo ad immaginarmelo. Lui scoppiò a ridere di gusto, perché forse anche per lui sembrava molto strano
"Già... me ne ha dette di tutti i colori... ma in fondo... credo di essermelo meritato!" esclamò con una smorfia. Beh, non potevo dargli torto. Pensandoci, l'aveva ideata davvero sporca, a prescindere dal fatto che io potessi o meno rimanerci male. Aveva messo in cattiva luce il fratello, e lo aveva fatto con un perfetto estraneo. Era stato davvero poco carino. Blaine non aveva affatto esagerato quando mi aveva parlato di lui la prima volta: era presuntuoso e non perdeva occasione per screditarlo e me ne aveva dato prova proprio la sera prima. Non biasimavo affatto Blaine per non averlo mai invitato prima a casa sua. In quel momento ne capivo perfettamente tutte le motivazioni.
"Comunque, pensandoci... un pò é anche colpa tua!" aggiunse ad un certo punto indicandomi. Sconvolto mi indicai a mia volta, puntandomi l'indice sul petto
"Colpa mia?" quella volevo proprio sentirla!
"Sì.. cioè... come diavolo hai fatto a non notare la somiglianza?" domandò divertito incrociando le braccia al petto. Quella domanda tanto buffa, sommata alla tensione che andava via via scemando, finalmente mi permisero di concedermi la prima risata dopo quasi ventiquattro ore. Certo, non era un granché: era ancora un pò tirata e c'era anche un leggero imbarazzo, ma era pur sempre qualcosa.
"Me la stai facendo notare tu ora... ieri sera sinceramente avevo... altro a cui pensare!" gli sorrisi divertito, facendolo ridere a sua volta.
"Mmmm questo significa che la mia interpretazione è stata davvero... eccellente!" mormorò estasiato, sgranando appena i lucenti occhi grigi
"Da vero attore!" lo beffeggiai divertito facendolo sorridere adulato. Però... era anche molto poco modesto il ragazzo. Praticamente l'esatto opposto di Blaine, che invece arrossiva ad ogni complimento e si passava la mano tra i riccioli, quasi fosse certo di non meritarsi nulla. Due ragazzi che si somigliavano così tanto, ma allo stesso tempo risultavano così diversi.
"Sensazionale!" borbottò facendo un vago gesto con la mano. Ok, con quegli occhi così sgranati, persi in chissà quale pensiero e quel mezzo sorriso, pareva davvero un pazzo. Come aveva fatto Blaine a sopportarlo in tutti quegli anni? A me, in soli trenta minuti totali in cui avevo avuto il dispiacere-piacere di parlargli... aveva fatto venire il mal di testa. Non riuscivo a tenere il ritmo del suo discorso. E difatti in quel momento aveva iniziato ad elencare tutte le tecniche di recitazione messe in atto la sera prima per ingannarmi. Aveva tirato fuori nomi specifici e perfino qualche metodo Stanislavskij, ma io avevo sinceramente smesso di ascoltarlo da qualche secondo buono. Mi limitavo a sorridere divertito, finalmente con il cuore un pò più leggero e la testa sgombra di pensieri negativi. Mi veniva perfino voglia si scendere al piano inferiore ed abbracciare Finn.
Mmm... ok un pò esagerato... decisamente!.. Ricordati che quel tipo è alto quasi due metri...
Dopo quella che parve un'eternità, passata a parlare esclusivamente senza sosta delle sue innate - a detta sua - doti recitative, finalmente tornò a rivolgersi a me, con un minimo senso logico nelle parole
"Beh ora che il piccolo inconveniente tra di noi è stato risolto... direi che posso tornare dentro per finire di preparare la mia valigia!" esclamò battendo le mani risoluto, mentre un piccolo sorriso gli disegnava le labbra. Aggrottai la fronte confuso.
"Vai già via?" gli domandai. Quanti giorni era rimasto a New York? Possibile che il suo viaggio si fosse già concluso? Lui si fece sorpreso, forse non gli sembrava vero che, dopo averlo malamente aggredito, mi interessassi a lui. In effetti la cosa faceva uno strano effetto anche a me. E se mi fermavo a pensarci un pò più a lungo, avvertivo una curiosa sensazione all'altezza dello stomaco: per la miseria, stavo davvero parlando con un membro della famiglia di Blaine? Una persona che lo aveva visto crescere e diventare ciò che era allora? Stavo davvero intrattenendo una conversazione amichevole - nonostante i precedenti - con suo fratello?
"Si... non credo sia il caso di rimanere ulteriormente. Penso di aver combinato già abbastanza disastri in un solo giorno!" ridacchiò imbarazzato. 
"Mi dispiace!" mormorai, ed ero sincero. In un certo senso, avrei voluto avere la possibilità di conoscerlo meglio. Magari, nonostante la presunzione, lo avrei trovato perfino simpatico
"Non importa... me la sono cercata!" scrollò le spalle arretrando di qualche passo verso l'appartamento ancora aperto di Blaine "Beh ti saluto Kurt... felice di averti conosciuto... nonostante tutto!" mi stordì con un sorriso luminoso ed un occhiolino
"Già..." mormorai con la gola stranamente secca. Dovevo fare i complimenti a mamma e papà Anderson perché avevano fatto due capolavori. Certo, Blaine era a dir poco fantastico, e non solo fisicamente. Lo era anche di carattere ed il suo carisma non si mischiava mai con la presunzione. Essere bravi ed avere talento non equivaleva a doverlo necessariamente ostentare nel modo in cui sembrava abituato a fare Cooper. E adesso lui stava andando via. Tornava nella sua amata California e probabilmente non lo avrei mai più rivisto. Avevo ancora una piccola curiosità da togliermi, prima di salutarlo definitivamente
"Ehm aspetta!" lo richiamai, lui ormai con la porta quasi a metà. Si bloccò guardandomi curioso
"Si?"
Coraggio Kurt... o la va o la spacca... Gliene hai gridate dietro di tutti i colori. Abbi anche il coraggio di lasciarti guidare dalla curiosità per una volta...
"Posso sapere come mai... perché hai messo in piedi quella buffonata ieri sera?" domandai finalmente, mordicchiandomi una guancia. Lui mi guardò, sempre più sorpreso
"Te l'ho detto... per divertirmi!" rispose tranquillamente
"La verità, Cooper!" lo ammonii. E Dio... lo avevo chiamato per nome, avevo chiamato per nome il fratello di Blaine e stavo perfino parlando con lui. Mi sarebbe mai passata quella strana euforia? Che diavolo mi prendeva?
Lui parve seriamente pensarci quella volta, forse perché aveva intuito di non potermi più rifilare una bugia. Era stato lui quella sera a decidere che avremmo giocato al gioco della verità. Senza obblighi né penitenze. E come minimo, mi aspettavo continuasse su quella strada
"La verità... la verità è che... ero geloso... di Blaine, come al solito!" ammise dopo alcuni secondi di riflessione in un sussurro, con gli occhi puntati sulla grata dell'ascensore. Sorpreso spalancai appena la bocca
"Geloso di Blaine?"
"Si.. lui... ha questo suo modo di fare... questa sua particolare attitudine nel rapportarsi con gli altri... è una cosa che ho sempre invidiato!" spiegò con calma eppure senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo. Un ragazzo come lui, con il suo aspetto, il suo carattere e il suo lavoro, arrivava ad invidiare Blaine? Certo che allora così, tutto acquistava un altro significato. I suoi atteggiamenti verso il fratello durante le adunate familiari, la sua scarsa presenza o il suo affetto quasi inesistente. Lui non evitava Blaine perché non lo riteneva capace quanto lui, ma lo faceva perché al contrario lo invidiava. Possibile che Blaine non se ne fosse mai accorto?
"Si lui è... molto bravo in questo!" mormorai con un sorriso, mentre alla mente mi tornavano tutti i suoi sorrisi, le sue battute, le sue guance tinte di rosso per l'imbarazzo o semplicemente quelle dita sottili che erano scivolate prima sui tasti d'avorio del pianoforte e poi sul mio corpo. Nella stessa identica serata. E pensare che quegli stessi ricordi, la sera precedente, e fino a poche ore prima, mi avevano fatto un male indescrivibile. Pensare che era arrivato a pensare le cose peggiori su di lui, che il mio giudizio nei suoi confronti si fosse notevolmente rivoluzionato. Buffo come la vita possa cambiare direzione nel giro di così poco. E tutto per merito di Cooper e dell'accenno di buonsenso che ancora possedeva.
"Sai... ora che ci penso.. deve tenerci davvero tanto a te! Altrimenti non si spiega una reazione così spropositata!" mormorò distogliendomi dal mio momento di trance. Per la seconda volta le sue insinuazioni mi fecero arrossire fino alla punta dei capelli
"Lui... ehm... tra me e lui non.. non è come pensi. Siamo amici!" specificai frettolosamente, ma risultavo poco credibile perfino alle mie orecchie, soprattutto mentre ogni fibra del mio corpo traditore, sembrava gridare
"Sono stati a letto insieme. Hanno fatto l'amore. L'altra sera, dopo la festa. E lui era fottutamente geloso di te!"
"Amici?" mi chiese infatti, dubbioso, con mezzo sorriso
"C-Certo!" chissà cosa, se la mia voce tremante o la mia faccia allucinata, lo fece scoppiare a ridere di gusto
"Oh Kurt credimi... due amici non avrebbero gestito questa.. situazione nel modo in cui l'avete fatto tu e lui. Mio fratello avrà anche dato di matto.. ma tu... ammettilo... ieri sera sul terrazzo avresti voluto uccidermi!" disse tenendosi lo stomaco per le troppe risate
Touché...
"Io..."
Coraggio Kurt... smettila di essere tanto idiota. L'hanno capito anche i lampadari che eri arso dalla gelosia. Ammettilo!..
Feci una pausa per concedermi un lungo sospiro e chiudere gli occhi. E pensare che non mi aveva neppure domandato se fossi gay. A quanto pareva era più evidente di quanto pensassi.
"Forse... magari giusto un pò..." ammisi finalmente guardando il mio interessantissimo zerbino azzurro. 
"Mmm... ascolta... so che magari la mia opinione in questo momento non ti interessa però... credo che tu e lui dobbiate parlare. Non mi sembra giusto che per colpa mia, il vostro rapporto, di qualsiasi natura esso sia, debba rovinarsi!" disse cauto, sorprendendomi per la sua maturità e l'interessamento. Che la corazza da cattivo ragazzo-Anderson si stesse spaccando?
"Io... immagino che... tu abbia ragione!" gli concessi allora con mezzo sorriso
"A meno che mio fratello a letto non sia stato un'autentica delusione... in tal caso faresti bene a cogliere l'occasione che vi ho servito su un piatto d'argento e a mettere tra di voi delle distanze!" aggiunse stringendosi nelle spalle. Io per poco non stramazzai al suolo, in preda ad un attacco di cuore. Ma che cavolo!
"Ti ringrazio per il consiglio, Cooper... davvero!" esclamai con voce per niente naturale, assumendo una calda gradazione di viola. Sentivo le orecchie in fiamme e una strana quanto plausibile voglia di sbattergli la porta in faccia. Quel ragazzo era strano. Alternava momenti di maturità ad altri di psicosi. Ed io ero sulla buona strada per diventare come lui.
"Figurati. Stammi bene, Kurt!" e con un occhiolino chiuse la porta, lasciandomi, ancora mezzo stordito, sull'uscio di casa mia
Ed è così che Cooper Anderson vi dice ciao...

New York City. 03 Aprile 2012. Ore 11.36 P.M. (Martedì)

Quando aprii la porta del mio appartamento due cose mi colpirono, nello stesso istante: la prima fu il trovare casa completamente buia e di conseguenza vuota. A quanto pareva, mio fratello era uscito, pur non avendo le chiavi di casa. Magari aveva intenzione di tornare più tardi di me. Beh, sicuramente se fosse capitato dopo essermi messo a letto, di certo non mi sarei alzato per aprirgli. Avrebbe dormito sullo zerbino e tanti saluti.
Non si meritava nulla, soprattutto non dopo quello che aveva combinato. E se mi fermavo a pensarci sentivo ancora la rabbia montarmi dentro.
Dio, ma come diavolo gli era saltato in mente di far credere a Kurt che io e lui stessimo insieme? Come cazzo aveva potuto? Chi gli aveva dato l'ordine di intromettersi nella mia vita, all'apparenza tranquilla, e di rovinarla in quel modo? E porca la miseria, era passato solo un giorno. Cooper Anderson era riuscito a fare più danni di quanto avessi mai potuto credere in poco più di ventiquattro ore. Inoltre, per quel che ne sapevo io, Daniel era ancora arrabbiato con Sebastian, anzi molto arrabbiato, dato che il mio migliore amico si era presentato al pub quella sera da solo e con un muso più lungo della Route 66. A poco era valso il mio sostegno morale soprattutto perché non ero stato dell'umore adatto per darglielo e lui aveva fatto subito capire di preferire la compagnia della sua birra ghiacciata.
"Sta lontano da me... tu sei il fratello del demonio e hai il suo sangue che ti scorre nelle vene!" aveva biascicato lui guardandomi male per poi incurvare le spalle e concentrarsi sul suo bicchiere. Lì per lì mi era perfino venuto da ridere, ma poi mi era passata subito, perché la rabbia aveva ripreso il suo corso.
Dannato Cooper...
La seconda cosa che mi colpì entrando, fu un post-it verde mela, attaccato malamente alla porta della cucina. Per poco non mi schizzò il cuore fuori dal petto.
Un post-it... per me?...
Dandomi del cretino e lasciando la sacca per terra accanto all'ingresso, avanzai verso il biglietto. Era stupido credere che lui si fosse introdotto a casa mia e mi avesse attaccato quel post-it sulla porta per permettermi di spiegargli e fare pace?
Sì, Blaine... è assurdo...
Con il cuore in gola staccai il biglietto - che maledizione, si trovava ben mezzo metro sopra la mia testa.. e sicuramente lui non lo avrebbe mai fatto - e con un grugnito infastidito mi accorsi che la scrittura era quella di mio fratello
*Dunque, schizzo, come vedi io non sono in casa. Non disperarti troppo e non perdere troppo tempo a cercarmi perché tanto non mi troverai. Ho deciso di tornarmene a Los Angeles, la costa orientale non fa per me! Ho un volo domattina alle sei, e stanotte dormirò in albergo! Per quello che possa valere, Blaine... mi dispiace, tanto! Abbi cura di te e se puoi, perdonami... Ti voglio bene (anche se negherò perfino sotto tortura di avertelo detto!). A presto. Coop*
Un sorriso amaro mi si aprì sul volto e scossi la testa, mentre accartocciavo il post-it con la mano. Mi voleva bene, eh? Mmmm strano modo che aveva di dimostrarmelo. Le persone che si vogliono bene, si abbracciano, si fanno piaceri, si sostengono, si confidano l'un l'altro, si apprezzano e si incoraggiano. Lui, in venticinque anni, non aveva mai fatto una di quelle cose, tranne forse abbracciarmi, ma soltanto per esigenze di interpretazione. Lui al contrario aveva trovato più interessante demolirmi, scoraggiarmi, darmi addosso, accusarmi di non essere degno e in ultimo, come se tutto l'elenco non bastasse già, mi aveva perfino calunniato davanti a Kurt. Davanti all'unica persona con la quale ero riuscito ad instaurare un sincero rapporto di amicizia e confidenza - eccezion fatta per Sebastian - senza contare quello che c'era stato tra di noi solo qualche giorno prima. Ed ora cosa mi rimaneva mentre lui tornava nella sua soleggiata California? Niente. Un post-it verde mela stropicciato, che non era stato scritto neanche dalla persona giusta.
Che ti aspettavi Blaine?...
Che poi a pensarci... come si era permesso di utilizzare i miei adorati post-it colorati? Chi gliene aveva dato l'autorità? Quelli erano off-limits, li avevo messi da parte per... beh, per lui. Ma forse, ormai non ce ne sarebbe più stato bisogno, quindi non avrebbe fatto poi tanta differenza se mio fratello ne avesse preso uno, dieci o venti. Con amarezza ricordai che l'ultimo post-it colorato che avevo trovato sulla mia porta, risaliva a quella mattina, e invece del solito ed affettuoso buongiorno, c'era scritto un crudo ed amaro "Fottiti". Dire che, nel leggerlo, ero rimasto scioccato, è davvero poco. Cosa aveva spinto il dolce e pacato Kurt Hummel ad inveire tanto duramente su un pezzetto di carta colorata? Proprio non riuscivo a capirlo
Per questo, mi ero preso un paio di ore di permesso dal supermercato per raggiungerlo all'agenzia. Trovarlo così infastidito e crudele era stato come ricevere una pugnalata in pieno cuore. Ma le sue parole erano state ciò che senza ombra di dubbio mi avevano fatto stare peggio.
"Chiedi spiegazioni al tuo amico. Magari lui sarà più chiaro di me!"..."Quello che ieri sera era a casa tua... sul tuo terrazzo... e che si vantava tanto della magnifica serata che avevate passato insieme e della nottata che ne sarebbe seguita! Quel ragazzo, Blaine!"..."Sappi soltanto che grazie a te ho passato la notte peggiore della mia vita e che sei perfino riuscito a farmi sentire uno schifo per aver tradito il mio ragazzo! Quindi ti faccio i miei più sinceri complimenti, Blaine, davvero. Sei stato bravo, devo ammetterlo perché avevi una missione precisa in testa e sei riuscito abilmente a portarla a termine. Ma adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola, perché ti assicuro che da questo momento in poi non vorrò più avere niente a che fare con te!"...
Trappola? Ma quale trappola? Io con lui ero sempre stato me stesso, e quello che avevo fatto era stato dettato solo dalle migliori intenzioni. E da quello che lui stesso mi aveva detto il giorno dopo, a colazione, per lui valeva lo stesso. Cos'era successo allora? Possibile che le parole di Cooper fossero così crude da arrivare a disprezzarmi tanto?
Ancora una volta, gira rigira... è sempre colpa di mio fratello...
Con un sospiro andai ad accarezzare il piccolo Coop - Dio, maledetto me e quando avevo deciso di dargli quel nome - che dormiva placidamente su una mia vecchia maglietta, sul divano. Lui si accoccolò a me ed abbaiò piano come per salutarmi. Sul tavolino basso intravidi nella semi-oscurità della stanza il mio portatile, ovviamente fuori posto, segno che mio fratello lo avesse usato per fare qualcosa, che io sinceramente ignoravo. Sospirai stiracchiandomi la schiena indolenzita e lanciai un'occhiata al panorama di New York. Mmm... pensandoci, un pò d'aria fresca era proprio quello che ci voleva.
Così, quasi fossi in apnea, uscii sul terrazzo e mi sedetti placidamente sul dondolo, incrociando le gambe a mò di indiano. New York splendeva indisturbata al mio fianco, in tutta la sua magnificenza, senza alcun segno di cedimento, come se non fosse successo niente a turbarla, quasi fosse spettatrice esterna della vita dei suoi abitanti.
Pagherei per essere anche io così...
E mai come in quel momento, mi ero sentito più piccolo, di fronte a tanta grandezza. Chiusi gli occhi e mi abbandonai per un attimo alla stanchezza e alla rabbia che lentamente scemava in qualcosa di diverso, qualcosa di più profondo e contorto. Non provai neppure a decifrarlo ma lo accolsi senza dire nulla, quasi fossi succube.
Lo sono stato per una giornata intera... lo posso essere ancora per altri dieci minuti..
All'improvviso però, proprio mentre avvertivo la leggerezza del sonno arrivare ad abbracciarmi, sentii qualcosa. Un bisbiglio indistinto, proveniente da chissà dove, che mi fece accigliare ed aprire lentamente gli occhi. Chi era che disturbava il mio momento di riposo? Possibile che quell'idiota di mio fratello avesse cambiato idea? Con mia grande sorpresa, ad attendermi, con gli occhi grandi e lucidi ma molto attenti, non c'era Cooper ma il mio vicino. Quello che poco più di dodici ore prima mi aveva gridato addosso parole velenose e odio allo stato puro, quello che mi aveva accusato di averlo plagiato ed usato. Quello che era caduto nella mia trappola. E ora, a discapito di tutto e di tutti - perfino del suo secco post-it arancione - si trovava lì di fronte a me, al di là della grata bianca, che mi osservava ansioso.
In quel momento mi salì in gola tutta la rabbia, la frustrazione e la stanchezza accumulati durante il giorno. Ma proprio mentre lui sussultava e i suoi occhi si sgranavano appena, decisi di comportarmi in maniera diversa, di ignorare ancora una volta l'istinto ed affidarmi alla ragione.
"Ti sembro un fenomeno da baraccone, qui fermo dietro a queste sbarre?" lo sfidai con il tono più crudo di quanto mi aspettassi. Lui strinse le sbarre tra le mani ma non distolse neanche per un istante gli occhi dai miei, senza rispondermi. Mi morsi una guancia in attesa che lui dicesse o facesse qualcosa, perché mi ero davvero stancato di parlare e di giustificarmi quel giorno. Ma lui mi sorprese. Agganciato saldamente alle sbarre iniziò ad arrampicarcisi, molto cautamente. Sgranai appena gli occhi sorpreso, combattuto se alzarmi o meno dal mio dondolo per aiutarlo a scavalcare. La sua agile mossa però, decise per me e rimasi immobile mentre con un balzo atterrava sul mio terrazzo
"Qualsiasi cosa tu sia... adesso lo sono anche io!" mormorò finalmente spiazzandomi. Non era proprio la risposta che mi aspettavo di sentire. Avanzò di qualche passo, senza distogliere gli occhi dai miei e la tensione che aleggiava tra di noi divenne perfettamente palpabile. E quella volta non aveva nulla a che vedere con il sesso.
Si fermò davanti a me, a pochi centimetri di distanza e sospirò
"Blaine... io..." lo scrutai, stringendo gli occhi
"Cosa?" lo sfidai ancora improvvisamente lucido e recettivo. Il mio tono lo colse di nuovo alla sprovvista perché arrossì ed abbassò per un istante la testa. Quando la rialzò, solo pochi istanti dopo, quella che vidi lampeggiare nei suoi occhi era vera e propria consapevolezza. Di cosa, ancora lo ignoravo.
"So di non meritarlo.. so che probabilmente vorresti mandarmi al diavolo e credimi.. avresti tutte le ragioni per farlo ma.. ti prego... ho bisogno di parlarti ed ho ancora più bisogno che tu rimanga in silenzio ad ascoltare!" spiegò con calma e tranquillità. Espirai lentamente, avvertendo una strana morsa allo stomaco e mi mossi agitato sul dondolo che oscillò appena
"Pensi di poterlo fare?" mi domandò ed io spostai istintivamente lo sguardo su New York perché in quel momento, avevo davvero bisogno di un consiglio disinteressato di qualcuno che non avrebbe mai voluto né il mio bene né il mio male. E la città splendente, mi sembrava la consigliera ideale. 

 

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Capitolo 18
*** Il ragazzo sul dondolo ***


Salve bella gente, e buon lunedì e inizio di settimana.. qualcuno inizia la scuola oggi? Mmm... magari riesco a risollevarvi un pò l'umore con questo capitolo, chissà... ^^ Bene, tutti si sono chiesti perché ci provassi così gusto a lasciare i capitoli a metà spezzandoli proprio nel momento meno opportuno, ebbene ecco la spiegazione: perché sono maledettamente SADICA ahahahah, no dai, seriamente... se non vi lascio con un pò di suspance che divertimento c'è? (anche se alla fine forse mi diverto solo io XD) ma vi prometto che prima o poi finirà... cioè... forse! Detto questo vi lascio al capitolo perché so che siete impazienti di sapere cosa si sono detti Blaine e Kurt e se il primo è riuscito a perdonare il secondo e poi... Cooper è davvero partito? Mmm.. buona lettura, amori miei, vi ringrazio come sempre per il vostro meraviglioso sostegno e per la pazienza e l'affetto che mi dimostrate ogni volta... siete la mia più grande ispirazione per continuare a scrivere :* ci vediamo Giovedì ;)
p.s. Immagine fantasticosa... io non so più cosa dirle quindi... mi limito a sottolineare nel vero senso della parola, un grande GRAZIE MIO DAN <3
N.b. Vi ricordo la pagina fb sulla quale potrete continuare a seguirmi ed avere in anteprima qualche notizia sui prossimi capitoli ;)






New York City. 03 Aprile 2012. Ore 11.58 P.M. (Martedì)

"Bene, ti ascolto!" avevo acconsentito, sentendomi friggere il sangue nelle vene per l'ansia. Lui, appena sorpreso, sospirò e mi fece un cenno verso il dondolo, nella parte libera. Io mi spostai con un movimento millimetrico, quasi senza pensarci e lui prese posto accanto a me con un gesto fluido ed elegante, alla giusta distanza di sicurezza. Ero stanco ed avevo seriamente bisogno di dormire, soprattutto dopo gli ultimi eventi: dopo mio fratello, dopo il suo arrivo e la sua improvvisa ripartenza, il muso lungo di Daniel, la seccatura di Sebastian, il maledetto post-it arancione e quello verde accartocciato e buttato malamente sul pavimento accanto alla cucina. Ma cosa più importante avevo bisogno di stare solo. Perché forse da solo avrei potuto riflettere con calma senza essere condizionato da nessuno. Ma non so cosa esattamente mi diede la forza per concedere a Kurt la possibilità di parlare. Forse la curiosità, anzi... senza dubbio era per quello.
Per cos'altro se no?...
Kurt prese un lungo respiro stringendo le mani tra le gambe e finalmente parlò
"Prima di tutto, permettimi di dire che sono un cretino... un cretino di dimensioni cosmiche e che se tu ora non hai voglia di starmi a sentire o non avrai in futuro intenzione di avere ancora a che fare con me... beh, sappi che non ti biasimerò per questo!" mormorò senza sollevare lo sguardo dalle sue gambe.
"Ma adesso non sperare che io ricada nuovamente nella tua trappola, perché ti assicuro che da questo momento in poi non vorrò più avere niente a che fare con te!"... Sei stato tu a dirlo Kurt, ricordi? Io non c'entro nulla... avete fatto tutto tu e mio fratello...
"Stamattina non mi sei sembrato dello stesso avviso!" gli feci presente con una calma quasi incredibile. Pensavo di reagire in maniera più aggressiva, ma per il momento riuscivo ancora a controllarmi. Forse la rabbia non era a livelli così elevati come avevo immaginato. Lui sussultò, punto sul vivo
"Sì, lo so... stamattina ero.. arrabbiato e anche parecchio insopportabile!" ammise, forse sorridendo amaramente. Non ci potei giurare dato che avevo fissato gli occhi sull'edera che si arrampicava sul muro. La trovavo molto più distensiva
"E cosa pensi sia cambiato ora?" mi ritrovai a chiedere senza neanche pensarci. Lui sospirò, agitandosi appena al mio fianco
"É cambiato che.. ho parlato con Cooper... con tuo.. fratello!" esclamò in un soffio di voce che stranamente mi fece stringere lo stomaco. Ah ecco spiegato il mistero!
Dillo, Kurt... grida al mondo che il ragazzo che pensavi mi scopassi, è in realtà il mio fottuto fratello!...
"Mio fratello?" domandai sarcastico e pungente, girando finalmente gli occhi e puntandoli nei suoi che si spalancarono appena, timorosi "Aspetta... ti riferisci al ragazzo
che ieri sera era a casa mia... sul terrazzo... e che si vantava tanto della magnifica nottata che avremmo passato insieme? É lui mio fratello?" continuai riportando le sue parole, sempre più crudo, fulminandolo con lo sguardo. Lui rimase spiazzato e deglutì vistosamente. Bene, proprio l'effetto che speravo. Adesso avrebbe capito cosa significava essere aggrediti in quel modo, quando invece dall'altra parte c'erano soltanto le migliori intenzioni. E pensare che doveva ritenersi fortunato, perché io non stavo gridando.
"Dio, Blaine tu... non hai idea di come mi sia sentito mentre lui mi spiegava tutto... di come mi senta ora!" mormorò scuotendo la testa e catturando un labbro tra i denti. Sbottai una mezza risata amara
"No, Kurt... non ce l'ho infatti. E allo stesso modo tu non hai idea di come mi sia sentito io mentre mi sbattevi fuori dal tuo ufficio come se fossi un estraneo, senza neanche darmi modo di spiegare!" gli feci presente cercando di contenere la voce. Era pur sempre mezzanotte passata ed essere richiamati per schiamazzi notturni non era proprio nei miei piani
"Lo so, Blaine e.. mi dispiace!" mormorò mesto, abbassando il capo. Mi passai una mano tra i ricci sconvolti e provai a respirare con più calma
"Già, Kurt... anche a me!" convenni. Spostai anche io lo sguardo, puntandolo sulla lucina rossa di un aereo che, nella immensa notte, sorvolava New York quasi senza darci peso e sicuramente senza accorgersi di noi. Ed eccolo un altro spettatore incurante. Ed ecco un altro posto in cui vorrei essere stato invece di trovarmi sul mio terrazzo. Da dove veniva quell'aereo? Dall'Europa forse? E
dove stava andando? Nello stesso posto in cui sarebbe andato mio fratello qualche ora dopo, probabilmente. In ogni caso, lontano da New York.
"Pensi che avrò mai la possibilità di spiegarmi?" mi domandò in un sussurro che mi provocò un inspiegabile brivido lungo la schiena. Sospirai stanco e fu allora che probabilmente decisi di dare davvero una possibilità a Kurt. Perché non ero il tipo da portare rancore ma soprattutto perché, fatta da parte la rabbia e la stanchezza, mi rendevo perfettamente conto che lui, come me, era stato vittima dell'imbroglio di mio fratello e quindi non potevo fargliene una colpa. Certo, non aveva creduto a me, non mi aveva dato modo di spiegare, non aveva voluto sentire ragioni.. ma qualcosa nel mio profondo io, mi fece convincere del fatto che avessi profondamente bisogno di sentirlo parlare. Non tanto per sentirmi dire che gli dispiacesse o che io avessi ragione. Avevo semplicemente bisogno - o forse voglia - di sentire la sua voce.
"Beh, per tua fortuna, si da il caso che io non mi chiami Kurt Hummel e che non ci trovi gusto ad attaccare biglietti volgari sulle porte altrui. E poi ormai hai sconfinato e sei sul mio terrazzo, quindi..." scrollai le spalle in tono molto più leggero e avvertii chiaramente la tensione alleggerirsi appena attorno a noi.
"Ti ringrazio!" sussurrò con tono leggermente sollevato ed io sospirai, chissà per quale motivo. Forse avevo solo bisogno di capirci qualcosa, soprattutto per quanto riguardava la sua reazione di quella mattina. E forse solo allora, tutto quanto avrebbe acquistato un senso ai miei occhi.
"Io credo.. di non essermi mai sentito tanto in imbarazzo prima di adesso..." mormorò accarezzandosi nervosamente le gambe fasciate da dei jeans strettissimi. Mi incantai a guardarle, eleganti e sinuose e ricordai perfettamente come si fossero mosse allo stesso modo anche sulla mia schiena. Erano lisce e calde e... maledizione come ero arrivato a pensare a quello? Dovevo concentrarmi sul presente, su Kurt e le sue parole, sulla questione Cooper. Il resto poteva - doveva! - aspettare. Kurt infatti continuò
"Come ti ho detto mi dispiace molto per come sono andate le cose questa mattina.. ero furioso, ero.. deluso da te, dal tuo atteggiamento!" confessò mesto, stringendosi le ginocchia tra le mani. Misi su un cipiglio confuso e sollevai lo sguardo sul suo viso, contratto in una smorfia amareggiata
"Cosa ti aveva deluso con esattezza, Kurt?" domandai in un soffio. Lui, forse sorpreso dalla mia domanda, o forse dal mio tono così leggero, mi guardò per qualche istante senza dire niente e potei giurare di averlo visto perfino arrossire leggermente, ma forse era l'oscurità a giocarmi un tiro mancino, o la stanchezza, o la frustrazione accumulata. O tutte e tre le cose messe assieme.
"Non saprei" rispose esitando appena. Si morse un labbro leggermente per poi scuotere la testa "É come se.. mi fossi sentito in un certo senso.. preso in giro, per quello che.. era successo tra di noi l'altro giorno!" abbassò di nuovo la testa ed io intuii il suo imbarazzo. Si riferiva alla notte passata assieme.. era per quello che si era così arrabbiato? Perché credeva che...
"Credevi davvero fossimo andati a letto assieme io e lui?" mi scappò senza neanche pensarci. Per un momento sperai di averlo solo pensato ma il suo viso tinto di porpora, mi fece intuire di non essere riuscito a trattenermi. Lui si mosse nervosamente sul dondolo che oscillò ancora ed annuì piano
"É esattamente quello che Cooper mi ha fatto credere cioè.. insomma... prima di dirmi che era in realtà tuo fratello!" e sorrise imbarazzato stringendo appena le labbra. Lo avevo già notato in un'altra occasione: Kurt quando era a disagio faceva quella smorfia tenera che lo rendeva se possibile ancora più dolce. Per la seconda volta provai a concentrarmi solo sulle parole e ignorai volutamente i miei stessi pensieri. Dunque, cosa aveva detto? Ah sì, credeva che io e mio fratello fossimo amanti. Bene, ma... qualcosa continuava a non essere chiaro.
"E anche se fosse stato vero.. cosa... cosa sarebbe cambiato?" riuscii a domandare infine, perché quello era davvero ciò che avrei voluto chiedergli fin dall'inizio. Fin da quando mi aveva cacciato dal suo ufficio inveendomi contro, fin da quando i suoi occhi duri e freddi mi avevano guidato oltre la porta. Quella mattina, spiazzato e confuso - e anche parecchio incazzato con mio fratello - ero rimasto in silenzio ma adesso... beh adesso meritavo quanto meno una spiegazione. Kurt però, sollevò la testa e mi guardò confuso. Così mi ritrovai a specificare
"Insomma.. tu... tu sei.. fidanzato, Kurt. Io so con certezza che tu e David siete stati a letto insieme dopo quello che è successo tra di noi l'altra sera!" mormorai, avvertendo chiaramente una strana nota acida di fastidio attanagliarmi lo stomaco. Fastidio? Ma a cosa diamine era dovuto? Senza dubbio dipendeva ancora dalla rabbia repressa verso Cooper
"Ecco io..." Kurt sbiancò di colpo, per poi girarsi nervosamente a guardare verso l'interno del mio appartamento, nel quale regnava ancora il buio assoluto. Eravamo circondati dal buio, soltanto New York si preoccupava di illuminarci. Lui non accennò a continuare e forse fu quasi un bene. Sentirgli ammettere che era davvero stato a letto con David in quel frangente - magari quella sera stessa? - sarebbe stato alquanto... mmm... fastidioso?
Sì... decisamente fastidioso... anche se non ho alcun diritto di provare una cosa del genere...
"E poi.. avevamo stabilito che si trattasse soltanto di un.. piacevole intermezzo cosa è cambiato?" scrollai le spalle, sinceramente confuso. Confuso dalla sua reazione, dal suo mutismo, dal suo rossore, ma soprattutto dal fatto che il mio dannato cervello continuasse a remarmi contro, alternando scene a luci rosse di me e lui attorcigliati nudi nel mio letto, a scene di Kurt e David nella stessa posizione. Solo che le prime mi provocavano piacevoli scariche dirette al basso ventre. Le altre.. beh, lasciamo perdere.
Non ne hai diritto, Blaine... come te lo devo dire?...
Finalmente, dopo quella che parve un'eternità, tornò a parlare e lo fece con un tono così leggero da confondermi
"Non è... cambiato nulla, Blaine.. è solo che.. insomma... io immagino mi abbia infastidito la sua arroganza e la sua faccia tosta... ha insinuato delle cose e beh.. quello ha senza dubbio fatto scattare qualcosa in me. Non ci ho visto più... ed è per questo che mi sono ritrovato ad attaccarti quel post-it assurdamente volgare sulla porta..." ammise con calma, come se stesse moderando le parole, quasi stesse confessando un grande peccato. Quindi era stata l'arroganza di Cooper a farlo innervosire così tanto e a suggerirgli di prendersela con me? Io quindi.. noi... non c'entravamo nulla? Mmm.. perché la situazione continuava a non essermi chiara? Perché, guardando Kurt sfuggente e ancora a disagio, intento a distruggersi malamente un labbro con i denti, mi sembrava chiaramente trattenuto, anche se era chiaro fosse sul punto di dire chissà che cosa? Perché diavolo avvertivo una nota di delusione farsi strada in me dopo quella sua confessione?
"Sì... posso immaginarlo.. Cooper fa... lo stesso effetto un pò a tutti..." mi ritrovai a confessare con uno strano sorriso amaro sulle labbra, ricordando perfettamente l'assurda discussione che avevamo avuto poche ore prima, quando, tornando a casa dal supermercato, mi ero ritrovato ad urlargli addosso improperi in ogni lingua, minacciandolo di sbatterlo fuori a calci per il semplice fatto di esistere. Non trovavo affatto giusto che, per l'ennesima volta da quando ero nato, lui aveva trovato un'occasione perfetta per demolirmi. Lo aveva sempre fatto e continuava ancora, nonostante ci fosse un intero continente a dividerci e lui fosse a conti fatti, arrivato alla soglia dei trentanni. Erano davvero azioni immature le sue ed io ne ignoravo le motivazioni. E sinceramente, avevo finito perfino la pazienza e la volontà per ricercarle. Forse un tempo avrei speso più energia nel cercare di capire il suo atteggiamento, avrei magari perfino interpellato i nostri genitori e avremmo messo su una bella seduta familiare durante la cena della domenica. Ma ora, dopo venticinque anni di scherzi come quello.. beh, mi ero stancato di dargli retta. Mi ero limitato pertanto a sfogarmi su di lui, sfogare tutta la rabbia repressa, dato che non ero riuscito a farlo prima e mi ero davvero sorpreso di vedere come lui non avesse fatto niente per reagire. Si era limitato a sprofondare nel divano, incrociare le braccia ed osservarmi assumere tutte le gradazioni possibili di viola. E lui non aveva detto niente. Era stata una bella soddisfazione in effetti.
Sospirai, mentre avvertivo chiaramente l'ansia scivolarmi via, quasi mi fossi liberato di un velo pesante che mi avvolgeva e ora fossi tornato finalmente a respirare aria nuova. Mi era tornata perfino la voglia di parlare e sorridere. E così decisi di alleggerire un pò l'atmosfera, cambiando un pò discorso
"Pensa che.. si è messo a flirtare con Sebastian ieri sera al pub e... beh c'era anche Daniel... ti lascio immaginare cosa sia successo." esclamai ridacchiando, forse per la prima volta dopo quasi ventiquattro ore. A distanza, perfino quella situazione mi pareva surreale
"Si sono arrabbiati?" mi domandò Kurt curioso voltandosi appena con il busto verso di me
"Peggio.. sono due notti che il povero Sebastian dorme nel corridoio come uno sfollato e Daniel non sembra intenzionato a perdonarlo." spiegai divertito, immaginando perfettamente il mio amico con un cuscino sotto il braccio e tutto il repertorio di canzoni d'amore e di scuse da cantare. Se con Elthon John non aveva avuto successo, quella sera avrebbe provato con qualcosa di più ritmato tipo i One Republic, ci avrei scommesso.
E se conosco bene Sebastian.. non dovrei sbagliarmi...
"Oh poveretto..." mormorò lui in risposta, portandosi una mano davanti alla bocca ma, ne ero sicuro, anche lui era appena divertito. Io scoppiai a ridere di gusto
"In un certo senso, non mi sento di giustificare Sebastian perché.. credo ci sia andato gù pesante con Cooper e con tutte quelle battute, ma.. ecco, lui non è ancora del tutto abituato al fatto di essere sentimentalmente impegnato e credo sia nella sua natura flirtare con ogni essere vagamente umano ed appetibile. Che sia gay o etero conta poco..." gli spiegai ed in effetti avrei dovuto aggiungere che anche mio fratello era dello stesso stampo. Quei due, pensandoci, sarebbero stati bene assieme se solo non fosse stato per un piccolo problema: io uno come Sebastian Smythe in famiglia non lo avrei mai sopportato. Andava bene come amico, ma come cognato.. no Signore.. Bastian doveva rimanere al suo posto, accanto a Daniel. 
"Si... me lo ricordo bene!" convenne Kurt, ridacchiando, anche lui appena più tranquillo. Mi girai per lanciargli un'occhiata eloquente. Già, quell'idiota del mio migliore amico aveva avuto il fegato di provarci anche con Kurt, dopo neanche quindici secondi dall'averlo conosciuto. Nel bene o nel male, quello era Sebastian ed io avevo imparato ad adorarlo anche in quel modo. Così, forse perché entrambi eravamo stati colti dallo stesso ricordo, scoppiammo a ridere insieme, facendo dondolare sotto di noi la seduta e riempiendo la serata di una nuova atmosfera serena. Più respirabile diciamo.
Come diavolo siamo finiti a parlare di Sebastian?... 
Passarono alcuni secondi prima che le risate scemassero del tutto. Ed era strano ridere dopo tutto quella negatività che mi aveva accompagnato per l'intera giornata, ma soprattutto era strano farlo proprio con lui. Alla fine fu Kurt a risollevare l'argomento, dopo un profondo sospiro
"Davvero io... non so come sia potuto accadere.. non mi è mai successo di reagire in questo modo e se potessi, credimi Blaine, se potessi... tornerei indietro nel tempo, esattamente a quella maledetta sera e cancellerei tutto, busserei alla tua porta e ti chiederei di offrirmi quella famosa birra per festeggiare il tuo preavviso al lavoro!" e mi sorrise, timido ed impacciato, tornando ad essere il solito, bellissimo Kurt di sempre. E mi fece una tenerezza inspiegabile a parole, ma che a conti fatti mi fece tremare lo stomaco e le mani. Con un sospiro, sciolsi l'intreccio delle gambe e posai i piedi sul pavimento, per poi dondolarmi appena. Finalmente avevo ottenuto ciò che volevo: non erano le sue scuse, non erano i suoi rimpianti. Era semplicemente la voglia incontenibile di tornare ad essere i due vicini che eravamo, i due amici un pò particolari, i due ragazzi di appena venticinque anni che per una notte avevano deciso di affidarsi l'uno all'altro, senza preoccupazioni, senza fidanzati gelosi, senza fratelli rompiscatole e senza... altri tipi di complicazioni e malintesi. Semplicemente Kurt e Blaine.
"Era proprio quello che speravo di sentirti dire!" confessai con un certo sollievo nella voce e lui mi sorrise di rimando
"Già... magari sarebbe meglio se la prossima volta pensassi di più ed agissi di meno!" borbottò grattandosi una guancia, tra il divertito e l'imbarazzato mentre una sua versione inferocita mi tornava a gridare nella testa, facendomi stranamente ridacchiare. Era positivo che il suo ricordo non mi facesse più così male e che a conti fatti fossimo tornati a parlare civilmente e in atteggiamenti più confidenziali.
"O magari decidessi semplicemente di bussare!" esclamai con un'alzata di spalle, ottenendo una limpida e distesa risata da parte sua. Mmm.. sarebbe stato troppo melenso dire che un suono del genere mi fosse terribilmente mancato?
Al diavolo... io lo penso e lo dico...
"É colpa tua comunque... non dovevi chiamare il tuo cane con il nome di tuo fratello... mi hai confuso!" mi beffeggiò dandomi una leggera spallata che mi fece appena perdere l'equilibrio. Confuso lo guardai per un istante, non capendo perfettamente a cosa si riferisse ma, il sorriso che mi stava rivolgendo era fin troppo bello e contagioso per permettermi di fare il puntiglioso ed indagare oltre, così mi limitai a ridacchiare e a restituirgli la spallata
"Ci ho pensato anche io questa sera.. ma ormai il danno è fatto!" esclamai divertito, ricordandomi che in fondo, cambiare nome al cane proprio ora, sarebbe servito a poco: i cuccioli sono come i bambini, sono abitudinari e se lui ormai aveva capito di chiamarsi in quel modo, sarebbe stato troppo complicato cambiarglielo così su due piedi. Avrei convissuto con quella croce e nella mia vita ci sarebbero stati due Cooper: uno dei due però, avrebbe dormito senza problemi nel mio letto, perché sarei stato io a volercelo.
"Certo.. spero, però... che ci sia altro a cui si possa porre rimedio!" mormorò con una strana smorfia di disagio sul volto
"Tipo?" gli chiesi confuso
"Tipo a me e.. te.. alla nostra... amicizia. Ecco io... mi sentirei.. m..male se perdessi la tua fiducia e la tua stima da un giorno all'altro per una cazzata che ho commesso io... non me lo potrei mai perdonare." scosse la testa, appena frustrato, ed arrossì leggermente. A quella vista tanto inaspettata, avvertii chiaramente le mie guance tingersi dello stesso colore, e per questo spostai rapidamente la testa verso la vista di New York, per non sentirmi più in imbarazzo di quanto non fossi già. E così lui ci teneva davvero tanto alla nostra amicizia e avrebbe avuto paura di.. rovinarla? Bene... cosa si risponde ad una persona, quando se ne esce fuori con frasi di questo tipo qui?
"Kurt.. di certo non ti avrei tenuto il muso per sempre per colpa di quell'idiota di mio fratello!" e gli sorrisi sincero, tornando a guardarlo negli occhi. Questi si illuminarono appena, come quelli di un bambino, davanti ad una marea di regali la notte di Natale
"Davvero?" mi chiese speranzoso ed io mi ritrovai ad annuire serenamente, facendolo sorridere e sospirare
"Beh.. se nel caso la situazione fosse stata tanto più grave... avrei provveduto io stesso a cercare di riconquistare la tua.. amicizia..." confessò annuendo piano, forse per convincersi più che altro, che qualcosa la si poteva ancora salvare. Sorpreso sollevai un sopracciglio
"Ah sì?'' ridacchiai divertito e profondamente colpito. Lui ridacchiò con me, lanciandomi un'occhiata di intesa carica di qualcosa che non seppi decifrare
"Certo... ti avrei riempito la porta di post-it colorati e... ti avrei seguito anche al forno, al supermercato e al pub se fosse stato necessario!" confermò divertito, eppure estremamente deciso. Mi tremò lo stomaco per l'intensità di quelle parole e per lo splendore dei suoi occhi chiari. Mi avrebbe seguito dappertutto? Mmm... chissà perché trovavo la cosa estremamente interessante.
Suppongo di avere qualcosa che non va, altrimenti non si spiega il mio entusiasmo verso questa prospettiva...
"No al forno no.. non ti avrei mai fatto svegliare così presto solo per potermi perseguitare!" esclamai ridendo apertamente, non riuscendo più a trattenermi
"Lo avrei fatto, Blaine.. credimi... per chiederti scusa avrei fatto qualunque cosa!" e quella volta nessuna traccia di divertimento gli colorò la voce, anzi... sembrò così serio e consapevole a tal punto da farmi rimanere interdetto per parecchi secondi. Rimasi senza parole ad osservarlo, a capire cosa intendesse per 'fare qualunque cosa' e soprattutto a decifrare esattamente la sensazione che queste parole avessero generato in me. Era... sorpresa, mista a piacere e ad una strana adrenalina diritta nello stomaco. Ormai, pur non avendo cenato quella sera, ero riuscito a sfamarmi perfettamente con le emozioni che aleggiavano tra di noi, perché come al solito erano cariche, palpabili ed estremamente sorprendenti. Qualcuno avrebbe detto che due come noi insieme avrebbero fatto scintille ed io, probabilmente, avrei confermato con vigore la teoria, affermando anche che, essere stati a letto assieme me ne aveva dato la prova definitiva. Ma il solito Mister Ovvio sarebbe intervenuto dalla folla a farmi presente che.. cazzo, Blaine, vuoi svegliarti, sì o no? Il ragazzo seduto sul dondolo accanto a te è fidanzato. E non con te.
Anche se a me è parso geloso di Cooper.. ma questo non posso giurarlo...
Girandomi discretamente verso di lui, lo sorpresi a scrutarmi attento, ma sussultò appena ed arrossì, per poi guardare altrove. Sorrisi intenerito e gongolai soddisfatto. Gli facevo ancora effetto, tutto sommato, anche se eravamo entrambi vestiti e David continuava ad essere il suo ragazzo.
"Ehm... si insomma.. allora accetti le mie scuse, anche se non sono venuto alle quattro di mattina a supplicarti in ginocchio?" mi domandò dopo qualche istante, divertito e speranzoso, ma sempre con la testa bassa. 
"Mmm.." finsi di pensarci, mettendo perfino una mano sotto il mento per amplificare il concetto "Direi di si.. anche se.." esitai appena
"Se?" incalzò lui, sollevando lo sguardo curioso. Ed ecco, finalmente che i suoi occhi tornavano nei miei, più belli che mai, più profondi di quando ricordassi. Ed ogni volta... facevano uno strano ma piacevole effetto
"Beh... potresti farmi trovare seriamente la porta piena di post-it... penso sarebbe divertente leggerli tutti!" esclamai ridacchiando e lui mi seguì a ruota, facendo vibrare nuovamente il dondolo. Era un movimento molto armonioso, quasi un cullarsi assieme prima di dormire. Ma ormai il sonno se n'era bello che andato. Ed io l'indomani mi sarei dovuto seriamente svegliare presto, con o senza un vicino inginocchiato, pronto a darmi il tormento. Chissà perché l'idea di Kurt intento ad implorare il mio perdono nel bel mezzo della panetteria, mi fece ridacchiare con più gusto.
"Non sperare che non lo faccia davvero allora!" mormorò lui a mò di avvertimento
Mmm... magari...
"Non so se essere divertito o spaventato!" ammisi con una smorfia di finto terrore. E giù a ridere di nuovo. Come due vecchi amici, come due semplici vicini, proprio come avrebbe dovuto essere fin dall'inizio, a discapito di tutto e tutti.
"Cooper è.. già partito?" mi domandò dopo poco e chissà perché, sentire il nome di mio fratello, pronunciato da quella voce, mi fece stringere lo stomaco in una morsa fastidiosa
"No è in albergo.. parte alle sei. Aspetta.. tu come fai a.." mi bloccai confuso ma il sorriso timido di Kurt mi fece capire tutto 
"Te l'ha detto lui?" chiesi con una smorfia e lui annuì lentamente "Mmmm.. mi chiedo cos'altro vi siate detti voi due!" mormorai distrattamente, perché proprio non mi andava giù che Cooper ancora una volta avesse fatto di testa sua e avesse deciso di parlare con Kurt al posto mio. Certo, mi aveva risparmiato una bella fatica e probabilmente per Kurt, sentire la verità direttamente dalla bocca di chi all'inizio aveva messo in piedi quella sceneggiata, avrebbe acquistato più valore. Quindi in un certo senso.. avrei dovuto essere grato nei confronti di mio fratello?
Mmm... piuttosto mi do alla latitanza...
Kurt arrossì di nuovo, ma quella volta scosse la testa
"Non molto altro in realtà..." borbottò, ma dal tono incerto e strisciato intuii non mi avesse detto completamente tutto. Ecco, chissà che diavoleria si era inventato ancora Cooper e cosa gli aveva detto per farlo reagire in quel modo. Così mi affrettai a specificare
"Cooper sarebbe capace di dire di tutto.. io non gli darei molta retta se fossi in te!" borbottai a mia volta con una smorfia. Appena fosse tornato in California, lo avrei chiamato per urlargli dietro qualche altra cattiveria. Al diavolo lui e la sua linguaccia. Kurt si girò a guardarmi, mordendosi leggermente un labbro per poi sorridere divertito, da chissà che cosa. Io confuso sorrisi a mia volta
"Cosa c'è?" gli chiesi ma lui scosse la testa e sospirò. Sì, se volevo sapere qualcosa, avrei dovuto parlare con mio fratello, altrimenti da Kurt non avrei ricavato un bel niente. Con la coda dell'occhio vidi una mano di Kurt tamburellare nervosamente sulla sua gamba e un leggero sospiro fuoriuscire dalle sue labbra. Confuso sollevai un sopracciglio ed ero sul punto di chiedergli di nuovo cosa lo rendesse così smanioso, ma mi anticipò
"Blaine io.. credo che... tu e Cooper dovreste parlare!" esclamò facendosi finalmente coraggio. Sbigottito, spalancai appena la bocca, perché, davvero, quella era l'ultima cosa che mai mi sarei aspettato. Io e Cooper dovevamo.. parlare? E a che scopo?
"Non credo sia necessario, Kurt!" risposi infatti con una smorfia e lui scosse la testa con decisione
"E io invece credo di sì!" affermò convinto, a tal punto da farmi sobbalzare. Sbuffai. Sembrava la replica di mia madre, quando io e Cooper litigavamo da piccoli e lei si metteva in mezzo per farci fare pace. Solo che Kurt non era affatto mia madre ed io non avevo la minima voglia di parlare ancora con mio fratello. Kurt al mio fianco si alzò in piedi e si avvicinò lentamente al muretto del terrazzo. Contemplò per qualche istante la vista, per poi poggiarcisi con la schiena e tornare a guardarmi
"Ascolta.. io non sono nessuno per permettermi di entrare nel merito delle vostre questioni, però... ecco io se fossi in te non... io farei di tutto per mantenere solido il rapporto con mio fratello, soprattutto perché hai soltanto lui e... io credo che nel bene e nel male, anche Cooper ti voglia bene ed è giusto che qualcuno faccia il primo passo. Lui ha fatto il suo oggi, venendomi a confessare tutto e cercando di risolvere questa situazione, ed ha deciso perfino di partire prima e di andarsene a stare in albergo per una notte, per non darti ulteriore fastidio... adesso però tocca a te, Blaine.. adesso sta a te fare un passo verso di lui per dimostrargli che non gli porti rancore e che come suo fratello minore, gli vuoi bene, lo stimi e saresti pronto a cancellare tutto per ricominciare daccapo un'altra volta! Io avrei... tanto voluto avere un fratello o una sorella... ma non sono stato così fortunato quindi, Blaine, ti supplico... va da lui e chiarite questa situazione. Tu che puoi farlo, goditi la tua famiglia!" disse appena emozionato, con la voce tremante e gli occhi persi in chissà quale ricordo. Dio, io lo sapevo a cosa stesse pensando.
Mia madre... lei è morta quando avevo otto anni circa... Da allora sono cresciuto soltanto con la presenza di mio padre accanto che ha cercato con tutte le sue forze di non farmi mancare mai niente. Mi ha sempre... sostenuto e accettato nonostante la mia sessualità e beh... è stato il miglior padre che potessi chiedere... Questo fino a che un secondo infarto non se l'è portato via sei anni fa... E sei figlio unico?.. Esatto.. E ti mancano?.. Sempre... ogni maledetto giorno!...
Dio, lui non solo non aveva fratelli, ma aveva perso anche entrambi i genitori proprio nell'età peggiore. Io non riuscivo a pensare alla mia vita senza mia madre o mio padre - che per quanto brontolone e abbastanza chiuso di mentalità, io adoravo oltre ogni misura, perché era sempre stata la mia roccia, il mio punto di riferimento, la mia guida - e per un momento provai a pensare alla mia vita senza Cooper. I Natali a casa trascorsi senza le sue battute, la sua risata, i suoi occhi cristallini e furbetti, i suoi abbracci inaspettati, i nostri scambi di battute acide, l'atmosfera di festa e di gioia che si respirava in casa Anderson ogni volta che tutta la prole era seduta attorno al tavolo con tanto di genitori al seguito. Quei momenti erano impressi a fuoco nella mia mente e, non me ne ero mai reso conto, in ogni bel ricordo legato alla mia famiglia, alla mia casa di infanzia, e alla mia adorata e piccola Westerville, c'era anche Cooper. Non riuscivo ad immaginare di tornare a casa senza trovarci anche lui, non riuscivo ad immaginare mia madre preparare soltanto una stanza per accoglierci, o mio padre fiero e segretamente commosso di veder tornare all'ovile uno dei suoi pulcini. Cooper c'era e ci sarebbe stato sempre, nel bene e nel male e la mia vita non sarebbe stata la stessa senza di lui. Lo avevo sempre ammesso che il suo caratteraccio avesse fortificato il mio, ma in quel momento, mi rendevo anche conto che era molto di più quello che dovevo a mio fratello. Quando ero piccolo, lui mi aveva sempre difeso dai più prepotenti, proprio perché lui era più grande e incuteva un certo terrore. Quando avevo fatto coming out a casa, lui era stato l'unico che, nel momento di sgomento generale, era stato capace di scoppiare a ridere e venire ad abbracciarmi esclamando un allegro 'Era ora che ti decidessi ad ammetterlo, schizzo!'. Quando avevo cantato per la prima volta durante una cena di famiglia, davanti ai nonni e a tutti i parenti più lontani, lui mi aveva fatto l'occhiolino da lontano e mi aveva fatto sorridere, facendomi trovare il coraggio per suonare ancora. E quando avevo trovato il piccolo cucciolo di Labrador, spaesato ed infreddolito in quel parco, l'unico nome che mi era venuto in mente era stato il suo, e non per fargli un dispetto o perché sapevo che così facendo si sarebbe arrabbiato, ma perché il mio subconscio sapeva perfettamente quanto mi mancasse e quanto bisogno di lui avessi, e anche il chiamare semplicemente un cucciolo di cane con il suo nome sarebbe servito a ricordarmi ogni giorno quanto importante fosse Cooper Anderson per la mia vita. E ora, in quel momento, su quel terrazzo, al 2113 di Lower East Side, in compagnia di un Kurt appena commosso, finalmente me ne rendevo conto. E mi rendevo anche conto che, non sarebbe bastato neanche il più crudele degli scherzi per farmi odiare quel deficiente di mio fratello. Io lo avrei amato, ogni singolo giorno, nello stesso identico modo in cui amavo i miei genitori e me stesso.
Colpito da quella improvvisa consapevolezza e colmo di una strana euforia, mi sollevai in piedi, un pò tremolante sulle gambe e sorrisi
"Blaine?"
"Devo andare da lui!" esclamai subito facendolo accigliare, ma durò pochissimo perché alla fine mi sorrise, visibilmente fiero
"Esattamente quello che volevo sentirti dire!" mormorò, ancora commosso ma sereno. Pensai immediatamente a dove potesse trovarsi in quel momento mio fratello, dato che, solo nella zona, di alberghi ce ne erano più di mille. Come diavolo avrei fatto a... ma certo!
Come una furia entrai dentro casa e recuperai il portatile dal mobile basso che avevo intravisto poco prima e subito mi congratulai con me stesso per la geniale intuizione che avevo avuto: Cooper aveva usato il mio pc per prenotarsi l'albergo e quindi la cronologia mi avrebbe rivelato in quale parte di New York avrebbe passato la notte prima di partire e probabilmente anche quanto avesse speso per il biglietto di ritorno. Lo poggiai sul tavolo nel soggiorno e lo avviai, correndo ad accendere una luce per vederci qualcosa. Tamburellai nervosamente sul legno del tavolo fino a che la schermata del desktop non si caricasse completamente e subito entrai su internet, ringraziando la linea super veloce che c'era in quel condominio. Con mia grande gioia, la mia intuizione si rivelò esatta e riuscii a trovare il nome dell'albergo prenotato, l'indirizzo e perfino una piantina per arrivarci. Entusiasta e anche parecchio sollevato, senza neanche preoccuparmi di spegnere il pc, mi sollevai di fretta e furia per recuperare cappotto e chiavi della moto, ma involontariamente diedi una testata contro qualcosa.
"Ahia!" si lamentò questo qualcosa proprio sopra di me e nel girarmi trovai Kurt, una mano sul naso e una espressione leggermente dolorante. Arrossii fino alla punta dei capelli
"Oddio, Kurt... scusa, io non... sono uno sbadato e.." provai a dire ma lui mi sorrise, o almeno lo intuii, dato che aveva ancora la mano davanti al viso
"Non preoccuparti.. è colpa mia. Adesso che hai l'indirizzo dell'albergo, vai da lui e... fai di tutto affinché io non possa pentirmi di essermi quasi rotto il naso stasera!" borbottò divertito, facendo ridere nervosamente anche me. Mi guidò fino alla porta, assicurandomi che ci avrebbe pensato lui a chiudere e che sarebbe tornato a casa sua, attraverso la grata del terrazzo e quindi mi salutò proprio dall'uscio del mio appartamento. E vederlo lì, mi fece uno strano effetto.
"Buona fortuna!" mi augurò con un sorriso speranzoso ed il naso ancora un pò rosso, ma fortunatamente intatto. Io gli sorrisi incapace di dire altro e di corsa feci le scale fino al pianterreno, uscii dal palazzo e recuperai la moto parcheggiata dall'altro lato della strada.

New York City. 04 Aprile 2012. Ore 00.32 A.M. (Mercoledì)

Avevo infranto più di un divieto correndo come un pazzo tra le strade e gli incroci trafficati di New York per raggiungere l'Empire Hotel sulla 5th Avenue, dove mio fratello aveva prenotato per la notte. Mi rendevo conto di essere sembrato un incivile ed un pazzo agli occhi di molti pedoni ai quali non avevo dato la precedenza sulle strisce, o per gli altri automobilisti che mi avevano strombazzato clacson a non finire. Ma avevo fretta, una grandissima fretta ed era già passata la mezzanotte. Temevo che oltre a far ritrasformare la carrozza in una zucca, avrei rischiato perfino di perdere la mia ultima chance con mio fratello.
Come un indemoniato, parcheggiai la moto in uno spazio libero per lo scarico delle merci, lasciai il casco sulla sella e corsi dentro, salendo l'elegante scalinata esterna a due gradini alla volta. Arrivato alla reception, mi accorsi subito di aver attirato molti sguardi su di me, in particolar modo quello del concierge con il quale, lo sospettavo, avrei faticato molto per ottenere il numero della camera esatta. Feci un profondo respiro e mi stampai in faccia la migliore delle espressioni cordiali e gioiose da repertorio, per poi avanzare verso il bancone
"Buonasera!" salutai il signore con i capelli bianchi, una perfetta giacca nera, una cravatta coordinata e l'aria di chi ha appena avvistato un presunto omicida
"Buonasera a lei signore. In cosa posso esserle utile?" mi domandò con cortesia, perché ovviamente quello era il suo lavoro ed io, oltre che un assassino, potevo tranquillamente essere un possibile cliente. Lanciai un'occhiata nervosa verso la sontuosa hall ed inveii mentalmente contro mio fratello per aver prenotato in un albergo tanto prestigioso senza neanche avere la decenza di avvisarmi. Mi sarei perlomeno messo una camicia, o avrei indossato il completo Gucci della serata di beneficenza. Almeno l'elegante portiere mi avrebbe guardato con meno disappunto
"Ecco io avrei bisogno di un'informazione, se è possibile. Vorrei sapere in quale camera alloggia il signor Cooper Anderson!" esclamai continuando a sorridere, mentre sul suo viso appariva una smorfia di cordiale dispiacere
"Sono desolato, signore, ma queste sono informazioni riservate e noi non siamo tenuti a..."
"La prego... è una questione di vita o di morte!" provai, assumendo l'espressione contrita "Ecco noi... nostro padre ha avuto un infarto ed io devo avvisarlo con estrema urgenza!" inventai su due piedi, pregando che la sorte fosse abbastanza sorda da non sentirmi, e da non prendere in parola ciò che avevo appena detto.
Scusami papà... è per il bene della famiglia...
L'uomo alzò un sopracciglio scettico e diede un'occhiata al registro sotto di sé
"Posso chiederle un documento, signore?" mi domandò professionale e composto. Dannazione, neanche la notizia di un uomo in fin di vita pareva smuoverlo. Io mi affrettai a recuperare la carta d'identità e gliela mostrai. Lui fece scorrere il dito sull'elenco, controllando dei dati e poi il mio documento, lanciandomi nuovamente uno sguardo incerto
"Bene, signor Anderson.. vuole che chiami suo fratello e gli dica di venire qui nella hall?" mi domandò restituendomi la carta. Io sbiancai. Di certo, idiota com'era, mio fratello si sarebbe barricato in camera con il timore di un'altra sfuriata da parte mia. Avevo bisogno di coglierlo di sorpresa e per farlo dovevo salire nella sua stanza
"Ehm no... preferisco... salire da lui per dirglielo. Sa... ci vuole una certa privacy per certe questioni!" e sorrisi imbarazzato. Lui sospirò aggiustandosi il nodo della cravatta per poi decretare che meritassi fiducia, anche se non sembrava molto convinto
"Stanza 652... quarto piano... gli ascensori sono lì in fondo!" annunciò pratico ed io con un sorriso genuino lo ringraziai, anzi quasi mi sporsi sul bancone per abbracciarlo. Avvertii chiaramente i suoi occhi scrutarmi fino agli ascensori, quindi evitai di correre, o peggio, di saltellare euforico. C'era mancato poco che non mi cacciasse a calci solo per come ero vestito, figuriamoci cosa avrebbe pensato nel vedermi così felice, dopo avergli apertamente confessato di avere un genitore in fin di vita.
Dio papà... mi perdonerai mai per questa innocente bugia?...
Con una certa ansia, presi l'ascensore e salii fino al quarto piano per poi passare al setaccio tutte le camere fino alla 652. Con un sospiro profondo, bussai forte al legno della porta e rimasi in attesa. Era quasi l'una di notte e sicuramente lui stava già dormendo, ma quello che avevo da dirgli non poteva di certo aspettare, soprattutto perché alle sei lui sarebbe partito ed io sarei stato al lavoro. Dovevo farlo ora.
Non ricevendo risposta, bussai ancora più forte, con tutto il pugno e finalmente avvertii una voce ovattata imprecare in un familiare accento
"Chi cazzo è che rompe i coglioni a quest'ora?" gridò con la voce impastata ancora dal sonno, facendomi sorridere. Mmm... esclamazione tipica dei migliori attori di teatro, complimenti!
Finalmente la porta venne aperta e la versione insonnolita ed incazzata di mio fratello sbucò all'improvviso con un'espressione tutt'altro che amichevole. Rimase qualche istante senza fiato, allargando gli occhi e la bocca per poi deglutire nervoso
"Blaine?" domandò confuso
"Già... Blaine!" feci io, meravigliato del fatto che ancora una volta io per lui fossi solo Blaine e non più schizzo. Ma gli sorrisi, sollevato di averlo trovato
"Cosa ci fai tu qui?"
"Ho bisogno di parlarti.. posso?" gli chiesi incrociando le dita dietro la schiena e sperando vivamente di non essermi immaginato niente di ciò che in quegli anni aveva reso mio fratello così speciale ai miei occhi, perché mai come allora, avevo bisogno che si dimostrasse ancora in quel modo e che per una volta.. iniziassimo davvero a comportarci come due fratelli.




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Capitolo 19
*** Dietro lo spioncino della porta... ***


Buon giovedì 13 Settembre a tutti (Glee daaaaaaaaaay *____*) su conteniamoci XD bene, eccomi con il capitolo che stavate aspettando con ansia.. oggi capiremo se Cooper e Blaine possono sotterrare l'ascia di guerra o continuare tranquillamente ad odiarsi.. e poi.. visto che tutti mi avete rimproverato per essere troppo sadica e lasciarvi appesi con i capitoli, quest'oggi ho messo qualcosa che forse mi farà perdonare e... vabbè... leggete poi mi direte ;) buona lettura e un abbraccio a tutti i miei angeli che continuano a seguirmi affettuosi e meravigliosi come sempre :* e ovviamente anche a chi mette la storia tra preferiti/seguiti/ricordati o chi legge silenziosamente (lo so che ci siete ^^) adesso basta cincischiare... vi lascio al capitolo. Ci vediamo Lunedì miei angioletti ;)
p.s. Questo capitolo lo dedico alla mia Tamara che oggi ha iniziato la scuola... e come al solito mi regala queste meraviglie qui *___* ti amo tesoro mio <3
n.b. La mia pagina Facebook  ( Pagina Dreamer91 )




New York City. 04 Aprile 2012. Ore 00.45 A.M. (Mercoledì)

La camera in cui alloggiava mio fratello era davvero molto bella: grande, spaziosa, ben arredata e probabilmente perfino la lampada verde poggiata sul comodino ed accesa per illuminare un pò la stanza, costava di più rispetto al mio stesso appartamento.
Come diavolo può permettersi mio fratello una camera così?...
"Allora... a cosa devo questa incursione in piena notte?" mi domandò curioso sedendosi sul bordo del letto ed incrociando le braccia al petto. Bene, tutte le belle parole che avevo avidamente scavato in fondo alla mia mente, erano magicamente sparite. In realtà, non ricordavo neppure il motivo che mi aveva spinto con tanta urgenza a raggiungere quell'albergo, né tanto meno la faccia indispettita del portiere al pianterreno. Che soffrissi di disturbi della personalità? Beh, tanto normale non lo ero mai stato, quindi c'era anche da aspettarselo.
Feci un profondo respiro e poggiai la schiena all'armadio al mio fianco. Prevedevo una lunga, lunghissima chiacchierata
"Aspetta, fammi indovinare... ti sei ricordato qualche altro insulto da propinarmi? Oppure vuoi picchiarmi per aver usato il tuo computer senza il tuo permesso?" mi sfidò, quasi preoccupato. Gli avrei voluto far presente che se non fosse stato per la sua mania di mettere le mani sulle cose di mia proprietà, a quell'ora io non sarei stato nella sua camera a tenerlo sveglio. Ma preferii ignorare la provocazione e scuotere la testa
"Niente del genere!" mormorai allora e lui sorpreso aggrottò la fronte
"D'accordo allora.. ammetto di essere seriamente sorpreso ma... sono anche molto curioso di ascoltarti quindi.." e mi fece un gesto eloquente per invitarmi a parlare. Io mi grattai la fronte, impacciato e, per la prima volta nella mia vita, senza argomentazioni da tirare fuori di fronte a mio fratello. Forse era il peso di quello che avevo realizzato a farmi quell'effetto oppure ancora la conversazione di poco prima con Kurt a stordirmi. O forse ero semplicemente un imbranato con seri problemi di autocontrollo emotivo.
"Kurt mi ha detto che... gli hai parlato e gli hai raccontato la verità alla fine." mormorai scrutandolo attento. Lui fece una smorfia
"Se sei venuto per ringraziarmi, guarda, puoi anche risparmiartelo.." ma lo bloccai
"No, non sono venuto per ringraziarti, cioè... anche per quello, ma più che altro.. vorrei parlare con te e vorrei approfittare delle poche ore che ci rimangono prima della tua partenza, per farlo dal vivo, guardandoti negli occhi!" specificai e lui sorpreso annuì, dandomi il tempo per sospirare ancora prima di parlare
"Io avrei tante di quelle cose da dirti, molte delle quali sarebbero veri e propri insulti che sono riuscito ad accumulare in tutti questi anni per colpa tua e del dannato carattere fastidioso e saccente che ti ritrovi!" iniziai mordendomi l'interno della bocca nervosamente, e lo vidi sollevare un sopracciglio e fare un mezzo sorrisetto divertito "Ma penso non sia il caso di elencarteli proprio ora, soprattutto perché è tardi, siamo entrambi stanchi e penso di aver inveito abbastanza contro di te quest'oggi." e sorrisi mesto, sentendomi leggermente in colpa per tutte le parole velenose che mi erano uscite dalla bocca solo poche ore prima. Lui sorrise più apertamente ma non disse nulla, ed io lo apprezzai molto per questo. In effetti era davvero strano che non avesse ancora preso la parola, approfittando del momento per tirare fuori la sua solita insulsa ironia, ma forse, per una volta, voleva fare il serio, mostrare al mondo - e a suo fratello - di avere davvero trent'anni e di poter anche trattenersi in certi casi. Almeno in quelli più importanti.
"Questa sera, parlando con una persona molto... matura e sicuramente più razionale di me, ho avuto modo di riflettere, di riflettere molto e beh.. sono giunto ad una conclusione!" annunciai solenne catturando completamente la sua attenzione
"Che sarebbe?" domandò infatti
"Beh ecco... la mia vita, la.. vita in generale è davvero troppo corta e.. insomma, non vale la pena prendersela troppo se ogni tanto succedono cose che ci fanno arrabbiare. Con questo non ti sto giustificando, assolutamente.. hai fatto una cosa orribile ieri e forse inizierò seriamente a perdonarti quando i ghiacciai si saranno sciolti del tutto, ma.. ecco... nonostante questo, nonostante la tua faccia tosta e l'assurda capacità che hai nel farmi saltare i nervi io... io non riesco a non volerti bene!" ecco lo avevo detto. Era stato liberatorio, ed avvertivo perfino la testa farsi più leggera. I suoi occhi si allargarono sorpresi, forse per via dell'inaspettata confessione che gli avevo fatto, e notai chiaramente la sua gola fare su e giù, segno che avesse appena deglutito. Sospirai, staccandomi dall'armadio ed avanzando verso di lui, fino a sedermi al suo fianco sul letto matrimoniale.
"Ho provato ad immaginare la mia vita, quello che ne sarebbe di me se tu non ci fossi più o se per caso non ci fossi mai stato... a casa nostra, ai nostri genitori, alle solite feste comandate... ogni singolo pensiero che sono riuscito a formulare sembrava gridarmi la stessa identica cosa: anche volendo, non riuscirei a vivere allo stesso modo se al mio fianco non ci fossi anche tu. Anche se... viviamo così lontani, io sento la tua presenza vicino a me, sento la tua risata, avverto i tuoi occhi addosso ed ogni santo giorno spero di sentire il campanello di casa suonare, andare ad aprire e trovarci te, la tua ingombrante borsa da viaggio e quella faccia tosta con cui da più di dieci anni mi chiami schizzo. E ieri sera, finalmente, il mio desiderio si è avverato e tu sei venuto davvero da me, a bussare alla mia porta, ed è stata una delle sorprese più grandi che potessi mai aspettarmi!" sentivo gli occhi leggermente umidi e la voce appena tremante ma dovevo farmi coraggio e continuare a parlare, nonostante a conti fatti, stessi guardando il pavimento e non mio fratello. Avevo paura di trovarci un'espressione che davvero non mi sarebbe piaciuta e allora addio ai buoni propositi.
"Io.. trovo abbastanza difficile ammettere quello che sento, però... credo sia giusto farti sapere che per me sei importante se non addirittura essenziale, Coop, e che non vorrei nessun altro tipo di fratello al tuo posto, non vorrei cambiarti per nessun motivo al mondo e che, forse, in fondo, ti adoro proprio perché sei così incasinato, eccentrico e fastidioso. Nel bene e nel male tu.. per me ci sei stato sempre anche con il tuo buffo modo di starmi accanto ed io mi sono sentito un perfetto idiota nel constatare che a conti fatti non ho mai veramente apprezzato questo di te, soffermandomi probabilmente solo all'apparenza o ai tuoi modi di fare, lamentandomi della tua scarsa fiducia nei miei confronti o delle tue continue battute. Avrei dovuto... scavare più a fondo, sentire il tuo affetto invece di ricercarlo nei gesti o nelle parole. Perché ora, mentre ti sono seduto accanto, io lo sento... sento che mi vuoi bene e che probabilmente, nonostante tutte le cattiverie che ti ho gridato in faccia oggi, continuerai a volermene. E lo stesso vale per me, io..." sospirai passandomi la mano sulla nuca "Beh io credo sia arrivato il momento di smetterla di fingere e di comportarsi come è giusto che sia.. come due fratelli che si vogliono bene e che se lo dimostrano, nonostante tutto e tutti!" affermai, con la gola secca per l'eccessivo parlare. Alla fine le parole giuste erano arrivate, anzi... le stavo quasi vomitando per quanto veloci stessero uscendo dalle mie labbra.
Avevo una tremenda paura della sua reazione: non avendo mai avuto una conversazione così intima e sentimentale con mio fratello, non avevo la minima idea di come potesse reagire. Avrebbe potuto scoppiare a ridere, magari accasciandosi perfino sul letto, oppure mi avrebbe cacciato a calci dalla stanza, proprio come in un certo senso avevo fatto io quel pomeriggio a casa, oppure... oppure mi avrebbe stupito, come sempre.
Azzardai ad alzare lo sguardo su di lui, timoroso e attento, e fu quasi un colpo al cuore, trovarlo con una mano davanti alla bocca, le spalle ricurve e gli occhi chiusi.
"Cooper.. ma ti sei addormentato?" domandai sbigottito ed appena offeso, ma lui fortunatamente era sveglio e scosse la testa, senza però aprire gli occhi. Io confuso e anche appena preoccupato, mi girai su un lato per guardarlo meglio e lì notai un particolare che prima mi era sfuggito e che mi fece quasi collassare per lo stupore. Ai lati dei suoi occhi chiusi, vi erano delle piccole lacrime trasparenti ed una in quel momento, stava scivolando libera, per poi fermarsi tra la barbetta appena accennata sulla guancia. Trattenni il fiato, senza riuscire neanche a metabolizzare cosa stesse succedendo: mio fratello, lo sbruffone egocentrico e viziato stava.. piangendo?
Che cazzo ho combinato?...
"Coop..?" lo chiamai incerto, allungando una mano per poi poggiarla sul suo braccio, trovandolo particolarmente teso. Finalmente spalancò gli occhi, di colpo, facendomi sobbalzare spaventato e puntò lo sguardo nel mio, come al solito allucinato, ma stranamente inquietante, dato che era lucido di lacrime trattenute
"Pensi davvero tutto quello che hai detto?" mi domandò, con la voce notevolmente più tranquilla e distesa di quanto potesse sembrare la sua espressione. Doti di attori, immaginavo. Mi ritrovai ad annuire, ancora sconvolto per la sua reazione e lui si lasciò andare ad un lungo respiro che gli riempì i polmoni per poi svuotarli per intero. Ok, iniziava seriamente a spaventarmi. Non è che stava per sentirsi male ed io quella sera, oltre ad avere un padre, avrei avuto anche un fratello sulla coscienza? Mia madre sarebbe riuscita a guardarmi ancora in faccia, dopo tutto quello che avevo combinato?
"Cooper, cosa hai..." ma mi bloccò. Il suo movimento fu talmente tanto veloce da non darmi neanche il tempo materiale per prepararmi allo spostamento e difatti caddi quasi del tutto verso di lui, verso il suo petto e le sue braccia che mi stavano abbracciando forti, come mai prima di allora. Spalancai gli occhi, boccheggiando sorpreso, mentre il vago profumo familiare di mio fratello mi circondava, benefico e prepotente come lo ricordavo. E di nuovo, meglio di prima, i ricordi di casa, delle cene, delle rimpatriate, della famiglia, e di tutta la mia vita, tornarono ad affollarmi la mente, in maniera ancora più inaspettata, e mi ritrovai a ricambiare calorosamente il suo abbraccio, affondando il viso nella sua spalla e sorridendo commosso. Quell'abbraccio aveva qualcosa di profondo ed intenso, che non avevo mai avvertito prima: Cooper mi aveva abbracciato all'incirca ventiquattro ore prima, ma quel contatto non aveva nulla a che vedere con questo. Questo sentivo che fosse sincero e spontaneo: il Cooper attore alla ricerca di emozioni inaspettate non c'era più, ma al suo posto c'era il mio adorato fratellone, al quale avevo appena detto di voler bene e che speravo di sentire confessare le stesse cose.
Anche se già questo per me è sufficiente...
"Temevo di aver rovinato tutto!" mormorò attaccato alle mie spalle, con la voce appena più incrinata, ma comunque chiara come al solito. Scossi la testa ed accennai un sorriso
"Te l'ho detto, Coop... puoi dire e fare quello che vuoi... io non smetterò mai di volerti bene!" confermai, rassicurandolo. Io che rassicuravo mio fratello.... mmm.. che situazione bizzarra. Lo sentii sospirare di nuovo e quella volta finalmente si staccò e tornò a guardarmi negli occhi, che erano di nuovo limpidi e liberi dalle lacrime
"Io non immaginavo di essere stato un così pessimo fratello per te!" mormorò abbattuto, mentre tornavo a sedermi composto
"Ma no... tu non sei affatto un pessimo fratello... diciamo solo che forse hai sempre scelto il modo peggiore per dimostrarmi quello che provavi, ecco tutto!" esclamai con un sorriso mite, scrollando le spalle. Lui fece una smorfia pensierosa
"É che probabilmente... non ne sono neppure capace!" borbottò incupendosi, e mai prima di allora lo avevo visto tanto limpido e cristallino nelle emozioni. Avevo sempre pensato che uno come Cooper fosse portato solo per la finzione e il pathos da palcoscenico, ma in quel momento avvertivo chiaramente la sua angoscia e tutto ciò che provava, circolare per la stanza, e circondare anche me. Mi sporsi, poggiandogli una mano sulla spalla e la strinsi forte
"Io non ti sto chiedendo di cambiare, Coop... a me vai già benissimo così. Ho solo bisogno di... sentirti più come mio fratello ed ho bisogno che tu più spesso ti preoccupi di ricordarmelo. Mi basta anche un semplice messaggio sul cellulare, anche se scrivi semplicemente 'schizzo'... io in quel momento potrò capire che tu dall'altra parte degli Stati Uniti sei riuscito a trovare un momento nella tua giornata per pensare a me ed io potrò fare lo stesso. É un buon modo per tenersi in contatto e per dirci ciò che pensiamo anche senza utilizzare le parole!" gli sorrisi commosso riuscendo a strappargli finalmente un mezzo sorriso.
"Dì la verità.. ti da davvero fastidio che io ti chiami in quel modo?" mi domandò divertito facendomi ridacchiare
"Mmm diciamo che non è nella top ten dei miei nomignoli preferiti!" esclamai scuotendo la testa
"Beh ne avrei altri da proporti se quello proprio non ti piace, per esempio ci sarebbe nanerotolo... oppure ricciolone, o ancora passerottino.. o meglio..." ma lo bloccai con un'occhiata omicida
"Penso che schizzo non sia così male dopotutto!" borbottai non riuscendo a trattenere un sorriso, mio malgrado
Passerottino?... Ma scherziamo?...
"Ok... vada per schizzo... anche se..." si accigliò appena per poi guardarmi e sorridere "Tu per me rimani sempre Blaine.. il mio adorato, piccolo e instancabile fratellino!" e mi fece l'occhiolino, nella stessa identica espressione di quando eravamo piccoli e lui mi difendeva dai prepotenti, o quando mi aveva abbracciato dopo la confessione pubblica della mia omosessualità, oppure quando mi aveva incoraggiato a continuare a suonare durante quella famosa festa, davanti ai nostri parenti. E allora capii di non essermi immaginato niente perché mio fratello, il mio adorato Cooper presente e leale esisteva davvero, era sempre esistito e probabilmente lo avrebbe ancora fatto, se io avessi continuato a permetterglielo. Mi accorsi forse troppo tardi di essermi commosso e ancora troppo tardi mi resi conto di essermi buttato tra le sue braccia, con la precisa intenzione di stringerlo a me per imprimere anche quel bel ricordo nella mia mente. Probabilmente non sarebbe più successo in futuro che io e lui fossimo così aperti ed esposti verso quel tipo di sentimenti quindi era giusto approfittarne finché avessimo potuto.
"Dio... con tutte queste emozioni sento di essere diventato invincibile nelle interpretazioni drammatiche!" mormorò estasiato tornando per un momento ad essere il solito vecchio ed insopportabile Coop. Io scoppiai a ridere tirando su con il naso e mi allontanai da lui per poterlo guardare negli occhi. Dovevo dire che nonostante le parole da sbruffone, i suoi continuavano ad essere lucidi ed emozionati, proprio come i miei.
"E come al solito devi ringraziare me per questo!" lo beffeggiai tirandogli un pugno leggero sullo stomaco che lui incassò scherzosamente.
"Poco ma sicuro!" esclamò infatti strizzandomi l'occhio, ma poi sospirò ed annuì "Seriamente schizzo... sei davvero una bella persona ed io... non puoi immaginare quanto io sia orgoglioso di essere tuo fratello.. ora come non mai! Sei maturo, sei generoso, sei amichevole, sei un ragazzo speciale e continui ad esserlo anche con chi non se lo merita, anche con me dopo quello che sono riuscito a combinarti ieri.. sei venuto fin qui solo per parlarmi ed io non solo apprezzo il tuo tempismo ma soprattutto ammiro il tuo coraggio, nell'aver detto finalmente tutto quello che ci saremmo dovuti già dire tanto tempo fa. Io ti ammiro seriamente, Blaine.. dal profondo del mio cuore, io so perfettamente quanto meraviglioso tu possa essere e quanta fortuna io abbia avuto nel ricevere un fratello come te. So di non meritarti e di non aver mai fatto nulla per dimostrarti il bene che ti voglio, anche se tu ammetti il contrario, ma ti prometto che ci proverò.. cercherò di essere un fratello più presente e di... rimediare, spero, almeno in parte a questi pessimi primi venticinque anni assieme. Credo sia il minimo che io possa fare per chiederti scusa per tutto!" e mi sorrise mite e serenamente commosso. Gli sorrisi a mia volta, stringendogli appena di più la spalla, sperando che con quel gesto capisse quanto avessi apprezzato le sue parole e lo sforzo immane che immaginavo avesse compiuto per confessarmele. D'altronde Cooper non aveva mai dimostrato tanto chiaramente i suoi sentimenti ed io in quel momento dovevo sentirmi un privilegiato. Apprezzare e custodire gelosamente nel cassetto segreto dei miei ricordi con lui.
Mi sentivo il cuore leggero ed una strana euforia mi attraversava le vene, quasi fossi sotto effetto di stupefacenti. Era una gran bella sensazione e valeva quasi la pena fare un altro giro in moto di notte ed irrompere nella hall di qualche altro albergo per poi prendere di conseguenza le occhiate ammonitrici di qualche altro anziano consierge solo per il piacere di provare una cosa così benefica e distensiva come la sensazione di sentirsi dire finalmente dal proprio fratello tutte quelle belle cose, tutto ciò che in una vita intera avevo sperato di venire a sapere dalla sua voce.
"Beh si è fatto tardi e credo sia il caso che entrambi ce ne andiamo a dormire.. tu hai un volo da prendere tra cinque ore ed io una panetteria da rifornire... quindi, ci salutiamo ora!" annunciai alzandomi in piedi e lui, colto il mio invito, si alzò a sua volta e mi abbracciò di nuovo. Chiusi per un momento gli occhi per godere di quella sensazione ancora per un altro pò, dato che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto, prima della successiva riunione familiare a Natale.
"Abbi cura di te, Coop... mantieni la testa sulle spalle ma continua a seguire i tuoi sogni che non sono affatto sbagliati.. sono alla tua portata, decisamente!" mormorai con un sospiro che lo fece sorridere
"Anche i tuoi sogni meritano di essere seguiti, Blaine.. la tua voce è sprecata in quel misero pub... dovresti seriamente pensare di allargare i tuoi orizzonti e permettere così al resto del mondo di apprezzarti così come facciamo noi che ti conosciamo, ogni giorno!" rispose scostandomi per guardarmi intensamente negli occhi. Cantare per il resto del mondo? Mmm.. detta così faceva un pò paura, ma a conti fatti era esattamente quello il mio sogno. Se lo avrei o meno realizzato non potevo scommetterlo, ma sapere di avere il sostegno morale di mio fratello... beh, valeva molto di più di qualsiasi cifra messa in palio. Così gli sorrisi ed accettai di buon grado le sue parole
"Lo spero tanto, Coop, davvero!" mormorai con la voce appena roca per l'emozione. Avevo fatto il pieno di belle sensazioni per quella sera, nonostante, fin dall'inizio, quella fosse stata una pessima giornata. Prima le parole di Kurt, la consapevolezza di quello che avevo pian piano realizzato, poi la corsa adrenalinica all'albergo, poi ancora la confessione di mio fratello e il suo affetto servito così su un piatto d'argento. Mi sentivo un privilegiato ed ammiravo la forza del mio cuore, per essere sopravvissuto a tutto quello senza alcun problema. Certo, probabilmente quella notte - quelle poche ore - non sarei riuscito a chiudere occhio per via dell'euforia ancora in circolo, ma ne era valsa la pena, decisamente
"Buonanotte Coop.. e buon viaggio!" gli augurai, ormai sulla soglia della porta. Lui mi sorrise
"Grazie, schizzo.. a te buon lavoro e buona fortuna per tutto. Ci rivediamo a Natale a Westerville!" annunciò ridacchiando. Già, la nostra abitudinale e piccola città. Con un ultimo sorriso lo salutai e feci per raggiungere gli ascensori di servizio e scendere così nella hall, quando la sua voce tornò a chiamarmi
"Schizzo aspetta..." così mi girai per trovarlo per metà fuori dalla porta e con un sorriso furbetto sul volto "Permetti un consiglio da questo vecchio fratello fastidioso ed insonnolito?" domandò appena divertito ed io curioso annuii
"Dimmi!" lui accennò un altro mezzo sorriso dopodiché disse
"Non fartelo scappare... è una bella persona e merita quanto te di essere apprezzato ed amato nella giusta misura." esclamò serenamente. Io per un istante mi accigliai e fui sul punto di chiedergli a chi si riferisse ma non me ne diede l'occasione, perché mi lasciò da solo, dopo avermi sorriso un'altra volta e aver chiuso la porta della sua stanza.
Non fartelo scappare?...

New York City. 04 Aprile 2012. Ore 01.39 A.M. (Mercoledì)

Mentre parcheggiavo la moto sotto il mio palazzo, assicuravo il casco al gancio ed entravo nel portone, un solo pensiero mi attraversava la mente: quella notte non avrei di certo dormito. Avevo la testa affollata da troppi pensieri, troppe emozioni e ancora l'enigmatica frase con la quale mio fratello mi aveva salutato, a tormentarmi. Mi aveva consigliato di non farmelo scappare perché si trattava di una bella persona che meritava di essere amata quanto me... bene, ma di chi stava parlando?
Possibile fosse una frase a doppio senso, oppure che si riferisse ancora alla musica e al fatto che dovessi allargare i miei orizzonti in quel campo? Ma, allora, che senso avrebbe avuto dire... è una bella persona? Parlava di me? Di sé stesso? Del cane?
Con un sospiro uscii dall'ascensore fino al mio piano e per un istante dovetti chiudere gli occhi e riaprirli, convinto di aver appena avuto un'allucinazione. Già perché nella vita reale, io avevo una porta d'ingresso e questa era solitamente color legno e di certo non era mai stata invasa da decine e decine di post-it colorati, eppure.. riaprii gli occhi per poi ritrovarmi davanti la stessa identica scena: Dio Santo, la mia porta era davvero sommersa di post-it, talmente tanti da non riuscire più a vedere il suo colore al di sotto. Ma come diavolo era possibile? Quando ero uscito di casa era già tutto così? Chi diavolo che stato? E perché?
Incerto avanzai verso la montagna colorata e solo in quel momento il mio cervello stanco mi inviò il giusto imput che mi diede la forza per afferrare uno di quei biglietti - giallo canarino - e sussurrare
"Dio.. Kurt.."
Lo aveva fatto, cioè... lo aveva fatto davvero. Mi aveva riempito la porta con quei biglietti colorati e probabilmente non gli sarebbe bastato un blocco intero per fare tutto quel lavoro. C'erano post-it gialli, verdi, arancioni, fucsia, azzurri ed erano tutti ordinatamente scritti con la sua elegantissima grafia. Ma quanti erano?
Mi morsi un labbro emozionato, mentre avvertivo di nuovo gli occhi inumidirsi ed un sorriso idiota stendermi le labbra. Si era davvero preso la briga di attaccarmi tutti quei foglietti in mia assenza? Ci teneva così tanto alla mia amicizia?
Lo avrei fatto, Blaine.. credimi... per chiederti scusa avrei fatto qualunque cosa!...
Repressi un brivido inaspettato mentre leggevo il post-it che avevo staccato dalla porta
*E ricordati che dobbiamo festeggiare e che mi devi una birra :)*
Ridacchiai sollevando di nuovo lo sguardo sulla marea colorata di fronte a me, per poi sospirare incantato ed iniziare lentamente a staccare tutti i biglietti, uno per uno. Ecco come avrei passato il resto della notte in attesa di raggiungere la panetteria: avrei letto ognuno di quei post-it scritti dal mio vicino per me, per tenere fede alla sua promessa, per salvare la nostra amicizia. Ma la nostra amicizia non era affatto in pericolo e questo lui avrebbe dovuto saperlo, o almeno speravo di averglielo già fatto capire. Forse... forse avrei dovuto essere un pò più esplicito. Dovevo riempirgli, magari la macchina, di post-it anche io?
Una volta staccati tutti - anche quelli più in alto saltellando come un idiota - ed averli contati - ben settantadue - mi girai verso la porta chiusa di Kurt e sorrisi, quasi mi aspettassi che da un momento all'altro quella si aprisse ed il suo proprietario venisse fuori con il suo magnifico sorriso, i suoi occhi chiari e mi chiedesse come fosse andata con mio fratello. Avremmo passato la notte assieme, un'altra notte assieme, ma quella volta invece di passarla a letto, avremmo parlato e magari ne avremmo approfittato per conoscerci meglio. Dopotutto sapevo ancora così poco sul suo conto e tante erano le domande che avrei voluto rivolgergli se solo mi fossi sentito meno stupido e un pò più coraggioso per farlo.
Tipo, perché sprechi il tuo tempo con David, quando alla fine si vede benissimo che non te ne frega un accidente di lui?...
Colto da un pensiero improvviso, lanciai un'occhiata al piccolo cumulo di post-it che stringevo tra le mani e tutto un tratto le parole di mio fratello acquistarono un senso logico
Non fartelo scappare... è una bella persona e merita quanto te di essere apprezzato ed amato nella giusta misura...
Si riferiva a.. Kurt? Io avrei dovuto apprezzare e... amare il mio vicino perché entrambi ce lo meritavamo? Beh, lui di sicuro, data la scarsa fortuna che aveva avuto nella vita e forse anche io.. ma... potevo davvero credere di essere io la persona giusta per rendere felice uno come Kurt? Potevano due ragazzi così diversi come noi, andare d'accordo ed aiutarsi a vicenda? Mio fratello probabilmente esagerava oppure scherzava come sempre, dato che davvero la cosa mi pareva surreale. Eravamo stati a letto assieme una sola volta e per quanto bello fosse stato io e lui eravamo amici. Almeno fino a prova contraria.
Ti ha riempito la porta di post-it... è o non è il gesto più romantico ed inaspettato che potessi mai immaginare?...
Sì, lo era, però... un gesto così plateale non fa di lui il ragazzo perfetto per me, né tanto meno mi rende adatto ai suoi occhi.
Avete fatto l'amore e lui dopo non è scappato...
Abitava a tre passi da me, anche volendo, dove sarebbe potuto andare?
Lui è geloso di te, Blaine, vuoi aprire gli occhi?...
Geloso o no, rimaneva un ragazzo fidanzato ed io.. avevo troppa stanchezza addosso per rifletterci ancora. Così liquidai la questione con un sospiro e finalmente entrai in casa. Il computer era stato spento e sistemato al centro del tavolo, la porta-finestra era socchiusa e il piccolo Cooper sonnecchiava sul tappeto. Un'atmosfera serena e tranquilla che stonava decisamente con il mio stato d'animo. Forse dipendeva dal fatto che, l'ultima persona ad aver messo piede nel mio appartamento, prima che io vi facessi ritorno era stato lui.
Dubbioso, mi liberai della giacca e di tutto ciò che avevo nelle tasche, per poi dirigermi in camera da letto. Mi liberai anche dei vestiti e mi fiondai sotto le coperte, stringendo ancora tra le mani il mio piccolo tesoro colorato. Ed eccoli i miei settantadue post-it, ognuno firmato Kurt Hummel. Mi venne inspiegabilmente ancora da sorridere. Nonostante tutto, nonostante l'ambiguità del nostro rapporto, nonostante quegli ultimi eventi, nonostante il suo fidanzato, il cui volto per me era ancora un mistero, nonostante i miei stessi pensieri che continuavano a remarmi contro. Era un gesto davvero troppo dolce, il suo, per passare inosservato ed io lo stavo apprezzando davvero molto.
Ad ogni post-it letto e messo da parte con il solito sorriso radioso, mi tornavano in mente le sue parole, il suo sorriso, i suoi occhi limpidi, eppure che nascondevano qualcosa di ancora inspiegabile. Kurt Hummel era un bel punto interrogativo per me, ma leggendo le sue parole, le sue frasi - la maggior parte dei post-it contenevano valanghe di scuse, altri delle battute molto tenere tipo "Vederti così emozionato, mentre cercavi l'albergo di tuo fratello, per un momento mi ha ricordato il vecchio me, che aveva ancora un padre!" - capivo perfettamente quanto fosse profondo ed intenso come persona, ben lontano dall'essere il Kurt furioso che mi sbraitava contro nel suo ufficio per un banale malinteso. E a quel punto, volevo io, con la mia vita già abbastanza complicata e piena di casini, mettermi a risolvere anche i suoi?
Non fartelo scappare... è una bella persona e merita quanto te di essere apprezzato ed amato nella giusta misura...
Maledetto Cooper, senza volerlo, probabilmente aveva combinato un altro guaio, quella volta però... sarebbe stato molto difficile porvi rimedio.

New York City. 04 Aprile 2012. Ore 01.36 A.M. (Mercoledì)

Ero stato troppo avventato, decisamente troppo avventato. Avevo ancora una volta ragionato in un lasso di tempo troppo breve, per poter dire di aver formulato un pensiero coerente e soprattutto maturo. Ma, dopo aver dimostrato di potermi perfettamente comportare come un bambino di venticinque anni, volevo provare perlomeno a rimediare e quel gesto, in un breve momento di lucidità, mi era sembrato l'unico più convincente.
L'idea dei post-it interamente attaccati sulla sua porta d'ingresso, mi era venuta mentre vagavo senza meta per casa, ripensando alla nostra conversazione, a come fosse iniziata male e a quanto bene si fosse conclusa. Fortunatamente era andata meglio di quanto potessi immaginare: lui non solo sembrava avermi perdonato per la mia sfuriata insensata, ma aveva perfino deciso di seguire il mio consiglio e andare da Cooper per chiarire la situazione tra di loro. Se io avessi avuto un fratello lo avrei fatto, perché davvero non potevo credere che due persone unite da un così stretto vincolo di sangue, potessero allontanarsi in questo modo, per una banalità. Blaine aveva il diritto di pretendere l'affetto di suo fratello e allo stesso modo aveva anche il diritto di restituirglielo senza mezze misure. La famiglia per me era sacra - dato che la mia mi era stata brutalmente strappata, decisamente troppo presto - e quindi non sopportavo di vedere Blaine e Cooper continuare a comportarsi come due estranei. Dovevano fare qualcosa, prima di tutto parlare.
Speriamo solo che per una volta mettano entrambi l'orgoglio da parte e si decidano a fare i fratelli...
Ero tornato nel mio appartamento, con uno strano nodo all'altezza della gola, quasi fossi sicuro di non aver del tutto fatto ciò che mi ero prefissato. Eppure... avevo parlato con Blaine, avevamo chiarito, eravamo tornati ad essere i soliti amici di prima, ed ero perfino riuscito a scavalcare la ringhiera senza spezzarmi l'osso del collo. Ma allora da che cosa dipendeva quella sensazione? Perché mi sentivo così oppresso e stranamente insofferente?
Titubante, dopo essermi liberato dei vestiti ed aver indossato il mio comodo pigiama, iniziai nervosamente a vagare per il salotto in attesa dell'illuminazione divina che mi avrebbe chiarito un pò il mio stato d'animo. E per fortuna quella non tardò ad arrivare, nell'istante esatto in cui l'occhio mi era caduto sul tavolino all'ingresso avevo capito cosa fare per sentirmi meglio. Dovevo fare una pazzia, una di quelle cose avventate ed istintive, una di quelle sorprendenti ed inaspettate. Qualcosa che mi avrebbe fatto sentire meno in colpa. E così mi ero messo all'opera e nel giro di tredici minuti avevo scritto ben settantadue post-it - ne avrei fatti anche di più, ma la mano iniziava a fare male ed il blocchetto mi aveva abbandonato prematuramente. Su alcuni mi ero limitato a scrivere "Scusa" su altri invece lo ringraziavo per avermi ascoltato, per non avermi cacciato via dalla sua proprietà, per avermi perdonato nonostante non me lo meritassi affatto. In alcuni avevo perfino un pò esagerato, ammettendo che, il suo gesto verso il fratello, mi aveva fatto sentire la mancanza di mio padre. Ero stato indeciso se strapparlo o meno quel biglietto.. alla fine avevo optato per la spontaneità e la chiarezza e così lo avevo messo assieme a tutti gli altri.
E alla fine ero uscito sul pianerottolo per attaccarli tutti e con meraviglia mi ero accorto di averla seriamente riempita quasi tutta, proprio come gli avevo scherzosamente minacciato di fare. Con un sorriso ammirai la mia opera ed annuii soddisfatto: sarebbe stata una gran bella sorpresa per lui, vederli così, tutti assieme.
Mentre sistemavo meglio alcuni post-it in un angolo, mi feci maledettamente assalire dai dubbi: e se non gli fossero piaciuti? E se, stanco com'era, avrebbe sbuffato infastidito? Se l'avesse presa come l'ennesima invasione della privacy? E se, peggio... fosse tornato assieme a Cooper, che razza di figura avrei fatto?
Il rumore dell'ascensore che iniziava a risalire mi fece sobbalzare e scappai nel mio appartamento per richiudermi dentro, con la coda tra le gambe. Ormai il danno era fatto e tanto valeva aspettare e vedere dal vivo cosa sarebbe successo. Mi attaccai alla porta, quasi fosse un ancora di salvezza, e rimasi ansiosamente in attesa, sbirciando attraverso lo spioncino il pianerottolo ancora vuoto. L'ascensore arrivò al piano con il solito leggerissimo ding e la grata si aprì. Uno stanchissimo Blaine arrancò fino alla porta per poi immobilizzarsi di colpo, con ancora il mazzo di chiavi in mano. E lì anche il mio cuore arrestò la sua corsa, in attesa di un qualsiasi segnale da parte sua. Non seppi dire con precisione quanti minuti rimase fermo ad osservare la porta tappezzata da post-it colorati, forse solo pochi istanti, forse più di cinque... solo che all'improvviso molto lentamente avanzò verso la porta ed allungò una mano per staccare uno dei tanti biglietti - uno giallo, mi era parso - per leggerlo. Chissà perché proprio quello.
Forse perché il giallo canarino è il tuo colore identificativo, Kurt... è con quel colore che è iniziato tutto, così come il fucsia è di Blaine...
Dopo un'altra lunga pausa - Dio, morivo dalla voglia di sapere a cosa diavolo stesse pensando - iniziò a raccoglierli tutti, impilandoli ordinatamente l'uno sull'altro. A stento riuscii a trattenermi dal ridere vedendolo saltellare appena per raggiungere i post-it attaccati più in alto, ma mi coprii la bocca con la mano per non fare troppo rumore. Mi sentivo già uno spione a starmene lì ad osservarlo di nascosto, farsi anche scoprire mi sembrava davvero troppo. Una volta finito, quasi si fosse accorto della mia presenza, si girò verso la mia porta e sorrise. Il suo magnifico sorriso da svenimento, rivolto verso di me, anche se a conti fatti io ero protetto da uno spesso strato di legno ed acciaio. Tuttavia, lui stava sorridendo perché aveva capito che quel gesto lo avevo compiuto io - e chi altri se no? - e mi stava... ringraziando? Quindi gli era piaciuto? Non avevo invaso la sua proprietà, esagerando ancora una volta? Beh, vederlo sorridere era un buon segno, soprattutto perché, non sapendo di trovarmi a spiarlo dall'altro lato della porta, avrei dovuto immaginare che si trattasse di un sorriso spontaneo e sincero, quasi fosse istintivo, quasi si trovasse da solo e fosse inevitabile farlo.
Ed io di conseguenza sorrisi a mia volta, dimentico per un momento della lunghissima giornata che avevo avuto, della precedente notte insonne, della sfuriata che gli avevo fatto nel mio ufficio, della mia cena bruciata, delle parole di Rachel, della chiacchiera con Cooper, del nostro momento su quel dondolo. Tutto sparì nell'esatto istante in cui i suoi occhi trovarono, per modo di dire, i miei, dall'altra parte dello spioncino. Nonostante la barriera, riuscivo perfettamente a sentirne l'intensità e forse anche un pò la sorpresa e la commozione. Tra l'altro, sembrava abbastanza tranquillo, segno che lui e Cooper avessero chiarito, fortunatamente. Magari prima di andare a lavoro avrei potuto lasciargli un post-it per chiederglielo.
Sveglia, Kurt... li hai finiti tutti grazie a questa tua idea geniale...
Divertito, mi morsi un labbro, e rimasi ad osservare la sua bellissima figura, che per quanto stanca e visibilmente provata da una giornata altrettanto lunga e sorprendente quanto la mia, rimaneva sempre una splendida visione. Anche a quella distanza.
Dopo altri lunghissimi istanti lo vidi chiaramente sospirare e poi aprire la porta e sparire all'interno dell'appartamento. Soddisfatto e anche parecchio su di giri, saltellai fino alla mia camera - sì, saltellai - e mi fiondai sotto le coperte, colto da un attacco di adrenalina allo stato puro. Non mi ero mai sentito così... spiritato e in un certo senso mi facevo quasi paura da solo. Provai a chiudere gli occhi, ma senza successo, ed iniziai a rigirarmi nel letto, da una parte all'altra, fino a che, pancia rivolta al soffitto e mani intrecciate sulla fronte non mi arresi: quella sarebbe stata un'altra notte insonne, solo che, invece di passarla a piangere, avrei cercato di decifrare quella sconosciuta ma piacevole fitta che avvertivo allo stomaco tutte le volte che provavo a pensare a Blaine Anderson.

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Capitolo 20
*** Il principe triste e l'ascensore malvagio ***


Ma salve e buon inizio settimana a tutti miei adorati cuccioli... dunque, il capitolo.. beh, finalmente, dopo tre o quattro capitoli di tensione, riusciamo a rilassarci un pò, ma non cullatevi troppo, perché questa quiete non è destinata a durare in eterno ^^ Scusate ma senza un pò di genuini guai non so stare XD Bene, come avete già visto dall'immagine di ieri, ci saranno delle new entry e questa volta non saranno soltanto nominate. Vi lascio alla lettura, sperando di divertirvi un pò. Ringrazio come sempre gli angeli che continuano a seguirmi e a recensire... siete magici *__* Ci vediamo Giovedì. Bacini a tutti ;)
p.s. Nonostante io le abbia dato tipo diciotto personaggi da inserire in uno spazio a dir poco minuscolo, lei (la sola ed unica Dan!) è riuscita a farceli entrare tutti... sei il mio mito tesoro mio <3
n.b Quest'oggi ho due note di servizio. La prima è come al solito per ricordarvi la mia pagina fb (Dreamer91). La seconda nota riguarda una cosa, sempre annunciata su fb, che finalmente sono riuscita a mettere giù.. si tratta, per chi non lo sapesse, si una raccolta di Missing Moments di "Just a Landing" che ovviamente tratteranno di tutti quei momenti che per mancanza di spazio non ho potuto inserire, ma soprattutto (udite udite) ci sono anche narratori differenti rispetto alla storia principale (Sebastian o Santana per esempio). Per sapere l'elenco degli altri MM in programma, andate sulla mia pagina fb, mentre se volete leggere il primo MM pubblicato, questo è il link (Just a Landing - Missing Moments). Adesso vi lascio, che ho parlato fin troppo... ciaoooo ;)




New York City. Ore 06.14 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)


Batteria al 4%
"Maledizione... ci mancava il cellulare scarico!" borbottai poggiando il casco al manubrio della moto e ravvivandomi un pò i riccioli che si erano appena ammaccati. Attraversai la strada ed entrai nel portone. Chiamai l'ascensore e rimasi in attesa, lanciando occhiate furtive e disperate verso lo schermo del mio povero telefono quasi sul punto di crollare
"Aspetta.." una voce mi chiamò, proprio mentre le porte automatiche stavano per chiudersi, così misi un piede in mezzo per bloccarle. Il sorriso gentile di una ragazza asiatica mi accolse all'istante
"Ti ringrazio... ho i surgelati nella busta e devo correre a casa. Non vorrei che si rovinassero!" mi spiegò con voce gentile
"Ma figurati... in questa cabina ci andremmo comodi anche in dieci!" le risposi facendole spazio. Lei era sul punto di dire qualcosa quando da dietro alle sue gambe spuntò il sorriso furbetto di Lea
"Blaine!" gridò illuminandosi e correndomi incontro. Io mi piegai sulle gambe per abbracciarla e venni letteralmente travolto dalla sua esultanza. Della bambina timida del nostro primo incontro non c'era più alcuna traccia
"Ciao, piccola. Che piacere rivederti!" le dissi stringendola. Profumava di buono e i lunghi capelli castani erano sciolti sulle spalle. Indossava un grazioso paio di pantaloncini rossi ed una camicetta bianca a fantasia. Dovevo ammettere che sua madre aveva davvero buon gusto, nonostante a primo impatto mi era sembrata leggermente eccentrica.
"Blaine... i mostri con le zanne non ci sono più... sei stato tu non è vero?" domandò entusiasta staccandosi un pò dall'abbraccio. Con una mezza risata ricordai il gruppetto di ragazzi con le creste ed i giubbotti di pelle, quelli che l'avevano tanto spaventata, quelli che si erano lasciati corrompere con una semplice banconota da cinquanta dollari. Falsa.
Speriamo di non rivederli mai più, altrimenti quelli mi fanno il culo...
"Certo, principessa... te l'avevo promesso, no?" le dissi con un sorriso e le feci perfino l'occhiolino che la fece ridere con trasporto. Solo allora mi ricordai della ragazza che dall'alto ci osservava stupita e anche leggermente confusa. Mi affrettai a risollevarmi in piedi e sorriderle cordiale
"Che sciocco, non mi sono neanche presentato... Blaine Anderson!" e le porsi la mano. Lei, spostando le ingombranti borse della spesa me la strinse e mi sorrise
"Tina Cohen Chang. Sei il ragazzo che ha preso in affitto l'appartamento dell'avvocato Fabray, non è vero?" mi chiese mentre la piccola Lea alternava tra me e lei lo sguardo per seguire la conversazione
"Esattamente. Ormai è quasi passato un mese!" ricordai, vagamente sorpreso di come il tempo fosse assolutamente volato.
"E noi ci conosciamo soltanto ora... che tristezza!" mormorò abbattuta, stringendo appena gli occhi. Stava per mettersi a piangere, per caso? Oppure era la mia impressione?
"Già... tutta colpa della mia frenetica vita. Sono di corsa anche adesso, in effetti!" esclamai lanciando un'occhiata al telefono. Segnava già le sei e mezza. Dovevo darmi una mossa se non volevo trovare traffico ed arrivare tardi
Batteria al 3%
"E allora saliamo, dai... non ti faccio perdere altro tempo. Avremo modo in futuro per parlare meglio!" e detto questo entrò finalmente nella cabina - che durante la nostra piccola chiacchiera aveva più volte tentato di richiudersi, sbattendomi sui fianchi, facendomi non poco male. Lea seguì la ragazza senza dire nulla e si poggiò alla parete della cabina lanciandomi un'occhiata curiosa. Io in risposta le feci l'occhiolino e lei, arrossendo, si nascose meglio dietro le gambe di Tina.
"Che piano?" le chiesi
"Secondo!" mi rispose accarezzando distrattamente la testa della bambina e premetti il pulsante. Sospirando mi resi conto che in meno di un'ora mi sarei dovuto fare una doccia veloce, cambiare i vestiti, portare Cooper a fare una passeggiata attorno al palazzo - dato che sia Daniel che Sebastian quel giorno non avevano potuto per via degli impegni lavorativi allo studio - e guidare fino al pub. Tutto questo mentre il mio povero e distrutto cellulare caricava attaccato alla corrente.
Batteria al 2%
Proprio mentre ero impegnato a cercare di tracciare mentalmente il percorso più breve da far fare a Cooper per il rituale della passeggiata, accadde qualcosa. La cabina dell'ascensore fece un brusco movimento, facendoci sobbalzare e dopo un lungo e ben poco rassicurante cigolio, si fermò. In un brevissimo e silenzioso istante i miei occhi e quelli di Tina si incrociarono. Un'atroce consapevolezza parve colpire entrambi nello stesso istante, perché ci voltammo quasi simultaneamente verso la pulsantiera che lampeggiava freneticamente
"Cosa è successo?" domandò lei in un soffio
"Si è bloccato l'ascensore!" le risposi. Avvertii chiaramente il suo respiro farsi pesante
"Che cosa?" strillò facendomi spaventare appena. Le lanciai un'occhiata allarmata dato che la sua reazione mi era parsa un tantino esagerata, ma senza dire nulla allungai una mano sulla pulsantiera per premere il tasto del piano due. Ma fu inutile perché era come se quel rottame avesse esalato il suo ultimo respiro e si rifiutasse ormai di ripartire.
Perfetto...
"Non va!" esclamai afflitto, passandomi una mano tra i ricci. Potevo anche dire addio alla passeggiata con Cooper e alla mia rilassante doccia. Venni nuovamente sorpreso dal verso spaventato della ragazza che quella volta lasciò andare le borse per terra, che caddero con un tonfo sordo, e si strinse forte le braccia ai fianchi
"Non è possibile..." mormorò scuotendo la testa e tremando appena. La guardai confuso, cercando di capire come mai fosse così spaventata. Certo, rimanere bloccati nell'ascensore poteva essere davvero seccante, ma... non mi sembrava il caso di fare tutta quella tragedia.
Certo, a meno che...
Mi avvicinai di mezzo passo mentre lei si poggiava con la schiena allo specchio della cabina
"Ehi..." provai a chiamarla, ma lei sgranò gli occhi e mi lanciò un'occhiata allarmata
"Come faremo ad uscire di qui?" domandò alzando ancora la voce, gli occhi lucidi
"Ehm... stai tranquilla, ok? Adesso chiamiamo qualcuno!" cercai di rassicurarla, recuperando immediatamente il cellulare dalla tasca della giacca. Sconsolato guardai lo schermo dove una triste batteria rossa mi informava che ormai rimaneva soltanto l'un percento di carica. Titubante provai a comporre il numero di emergenza, incrociando le dita e sperando che non decidesse di abbandonarmi proprio in quell'istante. Ma nel momento esatto in cui portai l'apparecchio all'orecchio, avvertii l'inconfondibile doppio bip. Allarmato guardai lo schermo dove una mela argentata mi stava bellamente beffeggiando, decretando in maniera definitiva la morte prematura del mio telefono
E al diavolo Steve Jobs. Mi sei costato quasi tre settimane di triplo stipendio, e mi abbandoni proprio nel momento del bisogno? Ma vaffanculo, va!...
Grugnii infastidito buttandolo malamente nella sacca e rivolsi di nuovo l'attenzione alla povera Tina, in preda al suo attacco di claustrofobia
"Ho il telefono scarico... posso chiamare dal tuo?" le domandai con calma. Lei scosse la testa, stringendosi un labbro tra i denti, tremando ancora visibilmente
"L'ho dimenticato... a casa!" mormorò affranta
E figurarsi...
"D'accordo... allora proviamo a suonare il campanello.. ci dovrà pur essere qualcuno a quest'ora nel palazzo!" provai ad essere rassicurante, ma il suo colorito pallido non sembrava promettere nulla di buono. Premetti il pulsante dell'allarme che risuonò chiaramente nel portone e rimasi in attesa. Se qualcuno lo aveva sentito, ci sarebbe venuto ad aiutare in breve tempo.
Sorrisi incoraggiante alla ragazza e lei tentò un sospiro, chiudendo appena gli occhi. All'improvviso mi sentii afferrare la mano e puntai gli occhi verso il basso
Oh cazzo... Lea...
"Che succede Blaine?" mi domandò confusa e per fortuna per niente spaventata. Mi affrettai ad abbassarmi per avere gli occhi alla sua altezza e provai a tirare fuori il tono di voce più tranquillo che avessi in repertorio
Una ragazza claustrofobica... una bambina di quattro anni.. un ragazzo che ha fretta... davvero un ottimo trio...
"Nulla, piccola. Non devi preoccuparti, ok?" la rassicurai accarezzandole una guancia
"Perché Tina sta piangendo?" domandò ancora stringendo le piccole labbra in una smorfia confusa. Lanciai un'occhiata verso la ragazza asiatica che si affrettò a darsi un tono e ad asciugarsi le piccole lacrime trasparenti che le scivolavano sulle guance. Le rivolsi un sorriso incoraggiante e tornai ad occuparmi dell'insistenza di Lea
"Di un pò, principessa.. ti va di fare un gioco?" le proposi, tentando il tutto per tutto per distrarla. Lei si illuminò all'istante e prese a saltellare sul posto come una molla
"Certo!" esclamò elettrizzata, così mi lasciai scivolare sul pavimento della cabina e le feci segno di sedersi sulle mie gambe. Almeno Rachel non mi avrebbe ucciso se le avessi salvaguardato i vestiti. Lei si accomodò guardandomi piena di aspettativa
"Allora... facciamo così... io inizio a raccontarti una storia... ad un certo punto, però, mi bloccherò e tu dovrai continuarla per me. Poi quando vorrai sarai tu stessa a bloccarti per farmi fare lo stesso!" le spiegai. Lei sorrise raggiante sistemandosi meglio
"Ed è una storia inventata?" domandò curiosa
"Completamente inventata!" le confermai con un sorriso. Per fortuna sembravo aver trovato la giusta strada per distrarla, così lanciai un'occhiata divertita verso Tina che a sua volta era scivolata a sedere accanto a noi e tentava perfino di sorridere, benché fosse ancora pallida e tremante. Lei mi fece un gesto con la testa, quasi volesse ringraziarmi e le risposi strizzandole velocemente l'occhio. Probabilmente in quella situazione io ero quello più spaventato di tutti: non perché soffrissi di claustrofobia o fossi preoccupato per l'eventuale ritardo - Dio, Puck mi avrebbe ucciso! - semplicemente temevo di non riuscire a tranquillizzare né la piccola Lea né la povera Tina. Dovevo fare l'uomo della situazione, e tentare l'impossibile.
Guardai per un istante i vivaci occhietti castani di Lea, che per fortuna sembrava non si fosse minimamente accorta del guasto all'ascensore o della paura della sua baby-sitter, e quello parve darmi coraggio, perché le sorrisi ed iniziai a raccontare
"Dunque... come sempre, c'era una volta, in un mondo tanto lontano, un piccolo e bellissimo principe con i capelli dai riflessi dorati e due meravigliosi occhi color del cielo, che, tuttavia era tanto triste. Il piccolo principe viveva in un grande castello e aveva tanti amici ma ogni giorno a fine giornata, rientrava nella sua camera ed iniziava a piangere forte, tanto che i suoi bellissimi occhi azzurri diventavano quasi di cristallo. I suoi genitori erano disperati, non sapevano perché il loro prezioso bambino fosse così infelice e provarono ogni giorno ad organizzare per lui grandi feste a palazzo, invitando tutti i suoi amici, con la sola speranza di farlo tornare a sorridere. Ma lui continuava a piangere ogni notte, senza apparente motivo!" raccontai con leggerezza, piegando appena la testa di lato e - lo ammetto - forse un pò fantasticando. Gli occhietti di Lea erano attenti e curiosi e si imbronciò appena mentre raccontavo la mia storia inventata
Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale...
"Perché il piccolo principe è così triste?" mi domandò corrucciata.
"Questo tocca a te stabilirlo!" le dissi con un sorriso divertito pungolandole leggermente il nasino con l'indice. Lei si illuminò di nuovo
"Tocca a me?" domandò emozionata
"Certo.. a te le redini della storia!" le confermai e rimasi curioso in attesa, mentre il suo piccolo cervellino pieno di fantasia, da far invidia a chiunque, metteva in moto gli ingranaggi. Cosa non avrei dato per poter controllare in quello stesso istante cosa stesse succedendo lì dentro.
"Il piccolo principe era tanto triste perché voleva innamorarsi!" esclamò lei, quasi fosse ovvio. Io le sorrisi divertito ed annuii
"Mi sembra ragionevole!" acconsentii e perfino Tina ridacchiò al nostro fianco
"Dunque dovremmo trovargli una principessa!" mormorai pensieroso, ma la bambina si affrettò a scuotere energicamente la testa
"No!"
"No?" ero confuso
"Lui non vuole una principessa..." mormorò giocherellando con un laccetto della mia felpa
"E cosa vuole?" le domandai sempre più curioso. Lei sollevò gli occhietti vispi nei miei e mi sorrise serenamente
"Lui vuole un principe!" esclamò lasciandomi di stucco.
Chissà perché, da una bambina così intelligente, me lo sarei dovuto aspettare...
"Un principe?" domandai sorpreso, non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso divertito. Lei annuì con vigore per poi sorridere, furbetta
"Per essere precisi.. un principe con i ricci neri e gli occhi dorati!" specificò illuminandosi. E quella volta non mi trattenni, scoppiai a ridere avvertendo il cuore battere frenetico nel petto, quasi fosse estremamente emozionato. Un principe triste con gli occhi azzurri che si innamora di un altro riccio con gli occhi dorati?
Davvero una gran bella storia...


New York City. Ore 7.45 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)

"No, David, te l'ho già detto due volte. Non ci vengo a Toronto con te la settimana prossima. Ho un mucchio di lavoro da fare all'agenzia e comunque Chang non mi darebbe neppure un giorno di ferie!" borbottai per la terza volta alzando gli occhi al cielo, esasperato e stanco. Ma ero io che non riuscivo a spiegarmi bene oppure era lui che si ostinava a non capirmi?
Secondo te, Kurt?...
"Coraggio, Kurt.. tu non glielo hai neppure chiesto. Come fai a sapere che ti dirà di no?" insistette. Trattenni a stento uno sbuffo esasperato. A volte sapeva davvero essere testardo. Peccato che questa sua tenacia la riservasse solo per le questioni futili e mai per quelle che riguardavano seriamente la nostra storia.
"Mi dirà di no, Dave, fidati di me per una volta. E comunque adesso devo lasciarti. Sto per entrare in metropolitana e sai che qui la linea casca continuamente. Ti chiamo dopo!" e senza neanche dargli modo di rispondere misi giù. Sbuffai attraversando l'incrocio insieme ad altre venti persone. In realtà ero quasi vicino casa, e la metropolitana l'avevo abbandonata da un pezzo, da molto prima che mi chiamasse. Ma non avevo voglia di mettermi a litigare con lui in mezzo alla strada e se già meno di cinque minuti di conversazione mi avevano fatto innervosire in quel modo, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se avessimo continuato.
Mi avvicinai, quasi correndo al portone, spinto dalla fretta di andare a casa per liberarmi dei vestiti, che quel giorno mi sembravano più stretti del solito. Strano che per un amante della moda come me, i vestiti fossero diventati una costrizione troppo grande da sopportare. Prima, quando vivevo a Lima, avrei regalato il sangue pur di poter indossare anche un capo tra quelli che ormai invadevano il mio armadio. Ora che ne avevo la possibilità - sia economica che lavorativa - preferivo di gran lunga la mia adorata tuta morbida e le mie t-shirt senza marca. Un notevole cambiamento, non c'è che dire.
E quella non è l'unica cosa che nella mia vita pare essere cambiata da quando ero un semplice ragazzino gay dell'Ohio occidentale...
Entrai nel portone sospirando felice e corsi a premere il pulsante di chiamata dell'ascensore. Ma non successe nulla. Stranito provai ancora e ancora, ma la macchina non accennava a muoversi. Così, confuso, lanciai un'occhiata alla grata, temendo che magari si fosse bloccato o che qualcuno avesse inavvertitamente lasciato la porta esterna aperta ad un piano. Come volevasi dimostrare, la cabina era bloccata esattamente tra il primo ed il secondo livello e solo allora mi resi conto della piccola lucina d'emergenza accesa nell'estremità superiore della porta. Che qualcuno fosse rimasto bloccato dentro?
"C'è qualcuno nell'ascensore?" gridai allora per farmi sentire. Passarono alcuni lunghi istanti di silenzio, finché una voce particolarmente familiare non mi arrivò dall'internò della grata
"Kurt, sei tu?" mi domandò la voce. Sgranai gli occhi sorpreso
"Blaine?" domandai e guardai l'orario sul mio orologio al polso: erano quasi le otto, cosa ci faceva ancora lì?
"Già... questo maledetto ascensore deve proprio avercela con me!" borbottò divertito, facendomi sorridere. Incredibile, trovava la voglia di scherzare anche in una situazione come quella
"Hai chiamato i pompieri?" gli domandai
"Magari... cellulare scarico!" sbottò comprensibilmente seccato
"E hai suonato la campana d'emergenza? Non è venuto nessuno a salvarti?" lo canzonai divertito, mentre lentamente la rabbia verso David iniziava a scemare. Come ogni qualvolta che nella mia vita si intrometteva Blaine. I pensieri tornavano a farsi leggeri e gli occhi brillavano, incatenati ai suoi. Anche se in quel momento non potevo vederlo per colpa di quella maledetta cabina bloccata
"Sono lieto che tu ti stia divertendo così tanto, Hummel e, credimi, se dipendesse da me, rimarrei in questa cabina anche fino a domani... ma non sono solo!" mi rispose ridacchiando. Mi accigliai immediatamente
"Chi c'è con te?" domandai allarmato.
"Tina!" mormorò sofficemente una voce femminile, che riconobbi all'istante.
"E Lea!" le fece eco un'altra voce femminile, molto più acuta e vivace. Strabuzzai gli occhi e mi avvicinai di più alla grata
"Oddio... come state?" domandai immediatamente, con il cuore a mille.
"Finalmente ho la tua attenzione!" borbottò Blaine "Comunque stiamo bene per fortuna. Nessun ferito grave e soprattutto... siamo perfino riusciti a trovare un perfetto lieto fine per la nostra storia!" e chissà per quale motivo ridacchiò seguito a ruota dalla piccola Lea, la cui risata si propagò per tutto il portone facendomi sospirare. Per fortuna Blaine sembrava essere stato capace di tenerla buona e tranquilla. Aspetta di quale storia stava parlando?
"Da quanto tempo siete lì dentro?" domandai allora sconvolto. Blaine normalmente rincasava verso le sei e qualcosa, e se anche quel giorno lo aveva fatto... cazzo!
"Non saprei... saranno state le sei e mezza quando ci siamo bloccati. Solo che adesso non ho idea di che ore siano!" esclamò. Ecco, come immaginavo.
"Sono le otto meno dieci!" gracchiai con un sorriso tetro. Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale trattenni volutamente il respiro, aspettando la sua spropositata reazione. Il fatto che non sembrasse arrivare, mi fece ben sperare
"Blaine... ricorda che c'è Lea accanto a te!" gli feci presente
"Appunto per questo sono rimasto zitto, Kurt!" mormorò sconvolto per poi emettere uno strano lamento basso che mi fece ridacchiare. Per fortuna sembrò non accorgersene
"Kurt, me lo faresti un favore?" mi chiamò dopo altri lunghi istanti di silenzio
"Certo!"
Qualunque cosa...
"Saresti così gentile da chiamare il pub e avvertire Noah che faccio tardi stasera?" mormorò tetro probabilmente passandosi una mano sulla faccia. Me lo immaginavo stanco morto dopo dodici ore di lavoro sfiancante, costretto per quasi un'ora e mezza in meno di tre metri quadrati di ascensore. Con una bambina di cinque anni al seguito. Doveva essere davvero esausto
"D'accordo... chiamo Santana che sarà sicuramente lì con Brittany!" lo avvisai e feci come gli avevo detto, avvisando la mia amica che ovviamente era, neanche a dirlo, proprio al bancone del pub. Mi passò il proprietario con la cresta, che borbottò qualcosa sul fatto che Blaine fosse un disgraziato e che la punizione migliore per lui sarebbe stata quella di passarci l'intera notte chiuso lì dentro. La risata di Brittany in sottofondo mi fece intuire che, forse, Noah stava soltanto scherzando. Dopo poco chiusi la chiamata e riferii tutto a Blaine
"Questa è la volta buona che mi licenzia!" si lamentò e subito dopo udii un tonfo sordo, probabilmente stava prendendo a testate la parete della cabina per la disperazione. E Lea sembrava apprezzare parecchio perché la sentii ridere contenta in sottofondo
"Chiamo i soccorsi?" tentai allora, per risollevare un pò la situazione
"Prova a bussare a Finn... l'ultima volta che questo affare si è bloccato, lui è riuscito a farlo ripartire. Magari ci riesce anche questa volta!" esclamò Tina, parlando per la prima volta dopo tanto. Me l'ero quasi dimenticato che ci fosse anche lei
"D'accordo... corro a chiamarlo!" avvertii, salendo di fretta le scale fino al terzo piano, mentre Blaine borbottava qualcosa sul fatto che a quel punto neanche i trentamila dollari gli sarebbero bastati. Con il fiatone mi fermai davanti alla porta di Finn e bussai insistentemente al campanello. Certo era che, se davvero fosse stato a casa, avrebbe dovuto sentire la campana d'emergenza suonare. E allora perché non era uscito a vedere cosa stava succedendo? Cosa aveva di così importante da...
La porta venne aperta in un lampo che quasi mi fece sobbalzare e mi si parò davanti una visione quasi sconvolgente: c'era Finn, nei suoi spaventosi due metri, che mi guardava confuso e anche leggermente assonnato, a petto vergognosamente nudo, con indosso soltanto un paio di boxer blu e rossi in una curiosa fantasia. Mi mancò il respiro per un paio di istanti e subito la mia mente, forse per punirmi, mi ripropose una scena simile, risalente a soli sei giorni prima, solo che ad accogliermi sulla porta non c'era stato Finn, ma un ragazzo alto probabilmente la metà, con stupendi occhi cangianti ed un sorriso da far tremare il sangue nelle vene. E a lui i boxer addosso stavano meglio. E riempivano di più.
"Kurt!" mi salutò goffamente con un sorriso. Quel ragazzo era strano: a vederlo metteva quasi paura, ma quando apriva bocca, perdeva ogni parvenza di minacciosità. Gli rivolsi un mezzo sorriso
"Ciao, Finn.. scusa se ti disturbo a quest'ora... ma avrei bisogno del tuo aiuto!" esclamai risoluto. C'erano pur sempre una bambina di cinque anni, una donna ed un probabile disoccupato nella cabina dell'ascensore che fremevano per uscire. Dovevo essere sbrigativo
"Certo... dimmi pure!" acconsentì, infilandosi goffamente una maglietta bianca
La sua era nera, aderente, e maledettamente sexy...
"Ci sono tre persone bloccate nell'ascensore... mi chiedevo se potessi..." ma mi bloccai, improvvisamente attirato da un movimento alle spalle di Finn. Non potevo crederci.. era davvero...?
"Rachel!" sbottai sconvolto, mentre lei, rossa fino all'attaccatura dei capelli si affrettava a sistemarsi la camicetta
"K-Kurt... cosa.. io... cosa ci fai qui?" mi domandò abbassando gli occhi e arrossendo ancora e probabilmente in un altro momento, e con meno anime innocenti in pericolo, avrei indugiato un momento per farle notare che era lei ad essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Dio Santo... tua figlia è bloccata nell'ascensore.. lo sai questo?...
Mi limitai a fulminarla malamente con gli occhi tornando a concentrarmi su Finn e l'ascensore guasto
"Dicevo... ci sono tre persone bloccate nell'ascensore... potresti aiutarmi a tirarli fuori da lì?" gli domandai secco, iniziando a provare anche un certo fastidio verso il ragazzo. Lui sbatté le palpebre confuso ma annuì con vigore
"Sicuro... basta salire in mansarda e azionare il meccanismo manuale. Un gioco da ragazzi!" mi informò
Certo, un gioco da ragazzi per te che hai ogni muscolo al posto giusto...
"Bene... e allora sbrighiamoci... c'è anche una bambina lì dentro!" sentenziai acido, lanciando un'occhiataccia alla mia amica che cambiò drasticamente colore, sbiancando all'istante e sbarrando gli occhi, colta dal panico
"Lea!" mormorò quasi senza voce. Sospirai. Ok, forse non era il caso di farla preoccupare così tanto, benché non si meritasse la mia comprensione
"Tranquilla... ci sono Tina e Blaine con lei!" le dissi non riuscendo a trattenermi dal sollevare un sopracciglio. Questo non bastò a tranquillizzarla, perché sgusciò tra Finn e me fino alla grata dell'ascensore
"Lea, tesoro!" la chiamò, quasi disperata
"Mamma!" rispose la bambina allegra e tranquilla
"Oh mio Dio.. amore mio... come stai?" domandò allarmata, scendendo velocemente una rampa di scale per essere più vicina
"Sto bene, mamma... mi sto divertendo così tanto qui con Blaine. Possiamo invitarlo al mio compleanno la settimana prossima, vero?" le domandò candida ed innocente facendoci ridacchiare. Perfino la risata di Blaine mi arrivò chiara alle orecchie nonostante il metallo, il legno e il mezzo piano che ci separavano. Rachel scosse la testa, appena divertita, mentre gli occhi le diventavano lucidi per l'apprensione
"Certo tesoro... se Blaine non ha impegni!" rispose lei poggiando una mano sulla pulsantiera per provare a chiamare la cabina che però ancora una volta rimase ferma
"Sarà un vero onore!" fece eco Blaine, forse sorridendo allegro. La fortuna aveva voluto che quella bambina e la sua povera baby-sitter, avessero trovato un ragazzo d'oro a far loro compagnia e a distrarle. Questo Rachel avrebbe dovuto saperlo appena possibile
"Ehm... credo sia meglio provare a muovere questo aggeggio... altrimenti rimarranno lì tutta la notte!" esclamò Finn grattandosi la nuca ed indicando la cabina
"Mi sembra giusto... solo che io non credo di esserti utile... sono stanco morto e, anche volendo, ho poca forza nelle braccia!" mormorai afflitto sperando riuscisse da solo a tirarla su con il meccanismo manuale. Lui fece una smorfia
"D'accordo... sarà difficile ma posso provarci!" borbottò poco convinto, e fece per avviarsi risalendo di nuovo le scale
"Aspetta..." lo fermò Rachel, come colta da un'illuminazione improvvisa "Proviamo a vedere se gli Schuester sono ritornati a casa!" e senza neanche aspettare la conferma, scese la restante rampa di scale e si attaccò al campanello. Bastarono cinque secondi esatti per farsi aprire la porta
"Rachel... che succede?" domandò sconvolto William da tutta quella fretta. Per fortuna, lui era completamente vestito e non aveva nessun figlio dimenticato nella cabina di un infernale ascensore. Rimase interdetto nel trovare sia me che Finn sullo stesso pianerottolo e poco dopo alle sue spalle si affacciò anche Emma con il suo solito sorriso dolce e affettuoso
"Ti prego Will.. è un'emergenza... mia figlia è rimasta bloccata nell'ascensore e a Finn serve una mano per portare la cabina al piano per aprire le porte!" spiegò lei agitata muovendo convulsamente le mani. Ed ecco Rachel Berry trasformata repentinamente da amante focosa a madre single e disperata. Completamente dimentica delle sue amorose follie con l'atleta gigante. Sorrisi divertito, cercando di non farmi vedere
"Oh Santo Cielo... la piccola Lea. É sola?" domandò apprensiva Emma portandosi una mano alla bocca. Fui io ad intervenire, onde evitare che la drama queen per eccellenza rendesse la situazione ancora più catastrofica
"Per fortuna no.. ci sono Tina e Blaine con lei!" spiegai e lei parve tranquillizzarsi appena. William si affrettò ad afferrare una giacca - lui aveva la decenza di farlo, al contrario di Finn ancora in mutande - e seguì il ragazzone velocemente al piano delle mansarde. Emma uscì fuori sul pianerottolo con noi e circondò le spalle di Rachel con un braccio per consolarla. Io mi limitai a sollevare un sopracciglio, curandomi di lanciare un'occhiata di sbieco alla mia amica. In quello sguardo volevo esprimerle tutto il mio disappunto e lei parve accoglierlo, perché arrossì ancora ed abbassò la testa.
Arriverà il momento giusto per parlare, Berry... fidati...
Mi avvicinai di nuovo alla cabina bloccata per dare informazione ai poveri e disperati occupanti
"Finn e William sono saliti ad azionare il meccanismo manuale.. tra poco sarete fuori!" dissi, segretamente sollevato a mia volta
"Sia ringraziato il Cielo!" mormorò Tina, e sembrava parecchio scossa, pur non potendola vedere in faccia. Blaine rimase in silenzio ed avvertii soltanto la vocina flebile di Lea che canticchiava qualcosa in sottofondo. Sorrisi, felice per il fatto che Lea fosse una bambina tanto forte da non farsi spaventare neanche per una situazione tanto surreale come quella. A conti fatti quella più spaventata sembrava proprio Tina. Che soffrisse di claustrofobia?
"Kurt?" all'improvviso la voce di Blaine tornò a farsi sentire, ed il suo sussurro, nonostante gli spessi centimetri di metallo e acciaio che ci separavano, lo avvertii chiaro e limpido, trapassarmi perfino la pelle. Rabbrividii appena, mordendomi un labbro in maniera distratta
"Sì?" passò un lungo istante prima che parlasse di nuovo
"Grazie!" mormorò soltanto, facendomi rabbrividire. Lanciai un'occhiata verso le due donne sul pianerottolo, che sembravano troppo impegnate in una lunga discussione sulla necessaria manutenzione dell'edificio, per darci peso. Feci un lungo sospiro mentre un sorriso tenero mi si apriva sul volto.
Dio, Blaine.. come fai a farmi questo effetto?... Come ci riesci?...
"Non dirlo neanche!" risposi, avvertendo distintamente lo spasmodico bisogno di distruggere quella cabina per portarlo in salvo, possibilmente tra le mie braccia. Era sicuro: appena fosse uscito da lì, lo avrei abbracciato, arrampicandomi a lui tipo koala sul ramo ed avrei nascosto il viso nell'incavo della sua spalla, annusandolo avidamente. Poi probabilmente lo avrei afferrato per la manica e lo avrei trascinato nel mio appartamento. Lì avremmo scaricato entrambi la tensione, nel migliore dei modi possibili e...
Un rumore metallico mi fece sobbalzare e sollevai lo sguardo verso la cabina, visibile attraverso la grata. Stava iniziando lentamente a scendere verso il primo piano, segno che William e Finn ci fossero riusciti. Elettrizzato lanciai un'occhiata verso Emma e Rachel che ricambiarono entusiaste, mentre la vocina di Lea gridava
"Si muove!"
Scendemmo di corsa al primo piano, dove con altri tre o quattro sbalzi la cabina atterrò mollemente. Mi precipitai a scostare le porte automatiche che vennero via senza troppa fatica. All'improvviso, finalmente, mi ritrovai un paio di occhi dorati - terribilmente stanchi - fissi nei miei ed un timido sorriso aprirsi lentamente. Mi mancarono un paio di battiti e per poco non svenni lì sul posto. Era ufficiale: il sorriso di Blaine Anderson mi aveva fatto uscire di testa
"Ciao!" mormorò soffice, facendomi arrossire. Deglutii faticosamente, in cerca di parole
"Ciao!" soffiai
Complimenti Hummel... sei riuscito a tirare fuori almeno... un saluto!... cos'è che volevi fare appena fosse uscito da quella gabbia infernale? Abbracciarlo? Ma se non riesci neanche a parlare...
Mi sorrise più apertamente e proprio quando ero davvero sul punto di farmi avanti per stringergli le braccia al collo, qualcosa, alto più o meno un metro, sgusciò in mezzo a noi per poi fiondarsi tra le braccia di Rachel
"Mamma!" gridò Lea felice e per niente scossa dalla recente esperienza. La mia amica si inginocchiò, stringendola forte e chiudendo gli occhi. Stava piangendo disperata e per un attimo, uno soltanto, mi sentii in colpa per averle lanciato tutte quelle occhiate maligne. Era pur sempre una mamma eccezionale, anche se... quella storia di Finn mezzo nudo e della sua camicetta sbottonata avrebbe comunque dovuto spiegarmela prima o poi.
Mi feci da parte per far uscire sia Blaine che Tina, la quale era più bianca del solito
"Oddio, cara... stai bene?" si preoccupò immediatamente Emma facendosi avanti. Lei respirò a pieni polmoni per poi annuire
"Adesso sì.. ma devo ringraziare Blaine... è stato davvero incredibile!" mormorò leggera, lanciando uno sguardo colmo di gratitudine verso il ragazzo che in quel momento arrossì, e si portò una mano tra i ricci appena sconvolti
"Ma figurati... non ho fatto niente di speciale!" disse imbarazzato, accennando un sorriso. Mi morsi un labbro per contenere la mia reazione emozionata
"Mamma... Blaine mi ha raccontato una storia.. una storia bellissima... la vuoi sentire?" strillò la piccola saltellando per tutto il pianerottolo, sotto i nostri sguardi divertiti, facendo ridacchiare perfino la madre
"Dopo, tesoro... me la racconterai con calma dopo!" le concesse serena, accarezzandole la fronte e la piccola batté le mani entusiasta, mentre Blaine ridacchiava nervoso. Ancora? Ma che diavolo di storia le aveva raccontato?
Lanciai un'occhiata interrogativa verso Blaine che si limitò a strizzarmi l'occhio, provocandomi un mezzo infarto. Il mio povero cuore non avrebbe retto a lungo a causa sua. Dopo qualche altro istante William e Finn ci raggiunsero al primo piano soddisfatti
"State tutti bene?" domandò il più grande con un sorriso cordiale. Fu Blaine a parlare
"Certo e devo ringraziare voi per questo!" esclamò avvicinandosi "Blaine Anderson... felice di conoscervi finalmente!" ed allungò loro la mano che Will afferrò per primo con un sorriso caldo ed amichevole
"William Schuester.. e quella dietro di te è mia moglie Emma!" indicò la donna che sorrise gioiosa salutandolo con la mano
"Piacere di conoscerti Blaine!" esclamò infatti quest'ultima, affiancando il marito. Blaine sorrise loro e poi il suo sguardo si spostò su Finn che lo guardava curioso
"Tu invece devi essere.."
"Finn!" esclamò subito l'omone avvicinandosi e - probabilmente - stritolandogli la mano. Lo dedussi dalla piccola smorfia di dolore che Blaine provò malamente a celare "Finn Hudson!"
"Piacere di conoscere anche te Finn... e vi ringrazio per averci aiutati!"
"Ma scherzi? É stato un piacere!" confermò Will posandogli una mano sulla spalla
"Certo... avremmo preferito un'altra occasione magari per conoscerci!" mormorò Emma sinceramente dispiaciuta
"Dobbiamo ringraziare l'ascensore maledetto, allora... ci ha permesso di organizzare questa piccola riunione di condominio inaspettata!" esclamai allegro facendo ridacchiare un pò tutti, perfino la povera Tina, ancora pallida e scossa e Rachel che stringeva protettiva le spalle della piccola ma sorridente Lea. La cosa più importante era che lei stava bene e che soprattutto non si era spaventata troppo. Il resto passava in secondo piano
Anche se... avverto ancora il desiderio di abbracciare Blaine.. ma quello sospetto non passerà mai.. almeno finché non lo soddisfo, certo...
All'improvviso, mentre William, Blaine, Emma e Finn si intrattenevano in una conversazione tranquilla e cordiale, qualcosa di strano accadde. Avvertii chiaramente alle mie spalle un catenaccio tirarsi e due o tre mandate di una porta blindata aprirsi. Sconvolto mi girai nel momento esatto in cui la porta si apriva lentamente e rivelava qualcosa, o meglio qualcuno, che mai prima di allora avevo visto.
Oh mio Dio... Abrams...

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Capitolo 21
*** Il curioso caso di Artie Abrams ***


BuonSalve a tutti, amori miei... sono di fretta, proprio come ieri (finirò con l'impazzire, prima o poi) però due cosette vorrei dirvele: uno, finalmente arriva anche quello strano personaggio di Artie Abrams, adesso bisogna solo capire che tipo sia e che rapporto possa istaurare con il resto dei condomini, che non lo hanno mai davvero visto. Due, Blaine e Kurt... qualcuno mi ha detto che adesso avrebbero bisogno di un pò di pace e tranquillità... bene, in un certo senso è proprio quello che vorrei anche io... cercate bene nel capitolo, leggete bene tra le righe e probabilmente sarete accontentati e se posso darvi un consiglio: preparatevi psicologicamente, a qualsiasi cosa questa pazza autrice potrebbe avere in serbo per voi ^^ Bene, ci vediamo Lunedì con il nuovo capitolo. Vi ringrazio come sempre tutti dal profondo del cuore perché,. forse non ve lo dico abbastanza ma... siete la mia forza, sempre! Non ho fatto in tempo a rispondere a tutte le recensioni dello scorso capitolo, ma non temete. Pubblicato questo, corro a rimediare, promesso :) Bacini baciotti :*
p.s. Nonostante le avessi dato le immagini all'ultimo momento e soprattutto le schifose foto che avevo scelto, lei (la unica e sola *__*) è riuscita a tirare fuori questa meraviglia qui sotto. Alla fine, nonostante tutto, penso sia una delle mie immagini preferite... Love you Dan <3
n.b Soiliti link di ordinanza: Pagina Facebook (Dreamer91) e la Raccolta di Missing Moments, il cui secondo capitolo è in fase di lavorazione, quindi abbiate fede ^^ (Just a Landing - Missing Moments)






New York City. Ore 08.40 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)

C'era stato un assurdo e lungo momento di panico ed imbarazzo generale su quel pianerottolo. Tutti erano stati bruscamente interrotti e strappati dalle loro conversazioni amichevoli per voltarsi quasi in sincrono verso la porta appena aperta e i loro occhi - inclusi i miei - si erano spalancati increduli alla vista di quello che a conti fatti avrebbe dovuto essere Abrams, l'inquilino senza volto del primo piano. Quello che non usciva mai, che teneva sempre tende e serrande chiuse, che non faceva il minimo rumore, né si era mai degnato di fare presente al resto del condominio che lui abitasse lì. E quella era la prima volta in cinque anni da quando abitavo al 2113 di Lower East Side, che lo vedevo dal vivo, in faccia. E la cosa che mi sorprese più di tutto, non fu il fatto di trovarlo sulla carrozzella e che quindi fosse palesemente disabile - come diavolo faceva a vivere da solo in quelle condizioni? - ma che in quel momento stesse osservando ognuno di noi con un'espressione truce ed infastidita, quasi cercasse di fulminarci uno alla volta.
"Oh Santo Cielo..." mormorò Emma dietro di me, probabilmente dando voce allo sgomento generale. Ognuno in quel palazzo sapeva la sua storia, e ognuno la ignorava allo stesso modo, perché lui non si era mai degnato di raccontarcela. Era l'emblema della riservatezza, ma credevo fermamente che il suo atteggiamento sfociasse ampiamente nella maleducazione.
Il silenzio generale si dilatò e mi ritrovai inspiegabilmente a fare mezzo passo indietro - dato che ero quello che a conti fatti gli stava più vicino - e deglutii nervoso. Lui continuava ad osservarci contrariato, da dietro la sua spessa montatura quadrata, aggrappato ancora al legno della porta, quasi volesse sgretolarlo con le mani. E finalmente, dopo attimi che parvero infiniti, parlò. E sentire la sua voce fredda e autoritaria fu davvero raggelante
"Qualcuno sa spiegarmi il perché siete tutti qui davanti alla mia porta a produrre rumore e ad invadere la mia personalissima tranquillità?" domandò secco spostando solennemente lo sguardo da uno all'altro. Quando si posò su di me feci un altro mezzo passo indietro. Neanche a dirlo, nessuno trovò il coraggio di parlare, forse eravamo tutti troppo scossi ancora: il nostro vicino misterioso aveva appena mostrato la faccia finalmente e avevamo capito tutti quanti nello stesso momento quanto poco ci piacesse e quanto scarsamente educato e gentile potesse essere. Sinceramente avrei preferito continuare a vivere nell'ignoranza.
"Allora? Nessuno risponde? Cos'è... tutto ad un tratto avete perso la vostra magica parlantina?" domandò avanzando appena con la sedia verso di noi. Con la coda dell'occhio vidi Rachel stringere di più la presa sulle spalle della figlia ed arretrare sensibilmente. Certo che era davvero strano l'effetto che la sua vista avesse prodotto su di noi: ammutoliti ed immobili come mummie. E dire che aveva ragione: fino a poco prima eravamo allegri e pimpanti, tutti immersi in tranquille conversazioni.
Che poi... si può davvero dire che stessimo facendo casino? In fondo non sono neanche le nove, Abrams.. non ti sembra di esagerare?...
All'improvviso Blaine alla mia destra avanzò verso di lui, emergendo dalla piccola folla e facendosi vedere ed io trattenni inconsapevolmente il fiato. Ecco chi si sarebbe fatto avanti per parlare. Chi si sarebbe immolato per la patria - o meglio, per il condominio. L'unico che a conti fatti non conosceva Abrams, l'unico che non provava timore.
L'unico incosciente del gruppo...
E per fermarlo, ormai era troppo tardi.
"Immagino sia colpa mia..." esclamò con un sorriso cordiale - Oh Blaine, il tuo sorriso questa volta non servirà proprio a niente! - facendo un gesto di scuse con le mani. Abrams alzò un sopracciglio, congiungendo in grembo le mani
"E tu saresti?" domandò atono e fin troppo arrogante. Mi sarebbe venuta voglia di prenderlo a schiaffi, così.. davanti a tutti, solo per essersi rivolto a Blaine in quel modo. Repressi la tentazione perché proprio non mi sembrava il caso. Blaine sussultò appena per l'aprezza del tono, ma si riscosse subito porgendogli la mano e rivolgendogli un altro dei suoi sorrisi magici
"Blaine Anderson... abito al quarto piano da poco ma..." e Abrams non solo non si sporse per stringergli la mano, ma lo congelò, alzando appena la voce per sovrastare la sua
"Immaginavo fossi l'affittuario della casa dell'avvocato Fabray... dopo la figlia viziata ed opportunista solo ad uno come te poteva dare il suo appartamento!" sentenziò guardandolo dalla testa ai piedi con aria sufficiente. Mi si gelò il sangue. Uno come lui? Ma che diavolo...
"Prego?" domandò Blaine piegando appena la testa di lato, all'improvviso guardingo e per niente sorridente e cordiale come poco prima. Abrams - che poi come diavolo si chiamava di nome quel tizio? - lo ignorò tornando a concentrarsi su di noi. Su tutti e su nessuno in particolare.
"Dunque, dato che, a quanto pare, sembra che nessuno prima d'ora si sia sprecato nel rendervi note le regole della corretta convivenza civile, credo tocchi a me farlo, per quanto la cosa, ve lo dico da subito, mi infastidisca terribilmente!" esclamò aspro sollevando appena la testa, ancora più autoritario di prima. Sgranai gli occhi, senza parole
"Convivenza civile?" domandò Finn, forse trovando il coraggio per parlare, dopo che il ghiaccio era stato rotto da Blaine. Gli occhietti di Abrams si spostarono fulminei su di lui e devo dire che mi sorprese non poco la reazione di Finn: deglutii vistosamente e sbiancò. Un ragazzo alto due metri che sbianca di fronte ad un altro bloccato sulla carrozzella. Era davvero il colmo.
"Sì, Hudson... convivenza civile. E credo proprio che tu sia il primo tra queste bestie non civilizzate ad averne bisogno!" mormorò secco, accennando un sorriso tirato. Un sorriso che metteva i brividi. Aspetta un attimo.. ci aveva davvero chiamati... bestie non civilizzate? Ma dico, eravamo pazzi?
"Adesso basta... credo tu stia esagerando, Abrams!" esclamò William avanzando di qualche passo per fronteggiarlo. Il ragazzo lo guardò con eccessiva sufficienza, quasi cercasse di ricordarsi il suo nome, ma alla fine ridacchiò e non c'era la minima ilarità nella sua risata.
"Esagerando?" domandò scandendo con calma ogni sillaba "No, non credo proprio!" e scosse la testa lentamente. Metteva una certa ansia addosso, ma d'altronde quello lo avevo già immaginato prima di avere il dispiacere di incontrarlo di persona. Un uomo che viveva da solo, isolato nel suo appartamento e che tagliava fuori volutamente il meraviglioso e soleggiato mondo.. doveva per forza essere una persona disturbata... e in quel momento ne stavo avendo la prova.
"Potrei fare, per ognuno di voi, un lungo elenco di trasgressioni e/o atteggiamenti altamente reprorevoli sui quali in questi anni ho lasciato scorrere pazienza e silenzio. Ma adesso, dopo oggi... beh, credo sia il momento di dire basta!" la sua voce tornò fredda, quasi fin troppo dura e velenosa. Ed io mi ritrovai inspiegabilmente a tremare. Ero intenzionato a fare un altro mezzo passo indietro, fino a nascondermi dietro la schiena di qualcuno - magari di Finn, almeno si sarebbe reso utile una volta tanto - ma non ce ne fu bisogno, perché Blaine pensò bene di muoversi al mio fianco e sfiorarmi - non so se in maniera voluta o se per caso - la mano con la sua. E quel contatto, che mi provocò una scossa elettrica da diecimila volt, fu meglio di qualsiasi altra precauzione potessi prendere.
"Sentiamo allora.. sono davvero curioso!" lo sfidò ancora William e a me sarebbe venuta voglia di prenderlo a schiaffi. Che si metteva a fare? Lo provocava? Si rendeva conto che su quel pianerottolo c'erano ancora una bambina di quattro anni - che forse stava vivendo un'esperienza ben più traumatizzante della corsa bloccata in ascensore - e tante donne indifese? Gli scoccai un'occhiataccia, sicuro che tanto, oltre a me, alle sue spalle, lo stessero facendo anche tutti gli altri, inclusa sua moglie.
Abrams, piacevolmente sorpreso, accennò mezzo sorriso - il sorriso del diavolo - e dopo un sospiro iniziò a parlare
"D'accordo allora... da dove iniziare?" fece un giro con gli occhi in mezzo a noi fino a fermarsi su qualcuno alla mia destra. Seguii il suo sguardo e vi trovai la povera Tina, immobile e pallida, ancora con i postumi dell'attacco di claustrofobia di poco prima, che in quel momento si ritrovò a sussultare sotto lo sguardo pressante di Abrams e si schiacciò maggiormente contro la grata dell'ascensore. Per assurdo, immaginai che per lei fosse stato meglio rimanere ancora bloccata in quel aggeggio piuttosto che essere la prima a subire le ire di Abrams
"Dunque, mia cara ed insulsa Tina... tu e le tue stupide piante avete seriamente messo a dura prova la mia pazienza negli ultimi anni... e gradirei pertanto che, la prossima volta che ti trovi ad innaffiarle, la loro sudicia acqua non colasse sulle mie imposte. Perché non so se te ne sei accorta, ma avrei qualche problema ad alzarmi da questa sedia per poterle ripulire!" esclamò acido e petulante. Dio, avrebbe davvero passato al setaccio ognuno di noi per farci una sfuriata? A me cosa avrebbe detto?
Tina non rispose, colorandosi sulle guance ed abbassando la testa, fino a nascondere gli occhi dietro la frangetta scomposta.
Maledizione.. alla fine non rimarrà nessuno di noi...
Il suo sguardo passò impassibile dall'altro lato del pianerottolo fino a fermarsi su Rachel che ricambiò lo sguardo con altrettanto odio, e strinse ancora di più a sé Lea, che alzò gli occhietti confusi su di lei
"Rachel Berry..." mormorò lui piegando la testa di lato ed indugiando appena con lo sguardo sulla piccola Lea
"Abrams!" rispose lei ad eco
"Ignoro quali siano le reali motivazioni che hanno spinto una ragazza della tua età a ritrovarsi già madre di una bambina così grande... e sinceramente non mi interessano!" esclamò sorridendo falso come una banconota da tre dollari ed avvertii chiaramente lo stomaco torcersi per il ribrezzo.
"Ma permettimi di ricordarti che qualsiasi cosa tu abbia dovuto sopportare per colpa sua, questo non ti giustifica e non ti esonera dall'impartirle la giusta educazione!" sentenziò stringendo i pugni sulle gambe e assottigliando lo sguardo. La reazione da parte nostra fu di generale sgomento, ma quella di Rachel.. no, la sua reazione fu rabbia nera allo stato puro
"Ma come osi, tu razza di..."
"La sento gridare ad ogni ora del giorno, non contando tutte le volte che l'ho perfino sentita piangere durante la notte alla disperata ricerca di chissà cosa che tu ovviamente ignoravi. Io personalmente non ho nulla contro i bambini, ma se c'è una cosa che non sopporto è la maleducazione... e credimi, Berry... tua figlia è davvero molto maleducata!" il suo tono era qualcosa di indescrivibile. Come diavolo faceva a parlare di una bambina di quattro anni in quel modo? Come faceva a rivolgersi ad una donna usando tale cattiveria? E poi cosa diamine si stava inventando? Io avevo l'appartamento di Rachel esattamente sotto il mio ed ero senz'altro più vicino rispetto a lui, e mai avevo sentito la bambina gridare, soprattutto di notte. Si potevano trovare tante cose che nella vita di Rachel Berry non andavano per il verso giusto, ma il fatto che non avesse insegnato l'educazione a sua figlia o che di conseguenza non fosse una buona madre, non rientrava affatto in una di queste. 
"Ritira immediatamente quello che hai detto!" lo minacciò lei, scostando la figlia per avvicinarsi, ma la bloccai in tempo, prima che si avventasse su di lui, livida in volto e tremante di rabbia. Provò a divincolarsi ma Blaine venne in mio aiuto e la strinse allontanandola, mentre lei gridava ogni tipo di improperi verso lo squallido sentenziatore che in quel momento sogghignò
"Certo.. questo spiega tante cose in effetti!" mormorò indicandola per poi scuotere la testa e spostare la sua attenzione verso qualcun altro. Su Finn in particolare
"Hudson... come ti ho detto tu sei il peggiore tra tutti... sei rumoroso, sciocco e maldestro... e non hai il minimo pudore... e ne ho avuto la conferma stasera, dato che te ne vai tranquillamente girando per il palazzo mezzo nudo, sventolando davanti all'intero condominio le tue assurde ed infantili mutande disegnate!" sputò acido facendo impallidire il povero Finn, che riacquistando un pò del suo pudore, si allungò la maglietta sulle gambe, per coprire i boxer colorati. Ok, avevo anche io avuto da dire qualcosa sul suo abbigliamento prima, ma di certo non avevo usato tutta quella cattiveria, né tanto meno gli avevo dato dello sciocco. E perché diavolo non reagiva? Perché rimaneva in silenzio a subire? Lui probabilmente era l'unico che poteva sperare di incutere un pò di sano terrore in quell'uomo sulla sedia a rotelle, eppure rimaneva fermo, immobile con la sua t-shirt quasi del tutto slabbrata ormai, ad incassare insulti al cherosene. E la cosa peggiore fu che sapevo perfettamente che prima o poi sarebbe arrivato anche il mio turno
"E poi ovviamente abbiamo la nostra famigliola felice... i coniugi Schuester... con i loro parenti ficcanaso ed insolenti dagli assurdi capelli rossi e il rubinetto della loro cucina sempre aperto a scorrere e consumare acqua. Mi chiedo cosa diavolo ci facciate e quanto siano alte le vostre bollette! Immagino sia davvero un tormento per voi sopportare un pò di polvere o di sporcizia, dico bene?" provocò apertamente la povera Emma che boccheggiò sconvolta.
Sapevo perfettamente che lei soffrisse di qualche disturbo, una qualche forma di fastidio cronico verso lo sporco, gli acari e quant'altro, ma nonostante questo con me, quella donna era sempre stata magnifica. Sempre con un dolce sorriso sulle labbra fin dal primo giorno in cui aveva bussato a casa mia con un piccolo cesto di muffin e dei graziosi guantini colorati alle mani. Era stato in quel momento che avevo iniziato a capire quale fosse il suo problema, ma nonostante questo le avevo sorriso calorosamente, le avevo stretto la delicata mano con la mia e l'avevo perfino invitata ad entrare per un thé, e la successiva mezz'ora mi aveva fatto conoscere una persona splendida, umile ed innamorata follemente del suo uomo, che ci aveva poi raggiunto circa mezz'ora dopo. E Abrams stava davvero giocando sporco in quel momento tirando fuori la storia dell'acqua e della sporcizia. Perché evidentemente sapeva e se sapeva, allora era davvero un grande stronzo. Ed Emma non se lo meritava
"No, Abrams, questo non te lo permetto!" intervenne allora Will scaldandosi, ma lui al contrario di Rachel, forse perché era effettivamente più maturo e di natura più pacato e tranquillo, non scattò verso di lui, si limitò a minacciarlo con un dito teso e il volto contratto in una smorfia di fastidio. Abrams sollevò un sopracciglio, sfidando apertamente il povero Will, magari sperando che facesse qualche gesto avventato: a conti fatti, da qualsiasi punto di vista si osservava la situazione, sarebbe comunque stato un uomo alto e forte, contro un ragazzo magro e disabile e neppure la migliore corte statunitense avrebbe parteggiato per William Schuester. Così lui inghiottì il rospo e si limitò a raggiungere la moglie ancora sconvolta e stringerle un braccio attorno alle spalle, protettivo.
Gli occhi di Abrams si spostarono finalmente su di me, ma con mia grande sorpresa, riuscii a tenergli testa, fulminandolo a mia volta
"Coraggio.. sputa fuori la tua sentenza!" lo sfidai "Sono proprio curioso di sentire cos'hai da dire!" lui sussultò appena, perché forse non si aspettava reagissi in quel modo e a dirla tutta neanche io me lo aspettavo. Forse avevo preso coraggio dopo tutte le insulse critiche che avevo sentito negli ultimi minuti, per tutte le reazioni che c'erano e non c'erano state, per la bile che sentivo premere in gola, o forse per quella calda e morbida mano di Blaine che continuava a sfiorare la mia quasi fosse una piuma ad accarezzarmi
"Se speri che mi renda ridicolo, tirando in ballo la tua sessualità, ti sbagli di grosso, Hummel... per me sei libero di portarti a casa chi ti pare!" mormorò stringendo appena gli occhi ed io sollevai un sopracciglio sorpreso e scettico. Portarmi a casa chi mi pare? Ma per chi diavolo mi aveva preso?
"Ma una cosa che mi infastidisce profondamente c'è, e riguarda quell'energumeno rozzo ed infantile del tuo ragazzo!" sputò velenoso protendendosi appena verso di me. Sbiancai di colpo, avvertendo il cuore nel petto rallentare la sua corsa. Il mio... cazzo, David!
"Gradirei che tu gli facessi presente che il parcheggio per disabili qui sotto, non è riservato alla sua macchina, per quanto mi rendo conto che lui rientri perfettamente nella categoria di persone soggette a disturbi della psiche, ma... per quanto mi riguarda, la sua fottuta automobile può anche parcheggiarla nel culo gigantesco che si ritrova. E quando ti capita fagli i miei più vivi complimenti per la sua vivida e solenne educazione: non ricordo esattamente quali siano stati i colorati insulsi che mi ha rivolto la prima ed unica volta in cui mi sono permesso di farglielo presente, ma... ti assicuro, Hummel, che erano davvero molto variegati e fantasiosi!" e mi rivolse un sorriso tirato ed acido che mi fece arrossire fino alla punta delle orecchie. David parcheggiava l'auto nel posteggio riservato ai disabili? Mmm chissà perché non faticavo a crederlo: tipico di lui in effetti. E perché diavolo dovevo prendermela io la ramanzina per lui, per la sua sfacciata maleducazione, per la sua arroganza, per la sua innata presunzione?
Dio...
"E per finire... ci sei tu..." il suo sguardo acido e superiore si spostò su Blaine che trattenne il respiro ed io lo feci insieme a lui
"Blaine Anderson!" biascicò studiandolo attentamente dalla testa ai piedi, quasi avesse davanti un assassino o un qualsiasi altro tipo di delinquente. E quella sua presunzione mi fece rivoltare di nuovo lo stomaco per la rabbia
"Ci mancavi soltanto tu per completare l'allegro condominio... devo dire che adesso siamo davvero al completo!" constatò congiungendo di nuovo le mani in grembo. Blaine al mio fianco ridacchiò, cogliendo tutti alla sprovvista
"Fatti sotto, amico... puoi dire tutto quello che ti pare... le tue frasi da perfetto cattivo da film degli anni trenta, faranno paura agli altri, ma non a me. Quindi... colpisci pure!" esclamò, quasi divertito, incrociando le braccia al petto e rimanendo in attesa. La sua tranquillità mi fece quasi sorridere. Non lo stava sfidando come avevo fatto io, ma stava optando per una strada molto più sottile: lo prendeva deliberatamente in giro e quello parve fare ancora più effetto. Abrams tremò appena, livido di rabbia e quando parlò la sua voce si fece ancora più alta e cattiva
"Fai poco lo spiritoso, ragazzino viziato ed insolente. Tu sei proprio la classica persona che io detesto: il tuo bel faccino pulito non mi incanta, sai? Lo sento, che tutte le notti torni tardi, alcune volte all'alba, magari ubriaco fradicio o fatto di chissà quale sostanza illegale, dopo esserti divertito a spendere in qualche squallido bar i soldi che il tuo adorato paparino ricco ti spedisce ogni mese. É comodo vivere alle spalle degli altri, non è vero? Con qualcuno che lavora al posto nostro mentre noi siamo liberi di divertirci ogni sera in un modo diverso. Beh sei capitato nel quartiere sbagliato, Anderson... quelli come te dovrebbero prendere casa nel Bronx e non a Manatthan, tra la gente che si fa il culo così ogni giorno per sopravvivere!" inveì concitato contro di lui, mentre una inquietante vena gli si gonfiava sul collo ed assumeva gradualmente una tinta sempre più marcata di rosso. E fu lì, in quel momento, su quel pianerottolo, insieme ad altre sette persone ammutolite e scioccate, che io, Kurt Hummel, dopo un'intensa giornata di lavoro, una discussione con il mio ragazzo maleducato e una scioccante visione delle mutande di Finn Hudson, non ci vidi più.
"Cosa cazzo ne sai tu? Cosa sai tu della sua vita, della nostra vita, se l'unica cosa che riesci a fare nella tua è startene chiuso come un appestato in questo squallido appartamento buio, lontano dalla civiltà senza un solo valido motivo per farlo? E credimi, avrai anche passato le peggiori cose del mondo, ma non sei nessuno per giudicare noi... per giudicare un ragazzo di venticinque anni che si sveglia ogni mattina alle quattro, probabilmente mentre tu progetti la conquista del mondo o Dio solo sa cos'altro, per andare a lavorare, per andare a guadagnare quei soldi che il suo paparino non ricco non può affatto mandargli. E non sorprenderti se torna tardi la sera per dormire alla fine soltanto un paio di ore a notte, perché l'alcool non c'entra un bel niente.. lui e.. noi, al contrario tuo, viviamo... mandiamo avanti le nostre vite come è giusto che sia e di certo sento che nessuno di noi ha mai fatto qualcosa di tanto grave da meritarsi tanto odio e disprezzo da parte tua.. da parte di un ragazzo cattivo ed arrogante che l'unico lusso che si permette nella sua vita è quello di sparare a zero sulle persone senza averle mai conosciute o aver provato a farsi conoscere a sua volta. Quindi scusami, mio caro Abrams, se adesso non riesco più a stare zitto e sento l'incontenibile desiderio di parlare e buttarti in faccia finalmente dopo cinque anni tutto quello che ho trattenuto verso di te!" dissi con un solo lungo fiato, probabilmente diventando rosso a mia volta ed avanzando di qualche passo, mentre la paura verso di lui e la sua maledetta aurea negativa, sparivano di colpo. Ne avevo abbastanza di lui, della sua voce, delle sue insinuazioni, della sua fastidiosa saccenza. Adesso avrebbe dovuto tacere ed ascoltarmi. Perché quello che avevo da dire non riuscivo più a trattenerlo.
Lui sbiancò di colpo, finalmente colpito e senza riuscire a replicare. Avvertivo uno strano moto di orgoglio misto a furia cieca attraversarmi il petto e tutto il coraggio che avevo nascosto, venne fuori, assieme alle parole
"Le vedi tutte queste persone, Abrams? Queste sono uomini e donne straordinari che io, al contrario tuo, ho avuto modo di conoscere e potrei stare qui sino a domani mattina ad elencare per ognuno di loro le cose migliori che tu non potrai mai arrivare a capire!" esclamai infervorato e carico come una molla "Quella ragazza, per esempio..." ed indicai la povera Tina che sussultò appena spaventata "Quella ragazza è la persona più dolce ed educata che io abbia mai conosciuto. Non ha mai fatto male ad una mosca, nonostante abbia tutti i diritti di avercela con il mondo dato che per tutta la vita è stata costretta a fare i lavori più umili per tirare avanti, dato che a quanto pare viviamo ancora in una società razzista ed ipocrita e i suoi tratti orientali valgono più di qualsiasi curriculum vitae!" vidi chiaramente la povera Tina deglutire ed abbassare la testa imbarazzata. Sapevo quanti sforzi avesse fatto per trovare lavoro e quanti altrettanti ne facesse ogni giorno per mantenerlo, quindi doveva soltanto essere fiera di se stessa e sputare in faccia a tutti quelli che, come Abrams, la disprezzavano senza alcun valido motivo
"E vogliamo parlare di Rachel invece? Tu non hai idea di quale peso sia stato per lei portare avanti da sola una gravidanza all'età di vent'anni, eppure lei, senza chiedere l'aiuto di nessuno, ce l'ha fatta e sta crescendo sua figlia nel migliore dei modi, senza farle mancare l'affetto e le attenzioni che si merita... facendo alla piccola Lea contemporaneamente da madre e da padre. L'educazione per lei è sempre stata alla base di ogni cosa, te lo dice uno che la conosce quasi fosse una sorella, e ti assicuro che non ho mai sentito una sola volta Lea gridare durante il giorno o la notte... quindi suppongo che tu ti sia inventato questa assurdità!" feci con un gesto di stizza mentre Rachel mi guardava grata e appena commossa, prendendo in braccio la figlia per stringerla a sè.
Abrams continuava a starsene muto e immobile, con le mani giunte in grembo e la faccia livida
"E per quanto riguarda Finn... credimi la sua gentilezza e la sua purezza in ogni cosa che fa, compensano di gran lunga i ridicoli abiti che indossa in questo momento. Prima quando si è trattato di tirare fuori delle persone dall'ascensore, non ha esitato neanche per un istante... e credimi, sarebbe stato capace di azionare il meccanismo manuale anche da solo se fosse servito a qualcosa. Quindi permettimi di dirlo... Finn Hudson è tutto tranne che sciocco... è molto intelligente ma soprattutto ha un cuore enorme che tu non meriti di scoprire!" aggiunsi riacquistando lentamente una strana calma che, ammetto, faceva sinceramente più paura della rabbia di poco prima. Finn mi sorrise timido e mi fece un gesto imbarazzato, a mò di ringraziamento. Avevo davvero appena difeso un uomo di due metri? Ah però... ero forte dopotutto.
Abrams quella volta provò a parlare ma io alzai la mano e lo bloccai prontamente
"Non ho ancora finito!" gli feci presente secco e risoluto, lo stesso tono che aveva osato usare contro di noi fino a poco prima
Cosa c'è, amico... adesso che i ruoli si sono invertiti... non ti senti più a tuo agio?...
"William ed Emma invece, per quanto mi riguarda, sono l'emblema dell'amore e della perfetta coppia felice... io sinceramente non riesco a trovare niente che non va in loro, neppure nei loro parenti dai capelli rossi, come li chiami tu, perché se ti prendessi la minima briga di conoscerli li troveresti semplicemente un pò pazzi, ma estremamente gentili e simpatici!" e poi indicai Emma in particolare, mentre William la stringeva fiero tra le braccia "E quella donna... è dolce, è premurosa ed estremamente gentile con tutti... e credimi anche a me non piace vivere nella sporcizia, come tutti del resto, eccezion fatta per te probabilmente!" e gli rivolsi un sorrisetto acido indicando l'appartamento buio alle sue spalle. Avvertii chiaramente le risate distese di Finn e William mentre Rachel mormorava un "Prendi questa!" sottovoce.
Abrams sbuffò pesantemente ma non disse nulla, limitandosi ad alzare il mento in un gesto fiero e a sfidarmi con lo sguardo.
Oh, mio caro... mi hai istigato... adesso ti prendi tutte le conseguenze...
"Per quanto riguarda me... o il mio rozzo ragazzo... beh, quella probabilmente è l'unica cosa sulla quale posso darti ragione. Purtroppo a David mancano le più elementari forme di galanteria e buone maniere ma credimi che se mai dovesse tornare a farmi visita, gli dirò personalmente di venire in metro, oppure di parcheggiare la macchina da un'altra parte. Anche se sarei sinceramente curioso di assistere ad un'altra conversazione tra te e lui... immagino cosa ne uscirebbe dallo scontro di due teste dure come le vostre!" e sorrisi ancora, sempre più divertito, scatenando un'altra leggera ondata di risate, alle quali quella volta, si unirono anche Rachel e Tina. Blaine al mio fianco continuava a rimanere in silenzio.
"E per finire... ribadisco ciò che ho detto prima su Blaine... lui non è affatto l'ubriacone viziato che hai volgarmente descritto tu. É un ragazzo diligente e con la testa sulle spalle che ogni giorno, per citare le tue finissime parole, si fa il culo così con ben tre lavori diversi, che deve sopportare sacrifici immani per tirare avanti e che non ho mai sentito lamentarsi da quando lo conosco. Quindi, Abrams, mi dispiace per te ma il suo posto è esattamente questo e questo è il quartiere in cui si merita di abitare. Non so invece, se posso dire lo stesso di te, a questo punto!" mormorai stringendo gli occhi, mentre lui sbuffava con il naso e lentamente, cogliendo tutti alla sprovvista di nuovo, iniziò ad indietreggiare sulla sedia fino a chiudere sonoramente la porta, di nuovo rintanato nel suo personale rifugio militare.
Rimanemmo senza parole per alcuni secondi, io ancora carico di adrenalina e un pò deluso per il fatto che lui non mi avesse neanche dato la soddisfazione di rispondere - anche se immaginavo che, data la sua reazione, le mie parole fossero state particolarmente incisive ed inaspettate per lui. Poi però, Rachel pensò bene di rompere il nuovo silenzio sceso sul pianerottolo, con una calma quasi impressionante
"Emma... mi faresti un favore?" domandò ed io mi girai curioso a guardarla. Era stranamente allucinata e preoccupatamente vigile e attenta. Immaginavo fosse sul punto di fare qualcosa di molto sciocco, ma d'altronde.. come biasimarla? Io quella volta non l'avrei di certo fermata. Emma le si avvicinò e lei le passò la piccola Lea che si strinse perfettamente in braccio a lei
"Le copriresti un istante le orecchie, per piacere? Ho come il sospetto che quello che sto per dire vada contro ogni principio basilare dell'educazione!" mormorò, atrocemente divertita, mentre Emma confusa annuiva e tappava le orecchie della piccola come le era stato detto
"Rachel... cosa vuoi fare?" le domandò Finn spaventato, mentre lei avanzava spedita verso la porta ormai chiusa di Abrams. Prese un lungo respiro, dandoci le spalle e all'improvviso scattò: diede un forte calcio al legno della porta, provocando un profondo rumore quasi spaventoso, che fece tremare le griglie dell'ascensore e rimbombò in tutto il palazzo. Sgranai gli occhi scioccato mentre lei, indispettita, colpiva la porta ancora e ancora. Alla fine, dopo una lunga sfuriata di calci - almeno dieci - ed aver sensibilmente ammaccato il legno nella parte inferiore, diede un pugno altrettanto forte e gridò
"Fottiti Abrams... con tutto il cuore!" e soddisfatta girò i tacchi e ci sorrise
"Dunque... dove eravamo rimasti? Ah sì... stavamo dicendo che dovevamo festeggiare il salvataggio degli ostaggi dell'ascensore... a casa di chi la organizziamo questa cena?" e noi, neanche a metterci d'accordo, scoppiammo a ridere. Trascinando inconsapevolmente anche la piccola Lea, ignara dello sfogo della madre, che corse ad abbracciare la sua forte e coraggiosa Rachel Berry.

New York City. Ore 09.30 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)

Circa mezz'ora più tardi ci ritrovammo tutti insieme nell'appartamento di Kurt - dopo aver tirato a sorte tra tutti, escluso quello di Finn che, a detta del proprietario, era un vero inferno - per mettere su una cena alla meglio e festeggiare per essere sopravvissuti all'ascensore e alla sfuriata colossale all'arrogante Abrams del primo piano. Ancora stentavo a credere a quello che era successo su quel pianerottolo poco prima. Mi sembrava una specie di sogno oppure un incubo davvero molto divertente sotto molti punti di vista. E pensandoci, sarebbe stato carino rifarlo... certo, senza la storia degli insulti.
Avevo chiamato Puck, dopo aver recuperato un caricabatterie per il mio defunto telefono, e lui si era dimostrato fin troppo felice della mia assenza: a quanto pareva, Santana si era offerta di sostituirmi cantando sul palco e dalle urla e dagli schiamazzi che avvertivo in sottofondo, stava riscuotendo parecchio successo. Noah mi aveva perfino suggerito di non tornare più. In quel momento presi però la sua risata affettuosa come prova che stesse soltanto scherzando.
"Tutto bene?" mi chiese Kurt, materializzatosi improvvisamente al mio fianco, proprio mentre mettevo giù il telefono e scuotevo la testa divertito. Mi lasciai scappare una mezza risata
"Era Noah... a quanto pare la tua amica modella, minaccia seriamente la mia permanenza al pub!" esclamai
"Santana?" chiese confuso. Annuii e gli spiegai velocemente cosa mi aveva detto Puck e lui alla fine sembrò particolarmente sorpreso
"Non sapevo che Santana cantasse!" mormorò
"Credimi, è stata una fortuna che sapesse farlo, almeno la punizione di Puck sarà meno letale!" borbottai non riuscendo a nascondere un piccolo sorriso.
Lanciai un'occhiata al salotto di Kurt, affollato: c'erano William e la moglie Emma, Finn - che per nostra immensa fortuna, era andato ad indossare
una maglietta più civile ma soprattutto, un paio di pantaloni  - Tina che aveva finalmente riacquistato un pò di colore e perfino il sorriso e per finire c'erano Rachel e la piccola Lea, la quale in quel momento giocava allegramente con Cooper che Kurt mi aveva fatto prelevare dal mio appartamento.
"É una riunione di condominio... è giusto che ci sia anche lui!" aveva detto ed io ero corso a prenderlo, scatenando poi l'immensa gioia della bambina i cui occhi si erano riempiti di una luce magnifica che aveva perfino fatto commuovere sua madre.
Era davvero strano, perché la maggior parte di quelle persone le avevo conosciute meno di un'ora prima, ma mi ci trovavo già così bene, così a mio agio con ognuno di loro e poi... finalmente ero entrato nell'appartamento di Kurt... da quando abitavo lì, non era mai successo e a pensarci era davvero strano: abitavamo così vicini, ci eravamo legati molto, e poi... beh, era successo quello che era successo ed io non avevo mai visto casa sua. Dovevo dire che mi piaceva molto come aveva arredato tutto: era sobrio, elegante e molto ordinato - tutto il contrario di casa mia, per intenderci - e poi tutta quella gente metteva una strana allegria addosso, che non seppi spiegare. Emma si era proposta per cucinare qualcosa ed io mi ero subito offerto di aiutarla: stranamente tutti mi avevano guardato scettici e Finn aveva perfino detto che l'ultima volta che un uomo aveva cucinato per lui, aveva passato tutta la notte al pronto soccorso. Per mia fortuna, Kurt era venuto in mio soccorso ed aveva assicurato tutti che sapevo cucinare perfettamente, che lui stesso aveva provato e che era rimasto piacevolmente colpito. In quel momento non mi era sfuggita l'occhiata maliziosa di Rachel e il sorrisetto di Emma, ma provai ad ignorare per non mettere ancora di più in imbarazzo Kurt, già di colore scarlatto.
Che poi, se ci pensavo, quella era la seconda volta che venivo difeso da lui nella stessa serata, e di certo la prima era stata senza dubbio migliore della seconda: quell'Abrams mi aveva attaccato, accusandomi di essere un ubriacone ed un ragazzino viziato - io! - ma lui non era riuscito a sopportarlo e lo aveva attaccato in un modo che mai avrei immaginato. Certo, oltre a me aveva anche difeso tutti gli altri condomini, spendendosi in meravigliose parole per ognuno di loro, però... ripensare a quello che aveva detto su di me, ai suoi occhi seri e concentrati mentre inveiva verso quel ragazzo.. mi faceva stranamente e piacevolmente contorcere lo stomaco.
E non dimenticare che l'altro giorno ti ha riempito la porta di post-it...
Era la fame a farmi quell'effetto? L'adrenalina post-ascensore? La rabbia che lentamente defluiva dopo la scenetta squallida al primo piano? Oppure dipendeva da quel ragazzo dagli occhi color del cielo, che in quel momento mi guardava di sottecchi dal salotto, facendo finta di niente, mentre io ero intento a condire la carne per la cena?
La fame... sicuramente la fame...
"Dunque... in quanto adulto con più anni alle spalle rispetto a tutti voi altri... mi sento in dovere di alzare il calice per dire due parole!" esclamò William, alzandosi dal tavolo apparecchiato - sul terrazzo, neanche a dirlo - e sorridendoci. Ognuno di noi prese il proprio bicchiere e rimase in attesa. Si schiarì la voce e parlò
"Prima di tutto ringraziamo il proprietario di casa per averci ospitati tutti per questa magnifica serata... Kurt... hai una casa magnifica!" mormorò facendo un gesto verso di lui, che arrossì appena ma accettò i complimenti con un gesto del capo ed un sorriso radioso
"Grazie a voi per essere qui!" rispose e Rachel al suo fianco si sporse per abbracciarlo brevemente
"Secondo punto all'ordine del giorno.. questo cibo... io conosco la cucina di mia moglie e la raccomanderei volentieri e ad occhi chiusi ad ognuno nella contea, ma, Blaine..." fece un gesto vago verso la tavola che fece ridacchiare tutta la tavolata, incluso me "Ti conosco da poco e già penso di adorarti!" e qualcuno in fondo al tavolo applaudì - Tina, seguita dalla piccola Lea. Mi alzai per fingere un mezzo inchino
"Ti ringrazio William... e sai.. dopo che mi hai tirato fuori dalla cabina infernale... penso di adorarti anche io!" esclamai divertito, strizzandogli l'occhio "E adoro anche te Finn... quando... sei interamente vestito!" aggiunsi, facendo arrossire il ragazzone
e scatenando un'altra ondata di risate.
"Io credo proprio che da domani prenderò soltanto le scale!" affermò Tina scuotendo la testa, attraversata da un brivido di panico
"Siamo in due!" mormorai accodandomi e tornando a sedermi, neanche a dirlo, accanto a Kurt che mi sorrise e mi fece di nuovo torcere lo stomaco.
La fame... decisamente la fame...
"Detto questo immagino che tutti vi troverete d'accordo con me sul fatto di ignorare deliberatamente le critiche di un insulso ragazzino disturbato, e di dedicarci esclusivamente a noi, agli amici e ai nostri amori!" e accennò un sorriso verso Emma che ricambiò dolcemente. Kurt aveva ragione: erano l'emblema della coppia felice quei due e non riuscivo a non provare affetto ed un pò di invidia nei loro confronti. Istintivamente spostai gli occhi su Kurt, e mi sorpresi di ritrovarlo a scrutare la coppietta con una strana espressione pacifica ed adorante. Che lo stesso pensiero stesse attraversando anche lui?
"Buon appetito!" annunciò allora William risedendosi e decretando l'inizio della cena. Sospirai felice, accarezzato dolcemente dalla brezza leggera di New York, mentre una allegra conversazione tra Finn e Kurt, sull'importanza di indossare le giuste mutande in pubblico, ci allietava e ci faceva sorridere. Non ricordavo neppure quando era stata l'ultima volta che mi ero sentito così bene e rilassato. Probabilmente neanche durante una cena con Daniel e Sebastian era mai successo. E da cosa dipendeva?
Dal sorriso dolce di Emma che spiegava a Tina con cosa avesse fatto la salsa di condimento per l'insalata? Da Tina che avevo scoperto avere un sorriso timido ma molto tenero? Da William che si era mostrato cordiale e molto arguto mentre raccontava della sua classe di spagnolo all'università di Rhode Island? Da Finn che, passato l'imbarazzo per le mutande disegnate, si era preso Lea in grembo e le stava insegnando a piegare un tovagliolo di carta per formare una barchetta? Da Rachel che li osservava con gli occhi umidi e brillanti? Dal piccolo Cooper che saltellava e scodinzolava da una parte all'altra del terrazzo, abbaiando contro un paio di zanzare notturne? Oppure dal ragazzo bellissimo e con la risata cristallina che mi stava seduto accanto e che ogni tanto, forse involontariamente, sfiorava il mio ginocchio con il suo, scatenandomi i brividi per tutta la schiena? Aveva un profumo bellissimo ed io perché diavolo me ne accorgevo solo allora?
No, lo so da un sacco di tempo... ma solo ora è diventato talmente tanto esplicito da non poterlo più ignorare...
Mi agitai sulla sedia, urtando senza volerlo la sua coscia e avvampando all'istante. Lui si girò a guardarmi e mi fece uno strano sorriso per poi tornare a concentrarsi sulla conversazione gastronomica di Tina ed Emma. Avevo bisogno di alzarmi da quella maledetta sedia e soprattutto spostarmi da lui. Così mi alzai e chiesi timidamente di andare in bagno e lui dopo aver ridacchiato annuì
"Immagino tu sappia dove sia!" mormorò divertito facendomi arrossire ancora di più. Scappai letteralmente dentro l'appartamento e mi rifugiai in bagno, da dove le chiacchiere degli altri mi giunsero attutite. Sospirai lentamente passandomi una mano tra i ricci sconvolti e mi chiesi cosa diavolo mi stesse succedendo. Perché mi sentivo così strano e maledettamente agitato? Perché ero arrossito così intensamente e il cuore sembrava aver preso vita propria nel petto? Inspirai ed espirai un paio di volte per calmarmi e all'improvviso mi diedi dello stupido: ero nel bagno di Kurt, il ragazzo che sembrava destabilizzarmi e stordirmi come mai mi era successo prima, e stavo respirando la sua aria, il suo profumo che riempiva placidamente ogni angolo calpestabile della casa. Come pensavo di poter riacquistare la ragione se continuavo a vagare nel suo mondo, nella sua realtà? Dovevo allontanarmi, dovevo tornarmene a casa mia e pensare finalmente a cosa mi stesse succedendo.
Mi guardai distrattamente allo specchio: lo avrei fatto? Avrei trovato il coraggio?
Frustrato al massimo recuperai il telefono dalla tasca dei jeans ed inviai velocemente un messaggio. C'era solo una persona che in quel momento poteva aiutarmi
*Cosa succede se ti rendi conto che non sei più padrone delle tue reazioni e soprattutto del tuo cuore, mentre sei davanti ad un'altra persona?*
inviai con un sospiro e rimasi in attesa. Scrutai lo spazio, finemente arredato, gli asciugamani verde acqua appesi un pò ovunque, le spazzole sulla mensola dello specchio, l'armadietto semi-aperto dal quale si intravedevano decine di creme e prodotti per la cura estetica, carta igienica con le margherite - Dio, Kurt.. fai sul serio? - e cosa più importante... la sua cabina per la doccia. Senza pensarci mi avvicinai lentamente al vetro opaco e scrutai all'interno: come avevo immaginato su una piccola mensoletta all'interno c'era un flacone di bagnoschiuma pieno fino a metà. Deglutii, lanciando scioccamente un'occhiata verso la porta chiusa e allungai la mano per prenderlo. Me lo rigirai più volte tra le mani - muschio bianco e talco - e fu quasi uno shock vedere come fosse relativamente facile per il mio pollice scivolare fino in cima e sollevare il tappo e quanto ancora più facile fosse per il mio naso avvicinarsi ed inspirare.
Cazzo se è buono...
Il familiare cinquettio del telefono mi fece sobbalzare così il bagnoschiuma mi cadde per terra in un rumore sordo e maledettamente colpevole, per mia fortuna senza fare danni. Lo rimisi al suo posto, lanciando un'altra occhiata alla porta ancora chiusa e mi affrettai a controllare il messaggio appena arrivato
*Significa che sei atrocemente fottuto!*
Deglutii a vuoto, improvvisamente la gola secca. E in preda al panico mi passai di nuovo la mano tra i capelli, liberandomi del telefono - sarebbe stato meglio lasciarlo spento! - e lavandomi le mani in fretta e furia per ritornare sul terrazzo con gli altri.
"Eccolo che torna dalla sua missione segreta!" esclamò Finn, notevolmente più gioviale rispetto a prima, facendo ridacchiare tutti quanti e arrossire me. Gli rivolsi un mezzo sorriso dopodiché tornai a sedermi accanto a Kurt che mi guardò con un sorriso curioso e maledettamente dolce
Sei atrocemente fottuto...
La serata trascorse abbastanza tranquilla, fino a che Lea non si addormentò in braccio a Finn e allora Rachel decretò giunta l'ora per ritirarsi. Ci fu il momento per i saluti calorosi e vivaci di tutti: Finn mi abbracciava stritolandomi quasi; William con una pacca amichevole mi invitava a passare da loro qualche volta per mettere ancora alla prova la mia cucina; Tina mi aveva ringraziato ancora calorosamente con un profondo inchino per averla distratta in ascensore durante il suo attacco di claustrofobia; Emma mi sorrideva e mi stringeva la mano con la sua, perfettamente fasciata da un guantino colorato molto grazioso; e per finire Rachel, con in braccio la piccola Lea, che si era avvicinata per darmi un bacio sulla guancia e si era attardata per sussurrarmi all'orecchio
"Credo proprio che Kurt abbia bisogno di una mano per lavare i piatti.. ci pensi tu?" e mi strizzò l'occhio, facendomi di nuovo arrossire. Ma nonostante tutto, rimasi davvero, mentre Kurt richiuse la porta dietro la piccola folla appena uscita dal suo appartamento e lo guarai fisso, in piedi in mezzo al salotto con le mani nelle tasche dei jeans. Lui si girò verso di me e mi sorrise
"Davvero una bella serata, non trovi?" mi domandò sereno. Annuii
"Già... davvero una bella serata!" ripetei non riuscendo neppure a mascherare il fatto che fossi completamente incantato dai suoi occhi chiari e limpidi. Rimanemmo a guardarci a vicenda per un lunghissimo istante, senza dire nulla, senza neppure muoverci. Ma alla fine ci pensò Cooper a risvegliare entrambi, perché quella piccola peste pelosa iniziò ad abbaiare insistentemente verso una lampada del soggiorno e vi si avventò contro, facendola cadere
"Cazzo Cooper!" lo sgridai rincorrendolo immediatamente, ma lui fu più veloce e si fiondò sotto il divano per nascondersi
"Sei un combina-guai... quante volte devo dirti che non si aggrediscono gli oggetti di arredo? Che figura mi fai fare?" lo sgridai ancora, accucciandomi sul pavimento per cercare di tirarlo fuori da sotto il divano ma lui abbaiò testardo e si spostò tranquillamente più in fondo. Ringhiai infastidito, chiudendo gli occhi. Quel cucciolo era impossibile. Da quando era diventato così disobbediente? La risata di Kurt mi colse di sorpresa e mi fece tremare lo stomaco. E per fortuna gli davo le spalle
"Non sgridarlo, Blaine... non ha fatto niente di terribile!" mi ammonì divertito, rimettendo la lampada al suo posto e come se avesse capito, Cooper abbaiò in risposta
"Con te facciamo in conti dopo!" borbottai per poi risollevarmi e fronteggiarlo di nuovo. Bene, adesso nessun cucciolo imbranato ci avrebbe distratti. Eravamo solo io e lui. Io, lui e il suo profumo di talco e muschio bianco. Io, lui e i suoi occhi azzurri. Io, lui e la maledetta voglia di baciarlo.
Sei atrocemente fottuto...
"Ehm... bene.. io ecco... sarà meglio che vada a liberare il tavolo e fare i piatti se non voglio ridurmi a farlo domattina..." esclamò con mezzo sorriso timido e le guance leggermente rosse, quasi avesse corso. E fu lì, che dopo tutta l'ansia e la frustrazione accumulate, i suoi continui sfioramenti con il ginocchio, il bagnoschiuma, il messaggio di Sebastian, la battuta di Rachel, i disastri di Cooper e i suoi maledetti occhi luminosi e attenti, mi ritrovai a parlare, ancora una volta prima di aver seriamente pensato.
"Ti do una mano io!"
Sì... sono decisamente e atrocemente fottuto...

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Capitolo 22
*** Rompere gli schemi ***


Buon Lunedì a tutti e buon inizio settimana e... buon giorno di aggiornamento ^^ Dunque, oggi non voglio parlare troppo (sì, dico sempre così e poi..) anche perché credo che molti di voi avranno letto lo spoiler e quindi saranno in ansia e vorranno leggere il capitolo, probabilmente non avrete neppure letto questa nota quindi io sto in pratica parlando da sola, ma va bene così XD però una cosa fatevela dire... questo capitolo va maneggiato con cura e la direzione declina ogni responsabilità sulle eventuali reazioni che potreste avere (svenimento, vomito, voglia incontrollata di uccidere l'autrice) ricordate solo che io una sono, e se mi uccidete... beh, niente storia ^^. Buona lettura angeli miei e come sempre... vi ringrazio dal profondo del mio piccolo cuore <3
p.s. Questa immagine ha fatto furore... e la mia adorata Dan ci ha messo l'anima e si vede... ehhh.. dall'essere un'immagine senza senso è diventata un altro piccolo capolavoro ed io ormai non ho più parole per cui... GRAZIE DAN <3
n.b. I soliti contatti: pagina Facebook (Dreamer91) raccolta Missing Moments (Missing Moments)...





New York City. Ore 11.39 P.M. 06 Aprile 2012 (Venerdì)

Mani che corrono veloci e bocche che si cercano e corpi che scivolano ardenti e passionali l'uno sull'altro. Un piacevole calore che si irradia dal basso per via del continuo sfregamento e ancora le labbra che si chiudono morbide sul collo, per succhiarlo e marchiarlo, mentre altre labbra si aprono in contemporanea per emettere soffici ed erotici gemiti profondi. Dio, che piacere indescrivibile e che suoni meravigliosi. Ma sono io ad emetterli? Oppure è qualcun altro? Ah, ma chi se ne frega... sono meravigliosi ed armonici e questo mi basta per adorarli. Sento il calore al ventre aumentare a dismisura, quasi fosse un autentico crescendo, quasi andasse semplicemente in un'unica direzione, verso l'alto, verso la soddisfazione, ed io sento di volerla raggiungere, sento di voler raggiungere il culmine e sento di volerlo fare assieme a colui il quale si sta muovendo in sincrono con me, assecondando le mie spinte ed i miei gemiti. Ma proprio mentre mi sento sempre più vicino ad esplodere, ecco che sposto lo sguardo fino ad incrociare i suoi occhi, le pupille dilatate per l'eccitazione e il piacere fin troppo vicino, e proprio in questo momento mi rendo conto che quegli occhi sono davvero di uno strano colore... troppo simile.. all'oro...
"Kurt... hai capito quello che ti ho detto?" una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare e il piatto che stavo lavando distrattamente, mi cadde nel lavandino facendo un baccano assurdo ma per fortuna non si ruppe. Mi girai verso la voce e lì trovai gli stessi occhi dorati del mio momentaneo sogno ad occhi aperti e di conseguenza arrossii violentemente.
Cazzo...
"Ehi.. tutto bene?" mi chiese avvicinandosi e posando sul ripiano accanto a me i bicchieri sporchi. Io strinsi con forza il labbro tra i denti e recuperai il piatto per riprendere a tenermi occupato con le mani e la mente
"C-certo!" borbottai incerto, facendomi rabbia per la mia stupidità che non aveva né limiti né tanto meno pudore. Cosa cazzo mi mettevo a pensare? Su cosa fantasticavo? Su me e.. Blaine.. nudi insieme a... Dio...
"Dove posso metterla l'insalata che è avanzata?" mi chiese mentre vagava per la cucina con la ciotola tra le mani. Le sue mani... me le ricordavo perfettamente addosso a me, sulla mia pelle, ed erano così calde e morbide, quasi fossero un guanto di velluto e la cosa più eccitante di tutte era che scorrevano senza sosta su e giù, su ogni parte del mio sensibilissimo corpo...
"Su tutto il corpo!" sospirai beato, chiudendo appena gli occhi. Il silenzio attorno a me fu davvero troppo strano e mi fece scattare un campanello d'allarme nella testa: aspetta... cosa cazzo era successo?
Mi girai molto cautamente verso Blaine e quasi mi prese un infarto nel vedere la sua espressione: aveva gli occhi sgranati, e mi guardava quasi avessi appena detto chissà cosa di assurdo
Ma certo che ti guarda così, idiota che non sei altro... stavi pensando a te e lui nudi assieme, e tutto ciò che pensi ti si legge in faccia...
"Eh?" mi chiese confuso piegando la testa di lato
"Eh?" gli feci eco io, con la voce stridula, come quella di una ragazzina. Lui scoppiò a ridere indicando la ciotola che aveva tra le mani
"Strano posto per mettere l'insalata, non trovi?" domandò divertito per poi aprire il frigorifero e decidere infine di lasciarla lì dentro. Sbuffai tornando a concentrarmi sui piatti. Dannazione, che fine aveva fatto tutto il mio adorato autocontrollo e cosa diavolo mi era preso poco prima, quando mi ero messo a fantasticare così spudoratamente su di lui? Era la frustrazione sessuale a farmi quegli scherzi? Era il fatto che in fin dei conti David ed io, litigando costantemente, non avessimo neanche più tempo per.. scopare? Oppure dipendeva da lui? Dai suoi maledetti occhi cangianti e gioiosi che in quel momento erano fissi su di me - dannazione, li sentivo perforarmi la schiena - mentre io cercavo in ogni modo di ignorarlo. Era dal momento stesso in cui ci eravamo seduti uno accanto all'altro a tavola che avevo iniziato ad avvertire una strana scarica elettrica andare e venire direttamente dal suo corpo e a poco era valso il leggero ed occasionale contatto che avevo volutamente cercato attraverso i fugaci sfioramenti con le sue gambe sotto il tavolo. Anzi, a pensarci.. avevano solo peggiorato la situazione. Ed io mi sentivo letteralmente andare a fuoco. Avrei preferito che se ne fosse andato insieme a tutti gli altri, abbracciando il suo adorato cucciolo-vandalo, e lasciandomi a rimuginare solo nel mio piccolo incendio a cercare di spegnere magari da solo le fiamme. E invece ora lui si trovava a casa mia, nella mia cucina, praticamente da qualche parte dietro di me, intento a scrutarmi ed io avevo un fastidiosissimo  ed ingombrante problema in mezzo alle gambe che reclamava urgentemente la mia attenzione.
Dannato sogno erotico...
"Kurt... smetti di strofinare quel piatto.. è pulito e finirai con il consumarlo!" mi ammonì dolcemente allungando una mano verso il mio braccio e sfiorandomelo appena. Io per la sorpresa, sussultai e feci scivolare di nuovo il piatto nel lavandino, quella volta scheggiandolo. Perfetto, ci mancava solo quello. Da quand'è che ero diventato così maldestro? E perché diavolo sentivo la pelle bruciare dove la sua mano mi aveva toccato? Perché l'incendio non si era affatto spento, ecco perché.. anzi, divampava e acquistava intensità mano a mano che il tempo passava. E l'atmosfera si faceva sempre più insopportabile.
Morte per autocombustione... interessante...
Sentii Blaine sospirare lentamente al mio fianco, mentre si poggiava con un lato del corpo al mobile per trovarsi a pochi centimetri da me. Mi immobilizzai di colpo e smisi di respirare
"Mmm..
io e te però così non possiamo sperare di andare avanti!" mormorò quasi sconsolato, una nota di leggero panico nella voce. Io provai a girare gli occhi verso di lui, ma il massimo che riuscii a fare fu scorgere appena il profilo della sua fronte e qualche ciuffo riccio ribelle
Quei capelli... Ci passerei le mie mani seduta stante...
"Ah no?" feci io con la gola secca, anzi per rimanere in tema, letteralmente in fiamme
"No!" rispose lui in un sussurro roco. Mmm.. dovevo ammettere che faceva un certo piacere constatare che eravamo entrambi nella stessa situazione precaria. Forse allora l'elettricità e la tensione non li avvertivo soltanto io. E chissà se anche lui aveva qualche piccolo problemino alle basse sfere...
Kurt.. per carità di Dio.. cosa ti metti a pensare?... Ti rendi conto in che situazione assurda vi siete cacciati tu e il tuo amico vicino?...
Presi aria e finalmente chiusi il rubinetto e mi allungai ad afferrare un asciugamano. Dopodiché con altrettanta lentezza mi girai verso Blaine, imitandolo nella posizione e poggiai anche io un fianco al lavello. Ora eravamo davvero troppo vicini ed il mio corpo fremeva il contatto. Un solo piccolo centimetro in meno e lì sarebbe scoppiato l'incendio vero e proprio.
"Suggerimenti?" domandai con tono lascivo. Ma porco cazzo, cosa diavolo mi mettevo a fare? Lo provocavo? Flirtavo con lui? Buttavo benzina sul rogo?
Poi non ti lamentare se rimani scottato, Kurt...
Blaine sollevò un sopracciglio, piacevolmente sorpreso e accennò un sorriso
"Io un'idea ce l'avrei ma..." iniziò, indugiando, molto probabilmente di proposito, con lo sguardo sulle mie labbra. Me le umettai quasi inconsapevolmente, facendolo sussultare.
"Ma?" lo incalzai in un fremito. Ma quale gioco ci eravamo messi a fare? Eravamo entrambi vigili e all'erta, forse entrambi consapevoli di quanto fosse fine la corda sulla quale stavamo camminando in equilibrio. Ed ero sicuro che questa si sarebbe spezzata all'improvviso, mietendo un sacco di vittime. Lui si avvicinò impercettibilmente, sfiorandomi un ginocchio con il suo, e fu per me un'altra scarica diritta al ventre
"Ma... credo che il tuo fidanzato non gradirebbe!" mormorò con un sorriso mite, ma appena sporcato da qualcosa di più profondo e maledettamente eccitante. Era un sorriso sexy, maledizione e lui lo stava rivolgendo a me. E cosa diavolo c'entrava adesso David? Perché sbucava fuori nei momenti meno opportuni?
Cazzo... prima a telefono gli ho detto che lo avrei richiamato.. si incazzerà come una iena, me lo sento...
Inchiodai gli occhi ai suoi, e ne lessi perfettamente lo stesso tipo di desiderio che aleggiava nei miei, ma senza ombra di dubbio, fu la sua lingua a convincermi, quando lascivamente passò ad accarezzargli un labbro, lenta e maledettamente erotica, facendomi contorcere lo stomaco e non solo quello. E lì dichiarai iniziato il finimondo.
Mi sporsi verso di lui ed annullai la distanza, premendo freneticamente le labbra sulle sue in una ricerca particolarmente disperata di calore. E trovai esattamente ciò che tanto bramavo: il suo meraviglioso sapore, la cosa più sensuale, autentica, erotica e fottutamente piacevole del mondo. Non c'era niente e nessuno che lasciava addosso la stessa sensazione delle meravigliose labbra di Blaine Anderson. E Dio se sapeva come usarle. In quel preciso momento, le aveva appena dischiuse e mi aveva accarezzato il labbro inferiore con la punta della lingua, lingua che io con un gemito di benvenuto, accolsi allegramente. Era passata una settimana e, nonostante quello che fosse successo, la lite e i casini combinati da suo fratello, ci trovavamo nella stessa identica situazione: io che lo assalivo come un affamato e lui che mi assecondava. Sarebbe finita allo stesso modo? Aspetta... avevo nella credenza la farina per fare i pancakes?
Con un sospiro che mi accarezzò la guancia, si staccò appena, giusto quanto bastò per mormorare
"Occhio non vede... cuore non duole, no?" ed io mi concessi il primo vero sorriso spontaneo da quando era iniziata quella serata assurda e controversa.
"Mi hai tolto le parole di bocca!" risposi con la voce strisciata. Stavo proprio ridotto male se non riuscivo neanche più a parlare. Lui, ancora con un sorriso a stirargli le labbra perfette, si riavvicinò a me per baciarmi ancora, ma quella volta l'urgenza sembrò essere sparita del tutto: c'era intensità e passione e avvicinandomi maggiormente a lui e posando le mani sul suo petto, avvertii chiaramente il battito frenetico del suo cuore, sotto una di queste. Era una situazione surreale e ancora faticavo a capire come ci eravamo trovati per la seconda volta in una settimana a baciarci e desiderarci così tanto. Ma la cosa più assurda di tutte in quel momento era un'altra: si trattava del mio stato d'animo, del fatto che mi sentissi perfettamente a mio agio con lui, con le sue labbra sulle mie, le sue mani sui fianchi, una gamba tra le mie appena dischiuse, il suo profumo praticamente ovunque ed era davvero qualcosa che non riuscivo a spiegarmi: come potevo io, trovarmi così bene, anche se, a conti fatti, ci conoscevamo da così poco? Come avevo già notato la prima volta, la sensazione di perdersi e di ritrovarsi con Blaine era nettamente più piacevole, rispetto a quando ero con David. Con lui era tutto meccanico e asettico, non c'era il tempo per i baci, per l'ansia, per l'attesa, per le carezze rubate al di sotto dei vestiti, o per qualsiasi altra attenzione di questo tipo. Per David esisteva solo il sesso in sé, l'atto fisico nella sua crudele semplicità e tutto ciò che ci ruotava attorno e che lo rendeva così speciale, passava in secondo piano. La cosa più triste, era che per colpa sua anche io avevo iniziato a pensarla così. Per mia fortuna, la mia buona stella, aveva voluto piazzarmi un magnifico ragazzo sul mio stesso pianerottolo e aveva fatto in modo che questo ragazzo fosse attratto proprio da me.
Non so come, mi ritrovai schiacciato al lavello, con Blaine tra le gambe, schiacciato a sua volta addosso a me, mentre i nostri baci continuavano a surriscaldare l'atmosfera e a farsi sempre più umidi ed impazienti. Avevo avuto modo di constatare con estremo piacere quanto lui fosse bravo in quello che faceva - in ogni cosa - e quanto sapesse cosa e dove toccare e la maniera più corretta per farlo. Riusciva a farmi venire i brividi perfino con una semplice carezza, anche se era fatta con le punte delle dita. Per esempio in quel momento era impegnato a disegnare chissà quali immaginari girotondi sui miei fianchi, al di sotto della stoffa della camicia e per me, ogni giro, ogni segno, ogni dannato sfioramento, era una scarica di intenso piacere che ormai diventava incontrollabile. Senza neanche capire come, mi ero ritrovato a spingermi con i fianchi in avanti per cercare un pò di sollievo nel contatto con i suoi. Con mia grande sorpresa e gioia, avevo avuto modo di comprendere così, quanto simile fosse la nostra situazione sotto la cintura. E con un sorriso trionfante gli circondai la base della schiena con le mani per premerlo ancora più vicino, ma forse esagerai un pò perché la pressione fu davvero tanta e soprattutto inaspettata, tanto da farci gemere entrambi in maniera fin troppo esplicita.
Ops...
"Era da quando ci siamo seduti a tavola che bramavo di farlo!" mi disse allora lui, staccandosi dalle mie labbra per respirare, passando lentamente la punta del naso nello spazio tra l'orecchio e la punta della mascella. Sollevai un sopracciglio, piacevolmente colpito
"Ah sì? Ti riferisci.. a questo?" gli domandai con la voce roca e per provocazione ripetei il gesto incosciente di poco prima, che quella volta lo fece quasi piagnucolare direttamente nel mio orecchio
Dio... quel verso è senza dubbio più pericoloso del contatto intimo...
"Io invece... da molto prima... non appena le porta automatiche si sono riaperte!" confessai facendo lentamente salire le mani sulla sua schiena - ne sentivo perfettamente ogni singolo muscolo delineato e teso, e fu un piacere per le mie mani curiose e sensibili. Lui ridacchiò, una risata bassa e tremante, che io classificai come la cosa più erotica in assoluto, subito dopo le sue labbra e i suoi occhi. E proprio perché iniziavo a sentirne seriamente la mancanza, gli sollevai la testa, affondando le mani tra i suoi morbidi ricci, e finalmente riuscii a trovare il suo sguardo e contemporaneamente a perdermici dentro. Non avevo mai creduto a quelle persone che nei romanzi scrivevano quanto bello potesse essere lo sguardo di qualcuno, quanto immenso potesse essere il mondo che si cela dietro, quali cose meravigliose ci si possono trovare. Per me era alquanto impossibile leggere tutto quello in un semplice paio di occhi, per quanto ogni tanto ricordassi alla perfezione quanto dolci ed espressivi fossero gli occhi azzurri di mio padre.
Papà...
Ma lì era tutta un'altra storia. Non erano gli occhi paterni del mio genitore che mi guardavano, né tanto meno quelli dei romanzi inventati.. erano due iridi fatte di oro fuso, mescolato al caramello e a qualche pagliuzza di verde ed erano ricchi di riflessi e sfumature, di intrecci e congiunture che ispiravano tante di quelle cose, che perfino il narratore più esperto avrebbe trovato difficoltà a descrivere. A me, guardando quegli occhi, ora fissi nei miei, una sola parola mi arrivava in testa limpida e chiara in tutto quel tumulto di emozioni: desiderio. Sì, perché era desiderio allo stato puro quello che riuscivo a percepire in quello sguardo, ed era desiderio verso di me. Io, Kurt Hummel che mi ero sempre sentito desiderato al pari di una bottiglia di vetro, al pari di un cucciolo di pinguino, adesso, in quel preciso istante, in quella cucina - che da quel giorno, sarebbe diventata la mia stanza preferita - incollato a quel lavello, con quel magnifico e profumato ragazzo addosso e quegli splendidi capelli stretti tra le dita, avvertivo chiaramente il desiderio di Blaine per me, e fu la sensazione più meravigliosamente indescrivibile della mia vita.
Ci scambiammo un sorriso timido, e lui arrossì appena, cosa che mi fece riempire lo stomaco di una strana ma piacevole sensazione.
Sono farfalle quelle che sento svolazzare?...
Non ci fu bisogno di dire o di fare altro, ma un semplice cenno affermativo con la testa da parte di entrambi, decretò presa la nostra decisione: lo volevamo tutti e due, ed era inutile fingere o continuare a rimanere ancorati al lavello come due insulsi adolescenti. Eravamo adulti e consenzienti e avremmo volentieri spostato la "conversazione" in altre stanze della casa, ben più consone. Così gli lasciai i capelli e gli afferrai la mano facendolo spostare, purtroppo, dal mio corpo. L'unica cosa che mi trattenne dallo sbuffare contrariato fu il pensiero vivido e piacevole del suo corpo interamente nudo schiacciato sul mio. O sotto al mio, a seconda dei casi.
Mmmm... ora che ci penso...
Attraversammo il corridoio in un silenzio carico di aspettative, ma senza fretta né imbarazzo. Sapevamo perfettamente cosa stavamo andando a fare, perché ci eravamo già passati, ma evidentemente a nessuno dei due era bastata la prima volta. A me personalmente non ne sarebbero bastate dieci come la prima, ma ovviamente, in quel momento parlavo per colpa dei fumi dell'eccitazione, non ragionavo razionalmente. Arrivammo in camera da letto, ed una nota di panico mi colse si sorpresa: avevo il timore che, cambiato l'ambiente e sciolta appena la tensione da contatto, potessimo aver perso quel desiderio reciproco per continuare e di conseguenza ci saremmo trovati l'uno di fronte all'altro, imbarazzati e tremendamente eccitati. E sarebbero stata la più grande delusione della storia. Ma, per la centesima volta da quando avevo avuto il piacere di conoscerlo, Blaine decise di sorprendermi, avvicinandosi a me e abbracciandomi da dietro. Mi circondo la vita con un braccio e poggiò il mento sulla spalla, vicinissimo alla mia guancia e al mio sensibile orecchio. Tutta l'ansia di poco prima, scivolò via immediatamente e con un sospiro beato mi lasciai andare addosso a lui. Le sue labbra di posarono immediatamente alla base del mio collo, provocandomi non pochi brividi lungo tutta la schiena
"Mmm... hai un profumo stupendo..." mormorò direttamente contro la mia pelle, soffiandoci sopra e facendomi miagolare in risposta
Dio... anche tu hai un profumo che fa perdere i sensi e la ragione...
"E la tua pelle... è..." spostò le labbra di nuovo dietro l'orecchio per poi mordere leggermente sul lobo, cogliendomi impreparato "Così morbida... e bianca..." e quella volta non riuscii a trattenere un gemito. Avevo sempre mal sopportato chi sottolineava il fatto che avessi la pelle così chiara da sembrare bianca o addirittura trasparente. Iridescente, diceva sempre mio padre, e una delle mie insegnanti al liceo mi aveva dato il fastidioso nomignolo di Porcellana, proprio per questo motivo. Ma in quel momento, quelle parole dette con la voce roca e strisciata, direttamente fuoriuscite dalle labbra di Blaine, furono la cosa più piacevole che avessi mai sentito. Gli piaceva la mia pelle, la mia bianchissima e sensibilissima pelle. Gli piacevo io.
Ok, probabilmente questa cosa non riuscirò mai a superarla...
Quella volta fu lui ad avvicinarmi maggiormente, stringendomi, ed avvertii chiaramente e piacevolmente la sua erezione schiacciata contro di me. Fu il mio turno per piagnucolare, mordendomi un labbro per contenere i lamenti. Ma lui parve apprezzare perché ripeté il gesto, mentre avvertivo chiaramente un suo sorriso premere contro il mio collo scoperto.
"Sei molto scorretto, Anderson!" mi lamentai, mentre con la mano gli afferravo i capelli da dietro e stringevo forte la presa, tanto per vendicarmi o meglio, per trovare un appiglio nel caso fossi caduto miseramente a terra, schiacciato da tutte quelle sensazioni magnifiche. La sua maledetta risata sensuale mi arrivò diretta nello stomaco, contorcendolo
"Non ho mai detto di non esserlo, Hummel!" mormorò per poi lasciare un leggero morso tra il collo e la spalla che mi fece sobbalzare sensibilmente
"Blaine.."
"Sì, lo so... niente segni sul collo.. me lo ricordo!" fece lui, ancora divertito, lasciando un bacio morbido proprio dove aveva appena morso, e spostandosi con la punta del naso indietro, fino alla nuca. Sorrisi, grato che la sua buona memoria non facesse cilecca neppure in quel tipo di momenti ed allentai appena la presa nei capelli, accarezzandoglieli più gentilmente. Spostai la testa verso la sua, girandomi appena fino a trovare di nuovo le sue labbra che ricatturai voglioso. Erano come una droga, che assuefa e distende, che allieta ed agita allo stesso tempo. E ritrovare la sua lingua ad accogliermi, allegra e liscia, fu una gioia per tutto il corpo.
Anche per il suo, a quanto vedo...
Lasciò la presa dei miei fianchi e mi fece voltare e finalmente ci ritrovammo di nuovo faccia a faccia, ancora le labbra incollate e sinceramente troppi strati di vestiti di mezzo. Lui sembrò cogliere il mio pensiero perché portò quasi immediatamente le mani ai bottoni della mia camicia, facendoli scivolare dai passanti uno alla volta con lentezza calcolata ed estenuante. Io probabilmente, se lui avesse indossato una camicia, glieli avrei fatti saltare tutti. Per sua fortuna, aveva su una maglietta, il che rendeva tutto più semplice e meno violento.
Finiti i bottoni, fece scorrere le mani aperte su tutto il mio petto, risalendo fino alla base del collo e, dopo aver afferrato i lembi della camicia, iniziò a farla scivolare giù per le spalle, accarezzandomele lento e morbido. Era quasi un tocco inesistente ma maledettamente intenso e capace di provocarmi brividi di autentico piacere su tutta la spina dorsale. La camicia cadde a terra ai nostri piedi senza fare nessun rumore e le sue mani risalirono lungo le braccia per poi dividersi: una affondò morbida nei miei capelli della nuca, l'altra si bloccò sul petto, ma non rimase del tutto ferma, perché con il pollice iniziò a disegnare dei cerchi sempre più piccoli al centro del petto. Sospirai beato, direttamente nella sua bocca perché quei tocchi erano quasi insopportabili ormai e se non volevo fare una pessima figura, raggiungendo il culmine in quel modo, con ancora pantaloni e mutande addosso, dovevamo porre rimedio, io dovevo porre rimedio.
Così, presi finalmente l'iniziativa, e lo spogliai, con molta più velocità, della maglietta che lanciai dietro di me, in un punto poco definito, e chissà perché la cosa lo fece divertire, perché ridacchiò contro il mio collo
"Ridi di me adesso?" gli domandai, fingendomi offeso
"Non potrei mai!" mormorò in risposta e fu il mio turno per ridacchiare, benché il momento durò relativamente poco, perché le sue labbra tornarono sulle mie, attorno alle mie, bramando un contatto sempre più profondo, che io ovviamente non mi sognai di certo di negargli. Mi schiacciò più vicino, affondando lentamente la mano nei miei capelli, e quando i nostri petti furono attaccati l'uno all'altro, quando il suo calore quasi mi bruciò la pelle, mi resi perfettamente conto che l'incendio era bello che scoppiato, era tutto intorno a noi, ci circondava. Eppure io non riuscivo a bruciarmi. Ma l'unica cosa che facevo era avvertire il piacere crescere, il brivido dell'eccitazione corrermi lungo tutto il corpo e bramavo - oh sì, bramavo - di sentire altra pelle a contatto con la mia perché quella che avevo a disposizione ormai non bastava più.
Quella volta fui io a prendere l'iniziativa, portando le mani alla sua cintura e iniziando a sfilargliela impaziente. Dio, da quando togliere i pantaloni ad un ragazzo era diventato così complicato? E per fortuna Blaine non indossava niente di particolare, altrimenti sarei senza dubbio scoppiato a piangere per la frustrazione. Lui sembrò essere clemente con me, perché una sua mano corse ad aiutarmi e finalmente riuscii a liberarlo dell'opprimente stretta dei jeans che fece scivolare sulle gambe fino a terra. Si liberò con dei gesti secchi delle scarpe, delle calze e si tolse il pantalone gettando tutto di lato, e mi lanciò un'occhiata carica di passione che mi fece letteralmente tremare
"Sei ancora troppo vestito!" mormorò scrutandomi attento. Io deglutii, carico come una molla sotto il peso di quelle iridi liquide
"Decisamente!" risposi roco, ma prima che potessi io stesso liberarmi dei miei pantaloni, ci si avventò lui, inginocchiandosi davanti a me. Avvampai all'improvviso, perché se avevo pensato poco prima che la vista dei suoi occhi carichi di desiderio fosse la cosa più erotica del mondo.. beh, dovetti ricredermi. Vederlo inginocchiato sotto di me, fu senza dubbio molto, molto peggio. Mi morsi un labbro con forza per reprimere un lamento, ma lui parve ignorarmi perché abilmente mi sbottonò i pantaloni, riuscendo stranamente a non toccarmi, e li abbassò fino alle caviglie. Mi fece togliere le scarpe e mi aiutò, a sfilarle via e per non cadere dovetti poggiarmi alla sua spalla bollente. Toccarlo era sempre un piacere troppo grande per resistere.
Con mia grande sorpresa, lui non si sollevò, una volta tolti i miei pantaloni, ma rimase inginocchiato, con le mani sulle mie cosce. Deglutii ancora, cercando il suo sguardo e mi pentii all'istante di averlo fatto, perché non appena lo trovai, vi lessi a chiare lettere le sue intenzioni. Intenzioni che mi fecero tremare.
O Dio mio... a questo non penso di poter sopravvivere...
Sempre tenendo gli occhi fissi nei miei, portò i pollici dentro l'elastico dei boxer e lentamente li spinse giù, fino a che anche essi toccarono terra con un tonfo morbido ed il mio cuore cadendo fece molto più rumore. Mi agitai appena, ormai completamente nudo ed esposto davanti a lui, ai suoi occhi di fuoco che ora si erano spostati famelici e contemplare la mia imbarazzante situazione giù in basso. Chiusi gli occhi ed espirai lentamente. Avevo perfettamente capito cosa volesse fare, ma dovevo ancora capire se gli avrei dato via libera e avrei acconsentito. Era una cosa che non avevo mai fatto, né tanto meno ricevuto, proprio perché David non me lo aveva mai proposto, ed io mi ero sempre vergognato a chiederglielo. Mi sembrava sbagliato ed infantile, una fissazione stupida, un desiderio trascurabile. Eppure, morivo dalla voglia di provare, morivo dalla voglia di sentire. Volevo capire se fosse davvero così piacevole come sembrava da fuori oppure se anche in questo i racconti esterni avessero esagerato. E Blaine sembrava avere tutta l'intenzione di mostrarmelo.
Facendo appello a tutta la mia forza d'animo, riaprii gli occhi e tornai a guardarlo, sussultando appena nel trovare due pozze dorate intente a scrutarmi ansiose ma piene di desiderio. Piegò la testa di lato, facendo scorrere lentamente la mano sulla mia coscia, su e giù, inesorabile.
"Kurt... stai bene?" mi domandò soffice e per poco non svenni, colpito in pieno dal suo tono così carico di aspettativa. Dovevo decidere, in fretta. Volevo o no che.. sì insomma.. andasse avanti a fare quello che sembrava intenzionato a fare? Volevo rompere quel tabù con lui? Volevo sentire?
Dio.. sì...
"Sì!" mormorai concentrato e dentro di me avvertii il cuore salire fino alle orecchie e picchiare forte come non mai, rendendomi sordo per alcuni istanti. Lui mi sorrise e molto lentamente, senza mai distogliere gli occhi dai miei, facendo risultare la cosa nettamente più erotica, si avvicinò. Rimasi con il fiato sospeso e strinsi forte i pugni fino a che non lo sentii: un meraviglioso, indescrivibile ed appagante tocco proprio lì, sulla punta. E fu come entrare in paradiso e contemporaneamente precipitare all'inferno, nello stesso identico istante. Mi resi conto vagamente di quello che io feci dopo, troppo concentrato a seguire i movimenti esperti della sua bocca e della sua lingua - Dio Santissimo.. la sua lingua - e a perdermi in un oceano tormentato di sensazioni nuove, piacevoli ed inaspettate. Avrei creduto tutto, avrei potuto pensare ogni cosa su quel preciso momento, ma niente sarebbe stato meglio che non provarlo direttamente sulla propria pelle. Era intenso ed avvolgente... ecco.. avvolgente era la parola giusta. E finalmente avevo capito cosa significasse sentire... beh era senza ombra di dubbio il verbo più consono a descrivere il momento.
All'improvviso mi accorsi di due cose: la prima fu la consistenza morbida dei suoi capelli tra le mie mani - segno che avessi trovato un appiglio al quale tenermi per non cadere - e la seconda fu un'intensa ondata di calore avvolgermi le membra, partire dal basso e salire inesorabilmente su, fino a quasi in cima. Ma non poteva finire, non in quel modo, non così presto. Con una forza che mai mi sarei aspettato, gli strinsi una spalla per chiamarlo
"Blaine.. B-Blaine aspetta... fermo!" e lui, per mia fortuna, si fermò. Sospirai, mentre la minaccia di esplosione lentamente si allontanava, anche se la situazione rimaneva più che critica ed io mi sentivo sempre più agitato e sensibile. Finalmente tornò a sollevarsi in piedi e mi sorrise, maledettamente malizioso. Io provai a ricambiare ma davvero non ne potevo più, così senza pensarci, gli afferrai la nuca e lo avvicinai a me per baciarlo. Fu davvero strano perché oltre al suo solito sapore dolce ed invitante, sentii qualcos'altro.. qualcosa di diverso ma allo stesso tempo ugualmente buono. E solo quando il suo bacino si scontrò con il mio alla ricerca di un pò di agognato sollievo, capii ed arrossii all'istante, ringraziando la semi-oscurità della stanza che giocava a mio favore.
Dio.. è così.. erotico...
Presi in mano la situazione, e lo trascinai fino al bordo del letto per poi spingerlo sopra il materasso. Lui atterrò placidamente rivolgendomi uno dei suoi splendidi sorrisi maliziosi e carichi di desiderio che mi fecero tremare. Lo raggiunsi quasi subito, sistemandomi in mezzo alle sue gambe aperte e tornammo a baciarci famelici e passionali. Quella volta era tutto nettamente più piacevole ed eccitante della prima volta: quella era stata dolce, tenera, molto romantica. Questa invece, mescolava finemente tutto ciò che c'era comunque già stato, con qualcosa di nuovo, con una carica di eccitazione che mai avevo immaginato di poter provare. Mi sentivo desiderato e a mia volta desideravo lui come mai prima d'ora. Lo volevo, con ogni fibra del mio corpo e bramavo di poterlo sentire, esattamente come avevo sentito fino a poco prima. E fu allora che mi venne in mente una cosa.
"Blaine... posso... farti una richiesta?" domandai con voce quasi inesistente, mentre con il respiro pesante ci fermavamo entrambi per riprendere fiato.
O la va o la spacca...
"Certo.. tutto quello che vuoi!" concesse. Tutto quello che volevo, eh? Inspiegabilmente arrossii ancora, ma nei suoi occhi fiammeggianti e nelle sue carezze poco sopra il sedere, trovai il coraggio per continuare
"Sarebbe un problema per te se... questa volta.. ecco..." balbettai spostando lo sguardo sulla sua spalla muscolosa. Coraggio, che parolone. Magari lo avessi avuto davvero, avrei evitato di fare la figura dell'idiota e balbettare come una scolaretta. Avvertii all'improvviso una stretta morbida ma decisa afferrare il mio mento e spostarmi il viso fino a farmi incrociare di nuovo il suo sguardo. Era curioso e molto attento
"Kurt?" mi chiamò ed io, stringendo appena la presa attorno al suo avambraccio finalmente tirai fuori il rospo
Coraggio, Kurt... lui non è David...
"Beh e se provassimo.. a cambiare?" ecco lo avevo detto. Certo, non era poi molto chiaro, ma sperai ardentemente che il cervello di Blaine fosse ancora un pò collegato, perché non seppi se sarei riuscito a spiegarglielo diversamente e in maniera più chiara. Mi morsi il labbro in attesa, ma fortunatamente un'espressione di consapevolezza si dipinse lentamente sul suo volto fino a che le sue labbra non si aprirono, a formare una piccola e perfetta o.
"Oh..." mormorò soltanto facendomi mancare un battito. Ecco lo sapevo. Dovevo rimanere zitto e lasciare le cose come erano andate la prima volta. In fondo era stato piacevole anche così, e allora perché cambiare? Squadra che vince non si cambia, no? Avevo rovinato tutto, come al solito.
"Se per te è un problema non importa.. a me va già benissimo così, anzi..." provai a risolvere, facendo molta fatica per non abbassare di nuovo gli occhi o addirittura correre a nascondermi e a piangere in bagno. Perché davanti a lui mi sentivo così.. esposto e vulnerabile? Come riusciva ad avere su di me quell'effetto?
"Va bene!" esclamò subito, con un soffio. Io spalancai gli occhi sorpreso
"Va bene?" domandai incredulo. Lui annuì
"Si.. ok.. per questa volta cambiamo!" sorrise apertamente, per niente intenzionato a prendermi in giro. Era serio... Santo Cielo. Aveva detto di sì!
"Sei sicuro?" domandai ancora, quasi senza fiato. Lui si sollevò appena, poggiandosi ad un gomito per avvicinarsi al mio viso e lasciare un bacio morbido sulle mie labbra, i petti di nuovo a contatto
"Ma certo.. l'altra volta sono stato io stesso a chiederti cosa preferissi.. sono contento che adesso sia stato tu a chiedermelo!" esclamò sereno accarezzandomi con le dita leggere, il contorno della guancia. Inspirai bruscamente, i sensi completamente all'erta. Ok, avevo il permesso di.. prendere le redini della situazione. Bene.. come mai però mi sentivo così.. inappropriato?
"Ecco io però.." mormorai, arrossendo ancora più violentemente. Tanto valeva dirglielo, no? Tanto, più intimi di così.
"Cosa?" mi incalzò accigliandosi appena. Però se mi guardava in quel modo, la vedevo alquanto difficile
"Io... beh..." ecco appunto. Il coraggio andava e veniva come un titolo in borsa. Ed io ero sul punto di crollare seriamente, come la borsa di Wall Street.
"Kurt dimmelo!" mormorò fermo e convincente. Troppo convincente.
Dopo quello che mi ha fatto prima... una piccola confessione da parte mia sarebbe il minimo in effetti...
"Non ho mai... provato.. non so.." ma mi bloccai sentendomi un idiota colossale. Dopo la recente sorpresa con l'iniziativa di Blaine, anche quello. Era senza dubbio la serata delle prime volte, ed io forse non avrei seriamente retto molto a lungo ancora.
"Non hai mai provato a stare.. sopra?" domandò quasi scioccato, e il suo tono fu ancora peggio per me, perché mi fece ricordare la mia stupidità e tutte quelle volte in cui David mi aveva detto di no, e mi aveva ricordato che era lui l'uomo e toccava a lui condurre. Mi sentii immediatamente così a disagio che cercai subito conforto nel suo sguardo. Per mia fortuna non ci trovai lo stesso tipo di accusa che trovavo ogni volta negli occhi di David: era solo sorpreso, niente di più.
"No!" confessai allora arrossendo e sperando vivamente che non mi scoppiasse a ridere in faccia. Ma ancora mi sorprese, replicando la stessa esclamazione di poco prima
"Oh..." ed io esasperato buttai gli occhi al cielo
"Dio, Blaine... quando dici oh non so mai se è per una cosa brutta oppure se..."
"E sei davvero sicuro di voler provare a farlo... ora.. con me?" domandò, stranamente ed improvvisamente intimidito. Lo guardai, chiedendo la stessa cosa anche a me stesso. In fondo era qualcosa di importante, una sorta di barriera che veniva oltrepassata. Ero pronto a scavalcarla proprio quella sera, in quel letto, con lui?
"Si!" affermai deciso, come mai prima di allora, sentendo il cuore battere all'impazzata per il peso della scelta appena fatta e per la crescente aspettativa. Blaine mi sorrise, tenero ed appena emozionato, un sorriso che mi fece tremare e, proprio quando una sua mano si sollevò per accarezzarmi di nuovo la guancia, io non resistetti più, mi spinsi su di lui, facendolo ricadere sul materasso e lo baciai.

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Capitolo 23
*** Quando la realtà supera l'immaginazione ***


Buongiorno a tutti... bene, è arrivato finalmente Giovedì e oggi sapremo se i nostri due eroi preferiti saranno riusciti ad andare avanti oppure se qualcosa potrebbe averglielo impedito (sono un'autrice sadica... ricordatevelo sempre ^^) quindi non mi perdo in troppi convenevoli perché so che non vedete l'ora di leggere.. ringrazio i miei angeli che come sempre recensiscono e chiedo enormemente scusa per non aver ancora risposto alle recensioni... prometto di farlo non appena il capitolo sarà pubblicato.. vi auguro buona lettura e vi avviso... preparatevi psicologicamete al prossimo capitolo... ci sarà da tremare dalla paura, letteralmente ;) un bacio a tutti... a Lunedì
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta MM ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 00.19 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)


Tutto quello che successe dopo fu estremamente istintivo e naturale, benché a conti fatti non lo avessi mai provato. Forse era vero ciò che si diceva in giro, che certe cose è sufficiente sentirle, più che impararle, ed io in quel momento, sentivo alla perfezione tutto, ogni singolo pezzo di pelle di Blaine sotto i polpastrelli, ogni muscolo teso, ogni respiro, ogni battito del cuore, ogni singola intenzione gli scivolasse attraverso gli occhi. Dopo aver deciso di cambiare le posizioni per quella volta, le parole erano state davvero molto superflue e nessuno aveva avuto niente da ridire a riguardo. Infatti, dopo averlo finalmente liberato dell'indumento intimo rimasto, ed esserci ritrovati nuovamente nudi, l'uno sopra l'altro, era bastato un solo tocco, un semplice sfioramento intimo, appena involontario, a far perdere la poca ragione rimasta ad entrambi. Ed io ero così vicino al limite, così vicino da sentirmi male.
Avvertivo una strana voglia di piangere, magari liberandomi della morsa che sentivo allo stomaco, ed era alquanto anormale che una persona prossima all'orgasmo, provasse la voglia di piangere. Cosa diamine mi prendeva? Perché reagivo così? Era per le sensazioni che provavo? Era per tutto quello che stava succedendo, per quello che non avevo calcolato né avrei mai potuto immaginare? Era per Blaine che continuava a tenermi stretto e a cercare disperatamente le mie labbra, nonostante le avesse ormai quasi consumate? Il mio cuore era davvero troppo debole per sopportare... ancora?
Questo è molto di più di quanto una persona normale potrebbe umanamente sopportare...
Blaine, per mia fortuna, mi spiegò cosa dovessi fare dato che io imbarazzato al massimo e con le guance in fiamme, gli avevo confessato di non avere la minima idea di come comportarmi. David aveva sempre fatto tutto da solo, ed io non mi ero mai soffermato a controllare cosa esattamente facesse. Certo, era assurdo che un ragazzo della mia età, fosse così ignorante in materia e probabilmente qualsiasi sano di mente in quel momento sarebbe scoppiato a ridermi in faccia. Ma Blaine no.. lui mi sorrise e mi spiegò per filo e per segno cosa fare, senza mai togliere gli occhi dai miei, e caricando il tutto con una buona dose di erotismo, dato che davvero... mi stava spiegando come mettere dentro... ehm... quello... senza neanche arrossire o balbettare. Quel ragazzo era un fenomeno, dovevo riconoscerglielo.
E non è bravo solo con le parole, aggiungerei...
Dopo lunghi attimi di tensione, una cosa coerente riuscii a farla, non appena mi parlò di qualcosa di necessario per far scivolare meglio il tutto. Illuminandomi mi ricordai di avere tutto l'occorrente nel primo cassetto del comodino e mi sporsi di lato per prenderlo, schiacciando maldestramente un fianco di Blaine con il gomito. Lui soffocò un gemito di dolore, misto ad una mezza risata divertita che mi fece arrossire ancora
"Ops... scusa!" mormorai stringendo convulsamente la boccettina che avevo in mano. Lui scosse la testa accarezzandosi scherzosamente il fianco
"Non importa... cose che capitano immagino.." mormorò sereno. Come diavolo faceva a mantenersi calmo in una situazione come quella? Si rendeva conto che eravamo schiacciati, completamente nudi, l'uno sull'altro, e che a conti fatti eravamo amici e che cose del genere non dovrebbero mai verificarsi? Non stavamo giocando a mosca cieca, Santo Dio! Stavamo per fare sesso, per la seconda volta, ed io avevo appena poggiato sul letto sfatto, accanto a noi, lubrificante e preservativo. Lo stesso lubrificante che utilizzava David con me. Gli stessi preservativi che indossava sempre lui ogni volta, e quella volta li avrei.. indossati io. Ok.. ecco il perfetto esempio di cosa non fare prima di un rapporto, se non si vuole cadere nel classico cliché dell'ansia da prestazione.
Mi resi conto troppo tardi, mentre cercavo disperatamente di aprire la bustina del preservativo per indossarlo, che mi tremavano le mani. Mi tremavano terribilmente le mani, e non solo quelle. All'improvviso avvertii una stretta calda e particolarmente decisa che mi bloccò e i suoi occhi si fecero preoccupati
"Kurt... cosa c'è?" mi domandò allora. Io persi un battito ed il panico mi attanagliò lo stomaco. Non sono pronto, continuavo a dirmi, non sono pronto per questo. É troppo per me, è troppo per il mio cuore ed il mio fisico. Forse avrei dovuto insistere un pò di più con David, magari mi sarei risparmiato quella grande figura di merda in presenza di Blaine. O forse mi sarei dovuto limitare a tenere la bocca chiusa e a lasciare a lui il controllo della situazione. Sarebbe stato senza ombra di dubbio molto meno imbarazzante. Per entrambi.
"Blaine... io... non.. ne sono.. capace!" mormorai allora, avvertendo gli occhi inumidirsi. Lui spalancò i suoi sollevando appena la schiena
"Di cosa stai parlando?" mi domandò ancora, poi lanciò un'occhiata alla bustina che ancora stringevo tra le mani e me la sfilò "Parli di questa?" chiese mostrandomela "Beh... non devi preoccuparti.. capita che a volte facciano i capricci e..." ma lo bloccai, arrossendo ancora
"No, non mi riferisco a quello!" lui prese un respiro lungo
"E allora a cosa?" mi accasciai appena su di lui, nascondendo il viso nella sua spalla. Non ce la facevo a guardarlo negli occhi, era troppo per me, ma di allontanarmi dal suo corpo, no, non se ne parlava.
"Io non l'ho mai fatto... e... non credo di esserne capace!" mormorai afflitto "E se poi rovinassi tutto.. se tu ti stancassi e decidessi, giustamente, di piantarmi qui ed andartene?" come fa ogni dannata volta David! "E se mi scoppiassi a ridere in faccia? E se..." una mano mi afferrò per la nuca e mi fece sollevare la testa fino a poggiarla sulla sua. Fronte contro fronte, occhi negli occhi. Oro nell'azzurro.
"E se... la smettessi di farti tutti questi stupidi problemi, e finalmente decidessi di fare qualcosa di concreto?" mi canzonò divertito, accarezzandomi la schiena in punta di dita. Io rabbrividii, sia per quel tocco che per le sue stesse parole. Deglutii a vuoto
"Blaine io... ho.. paura.." mormorai ancora con il viso in fiamme. Lui si morse il labbro pensieroso
"Di cosa?"
Di tante cose Blaine... prima fra tutte  di non interpretare al meglio quello che sento per te... di confondere il semplice affetto o l'attrazione, con qualcosa di più profondo...
"Di... farti male.." borbottai spostando lo sguardo verso il cuscino. Ecco l'avevo detto. Un rospo era stato tirato fuori. La verità era che non volevo affatto fargli provare il dolore che provavo ogni volta io con David. E proprio come lui era sempre stato inesperto, affrettato e ben poco accondiscendente con me, io avevo paura di essere allo stesso modo con Blaine. E lui non si meritava niente del genere.
"Oh..." mormorò, per la terza volta sorpreso. Sbuffai appena, tornando a guardarlo
"Blaine... ti proibisco di..."
"Coraggio Kurt... non mi farai male. Sono piccolo ma non così delicato come sembra... e se anche sarà doloroso, beh... ce ne faremo una ragione!" sollevò le spalle divertito, ma sorridendomi dolcemente, tanto da farmi sciogliere appena un pò di più.
Sì... sei piccolo ma fatto davvero bene... soprattutto... dalla vita in giù...
"Fai sembrare tutto così facile!" mi lamentai esasperato
"Perché lo è... lo è Kurt... te lo assicuro!" rispose tranquillo, e per niente infastidito da tutta la mia ansia. Sospirò guardandomi pensieroso e poi scosse la testa
"Ascolta, se per te è così difficile, potremmo lasciar perdere e..."
"No!" quasi gridai allarmato, facendolo sobbalzare. Dio, gli avevo davvero urlato addosso? Ero impazzito? Provai a prendere fiato e coraggio, dopodiché concentrandomi sui suoi caldi occhi color caramello, e solo su quelli, parlai
"Voglio dire... cioè... io... voglio farlo, davvero. Ho solo bisogno che tu... ecco... magari mi.. guidi un pò... e che mi concedi molta, ma molta... pazienza!" confessai infine, felice di aver trovato finalmente le parole più adatte per esprimere la mia preoccupazione. Lui mi guardò attentamente, studiando ogni dettaglio e alla fine accennò un sorriso
"Kurt... io sono qui, completamente nudo, sotto di te... dove credi che possa andare in questo stato?" mi domandò facendomi ridacchiare e alleggerire un pò lo stomaco. Sospirò mordendosi un labbro e avvicinando l'indice al mio naso per sfiorarne la punta con delicatezza
"Tu non... ti rendi minimamente conto di quanto risulti tenero in questo momento!" sussurrò concentrato su qualcosa, percorrendo il profilo del mio naso con il dito. Arrossii, colto alla sprovvista, ma provai a sdrammatizzare
"Tenero... ed io che credevo di essere quantomeno sexy!" borbottai fingendomi offeso. Lui scoppiò a ridere, facendo vibrare sensualmente tutto il corpo ancora schiacciato sotto il mio - mmm.. che stimolo interessante... dovrei farlo ridere più spesso - e si sporse appena per lasciarmi un bacio sulla bocca
"Oh... quello era scontato!" mi assicurò ancora divertito, ma con una strana luce intensa e torbida nello sguardo. Tremai appena, sotto il peso di quegli occhi e quella responsabilità fino a che un altro leggero ed innocente movimento non decretò concluso l'inutile momento delle chiacchiere.
Mi resi vagamente conto di acquistare sempre più sicurezza, mano a mano che i baci si intensificavano di nuovo e lui, forse per aiutarmi aveva fatto scivolare lentamente la mano fino al mio inguine per allentare un pò la tensione, ma l'unica cosa che ottenne fu quella di farmi eccitare ancora di più.
Dietro le sue parole roche e maledettamente sensuali - Dio, poteva la situazione rivelarsi più meravigliosa? - afferrai il lubrificante e lo preparai per bene, ignorando le sue smorfie e il suo respiro spezzato ed irregolare. Dovevo convincermi che, anche se sembrava infastidito da quella intrusione, era necessaria e bisognava fare tutto con calma e per bene. Altrimenti il seguito sarebbe stato anche peggio.
Prendi nota, Dave... è così che si fa...
Con molta pazienza ed attenzione lo lubrificai completamente e non appena lui stesso riuscii a mormorarmi di essere pronto, con un sospiro di autentica trepidazione riafferrai la bustina argentata del preservativo, riuscendo finalmente ad aprirla e ad indossarlo senza danni collaterali.
Ok, era arrivato il momento della verità. Era arrivato il momento in cui Kurt Hummel avrebbe finalmente preso le redini di qualcosa nella sua vita, e avrebbe iniziato a comandare, ad avere voce in capitolo. Il fatto che lui si fidasse così tanto di me, era destabilizzante. Mi sentivo potente e allo stesso tempo completamente succube del suo meraviglioso sguardo velato dal piacere e di una qualche richiesta disperata. Deglutii ancora una volta e posai la fronte sulla sua, mentre lentamente e trattenendo il fiato, mi intrufolavo nel suo corpo.
"O..ddio.." sospirò lui, direttamente nel mio orecchio, facendomi bloccare. Ecco lo sapevo, gli stavo facendo male. E come sospettavo, io ero troppo debole perfino per sopportarlo.
"Blaine... scusa.. io.."
"No, Kurt.. non fermarti.. ti supplico!" mi implorò - Dio, mi stava implorando - respirando pesantemente e stringendo forte gli occhi
"O-ok!" mormorai insicuro e stordito dalla leggera pressione che avvertivo in basso, pur non essendo andando quasi per niente a fondo.
"Dammi solo... un istante!" soffiò continuando a controllare il respiro accelerato, mentre il petto gli si alzava e abbassava a ritmo con il battito del mio cuore. Oh, avrei aspettato anche tutta la vita in quella posizione, poco ma sicuro. Dopo un pò, mi fece un altro cenno ed io, prendendo coraggio, affondai appena più in profondità, e a mano a mano che andavo avanti una strana sensazione di pienezza che non seppi spiegare mi avvolse completamente, afferrandomi lo stomaco e avvolgendolo più volte. Dovetti mordermi un labbro ed inspirare con forza per trattenere un gemito particolarmente alto e reprimere lo spasmodico desiderio di affondare più in profondità. Dio era così... caldo e.. maledizione.. ecco perché David non aveva mai voluto farmi provare.. era una sensazione fin troppo piacevole per rinunciarci... fottuto bastardo ingordo ed egoista!
"Kurt... puoi andare più a fondo.. non mi spezzo mica!" mormorò Blaine, la voce divertita nonostante fosse appena ridotta ad un soffio ed io tremando in maniera quasi preoccupante, mi sistemai meglio e feci come mi aveva detto, quella volta, fino alla fine. Mi ritrovai a piagnucolare, disperato, per via dell'eccessivo calore e della stretta sempre più profonda che avvertivo attorno a me. Mi chiesi seriamente se sarei sopravvissuto oltre, se sarei riuscito anche a muovermi in quelle condizioni. Avevo gli occhi fissi sul viso contratto di Blaine, mentre lui aveva ancora le palpebre leggermente abbassate, la bocca appena aperta per respirare meglio e tirare fuori i suoi gemiti di piacere e la fronte imperlata di sudore. Ogni tratto, ogni movimento ed ogni singolo respiro affannato erano una scarica di adrenalina diretta al cuore e al cervello, benché questo avesse dato forfait già da parecchio. Mi sentivo annebbiato, per niente preparato a dover far fronte ad una sensazione tanto meravigliosa come quella. Mi sarei aspettato tutto, tranne... quel tipo di situazione. E come era accaduto per Blaine e le attenzioni che mi aveva riservato prima, inginocchiato sul pavimento, anche in quel momento, l'immaginazione era stata senza dubbio superata dalla realtà. Perché la realtà, il trovarsi immersi nel corpo di qualcuno, in quello di Blaine nello specifico... era qualcosa di fin troppo fantastico. E ribadivo il concetto.. non sapevo affatto se sarei stato capace di resistere a tutto quello.
Il peggio che può capitarmi, cos'è? Che venga qui, in questo momento, senza neanche essermi mosso, come un adolescente?...
Fu di nuovo la voce di Blaine a riscuotermi dal mio stato di shock, e i suoi occhi tornarono a puntare i miei, meravigliosamente velati dal piacere
Potrei stilare un elenco di tutte le cose che penso siano estremamente erotiche in questo ragazzo... e alla fine della giornata mi ritroverei a litigare con il mio stesso cervello perché probabilmente non ci troveremmo neanche d'accordo...
Mi diede il permesso di muovermi ed io non me lo feci ripetere due volte. Fu come andare sulle montagne russe: tutte le volte che indietreggiavo con i fianchi per uscire appena da lui, rappresentava esattamente il momento di attesa mentre si sale, mentre si guarda spaventati verso l'alto, verso quel maledetto precipizio che sembra impossibile da superare, almeno da vivi. E poi, improvvisamente la corsa si capovolge, diventa un salto nel vuoto, il cuore schizza in gola, lo stomaco si contorce quasi dolorosamente e la vista si annebbia ancora. Ed era proprio quello che avvertii mentre iniziavo lentamente a spingere e ad assecondare i suoi movimenti sempre più frenetici e bisognosi. Era una giostra, una giostra meravigliosa dalla quale non sarei più voluto scendere. Era proprio vero che quando si prova qualcosa di piacevole, difficilmente si riesce a rinunciarci. Ma dovevo rassegnarmi all'idea: atrocemente quella sarebbe stata la prima e l'ultima volta in cui avrei giocato il ruolo dell'attivo nella coppia. David non mi avrebbe mai permesso di prendere tutto quel controllo e di certo Blaine.. beh... quello era un caso, una cosa che non si sarebbe mai più ripetuta. Io e lui eravamo amici e gli amici non fanno quel genere di cose.
Certo.. come no...
Guardai il mio amico, gemere sempre più forte e non resistetti più all'impulso, baciandolo con estrema urgenza e passione. Mi sentivo fremere, sempre più incontrollatamente e quella piacevole sensazione di appagamento tornava a salire inesorabile dal basso, sempre più su, sempre più gradevole e desiderata. Anche lui sembrava davvero molto vicino e più si agitava, più si contorceva sotto di me, attorno a me, e più il pericolo di esplosione diventava maggiore. Ma non potevo di certo lamentarmi. E finalmente, dopo altre due o tre spinte e qualche altro gemito particolarmente indecente, scappato dalla bocca di entrambi, riuscii a liberarmi della opprimente sensazione che avevo nel petto da tutta la sera, di tutta la tensione, l'ansia, la paura, la rabbia, la frustrazione. Riuscii a liberarmi nello stesso istante in cui anche lui si lasciava andare libero, trasportato dal flusso inesorabile del piacere, che lasciò entrambi esausti e senza fiato, ma ancora tremendamente vicini e legati. E non solo fisicamente. 

New York City. Ore 01.36 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)

Una cosa che non avevo mai capito, quando mi ritrovavo a guardare qualche commedia romantica ad alto tasso diabetico, era come potessero due persone che avevano appena finito di fare l'amore, ritrovarsi tranquillamente a parlare dei problemi esistenziali della vita, come se niente fosse successo, con una leggerezza quasi scioccante, quasi fossero seduti al tavolino del bar. Lo avevo sempre trovato inappropriato e fuori luogo, soprattutto perché in un certo senso sminuiva quello che c'era stato tra di loro, riducendo il tutto a puro contatto fisico, smania del momento.
Stranamente e piacevolmente, dovetti ricredermi anche su quello. Stare a letto con Blaine, dopo aver fatto l'amore ed essersi completamente ripresi, a chiacchierare, era la cosa più distensiva, piacevole e maledettamente naturale del mondo. Quasi fossimo seduti davvero al tavolino di un bar ed io gli stessi ancora chiedendo di cantare per la mia agenzia al posto di Bon Jovi.
Ne è passato di tempo da quel giorno... e ne sono successe di cose...
"Io ancora non riesco a crederci..." esclamò lui ad un tratto incrociando le braccia al petto. Eravamo ancora completamente nudi, con addosso coperte e lenzuola, a poca distanza l'uno dall'altro, con le spalle appoggiate ad un piccolo cumulo di cuscini. Confuso, mi girai a guardarlo, per trovargli una buffa espressione corrucciata sul volto che mi fece spuntare un mezzo sorriso
"A cosa ti riferisci?" gli domandai curioso
"A quel ragazzo.. quello del primo piano... Adams.. o come diavolo si chiama!" borbottò facendomi ridacchiare
"Abrams!" lo corressi e lui alzò gli occhi al cielo, facendomi divertire ancora di più
"Nome diverso, stessa storia.. è uno stronzo... tutte quelle cattiverie che ha sparato addosso ad ognuno.. erano.. atroci!" rabbrividì sensibilmente. Per un momento mi ero dimenticato di quell'idiota di Abrams. E dire che la serata, in un certo senso era cambiata grazie a lui.
"La cosa più assurda è... che in tutti questi anni ho provato ad immaginarmelo in ogni modo... credevo fosse un carcerato, un ragazzone pieno di tatuaggi e con la barba incolta... credevo tante cose ma questa.. un ragazzino della mia età probabilmente, seduto sulla sedia a rotelle, con un cardigan di lana a rombi gialli ed un'insulsa montatura spessa... non mi sarei mai aspettato una cosa del genere!" mormorai pensieroso
"É stato tanto scioccante?" domandò divertito lui, girandosi a guardarmi. Io accettai la provocazione con una risata
"Non sai quanto... quel maglione era inguardabile!" risposi schifato e scoppiammo a ridere come due idioti. Calmate le risate, fu lui a tornare a parlare
"Io credo che sia soltanto un ragazzo molto triste, in fondo!" mormorò cautamente facendomi sgranare gli occhi, incredulo
"Stai scherzando, spero!" mormorai allibito "Quel tipo è tutto tranne che triste. É disturbato, è sociopatico, è arrogante, è cattivo, è... uno stronzo, come hai detto tu. Credimi, Blaine... ne ho conosciute di persone tristi e beh... Artie Abrams non lo è affatto!" lui mi guardò confuso
"Artie?"
"Oh sì... è stato William a dirmi il suo nome... ma credimi ne avrei fatto volentieri a meno!" sputai velenoso. Ok, ripensare a quel ragazzino mi faceva innervosire sensibilmente, ma non potevo farci nulla. Se c'era una cosa che non sopportavo erano le persone che sparavano a zero sugli altri, senza motivo né cognizione di causa. Artie Abrams aveva superato un limite ben preciso e di questo non lo avrei mai perdonato.
Blaine al mio fianco si mosse appena, sprofondando un pò di più nei cuscini e sospirando
"Non ho neanche avuto modo di ringraziarti!" brontolò allora. Io sollevai la testa confuso
"Ringraziarmi per cosa?"
Per l'orgasmo di poco fa? Bah... semmai, sono io che devo ringraziare te...
"Per avermi difeso... mi hai lasciato senza parole!" e mi rivolse un sorriso timido che mi fece arrossire
"Oh.. ehm... non c'è bisogno che mi ringrazi... te l'ho detto.. è un ragazzo disturbato e non mi andava giù che sputasse fango sui miei amici... per questo ho reagito!" risposi, cercando di ignorare la vocina nella mia testa che rideva sguaiatamente e mi diceva di smetterla di fingere e di dire la verità. Avevo reagito perché aveva attaccato Blaine. Ecco tutto. Se lui non ci fosse stato, se Blaine fosse rimasto nell'ascensore o malauguratamente fosse riuscito a raggiungere il pub, io e Abrams non avremmo mai parlato. Qualcosa era scattato in me nell'esatto istante in cui gli occhietti azzurri di Abrams si erano spostati su di lui, al mio fianco, e la sua ira gli si era riversata addosso. E allora non ero riuscito più a resistere. Quindi era alquanto stupido da pare mia nascondermi dietro ad un dito dicendo che lo avrei fatto comunque, a prescindere da chi si fosse trovato su quel pianerottolo, perché tutti erano amici miei. Lo avevo fatto per lui, per difendere lui, per difendere il suo lavoro, la sua vita, il suo buon nome, i suoi sacrifici, la sua incredibile tenacia e forza d'animo. Certo... mi infastidivano anche i commenti sugli altri, soprattutto quelli su Rachel e Lea ma... avrei volentieri evitato di mettermi a fare storie con un idiota del genere. Eppure, lo avevo fatto. Per salvare Blaine.
Lui si girò a guardarmi, anzi a scrutarmi per essere precisi, per alcuni lunghi istanti facendomi di nuovo arrossire. Aveva degli occhi indescrivibilmente belli. In quel momento, grazie alla luce di un lampione in strada, che illuminava parzialmente la stanza, riuscivo a vederne perfettamente il colore: erano di un oro delicato, quasi sensuale, con delle pagliuzze più scure marroni.
E pensare che quegli occhi fino a dieci minuti da erano carichi di desiderio per me...
Mi mossi agitato sotto le lenzuola, sentendo improvvisamente caldo e maledicendomi per non aver indossato di nuovo i boxer. Almeno mi sarei sentito un pò più... protetto?
All'improvviso un movimento fulmineo e parecchio inaspettato alla mia destra, dalla parte del letto in cui stava Blaine, fece sobbalzare entrambi e per poco non mi misi a strillare o peggio, non saltai addosso a lui per proteggermi. Quel qualcosa si mosse su per il letto, agitandosi ed io mi affrettai a sporgermi verso la lampada sul comodino per accendere la luce, rischiando quasi di capitombolare al suolo. Con il cuore a mille controllai la camera, tranquilla e silenziosa e poi mi girai a guardare Blaine che, come me, sembrava parecchio spaventato. Insieme, neanche a metterci d'accordo, spostammo lo sguardo verso il letto, fino a trovare un gomitolo di pelo scodinzolante e parecchio propenso al gioco
"Cooper... maledetto monello... mi hai fatto prendere un colpo!" si lamentò Blaine tirandosi a sedere per afferrarlo al volo. Lui guaì piano ma si fece sollevare e puntò il musetto verso il viso del padrone "Brutto cattivo!" mimò Blaine e lui in risposta abbaiò. Mi morsi un labbro per trattenere le risate ma senza volerlo, lasciai vagare lo sguardo sulla magnifica schiena muscolosa di Blaine - Dio... ma quanto poteva essere fatto bene quel ragazzo? - fino al basso... fino al sedere, che le coperte tirate avevano lasciato libero. Arrossii all'istante, ricordandone perfettamente la consistenza tra le mani, dato che lo avevo accarezzato più di una volta durante il nostro momento di passione. Ed era magnifico, non solo al tatto ma anche alla vista.
Stringendo il lenzuolo tra le mani per reprimere l'impulso di sollevarmi e toccarglielo ancora, tornai a concentrarmi sul cane che stava cercando di corrompere Blaine, leccandogli languidamente la faccia.
"No, signorino, non esiste proprio. Questo non è il tuo letto e se vuoi rimanere a dormire con noi, te ne stai buono buono sul pavimento!" e detto questo si sporse di lato per posarlo al suolo.
Cazzo... aveva detto.. dormire con noi? Significava che sarebbe davvero rimasto con me quella notte e che non mi avrebbe lasciato solo in un letto enorme, a leccarmi le ferite? Non potevo crederci. Mai nessuno aveva dormito in quel letto con me, fatta eccezione per Rachel, una sera, durante la gravidanza, dopo una serata particolarmente depressa. Mi sentii lo stomaco vibrare per la consapevolezza e mi ritrovai a sorridere come un idiota. Per fortuna, ad occhi esterni, sembravo un semplice ragazzo divertito dalla scenetta comica che cane e padrone stavano mettendo su. La clemenza di Cooper, infatti, durò ben poco, perché saltò nuovamente sul letto, beffeggiando Blaine apertamente
"Cooper!" lo sgridò allora indignato "Ma chi ti ha insegnato ad essere così disobbediente? Sebastian... ci scommetto!" tentò di riacciuffarlo ma lui quella volta fu più veloce e corse a nascondersi dietro di lui, accanto a me. Così lo afferrai e me lo portai in grembo
"Dai, Blaine.. non sgridarlo... per quanto mi riguarda... può rimanere con noi... non ho problemi!" esclamai accarezzando il collo al cucciolo che, quasi avesse capito, si girò verso il padrone e sbuffò soddisfatto. Blaine guardò prima lui e poi me, accigliato
"Non deve prendere questo vizio.. il suo posto è sul pavimento... non sulle coperte o sul divano!" si lamentò risistemandosi sui cuscini. Io ridacchiai, assecondando i movimenti di Cooper e continuando a coccolarlo
"Ma il pavimento è così freddo, Blaine... faresti davvero dormire un cucciolo così dolce e coccoloso... sul pavimento?" mi portai il cane vicino al viso ed entrambi ci girammo verso Blaine per un'occhiata tutta miele, con tanto di labbro tremolante. Lui non resistette e scoppiò a ridere
"Avresti dovuto fare l'avvocato.. le argomentazioni giuste ce le hai. E se vuoi posso far mettere da Sebastian una buona parola per te!" mi disse divertito, allungando una mano verso la testolina di Cooper per accarezzarlo a sua volta
"Preferisco la moda!" arricciai il naso, passando distrattamente il dito sulla schiena di Cooper, mentre lui si distendeva sulla mia pancia e sospirava contento. Aveva ottenuto quello che voleva, e a dirla tutta.. eravamo in due. Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale ognuno, cane incluso, rimase ancorato ai propri pensieri. I miei, nello specifico, riguardavano un meraviglioso corpo ambrato e due occhi color caramello.
"Kurt.. posso farti una domanda?" fece lui all'improvviso girandosi su un fianco e poggiando un gomito sui cuscini per sostenere la testa. Mi girai a guardarlo e lo trovai intento a scrutarmi, curioso e attento. Arrossii ancora e maledizione.. quella volta c'era luce a sufficienza per accorgersene
"Dimmi!" assentii distrattamente. Si morse un labbro, pensieroso, ma alla fine parlò
"Ok.. magari la mia sarà una domanda indiscreta e hai tutti i motivi per mandarmi al diavolo e non rispondere, però.. ecco... io mi chiedevo... come vanno le cose tra te e David?" esitò parecchio prima di domandare, e bloccò perfino le carezze alla testa del cane. Sgranai gli occhi stupito. Tutto mi sarei aspettato, perfino una critica a quello che c'era stato, ma mai avrei potuto sospettare che arrivasse a chiedermi di David. Del mio rapporto con lui, della nostra relazione. E Santo Cielo, la cosa più assurda, era che tutto sommato sarebbe stato anche accettabile e prevedibile una domanda del genere. Ogni sano di mente lo avrebbe chiesto. Da che mondo è mondo, quale relazione sana e stabile, comprende un tradimento - un doppio tradimento - tanto palese e addirittura ricercato e voluto? Quale relazione ammette le fantasie erotiche su un terzo soggetto? E quale ragazzo fedele e coscienzioso, desidera ardentemente il corpo di un altro, nonostante lo abbia appena avuto?
Abbassai la testa, colpito in pieno, mentre la vergogna iniziava lentamente ad attanagliarmi lo stomaco. In che modo avrei potuto spiegare a Blaine come stavano realmente le cose, senza risultare superficiale ed infantile?
"Woah... ecco.. ho fatto la mia figura.. sono un cazzone!" si lamentò lui passandosi una mano sul viso "Ti prego, Kurt.. fai come se niente fosse.. ignora me e la mia stupidità!" scossi la testa, accennando un sorriso malinconico. Lui non era un cazzone, semmai ero io ad esserlo e la sua domanda non era affatto stupida. Era sensata, fottutamente sensata.
"É complicato da spiegare!" mormorai afflitto, perdendomi in un lungo sospiro "E in verità... non ci ho mai veramente... pensato!"
"D'accordo.. io... ecco non c'è bisogno che tu.. non volevo.." ma lo bloccai, in un eccesso di sicurezza e coraggio che non seppi precisamente da dove tirai fuori
"Io non lo amo!" esclamai asciutto, ed immaginai subito di sentirmi a disagio per aver confessato una cosa così grossa e significativa, e invece... avvertii solo sollievo. Lui trattenne il fiato, continuando a scrutarmi, rimanendo in silenzio, in attesa che continuassi
"La verità è che.. io non l'ho mai amato.. e penso che... non riuscirei mai ad amarlo!" confessai con il cuore in gola e strinsi forte la pelliccia di Cooper che sussultò appena ma non si mosse. Faceva uno strano effetto trovarmi in quel letto con Blaine a parlare dei miei problemi di coppia, dato che quella era davvero l'ultima cosa che avrei avuto intenzione di fare. Sembrava di stare dallo psicanalista e la cosa buffa, in un certo senso, era che fossimo entrambi ancora completamente nudi.
"E allora perché... non lo lasci?" domandò in un soffio confuso e sorpreso da quella rivelazione.
Già, Kurt... perché non lo lasci?...
"Te l'ho detto... è complicato!" mormorai frustrato, passandomi una mano sulla nuca, a disagio. Non ero abituato a parlare di me. Nessuno, a parte forse Rachel ogni tanto quando non era preoccupata per sé o per Lea, mi aveva mai chiesto qualcosa di personale, sulla mia vita. Da fuori forse apparivo un ragazzo senza troppi problemi e questo spingeva la gente ad ignorarne di eventuali. O forse... a nessuno interessava realmente. Ma allora perché... Blaine sembrava così interessato a capire... ad ascoltarmi?
"É... lui che.. te lo impedisce?" domandò allora, quasi con voce strozzata. In un primo momento non capii esattamente dove volesse andare a parare per questo mi girai confuso a guardarlo. L'espressione leggermente terrorizzata che gli lessi sul volto, mi fece sussultare. E allora afferrai il suo timore
"Oddio, no... no Blaine lui... non mi ha mai costretto. Sarà anche uno stronzo e un pessimo fidanzato ma.. non mi costringe nessuno a stare con lui!" specificai allarmato che potesse anche solo pensare una cosa tanto brutta. D'accordo che David potesse avere ogni genere di difetto esistente sulla faccia della terra, ma arrivare a dire che lui non mi avrebbe mai permesso di lasciarlo.. beh.. questo no!
No?...
Sospirò sollevato annuendo leggermente. Non sembrava particolarmente convinto, però... perlomeno aveva smesso di pensare il peggio. Provai allora a distrarlo, cercando in qualche modo di spiegarmi meglio
"Ecco io... non so spiegarti con esattezza cosa mi leghi a lui... so soltanto che, qualsiasi cosa sia, non si tratta di amore.. forse affetto, quello sì.. ma.. niente di più!" scrollai le spalle impotente, non sapendo cos'altro aggiungere. Lui si mosse sui cuscini sistemandosi meglio
"Kurt... si può provare affetto per un amico.. per un fratello... o per un... cane... non è normale però provarne per il proprio ragazzo.. te ne rendi conto, vero?" mi domandò sempre cauto, con un tono per niente d'accusa. Arrossii ancora, sotto il peso di quegli occhi limpidi e confusi. Ma era senza dubbio la verità a farmi arrossire di più.
"Lo so..." mormorai a disagio, desiderando ardentemente che quella conversazione non fosse mai iniziata. Perché non potevamo tornare a parlare di Abrams? Oppure di Sebastian e delle argomentazioni degli avvocati? O del pavimento freddo del mio appartamento? Tutto, tranne quello. Non ero pronto e forse... non lo sarei mai stato. Probabilmente in fondo al mio cuore.. conoscevo esattamente i motivi che ancora mi legavano a David, il problema sarebbe stato ammetterli.
Un leggero movimento al mio fianco mi fece spostare di nuovo lo sguardo su di lui e quasi con il cuore in gola mi resi conto di quanto si fosse avvicinato e di come le sue labbra si fossero posate delicatamente sulla mia spalla nuda per poi distendersi in un sorriso tenero, da far sciogliere la più immensa calotta polare
"Dai, basta.. non era mia intenzione deprimerti... ti preferisco quando sorridi o quando inveisci contro i condomini arroganti... sei nettamente più bello!" mi disse sorridendomi, le magnifiche fossette ad incorniciare il tutto e gli occhi lucenti. Io arrossii, perché maledizione.. oltre ad avermi dato un tenerissimo ed umido bacio sulla pelle ancora accaldata, mi aveva appena detto di trovarmi bello. Ed ero sicuro che al mondo, nessun altro avrebbe potuto farmi sentire in quel modo, con un complimento tanto banale. Tentai un sorriso riconoscente, mentre gli occhi si inumidivano a sorpresa. No, ci mancavano solo le lacrime.
"Bene direi che è arrivato il momento per dormire... sono le... cazzo, sono le due.. e tra meno di tre ore devo essere a lavoro, grandioso!" sbuffò, con un leggero sorriso divertito. Controllai l'orologio anche io, stupito di quanto
fosse tardi, e di come il tempo fosse volato, letteralmente. Un attimo prima erano le undici e tutti stavano lasciando tranquillamente il mio appartamento. Quello dopo erano le due di notte ed io e Blaine eravamo reduci di un'altra sessione di appagante sesso.
Devo smetterla di chiamarlo in modo così squallido, sminuisce la cosa.. si dice fare l'amore...
"Perché non mandi un messaggio al forno e chiedi di rimanere a casa? In fondo... tra qualche giorno te ne andrai da lì, è giusto che inizi fin da ora ad abituarti alla libertà!" gli proposi e lui sembrò pensarci seriamente. Uno sbadiglio sonoro parve decidere per lui. Scoppiai a ridere, dandogli una spallata scherzosa, che mi incendiò la pelle
"Coraggio... manda questo messaggio, così possiamo finalmente dormire!" lo incitai e lui con mezzo sorriso grato, e gli occhi stranamente lucidi si sporse per cercare il cellulare nella tasca dei pantaloni - maledetto sedere che continuava a sbucare all'improvviso e a tradimento - e mandò il messaggio.
"Fatto... mi sento stranamente... leggero!" esclamò serenamente, poggiando il cellulare sul comodino per poi sistemarsi con la testa sul cuscino e sorridermi. Anche io scivolai più giù, di fronte a lui e risposi al sorriso
"Vedi di abituartici... tra qualche giorno sarà sempre così!" feci io divertito e lui fece una smorfia appena commossa. Rimanemmo a guardarci per lunghi istanti fino a che lui non si avvicinò di nuovo a me e non mi posò un leggero bacio sulla fronte, che mi fece avvampare all'istante e mi mancò il fiato in gola per la sorpresa. Era un gesto così tenero ed intimo da mandarmi fuori di testa. L'unico ad aver mai fatto una cosa del genere durante tutta la mia vita era stato... mio padre...
"Buonanotte Kurt..." mormorò con gli occhi visibilmente stanchi. Io sospirai
"Buonanotte a te, Blaine!" e lui si allontanò dal mio corpo, purtroppo, accoccolandosi meglio tra i cuscini per poi addormentarsi. Lo intuii dal respiro più profondo e regolare e dall'adorabile espressione beata e tranquilla che mise su. Sembrava così indifeso ed era così maledettamente bello. Con i capelli che gli ricadevano sulla fronte, la bocca leggermente dischiusa, le ciglia lunghe che gli sfioravano delicatamente gli zigomi. Una meraviglia della Natura ed io avevo avuto l'enorme ed insensata fortuna di accoglierlo nel mio letto, e non solo in quello.
Mi sistemai meglio, dimenticandomi involontariamente del cane ancora accoccolato su di me, che si alzò e si sistemò esattamente in mezzo a noi, con il muso poggiato al braccio di Blaine. Sorrisi intenerito: avrei voluto fare una foto ad entrambi e poi metterla come sfondo sul cellulare. Certo, peccato che forse David non avrebbe gradito.
Già, David...
Con un sospiro ritornai a pensare alla domanda che mi aveva fatto Blaine sulla mia relazione sbagliata e alquanto ambigua. Io conoscevo alla perfezione la risposta alla sua domanda... ma come avevo detto, trovavo parecchia difficoltà ad ammetterlo. Ero un fifone. Un fifone di venticinque anni.
Distrattamente passai una mano sulla fronte di Blaine scostandogli qualche riccio ribelle e, sospirando, mi ritrovai a confessare
"La verità è che... ho una fottuta paura di rimanere solo!"

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Capitolo 24
*** La tazza sorridente ed il ninja sul terrazzo ***


Buon Lunedì e buon inizio settimana a tutti... da oggi finisce la pacchia per la sottoscritta perché ahimé sono ricominciati i corsi ç__ç ma non vi preoccupate, per il momento questo non comporta nessun cambiamento per quanto riguarda gli aggiornamenti, solo gli orari potrebbero cambiare, anziché la mattina potrei pubblicare il pomeriggio, ma cercherò di non posticipare troppo nell'arco della giornata, promesso ^^ Dunque, vi siete ripresi un pò per gli ultimi due capitoli a forte carica erotica? Ah, io ancora no XD stento ancora a credere di aver scritto quelle cose, ma.. come dico spesso, è colpa loro se succedono certe cose nella storia, io mi limito a pubblicarle sul sito ^^ Per quanto riguarda questo capitolo... beh molti di voi leggendo lo spoiler mi hanno già minacciata di morte e cose così... quindi vi avviso... ho già pronte le valigie per l'espatrio, parto subito dopo la pubblicazione ç___ç è stato bello conoscervi e... sappiate che vi ho voluti bene... TUTTI! Mmmm scherzoooo... ci vediamo Giovedì XD
p.s. Immagine come sempre offerta dal mio adorato Dan, che vuole uccidermi quasi quanto voi.. ç___ç Dan, luce dei miei occhi.. perdonami se puoi. Firmato Sebastian the Bastard <3
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments ) il prossimo mm sta arrivando... abbiate fede ^^





New York City. Ore 08.23 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)

In venticinque anni di misera vita, non ero mai riuscito a trovare il tempo per andare al museo per contemplare qualche storica opera d'arte o qualche monumentale statua e quindi, di quel tipo di bellezza, ne sapevo davvero poco, se non addirittura niente. A scuola era stato un corso che avevo sempre tenuto alla larga con un certo disappunto, preferendo lezioni come "Storia della Cucina" - che, tuttavia, non mi aveva insegnato neanche il modo migliore per cucinare un semplice uovo fritto - oppure "Elementi basilari della Meccanica industriale" - faceva già paura il nome, figuriamoci il corso vero e proprio. Quindi di arte ero davvero inesperto, nudo, alle prime armi... eppure, in quel momento, disteso a pancia in giù, testa sul cuscino e corpo completamente rilassato, sentivo di stare contemplando una delle opere d'arti più meravigliose che la natura potesse offrirmi e questa si trovava esattamente nel mio letto.
Blaine dormiva tranquillo, rilassato ed innocuo come un cucciolo di Labrador - paragone assai calzante dato che, neanche a farlo di proposito, ne avevamo uno proprio in mezzo a noi, intento a russare leggermente. Accarezzai la testolina morbida di Cooper e distrattamente allungai di più la mano, verso il braccio del suo padrone, poco distante. Aveva la pelle calda e di un colore così affascinante, che a contatto con la mia, aveva un duplice effetto: risaltava maggiormente, ma allo stesso tempo mi faceva diventare ancora più niveo e trasparente. Glielo avrei dovuto far notare prima o poi, e forse anche lui si sarebbe fatto quattro risate con me.
Risalii la mano verso la fronte e gliela accarezzai con la punta delle dita, scostando così qualche riccio in disordine. Erano così morbidi e mi piaceva da impazzire passarci le dita attraverso, perché lo trovavo estremamente rilassante. E sarei stato anche tentato di farlo ancora, se solo non avessi rischiato di svegliarlo, e allora sì che sarebbe stato imbarazzante spiegargli cosa stessi facendo.
Con molta attenzione mi sollevai dal letto, cercando in ogni modo di non far svegliare né lui né il cane - che continuava a russare come un essere umano, accidenti! - e mi affrettai ad indossare i boxer, un pantalone ed una t-shirt, per poi uscire molto silenziosamente dalla camera, a malincuore lo ammetto. Prima di lasciare la stanza, però, lanciai un'altra occhiata al corpo addormentato di Blaine, giusto per accertarmi che fosse ancora lì e che non lo avessi sognato, che nulla di quello che quella notte era successo lo avessi immaginato semplicemente.
Per mia fortuna era tutto reale, lui e il suo cane lo erano ed io quasi mi lasciai scappare un sospiro beato nel contemplarli. Erano una visione da togliere il fiato ed io avevo avuto il privilegio, non solo di poterli osservare dormire, ma anche di ospitare nel mio letto. Quando mi sarebbe capitata di nuovo quella fortuna?
Perfettamente rilassato e riposato, nonostante le appena quattro ore di sonno, mi ritrovai in cucina: quella volta avrei pensato io alla colazione perché... quella era casa mia ed era giusto così. Dovevo ringraziarlo per tante cose: per essermi ancora amico, per essere rimasto a darmi una mano dopo la cena, per essersi lasciato guidare dall'istinto la sera prima, per avermi baciato, toccato, venerato ed apprezzato ancora una volta, pur non avendo nessun apparente motivo per farlo. E ancora, per avermi dato modo di sperimentare finalmente un paio di esperienze nuove e meravigliose che probabilmente non avrei mai potuto fare altrimenti, per essere rimasto a dormire con me, nel mio letto, per non essere scappato, per non avermi fatto troppe domande, per essersi interessato alla mia vita con la solita innocente discrezione e per essere ancora sotto il mie lenzuola a renderle più profumate e a rendere l'inizio della mia giornata, notevolmente più piacevole.
Misi su del caffè - quello lo sapevo fare - e tirai fuori dalla credenza delle fette biscottate e della marmellata. Blaine era più tipo da pesca, fragola o frutti di bosco? Mmmm... decisamente fragola. Sistemai tutto con molta cura sulla tovaglia e rimasi in attesa che il caffè uscisse, recuperando un paio di tazze ed un pò di cacao. Tutto sommato, nonostante non avessi fatto le frittelle come lui la prima volta, potevo ritenermi soddisfatto. Di certo non sarebbe morto di fame e poi, era già a conoscenza delle mie lacune culinarie, quindi non avrebbe fatto molte storie a riguardo.
Spensi la macchinetta, riempii le due tazze e, con un sorriso scemo sulla faccia, disegnai una piccola faccina sorridente con il cacao sulla superficie del suo caffè e, quando fui soddisfatto, sospirai e mi diressi verso la camera da letto, per svegliare Blaine. Cosa sarebbe stato meglio? Scuoterlo leggermente annunciandogli che la colazione era pronta? Semplicemente chiamarlo per nome e sperare che il suo sonno fosse abbastanza leggero per sentirmi? Oppure, come nelle favole, lo avrei dovuto risvegliare con un tenero e romantico bacio?
Mmmm... c'è bisogno di chiedere quale delle tre opzioni preferirei mettere in pratica?...
Ma non riuscii neppure ad arrivare in camera, perché il campanello prese a suonare, con molta insistenza. Confuso guardai l'orologio appeso nel salotto: erano le otto e trentacinque e dunque non sapevo proprio chi mai potesse disturbarmi ad un orario tanto assurdo del mattino. Per un attimo temetti fosse Rachel che, curiosa di sapere come si fosse conclusa la mia serata - dato che per tutta la cena non aveva fatto altro che lanciarmi occhiate eloquenti e bisbigliarmi frasi del tipo "Stasera è particolarmente bello, te ne sei reso conto?" - e quindi, spinta dalla maledetta ed invadente curiosità che si ritrovava, era salita direttamente per constatare di persona cosa fosse successo. Magari dimentica perfino del fatto che quella a dover iniziare con le spiegazioni fosse lei e non io.
Andai ad aprire la porta e nell'istante esatto in cui i miei occhi si erano scontrati con quelli castani e furiosi di David, il mio respiro si era letteralmente congelato nel petto, facendomi boccheggiare in cerca d'aria e mi maledissi immediatamente per non aver pensato minimamente di controllare dallo spioncino prima di spalancare quella maledetta porta. Mi sarei evitato quella assurda situazione, avere il mio ragazzo sullo zerbino ed il mio vicino nudo ed addormentato tra le mie lenzuola. Ed ognuno di loro, ancora all'oscuro di tutto.

New York City. Ore 08.36 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)

C'era stato qualcosa, forse un rumore o probabilmente il guaito appena accennato di Cooper che all'improvviso mi aveva fatto passare dal sonno profondo ad essere completamente sveglio e recettivo. Avevo aperto gli occhi e mi ero guardato attorno leggermente confuso, fino a che, non avevo fatto due più due ed avevo capito che quelle lenzuola non erano le mie, ma di Kurt e che per la seconda volta avevamo dormito assieme dopo aver fatto l'amore.
Sospirai, stanco, e mi tirai a sedere, mentre il mio cane sollevava il muso e stringeva gli occhi nella mia direzione, quasi stentasse a riconoscermi
"Sono sempre io, piccola peste... sono solo completamente nudo e assurdamente assonnato!" ed accennai un sorriso concedendogli una carezza sulla testa. Bene, ora mi sarei dovuto alzare e, per la seconda volta in una settimana, avrei dovuto affrontare a tavolino con Kurt quello che era successo la notte prima. Peccato che forse, quella volta, ci sarebbero stati due o tre particolari in più da spiegare.
Tipo... perché diavolo in quattro anni di relazione il tuo ragazzo non ti ha mai consentito di stare sopra? Perché mi sembravi così terrorizzato quando mi sono inginocchiato spontaneamente sotto di te? Perché eri così spaventato e tremante? E perché diamine non sei ora qui nel letto con me e non mi stai riempiendo di coccole?...
Lanciai un'occhiata alla sua radiosveglia sul comodino e lì capii il perché.. era tardi e lui generalmente alle nove usciva di casa. Che se ne fosse già andato? Oppure... mi stava preparando la colazione? Sorrisi intenerito all'idea e mi allungai verso il pavimento per cercare i miei abiti, sparsi un pò ovunque. Ma all'improvviso qualcosa mi fece gelare sul posto. Una voce, una specie di urlo scimmiesco proveniente da un punto imprecisato della casa, che mi fece tremare dalla punta dei ricci fino a sotto i piedi.
Rimasi immobile, con un braccio ancora allungato verso la mia maglia, completamente paralizzato. Quello non era Kurt, lui non stava gridando, non era la sua voce. Ma allora chi...
"Quando pensavi di farmi una fottuta chiamata, Kurt? Quando pensavi di farmela?" urlò la voce, maschile ovviamente, minacciosa e dura. La voce di Kurt invece, pur arrivandomi chiara all'orecchio, era notevolmente più bassa, anche se agitata sensibilmente
"Abbassa la voce, Dave... non sei a casa tua e non ti permetto di usare quel tono con me!" esclamò secco. Quasi caddi di testa per terra. Aveva detto... Dave? Dave stava per David, giusto? E David era... oh porco cazzo! Il suo ragazzo era lì, nel suo appartamento, fisicamente presente, ed io ero ancora completamente nudo. Cosa sarebbe successo se fosse entrato in camera da letto e mi avesse visto in quello stato? Anzi, cosa sarebbe successo se mi avesse visto e basta? Prevedevo guai, grossi guai.
Biascicando un'imprecazione a mezza bocca, mi affrettai ad indossare i miei vestiti - i miei boxer proprio non riuscivo a trovarli, ma... ehi... poco male, ne avevo tanti nel mio appartamento, a soli tre metri di distanza - e solo dopo aver malamente recuperato il cellulare dal comodino, aver nascosto il lubrificante nel cassetto e la carta vuota del preservativo nella tasca dei jeans ed aver sistemato alla meglio la mia parte del letto - tanto per non destare sospetti - mi arrischiai ad affacciarmi nel corridoio. Bene da lì, tutto tranquillo, potevo anche tentare di... scappare dal balcone, no? Magari avrei potuto scavalcare la grata proprio come aveva fatto Kurt qualche giorno prima, sperando di essere altrettanto atletico e fortunato. Sempre se, la cattiva sorte, non avesse voluto che prima David mi scoprisse.
Da lì le grida del ragazzo si avvertivano decisamente più chiare e io avvertivo uno strano tremolio alle mani, quasi fossi più innervosito dal tono che quel pazzo stava usando nei confronti di Kurt che del pericolo di essere scoperto. Kurt a conti fatti era solo ed io non avrei potuto fare nulla per aiutarlo. Dovevo rimanere fermo ad ascoltare passivamente e a reprimere la voglia di entrare in cucina e riempire di pugni e calci quello sbruffone? Come diavolo aveva fatto Kurt a stare per ben quattro anni con uno così?
É complicato da spiegare!...
Io non ci trovavo niente di così complicato: lui stesso aveva ammesso di non amarlo e di non poterlo mai amare, quindi non capivo cosa lo costringesse a rimanere ancora con lui, soprattutto se a conti fatti quello era il modo in cui veniva trattato. Avevo temuto, e temevo ancora, che fosse David a non permetterglielo ma io, non ero nessuno per mettermi in mezzo ad una situazione del genere. Doveva essere Kurt a decidere di lasciarlo ed io... beh... dovevo rimanere ancora una volta fermo e buono ad ascoltare passivamente.
"E mi spieghi cosa cazzo ci fanno due tazze di caffè sulla tua tavola? C'è qualcun altro con te?" gridò ancora la voce. Kurt mi aveva davvero preparato la colazione, ma invece di essere entrambi seduti al suo tavolo per gustarla tranquillamente, io ero nascosto in corridoio e lui stava affrontando il suo ragazzo in cucina. David aveva capito che ci fosse qualcun altro nell'appartamento oltre a Kurt, così istintivamente feci un passo indietro, quasi volessi correre a nascondermi. Sarebbe stato più incosciente andare a chiudersi in bagno, oppure rimanere lì ed affrontare lui e la sua ira?
"No David non c'è nessuno... questa tazza l'ho preparata per.. Rachel, avevo intenzione di invitarla su a fare colazione con me!" riuscì ad inventare lui, risultando perfettamente credibile perfino alle mie orecchie, che conoscevano la verità. Sorrisi, fiero della sua prontezza di riflessi e del suo sangue freddo. Io probabilmente al suo posto sarei svenuto lì in quella cucina.
Mmm.. probabilmente io al suo posto, se fossi stato fidanzato, non mi sarei portato un altro ragazzo a casa...
"E tu... inviti qui la tua amichetta... ma di chiamare il tuo cazzo di fidanzato, no?" gridò di nuovo David, facendo spaventare anche me.
"Io invito chi mi pare.. questa è sempre casa mia fino a prova contraria!" esclamò Kurt, sempre più infervorato. Non sapevo fino a che punto convenisse remare contro David. Certo, lui lo stava trattando malissimo, però, doveva ricordarsi che, anche lui era in difetto e avremmo rischiato grosso entrambi se mi avesse trovato in quella casa. Sperai vivamente che Kurt sapesse cosa stesse facendo e come trattare il suo ragazzo, altrimenti eravamo spacciati.
Prendendo un lungo respiro, avanzai lentamente verso il salone, rasentando le pareti e camminando letteralmente in punta di piedi: l'atteggiamento da finto ninja era un'arma a doppio taglio, perché sì, mi permetteva di muovermi indisturbato per la casa, ma allo stesso tempo mi avrebbe reso ancora più colpevole agli occhi adirati e gelosi di David. Quindi era meglio andarci cauti. Mentre la conversazione continuava, fortunatamente con toni più leggeri - David gli stava chiedendo che fine avesse fatto la sera prima e perché non lo avesse chiamato, e lui gli stava spiegando che c'era stato un incidente con l'ascensore ed era stato occupato a cercare di liberare alcuni condomini - io riuscii a raggiungere la porta-finestra e molto delicatamente, sudando sette camicie, riuscii ad aprirla. In quell'istante, però, sentendomi osservato, azzardai un'occhiata verso la cucina, che si trovava proprio di fronte a me. Gli occhi terrorizzati e tremendamente dispiaciuti di Kurt si incatenarono ai miei e ci fu un lungo istante, in cui riuscimmo a comunicare in quell'assurdo modo. Io tentai un mezzo sorriso rassicurante e lui, mordendosi un labbro, scosse appena la testa. David era seduto al tavolo della cucina e mi dava le spalle. Da dietro, dovevo ammettere, che riusciva ad incutere una certa paura data la sua poco rassicurante stazza. Dio, quel tipo era il doppio di me - non che ci volesse poi molto - ed io davvero avevo pensato di irrompere in cucina ed affrontarlo? Mmm... magari rinunciando spontaneamente ad un paio di ossa, forse. Ma che diavolo ci faceva Kurt, così gentile e delicato, con un colosso del genere? Cosa c'entrava con lui?
Ecco spiegate alcune delle parole di Abrams... quel tizio aveva avuto ragione almeno nel descrivere David...
Con un sospiro, staccai gli occhi dai suoi, e sparii sul terrazzo. Una volta all'aria aperta, respirai, riempiendomi completamente i polmoni, dopodiché mi avvicinai alla ringhiera. Ok, se ero riuscito a sopravvivere alle ire di un fidanzato giustamente geloso, sarei morto nel tentativo di scavalcare quell'affare. Ma io dico, dove si era mai vista una cosa del genere? Cos'ero diventato? L'amante che si nasconde sotto il letto, nella speranza di non essere visto dal marito, rientrato prima dal lavoro? Che diavolo era successo nel mezzo?
Sei andato a letto con Kurt.. ecco cosa è successo...
E se mi fossi nascosto lì, magari dietro una pianta, e avessi aspettato che David fosse andato via per poi uscire dalla porta? Magari avrei mandato un messaggio a Kurt, avvertendolo del fatto che fossi ancora lì e che magari avrebbe potuto farmi un cenno quando lui fosse uscito. Solo che, rimanere su quel terrazzo e nascondersi dietro qualcosa, avrebbe significato rimanere lì a spiare la vita privata di Kurt e David... ed io non me la sentivo proprio. Magari, per fare pace, David l'avrebbe convinto ad andare in camera da letto a... No, dovevo farmi forza e scavalcare quella maledetta ringhiera. D'altronde c'era riuscito lui, perché io non dovevo farcela allora? Mi aggrappai saldamente alle sbarre e salii sul muretto. Bene, avevo appena scoperto di soffrire di vertigini. Bella scoperta del cazzo!
Ottimo tempismo Anderson...
Guaendo come un idiota in punto di morte e con le mani tremanti, misi un piede dall'altro lato e con una mossa, che poco aveva a che vedere con la grazia e l'agilità che aveva usato Kurt qualche sera prima per compiere lo stesso gesto, riuscii ad atterrare miracolosamente illeso dall'altra parte. Mi trattenni dal mettermi a ballare entusiasta, solo perché avvertivo ancora addosso una certa adrenalina e la paura per il rischio immenso che entrambi avevamo corso. Non ci potevo ancora credere: eravamo stati due sfigati e David aveva scelto davvero il giorno meno adatto per decidere di fare una sorpresa al suo fidanzato. Se avessi potuto, gli avrei stretto la mano per complimentarmi.
Con un sospiro stanco entrai in casa - per fortuna avevo l'abitudine di lasciare socchiusa la porta-finestra, altrimenti sarebbe stato davvero buffo capire come rientrare - e senza neanche pensarci mi diressi in cucina per mettere su un pò di caffè. Ne avevo bisogno per svegliarmi e per provare così a ragionare un pò a mente perlomeno lucida. Anche se c'era ben poco da ragionare. Kurt in quel momento era dall'altra parte del pianerottolo a parlare con David, probabilmente avevano già fatto pace e lui era stato costretto - o forse no - a distrarlo, trascinandoselo in camera. Nella camera dove, fino a mezz'ora prima, dormivo anche io. Nel letto in cui, quella notte, lui aveva fatto l'amore con me, aveva sperimentato cose nuove, facendomi ugualmente sentire vivo nonostante l'imbarazzo e l'inesperienza. Sulle stesse coperte sulle quali aveva fatto dormire anche il mio cane, nonostante i miei tentativi di persuasione. E... 
Aspetta un minuto...
Lanciai un'occhiata terrorizzata verso le ciotole colorate che avevo in un angolo della cucina, vuote perché ovviamente il loro proprietario ne aveva fatto razzia. E solo allora mi resi conto di una cosa: per colpa della paura di essere scoperti, della fretta di scappare, della voglia di liberare entrambi da quella situazione, mi ero completamente dimenticato di una cosa. Cooper era ancora a casa di Kurt!

New York City. Ore 08.56 A.M. 07 Aprile 2012 (Sabato)

Mi tremavano le mani. Quasi non riuscivo a tenere ferma la tazza di caffè che avevo preparato - quella con il sorriso, ovviamente, l'altra l'avevo data a David. Mai avrei potuto immaginare che mi sarebbe potuta capitare una cosa del genere. Mai, in quattro anni di relazione David si era mai presentato alla mia porta così presto di mattina, senza avvisare, ma tecnicamente non era quello a farmi tremare così tanto. Era stata la consapevolezza di ciò che sarebbe potuto succedere se, per qualsiasi motivo, avesse deciso di lasciare la cucina, ed andare in camera da letto a controllare. Non osavo immaginare cosa sarebbe successo se avesse scoperto Blaine, ancora nudo tra le mie lenzuola. Probabilmente non si sarebbe più limitato semplicemente ad urlare. Della mia incolumità non mi importava, ma se avesse fatto del male a Blaine... beh, allora lì le cose cambiavano parecchio.
Vederlo lasciare il mio appartamento di soppiatto, quasi fosse un ladro, e nonostante tutto avere ugualmente la forza per sorridermi rassicurante, quasi non fosse successo nulla, mi aveva fatto sentire ancora più maledettamente uno schifo. Ce lo avevo messo io in quella situazione, non perché lo avessi costretto a venire a letto con me e a fermarsi a dormire durante la notte, semplicemente era colpa mia perché ero io quello fidanzato ed io avrei dovuto essere un pò più di coscienza e prevedere che prima o poi le cose sarebbero andate esattamente in quel modo, scivolandoci dalle mani. Avevamo rischiato davvero tanto ed io ancora non lo avevo pienamente realizzato.
"Sei ancora convinto di non voler venire con me a Toronto la settimana prossima?" mi domandò ad un tratto la voce tesa e ancora innervosita di David, fortunatamente ad un tono molto più basso rispetto a prima. Io lo guardai, confuso, senza davvero capire. Ero ancora troppo scosso per prestargli attenzione.
"Mmmm si.." borbottai, mandando giù un altro sorso di caffè di Blaine
Questo era il suo caffè con la sua faccina sorridente. Avrei voluto tanto vedere la sua espressione davanti a questa tazza...
"Davvero, Kurt.. a volte fai delle cose che io proprio non capisco!" sbottò lui, sollevandosi in piedi di scatto. Io inarcai un sopracciglio, guardandolo male
"E allora non sforzarti neanche di capirle!" ribattei. Quella colazione non doveva finire in quel modo, anzi.. la mia giornata non doveva cominciare così, con un'altra litigata con David. Avrebbe dovuto essere piacevole, sorridente, magari perfino un pò imbarazzata, ma senza ombra di dubbio i miei occhi si sarebbero dovuti incatenare ad un oceano dorato, piuttosto che perdersi in una bufera in formato David. Perché? Perché se per una volta provavo ad essere felice, doveva necessariamente andarmi male? Perché io non potevo prendermi il mio momento di serenità con la persona che io avevo voluto scegliere, e non potevo lasciarmi andare, senza maschere né finzioni, né costrizioni di alcun tipo? Perché non potevo semplicemente essere un banale ragazzo di venticinque anni, con la vita tranquilla, la vita sentimentale sgombra e la voglia di fare tranquillamente ogni tipo di esperienze? Perché doveva per forza essere così difficile?
Gli strappai quasi la tazza mezza vuota dalle mani e mi affrettai a sciacquarle dentro il lavandino. Mi veniva da piangere: era sbagliato, tutto sbagliato ed io non avrei dovuto trovarmi lì con David quella mattina, ma avrei dovuto invece litigare scherzosamente con Blaine su chi dovesse lavare i piatti - dato che la sera prima non lo avevamo fatto - o su come dovessimo definire quella seconda esperienza. Io una mezza idea ce l'avevo, ma non potevo rischiare di formulare un pensiero tanto importante, proprio davanti alla figura innervosita di David. Meglio da solo, magari nel mio letto che ancora sapeva di Blaine, dopo aver pianto ancora un pò per colpa della mia vita ingiusta.
Te la sei scelta tu questa situazione, Kurt.. tu sei padrone della sua vita e puoi cambiarla in qualsiasi momento...
Con un sospiro, liquidai la questione piatti a quella sera, dirigendomi verso la camera da letto per cambiarmi, ma di nuovo qualcosa me lo impedì: nel salotto trovai un piccolo cucciolo di Labrador, compostamente seduto, in attesa di qualcosa, forse di cibo. Lo guardai sconvolto, avvertendo un'altra nota di panico attanagliarmi lo stomaco: cazzo, Cooper era ancora lì. Blaine se lo era dimenticato!
Maledizione, maledizione, maledizione...
Cooper abbaiò leggermente, salutandomi, facendomi una tenerezza incredibile - è proprio vero che i cani somigliano ai padroni con il tempo - e mi ritrovai a sorridergli in risposta. Stavo giusto per piegarmi ed afferrarlo per abbracciarlo un pò, quando la voce stizzita di David, pensò bene di rovinare anche quel momento
"E quel cane cosa diavolo ci fa qui?" domandò duro, avvicinandosi. Io mi piegai per stringerlo al petto, come fosse una piccola ancora di salvezza - pelosa e al profumo di vaniglia. Quasi stessi stringendo.. lui. Era il suo cane, un pezzo della sua vita, ed io forse avrei potuto aggrapparmi a lui, sperando di sopravvivere ancora una volta a quell'inferno. Cooper mi leccò leggermente una guancia, entusiasta, facendomi ridere
Decisamente sì...
"Adesso ti sei comprato anche un cane? Un altro affare da mettere in lista, prima del tuo fidanzato!" mi accusò livido di rabbia. Sospirai pesantemente. Eccolo che ripartiva alla carica. Prima Lea, poi Rachel e adesso perfino Cooper. Si sarebbe mai stancato di fare la vittima e avrebbe iniziato a comportarsi come un qualunque uomo di trent'anni compiuti?
"Questo cane non è mio... sto facendo un piacere ad una persona che mi ha chiesto di tenerglielo per un pò!" inventai, trascinando Cooper in cucina per farlo almeno bere in una ciotolina pulita.
"E chi sarebbe questa... persona?" domandò lui, curioso. Arrossii, colpito in pieno dalla sua domanda
"Il mio... vicino!" mormorai con la voce leggermente instabile, ma pregai il cielo di non essere scoperto. Lui fece un suono strano con la bocca
"Tu hai un vicino?" domandò scettico. Arrossii ancora di più.
Certo che ho un vicino, sciocco di un David.. è passato un mese ormai, e tu non te ne sei ancora accorto...
"Sì..." sussurrai
"Ed è un ragazzo?" indagò, ovviamente, da buon soggetto possessivo qual'era
"Mmh mmh!" mormorai, cercando di fare il vago, mentre riempivo una scodellina d'acqua e la posavo sul pavimento per Cooper
"É un ragazzo gay?" chiese ancora, sempre più duro. Punto sul vivo, mi girai verso di lui di scatto
"Cosa cazzo vuoi che ne sappia io se il mio vicino è gay oppure no? Non me ne vado in giro a domandarlo a tutti i ragazzi, David, anche perché non mi interesserebbe!" esclamai infervorato, facendo spaventare sia lui che Cooper, con quello scatto. David assottigliò lo sguardo, colpito dalla mia reazione.
Maledetta linguaccia che mi ritrovo...
"Come dici tu!" sbottò infilando le mani nelle tasche dei jeans e spostando lo sguardo sul cucciolo che beveva tranquillo. Mi ritrovai a stringere i denti, sempre più innervosito. Quando David veniva attaccato, spesso era portato a chinare la testa e desistere dalle sue intenzioni. All'inizio avevo creduto lo facesse per non litigare con me, alla fine il tempo mi aveva fatto capire che l'amore per me non c'entrava nulla, si trattava semplicemente di mancanza di coraggio, e nient'altro.
Alla fine decisi di lasciar perdere e di andare seriamente a vestirmi, ma quasi fosse una congiura contro di me, di nuovo qualcosa mi bloccò a metà strada: il campanello di casa suonò brevemente, sorprendendomi ancora. Guardai verso la porta, con uno strano patema d'animo e fui quasi tentato di ignorare quel suono e tornare a fare ciò che stavo facendo. Ma un'occhiata veloce verso David, fu sufficiente per capire che, se non avessi aperto io, lo avrebbe fatto lui, e non sapevo quanto potesse essere raccomandabile lasciarglielo fare.
Ancora con le mani tremanti, andai ad aprire, pregando in tutte le lingue che non fosse affatto come io temevo. Ma ovviamente, quella non doveva essere la mia giornata
Decisamente no...
Per la seconda volta mi ritrovai a mancare un paio di respiri, sconvolto, alla vista di un paio di occhi, quella volta leggermente intimiditi e stanchi, di una meravigliosa sfumatura dorata.
"Ciao!" mormorò lui, stranamente inquieto. Ma mai quanto me. Mi lasciai sfuggire un leggero lamento che lui evidentemente avvertì, perché sgranò appena gli occhi, preoccupato.
No, Blaine, non puoi preoccuparti davvero per me... non ne hai motivo ed io non me lo merito...
"Ciao!" risposi deglutendo e avvertendo ancora l'istinto irrefrenabile di piangere. Di piangere ed aggrapparmi a qualcosa di solido per evitare di cadere miseramente a terra. Ma dovevo evitare di aggrapparmi a lui, non davanti a David perlomeno
"Ehm... scusa se.. ti disturbo a quest'ora ma... ecco.. io..." balbettò lui, incapace di dire altro e allora capii: era venuto per controllare, per controllare che tutto fosse tranquillo e che David non avesse dato di matto. Che non se la fosse presa con me. Quando era stata l'ultima volta in cui qualcuno aveva fatto una cosa del genere? A parte mio padre...
Ti prego, Blaine... basta...
"Certo... sei venuto qui per Cooper... vieni accomodati!" lo liberai dall'imbarazzo, tentando perfino un sorriso, ma avevo la vista appannata dalle lacrime. Ci mancava poco, davvero molto poco, purtroppo.
"Scusa se.. l'ho lasciato qui. Insomma... spero non ti abbia creato problemi!" mormorò lui alle mie spalle. Sembrava a disagio, non seppi se per quell'incidente deplorevole di poco prima, o se per il fatto che David, dalla porta della cucina, lo osservasse in maniera ben poco amichevole. Ovviamente la sua scarsa educazione gli aveva perfino impedito di rivolgere un cenno di saluto verso Blaine. Ma a giudicare dalle occhiate di fuoco che gli stava lanciando, immaginai che fosse meglio così. Ed io di certo non avevo intenzione di fare le presentazioni.
"Figurati.. è stato un vero angioletto." risposi, proprio mentre il piccolo Cooper, forse attratto dalla voce del padrone, trotterellava in salotto, fino alle gambe di Blaine, che lo prese subito in braccio, stringendoselo al petto.
Mmm... non piangere, Kurt... non piangere...
Tentai un altro sorriso, mentre lo sguardo di David al mio fianco diventava sempre più insistente e perentorio. Volevo scappare, lontano. Andare via da quell'appartamento, via da quella situazione assurda: il fidanzato e l'amante sotto lo stesso tetto a guardarsi entrambi in un'espressione indecifrabile sul volto. Blaine sapeva perfettamente in che situazione fossimo, eppure, nonostante questo, continuava a fissare David con una strana espressione dura e appena infastidita, mentre David, fortunatamente all'oscuro di tutto, non era di certo da meno.
Ah se gli sguardi potessero uccidere...
Quei due non se ne erano resi conto, ma facendo così, mi avrebbero lentamente ucciso e alla fine sarebbe rimasto veramente poco di me. Consumato dalle lacrime e dai sensi di colpa, dal peccato e dalla consapevolezza, dalla paura e dalla voglia di fare qualcosa che ancora non ero in grado di concedermi. La cosa peggiore era proprio quella di avere, forse, capito cosa volessi davvero, ma essermene reso conto nel momento peggiore. Forse avrei avuto bisogno di un pò di pace, un pò di solitudine, lontano da entrambi, per capire se il pensiero che aveva preso vita nella mia mente fosse quello più giusto, oppure no. Dopo parecchi istanti di mutismo generale e di scrutamenti indiscreti da parte di tutti, Blaine si decise a distogliere lo sguardo da quello minaccioso di David e mi lanciò un'occhiata particolarmente eloquente. Era come se si fosse appena chiesto cosa ci facessi io con uno del genere. E allo stesso tempo decidesse di volerlo a tutti i costi sapere. Io sospirai, affranto, ma tentai un sorriso. L'ennesimo del repertorio che mettevo sulla mia maschera giornaliera
"Adesso scusami Blaine... devo prepararmi per andare a lavoro. Quando hai ancora bisogno di qualcuno che tenga Cooper... sai dove trovarmi!" lo liquidai, sentendomi un mostro nel farlo in maniera così telematica e formale, ma avevo bisogno che se ne andasse, che si allontanasse da me, ma soprattutto da David. Mi si contorceva lo stomaco se continuavo a pensare al modo in cui i suoi occhi minacciosi si fossero stretti sulla figura del mio vicino. Lui non aveva il diritto di guardarlo in quel modo, Blaine era una persona troppo pura per meritarsi tale trattamento.
Dopo un momento di confusione, parve riscuotersi perché annuì e si avviò alla porta. Qui, lontani dal campo uditivo di David, lui si girò a guardarmi ancora una volta con la stessa maledetta intensità disarmante
"Tutto bene, Kurt?" mi chiese sottovoce, con un tono così leggero, da sembrare incorporeo. Io deglutii
"Sì.. Blaine, grazie.." mentii spudoratamente, ma quella volta non riuscii a mettere su anche un sorriso di circostanza. Proprio non ero in grado. Lui guardò velocemente dietro di me, verso David che, ci avrei scommesso, non ci toglieva gli occhi di dosso
"Sei sicuro?" domandò ancora, tornando a guardarmi. Emisi un altro leggero lamento, mentre la vista tornava a farsi opaca e, quando parlai, perfino la voce pensò bene di tradirmi
"Blaine, sì... ti prego!" lo implorai, davvero sull'orlo del precipizio. Sarei caduto e mi sarei fatto davvero male quella volta. Avrei tanto voluto che ci fosse qualcuno ad afferrarmi per evitare il peggio, o che perlomeno mi aspettasse alla fine del burrone per prendermi al volo, salvandomi. Ma sospettavo che anche quella volta sarei stato solo ad affrontare tutto.
Ricorda, Kurt... anche questo l'hai voluto tu...
Lui, visibilmente combattuto, annuì, strinse maggiormente Cooper al petto e rientrò nel suo appartamento, senza neanche voltarsi. Ed io, incapace perfino di fare una cosa così semplice come respirare, mi ritrovai a chiudere la porta, attraversare finalmente il salone, ignorando deliberatamente David e le sue occhiate assassine, dirigermi in bagno, chiudere la porta a chiave e scivolare pesantemente sul pavimento. E finalmente, abbandonarmi alle lacrime.

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Capitolo 25
*** Il conforto di un amico ***


(...) Mobili Ikea (B) Buon Giovedì miei cari cucciolotti... so che sembra una presa in giro augurarvi un buon giovedì, visto quello che succederà questa notte ç__ç ma... sono educata, nonostante tutto XD Dunque, dopo l'apparizione scioccante di David nello scorso capitolo, vi avverto di una cosa.. i nostri due eroi avranno un paio di capitoli che serviranno loro per capire... qui nello specifino ci occupiamo di Blaine che, come avrete capito, afffronterà un discorso con il suo migliore amico, porterà a cose buone secondo voi? Come vi avevo annunciato, gli servirà per fare chiarezza... vedremo se servirà a qualcosa oppure no. Il prossimo ovviamente è dedicato a Kurt così capiremo un pò le sue reali motivazioni visto che siete tutti curiosi di scoprirle (in effetti anche io lo sono XD) bene, adesso vi lascio al capitolo e speriamo di arrivare vivi a Lunedì per la prossima pubblicazione. In caso contrario, se dovessi mettere incompiuta tra gli avvertimenti, saprete almeno a cosa sarà dovuto ç___ç Vi amo angeli miei... tutti... e prometto di provvedere oggi stesso a rispondere alle vostre recensioni meravigliose. Se potete perdonate il mio osceno ritardo (un'altra cosa per cui disperarsi) :*
p.s. Il mio Dan mi ha minacciata... ha detto che DOVEVO farle trovare il capitolo al suo ritorno.. se non mi ammazza la 4x04 ci penserà lei XD Love you sweety
n.b Pagina Facebook ( Dreamer91) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments)




New York City. Ore 04.14 P.M. 08 Aprile 2012 (Domenica)


Faceva sempre uno strano effetto tornare nel vecchio appartamento di Sebastian, dopo averci vissuto per quasi sette anni. E faceva ancora più strano pensare che se prima, inserire le chiavi nel portone, prendere l'ascensore, e salire quei tre gradini che portavano al pianerottolo, mi era sembrato naturale e scontato, adesso sentivo tutto così estraneo e nuovo. Quasi non conoscessi più quel palazzo, quelle piante di plastica che adornavano il pianerottolo, la targhetta dorata affissa sulla porta blindata. Ed era passato soltanto un misero mese. Se già dopo così poco mi risultava tanto strano, non osavo immaginare cosa sarebbe successo tra sei o dieci.
Con un sospiro a metà tra il nostalgico e il divertito, aprii la porta, senza neanche suonare il campanello. Sebastian mi aveva dato degli orari prestabiliti entro i quali avrei potuto tranquillamente introdurmi nell'appartamento indisturbato. Oltre un certo limite sarebbe scattata quella che lui definiva la "zona rossa" e questo significava niente messaggi, niente chiamate, nessun tipo di visita fuori programma, fatta eccezione per attacchi di cuore o l'improvvisa scoperta di tumori terminali. Avevo immaginato che quella fantomatica zona rossa segnalasse i momenti di intimità con il suo ragazzo. Ed io, lo avevo sempre rispettato.
"Chiunque tu sia... sappi che sono armato e particolarmente propenso verso il macabro quest'oggi. Quindi se le tue sono cattive intenzioni faresti meglio a girare i tacchi e andartene. Anzi, fai una cosa... la signora del piano di sotto possiede una bellissima collezione di diamanti russi... fai un salto da lei se ti trovi!" mi avvertii minacciosa la voce di Sebastian, proveniente dal salone. Avvertii la risata cristallina di Daniel alla quale mi unii anche io, raggiungendoli.
La scena che mi si presentò davanti aveva dell'incredibile: Sebastian e Daniel erano seduti per terra, sul tappeto, tra scatoli aperti e cumuli di polistirolo, il primo con in mano un cacciavite ed un piede di quello che aveva tutta l'aria di sembrare un tavolino bianco, e il secondo intento a scrutare un foglio con strane figure disegnate. Non appena mi videro Daniel mi salutò con un gentile segno della mano, mentre Sebastian grugnì e tornò al suo cacciavite e al suo tavolino
"Mi riprometto sempre di sequestrarti le chiavi di quest'appartamento e poi dimentico puntualmente di farlo!" bofonchiò allora, stringendo con fatica una vite nel legno
"Cosa diavolo state combinando?" domandai confuso. Daniel mi sorrise, elettrizzato ma fu anticipato dalla risposta stizzita di Sebastian
"Secondo te, Anderson, cosa stiamo facendo? Tentiamo di montare un fottuto tavolino di legno, ecco cosa!" sbottò infastidito, arrossendo per lo sforzo. Daniel scosse la testa e tornò al suo interessantissimo foglio bianco.
"Ma... sbaglio o quella è roba dell'Ikea?" chiesi incerto, avanzando di qualche passo. Quella volta Sebastian si limitò a sbuffare seccato e a sistemarsi meglio i capelli scomposti. Fu Daniel a rispondere, il cui tono mostrava ancora di più quanto fosse eccitato
"Esatto... ci siamo stati questa mattina e non siamo riusciti a resistere all'impulso di comprare qualcosa... guarda per esempio quanto sono carini questi tre tavoli laccati... hanno diverse grandezze e si possono benissimo mettere uno sotto l'altro, a scala, oppure separatamente in giro per casa. Non sono adorabili?" e mi mostrò l'illustrazione in cima al foglio, e lì capii cosa stesse facendo: erano istruzioni di montaggio quelle. Istruzione di montaggio di un mobile. Un mobile dell'Ikea.
Trattenni a stento una risata, rivolgendo lo sguardo verso Sebastian che ancora, affaticato, trafficava con il montaggio del tavolo. E a giudicare dalle dimensioni ridotte, quello doveva essere il più piccolo dei tre. Aveva un non so cosa di buffo.
"Vado a prendere un pò di succo alla pesca, mi è venuta una sete tremenda... volete qualcosa anche voi?" ci chiese Daniel abbandonando le sue istruzioni e precipitandosi in cucina
"No grazie!" rispondemmo in coro io e Sebastian. Approfittai dell'assenza dell'altro ragazzo per avvicinarmi al mio migliore amico e sedermi sul divano. Lui mi guardò male e poi grugnì
"Azzardati a dire una sola parola... e giuro che ti infilo questo cacciavite su per il culo!" mi minacciò in un soffio. Riuscii per la seconda volta a trattenermi dallo scoppiargli a ridere in faccia ma proprio non riuscii a stare zitto
"Ikea, eh?" feci allora spudoratamente divertito, alzando un sopracciglio. Lui chiuse gli occhi e sospirò pesantemente
"Come se non avessi parlato!" biascicò ignorandomi. Afferrai il foglio delle istruzioni e me lo rigirai tra le mani. Francese, spagnolo, portoghese, italiano, svedese, russo, ucraino, cinese e giapponese. Dell'inglese neanche l'ombra. Alla faccia della lingua internazionale.
"Correggimi se sbaglio, Bastian, ma ho come un vago ricordo che mi rimbalza nella testa... in questo ricordo ci sei tu che con tono saccente e perentorio affermi che l'Ikea non è altro che un grande scatolone colmo di robaccia inutile che si trascina dietro il fardello di una società consumistica e priva del minimo gusto estetico!" ripetei fedelmente mentre una smorfia infastidita gli si dipingeva sul volto "Dico bene?" cercai allora conferma. Ero fastidioso, me ne rendevo conto da solo. Ma... quando mi sarebbe ricapitata in futuro una occasione come quella?
"Fottiti Anderson!" soffiò afferrando un altro piede del tavolino da inserire. Quella volta ridacchiai liberamente.
Colpito e affondato...
"Mi chiedo come sia riuscito Daniel a convincerti!" mormorai pensieroso. Lui sospirò, sollevando un sopracciglio e, dopo aver posato il mezzo tavolo costruito sul pavimento, alzò lo sguardo verso di me
"Lo amo troppo per dirgli di no... qualsiasi cosa mi chiedesse, anche... andare a saccheggiare l'Ikea di domenica mattina... la farei senza battere ciglio! Tutto pur di farlo felice!" mormorò serio ed io non dubitai neanche per un istante delle sue parole, perché in fondo, lo avevo immaginato. Dopo la faccenda di Cooper e dopo aver dormito per quasi due notti di fila in corridoio, munito solo di cuscino ed un misero plaid, Sebastian doveva farsi perdonare. Non sapevo esattamente cosa fosse successo, né dopo quanti scusa, Daniel si fosse deciso finalmente ad aprire la porta della camera da letto per riaccoglierlo tra le lenzuola, però... a giudicare dall'atmosfera serena che regnava tra quelle mura e dai pezzi di mobili sparsi per il pavimento, supposi che, qualsiasi cosa gli avesse detto Sebastian per convincerlo a perdonarlo, fosse stata molto importante. E poi, sinceramente... credevo davvero che la lite tra quei due sarebbe durata ancora a lungo? Daniel non sapeva stare senza Sebastian e Sebastian.. beh, senza il suo Dan combinava soltanto casini, quindi sarebbe stato un pò stupido da parte sua farselo scappare. Qualsiasi cosa avesse fatto, meritava la mia più profonda ed incondizionata stima.
Soprattutto se avesse deciso di cambiare gusti musicali...
Gli sorrisi intenerito e proprio in quel momento Daniel tornò nel salone, con una scodella colma di patatine e due birre, una delle quali la diede a me e l'altra la posò per terra. Prima di sedersi si allungò per sfiorare le labbra di Sebastian con le sue e tornò diligentemente alle sue spiegazioni in svedese. Ed eccoli, il ritratto perfetto della coppia perfetta. Intenti, durante un tranquillo pomeriggio di domenica, a montare dei mobili presi all'ingrosso, come se fosse la cosa più sensazionale del mondo. Daniel probabilmente non se ne rendeva conto, ma aveva tra le mani un potere enorme: far fare a Sebastian tutto ciò che più voleva, senza il rischio del rifiuto. Ma sapevo con certezza che non ne avrebbe mai approfittato come sapevo anche che i suoi occhi colmi di gratitudine ed amore verso Sebastian fossero sinceri. Sebastian aveva detto di amare troppo Daniel per dirgli di no. Io ero sicuro che Daniel amava troppo Sebastian per non rendersene conto.
"Allora, tappo... cosa ti spinge ancora una volta a varcare la soglia di quella che, ormai da tempo, non è più casa tua?" mi domandò Sebastian bevendo un sorso dalla sua birra, ritrovando il suo buonumore. Daniel gli tirò dietro un pezzo di polistirolo a mò di rimprovero per la sua solita pessima cortesia, ma io non ci feci caso: ormai lo conoscevo fin troppo bene per pensare di prendermela.
"Mi mancavate!" risposi con un sorriso, girandomi tra le mani la bottiglia di vetro appannata
"Oh che carino che sei!" mormorò Daniel colpito, rivolgendomi un sorriso radioso, ma il suo ragazzo non fu dello stesso avviso, perché scoppiò a ridere di gusto
"Bene, questa è la scusa che rifileresti ai creduloni..." e si beccò un altro pezzo di polistirolo in testa "Ma la verità?" e mi lanciò uno sguardo eloquente. Mmm... ero davvero così dannatamente scontato ai suoi occhi? Dopo neanche dieci minuti che ero entrato in quella casa, lui aveva già capito che ci ero andato perché avevo bisogno di parlare?
"La verità..." mormorai pensieroso "La verità è che... non lo so..." e lo dissi talmente tanto piano, da non essere del tutto sicuro mi avesse sentito. Nella stanza calò uno strano silenzio imbarazzante, che ben presto Daniel pensò bene di interrompere
"Mmm d'accordo... credo di aver capito che questo è uno di quei momenti in cui voi due volete starvene un pò soli per parlare... dunque io me ne andrò di là in cucina a... fare qualcosa! Quando avete finito fatemi un fischio, ok?" e detto questo ci rivolse un sorriso sereno e si alzò. Gli sorrisi a mia volta riconoscente e lui mi strinse una spalla comprensivo. Quel ragazzo era molto più maturo e discreto di quanto avessi immaginato. Sebastian aveva davvero trovato un tesoro.
"Grazie, piccolo!" esclamò Sebastian con un mezzo sorriso e lo guardò allontanarsi e chiudersi la porta della cucina alle spalle. In quell'istante sospirammo insieme per poi guardarci negli occhi e scoppiare a ridere.
"Coraggio, B... vieni a darmi una mano a montare questo affare prima che corra il rischio di impazzire!" mi invitò subito dopo. Io con un sorriso mi sedetti accanto a lui ed afferrai un altro piede del tavolino laccato. Chi avrebbe dovuto iniziare a parlare? Io, confessandogli tutto ciò che mi preoccupava? Oppure lui, curioso come sempre ma mai indiscreto quando si trattava di cose personali, avrebbe domandato dove fosse il problema quella volta? Da quanto tempo non ci concedevamo una sana chiacchierata tra amici?
Con un ulteriore sospiro decisi che avevo resistito anche troppo senza parlare, così iniziai
"Credo di aver combinato una cazzata, Bas..." mormorai afflitto. Lui fece una smorfia
"E qual'è la novità?" mi fece eco lui con un mezzo sorriso. Lo colpii su una spalla con un leggero pugno ma accettai il sarcasmo. Avevo bisogno anche di quello dopo tutto
"Cosa è successo?" mi domandò qualche istante dopo, afferrando la sua birra e bevendone un sorso
"Sono andato a letto con Kurt!" buttai lì con disinvoltura, mordendomi un labbro e aspettando la sua reazione. Come immaginavo, fu spropositata e per poco non si affogò
"Cazz... cosa?" mi fece tra un colpo di tosse e l'altro colpendosi il petto per non soffocare
"Sono andato a letto con Kurt..." ripetei allora levandogli la birra dalle mani così da impedirgli di farsi del male in futuro, dato che si prospettava una lunga conversazione
"Per due volte!" aggiunsi mesto abbassando la testa
"Ah però... ed io che credevo fossi ritornato vergine dopo tutta quell'astinenza forzata!" mormorò sorpreso
"Se devi fare la tua solita ironia da quattro soldi, posso anche alzarmi e andarmene piantandoti con il tuo prezioso tavolino di truciolato!" sbottai infastidito
"No, no... scherzavo, tranquillo!" si affrettò a dire bloccandomi per un braccio. Non che avessi reale intenzione di andarmene, però, doveva capire che avevo bisogno di una certa serietà da parte sua per potergli raccontare tutto quanto, e se i presupposti erano quelli, iniziavamo davvero male. Rifletté per qualche istante su ciò che gli avevo appena detto e poi sollevò le spalle
"Bene, hai fatto sesso con Kurt... e allora?" mi domandò confuso
E allora?...
"É proprio questo il punto Sebastian... per me non è stato semplicemente sesso!" risposi, stupendomi da solo di quanto fossi stato sincero nel dirlo
"Ah no? E cosa è stato allora?" mi domandò scrutandomi. Mi presi qualche secondo per pensarci. Cosa era stato per me quello che era successo con Kurt? Non era sesso, e questo lo avevo assodato. E quindi, cos'altro avrebbe potuto essere?
"Non lo so... sono confuso, maledizione! É per questo che sono venuto da te... ho bisogno che tu mi aiuti a... capire!" spiegai a fatica, sperando di non sembrare troppo disperato. Lui annuì pensieroso
"D'accordo, ti aiuterò, ma.. tu prima mi devi spiegare esattamente cosa senti... cosa provi... altrimenti la vedo difficile!" mi disse calmo, abbandonando definitivamente il montaggio del tavolo e prestandomi la totale attenzione.
"Da dove vuoi che cominci?" chiesi con un sospiro
"Beh, dall'inizio direi... quando tempo fa è successo?" mi domandò a sua volta
"La prima volta una settimana fa, la seconda ed ultima volta è successa venerdì sera!" risposi pratico
"Una settimana fa? E tu me lo dici solo ora?" sbottò offeso ed indignato
"Non mi sembra di aver sottoscritto un contratto con te che mi obbliga ad informarti tutte le volte che vado a letto con qualcuno!" risposi stizzito
"Prima lo facevi!" mi ricordò
"Prima avevo diciassette anni, eravamo compagni di stanza e tu eri l'unico amico gay decente che potessi avere. Mi serviva la tua supervisione in un certo senso. Adesso penso di potermela cavare da solo!" feci allora indispettito, incrociando le braccia al petto
"Ingrato!" borbottò
"Sebastian per piacere... fai il serio!" lo ripresi con un sospiro, passandomi una mano tra i capelli. Quando divagava Sebastian, voleva dire soltanto due cose: aveva bisogno di tempo per pensare, oppure aveva già pensato e non voleva rendermi partecipe di ciò che la sua mente aveva partorito. Temetti immediatamente per la seconda possibilità
"D'accordo, scusa... quindi: tu e Kurt siete finiti a letto insieme per ben due volte... e... come è successo?" domandò poco dopo
"Mi meraviglio di te, Seb... uno che si definisce così esperto in materia, si ritrova a chiedermi una cosa così banale?" lo provocai confuso, guadagnandomi quasi subito un'occhiataccia da parte sua
"E poi quello che si lascia andare all'ironia scandente sarei io!" mormorò "Intendevo come ci siete arrivati fino a questo punto? Vi siete provocati, oppure è venuto tutto naturale?" ritentò
"Bah, non saprei... per quanto mi riguarda è stato tutto abbastanza naturale. Cioè... c'era nell'aria della.. tensione... ma non avrei mai pensato potessimo arrivare a tanto!" risposi grattandomi la nuca, pensieroso. Eh no... quando eravamo tornati da quella maledetta festa, mai e poi mai avrei immaginato di finire a sfilargli la cravatta dal colletto della camicia e spogliarlo completamente di quello stupendo vestito firmato.
"C'era tensione, ho capito... e..." fece una pausa ad effetto "Ti è piaciuto?"
Bam! Domanda da un milione di dollari... rispondi Blaine... ti è piaciuto?...
"Da impazzire!" mi lasciai scappare con un sospiro estasiato. Bene, mi ero fottuto con le mie stesse mani.
Complimenti cazzone...
Inaspettatamente Sebastian non commentò, limitandosi a mascherare malamente un piccolo sorriso intenerito, con una smorfia
"E poi dopo... cos'è successo?" domandò ancora
"Dopo quando?"
"Dopo, Blaine, dopo... vi siete salutati e ognuno se n'è andato a casa sua, oppure siete rimasti a parlare?" io mi ritrovai ad arrossire, senza un preciso motivo
"Nessuna delle due!" mormorai. Lui si sporse appena verso di me, come se non avesse capito
"Come sarebbe a dire nessuna delle due? Che significa?" domandò confuso. Arrossii ancora, distogliendo lo sguardo
"Sarebbe a dire che ci siamo addormentati... ecco cosa!" confessai vergognandomi come un ladro. Non seppi esattamente come mai provassi tanto imbarazzo a confessare una cosa del genere. Sul momento, quando era successo, mi ero ritrovato a sorridere e ad apprezzare. Ora, parlandone con lui, mi pareva tanto infantile. Forse avevo paura della sua reazione: credevo potesse prendermi a schiaffi o, peggio, mettersi a ridere. Ma non fece nessuna delle due cose. Rimase in silenzio, pensieroso, forse per troppo tempo
"Quindi avete dormito insieme?" mi chiese cauto. Io mi limitai ad annuire con la testa, sempre con gli occhi rigorosamente lontani dai suoi, quindi non seppi mai con che espressione mi guardò in quel momento. Se era deluso, seccato, divertito, arrabbiato, confuso, scandalizzato. Seppi soltanto cosa disse poco dopo e cosa questo scatenò in me
"Tu non hai mai dormito con nessuno, Blaine... neanche con me!" mormorò. Quella consapevolezza, già ampiamente annidata nel mio cervello, tornò a galla prepotentemente. Come avevo immaginato, il mio migliore amico mi conosceva davvero bene. Gli era bastato davvero poco per fare due più due. Adesso rimaneva da capire quanto ci avrebbe messo per scoprire il risultato.
Si lasciò andare ad un lungo sospiro, incrociando le braccia al petto. Approfittai di quel momento di pausa per sollevare lo sguardo. Lo trovai ancora pensieroso, ma con gli occhi chiusi. Waw... dovevo averlo sconvolto davvero parecchio per farlo riflettere in modo così profondo.
Dopo quella che parve una mezza eternità, riaprì gli occhi, facendomi sobbalzare appena
"E venerdì sera... cos'è successo?" domandò con uno strano tono
"Venerdì sera... abbiamo organizzato una cena a casa sua con tutti i condomini del palazzo, è stata molto... piacevole. Solo che, a fine serata, io... non so cosa mi sia preso ma, mi sono offerto di rimanere con lui ad aiutarlo a sistemare e... sì insomma... ero stranamente elettrico.. non so neanche io cosa sia veramente successo. Un minuto prima stavamo parlando di dove mettere l'insalata, quello dopo, abbiamo iniziato a provocarci spudoratamente. Finire a baciarci è stato il passo successivo. Poi il resto... lo lascio alla tua immaginazione che ha la fama di essere molto ben fornita!" mi concessi una battuta per sdrammatizzare, ma lui non colse l'occasione. Era davvero troppo pensieroso. Strano, molto strano
"Bas... si può sapere a cosa stai pensando?" domandai senza riuscire più a trattenermi
"Avevi ragione B... quello non è affatto sesso!" mormorò con lo sguardo fisso chissà dove sopra la mia spalla, quasi parlasse da solo. Emisi un leggero lamento frustrato ma lui tornò a parlare
"E quel messaggio... quello che mi hai inviato l'altra sera... ti riferivi... a Kurt, non è vero?" strinsi le labbra e sospirai
"Sì... è che... mi sentivo davvero intrappolato. Io non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo e continuo tutt'ora a non farlo. E poi tu... tu mi hai mandato quel maledetto messaggio e io allora.. mi sono sentito... davvero atrocemente fottuto!" mormorai afflitto, agitandomi. Quella conversazione si stava dimostrando più complicata di quanto avessi voluto. Lui scosse la testa
"Non era mia intenzione... non volevo di certo complicare la situazione più di quanto non lo fosse già!" esclamò visibilmente dispiaciuto
"Tu non c'entri Bas... lo avrei capito ugualmente da solo. Quella situazione era diventata davvero insostenibile!" lo rassicurai scuotendo la testa. Non avevo di certo intenzione di accusarlo per via di quel messaggio. Anzi... era stato merito suo, della sua brutale sincerità, se ero riuscito ad aprire gli occhi e rendermi conto del problema.
"Gliene hai parlato?" domandò poco dopo, con cautela. Sgranai gli occhi, con il respiro appena più agitato
"No!" esclamai allora, quasi gridando. Lui sorpreso inarcò un sopracciglio, così mi affrettai a continuare "Cioè io, non... posso! Kurt è... come dire... leggermente fidanzato!" spiegai. Il sopracciglio gli si inarcò maggiormente
"Che diavolo significa che è leggermente fidanzato? Blaine... o si è fidanzati o non lo si è!" fece lui confuso. Ecco, sapevo avrebbe avuto quel tipo di reazione
"E lui lo è... solo che... mi ha confessato di non amarlo e... beh ieri mattina ne ho... avuto la conferma!" risposi accigliandomi, nel ricordare cosa fosse successo il giorno prima. Ancora stentavo a credere che avessimo avuto tanta sfortuna e fortuna nella stessa mezza mattinata.
"Cosa è successo?" mi chiese incrociando di nuovo le braccia al petto. Sospirai ancora. Bene, quello sarebbe stato veramente complicato da spiegare
"Ecco io non credo che importi sapere..." ma la sua voce perentoria mi bloccò
"Sputa il rospo, Anderson!" e mi fulminò con lo sguardo. Ecco, così imparavo ad espormi troppo
"Io l'ho incontrato... il suo ragazzo, intendo. L'ho incontrato ieri mattina. Lui è... venuto a casa di Kurt mentre io ero ancora... come dire... poco presentabile!" arrossii, maledettamente colpevole.
"Poco presentabile? Vuoi dire che eri... nudo?" domandò non riuscendo a trattenere un sorriso divertito. Sbuffai
"Esattamente!"
"E... ti ha visto?" chiese ancora, sempre più attento
"No... per fortuna no. Kurt lo ha tenuto in cucina così io ho avuto il tempo per rivestirmi e..." arrossii ancora, con più intensità. Diavolo, un conto era scappare come un ladro dall'appartamento del proprio amante. Un altro era ammetterlo a voce alta. Davanti a Sebastian.
"Ti sei nascosto nell'armadio?" tentò lui mordendosi un labbro per mascherare un altro sorriso estremamente divertito.
"No!" gridai ancora, sconvolto che potesse pensare una cosa del genere di me
"Sotto il letto?" ritentò
"No!"
"Nel bagno?"
Mmm.. ammetto di averci pensato!...
"No... Sebastian smettila. Sono... scappato... dal terrazzo!" spiegai finalmente, con le orecchie in fiamme. Lui fece una mezza smorfia di apprezzamento
"Hai avuto fegato!" riconobbe.
"Ho avuto sfiga... ecco tutto." mormorai alzando gli occhi al cielo. Lui scosse la testa per poi sospirare
"D'accordo.. Kurt è fidanzato però... ha fatto sesso con te due volte in meno di una settimana, dico bene?" mi chiese, pratico come sempre. Io persi un battito
"S-sì.." balbettai
"Mmmm... non credo che il suo sia il tipico atteggiamento della persona sentimentalmente impegnata, e poi mi hai appena detto che lui stesso ti ha confessato di non amare il suo ragazzo!" affermò tornando pensieroso, grattandosi il mento
"Già... suppongo... che lui sia solo... confuso!" provai, risultando poco credibile anche alle mie stesse orecchie. Lui infatti sbuffò una risata
"Blaine, piccolo ingenuo... una persona confusa non ti lascia dormire nel suo letto e soprattutto non nasconde il suo ragazzo in cucina per non farvi incontrare. Avrebbe potuto giocarti un tiro mancino e in un solo colpo si sarebbe sbarazzato di te e anche di lui. Se non lo ha fatto è stato solo per proteggerti, per evitare di metterti in mezzo. Con questo non gli sto dando ragione, io... non tradirei mai il mio ragazzo, perché so di amarlo più della mia stessa vita e tradire lui significherebbe tradire me stesso, ma lui... lui lo ha tradito, senza neanche pensarci e non parlo solo della questione fisica. Lui lo ha fatto per te. Perché probabilmente per Kurt contava molto di più non tradire la tua fiducia. Ti ha dato più importanza del suo stesso ragazzo, Blaine." mi spiegò serio e appena sorpreso dalle sue stesse parole. E quello che disse mi lasciò di sasso.
"Sebastian... cosa..?"
"Prova a rifletterci un attimo. Tu e lui eravate amici... ricordo perfettamente quando mi hai parlato della cena a casa tua o di quegli assurdi post-it che vi lasciate per salutarvi la mattina. Parti dal presupposto che due amici non finiscono a letto assieme, per nessun motivo al mondo e... no, Blaine io e te non facciamo testo!" mi bloccò proprio mentre cercavo di correggerlo. Lasciai perdere con un sospiro
"Nonostante quello che è successo tra di voi, i vostri rapporti non si sono rovinati... dico bene?" mi domandò ed io mi ritrovai stranamente ad ingoiare un nodo opprimente in piena gola
"No... non si sono rovinati affatto..."
Anzi...   
"Come immaginavo. E come se tutto questo non bastasse, l'altra notte è successo ancora. Non voglio sapere le motivazioni che vi hanno spinti per la seconda volta a letto assieme, perché quelle sono affari vostri e soprattutto mi rendo conto che non esiste una spiegazione facile ed immediata per certe cose. Però una cosa vorrei fartela notare. Per la seconda lui si è dimenticato del suo ragazzo, ha messo da parte la sua relazione, di qualsiasi natura essa sia, e lo ha fatto mentre era con te. Io non credo che una cosa del genere possa essere classificata come... confusione!" esclamò e sul finale si strinse nelle spalle, quasi non avesse più parole da dirmi. Come se non riuscisse più a trovare il modo per convincermi.
Il nodo alla gola si intensificò e perfino gli occhi iniziarono a bruciare. Quello che Sebastian diceva non aveva senso. Si era trattato di due occasioni, soltanto di due momenti di debolezza. Lui forse era frustrato per la situazione poco piacevole con David ed io avevo semplicemente bisogno di contatto umano. Io non credevo ci fosse tutta quella roba, dietro i nostri gesti. Kurt era... sicuro di quello che aveva fatto? Di aver tradito David con me e di avermi coperto il giorno dopo? D'accordo ma allora perché non lasciava il suo ragazzo per provare a... chiarire la faccenda? Perché il faccione minaccioso di David continuava ad apparirmi in sogno, ormai con una forma del tutto chiara, dato che avevo finalmente dato un volto alla sua presenza? E perché, maledizione, le parole del mio amico, facevano così male, quasi scavassero in profondità?
"Ti faccio un'ultima domanda, B, ma pretendo la sincerità da te, d'accordo?"
"Sincero come lo sono stato finora!" asserii con convinzione, seppure con la voce appena soffocata
"Provi qualcosa per Kurt!" fece allora con cautela, eppure con una sorta di strana consapevolezza. Mi ritrovai a fissarlo stupito
"Più che una domanda, mi è sembrata un'affermazione la tua!" mi ritrovai a ribattere
"E tu non hai risposto!" mi ammonì
"Come si fa a rispondere ad un'affermazione, Bas?" mi lamentai capriccioso. La verità era un'altra. Non volevo dirglielo, perché, conoscendo già perfettamente la risposta, avevo paura di scatenare ancora una volta una reazione che non mi sarebbe affatto piaciuta. E poi.. un conto era pensarle certe cose, un altro era dirle ad alta voce. Le rendeva tutte un pò più... reali.
"Blaine!" mi chiamò, appena severo, con un cipiglio di disappunto disegnato in faccia. Sospirai, arrendendomi all'evidenza. Avevo deciso di parlare con lui, di sfogarmi. Bene, avrei dovuto tirare fuori tutto, anche il coniglio che mi ostinavo a nascondere così accuratamente nei meandri del cilindro
"Sì... penso di provare qualcosa per lui. Non so cosa, di preciso... ma è abbastanza forte da farmi perdere la ragione tutte le volte che incrocio il suo sguardo, anche se per sbaglio!" confessai a testa bassa, avvertendo una strana morsa allo stomaco. Altro che farfalle. Io avevo delle colombe che mi svolazzavano lì dentro.
"Semplice attrazione fisica?" mi chiese meditabondo
"No, non penso... è qualcosa di più..."
"Ti sei innamorato?" ed eccolo a sganciare la bomba e poi rimanere in attesa dell'esplosione. Sbattei le palpebre ripetutamente per qualche secondo, interdetto. Come si poteva rispondere ad una domanda del genere? Semplice... sviando!
"Ma non.. avevi detto di aver finito con le domande?" chiesi stupidamente, iniziando a sentire chiaramente le guance arrossarsi. Di nuovo. Sebastian invece si aprì lentamente in un mezzo sorriso sghembo e probabilmente questo gli bastò. C'è chi dice che a volte il silenzio sia più eloquente di mille parole. I silenzi di Sebastian lo erano di sicuro, soprattutto perché lui era in grado di dire molto di più con una smorfia o con un sorriso. Delle parole se ne faceva veramente poco.
"No, no... so a cosa stai pensando, Bas, e te lo dico subito: ti sbagli... non è come credi!" farfugliai in preda al panico. Ma ormai la bomba era stata sganciata, sarebbe stata questione di secondi
"Io non ho detto niente, Blaine... stai facendo tutto tu da solo!" mormorò con quel sorrisetto poco raccomandabile sul volto, tranquillo e sereno. Ma io non lo ero affatto. Maledizione, avevo capito a cosa voleva alludere quell'idiota e io non gliel'avrei data vinta così facilmente, D'altronde, stavamo parlando di qualcosa di irreale, che non stava né in cielo né in terra.
"Io no... io non sono innamorato di Kurt, nella maniera più assoluta! No, no! Fuori discussione, levatelo dalla testa!" sentenziai accaldato, afferrando con un gesto secco la mia birra per berne un lungo sorso. Possibile che mi fossi agitato così tanto per qualcosa che ero sicuro non fosse vera? Possibile stessi iniziando a... dubitarlo?
"Cazzo, no!" borbottai con una leggera nota isterica nella voce, realizzando tutto ad un tratto la verità. Io e Kurt eravamo stati a letto per due volte, ed io mi rifiutavo di chiamare quello che c'era stato tra di noi, semplicemente sesso. La prima volta poteva anche essere classificata sotto il nome di "intermezzo", se non si considerava il fatto che, dopo essere stati insieme, Kurt non si era rivestito e non era scappato via vergognandosi a morte ed inveendo contro di me, ma si era rilassato completamente tra le mie braccia e si era addormentato. La seconda volta, però, come dovevamo chiamarla? Dimostrazione di quanto fossimo idioti e maledettamente ipocriti verso noi stessi? Perché dopo aver fatto l'amore per ben due volte - eccolo il nome giusto! - ed essere stati bene come lo eravamo stati noi, senza compromettere minimamente il nostro rapporto, anzi, rafforzandolo in un certo senso... beh, forse qualcosa di anomalo doveva esserci.
"No, cazzo, no, no, no..." iniziai a dare i numeri alzandomi in piedi e affondando le mani nei capelli. Come avevo fatto ad essere così stupido? Come potevo essere caduto così presto nel più banale e squallido dei cliché? Il ragazzo gay che si innamora del suo amico dopo esserci andato a letto, e che ignora perfino l'evidenza. E non era la prima volta che succedeva. Ci ero già cascato con Sebastian. Non poteva succedermi ancora, non con Kurt.
"Blaine, calmati per piacere!" tentò Sebastian allora guardandomi preoccupato
"Calmarmi? No... non posso... sono un cretino, Bas... un fottuto cretino! E meno male che avevo giurato a me stesso che non sarebbe più capitato, non dopo che..." ma mi bloccai con un nodo in gola e lanciai un'occhiata disperata in direzione del mio amico. Lui parve cogliere immediatamente il senso delle mie parole, perché si affrettò ad alzarsi e a raggiungermi
"Blaine... ti rendi conto che tutta questa storia non ha niente a che vedere con Jeremiah?" mi fece allora prendendomi per le spalle e scuotendomi
No, no... perché lo hai nominato? Perché lo hai fatto?...
Non pensavo facesse ancora tanto male dopo così tanto tempo. Avrei giurato di averlo superato, dopo quasi sette anni. Avrei giurato di non essermi fatto più condizionare da lui e da quello che era successo. A quanto pareva, però, avevo fatto male i calcoli e tutto ciò che viene nascosto male, prima o poi tende ad avere l'abitudine di sbucare fuori, quando meno ce lo si aspetta.
Non so come mi ritrovai con la fronte schiacciata al petto di Sebastian e le sue braccia stretta attorno alla schiena. Forse dipendeva dal fatto che fossi troppo esposto e lui volesse proteggermi. Forse dipendeva dal fatto che stessi piangendo. Senza essermene minimamente accorto. Di nuovo. Sì, senza dubbio le lacrime c'entravano.
Mi ritrovai dopo poco a singhiozzargli sulla camicia e a stringermi quasi spasmodicamente a lui. Temevo di affogare, di nuovo, e aggrapparmi al mio amico mi sembrava l'unico modo per rimanere a galla. D'altronde era già riuscito a salvarmi una volta... lo avrebbe fatto ancora, no?
"Ho paura!" mormorai tra un singhiozzo e l'altro
"Di cosa?" mi domandò cauto, ancora stringendomi. Mi presi qualche istante per calmare le voce e chiarire le idee, ma lui lo interpretò come indecisione per questo intervenne
"Se si tratta del suo ragazzo, non credo tu debba preoccupartene. Parlane con Kurt e vedi se anche lui prova le stesse cose per te. Se vi siete innamorarti l'uno dell'altro, non vedo dove sia il problema!" esclamò sicuro. Io scossi la testa e chiusi gli occhi che quasi bruciavano
"Non è di questo che ho paura. Sinceramente non me ne frega nulla di David in questo momento!" affermai
"E allora cosa...?"
"Ho paura di me..."

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Capitolo 26
*** Lacrime di nostalgia e torta al cioccolato ***


Salve a tutti mmmori miei... dunque, questa volta ho due cosette da dire, la prima riguarda Blaine e quella frase finale che ha sconvolto qualcuno di voi.. diciamo che ho cercato, rispondendo alle recensioni di spiegare il punto di vista di Blaine, a cosa fosse dovuta la sua paura, ma siccome so che ci sono molti lettori silenziosi ai quali ovviamente non ho potuto spiegare, vorrei riportarvi un pezzo della recensione della cara Carli90, che secondo me ha centrato in pieno il messaggio che volevo far arrivare "..Inutile dire che Blaine ora ha realmente aperto gli occhi e quindi è spaventato da se stesso, una cosa che per me risulta normale essendo lui. Vista la sua storia passata e il fatto che ha amato realmente solo una volta nella sua vita fa sì che ora non sappia affrontare realmente la situazione a cui sta andando in contro. Anche se in realtà ci è in mezzo ma solo ora è alle prese sui suoi sentimenti..." ho sottolineato la parte che interessa di più così si capisce ^^ ringrazio Carli per avermi permesso di usare la sua recensione per provare ad essere un pò più chiara e chiedo scusa a voi per non esserlo stata nel capitolo. La seconda cosa che dovevo dirvi riguarda Kurt ed il capitolo qui sotto: dunque, so che molti aspettavano con ansia le spiegazioni sul comportamento di Kurt e vi assicuro che qui sotto ne troverete molte, però vorrei chiedervi, di provare a prenderle per quelle che sono.. magari molti rimarranno delusi perché si aspettavano qualcosa di più grande o più forte: vi chiedo solo di capire un ragazzo di 25 anni che per anni si è visto il mondo contro (o almeno ha creduto che così fosse) e che solo ora si è forse reso conto di non essere così sbagliato in fondo. Per commentare il suo passato, aspetto che abbiate letto il capitolo quindi.. buona lettura e ci vediamo Giovedì... un bacio a tutti amorigni miei, grazie mille per le magnifiche recensioni e come sempre ricordatevi che senza di voi Just a Landing non esisterebbe neanche <3
p.s. L'ho già detto ma lo ribadisco... questa immagine del mio Dan è tremendamente romantica *___*
n.b: pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta, lo so, manca la Finchel ma vi giuro che non ho più tempo neanche per respirare, ma farò il possibile promesso ^^ ( Just a Landing - Missing Moments )





New York City. Ore 10.21 A.M. 08 Aprile 2012 (Domenica)

"Ok, qui dice che, dopo aver aver versato tutto il contenuto del pentolino nella farina, bisogna amalgamare per bene il tutto e poi lasciare raffreddare per qualche minuto!" lessi attentamente le indicazioni scritte sul ricettario dell'iPhone, mentre una Rachel in versione 'pasticciera alla riscossa' veniva verso di me, con un pentolino bollente in una mano facendomi segno di spostarmi per passare.
"L'hai presa davvero sul serio questa storia della torta!" esclamai con un sorriso sornione, poggiando un fianco al tavolo, proprio accanto a lei. Fece una mezza smorfia e dopo aver versato il contenuto del pentolino sulla piccola montagna di farina bianca, prese a mescolare con cura.
"Chissà cos'è che ti fa diventare così... creativa!" aggiunsi fingendomi sorpreso e passandole un altro pò di farina
"Come se non lo sapessi." borbottò lei, guardandomi di traverso. Le sorrisi furbo, ma evitai di farle notare che, come al solito, Kurt Hummel ne sapeva più di lei. Con un sospiro mi avvicinai al frigo per prendere da bere - visto che la signorina Berry era venuta nella mia cucina per il suo momento creativo - e poco dopo le passai un bicchiere di aranciata che lei accettò con un mezzo sorriso. Mi sedetti di fronte alla sua postazione di lavoro - il mio tavolo della cucina, per intenderci - e incrociai le braccia, in attesa
"E dunque, dovremmo aspettare ancora molto?" le chiesi. Lei mi guardò confusa, per poi afferrare un asciugamano e ripulirsi della farina in eccesso
"Per la torta intendi? Beh... aspetta almeno che l'abbia infornata!" rispose afferrando una teglia ed un panetto di burro. Sollevai un sopracciglio, a regola d'arte
"Rachel... ti sembro il soggetto ideale, al quale propinare una torta al cioccolato fondente, con scaglie di cioccolato bianco, crema di cacao e panna montata?" le domandai scettico, sentendomi quasi offeso. Lei lasciò per un momento la teglia sul tavolo, per guardarmi meglio
"Direi di no..."
"E allora non fare la finta pasticciera dei miei stivaletti firmati e vedi di tirare fuori da quella bocca la versione più veritiera di questa storia. Dopo averti dato il permesso di mettere in disordine la mia preziosa cucina, credo di meritarmelo, come minimo!" la minacciai, puntandole un dito contro. E la cosa parve fare effetto perché arrossì fino alla punta della frangetta e si morse un labbro, imbarazzata. Dopo quella che parve un'eternità, si decise a parlare, finalmente
"La torta è per Finn!" mormorò a voce molto bassa, sperando forse di non essere sentita. Ma purtroppo per lei, in quegli anni, oltre ad aver sviluppato un ottimo gusto estetico, avevo migliorato notevolmente perfino il mio udito. Sorrisi trionfante
"Ma davvero?" domandai, finto tonto, facendola arrossire ancora di più
"S-sì"
"E sentiamo... per quale ricorrenza sarebbe? Festeggiate il vostro primo bacio? Oppure la vostra prima..."
"Kurt!" mi riprese, scarlatta, alzando una piccola nuvoletta di farina dal tavolo. Mi morsi la lingua per evitare di scoppiarle a ridere in faccia. Era già tanto che non fosse scappata via urlando, dovevo perlomeno provare a contenermi.
"Spiegami tu, allora!" la invitai con un gesto della mano, poggiando poi la schiena alla spalliera della sedia, per stare più comodo. Lei sospirò riprendendo ad imburrare la teglia
"Non c'è niente da spiegare. La torta è per lui, per ringraziarlo delle sue numerose cortesie verso me e Lea. Si prende tanti disturbi e preparargli una torta mi sembra davvero il minimo sinceramente!" mi spiegò, appena contrariata, forse perché non si aspettava la Santa Inquisizione quella mattina. La squadrai, con un fastidioso sorrisetto sulle labbra
"Numerose cortesie.." ripetei, facendola arrossire ancora e sbuffare
"Smettila!" abbaiò, poggiando con poca delicatezza la teglia sul tavolo, alzando un'altra piccola nube di farina. In un altro momento l'avrei ripresa malamente per come stava aggredendo la mia preziosa cucina, ma avevo altro a cui pensare. E quell'altro, riguardava lei che cercava inutilmente di nascondere un ingombrante elefante fucsia nella stanza.
"Di fare cosa?" la provocai rubando un pò di cioccolato fondente per assaggiarlo
"Di fare insinuazioni. Tra me e Finn non c'è nient'altro che una bella amicizia." si difese lei a spada tratta mescolando per bene il composto, forse con fin troppa forza
Questa poi...
"Certo... dimenticavo che, per stare più comodi, gli amici trascorrono del tempo assieme mezzi nudi, in un appartamento praticamente vuoto!" mormorai continuando a guardarla con quel sorriso fastidioso stampato in faccia. Lei si morse un labbro, sempre più rossa ed accaldata
"Ennesima insinuazione, Hummel. Alla prossima ti giuro che me ne vado via, e ti lascio la cucina in questo stato!" minacciò, anche se con poca convinzione. Rachel Berry moriva dalla voglia di parlare, glielo si leggeva in faccia. Eppure, forse per pudore o per chissà quale altro motivo assurdo, si rifiutava ancora di farlo. Ma io ero testardo e alla fine tra i due, l'avrei senza dubbio spuntata.
"D'accordo... hai ragione. Questi non sono affari miei. É la tua vita, Rachel e tu sei abbastanza grande per gestirla come meglio credi!" e le rivolsi un'espressione fintamente costernata, allungando perfino una mano per sfiorarle un braccio. Lei, incredula, mi lanciò un'occhiata confusa. Era panico quello che le leggevo negli occhi? Beh, se così fosse stato, allora la mia tecnica stava perfettamente funzionando.
3...
"G-grazie!" mormorò ancora sconvolta
2...
"Prego!" le risposi alzandomi in piedi per accendere il forno e darle così modo di riflettere per qualche istante ancora. Anche se il tempo era quasi scaduto
1...
"Accendere il forno a 130 gradi per quarantacinque minuti... dico bene?" le chiesi conferma, girando lentamente la manopola della temperatura, ma la risposta non arrivò. Almeno, non quella adatta per la domanda che le avevo fatto
Boom...
"Non abbiamo fatto niente!" esclamò con la voce chiara e ferma. Sorrisi vittorioso, dandomi delle pacche mentali per l'astuzia e per aver vinto con lei, per l'ennesima volta. Mi girai a guardala, trovandola con la schiena poggiata al tavolo e l'espressione addolorata
"Come sarebbe a dire che non avete fatto niente? Tu avevi la camicia sbottonata e lui era... mezzo nudo!" protestai indignato. Dio, il ricordo delle mutande indecenti di Finn Hudson ancora riecheggiava nella mia mente, purtroppo. E non era affatto un bel vedere. Lei sbuffò, chiudendo per un momento gli occhi
"L'intenzione era quella, posso assicurartelo.. solo che..." ma si bloccò spostando lo sguardo sul pavimento
"Solo che?" la incalzai allora. Tornò a guardarmi, fulminandomi quasi
"Qualcuno ha pensato bene di interromperci proprio sul più bello." rispose fingendosi sarcastica. Mi accigliai
"E chi è questo idiota che..." ma mi bloccai, cogliendo il riferimento e per la prima volta, fu il mio turno per arrossire
"Oh!" mormorai imbarazzato
"Già... oh!" fece lei tornando alla sua torta. Mi grattai una guancia, sentendomi tanto il cattivo della storia, che fa di tutto per dividere i due amanti protagonisti
"Mi spiace." le dissi in un sussurrò accasciandomi al lavello. Lei sospirò lentamente per poi girarsi e sorridermi, finalmente senza rancore
"Non farlo, Kurt. Tu non c'entri nulla. Non è colpa tua se l'ascensore si è bloccato, io non... avrei mai lasciato la mia bambina chiusa lì dentro solo per appagare un mio desiderio fisico. Piuttosto avrei preso la cabina e testate per farla uscire da lì!" mi disse serenamente
Oh, come ti capisco...
Le sorrisi in risposta e mi avvicinai a lei
"Beh il fatto di essere stati maleducatamente interrotti una volta, non significa che quello che stava per succedere, non possa più ripetersi." provai a farle notare, in una voluta nota allusiva. Lei ridacchiò sistemandosi la frangetta
"É quello che spero sinceramente!" mormorò con un sospiro beato che mi fece ridacchiare. Mi cacciò la lingua e se ne tornò al suo impasto. Mi risedetti di fronte a lei e posai il mento sulla mano, profondamente divertito
"Peccato solo che... Finn sia così alto!" esclamai teatralmente, marcando la penultima parola. Lei aggrottò la fronte, non cogliendo l'allusione
"E quale sarebbe il problema?" domandò confusa
"Beh è risaputo che i ragazzi eccessivamente alti, poi abbiano qualche piccolo deficit nella zona inferiore, diciamo!" e le sorrisi, orridamente malizioso. E lei finalmente capì. E di conseguenza arrossì ancora
"Kurt!" gridò indignata, prendendo una manciata di farina dal pacco e tirandomela addosso. Fortunatamente chiusi gli occhi appena in tempo, prima di rimanere accecato
"Ehi... quella farina la pago io. Vedi di non sprecarla!" borbottai scuotendo la testa, per ripulire i capelli. Mi cacciò di nuovo la lingua ed io per dispetto le feci lo stesso. E alla fine ci ritrovammo a ridere assieme.
Dopo circa mezz'ora e dopo aver finalmente infornato la torta e pulito alla meglio la cucina, ci ritrovammo sul divano per berci una tranquilla tazza di thé verde, con la speranza di non rompere nulla quella volta.
"Devo dire che fa uno strano effetto vederti con un ragazzo. Per un momento ho seriamente creduto che per ripicca contro il genere maschile, fossi diventata lesbica!" esclamai, piegando le gambe sotto il sedere per stare più comodo.
"Forse per un pò l'ho pensato anche io." ridacchiò lei con una piccola smorfia
"E dimmi, ora che ci sei uscita più spesso... come ti sembra?" le chiesi, mettendo da parte l'umorismo e passando alle cose realmente più importanti. Rachel sospirò profondamente prima di parlare
"Ricordi l'ultima volta che abbiamo parlato? Quando ti ho confessato di avere paura e di non voler rovinare tutto di nuovo, solo per colpa di un mio... capriccio momentaneo?" mi chiese gesticolando
"Certo!"
"Ecco io... non so dove sia riuscita a trovare il coraggio ma, Venerdì ne ho parlato con Finn... gli ho spiegato quelli che erano i miei timori e cosa esattamente mi frenasse in sua compagnia. Lui, contro ogni aspettativa, mi ha ascoltata e alla fine... mi ha sorriso e mi ha detto che non devo assolutamente preoccuparmi, perché con me lui ha intenzioni serie, anzi... con me e Lea ne ha e che vorrebbe andarci con calma, magari parlandone prima con mia figlia, per vedere cosa ne pensa se lui e la sua mamma vogliono frequentarsi un pò e... vorrebbe parlarne anche con i miei papà!" e mi sorrise raggiante ed emozionata.
Hai capito Finn Hudson. É proprio vero che l'abito non fa il monaco... o meglio, le mutande non lo fanno...
"Davvero molto maturo da parte sua. Sono colpito!" esclamai sinceramente, stringendole una mano. Lei annuì con vigore
"Ho solo paura di come possa reagire Lea. Lei è così... piccola e, anche se non lo dimostra, soffre davvero tanto per la mancanza del suo vero padre. Non vorrei che vedesse Finn come un intruso, come qualcuno che vuole intromettersi tra me e lei." spiegò rigirandosi nervosamente la tazza tra le mani
"Perché allora non le parli? Da sola intendo... tu e lei. Lea è una bambina molto intelligente e sono sicuro che, se le spieghi con calma che la presenza di Finn non potrà mai, per nessun motivo al mondo, rovinare il vostro rapporto, lei capirà. In fondo, vi ho visti a cena l'altra sera... sembravate davvero una bella famiglia felice e Finn con lei è stato estremamente dolce. Sappiamo entrambi quanta difficoltà faccia tua figlia ad aprirsi con gli uomini, ma con Finn si è comportata quasi meglio di quanto non abbia mai fatto con me." le feci notare, proprio perché era esattamente quello che avevo notato io. Quella cena era stata una sorpresa continua, a partire da Finn.
"L'ho pensato anche io. Lea con Finn è estremamente tranquilla e si fa abbracciare, prendere in braccio e comprare tutto, senza esitazioni. Ed è proprio questo che in un certo senso mi fa ben sperare." esclamò radiosa ed io non riuscii a non essere felice per lei "E lui con Lea è estremamente dolce... ogni volta che le prende semplicemente la mano, si gira verso di me, quasi chiedesse il permesso. Mi rispetta... ed io lo apprezzo molto!"
Ok... Finn Hudson ha guadagnato una marea di punti... potrebbe anche iniziare a piacermi... potrebbe...
"E per sottolineare meglio il concetto, l'altra sera ti è galantemente saltato addosso!" scherzai, per provocarla un pò. Lei arrossì di nuovo, tirandomi uno schiaffo sul braccio, fintamente indignata
"Finiscila... non è colpa sua. Sono stata io a farmi avanti." lo difese prontamente
"E lui di certo non si è tirato indietro..." mormorai malizioso, facendola ridacchiare
"É un uomo... ha le sue esigenze. Ed anche io ho le mie." si giustificò a testa bassa "Vorrei farti presente che sono più di quattro anni che non ho una relazione con un uomo. Credo di averne il diritto anche io ormai!" e si impettì, quasi offesa.
Dio, Rachel... quattro anni? Come cazzo hai fatto?...
"Speriamo che perlomeno ne sia valsa la pena di aspettare." feci bevendo l'ultimo sorso di thé e guardandola di sottecchi. Quella volta, non mi riprese, accettò la provocazione con una mezza risata ed una promessa
"Sarai il primo a saperlo, fidati. Soprattutto perché non vedo l'ora di sfatare questo tuo maledetto mito dell'altezza!" e mi lanciò un'occhiata di sfida.
"Se avrai ragione e sarai disposta a portarmi delle prove.. allora mi inchinerò alla tua saggezza infinita, signorina Berry!" e finsi un mezzo inchino. Ridemmo ancora per un pò, parlando di Finn e delle mie teorie, fino a che, non so come, ci trovammo entrambi seduti per terra, con la schiena poggiata al divano. Rachel sospirò e fece scivolare la testa delicatamente sulla mia spalla
"Sai ora che ci penso... non tutti i mali vengono per nuocere!" esclamò con un sospiro beato
"Sarebbe?" le chiesi curioso
"Beh... se quel pezzo di merda non mi avesse messa incinta e poi non mi avesse abbandonata, io non sarei mai venuta ad abitare a Lower East Side, non avrei mai preso in affitto questo appartamento e... non avrei mai conosciuto te!" e mi pizzicò giocosamete un fianco. Sorrisi intenerito e commosso
"E non avresti conosciuto neppure Finn!" le ricordai, canticchiando un pò. Lei ridacchiò sollevando la testa e tornando a guardarmi negli occhi
"Già... non avrei conosciuto neppure lui." convenne divertita e meravigliosamente felice. Le feci una smorfia eloquente che la fece ridacchiare, dopodiché fu il mio turno per appoggiare la testa sulla sua spalla, e per farlo dovetti scivolare un pò più giù con la schiena, vista la differenza di altezza
"Tu comunque rimani in cima alla mia lista. Non è che nel frattempo sei diventato etero?" domandò divertita, facendomi ridere
"No, carina, mi dispiace per te... mi piacciono ancora gli uomini." le ricordai restituendole il pizzicotto "Tra l'altro, mi secca offenderti, ma credo tu sia costretta a metterti in fila. C'è qualcun altro che merita la precedenza!" mormorai tranquillamente, immaginando che reazione lei potesse mai avere. Contro ogni aspettativa, scoppiò a ridere di gusto
"Ah già... quarto piano interno otto!" esclamò maliziosamente e lì compresi quale salto avessimo compiuto: dal parlare di lei e Finn, eravamo appena passati ad affrontare un argomento nettamente più ostico. Me e Blaine.
Con un sospiro sollevai la testa e le lanciai un'occhiata preoccupata. Come immaginavo, la trovai a sogghignare, in attesa
"Coraggio, Perez Hilton... so che muori dalla voglia di sapere cosa è successo. Quindi parti pure con l'interrogatorio!" acconsentii con un sospiro, perché immaginavo che prima o poi saremmo arrivati anche a quello. Lei sorrise, sapendo perfettamente di trovarsi dalla parte giusta del banco dell'accusa quella volta.
"Dunque... alla fine è... rimasto a darti una mano, vero?" domandò subito, senza neanche farsi pregare
"Sì... è rimasto." confermai, in attesa della patata bollente
"E dimmi... li avete lavati quei piatti oppure... avete trovato qualcosa di meglio da fare?" mi provocò maliziosa
"Li abbiamo lavati..." mormorai "Ed abbiamo trovato qualcosa di meglio da fare!" ripetei esattamente le sue parole, con molta cautela ed ovviamente, come immaginavo, non ci mise molto a fare due più due ed arrivare alla soluzione
"Dio Santo, Kurt Hummel... e poi quella assatanata sarei io!" e mi diede una spinta giocosa, facendomi perdere appena l'equilibrio
"Cosa vuoi da me? Non le controllo io certe cose. E poi, con tutto il rispetto, Berry... da parte mia è anche comprensibile: Blaine è decisamente più sexy di Finn - mutande indecenti - Hudson!" la provocai restituendole la spallata. Lei si imbronciò
"I gusti sono gusti. E poi io te lo avevo già detto, mi pare... già dal primo giorno in cui ho avuto il piacere di conoscere Blaine!"
"Sì.. me lo avevi detto." le concessi con un mezzo sorriso, ricordando la mia assurda faccia tosta, nell'esclamare che uno come Blaine fosse vagamente carino. Quel giorno dovevo aver avuto qualche litigio particolarmente cruento con David, altrimenti non si spiegava una tale assurdità uscita fuori dalla mia bocca.
"Dunque... avete... sì insomma... lo avete fatto?" domandò curiosa, rivolgendomi un sorriso colmo di attesa. Beh, dopo tutte quelle domande che le avevo rivolto fino a poco prima su lei e Finn, era anche normale che finissimo a fare lo stesso con me. Me l'ero ampiamente cercata.
"Mmh mmh!" mormorai in segno di assenso e dalla sua bocca uscì un urletto di gioia
"Voglio i particolari. Ora!" esclamò su di giri, battendo le mani, notevolmente più esaltata di me. Ridacchiai scuotendo la testa
"Non ti sono bastati quelli che ti ho dato la prima volta? Vuoi anche gli altri adesso?" le domandai
"Certo... e li pretendo anche. Coraggio... sputa il rospo!" mi incoraggiò, in trepidante attesa. Io sospirai, arrendendomi. La verità era che, dopo aver pianto per quasi tutta la notte precedente, avevo un disperato bisogno di parlarne con qualcuno e sapevo che Rachel, nonostante le battute, le occhiate maliziose e la voglia di vendicarsi verso di me, per avergliene dette di tutti i colori per la faccenda di Finn... sarebbe stata l'unica con la quale avrei potuto sfogarmi davvero, senza il timore di sentirmi giudicato o peggio... preso in giro. Avevo sempre detto di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno, di potermela cavare da solo, di poter contare solo sulla mia forza d'animo e sulla maschera che mostravo in pubblico. Ma mi sbagliavo e durante quella notte quasi praticamente insonne, me ne ero perfettamente reso conto. Avevo bisogno di un'amica sincera e leale. In poche parole avevo bisogno di Rachel.
"Ti accontenteresti di sapere che, anche se mi rendo conto sia difficile crederlo, è stato ancora più bello e sensazionale della prima volta?" le domandai in un sussurro, guardandola con un leggero imbarazzo nella voce. Lei si aprì in un sorriso radioso
"Sì... diciamo di sì. Anche se questo non ti esonera dal tuo obbligo. Voglio che mi racconti ogni cosa.. per esempio... quante volte lo avete fatto? Quanto tempo è durato? Avete fatto anche altro? E se sì, cosa?"
"Cosa sarebbe questo? Un questionario a risposta multipla?" le chiesi imbarazzato, sentendomi lentamente arrossire sulle guance. Lei sorrise, sistemandosi meglio a sedere, per poi continuare
"Sarebbe che sono curiosa e voglio sapere tutto. Anche quali vocali e quali consonanti ti sono uscite dalla bocca mentre lo facevate!" e ridacchiò, mentre il mio cuore perdeva un battito
"Rachel!" strillai indignato "Benedetta ragazza, ma non ce l'hai un pudore?" lei sollevò maliziosamente un sopracciglio
"Devo averlo dimenticato l'altra sera a casa di Finn!" si giustificò, prendendomi in giro ed io le risposi con una smorfia
"Lo sospettavo." brontolai indignato "E comunque non ho intenzione di scendere ancora nei dettagli con te, perché si tratta della mia vita privata e conoscendoti, saresti capace di usarla come arma di ricatto contro me e Blaine!"
"Mi crederesti davvero capace di una cosa del genere?" domandò, fingendosi offesa
"Decisamente." confermai, ma non le diedi il tempo per lamentarsi, perché aggiunsi "E poi sinceramente avrei bisogno di parlarti di un'altra cosa, prima!" lei sorpresa, smise di tenermi il broncio
"E sarebbe?"
"Ecco.. si tratta di quello che.. è successo dopo.." mormorai a disagio
"Dopo... dopo quando?" domandò
"Ieri mattina... quando ci siamo svegliati." specificai. Lei si morse un labbro pensierosa
"E cosa è successo ieri mattina quando vi siete svegliati? Lo avete rifatto per la terza volta?" chiese con innocenza, facendomi arrossire
"No, direi di no." risposi arrossendo ancora, ed abbassando la testa. Avrei voluto aggiungere un "Magari fosse successo", ma avevo preferito evitare
"E allora cosa?" lei era sempre più confusa e curiosa ed io sempre più timoroso di tirare fuori la verità. Quando non si è abituati a quel tipo di cose, risulta sempre più difficile compiere certi passi. Presi un lungo respiro, concedendomi un istante per me, per riordinare le idee. Era la prima, e forse unica, volta in cui avrei tirato fuori la verità ad alta voce, dopo lo spiacevole episodio del giorno prima. Ma continuare a starmene a bocca chiusa non mi avrebbe certamente aiutato, anzi.
"Ieri mattina è... venuto David.. qui a casa mia.. mentre Blaine era ancora nel mio letto... completamente nudo!" confessai, imbarazzato a morte
"Merda!" sbottò lei, senza riuscire a trattenersi
"Già.."
"E cosa... cosa è successo? Voglio dire... David lo ha.. visto?" domandò preoccupata, finalmente mettendo da parte la sua vena maliziosa
"No, per fortuna no. O meglio... lo ha visto, ma.. da vestito!" risposi torcendomi le mani, per l'ansia. Lei mi guardò stupita
"Non credo di aver capito, Kurt. Lo ha visto, sì o no?" così mi ritrovai a sospirare ancora, poggiare la schiena al divano dietro di me e cominciare a raccontare
"Sì, lo ha visto, ma non è come pensi tu. Io mi sono svegliato prima di Blaine, per preparare la colazione e proprio quando avevo finito e stavo andando a svegliarlo, è suonato il campanello e mi sono ritrovato David in casa, tutto infuriato perché la sera prima mi ero dimenticato di chiamarlo, che ha iniziato a gridare come al suo solito e ad inveire contro di me!"
"Animale!" abbaiò lei, indignata, incrociando le braccia al petto. Scossi la testa. Lo sapevo che David era un animale, ma non era il mio problema in quel momento
"Blaine deve averlo sentito e deve aver capito che fosse lui e così si è rivestito e... ed è venuto qui in soggiorno.." mormorai, ricordando perfettamente la stretta allo stomaco che avevo provato, vedendolo camminare silenziosamente fino alla porta-finestra del terrazzo, per non essere sentito
"Oh... ed ha affrontato il tuo ragazzo dicendogli di togliersi di torno perché tu e lui state assieme e tu ormai sei di sua proprietà! Ti prego, Kurt... dimmi che ha detto questo!" mi implorò, con le mani giunte, davanti il naso. Mi dispiaceva rovinare i suoi sogni, tanto perfetti, ma non era quella la versione della mia storia. Probabilmente in qualche bel film, o in qualcuno di quei libri romantici, sarebbe anche andata a finire così: l'eroe senza macchia e senza paura, si riprende il suo amato dalle braccia dell'antagonista crudele, lo bacia davanti a tutti e finiscono con il vivere per sempre, felici e contenti. Ma non era colpa di Blaine se la storia non fosse finita in quel modo. Lui non c'entrava nulla. Il problema ero io ed il fatto che, senza accorgermene, fossi diventato io stesso, l'antagonista della mia vita.
"No, Rachel, non è andata così. Anche perché, conoscendo David, se Blaine avesse fatto una cosa del genere, a quest'ora saremmo tutti all'obitorio, a piangere la sua prematura morte!" e rabbrividii, spaventato dalla sola idea. Lei sbuffò sonoramente, afflosciandosi contro il divano
"Maledizione..." borbottò "E allora cosa ci è venuto a fare qui in soggiorno se non per affrontare David?" domandò confusa
"Ecco lui... cercava un modo per... salvare entrambi!" mormorai, accennando un sorriso amaro. Forse Blaine non se ne era reso conto, ma compiere quel gesto tanto azzardato, solo per liberare me dall'angoscia, era stato senza dubbio la cosa più inaspettata e meravigliosamente premurosa che potesse mai fare. Ed io ero ancora sicuro, a distanza di ventiquattro ore, di non essermela minimamente meritata.
"Ovvero?"
"Lui è... uscito dal terrazzo, per tornare nel suo appartamento, senza farsi minimamente vedere da David, che invece era in cucina con me!" le spiegai con un lungo sospiro. Rachel non commentò. Rimase in silenzio, per decisamente troppo tempo, così sollevai lo sguardo per capire cosa stesse combinando. La trovai con gli occhi e la bocca sgranati, per la sorpresa
"Rachel.."
"Cazzo... ha rischiato di farsi scoprire e magari rompersi la testa scavalcando la grata, solo per... toglierti dai guai!" mormorò, quasi senza fiato, in un preoccupante stato di shock. Io, perplesso, ignorando l'effetto che le sue parole avevano avuto su di me, le passai una mano davanti agli occhi per svegliarla dal suo stato di trance.
"Rach.."
"Fanculo, Hummel... cosa cazzo ci fai ancora con quello scimmione di David? Cosa ti serve ancora per capire che quel pezzo di merda non vale niente e non ti merita, mentre Blaine è il ragazzo perfetto per te, eh? É così dolce e premuroso e Dio solo sa cosa ti farebbe tutte le volte che ti sfiora semplicemente con lo sguardo. Lo hanno capito anche i muri che sareste una coppia magnifica, inclusa mia figlia che.. ehi, ha solo quattro anni." era indignata, infervorata, incazzata nera. Ed io, spaventato appena, rimasi in silenzio ad ascoltare il suo fiume di parole "Quindi ora non venirmi a dire che tu sei fidanzato e che devi portare fede e rispetto alla vostra relazione, perché se davvero ti importasse qualcosa di David o della vostra ridicola storia, allora non avresti fatto sesso con il tuo vicino, non lo definiresti sexy, ma soprattutto io e te non ci ritroveremmo qui, su questo pavimento, a parlarne. Lo vuoi capire che questa scusa non regge più? Di quale altra dimostrazione hai bisogno da parte del destino, per capire che la tua strada si interrompe qui con David, e ricomincia altrove con Blaine Anderson? Vuoi che si inginocchi davanti a te e che ti chieda di sposarlo? Vuoi che ti rapisca o che ti scriva ti amo sulla Statua della Libertà? Cosa, Kurt... spiegamelo, perché io davvero non capisco!" era disperazione pura quella che avvertivo nella sua voce e... Santo Cielo... stava per mettersi a piangere? Cosa diamine stava succedendo? Perché parlare con me, dirmi quelle cose, l'aveva scossa tanto? E perché io avevo iniziato a piangere senza neanche accorgermene?
"Kurt?" fu lei forse la prima a capire che qualcosa non andasse, perché si sporse verso di me e mi accarezzò una guancia "Kurt, ti supplico.. parlami. Dì, qualcosa..." e forse fu il tono che usò, o il calore della sua mano, o il suo sguardo perso e disarmato, oppure semplicemente la voglia disperata di conforto, che mi fece finalmente confessare ad alta voce, senza più trattenermi
"Rachel... io non posso lasciare David!" esclamai con la voce tremante. Lei spalancò gli occhi, senza capire
"Cosa diamine significa che non puoi lasciarlo?" scossi la testa, liberandomi della sua presa sul volto ed abbassai lo sguardo, perché era già difficile in quel modo, sostenere anche i suoi occhi disorientati, sarebbe stato uno sforzo decisamente troppo grande
"Lui è... il mio unico... punto di riferimento, io... non posso permettermi di lasciarlo, perché poi rimarrei solo.. di nuovo e... non so se questa volta lo sopporterei..." singhiozzai, incapace di trattenere le lacrime e le parole. Adesso ero io il fiume in piena e se non avessi fatto qualcosa per trattenermi, allora avrei rischiato di straripare da un momento all'altro
"Kurt... non capisco niente di quello che stai dicendo. Perché mai dovresti rimanere solo... cosa sarebbe questa storia assurda?" mi domandò, riafferrandomi per la guance e sollevandomi a forza la testa. Lo sapevo che sarebbe stato impossibile parlare. Io non ne ero capace. Non ero fatto per aprirmi con gli altri, perché non ci ero abituato e perché forse neanche me lo meritavo. Dovevo smetterla di attaccarmi a delle assurde fantasie ed iniziare a ragionare con più coscienza e maturità. Le cose andavano viste per quelle che erano, non per quelle che io avevo voglia di vedere.
"Lascia perdere, Rachel.. non ha importanza!" mormorai scuotendo la testa, come per cacciare un brutto ricordo o un pensiero sbagliato
"No, che non lascio perdere, Kurt, ma per chi mi hai presa? Ho lasciato passare fin troppo tempo ed ho ignorato fin troppe cose da quando ti conosco, ma adesso basta. Mi sono stancata di lasciare perdere... tu sei mio amico ed è mio dovere prendermi cura di te, ascoltarti e prenderti a schiaffi se è necessario. Mi hai permesso di entrare a casa tua, nella tua vita, mi hai fatta affezionare a te come con nessun altro, ti ho raccontato tutto di me, anche le cose che avrei preferito dimenticare e, senza farmi problemi, mi sono perfino umiliata, scoppiando a piangere davanti a te la settimana scorsa. Quindi adesso non azzardarti a chiedermi di lasciare perdere o a farmi credere che la tua vita non abbia importanza, perché credimi, Kurt Hummel... la tua vita per me ha la stessa esatta importanza che ha quella dei miei genitori o quella di mia figlia." disse tutto d'un fiato, guardandomi direttamente negli occhi, seria e diretta. E a me alla fine mancò il respiro il gola
Dio Mio Rachel...
Senza capire come, mi ritrovai a poggiare la fronte alla sua e a chiudere gli occhi. Forse non tutto era da buttare. Forse una piccola speranza, nascosta da qualche parte, potevo ancora trovarla
"Kurt... ti prego..." mi sussurrò, ancora scossa. E lì forse capii di essere pronto. Misi da parte la mia maschera da ragazzo imperturbabile e decisi di essere, per una volta, semplicemente Kurt
"Sei anni fa... ho perso mio padre... lui è... morto perché un infarto se lo è portato via per sempre!" mormorai, ancora con gli occhi chiusi. Forse se rimanevo così, avrei creduto di stare sognando e tutto mi sarebbe sembrato più facile.
"Sì... me lo hai raccontato." rispose lei in un soffio
"Niente da quel giorno è stato più come prima.. io.. ho perso ogni legame, ogni difesa... mi sono ritrovato all'improvviso, solo e senza uno scopo. Prima mia madre poi lui... è stato.. troppo da sopportare, per un ragazzo di appena diciotto anni." tirai su con il naso, mentre le carezze di Rachel dietro la schiena mi davano il coraggio necessario per andare avanti "Io sarei dovuto venire qui a New York per... frequentare la NYADA... è una scuola di arte per il canto e la recitazione e... ero stato preso... soltanto venti studenti ogni anno passano le selezioni in tutti gli Stati Uniti ed io... ce l'avevo fatta. Dall'insulso stato dell'Ohio ero riuscito ad impressionare la giuria e finalmente il mio sogno si sarebbe realizzato. E mio padre... Dio, lui era così contento ed orgoglioso. Avevamo perfino parlato di trasferirci qui insieme e prenderci in affitto un appartamento vicino all'Accademia, invece di farmi rimanere nei dormitori comuni o di lasciarlo da solo a Lima. Ed era quasi tutto organizzato, mancava solo il trasloco quando, lui... ha avuto l'infarto e... la NYADA, l'appartamento condiviso, il mio sogno di sfondare a Broadway, tutta la mia vita... finirono cancellate, per sempre."
"Hai rinunciato alla tua scuola?" mi domandò incredula
"Cos'altro avrei potuto fare? Partire per New York... lasciare mio padre per inseguire uno stupido capriccio, mi era sembrata la cosa più meschina che potessi mai fare. Così ho rinunciato al mio posto... ho organizzato il funerale di mio padre e... sono rimasto a Lima per un altro anno, lavorando come cameriere in un bar... una specie di ritrovo per studenti, molti dei quali erano.. i miei vecchi compagni di scuola, quelli che mi prendevano in giro, quelli che... per punirmi ancora di più, sono arrivati a dirmi che la morte di mio padre era stata semplicemente colpa mia, perché un.. frocio come me non si meritava un padre affettuoso e comprensivo come il mio e che Dio... lui mi aveva voluto punire per la mia natura diabolica. Questa frase mi è rimasta impressa nella mente per non so quanti mesi. Fino a che non ce l'ho fatta più... ho venduto casa di mio padre e con i soldi, ho comprato il biglietto aereo e sono venuto a vivere qui a New York!" era la prima volta che ne parlavo con qualcuno. Non seppi perché avessi deciso di farlo proprio con Rachel e non prima, con Mercedes per esempio o con Santana o semplicemente non avessi continuato a starmene zitto. Forse anche io avevo un limite di sopportazione e lo avevo appena superato, senza neanche rendermene conto.
"Dio Santo... ti prego, Kurt... dimmi che non hai davvero creduto che la morte di tuo padre fosse colpa tua." mi implorò con la voce roca, sensibilmente sopraffatta dall'emozione. Mi mossi, agitato tra le sue braccia, sentendomi immediatamente in imbarazzo
"No, Kurt... non ci credo.."
"Non è questo il problema Rachel.. alla fine ho capito che quei bastardi lo dicevano solo per ferirmi e per sottolineare il fatto che fossero degli omofobi del cazzo... il tempo, sotto questo punto di vista, mi ha aiutato a capire!" la rassicurai subito, perché davvero non avevo bisogno di altra pena per me. Già mi bastava quella che io stesso provavo.
"D'accordo... sei... venuto qui a New York... poi cosa è successo?" domandò, tranquillizzandosi appena
"Ho provato a rifarmi una vita.. a mettere da parte il vecchio e patetico Kurt, quello che continuava a piangere per la mancanza del padre, quello che si sentiva solo, quello che forse avrebbe soltanto avuto bisogno di un sostegno in più, ma che non ha mai avuto il coraggio di domandarlo. Fino a che... quel sostegno non arrivò davvero e nel modo più inaspettato!" spiegai, con una nota amara nella voce, mentre ricordavo perfettamente quel periodo passato. Lei rimase diligentemente in silenzio, in attesa
"Avevo iniziato da poco a lavorare per l'agenzia del signor Chang... mi avevano preso come tirocinante con un contratto semestrale, senza alcuna speranza di continuare... è stato in quel periodo che... ho preso in affitto questo appartamento e poco dopo, stesso all'agenzia ho... conosciuto David. A quel tempo mi sembrò semplicemente perfetto. Lui... fece di tutto per conquistare la mia fiducia, si dimostrò premuroso, attento, imprevedibile, ma soprattutto.. era il primo uomo nella mia vita che, dopo mio padre, si interessava finalmente a me. Lui è stato il mio primo ragazzo e anche l'unico, se è per questo ed io... anche se non ho mai provato amore nei suoi confronti... mi ci sono affezionato, davvero. In breve tempo David è diventato il mio nuovo punto di riferimento. Era il mio tutto e l'unica persona che sembrava provare un minimo interesse nei miei confronti. Gli ho praticamente dato la mia vita nelle mani, mi sono completamente affidato a lui e forse, per la prima volta, non avevo paura di niente e nessuno, non avevo paura del mondo perché finalmente ci avrebbe pensato il mio ragazzo a difendermi e non avevo paura di rimanere solo perché qualcun altro aveva ammesso ad alta voce di amarmi ed era stato lui a farlo. Lui amava me e già quello rappresentava la più grande conquista dopo anni." spiegai con una calma quasi preoccupante ed era davvero strano perché per essere la prima volta in cui mi trovavo a confessare quelle cose, me la stavo cavando piuttosto bene. Quasi stessi parlando di qualcun altro, niente a che vedere con me e la mia vita.
"Mi sono attaccato a lui, forse troppo, me ne rendo conto, come unica via di fuga dal mondo. Lui mi amava e mi ama ancora e lo fa senza che io gli abbia mai chiesto niente. Non mi ha mai offeso per la mia sessualità ed è stato il primo ad accettarmi davvero, senza mai provare a cambiarmi." finalmente dopo un'eternità fatta di immobilità e respiri leggeri, Rachel si mosse. Mi afferrò per le spalle, sciogliendo l'abbraccio confortevole in cui avevo trovato il coraggio per parlare e mi puntò gli occhi addosso
"Kurt... perché non me lo hai mai detto?" mi domandò e, nonostante lo sguardo serio e lucido, capii perfettamente quanta commozione ci fosse ancora in lei. Mi ritrovai per un istante spaesato, incapace di trovare una risposta plausibile per una domanda del genere. Eppure la risposta c'era ed era anche particolarmente banale a quel punto del racconto
"Rachel io... non sono abituato a parlare di me.. non l'ho mai fatto perché nessuno me lo ha chiesto e soprattutto io... non credevo di poter avere un'amica alla quale poter raccontare certe cose. Sono stato abituato a cavarmela da solo, in ogni circostanza e continuo a portarmi questa cosa dietro nonostante siano passati degli anni ormai. Non credo a questo punto di essere più capace di farlo!" mormorai sconsolato. Lei finalmente accennò un sorriso timido, e fu come uno spiraglio di luce, dopo tanto tempo passato nell'oscurità
"Lo hai appena fatto, Kurt... hai parlato con me, mi hai raccontato la tua vita.. mi hai detto cose che nessun altro sa ed io.. ne sono lusingata, davvero. E dimmi... adesso non ti senti meglio... più... sollevato?" e piegò la testa da un lato sorridendomi teneramente. Domandai la stessa cosa al mio inconscio. Ed entrambi ci ritrovammo a sospirare, stranamente sereni, e a rispondere
"Cazzo... sì!" mormorai, facendo ridacchiare sia Rachel che me "Devo ammettere che è davvero una bella sensazione." aggiunsi soddisfatto. Lei mi accarezzò una guancia, guardandomi in uno strano modo, oserei dire quasi materno. Ma d'altronde, Rachel lo era, materna intendo. Lei aveva una figlia e questo l'aveva aiutata ad essere di conseguenza più affettuosa, comprensiva e nettamente più matura rispetto a molte altre ragazze della sua età. E Santo Cielo.. io avevo avuto la fortuna di incontrare un'amica così e non lo avevo mai capito veramente.
"Beh... ho una bella notizia da darti, caro il mio piccolo e dolce Kurt Hummel.. non sono l'unica a volerti bene. Posso dirti il nome di tante altre persone, oltre a me, che ti sono vicine e che morirebbero dalla voglia di sentirti raccontare queste cose per poterle condividere con te." mormorò scrollando le spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Forse lo era per lei, perché per me, non lo era affatto
"Mmm.. ad esempio?" la sfidai curioso. Lei mi fulminò con lo sguardo, per non averla presa in parola, ma si trovò ugualmente a parlare
"Per esempio quella tua amica modella.. Santana mi pare... oppure quella ragazza di colore che veniva a scuola con te, oppure Emma e William e Tina e... beh... mi sembra ovvio che nella lista ci sia anche... lui!" e fece un cenno con la testa verso la porta d'ingresso, facendomi arrossire "E, mi dispiace per David, ma lui non è affatto incluso nella lista. Anzi... io continuo ad essere convinta che tu debba lasciarlo, soprattutto ora, che spero tu ti sia reso conto di non essere solo e di non aver più bisogno di lui." mi disse con convinzione, facendomi tremare appena lo stomaco. Io non avevo più bisogno di David... davvero?
"Non voglio mettere in dubbio che lui abbia fatto tanto per te.. immagino che nel suo modo bizzarro, anche lui ti abbia aiutato a superare un brutto periodo, però... io credo che sia arrivato il momento di crescere ed andare avanti. Metti una bella pietra sul tuo passato con lui e prova a convincerti del fatto che tu ora hai bisogno di altre cose, di nuovi stimoli e soprattutto di una persona che sappia trattarti come adesso meriti. Magari l'atteggiamento ossessivo di David andava anche bene al Kurt solo e spaventato di qualche anno fa, ma ora Kurt ha bisogno di altro... ha bisogno di qualcuno che lo ami davvero, che sappia condividere con lui dei bei momenti sereni, che accetti i suoi amici e il suo talento, che sia pronto a consolarlo, ad ascoltarlo, a coccolarlo e a dargli quegli abbracci che tanto gli sono mancati. Tu hai bisogno di una persona di cui non ti debba vergognare mai, che sia sorridente, gentile, affettuoso e che soprattutto sia capace di farti sorridere anche con un semplice post-it colorato attaccato sulla porta." mi morsi un labbro, mentre un sorriso intenerito mi si apriva sul volto, perché, diavolo, aveva perfettamente ragione. Blaine era stato capace in un solo mese, di farmi provare delle emozioni e di regalarmi dei ricordi che mai, in quattro anni con David avevo potuto sperare. Lui era stato una sorpresa continua, sempre piacevole e, a pensarci bene, era arrivato nel momento più opportuno: proprio quando alla mia vita sarebbe servito un netto cambiamento, proprio quando io, ne avrei avuto bisogno. Ero stanco, stanco da morire. Non sopportavo più la gelosia di David, le nostre continue litigate, le sue stupide paranoie, la sua poca fiducia nei miei confronti e soprattutto il fatto che non avesse mai dimostrato a pieno di tenere a me. Io sapevo che lui mi amasse, ma erano i suoi modi ad essere sbagliati. Forse uno come lui, prima di intraprendere una relazione seria, avrebbe dovuto imparare ad amare, e poi forse ricominciare.
Tirai su con il naso, cercando di recuperare un pò di quel contegno che avevo lentamente lasciato andare via assieme a quella confessione. Mi sentivo meglio, più leggero e stranamente sentivo di avere perfettamente chiare nella mia testa, le mie successive intenzioni. Avrei dovuto parlare con David, e dirgli tutto. La verità, probabilmente, era l'unica cosa che, arrivati a quel punto, gli dovevo. E poi, risolta la situazione con lui, forse... sarei potuto andare dal mio vicino e chiarire un paio di cose lasciate in sospeso. Il problema rimaneva capire se avessi trovato o meno il coraggio di fare entrambe le cose. Un conto era realizzare nella propria mente certi pensieri, un altro era metterli in pratica, concretamente. E sinceramente, mi spaventava di più parlare con Blaine, che affrontare David. Perché al secondo ero abituato, avevo avuto quattro anni per conoscerne ogni emozione e reazione. Il primo, invece, era ancora una bella incognita per me, nonostante mi sentissi notevolmente più legato.
"E dunque... Kurt Hummel canta, eh?" mi provocò dopo un pò, con un sorrisetto malizioso sul volto
Oh no...
"Ehm... occasionalmente. Ma non lo faccio neanche un granché bene, in realtà!" mormorai, arrossendo
"Non dire stronzate... hai detto di essere stato scelto insieme ad altre diciannove persone su chissà quanti milioni di ragazzi in tutti gli Stati Uniti. Questo mi fa immaginare che tu sia decisamente grandioso!" e gongolò entusiasta "Coraggio... voglio sentire!" mi esortò allora, impaziente
"No, non esiste. Io non canto più... è una... cosa che facevo solo per far felice mio padre. E ora... non me la sento..." mormorai a disagio, giocherellando con la cerniera della felpa. Ed ecco un'altra cosa di cui non parlavo volentieri. Forse lo sapeva soltanto Mercedes, ma solo perché, essendo andati a scuola assieme, lei conosceva alla perfezione la mia voce ed io la sua. Ma soprattutto lei c'era stata quando mio padre era morto e, nonostante non condividesse le mie ragioni, perlomeno le conosceva. Rachel invece... beh, lei era appena entrata nell'incasinato mondo di Kurt Hummel ed io non ero ancora completamente abituato ad accogliere qualcuno.
All'improvviso, però, proprio mentre lei spalancava la bocca indignata e si preparava a protestare, qualcosa catturò l'attenzione di entrambi. Un intenso odore di bruciato, decisamente preoccupante
"Cosa diavolo è questa puzza?" domandai all'erta. Ci scambiammo un veloce sguardo e quello sembrò bastare ad entrambi per capire
"Cazzo, la torta!" esclamammo all'unisono e ci precipitammo in cucina, dove ormai la bellissima torta di Finn Hudson, si era quasi del tutto carbonizzata, emanando un pessimo odore ed un preoccupante fumo nero
"Maledizione... tutta fatica sprecata!" sbottò lei, sbattendo la teglia sul tavolo, visibilmente sconfortata. Io, sentendomi leggermente in colpa, perché era stato per ascoltare me, che lei si era distratta, sospirai, lanciando un'occhiata preoccupata alla cucina fumante, dopodiché mi avvicinai a lei e le strinsi le braccia attorno alle spalle
"Non fare così, Rachel... ricordati che le donne meravigliose come te, non si arrendono mai." le dissi con un sorriso incoraggiante
"Tu dici?"
"Certo... e adesso per dimostrartelo, prendo la giacca e ti accompagno da Carlo's per comprare la più stupefacente torta che si sia mai vista e... ovviamente offro io!" le strizzai l'occhio, fortunatamente facendola ridere e mi affrettai a recuperare la giacca ed il portafoglio. Dopo una mattinata del genere, avevo bisogno di aria fresca e di una buona passeggiata. Magari anche di un gelato super calorico. Ci sarebbe stato un momento migliore per preoccuparsi della linea. Per il momento mi sarei accontentato di New York vista di domenica, della mia preziosa amica e di un'ottima torta per Finn Hudson. Dopo quello che avevo combinato, era il minimo per entrambi.
E poi farei di tutto, per non far più tornare Rachel sull'argomento canto...


 

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Capitolo 27
*** Proposte decisamente indecenti ***


Buon Giovedì a tutti, patatucci miei... dunque, finalmente tutti sappiamo le motivazioni che spingono il povero Kurt a rimanere con David, certo adesso avrebbe più motivi a lasciarlo e andare da Blaine ma, deve fare ancora un piccolo passo per far sì che questo succeda e forse il nostro principe dagli occhi dorati potrebbe aiutarlo ^^. E ora, dopo un capitolo così intenso, ne abbiamo uno particolare: dunque, come vi ho già detto ieri nello spoiler mi sono permessa di prendermi una libertà sul personaggio di Kurt poi vedrete perché, e spero di non offendere nessuno e che apprezzerete il motivo che mi ha spinto a farlo... bene, buona lettura (capitolo di sedici pagine, praticamente da incubo XD) ci vediamo Lunedì. Un bacio grande a tutti quanti :* siete i miei cucciolotti, tanti piccoli Cooper *__*
p.s. Nonostante il foglio volante che non si sa che piega dovesse prendere, il mio Dan è riuscito a tirare fuori un'immagine così bella.. non smetterà mai di sorprendermi ^^
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 06.45 P.M. 09 Aprile 2012 (Lunedì)

L'acqua calda della doccia mi aveva sempre fatto bene. Non ero un tipo da getto ghiacciato, che risveglia le membra e il cervello, ma non sopportavo neanche quello bollente, che mi arrossava la pelle. Diciamo che preferivo sempre una via di mezzo. Né troppo caldo, né troppo freddo. E finalmente, dopo la notte passata praticamente in bianco e l'alzataccia alle quattro in punto quella mattina, potevo concedermi la mia sana e rilassante doccia, prima di rivestirmi, portare a passeggio Cooper e poi precipitarmi al pub.
Ero stanco morto e pensare che era ancora Lunedì e la settimana era appena iniziata. La domenica era praticamente volata in un attimo: dopo la brillante e altamente chiarificatrice chiacchierata con il mio amico, ero rimasto a dare una mano nel montaggio del tavolino maledetto, e alla fine, tutti e tre soddisfatti, avevamo cenato seduti sul pavimento, davanti una commedia romantica, ovviamente commentata a turno dalla voce annoiata di Sebastian e da quella incantata di Daniel. Mi ero sentito leggermente in imbarazzo a stare seduto lì con loro, ma non perché avessero fatto chissà cosa o si fossero messi a pomiciare davanti a me. Solo che... anche stando semplicemente seduti uno accanto all'altro, come avevo già avuto modo di constatare spesso, quei due emanavano amore allo stato puro ed io, che ormai mi ero reso conto di troppe cose quella sera, mi ero sentito davvero sconfortato. Perché scoprirsi innamorato e allo stesso tempo ridotto in una situazione assurda ed inestricabile, era davvero troppo da sopportare in una singola serata.
Io ero innamorato di Kurt, e quello ormai era assodato. E anche tanto. Mi ci era voluto Sebastian Smythe per capirlo: avevo avuto bisogno di lui e della sua schiettezza, avevo avuto bisogno del fatto che mi mettesse davanti all'evidenza anche se, forse, il mio inconscio lo aveva già ampiamente capito da solo. Ma, dopo la catastrofica esperienza con Jeremiah, credevo davvero impossibile che uno come me potesse di nuovo innamorarsi in quel modo di qualcuno, eppure.. era successo e non si trattava di una persona qualunque.. si trattava di Kurt. Si trattava del suo sorriso dolce, dei suoi occhi cristallini, della sua anima pura ed incontaminata, del profumo del suo corpo, della tenerezza indescrivibile che mi trasmetteva ad ogni sguardo, ad ogni carezza o ad ogni semplice sussulto, del sapore delle sue labbra, della sua voce e soprattutto della sensazione incontrollata e meravigliosa che provavo ogni volta che pensavo a lui. Ero ridotto proprio male e la cosa peggiore, era che ormai, dopo averlo concretizzato nella mia testa, non riuscissi più a metterlo da parte per pensare a qualcos'altro. Quella notte era stato un solo e specifico pensiero: Kurt. Ed io ci avevo perso il sonno, completamente. Ed era esattamente di questo che avevo paura: ridurmi in questo stato, di nuovo per colpa di un sentimento troppo forte da gestire, e terrorizzato all'idea di rivivere lo stesso inferno vissuto con Jeremiah, le stesse lacrime, la stessa maledetta sensazione di vuoto sotto i piedi e la voglia di non averlo mai incontrato. Avevo paura di mettermi di nuovo in una situazione dolorosa, dato che comunque Kurt, fino a prova contraria, rimaneva un ragazzo fidanzato ed io non ero del tutto sicuro di voler continuare a condividerlo con David, soprattutto dopo aver chiarito il mio sentimento nei suoi confronti.
Forse con Sebastian avrei dovuto parlare anche di questo...
Con un sospiro mi avvolsi un asciugamano attorno ai fianchi e andai in camera per vestirmi. L'unica nota positiva di quel periodo era che, finita quella settimana, avrei detto addio al forno ed al supermercato, magari per dedicarmi un pò di più alla musica e alla composizione, che avevo messo fin troppo tempo da parte. Avevo bisogno di ispirazione per scrivere e sospettavo di aver trovato quella giusta.
Il campanello di casa suonò proprio mentre entravo in bagno per asciugarmi i capelli. Pregai ogni Dio di ogni religione, di non farmi trovare sorprese alla porta. Sarebbe andata bene qualsiasi persona, ma non lui. Non in quel momento almeno. Con quello stato d'animo che avevo addosso, sospettavo di non reggere il confronto. Ma la fortuna, quella volta, sembrò girare dalla mia parte, perché ad attendermi, dall'altro lato della porta non vi trovai affatto Kurt
"Ciao"
"Rachel... ciao.." la salutai, sorpreso e sollevato allo stesso tempo. Lei mi rivolse un sorriso cordiale che ricambiai all'istante. Quella ragazza aveva un non so ché di piacevole. Forse il sorriso, forse la trasparenza oppure il suo buffo modo di vestirsi. Avrei voluto tanto avere anche io un'amica così. Kurt era molto fortunato.
Blaine, per il bene della tua salute mentale... smettila...
"Posso entrare? Disturbo?" domandò esitante, sbirciando appena oltre la mia spalla. Da dentro l'appartamento, in un punto poco definito, Cooper abbaiò, quasi volesse invitarla, da buon padrone di casa.
"No, tranquilla.. non disturbi affatto. Prego!" e con un sorriso mi feci da parte per farla passare. Lei si guardò subito attorno, con un sorriso curioso sul volto e alla fine, tornando a guardarmi decretò
"Hai arredato davvero molto bene il tuo appartamento... i miei complimenti!" esclamò
"Ti ringrazio, ma... non posso prendermi tutto il merito. La maggior parte dei mobili li ha lasciati la figlia del proprietario prima di andarsene. Io mi sono limitato a dare al tutto un tocco più... personale diciamo!" e inspiegabilmente arrossii, perché il suo sguardo era decisamente troppo insistente e furbetto per trattarsi di una semplice visita di cortesia. Rachel non era lì per controllare il mio mobilio, poco ma sicuro.
"Posso offrirti qualcosa da bere?" le domandai, tanto per avere una buona scusa per scappare da quel salotto
"Sì, grazie... un bicchiere d'acqua!" rispose accucciandosi per accarezzare Cooper che le saltellava intorno. Mi diressi in cucina, per recuperare un bicchiere e riempirlo dal rubinetto. Avvertivo la sua presenza alle mie spalle, mi stava osservando ed io iniziavo a pensare che, forse, sarebbe stato meglio se alla porta ci fosse stato Kurt, piuttosto che lei. Quella ragazza era ancora un mistero per me e ricordavo perfettamente il sussurro malizioso con il quale mi aveva salutato dopo la cena. Diciamo pure che, anche per colpa sua, quella sera, il mio cervello mi aveva definitivamente salutato ed era partito per la Papuasia. Per colpa sua e di Sebastian. Per colpa sua, di Sebastian e del bagnoschiuma. Per colpa sua, di Sebastian, del bagnoschiuma e di Kurt.
Ok, è stata solo colpa mia, è inutile girarci troppo intorno...
"La piccola Lea dov'è?" le chiesi passandole il bicchiere. Lei fece una smorfia vaga indicando il pavimento
"Da Finn... li ho lasciati a guardare Mulan." scosse la testa facendomi ridacchiare
"Oh... io adoro quel cartone!" esclamai colpito, stupendomi del fatto che, nonostante fossero passati più di quindici anni, quella pellicola fosse rimasta un classico per bambini
"Già... a quanto pare, anche loro!" mormorò lei divertita, per poi sorseggiare un pò d'acqua, senza smettere un solo istante di guardarmi. Cazzo, era la prima volta che mi sentivo a disagio con una donna. Normalmente però, le donne che avevo conosciuto, non mi avevano mai guardato in quel modo. Come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma stesse aspettando le parole giuste per farlo.
"Buona." mormorò, facendo un sorriso di apprezzamento che mi fece sorridere
"Immagino sia la stessa che scorre anche dal tuo rubinetto!" le feci presente, poggiando la schiena al lavello. Lei ridacchiò, posando il bicchiere, per poi sospirare e congiungere le mani in grembo.
"So tutto!" esclamò in un solo fiato, sollevando perfino un sopracciglio, in maniera fin troppo inquietante.
"T-tutto? Tutto... cosa?" domandai iniziando a sudare freddo, perché il suo sguardo davvero non mi piaceva ed io ero sempre più convinto di aver commesso un'immane cazzata a farla entrare a casa mia quel pomeriggio. Avrei potuto pensare di liquidarla, facendole intuire la mia fretta e magari, per evitare futuri blitz, mi sarei potuto ritrasferire da Sebastian e tornare a casa quando le acque si fossero calmate un pò. Tutto, pur di sfuggire alle sue grinfie.
"Tutto!" ripeté "Parlo di quello che è successo con Kurt... dopo la cena di venerdì.. o dopo la serata di beneficenza!" spiegò con una calma disarmante che mi fece cedere le gambe per qualche momento, spiazzato.
Cazzo, lo sapevo...
"A-ah..." deglutii a fatica, sentendomi un perfetto ladro, scoperto proprio con le mani nel barattolo della marmellata, con l'intento di rubarla. Rachel sapeva tutto, perché senza dubbio Kurt glielo aveva raccontato. Ma, d'altronde.. io lo avevo detto a Sebastian quindi era più che normale che anche lui avesse fatto lo stesso con qualcuno di cui si fidava. Peccato, però, che io non avessi mandato il mio amico nel suo appartamento, magari a tradimento, con la specifica intenzione di mettere addosso un pò di sano terrore. Anche perché Sebastian, a conti fatti, era molto più spaventoso di Rachel Berry. O forse no.
"Ma tranquillo... non ho intenzione di minacciarti o di farti del male.." mi rassicurò con un sorriso, interpretando i miei pensieri "Anzi.. tutto il contrario."
"Come scusa?" le chiesi, senza capire esattamente dove volesse arrivare. Lei sospirò, avvicinandosi appena
"Ascolta... io non sono venuta qui per darti la mia benedizione o per dirti quanto stupidi siate tu e il tuo vicino, continuando ad ignorare quello che vi sta succedendo. Ma soprattutto... Kurt non sa che oggi sono venuta da te e credimi... per la tua salute e la mia, sono convinta sia meglio che non lo sappia mai!" mi avvertì con un'occhiata obliqua ed io mi ritrovai ad annuire, molto lentamente. Ok, Sebastian era un docile cucciolo di marmotta in confronto.
"Diciamo che sono semplicemente venuta qui per darti un... consiglio? Sì, sono decisamente venuta per darti un consiglio.. disinteressato, si intende." e mi sorrise, tornando cordiale come sempre. Io, sempre più curioso, e leggermente rassicurato dalle sue parole, annuii
"D'accordo.. sentiamo." acconsentii, incrociando le braccia al petto. Lei si morse un labbro, forse indecisa su cosa dire esattamente e fu molto strano perché, da come quella conversazione era iniziata, sembrava avesse il discorso già pronto nella sua testa. Eppure esitava. Doveva trattarsi di qualcosa di importante allora
"Io voglio bene a Kurt... gliene voglio tanto e l'ultima cosa che vorrei è farlo soffrire. Quindi tutto quello che ti dirò, credimi, sarà esclusivamente per la sua felicità, anche se ti sarà difficile crederlo." iniziò senza distogliere gli occhi dai miei e facendomi sentire di nuovo a disagio
"Rachel.."
"Io sono convinta che tu non debba arrenderti.. che tu debba continuare a provare con lui, se davvero questo è quello che vuoi. Io ho parlato con Kurt ma non so fino a che punto le mie parole possano essere state efficaci. Lo conosco... quando vuole, sa essere estremamente testardo ma ho paura che questa volta possa diventare pericoloso." spiegò pratica
"Pericoloso?" domandai confuso
"Sì... pericoloso. Perché lui sta gradualmente perdendo di vista il suo scopo principale.. il suo benessere, non solo quello fisico.. parlo anche di quello mentale. Kurt ha... l'assurda capacità di farsi del male da solo, intestardendosi su delle convinzioni che a conti fatti non esistono. E così facendo si sta lasciando scappare la sua occasione per essere felice." esclamò con ardore
"Ma di cosa.. stai parlando?"
"Sto parlando di te!" sbottò secca, facendomi raggelare. Io? Cosa c'entravo io con la felicità di Kurt?
"Rachel... io davvero.. non capisco dove tu voglia arrivare..." mormorai sconvolto. Era incredibile che, in meno di ventiquattro ore, mi trovassi ad affrontare ancora l'argomento Kurt. Non avevo ancora metabolizzato a pieno la prima discussione, figuriamoci con che stato d'animo potessi sostenere la seconda. Con Rachel poi.
"Voglio arrivare a farti capire che... non voglio che tu ti arrenda con Kurt. Voglio che tu capisca che qualsiasi cosa succeda con te, sarà nettamente migliore rispetto a quello che gli è già successa o potrebbe succedergli in futuro con David e soprattutto... voglio che tu capisca che ne vale la pena." si avvicinò ancora, appoggiandomi una mano sul braccio. Ero decisamente sconvolto, anzi, dire sconvolto era anche riduttivo. Davvero Rachel mi stava dicendo quelle cose? Davvero voleva che io insistessi con Kurt, nonostante fosse fidanzato, nonostante quello che avessimo fatto fosse moralmente sbagliato? Ma soprattutto... davvero credeva che io fossi migliore per Kurt rispetto a David?
"E voglio che tu sappia che Giovedì è il compleanno di Kurt!" annunciò alla fine, sorridendo allegra, come se niente fosse. Sollevai un sopracciglio sorpreso, soprattutto per il brusco cambio di direzione
"Il suo... compleanno?"
"Sì... non lo dice mai a nessuno, forse sperando che tutti se ne dimentichino e che passi inosservato. Ma non intendo dargliela vinta anche quest'anno. Ha bisogno della sua torta, dei suoi regali, di bere un pò, ma soprattutto.. ha bisogno dei suoi amici accanto, e ne ha bisogno ora." frugò nella tasca della gonna e mi porse un foglio ripiegato, continuando a sorridermi apertamente. Io, ancora scioccato, alternai lo sguardo tra lei e il foglio finché quasi non me lo ficcò in mano. Con un sospiro lo aprii e vi trovai un piccolo elenco di nomi, accompagnati da numeri di telefono ed indirizzi. Lessi per curiosità i primi due
- Mercedes Jones, 15th Avenue, South Brooklyn, NYC. Numero diretto 0553.346188
- Santana Lopez, 7th Avenue, Chelsea, NYC. Numero diretto 0552.7412903
Santana... l'amica di Kurt.. la modella? E Mercedes chi diavolo era?
"Cosa dovrei farci con questo?" le domandai
"Beh io vorrei che... mi aiutassi ad organizzargli una festa a sorpresa. So che sei molto impegnato, ma si tratterebbe solo di... trovare il posto adatto e contattare queste poche persone... riusciresti a farlo in neanche mezza giornata e per me sarebbe davvero importante avere il tuo appoggio, Blaine!" mi pregò, congiungendo le mani "Sarebbe un bel regalo da fargli, non credi?"
Lanciai un'occhiata alla lista, perché ero davvero senza parole. E così, tra tre giorni sarebbe stato il compleanno di Kurt. E se Rachel non me l'avesse detto, io lo avrei mai scoperto? Oppure, quel giorno ci saremmo incontrati, magari sul nostro pianerottolo ed io mi sarei comportato come al solito, senza fargli i miei auguri, e lui se ne sarebbe rimasto in silenzio, come sempre? Non potevo credere davvero che lui preferisse non farlo sapere a nessuno e non festeggiare in maniera decente un'occasione così importante. Io il mio compleanno lo avevo festeggiato ad inizio Febbraio e non avevo esitato neanche un istante ad invitare a casa i miei amici, almeno i pochi che avevo a New York, per festeggiare. Ovviamente Sebastian ne aveva approfittato, trasformando casa nostra in un locale notturno ed avevamo avuto le proteste dei vicini per una settimana intera. Ma per me, era importante festeggiare il compleanno, capitava una volta l'anno e anche Kurt, avrebbe dovuto fare lo stesso. Credevo fermamente anche io che lui ne avesse bisogno, soprattutto dopo un periodo così stressante, del quale probabilmente anche io ne ero responsabile. Il problema sarebbe stato capire se fossi o meno capace di mettere da parte il tormento che mi attanagliava lo stomaco, per mettermi ad organizzare la sua festa a sorpresa. Avrei potuto chiamare... Mercedes, Santana, Sam e tutti gli altri della lista, sapendo di farlo per lui, senza starci male? Avevo tanta forza d'animo?
"D'accordo!" esclamai con un sospiro. Lei sorpresa, piegò la testa di lato
"D'accordo?" ripeté accennando un sorriso. Io annuii
"Sì... ti aiuterò ad organizzare questa festa a sorpresa!" spiegai scrollando le spalle, ma prima di aggiungere qualsiasi altra cosa, mi ritrovai le sue braccia strette attorno al collo e lei praticamente aggrappata a me. E per fortuna io ero appoggiato al lavello, altrimenti saremmo precipitati a terra entrambi, facendoci seriamente male.
"Oddio, Blaine... grazie, grazie, grazie... sei un angelo sceso direttamente dal cielo." urlò entusiasta, stampandomi un sonoro bacio sulla guancia. Ridacchiai, colpito dalla sua esuberanza.
"Non esageriamo adesso.."
"Dico sul serio. Sapevo di poter contare su di te." esclamò scostandosi un pò e saltellando, quasi fosse una bambina. Mi ricordava molto la piccola Lea in quel momento. E non potei fare a meno di sorriderle
"Bene... allora io mi occupo del cibo e dei festoni... tu chiami quelle persone e scegli un posto... mi raccomando deve essere tutto pronto per Giovedì... ah e ovviamente... devi pensare a come portare Kurt alla festa senza che lui capisca niente. Se lo facessi io, si insospettirebbe perché lui sa che io so del suo compleanno, mentre tu... sei praticamente insospettabile e ho come l'impressione che con te farebbe qualsiasi cosa!" e mi strizzò l'occhio, visibilmente su di giri. Con me farebbe qualsiasi cosa? Ma che cazzo...
"Eh?"
"D'accordo.. ora però scappo, ho lasciato per troppo tempo i miei bambini senza supervisione, non vorrei combinassero guai." e con un sorriso radioso, indietreggiò fino alla porta. Bene, prima mi scaricava la patata bollente, e poi scappava. Gran bella tecnica, Berry, davvero.
"Rachel.." la chiamai confuso, con la netta sensazione che stesse palesemente scappando via. La seguii, riuscendo a bloccarla sulla porta d'ingresso, ma ancora, non mi permise di parlare
"Ricorda, Blaine... qualsiasi cosa... io e te oggi non ci siamo parlati, tu non mi hai vista e soprattutto... Giovedì è un giorno come un altro. Confido nella tua discrezione!" si sollevò appena sulle punte per lasciarmi un bacio sulla guancia, dopodiché scappo via, letteralmente, lasciandomi di sasso, con ancora la bocca aperta.
Dopo non so quanto tempo, mi decisi finalmente a chiudere la porta, e ancora sconvolto, mi diressi in camera da letto per recuperare il cellulare e la mia sacca per andare al pub. Solo allora mi resi conto di avere ancora la lista stretta in mano. L'aprii di nuovo, per controllarla con più attenzione e mi chiesi dove avrei potuto trovare il tempo e la forza per organizzare il compleanno di Kurt. Avevo detto di sì a Rachel perché non mi andava di rifiutare, soprattutto perché si trattava della sua felicità, del suo compleanno, del suo sorriso. Tuttavia, se non riuscivo ad avere il tempo neanche per portare a passeggio il cane, come pensavo di trovarne abbastanza, per fare tutto il resto?
Scorsi la lista fino alla fine, curioso di sapere chi avesse voluto invitare Rachel. Molte di quelle persone neanche le conoscevo. C'erano ovviamente i condomini del nostro palazzo - escluso Abrams - c'era Sam Evans, il manager di Santana la modella, c'era quella ragazza.. Mercedes... e poi altri cinque o sei nomi che non avevo mai sentito. Ma la cosa che mi sorprese più di tutto, fu l'ultima riga dell'elenco, scritta in maniera più marcata e perfino sottolineata con forza:
- Guai a te se inviti anche David. La festa è off limits per gli animali come lui! -
Mi venne da ridere. David non era invitato? E se lo avesse scoperto? Se poi si fosse arrabbiato e magari... se la fosse presa giusto con me? L'avevo passata liscia già Sabato mattina, riuscendo a scappare dalla camera da letto di Kurt, senza essere visto dall'uomo nero. Sfidare due volte la sorte mi sembrava decisamente troppo avventato.
Rachel mi stava mettendo in un guaio gigantesco, se ne rendeva minimamente conto?
Beh, a rischiare non sei mai stato solo... quindi...
Con un sospiro guardai le chiavi della moto, posate sul mobile all'ingresso e lì compresi una cosa: che qualsiasi cosa avessi fatto, probabilmente sarebbe servita soltanto a peggiorare la mia situazione ed intensificare il mio sentimento verso Kurt. Mi sarebbe servito al contrario, allontanarmi da lui, magari ignorarlo volutamente, non rispondere ai suoi post-it, evitare i suoi orari e provare a smettere di pensarci. Ma, forse, pensandoci bene, quella non sarebbe stata affatto la soluzione migliore per me e che, sinceramente parlando, avrei preferito di gran lunga soffrire un altro pò in silenzio, sapendo di amarlo e non poterlo gridare, sapendo di volerlo e non poterlo avere, sapendolo tra le braccia di qualcun altro e non poterlo portare via, ma almeno, avrei avuto la chiara consapevolezza di aver finalmente fatto qualcosa per lui, per la sua sola felicità.
Voglio che tu capisca che ne vale la pena...
Lasciai le chiavi della moto lì dove le avevo viste e decisi di prendere la metropolitana fino al pub quella sera. Avevo delle chiamate urgenti da effettuare. 

New York City. Ore 07.45 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)

Era decisamente una ruga quella che vedevo allo specchio sulla fronte. E diavolo, avere una ruga sulla fronte significava due cose: uno, che tutte le creme super costose che compravo nella migliore profumeria di Lower East Side non servivano a niente ma soprattutto che... stavo seriamente invecchiando.
Quel giorno, nonostante io stesso avessi cercato di negarlo ed ignorarlo spudoratamente, era il mio compleanno. Compivo venticinque anni e a stento credevo di essere ancora vivo. C'era stato un periodo, al liceo, durante il quale fantasticavo sulla mia vita futura e speravo di arrivare almeno a novant'anni, per poter dire di aver seriamente vissuto ed aver quasi attraversato un secolo per intero. Poi, con la morte di mio padre, quei novant'anni mi erano sembrati decisamente troppi e la mia aspettativa si era ridimensionata: mi sarebbe bastato vivere dignitosamente almeno fino ai trent'anni. Con un buon lavoro, magari con un appartamento mio e con una Volvo parcheggiata nel vialetto. A venticinque anni appena compiuti, avevo sia il lavoro, sia l'appartamento che la Volvo e... mi rimanevano solo cinque anni di vita. Volevo davvero morire giovane o lo avevo detto solo perché ero sconvolto e la morte di mio padre mi aveva fatto sragionare?
Fino a quanto sei capace di sopportare ancora una vita così, Kurt Hummel?... Anche la tua pazienza ha un limite...
Rinunciai con un sospiro al conteggio delle rughe della mia faccia, e mi diressi in cucina per la cena. Quel giorno, per me, era uguale a tutti gli altri. Non ero solito festeggiare né tanto meno gradivo ricevere auguri o regali. Sapevo che era un ragionamento un tantino cinico, ma proprio non riuscivo a trovarci nulla di meraviglioso nel compiere gli anni, o un valido motivo per festeggiarlo. Perché gridare al mondo di essere invecchiato? Tanto era palese e ci avrebbero pensato le rughe che avevo in faccia ad annunciarlo al posto mio. Per mia fortuna, quel giorno nessuno si era ricordato di farmi gli auguri, neanche le poche persone che lo sapevano, tipo Rachel o Mercedes. Mi era sembrato alquanto strano, che la seconda soprattutto lo avesse fatto: neanche una chiamata o un misero messaggio. Ed era assurdo perché, dopo essere andati a scuola assieme ed aver, per modo di dire, festeggiato ogni anno assieme quel giorno, anche se a forza e contro la mia volontà... lei non aveva mai mancato. Forse aveva altro da fare o se ne era semplicemente dimenticata. Oppure aveva finalmente capito che non me ne importava nulla di ricevere gli auguri e così aveva rinunciato. Lo aveva fatto davvero?
"Fanculo!" sbottai, mentre la busta dell'insalata mi scivolava dalle mani, cadendo per terra. Ok, forse un pò ci ero rimasto male, anche se mi ostinavo a dire il contrario. Non volevo festeggiare il mio compleanno, d'accordo, ma... mi faceva male sapere che tutti se ne fossero così palesemente dimenticati. Avevo incontrato Rachel quella mattina nell'atrio del portone, mentre io scendevo per andare a lavoro e lei recuperava la posta. Mi aveva salutato con un semplice "Ciao Kurt!" e se ne era tornata alle sue bollette. Sul momento non ci avevo prestato poi tanta attenzione, sperando fosse solo assonnata o troppo preoccupata per i conti da pagare, ma ormai, alle sette e mezza di sera passate, iniziavo a credere che davvero a nessuno importasse del mio compleanno o semplicemente di me.
Ennesima conseguenza del tuo atteggiamento di merda, oserei dire...
Neanche a dirlo, David se ne era dimenticato, ma sospettavo non sapesse neanche quando fosse il mio compleanno né quanti anni avessi. Forse ero stato io a non dirglielo mai, o più probabilmente quella era un'altra cosa che ignorava della mia vita. Ma sinceramente... non ricevere gli auguri da David era quasi una consolazione. Mi avrebbe fatto innvervosire sapere che lui fosse stato l'unico a ricordarsene e avrei senza dubbio scatenato un'altra lite. E tutto volevo, tranne che quello.
Rinunciai anche alla cena, dato che avevo lo stomaco chiuso e la mascella fin troppo irrigidita per la rabbia, per poter davvero pensare di ingerire qualcosa. Così mi diressi in salotto per guardare un pò di televisione e poi magari sarei andato a dormire, tanto per recuperare un pò di sonno arretrato. In quel periodo avevo dormito davvero poco e le cause erano state le più disparate: la discussione avuta con Rachel, la consapevolezza di aver raggiunto un certo limite con David e la necessità di lasciarlo andare ormai, ma soprattutto, la maggior parte dei miei pensieri notturni, era rivolto a...
Il campanello suonò proprio in quel momento, interrompendomi. Mi alzai ed andai ad aprire. E quella era senza dubbio Rachel che veniva a farmi gli auguri. Lo sapevo, sapevo che non potevano dimenticarsene tutti quanti. Sapevo che almeno lei avrebbe fatto lo sforzo di pensare a me. Ma proprio quando aprii la porta e mi preparai a sorriderle riconoscente, il mio più grande tormento notturno e la causa principale della mia insonnia, si presentò davanti ai miei occhi, in carne ed ossa, con un meraviglioso sorriso imbarazzato e gli occhi decisamente troppo dorati.
"Ciao.." mi salutò con un sussurro, appena incerto. Aveva esitato leggermente prima di parlare, lo avevo capito. Come se non fosse del tutto sicuro di volermi rivolgere la parola. Ma... lui era lì, sulla soglia del mio appartamento e, nonostante quello che era successo con David qualche giorno prima, nonostante lo avessi praticamente cacciato di casa per liberarmi da quella situazione scomoda, nonostante in quei quattro giorni non ci fossimo praticamente mai visti, mi sorrideva sereno, come sempre ed io in quel momento capii: quel giorno era il mio compleanno e lui era decisamente il miglior regalo che potessi sperare di ricevere.
"Ciao.." risposi finalmente, accennando un sorriso. E pensare che, dopo il disastroso risveglio nel mio appartamento, credevo non volesse più avere nulla a che vedere con me. E invece...
"Scusa se ti disturbo a quest'ora.. stavi cenando?" mi domandò esitante, muovendosi nervosamente sul posto
"No, no... non ti preoccupare... stavo... guardando un pò di tv.. stanno dando un episodio speciale di Gossip Girl." risposi scioccamente, tentando di essere ironico. Lui, per mia fortuna, ridacchiò, ma era chiaro che ci fosse qualcosa di strano. Era... agitato, e palesemente a disagio. Forse... non aveva ancora del tutto superato lo shock della vista di David e la paura di essere ucciso da lui.
"Mi dispiace ma... credo sia il caso che tu lo metta a registrare allora... mi servirebbe il tuo aiuto... urgentemente!" si fece leggermente ansioso, preoccupandomi non poco
"Cosa è successo?" chiesi allora
"Puck... mi ha chiamato dal pub, tutto agitato, dicendomi di avere un problema e di non riuscire a risolverlo e ha bisogno che io lo raggiunga immediatamente. E mi chiedevo se tu potessi.. accompagnarmi. La moto è dal carrozziere e Sebastian è fuori città con Daniel... ti giuro Kurt, se potessi chiamerei qualcun altro, pur di non disturbarti, ma non so come altro fare." mi spiegò gesticolando e lì compresi il perché del suo stato d'animo. Evidentemente la chiamata di Puck lo aveva agitato parecchio e non avendo neanche la sua moto, aveva bisogno di un aiuto. Del mio aiuto.
"Certo... non ti preoccupare. Ti accompagno molto volentieri.. il tempo di mettere le scarpe e recuperare la giacca!" lo rassicurai con un sorriso, indietreggiando subito nell'appartamento per fare prima. Lui mi seguì all'interno, o almeno la sua voce lo fece
"E non dimenticarti di mettere a registrare Gossip Girl!" mi ricordò divertito. Ridacchiai dalla camera da letto, senza neanche accorgermi che forse quello era il primo momento allegro di tutta la giornata. E ancora una volta, dipendeva da Blaine. Mi preparai in fretta e furia e lo raggiunsi, trovandolo ancora sulla porta, in attesa
"Perché non sei entrato?" gli chiesi sorpreso, spegnendo la televisione. Lui arrossì, stringendosi nella spalle
"L'ultima volta che l'ho fatto non ho trovato un'ottima accoglienza. Ho preferito evitare." rispose appena divertito. Fu il mio turno di arrossire, ma gli concessi un sorriso
"Puoi stare tranquillo... David non irromperà all'improvviso stavolta!" lo rassicurai. Lui ridacchiò, lanciandomi uno strano sguardo, che volutamente ignorai. Spensi tutte le luci dopodiché in silenzio, ci dirigemmo verso il parcheggio del palazzo per recuperare la mia macchina. Ovviamente era già buio all'esterno e il traffico stranamente regolare. Ed io e lui, per l'ennesima volta, ci ritrovavamo nella stessa auto - la mia auto! - e stavamo andando nella stessa direzione. Era incredibile come la mia serata fosse cambiata così bruscamente in poco più di cinque minuti. Un attimo prima ero disteso sul mio divano con addosso la mia coperta viola di pile, davanti ad una serie che neanche mi piaceva, e l'attimo dopo, ero alla guida della mia Volvo, con il sedile del passeggero occupato dal prezioso e fantastico sedere di Blaine.
Questa fissa per il suo sedere non mi passerà mai...
Solo allora, mentre lui mi spiegava con calma cosa gli aveva detto Puck poco prima, mi resi conto di una cosa: che il Sabato precedente, l'ultima volta che ci eravamo visti, la sgradevole improvvisata di David non ci aveva neanche permesso di chiarire. Di parlare di quello che era successo durante la notte, di trovare un nome adatto per la cosa. E non avevo neanche avuto modo per ringraziarlo di quello che aveva fatto per me. Forse lui non se ne era reso conto, ma la fiducia ed il rispetto che mi aveva dimostrato in quelle poche ore, erano stati la cosa più preziosa che mi fosse capitata dopo anni. Quindi il minimo sarebbe stato ringraziarlo e fargli sapere che, forse, se avessi trovato il coraggio per lasciare David... un posto nella mia vita, sarebbe sempre stato libero per lui. Ma quelli erano pensieri decisamente troppo profondi per quel momento. Lui era troppo in pena per il suo amico ed io ero ancora troppo intontito dal suo profumo. Mi aveva riempito tutto l'abitacolo ed io di certo non osavo lamentarmi, anzi...
Circa venti minuti dopo, parcheggiai davanti al pub e mi sorpresi del fatto che, nonostante l'orario, non ci fosse neanche una macchina in vista e che soprattutto tutte le luci interne fossero spente. Che diavolo stava succedendo?
"Blaine... sei sicuro ci sia qualcuno? A me pare chiuso." mormorai scendendo dalla macchina per raggiungerlo, dato che lui mi aspettava sul marciapiede
"Sarà saltata la corrente.. ecco perché Noah era così agitato.. vieni, entriamo!" e mi afferrò la mano, quasi fosse la cosa più normale del mondo, facendomi sussultare. In quel momento, nonostante il freddo della sera, la paura dovuta a quel silenzio inaspettato, e l'angoscia per non aver ricevuto neanche un misero "Buon compleanno", con quel contatto inaspettato e sorprendentemente caldo e familiare, mi sentii al sicuro. E di conseguenza gli strinsi la mano a mia volta, sperando di non doverla abbandonare mai.
Entrammo nel locale, ed ovviamente non vidi praticamente nulla: come si capiva già dall'esterno, tutte le luci erano spente ed era davvero inquietante vederlo così, dopo esserci stato per ben due volte, ed averlo visto con tanta gente e tante luci accese
"Blaine..." sussurrai, leggermente a disagio, stringendomi appena al suo fianco ed intensificando la presa attorno alla sua mano
"Aspetta" mi ordinò lui ed inaspettatamente mi lasciò da solo, allontanandosi e sparendo completamente nell'oscurità. Cosa cazzo stava succedendo? Perché mi aveva lasciato? Dove erano finiti Puck, i clienti, Brittany, ma soprattutto... dove era andato Blaine?
Non feci in tempo a chiamarlo ancora, ormai paralizzato dalla paura, che venni improvvisamente accecato da una luce tanto forte, che dovetti istintivamente chiudere gli occhi. Pochi istanti dopo, un allegro coro di voci, ruppe il silenzio macabro di quel posto e la frase che tutti pronunciarono all'unisono, mi fece bloccare il cuore per qualche istante, e iniziare seriamente a dubitare della mia lucidità. Perché se fossi stato seriamente sano di mente, allora in quel maledetto pub, ci sarebbero state un sacco di persone, un sacco di sorrisi, un sacco di addobbi colorati e un sacco di roba da mangiare. E loro avrebbero appena gridato all'unisono qualcosa. Qualcosa come "Tanti auguri, Kurt!". Ed io, terrorizzato e sorpreso, avrei fatto vagare gli occhi per tutta la sala, riconoscendoli uno per uno e alla fine avrei deglutito a disagio, in un assurdo momento di imbarazzo generale, fino a che il mio sguardo non si sarebbe fermato su qualcuno in particolare, qualcuno che fino a pochi istanti prima stringeva la mia mano, qualcuno che in quel momento mi stava sorridendo con una strana luce destabilizzante negli occhi, qualcuno che mai e poi mai avrei creduto capace di una cosa del genere. Perché cazzo... quel giorno era il mio compleanno e Blaine Anderson mi aveva appena portato nel pub dove lavorava, con tutte le persone che conoscevo, e quella aveva tutta l'aria di essere una festa a sorpresa. La mia festa a sorpresa.


New York City. Ore 08.33 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)

"Io non riesco ancora a crederci!" esclamai, con un Bloody Mary in mano e l'aria decisamente disorientata
"A cosa?" mi domandò Mercedes curiosa
"A tutto questo... che tutta questa gente sia qui per me." ed indicai la sala, quasi indignato. C'erano circa una ventina di persone, oltre a Mercedes: c'era Rachel con Finn, c'era Tina, c'erano William ed Emma, c'era Santana, Brittany, Sam, c'era perfino Sebastian con un ragazzo biondo ancorato ad un fianco, che immaginai fosse il famoso Daniel, qualche collega più intimo del lavoro, tipo Kristen e ovviamente c'era Puck, il proprietario del locale.
"Beh, mio caro neo venticinquenne, ti conviene crederci davvero... altrimenti ti riempio personalmente di pizzichi fino a che non mi implorerai di smettere!" mi minacciò la mia amica, stringendomi scherzosamente il fianco in una morsa, che mi fece ridacchiare. Rachel al nostro fianco sorrise, piacevolmente sorpresa
"Che belle parole confortanti che odono le mie orecchie!" esclamò estasiata, da degna regina del dramma "Permetti?... Rachel Berry!" e allungò una mano verso la mia amica, che le sorrise cordiale
"Mercedes Jones... credo di aver sentito parlare molto di te, Rachel!" le disse l'altra e questo ovviamente bastò per riempire di orgoglio la Berry
"Kurt, seriamente... dovresti smetterla di fingerti gay, se poi te ne vai in giro a parlare alla gente di me." mi diede una spallata amichevole che mi fece ridacchiare, mentre Mercedes ci osservava divertita, ma non feci in tempo a rispondere che una voce familiare si intromise nella conversazione
"Chi è che va in giro, fingendosi gay?" domandò Sebastian avanzando. Era un ragazzo decisamente affascinante: alto quasi quanto Finn, bel fisco slanciato, occhi verdi e soprattutto un sorriso furbetto decisamente poco raccomandabile. Eppure, non riuscivo a non provare simpatia nei suoi confronti. Era come se i continui racconti di Blaine su di lui e la loro amicizia, mi avessero fatto mettere da parte le mie prime impressioni ed avessi deciso di dargli fiducia a prescindere. Gli sorrisi spontaneamente
"Nessuno... è la mia amica che continua a farmi spudoratamente il filo, nonostante io le abbia già detto di non essere interessato." ed indicai Rachel che, colpita dal sorriso strafottente ed ammaliante di Sebastian, arrossì vistosamente
"Infrangere cuori etero, fa parte del nostro essere così affascinanti e misteriosi. Non immagini quante ragazze ho dovuto deludere durante il liceo... una strage!" esclamò lui, facendo un buffo gesto con la mano. Daniel al suo fianco alzò gli occhi al cielo e gli colpì la nuca con un leggero schiaffo
"Ma non hai sempre detto di essere andato in un istituto interamente maschile?" gli domandò con una smorfia divertita. Sebastian lo fulminò, per avergli probabilmente rovinato la performance
"Parlo delle ragazze che incontravamo all'esterno... quando uscivamo." specificò sollevando il mento, indignato
"Non dire cazzate, Bas... l'unica ragazza che ti è mai venuta dietro è stata la tipa che consegnava i surgelati a mensa... e ho sempre sospettato che in realtà fosse un travestito." intervenne Blaine, ampiamente divertito, facendo ridacchiare tutto il gruppo. Mi girai a guardarlo e lui pensò bene di strizzarmi brevemente l'occhio, facendomi brevemente bloccare il cuore. Cazzo se era bello.
"La tua è tutta invidia... tu non hai mai avuto uno stuolo di corteggiatrici pronte a mettersi in fila per uscire con te. Ecco perché mi sei diventato gay... la tua non è stata una scelta naturale.. era semplice disperazione!" e stringendogli un braccio attorno al collo, lo strattonò verso di lui, fingendo di soffocarlo giocosamente. Avevo ragione: quei due erano seriamente legati da qualcosa di speciale ed io non potevo che provare un pò di invidia per loro. Anche a me sarebbe piaciuto avere un amico così, un rapporto tanto profondo e spontaneo ma soprattutto un passato comune da condividere.
"O forse anche io non sono riuscito a resistere al fascino abbagliante di Sebastian Smythe e quindi, per poter stare con te, ho deciso di cambiare sponda." scherzò Blaine colpendolo sullo stomaco per potersi liberare e sgusciò finalmente via. Sebastian, visibilmente sorpreso, si portò una mano sul petto
"Non me lo avevi mai detto.. ne sono davvero lusingato." ammise, con finta meraviglia
"Ed ecco un'altra vittima di Sebastian." borbottò Daniel con un sopracciglio alzato, ma sotto sotto, profondamente divertito. Il suo ragazzo lo guardò, forse preoccupato da quel tono offeso e si affrettò ad afferrargli il mento con una mano e a stampargli un sonoro bacio sulle labbra
"Smettila di fare il ragazzino geloso... tanto non ci casca più nessuno, cucciolo!" esclamò con un sorriso trionfante sul volto, ottenendo lo stesso da Daniel che pensò bene di cacciargli la lingua
"Ne riparliamo la prossima volta che rimani a dormire in corridoio, amore!" lo sfidò divertito e fu davvero esilarante assistere ad una scena del genere. Nonostante il piccolo battibecco, si vedeva anche ad occhi chiusi quanto amore ci fosse tra quei due. Blaine aveva ragione.. Daniel era perfetto per Sebastian e, sembrava strano dirlo, perfino Sebastian era perfetto per Daniel. Quest'ultimo era esattamente come me lo ero immaginato. Alto più o meno quanto me, biondo, occhi azzurri ed un bel sorriso genuino sul volto. Sembrava un ragazzo estremamente dolce e gentile, ma per sopportare un temperamento forte come quello di Sebastian, sospettavo che dietro quella faccia docile, nascondesse anche del carattere particolarmente vivace e pungente. All'improvviso, dopo essersi liberato della stretta del suo ragazzo, Daniel si rivolse a me
"Tu devi essere Kurt... Daniel, piacere! Blaine mi ha parlato molto di te!" ed allungò una mano, rivolgendomi perfino un bel sorriso. Io, anche se leggermente scosso dalla sua rivelazione - Blaine parlava di me ai suoi amici? - gli strinsi la mano e ricambiai il sorriso
"Sì, in carne ed ossa... spero di non aver deluso le tue aspettative." scherzai un pò, lanciando un'altra occhiata verso il mio vicino, che aveva stranamente gli occhi bassi e le guance arrossate. Daniel scoppiò a ridere, e dalla sua stretta di mano vigorosa, intuii di non essermi affatto sbagliato sul suo carattere
"Sei esattamente come immaginavo che fossi. Blaine quando vuole sa essere decisamente preciso nelle descrizioni." e chissà per quale motivo mi fece l'occhiolino, in maniera fin troppo maliziosa, facendomi arrossire. Cazzo... che significava che Blaine, quando voleva, sapeva essere decisamente preciso? Cosa diavolo gli aveva raccontato?
Calmati, Hmmel... ti ricordo che Rachel sa esattamente le stesse cose che probabilmente Blaine ha raccontato a questi due qui...
Con la coda dell'occhio vidi Blaine afferrare la camicia di Sebastian per attirare la sua attenzione e sussurrargli all'orecchio qualcosa. Il ragazzo più alto, tentò di reprimere un sorriso, mordendosi un labbro, ma alla fine annuì
"Bene.. direi che è giunta l'ora di onorare come si deve il festeggiato e di buttare giù qualcosa di alcolico. Cosa ci consiglia il maitre stasera?" gridò, per attirare l'attenzione di Puck, che per una volta non sembrava affatto il solito proprietario che teneva in piedi un locale intero, ma se ne stava seduto ad uno sgabello a chiacchierare con Santana, Brittany e Kristen. Si girò verso Sebastian e fece una smorfia
"Stasera ti consiglio di non rompermi il cazzo e di servirti da solo. Sono un invitato come gli altri e in quanto tale merito un pò di pace, grazie!" e gli diede le spalle tornando alla sua conversazione. Sebastian sbuffò
"Che razza di modi... mi chiedo per quale motivo continuiamo a venire qui ogni dannata sera." borbottò allungando la mano verso un paio di birre e passandone una a Daniel
"Perché ci canto io?" tentò Blaine con un sorriso. Sebastian lo guardò, meditando per qualche secondo, poi alla fine parlò
"Già è vero... e allora che cazzo ci fai ancora qui?"
"Stasera sono fuori servizio, mi dispiace." rispose lui sorridendo soddisfatto e si vedeva chiaramente la stanchezza che si portava addosso. Ma, se non ricordavo male, il preavviso sarebbe scaduto quella domenica, dunque a breve sarebbe stato finalmente libero e avrebbe potuto seriamente riposarsi un pò. Non potevo che essere estremamente felice per lui anche se... non sentirlo cantare quella sera, mi faceva stranamente male. Ci avevo sperato, fin da quando, realizzata l'idea della festa a sorpresa, avevo riconosciuto il microfono e la custodia della chitarra nell'angolo del locale. Sentire la voce di Blaine cantare qualcosa sarebbe stato il regalo più gradito di tutti. Nonostante la sua sola presenza fosse comunque sufficiente.
"Ma come fuori servizio?" si lamentò Rachel al mio fianco, dopo essersi finalmente ripresa dallo shock di Sebastian "Non puoi farmi questo, Blaine! Io speravo di sentirti finalmente cantare stasera... una specie di sogno che si avvera." e per sottolineare la sua amara delusione, sporse il labbro tremolante e si fece perfino venire gli occhi lucidi. Iniziavo seriamente a pensare che perfino Rachel sarebbe entrata senza neanche pensarci alla NYADA, date le sue incredibili doti interpretative
"Io l'ho sentito... è davvero eccezionale. E credimi.. io di cantanti ne vedo ogni giorno ma lui.. ha quel qualcosa in più che decisamente ti strega." affermò Mercedes sorseggiando il suo Cosmo e lanciando un'occhiata di apprezzamento verso Blaine che arrossì ancora. Proprio non sapeva accettarli in complimenti senza intimidirsi. Dio, se era tenero.
"Adesso non esageriamo!" mormorò infatti, alzando gli occhi al cielo. Ero sul punto di dire qualcosa, di ricordare il successo che aveva ottenuto alla serata di beneficenza, i complimenti fatti direttamente da James Lipton o l'assegno stratosferico che si era incassato, ma qualcuno mi anticipò
"L'affascinante fanciulla vestita di viola ha perfettamente ragione. Tu hai talento Blaine... e quindi accetta i complimenti e vanne fiero!" esclamò Sam, avvolgendo le spalle di Blaine con un braccio e sorridendogli. Per un istante, mi concentrai sulla prima parte della sua frase, ma soprattutto sull'effetto che le sue parole spontanee avevano avuto su Mercedes. La mia amica aveva ancora gli occhi spalancati e la bocca leggermente dischiusa e si era messa ad osservare il nuovo arrivato con insistente sorpresa, tanto che dovetti darle una leggera spallata per farla riprendere
"Contegno, Jones!" mormorai divertito, mentre Sam, Blaine e Rachel parlavano di canzoni e musica. Lei si girò a guardarmi, sconvolta
"E questo angelo da dove è uscito?" mi domandò con un soffio. Io ridacchiai, compiaciuto
"Si chiama Sam Evans... è un agente di moda... l'agente di Santana, quella modella che lavora con me. Situazione sentimentale, non pervenuta!" la informai brevemente, fingendomi impegnato ad osservare il bancone, per poterle parlare nell'orecchio con discrezione. Lei deglutì
"E il tuo gay radar cosa dice?" sollevai un sopracciglio, lanciando un'occhiata curiosa verso Sam. A giudicare da come aveva guardato attentamente la mia amica, dedussi che.. sì, Sam Evans era decisamente etero.
"Il mio gay radar dice... alza le chiappe da quello sgabello e offrigli immediatamente da bere!" esclamai con un sorriso, che la fece ridacchiare. Ma prima di allontanarsi per fare quello che le avevo detto, si spinse verso di me, per abbracciarmi
"Mi sei mancato così tanto, Kurt." mi disse, direttamente nell'orecchio. Io sospirai, stringendomi a lei e rendendomi seriamente conto che anche lei mi era mancata un sacco, più di quanto avessi mai potuto immaginare. E pensare che, l'ultima volta in cui ci eravamo visti, era stato proprio in quel pub. Era stata lei a farmi conoscere quel posto e a permettermi di incontrare Blaine, per la prima volta, e scoprire in anteprima il volto del mio vicino. Le dovevo molto, sotto quel punto di vista
"Anche tu, Cedes... da morire!" risposi sorridendole
"Tanti auguri, gioia mia." aggiunse, lasciandomi un bacio leggero sulle labbra, per poi allontanarsi davvero, con la precisa intenzione di conquistare qualcuno quella sera. E se ci fosse riuscita, sarei stato il primo ad essere felice per lei.
"D'accordo mi avete convinto... basta che la smetti di saltellarmi attorno come il tigrotto di Whinny the Pooh." si arrese in quel momento Blaine, divertito da morire, mentre Rachel esultava vittoriosa
"Ah, voi uomini, etero o gay, siete tutti uguali... basta che vi fanno due moine come si deve e capitolate all'istante." esclamò Santana unendosi a noi, seguita a ruota da Brittany. Sebastian la guardò male, forse non intendendo a pieno dove la ragazza volesse arrivare con quel commento
"E cosa sarebbe questa.. una battuta poco felice sugli omosessuali?" le domandò fulminandola. La ragazza alzò lo sguardo su di lui, ma, al contrario di quanto mi sarei aspettato, non ne rimase affatto affascinata come me o Rachel, anzi.. gli scoppiò quasi a ridere in faccia
 "Affatto... altrimenti rischierei di inimicarmi il cinquanta per cento di questo locale, inclusa me stessa." rispose, facendo una smorfia eloquente. Sebastian lanciò un'occhiata veloce verso Brittany che gli sorrise e gli strizzò l'occhio e allora lui capì e sorrise. Bevve un sorso della sua birra e aggiunse
"Una come te poteva soltanto essere lesbica!" esclamò pungente, facendomi quasi affogare con il mio drink. Che diavolo di modi! Ma si rendeva minimamente conto che, andare in giro ad esclamare certe cose, poteva anche essere pericoloso, oltre che estremamente maleducato? Lui non conosceva Santana, e non mi sarei meravigliato se lei, dopo un commento del genere, si fosse offesa e gli avesse tirato uno schiaffo diretto in faccia. Perfino Blaine sgranò gli occhi sconvolto, mentre Daniel si limitò a ridacchiare, senza dire nulla. L'unica che parlò fu proprio Santana
"E questo invece cosa dovrebbe essere? Un tentativo mal riuscito per farmi innervosire?" gli domandò con un sorrisetto divertito, che fece ridacchiare l'altro
"Volevo soltanto vedere fino a che punto potessi essere schietto con una come te." mormorò con un mezzo sorriso, altamente fastidioso, ma pur sempre stranamente affascinante. Quel ragazzo aveva qualcosa di stranamente bello, ma ancora non avevo capito cosa.
"E il responso qual'è?" domandò Santana recuperando una birra dal bancone e stappandola semplicemente strisciando il collo della bottiglia sul bordo del tavolo. Sebastian, colpito, alzò la sua birra e la fece scontrare con quella della ragazza
"Mi piaci!" esclamò con un sorriso "Per quanto sia lecito mi possa piacere una ragazza, ovvio." e fece una smorfia disgustata che fece ridacchiare tutti quanti, inclusa Santana.
"D'accordo, io vado a mantenere la mia promessa... il festeggiato ha qualche richiesta particolare?" mi domandò Blaine, rivolgendomi uno di quei sorrisi da svenimento, cogliendomi nettamente impreparato. Rimasi senza fiato per qualche secondo di troppo, tanto che Daniel fu costretto a schiarirsi la voce, per farmi riprendere
"Eh? No... no.. nessuna richiesta. Lascio fare a te." mormorai con le orecchie in fiamme e la precisa consapevolezza che in quel locale, troppe persone sapevano troppe cose. Soprattutto Rachel, che, avendo dimenticato come sempre la discrezione a casa, si mise a ridere spudoratamente in faccia a Blaine, facendomi arrossire ancora di più. Blaine mi sorrise ancora, quella volta con una strana intensità negli occhi, che mi fece stranamente tremare sul mio sgabello. Ma come ci riusciva? Come poteva avere un potere così forte su di me e riuscire a controllarmi in così poco tempo? Forse Santana aveva ragione... bastavano poche moine per farmi capitolare? Bastava Blaine per farlo
?
É così dolce e premuroso e Dio solo sa cosa ti farebbe tutte le volte che ti sfiora semplicemente con lo sguardo...
Di quale altra dimostrazione hai bisogno da parte del destino, per capire che la tua strada si interrompe qui con David, e ricomincia altrove con Blaine Anderson?...
Maledetta Rachel, le parole che mi aveva detto Domenica ancora mi rimbombavano nella testa, quasi fosse accanto a me a ripetermele. Ma lei non c'era, si era alzata per raggiungere Finn ed io ero rimasto con Sebastian, Daniel e Santana, che parlavano tranquillamente tra di loro, quasi si conoscessero da una vita.
Era quello il tipo di sguardi a cui Rachel si riferiva? Avevano un significato particolare? Ed avevo seriamente bisogno di un'altra dimostrazione per capire che David non facesse per me, che il mio tempo con lui fosse finito, che fossi realmente cresciuto e fossi pronto per cercare la felicità altrove? Davvero la mia strada poteva congiungersi con quella di Blaine e... continuare parallelamente?
Misi da parte i pensieri frustranti a quanto sarei stato di nuovo solo, a casa, e dedicai tutte le attenzioni al cantante, appena salito sul palco, con la chitarra già stretta tra le braccia. Si sistemò sullo sgabello, abbassò il microfono alla sua altezza e, attirando ovviamente l'attenzione di tutti, parlò
"Buona sera a tutti!" esordì con un sorriso, ottenendo un caloroso applauso, nonostante fossimo scarse venti persone, e perfino qualche fischio di apprezzamento da Sam e Puck. Quei due andavano stranamente d'accordo ed erano, in certi versi, perfino un pò simili.
"Dunque, voglio approfittare di questo momento per.. augurare come si deve un buon compleanno a Kurt..." e mi indicò con un gesto della testa, facendo girare tutti verso di me ed ottenendo altri applausi. Non ero abituato a stare così al centro dell'attenzione e non sapevo affatto come gestire la cosa. Non potevo dire che non fosse bello, per una volta, avere tanta importanza, ma... faceva comunque uno stranissimo effetto
"Ma, prima di iniziare, 
avrei una richiesta da fare al festeggiato..." mormorò, rivolgendo la sua completa attenzione a me. Nonostante la distanza, nonostante avessi gli occhi di tutti puntati addosso, sentii perfettamente il peso del suo sguardo, soltanto il suo, ed il sangue confluire immediatamente nelle guance. Aveva una richiesta da farmi?
Annuii lentamente, conscio del fatto che potesse vedermi anche a distanza e lo vidi sorridere, quasi emozionato, prima di parlare
"Saliresti sul palco a cantare con me?"

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Capitolo 28
*** Le sue dita sulla chitarra ***


Salve angioletti miei.. è arrivato finalmente Lunedì (giorno che io odierei, se non fosse per l'aggiornamento!).. dunque, oggi sapremo cosa risponde Kurt a Blaine perché la domanda ha sconvolto un pò tutti... spero di non essere stata troppo banale nel raccontare il momento e spero anche che apprezzerete... questa volta diciamo che non vi lascio sospesi, anche per farmi un pò perdonare però ne avrete di roba su cui riflettere in questo capitolo, soprattutto perché lo ammetto, è un capitolo a cui tengo molto perché lo reputo particolarmente intenso ;) quindi, buona lettura e ci vediamo Giovedì (sempre che riesca a terminare il capitolo... mi sono bloccata in un punto e non riesco a continuare... maledetta me e quando vado ad impantanarmi spontaneamente in questi capitoli così...). Un kiss a tutti :*
p.s. Lei dice che non è bella... a me piace da impazzire... ma ormai le lotte tra me e Dan non avranno mai fine XD grazie gioia mia :*
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments ) non perdete la speranza, la Finchel prima o poi arriverà XD




New York City. Ore 09.12 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)


"Saliresti sul palco a cantare con me?
Quello era senza dubbio uno scherzo. Uno scherzo di cattivo gusto tra l'altro. Oppure un incubo, uno di quelli spaventosi, che attanagliavano lo stomaco e trascinavano, anche da svegli, la sensazione terribile di non riuscire a respirare. Perché in quel momento, in quel locale, ancorato a quel maledetto sgabello, la sensazione che provai, fu esattamente quella. Non riuscivo a respirare.
Era come se tutta l'aria dei miei polmoni si fosse frantumata e non trovassi neppure la forza per ricercarne altra. Ero perfettamente in bilico, con le mani strette alle ginocchia e lo sguardo fisso nel vuoto. Blaine non poteva avermi seriamente chiesto una cosa del genere. Perché? Perché diavolo lo aveva fatto? Aveva detto di volermi augurare un buon compleanno e poi avrebbe dovuto cantare per tutti noi... e allora che motivo c'era di chiedermi di raggiungerlo sul palco per... cantare? Io non... capivo.
Ma soprattutto, chi era stato a dirglielo? Perché davvero credevo impossibile che fosse un'idea esclusivamente sua. Qualcuno doveva avergli detto che un tempo cantavo anche io e non ci voleva molto per capire di chi si trattasse. Erano soltanto in due, in quel pub, a saperlo: Mercedes e Rachel. Ma dubitavo che la prima si fosse davvero presa la briga di farmi una cosa del genere, sapendo quanto quell'argomento mi facesse male, quindi... rimaneva solo Rachel e qualcosa mi diceva che il nostro recente discorso non fosse ancora del tutto concluso e che non le fosse andato a genio come io avessi cambiato argomento quando ci eravamo trovati a parlare del canto e della mia voce. E quella allora cos'era? Una ripicca? Voleva vendicarsi con me per non averle dato retta, per aver, ancora una volta, finto indifferenza sulla mia stessa vita ed essere passato oltre? Da quando Rachel Berry poteva decidere della mia vita? Cosa ne sapeva lei di me, di quello che provavo o di quanto brutta fosse la sensazione che in quel momento mi stringeva lo stomaco, senza neanche permettermi di respirare regolarmente.
Perché io non potevo cantare, non più. Quella era una promessa ben precisa che avevo fatto a me stesso ed era anche l'unica parola che avevo intenzione di mantenere. Era una sorta di ultima frontiera, una difesa per il mio fragile mondo sbagliato, quel confine che mai e poi mai mi sarei permesso di superare ancora. Il canto rappresentava tutto ciò che della mia vecchia vita non esisteva più, tutto quello che mi ero lasciato alle spalle, e tentavo ogni giorno di dimenticare: la mia famiglia che non c'era più, la mia casa, la mia scuola, i miei compagni del Glee Club, la NYADA, il mio papà...
Kurt, figliolo... che ne dici di sederti qui, accanto al tuo vecchio, e cantarmi qualcosa?...
Cantare ancora e farlo davanti a tutte quelle persone sarebbe stato troppo. Sarebbe stato affrontare qualcosa di ancora troppo doloroso ed io non potevo seriamente permettermi di soffrire. Ne avevo abbastanza di piangere, di stare male, di sentirmi sbagliato e... solo. Rachel non capiva, non lo avrebbe mai fatto, perché qualsiasi cosa fosse successa, lei avrebbe avuto Lea, la sua preziosa figlia, i suoi adorati papà e adesso perfino Finn. Io invece, se fossi salito su quel palco a cantare, cosa avrei avuto? Cosa mi sarebbe rimasto?
Kurt, fai una promessa al tuo vecchio... qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa quei pezzi di merda lì fuori saranno capaci di dirti... tu vai avanti, sii fiero di te stesso e di quello che hai fatto, ma soprattutto... non smettere mai di cantare... perché quando smetterai di farlo, allora per me non varrà neanche più la pena di vivere...
Ingoiai malamente un singhiozzo, stringendo con più forza il tessuto dei jeans, quasi aggrappandomi disperatamente. Come avevo fatto a dimenticarlo? Come avevo fatto ad essere tanto stupido? Mio padre me lo aveva detto, mi aveva fatto promettere di non smettere mai, di continuare a cantare nonostante tutto e tutti, e questo ancora prima di sapere che di lì a poco, sarebbe seriamente morto. Ed io avevo infranto il nostro patto, non gli avevo tenuto fede. Avevo preferito ancorarmi al mio dolore, pensando che questo fosse più importante di tutto. Ma cosa, al mondo, sarebbe mai stato più importante, della parola data al proprio padre? Con cosa avrei potuto giustificare tale mancanza nei suoi confronti? Ma soprattutto... il mio papà avrebbe mai potuto perdonarmi?
Ti ho deluso, papà... ancora una volta...
Possibile che in quei sei anni me ne fossi dimenticato completamente? Che razza di persona ero diventato? Che razza di figlio? Dimenticare una promessa fatta a mio padre, equivaleva a farlo inconsapevolmente morire ancora, per l'ennesima volta.
Kurt... Kurt.. Kurt... Kurt... Kurt.. Kurt...
"Kurt?" una voce riuscì a farsi sentire e ad irrompere nella mia mente, gridando più forte dei miei stessi pensieri. Come ipnotizzato, sollevai lo sguardo e mi bloccai solo quando i miei occhi smarriti trovarono la giusta collocazione. Solo quando trovarono l'oro intenso, appena sporcato dalla preoccupazione e da qualcosa di poco chiaro da definire, ma molto simile all'ansia. Quegli occhi erano così per qualche motivo e sospettavo che quel motivo, fossi proprio io. Blaine meritava una risposta e forse, dopo tutti quegli anni la meritavo anche io. Ma più di tutti, la meritava Burt Hummel.
Non riuscendo ancora a respirare, mi alzai dal mio sgabello, ignorando gli sguardi attoniti dei miei amici ed avanzai lentamente verso il palco e verso Blaine. Era come fluttuare in una bolla. Non sentire nulla, neanche il mio stesso battito. L'unica cosa che avvertivo, era lo sguardo fermo e limpido di Blaine che mi guidava e mi coccolava e mi accarezzava e forse mi dava l'ultimo valido motivo per fare quello che stavo facendo. Non distolse gli occhi neanche per un istante ed io feci altrettanto. Era come se fossi attratto da una calamita, perché avvertivo chiaramente il magnetismo scorrere tra di noi e mi chiesi seriamente se non fosse così tutte le volte che eravamo stati assieme. Perché, pensandoci, forse legare i miei occhi a quelli di Blaine, era quasi più intenso ed eccitante, che farci l'amore. Per quanto, unire il mio corpo al suo, rimanesse ancora l'esperienza più bella e stimolante di tutta la mia vita.
Ed era buffo. Quasi surreale.. ero passato senza neanche accorgermene da un pensiero ad un altro. Dal tormentarmi per il mio problema con il canto, all'avercela a morte con Rachel, al pensiero di mio padre, alla delusione che gli avevo creato, alla voglia di riscattarlo, e per finire... al desiderio impetuoso di essere accanto a Blaine e fondermi ancora una volta con lui. Anche se quella volta si fosse semplicemente trattato delle nostre voci. Avevo bisogno di lui, di sentirlo con me, mai come in quel momento. Perché sentivo che lui, sarebbe stato l'unico capace di aiutarmi ad uscire da quell'inferno personale che mi ero creato durante quei minuti di apnea e sapevo anche che grazie a lui avrei potuto ricominciare a respirare, senza avvertire dolore.
Salii finalmente sul palco, ancora sotto il suo vigile controllo e, senza parlare, mi avvicinai a lui. Avevo uno strano nodo in gola e la testa mi pulsava fastidiosamente. Dubitavo che sarei riuscito a mettere due parole in fila per cantare.
Oddio, cantare con Blaine...
Lui si spostò un pò sullo sgabello, per farmi posto
"Siediti qui... accanto a me!" mi disse dolcemente e per me fu come ricevere un ordine superiore. Mi ritrovai a fare immediatamente come mi aveva detto e a condividere quel piccolo sgabello con lui. Ed essere ancora lì, dopo ben sei giorni di lontananza, a sfiorare di nuovo il suo corpo, fu tremendamente appagante. Senza neanche volerlo, feci un profondo respiro, immagazzinando un pò del suo profumo dolce, e mi sorpresi di come tutto, ormai, fosse così facile. Quasi non fossi più su un palco, davanti a venti persone in trepidante attesa e non dovessi a breve cantare qualcosa con l'unico ragazzo che era mai stato capace di mandarmi fuori di testa. Forse stavo seriamente sognando.
"Sei pronto?" mi domandò allora, stringendo meglio la chitarra che quasi sfiorava il mio braccio. Eravamo seriamente troppo vicini: sentivo il suo respiro leggero e potevo quasi contare quante ciglia avesse su ogni palpebra. Annuii, anche se la mia mente gridava esattamente il contrario. Strano come nei gesti riuscissi quasi a contraddirmi da solo. Forse dipendeva dal fatto che non fossi ancora del tutto padrone di quello che mi stava succedendo. E probabilmente Blaine se ne accorse, perché mi sorrise e mi sfiorò leggermente una gamba con il suo ginocchio, riempiendomi le vene di un'intensa scarica di adrenalina che arrivò direttamente al cervello, cancellando quel briciolo di ragione rimastami.
"Ehm... facciamo così... inizio io e tu, quando sarai pronto mi verrai dietro. La canzone dovresti conoscerla." accordò la chitarra, con il mento leggermente sporto in avanti e gli occhi meravigliosamente socchiusi. Era un piacere vederlo suonare: la sensazione era più o meno la stessa che avevo avuto durante la serata di beneficenza, mentre le sue mani scivolavano sui tasti d'avorio del pianoforte. Era in sintonia con la musica, qualsiasi cosa si fosse messo a suonare. Dopo un sospiro lunghissimo, partì la prima strofa della canzone, che io ancora ignoravo.

Made a wrong turn
Once or twice
Dug my way out
Blood and fire
Bad decisions
That’s alright
Welcome to my silly life

Tuttavia, mi era bastato sentire il primo verso accompagnato dal primo accordo di chitarra, per capire che canzone fosse. Ed una volta fatta questa costatazione, non potei trattenermi dallo sgranare gli occhi, sorpreso. Perché, tra tante canzoni sulla faccia della terra, Blaine aveva scelto proprio quella? Proprio la canzone più coerente, precisa ed autobiografica. Proprio quella che già con pochi versi, aveva spiegato a tutti la mia schifosa vita. Inconsapevolmente sorrisi, perché forse, una cosa quella sera la stavo iniziando a capire: Blaine, in meno di un mese, mi aveva capito in maniera nettamente più profonda, rispetto a quanto non avesse fatto David fino a quel momento. Rispetto a quanto nessun altro avesse mai fatto. E non era servito neanche che io gli parlassi di me. Si era accontentato di quello che aveva scoperto e ora, me lo stava restituendo, semplicemente in una canzone. Con un sospiro, ed evitando accuratamente di guardare da qualsiasi altra parte non fossero state le mani lisce e forti di Blaine che scivolavano morbide sulle corde della chitarra, presi fiato e mi sovrapposi alla sua voce, sperando di essere alla sua altezza, sperando di non combinare guai, ma soprattutto sperando di non rovinare la magnifica atmosfera che era appena riuscito a creare.

Mistreated, misplaced, missunderstood
Miss « no way it’s all good »
It didn’t slow me down
Mistaken ,always second guessing
Underestimated
Look, I’m still around…

Stentavo a credere che fossi riuscito a tirare fuori la voce, nonostante fossero esattamente sei anni che non lo facevo più. E sembrava tutto troppo strano: ero davvero io che stavo cantando? Oppure ero un semplice spettatore e la voce delicata che si era adeguata a quella di Blaine apparteneva a qualcun altro? All'inizio avevo fatto una leggera fatica a subentrare a lui. Mi ero ritrovato leggermente rauco o forse troppo timido e frenato. Blaine, sentendomi partire, si era subito interrotto, lasciandomi pieno spazio nella strofa ed io, non avvertendo più la sua voce morbida, mi ero sentito per un attimo spaesato. Mi sarei voluto fermare, avrei voluto piangere e pregarlo di non smettere, di non lasciarmi solo. Avrebbe dovuto cantare con me, me lo aveva promesso. Eppure... nonostante la sua voce, durante quei pochi versi, non fosse presente, c'erano i suoi occhi, e il suo respiro, e le sue meravigliose mani che scivolavano leggere, a farmi compagnia e a darmi quella forza che mi mancava e che non credevo seriamente di avere più. Così, mi feci coraggio, e continuai a cantare la mia strofa, riuscendo a cogliere perfino la sfumatura ironica di quella situazione. Io, Kurt Hummel, l'essere eternamente imperfetto, il ragazzo più insicuro e la persona più tormentata della terra, stavo cantando una canzone, in un pub, davanti ad altre persone, in compagnia di Blaine e l'unica cosa alla quale riuscissi a pensare in quel momento era che... cazzo, mi era mancato davvero tanto farlo. Cantare intendo. Mio padre aveva ragione, non avrei mai dovuto smettere ed io solo in quel momento me ne rendevo conto.

Pretty, pretty please
Don’t you ever, ever feel
Like your less than
Fuckin’ perfect
Pretty, pretty please
If you ever, ever feel
Like your nothing
You’re fuckin’ perfect to me

Nel ritornello, la voce di Blaine tornò a farsi sentire, mescolandosi alla mia, accarezzandomi con la sua delicatezza e allo stesso tempo con la sua forza, abbracciandomi teneramente ed avvolgendomi. Ed era proprio quella la sensazione che mi era mancata prima: era esattamente l'intreccio delle nostre voci, dei nostri due mondi così diversi eppure stranamente tanto compatibili, la consapevolezza di essere perfetto per qualcosa - per cantare con lui, per unirmi a lui in un modo o nell'altro - e la bizzarra euforia di aver appena scoperto di apprezzare tutto quello che quella canzone mi stava dando. Il significato era talmente tanto vicino alla mia vita, da far quasi paura. Io mi sentivo esattamente così: maltrattato, incompreso, sbagliato, sottovalutato. Per anni il mondo mi aveva fatto sentire in quel modo, senza che io potessi farci nulla ed ora, mi ritrovavo a rispondere a tutta quella cattiveria e a quello schifo... cantando. Cantando con Blaine. Cantando con Blaine che mi aveva appena detto in faccia, seppure in musica e costretto a seguire un testo, quanto fossi fottutamente perfetto per lui. E, nonostante sapessi perfettamente che quello faceva parte della canzone, nonostante cercassi di autoconvincermi a non farmi venire strane idee e non illudermi e non cascare in una trappola tanto intricata, nonostante provassi con tutte le forze ad ignorare il brivido di emozione che mi era passato su tutta la schiena, proprio non riuscii a trattenermi dall'allungare discretamente una mano e sfiorargli il ginocchio, per puro desiderio masochistico ed irrazionale. Avevo bisogno di contatto... ed anche uno così banale sarebbe bastato. Avevo bisogno di sentirlo al mio fianco, di accertarmi che fosse reale e che non fosse frutto di un'ennesima fantasia. Perché ormai mi ero reso conto di avere una fervida immaginazione e sapevo che non avrei retto facilmente, scoprendo di essermi inventato anche quello. Ma lui c'era, era al mio fianco, attaccato al mio corpo e continuava a guardarmi e ad inviarmi una strana scarica di adrenalina che sentivo ci stesse unendo sempre di più, mano a mano che la musica andava avanti.

You’re so mean
When you talk
About yourself
You are wrong
Change the voices
In your head
Make them like you
Instead

Senza neanche metterci d'accordo, ci alternammo i versi di quella strofa con armonia, uno dopo l'altro, morbidamente. Era come se l'avessimo provata e riprovata per giorni interi, invece era la prima volta in assoluto che facevamo una cosa del genere. Ma d'altronde, non era la prima volta che mi rendevo conto di trovarmi bene e a mio agio in una situazione del tutto nuova con lui. Era già successo il venerdì precedente, in ben due momenti nella stessa sera, mentre eravamo entrambi nudi e pieni di desiderio. Anche in quel momento sentivo di essere completamente attratto dal suo corpo, sentivo di volerlo baciare, accarezzare e... per quanto fosse lecito, affondare dolcemente in lui, ma... non si trattava solo di quello. In quel momento la sua anima, tutto ciò che sembrava aleggiare attorno a noi, accompagnato da quella canzone, sembrava valere molto di più e stava diventando perfino più appagante. Dovevo aver letto da qualche parte che, a volte, le persone quando entrano in una profonda sintonia, si trovano a provare quelli che vengono definiti "orgasmi di sensazioni", ovvero un insieme di emozioni talmente tanto forti da portare a provare piacere fisico e soddisfazione. Io non avevo mai capito come fosse possibile una cosa del genere: l'orgasmo era ciò che di più fisico e carnale esistesse al mondo e dubitavo seriamente potesse avere a che fare con qualcosa di immateriale come le emozioni. Eppure... qualcosa tra me e Blaine in quel momento stava succedendo. E se non era piacere allo stato puro, allora cosa diamine era?
 
So complicated
Look how big you’ll make it
Filled with so much hatred
Such a tired game
It’s enough
I’ve done all I can think of
Chased down all my demons
I've see you de the same

Inconsciamente gli sorrisi, perché era stupido pensare a tutte quelle cose mentre tutta la mia attenzione doveva essere concentrata sulla canzone e le sue parole. Eppure, con Blaine era sempre stato così: non ero mai riuscito a focalizzarmi su un unico pensiero, con lui la mia mente viaggiava a mille oppure, nei casi più estremi, si bloccava di colpo, collassando. Una via di mezzo non l'avevo ancora trovata. Lui, con tutta la naturalezza e la tenerezza di cui era capace, ricambiò il sorriso, spostando appena il ginocchio verso di me e sfiorandomi ancora. Altra botta diretta al cuore. Se l'intenzione di Blaine era quella di uccidermi.. beh, dovevo avvisarlo, era sulla buona strada. Sarei morto a venticinque anni appena compiuti e lo avrei fatto nel migliore dei modi: di autocombustione da sfioramento e frustrazione. E tensione sessuale. E chissà perché, quando in giro c'era Blaine Anderson, la tensione sessuale registrava picchi da record.

Pretty, pretty please
Don’t you ever, ever feel
Like your less than
Fuckin’ perfect
Pretty, pretty please
If you ever, ever feel
Like your nothing
You’re fuckin’ perfect to me

Forse in quel momento, mentre per la seconda volta lui mi dichiarava apertamente, e apparentemente senza vergogna, di trovarmi fottutamente perfetto, mi sarei dovuto ricordare di tutta la gente che ci stava guardando. Perché, per quanto io pensassi il contrario, purtroppo in quel locale non eravamo soli e sicuramente lo spettacolo che stavamo dando non era dei più innocenti. Sarebbe stato chiaro a chiunque che qualcosa tra di noi stava succedendo, perché immaginavo che una cosa tanto intensa fosse allo stesso tempo perfettamente visibile anche ad occhio nudo. Eppure, fatta eccezione per Rachel e Sebastian - e forse anche Daniel - che sapevano qualcosa in più, agli occhi degli altri, io e Blaine eravamo due semplici amici, due vicini di casa e in quel momento stavamo cantando una semplice canzone di P!nk. Questa era la versione ufficiale almeno. La verità era che Blaine e Kurt forse stavano dedicandosi a vicenda una canzone d'amore, senza calcolare minimamente i rischi del caso e forse entrambi ci stavano provando gusto. E forse entrambi, avrebbero dovuto smetterla di continuare a sfiorarsi casualmente, quasi fosse normale. Perché quella situazione era tutto, tranne che normale.

The whole worlds stares while I swallow the fear
The only thing I should be drinking is an ice cold beer
So cool in line and we try try try ,
But we try too hard, it’s a waste of my time
Done looking for the critics, cause they’re everywhere
They don’t like my jeans, they don’t get my hair
Exchange ourselves ,and we do it all the time
Why do we do that?
Why do I do that?
Why do I do that?
Yeaaah...
Oooooh...

La voce di Blaine era decisamente la cosa più dannatamente meravigliosa - e fottutamente perfetta, per rimanere in tema - che avessi mai sentito, ma di questo ero già ampiamente convinto, altrimenti mai mi sarei sognato di affidargli un compito così importante come quello di sostituire Bon Jovi all'evento di beneficenza. Eppure, cantando insieme a lui, mi accorsi di tante piccole sfumature del suo modo di cantare, che prima non ero riuscito a cogliere. Soppesava ogni parola gli uscisse dalla bocca, perfino un semplice articolo o una banale congiunzione ed era come se si sforzasse per farla arrivare direttamente a me, che seduto praticamente ad un palmo dal suo naso - e dalla sua bocca - raccoglievo tutto, ogni singola goccia, quasi fosse un'essenza vitale, quasi fossi un assetato nel deserto, pronto a lasciarmi condurre da qualsiasi allucinazione visiva, pur di raggiungere la mia oasi di piacere. E lui rappresentava esattamente la mia oasi in quel momento. Mi dava la forza per cantare, il coraggio di farlo dopo tanti anni di mutismo, la speranza di non aver deluso nessuno e soprattutto la voglia per farlo ancora, in futuro. E Blaine Anderson, che cantava con il cuore e non soltanto con la voce, mi aveva dato tutto quello, senza parlare, senza baciarmi, senza stringermi, senza togliermi i vestiti, senza costringermi a fare nulla. Lui mi aveva semplicemente fatto un pò di spazio su uno sgabello e non aveva mai smesso di guardarmi. E mi aveva dedicato una canzone semplicemente splendida. Fottutamente perfetta. E cosa più importante di tutte, mi aveva lasciato la sacrosanta libertà di decidere cosa fare, se rimanere ancora in disparte oppure alzarmi e salire sul palco. E lo aveva fatto senza pretese, senza fretta e senza alcuna aspettativa. Sarebbe stato così soltanto per il canto, oppure anche il resto, con lui al mio fianco, avrebbe preso quella piega?

Ooh, pretty pretty pretty,
Pretty pretty please don’t you ever ever feel
Like you’re less then, fuckin’ perfect
Pretty pretty please if you ever ever feel
Like you’re nothing you’re fuckin’ perfect, to me... Yeaah ,
You’re perfect
You’re perfect
Pretty, pretty please don’t you ever ever feel
Like you’re less then, fucking perfect
Pretty, pretty please if you ever ever feel
Like you’re nothing you’re fucking perfect to me...

La canzone finì, decisamente troppo presto, e quasi avvertii la bolla magica e sicura infrangersi attorno a noi. Quella che ci aveva tenuti avvolti e ci aveva coccolati fino a quel momento, quella che ci aveva permesso di sentirci uniti, per una manciata di minuti e che ci aveva guidati fino alla fine. Smettemmo di cantare nello stesso istante e lui smise di suonare, con un leggero sospiro, senza però abbassare lo sguardo o dire niente. Il locale era completamente immerso nel silenzio ma io non avevo la minima voglia di spostare altrove la mia attenzione per vedere cosa stesse succedendo. Volevo rimanere ancora immerso nell'immensità appagante degli occhi dorati di Blaine - che in quel momento si colorava appena di verde - e  lasciarmi coccolare ancora un pò, perdermi ancora in quell'infinità di sensazioni perché la realtà era decisamente troppo brutta rispetto a quello che stavo vivendo.
Fu Blaine a fare il primo passo e a mettere fine a quel momento di stasi, spostando la chitarra fino a farsela scivolare dietro la schiena e si avvicinò a me, azzerando la già brevissima distanza che c'era. Per un momento credetti volesse baciarmi, davanti a tutti e trattenni il fiato, in preda al panico, eppure con una strana voglia di fregarmene delle etichette, del fatto che agli occhi di quelle persone fossi un ragazzo fidanzato, e del mio fidanzato stesso, afferrare la nuca di Blaine e spingerlo ancora di più verso di me per baciarlo. Ma rimasi fermo, per la prima volta felice di ricevere passivamente qualcosa. Sfortunatamente però, le sue labbra non si fermarono sulle mie, ma si poggiarono sulla guancia, con un tocco morbidissimo tanto che riuscii ad avvertire perfino un piccolo brivido cogliermi all'improvviso, il suo respiro vicinissimo e il suo profumo confortante. E lì non ce la feci più: mandai al diavolo l'orgoglio e l'apparenza, e gli avvolsi le braccia attorno alle spalle, affondando il viso nell'incavo del suo collo e stringendo forte e lui, quasi avesse capito al volo le mie intenzioni, forse ancora prima che le capissi io, fece altrettanto. E così, ancora una volta, ci ritrovammo legati, in maniera decisamente troppo profonda - così profonda fa fare male - e ancora una volta io mi sentii solo ed esclusivamente bene. Come se fossi a casa, al sicuro, lontano da ogni male esistente e consapevole di voler rimanere così per il resto della mia esistenza. E per David, in quella esistenza, non c'era posto.
"Tanti auguri, Kurt!" sussurrò lui, direttamente nel mio orecchio, con la voce leggermente sporcata dall'emozione. Io solo allora, mentre cercavo la forza per rispondergli mi resi conto di aver iniziato a piangere silenziosamente. Presi un profondo respiro e sorrisi, perché quelle erano senza dubbio lacrime che non facevano né male né rumore.
"Grazie Blaine... grazie davvero.. per tutto!"

New York City. 09.35 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)

"Sei stata tu a dirglielo, non è vero?" domandai a Rachel, seduta al mio fianco, senza neanche trovare la forza per guardarla, ancora troppo scosso per fare qualsiasi cosa. Tranne che smettere di guardare Blaine, sul palco, intento a cantare "Fireflies" degli Owl City, con Sebastian. Lui era riuscito a riprendersi quasi subito da quel momento di debolezza. Io ancora sentivo i brividi scorrermi per tutto il corpo.
"Di cosa stai parlando?" mi chiese lei, confusa
"Del canto, Rachel... di cosa credi stia parlando?" sbottai senza troppi complimenti e senza freni. Forse era quella strana sensazione che ancora mi attanagliava lo stomaco a parlare per me, o forse... un pò di rabbia c'era ancora nei suoi confronti per quello che aveva fatto. Per quanto bella si fosse dimostrata quella esperienza, Rachel non aveva nessun diritto di parlare al posto mio.
Lei trattenne il fiato e, quando tornò a parlare, lo fece con la voce ridotta ad un soffio leggero
"Credi davvero che io abbia fatto una cosa del genere?" mi chiese a sua volta, scioccata. Alzai gli occhi al cielo
"L'hai fatto?" la provocai allora
"No!" esclamò con forza, quasi indignata "Certo che no, Kurt! Non ti avrei mai tradito e mi sconvolge pensare che tu possa seriamente crederlo! Ti ho dato la mia parola, ho tenuto per me tutto quello che mi hai raccontato e neanche sotto tortura lo direi a qualcuno." cercò il mio sguardo e, dopo averlo trovato, lo fissò nel mio. All'interno dei suoi occhi lessi tutto il tormento e l'angoscia che la mia accusa doveva aver creato, ma soprattutto lessi l'assoluta sincerità delle sue parole.
O mio Dio, Rachel...
"E allora come ha fatto? Perché mi ha invitato su quel palco se non ne sapeva niente?" domandai confuso, lanciando un'occhiata proprio verso di lui, ancora impegnato con la sua canzone e con un Sebastian decisamente troppo divertito
"Non lo so... la cosa ha sorpreso molto anche me in effetti." esclamò, sorseggiando il suo drink. Se davvero Rachel non gli aveva detto nulla e su Mercedes non avevo alcun dubbio... come diavolo era venuto in mente a Blaine di farmi cantare con lui?
"Forse..." tentò lei poco dopo "Beh... forse lui lo ha fatto perché se lo sentiva... sentiva che tu nascondessi qualcosa di speciale e desiderava tirarlo fuori... e così ha rischiato! E Dio, Kurt... per fortuna che lo ha fatto! La tua voce è... come diavolo sei riuscito a tenerla nascosta per tutto questo tempo?" mi diede una spallata giocosa, facendomi perdere appena l'equilibrio sullo sgabello
"Te l'ho detto! Io non... non ne sentivo più la necessità." dissi, stirando un sorriso
"E... cosa, esattamente, ti ha fatto cambiare idea?" domandò lei, elettrizzata. Io scrollai le spalle
"Mi sono ricordato di aver fatto una promessa ad una persona importante e non potevo permettermi di continuare ad ignorarlo!" ammisi con un sospiro. Avevo una strana sensazione in quel momento, come se mio padre, dal fondo del locale, mi stesse osservando, incredibilmente fiero, forse come non lo era mai stato.
Grazie papà...
"Ed io che credevo fosse di quel ragazzo dal bel faccino che sta suonando sul palco, il merito!" mormorò lei, fingendosi delusa. Ridacchiai di gusto
"Sarai felice di sapere che... il ragazzo dal bel faccino ha influito molto." le confessai allora, facendola gongolare entusiasta
"Ci avrei giurato!" strillò, forse appena un pò brilla, ma per fortuna la musica e la confusione sovrastarono la sua esultanza. Lanciai con discrezione un'altra occhiata al palco: Blaine era completamente assorto nella sua musica, accarezzava le note con la sua voce, si muoveva sinuoso tra un verso e l'altro. Ed era assurdo come, pur ascoltandolo per l'ennesima volta, ne fossi completamente rapito ed incantato, quasi fosse la prima volta, quasi fosse un sorpresa, quasi la voce di Sebastian non esistesse affatto, quasi mi aspettassi altre rivelazioni. Ed in effetti ciò che avvertivo in quel momento agitarsi nello stomaco, era tutto tranne che consueto: era pur sempre piacevole ma aveva un gusto inaspettato e decisamente troppo travolgente. Possibile fosse.. orgoglio? Era normale ammettere a sé stessi di essere orgogliosi di Blaine?
Lui non è tuo e tu non puoi seriamente credere di provare questo tipo di cose, senza le adeguate conseguenze...
Blaine, forse sentendosi i miei occhi addosso, sollevò lo sguardo, puntandolo nel mio e mi donò uno dei sorrisi più belli e sinceri che avessi mai visto, facendomi tremare, appena scosso. Ed ecco scoperta un'altra di quelle sensazioni sconosciute che mi avvolgevano lo stomaco, sconvolgendolo: era paura, paura elevata ad un altro stadio, paura stranamente piacevole, paura che, sentivo, per la prima volta in tutta la mia vita, mi avrebbe fatto soltanto bene.
Ricambiai timidamente il suo sorriso, che era fottutamente perfetto... proprio come la canzone.
"Dio, Rachel... non so cosa darei per capire cosa diamine mi sta succedendo!" mormorai, lanciandole uno sguardo disperato. Lei mi sorrise teneramente
"Potrei dirtelo io, mio caro, ma sarebbe troppo semplice e tu hai decisamente bisogno di scoprirlo da solo... sarebbe la tua conquista e la tua più grande soddisfazione!" disse accarezzandomi i capelli, in un gesto molto materno. Io sospirai, mandando giù un altro sorso di coca - con l'alcool quella sera avevo chiuso!
"Però una cosa posso dirtela..." aggiunse poco dopo, piazzandosi di fronte a me, con la cannuccia tra i denti "Questa festa... l'ha organizzata lui, tutto quanto! Io mi sono limitata ad informalo che oggi sarebbe stato il tuo compleanno e l'ho pregato di occuparsi degli inviti e di trovare un posto adatto, perché al resto ci avrei pensato io. Ma lui mi ha chiamata dicendomi di aver risolto tutto in una sola mattinata e di non dovermi più preoccupare!" tirò un sorso dalla sua cannuccia, guardandomi con una buffa espressione
"Ah sì?" domandai, ritrovandomi ad arrossire inspiegabilmente perché cazzo... quello era l'ennesimo gesto carino che Blaine compiva nei miei confronti ed io non avevo ancora ben chiaro il motivo che lo spingesse a farlo. Ma ci pensarono Rachel e il suo sorriso furbetto a darmi un'idea
"Eh... cosa non si fa per amore!" canticchiò, per poi strizzarmi l'occhio e raggiungere Finn. Ma... era ubriaca per caso? E che diavolo di insinuazioni di metteva a fare? Blaine aveva organizzato tutto quanto solo per... quella parola di cinque lettere che iniziava per A? Ma non... stava né in cielo né in terra e Rachel doveva seriamente smetterla di blaterare e di bere alcolici, ma soprattutto io dovevo smetterla di darle retta. Ero già fin troppo incasinato senza che lei pensasse di aggiungere altra carne sul fuoco.
Il quel momento sul palco salì Brittany, che rubò il microfono a Blaine, intento a sistemare le corde della chitarra
"Dunque... un momento di attenzione gente... avrei bisogno di dire due cose!" annunciò lei, attirando l'attenzione di tutti "La prima è per il nostro cantante... Blaine, lo sai quanto io ti adori e quanto stimi il tuo talento e la tua voce, ma... hai decisamente rotto le palle a tutti quanti!" esclamò a gran voce, quasi fosse ad un convegno politico e stesse cercando di affermare con forza la sua idea. Fece scoppiare un boato di risate e fischi di apprezzamento nel locale. Ridacchiai anche io. Forse Rachel non era l'unica ad essere ubriaca lì dentro
"Ah grazie tante!" sbottò Blaine, divertito
"Prego!" gli rispose lei innocentemente. Brittany era davvero un bel tipo: non avevo ancora capito fino a che punto fosse così innocente e docile come mostrava esternamente o se fosse sempre così disinibita come in quel momento. Ma forse Santana avrebbe potuto spiegarlo meglio di me.
"La seconda cosa che avevo da dire è per tutti voi: ho voglia di cantare!" gridò, portando un braccio in aria e scatenando altre urla di apprezzamento "E vorrei farlo per... la mia meravigliosa Santana!" e la indicò stringendo il microfono al petto, quasi con amore. La mia amica modella le lanciò un bacio e lei lo afferrò scherzosamente al volo "Vorrei farlo per quel gigante lì in fondo e la sua ragazza nanerottola..." ed indicò Rachel e Finn. Quest'ultimo strabuzzò gli occhi e si affrettò a specificare
"No, ma io e lei non..." ma Rachel lo bloccò, facendogli capire che forse non era il caso di contraddire Brittany, oppure che in fondo non le importava essere definita la sua ragazza. E la cosa mi fece sorridere, profondamente colpito.
Un altro passo avanti da parte di Rachel Berry...
"Vorrei farlo per quei due simpatici ragazzi che sono così maledettamente teneri insieme..." continuò, indicando questa volta Sebastian e Daniel che si guardarono, per poi scoppiare a ridere
"Grazie!" le gridò in risposta il biondo, mentre il suo ragazzo lo stringeva a sé, visibilmente orgoglioso
"Vorrei farlo anche per i due sposini... siete così dannatamente innamorati, che non riesco a non provare invidia per voi.." e si rivolse ovviamente a William ed Emma che la ringraziarono con un gesto e si scambiarono un bacio veloce, tanto per sottolineare il concetto. Mi aveva fatto enormemente piacere che ci fossero anche loro due a quella festa. Si erano scomodati per me, lo avevo trovato molto dolce ed essere stretti dall'abbraccio di Emma, appena arrivato, mi aveva fatto sentire decisamente bene.
"Vorrei farlo per quei due che stanno amoreggiando nell'angolo, credendo di non essere visti.." e ridacchiò, indicando due figure in disparte, intente a baciarsi davvero, ma in quel momento, colti in fragrante, si separarono e... cazzo Sam e Mercedes?
"Sam!... Ma che diavolo?" gridò Santana scioccata e divertita allo stesso tempo. Il suo manager scrollò le spalle, quasi si sottraesse così da ogni responsabilità, mentre la mia amica si nascondeva dietro di lui, imbarazzata.
Hai capito Mercedes Jones... l'ha presa davvero sul serio la questione della conquista stasera...
"Continuate pure... non vi disturbiamo!" gridò Puck divertito, scatenando altre esclamazioni di assenso generale. Brittany richiamò l'ordine per poi continuare
"Dunque... vorrei farlo anche per tutti i single del locale, sperando che uscendo di qui stasera possano trovare la giusta collocazione nel mondo..." e fece un cenno verso Tina e Kristen che arrossirono, ma le sorrisero grate
"E ovviamente vorrei farlo per il nostro festeggiato... il nostro Kurt che compie la bellezza di ventisette anni... complimenti, Kurtie... ne dimostri almeno due in meno!" gridò rivolta a me, facendomi scoppiare a ridere. Fu inutile da parte di Blaine tentare di farle capire che effettivamente ne avessi due di meno, perché lei era già tornata alla carica
"E infine... vorrei farlo per il padrone della baracca... Noah... tu sei la fonte di ispirazione principale per molti giovani qui dentro e sappi che.. qualsiasi cosa succederà stasera... Blaine si è preso la responsabilità di sistemare il locale da cima a fondo e restituirtelo integro per domani!" esclamò saltellando gioiosa, mentre il povero Blaine rideva di gusto e Puck scuoteva la testa rassegnato. Forse quella della pulizia era una questione tutta loro. Erano entrambi dipendenti del locale e magari c'era una storia interessante dietro quella battuta. O forse era semplicemente un'altra cosa alla quale Blaine aveva pensato per far felice me.
"E ora... alzate quei culi perché voglio vedervi ballare tutti, nessuno escluso." gridò con una carica esagerata, ricevendone in cambio un generale grido di apprezzamento, perfino da Emma e William. Lei entusiasta si affrettò a collegare il suo telefono alle casse dello stereo e dopo un paio di secondi partì una base decisamente molto movimentata. Ed io mi ritrovai a ridere di gusto, perché quella era "Gimme More" di Britney Spears, e Brittany aveva tutta l'aria di volerla rendere ancora più equivoca di quanto non lo fosse già. Scese dal palco, stringendo con orgoglio il microfono in mano ed iniziò a cantare. Non se la cavava tanto male, dopotutto, nonostante avesse la voce appena incerta a causa dell'alcool ed era perfino riuscita a coinvolgere tutti già dalle prime note. In sostanza, tutti quanti si erano alzati e stavano ballando, chi più chi meno, inclusi Mercedes e Sam, finalmente tornati nel mondo dei vivi. Ed era un piacere guardare tutti quanti così allegri e spensierati e amici.
Anche se a conti fatti molti di loro si erano conosciuti quella sera, questo non impediva a Rachel e Daniel di ballare assieme, o a Tina e Puck di salire sul tavolo per scatenarsi o a Brittany di improvvisare un balletto sensuale addosso a William. Era tutto molto innocente - per quanto innocente potesse essere una canzone di Britney Spears - e tutto molto naturale. Non c'era malizia nelle movenze di Brittany, né nei giri che Daniel stava facendo fare alla povera Rachel mezza ubriaca - sotto lo sguardo divertito di Sebastian e Finn - e neppure nella confidenza che sembrava legare Tina e Puck. Erano semplicemente un gruppo di persone, divertite e disinibite, di tutte le età, che trascorrevano una serata piacevole all'insegna del sorriso e della musica. Ed era strano credere che una cosa del genere fosse davvero successa. Al di fuori di quel locale, nulla avrebbe legato quelle persone. D'altronde cosa avevano a che spartire un insegnante universitario con una cameriera, oppure un avvocato con una ragazza madre? All'apparenza, decisamente nulla.
E cosa hanno a che spartire invece un segretario di moda, con un musicista, a parte lo spazio sul pianerottolo?...
"E il festeggiato non balla?" una voce fin troppo vicina, mi fece spaventare e mi ritrovai a saltare sul mio sgabello per la sorpresa. Al mio fianco, ritrovai il sorriso sereno di Blaine che si era avvicinato al mio orecchio per farsi sentire, nonostante la musica e le urla attorno a noi. Arrossii violentemente, maledicendomi per il mio scarso autocontrollo e la quasi assente forza di volontà
"Ehm... diciamo che non ci sono abituato... non è il mio stile." risposi arricciando il naso. La verità era che non ne ero affatto capace. Avevo poca dimestichezza con quel genere di ballo: forse la danza classica o comunque qualcosa di più moderato, ma la discoteca... proprio no. Blaine ridacchiò, lanciando un'occhiata verso gli altri.
"Chissà..." mormorò in un soffio direttamente nel mio orecchio ed io lo percepii un pò come un grido, quasi più forte della voce di Brittany che stava dicendo di volerne di più. Deglutii a disagio: era una situazione equivoca. Quella canzone lo era, quelle persone che ballavano e quel maledetto respiro sul collo che mi accarezzava e mi faceva impazzire. Per la seconda volta nella stessa serata, avrei tanto voluto avere la forza di afferrarlo per la nuca ed impossessarmi delle sue labbra invitanti, tanto erano tutti troppo impegnati a dimenarsi in pista per darci retta. E fui davvero sul punto di farlo, a quella distanza assurdamente ridicola, quando lui, decise per entrambi. Si avvicinò ancora, pericolosamente, ed io d'istinto chiusi gli occhi, fino a che, non avvertii un leggero tocco delle sue labbra sulle mie, tanto delicato da sembrare una carezza, e perfino il suo sorriso distendersi
"Chissà se.. dopo averti fatto cantare, non riesca a convincerti anche a farti ballare con me questa sera!" mormorò con voce strisciata e non so dove, trovai il coraggio per aprire gli occhi e puntarli nei suoi, maledettamente attenti e vigili. Erano uno specchio, un meraviglioso specchio dorato che mi osservava con disarmante intensità, quasi cercasse un passaggio segreto per entrarmi nell'anima. Ed io, ancora una volta, avvertii la sensazione inspiegabile di essere esposto, alla sua mercé, eppure allo stesso tempo protetto e al sicuro. Respirai con molta cautela, stando attento a non superare il dosaggio massimo di aria e profumo da inalare nel mio corpo, dopodiché, quasi fossi guidato da una forza misteriosa, cercai la sua mano e dopo averla trovata, la afferrai e la strinsi forte, alzandomi finalmente dallo sgabello. Era stato alquanto doloroso separarsi da lui, soprattutto dopo quella scarica di adrenalina che avevo avvertito, ma avrei dato di tutto, pur di vedere di nuovo quella pacifica espressione, appena sorpresa che mi rivolse in quel momento
"Balleresti con me?" gli chiesi con naturalezza, in un perfetto mix di innocenza e calcolata malizia. Lui mi sorrise, stringendomi a sua volta la mano
"Con vero piacere!" rispose ed io, in quel momento, in quel locale, in mezzo ai miei amici - sì, i miei amici - con la mano di Blaine stretta nella mia, mi sentii per la prima volta, felice di gridare al mondo che quello era il giorno del mio compleanno. Ed io ne andavo decisamente fiero.

 

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Capitolo 29
*** Ad essere coraggiosi ci si guadagna sempre ***


Ma Buon Pomeriggio cucciolottini miei... lo so, oggi sono un pò in ritardo rispetto al solito, ma stamattina è successo di tutto e solo ora trovo due minuti liberi da dedicare al capitolo e a voi. Dunque... come ho detto anche su fb... cappero... 20 recensioni *___* io davvero non so cosa dire.. quando ho visto il numero sulla pagina ho creduto seriamente di aver sbagliato a leggere... ma grazieeee... grazie a tutti voi, grazie per l'affetto, il sostegno e la pazienza che dimostrate di avere (nonostante io sia un'autrice bastarda ed indegna XD) ma, per farmi perdonare e anche per rabbonirvi un pò, dato quello che succederà Lunedì... oggi vi offro un capitolo tanto denso di dolcezza che alla fine avrete bisogno di qualcuno che vi tenga la fronte mentre vomitate arcobaleni ed unicorni rosa *___* Per quanto riguarda il capitolo 30 di Lunedì... io ve lo dico già da ora... preparatevi perché ora iniziano i veri guai ç__ç (Il mio Dan mi ha già minacciata in ogni lingua, quindi...).. ma nel frattempo godetevi questo capitolo e.. concedetevi di amare il piccolo e dolcissimo Blaine Anderson ;) a Lunedì gioie mie <3
p.s. Questo capitolo lo dedico al mio Dan che oggi ha portato a termine un'impresa incredibile, con la sua sola forza d'animo e il suo grandissimo coraggio. A te, more <3
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments





New York City. Ore 11.48 P.M. 12 Aprile 2012 (Giovedì)

Quella era stata senza dubbio la festa migliore alla quale avessi mai partecipato. Soprattutto era stata la prima in assoluto che avessi organizzato io, personalmente, senza l'aiuto di nessuno. Avevo avuto bisogno di occuparmi da solo di tutto, ed era per questo motivo che avevo chiesto a Rachel di non preoccuparsi e lasciarmi fare, nonostante lei avesse già diviso i compiti. D'altronde, non era stato per niente difficile fare tutto. Forse era stato un pò complicato rintracciare Kristen o Sam, per via dei loro numerosi impegni, oppure pregare Tina di rimanere in silenzio fino alla festa e di ignorare Kurt il giorno del suo compleanno - lei sembrava soffrire più di tutti per quella cosa - ma alla fine, non era andata tanto male. Tutti sembravano essersi divertiti e Puck non aveva fatto tante storie a tenere chiuso il locale per una sera. Certo, avevo dovuto rinunciare ad una settimana di stipendio per convincerlo, ma.. ne era valsa decisamente la pena.
"Ok, queste sono le chiavi... mi raccomando, Anderson... è l'unica copia che ho. Se osi perderle, puoi anche evitare di tornare.. sei direttamente licenziato, e questa volta non scherzo!" mi avvisò Puck, passandomi un mazzo di chiavi - quelle del pub - e fulminandomi minacciosamente con lo sguardo. Io mi ritrovai a deglutire rumorosamente, ma le afferrai, stringendole forte al petto, come se da quelle chiavi dipendesse tutta la mia vita. Perché in fondo, conoscendo Noah, era esattamente così.
"O-ok!" mormorai tentando un sorriso rassicurante, ma lui grugnì e se ne andò. Era lui quello che si occupava di chiudere la baracca ogni giorno ed era palesemente infastidito all'idea di lasciarlo fare a me per una sera. Ma non potevo sentirmi a posto con la mia coscienza, sapendo di lasciargli il locale in quello stato. Se ne sarebbe dovuto occupare lui il giorno dopo ed era nei patti che, se me lo avesse prestato per quella festa, io glielo avrei restituito nelle stesse condizioni. Quindi, lui, da quell'accordo, aveva solo da guadagnare.
"Sicuro che non vuoi che restiamo a darvi una mano?" domandò Daniel dispiaciuto, annodandosi la sciarpa al collo
"Sicuro!" confermai con un sorriso
"Dan, cucciolo mio, non hai ancora capito?" intervenne Sebastian con lo sguardo decisamente troppo malizioso
"Capito cosa?" domandò il più piccolo, confuso
"Che questa è tutta una tattica del nostro piccolo Blaine per poter rimanere da solo con il suo adorato vicino e fare le porcate sul bancone del locale!" spiegò sporgendosi in avanti per pizzicarmi con forza una guancia, proprio come si fa con i bambini biricchini. Ma io non ero un bambino e tanto meno ero biricchino. E diavolo... fare le porcate sul bancone?
"Sebastian!" lo ripresi, con le guance in fiamme - soprattutto quella che mi aveva pizzicato - lanciando un'occhiata furtiva verso Kurt, fortunatamente troppo impegnato a salutare Santana e Brittany per darci retta.
"Ti sfido a dire che non è così. Ammettilo... ci hai appena fatto un pensierino." mormorò divertito, beffeggiandomi. Farci un pensierino? Sì, cazzo... ora per colpa sua stavo davvero pensando a me e Kurt su quel maledetto bancone.
"Dio Santo.. Daniel mi faresti la cortesia di levarmelo dalla vista? Questa sera non lo reggo." mi lamentai, passandomi una mano sulla faccia, mentre tutti e due se la ridevano beatamente. La coppia perfetta, non c'era che dire.
"Tranquillo, lo porto via." mi rassicurò il biondo, strizzandomi l'occhio, ma prima di allontanarsi, pensò bene di ricordarmi ancora una volta, perché mai un ragazzo come lui potesse andare bene per uno come Sebastian "Ah... una cosa... se posso permettermi di consigliarti.. quel bancone non lo vedo tanto comodo.. sarebbe troppo alto per te! Io vi consiglio il palco, piuttosto.. decisamente più erotico, non trovi?" e mi lasciò con un sorrisetto divertito, raggiungendo Sebastian che, meravigliosamente colpito, lo accolse a braccia aperte e con un:
"É per questo che ti amo così tanto!" dopodiché, ridacchiando come due idioti, andarono via. Ed io grugnii infastidito e frustrato. Ci mancava che si mettessero a fare le battute squallide in coppia per completare l'opera. Già mi sentivo frustrato e in fibrillazione senza i loro commenti. Ora, per colpa di Daniel, avevo nella mente un'altra immagine poco casta, e quella volta erano compresi un palco e l'asta del microfono usata come palo per lo streep tease.
Fanculo a tutti e due...
"Ehi Anderson!" qualcuno alle mie spalle biascicò il mio nome così mi girai, ritrovandomi una versione decisamente molto ubriaca di Rachel, seguita a ruota da un imbarazzatissimo Finn
"Rachel... ma quanto hai bevuto?" le domandai, mentre lei perdeva appena l'equilibrio e si aggrappava a me, borbottando una risata
"Giusto un pò... due bicchieri piccoli... sei al massimo.." e rise ancora, approfittando della vicinanza per abbracciarmi. Lanciai un'occhiata divertita verso Finn che arrossì lievemente ma ricambiò il sorriso
"Vai a casa e risposati. Domani ti sveglierai con un mal di testa assurdo." le dissi abbracciandola a mia volta, mentre lei si rilassava con un sospiro
"E tu vedi di fare il bravo, Anderson. Guai a te se osi far del male al mio piccolo Kurt... sono capace di venirti a prendere per quei bei ricci che ti ritrovi ed appenderti per le palle al lampione più alto della città, nonostante il mal di testa." minacciò, con un tono atrocemente lucido, per poi allontanarsi e puntarmi un dito contro "Sono stata chiara?" mi ritrovai a deglutire di nuovo, a vuoto. Perché diavolo la gente quella sera continuava o a mettermi in imbarazzo o a minacciarmi? Cosa avevo scritto sulla testa? Maniaco sessuale?
Beh, un pò maniaco sei... basta dare un'occhiata al contenuto vietato ai minori che c'è nella tua testa al momento...
"Chiarissima." confermai con un sorriso tirato e lei scoppiò di nuovo a ridere, così la affidai nelle mani sicure di Finn ed augurai una buonanotte ad entrambi. Poi, in ordine, salutai William ed Emma - quest'ultima mi aveva perfino aiutato con la preparazione del cibo - Tina, Kristen - "Ah, ma tu sei quello che ha cantato alla festa di beneficenza... oddio, senza smoking non ti avevo riconosciuto!" - Sam e Mercedes - che ancora non si erano separati, né la ragazza si era ripresa dalla figuraccia fatta per colpa di Brittany - e per finire Santana e la stessa Brittany.
Con un sospiro, chiusi la porta dietro le due ragazze e mi girai a guardare il locale ormai vuoto. O meglio.. quasi vuoto.
Kurt se ne stava accanto ad un tavolo, impegnato a raccogliere tutto ciò che era avanzato e a riporlo in un vassoio
"Aspetta... ti aiuto!" lo avvertii avvicinandomi. Lui sorrise
"L'ultima volta che hai detto di volermi aiutare a fare i piatti... mi è toccato farli da solo il giorno dopo!" mi ricordò divertito. Io arrossii, perché era esattamente la stessa immagine che circolava anche nella mia testa - insieme agli altri pensieri poco puri - e faceva uno strano effetto sapere che anche lui stava pensando alla stessa cosa.
"Stavolta sono costretto a farli, altrimenti l'ira funesta di Puck si abbatterà su di me." mormorai recuperando un sacco nero per la spazzatura ed iniziai a riempirlo con i vari bicchieri sparsi sui tavoli. Lui ridacchiò, ma non disse altro. Si limitò a lanciarmi un paio di bicchieri, che finirono direttamente nel sacco. I minuti successivi li trascorremmo in completo silenzio, ognuno legato ai propri pensieri e ai propri tavoli da liberare, eppure con una tensione ad aleggiare attorno a noi talmente tanto ingombrante, che riuscivo perfino a vederne i contorni sopra le nostre teste. E quella volta, per risolverla, non sarebbe bastato liberarsi dei vestiti, per quanto l'idea mi allettasse parecchio.
Il nocciolo della questione purtroppo riguardava ancora David ed il fatto che a conti fatti, nonostante tutto, loro due fossero ancora assieme. Dopo essermi effettivamente scoperto innamorato di Kurt, era difficile - e perfino doloroso - sapere di doverlo condividere ancora con lui, sapere di averlo avuto ad un palmo dal naso, senza averlo potuto afferrare, sapere di trovarmi così bene al suo fianco, ma ricordarmi ogni volta di non aver alcun diritto da esercitare, nessuna facoltà di scelta, nessuna voce in capitolo. Potevo soltanto rimanere in silenzio, a guardarlo continuare la sua vita accanto ad un bestione ben poco raccomandabile, a vergognarmi del fatto che, senza alcun pudore, iniziassi seriamente a sperare che litigassero, o che finalmente la loro storia finisse. Dovevo vergognarmi per questo. Kurt era mio amico ed io non avrei mai dovuto sperare il suo male. Ma ero anche convinto che il suo bene, invece, non fosse quello, non fosse al fianco di David, quindi augurargli di perderlo, non mi sembrava un grande torto da parte mia. E anche Rachel sembrava del mio stesso avviso.
Kurt ha... l'assurda capacità di farsi del male da solo, intestardendosi su delle convinzioni che a conti fatti non esistono. E così facendo si sta lasciando scappare la sua occasione per essere felice... Voglio che tu capisca che qualsiasi cosa succeda con te, sarà nettamente migliore rispetto a quello che gli è già successa o potrebbe succedergli in futuro con David e soprattutto... voglio che tu capisca che ne vale la pena...
Con un sospiro mi avvicinai al palco per liberarlo dalle bottiglie di birra ed i piattini vuoti e mi ricordai all'improvviso della canzone cantata assieme a Kurt poco prima. Perfect. Era stato strano, surreale, un'esperienza quasi extracorporea. Mi ero ritrovato senza neanche sapere come a fargli quella richiesta per divertirci un pò, per condividere assieme qualcosa, un momento intimo diciamo, per farci quattro risate tra amici in tutta tranquillità e poi anche perché volevo trovare il modo migliore per dedicargli quella canzone, senza farla diventare una dichiarazione plateale d'amore alla quale sarebbe seguito ovviamente imbarazzo e prese in giro in eterno. Accordando la chitarra, avevo alzato lo sguardo ed avevo intercettato il suo e lì avevo preso la mia decisione: volevo avere Kurt sul palco accanto a me per cantare. In un primo momento, quando glielo avevo proposto, mi ero sentito subito un idiota, perché... cavolo, non si invita la gente ad esibirsi su un palco così alla leggera, soprattutto se non si è abituati. Io lo facevo tutte le sere ma lui? Lui avrebbe retto a quell'emozione? Solo che poi, dopo un primo momento di smarrimento, lui si era alzato sul serio e mi aveva raggiunto e poi si era seduto al mio fianco e infine aveva iniziato a cantare, accodandosi a me, tenendo gli occhi puntati nei miei per tutta la durata del pezzo, sfiorandomi in maniera casuale ogni tanto e mantenendo costante una piacevole gradazione di rosso sulle guance. Ed era bellissimo, bellissimo da togliere il fiato. E la sua voce... Dio... tutto mi sarei immaginato, tranne che cantasse così. Sembrava un angelo, un piccolo angelo leggiadro ed irraggiungibile, capitato per miracolo al mio fianco e con il quale io avevo avuto l'assurda ed inspiegabile fortuna di fondermi durante quelle note. Aveva una voce così dolce e delicata, si posava leggero su ogni nota, accarezzandola in maniera calcolata e regalando un'emozione difficile da spiegare a parole. Io personalmente mi ero ritrovato a vagare in apnea, per quei tre minuti scarsi, dimentico dell'ossigeno e del mondo, legato a Kurt in maniera profonda e decisa e con la precisa intenzione di non allontanarmi da quello sgabello e da quella chitarra. Perché, una volta finita la musica, saremmo tornati a fare i conti con la realtà - con tutti gli invitati, la festa, le battute fuori luogo, David che non c'era ma la cui presenza aleggiava minacciosa tra i tavoli - e a me quella realtà non piaceva. Decisamente.
Devo farmi coraggio... altrimenti da questa situazione non ne esco vivo...
A proposito!
"Dio che sciocco... quasi dimenticavo!" esclamai, abbandonando il mio sacco nero in un angolo e precipitandomi verso il bancone per recuperare il mio zaino. Ci frugai all'interno, fino a che non trovai una busta, dopodiché mi avvicinai a Kurt, che mi osservava curioso, e gliela porsi
"Cos'è?" mi domandò con mezzo sorriso. Io ricambiai il gesto.
"Ma come che cos'è? É il tuo compleanno, no? E questo è il tuo regalo... da parte mia!" risposi, infilando le mani nelle tasche dei jeans, mentre lui, piacevolmente sorpreso si rigirava la busta tra le mani
"Ma, Blaine... non dovevi!" mormorò a disagio "Io... tu hai già organizzato tutto questo per me... era sufficiente." scossi la testa, senza neanche domandargli come avesse fatto a scoprire che quella festa l'avevo organizzata io. D'altronde l'avevo già capito che Rachel aveva la lingua lunga. E la lingua lunga sommata ad una generosa dose di alcool, rendevano tutti più chiacchieroni.
"Su coraggio apri!" lo esortai con un sorriso, perché era strano, ma io, tra i due, sembravo quello più impaziente. Non che Kurt non lo fosse... solo che io ero fatto così, un bambino cronico e lui era semplicemente ancora troppo imbarazzato per lasciarsi andare. Ma mi sorrise, commosso, per poi aprire finalmente la busta
"Ce ne sono due." constatò sorpreso e li tirò fuori entrambi. Erano due confezioni abbastanza piccole e riusciva a tenerle in una sola mano
"Parti da quello più piccolo che è anche il meno costoso!" gli indicai il pacchetto giusto e lui, mettendo da parte l'altro, lo strinse per poi lanciarmi un'occhiata divertita, ancora gli occhi meravigliosamente lucidi
"Ci hai lasciato il prezzo attaccato?" domandò ridacchiando. Scossi la testa
"Non ce n'era bisogno. Credo tu sappia esattamente quanto costi!" lo avvertii e lui, sempre più curioso, scartò il pacchetto con attenzione, stando attento a non tagliarsi, fino a che, sotto i suoi occhi azzurri, non comparì un blocchetto di post-it colorati, un formato convenienza, con ben trecentoventi foglietti.
"Oh mio Dio!" esalò in un sussurro leggerissimo, mentre gli occhi si sgranavano e si copriva quasi di riflesso la bocca con la mano. Era così dannatamente dolce in quel momento... innocente e limpido come non mai e la sua reazione era piena di reale stupore. Era gioia quella che gli leggevo in viso? Era... felice?
"Avevo immaginato che li avessi finiti, dato che da qualche tempo a questa parte non ho più il piacere di ricevere i tuoi messaggi del buongiorno." esclamai divertito e lui, sollevando lo sguardo su di me, mi mostrò i suoi occhi commossi ed un sorriso bello da bloccare il fiato. Ma cosa in lui non mi faceva quell'effetto?
"Sì, in effetti..." fece arrossendo appena. Forse stava pensando a come li avesse finiti. Io un'idea ce l'avevo: ricordavo ancora la mia porta meravigliosamente piena e colorata. E l'artefice era un certo K.
"Ecco, adesso non hai più scuse..." gli feci presente, indicando il blocco colorato che lui ancora si rigirava tra le mani. Ridacchiò
"Sarei dovuto andare a comprarli in questi giorni, giuro.. ma non ho avuto proprio tempo!" mormorò leggermente sconsolato, quasi stesse cercando il modo per scusarsi con me di quella mancanza.
"Ci ho pensato io... sai, gira voce che lavori in un supermercato.." mormorai e gli feci l'occhiolino, complice, facendolo ridacchiare ancora. E Dio.. il suono della sua risata... toccava delle note ancora sconosciute al genere umano ma che sicuramente appartenevano al mondo ultraterreno.. un mondo abitato esclusivamente da angeli e creature meravigliose come Kurt Hummel.
"Grazie Blaine... è... fantastico!" esclamò, sporgendosi un pò, forse per abbracciarmi, ma... non doveva finire, non in quel momento almeno, non ancora.
"Aspetta! Questo non è propriamente il tuo regalo. O meglio... lo è però..." maledizione... com'era difficile parlare in sua presenza. Feci un profondo respiro, tanto per calmarmi un pò, mentre lui, senza dire altro, lasciò il blocchetto di post-it su un tavolo e afferrò l'altro piccolo pacco
"Posso?" mi domandò indicandolo, una strana luce negli occhi. Era in trepidante attesa. Mancava solo il mio permesso
"Devi!" lo esortai, ed anche io, in fin dei conti, non stavo messo meglio. Avevo pensato tanto ad un regalo che fosse perfetto per lui, che rispecchiasse la sua natura, che gli trasmettesse il mio... affetto, che gli facesse capire qualcosa che a parole non ero ancora in grado di spiegargli. E pensavo di averlo trovato alla fine. Non era stato affatto facile: sentivo di aver preso qualcosa di rischioso, ma se nella vita non avessi rischiato almeno un pò, allora, avrei anche potuto dire addio alla piccola speranza che vedevo per conquistare il suo cuore. Dovevo giocarmi il tutto per tutto e non avrei gettato la spugna finché lui stesso non mi avesse detto in faccia di lasciare perdere.
Trattenni accuratamente il fiato fino a che anche l'ultimo lembo di carta lucida non venne via e mi preparai alla sua reazione: cosa avrebbe fatto? Mi sarebbe scoppiato a ridere in faccia? Avrebbe pianto? Gli sarebbe piaciuto? Oppure avrebbe decretato giunto il momento di mettere fine a quella situazione, restituendomi il regalo e andandosene via?
L'ansia è davvero una brutta bestia...

New York City. Ore 00.03 A.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

L'ansia era proprio una brutta bestia. E nel mio caso compariva anche nei momenti meno opportuni. Quando andavo ancora a scuola per esempio, aveva l'abitudine di spuntare all'improvviso pochi secondi prima di varcare i cancelli dell'istituto. Le gambe iniziavano a tremare, la salivazione si azzerava ed il cuore lo sentivo battere tanto forte da fare male. E poi, inevitabilmente, qualche minuto dopo, finivo scaraventato contro un armadietto, oppure, nei casi più estremi, in qualche bidone della spazzatura. Quindi in un certo senso quell'ansia che sentivo addosso, era premonitrice.
Ma adesso, mentre scartavo con cura il secondo pacchetto che mi aveva dato Blaine, da cosa era dipesa? Avevo paura che all'improvviso potesse sbucare da dietro il bancone qualche Titans che poi mi avrebbe picchiato? Era assurdo... io ero.. al sicuro lì dentro. Ero a New York, con Blaine e tecnicamente tutta quella paura e quell'ansia non facevano più parte della mia vita. Era giustificabile per un ragazzino di sedici anni, vittima del bullismo. Ma un ragazzo di venticinque, un uomo.. avrebbe dovuto essere quanto meno, un pò più coraggioso. 
Fatti coraggio, Kurt... Guardalo.. è Blaine! E quello che adesso stringi tra le mani è il suo regalo per te...
Con un sospiro riuscii a strappare anche l'ultimo lembo di carta, e dovetti seriamente stare attento a non tagliarmi perché avevo le mani che tremavano e se già ricevere un blocchetto di post-it mi aveva sconvolto così tanto, non immaginavo cosa sarebbe successo con quel secondo regalo. Perché era chiaro fosse quello più importante, quello in cui Blaine riponeva più fiducia. Ed io ce l'avevo tra le mani, tra le mani che mi tremavano. Feci scivolare quello che rimaneva della carta strappata per terra e per qualche istante, fu come se il mondo si fosse fermato, a tutti gli effetti. Perché era come se stessi osservando tutto dal di fuori, magari attraverso lo schermo del televisore e quella che avevo davanti agli occhi era una scena meravigliosa, ma non faceva parte della mia vita. A me, Kurt Hummel, l'eterno sfigato, il frocio di Lima, il principe triste... non succedevano quelle cose. Io meritavo un cappuccino decaffeinato in tazza grande da consumare frettolosamente in macchina, meritavo di essere lasciato solo e insoddisfatto dopo il sesso, meritavo le accuse e gli sguardi di rabbia... non di certo.. quello. E maledizione... quella che stringevo tra le mani era davvero una scatolina di pelle, finemente decorata, che a lettere cubitali mi confermava - come se ce ne fosse bisogno - di provenire direttamente da una gioielleria. Una gioielleria che si chiamava precisamente Tiffany.
No... non è possibile...
"Blaine..." non seppi con quale forza riuscii a pronunciare il suo nome, dato che non ero capace neppure ad alzare la testa per guardarlo negli occhi. Ero incantato, osservavo ancora la scatolina che stringevo tra le mani e continuavo a chiedermi cosa aspettassero i Titans nascosti dietro al bancone, per uscire e picchiarmi. Perché quella non era la realtà, non la mia almeno, e se davvero quella scatolina di pelle era nelle mie mani... dovevo per forza essere il protagonista di qualche sogno. Non c'erano altre spiegazioni
"D'accordo... so che visto così potrebbe sembrare che contenga un solitario o qualche altra diavoleria del genere e che magari tu adesso sei sconvolto perché temi che io possa inginocchiarmi davanti a te e ti chieda di sposarmi... e so anche che non è il classico regalo che un amico dovrebbe fare, dato che Finn ti ha regalato un... cappello di lana e dei guanti.. ma.. io ho pensato che.. sì insomma.. fosse adatto per te che.. in un certo senso rispecchiasse ciò che sei e ciò che senza saperlo mi trasmetti e.. il problema è che non sapevo esattamente cosa regalarti, perché diciamocelo francamente.. cosa si regala ad un amico che in realtà non è proprio tuo amico? In ogni caso avrei rischiato di sembrare banale ed io non volevo... Dio Santo.. dovrei smetterla di parlare, non è vero? Ma... è più forte di me.. quando sono nervoso parlo a raffica, mi sembra di avertelo già detto una volta... e ora sono estremamente nervoso e..."
"Blaine.." lo chiamai di nuovo, interrompendo il suo monologo disperato, perché a dirla tutta, non lo stavo affatto ascoltando. Provai a deglutire, maledicendo la mia saliva che non c'era e il cuore che palpitava senza logica nel petto. Lui si zittì, con uno strano lamento, ed avvertii il suo sguardo su di me, cercare disperatamente di capire, di trovare delle risposte. Ma come avrei potuto, io, dare delle risposte a lui, in quel momento, se non sapevo neppure cosa dire, se non ero ancora del tutto convinto di ritrovarmi nel mondo reale e stessi ancora pensando di essere in un mio assurdo sogno. Come potevo?
Mi feci coraggio e alla fine, dopo un tempo indefinito, riuscii a sollevare lo sguardo e ad intercettare i suoi occhi e fu proprio come avevo immaginato: erano tormentati e in attesa di qualcosa che ancora non era arrivato, ma rimanevano immobili su di me, quasi spaventati. E lui era decisamente spaventato, si vedeva... ma da cosa? Da me?
"Perché?" gli domandai in un soffio. Lui in un primo momento non capì e infatti si accigliò confuso, così dovetti specificare "Perché lo hai fatto?"
"Io... te l'ho detto... oggi è il tuo compleanno e questo è..." ma lo interruppi di nuovo, quella volta con più forza
"Sì, ma perché... questo?" e gli mostrai la scatolina ancora chiusa, con la voce che tremò appena, senza che io potessi fare nulla. Lui sgranò appena gli occhi, forse colpito da quel tono, che a pensarci bene era sembrato un vero e proprio lamento. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di deglutire e poi parlare
"Perché questo era il regalo perfetto per te. Avevo... ho... un disperato bisogno che tu capisca delle cose e per farlo è necessario mostrartele, perché a parole non credo di esserne capace. Quindi, ti prego, Kurt..." la sua voce si ridusse ad un soffio e fu come ricevere una stilettata in pieno petto perché... lui mi stava pregando e lo stava facendo nel modo più intenso e coinvolgente che potessi mai immaginare. Ed era totalmente disarmante.
"Blaine..." provai ancora, con gli occhi velati dalle prime lacrime. No, non potevo piangere. Non di nuovo
"Aprilo!" mi ordinò ed io non riuscii più a trattenermi in niente. Mi lasciai andare ad un lungo respiro e contemporaneamente portai lo sguardo di nuovo sulla scatola, che iniziava a scottare tra le mie mani e con una lentezza disumana, quasi opprimente, sollevai il coperchio. Quello che trovai mi lasciò ancora una volta sospeso a mezz'aria e se fossi stato seriamente seduto su un divano a guardare la scena attraverso lo schermo del mio LCD, probabilmente mi sarei trovato a trattenere il fiato e a mettere perfino in pausa per godermi meglio il momento. Eppure, vivere in prima persona quell'esperienza, avere davanti ai miei stessi occhi tutto quello e stringere con le mie mani quella scatola... era qualcosa di inspiegabile e neanche la meravigliosa definizione del mio televisore gli avrebbe reso degna giustizia. Quindi dovevo ritenermi fortunato... potevo vederlo dal vivo, potevo assaporare il momento con emozioni vere e potevo dire di essere perfino il destinatario di quella meraviglia contenuta in quella scatolina di pelle. Contro ogni immaginazione, non si trattava affatto di un anello di diamanti, proprio come aveva detto lui - e come avevo seriamente temuto - ma era un bellissimo braccialetto di caucciù nero con una sottile fascetta argentata su un lato, un pò piatta ed estremamente elegante. Era molto raffinato - ma d'altronde cosa poteva venire mai fuori da Tiffany? - e sembrava quasi risplendere in quella scatola. Trattenendo il fiato - e forse lo stava facendo anche Blaine - afferrai il braccialetto, accarezzandone leggermente e delicatamente il caucciù e sorprendendomi di quanto fosse liscio e morbido e di ottima qualità. La fascetta di argento poi era appena ruvida, un pò satinata e al tatto mi accorsi che c'era qualcosa sulla superficie, qualcosa che sembrava inciso con cura
"Leggi!" la sua voce fu talmente tanto bassa ed armoniosa, che per un momento mi parve un comando proveniente da dentro di me, dentro il mio cuore e forse, fu proprio così. Ma io diedi retta ad entrambi così, lasciai la scatola sul tavolo, accanto al blocchetto di post-it e mi concentrai sull'incisione in superficie. L'avvicinai al viso e ne lessi sopra i caratteri in corsivo, le lettere sottili ed eleganti che sembravano completare armoniosamente il magnifico bracciale. E quello che vi trovai scritto, fu la botta definitiva per il mio già precario equilibrio emotivo, perché all'improvviso mi ritrovai con il nodo in gola che lentamente si scioglieva e le prime lacrime che rotolavano giù per le guance, appannandomi gli occhi. Ma la scritta, un'unica semplice, bellissima, profonda ed intesa parola, era ancora davanti a me, gridava quasi, chiedeva di essere incisa ancora, quella volta nella mia mente
"Courage." dissi ad alta voce con la voce spezzata. Le lacrime iniziavano a moltiplicarsi e quindi dovetti sbattere più volte le palpebre per liberarmi un pò. Lui al mio fianco, sembrò tornare a respirare dopo una lunga pausa
"Courage." ripeté in un soffio, lo stesso che sembrava ancora provenire dal mio cuore, ma che pareva appena più commosso quella volta. Che stesse piangendo anche lui? Per verificarlo dovetti alzare gli occhi, in un altro assurdo sforzo, e non mi meravigliai affatto di trovarli effettivamente un pò più lucidi e carichi di qualcosa che assomigliava molto all'ansia. Blaine si stava consumando, in attesa di una mia reazione, e forse le lacrime non aiutavano a rendergli la situazione più facile. Quindi mi feci coraggio, proprio come lui aveva appena sussurrato e come il bracciale stesso sembrava suggerirmi, e parlai
"Dio... è... bellissimo.." mormorai con la gola che pulsava, sussultando per colpa di un paio di singhiozzi. E lui si lasciò scappare un piccolo sospiro che immaginai contenesse puro sollievo. Tentò perfino un mezzo sorriso che, però, sparì all'istante: era decisamente troppo provato perfino per distendersi in quell'espressione. Portai di nuovo gli occhi sul bracciale, perché guardare lui e parlare diventava mano a mano più faticoso.
"Blaine tu... non dovevi... questo è troppo..." dissi cercando di far fermare le mie labbra che tremavano incontrollate. Ma che diamine mi stava succedendo? Era come se mi stessi lentamente sgretolando davanti ai suoi occhi e stessi aspettando il punto cruciale, la goccia in eccedenza, che avrebbe fatto crollare tutto. Ero in equilibrio precario, ma l'eventualità di poter seriamente cadere, non sembrava così spaventosa come avevo sempre immaginato. Lui fece una smorfia, appena imbarazzato
"Non è troppo, Kurt... è esattamente... anzi... è fottutamente perfetto per te!" e mi sorrise, quella volta per un momento più lungo, ma si vedeva chiaramente quanto gli costasse trattenersi. Forse stava perfino trattenendo le lacrime, non ne ero sicuro. L'unica cosa di cui ero sicuro al cento per cento, fu l'effetto incredibile che quelle parole ebbero su di me e quanto in profondità riuscirono ad arrivare, marchiandosi a fuoco. Ancora quella parola... perfetto. Ed io ero tutto, tranne che perfetto e lui doveva saperlo. Così presi aria per poterglielo dire, rischiando così di rovinare tutto, di uccidere i suoi buoni propositi, ma lui mi anticipò:
"Io non voglio farti chissà quale dichiarazione, o dirti qualcosa di spaventoso o affrettato.. anzi in teoria non so neanche io cosa dirti ora come ora. Speravo, forse stupidamente, che le parole sarebbero saltate fuori da sole, che qualcuno al momento me le avrebbe suggerite ma... sono completamente a corto di... fiato e... di logica. Quindi.. prova, se puoi, ad interpretare quello che cercherò di dirti e per piacere.. non scappare via." mi disse, tutto sottovoce, tutto guardandomi negli occhi, tutto con la stessa meravigliosa ed inspiegabile sincerità. Disarmante sincerità.
Io riuscii soltanto ad annuire, lasciando a lui la parola e alle mie lacrime la caduta libera sulle guance. Fece un profondo respiro prima di ricominciare
"L'altro giorno, cercando il regalo adatto per te, mi sono chiesto cosa io potessi fare per... renderti felice... anche solo per un momento. E la risposta, per quanto banale potesse sembrarmi, è arrivata quasi subito. Io... dovevo provare ad essere sincero con te, dovevo provare ad essere il primo, probabilmente, a metterti davanti alla realtà dei fatti e dovevo provare a farti capire cosa ci fosse in te di tanto speciale da avermi così profondamente colpito. Dovevo provare a farti vedere il Kurt che in questo momento mi sta davanti, farti vedere cosa si prova a guardare te dall'esterno, con i miei occhi e farti finalmente capire che... non è vero che tu non meriti di essere apprezzato o ascoltato o capito o... amato solo perché credi, o meglio... qualcuno ti ha fatto credere, di non meritarlo. Tu meriti esattamente tutto quello che hai sempre sognato, né più né meno di quelli che speri ogni giorno e... meriti di trovare il giusto coraggio per poterlo vivere a fondo, senza paura, senza vergogna, senza limiti e senza temere che qualcuno possa distruggere tutto." si fermò un istante per prendere fiato o forse per permettermi di assimilare quelle cose. Ma dubitavo che un paio di secondi mi sarebbero bastati.
"Voglio solo che tu capisca che io apprezzo il tuo coraggio. Apprezzo la tua forza d'animo, apprezzo la perseveranza che ti ha permesso di arrivare fino a qui e che ti permette ancora di sopportare la vita, nonostante tutto. Apprezzo te, il tuo modo di essere, il tuo carattere a tratti perfino misterioso ma estremamente sorprendente, apprezzo quello che fai e quello che dici, apprezzo quello che scegli di fare, apprezzo il tuo modo di porti nei confronti degli altri, come gestisci i tuoi rapporti con Rachel o con Santana, apprezzo come tu abbia tenuto testa a Sebastian, apprezzo il fatto che tu sia salito su quel palco a cantare con me, mettendo da parte l'imbarazzo e apprezzo... che tu adesso sia qui, con me e che non sia ancora scappato nonostante io abbia ricominciato a straparlare come una vecchia radio rotta." ridacchiò appena e a lui si aggiunse un'altra leggera risata, che, solo dopo, mi accorsi appartenere a me.
"
Tu sei.. perfetto così come sei e se devo rimettermi a cantare quella canzone, ora, da solo, per fartelo capire, allora ti giuro che lo faccio!" mormorò ed indicò il palco, quasi volesse seriamente risalirci per cantare ancora, così mi decisi a bloccarlo sul serio, afferrandogli un braccio per farlo stare fermo, esattamente di fronte a me
"No... non credo serva. Ho.. capito perfettamente cosa... volevi dirmi.." e mi stupii di me stesso, perché ero riuscito a parlare, nonostante le lacrime e gli avevo perfino rivolto un sorriso, appena divertito. Lui sospirò, più tranquillo
"Bene..." borbottò, con una mano tra i ricci, sconvolto e provato. Ed era buffo perché sembrava seriamente distrutto dopo aver parlato tanto ed avermi detto tutte quelle cose. Ma la cosa più buffa di tutte le cose buffe ero senz'altro io e la mia reazione a quella mezza confessione. Perché mi sentivo tranquillo, appagato e con uno strano calore nel petto che mi riscaldava e mi coccolava. Forse non avevo ancora immagazzinato le sue parole, non le avevo del tutto comprese, altrimenti non si spiegava come mai fossi così... sereno. Magari la reale reazione sarebbe arrivata a breve e quella che stavo vivendo era la classica quiete prima della tempesta. O forse... forse qualcosa dentro di me era già scoppiato, quella goccia che temevo uscisse e versasse tutto il contenuto del vaso era già caduta ma l'effetto non era affatto stato quel tumulto confusionario ed insostenibile che mi ero immaginato, anzi. Era come se una strana pace mi avesse invaso dall'interno e stesse lentamente diffondendosi ovunque, occupando ogni spazio libero e cercasse in ogni modo di spingere via i pensieri negativi, l'angoscia, le lacrime amare e perfino quella fastidiosa sensazione di inadeguatezza che ogni tanto si ripresentava in me, da quando avevo scoperto di essere omosessuale.
Ed era strano, molto strano. Forse sentirsi fare un discorso così accorato per ben due volte in meno di una settimana, da due persone alle quali tenevo molto, faceva quell'effetto. O forse era semplicemente Blaine ad avere il potere e l'abilità necessari per farmi sentire così. E gli erano bastati un blocchetto di post-it colorati, una fascetta di caucciù e la più totale e disarmante sincerità per permettermi di provare quelle sensazioni. Perché forse aveva ragione... mai nessuno prima di lui mi aveva parlato in quel modo o mi aveva detto cose così profonde, perché mai a nessuno prima di allora era minimamente interessato a farlo. A parte Rachel e quello che ci eravamo detti quella domenica, soltanto mio padre si era seriamente preoccupato per me, quindi era strano vedere quante persone adesso potessero fare altrettanto o potessero.. apprezzarmi. Era vero, io avevo l'assurda capacità di abbattermi sempre, di non riuscire a credere mai che prima o poi qualcosa potesse cambiare e di convincermi fino alla nausea di essere sbagliato, inadatto, imperfetto, e di non... meritare nulla di più dello schifo che già avevo. Forse alcune volte la facevo troppo tragica e forse dovevo seriamente smetterla di trattare me stesso in quel modo ed iniziare ad avere più rispetto per la mia vita e più speranza nel mio futuro. Ma non avendo mai avuto validi motivi per farlo, non avevo mai neppure voluto cercare la forza per combattere, per provare a ricercare del buono in quello che già avevo, per smetterla di accontentarmi, per non aver paura di chiedere e osare e sperare e sognare qualcosa di diverso e magari anche migliore. Perché io avevo tutti i diritti di essere felice, gli stessi diritti che aveva anche Rachel, o Mercedes o Santana o Sebastian o... Blaine. Dovevo solo farmi coraggio e affrontare tutto con tranquillità e un briciolo di speranza in più, che non avrebbe di certo guastato. Perché forse una piccola speranza me la stava già offrendo lui, affermando con tutta quella convinzione di apprezzare me e il mio bizzarro modo di essere, facendomi capire di non essere poi così irrecuperabile e che... perfino uno come me, alla veneranda età di venticinque anni appena compiuti, poteva sperare di cambiare il suo atteggiamento per il semplice benessere personale. Per la mia felicità.
Mi asciugai le lacrime che erano rimaste, con la manica della camicia e dopo un lungo sospiro gli sorrisi
"Mi aiuteresti a metterlo?" gli domandai, riacquistando lentamente la facoltà adatta per parlare e lui, sorpreso, ci mise qualche istante per muoversi e sporgersi per darmi una mano.
"C-certo.." gli porsi il braccialetto e gli allungai un polso - quello sinistro, quello del cuore - e rimasi in attesa, mentre lui, particolarmente imbarazzato e con le guance meravigliosamente arrossate, tentava di aprirlo, senza farlo cadere. Dovetti mordermi con forza le labbra per non scoppiare a ridergli in faccia, ma era inutile... qualsiasi cosa facesse, Blaine Anderson rimaneva l'essere umano più tenero, incantevole, bello, dolce e romantico dell'intero universo. Ed io, per merito di una sfacciata ed inimmaginabile fortuna, potevo averlo lì, di fronte a me, mentre le sue mani, che tremavano appena, mi sfioravano il polso con molta delicatezza, e mi aiutavano ad indossare il mio meraviglioso regalo di compleanno. Il mio coraggio.
Una volta attaccato mi ritrovai ad accarezzarlo con gli occhi e la punta delle dita e a sorprendermi ancora di quanto fosse bello e di come stesse incredibilmente bene perfino con il colore pallido della mia pelle. Blaine evidentemente aveva pensato anche a quello. Non pesava affatto, non era fastidioso da portare e da quel momento in poi sarebbe diventato il mio fedele compagno di vita.
Avvertendo un irrefrenabile desiderio di sporgermi verso di lui per stringerlo e baciarlo, distolsi l'attenzione dal bracciale e puntai i miei occhi nei suoi. Erano ancora lucidi, ma si vedeva chiaramente il sollievo e la leggera sfumatura di contentezza che li colorava in maniera così profonda. E quegli occhi dorati, erano più belli del solito. Lui sembrò cogliere il mio stesso pensiero e infatti ci ritrovammo ad avanzare lentamente uno verso l'altro, senza fretta, solo con la voglia di unire di nuovo le nostre labbra e creare ancora quel legame tanto piacevole che ormai avevamo imparato ad apprezzare. E mentre la distanza diminuiva, aumentava in me la voglia di lui, di poterlo avere di nuovo, in ogni sfumatura, ma in maniera particolare, in quella fisica. Perché non riuscivo a vergognarmi proprio del fatto che Blaine mi attirasse così tanto sotto quel punto di vista e forse, se non ci fosse stato anche un minimo - chiamalo minimo! - coinvolgimento emotivo, non sarei arrivato a desiderarlo così tanto. E chissà, magari quella sera, oltre alla canzone, al ballo, al blocchetto di post-it e al bracciale, avrei potuto ricevere anche qualcos'altro da lui.
Sto decisamente diventando un maniaco... Se qualcuno mi sentisse...
Ma proprio nel momento in cui i nostri respiri andarono a legarsi e l'ombra delle sue labbra iniziava ad affacciarsi sulle mie, qualcosa accade, qualcosa disturbò la nostra privacy, il nostro momento di intimità, quasi con prepotenza, facendo sobbalzare entrambi. Ed era il suo telefono che squillava, intromettendosi. Sospirammo entrambi, anche se il suo sembrò più che altro un ringhio basso, ma lui non si allontanò affatto da me. Poggiò la fronte alla mia e in quella posizione andò in cerca del telefono, che ancora squillava con insistenza, probabilmente nella tasca dei pantaloni
"Giuro che se è Sebastian... questa volta lo ammazzo sul serio!" borbottò facendomi ridacchiare, e si portò il telefono all'orecchio, rispondendo
"Pronto?" ci fu un lungo minuto di silenzio e a quella distanza potei perfino sentire l'accenno di una voce particolarmente allegra che prendeva la parola. Era decisamente una voce maschile.. che fosse seriamente Sebastian? Lo sapeva che aveva appena firmato la sua condanna a morte? Quella volta Blaine grugnì sul serio, staccandosi da me ed iniziando ad inveire
"Ma certo che sei un idiota!... Ti ho detto che il compleanno era Giovedì e tu che fai... chiami a mezzanotte passata? Ti rendi conto che ormai sei fottutamente in ritardo?" gridò infervorandosi e facendomi preoccupare non poco. Con chi diavolo stava parlando? E perché gridava così? Parlava di un compleanno... era... il mio? 
"E figurati se non tiravi fuori una di queste scuse assurde... sai dove te lo puoi ficcare il tuo fuso orario del cazzo?" sbottò colorandosi lentamente di viola. Spalancai gli occhi, sempre più preoccupato. Ma che diavolo...
"Blaine..." tentai di calmarlo, sollevando una mano e stringendogli una spalla e sembrò funzionare perché bloccò un'altra imprecazione giusto a metà, per poi guardarmi, appena affranto, negli occhi e sospirare
"Per tua fortuna lui è ancora qui con me... aspetta che te lo passo." esclamò per poi porgermi il suo telefono. Io lo guardai confuso
"É Cooper!" specificò infastidito, con uno sbuffo. Cooper?
"T-tuo... fratello?" domandai sorpreso e scioccato e per fortuna il mio momentaneo smarrimento, parve divertirlo parecchio, perché riuscì perfino a ridacchiare
"Di certo non il cane. Lui non avrebbe aspettato che passasse la mezzanotte per chiamarti!" mormorò ed io, con mezzo sorriso, accettai il telefono per rispondere
"Pronto?"
"Ehilà, Kurt! Come stai? Ti ricordi di me? Sono il fratello figo di schizzo, il tuo strano vicino di casa!" e anche a distanza, l'esuberanza di Cooper Anderson, il ragazzo bellissimo che mi aveva tanto innervosito e divertito qualche settimana prima, mi fece sorridere
Il fratello figo di schizzo...
"Ciao Cooper... ma certo che mi ricordo di te... come si fa a dimenticarti?" gli feci divertito, mentre la sua risata allegra di diffondeva nell'apparecchio e il povero Blaine si allontanava con un smorfia, tornando a riempire il sacco con la roba da buttare. Potevo perfino vedere il fumo uscirgli dalle orecchie.
"Immaginavo... ascolta, schizzo l'altro giorno mi ha detto che oggi, cioè... ieri sarebbe stato il tuo compleanno e beh.. anche se sono dall'altro lato degli Stati Uniti, volevo farti i miei personalissimi auguri!" annunciò stranamente elettrizzato. Lui aveva chiamato per farmi i suoi auguri e nonostante lo avesse fatto in ritardo... Dio, mi faceva enormemente piacere.
"Ti ringrazio, davvero... sono contento che tu abbia trovato un momento libero nella tua giornata piena di impegni per chiamare. Grazie sul serio.." risposi, appena imbarazzato, mentre Blaine continuava a fare delle facce assurde e a borbottare frasi incomprensibili
"Perdona il ritardo.. non ho mai realmente capito quante ore di differenza ci siano tra Los Angeles e New York... ero convinto che voi foste più indietro di me e invece... era il contrario." borbottò e sembrava seriamente dispiaciuto, nonostante tutto. Ridacchiai avvicinandomi a Blaine, che continuava a borbottare come una locomotiva a vapore
"Non preoccuparti.. è il pensiero che conta!" lo rassicurai e mi trattenni dallo scoppiare a ridere per la faccia buffa che fece Blaine a quelle parole. Forse non era necessario specificare che, seriamente la chiamata di suo fratello mi aveva fatto piacere e che perfino lui, che a conti fatti non mi conosceva, si era preoccupato di chiamare, mentre il mio stupido fidanzato ancora ignorava l'esistenza del mio compleanno.
"Bene... adesso devo andare... ho una cena importante con la controfigura di Tom Cruise... a quanto pare c'è una parte per me nel suo prossimo film.. speriamo che questa sia la volta buona." annunciò teatrale, con un profondo sospiro ed io immaginai perfettamente la scena, ritrovandomi a ridacchiare ancora. Dio, mi facevano male gli zigomi.
"Te lo auguro, Cooper..." esclamai con sincerità. Blaine tutto sommato doveva essere fiero di suo fratello.. anche se per poco e nella maniera più assurda, entrava comunque in contatto con grandi nomi dello spettacolo. Era da apprezzare, no?
"Salutami schizzo... e fate i bravi voi due. Sono ancora troppo giovane per diventare zio!" borbottò, facendomi arrossire e ringraziai il fatto che stesse parlando solo con me, altrimenti quella, suo fratello, non gliel'avrebbe fatta passare
"A presto, Cooper... e grazie ancora!" e chiusi la conversazione ancora con un sorriso divertito a stendermi le labbra. Blaine sospirò, trascinando il pesante sacco nero - quanta spazzatura avevamo fatto in una sola misera serata? - e dopo l'ennesima smorfia, decise finalmente di sollevare lo sguardo verso di me. Ci fu un lungo istante di silenzio, in cui ognuno cercò chissà che cosa negli occhi dell'altro, fino a che, non ci ritrovammo a ridere insieme, come due scemi
"Tuo fratello ha..." iniziai tra le risate ma lui completò per me
"..Un ottimo tempismo, lo so!" mormorò scuotendo la testa. Gli passai il telefono, che lui conservò di nuovo in tasca e tornai ad aiutarlo nella sistemazione. Ovviamente il momento di intesa che si era creato poco prima, era sfumato ed entrambi ne sembravamo particolarmente scontenti e provati. Ma senza dubbio, sarebbe stato troppo imbarazzante dirgli di tornare da me e riprendere da dove si era interrotto. Avevo ancora un disperato bisogno di baciarlo, ma possedevo anche un pudore e questo mi impediva di muovermi al momento. E poi... se il destino aveva voluto far intervenire Cooper per interromperci, evidentemente quel bacio non avrebbe dovuto esserci comunque. Chissà magari... dovevamo darci una calmata o molto più probabilmente io dovevo smetterla una buona volta di fare il doppio gioco, incatenando sia lui che David, e mi sarei dovuto decidere a compiere il tanto difficile passo verso.. la mia personale felicità.
E pensare che manca così poco... 
"Blaine?" all'improvviso, con la carta da regalo recuperata dal pavimento in mano, mi ritrovai a chiamarlo. Lui si girò verso di me, sorpreso
"Dimmi."
"Grazie... io... è la seconda volta nella stessa serata che riesci a farmi un regalo così grande e mi fai sentire così... bene!" mormorai, con un sorriso mite sulle labbra. Lui ricambiò, visibilmente sollevato.
"Il primo regalo... ti riferisci ai post-it non è vero?" domandò divertito ed io scossi la testa con decisione
"La canzone... quello è il tuo primo regalo. Poi c'è stato questo magnifico braccialetto... io... li terrò entrambi nel cuore, finché mi sarà possibile farlo!" esclamai con convinzione, sperando di far arrivare anche a lui la stessa intensità che avvertivo partirmi dal cuore e defluire lentamente dappertutto attorno a me. Lui si strinse un labbro tra i denti, e si passò nervosamente una mano tra i ricci, in un chiaro momento di imbarazzo, ma alla fine accettò il mio ringraziamento e mi sorrise, senza aggiungere altro. E forse fu davvero meglio così, per entrambi.
Facendo di nuovo appello al mio coraggio, mi decisi a muovermi e lo raggiunsi in un paio di passi, gli afferrai il viso con entrambe le mani e gli poggiai
finalmente le labbra sulle sue. Tremarono appena, sorprese, ma fu un solo attimo, poi si adattarono alle mie, senza problemi. E fu una liberazione, un respiro di aria pura dopo una lunga apnea, una consolazione dopo un'atroce sconfitta. Furono le sue meravigliose labbra sulle mie, e il suo respiro caldo e familiare, e la sua lingua morbida, e le sue mani che si strinsero attorno al mio collo, e la precisa consapevolezza che il mio coraggio da quel momento in poi sarebbe servito per uno scopo ben preciso: parlare con David e chiudere definitivamente la nostra storia, perché di tempo per lui non ne avevo più, come non avevo più pazienza né forza di volontà. L'unica cosa che mi sembrava di avere ancora era proprio il coraggio e quello avrei dovuto tirare fuori per ottenere finalmente ciò che desideravo. Nulla di più.
"Grazie, Blaine.." per tutto...
"Grazie a te..."
Ad essere coraggiosi, ci si guadagna sempre...

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Capitolo 30
*** La resa dei conti ***


(...) Litigio con David (B) Buon Lunedì a tutti, angioletti miei... dunque, finalmente è giunto il capitolo rivelazione, quello maledetto come lo chiamo io, quello che, ahimé mieterà qualche vittima... avrei dovuto trovare un metodo migliore per festeggiare il trentesimo capitolo, ma... purtroppo era una cosa che prima o poi si sarebbe affrontata e se, da una parte, la stavate attendendo anche voi, avrà dei risvolti.. diciamo imprevisti. Ovviamente anche il prossimo capitolo sarà... da panico totale, ma... ho come l'impressione di non arrivarci viva, quindi vi saluto ora e vi dico... vi amo tutti, da morire (tecniche di persuasione mode on XD) Ci vediamo Giovedì e... scusate se non ho risposto alle vostre recensioni, sono un'autrice indegna ma l'alternativa sarebbe stata quella di aggiornare stasera e rispondere ora... quindi ho preferito invertire, ma vi prometto che stasera, cascasse il mondo, risponderò a tutti ;)
p.s. Anche il mio Dan vuole vedermi morta... ed io soffro in silenzio ç___ç
n.b Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 10.48 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

"E poi sai cosa gli ha detto Morris quando lui ha fatto rovesciare tutto lo stand per terra?" mi chiese elettrizzato David dietro di me, mentre cercavo di aprire la porta di casa con difficoltà, dato l'ingombro del cartone della pizza in una mano e dei voluminosi cataloghi nell'altra. E ovviamente David non si era scomodato ad aiutarmi.
"No, David... non lo so..." mormorai stanco cercando di trattenere uno sbuffo seccato
Ed in realtà non me ne frega un emerito cazzo...
"Sei licenziato!" esclamò divertito lui, quasi fosse la cosa più esilarante del mondo e rimase in evidente attesa delle mie risate. Io sospirai, riuscendo finalmente ad aprire la porta d'ingresso e ad entrare e mi seguì dopo qualche istante, probabilmente sconvolto dal fatto che non mi stessi rotolando sullo zerbino per le risate con lui. Avanzai in cucina dove poggiai il cartone della pizza e i cataloghi e mi accarezzai i polsi doloranti.
Tornando in salotto lo trovai fermo immobile, intento a rimuginare su qualcosa. Non mi sprecai neanche a chiedergli cosa avesse. Non mi interessava e non avrei fatto nulla per saperlo. Mi liberai della tracolla che appesi all'attaccapanni all'ingresso e della giacca, per poi sollevarmi le maniche e togliermi l'orologio. Erano gesti meccanici che facevo ogni volta che tornavo a casa, con o senza David al seguito. Aveva deciso di rimanere a mangiare da me - e ovviamente concedersi alla solita squallida scopata serale - senza neanche chiedermi cosa ne pensassi, dando per scontato che fossi d'accordo. Quando me lo aveva detto, non avevo trovato neanche la forza per dirgli di no. Mi ero limitato ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare, molto discretamente. Morivo dalla voglia di tornare a casa, mettermi in libertà, mangiare un pezzo di pizza e poi buttarmi nel letto. Altri fuori programma non erano previsti. E ovviamente David rappresentava un fuori programma.
"Sei strano!" mormorò ad un certo punto lui, mentre io mi dirigevo nella camera da letto per spogliarmi. Approfittai del fatto che fossi di spalle per chiudere gli occhi in un gesto esasperato.
"Sono stanco!" lo corressi subito seccato. Non ci mise molto a raggiungermi
"Anche io sono stanco Kurt... ma di certo non ho quella faccia lì!" e mi indicò con un gesto. Quella volta non potei trattenermi dall'emettere un verso
"Questa è la mia faccia, David... che ti piaccia o no non so che farci!" sbottai liberandomi degli stivali e buttandoli malamente in un angolo. Dovevo essere proprio nervoso per trattare in quel modo la mia roba. Mi rendevo anche vagamente conto che trattare in quel modo lui, significava scatenare la sua ira. Ma sinceramente me ne infischiavo. Se per liberarmene avrei dovuto farlo arrabbiare.. bene, ero pronto!
"Bene, sei stanco, perfetto!" sbottò infatti lui in risposta "E allora spiegami perché tutte le volte che ci vediamo mi tratti con la stessa fottuta sufficienza!" si avvicinò nervoso, sfidandomi. Seccato strinsi la mascella e mi liberai della camicia in pochi gesti.
"Ancora con questo discorso!" mormorai "Sei ripetitivo!" indossai velocemente una maglietta pulita e senza neanche preoccuparmi dei jeans, lasciai la stanza e a gran passi tornai in cucina. Avevo fame, non avevo voglia di parlare. Fine della questione
"E tu sei ingiusto, Kurt..." rispose, con un tono che per un istante mi fece sorprendere. Infatti mi girai a fronteggiarlo, davanti la porta della cucina e lo trovai con una strana espressione frustrata ed abbattuta "Io... non credo di meritarmelo!" e abbassò la testa. Faceva quasi tenerezza. Appunto.. quasi.
"Non so di cosa tu stia parlando!" gli diedi di nuovo le spalle e mi affrettai a recuperare un piatto dalla credenza ed un bicchiere
"Sto parlando di questo!" esclamò accalorato, e mi sentii afferrare per un polso e voltare con forza verso di lui. Per la sorpresa il bicchiere mi scivolò dalle mani cadendo nel lavandino e spaccandosi
"Cazzo, Dave... mi fai male!" mi lamentai allora, provando a liberarmi della sua stretta. Ma niente. Lo sfidai con lo sguardo, non sorpreso di ritrovarlo così rosso in faccia e tanto nervoso. Ma mai, prima di allora, si era permesso di mettermi le mani addosso. E quello in un certo senso un pò mi spaventava. Non sapevo cosa avrebbe fatto dopo, non sapevo dove sarebbe arrivato. Rimanemmo qualche secondo di troppo a guardarci negli occhi a vicenda, sfidandoci come due duellanti alle prese con una partita troppo importante per lasciar perdere. Lui non demordeva ed io di certo non avrei abbassato la testa. Non quella volta.
"Dimmelo, Kurt... tira fuori le palle e dimmelo!" sputò allora, a pochi centimetri dal mio viso
"Dirti cosa?" feci io infastidito provando a strattonare ancora il braccio. Faceva male, altroché se faceva male
"Smettila di fingere!" gridò e in uno scatto d'ira, afferrò il piatto che avevo posato sul tavolo e lo scaraventò sulla parete della cucina. Nel rompersi, tirò via perfino un pò di intonaco dal muro. Ed io iniziai seriamente a tremare. Mi mancò il respiro per qualche istante e provai a raccogliere tutta la lucidità di cui ancora disponevo per tentare di calmarlo
"David!" lo chiamai in un soffio. Lui respirava velocemente, le narici e le pupille dilatate. Sembrava furioso, un pazzo furioso. Tentai allora di stabilire un contatto fisico, sperando valesse a qualcosa. Provai ad accarezzargli una guancia, benché avessi la mano che tremava come una foglia, ma lui me la scacciò con uno schiaffo, provocandomi altro dolore
"Basta... basta... non ce la faccio più!" mormorò scuotendo la testa e respirando pesantemente
"Di cosa stai parlando, Dave?" gli chiesi ancora, in un lamento. Ero stanco, spaventato, affamato. Dove diamine ci stava portando quella maledetta discussione? E quando sarebbe terminata?
"Dimmelo!" ripeté allora, rigido come una tavola. Sospirai frustrato
"Cosa?" fu il mio turno per alzare la voce. Mi veniva quasi da piangere. Perché non mi lasciava in pace?
"Che non mi ami più!" gridò a sua volta, stringendo convulsamente il polso fino a farmi bloccare la circolazione. Mi si bloccò contemporaneamente anche il cuore e mi ritrovai a boccheggiare spaesato. E dunque era quello il momento? Eravamo finalmente arrivati alla resa dei conti? Avrei dovuto dirgli tutto, affrontare l'argomento con lui? Ne avrei avuto la forza? Avrei trovato il giusto... coraggio? Perché era facile affermare di voler chiudere la mia relazione con lui... ma un altro conto sarebbe stato farlo davvero, trovare le parole adatte per dirgli tutto e sperare magari di non creare troppi danni. Ma se lui già iniziava a scaldarsi, senza che io avessi ancora aperto bocca, a cosa saremmo arrivati alla fine? Era davvero il caso di palargli proprio in quel momento? Non era meglio, magari, aspettare che si calmasse e poi dirgli tutto quanto?
Deglutii a vuoto un paio di volte, ma la salivazione era azzerata e per di più, il mio ritardo nel rispondere fu per lui la giusta conferma. Mi lasciò di colpo il polso, finalmente, e si allontanò con un gesto di stizza
"Lo sapevo. Cazzo, lo sapevo!" ringhiò sollevando le braccia al cielo. Io mi massaggiai subito il polso dolorante, arretrando di qualche passo, inconsapevolmente. Mi resi conto solo in quel momento di essere in una stanza stretta, con un'unica via d'uscita - fin troppo lontana da dove mi trovavo io - in compagnia di David. Un ragazzo che iniziava a spaventarmi, che forse non avevo mai davvero conosciuto. Avevo paura e tanta
"David..." tentai, ma la sua testa saettò velocemente verso di me raggelandomi
"Stai zitto. Non voglio sentirti dire neanche una sillaba. Il tuo silenzio è stato fin troppo eloquente!" sbottò velenoso puntandomi un dito contro. Feci un altro mezzo passo lontano da lui
"Che idiota... che idiota che sono stato! Per tutto questo tempo ho creduto che provassi davvero qualcosa per me, che mi volessi bene, che avessi rispetto... e invece mi hai soltanto usato!" mi inveì contro lui, avvicinandosi e poi allontanandosi scompostamente. Stavo per rispondere ma lui mi anticipò ancora
"Ti sentivi solo, eh Kurt? Non ti era rimasto più nessuno ed è per questo che sei venuto da me in ginocchio, elemosinando la mia pietà e il mio affetto?" mi domandò acido, avvicinandosi un pò di più. Io spalancai gli occhi incredulo. Maledizione... come aveva fatto? Come era riuscito a capirlo? Lo aveva sempre saputo, oppure ci stava arrivando solo in quel momento, magari tirando ad indovinare? E se davvero già sapeva tutto... perché solo ora lo tirava fuori, perché non me lo aveva mai rinfacciato o fatto notare? Perché era vero... lui aveva centrato perfettamente il problema. Tutto quello che avevo raccontato a Rachel una settimana prima, lui era riuscito a riassumerlo in una sola secca frase. Una frase piena di disprezzo e rabbia e che faceva male come una coltellata al cuore.
"Ed io, coglione, ci sono pure cascato... con tutte le scarpe!" sembrava parlasse da solo ormai, io non ero altro che tappezzeria.
"Anzi, no meglio ancora... avevi bisogno di qualcuno con cui scopare... con cui poterti sfogare perché diciamocela tutta, Kurt... sei un frustrato... con la tua insulsa vita da provincialotto qualunque, approdato nella grande Mela ma con ancora la puzza di pecore attaccata ai vestiti. Guardati... fai quasi pena!" e mi indicò con un gesto schifato. Mi portai una mano sulla bocca dalla quale mi scappò un singhiozzo. Avevo iniziato a piangere... ma quando?
"Sono stato la tua preda ideale, non è vero? Sempre a tua disposizione, quando tu ne avevi bisogno. Ma che bravo che sei stato!" mi sputò addosso tutto il disprezzo. Tanto crudelmente da non farmi neanche trovare la forza per ribattere, o per tentare di spiegargli, o per sperare di giustificarmi. Non che avessi molta giustificazione dalla mia parte, ma perlomeno avrei potuto fargli notare che le colpe non erano tutte le mie e che, sì, io avevo sbagliato, ma anche lui non era completamente innocente. Anche lui in molte occasioni aveva approfittato di me, del mio buon cuore, della mia sofferenza, del mio... bisogno di qualcuno. E se davvero era giunto il momento per i mea culpa e le prese di coscienza... beh era anche arrivato il tempo di assumersi le sue responsabilità ed ammettere di avere sbagliato a trattarmi sempre così male e a non aver mai cercato di capire quale fosse il vero problema di Kurt. Io ero stato il suo burattino, io ero sempre disponibile per i suoi sfoghi. Anche io, in fondo, per lui, ero stato la preda ideale.
"Perché mi stai facendo questo?" domandai con un lamento, singhiozzando. La paura e la fame erano un lontano ricordo. Lentamente in me stava prendendo forma una strana sensazione di attanagliante angoscia. Quelle parole facevano male, ma non solo. Era il modo in cui le aveva pronunciate, la cattiveria che aveva usato a fare ancora più male. Era davvero bastato così poco per farmi sentire così sporco e sbagliato? Che fine aveva fatto la mia preziosa corazza con la quale ero solito proteggermi in sua presenza? Che fine avevano fatto il coraggio, di cui tanto avevo parlato al mio compleanno, o la forza che credevo di avere soltanto nascosta da qualche parte, ma capace di affrontare tutta la situazione? Annientate anche quelle sotto il peso delle parole?
"Io, Kurt? Sono io che faccio del male a te, eh?" mi domandò pungente "E non ci pensi a tutto il male che hai fatto tu a me fino ad ora con le tue bugie?"
Fottiti, David... fottiti, fottiti, fottiti...
In uno sprazzo di coraggio, iniziai a camminare, e sorprendentemente lui non mi bloccò. Mi ero aspettato - e avevo seriamente temuto - che mi avrebbe trattenuto con forza, come aveva fatto poco prima, impedendomi di allontanarmi e gridarmi ancora dietro qualcosa di cattivo. Per fortuna non fu così, almeno credevo. Raggiunsi il soggiorno e approfittai di quella distanza per asciugarmi le lacrime. Non se le meritava ma soprattutto non le meritavo io.
"Come hai fatto a fingere fino a questo punto? Come hai potuto prenderti gioco di me e dei miei sentimenti anche mentre facevamo l'amore? Come hai potuto Kurt?" mi domandò in tono lagnoso e quella fu senza dubbio la classica goccia che fece traboccare il vaso. Il mio vaso.
"Ti sbagli David... io e te non abbiamo mai fatto l'amore, mai... neanche la prima volta!" gridai allora, smettendo di combattere contro le lacrime. Inutile continuare a trattenerle, tanto faceva solo più male. Dall'espressione indecifrabile che mise su, istantaneamente capii che dovevo andare avanti perché quello che avevo detto non gli bastava per capire.
"Tu non hai mai fatto l'amore con me, non hai mai fatto l'amore con Kurt. Ti sei limitato a fare sesso con il mio corpo... ti sei semplicemente servito di questo" e mi indicai con un gesto rapido "Per soddisfare i tuoi bisogni... è sempre stato così! Ogni volta che mi tocchi, io sento chiaramente che di me non te ne frega nulla... ti impegni ad ottenere ciò che ti serve, per poi lasciarmi in un angolo, solo ed insoddisfatto!" avevo detto tutto gridando, con le lacrime che correvano sulle guance. Ero accaldato, ero stanco, mi era tornata la fame, e per di più, la paura era stata sostituita dalla rabbia. Aveva superato il confine della mia pazienza. Il Kurt calmo e ragionevole e spaventato e pieno di sensi di colpa, probabilmente era ancora in cucina. Ormai c'era soltanto l'istinto irrazionale che mi guidava e che mi faceva finalmente tirare fuori quello che per tanto tempo avevo soppresso e nascosto.
"Ma cosa stai... dicendo?" mormorò, evidentemente colto di sorpresa.
"Quand'è stata l'ultima volta che mi hai chiesto come stavo? Che mi hai abbracciato per il semplice piacere di farlo, senza l'intenzione di togliermi poi i vestiti di dosso? Che mi hai fatto una carezza, che mi hai chiesto di uscire per una cena o per andare al cinema?" feci gesticolando, andando avanti e indietro nel salone. Lui era fermo immobile, con i pugni piantati sui fianchi e mi seguiva disperatamente con lo sguardo, quasi tenesse sotto controllo una partita di tennis.
"E ti sei per caso ricordato del fatto che ieri è stato il mio compleanno? Ti sei preoccupato di comprarmi un regalo o di farmi semplicemente gli auguri?" gli domandai ancora, elencando la lunga lista di mancanze delle quali si era reso responsabile. Doveva capire che le colpe non erano solo le mie. Forse stavo usando la tecnica peggiore, perché attaccare non era mai consigliabile - soprattutto se il confine della sua pazienza era così labile - ma mi ero stancato di subire. Volevo iniziare ad attaccare anche io. Perché quello era decisamente il momento di Kurt.
Lui aprì la bocca ma la richiuse subito dopo, visibilmente scioccato. Scossi la testa concedendomi un sorriso amaro
"Come immaginavo!" mormorai stringendo le braccia al petto
"Quello... quello che stai dicendo.. non ha senso... nessuno!" esclamò allora, incerto e tremante. Del David aggressivo e pericoloso sembrava non essere rimasta traccia
"E invece ha senso eccome... sei tu che non vuoi accettarlo, perché farlo significherebbe darmi ragione e tu questo non puoi permetterlo, giusto?" domandai sprezzante, con una smorfia. Era perfino capace di affermare che il mio compleanno dimenticato non fosse un dato di fatto. Arrestai il mio procedere nervoso per la stanza e sospirai
"É vero, David... non ti amo e... probabilmente non ti ho mai amato. Hai ragione non avrei dovuto fingere di farlo ma non volevo deluderti... speravo ingenuamente che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato e che... avrei iniziato a provare qualcosa di più per te... ma sono passati quattro anni e... non è successo nulla!" alzai le spalle con un gesto di impotenza. Lo vidi deglutire e tremare appena. Possibile stesse per mettersi a piangere?
"Ma se c'è una cosa di cui non puoi colpevolizzarmi è il fatto di averti usato... di aver approfittato di te e dei tuoi sentimenti. Io ti voglio bene, David... ti ho sempre voluto bene e, Dio, continuo a volertene nonostante le orribili cose che sei stato capace di gettarmi addosso qualche istante fa. Ed è proprio per l'affetto che sento di provare per te che per tutto questo tempo ti ho permesso di trattarmi in questo modo, ho permesso a me stesso di farsi da parte ed assecondare ogni tuo dannato volere. Ti ho ascoltato anche quando era difficile decifrarti, ti ho accudito anche quando tu continuavi ad ignorarmi, ti ho assecondato anche quando chiedevi semplicemente il mio corpo. E per questo, David, io non mi sento un egoista!" gli dissi disarmato, con la voce stanca e strisciata. Erano parole che tenevo nascoste da troppo tempo. Ormai sarebbe stata questione di poco, e sarebbero comunque saltate allo scoperto. Quella discussione nata così, per caso, era stata senza dubbio un pretesto. Mi ero ripromesso di farlo, ma mai avrei creduto di dovermene occupare così presto. Ma forse... pensandoci... non era presto. Era semplicemente il momento.
David abbassò il capo, affondando le mani nelle tasche dei jeans. Sembrava avessimo appena superato la tempesta. Non restava che raccogliere i cocci e fare il conto dei danni.
Ma proprio quando con un sospiro esausta, avevo formalmente dichiarato conclusa ogni ostilità e mi preparavo a farlo uscire dal mio appartamento e dalla mia vita, tornò a parlare
"Chi è?" mi domandò con la voce roca. Sorpreso sollevai un sopracciglio
"Chi è... chi?" chiesi a mia volta confuso. Sollevò gli occhi, puntandoli con rabbia nei miei
"Il figlio di puttana con cui mi tradisci!" rispose irritato, digrignando appena i denti. Mi sentii mancare: per pochi istanti avvertii chiaramente le gambe cedere appena e il cuore sprofondare. Sperai ardentemente non avesse notato quel mio piccolo momento di incertezza altrimenti sarebbe stata la fine
"Cosa stai dicendo? Io non ti tradisco proprio con nessuno!" affermai cercando di essere convincente. Peccato che proprio in quel momento, per quanto avessi cercato con tutte le forze di cui disponevo di non pensarci, tutte le immagini di me e Blaine insieme mi riaffioravano alla mente: noi due insieme, il nostro primo incontro, la cena cucinata da lui, le prime coccole a Cooper, la nostra scommessa fatta al tavolino del bar davanti a Santana, l'incomprensione causata da suo fratello, la lunga chiacchierata sul suo dondolo in terrazzo, l'ascensore, il mio compleanno, quella canzone perfetta cantata dalle nostre voci intrecciate insieme, il braccialetto che mi suggeriva di avere coraggio e che portavo con orgoglio al polso, i post-it colorati che ci lasciavamo a vicenda sulla porta, quando andavamo troppo di fretta per bussare e salutarci, il suo sorriso caldo e luminoso, il suo corpo nudo e perfetto steso accanto al mio, sopra e sotto al mio, le sue mani forti e curiose, le sue labbra morbide ed invitanti, la sua pelle bollente, il suo profumo speziato ed avvolgente, i suoi incantevoli, profondissimi e penetranti occhi color dell'oro...
"Non mentire, Kurt.. Almeno su questo!" mi implorò allora alzando le braccia al cielo. Strinsi con forza il pugno, quasi scavando il palmo della mano con le unghia. No, non potevo. Dovevo lasciare Blaine fuori da quella storia, protetto e al sicuro dalle cattiverie che, David, avrebbe senza dubbio cercato di tirargli addosso. Far del male a me andava bene ed era sufficiente. Blaine non doveva permettersi di toccarlo.
"Te lo ripeto, Dave: io non ti ho mai tradito! Queste sono idee malsane che ti metti in testa tu... da solo!" provai allora, sentendomi terribilmente esposto ed indifeso. Bastava un passo falso, un'espressione sbagliata, e lì saltava tutto. Esattamente la stessa situazione che si era creata quando si era presentato a sorpresa a casa mia, la mattina in cui Blaine ancora dormiva tra le mie lenzuola. Anche allora avevo sperato con tutto il cuore che lui ne uscisse illeso, che lui si salvasse, che David lo risparmiasse della sua ira. Ero io il suo obbiettivo. Blaine era troppo prezioso per finire nella lista nera di Dave.
Blaine, Blaine, Blaine...
"Non sono cretino, Kurt! Me ne sono accorto che ultimamente sei più allegro e rilassato.. e in questi quattro anni con me non è mai successo!" mi disse infastidito, con una smorfia. Allegro e rilassato? Era un'assurdità ridurre quello che provavo quando stavo con Blaine a soli due vocaboli. Era indescrivibile, punto. Bellissimo ma indescrivibile. Quella volta non dissi niente, limitandomi a scuotere il capo e a tornarmene in cucina. Ero esausto e affamato. Avrei messo fine a quella discussione in un modo o nell'altro. Ero quasi arrivato alla porta della cucina, quando lui mi bloccò di nuovo per un braccio costringendomi a voltarmi per guardarlo. E nuovamente faceva male
"David lasciami!" gli ordinai subito 
"Non prima che tu mi abbia detto il nome di questo stronzo che ti porti a letto! Scommetto l'hai fatto entrare perfino qui, nel tuo appartamento e che avete scopato nel tuo letto o magari proprio su questo divano, o sbaglio?" era odio puro quello che mi stava tirando dietro. Odio, rabbia, rancore, disprezzo, frustrazione. E tutto questo lo rendeva cieco e pericoloso
"David smettila!" ordinai ancora, cercando di essere perentorio. Peccato che con lui fosse tutto fiato sprecato e peccato che le mani, le gambe e perfino la voce, tremassero senza sosta.
"No, non la smetto!" mi gridò in risposta alzando la voce e stringendomi forte anche l'altro polso. Ero in trappola, letteralmente. Solo, con un pazzo senza ragione, prigioniero tra le mie stesse mura. Ad un passo dall'appartamento di Blaine.
Blaine, Blaine, Blaine...
"Io ti rovino, Kurt Hummel... Io sono capace di toglierti tutto quello a cui tieni di più, a partire da quel tuo prezioso lavoro!" sibilò a pochi centimetri dal mio viso, provocandomi la pelle d'oca - ben lontana da essere la stessa che mi provocava Blaine quando mi accarezzava.
Boccheggiai impotente ma ci pensò lui a continuare
"Ti toglierò il tuo lavoro visto che in fondo è merito mio se lo hai ottenuto... perché, siamo sinceri... a conti fatti.. non lo meritavi minimamente!" ma cosa stava dicendo? Era merito suo? Di cosa parlava?
"Io non... capisco.." balbettai confuso 
"Te lo spiego subito, Hummel! Quando ti ho conosciuto eri semplicemente un qualsiasi tirocinante senza speranza e senza futuro. Tempo un mese e Chang ti avrebbe cacciato per sempre. Sono stato io a chiedergli di assumerti a tempo pieno, altrimenti a quest'ora saresti a spasso per New York.. o meglio.. saresti tornato nella tua insulsa Lima!" sentenziò in tono aspro e strisciato. Da dove veniva fuori tutta quella cattiveria? D'accordo, non era mai stato docile né particolarmente gentile, eppure... non lo avevo mai visto reagire così. E poi, quella storia del mio lavoro... era vera? Possibile fosse arrivato a bluffare così pesantemente? Mi aveva seriamente raccomando a Chang ed io avevo ottenuto il posto, non perché fossi bravo e lo avessi dunque meritato, ma perché David... glielo aveva chiesto come favore personale?
Mi accorsi di aver smesso di respirare solo nel momento in cui il campanello prese a suonare. Due brevi squilli e poi niente. Il silenzio assoluto era sceso nella stanza. Io guardai la porta, sorpreso ed avvertii la presa di David farsi più intensa attorno al mio polso. Chiunque fosse stato a quell'ora, aveva scelto davvero un ottimo momento per suonare. O pessimo, a seconda del punto di vista. Dalla presa ferrea di David e dal fatto che non avesse detto niente, dedussi immediatamente che non mi fosse concesso muovermi per aprire. Sembrava uno di quei film d'horror, in cui la scena clou dell'omicidio del protagonista, era fatalmente interrotta dallo squillo del telefono. Era provvidenziale in alcuni casi. Nel mio di caso, considerando il fatto che non ero condannato a morte certa, poteva anche essere ignorata. Se non fosse che l'avventore misterioso si dimostrò ben presto davvero caparbio.
Il campanello, infatti, suonò altre tre volte, dopodiché fu sostituito dallo sbattere di un pugno direttamente sul legno della porta. Sembrava... agitato ed impaziente. Ma chi diavolo era?
"Kurt? Sei in casa?... Kurt?" ed eccola la voce del disturbatore misterioso. La sua voce.
Sgranai gli occhi quasi immediatamente, riconoscendolo. Ed immediatamente provai due diverse sensazioni: da una parte mi sentii pervadere da un meraviglioso sollievo, che mi fece rilassare ogni singolo muscolo teso del corpo. Dall'altra, però, la presa di David mi fece ricordare di non essere solo e soprattutto di non essere affatto nella condizioni per rispondere e farlo entrare in casa mia. E tutto quello mi provocava soltanto un fastidioso senso di nausea. Fastidioso ed opprimente senso di nausea.
"Ho visto la luce della cucina accesa dalla strada. Se volevi evitarmi sei stato poco furbo Hummel, fattelo dire!" avvertii chiaramente la sua risata attutita dallo spessore della porta blindata, ma fu ugualmente un ulteriore sollievo per me. Come ricevere una carezza sul viso. Come riprendere a respirare dopo ore di apnea. E senza neanche accorgermene, riuscii ad aprirmi in un sorriso mite e dolce che spazzò via un pò di angoscia e paura accumulate in quell'ultima mezz'ora di inferno. Mi accorsi troppo tardi della cavolata appena fatta.
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci!" mormorò David in un quasi impercettibile sibilo, dopodiché mi scacciò da un lato ed avanzò a grandi passi verso la porta d'ingresso. Ed io iniziai seriamente a tremare di paura.


New York City. Ore 11.45 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

Il cipiglio che mi si era formato sul volto era degno del migliore attore hollywoodiano. Perfino migliore di quello che avrebbe potuto improvvisare mio fratello. Ero confuso, davvero. Eppure avevo chiaramente visto la luce della cucina di Kurt accesa, segno che a quell'ora fosse ancora sveglio. E allora, perché nessuno veniva ad aprire? L'aveva forse dimenticata accesa andando a letto? Beh, se così fosse stato, il mio insistente bussare lo avrebbe svegliato, no? Forse dovevo semplicemente arrendermi, arrotolare la mia scodinzolante coda e rifugiarmi nel mio appartamento. O avrei rischiato davvero di fare la figura del vicino invadente ed impiccione, cascando così nel più classico dei cliché.
Blaine, ce l'hai presente il concetto della "porta chiusa"? Quando è chiusa... è chiusa...
Con un sospiro rassegnato feci dietrofront e tirai fuori le chiavi di casa dalla giacca. Ero meno stanco del solito, fortunatamente. Avevo semplicemente bisogno di mettere qualcosa di commestibile nello stomaco, e poi mi sarei genuinamente buttato tra le lenzuola. Tutto questo con la chiara consapevolezza che il giorno dopo la sveglia per me sarebbe suonata molto presto. Facendo due calcoli mentali - e ci riuscivo perfettamente, nonostante la stanchezza che avevo addosso - avevo a disposizione quattro ore e mezza per dormire. Se fossi riuscito a far rientrare in un quarto d'ora la cena e una doccia veloce. Un'impresa titanica, ma ce l'avrei fatta con il senno di poi.
E poi... domani finisce ufficialmente il mio preavviso. Da Lunedì sono un uomo libero...
Purtroppo i miei piani vennero scombinati nel giro di pochissimi attimi. Un istante prima ero ancora fermo davanti la mia porta, intento a scegliere la chiave giusta da inserire nella toppa, quello dopo mi ritrovai con la schiena premuta alla ringhiera dell'ascensore, e il fiato caldo di un mastodontico uomo, sul collo. Mi ci volle davvero poco a collegare quella smorfia truce e tutti quei muscoli con David, il ragazzo di Kurt, e mi ci volle molto meno a capire che lì, un quarto d'ora, non mi sarebbe affatto bastato.

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Capitolo 31
*** Senza respiro ***


Soffocando (B) BuonGiorno miei cucciolotti... e buon giorno di aggiornamento ^^ ok, lo so siete tutti in ansia e volete finalmente vedere se sarà il caso o meno di uccidere questa autrice... mmmm... rimandate a dopo la decisione, fidatevi ;) dunque... vado di fretta ma una cosa la voglio dire... molti di voi hanno, per modo di dire, dato un pò ragione a David e credetemi forse ci sta pure... in fondo il nostro Kurt lo ha tradito e un tradimento non si perdona mai, io non voglio assolutamente giustificarlo, come ho detto però provo a comprenderlo... lui nella vita non ha mai ottenuto niente di buono e come se già questo non bastasse gli è capitato uno dei fidanzati peggiori della storia, che gli ha fatto perdere la fiducia e la serenità.. si è trovato davanti Blaine e tutto si è rivoluzionato quindi quelle due occasioni sono... dettate dal suo istinto che torna a farsi avanti o dalla voglia di lottare. David non gli ha mai dimostrato rispetto quindi mi chiedo... è tanto sbagliato secondo voi che per una volta Kurt si sia preso una piccola rivincita, togliendogli un pò di quel rispetto che LUI, al contrario di Dave ha sempre dimostrato, solo per provare ad essere felice? A voi l'ardua sentenza ^^ bene, ora vi lascio al capitolo... buona lettura e ci vediamo lunedì... per quel capitolo vi dico solo una cosa: FLUFF *____* bye bye... Vi amo <3 e scusate se non ho finito di rispondere a tutte le recensioni... provvederò oggi in giornata.. l'urgenza era per il capitolo ;)
p.s. Un grazie speciale al mio Dan che mi abbandona la notte senza salutarmi XD scherzo ovviamente :*
n.b Pagina FB (Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 11.47 P.M. 13 Aprile 2012 (Venerdì)

La gente è portata a dire che, un attimo prima di morire, il condannato, veda scorrere davanti ai propri occhi la sequenza disordinata delle immagini della propria vita. Infanzia, adolescenza, grandi amori, infiniti sbagli, rimorsi, rancori, respiri, sussurri, sorrisi. Io, nonostante fossi consapevole di trovarmi in un bel guaio, l'unico pensiero coerente che riuscii a formulare fu: diamine, avevo ragione, avevo davvero visto la luce accesa in casa di Kurt e lui era sveglio. Certo, non era solo, ed io in quel momento mi ritrovavo malamente sbattuto con forza contro il metallo dell'ascensore, ma... sapere di aver avuto ragione anche su una cosa così banale, strano a dirsi, ma fu una vera soddisfazione.
"E quindi sei tu il fottuto bastardo che si scopa il mio ragazzo!" ringhiò l'inquietante figura di David, a pochissimi centimetri dal mio viso. Fui colto solo per un istante dalla confusione. Di che diamine stava parlando quel bestione? Poi, però, con la coda dell'occhio vidi Kurt, pochi passi distante da noi, con lo sguardo terrorizzato e una mano a coprirgli la bocca. E subito realizzai che non poteva essere stato lui a dirgli una cosa del genere. Probabilmente si trattava di supposizioni e - per quanto giuste - sarebbero rimaste tali. Così, tirai fuori dal mio repertorio l'espressione più innocente che potessi avere e risposi
"Non so di cosa tu stia parlando!" esclamai con tranquillità, cercando di non fare o dire nulla che potesse scaldarlo più del dovuto. Peccato che fu completamente inutile. Le sue mani si spostarono al colletto della mia camicia e tirarono, tanto che mi ritrovai ancora più schiacciato tra il suo corpo e la ringhiera, che iniziava a fare davvero male
"Non dire stronzate, pezzo di merda... ci ha già pensato il tuo amichetto qui a rifilarmi questa versione e ormai non attacca più!" sibilò furioso. Il mio sguardo si spostò immediatamente su Kurt, ancora scioccato ed immobile. Aveva gli occhi lucidi, le guance rosse, e l'aria decisamente sconvolta. Aveva pianto, e non ci voleva un gran genio per capire che era tutta colpa di quel bestione attaccato alla mia camicia e che la questione andava avanti da un bel pò. Probabilmente io, bussando con insistenza alla porta, avevo solo interrotto il momento più cruento. Solo allora realizzai che, non me ne fregava niente di cosa avrebbe fatto a me quell'ippopotamo urlante. Mi importava solo di Kurt, soltanto di lui, che piangeva e sembrava stesse davvero soffrendo.
Se scopro che gli hai fatto del male, giuro che ti ammazzo con le mie mani...
Così tornai a guardare David, quella volta sfidandolo con lo sguardo e riducendo la voce di qualche tono
"Perché invece di prendertela con me, non ti fai un esame di coscienza, David? Perché non ti chiedi come mai sei arrivato perfino a sospettare così pateticamente che il tuo ragazzo possa tradirti?" lo provocai pungente e lui difatti cedette appena, forse perché mai si sarebbe aspettato una reazione del genere da parte mia
"Cosa c'è? Ti vedo un pò spiazzato... L'insicurezza è davvero una brutta bestia, dico bene?" e sorrisi, quasi a voler rincarare la dose. Pessima mossa, davvero pessima. Gli ci volle relativamente poco per lasciare il colletto della mia camicia e stringere le grandi mani attorno al mio collo. Colto di sorpresa, sgranai gli occhi e strinsi la grata alle mie spalle. All'improvviso mi mancò il fiato ed il coraggio
"Per l'amor del Cielo, David.. ma sei impazzito? Lascialo stare!" gridò finalmente Kurt, scattando in avanti per bloccarlo. Ma purtroppo non sarebbe bastata la sua forza sommata alla mia per fermare un colosso come lui. Dovevo ricordarmi di fare sia a me che a lui i più sinceri complimenti: ci eravamo scelti davvero un ottimo avversario contro cui schierarci.
"Ti avverto, stronzetto... smettila di prendermi per il culo, altrimenti qui finisce male!" ringhiò tutto rosso in volto, come se tra i due, quello a cui stavano stringendo le mani al collo fosse lui. A me intanto l'aria iniziava lentamente a scarseggiare e sentivo la sua presa farsi sempre più ferrea e le vene pulsare frenetiche. Eppure, trovai la forza per ribattere
"Sei un fallito, David... un misero fallito!" sibilai senza fiato né voce. La stretta aumentò come la rabbia cieca che sembrava guidarlo. Kurt intanto si era attaccato disperatamente al suo braccio per farlo smettere, purtroppo inutilmente
"David, lascialo... così lo ammazzi!" gridò in preda al panico. Tentai un sorriso rassicurante. Se avessi avuto un briciolo di forza in più, gli avrei detto di non preoccuparsi e che di certo non mi sarei fatto mettere sotto da uno così. Eppure, iniziavo ad avvertire chiaramente la testa girare per la mancanza d'aria e il sangue coagulare nella trachea. Provai ad aprire la bocca per respirare meglio, ma fu del tutto inutile. La cosa che in quel momento faceva più male, non era tanto il fatto che stessi per soffocare nel vero senso della parola, ma che avessi usato la mia ultima possibilità per parlare, e l'avessi fatto per rinfacciare a quello stronzo quanto lo disprezzassi. In quel momento, con il senno di poi, avrei preferito rassicurare Kurt, che disperato e con le guance rigate dalle lacrime, strattonava David. Io stavo per soffocare. Lui meritava di essere protetto.
Non piangere per me, piccolo... non farlo...
"Lascialo... lascialo... lascialo... lo vedi che non respira... ti scongiuro... non fargli del male... ti scongiuro!" ormai le preghiere di Kurt erano un soffice sottofondo alla mia percezione che andava pian piano affievolendosi. Iniziavo a sentire le orecchie pulsare e la vista cedere.
Tu guarda quante cose succedono quando viene a mancare l'aria nei polmoni...
Non era affatto come avevo immaginato, non era come andare sott'acqua trattenendo il respiro. Forse era la paura a fottermi: in quel momento sapevo perfettamente che non sarei potuto risalire in superficie per riprendere aria. In quel momento non ero io a decidere della mia vita. Ed era quella la cosa più assurda di tutte. Il fatto che la mia intera esistenza fosse tra le mani di David, stretta nella sua morsa d'acciaio e che io ormai non avessi più neanche la forza per reagire e riprendermela.
Ormai non sentivo neanche più il dolore alla schiena provocato dalla ringhiera. Sentivo solo dei rumori ovattati e pian piano in me si faceva strada la consapevolezza che, forse, stavo morendo. Era così facile andarsene? Bastava davvero così poco? Si può davvero morire per essere andati a letto con il proprio vicino? Si può morire per il semplice fatto di essersi innamorati così perdutamente di qualcuno? Ma soprattutto... a cosa si deve pensare in certi momenti? Bisogna seguire quello che dice la gente e mettersi a scandagliare la propria vita per vedere se le azioni positive superano quelle negative e capire così se aspettarsi l'inferno o il paradiso? Bisogna pregare? Bisogna piangere? Bisogna rilassarsi, chiudere gli occhi ed aspettare che il corpo compia dolorosamente l'ultimo respiro? Bisogna...
"Ma che cazzo fai?" una voce proveniente da chissà dove, un punto imprecisato, forse parte della mia immaginazione, proruppe in quel silenzio surreale e mi vidi quasi subito liberato dalla stretta ferrea delle mani di David, per poi accasciarmi lentamente al suolo.
Aria... Aria... Aria...
Avidamente iniziai a respirare, portandomi le mani al collo dolorante ed avvertii chiaramente il sangue confluire verso il basso. Finalmente. Faceva male riprendere a respirare dopo tutta quell'astinenza, bruciava la gola, i polmoni, perfino la testa faceva male. Quasi fossi stato schiacciato da qualcosa, piuttosto che appeso all'ascensore e quasi soffocato.
Quello che accadde dopo attorno a me, fu tutto confuso. C'era chi gridava, chi minacciava, chi piangeva. Io avevo solo voglia di mettere a tacere quel dolore lancinante che sentivo stringermi la gola. Del resto, ormai, non mi interessava più.

New York City. Ore 00.35 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

"Tieni... bevi questo! Avrai la gola in fiamme!" mi disse Daniel dolcemente, passandomi un bicchiere di acqua. Gli sorrisi riconoscente, massaggiandomi il collo e poi la nuca e mandai giù in un solo lungo sorso tutto il contenuto. Fu sollievo puro, anche se bruciava da impazzire.
"Gra..zie!" biascicai con la voce spezzata.
Eh no.. la voce per favore no...
Feci un lungo respiro, dopodiché guardai il mio amico, arrivato provvidenzialmente a salvarmi il culo poco prima, fermo davanti alla porta-finestra della terrazza, di spalle e con le mani nelle tasche. Brutto segno, davvero brutto segno.
"Bas!" lo chiamai con un soffio, ma immaginai mi avesse sentito. Era un cantante e in quanto tale possedeva un ottimo udito. Ma parve essersene dimenticato perché mi ignorò completamente, così ritentai
"Sebastian!" e quella volta la voce parve tornarmi del tutto, facendomi sospirare di sollievo. Per un attimo avevo temuto il peggio. Sebastian sospirando si girò verso di me. Era stravolto, letteralmente. Aveva gli occhi stanchi, come se fosse stato costretto a guardare qualcosa che non avrebbe voluto. E forse potevo perfino immaginarlo: magari questa immagine riguardava il suo migliore amico, attaccato alla grata di un ascensore, con le mani di un altro strette al collo, paonazzo, e molto probabilmente ad un passo dal rimanerci secco. Un brivido mi percorse per intero la schiena ma provai ad ignorarlo
"Sto bene!" mormorai allora, provando a tranquillizzarlo. Il verso stizzito che emise mi fece capire di aver commesso un grosso sbaglio a parlare
"Non dire puttanate, Blaine.. l'ho visto in che condizioni eri quando siamo arrivati... non oso immaginare cosa sarebbe successo se avessimo ritardato di un altro paio di minuti!" ringhiò frustrato, alzando le braccia al cielo. E mi fece stranamente tenerezza. Quello era il mio migliore amico, il Sebastian che si preoccupava per me, che si disperava per me, che stava perfino per mettersi a piangere per me. Quel Sebastian che a conti fatti mi aveva salvato la vita
"Non è successo niente... sto bene adesso!" ripetei testardo, per farlo calmare
"Niente? Quello tu lo chiami niente?" sbraitò indicando la porta d'ingresso, forse per riportare alla mente la scena di poco prima del pianerottolo. Ma non ce n'era bisogno, la ricordavo perfettamente "Blaine, quel figlio di puttana stava per ammazzarti... senza alcuna pietà!" e lo disse con un tono stridulo, troppo vicino alle lacrime. Daniel se ne accorse e lo raggiunse, posandogli una mano sul braccio. Sospirai stanco: ero consapevole che mi ci era mancato poco e che se non fossero intervenuti Sebastian e Daniel a fermarlo, a quell'ora non sarei stato lì, seduto sul divano del mio prezioso appartamento a cercare di consolare il mio amico. Eppure non mi andava di vederlo soffrire in quel modo. A conti fatti... stavo bene, era questo quello che contava, no? Tra l'altro, David.. era perfino scappato... terrorizzato e con la coda tra le gambe, forse perché troppo spaventato dall'ira funesta di Sebastian - che a stento era stato trattenuto da Daniel, altrimenti su quel pianerottolo ci sarebbe stata un'altra tragedia di cui parlare. E quel gesto, senza ombra di dubbio, mi aveva confermato quanto poco coraggio avesse quel tipo. Aveva avuto la meglio su di me soltanto perché a conti fatti ero più piccolo fisicamente, terribilmente stanco ed ero stato preso nettamente alla sprovvista - e tra l'altro avevo avuto la pessima trovata di approfittare di quel momento per sputargli in faccia il mio rancore, istigandolo maggiormente. Quindi tutto aveva giocato contro di me, fino a quando le cose non si erano rivoltate e David non era rimasto solo contro tutti - uno dei quali, per mia fortuna, aveva il pessimo vizio di scaldarsi facilmente e quel suo caratteraccio, per una volta, mi era stato utile.
Per un istante sollevai gli occhi verso Kurt, seduto nell'estremità opposta del grande divano ad angolo, Cooper accoccolato ai suoi piedi, con un altro bicchiere d'acqua sulle ginocchia ed una mano affondata con disperazione tra i capelli. Sembrava assente, come se avessero fatto del male anche a lui. Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato, soprattutto perché ancora ricordavo le sue lacrime, i suoi singhiozzi, le sue mani che cercavano in tutti i modi di bloccare David ma soprattutto i suoi occhi pieni di terrore, terrore allo stato puro. E sapere che ero stato in un certo senso io a causargli tutto quel tormento... mi faceva sinceramente più male del ricordo ancora fresco delle mani di David sul mio collo, intente a stringere. Ma decisi di rimandare a dopo le parole con Kurt. Avevamo qualcosa da dirci - parecchie cose, in realtà - ma prima dovevo risolvere la questione con Sebastian
Riportai lo sguardo su di lui e sospirai
"Che ci facevate voi due ancora qui?" domandai posando il bicchiere vuoto sul tavolino. Fu Daniel quella volta a rispondere
"Ce ne stavamo andando, in realtà... eravamo quasi arrivati all'incrocio con la 14th strada quando ci siamo accorti di una cosa!" mi disse
"Cioè?" domandai confuso. Sebastian con un sospiro si frugò nelle tasche della giacca e dopo poco tirò fuori qualcosa
"Ti eri dimenticato questo nella mia macchina!" e me lo porse. Solo afferrandolo mi resi conto che si trattava del mio cellulare. Doveva essermi caduto dalla tasca, mentre Sebastian mi riaccompagnava a casa dopo la serata al pub. Feci una smorfia pensierosa e venni colto da una specie di illuminazione: io potevo ritenermi salvo - e ancora vivo - solo ed esclusivamente grazie... ad un cellulare? Il mio iPhone mi aveva salvato la vita?
Senza motivo scoppiai a ridere, passandomi una mano sulla faccia
"Mmm... beato te che hai ancora voglia di farti una risata... a me al tuo posto verrebbe da piangere!" esclamò Daniel, appena divertito
"Oh ma lo farà, Dan, non credere... dagli solo il tempo per metabolizzare la cosa... adesso fa così semplicemente perché gli è mancata per troppo tempo l'aria nel cervello... è una reazione più che normale la sua!" ed ecco il sano umorismo Smythe che tornava alla carica. La sua preoccupazione era durata fin troppo
"Beh a questo punto noi andiamo così... insomma potete... parlare e... vi lasciamo soli!" farfugliò Daniel, afferrando la mano del suo ragazzo e tirandolo verso l'uscita. Sebastian a metà strada si fermò e mi lanciò uno sguardo serio ed eloquente. Sapeva di "Anche io e te dobbiamo parlare, lo sai..."
"A domani Bas... promesso!" lo avvertii per tranquillizzarlo, così sospirò e si lasciò condurre da Daniel fuori dall'appartamento, lasciandomi finalmente solo con Kurt. O almeno, con ciò che ne restava.

New York City. Ore 01.00 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

Era un incubo. Un assurdo ed agghiacciante incubo da cui mi sarei svegliato da un momento all'altro. Aspettavo soltanto il suono della sveglia, o quello del telefono, o quello del camion della spazzatura che immancabilmente mi infastidiva alle sette in punto ogni mattina. Tuttavia era tutto così maledettamente reale che ormai iniziavo seriamente a crederci.
Il rumore di una porta d'ingresso che si richiudeva con un leggero scatto, fu come una fucilata in piena notte, e mi ritrovai a sobbalzare, versando appena il contenuto del bicchiere che avevo in mano, sul pavimento e in parte sulla schiena del cane, che corse via indignato.
"Cazzo!" sbottai affrettandomi ad inginocchiarmi per tentare di asciugare, ma venni anticipato
"Kurt!... Kurt lascia stare... non fa niente!" un paio di mani gentili mi riportarono a sedere sul divano ed io mi lasciai guidare come un automa. Un automa rotto. Il bicchiere che avevo in mano mi venne delicatamente tolto, ed il silenzio che incombeva in quella stanza era diventato quasi assordante. Non potevo continuare a starmene zitto, non dopo quello che era successo. Ma temevo che una singola parola, avrebbe fatto scattare l'inferno. Quindi preferivo mordermi la lingua e tacere
"Kurt..." un sussurro alla mia sinistra mi fece trattenere il respiro. Quella voce. La sua voce quella sera era ufficialmente diventata la mia rovina. La prima volta che l'avevo sentita, attutita dallo spessore della porta d'ingresso, mi ero ritrovato a sospirare felice e a pentirmene soltanto qualche istante dopo. Poi l'avevo ritrovata spavalda e carica di risentimento, rivolta verso qualcuno che non meritava niente di tutto questo. E per un istante, in quei confusi e caotici frammenti che ora affollavano la mia mente, mi ero ritrovato a pensare che, due mani strette attorno alla sua gola, sarebbero state di gran lunga peggio di una coltellata o di un colpo di pistola in pieno petto. Perché uccidere la sua voce sarebbe stato un crimine senza eguali.
Rendersi conto di quanta fortuna avessimo avuto - grazie all'intervento di Sebastian e Daniel - e di quanto avremmo - avrei! - potuto perdere, mi faceva stranamente più male di quanto avessi immaginato. Lui, la sua voce, la sua risata, i suoi occhi, il suo profumo, le sue mani, il suo... tutto!
Dio Blaine.. no...
Strinsi forte gli occhi, poggiando la testa alla spalliera del divano. Doveva finire quell'incubo, necessariamente.
"Kurt, ti supplico, di qualcosa... qualsiasi cosa, ma... fammi capire che stai bene!" sentii ancora. Non fu tanto per le parole che pronunciò, piuttosto per il tono con cui lo fece. Girai di scatto la testa verso di lui, ritrovandolo al mio fianco, seduto di lato, con le gambe incrociate sul divano, fin troppo vicino. Ma la cosa che mi sconvolse più di tutto furono i suoi occhi: grandi e limpidi, quasi lucidi, forse spaventati, ma senza dubbio colmi di preoccupazione. Era per colpa mia se stava così? Si preoccupava davvero per me dopo quello che era successo, quello che stava per succedere?
"Tu che chiedi a me se sto bene..." mormorai "É assurdo!" scossi la testa incredulo. Che strano suono aveva la mia voce in quel momento. Sembrava lontana e assente. Quasi non fosse più mia.
"Perché?" mi chiese allora incerto, avvicinandosi impercettibilmente, trovandosi a sfiorare il suo ginocchio con il mio
"Perché..." mi ritrovai a rispondere senza pensarci "Perché non è giusto... perché.. non credo di meritarmelo... perché, non sono io quello che stava per..." ma mi bloccai, stringendo i pugni sulle ginocchia. No, non dovevo pensarci. Se non lo facevo, la situazione non mi sembrava poi così tanto grave.
Avvertii distintamente un lungo sospiro da parte sua, dopodiché sentii qualcosa sfiorarmi la mano. Ero talmente sovrappensiero da non averlo neanche visto muoversi. Solo quando le sue dita si strinsero delicatamente attorno alla mia mano, realizzai e con uno scatto quasi violento mi sottrassi alla sua presa
"Kurt..." il suo tono era chiaramente intimorito ormai
"No!" esclamai con forza, stringendo le braccia al petto, per sfuggire ad ogni suo tentativo di avvicinamento futuro.
"Perché non mi lasci semplicemente..."
"No, Blaine, no!" gridai allora alzandomi dal divano per combattere l'irrefrenabile impulso di sfiorarlo ancora, anche per sbaglio. Mi afferrai la testa tra le mani e iniziai a camminare nervosamente per il soggiorno. Avevo un disperato bisogno di pensare, ma una paura ancora più disperata di farlo.
"Scusa!" esclamai allora, con un soffio "Scusa... io... non avrei dovuto alzare la voce contro di te, mi dispiace!"
"Non importa. Sei scosso, è normale che tu adesso voglia..."
"Smettila, Blaine... ti supplico... falla finita!" sbottai allora, tornando a guardarlo. Aveva gli occhi fissi su di me, interdetto e stanco. Sospirò ancora
"Di fare cosa?" mi domandò confuso
"Di preoccuparti per me... smettila di essere così schifosamente gentile... mi fai stare solo peggio, lo vuoi capire?" strillai frustrato "Gridami addosso, piuttosto... tirami dietro qualche soprammobile di porcellana, urlami il tuo disprezzo e la tua rabbia... ma smettila di giustificarmi e di far finta che la vittima in questa storia sia io, perché... Questo. Non. Mi. Aiuta!" scandii bene le ultime parole, mentre la voce tremava pericolosamente. Perché non erano ancora arrivate le grida da parte sua, gli insulti, e perché no, i pugni? Perché nei suoi occhi non leggevo il disprezzo, il disgusto e la delusione? Perché non mi aveva ancora cacciato a calci da casa sua, o denunciato per tentato.. omicidio?
Lo guardai, in attesa della sua spropositata reazione. Me la sarei aspettata violenta, furiosa e soprattutto definitiva. Avrebbe chiuso il suo lungo discorso di accusa con la frase "Esci fuori da casa mia e dalla mia vita!" ed io ferito, ma soddisfatto, me ne sarei andato. Avrei pianto un pò - magari per tutta la notte, e le notti a seguire - ma poi sarebbe passato... no?
E invece come sempre, Blaine Anderson mi stupì: scosse la testa, si passò la lingua sul labbro superiore e si alzò, fronteggiandomi. Quando finalmente decise di parlare, lo fece con lentezza e con molta tranquillità. Non come se stesse palando con un pazzo omicida che brandiva pericolosamente una pistola. Lo faceva come sempre, come quando lui era Blaine ed io semplicemente Kurt.
"Kurt... ascoltami bene, perché te lo ripeterò soltanto una volta: quello che è successo questa sera non è assolutamente dipeso da te.. non è stato per colpa tua, e tu non avresti potuto fare nulla per impedirlo. Mi sono semplicemente messo contro la persona sbagliata nel momento più sbagliato che potessi scegliere e ne ho pagato le conseguenze. Ma per fortuna, sono... non mi è accaduto niente. Sto bene e sono preoccupato per te... leggo il terrore nei tuoi occhi, la disperazione e non sapere cosa fare per farteli passare... mi fa sentire inutile e.. impotente. E sì... mi preoccupa di più sapere come stai tu, mi preoccupa sapere se quel pazzo ti ha fatto del male, se ti ha messo le mani addosso, se ti ha minacciato. Mi preoccupa sapere se stanotte riuscirai a dormire e non sarai troppo scosso per farlo. Per quanto riguarda me... mi basta essere certo di continuare a respirare per stare tranquillo!" ed accennò un sorriso rassicurante. Mi mancò il respiro per qualche istante mentre lo guardavo fisso. Il cuore aveva preso a scalpitarmi furioso nel petto e l'impulso di buttarmi tra le sue braccia e stringerlo forte era diventato quasi opprimente. Lo volevo. Ma non per quello che mi aveva detto. Lo volevo e basta, a prescindere da tutto.
Ma mi trattenni, un pò per dignità, un pò perché saltargli addosso in quel modo mi avrebbe fatto esporre troppo, ed espormi troppo avrebbe significato aprire di nuovo i rubinetti e non volevo più piangere, almeno per quella sera. Mi limitai ad alzare una mano verso di lui e a posarla, con tutta la delicatezza di cui disponevo, sul suo collo. Si potevano ancora vedere i segni rossi delle mani di David che stringevano, e stringevano, e stringevano ancora. Glielo accarezzai lentamente, mordendomi un labbro per trattenere un'ondata di lacrime che minacciava di salire. Dio, era tutto così... sbagliato. Lui socchiuse gli occhi, inclinando appena la testa per permettermi di accarezzarlo meglio. Sembrava così indifeso tra le mie mani, che iniziavo a chiedermi come potesse essere sembrato semplice per David fare quello che stava per fare.
"Blaine..." sussurrai con un nodo alla gola
"Shhhh!" fece lui e con un unico fluido movimento, mi afferrò per i fianchi e mi strinse a sé. Mai braccia mi sembrarono più calde ed accoglienti. Fu come essere di colpo tornato a casa, senza alcun peso da portare sulle spalle o brutto ricordo a perseguitarmi. C'erano soltanto Blaine e Kurt, due ragazzi che avevano avuto la fortuna di capitare nello stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo, ai quali il destino sembrava aver giocato uno scherzo ancora più grande, facendoli avvicinare pericolosamente ed affezionare in maniera così profonda. Mi rendevo perfettamente conto che non potevo più permettermi di perderlo. Non sapevo con esattezza che nome avesse quel sentimento tanto forte che sembrava legarmi a Blaine, ma qualsiasi cosa fosse stata, se solo David avesse davvero portato a termine ciò che sembrava intenzionato a fare, non avrebbe ucciso soltanto Blaine... avrebbe inevitabilmente ucciso anche me.
Con questa consapevolezza mi strinsi di più a lui, nascondendo la testa nell'incavo del suo collo, strofinandoci prima il naso e poi le labbra, come a cercare di alleviargli il dolore. La sua mano prese ad accarezzarmi la schiena ad un ritmo lento e rilassante, mentre il suo respiro mi cullava come una ninnananna
"Resta con me stanotte, Kurt... non te ne andare!" mi sussurrò all'orecchio facendomi rabbrividire. Premetti con maggior forza le labbra sulla sua pelle, in risposta e rimanemmo così, immobili in quel soggiorno, a godere ognuno della semplice presenza dell'altro, come unica ancora di salvezza in quello schifo di mondo.

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Capitolo 32
*** Le Emozioni di una Notte ***


Buon Lunedì a tutti... dunque, dopo due dei capitoli più intensi della storia, questa volta ci tocca un capitolo.. decisamente diverso, ma pur sempre molto intenso.. come ho già annunciato è carico di fluff, tanto che sono certa farete fatica ad arrivare alla fine ^^ (perfino io ho fatto taaaanta fatica!) Dunque.. per quanto riguarda David, diciamo che lui è fortunatamente uscito dalla vita di Kurt anche se, la vendetta arriverà state tranquilli e abbiate solo un pò di fede ;) per quanto riguarda questo capitolo... spero vi piaccia, anche perché credo sia importante, soprattutto per quanto riguarda il nostro piccolo Kurt. Un avviso importante.. ad un certo punto della storia sarà necessario aprire un link, che ho messo nel testo, per ascoltare una traccia audio... vi prego fatelo, fatelo e continuate a leggere con quel sottofondo.. (Ovviamente per non perdere la pagina della storia, cliccate con il pulsante destro sul link e premete su, apri il una nuova pagina, altrimenti non potete continuare a leggere!) vi assicuro che ne varrà la pena (ve lo dice una che ha pianto come una ragazzina ç___ç) è davvero importante altrimenti non insisterei. Bene ora vado, buona lettura e.. ci vediamo Giovedì. Un bacio a tutti, angeli miei. Vi amo con tutto il cuore <3
p.s. Questo capitolo pieno di fluff lo devo necessariamente dedicare al mio adorato Dan che oggi aveva un paio di cose da affrontare.. io sono convinta andranno entrambe per il verso giusto, anche perché.. credo in te, sweety :* Love you!
n.b Pagina Facebook ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )





New York City. Ore 02.34 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

Capitava a volte, durante la notte, che mi ritrovassi a rotolare da una parte all'altra del letto: magari mi addormentavo dal lato sinistro e mi risvegliavo su quello destro o addirittura ai piedi del letto con tutte le coperte arrotolate attorno. E in fondo era proprio questo il bello del vivere da soli ed avere a disposizione due piazze tutte per me. Non trovare nessun limite, nessun impedimento per i movimenti e soprattutto nessuno che mi strattonava durante la notte per rubarmi le lenzuola.
Eppure, quando in quel momento, mi risvegliai di soprassalto, mi resi conto che qualcosa, in quel letto, mancava davvero. Era tutto troppo vuoto e freddo ed io mi sentivo stranamente inquieto. Così abbandonai il cuscino per tirarmi su e raggiunsi il salotto, completamente immerso nel buio e nel silenzio. Soltanto le luci lontane provenienti dalla città lo illuminavano leggermente, creando un bellissimo gioco di luci ed ombre che mi sarei volentieri messo a contemplare, se solo non fossero state le due e mezza di notte e non avessi altri pensieri urgenti per la testa da risolvere. Come avevo immaginato, seduto sul divano bianco, con le ginocchia strette al petto ed il mento poggiato su esse, c'era Kurt.
Aveva lo sguardo perso in chissà quale mondo, lontano dalla realtà e non sembrò affatto accorgersi della mia presenza, per questo mi concessi qualche istante per poterlo osservare attentamente. Era bellissimo anche con quel piccolo broncio tormentato sul viso, sembrava ugualmente un angelo cristallino e leggero fatto di chissà quale sostanza inafferrabile. Eppure io ci ero riuscito.. avevo stretto a me quel magnifico corpo più di una volta e ancora faticavo a trovare le parole adatte per descrivere cosa esattamente avessi provato in quelle rare ma preziosissime occasioni. Ero diventato una specie di privilegiato. E sapevo benissimo di non meritarlo affatto. Fu Cooper - il cane quella volta - ad interrompere quel momento di soffice stasi, alzando la testolina dal divano, di fianco a Kurt, ed abbaiando leggermente nella mia direzione. Così anche lui si girò e, dopo un primo momento di leggera confusione, parve ricordarsi di qualcosa e mi sorrise di conseguenza. Ed io, forse per il freddo o molto più probabilmente perché ancora non ero abituato all'effetto che poteva avere quel semplice gesto su di me, mi ritrovai a tremare appena.

"Ehi..." mormorò poggiando il mento sulla sua stessa spalla. Io, finalmente, riprendendomi dal solito panico iniziale, risposi al sorriso e mi avvicinai al divano
"Non riesci a dormire?" gli domandai, sedendomi al suo fianco. Lui fece una smorfia
"Tutto il contrario... ho un sonno tremendo, ma... ho paura di chiudere gli occhi e.. ritrovarmi ancora la stessa scena davanti... ritrovare ancora David che ti stringe le mani al collo e... ritrovarmi di nuovo immobile ed impotente!" mormorò in un leggero sussurro, spostando di nuovo gli occhi sul paesaggio esterno e sospirando. Stava ancora male, si vedeva chiaramente... d'altronde non avevo di certo creduto di risolvere tutta la sua angoscia così, semplicemente con un abbraccio. Avevo immaginato che sarebbe stato difficile aiutarlo a riprendersi dopo uno shock del genere, ma il semplice fatto che, in quel momento, avesse deciso di parlarne e di mettere da parte il mutismo forzato... mi sembrava un netto miglioramento.
"Mmmm... questo è proprio quello che temevo." mormorai io, con una mezza smorfia, ricordando esattamente la paura che avevo espresso a voce appena un'oretta prima, in quello stesso salotto. E quella paura si era appena materializzata, davanti ai miei stessi occhi. Lui tornò a guardarmi e per un istante mi sentii come trapassato da parte a parte dall'intensità dei suoi occhi chiari... ed era come se, nei miei occhi, cercasse risposte a delle domande inespresse
"É colpa di questa maledetta voragine che mi si è aperta nel petto e che continua a bruciare." spiegò scuotendo la testa, quasi non riuscisse più a controllare neanche quello. La mia reazione fu più o meno la stessa: anche io avvertii qualcosa crepare all'interno del petto, più o meno all'altezza del cuore e bruciare intensamente. Era una specie di tormento profondo, una sorta di amara consapevolezza... io dovevo fare qualcosa per Kurt, dovevo provare a liberarlo da quella sensazione attanagliante che gli impediva perfino di chiudere gli occhi, dovevo aiutarlo a rialzarsi, a guarire, a ritrovare la forza, il... coraggio... quello stesso coraggio che sembrava aver recuperato dopo chissà quanto tempo la sera del suo compleanno, dovevo provare a ridargli il sorriso, perché Kurt senza sorriso perdeva ogni bellezza ed ogni significato.. ed io senza il sorriso di Kurt, ero davvero niente.
Così, lanciando un'occhiata pensierosa verso la parete alla mia destra, mi venne un'idea e sperai che, per quanto folle e azzardata e assurdamente illogica potesse essere, riuscisse a restituirmi almeno in parte, il mio meraviglioso Kurt, il ragazzo di cui mi ero innamorato.
"Aspetta... forse ce l'ho un modo per farti tranquillizzare un pò..." esclamai, rivolgendogli un sorriso e ritrovandomi stranamente ad arrossire. Lui curioso, piegò la testa di lato
"Sarebbe?" domandò in un sussurro soffice. Mi alzai in piedi e gli tesi la mano, in trepidante attesa del suo tocco
"Ti fidi di me?" gli chiesi, in una richiesta quasi disperata, mentre all'interno del mio stomaco si agitavano le più disparate sensazioni. Era ansia, mista a paura, mista all'attesa. Era senza dubbio un mix altamente tossico. Lui, però, riuscì a trovare l'antidoto in brevissimo tempo, limitandosi a stringermi la mano e a rivolgermi uno dei sorrisi più dolci e coinvolgenti che avessi mai visto.
"Sì..." e fu solo un breve soffio, ma per me valse più di mille parole dette ad alta voce. Fu la conferma che aspettavo, fu la medicina che riuscì a sciogliere il nodo che avevo allo stomaco e riuscì perfino a sanare quella ferita che mi pulsava nel petto. Lui si fidava di me. E a me veniva quasi da piangere.
Lo condussi, premurandomi di stringergli forte la mano, fino alla tastiera elettrica e lo feci sedere sulla piccola panca imbottita che c'era davanti, per poi sedermi al suo fianco
Esattamente come durante Perfect...
"Blaine... sono le due di notte! Se ti metti a suonare ora, verrà giù tutto il palazzo." esclamò divertito, facendo ridere anche me. Ci mancavano solo i reclami da parte degli altri condomini. Già mi ero meravigliato che dell'accesa discussione tra David e Sebastian nessuno avesse avuto niente da ridire... disturbare anche il loro sonno mi sembrava quanto meno eccessivo. Così mi sporsi di lato, verso la scrivania e recuperai le cuffie. Gli sorrisi, infilandogliele con molta delicatezza - e lui mi fece fare, senza dire niente, semplicemente guardandomi e continuando a sorridere - e, infilando lo spinotto nella tastiera esclamai
"Magia!" si sentì un piccolo clic, segno che le cuffie erano ufficialmente collegate e Kurt era appena stato isolato dal resto del mondo, ma... non da me. Avevo in mente un ottimo modo per tenermelo ancorato al mio fianco, per più tempo possibile. Lui continuava a guardarmi, come rapito, e fu disarmante scoprire quanta reale fiducia potessi ritrovare i quei due occhi chiari. Era come se mi stesse affidando tutto se stesso ed io per un istante mi sentii mancare il fiato. Lui si stava lasciando andare, lasciava anche per un solo istante, la sua preziosa vita nelle mie mani ed io iniziavo seriamente ad aver paura di non essere all'altezza. Perché io di cazzate nella mia vita ne avevo fatte tante, tutte più o meno gravi, e mi faceva male anche solo pensare di poter rovinare qualcosa di così puro e prezioso come lui. Non sapevo come dirgli grazie e come dimostrargli quanto quella sua fiducia facesse effetto su di me e forse non avrei mai trovato le giuste parole per farglielo capire. Forse perché, per un momento del genere, le parole semplicemente non servivano. Servivano i fatti... servivano... i sentimenti.
E così gli sorrisi ancora - non riuscendo a fare altro - e sporsi appena la testa verso di lui, dato che eravamo davvero vicinissimi, fino a sfiorare delicatamente le sue labbra in un tocco così soffice da essere quasi inesistente, per poi mormorare, a quella distanza
"Chiudi gli occhi!" e lui, per la seconda volta, mi dimostrò qualcosa di inspiegabile, qualcosa che andava a di là di ogni pensiero lontanamente logico e coerente, perché mi dimostrò ancora la sua fiducia, chiudendo gli occhi e regalandomi un altro sorriso spontaneo. Ed io, di conseguenza, sentii di essermi innamorato di lui, appena un pò di più.
Presi un profondo respiro, dopodiché poggiai le mani sui tasti. Avevo le dita intorpidite, che tremavano e facevano ancora leggermente male. Le avevo strette troppo a lungo a quella maledetta grata mentre perdevo il respiro tra la stretta di David, e forse era davvero troppo presto o troppo stupido, sperare di poter chiedere loro uno sforzo del genere, dopo tutto quello. Ma dovevo provarci, lo dovevo fare per Kurt... e forse un pò anche per me.
La musica ha il potere di curare e fare stare bene... devo solo trovare il coraggio di iniziare...
E il coraggio arrivò proprio nella maniera più inaspettata. Kurt, ancora prima che io iniziassi a suonare, scivolò appena al mio fianco, fino a poggiare la testa sulla mia spalla e lì, a pochissimi centimetri dal mio collo, si lasciò scappare un sospiro. E fu proprio quello a darmi la forza per mettere da parte la paura, il tremolio alle mani e perfino il dolore e iniziare la mia melodia.

New York City. Ore 02.45 A.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

Quando, nel cuore della notte, mi ero svegliato ed ero sgattaiolato delicatamente fuori dalle coperte, tutto avrei immaginato di fare tranne ritrovarmi, appena venti minuti dopo, seduto su uno sgabello, con delle cuffie enormi in testa e in attesa di qualcosa che a quanto pareva, aspettava solo di essere prodotto dalle mani di Blaine. Ed era buffo perché, nonostante non avessi la minima idea di quello che sarebbe successo da lì a breve, sapevo perfettamente che, qualsiasi cosa avesse fatto, Blaine sarebbe stato incredibile, come sempre. Incredibile come era stato nell'affrontare quella furia di David, incredibile come era stato nel calmare Sebastian, incredibile come era stato come me. Quella sera, dopo avermi chiesto di rimanere a dormire con lui e di non andarmene, io non ero riuscito neanche a rispondergli. Forse perché non esistevano parole adatte per esprimere cosa in quel momento avessi provato e forse perché un banale sì avrebbe sminuito tutto. Mi era semplicemente sembrato giusto tacere e lasciarmi andare al calore del suo abbraccio perché d'altronde quello, sembrava aver deciso per entrambi.
Mi aveva guidato fino in camera da letto, come la prima volta che avevamo fatto l'amore, e senza dire una sola parola, ci eravamo spogliati dei vestiti - lui mi aveva perfino prestato un pigiama, che... cazzo... profumava di lui - e ci eravamo infilati sotto le coperte. Non seppi dire con precisione chi dei due si era avvicinato prima all'altro, solo che, pochi istanti dopo, ci eravamo ritrovati praticamente incollati, lui con le braccia a stringermi le spalle ed io a respirare direttamente sulla sua pelle del collo. Ed era meraviglioso... confortante e appagante, una delle migliori sensazioni mai provate. C'era il calore, c'era la tenerezza e c'era un pò di quella tranquillità che mi era tanto mancata in quegli anni ma che con lui sembrava sempre presente. Blaine era la mia isola felice, la mia aurea di protezione, il mio porto sicuro e tranquillo, la barriera che protegge dalla bufera del mare aperto... Blaine rappresentava tutto quello che dalla vita avevo sempre sperato di avere, ma non avevo mai osato chiedere.
Solo che, meno di un'ora dopo, mi ero risvegliato di soprassalto proprio perché un'improvvisa presenza oscura si era intrufolata nel mio armonico sogno, mi aveva strappato con forza dalla stretta di Blaine e sembrava perfino intenzionata a portarlo via, lontano da me. Ed era stato allora che avevo aperto gli occhi, spaventato e con il panico che scorreva veloce sottopelle, ed ero riuscito a calmarmi solo quando al mio fianco avevo visto lui, con i ricci in disordine e l'espressione beata di chi sa di trovarsi perfettamente al sicuro. E lui, infatti, ormai era al sicuro... lontano da David e dalla sua rabbia repressa e dai suoi modi violenti del cazzo. Dio, quanto aveva rischiato per colpa mia e quanto rischiava ancora standomi accanto. Io non ero certo di quali sentimenti provassi nei suoi confronti ma... sapevo che erano forti e che ogni giorno sembravano intensificarsi in maniera esponenziale. Avevo già detto di non riuscire più a concepire la mia vita senza di lui.. forse questo, per il momento, sarebbe bastato per spiegare cosa esattamente provassi.
Con un nodo alla gola, avevo allontanato il suo braccio e mi ero alzato dal letto e, facendo molta attenzione, ero andato in salotto, rimanendo perfettamente immerso nell'oscurità della notte che, in quel momento, sembrava avere qualcosa di stranamente confortante. Forse perché al buio le lacrime non si vedono, o forse perché le persone non vengono quasi uccise, o forse... forse era quello che mi serviva... punto e basta. Così mi ero seduto accanto a Cooper - che stranamente non ci aveva raggiunti nel letto quella sera - e mi ero perso nei miei pensieri, nei miei stessi incubi ad occhi aperti, nei miei demoni persecutori che minacciavano ancora di tornare. E mi persi talmente tanto che mi accorsi di essere osservato solo quando il cane abbaiò piano per avvisarmi. Vederlo in piedi in quel salotto, con gli occhi incredibilmente stanchi e l'espressione preoccupata, mi aveva fatto incrinare qualcosa dentro. Si era sentito un leggero trac, e poi più niente. Avevo accantonato la sensazione solo perché immediatamente lui era riuscito a sostituirla con il sollievo della sua vicinanza. Non seppi come ma, ad una sua domanda, mi ritrovai a buttare fuori tutto, per la prima volta, senza opporre resistenza, senza chiudermi a riccio, senza indossare la mia solita maschera. Perché con lui quel tipo di stratagemmi non servivano.. iniziavo seriamente a dubitare che a Blaine Anderson sarebbe andata bene una risposta di circostanza per una domanda specifica. Se lui chiedeva come mi sentissi... voleva saperlo davvero e pretendeva di farlo senza mezze misure. Io dovevo solo farci l'abitudine e accettare un gesto tanto semplice quanto sincero.
E poi era arrivata la proposta.. mi aveva chiesto di fidarmi perché lui forse avrebbe trovato un modo perfetto per tranquillizzarmi ed io, senza sapere né come né perché mi ero ritrovato con il cuore in gola, sospeso a mezz'aria e con un leggero sbattere di ali nello stomaco, a seguirlo fino alla tastiera, a sedermi al suo fianco, ad indossare le cuffie, a poggiare la testa sulla sua spalla, a chiudere gli occhi e a sospirare. E ad attendere.... qualcosa. Come era successo la sera del mio compleanno, ero in fibrillazione, perché oltre a non sapere cosa aspettarmi da lui, non sapevo neppure cosa aspettarmi da me. Ero diventato imprevedibile per quanto riguardava le reazioni a caldo. Ma forse era normale così... avevo soppresso le emozioni per troppo tempo e ormai, avendo trovato il modo migliore per fare confluire all'esterno ed aver constatato che quello che provavo, mi piaceva molto... non riuscivo più a smettere. E a pensarci bene, il novanta per cento delle nuove e meravigliose emozioni provate in quell'ultimo periodo, era dipeso esclusivamente da Blaine.
All'improvviso, proprio mentre iniziavo a chiedermi cosa stesse combinando in tutto quel tempo e perché non si decidesse ad iniziare, qualcosa accadde. Lui iniziò a suonare: (Cliccami) fu qualcosa di estremamente lento e scandito, all'apparenza con note molto semplici ma fin da subito ci fu qualcosa... qualcosa di armonico ed etereo. Sentii immediatamente una stretta allo stomaco e fui quasi tentato di riaprire gli occhi e chiedergli di fermarsi, chiedergli perché avesse scelto di suonare quella melodia così intensa, così piena e soffice e perché avesse scelto di farlo proprio in quel momento, quando io mi sentivo così dannatamente esposto. Eppure non ci riuscii, sentii il respiro tremare, ma non feci nulla. Presi un profondo respiro, mentre la musica si alzava appena e diventava più veloce, restando ugualmente limpida e profonda. C'era qualcosa in quelle note, che andava al di là della semplice esecuzione ordinaria... era come se fossero direttamente le emozioni a premere sui tasti, come se le mani di Blaine fossero semplicemente succubi di qualcosa di ben più grande e potente. A mano a mano che la melodia andava avanti ed iniziava i primi giochi armonici, i primi giri, le prime evoluzioni io sentii qualcosa di intenso ed avvolgente stringermi la bocca dello stomaco ed il cuore rallentare dolcemente i battiti, quasi avesse capito di non dover disturbare e avesse deciso di farsi da parte per permettere alla musica di battere al posto suo.
Mi ritrovai, senza neanche accorgermene, a piangere silenziosamente sulla sua spalla e a stringere forte un labbro tra i denti perché in quella melodia, così dolce e sentita c'erano tutte le emozioni che provavo, anche quelle che sembravano non avere un nome, tutto quello che provava lui, tutto quello che ci aveva uniti fin dal primo momento ed era tutto lì, a portata di mano... bastava soltanto allungarsi un pò per afferrarlo. C'era il primo sguardo che ci eravamo scambiati di sfuggita nell'androne del palazzo, c'era la prima parola che ci eravamo rivolti, il primo sorriso sincero, il primo tocco, il primo sentimento nato forse inaspettatamente ma ancora vivido e pulsante da qualche parte nel mio corpo, la prima tiepida voglia di qualcosa di più, la prima paura di perdere tutto e quella meravigliosa ed inspiegabile sensazione di sicurezza e pienezza assoluta che avevo già provato durante Perfect, oppure mentre indossavo il suo braccialetto e che continuavo a provare anche mentre lui suonava.
Ogni nota, ogni singolo suono prodotto da quei tasti e da quelle meravigliose mani sembrò avere un senso, tutto sembrò improvvisamente acquistare un nuovo significato, perfino la mia presenza lì in quella casa, soprattutto quella sensazione ancora sconosciuta ma piacevolmente confortante che avvertivo riscaldarmi il cuore. E fu proprio mentre le lacrime mi scivolavano via dalle guance e sparivano inghiottite dal tessuto della sua maglia, che capii e riuscii finalmente a dare un nome a tutto: era amore, era amore quello che provavo, era amore allo stato puro, era amore sincero ed incondizionato, era amore all'ennesima potenza, era... semplicemente amore. Io mi ero innamorato di Blaine e lo avevo fatto nella maniera più profonda e sconvolgente, lo avevo fatto senza neanche accorgermene, senza neanche volerlo. Io e lui ci eravamo legati in maniera fin troppo intensa e l'unico epilogo possibile era esattamente quello più bello, dolce e maledettamente giusto. Ed era strano rendersene conto solo in quel momento perché, pensandoci, pensando a lui e a quanto avesse fatto per me, a quanto mi avesse dato senza riserve né pentimenti, a quanto fossi esposto e meravigliosamente succube della sua presenza... beh, era quasi assurdo non averci fatto caso prima. Ed ecco perché mi ero sentito tanto male mentre David tentava con la forza di portarmelo via, di strapparlo via dalla mia vita, di cancellarlo. Io senza Blaine non ero niente, perché niente era la mia vita prima di lui, niente era la mia vita senza il suo sorriso, o i suoi occhi dorati, o il suo abbraccio profumato, o la sua presenza silenziosa, consapevole e confortante. Io senza Blaine non era nessuno... e ad essere nessuno, non si impara nulla. Io invece con lui avevo imparato davvero tanto, anche in un solo misero mese. Avevo imparato ad avere fiducia negli altri, avevo imparato a capire a chi potessi affidarmi e a chi no, avevo imparato a lasciarmi andare, a cercare sempre il meglio e a non aver paura di essere felice. Ed era stato lui ad insegnarmi tutto quello, con sincerità, con la sua semplice forza d'animo, con la sua trasparenza, la sua lealtà e la sua straordinaria dolcezza che ancora una volta, veniva fuori, attraverso quella melodia. Ogni nota, che lentamente si dirigeva verso la fine, rallentando ancora il ritmo, andò a sistemarsi perfettamente nella mia mente, incidendosi a fuoco, contornando quasi la scritta Courage che già era lì, e quello stesso coraggio mi diede la forza di sorridere, sorridere nonostante le lacrime non cessassero di cadere, nonostante io mi sentissi ancora stravolto da tutto quello che stavo vivendo. Era una ninnananna, una perfetta ed avvolgente ninnananna ed io mi sentivo cullato e protetto. E sentivo anche che, tenere ancora gli occhi chiusi, aiutasse ad avvertire e a vivere tutto in maniera amplificata.
Purtroppo la canzone finì, decisamente troppo presto ed io mi ritrovai a trattenere il respiro: avrei dovuto riaprire gli occhi e fare i conti con la realtà, con quella stessa realtà che comprendeva il ragazzo che mi ero accorto di amare e che mi aveva appena regalato una delle emozioni più belle che potessi mai sperare di provare. E forse fu proprio quello, la consapevolezza che ad attendermi ci sarebbe stato lui e lui soltanto, a permettermi di compiere quel gesto tanto difficile e contemporaneamente a riuscire a renderlo la cosa più semplice del mondo. Vidi ovviamente tutto appannato per colpa delle lacrime, ma me ne liberai all'istante con un gesto della mano. Nettamente più difficile fu sollevare la testa, abbandonando il giaciglio comodo della sua spalla per poterlo finalmente guardare negli occhi ma, non appena mi sentii in grado di farlo e riuscii finalmente a scorgere cosa fosse impresso nel suo sguardo dorato, mi sentii mancare: si era commosso anche lui e, seppure non stesse piangendo, era comunque chiaramente provato. I nostri occhi si fusero, come era normale che fosse, e la stretta che avvertivo allo stomaco aumentò appena, mentre mi rendevo vagamente conto di quanto, quella semi-oscurità, lo rendesse ancora più bello del solito e di quanto io
fossi stato fortunato ad averlo incontrato. E di conseguenza, sentii di essermi innamorato di lui, appena un pò di più. Le sue labbra si stirarono in un sorriso mite, appena un pò tremante e alla fine fu proprio lui a fare la prima mossa, interrompendo quel silenzio surreale. Mi tolse delicatamente le cuffie dalle orecchie e le poggiò sulla tastiera, dopodiché, prendendo un profondo respiro, parlò
"Allora... va un pò meglio?" la sua voce, la sua meravigliosa voce era senza dubbio l'unica cosa al mondo per la quale sarei morto volentieri e l'unica cosa al mondo con la quale avrei interrotto senza problemi quel momento. Soltanto lui avrebbe potuto farlo. Nessun altro.
"Dio.... Blaine è.... stato..." ingoiai a vuoto, mentre la voce mi si affievoliva, incrinata sensibilmente da tutta una serie di emozioni indescrivibili a parole, ma che si affollavano nel mio stomaco, sgomitando con le farfalle. Ma alla fine, dopo un sospiro tremante riuscii a tirare fuori qualcosa di sensato "Da togliere il fiato!" mormorai infatti, sciogliendomi letteralmente in un sorriso spontaneo e commosso, che mi inumidì nuovamente gli occhi. Quella volta, però, sentivo che, se mi fossi messo a piangere davanti a lui, non me ne sarei affatto vergognato. Doveva vedere chiaramente quali emozioni era riuscito a suscitare in me e se per farlo avessi dovuto tirare di nuovo fuori le lacrime, beh... per Blaine Anderson l'avrei fatto. Lui sembrò sinceramente contento per quello che gli avevo appena detto, ma non aggiunse altro. Si limitò a sorridere e ad abbassare per un istante gli occhi. In quel momento avrei dato tutto quello che avevo per leggergli nella mente e capire a cosa stesse pensando perché, nonostante avesse distolto lo sguardo, lo vidi chiaramente arrossire e quel gesto mi strinse teneramente il cuore. Così, senza riuscire più a sopportare di rimanermene fermo, gli portai una mano sotto il mente e lo costrinsi a sollevare gli occhi e a posarli di nuovo su di me, esattamente dove volevo che fossero e dove sperai vivamente rimanessero per molto tempo ancora. Con la punta delle dita gli accarezzai una guancia, risalendo prima lungo la mascella - appena contratta - e poi più su, dove un leggero strato di barba mi solleticò appena. Ed era tutto così silenzioso e intenso e carico di emozioni che per un istante mi ritrovai a sperare che tutto fosse andato diversamente, che tutto avesse preso una piega diversa.
"Perché è andata così? Perché non ti ho incontrato prima? Perché... quattro anni fa... non sei stato tu?" domandai, più che altro a me stesso, in una nota appena disperata. Lui in un primo momento non capì, piegò infatti la testa di lato e si fece uscire una piccola ruga in mezzo alla fronte, ma alla fine, sembrò fare due più due perché spalancò appena gli occhi ed espirò lentamente

"C'è sempre un motivo per tutto. Io evidentemente in quel momento non ero il tuo!" mormorò con le labbra appena tremanti e si concesse un sorriso stanco verso la fine che mi spinse a dire qualcosa di estremamente importante... qualcosa che spingeva inevitabilmente per uscire e che non riuscii - o forse semplicemente non volli - trattenere
"Ma lo sei ora." gli dissi in un sussurro, stringendogli i capelli sulla nuca ed avvicinandogli la testa alla mia, fino a far toccare le nostre fronti. Non era di certo una dichiarazione di amore, sarebbe stato troppo presto dirglielo già in quel momento, dato che io stesso lo avevo appena realizzato. Però era qualcosa di ugualmente importante: era Kurt che diceva a Blaine di essere pronto per mettersi in gioco, per lottare per qualsiasi cosa stesse crescendo a dismisura tra di noi, e quella volta sul serio. Niente e nessuno mi avrebbe fermato quella volta, nessuna paura, nessuna insicurezza, nessun fottuto fidanzato quasi assassino lo avrebbe fatto. Volevo vivermi Blaine e desideravo farlo da quel preciso momento in poi.
"Se tu vuoi.... sì... posso esserlo ora." rispose in un soffio, spostandosi appena, quanto bastò per lasciarmi un piccolo e soffice bacio su uno zigomo. Aveva detto di sì... era intenzionato a provarci, a lottare e a proteggere quel sentimento insieme a me. Lo aveva detto davvero ed era sincero. Non potevo crederci... era come se mi avesse appena messo a disposizione il suo mondo e tutto sé stesso e lo avesse fatto senza neanche pensarci. Quindi... lo voleva anche lui? Cosa diavolo era successo nel frattempo? Da quando esattamente la vita aveva iniziato a sorridermi e cosa avevo fatto per meritarmi un tale regalo da quella stessa vita che mai, prima di allora, mi aveva donato qualcosa? Probabilmente Blaine rappresentava tutto ciò che non avevo mai avuto, accumulato in quei lunghi anni e ora servito su un piatto d'argento. Perché si sa... dopo la discesa si deve, per forza, risalire. E Blaine era su in cima, con le braccia aperte ed il suo sorriso mozzafiato, in attesa del mio arrivo.
"Se solo penso a cosa avrei perso se David ti avesse..." ma lui mi bloccò, mettendomi un dito sulle labbra
"Shhh... basta! Non parliamone più." disse scuotendo la testa e fece scivolare il dito lentamente lungo il contorno della mia bocca, stringendo appena gli occhi e facendomi arrossire. Cielo, i suoi occhi in quel momento. Erano luminosi e grandi e colorati di qualcosa che ormai avevo imparato a conoscere bene, che era tanto vicino al desiderio da fare quasi paura. Avvertii un fremito, provenire dal basso e raggiungere ogni terminazione nervosa. Il mio corpo era vigile e attento e riceveva ognuno dei messaggi che il corpo di Blaine inviava. A quella distanza poi, eravamo quasi diventati una cosa sola. Ed io avevo sempre più paura di fargli male, anche semplicemente respirando
"Non riesco... è... è più forte di me... è un pensiero che mi distrugge!" mormorai con la voce ancora leggermente instabile. Erano le emozioni a controllarmi e ne ero quasi completamente sopraffatto. Mi sentivo ancora una volta succube della sua presenza, eppure in tutto quello non riuscivo a trovarci nulla di sbagliato. Al contrario... per la prima volta nella mia vita sentivo di essere nel luogo giusto al momento giusto e con la persona giusta. Perché ero io, prima di tutto, ad essere giusto.
"E allora vediamo se riesco a fartelo dimenticare io." fece lui con un mezzo sorriso malizioso e si avvicinò di nuovo a me, quella volta posando le labbra sulle mie e premendo piano
"Dimenticato?" chiese in un soffio, scostandosi appena ed io mi ritrovai a sorridere e a volerne immediatamente di più
"Non proprio.." borbottai infatti e lui tornò a baciarmi, appena più a lungo, sempre incredibilmente soffice ma decisamente più intenso
"E adesso?" e si stava divertendo anche lui, decisamente
"Non completamente." ma, di sicuro, ci stavamo prendendo gusto entrambi. E quella volta il bacio fu completamente diverso. Fu un perdersi, un cercarsi e un ritrovarsi insieme, fu un miscuglio di labbra che sembravano legate, e lingue che danzavano in sincrono e respiri fusi in un unico respiro. Fu perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Fu cercare disperatamente un appiglio. E soprattutto fu ritrovare la giusta collocazione nel mondo. E tutto, in quel mondo, aveva il sapore di Blaine
"Ora?" mi sfidò con un sorriso, mentre la sua mano mi percorreva lentamente il collo fino alla spalla e lì rimaneva ancorata. Mi scappò di nuovo da ridere, perché sembrava aver preso seriamente quella missione, quasi fosse di vitale importanza
"Blaine... ti toccherà consumarmi prima di riuscire nell'impresa!" lo ammonì divertito, colpendolo con una piccola spallata e facendolo ridacchiare. Il suono della sua risata, dopo quello della sua musica, era in assoluto la melodia più sconvolgente di tutte. Sollevò un sopracciglio con una piccola smorfia canzonatoria
"E sarebbe una prospettiva tanto terribile?" domandò leccandosi palesemente il labbro superiore, tanto per provocarmi ancora un pò. Come se non fossi già in una pessima condizione. Ridacchiai, scuotendo appena la testa e pensando che, ad una sensazione tanto rilassante come quella, difficilmente mi sarei abituato.
"Direi di no!" confermai, rubandogli un altro bacio e un pò di quel sorriso buono che gli aveva illuminato lo sguardo, sperando che, così facendo, sarebbe rimasto meglio impresso nella mia mente. Mi girai appena con il busto fino a che non riuscii ad avvolgergli le spalle in un abbraccio e nascosi immediatamente la faccia nel suo collo, con delicatezza, perché immaginavo fosse ancora rosso e dolorante.
"Grazie!" mi uscì dalle labbra, senza che potessi fermarlo, e subito mi sentii bene, perché era esattamente ciò che volevo dire
"Smettila di ringraziarmi, Kurt.. non ne hai motivo." mormorò lui, lasciandomi un leggero bacio sulla tempia e stringendomi a sua volta.
La mia isola felice, la mia aurea di protezione, il mio porto sicuro e tranquillo, la barriera che protegge dalla bufera del mare aperto... Il mio dolce e bellissimo Blaine...
Rimanemmo in quella posizione talmente tanto a lungo che per un momento credetti di essermi di nuovo addormentato. Mi sentivo bene, ero circondato dalle sue braccia e schiacciato contro il suo corpo caldo... cos'altro bisognava ottenere prima di varcare le porte del Paradiso? Poi ad un tratto la sua voce tornò a farsi sentire, carezzevole come sempre
"Torniamo a letto?" mi domandò e si intuiva dal tono che tirò fuori quanto fosse stanco e quanto bisogno avesse di dormire, almeno un pò prima di andare a lavoro. Lui doveva svegliarsi alle quattro e seppure quella fosse la sua ultima volta, doveva comunque compiere il sacrificio. Lo avevo tenuto io sveglio fino a quell'ora, era colpa mia se era andato a dormire tardi e se un bestione alto il doppio lo aveva quasi ucciso - e nel pensare di nuovo a quella scena, mi sentii mancare e lo strinsi appena un pò più forte - e se fosse stato necessario, lo avrei portato in braccio fino in camera, gli avrei rimboccato le coperte ed avrei vegliato sul suo sonno, per tutto il resto della sua notte.
"D'accordo." mi allontanai da lui, mantenendo il contatto visivo - potente come al solito - e subito cercai la sua mano per stringerla forte e insieme ci alzammo dallo sgabello, abbandonando la sua tastiera e quel piccolo angolo di paradiso che ci eravamo creati, che lui aveva creato appositamente per me e che insieme avevamo riempito di baci e abbracci e speranze e sospiri e forse un pò anche di amore.
Mi fa ancora un certo effetto associare a me quella parola... io non sono affatto abituato...
Lentamente, come se stessimo fluttuando su una nuvola, ci dirigemmo verso il corridoio, in direzione del letto, ma venni colto da un pensiero, così mi bloccai, trattenendo anche lui
"Mmm.. Blaine?"
"Sì?" mi guardò curioso, in attesa. Io mi girai verso il divano e sorrisi
"Possiamo portare anche lui?" indicai il piccolo Cooper, stretto nel suo stesso calore, che ci guardava di sottecchi, quasi aspettasse qualcosa da noi. Blaine al mio fianco ridacchiò
"É ancora troppo piccolo per essere usato come cane da guardia!" mormorò stringendomi appena la mano. Ridacchiai anche io, lanciandogli un'occhiata a metà strada tra la supplica e la sfida
"Ma è della giusta taglia per fare il cane da coccole." gli feci notare, sollevando un sopracciglio, per sottolineare l'eloquenza della cosa. Rise di gusto, decisamente intenerito, per poi alternare per qualche secondo lo sguardo tra me e il cane. Probabilmente Cooper aveva capito che stavamo parlando di lui, perché si stiracchiò e si sedette, sbattendo la codina, in maniera impaziente. E alla fine, con un sospiro, arrivò il verdetto del padrone
"E coccole siano allora!" esclamò sorridendo ad entrambi, mentre dalla gola mi saliva un mezzo urletto di gioia, che provai a mascherare con una risata. Blaine mi sorrise ancora, con più intensità - Dio, le fossette! - dopodiché si allontanò per avvicinarsi al cane e prenderlo in braccio "Vieni qui, campione... sei desiderato in cassa!" e Cooper abbaiò, quasi per ringraziarlo. Quel cane era stato estremamente discreto. La prima volta che mi ero fermato in quell'appartamento, se n'era rimasto sul divano a dormire per tutta la notte, quando invece era stato ospite assieme al suo padrone, nel mio, ci aveva raggiunti solo quando ormai avevamo finito di fare quello che stavamo facendo e si era giustamente unito per combattere la solitudine. Quella sera invece, per ironia della sorte, eravamo stati noi a cercare lui, addirittura. Forse lo stavamo viziando o forse... in un certo senso anche lui meritava un pò di sano affetto, soprattutto perché, senza volerlo, sembrava averci unito almeno un pò, nel suo piccolo e buffo e peloso modo di fare.
Così ci ritrovammo a letto, ancora una volta, con Cooper steso sulla mia pancia, rilassato e con gli occhi chiusi, mentre io mi preoccupavo di accarezzargli per intero la schiena morbida. Lui intanto, forse molto prossimo a riaddormentarsi di nuovo, emetteva ogni tanto qualche leggero guaito, che somigliava vagamente al verso dei gatti che fanno le fusa. Solo molto più leggero
"Ma guardalo... che razza di cane ingrato! Sembra sia affezionato più a te che a me." si lamentò Blaine, stendendosi su un fianco e sbuffando. Quel suo broncio tenero mi fece ridacchiare. Cooper era un pò il suo bambino, quindi lui era... un papà geloso che non vorrebbe mai dividere le sue attenzioni con altre persone. Ed io in quella situazione cos'ero? Un intruso? La mamma di Cooper e la moglie di Blaine?
Oh Santissimo...
"Non è vero... ti adora! E lo sai." lo ammonii con un'occhiata, mentre tentavo in tutti i modi di reprimere quello sciocco pensiero che stava lentamente prendendo piede nella mia mente. Era matematico ormai.. se lasciavo la mia immaginazione libera di vagare per conto proprio, succedevano cose inenarrabili. E molto, molto imbarazzanti. Soprattutto alle mie povere guance
"Peccato che non lo dimostri affatto!" sbuffò ancora e chiuse gli occhi, fintamente offeso. In quel momento accadde una cosa strana: Cooper aprì gli occhi all'improvviso e mi guardò ed insieme ci girammo verso Blaine che fingeva di dormire. Si era offeso, per caso?
Con un sorriso divertito sulle labbra, afferrai il cane e lo avvicinai al viso di Blaine fino a che Cooper non parve capire la sua missione e tirò fuori la lingua, per leccargli una guancia. Blaine sorrise spontaneamente, senza aprire gli occhi
"Mmmm... e questo cos'è? Il bacio della buonanotte?" domandò piacevolmente sorpreso e dalla sua troppa tranquillità, immaginai non avesse affatto collegato quel gesto, al suo cucciolo peloso. Così mi morsi con forza un labbro per trattenere le risate, ma alla fine riuscii a mormorare
"Una specie!" Cooper intanto aveva ripreso la sua opera, quella volta passando a leccargli la punta del naso e finalmente, con quello, Blaine parve realizzare
"Hai l'alito che sa di croccantini!" esclamò con una smorfia. Io non riuscii più a trattenermi, e scoppiai a ridere, una risata liberatoria e sentita che, a pensarci, stonava molto con lo stato d'animo con cui mi ero svegliato poco prima e che ormai era solo un lontano e vaghissimo ricordo
"E sei pieno di peli." aggiunse allungando, sempre con gli occhi chiusi, una mano sulla testa di Cooper
"Mi sarò dimenticato di fare la barba stamattina." mormorai divertito, mentre il povero cucciolo si liberava della mia presa e tentava di scappare, ma Blaine fu più veloce perché riuscì ad acchiapparlo e se lo portò sul petto
"Fammi controllare meglio!" esclamò iniziando a punzecchiarlo giocosamente, riempendo la stanza della sua risata e riscaldandomi di conseguenza lo stomaco ed il cuore. Ma Cooper non parve apprezzare allo stesso modo, perché gli sbuffò in faccia e saltò giù dal letto, abbaiando, quasi offeso
"É anche permaloso! Questo l'hai sicuramente preso da Sebastian!" gli gridò dietro e il cane rispose con un lamento, che fece ridere entrambi. Peccato fosse andato via... mi sarebbe davvero servito continuare a stringerlo e coccolarlo ancora un pò, ma d'altronde, pensandoci bene, avevo qualcun altro che meritava attenzioni maggiori in quel letto. Così mi girai a guardare Blaine che, con un piccolo sorriso mite sul volto, si sentì attratto dal mio sguardo e si girò a sua volta. E fu strano perché, con lo sguardo che ci scambiammo, entrambi riuscimmo a capire esattamente cosa l'altro stesse dicendo, quasi ormai non avessimo più bisogno delle parole e fossimo entrambi collegati su una dimensione a parte, in cui per comunicare bastava soltanto il semplice guardarsi. Era disarmante... non mi era mai successo con nessuno. Forse per la prima volta... neanche con mio padre. Ci ritrovammo ancora estremamente vicini, ad un respiro di distanza, ad avvicinarci ancora e ancora e ancora e a bramare nuovamente quel morbido contatto che fino a quel momento ci aveva riservato soltanto belle sensazioni. Quelle labbra sarebbero state la mia rovina. La mia dolce, delicata e sensuale rovina. Ma quella volta non riuscii ad arrivare a destinazione, perché qualcosa - quello che io stesso, poco prima, avevo indicato come l'essere più discreto dell'intero universo - decise di irrompere proprio sul più bello: Cooper, infatti, saltò di nuovo sul letto, arrampicandosi sulle mie gambe ed abbaiando insistentemente, quasi mi chiedesse di dedicargli attenzione e di smetterla di perdere tempo con Blaine. Quest'ultimo provò a scacciarlo via ma fu inutile, tanto che arrivò a borbottare qualcosa come "Tutti i difetti peggiori li stai prendendo dalla persona sbagliata. Da domani non gli faccio più mettere piede in questo appartamento!" sbuffando ed affondando la faccia nel cuscino. Il cane soddisfatto si accoccolò nuovamente sul mio stomaco ed accettò di buon grado le mie carezze. Facevano tenerezza, entrambi. Ma dovevo ammettere di aver provato un leggero disappunto nei confronti del più piccolo: aveva interrotto il mio bacio con Blaine e questo, neanche ad un musetto tanto dolce, poteva essere perdonato. Ma lasciai correre, sapendo e, necessariamente, sperando, di avere tanto tempo e molte altre occasioni per potermi rifare.
"Aehm... Kurt?" mi sentii chiamare qualche istante dopo e dovetti riaprire gli occhi che avevo momentaneamente chiuso
"Sì?"
"Senti mi chiedevo se... tu... sì insomma.. se tu avessi per caso ritrovato un paio di... boxer.. a casa tua!" lo vidi arrossire appena e stringere con forza un angolo del cuscino. Aggrottai la fronte, non capendo dove volesse arrivare
"Boxer? Intendi..." e poi, come un fulmine, all'improvviso arrivò la risposta. Io e lui nel mio appartamento, vestiti sparsi ovunque, la fretta di scappare via dalla presenza inaspettata e sbagliata di David e, forse, l'inevitabile dimenticanza da parte sua "Oh!" mormorai, arrossendo a mia volta. Dannazione, avevo un paio di boxer di Blaine nel mio appartamento - nella mia camera da letto - e non me ne ero neanche accorto? Ma che razza di idiota! Dove avevo la testa? Dopo aver ospitato un essere tanto meraviglioso nel mio letto, come minimo avrei dovuto controllare che non si fosse lasciato dietro qualche pezzo, qualche piuma delle sue ali, qualche ricciolo, qualche indumento... un paio di mutande magari.
"Già!" accennò un sorriso imbarazzato che fece fare una piccola giravolta al mio povero stomaco, già sottosopra 
"N-no... cioè, non ho visto, ma posso.. controllare
!" lo rassicurai con mezzo sorriso e in quel momento il suo imbarazzo sommato al mio fece scattare qualcosa, perché ci ritrovammo a ridere entrambi, come due idioti.
Due idioti felici...
"Grazie! Sono i miei preferiti, altrimenti non te li chiederei." mormorò avvicinandosi appena e sfiorandomi una gamba con la sua. Volevo di più, lo volevo il più vicino possibile a me, così da poterlo stringere di nuovo ed accertarmi di non farmelo scappare un'altra volta per colpa di un'ombra malefica ed aggressiva. E quella volta non aspettai che fosse lui a fare la prima mossa, ma mi feci avanti, stando attento a non svegliare il cane, allungando un braccio e avvolgendoglielo attorno alle spalle per poi avvicinarlo a me, fino a fargli posare la testa sulla mia spalla e lì mi concessi di stringerlo, più forte che potevo. Lo sentii sospirare e sistemarsi meglio addosso a me. Il calore che emanava il suo corpo, il suo odore, e la piena consapevolezza della sua presenza, mi fecero quasi piangere ancora, ma riuscii a trattenermi, liberando quelle emozioni con un semplice mormorio soddisfatto e beato.
Il mio dolce e bellissimo Blaine...

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Capitolo 33
*** Direttamente proporzionale ***


Salve a tutti e buona festa di Ognisanti ^^ dunque, lo scorso capitolo, contro ogni previsione ha fatto delle vittime *__* davvero non so come ringraziarvi, non immaginavo potessi raccogliere questo affetto, ne sono davvero contenta ^^ In effetti Blaine ha sorpreso un pò tutti e finalmente anche il piccolo Kurt ha tirato fuori dal cuoricino i suoi sentimenti *me sospira beata*... dunque cosa dire di questo capitolo? Che, come vi ho anticipato ieri nello spoiler, si rallenta un pò, perché ne avevamo tutti un pò bisogno dopo gli ultimi tre capitoli così carichi (io soprattutto ne avevo bisogno!) però spero di non deludervi troppo, in realtà lo avevo concepito in maniera del tutto diversa, poi non so esattamente cosa sia successo ed è venuto fuori così.. ma dicono che chi si accontenta gode, quindi ^^ vi auguro una buona lettura e ci vediamo Lunedì con l'aggiornamento. Un bacio grande a tutti, angioletti miei <3
p.s. Daaaaan... hai visto che ci sei anche tu oggi??? *___*
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )





New York City. Ore 06.15 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)


Avevo le sue chiavi. Le chiavi del suo appartamento. L'appartamento di Blaine. Me le aveva lasciate lui, prima di andare al forno e qualche ora dopo, risvegliandomi, le avevo trovate sul comodino con un post-it, meravigliosamente fucsia, poggiato vicino, che diceva:
*Buongiorno dolce Kurt... l'omino del pane va a concludere la sua esperienza lavorativa, con un bel sorriso rilassato sul volto, nonostante abbia un sonno indescrivibile :) Queste che vedi sono le chiavi di casa... usale come meglio credi e... beh, mi piacerebbe ritrovarti ancora qui tornando, ma.. decidi tu, io intanto te le lascio, a tua discrezione ;) A dopo. Un bacio. B.*
Mi ero ritrovato senza respiro già alle otto del mattino e ringraziai il fatto che fossi solo in quella casa - nonostante il cane, che, ahimé, russava di nuovo! - perché mi ritrovai di nuovo a piangere senza accorgermene minimamente. Con quale speranza sarei sopravvissuto a tutto quello? Come potevo passare in maniera così improvvisa dall'inferno più totale, all'ingresso del Paradiso dei miei sogni, senza la minima preparazione? Doveva per forza esserci qualcosa di intermedio, altrimenti difficilmente sarei riuscito a rimanere in vita. Certo che.. se Blaine avesse continuato a sorprendermi con gesti di quella portata emotiva... di Kurt Hummel sarebbe rimasto relativamente poco.
E che bel modo sarebbe questo per andarsene...
A malincuore avevo abbandonato il calore delle coperte - che ancora più del pigiama, profumavano incredibilmente di Blaine - e mi ero rivestito con calma. Non avevo la minima voglia di andare in ufficio, soprattutto dopo le minacce di David. Non avevo intenzione di affrontare il signor Chang e il suo ipotetico cambiamento quella mattina, non dopo tutte quelle emozioni, non dopo quella notte e soprattutto non dopo un post-it del genere. Così avevo chiamato Cinthya, la segretaria scheletrica di Chang e mi ero inventato un raffreddore micidiale che mi teneva legato a letto per tutta la giornata. E a fanculo tutto. Avrei affrontato quel problema con calma, Lunedì mattina. Non mi sentivo affatto come se stessi scappando. Semplicemente mi ritagliavo i miei sacrosanti spazi vitali, mi godevo un pò di tranquillità e provavo ad immaginare quanto sarebbe stato bello essere in quell'appartamento all'arrivo di Blaine.
E infatti, dopo essere tornato a casa mia, essermi fatto una lunga doccia, essermi cambiato ed aver messo nello stomaco qualcosa - la pizza della sera prima, nello specifico, fredda e quasi di pietra - mi ero diretto di nuovo nel suo appartamento. Mentre ero sul pianerottolo, però, mi ero ricordato di una cosa, ed ero tornato indietro, avevo raggiunto la mia camera da letto e, con una smorfia pensierosa, mi ero messo a cercare i suoi boxer scomparsi. Glieli avevo sfilati io, ne ero più che sicuro - e dannazione, ogni volta che ci pensavo non potevo fare a meno di arrossire - quindi dovevano essere per forza lì, da qualche parte. Provai immediatamente a controllare sotto il letto, ma fatta eccezione per un pò di polvere ed un invito ad una mostra fotografica ormai scaduto, non trovai nulla. Provai dietro ai comodini, sotto il tappeto, dietro lo specchio.. fino a che, colto da una mezza illuminazione, non mi ricordai di aver fatto partire la lavatrice il giorno prima e di aver raccolto degli indumenti a caso proprio da quella stanza. E se le sue mutande fossero capitate proprio lì in mezzo? Corsi in bagno a controllare nel cestello e difatti.. eccole lì. Erano ancora umide e di certo non gliele avrei potute riconsegnare in quello stato, così mi preoccupai di stendergliele al sole, così magari più tardi le avrei potute recuperare e restituirgliele. Intanto, quei meravigliosi boxer, sarebbero rimasti ancora un pò sotto il mio tetto.
Tornando poi nel suo appartamento, mi era sembrato particolarmente strano vederlo così vuoto e così silenzioso. Anche la sera in cui io e lui avevamo parlato sul dondolo in terrazzo e lui poco dopo era scappato a chiarire con il fratello, mi aveva fatto la stessa impressione: quella casa senza Blaine perdeva ogni fascino, così come il mondo intero. Blaine era come una fonte di luce, portava calore ed illuminava e senza ombra di dubbio, rimaneva il miglior punto di riferimento in assoluto.
Come un faro nella notte...
Avevo rifatto il letto, avevo sistemato ordinatamente i suoi vestiti su una sedia in camera, avevo dato da mangiare al piccolo Cooper ed avevo perfino cercato qualcosa in cucina per mettere su una specie di cena, ma alla fine avevo rinunciato. Io e i fornelli non andavamo minimamente d'accordo, quindi magari mi sarei limitato a prenotare in qualche ristorante d'asporto, far consegnare tutto a casa e poi spacciarlo per opera mia. Lui non mi avrebbe creduto, ma.. tanto valeva provare. Così avevo chiamato ad un buon ristorante italiano - sperando che apprezzasse quel tipo di cucina - ed avevo ordinato per due, dando l'indirizzo, ed avevo atteso, preparando intanto il tavolo, ovviamente sul terrazzo. Al suo ritorno sarebbe stato senza dubbio stanco e affamato così ci avrei pensato io a coccolarlo un pò, avremmo mangiato e poi magari insieme saremmo andati al pub per concludere la serata. Poi, tornati a casa, avremmo...
Il campanello suonò all'improvviso, con insistenza e mi chiesi chi potesse essere a quell'ora. Era troppo presto perché fosse il ragazzo delle consegne e Blaine aveva almeno altri venti minuti prima di tornare a casa - visto i suoi soliti orari - così con una certa diffidenza andai alla porta. Prima di aprire però, controllai dallo spioncino. L'esperienza insegna, dicono. E, appena scioccato, mi ritrovai a spalancare la porta
"Oh... hai visto, cucciolo? I nostri sospetti erano fondati.. il randagio è ancora qui!"

New York City. Ore 06.49 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

Io e le armi di persuasione eravamo una cosa sola. Ormai ero diventato talmente tanto bravo a fingermi malato o a rigirarmi il povero Puck tra le mani, che era stato un vero gioco da ragazzi fargli credere che fossi vittima di un terribile mal di testa e che per quella sera proprio non riuscissi a raggiungerlo al pub. Lui non mi era sembrato neanche troppo dispiaciuto. Avrebbe proposto una serata Karaoke e tutto si sarebbe risolto.
D'accordo, avevo bellamente mentito al mio capo e, a parte un pò di stanchezza generale, ero perfettamente in salute. Ma lo avevo fatto per un valido motivo. Avevo bisogno di passare la serata con Kurt, in tranquillità, magari a mangiare qualcosa assieme, a guardare un film o a... beh sì insomma, avevo voglia di lui, punto e basta. Dovevo vergognarmene per caso?
E poi, pensandoci, avevamo anche qualcosa da festeggiare: io ero ufficialmente un uomo libero, i miei due lavori stancanti erano terminati e da lì in poi iniziava una lunga serie di giornate dedicate alla mia primaria passione - la musica - passate magari in sua compagnia. Personalmente speravo proprio che avesse accettato di buongrado la mia proposta scritta sul post-it. Morivo dalla voglia di tornare a casa, trovare tutte le luci accese e magari lui ad attendermi, seduto sul divano, con un bel sorriso sul volto. Io mi sarei avvicinato a lui, gli avrei circondato il viso con le mani e ci saremmo baciati a lungo, avremmo mandato al diavolo la cena e il film e saremmo passati direttamente in camera da letto. Tutto questo nel minor tempo possibile.
Ed era per questo motivo che, sulla mia moto, mi ero ritrovato ad accelerare più del solito, ignorando perfino il rosso palese di un semaforo, perché era talmente tanto forte la voglia e il bisogno che avevo di lui, da non riuscire più ad aspettare. Avevo parcheggiato sotto casa, e quasi saltellando avevo salito le scale fino al quarto piano e, preparando uno dei miei migliori sorrisi, avevo finalmente aperto la porta. La scena che mi si parò davanti, non fu esattamente ciò che mi sarei aspettato di vedere: le luci erano effettivamente accese e Kurt c'era davvero seduto su quel divano, ma, ahimé non era solo
"Ed ecco il maritino che torna da lavoro, tutto stanco e affamato!" esclamò Sebastian alzando un braccio per indicarmi e contemporaneamente aprirsi in un sorriso tremendo, uno di quelli più fastidiosi mentre Daniel, seduto, neanche a dirlo, al suo fianco, mi salutò con la mano.
Ed io, nello stesso istante, persi tutto il mio entusiasmo.
"E voi due che cazzo ci fate qui?" sbottai, richiudendo la porta con un tonfo sordo, fregandomene delle solite cortesie per gli ospiti. Quei due avevano scelto il momento peggiore per decidere di farmi una visita. Sebastian fece una smorfia
"Che modi sono? I tuoi carissimi amici ti vengono a trovare e tu... li tratti in questo modo?" scosse la testa con disappunto, dopodiché indicò Kurt, che arrossì appena "Meno male che qui c'è qualcuno più educato di te, a quanto pare!" e mostrò un bicchiere d'acqua che probabilmente Kurt gli aveva dato. Ringhiai, cercando di fare meno rumore possibile, per poi liberarmi della sacca, e di tutto quello che avevo in tasca, ed avvicinarmi al divano
"Vedrò di essere più educato da adesso in poi..." iniziai con calma, affiancando Sebastian e guardandolo male "Saresti così gentile da spiegarmi per quale assurdo motivo tu e il tuo ragazzo siete seduti sul mio divano e state, ci scommetto, importunando il mio vicino?" accennai un sorriso infastidito, cercando di esprimere tutto il mio disappunto a Sebastian con un semplice sguardo. Se quello spilungone aveva imparato a conoscermi almeno un pò in quegli anni, sapeva quanto in quel momento fossi incazzato.
"Oh... non mi stanno importunando.. stai tranquillo!" intervenne Kurt, appena divertito. Alzai lo sguardo su di lui e, per la prima volta da quando avevo varcato quella soglia, mi ritrovai a sospirare di gioia. Perché lui era lì, con degli abiti diversi addosso - segno che fosse tornato a casa sua per cambiarsi - ed era rimasto, da me e per me. E quindi, tutta la mia speranza aveva avuto il giusto esito. Peccato che, invece di essere in direzione della camera da letto, fossimo ancora in salotto, in compagnia di Sebastian e Daniel
"Noi e Kurt ci stavamo semplicemente.. intrattenendo!" esclamò il primo, con mezzo sorriso malizioso, decisamente poco raccomandabile, che mi fece grugnire infastidito
"Ci scommetto.." borbottai, mentre Sebastian si mordeva un labbro, per trattenere una risata. Me l'avrebbe pagata.. nella maniera più dolorosa possibile.
"E poi ci sembrava quantomeno doveroso conoscere un pò meglio Kurt, dato che ora voi due.." fu Daniel a parlare, ma riuscii per fortuna a fermarlo in tempo - l'avrebbe pagata anche lui a tempo debito - sovrapponendomi a lui, mentre mi sentivo arrossire a dismisura. Sia per la frustrazione che per l'imbarazzo
"Bastian... potresti venire un attimo di là? Dovrei dirti urgentemente due paroline." feci verso il mio amico - ex amico! - che continuava a ridersela allegramente sotto ai baffi. Lui si strinse nelle spalle
"Sicuro!" e si alzò, seguendomi fino in cucina. Qui, lontani dalle orecchie di Daniel ma soprattutto di Kurt, smisi di trattenermi
"Che cazzo hai intenzione di fare?" lo aggredii subito, ringhiando appena. Lui sollevò un sopracciglio sorpreso, ma alla fine liquidò la cosa con una smorfia
"Niente... visita di cortesia!" biascicò con mezzo sorriso, cosa che mi fece ancora più irritare. Se si era preso la briga di venire fin lì, dubitavo fortemente fosse solo quello il motivo
"Beh avresti dovuto chiamare... non ho tempo da dedicarvi ora... sono tornato per... starmene un pò in pace, con Kurt. Da soli possibilmente!" specificai, lanciando un'occhiata verso il salotto, dove Daniel e Kurt se la ridevano per qualcosa. Dannazione, avevo lasciato il povero ed innocente Kurt nelle grinfie della moglie del mio amico, alias la seconda peggiore catastrofe del mondo. Subito dopo Sebastian. Dovevo liberarlo al più presto. 
"É che non sono abituato al fatto che, da adesso, anche tu abbia una vita privata." si giustificò lui con velata malizia e fu il mio turno per sollevare un sopracciglio. Mi stava prendendo per il culo per caso?
"Bene... ora che hai capito, gradirei che uscissi fuori da qui." gli afferrai un braccio e cercai di spingerlo via, sperando che così facendo cogliesse l'urgenza e la mia impellente necessità. Ma ovviamente...
"Non posso!" esclamò, facendo resistenza
"Prego?"
"Sono venuto per parlarti di una cosa e non me ne andrò finché non mi avrai ascoltato." disse, facendosi estremamente serio. Per un attimo quella sua espressione mi lasciò decisamente basito. Che diavolo stava dicendo? E cosa aveva di tanto importante, e soprattutto urgente, da dirmi?
"Al diavolo.. me la dirai lunedì mattina!" sentenziai, scuotendo la testa e provando nuovamente a spingerlo via
"No! Devo dirtela ora!" cocciuto come un mulo
"Sebastian!" ma io non ero da meno
"Blaine!"
"Vattene!" se non se ne fosse andato via con le buone, lo avrei cacciato fuori a calci. Al diavolo tutti e dieci gli anni della nostra amicizia. Era una questione di principio quella e di rispetto. Io i limiti della sua privacy non li avevo mai superati e come minimo pretendevo che anche lui iniziasse a fare lo stesso.
"Ti ho detto di no!" insistette, assottigliando lo sguardo e perdendo ogni traccia di ilarità. Ahia. Sebastian incazzato non mi era mai piaciuto. Faceva una certa paura, in effetti
"Vattene!" ritentai, cercando di suonare quanto più supplicante e pietoso possibile. Sperai che nel cuore gli fosse rimasto un briciolo di umanità e che comprendesse le mie ragioni. In fondo... anche lui amava qualcuno.
"No! Devi darmi retta... anzi, tu e il tuo ragazzo dovete farlo." ed indicò il salotto, dove Daniel e Kurt continuavano tranquillamente a parlare. Per poco non mi venne un colpo nel sentire quella parola
"Lui non..." mi bloccai, passandomi stancamente una mano sulla faccia. Quella notte avevo dormito sì e no un'ora scarsa e la giornata era stata, come al solito, lunga e faticosa. Non volevo litigare con Sebastian, volevo semplicemente che lui e Daniel se ne andassero e mi lasciassero libero di godermi un pò il mio appartamento, il mio cane e il mio.. Kurt. Non mi sembrava di chiedere poi tanto.
"Quanto tempo ci vuole?" gli domandai con un sospiro, accasciandomi al tavolo
"Poco.. se solo tu la smettessi di fare il dodicenne in calore e mi lasciassi parlare. Avrai tutta la notte per dedicarti a quel bel faccino laggiù!" e con un accenno di sorriso indicò di nuovo il salotto, dal quale provenne chiaro l'abbaiare di Cooper e le risate di Daniel e Kurt.
"Questi non sono affari tuoi!" borbottai, infastidito
"Oh, credimi, B... la carica erotica che aleggia tra te e lui farebbe arrossire anche il migliore attore porno in circolazione. Quindi.. non vergognarti. Piuttosto.. vanne fiero!" e mi diede una pacca sulla spalla, ignorando il leggero rossore che mi era spuntato sulle guance e tornando in salotto.
Non vergognarti... piuttosto... vanne fiero!...
Scossi la testa, rassegnato, dopodiché raggiunsi gli altri. Andai a sedermi sul divano, accanto a Kurt e, dopo avergli rivolto un mezzo sorriso, tornai ad occuparmi di Sebastian
"Dunque... parla pure... siamo tutti orecchi!" acconsentii finalmente e lui, abbandonando il sorriso, si fece stranamente professionale. Cercò qualcosa nella sua giacca, per poi allungarmi un foglio ripiegato
"Questo è per te!" mi informò
. Confuso, scrutai il foglio per qualche istante, prima di decidermi ad aprirlo. E quello che vi trovai scritto, non mi piacque per niente
 - Magistratura dello Stato di New York.
Numero Protocollo Provvedimento 23149.
Denuncia per aggressione a carico di David Jeremy Karofsky ai danni di Blaine Michael Anderson. Il sopracitato Karofsky, in data 13 Aprile 2012, si è reso colpevole di una violenta aggressione fisica nei confronti della vittima appena menzionata. La presente vale come esplicita richiesta a procedere giudiziariamente verso... -
"Che cazzo sarebbe questo?" sventolai il foglio, particolarmente seccato, mentre avvertivo una sempre più crescente forma di fastidio invadermi lo stomaco.
"Non sai neanche più leggere? É una denuncia per quell'animale che l'altra sera ti ha.." ma non lo feci neanche finire
"Questo l'ho capito!" esclamai duro, meravigliandomi di quanta crudezza mi fossi fatto scappare, tanto da far sorprendere perfino lo stesso Sebastian "Vorrei capire chi esattamente ti ha dato il permesso di farlo?"
"Non pensavo mi servisse il permesso per procedere contro lo stronzo che ti ha quasi ucciso." fece lui in risposta, stringendo appena gli occhi. Scattai in piedi, come punto sul vivo, perché, tutto mi sarei aspettato, tranne quello
"Cazzo, Sebastian... te l'ho già detto ieri sera... Io. Sto. Bene... non serve che ti preoccupi per me e non serve... questa denuncia!" lanciai il foglio sopra il divano, perché ne ero disgustato, semplicemente disgustato dall'idea e dal fatto che il mio migliore amico si fosse azzardato a compiere un gesto del genere, senza neppure consultarmi.
"Se non mi fossi preoccupato per te ieri sera, tu a quest'ora saresti morto!" sbottò lui, indignato
"E cosa vorresti adesso... che ti ringraziassi?" domandai
"Certo che no! Non me ne faccio nulla dei tuoi grazie. Voglio solo che ti calmi e che firmi quella denuncia... così Lunedì potrò consegnarla in tribunale e..." e ancora una volta lo bloccai
"No!" sentenziai crudo e secco. Decisamente Sebastian stava superando il limite. Il mio limite
"Prego?"
"Ti ho detto di no. Io non ho intenzione di firmarti proprio nulla." dissi. Mi sentivo ribollire il sangue nelle vene per la rabbia.
"Non fare il ragazzino, Blaine." mi ammonì, indurendosi a sua volta e guardandomi davvero male. Stava per arrabbiarsi nuovamente? Fanculo! Era una questione di principio quella! Non si sarebbe dovuto permettere di fare una cosa del genere senza prima averne parlato con me. Riguardava la mia aggressione, la mia vita, e soltanto perché lui si fosse disturbato a salvarmi, questo non gli dava alcun diritto di decidere al posto mio. Le cose imposte non mi erano mai piaciute e lui lo sapeva bene
"Non faccio il ragazzino, perché sei tu che mi tratti esattamente come se lo fossi!" gridai, guidato essenzialmente dalla rabbia e, forse un pò, anche dall'orgoglio. "Io non ho più bisogno della tua supervisione e non ho più quindici anni, quindi smettila... smettila per una buona volta di fingerti un fratello maggiore apprensivo perché non lo sei affatto e quello che ho, mi basta e mi avanza!". Vidi una specie di ombra passargli attraverso gli occhi verdi e, forse, mi resi conto di essere stato io, quella volta, ad aver appena superato un limite. E questo, faceva decisamente più male. Ci fu un lungo momento di surreale silenzio in cui iniziai a sentire un leggero strato di vergogna ricadermi addosso e coprirmi fino ai piedi. Perché non potevo aver seriamente detto una cosa tanto brutta al mio migliore amico. Solo dopo un tempo incredibilmente indefinito, qualcuno parlò
"Ehi Kurt... che ne diresti se portassimo Cooper a fare un giro del quartiere?" domandò Daniel, con la voce tranquilla che stonava decisamente con la tensione che aleggiava in quella stanza. Sentii Kurt, dietro di me, muoversi appena sul divano. Per un momento mi ero perfino dimenticato ci fosse anche lui e che quindi anche lui aveva dovuto assistere a quella terribile scena. Cosa avrebbe pensato di me? Che ero un ingrato? Che non sapevo dire grazie a chi mi aveva salvato la vita? Che ero pazzo? Se ne sarebbe andato via e non sarebbe più tornato?
Dio, ti prego... no! Non lo sopporterei...
"D'accordo.." mormorò, dopodiché, in una manciata di secondi lui e Daniel si alzarono dal divano, recuperarono il cane ed il guinzaglio e lasciarono l'appartamento, senza neanche girarsi verso di noi. E quello fu come ricevere un'altra stilettata al petto.
Con un sospiro, tornai a sedermi e quasi subito affondai le mani nei capelli, in un gesto di stanchezza e frustrazione. Non sapevo cosa stesse facendo Sebastian, né se quell'ombra terribile avesse abbandonato i suoi occhi. L'unica cosa che riuscii a scoprire fu il tono della sua voce, atrocemente amaro
"Tu non hai la minima idea di cosa abbia significato per me, arrivare su questo pianerottolo e trovarti in quello stato." era poco più di un soffio, appena tremante, ma decisamente molto più incisivo di quanto non fossero state le mie parole, quelle urlate "Non sapevo cosa fosse successo, non sapevo cosa fare e, cosa più grave, non sapevo neanche se fossi ancora vivo. Mi è bastato leggere la rabbia che quell'animale aveva negli occhi e che provava verso di te in quel momento, per reagire. Non ricordo neanche cosa abbia fatto o detto, perché credimi... se ieri notte fossi stato leggermente più lucido e cosciente, a quest'ora la denuncia dovrebbe farla lui a me, per quello che avevo intenzione di fargli." fece una pausa, durante la quale lo sentii chiaramente sospirare. Non avevo neanche la forza di guardarlo negli occhi. Non sapevo se avrei retto o meno all'intensità del suo sguardo ferito
"Questa notte non ho chiuso occhio.. ho passato ogni singolo istante a chiedermi cosa sarebbe successo se quel maledetto cellulare non ti fosse caduto dalla tasca e se Daniel non se ne fosse accorto appena in tempo. Ho immaginato... che qualcuno questa mattina ci avrebbe chiamati per dirci che.. eri finito in ospedale o peggio.. che qualcuno ti aveva ammazzato come un cane, davanti alla porta del tuo appartamento. Ho immaginato di dover essere io a chiamare i tuoi genitori a Westerville o tuo fratello a Los Angeles, per non parlare di tutto quello che sarebbe successo dopo. E questi maledetti pensieri non mi hanno fatto dormire. L'unico pensiero che mi ha permesso di non impazzire del tutto è stato questo.." con la coda dell'occhio lo vidi allungarsi fino al foglio e poi afferrarlo "Questa fottuta denuncia è la mia sola speranza al momento... l'unica arma che posso consegnarti e l'unica difesa che riesco a porre tra te e quel Karofsky. E sinceramente mi dispiace se ti sono sembrato esagerato o azzardato o se pensi che non mi sarei dovuto permettere... però credimi, Blaine... dopo averti visto più vicino alla morte di quanto potessi mai immaginare, io non riesco più a sentirmi sicuro, lasciandoti solo. Ho bisogno di... sapere che stai bene e non mi basta che sia tu a dirmelo, devo.. esserne convinto!" sentii un movimento al mio fianco e pochi istanti dopo, sotto ai miei occhi si rimaterializzò il foglio spiegazzato della denuncia. Dovetti rialzare lo sguardo per rendermi conto che fosse proprio lui a tenerlo e che si trovasse esattamente davanti a me. Lo guardai attentamente negli occhi, e c'era qualcosa, qualcosa di indecifrabile eppure ugualmente intenso che lo tormentava. Mi ritrovai senza sapere come ad afferrare di nuovo quel foglio e a stringerlo forte tra le mani
"Ti scongiuro, Blaine.. firma questo foglio. Se non vuoi farlo per me, fallo per i tuoi genitori, per tuo fratello, per Kurt.. anche lui si merita di essere protetto e ti assicuro che, se mi darai il tuo consenso, provvederò io stesso affinché l'ordine restrittivo che ho intenzione di chiedere nei confronti di David, comprenda anche lui. Se firmi, lui non potrà più avvicinarsi né a te né a Kurt, non potrà più farvi del male e soprattutto la sua immacolata fedina penale sarà segnata, cosicché tutti sappiano che razza di fottuto coglione sia e cosa è stato capace di fare." mormorò sempre più concitato, diventando a mano a mano un vero avvocato e mettendo da parte il migliore amico. E all'improvviso, mi ritrovai ad avere paura: paura per me, perché avevo seriamente rischiato di morire e non lo avevo ancora realizzato pienamente, paura per i miei genitori che mi credevano al sicuro a New York e non di certo tra le mani di un pazzo, paura per mio fratello che avrebbe dovuto attraversare di nuovo tutti gli Stati Uniti per venire al mio funerale, paura per Kurt... perché cazzo, lui ci aveva vissuto quattro anni accanto ad un mostro del genere e, se con me era bastata una provocazione a farlo scattare, non osavo immaginare cosa sarebbe successo a lui, se solo lo avesse rincontrato, ma soprattutto la paura più irrazionale che in quel momento mi ritrovai a provare fu quella di perdere Sebastian. Di perdere la sua amicizia, il suo affetto, la sua preoccupazione, la sua ansia, il suo sorriso, il suo conforto... il mio migliore amico che non era mai stato tale, ma sempre qualcosa in più.
"Sebastian..." lo chiamai con una leggera nota di panico nella voce "Mi dispiace... io... ti ho detto delle cose orribili." lui si perse in un profondo sospiro, dopodiché si sedette al mio fianco
"Io so perfettamente che non sei più il quindicenne che divideva la stanza con me e si riempiva i capelli di gel... lo vedo cosa sei diventato. Solo che.. questo non mi impedisce di... provare l'incontrollabile necessità di proteggerti ancora.. è più forte di me!" disse con mezzo sorriso malinconico, e le sue parole unite a quel gesto mi fecero sentire ancora più male
"Io ho un disperato bisogno che tu continui a preoccuparti per me!" mormorai, riuscendo finalmente a tirare fuori ciò che mi premeva in gola e sperai di aver detto la cosa giusta quella volta. Per mia fortuna, sulle sue labbra si stese un sorriso, un sorriso diverso che non aveva nulla a che vedere con l'amarezza o la malinconia di poco prima. Era uno di quei sorrisi che facevano ben sperare, quelli che presagivano solo cose buone, uno di quelli che rendevano speciale il mio migliore amico
"E continuerò a farlo, B... fino a che me lo permetterai!" mi rassicurò, posandomi una mano sulla spalla e stringendo appena. Poi qualcosa parve scuoterlo, ma fu solo un istante. Era come se un'altra ombra gli fosse passata davanti agli occhi, anche se quella volta sembrava essere decisamente più limpida
"Io... tu sai il rapporto pessimo che ho con i miei genitori e quanto sia arrivato a sentirmi solo a volte. Quel ragazzino... quello di quindici anni che divideva la camera con me, cantava canzoni melense sotto la doccia e aveva i cassetti stracolmi di papillon mi ha permesso di provare per la prima volta un'emozione indescrivibile... quel ragazzino mi ha insegnato cosa significasse aver caro qualcuno, provare apprensione o addirittura paura. Prima di conoscere te, vista la pessima esperienza che avevo avuto in famiglia, non credevo assolutamente di potermi preoccupare tanto per qualcuno, perché credevo che nessuno al mondo, a parte forse me stesso, meritasse tanto. Eppure tu ci sei riuscito, e sei stato in assoluto il primo. Quindi io non riesco adesso a smettere di avere paura per te, non riesco a stare tranquillo, e non riesco a rimanermene in disparte ad aspettare che quell'animale torni per portare a termine ciò che ha iniziato." strinse gli occhi, quasi cercasse di ricordarsi qualcosa, poi, con un soffio aggiunse "Tu e Daniel siete la mia famiglia e se perdo voi due, perdo tutto. Quindi sinceramente me ne fotto se dopo questa non vorrai più vedermi o sentirmi.. mi basta saperti al sicuro e di aver fatto tutto affinché nulla potesse più minacciarti. Il resto non conta!".
All'improvviso fu come se davanti ai miei occhi si fossero materializzati i due ragazzi di quindici anni che condividevano una camera alla Dalton. Le loro divise blu, le loro cravatte, la loro amicizia, che ad occhi esterni era sempre sembrata ambigua e particolare, il loro comprendersi con poco, il loro starsi accanto in maniera del tutto anticonvenzionale, il loro condividere tutto, anche le cose più intime - io con lui avevo condiviso la mia prima volta e non me ne ero mai pentito - il loro cercarsi senza mai eccedere, il loro esserci sempre, nel bene e nel male, e il loro profondo legame che li aveva sempre uniti e sempre lo avrebbe fatto. Sebastian aveva ragione: lui era la mia famiglia e non potevo seriamente permettermi di perderlo, soprattutto non dopo quello che aveva fatto per me e continuava ancora a fare. E proprio mentre tornavo per un attimo a guardare il foglio della denuncia che avevo tra le mani, mi ritrovai a chiedermi, cosa avrei fatto, se al mio posto ci fosse stato lui, se su quel pianerottolo quello che rischiava di morire fosse stato lui. E la risposta arrivò senza neanche preoccuparmi di cercarla: avrei fatto la stessa identica cosa, con un'unica differenza. Io la lucidità e la maturità che stava dimostrando lui, in quel momento verso David, non ce l'avrei mai avuta perché mai mi sarei accontentato della semplice denuncia. Lo avrei ammazzato con le mie mani, perché la famiglia è sacra e in quanto tale non si tocca.
"Mi assicuri che se firmo questa cosa, anche Kurt sarà al sicuro e non potrà in alcun modo essere avvicinato da David?" gli domandai, sentendomi all'improvviso carico di motivazioni e di ritrovata aspettativa. Lui annuì deciso
"Hai la mia parola!" affermò infatti, ed io, senza aggiungere altro, mi ritrovai ad allungarmi verso il tavolino basso, che stava davanti al divano, prendere la penna e firmare finalmente la mia vendetta contro quello stronzo di David. Tutto quello, conscio del fatto che, alle mie spalle, Sebastian stesse sorridendo, finalmente fiero di me.

New York City. Ore 07.10 P.M. 14 Aprile 2012 (Sabato)

Ero preoccupato, molto preoccupato, come raramente lo ero stato nella mia vita. Continuavo a dirmi che avevamo fatto una cazzata a lasciare Blaine e Sebastian da soli, in quella situazione carica di tensione e che saremmo dovuti rimanere per tenerli d'occhio e magari provare a metterci in mezzo, nel caso fossero arrivati alle mani. Non avevo mai visto Blaine così arrabbiato, neanche quando Cooper aveva finto di essere il suo amante e lui lo aveva scoperto. Quella che gli avevo letto negli occhi sembrava qualcosa molto più simile all'esasperazione.. quasi, quella tra lui e il suo amico, fosse una questione irrisolta e che un semplice pretesto, fosse stato in grado di ritirare allo scoperto.
Quando Sebastian aveva consegnato quel foglio a Blaine e avevo sbirciato cosa contenesse, in un primo momento mi ero sentito seriamente mancare: perché quella era davvero una denuncia, una denuncia a carico di David, il mio ormai ex, colui che aveva quasi ucciso il ragazzo che amavo e che poi era scappato come un codardo. E la denuncia era reale, era ufficiale e soprattutto era la giusta vendetta per un gesto tanto atroce e vigliacco. Solo che la reazione di Blaine non era di certo stata ciò che mi sarei aspettato. Aveva dato di matto, si era messo a gridare contro Sebastian e lo aveva perfino accusato di esagerare e di preoccuparsi troppo e che, a conti fatti, non potesse permetterselo perché per lui non era nessuno. Tutta quell'amarezza aveva lasciato senza fiato anche me, perché non credevo possibile che un'anima buona come quella di Blaine, che per risollevarmi l'umore in piena notte aveva concepito una melodia tanto dolce e commuovente, potesse seriamente pensare quelle cose. La mia sola spiegazione era stata che la stanchezza accumulata, il tentato omicidio e la sorpresa gli avessero giocato quel brutto scherzo. Dicono che a volte, quando siamo soggetti ad un forte stress, tendiamo a scaricare la rabbia, prendendocela con le persone a noi più vicine, quelle a cui vogliamo più bene. Ed io ero fermamente convinto che in quel soggiorno fosse esattamente successo questo. Blaine aveva soltanto avuto bisogno di esplodere e in un certo senso, era stato un bene che lo avesse fatto con Sebastian. Se fossi stato io ad essere aggredito da tutta quella rabbia, probabilmente non avrei retto.
L'abbaiare insistente di Cooper mi fece risvegliare dal mio stato di trance, e finalmente mi accorsi di essermi fermato, in mezzo al marciapiede e che Daniel e il cane mi stessero aspettando
"Tutto bene?" domandò il ragazzo, vendendomi incontro
"Sì... suppongo di sì!" mormorai con un sospiro. Lui mi scrutò per bene per poi rivolgermi un sorriso
"So a cosa stai pensando... ma devi stare tranquillo. Quei due fanno sempre così.. litigano, fanno pace, poi litigano di nuovo e poi sono di nuovo lì, che cercano ancora di fare pace. É diventata una specie di ruota che gira sempre nello stesso verso. Vedrai che non appena torneremo, saranno già allegri e sorridenti come prima, come se niente fosse successo." mi rassicurò convinto
"Dici?"
"Certo! Non riescono a stare lontani... sono come due fidanzati che però non sono fidanzati... non so se mi spiego!" e ridacchiò con una tale naturalezza, che immediatamente mi ritrovai a ridere assieme a lui
"E tu non sei geloso?" gli domandai divertito
"Geloso di Blaine? Credimi... sarei davvero stupido ad esserlo! E lo stesso vale per te. Quei due sono anime affini ma possono esserlo solo se restano amici. Se cambiassero qualcosa del loro rapporto, salterebbe tutto... ci hanno già provato e non è andata a finire molto bene!" fece una smorfia, per niente infastidita, semplicemente consapevole "Ma stai tranquillo... presto ti ci abituerai e allora diventerà normale anche per te, alzarti e andare via per lasciarli soli, quando inizierai a sentirti di troppo." mi strizzò l'occhio, per poi tornare a camminare, verso il piccolo parco, che vi era alla fine della strada. Con un mezzo sorriso, stranamente emozionato, mi ritrovai a seguirlo, fino a che non ci trovammo sul viale principale, dove finalmente il piccolo Cooper poté liberarsi del guinzaglio per correre un pò libero.
Sperai vivamente che non si perdesse, altrimenti al nostro ritorno il povero Blaine avrebbe avuto qualcun altro con cui prendersela.
"Daniel.. posso farti una domanda?" gli chiesi qualche istante dopo, mentre seguivamo Cooper che, per nostra fortuna non si era ancora allontanato troppo
"Certo... dimmi pure." acconsentì con un sorriso. Quel ragazzo, lo avevo notato già durante il mio compleanno, aveva un bel sorriso gentile da offrire ma soprattutto sembrava una ragazzo estremamente posato e maturo. E di certo, le cose che mi aveva appena detto non avevano fatto altro che confermarmi ulteriormente questa tesi.
"Da quanto tempo state assieme tu e Sebastian?" domandai, affondando le mani nelle tasche della giacca. Eravamo in Primavera inoltrata, ma faceva ancora decisamente troppo freddo a New York.
"Due anni... o meglio... saranno due, tra sei settimane." rispose e non servì essere né un mago né un amico di lunga data per capire che, quello che gli aveva colorato il tono della voce, fosse orgoglio allo stato puro. Ed io non riuscii a non provare almeno un pò di invidia, anche se era del tutto ingiustificata
"E come diavolo fai a sopportarlo?" chiesi ancora, divertito, senza riuscire a trattenermi. Lui scoppiò a ridere, per nulla offeso
"Non l'ho ancora capito sinceramente!" rispose scuotendo appena la testa "Ma potrei dire lo stesso di me.. anche lui fa un bello sforzo ogni giorno per starmi dietro e credimi.. anche se sembro dolce e coccoloso, so essere davvero tremendo quando mi ci metto!" e mi strizzò l'occhio complice, un gesto che non mi intimidì per niente, anzi, mi fece divertire ancora di più e mi fece sentire stranamente appena più in sintonia con lui. Quasi potessi fingere che quella fosse una tranquilla conversazione tra buoni amici e non tra due semplici conoscenti.
Anche a me sarebbe piaciuto un amico come Sebastian... certo come Sebastian proprio no, però... magari Daniel è più alla mia portata...
"Beh allora è un compensarsi a vicenda." esclamai, rendendomi conto di quanto un concetto del genere fosse estremamente bello da formulare. Perché quello era ciò che io avrei sempre voluto: trovare qualcuno che, perfino nel suo modo di essere diametralmente opposto al mio, riuscisse a diventare la mia parte mancante e quel pezzo che riusciva ad incastrarsi alla perfezione nel resto dell'opera. Ed il mio pezzo, la mia parte... pensavo di averla decisamente trovata.
"Io credo che in amore tutto questo sia possibile, anche quello che all'inizio sembra più inaffrontabile. Quando c'è il sentimento, quando la felicità dell'altro conta più
di tutto il resto, incluso l'orgoglio.. allora anche l'impossibile diventa magicamente più semplice." si fermò lungo il viale ed io feci altrettanto. Aveva un piccolo sorriso mite sul volto e sembrava perso in chissà quali pensieri. Immaginai che fossero tutti indirizzati al suo Sebastian
"Non ti nascondo che, ci sono dei giorni, in cui la voglia di mandarlo al diavolo diventa quasi incontrollabile, quando per un attimo dimentico chi sia lui e cosa significhi per me. Ma poi, succede qualcosa... è come se sentissi una forza, una forza inarrestabile che viene da dentro e che sembra decisamente più potente perfino della rabbia, del risentimento, della delusione.. e questa forza sembra decidere per me e, come per magia, mi fa dimenticare delle liti, dei musi lunghi e di quella voglia che avevo di lasciarlo andare via. All'inizio credevo dipendesse solo dall'infatuazione o da qualcosa di ancora più banale come la smania di avere necessariamente qualcuno al mio fianco per sentirmi più grande o... diverso. Poi con il tempo ho capito..." sollevò gli occhi e mi sorrise ancora "Io avevo un disperato bisogno di lui per stare bene... perché la mia felicità era diventata direttamente proporzionale alla sua. Io mi sentivo sereno solo quando anche lui lo era e volevo il suo bene più di quanto volessi il mio. E questo è sempre bastato per andare avanti e soprattutto mi ha sempre aiutato a perdonarlo quando sbagliava o a perdonare me quando iniziavo ad esagerare. Ed ora, sinceramente, preferirei andare avanti tutta la vita così, litigando anche ogni giorno e minacciando di andarmene di casa, piuttosto che perderlo davvero, perché tanto so che ogni volta, troveremmo un modo diverso per fare pace." e forse sul finale aggiunse un leggero velo di malizia, ma fu talmente tanto naturale, da sembrarmi, nonostante tutto, indovinato per il momento. Mi ritrovai a sorridergli, colpito dalle sue parole sincere e profonde e per un attimo, misi da parte l'invidia e cercai di capire esattamente cosa si provasse, dovendo misurare la propria felicità in base a quella di qualcun altro, se fosse davvero così bello come sembrava esternamente e soprattutto se anche io un giorno potessi arrivare a sperare in un sentimento del genere.
Perché la mia felicità è diventata direttamente proporzionale alla sua...
"Sai, Kurt... era davvero da tanto che non vedevo Blaine così... sereno. Ho sempre sofferto, sapendolo così solo e con un peso così grande da portare addosso, e iniziavo a credere che purtroppo non sarebbe cambiato nulla perché non avrebbe mai trovato qualcuno degno del suo amore e della sua felicità." disse qualche istante dopo, facendosi pensieroso. Ed io, di conseguenza mi ritrovai a trattenere il fiato, perché avevamo cambiato argomento all'improvviso, senza neanche un minimo di preavviso ed io non ero del tutto pronto per parlare di Blaine
"Poi però... è successo qualcosa... lui ha incontrato te e devo dire che... gli è decisamente cambiata la vita!" mi rivolse un altro sorriso, che quella volta aveva un leggero accenno di gratitudine che mi fece stranamente arrossire
"Io..." provai a dire qualcosa ma, non uscì nulla di concreto dalla mia bocca, così lui ne approfittò per continuare
"Tu forse non te ne rendi conto, ma da quando Blaine si è trasferito sul tuo stesso pianerottolo e ha conosciuto te, è come se si fosse.. svegliato da un lungo letargo che lo teneva ancorato al passato, e questo passato, credimi.. era decisamente doloroso. Tu però sei riuscito a scuoterlo e a farlo rialzare e molte volte mi chiedo ancora come tu abbia fatto. Io e Sebastian ci abbiamo provato in tutti i modi, ma, niente, sembrava... abbastanza. Solo che... poi sei arrivato tu e tutto ha ricominciato a funzionare esattamente come avrebbe dovuto ed è stato come se lentamente vedessimo riaccendersi una speranza nei suoi occhi, quella stessa speranza che gli era stata strappata via e che credevamo ormai persa per sempre. E sei stato tu.. tu gli hai ridato questa speranza, questa... luce negli occhi e lo hai fatto nella maniera più sincera e limpida del mondo, senza ingannarlo e senza pretendere nulla. Ed è stato tutto naturale esattamente come avrebbe dovuto: ed è stato così che, una cosa all'apparenza complicata come far guarire Blaine dalla sua... malattia... è diventata la più semplice del mondo. Esattamente come è semplice per me continuare a sopportare ogni giorno Sebastian." gli si illuminarono gli occhi durante quel discorso e fu strano accorgersene, nonostante avessi gli occhi completamente appannati dalle lacrime. Avevo giurato a me stesso di non piangere più, di fare di tutto affinché soltanto il sorriso esprimesse le mie emozioni, eppure, in meno di ventiquattro ore, mi ritrovavo di nuovo commosso e completamente senza fiato, e ancora una volta, il merito, anche se indirettamente, era di Blaine.
"Io non so esattamente cosa provi per lui e non pretendo neppure che tu me lo spieghi, perché sarebbe inutile. Ma una cosa posso dirtela.. qualsiasi cosa sia, anche il semplice e banale affetto, ti scongiuro... faglielo capire, Kurt... Blaine è buono e caro ma ha un piccolo difetto.. è un pò... sbadato.. non si rende conto di quello che lo circonda o dei sentimenti degli altri. Non lo fa apposta è... il suo carattere confusionario. Però.. merita di saperlo... e tu meriti di sapere cosa prova lui per te. In un certo senso... io credo che insieme possiate trovare quella felicità che vi spetta di diritto e che per tanto tempo avete creduto non esistesse affatto." mi sorrise ancora e poi, con un gesto pieno di naturalezza mi prese a braccetto e insieme ci incamminammo di nuovo verso il viale principale
"Prendilo come il consiglio di un amico... hai bisogno anche tu di avere accanto il Sebastian della tua vita!" mormorò, facendomi ridacchiare e approfittai di quel momento per asciugarmi le lacrime, anche se, per mia fortuna, non facevano affatto male "O il Daniel, a seconda dei casi!"
Ci guardammo per un lungo istante, prima di scoppiare a ridere assieme. Aveva ragione, fottutamente ragione. E ormai lo avevo capito anche io, lo avevo capito quella stessa notte, mentre mi ero ritrovato ad essere legato in maniera tanto profonda con l'anima di Blaine e lo sentivo ancora, nonostante fossimo lontani, era al mio fianco, che camminava con me e mi stringeva la mano nascosta nel cappotto. Ed era strano perché così, non mi ero mai sentito.
Perché la mia felicità è diventata direttamente proporzionale alla sua...
Una decina di minuti più tardi, recuperammo Cooper - che si era messo ad infastidire una coppietta che amoreggiava tranquillamente su una panchina - e ritornammo nell'appartamento di Blaine. Per sicurezza mi ero preparato al peggio: a vedere piatti in frantumi sul pavimento, mobili messi sottosopra, il televisore fatto a pezzi... e ovviamente loro due a darsele di santa ragione al centro della stanza, ricoperti di sangue e lividi. Ma non ci fu nulla di tutto questo: il salotto era immacolato, esattamente come quando eravamo andati via, il televisore era ancora funzionante, il divano ancora diritto e soprattutto Sebastian e Blaine erano in cucina, a preparare la cena
"Ehi.. vi avevamo dati per dispersi!" ci accolse il primo, venendoci incontro e salutando il suo ragazzo con un bacio
"Colpa di questa peste... ci era scappato e per poco non ci faceva litigare con una coppia di quindicenni!" rispose il biondo, liberando Cooper dal guinzaglio e dandogli una leggera pacca sul sederino
"Ecco un altro difetto da aggiungere alla lista!" gridò Blaine dalla cucina, per poi venirne fuori con una ciotola di insalata, ma soprattutto con un magnifico sorriso sul volto, che mi fece sfarfallare il cuore "Mi sta venendo su come un teppista.. e la colpa è solo tua!" diede un leggero pugno al braccio di Sebastian, che fece una smorfia scandalizzata
"Mia? E che diavolo c'entro adesso? É figlio tuo, e la sua educazione non rientra nelle mie competenze." borbottò, lanciando un'occhiata offesa verso il cane, che quasi avesse capito, abbaiò in direzione del padrone, facendo ridere tutti
"D'accordo... è ora di cena anche per te... pochi minuti fa è arrivato un pony a consegnare del cibo.. l'avevi ordinato tu, vero?" mi chiese Blaine, rivolgendomi un altro dei suoi sorrisi speciali, che mi fecero arrossire appena. Dovevo imparare a controllarmi, altrimenti non avrei avuto vita facile in sua presenza
"Oddio sì... che sciocco.. me ne ero completamente dimenticato. Aspetta vado un attimo a casa a prendere il portafoglio per.." ma lui mi bloccò
"Non pensarci neanche... è casa mia e pago io!" e mi strizzò l'occhio, con una naturalezza disarmante
"Ma no.. ho ordinato io ed è giusto che sia io ad occuparmene!" tentai ancora, mentre lui scuoteva la testa, divertito ma testardo
"Casa mia, casa tua, casa nostra... smettetela di battibeccare voi due... qui c'è gente che ha fame!" borbottò Sebastian, intrufolandosi tra di noi
"Tieni, inizia a sfamarti con questa allora!" rispose Blaine passandogli la ciotola dell'insalata e ricevendone in cambio una smorfia di disappunto e una mezza risata da parte di Daniel. Ci fu un attimo, un brevissimo istante in cui i miei occhi e quelli del ragazzo biondo si incrociarono e ci ritrovammo entrambi a sorriderci a vicenda, perché quello che mi aveva detto poco prima, era tutto lì, davanti ai nostri occhi ed entrambi riuscimmo a riconoscerlo. Così, senza neanche sapere come, mi ritrovai a seguire Blaine in cucina, mentre gli altri due si dirigevano verso il terrazzo. Mi avvicinai a lui, gli afferrai un polso per farlo girare e, senza dire nulla, lo abbracciai forte, sospirando come ogni volta.
"Kurt?" mi chiamò lui, appena confuso, ma stringendomi ugualmente le braccia attorno alle spalle. Ed io mi ritrovai a sorridere, perché quello era il gesto che avrei voluto fare dal primo momento in cui lui era ritornato a casa e i nostri sguardi si erano incrociati. Quello era esattamente ciò che avrei voluto fare per il resto della vita
"Ti voglio bene, Blaine... te ne voglio davvero tanto!" mormorai, stringendo appena un pò di più e beandomi della magnifica sensazione di pace che avvertivo dentro
"Ti... voglio bene anche io, Kurt." rispose, con l'ombra di un sorriso nella voce e la strana consapevolezza di dover dire qualcosa di più. Sorrisi ancora, intenerito, perché Daniel aveva ragione... Blaine era davvero sbadato per certe cose, prima fra tutte i sentimenti. Ma forse lo eravamo entrambi e entrambi saremmo riusciti a venirne fuori, aiutandoci  e compensandoci
a vicenda.
Perché la mia felicità è diventata direttamente proporzionale alla sua...

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Capitolo 34
*** In un modo o nell'altro ***


(K&B) Buon Lunedì a tutti miei angeli ^^ dunque, oggi proviamo un pò a scuotere le acque, come vi ho già detto ieri nello spoiler, ma non preoccupatevi, la Klaine è al sicuro. Diciamo che da adesso fino alla fine (dieci capitoli più o meno!) per loro sarà solo un inesorabile avvicinarsi sempre di più e noi godremo di ogni istante perché ci piace vederli felici e innamorati ^^ cosa avrà in mente l'autrice lo scoprirete presto.. intanto gotedevi questo capitolo e ci vediamo Giovedì. A proposito.. ho una comunicazione di servizio per voi: purtroppo Giovedì ho un convegno all'Università da seguire che mi terrà bloccata credo tutta la giornata. Dovrei riuscire a tornare a casa per l'ora di pranzo e quindi aggiornare in quel frangente, nel caso non dovessi farcela mi toccherà pubblicare dopo le sei e mezza. Se non mi vedete arrivare in mattinata quindi non vi preoccupate che io prima o poi arrivo ^^  Un bacio grande <3
p.s. A lei che legge in silenzio senza dirmi niente e poi mi manda i messaggi pieni di awwwww *w*.. ahahah Dan mio.. sei l'ammmmore <3
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 08.49 A.M. 16 Aprile 2012 (Lunedì)


Ero un fascio di nervi. Un condannato a morte che, consapevolmente, saliva gli ultimi gradini verso il patibolo, dove il boia incappucciato lo attendeva, trepidante per l'esecuzione, ed una piccola folla assisteva emozionata. Che poi non avevo mai capito cosa ci fosse di tanto interessante da vedere: possibile che la gente avesse un gusto per il macabro così accentuato?
Entrai nell'edificio dell'agenzia con quella strana inquietudine addosso, con la quale divisi perfino lo spazio in ascensore fino al quinto piano. Quel giorno sapevo che avrei dovuto affrontare il mio capo, dopo le minacce di David, e non potevo più rinviarlo. Il mio sesto senso mi diceva di tenermi vigile e preparato a tutto e raramente mi ero sbagliato su quel genere di cose.
Il solito cartello bianco e rosso appeso alla parete mi avvertiva che su quel piano avrei potuto trovare l'agenzia di moda "Sogni di Tessuto" del dottor Chang, e un atelier John Richmond. Sfilai in corridoio, sentendomi maledettamente osservato da tutti, anche se in effetti nessuno mi degnò di uno sguardo. Arrivato nel mio studio, aprii la porta con un sospiro. Forse ce l'avevo fatta. Forse quelle di David erano state solo parole. Forse potevo ancora sperare di...

"Signor Hummel?" una voce alle mie spalle mi chiamò, in quello stesso istante. Tempismo perfetto, complimenti.
Mi girai, cercando di assumere la migliore faccia innocente del mio repertorio, verso la segretaria personale del signor Chang - Cinthya, una sciacquetta biondo platino, alla quale madre natura doveva aver negato grazia e portamento, oltre che un paio di tette - e sollevai un sopracciglio. Dovevo dare l'idea di qualcuno estremamente impegnato... così avrei avuto più chances di...
"Il dottor Chang l'aspetta nel suo ufficio!" mi informò lei risoluta e anche un bel pò soddisfatta.
Brutta stronza in minigonna...
"D'accordo! Il tempo di fare un paio di.." ma mi interruppe
"Subito!" ci tenne a precisare allora.
Quanto ci godi di questa situazione al momento, eh?
Mi limitai ad annuire per poi abbandonare la borsa e la cartelletta con i miei preziosi appunti e seguirla lungo il corridoio opposto. Ecco, quello era il preambolo della mia fine. Lo sapevo, dannazione! Tutti i miei sforzi, i miei sacrifici, buttati malamente nel cesso, soltanto perché, uno stupido bambinone troppo cresciuto in altezza, aveva deciso di farmela pagare. Di punirmi per aver cercato di essere felice. Ma andava bene, no? La vita era sempre stata crudele con me, fin dalla nascita, per cui... di cosa mi lamentavo?
A circa metà corridoio, passammo accanto alla sala trucco, davanti alla quale incrociammo un paio di modelle, tra cui Santana. Lei mi guardò, quasi cercando di scusarsi per qualcosa di cui era già a conoscenza o che comunque sospettava. Mi sfiorò perfino un braccio ed io tentai un sorriso. Fu più che altro una smorfia, ma sperai che per lei fosse sufficiente.
Arrivati davanti allo studio di Chang, la segretaria bussò alla porta e rimase diligentemente in attesa
"Avanti!" una voce le diede il via libera e lei aprì la porta, affacciandosi all'interno, molto discretamente, solo con la testa. Ancora non aveva capito che in quel tipo di mestiere non c'era spazio per la timidezza e l'insicurezza? Se non si mostrava un pò di carattere si rischiava di essere cacciati a calci. Ed io stavo per avere lo stesso destino, per molto, molto meno.
"Dottor Chang, c'è qui il signor Hummel per lei!" annunciò la ragazza. Senza neanche vederlo, immaginai perfettamente il mio capo abbassare lo schermo del computer portatile e fare un gesto con la mano alla sua segretaria.
"Prego... lo faccia entrare!" acconsentì infatti e lei, dopo essersi fatta da parte, mi fece cenno di entrare. Il fatto che a questo ci avesse aggiunto un sorriso da arpia, fu un dettaglio che al momento preferii trascurare.
Feci il mio ingresso nello studio - perfetta ambientazione zen, per un uomo perfettamente zen - e mi richiusi la porta alle spalle. Solo allora, forse per la vista del mio capo seduto elegantemente alla scrivania in tek nero, o forse per colpa del quasi nauseante odore di incenso, realizzai cosa mi stava succedendo. E il cuore mi partì furioso nel petto, facendo male, tanto male.
"Prego Signor Hummel... si accomodi!" mi invitò lui, indicando una delle due poltrone nere davanti alla scrivania, da bravo padrone di casa. Io intanto mi ero avvicinato a lui, con le gambe che tremavano
"Se non le dispiace, dottore, preferirei rimanere in piedi!" risposi meccanicamente, torturandomi le mani. Quell'uomo, la sua compostezza, la sua precisione, quella maledetta aurea di affidabilità e puntualità, quell'orribile odore di legno bruciato... tutto in lui incuteva soggezione. In alcuni casi perfino terrore.
"D'accordo, come preferisce!" e mi rivolse un tiepido sorriso di circostanza. Ecco come definirlo... tiepido! In lui non era mai né carne né pesce... un'assurda ed insipida via di mezzo.
Congiunse le mani sulla scrivania e fece un lungo respiro. Lo imitai quasi inconsapevolmente.
"Da quanto tempo lavora per me, signor Hummel?" mi domandò allora, cogliendomi impreparato. Mi ero aspettato di ricevere subito la secchiata d'acqua gelata in pieno viso, e invece no... aveva deciso di girarci attorno. Com'è che si diceva... indorare la pillola?
"Cinque anni signore!"risposi poco dopo. Lui annuì, appena sorpreso. Forse non pensava fossi durato così tanto. Forse si chiedeva semplicemente come mai non avesse deciso di farla prima quella chiacchierata. In cuor mio, temevo la risposta.
"Ascolti, signor Hummel, posso permettermi di essere franco con lei?" mi chiese ed io trattenni d'istinto il fiato.
Eccolo...
"Certo!" mormorai, quasi senza voce
"Bene... come lei sa, questo che stiamo attraversando non è affatto un bel periodo... soprattutto per l'imprenditoria della moda. Abbiamo subito forti cali e leggi universali del mercato ci richiedono ogni giorno di essere informati e reattivi per cogliere le tendenze, farle nostre e rispondere di conseguenza!" spiegò con professionalità. Quello era senza dubbio il discorso più lungo che gli avessi mai sentito pronunciare. Ed ero decisamente sorpreso.
"Purtroppo ho letto il resoconto dell'ultimo trimestre di questa agenzia e mi sono accorto di parecchie spese extra che hanno aggravato ulteriormente la nostra già precaria situazione!" continuò. Ma dove diavolo voleva arrivare?
"Per questo da oggi ho deciso di iniziare a rimediare! Purtroppo con l'amara consapevolezza di dover... sacrificare qualcosa!" e mi lanciò uno sguardo eloquente che mi fece tremare appena.
Ci siamo...
"Sacrificare?" domandai leggero, sentendo lentamente la consapevolezza farsi strada in me, annidandosi in ogni muscolo ed in ogni tessuto
"Esatto! Dobbiamo praticare dei tagli, delle riduzioni... primo fra tutti, quella del personale di questa agenzia!" sentenziò lapidario. Per poco non mi scappò un gemito di frustrazione. Ero preparato a quello, o almeno mi ero convinto di esserlo. Tutta quell'attesa, però, quelle parole e quelle lunghe pause mi stavano logorando. Mi stava licenziando? Bene, perché non riusciva a dirmelo chiaramente invece di costruirsi alibi inutili?
"Lei sa di avere talento Kurt, ed è per questo che io mi sto permettendo di farle questo discorso. Lei è capace e sono sicuro che troverà subito un'altra agenzia pronta ad accoglierla!" esclamò. Eccola, la parta degli elogi indesiderati.
Devi andare via, caro Kurt, la tua recita è finita!...
Scossi la testa, ignorando perfino il fatto che mi avesse chiamato per nome per la prima volta e permisi ad un sorriso amaro di stirarmi le labbra
"Posso farle una domanda, signor Chang?" avanzai allora, ancora con quel sorriso di chi, già a prescindere, conosce la risposta.
"Prego!" acconsentì lui, con un pratico gesto delle mani
"Chi, oltre a me, è incluso in questo... taglio del personale?" domandai. Lui, preso in contropiede, sgranò appena gli occhi per poi ricomporsi subito. Tipico degli uomini d'affari. Freddi e produttivi.
"Al momento... per ora soltanto lei!" mormorò spostando goffamente un fermacarte per poi riposizionarlo esattamente dov'era prima. Il sorriso che avevo sul volto ebbe un attimo di incertezza, dopodiché tornò a stirarsi beffardo
"Lo immaginavo!" strisciai pungente e stavo giusto pensando di girare i tacchi ed andarmene, perché non esisteva che fossi umiliato ulteriormente, soprattutto perché sentivo le lacrime iniziare a premermi ai lati degli occhi per uscire, ma lui mi anticipò
"Questo non è affatto un attacco personale contro di lei, signor Hummel... le assicuro che ben presto provvederemo a..." ma non lo feci finire.
Basta, basta con tutta questa merda!...
"Senta dottor Chang, finiamola qui! Tanto è chiaro ad entrambi il motivo reale del mio licenziamento, quindi è inutile continuare a ricamarci sopra tante belle, ma inutili parole!" sollevai le spalle, mentre per un attimo lui abbassava gli occhi. Presi quel gesto come una piccola ammissione di colpa
"Ci tengo a farle sapere che sono fiero del mio lavoro e di ciò che in questi anni sono riuscito a costruire: la ringrazio per avermi permesso di fare la giusta esperienza e, nonostante tutto, mi creda... sono davvero contento così!" esclamai sentendo la voce tremare un pò sul finale. Bene, quello era il segnale: dovevo andare via di lì prima di scoppiare a piangergli in faccia. Sarebbe stato davvero poco professionale da parte mia. Lui sospirò come per farmi capire di avere le mani legate e si alzò in piedi
"É stato un onore averla avuta nel mio team, signor Hummel. Ribadisco, lei ha talento!"
"Già, ma a quanto pare questo non è bastato!" biascicai, ma prima che lui dicesse o facesse altro, allungai una mano per congedarmi
"Arrivederci signore!" salutai educatamente e lui mi strinse per un secondo la mano. Nei suoi occhi neri, sembrò passare un'ombra, ma non ci feci caso. Sinceramente avevo altro a cui pensare, soprattutto maledirmi per aver seriamente creduto, per un piccolissimo e fottuto istante, che qualcosa in quei quattro anni spesi al fianco di David, fossi riuscita a farla e che lui, per quanto ferito, non potesse mai arrivare a tanto per vendicarsi. Eppure, mi ero sbagliato. Lui ne era stato capace... eccome se lo era stato.
Feci dietrofront e guadagnai velocemente la porta, chiudendomela alle spalle. Quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei visto lui, il suo ufficio e la sua segretaria stronza. Le lanciai un'occhiata di sbieco, che lei mi restituì quasi subito.
"Tutto bene?" mi chiese falsamente. Misi su un sorriso strafottente
"A meraviglia!" risposi superandola, ma prima di allontanarmi, volli togliermi una soddisfazione. Almeno quella, almeno con lei! Così mi girai di nuovo e le sorrisi ambiguo
"Ah dimenticavo... il dottor Chang vorrebbe che lo raggiungesse tra una mezz'oretta nel suo ufficio per la vostra solita sveltina infrasettimanale. Ma questa volta la prega di essere un pò più discreta... sa com'è, a quanto pare tutto il quinto piano... vocifera!" e con l'ultimo sorriso vittorioso le diedi le spalle, mentre lei, paonazza, si affrettava a raccogliere dei fogli che le erano scivolati dalle mani in quell'istante.
Io sarò stato anche licenziato... ma tu rimani una troia...
Mi diressi verso il mio studio, non sentendo quasi più le gambe, tanto che dovetti appoggiarmi per un istante allo stipite della porta per riprendermi un pò. Raccolsi le mie cose in fretta e furia, svuotando cassetti e recuperando i miei album dalla scrivania e ficcai tutto nella tracolla. Dovevo uscire il prima possibile da lì, non volevo sentire ragioni. Lasciai la cartelletta con gli appunti in bella mostra sulla scrivania ed uscii.
Kurt Hummel non lavora più qui. Da adesso in poi arrangiatevi...
Quasi corsi verso l'ascensore, sentendo gli occhi pizzicare pericolosamente, ma prima di poter premere il pulsante della chiamata, mi sentii afferrare per un gomito. Mi girai controvoglia, ritrovandomi gli occhi scuri di Santana che mi scrutavano apprensivi
"Kurt..." mormorò con un filo di voce. Diede un'occhiata alla mia tracolla stracolma e ai tre cataloghi che stringevo al petto e si aprì in una smorfia dispiaciuta
"Ma allora è vero... te ne vai!" e non era una domanda, ma una costatazione, un'amara, atroce e secca costatazione. Io mi limitai a abbassare lo sguardo ed annuire. Non ce la facevo a parlare. Se lo avessi fatto sarei scoppiato a piangere, senza dubbio. Ci fu un attimo di silenzio, ognuno troppo preso dai propri pensieri per dire o fare altro - i miei stavano iniziando a diventare soffocanti - finché non mi ritrovai le braccia ambrate di Santana attorno al collo e una massa di morbidi capelli neri sulla guancia
"Mi mancherai, Kurt... non so neanche dirti quanto!" mi sussurrò all'orecchio stringendo la presa. Mi scappò un singhiozzo, ma me ne fregai. Quell'abbraccio era troppo sentito, troppo caloroso, per rimanere impassibile, ed io ne avevo un disperato bisogno.
"Mi mancherai anche tu, Santana! Sei una bella persona... e lo penso davvero!" le dissi, appoggiandole le labbra sulla tempia per lasciarle un bacio leggero
"Anche tu Kurt... anche tu!" rispose, per poi scostarsi. Aveva gli occhi lucidi ed un labbro stretto tra i denti. Mi fece quasi più tenerezza lei del sottoscritto. Le accarezzai un braccio e tentai un sorriso
"Salutami Brittany e Sam, mi raccomando!" le dissi
"Lo farò... sta pur certo che lo farò!" mi assicurò con una strana sfumatura nella voce. Chissà perché, per un momento mi sembrò ci fosse altro dietro le sue parole, ma preferii sorvolare. Ero troppo scosso per quello. Mi avvicinai all'ascensore ed aspettai che le porte si aprissero dandogli volutamente le spalle. Ne approfittai per asciugarmi velocemente una lacrima e sospirare. Quando finalmente fui nella cabina, mi girai ed incontrai di nuovo i suoi occhi fermi e decisi, eppure ancora velati dal dispiacere. Fu l'ultima cosa che riuscii a vedere dell'agenzia "Sogni di Tessuto"... dopodiché il sipario si chiuse.

New York City. Ore 10.12 A.M. 16 Aprile 2012 (Lunedì)

Il mio letto. Il mio magnifico letto caldo ed accogliente, non lo avevo mai visto, alle dieci di mattina, così da vicino. E dovevo ammettere che era seriamente bellissimo, talmente tanto bello da commuovere quasi. Non mi ero mai potuto permettere un lusso del genere, oziare tra le lenzuola fino a quell'ora e continuare a prendermela comoda, eppure ormai potevo farlo, perché nessuna sveglia sarebbe suonata alle quattro per disturbarmi, nessuna fretta per arrivare puntuale, nessuna corsa contro il tempo, nessuna fatica disumana per arrivare integro a fine settimana. Era Lunedì ed io ero nel mio letto a sonnecchiare, ed ero decisamente felice.
Certo avrei preferito se in quel letto con me ci fosse stato anche Kurt, ma purtroppo lui al contrario mio, aveva un lavoro da mandare avanti e quindi era necessariamente dovuto tornare alla sua quotidianità e di conseguenza al suo appartamento. Non ero stato particolarmente felice di vederlo andare via Domenica mattina - dopo aver cenato con Sebastian e Daniel ed aver dormito ancora con me - ma come lui stesso mi aveva fatto notare, mentre lo guardavo sconsolato sulla porta di casa, dovevamo tornare alla normalità prima o poi e quindi lui doveva sbrigare delle commissioni ed io magari iniziare seriamente a trovare qualcosa con cui riempire le mie giornate. Come per esempio escogitare un modo per impedire a Sebastian e al suo consorte di ripresentarsi a casa mia a tradimento e rovinarmi la serata romantica con Kurt - che poi, pensandoci, le mie intenzioni erano tutto fuorché romantiche, ma... vabbé, il senso era più o meno quello. Dopo avergli firmato quella denuncia e avergli chiesto nuovamente scusa per la sfuriata disumana e inadeguata che avevo tirato fuori, mi ero ritrovato a minacciarlo: visto che era stato lui stesso a dirmi di non essere affatto abituato a dover fare i conti con la mia vita privata, da quel momento in poi le cose sarebbero cambiate. Così, come aveva fatto lui con me, quando Daniel era venuto a stare a casa nostra, anche io avevo tirato fuori un foglio ed una penna e gli avevo scritto a caratteri cubitali gli orari in cui era assolutamente vietato disturbare - la mia zona rossa - e lui, con molta discrezione, mi aveva sorriso, aveva preso il foglio, lo aveva ripiegato e se l'era infilato in tasca. Quindi sperai vivamente che avesse capito e mi concedesse un pò di quel rispetto che io gli avevo dato in tutti quegli anni.
Sperai anche che, quella sera, io e Kurt, dopo essere tornati dal pub, potessimo recuperare un pò di tempo perso, perché iniziavo seriamente a chiedermi che sapore potesse avere lo stare insieme - nel senso.. fisico - senza più doversi preoccupare di David. Quel bestione era ufficialmente uscito dalle nostre vite - dalla sua soprattutto - quindi ormai potevamo tirare un sospiro di sollievo, perché non avrebbe più potuto farci del male.. né a me né a lui.
Soltanto dopo le dieci e trenta, spinto più che altro dalla fame, mi decisi ad abbandonare le coperte e ad alzarmi. Ogni passo era un sospiro di completa beatitudine ed ogni sospiro mi ricordava quanto fossi fortunato e quanto poco servisse in realtà per sentirsi così. Avevo soltanto un lavoro - come tutti i comuni mortali - che tra l'altro adoravo, avevo degli amici incredibili - che si preoccupavano per me, nonostante tutto - avevo un conto di banca finalmente discutibile ma soprattutto, avevo lui. Anche se il nostro rapporto non era stato ancora del tutto etichettato con un nome preciso, di certo non era più amicizia. Probabilmente neanche un solo istante avevo considerato Kurt mio amico e non lo avrei mai fatto. Era vero, gli volevo bene, ma il mio affetto andava ben oltre il semplice.. bene. Era difficile dire ad alta voce quelle due piccole parole in fila, ma era esattamente quello il punto: io da Kurt volevo di più, volevo seriamente provarci, volevo vedere cosa saremmo riusciti a fare insieme, finalmente liberi. Lui stesso aveva detto, durante la notte in cui mi ero messo a suonare per lui, che avrebbe voluto che io diventassi il suo nuovo.. motivo. Ed io sarei stato ben felice di farlo, anche perché lui
già da tempo era diventato il mio. Ma non volevo mettergli fretta: usciva da una situazione difficile e per quanto a certe cose non si riesca a mettere un freno, perché accadono e basta, io per lui avrei aspettato il momento migliore. Io per lui avrei fatto di tutto.
Mi ritrovai a sorseggiare il mio caffè, chiedendomi se non fosse il caso di ridipingere le pareti della cucina, fino a che, un rumore proveniente dalla parete adiacente alla mia mi fece bloccare. Cos'era stato? Una porta che veniva violentemente sbattuta? Un comodino rovesciato? Cosa diamine stava combinando Kurt, ma soprattutto... cosa ci faceva a casa a quell'ora? Sarebbe dovuto essere ancora al lavoro, come sempre. E allora cos'era? Aveva i ladri a casa?
Confuso, abbandonai la tazza sul lavandino e uscii sul pianerottolo. Per un istante, uno soltanto, mi diedi dello stupido. Ero troppo curioso e già una volta la mia assurda curiosità mi aveva quasi ucciso. Quello che era successo non mi era bastato? Suonai al campanello un paio di volte ma non ricevetti risposta, così provai a sbattere le nocche direttamente sulla porta. Eppure io quel rumore lo avevo sentito, non avevo di certo le allucinazioni!
Dato che continuavo a non ottenere nulla, tornai in casa e mi precipitai sul terrazzo. Mi accostai alla ringhiera, che divideva i nostri due spazi, e diedi un'occhiata: l'inferriata della porta-finestra era aperta, segno che Kurt fosse davvero in casa. Ma allora perché non rispondeva?
Ignorando bellamente la voce della mia coscienza che mi supplicava di farmi i fatti miei e soprattutto la paura dell'altezza che avevo scoperto ultimamente di provare, scavalcai la ringhiera e mi avvicinai all'appartamento
"Kurt... sei in casa?" lo chiamai discretamente, affacciandomi all'interno. Ora che ci pensavo poteva tranquillamente essere sul letto a riposare, o sotto la doccia. E se lo avessi trovato nudo da qualche parte? In fondo quella era casa sua e lui poteva fare quello che voleva. Ero io ad essere in difetto. Deglutii a fatica, e cercai di scacciare quel pensiero perché, immaginarmelo nudo a pochi passi di distanza, non era proprio indicabile per la mia già precaria salute psico-fisica. Non ricevendo ancora risposta, iniziai a preoccuparmi e decisi di farmi forza ed entrare, ma proprio mentre ero in procinto di farlo, uno strano rumore alla mia sinistra mi bloccò. Era un singhiozzo quello?
Sempre più confuso, scrutai la vegetazione, che Kurt aveva avuto cura di allevare in un angolo del terrazzo, fino a che, anche se con molta fatica, non lo individuai.
"Kurt?" lo chiamai di nuovo, stupito, avvicinandomi. Era seduto per terra, in mezzo a due piante particolarmente rigogliose, con le spalle al muro e le ginocchia strette al petto. Da quella posizione mi doveva per forza aver visto scavalcare la ringhiera e allora perché non mi aveva risposto? Soltanto quando fui praticamente di fronte a lui, a meno di un passo, ne capii il motivo: Kurt stava piangendo!
"Dio, Kurt... cosa ti è successo?" mi affrettai a chiedergli, inginocchiandomi. Lui, con le guance e gli occhi rossi, tirò su con il naso un paio di volte per poi scuotere la testa
"Kurt?" provai ancora, seriamente preoccupato. Lui finalmente alzò gli occhi e li puntò nei miei e lì venni colto da un brivido improvviso, sentendomi trapassare da parte a parte da quello sguardo, già normalmente tanto pulito e limpido, in quel momento diventato terribilmente indifeso e spaventato. Accadde tutto in pochi secondi, un momento prima ero ancora immobile, accovacciato sul pavimento del balcone a contemplare disarmato e combattuto il suo sguardo da angelo ferito, quello dopo mi ritrovai le sue braccia strette attorno alle spalle ed il suo viso nell'incavo del collo. Scoppiò a piangere disperatamente, ancorandosi in maniera quasi convulsa a me. Mi ripresi quasi subito da quel primo momento di shock e mi affrettai a circondargli le spalle a mia volta con le braccia. Qualsiasi cosa gli fosse successa, era chiaro che avesse bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Ed io ero certo... sarei stato lì per lui. Dopo svariati minuti passati in quella posizione, fui il primo a rompere l'equilibrio, accarezzandogli lentamente la schiena e sospirando
"Ehi Kurt?" lo chiamai. Lui mugugnò qualcosa, il viso ancora incastrato tra il mio collo e la spalla "Ti va di dirmi cosa ti è successo?" domandai in un sussurro. Non volevo di certo costringerlo, ma rimanere fermo, senza sapere, senza poter in qualche modo essergli d'aiuto, mi faceva letteralmente impazzire. Lui fece uno strano verso, un lamento forse, ed avvertii la punta del suo naso correre per la lunghezza del mio collo - ancora dannatamente sensibile per colpa di David - per poi tornare a schiacciarsi sulla spalla. Ignorando a fatica questo gesto tanto innocente quanto sconvolgente per il mio povero autocontrollo, già in parte compromesso, provai ad allontanarlo appena così da guardarlo nuovamente negli occhi. Lo trovai sfuggente, con lo sguardo abbassato, ma finalmente libero dalle lacrime. Le guance arrossate ed un labbro stretto con forza tra i denti
"Cielo, Kurt... così però mi fai impazzire!" mormorai frustrato, senza neanche pensarci. Volevo sapere cosa diavolo lo aveva ridotto in quello stato. Ormai era questione di vita o di morte. Poi, all'improvviso, un'illuminazione
"É stato David, non è vero? É colpa sua se stai così?" domandai agitandomi. Come diavolo avevo fatto a non pensarci subito? Lo sapevo che quello stronzo si sarebbe rifatto vivo. D'altronde cosa mi aspettavo... aveva quasi ammazzato me e davvero avevo creduto che le minacce di Sebastian potessero scalfirlo? Davvero credevo che una semplice denuncia potesse tenerlo lontano? Cazzo, Sebastian mi aveva dato la sua parola... lui mi aveva giurato di proteggere anche Kurt con quel documento e che David non avrebbe più potuto fargli nulla. E allora perché, perché ci ritrovavamo ancora nella stessa identica situazione? Perché lui continuava a piangere per colpa di quello stronzo?
Se solo scopro che quel pezzo di merda ti ha fatto del male, giuro sulla mia adorata chitarra, dovessi girare tutta New York a piedi, lo uccido...
"L-lui... ci è... riuscito!" singhiozzò ad un tratto. Era stato praticamente un soffio, ma lo avevo avvertito distintamente, quasi lo avesse gridato direttamente nel mio orecchio. Trattenni d'istinto il respiro
"A fare cosa?" gli chiesi allora, appena un pò sollevato che avesse deciso di parlare, finalmente. Non avevo di certo bisogno di sapere di chi stesse parlando... purtroppo lo sapevo fin troppo bene, e per quanto sperassi con tutto il cuore di sbagliare, il fatto che lui non avesse specificato, fu per me come ricevere un'atroce conferma. Si lasciò scappare un altro singhiozzo e la presa delle sue mani attorno alla mia maglia aumentò appena
"A to-togliermi tut-to! A... togliermi... il mio la-voro." rispose a fatica, con un lamento. Confuso, e anche particolarmente sconvolto, lo afferrai per le spalle e lo scostai, quel che bastava per guardarlo meglio negli occhi
"Che cosa ha fatto?" chiesi quasi senza fiato. In quel momento due grosse lacrime gli scivolarono dagli occhi arrossati, correndo lungo le guance e sparendo oltre il collo della camicia. Lui provò a prendere aria per parlare, lasciandosi scappare un paio di singhiozzi
"Ho parlato con il mio... capo... stamattina. Lui... mi ha licen-ziato... riduzione del personale, ha detto." e con un gesto di stizza, si asciugò una guancia con il dorso della mano, forse in maniera troppo irruenta, perché la fece soltanto arrossare un pò di più.
Kurt licenziato.. ma cosa...?
"E cosa c'entra David con..." provai a chiedere sempre più confuso. Lui non mi fece neppure finire. Sollevò lo sguardo e lo puntò nel mio: era letteralmente fiammeggiante d'ira
"Non hai ancora capito? É stato lui! Mentre litigavamo... l'altra sera... mi ha minacciato, dicendomi che me l'avrebbe fatta pagare... che mi avrebbe tolto tutto... a partire dal mio lavoro!" quasi gridò, stringendo i pugni sulle sue ginocchia, fino a farsi diventare le nocche bianche. Per la sorpresa caddi a sedere con un tonfo, ignorando il leggero dolore alla natica destra.
David ha...
"Non ci posso credere!" mormorai sconvolto. Kurt scosse la testa
"E non è tutto! A quanto pare era stato lui a raccomandarmi a Chang... perché altrimenti, a detta sua, io non sarei mai riuscito a..." si lasciò scappare un altro singhiozzo, che ormai pareva dilaniargli il petto
"Non è possibile, Kurt... sicuramente stava bluffando. Non può avere avuto tutto questo potere." affermai testardo. Cazzo, David era un insulso fotografo. Come diavolo aveva fatto a convincere il capo di Kurt a licenziarlo, o peggio, cosa c'entrava lui con la sua assunzione?
"E invece è possibilissimo, Blaine, credimi." mi assicurò con un sospiro, per poi lanciarmi uno sguardo frustrato e decidere finalmente che, forse, meritavo una spiegazione in più
"Quando sono entrato a lavorare nell'agenzia di Chang, l'ho fatto come semplice stagista... erano stati tutti chiari: avrei dovuto fare sei mesi di tirocinio, dopodiché la direzione avrebbe deciso cosa fare di me... se assumermi a tempo pieno con un regolare contratto o... se mandarmi via. In genere era quello il destino degli stagisti all'agenzia di Chang... sei mesi e poi niente. Aveva fama di sfruttare giovani promesse della moda, motivate e piene di energia per il breve periodo previsto dal tirocinio, periodo durante il quale non doveva sganciare neanche un centesimo tra l'altro, dopodiché mandava a casa tutti, senza troppi complimenti. Ed io sapevo che quel destino sarebbe toccato anche a me." mi spiegò allora, calmando le lacrime e il respiro
"E cosa... è successo, invece? Sei rimasto a lavorare parecchi anni in quell'agenzia.. giusto?" domandai. Lui annuì
"Già... tra qualche mese sarebbero stati cinque anni... cinque anni di servilismo e massima disponibilità e devozione per la sua stupida agenzia." precisò con disprezzo. Sospirò di nuovo per poi puntare lo sguardo verso l'orizzonte e scuotere la testa "É successo che ho conosciuto lui..."
"David!" mi ritrovai a mormorare con più disprezzo di quanto avessi voluto. Lui annuì di nuovo, quella volta con un mezzo sorriso
"Neanche dieci giorni dopo il nostro primo incontro, Chang mi fece chiamare nel suo studio, tutto entusiasta, per farmi sapere che alla sua agenzia sarebbe servito uno come me, con il mio talento e la mia passione e per questo aveva intenzione di assumermi a tempo pieno." raccontò con lo sguardo lontano. Forse a distanza di tempo, quegli strani comportamenti acquistavano lentamente un senso ai suoi occhi. E forse proprio per quello facevano così male. Mi lasciai scappare un lungo sospiro. Non riuscivo ancora a crederci del tutto.
"D'altronde qualche domanda in più me la sarei dovuta fare, a quel tempo. Mi era sembrato strano, ma ero troppo emozionato per... indagare oltre. A me bastava essere entrato a far parte dello staff di un'importante agenzia di moda newyorkese. Il resto passava in secondo piano!" spiegò, ancora smarrito. Poi, tornò per un attimo a guardarmi e quasi sorrise, colpito da qualcosa "Ora che ci penso... in cinque anni le mie mansioni all'interno dell'agenzia non hanno mai riguardato veramente il campo della moda... mi sono limitato ad eseguire gli ordini di Chang e di fare le sue veci quando lui era... troppo impegnato per ricevere personaggi importanti o per presenziare alle conferenze. Sono sempre stato una sorta di... segretario tuttofare... uno schiavo dell'alta borghesia imprenditoriale!" e ridacchiò amaramente. Feci una smorfia disgustata. Non mi piaceva che avesse quella considerazione di sé, come non mi piaceva il fatto che quello stronzo di Chang, lo avesse davvero sfruttato in quel modo.
"Dopo i miei sei mesi di tirocinio, David deve aver chiesto a Chang di assumermi, come... un favore personale! Ecco perché sono durato tanto... ero... raccomandato!" sputò quella sentenza quasi schifato per poi lasciarsi scappare l'ennesimo singhiozzo. Tutto iniziava a farsi più chiaro e inevitabilmente più assurdo. Come poteva, David, essere stato così spregevole con Kurt? Potevo accettare tutto, perfino che mi mettesse le mani addosso e mi ammazzasse quasi, ma fare così tanto male a Kurt, nel giro di soli tre giorni era davvero troppo. Eppure, avevo come la vaga impressione che la sofferenza di Kurt durasse da più tempo. Probabilmente era iniziata quando quel fottuto fotografo era entrato così di prepotenza nella sua vita. Lo dimostrava il fatto che fosse riuscito a farlo illudere così meschinamente sul suo lavoro e poi glielo avesse strappato via, senza troppi complimenti.
"E adesso che ci siamo lasciati, ovviamente non ho più diritto a rimanere dove in fondo non sono mai stato voluto. Adesso non servo più... il mio posto non esiste." mormorò abbassando la testa in tono afflitto. Mi faceva male vederlo così. Persone come lui non avrebbero mai dovuto soffrire in quel modo. Non se lo meritavano. Come David non si meritava tutto il tempo che aveva aveva trascorso al suo fianco. Lo aveva usato, sprecato, calpestato e fatto soffrire. E adesso di Kurt non rimaneva che un mucchietto di ossa, tutto raggomitolato su un terrazzo, che, nascosto tra le piante, non faceva che piangere e disperarsi. Ed io.. io che ruolo avrei avuto in tutto quello? Come avrei potuto alleviargli anche quel dolore? Sarei stato capace anche quella volta di.. salvarlo ancora?
Con un sospiro mi feci più vicino, sedendomi al suo fianco e provai a trovare le parole adatte da dire. Come ci si comportava in certi casi? Cosa si diceva al proprio... vicino - sul serio, Blaine... vicino? - per consolarlo, per farlo stare perlomeno meglio?
"Cosa pensi di fare adesso?" domandai ad un certo punto, osservando le sue guance arrossate e appena umide. Sollevò lo sguardo verso di me e si morse un labbro
"Non ne ho idea... sono rimasto spiazzato io... davvero questo non me lo aspettavo!" ammise. In quel momento sembrò più indifeso di quanto non fosse già normalmente. E di nuovo mi chiesi con quale coraggio quel verme di David avesse osato fargli del male. Me lo ero già chiesto qualche giorno prima quando lo avevo trovato distrutto e stanco nel mio soggiorno, dopo la schifosa scena del pianerottolo. Mi veniva in mente ancora in quel momento, e continuavo a non trovare risposta.
"Hai... qualcosa da parte?" domandai ancora, discretamente. Lui confuso mi guardò per qualche secondo, senza capire
"In che senso?"
"Parlo di soldi... per l'affitto.. per le spese.. per vivere, insomma... prima di.. trovare un altro lavoro." spiegai, sentendomi stranamente in imbarazzo. Non avevo idea della situazione economica di Kurt. Lui non me ne aveva mai parlato, né tanto meno io mi ero mai permesso di chiederglielo. Quelli non erano di certo argomenti che si affrontavano tra... vicini? A conferma di ciò che stavo pensando, lui fu colto da un momento di panico. Vidi chiaramente la consapevolezza attraversargli gli occhi e le iridi farsi leggermente più chiare, chiaramente turbate. Boccheggiò per qualche secondo per poi riprendere a torturarsi un labbro
"Oh!" sussurrò spiazzato
"Kurt?" sollevai un sopracciglio confuso, per la sua espressione indecifrabile
"Quest'appartamento..." mormorò con voce flebile e distante "I soldi dell'affitto vengono scalati direttamente dallo stipendio ogni mese." e allora capii anche io
"Oh!" non potei fare a meno di imitarlo, colpito amaramente "E quanto..."
"Poco... pochissimo in realtà." rispose, senza neanche farmi finire la domanda, ma cogliendo in pieno il senso. A quanto pare Kurt era più simile a me di quanto pensassi. Era semplicemente un ragazzo come me, capitato fortuitamente con una bella busta paga in tasca e alle spalle praticamente nulla. Ed ecco un altro danno riportato per colpa di quello stronzo di David. Era una reazione a catena. Effetto domino.
"Merda... sono un cretino. Un fottutissimo cretino!" sbottò allora, passandosi una mano tra i capelli, visibilmente agitato
"Calmati adesso. Non c'è motivo per agitarsi tanto prima del tempo." provai a rassicurarlo allora. Non ero del tutto sicuro che sarebbe servito a qualcosa, ma tanto valeva provare. Non avrei permesso a David di provocare altri danni. 
"E invece sì!" gridò in risposta, senza neanche guardarmi "Se in questi anni fossi stato minimamente coscienzioso, avrei messo da parte qualcosa. Così magari a quest'ora potrei iniziare a cercare un nuovo lavoro con calma, con la tranquillità di avere magari il culo coperto per qualche mese... e invece no... neanche quello sono riuscito a fare!" e portò le braccia al cielo in uno scatto di rabbia. Mi faceva male vederlo così. Vederlo soffrire e non poter fare niente.
Sei sicuro, Blaine? Sei proprio sicuro di non poter proprio fare nulla per lui?...
Spalancai gli occhi, colpito da un pensiero e mi ritrovai ad esclamare
"Il pub!" lui sobbalzò appena, guardandomi male
"Credi che bere mi aiuterebbe a stare meglio?" mi chiese confuso
"Ma no, certo che no... parlavo del pub di Puck!" specificai
"Continuo a non capire!" disse scuotendo la testa, probabilmente pensando che qualsiasi cosa avessi in mente, non fosse degna di attenzione. Eppure sentivo di aver avuto la giusta intuizione. E per questo mi lasciai scappare un sorriso
"Puck è alla disperata ricerca di personale... camerieri perlopiù, che servano ai tavoli, o che rimangano dietro il bancone a dargli una mano. All'inizio, dopo aver aperto, la clientela non è mai stata eccessiva e quindi una cameriera bastava ed avanzava. Da qualche mese a questa parte, però, per sua fortuna, gli affari vanno meglio e ormai Brittany non basta più. Proprio ieri sera lo sentivo lamentarsi del fatto che servisse un aiuto e... tu potresti fare al caso suo." spiegai entusiasta. Fu il suo turno per spalancare gli occhi
"Come cameriere... al pub?" mi chiese incredulo
"Sì... è un locale tranquillo, te lo posso assicurare e poi, ormai Puck lo conosci e sai che è una brava persona.. un pò pazzo forse, ma... uno di cui ci si può fidare, insomma." non come Mister Chang, per intenderci! "Certo, non è un granché, ma... è giusto per iniziare, per tamponare per i primi periodi. Poi sono sicuro arriverà la giusta occasione per te e allora potrai riprendere a fare quello che più ti piace e per cui sei portato!" trasportato dal mio stesso entusiasmo quasi non mi accorsi si fosse ammutolito e mi stesse fissando insistentemente
"Per non contare il fatto che al lavoro potremmo andarci insieme e quindi risparmieresti i soldi della benzina o della metro e lo stesso vale per il ritorno. Saresti in un bell'ambiente familiare, circondato da persone che conosci e dove ci sono..." ma mi bloccai appena in tempo, sbiancando.
Dove ci sono anche io...
Mi schiarii la voce, avvertendo uno strano calore salirmi su per le guance, che probabilmente si stavano colorando di rosso. Dio Santo quanto ero coglione! Che diavolo mi mettevo a pensare? E va bene proporgli di lavorare al pub con me, passi anche l'offerta del passaggio... ma addirittura sottolineare quanto piacere mi farebbe saperlo lì ogni sacrosanta sera... mi sembrava un tantino esagerato.
Controllati Blaine... per carità...
Tentai un sorriso incoraggiante, sorpreso - e anche un pò preoccupato - di trovarlo ancora muto ed immobile. Che si fosse offeso?
"Kurt?" lo chiamai allora "Non ti piace la mia idea? Cioè.. so che magari passare da un'agenzia prestigiosa ad un piccolo pub non è il massimo ma..."
"É perfetto!" sussurrò allora lui. Sorpreso rimasi con la bocca mezza aperta. Cos'è che aveva detto?
"Dio mio... è... perfetto!" squittì aprendosi in un sorriso meraviglioso. Me lo ritrovai nuovamente ancorato al mio collo, con le braccia strette e la guancia così vicina alla mia. Venni investito da una nuvola di profumo e calore semplicemente indescrivibili ma divini. Da lasciare senza fiato.
"Quindi... ti va... bene?" domandai sorpreso da tanta esuberanza. Era passato dalla fase "Zero emozioni/zero reazioni!" a quella "Ti salto al collo perché non posso farne a meno!". Ed io lo apprezzavo? Certo, io lo apprezzavo. Non c'era neanche il bisogno di chiedere
"Scherzi?" mi fece allora, allontanandosi appena per guardarmi negli occhi. Trovarli di nuovo lucidi, ma visibilmente emozionati, mi fece sciogliere
Dio, quei maledetti occhi che si ritrova... prima o poi mi manderanno al manicomio.. o all'inferno.. insomma, in qualche posto in cui verrò malamente punito...
"É semplicemente fantastico. Non ho parole... Blaine credimi." e mi tolse qualche anno di vita rivolgendomi un sorriso luminoso. Ecco com'erano i sorrisi di Kurt Hummel - alias, vicino non meglio identificato - luminosi! Non potei fare a meno di sorridergli a mia volta, con il battito cardiaco a mille
"Grandioso!" gli feci eco, ancora scosso. Lui parve riprendersi da quello slancio di emotività improvviso perché abbandonò - purtroppo! - la presa attorno alle mie spalle e si incupì appena
"Cosa c'è?" domandai preoccupato, e anche profondamente turbato per l'assenza di calore
"Tu credi che Puck mi assumerà... cioè... io non ho mai fatto il cameriere in vita mia, non so come fare! E, Blaine.. io non voglio che qualcun altro mi raccomandi. Non credo lo sopporterei." mi fece sconsolato, abbassando la testa. Intenerito dall'improvvisa insicurezza venuta di nuovo a galla, gli sollevai il mento con la mano e puntai gli occhi nei suoi, così limpidi e cristallini e gli sorrisi
"Non dire sciocchezze Kurt Hummel... nessuno nasce già con la laurea, e si vive proprio per imparare. Sono sicuro che Puck non avrà nulla in contrario a farti fare un periodo di prova, sotto retribuzione si intende, ed io sono sicuro apprenderai velocemente, perché sei capace! Per quanto riguarda me, non ho la minima intenzione di raccomandarti. Ci penserai tu, con il tuo talento, a farlo!" e gli feci l'occhiolino sperando di ottenere nuovamente quel sorriso tanto speciale. Lui ridacchiò, appena commosso e si strinse un labbro tra i denti
"Hai davvero così tanta fiducia in me?" mi chiese timidamente inclinando la testa di lato. Io ridacchiai afferrandogli una mano e stringendola forte
"Sì, Kurt... ho fiducia in te e.. sono così sicuro che tu ce la possa fare, che tu possa riuscire a riprenderti e a tornare a camminare con le tue gambe, che sono pronto ad investire in prima persona su di te!" confermai serio, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice "Tu però, non mi deludere mi raccomando." aggiunsi con un sorrisetto divertito, facendogli l'occhiolino. Lui scoppiò a ridere, scuotendo la testa
"Non lo farò, Blaine... te lo prometto!" mi assicurò con un sorriso disteso e tenero. Ricambiai all'istante e quella volta fui io a prendere l'iniziativa, attirandolo a me in un abbraccio. Lo sentii sciogliersi e rilassarsi completamente addosso a me, tanto che avvertii distintamente un sospiro uscirgli dalle labbra, sospiro che mi fece ridacchiare. Fortunatamente lui non parve farci molto caso. Presi ad accarezzargli la schiena lentamente e gli lasciai perfino un bacio morbido dietro il collo, come se niente fosse, in un istintivo quanto incosciente gesto di intimità. Perché era esattamente questo, ciò che era cambiato
tra me e lui: l'intimità. Non si trattava più di un'occasione sporadica, un cadere in tentazione per colpa dell'attrazione fisica o dell'astinenza. Era un rendersi lentamente conto di volere tutto ciò che si era creato, tutta quell'armonia, quella complicità e quel benessere che sembravamo condividere. Io volevo Kurt non soltanto perché mi ero reso conto di amarlo più di quanto avessi mai amato nessun altro nella mia vita, lo volevo al mio fianco come guida, come sostegno, come mio scopo, come difesa, come forza, come coraggio, come... il mio unico motivo. E poterlo stringere a me in quel modo finché avessi avuto respiro e ragione. E forse anche dopo, avrei ancora scelto lui.
"É la seconda volta che mi salvi!" mormorò scostandosi appena e poggiando la fronte alla mia. Era un gesto estremamente intimo quello, un ritrovarsi entrambi vulnerabili e forti, stretti in un contatto che andava ben oltre l'immaginabile. Mi ritrovai a sorridergli con tenerezza
"Lo so... e continuerò a farlo finché ne avrai bisogno.. è questo che fanno.. gli amici, no?" scherzai, tanto per provocarlo un pò e per mettere sul banco la questione tanto spinosa che mi era passata per la testa proprio quella mattina. Lui infatti ridacchiò
"Io e te siamo amici?" domandò in un misto tra lo scetticismo e la sorpresa
"Ehm... no.. direi di no!" concessi con una mezza risata, mentre riprendevo ad accarezzargli lentamente la schiena, che si rilassava sotto il mio tocco
"E allora.. cosa...?" tentò di chiedere, alzando una mano, per posarmela delicatamente sulla guancia
"L'altra sera ti ho detto che, se tu avessi voluto, io sarei stato il tuo... motivo." mormorai, con la voce carica di tensione, ma allo stesso tempo, rilassandomi per le carezze in punta di dita che mi stava regalando sul viso e per quello sguardo appena commosso e meravigliosamente dolce che riusciva a rivolgermi "Io dicevo sul serio, Kurt.. io ci credo davvero a questa cosa!" mi ritrovai a confessare, offrendogli ancora una volta il mio cuore. Ero eccessivamente melenso, me ne rendevo conto, ma quando si trattava dei miei sentimenti verso di lui, cambiava tutto, anche la mia percezione delle cose. E perfino dire una cosa tanto importante diventava estremamente semplice.
"Anche io.." fece lui, con un sorriso radioso ed avvicinò il viso al mio, fermandosi a qualche millimetro, prima di azzerare le distanze con un bacio. Un bellissimo bacio morbido e delicato che sapeva ancora di lacrime salate, anche se portava con sé la leggera consapevolezza di un sorriso
"Io ti..." ma mi bloccai. Morivo dalla voglia di tirare fuori quelle due parole, di gridarle al cielo, di dipingergliele sul muro del soggiorno. E forse, pensandoci, avrei potuto riempire la sua porta d'ingresso di post-it fucsia, ripetendoglielo all'infinito. Sarebbe stata una bella soddisfazione vedere la sua espressione beata, uscendo dalla cabina dell'ascensore, alla vista di tutti quei foglietti e di tutti quei "Ti amo".
Diglielo, Blaine... prendi coraggio e diglielo....
Ma... forse non ero ancora pronto. Non riuscivo ancora a dirlo ad alta voce, nonostante lo avessi completamente metabolizzato. Forse Sebastian aveva ragione: con i sentimenti ero davvero una frana, così come con le parole. Ecco perché preferivo la musica, che esprime tutto anche con le semplici note, senza bisogno d'altro. E allora, forse... avrei dovuto continuare a suonare per lui, all'infinito, fino a che quel Ti amo che faticava ad uscire dalla mia bocca, non sarebbe venuto ugualmente fuori, in un modo o nell'altro
"
Io.. ci tengo a te... tanto. E ti prometto che, farò tutto ciò che sarà in mio potere per renderti felice, per non farti più piangere, né soffrire." gli lasciai un bacio sulla punta del naso e gli sorrisi "Risolveremo questa situazione, Kurt... Ne verremo fuori... insieme! Te lo prometto!" gli sussurrai, mentre lui con un sospiro si riavvicinava e mi stringeva di nuovo. Mi accorsi in quel momento di aver iniziato a tremare leggermente, forse per l'aria fredda - maledetta New York che non aveva più le mezze stagioni - e così mi incollai al suo corpo, ricercando quel calore di cui avevo un disperato bisogno. E lui non sembrò affatto lamentarsi, anzi. Lo sentii ridacchiare e sospirare ancora, direttamente sul mio collo, cosa che mi fece tremare ancora di più
"Stai morendo di freddo.." mormorò poco dopo, appena dispiaciuto
"No... sto così bene invece!" risposi, strofinando la guancia contro la sua spalla e con il tipico tono da bambino testardo, che per mia fortuna lo fece ridere
"Dai.. entriamo. Prometto di continuare ad abbracciarti anche dentro, se ancora lo vorrai." mormorò divertito e quello mi permise di mollare la presa e arrendermi al fatto che fossi un vero idiota e che la prossima volta che avessi voluto fare l'eroe, mi sarei almeno dovuto ricordare di indossare una felpa sopra il pigiama.
Mi alzai in piedi e gli tesi una mano, aiutandolo a fare altrettanto. E fu un vero sollievo vedere come i suoi occhi non fossero più deturpati dalle lacrime o come un sorriso gli costasse decisamente meno sforzo. Gli angeli come lui non avrebbero dovuto più soffrire perché era contro natura e se lui me lo avesse permesso, ci avrei pensato io a fare in modo che più niente e nessuno gli facesse del male. A costo di rimetterci io stesso. Quella era diventata la mia missione della vita, e se anche non fossi riuscito a dirgli Ti amo a voce, glielo avrei fatto capire... in un modo o nell'altro.

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Capitolo 35
*** Paura di cadere e voglia di rialzarsi ***


Buon Giovedì a tutti e.. scusate immensamente per il ritardo -.- è stata una giornata infernale (oltre che inVernale... visto il freddo che fa!) e l'unica cosa che ho guadagnato è stato un gran bel mal di testa.. ma vabbé dettagli ^^ questa volta ci occupiamo di un bel capitoletto.. diciamo che sno abbastanza soddisfatta.. forse perchè ora posso divertirmi davvero come voglio con la Klaine unita e.. beh.. sono così dolci :3 qui, come vi ho detto anche ieri nello spoiler, ci sono ben due sorprese.. la prima è la canzone che Blaine dovrebbe cantare.. devo dire che siete stati poco attenti perché, leggendo bene lo spoiler.. in una parte precisa.. si capiva ^^ ma vabbè ora vi sarà tutto più chiaro. Per la seconsa sorpresa.. beh.. mmm è una sorpresa quindi io muta XD buona lettura angeli miei, scusate ancora per il ritardo e.. ci vediamo Lunedì <3
p.s. Dan mio... questa immagine.. non ho parole.. *___*
n.b. Pagina Facebook ( Dreamer91 ) ( Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 06.15 P.M. 17 Aprile 2012 (Martedì)


Blaine mantenne la sua parola - ma d'altronde non avevo mai avuto dubbi - e parlò con Puck del pub quella sera stessa, per propormi come cameriere. Lui era sembrato entusiasta: cercava un aiuto per il suo locale ma nessuno pareva interessato. D'altronde la povera Brittany non poteva di certo lavorare di più di quanto facesse già, soprattutto perché ormai la sua vita sociale sembrava essersi ripresa, con l'inizio della relazione con Santana. Ci avevo parlato la sera al bancone, sotto la supervisione e il sorriso entusiasta di Blaine e Puck mi aveva perfino fatto fare una prova. Non ero andato neanche tanto male: non avevo rotto nulla, non mi ero dimenticato di sorridere e soprattutto non mi ero mai distratto a guardare il cantante sul palco, mentre si preoccupava di distruggere lentamente il mio autocontrollo, tirando fuori canzoni come "I'm with you" di Avril Lavigne o "Love is in the Air". Però una mezza occhiata omicida mi ero preoccupato di lanciargliela, tanto per fargli capire che doveva darsi una regolata altrimenti, io non sarei riuscito ad ottenere il lavoro, e lui avrebbe perso il suo, tutto nella stessa serata.
E poi era una bella atmosfera nella quale lavorare. Puck era un ragazzo un pò strano, ma estremamente cordiale, Brittany era simpatica e dolce - e da sobria diventava decisamente più gestibile - i ragazzi che lavoravano in cucina - Joe e Rory - erano uno spasso, soprattutto il secondo, un ragazzo irlandese con un pessimo accento, e poi... poi c'era Blaine e questo sarebbe bastato per accettare qualsiasi tipo di lavoro.
Quella sera avrei iniziato a tutti gli effetti a lavorare e a percepire uno stipendio - che non era un granché, ma pur sempre un inizio - ed ero pronto a tutto: alle critiche, alla fatica, alla clientela più disparata. Blaine mi aveva promesso che ci saremmo andati assieme ed io avevo accettato di buon grado: mi faceva ancora uno strano effetto passare così tanto tempo in sua compagnia, soprattutto da quando lui non aveva più tre lavori ed io non ero più fidanzato. Il nostro, da sempre, era stato un rapporto strano. Non eravamo di certo amici - gli amici non dormono insieme, non fanno l'amore, né tanto meno si guardano come ci guardiamo noi - ma non stavamo neppure insieme. Sul mio terrazzo, il pomeriggio precedente, lui mi aveva detto una cosa importante: che avrebbe voluto essere il mio nuovo motivo, che ci teneva a me e che avrebbe fatto di tutto per rendermi felice. Ed io mi ero ritrovato a sentirmi il cuore stranamente leggero e ancora una volta quello sbattere di ali mi aveva riempito lo stomaco. Io lo amavo, e più passavo del tempo beandomi della sua presenza, più me ne rendevo maledettamente conto e per un attimo, il giorno prima, ero arrivato seriamente a sperare che fosse sul punto di dirmi la stessa cosa. Ma forse... forse mi ero immaginato tutto, forse il ti amo non c'era e non ci sarebbe mai stato e forse, per il momento andava bene così. Dovevo ancora capire come gestire le mie emozioni. Pensare di dover far fronte ad una rivelazione del genere, in quel momento, con la vita decisamente ancora troppo scombussolata, era ingestibile anche per me.
"Ehilà, bel ragazzo!" qualcuno mi gridò alla mia sinistra, mentre ero seduto in terrazzo a sorseggiare una Diet Coke. Non ci fu bisogno di girarmi, per guardare chi fosse - la sua voce l'avrei riconosciuta anche nei sogni - così, provando a trattenere il solito sorriso che mi nasceva spontaneo alla sua sola vista, gli lanciai un'occhiata fintamente sufficiente e risposi
"Un giorno o l'altro dovrò ricordarmi di denunciarti... lo sai che questa è violazione di domicilio?" gli feci, mentre lui tranquillamente scavalcava l'inferriata e si perdeva in una risata allegra. Mi si fece più vicino e intanto il mio cuore prese a battere sempre più forte.
"Tranquillo... conosco il padrone di casa. Sono praticamente in una botte di ferro!" esclamò strizzandomi l'occhio, facendomi sorridere ed arrossire.
"Sei pronto per il tuo primo giorno?" mi domandò inginocchiandosi di fronte a me. Presi un lungo respiro, cercando di sembrare il più controllato e tranquillo possibile
"Direi di sì... poco fa ho ripassato la piantina con i tavoli per non sbagliare di nuovo e ho perfino fatto pratica con un vassoio pieno di bicchieri... però, ora che mi ci fai pensare forse avrei dovuto riempirli quei bicchieri così sarebbero stati più pesanti e... merda... adesso devo assolutamente rimediare e..." ma il mio sproloquio venne interrotto dalle sue labbra, schiacciate sulle mie. Mi lasciai scappare un gemito di sorpresa ma non resistetti e chiusi immediatamente gli occhi per ricambiare. Quelle labbra... erano droga pura per me. Ormai ne conoscevo perfettamente il sapore, la consistenza, la morbidezza, la meravigliosa delicatezza con cui le muoveva sulle mie o come riuscisse, anche in quei momenti, a risultare dolce e passionale allo stesso tempo. Ed io mi sentivo come in estasi, preso e portato via da quella fragranza, accarezzato dal suo respiro e maledettamente consapevole di essermi finalmente innamorato della persona giusta. Della mia persona.
Non appena respirare divenne una necessità impellente, ci staccammo, rimanendo vicinissimi, i nasi che si sfioravano, i respiri accelerati, i cuori che molto probabilmente battevano all'unisono
"Come hai osato interrompermi mentre stavo parlando?" sbuffai divertito, facendolo sorridere
"Scusa, è stato più forte di me... le tue labbra sono troppo invitanti... è colpa loro... sembra mi stiano chiamando." e come a voler dimostrare quello che aveva appena detto, si avvicinò di nuovo per sfiorarmele più volte, morbido e delicato, facendomi quasi il solletico
"Non è una giustificazione plausibile, Anderson!" lo ammonii bonario, facendo scivolare una mano tra i suoi capelli.
Dio...
"Cos'è che stavi dicendo prima che io, così maleducatamente, ti interrompessi?" mi domandò con un sorrisetto divertito, accarezzandomi la guancia. Mi lasciai scappare un sospiro beato che lo fece sorridere ancora di più
"Mmm... non mi ricordo." borbottai "E sinceramente... non me ne frega niente." e mi rituffai sulla sua bocca sorridente, quella volta succhiandogli appena un labbro per fargli capire che volevo di più, avevo bisogno di sentirlo più vicino. E infatti lui lo capì, perché aprì appena le labbra per dare libero accesso alla mia lingua e farla incontrare con la sua. Combattemmo per qualche minuto buono, io che ero perfino scivolato in ginocchio per terra per tenere bene il suo ritmo, e per un attimo mi ero dimenticato di tutto: di Puck, del lavoro, dei bicchieri che non avevo riempito. C'era solo Blaine, la sua lingua, il suo sapore maledettamente avvolgente, i suoi capelli morbidi che scivolavano perfettamente tra le mie dita, il suo odore così familiare e rassicurante, il suo tocco sul mio collo che mi faceva venire i brividi, la sua completa presenza. Lui c'era, ed io lo avvertivo ovunque.
Ci staccammo solo per respirare, sorridendoci soddisfatti e fu lui a parlare, con la voce così maledettamente roca
"Dovremmo andare... altrimenti farai tardi al tuo primo giorno di lavoro... conosco il tuo principale, su queste cose non è molto magnanimo." e mi sorrise, accarezzandomi lentamente la pelle dietro l'orecchio. Sospirai, passando la lingua sulle labbra, tanto per saggiarne la consistenza e continuare a sentire il suo tocco.
Il suo sapore è ancora qui...
"D'accordo... andiamo!" acconsentii e gli afferrai la mano, solida e forte, mentre mi aiutava ad alzarmi. Se fossimo stati meno coscienziosi e un pò più liberi da impegni lavorativi, forse a quell'ora saremmo già arrivati nella mia camera con metà dei vestiti sul pavimento. Provai a scacciare quel pensiero, perché non era proprio il caso di avere quell'immagine davanti agli occhi tutta la sera - il magnifico corpo caldo di Blaine addosso al mio, per intenderci - soprattutto se volevo che ogni cosa filasse per il verso giusto. Mi mancava.. mi mancava tanto e avevo seriamente pensato che, risolto il problema di David e liberato del leggero senso di colpa dovuto al tradimento, io e lui saremmo stati più liberi di.. sì insomma.. dedicarci alla nostra intimità. E invece, sembrava che avessimo tutto il mondo contro. Ogni sera c'era qualcosa di nuovo, qualcosa che ci distraeva e puntualmente andavamo a dormire, vestiti e con lo stesso identico desiderio insoddisfatto. Magari quella sera avremmo potuto recuperare in qualche modo, sperando di avere la fortuna dalla nostra.
"Fammi capire... entri da casa tua ed esci dalla mia?" lo provocai per stemperare un pò la tensione, mentre mi stringeva la mano e mi sorrideva
"Lo trovo un giusto compromesso... anzi, dovremmo provare a smontare quella dannata ringhiera e fare così un unico appartamento!" scherzò mentre recuperavo i documenti ed il cellulare
"Finiremmo in pratica con il... vivere insieme?" domandai sorpreso e, lo sapevo che era una cretinata, ma nel fare quella considerazione mi partii il cuore nel petto. Era una sciocchezza, un gesto infantile, ma Dio... sembrava così naturale chiederglielo. Lui non mi rispose, limitandosi a stringere il labbro inferiore tra i denti e questo lasciò libero sfogo alla mia immaginazione. Cosa aveva voluto intendere? Che non gli sarebbe piaciuto vivere con me? Che era un'idea assurda? Che, non stando tecnicamente assieme, non potevo permettermi di sognare così in grande?
Cosa, Blaine? Fammi capire, ti prego...
Chiusi la porta a chiave e scendemmo in strada, sempre tenendoci per mano e guardandoci negli occhi. Mi sentivo elettrico, il cuore a mille ed il cervello partito per le ferie in anticipo. Neanche quando mi era capitato di incontrare qualche personaggio famoso, qualche attore miliardario o stilista internazionale, mi ero sentito così. Forse perché quello che sentivo al cuore e allo stomaco, era qualcosa che non avrei mai potuto sentire altrove, se non per merito di Blaine. Perché era lui a mandarmi in confusione e contemporaneamente ad aiutarmi a recuperare la ragione. Era lui.
"Prendiamo la mia macchina?" proposi una volta che fummo usciti dal portone
"No, a quest'ora c'è traffico.. non ci arriveremo mai!" rispose pratico, trascinandomi dall'altro lato della strada "Ci andiamo in moto!"
"Prego?" lo costrinsi a fermarsi, praticamente in mezzo alla strada. Lui mi guardò confuso
"La mia moto, Kurt.. così arriviamo prima!" spiegò tranquillo indicandola con un gesto. Lanciai un'occhiata preoccupata al mezzo in questione e, niente da dire, era davvero bellissima, ma io non ci sarei mai salito
"No, non se ne parla!" esclamai deciso tentando di tornare verso il portone, ma Blaine dimostrò di avere molta più forza di me, perché riuscì a trattenermi
"Ma come no? Coraggio... ci mettiamo poco, vedrai!" tentò di convincermi. Ero nel panico. Letteralmente.
"Non esiste!" sbottai lamentoso, scuotendo la testa. Lui spalancò gli occhi scioccato e confuso e provò a farmi ragionare
"Kurt..." ma io lo bloccai
"Prenderò la mia macchina... e se vuoi venire con me, bene... altrimenti ci vediamo davanti il pub!" ero testardo e difficilmente avrei mollato. Blaine preoccupatissimo mi si fece più vicino e mi lasciò la mano solo per posare le sue - caldissime - sulle mie guance. Arrossii per l'inaspettata vicinanza, soprattutto perché, per quanto New York fosse una città aperta ed evoluta, eravamo pur sempre in strada, alla mercé di tutti, e non c'era più il nostro amato terrazzo a proteggerci
"Mi spieghi cosa ti prende? Cosa c'è che non va?" mi domandò in un soffio, guardandomi attentamente negli occhi. La pressione fu davvero eccessiva, ed io ero fin troppo vulnerabile, perché crollai all'istante.
"Ho paura!" soffiai incapace di trattenermi, perdendomi nella profondità dei suoi occhi cangianti. Questi si spalancarono appena sorpresi
"Di cosa?" mi chiese con tono cauto e attento. Sospirai spostando per un istante gli occhi sulla moto nera, ancora ferma sull'altro lato della carreggiata, all'apparenza innocua, e mi sentii immediatamente infantile. Pensandoci, la mia insana paura era legata a qualcosa di veramente assurdo e stupido, ed in quel momento mi sembrava inutile perfino parlargliene, ma lui me lo aveva chiesto con quegli occhi ed io avevo già ampiamente capito di non avere chance con lui in quel modo. Così mi arresi
"Di cadere... e di farmi male!" borbottai arrossendo come un poppante. Lui rimase rispettosamente in silenzio e gliene fui enormemente grato.
"Un mio compagno del liceo un giorno fece un incidente con la moto... sbatté violentemente la testa e rimase in coma per due mesi. Quando si risvegliò non era più la stessa persona.. era assente, sempre scontroso... era diventato una sorta di automa... io non.. non voglio fare la sua stessa fine!" mormorai. Le sue mani scivolarono dalle mie guance fino alle spalle e rimasero lì, ancorate e forti
"Kurt..." mi chiamò
"Sì, lo so... è una cretinata ed io sono così dannatamente infantile ad aver paura di una cosa del genere, ma... è più forte di me... io non riesco a..." ma quella volta fu lui ad interrompermi, posandomi un indice sulle labbra. Rimasi in attesa, silenziosamente, guardandolo attento
"Ti fidi di me, Kurt?" domandò a bruciapelo, spiazzandomi. Avvertii un brivido percorrermi la schiena per tutta la lunghezza e provai a deglutire, a vuoto. Me lo aveva già chiesto, la notte in cui mi aveva suonato quel pezzo meraviglioso alla tastiera e fu strano per me ritrovarmi a provare la stessa identica fiducia che avevo provato quella notte. E così fu estremamente semplice rispondergli nello stesso identico modo, con la stessa sincera consapevolezza.
"Sì!" lui sorrise, dolce, visibilmente sollevato e senza dire altro, mi prese per mano e mi guidò fino alla sua moto. Io, incapace di dire o fare altro, se non seguirlo, mi stupii ad afferrare tra le mani il casco nero integrale che mi stava porgendo, e altrettanto mi stupii del fatto che lo stessi indossando, aiutato dalle abili mani di Blaine e dai suoi occhi limpidi che non mi abbandonarono neanche per un secondo. Era bello affidare la propria vita nelle mani di qualcuno e io lo stavo facendo con lui. E mai, prima di allora, mi ero sentito così al sicuro.
Fu il suo turno di indossare il casco e sempre guardandomi negli occhi - con la visiera sollevata - salì sulla moto e l'accese. Il rombo del motore mi fece tremare appena, ma fu un attimo. Subito la sua mano cercò la mia per aiutarmi a salire ed io mi feci guidare come un bambino. Mi ritrovai ad aggrapparmi a lui immediatamente, a stringere le braccia attorno ai suoi fianchi e a seppellire la testa, con tanto di ingombrante casco, nella sua schiena. Lui senza dire nulla, accelerò e partì.
Sentivo la moto vibrare sotto di me e muoversi morbida, ma mi rifiutavo di aprire gli occhi per vedere cosa o chi stessimo sorpassando. Era sicuro che, così facendo, avrei perso quel briciolo di coraggio che avevo miracolosamente conquistato e allora addio buoni propositi. Viaggiare in quel modo era molto di più di quanto avessi immaginato. Eppure, a parte il vento freddo che avvertivo passarmi addosso, attraverso gli abiti, e il rombare del motore - che sembrava più che altro le fusa di un grande micione - non sembrava esserci altro. Niente frenate azzardate, nessun clacson strombazzante, nessun rumore spaventoso. Solo una strana quanto assurda calma, quasi stessimo volando anziché essere su una moto così grande. E fu allora che mi convinsi. Concentrato completamente sul suo profumo e sulla magnifica sensazione che avvertivo stringendolo in quel modo, aprii piano gli occhi incontrando prima di tutto il tessuto della sua giacca nera, sollevata dal vento. Mi feci coraggio e spostai lentamente lo sguardo più all'esterno fino ad incontrare la scia poco definita dell'asfalto che correva irregolare sotto di noi. E stranamente non provai paura. Era alquanto destabilizzante, avere il manto stradale così vicino e così pericolosamente letale, quello sì, ma mi sorpresi ad infischiarmene perché avvertivo la presenza di Blaine, la sua spalla attaccata alla mia guancia e le sue gambe incollate alle mie. Lui era ovunque. La sua guida era sicura, attenta. Sembrava non stesse facendo la minima fatica, sembrava a suo agio, esperto, ma soprattutto, sembrava così dannatamente semplice. Mi venne quasi voglia di provare.
Beh, adesso non esageriamo...
Sospirai spostando la testa, fino ad appoggiarla con molta naturalezza sulla sua spalla, per quanto l'ingombro dei caschi me lo permettesse. Blaine, percepito il mio movimento, girò appena la testa verso di me ed io immaginai mi stesse sorridendo lì dietro e di conseguenza sorrisi anche io. Molto stupido come gesto, dato che non poteva vederlo, ma sperai potesse intuirlo semplicemente. In risposta portò una mano sulle mie, legate sul suo stomaco, e me le accarezzò. Mi sentii leggero e completamente a mio agio. E le sue mani mi sembravano così calde, nonostante fossimo frustati dalle raffiche di vento da ogni parte.
Per la seconda volta mi sono fidato di lui e per la seconda volta lui ha dimostrato di meritarsi completamente la mia fiducia...
Dopo una decina di minuti - ci avevamo messo pochissimo e, nonostante il traffico, eravamo arrivati puntualissimi - rallentò sensibilmente fino a fermarsi accanto ad una jeep bianca e spense il motore. Sempre tenendomi per mano mi aiutò a scendere e a liberarmi del casco per poi fare lo stesso. Poter tornare a guardare i suoi occhi dorati dopo tutto quel tempo, fu un sollievo immediato. Blaine si fece immediatamente imbarazzato e dopo aver posato il casco sul sedile si avvicinò a me
"Allora?" chiese timoroso
"Allora..." iniziai sorpreso di trovare la mia voce così calma e rilassata. Come se non fossi affatto salito su una moto "Sono vivo!" mormorai con mezzo sorriso. Lui annuì
"Già... sei vivo!" confermò in un sussurro. Non ci potevo credere. Avevo superato una delle mie paure a cuor leggero, semplicemente affidandomi a lui. Mi era sembrato così naturale e spontaneo e sentivo di poterlo rifare ancora e ancora. Con lui alla guida sarei andato ovunque.
In quel momento mi resi conto di aver fatto male i calcoli perché gli episodi in cui io mi ero fidato di lui ed avevo affrontato una paura irragionevole, non erano soltanto due: erano molti, molti di più. C'era la volta in cui avevo sperimentato esperienze nuove legate al sesso e lui mi aveva guidato senza mai farmi sentire inappropriato; c'era la volta in cui David gridava nella mia cucina ed io ero terrorizzato all'idea che scoprisse l'intruso nel mio appartamento e lui era sgattaiolato fuori, premurandosi di sorridermi ancora; c'era la volta in cui lui mi aveva chiesto di cantare, ed io lo avevo raggiunto sul palco. Blaine di paure ne aveva sconfitte tante ed io forse non le avevo neanche conteggiate tutte. C'erano quelle più vecchie, quelle annidate più in profondità, quelle di cui neanche ricordavo l'esistenza. Lentamente quel ragazzo dagli occhi dorati stava facendo crollare ogni difesa e allo stesso tempo ne stava costruendo un'altra più forte, più alta, più bella e sicuramente più autentica.
Una forza misteriosa mi fece muovere i piedi e mi ritrovai a posare le labbra sulle sue, che trovai subito tese. Era nervoso, magari spaventato dalla mia reazione. Chissà se con quel bacio avrei potuto fargli capire cosa provavo in quel momento. Per mia fortuna lo colse quasi subito perché mi assecondò qualche istante dopo. Mi staccai, con un sorriso sereno sul volto, felice di ritrovare la stessa espressione anche su di lui. Accostai la fronte alla sua e sospirai beatamente. Ero rilassato nonostante fossi appena sceso dal sedile di una moto
"Sia chiaro... sono salito su quell'affare soltanto perché c'eri tu a guidarlo!" gli sussurrai a quella pochissima distanza. Lui ridacchiò sfiorandomi la guancia con la punta del naso e poi con un leggero tocco di labbra
"Chiaro come il sole!" mormorò
"Uno a zero per te, Anderson!" scherzai allontanandomi appena, per poi porgerli la mano affinché l'afferrasse. Lui non se lo fece ripetere due volte, me la strinse e si avviò verso l'ingresso del pub, ridacchiando allegro
"C'è tutta la serata, Hummel... puoi ancora sperare di rifarti!"

New York City. Ore 08.45 P.M. 17 Aprile 2012 (Martedì)

Il pub quella sera era nuovamente pieno, e Puck sembrava più elettrico del solito, soprattutto perché finalmente aveva il suo secondo cameriere e le cose sembravano funzionare davvero bene. Kurt era davvero bravo, pur non avendo mai fatto quel tipo di mestiere. Era veloce e scattante, pulito e sorridente e i clienti sembravano apprezzare. Brittany si era fermata più volte al bancone a ringraziarmi per averle fornito un collega così valido e Noah non la smetteva di elogiarlo. Io mi limitavo ad ammirarlo sognante, forse con un pò di bava alla bocca, mentre sorrideva fiero e allegro, si muoveva tra i tavoli con tale naturalezza e disinvoltura. Del ragazzo insicuro che si era quasi fatto venire una crisi di panico sul terrazzo non vi era più traccia. Era davvero bastato così poco per convincerlo delle sue capacità e per caricarlo? Ero davvero così bravo?
Devo ricordarmi di baciarlo più spesso allora...
Mi accorsi troppo tardi di essermi concentrato troppo a guardare il fondo schiena di Kurt, ricordandone perfettamente la consistenza tra le mie mani, perché lo scalpellotto che Puck mi tirò dietro la nuca arrivò inaspettato e doloroso.
"Cazzo!" sbottai guardandolo male
"Ehi... con queste parole, ragazzino!" mi riprese divertito "E poi smettila di guardare il mio nuovo cameriere... finirai per consumarmelo ed io non posso permettermi di perdere un elemento tanto valido!" mi accarezzai la nuca dolorante e sbuffai una risata
"Fino a prova contraria ce l'ho portato io qui, quindi lo guardo finché mi pare!" e come due bambini ci cacciammo la lingua a vicenda per poi scoppiare a ridere.
"Ah bene... si batte la fiacca questa sera al bancone... e lasciate agli altri il lavoro sporco!" una divertita voce di Santana si unì alle nostre risate e - meravigliosamente vestita come al solito - si avvicinò. Noah fece una smorfia indicando la sala
"Mi dispiace deluderti cara la mia Santana... ma stasera il vecchio Puckermann ha fatto il botto!" e strinse il pugno vittorioso, facendoci ridacchiare. Proprio in quel momento Brittany si avvicinò a noi per salutare la sua ragazza con un bacio sulla guancia e recuperare un vassoio con delle bibite
"Kurt? Si sta comportando bene?" domandò poco dopo Santana, poggiando la schiena al bancone. Io sorrisi concedendomi un ennesimo sguardo sognante nella sua direzione
"Meravigliosamente direi. Impara in fretta e Puck sembra davvero soddisfatto!" risposi allegramente. Lei annuì, lanciando una strana occhiata verso Kurt che ci era appena passato davanti con delle porzioni di patatine nelle mani
"Qualcosa non va?" le chiesi curioso. Lei mi guardò, visibilmente indecisa su cosa dire, ma alla fine si limitò a scuotere la testa e a concedersi un sorriso appena accennato
"No... è tutto ok!" mormorò in risposta, per poi voltarsi nuovamente verso Puck e chiedergli una lattina di coca cola. Decretai allora con un lungo sospiro che era arrivato il momento di iniziare a cantare e così saltai giù dal mio sgabello. Come ogni sera avevo un'idea precisa della scaletta che avrei dovuto proporre al locale. Mi veniva in mente così, senza troppo sforzo, e la maggior parte delle volte le canzoni che sceglievo, rispecchiavano l'umore del momento. In quel periodo il mio umore era decisamente elettrico, e non era poi tanto difficile capirne il motivo.
Così, mi diressi verso il palco, premurandomi di passargli accanto durante il tragitto e sfiorargli - accidentalmente, ovvio - la base della schiena con la mia mano. Lui a quel gesto alzò lo sguardo verso di me e fu un attimo: ci ritrovammo incatenati, in mezzo a tutta quella gente, probabilmente ignara di quello che stava succedendo tra di noi. Tutta l'intensità, le cose non dette, le cose trattenute o dette semplicemente a metà, la voglia di qualcosa che purtroppo ancora non riuscivamo a concederci... era tutto lì, in uno sguardo, che ad occhi esterni non era praticamente nulla. Io però, mi sentii le gambe tremare e avvertii l'impellente desiderio di fare marcia indietro, afferrargli la mano e portarlo via, lontano da quel pub e da quella gente, lontano da quel mondo in cui veniva ingiustamente licenziato dopo aver fatto innumerevoli sforzi, lontano dalla cattiveria, dalla sofferenza e portarlo... da qualche parte, in un posto che magari soltanto noi avremmo potuto conoscere. E con quella dolce consapevolezza, salii sul palco e mi sedetti dietro la tastiera - quello era decisamente un brano per quel tipo di strumento - ma prima di iniziare, cercai di nuovo il suo sguardo nella sala e, esattamente come il nostro primo incontro, lo ritrovai a fissarmi in un angolo, con l'espressione concentrata e gli occhi tutti per me. E ancora una volta, mi si bloccò qualcosa in gola, ma quella sera capii subito cosa fosse: era il mio cuore, fermo immobile, come me, ad osservare quell'angelo dalle ali appena spiegazzate a causa del forte urto che aveva da poco subito, ma ugualmente bellissimo e perfetto. E in quell'istante mi sorrise, illuminando ogni spazio di quel locale e di conseguenza, illuminando anche me.
Ti amo...
Dopo un lungo sospiro ed essermi concesso di recuperare almeno in parte la dignità, accesi il microfono per parlare
"Buonasera a tutti!" salutai ottenendo un meraviglioso scrosciare di applausi "Io sono Blaine e vi auguro di trascorrere una piacevole serata." quella volta ci furono perfino parecchi grazie a volare per il locale "Questa sera, se me lo permettete, vorrei iniziare facendo una cosa... le persone che mi conoscono sanno che, non sono affatto bravo con le parole, e che, a volte, per esprimere ciò che sento, mi affido alla musica. Ebbene... anche questa volta vorrei fare lo stesso: vorrei fare una dedica ad una persona speciale, a cui tengo davvero tanto e che in quest'ultimo periodo sento particolarmente vicina. L'ultima volta che ho dedicato una canzone a questa persona.. forse non sono riuscito ad essere molto.. esplicito, ma spero che questa volta il messaggio arrivi.. forte e chiaro!" e dopo essermi schiarito la voce, iniziai a cantare. La melodia sarebbe seguita subito dopo


I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

Mi concessi di chiudere gli occhi quella volta per poter sentire meglio la musica e, nel farlo, accadde una cosa strana: venni bombardato da una serie infinita di immagini, tutte legate a Kurt, a noi due assieme. E fu come rivivere di nuovo tutto quanto, dal principio. Ebbi di nuovo la fortuna di incontrarlo in quel bagno, di sfuggita, ed ebbi una fulminea visione della sua vita e della sua relazione già nociva con David. I suoi occhi mi erano sembrati già magnifici quella sera e solo ora ne riuscivo a capire il motivo. Poi la scena si spostò velocemente al marciapiede davanti il palazzo, io con uno scatolo di cartone distrutto e lui con il suo sorriso cordiale e la voglia di rendersi utile, per darmi un degno benvenuto. Poi, non so come, arrivai addirittura alla sera dopo la festa di beneficenza, quando, forse, tutto aveva iniziato a complicarsi ulteriormente e allo stesso tempo, a diventare sempre più semplice. Era stato effettivamente allora che ogni cosa aveva preso il suo posto, che si era incastrata alla perfezione con tutto il resto, ed io avevo iniziato ad intuire che, due come noi, nonostante tutto, potevano condividere qualcosa di importante, oltre il pianerottolo. La prima volta in cui avevamo fatto l'amore era senza dubbio stata l'occasione in cui mi ero sentito più vero, più vivo e soprattutto... più completo. Anche la seconda era stata speciale, ma la prima... portava con sé il piacere della scoperta, della novità, della sorpresa e della voglia di lasciarsi andare, di mandare al diavolo tutto, per un solo istante ancora, trascorso a contatto con il suo corpo.
Ti amo... Ti amo... Ti amo...

I came across a fallen tree
I felt the branches of it looking at me
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?
Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

La cosa che più di tutto, mi aveva sconvolto l'esistenza del mondo di Kurt, era sicuramente stata la sua genuinità e il fatto che riuscisse con poco ad essere limpido e cristallino. Tutto ciò che provava o pensava glielo si leggeva negli occhi e questo mi aveva permesso sempre di avere a portata di mano le sue emozioni. E così era avvenuto, infatti, durante il suo compleanno: i regali che gli avevo fatto, per quanto avessi una paura assurda a consegnarglieli, erano stati capaci di donarmi la reazione migliore di tutte: l'avevo visto sciogliersi lentamente tra le mie mani e non vergognarsi neppure per un istante di farlo. E forse era stato quello a farmi capire quanto fragile e al contempo quanto forte fosse e che cuore buono avesse, nonostante tutti gli urti e le percosse e le delusioni prese. Si dice che la sofferenza, fortifichi. Lui, per quello che aveva subito fino a quel momento per via di David, immaginai avesse una forza d'animo da fare invidia a chiunque, a me per primo. E poi un altro flash, una meravigliosa visione della mia porta d'ingresso, piena di post-it colorati, pieni di scuse, carichi di speranza e di un pò di quella forza e di quel coraggio che lo contraddistinguevano e che mi avevano fatto innamorare così perdutamente. Vedere quella porta così riempita, con tanta attenzione, mi aveva fatto capire che, di un animo così buono e dolce e fragile e ingiustamente ferito sarebbe stato impossibile non innamorarsene. E forse, dopotutto, mi sarei dovuto sentire un privilegiato o comunque avrei dovuto provare a prendermi più cura di lui, prendermi più cura di quel piccolo bocciolo che era nascosto accuratamente nell'erba alta, ma che conteneva le meraviglie più grandi del mondo.
Ti amo... Ti amo... Ti amo...

And if you have a minute why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?

Essere aggrediti da David, vedere la furia passargli negli occhi e dargli la carica necessaria per stringere maggiormente le mani attorno al mio collo, non aveva fatto altro che accrescere la voglia insistente che avevo, di stare con Kurt. Di provare a dargli un pò di quella tranquillità e di quella sicurezza che quel bestione non sembrava avergli mai dato. Lo sapevo, mi rendevo conto di essere un pò troppo presuntuoso nell'affermare di essere migliore di David o di essere in grado di dargli quel qualcosa che fino ad allora credevo gli fosse mancato, ma.. forse era la necessità disperata di farlo che parlava per me, era il desiderio smodato che avevo di stargli accanto, sommato all'amore che lentamente mi cresceva nel petto e urlava per uscire. Contavo di riuscire, prima o poi a tirare fuori quelle benedette parole magiche e speravo in parte di sconfiggere quella assurda ed inspiegabile paura di eccedere e rovinare tutto. Anche io, senza volerlo, avrei potuto far del male a Kurt. E al solo pensiero mi sentivo morire dentro, nella maniera più atroce possibile.
Ti amo... Ti amo.. Ti amo...

Oh simple thing where have you gone
I'm getting old and I need something to rely on
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

La mia mente passò direttamente alla notte trascorsa a fargli dimenticare quello che era successo, senza dubbio la più intensa e la più carica di emozioni. Suonare per lui mi aveva fatto sentire bene, mi aveva fatto credere per un momento che, al di fuori di quella porta non ci fosse più niente e che potessimo vivere chiusi lì dentro per sempre, sopravvivendo semplicemente l'uno per l'altro. Non mi era mai capitato di provare qualcosa di tanto sconvolgente per qualcuno. Neanche per Sebastian, né tanto meno per Jeremiah. Kurt era... rappresentava per me qualcosa di troppo prezioso e di imparagonabile. Avevo già detto di essere una sorta di privilegiato a stargli accanto: in quel momento però, mi sentivo molto di più, come se la sua perfezione facesse sentire perfetto anche me, la sua forza mi facesse diventare più forte, il suo coraggio più coraggioso e di conseguenza mi facesse provare sempre più amore verso quella creatura perfetta che, in quel momento, in quel locale, sperai stesse ascoltando ogni parola e potesse capire ogni significato. Perché, come quella sera, io mi ritrovavo a donargli il mio cuore attraverso delle note, annullavo me stesso e il mio mondo per lui. Chissà.. magari aprendo gli occhi lo avrei trovato in piedi, proprio al centro del pub, con gli occhi di nuovo colmi di lacrime leggere e cristalline a sorridere per qualcosa di inaspettato, ma allo stesso tempo speciale. E avrei potuto farlo, dopotutto... aprire gli occhi ed accertarmene, ma.. ero troppo spaventato o semplicemente troppo fragile. Avevo bisogno di concentrarmi solo sulla musica e sulle parole, per rendere tutto più vero e sentito, e per fargli arrivare al cuore quel ti amo maledetto, che, altrimenti, non riusciva a venire fuori.
Ti amo.. Ti amo.. Ti amo...

And if you have a minute why don't we go

Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?

Io che credevo di aver capito cosa significasse davvero amare; io che ritenevo di aver sofferto abbastanza e di non voler più sperimentare niente del genere; io che, da fuori, invidiavo Sebastian e Daniel e il loro rapporto, credendo di averlo capito, ma in realtà non riuscendoci neppure lontanamente; io che avevo sempre sognato di trovare qualcuno alla mia portata, qualcuno che mi regalasse un pò di sincerità e di affetto che in quegli anni mi erano mancati; io che per anni avevo creduto di essere stato tagliato fuori dal mondo e di non meritare neanche una persona da avere accanto; io che avevo sempre cercato una persona che capisse i miei sogni, li rispettasse e se ne prendesse cura;  io che in meno di un mese ero riuscito a rivoluzionare la mia stessa vita, a modellarla, in base ad un sentimento che era nato e cresciuto di nascosto, ma che alla fine si era rivelato il più forte di tutti; io che mi ero innamorato perdutamente e senza nessun limite del mio vicino di casa e che sarei stato disposto a tutto... tutto... pur di renderlo felice; io che volevo portarlo via da tutto e da tutti e speravo ardentemente che fosse un desiderio condiviso; io che lo desideravo da impazzire e volevo fosse completamente mio, in ogni forma ammissibile, umana e non; io che amavo Kurt e glielo stavo dicendo in una canzone, con tutto il sentimento di cui ero capace.
Ti amo... Ti amo... Ti amo...

This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?

Alla fine della canzone, fui costretto ad aprire gli occhi, per cause di forza maggiore, e venni accecato leggermente dalla luce di un faretto posto proprio di fronte a me, tanto che dovetti strizzare appena gli occhi e non riuscii immediatamente a mettere a fuoco. Gli applausi che seguirono li sentii appena, troppo concentrato com'ero a cercare di riacquistare un minimo di percezione visiva per trovare gli occhi di Kurt in quella confusione e leggere direttamente sul suo viso le emozioni che speravo di avergli trasmesso. Ma Kurt non c'era. Non c'era vicino al bancone, non era a servire tra i tavoli, non era nella parte rialzata del locale. Semplicemente non c'era. Ed io mi sentii mancare la terra sotto ai piedi.
Continuando ad ignorare gli applausi dei clienti, mi alzai in piedi, con una sempre più crescente nota di panico che mi attanagliava lo stomaco, vagando ancora con lo sguardo per tutto il locale, fino a quando, con la coda dell'occhio, non vidi un movimento strano: Santana, seduta al bancone, stava cercando di attirare la mia attenzione con dei gesti, non proprio discreti. Così, credendo che lei sapesse esattamente cosa fosse successo, scesi dal palco, fregandomene del fatto che fossi pagato per cantare e dovessi continuare a farlo fino alla fine della serata, e la raggiunsi al bancone. Non feci neanche in tempo a parlare che lei mi anticipò:
"É scappato in bagno. Raggiungilo!" mi ordinò ed io, con il battito del cuore che mi rimbombava nelle orecchie, mi diressi quasi di corsa verso i bagni, urtando una coppia che stava in mezzo al corridoio. Con un leggero accenno di fiatone e con la paura che mi camminava alle spalle, raggiunsi il piccolo disimpegno in cui si trovavano i vari lavandini e le due porte dei bagni per gli uomini. Mi lasciai scappare un sospiro e cercai di affinare l'udito, per capire in quale dei due si fosse nascosto. Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo e di rivivere una sorta di dejà-vu, solo che quella volta era lui a nascondersi e senza ombra di dubbio, David non c'entrava proprio nulla. C'eravamo solo io e lui e una canzone dei Keane cantata forse al momento sbagliato.
Perché sono un cazzone e non imparo mai...
Mi feci coraggio e bussai ad una delle due porte
"Kurt?" lo chiamai, esitante, mentre, tanto per sfogare un pò l'ansia, mi torturavo il labbro inferiore con i denti. Non ottenni nessuna risposta e questo mi fece sentire ancora più coglione. Perché diavolo non mi ero limitato a seguire la mia scaletta? Perché non lo avevo lasciato lavorare in pace? Perché, credendo di fare la cosa giusta, mi ritrovavo sempre a rovinare tutto? E perché, maledizione, lui non mi rispondeva? Era così grave?
"Kurt... mi.. mi dispiace. Io.. credevo di farti piacere. Lo sai che.. la maggior parte delle volte non penso prima di fare le cose e.. sono... un cazzone. Hai tutto il diritto ad avercela con me adesso e non ti biasimerò se vorrai prendermi a schiaffi o peggio... chiedere a Puck di farmi licenziare, sempre che non lo abbia già fatto. Però, ti supplico, Kurt... parlami. Non... non tenerti tutto dentro, perché non ti fa bene ed io non voglio che stai male per colpa mia. Io.. ti avevo promesso di renderti felice e poi... combino queste cose qui e.. mi dispiace davvero tanto.. non so cos'altro dire per chiederti scusa.. ti prego.. Kurt?" bussai di nuovo al legno della porta, disperato e con un leggero lamento. Ok, quella del silenzio era decisamente la punizione più atroce. Credevo di meritarmele tutte, perfino essere preso a schiaffi pubblicamente, ma quello... no quello non potevo sopportarlo. Così, frustrato al massimo, tirati un pugno più forte alla porta
"Cazzo, Kurt io ti..." ma venni bloccato proprio a metà - per l'ennesima volta - perché la porta venne aperta di scatto e per poco non svenni sul pavimento: perché... cazzo cazzo cazzo... quello non era Kurt ed io avevo fatto una delle più grandi figure di merda della mia vita
"O-oh.."
"Senti un pò... hai finito di rompermi il cazzo? Non si può neanche pisciare in pace in questo locale?" mi aggredì un mastodontico uomo, di almeno due metri - ma dannazione, in taglia normale non li facevano più? - che avanzò minaccioso, puntandomi un indice contro
"D-io... scu-scusi.." balbettai, sentendomi il viso andare lentamente a fuoco
"Io non so chi sia questo Kurt e sinceramente me ne frego. Ma qualsiasi cosa tu gli abbia fatto, spero che te le dia di Santa ragione.. anche da parte mia!" e detto questo mi spinse appena di lato, per passare ed uscì, masticando un'altra imprecazione. Rimasi senza fiato, a fissare la porta dalla quale era andato via, probabilmente diventando pallido come un lenzuolo e chiedendomi quale divinità avessi fatto arrabbiare, per ricevere in cambio delle situazioni del genere. Possibile che fossi così.. idiota?
Soltanto il rumore ovattato di una risata mi fece riprendere, ed ero sicuro, quella volta era lui. Così, sentendo un sorriso che mi si distendeva lentamente sulle labbra, cambiai porta - se non era zuppa.. - e mi avvicinai al legno
"Lo spettacolo è stato di suo gradimento?" domandai, divertito, mentre la sua risata continuava a risuonare in quel buco di bagno, meravigliosa come sempre. Finalmente anche la seconda porta venne aperta, solo uno spiraglio e quello mi diede la forza e il permesso per entrare. Lo trovai seduto sulla tavoletta, con ancora una mano sulla bocca, le guance rosse e gli occhi bellissimi. E quella visione mi fece dimenticare di tutto, perfino del bisonte che avevo appena importunato. Vedendolo così divertito, non potei fare a meno di unirmi alle sue risate e in breve ci ritrovammo a ridere come due cretini, nel misero spazio di un bagno cieco. 
"Dio, Blaine... mi fai impazzire!" mormorò, asciugandosi gli occhi, umidi per il troppo ridere.
Lezione numero uno.. come uccidere il proprio vicino...
"Oh.. grazie.." feci io, piacevolmente colpito. Lui arrossì, dimenticando per un attimo le risate e si affrettò ad aggiungere 
"Cioè... nel senso.." tentò di correggere, ma, tanto per tagliare la testa al toro, preferii toglierlo dall'imbarazzo, intervenendo
"Anche tu!" esclamai, rivolgendogli un sorriso sereno che lui ricambiò, subito dopo un primo momento di incertezza. Era così bello, così genuino, così.. vero. E dannazione, io ce lo avevo a meno di un metro di distanza, e non sapevo neanche se fosse una cosa legale saltargli addosso in un luogo pubblico.
Mi feci coraggio, e alzai una mano per accarezzargli una guancia, sorprendendomi ancora una volta di quanto fosse liscia e morbida e di quanto bene la mia mano riuscisse a scivolarci sopra
"Ero preoccupato... credevo di averti fatto piangere." confessai con un sussurro, mentre lui si lasciava scappare un sospiro
"Oh.. lo hai fatto. É per questo che sono venuto a nascondermi qui. Per non farmi vedere da tutta quella gente... o da te." rispose, accennando un sorriso tenero. Bene, avevo appena avuto la conferma di aver combinato un guaio con quella maledetta canzone. Ma d'altronde.. non avevo bisogno di ulteriori prove per capire quanto fossi coglione
"Mi dispiace, Kurt... io volevo solo..."
"Shhhh!" fece lui, mettendomi un dito sulle labbra e interrompendo un altro ipotetico sproloquio insensato da parte mia "Non devi scusarti di niente. Non scusarti per essere così maledettamente speciale e perfetto. Non scusarti se riesci ad entrarmi nell'anima nei modi più disparati. Non scusarti per avermi fatto sentire bene... ancora una volta!" mormorò avvicinandosi lentamente, fino a farmi poggiare la schiena al muro e poggiarsi a sua volta addosso a me
Anche tu sei speciale e perfetto... anzi, fottutamente perfetto... anche tu mi sei entrato nell'anima... anche tu mi fai sentire bene...
"E poi..." si lasciò scappare un'altra risata "Dopo la figuraccia che hai appena fatto.. non riuscirei mai ad avercela con te.. neanche volendo!" e riuscimmo ancora a ridere assieme, nonostante la vicinanza e nonostante sentissi chiaramente che l'atmosfera fosse decisamente cambiata. Me ne accorsi infatti qualche istante dopo, mentre sentivo le sue labbra sulle mie, il respiro che accelerava e allo stesso tempo si rilassava, unendosi al suo, le sue mani che si stringevano ai fianchi, forse cercando un appiglio o forse semplicemente per avvicinarmi di più al suo meraviglioso corpo. Ed io mi ritrovai ad affogare di nuovo, in quell'oceano di sensazioni, nuove e sconosciute, mischiate assieme in maniera perfetta, tutte con lo stesso magnifico gusto dolce ed avvolgente, tutto con lo stesso profumo, tutte con la stessa identica sensazione di appartenenza. Perché era inutile girarci intorno: io appartenevo a lui, ormai, anche se non lo avevamo stabilito a voce, anche se non ci eravamo detti quelle parole, anche se a conti fatti nessun tipo di etichetta sembrava legarci. E lo sentivo, sentivo come Kurt mi appartenesse nella maniera più profonda ed inspiegabile possibile, e non c'erano parole umanamente conosciute per descrivere la sensazione che stavo provando, in quel momento, mentre ci baciavamo, mentre per un altro istante lasciavamo fuori dalla porta il mondo e ci rintanavamo in un universo, probabilmente parallelo, ma che solo noi avremmo potuto conoscere.
Non seppi come, mi ritrovai a fare vagare le mani verso il bordo della sua maglia e a sollevargliela, quel tanto che bastò per permettere alle mie mani di intrufolarsi morbidamente ed accarezzare quella pelle che tanto mi mancava e di cui tanto sentivo il bisogno. Un bisogno disperato che in quel momento si stava risvegliando, prepotentemente. E lui, invece di prendermi a schiaffi, di gridarmi di smetterla o perlomeno di ricordarmi che eravamo pur sempre in un bagno pubblico, dietro una porta che non era neanche chiusa a chiave, nel pub in cui tutti e due lavoravamo, sembrò gradire, perché si lasciò scappare un mezzo gemito, e per risposta, spinse appena i fianchi verso i miei, mozzandomi il respiro il gola. E fu un attimo: ci scambiammo uno sguardo veloce, uno battito di ciglia tempestivo che bastò ad entrambi per decidere.
E l'attimo dopo le mie labbra erano sul suo collo, per assaporarlo e finalmente concedersi di lasciare qualche segno - e al diavolo David! - e le sue mani erano scese fino alla mia cintura, e l'avevano aperta con fretta e confusione, ma alla fine era venuta via ed era arrivato il turno dei pantaloni, mentre le mie labbra erano impegnate a dedicarsi a quella meravigliosa vena che sporgeva e macchiava graziosamente quella magnifica pelle nivea. E bastò un altro semplice attimo per fare salire le mani, con il palmo aperto, lungo tutta la sua spina dorsale, contando ogni vertebra e ogni piccolo ansito che gli scivolava dalle labbra, o per aprire finalmente l'ultimo bottone dei miei pantaloni e allargarli, quanto bastava per farsi spazio per entrare. E mancò davvero poco, forse un semplice soffio o un altro sbattere di ciglia, per permettere a quella mano di oltrepassare l'elastico dei boxer - che si erano fatti decisamente troppo stretti - e arrivare finalmente a...
"Kurt? Blaine? Siete qui dentro?"
Cazzo...
"Puck vi sta cercando. Ha già minacciato due volte di licenziare entrambi se non vi decidete a tornare al vostro lavoro!" era Santana, che rovinava il nostro momento di passione sfrenata e ci riportava alla realtà e al mondo dei vivi, quel mondo in cui Kurt era un cameriere, io un intrattenitore musicale e Noah Puckermann era il nostro capo. Mi lasciai scappare un lamento, che Kurt interruppe a metà, posandomi una mano sulla bocca - la stessa mano che era quasi... - e fu proprio lui a rispondere
"Arriviamo subito. Grazie Santana!" gridò ed io, con un sorriso sarcastico, gli feci eco
"Sì, grazie Santana!"
"Dovere." rispose lei, per poi ritornare nel locale a giudicare dal rumore. ;i ritrovai a sospirare pesantemente e a poggiare la fronte alla spalla di Kurt
"Non può essere vero!" borbottai, frustrato oltre l'immaginabile. Chissà cosa, in quella situazione, lo divertì parecchio, perché lo sentii ridacchiare sommessamente
"Cosa c'è?" gli chiesi infatti, discostandomi appena
"Siamo stati beccati come due quindicenni..." mormorò scuotendo la testa "Non siamo un pò troppo cresciuti per queste cose?" domandò, circondandomi il viso con le mani e lasciandomi un bacio leggero sul mento, bacio che, per quanto bello e meravigliosamente soffice, non era neanche lontanamente paragonabile a quello che ci stavamo scambiando prima di essere interrotti. Gli sorrisi, facendo scivolare a malincuore le mani fuori dalla sua maglia
"Cresciuti o no, questa è una vera e propria congiura." mi lamentai con un piccolo sbuffo, richiudendomi i pantaloni - decisamente ancora troppo stretti
"Avremo modo di rifarci a casa!" ammiccò lui, strizzandomi l'occhio, con un'affascinante sfumatura maliziosa nella voce, che mi fece stringere lo stomaco
"Il bello di vivere da soli..." mormorai allora io, lasciandogli un veloce bacio a stampo sulle labbra, che si aprirono in un sorriso e, dopo aver controllato che fossimo entrambi presentabili, uscimmo dal bagno, con la speranza che Puck non ci avesse già licenziati e che soprattutto quel bestione che avevo inavvertitamente disturbato, fosse andato via dal locale.

New York City. Ore 11.56 P.M. 17 Aprile 2012 (Martedì)

La strada dalla moto fino all'appartamento di Blaine, era stata piacevolmente confusionaria. Ricordavo vagamente di aver lasciato il casco sulla sella, accanto al suo e di aver riso con lui sul fatto che il giorno dopo non li avrebbe di certo ritrovati; ricordavo di averlo tirato fino al portone, senza mai abbandonare i suoi occhi, che brillavano al buio di qualcosa di estremamente eccitante; ricordavo di essere entrato in ascensore e di aver premuto alla cieca il pulsante con il piano, mentre le labbra di Blaine tornavano sulle mie, incendiandomi anche il cuore; ricordavo il suo sapore mischiarsi al mio; ricordavo le sue mani che risalivano curiose sotto il tessuto della giacca e della maglia; ricordavo la sua meravigliosa erezione schiacciata contro la mia in una disperata ricerca di sollievo; ricordavo di aver pregato ogni divinità celeste di abbreviare quella corsa per farci arrivare prima alla porta e poterci finalmente liberare dei vestiti; ricordavo praticamente tutto, perfino il sospiro che uscì fuori dalla bocca di entrambi, nello stesso istante in cui le porte della cabina di aprirono e il solito ding ci dava il benvenuto; ricordavo anche la fretta di ritrovare la chiave giusta da inserire nella toppa, mentre cercavamo ancora disperatamente il contatto con l'altro, in un dolce intreccio di lingua, labbra, sapori, odori e voglie incontrollabili, ancora non soddisfatte. Ma mancava poco, davvero molto poco.
La cosa che, essenzialmente, ricordai più di tutte, però, fu quello che successe dopo aver finalmente aperto la porta: fui io il primo a riscuotermi e ad avvertire anche lui, che era di spalle, con un mezzo urlo di sorpresa, mentre gli occhi vagavano per il salotto, stranamente illuminato, e si fermavano su quella figura sconosciuta, che, dal centro della stanza, nell'appartamento di Blaine, ci osservava esterrefatta. E alla fine, fu proprio Blaine a parlare, dopo essersi ripreso dallo shock, interpretando il pensiero di entrambi
"E tu chi cazzo sei
?"

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Capitolo 36
*** Intrusi indesiderati e confidenze tra amici ***


Buongiorno a tutti e buon Lunedì... dunque dunque, questa autrice perfida non ha ancora perso il vizio di lasciarvi con il capitolo appeso.. mmm.. probabilmente non lo perderà mai (si dice che chi nasce tondo non può morire quadrato XD) quindi se potete, perdonatela. Oggi scopriremo chi sarà l'intruso e se le vostre supposizioni sono state giuste oppure no, inoltre, dallo spoiler che avete letto, c'è anche un piccolissimo problema da risolvere nella Klaine, problema che farà senza dubbio uscire di senno il povero Anderson XD (ma come mi diverto...) godetevi la lettura e spero che il capitolo almeno a voi piaccia, dato che io lo trovo orribile ç___ç un bacio immenso a tutti e come sempre grazie per il vostro meraviglioso affetto, affetto che mi chiedo ancora se meritato oppure no *__* e.. le recensioni.. cercherò di rispondere in giornata, promesso (chiedo venia ç__ç) ciaoooo <3
p.s. Questa volta Dan non si è occupato dell'immagine ma.. beh sì insomma l'ho fatta io (e si vede) per non rovinare la sorpresa, quindi.. ignoriamola e passiamo direttamente al capitolo, grazie XD
n.b. Pagina FB ( Dreamer91 ) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments )



New York City. Ore 00.03 A.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)


"E tu chi cazzo sei?"
C'era stato un lungo attimo di panico generale, un guardarsi tutti negli occhi e decretare che qualcosa non tornasse e che ci fosse decisamente qualcosa di sbagliato. Nello specifico, il mio problema riguardava una ragazza bionda, con gli occhi sgranati, che stringeva per il manico un lungo ombrello e se ne stava coperta per metà dal tavolo del soggiorno. Il mio soggiorno.
"Chi cazzo siete voi, piuttosto? E come avete fatto ad entrare?" ci domandò, visibilmente spaventata, brandendo con maggior forza l'ombrello, usato come arma di difesa
"Questa è casa mia!" sbottai inviperito, facendo tintinnare il mazzo di chiavi, tanto per farle capire meglio il concetto. Lei sgranò maggiormente gli occhi e perse un pò di quel vigore che sembrava tenerla vigile e attenta nella sua posizione
"Casa.. tua?" domandò, sembrando perfino scioccata
"Esatto.. e se non mi dici chi sei e come sei entrata... giuro che chiamo immediatamente la polizia!" minacciai, recuperando il cellulare e contemporaneamente avanzando di un passo, frapponendomi tra lei e Kurt, che sentivo ancora alle mie spalle. Per quanto quella fosse all'apparenza un'innocua ragazza dai capelli biondi, non riuscivo a stare tranquillo: avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori una pistola e magari iniziare a spaventarci con quella. Era già riuscita ad entrarmi in casa, figuriamoci di cos'altro sarebbe stata capace. Nell'eventualità del "meglio prevenire che curare" io preferii avanzare e proteggere Kurt, fino a che mi fosse stato possibile
"Questa... è..." mormorò qualcosa di incomprensibile, facendo vagare lo sguardo attraverso la stanza, come se fosse posseduta, mentre la sua forza vacillava ancora
"Mi hai sentito? Se non ti decidi a darmi una spiegazione valida giuro che stasera qui finisce male!" forse spaventandola, l'avrei fatta scappare o forse avrei peggiorato soltanto la situazione. L'ultima volta che avevo provato a fare l'eroe non era finita nel migliore dei modi e dubitavo fortemente che anche quella sera sarebbero arrivati i coniugi Smythe per salvarci. Quindi, nel limite del possibile dovevo agire con calma e gestire la situazione senza esagerare. C'era pur sempre anche Kurt con me.
Avanzai di un altro passo, verso la ragazza, ma in quel momento, mentre mi preparavo a parlare, fu proprio la voce di Kurt a farsi sentire
"Blaine aspetta! Io la conosco.." mormorò, in un sussurro talmente tanto leggero da farmi venire perfino i brividi. Senza perdere d'occhio la ragazza, che ancora vagava con lo sguardo per il soggiorno, sempre più spaventata, girai appena la testa verso di lui
"Cosa?" gli domandai sorpreso. Come diavolo poteva conoscere quella tizia? Non era di certo una barbona - lo deducevo dagli abiti ordinati e visibilmente costosi che indossava - ma dubitavo che Kurt potesse frequentare ladri, o trafficanti, o peggio ancora assassini. Lui, ignorandomi, fece un passo avanti, uscendo dalla copertura che gli avevo creato e rivolgendosi alla ragazza
"Tu sei... sei venuta una volta qui con tuo padre per.. vedere questo posto ma poi te ne sei andata subito. Ci siamo incontrati sul pianerottolo." spiegò, con voce calma e distesa. Lei, piegò appena la testa di lato e si prese qualche secondo buono per scrutarlo per bene. Alla fine si lasciò scappare un mezzo sospiro ed abbandonò perfino la sua posizione di difesa, abbassando l'ombrello
"Sì... mi ricordo di te." fece infatti, annuendo piano. Fu allora che, forse sentendomi leggermente più al sicuro, mi concessi di girarmi per poter guardare Kurt negli occhi
"Kurt? Cosa stai..." tentai di chiedere, ma lui, accennando un sorriso mi anticipò
"Blaine.. lei è la figlia del tuo padrone di casa!" mi informò, con una leggera nota di divertimento nella voce. Io per poco non stramazzai al suolo
"Eh?" sbottai infatti, affogandomi con la mia stessa saliva e tossendo di conseguenza. E fu un attimo: feci scorrere velocemente gli occhi da lui fino alla ragazza, che in quel momento sospirò ancora e posò l'ombrello sul tavolo, forse decretando la zona ormai sicura. Aspetta.. quella ragazza era la figlia di...? Cazzo...
"Tuo padre è il proprietario dell'appartamento? Tu sei la figlia dell'avvocato Fabray?" le domandai, con un filo di voce, mentre lentamente in me prendeva piede la consapevolezza di aver appena quasi denunciato alla polizia la figlia del mio padrone di casa. E di conseguenza riuscii a trovare un altro valido motivo per darmi del coglione.
Impara, Blaine.. prima di agire.. pensa!...
"Sì..." soffiò lei, per poi scuotere la testa e passarsi una mano tra i lunghi capelli biondi "Io.. non credevo che.. mio padre avesse messo in affitto questo posto!" le uscì una specie di lamento, prima di sparire dalla nostra visuale. Io e Kurt ci guardammo, appena spaventati e subito la raggiungemmo per vedere che fine avesse fatto. Aggirato il tavolo, la trovammo seduta per terra, con le gambe piegate di lato e la faccia nascosta dalle mani e in parte anche dai capelli. Kurt si inginocchiò quasi immediatamente al suo fianco, mentre io rimasi in piedi, ancora sulla difensiva, benché fossi decisamente più tranquillo. Almeno avevamo appurato di non essere in pericolo di vita. Tuttavia, continuava a sembrarmi strana quella situazione: perché la figlia del mio padrone di casa si era introdotta di nascosto nel mio appartamento, senza avvisare e soprattutto.. perché era sembrata seriamente distrutta, nel sapere che il padre lo avesse messo in affitto? Non si parlavano in quella casa? E poi.. lei non era quella figlia viziata a cui Lower East Side era sembrato un quartiere troppo sputtanato per poterci vivere? Era stato Sebasatian a dirmi quelle cose, il giorno in cui mi aveva mostrato l'appartamento ed io avevo subito pensato che quella ragazza fosse decisamente troppo stupida per meritarsi un regalo del genere. Eppure, avendola lì, davanti ai miei occhi, tutto mi sembrava, fuorché un'oca sprovveduta o una ragazzina viziata. Sembrava più che altro... decisamente troppo spaventata
"Ti senti bene?" le domandò Kurt, appena esitante. Lei scosse la testa e tirò su con il naso. Bene, ci mancavano solo le lacrime
"No.. affatto!" rispose in un soffio, con la voce incrinata, nascondendosi meglio dietro ai suoi stessi capelli. Kurt sospirò, dopodiché mi lanciò un'occhiata strana. Era disarmato, impotente eppure si vedeva chiaramente quanto forte fosse il suo desiderio di rendersi utile. Per un momento mi chiesi come potesse essere possibile che un cuore così buono ed innocente fosse capitato sul mio stesso pianerottolo o semplicemente cosa c'entrassi io con lui. Se fosse stato per me, dopo aver appurato che quella ragazza era la figlia di Fabray, mi sarei limitato ad invitarla gentilmente ad uscire da casa mia e avrei ripreso quello che avevo malamente interrotto poco prima. Lui, però... si preoccupava, pur non conoscendola. Io volevo andare direttamente in camera da letto - o anche sul divano, sul pavimento, sul tavolo, sul muro del corridoio - e soddisfare quella voglia disperata ed opprimente che avevo di lui. Kurt invece, era stato così bravo da mettere da parte tutto, per dedicarsi al problema evidente di quella ragazza. Mi sarei dovuto sentire un mostro. E anche un pervertito. Decisamente.
"Come... come ti chiami?" le chiese, posandole con cautela una mano sulla spalla. Lei ebbe un momento di incertezza, e sollevò gli occhi posandoli su di lui. Forse lesse qualcosa in quello sguardo limpido e così innocente, che bastò a convincerla a parlare
"Quinn.." mormorò, liberandosi il viso dai capelli e sistemandoli dietro le orecchie. Ah però.. un nome importante per una famiglia importante
"Io sono Kurt.. Kurt Hummel. E lui è.. Blaine." sorrise, indicando anche me e lei, riuscì finalmente a tentare un sorriso, ma fu solo un attimo, prima di farsi scappare un altro singhiozzo. 
"Vi prego di perdonarmi.. sono... non sapevo dove andare, ero disperata. I miei mi hanno cacciata via di casa e hanno detto di non volermi più vedere. Mi... sono ricordata di questo posto e per puro caso sono riuscita a trovare un doppione delle chiavi nello studio di mio padre. Ma, vi giuro.. io non sapevo che.. lo avesse dato in affitto a qualcuno" e sollevò gli occhi di nuovo verso di me, in una specie di smorfia supplichevole che mi fece sentire ancora più male per averla trattata in quel modo poco prima
"Da più di un mese ormai" le dissi pratico. Lei scosse la testa
"Adesso sono definitivamente rovinata!" mormorò per poi passarsi la manica della maglia sotto gli occhi per liberarsi un pò delle lacrime. Mi avvicinai ancora un po', rimanendo tuttavia in piedi 
"Quinn?" la chiamai, schiarendomi appena la voce e sentendomi maledettamente a disagio. Era una situazione decisamente troppo strana. I suoi genitori l'avevano cacciata di casa, ma.. perché? E soprattutto... cosa c'entravamo noi? Cosa avrei dovuto dirle? Che tutto si sarebbe risolto? Che i suoi genitori, qualsiasi cosa avesse mai fatto, l'avrebbero perdonata e tutto sarebbe tornato come prima? Che se ne sarebbe dovuta andare da qualche altra parte perché quella era a tutti gli effetti casa mia ormai e io avevo un bisogno disperato ed impellente di stare da solo con Kurt?
"Hai.. visto il mio cane per caso?" domandai alla fine, dandomi dello stupido, ma decisamente troppo imbarazzato per chiedere altro. Lei rimase un istante a guardarmi, confusa, per poi lasciarsi scappare una leggera risata. E quel suono, per quanto strano, fu decisamente piacevole
"Sì... appena sono entrata mi è venuto incontro.. solo che poi, dopo essersi reso conto che io non ero te.. è scappato.. si è nascosto sotto il letto credo!" e mi sorrise, ancora profondamente divertita
. Io feci una smorfia, mentre perfino Kurt ridacchiava leggermente
"Bel cane da guardia che mi sono trovato!" borbottai e mi diressi, senza dire altro, in camera, per stanare il traditore. Lo trovai in un angolo, accucciato, con qualcosa addosso, che solo quando fui vicino capii essere la maglia del mio pigiama. Cercando di trattenere una smorfia intenerita, e provando ad assumere invece l'espressione del papà ferito, lo presi in braccio per sgridarlo
"Cosa... del concetto 'tu controlli questa casa!' non ti è chiaro, Cooper?" gli domandai e lui, in risposta mi leccò il naso, facendomi passare tutto, perfino l'intenzione di farlo dormire in terrazzo per punizione. Così, lo portai in salotto, dove Kurt e Quinn si erano seduti sul divano e parlavano, in maniera appena più rilassata. Appena mi vede tornare, Kurt mi sorrise, e anche quel gesto ebbe il potere di farmi dimenticare parecchie cose, perfino il mio nome di battesimo
"Ti va una tazza di thé?" domandò lui, rivolgendosi di nuovo alla ragazza che, prima di rispondere, si girò verso di me, forse per chiedere conferma. Io mi ritrovai inconsapevolmente a sorriderle e lei fece lo stesso, più sollevata, annuendo e ringraziando Kurt. Così lui si diresse in cucina ed io, con ancora Cooper in braccio mi avvicinai a lei e le posai il cane di fianco
"Coraggio Cooper... sii gentiluomo... fai compagnia alla signorina." e per la seconda volta ebbi il potere il farla ridere e i due ci misero relativamente poco a scrutarsi e a dichiarare di essere compatibili per una sessione straordinaria di carezze. Decisi di lasciarli un pò soli e raggiunsi Kurt. Lo trovai impegnato a riempire d'acqua un pentolino per poi metterlo su uno dei fornelli e accendere il gas. Si accorse della mia presenza e subito mi sorrise
"Mi dispiace." sussurrò, forse per non farsi sentire da Quinn. Aggrottai la fronte, avvicinandomi e mi poggiai con la schiena al tavolo esattamente a mezzo passo da lui
"Per cosa?" gli chiesi confuso
"Per quello che... stavamo facendo e per come siamo stati interrotti." rispose avvicinandosi ed io lo accolsi immediatamente tra le mie braccia: come era successo poche ore prima nel bagno del pub, si schiacciò completamente addosso a me ed io sentii un lungo brivido percorrermi tutta la schiena fino alla nuca, dove venne per fortuna catturato da una sua carezza, dolce e morbidissima carezza proprio in quel punto
"Non è colpa tua.. si vede che.. io e te possiamo stare insieme soltanto quando uno dei due è fidanzato!" scherzai, stringendogli i fianchi per attirarlo appena più vicino e lui ridacchiò, nascondendo il viso tra il mio collo e la spalla. Rimanemmo in quella posizione per un pò, in silenzio, respirando direttamente il profumo dell'altro e provando ad accontentarci almeno di quello. Dato che non potevamo ottenere
altro, almeno per quella sera, avrei approfittato del suo calore in un altro modo e avrei lasciato l'immaginazione libera di vagare e di dipingere scenari fantastici di me e lui, possibilmente soli e con niente a dividerci, se non il tessuto delle lenzuola.
"Che cosa facciamo con lei?" mi domandò poco dopo, in un soffio. Esattamente quello che mi stavo chiedendo anche io
"Non lo so, Kurt." risposi sinceramente, con un sospiro "Hai sentito che cosa ha detto? I genitori l'hanno cacciata di casa... e se suo padre viene a scoprire che lei è qui.. potrebbe prendersela e magari togliermi l'appartamento."
"Non succederà.. prima di tutto cerchiamo di capire cosa le è successo e come mai è così distrutta. Nel caso in cui non ci dovessero essere soluzioni... verrà a stare momentaneamente da me. Fabray sul mio appartamento non ha nessun diritto ed io sono libero di tenerci chi voglio!" disse con calma, guardandomi negli occhi e dimostrandomi di essere, ancora una volta, decisamente quello più maturo tra i due. Avrei anche io voluto essere così saggio e posato ma forse, come in tutte le coppie, c'erano dei ruoli prestabiliti da rispettare.
Ho appena detto che io e lui siamo una coppia.. bene, l'astinenza inizia seriamente a fare male...
"Sei veramente una persona speciale, Kurt... ed io dovrei ricordarmi di ripetertelo un pò più spesso." mormorai , incantato dalla profondità dei suoi occhi e da quel piccolo sorriso commosso e spontaneo che riuscì a regalarmi
"Me lo ricordi anche fin troppe volte, fidati.. ed io devo ancora farci l'abitudine!" ridacchiò, continuando ad accarezzarmi la nuca e posando l'altra mano sul mio petto, all'altezza del cuore, che per farsi sentire, scalpitò appena più forte. Mi ritrovai, senza pensarci, ad allungare il collo e a riprendere possesso delle sue labbra e, chiudendo gli occhi, provai ad immaginare che in quella casa fossimo soli, che non dovessimo preoccuparci di nulla a parte di noi stessi e che potessimo seriamente concederci il nostro tempo, il nostro spazio, la nostra agognata intimità e probabilmente perfino qualche confessione, scappata durante la passione del momento. E invece, riaprendo gli occhi e puntandoli nei suoi, nonostante questi fossero come sempre bellissimi e pieni di destabilizzante desiderio, non successe praticamente nulla. Quinn era ancora nel mio salotto, io e lui avevamo ancora i vestiti addosso e soprattutto.. l'acqua del pentolino aveva iniziato a bollire. Così ci sorridemmo ancora, consapevoli del fatto che fossimo davvero sfortunati e che anche quella sera non sarebbe successo molto, a parte forse qualche altro bacio, rubato durante quei pochi momenti di solitudine.
"E comunque..." aggiunse poco dopo con un mezzo sorriso furbetto "Anche tu sei speciale, Blaine... molto più di quanto possa sperare di esserlo io!" e mi lasciò un altro piccolo bacio a fior di labbra, facendomi sorridere di conseguenza.
L'aiutai a recuperare tre tazze dalla credenza e poco dopo raggiungemmo il salotto, dove Cooper e Quinn sembravano entrati decisamente più in confidenza
"Blaine.. questo cane è un amore!" esclamò divertita, mentre il cucciolo scodinzolava allegro al suo fianco
"Sono contento che abbiate fatto amicizia." mormorai, passandole una tazza fumante e lei mi ringraziò con un sorriso. Vederla sorridere, con gli occhi asciutti e senza nessun ombrello stretto tra le mani, rendeva tutto molto più tranquillo. E così ci ritrovammo tutti e tre a sorseggiare i nostri thé caldi, io seduto sul tappeto con Cooper che scorrazzava felice da un lato all'altro e loro due sul divano di fronte a me. Rimanemmo in silenzio per dei lunghissimi istanti fino a che Kurt non sospirò e non si decise a mettere a nudo la questione
"Ascolta Quinn... io e Blaine ne abbiamo parlato e... saremmo anche disposti a venirti incontro.. ed aiutarti, ma.. tu devi aiutare noi a capire. Abbiamo bisogno di sapere cosa è successo e come mai sei stata costretta a venire qui." le disse con calma, senza nessun tipo di pretesa o di accusa nella voce. Lei annuì

"Sì avete ragione. Meritate una spiegazione plausibile.. entrambi!" e si rivolse soprattutto a me. Prese un profondo respiro e alla fine parlò "Ho litigato con i miei stamattina perché loro hanno.. scoperto una cosa e non sono stati capaci di.. gestirla." fece una smorfia, facendo intendere ben altro.
"Che cosa hanno scoperto?" domandai curioso. Lei, combattuta, si morse il pollice per qualche secondo prima di rispondere
"Sono incinta!" esclamò, con l'espressione tipica di chi, sganciata una bomba, aspetta timorosa l'esplosione. E in effetti qualcosa successe. Cooper abbaiò, quasi fosse contento della notizia e quella sua intromissione diede il tempo materiale a tutti, in quella stanza, di metabolizzare la notizia appena avuta.
La figlia del mio padrone di casa e qui, che si nasconde nel mio appartamento ed io ho appena scoperto che è stata cacciata perché è incinta. Sono un uomo morto...
"Oh!" mormorò Kurt, colpito e quello fu l'unico suono umano che uscì fuori, dopo quella rivelazione.
"Già.." fece lei, abbassando la testa e sospirando ancora. Decisi di intervenire, per provare a smuovere un pò quella situazione, altrimenti non saremmo andati da nessuna parte
"E il.. padre del bambino.. lui lo sa già?" domandai, chiedendomi perché non fosse andata direttamente da lui a cercare asilo invece di introdursi a casa mia. Lei scosse la testa
"No, non lo sa.. e credo che non lo verrà mai a sapere." affermò con forza, stringendo in un pugno l'orlo del lungo vestito che portava. La sua reazione mi spiazzò non poco. Che cosa significava che il padre del bambino non lo avrebbe mai scoperto? Perché una tale decisione?
"E posso.. permettermi di chiederti il motivo di questa tua scelta?" le chiese Kurt in un sussurro
"Lui è... non reagirebbe bene perché non può.. prendersi cura di un figlio né tanto meno io posso sperare che mi accolga a braccia aperte nella sua vita, se gli dicessi una cosa del genere!" rispose continuando a torturarsi il vestito, in un tono leggermente amaro
"Che intendi.."
"Lui è sposato." sbottò senza troppi complimenti "Ha una moglie e due figli. Ed io sono semplicemente la sua stupida ed inutile amante!" e si lasciò scappare un singhiozzo, tornando a coprirsi il viso con le mani. O cazzo.. quello sì che era decisamente scioccante. Vidi Kurt spalancare appena gli occhi, sconvolto e forse, per un istante gli passò per la testa la stesso mio pensiero. Quella ragazza era tutto tranne che innocente: era l'amante di un uomo sposato, una rovina-famiglie, una ragazzina. Ed io e lui non ci saremmo di certo preoccupati di tenerla in casa, proteggerla e magari darle pure da mangiare, rischiando di suscitare la collera del padre avvocato. Mi sarei aspettato tutto, tranne una confessione del genere
"Stavi con un uomo sposato.." borbottò infatti Kurt, leggermente più duro nella voce, incupendosi. Quinn, avvertendo il suo tono cambiare, si affrettò a sollevare la testa e a rispondere
"Sì.. era sposato, ma.. io vi giuro che.. non lo sapevo. Lui mi ha raccontato una marea di bugie, fin da quando ci siamo conosciuti. Ha sempre detto di volermi bene, di volermi sposare e che io ero l'unica donna della sua vita. C'era.. differenza di età, certo, ma... non mi ha mai parlato della sua famiglia né tanto meno di sua moglie. L'ho scoperto per caso un mese e mezzo fa, dopo quasi un anno di relazione clandestina. E ovviamente l'ho lasciato. Solo che... un paio di settimane fa ho scoperto della gravidanza e.. stamattina è successo tutto quello che non sarebbe mai dovuto succedere con i miei genitori. E il resto della storia la sapete già." ci guardò negli occhi, prima Kurt e poi me, cercando comprensione e forse sperando di averci convinti o di non aver perso il nostro sostegno. Io non so cosa, guardandola negli occhi, mi fece immediatamente credere che quella che ci aveva appena raccontato fosse la verità e che quindi non fosse affatto una rovina-famiglie ma semplicemente un'amante inconsapevole, caduta vittima del raggiro di un uomo fin troppo astuto. E non riuscii a non provare pena per lei. Per lei e per quella povera creatura innocente che portava in grembo.
"So che è difficile credere alle mie parole e che ai vostri occhi sarebbe più facile catalogarmi come la classica puttanella ricca e viziata che tenta di distruggere le famiglie degli altri.. ma vi assicuro che non è così." affermò, in una nota disperata, tanto preoccupata di farci comprendere la verità e sperando che forse, noi al contrario dei suoi genitori, fossimo un pò più magnanimi e comprensivi "Io... mi ero innamorata di quel bastardo e sarei stata disposta a fare di tutto per lui. E lo dimostra il fatto che, nonostante tutto, non sono mai andata da sua moglie a raccontare la verità, neanche dopo aver scoperto di aspettare un figlio da suo marito. Mi sono tenuta alla larga dalla loro famiglia perché mi sono sentita in colpa per lei.. per i suoi figli ma soprattutto mi sono sentita in colpa verso me stessa.. per aver avuto così poco rispetto verso la mia persona e verso il mio futuro, credendo davvero che la mia felicità potesse essere condivisa con uno così!" e scosse la testa, alla fine del suo sfogo, amareggiata e distrutta. Soffriva ancora, e forse quella situazione con i suoi genitori non aveva fatto altro che aggravare tutto. Se avesse avuto una famiglia più comprensiva, o semplicemente un pò più di fortuna in più, forse sarebbe stato tutto molto più semplice.
"Noi non ti giudichiamo, Quinn.." mormorai, senza neanche accorgermene qualche istante dopo, attirando la sua attenzione "Però, personalmente, penso che tu sia stata molto matura e che adesso stia dimostrando un coraggio davvero invidiabile. Devo dire che ammiro la tua forza d'animo, e l'umiltà con cui sei riuscita a raccontarci tutta la storia. Per quanto riguarda quell'individuo... avrà quello che si merita prima o poi.. è soltanto questione di tempo. La vita è come una ruota che gira, basta solo aspettare che lo faccia dal nostro stesso senso di marcia." e le sorrisi, non riuscendo a trattenere neanche quello, ritrovandomi a provare una strana forma di simpatia e tenerezza verso quella ragazza così sola eppure allo stesso tempo combattiva e piena di voglia di vivere. E in un certo senso, sentii che tutta quella simpatia che provai a pelle, fosse dipesa da fatto che, in un certo senso, somigliasse molto al mio Kurt. L'angelo buono e solo, maltrattato dal mondo eppure pieno di qualcosa di speciale ed unico che aspettava soltanto di essere tirato fuori.
Quinn mi sorrise, grata e commossa
"Grazie Blaine.. sei.. davvero gentile." e poi entrambi ci girammo a guardare Kurt che sembrava decisamente troppo pensieroso. Si accorse dei nostri sguardi insistenti ed arrossì appena, ma si concesse un sorriso, che alla fine, fece sorridere anche me. Quella era il segno che anche lui avesse capito e che credesse alle parole di Quinn, nonostante in un primo momento fosse stato il primo ad esserne infastidito. Così
alla fine parlò anche lui
"Stiamo per infilarci in un grande casino, non è vero?" domandò, appena divertito, ovviamente rivolto verso la ragazza che accettò la battuta con un sorriso
"Non sarà necessario. Voi non siete obbligati ad aiutarmi. Posso benissimo farcela da sola.. trovarmi un posto in cui dormire, un lavoro e.. magari con il tempo perfino un appartamento tutto mio. Siete stati fin troppo gentili con me.. non pretendo di certo di approfittare ancora di tutto questo." e ci sorrise di nuovo, leggermente imbarazzata. Io e Kurt, in quel momento, ci guardammo e ci bastò un solo millesimo di secondo per decidere.


New York City. Ore 07.34 P.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)

"E quindi adesso la figlia del mio capo vive a casa tua!" esclamò Sebastian colpito, tamburellando con le dita sul tavolo. Io feci una smorfia
"Non vive a casa mia... si è momentaneamente fermata in attesa di trovare un alloggio ed un lavoro per poterselo permettere." spiegai con calma. Eravamo seduti ad un tavolino del pub, ancora chiuso visto l'orario e avevo approfittato dell'attesa per aggiornare un pò i miei amici della situazione
"Però nel frattempo.. vive a casa tua!" fece Daniel con mezzo sorriso. Sbuffai sonoramente, passandomi una mano tra i ricci
"Sì... vive a casa mia." concessi con un lamento
Dio prima li fa e poi li accoppia...
"E com'è abitare con una donna?" domandò il più piccolo, divertito. Sollevai un sopracciglio
"Penso sia la stessa identica cosa di abitare con un uomo..." mormorai, stringendomi nelle spalle
"Io non credo sia esattamente la stessa cosa.. non so se mi spiego." esclamò Sebastian malizioso e in risposta scossi la testa, rassegnato. Lui e le sue battute inutili. Ma sentivo che non fosse affatto finita e che quell'espressione a metà strada tra il pensieroso ed il divertito, nascondesse qualcosa di più. E infatti...
"Hai capito l'avvocato Fabray.. ci diventa nonno!" esclamò infine, rivolto al suo ragazzo che ridacchiò
"Ecco perché oggi era così nervoso.. e per poco non ha licenziato la sua segretaria personale." mormorò Daniel con una smorfia e Sebastian scosse la testa, ancora con l'ombra di un sorriso a stirargli le labbra. E la sua espressione, ancora poco chiara, mi fece accigliare
"Guai a voi se osate farvi scappare qualcosa con lui. Quello mi caccia di casa." li minacciai, anzi.. minacciai Sebastian dato che, tra i due, era il più pericoloso
"Stai scherzando? Rischiamo di essere licenziati anche noi se lo viene a sapere." borbottò e forse quello bastò per calmarmi e dichiarare il mio amico affidabile. Si trattava del suo lavoro e del suo futuro in fondo e.. anche di quello del suo ragazzo. Non avrebbe mai messo in una situazione scomoda anche lui, solo per fare un dispetto a me.
In quel momento Kurt passò accanto a noi, con una pezza bagnata in mano, intento a pulire i tavoli. Ci scambiammo un sorriso veloce, potendoci concedere soltanto quello, dopodiché lui tornò alle sue pulizie e io al mio accenno di depressione. Sì, ero depresso. Depresso e frustrato. Ed era abbastanza semplice intuirne il motivo. La notte precedente, dopo aver parlato con Quinn ed aver deciso di volerle dare una mano, eravamo giunti alla conclusione che, per non turbarla troppo, avremmo dovuto dormire separati, almeno finché non avessimo risolto la situazione. Non sapevamo come lei potesse reagire, scoprendo di essere capitata sul pianerottolo di due ragazzi gay - che tra l'altro si scambiavano baci bollenti in ascensore e amoreggiavano in cucina, alle sue spalle - e quindi preferimmo evitare ulteriori problemi. Lui se n'era tornato nel suo appartamento ed io avevo ceduto il mio letto a Quinn - nonostante lei avesse insistito più di una volta che anche il davano le sarebbe andato bene. Quella notte, nonostante la stanchezza, non avevo chiuso occhio. Avevo continuato a pensare a lui, al suo corpo, al fatto che lo avessi così bramato e voluto e alla fine potessi semplicemente immaginarlo. Certo, avevo fantasia.. molta fantasia.. ma vedere nella mia testa la sua pelle e sognare di baciarla in ogni angolo, non aveva di certo lo stesso effetto di.. farlo davvero. Eppure io, quella mattina, per colpa dei miei stessi pensieri e la presenza ancora ingombrante di qualcuno nei piani inferiori, ero stato costretto ad infilarmi sotto la doccia e ad aprire al massimo il getto dell'acqua fredda. Erano stati cinque lunghissimi minuti di agonia - necessariamente silenziosa, dato che Quinn stava ancora dormendo ed io non potevo di certo rischiare di svegliarla - ma alla fine, aveva dato il risultato sperato: tutto era rientrato nella normalità ed io non ero stato costretto a ricorrere a... altri metodi decisamente troppo imbarazzanti. Non che in quegli anni, prima di conoscere Kurt, fossi sopravvissuto solo grazie alle docce ghiacciate, però.. fino a quando il mio vicino di casa fosse rimasto così bello e l'amore che provavo per lui così forte... l'autoerotismo sarebbe stato abolito in quella casa.
"E... con l'altra convivenza come sta andando?" domandò Sebastian, tornando malizioso ed indicando con un cenno Kurt, che si spostava sulla parte rialzata del locale.
"Splendidamente, grazie!" gli sorrisi, fintamente sarcastico, sperando con molta ingenuità che quella risposta potesse bastargli.
Ma ovviamente...
"Sicuro? Dalla tua faccia non si direbbe" mi provocò appena, con un mezzo sorriso
"Diciamo che abbiamo avuto qualche... problemino." rimasi sul vago, volontariamente, con la piena consapevolezza che, così facendo, avrei ottenuto l'effetto contrario e la sua curiosità invece di diminuire sarebbe soltanto aumentata
"Iniziate già a litigare? State insieme da appena... tre giorni!" mormorò confuso, incrociando le braccia al petto
"Non stiamo insieme." ribadii con uno sbuffo "E non abbiamo affatto litigato." precisai. Lui sollevò un sopracciglio, confuso
"E allora il problema qual'è?" domandò
"Lascia perdere.. non potresti capire." feci io, poggiando il mento sulla mano e spostando gli occhi sulla figura di Kurt, che in quel momento stava sistemando le sedie di un tavolino. Era così bello e sexy in ogni movimento. Ed io dovevo smetterla di farmi del male.. altrimenti non sarei sopravvissuto ad un'altra doccia ghiacciata nella stessa giornata
"Ehi.. sono tuo amico.. e sono anche io gay. Credi davvero che io non possa capirti?" domandò, quasi offeso, schioccando le dita davanti ai miei occhi per attirare la mia attenzione
"Sì!" esclamai con un sorriso
"Dovrei sentirmi offeso?" borbottò, tornando ad incrociare le braccia e mettendo su una smorfia di disappunto
"É che... non sei famoso per la tua.. delicatezza.. ecco!" gli feci presente allora. L'ultima cosa di cui avevo bisogno erano le sue battute fuori luogo. Poteva tenersele strette 
"La mia delicatezza?"
"Sì.. conoscendoti saresti capace di riderci su.. come al solito." specificai con una smorfia, mentre Daniel, cercava invano di trattenere un sorriso divertito. Lui lo conosceva quasi quanto me e quindi sapeva quanto potesse essere fastidioso Sebastian quando ci si metteva d'impegno
"E se... ti prometto di non farlo?" mi propose, quasi come una sfida. Sotto sotto, morivo dalla voglia di parlarne con qualcuno e sapevo che lui era l'unico con cui avrei potuto farlo. Magari avrebbe saputo consigliarmi qualche altra tecnica, oltre all'acqua ghiacciata, per raffreddare i miei bollenti spiriti. Ma.. prima dovevo assicurarmi che mai e poi mai avrebbe fatto dell'ironia
"Giuralo.. sulla testa di Daniel!" esclamai allora, indicando con un cenno il ragazzo biondo, che subito intervenne indignato
"Ehi!" sbottò infatti. Sebastian non rispose subito, forse perché intese l'importanza della situazione ed io ne approfittai per aggiungere
"Giuralo.. altrimenti non ti dico un bel niente." minacciai, guardandolo direttamente negli occhi, tanto per fargli capire quanto fossi serio e quanto poco potesse permettersi di scherzare con me quella volta. E lui, per mia fortuna, o forse per la troppa curiosità, cedette, non prima di aver lanciato un'occhiata mortificata verso il suo ragazzo
"D'accordo.. lo giuro sulla testa di Daniel!" esclamò risoluto
"Grazie tante, Bas!" sbottò Daniel tirandogli uno schiaffo sulla nuca, sempre più indignato
"Coraggio, scricciolo... voglio provare a capire.. mi preoccupa vederlo così.. depresso!" si giustificò subito, accarezzandosi il punto colpito ed indicando me. Fantastico.. l'aveva capito anche lui. Ed io che credevo di essere riuscito a nasconderlo bene. Daniel fece una smorfia seccata ma alla fine, forse perché anche lui particolarmente curioso, lasciò correre
"Dunque... ora che ho giurato.. sputa il rospo!" mi incitò Sebastian
"É che.." maledizione.. era difficile!
"Blaine?"
"Io e Kurt.. non.. riusciamo più.. a.. ad avere un pò di tranquillità diciamo." mormorai a disagio, lanciando un'occhiata verso il soggetto interessato e trovandolo impegnato in una conversazione con Brittany poco distante, fortunatamente abbastanza lontano da noi
"Un pò di tranquillità?" domandò Daniel confuso
"Eh..." mi sentii arrossire fino alla punta delle orecchie e puntai gli occhi in quelli verdi del mio amico, sperando che almeno lui e il suo intuito infallibile mi facessero risparmiare una confessione a voce. Alla fine, infatti, annuì lentamente
"Mmmm.. credo di aver capito a cosa tu ti riferisca. E... giusto per sapere.. quando è stata l'ultima volta?" domandò pratico, stringendo gli occhi. Bene, la mia fiducia nei suoi confronti, almeno per il momento, era stata ben riposta
"Ehm.. dunque.. quanto tempo fa siete stati all'Ikea?" domandai con tono leggero, sperando di temporeggiare un pò
"Mmm.. dieci giorni fa mi pare!" rispose Daniel
Cazzo.. dieci giorni.. sembravano di meno...
"Ecco!" feci con un gesto della mano e provando a tirare un sorriso, ma l'unica cosa che mi uscì, fu una smorfia dolorante. Sebastian e Daniel rimasero immobili, a guardarmi, senza aprire bocca, fino a che il più piccolo non interpretò il pensiero di tutti. Incluso il mio
"Stai scherzando, spero!" esclamò con gli occhi sgranati
"Purtroppo no." sospirai affranto, poggiando la fonte al tavolo di legno. Ecco, lo sapevo che vista da fuori sembrava ancora peggio. Sebastian si riprese in quel momento, prima con un mezzo lamento e poi con una frase, scioccata
"Cioè tu e Kurt non scop.."
"Sebasatian!" lo interruppi, gridando e attirando l'attenzione di tutti i presenti, incluso ovviamente Kurt. Arrossii ancora, e accennai un sorriso imbarazzato nella sua direzione, sperando che bastasse per non insospettirlo troppo. Lui ricambiò, e tornò alla sua conversazione tra colleghi di lavoro. Ne approfittai per fulminare il mio amico - domandandomi cosa mi trattenesse dal rimanere ancora seduto a quel tavolo a parlare con lui - cercando di fargli capire quanto poco potesse permettersi quel tipo di uscite. Ero in un pessimo stato di salute psichica.. non potevo rischiare di aggravare il tutto per colpa sua. Sebastian si morse un labbro, rimanendo qualche secondo in silenzio, fino a che, con voce nettamente ridotta, non riprese a parlare
"Tu e lui non fate nulla da.. dieci giorni?" domandò sporgendosi appena verso di me, mentre un sopracciglio gli si inarcava in maniera buffa e sospetta
"Già!" sospirai e tornai ad accasciarmi sul tavolo, distrutto
"Ma è.. contro natura questa cosa." si oppose, quasi scandalizzato, facendomi grugnire. Ci voleva lui per dirmi che fosse contro natura. Contro natura sarebbe stato anche rimanere ancora seduto a quel tavolo a parlare con lui della mia vita intima. Eppure lo stavo facendo. I casi erano due: o le cose contro natura nella mia vita erano all'ordine del giorno e quindi da definire normali, oppure... c'era qualcosa che in me, non funzionava per il verso giusto.
"Lo so ed è per questo che mi sento così frustrato. E a dirla tutta.. è anche colpa vostra." borbottai fulminando entrambi
"Nostra?"
"Sì.. siete stati voi l'altra sera a piombarmi in casa con la storia della denuncia. Per non parlare della questione di David.. del licenziamento di Kurt e ora di Quinn.. è tutto un insieme di cose che sembrano state progettate per.. farmi uscire di testa." spiegai, forse con un tono esageratamente lamentoso, ma.. era così che mi sentivo. Ogni sera, da qualche tempo a quella parte, era successo qualcosa. E non osavo immaginare cosa sarebbe ancora potuto succedere. Sebastian si mosse appena sulla sedia, per poi fare una smorfia strana, una smorfia che, in dieci anni di amicizia, la maggior parte dei quali passati a convivere, avevo imparato a conoscere. Quel bastardo si stava divertendo, alle mie spalle, sulle mie disgrazie e cercava disperatamente di trattenersi.
Stupido io, che ho realmente creduto potesse prendermi sul serio...
"Sebastian... avevi giurato!" lo ammonii tirandogli un pugno sul braccio e lui si affrettò a ricomporsi
"Non sto ridendo.. sono semplicemente.. sorpreso, ecco tutto." si giustificò, ma si vedeva chiaramente quanto fosse divertito e quanto poco gli mancasse per esplodere in una grassa risata. Probabilmente lo avrebbe anche fatto, magari quella sera stessa, tornando a casa. Lui e Daniel si sarebbero messi a ridere su di me, sulla mia sfortuna e la mia frustrazione alle stelle, mentre io, tanto per tenere fede alla mia schifosa condizione, sarei andato a letto, di nuovo da solo e inappagato. Se non era ingiustizia quella.
"E non puoi semplicemente.. che so.. bloccarlo in un bagno oppure.. svegliarlo nel cuore della notte e saltargli addosso?" propose Daniel, grattandosi una guancia e lanciando un'occhiata verso Kurt. Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
Dio prima li fa e poi li accoppia.. parte seconda...
"No.. il bagno non è affatto una buona idea, fidati!" mormorai divertito, scuotendo la testa e provando ad ignorare il ricordo della sera prima, che premeva opprimente per tornare a galla, assieme a qualcos'altro.
"Prendi l'iniziativa, B... in certe occasioni bisogna dimostrare decisione e fantasia. Ci sarà pure un luogo dove magari ti piacerebbe.. provare ad improvvisare." mi disse Sebastian, accorato. Un luogo dove mi sarebbe piaciuto improvvisare? Tipo il tavolo della cucina, o il dondolo in terrazzo, o il box doccia, o l'ascensore?
"No!" esclamai, arrossendo spontaneamente ed abbassando lo sguardo. Non servì affatto guardarlo negli occhi per capire quanto in quel momento stesse sorridendo
"Sei un pessimo bugiardo Blaine Anderson!" mi ammonì allora "E se continui a mentire a lui oltre che a te stesso... sarai costretto ad abbonarti al canale porno sulla pay per view o peggio.. a diventare etero!" e detto questo, riuscendo a raggelarmi, mi rivolse un sorrisetto eloquente, tipico di chi sa già a prescindere, di avere ragione.

New York City. Ore 11.12 P.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)

Il secondo giorno di lavoro era stato decisamente migliore rispetto al primo. Ormai ero entrato nel ritmo degli ordini, avevo memorizzato quasi tutti i numeri dei tavoli e sapevo perfino distinguere il cliente generoso e predisposto alla mancia, da quello taccagno che ordinava, con la scusa della dieta, solo una porzione di patatine, portando via tutte le bustine del condimento che non utilizzava. Ero perfino riuscito ad intrattenere una conversazione con Rory, rimanendo serio tutto il tempo nonostante il suo accento. L'unica cosa che stonava leggermente in quel magnifico quadro era Blaine. Mi era sembrato strano già quella mattina, quando avevo bussato al campanello di casa sua per fare colazione insieme. Ovviamente non eravamo soli, c'era anche Quinn - notevolmente più rilassata della sera precedente - però il semplice fatto di poter condividere del tempo e lo spazio con lui, mi riempiva il cuore di felicità. Eppure lui era sfuggente, imbronciato e durante la sua esibizione sul palco... mi era sembrato spento e senza alcun tipo di intensità. Non era il solito Blaine, il meraviglioso ragazzo pieno di carica che riusciva con una figuraccia fatta in un bagno pubblico a farmi piangere dalle risate. Era sicuramente successo qualcosa e io dovevo necessariamente sapere cosa.. altrimenti sarei impazzito. Non sopportavo l'idea di doverlo vedere con quel muso lungo e neppure riuscivo a capire come mai, durante le sue pause tra una canzone e l'altra, non fosse mai sceso dal palco per venirmi a salutare, oppure non avesse mai alzato la testa verso di me, anche per un semplice sguardo. Era arrabbiato per caso? Eppure.. non era successo nulla... o no?
Era quasi l'ora di chiusura quando mi avvicinai a lui, mentre era impegnato a riporre la chitarra nella sua custodia. Gli strinsi un braccio con molta delicatezza e lui, quasi saltò sul posto
"Ehi.."
"Scusa.. non volevo spaventarti!" mormorai arrossendo appena. Mi sorrise, ma fu più che altro una piccola smorfia tirata
"Non ti preoccupare.. ero sovrappensiero." rispose sistemando la chitarra nel solito angolo, dandomi le spalle. Ma cosa stava succedendo? Perché tutta quella distanza? Perché sembrava fosse a disagio con me? Cosa diamine era capitato dal momento in cui avevamo quasi fatto sesso nel bagno di quello stesso locale e la passione sembrava toccare vette altissime? Cos'era cambiato dall'ultimo bacio delicato e pieno di dolcezza che ci eravamo scambiati nella sua cucina?
É cambiato che siete stati interrotti, di nuovo. Che ti sei preoccupato di più per Quinn, una sconosciuta, che di lui e della vostra serata... ecco cos'è cambiato...
Mi ritrovai a sospirare, scoprendomi improvvisamente stanco e contemporaneamente desiderai di essere a casa, sul nostro pianerottolo e di essere nel momento esatto in cui avrei potuto sorridergli e magari proporgli di venire a dormire da me per quella notte. Poi magari tutto il malumore sarebbe passato e avremmo riscoperto assieme la nostra sospirata intimità, o semplicemente la piacevole sensazione che provavamo tutte le volte in cui potevamo guardarci negli occhi, senza intrusi.
E fu proprio mentre lui tornava a girarsi e, incrociando i miei occhi, arrossì appena, che io decisi cosa avrei fatto: quella sera, fosse cascato il mondo, dovevo averlo. Lo volevo con tutto me stesso e niente e nessuno me lo avrebbe portato via o mi avrebbe distratto. Sentivo il bisogno stringermi lo stomaco e l'urgenza di tornare a casa, spingermi verso l'uscita del locale. Così gli sorrisi e mi concessi uno strappo alla regola della discrezione in pubblico: mi avvicinai, rubandogli un bacio veloce, cogliendolo appena di sorpresa, ma beandomi della meravigliosa espressione che si aprì sul suo volto. Dopo un primo momento di smarrimento e imbarazzo, finalmente, dopo quasi ventiquattro ore, riuscì a regalarmi uno dei suoi sorrisi, quelli con le fossette, quelli teneri e sinceri, quelli che facevano risvegliare ognuna delle farfalle nel mio stomaco ed ogni mio senso, e mi facevano perdere qualche anno di vita. Ed io per poco non scoppiai a piangere per la gioia, perché lui non era arrabbiato con me, io non avevo rovinato nulla e quella cosa speciale che ci legava da più di un mese ormai, era ancora lì, per niente scalfita.
"Andiamo a casa?" gli proposi con un sussurro, provando con quella frase, a fargli capire quali fossero le mie reali intenzioni. Lui spalancò appena gli occhi e sorrise ancora, quella volta con un lieve accenno di malizia negli occhi
"D'accordo." rispose e, dopo aver consegnato il grembiule a Puck ed avergli augurato buonanotte, insieme ci dirigemmo verso l'uscita. Eravamo quasi arrivati alla porta, quando qualcuno entrò di corsa, bloccandoci bruscamente. Era Sam Evans, il manager di Santana, con il fiatone e l'aria di chi,
per poco,
non ha  rischiato di perdere qualcosa di veramente importante
"Oh.. per fortuna sei ancora qui. Devo parlarti. Urgentemente!"
Cos'è che hai appena detto, Kurt? Niente e nessuno?... Merda!...


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Capitolo 37
*** Afferrare un'occasione ***


Salveeeee.... contro ogni previsione (e ogni scommessa!) ce l'ho fatta ^^ dunque, prima di tutto mi scuso con ognuno di voi per non aver aggiornato ieri, soprattutto con quelli che non hanno avuto modo di leggere il post su fb in cui comunicavo questo cambiamento.. purtroppo le cose sono iniziate a diventare troppo complicate e perfino trovare il tempo per scrivere è ormai un'impresa. Però diciamo che alla fine qualcosa è venuto fuori.. dunque, oggi prima di iniziare avrei alcune cose da dire: numero uno, riguardo allo scorso capitolo.. beh la tensione sessuale tra quei due non fa che aumentare e più questa aumenta più io mi diverto XD nodai scherzi a parte.. è destinata a durare poco, altrimenti qualcuno ci rimette la vita (tipo io ^^) per quanto riguarda invece Sam (che immagino avrete odiato quasi quanto David XD) molti di voi hanno ipotizzato che ciò che aveva da dire riguardasse Santana, che le fosse successo qualcosa.. povera San.. è viva e vegeta, tranquilli ^^ saprete a breve cosa volesse dire Sam. Numero due, ho diciamo un annuncio da fare.. ho fatto due calcoli e, se le cose vanno come dico io, dovrebbero mancare al massimo quattro/cinque capitoli (era ora direte voi ^^) però se vi può interessare, ho già pensato di inserire a storia conclusa dei capitoli prologo (uno per ognuna delle coppie formatesi nella storia!) quindi dovrete sopportarmi ancora un pò :P (e non dimentichiamo i MM). Numero tre, come avrete letto dal post, ho problemi il giovedì ad aggiornare, e quindi sposto ufficialmente i giorni di aggioramento al Martedì e al Venerdì.. vi chiedo scusa per questo cambio ma non so come altro fare (e la notte vorrei dormire, ecco XD). Numero quattro... scusate se non ho risposto alle recensioni, ma vi giuro che lo farò, appena possibile e tornerò in pari.. approfitto di questa nota chilometrica per ringraziare ognuno di voi per le magnifiche parole e per essere ancora intenzionati a sopportarmi, nonostante tutto.. siete la mia forza <3 mmmm credo di aver finito... quindi non mi resta che augurarvi buona lettura e... ci vediamo Martedì.. un bacio :*
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a landing - Missing Moments )




New York City. Ore 11.48 P.M. 18 Aprile 2012 (Mercoledì)


Io e Sam Evans raramente avevamo fatto un discorso vero. Non perché mi stesse antipatico o per qualche altro motivo in particolare. Semplicemente non avevamo mai trovato nulla che ci accomunasse, a parte l'amicizia con Santana. In effetti, pensandoci, ora c'era anche Mercedes - benché non non sapessi esattamente che piega avesse preso la loro conoscenza. Quindi mi era sembrato particolarmente strano che lui volesse parlare proprio con me, quella sera e soprattutto con quell'urgenza. Eppure ci trovammo lì, seduti al bancone, io, Blaine, Sam, Santana, Brittany... e ovviamente Puckermann che, piacevolmente sorpreso dall'improvvisata di Sam, aveva dovuto rimandare la chiusura del locale.
"Ecco qui... questa la offre la casa!" esclamò, lasciando sul bancone davanti a Sam, un bicchiere di birra
"Grazie, amico. Gentilissimo." accettò la sua birra e ne bevve un lungo sorso con evidente soddisfazione. Io, impaziente e appena irritato, gli lanciai un'occhiata insistente, tanto per fargli capire che potevamo anche saltare i convenevoli e andare direttamente al nocciolo della questione: avevo fretta, molta fretta e di certo non potevo perdere altro tempo in quel pub mentre il mio desiderio e la voglia che avevo di Blaine battevano insofferenti il piedino, in attesa. Anche Blaine sembrava dello stesso avviso: da quando eravamo stati costretti a fare marcia indietro e il nostro intento era sfumato, aveva messo su un'altra specie di broncio, questa volta appena più marcato, e faceva una tenerezza indescrivibile. Dovetti fare terrorismo psicologico su me stesso per non scoppiargli a ridere in faccia perché in quel momento, mentre giocherellava con le chiavi della moto sembrava un cucciolo, un bambino a cui era stato tolto un giocattolo, e il suo giocattolo, nel caso specifico, ero io.
Un altro motivo per mettere fretta a Sam...
"Dunque... hai detto di volermi parlare.." esordii, recuperando la sua attenzione, tutta focalizzata sulla birra. Annuì, riscuotendosi
"Oh sì... ed è una questione piuttosto urgente." mi informò
"Bene.. meglio così!" risposi con un sorriso radioso, e mi accorsi solo qualche istante dopo della poca delicatezza che avevo usato nei suoi confronti, così mi affettai ad aggiungere "Sono abbastanza stanco e vorrei.. tornarmene a casa!" sistemai alla meglio, con un sorriso meno esagerato e un pò di imbarazzo. Dovevo trattenermi, almeno in pubblico.
"Io non credo che avrai ancora voglia di dormire dopo quello che ti avrò detto." esclamò divertito, dandomi un leggero pugno sul braccio. Vidi con la coda dell'occhio Santana ridacchiare, stranamente elettrica e mi accigliai di conseguenza. Ma che diavolo stava succedendo?
"Sam io non.. capisco.."
"Ti spiego subito!" affermò, bevve un altro piccolo sorso di birra, dopodiché sospirò e iniziò finalmente a parlare "Oggi pomeriggio sono stato chiamato nello studio di Micheal Chang Jr, il tuo capo.."
"Ex capo!" specificò Blaine con una smorfia, che mi fece sorridere
"Già.. ex.. e mi ha detto cosa era successo, il tuo licenziamento intendo." specificò. Io mi ritrovai a sospirare, nonostante sentissi lo stomaco tremare, ancora per la rabbia. Per fortuna, quello che era successo dopo il mio incontro con Chang, mi aveva fatto dimenticare in parte il mio lavoro perso, la mia vita incasinata, il mio conto in banca quasi praticamente in rosso. E il merito era tutto di Blaine, dei suoi modi sempre nuovi per sorprendermi, del suo sorriso aperto e carezzevole, dell'amore che provavo per lui, indissolubile e probabilmente più forte di qualsiasi altra cosa. Eppure, in quel momento, mi sentivo ancora appena spaesato dopo che Sam era stato così gentile da riportarmi alla triste realtà. David, le sue minacce, il ben servito del mio capo.. ex capo.
"Ascolta.. se sei venuto qui per dirmi quanto ti dispiace... lo apprezzo, Sam, davvero, ma.. non credo sia.."
"Non sono qui per questo... devo proporti un affare che... a questo punto
, potrebbe seriamente cambiare la tua vita!" esclamò serio e risoluto, facendomi bloccare sia le parole che il respiro. La determinazione che gli lessi negli occhi in quel momento, mi fece appena vacillare, e finalmente ebbi modo di toccare con mano la vera professionalità di Sam Evans, la sua tenacia e soprattutto il carattere deciso che gli aveva permesso di farsi un nome di una certa importanza nel settore. Santana aveva ragione.. quel ragazzo sapeva il fatto suo. Senza sapere come, mi ritrovai ad avvicinarmi impercettibilmente a Blaine, seduto ovviamente al mio fianco, e sentire il calore irradiato dal suo corpo, sprigionarsi direttamente su di me, mi diede quella forza necessaria per riprendere fiato e farmi parlare
"D'accordo.. ti ascolto!"
"Conosci Sue Syilvester?" mi domandò a bruciapelo, sorprendendomi
"Sue.. Sylvester.. la... regina dell'Upper Side? La.. donna che è stata capace di.. creare la sua prestigiosa azienda dal nulla e che ogni anno.. rientra nella classifica delle donne più ricche dell'intero mondo della moda?" chiesi ironico. Ma certo che la conoscevo. Ogni essere umano che possedeva un minimo di conoscenza nel campo della moda conosceva la Signora Sylvester. Era un mito, una sorta di legenda. La donna per eccellenza, colei che ce l'aveva fatta, colei che era riuscita a creare un marchio prestigioso in pochissimo tempo e a dettar legge sullo stile. Aveva fama di essere piuttosto fredda e scontrosa, molto cinica, molto, forse troppo, arrogante. Ma senza ombra di dubbio sapeva come muoversi, cosa creare e perfino quanti soldi poter ottenere da ognuna delle sue creazioni. Era brava nel suo lavoro, forse la migliore. Una sorta di mostro sacro, un guru.
"Proprio lei!" confermò infatti Sam, contento del fatto che fossi preparato sull'argomento. D'accordo, conoscevo la Sylvester, la sua fama e il suo lavoro... ma cosa c'entravo io.. con lei?
"Vedi.. la sua agenzia di moda ha fatto pubblicare un'informativa sul suo sito, un'iniziativa che lei stessa promuove e che, inaspettatamente sembra essere una vera manna dal cielo." disse, incrociando le braccia al petto, sempre molto professionale
"Di cosa si tratta?" chiesi, sempre più curioso, mentre il cuore iniziava a scalpitarmi a sorpresa nel petto, senza apparente motivo
"Un concorso... un concorso di moda aperto a tutte le giovani promesse del campo." disse finalmente, rivolgendomi un breve sorriso. Lo scalpitare del cuore di fermò in un attimo, con un rumore sordo
"Un.. concorso..?" balbettai
"Esatto...
Si tratta di un bando libero al quale possono partecipare soltanto coloro che hanno accumulato almeno tre anni di esperienza presso un'agenzia di moda di New York e che hanno ottenuto una lettera di raccomandazione da parte del direttore in persona o di uno dei suoi delegati. Bisogna presentarsi davanti ad una commissione di esperti, con cinque modelli inediti e autoprodotti.. ogni partecipante dovrà occuparsi personalmente dei tessuti, dei disegni, della realizzazione e soprattutto della presentazione, inclusa la scelta delle modelle. Le iscrizioni si chiudono domani pomeriggio alle tre. Per quanto riguarda la consegna dei modelli, verrà effettuata tra due settimane: le modelle con i vestiti prodotti, saranno esaminate dalla giuria durante una sfilata privata e alla fine decreteranno un vincitore. Quest'ultimo avrà diritto ad un premio di venticinque mila dollari, ma soprattutto gli sarà data la possibilità di creare una collezione intera, completamente finanziata dalla presidentessa della giuria, la Signora Sylvester"
Oh cazzo...
Un concorso di moda... indetto da una delle autorità più competenti dell'intero Stato... un solo vincitore... cinque modelli... venticinquemila dollari.. un'intera collezione... ok, probabilmente ero già svenuto e quelli che mi stavano riempiendo la mente erano semplicemente dei flash senza alcun senso logico. Perché, d'altronde, come pretendevo di trovare qualcosa di realmente sensato in quello che stava succedendo? Ecco perché io e Sam non parlavamo molto.. possedevamo due lingue completamente diverse, e quello che diceva lui, io non riuscivo a capirlo.
"Sam io.. non capisco.. perché mi stai dicendo queste cose?" riuscii finalmente a chiedere, con una smorfia
"Perché credo che tu possa avere i requisiti adatti per partecipare." rispose tranquillamente, indicandomi. I requisiti adatti?
"E chi... come fai a dirlo?" domandai scettico, continuando a non capire se, quello che stava dicendo, fosse reale o se si stesse divertendo semplicemente a prendermi in giro. Nel secondo caso, allora mi sarei alzato dal mio sgabello e avrei guadagnato l'uscita, ovviamente trascinandomi dietro Blaine. Avevo altro a cui pensare, altro di decisamente più importante e i discorsi poco chiari di Sam Evans non mi piacevano affatto. Lui fece un mezzo sorriso, dopodiché indicò qualcuno al suo fianco
"É stata Santana a darmi l'idea." specificò e tutti, incluso me, ci girammo verso la modella ispanica che sorrise, appena imbarazzata
"Santana?"
"Già..." confermò, stringendosi nelle spalle "Sono colpevole!" e ridacchiò, appena a disagio, ma estremamente serena. Si morse un labbro e alla fine aggiunse qualcosa che mi toccò il cuore, nella parte più profonda, dove credevo non ci fosse più spazio per niente
"Tu una volta mi hai detto che avresti voluto creare una collezione tutta tua, un'intera gamma di abiti che avrebbe portato orgogliosamente il tuo nome." disse con calma, mentre sentivo lentamente lo spazio appena riempito, riscaldarsi tanto da fare quasi paura. Ma male no, una cosa così bella non avrebbe mai potuto fare male. E mi ritrovai a boccheggiare, guardando la mia amica e domandandomi perché un gesto tanto bello, fosse indirizzato proprio a me. Ricordavo di avergliene parlato, una volta.. parecchi anni prima, durante una sfilata privata. Avevo dato un'occhiata in anteprima agli abiti che le modelle avrebbero dovuto indossare e alla fine avevo decretato che queste ultime avrebbero fatto più bella figura, presentandosi sulla passerella nude. Santana mi aveva dato subito ragione ed io non so come, mi ero ritrovato a confessarle quel mio pallino, quell'idea malsana che avevo in testa da praticamente tutta la vita e le raccontai perfino quanto trovassi rilassante, tornare a casa la sera, e sapere di trovarci il mio album da disegno - nascosto nell'ultimo cassetto dell'armadio, sotto ai maglioni di lana - e potermi dedicare finalmente alla mia arte. Lei non ci aveva fatto poi tanto caso sul momento ed io avevo immaginato che non gliene importasse affatto. Sapere che, nonostante fosse passato del tempo, lei riuscisse ancora a ricordarsi di una conversazione del genere... ebbe uno strano effetto su di me.

"Te ne sei ricordata." mormorai infatti, con il fiato spezzato. Lei annuì con vigore, quasi fosse normale per lei averlo fatto
"Certo.. io mi ricordo tutto quello che mi dici. Per questo motivo, stamattina sono andata da Chang e gli ho parlato di questo concorso e del fatto che tu fossi adatto per parteciparvi." spiegò, gesticolando - cosa che Santana faceva spesso, soprattutto quando era emozionata. Io non sapevo cosa dire. Quella era una di quelle notizie che ti prendevano con forza e ti inchiodavano al suolo, senza possibilità di muoversi o di scappare. E per una volta, forse per la prima volta in tutta la mia vita, fui felice così. Mi sentivo bene, intrappolato in quel modo, seduto sul mio sgabello, pervaso da una miriade di emozioni, tutte decisamente belle ed appaganti e con una parte del corpo completamente incollata al fianco di Blaine. E fu tutto un insieme di cose, troppo forti da gestire, che mi fecero ritrovare con le lacrime agli occhi. Ancora una volta. E ancora una volta non riuscii a provarne vergogna. Al contrario, sentii quel calore diffondersi in tutto il corpo e premere per uscire. E quando sentii al mio fianco Blaine muoversi appena, agitato, intuii di essere riuscito a contagiare perfino lui.
Santana sospirò, dopodiché lasciò il suo sgabello e si avvicinò a me, per parlarmi meglio
"Ascolta, Kurt.. per quanto io adori questo pub e il suo proprietario.. io non ti ci vedo affatto a lavorare qui. Tu non sei adatto per indossare un grembiule spiegazzato o per servire hamburger e patatine fritte. Tu devi conquistare New York e hai tutte le carte in regola per farlo. Ti serve solo la giusta occasione e... questa..." si frugò nella tasca posteriore del jeans e mi allungò qualcosa
"Cos'è?" riuscii a domandare, nonostante le lacrime
"La tua lettera di raccomandazione.. firmata da Chang in persona!" esclamò, proprio mentre afferravo la busta e per poco, per la sorpresa, non la lasciai cadere a terra.
"Chang ha.. firmato per me?" no, non era possibile. Potevo credere a tutto, perfino di aver avuto dalla Dea bendata la possibilità di partecipare ad un concorso prestigioso. Ma a quello non potevo credere.
"Certo... me l'ha consegnata personalmente, quando mi ha fatto chiamare, dopo aver parlato con Santana." si aggiunse Sam con un sorriso. Mi ritrovai a guardare prima lui e poi la ragazza, entrambi estremamente emozionati, e poi il mio sguardo cadde di nuovo sulla busta bianca che stringevo in mano. E allora volli controllare di persona. Non mi sarei accontentato della loro parola quella volta: dovevo accertarmi personalmente che quello che mi avevano detto fosse vero. E così aprii la busta e tirai fuori il foglio bianco accuratamente ripiegato. In effetti era una vera lettera di raccomandazione, indirizzata alla Signora Sue Sylvester, in cui si parlava di un certo Kurt Hummel e delle sue reali potenzialità artistiche e si chiedeva di tenerne conto nel giudizio finale. E alla fine, a chiudere tutti quei complimenti e quelle belle parole, c'era una firma, una firma che in cinque anni di lavoro avevo imparato a conoscere fin troppo bene per continuare a credere che potesse essere una bugia. Alla fine della lettera c'era la firma di Michael Chang Jr. Il mio ex capo.
"Io non.. ci posso credere.." mormorai, sconvolto, mentre la lettera mi veniva delicatamente tolta dalle mani e solo qualche istante dopo mi accorsi vagamente che fosse stato Blaine a farlo. Blaine che era ancora seduto accanto a me, il cui respiro era l'unico suono che mi impediva di impazzire, schiacciato dal peso di tutte quelle emozioni.
Santana si avvicinò ancora di più, fino a piazzarsi esattamente tra le mie gambe e mi afferrò i lati del viso con le mani per farmi sollevare gli occhi e puntò i suoi, decisi e limpidi e forti e tremendamente affettuosi
"Kurt... lui è davvero dispiaciuto per quello che è successo e si è sentito in dovere di ripagarti almeno in parte del torto che hai subito. É il suo modo per chiederti scusa, immagino." e sorrise, appena intenerita, accarezzandomi le guance con i pollici e liberandomi delle lacrime già scivolate via dagli occhi. Santana si era esposta con Chang per me, gli aveva parlato e lo aveva perfino convinto a firmare una lettera di raccomandazione per permettermi di partecipare al concorso. Lo stesso Chang che mi aveva licenziato, lo stesso che sembrava sinceramente dispiaciuto, lo stesso che si era fatto mettere i piedi in testa da David - come me d'altronde - e che forse, come me, si era ritrovato a fare i conti con la persona sbagliata. Rachel aveva ragione... al di là della porta del mio appartamento, c'era qualcuno.. qualcuno che si preoccupava per me, qualcuno a cui i miei pensieri e i miei sogni importavano, qualcuno a cui potevo permettermi di volere bene, qualcuno che potevo amare e da cui potevo sperare di ricevere qualcosa. Ed ogni giorno, rendersi conto di quanto fosse bello scoprire i modi più disparati con cui il mondo poteva dimostrare affetto - cantando canzoni, offrendoti su un piatto d'argento le migliori occasioni della tua vita, facendoti capire quanto importante tu sia - diventava sempre più sorprendente. E forse neanche a questo avrei mai potuto fare l'abitudine. E come era successo già in precedenza con Rachel, mi ritrovai senza neanche accorgermene, stretto nell'abbraccio di Santana e a sentirmi bene con me stesso, a comprendere quanto grande fosse l'affetto che quella ragazza provava per me e quanto bene io potessi volere a lei. E solo allora mi accorsi quanto mi fosse mancato l'abbraccio di una donna, l'abbraccio femminile di qualcuno che provasse almeno un briciolo di quell'affetto che mi era venuto a mancare fin troppo presto, l'affetto che mi era stato strappato via con forza e cattiveria dalla vita e che ora sembrava essere di nuovo presente, sotto diverse forme, nuove ma ugualmente speciali. E allora mi accorsi che perfino l'abbraccio di un'amica poteva avere qualcosa di materno. Dopo un tempo imprecisato e dopo essermi perfino dimenticato di essere ancora in quel pub, con altre quattro persone, allentai un pò la presa e permisi a Santana di allontanarsi, quel tanto che bastò per tornare a guardarmi negli occhi e mormorare, con lo sguardo lucido ed emozionato
"Adesso però tocca a te... tocca a te dimostrare al mondo di cosa sei capace. Fai vedere a lui, a quel bastardo del tuo ex e perfino alla signora Sylvester quanto vali.. mostraci chi è davvero Kurt Hummel!"

New York City. Ore 00.45 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)

" 'Con la presente mi assumo ogni eventuale responsabilità nel raccomandarle caldamente il Signor Kurt Hummel. Ho avuto l'onore e lo straordinario privilegio di lavorare al suo fianco e di avvalermi della sua collaborazione per cinque straordinari anni. La sua presenza, in molte occasioni, si è dimostrata essenziale per il buon nome dell'agenzia di moda "Sogni di Tessuto" da me gestita'." lessi con orgoglio e anche con una certa eccitazione, mentre restituivo il casco a Blaine e insieme ci avvicinavamo al portone. Lui ridacchiò, cercando di tenere il mio passo, dato che mi ero messo quasi a correre in mezzo alla strada
"Straordinario privilegio.." mi canzonò divertito "Sicuro che questo Chang non fosse gay?" scoppiai a ridere, mentre inseriva le chiavi nel portone e faceva scattare la serratura
"Troppo rigido e posato per essere una checca!" esclamai io, facendo ridere entrambi "E senti qui.. non è finita... 'Pertanto mi sento in dovere di promuovere il talento del Signor Hummel, con la solida consapevolezza che mai, un ragazzo così diligente e dedito al lavoro e rispettoso degli altri, possa deludere le mie e le vostre aspettative'." sollevai gli occhi verso Blaine che se ne stava appoggiato con la schiena alla cabina dell'ascensore e mi guardava, con un sorriso mite sul volto " 'Cordiali saluti. Mr Michael Chang Jr'!"
"Quel Chang ha decisamente guadagnato punti. E anche la mia più sincera stima!" esclamò rubandomi di nuovo dalle mani la lettera, per poterla rileggere
"Dio... non ci posso ancora credere. Mi sembra un sogno.. un sogno che diventa realtà." mormorai elettrizzato, premendo il tasto della chiamata per l'ascensore. Lui mi sorrise, piegando appena la testa di lato, dopodiché ripiegò con cura il foglio e me lo porse
"Congratulazioni Kurt... penso che questa sia decisamente la tua rivincita sulla vita... ciò che aspettavi da sempre." mi disse, guardandomi negli occhi, nel tono più piacevolmente disarmante di sempre. Mi morsi un labbro, sorridendogli imbarazzato
"Grazie Blaine." risposi arrossendo e proprio in quel momento la cabina arrivò al pianterreno e, da ottimo cavaliere, come al solito si fece da parte per farmi entrare per primo

"Non mi avevi mai detto di voler diventare uno stilista!" esclamò, mentre richiudeva la grata dell'ascensore dietro di noi, una volta dentro la cabina
"In realtà.. non l'ho mai detto a nessuno. Vagamente ricordo di essermelo fatto scappare una volta con Santana.. e mi meraviglia ancora come lei possa essersene ricordata." risposi, scuotendo la testa ed avvertendo ancora la piacevole stretta allo stomaco che mi aveva già avvolto nel pub, mentre lei era impegnata a ricordarmi quell'occasione, di cui io avevo già dimenticato l'esistenza. Blaine spinse il pulsante con il numero quattro e con un sospiro sereno, poggiò la schiena alla parete della cabina
"É stato sufficiente un momento... un solo momento per cambiare tutto quanto." bisbigliò, stringendo gli occhi e concentrandoli completamente su di me, tanto che mi ritrovai a perdere un paio di respiri, sotto il peso di quelle meravigliose iridi dorate e in un solo istante dimenticai di tutto, lettera di Chang inclusa. L'unica cosa a cui riuscii a dare peso fu il suo corpo che si avvicinò in un attimo al mio, schiacciandomi contro la parete opposta ed impedendomi tutto, perfino di ricordare come si respirasse
"Già.. a volte basta così poco." mormorai, praticamente con le sue labbra ad un respiro di distanza dalle mie e fu relativamente semplice azzerare tutto, anche il cervello e unire ancora una volta la mia bocca alla sua, esattamente dove volevo che fosse e decisamente nel momento più inaspettato. Perché Blaine era tutto tranne che prevedibile, mi sorprendeva, mi ammaliava, mi rigirava tra le sue mani come un prestigiatore esperto, eppure mi aveva sempre fatto cadere in piedi, oppure tra le sue braccia. Ed io, succube e preda della sua sola presenza, mi sentivo come trascinato da qualcosa di invisibile ma allo stesso tempo forte, qualcosa che mi teneva legato a lui da un mese ormai e che lentamente era stato in grado di trasformarsi in amore allo stato puro.
Ti amo, Blaine... ti amo tanto...
In un attimo - è proprio vero che a volte, basta così poco! - cambiò atmosfera. Da dolce e lentamente calcolato, si trasformò in passionale ed intenso e, prima di riuscire a metabolizzarlo, mi ritrovai ad ansimare per la sorpresa, mentre i suoi fianchi avanzavano verso i miei e per un istante, persi perfino la cognizione del tempo. Mi resi vagamente conto di dove ci trovassimo, solo quando notai con la coda dell'occhio, la mano di Blaine allungarsi verso la pulsantiera e premere qualcosa. E lì, la cabina si bloccò, con un leggero sbalzo
"Che stai facendo?" gli domandai, colto alla sprovvista
"Blocco l'ascensore... chissà se così riusciamo a starcene un pò tranquilli.." mormorò, con un mezzo sorriso, poggiando entrambe le mani sulla parete dietro di me ed allontanando appena il bacino, perché forse la pressione era diventata troppa anche per lui.
"In un ascensore? Non ti è bastata l'ultima volta?" lo provocai divertito, facendo scivolare con estrema facilità le dita tra i suoi capelli. Scosse la testa, avvicinandosi pericolosamente al mio collo
"No.... e l'ultima volta in questa cabina non c'eri tu!" mi ricordò con un soffio, direttamente sulla mia pelle, e finalmente posò le labbra sulla pelle piacevolmente sensibile al di sotto del mento. Strinsi più forte la presa attorno ai suoi ricci e per qualche istante provai a lasciarmi andare e a far finta che, oltre a quelle morbide labbra, non ci fosse nient'altro. Ed era davvero sorprendente il potere che arrivava ad esercitare su di me. Ma non era affatto autoritario e prepotente come David. Sapevo di avere voce in capitolo in ogni azione, ogni bacio, ogni carezza e perfino in ogni singolo sguardo che ci scambiavamo. Eppure, mi sentivo completamente soggiogato da lui e in nessun caso al mondo mi sarei sottratto o tirato indietro. Eppure... era davvero tardi, io stavo morendo dal sonno e... la miseria, eravamo dentro la cabina di un ascensore, bloccati tra il secondo e il terzo piano, a metà strada tra una famigliola felice e una bambina di quattro anni.
"Blaine..." provai a risultare convincente, anche se con scarsissimo risultato. Lui abbandonò il mio collo e puntò di nuovo gli occhi nei miei, lanciandomi uno sguardo carico di desiderio, talmente tanto intenso da farmi emettere un mugolio di frustrazione.
Cazzo... maledizione... cazzo.. maledizione...

"Abbiamo tante cose da festeggiare io e te... la fine dei miei due lavori sfiancanti.. la tua rottura con David... il lavoro al pub... il concorso di questa sera." elencò, lasciandomi un bacio leggero un ogni angolo del viso, per ognuno dei motivi appena detti.
"Quante cose.." mormorai, deglutendo con molta fatica
"Già.. sono davvero tante." convenne con un mezzo sorriso, sfiorandomi la mascella con l'indice, lo stesso indice che risalì lentamente sul mento fino a posarsi sulle labbra e lì accarezzarle, leggero e delicato come sempre.
"Possiamo dilazionarle nel tempo. E magari iniziare da adesso." propose, avvicinandosi di nuovo con il corpo al mio e schiacciandomi maggiormente alla parete, fino a che non riuscii di nuovo perfettamente ad avvertire la sua erezione premere e trasmettermi calore, calore che si sprigionò in tutto il corpo, fino alle guance
"In ascensore?" domandai con un sospiro, che più che altro fu un mezzo ansito mal trattenuto
"In ascensore!" confermò, sospirando a sua volta e riappropriandosi delle mie labbra, che bramavano il contatto. Mi sciolsi ancora, mentre le nostre lingue si intrecciavano, ormai in gesti familiari e consapevoli e proprio per questo così rassicuranti da essere capaci di riscaldare il cuore
"Non fa un pò... ragazzi disperati?" ridacchiai divertito, mentre gli allontanavo la testa e mi leccavo le labbra, più che altro per abitudine, ma forse con quel gesto peggiorai solo la situazione
"Ma noi siamo ragazzi disperati, infatti.. io soprattutto." mormorò, guardandomi le labbra nello stesso modo in cui un assetato guarda una sorgente d'acqua, con la stessa paura che si possa trattare di un'allucinazione. Ed io in quel momento mi sentii estremamente potente, ma come lui faceva con me, non me ne sarei mai approfittato, anzi. Se avessi potuto, avrei utilizzato quel potere su di lui, soltanto per godere al massimo delle cose belle e preservare entrambi dalla sofferenza del mondo esterno. E in quel caso, andare oltre e concedersi dell'intimità nell'ascensore del nostro palazzo, non era decisamente qualcosa da fare. Era eccitante, molto eccitante, ma senza ombra di dubbio non era quello il momento migliore. Quindi sia io che lui dovevamo rimettere le museruole ai nostri istinti che erano prepotentemente saltati fuori
"Blaine?" lo chiamai, con una certa tenerezza nella voce, che non riuscii a trattenermi di provare. Perché lui era così dolce e così maledettamente speciale, da farmi quasi commuovere. Glielo si leggeva negli occhi, prima che nei gesti, il desiderio che provava verso di me - e a pensarci, quasi mi sentivo morire - ed era tutto il giorno che bramava qualcosa di più, nello stesso modo in cui io bramavo lui. E ancora una volta, dovevamo interromperci. Perché era tardi, perché eravamo entrambi distrutti e soprattutto perché io avevo un concorso da metabolizzare ed avevo bisogno della tranquillità e della solitudine della mia stanza per poterlo fare. Lui mi guardò, confuso, per poi imbronciarsi in maniera davvero buffa. Mi si strinse il cuore e allo stesso tempo si ingrandì, carico di amore per quella creatura speciale di cui avevo avuto il privilegio di innamorarmi. Sbuffò lentamente, mentre l'atmosfera attorno a noi cambiava ancora, distendendosi
"So quello che stai per dirmi... quindi non dirmelo." borbottò, poggiando la fronte alla mia, in un tono quasi di supplica che mi fece ridacchiare ancora. Gli accarezzai i capelli sulla nuca e con delicatezza gli feci sollevare la testa fino a ritrovare di nuovo i suoi occhi dorati, ancora dilatati dall'eccitazione ma appena abbattuti. 
"Ok.. quindi se lo sai.. sai anche cosa devi fare adesso!" mormorai sorridendogli dolcemente e lasciandogli un bacio leggero sulle labbra, come incentivo. Mi lanciò un'occhiata supplichevole che mi fece ridacchiare ancora, ma alla fine, con un leggero sbuffo afflitto, allungò di nuovo la mano verso la pulsantiera e fece ripartire la cabina
"Bravo bimbo..." gli concessi con un sorriso ed un altro bacio e finalmente lui riuscì perfino a sorridere, divertito
"Il mondo è un posto davvero ingiusto!" si lamentò sporgendo il labbro inferiore, in un'esagerata smorfia di delusione. In quel momento la cabina si fermò delicatamente al quarto piano e, afferrandogli la mano e stringendola forte, lo portai fuori
"Hai ragione... però ti prometto che mi impegnerò affinché possiamo finalmente ritagliarci un momento... solo per noi due!" lo rassicurai, accarezzandogli la fronte e liberandola da qualche meraviglioso riccio ribelle. Spalancò gli occhi, allarmato
"Non dirlo.. altrimenti qualcuno ci può sentire e allora arriverà e rovinerà anche quello!" mormorò, lanciando un'occhiata furtiva al pianerottolo, vuoto. Scoppiai a ridere di gusto, tappandomi la bocca con la mano, per attutire il rumore e lui mi seguì a ruota, tanto che in breve ci ritrovammo a fare ancora più rumore, nonostante i tentativi per trattenerci. Ed era come al solito liberatorio ridere quando c'era lui di mezzo. Mi faceva sentire bene, perfino provare quel leggero dolore alle costole per l'eccessivo sforzo. Anche quello era piacevole.
Riuscimmo a calmarci solo qualche istante dopo, ritrovandoci, non si sa come, a guardarci negli occhi e a non dire nulla, perché bastò quello a far capire tutto. Eppure, qualcosa volli ugualmente dirla ad alta voce, perché ne sentivo il bisogno
"Mi manchi.." sussurrai, avvertendo tutta l'emozione di quell'intesa creata avvolgermi e coccolarmi. Lui sorrise mite, allungando una mano verso di me, per posarla sul mio petto, all'altezza del cuore, che scalpitò irrequieto
"Mi manchi anche tu." rispose in un leggerissimo mormorio, emozionato ed emozionante. Sentii qualcosa sciogliersi nello stomaco e fui seriamente sul punto di mandare al diavolo tutto, perfino l'eccitazione per la storia del concorso, e trascinarlo nel mio appartamento per dare finalmente libero sfogo ai nostri desideri. E forse anche a lui passò per la testa lo stesso pensiero, perché si avvicinò ancora e mi lasciò un lieve, ma intenso bacio sulle labbra. Dopodiché si fermò, a pochi millimetri di distanza e mi parve decisamente combattuto, quasi fosse sul punto di dire chissà che cosa e provasse in ogni modo a tirarla fuori. E allora, per precauzione trattenni il fiato e...
"Kurt... io.. io ti..."
"Oh ma eravate voi. Mi stavo giusto chiedendo di chi fossero le voci che sentivo sul pianerottolo!" una voce alle spalle di Blaine ci fece sobbalzare entrambi e ci ritrovammo, come due gatti presi di sorpresa a saltare sul posto e a metterci sulla difensiva. E quando ci girammo verso l'appartamento di Blaine, trovammo Quinn sulla soglia della porta che ci sorrideva, sollevata.
Non è possibile... ma allora siamo davvero controllati a vista...
Rimanemmo per qualche secondo in un silenzio surreale, Quinn a guardare noi e noi a guardare lei, fino a che sul suo viso non cambiò qualcosa. Il sorriso scemò quasi subito, per lasciare il posto alla consapevolezza e poi all'imbarazzo
"O-oddio... oddio scusate io... non volevo interrompervi.. mi dispiace... è che mi sono.. spaventata e.." balbettò e gesticolò, arrossendo violentemente sulle guance. Mi fece tenerezza anche lei e forse quello mi permise di rivolgerle un vero sorriso, ma fu Blaine a parlare per entrambi
"Non preoccuparti.. ci stavamo... dando la buonanotte." la rassicurò con un sorriso, appena tirato ma pur sempre un sorriso. Quinn annuì per poi mordersi una guancia e tentare a sua volta un saluto
"Oh beh.. allora ti aspetto dentro.. buonanotte Kurt."
"Buonanotte a te, Quinn." la salutai con la mano e lei si dileguò all'interno, premurandosi di appannare la porta per darci un pò di privacy. Peccato che di privacy ce ne fosse rimasta ben poca.
"Farò causa al Ministero della... Sacrosanta intimità personale... questa storia deve necessariamente finire." borbottò con una smorfia, facendomi ridere
"Non credo neanche che esista un organo del genere." esclamai divertito e lui sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Ancora ridacchiando, gli afferrai la mano e la strinsi tra le mie per poi portarmela alla bocca e baciarne le nocche
"Buonanotte Blaine... grazie per essere stato al mio fianco, durante questa splendida serata." mormorai e lui finalmente abbandonò il suo broncio per sorridermi
"Grazie a te per avermi permesso di esserci... nonostante... le varie interruzioni terroristiche ai nostri danni!" e ridacchiammo ancora, cercando di non fare troppo rumore quella volta.
"Buonanotte e... sogni d'oro!"
Finché ci sei tu nei miei sogni.. allora posso sperare che continuino ad essere davvero dorati...

New York City. Ore 03.34 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)

Preparare il thé mi aveva sempre rilassato, la trovavo una pratica speciale, che possedeva perfino qualcosa di magico, perché d'altronde speciale e magico era il trasformare della semplice acqua in qualcosa di tanto diverso e saporito. E poi lo adoravo perché era l'unica cosa che in cucina sapessi fare.
Il campanello suonò proprio nel momento esatto in cui finii di preparare tutte le tazze che mi servivano e le posai sul vassoio. Con un lungo sospiro andai ad aprire, chiedendomi chi, tra tutti quelli che avevo chiamato, fosse stato il primo. Mi sorprese non poco trovare proprio lei
"Rachel!" la salutai, abbracciandola "Complimenti per la puntualità... sono piacevolmente colpito." lei ridacchiò accarezzandosi i lunghi capelli
"Beh... avevo voglia di vederti... è dalla sera del tuo compleanno che non ci concediamo un pò di tranquillità." esclamò sorridendo. Io ridacchiai, facendole segno di entrare
"Credo che dovremmo rimandare allora... ti ho fatta venire qui per un altro motivo." la informai
"Ovvero?" domandò curiosa, incrociando le braccia al petto. Mmm.. da dove cominciare?
"É lungo da spiegare però... se prometti di non fare commenti, posso provare a riassumere tutto in pochi punti essenziali." proposi divertito. Lei si accigliò ma alla fine annuì, divertita da tutto quell'entusiasmo da parte mia. Presi un profondo respiro e così iniziai
"Dunque... il mio compleanno... dopo che tutti siete andati via Blaine mi ha fatto due splendidi regali, uno dei quali è questo bracciale qui e mi ha detto delle cose splendide. Il giorno dopo io e David ci siamo lasciati, e lui ha quasi ammazzato Blaine, strangolandolo per la rabbia, ma per fortuna Sebastian e Daniel sono intervenuti per salvarlo. Poi Blaine ha denunciato David e ora lui non può più avvicinarsi né a lui né a me. Lunedì, andando a lavoro, sono stato licenziato, sempre per colpa di David, ma stesso quella mattina Blaine mi ha proposto di andare a lavorare al pub di Puckermann ed io ho accettato, quindi da tre giorni lavoro lì con lui. Ieri sera però, Sam, il manager si Santana, mi ha detto che una delle esponenti più illustri del mondo della moda newyorchese ha indetto un concorso che mette in palio non solo un premio in denaro ma anche la possibilità di creare un'intera collezione con il proprio nome. E... ultimo, ma non per importanza.. mi sono accorto di essere follemente ed irrimediabilmente innamorato di Blaine." elencai con una certa eccitazione nella voce, non riuscendo neppure a credere a quante cose fossero successe in così poco tempo. Era strano anche per me che le avevo vissute tutte. Tante emozioni, tanti sentimenti veri, tante parole, gesti, pensieri, paure. Tutto condensato in una settimana esatta. Ed io solo allora me ne rendevo conto.
Rachel rimase per qualche istante immobile, a fissarmi tanto che credetti fosse rimasta traumatizzata, ma alla fine parlò
"Mi stai prendendo per il culo?" domandò scioccata, posandosi una mano sul petto, con fare teatrale
"No.. affatto. Ti ho appena raccontato cosa è realmente successo in questi giorni. E considera che non ti ho parlato della notte dopo il tentato omicidio o della canzone di Keane oppure di.."
"Frena, frena... andiamo per ordine." mi bloccò subito, gesticolando "Tu e David vi siete lasciati?"
"Già." confermai con un sorriso a trentadue denti
"Dio esiste!" esalò con un sorriso commosso che mi fece ridacchiare, ma subito si rabbuiò
"E che cazzo significa che ha quasi ammazzato Blaine?" domandò, quasi con un ringhio. Ero sul punto di risponderle, immaginando perfettamente cosa significasse avere a che fare con una rivelazione del genere - soprattutto se avesse scoperto che il tutto, era avvenuto esattamente sopra la sua testa - ma il campanello ci interruppe
"Aspettiamo qualcuno?" domandò incuriosita ed io mi limitai ad annuire elettrizzato e a saltellare - sì, esattamente saltellare - verso la porta. Quella volta, sulla soglia, trovai il sorriso imbarazzato di Tina ad accogliermi
"Ehi Kurt... scusa se ho ritardato di qualche minuto ma.. non trovavo le chiavi di casa." mi salutò, abbracciandomi
"Figurati... anzi, ti ringrazio per la tempestività!" e invitai anche lei ad entrare. Tina e Rachel si guardarono confuse, ma fu solo un attimo, poi si salutarono, calorose come al solito
"Allora... cosa è successo? Perché ci hai fatto venire con tutta questa fretta?" domandò la ragazza orientale, accomodandosi sul divano
"Tra poco tutto vi sarà più chiaro. Stiamo aspettando qualcun altro..." e proprio in quel momento il campanello suonò ancora. Tutto stava andando esattamente come mi ero prefissato ed io non riuscivo quasi a stare fermo per l'emozione. Sullo zerbino trovai ben due sorrisi: quello di Santana e quello dolcissimo della sua ragazza, Brittany
"Siamo tutti?" mi domandò la modella, in un sussurro all'orecchio, mentre mi abbracciava
"Ancora no..." le risposi, non riuscendo a trattenere un sorriso e lei mi accarezzò la schiena, con un'espressione fiera e distesa ed io feci accomodare sia lei che la sua ragazza in salotto, con le altre due. Ne approfittai per recuperare il thé e servirlo e tentai ancora una volta di destreggiarmi tra le domande insistenti di Tina e Rachel, che erano sempre più confuse. Santana sapeva già cosa stava per succedere e immaginai che anche Brittany lo sapesse, grazie alle confidenze dell'ispanica. Ed io non riuscivo quasi più a trattenermi. Eppure dovevo farlo, mancava ancora poco, e poi ogni cosa si sarebbe fatta più chiara e comprensibile. Ed io, sperai con tutto il cuore che potesse diventare anche reale.
Lo voglio così tanto, da star male...
Il campanello suonò, per la quarta volta, facendomi sobbalzare. Quella volta, chissà perché, mi sentii molto più nervoso ed andai ad aprire stringendo un labbro tra i denti ed accarezzando distrattamente la superficie rigida del braccialetto con il mio Courage, sperando di poterne trovare un po', per affrontare tutto quello. Aprii la porta, accogliendo con un sospiro di sollievo anche l'ultima invitata, facendomi da parte per farla passare. Quinn, avanzò nel salotto e si fermò un istante, confusa, ad osservare quei quattro volti sconosciuti, che a loro volta la osservavano incuriositi
"Kurt... che sta succedendo?" mi domandò, cercando i miei occhi, leggermente preoccupata. Le posai una mano sulla spalla e le sorrisi, cercando di metterci in quel gesto tutta la tranquillità di cui ero capace, di infondergliela con quel piccolo gesto, nonostante dentro di me si stesse combattendo la terza guerra mondiale e l'agitazione stesse ormai raggiungendo picchi da record.
"State tranquille... ora vi spiegherò tutto. Vi chiedo solo di ascoltarmi e... se potete, di darmi una mano!" spiegai con calma, guardando ognuna di loro, soffermandomi su ognuna delle espressioni in quella stanza, una diversa dall'altra e cercando di capire che tipo di emozioni fossero scritte su quei volti. C'era sorpresa, c'era curiosità, c'era fiducia e perfino un pochino di divertimento. Ed io provai a cogliere tutto, a fare tesoro di ogni espressione, a metabolizzare ogni movimento, per poter finalmente prendere fiato ed esclamare
"Ho un bisogno disperato del vostro aiuto. Vi andrebbe di... diventare le mie modelle?"









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Capitolo 38
*** Il Volo della Farfalla e il Potere di Cupido ***


Buon Pomeriggio a tutti... scusate per il ritardo nell'aggiornare oggi ma ho finito il capitolo dieci minuti fa, anche a stento aggiungerei. Dunque, un capitolo diciamo di passaggio che contiene qualcosa ma, non molto.. non ne sono molto soddisfatta ma come sempre l'ultima parola spetta a voi. Vi avviso un'altra volta che mancano quattro capitoli alla fine (esclusi i capitoli legati ai prologhi di ogni coppia!) e quindi preparatevi, perchè stiamo per chiudere le fila. Detto questo, vi ringrazio di cuore per tutto e mi scuso ancora per le recensioni non risposte ma davvero, se mi sono ridotta a scrivere il capitolo di notte, qualche problema di fondo cì'è davvero ç___ç perdonatemi se potete, ma sappiate che leggo ognuno dei vostri commenti, e li custodisco nel cuore, con estrema gelosia. Ci vediamo Venerdì... un bacio grande <3
p.s. Questo lo dedico a te, Dan mio.. anche se non è molto bello stavolta.. però tu sai :*
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments)



New York City. Ore 03.45 P.M. 19 Aprile 2012 (Giovedì)


"Ho un bisogno disperato del vostro aiuto. Vi andrebbe di.. diventare le mie modelle?"
Nel salotto era calato un velo di silenzio quasi surreale. Gli occhi di ognuna delle ragazze si erano spalancati, quasi all'unisono e perfino la mia sicurezza aveva vacillato. Quella mattina, mentre parlavo con Blaine e gli esponevo le mie idee, quella di coinvolgere le mie amiche, mi era sembrata l'idea più geniale che potesse mai venirmi. E allora perché, a distanza di alcune ore e dopo averlo finalmente comunicato ad alta voce alle dirette interessate, di geniale non sembrava esserci rimasto molto? Perché sembravano tutte così sconvolte, fatta ovviamente eccezione per Santana e Brittany?
"Non dite niente?" domandai, un accenno di delusione nella voce ed il rumore ormai sordo del mio stesso cuore direttamente nelle orecchie. Rachel e Tina si guardarono per un istante, dopodiché la seconda parlò, finalmente, rompendo il silenzio
"Modelle... modelle per cosa, Kurt?"
Uh... giusto! Forse dovrei degnarmi di spiegare...
"Scusate, avete ragione. Sono... partito in quarta senza neanche dirvi per quale motivo vi ho fatte venire qui." mormorai imbarazzato, grattandomi la nuca. Bene, da dove iniziare?
Le presentazioni, Hummel...
"Dunque.. ragazze lei è Quinn Fabray.. la figlia del proprietario dell'appartamento di Blaine. Quinn... loro sono, in ordine da destra... Brittany, Santana, Rachel e Tina!" terminai il giro di presentazioni, con un sorriso, sperando di trasmettere un pò di tranquillità in più in quella stanza. Vidi Quinn accennare un mezzo sorriso verso le altre quattro, ma fu soltanto Brittany a reagire
"Ciao Quinn.. hai davvero un bellissimo nome, lo sai?" e le rivolse un sorriso genuino, tipico di chi, in una situazione tanto insolita ed imbarazzante, cerca di vederci sempre del buono. E infatti Quinn sembrò apprezzare, perché ridacchiò lusingata
"Ti ringrazio... Brittany, giusto?"
"Esatto... ma puoi chiamarmi Britt.. oppure.. l'altra ragazza bionda.." scrollò le spalle con un mezzo sorriso divertito. Quinn ridacchiò ancora
"Credo che Britt andrà benissimo allora!" esclamò rivolgendole un sorriso divertito, e rilassandosi visibilmente
"Coraggio, Quinn.. vieni a sederti qui!" le propose Santana, battendo leggermente con la mano sul divano, accanto a lei. La ragazza sospirò ma accettò di buon grado l'invito e raggiunse le altre, sorridendo cordialmente a Tina che a sua volta le stava sorridendo. Ed eccole lì.. le cinque ragazze che io avevo scelto per la sfilata, le ragazze che io volevo come mie modelle e in un certo senso come mie muse. Erano una completamente diversa dall'altra, sia per tratti somatici, per personalità e perfino per origini. Eppure.. io nella mia mente avevo una vaga ma piacevole idea di come volessi che andasse la sfilata, di cosa aspettarmi e soprattutto di chi volere al mio fianco.
"Bene... ora che le presentazioni sono state fatte ed ognuno di voi sa chi è chi.. passiamo alle questioni serie.." annunciai, avanzando verso di loro fino a fermarmi davanti al divano, e mi posizionai proprio di fronte alle cinque ragazze. Feci un profondo respiro, provando a svuotare la mente e alla fine, congiungendo le mani, riuscii perfino a tirare fuori un sorriso
"Vi ho fatte venire qui perché, come vi ho già detto, ho bisogno di voi..." iniziai appena esitante
"Di cosa si tratta?" domandò Tina, curiosa e attenta. Non seppi perché, ma in quel momento sentii il desiderio di puntare gli occhi in quelli di Rachel, che, da quando era stata interrotta dal suono del campanello, non aveva più parlato. Era la sua reazione a preoccuparmi di più fra tutte, perché forse era in lei che in quel momento stavo riponendo tutta la mia aspettativa. In un certo senso la consideravo la mia punta di diamante, la mia dolce e caparbia ragazza che, come me, ne aveva passate tante e forse, dopo anni di sofferenza, poteva finalmente respirare un pò di tranquillità. E lei era stata la prima a cui avevo pensato per la sfilata, perché la volevo al mio fianco, perché era giusto così, perché le volevo bene come soltanto un fratello può volerne alla propria sorellina, perché.. beh era Rachel Berry... e doveva necessariamente esserci.
"Un concorso di moda... un'importante agenzia di New York, diretta da una delle donne più potenti ed influenti del settore ha sponsorizzato un concorso.. aperto a tutti coloro che hanno lavorato presso un'altra agenzia del territorio. Bisogna realizzare cinque modelli inediti e presentarli durante una sfilata davanti alla direttrice in persona e alla fine lei decreterà un vincitore.. quest'ultimo avrà la possibilità di creare un'intera collezione finanziata dalla sua agenzia ed avviare così un proprio marchio. La sfilata è tra due settimane e io.. beh.. mi sono iscritto giusto mezz'ora fa." mi aprii in un sorriso entusiasta, sperando così di far capire meglio, a chi ancora non fosse a conoscenza della situazione, quanto questa mi elettrizzasse. Quella notte avevo dormito poco e niente, pensando e ripensando alle parole di Sam, a quelle di Santana subito dopo e cosa più importante... vabbé non avevo dormito perché ero ancora elettrico per la scenetta in ascensore con Blaine, perché avvertivo ancora la sua pelle bollente a contatto con la mia, mi sembrava ancora di sentire il suo profumo addosso, ma soprattutto ricordavo perfettamente ogni minima sfumatura che quella sera gli aveva colorato gli occhi. Oro, verde, castano.. intrecciati insieme, liquidi e vivi e meravigliosamente sporcati dal desiderio. Per me.
Dio, Blaine... mi manchi.. mi manchi da impazzire...
Quella mattina, quando ero stato da lui a parlargli della mia idea, facendo colazione assieme, per un istante, un solo piccolissimo istante mi era passato per la testa di approfittare dell'assenza di Quinn - che era in giro a cercare un appartamento, oltre che un lavoro - di afferrare quel bellissimo viso imbronciato e finalmente fare mie quelle labbra che, nonostante tutto, avevano ancora voglia di sorridere e di regalare emozioni. O meglio... le emozioni lui le regalava a me, ogni volta che incurvava appena quella bocca splendida che si ritrovava, anche se si trattava di un istante, talmente tanto breve da essere privo di incidenza. Eppure per me, tutto con Blaine, faceva brodo. E più lui parlava, più mi guardava, più mi sorrideva, più mi baciava, più si imbronciava perché non potevamo dedicarci a noi... e più io mi innamoravo di lui. Su una scala da uno a dieci, se avessi dovuto dare un voto all'amore che in quel momento provavo per lui.. beh, neanche i numeri a quattro cifre sarebbero bastati. Ogni fibra del mio corpo urlava il nome di Blaine, ogni centimetro di pelle bramava il contatto ed ogni singolo pensiero, ormai, era rivolto a lui... tranne per qualche sporadico flash deviato per la storia del concorso. Lui monopolizzava il mio mondo e la mia vita ed io non tentavo neanche di sottrarmi.. semplicemente lo lasciavo fare perché in fondo mi andava bene così e perché mai, prima di allora, ero stato più felice. Avevo voglia di fare l'amore con lui e senza dubbio avrei risolto al più presto anche quella situazione: avevo già una mezza idea, venuta in mente, anche quella, durante la notte che aspettava solo di essere messa in pratica. Ma prima.. dovevo portare a termine il mio compito e convincere le mie amiche a darmi l'aiuto che mi serviva. Solo dopo, avrei potuto pensare ad altro.
Pazienta ancora un pò, Blaine... solo un pò...
"Oh mio Dio... Kurt... ma è... fantastico!" esclamò Tina elettrizzata, sbattendo le mani ed aprendosi in un sorriso radioso
"Lo so.." confermai, dondolando, non riuscendo neanche a stare fermo
"Kurt ha avuto un'opportunità incredibile.. e per fortuna ha saputo come coglierla!" aggiunse Santana con evidente orgoglio, strizzandomi l'occhio, complice ed io le sorrisi di conseguenza. Non sapevo ancora come dirle grazie, perché in fondo, se non fosse stato per lei e per la sua fiducia, io non avrei avuto quella possibilità.
"Sapevo che lavorassi presso un'agenzia di moda ma.. addirittura che creassi abiti.. non me lo sarei mai immaginata. Complimenti Kurt, davvero." mormorò Quinn, sinceramente sorpresa ma ammirata
E Rachel continua a stare zitta...
"Ti ringrazio.. io... non so neanche da dove cominciare sinceramente ma.. voglio provarci. Ultimamente più di una persona mi ha insegnato a combattere per quello che voglio, a non sprecare nulla e soprattutto, in ogni caso, a non arrendermi mai, e di crederci.. fino alla fine dei giochi. Ed io voglio crederci.. questa volta penso di meritarmelo!" stranamente mi ero ritrovato con la voce leggermente tremante ma con una grinta mai immaginata. Mi sentivo forte, sentivo che niente e nessuno avrebbe potuto buttarmi giù ed era davvero strano perché, uno come me, tutto avrebbe potuto pensare, tranne che trovare uno spirito del genere, così forte e così pieno di fiducia verso sé stesso. E forse quella, assieme a Blaine, sarebbe stata la mia conquista più grande.
"Però per farlo ho bisogno di voi.. ho bisogno che mi aiutiate, che... diventiate le mie muse, in un certo senso. Vi voglio come mie modelle, voglio che alla sfilata indossiate i miei abiti e che su quella passerella vi mostriate fiere e bellissime, proprio come vi vedo io in questo momento." provai a tirare fuori quanta più energia potessi, ma senza volerlo, risultai decisamente più sentimentale di quanto fosse necessario. E forse, proprio questo, proprio la mia voce emozionata e appena tremante, proprio i miei occhi leggermente lucidi, ottennero qualcosa di concreto
"Kurt... io..." fu Tina a parlare, leggermente scossa
"Lo so.. so che vi sembrerà un'idea assurda e che per certe cose servano modelle esperte o chissà quale altra diavoleria, ma.. io ho seriamente bisogno di voi.. è su di voi che immagino i miei abiti e voglio che siate soltanto voi ad indossarli. Non... non credo che questa cosa possa andare bene, senza... senza voi, ecco." stavo diventando perfino leggermente implorante e patetico, me ne rendevo conto, ma avevo davvero una disperata paura che potessero dirmi di no, che potessero dire ad alta voce che quella non era altro che un'idea assurda e che mi sarei dovuto arrangiare o magari rivolgermi semplicemente ad un gruppo di modelle professioniste. Lo sapevo anche io, ma... era difficile da spiegare... io non volevo altre modelle.. io volevo semplicemente loro.
Ancora una volta, mi chiesi come mai Rachel non avesse aperto bocca, come mai si fosse chiusa nel suo silenzio e non avesse neanche il coraggio di guardarmi in faccia: in quel momento, mentre io imploravo con lo sguardo ognuna di quelle ragazze - esclusa Santana, che già sapeva - lei si limitava ad osservare le frange del tappetto e a giocarci con la punta della scarpa. Non parlava perché non sapeva cosa dire o perché la mia idea le sembrava talmente tanto stupida ed insulsa da non meritare neanche un commento? Perché, lei che non risparmiava mai le parole, era quella a non essersi minimamente pronunciata? Che diavolo le passava nella testa? Con quali pensieri si stava tormentando? E perché, vederla così silenziosa ed assente, mi stava lentamente distruggendo? Che fine aveva fatto la mia sensazionale e chiacchierona Rachel Berry?
Così, non sopportando più il suo silenzio, mi avvicinai a lei
"Rachel?" la chiamai, con una certa esitazione e lei finalmente sollevò lo sguardo e puntò gli occhi nei miei. Ne lessi tutta l'incertezza e anche un pizzico di quella paura che mai, in una donna tanto forte mi sarei aspettato di trovare. Cosa la turbava così tanto?
"Kurt... per piacere guardami.." e si indicò con una smorfia. Io lo feci, la guardai bene, ma non capivo sinceramente dove volesse arrivare
"Ti sto guardando."
"Sono alta un metro e sessanta.. come pensi che possa salire in passerella e.. sfilare?" domandò con un filo di voce, guardandomi con un'espressione indecifrabile e confusa. Rimasi spiazzato, letteralmente. Tutto mi sarei aspettato, perfino un'ondata di risate improvvise, ma non.. quello.
"Lo stesso vale per me!" si accodò Tina, con una smorfia triste. 
"E Kurt io... sono anche incinta." mormorò Quinn, arrossendo leggermente, forse perché confessarlo ad alta voce, davanti a delle perfette estranee, le costava parecchia fatica. Vidi la testa di Rachel saettare verso la ragazza bionda e spalancare appena gli occhi, ma fu solo un attimo. Forse in quel momento si chiese quanti anni avesse e se il caso beffardo non l'avesse messa di fronte ad una sorta di déjà-vu in formato biondo. Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, ignorando la lacca e l'ordine già precario che avevano assunto quel giorno. Dove trovare le parole migliori per far capire a tutte loro che, quelli per me erano solo dettagli insignificanti e che non fosse affatto un problema?
Come sempre, Kurt.. la sincerità..
"Ascoltate... a me non interessa... non mi interessa quanto siate alte o che taglia portiate, né tanto meno se sappiate camminare sui tacchi oppure no. Io voglio soltanto che le mie modelle rispecchino la mia moda, rispecchino il mio mondo ed il mio modo di vedere le cose. Voglio fare qualcosa di.. anticonvenzionale, ma che in un certo senso sia reale.. non me ne faccio nulla di quattro modelle scheletriche che sanno camminare anche sui trampoli e sono alte un metro e ottanta. Ho bisogno di verità su quella passerella e per mostrare la verità ho bisogno di voi.. di cinque splendide ragazze che sono talmente tanto diverse tra di loro da sembrare quasi bizzarre, ma che, ai miei occhi... risultano tutte belle.. da togliere il fiato." spiegai con ardore, tornando a guardarle negli occhi, una per una, leggendo un leggero cambiamento a mano a mano che riuscivo a spiegarmi meglio  "E ve lo dice uno che è omosessuale dalla nascita." aggiunsi quella battuta per alleggerire un pò l'atmosfera e per fortuna tutte e cinque - inclusa Rachel - la accettarono con una risata
"E non hai paura che.. usare noi come tue modelle possa, in qualche modo, penalizzarti nel giudizio finale?" domandò Quinn con leggerezza, sollevando un sopracciglio. Sì, in realtà ci avevo pensato, avevo provato ad immaginare che faccia potessero mettere su i giudici, vedendosi arrivare quattro modelle dilettanti al posto di professioniste. E l'unica risposta sensata che ero riuscito a darmi, era stata: chi se ne fotte!
"Nella vita chi non rischia è un codardo. E lo sono stato per fin troppo tempo. Adesso è arrivato il momento per tirare fuori gli artigli e se farlo, comporta anche gesti avventati e rischiosi come questo.. sono pronto! Sono pronto a mettermi in gioco, completamente, anche rischiando di perdere
ogni cosa." spiegai stringendo i pugni talmente tanto forte, da sentire le nocche tirare dolorosamente "E poi.. quando la vita ti toglie tutto, in un solo istante, non ti interessa più cosa tu possa ancora perdere.. pensi solo a cosa tu sia in grado di trovare e di tenere stretto." aggiunsi con un mezzo sorriso, leggermente amaro ma ricco di consapevolezza. Era un sorriso maturato dopo anni di sofferenza silenziosa, passata a nascondermi dietro una maschera fittizia, che copriva solo l'apparenza ma non guariva nulla. Ed ero stanco.. sinceramente stanco di tutto. Stanco di abbassare la testa per far felici gli altri, stanco di accontentarmi, stanco di rinunciare, stanco perfino di credere che i miei sogni non potessero realizzarsi al pari di quelli degli altri. Mi ci era voluto tanto per maturare una consapevolezza del genere eppure la sentivo forte come non mai, viva e pulsante e sentivo anche che per nulla al mondo ci avrei rinunciato. Carpe diem, aveva detto qualcuno.. e io ci aggiungevo... finché ne hai la possibilità.
"Bravo Kurt!" mormorò Santana sorridendomi e sospirando soddisfatta
"Mi rendo conto che si tratti di una pazzia incredibile e che soltanto un esaltato possa davvero credere di riuscire in un'impresa tanto... contorta.. ma.. ho un buon presentimento e voglio fidarmi del mio istinto una volta tanto... e il mio istinto mi sta suggerendo di guardare davanti a me e di ingaggiare queste splendide ragazze per il mio concorso. Ora però... spetta a voi decidere... darmi la vostra risposta. Volete... essere le mie modelle?" domandai ancora, appena più speranzoso, ma allo stesso modo agitato e combattuto. Perché nulla di quello che avevo detto sembrava avere senso ora, nulla di quello a cui avevo pensato... sembrava tutto confuso e disordinato e folle e... per questo, assurdamente geniale. E sì sa, il genio non ha né forma né ordine, altrimenti non sarebbe così speciale.
"Per quanto mi riguarda, come ti ho già detto, sono pronta ad aiutarti.. ho già concordato con Sam i miei impegni e mi sono tenuta libera per il giorno della sfilata. Quindi.. conta pure su di me!" esclamò Santana sorridendomi, ed io, con un sospiro la ringraziai ancora. Un altro punto a suo favore, un'altra cosa per la quale esserle grata. Non solo avevo la fortuna di avere almeno una modella professionista nel mio team.. ma potevo perfino contare sulla sua competenza e sul suo aiuto per qualsiasi consulto o qualsivoglia dubbio.
"Lo stesso vale per me... non ho mai portato un paio di tacchi e sinceramente ne so davvero poco di passerelle e di abiti di alta sartoria, ma... sono felice di poterti aiutare. Tu hai aiutato me al pub ed io ora aiuto te con il concorso.. mi sembra uno scambio piuttosto equo." disse Brittany, dondolando la testa e facendo oscillare la lunga coda di cavallo, esattamente come il primo giorno in cui l'avevo incontrata, al tavolo del pub di Noah.
"Grazie, Brittany... grazie davvero!" esclamai sorridendole. Sinceramente quello che lei stava facendo per me era nettamente superiore a quello che io avevo fatto per lei, soprattutto perché avevo accettato il lavoro al pub più per un'esigenza economica che per farle un piacere. Però.. se credere questo, l'aveva convinta ad accettare.. bene, buon per me. Mi girai verso Tina, che tra le tre rimaste, sembrava quella più semplice da convincere. La trovai con un mezzo sorriso stampato sul volto e gli occhi pieni di una strana euforia
"Tina?" le chiesi, sporgendo un pò il labbro ed esagerando una smorfia di supplica che la fece ridacchiare
"Kurt io non riesco a dirti di no... questa cosa mi piace e mi entusiasma talmente tanto che non riesco a tirarmi fuori anche se mi rendo conto che forse sarebbe meglio lasciarti cercare una... modella.. migliore di me. Però..." sospirò lentamente, un sospiro che voleva dire tante cose, ma una soprattutto... che la sua scelta era stata fatta "Ti aiuterò... ti aiuterò perché mi piace la tua grinta e le tue motivazioni e soprattutto perché io e te siamo più simili di quanto abbia mai potuto immaginare." e ridacchiò, visibilmente entusiasta. Ed anche io non riuscii a trattenere un sorriso di gioia, gioia allo stato puro.
E siamo a tre...
"Lo penso anche io, Tina e... grazie." mormorai, lanciandole un bacio da lontano che lei afferrò, scherzosamente. Ed ecco che venivano le note dolenti, le due ragazze senza dubbio più difficili da convincere. Di Quinn conoscevo poco e niente anche se in quei due giorni di semi-convivenza avevo iniziato ad affezionarmi e a trovarla decisamente una bella persona, nonostante il peso del suo cognome e l'ingente conto in banca di suo padre. Forse era la gravidanza a renderla così... umana o forse era semplicemente il suo carattere. D'altronde sulla sua reazione non avrei mai potuto scommettere e infatti la sua titubanza non mi meravigliò affatto. Sentendosi osservata, alzò lo sguardo verso di me e arrossì ancora
"Kurt... io ti ringrazio davvero.. sei stato.. gentile a pensare a me per questa cosa, solo che... il mio peso e la mia taglia al momento non sono propriamente stabili e non vorrei che tra due settimane, il giorno della sfilata, dovessi pentirti per la scelta che hai fatto oggi. Io non voglio sentirmi responsabile per averti rovinato un'occasione così importante." si torturò nervosamente le mani, agitandosi appena sul divano, tra Tina e Santana
"Ho pensato anche a questo, stai tranquilla.. non ti farei mai indossare un abito scomodo o esageratamente attillato... terrò conto della tua gravidanza e del fatto che possa esploderti la pancia da un momento all'altro. Non permetterò ad un vestito di farti sentire a disagio.. hai la mia parola!" esclamai con convinzione. Lei rilassò la schiena con un lungo sospiro e alla fine, dopo essersi accarezzata distrattamente la pancia, parlò
"Ho sempre sognato di fare la modella... fin da piccola.. e ora.. tu mi stai chiedendo davvero di farlo e... lo stai facendo nonostante..." si morse un labbro, con un sorriso appena commosso. Le sorrisi a mia volta, intenerito. Più il tempo passava e più quella ragazza mi piaceva. Era sensibile e fragile eppure... sapevo che dietro quegli occhi verdi nascondesse qualcosa di decisamente caparbio e forte, nonostante tutto.
"Quinn... a me vai benissimo così come sei... te lo posso assicurare." ribadii stringendomi nelle spalle, provando a farle arrivare tutta la mia sincerità. E fu allora, che anche lei prese la sua decisione
"D'accordo.. ti aiuterò. Diventerò la tua.. modella incinta.. se non è anticonvenzionale questo!" esclamò divertita, facendo ridere tutti, e facendo sospirare me di sollievo. Con lei eravamo a quota quattro. Più della metà di loro mi aveva risposto e la situazione stava evolvendosi in una direzione decisamente soddisfacente. Non avrei potuto sperare in meglio, anche se... Rachel.. lei ancora non aveva risposto, lei ancora evitava il mio sguardo e forse ancora era convinta che fosse necessario raggiungere il metro e ottanta per potermi aiutare in quella sfida. Eppure speravo che le mie parole potessero tranquillizzarla e farle capire che per niente al mondo mi sarei fatto trascinare da degli stereotipi così asettici e banali. Credevo che coinvolgerla in un'esperienza del genere potesse renderla felice e farle piacere e invece lei... non parlava. Così con un sospiro mi avvicinai a lei, e mi inginocchiai sul tappeto, proprio di fronte. Mi lanciò una lunga occhiata alquanto strana ed indecifrabile, ma che mi fece tremare lo stomaco.
No, Rachel, ti supplico... non abbandonarmi. Ho bisogno di te, ora più che mai...
"Rachel?" la chiamai in un soffio. Emise un lungo sospiro, dopodiché, sorprendendomi, finalmente abbandonò il suo silenzio
"Mi viene da piangere!" esclamò in un solo unico suono, che mi spiazzò e mi fece appena accigliare
"Ti viene da...?"
"Sì... sì, cazzo, mi viene da piangere!" confermò, portandosi una mano davanti alla bocca e sbattendo velocemente le lunghe ciglia da cerbiatto, segno evidente che le lacrime ci fossero davvero, e fossero prossime ad uscire. Respirai a vuoto un paio di volte, quasi in apnea e, dimenticando le altre ragazze sedute al suo fianco, che in quel momento ci scrutavano senza capire, mi sporsi leggermente verso di lei per parlarle meglio. Inghiottì pesantemente qualcosa che evidentemente le stava bloccando la gola - forse il magone dovuto al pianto imminente - e tolse la mano, annuendo piano.
"E perché...?" mi ritrovai a domandare, quasi senza fiato, in un tono leggero e incorporeo che sapeva di sorpresa e di ansia.. ma soprattutto di paura. Lei si accarezzò i capelli, sistemandosi meglio sul divano e dopo un sospiro, appena spezzato, parlò
"Quando ti ho conosciuto eri... eri un ragazzino scappato dall'Ohio, pieno di insicurezze e di paure e... non avrei mai pensato che prima o poi potessi fare un salto del genere, così importante. Kurt, non fraintendermi... io ti ho sempre voluto bene, come se fossi un fratello per me e lo sai.. ma... mi sei sempre sembrato troppo.. fragile o forse semplicemente non del tutto pronto per qualcosa di tanto grande. Eppure... non so cosa sia successo esattamente in queste ultime settimane.. sei.. cambiato... in meglio, ovviamente. Sei diventato quella persona che mai avrei creduto di poter conoscere, sei maturato e ora, guardandoti mi rendo conto di quanto meraviglioso tu possa sembrare. Hai fatto uscire la splendida farfalla che nascondevi nel bozzolo e le hai fatto spiccare il volo ed io... sono così felice, Kurt.. davvero. Di quel ragazzino insicuro non è rimasto più nulla... adesso davanti a me c'è un meraviglioso uomo che ha imparato a camminare sulle sue gambe e a crederci sempre, nonostante i rischi e le incertezze e la paura di cadere e, credimi... sono completamente e disperatamente fiera di te in questo momento, come non lo sono mai stata!" si aprì in un leggero sorriso emozionato sul finale, mentre gli occhi le si inumidivano e la voce le si incrinata leggermente. Quelle parole, il tono che aveva usato e quei suoi occhi scuri e fieri e così meravigliosamente pieni di lacrime, furono il mio colpo di grazia. Mi ritrovai a tremare, non per il freddo, né tanto meno per la paura. E mi ritrovai, contro ogni aspettativa, a piangere, quasi spontaneamente, quasi fossi collegato con le emozioni a quelle della mia amica. Quasi avessi bisogno di scaricare in quel modo tutta quella tensione non ancora smaltita. E fu una gioia poter piangere, perché Rachel aveva finalmente parlato e aveva detto delle cose bellissime, come al solito. E aveva ragione: di quel Kurt insicuro e tormentato e pieno di dolore era rimasto davvero poco. Mi sentivo cresciuto e pronto ad affrontare qualsiasi sfida, qualsiasi ostacolo, perfino quello più insormontabile. Se al mio fianco ci fossero state loro a sostenermi - e Blaine pronto a stordirmi con i suoi sorrisi, le sue fossette, il suo profumo e le emozioni che era in grado di regalarmi - allora avrei superato anche quello.
"É un sì questo?" le domandai elettrizzato, piangendo e ridendo, e piangendo ancora. Lei scoppiò a ridere, mentre le lacrime le scappavano dagli occhi, bagnandole le guance
"Sì.. è un sì!" confermò e nella confusione del momento, mentre Santana lanciava un urlo di gioia e Tina si commuoveva a sua volta, mi ritrovai le braccia di Rachel, non si sa come, strette al collo e una bellissima sensazione di appagante tranquillità invadermi tutto il corpo, portando via l'ansia, la paura e soprattutto quel briciolo di insicurezza rimasta.
Sentivo di essere pronto anche per affrontare Sue Sylvester, per dimostrarle quello che per tanti anni avevo nascosto accuratamente al mondo e finalmente trovare un motivo valido per cui rendere orgoglioso me stesso e gli altri. Ce l'avrei fatta, ne ero sicuro, anche se non avessi vinto il concorso, anche se i miei vestiti non fossero piaciuti alla giuria o se le mie modelle non fossero state giudicate idonee o appropriate. Ce l'avrei fatta.. perché la vittoria più grande, l'avevo ottenuta contro me stesso. E su quello, sentivo di aver vinto a prescindere.

New York City. Ore 05.14 P.M. 20 Aprile 2012 (Venerdì)

Avere così tanto tempo libero mi aveva portato inaspettatamente tanti vantaggi: potevo godere meglio del mio bell'appartamento, potevo coccolare il mio cane, potevo vedere di più il mio Kurt - oh sì... anche se di intimità, non se ne parlava neanche - e soprattutto potevo finalmente dedicarmi un pò alla musica. Non ricordavo neanche quando fosse stata l'ultima volta in cui mi ero ritrovato seduto con la chitarra in braccio e lo spartito vuoto in bilico sulla gamba. Forse erano passati mesi, o peggio anni. Il lavoro, la ricerca dell'appartamento, la vita frenetica di New York me lo avevano impedito. Eppure non avevo mai smesso di pensarci.. dicevano che la migliore ispirazione per scrivere una canzone, fosse la stessa vita di tutti i giorni.. e se davvero fosse stato così, allora io mi sarei dovuto sentire fortunato, perché nelle ultime settimane avevo fatto più esperienze io di chiunque altro. Avevo ottenuto un assegno di trentamila dollari, avevo finalmente detto addio alla vita stressante dettata dai miei tre lavori accavallati, avevo un bellissimo appartamento a Manatthan, avevo un cane meraviglioso - tranne quando abbaiava alle sei di mattina, perché aveva bisogno di uscire - e soprattutto... avevo Kurt. Avevo il mio amore per lui e quello, già da solo, bastava ad ispirarmi, ogni giorno. Quindi magari, sforzandomi un pò. avrei potuto scrivere una canzone su di lui e magari.. magari cantargliela durante la notte, per farlo ancora sorridere in quel suo modo speciale, quasi magico, quel modo tutto suo che aveva, per farmi stare bene. Magari dopo aver fatto l'amore, avrei recuperato la chitarra e gli avrei detto, "Questa è per te, amore mio. Ti amo da morire!" ed avrei iniziato a cantare. Lui, troppo felice ed emozionato, nella mia versione del sogno, non mi avrebbe fatto arrivare neanche al primo ritornello.. mi avrebbe afferrato il viso con le mani, avrebbe impresso le sue meravigliose labbra sorridenti sulle mie, e mi avrebbe abbracciato forte, magari perfino bagnandomi con le sue stesse lacrime dettate dall'emozione. Ed io probabilmente avrei pianto con lui e forse dopo, avremmo fatto di nuovo l'amore. Tutto con lui sarebbe stato perfetto, perfino trovare un semplice accordo sulle corde di una chitarra. Non ero ancora riuscito a trovare il coraggio per confessargli quello che provavo, anche se, un paio di sere prima, sul nostro pianerottolo, ero stato seriamente sul punto di farlo. Forse era dipeso dal bacio che ci eravamo scambiati, forse dalla tensione sessuale che toccava picchi inimmaginabili, forse semplicemente per la voglia disperata di dirlo e vedere che effetto avrebbe avuto su di lui una notizia del genere, vedere che espressioni sarebbe riuscito a tirare fuori dal suo meraviglioso e variegato repertorio. E glielo avrei detto, il prima possibile e quella volta neanche l'avverarsi della predizione catastrofica dei Maya mi avrebbe fermato. Kurt doveva saperlo ed io dovevo dirglielo, punto.
"Che cosa stai suonando?" una voce leggera interruppe i miei ghirigori di musica e il flusso incasinato dei miei stessi pensieri, e alzando la testa trovai Quinn, seduta esattamente al mio fianco, sul dondolo in terrazzo. E pensare che, se non avesse parlato, io non mi sarei neanche accorto della sua presenza. Sebastian aveva ragione... ero uno sbadato cronico e se anche fosse scoppiata la terza guerra mondiale o un altro attacco terroristico avesse attaccato la città, io avrei continuato a fantasticare, senza badare a nulla.
"No ti prego, non fermarti.. era... davvero bellissima. Molto dolce.." mormorò dispiaciuta, gesticolando. Le sorrisi spontaneamente, sistemando meglio la chitarra in grembo
"Non era niente di specifico.. davo un sottofondo ai miei pensieri." mormorai accarezzando la superficie lucida dello strumento. Lei ridacchiò colpita
"Alla faccia... non immagino allora cosa tu sia capace di tirare fuori, se solo ti concentri un pò di più per suonare seriamente." disse divertita, scuotendo la testa. Io feci una smorfia, ma prima che potessi rispondere alla sua esclamazione, qualcuno si intromise tra di noi, la cui voce fu come una carezza leggera e morbida, un brivido caldo lungo tutta la schiena
"Fidati, Quinn... questo strimpellatore è bravo.. anzi più che bravo.. semplicemente da togliere il fiato!" esclamò ed entrambi ci girammo verso la porta-finestra e lì trovammo lui, che ci osservava con un sorriso sereno sulle labbra e le mani affondante nella tasca centrale della felpa. La mia felpa. Gli sorrisi in risposta, sentendo lo stomaco contorcersi piacevolmente e sperai ardentemente che da fuori, il battito accelerato del mio cuore non si avvertisse troppo, altrimenti avrei fatto una pessima figura, soprattutto con Quinn che mi sedeva accanto. Lei, dopo un sorriso stranamente elettrico, si girò nuovamente verso di me
"Cavolo, ora però sono curiosa. Pretendo come minimo una dimostrazione immediata." propose entusiasta, sistemandosi meglio e facendo dondolare appena la seduta. Io ridacchiai, leggermente imbarazzato
"Kurt esagera.. so mettere in croce un paio di accordi, niente di che.." mormorai per tentare di spostare il fulcro della discussione altrove, ma lui di nuovo intervenne
"Sei un bugiardo... non starlo a sentire! É bravissimo e ha anche una voce magnifica.. da far venire la pelle d'oca!" esclamò con più vigore, ed io mi ritrovai quella volta ad arrossire, perché una cosa del genere me l'aveva già detta, dopo la festa di beneficenza, in macchina, mentre scherzavamo allegramente, poco prima di fare l'amore per la prima volta. E già allora era stato un colpo al cuore sentire una cosa del genere pronunciata dalla sua magnifica voce angelica. Sentirselo ripetere a distanza di poche settimane, con la precisa consapevolezza di amarlo in quel modo intenso e disarmante... faceva decisamente più effetto.
"Anche tu fai... venire la pelle d'oca.." borbottai, grattandomi la punta del naso distrattamente e avvertendo il suo sguardo penetrante addosso. A quella frase, cedette appena, ma alla fine per mia fortuna sorrise
"Sì, ma io faccio lo stilista.. sei tu il cantante di questo palazzo!" esclamò divertito, facendomi ridacchiare
"Dopo neanche due giorni di concorso, ti sei già montato la testa, Hummel? Non ci siamo proprio!" scherzai e fu il suo turno per ridere, peccato che la mia risata non avesse nulla a che vedere con la sua. Nella sua c'era armonia, c'era leggerezza, c'era musicalità e dolcezza e c'erano tutte quelle cose che rendevano bellissimo il mio angelo terreno. E rendevano di conseguenza me, sempre più imperfetto.
"E pensa cosa succederà dopo, quando avrò vinto!" aggiunse sempre più divertito, strizzandomi l'occhio. Accettai la sua battuta e il suo buonumore molto volentieri, perché erano davvero meravigliosi e vederlo così sereno e rilassato rendeva di conseguenza sereno e rilassato anche me. Il mio stato d'animo dipendeva in un certo senso dal suo.. Daniel diceva spesso che, quando una persona arrivava a misurare la propria felicità in base a quella di un altro... e allora in quel momento, l'amore era davvero completo. Ed io... beh, ci ero già arrivato, decisamente.
Quinn rimase in silenzio ad ascoltarci, alternando lo sguardo tra me e lui a seconda di chi fosse a parlare, come in una partita di tennis, e sorrise per tutto il tempo. Beh, forse la nostra preoccupazione era eccessiva.. a lei avere due omosessuali sul pianerottolo non dispiaceva poi tanto.
"Allora... me la fai sentire qualcosa? Qualcosa di piccolo... veloce.. qualsiasi cosa." disse alla fine, visibilmente incuriosita. Sollevai gli occhi per un solo istante, incrociai i suoi, calmi, rilassati e meravigliosamente azzurri e decisi che fosse davvero il caso di accontentare tutti su quel terrazzo, così drizzai la schiena, impugnai meglio la chitarra e dopo un sospiro, iniziai i primi accordi. Decisi di ripetere un paio di strofe di "Somewhere only we know" dei Keane, giusto perché era la canzone che in quel periodo canticchiavo più spesso e soprattutto quella che mi faceva ricordare meglio Kurt. Certo, c'era anche Perfect, ma quella era troppo... speciale e poi mi concedevo di immaginarla soltanto cantata da lui e di certo non avrei condiviso quel momento con Quinn presente. Kurt era solo mio, la sua voce doveva intrecciarsi solo con la mia e quei suoi occhi cangianti e cristallini dovevano fare tremare solo la mia anima. Cantai la prima strofa e il primo ritornello, anche se quello non era lo strumento più adatto, ma comunque venne fuori qualcosa di discretamente accettabile. E poi.. a giudicare dalle loro espressioni, un pò di intensità dovevo avercela messa. Quinn mi osservava con gli occhi sgranati e le labbra appena dischiuse. Kurt invece.. non c'erano termini adatti per descriverlo. Era semplicemente divino... la postura diritta, lo sguardo puntato nel mio e quel sorriso sereno ed estasiato, perso in chissà quale ricordo, dava l'impressione di essere in pace con il mondo, e soprattutto in pace con sé stesso. Ed io, che volevo il suo bene e misuravo - come diceva Daniel - la mia felicità in base alla sua, mi sentivo il cuore esplodere per l'emozione. Lui c'era, era lì, ed era la cosa più bella e perfetta e meravigliosamente giusta del mondo. Ed era mio, mio soltanto, mio fino a che me lo avesse permesso, mio finché mi fosse stato concesso di amarlo, nell'identico modo in cui sentivo di amarlo in quel momento.
Non mi resi neanche conto di essermi fermato poco dopo l'inizio della seconda strofa e di averlo fatto, bloccando contemporaneamente il respiro, incollando gli occhi a quelli di Kurt, appena lucidi ma ugualmente magnifici. Si era emozionato ancora, come la sera al pub, ma quella volta non era corso a nascondersi in bagno; era ancora lì, ad affrontare le emozioni e a mostrarle orgogliosamente davanti a me e a Quinn, che rimaneva ancora in silenzio. Ed io mi ritrovai a sorridergli e a gridargli insistentemente che lo amavo, che lo amavo tanto da stare male, che lo avrei amato sempre, fino alla fine dei miei giorni. Lui rispose al mio sorriso, e io, da sciocco e sentimentale qual'ero lo interpretai come una risposta, come un ti amo silenzioso, lasciato passare soltanto attraverso gli occhi. Se fossimo stati soli, avrei senza dubbio abbandonato la chitarra sul dondolo e mi sarei precipitato da lui, azzerando quell'assurda distanza che mi stava sconvolgendo e impossessandomi di quelle magnifiche labbra sorridenti. E poi magari, dopo essermi lasciato cullare per qualche istante dal suo sapore, avrei riaperto gli occhi e con il cuore in mano gli avrei confessato tutto. Ma ancora una volta, per quanto fosse una bella prospettiva, rimaneva irreale e, in quanto tale, non sperava di essere realizzata.
Mettiti l'anima in pace, Blaine.. sia il tuo cuore che il tuo corpo sono destinati a fare penitenza...
"Oh mio... Dio..." la voce di Quinn, appena sussurrata, mi fece tornare alla realtà, per la seconda volta e mi ritrovai a cadere dalle nuvole e a riprendere contatto con il mondo in modo brusco. La trovai con gli occhi ancora sgranati, e la bocca coperta da una mano. Mi fece uno strano effetto vederla così provata. Che stesse per piangere anche lei?
"Già... intendevo esattamente questo!" esclamò Kurt, schiarendosi la voce, con molta discrezione. Quinn accennò un sorriso, per poi sollevare lo sguardo e puntarlo su di me, facendomi di nuovo arrossire.
"Cielo, Blaine... sei... sei bravissimo..." mormorò estasiata ed io, grattandomi la nuca, a disagio, ridacchiai, più che altro perché era decisamente troppo sommerso dalle emozioni per parlare, ma un grazie riuscii a biascicarlo, nonostante tutto.
"Bene.. scusate, ma io devo andare... ho appuntamento con Santana per scegliere le stoffe per gli abiti. Ci vediamo più tardi al locale?" mi chiese lui, cambiando completamente atmosfera, ma continuando a sorridermi serenamente
"Certo... e buona fortuna per la tua ricerca." gli augurai con un sorriso, che lui ricambiò - causandomi una mezza aritmia - e dopo aver salutato anche Quinn, uscì di casa. Con un sospiro, mi liberai della chitarra e raccolsi tutti gli spartiti vuoti, o lasciati a metà. Avevo scritto sì e no tre accordi, e neanche troppo soddisfacenti. Se avessi seriamente voluto creare una melodia per Kurt, allora mi sarei dovuto mettere d'impegno, soprattutto ricercando un pò di tranquillità. In quella casa, però, ultimamente si respirava tutto tranne che la pace. E finché Quinn fosse rimasta sotto il mio stesso tetto, forse di comporre non se ne sarebbe affatto parlato. E neanche di stare da solo con Kurt.
Accidenti...
"Blaine... posso farti una domanda?" chiese ad un tratto lei, seguendomi all'interno. Io poggiai la chitarra all'angolo del salotto, accanto alla tastiera ed annuii senza pensarci
"Certo!"
"Ecco.. è una cosa... personale.. e se non vuoi puoi anche... ignorarmi!" esitò, imbarazzata
"Tranquilla... puoi chiedermi tutto quello che vuoi." acconsentii con un sorriso. Lei esitò ancora un pò ma alla fine si convinse
"Ma tu e Kurt... state insieme, vero?" domandò in un soffio, mordendosi un labbro sul finale, quasi avesse cercato fino all'ultimo momento di trattenere le parole, ma queste alla fine avevano preso il volo ed erano sfuggite alla presa. Istintivamente provai due diverse sensazioni: la prima fu un'inspiegabile emozione avvolgente, un calore meraviglioso alla bocca dello stomaco, che mi scosse completamente. Già Sebastian aveva fatto un'allusione al rapporto tra me e Kurt ma, detto da lui, che era mio amico ed era un cazzone, non aveva avuto lo stesso effetto. Forse perché Quinn a conti fatti era ancora un'estranea o forse semplicemente sembrava meno maliziosa nel chiederlo... ma la sua domanda mi colpì decisamente con più forza. E poi, la seconda sensazione che provai, subito dopo, fu l'orgoglio... l'orgoglio per il fatto che, da fuori, sembrassimo seriamente una coppia, e non c'era cosa al mondo, più bella e appagante.
"Mmm... bella domanda.." mormorai con un sorriso divertito "In realtà no.. lui.. esce da una situazione difficile ed io... non voglio mettergli fretta, voglio che si prenda tutto il tempo che gli serve per capire e per.. decidere di voler affrontare questa nuova esperienza con me. Però non ti nascondo che... sto aspettando questo momento da non so quando, tanto da averlo perfino iniziato a sognare la notte!" esclamai stringendomi nelle spalle e aprendomi in un sorriso spontaneo. Lei, contro ogni aspettativa, sorrise intenerita. Mi ero aspettato una sua eventuale reazione stizzita per quella situazione tra me e Kurt, magari una battuta acida, o una smorfia di ribrezzo, come nella maggior parte dei casi. Eppure lei aveva semplicemente sorriso. E questo mi bastò per capire che a Quinn, avere due omosessuali sullo stesso pianerottolo... forse non infastidiva poi così tanto.
"Se posso permettermi... si vede chiaramente che tu lo ami... e tanto anche. Me ne sono accorta già la prima sera, quando siete entrati... ma non perché vi steste baciando... per il modo in cui tu lo guardavi, o per come ti sei messo davanti al suo corpo, vedendomi, quasi volessi fargli scudo per proteggerlo. Ho letto chiaramente il tuo amore in quei gesti e... ho.. subito immaginato che ci fosse qualcosa. Ma quella canzone.. quella che hai cantato prima... mi ha dato la conferma. L'hai cantata per lui non è vero?" domandò avvicinandosi. E così era tanto palese? Si vedeva anche da fuori, da chi non mi conosceva, quali sentimenti provassi?
"Sì... era per lui!" risposi, annuendo, ricordando esattamente ogni emozione provata la prima volta al pub, ad occhi chiusi e quelle provate invece poco prima, sul terrazzo, con gli occhi quella volta, immersi nella profondità infinita dei suoi. E in entrambi i casi, qualcosa gridava per uscire. Qualcosa di cui evidentemente Quinn si era accorta, pur non sapendo nulla su entrambi. E allora, se lo aveva capito lei... anche Kurt.. sapeva?
"Kurt è... decisamente un ragazzo fortunato!" esclamò con un sorriso gentile, ed ebbe il potere di farmi ridacchiare
"No.. sono io ad essere fortunato, fidati di me." risposi con un sorriso idiota sul volto ed il cuore accelerato, ma d'altronde questo era l'effetto Hummel su di me. Vidi chiaramente una leggera ombra passare negli occhi verdi della ragazza e solo allora capii di dover cambiare argomento, perché forse parlare troppo di persone che amavano e che si sorridevano e che si dedicavano canzoni d'amore.. non era proprio indicato per una come lei, una che aveva subito un torto come il suo
"Come va con la ricerca dell'appartamento?" le domandai, affondando le mani nelle tasche del jeans. Lei fece una smorfia
"Male... ho speso gli ultimi due giorni ad andare in giro per lasciare curriculum nei negozi più disparati e tutti hanno portato lo stesso risultato.. anche se non ho esperienza, sarebbero stati anche disposti ad assumermi, ma non appena sentono che sono incinta.. cambiano immediatamente opinione e dicono che non sono adatta. E ovviamente se non trovo lavoro, non posso neanche sperare di trovare un appartamento, visto che i miei mi hanno bloccato il conto." scosse la testa, amaramente rassegnata
Alla faccia... hai capito all'avvocato Fabray.. è davvero infuriato...
"Mi dispiace tanto, Quinn..." mormorai sincero, perché in fondo, anche se non potevo dire di conoscerla poi così bene, mi sentivo male a vederla così abbattuta e sconfitta. Lei che stava attraversando uno dei periodi più belli per una donna, si trovava a dover combattere contro qualcosa che all'apparenza sembrava davvero troppo difficile da superare.
"Sinceramente dispiace più a me, soprattutto perché ti avevo assicurato che mi sarei fermata soltanto una notte e invece... sono ancora qui ad occupare il tuo letto.. e ad invadere la.. tua privacy!" arrossì appena, alludendo chiaramente a ciò di cui avevamo parlato poco prima
"Non preoccuparti... il divano non è così scomodo, dopotutto.. e per il resto... una soluzione si trova sempre!" esclamai ridacchiando, anche se, dentro di me qualcosa si agitò prepotentemente, lo stesso qualcosa che desiderava stare da solo con Kurt e abbandonarsi alla più sfrenata passione. Eppure sentivo di dovere qualcosa a Quinn, sentivo di volere almeno in parte alleviarle quel peso, provare in qualche modo a darle quel sostegno che perfino i suoi genitori sembravano averle negato. E in quel momento, mentre lei scuoteva la testa, leggermente a disagio, mi ritrovai a sorridere, colpito da un'illuminazione incredibile
"Aspetta... forse ce l'ho io la soluzione giusta per te!"
E anche per me...

New York City. Ore 07.50 P.M. 20 Aprile 2012 (Venerdì)

"Ma cosa sei? Un ufficio di collocamento?" domandò Puck, posando il bicchiere che aveva appena asciugato sul bancone, ed inarcando un sopracciglio, esterrefatto.
"Non è colpa mia... tutti da me vengono a chiedere aiuto!" esclamai divertito, poggiando i gomiti sul bancone. Kurt al mio fianco ridacchiò ed io mi girai giusto un attimo verso di lui, per strizzargli l'occhio - e farlo meravigliosamente arrossire
"D'accordo.. e cosa c'entro io?" domandò ancora Noah, incuriosito
"Beh... tre camerieri sono meglio di due." scrollai le spalle con ovvietà e lui fece un verso strano in risposta, mormorando qualcosa di incomprensibile
"Fammi indovinare... è lesbica anche questa?" chiese avvicinandosi appena, per non farsi sentire da Brittany, che puliva un tavolo poco distante. Scossi la testa ridacchiando
"Non che mi risulti!" risposi. In realtà neanche di Brittany lo avevo mai sospettato.. solo quando era arrivata Santana, tutto si era fatto più chiaro, ma Quinn.. no, lei decisamente era etero.
"Ha ucciso qualcuno ed ha bisogno di un posto per nascondersi?" tentò insospettito. Kurt scoppiò a ridere, mentre io misi su una smorfia
"Direi di no." mormorai. Lui stupito, si grattò il mento con la mano, riflettendo per qualche istante e alla fine diede voce al suo pensiero
"E allora è una cessa!" decretò molto schiettamente, facendoci ridere ancora.
L'uomo che non conosce le mezze misure...
"Io non me ne intendo molto di donne, però... a me non sembra tanto male." assicurai con un sorriso, ma lui non sembrò molto convinto, perché fece una smorfia, tirandomi dietro lo straccio bagnato
"Figurati... detto da te, allora... stiamo a cavallo!"
"Dai, te la presento.. ci parli e giudichi da solo se può essere assunta o meno." proposi, liberandomi dello straccio e mettendo su un'espressione speranzosa. Lui sbuffò, lanciandomi un'occhiataccia, ma alla fine cedette
"E conosciamo questa tua presunta amica... guai a te se scopro che è una fregatura. Questa è la volta buona che ti licenzio.. anzi licenzio entrambi!" minacciò, puntando l'indice prima verso di me, poi verso Kurt. Io e quest'ultimo di guardammo per un istante, e solo quello ci bastò per decretare che, dopo aver conosciuto Quinn, anche un carattere così scontroso come il suo, si sarebbe potuto sciogliere
"Vado a chiamarla.. è qui fuori." annunciai, saltando giù dallo sgabello e dirigendomi all'esterno, dove Quinn attendeva, in compagnia di Brittany e Santana, che le augurarono buona fortuna. La condussi fino al bancone, dove Puck, di spalle, stava sistemando lo scaffale degli alcolici
"Noah.. ti presento Quinn Fabray... Quinn... lui è Noah Puckermann, il proprietario della baracca e colui il quale ti toccherà, convincere se vuoi lavorare qui.." feci le presentazioni e proprio in quell'istante, ancora con il viso contratto in una smorfia di sufficienza, Puck si girò verso di noi. Si bloccò di colpo, come se stesse per affogarsi, o forse per morire, sgranando gli occhi e la bocca in una muta esclamazione di stupore.
"Salve!" lo salutò Quinn, con tanto di sorriso e in quel momento, accadde la cosa più impensabile di tutte: Noah Puckermann, il burbero uomo con la cresta, colui che niente e nessuno sembrava capace di scalfire, arrossì. Arrossì davvero. Ed io, mi ritrovai a sorridere, non per prendermi gioco di lui, ma semplicemente perché sentivo di aver fatto qualcosa di buono, anche per lui, oltre che per Quinn.
Kurt mi afferrò un braccio e mi trascinò dal lato opposto del locale, lasciando modo agli altri due di parlare, anche se Puck non sembrava propriamente nelle condizioni adatte per farlo.
"Hai visto anche tu?" domandò lui divertito, indicando con un cenno della testa il bancone. Gli sorrisi spontaneamente
"Non ci posso credere... sono quasi meglio di Cupido. Prima Daniel e Sebastian, poi Santana e Brittany.. ora quei due. Ho del talento, devi riconoscerlo!" scherzai, punzecchiandogli un fianco e facendolo ridacchiare
"Ehi... anche io ne ho. Ho permesso che Sam e Mercedes si conoscessero, non te lo dimenticare." mormorò, fintamente imbronciato
"Giusto... ma siamo tre a uno per me. Ti sto battendo miseramente." lo presi in giro, cacciandogli la lingua sul finale. Si imbronciò ancora di più, diventando estremamente tenero e sempre più bello, così, decisi di farla finita, allungarmi un pò e catturargli le labbra con le mie, prendendomi anche un pò di quel broncio che sembrava così innocente da riempirmi il cuore. E lui alla fine, spiazzò anche me, regalandomi uno dei più bei sorrisi dell'intero universo.
Che esista o meno Cupido... credo che abbia colpito anche noi due...

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Capitolo 39
*** Per sempre e anche oltre ***


Salveeeeee... ohhh finalmente questa autrice scellerata si decide a pubblicare ^^ avete perfettamente ragione, sono un mostro senza cuore, ma purtroppo come ho già spiegato in un paio di post sulla pagina autore, non sono riuscita a scrivere a causa dei corsi, a causa del fatto che molti giorni a settimana sono fuori casa fino a sera e mi sono ridotta a scrivere il capitolo sul telefono (si fa quel che si può XD) però, alla fine... ce l'abbiamo fatta *___* dunque, due parole sul capitolo.. a parer mio è uno dei più importanti della storia perché contiene molte cose (Anche per questo volevo che fosse speciale!) soprattutto perché inizia a chiudere un pò le fila della storia che vi ricordo è quasi giunta alla fine (tolto questo, mancano tre capitoli, esclusi i prologhi per ogni coppia!) Se date una sbirciatina alla meravigliosa immagine qui sotto (a me viene un coccolone ogni volta che la vedo *___*) inizierete a capire che forse quest'autrice si è passata una mano sulla coscienza e... si insomma.. Blaine è stato ascoltato XD vabbè, buona lettura, io vado a riprendermi... e aspetto con ansia i vostri pareri. Ci vediamo Martedì prossimo (scusate!). Un bacio a tutti... vi amo... <3
p.s. Dan mio... ma... *___* bellaaaaaaa (sì è bellissima, punto!)
n.b. Pagina fb ( Dreamer91) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 06.50 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)


Presentare Quinn a Puck era stata una delle cose migliori che avessi mai fatto nella mia vita - tolto l'accettare l'appartamento a Lower East Side e l'innamorarmi di Kurt. Quinn era stata assunta praticamente senza riserve da Noah, nonostante lei avesse detto chiaramente di essere incinta. Puck non sembrava affatto turbato dalla notizia, anzi. Si era dimostrato fin da subito disponibile e particolarmente attento e si era perfino offerto di servire ai tavoli al posto suo e permetterle così di rimanere dietro al bancone. Lei, però, per quanto lusingata da tante attenzioni e felice di aver finalmente trovato un lavoro, aveva assicurato di potercela fare e di voler indossare il grembiule esattamente come Kurt e Brittany. Quella ragazza aveva grinta, esattamente come avevo immaginato e mi faceva seriamente piacere trovarla così motivata. Così quel pomeriggio l'avevo accompagnata personalmente per il suo primo giorno ufficiale - Kurt era rimasto a casa, dato che Puck ormai poteva permettersi di dare ai propri dipendenti una serata di riposo - e senza neanche farselo dire, aveva recuperato un grembiule da dietro la cassa ed aveva iniziato ad aiutare Brittany a sistemare i tavoli.

"Non ce le hai un paio di amiche anche per la cucina?" mi domandò Noah ad un certo punto, facendo un cenno con la testa verso la sala. Ridacchiai contento
"Ci stai prendendo gusto, eh?"
"Certo!" e sorrise entusiasta, come non lo avevo mai visto prima. Sembrava quasi una persona diversa e se questo era l'effetto di Quinn su di lui, anche solo dopo una giornata, non osavo immaginare cosa sarebbe successo tra una settimana o un mese. In quel momento la ragazza passò davanti al bancone con un secchio di acqua in mano e si girò, per sorriderci. Io riuscii a ricambiare, mentre Puck per poco non collassò con la faccia sul legno
"É una specie di angelo sceso in terra!" mormorò con un sospiro estasiato e rimase a contemplarla per alcuni istanti, senza neanche rendersi conto di essere un tantino esagerato nel farlo. Dopo poco, però, quasi riscosso da un pensiero, si girò verso di me e sbuffò "Ma che te lo dico a fare... tu di donne non ci capisci nulla." borbottò, tornando a sistemare i soldi in cassa. Scossi la testa divertito. Sì, di donne non ci capivo nulla in effetti, però in compenso avevo un buon occhio per altre cose, come appunto il vedere un ipotetico sviluppo tra due persone, come nel caso di Quinn e Puck. In quel momento non sapevo se sarebbe o no successo qualcosa prima o poi, eppure mi ispiravano qualcosa di bello, insieme.
"Comunque stasera non ho bisogno di te!" la sua esclamazione arrivò qualche minuto più tardi e mi fece accigliare
"Prego?" domandai esitante
"Serata Karaoke!" disse soltanto, con mezzo sorriso di scherno. Karaoke? Stava scherzando?
"Ma.. ma se l'hai fatta domenica.." cercai di ricordargli, con gli occhi ancora fuori dalle orbite. Lui grugnì

"Voglio farla anche oggi.. devo chiederti il permesso?" mi abbaiò contro, nel suo solito atteggiamento scontroso. Alla faccia della persona diversa... era ancora il solito vecchio Puck.
"No, certo che no!" tentai di difendermi, ancora leggermente scosso
"Bene!" ma c'era qualcosa che non mi tornava, qualcosa che non capivo e che, pertanto volli chiedere assolutamente
"Puck... ma mi stai licenziando per caso?" balbettai con il cuore in gola, perché speravo di aver capito male, perché non volevo lasciare il pub, perché l'ambiente mi piaceva e soprattutto perché non potevo permettermi di lasciare solo Kurt. Non me lo sarei mai perdonato e non lo avrei mai perdonato neppure a Noah. Lui, per mia fortuna, scoppiò a ridere
"Figurati.. piaci troppo ai clienti, non posso permettermelo. E poi hai due amici avvocati, guai a mettermi contro di loro!" mormorò scuotendo la testa ed io riuscii a rilassarmi, tirando un sospiro di sollievo.
Ok, niente licenziamento, almeno per ora...

"D'accordo... quindi serata Karaoke." affermai, anche se ancora un pò confuso da questa sua scelta. Lui che all'inizio era sempre stato contrario ad affidare la musica ai dilettanti, lui che mi aveva perfino pregato di rimanere, quando si era accorto dei ritmi estenuanti che avevo iniziato a fare, lui che avrebbe fatto entrare tutto nel suo pub, tranne l'apparecchiatura per il Karaoke, ora ne sembrava talmente tanto attratto da far quasi paura. Forse mi sarei dovuto sentire più preoccupato o perlomeno indagare un pò di più, eppure... ero convinto che sarebbe stato meglio lasciar perdere e rinunciare al tentativo di comprendere i suoi gesti o le sue decisioni, perché altrimenti avrei rischiato seriamente grosso.
"Esatto!" confermò quindi con un sorriso allegro, tornando a concentrare le sue attenzioni sulla sua nuova cameriera bionda
"Quindi che faccio? Torno a casa?" gli domandai, leggermente a disagio, come colui che si sente buttato fuori di casa, ma non sa bene quale sia il modo migliore per uscire di scena.
"Sì.. ci vediamo domani sera." mi liquidò con un gesto, indicando la porta, senza neppure degnarmi di uno sguardo. Feci una smorfia desolata
"O-ok" borbottai saltando giù dallo sgabello e recuperando la giacca. Arrivai quasi alla porta quando la sua voce mi raggiunse
"E saluta Kurt da parte mia!" esclamò, puntandomi minacciosamente un dito contro, facendomi di nuovo cambiare idea sul suo conto
Cinquanta sfumature di Noah Puckermann...
"Lo farò." assicurai con un mezzo sorriso appena terrorizzato, lasciando gli altri ai rispettivi obblighi, visto che io ero appena stato decretato fuori servizio.
Il tragitto dal pub fino al parcheggio sotto casa, lo affrontai in maniera alquanto bizzarra: non ero molto entusiasta all'idea di tornare nel mio appartamento, lo trovavo inutile e mortificante dato che ero consapevole del fatto che fosse desolatamente vuoto; Kurt, infatti, approfittando della serata libera concessa da Puck, era sceso da Rachel per occuparsi dei modelli della sfilata ed io mi sarei ritrovato per uno scherzo del destino - uno scherzo del destino davvero di cattivo gusto - a passare la serata in compagnia del mio cane, come il più triste dei cliché.
Maledetto Karaoke e chi lo ha inventato...
Ero estremamente contento per Kurt e per quella occasione più unica che rara che Sam e Santana gli avevano offerto e, senza ombra di dubbio, se lui non avesse accettato subito, io sarei stato il primo a preoccuparmi di convincerlo, anche perché, nonostante non fossi affatto un esperto del campo né sapessi sinceramente chi fosse quella Sue Sylvester, ero convinto al mille per cento, che quella sarebbe stata la sua occasione d'oro, una di quelle cose che capitano solo ed esclusivamente agli altri, quelle cose che ti fanno sognare e disperare e chiedere perché mai una fortuna tanto grande non sia capitata anche a te. E invece lui, a discapito di tutto, della vita infelice che aveva avuto, del suo ex tiranno e di quel suo carattere, a volte forse troppo pessimista, lo aveva ottenuto e quindi avrebbe dovuto combattere con le unghia e con i denti, fino alla fine. Avevo visto una gioia inspiegabile colorargli gli occhi e tutto l'entusiasmo venire fuori a fiotti mentre ne avevamo parlato. Era vivo e brillava di una luce quasi accecante, ma era bello, era meravigliosamente bello, starsene seduti a guardarlo, mentre immaginava che tipo di taglio dare al vestito di Tina per farla sembrare più slanciata o che stratagemma usare per non far capire ai giudici di avere nel suo team una ragazza incinta. E ancora per lo stesso principio, secondo cui, se la persona amata è felice, lo si è a propria volta, io mi ero ritrovato a sorridergli per tutto il tempo, orgoglioso come mai ero stato prima.
Eppure, sarei stato un ipocrita se non avessi ammesso che quella storia era per me come un altro intruso, come l'ennesimo ostacolo che si poneva tra me e lui a discapito del fatto che, il nostro unico desiderio fosse quello di stare assieme, di goderci la nostra meritata intimità. Iniziavo seriamente a sospettare di essere stato preso ad occhio da qualcuno, eppure... chi doveva avercela a tal punto con me, da punirmi in quel modo crudele? Se avessi passato in rassegna tutte le persone a cui avrei potuto fare, involontariamente, del torto, mi venivano in mente soltanto due nomi: David... che ovviamente aveva più di un motivo per avercela con me, e quindi non faticavo ad immaginarmelo seduto ad un tavolo, in una camera semi-buia, con un pupazzetto dalle mie sembianze in mano a recitare strani incantesimi satanici. L'altro nome che mi veniva in mente era quello di Sebastian, ma non perché lui volesse il mio male, ma semplicemente per il fatto che, stranamente, si divertisse molto a vedermi in quella situazione - come aveva sottolineato quella mattina, mandandomi un perfido messaggio in cui mi chiedeva se avessi contattato l'emittente televisiva per farmi attivare i canali porno sul televisore - e quindi non mi sarei meravigliato se ci fosse stato anche lui dietro a tutta quella misteriosa sfortuna. Mi ripromisi di indagare, il prima possibile.
Con un sospiro frustrato entrai in casa e immediatamente, accendendo la luce in salotto, mi accorsi di due cose: quello sciagurato di Cooper non era nemmeno corso a salutarmi - cane ingrato.. ci rivediamo al momento della pappa! - e soprattutto il mio pavimento aveva qualcosa di strano, qualcosa che per un momento mi fece bloccare sul posto, senza né respiro né un solo pensiero coerente in testa. Vi era una lunga scia di biglietti colorati - post-it per la precisione - che partivano dalla soglia e sparivano oltre il corridoio. Confuso, senza neanche lasciare la borsa, seguii a passo lento quella fila colorata, accigliandomi mano a mano che andavo avanti. Che diavolo di storia era mai quella? Chi si era divertito ad impiastrarmi il pavimento di casa e perché quella specie di linea colorata sembrava portare verso la camera da letto? La seguii fino alla fine, svoltando appunto in camera, e quasi sobbalzai quando, alzando gli occhi da terra, incrociai due meravigliose pozze azzurre che mi scrutavano limpide e anche parecchio
divertite. Rimasi qualche lungo istante immobile, senza riuscire neppure a metabolizzare il fatto che Kurt, invece di trovarsi al piano inferiore a lavorare ai suoi modelli con Rachel, fosse seduto sul mio letto, a gambe incrociate e mi stesse sorridendo nel modo più dolce e sconvolgente che avesse mai fatto.
Cazzo, Blaine... vuoi riprendere a respirare decentemente per favore?...
"Ku..rt?" mi uscì qualcosa dalla bocca, finalmente, qualcosa di molto simile al suo nome
"Ciao." ma la sua voce no; la sua voce fu chiara e concreta, la sua voce fu reale, la sua voce fu come una boccata d'aria fresca per me, come un riprendere a respirare e allo stesso tempo prepararsi a trattenere il fiato. E tutto ciò mi permise di sentire lo stomaco stringersi, senza il minimo dolore.
"Come mai il.. pavimento è pieno di post-it?" domandai da perfetto idiota, indicando con un pollice dietro la mia spalla, non riuscendo neppure a staccare gli occhi dai suoi, in quel momento vigili e bellissimi. Accennò un sorriso che gli illuminò appena gli occhi
"Servivano per portarti qui.. da me." mormorò, sciogliendo l'incrocio delle gambe e poggiando i piedi per terra. Mi accigliai appena, mentre l'eco del mio cuore diventava sempre più forte, sempre più insistente
"E per fare..." ma mi bloccai, avvertendo il suo sguardo intenso addosso e quel piccolo movimento che fece la sua lingua, passando lentamente lungo tutto il labbro superiore, che riuscì ad uccidermi e contemporaneamente a ridarmi un motivo valido per vivere
"Oh!"
"Già.." fece lui, sorridendo ancora. Scese dal letto e mi raggiunse in due passi, allungando una mano verso di me ed afferrando la sacca e poggiandola per terra, per poi iniziare lentamente a fare scendere la zip della giacca, fino alla fine, senza mai lasciare i miei occhi, aiutandomi a toglierla e buttandola poi accanto alla sacca. Provai a dire qualcosa di sensato, ma non mi uscì davvero nulla, così tentai con qualcosa di più semplice e meno articolato
"Kurt?"
"Blaine.." rispose lui, avanzando di mezzo passo e facendo combaciare perfettamente le nostre labbra in un morbido, casto e bellissimo bacio. Mi ritrovai talmente tanto spiazzato, da non riuscire neppure a ricambiare: ero come un pupazzo, tra le sue mani - e le sue splendide labbra - e l'unica cosa che riuscii a fare fu tremare. Tremare perché, cazzo.. finalmente sembrava esserci la situazione giusta, io ero libero, lo era anche lui, eravamo in un appartamento e non in un luogo pubblico o bloccati nella cabina di un ascensore, e soprattutto sembrava essersi creata con niente l'atmosfera. Ed io, da idiota quale ero, mi ritrovai a provare una fottuta paura, perché l'esperienza insegna e quella che avevo fatto io nell'ultimo periodo, non aveva davvero nulla di positivo
"Ci interromperanno... anche oggi.." mormorai senza fiato, mentre le sue labbra si spostavano, sempre morbidamente, sulla guancia
"No.. mi sono personalmente assicurato che ogni cosa fosse al giusto posto e che questa volta nessuno ci disturbasse." mi assicurò, percorrendo tutta la lunghezza della guancia, in un intenso ed estenuante e leggerissimo tocco
"Arriverà qualcuno.. me lo sento!" borbottai, con il tono di voce di chi ormai è rassegnato all'evidenza. Mi aspettavo qualcosa, da un momento all'altro, era matematico.
"No.. non questa volta!" ribadì calmo e per niente seccato, affondando una mano tra i miei capelli sulla nuca ed avvicinando maggiormente il viso al mio. Deglutii a fatica, perché provare a fare un ragionamento di senso compiuto quando condividevamo la stessa aria della stanza era complicato.. farlo respirando addirittura a pochissimi centimetri di distanza, diventava praticamente impossibile.
La soluzione c'è.. smetto di respirare io...
"Quinn.. dopo il pub... tornerà a casa.. avrà bisogno del letto per dormire.." telegrafai, mentre l'altra sua mano si intrufolava sotto il tessuto della maglia, poggiandosi discretamente sulla pelle del fianco, facendomi rabbrividire. Era bollente, ed aveva un meraviglioso tocco morbido e carezzevole, talmente tanto bello da farmi ancora meravigliare del fatto che potesse essere davvero considerato umano.
"Stanotte dorme da Santana!" rispose secco, scendendo con le labbra sulla mascella e premendo leggermente tra questa e il lobo dell'orecchio
"Eh?" ero un idiota, me ne rendevo conto, ma davvero non riuscivo a capire se mi stesse prendendo in giro, oppure se ci fosse la minima speranza di poter seriamente rimanere da soli
"Gliel'ho chiesto io." spiegò e si staccò appena per sorridermi, e lasciarmi una breve carezza sul collo, facendomi perdere altri dieci anni di vita
Ah...
Le sue labbra tentatrici - che dovevano assolutamente essere ritenute illegali, non solo dallo Stato di New York, ma dall'intera costa orientale - si spostarono sul collo, poggiandosi morbidamente su un lato e scendendo sempre più giù, in una lenta ed inesorabilmente eccitante scia di piacere. Per un momento chiusi gli occhi, lasciando che le sensazioni mi guidassero, che prendessero il sopravvento sulla ragione e sulla paura, e fu davvero appagante, sentirle così delicate eppure allo stesso tempo decise ed esperte. E solo allora mi resi conto di quanto, avere la sua bocca sulla mia pelle mi fosse mancato. Pensarci ogni giorno e sognarlo ogni notte non era affatto sufficiente, non gli rendeva giustizia: avere quelle labbra su di me, desiderare ardentemente di poterle sentire in ogni angolo, nascosto e non, sospirare per ogni tocco e ogni carezza e ogni respiro lasciato per sbaglio o per volontà, era senza dubbio superiore a qualsiasi tipo di ricordo.
Ma poi un pensiero colpì quello che rimaneva del mio raziocinio, obbligandomi a riaprire gli occhi e a fare i conti con la crudelissima realtà.
"Verranno Sebastian e Daniel.. tra poco busseranno al campanello e..." ritentai, mentre lui, per niente scoraggiato, continuava la sua opera
"Sono a cena dalla sorella di Daniel e poi hanno giurato di non presentarsi più senza invito." stroncò anche quella mia tesi con destrezza e un altro dei suoi sorrisi calcolatamente intriganti, che mi fece boccheggiare per qualche lungo istante, tanto che lui ne approfittò per baciarmi di nuovo sulla bocca, quella volta con un'intensità maggiore, avvolgendomi completamente
Sono ad un passo dal baratro, e quel che è peggio è che sono perfino contento all'idea di poterci finire dentro...
"Cooper.. abbaierà insistentemente per.." ma lui ebbe una spiegazione anche per quello
"É da Rachel.. Lea non vedeva l'ora di strapazzarlo un po'!" e sorrise, lascivo e tremendamente sexy, talmente tanto da farmi arrossire senza neanche accorgermene. Mi ritrovai accaldato e con l'esigenza sempre più opprimente di scappare a nascondermi da qualche parte perché... cazzo, io ci soffrivo davvero in quella situazione, per il fatto di non poterlo avere e lui cosa faceva? Mi provocava in quel modo così subdolo? Nessuno gli aveva spiegato che attaccare in quel modo un uomo sessualmente frustrato, sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa? Che senso aveva tutto quello, se tanto poi, alla fine, il risultato sarebbe ugualmente stato quello di separarsi, infastiditi ed insoddisfatti? Era a conoscenza del fatto che, da cinque giorni a quella parte, la mattina appena sveglio e la sera prima di andare a dormire, mi sottoponessi ad un'atroce doccia ghiacciata?
"Potrebbe tornare David e magari decidere di uccidermi per bene questa volta." tentai con la voce stridula, dandomi immediatamente del coglione perché non si sa come, ero riuscito a mettere in mezzo quel bisonte del suo ex, nel momento davvero più sbagliato di tutti. E non mi sarei affatto meravigliato se quella mia uscita, non avesse ugualmente rovinato tutto. Magari lui, arrabbiato, se ne sarebbe andato, lasciandomi lì, senza cane e con il pavimento del soggiorno pieno di post-it.
E non avrebbe tutti i torti, idiota di un Anderson.. ti rendi conto quanti problemi ti stai facendo?.. svegliati! Hai Kurt lì, tutto per te, che ti sta baciando proprio come tu sognavi che facesse e cosa fai? Pensi al cane o, peggio, a Sebastian?... Sei proprio un coglione...
"Blaine.." il mio nome fu come una carezza che mi costrinse ad abbandonare le mie filippiche mentali e a concentrarmi esclusivamente sui suoi occhi grandi e limpidi, che in quel momento mi stavano scrutando appena divertiti e con un leggero pizzico di tenerezza, e sulla sua mano che si era chiusa a coppa sulla mia guancia, calda e meravigliosa, e sul suo sorriso così perfetto da farmi tremare lo stomaco e farmi sentire piccolo piccolo, come una formica schiacciata dal peso del mondo.
"Non c'è nessuno.. nessuno può disturbarci, o interromperci o sperare di rovinare di nuovo tutto. Siamo solo noi.. solo io e te.." e nel dirlo si avvicinò ancora e ancora mi sfiorò le labbra con le sue, portandosi dietro tutta la consapevolezza e il significato di quelle parole. Eravamo soli, eravamo io e lui, eravamo... noi.
Cazzo...
Provai a deglutire di nuovo, con scarsissimo risultato, data la gola completamente secca e a questo si aggiunse il battito cardiaco che arrivò a toccare punte esorbitanti, tanto che per un attimo temetti seriamente che potesse esplodermi dentro, per l'emozione.
"Fa quasi paura pensarlo." mormorai a pochi centimetri dalla sua bocca, perdendomi per un attimo nella profondità dei suoi occhi, lasciandomi cullare dalla morbidezza della sua risata e facendomi dolcemente avvolgere dal suo profumo familiare e piacevole
"Lo so... fa paura anche a me, ma... alla fine ci siamo riusciti.. tu sei qui, io sono qui e non c'è nessuna cosa al mondo che mi impedirà di dedicarmi completamente a te questa notte.. neanche se scoppiasse una rivoluzione o se Marc Jacobs decidesse di abbinare il blu con il marrone per questo inverno. Rimango qui con te." mi disse, portando anche l'altra mano sulla guancia e avvicinandomi così il viso, per un bacio intenso, che suggellava in maniera perfetta quelle parole perfette e rendeva il momento decisamente più perfetto.
Mi ritrovai finalmente a sorridergli e a pensare che sì, forse quella volta ce l'avremmo fatta e se qualcuno ci avesse interrotti... al diavolo, lo avrei ucciso personalmente. Sarei finito in carcere, ma... sarebbe stato per una giusta causa
"Bene... perché non ho nessuna voglia di lasciarti andare questa volta." specificai, riuscendo finalmente a muovere il corpo, e avvolgendogli la schiena con le braccia, riuscendo ad avvicinarlo di più, a stringerlo con più forza e avvertendo un calore decisamente più appagante.
"E allora non farlo.." mormorò con mezzo sorriso, prima di rifiondarsi sulle mie labbra e finalmente approfondire il contatto: ed eccola, la sua lingua che gentilmente si intrufolava nella mia bocca, si intrecciava con la mia e mi faceva sospirare. Era rassicurante scoprire come le cose, anche a distanza di tempo, non cambiassero affatto: il suo sapore era sempre lì, meraviglioso e intenso ed io mi ritrovai ad adorarlo come ogni volta. E come ogni volta credetti di essere sul punto di implodere, perché un'emozione tanto forte era decisamente troppo da sopportare. Eppure, non avrei permesso neanche a me stesso di rovinare quel momento: lo avevamo cercato troppo, lo avevamo sognato, lo avevamo desiderato entrambi e adesso era lì, pronto per noi, pronto semplicemente per essere vissuto. Ma la paura c'era ancora, almeno in parte, perché l'aver sognato per cinque notti di fila il corpo di Kurt e poi accorgermi di avercelo davvero così a portata di mano, un minimo dubbio di essere ancora immerso nel mondo dei sogni, rimaneva. Anche se il suo sapore e il calore della sua mano ancora ancorata sulla mia guancia, sembravano essere troppo reali per appartenere al mondo onirico. La conferma però la ebbi qualche istante dopo, quando un movimento particolarmente deciso, fece scontrare i nostri bacini, in un contatto meraviglioso e fin troppo reale. E sentire la sua erezione premere attraverso i jeans, fu come ricevere un pizzicotto sul braccio, un pizzicotto che mi fece capire di essere perfettamente sveglio.
Senza interrompere il bacio, che mano a mano diventava sempre più umido e appagante, ci ritrovammo a muoverci in sincrono, lui ad indietreggiare ed io a seguirlo, trascinato dalle sue mani e dal magnetismo del suo corpo caldo. Ma c'era qualcosa che sentivo di troppo, e che mi impediva di godere a pieno di quel calore tanto familiare e rassicurante.
Blaine.. i vestiti...
Staccai le labbra dalle sue, con uno schiocco particolarmente erotico - oddio, potrei morire anche ora, dopo un semplice bacio! - e mi fiondai quasi subito con le labbra sul suo collo niveo, portando contemporaneamente le mani sul primo bottone del suo gilet. Lo volevo nudo, completamente nudo e nel minor tempo possibile, solo che, se fossi stato troppo affrettato avrei fatto sicuramente una pessima figura. Anche se, dopo l'allegra scenetta nell'ascensore, avevo già detto addio alla mia dignità quindi non sarebbe cambiato molto se avessi mostrato un po' più di fretta in quel momento.
Goditi il momento, Blaine.. lui è lì con te e non ha intenzione di scappare...
Lo liberai del primo strato di vestiti, lasciando cadere il gilet sul pavimento e a stento mi accorsi del fatto che lui mi avesse sollevato la maglia e mi avesse fatto alzare le braccia per tirarla via: e in quel momento io ero già a torso nudo mentre lui era ancora praticamente vestito, la situazione non era affatto bilanciata. Ma non potei fare nulla, perché, quasi con disperazione, lui mi afferrò la nuca e fece nuovamente scontrare le nostre labbra in un bacio che, strano ma vero, fu ancora più intenso e passionale e fantastico. Da togliere decisamente il fiato e il poco autocontrollo rimasto. Al diavolo.. lui era lì e non sarebbe scappato, certo, ma io avevo aspettato fin troppo e quindi dovevo averlo, punto e basta. Ci sarebbero state altre occasioni per mettere in pratica la lentezza e la meraviglia della scoperta, che avevano fatto da padroni durante la prima volta. Sapevo di essere forse troppo fisico in quel momento, ma quando la passione parte così inarrestabile, non c'è davvero niente al mondo capace di fermarla. Avevamo di nuovo superato un limite, solo che quella volta, c'era decisamente una maglia di meno e più pelle a contatto e più voglia e più desiderio e più consapevolezza e perfino quel pizzico di paura che di certo non guastava, ma rendeva il tutto notevolmente più speciale.
E fu per questo che, spinto da quella nuova carica emotiva, mi ritrovai ad avanzare ancora, fino al bordo del letto e poi lo accompagnai, passandogli una mano dietro la schiena, fino a toccare delicatamente la trapunta per poi posizionarmi esattamente su di lui. E averlo sotto di me, disteso sul mio letto, completamente abbandonato e senza difese mi era decisamente mancato.
Feci scendere le mani verso i suoi fianchi, premurandomi di esercitare una leggera pressione con i polpastrelli, per sottolineare il fatto che bramassi il contatto, ma non mi limitai a quello, scesi più giù fino al bordo dei jeans e iniziai a trafficare con la chiusura, riuscendo quella volta ad aprila senza troppi problemi e a tirarli via in pochissimi movimenti. Almeno ora eravamo più o meno nella stessa situazione, io senza maglia e lui senza pantaloni, anche se.. la sua era decisamente più invitante. Non so come, mi ritrovai a muovermi tra le sue gambe, per sistemarmi meglio e urtai - volontariamente - la sua erezione con la gamba: quello che gli scappò dalle labbra fu uno dei più bei gemiti mai sentiti, che ebbe il potere di entrarmi dentro e di scuotermi e di farmi rabbrividire, tutto nello stesso istante. Alzai gli occhi, abbandonando il suo collo morbido, fino a ritrovare i suoi, appena socchiusi ma carichi di desiderio, un desiderio che chiedeva disperatamente di essere soddisfatto, un desiderio che era lo specchio del mio, un desiderio che lo rendeva inspiegabilmente e sorprendentemente più bello. Mi piegai sulle sue labbra e le catturai con le mie, accogliendo un suo sospiro lungo e tormentato e ritrovandomi a formulare un pensiero, che, non si sa come, mi scivolò morbidamente dalla bocca
"Ti voglio... ti voglio da impazzire.." sussurrai con il cuore in gola e il respiro accelerato, continuando ad accarezzargli le labbra con le mie, lento e inesorabile. Lui si lasciò scappare un piccolo lamento, dolcissimo e profondo, che mi accarezzò il viso e mi fece sorridere
"E allora prendimi." rispose in un leggero respiro intrinso di qualcosa molto simile all'urgenza. Per poco non scoppiai a piangere, perché non era possibile, non potevo credere di aver finalmente libero accesso al suo corpo e di aver ottenuto allo stesso tempo il permesso di... prendere le redini della situazione. Forse, per come stavo messo, non era il caso di esultare troppo, dato che dubitavo fortemente di poter garantire una prestazione quantomeno soddisfacente. In pratica, senza giri di parole, l'astinenza forzata di quelle settimane, poteva anche impedirmi di durare quanto avrei voluto. Avrei fatto una pessima figura e lui avrebbe giustamente riso di me.
Smettila di preoccuparti di queste cazzate. Kurt ti ha appena chiesto di... e tu tergiversi in questo modo? Ma allora vedi che sei seriamente un coglione?...
Avvertii tutto il sangue confluire verso il basso e pulsare quasi dolorosamente: i pantaloni stavano decisamente diventando troppo stretti ma volevo che fosse lui ad occuparsene, lui a far scivolare le mani fino al basso per sfilarmeli via, lui a fare la prossima mossa. Così mi limitai a baciarlo - ancora, e ancora, e ancora - perché non ne riuscivo a fare a meno e perché era l'unica cosa che mi impediva di impazzire, schiacciato da quella marea di sensazioni. Lui rispose al bacio, affondando una mano tra i miei ricci e bloccando l'altra su un fianco: il calore di quelle dita e la loro surreale delicatezza, mi fecero rabbrividire ancora e mi spinsi maggiormente, quasi inconsapevolmente verso di lui, e quella volta il gemito di protesta uscì dalla bocca di entrambi, sconvolgendo me e permettendo a lui di prendere finalmente coraggio e fare scendere la mano verso il bordo dei jeans e passare a sbottonali l'istante dopo. E fu come camminare in bilico sul filo di lana, trattenendo il fiato, mentre la sua mano si intrufolava curiosa oltre l'elastico dei miei boxer, lì dove la situazione diventava decisamente troppo instabile e pertanto pericolosa.
Oddio.. oddio.. oddio...
Non seppi come, riuscii a trattenere in parte il gemito spropositato che premeva per uscire, limitandomi ad un lungo lamento che partì dalla gola e che soppressi, infossando la faccia nell'incavo del suo collo. Bene, avevo detto di essere in una pessima condizione, in realtà, se possibile, stavo messo anche peggio e la sua mano - la sua morbidissima e caldissima e abilissima mano - non faceva che peggiorare il tutto. Eppure non riuscii a dirgli di smetterla, non riuscii a tirare fuori niente di più di un semplice lamento disperato, che forse lui afferrò come incentivo, perché strinse appena più forte attorno a me.
"Ku..r..t.." non credetti neppure che fosse mia quella voce, troppo sconvolta e distorta dal piacere o di essere riuscito a tirare fuori almeno qualche suono, seppure abbastanza privo di significato. Era un buffo e alquanto ridicolo tentativo di farlo smettere, di fargli capire che, se avesse continuato in quel modo, di Blaine Anderson sarebbe rimasto davvero poco. Ma era troppo piacevole, troppo caldo e fin troppo lento e calcolato per pensare seriamente di dire una cosa del genere. La verità era che volevo che continuasse, forse anche di più di quanto non volessi che smettesse di farlo. Ero un bipolare del cazzo e rendersene conto in un momento del genere, era davvero assurdo.
"Kurt... ra..rallenta... ti sup..plico.." implorai portando le labbra direttamente al suo orecchio, sperando che, così facendo il concetto arrivasse prima, e difatti, lui colse la disperazione della mia voce e rallentò notevolmente, fino quasi a fermarsi del tutto. Presi un profondo respiro, cercando di recuperare un pò di fiato e ragione persi strada facendo, e cercando di capire in che modo continuare, evitando il più possibile brutte figure. Prima di tutto mi sollevai appena, poggiando gli avambracci ai lati della sua testa e con un lungo sospiro estasiato, mi persi nella contemplazione del magnifico capolavoro che avevo nel mio letto: i capelli leggermente sconvolti, le labbra rosse e appena socchiuse, gli occhi cristallini e vigili e quel piccolo sorriso che si apriva in risposta al mio, che non mi ero neppure accorto di aver tirato fuori. Eppure c'era, e io e lui, da perfetti idioti, avevamo perfino trovato il momento giusto per sorriderci, nonostante l'urgenza della situazione. Ed era bellissimo poterlo osservare così da vicino, coglierne ogni sfaccettatura, ogni piccola sfumatura della pelle, ogni intreccio di colore nei suoi occhi azzurri ed io, che di perfetto probabilmente non avevo mai avuto nulla, potevo permettermi di amarlo e perfino di dimostrarglielo con i fatti, provando a rendere speciale anche quel momento, facendogli capire attraverso i gesti quanto profondo fosse il sentimento che provavo nei suoi confronti - dato che le parole faticavano ad uscire - esattamente come avevo provato a fare con la musica.
Così, riprendendomi da quell'attimo di smarrimento, gli lasciai un leggerissimo bacio sulle labbra, un bacio che sapeva di attesa, e di promessa, e di tutti quei ti amo detti ma non a parole, sospesi nell'aria e forse mai completamente afferrati. E lui mi sorrise ancora, sempre più bello e forse quello bastò per farmi capire che, in quella situazione, entrambi eravamo fragili ed esposti ed entrambi avevamo paura. Eppure, nonostante questo, eravamo pronti a lasciarci andare, volevamo vivere fino alla fine quel momento e godere di ogni sensazione, bella o incantevole o magica o indescrivibile che fosse stata.
Lasciandogli un altro bacio sul mento, mi tirai a sedere, liberandomi dei jeans ormai a metà e lui ne approfittò per sfilarsi la maglia, così da rimanere quasi completamente nudi; e fu soltanto un attimo, bastò guardarsi ancora negli occhi ed entrambi ci ritrovammo ad avanzare - lui con la schiena su, sorretto dai gomiti, ed io in ginocchio in mezzo alle sue gambe - e ad azzerare la distanza con un altro bacio passionale e profondo. Portai le mani sulle sue spalle e le feci lentamente scendere, con il palmo perfettamente aperto, lungo tutto il suo petto liscio e largo e sorprendentemente tonico, fino al bordo dei boxer che, senza indugio, spinsi via, grazie al suo aiuto, per poi portare le mani dietro la sua schiena e infine fermarle sul sedere; lui mi lasciò fare ma avvertii un leggera traccia di sorriso, stirargli le labbra nel momento esatto in cui lo strinsi tra le mani, beandomi della perfetta consistenza e chiedendomi come avessi potuto starvi lontano per così tanto tempo. E forse feci qualcosa che non si aspettava minimamente, perché non mi limitai a stringerlo o ad accarezzarlo, ma lo utilizzai per aiutarmi a tirare su tutto il suo corpo e a farlo sedere su di me, che nel frattempo avevo sistemato meglio le gambe. Quel movimento lo lasciò per qualche secondo confuso, tanto che abbandonò il nostro bacio per potermi guardare negli occhi
"Blaine..." mormorò. Gli afferrai entrambe le mani e me le portai addosso, fino a farle stringere attorno al mio collo, dopodiché, con una mano sulla schiena, lo spinsi più vicino a me, facendogli aderire il petto al mio e contemporaneamente gli catturai le labbra in un bacio, che di disperato aveva ancora qualche traccia, ma fu più che altro una rassicurazione per lui, un tentativo di fargli capire che, qualsiasi cosa avessi in mente di fare, poteva fidarsi, perché non mi sarei mai permesso di fargli del male né tanto meno di fare qualcosa che potesse infastidirlo. Avevo solo bisogno di.. sentirlo, sentirlo completamente, sentirlo come non avevo ancora fatto e come desideravo fare dal primo momento in cui la passione era scoppiata tra di noi. Poco dopo, staccandomi dalle sue labbra, gli accarezzai una spalla e gli sorrisi
"Stai tranquillo.. voglio solo provare a.. fare una cosa.." tentai di rassicurarlo con il tono più rilassato che riuscii a trovare, seppure mi risultasse particolarmente difficile vista la posizione così ravvicinata e soprattutto il fatto che la sua erezione fosse praticamente schiacciata sul mio stomaco. Eppure vederlo così smarrito mi aveva fatto sentire in dovere di dirgli qualcosa, di sforzarmi di farlo. E per fortuna, riuscii nel mio intento: lui annuì piano, non staccando gli occhi dai miei ed io ne approfittai per sorridergli ancora ed accarezzargli lentamente la schiena, appena tesa. Si rilassò all'istante: lo sentii sospirare e in poco più di un secondo, le sue labbra tornano sulle mie, la sua lingua riprese a danzare tra le mie labbra, spinta dal ritmo della passione e le sue mani affondarono morbidamente tra i miei ricci. La situazione perfetta in pratica e forse quello che avevo in mente di fare, non era così assurdo, dopotutto.
Ci furono altri baci, altre carezze, altri gemiti di piacere soffocati o meno da altri baci, o altra voglia appagata da altre carezze. Mai mi sarei stancato di toccare quella pelle così liscia e morbida e mai soprattutto ne avrei avuto abbastanza della sua voce, ridotta ad un soffio, distorta dal piacere e tormentata, così vicina ad ottenere ciò che davvero voleva, ma ancora troppo lontana per raggiungerlo davvero. Non seppi come, riuscii a trovare la forza per allontanare appena il suo corpo dal mio, per potermi liberare dell'ultimo strato di ingombro e finalmente... finalmente... eravamo solo noi, pelle contro pelle, completamente nudi, l'uno per l'altro. Rimanemmo qualche istante così, abbracciati, coccolati solo dal calore che irradiava il corpo dell'altro ed io fui davvero sul punto di piangere, perché non c'erano parole per esprimere quanto mi fosse mancato - non soltanto fisicamente - non c'erano parole per spiegare quanto potesse essere perfetto ai miei occhi ma soprattutto non c'erano parole per far capire quanto lo amassi e quanto volessi dirglielo in quel preciso istante. Ma non era giusto, non era il momento adatto, perché avrebbe potuto facilmente scambiarlo per un qualcosa sfuggito a causa dell'eccitazione e non potevo permettermelo. Lui non se lo meritava, lui doveva avere... quelle parole.. ma in un altro modo.
Kurt si sporse leggermente verso il comodino ed afferrò qualcosa, per poi tornare a schiacciarsi contro di me, tirandomi leggermente la testa indietro per poter approfondire meglio un altro lunghissimo bacio. Tentai in ogni modo di essere il più possibile delicato con lui durante i successivi minuti, mentre lo preparavo per bene. Ma non potei trattenermi dal tremare appena, mentre il suo viso si contraeva in una smorfia di dolore, anche se leggera, anche se era necessaria, anche se rimaneva ugualmente bellissimo.
Ma alla fine, non appena fu pronto e non appena lui stesso mi fece capire di volere andare avanti, con un sospiro, afferrai la bustina del preservativo e, con le mani che tremavano e il cervello che connetteva davvero poco e niente, provai ad aprirla, con scarso, scarsissimo risultato. Kurt allora me la sfilò dalle mani, delicatamente, poggiando nello stesso istante le labbra sulla mia guancia e respirando così vicino a me, da farmi quasi il solletico. Quel momento mi ricordò esattamente ciò che era successo a casa sua, due settimane prima, la sua paura, i suoi occhi terrorizzati, le sue mani che tremavano, esattamente come le mie. Eppure ci era riuscito, era andato avanti ed era stato.. incredibile. In quel momento invece, quello terrorizzato ero io, erano le mie le mani che tremavano e probabilmente se mi fossi guardato allo specchio avrei letto lo stesso tipo di terrore che quel giorno aveva attraversato i suoi occhi. In quel senso ci compensavamo, se uno era spaventato, l'altro si preoccupava di tranquillizzarlo, se uno sbagliava l'altro glielo faceva notare - anche se sempre con dolcezza - se uno si perdeva, l'altro lo riportava sulla strada corretta. E infatti così fu, anche in quel momento.
Kurt riuscì ad aprire la bustina e a tirare fuori il preservativo, per poi srotolarlo con una lentezza disumana lungo tutta la mia erezione - Dio... mio - facendomi gemere quasi disperato. Ero diventato troppo sensibile e al minimo tocco, sarei senza dubbio esploso. Ero ancora convinto di voler essere io a condurre? Ero ancora convinto di esserne capace?
Certo, a meno che...
Gli catturai le labbra in un gesto quasi famelico, e contemporaneamente lo sentii sollevarsi appena e posizionarsi, per poi scendere, lentamente ed inesorabilmente, fino alla fine. E quello fu il punto del non ritorno. Il lamento che mi scappò dalle labbra e che non riuscii a controllare, probabilmente arrivò forte e chiaro perfino alle orecchie di Artie Abrams al primo piano, ma sinceramente non mi interessava. Avevo trattenuto fin troppo a lungo, avevo soffocato fin troppe cose... ora basta. Mi sarei lasciato andare completamente a lui, nelle sue mani, perché era esattamente ciò che volevo disperatamente fare. E proprio per questo, dopo essere riuscito a recuperare un pò di ragione e perfino la vista che era ancora leggermente appannata, riaprii gli occhi e li puntai nei suoi, e lì capii che non fosse messo meglio di me. Un labbro era trattenuto tra i denti, le guance rosse e gli occhi... indescrivibili. Rimanemmo a guardarci per un lungo istante, sospesi e scossi, tremanti e ancora legati e quello si dimostrò esattamente ciò che avevo in mente. Quella posizione, l'averlo seduto su di me, attorno a me, così vicino da essere quasi surreale... era meraviglioso... era meraviglioso perché lo sentivo mio, più di quanto avessi mai fatto, era meraviglioso perché potevo contare ogni respiro che gli scuoteva il petto, ogni ansito che gli scivolava via dalle labbra, ogni più piccolo desiderio non espresso ma ugualmente comprensibile. E se quello non significava essere profondamente legati, allora mi chiesi cosa potessi fare ancora di più.
Sei perfetto, Kurt.. ogni cosa che fai o che dici... è perfetta... ed io ti amo, ti amo tanto...
In quel tumulto di emozioni e in quel precario equilibrio, riuscii a chiedergli di muoversi, perché volevo fosse lui a decidere tutto, tempi e ritmo e fu davvero bello vedere formarsi sul suo viso quella dolcissima smorfia di stupore che riuscii a stringermi lo stomaco e a farmi sorridere. Chi l'aveva stabilito che io se fossi stato l'attivo, avrei dovuto decidere anche il resto. Questo era il bello dello stare insieme, sperimentare, provare, desiderare completamente l'altro anche nelle forme più inaspettate. Ed io lo volevo così, perché era un modo nuovo di sentirlo - nuovo anche per lui a giudicare dalla sua espressione - e perché già così, stando semplicemente immobili, mi piaceva da impazzire. E alla fine, arrossendo appena sulle guance, mi sorrise ed avvicinò il viso per lasciarmi un tenero bacio sulle labbra e mormorare qualcosa simile al grazie, ma che si confuse in un respiro.
Sono io che dovrei ringraziare te, non il contrario...
Iniziò a muoversi, prima lentamente, semplicemente accennando un leggero movimento dei fianchi - e già solo quello, sarebbe stato capace di mandarmi fuori di testa - per poi aumentare leggermente, soprattutto l'angolazione e la profondità, ad ogni spinta. Ed io, ad ogni spinta, perdevo un pò di vita, un pò di dignità, un pò di quella lucidità che ancora mi teneva legato al mondo dei vivi. Ma alla fine, sarebbe stato inutile preoccuparsi o vergognarsi, perché non c'era niente di male, perché era bellissimo e perché eravamo io e lui, semplicemente Kurt e Blaine che, seduti al centro del letto, si stavano donando, si stavano esponendo reciprocamente, senza alcun limite né difesa. Sentirsi così avvolti, così... completi, e protetti.. in un certo senso faceva paura, perché era la prima volta che facevamo l'amore da quando avevo scoperto di amarlo così tanto. Forse prima, non coinvolgendo i sentimenti, per quanto fosse stato ugualmente speciale.. era stato più gestibile, ma adesso.. mi sentivo esplodere da ogni verso, non solo fisicamente. Per questo, troppo vicino al limite, da perdere quasi il contatto con la realtà, mi ritrovai a stringere la presa attorno alla sua mano e ad affondare il viso nell'incavo del suo collo, mentre lui continuava a muoversi inesorabilmente portandomi sempre più in prossimità del baratro. E forse sarebbe stato davvero un viaggio senza ritorno, forse sarebbe stato davvero complicato riprendersi, ma.. come sempre, qualsiasi cosa fosse successa, se ad affrontarla fossimo rimasti insieme, allora nessuno dei due si sarebbe fatto male ed entrambi avremmo ritrovato facilmente, il giusto posto nel mondo.

New York City. Ore 09.05 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)

Circa mezz'ora dopo, mentre contemplavo il bellissimo viso rilassato del ragazzo che amavo, ero completamente un'altra persona. Mi sentivo bene, in pace con me stesso e con il mondo e quel peso che, da più di una settimana, mi opprimeva lo stomaco e mi faceva andare a dormire sempre agitato e scontroso, era magicamente sparito. E tutto per merito di Kurt, tutto per merito del suo essere speciale e unico e... incredibilmente mio. Ed era particolarmente rilassante vederlo giocherellare con le mie dita - ad intrecciarle con le due, accarezzarne i polpastrelli e disegnare cerchi immaginari sul palmo della mano - steso su di me, con il mento poggiato sul mio petto e le gambe intrecciate alle mie. Anche lui sembrava il ritratto del benessere con quei capelli sconvolti - ero stato io a ridurglieli così? - i muscoli distesi e il respiro regolare che si infrangeva sulla mia pelle, provocandomi un leggero ma piacevole solletico. Sarei rimasto tutta la vita e forse anche oltre ad osservarlo, e chissà... magari lui me l'avrebbe perfino lasciato fare. Qualche istante dopo, avvertendo un desiderio inspiegabile decidere per me, allungai una mano verso di lui e l'affondai morbidamente tra i suoi capelli, scompigliandoglieli ancora di più e ridacchiando di conseguenza. Lui sollevò gli occhi verso di me, facendomi mancare un paio di battiti, e mi sorrise - altri due battiti in meno.
"Grazie." mormorai recuperando un pò di quella voce che era andata via, insieme alla scia dell'orgasmo. Lui aggrottò la fronte
"Per cosa?" domandò. Mi strinsi nelle spalle
"Non lo so.. tu.. riesci a sorprendermi... sempre!" esclamai con un sorriso radioso, mentre il cuore mi batteva ad uno strano ritmo nel petto, quasi stesse ballando. Le labbra gli si piegarono in un sorriso dolce e le guance si colorarono appena
"Se è per questo.. lo fai anche tu." ribatté sollevando un sopracciglio, appena divertito
"Sì ma non è la stessa cosa. Tu... non puoi essere umano.. non puoi davvero!" borbottai scuotendo la testa e facendolo ridere - la sua risata... un migliaio di campanellini che suonano una melodia incredibilmente bella.
"A proposito di umano e non... pensa al povero Cooper... chissà cosa gli starà facendo passare Lea." fece lui ridacchiando, passandomi distrattamente un dito sul petto e facendomi rabbrividire al contatto
"Ben gli sta... è la giusta punizione per tutti i dispetti che mi fa. Ieri notte si è addormentato addosso a me, e quando mi sono risvegliato mi sono ritrovato la sua coda quasi interamente in bocca." raccontai con una smorfia e lui scoppiò a ridere di gusto, facendo vibrare entrambi in un movimento particolarmente piacevole
"L'influenza di Sebastian, immagino.." mormorò ancora ridacchiando
"Ovvio!" ci guardammo per un lungo istante, uno sguardo limpido e ricco per tutto quello che c'era stato poco prima, tutto quello che avevamo provato, dopodiché, quasi ci fossimo messi d'accordo, scoppiammo a ridere insieme come due idioti. E fu così bello, così distensivo e pacifico unire la mia risata alla sua, e constatare come, anche quelle, fossero destinate ad intrecciarsi armonicamente. Probabilmente, ripensandoci, in quel momento fu tutto un insieme di cose... l'aver appena fatto l'amore, l'avere il suo corpo ancora legato al mio, il sentirmi così leggero e libero, ma soprattutto il luccichio straordinario nei suoi occhi... tutto questo, all'improvviso, mi diedero la forza per parlare, dopo aver per troppo tempo taciuto.
"Kurt?"
"Mmm..?"
Ora o mai più...
"Ti amo!"
 
New York City. Ore 09.12 P.M. 21 Aprile 2012 (Sabato)

Due parole. Soltanto due parole. Quanto potere potevano mai avere due semplici parole? Un potere immenso a quanto pare, un potere inaspettato, un potere così intenso da scalfire perfino il cuore, da ribaltare lo stomaco e metterlo sottosopra, un potere... grande come il significato che custodivano. Perché prese singolarmente non valevano nulla, ma messe insieme.. Dio... erano.. Dio...
Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo... Ti amo...
Non c'è nessun libro al mondo, nessun manuale, nessun libretto di istruzioni che ti spiega cosa fare e come reagire in casi come quello. L'averlo immaginato sempre, l'aver ogni giorno desiderato con tutto me stesso di sentire parole così.. di quella portata, non mi aveva di certo preparato a dovere, non mi aveva affatto detto come dovermi comportare. Avrei dovuto dire qualcosa? Avrei dovuto gridare? Mi sarei dovuto alzare e mettermi a saltellare per tutto l'appartamento? Sarei dovuto scoppiare a piangere? Perché quello lo stavo già facendo, o meglio... ero davvero molto vicino a farlo davvero. E tutto per due semplicissime parole, neanche troppo grandi. Erano un ti e un amo... che messi insieme davano ti amo... che pronunciato da Blaine... faceva una bella differenza.
"Puoi... ri.. ripetere?" non so come riuscii a tirare fuori quei due suoni strozzati, senza collassare. Lui fece un profondo respiro, senza mai distogliere lo sguardo dal mio
"Ti amo!" ripeté e per la seconda volta fui colpito da una scarica in pieno petto che mi fece tremare e mancare il fiato. L'aveva detto di nuovo, quindi non me l'ero immaginato. Lui... aveva detto che mi amava. Blaine mi amava. E me lo aveva appena ripetuto.
"Kurt io... ti amo.. ti amo da impazzire, ti amo tanto da non riuscire a respirare, tanto da non dormirci la notte; ti amo dal primo momento in cui ho incrociato i tuoi occhi in quel bagno del pub; ti amo perché sei l'essere più speciale e perfetto del mondo; ti amo perché, nonostante questo, chissà per quale incomprensibile ragione, hai scelto di affidarti a me, facendomi entrare nella tua vita e dandomi modo di amarne ogni più piccola sfaccettatura; ti amo perché sei forte e fragile allo stesso tempo; ti amo perché mi hai permesso di credere ancora nell'amore, nonostante avessi giurato a me stesso di non farlo più; ti amo perché sei talmente tanto puro e limpido da farmi sentire allo stesso modo ogni volta che ti guardo; ti amo perché sento la necessità di proteggerti sempre e perché vorrei continuare a farlo, soprattutto quando sarai tropo fragile per farlo da solo; ti amo perché hai sempre avuto nelle tue mani la mia anima e il mio cuore e li hai trattati con estremo rispetto; ti amo perché... perché sei il mio dolce e bellissimo angelo e vorrei averti con me sempre, ogni istante della mia vita, per potertelo ripetere all'infinito." e non erano più soltanto due parole, adesso erano diventate decine e decine di parole, parole all'apparenza banali, parole che tutti conoscevano, parole... eppure io mi ero ritrovato a piangere senza controllo e a stringere la presa attorno al suo braccio perché avevo bisogno disperatamente di un appiglio altrimenti sarei annegato. Ma lui c'era, era lì, sotto di me, che mi guardava con i suoi occhi dorati, bellissimi e buoni ma soprattutto sinceri. Mai avrei potuto immaginare di provare un'emozione così forte, anche se.. con Blaine succedeva sempre così.. lui diceva che ero io a sorprenderlo, ma non si rendeva minimamente conto di quanto invece lui sorprendesse me, in ogni istante.

"Kurt... non farlo.. non piangere.. io.. mi dispiace... non.." balbettò qualcosa a disagio, accarezzandomi una guancia con la mano tremante e catturandomi un paio di lacrime che correvano indisturbate. Mi distruggeva vederlo così tormentato e preoccupato, e soltanto pensare che potesse anche lontanamente credere che quelle parole potessero avermi ferito...
No Blaine... No...
"Ti amo!" mi ritrovai a dire senza fiato, con il cuore che batteva frenetico nel petto. E sentii solo quello, nient'altro che l'eco del mio cuore, il battito sotto pelle, nelle vene, in testa. Fece quasi più effetto averlo detto, averlo finalmente espresso a voce, che averlo sentito. Forse perché non avevo ancora realizzato. Forse perché ancora non credevo di essere riuscito a confessarlo prima che a lui a me stesso. Non l'avevo mai detto a nessuno perché mai nessuno prima di Blaine era riuscito ad entrarmi nel cuore con la stessa intensità. Perché Blaine era il mio primo vero amore. E probabilmente anche l'unico che avrei mai amato nello stesso modo.
I suoi occhi si sgranarono, quasi quanto i miei e la sua mano interruppe una carezza sul mento e lì si fermò, tremante ma leggerissima
"C-cosa?"
"Ti amo anche io Blaine. Io ti amo con tutto il cuore e ti voglio nella mia vita perché sei la prima vera cosa bella che ho avuto l'onore di poter assaporare.. ti amo così tanto che a volte sento il cuore esplodermi nel petto e ti ringrazio per avermi fatto innamorare di te perché da quando ti conosco... la vita mi sorride, come non è mai successo e come non speravo più potesse succedere. Tu mi hai... ridato la speranza, tu.. sei la mia speranza. Ed io..." non riuscii più a continuare, per colpa delle lacrime e la vista appannata e la voce distorta dai singhiozzi. Ma ancora una volta erano lacrime che non facevano male, erano quasi liberatorie... Blaine mi aveva appena confessato di amarmi ed io avevo fatto lo stesso. Sentirsi così leggeri e così pieni di emozione era indescrivibile e non aveva prezzo. Sarei stato contento di piangere anche all'infinito per lui e per la gioia che mi regalava.
La sua mano tornò a posarsi, ancora leggermente tremante, sulla mia guancia, accarezzandomi lo zigomo con il pollice e per un momento rimasi seriamente abbagliato dal sorriso incredibile che mi regalò: era carico di emozione, quella volta sottolineata perfino dalle leggere lacrime che si intravedevano ai lati degli occhi, esprimeva tutta la meraviglia e la sorpresa, e soprattutto era chiaro che fosse sincero come non mai; e quella sincerità, a tratti perfino disarmante, ebbe il potere di scaldarmi il cuore e rendere Blaine ai miei occhi ancora più bello.
"Ok... Credo sia il caso che a questo punto uno dei due dica qualcosa, altrimenti rischio di morire in questo letto, seduta stante!" borbottò, con una leggera risata emozionata e le fossette che andavano a contornargli il magnifico viso. Ridacchiai anche io, asciugandomi le lacrime sulle guance e scivolando addosso a lui, per avvicinarmi meglio alle sue labbra ed accarezzargliele con un leggero e delicato tocco
"Se ti può consolare... Anche io mi sento morire in questo momento.." confessai a pochi centimetri dalla sua bocca, che si increspò in un nuovo sorriso meraviglioso. Fu lui ad avvicinarsi di nuovo e a bloccare le mie labbra con le sue
"E allora.. mi sa che conviene rassegnarci! Non c'è soluzione per questo problema!" esclamò divertito, facendomi ridere, ancora emozionato, con il cuore a mille e lo stomaco pieno di farfalle che facevano a gara a chi volasse più in alto.
Calmate le risate, rimanemmo per alcuni lunghi istanti a guardarci negli occhi senza dire nulla; io semplicemente mi persi in quell'universo fatto di oro e verde, senza mai sentirmi solo o spaventato, anzi... sentendomi perfettamente a mio agio e al sicuro, quasi fossi a casa mia. E d'altronde Blaine era davvero casa mia, lo era già diventato inconsciamente da parecchio, ma ormai ne avevo la prova inconfutabile.
Io lo amo... lui mi ama... ama me, ama questo essere imperfetto con la sua vita incasinata e la sua marea di problemi... ama proprio me, ed io non riesco ancora a capacitarmene...
Senza pensarci, feci scorrere l'indice in una linea immaginaria che partiva dall'attaccatura dei capelli sulla fronte e scendeva fin giù, passando per il naso, solcando a metà le labbra carnose e sorridenti, accarezzando il mento pronunciato, correndo lungo il collo, sul pomo di Adamo e fermandosi esattamente sul petto, all'altezza del cuore, che in quel momento scalpitò, in perfetta armonia con il mio
"Tu sei lì dentro... e farò tutto ciò che è in mio potere affinché tu ci rimanga per quanto più tempo possibile!" esclamò con decisione, affondando contemporaneamente una mano tra i miei capelli e avvicinando così ancora di più il mio viso al suo. E quello che mi disse ebbe il potere di farmi tremare ancora
"Anche per sempre?" domandai esitante, aprendo il palmo della mano e sistemandolo meglio sul petto
"Anche oltre, se me lo permetterai." mormorò in risposta piegando appena la testa di lato.
Per sempre... e anche oltre...
Quella volta il bacio fu una cosa voluta da entrambi, perché ci muovemmo l'uno verso l'altro e finimmo con il trovarci a metà strada in un dolce, passionale ed intenso bacio, che sapeva di tante cose belle ma soprattutto sapeva di amore. Del nostro amore.
"Dunque a scanso di equivoci... stiamo insieme io e te?" domandò divertito, con un filo di voce, mentre la punta del suo naso correva morbidamente lungo la mia guancia. Scoppiai a ridere di gusto, approfittandone per rubargli un altro bacio
"Sì, direi di sì!" confermai elettrizzato e con il cuore traboccante d'orgoglio. Il mio ragazzo... Blaine era il mio ragazzo ed io finalmente potevo esserne completamente fiero. Lui si lasciò scappare una mezza risata per poi leccarsi leggermente un labbro, con lentezza
"Bene... almeno ora so cosa rispondere, la prossima volta che qualcuno me lo chiederà." mormorò con tono leggero e divertito. Scoppiammo a ridere quasi nello stesso istante, come due bambini, come due ubriachi, come due sciocchi innamorati, come due che, finalmente, avevano trovato qualcosa di giusto per cui combattere, andare avanti e vivere. E il nostro amore ci avrebbe aiutati in quello, ci avrebbe protetti, guidati, fatti crescere e soprattutto ci avrebbe indissolubilmente legati... per sempre e anche oltre.

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Capitolo 40
*** Timori infondati e Sogni a portata di mano ***


Buonasera cucciolotti miei... dopo tante peripezie e, come al solito, aver mancato ad una promessa che vi avevo fatto (proprio non sono riuscita ad aggiornare ieri) eccomi qui... dunque... questo capitolo, il post ti amo, ci porta una bella sorpresa.. o almeno.. io credo sia bella, spero che anche voi apprezziate. ^^ diciamo che, dopo un capitolo così intenso è difficile competere, però, stiamo volgendo verso la fine quindi bisogna necessariamente chiudere qualche altra questione che è rimasta in sospeso e se date un'occhiata all'immagine qui sotto, capirete a chi mi riferisco :) bene, vi lascio al capitolo augurandovi buona lettura e chiedo ancora scusa per il ritardo. Vi amo tutti e sappiate che, anche se non ho ancora risposto alle vostre magnifiche recensioni, le leggo tutte, una per una, e le adoro, perchè mi danno la forza e mi fanno sentire il vostro affetto, sempre e comunque, quindi GRAZIE! Ci vediamo Martedì prossimo o, molto più probabilmente Mercoledì, con il penultimo capitolo (eh sì ç__ç) vi faccio sapere meglio sulla mia pagina Fb. Un bacione <3
p.s. Grazie Dan mio... :*
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments ) - momentaneamente sospesa, ma riprenderà appena possibile, promesso!




New York City. Ore 10.23 A.M 22 Aprile 2012 (Domenica)

Bellissimo. Semplicemente bellissimo. Questa era l'unica parola che mi veniva in mente in quel momento, mentre osservavo Blaine dormire al mio fianco. Era bellissimo lui, era bellissimo il calore che il suo corpo irradiava, era bellissima l'espressione serena che gli disegnava il volto, era bellissimo trovarsi così vicino dal poterlo toccare e sapere perfettamente di poterlo fare, perché ormai non dovevo più farmi scrupoli, perché lui era mio - il mio ragazzo, Santo Cielo! - e perché mi amava. Sì... mi amava. Non era stato un sogno, lui era reale, il suo corpo nudo steso accanto al mio lo era, l'intorpidimento che sentivo alle gambe lo era - e per quello mi ritrovai inconsapevolmente a sorridere ed arrossire - l'amore che sentivo scaldarmi il petto.. lo era. E poi, non credevo di poter essere capace di sognare qualcosa in maniera così perfetta, perché probabilmente neanche nel mondo parallelo dei sogni, un momento avrebbe potuto essere così speciale e.. bellissimo, appunto.
Sospirai estasiato, dando un'occhiata veloce all'orario sul mio telefono e ridacchiando del fatto che, in tutta la mia vita, non mi fossi mai trattenuto così tanto e in maniera così sfacciata a letto. Mi sarei potuto alzare, come era successo quella volta nel mio appartamento, e andare a preparare la colazione, anche se a conti fatti era casa di Blaine e, per quanto fosse ormai parecchio familiare, era giusto che se ne occupasse lui. E poi... beh, sarei stato uno stupido ad abbandonare volontariamente un giaciglio tanto comodo e caldo solo per un bisogno tanto stupido quale la fame. Mi sarei sfamato di amore e della visione meravigliosa di Blaine. Qualche istante dopo, con un profondo sospiro sereno, si mosse appena verso di me, fino ad intrecciare una gamba con la mia e riuscire a poggiare le labbra sul mio collo, facendomi arrossire.
"Sento il tuo sguardo perforarmi da parte a parte..." un mormorio leggero mi giunse all'orecchio, facendomi ridacchiare. La sua voce di prima mattina, assonnata, era a dir poco sublime ed io sentii il mio stomaco contorcersi piacevolmente
"Credevo di essere stato più discreto." scherzai, affondando senza pensarci una mano tra i suoi ricci, accarezzandoglieli
"No, non lo sei stato..." rispose divertito, lasciandomi un bacio leggero sulla spalla che mi fece rabbrividire
"Mi dispiace.."
"Non farlo!" mi bloccò sollevando la testa e puntando i suoi occhi dorati nei miei, riuscendo a farmi meravigliare per l'ennesima volta di quanta profondità ci fosse all'interno e di quanto potessero sembrare caldi e rassicuranti. Un colore... un semplice colore poteva fare tutto questo.
"Cosa?" domandai ipnotizzato
"Non dispiacertene... per quanto mi riguarda, è stato il miglior risveglio di sempre." mi assicurò, con un sorriso dolce che mi fece sorridere di conseguenza "Fosse così tutte le mattine." aggiunse in tono leggero, tornando ad affondare il viso nell'incavo del mio collo, facendomi il solletico con il respiro
"Che cosa mi stai chiedendo Blaine?" gli domandai divertito, ma con il cuore che batteva all'impazzata nel petto. Lo sentii ridacchiare ed accucciarsi maggiormente a me
"Niente... cioè... niente che valga la pena di essere affrontato a stomaco vuoto." rispose risollevando la testa e sorridendo ancora, quella volta visibilmente allegro. In quel momento, vederlo così disteso, così tranquillo, così affettuoso e così maledettamente bello, mi fece dimenticare tutto, perfino del fatto che non mi fossi ancora lavato i denti, e mi sporsi verso di lui, per annullare quella ridicola distanza, e feci mie quelle magnifiche labbra morbide e sorridenti che, contro ogni aspettativa, risposero immediatamente al mio tocco, riportandomi con la memoria alla sera precedente, quando c'erano stati tanti baci passionali, tante carezze, tanta pelle a contatto - non che in quel momento ce ne fosse poca - tanta sorpresa... nelle prime due esperienze con lui, avevo seriamente creduto di aver sperimentato tutto ciò che ci fosse da sperimentare; quella notte, invece, mi ero reso conto di non avere neanche idea di quanto ancora potessi prendere ed offrire ad un corpo come il suo.
Ci staccammo qualche istante dopo, quando entrambi sentimmo la necessità impellente di respirare, e senza metterci d'accordo, ci ritrovammo a sorriderci, visibilmente emozionati e decisamente troppo coinvolti da quello che era partito come un semplice ed innocente bacio del buongiorno.
In effetti... anche io vorrei che tutte le mattine, fosse esattamente così...
In quel momento, proprio mentre mi preparavo per dire qualcosa di romantico, tipo quanto fosse stato bello fare l'amore con lui la sera precedente o quanto adorassi la smorfia tenera che metteva su quando dormiva, accadde qualcosa di... spiacevole: il mio stomaco urlò come un indemoniato, riuscendo ad irrompere violentemente in quel momento tanto splendido, e congelandomi sul posto.
Cazzo...
Ci guardammo per un lungo e silenziosissimo istante, mentre sentivo la mia faccia riscaldarsi gradualmente e la sua contrarsi appena, in quella che sembrava decisamente un inizio di risata e un tentativo per trattenerla
"Non osare..." lo minacciai, puntandogli un indice contro. Lui si strinse tra i denti un labbro e scosse la testa, ma era evidente che fosse prossimo all'esplodere
"Blaine!" lo ammonii, perdendo un pò di quella decisione e iniziando a trovarci perfino io qualcosa di esilarante. Lui si lasciò scappare un verso, che mascherò con un colpo di tosse, portandosi la mano davanti alla bocca e continuando a guardarmi con i suoi occhi maledettamente divertiti. Così alla fine cedetti, con un lungo sospiro ed un sorriso
"D'accordo... ho fame, tanta fame... contento?" borbottai, tirandogli uno schiaffetto giocoso sullo stomaco e lui finalmente si liberò dalla costrizione della mano e scoppiò a ridere, con una meravigliosa ed armonica risata che riuscii a contagiare anche me
"E colazione sia! Ci penso io, tu intanto... rimani pure qui, ti chiamo quando è pronto!" si allungò per lasciarmi un altro bacio leggero sulla bocca e mi sorrise tenero, prima di sollevarsi a sedere e iniziare a rivestirsi sotto i miei occhi estasiati. Proprio mentre si infilava i pantaloni, mi venne in mente una cosa
"Ehm.. Blaine?"
"Sì?" fece lui, girandosi verso di me
"Potrei... ecco... approfittare della tua doccia?" domandai leggermente a disagio, sentendomi arrossire. Lui mi sorrise quasi immediatamente, in maniera del tutto spontanea
"Ma certo, non c'è neanche bisogno di chiedere! Fai pure con comodo e... gli asciugamani puliti sono nel mobiletto sotto il lavandino." mi informò e, prima di sparire in corridoio, mi rivolse un altro sorriso da stordimento. Sì, ero decisamente un caso disperato e difficilmente mi sarei abituato a tutto quello.
Avvolgendomi una coperta addosso, mi rintanai in bagno ed aprii il miscelatore dell'acqua calda, dando nel frattempo un'occhiata in giro, in cerca degli asciugamani di cui mi aveva parlato. Qualcosa però attirò la mia attenzione e, con un sorrisetto emozionato, mi permisi uno strappo alle regole, una trasgressione davvero molto.. trasgressiva e così, dopo essermi dato una lavata veloce ed aver, accidentalmente, usato un pò del suo bagnoschiuma - papaia e mango - mi affrettai ad uscire e con un sorriso estasiato mi avvolsi il suo accappatoio addosso. Ed era esattamente come avevo immaginato: quella piccola trasgressione era eccitante e piacevole e sapere di aver addosso la stessa spugna che normalmente sfiorava il suo corpo, mi faceva stringere lo stomaco.
Tornai in camera, tendendo d'occhio la cucina, dalla quale proveniva il profumo del caffè, e mi rivestii in fretta e furia, quasi temessi che da un momento all'altro potesse tornare e potesse accorgersi di quel piccolo furto fuori programma. Ma alla fine ebbi la meglio, perché riuscii perfino a rimettere al posto giusto l'accappatoio rubato e con un sorriso soddisfatto, mi diressi in cucina, affamato come non mai.
Qui, dove il profumo del caffè si mescolava armonicamente a quello invitante e delizioso delle frittelle, trovai Blaine, chino sulla tavola, con un cucchiaino in mano e il barattolo del cacao nell'altra, concentrato su qualcosa, e con la punta della lingua stretta tra le labbra. Ma cosa diavolo stava facendo?
"Ehi.." mormorai, per attirare la sua attenzione, ma riuscii soltanto a spaventarlo, tanto che lo vidi saltare sul posto, lasciandosi scappare dalle mani il barattolo del cacao che atterrò, per fortuna, sul tavolo, alzando una piccola nuvoletta scura. Si portò immediatamente una mano sul petto, chiudendo gli occhi
"Dio Santissimo... stavo per rimanerci secco." borbottò con un lungo sospiro. Io, dispiaciuto al massimo, mi avvicinai a lui e gli strinsi la mano
"Oh, Blaine scusami io..." ma il mio sguardo fu catturato da qualcosa, qualcosa di piccolo e incredibile che stava sul tavolo, qualcosa che galleggiava appena sulla superficie del caffè, qualcosa che mi fece bloccare il respiro nel petto. Un piccolo cuore color cioccolato sembrava quasi sorridermi dall'interno della tazza, nonostante la piccola sbavatura che c'era su un lato ed era... Dio era bellissimo!
"Blaine..." mormorai quasi senza fiato, mentre iniziavo a realizzare quanto idiota fossi e quanto dolce invece fosse lui. Lo vidi arrossire leggermente e portarsi una mano sulla nuca, imbarazzato
"Lo so che non è un granché... ma io scrivo musica... l'artista tra i due sei tu e poi mi hai fatto spaventare quindi... è uscito fuori un bel disastro." si scusò allora, indicando la tazzina. Sollevai lo sguardo su di lui, sorprendendomi di trovarlo ancora leggermente imbarazzato, ma meraviglioso come sempre.
"Lo hai fatto... per me?" domandai appena e lui annuì lentamente accennando un piccolo sorriso intimidito. E quello fu senza dubbio, ciò che fece scattare in me qualcosa, perché mi ritrovai ad avvolgergli le braccia al collo e a stringere forte e ad affondare il viso tra la spalla e il collo e ad inspirare forte il suo odore familiare ed avvolgente e... ad amarlo appena un pò di più.
"É bellissimo... grazie!" gli sussurrai all'orecchio e subito lo sentii sorridere e stringere appena un pò di più la presa attorno ai miei fianchi di conseguenza. Aveva avuto la stessa idea a cui avevo pensato anche io, la mattina in cui a casa mia volevo preparargli la colazione, solo che quella volta David ci aveva interrotti e quindi il sorriso al gusto di cacao che avevo preparato con tanta attenzione per lui, ero stato costretto a berlo io, mentre lui scappava come un ladro dal terrazzo per non farsi scoprire. Quella mattina tutto era andato storto, e adesso, a distanza di un paio di settimane.. quel tutto aveva acquistato un senso, quel tutto era diventato magico, quel tutto eravamo io e lui, senza più intrusi. E quella volta, al posto di un semplice sorriso, c'era perfino un cuore che coronava la nostra giornata.
Rimanemmo abbracciati ancora un pò, in mezzo a quella cucina che ancora profumava di caffè e frittelle, fino a che il mio stomaco non brontolò di nuovo, quella volta in maniera leggermente più discreta
"Coraggio... sediamoci altrimenti si fredda tutto." mi disse, e mi lasciò libero, non prima di avermi lasciato un leggero bacio sulle labbra ed avermi sorriso ancora. Ci sistemammo uno di fronte all'altro, come la prima volta, e molto serenamente iniziammo a mangiare - per la gioia del mio stomaco - ed ovviamente, quello che aveva preparato si rivelò straordinario.
"Se la carriera musicale non dovesse andare bene, puoi sempre buttarti sulla cucina!" esclamai, infilzando un pezzo di frittella con la forchetta, e facendolo ridacchiare
"E se... volessi cucinare soltanto per te?" mi sfidò malizioso, inarcando un sopracciglio. Risposi alla sua provocazione con un mezzo sorriso sghembo
"In tal caso... il resto del mondo dovrà fare a meno della cucina Anderson. A quanto pare è per privilegiati." ribattei, servendomi di un altro pezzo di frittella e alla fine, nonostante la bocca piena, mi unii alle sue risate, che accendevano lentamente la mia giornata, nella maniera più incredibile ed intensa possibile.
Finimmo di fare colazione tranquillamente, parlando del più e del meno, senza però fare accenni alla sera prima, né a quello che ci eravamo detti, tanto che, con una certa nota di dispiacere annidata nel petto, iniziai a sentirmi seriamente uno stupido, perché per un momento, in quel letto, avevo davvero creduto che ci fossimo confessati a vicenda il nostro amore e che avessimo perfino stabilito di stare insieme, come coppia. E allora perché, una volta sorto il sole, non ne avevamo più parlato? Era semplice imbarazzo oppure semplicemente mi ero immaginato tutto, come avevo temuto all'inizio, svegliandomi?
"Io devo andare... Rachel mi aspetta e questa volta dico sul serio!" annunciai, recuperando il cellulare e la giacca dal soggiorno e girandomi verso di lui, per sorridergli.
"Non è che c'è un'altra sorpresa... magari questa volta nel tuo appartamento?" domandò divertito, avvicinandosi
"Purtroppo no." risposi ridacchiando "Adesso si lavora... e si fa sul serio." e con un sospiro sottolineai quello che mi aspettava, quello che dovevo fare per il concorso, in poco più di dieci giorni. Lui mi raggiunse, mi poggiò una mano sulla guancia, che accarezzò lentamente, dopodiché mi sorrise
"Ce la farai, Kurt.. ne sono sicuro. Io... ho fiducia in te e sono certo di non essere l'unico." mi disse con convinzione e tenerezza, riuscendo a farmi sciogliere, appena un altro pò
"Grazie." risposi ed ero pronto ad abbassare gli occhi ed andarmene, ancora con quel leggero magone in gola, per aver realizzato di essere immaginato tutto quanto, quando all'improvviso lui..
"E se questo non dovesse bastare.. ricordati che ti amo... per sempre e anche oltre." fece con ancora più convinzione e intensità e tenerezza. Ed io, che ero davvero un idiota geneticamente modificato, e che per la seconda volta, mi ero ritrovato a mancare un paio di respiri per quelle parole, sorrisi, sentendo chiaramente il magone sparire, dissolversi e lasciare il posto ad una piacevole sensazione di benessere, come una carezza, che risaliva per tutto il corpo, riscaldandolo.
L'ha detto ancora.. e non siamo nel suo letto, non siamo nudi... è reale...
"Ti amo anche io e... per farmelo ricordare, mi sa che dovrai ripeterlo un pò più spesso da adesso in poi!" così evito di pensare di essermelo immaginato, aggiunsi nella mia mente. Lui sorrise e si sporse per lasciarmi un morbidissimo bacio a fior di labbra
"Molto... molto... molto... volentieri, signor Hummel!" mi assicurò a pochi centimetri dalle mie labbra, che si incurvarono automaticamente in un sorriso.
Mi ama... lui mi ama... ed io non mi sono immaginato nulla...
Bastò un solo istante per ritrovarci di nuovo legati in un profondo bacio, in mezzo al salotto, lì dove la fretta e la paura sembravano essere spartite e dove la voglia di lui si riaccendeva prepotentemente. E forse, ci saremmo anche lasciati andare alla passione che bruciava di nuovo tra di noi, se il campanello non avesse preso a suonare proprio in quel momento, interrompendoci. Lui scoppiò a ridere di gusto
"Ecco appunto... è appena finito il nostro periodo di libertà... adesso il mondo torna ad avercela con noi!" esclamò lanciando un'occhiata verso la porta, dalla quale provenne un altro suono insistente. Risi anche io di gusto, approfittandone per infilarmi la giacca
"Non ti lamentare.. stanotte siamo stati fin troppo fortunati." ribattei, mentre si avviava alla porta per aprirla. Ma prima di farlo, si girò verso di me e mi rivolse un'occhiata di fuoco, piena di malizia e lussuria, che mi fece tremare
"E chi si lamenta." mormorò, per poi sorridermi ed aprire finalmente la porta. Ad aspettarci dall'altro lato ci fu l'ultima persona che in assoluto avrei potuto immaginare. Per un momento avevo creduto che Quinn fosse tornata prima, o che fosse Rachel che reclamava la mia presenza, o peggio che Sebastian non  avesse mantenuto il patto che aveva stretto con me il pomeriggio precedente - quando lo avevo chiamato e minacciato malamente, se si fosse di nuovo presentato a sorpresa a casa di Blaine. Ma non fu nessuna di queste persone.
Io e Blaine rimanemmo senza parole, fermi a fissare Artie Abrams, con la sua sedia a rotelle e l'espressione indecifrabile e nessuno dei tre trovò qualcosa di sensato da dire nei primi due lunghissimi minuti. Io l'unica cosa che riuscii a notare, fu l'occhiata sospetta che Abrams mi lanciò, forse sorpreso dal fatto di trovarmi a casa di Blaine, ma non commentò, né diede segni evidenti di esserne infastidito.
Ci mancherebbe... rischierebbe davvero il linciaggio questa volta...
"E tu che diavolo vuoi?" domandò Blaine confuso, senza soffermarsi sulla forma né tanto meno sull'educazione. Quel tizio ce ne aveva dette di tutti i colori l'ultima volta, quindi ora Blaine aveva il Sacrosanto diritto di trattarlo in quel modo. Anzi, io avrei senza dubbio fatto di peggio.
"Parlare con te, se fosse possibile!" rispose pratico, con le mani unite in grembo e un sopracciglio alzato. Intuii immediatamente che marcare il tono su quel 'con te' fosse un'allusione al fatto che io lì, fossi di troppo. Se non avessi avuto da fare, per principio sarei rimasto, solo per la soddisfazione di fargli un torto. Ma avevo un lavoro urgente da portare avanti e non avevo intenzione di perdere tempo dietro quell'idiota cinico e mentalmente disturbato.
"Parlare di cosa? Io e te non abbiamo niente da dirci, mi pare.." fece Blaine scettico, rispondendo esattamente come anche io avrei fatto, se fossi stato al posto suo. Artie non si scompose minimamente, anzi, si girò nuovamente a guardarmi e quegli occhietti azzurri, nascosti in parte dalla spessa montatura, per un momento mi misero in soggezione. E per la seconda volta da quando avevo avuto il dispiacere di conoscerlo personalmente, mi ritrovai a chiedermi come potesse uno così, provocare tutto quello.
"Io non ne sarei così sicuro se fossi in te. Ti assicuro che quello che ho da dirti è importante e... vorrei da te la massima attenzione.. oltre che un pò di tranquillità!" e nel dirlo mi lanciò un'altra occhiata.
Cazzone di un Abrams.. quello è il mio ragazzo, guai a te...
"Io tanto stavo andando via.. vi lascio da soli!" esclamai, rivolto più che altro a Blaine, cercando il suo sguardo, che per fortuna ritrovai qualche istante dopo. Mi sorrise con la sua solita disarmante dolcezza, dopodiché, mentre io mi avvicinavo per uscire dalla porta e Artie indietreggiava con la sua sedia per farmi passare, Blaine mi afferrò un polso e mi attirò a sé, fino a fare scontrare le nostre labbra, per un breve ma morbidissimo bacio. In un primo momento non mi resi neanche conto di quello che successe, perché fu davvero troppo veloce e inaspettato. Poi però, ci pensarono gli occhi di Blaine a riportarmi alla realtà e riuscii a realizzare tutto: Blaine mi aveva baciato, sulla porta del suo appartamento, un bacio per salutarmi visto che stavo andando via, un bacio che sapeva ancora di tante cose successe e di tante altre che speravamo succedessero ancora. Ma soprattutto fu un bacio dato davanti ad un pubblico, e maledizione.. Abrams già ci odiava, poi dopo quella provocazione, saremmo entrati di diritto nella sua lista nera.
Oh al diavolo... io amo quest'uomo, e ho bisogno di gridarlo ai sette venti, incluso questo scorbutico di Artie Abrams...
"Ci vediamo dopo... buon lavoro. Salutami Rachel!" mi disse a pochissimi centimetri di distanza, mentre io già assaporavo mentalmente la possibilità di sporgermi di nuovo verso di lui per baciarlo ancora, perché lo volevo troppo, perché mi piaceva da impazzire. Ma mi trattenni
"Grazie... a dopo." risposi, leggermente intontito, con un piccolo sorriso scemo sul volto. Mi staccai da lui, lanciando un'occhiata ad Artie prima di superarlo ed imboccare le scale: aveva la testa abbassata, ma nessun tipo di smorfia contraeva il suo viso, sembrava più che altro qualcuno che, per discrezione, aveva preferito abbassare gli occhi e concedere un momento di privacy. In un certo senso, gliene fui grato, per quanto strano potesse sembrare, ma mi passò subito, non appena lui rialzò gli occhi e li puntò nei miei, congelandomi.
Ribadisco... sei un cazzone...
Senza dire altro, scesi al piano inferiore e una volta davanti la porta di Rachel bussai. Sentii un paio di guaiti di Cooper giungere da dietro il legno e la voce delicata di Lea gridare qualcosa come "Aspetta, manca ancora lo smalto!". La porta si aprì un istante dopo, per mano della mia amica sorridente e dall'aspetto fresco e riposato
"Buongiorno bel ragazzo!" mi salutò pimpante
"Buongiorno a te, splendore!" risposi rivolgendole un sorriso della stessa natura. Qualcosa mi diceva che entrambi avevamo qualcosa di cui essere felici. Si fece da parte per farmi passare ed io raggiunsi il salotto dove Lea, seduta in un angolo, tra pupazzi e costruzioni, stava spazzolando il povero Cooper, con il pettine delle sue bamboline. Lui se ne stava scompostamente seduto, e sbatteva freneticamente la coda, gli occhi leggermente spalancati e non appena mi vide mi venne incontro, quasi avesse appena trovato una ciotola extra di croccantini.
"Ehilà, Coop... hai fatto il bravo?" domandai, mentre lui saltellava in cerchio, continuando ad abbaiare
"É stato un angelo.. non so come abbia fatto a sopportare tutto quello che Lea è riuscita a fargli. É una specie di cane-eroe per quanto mi riguarda!" rispose Rachel ridacchiando. Bene, Blaine sarebbe stato fiero di lui. Tutto sommato, nonostante qualche divergenza avuta con i mobili e qualche brutta figura con i passanti, quel cane era decisamente molto educato, pur essendo ancora così piccolo. Lea, tutta sorridente, si alzò a sua volta e mi corse incontro, abbracciandomi le gambe
"Zio Kurt! Che bello che sei venuto!" urlò entusiasta, facendomi sorridere
"Avevo bisogno di vedere la mia principessa, perché mi mancava tanto.. e così... eccomi qui." le dissi, tirandola su, in braccio e lei sorrise emozionata
"Cooper può stare un altro pò qui, vero?" domandò all'improvviso, sporgendo il labbro inferiore e facendosi implorante
Questo l'ha preso da sua madre...
"Per il momento sì, ma prima di pranzo devo riportarlo a casa sua. Anche se non lo ammetterà neanche sotto tortura.. a Blaine manca tanto!" le dissi divertito, facendo ridacchiare sia lei che la madre, e perfino Cooper abbaiò, quasi volesse specificare che anche lui sentisse la mancanza del padrone. Misi la bambina per terra e
lei subito tornò a dedicarsi alla toilettatura del cane, mentre io seguii Rachel in cucina, dove in un angolo, facevano bella mostra di sé, i tessuti che avevo scelto di usare. Ed erano belli, esattamente come li avevo visti la prima volta, esattamente come avevo voluto che fossero. E il colore era... fottutamente perfetto.
"E dunque... aver scaricato qui il cane... è valso a qualcosa?" domandò lei, quando fummo finalmente da soli e lontani dalle orecchie innocenti della figlia. Io mi ritrovai ad arrossire ma la stretta piacevole che avvertii allo stomaco, mi fece sorridere emozionato. Lei mi guardò attentamente, per poi sorridere a sua volta
"Dalla tua espressione inebetita... direi di sì..." e batté più volte le mani, entusiasta. Mi abbandonai su una sedia, con un lungo sospiro estasiato, mentre l'immagine del corpo di Blaine, così nudo e caldo, mi faceva ancora provare i crampi. Era un ricordo vivido e reale e soprattutto sapere di non dover più sperare in un colpo di fortuna per poterlo avere - perché ormai lui era mio e noi stavamo insieme - mi faceva sentire stranamente elettrico.
Inebetito, appunto...
"Rachel è stato... indescrivibile... emozionante e..." lasciai che fu l'ennesimo sospiro a parlare per me, e lei ridacchiò in risposta
"Inutile dire che anche questa volta voglio tutti i dettagli!" esclamò, sollevando un sopracciglio maliziosa
"Stai pensando di mettere in scena un cortometraggio sul porno gay, per caso?" le chiesi divertito
"Può darsi.." mormorò poggiandosi con i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di me. Scossi la testa, ancora con quel sorriso elettrizzato sul volto e pensai che probabilmente non sarei mai riuscito a spiegare cosa avessi provato esattamente durante quella notte. Mi sarei sentito un idiota a dire per la terza volta quanto fosse stato magico e bellissimo, nonostante in effetti lo fosse stato davvero, in una maniera che davvero avrei faticato a credere. Avevo imparato a fidarmi di Blaine e anche quella notte avevo avuto ragione di farlo.
"Io credo che sarai più contenta di sapere cosa è successo... dopo.." mormorai con un'espressione eloquente. Lei si accigliò
"Oddio no!" esclamò subito, alzando una mano e mettendosela davanti alla faccia "Questa cosa fa tanto déjà-vu... e non mi piace. Se c'entra ancora David o qualche altro fidanzato risalito dall'oltretomba... ti prego, non lo voglio sapere!" e scosse con forza la testa. Mi limitai a sorridere ancora, senza dire altro se non
"Ha detto che mi ama!" esclamai poggiando il mento sul palmo della mano e sospirando ancora.
Se mi avessero dato un dollaro per ogni sospiro che mi è uscito dalla bocca da quando conosco Blaine.. a quest'ora sarei già miliardario...
"Oh!" la sua bocca si chiuse in un piccolo cerchio perfetto e rimase in quella posizione per un tempo quasi incredibile
"Già... oh..." mormorai, neanche a dirlo, sospirando. Contai esattamente tredici secondi prima che un urlo disumano uscisse dalla bocca della mia amica, tanto che dovetti coprirmi le orecchie per non rimanerne stordito.
"Mamma? Che succede? Devo chiamare il 911?" gridò Lea dal salotto, allarmandosi
"No, tesoro... è tutto ok.. tua madre è solo uscita di senno." risposi io, visto che la mia amica era ancora visibilmente sotto shock
"Ed è una cosa grave? Si può ricomprare questo seno?" gridò ancora, mentre Cooper abbaiava in contemporanea.
Il seno... certo...
"Ehm... penso di sì!" risposi ridacchiando e raggiunsi la mia amica dall'altro lato del tavolo per poi spingerla verso il basso e farla finalmente sedere, altrimenti avrebbe rischiato il collasso da un momento all'altro.
Guarda quanti danni che fai Blaine Anderson...
"Tu... lui... ha... oh Santa Misericordia... non ci credo!" mormorò, allibita, fissando il tavolo davanti a lei
"Rachel.. vuoi che ti prenda un bicchiere d'acqua?" le domandai divertito da tanta incredulità, ma allo stesso tempo anche leggermente preoccupato. Se avessi fatto del male, anche involontariamente, a sua madre, la piccola Lea non me lo avrebbe mai perdonato.
"Sì, per favore!" riuscì a rispondere, annuendo appena ed io corsi al lavandino per riempirgliene uno, per poi passarglielo. Lo bevve tutto d'un fiato e poi si lasciò andare ad un lungo sospiro. Si preannunciava una lunga discussione e senza ombra di dubbio, sarebbero serviti altri bicchieri d'acqua - e anche qualcuno di whisky - e forse perfino una chiamata al 911.

New York City. Ore 11.15 A.M. 22 Aprile 2012 (Domenica)

Avere Artie Abrams sulla porta di casa si era rivelato molto più seccante di quanto avessi mai potuto pensare. Io per natura era sempre stato un tipo molto pacifico, tendevo sempre a risolvere i conflitti con gli altri, perché non mi piaceva lasciare le questioni in sospeso, perché non amavo portare rancore, perché la vita era davvero troppo breve per passarla a litigare. Eppure, qualcosa mi impediva di addolcire il tiro con lui, forse semplicemente il ricordo del nostro primo ed ultimo incontro o forse il fatto che, da quando avevo aperto la porta, non avesse smesso un solo istante di guardare male il mio ragazzo, e questo non andava affatto bene.
Così, anche dopo che Kurt era andato via, lasciandoci soli, avevo continuato a squadrarlo con sospetto e non mi preoccupai neanche di trovare una sola piccola ragione per provare ad essere più gentile e magari indovinare il motivo della sua visita inaspettata. Non mi interessava, minimamente.
"Non mi fai neanche entrare?" mi domandò sollevando un sopracciglio, quasi offeso
"Qualsiasi cosa tu debba dirmi, puoi farlo anche rimanendo sullo zerbino. Non voglio in casa mia chi mi da dell'alcolizzato o del viziato figlio di papà!" risposi con un mezzo sorriso sarcastico, stringendo le braccia al petto e chiudendo così ogni possibilità per migliorare il nostro rapporto. Sempre che rapporto potesse chiamarsi. Lui sospirò, annuendo appena
"Immagino di essermela cercata." mormorò, mettendo su una smorfia "Ma confido che la tua maturità possa aiutarti a mettere da parte i nostri dissapori, affinché tu riesca ad ascoltare quello che ho da dirti fino alla fine." disse molto pratico e fin troppo elaborato. Da dove diavolo veniva fuori un tipo così? Neanche nei documentari di Discovery Channel parlavano in quel modo. Forse passare troppo tempo a casa da solo, gli aveva compromesso per sempre alcune delle facoltà vitali
"Posso provarci.. ma non ti assicuro niente." borbottai facendo schioccare la lingua e al diavolo se fosse o meno maleducato; quel tipo mi dava sui nervi, fine della questione.
"Dunque... verrò subito al punto: venerdì pomeriggio, per caso, ti ho sentito cantare e suonare la chitarra... eri sul terrazzo credo, perché la musica e la tua voce mi sono arrivati distintamente perfino al primo piano e non mi ci è voluto molto per capire che fossi tu. D'altronde William era a lavoro, Kurt in tanti anni che abita qui non l'ho mai sentito cantare né suonare e Finn... beh dubito che quel bietolone imbottito di grasso possa anche comprendere una cosa tanto tecnica come la musica. Quindi... puoi essere stato soltanto tu." e mi indicò, visibilmente soddisfatto dal suo ragionamento. Mi ritrovai a sollevare un sopracciglio perché davvero.. non ricordavo neppure di essermi messo a suonare sul terrazzo in quei giorni - dato che ormai suonavo in ogni angolo della casa, praticamente ad ogni ora del giorno e anche della notte - e mi sconvolgeva non poco pensare che quell'idiota si fosse scomodato a salire fino al quarto piano per potermi rimproverare, forse per avergli disturbato il lungo letargo. Era... insensato.
"E cosa vorresti adesso? Che ti chieda scusa per il rumore? Vuoi che ti prometta di non farlo più?" lo aggredii infastidito, chiedendomi quanto ancora potessi sopportare quel tipo, prima di sbattergli la porta in faccia. Lui inaspettatamente scosse la testa, spiazzandomi
"No... in realtà... sono venuto a chiederti esattamente il contrario!" rispose e, miracolosamente, fece qualcosa che non mi sarei mai aspettato: sorrise. Artie Abrams, lo scorbutico ed insulso essere che abitava - probabilmente in maniera abusiva - tutto il primo piano, e che mi aveva dato dell'alcolizzato... mi aveva appena sorriso. Sto sognando... o forse Abrams ha ragione... sono un alcolizzato e non me ne sono neanche reso conto...
"Non capisco." feci allora, sinceramente confuso, abbandonando per un istante la mia posa accigliata e scontrosa e forse lasciandomi appena incantare da quel sorriso che, a dirla tutta, non sembrava neanche più così cattivo. Sembrava sincero. Lui annuì lentamente per poi cercare qualcosa nella tasca dei pantaloni e infine porgermi un biglietto, all'apparenza completamente bianco.
"Prendilo... magari spiegandoti finalmente chi io sia in realtà, riuscirai a capire qualcosa in più!" mi disse ed io, anche se con un leggero timore - non seppi dovuto a cosa nello specifico - afferrai il biglietto e me lo rigirai tra le mani, prima di venirne attirato dalla scritta nera ed elegante che spiccava su un lato
- Omnia Records, casa discografica.
di Abrams & Motta
38761, 17th Avenue, Manhattan. NYC -
Non seppi di preciso cosa accadde nel mio stomaco o nel mio cervello in quel momento, forse il panico più totale, forse il caos o forse semplicemente.. nulla. Fu come vedere calare un velo nero davanti agli occhi e contemporaneamente sentire la terra muoversi improvvisamente, senza riuscire a capirci nulla. Avevo solo dei frammenti nella mia testa. C'era un Omnia... un Records... un Abrams e un Motta vicini.. a New York... e soprattutto c'era una casa discografica. E Artie mi aveva sentito cantare. Casa Discografica. E aveva detto che non era venuto a parlarmi per farmi smettere. Casa Discografica. E mi aveva dato un biglietto. Casa discografica. Un biglietto da visita di una... casa discografica.
Ma porca la miseria...
"E dunque... pensi che adesso mi sia guadagnato il permesso per entrare a casa tua?"

New York City. Ore 07.23 P.M. 22 Aprile 2012 (Domenica)

"Allora?" chiesi agitato, non riuscendo più a trattenermi e neanche a stare fermo sulla sedia. Gli occhi verdi del mio amico si sollevarono seccati dal fascicolo che teneva tra le mani e mi fulminarono
"Vuoi darmi almeno il tempo di leggere?" borbottò infastidito
"Uh.. sì scusa." e abbassai la testa, arrossendo appena. Ero in ansia, terribilmente, come forse non lo ero mai stato. Sentivo un groppo in gola spingere tanto forte da fare male e, cosa più importante, l'adrenalina scorrermi a fiumi nelle vene, senza controllo, in maniera frenetica e disordinata. Da quando Abrams aveva lasciato il mio appartamento, dopo avermi spiegato in maniera lenta e dettagliata cosa volesse da me ed avermi chiesto di parlargli della mia carriera musicale - e si era sorpreso non poco, sentendo che, a parte essere stato il leader di un gruppo canoro al liceo, non avessi fatto altro - ero diventato una specie di uragano in formato umano. Avevo lasciato di corsa il mio appartamento, stringendo tra le mani un facsimile di contratto che Artie mi aveva fatto vedere, ed ero sceso al piano inferiore, attaccandomi con foga al campanello di Rachel. Era stata Lea ad aprire e quasi l'avevo travolta, entrando di fretta e furia nell'appartamento. Avevo trovato Rachel e Kurt in cucina, intenti ad esaminare i modelli ai quali lui stava lavorando per il concorso e subito dopo aver intrecciato i miei occhi a quelli allarmati di Kurt, avevo esclamato a gran voce
"Kurt.. Abrams è un discografico... e vuole.. ingaggiarmi, per una cifra che non ho neanche mai visto nei miei sogni più fantasiosi!" e lui aveva sgranato gli occhi, forse credendomi pazzo. Poco dopo mi aveva fatto sedere, mi aveva tolto dolcemente il fascicolo dalle mani e mi aveva chiesto di spiegare tutto con calma, partendo dall'inizio. Ed io dopo un lungo sospiro lo avevo fatto, solo che l'emozione mi aveva fatto balbettare spesso, mi aveva fatto gesticolare come un idiota e non ero riuscito a schiodare neanche per un istante gli occhi da quelli di Kurt, che lentamente si ingrandivano e si coloravano di una strana luce. Era stato decisamente bello vederlo mutare davanti ai miei stessi occhi, osservare ogni cambiamento e poi sorridere insieme, quasi nello stesso istante, quasi fossimo arrivati a formulare lo stesso pensiero.
Non ci credo... non può essere vero...
E dopo essersi alzato ed avermi abbracciato nella maniera più dolce e inaspettata - tipica di Kurt Hummel - mi aveva consigliato di chiamare Sebastian e di chiedergli una consulenza, dato che comunque era pur sempre un avvocato. Ed io così avevo fatto, anche se con le mani ancora tremanti, gli avevo mandato un messaggio e gli avevo chiesto di raggiungermi al pub quella sera perché avevo una cosa urgente da dirgli. Lui, con la sua solita ironia del cazzo, mi aveva risposto chiedendomi se non si trattasse ancora dell'astinenza forzata ed io, anche se ancora leggermente brillo per via dell'euforia, gli avevo scritto semplicemente un vaffanculo, a lettere cubitali.
Fortunatamente, quella parola scarsamente gentile, non gli aveva impedito di raggiungermi ed in quel momento ci trovavamo tutti e quattro - lui, Daniel, Kurt ed io, o almeno quel poco di me che rimaneva ancora intatto - seduti ad un tavolino del pub e Sebastian stava leggendo attentamente la bozza che gli avevo consegnato, dopo una breve spiegazione, che aveva lasciato sia lui che il suo fidanzato, letteralmente a bocca aperta. Ed io ero in ansia, maledettamente in ansia e più lui leggeva, più si accigliava, più sospirava, più io mi agitavo, più diventavo irrequieto.
Ad un tratto, proprio mentre mi muovevo per l'ennesima volta sulla mia sedia, sentii qualcosa di caldo avvolgermi la mano e stringere forte, quasi fosse una coperta. Mi girai verso Kurt che era seduto al mio fianco e dal suo sorriso buono capii che lui c'era, era lì con me e che, qualsiasi cosa avesse detto Sebastian alla fine della lettura, lui sarebbe ugualmente rimasto. Per questo sospirai, imponendomi la calma, ed avvertendo immediatamente una sensazione di quiete invadermi il petto, nonostante le mie gambe proprio non volessero saperne di stare ferme e nonostante il mio amico continuasse a sospirare, senza dire nulla.
Cazzo, Bastian... così però mi uccidi...
Dopo una mezza eternità, finalmente Sebastian alzò gli occhi e li puntò nei miei e lì avvertii un fremito di paura corrermi lungo tutta la schiena, che si raddrizzò di conseguenza. Forse i miei sogni di gloria sarebbero nati e morti nella stessa giornata, forse mi ero illuso ancora una volta troppo presto, forse quell'adrenalina era ingiustificata, forse ero un coglione e sperare così tanto, così in grande, non faceva per me, forse sarei dovuto tornare con i piedi per terra e avrei dovuto continuare a vivere di musica nel mio piccolo mondo, lì in quel pub. Forse...
"Vuoi sapere il verdetto del Bas amico, oppure quello di Sebastian Smythe l'avvocato?" mi chiese poggiando i fogli sul tavolo ed incrociando le braccia al petto. Deglutii a disagio, stringendo automaticamente la mano intorno a quella di Kurt, probabilmente stritolandogliela. Ero ad un fottuto bivio e si trattava soltanto di scegliere.
"Quella dell'avvocato..." mormorai d'istinto "E... anche quella dell'amico." un microscopico sorriso si affacciò sulle sue labbra, ma fu un attimo e tornò ad essere imperturbabile come sempre. Si schiarì la voce ed iniziò
"Dunque... l'avvocato ti dice che... tecnicamente non c'è niente da contestare, fatta eccezione per una o due postille, che possono essere facilmente adeguate dopo aver discusso con questo Signor Abrams. É uno che sa il fatto suo, preparato e soprattutto molto scrupoloso. Non lascia niente al caso e sembra anche ben disposto ad investire personalmente con i contratti che fa firmare e questo è un punto a tuo favore, perché significa che, se dovesse andare male, non sarai tu a rimetterci." spiegò con calma e precisione, tipica del suo charme da legale. Avvertii il cuore fare una giravolta nel petto e riprendere a battere quasi furioso qualche istante dopo.
"E... l'amico? Lui cosa.. dice?" chiesi timoroso con un filo di voce, proprio perché era il giudizio del mio migliore amico a spaventarmi di più, non tanto quello professionale dell'avvocato. Lui rimase per qualche interminabile secondo a fissarmi senza aprire bocca, semplicemente continuando a respirare e forse ignorando che, più tempo passava, più le probabilità di vedermi morto sarebbero aumentate. Poi alla fine, quasi la sua voce venisse da lontano, parlò
"L'amico ti dice che.. se non firmi immediatamente questo contatto, sei un vero coglione!" e mi sorrise, con disarmante sincerità, facendomi sussultare, ma sospirai di sollievo un istante dopo. E l'istante dopo ancora, sorrisi, sorrisi perché mi ero appena tolto un peso enorme dallo stomaco, sorrisi perché forse non era un sogno, sorrisi perché era tutto un pò più reale e un discografico aveva davvero bussato alla mia porta per propormi un ingaggio, esattamente come nelle mie migliori fantasie, sorrisi perché... cazzo.. un contratto... discografico... per me.
D'istinto strinsi appena un pò di più la mano di Kurt, quasi volessi fargli capire come mi sentissi in quel momento, e lui in risposta strinse la mia, e contemporaneamente trovò perfino la forza per accarezzarmi il dorso con le dita dell'altra mano, lentamente, facendomi venire i brividi. Lui c'era ancora. Era ancora lì con me.
Ti prego... non andare via... non trasformarti in una farfalla.. non volare lontano lasciandomi solo.. non farlo...
"E quindi... credi che io debba..." iniziai esitante, non riuscendo a trattenere un altro sorriso elettrizzato
"Firmare, sì! Se la cosa può farti stare più tranquillo, quando dovrai tornare da lui per parlarne, posso accompagnarti in veste di tuo avvocato e magari assisterti... a titolo gratuito si intende. Ti presenterò la parcella solo se e quando diventerai famoso!" e mi strizzò l'occhio, facendomi ridacchiare. Famoso. Che bella parola. Sembrava quasi.. aliena. Eppure, da quello che Abrams mi aveva detto, era quella la sua intenzione, farmi diventare.. famoso. Far sì che, prima New York, poi gli Stati Uniti e infine il mondo, conoscesse la mia voce, perché a detta sua era davvero sprecata, utilizzata semplicemente sul terrazzo di una palazzina di Manhattan. Per lui avrei dovuto scalare le vette delle classifiche e dare uno smacco a tutti quei cantanti da quattro soldi che, pur non sapendo né cantare né tanto meno tenere in mano una chitarra, chissà per quale motivo, in un mese riuscivano a vendere più di quanto John Lennon avesse fatto in tutta la sua carriera. Lui sembrava convinto, entusiasta nel suo modo bizzarro di esternare le emozioni e per un momento, mettendo da parte l'idea che mi ero fatto di lui, del ragazzo scorbutico e maleducato, ero riuscito ad intravedere una bella persona, dopotutto. Ma non soltanto perché mi aveva appena proposto un contratto con una cifra da parecchi zeri, si trattava più che altro di qualcosa che, su due piedi non ero riuscito a decifrare - vuoi per l'euforia, vuoi per la sorpresa, vuoi soprattutto per la voglia di dirlo a Kurt - ma che in un certo senso, mi faceva intuire che, dietro quella faccia da ragazzo cattivo, si nascondesse qualcos'altro di decisamente più profondo.
"E sia, allora!" decretai con la voce tremante, lanciando un'occhiata a Kurt che mi sorrise, emozionato "Firmerò... e che Dio me la mandi buona!" e per scaramanzia, incrociai le dita e sorrisi, ancora euforico. Dubitavo che quella sera sarei riuscito a salire sul palco per cantare. Troppa adrenalina, troppo da scaricare. Magari se fosse venuta Santana mi sarei fatto sostituire da lei - visto che girava voce fosse davvero brava, o almeno.. Brittany lo diceva - ma avevo altro per la testa in quel momento per preoccuparmi del pub. Avevo un contratto.. che, nonostante fosse ancora una bozza, rappresentava ugualmente una specie di traguardo ambito, uno di quei trofei bellissimi ma irraggiungibili che diventano quasi mitici nella loro perfezione. Ti è concesso solo guardare da lontano, senza toccare, perché magari, allungando una mano e sperando di poterlo raggiungere, succede sempre qualcosa che, puntualmente ti fa perdere tutto, perfino la speranza. Ed io, che la speranza, nonostante tutto, ero riuscito a conservarla, ce l'avevo fatta... o meglio.. potevo farcela. Magari con un pò di sforzo, con un pò di aiuto, con un pò di fortuna. Con Kurt al mio fianco, senza dubbio, sarei riuscito a fare qualunque cosa. Anche firmare un contratto discografico per Artie Abrams. Anche allungare la mia mano e toccare finalmente il mio bellissimo sogno, ormai fatto reale e concreto. 
*D'accordo... firmo! Ci vediamo domani per discuterne. Blaine*

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Capitolo 41
*** Quando è impossibile svegliarsi ***


Buona sera miei adorati puffolotti amorosi (eh? XD) eccomi quim dopo praticamente un'attesa infinita a pubblicare.. dunque, da premettere che sto tipo piangendo perché è il penultimo capitolo e le emozioni qui sono talmente tante che non riesco quasi più a spiegarle: ci avviamo verso la conclusione, manca davvero pochissimo e in questo capitolo ci saranno parecchie cose interessanti: Blaine, Kurt, il loro futuro e un pò quello che avevo in mente fin dall'inizio ancora prima di scrivere il primo capitolo. Fa strano ora vedere nero su bianco l'idea principale che avevo avuto quel fatidico giorno in cui ho deciso di intraprendere questa avventura ma... no niente.. piango troppo oggi e dovrei smetterla ç___ç bene, passiamo alle note dolenti: a stento, come ben sapete sono riuscita a scrivere questo capitolo e purtroppo il 20 ho un esame, dunque non posso permettermi di togliere del tempo allo studio, dato che vorrei farmi un regalo per Natale e passarlo ^^ per questo sono costretta ad eliminare l'aggiornamento la prossima settimana e rimandarlo alla settimana di Natale: io spero di riuscire a scriverlo per il 24, magari facendovi un regalino, speriamo bene. Perdonatemi (lo so, sono ripetitiva!) ma non so come altro fare. Intanto godetevi il capitolo che io torno a studiare ç___ç (e devo smetterla di piangere!) buona lettura.. ci vediamo dopo il 20 Dicembre. Vi amo, e amo le vostre recensioni meravigliose, una per una! <3
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 03.12 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)


Riuscire ad incidere qualcosa scritta da me, qualcuna di quelle canzoni composte e musicate dalle mie mani e la mia testa, era sempre stato il mio sogno più grande, fin da quando mi riempivo la testa di gel, cantavo come leader degli Usignoli alla Dalton Academy ed ero un ragazzino alto appena un metro e settanta con la testa sempre tra le nuvole ed un migliore amico che tutto sembrava, fuorché un migliore amico. Da allora erano passati degli anni, avevo cambiato Stato e città, avevo buttato i flaconi di gel per capelli - preferendo i miei ricci spettinati alla possibilità di diventare calvo prima dei trent'anni - e non ero più il leader di niente. In compenso, avevo ancora un migliore amico diversamente affettuoso e... sì, insomma, ero alto sempre un metro e settanta. Però un paio di cose nella mia vita erano cambiate seriamente: ero finalmente andato a vivere da solo, dato che, dopo essermi trasferito a New York, avevo iniziato quell'esperienza al fianco di Sebastian, invece ora possedevo un appartamento tutto mio, mi occupavo da solo dell'affitto e della spesa, facevo lavatrici - i colorati con i colorati, i bianchi con i bianchi e i neri... erano colorati no? - toglievo la polvere e pagavo le bollette, come tutti i ragazzi maturi di venticinque anni. Mia madre mi aveva perfino detto di essere orgogliosa di me e forse l'ultima volta in cui me l'aveva detto era stato quando avevo sei anni e le avevo portato a casa un foglio con su scritto il mio nome, tutto storto e con un'acca messa, chissà per quale motivo tra la a e la i. Ma lei era orgogliosa di me anche ora, per quello che avevo fatto e stavo facendo, e sotto sotto anche per il fatto che non abitassi più sotto lo stesso tetto di quel decerebrato di Sebastian. Anche a lei non era mai stato particolarmente simpatico.
La seconda cosa ad essere cambiata era la mia vita sentimentale: o meglio... fino ad allora non potevo dire di averne mai avuta una. A parte una piccolissima parentesi - chiusa malissimo, tra l'altro - con Jeremiah, nessuno aveva mai dimostrato interesse verso di me a tal punto da rendermi felice di avere un ragazzo da presentare ai miei genitori e a mio fratello, perché nessuno era mai stato capace di rubarmi il cuore. Almeno, fino a quel momento.
Kurt. Kurt era diventato il mio tutto in poco più di un mese. Era diventato il centro del mio universo, il mio campo gravitazionale, il mio Nord, la mia bolla di ossigeno, la mia quotidianità e la mia migliore conquista in assoluto. E ogni giorno speso al suo fianco mi riempiva di convinzione: lui era il ragazzo perfetto, perfetto per me, per il mio mondo e il mio futuro e quello che noi avevamo era quanto di più bello la vita potesse offrirmi. E forse ne era valsa la pena soffrire un pò in passato, aver pensato che nessuno potesse meritare il mio amore e il mio tempo, perché se fossi stato un pò più ottimista, se mi fossi lasciato un pò più andare, probabilmente non mi sarei innamorato così tanto di lui, non avrei messo tutta la mia vita nelle sue mani, né avrei mai pensato di potermi sentire così un giorno. Era tutto scritto, in un certo senso. Kurt era il mio destino ed io speravo di essere il suo in un certo senso anche se, mi rendevo conto di non essere alla sua altezza, ma nel mio piccolo speravo di farlo felice e di continuare a farlo per sempre... e anche oltre.
"É davvero incredibile quello che riesci a fare con uno strumento tra le mani e un pò di immaginazione!" una voce si materializzò dietro di me e, pur sapendo perfettamente chi fosse, perché ormai avevo imparato a riconoscere anche la sua, mi girai verso di lui, abbandonando la melodia senza senso né titolo che stavo suonando al piano
"Ti ringrazio." mormorai un pò imbarazzato, mentre Artie avanzava con la sua sedia a rotelle. Mi accorsi quasi subito che sulle gambe reggeva qualcosa di familiare e per questo mi ritrovai a trattenere il fiato e a deglutire, corroso dall'attesa
"E... allora?" domandai, lanciandogli un'occhiata speranzosa, incrociando involontariamente due dita dietro la schiena. Lui si fermò accanto a me, fece un profondo respiro dopodiché incrociò le mani in grembo, come faceva spesso
"E allora... ho ascoltato il tuo primo demo, con molta attenzione, devo dirlo.. e.." ma si bloccò, forse credendo che, con un pò di suspance, fosse più apprezzato. Ma questo succedeva solo nei film, nella vita reale io non ero affatto un ragazzo paziente e lui doveva decidersi a darmi una risposta, prima di farmi morire.
"Artie!" lo ammonii, agitandomi sullo sgabello "Se non ti piace, posso rifarlo.. giuro, questa volta mi impegnerò il doppio, e prometto di non deluderti!" esclamai con una leggera nota di disperazione nella voce. La mia prima occasione.. non volevo buttarla nel cesso solo per un demo venuto male. Non potevo farlo.
"Non serve." disse lui scuotendo la testa, rimanendo imperturbabile. Ma dannazione... perché quel ragazzo era così.. asettico? Come potevo capire se fosse contento oppure deluso, se la sua espressione non mutava di una virgola? Era abituato a comportarsi sempre così con tutti? Oppure con me si divertiva in particolar modo? Alla fine, proprio quando iniziavo a non capirci più niente, lui afferrò il cd con il mio demo e lo posò con molta delicatezza sulla tastiera del pianoforte
"Artie io non... credo di aver capito cosa..."
"Mi piace!" esclamò soltanto, e quelle due parole, soltanto quelle due ebbero il potere di ridarmi il respiro
"D-davvero?" domandai, mentre l'ombra di un sorriso si affacciava sulle mie labbra. Lui annuì con vigore
"Sicuro... non ricordo neanche quando è stata l'ultima volta che ho avuto il piacere di ascoltare una cosa fatta così bene. I miei più sinceri complimenti, Blaine. Sono sempre più convinto di aver fatto un ottimo investimento con te." e mi rivolse un sorriso, anche se leggermente tirato. Era pur sempre un sorriso, uno dei pochi. In quel momento sentii una scarica di adrenalina passarmi da parte a parte, correre lungo la colonna vertebrale e arrivare diretta al cervello, scuotendomi sensibilmente. E, come un idiota, mi ritrovai ad allargare il mio sorriso, probabilmente fino alle orecchie ed avvertii il familiare luccichio invadermi gli occhi in un brevissimo istante. Quello era ciò che mi accadeva da quasi dieci giorni a quella parte, ogni volta che mettevo piede alla Omnia Records e ogni volta, anche se con una leggera difficoltà mi rendevo conto che quello che camminava tra i corridoi elettrizzato, non era il mio alter ego del mondo dei sogni, ma ero io, nella vita reale, che stavo lavorando per Artie Abrams, un discografico di New York, che, stando alle ricerche effettuate da Sebastian, era anche parecchio quotato. Artie mi stava indirizzando con molta cautela verso la composizione di qualcosa, un intero album di pezzi inediti, ma soprattutto scritti dalle mie mani, nei quali lui avrebbe dato solo la sua supervisione complessiva e l'ok finale. Aveva detto di avere molta fiducia in me e sapeva di poter ottenere qualcosa di grande. Aveva anche detto che era raro in quel periodo, trovare un cantautore con tanto talento e soprattutto con la mia tenacia e per lui, già questo, doveva essere premiato, assolutamente. Kurt era fiducioso... non era molto convinto che Abrams fosse in effetti la persona giusta con cui poter sfondare nel mondo della musica, ma, con un sorriso genuino, una di quelle mattine - mentre mi accarezzava la guancia con il polpastrello ruvido e caldissimo - mi aveva detto
"Sfrutta questa possibilità finché puoi... tanto tu e lui non dovete diventare amici né tanto meno sposarvi un domani... prenditi da lui tutto quello che può darti e.. tanti saluti!" e lo aveva detto con una tale naturalezza che a stento mi ero trattenuto dall'allungare il collo e baciarlo, nonostante la notte precedente l'avessi fatto molto, molto spesso.
Eppure, nonostante condividessi la tesi del mio ragazzo, nonostante fossi convinto di dover semplicemente sfruttare quella possibilità che mi veniva data, senza dovermi preoccupare di altro, sentivo di voler instaurare una specie di... rapporto con Artie, una sorta di equilibrio che fosse un pò più orientato verso l'umano che verso il professionale. Certo, lui era pur sempre il mio capo, però questo non toglieva il fatto che un domani io e lui saremmo potuti diventare amici. D'altronde io e Puck, nonostante i caratteri completamente diversi e le numerose minacce di licenziamento da parte sua, eravamo riusciti a creare una bella amicizia che, nonostante tutto, andava avanti da quasi un anno, dunque... perché anche con lui, non avrei potuto fare la stessa cosa?
"Artie, posso... farti una domanda?" chiesi esitante, poggiando la schiena alla tastiera del pianoforte dietro di me
"Se non è troppo indiscreta." precisò sollevando un sopracciglio in maniera brusca
"Oh bene.. io sono il maestro della indiscrezione, quindi preparati al peggio." mormorai ridacchiando. Mi sarei dovuto fermare lì, approfittare di quella scappatoia che lui stesso mi aveva offerto per rinunciare alla investigazione e continuare a farmi i fatti miei.
Impiccione che non sono altro...
"Coraggio.. sentiamo.." acconsentii lui con un sospiro rassegnato, quasi si stesse davvero preparando a ricevere un pugno in piena faccia. Misi su una mezza smorfia e dopo essermi torturato un pò le mani, dissi
"Sul tuo.. bigliettino da visita c'era anche un altro nome... Motta, se non sbaglio. Chi è? Il tuo socio? E perché non l'ho ancora conosciuto?" domandai a filo dritto, dando voce a tutti quegli interrogativi che in quei giorni mi erano balzati alla mente. Con un leggero accenno di terrore, vidi la sua espressione cambiare lentamente e passare dalla leggera curiosità, all'insofferenza più palese, con l'aggiunta di un pizzico di fastidio.
Merda.. ne ho fatta un'altra delle mie...
"Motta... è una lei.. e.. sì, è la mia socia ma.. non credo la conoscerai mai!" tagliò corto con un certo disprezzo nella voce che non seppi se fosse rivolto a me o a questa misteriosa Motta. Di nuovo sentii come una voce che mi pregava di chiudere la bocca e farmi i fatti miei perché iniziavo a sentire una certa tensione aleggiare nell'aria, ma ovviamente, siccome ero un idiota con tanto di certificato di autenticità, mi ritrovai ad aprire la bocca, ancor prima di aver pensato razionalmente
"Perché? Lei non si occupa di..." ma mi bloccò, con un gesto della mano
"Lei non si occupa di niente qui. Sono solo io a trattare con i cantanti e ad occuparmi di ogni cosa. Lei si limita a... finanziare l'agenzia. E credimi che è meglio così.. per tutti!" sbottò con un mezzo ringhio, ma proprio non riuscì a mascherare un tremolio appena accennato sul finale, non seppi se dettato da rabbia o semplicemente da un accenno di emozione dovuta a dei ricordi passati. Ebbene, questa Motta era socia di Abrams, anzi.. lei finanziava l'agenzia - finanziava anche me in realtà - e non si occupava di altro, non trattava con i cantanti, non si preoccupava neppure di presentarsi... firmava soltanto gli assegni a fine mese? Che razza di rapporto lavorativo era mai quello? E poi perché a lui sembrava andare bene così? Perché sembrava addirittura turbato per il semplice fatto di averla nominata? Che non scorresse buon sangue tra i due? Che per colpa di vecchi contrasti adesso il loro rapporto si fosse rovinato per sempre? Oppure c'era qualcosa di più.. qualcosa che non riguardava né l'agenzia né le sue finanze, qualcosa che a quanto pareva, collegava emotivamente lui e quella donna. Forse erano stati una coppia, forse ci avevano provato ma non era andata bene, forse lui ci stava ancora provando - il che avrebbe spiegato quel leggero tremolio nella voce che avevo avvertito e soprattutto perché fosse così restio a parlare di lei.
Sinceramente Anderson, dovresti farti gli affari tuoi...
"Posso fartela io adesso una domanda?" cambiò direzione lui, rilassandosi visibilmente sulla sua sedia. Sgranai appena gli occhi, sorpreso
"Uh... ehm.. sicuro!" acconsentii, sentendomi leggermente a disagio, perché non sapevo cosa aspettarmi da un tipo del genere. Avrebbe potuto chiedermi di tutto, perfino qualcosa di nettamente più indiscreto rispetto a quello che gli avevo chiesto io. Ma lo lasciai fare, perché in fondo me lo meritavo.
Occhio per occhio...
"Ho notato che c'è una certa intimità tra te e Kurt Hummel.." mormorò, sollevando un sopracciglio con circospezione, lasciando volontariamente la frase in sospeso. Mi ritrovai ad arrossire all'istante, ricordando perfettamente quello sciocco ed istintivo gesto che avevo fatto sulla soglia del mio appartamento, quando Artie era venuto per parlarmi. In quel momento mi era sembrata l'unica cosa sensata da fare, dare una sorta di lezione a quello sbruffone che si era permesso di invadere la nostra intimità. Poi, a distanza di qualche giorno e dopo aver appurato che non c'era stato nulla di malvagio o intenzionale nel suo gesto, mi ero sentito un idiota - che novità! - un bambino che si era divertito a marcare il suo territorio e che non aveva neppure avuto la maturità di capire che non c'era assolutamente bisogno di farlo, dato che avevo appena scoperto di essere amato dal ragazzo che amavo. Ma era stato più forte di me, e la ragione quel giorno era stata scalzata abilmente dall'istinto. Istinto da idiota, ma pur sempre istinto.
"Ehm.. sì... lui è... io e lui stiamo insieme!" esclamai tormentandomi un labbro, tirandolo con forza all'interno e sperando che per lui, avere un cantante omosessuale, non fosse un problema eccessivo
Oddio.. ora mi licenzia...
Con mia grande sorpresa, accennò un sorriso sghembo, particolarmente ironico e sorpreso
"E che fine ha fatto quel bisonte privo di ogni forma di educazione?" domandò
"Parli di David? Oh.. lui è... sparito dalle nostre vite per fortuna, dopo avermi gentilmente quasi ammazzato, attaccandomi alla grata dell'ascensore!" e scrollai le spalle, mentre un piccolo brivido mi percorse la schiena, come sempre, quando mi ritrovavo a ripensare a quel momento. Probabilmente non lo avevo ancora rimosso del tutto, probabilmente non lo avrei mai fatto. Artie inarcò maggiormente il sopracciglio, facendo sparire ogni traccia di sorriso dal suo volto
"Ed è successo nel nostro palazzo?" domandò scioccato
"Esatto.. circa venti giorni fa..." precisai
"Spero tu.. lo abbia denunciato!" sbottò infastidito, incrociando le braccia al petto
"Sì, l'ho fatto, anche se non ne ero particolarmente entusiasta... però alla fine penso sia stata la scelta più.. saggia!" e sorrisi mesto, mentre lui annuiva e si imbronciava maggiormente
"L'ho sempre pensato che quel tipo fosse un animale e che dovesse seriamente essere rinchiuso da qualche parte... e, anche se questa volta mi costa ammetterlo, avevo ragione. Era pericoloso e senza controllo. Mi chiedo come abbia fatto Kurt a sopportarlo per tutto questo tempo." mormorò accigliandosi ancora e portandosi una mano sotto il mento per accarezzarlo
"Io continuo a chiedermelo ancora, ma... sinceramente non ha più molta importanza. Adesso ci sono io nella sua vita e spero di poter essere il suo.. riscatto.. per il futuro!" dissi con un certo orgoglio, mentre sentivo il cuore iniziare a palpitare nel petto, quasi galoppando.
"Beh... senza dubbio sei più molto più educato e gentile tu di quello scimpanzé... per limitarci a questo, altrimenti potrei elencarti altri diecimila pregi che penso tu abbia in più rispetto a quel... tipo." e fece un'altra smorfia disgustata che mi fece ridacchiare. Mi sentivo un tantino lusingato a dire la verità: non che ci volesse poi molto ad essere migliori di David, ma sapere che perfino uno come Abrams - che era scontroso per natura - potesse pensare che io fossi più adatto per Kurt, faceva un certo effetto. Forse, con un pò di pratica e un pò di convinzione in più, anche io sarei arrivato a credere che dopotutto, sarei stato alla sua altezza. D'altronde i presupposti c'erano: io lo amavo da morire, lui amava me, sembravamo aver piantato le basi per una solida e duratura relazione, entrambi eravamo sereni e soprattutto proiettati verso il futuro. Ma la cosa più importante sarebbe sempre stata l'appoggio che ognuno avrebbe dato all'altro, la sua presenza costante al mio fianco, anche quando materialmente non ci sarebbe stato, la sua vicinanza, la sua fiducia, il sorriso che avrebbe continuato a regalarmi, soltanto per potermi permettere di vivere meglio, ogni giorno fino alla fine. Ed io avrei fatto lo stesso, sempre: lo avrei assecondato, guidato, accompagnato, gli avrei insegnato volentieri qualcosa ed avrei appreso ancora più volentieri qualcos'altro da lui, ma soprattutto, in qualsiasi modo fosse andata a finire quella storia del concorso io sarei rimast...
All'improvviso, mentre un pensiero si materializzava nella mia mente, diventando sempre più concreto e opprimente, avvertii lo stomaco appesantirsi e le guance andarmi a fuoco. Mi sollevai di scatto dallo sgabello del pianoforte, sotto lo sguardo stranito di Artie e, praticamente senza respiro, chiesi
"C-che... che ore.. so-no?" lui guardò subito il suo orologio da polso 
"Le tre e trentasette!" 
la risposta mi arrivò da lontanissimo, quasi da un'altra dimensione, o forse fui io a non badarci molto, perché sapevo già di essere in un fottutissimo ritardo e quindi, ancora prima di ricevere una risposta, mi trovai nel corridoio dell'agenzia, a correre come un indemoniato, dandomi del cazzone galattico perché... fanculo, tutto avrei potuto dimenticare, perfino il mio nome di battesimo, ma non.. quello!
Spero solo che questa mia cazzata non abbia rovinato tutto quanto... non potrei mai perdonarmelo...

New York City. Ore 03.53 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

"Non verrà!" esclamò con un sospiro una voce alle mie spalle "Conoscendolo, se ne sarà dimenticato!"
"Sebastian!" un'altra voce si unì alla sua, leggermente più alta ed ammonitrice
"É uno sbadato cronico. Non riesce neanche a ricordarsi di dover mangiare, a volte... Dubito che si possa ricordare di venire qui oggi." continuò cercando di essere più convincente
"Sebastian, falla finita!" lo riprese ancora l'altro ragazzo, sempre più indispettito
"Cosa ho detto?" domandò il primo, facendo finta di nulla
"Non sei divertente... per niente!" sbottò ancora, con un tono leggermente più acido e affilato. Poi questo cambiò e divenne improvvisamente leggero e paziente "Kurt non dare retta a questo idiota. Blaine verrà... avrà solo trovato un pò di traffico." ed era a me che si stava rivolgendo quella voce, altrimenti non si spiegava come mai il mio nome fosse sbucato così all'improvviso. Eppure io, stavo facendo tutto tranne che... ascoltare.
"Traffico, certo.. alle quattro del pomeriggio!" sbottò divertita ancora la prima voce - era Sebastian, inutile continuare a negarlo - e riuscii a girarmi giusto in tempo per vedere Daniel al suo fianco, tirare una gomitata nelle costole del ragazzo, che saltò sul posto
"Cazzo.. quella mi serve!" si lamentò con una smorfia, accarezzandosi il punto colpito, ma il ragazzo biondo lo fulminò in maniera così intensa da lasciarlo senza parole. Si limitò a stringersi un labbro tra i denti, accavallare le gambe e spostare lo sguardo sul soffitto bianco.
Io ero senza fiato, senza parole, senza più nemmeno la forza per muovermi né pensare lucidamente. Avevo il vuoto totale che mi scorreva nella testa e la sentivo come ovattata, coperta da qualcosa di spesso e opprimente, qualcosa che mi impediva perfino di sentire dolore, che mi stordiva e mi faceva respirare male, deglutire a stento ed avvertire il disperato bisogno di piangere. Ma non potevo farlo, non in quel momento, non davanti a tutta quella gente. Avvertivo il panico corrermi sotto pelle, in un misto di adrenalina e terrore allo stato puro e più i minuti passavano più la situazione peggiorava, più sentivo che la terra si stesse aprendo sotto i miei piedi ed io non stavo facendo nulla per salvarmi, per scappare via. Rimanevo immobile, ancorato al pavimento di quella sala, con le mani premute sullo stomaco - che tremava e faceva un male cane - la mascella contratta e gli occhi incollati alla porta chiusa, dalla quale mi aspettavo che prima o poi, sarebbe entrata la mia medicina, il mio rimedio, la mia unica salvezza. Ma da quella porta, da più di quaranta minuti, non entrava più nessuno. Ed io iniziavo a sentirmi male davvero, come mai avrei potuto immaginare. Avevo bisogno di un appiglio per non cadere, di un sostegno non solo fisico ma soprattutto morale, e in maniera particolare avevo bisogno di calore, del suo calore.. delle sue braccia che si stringevano attorno alle mie spalle, del suo respiro sul viso, della sua voce, della sua risata morbida e avvolgente, del suo cuore che scalpitava a contatto con il mio. Io mi... sentivo perso, come non mi succedeva da parecchio. Io senza di lui ero inutile, non servivo a nulla, ritornavo ad essere quell'involucro vuoto e senza alcun senso che vagava, quasi fluttuando, per il mondo, nella vana speranza di trovare qualcosa per cui combattere. Quel qualcosa sapevo di averlo finalmente trovato e fatto mio ma, il non averlo al mio fianco, il non poterlo guardare negli occhi e il non potermi perdere senza remore in quell'immenso mare dorato... mi faceva stare male, mi stringeva lo stomaco più di quanto non facesse già l'ansia. Ero paralizzato e senza nessuna via di fuga e la cosa peggiore fu il realizzare in quel momento di trovarmi in quella condizione, non tanto perché a breve si sarebbe svolta la mia sfilata, la mia più grande occasione a portata di mano, messa a nudo su una lunga passerella bianca, ma perché al mio fianco non c'era la testa piena di ricci disordinati del mio Blaine. Ed io mi sentivo morire, come mai era successo prima.
Glielo avevo ricordato praticamente ogni giorno durante quella settimana - anche perché sarebbe stato un pò impossibile ignorare la mia ansia e la mia eccitazione - e quella mattina, quando ero uscito da casa verso le cinque, gli avevo lasciato un post-it azzurro sul cuscino - il cuscino del mio letto, perché lui aveva passato la notte da me - sul quale avevo scritto *Oggi è il grande giorno... non ti sveglio solo perché sono certo che, vedendomi in questo stato, decideresti di lasciarmi. Ti aspetto alle 3 davanti l'edificio della Sylvester's Style. Ti supplico, se non vuoi vedermi morire.. non fare tardi! Ti amo... K*
E lui, un paio di ore più tardi mi aveva risposto, mandandomi un messaggio: *Sarò lì ad aspettarti già dalle due e mezza, non temere. Tu pensa a stare tranquillo e ricordati di respirare. Ti amo da impazzire, oggi un pò di più di ieri. B* ed io mi ero ritrovato a stringere il mio iPhone tra le mani e a sorridere, per la prima volta da quando la sveglia aveva suonato quella mattina. Lui ne era capace, perfettamente e assurdamente capace, riusciva a farmi stare bene sempre, anche con un banalissimo messaggio ed io ero convinto che ne sarebbe stato capace, perfino in quel momento. Solo lui ci sarebbe riuscito, solo lui.
Non puoi avermi abbandonato qui, non ci credo.. tu non lo avresti mai fatto, tu me lo hai.. giurato... i tuoi occhi brillavano mentre me lo dicevi, tu...
All'improvviso mentre il mio stomaco si ribellava ancora stringendosi dolorosamente, successe qualcosa. Sentii una voce in lontananza, una voce che chiedeva scusa, una voce che avanzava, quasi stesse correndo, una voce che ebbe il potere di ridarmi il respiro e contemporaneamente togliermelo. Una voce che in quel momento significava tutto. La porta si aprì con un gesto veloce, che fece sobbalzare un paio di persone ferme lì accanto e il mio cuore fece lo stesso: saltò nel petto, sbatté contro le costole provocandomi una fitta senza precedenti, per poi scendere, sprofondare nello stomaco, e lì rimanere. E ogni cosa, in quel preciso istante, mentre i suoi occhi dorati si incatenavano ai miei e dalla sua bocca vidi uscire un piccolo sospiro, acquistò un senso, ogni cosa ricominciò ad essere così come avrebbe dovuto, ogni cosa divenne più semplice - perfino il sopportare lo stomaco in agonia - perché ogni cosa aveva iniziato a sapere di nuovo di lui.
"Blaine.." un sussurrò mi scappò dalle labbra, mentre il cuore tornava al suo posto e il battito riprendeva il ritmo regolare - se regolare poteva definirsi lo scalpitare furioso che ogni volta accompagnava la vista di Blaine. Lui si avvicinò a me, ignorando tutti i presenti nella stanza, perfino Sebastian e Daniel che alle nostre spalle dissero qualcosa. Fu tutto sovrastato dal rumore del suo respiro e dall'istintivo quanto opprimente desiderio che sentii di sporgermi verso di lui e stringerlo forte, fino a fare male ad entrambi, fino a perderne la ragione, fino a rendermi finalmente conto che... lui c'era.. era lì e finalmente potevo tornare a respirare.
"Dio, Kurt.. scusa.. scusa.. scusa... io non... ho perso la cognizione del tempo e poi... c'era... un tizio che.. non mi faceva passare e un ... io non.." e l'istinto prevalse sulla ragione ancora una volta, perché era troppo opprimente il bisogno, perché mi era mancato da impazzire e perché volevo vedere se stringendomi a lui, sarei riuscito a stare meglio. E così feci: annullando la distanza ridicola che c'era tra i nostri corpi, mi buttai su di lui, talmente tanto velocemente da prenderlo alla sprovvista. Oscillò appena, ma riuscì perfettamente a trattenere entrambi senza farci cadere a terra. Ed eccola la mia ancora, il mio giubbotto di salvataggio, la mia scialuppa... colui che mi avrebbe protetto in ogni caso, qualsiasi cosa fosse successa.
"Basta. non dire altro... l'importante è che adesso tu sia qui.. con me!" mormorai, affondando il viso nell'incavo del suo collo e riempiendomi i polmoni con il suo profumo, perché quella era esattamente il tipo di aria che valeva la pena respirare. Le sue braccia si strinsero maggiormente a me ed avvertii un leggero tocco, un morbidissimo e dolcissimo tocco di labbra posarsi sulla mia tempia
"Non me la sarei perso per niente al mondo." mi assicurò ed io gli credetti all'istante, dimenticando il ritardo, dimenticando tutta l'ansia e la paura che non potesse esserci, che avesse trovato qualcosa di più importante da fare. D'altronde la maggior parte delle persone che erano lì con me e per me in quella stanza, avevano dovuto prendere un permesso da lavoro per esserci - inclusi Sebastian e Daniel. E non mi sarei meravigliato se Blaine mi avesse chiamato per dirmi che Artie avesse deciso di aggiungere delle registrazioni extra proprio quel giorno: lui era in un momento critico della sua esperienza discografica e non avrei mai voluto che per colpa mia rinunciasse ad un'occasione di quella portata. Eppure, in qualsiasi modo stesse andando la preparazione, lui era riuscito a venire; quindi preferivo di gran lunga che avesse fatto quaranta minuti di ritardo, piuttosto di non averlo affatto al mio fianco.
"Hanno già iniziato?" mi domandò dopo un tempo imprecisato, mentre una mano si fermava a metà della mia schiena, in seguito ad una lunghissima e piacevole carezza. Io si discostai appena, per poterlo guardare negli occhi ed annuii
"Sì... i primi due hanno già sfilato. Avresti dovuto vederli, Blaine. Erano bellissimi, dinamici, innovativi e..." la mia voce cedette appena, colta da una evidente nota di panico che mi sconvolse più del dovuto. Scossi la testa, rassegnato "Non ce la farò mai!" aggiunsi, abbassando lo sguardo sul pavimento di marmo e chiedendomi che diavolo avessi pensato di fare in quei giorni. Mettermi al pari di ragazzi con più esperienza, improvvisarmi un grande esperto di moda, ma soprattutto credere che una donna di tanto talento come Sue Sylvester potesse seriamente provare un interesse verso le mie creazioni. Era assurdo. Non aveva il minimo senso logico.
Un paio di mani caldissime si posarono sulle mie guance, circondandomi il viso e fui costretto a sollevare gli occhi e a puntarli nei suoi. Avvertii una scarica di pura adrenalina invadermi e tesi di conseguenza la schiena, perché la sensazione era stata così forte da scuotermi. L'oro che gli colorava gli occhi, in quel momento, era decisamente più acceso del solito, quasi per ironia della sorte, quasi volesse sottolineare che... una determinata scelta fatta in quei giorni, fosse stata la migliore.
"Ma certo che ce la farai. Tu sei pieno di talento, quello che hai creato è bellissimo... loro... sono bellissime." mi disse con convinzione, facendo un cenno verso le sedie dietro di me ed io seguii il suo sguardo fino ad incontrare cinque splendide ragazze, cinque versioni delle mie amiche, completamente diverse dal solito, ma insolitamente splendide. Ed io lo credevo sul serio, nonostante fossi palesemente gay. Erano una più bella dell'altra: Santana e Brittany mi avevano aiutato con il trucco e i capelli e avevano reso le altre delle dee, delle vere modelle. E, cosa più importante, ognuna di loro era rimasta entusiasta dall'abito che avevo scelto da fare indossare loro. Quinn soprattutto: si era perfino commossa, osservando con attenzione il modello e accarezzandosi la pancia distrattamente - pancia che iniziava a vedersi leggermente, ma che la rendeva ancora più meravigliosa. Erano state tutte molto attive in quella situazione: Rachel mi aveva messo a disposizione l'intero appartamento per lavorare, Tina mi aveva aiutato a rifinire gli abiti, Santana mi aveva consigliato il migliore rivenditore di stoffe della città, senza spendere cifre eccessive. Ognuna di loro aveva partecipato attivamente e sentivo che tutte in quel momento si dividevano un pò di quell'ansia che sentivo avvolgermi lo stomaco, anche se non lo davano a vedere. Santana era con Tina in fondo alla sala e le mostrava ancora una volta come dovesse sfilare senza risultare troppo impacciata; Brittany chiacchierava allegramente con Quinn e ogni tanto le sistemava qualche boccolo che era sfuggito alla presa dell'acconciatura; e infine Rachel era in piedi e sbirciava la sfilata di uno degli altri concorrenti attraverso l'unica finestra che c'era nella stanza. Sembrava agitata perfino lei, perché continuava a torturarsi le mani e ad accarezzarsi il vestito, allisciando delle pieghe inesistenti. E tutta quella situazione mi sembrò così concreta e reale da fare quasi paura.
Guardale... sono tutte qui per te...
"Hai tutte le carte in regola per vincere questo concorso... e non te lo dico soltanto perché sei il mio ragazzo e perché ti amo... lo dico perché ci credo.. credo in te e nel lavoro che hai fatto." continuò Blaine, catturando di nuovo la mia attenzione. Mi morsi un labbro istintivamente, mentre lui mi rivolgeva un sorriso buono e bellissimo e mi accarezzava lentamente uno zigomo con il pollice "Quindi ora fai un respiro profondo, guarda bene le tue modelle e... convinciti di essere il migliore!" fu quasi un ordine che arrivò direttamente al mio povero cervello stressato, nonostante l'avesse pronunciato con molta tenerezza. Feci come mi aveva detto, concedendomi un lungo respiro che mi riempì ancora i polmoni del suo profumo e alla fine mi sciolsi, perché i suoi occhi erano ancora lì così belli e profondi ed io non riuscivo ancora a capacitarmi di quanto speciale potesse essere. Perché era ancora lì con me? Perché non era scappato come tutti gli altri? Perché mi consolava e mi sorrideva e mi voleva rassicurare? 
"Blaine..." non volli sembrare troppo tormentato, ma non riuscii a trattenere un mezzo lamento. Lui mi accarezzò ancora, avvicinando il viso al mio
"Ce la farai Kurt... ne sono sicuro." esclamò con vigore
"Non esserlo.. finirò con il deluderti." come ho fatto praticamente con tutti...
"No... non lo farai. Tu non mi hai mai deluso e di certo non inizierai a farlo ora!" rispose, mentre una mano scivolava sulla mia nuca e mi premeva la testa più avanti, fino a far scontrare le nostre fronti. Chiusi gli occhi e mi godetti di quel momento. Mi godetti la pacifica sensazione di benessere e tranquillità che il suo corpo riusciva ad infondermi e mi imposi la calma, respirando molto lentamente. Riuscii perfino a sorridere perché... quello era l'effetto che Blaine aveva su di me, ormai era assodato. Lo sentivo nelle vene, nello stomaco - che si rilassava notevolmente - e perfino nel cuore.
"Grazie.." mormorai mentre sfioravo il suo naso con la punta del mio "E.. scusa.. è che... è solo un altro attacco di panico immagino a farmi.. questo..." tentai di giustificarmi con un sorriso imbarazzato. Lui si accigliò all'istante
"Un... altro?" domandò infatti
"Sì.. ne avrà avuti almeno sei da quando siamo qui." esclamò una voce alle nostre spalle, atona e leggermente seccata, ma non riuscii a prendermela, perché sapevo quanto si fosse preoccupato Sebastian per me quel giorno; lui e Daniel forse erano stati quelli che mi erano rimasti più vicino in attesa di Blaine, nonostante le pessime battute del più grande. Sebastian aveva uno strato modo di preoccuparsi delle persone e io lo avevo appena scoperto. Mi ritrovai a ridacchiare per via della buffa espressione stupita di Blaine e mi affrettai a dire
"Non preoccuparti, Blaine. Sto bene è... normale. Ora però ci sei tu e mi sento decisamente meglio." e gli sorrisi, affondando di nuovo il viso nel suo collo e mi rilassai appena un pò di più, sentendo le sue labbra posarsi di nuovo sulla tempia, e premere appena un pò più forte, quasi volesse esprimere con quel gesto tutto il suo sostegno e l'amore che provava per me.
Lo so che sei qui e che mi ami... lo sento...
"Kurt Hummel!" il mio nome pronunciato in maniera così cruda fu come una fucilata. Mi ritrovai a sobbalzare tra le braccia di Blaine e a stento riuscii ad intravedere il ragazzo che era venuto a chiamarmi, che stava già tornando in sala. Rimasi un lunghissimo istante sospeso, mentre tutti quelli che erano con me, si girarono a guardarmi. Ed io di nuovo mi sentii perso.
"Oddio.. ci siamo!" mormorai tremante, aggrappandomi con forza ad un braccio di Blaine e avvertendo la sgradevole sensazione dell'arrivo di un altro attacco di panico. Ma qualcosa quella volta me lo impedì, o meglio... riuscì a portarmi al sicuro prima della rovina. La sua voce.
"Kurt.. guardami!" mi ordinò di nuovo, quella volta più perentorio e i miei occhi scattarono ubbidienti nei suoi "Io sono con te. Non devi avere paura. Qualsiasi cosa... qualsiasi.. l'affrontiamo insieme, va bene?" mi disse senza esitazione accarezzandomi il viso. Tremai appena ma fu un attimo. Quello successivo ero già proiettato nei suoi occhi e mi facevo cullare dal caramello fuso così dolce ed intenso da riuscire ad incantarmi come sempre
"Va bene." e forse quella voce non era stata neppure mia, qualcun altro aveva risposto per me, tuttavia le labbra che Blaine sfiorò... quelle erano mie, perché le sentii incendiarsi e piegarsi appena in un sorriso
"In bocca al lupo, amore mio."

New York City. Ore 04.10 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

Sue Sylvester era una donna davvero bizzarra. Capelli biondissimi, corti, occhi chiari nascosti dietro degli occhiali sottili e discreti, collo lungo e postura imponente. Incuteva un certo terrore, dovevo ammetterlo, soprattutto perché, da quando avevo messo piede nella stanza, lei non aveva ancora parlato. Una donna al suo fianco mi aveva domandato le mie generalità ed io avevo tentato di rispondere, sperando di non aver confuso la mia età né la mia città di origine. A sentire nominare l'Ohio la Sylvester aveva alzato appena gli occhi su di me e potei quasi giurare di aver visto le sue labbra accennare un movimento verso l'alto, ma fu un attimo, poi tornò a dedicare la sua attenzione al mio curriculum. Al lungo tavolo di giudici, accanto a lei, c'erano altre quattro persone, tra cui l'intervistatrice e una figura a me molto familiare, che mi sorprese con un sorriso non appena mi vide: e Michael Chang Jr. in quasi cinque anni di rapporto lavorativo, non mi aveva mai sorriso.
"Dunque, signor Hummel... mi permetta di dirle che lei è davvero molto giovane... la nostra agenzia non ha mai avuto a che fare con ragazzi che avevano meno di trentacinque anni." annunciò l'intervistatrice - una certa signora Spencer, come affermava il cartellino che portava al petto - inarcando un sopracciglio e lanciandomi un'occhiata quasi di sfida. Cosa si aspettava che dicessi? Che girassi i tacchi e me ne andassi, soltanto perché ero notevolmente più giovane rispetto agli altri? Che chiedessi scusa per questo?
"Suppongo che non ci sia un'età prestabilita per il talento. Se si è nati con un dono è giusto condividerlo con il mondo il prima possibile, senza egoismi né timori. E poi, se posso permettermi... è noto a tutti che la signora Sylvester ha dato vita alla sua prima collezione all'età di ventitré anni quindi... se vogliamo dirla tutta.. sono perfino in ritardo sulla mia tabella di marcia." affermai con un certo riservo, rendendomi conto solo dopo di che belle parole fossi riuscito a tirare fuori. Qualcuno al tavolo ridacchiò molto discretamente, incluso Chang, mentre la Sylvester si limitò ad alzare di nuovo gli occhi su di me. Tremai appena, schiacciato dal suo sguardo professionale e mi sorpresi non poco a sobbalzare quando la sua voce si decise a prendere forma
"Noto con piacere che qualcuno oggi ha fatto i compiti!" esclamò, sfilandosi gli occhiali e poggiandoli con cura sul tavolo. La sua voce era leggermente fredda e pungente ma proprio non mi sfuggì il leggero accenno di ironia che la colorò. Trattenni il fiato, sentendomi un maledetto idiota per aver risposto in quel modo e per aver tirato in mezzo lei, che era il guru della moda e che non poteva essere neanche lontanamente paragonata a me. Lei già a ventitré anni era stata strabiliante e sicura di sé... io invece non riuscivo a smettere di tremare.
"Sì signora!" balbettai incapace di tenere testa anche a lei, che mi scrutava a dovere.
"E posso sapere cosa ti ha... ispirato?" mi domandò, stranamente curiosa. Cosa mi aveva ispirato? Mmmm bella domanda davvero
"Credo sia stata più una questione di istinto. Generalmente ho sempre seguito quello nella vita e fino ad ora non mi ha mai deluso." risposi e lei, constatai con una leggera amarezza, non sembrò particolarmente colpita dalla mia risposta. Temevo di essere mandato via in quell'istante per un banale capriccio dovuto ad una risposta sbagliata, così decisi di continuare e di sbottonarmi un pò di più
"Però... in effetti qualcosa mi ha... più che ispirato, guidato in questi giorni passati a creare i miei abiti... Un colore... un colore che, come vedrete, ho deciso di utilizzare come base per la mia collezione e che da un mese ormai mi ha completamente cambiato la vita. Si tratta di una particolare sfumatura di dorato, un colore caldo ed avvolgente, che coccola lo sguardo e riesce a rilassare. É brillante ed intenso allo stesso tempo e... anche se sembrerà leggermente bizzarro da sentire... ogni volta che lo guardo sembra abbia qualcosa in più da offrirmi, qualcosa di nuovo che vuole raccontarmi ed io sono pronto a ricevere tutto, cosa che spero sappiate fare anche voi oggi!" e alla fine tentai un sorriso appena emozionato, chiedendomi che effetto potessero avere quelle parole su chi mi stava ascoltando in quel momento. Su una persona in particolare.
Ebbene sì, amore mio.. ho usato il colore dei tuoi occhi per i miei vestiti.. e non mi vergogno ad ammetterlo, anzi.. voglio gridarlo al mondo...
La Sylvester mi ascoltò con molta attenzione e per mia fortuna la sua espressione mutò leggermente, diventando appena più disponibile. Emise un lungo e rumoroso sospiro, rilassandosi contro lo schienale della sedia e disse
"D'accordo, allora... sono proprio curiosa di vedere cosa sei stato capace di fare con il tuo... dono!" e mi invitò ad iniziare con un gesto.
Merda... ora ci siamo davvero...
Annuii muovendo le gambe fino al fondo della passerella per andare dalle ragazze e dare loro il via per partire, mentre un ragazzo con un computer poco distante fece partire una musica come base: Rihanna con 'Dimonds'. La prima a partire fu Santana: avevo bisogno di lei per aprire la sfilata, non perché volessi partire con il botto o fare chissà quale bella figura iniziale.. si trattava di una logica, una logica che avevo cercato di dare agli abiti, alla loro sistemazione e al loro taglio. Con un lungo sospiro le feci un cenno e lei mi sorrise, sollevando il pollice e salì in passerella.
L'abito che avevo fatto indossare a Santana era il più corto di tutti, non soltanto perché lei era quella esperta e forse sarebbe stata l'unica a non vergognarsi di portare un vestito così corto, ma soprattutto perché vederlo indossato da lei mi aveva fatto decisamente decidere che, nessun altro al mondo avrebbe potuto portarlo con più grazia ed eleganza. Santana era capace di dare vita anche agli abiti più insulsi, e in quel momento su quella passerella, mi sembrò bellissima e fui completamente fiero di lei. Dopo Santana fu il turno di Brittany che indossava un pantaloncino corto, che le arrivava a metà coscia, con un top coordinato ed una giacca morbida che le ricadeva perfettamente sulle spalle. Quella ragazza aveva un portamento naturale che la faceva senza dubbio sembrare allo stesso livello di Santana e nonostante avesse affermato più volte di non aver mai camminato su dei tacchi così alti, riuscì a completare la passerella senza problemi, riuscendo perfino a strizzare discretamente l'occhio alla sua ragazza, incrociandola a metà passerella. Subito dopo Brittany, fu il turno di Tina che sfoggiava orgogliosamente il suo vestito - decisamente più lungo rispetto a quello di Santana - che le lasciava scoperta praticamente tutta la schiena. Perfino lei con la sua innata timidezza riuscì a percorrere tutta la passerella con estrema eleganza e un leggero sorriso che riuscì a rivolgere al tavolo dei giudici. A Tina seguì Quinn, il cui vestito era senza dubbio quella che mi aveva dato più soddisfazioni: avevo deciso di proporle una salopette a pantalone, morbida sui fianchi - nell'eventualità di essere indossata sempre, anche nel caso in cui le fosse esplosa improvvisamente la pancia - con una tasca centrale che lei aveva apprezzato fin da subito, e senza dubbio vedere il suo vestito aveva aiutato a rilassarla sensibilmente per la storia della sfilata: era sicura di sé mentre avanzava lungo la passerella e riuscii a sorridere orgoglioso perché quella ragazza, con i capelli morbidamente arricciati sulle spalle e lo sguardo fiero, era incinta e non si vergognava di esserlo, anzi... lo mostrava con fierezza e determinazione ed era lontana dalla prima versione che avevo avuto di lei. E infine, dulcis in fundo, arrivò lei, la mia piccola e sorprendente e meravigliosa Rachel, la mamma che in quegli anni mi aveva un pò cresciuto e viziato, appianando quel vuoto materno che mi congelava il cuore. Ed era bellissima nel suo abito lungo, che accarezzava morbidamente la pedana della passerella mentre lei camminava, le incorniciava elegantemente il fisico - era piccina, ma fatta veramente bene - e le dava quel tono raffinato che era esattamente ciò che volevo ricreare. Era stata una versa soddisfazione vedere come l'abito che avevo immaginato per lei, le calzasse in maniera così perfetta e lei ne sembrava fiera, perfino in quel momento, nonostante si vedeva chiaramente quanto in ansia fosse e quanto volesse scaricarsi con un bel pianto. E forse anche io avrei pianto, magari dopo, o magari lo stavo già facendo senza rendermene conto.
La sfilata finì nell'esatto istante in cui Rachel tornò dietro il sipario e si fiondò tra le mie braccia, ovviamente scoppiando a piangere
"Oddio Kurt... è stata la cosa più sensazionale e... meravigliosa di tutta la mia vita. Grazie... grazie.. grazie..." mormorò tra le lacrime, stringendo appena un pò di più la presa. Io, che ero senza respiro né il minimo senso di orientamento mi ritrovai sommerso di complimenti da parte delle altre quattro ragazze, che commentarono emozionate quella esperienza, già azzardando dei pronostici - Tina era sicura che uno dei giudici l'avesse apprezzata più del dovuto. Anzi, rettificò arrossendo.. aveva apprezzato il vestito, non lei. Ma io non riuscivo a respirare, non riuscivo a muovermi, non riuscivo neppure a concretizzare un pensiero coerente. Ero paralizzato nella mia stessa paura, che defluì lentamente, perché realizzai che era tutto finito e che se fosse andata male, quella sarebbe stata la prima ed ultima volta in cui avrei messo piede su una passerella. E la consapevolezza ebbe il potere di schiacciarmi. Mi resi conto, per fortuna in tempo, di essere di nuovo vittima di un altro attacco di panico, ma quella volta non permisi alle mie debolezze di sotterrarmi e provai a reagire prima di venire di nuovo sovrastato: tentai un sorriso verso le mie amiche e sgusciai via dall'abbraccio di Rachel, dopodiché ritornai mi avviai a passo veloce verso la sala, dove la giuria si preparava ad accogliere il nuovo candidato. Ma io non volevo vedere che tipo di abiti volesse proporre, né con che parole si presentasse: avevo bisogno di respirare, avevo bisogno di superare quella nuova crisi. Non potevo pensare di farcela da solo perché già in principio non ero più solo: e così uscii di nuovo nel corridoio, con il fiatone, quasi avessi corso, e lo cercai disperatamente con lo sguardo in ogni angolo, avvertendo lo stesso tipo di panico che mi aveva colto mentre attendevo che arrivasse, assalirmi. Ma quella volta non riuscii a sentirmi veramente male, perché una mano si posò sulla mia spalla ed una voce morbida mi accarezzò l'orecchio
"Kurt.." mi ritrovai a girarmi in maniera così veloce che subito fui colto da un leggero capogiro - troppe, troppe emozioni - e se non ci fosse stato lui a stringermi, probabilmente sarei caduto per terra. Senza dire niente, mi strinsi con forza al suo corpo, affondando il viso nel suo collo, ignorando la musica che proveniva dalla sala, ignorando il brusio delle altre persone in quel corridoio, ignorando perfino le mie stesse lacrime e quell'assurda curiosità di chiedergli come avesse reagito nello scoprire che avessi scelto il colore dei suoi occhi come base della mia collezione. Ignorai tutto quanto e semplicemente mi lasciai andare al suo calore e alla sua presenza rassicurante, perché non volevo stare male e sapevo che, di qualsiasi cosa avessi avuto bisogno per stare meglio, l'avrei trovata con lui.
La sua mano scivolò lentamente sulla schiena, fino ad immergersi nei miei capelli - ed ero così sconvolto da non preoccuparmi nemmeno per la piega - e la sua voce arrivò gentile e carezzevole, in perfetta armonia con la delicatezza del momento
"Sono così fiero di te, Kurt... così fiero che non hai idea." sussurrò, ed avvertire la commozione colorargli la voce fu una specie di colpo diretto al cuore, che mi fece stringere ancora più forte. Cosa sarebbe successo a Kurt, se Blaine non fosse stato lì ad abbracciarlo e a farlo sentire tanto importante e speciale? Cosa sarebbe successo alla sua vita se quel giorno, più per caso che per altro, i suoi occhi dorati non avessero incrociato i suoi, spersi e spenti, e non avessero deciso insieme di diventare vicini, amici, amanti, innamorati, fidanzati... cosa sarebbe successo alla vita di entrambi se non avessimo avuto la fortuna di farle incrociare tra di loro in quella maniera così profonda? Lui probabilmente non avrebbe avuto nessun contratto discografico, nessun successo musicale e sarebbe ancora troppo impegnato dai suoi tre lavori, senza un momento libero per poter vivere. Ed io? Io sarei ancora succube di David e della sua arroganza, imbavagliato in una vita piatta e schifosamente triste, una vita che non mi sarebbe mai appartenuta in cui non sarei mai riuscito a far prevalere la mia voce e i miei sogni. Prima sognare per me sarebbe stato un lusso fin troppo grande da permettermi: ora, con Blaine che mi stringeva in quel modo e mi lasciava leggeri baci sulla fronte e tra i capelli, era diventata una meravigliosa realtà da cui non ci sarebbe stato alcun bisogno di svegliarsi.

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Capitolo 42
*** Soltanto un pianerottolo ***


Buon ultimo dell'anno a tutti e benvenuti all'ultimo capitolo di Just a Landing... ahhhhh dopo mille peripezie, un esame, dieci chili messi a causa delle feste, sono riuscita a finire il capitolo (che è lungo tipo venti pagine quindi... preparatevi XD) ed ora sono qui.. dunque... questo come ho detto è l'ultimo ed io... non ci credo.. sono passati sei mesi, ed io sento di essere cresciuta assieme a questa storia che rimarrà nel mio cuore per sempre così come ci rimarrete anche voi, splendide persone che avete deciso di dedicarmi il vostro tempo e il vostro affetto durante i 42 capitoli della storia. Dunque, come ho già accennato in passato, la storia anche se tecnicamente finisce qui, ha ancora bisogno del suo epilogo che questa volta non sarà unico ma sarà diviso in nove parti (una per ogni coppia, incluso il povero Artie che è sempre solo XD) in cui spero di riuscire a spiegare le ultime cose ed approfondire qualche aspetto che purtroppo nella storia mi sono dovuta lasciare alle spalle troppo velocemente. E poi non dimentichiamoci i MM (mi ci dedicherò, promesso ^^) e... sì insomma.. forse nella mia mente bacata si è già affacciata una piccolissima idea per un sequel ma.. è tutto da vedere.. ho un progetto da portare a compimento con il mio Dan prima, poi si vede ;) per il momento vi auguro buona lettura, buon finale di storia, buona fine per questo 2012 e un 2013 sereno e pieno di cose belle. Per i ringraziamenti, che sono d'obbligo, ci vediamo nelle prossime shots (che pubblicherò sempre qui in continuazione, solo come epiloghi). Un bacio a tutti e scusate ancora per il ritardo :*
p.s. Questa volta immagine speciale, sempre offerta dal mio Dan per celebrare l'ultimo capitolo... ;)
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )




New York City. Ore 08.12 P.M. 04 Maggio 2012 ( Venerdì)


Io per principio non avevo mai creduto al caso, alle coincidenze, al disegno del destino già fissato e a tutto ciò che ne era correlato. Credevo invece ai sacrifici, agli sforzi fatti ogni giorno, alle sconfitte e ai successi - ed io nella mia vita avevo ottenuto soltanto i primi, in dosi davvero massicce - e soprattutto credevo davvero poco alle amicizie, all'affetto sincero di persone che non erano parenti prossimi e che quindi non avrebbero avuto nessun motivo per provarne nei miei confronti.
Ebbene, strano ma vero, in poco più di un mese, mi ero ricreduto su tutto.
Il destino esisteva ed era davvero scritto per ognuno di noi, le coincidenze erano tante ed evidenti e si incastravano perfettamente le une con le altre, il caso a volte funzionava in modo bizzarro e creava delle combinazioni a dir poco perfette in pochissimi istanti. La mia vita aveva iniziato a girare nel verso giusto agli inizi di Marzo e, lentamente ma soprattutto in maniera davvero inaspettata, si era portata dietro una serie di eventi magnifici che avevano rivoluzionato il mio mondo. Avevo perso il lavoro, avevo rotto con il mio ragazzo ossessivo e opprimente, avevo scoperto che aprirsi un po' di più con gli altri non era una brutta scelta, avevo guadagnato un paio di amici gay, ma soprattutto...
"Ehi..." la voce calda del mio ragazzo mi giunse vicinissima e difatti pochissimi istanti dopo sentii le sue braccia avvolgersi attorno ai miei fianchi e il respiro arrivarmi sul collo, solleticandomi. D'istinto mi ritrovai a sorridere
"Ehi.." risposi, abbandonando la testa all'indietro, per posarla sulla sua spalla "Sei diventato talmente tanto bravo a scavalcare la ringhiera del terrazzo, che ormai non ti sento neanche più quando lo fai!" mormorai divertito, facendolo ridacchiare
"In realtà... ho usato le chiavi per entrare." mi corresse, e sentii le sue labbra sorridenti posarsi con delicatezza sul collo.
Ah già, le chiavi.. quelle che gli ho dato io qualche giorno fa...
"Che ci fai qui al buio, tutto solo?" mi domandò qualche istante dopo
"Avevo bisogno di... prendermi qualche minuto tutto mio, per pensare." spiegai con un sospiro
"Oh..." lo sentii trattenere il fiato, tanto che dovetti girare un po' il viso per poterlo guardare negli occhi e capire cosa stesse pensando "Mi dispiace.. non volevo disturbarti... me ne torno immediatamente di là.." e, rammaricato, fece per allontanarsi, ma riuscii a bloccarlo per un braccio e a tenerlo stretto a me
"Non muoverti!" lo implorai, girandomi verso di lui e allacciando le braccia attorno al suo collo "Rimani qui con me, Blaine..." e affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla, chiusi gli occhi, permettendo al suo profumo di cullarmi, al suo calore di invadermi e soprattutto abbandonandomi ai ricordi.

New York City. Ore 05.30 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

L'attesa uccide. Più di qualunque altra cosa al mondo. Ti corrode, ti logora, ti fa perfino uscire fuori di testa. É insana, è pericolosa, è maledettamente dolorosa. Ed io le stavo provando tutte sulla mia pelle, proprio in quel momento, mentre aspettavo, seduto sulla mia poltroncina imbottita, assieme agli altri ragazzi che avevano sfilato quel giorno, il verdetto della giuria. Mi sarei voluto alzare e scappare via lontano, rifugiarmi da qualche parte in cui nessuno avrebbe potuto mai ritrovarmi e poi piangere, piangere all'infinito, anche se non avevo motivo per farlo.
Ma ero scappato troppo spesso e troppo a lungo quindi era decisamente arrivato il momento per fare un respiro profondo, stringere i denti e reagire. Ero forte, avevo il mio bel carattere e le mie spalle erano sufficientemente larghe per sopportare un altro po' di quell'ansia e di quel tormento che mi stringevano lo stomaco. Nella peggiore delle ipotesi, cosa sarebbe successo? Sue Sylvester, il guru della moda americana, avrebbe alzato i suoi occhietti azzurri su di me, magari inarcando perfino un sopracciglio, e mi avrebbe detto che non andavo bene, che la mia moda non era destinata ad approdare da nessuna parte e che il mio tentativo, per quanto coraggioso, era stato piuttosto vano e deludente. Io avrei ringraziato con rispetto tutta la giuria, e con la dignità un po' ammaccata ma ancora forte, avrei lasciato la sala e avrei raggiunto i miei amici e il mio ragazzo che attendevano al di fuori. Un sogno che si avvera e si infrange nella stessa giornata sarebbe stato davvero un bel record di cui andare fieri. Se non avessi vinto quel concorso, non sarebbe morto nessuno, la mia vita sarebbe ugualmente continuata, il mio lavoro al pub sarebbe rimasto, i miei amici avrebbero continuato a volermi bene e soprattutto... Blaine mi avrebbe amato, qualsiasi cosa fosse successa... per sempre e anche oltre.
In quel momento, proprio quando l'ennesimo crampo mi rivoltava lo stomaco, la porta si aprì e la giuria al completo rientrò nella sala. Raddrizzai istintivamente la schiena e strinsi i pugni sulle gambe, mentre gli occhi vagavano subito sulla figura esile ed elegante di Sue Sylvester e sulla sua espressione: seria, fiera, austera e decisamente imperscrutabile. Un militare.
La Signora Spencer, la stessa che mi aveva intervistato all'inizio della sfilata, ci chiamò sul palco e ci fece sistemare uno di fianco all'altro - eravamo in tutto dieci tra ragazzi e ragazze - e dopo un breve cenno con la testa, si risedette al suo posto e lasciò la parola alla Sylvester. 
Non ce l'hai fatta Kurt... hai perso...
"Dunque... prima di tutto credo sia doveroso da parte mia premettere alcune cose, affinché quello che in seguito arriverò a dirvi, sarà più chiaro e conciso possibile. E che a nessuno di voi salti in testa di lamentarsi o di permettersi di contraddire il nostro giudizio." iniziò rigida, squadrandoci uno per uno. La ragazza al mio fianco, una brunetta con gli occhiali e dei discutibili pantaloni zebrati, emise un leggero lamento, che forse era condivisibile da ognuno di noi su quel palco.
Guardati Kurt... cosa hai creduto di fare presentandoti qui?...
"Partiamo dal presupposto che... la moda non è per tutti. L'ottanta per cento di noi qui dentro non avrebbe dovuto neanche prendere in mano un ago, per quanto mi riguarda e quindi seriamente non capisco cosa vi abbia spinti ad aspirare verso qualcosa di così.. ambizioso. Sognando così in grande fate del male a voi stessi, ma soprattutto fate perdere del tempo a quelli che come noi, lavorano sul serio. Non ho mai creduto nelle seconde possibilità e non intendo darne a nessuno di voi qui dentro, per questo sarò davvero limpida nei miei giudizi." si concesse una pausa per inforcare i suoi occhiali e recuperare un foglio dal tavolo.
Hai sentito? Tu fai sicuramente parte di quell'ottanta per cento...
"Quelli che sto per chiamare, facciano per favore un passo avanti, senza aprire la bocca." ordinò perentoria, per poi iniziare un piccolo elenco "Susan Meyer... Jonathan Hobey... Paul Keaton... Derek White... Sandra Peterson... Rebecca Olsen... Marcus Vicent Bones..." risollevò gli occhi dal foglio, puntandoli sui sette ragazzi che avevano fatto un passo in avanti e strinse le labbra, in una mezza smorfia indecifrabile
Bene... ora dirà che chi non è stato chiamato può gentilmente accomodarsi fuori...
"Chi è stato chiamato... può uscire. Non avete minimamente sfiorato il punteggio minimo richiesto per poter rimanere su questo palco. Quindi.. grazie ed arrivederci!" annunciò seccata. Ci fu un momento di silenzio generale in quella sala, particolarmente imbarazzante, fino a che, la ragazza al mio fianco - quella con i pantaloni zebrati - non scoppiò a piangere e non scappò fuori, letteralmente disperata, seguita poi a ruota dagli altri sei, delusi e sconfitti. Non potevo crederci. Non mi aveva ancora mandato via, non mi aveva fatto scendere dal palco, ero ancora lì insieme ad altri due ragazzi - che sospirarono lentamente - e potevo ancora permettermi di sperare. Almeno un po'.
Caspita.. vuoi vedere che...
"Non fatevi strane idee voi tre... non vi ho fatti rimanere per annunciarvi che ho deciso di premiarvi tutti, perché sarebbe decisamente fuori discussione.. voglio semplicemente dirvi qualche parola perché.. ammetto che siete stati gli unici a colpirmi più di tutti oggi." specificò la Sylvester, abbandonando il suo foglio e liberandosi dei suoi occhialini sottili. Bene, prima di mandarmi via e dirmi che non ero portato per la moda, voleva aggiungere qualche altra cosa. Niente di più.
Ed io che mi stavo perfino illudendo...
"Dunque... iniziamo da chi mi ha entusiasmato di meno tra voi tre... Lucy Mattews... prego vieni qui davanti.." invitò una ragazza alta e magra, con i capelli biondi raccolti in una coda e lei subito si affrettò ad ubbidire e rimase in silenzio in attesa, nonostante le si leggesse chiaramente in faccia la leggera delusione per essere quella, tra noi tre, ad averla colpita di meno.
Merda... merda... merda...
Ascoltai a stento ciò che la Sylvester disse alla ragazza, perché ero troppo impegnato a torturarmi le mani, a stringere il tessuto della mia giacca e a cercare di ricordare come si respirasse, onde evitare un altro attacco di panico. Alla fine, però, mi accorsi con grande sorpresa che Lucy si era inchinata di fronte alla giuria e con un sorriso un po' deluso e forzato, aveva salutato tutti ed era uscita dalla sala. Oddio.. quindi neanche lei aveva... vinto?
"E alla fine rimasero soltanto in due!" esclamò ridacchiando uno dei giudici, uno di quelli che per tutto il tempo era rimasto in completo silenzio a quel tavolo, accanto a Michael Chang. La Sylverster fece una mezza smorfia, forse non apprezzando la battuta del suo collega e portò gli occhi su di noi. Avvertii tutto il sangue confluire nelle guance e farle diventare rosse e bollenti - che mi stesse venendo la febbre? - ed un leggero tremore alle gambe, che sentivo non avrebbero retto ancora a lungo. Sarei svenuto sul palco, sepolto da tutta quell'ansia, quell'attesa e quei maledetti occhietti azzurri che continuavano a guardare e a non esprimere un bel niente. E furono proprio quegli occhi a scuotermi qualche istante dopo posandosi su di me, raggelandomi e facendomi sentire immediatamente un idiota.
"Kurt Hummel!" mi chiamò ed io, anche se lei non me lo aveva affatto chiesto, feci un passo in avanti. Si schiarì la voce, congiunse le mani sul tavolo e fece un lungo respiro prima di parlare
"Tu sei senza dubbio stato quello che oggi mi ha colpita più di tutti. Sei quello su cui all'inizio non avrei scommesso neanche un'unghia, eppure... sei salito su questo palco e, nonostante il terrore che ti si leggeva negli occhi, sei riuscito a tirare fuori il carattere e la grinta e hai saputo tenere testa a me, il che è tutto un dire." la bocca le si inarcò appena in quello che sembrò addirittura un sorriso, ma che durò davvero troppo poco per stabilirlo con certezza.
Tu sei stato quello che oggi mi ha colpita più di tutti... cazzo...
"Ho osservato con attenzione i tuoi abiti e.. le tue cinque modelle e... non mi ci è voluto molto a capire che la maggior parte fossero delle dilettanti e che questa fosse la prima volta su un palco per loro. Eppure, nonostante questo, i tuoi abiti mi hanno piacevolmente distratta. Hanno un'ottima fattura e tu sei stato capace di legarli insieme in maniera davvero intelligente e raffinata. E poi quel colore che hai scelto.. devo ammettere che non ho mai amato il dorato.. l'ho sempre trovato alquanto banale e scontato, in alcuni casi perfino leggermente eccessivo, eppure tu sei riuscito, non si sa come, a renderlo... interessante ai miei occhi. Davvero bravo!" e fece un gesto eloquente con le mani, per sottolineare la sua sorpresa, mentre al suo fianco il giudice che poco prima aveva fatto la battuta e il Signor Chang annuivano soddisfatti.
Davvero bravo...
"La... ringrazio!" balbettai a stento, senza un briciolo di saliva né fiato in gola. Quella non era la mia voce e quello non stava succedendo a me. Non poteva essere vero.
"Non ti nego che la strada è ancora molto lunga e che ne dovrai fare di gavetta prima di raggiungere i risultati a cui ambisci. Però... hai un'ottima base e se verrai seguito attentamente e con il giusto criterio... potrai fare grandi cose, Kurt... te lo assicuro!" e quella volta un sorriso ci fu davvero e fu ben visibile, nonostante il tremore mi impedisse di stare fermo e il battito del cuore fosse così forte da rendermi perfino sordo. La grande guru della moda mi stava parlando e mi stava facendo i complimenti. E per di più, mi aveva sorriso, quasi con affetto, quasi come un'amica, quasi come.. una madre. Quasi.
"Ed è per tutti questi motivi che, io ed i miei colleghi avremmo preso una decisione importante su di te."
Sempre se non muoio prima...

New York City. Ore 05.47 P.M. 03 Maggio 2012 (Giovedì)

Era più di mezz'ora che Kurt era dentro a farsi torturare dalla Signora Fletcher - come l'aveva ribattezzata Sebastian - ed io continuavo a corrodermi nella mia ansia, sollevando ogni sette secondi esatti gli occhi dal pavimento fino alla porta della sala in cui si era tenuta la sfilata, sperando di vederlo uscire sorridente e soprattutto vittorioso. Ci aveva messo l'anima ed il cuore in quel progetto e non avrei sopportato di vederlo sconfitto, dopo tutti quegli sforzi e quei sacrifici e quegli anni trascorsi a sopportare una vita che non era adatta a lui e al suo talento. Perché lui ne aveva tanto e meritava di esprimerlo, con o senza signora Fletcher al seguito.
In meno di dieci minuti erano usciti quasi tutti gli altri ragazzi dalla sala, chi piangendo e chi invece inveendo contro la giuria, tacciandola di ignoranza e di presunzione. L'ultima ragazza aveva addirittura dato un calcio al porta-rifiuti che stava accanto alla sedia di Sebastian, facendo riversare a terra tutta l'immondizia e soprattutto spaventando il mio amico che l'aveva fulminata con lo sguardo e le aveva gridato dietro un
"Ehi.. vedi di calmarti Paris Hilton dei miei stivali... oppure la prossima cosa che riceverà un calcio qui dentro, sarà la tua faccia!" e, nonostante si fosse girata con l'intenzione di rispondergli male o magari di aggredire anche lui, lo sguardo del mio amico bastò a congelarla e a farla scoppiare in lacrime
"L'hai fatta piangere." mormorò Daniel al suo fianco, sconvolto
"Ben le sta. Se avessi reagito in questo modo tutte le volte che nella vita ho ricevuto un no... a quest'ora sarei già stato sbattuto in cella di isolamento!" borbottò incrociando le braccia al petto, seccato. Non ebbi neanche la forza per riprenderlo o perlomeno per ammonirlo con lo sguardo. Ero troppo preoccupato per Kurt, per il fatto che non fosse ancora uscito, per non sapere cosa lo attendesse nel suo futuro e se casomai questo qualcosa fosse compatibile con il mio. Una cosa era certa, se anche avesse avuto bisogno di trasferirsi o di cambiare addirittura città o nazione, io l'avrei seguito, perfino in Finlandia.
Dopo l'ennesimo sospiro e dopo essermi messo a grattare con l'unghia il rivestimento della mia sedia imbottita, qualcosa accadde: la porta della sala si aprì e finalmente uscirono gli ultimi due rimasti, tra cui anche il mio Kurt. Io, quasi rispondessi ad un comando impartito dall'alto, scattai in piedi e in meno di tre passi lo raggiunsi, agitato e tremante.
"Allora?" domandai subito, mentre alle mie spalle avvertivo un certo fermento, segno che anche gli altri si fossero avvicinati. Kurt fece un lungo respiro, dopodiché accennò un sorriso mite e...
"Non ho vinto!" esclamò soltanto e la semplicità con cui lo disse, unita a quella sua espressione rilassata e soprattutto, al senso di quelle tre parole, mi fecero perdere un paio di battiti
"Co..cosa?" fu Rachel dietro di me a parlare, o forse Santana... o probabilmente fui io stesso a farlo, senza rendermene conto
"Non ho vinto!" ripeté, sempre con estrema calma "Ha vinto lui!" aggiunse ed indicò l'altro ragazzo che, a pochi metri di distanza da noi, esultava con i suoi amici ed abbracciava un paio di persone, farfugliando qualcosa di incomprensibile. Come incomprensibile per me fu quello che Kurt mi disse: lui non poteva davvero non aver vinto, lui e i suoi modelli erano.. speciali, erano eleganti e meravigliosamente realizzati e stentavo a credere che quel tizio, di cui ignoravo perfino il nome e la nazionalità, potesse aver creato qualcosa di migliore. Era inaudito, inconcepibile, assurdo e... incomprensibile appunto. Doveva esserci stato per forza un errore o probabilmente Kurt si stava divertendo a prenderci in giro. Sì, era senza dubbio così.
"Oddio Kurt... mi ... mi dispiace!" balbettò desolato Daniel che intanto si era fatto più vicino, anche se io non riuscivo a vederlo. Non riuscivo a vedere nulla, al di fuori degli occhi di Kurt, dei suoi bellissimi occhi azzurri che, invece di essere disperati o magari perfino colmi di lacrime, erano luminosi, brillanti e colorati da una strana euforia. Lui non stava scherzando, altrimenti non avrebbe avuto quell'espressione così serena, non avrebbe saputo fingere fino a quel punto. Non Kurt, non in quell'occasione, non con me.
"A me no!" esclamò Kurt, ridacchiando quasi e stringendosi nelle spalle
"Cosa?" quella volta fu la mia voce, senza ombra di dubbio, a farsi sentire. Lui incollò gli occhi nei miei e fece un altro profondissimo respiro, un respiro lungo un'eternità, un respiro che mi fece perdere quei pochi anni di vita rimasti.
Se non mi uccide l'ansia, lo farai tu, Kurt Hummel...
"La Sylvester mi ha offerto di lavorare per lei. I miei modelli le sono piaciuti a tal punto che.. non vuole perdere la possibilità di avere nel suo staff uno con il mio talento e la mia faccia tosta e per questo non mi ha fatto vincere il concorso... perché altrimenti avrei preso i miei soldi e non avrei più... continuato a disegnare." spiegò, rivolgendosi completamente a me, senza spostare mai gli occhi, senza accennare minimamente al fatto che gli interessasse rendere anche gli altri partecipi della conversazione. Semplicemente mi aprì il suo cuore, come aveva sempre fatto, e mi spiegò realmente come mai fosse così emozionato e contento.
"Kurt.." mi scappò dalle labbra, mentre avanzavo di mezzo passo verso di lui, con
addosso una strana ed inarrestabile voglia di abbracciarlo.
"La più grande stilista dell'intera costa orientale vuole che io diventi uno degli stilisti della sua agenzia. Vuole me, Blaine... me!" e nel dirlo i suoi occhi di inumidirono e il suo sorriso così bello vacillò appena, a causa dell'emozione che cresceva come un'onda e con la stessa potenza, a breve, lo avrebbe travolto.
E a me bastò quello: vederlo così fragile, ma allo stesso tempo forte e rilassato e soprattutto, fiero di ciò che era riuscito a fare.. fu la mia personale conferma di quanto bastasse relativamente poco al mio bellissimo ragazzo, per raggiungere il picco estremo della felicità. Così mi fiondai su di lui per abbracciarlo, stringerlo forte a me, cancellare quel briciolo di paura rimasta e fondermi con quel corpo che, ci avrei giurato, stava ancora tremando. E in quel momento, mentre lui in risposta stringeva le braccia attorno al mio collo ed entrambi, sospiravamo all'unisono per il contatto, mi ritrovai a pensare che... ce l'aveva fatta, era un vincitore.. il mio vincitore.. aveva ottenuto, nonostante i problemi, nonostante gli attacchi esterni e i sabotaggi, nonostante degli episodi particolarmente spiacevoli durante la sua vita, tutto ciò di cui aveva bisogno per essere felice. Il mio piccolo e dolce Kurt.. lui che non credeva nei sogni; lui che era un semplice ragazzo disilluso e ferito dalla vita; lui che amaramente era arrivato a convincersi del fatto che non avrebbe mai ottenuto nulla dal futuro e che quello che aveva già bastava ed avanzava; lui che aveva gli occhi tristi e spenti quando avevo avuto il piacere di perdermici per la prima volta; lui che sorrideva con poco e si emozionava con molto meno; lui che era una bellissima persona e lo capiva soltanto ora; lui che aveva dovuto passarne tante per diventare l'uomo meraviglioso e forte che era e che tante ancora ne avrebbe dovute passare, per migliorare e crescere e andare avanti ed essere sempre estremamente fiero di sé, esattamente come lo ero io in quel momento. Io che insieme a lui stavo esaudendo tutti i miei sogni; io che dopo venticinque anni ero riuscito a trovare un motivo per cui valesse davvero la pena vivere; io che avevo sempre creduto di non valere a molto e di non poter fare nulla per gli altri; io che nel mio futuro vedevo solo infinite levatacce all'alba e notti insonni passate a comporre canzoni che tanto non avrebbero mai visto la luce; io che ero scappato dalla mia piccola Westerville perché non mi ero mai sentito realmente a casa e che a New York, magicamente, un giorno avevo trovato tutto ciò di cui avevo bisogno; io che in meno di un mese avevo trovato... lui.
Avrei voluto che Kurt andasse da ognuno di quelli che, soprattutto quando era un liceale di Lima, gli avevano detto che tanto non sarebbe andato da nessuna parte, che quelli come lui non avrebbero ottenuto un bel niente: Kurt avrebbe dovuto andare da ognuna di quelle persone e dire "Fanculo a tutti, io ce l'ho fatta!" e poi orgogliosamente girare le spalle a quel mondo di ipocriti e tornarsene nel suo.
Questo è ciò che si dice... prendersi le proprie rivincite...

"Ce l'hai fatta Kurt!" sussurrai direttamente nel suo orecchio, e solo allora mi resi conto di essermi commosso assieme a lui
"Anche tu, Blaine... anche tu..." rispose con la voce strisciata e la consapevolezza portata dalle sue parole, mi fece sorridere "Ce l'abbiamo fatta insieme!"
Insieme... ed insieme dobbiamo continuare...
"Ti amo... tanto!"
"Anche io ti amo... per sempre e anche oltre!"

New York City. Ore 08.15 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Esattamente dodici ore dopo, nel buio dell'appartamento di Kurt, ci ritrovammo nella stessa identica posizione: abbracciati, stretti fino quasi a far male, persi in chissà quale mondo parallelo a fare i conti con un destino che, forse per la prima volta nella vita di entrambi, aveva voluto farci un regalo e sorriderci. E la sensazione fu più o meno la stessa anche in quel momento: mi sentivo elettrico ma allo stesso tempo una strana calma mi avvolgeva lo stomaco, quasi sapessi di poter rimanere tranquillo perché tanto quel mio mondo tanto perfetto e il mio meraviglioso ragazzo non sarebbero andati da nessuna parte.
"Io non riesco ancora a crederci." la sua voce intimidita si fece sentire qualche istante dopo e fui costretto a fare appello ad ognuno dei miei sensi per percepirla completamente, in tutte le sue sfumature. Mi discostai appena dal suo abbraccio per poter intercettare quegli occhi chiari e poterli studiare con calma ed attenzione. E per mia fortuna, li trovai talmente tanto limpidi da sembrare quasi trasparenti.
"Devi crederci, amore... è la tua vita e finalmente sta iniziando a girare per il verso giusto!" esclamai con un sorriso, andando a percorrere con la mano tutta la lunghezza della sua schiena, che si rilassò visibilmente al contatto. Gli scappò perfino un sospiro dalle labbra che si infranse sulla mia guancia, dato che si era nuovamente avvicinato a me
"Ho paura che tutto scompaia... che si infranga sotto i miei occhi e che non possa fare nulla per impedirlo!" mormorò strofinando la guancia contro la mia, quasi come un gattino in cerca di coccole. E bastò quello ad accendere ognuna delle terminazioni nervose del mio corpo, soprattutto dalla vita in giù.
"Non dirlo neanche... quello che hai ora è tuo di diritto e non andrà da nessuna parte se non sarai tu a volerlo. Quindi smettila con questo pessimismo e.. solo... goditelo fino alla fine!" e di proposito citai le stesse parole che anche lui aveva usato qualche giorno prima, facendo riferimento ad Artie e alla casa discografica e per fortuna lui colse l'allusione e si lasciò andare ad una leggera risata. Una meravigliosa e leggera risata.
"Anche tu non andrai da nessuna parte? Anche tu sei..." ma si bloccò, spostando di nuovo il viso e permettendo ai nostri occhi di incontrarsi ancora. Sentii un brivido corrermi lungo tutta la schiena ma provai ad ignorarlo e a concentrarmi soltanto sulle parole
"Dillo!" lo incitai, trattenendo di proposito il respiro
"Anche tu... sei... mio di diritto?" domandò finalmente con la voce ridotta ad un misero respiro. Un altro brivido, quella volta più intenso.
"Io sono in cima alla classifica di ciò che è tuo... e spero di rimanerci il più a lungo possibile!" scherzai, riuscendo nuovamente a farlo ridere e il suono della sua risata, mischiata con la mia, ebbe strani effetti su di me, attorcigliandomi lo stomaco in un modo quasi assurdo ed inimmaginabile. Ma era tutto molto piacevole. Come piacevole sarebbe stato continuare a rimanere lì abbracciati, magari continuando a parlare sottovoce e a ridere o perfino iniziare a baciarci e... ma non potevamo, non in quel momento
"Dovremmo tornare di là... tutti gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto!" esclamai, dopo avergli lasciato un leggero bacio sulla guancia
"E, conoscendolo.. Sebastian avrà già dato il via a qualche ipotesi a luci rosse!" azzardò lui ridacchiando
"Come minimo." confermai divertito. Lui, dopo avermi lanciato uno strano sguardo indecifrabile, allungò appena il collo verso di me e mi baciò: un morbidissimo bacio che suggellava teneramente quello che ci eravamo appena detti e che forse serviva ad entrambi per rendere il tutto un po' più reale. Ci staccammo solo qualche istante più tardi - decisamente troppo presto comunque - e rimanemmo a guardarci negli occhi, senza dire niente, semplicemente sorridendoci a vicenda ed ascoltando il battito dei nostri cuori che, come al solito, viaggiavano sulla stessa frequenza.
"Andiamo?" domandai e lui annuì, continuando ad illuminarmi con il suo bel sorriso, che si portò dietro fino a che non ritornammo nel mio appartamento, dove si stava svolgendo la festa che avevamo organizzato in suo onore. Lui, però, quando aveva acconsentito all'idea di organizzarne una, aveva specificato che fosse anche per me, per la storia della casa discografica e che quindi festeggiassimo assieme quelle due conquiste ed io.. beh, non avevo saputo dire di no, anche perché Kurt ormai sapeva bene come convincermi.
Nel mio appartamento c'erano davvero tutti ed era davvero piacevole avere così tanta gente lì per.. noi.
"Toh... ecco che tornano i coniugi De Coniglis... stavamo iniziando a scommettere su chi sarebbe... venuto per primo!" esclamò Sebastian malizioso come sempre, scatenando un'ondata di risate e l'imbarazzo di Kurt
"Ha parlato il puritano di New York City. Pensa per te, Smythe!" lo ripresi fulminandolo e ottenendo altre risate e una smorfia da parte del mio amico. Quanto si sarebbe divertito a prenderci in giro da lì all'eternità ma, d'altronde, lo avevo fatto anche io i primi tempi in cui era fidanzato con Daniel quindi... mi avrebbe reso pan per focaccia.
"Uh mamma... lo voglio anche io un coniglio! Possiamo? Ti prego!" si intromise la piccola Lea, saltellando davanti a Rachel e congiungendo le manine davanti al naso. Ci fu un lungo momento di silenzio generale, in cui tutti ci girammo verso la povera Rachel, che era arrossita in maniera spropositata.
"Sì mamma.. lo voglio anche io un coniglio!" si aggiunse Puck divertito, sorseggiando la sua birra direttamente dalla bottiglia. Quinn, seduta al suo fianco sul divano, gli tirò un piccolo schiaffo dietro la nuca per farlo tacere. Mi ricordavano qualcuno di mia conoscenza quei due.
"Ehm... ecco Lea... lui non intendeva..."
"Cosa te ne fai di un coniglio... non basto io come animaletto domestico?" le domandò Finn afferrandola per i fianchi e caricandosela su una spalla, come un sacco di patate. La bimba scoppiò a ridere e noi al seguito, mentre la povera Rachel sospirava di sollievo per essere stata tolta dall'imbarazzo. Con la coda dell'occhio, nonostante il momento di ilarità generale, non riuscii a non notare l'espressione del mio migliore amico: erano un paio di giorni che lo vedevo leggermente strano, assente più che altro e, nonostante le sue battute sempre presenti e puntuali, non aveva ancora dato il meglio di sé il che era decisamente troppo anomalo per uno come lui: c'era qualcosa, sicuramente qualcosa che lo preoccupava, altrimenti non sarebbe mai stato così pensieroso. Così, approfittando di quel momento di distrazione offerto da Finn e dalla piccola Lea, mi allontanai dal gruppo per seguire Sebastian che era uscito sul terrazzo, dove c'erano altre persone che parlavano a gruppetti. Lo affiancai nello stesso punto in cui, per ironia della sorte, avevamo parlato di quell'appartamento il giorno in cui me lo aveva fatto vedere per la prima volta, solo che in quel momento c'erano altre venti persone attorno a noi, era buio e quello ad avere un problema non ero più io.
"Sei un po' troppo pensieroso stasera!" esclamai con un sorriso, per tentare di allentare un po' di quella tensione che gli si leggeva a lettere cubitali sul viso. Lui si girò a guardarmi e accennò una mezza smorfia
"É che... sto per fare una cazzata!" mi informò con uno strano tono tormentato
"Mmm... se puoi, evita allora." scrollai le spalle, domandandomi che tipo di cazzata fosse e quanto grave potesse essere per ridurlo in quello stato. Era preoccupato per qualcosa, ormai era chiaro, tuttavia, con Sebastian le cose funzionavano in modo strano: detestava essere incalzato con le domande, anche se sentiva la necessità di parlare con qualcuno; se avesse voluto, sarebbe stato lui stesso a parlare, qualsiasi cosa lo affliggesse.
"Posso chiederti un consiglio?" mi domandò poco dopo, con un sospiro.
Ecco, appunto...
"Certo... dimmi pure." acconsentii, poggiando la schiena alla ringhiera del terrazzo e rimanendo in attesa. Lui fece un altro lungo sospiro ma, la cosa più sospetta, fu senza dubbio il girarsi un attimo verso l'interno del mio appartamento, dal quale provenivano ancora le risate degli altri.
"Ok... poniamo il caso che tu decida di fare qualcosa di diverso, qualcosa che non ti saresti mai aspettato di fare, qualcosa che non rientra neppure nella tua natura, ma senti il bisogno di farla, una necessità spasmodica che.. non ti fa né mangiare né dormire da quasi una settimana..." iniziò puntando gli occhi nei miei e sorprendendomi non poco
"Woah... deve essere proprio grave, allora." borbottai accigliandomi, ma lui mi ignorò
"Riusciresti a fare questa cazzata.. nonostante i dubbi e le incertezze e la stramaledetta paura che ti assale?" domandò infine, preoccupato e sollevato allo stesso tempo, forse per aver finalmente snocciolato il suo problema
"Se la reputo importante per me... sì, la farei." risposi stringendomi nelle spalle, con tutta la sincerità e la naturalezza di cui ero capace. Lui rimase fisso a guardarmi per un lungo istante, per poi deglutire un paio di volte di seguito, quasi cercasse le parole adatte per continuare
"E se questa rivoluzionasse la tua vita... per sempre?" tentò ancora, con gli occhi fissi sul panorama notturno dietro di me
"A maggior ragione." insistetti, mentre nel mio stomaco si agitava qualcosa. Che cosa stava succedendo? Perché era così angosciato e dubbioso? Che fine aveva fatto il Sebastian fiero e sicuro di sé che niente e nessuno avrebbe potuto abbattere?
"E se sapessi che, una volta imboccata quella strada, non potessi più tornare indietro?" tentò ancora, sempre più tormentato
"Tutte le scelte che facciamo ci conducono verso una direzione... bisogna solo trovare il coraggio di imboccarla." dissi allora e lui scosse la testa
"E se... io non ce l'avessi questo coraggio?" fu quasi con tono di sfida che mi porse quella domanda ed io non resistetti più
"Sebastian! Che diavolo ti prende?" domandai preoccupato, fregandomene di quale fosse la strategia migliore per parlare con lui o se questo potesse peggiorare la situazione. Non riuscivo a vederlo così, insicuro e combattuto, e morivo dalla voglia di sapere cosa diamine gli stesse succedendo. Ma lui, ovviamente, reagì male
"No io... niente!" scosse di nuovo la testa, quella volta con più decisione e si chiuse a riccio, come sempre.
Idiota che non sono altro...
Con un sospiro profondo, lanciai un'occhiata verso l'interno e scorsi di sfuggita Kurt che parlava con Rachel e insieme ridacchiavano complici, per qualcosa.
Che strano... lui lì con Rachel, io qui con Sebastian... se non è un caso questo...
"Ascolta, Bas... io non.. pretendo di sapere cosa ti stia succedendo.. sono affari tuoi, è la tua vita ed io non voglio costringerti a parlarmene, però... una cosa sento di dirtela e credimi... mi viene dritta dritta dal cuore." iniziai, riuscendo a catturare di nuovo la sua attenzione e i suoi occhi si puntarono nei miei, nonostante fossero ancora combattuti. Lo vidi annuire appena, segno che fosse ben disposto ad ascoltarmi e ne fui sinceramente felice. Quel testone era difficile che ascoltasse, soprattutto quando qualcosa lo tormentava in quel modo.
"Tu prima mi hai chiesto un consiglio ed io te l'ho dato ma... conoscendoti, non penso darai molto retta a quello che ti ho detto quindi... appena puoi, prenditi un momento solo per te, un momento per riflettere e chiedi un consiglio a Sebastian... chiedigli cosa farebbe lui se sapesse di poter fare una cazzata, qualsiasi essa sia, ma se sapesse che questa cazzata potrebbe cambiargli la vita positivamente. Sono sicuro che lui sia più adatto di me in questo momento per poterti dare un consiglio adeguato." dissi, mentre nei suoi occhi si accendeva qualcosa di molto simile ad un luccichio, debole ma ugualmente ben visibile
"E poi... pensandoci... io sono solo un idiota che si spaccia per tuo migliore amico... non credo di avere molta voce in capitolo su quello che decidi di combinare. Al massimo posso.. tentare di darti una mano, nel caso in cui il danno dovesse rivelarsi più grande del previsto!" e gli strizzai l'occhio, facendolo ridacchiare. Quel luccichio intanto si era intensificato e solo in quel momento, mentre Sebastian si mordeva un labbro e mi rivolgeva un sorriso sereno, mi resi conto che somigliava molto vagamente alla commozione.
Eh no.. non sono pronto a vedere
piangere
anche lui stasera...
"Non sei un idiota!" mi assicurò in un sussurro sorridente, scuotendo appena la testa
Oh sì che lo sono, solo che tu mi vuoi troppo bene per accorgertene...
"E.. penso che accetterò il tuo consiglio." aggiunse divertito ma estremamente serio "Almeno per questa volta."
"Mmm... ottimo! Posso dire di essere orgoglioso di te in questo momento?" domandai scherzando, per smorzare un po' di quella tensione rimasta
"Aspetta ad esserlo. Non sai ancora cosa potrei essere capace di.. fare!" mi avvertì con una smorfia. In effetti, nonostante quella discussione io non avevo risolto nulla: continuavo a non sapere cosa tormentasse il mio amico né se un giorno me ne avrebbe o meno voluto parlare. Eppure, mi bastava sapere di avergli alleggerito almeno un po' quel suo stato d'animo agitato e magari avergli dato una mano per.. decidere meglio.
"Mi fido di te!" assicurai con un sorriso, dopodiché scoppiammo a ridere insieme
"Ah.. ecco dove eravate finiti!" la voce di Daniel ci raggiunse proprio in quel momento e il ragazzo biondo sbucò dietro la schiena di Sebastian, e gli avvolse un braccio attorno allo stomaco
"Cosa avete da confabulare voi due?" ci domandò divertito, squadrandoci per bene. A giudicare dal rossore che si affacciò sulle guance del mio amico, intuii che il suo ragazzo fosse all'oscuro del tumulto che lo stava attraversando o di quella famosa cazzata di cui mi aveva parlato. Forse... Daniel ne era perfino coinvolto, indirettamente, il che avrebbe spiegato come mai Sebastian fosse stato così incerto.
"Solite cose... investimenti in borsa... problemi di politica internazionale.." risposi vago stringendo le spalle
"La conquista del mondo!" aggiunse lui con tranquillità e lanciandomi un'occhiata a mo di ringraziamento per non aver accennato a quello che ci stavamo dicendo. Forse un domani, neanche troppo lontano avrei scoperto cosa avesse in mente e probabilmente avrei anche scoperto che non era necessario preoccuparsi tanto, ma intanto avrei dovuto attendere ed avere fiducia in lui e magari, esserci anche quando non avrebbe avuto il coraggio di chiedermi di rimanere. Perché in fondo è questo quello che fanno gli amici. Soprattutto i migliori.

New York City. Ore 08.45 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

"Dico ma... li hai visti?" la voce elettrizzata di Rachel mi arrivò alle spalle, spaventandomi appena. Girandomi la trovai a meno di un passo da me e con un sorriso quasi terrificante sul volto
"Di chi parli?" le domandai accigliandomi e lei si limitò a farmi un cenno con la testa verso il divano del salotto di Blaine, senza dire nulla: c'erano Finn e Lea, lei seduta in braccio al ragazzo e stavano parlottando di chissà cosa, che li coinvolgeva a tal punto da essersi perfino estraniati. Conoscendo entrambi, io avrei iniziato a provare una certa paura.
"Ah però... ce n'è di affinità tra quei due." mormorai sorpreso "Se fossi in te, inizierei ad essere un tantino gelosa!" e lei ridacchiò scuotendo la testa
"Non so neanche quando è stata l'ultima volta che ho visto mia figlia così serena con qualcuno. E non è neppure una cosa temporanea, Kurt... è così da quando lui frequenta più spesso casa nostra e a volte, quando lui non viene da noi a bussare e lei stessa che lo cerca." mi spiegò continuando a guardare verso i due, che in quel momento ridacchiavano complici
"Tesoro mio.. lo sai meglio di me cosa manca a quella bambina.. e sai anche che, molto probabilmente questo qualcosa lo abbia trovato in quel gigante panciuto e goffo che è lì con lei al momento." le dissi con un sorriso felice, mentre lei tornava a guardarmi
"Lo so. Ciò che manca a lei... manca anche a me, Kurt, credimi!" mormorò con un sorriso imbarazzato e colsi quell'allusione per tirare in ballo un po' di sana malizia, giusto per metterla ancora di più a disagio
"A proposito... ci sono novità per quanto riguarda quella piccola verifica che avresti dovuto fare su Finn?" le chiesi, provocandola e dandole una leggera spallata. Lei, neanche a dirlo arrossì violentemente e mi tirò uno schiaffetto sul braccio
"Ti sembra il luogo adatto per certe domande?" borbottò guardandosi attorno e facendomi ridere
"Coraggio, Berry... basta un sì o un no." lei mi fulminò appena, ma alla fine, dopo un sospiro lunghissimo ed essere arrossita ancora...
"S-sì..."
"Come scusa?"
"Ho detto di sì... non farmi gridare!" abbaiò praticamente paonazza. Io sollevai le sopracciglia, piacevolmente colpito
"Mmm... era ora... e dunque.. il verdetto qual'è?" la provocai ancora con un mezzo sorrisetto. Lei sbuffò per poi mordersi un labbro e lanciare un'occhiata veloce verso Finn
"Le tue teorie sono fasulle, Hummel." rispose soddisfatta, ma con un bel sorriso sincero sulle labbra "L'altezza non ha per niente influito!" e mi cacciò la lingua, divertita e ancora un po' rossa in viso, allontanandosi da me per raggiungere la sua bambina e il suo ragazzo ufficiale. La sua famiglia.

New York City. Ore 09.56 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Spinto dalle richieste di praticamente tutti i nostri amici, alla fine mi ero fatto convincere, avevo inforcato la chitarra e mi ero messo a cantare un paio di canzoni. E per tutto il tempo avevo guardato verso Kurt che mi guardava e mi sorrideva e mi faceva battere il cuore. Era bello sapere che, se solo ne avessi avuto la voglia, mi sarei potuto alzare e avrei potuto baciarlo, lì davanti a tutti, solo per il piacere di farlo. E nessuno in quella stanza avrebbe avuto niente da dire, non solo perché non eravamo l'unica coppia omosessuale lì dentro, ma anche perché la maggior parte di loro, avrebbe perfino fatto il tifo per noi.
Ad un tratto, proprio mentre terminavo l'ultima canzone e tutti applaudivano con entusiasmo, il campanello suonò così abbandonai la chitarra in un angolo e andai ad aprire. Alla porta, quasi fosse un déjà-vu, ci ritrovai Artie Abrams, con la sua sedia a rotelle, i suoi occhiali squadrati e il suo cardigan di discutibile gusto estetico.
"Oh... ciao!" lo salutai sorpreso
"Ciao.. scusa se ti disturbo a quest'ora... posso?" ed indicò l'interno dell'appartamento, proprio come la prima volta. Io mi feci da parte per farlo passare e lui entrò, muovendo agilmente le ruote. Nel mio salotto calò il silenzio: la maggior parte delle persone presenti, conosceva Artie e sapeva quanto fosse scorbutico e maleducato, quindi molti di loro storsero il muso nel trovarselo ancora davanti.
"Cosa ci sei venuto a fare qui, Abrams? Ti da fastidio il rumore che stiamo facendo, per caso?" lo provocò Rachel, scattando in piedi ed avvicinandosi. Artie si fermò al centro del salotto, guardando attentamente tutti quanti, soprattutto i suoi condomini
"In realtà... avrei bisogno di parlare con voi." annunciò, congiungendo come sempre le mani in grembo. I miei occhi saettarono verso quelli di Kurt, che trovai intenti a fissarmi. Non avevo idea di cosa volesse dire Artie, né tanto meno perché si fosse degnato di salire di nuovo nel mio appartamento, pur sapendo che ci avrebbe trovato tutte quelle persone, le stesse che si era divertito ad umiliare meschinamente. Nonostante ora lavorassi per lui, non avevo del tutto dimenticato cosa era stato capace di fare.
"E se noi non avessimo voglia di ascoltarti?" domandò Will, allontanandosi da sua moglie ed affiancando Rachel che si fece ancora più combattiva
"Avreste le vostre buone ragioni." ammise con una smorfia, sollevando gli occhi verso Kurt e poi su Tina "Ma vorrei che mi deste soltanto pochi minuti del vostro tempo per... provare a spiegare. Poi sarete liberi di decidere cosa fare con me... se mandarmi al diavolo oppure se farmi rimanere a.. festeggiare con voi." e mi lanciò un'occhiata. Rachel incrociò le braccia al petto, in attesa, ma per fortuna non disse niente. Beh perlomeno gli avevano dato una possibilità... ora toccava ad Artie sapersela giocare nel migliore dei modi.
"Io.. non credo di avere scuse per quello che è successo l'ultima volta che ci siamo visti e ne pretendo di averne. Vi ho trattati malissimo, senza motivo, e per di più ripensandoci non riesco neanche a capacitarmi di quanto odio e di quanta cattiveria io sia riuscito a tirare fuori in così poco tempo. Tutto quello che ho detto io non.. lo pensavo minimamente.. è stato tutto dettato da un momento di particolare sconforto che in questo ultimo periodo si fa sentire maggiormente e ho sfogato tutta la mia angoscia su di voi che eravate così sorridenti e sereni. In quel momento mi sembrava l'unica cosa da fare per... sentirmi meglio. Ora, a distanza di tempo, mi sembra soltanto un atteggiamento infantile ed immaturo." scosse la testa rammaricato per poi perdersi in un sospiro. Io approfittai della pausa per sollevare gli occhi e controllare le reazioni degli altri. Kurt stava lo guardando con un broncio tranquillo sul volto, niente di aggressivo o di prevenuto; Tina al suo fianco sembrò perfino dispiaciuta; Will abbandonò la sua espressione risentita per sciogliersi in qualcosa di più comprensivo; Finn - che probabilmente non stava capendo nulla - aveva un'espressione inebetita sul volto, come al solito; l'unica ad essere ancora leggermente restia fu Rachel, che continuava a squadrarlo con attenzione, forse in attesa di essere attaccata e di attaccare di conseguenza
"Per questo vorrei chiedere umilmente scusa ad ognuno di voi per quelle orribili cose che ho detto e spero che, se me ne darete la possibilità, in futuro possa trovare il modo migliore per farmi perdonare da voi, come spero di aver iniziato a fare già con il padrone di casa!" e nel dirlo si girò verso di me, strappandomi un sorriso. In fondo, per quanto fosse stato pessimo l'ultima volta, aveva comunque avuto il coraggio di affrontare tutti a viso aperto e chiedere scusa pubblicamente, perfino davanti a persone che neppure lo conoscevano. Era una bella persona, dopotutto, a modo suo. E ad accorgersene, oltre a me in quel salotto, fu anche un'altra persona, forse la più imprevedibile di tutte: la piccola Lea infatti sgusciò via dalla presa di Finn e corse a posizionarsi di fronte ad Artie che sollevò un sopracciglio, sorpreso di essere studiato in maniera così palese da una bambina così piccola. Rachel non riuscì nemmeno a realizzare cosa stesse succedendo, né provò a fermarla, che la piccola parlò
"Perché vai in giro seduto su questa sedia?" gli domandò, con la tipica innocenza di una bambina di quattro anni. Si avvertì distintamente il momento in cui ognuno lì dentro trattenne il fiato e perfino il versetto imbarazzato che scappò dalle labbra di Rachel. Ma nessuno si sarebbe mai realmente aspettato la reazione di Artie: si sporse leggermente verso la bimba e le rispose
"É colpa di un brutto incidente che ho fatto qualche anno fa. Ero alla guida della mia macchina e sono finito fuori strada. Se avessi avuto le cinture di sicurezza però, questo non sarebbe successo..." spiegò con calma e solo allora realizzai di non essermi mai realmente chiesto cosa fosse successo a quel ragazzo per ridurlo in quello stato. Grazie a Lea e alla sua innocente curiosità, lo avevo scoperto
"La mia mamma dice che si devono sempre allacciarle le cinture quando si porta la macchina... non si usa il cellulare e non si danno passaggi ai forestieri, non è vero mammina?" e la bimba si girò verso la madre che, paonazza, stirò un sorriso imbarazzato
"Certo, tesoro!"
"Tua madre ha perfettamente ragione... soprattutto sui forestieri. Sempre occhi aperti, piccola, mi raccomando!" affermò convinto, annuendo. La bambina lo studiò ancora, portandosi l'indice alla bocca e alla fine, dopo un'attenta analisi si avvicinò, fino a toccargli una gamba con la mano
"Posso fare un giro con te?" domandò in un soffio, arrossendo graziosamente sulle guance. Rachel, sconvolta, scattò in avanti per afferrare la figlia e magari rimproverarla per quella mancanza di rispetto, ma Artie fu più veloce di tutti: le sorrise - un sorriso aperto, uno di quelli che non gli avevo ancora visto, ma che lo rendeva senza dubbio più umano - e si batté una mano sulla gamba, come a volerla incitare. La bambina non se lo fece ripetere due volte, gli rivolse un sorriso radioso e gli si arrampicò addosso, per poi mettersi comoda
"Dove la porto, signorina?" le domandò Artie, stringendo le ruote. Lei si fece seria, stando al gioco ed indicò il tavolo con il cibo
"Ho voglio di un tramezzino, per favore!" e così lui si mosse in direzione del tavolo, sotto i nostri occhi stupiti e divertiti e quelli ancora imbarazzati di Rachel. Lea si divertì parecchio perché alla fine del giro, si permise perfino una trasgressione al suo codice di riservatezza, allungandosi per lasciare un bacio sulla guancia di Artie e scappò via, a nascondersi dietro Finn. E quindi Artie Abrams, lo scontroso ragazzo seduto sulla sedia a rotelle, sapeva perfino essere ironico e paziente con una bambina di quattro anni. Il mondo non avrebbe mai smesso di stupirmi.
Lui congiunse nuovamente le mani in grembo e rimase in attesa del giudizio di chi ancora lo guardava con attenzione. Alla fine, però, ancora rossa per l'imbarazzo, ma notevolmente più rilassata, fu proprio Rachel ad avvicinarsi e a tendere al ragazzo un bicchiere di coca cola, in segno di resa, che lui accettò, con un altro sorriso sorprendentemente aperto e cordiale.
 
New York City. Ore 09.15 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Dopo l'improvvisata che aveva fatto Artie Abrams alla festa, le sue scuse, e la riconciliazione con tutti, soprattutto con Rachel, accadde un'altra cosa particolarmente bizzarra ed inaspettata: il campanello suonò di nuovo e fu ancora Blaine ad andare ad aprire. E quella volta, fuori dalla porta, aspettava un uomo elegantemente vestito, espressione rigida e composta e una bottiglia di pregiato champagne stretta al petto.
"Signor Chang! Lei cosa ci fa qui?" domandai sorpreso, andando in soccorso di Blaine che sulla porta, lo osservava stranito, ovviamente non conoscendolo
"Mi scusi l'intrusione, signor Hummel... la signorina Lopez oggi all'agenzia mi ha detto che questa sera Lei avrebbe festeggiato il suo successo e allora, mi sono permesso di presentarmi per poterle fare i miei personalissimi complimenti e gli auguri per un futuro pieno di successi!" esclamò con un sorriso cordiale sul volto e alla fine mi indicò la bottiglia "Questo è per Lei!" e me la porse. Io l'afferrai stupito, chiedendomi quante migliaia di dollari avesse speso per uno champagne così prestigioso e soprattutto in che tipo di occasione avrei potuto usarlo, ma Blaine al mio fianco, schiarendosi la voce discretamente, mi ricordò che prima di tutto avrei dovuto pensare alle buone maniere.
"Oh... oh... la ringrazio Signore... io.. non so davvero cosa dire!" ammisi, sentendomi un idiota colossale ed arrossendo di conseguenza "Ma... prego.. cioè... entri pure. Mi farebbe piacere offrirle almeno qualcosa da bere per ringraziarla di essersi scomodato a venire fin qui!" e mi feci da parte per farlo passare. Lui, sempre molto zen e composto, accennò un saluto verso Blaine e oltrepassò l'uscio. Lo guidai fino al tavolo per riempirgli il bicchiere - cosa si da ad un uomo del genere, uno che ha già tutto e che regala ad un suo ex dipendente una bottiglia di champagne da qualche migliaio di dollari? - e attraversando il salotto lui salutò con un cenno sia Santana che Sam. Gli porsi un bicchiere di aranciata, con la mano leggermente tremante e stringendo ancora al petto, come un perfetto idiota, la mia preziosa bottiglia, fino a che Blaine, sempre molto discretamente non mi venne accanto e non me la sfilò delicatamente via, con la scusa di doverla mettere in fresco.
"Molto carino il suo appartamento, signor Hummel!" esclamò facendo un gesto vago per la stanza.
"Oh... no... questo non è il mio appartamento, Signore. Io abito di fronte, su questo stesso pianerottolo. Qui ci abita il mio ragazzo!" spiegai arrossendo e lanciando un'occhiata disperata sia verso Santana - che ridacchiava alle mie spalle - che verso Blaine, sperando che uno dei due venisse in mio soccorso. Ma alla fine, fu proprio Mr Chang ad aiutarmi
"Che ne dici se ci diamo del tu, Kurt? Anche se non sembra, non sono tanto più vecchio rispetto a te." mi propose ridacchiando.
Oddio, dare del tu al mio ex capo... merda...
"Sicuro... ne sarei onorato Signor Cha.."
"Michael... anzi.. meglio ancora se mi chiami Mike!" specificò con un sorriso, notevolmente più sciolto rispetto ai soliti di circostanza ai quali mi aveva abituato in quegli anni
"Mike!" ripetei tentando di alleviare un po' il nervosismo. Ormai potevamo considerarci amici, no? Mi aveva perfino detto di essere mio coetaneo o qualcosa del genere, quindi tutta quell'ansia a stargli accanto non era giustificata. Bevve un po' della sua aranciata, senza lamentarsi né della qualità, né tanto meno del fatto che gliel'avessi servita in un maledetto bicchiere di plastica - cazzo Kurt, almeno un bicchiere di vetro, no? - e alla fine sorrise ancora
"Devo farti i miei più sinceri complimenti, Kurt. Ieri alla sfilata non ho avuto modo di avvicinarti per via della confusione ma... credo tu abbia fatto un lavoro a dir poco eccellente. I tuoi modelli sono stati senza dubbio i migliori di tutta la competizione e se ne è accorta anche Sue... in questi ultimi dieci anni durante i quali ho avuto modo di lavorare con lei, non l'ho mai sentita tessere tutte quelle lodi verso qualcuno e soprattutto.. mai e ripeto mai, si è permessa di aggiungere nuovi stilisti alla sua agenzia. Quelli che ha, e sono davvero pochissimi ed eccezionali, hanno iniziato l'attività assieme a lei quindi.. penso che tu sia davvero un'eccezione, Kurt... un talento incredibile che merita di essere coltivato e seguito. Hai tutte le carte in regola... non mi ero affatto sbagliato sul tuo conto quando ci siamo conosciuti... mi spiace solo di.. non aver potuto fare molto per salvare il tuo posto." spiegò rammaricato. Quelle parole mi riportarono alla mente la questione David e tutto quello che mi aveva causato perdere il lavoro per colpa sua.
"Già... conoscere le persone sbagliate a volte può essere una vera rovina." borbottai con un sorriso amaro. Mike si accigliò
"Come scusa?"
"Sì insomma.. so perfettamente che il mio ex ragazzo.. David Karofsky le.. ti ha chiesto di raccomandarmi cinque anni fa per assumermi e che poi, ti ha perfino chiesto licenziarmi. Ne sono già perfettamente a conoscenza, purtroppo." mormorai sollevando le spalle. Non faceva più male pensarci e forse avrei perfino dovuto ringraziare quell'animale di David: se non fosse stato per lui, io non avrei mai partecipato al concorso della Sylvester e non avrei mai ottenuto un posto tanto prestigioso. Non tutti i mali vengono per nuocere, era proprio il caso di dirlo.
"Karosfky? Non so sinceramente chi sia questo tipo... e credimi.. non ho mai avuto bisogno che qualcuno ti raccomandasse... il tuo talento e la tua educazione hanno fatto a sufficienza, per questo all'epoca decisi di tenerti alla mia agenzia, finito il tirocinio. Per quanto riguarda il licenziamento... come ti ho già spiegato, è stato colpa di una perdita economica piuttosto sostanziosa.. proprio ieri ho dovuto dimezzare l'organico dell'ufficio stampa e perfino le addette alle pubbliche relazioni. Stiamo attraversando un momento davvero critico ma spero che l'agenzia possa risollevarsi presto e tornare a splendere come un tempo." disse tranquillamente ed io, seppure scioccato e senza parole, non riuscii a dubitare neanche per un istante delle sue parole. Cazzo.. David non c'entrava nulla.. né con la mia assunzione né tanto meno con il licenziamento. Era stato davvero un taglio del personale dell'agenzia di Chang e lui non era stato costretto a fare nulla, anzi; il suo dispiacere allora era sincero, quando avevamo parlato l'ultima volta nel suo studio. E quel fottuto bastardo di David si era inventato tutto quanto.. magari lui era già a conoscenza di un ipotetico taglio - lui e le sue maledette conoscenze - e sapeva anche che io vi sarei rientrato ed aveva colto la palla al balzo. Lui non aveva nessun potere su Chang e ormai neanche più sulla mia vita. Peccato che non potessi più togliermi la soddisfazione di andare da lui e sbattergli in faccia il mio successo: si sarebbe senza dubbio mangiato i gomiti.
Vaffanculo David Karofsky....
In quel momento, mentre mi perdevo in un sospiro di sollievo e mi concedevo un sorriso, intercettai un paio di occhi color nocciola guardare incuriositi verso di noi e subito dopo nascondersi altrove, imbarazzati. Con un sorriso, pensai subito che, se la mia buona stella in cui giorni aveva brillato così tanto da concedermi un contratto con la Sylvester, allora avrei potuto usare quella fortuna per dare una mano a qualcun altro.
"Mi scusi un attimo... vorrei presentarti una persona." gli dissi e senza neanche aspettare risposta mi diressi verso Tina, schiacciata contro la parete e le tesi una mano
"Verresti un istante con me?"
"Do..dove?"
"Vorrei... presentarti una persona!"

New York City. Ore 10.01 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)
 
La serata stava procedendo nel migliore dei modi fino a quel momento; avevamo avuto un paio di visite inaspettate ma tutto sommato graditissime - Artie stava parlottando con Sebastian e Will in terrazzo, tendendo di nuovo Lea sulle gambe e l'ex capo di Kurt, chiacchierava sul divano con la povera Tina, terrorizzata e viola dalla vergogna - e tutti sembravano divertirsi. 
"Sai che... penso di potermi sinceramente innamorare!" esclamò Puck avvicinandosi a me e sospirando
"Di chi?"
"Di lei!" ed indicò con un cenno del capo Quinn che se ne stava seduta accanto a Rachel ed Emma a ridacchiare serenamente e ad accarezzarsi la pancia. 
"Questa poi.. il burbero Noah Puckermann innamorato di qualcuno! Mi sa che i Maya avevano ragione.. quest'anno finirà il mondo!" esclamai divertito e colpito ma sinceramente felice che, perfino uno scontroso come lui, avesse trovato qualcuno che potesse renderlo felice
"Fai poco lo spiritoso ragazzino... e ricordati che, nonostante il tuo ingaggio alla casa discografica, tu rimani sempre un mio dipendente... quindi, attento a te!" mi minacciò, puntandomi l'indice contro. Alzai entrambe le mani in segno di resa e lui, dopo una smorfia, ritornò a sedersi accanto a Quinn, che lo salutò con un bel sorriso sereno, che ebbe perfino il potere di farlo arrossire.

New York City. Ore 10.03 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

Nonostante tutta quella gente venuta lì per me e Blaine, io sentivo perfettamente la mancanza di qualcuno e difatti, approfittando di un momento di tranquillità, mi appartai in un angolo del terrazzo, con il telefono in mano e chiamai una persona particolarmente importante per me.
"Ehi Kurt... stavo giusto per chiamarti... mi hai anticipato di pochissimo!" esordì la voce allegra della mia amica dall'altro lato del telefono
"É perché io e te siamo sempre due gemelli siamesi divisi alla nascita, ricordatelo Cedes!" le risposi divertito, facendola ridacchiare
"Spero di non averti disturbato... che ore sono lì a Phoenix?" domandai
"Mmm... circa le sei e trenta di sera... nessun disturbo comunque.. sono appena uscita dalle prove e sto aspettando la coincidenza della metro per tornare a casa." spiegò e dal rumore che provenne dal telefono, dedussi che si trovasse in mezzo a parecchia confusione
"Come vanno le cose lì? Siete in pieno festeggiamento?" domandò curiosa
"Esatto... e, Cedes... manchi solo tu!" mormorai rammaricato, stringendo appena la presa attorno al telefono. Lei emise un piccolo lamento sconsolato e poi si lasciò scappare un lungo sospiro
"Lo so, tesoro, lo so... non hai idea di quanto mi senta male per non poter essere lì con te a festeggiare per questo tuo magnifico successo. Ma mi farò perdonare... appena ritornerò a New York ci ritaglieremo un'intera giornata solo per noi due, senza altri intrusi. Ho l'impressione che il tuo nuovo ragazzo non sia opprimente come quel bisonte di David!" scherzò facendomi ridere
"No... su questo puoi stare tranquilla.. non lo è affatto!" confermai, lanciando un'occhiata verso Blaine che all'interno dell'appartamento chiacchierava con Puck al tavolo delle bibite
Quanto sei bello, amore mio...
"Mi sta già profondamente simpatico questo Blaine, nonostante lo abbia visto praticamente solo due volte, una per giunta di sfuggita!" esclamò soddisfatta "Ma penso avrò modo di conoscerlo meglio la prossima volta che ci vedremo!"
"Senza ombra di dubbio." confermai ancora, sorridendo verso il panorama illuminato di New York
"A proposito... come si sta comportando.. 'tu sai chi'?" domandò, abbassando di qualche tono la voce. Non ci fu di certo bisogno di domandarle a chi si riferisse per capire: mi girai istintivamente verso un angolo del terrazzo, dove Sam chiacchierava con Artie Abrams. E sorrisi di conseguenza
"É docile come un agnellino e fedele come un pastore tedesco. Puoi stare tranquilla, amica mia." la rassicurai e lei si lasciò scappare un altro profondo sospiro
"Meglio così. Sembra strano ma la distanza inizia a farsi sentire. Per fortuna non manca poi molto." borbottò, palesemente abbattuta. Ah però.. quella che era iniziata come una cosetta da niente, si stava rivelando più importante di quanto potessi immaginare.
E brava Mercedes...
"Stringi i denti ancora per un po'... e poi potrai godertelo finché ne avrai voglia." le dissi, leggermente malizioso facendola ridacchiare
"Non vedo l'ora. Scusa, tesoro, ma ora devo andare.. è arrivato il mio treno. Ci sentiamo domani così parliamo meglio di questo tuo nuovo ingaggio e... soprattutto di Blaine. Lo sai che voglio sapere tutto, quindi preparati!" mi avvertì bonariamente.
Rachel due la vendetta...
"Sarà fatto... buona serata, Cedes.. a domani!" la salutai, con il sorriso sulle labbra
"Buona serata anche a te, Kurt... e sappi che ti porto nel cuore, sempre!"
Anche io Mercedes... anche io...

New York City. Ore 10.13 P.M. 04 Maggio 2012 (Venerdì)

"E dunque... ora che sei diventato famoso.. lascerai il pub?" mi domandò Brittany, circondandomi le spalle con un braccio e facendo dondolare la sua preziosa coda di cavallo bionda. Mi lasciai scappare una risata e neanche a farlo di proposito proprio in quel momento passò Puck al nostro fianco e ovviamente sentì tutto
"Sono mesi che cerco una scusa valida per sbatterlo fuori dal mio locale... forse questa è la volta buona!" borbottò per poi afferrare un bicchiere pulito e poi tornare a sedersi accanto alla sua Quinn. Io e Brittany ci lanciammo un'occhiata interrogativa
"Secondo te fa sul serio?" le domandai esitante
"Non so... questa volta sembra proprio di sì. Anche se, sono sicura che preferirebbe vendere cara la cresta, piuttosto che rinunciare a te!" e poggiò appena la fronte alla mia in un gesto di affetto che mi fece sorridere. Brittany a volte era di una dolcezza sconvolgente: con le persone con cui entrava in confidenza, sia uomini che donne, diventava così affettuosa da sembrare quasi una bambina cresciuta soltanto in altezza. Eppure non era mai stata infantile: il fatto di aver iniziato a lavorare ben presto per mantenersi gli studi e dare una mano a casa, le aveva garantito una maturità fuori dal comune. Era giovanissima eppure... aveva la testa perfettamente ancorata sulle spalle ed io mi sentivo estremamente lusingato ad aver stretto quel bel rapporto con lei.
Un'altra cosa di cui ero molto felice, era della sua relazione con Santana: non avevo mai sospettato che Brittany potesse essere lesbica, eppure vederla così serena ed affiatata con la modella ispanica, mi rendeva felice. Aveva bisogno anche lei di un po' di tranquillità e forse, insieme a Santana l'aveva trovata.
"Lo spero davvero, Britt... lo spero davvero tanto!"

New York City. Ore 00.45 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)

Ci trovavamo distesi placidamente nel letto di Blaine, dopo aver fatto l'amore, ed io mi stavo divertendo parecchio a passargli le dita tra i ricci - pratica che avevo scoperto essere particolarmente distensiva per il sottoscritto e anche un po' per lui - quando il suo telefono cinquettò sul comodino, illuminando praticamente tutta la stanza.
"Non è un po' tardi per ricevere messaggi?" lo provocai divertito, sollevando appena gli occhi per incontrare i suoi, e riuscii a perdermici dentro, nonostante il buio che ci circondava. Il petto gli vibrò, mentre ridacchiava e si allungò per afferrare il telefono
"Considerando l'orario.. o è Sebastian che ha combinato qualche cazzata ed ha bisogno di conforto..." iniziò, accendendo l'abat-jour sul comodino
"Oppure?"
"Oppure..." sentii il fruscio con cui sbloccò il telefono e perfino il rumore dolcissimo del suo sorriso "Oppure è Cooper!" e mi passò il telefono, sempre sorridendo. Io lo afferrai, confuso e lessi il messaggio che suo fratello aveva mandato
*Era oggi pomeriggio la sfilata, vero? Spero di non aver sbagliato anche questa volta. Fai un grosso in bocca al lupo a Kurt e ricordagli che suo cognato fa il tifo per lui. ;) Un abbraccio ad entrambi. P.s. Quando avrò il piacere di entrare in un negozio di dischi ed ordinare il tuo primo singolo, schizzo?*
Una risata mi partì spontanea, perché Cooper era stato capace, non solo di ritardare di quasi due giorni quel messaggio di in bocca al lupo per la sfilata, ma soprattutto perché aveva scritto che... mio cognato faceva il tifo per me. Mio cognato.
"Credo di non avere neppure la forza di arrabbiarmi questa volta. Purtroppo dubito che imparerà mai ad essere puntuale e soprattutto capirà il fuso orario di New York!" scherzò lui, dando un'occhiata alla radiosveglia, che segnava quasi l'una di notte.
"Beh... io apprezzo ugualmente il gesto, così come feci il giorno del mio compleanno. E poi... hai visto? Attende con ansia il tuo primo singolo... fa il tifo anche per te!" esclamai entusiasta, ripassandogli il telefono, che riposò sul comodino
"Mmm... probabilmente Cooper è sempre stato il mio primo fan. E forse.. anche l'unico." mormorò ridacchiando
"Ehi... grazie tante, Anderson. Ci sono anche io nella folla!" gli ricordai, tirandogli un leggero schiaffetto sul petto. Lui con un movimento quasi fulmineo, si arrampicò su di me fino a sedersi sul mio stomaco, con le mani poggiate ai lati del mio viso e le labbra decisamente troppo vicine alle mie.
Oh Santa misericordia...
"Non mi sono affatto dimenticato di te, anzi... tu sei sempre in cima ad ognuna delle mie liste." sussurrò stringendo appena gli occhi e concentrandosi completamente su di me. Con l'eco del mio cuore che avvertivo in ogni cellula del corpo, portai entrambe le mani dietro al suo collo, per avvicinarlo maggiormente a me e potergli rubare un piccolissimo bacio
"Tutte quante?" domandai in un sussurro
"Mmm... tutte quante!" confermò con un mezzo sorriso sghembo per poi azzerare ancora la distanza, e congiungere le nostre labbra che non erano ancora né stanche né sazie di amarsi.
Io non sarò mai sazio di te...
Continuammo a baciarci con intensità rinnovata, nonostante ci fossimo da poco concessi il nostro momento di passione, ma d'altronde non mi sarei mai meravigliato se, in futuro non fossi stato in grado di frenare gli istinti con lui: Blaine accendeva in me dei sensi di cui prima non sapevo neanche l'esistenza e probabilmente neanche lui sarebbe stato tanto dispiaciuto di fare molta altra pratica. Era un modo come un altro per dimostrarsi amore ed io per lui ne avrei sempre avuto a dismisura, quindi... se le situazioni si fossero presentate in abbondanza.. meglio ancora.
"Sai cosa manca a questo punto per far sì che io sia completamente felice?" gli feci qualche istante dopo, mentre lui si schiacciava maggiormente addosso a me e posava la fronte alla mia
"Cosa?" domandò curioso
"Avrei voluto che... mio padre ti conoscesse." mormorai passandogli una mano tra i capelli della nuca distrattamente "Gli saresti senza dubbio piaciuto molto!" aggiunsi con un sorriso malinconico, cercando di immaginare un'ipotetica conversazione tra mio padre e Blaine: ci sarebbero stati senza dubbio degli imbarazzi generali all'inizio ma poi, magari rompendo il ghiaccio grazie a qualche commento sul football, avrebbero stretto amicizia e si sarebbero piaciuti a vicenda. Ne ero fermamente convinto. Mio padre era sempre stato un uomo alla mano, semplice e bonario e Blaine sarebbe stato per lui il perfetto genero per il suo figlioletto adorato. D'altronde, Blaine sembrava avere - senza il sembrava - tutte le qualità che lui mi aveva sempre raccomandato di ricercare in un uomo - o una donna, quando ancora non sapeva fossi gay - e quindi ero sicuro che, conoscendolo, anche lui avrebbe capito quale persona meravigliosa fosse Blaine Anderson e mi avrebbe perfino sorriso, sotto il suo cappellino da baseball preferito e mi avrebbe detto qualcosa come "Ottima scelta, ometto!"
Peccato che tu non possa dirmi nulla, papà...
Calò uno strano silenzio nella stanza, tanto che per un momento temetti che Blaine si fosse addormentato, anche se il suo respiro era troppo accelerato per crederlo davvero.
"Blaine?"
"Posso vederlo?" mi domandò a bruciapelo, sorprendendomi
"Chi?"
"Tuo padre... hai una sua foto?" specificò con la voce pacata e tranquilla anche se ridotta ad un misero sussurro. Io mi ritrovai a tremare sotto di lui perché tutto mi sarei aspettato, tranne che una richiesta di questo tipo: lui voleva... vedere mio padre? E perché? Cosa aveva intenzione di fare?
Senza dire niente, mi sporsi verso il pavimento, mentre lui scivolava giù al mio fianco per permettermi di muovermi meglio e recuperai il portafoglio dalla tasca dei jeans. Lo aprii, ancora con il cuore che batteva ad un ritmo davvero bizzarro, e ne tirai fuori una piccola fotografia, quasi del tutto consumata sui bordi, in cui il mio adorato papà sorrideva orgoglioso, per aver appena scoperto che il suo bambino era entrato nella rosa dei prescelti della NYADA. Quella era stata l'ultima fotografia fatta prima che morisse, prima che tutta la mia vita si rivoluzionasse: un semplice sorriso spontaneo e genuino che racchiudeva tutta l'essenza del mio papà e che era sufficiente per ricordarmelo sempre, in ogni momento della giornata. Gli porsi la foto e lui la prese con molta delicatezza, quasi con un certo rispetto e la posò sul cuscino, sistemandosi a pancia in giù. Rimase per un tempo quasi indefinito ad osservarla, piegando la testa prima da un lato e poi dall'altro, accarezzandone il bordo inferiore e poi sistemando perfino una piccola orecchia che si era creata su un lato, a causa del portafoglio. Alla fine, proprio quando il mio cuore aveva iniziato a perdere i primi battiti, a causa dell'attesa silenziosa, lui parlò
"Signor Hummel... mi permetta di presentarmi ufficialmente. Mi chiamo Blaine Anderson e sono... perdutamente ed incondizionatamente innamorato di suo figlio. Lo amo da impazzire, più della mia stessa vita e sarei disposto a qualunque cosa pur di renderlo felice. Io so quanto lei sia importante nella vita di Kurt e per questo mi permetto di parlarle con tutta questa schiettezza, quasi come se parlassi al mio stesso padre. Io vorrei che lei mi permettesse di amare suo figlio da qui all'eternità, che mi permettesse di prendermi cura di lui, di coccolarlo sempre, di accudirlo, di occuparmi della sua felicità e di fare tutto ciò che lei ora non sarà più in grado di fare. Non ho intenzione di sostituirmi a lei, questo no.. anche perché un padre non potrà mai essere sostituito ed io non vorrei mai che Kurt la dimenticasse.. solo.. mi permetta di essere un amico perfetto per suo figlio, un compagno, un confidente, un fratello, un sostegno e.. perché no anche un amante... ed io le prometto che non la deluderò mai ma soprattutto tenterò di non deludere mai lui. Ha la mia parola Signor Hummel." disse e alla fine accennò perfino un sorriso educato, visibilmente sincero e per niente forzato. Ed io, da sentimentale qual'ero, neanche a dirlo, mi ritrovai a piangere come una fontana: perché... cazzo... Blaine l'aveva fatto davvero, si era presentato a mio padre - nel suo personalissimo modo di fare - e nonostante tutto era riuscito a seguire le tradizioni e quelle parole.. Dio... con che speranza sarei riuscito a sopravvivere una vita intera accanto ad uno così? Se solo due parole dette davanti ad una fotografia mi facevano quell'effetto... sarei morto molto presto con quel ritmo.
Mi coprii la bocca con la mano, tentando di sopprimere i leggeri singhiozzi che mi stavano scuotendo, mentre lui afferrava la foto, sempre con molta delicatezza e la metteva al sicuro sul comodino, per poi girarsi verso di me e stordirmi con uno dei suoi innocenti e bellissimi sorrisi
"Dici che l'ho convinto?" mi domandò intimidito. Mi scappò una risata, mentre le lacrime scorrevano liberamente sulle guance ed io continuavo ad infischiarmene perché era davvero bello sapere di poter piangere per cose così. Per lui l'avrei fatto, sempre. Mi sporsi verso di lui, fino ad arrampicarmi addosso e incollai le labbra alle sue in un disperato e tormentato e passionalissimo bacio che mozzò il fiato ad entrambi
"Hai convinto me.. è questo quello che conta!" mormorai in risposta, mentre lui arrossiva appena e mi regalava un altro bellissimo sorriso.
"Ti amo, Kurt... tanto..." bacio "..tanto.." un altro bacio "..tanto.." un altro bacio ancora "..tantissimo!"
"Ti amo anche io... e finché continuerò a farlo... potrò dire di essere completamente felice."
E forse fin dall'inizio, fin dal momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati e persi per la prima volta, doveva andare così; forse non c'erano altri epiloghi per una storia come la nostra; forse non sarebbe neanche stata la stessa cosa se in mezzo non si fossero messi tutti quegli imprevisti e quegli ostacoli che invece di dividerci, avevano soltanto alimentato il nostro legame; forse c'entrava il destino, o il caso oppure una combinazione fortuita di coincidenze; forse era semplicemente inspiegabile; forse l'amore non andava neppure capito, ma custodito e basta; forse la mia vita non sarebbe mai stata la stessa se quel giorno, esattamente il 15 marzo, Blaine non si fosse trasferito al 2113 di Lower East Side, a meno di tre metri da me; forse niente sarebbe cambiato o forse avrei ugualmente ottenuto tutto, perché due come noi si sarebbero incontrati comunque, anche tra dieci milioni di persone, anche in una città caotica come New York, anche se le nostre vite non si fossero mai incrociate, mai toccate, mai neppure sfiorate, anche in Paradiso. Ci saremmo trovati ugualmente, i suoi occhi dorati sarebbero entrati nella mia vita, sconvolgendola e ordinandola ed io avrei scosso un po' la sua ed insieme avremmo tessuto il nostro personale sogno, con il nostro amore a fare da decorazione. Ed io speravo con tutto il cuore che quel nostro personalissimo mondo sarebbe rimasto intatto e meraviglioso per sempre e che tra di noi, l'unica distanza rimasta ancora certa ed invariabile, fossero quei tre metri che separavano i nostri appartamenti, divisi... soltanto da un pianerottolo.

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Capitolo 43
*** Epilogo n°1 ***


Buona sera a tutti e benvenuti al primo dei nove epiloghi di Just a Landing ^^ dunque, contro ogni aspettativa quello che era partito come uno degli epiloghi più difficili da scrivere, si è dimostrato abbastanza.. naturale diciamo. Il segreto è iniziare a scrivere, pensare a voi e tutto viene più facile ;) un paio di cose prima di lasciarvi alla lettura: la prima sarebbe una sorta di spiegazione, questi nove epiloghi (uno per ogni coppia!) servono a spiegare cosa è effettivamente successo ai nostri personaggi, una volta messa la parola fine alla storia; in parte qualcosa è stata anticipata già nell'ultimo capitolo (per questo ho deciso di dividerlo in tante sezioni, ognuna per ogni coppia) e ovviamente tutte seguiranno il 04 Maggio 2012 (tranne alcuni casi di flashback, che verranno però specificati con le date!) che poi è il giorno della festa a casa di Blaine. Come ho detto sono nove e per non creare nessun tipo di disparità, ho deciso di farli in ordine alfabetico, partendo da Artie e concludendo con la Wemma, anche se l'ultimo epilogo sarà ovviamente Klaine (quindi otto in ordine alfabetico e la Klaine per ultima!). Bene, detto questo, vi ringrazio ancora una volta (perché non ne avrò mai abbastanza) per il sostegno, per le parole bellissime, perché ci siete ancora nonostante tutto e soprattutto per esservi innamorati così tanto di JaL, sentendola vostra e facendo sentire me speciale.. just thanks <3 ci vediamo la prossima settimana con l'epilogo Brittana. Un bacio a tutti e ricordatevi che vi amo
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )

Epilogo n°1

- La partita a Poker -

Artie Abrams

New York City. Ore 09.45 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)

Lavorare di Sabato non era mai stato un grosso peso per me e poi, sinceramente, non avrebbe fatto neanche tanta differenza. D'altronde, l'alternativa sarebbe stata quella di rimanere segregato in casa, magari a sfogliare vecchi spartiti di un pianoforte a coda che non sarei mai più riuscito a suonare oppure mi sarei fatto deprimere con i miei assillanti pensieri. Sì, lavorare per me non era decisamente un problema.
Poi ultimamente avevo trovato un valido motivo per farlo, e quel motivo si chiamava Blaine Anderson: era un ragazzo molto estroverso e carismatico, particolarmente entusiasta verso ogni tipo di novità ma soprattutto non sembrava uno che facilmente si sarebbe arreso. E poi... beh, aveva talento, molto talento, e questo di certo non avrebbe guastato. Sarei stato disposto ad investire in prima persona su di lui e sulla sua voce perché ne ero convinto.. avrebbe fatto strada, senza alcun tipo di problema. Io me ne intendevo, certo. Avevo fatto i miei dannati errori in precedenza, ma... di musica ne capivo ancora qualcosa per fortuna.
E se non ci fosse stata la musica, molto spesso, a salvarmi...
"Quando Jason mi ha chiamata, dicendomi che eri qui... non gli ho creduto. Ammetto di essere piacevolmente sorpresa adesso!" una voce femminile alle mie spalle interruppe i miei pensieri e anche il mio lavoro, ma io non mi preoccupai neppure di girarmi per risponderle. Non ne avevo voglia né tanto meno lei se lo meritava. "Qual buon vento ti porta qui?" mi domandò, sbattendo i suoi preziosi tacchi firmati fino al piccolo soppalco sul quale mi trovavo. Un tempo quel rumore aveva annunciato per me qualcosa di meraviglioso; in quel momento provocava soltanto fastidio.
"Il mio lavoro!" esclamai secco, trattenendo un ringhio che stava per uscirmi dalla bocca. Lei schioccò le labbra, quasi infastidita
"Mi fa piacere che ogni tanto tu te ne ricordi ancora." mormorò acida

Ma pensa...
"Io me ne ricordo sempre!" puntualizzai, stringendo con forza la penna a sfera che avevo nella mano. Fece un altro verso strano, che sembrò molto una presa in giro, ma ancora riuscii a trattenermi.
Non ne vale la pena, Artie...
"Qualche nuovo grande talento degno di nota?" domandò qualche istante dopo, avanzando ancora e probabilmente fermandosi al mio fianco - riuscivo a scorgerne il profilo del cappotto - con la voce ironica, quasi tentasse di deridermi ancora, anche su quello.
"Vuoi farmi credere che adesso ti importa qualcosa di questa agenzia?" la provocai lasciando da parte la penna e i documenti che stavo revisionando per girarmi finalmente verso di lei. Era al mio fianco, fin troppo vicina, potevo perfino sentirne il profumo deciso ed intenso con il quale usava avvolgersi ogni volta prima di uscire. Ed era vestita in maniera impeccabile come sempre, con il suo tailleur bianco, il cappotto nero, taglio impermeabile, un foulard lilla al collo e probabilmente una quantità spropositata di gioielli addosso, dal valore inestimabile. Ed aveva quella sua aria da donna vissuta - pur avendo soltanto ventisei anni - altezzosa, egocentrica.. nonostante un tempo non fosse affatto così. Ed era bella... ai miei occhi rimaneva bella da togliere il fiato.
"A me è sempre importato... anche se continui a credere il contrario... chissà per quale motivo." affermò con sicurezza, socchiudendo appena gli occhi su di me. Mi scappò un mezzo sorriso amaro e mi mossi sulla mia sedia, fino al bordo del soppalco per imboccare la pedana.
"Già... chissà perché..."

New York City. Ore 10.45 A.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)

Al Motta era un uomo che ispirava soldi. Molti soldi. Stando a quello che la gente vociferava, era uno che ci sapeva fare con gli investimenti e ad un po' di sana fortuna, probabilmente - stando sempre a quanto si diceva in giro - aveva aggiunto un po' di aiuti di altra natura. In pratica i suoi soldi non erano del tutto puliti ma... personalmente non badavo molto al giudizio della gente. Preferivo conoscerle le persone e poi magari dare la mia opinione.
"Pensi che gli piacerò? Cioè... credi che lui possa.. accettarmi?" domandai in ansia, mentre con difficoltà prestavo attenzione al panorama che scorreva indisturbato fuori dal finestrino. La sua risata riempì l'abitacolo armoniosamente, causandomi un mezzo brivido dietro il collo
"La smetti di farti tutti questi problemi? Gli piacerai, ne sono sicura. Mio padre è un tipo.. particolare, ma sa bene che, quando si tratta della mia felicità deve lasciarmi fare, senza intromettersi!" mi spiegò con calma, continuando a guidare la sua monovolume lungo l'autostrada. Mi lasciai scappare un lungo sospiro.
Non sapevo esattamente quanto Sugar avesse raccontato di me a suo padre né tanto meno cosa lui sapesse di noi: probabilmente sarei stato presentato come il suo ragazzo - e la cosa mi rendeva felice e allo stesso tempo mi terrorizzava - o forse come un semplice amico o probabilmente... sarei rimasto uno dei pazienti della clinica presso cui la figlia faceva volontariato occasionalmente. In tutti e tre i casi, la reazione di Al Motta era decisamente imprevedibile ed io avevo una strana ansia addosso, un'ansia che da qualche notte non mi faceva neppure dormire.
Sugar aveva tentato in ogni modo di tranquillizzarmi, mi aveva raccontato delle cose meravigliose su suo padre e mi aveva perfino detto che non vedeva l'ora che la sua famiglia mi accogliesse tra i ranghi, così da ufficializzare la nostra relazione ed io, spinto dal suo irresistibile entusiasmo, le avevo creduto ed avevo accettato di incontrare suo padre a pranzo quella Domenica, soprattutto per potergli parlare del nostro progetto, al quale speravamo potesse perfino contribuire finanziariamente.
Io e Sugar ci eravamo conosciuti circa sei mesi prima nella clinica privata presso cui facevo la fisioterapia per le gambe. Lei lavorava come volontaria e ci eravamo già incrociati nei corridoi un paio di volte prima di rivolgerci la parola: o meglio.. era stata lei a farlo. Si era avvicinata, mentre io ero impegnato a salire una delle rampe più ripide di tutta la clinica e mi aveva chiesto gentilmente se avessi bisogno di una mano. Io, che per principio non accettavo l'aiuto di nessuno, benché meno di quelle persone a cui facevo pena, mi ero preparato a rifiutare gentilmente ma alla fine, guardandola negli occhi e rimanendo appena abbagliato dal suo sorriso splendente, non ero riuscito a dirle di no e così era iniziata la nostra amicizia. Con il tempo, parlando soprattutto di me e del mio incidente, avevamo iniziato a vederci anche al di fuori della clinica, ad uscire assieme, a farci vedere in pubblico e lentamente la leggera attrazione che sentivo di provare nei suoi confronti si era trasformata, era cambiata, si era intensificata fino a sfociare in qualcosa di molto simile all'amore. Anche lei non sembrava del tutto indifferente a me e pian piano, dal parlare solo di me, avevamo iniziato a scherzare, a prenderci giocosamente in giro, ad abbracciarci, a sfiorarci casualmente, a baciarci di sfuggita fino a finire a letto assieme. Io l'amavo, l'amavo davvero, come non avevo mai fatto con nessun'altra prima e lei sembrava seriamente coinvolta, tanto che da qualche settimana si era perfino trasferita nel mio appartamento a Long Island e insieme avevamo iniziato a vivere la nostra piccola, buffa ma bellissima storia d'amore. Poi un giorno, parlando ancora dei nostri interessi, lei mi aveva chiesto cosa avessi voluto fare nella mia vita, se le mie gambe me l'avessero permesso ed era stato in quel momento che la mia mente aveva preso a fantasticare e in meno di pochi istanti, aveva partorito quell'idea, quella che sarebbe stata il mio più grande successo e allo stesso tempo la mia più grande rovina.
Quando io e lei ci eravamo conosciuti, ignoravo quanto potere potesse avere la sua famiglia o quanto terrore incutesse il nome di suo padre nella gente: sapevo solo che era ricca, anche perché lei non lo aveva mai nascosto e non se ne era mai vergognata, ma lo aveva sempre fatto con discrezione, senza ostentare troppo, senza tirarsela, senza esagerare ed io, pur avendo un conto in banca particolarmente rosso, non ero mai riuscito a sentirmi a disagio al suo fianco. Merito suo, merito mio, merito di quello che ci legava. Eppure, mentre nei nostri discorsi si concretizzava lentamente quell'idea alla quale io avevo accennato solo una volta, suo padre era diventato una specie di punto fermo, una garanzia alla quale saremmo dovuti ricorrere se avessimo voluto rendere quel sogno tanto ambito, una realtà. Ed era anche per quello che quel giorno eravamo in macchina, diretti verso la residenza estiva dei Motta ed io non riuscivo a stare fermo per quanto ero agitato.
E se non gli fossi piaciuto? E se la nostra idea non lo avesse entusiasmato? E se mi avesse sbattuto fuori di casa a calci? E se...
"Artie..." una voce gentile mi chiamò ed io riuscii a rendermi conto solo in quel momento di essere rimasto incantato a guardare il cruscotto dell'auto, a stringere con forza la pelle del sedile. Con un sospiro mi girai verso di lei e tremai appena sotto il suo sguardo amorevole e il suo sorriso gentile
"Stai tranquillo, ti prego. Andrà tutto bene, ne sono sicura. Tu sei fantastico, la nostra idea è fantastica e sono più che convinta che papà sarà entusiasta di aiutarci e soprattutto di conoscerti oggi. Gli ho parlato così tanto di te!" e sorrise ancora, fermando la macchina in un largo spiazzo circondato dagli alberi e spegnendo il motore. Terrorizzato all'idea di essere davvero troppo vicino a suo padre e alla prospettiva del fallimento, strinsi ancora più forte il sedile sotto di me e lanciai un'occhiata al palazzo - cazzo! - che svettava al di fuori del finestrino. Chiamarla casa sarebbe stato decisamente riduttivo: era una reggia, altissima ed imponente, contornata da un giardino a dir poco immenso e perfino il portone di ingresso urlava lusso, soldi e tutto ciò che io non mi sarei mai lontanamente potuto permettere.
Ecco, guarda bene, Artie.. pensi davvero di avere qualcosa a che fare con persone così?...
"Respira, per carità." sussurrò ancora la sua voce, mentre una carezza delicata si posava sulla mia guancia e per magia riacquistava la mia attenzione. Ingoiai un grosso fiotto di saliva che mi ostruiva la gola e mi impediva perfino di respirare e provai a fare ciò che mi aveva detto, anche se era davvero difficile.
In quel momento dal palazzo imperiale uscirono un paio di persone vestite di nero che, a passo deciso, vennero verso la macchina ed aprirono le nostre portiere
"Bentrovata, signorina Sugar!" la salutò educatamente uno dei due uomini, accennando un breve inchino
"Salve, Connor... papà è già in casa?" domandò lei, mentre sgusciava elegantemente fuori dall'auto
"Sì, signorina.. il signor Motta vi sta aspettando nel salone principale." spiegò accennando un altro inchino
Ma che cazzo... anche le riverenze adesso? Sono ricchi certo, mica dei reali!...
Seguendo la discussione tra i due, non mi resi neanche conto che l'altro uomo in divisa aveva raggiunto il cofano della macchina e ne aveva tirato fuori la mia sedia a rotelle, l'aveva aperta e l'aveva posizionata fuori dallo sportello.
"Signore?" mi chiamò allora ed io sobbalzai appena, sorpreso. Cosa voleva? Aiutarmi a sedermi lì sopra? Era il caso di fargli presente che purtroppo ci ero perfettamente abituato e che ci sarei riuscito anche da solo? Per non essere scortese e non iniziare quella giornata con il piede sbagliato, però, accettai il suo aiuto con un mezzo sorriso e mi lasciai prendere in braccio e depositare con gentilezza sulla sedia, ma proprio non ce la feci a sopportare il fatto che volesse perfino spingere la carrozzella.
"Non si preoccupi.. faccio da solo. Grazie!" lo rassicurai, sgusciando via, leggermente imbarazzato
Non sono malato, porca miseria...
Sugar in quel momento mi raggiunse ed insieme varcammo la soglia di casa Motta. L'interno era decisamente un altro paio di maniche: mi ero aspettato soffitti a volta, pilastri in avorio, scalinate in oro zecchino, ma quello che trovai fu dieci, cento, mille volte meglio; perfino il tappeto rasato che decorava il piccolo ingresso circolare aveva l'aria di costare più del mio stesso appartamento, per non parlare degli specchi e del lampadario scintillante che pendeva quasi fino a metà soffitto. Seguii con un certo imbarazzo Sugar lungo tutto il corridoio - un lunghissimo corridoio ricoperto di quadri prestigiosi che ad occhio parevano dei pezzi unici e soprattutto originali, ed eravamo ancora all'inizio - stando attento a non combinare danni, a non urtare nulla e maledicendomi per non essermi pulito le ruote prima di entrare. All'improvviso lei piegò sulla sinistra ed entrò in un salone immenso, grande quasi quanto il cortile in cui avevamo lasciato la macchina, solo che al posto di piante e fiori, statue e mobili antichi la facevano da padrone. Ogni tipo di anticaglia preziosa e di classe era presente in quella stanza, senza appesantirla affatto, senza renderla volgare o grossolana: chiunque si occupava dell'arredamento di quel posto, sapeva il fatto suo e meritava tutto il mio rispetto. Mi sentivo un po' un barbone con la mia misera giacca di misto lana, la mia camicia bianca fatta su misura ed il mio pantalone con le pence: ero ridicolo, fuori luogo, decisamente inappropriato. Ed eravamo solo entrati in un salone.. cosa sarebbe successo quando avessi incontrato il sign...
"Papà!" esclamò in un impeto di gioia pura Sugar, correndo verso il divano riccamente decorato - figurarsi! - che ospitava una figura che ci dava le spalle. Quest'ultima, un uomo, richiamato dal grido della ragazza, abbandonò il giornale che stava leggendo e si girò verso di noi, alzandosi in piedi. Sugar si fiondò tra le braccia del padre, come solo una bambina sa fare e lui la strinse forte, all'apparenza molto orgoglioso e felice di vederla. Rimasero in quella posizione per parecchi minuti, sussurrandosi chissà cosa all'orecchio, ridacchiando e riscoprendo un po' del loro genuino rapporto padre/figlia ed io me ne rimasi in disparte, senza dare nell'occhio e senza fare il minimo rumore. Solo dopo un po', forse quando lei si rese finalmente conto di non esserci andata sola in quella casa, si discostò dall'abbraccio del padre e, ancora sorridendo - sorrideva così anche quando era con me? - si girò verso di me e mi indicò
"Papà... voglio presentarti Artie Abrams.. il ragazzo di cui ti ho tanto parlato. Vieni, Artie.. avvicinati!" e mi incitò con un sorriso dolce ed un cenno della mano. Io, prendendo un profondo respiro, mossi le ruote fino ai due, preoccupandomi di tenere gli occhi bassi sul tappeto bianco sotto di me, temendo che da un momento all'altro potesse arrivare qualcuno a rimproverarmi per quell'oltraggio. Mi fermai solo quando fui a meno di un metro da loro e lì finalmente sollevai lo sguardo e lo puntai in quello di Al Motta e in quel momento, dopo quasi un'ora di viaggio in macchina, dopo aver accumulato ansia, paura, frustrazione e anche un briciolo di fastidio per tutto quel lusso esagerato, riuscii a pensare soltanto una cosa: cazzo!
Le voci che descrivevano quell'uomo sbagliavano alla grande: Al Motta era decisamente e atrocemente peggio. Era altissimo, superava senza dubbio il metro e novanta, ben piazzato, fisico allenato e prestante, spalle larghe, braccia spaventosamente muscolose e soprattutto un'espressione decisamente poco amichevole. Mi stava guardando, così come io stavo guardando lui, mi studiava attentamente, forse cercava di valutare chi o cosa fossi e perché mai stessi inquinando la sua preziosa e lussuosissima aria. Mi ero già sentito molto a disagio a ritrovarmi in quella casa, ma in quel momento, mentre quell'uomo faceva le sue valutazioni, il disagio aveva superato il limite massimo consentito.
Solo quando lo sguardo di Sugar iniziò a farsi preoccupato, decisi di intervenire per dire qualcosa
"Signor Motta.. è un piacere conoscerla. Ho sentito parlare veramente bene di lei!" mentii spudoratamente, sentendo le guance tingersi vergognosamente di rosso, quasi urlassero che quella appena detta fosse una bugia
"Ah sì? E da chi?" domandò lui sprezzante, mettendo su una smorfia di sfida. Cazzo! Ma che... cazzo!
"Ecco.. io..."
"Chi lo ha detto è senza dubbio invidioso di me e del mio successo. Se fossi in te non darei troppo credito alle chiacchiere!" mi informò, anzi, mi... minacciò? Ma dico, aveva capito quello che avevo appena detto? Oppure perfino fare un complimento era vietato in quella casa? Se parlare bene di qualcuno mi sarebbe valso quello.. non immaginavo cosa sarebbe successo se per caso lo avessi insultato.
"Papà... spero che tu ti sia tenuto libero per pranzo... ho tante di quelle cose da dirti!" intervenne Sugar, forse per salvarmi da quella situazione spinosa, conquistando tutta l'attenzione del padre
"Ma certo, principessa... per te questo ed altro. Ho chiamato Henry ed ho disdetto tutti i miei impegni del pomeriggio. Una promessa è una promessa!" le confermò dolcemente - per quanto un uomo di quel tipo potesse essere dolce - accarezzandole i capelli e facendola sorridere
"Grazie, papà." lui sorrise ancora debolmente, dopodiché si girò verso di me, lanciandomi un'altra occhiata di fuoco
"Sugar, tesoro, perché non mostri al nostro ospite la casa? Sono sicuro che troverà molto interessanti la nostra stanza delle armi e quella dedicata alle imbalsamazioni. Io nel frattempo faccio due telefonate."
La stanza delle armi?...
"Oddio sì... vieni, Artie... un giro della casa è d'obbligo!" esclamò elettrizzata lei, completamente ignara del tono minaccioso con cui il padre si era rivolto a me e perfino di quel ghigno malvagio con cui mi stava scrutando in quel momento. Voleva farmi vedere come imbalsamavano i cadaveri e lei sembrava non vedere l'ora. Ma dove diavolo ero capitato?

New York City. Ore 01.00 P.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)

Circa un paio di ore più tardi ci ritrovammo tutti e tre - ma la madre che fine aveva fatto? - seduti al tavolo di un'altra sontuosa stanza del palazzo - di cui avevo contato approssimativamente cinquantasei camere e ben quattro scalinate e perfino un ascensore, maledizione! - e la situazione non era affatto migliorata, anzi. Al Motta continuava ad approfittare di ogni momento per scrutarmi attentamente e ogni volta io perdevo un po' di dignità e un po' di fermezza. Iniziavo seriamente a pensare che mancasse davvero poco prima di alzarmi e scappare da quella casa a gambe levate.
"Dunque, Artie... cosa fai nella vita per mantenerti?" mi domandò, mentre un cameriere serviva un antipasto.
"Lavoro a teatro. Dirigo un piccolo gruppo di attori che..."
"A Broadway?" domandò sorpreso ed io mi ritrovai scioccamente a ridacchiare.
Pessima mossa, Artie.. davvero pessima...
"No, certo che no! Me li sogno gli sfarzi e le luci di Broadway. Per il momento mi... limito a lavorare in un piccolo teatro nel Queens." spiegai, arrossendo sotto il suo sguardo severo. Non doveva aver affatto apprezzato quel mio tentativo di ironia
"Se ci si accontenta delle cose piccole.. non si avrà mai speranza di crescere!" sentenziò bruscamente, facendo segno al cameriere di versargli un po' d'acqua. Merda... questa me l'ero davvero cercata!
"Certamente! E infatti io... conto di lasciare la compagnia a breve per poter fare... altro." spiegai con calma, mentre lo stomaco mi si chiudeva per ripicca e perfino osservare distrattamente la bresaola finemente affettata che riposava nel mio piatto, mi infastidiva. La sua espressione si fece interessata
"Ah bene... e in cosa consisterebbe questo.. altro?" azzardò, mettendomi decisamente alla prova. Bene.. era arrivato il momento per mettere tutte le carte in tavola e svelare l'esatto motivo per cui eravamo lì per parlare con lui? Non potevamo prima goderci in santa pace il pranzo e poi magari discutere di queste cose?
"Coraggio, papà... smettila di importunarlo. Mangiamo prima e poi sarai libero di farci qualsiasi domanda tu voglia." lo pregò Sugar afferrandogli una mano e facendosi implorante. Era ora che mi salvasse! Cosa stava aspettando? Che il padre prendesse il coltello per il formaggio e mi affettasse un braccio? Lui fece una smorfia ma alla fine lasciò perdere quel discorso - almeno temporaneamente - e si concentrò sul suo piatto. Io, dopo un lungo sospiro afferrai una forchetta a caso tra le cinque che avevo alla mia destra e iniziai a mandare giù cibo, senza sentirne minimamente il sapore.
Distrattamente diedi peso alla conversazione che padre e figlia intavolarono poco dopo, riuscii a sentire soltanto qualcosa riguardante un ballo di beneficenza ed un re che doveva venire la settimana successiva dall'Europa. Ero troppo impegnato a prestare la mia attenzione al ricamo sulla tovaglia per credere davvero di seguire ciò che si stessero dicendo. E poi... magari ascoltando, avrei infastidito il padrone di casa e siccome il nostro era già un rapporto precario ben lontano dal diventare qualcosa di relativamente cordiale... era meglio starmene buono nel mio silenzio. Questo finché le mie orecchie allenate non captarono un discorso particolare
"Il figlio del dottor Flynn chiede ancora di te. Ogni volta che ci incontriamo al circolo non fa che bombardarmi di domande... si è preso davvero una bella sbandata!" esclamò, quasi soddisfatto lui. Sugar ridacchiò
"Steven è un caro ragazzo... ricordo ancora quando da piccoli, lui accompagnava il padre qui per giocare a poker e si nascondeva costantemente dietro il divano perché si vergognava a giocare da solo con me!" mormorò divertita
"Adesso è cresciuto e sinceramente non credo provi più imbarazzo nello starti accanto, anzi, ne sarebbe lusingato. Ed io penso che sarebbe un ottimo compagno per te." affermò convinto, calcando volutamente la voce sulla parte finale, per permettermi di sentire meglio, e vergognarmi un po' di più
"Lo penso anche io." fece Sugar mentre un sorriso dolce le increspava le labbra
Ah bene... a quando le nozze?...
Stavo giusto per infastidirmi seriamente, ero sul punto di sbloccare le ruote della mia sedia e allontanarmi da quel tavolo, quella casa, quel maledetto uomo arrogante, convinto del fatto che, neanche se avessi fatto rovesciare tutte le statue della casa, qualcuno si sarebbe accorto della mia assenza, ma proprio in quel momento, Sugar riuscì a salvare la situazione: si girò verso di me e mi sorrise
"Solo che al momento il mio cuore è già impegnato!" esclamò con un sospiro sorridente, riuscendo a strappare un mezzo sorriso anche a me, ed era il primo da quella mattina. Lo sapevo. Lo sapevo che prima o poi l'avrebbe detto ad alta voce e lo aveva fatto davanti a suo padre.
Steven... prendi e porta a casa!...
"E chi sarebbe il fortunato?" domandò il padre, probabilmente non cogliendo il collegamento, o molto più probabilmente, non volendo coglierlo
"Papà... sto parlando di Artie ovviamente!" fece lei, quasi indignata, indicandomi. Per l'ennesima volta gli occhi di quell'uomo si fecero cattivi e si posarono su di me, facendomi bloccare il respiro. Bene, ora sì che sarei morto e imbalsamato. O forse sarei stato prima imbalsamato e poi sarei morto.
"Oh... bene." mormorò lui indurendo la mascella e facendo un segno sprezzante verso il povero cameriere, invitandolo a portare i secondi piatti. In quel momento mi scrutò ancora, con un odio forse addirittura peggiore: ormai sapeva che tipo di legame corresse tra me e la sua bambina, e quindi ero entrato di diritto nella pole position dei suoi nemici. Forse mi sarei potuto salvare se avessi avuto un lavoro milionario o se di cognome avessi fatto Gates... ma visto che ero un semplice, umile e disabile Artie Abrams... no, non ero decisamente adatto a ricoprire il ruolo di genero per lui.
"Siamo così felici, papà. Non vediamo l'ora di ufficializzare la cosa anche con il resto della famiglia." continuò Sugar imperterrita, ignara di cosa stesse succedendo nella testa di sua padre, benché gli si leggesse tutto a lettere cubitali sulla faccia. Tentai un mezzo sorriso, spaventato e tremante, mentre il cameriere mi riempiva silenziosamente il piatto di selvaggina. Cazzo, e se quella che avevo davanti fosse stata la testa dell'ultimo ragazzo che si era presentato in quella casa?
"Da quanto tempo è che va avanti questa cosa?" domandò infastidito e duro, più che altro rivolto a me, sfidandomi per l'ennesima volta. Sembrava fossimo due combattenti in un duello, peccato che tra i due, quello ad avere una stanza delle armi lì dentro, non fossi io.
"Poco in realtà... ci stiamo ancora... conoscendo!" tentai di tamponare, con un sorriso forzato. Ma ovviamente, per quanto mi avesse salvato già una volta, Sugar volle rettificare
"Ci siamo conosciuti sei mesi fa e da quasi tre settimane viviamo insieme. Non è meraviglioso?" domandò elettrica. Il volto del padre si indurì maggiormente
Ma cazzo.. vuoi dirgli anche quante volte facciamo sesso, per caso?...
"Addirittura vivere.. insieme." mormorò lui affettando la sua carne e non perdendomi di vista neanche per un istante. Il mio stomaco si contorse proprio in quel momento e mi sentii seriamente prossimo a rimettere tutto quello che avevo mangiato fino ad allora, perfino quello del giorno prima.
"Sì... ehm... ma non è... cioè lo facciamo per.. risparmiare.." tentai di salvare il salvabile, peccato che forse stando zitto avrei ottenuto qualcosa di più
"Risparmiare? Mia figlia non ha alcun bisogno di risparmiare. Ha libero accesso ad ognuno dei fondi di questa famiglia e senza dubbio non deve ridursi a dividere l'appartamento con... qualcun altro per vivere." sbottò sprezzante, facendomi rimpicciolire sulla mia sedia. Cazzo, andavamo di male in peggio.
"Ma papà.. io l'ho fatto per lui.. per stare insieme. Non ho bisogno dei soldi di famiglia per essere felice, lo sai." intervenne Sugar desolata, preoccupandosi di più di giustificarsi davanti al suo adorato papà che di difendere il suo ragazzo martoriato ed umiliato. Al Motta sospirò e scosse la testa. Era sul punto di dire qualcos'altro, magari mi avrebbe finalmente sbattuto fuori di casa - e a quel punto iniziavo seriamente a sperarlo - ma Sugar decise che era giunto il momento di rovinare definitivamente il pranzo, mettendo sul piatto il reale motivo per cui eravamo andati lì.
"Anche se, in effetti... una cosa che potresti fare per me ci sarebbe." iniziò, sorridendo già profondamente elettrizzata. Il padre, felice di cambiare discorso - o almeno per quello che ne sapeva - tornò a guardarla
"Certo, bambina mia.. tutto quello che vuoi!" acconsentii
"Ecco vedi... io e Artie è un po' di tempo che.. avremmo un'idea in mente. Un progetto da realizzare. Ma avremmo bisogno del tuo aiuto per farlo." annunciò. Le sopracciglia dell'uomo saettarono verso l'alto, sorprese
"Che tipo di progetto?" domandò, lanciandomi un'altra occhiataccia
Stia tranquillo... non ho messo incinta sua figlia e non le ho chiesto di sposarmi...
"Una casa discografica!" esclamò infine lei, non riuscendo a contenere la gioia e saltellando appena sulla sedia. Il padre la guardò attentamente per quella che sembrò una vera eternità, senza aprire bocca e senza dare il minimo cenno di aver capito o di essere ancora vivo. Era un segno positivo, no?
"Una casa discografica?" domandò atono
"Sì... Artie ha delle capacità direttoriali straordinarie ma soprattutto è un ottimo intenditore di musica e sarebbe perfetto come scopritore di talenti o come manager musicale. Io invece potrei occuparmi della parte amministrativa.. mi dici sempre che sono brava con i calcoli e con la gestione delle imprese di famiglia quindi... meglio approfittarne, no?" e ridacchiò, quasi divertita dalla sua stessa idea. Oh merda... quando ne avevamo parlato per la prima volta, sul divano del nostro - del mio! - salotto, mi era sembrava l'idea più geniale di sempre, una di quelle illuminazioni che vengono solo una volta nella vita e con cui speri di farla cambiare per sempre. Eravamo carichi di entusiasmo, avevamo immaginato perfino in che quartiere poter aprire la nostra agenzia e su un blocco per gli appunti avevamo iniziato a scrivere qualche bozza per il nome. Per i soldi lei non aveva voluto sentire ragioni: non dovevamo assolutamente chiedere alcun prestito a nessuna banca, perché ci avrebbe pensato suo padre a pagare ogni cosa. E forse, con il senno di poi, era stata proprio questa decisione a rovinare tutto, fin dall'inizio.
"E questa... idea... di chi sarebbe?" domandò ancora, indugiando appena su di me. Nel suo immaginario la risposta era già stata data
"Di entrambi... cioè... sarebbe un sogno di Artie però io sarei più che felice di prendere parte e realizzarlo assieme a lui." rispose lei cercando il mio sguardo e magari il mio sostegno; peccato che in quella situazione, messo alle strette dallo sguardo assassino di suo padre, fossi io ad averne bisogno. E quella frase fu la conferma che ad Al Motta serviva. Sul suo viso si dipinse un ghigno, una specie di smorfia che a prima vista poteva benissimo essere scambiata per un sorriso ma che, osservata bene e soprattutto capita, valeva molto di più e non era nulla di raccomandabile.
"Il sogno di Artie." ripeté lui, quasi in un sussurro, annodando le mani sotto il mento e continuando ad osservarmi. Cazzo, ma che diavolo voleva da me quell'idiota? Perché continuava a fissarmi e a mettermi tanto in soggezione? Gli avevano mai insegnato, nelle prestigiose accademie che senza dubbio aveva frequentato, che fissare la gente in quel modo, fosse sintomo di maleducazione? E soprattutto... possibile ci stesse provando.. gusto?
Perché non me ne sono rimasto a casa, oggi? Davano un episodio speciale di X Factor...
"Allora, papà, cosa ne pensi? Ti piace la nostra idea?" domandò Sugar afferrando di nuovo la mano del padre e sciogliendola dall'incrocio che ancora gli sosteneva il mento. Lui si addolcì appena. Se c'era una cosa che rendeva Al Motta più umano... era sicuramente l'amore che provava verso sua figlia. Quello almeno era palese e soprattutto naturale.
"Sembra davvero molto.. interessante, piccola. Mi chiedo solo se... pensi che sia un buon investimento?" le domandò, facendosi pratico e professionale
"Ma certo. La musica non passerà mai di moda, papà.. anche se le tecnologie andranno avanti e un domani saremo costretti a teletrasportarci per andare a lavoro... ci sarà sempre qualcuno con una bella voce e del talento che sarà disposto a fare carte false pur di sfondare e allora lì.. interverremo noi. Dico bene, Artie?" e mi interpellò, sorridendo ancora piena di entusiasmo. Tremai sulla mia sedia sia per essere stato messo in mezzo senza neanche aspettarmelo - ero convinto che avessero continuato ad ignorarmi per tutta la durata del pranzo - sia per gli occhi di suo padre - ignorali, ignorali, ignorali - che lampeggiarono su di me.
"C-certo." confermai con mezza smorfia, ma a lei bastò come un sorriso. Certo, l'idea generale del nostro progetto era proprio quella: recuperare talenti sconosciuti e dare loro quella possibilità che, grandi case discografiche sparse nel paese e già ampiamente affermate, non darebbero mai. Saremmo stati i salvatori di tutti quelli che avevano ricevuto porte in faccia e lo avremmo fatto sempre con il sorriso sulle labbra e la grande passione per la musica che ero convinto ci accomunasse. Peccato che avessi ampiamente fatto i conti senza l'oste.
"D'accordo allora. Se è questo quello che vuoi!" acconsentii infine l'uomo pragmatico e pieno di soldi, dandoci il suo lasciapassare verso un illimitato bagaglio di risorse economiche, di cui non avevo neanche una vaga idea dell'ammontare. Sapevo solo che erano tanti soldi... tanti, tantissimi soldi.
Sugar emise un lungo urlo di gioia e si precipitò ad abbracciare il padre, ignorando il suo piatto ancora pieno e il buon galateo della tavola. E mi sorprese non poco il fatto che un uomo tanto rigido e preciso non glielo facesse notare ma invece allargasse le braccia per accoglierla e la stringesse forte a sé. Visti da fuori facevano quasi tenerezza: un abbraccio così sentito e reale, un abbraccio di gioia, soddisfazione, che sapeva di tanti grazie e di altrettanti mi fido di te. E fin qui tutto bene, se solo non fosse stato per l'occhiata di sbieco che, nonostante il momento tenero, Al Motta riuscì a scoccarmi.
Oh...
"Frena l'entusiasmo, principessa. Avrai modo di ringraziarmi in futuro. Ora, però, finiamo di mangiare. Dopo con calma, parleremo meglio di questa faccenda, anche perché voglio sentire le opinioni del nostro.. amico a riguardo." e mi indicò con un cenno ed un sorriso tirato "Dico bene, Artie?"
Dice bene, Artie?...
"S-sì, Signore!" e come un soldato che ha appena risposto ad un ordine superiore, mi sentii piccolo e misero e mi ritrovai ad abbassare gli occhi sul mio piatto. Di nuovo.

New York City. Ore 03.05 P.M. 12 Luglio 2009 (Domenica)

Sapevo che sarebbe successo. Fin da quando Sugar mi aveva allegramente proposto quel pranzo a casa sua per conoscere suo padre, sapevo e sinceramente temevo che saremmo arrivati a quel punto. Io e suo padre, ancora nella stessa stanza, a pochi metri di distanza e, soprattutto, soli.
La miseria ladra...
Stavo morendo, letteralmente. Sentivo caldo, e nonostante mi fossi già discretamente sbottonato i primi due bottoni della camicia, non riuscivo neppure a respirare. Colpa di quegli occhi, di quei maledettissimi occhi che continuavano a torturarmi e ad uccidermi lentamente, privandomi di ogni difesa e facendomi sentire così stupido ed esposto. Doveva essere una tecnica la sua, un modo come un altro per tenere sotto controllo i suoi avversari.. d'altronde anche portare l'altro allo sfinimento, poteva risultare una buona tecnica per vincere e lui stava decisamente per avere la meglio su di me. Ero sempre stato un ragazzo dal carattere abbastanza forte e neppure l'incidente era riuscito ad affliggermi; avevo reagito e avevo continuato a combattere prendendo quell'evento come un ostacolo sul mio cammino da superare, per arrivare in vetta. Eppure Al Motta in quel momento mi sembrava nettamente più preoccupante e spaventoso e neanche la più forte delle volontà mi avrebbe aiutato.
Dopo un'infinità di tempo passato semplicemente a guardarmi e a fare ondeggiare il suo prezioso digestivo nel bicchiere da whisky, finalmente mi rivolse la parola
"Hai mai giocato a poker, Artie?" mi domandò, spiazzandomi
Eh?...
Poker? Che diavolo voleva significare? Voleva invitarmi nella sua bisca per caso?
"No, Signore." risposi un po' confuso, ma provando a rimanere tranquillo
"É un vero peccato." mormorò, fingendosi afflitto e facendo ondeggiare ancora una volta il contenuto del suo bicchiere "Capiresti tante cose del tuo avversario se solo sapessi come... osservare le sue mosse." mi spiegò allora. E dunque era questo quello che aveva fatto per tutto il tempo? Aveva osservato le mie mosse, come se stessimo partecipando ad una partita di poker? Aveva anche puntato su di me?
In quel momento decisi di tentare il tutto per tutto, di provare a scoprire le mie carte e sperare di ottenere il punteggio più alto sul tavolo verde
"E se posso permettermi... cosa ha capito di me, osservando le mie mosse?" azzardai a chiedere, mentre avvertivo un'insolita scarica di adrenalina corrermi lungo tutta la schiena. Ero rimasto in silenzio fin troppo a lungo quel giorno e difficilmente ora sarei riuscito a fermarmi. Ero stanco di essere analizzato in quel modo, svilito con la potenza di un solo sguardo e soprattutto... chi cazzo si credeva di essere quell'uomo per potermi parlare in quel tono così arrogante? Soltanto perché il suo conto in banca era tanto ingente ciò non lo giustificava né lo esonerava dalle buone maniere. Ero umano anche io e non credevo di avergli fatto chissà quale torto e per questo motivo esigevo rispetto. Lo stesso tipo di rispetto che anche io gli avevo dimostrato da quando avevo messo le ruote nel suo prezioso ingresso.
Lui si fece sorpreso, ma apprezzò notevolmente la mia domanda
"Sono sincero... non molto in realtà. Ammetto di aver trovato un.. degno avversario!" mormorò con un mezzo sorriso seccato. Accavallò le gambe, posò il bicchiere sul tavolino di cristallo al suo fianco e alla fine, fissando gli occhi nei miei, mi diede il suo verdetto
"Non ho ancora ben capito che tipo di rapporto ti leghi a mia figlia, ma di qualsiasi natura esso sia, credimi ragazzo... farò di tutto affinché risulti un vero inferno." e lo disse con tale naturalezza, tale freddezza e tale precisione da farmi doppiamente male. Un inferno. Il mio rapporto con Sugar sarebbe stato un inferno. E questo solo perché a suo padre non andavo a genio.
"Io non credo che lei possa..." tentai, guidato dall'ennesimo sprazzo di adrenalina mista a coraggio e a quel briciolo di incoscienza che sbucava all'improvviso sempre nei casi peggiori
"Posso eccome. Sugar è mia figlia, quelli che voi userete per il vostro insulso ed immondo progetto sono i miei soldi, quindi credimi, caro il mio Artie Abrams... io posso!" sentenziò duro, facendomi paura. Si alzò dal suo divano e in meno di due passi mi raggiunse, sovrastandomi di netto nel suo metro e novanta
"L'ho capito, sai? Ho capito esattamente quali sono le tue intenzioni con mia figlia. Vuoi raggirarla, vuoi riempirla di tante belle parole, vuoi farle credere che costruire un progetto tanto ambizioso possa legarvi per sempre e speri ovviamente che lei, avendo un cuore d'oro, possa crederci, che possa starsene buona buona al tuo fianco mentre tu sperperi con calma i suoi.. i nostri soldi. Ebbene, amico mio... non te lo permetterò." annunciò in un lungo e terrificante sibilo concentrato, che mi fece venire la pelle d'oca. In quel momento si abbassò su di me e posò le sue minacciose mani sui braccioli della mia sedia, facendomi appiattire contro lo schienale e trattenere il fiato. E in quel momento, mentre sentivo di avere realmente paura, più di quanta non ne avessi mai avuta in ventisei anni della mia vita, arrivò la botta finale

"Diventerò il tuo peggiore incubo, sarò lì ad osservare ognuna delle tue fottute mosse e non appena compirai il passo falso.. io verrò a casa tua e ti ucciderò con le mie stesse mani. E allora capirai sulla tua pelle come mai non c'è nessuno in questa città pronto a parlare bene di Al Motta. Sono stato chiaro, ragazzino?" domandò, alitandomi sul viso, in un misto di alcool e terrore allo stato puro. Non avevo permesso mai a nessuno di avvicinarsi tanto a me, prima di tutto perché mai nessuno aveva osato mettersi contro un ragazzo disabile e poi... beh, per mia fortuna non capitava spesso di mettersi in tali guai. Eppure qualcosa era successa, altrimenti non si spiegava come mai fossi lì, a meno di cinque centimetri dalla faccia dura e crudele di un uomo, che mi aveva appena minacciato di morte.
Solo allora mi resi conto del fatto che, in tutta quella serie di minacce, ci avesse messo anche una domanda, e fu lui stesso a ricordarmelo
"Ho detto... sono stato chiaro?" ripeté avvicinandosi ancora di più e facendosi più duro. Ingoiai a vuoto qualcosa e tremai ancora
"Sì..."
"Non ho sentito."
"Sì!" gridai allora, sperando di liberarmi in fretta di quella situazione, perché non riuscivo più neanche a respirare. Ad essere paralizzati avevo già fatto l'abitudine ma, la paralisi fisica non aveva niente a che vedere con quella emotiva. Quella era più forte, più avvolgente, più destabilizzante e faceva nettamente più paura.
"Bene. Ora, ascolta quello che faremo: io concederò a te e a mia figlia i soldi per questa casa discografica. Lo faccio per lei, perché ne sembra entusiasta e perché qualsiasi cosa la renda felice, riesce a fare felice anche me. Dopodiché tu inizierai gradualmente ad allontanarti dalla sua vita. Non mi interessa come, anche fingendoti frocio se è necessario... l'importante è che lo fai con molta discrezione e senza fare soffrire la mia bambina, anche perché conosci già le conseguenze, nel caso in cui Sugar dovesse farsi del male." minacciò ancora, non scostandosi di un millimetro da me e conficcando la lama a fondo, fin dentro le ossa.
"Una volta che i vostri rapporti si saranno completamente raffreddati, io convincerò Sugar a lasciarti ogni responsabilità sull'agenzia e a tornare da me. Tu in compenso avrai pieno possesso della casa discografica e potrai ritenerti completamente soddisfatto. Alla fine tutti ne usciamo vincitori, dico bene Artie?" mi domandò con mezzo sorriso, a tratti sadico e a tratti assurdamente gentile. Ma cos'era quell'uomo? Cosa mi stava facendo? E perché io non reagivo? Perché mi sentivo schiacciato dal peso del suo sguardo, della sua voce, delle sue minacce, del suo maledetto potere? Cosa mi impediva di spingerlo via, mandare al diavolo tutti - Sugar compresa, visto che non si decideva a tornare, visto che ignorava quanto subdolo potesse essere suo padre, visto che era stata lei a trascinarmi lì - e tornarmene a casa? In fondo la mia routine andava più che bene, nonostante fossi particolarmente stanco di dover sprecare il mio tempo con incarichi di poco conto. Avevo bisogno di realizzarmi e fare bene qualcosa e forse l'idea della casa discografica era la prima, dopo tanto tempo, a darmi un po' di speranza. Ma ormai, perfino quella, era macchiata di tinte buie, che facevano paura.
Tu ne uscirai vincitore, Al.. soltanto tu... io rimarrò solo un involucro alla fine della partita...
In quel momento, forse per ironia del destino o forse perché era tutto scritto per andarmi contro, entrò Sugar, interrompendo il nostro tetro siparietto. Ad Al Motta ci volle relativamente poco per sollevarsi e rivolgere un sorriso mite alla figlia - che neanche a dirlo non si accorse di nulla - mentre io... beh... se non avessi avuto la mia sedia ancorata sotto il culo, probabilmente sarei precipitato al suolo.
"Avete finito di confabulare alle mie spalle? Cosa vi state dicendo di così importante?" domandò, saltellando verso di noi, e rivolgendo ad entrambi un sorriso radioso. Giusto, lei quel giorno aveva vinto la sua battaglia. Io invece, ero morto, senza neanche combattere.
"Niente di importante, piccola. Io ed Artie stavamo ripassando un po' le regole fondamentali del poker. Sono convinto che dopo oggi, le terrà sempre a mente... dico bene?" e mi sfidò ancora, in uno sguardo che sapeva molto di avvertimento. Io non riuscii neanche a rispondere. Ero senza parole né fiato né tanto meno pensieri. Era tutto un immenso foglio bianco. Incolore. Insapore. Morto. Mi accorsi a stento delle braccia di Sugar che si legavano attorno al mio collo e delle sue labbra sulle mie e di quelle tre maledetti parole che, da quel momento in poi, sarebbero diventate il mio peggiore incubo notturno.
"Ti amo, Artie!"

New York City. 09.58 A.M. 05 Maggio 2012 (Sabato)

Quel giorno, a distanza di quasi tre anni da quella maledetta Domenica, ricordavo ancora perfettamente ognuna delle parole minacciose di Al Motta e tutti i suoi lineamenti duri, benché, dopo quel giorno, non lo avessi mai più visto, per mia fortuna. Era bastata una sola giornata per rendermi conto di tante cose: del fatto che io con quella famiglia non avrei mai avuto nulla a che fare, di quanto poco bastasse ad un uomo per terrorizzarne un altro, di quanto poco bastasse a me per farmi sentire debole ed insicuro. Da quel giorno erano cambiate lentamente tante cose, ma prima di tutto ero cambiato io. Quell'Artie paziente e tranquillo non esisteva più; al suo posto era nato una sorta di alter ego, una sorta di macchina priva di ogni tipo di sentimento, concepita solo per lavorare e fare soldi e fino ad allora, a scanso di equivoci, aveva sempre funzionato. Mi sentivo male ogni qualvolta mi fermavo a riflettere su quello che era stato e su quello che ero diventato, ma ogni azione ha una sua reazione uguale o contraria: nel mio caso ero stato perfino schiacciato dalle mie stesse decisioni.
Forse soltanto in quell'ultimo periodo, con la conoscenza di Blaine, la ripresa delle attività della casa discografica e l'appianarsi dei conflitti - che io stesso avevo creato - con i miei condomini, le cose sembravano girare in un modo migliore. Sentivo ancora di non essere pronto a perdonare per quello che era successo, o per impegnarmi in una nuova relazione, di qualsiasi tipo essa fosse stata, però.. almeno iniziavo a fare affidamento su qualcuno dopo tanto tempo. Io lo consideravo già un grande passo in avanti.
"Sai, Artie.. c'è una cosa che non ho mai capito." annunciò ad un certo punto Sugar alle mie spalle, mentre io scendevo dalla rampa con calma ed attenzione per non cadere
"Cosa?" non c'era la minima curiosità nella mia voce, solo la voglia di sbatterla fuori da lì, il prima possibile
"Cosa ci è successo esattamente? Perché non siamo riusciti a portare avanti la nostra storia? Mi era sembrata... così bella ed importante eppure... si è disintegrato tutto... e adesso non riusciamo neanche più a stare nella stessa stanza senza.. guardarci male o scambiarci delle pessime battute. Perché, nonostante la nostra storia sia finita non riusciamo ugualmente ad essere amici?" domandò, facendosi esitante e perdendo un po' di quell'arroganza con cui era entrata poco prima. Bloccai la mia discesa a metà, fremendo nel sentire quelle parole. La spiegazione c'era, ce l'avevo sulla punta della lingua ed era anche pronta a venire fuori se solo non fosse stato troppo complicato e forse anche troppo stupido dirlo, dopo quasi tre anni. Così mi limitai a sorridere amaramente e a tirare fuori la scusa con cui in quegli anni avevo cercato di guarire le mie stesse ferite, sperando di appianare il dolore che una sola Domenica di Luglio era stata capace di creare.
"La verità è che io e te siamo troppo diversi, Sugar. Lo siamo sempre stati e continuiamo ad esserlo, soprattutto ora. Era impossibile che due come noi potessero ottenere qualcosa di diverso rispetto a.. questo!" ed indicai la sala registrazioni, finalmente girandomi a guardarla. Sul suo viso per un momento era scomparsa la smorfia infastidita e superiore e si era affacciata una piccola parte di quella Sugar dolce e solare e un po' bambina di cui mi ero innamorato. E forse amavo ancora.
"Quindi non possiamo essere altro che due... soci? É questo che mi stai dicendo?" domandò in un sussurro amareggiato. Provai a mandare giù un nodo opprimente che spingeva per uscire, un nodo che mi teneva sospeso da troppo tempo e che prima o poi sarebbe esploso. Ma quello non era né il luogo né tanto meno il momento opportuno.
"Direi di no." risposi scuotendo la testa, per poi ricordare qualcosa e sorridere, ancora in maniera troppo amara "Fai conto che da questa situazione... ne usciamo vincitori entrambi." e mi girai, lasciandola lì a rimuginare su quella frase, chiedendomi se anche a lei avesse fatto lo stesso amaro effetto che aveva fatto a me tre anni prima. E solo allora, lontano dai suoi occhi, per l'ennesima volta solo, mi concessi l'unico grande lusso che la mia vita ingiusta ancora mi regalava: piangere.

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Capitolo 44
*** Epilogo n°2 ***


Brittana
Buonasera a tutti... lo so, sono un mostro e ho infranto un'altra promessa.. avrei dovuto pubblicare Sabato ma ho lasciato correre il tempo e oggi è addirittura  Mercoledì.. avete tutte le ragioni di questo mondo ad avercela con me ma purtroppo non sono riuscita a farcela prima: colpa principalmente dello studio (ho dovuto fare ben due esami in meno di una settimana e me ne aspetta un altro martedì prossimo ç___ç) e poi come se questo non bastasse, questo epilogo mi ha dato non pochi problemi.. l'ho cancellato e riscritto almeno tre volte, facendomi venire vere crisi nervose.. è merito di Dan e del suo insistere, se il capitolo alla fine è uscito quindi ringraziate lei, io da sola avrei mollato molto tempo fa ç__ç. Bene, vi ringrazio per la pazienza e per essere ancora qui (lo so che ci siete anche se lo scorso epilogo non vi siete fatti sentire) e per sopportarmi ancora... voi siete davvero degli angeli e non lo dico tanto per dire, lo penso davvero. Ci vediamo la settimana prossima (penso intorno a Venerdì/Sabato) per l'epilogo Finchel... un bacio a tutti... <3
p.s. Come l'immagine di Artie, anche questa è gentilmente offerta dalle manine del mio Dan... adoratela tanto quanto l'adoro io *__*
n.b Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )


Epilogo n°2

Brittany & Santana
"La tua anima"



New York City. Ore 10.15 A.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)

Frequentare l'Accademia era sempre stato il mio più grande sogno: c'erano pochissimi punti fermi nella mia vita, uno di questi era proprio il disegno. I primi ricordi che avevo della mia infanzia, riguardavano una piccola me con una matita in mano e la mente aperta verso qualsiasi tipo di ispirazione, fantasia, pensiero. Disegnavo qualsiasi cosa, perfino linee immaginarie e senza un filo logico, però per me acquistavano un senso nuovo e particolare. E poi il disegno mi era sempre servito per scaricare, per esprimere i miei sentimenti e tutte quelle emozioni che difficilmente tiravo fuori, a causa del mio carattere particolarmente chiuso e sensibile. Ognuno si esprime a modo suo: io preferivo la matita e un foglio bianco.
"Coraggio ragazzi... l'arte non è un gioco. Sono stanca di queste cose piatte e senza alcun trasporto. Ho bisogno di emozioni vere... di essere colpita.. forza!" strillò la professoressa Gennis, il mio tormento all'Accademia, bocciando completamente il disegno apparentemente perfetto di una mia compagna. La ragazza, nascondendo le lacrime di delusione, prese un foglio nuovo e ricominciò.
Emisi un lungo e silenziosissimo lamento, mentre sistemavo più morbidamente una linea del paesaggio che stavo ultimando. Il compito della settimana era: suscitare emozioni con le sfumature, ed era complicato... non tanto per la tecnica in sé, che a dirla tutta era anche una delle mie preferite, ma per il fatto che lei fosse praticamente gelida e senza alcuna sensibilità. Nessuno, da quello che si raccontava in giro, avevi superato il suo corso con voti alti, perché era convinta che nessuno fosse meritevole di lode, fatta forse eccezione per qualche caso, in cui la ruffianaggine superava di gran lunga il talento. Neanche all'Accademia, dove il saper fare conta più di ogni altra cosa, si era immuni a certi cliché
"É occupato questo posto?" una voce femminile si intromise nei miei pensieri, e fui costretta a sollevare lo sguardo, rimanendo senza fiato e senza battito cardiaco nel petto nel vedere di chi si trattasse
"Santana!" esclamai in un soffio, profondamente sorpresa. Lei mi sorrise dolcemente e con eleganza si sedette accanto a me. In quel momento il cuore riprese furioso la sua corsa ed avvertii le guance colorarsi come ogni volta che Santana entrava nel mio mondo. Ed era una sensazione indescrivibile, bella da morire e totalizzante.
"Cosa ci fai qui?" domandai, ancora incapace di metabolizzare "Non dovevi andare a Miami per un servizio fotografico?" lei sorrise, quasi emozionata, e scrollò le spalle
"Rimandato al mese prossimo!" spiegò con tranquillità, per niente dispiaciuta
"Oh..." mi lasciai scappare dalla bocca, non sapendo cos'altro dire
"E per rispondere alla prima domanda che mi hai fatto... erano due giorni che non ci vedevamo e... mi mancavi!" disse in un leggero sussurro che ebbe il potere di sconvolgermi maggiormente e farmi arrossire ancora e istintivamente, senza neanche pensarci, mi feci scappare un
"Mi sei mancata anche tu... non sai quanto!" che la fece sorridere e le illuminò gli occhi. Sembrò sul punto di dire o fare qualcosa - baciami, baciami, baciami - ma un altro urlo scimmiesco da parte della professoressa, sembrò distrarla
"É lei, vero? Quella di cui mi hai parlato la prima volta che ci siamo viste?" mi domandò in un sussurro, indicando la prof con un cenno del capo
"Purtroppo sì... e oggi sta dando il meglio di sé, quindi preparati!" mormorai con una smorfia e neanche a farlo apposta, la Gennis urlò ancora contro un'altra ragazza che scoppiò a piangere disperata
"Caspita... è una vera stronza!" esclamò sconvolta ed io non potei fare a meno di darle ragione
"Mmmm... forse anche di più." borbottai con mezzo sorriso. Lei tornò a guardarmi, dopodiché lanciò un'occhiata al blocco di disegni che avevo sul banco e sorrise
"É meraviglioso, Britt!" sussurrò quasi incantata e la sua espressione, così colpita e sincera, mi ricordò quella che mise su il primo giorno, a Central Park, quando vide per la prima volta i miei disegni. Anche allora era rimasta piacevolmente stupita e mi aveva fatto i complimenti; solo che, se allora riceverli mi aveva fatto piacere, ora che i miei sentimenti per lei erano cambiati, quelle parole acquistavano un significato notevolmente diverso
"Ti ringrazio." feci io imbarazzata e stordita dal suo profumo bellissimo e sensuale. Il sorriso di Santana si ammorbidì e per la seconda volta credetti fosse sul punto di baciarmi - baciami, baciami, baciami - ma non lo fece. Si limitò a stringersi un labbro tra i denti e a farmi un cenno verso il banco
"Riprendi quello che stavi facendo... non volevo interromperti!" sussurrò. Disegnare davanti a lei? Dio... non ci sarei mai riuscita, non con quello stato d'animo almeno
"Io non..."
"Coraggio. Sto qui buona buona in silenzio, promesso!" mi disse allegra, strizzandomi l'occhio ed io, con la salivazione azzerata ed il cuore partito per la tangente, mi limitai ad annuire, incantata dalle sue labbra sorridenti che desideravo assaggiare e fare mie proprio in quel momento. Ma mi trattenni: c'era troppa gente e immaginai che la professoressa non avrebbe affatto gradito. Avremmo avuto modo più tardi per rifarci. Così ripresi a disegnare, arrotondando meglio la curva di una collina sullo sfondo e poi sfumandola nei punti in cui si congiungeva con gli altri elementi del paesaggio. Generalmente quando disegnavo riuscivo a rilassarmi, a ditendere ogni muscolo e a sentirmi perfettamente in pace con ognuno dei miei sensi; in quel momento però, mentre avvertivo gli occhi di Santana fissi su di me, tutto riuscivo a fare tranne che tranquillizzarmi
"Mi distrai!" mormorai con un sorriso divertito. Con la coda dell'occhio la vidi arrossire violentemente
"Dios... mi... mi dispiace. Forse è il caso che.." ma la bloccai, perché non potevo permettere che se ne andasse, non volevo assolutamente. La volevo lì, seduta al mio fianco a scrutarmi incuriosita. Preferivo l'imbarazzo che provavo sotto il suo sguardo, rispetto al vuoto che mi riempiva il petto quando lei era lontana
"No, non farlo! Ho bisogno che... tu rimanga qui con me, ti prego!" supplicai, stringendole con delicatezza il polso per non farla allontanare., Lei, visibilmente combattuta, alla fine annuì e rimase al suo posto, poggiando il mento sul palmo della mano. Io dopo un lungo sospiro di sollievo, tornai al mio paesaggio sentendo ancora il suo sguardo addosso e le guance bollenti.
Avere Santana al mio fianco, da qualche tempo a quella parte, era diventato difficile da gestire: all'inizio, essendo due semplici amiche, era tutto più facile, poi con il tempo qualcosa tra di noi era gradualmente cambiato e si era trasformato in un reale sentimento, un sentimento puro, innocente, bello proprio perché inaspettato, che aveva coinvolto entrambe in un vortice di emozioni che ci aveva portate lentamente a modificare i nostri atteggiamenti, a renderli più intensi e più... tremanti in un certo senso. Se prima concedersi un abbraccio fosse per me una cosa normale, in quell'ultimo periodo mi avrebbe causato un mezzo infarto. Il mio corpo si comportava in modo strano con lei, vibrava anche per un'innocente carezza - mi si era stratto lo stomaco quando le avevo toccato il polso prima - e poi, visto che ultimamente ci concedevamo parecchi momenti di intimità, magari guardando un film, abbracciate sul suo divano, era capitato che sfuggisse qualche bacio che, per quanto innocente o in un certo senso amichevole, era stato capace di scuotermi e mi aveva fatta rendere conto di non potermi più accontentare, di volere di più, di volermi spingere più in là, non solo dal punto di vista fisico... soprattutto su quello emotivo. Non ero certa di cosa provassi esattamente per Santana, ma qualsiasi cosa fosse stata, non me la sarei di certo fatta scappare.
É praticamente da sempre che cerco un'emozione così e ci volevi tu per regalarmela...
Troppo concentrata com'ero nei miei pensieri e nelle mie linee sfumate per il primo piano, non mi accorsi neppure di essere osservata da qualcun altro in quel momento oltre che da Santana e che quest'ultima stesse cercando in ogni modo di farmelo capire. Alla fine però una voce squillante ed innervosita bastò ad interrompere tutto
"Signorina Pierce... un altro paesaggio.. quanta originalità!" sbottò seccata e acida come sempre, tamburellandosi con le dita il gomito. Non si degnò neanche di guardarmi in faccia: semplicemente decretò che il mio lavoro non fosse sufficiente - e quando mai lo era? - e con una smorfia passò alla fila di dietro. In quel momento per la rabbia, spinsi talmente tanto forte la matita sul foglio, da spezzarne la punta e fare un piccolo foro proprio nel centro di quel paesaggio... il solito privo di originalità
"Dio, quanto è acida! Ma chi diavolo si crede di essere? Non si trattano così le persone... ora mi sente!" e Santana fece per alzarsi ed inveire contro la donna, ma io la bloccai allarmata
"Santana, lascia stare... non ne vale la pena. Servirebbe soltanto a farla arrabbiare di più, fidati!" borbottai, cercando di calmarla
"Al diavolo... non si deve permettere di trattarti con quella sufficienza." si lamentò infervorata e probabilmente di nuovo intenzionata a reagire, solo che io quella volta non avrei potuto fare nulla per fermarla, perchè quello che avevo sentito mi aveva letteralmente bloccato il cuore. Mi stava difendendo, e lo stava facendo con una forza incredibile. Sembrava che fosse stata lei ad essere stata attaccata e non il contrario. Mai nessuno, neanche i miei stessi genitori si erano preoccupati così tanto per me, e si trattava soltanto di una stupida insegnando con un pregiudizio ancora più stupido. Se lei già per così poco si animava tanto, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se fossi diventata... la sua ragazza. Avvertii un calore bellissimo propagarsi nel petto e nuovamente la voglia di baciarla prese forma in me, spingendo prepotente. Le critiche della professoressa non esistevano più, c'era solo Santana, il sorriso che mi si allargava sulle labbra ed io che immaginavo di essere... la sua ragazza.
Devo ammettere che suona davvero molto bene...
Santana, dopo aver inveito silenziosamente e in spagnolo contro la donna, tornò a guardarmi e finalmente si rese conto del mio sorriso, che le fece inarcare un sopracciglio
"Perché sorridi?" domandò confusa. Io scossi la testa, arrossendo un po'
"Mi fai sorridere tu... mi piace il... tuo accento." mentii spudoratamente, ridacchiando sotto i baffi per la banalità della scusa che avevo trovato e sperando vivamente che potesse prenderla per buona. Lei per mia fortuna scoppiò a ridere
"Cosa sarebbe? Un modo carino per dirmi di fare la brava e non prendermela con quella stronza?" scherzò
"Indovinato!" e nonostante
la leggera delusione che sentivo ancora bruciare per colpa delle critiche al mio disegno,
il cuore che continuava a ballare nel petto e il leggero imbarazzo che ancora mi abbracciava, riuscii ad unirmi alla sua risata, il suono più bello ed armonico che avessi mai avuto la fortuna di sentire.

New York City. Ore 07.40 P.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)

"Sono convinta che questo sia uno dei migliori film d'amore di tutta la cinematografia americana." esclamai osservando attentamente lo schermo del televisore davanti a me, che ci restituiva le immagini di Shakespeare in Love
"Lo penso anche io... parla di sentimenti reali, sentimenti che nascono incontrollati, nonostante all'inizio Shakespeare creda che si tratti di un uomo. Spiega un po' quello che succede tutti i giorni tra le persone comuni... ci si innamora dell'anima di qualcuno, non del suo sesso!" rispose Santana al mio fianco, sistamandosi meglio e scivolando appena più in basso, fino a poggiare la testa sulla mia spalla. Girai lo sguardo verso di lei, senza riuscire a guardarla negli occhi, ma sentendomi pienamente colpita da quella sua frase
"É.. davvero bello quello che hai detto." mormorai con un filo di voce. Lei sollevò la testa e puntò gli occhi nei miei, scuotendomi
"Lo penso davvero." rispose, a sua volta in un misero sussurro, quasi avesse paura ad alzare troppo la voce, disturbando i protagonisti del film. Trattenni inconsapevolmente il fiato, schiacciata dall'intensità dei suoi occhi scuri ed avvertii di nuovo l'incontrollabile desiderio di azzerare le distanze e di impossessarmi di quelle labbra, in quel momento strette leggermente in una presa tra i denti, forse per contenere qualcosa, magari l'imbarazzo o magari la stessa voglia che avevo anche io. Eppure... eravamo sole, protette dalle mura del suo appartamento e quindi, se solo avessimo voluto, ci saremmo potute concedere tutto, anche quel bacio disperato che sembravamo ricercare così tanto. Ma nessuna delle due fece niente. Rimanemmo immobili ad osservarci, in una strana atmosfera carica di tensione e di tante frasi non dette che galleggiavano attorno a noi. Io avvertivo la pelle del fianco bruciare per il contatto con quella di Santana, nonostante ci fossero i vestiti a separarle. Forse dipendeva ancora dal desiderio inespresso che si faceva prepotentemente sentire o forse... stavamo seriamente andando a fuoco senza neanche rendercene conto.
Ci si innamora dell'anima di qualcuno... non del suo sesso...
Deglutii con una certa difficoltà provando a distogliere lo sguardo dal suo, perché iniziavo a sentire lo stomaco stringersi troppo dolorosamente e iniziavo perfino a sentirmi stupida nel provare tutte quelle emozioni senza poter fare nulla. Ma non riuscii a muovere completamente la testa, che un paio di mani bollenti si strinsero attorno al mio viso, bloccandolo
"Brittany..." mi chiamò lei, in un sussurro morbidissimo e carezzevole che mi incendiò le guance. Emisi un leggero lamento per la frustrazione, che sperai non risultasse troppo evidente e pregai in tutte le lingue - spagnolo compreso - che quella volta il mio disperato desiderio si avverasse e potessi toccare ancora quelle magnifiche labbra deliziose che sembravano chiamarmi e...
"Vorrei fare una cosa ma... ho paura della tua reazione." sussurrò, soffiandomi direttamente sul viso, solleticandomi le labbra e inondandomi del suo respiro profumato e caldo e invitante e..
"Santana.." quella volta fui io a chiamarla, con la voce tremante e il respiro spezzato "Fallo e basta... ti supplico!" e quella piccola preghiera disperata si perse nel vuoto, sovrastata dalla sensazione magnifica che scaturì nell'esatto istante in cui finalmente le sue labbra si posarono sulle mie. E tutte la disperazione, l'ansia, la frustrazione, l'imbarazzo e la paura, vennero scacciate via, semplicemente dal contatto, da quel tocco morbido e delicato, che sapeva di tenerezza e allo stesso tempo celava tutta la voglia che fin ad allora era rimasta inespressa. Ma a me quel contatto non bastava più: volevo altro, volevo che fosse più profondo, più intenso... volevo che si sciogliesse e si trasformasse e che entrambe fossimo pronte ad affrontarlo.. insieme. D'altronde, prima o poi sarebbe comunque successo, quindi ritardare avrebbe soltanto reso il tutto più difficile da gestire.
Mi girai con il busto verso di lei e feci scivolare una mano tra i suoi capelli, trovandoli come sempre morbidissimi e mi aggrappai alla sua nuca, per poterla spingere maggiormente verso di me e farle capire con quel gesto quanto ancora volessi sentirla, quanto ancora volessi che quel contatto durasse, che non si interrompesse mai e che magari potesse farsi più intenso. Soltanto più intenso. E quella volta non aspettai che fosse lei a prendere l'iniziativa - una volta per una, no? - perché non ce la feci più a resistere e con molta delicatezza, le accarezzai il labbro inferiore con la punta della lingua in una esplicita richiesta che lei accolse immediatamente, dandomi libero accesso. Avevo creduto fino a quel momento di averle provate tutte in sua compagnia: di aver sperimentato l'imbarazzo, la complicità, l'affinità, la reciproca intesa... ma mai avrei potuto immaginare che un bacio potesse regalarmi tanto e sconvolgermi fino al punto di togliermi completamente la lucidità e la ragione. Eppure far danzare la mia lingua in sincronia con quella di Santana era... una esperienza extracorporea, decisamente totalizzante, poco controllabile, immensamente piacevole. La sua lingua era calda, si muoveva con delicatezza ma con una abbondante dose di sensualità che mi mandava fuori di senno, accarezzava la mia, la cercava, la trovava praticamente sempre, l'avvolgeva e la viziava e contemporaneamente le sue braccia si stringevano attorno alle mie spalle per avvicinarmi maggiormente.
Era il bacio più bello che avessi mai dato e ricevuto e soprattutto era decisamente più appagante di quanto avessi potuto immaginare. Il sapore di Santana era quanto di più dolce ed invitante ci fosse al mondo e sembrava legarsi così bene al mio, quasi fossero nati per convivere. E mentre iniziavo a sentire una certa necessità di ossigeno - maledizione! - mi domandai seriamente come avessi fatto in tutto quel tempo a resistere alla tentazione. Dovevo avere un autocontrollo davvero notevole, non si spiegava altrimenti.
Riuscimmo a staccarci pochi istanti dopo, entrambe con il fiato corto per la mancanza di ossigeno troppo prolungata e la foga del bacio, ma sicuramente entrambe con lo stesso identico pensiero: era stato bellissimo. Magico. Indimenticabile. Assolutamente da rifare.
Le nostre mani rimasero esattamente nella stessa posizione, senza muoversi e lo stesso fecero il resto dei nostri corpi: eravamo come sospese, immobili a guardaci quasi avessimo timore di dire o fare qualcosa che potesse rovinare tutto quanto. Io, personalmente, avevo paura di aver fatto qualcosa di sbagliato o che, peggio, lei non avesse provato le stesse sensazioni e che non le fosse piaciuto. Sarebbe stata una pugnalata al cuore ma preferivo di gran lunga che me lo dicesse, senza farsi alcun problema.
Qualche istante dopo, però, qualcosa accadde: lei sgranò gli occhi, quasi avesse appena realizzato ciò che fosse successo e si affrettò ad allontanarsi
"Oh... mio... Dio, Brittany... scusa io non... so cosa mi è preso. Giuro che non..." balbettò quasi sconvolta, arrossendo violentemente. Il cuore mi precipitò nello stomaco, facendo un rumore assurdo perché sapevo perfettamente dove volesse andare a parare
"Non volevi.." quella che credevo fosse una domanda, mi uscì più che altro come un'esclamazione vera e propria che mi fece tremare appena. Lo sapevo... lo sapevo, maledizione. Le avevo sentite solo io quelle cose, per lei non avevano lo stesso peso e non avrei potuto fare nulla per farle cambiare idea perché certe cose non si insegnano né si pretendono: se non ci sono non c'è speranza che tenga. E la cosa peggiore era il sapere perfettamente quanto in quel modo avessimo compromesso il nostro rapporto perché dopo un bacio del genere, non era possibile tornare amiche allo stesso modo, come se niente fosse successo. All'improvviso avvertii un'ispiegabile voglia di piangere, ma non volevo farlo davanti a lei: d'altronde ero stata io a crearmi milioni di film, a fraintendere, a volere di più da quel bacio... mi sarei dovuta cospargere il capo di cenere e magari avrei dovuto lasciare quell'appartamento il più in fretta possibile, prima di complicare ulteriormente la situazione. Eppure... c'era qualcosa che mi impediva di muovermi, qualcosa che mi teneva legata a quel divano e a lei, qualcosa che assomigliava molto alla disperata speranza di essere presa e abbracciata forte, di sentirmi dire che no, non avevo frainteso nulla e che qualcosa tra di noi poteva davvero esserci, nonostante tutto, nonostante fossimo amiche, nonostante fossimo.. due ragazze.
Ci si innamora dell'anima di qualcuno.. non del suo sesso...
Rimasi con lo sguardo basso per un tempo indefinito, finché una sua mano - calda, caldissima mano - non si posò sul mio mento per farmi sollevare la testa e finalmente ritornai a perdermi in quell'oceano tormentato che le colorava gli occhi: scuri, pieni di parole che faticavano a venire fuori, così belli da sembrare surreali, così profondi da incantarmi.
"Brittany.." mi chiamò con tono delicato ed io ero sicura, sicurissima, che stesse per inventare qualche scusa, qualche giustificazione per quel momento di debolezza - per la miseria lo avevo voluto anche io, perché poi si sarebbe dovuta prendere da sola tutta la colpa? - e per questo l'anticipai ancora
"Non serve che ti giustifichi, Santana... ho capito perfettamente cosa vuoi dirmi. Che è stato uno sbaglio, che non era tua intenzione, che non ci saremmo dovute spingere fino a questo punto e che..." ma quella volta, inaspettatamente fu la sua voce a sovrastare la mia, mentre la stretta sul mio mento si intensificava appena
"Desideravo farlo da non so quanto tempo... ormai ci avevo perso ogni speranza." mormorò con un'intensità disarmante. Mi si bloccò il respiro in gola e mi ritrovai ad aprire la bocca un paio di volte per ribattere, ma non riuscii a farlo, completamente priva di parole. Lei desiderava farlo, da molto tempo. Voleva baciarmi. Forse allo stesso modo in cui lo avevo voluto anche io, o forse addirittura di più.
"Santana.."
"Io non... riesco più ad esserti amica, Britt... io sento di provare qualcosa per te, che va ben oltre la semplice amicizia e ormai non riesco più a far finta di niente." mi disse, con la voce tormentata, quasi stesse confessando qualcosa che la schiacciava e la faceva sentire oppressa "Io ti voglio bene, Brittany, ma... penso di volertene più di quanto sia lecito. Tutte le volte... che ti avvicini, o mi sorridi o semplicemente mi mandi un messaggio, io sento il cuore impazzire e la testa perdere ogni ragione. So che è sbagliato, so che non è questo ciò che tu vuoi da me, ricordo perfettamente tutto ciò che ci siamo dette la prima volta: tu vuoi un'amica che sia disposta ad ascoltarti e a sostenerti e a capirti ed io, credimi Brittany... muoio dalla voglia di fare ognuna di queste cose ma allo stesso tempo sarebbe ipocrita da parte mia tenerti nascosto ciò che penso oogni volta che sei al mio fianco oppure ogni volta che immagino tu lo sia." cercai di igoiare una manciata di saliva, facendo meno rumore possibile, tanto per non disturbare quella strana atmosfera che si era creata
"Cosa mi tieni nascosto?" le domandai in un soffio. Lei sospirò, quasi cercasse di trovare il coraggio per parlarmi di qualcos'altro e dalla sua espressione questo altro, doveva essere particolarmente importante
"Io sono innamorata di te, Brittany!" esclamò, secca e precisa, colpendo e affondando l'obiettivo "Irrimediabilmente innamorata di te e non posso più pensare di ignorare questo sentimento perché sta diventando troppo grande e incontrollato e... come hai avuto modo di vedere, mi sta sfuggendo di mano!" arrossì appena, forse sorrise, forse disse anche qualcos'altro. Non riuscii più a prestare attenzione a niente, perché tutto ciò che mi interessava era racchiuso in quelle cinque parole: io sono innamorata di te... io sono innamorata di te... io sono innamorata di te. Così poche parole che riuscivano a contenere tutto ciò che avevo bisogno di sentirmi dire, contenevano un mondo intero, contentevano la risposta a tutte le domande.
Ci si innamora dell'anima di qualcuno... non del suo sesso...
Mi resi conto vagamente che Santana stesse ancora parlando, ma non mi importava: avevo sentito tutto ciò che mi interessava.. al resto avremmo pensato dopo. Così senza riuscire a dire nulla, mi rifiondai sulle sue labbra, interrompendo il suo monologo e sospirando di sollievo perché ormai avevo la certezza che quel bacio potesse assumere il giusto significato, che fosse adatto a noi, adatto al momento e che fosse esattamente ciò di cui avessimo bisogno. Lei, dopo un primo momento di incertezza, si adattò perfettamente lasciandosi scappare un sospiro che si perse nella mia bocca nell'esatto istante in cui feci scivolare la lingua in avanti, alla ricerca disperata della sua. Volevo continuare a sentirmi bene, a sentirmi amata e protetta e tutto in Santana, perfino il modo in cui mi accarezzava la guancia, sembrava rassicurarmi. Sarei volentieri rimasta tutta la vita in quella posizione, e forse... forse avrei anche potuto.
Quella volta staccarsi fu molto meno traumatico, anzi... venni accolta da un magnifico sorriso imbarazzato e quella carezza che mi viziava la guancia, si fece più leggera, quasi fosse piuma
"Ho paura..." mi ritrovai a confessare senza neanche accorgermene. Lei si rabbuiò appena, forse colta da un panico improvviso
"Di cosa?"
"Di non essere... abbastanza per te, di non meritarti, di non essere in grado di dimostrarti quanto... grande e sincero sia il sentimento che provo per te. Ho paura di commettere qualche sbaglio e di perderti, ho paura di non poter gestire questa cosa e di sentirti dire di nuovo che non avremmo dovuto o che fosse troppo presto o che..." ma quella volta fu lei ad interrompermi, affondando la mano tra i miei capelli, stringendomi la nuca e attirandomi a sé per un altro bacio, molto più morbido, molto più lento, molto più intenso. Troppe emozioni tutte insieme, troppi impulsi, troppi sensi alletra, troppe informazioni da metabolizzare. Ed io avevo soltanto un cervello che non si decideva a funzionare. Il bacio finì, ancora una volta troppo presto, ma ci fu di nuovo il suo bel sorriso ad illuminarmi e fu il mio turno per arrossire
"Tu sei perfetta così come sei, Britt ed io... ti amo, ti amo con tutta me stessa quindi, ti supplico.. non avere mai paura perché non ne hai nessun motivo. Permettimi solo di renderti felice allo stesso modo in cui tu rendi felice me.. conta solo questo al momento." mi disse accarezzandomi i capelli e lasciandomi un bacio in ogni angolo del viso che riusciva a raggiungere. Mi ritrovai a sorridere e accolsi con gioia il battito accelerato, quasi fossero delle trombe pronte a suonare, per celebrare qualcosa di nuovo e bello
Ti amo, ti amo con tutta me stessa...
Allungai il collo e catturai le sue labbra con le mie, cercando di concentrare ogni senso su quello specifico momento: sul suo sapore, sul calore che emanava, sul profumo che mi avvolgeva, sulla sua mano che ancora lenta si perdeva tra i miei capelli, sulla voglia incontrollata e meravigliosa che avevo di lei, su quanto fosse bello condividere un'emozione così grande, su quanto fossi fortunata, ma soprattutto tu quanto...
"Ti amo." le dissi in un soffio leggero, praticamente ad un respiro di distanza dalle sue labbra e per entrambe quella fu l'ultima spiegazione, l'ultimo tassello che andava incastrandosi con gli altri. Ormai tutto aveva acquistato un senso e andava decisamente bene così. 

New York City. Ore 03.12 A.M. 15 Maggio 2012 (Martedì)


L'ispirazione alla fine era venuta così: da sola, spontanea ed illuminante, così semplice da fare quasi paura. La professoressa Gennis aveva sempre detto che l'ispirazione era dentro di noi, bastava avere le orecchie giuste per ascoltarla e il cuore pronto a renderla reale, e in quel momento, mentre stringevo la matita in mano e ricalcavo le linee morbide sul mio blocco, mi ritrovai a darle perfettamente ragione. Ogni tanto alzavo gli occhi dal foglio, giusto per perdermi meglio nella contemplazione di una meravigliosa Santana addormentata per poi tornare a disegnare, a tentare di riprodurre su carta non solo ciò che vedevo ma soprattutto ciò che sentivo. In quel momento ero piena di emozioni, tutte diverse, tutte incatenate, tutte bellissime. Dopo quello che ci eravamo confessate sul divano, non c'era più stato spazio per le parole, per dirsi altro perché avevamo trovato un altro modo per dimostrarci ciò che sentivamo e provavamo l'una per l'altra ed era stato a dir poco fantastico, una delle migliori esperienze della mia vita ed era stata lei a renderla speciale perché mi aveva fatta sentire amata, voluta e avvolta completamente tra le sue braccia ed ora io, mentre disegnavo persa nei miei pensieri, mi ritrovai a sorridere e per la prima volta nella mia vita a provare una vera emozione, un'emozione autentica, un'emozione che volevo raffigurare. Così riprodussi lei, esattamente com'era, così bella, indifesa, addormentata tra quelle lenzuola che sapevano di noi e con quell'espressione beata, che era probabilmente l'esatta fotocopia della mia. Non mi resi neanche conto di che ora fosse, seduta nella mia metà di letto, con soltanto la luce dell'abat-jour ad illuminare il foglio e a rendere la situazione ancora più carica di emozioni, solo che ad un tratto, proprio mentre le sfumavo i capelli che ricadevano morbidi sulla schiena e in parte sul cuscino, lei si mosse, mormorò qualcosa ed aprì gli occhi, stordendomi appena con un piccolo sorriso assonnato e dolce
"Cosa stai facendo?" mi domandò, sollevando la testa, leggermente confusa. Io sorrisi, lanciando un'occhiata al mio blocco e al disegno ormai completo.
Semplicemente bellissimo...
"Provavo a catturare questo momento. Volevo renderlo eterno." spiegai, mentre richiudevo il blocco e lo posavo per terra. Scivolai di nuovo sotto le coperte, cercando il suo abbraccio e sospirai serena, mentre mi stringeva forte e affondava il viso tra il collo e la spalla
"E ci sei riuscita?" domandò con la voce ovattata, un po' per il sonno, un po' per la posizione. Un sorriso mite mi stirò le labbra e strinsi più forte
"Questa volta penso proprio di sì, anche se..."
"Mmm?"
"Certe cose non si possono riprodurre.. sono pezzi unici." avvicinai le labbra alle sue per catturarle in un bacio leggero "E tu sei sicuramente una di queste!"

New York City. Ore 11.31 A.M. 15 Maggio 2012 (Martedì)

La professoressa Gennis stava osservando il mio disegno da ben tre minuti e trentasette secondi, e lo faceva senza aprire bocca, senza fare nessuna smorfia, solo tenendo gli occhi fissi sul foglio e spostando ogni tanto la testa da un lato all'altro, forse per cambiare angolazione. Morivo dalla voglia di capire a cosa stesse pensando, volevo sapere che tipo di critiche si sarebbe inventata quella volta e quanto male avrebbero fatto. Immaginai che per lei fosse stato uno shock non indifferente vedermi passare dal classico paesaggio - quello privo di originalità - ad un corpo femminile, interamente nudo. Eppure in cuor mio sentivo di aver creato qualcosa di migliore, qualcosa che nessun paesaggio al mondo avrebbe mai potuto trasmettere e non perché si trattasse di una donna nuda - una bellissima donna nuda - ma più che altro per quella donna fosse mia, esclusivamente, completamente e meravigliosamente mia. Ne andavo orgogliosa, e quella volta l'avrei difesa a spada tratta se solo la Gennis avesse detto o fatto qualcosa per criticare il mio lavoro.
Alla fine, dopo un tempo interminabile, sollevò gli occhi e li puntò nei miei, e stranamente quella volta non vi lessi la solita aria sufficiente con cui si rivolgeva a me ogni volta, lessi lo stupore, la sorpresa, e anche un pizzico di soddisfazione che mi lasciarono senza fiato
"Ottimo lavoro, signorina Pierce!" Esclamò risoluta, restituendomi il blocco e accennando un... cazzo, un sorriso!
"La ringrazio professoressa!" Mormorai, arrossendo e sentendo il cuore scalpitare nel petto perché quella era la prima volta che in tre anni mi faceva un complimento, che mi guardava senza fulminarmi, che mi sorrideva: non credevo neanche che fosse capace di gesti tanto umani eppure...
Lei passò avanti ad analizzare un altro compagno, lasciandomi con la mia sorpresa, il mio cuore che sfarfallava leggero ed il mio disegno di Santana. Con un sorriso emozionato accarezzai la superficie ruvida del foglio, proprio sulla linea della spalla, che spariva appena sotto i capelli neri. Quel disegno era stato capace di lasciare senza parole perfino la prof, perfino lei era stata colpita dall'emozione pura che la bellezza di Santana sembrava esprimere ed io, mentre lo contemplavo rapita mi resi conto di una cosa, del perché fosse così bello: perché oltre alle linee morbide del suo corpo perfetto, oltre alla sua espressione serena, oltre all'amore che provavo per lei, da quei tratti e da quelle sfumature, veniva fuori qualcos'altro... la sua anima leggera e speciale, quella di cui mi ero perdutamente innamorata.


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Capitolo 45
*** Epilogo n°3 ***


Buonasera a tutti, angeli miei... come al solito in "perfetto ritardo" (ormai l'ho presa a vizio XD) sono tornata questa volta con l'epilogo Finchel ^^ questa volta diciamo che sono piuttosto soddisfatta di ciò che è venuto fuori (il che è tutto un dire, perché su tutta la storia mi piacciono sì e no... quattro capitoli XD) quindi vi lascio immaginare. Come per la Brittana, anche questo era partito per sviluppare un'idea e alla fine se ne è presentata un'altra però diciamo che va bene anche così. Dunque, leggendo vi accorgerete di un piccolo particolare che riguarda il padre di Lea che fino ad ora non è mai stato nominato.. diciamo che è un po' uno scoop quello che si scoprirà e nel caso in cui il sequel dovesse andare in porto (ci sto seriamente pensando *__*) beh sì insomma.. potrebbe tornare ad argomento ecco ^^ detto questo, vi ringrazio ancora infinitamente per la pazienza e per essermi ancora così vicine dopo tutti questi capitoli.. se non ci foste voi io non so sinceramente cosa farei quindi... GRAZIE ç___ç il prossimo esame è tra due settimane quindi diciamo che dovrei avere più tempo per dedicarmi all'epilogo Quick e sfornarvelo entro tempi brevi.. diciamo fine settimana? (si accettano scommesse XD). Vi auguro buona lettura e... concedetemelo... TANTI AUGURI DARREN <3
P.S. Come per la Brittana, anche la Finchel ha la sua opera d'arte firmata Daniel-il-magnifico-ragazzo-di-Sebastian... *___* more grazie :*
n.b. Pagina Fb ( Dreamer91) Raccolta ( Just a Landing - Missing Moments)

Epilogo n°3
Finn & Rachel
"La storia della buonanotte"


New York City. Ore 11.03 P.M. 26 Maggio 2012 (Sabato)

Se cinque anni fa mi avessero detto che un giorno di fine Maggio mi sarei ritrovata a vivere da sola, al centro di New York City, con una figlia di quattro anni, senza un compagno ma soprattutto senza lavoro... probabilmente mi sarei messa a ridere e poi avrei consigliato a questo sciocco di farsi vedere, ma da uno bravo. Eppure, oltre ogni aspettativa, tutto quello era realmente successo: ognuno dei miei sogni adolescenziali si era miseramente infranto, non avevo fatto nessun provino per diventare una brillante attrice, non ero diventata modella - per quanto la piccola esperienza fatta con Kurt mi aveva fatto capire che non vi fossi affatto portata - e soprattutto non avevo sposato nessun miliardario del Texas. In compenso, in tutto quello squilibrio, avevo ancora i miei due stravaganti papà gay che si amavano alla follia nonostante tutti quegli anni passati a sopportarsi e che amavano me soprattutto - che ero decisamente più difficile da gestire - avevo degli amici sinceri che mi regalavano ancora un po' di quella spensieratezza che non ero riuscita a trattenere in quegli anni e soprattutto... avevo la mia piccola, dolce e meravigliosa Lea. La mia gioia più grande, la mia salvezza, l'unica cosa che mi fosse seriamente uscita bene.
All'inizio, quando alla soglia dei vent'anni avevo scoperto per caso di essere incinta, mi ero sentita persa: mi era sembrato naturale parlarne con il mio ragazzo - Brody Weaston... un idiota tanto carino quanto.. idiota, appunto - che invece di abbracciarmi ed esultare con me, magari rassicurandomi sul fatto che insieme ce l'avremmo fatta, mi era scoppiato a ridere in faccia, mi aveva posato una mano sulla testa e aveva detto
"Tanti auguri, bambolina... ora sono cazzi tuoi!" e da allora, non si era più fatto vedere, neanche in fotografia. All'inizio era stato tragico affrontare il tutto, ed ero arrivata addirittura ad odiare con tutta me stessa quell'essere che mi cresceva dentro, dandogli la colpa per quello che stavo passando, per essere rimasta sola. Non avevo mai avuto il coraggio di prendere in considerazione l'idea dell'aborto perché la trovavo una cosa deplorevole da fare soprattutto perché alla fine, se fossi stata un po' più coscienziosa anche io, non sarebbe successo nulla;: quindi l'idea iniziale era stata quella di portare a termine la gravidanza e poi consegnare il bambino agli assistenti sociali, così che loro potessero trovare una famiglia adottiva adatta a farlo crescere. Questo era il piano. Le cose erano andate esattamente al contrario: nel momento esatto in cui mia figlia mi era stata depositata tra le braccia, dopo un parto decisamente traumatico, era successo qualcosa, una scintilla era scattata, qualcosa mi si era stretto all'altezza del cuore nel vedere quelle manine così piccole stringersi a fatica, quella bocca appena contratta e quel calore inspiegabile che emanava e che mi si infrangeva sulla pelle... e da quel momento non ero più riuscita a metterla giù. Lea aveva conquistato il mio mondo e lo aveva migliorato lentamente, ma soprattutto aveva migliorato me. I miei papà si erano letteralmente sciolti di fronte a tanta bellezza e in ogni modo mi erano stati accanto, nonostante abitassimo lontani e la maggior parte delle volte facessero dei sacrifici enormi per venirci a trovare.
Sorprendentemente le cose si erano dimostrate più facili del previsto, perché Lea era sempre stata una bambina relativamente tranquilla e crescerla con i pochi soldi che mi inviavano i miei era stato possibile. Con il tempo, iniziando a diventare più sveglia e mostrando sempre più il suo bel carattere - decisamente troppo simile al mio - erano sorti i veri problemi: c'erano giorni in cui era davvero difficile andare d'accordo e altri in cui la voglia di andare via e mandare tutto al diavolo diventava troppa... poi però, bastava uno sguardo tra di noi, anche di sfuggita e tutto crollava, io mettevo da parte l'orgoglio e mi fiondavo ad abbracciarla e lei si dimenticava di tutto, stringendomi a sua volta. Era confortante sapere che almeno lei nel mondo ci sarebbe sempre stata, che mi avrebbe realmente capita e che... qualsiasi cosa avessi fatto, mi avrebbe perdonata. Io una madre non l'avevo avuta e forse per un periodo, nonostante adorassi i miei papà oltre ogni cosa al mondo, ne avevo seriamente sentito la mancanza. Volevo essere per Lea la madre che io non avevo mai avuto, benché non avessi esperienza né un modello da seguire e speravo con tutto il cuore di esserci riuscita. Gli amici, Kurt in particolar modo, mi rassicuravano dicendo che stessi facendo un buon lavoro con lei ed io avevo seriamente provato a crederci. A volte però, c'erano momenti in cui lo sconforto era talmente tanto grande che neppure le belle parole bastavano a colmarlo. Mi sentivo spesso... svuotata... inutile... persa. Esattamente come il giorno in cui Brody mi aveva lasciata. Con il tempo avevo capito perché.
E, ironia della sorte, era stato Finn Hudson a farmi capire cosa fosse: il mio vicino di casa, il gigante che non riusciva ad incutere terrore neanche volendo, l'uomo silenzioso e timido e anche un po' goffo che avevo ignorato - non volontariamente - per bene tre anni da quando si era trasferito in quel palazzo, ma che solo ultimamente avevo imparato ad apprezzare e ad... amare. Finn Hudson era stata una vera rivelazione, ma non solo perché fosse una bella persona dentro e fuori... era stata una rivelazione per me, per Rachel Berry. In poco meno di qualche giorno speso a frequentarlo, avevo capito cosa in quei quattro anni mi fosse realmente mancato: un uomo, una figura di riferimento non solo per me ma soprattutto per mia figlia, un pilastro al quale poggiarmi, un sostegno per i momenti più bui e un paio di braccia pronte a stringermi e a farmi sentire... speciale. Finn ci era riuscito in pieno, mi aveva fatta immediatamente sentire donna - pur nel suo modo goffo e impacciato di fare - mi aveva fatta ridere, mi aveva resa partecipe di qualcosa di nuovo e soprattutto, cosa che non avrei mai sperato di avere... era riuscito a conquistare la fiducia di Lea in brevissimo tempo, senza pretese né eccessivi sforzi. Forse dipendeva dal suo carattere semplice e umile o forse dalla sua infinita pazienza o dalla sua generosità. Non seppi con precisione cosa in quell'uomo conquistò mia figlia... ma vederli insieme, vederli parlare, vederli semplicemente sorridersi.. mi stringeva il cuore, mi faceva sentire bene e mi dava quella speranza che in quegli anni non mi ero potuta permettere di avere.
Sapevo che fosse azzardato credere di poter dare a Lea un padre e che questo potesse essere proprio Finn, per quanto la nostra storia stesse andando a gonfie vele e tra loro le cose fossero meravigliose. Temevo che per Finn fosse un passo troppo grande ed azzardato ma più di ogni altra cosa temevo la reazione di Lea: come avevo detto, era una bambina sveglia e non le ci era voluto molto a capire che io e lui stessimo insieme e quello sembrava accettarlo abbastanza bene per quanto ogni tanto avesse qualche attacco di gelosia nei miei confronti, che dimostrava cercando i miei abbracci, quando eravamo insieme a lui. Non avevamo mai parlato del suo vero padre, né lei aveva mai indagato: non le avrei di certo impedito di conoscerlo, se solo Brody avesse voluto vederla, in fondo... sapevo che sarebbe stato per il bene di Lea, ma fino a quel momento non aveva chiesto nulla e forse andava anche bene così.
Eppure quel giorno, qualcosa scombinò quel piccolo equilibrio che si era venuto a creare e quel qualcosa partì proprio da Finn
"Sai a cosa stavo pensando ieri, mentre guardavo Jacob e Dylan che si picchiavano in campo?" mi chiese passandomi un piatto bagnato che avrei dovuto asciugare. Feci una smorfia
"Mmm... che dovresti insegnare un po' di educazione ai tuoi ragazzi?" domandai a mia volta, con tono retorico
"No.. cioè.. sì anche... ma non è questo." chiuse il rubinetto dell'acqua e si girò verso di me per poi sospirare
Finn che sospira?...
"E allora cosa?" domandai curiosa. Un altro sospiro.
"Che ne diresti se mettessimo un punto a questa storia?" chiese tutto d'un fiato, sorprendendomi. Sgranai gli occhi e persi un paio di battiti
"Mettere... un punto?" feci con un certo timore, iniziando a sentirmi venir meno per lo sconforto. No, non poteva essere vero.. non poteva... lasciarmi. Non dopo tutto quello che eravamo riusciti a costruire, dopo tutti quegli sforzi. Fu il suo turno per sgranare gli occhi
"Oh Santo panino.. no no, Rachel non intendevo... Dannazione ma perché è così difficile parlare?" e si schiaffò una mano in faccia, frustrato. Trattenni il fiato e feci un passo verso di lui, afferrandogli la mano e stringendola tra le mie, che tremavano appena
"Finn... hai.. intenzione di lasciarmi?" gli domandai spingendo finalmente fuori quella domanda che mi era rimbalzata in gola con prepotenza
"No, Rachel... assolutamente no!" esclamò con forza ed io mi ritrovai a sospirare di sollievo
Sia ringraziato il Santo panino...
"Ok.."
"In realtà è tutto il contrario." mormorò imbarazzato. Quella volta sollevai un sopracciglio, sempre più confusa
"Finn.. non credo di capire cosa tu voglia..."
"Vorresti vivere con me, Rachel?" domandò di getto, arrossendo violentemente ma puntando gli occhi nei miei. Sobbalzai, colta alla sprovvista e per poco non caddi lì, in quella cucina
Oh...
"Finn..."
"Nel senso di.. abitare assieme.. nello stesso... sotto lo stesso tetto, intendo e... sì insomma... fare tutto come... come una coppia! Non che io e te ora non lo siamo... però potremmo... ecco, sempre che tu voglia..." abbassò la testa, affondando la mano libera nei capelli e sconvolgendoseli. Una vampata di calore mi avvolse tutto lo stomaco e probabilmente si propagò perfino sulle guance, perché mi sentii il viso andare a fuoco. Ma ignorai completamente quell'incendio che mi stava scuotendo, e provai a ragionare razionalmente, immagazzinando le sue parole confuse, ma fin troppo chiare. Finn voleva vivere con me, anzi.. voleva convivere con me, come coppia.
Presi un profondo respiro, che si spezzò appena per l'emozione e mi avvicinai ancora a lui, fino a posare una mano sul suo petto e l'altra sulla guancia. Lui sollevò lo sguardo e puntò gli occhi nei miei, sconvolgendomi ancora una volta con quella sua innocenza spontanea e tangibile
"Finn.. dici sul serio?" gli domandai, perché avevo bisogno di una conferma, una conferma chiara e sincera
"Certo... non ti prenderei mai in giro su una cosa del genere." mi confermò infatti, quasi in un sussurro. Quel calore che mi aveva invasa qualche istante prima si intensificò appena, pulsandomi nelle vene, a contatto con la pelle che iniziò a pizzicare, quasi ci fossero milioni di aghi che spingevano per uscire. Eppure.. non faceva male, anzi. Mi ritrovai a sporgermi maggiormente verso di lui, fino a circondargli il collo con le braccia e a spingergli appena la nuca in avanti fino a fargli abbassare la testa per poterlo baciare. E lui capì all'istante perché si abbassò maggiormente e mi strinse perfino i fianchi con le braccia, sollevandomi appena da terra. Avevo scioccamente pensato all'inizio che due come noi fossero incompatibili per la questione dell'altezza, che non ci saremmo mai trovati e che perfino per baciarsi ci sarebbero stati dei problemi: alla fine un compromesso in queste cose, si trova sempre.
Rachel Barbra Berry... non ti distrarre...
Dopo un lungo ma casto bacio, mi discostai, sempre rimanendo tra le sue braccia e gli sorrisi, sentendo gli occhi diventare lucidi per l'emozione, forse non avendo ancora realizzato del tutto di cosa stessimo parlando
"Oddio io non... riesco a crederci." mormorai ridacchiando. Lui mise su una smorfia pensierosa
"Nel senso che non riesci a pensare a me e te sotto lo stesso tetto o..." ma scossi la testa e lui si arrestò
"No, non parlo di quello. É più che altro che... non me lo aspettavo. Però... la trovo un'idea splendida, Finn... davvero." e per farglielo capire meglio mi avvicinai ancora alle sue labbra e gliele accarezzai leggermente con le mie. Lo sentii sorridere contro di me e la presa attorno ai miei fianchi divenne appena più solida
"Forte... temevo potessi prendermi a schiaffi o peggio... cacciarmi fuori di casa a calci, ma... non l'hai fatto." constatò l'ovvio con un sorriso radioso
"No, non l'ho fatto!" dissi ridacchiando, chiedendomi vagamente se quella che aveva appena descritta fosse una reazione riconducibile a me.
Sì, probabilmente sì...
"Forte!" ripeté euforico e fu lui a spingersi di nuovo verso di me per baciarmi e quella volta il contatto fu decisamente più profondo. Quel bacio, dato dopo una richiesta di quel tipo, assunse tutto un nuovo significato: fu quasi più intenso del solito, quasi un suggellare quella proposta inaspettata e renderla un po' più reale nelle nostre mani. Perché mai avrei pensato di poter dire di sì ad una convivenza, mai avrei pensato di esserne così entusiasta, mai avrei potuto credere che per una come me sarebbe arrivato un momento così importante, eppure... era lì, davanti a me e se mi fossi allungata un po', l'avrei tranquillamente afferrata.
Ci perdemmo in quel vortice di passione fatto di labbra che si accarezzavano e lingue che si cercavano con desiderio, approfittandone senza riserve, dato che di momenti liberi da dedicarci se ne trovavano davvero pochi in quell'ultimo periodo, soprattutto per via di...
"Ma state sempre a baciarvi voi due?" una vocina sottile e vagamente familiare riportò entrambi sul pianeta terra e di colpo mi ritrovai catapultata con forza nel mio appartamento, nella mia cucina, tra le braccia di Finn e con mia figlia che guardava entrambi con un piccolo sopracciglio alzato - degno del miglior repertorio di espressioni di casa Berry - disgustata e appena seccata. Arrossii, come se fossi stata beccata da qualcuno a rubare la marmellata dalla credenza, e immediatamente mi allontanai da Finn, portandomi istintivamente una mano alla bocca. E addio al momento di pace, al nostro bacio che lentamente si stava trasformando in altro - e Dio solo sapeva quanto avessi bisogno che andasse oltre - all'idea di vivere insieme... oh... cazzo...
Sgranai gli occhi, realizzando solo in quel momento qualcosa che avrei dovuto pensare fin da subito: io e Finn ci eravamo messi a fantasticare, a fare progetti, senza però fare i conti con l'oste, cioè con mia figlia. Se fossi stata una ragazza sola ed indipendente, probabilmente non ci sarebbe stato alcun problema nell'andare a vivere con lui, ma dato che a decidere non ero soltanto io.. beh, la situazione si faceva più complicata.
E come si fa a spiegare alla propria figlia di quattro anni, che la sua mamma vuole andare a vivere con un uomo che non è il suo papà?...
"Si può sapere cosa ci fai ancora sveglia a quest'ora, signorina? É quasi mezzanotte e poi domani devi svegliarti presto per andare all'asilo." provai a sgridarla, cambiando abilmente argomento, sia per evitare la brutta figura fatta, sia per non pensare troppo alla storia della convivenza. Lea storse la bocca e si strinse maggiormente il coniglietto con cui andava a dormire al petto
"In realtà sono ancora le undici e un quarto e poi domani è domenica quindi non c'è asilo." ribatté con decisione, lasciandomi interdetta.
E me l'ha fatta un'altra volta...
Mi girai verso Finn, sconfitta moralmente e lo trovai intento a ridacchiare di nascosto, divertito dall'impertinenza della piccola. Bene, me l'avrebbe pagata prima o poi.
"Mezzanotte o le undici non cambia nulla... è tardi e devi andare a dormire!" provai a mettere di nuovo su il tono da madre severa, ancora una volta con scarsissimo risultato
"Non ho sonno!" esclamò in risposta imbronciandosi
"Non importa.. il sonno ti verrà rimanendo a letto. Forza!" e feci per avvicinarmi, con l'intenzione di spingerla verso la sua stanza, per poi tornare ad occuparmi di Finn - magari dopo avergli fatto scontare quel piccolo ammutinamento di poco prima. Ma Lea ancora una volta riuscì a bloccarmi
"Finn... verresti a raccontarmi una storia?" chiese lei, ignorandomi del tutto e rivolgendosi completamente al ragazzo che, anche se un po' sorpreso, le sorrise subito
"Ma certo, piccola... tu vai avanti che ti raggiungo subito." le rispose e lei, dopo un sorriso radioso, scappò verso la sua stanza. Rimasi letteralmente con la bocca aperta: che cosa diavolo stava succedendo? Mia figlia mi ignorava deliberatamente e preferiva la compagnia di qualcun altro per addormentarsi? Ma... non aveva senso... non poteva essere... non dopo quattro anni passati sempre insieme, sempre l'una a dipendere dall'altra, non... Lea.
"Non ci credo." borbottai sconvolta. Sentii una mano calda posarsi sulla mia spalla e poco dopo la voce di Finn si fece sentire
"Dai non te la prendere troppo... credo sia in quella fase che tutti attraversiamo prima o poi e che ci rende un po' ribelli con i nostri genitori." tentò di giustificarla con un sorriso bonario - sotto sotto ci stava godendo del fatto che Lea avesse preferito lui a me.
"Finn... quella è l'adolescenza!" rettificai, trattenendo un sorriso divertito. Lui si accigliò
"E Lea è già un'adolescente, giusto?" domandò appena confuso, e quella volta non riuscii a trattenermi e gli scoppiai a ridere in faccia.
Oddio, Finn... ti adoro quando fai così...
"Coraggio.. va da lei prima che si metta a strillare. E guai a te se non scegli la storia giusta.. potrebbe toglierti il saluto per questo." e lo spinsi via, ancora divertita, mentre effettivamente la vocina di Lea iniziava a chiamarlo dai meandri del corridoio.
Rimasta sola nella mia cucina, ripresi a lavare i piatti e ad asciugarli, mentre cercavo in tutti i modi di tenere la mente lontana da ogni pensiero riguardante la proposta di Finn e l'eventuale dialogo con mia figlia. Sapevo che, avendo detto di sì a lui, prima o poi avrei dovuto anche parlarne a Lea, perché soprattutto lei aveva voce in capitolo e insieme avremmo dovuto decidere. Sapevo anche che - nonostante il leggero malincuore - avrei rimandato o rinunciato completamente a quella idea meravigliosa, se solo fosse stato troppo difficile per mia figlia da sopportare o se a lei non fosse andato completamente a genio. Finn avrebbe capito... forse.
Finito di sistemare tutto, mi diressi verso la camera di Lea, curiosa di sentire quale storia si fosse inventato Finn, ma con mia grande sorpresa, li trovai intenti a fare altro: lui era seduto sul letto, con la schiena poggiata alla spalliera e lei era poggiata su di lui ma erano entrambi svegli e stavano parlando tra di loro, come se niente fosse.
"Posso farti una domanda, Finn?" fece lei con la voce sottile e appena assonnata
"Certo." acconsentì lui, accarezzandole lentamente i capelli
"Quanti anni hai tu?" chiese curiosa, alzando appena gli occhi
"Trenta." rispose tranquillamente
"E come mai non ti sei ancora sposato?" domandò ancora lei, sempre più curiosa. Lui, per niente infastidito, sorrise
"Diciamo che fino ad ora non avevo ancora trovato la persona giusta.. quella che mi faceva battere il cuore." spiegò continuando ad accarezzarla
"E ora pensi di averla trovata?"
"Mmm... penso di sì." rispose lui, e il mio cuore si strinse appena
"Parli della mia mamma, vero?" la vocina di Lea si affievolì appena, forse per la stanchezza o forse per il leggero imbarazzo. Finn bloccò le sue carezze e le rivolse un mezzo sorriso
"Sì... parlo proprio di lei." confermò. Ingoiai una manciata di saliva, appiattendomi maggiormente al muro e sentendomi appena inopportuna ad origliare quella conversazione privata. Però.. la curiosità era sempre stata una delle mie più grandi caratteristiche, quindi avrei messo da parte il mio senso di colpa e avrei continuato ad ascoltare tutto.
Lea non commentò né aggiunse altro, tanto che pensai si fosse addormentata e mi sporsi appena per sbirciare, ma la voce di Finn mi fece bloccare in tempo
"Lea... adesso posso farla io una domanda a te?" chiese lui, appena incerto. La piccola si stropicciò un occhio con la mano ma annuì, visibilmente curiosa
"Senti mai la mancanza di un papà?" le domandò dopo un attimo di esitazione. In quel momento, nel buio del corridoio, schiacciata al muro e in completo silenzio, sentii distintamente il cuore bloccarsi e l'ultimo battito rimbombare nel corpo, quasi fosse un'eco insistente. Sgranai gli occhi, scioccata perché non potevo credere che Finn avesse davvero fatto una domanda del genere a mia figlia, soprattutto non prima di averne parlato con me. Cosa aveva intenzione di fare? Voleva parlarle della convivenza? No, non poteva... dovevo farlo io... quella era mia figlia e soltanto io avrei potuto...
"A volte sì!" la risposta strisciata di Lea bloccò i miei pensieri. Poggiai le spalle al muro dietro di me per sorreggermi meglio perché una confessione del genere, così a cuor leggero, arrivata direttamente dalla voce di Lea... beh non ero affatto preparata. Non capivo cosa volesse fare Finn, non capivo perché avesse deciso di affrontare quell'argomento, non capivo neanche cosa mi trattenesse ancora in quel corridoio ad aspettare, mentre lui domandava cose a mia figlia che probabilmente neanche gli competevano. Non ne aveva alcun diritto.
Ma sentiti, Rachel... fino a dieci minuti fa progettavate di andare a vivere insieme e ora cosa fai? Sei gelosa se il tuo ragazzo parla con tua figlia di cose così importanti?...
"Però... alla mia mamma fa tristezza parlare di queste cose... e così lo tengo per me..." confessò con la vocina ridotta ad un soffio, tanto che feci molta fatica a sentirla completamente. Eppure quelle parole le aveva davvero pronunciate, ed io non seppi se accoglierle con piacere, perché finalmente sapevo cosa pensasse, o se vergognarmi di non essere riuscita a nascondere a mia figlia l'astio che provavo nei confronti di suo padre. Non ne avevamo mai parlato, eppure lei lo aveva ugualmente capito. E in questo l'intelligenza che si ritrovava, c'entrava davvero poco.
"Io credo sia normale provare un po' di tristezza, Lea. Alla tua mamma dispiace non essere riuscita a darti un papà e si sente in colpa per questo. Eppure in questi anni ha cercato di fare in modo di non farti mancare nulla, di crescerti al meglio e di non farti mai sentire la sua mancanza." disse Finn con voce conciliante, senza sembrare esagerato né ironico. Era semplicemente sincero. E il mio cuore rimbombò di nuovo.
"Lo so... so che lei mi vuole tanto bene e anche io gliene voglio tanto." confermò lei subito, riprendendo un po' di vigore nella voce, benché fosse chiaramente stanchissima. In un altro momento, sarei entrata nella stanza e avrei sgridato entrambi perché non era quella l'ora per parlare. Ma in quel momento, non riuscii a fare altro che intrappolarmi un labbro tra i denti e continuare ad ascoltare
"Però..." riprese lei poco dopo "Alcune volte, quando vedo i miei amichetti tornare a casa con le loro mamme e i loro papà.. un po' vorrei avercelo anche io.. un papà, intendo... che mi venga a prendere all'asilo!" disse con la voce limpida, chiarendo la sua titubanza iniziale. Poggiai la testa al muro dietro di me e strinsi forte gli occhi. Lo sapevo, sapevo che quel maledetto avrebbe comunque avuto un posto d'onore nel suo cuore, nonostante non avesse fatto nulla per guadagnarselo. Sapevo che la sua mancanza si sarebbe fatta sentire, anche prepotentemente. Sapevo che un po' di invidia verso i suoi amici sarebbe inevitabilmente nata. Sapevo anche che lei avrebbe preferito soffrire di questa cosa in silenzio piuttosto che parlarmene.
E da una parte, rimanere in disparte come mera ascoltatrice, era anche meglio: forse non ero ancora pronta - o non lo sarei mai stata - ad affrontare un discorso del genere. Forse alla fine avrei dovuto ringraziare Finn.
"Io ero esattamente come te alla tua età, Lea." confessò in quel momento Finn con leggerezza. Ci fu un lungo istante di silenzio in cui probabilmente la piccola sollevò lo sguardo per potergli leggere negli occhi qualcosa, per capire cosa stesse dicendo. Alla fine forse preferì domandarlo direttamente
"Com'eri?" domandò infatti
"Non avevo un papà!" esclamò, spiazzandomi. Non mi aveva parlato molto della sua famiglia da quando ci conoscevamo: sapevo che sua madre viveva in Virginia con il suo compagno, ma non avevo mai indagato a fondo su suo padre, perché preferivo fosse lui a parlarmene quando si fosse sentito pronto per farlo. Probabilmente stavo per ascoltare finalmente la versione ufficiale della sua storia, e mi sentii nuovamente in colpa nel realizzare che l'avrei fatto a tradimento, nascosta dietro allo spigolo della parete
"Era scappato anche lui come il mio?" domandò Lea curiosa, e quella sua piccola domanda innocente ebbe il potere di strapparmi una mezza risata.
Scappato... davvero una bella versione calzante della storia...
"No.. lui è morto.. poco dopo la mia nascita ed io non l'ho mai conosciuto." spiegò lui con calma, senza dare alcun segno di cedimento emotivo. Per l'ennesima volta sentii il cuore sprofondare nell'abisso ed emettere un debole battito, prima di bloccarsi ancora. Il padre di Finn era morto: certo, lo avevo immaginato - non tutte le storie potevano essere simili alla mia, dopotutto - ma sentirselo dire apertamente faceva comunque un certo effetto. Sospirai lentamente mentre la vocina di Lea tornava a farsi sentire
"E ti manca?" gli chiese con innocenza
"A volte sì!" rispose lui, rubandole la risposta di poco prima e lei infatti ridacchiò appena "Però non sono mai triste e sai perché?" le lasciò qualche secondo di pausa per creare della suspance per poi continuare "Perché so che lui mi guarda da lassù, che continua a volermi bene nonostante il destino abbia voluto separarci e perché ci sarà sempre, ogni volta che avrò bisogno di lui.".
Uno dei miei più grandi difetti, assieme alla vanità, era senza dubbio la sensibilità eccessiva che dimostravo in certe circostanze; con niente mi ritrovavo a piangere, anche per cretinate e la cosa più assurda era che a volte lo facevo senza neanche rendermene conto. Mi ritrovavo gli occhi rossi e colmi di lacrime che poi sgorgavano fuori nel momento in cui inconsapevolmente sbattevo le palpebre. E da lì, giù lungo le guance a rigarle per bene e ad arrossarle, per poi sfiorare le labbra dove lasciavano quel sapore salato che a volte era perfino piacevole e infine arrivare al mento e sparire, in chissà quale abisso, dentro cui perdersi e non ritrovarsi più. E in quel momento accadde esattamente la stessa cosa: le lacrime iniziarono a sgorgarmi dagli occhi senza controllo, inaspettate e silenziose, rotolando giù libere, benché avessi cercato di trattenerle, più che altro per non far colare troppo il mascara.
"E pensi che anche il mio ci sarà sempre, quando io ne avrò bisogno?" domandò ancora Lea, in un sussurro molto silenzioso. Finn fece un'altra pausa, probabilmente guardandola ancora, o forse perfino per sorriderle.
Davvero una bella domanda, Lea...
"Le persone a cui noi vogliamo bene rimangono sempre con noi, nel bene e nel male, perché ce le portiamo nel cuore. Se tu vuoi che lui sia con te.. allora ci sarà." rispose Finn, sorprendendomi. Caspita... era riuscito a risponderle in maniera perfetta, senza sbilanciarsi troppo, né essere eccessivamente sdolcinato. Era stato... giusto. Mi ritrovai a pensare che uno come Brody non si meritasse tutto quel rispetto da parte sua, anche se non si conoscessero e forse mai si sarebbe conosciuti. Eppure Finn ancora una volta era stato capace di dimostrarmi quanto fosse maturo e sensibile e quanto riuscisse ad entrare nel cuore delle persone con poche parole. Niente di complicato, solo... tutto ciò che serviva per arrivare nel profondo dell'anima.
Dopo quelle belle parole, seguì un altro lungo momento di silenzio durante il quale iniziai a pensare che Lea si fosse finalmente addormentata e che quindi potessi allontanarmi per evitare di essere colta in fragrante. Ma proprio quando stavo per abbandonare il mio comodo muro, la sua vocina ridotta ad un debolissimo soffio si fece risentire
"Finn..."
"Dimmi, piccola."
"Quanto spazio ho nel cuore?" domandò innocentemente. Mi accigliai, sorpresa da una domanda tanto strana. Io mi sarei trovata in vera difficoltà se avessi dovuto rispondere, ma Finn...
"Tanto, Lea... uno spazio infinito." rispose con dolcezza, tanto che mi ritrovai a sorridere, cullata dalla sua voce morbida. Immaginai che per la piccola facesse lo stesso effetto, perché fece un piccolo verso, un mormorio di assenso e forse fu davvero sul punto di addormentarsi, quando per l'ultima volta, parlò
"E allora ci puoi stare comodo anche tu... senza sbattere la testa da nessuna parte." borbottò in un tono a metà tra il mondo dei sogni e quello reale. La mia risata venne nascosta completamente da quella di Finn, che si mosse sul letto - e lo dedussi dal fruscio delle coperte
"Buonanotte, dolce Lea. Fai bei sogni." sentii uno schioccò morbido, forse posato sulla fronte della bambina e dei passi leggeri - per quanto potessero esserlo quelli di un ragazzo di centonovanta centimetri - avvicinarsi alla porta. Mi affrettai ad allontanarmi da lì e mi nascosi in camera da letto, per potermi asciugare le ultime lacrime rimaste.
Era stato inaspettato e anche parecchio toccante, non solo per la dolcezza con cui Finn le si era rivolto per tutto il tempo - quella era una cosa che usava fare ogni volta - ma soprattutto per quello di cui avevano parlato, del padre di Lea, di suo padre e di come in un certo senso lei gli avesse confessato che nel suo cuore ci fosse spazio anche per lui, nonostante non fosse il suo vero papà. E faceva un certo effetto pensare che una bambina così piccola fosse così sensibile e avesse così tanto da offrire. Lea sentiva profondamente la mancanza del suo papà e forse non era poi così sbagliato cercare un modo per tamponare questa assenza forzata; magari, anche se nelle loro vene non scorreva lo stesso sangue, lei e Finn potevano creare assieme un rapporto basato sulla stessa fiducia che normalmente si crea tra padre e figlia. Avrebbe fatto bene ad entrambi e sicuramente avrebbe fatto bene anche a me.
"Ehi.." una voce calda mi raggiunse alle spalle e girandomi me lo ritrovai vicinissimo, con un sorriso timido sulle labbra al quale risposi spontaneamente
"Ehi."
"Finalmente è crollata!" mi informò, indicando con il pollice dietro di sé. Stavo per rispondergli che già lo sapevo, ma riuscii a trattenermi
"Si vede che la storia della buonanotte era particolarmente avvincente." mormorai divertita, ricordando alla perfezione ognuna delle parole che si erano scambiati. Finn abbassò la testa e ridacchiò
"Qualcosa del genere." mi confermò infatti per poi tornare a guardarmi e rivolgermi un bellissimo sorriso, ancora un po' intimidito ma bello da morire. Come potevo davvero pensare di provare paura nel vivere quel qualcosa di fantastico che ci legava? Sarebbe stato da stupidi non volerlo assaporare completamente, non volerne sempre di più, non desiderare che fosse... per sempre.
Si tratta della tua felicità, Rachel... soltanto la tua...
"Bene, credo sia abbastanza tardi anche per me, quindi è il caso che io vada." si piegò per lasciarmi un veloce e leggero bacio sulla fronte e dopo un piccolo occhiolino fece per allontanarsi, ma il mio istinto quella volta fu decisamente più veloce
"Finn."
"Sì?"
"Stavo pensando..." mi morsi l'interno della bocca, cercando di trovare le parole adatte. Come se, per momenti come quello, ce ne fossero di adatte o di sbagliate "Perché stasera non facciamo una... prova?" domandai, spostando il peso da un piede all'altro, impaziente ed elettrica. Avevo voglia di fare tante cose e tutte insieme, ma dovevo prima di tutto riuscire a controllare gli istinti e poi forse sarei riuscita nel resto. Finn, come sospettavo, si accigliò
"Una prova? Per cosa?" mi chiese. Io presi un profondo respiro per poi avvicinarmi e afferrargli entrambe le mani con le mie, tanto per garantirmi un appiglio per darmi più forza e più coraggio in quella difficile confessione
"Per la convivenza, intendo. Iniziamo da questa sera... puoi... rimanere a dormire qui.. se vuoi! A me farebbe... piacere, ecco!" e mi sentii gradualmente arrossire fino alla punta delle orecchie. Ma provai ad ignorare quell'imbarazzo e anzi, tentai invece di ricavare da lì la forza necessaria per continuare a tenere gli occhi ancorati ai suoi, senza mai cedere, senza far trasparire quel briciolo di insicurezza che comunque c'era ma che doveva rimanere nascosta, surclassata dalla consapevolezza della scelta appena fatta. Finn sgranò gli occhi, colpito dalle mie parole
"Oh" sospirò infatti, leggero. Tentai un sospiro anche io, ma l'unica cosa che mi uscì fu un tremolio accompagnato da un mezzo lamento senza significato
"So che una volta ti dissi che non era il caso di rimanere qui per via di Lea e tutto quanto, però..." fui interrotta da un movimento improvviso che riuscì perfino a bloccarmi il respiro. Lui si avvicinò a me, azzerando la distanza misera che già c'era e mi sollevò il mento con la mano, fino a far incontrare i nostri occhi che si erano inavvertitamente persi per pochi istanti. Mi sentii tutto un tratto debole e forte, persi un po' di quella sicurezza con cui mi ero fatta scudo fino a poco prima, ma contemporaneamente fui pervasa da un piacevole senso di leggerezza che mi fece tornare a respirare senza alcun tipo di problema. E tutto per un paio di occhi scuri che mi guardavano, mi scrutavano, mi leggevano dentro e cercavano di decifrare qualcosa di apparentemente incomprensibile
"Ne sei sicura?" mi domandò in un soffio ed io mi presi alcuni istanti per pensarci davvero. Pensai a come sarebbe stato bello l'indomani svegliarsi in un letto che non sarebbe stato vuoto, accanto alla persona che amavo, magari coccolata perfino dal suo respiro o stretta nel suo abbraccio. Pensai alla colazione, a come sarebbe stato bello e naturale farla assieme, magari in silenzio, a scrutarci a vicenda, a sorriderci dietro le tazze del caffè. E poi pensai a come sarebbe stato andare nella stanza di Lea per svegliarla, il modo in cui lei ci avrebbe guardati, a quando ci avrebbe sorriso e ci avrebbe augurato il buongiorno e poi lei e Finn magari si sarebbero potuti vestire e sarebbero andati al parco per giocare, lasciandomi rilassare un po', sbrigare qualche faccenda o magari salire al piano superiore per una chiacchiera con Kurt. Pensai ovviamente anche a tutte le difficoltà che avremmo dovuto affrontare, a tutte le critiche che ne sarebbero seguite, alle malelingue che avrebbero parlato alle spalle, a quanti avrebbero classificato la cosa in maniera sbagliata, senza pensare a quanto bene potesse fare a tutti, bambina di quattro anni compresa. Certo, ci saremmo dovuti andare ugualmente con i piedi di piombo e ovviamente appena possibile avremmo dovuto parlarne chiaramente con Lea, perché volevo sentir dire dalla sua voce ciò che in fondo credevo di aver capito attraverso la piccola chiacchierata di poco prima; ma in quel momento, iniziai a sentire che non sarebbe stato poi così difficile, che ce l'avremmo potuta fare, affrontando ogni cosa assieme, esattamente come una famiglia avrebbe fatto. E pensai a tutto questo, in pochissimi istanti. Alla fine, soddisfatta della mia stessa scelta mi ritrovai a sorridergli e ad alzarmi sulle punte per potergli catturare le labbra con le mie
"Sicura... sicura del fatto che ti voglio nella mia vita, sicura del fatto che ti voglio nel mio letto stanotte, sicura di volerti al mio fianco per tutta la vita. Sicura, Finn... sicura che ti amo da morire." gli dissi con il cuore in gola, allacciandogli le braccia al collo e stringendomi maggiormente. Lui mi avvolse la schiena con le sue braccia e mi sorrise, gli occhi così belli e lucidi
"Ti amo anche io, Rachel... amo te, amo Lea... amo l'idea di me e te insieme.. di noi." mi rispose, avvicinandosi per baciarmi ancora più a lungo. Era una specie di promessa quella che ci stavamo scambiando ed entrambi sembravano disposti a mantenerla, con o senza i rischi e le difficoltà che sarebbero inevitabilmente nate. Io ero pronta, questo era ciò che più contava in quel momento
"Mmm... ora che ci penso... se devo dormire qui stanotte, mi servirà il pigiama... e quindi devo tornare un attimo nel mio appartamento per prenderne uno." borbottò, appena malizioso, sulle mie labbra, mentre iniziava lentamente a camminare verso il letto, spingendomi di conseguenza. Ridacchiai piano per poi coinvolgerlo in un altro bacio
"Non penso che questa notte avrai bisogno del pigiama per dormire." lo rassicurai e dopo esserci concessi un'altra piccola risata, silenziosa e roca, lasciammo perdere le parole e ci occupammo soltanto di noi, del nostro amore e di quell
a pagina su cui stavamo scrivendo le prime righe della storia della nostra famiglia.

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Capitolo 46
*** Epilogo n°4 ***


Buonasera a tutti e buona domenica... questa volta sono stata di parola, vi avevo promesso di tornare entro fine settimana e... ce l'ho fattaaaaa *__* mi sembra di essere quesi tornata ai vecchi tempi in cui si aggiornava due volte a settimana.. bel periodo ç__ç dunque.. oggi ci occupiamo della Quick. L'epilogo non ho ancora deciso se mi piaccia o meno.. diciamo che ad un certo punto sono riuscita a commuovermi per l'argomento trattato però... boh ho paura di aver esagerato o di averlo reso poco credibile.. mmm.. divtemi voi ^^ colgo l'occasione per ringraziarvi ancora per le splendide recensioni che mi regalate e scusate di vero cuore se non vi dedico più quel tempo che vi dedicavo prima per rispondere ma davvero non ce la faccio ç__ç per quanto riguarda il prossimo epilogo, che sarebbe quello Samcedes... penso di riuscirci entro la fine della prossima settimana, nel caso dovessi tardare vi faccio sapere, se dovessi anticipare... ahahah ma non diciamo sciocchezze XD vi auguro buona lettura... vi amo tanto <3
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta (Just a Landing - Missing Moments )

Epilogo n°4
Quinn & Puck
"Buon compleanno"




New York City. Ore 06.40 P.M. 18 Novembre 2012 (Domenica)


"Jennifer ti piace? O preferisci Kimberly?" mi domandò Noah, sfogliando di nuovo il libro dei nomi che aveva comprato qualche mese prima. Io ridacchiai, sistemando meglio la schiena sui cuscini
"Sono belli entrambi... peccato che non sappiamo ancora neanche se sia maschio o femmina." gli feci presente. Lui mise su una smorfia
"Io lo so già!" esclamò con sicurezza. Abbandonò il suo prezioso libro sul tavolo e mi raggiunse, sedendosi per terra e poggiandomi una mano sulla pancia "É una femmina... al mille per cento!" aggiunse accarezzandomi lentamente. Ridacchiai ancora, appena rapita dal movimento leggero della sua mano
"E se fosse maschio?" azzardai. Lui sorrise, quasi accettasse la sfida
"D'accordo... controlliamo." propose, dopodiché si sporse un po' fino a poggiare l'orecchio sulla pancia, facendomi sussultare appena e arrossire. Lo guardai attentamente mentre se ne rimaneva in silenzio ad ascoltare i movimenti del bambino - o della bambina - continuando ad accarezzare un lato della pancia ed emettendo strani mormorii
"Ehilà... principessa? Mi senti?" chiese, accarezzandomi ancora. Mi ritrovai a ridacchiare, colpita da quella sua tenerezza improvvisa - e Puckermann era tutto tranne che un uomo tenero - ma soprattutto da quella innocenza con cui parlò a qualcuno che forse non avrebbe neanche potuto...
"Ahia!" mi lamentai, dopo aver ricevuto un calcio bello forte da parte del piccolo. Puck sollevò la testa e i suoi occhi si illuminarono, letteralmente
"Uh.... il grande Noah Puckermann aveva ragione... anche questa volta!" esultò, atteggiandosi appena ed io riuscii a ridere, nonostante il leggero dolore che ancora avvertivo nelle costole
"Noto con piacere che vi siete già alleati contro di me, voi due." mi lamentai divertita. Lui scosse la testa, raddrizzandosi e smettendo perfino di accarezzarmi. Ed io a malincuore constatai che la cosa mi causasse parecchio fastidio
"La mamma è sempre la mamma... io al massimo sarò il vecchio zio Puck che potrà insegnare alla piccola qualche mossa di Karate per difendersi dai ragazzacci che ci proveranno con lei, quando diventerà grande e meravigliosa come sua madre." borbottò. Sollevai un sopracciglio, meravigliandomi di quel complimento velato che era riuscito a tirar fuori
"Mi trovi meravigliosa?" domandai, ancora ridacchiando. Lui sbuffò
"Hai frainteso... intendevo carina... nella norma... vagamente accettabile." si corresse, con un sorrisetto furbo. Scoppiai di nuovo a ridere sotto il suo sguardo soddisfatto e chiusi per un momento gli occhi. Il mio rapporto con Noah, in quei sette mesi era cresciuto lentamente fino a diventare bello.. particolare ma bello. Lo scontroso dinosauro che mi aveva offerto un lavoro nel suo pub si era lentamente sciolto come un cubetto di ghiaccio al sole, rivelando un animo gentile e premuroso, come testimoniava il fatto che continuasse a darmi lo stipendio nonostante non fossi praticamente assunta e non stessi più lavorando - visto l'imminente parto - e per il fatto ancora più evidente che riguardava il tetto che mi aveva offerto per vivere, in attesa di trovarne uno per me e mio figlio - o mia figlia. Da cinque mesi infatti abitavo nel suo appartamento senza tirare fuori neanche un centesimo - e guai a parlare di soldi con lui... andava su tutte le furie - anche perché non potevo continuare ad usurpare il letto di Blaine.. quel poveretto doveva pur dormire ogni tanto sul suo materasso. La sua offerta era arrivata all'improvviso e anche parecchio inaspettata. Mi aveva trovata al bancone del pub, a mezz'ora dall'inizio del turno, con il giornale degli annunci per gli appartamenti a New York. Con molta tranquillità, me lo aveva sfilato da sotto agli occhi e aveva detto
"Raccogli i tuoi vestiti. Da domani ti fermi a stare da me. Niente scuse o ti licenzio!" ed io per poco non scoppiai a piangere lì, su quel bancone. Perché non me l'aspettavo, perché avevo quasi perso ogni speranza, perché ero quasi arrivata a credere di dover fare ammenda e dover andare ad elemosinare l'aiuto dei miei. Alla fine non era stato necessario perché un angelo con la cresta, di nome Noah Puckermann, mi aveva accolta in casa sua, dandomi non solo un posto dove stare - gratis per giunta! - ma anche un sostegno morale non indifferente. E da quando avevo smesso di lavorare, perché ero dovuta entrare in maternità, lui non mi aveva persa di vista neanche per un istante: sempre a controllare cosa facessi, cosa mangiassi, se i cuscini dietro la schiena fossero sufficienti, se i programmi che guardavo alla tv fossero adatti. Avevo, senza saperlo, assunto una baby-sitter, senza aver sfornato ancora nessun bambino. Eppure, era stranamente piacevole essere coccolata in questo bizzarro modo da lui, perché in un certo senso riusciva a darmi... sicurezza, quel tipo di sicurezza che mio padre o Sean, il padre di mio figlio, non erano mai riusciti a darmi.
A guardarlo, Puck, sembrava tutto tranne che un ragazzo raccomandabile: con quella buffa capigliatura, l'aria da cattivo ragazzo, il suo tono sempre burbero e la sigaretta sempre in bocca. Erano uno dei classici cattivi ragazzi da cui mia madre mi avrebbe tenuta a debita distanza al liceo; solo che in quel momento mia madre non c'era, io non avevo più sedici anni e Puck era l'unica persona che riusciva a farmi stare bene, nonostante la cresta e le sigarette. Avevamo un rapporto strano io e lui, leggermente ambiguo a volte, nonostante non fosse mai successo chissà cosa e non ci fossero mai stati grandi imbarazzi a dividerci: certo, una volta, qualche settimana prima un bacio era scappato, ma ad essere sincera non seppi neppure come fosse venuto fuori. Tuttavia, per quanto inaspettato e abbastanza innocente era stato... bello. Anzi... molto bello. Probabilmente un altro uomo al posto di Puck ne avrebbe approfittato e si sarebbe spinto oltre ma lui no... in quell'occasione mi aveva semplicemente sorriso, era arrossito appena e mi aveva chiesto se gradissi le costolette di vitello. Mi aveva sempre trattata con estremo rispetto, quasi con i guanti di velluto benché a conti fatti non avessimo nulla da spartire. A volte mi chiedevo chi gliela facesse fare ad essere così dolce e paziente con me, per quale motivo mi ospitasse e perché a volte preferisse perfino lasciare il locale in mano di Brittany o di Kurt, pur di non lasciarmi sola. All'inizio avevo seriamente creduto avesse un doppio fine: io e gli uomini avevamo sempre avuto un rapporto particolare e con il tempo avevo imparato a capire cosa loro volessero da me quindi non mi era sembrato poi tanto strano che anche lui non fosse da meno. Eppure mi aveva sorpresa: mai nessuna battuta a doppio senso, mai nessuna mano allungata impropriamente, mai nessun tipo di provocazione fisica o verbale. Semplicemente gesti di gratuita gentilezza e di rispetto che io tentavo di ricambiare dandogli il meno fastidio possibile.
Adoravo scherzare con lui. adoravo averlo in giro per casa... a volte il semplice sentirlo canticchiare in bagno mentre si faceva la barba, mi faceva sorridere, e riusciva a tirarmi su di morale con niente, anche con una smorfia, perfino in quei momenti neri in cui la gravidanza diventava più un problema che una gioia. Un giorno, mentre lo osservavo apparecchiare la tavola, mi era balzato alla mente un pensiero: che Noah Puckermann fosse davvero un bel ragazzo. Aveva dei bellissimi occhi, lineamenti gentili - nonostante il broncio che lo accompagnava per la maggior parte del tempo - e le sue labbra... Dio... erano... buone, oltre che davvero bellissime. E senza vergogna, in quella occasione, mi ero ritrovata a chiedermi come potesse essere ritrovarmi ad aspettare un figlio suo, come fosse stare assieme a lui, tipo.. come coppia. La risposta era arrivata con un piccolo calcio del bambino: sarebbe stato.. forte! Probabilmente la Quinn stronza e viziata di pochi anni prima avrebbe trovato lui e il suo modo di vivere atrocemente disgustosi, avrebbe preferito fare l'elemosina per strada piuttosto che dividere l'aria con uno così, eppure ero riuscita a crescere, a migliorare e a capire finalmente che le persone come i libri non vanno giudicate dalla copertina, ma dal loro contenuto, da quel numero infinito di parole che le descrivono e le rendono speciali e belle. E Puck lo era... era speciale e anche bello. E a lui.. o a lei... Noah piaceva. Lo sentivo scalciare impaziente quando era nelle vicinanze ed era come se avessero già creato un rapporto, pur non essendosi ancora incontrati di persona. Forse era proprio questo strano collegamento che si era creato tra i due, ad avermi avvicinato così tanto a Noah: sentivo che, se una creatura non ancora nata, potesse fidarsi già in quel modo di lui... beh perché non avrei potuto farlo anche io?
Il suono del cellulare di Puck interruppe i miei pensieri e riaprendo gli occhi lo vidi correre per rispondere
"Merda.. scusa avevo dimenticato di spegnerlo.. pronto?" tutto affannato accettò la chiamata e rimase in silenzio qualche istante ad ascoltare, per poi sbuffare e sollevare gli occhi al cielo
"Mamma! No, non sono a lavoro. Oggi non ci vado." spiegò esasperato. Sentii una voce leggera dall'altro capo del telefono e la smorfia del ragazzo si accentuò
"Ma figurati.. non sei mai venuta a trovarmi da quando ho aperto.. giusto questa sera avevi voglia di cenare al pub?" borbottò facendosi guardingo. Sorrisi spontaneamente.
Eh le mamme... sono davvero imprevedibili. Pensi che diventerò anche io come lei, piccolo?...
"Ah ecco perché... mi pareva strano!" esclamò con un sorrisetto vittorioso eppure leggermente infastidito. Gli lanciai un'occhiata incuriosita e lui scosse la testa
"No, mamma, non esiste proprio... anzi per essere più chiaro ti ripeto le stesse parole che ti ho rifilato gentilmente anche l'anno scorso: non me ne fotte un cazzo se domani compio gli anni... sai che odio il mio compleanno e continuerò a farlo in eterno.. o almeno fino a che tra un paio di anni la morte non verrà a prendermi." abbaiò scontroso. Raddrizzai la schiena contro i cuscini, mentre il cuore prendeva ad accelerare nel petto. Il giorno successivo sarebbe stato il suo compleanno? Oh... e io lo ignoravo completamente. Se non fosse stato per quella chiamata probabilmente non lo avrei neanche saputo. E lui... non sembrava affatto contento di festeggiarlo... ma, perché?
Noah allontanò il telefono dall'orecchio lasciando sua madre strillare come una disperata, forse per il linguaggio scurrile o per la solita indifferenza. Dopo un sospiro riprese a parlare
"Hai finito? Se non stai attenta ti verrà un infarto e sai bene che Philadelphia dista troppo da qui... moriresti prima che io venga a salvarti." la scimmiottò divertito e giù altre urla identiche alle prime. Immaginai che quello fosse il suo personalissimo modo per dimostrare a sua madre quanto bene le volesse, anche se leggermente.. anti convenzionale. Però, dovevo ammettere che era divertente vederli litigare in quel modo: io e mia madre non lo avevamo mai fatto ma questo non era affatto un bene; forse litigando lei avrebbe imparato a conoscermi meglio ed io avrei capito subito che non saremmo mai potuto andare d'accordo. Lei mi credeva la figlia perfetta, quella brillante che aveva finito il liceo con il massimo dei voti e si era perfino iscritta a Yale. Era stato un doppio shock scoprire che in me non ci fosse nulla di perfetto e che andassi a letto con un uomo sposato dal quale aspettassi perfino un figlio. Non era riuscita a reggere ed era crollata: la madre di Puck a conti fatti ne aveva sopportate tante con un figlio del genere - altro che punteggio massimo al liceo e college prestigioso - eppure continuava ad esserci e a preoccuparsi per il suo compleanno. Davvero un gesto molto dolce e materno.
Spero di diventare esattamente come lei...
"D'accordo, mamma.. se cambio idea... e ti avviso già da ora che non lo farò... ti chiamo. Un bacio e... non stancarti troppo. Ti voglio bene." e mise giù ridacchiando ancora. Io, accarezzandomi inconsapevolmente la pancia sollevai gli occhi e glieli puntai addosso
"Quanti anni fai?" domandai curiosa. Lui, quasi si fosse appena accorto di me, arrossì
"Mmm... abbastanza." sviò abilmente, passandosi una mano sulla cresta
"Più di trenta?" azzardai. Lui sgranò gli occhi
"Ehi... ne dimostro davvero così tanti?" si lamentò, facendosi realmente preoccupato. Io ridacchiai, continuando ad accarezzare il pancione
"Non proprio.. però.. generalmente è dopo i trenta che si tenta di.. nasconderli." gli feci presente con un sorriso sornione
"Ma io non nascondo proprio niente." si lamentò ancora, imbronciandosi. Sollevai un sopracciglio, guardandolo con una certa eloquenza per fargli capire che stupida non ero e che la conversazione l'avevo ascoltata bene. Alla fine si arrese
"Ventinove!" sospirò afflitto, passandosi la mano sul volto, quasi la notizia l'avesse stravolto. Sorrisi vittoriosa
"Bene.. ora posso dirti che te li porti davvero bene. Te ne avrei dato al massimo ventotto!" lo presi in giro e per fortuna riuscii a strappargli una risata che gli migliorò l'umore. Tornò a sedersi accanto a me, sul tappeto e ricominciò ad accarezzarmi la pancia, lentamente, facendomi sospirare
"Perché non mi hai detto nulla?" gli chiesi in un sussurro leggero. Lui si accigliò
"Di cosa? Del mio compleanno?... Beh.. non era.. importante!" si giustificò con una alzata di spalle. Eppure, da quel suo tono strisciato, immaginai ci fosse dell'altro che teneva nascosto accuratamente agli occhi esterni e che a fatica sarebbe venuto fuori. Istintivamente posai una mano sulla sua mano e lo guidai lentamente in un'altra carezza e lui mi lasciò fare, nonostante avessi notato un piccolo imbarazzo colorargli il viso. Era rilassante essere accarezzata in quel modo da lui e al piccolo piaceva molto
"Vivo a casa tua... mangio ciò che compri tu e uso la tua doccia.. sarebbe stato un tantino sgradevole da parte mia non farti perlomeno gli auguri domani." gli feci notare, mentre il mio sguardo era rapito nella contemplazione delle nostre mani legate in quella carezza. Lui sospirò lentamente
"Io vengo da una famiglia molto modesta. Mia madre ha dovuto crescere da sola me e mia sorella, perché nostro padre ci ha abbandonati quando eravamo piccoli e quindi tutto il peso della casa.. soprattutto quello economico si è riversato sulle sue spalle. Lei non ci ha mai fatto mancare nulla, ha sempre tentato di... renderci felici anche con il poco che avevamo e... ogni volta, quando si trattava di organizzare una festa per il nostro compleanno lei.. si faceva in quattro, accettava perfino i doppi turni pur di comprarci la torta più grande, il regalo più bello o il festone più colorato o semplicemente per permetterci di invitare un amico in più. All'inizio non ho capito cosa significasse e quanto le costasse una cosa del genere poi con il tempo... ho imparato a misurare i suoi sforzi e a... fare a meno delle torte farcite, dei regali e perfino delle feste. Il compleanno per me è diventato lentamente qualcosa che non potevamo permetterci e pertanto andava.. in un certo senso abolito. Mi ci è voluto un po' per farlo capire a mia madre, senza dirle il motivo reale del mio cambiamento ma.. credo che dopo tutti questi anni un po' si sia arresa." e sorrise amaramente sul finale, rendendomi conto della sua vita e spiegandomi finalmente il perché di tanta amarezza nei confronti della sua festa. Mi si strinse lo stomaco a quelle parole: io avevo festeggiato ognuno dei miei compleanni, fino alla fine del liceo. Tutte feste organizzate in casa dai miei genitori e quella dei diciotto anni, addirittura, aveva previsto l'arrivo di un'orchestra professionista e di un catering di altissimo livello per un numero esagerato di centododici invitati. Ma ovviamente per la Quinn dolce e perfetta anche quello andava bene. Per Noah, il figlio di una madre sola e abbandonata che sacrificava tutto per il bene della sua famiglia.. no, per lui no.
Puck sollevò lo sguardo e si sorprese di trovarmi abbattuta in quel modo così si affrettò ad aggiungere
"Adesso le cose vanno meglio. Io, con il lavoro sono riuscito a pagare il college per mia sorella... e mia madre si gode un po' di tranquillità dato che ormai il suo stipendio le permette di vivere dignitosamente. Siamo riusciti a risollevarci per fortuna e adesso.. quei problemi sono il passato!" spiegò con calma e cercando di aggiungerci perfino un sorriso, tanto per farmi stare più tranquilla. Puntai gli occhi nei suoi e provai a capire come mai quelle sue parole mi avessero sconvolta tanto: avevo immaginato che non provenisse da una famiglia aristocratica né che potesse aver condotto una vita sfarzosa come la mia.. eppure sentirlo così sereno e appagato nonostante tutti quei problemi.. era un po' come rendersi conto di quanto squallida e vuota fosse stata la mia vita fino a quel momento, troppo impegnata a compiacere i miei genitori, a perdere tempo dietro coetanei senza ideali, ad innamorarsi delle persona sbagliata. Lui, nonostante la vita non gli avesse affatto sorriso era.. ancora lì, più forte e coraggioso di prima. Ma quanto ero piccola in confronto?
"Ti ammiro sai." mormorai colpita "E ammiro tua madre. Deve avere parecchio carattere per sopportare uno come te." mi lasciai scappare, ma non lo dissi con cattiveria e lui per fortuna se ne accorse perché scoppiò a ridere
"Oh ne ha, fidati." confermò infatti "Ma non è solo per questo che la amo tanto. É per quello che 0è riuscita ad insegnarmi, per i valori che mi ha dato e per non avermi mai ostacolato in niente, neanche quando ero uno scapestrato con il sogno improbabile di andare a fare fortuna a New York. Io nella grande mela ci sono arrivato ma la fortuna non l'ho vista neanche di sfuggita eppure... lei c'è ancora, continua a sostenermi e ad incoraggiarmi. Quando prima ho detto che non viene mai al pub... non è vero. Cioè.. non può farlo perché Philadelphia non è dietro l'angolo e per lei sarebbe difficile arrivarci, però... so che se solo potesse, lo farebbe tutte le sere,  anche a piedi." e nel parlare di sua madre gli si illuminarono gli occhi. Provai grande rispetto in quel momento per quella donna tanto forte e coraggiosa che aveva fatto tanto per un ragazzo così e continuava a fare nonostante fosse diventato ormai un uomo grande ed indipendente. Forse per lei Noah non sarebbe mai stato abbastanza grande per vivere senza l'affetto della sua mamma, ed io iniziai a credere che fosse esattamente così.
Anche tu crescerai e non avrai più bisogno di me. Ed io? Riuscirò mai a fare a meno di te?...
Mi mossi sul divano, assecondando i movimenti del piccolo e accarezzando il dorso della mano di Puck con il pollice, distrattamente. Era strano che lui si aprisse così tanto con me, dato che in quei mesi passati a convivere non lo aveva mai fatto. Lo trovavo gratificante e mi faceva sentire... accettata in un certo senso. Non ero proprio sicura di meritare tanta fiducia da parte sua ma... ne ero lusingata e di certo non lo avrei fatto smettere, non quando sembrava essere così a suo agio parlando.
"Non le da fastidio che io stia qui da te a scrocco?" domandai curiosa. Lui sbuffò
"Ma la smetti di dire cazzate? Tu non stai a scrocco... tu occupi uno spazio che io ti metto volontariamente a disposizione, e in cambio mi fai omaggio della tua... presenza." arrossì appena ma si riprese subito "E comunque no... non ha nulla in contrario. Anzi... vorrebbe conoscerti perché segretamente spera che io e te... sì insomma..." ma peggiorò solo la situazione perché il rossore aumentò a dismisura, risalendo perfino alle orecchie. Mi morsi il labbro per trattenere un sorriso intenerito che stava spontaneamente nascendo
"Vorrebbe che stessimo insieme?" azzardai, sentendo uno strano calore diffondersi anche sul mio di viso, ma provai ad ignorare. Lui sbuffò ancora e la sua mano sotto la mia tremò appena
"Sai come sono le mamme... sempre impiccione e sempre a sperare che i figli si sistemino presto e sfornino nipotini da..." e per la terza volta avvampò, quella volta mordendosi le labbra, quasi volesse zittirsi da solo. Un piccolo sorriso quella volta mi scappò davvero
"Non che questo sia il caso... cioè... io e te non.. stiamo... non dobbiamo per forza... hai capito, no?" e lasciò sospesa anche quella frase, schiarendosi la voce e spostando lo sguardo sul pavimento. Gli accarezzai ancora il dorso della mano, quasi volessi tranquillizzarlo. Ma forse in quel momento una semplice carezza leggera non bastava: per questo, facendomi forza, mi tirai su con la schiena ed allungai l'altra mano per afferrare il suo mento e fargli girare il viso, dopodiché mi sporsi appena fino a fare combaciare le nostre labbra in un piccolissimo tocco morbido che durò giusto un secondo, ma che mi incendiò completamente.
"E come pensi reagirebbe tua madre se ti vedesse insieme... alla bambina?" chiesi in un soffio, rimanendo a pochi centimetri dalle sue labbra, respirando l'aria che lui stesso stava respirando. Rimase qualche istante immobile, forse ancora leggermente scosso da quel gesto improvviso o forse cercando il modo migliore per rispondere ad una domanda del genere. Mi rendevo conto che fosse particolarmente equivoca e insensata, ma niente in quel momento - niente nel nostro rapporto - aveva senso, quindi...
Alla fine, dopo aver palesemente preso un profondo respiro, riuscì a trovare la risposta adatta
"Penso che morirebbe letteralmente dalla gioia nel vedermi stringere un fagottino." sussurrò, inchiodando gli occhi ai miei, con un'intensità che mi fece stringere lo stomaco. E la bambina si mosse ancora, quasi in risposta, dando il suo personale consenso alla cosa.

New York City. Ore 10.34 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)

Quella notte non avevo chiuso occhio: troppe emozioni inespresse, troppi stravolgimenti interni e troppi movimenti della bambina - sì, ormai mi ero convinta anche io del fatto che fosse femmina. Quello che era successo con Puck la sera prima mi aveva decisamente sconvolta, ovviamente in senso positivo. Era tutto ancora vivido nella mia mente e continuavo a chiedermi che significato avessero le sue parole - "Morirebbe letteralmente dalla gioia nel vedermi stringere un fagottino"... mia figlia.. - ma soprattutto mi chiedevo come mai avessi iniziato a fabbricarmi strane idee di lui in giro per casa a cullare la bambina, a prepararle i biberon e a svegliarsi durante la notte per cambiarla. Era buffo perché ognuna di quelle immagini mi aveva fatta sorridere e sentire bene, quasi fossi certa che un fondo di verità ci fosse, quasi la speranza di vederle realizzate iniziasse a prendere corpo in me, quasi potesse... essere possibile. In fondo, lui mi aveva sempre rassicurata sul fatto che, qualsiasi cosa di cui avessi avuto bisogno ci sarebbe stato: quella promessa riguardava solo il periodo della gravidanza, oppure era rivolto anche al futuro, dopo il parto? Perché se così fosse stato... allora l'esserci per me, si estendeva anche alla bambina e la prospettiva in quel caso cambiava di parecchio.
Quella mattina, nonostante le poche ore di sonno, mi ero svegliata pimpante come non mai e avevo deciso di preparargli una sorpresa: volevo fargli una torta, almeno un piccolo gesto per augurargli buon compleanno e... sì insomma, sdebitarmi un po' per tutto. Lui si era alzato davvero presto e con la scusa di dover incontrare dei fornitori era scappato letteralmente da casa, temendo forse che potessi dirgli buon compleanno o forse.. che commentassi ciò che era successo la sera prima. Era stato il secondo bacio e per quanto fosse nuovamente molto delicato, quella volta di innocenza ce n'era stata ben poca e a giudicare dalla sua reazione, doveva essersene decisamente accorto.
Cercai con il telefono la ricetta per una torta, magari particolarmente calorica e stracolma di cioccolato - eh sì, avrei dovuto mangiarla anche io, quindi serviva tanto cioccolato - e dopo averla scelta, preparai tutti gli ingredienti sul tavolo, cercando perfino qualcosa di sostitutivo per ciò che mancava all'appello. Per compensare la mancanza dell'affetto familiare, fin da quando ero bambina, avevo sempre apprezzato la cucina e quindi me la cavavo un po' in tutto e Puck lo aveva già piacevolmente constatato - "Ecco, puoi ripagare la mia ospitalità in questo modo.. cucinando per me!"
Speravo di fargli una bella sorpresa cucinandogli qualcosa di buono per pranzo e magari un po' di quella scontrosità verso il suo compleanno sarebbe perfino passata: avrebbe anche potuto richiamare sua madre e accettare i suoi auguri o magari organizzare una festa e... ok no... stavo decisamente esagerando. Fargli assaggiare un pezzo di torta sarebbe stata già una vittoria fenomenale.
Solo che, a finire tutta la preparazione non ci arrivai mai perché all'improvviso, mentre misuravo il latte che sarebbe servito per l'impasto, accadde qualcosa: una fortissima contrazione mi sconvolse tanto che il brick mi cadde dalle mani, precipitando a terra. A quel dolore lancinante ne seguì un altro forse peggiore che mi fece piegare su me stessa e cercai immediatamente l'appoggio del tavolo perché altrimenti avrei fatto la stessa fine del latte. Cazzo no... non poteva essere vero. Io stavo per... partorire e... maledizione non c'era nessuno, ero sola e... Dio avevo una paura atroce perché non sapevo cosa fare, come comportarmi, dove mettermi e... tutto il resto. All'improvviso ebbi paura di tutto: di quel maledetto dolore, di non riuscire a sopportarlo, di non essere pronta. Avevo paura per me, per la bambina, per il fatto che, a detta dei medici, mancassero ancora tre settimane alla data del parto e allora perché.. perché voleva nascere in quel momento? Perché non poteva aspettare? Forse c'era qualcosa che non andava... forse stava male... forse non riusciva a respirare... forse era per qualcosa che avevo mangiato o per non essere stata sufficientemente attenta o a riposo.. forse... forse.. forse... un'altra fitta mi mozzò il respiro e, con le lacrime agli occhi, recuperai il telefono che ancora mostrava quella ricetta meravigliosa e composi un numero; l'unico di cui avevo bisogno, l'unico che avrei voluto al mio fianco, l'unico che avrebbe potuto salvare me e la bambina era lui. E per mia fortuna rispose al secondo squillo
"Noah... la bambina... sta per nascere."

New York City. Ore 11.35 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)

Dal momento in cui avevo chiuso la chiamata con Puck a quello in cui lui era ritornato a casa, erano passati al massimo tredici minuti. Aveva letteralmente volato per raggiungermi e quando aveva spalancato la porta del suo appartamento la prima cosa che era stato capace di dirmi fu:
"Se questo è uno scherzo... sappi che non lo trovo affatto divertente, Fabray!" ma un mio urlo dovuto ad un'altra contrazione parve convincerlo del fatto che fossi decisamente sincera.
In fretta e furia mi aveva aiutata a prepararmi, a mettere in una borsa qualche cosa per l'ospedale e mi aveva caricata in macchina, continuando a ripetermi di respirare lentamente e mostrandomi contemporaneamente come fare. Se non fossi stata troppo impegnata a soffrire le pene dell'inferno, sarei senza dubbio scoppiata a ridere per quel suo modo buffo di fare: sembrava quasi più terrorizzato di me, mentre simulava la corretta respirazione, mentre guidava come un pazzo sconsiderato e imprecava contro gli altri, mentre si girava verso di me tentando di sorridere e riuscendo solo a rivolgermi delle smorfie ansiose. Io continuavo ad avere paura... una paura tremenda eppure, mentre allungavo la mano in cerca della sua e la trovai calda e pronta a stringersi attorno a me, mi ritrovai a sospirare di gioia e riuscii a placare appena quella terribile sensazione che mi attanagliava dentro, assieme al dolore del travaglio.
Arrivammo al pronto soccorso una mezz'oretta più tardi e a giudicare dall'ora di punta e dal traffico, Puck aveva compiuto un vero miracolo. Venni aiutata immediatamente e fatta sedere su una sedia a rotelle mentre l'infermiera mi chiedeva di continuare a respirare e ogni quanto avvenissero le contrazioni. In tutto quello, sentii Puck parlare con un'altra infermiera all'accettazione per compilare il modulo con il mio nome e il resto delle mie generalità. Mi dava tremendamente fastidio che si fosse allontanato, non riuscivo a sopportarlo. Avrei voluto che tornasse da me e che mi prendesse di nuovo la mano, magari continuando a dirmi in che modo respirare oppure di stare tranquilla perché tutto sarebbe passato e la bambina sarebbe stata bene nonostante tutto quell'anticipo.
E la situazione parve aggravarsi davvero quando l'infermiera, parlando con il medico, disse che avrebbero dovuto portarmi immediatamente in sala parto perché la bambina stava per nascere: un'altra ondata di panico mi stravolse e immediatamente cercai Puck con lo sguardo, perché a causa del dolore non riuscivo neppure a parlare. Ma lui era ancora di spalle, a parlare con quella donna mentre il medico iniziava a dare le disposizioni per farmi portare via.
No, Puck... non lasciarmi sola.. te ne prego...
"Noah.." riuscii a tirare fuori in un guaito disperato, stringendo con forza il tessuto della gonna e sperando potesse sentirmi. Per mia fortuna, quello bastò perché lui si girò e finalmente si accorse che il medico mi stesse portando verso la sala parto.
"Ehi ehi.. un secondo. Dove... dove la portate?" chiese quasi con disperazione, raggiungendoci in meno di tre passi. Il medico lo guardò indispettito
"In sala parto ovviamente. Il travaglio è già in stato avanzato e dobbiamo muoverci se non vogliamo che ci siano complicazioni per il bambino e la madre." spiegò il medico, continuando a muoversi verso il corridoio.
No, vi prego... la bambina no...
"D'accordo... io... posso..." balbettò qualcosa, maledettamente a disagio ma sia il medico che l'infermiera lo ignorarono. Non potevano lasciarlo lì da solo, in sala d'attesa. Lui doveva starmi accanto, doveva stringermi la mano, doveva darmi quella forza di cui io non disponevo. Lui me lo aveva promesso, lo aveva promesso alla bambina.
"Vi prego.. lui.. deve entrare.. con me." cercai di chiedere, controllando il respiro
"Mi spiace, signora. Nessuno può entrare, fatta eccezione per..." ma bloccai le parole seccate del dottore, sovrapponendo le mie. Ma prima di farlo, mi preoccupai di girare la testa verso Noah e incollare gli occhi ai suoi
"Lui è.. il padre... della bambina." mormorai, in preda alla disperazione, tentando di fare l'impossibile per non permettere loro di allontanarci e per tenerlo stretto a me. Improvvisamente quelle parole, mentre il medico e l'infermiera si giravano verso il ragazzo che era ammutolito nel corridoio cercando di capire se meritasse o no la loro fiducia... beh quelle parole mi sembrarono una autentica cazzata. Eppure sembravano anche l'unica speranza e infatti sembrò funzionare
"Mmm.. d'accordo allora. Segua l'infermiera e si metta il camice anche lei. L'aspettiamo in sala parto." tagliò corto il dottore, riprendendo a spingere la carrozzella. Puck parve riprendersi all'improvviso, ancora con gli occhi sgranati puntati nei miei. Provai a sorridergli, mentre il cuore mi galoppava ansioso nel petto e la bambina riprendeva a muoversi. E forse quel mio gesto bastò, forse fu abbastanza sufficiente per permettergli di decidere o forse il pensiero che aveva affollato la mia testa era identico al suo. E mi sorrise di conseguenza, riprendendo a camminare al nostro fianco e finalmente allungò una mano verso la mia, stringendomela di conseguenza e permettendomi finalmente di sospirare
"D'accordo, tesoro. Andiamo a far nascere questa signorina impaziente!" esclamò emozionato, quasi stesse realmente fremendo all'idea di diventare padre.

New York City. Ore 12.37 A.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)

Non seppi esattamente cosa successe negli istanti successivi: fu tutto molto confuso. Un via vai di infermiere, un paio di medici e perfino una barella. Io non capivo, non riuscivo a capire nulla perché tutta la mia attenzione era concentrata sul dolore che avvertivo al basso ventre e alla necessità di spingere che sentivo. Solo quello. Poi, mentre tutto si appannava e le voci in sottofondo iniziavano a dirmi cosa fare - ma cosa volete da me? Perché non mi lasciate in pace? - avvertii qualcosa: qualcosa di caldo e appena ruvido ma incredibilmente piacevole, avvolgersi attorno alla mia mano e stringerla forte e poi ancora un'altra voce si aggiunse a quelle che già c'erano, ma con discrezione, quasi un soffio e un'altra mano - dello stesso tipo di quella di prima - si poggiò sulla mia fronte con delicatezza, per spostarmi i capelli umidi dagli occhi. Era rassicurante e presente e così morbido da riuscire a darmi la forza per respirare e non cedere troppo al dolore che mi stava letteralmente distruggendo. Intuivo vagamente che ci fosse qualcosa di anomalo in tutto quello che stava succedendo perché le voci dei dottori iniziavano a farsi ansiose e le infermiere avevano preso a muoversi troppo velocemente per la stanza
La mia bambina... la mia bambina...
Ma in tutto quel trambusto, riuscii a non perdere la ragione né la poca coscienza rimastami. Mi aggrappai con tutte le forze a quell'appiglio che si stringeva già attorno a me, e pregai il buon Dio di proteggere almeno la mia piccola creatura, di non farle del male e di prendersela eventualmente solo con me. Lei non c'entrava nulla, ero io quella ad aver peccato, ero io quella sbagliata, ero io che non meritavo di vivere. Ma lei no.. lei doveva stare bene, lei doveva vivere e respirare e crescere e innamorarsi e trovare la persona perfetta con cui passare il resto della sua esistenza. Non come sua madre che aveva sempre sbagliato tutto e non aveva mai concluso nulla di buono. Tranne per lei.. lei sarebbe stata la mia personale rivincita ma doveva vivere, vivere per me.
Un'altra contrazione mi sconvolse completamente e mi sentii davvero sul punto di cedere definitivamente perché non riuscivo più a resistere a tutto quel dolore e forse sarebbe stato meglio perdere i sensi, quando percepii un'altra cosa. Una voce leggera che mi arrivò direttamente all'orecchio e che mi disse qualcosa come
"Ci sono qui io, piccola. Non temere... ci penso io a voi due."

New York City. Ore 02.12.P.M. 19 Novembre 2012 (Lunedì)

Qualche ora dopo era tutto più calmo, tutto meno confusionario e c'era decisamente più silenzio. Ma soprattutto il dolore era completamente sparito, come per magia. Mi ritrovai solo leggermente intorpidita più dal sonno che da altro, mentre riaprivo gli occhi e cercavo di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovavo. Era graziosa, anche se quasi del tutto spoglia: i macchinai al mio fianco erano spenti e la sedia al mio fianco era libera. Sentii distintamente il fiato spezzarsi perché avrei potuto tranquillamente giurare di aver sentito qualcuno lì accanto a me, avevo sentito i suoi occhi caldi addosso e la sua mano aveva continuato a stringersi attorno alla mia, nonostante non fossi cosciente. L'avevo avvertita comunque e in quel momento, aprendo gli occhi e costatando di essermi sbagliata.. beh faceva male.
Mi mossi nel mio letto scomodo, lamentandomi per il leggero dolore che avvertivo alla schiena e chiedendomi, tra l'altro, dove fosse mia figlia. Perché non era lì con me? Perché me l'avevano portata via? Perché diavolo mi avevano sedata e lasciata sola in quel maledetto letto? E dov'era Noah?
Un movimento alla mia destra mi fece bloccare e mi accorsi solo in quel momento che il balconcino della stanza fosse semi-aperto e che in quel momento stesse rientrando proprio lui.
"Ehi... ti sei svegliata." si meravigliò, richiudendo il balcone e avvicinandosi. Portò dietro di sé una leggera scia di fumo che ebbe il potere di rilassarmi invece di darmi fastidio. Annuii lentamente, cercando di rimanere tranquilla, nonostante stessi letteralmente morendo dalla voglia di chiedere, di sapere, di gridare a quelle stupide infermiere di ridarmi mia figlia, all'istante.
Ma lui, avvicinandosi ancora e affondando le mani nelle tasche della felpa riuscì a fare qualcosa che mi rilassò all'istante, più di qualsiasi altra parola: sorrise. Sorrise come non aveva mai fatto, sorrise come fa chi è contento di qualcosa, come chi non vede l'ora di rendere anche gli altri partecipi della sua gioia, felice... semplicemente un sorriso felice. Mi ritrovai a sospirare di sollievo, rilassandomi all'istante contro i cuscini
"Com'è?" gli domandai allora, con la voce terribilmente strisciata e la gola in fiamme. Dio, avevo una sete tremenda. Lui sorrise di più, facendosi comparire un paio di fossette sulle guance
"Bellissima... esattamente come sua madre." rispose in un soffio. E non seppi esattamente cosa in quelle parole mi fece più effetto: se l'implicita conferma che stesse bene, se l'aver appena scoperto di aver dato alla luce una femmina o se quel complimento spontaneo e sincero che gli scappò e di cui non si pentì all'istante, come invece era solito fare. Strinsi le dita attorno al lenzuolo, in segno di vittoria
"Alla fine avevi ragione... era una femmina!" mormorai con un sorriso stanco. Lui ridacchiò
"Era ovvio che avessi ragione. Io certe cose le sento." borbottò serenamente, anche se con una leggera nota divertita nella voce "Sentivo fosse femmina, sentivo sarebbe nata bellissima e in salute, sentivo che sarebbe andato tutto bene nonostante questo anticipo imprevisto. Avevo già calcolato tutto." e mi strizzò l'occhio. Sentiva che tutto sarebbe andato bene... ecco allora cos'era quella sensazione che era riuscito a trasmettermi durante il parto: sicurezza. Lui e la sua stretta forte mi avevano dato la sicurezza per crederci, per continuare a lottare e a sperare e alla fine ce l'aveva fatta.. io e la bambina ce l'avevamo fatta. Mi concessi un altro lungo sospiro, cercando di ricordare qualche altro particolare in tutta quella confusione e qualcosa mi venne in mente davvero, tanto che mi ritrovai subito ad arrossire
"Però forse una cosa non l'avevi calcolata." gli feci notare, sorridendo imbarazzata. Lui si accigliò appena ma parve arrivarci quasi subito
"Mmm... ti riferisci a quello che hai detto al medico per... farmi entrare in sala parto con te?" chiese in un sussurro, forse con la paura che qualcuno potesse sentirci e cacciarlo fuori a calci.
"Già.. io... mi dispiace. Non volevo metterti in mezzo e non volevo neanche che... mentissi per me. Sentivo soltanto di aver bisogno di te, che mi stessi accanto e che mi stringessi la mano." confessai, vergognandomi a morte perché a distanza di tempo e con la mente lucida mi sembrava seriamente un comportamento stupido e infantile. Ero stata una sconsiderata. Ma lui non parve particolarmente turbato. Si strinse nelle spalle e mi sorrise ancora
"E l'ho fatto." mi fece presente con tranquillità disarmante
"Lo so. E non smetterò mai di ringraziarti per questo." feci io, addolcendo la voce e avvertendo uno strano calore avvolgermi lo stomaco, lì dove non c'era più la mia bambina a farlo.
"Non ne hai motivo. Per me è stato un piacere e poi... è sinceramente stata una delle esperienze più... belle della mia vita. Cazzo... ho... visto nascere un bambino.. ho... visto.. la vita! Ed è merito tuo, Quinn.. sono io a doverti ringraziare." mormorò elettrico, allargando le braccia, quasi volesse farmi vedere a gesti quanto fosse felice. Mi ritrovai a ridacchiare, nonostante il leggero fastidio dovuto ai punti che dovevano avermi messo dopo il parto
"Ci siamo fatti del bene a vicenda allora." convenni con un sorriso
"Credo proprio di sì!" confermò ricambiando quel gesto e facendosi appena più vicino, fino a sfiorare il materasso con le gambe. Mossi la mano in cerca della sua e lui non se lo fece ripetere due volte: me la strinse esattamente come aveva fatto durante la gravidanza, o in macchina mentre le contrazioni mi tormentavano, o in quel corridoio, oppure durante il parto. Quella mano era stata la mia ancora di salvezza e ritrovarla così calda ed avvolgente e rassicurante nonostante il peggio fosse passato era un po' come farsi cullare e coccolare ancora, dato che in fondo sentivo di averne ancora bisogno.
Sentii all'improvviso quanto l'atmosfera fosse cambiata tra me e lui: sentii una scarica di adrenalina percorrermi per tutto il corpo e la disperata quanto insensata voglia di afferrargli le spalle e far scontrare le nostre labbra. Lo volevo, forse lo avevo sempre voluto ma in quel momento lo sentivo perfino necessario. E probabilmente anche lui sentì la stessa cosa perché lo vidi ingoiare a vuoto per un paio di volte, quasi avesse la gola secca e fece un piccolo movimento impacciato verso di me, come se volesse piegarsi e azzerare quella distanza dato che io non potevo muovermi troppo. E alla fine la mia supposizione fu confermata perché lui si avvicinò davvero tanto al mio viso, ed io mi ritrovai a chiudere gli occhi in attesa, impaziente e elettrica, quando...
"Bene, qui c'è una signorina che reclama le attenzioni dei suoi genitori." la voce acuta di un'infermiera ci fece sobbalzare e ci scostammo immediatamente l'uno dall'altro, quasi avessimo preso la scossa, benché non ci fosse stato alcun contatto. Non riuscii neanche ad arrossire completamente perché la mia attenzione fu totalmente catturata da lei: un piccolissimo fagottino avvolto da una copertina lilla che se ne stava al centro di una culletta portatile e che l'infermiera posizionò accanto al letto. Il cuore prese a galoppare furioso nel petto e a fatica mi trattenni dallo sporgermi verso di lei per afferrarla, tanto per accertarmi che fosse tutto reale e che non avessi sognato nulla. La donna in camice bianco, quasi avesse interpretato il mio pensiero, mi sorrise dolcemente - altro che quelle due streghe che erano in sala parto - e prese in braccio il fagottino per poi depositarmelo con delicatezza tra le braccia. Sentii quasi subito quel calore familiare che avevo avvertito durante i nove mesi, tornare al suo posto e qualcosa all'altezza del cuore stringersi senza fare alcun male. Oddio.. era.. era lei.. la mia bambina era lì, tra le mie braccia. Io ero diventata mamma.
"Oddio è... così... piccola."  mormorai commossa, con la voce strisciata e le lacrime che mi appannavano già gli occhi. Non ci potevo credere. Era piccola, era calda e aveva una bellissima smorfia sul faccino che si rilassò all'istante, mentre, con la mano che tremava, mi concessi di accarezzarle una guancia. Era morbidissima ed era... mia.
"É davvero bellissima."  la voce leggera di Puck si fece sentire con molta discrezione, mentre l'infermiera ci lasciava soli, uscendo dalla stanza "Hai fatto un ottimo lavoro, Quinn." aggiunse poi con un sorriso. Mi concessi di spostare lo sguardo un secondo su di lui e lo ritrovai con mia grande sorpresa a contemplare la piccola quasi ne fosse estremamente orgoglioso, e non riuscisse a trattenere la commozione. Era bello vedere che un uomo tanto scontroso e forte potesse sciogliersi davanti ad una visione del genere: il cuore di Noah era più grande e puro di quanto avessi immaginato e mi sentii estremamente fortunata ad aver avuto l'opportunità per poterlo conoscere. Mi sentivo bene, serena mentre lui allungava una mano per accarezzare quella piccola della bambina e mi resi vagamente conto del fatto che la mia mente ed il mio cuore non volessero nessun altro in quel momento, eccetto lui. Non sentivo il bisogno di chiamare mia madre, non volevo far sapere nulla a mio padre, non volevo neanche che le mie amiche del college sapessero che avessi partorito. Mi interessava solo che lui fosse lì e che continuasse a regalarmi quella magnifica sensazione e che magari un giorno potesse regalarla anche alla piccola.
"Vuoi tenerla?" gli domandai in un soffio mentre lui continuava ad essere rapito nella contemplazione della bambina. Si riscosse appena, per poi percepire cosa intendessi e sgranare gli occhi, quasi con terrore
"Oh.. io... non so se... ne sono.. capace." portò subito le mani in avanti, quasi volesse scusarsi. Poi però l'occhio gli cadde nuovamente sulla piccola, che si era appena mossa tra le mie braccia e la sua espressione si addolcì ancora, facendosi quasi impaziente, quasi non riuscisse più a stare fermo e gli costasse fatica non allungarsi verso di me per afferrarla.
Esattamente la stessa sensazione che ho provato anche io...
 "Non vorrei.. farle male e..." ma non lo feci finire: mi sporsi appena e lui subito si ritrovò ad allungare entrambe le mani per poterla accogliere tra le braccia, che potei giurare di aver visto tremare
"Stai solo attento alla testa, mi raccomando." gli ricordai, mentre lui sospirava e gli occhi si spalancarono maggiormente, quasi non riuscisse a credere a ciò che gli stava succedendo
"Mio Dio.." esalò incantato, mentre se la stringeva al petto e la scrutava con attenzione, quasi vergognandosi di fronte a tanta perfezione. Dovevo ammettere che facesse uno strano effetto anche a me vederli così insieme, così bene, così dolci. Sarebbe stato tanto strano o sbagliato a quel punto credere che Puck in fondo avrebbe potuto essere un buon padre? Sarebbe stato azzardato credere che potesse esserlo per mia figlia? Sarebbe stato sciocco volerlo per sempre al mio fianco, come un compagno e come quel pezzo che mancava alla mia vita in quel momento per potersi definire perfetta? Perfetta per me, per lui e per la piccola.
Io non ci trovo nulla di sbagliato... davvero nulla...
"Dovrebbe vederti tua madre, adesso. Penso morirebbe dalla gioia." esclamai con gli occhi lucidi e il petto riscaldato da quella bellissima immagine. Puck sollevò lo sguardo e mi sorrise, quasi sorpreso del fatto che ricordassi quel particolare del giorno precedente
"Poco ma sicuro." confermò infatti non smettendo un secondo di cullare la piccola. Mi rilassai con la schiena sui cuscini, conscia del fatto che la bambina fosse perfettamente al sicuro tra le sue braccia e quindi potessi stare tranquilla. Lui intanto, messa da parte la paura iniziale, si sciolse un po' e iniziò a giocherellare con lei, accarezzandole le mani e le guance piene, sempre con molta delicatezza. Erano naturali entrambi e stavano così bene. Io intanto, cullata da quella bellissima visione, iniziai ad avvertire un altro intorpidimento causato dal sonno tanto che sbadigliai e poggiai meglio la testa sul cuscino. Puck mi sorrise con dolcezza dopodiché si sporse verso di me ed io credetti volesse restituirmi la bambina o lasciarmi un bacio sulla fronte ma non fece nessuna delle due cose: le sue labbra si posarono delicatamente sulle mie, premendo leggermente e poi allontanarsi con uno schiocco morbido. Mi rivolse un altro piccolo sorriso emozionato ed io mi ritrovai ad accarezzargli la guancia con il dorso della mano e a chiudere gli occhi, appesantiti dalla stanchezza
"Buon compleanno, Noah." sussurrai, prima di finire nel mondo dei sogni
"Il miglior regalo di sempre."

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Capitolo 47
*** Epilogo n°5 ***


Buon pomeriggio a tutti e.. buon inizio settimana ^^ dunque, nonostante avessi assicurato di consegnare l'epilogo ieri, mi presento oggi come al solito in ritardo.. vabbè non ho più scuse, sono terribile ç__ç diciamo che ho avuto qualche problemino a dare una forma a questo epilogo, perché non sono proprio una fan della Samcedes (che i loro estimatori mi perdonino ^^) e quindi mi sono un po' dilungata anche se alla fine sono riuscita a portarlo a termine senza impazzire e preparando contemporaneamente un esame per questa settimana.. sono o non sono la migliore?? *__* dunque, non ho molto da dire se non.. augurarvi buona lettura e... mettervi un po' di agitazione per il prossimo epilogo che.. *rullo di tamburi, Finn* sarà sulla Seniel *___* Dio Santissimo non vedo l'ora... vi avverto già da ora... qualcuno vorrà uccidermi e vorrà uccidere anche uno di loro.. ma.. niente ci vediamo prossimamente XD diciamo... mmm... spero tra sabato e domenica, ma non ne sono sicura perché il 27 ho l'ultimo esame... vedremo come si metterà la situazione (anche perché ci tengo troppo a questo epilogo e ho l'impressione che sarà il più lungo.. che gli altri non me ne vogliano ma... la seniel ce l'ho nel cuore *__*) bene.. ora vado a studiare.. un bacio grande a tutti e... vi amooooo tantoooooo <3
p.s. Altro capolavoro offerto dal mio Dan *__*
N.B. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°5
Sam & Mercedes
"Il volo dell'aquila"



Los Angeles. Ore 07.45 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)


Los Angeles era senza dubbio la città per eccellenza baciata dal sole. Io ero nato e cresciuto ad Orange Country quindi conoscevo le meraviglie della California come le mie tasche; ma purtroppo a causa del mio lavoro che mi teneva bloccato sulla costa orientale degli Stati Uniti, raramente vi avevo fatto ritorno. Ma quel giorno, dopo aver rinviato tutti gli appuntamenti in programma, ero finalmente riuscito a salire su un aereo e ad atterrare in California, ma... non lo avevo fatto assolutamente per la nostalgia di casa o per staccare la spina dal lavoro; lo avevo fatto perché... era quasi una settimana che non la vedevo, lo avevo fatto perché mi mancava e perché... ero stato uno schifo senza di lei. Per questo ero lì, per recuperare quel tempo che ci era stato ingiustamente tolto e per godere un po' di quella sensazione di tranquillità che, non si sapeva come, lei riusciva a darmi.
Ci eravamo sentiti praticamente ogni giorno, con messaggi, mail, chiamate e perfino video-chiamate - sia benedetto chi ha inventato Skype - ma non era affatto sufficiente. E soprattutto non era così che volevo portare avanti la nostra relazione: come potevamo credere di poterci far bastare quelle poche ore di conversazione o quelle immagini attraverso gli schermi dei nostri portatili? Io avevo bisogno di altro, avevo bisogno di guardarla direttamente negli occhi, senza filtri né telecamere, avevo bisogno di stringerle la mano, avevo bisogno di baciarla e... avevo bisogno di vivere qualcosa di normale, qualcosa che fosse a misura per noi. In ventotto anni della mia vita non avevo mai avuto una relazione che potesse definirsi seria: avrei potuto dare la colpa al mio lavoro, al fatto che non avessi tempo neanche per preoccuparmi di essere attratto da una ragazza, e quindi mi ero limitato a mettere in pausa la mia vita sentimentale e, fatta eccezione per qualche avventura occasionale, avevo chiuso letteralmente le porte del mio cuore a chiunque volesse entrarci. Con Mercedes però era accaduto qualcosa di diverso.
La sera del compleanno di Kurt mai mi sarei aspettato di imbattermi in una meraviglia del suo calibro. Inizialmente, lo ammetto, era stata semplice attrazione fisica: lei era palesemente bella e aveva qualcosa di aggressivamente sensuale che mi aveva immediatamente attratto e infatti la maggior parte della serata l'avevamo trascorsa praticamente incollati l'uno all'altra. Eppure, quella che credevo fosse l'ennesima avventura notturna si era trasformata in ben altro. Io e lei quella sera non avevamo fatto un bel niente, io l'avevo gentilmente accompagnata alla macchina parcheggiata davanti al pub di Puck e ci eravamo salutati e benché ne fossi rimasto abbastanza male, sentivo che in un certo senso fosse stato meglio così per entrambi.
Il giorno dopo, non seppi esattamente il motivo, riuscii a sapere tramite amici in comune - Kurt! - dove lavorasse e per questo mi ero presentato da lei: il sorriso emozionato con cui mi aveva accolto appena ero entrato in teatro, probabilmente fu la cosa più bella che ebbi mai visto in tutta la mia vita, qualcosa che riuscì ad illuminare tutto, perfino gli angoli più bui della sala. E da allora, come in un crescendo di emozioni e sentimenti, era nata la nostra storia, anche se a conti fatti era passato soltanto un mese. Eppure lei in meno di trenta giorni era riuscita a conquistarmi completamente: aveva un modo di fare che coinvolgeva, riusciva a darmi un valido motivo per sorridere ogni giorno, anche dopo dodici ore di lavoro stressante, riusciva a trasmettermi cose che fino ad allora non avevo ancora provato ed aveva un carattere di cui difficilmente ci sarebbe stancati. Era un vulcano di energie ed io mi sarei fatto volentieri travolgere ed avvolgere da un'esplosione di tale portata.
Quel giorno, seguendo le indicazioni che lei stessa mi aveva inconsciamente dato la sera prima, mentre la interrogavo su dove fosse il teatro in cui il suo coro di stava esibendo, ero arrivato a destinazione: era un piccolo teatro in una zona poco conosciuta di Los Angeles e, guardato con attenzione, faceva quasi una certa tristezza. Era particolarmente spoglio, i sedili della platea erano molto rovinati, il palco era minuscolo e non c'erano le attrezzature adatte per esibirsi. E tutto questo mi era balzato all'occhio dopo un solo sguardo veloce, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se mi fossi messo ad investigare un po'. Forse ero abituato allo sfarzo di Broadway o di quei meravigliosi teatri newyorchesi in cui ero solito andare con i miei amici e quindi tutta quella semplicità mi risultava ancora più squallida eppure non riuscivo a fare a meno di pensare a come potesse Mercedes aver accettato di far esibire il suo coro in un posto così. Una volta, quasi con imbarazzo, mi aveva confessato che i ragazzi che seguiva non erano un granché e pertanto erano costretti ad accettare gli ingaggi più disparati, rischiando a volte di capitare in posti davvero assurdi. Io lì per lì non avevo capito cosa intendesse dire, ma in quel momento, osservando il tappeto pieno di macchie scure e lo schienale di un sedile rosicchiato per metà, capii esattamente a cosa si riferisse.
"Coraggio, ragazzi... metteteci un po' più di entusiasmo! Rose, per carità, smettila di gridare... non riesco a sentire gli altri se alzi troppo la voce." esclamò con esasperazione Mercedes che mi dava le spalle e si rivolgeva al piccolo gruppo di persone, sistemate disordinatamente sul palco. La ragazza a cui si era rivolta, evidentemente sentendosi offesa, alzò il naso in una smorfia seccata
"Non è colpa mia, signorina Jones... sono loro che non sono capaci di starmi dietro!" starnazzò incrociando le braccia al petto. Un'altra ragazza del gruppo spalancò gli occhi e rispose
"Ma sentila.. è arrivata Mariah Carey.. senti carina, se proprio vogliamo dirla tutta, tu non sei neanche capace di indovinare un accordo. E non venirti a lamentare con noi per questo!" la riprese infastidita, ed un paio di ragazzi dietro di lei le diedero manforte, annuendo con vigore. La ragazza di prima, Rose, divenne immediatamente rossa
"Non diciamo sciocchezze. Io sono nata con lo spartito in mano e ho iniziato a fare musica da molto prima che voi iniziaste a capire cosa fosse. Quindi non azzardarti, Kelly... altrimenti qui finisce male." si agitò Rose, puntandole un dito contro. La seconda ragazza, Kelly, scoppiò a riderle in faccia
"E cosa fai? Mi graffi la faccia con le tue unghia ricostruite? Oppure vuoi soffocarmi stringendomi al collo una extention?" la provocò e uno sciame di risate si diffuse nel teatro. Rose divenne ancora più rossa e fu sul punto di rispondere o peggio di scagliarsi contro di lei, quando Mercedes intervenne
"Smettetela all'istante. Non siamo all'asilo, siamo qui per lavorare e non voglio più assistere a scene infantili come questa, sono stata chiara?" tuonò imperiosa e subito riuscì a zittire tutti. Perfino le due ragazze si ritrovarono ad annuire, anche se con riservo. Mi feci scappare una piccola risata silenziosa: ah però... hai capito che caratterino la ragazza!
"E ora fuori dai piedi. Andatevene in albergo e riprenderemo domani con questo pezzo. Vi voglio pronti per questo Sabato quindi vedete di concentrarvi e dare il massimo." e poi con un gesto seccato della mano li mandò via, ignorando i versi seccati, i vari lamenti e perfino una velata minaccia da parte di Rose nei confronti dell'altra ragazza. E solo in quel momento, nonostante immaginassi fosse ancora turbata, osai avvicinarmi a lei
"Mi scusi, signorina Jones... posso permettermi di disturbarla un istante?" le domandai, trattenendo un sorriso. Lei sbuffò leggermente e fece per voltarsi
"Cosa c'è ancora.." e non  appena mi vide, non appena si girò del tutto verso di me e scorse il mio sorriso, sembrò cambiare tutto: il suo malumore scivolò via, quella smorfia infastidita si trasformò in un istante in un'espressione di puro stupore e perfino la tensione che si avvertiva nell'aria si dissolse quasi fosse una nuvola di polvere che veniva spazzata via. Tutto per un solo sguardo.. tutto per me.
"Sam!" esclamò e le sue labbra si piegarono in un sorriso mentre gli occhi si spalancavano nella più bella delle espressioni di meraviglia. Mi ritrovai a sorriderle a mia volta e ad avanzare ancora.
"Sorpresa!" allargai le braccia in un invito palese e lei non se lo fece dire due volte. Abbandonò il suo banchetto dal quale osservava il palco e il suo coro e si fiondò ad abbracciarmi.
"Oh mio Dio... che ci fai qui?" mi chiese emozionata, affondando la faccia nel tessuto della mia camicia
"Ero di passaggio e così... ho deciso di farti un saluto." mentii spudoratamente. Lei infatti sollevò lo sguardo e mi fissò
"Eri di passaggio? Qui a Los Angeles?" ridacchiò, quasi fosse del tutto assurdo e in effetti lo era davvero
"E se fossi stata ancora a Phoenix... o ad Indianapolis?" mi sfidò divertita
"Avrei allungato il giro e... sarei venuto a salutarti anche lì." risposi divertito a mia volta e lei arrossì, lusingata
"Oh.... ma che carino che sei." cinquettò, sbattendo le ciglia, ma sotto sotto si vedeva chiaramente quanto fosse seriamente contenta per quello
"Sei carina anche tu." risposi con un sorriso furbetto "Anzi... molto più che carina." rettificai e dopo un altro piccolo sorriso abbassai la testa quel tanto che serviva per poterci finalmente salutare per bene e poter sfiorare quelle labbra, che mi ero accorto di desiderare dal primo istante in cui avevo messo piede a Los Angeles. Tuttavia, purtroppo non riuscii nel mio intento, perché qualcuno pensò bene di interromperci proprio sul più bello, proprio quando mancavano pochissimi millimetri
"Mi scusi signorina Jones.. avrebbe un minuto da dedicarmi? Avrei bisogno di chiederle un favore." era di nuovo Rose, la ragazza che aveva le unghia finte e le tendenze da prima donna e in quel momento, iniziai ad odiarla anche io, come il resto del suo coro. Mercedes fu sul punto di girarsi e risponderle, ma riuscii ad anticiparla, stringendole la mano e contemporaneamente rivolgendo un sorrisetto di circostanza verso la disturbatrice
"Mi spiace, ma la signorina ha da fare adesso... sarà irreperibile fino a domani. Buona serata.. Rose."

Los Angeles. Ore 08.31 P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)

Rapita Mercedes e abbandonato il teatro, ci dirigemmo verso il ristorante, tenendoci ovviamente per mano e continuando a sorriderci, quasi fossimo due adolescenti. Che diavolo mi prendeva? Avevo ventotto anni, non quattordici. Eppure, non riuscivo a vergognarmene perché al suo fianco avvertivo quella magnifica sensazione di serenità che in quei giorni mi era tanto mancata e che mi faceva respirare a pieni polmoni, come aria fresca.
Ci sedemmo al nostro tavolo appartato, in un bellissimo ristorante che affacciava sulla Westwood e ordinammo la nostra cena ad un cameriere elegantemente vestito di bianco che sparì immediatamente in cucina. Mercedes si guardò in giro meravigliata, con gli occhi che si illuminavano e le labbra che si stiravano in un bellissimo sorriso, tanto da renderla così raggiante da far quasi male agli occhi. Ma non avrei mai smesso di guardarla e trovarla così incantevole. Mai.
"Posso farti una domanda?" le chiesi ad un certo punto, mentre il cameriere ci serviva da bere
"Certo." acconsentì curiosa. Mi lasciai scappare un piccolo sorriso prima di rivolgerle la mia domanda, così da sottolinearne la simpatia
"Come fai a sopportarli?" lei mi guardò per un istante, forse non capendo ma alla fine forse la mia risata l'aiutò molto.
"Mmm.. parli dei ragazzi del coro?" mi chiese allora, stendendo un piccolo sorriso consapevole ed io annuii portandomi il bicchiere del vino alla bocca
"Sono costretta a farlo. É l'unico ingaggio che il teatro mi ha affidato. Devo portarli in giro per gli Stati Uniti e accertarmi che facciano sempre bella figura." spiegò arricciando il naso in una smorfia di disappunto "Anche se... di figure fino ad ora ne abbiamo fatte tante.. e nessuna di queste è mai stata bella." e ridacchiò appena, ma non c'era alcuna traccia di divertimento nella sua voce. Ebbi come l'impressione di aver appena toccato un tasto dolente per lei, benché mi fossi avventurato in quel campo con l'intenzione di affrontare un argomento leggero. A quanto pare mi ero profondamente sbagliato
"E allora perché non molli? Cosa ti trattiene?" le chiesi d'istinto, cercando di capire. Lei alzò gli occhi al cielo e fu il suo turno per sorseggiare un po' di vino. Era combattuta, si intuiva facilmente "Ti sei... affezionata?" le chiesi ancora, esitante. Mercedes sgranò gli occhi, quasi mi avesse sentito pronunciare qualcosa di indecoroso
"Ma figurati! Odio profondamente quei ragazzi. Sono viziati e senza il minimo talento e... hai visto cosa sono capaci di fare? Una volta se le sono date di santa ragione ed io ero pietrificata... non sapevo cosa fare. É dovuta intervenire la Polizia per separarli!" raccontò, sventolando la mano davanti al viso, quasi non riuscisse a trattenere l'indignazione. Beh, in effetti avevo avuto modo di constatare personalmente quanto quei ragazzi fossero... particolari, diciamo. Non immaginavo cosa potesse significare doverli sopportare per tutto quel tempo, perfino in giro per gli States.
"E allora?" domandai ancora
"Io..." iniziò, prendendo un lungo respiro ma poi si bloccò, quasi si fosse appena ricordata di qualcosa e non riuscisse a continuare "Mmm.."
"Mercedes?" mi sporsi un po' in avanti per intercettare i suoi occhi che erano silenziosamente scivolati oltre il bordo del tavolo, ma non ce ne fu bisogno perché la sua voce si fece sentire poco dopo, in un leggerissimo sussurro
"Ho paura." sgranai gli occhi, non riuscendo a capire, soprattutto il perché avesse cambiato così drasticamente umore
"Di cosa?"
"Di tutto." rispose con un sospiro e rialzò gli occhi, arrossendo appena "Di quello che succederebbe dopo, di cosa potrei fare una volta lasciato il coro, di non aver più un lavoro e uno stipendio, di non potermi più permettere il mio stupido monolocale, di deludere i miei genitori, di..." si bloccò di nuovo, inghiottendo di nuovo saliva e parole. Sembrava le costasse una fatica immensa dire quelle cose. Probabilmente non lo aveva mai fatto ma quasi sicuramente le serviva disperatamente farlo. All'istante.
"Sono tante cose." mormorai, squadrandola per bene
"Già." abbassò la testa e sospirò ancora e finalmente...
"Ma più di tutto , ho paura di quello che potrebbe succedere alla mia autostima. Ho già dovuto sopportare parecchie delusioni da quando ho lasciato il liceo.. non so se riuscirei a reggere ancora oltre." ammise in un soffio imbarazzato. Dunque era quello il problema. Delle delusioni subite, probabilmente in ambito lavorativo, che l'avevano spinta in quegli anni a... ad accontentarsi? Non potevo crederci. Mercedes non mi sembrava affatto una ragazza pronta a rinunciare: era forte, combattiva, caparbia e piena di entusiamo. Cosa le era successo di tanto deludente da abbatterla in quel modo?
"Ti va di parlarmene?" provai allora, sperando che offrirle il mio sostegno potesse farla sentire meglio. I suoi occhi scuri tornarono a posarsi su di me e l'ombra di un sorriso le stirò le labbra, che erano ancora contratte in una mezza smorfia.
"Non voglio angosciarti. É una così bella serata.. tu sei qui.. hai attraversato tutto il paese solo per me e... voglio godermi ogni attimo che abbiamo." mormorò, provando a sviare il discorso e sorridendomi con più convinzione. Allungai una mano e accarezzai il dorso della sua, poggiata sul tavolo, tanto per trasmetterle la mia presenza e per farle capire che, per qualsiasi cosa, io ci sarei stato. Ormai era chiaro: qualcosa l'angosciava e anche parecchio. Restava solo da capire cosa fosse e se sarebbe mai stata in grado di dirmelo. Forse il nostro rapporto non era ancora pronto per affrontare una confessione di tale portata o forse non era nulla di preoccupante ed io mi sarei semplicemente dovuto fare i fatti miei. In fondo, se lei non avesse voluto parlarmene, io non l'avrei di certo costretta. Con me doveva stare bene, soltanto quello.
Il cameriere ci portò le nostre ordinazioni e noi iniziammo a mangiare in silenzio, limitandoci a sorriderci da un lato all'altro del tavolo, magari dietro il vetro dei bicchieri o dietro le forchette, ma tornando a stabilire una sorta di equilibrio, che avevo sentito oscillare appena pochi istanti prima. Eppure, c'era ancora qualcosa che rimaneva sospesa, qualcosa che ancora non era stata decifrata, qualcosa di... ingombrante. Come un elefante rosa seduto in mezzo a noi. 
"Mercedes."
"Sì?"
"Faresti una cosa per me?" le chiesi, posando la forchetta nel piatto e puntando gli occhi nei suoi. Non ebbe il minimo cedimento mentre annuiva
"Certo." acconsentì curiosa. Presi un breve respiro prima di farle la mia rischiesta, che veniva dritta e spontanea dal cuore
"Canteresti per me se te lo chiedessi?" era avventato, era stupido, era incosciente, ma... era l'unica cosa che volevo in quel momento
"Co-cosa?" i suoi occhi si sgranarono in maniera quasi inaspettata
"Una sola canzone. C'è il piano lì e ho sentito che spesso i clienti qui si alzano per cantare e... sì insomma... è da quando ti conosco che mi chiedo come sia la tua voce." le confessai con un sorriso, sentendomi andare a fuoco le guance per l'imbarazzo. Raramente mi trovavo a disagio con gli altri, però con lei mi era successo spesso. E poi... beh era vero che mi ero chiesto come fosse la sua voce. Credevo fermamente fosse magnifica come lei, soprattutto perché dava l'idea di nascondere qualcosa di molto potente e molto intenso. Eppure, qualcosa non quadrava: nei suoi occhi in quel momento, lessi del vero e proprio panico, farsi così concreto da insospettirmi
"Ho l'impressione che sia meravigliosa." mormorai, riferendomi ancora alla sua voce. Strinse la mascella e afferrò il bicchiere con forza, portandoselo alla bocca
"No, non lo è!" esclamò risoluta e definitiva e la freddezza con cui si rivolse a me, mi spiazzò. Mi ritrovai a boccheggiare per qualche istante perché, benché avessi seriamente letto il panico colorarle gli occhi, non mi aspettavo una reazione del genere. Ma sapevo essere testardo anche io. Così riprendendomi da quel momento di stupore, mi feci avanti
"Dimostramelo!" la sfidai, sicuro che avrebbe ceduto
"Sam... no!" mi ammonì, guardandomi male, quasi desse per scontato che io fossi già a conoscenza del motivo
"Perché?" le chiesi infatti, non riuscendo a trattenermi. Sbuffò, stringendo le labbra in una linea marcata
"Perché non ne sono capace." sentenziò, stupendomi ancora. No, non era vero. Non potevo crederci.
"É questo che ti hanno fatto credere?" le domandai e lei spostò lo sguardo sul piatto, ignorando la domanda. Sì, era esattamente quello che le avevano fatto credere
"Chi è stato?" domandai ancora, avvertendo una certa rabbia invadermi lo stomaco, anche se ne ignoravo il motivo. Sospirò e quella volta sembrò più per esasperazione che per altro
"Sam... non.. ho voglia di parlarne." mormorò, lanciandomi un'occhiata di ammonimento
"D'accordo." allargai le braccia, in segno di resa, ma non avrei ceduto, per niente al mondo
"Allora limitati a cantare!" le dissi e lei scosse la testa, ostinata
"Non capisco perché dobbiamo per forza rovinarci questa serata parlandone." borbottò guardandomi male. Cavolo... chiunque le avesse messo in testa quella convinzione, doveva esserci andato giù pesante.
"Possiamo anche starcene in silenzio e far finta che non sia successo niente." provai ad essere ironico, sperando che servisse a stemperare un po' di quella tensione, ma non ebbe molto effetto perché lei si indurì ancora di più e tornò al suo piatto
"Ecco.. sarebbe meglio!" sbottò secca, chiudendo definitivamente il discorso. Rimasi qualche istante immobile, a chiedermi cosa fosse successo esattamente in quei pochi minuti: la situazione tra di noi era cambiata drasticamente, si era fatta fredda, quasi tesa ed io ne ero davvero sorpreso. Non mi interessava tanto il fatto che lei mi avesse risposto male o per non aver fatto quello che le avevo chiesto di fare per me - benché avessi ancora una voglia matta di sentirla cantare - più che altro, a lasciarmi l'amaro in bocca, fu la freddezza che le lessi negli occhi affrontando quell'argomento. Doveva essere più grave di quanto non facesse credere, se una semplice domanda arrivava ad irritarla tanto. Lei diceva di non esserne capace; io non ci credevo assolutamente. Credevo piuttosto che qualcuno glielo avesse fatto credere e quel qualcuno, dopo tutto quel tempo, riusciva ancora ad influire così tanto su di lei, in maniera quasi sorprendente. Con un sospiro mi allungai nuovamente verso di lei e le afferrai la mano, stringendola con la mia. All'inizio tentò di tirarsi indietro, guardandomi ancora male, ma poi si arrese e si lasciò accarezzare, esattamente come aveva fatto poco prima che iniziassimo a parlare della sua voce.
"Mercedes." la chiamai in un soffio, sentendo il cuore fare male per non riuscire a poterla guardare negli occhi "Ti prego, guardami!" la esortai e lei, dopo un evidente sforzo lo fece. Era ancora combattuta e tormentata e si vedeva chiaramente quanta fatica stesse facendo per non scoppiare a piangere davanti a me
"É davvero così difficile per te?" le domandai allora, sentendomi male per essere stato io ad insistere e per non essermi riuscito a fermare in tempo. Tremò appena sotto il mio sguardo attento
"S-sì." balbettò a fatica.
Basta, Sam... falla finita...
"Ok... ho capito. Non parliamone più. Anzi... mi dispiace. Non era mia intenzione far tornare alla mente brutti.. ricordi." e le sorrisi con tutta la tenerezza di cui ero capace e per mia fortuna, finalmente, lei parve sciogliersi un po'
"No... io... non avrei dovuto aggredirti in quel modo. Mi dispiace davvero, Sam." mormorò imbarazzata, accarezzandomi con il pollice la mano
"Così imparo a fare l'inopportuno!" scherzai e lei ridacchiò
"Non lo sei affatto." rettificò con un sorriso sereno, dopodiché si portò la mia mano alla bocca e vi lasciò sopra un bacio delicato che mi fece arrossire appena.
Waw... Sam Evans che arrossisce.. quale novità...
In quel momento si avvicinò
a noi un ambulante di origine indiana, con un mazzo di rose strette in mano
"Vuole fare un regalo alla sua bella fidanzata, signore?" mi domandò in un marcato accento, accennando un inchino. Lanciai un'occhiata divertita verso Mercedes - la mia fidanzata - e lei ridacchiò appena, forse arrossendo, forse chiedendosi come me se potessimo considerarci davvero una coppia a quel livello. Recuperai il portafoglio dalla giacca ed allungai all'ambulante una banconota da cento dollari. Lui strabuzzò gli occhi, quasi non ne avesse mai vista una in vita sua e si affrettò a cercare nel suo borsello i soldi per cambiarli
"No, guardi... se li può tenere... le prendo tutte!" gli dissi indicando il mazzo, dove facevano bella mostra circa trenta rose rosse. Lui rimase qualche istante interdetto, poi guardò prima Mercedes - che ci osservava emozionata - e poi la banconota tra le sue mani. Alla fine reputò terminata la sua serata, mi lasciò tutto il mazzo ed uscì dal ristorante, con un bel sorriso soddisfatto sul volto.

Los Angeles. Ore 11.58. P.M. 10 Maggio 2012 (Giovedì)

"Sai... nessuno mai mi ha regalato così tante rose tutte in un giorno!" esclamò Mercedes, aprendo la porta della sua stanza con il passpartout
"Si vede che tutti quelli che lo hanno fatto fino ad ora, ti hanno sempre sottovalutata." mormorai seguendola all'interno della camera. Lei ridacchiò
"O forse sei tu che mi sopravvaluti!" tentò, posando il mazzo di rose sul tavolino basso e girandosi verso di me.
"No.. non credo." risposi sicuro, annullando la distanza che ci divideva con un paio di passi. Ci guardammo negli occhi, rimanendo in perfetto silenzio, quasi ci stessimo studiando a vicenda e stessimo stabilendo chi dei due dovesse fare la prima mossa. Secondo il galateo avrei dovuto essere io, essendo l'uomo ma... dopo il casino che avevo combinato a ristorante, preferivo starmene buono buono a subire. E infatti fu un po' sorprendente sentire le sue labbra sulle mie qualche istante dopo, dato che io non mi ero affatto mosso: era stata lei a prendere l'iniziativa e, nonostante non fosse una cosa che accadeva molto spesso, dovevo dire che.. sì, mi piaceva terribilmente.
Lasciai che fosse lei a prendere il controllo, che fosse lei a condurre il gioco e che fosse perfino lei a dettare il ritmo. Io mi limitai a rispondere a quel bacio che lentamente si faceva più intenso ed emozionante, cercando di stare fermo e lasciandomi semplicemente scappare un sospiro di sollievo che la fece sorridere. Quanta impazienza c'era nelle azioni di entrambi e quanta voglia di andare fino in fondo. Era davvero troppo tempo che non ci concedevamo quel tipo di intimità e forse era giunto il momento giusto per farlo. Le sue mani si strinsero attorno al colletto della mia camicia e la utilizzò come appiglio per attirarmi ancora verso di lei. Lentamente mi ritrovai ad avanzare verso il letto e con mia grande sorpresa fui spinto con forza sulla coperta, con un leggero rimbalzo.
Uh... intraprendente.. mi piace...
Le sorrisi con malizia, pronto ad accoglierla tra le mie braccia ed iniziare a...
"Fermo lì! Non ti muovere!" mi ordinò, puntandomi l'indice contro e sorridendomi. Alzai le braccia in segno di resa, perché anche volendo non sarei andato da nessuna parte. Si allontanò, avvicinandosi alla borsa e trafficando con qualcosa per poi fare qualche bassò verso il mobile sul quale aveva posato le rose. Sentii un click e un leggero ronzio, quasi avesse azionato un dispositivo audio, per questo incuriosito mi sollevai sui gomiti per sbirciare. Non riuscii a vedere nulla perché il mio sguardo intercettò un altro suo movimento: si tolse la giacca e la posò sulla poltrona, dopodiché tornò da me, con uno strano sorriso sulle labbra. Peccato che di malizia ce ne fosse rimasta davvero poca: sembrava più che altro... sospesa, intimorita, emozionata. E la tensione, benché ci fosse ancora e fosse sempre tangibile, era cambiata in qualcosa di diverso. Era pur sempre piacevole e riuscivo a percepirne una certa importanza, nonostante non fossi completamente lucido: era come se sapessi che qualcosa stesse per succedere e quel qualcosa non aveva nulla a che vedere con me e lei nudi sotto le coperte.
Non ci fu bisogno di chiederle niente, perché dopo un lunghissimo sospiro parlò
"Vorrei farmi perdonare per quello che è successo prima al ristorante." iniziò a spiegare, torturandosi le mani con un certo nervosismo. Stavo per rassicurarla sul fatto che non fosse necessario e che non avrebbe dovuto farsi perdonare proprio di niente, ma ancora una volta mi anticipò
"E poi in un certo senso... sento di dovertelo!" e mi sorrise ancora, quella volta quasi non riuscendo a contenere l'emozione. Ancora una volta sentii la tensione stringersi attorno a noi nella stanza, e inconsciamente mi aggrappai alla coperta sotto di me con tutta la forza di cui ero capace. Lei sollevò il braccio verso il mobile di prima e premette su un piccolo telecomando che non mi ero accorto avesse in mano: in quel momento successero due cose nello stesso istante, da una cassa portatile sulla quale lei aveva posizionato il suo telefono, partirono le note delicatissime di una canzone e contemporaneamente il mio stomaco di contrasse in maniera quasi dolorosa. Perché avevo finalmente realizzato cosa sarebbe successo da lì a breve: Mercedes stava per cantare e stava per farlo lì, davanti a me.. per me. Maledizione non ero pronto. Cioè... avevo detto di volerla sentire e lo pensavo davvero ma... il mio cervello - ed il mio corpo soprattutto - erano preparati ad altro in quel momento. Sarei stato degno di ascoltarla?
Non ebbi modo di chiedermelo davvero perché lei iniziò a cantare, sulla base che usciva dalla cassa e diventava sempre più dolce

As I lay me down
Heaven hear me now
I'm lost without a cause
After giving it my all
Winter storms have come
And darkened my sun
After all that I've been through
Who on earth can I turn to

Mi ritrovai a trattenere il fiato e a stringere ancora di più la coperta nel pugno, fino a farmi diventare le nocche bianche. Ma non importava: tutto ciò che le mie orecchie stavano percependo era decisamente molto di più di quanto mi sarei mai potuto aspettare. Non era soltanto per la canzone che era magnifica a prescindere... era lei... era la sua voce.. era... il modo in cui riusciva a farmi sentire, il modo in cui mi guardava mentre cantava quelle parole, quasi stesse pensando ad ognuna di esse prima di farle fuoriuscire sotto forma di musica. E quella che mi ritrovai addosso fu vera e propria pelle d'oca, per limitarsi ad esprimere le reazioni esterne, perché se mi fossi messo a capire cosa stava accadendo dentro... ci avrei messo troppo e avrei rischiato di perdermi il resto della canzone.

I look to you
I look to you
After all my strength is gone
In you I can be strong
I look to you
I look to you (Yeah)
And when melodies are gone
In you I hear a song
I look to you (You)

Era intensa in ogni strofa, nel ritornello poi era stata addirittura sublime: un'ondata di adrenalina allo stato puro mi invase lo stomaco e mi ritrovai ad inghiottire a fatica, quasi mi mancasse l'aria. Provai a fare violenza su me stesso, provai a trovare la forza necessaria per non abbassare mai lo sguardo e provai perfino a memorizzare ognuna delle singole emozioni che stavo percependo anche se, prese così tutte insieme, erano un po' difficili da decifrare. Sapevo solo che erano belle: era bella lei, così raggiante mentre cantava, era bella la canzone, era bella l'atmosfera ed era perfino bello sentirsi così succube. Per la seconda volta in poco tempo, lasciai che fosse lei a decidere tutto ed io mi limitai a subire, solo che quella volta si stava rivelando ancora più dannatamente piacevole, nonostante non ci fosse il minimo contatto fisico. Le corde che stava toccando lei, solo con la forza della sua splendida voce, erano decisamente più profonde.
 
About to lose my breath
There's no more fighting left
Sinking to rise no more
Searching for that open door
And every road that I've taken
Led to my regret
And I dunno if I'm gonna make it
Nothing to do but lift my head

Come aveva potuto anche solo pensare di non avere talento, di non saper cantare e di non essere quanto meno eccezionale? Con quale coraggio? Scherzava.. non c'erano altre spiegazioni. Perché io la stavo ascoltando e tutto ciò che riusciva a trasmettermi era... arte.. arte allo stato puro, arte in ogni singola nota, in ogni sfumatura della voce, in ogni pausa e in ogni accento e l'arte era ben visibile perfino nell'interpretazione. Sapeva dove accentuare, dove ammorbidirsi, dove diventare più energica. E tutto quello che lei tentava di dare alla canzone, arrivava diritta a me, al mio cuore pulsante e al mio stomaco, che era ancora contratto, ma non faceva minimamente male, anzi. Mi chiesi quale figlio di puttana le avesse messo in testa quella stupida idea del non sapere cantare, di non avere talento. Sicuramente era un invidioso oppure un maiale con chissà quale sporca intenzione. E mi sentii rodere dalla rabbia soltanto a pensare che qualcuno potesse provarci con lei. Però... doveva aver fatto qualcosa di molto peggio: le aveva tappato le ali, e questa era senza dubbio la violenza più dura di tutte.
Un'aquila reale del tuo calibro, dovrebbe volare molto più in alto di così...

I look to you
I look to you (Yeah)
And when all my strengths is gone
In you I can be strong
I look to you
I look to you (Oh)
And when melodies are gone yeah~
In you I hear a song

Me la immaginai immediatamente su un grande palco - niente a che vedere con quello squallido palchetto sul quale si esibiva il suo coro da quattro soldi - e immaginai la sala ghermita di gente, tutti uomini facoltosi, tutti vestiti bene, tutti in trepidante attesa, tutti con la stessa voglia: emozionarsi con la sua voce, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da tutto quello che lei era capace di offrire. E nessuno sarebbe rimasto scontento: avrebbero chiamato a grande voce il bis, ignorando le etichette e il bon ton. E lei, magari sopraffatta dall'emozione, ne avrebbe cantata un'altra e un'altra ancora. Ed io l'avrei guardata con orgoglio da dietro le quinte e a chi me lo avesse chiesto avrei detto "Sì... quella magnifica donna è mia... ed è semplicemente strepitosa!"

I look to you ( my life is unbroken)
Life is unbroken (My walls have come)
Walls come down (coming down on me)
Coming down on me(the rain is falling)
Rain is falling (defeat is calling)
Defeat's calling (I need you to set me free)
Need you to set me free
Set me far away from the battle
I need you
Sign on me

Mi sembrava davvero assurdo che mai nessuno si fosse accorto prima della sua voce: non si trattava di qualcosa che ascolti di sfuggita sotto la doccia, o peggio qualcosa di sottile e forzato; la voce c'era, era bellissima, era forte e cristallina ed era così magica da togliere il fiato. Ringraziai tutti i Santi in Paradiso per avermi dato quella occasione, per averla convinta a concedermela, nonostante non avessi fatto nulla per meritarmela. Se lei non si fosse convinta, io sarei rimasto nell'ignoranza più assoluta e quella magnifica voce sarebbe rimasta sconosciuta perfino al mio cuore. Io dovevo sentirla, sentivo il bisogno di farlo ancora e ancora e ancora. Forse all'infinito. Chissà, magari l'avrei convinta a rifarlo, per me, in privato. Le avrei fatto cantare tutto il repertorio di Whitney Houston se fosse stato necessario. Tutto pur di toccare ancora quelle magnifiche note e sentire le stesse identiche emozioni avvolgenti.
Mai sentito nulla di simile in tutta la mia vita.. mai...

I look to you
I look to you 
After all my strengths is gone
In you I can be strong
I look to you (to you)
I look to you (you) ohh
And when melodies are gone (melodies are gone)
In you I hear a song
I look to you (Yeah)
I look to you
I look to you

La canzone finì qualche istante dopo, e lei chiuse gli occhi, quasi avesse paura di vedere la mia reazione: non che ci fosse molto da vedere comunque, dato che ero immobile, senza fiato e con il cuore ancora spedito a tutta velocità. Avrei faticato a trovare le parole adatte e forse perfino la forza per fare uscire la voce
"Mercedes..." mi si bloccò il respiro in gola infatti "Waw..." riuscii soltanto a dire, ancora scosso. Lei arrossì e spense con un gesto la cassa e la traccia successiva si arrestò di colpo
"Non esagerare... è stato.. accettabile.. decente... niente di che." sminuì lei, scrollando le spalle
"Credimi... gli aggettivi che avevo in mente io non hanno niente a che vedere con quelli che hai detto tu." le dissi, riuscendo finalmente a ritrovare la voce e la forza per sollevarmi dal letto. Lei fece una smorfia di disappunto
"Mmm... ho paura a chiedertelo." borbottò dondolandosi sui piedi. Mi alzai dal materasso e la raggiunsi, portando entrambe le mani sulle sue spalle
"Direi più che altro... incredibile... sensazionale... emozionante.. bravissima... da pelle d'oca!" esposi a parole - o perlomeno ci provai, anche se fu tutto molto riduttivo - cosa avevo provato in quei minuti di canzone e lei in un primo momento sembrò sinceramente contenta di questo. Sembrava anche sorpresa e quasi sul punto di crederci davvero. Poi però, quasi si fosse ricordata di qualcosa, cambiò decisamente umore
"Non sei affatto oggettivo. Lo dici perché mi vuoi bene e... poi senza offesa, Sam ma.. tu non ne capisci nulla di musica." mi disse, sollevando un sopracciglio. Scossi la testa, ostinato
"Non serve avere una casa discografica per capire certe cose. Basta... sentire. E quello che ho sentito.. mi è davvero piaciuto." le confessai in un soffio, accarezzandole morbidamente una guancia. Lei sembrò addolcirsi appena, mentre puntava gli occhi nei miei e si concedeva un altro istante per arrossire molto discretamente.
"Ti ringrazio." biascicò molto leggera, mordendosi un labbro. Le sollevai il mento con due dita e la costrinsi a guardarmi
"Chi è stato?" le domandai di getto, scrutando dentro i suoi occhi confusi "Chi ti ha fatto questo?"
Chi ti ha fatto perdere tutta l'autostima e la tua grinta e il tuo coraggio?...
"Un talent scout!" rispose proprio nel momento in cui credetti arrivasse a rifilarmi di nuovo le stesse parole che mi aveva detto al ristorante. Un talent scout?
"Quando?"
"Dopo il diploma. Lo incontrai durante dei corsi preparatori per l'università e lui mi disse che... ero ok ma che non avrei dovuto continuare a studiare perché non ci sarebbe stato niente per me lì fuori e la mia voce non era... niente di speciale." spiegò incupendosi
"Niente di.. speciale?" boccheggiai scioccato. Dico ma.. era sordo per caso?
"Già.. una delle tante, mi chiamò. Disse che non c'era la minima espressività, il minimo sentimento e che nessuna etichetta discografica mi avrebbe mai ingaggiato." gli occhi le si riempirono di lacrime, sotto il peso di quel ricordo che, a distanza di anni, faceva ancora male
"Mercedes..."
"Cosa avrei potuto fare? Lui era un pezzo grosso della musica ed io ero... una stupida ragazzina appena uscita dal rassicurante mondo liceale... per me tutto brillava e niente avrebbe potuto fermarmi. Rendersi finalmente conto di non poter... fare nulla di tutto ciò che avevo sempre sognato.. mi ha distrutta. Ho lentamente abbandonato tutto, perfino l'idea di iscrivermi all'università e ho... iniziato a lavorare in questa compagnia teatrale offrendomi come vocal coach ma con la specifica richiesta di non dovermi mai esibire. Mi avrebbe fatto troppo male sentire qualcun altro pronunciare le stesse parole di quell'uomo.. ancora una volta." si lasciò scappare una lacrima e poi un'altra. Alla terza non resistetti più: mi spinsi in avanti ed incollai le mie labbra alle sue, tanto era il desiderio di assaggiarle, tanta era la voglia di mettere fine a quel discorso insensato e forse un po' mettere a tacere la mia rabbia che premeva aggressiva per uscire, dato che ormai sapevo tutto, conoscevo il motivo che aveva spento la sua aurea e le aveva tolto tutto il coraggio. Se solo avessi potuto, avrei girato tutta l'America a piedi e avrei trovato quel bastardo, rovinandolo con le mie stesse mani.
Hai distrutto un talento magnifico.. hai tappato le ali ad una splendida aquila...
Staccai le nostre labbra, giusto per permettere ad entrambi di respirare e poggiai la fronte alla sua, cercando di controllare il respiro
"Tu devi volare in alto... non permettere mai a nessuno di decidere per te, Mercedes... sei tu la padrona del tuo destino e nel bene e nel male l'ultima parola spetta sempre e comunque a te." le afferrai le guance con entrambe le mani e la guardai attentamente negli occhi, così concentrati nei miei da provocarmi brividi su tutto il corpo, quasi stesse ancora cantando.
Qui c'è tutta l'espressività ed il sentimento del mondo... talent scout dei miei coglioni...
"Tu sei speciale, Mercedes Jones... devi solo rendertene conto." sussurrai per poi tornare a baciarla, sperando che i gesti e le emozioni parlassero per me e facessero capire meglio, ciò che nel mio cuore ancora si agitava intensamente.

New York City. Ore 09.40 A.M. 14 Maggio 2012 (Lunedì)

La prima cosa che avevo fatto, una volta ritornato a New York, ancor prima di disfare il mio bagaglio, era stato recuperare la mia preziosa agenda di contatti e fare un paio di telefonate. Mi sentivo elettrico, ancora sovra-eccitato per il week-end fuori porta e sapevo di avere una sorta di missione da portare a termine, il prima possibile. Quel Sabato avevo assistito all'esibizione pubblica del coro diretto da Mercedes, seduto in prima fila - su una poltrona che cigolava e puzzava di pop corn - accanto a lei. Beh... era stato un autentico disastro: nessuno andava a tempo con il resto del gruppo, tutti cercavano di emergere mettendo su una sorta di gara a chi riuscisse a gridare di più e tutto sotto lo sguardo sconcertato dei pochissimi spettatori coraggiosi che avevano pagato il biglietto. Uno di loro, seduto al mio fianco, mi aveva addirittura chiesto chi fosse il responsabile lì e a chi dovesse chiedere il rimborso per l'ingresso. Una disfatta in pratica, che però mi aveva ancora più convinto del fatto che bisognasse agire e che quello non era affatto il posto giusto per Mercedes. La sua vita fatta di accontentarsi e di nascondersi dietro ad un dito... finiva lì.
Ero seduto nel mio studio e stavo controllando la posta sul computer - maledizione, centosedici mail non lette in soli quattro giorni? Ma che diavolo, non sapevano fare a meno di me? - quando il mio Blackberry vibrò sul tavolo, avvertendomi dell'arrivo di un nuovo messaggio. Con un sorriso constatai che fosse Mercedes e che come immaginavo, neanche lei riusciva più a sopportare la mia lontananza
*Sei stato tu?*
Aggrottai la fronte, non capendo a cosa si riferisse
*A fare cosa?*
La sua risposta arrivò circa due secondi netti dopo
*Lo sai!*
Lo sapevo?
*Mmm... non credo di seguirti.*
Ancora pochi secondi di attesa, dopodiché capii finalmente di cosa stessimo parlando
*Sam! Maledizione è la Warner... cosa diavolo ti è saltato in mente!*
Cazzo.. l'avevano già chiamata? Lanciai un'occhiata all'orologio appeso alla parete che segnava quasi le dieci del mattino: avevo chiamato un paio dei miei contatti di quella etichetta per chiedere loro se fossero disponibili per dei provini straordinari e loro, neanche a farlo apposta, mi avevano detto di aver appena aperto una selezione femminile di cantanti. Era perfetto. Avevo dato il nome di Mercedes e i suoi contatti e avevo pregato loro di essere veloci. Preso in parola.. in poco meno di un'ora.
*L'ho fatto perché so quanto vali e devono saperlo anche loro!* risposi, digitando quelle parole con tutta la sincerità di cui ero capace e chiedendomi quale fosse la sua reale reazione. Si sarebbe nuovamente arrabbiata con me? Avrebbe dato di nuovo di matto? Quella volta dei semplici fiori sarebbero bastati? Il cellulare vibrò ancora, ma più a lungo, segno che non si trattasse di un semplice messaggio: accettai la chiamata ma, senza neanche riuscire a dire pronto o qualsiasi altra sillaba, la sua voce venne fuori secca ed infastidita:
"Non esiste. Non pensare minimamente che io mi presenti al provino!" sentenziò e la voce che tirò fuori fu esattamente la stessa che aveva usato durante la cena di Giovedì
Merda...
"Sì che lo farai.. anche perché ti ci porterò io personalmente, se fosse necessario." le dissi, tentando di risultare caparbio mentre il mio stomaco si stringeva ancora, colto da un'ondata di panico. Se avessimo ripreso a litigare, quella volta per telefono, non avrei retto. Ci fu una piccola pausa, durante la quale mi vennero in mente tanti scenari tragici, ma alla fine riprese a parlare
"Mi hai... raccomandata, per caso?" domandò, con un pizzico di esitazione nella voce
"Certo che no!" esclamai con convinzione "Non sopporto questo tipo di cose. Sono uno che si è fatto da solo e pretendo che anche tu faccia lo stesso. Ho semplicemente chiesto un favore ad un amico e sei stata inserita in lista per un provino.. come tutti." le spiegai ed in effetti ero sincero: non avevo raccomandato nessuno, anche se forse ne avrei avuto perfino la facoltà. Ma no, quelle cose non mi piacevano e immaginavo non sarebbero piaciute neanche a lei
"E cosa diavolo pensi che abbia più degli altri?" domandò seccata, quasi in tono di sfida
"Il talento, Mercedes!" esclamai di getto, alzando un po' la voce per farle entrare meglio in testa il concetto. Glielo avrei ripetuto all'infinito se questo fosse servito a qualcosa. Avvertii un piccolo lamento dall'altro lato del telefono, quasi di esasperazione
"Sam..."
"Ascolta... nonostante il vino che avevo in corpo e i freni inibitori allentati.. l'altra sera ti ho sentita bene. Eri.. da togliere il fiato, Mercedes. E non lo dico perché sono il tuo ragazzo o perché ci tengo a te... lo dico perché è così, perché conosco abbastanza il mondo della discografia e dello spettacolo e credo che tu possa aspirare a qualcosa di meglio di uno stupido coro di viziati senza talento." dissi tutto d'un fiato, iniziando a misurare a grandi passi la stanza, incapace di stare fermo. L'adrenalina era davvero difficile da gestire, soprattutto a distanza, soprattutto non potendola guardare negli occhi per cercare di rassicurarla. Dovevo farlo a parole e sperare di riuscire a trasmetterle tutto quello che sentivo. Avvertii un lunghissimo sospiro uscirle dalla bocca e per un momento sentii di esserci quasi riuscito. Forse... non era poi così irrecuperabile quella situazione
"Vai a quel provino, Mercedes.. dimostra a tutti quanto vali, prenditi le tue rivincite e splendi.. splendi come la stella più luminosa del firmamento.. perché è questo quello che sei, piccola.. una stella!" mi aggrappai all'ultimo tentativo, stringendo forte il telefono in mano e pregando il Cielo di essere ascoltato. Sentii un movimento strano e un altro leggero lamento, quasi soffocato
"Mmm... maledetto.. hai finito di farmi piangere?" borbottò con la voce strisciata. Ridacchiai, mentre dentro di me, stomaco e milza ballavano il limbo con l'intestino
Sì... sì... sì... ce l'ho fatta...
"E se serve un altro motivo per convincerti.. beh.. pensa che, mollando quello stupido coro ed ottenendo un ingaggio alla Warner, potrai stare più tempo qui a New York.. con me." mi concessi un po' di ironia per farla ridere e per mia fortuna ci riuscii. E la sua risata era così bella nonostante fosse chiaramente disturbata dalle lacrime e forse perfino quelle si stavano trasformando lentamente in qualcosa di più simile alla gioia che ad altro.
"E già questo basterebbe per farmi dire di sì!" esclamò tra le risate. Mi lasciai andare ad un sospiro, poggiando la schiena alla vetrata del mio ufficio
"Deduco di esserci riuscito." mormorai soddisfatto, cercando di trattenere l'entusiasmo, altrimenti mi sarei messo a saltellare per la stanza, e non era affatto un atteggiamento professionale da parte mia
"Non del tutto." rispose, ma dal suo tono leggero e divertito, intuii che qualcosa nel suo atteggiamento fosse cambiato, che fosse perlomeno disposta a.. provare. Sospirai, con lo stomaco che si alleggeriva per il sollievo
"Mmm... bastano trenta rose?" proposi lanciando un'occhiata al panorama che si intravedeva dalla vetrata: grattacieli su grattacieli su altri grattacieli. Un po' monotono ma davvero suggestivo. Mercedes ridacchiò, forse pensando a quelle che ancora aveva nella sua camera d'albergo e per le quali un ambulante indiano si era guadagnato cento dollari di troppo.
Cento dollari spesi benissimo, direi...
"Questa volta penso che ne basti anche una sola." risposi e dalla sua voce distesa, immaginai ci fosse un bel sorriso a fare da contorno al suo magnifico viso. Sospirai ancora, con la voglia matta di rivederla di nuovo, di poterla abbracciare, baciare e sentire cantare all'infinito. Anche se fosse stato solo ed esclusivamente per me.
"Sam?" mi chiamò qualche istante dopo
"Sì?"
"Domani sera sono a New York!" esclamò decisa, sorprendendomi
"E.. il coro?" domandai, sapendo perfettamente che avessero altre due esibizioni da fare - una a San Francisco ed un'altra a Sacramento - prima di tornare a casa
"Al diavolo.. ci pensasse quella stupida di Rose a mandarlo avanti, visto che è la più brava di tutti!" borbottò divertita ed io scoppiai a ridere istintivamente. Bene... molto di più di quanto mi sarei mai aspettato.
"Saggia decisione." confermai contento
"Mi vieni a prendere tu?" mi domandò esitante
"Ma certo.. fammi sapere l'ora e il gate e... ti aspetterò!" acconsentii di getto, senza neanche controllare l'agenda degli appuntamenti che sembrava ammonirmi dalla scrivania. Al diavolo il lavoro... lei veniva prima di tutto. 
"Grazie." mormorò in un soffio che mi fece ancora una volta tremare "E non solo per domani.. per tutto!"
Grazie a te... grazie per non aver rinunciato, grazie per non esserti arresa, grazie per esserti fidata di me, grazie per avere ancora la forza di lottare...
"Ti aspetto all'aeroporto, allora.. io sarò quello con la rosa rossa in mano!" le ricordai sorridendo emozionato
e facendola ancora ridacchiare
"Ed io quella che ti correrà incontro e ti bacerà con passione davanti a tutti." ribatté con entusiasmo e a quel punto, non seppi se lo pensai soltanto o se lo dissi ad alta voce, ma nella mia testa si formulò un unico chiaro pensiero:
"Non vedo l'ora!"


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Capitolo 48
*** Epilogo n°6 ***


Buonasera a tutti e buon Seniel day ^_^ ok, mi sono presa la libertà di battezzare questo giorno in questo modo è che.. mi sento troppo emozionata e sì insomma.. avevo già detto quanto fosse importante questa coppia per me *__* dunque... non so esattamente come, ma in meno di tre giorni sono riuscita a scrivere ben 30 PAGINE (no, non scherzo XD) mi sentivo ispirata e a fatica ho messo il punto alla fine. Diciamo che, stranamente, questa volta è venuto fuori qualcosa che era esattamente come avevo immaginato che fosse. Sono tipo tre mesi che mi frulla in mente questa idea e alla fine mi fa uno strano effetto vederla realizzata. Beh, voglio lasciarvi alla lettura premettendo solo una cosa: c'è un mix perfetto di amore allo stato puro e... un altro sentimento che non vi anticipo ma che per poco non mi ha causato un mezzo coccolone.. ç___ç vi prego solo di non dare di matto e provare a non odiarmi troppo. Aspetto con ansia le vostre impressioni (sperando che riusciate ad arrivare vivi alla fine XD) e... ancora una volta grazie per tutto. Vi amo tanto tanto.. dal profondo del cuore. Buona lettura... il prossimo epilogo sarà quello Tike (perché, vi chiederete voi.. sono una coppia? XD) e penso se ne parlerà Sabato prossimo. Ciaoooooooo <3
p.s. Non serve neanche specificarlo.. questo epilogo è dedicato a te.. con tutto l'amore del mondo Dan mio :* grazie anche per questa meravigliosa immagine che è stata la prima fra tutte e che è appesa sul mio armadio, custodita con estrema gelosia
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°6
Sebastian & Daniel
"Fino all'ultimo respiro"




New York City. Ore 06.47 P.M. 28 maggio 2012 (Lunedì)

In venticinque anni della mia vita, potevo dire di aver fatto tante, tantissime cazzate, molte delle quali ancora si ripercuotevano sulla mia vita - ad esempio il non aver ancora mandato a fanculo mio padre, che rimaneva uno dei miei più grandi rimpianti. Avevo un carattere di merda che molte volte mi impediva di ragionare razionalmente, e avevo un orgoglio ancora più ingombrante che non mi permetteva neppure di rendermi conto in tempo dei miei sbagli per porvi rimedio. Avevo cercato più volte di cambiare, di provare perlomeno ad andare con i piedi di piombo in certe occasioni, ma mi ero presto reso conto che non fosse la stessa cosa; perché in fondo, nonostante fossi consapevole di correre il rischio di sbagliare, molte volte lo facevo intenzionalmente, perché accanto al mio orgoglio, vi era una testardaggine che faceva da padrone, a volte perfino spaventandomi.
"Signor Smythe?" la voce esitante ma professionale di un uomo elegantemente vestito riuscì a riscuotermi da quel momentaneo stato di trance in cui mi ero infilato senza neanche accorgermene e subito tentai di assumere un'espressione più adatta al momento. Gli rivolsi un breve sorriso e allungai la mano per stringere quella che lui mi porgeva
"Mi scuso se l'ho fatta attendere... prego, mi segua." e mi fece strada attraverso una porta semi-nascosta fino ad arrivare ad una stanza, abbastanza piccola, dominata per la maggior parte da una grande scrivania particolarmente elegante, un paio di piante chiaramente finte come ornamento e una cassaforte schiacciata in un angolo, che dava l'idea di contenere parecchie cose di valore.
E data l'importanza del negozio, credo sia il minimo...
"Prego, si accomodi." mi invitò facendomi segno verso una delle due poltrone vuote poste davanti alla scrivania ed io mi ci accomodai ringraziandolo. L'uomo, dopo un breve sorriso cordiale, si avvicinò alla cassaforte e dopo aver digitato un breve codice numerico, l'aprì e ne tirò fuori un piccolo cofanetto nero che portò con sé alla scrivania, alla quale si accomodò
"Dunque, signor Smythe... mi ritengo particolarmente soddisfatto del mio lavoro e credo di aver interpretato al meglio la sua richiesta." annunciò visibilmente fiero. Poggiò la scatolina al centro della scrivania e mi fece un gesto, come un invito. Io, con lo stomaco stretto per l'ansia, presi un profondo respiro prima di allungare la mano e afferrarla. Me la rigirai un po' tra le mani, dopodiché la soppesai per alcuni istanti, trovandola particolarmente pesante nonostante fosse così piccola e alla fine, con le mani che tremavano appena, l'aprii.
In quei giorni nella mia mente, mi ero prefigurato più di una volta quel preciso momento: io, che seduto alla sedia dello studio privato di un noto orefice di New York, esaminavo con trepidazione l'oggetto che poi mi sarebbe servito in seguito per compiere la mia cazzata. E alla fine avvenne davvero, perché davanti ai miei occhi si materializzò la perfetta riproduzione dell'anello che avevo chiesto di creare, così reale e splendente, da fare quasi paura. Il respiro mi tremò appena per qualche secondo, tanto che temetti seriamente di essere sul punto di sentirmi male oppure, peggio, di scoppiare in lacrime. E Sebastian Smythe non piange mai, neanche per certe cose.
"Lo prenda pure... lo guardi con più attenzione. In questi giorni mi ci sono dedicato personalmente... la reputo una piccola opera d'arte, modestamente!" si vantò l'uomo, completamente ignaro della tempesta emotiva che stava avendo luogo dentro di me. Una parte gridava ossessivamente di dare retta all'orefice, afferrare quell'anello e guardarlo più da vicino; l'altra, quella coscienziosa e stronza, mi sussurrava in maniera suadente di lasciar perdere e di lasciare certe smancerie ai protagonisti delle soap operas, perché io con certe cose, non avevo nulla a che fare. Eppure, nonostante la risata di questo Sebastian mi risuonasse prepotentemente nelle orecchie, diedi retta al mio cuore innamorato e arrendevole, tanto che con le dita sfilai quella piccola fascetta dalla sua custodia e me la portai più vicina: era sottile, particolarmente discreta, oro bianco satinato e un piccolissimo diamantino incastonato su un lato che brillava alla luce artificiale della stanza. Era bellissimo, esattamente come me lo ero immaginato da più di un mese. Con un mezzo sorriso, me lo rigirai tra le dita, facendo molta attenzione a non rovinarlo, fino a che non trovai ciò che cercavo: l'incisione all'interno della fascetta riportava un nome e otto numeri in fila... Sebastian 29.05.2010. La data del nostro anniversario, il secondo di tanti a venire.
"Allora... è soddisfatto di come è venuto?" mi domandò l'orefice, impaziente. Finalmente, rilassandomi un po' sulla mia sedia gli rivolsi un sorriso sincero e perfino lui parve sospirare
"Assolutamente. Ha fatto un ottimo lavoro, signor Gray... davvero ottimo." mi congratulai, riponendo l'anello nella confezione per tenerlo al sicuro. L'uomo ridacchiò, arrossendo appena sulle guance coperte dalla barba bianca
"Mi rende sempre euforico sapere che il mio lavoro viene apprezzato da un cliente. Nel suo caso posso perfino dire di esserne lusingato, signor Smythe. So quanto fosse importante per lei ed è proprio per questo che mi ci sono impegnato tanto." spiegò sciogliendo un po' di quella freddezza iniziale che si era creata tra di noi. Gli sorrisi ancora
"Non ne avevo dubbi... sapevo di andare sul sicuro con lei." risposi soddisfatto e lui arrossì ancora. Era un uomo anziano, forse aveva perfino superato l'età della pensione, eppure continuava a fare il suo lavoro e continuava a farlo nel migliore dei modi.
Dopo qualche altro complimento, ci occupammo della parte finanziaria ed io gli consegnai l'ultima parte dei soldi che avevamo pattuito all'inizio, con una piccola aggiunta per l'ottimo lavoro e soprattutto per la celerità con cui aveva eseguito la commissione; lui, dopo un primo rifiuto e tanto imbarazzo alla fine aveva accettato ringraziandomi senza sosta e facendomi perfino un mezzo inchino. Dopodiché, accompagnandomi personalmente fino alla porta del negozio, mi aveva salutato calorosamente e mi aveva detto
"Un anello del genere merita una persona speciale. Spero vivamente che il suo compagno apprezzi il gesto." e ci congedammo. Io, con la mia scatolina di velluto al sicuro nella tasca interna della giacca, mi chiesi come avesse potuto capire che quell'anello fosse per un uomo dato che a parte il mio nome inciso dentro, non c'erano altri indizi ed io non ne avevo mai parlato. Probabilmente il suo era istinto o forse... quello che stavo per fare era talmente tanto chiaro che perfino agli occhi esterni di un'orefice di settant'anni diventava semplice da intuire.

New York City. Ore 05.17 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

Alla fine, contro ogni scommessa, il 29 Maggio era arrivato ed io avevo addosso più ansia di quanta immaginavo di averne. Non ero mai stato un tipo che si lasciava comandare dall'agitazione, anzi: avevo affrontato senza problemi il diploma e la laurea mentre i miei coetanei si lasciavano rodere dalla preoccupazione rischiando quasi di farsi venire veri e propri attacchi di panico. Generalmente avevo un modo di fare troppo strafottente e forse per questo non mi preoccupavo in maniera eccessiva, però... quella mattina era tutto diverso. Quella mattina, volente o nolente, sarebbe cambiato tutto. E ancora non me ne ero reso veramente conto.
Con la coda dell'occhio guardai la radiosveglia sul comodino e con un leggero lamento mi resi conto che fossero ancora le cinque e diciassette del mattino e che mancasse più di mezz'ora al suono della sveglia. Il tempo, quando l'ansia aumenta, diventa inesorabile e rende il tutto più difficile da sopportare. Mi agitai tra le coperte, girandomi su un lato e schiacciai il viso sul cuscino. Da quella posizione la visuale era a dir poco perfetta: Daniel mi dormiva accanto, con la guancia posata sul suo cuscino a meno di dieci centimetri da me, il respiro regolare e leggero e i capelli biondi, sconvolti dal sonno. Era rilassante guardarlo dormire soprattutto perché sembrava così innocente e sereno ed era l'ideale per poter calmare il mio stomaco agitato; mi avvicinai appena, sfiorandogli una gamba con il ginocchio e lui si mosse, borbottando qualcosa ma continuò a dormire beato, strappandomi perfino un sorriso. In quelle circostanze, quando potevo concedermi di osservarlo senza essere disturbato, mi rendevo veramente conto di quanto fortunato fossi a potermi permettere di chiamarlo.. mio. Sarei stato capace di rendere onore a tutta quella meraviglia o come al solito avrei rovinato tutto? La cosa peggiore era il credere che fosse la scelta più giusta per entrambi e quindi sarebbe stata una doppia sconfitta scoprire che mi fossi sbagliato e che avessi compiuto un passo più lungo della mia stessa gamba.
Maledizione.. sono capace di farmi venire un attacco di panico da solo, perfino nel letto...
Alle cinque e ventuno successe qualcosa: Daniel emise un lunghissimo sospiro, si mosse leggermente e infine sulle sue labbra si stese un sorriso, uno di quelli che avrebbe potuto fare solo da sveglio e che mi fece bloccare il cuore per qualche istante
"Mmm.. ti piace quello che vedi?" la sua domanda fu sussurrata in tono talmente tanto sottile da sfuggire a qualsiasi tipo di orecchio, anche ai più esperti, ma non a me. Io lo conoscevo troppo bene e poi ero talmente tanto vicino che ne ero perfino riuscito a leggerne il labiale
"Assolutamente!" esclamai in risposta, sorridendo a mia volta e avvicinandomi appena. Lui ridacchiò, mentre poggiavo la mano sul fianco e lo attiravo più a me. Si stiracchiò appena, allungando un po' le gambe e intrecciandole alle mie subito dopo, per poi aprire lentamente gli occhi. Esattamente come era successo la prima volta che ci eravamo incontrati, la vista di quelle iridi chiarissime e limpidissime mi fece perdere un paio di respiri e lo stomaco mi si strinse di nuovo in una morsa, che quella volta non aveva niente a che vedere con l'ansia. Era lui che mi faceva quell'effetto, era l'emozione di averlo così vicino, la soddisfazione di sapere che fosse l'unico al mondo ad essere così speciale per me e che fosse nel mio stesso letto, nella mia vita e nel mio cuore. E con quella bella sensazione di calore che mi riscaldava il petto, gli rivolsi un altro sorriso
"Buongiorno!" mormorai mentre con la punta delle dita accarezzavo la sua pelle del fianco, sotto la maglietta del pigiama. Espirò lentamente, sorridendomi a sua volta
"Buongiorno a te!" rispose, colto da un leggero brivido, forse a causa delle mie carezze. Si sporse leggermente per passare la punta del naso lungo tutto il mio collo e quella volta il brivido colse in pieno me, facendomi sospirare
"Mancano ancora.." iniziò con calma, per poi sporgersi verso il comodino e controllare l'orologio "Ventinove minuti al suono della sveglia e tu.. hai già gli occhi aperti!" constatò sorpreso, ma anche parecchio compiaciuto
"Anche tu se è per questo." risposi, affondando la mano sempre più in profondità, percorrendogli la base della schiena e beandomi di quel calore corporeo che riusciva a mandarmi in estasi
"Touché!" esclamò ridacchiando "Forse perché non vedevo l'ora di fare questo." e si avvicinò, portando una mano sulla mia nuca e finalmente fece incontrare le nostre labbra: all'inizio fu un semplice sfiorarsi timido e assonnato che si trasformò in un lento assaporarsi a vicenda e che divenne sempre più profondo ed intimo. Dio, quanto erano belle quelle labbra.. così morbide, così delicate e con quella consistenza meravigliosa che riusciva come al solito a togliermi la ragione con pochissimo. Ma quello che senza ombra di dubbio rischiava di farmi seriamente impazzire, era il suo sapore. Era unico al mondo, era avvolgente, era appagante, era stimolante, era... tremendamente e fottutamente eccitante. In vita mia ne avevo baciati tanti - e non me ne vantavo di certo a quel punto - ma nessuno riusciva neanche lontanamente ad avvicinarsi al sapore del mio Daniel. Forse perché era lui ad essere speciale, era lui a non essere paragonabile a tutti gli altri. Lui rappresentava quel qualcosa di unico e raro ed io avevo avuto il privilegio di guadagnarmelo e tenermelo stretto. Speravo soltanto che, con quello che stavo per fare, avrei accresciuto e fortificato quell'unione senza rovinare tutto, come invece temevo disperatamente di fare.
Ci staccammo qualche istante dopo - troppo presto, decisamente troppo presto - e la sua mano scivolò morbidamente tra i miei capelli, tirandoli appena ma senza provocarmi nessun dolore. Ciò che in quel momento però aveva ottenuto tutta la mia attenzione, erano i suoi meravigliosi occhi, magnetici e liquidi, così pieni di emozioni che sarebbero state troppo difficili da spiegare a parole. Sapevo solo che in un oceano così, sarei anche potuto annegare e lo avrei fatto senza alcun problema perché sarebbe stato essenzialmente un bel modo per andarsene.
Vorresti legare a te questa sensazione per il resto della vita?...
Mi sorrise ancora, mentre un'emozione nuova gli colorava gli occhi e li accendeva maggiormente, dopodiché finalmente riuscì a parlare
"Buon anniversario, Sebasatian!" mi augurò, sfiorandomi il labbro inferiore con la sua bocca e facendomi tremare.
Anniversario... anniversario... anniversario...
"Mmmm buon anniversario anche a te, piccolo!" risposi, reso quasi sordo dal rumore del mio stesso battito nelle orecchie e da un leggero fischio prolungato che non mi fece capire nulla. Seppi solo di essermi sporto nuovamente verso di lui e di essermi perso ancora, avvolto nel suo sapore, accarezzato dalle sue labbra e coccolato dalle sue mani che continuavano ad intrufolarsi nei miei capelli, sconvolgendoli. Mi sentivo una sorta di assetato mentre spingevo languidamente la lingua nella sua bocca, alla ricerca disperata della sua; uno di quelli che, dopo giorni e giorni di digiuno forzato, finalmente ritrovano il sostentamento, e lui era lì.. caldo e solido accanto a me, attorno a me, ed era come se avessi appena ritrovato la mia oasi felice in mezzo a tutto quel deserto arido. Daniel parve accorgersi che qualcosa mi stesse tormentando, perché con molta delicatezza si discostò da me e mi posò la mano libera sulla guancia, che accarezzò lentamente
"Quanto entusiasmo. Se questo è l'effetto che ti fa... potremmo festeggiare qualcosa ogni giorno!" ridacchiò, continuando ad accarezzarmi e lasciandosi cogliere da un altro brivido, mentre io continuavo ad sfiorargli la schiena ampia e rilassata da sotto il tessuto della maglia. Poi con un piccolo sorriso beato e ancora leggermente assonnato, fece scendere la mano fino al petto e lì la bloccò, all'altezza del cuore, quasi volesse controllare, contarne i battiti e assicurarsi personalmente che stessi davvero bene. Era davvero preoccupato in un certo senso, perché in fondo mi conosceva davvero bene e sapeva che quando qualcosa mi turbava, diventavo smanioso e irrequieto. E sapeva anche di avere il potere di calmarmi, anche con poco, un solo sguardo, una carezza, magari una parola sussurrata e tutto andava meglio. Forse però quel giorno ce ne sarebbero volute un bel po' di parole per mettere pace alla guerra che mi stava tormentando all'interno. E, ovviamente... riuscì a comprendere anche quello.
"Mmm... stavo pensando..." iniziò allungandosi un po' fino a posare le labbra sulla linea ultra sensibile del mio collo e lì respirare più profondamente. Mandai giù una manciata di saliva, mentre il mio corpo rispondeva di conseguenza a quel contatto così intimo e sensuale
"Mmm?"
"Dato che ci avanza questa mezz'ora imprevista... potremmo provare a... riempirla in qualche modo, che dici?" mi chiese, risalendo lentamente con le labbra lungo la mascella, fino a poggiarle morbidamente a qualche millimetro di distanza dalle mie. Respirai forte, riaprendo gli occhi, che non mi ero accorto di aver chiuso, e per un istante, un solo misero istante, mi ritrovai a chiedermi se non fosse quello il momento giusto. In fondo bastava allungare il braccio verso il comodino, recuperare la scatoletta di velluto che l'orefice mi aveva consegnato il giorno prima e mettergliela davanti, magari provando a mettere su un sorriso decente, nonostante l'agitazione alle stelle, e infine... tirare fuori finalmente quello che da più di un mese mi rivoltava il cervello.
Eppure... preferii evitare, prima di tutto perché volevo avere ancora un momento per pensare a come organizzare il discorso, ma poi... sì insomma.. lui mi aveva appena offerto un buon modo per distrarmi e festeggiare e chi ero io per deludere un ragazzo così splendido il giorno del suo secondo anniversario?

New York City. Ore 07.45 A.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

Dopo esserci concessi quel momento di intimità - che di mattina, chissà come, acquistava sempre un fascino diverso - ed esserci fatti a turno una doccia - benché io avessi provato a convincerlo a condividerla, con scarso risultato - ci ritrovammo seduti al tavolo della cucina a fare colazione. O meglio... lui faceva colazione, io mi limitavo a sbriciolare l'estremità di un cornetto ripieno alla crema, con lo stomaco chiuso in sciopero per protesta. La situazione dentro di me non era affatto mutata, nonostante la piacevole liberazione data dal recente orgasmo: ero ancora un fascio di nervi tesi, mi faceva male qualsiasi cosa, continuavo ad arrovellarmi in cerca delle parole giuste ma anche di quelle sbagliate per evitare così di utilizzarle quando fosse stato opportuno. Mi domandavo quanto potesse essere difficile compiere un gesto del genere per uno come me, un gesto tanto diverso dal mio modo di agire e di pensare, un gesto che, al Sebastian di qualche anno prima, avrebbe causato un attacco acuto di disgusto. Ora però volevo farlo, a tutti i costi, sentivo di averne bisogno, sentivo di voler fare un altro passo verso di lui, volevo legarlo ancora più a me così da non permettergli di scappare mai. Era egoistico come discorso, me ne rendevo conto, ma in fondo l'amore era anche quello ed io mi distruggevo di amore per Daniel.
Mi ritrovai a fissarlo, a seguirne in movimenti mentre girava il cucchiaino nella tazza del latte e controllava le mail dal tablet: era così concentrato, con quella smorfia pensierosa ed assorta, quella piccola ruga in mezzo alla fronte e parte del labbro inferiore stretto tra i denti; quello era un gesto che Daniel compiva spesso, la maggior parte delle volte senza neanche pensarci, e che era capace di mandarmi in panne il cervello. Più di una volta lo avevo pregato di trattenersi perché vederlo così scatenava in me delle reazioni avventate, ma lui mi aveva sempre sorriso maliziosamente e, di conseguenza, ignorato del tutto. In quel momento, nonostante si stesse mordendo il labbro e fosse tremendamente sexy, riuscii a contenermi perfino dal riprenderlo, perché avevo altro per la testa e proprio non ce la facevo ad essere il solito Sebastian disinvolto di sempre, non con quello che mi portavo dentro né con il peso della scatolina di velluto nella tasca interna della giacca.
All'improvviso, dopo aver messo da parte il tablet con una smorfia, si girò verso di me e mi sorrise, facendomi arrossire
"A cosa stai pensando?" mi domandò, portandosi alla bocca la tazza del latte e continuando a guardarmi, con i suoi occhioni grandi ed espressivi
A cosa sto pensando? A tutto e a niente... a tutto quello che potrebbe succedere dopo oggi, a tutto quello che cambierà, a tutto quello che dovremmo affrontare... a niente sarà più come prima, a niente rimpianti, a niente può farmi cambiare idea a questo punto...
"A te!" risposi in un soffio, e in effetti era vero: la maggior parte dei miei pensieri erano rivolti a lui, soprattutto in quegli ultimi giorni. La tazza si abbassò lentamente e da dietro sbucò un sorriso emozionato e anche leggermente lusingato. Si morse di nuovo il labbro, sempre nello stesso punto - aveva anche un lato preferito, ovviamente - ed io fui attraversato interamente da un lungo fremito, che riuscii a trattenere arpionandomi al bordo del tavolo. Quella volta parve accorgersene, perché liberò il labbro dalla stretta, sorrise colpevole ed arrossì appena, dopodiché abbandonò la sua sedia per raggiungermi, sedersi sulle mie e congiungere le nostre labbra. Rimasi per qualche istante spiazzato, mentre la sua bocca iniziava a muoversi morbidamente sulla mia, ma mi adattai poco dopo, lasciandomi scappare un sospiro frustrato e leggermente disperato, mentre gli circondavo la vita con un braccio e stringevo forte. Ultimamente succedeva una cosa strana quando eravamo assieme, soprattutto nei momenti con quello: più lo avevo vicino e più volevo che si avvicinasse ancora, quasi che si fondesse con me ed era stupido perché era davvero impossibile fondere due corpi solidi ma... il desiderio per lui era talmente tanto - e non mi riferivo solo a quello fisico - da rendermi pazzo. Stringevo forte di notte quando mi abbracciava per dormire - "Ahia, Sebastian... mi lascerai i lividi così!" - stringevo forte la sua mano quando me la prendeva, magari mentre eravamo seduti sul divano a guardare la tv, o quando eravamo in macchina; stringevo forte la sua pelle mentre facevamo l'amore e benché lui la prendesse sempre come un'azione dettata dalla passione del momento, c'era un altro motivo dietro tutto quello. C'era la disperata voglia di averlo, in ogni senso possibile, in ogni forma, in ogni momento della mia vita. Iniziavo scioccamente a sentirmi male se per caso in un'intera giornata non ci vedevamo spesso o se non ricevevo almeno un suo messaggio ogni mezz'ora. Non era ossessione la mia né tanto meno gelosia o roba del genere... era semplice amore... soffocante, avvolgente, totalizzante amore. Che mi consumava ma allo stesso tempo mi dava la forza per alzarmi ogni mattina e per affrontare il mondo.
Ed è esattamente quello che voglio fare per i prossimi anni a venire... finché morte non ci separi...
"Mmm... maledizione.. avrei voluto aspettare fino a questa sera a cena ma... non riesco!" esclamò tra il frustrato e il divertito, facendo scivolare la mano sulla mia nuca con molta attenzione per non rovinarmi la piega dei capelli. Sollevai un sopracciglio, confuso
"Non riesci... a fare... cosa?" domandai e quella curiosità da parte mia bastò a farlo capitolare del tutto. Si aprì in un sorriso radioso e brillante che mi ricordò tanto l'innocenza e la purezza di un bambino, dopodiché scivolò giù dalle mie gambe e corse via in salotto per poi riapparire qualche secondo dopo con una busta tra le mani
"Questo.." annunciò elettrizzato, allungando la busta bianca vero di me "É il mio regalo per te per il nostro anniversario. Tanti auguri, amore mio!". Quella che gli lessi in viso era autentica trepidazione e infatti mi sembrò perfino di vederlo tremare leggermente con le mani attorno a quella busta bianca. Con un sospiro leggero, allungai la mano per afferrarla e prima di aprirla l'analizzai brevemente: era piatta e lunga, molto simile a quelle buste usate per spedire le bollette solo che quella era anonima e soprattutto non sigillata. Dal lembo appena rialzato estrassi due cartoncini di poco spessore che mi fecero accigliare: nella mia vita avevo viaggiato molto, soprattutto fuori dagli Stati Uniti e pertanto sapevo perfettamente riconoscere un biglietto aereo quando ne vedevo uno e quelli erano proprio biglietti aerei a nome di Sebastian Smythe e Daniel Philips. Li controllai per bene e scoprii fossero della business class, che la partenza fosse fissata dopo circa un mese ad un orario improponibile della notte e che la destinazione fosse...
"Polinesia?" domandai con un sorriso sorpreso, sollevando gli occhi. Lui arrossì immediatamente e si strinse nelle spalle
"Il ragazzo dell'agenzia me l'ha consigliata caldamente... ha detto che in questo periodo è fantastica e che è stata classificata come uno dei pochi paradisi terrestri rimasti ancora incontaminati. É anche riuscito a trovare un volo abbastanza economico solo che siamo costretti a partire alle due e trentasei della notte per atterrare alle ventuno del giorno successivo e fare scalo a... mmm... Sydney mi pare. Sarà una specie di tour de force ma... a quanto pare ne vale la pena e... sì insomma.. credo che dopo tutto questo stress, il lavoro, il caos di questa maledetta città, i problemi con i tuoi genitori e.. tutto il resto.. penso che ce lo siamo ampiamente meritati!" e mi sorrise incoraggiante, quasi avesse paura che da un momento all'altro potessi alzarmi e fare a pezzi quei preziosi biglietti che dovevano essergli costati parecchio.
Polinesia... paradiso terrestre... stress.. lavoro.. problemi con i miei... ce lo siamo meritati...
Inconsapevolmente mi ritrovai a ridacchiare perché quello doveva proprio essere una specie di scherzo del destino oppure la dimostrazione tangibile che forse quello che stavo per fare non era tanto avventato o stupido. Forse quel viaggio era capitato davvero al momento giusto.
Posai i biglietti sul tavolo e mi alzai in piedi, mentre lui continuava a tormentarsi il labbro inferiore; portai una mano sulla sua guancia e glielo liberai con il pollice - stavo perdendo la ragione per colpa di quel gesto - e mi concessi qualche istante per perdermi nella profondità di quegli occhi chiari, che erano ancora più belli del solito. Dopodiché mi piegai leggermente per sfiorargli le labbra con le mie e sorridergli
"É magnifico, Dan... grazie mille!" sussurrai e finalmente l'agitazione che lo avvolgeva parve dissolversi e si sciolse anche lui in un sorriso felice
"Non sono mai stato in un posto tanto bello... e soprattutto.. io e te non ci siamo ancora concessi una vacanza insieme. Direi che è arrivato il momento opportuno per mandare tutti al diavolo e partire!" mormorò divertito, allacciandomi le braccia al collo e facendomi ridacchiare
Non hai neanche idea di quanto tu abbia ragione...
Mi sporsi appena per incastrare il viso nell'incavo del suo collo e lì mi misi a respirare lentamente, facendo scorta del suo profumo mentre una strana adrenalina piacevole mi avvolgeva lo stomaco, quasi anestetizzandolo dal dolore. Iniziavo a convincermi del fatto che fossi pronto, che non esistesse un momento migliore di quello e che, se ci avessi pensato ancora, avrei perso l'occasione e mandato tutto al diavolo. Quindi dovevo farlo, in quel preciso istante, con ancora quella bella emozione addosso, buttandomi semplicemente.
"Mmm... ti amo tanto.." soffiò lui direttamente nel mio orecchio, facendomi sospirare
Sì... è decisamente il momento...
Feci scivolare una mano nella tasca della giacca, mentre con le labbra percorrevo il profilo della sua mascella e continuavo a respirare sulla sua pelle morbida, ad occhi chiusi e con il cuore palpitante nel petto. Estrassi la scatolina dalla giacca e mi discostai un po' da lui per guardarlo negli occhi. Mi sorrise ancora, rimanendo in silenzio, completamente ignaro di ciò che sarebbe successo tra qualche istante. Presi un profondissimo respiro, dopodiché finalmente diedi voce al mio assillante pensiero
"É da.. circa un mese che ci penso e ogni giorno... mi chiedo se sia o meno la scelta giusta, se non sia troppo avventato o stupido o semplicemente... ridicolo da parte mia. Però... non riesco a fare a meno di... volerti.. volerti al mio fianco, nella mia vita.. per sempre e a questo punto... questo.. mi sembra l'unico modo!" lasciai che le parole accavallate e confuse mi uscissero dalla bocca, senza alcun apparente senso logico ma in fondo sarebbe stato ugualmente complicato cercare di decifrare cosa stava avvenendo dentro di me, quindi era già tanto se fossi riuscito a tirare fuori parole di lingua corretta. Il suo sguardo si fece immediatamente curioso e fu sul punto di dire qualcosa, forse rispondermi, forse semplicemente rassicurarmi come era solito fare - e dire che quello più forte tra i due, avrei dovuto essere io - ma non gliene diedi modo perché sollevai la scatolina e la portai in mezzo a noi. I suoi occhi si allargarono immediatamente e chissà per quale motivo il suo bel sorriso si spense all'istante. In quel momento, forse per l'agitazione, o il tremore, o il mio fottutissimo orgoglio, non ci diedi neanche troppo peso. Mi limitai a fare un altro lungo respiro incerto per poi aprire il coperchio della scatolina e finalmente... chiedere...
"Daniel... mi vuoi sposare?"

NewYork City. Ore 07.23 P.M. 29 Maggio 2012 (Martedì)

"Ciao sono Daniel.. in questo momento non posso rispondere, ma puoi tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
"Daniel, per l'amor del Cielo vuoi rispondere a questo cazzo di telefono? Io... credo di essere sul punto di impazzire e ho bisogno di sapere cosa ti passa per la testa... perciò, ti prego... chiamami. Ora!" e misi giù, lanciando il cellulare sul divano per l'esasperazione. Era un incubo... un fottutissimo incubo da cui mi sarei risvegliato a momenti, bastava soltanto aspettare il suono della sveglia e magari...
Drin drin
Come se fossi stato punto da qualcosa scattai verso la porta per aprire ma quello che trovai non fu esattamente ciò che mi sarei aspettato
"Sì, lo so... non sono stato invitato.. avrei dovuto chiamare... sono una palla al piede e tutto quello che vuoi ma... non trovo più il mio plettro magico, quello che Wes mi ha regalato al secondo anno e sono più che sicuro che sia ancora qui da qualche parte!" era Blaine che tutto sorridente e con la sua testa piena di ricci mi apparve sulla soglia, facendomi bruciare per qualche istante il fegato.
Fanculo tu e il plettro...
Senza dire nulla lo mollai sulla porta e mi precipitai a recuperare il cellulare per tentare nuovamente di richiamare il mio ragazzo scomparso. Attesi quattro squilli dopodiché la sua voce si fece sentire, ma ancora una volta sotto forma di segreteria telefonica.
"Fanculo!" sbottai lanciando di nuovo il Blackcerry sul divano - mancandolo e facendolo finire per terra - e affondando una mano tra i capelli. No, non era vero, non stava succedendo davvero, non a me. Sembrava di assistere ad uno di quei drammi adolescenziali che popolavano le peggiori commedie che piacevano tanto a...
Lanciai un'altra occhiata al telefono per terra, ancora muto e inutile.
"Sebastian?" la voce di Blaine si fece più vicina, tanto da ritrovarmelo dopo poco al mio fianco. Alzai gli occhi per ritrovare i suoi confusi e perfino un sopracciglio alzato. Ci mancava soltanto lui in quel momento. Avevo altro a cui pensare, altro da affrontare, una segreteria telefonica da intasare di messaggi...
"Senti non so sinceramente dove sia il tuo prezioso plettro.. vai di là e cercatelo da solo!" indicai a caso il corridoio cercando di trattenere la furia e il tormento che mi stavano assalendo. Sapevo che prendermela con lui non sarebbe servito a niente, volevo solo che se ne andasse via e mi lasciasse da solo per risolvere il mio problema. Ma lui - e forse in quegli ultimi dieci anni avrei dovuto capirlo da solo - era davvero testardo, o semplicemente parecchio incosciente, perché non solo ignorò la mia risposta, ma si avvicinò ancora e mi sfiorò il gomito con la mano
"Bas? Che cosa è successo?" mi domandò in tono preoccupato e sottile, mentre i suoi occhi dorati cercavano i miei, sfuggenti e persi.
"Niente!" ringhiai allontanandomi da lui, dal suo sguardo indagatore e dalla sua presenza che iniziava a diventare soffocante. Credetti scioccamente che l'averlo lì mi impedisse di ritrovare lui.
"No, non è vero. Se fosse niente, non staresti così." constatò ovvio, alzando leggermente la voce "É come se.. stessi per esplodere da un momento all'altro. E la cosa mi preoccupa molto!" lo sentii avvicinarsi ancora, ma provai ad ignorarlo, chiudendo gli occhi ed imponendomi la calma. Sembrava stessi per esplodere? Decisamente molto riduttivo perché per come mi sentivo in quel momento, avrei tranquillamente potuto uccidere qualcuno... anche il mio prezioso migliore amico con il suo pessimo tempismo.
"Davvero, Blaine... potresti gentilmente... potresti..." dalla bocca per l'ennesima volta non uscì nulla di concreto e quello mi fece innervosire ancora di più
"Daniel dov'è?" mi domandò, probabilmente guardandosi attorno. Sentii distintamente il cuore accelerare i battiti e per un istante dovetti mettere la mano sul petto perché il dolore era stato quasi insopportabile.
Daniel dov'è... bella domanda...
"Non lo so!" risposi sinceramente, accasciandomi sul divano e affondando entrambe le mani tra i capelli - questa mattina lo ha fatto lui, più di una volta, soprattutto mentre facevamo l'amore ed era così bello, così appagante, così... tutto.
Un movimento alla mia destra mi fece capire che anche Blaine si era seduto su quel divano, al mio fianco, e potevo ancora sentire il peso del suo sguardo perforarmi da dietro lo scudo delle mie mani
"Mmm... avete litigato non è vero?" domandò, facendosi leggermente comprensivo, forse intuendo il motivo di quel mio stato d'animo. No, non avevamo litigato. Magari l'avessimo fatto. Forse a quell'ora avremmo già fatto pace e magari avremmo iniziato a prepararci per andare a cena e continuare a festeggiare il nostro anniversario. Dalla gola mi scappò un lungo suono frustrato che non significava un bel niente, ma che per Blaine evidentemente fu come una confessione in piena regola. Sbuffò leggermente e si sistemò meglio
"Che hai combinato stavolta?" chiese ancora, esasperato
Ma perché la colpa deve essere sempre e solo mia?...
Sollevai gli occhi, li puntai nei suoi e con una tranquillità di cui non credevo più di disporre risposi
"Gli ho chiesto di sposarmi!" e la sua reazione fu completamente diversa rispetto a quella di Daniel: non si allontanò, non mi guardò come se stessi dicendo chissà quale oscenità, non mi fece sentire un perfetto idiota, non... scappò via. Si limitò semplicemente a spalancare leggermente la bocca fino a formare una piccola o di sorpresa e rimase in silenzio a metabolizzare, fino a che non riuscì a trovare la voce per parlare
"Era... questa la cazzata di cui mi hai parlato l'altro giorno alla festa?" domandò e quasi sentii gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto per ricollegare tutto quanto. Mi limitai ad annuire perché non avevo la forza neppure per dire un semplice sì.
"Ah però... immaginavo fosse una cosa grossa ma.. non fino a questo punto!" mormorò colpito per poi lasciarsi scappare un sorriso "Devo dire che sei riuscito a sorprendermi, Smythe.. questa volta ci sei davvero riuscito!" ed era quella, cazzocazzocazzo, la reazione che avrei voluto da parte di Daniel. Mi ero perfino immaginato di dovergli asciugare le lacrime o di dovermi inginocchiare per fargli una proposta più romantica, perché ero sicuro che lui, nonostante la commozione, me lo avrebbe chiesto. E invece no.
Espirai lentamente, lanciando un'altra occhiata disperata al Blackberry che non dava nessun segno di vita. Blaine al mio fianco si schiarì la voce e si avvicinò ancora
"Mmm... lui cos'ha detto?" pronunciò la fatidica domanda che contro ogni aspettativa mi fece scappare un sorriso amaro
"Niente." affermai con la voce dura, tornando a guardarlo "Non ha detto niente."
"Co-come?" era sconvolto, perfino lui
Immagina dunque io come sto...
"Se n'è andato... senza dire una sola fottuta parola. É uscito da quella porta e ormai sono... dodici ore che provo a chiamarlo ma lui continua a non rispondere!" ingoiai una manciata di saliva che mi ostruiva la gola. Blaine spalancò gli occhi, incredulo, e per qualche istante provò ad aprire e chiudere la bocca, quasi volesse parlare ma non trovasse le parole adatte.
Non ce ne sono... in questo momento non c'è niente che tu potresti dirmi che mi farebbe stare meglio...
"Non è possibile." si lasciò scappare qualche istante dopo, forse reputandola la cosa più innocente da dire, ma che ebbe il potere di farmi scattare ancora di più i nervi
"E invece è così. Se ne è andato via, mi ha lasciato qui da solo come un coglione con il mio cazzo di anello in mano e... ed è scappato." scattai in piedi ed iniziai a camminare nervosamente avanti e indietro lungo il tappeto "E sai qual'è la cosa peggiore? Questo silenzio... il suo silenzio. Avrei preferito che mi dicesse di no subito, che mi scoppiasse a ridere in faccia, che mi prendesse a pugni e che... non lo so... qualsiasi cosa, Blaine ma non.. questo! Il silenzio non riesco a sopportarlo e.. non credo neanche di meritarmelo." ero confuso, distrutto, amareggiato, perfino arrabbiato - con lui, con me, soprattutto con lui - e soprattutto sentivo una voglia matta di piangere. Non avevo mai provato una sensazione del genere, neanche quando da piccolo sentivo la mancanza dei miei genitori il giorno di Natale o quando mia madre mi ripeteva che un figlio frocio era il peggior disonore che la famiglia potesse avere. Come avevo già immaginato, Daniel era capace di distruggermi e di rimettermi al mondo con niente, peccato solo che quella volta avesse scelto l'opzione peggiore. Mi resi vagamente conto di essere appena esploso, perché le mie mani tremavano incontrollate e la vista si era appannata leggermente.
Quando ero riuscito finalmente a tirare fuori quell'anello e a fargli la mia proposta mi ero ritrovato a pensare che tutto sommato non fosse stato poi così traumatico. La paura non aveva avuto la meglio su di me e quelle parole erano uscite esattamente come avevo voluto che uscissero: non erano state niente di che, in fin dei conti, solo un "Daniel mi vuoi sposare?" ma avevo cercato di metterci tutto il sentimento, l'emozione e l'amore di cui ero capace e mi era sembrato così semplice. A distanza di dodici ore e dopo ben trentasette chiamate senza risposta, iniziavo seriamente a pensare che di semplice in realtà non c'era stato un bel niente.
"Bas..." un sussurro debole mi fece ricordare improvvisamente della presenza di Blaine e tutto mi ricadde addosso come un pesantissimo macigno, come una doccia gelata, come la più grande delusione della mia vita. Dalla bocca mi scappò un singhiozzo - quando esattamente avevo iniziato a piangere? - e poco dopo le braccia di Blaine furono attorno alle mie spalle e il mio viso incastrato nella sua spalla. E da quella prospettiva, il mondo faceva ancora più schifo.
"Ho solo bisogno di sentire la sua voce. Solo quello... sapere che sta bene e che... non ho rovinato tutto." mormorai, mentre le lacrime iniziavano ad irritarmi gli occhi e il suo abbraccio di faceva più stretto
"Vuoi che provi a... chiamarlo io?" mi chiese esitante. Scossi subito la testa
"No.. capirebbe subito che sono stato io a chiedertelo. Ho bisogno che risponda a me, che voglia parlare con me e che torni qui. Adesso." sospirai distrutto lanciando un'altra occhiata al telefono ancora sul pavimento che continuava a non squillare e probabilmente sarebbe rimasto muto per tutta quanta la notte.

New York City. Ore 12.23 A.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)

Erano passate ben ventotto ore ed io avevo fatto altre cinquantasei chiamate, ma Daniel non era ancora tornato. Il suo telefono aveva continuato a suonare a vuoto fino a che, circa alle tre e un quarto della notte, non lo aveva completamente spento per non riaccenderlo più la mattina successiva. Quello faceva ancora più male perché era l'ulteriore prova del fatto che non volesse parlarmi, non volesse neanche più vedere il mio nome lampeggiare sul display del suo telefono, anche se io ne ignoravo completamente il motivo.
D'accordo, la mia proposta era stata scioccante e forse anche un po' avventata ma... quella reazione era troppo. Un giorno ed una notte intera senza farsi né vedere né tanto meno sentire era davvero incomprensibile per me. Era arrabbiato? Era deluso? Era soltanto confuso? Cosa stava cercando di farmi capire comportandosi in quel modo? Era quello il vero problema, non sapere cosa pensare, non sapere che direzione prendere, non sapere neppure da che tipo di paura farmi assalire. Si trattava soltanto di un momento e poi sarebbe tornato? Era troppo da sopportare per lui e aveva preferito andare via? Mi aveva lasciato? L'ultima ipotesi mi aveva assalito durante tutta la notte e anche la mattina successiva, mentre continuavo a comporre il suo numero a vuoto
"Ciao sono Daniel.. in questo momento non posso rispondere, ma puoi tranquillamente lasciare un messaggio dopo il segnale acustico ed io ti richiamerò il prima possibile! Grazie!" beep
Avevo dovuto chiamare a lavoro e chiedere alla segretaria di Fabray un paio di giorni di permesso, perché non ero proprio nelle condizioni di lavorare e con una certa sorpresa avevo scoperto che anche Daniel avesse fatto lo stesso, precedendomi soltanto di qualche ora. Bene, per chiamare al lavoro il coraggio ce lo aveva, per rispondere alle mie chiamate... evidentemente no.
C'era stato un momento in cui, mentre giravo per casa come un folle e tiravo pugni sui muri - distruggendomi le nocche della mano destra - mi ero ritrovato a provare della rabbia: forte, cocente e corrosiva rabbia che mi aveva fatto prendere il telefono, richiamare il suo numero - per la settantesima volta - e mi aveva fatto urlare
"Sai cosa ti dico? Vattene a fare in culo tu, il tuo viaggio di Polinesia e quello stupido anello. Volevo fare qualcosa per te.. per noi.. ma evidentemente tu sei ancora troppo immaturo per un passo del genere. Sei troppo immaturo perfino per parlare.. per affrontarmi.. per dirmi in faccia quello che pensi e preferisci che sia il silenzio a farlo per te. Complimenti, Daniel... ti farei un applauso se solo ti avessi qui davanti. E sai cosa.. forse lo farò.. quando tornerai, perché tornerai visto che c'è tutta la tua robaccia nei miei armadi. E sai cos'altro farò? Ti sbatterò fuori di casa.. fuori dalla mia vita perché non voglio più avere nulla a che vedere con te, hai capito? Nulla.. sei soltanto un ipocrita, un.." beep
Il suono che segnava la fine della segreteria era stato come uno sparo nella notte. Il cuore si era fermato e la consapevolezza di quello che avevo appena fatto mi si era annidata nel cuore, schiacciandomi. Mi ero ritrovato, senza sapere come, a scivolare lungo la parete del corridoio, con una mano tra i capelli e l'altra ancora stretta attorno al telefono. Avevo richiamato il suo numero e avevo lasciato un altro messaggio
"Ti prego scusa.. scusa.. non... non pensavo neanche una delle cose che ti ho detto... non... tu non farmi questo, ti supplico. Torna a casa, Daniel.. ho bisogno di parlarti, ho bisogno di abbracciarti e ho bisogno che tu mi dica che.. tutto andrà bene. Per favore... cucciolo... per favore! Ti amo.. tanto..." beep
Ma neanche quello era servito a niente. Allora ero uscito, avevo preso la macchina e avevo iniziato a girare a vuoto per la città, credendo ingenuamente che in una metropoli del genere la testa bionda del mio Dan sbucasse fuori all'improvviso. Me ne ero tornato a casa in uno stato pietoso, forse peggiore di come ero uscito ed avevo rifiutato di proposito tutte le chiamate di Blaine che era ancora preoccupato per me e che a stento ero riuscito a mandare via la sera precedente. Apprezzavo il fatto che mi stesse vicino e che volesse rendersi utile e soprattutto lo sfogo che mi ero concesso mi aveva fatto bene, ma avevo bisogno di stare da solo ad aspettare che Daniel tornasse.
Alla rabbia verso di lui era sopraggiunta la rabbia verso di me: perché ero un coglione, sapevo di essere in procinto di compiere una cazzata di dimensioni galattiche ma questo non mi aveva fermato. L'avevo fatta e ora mi meritavo tutto, perfino quell'angosciante sensazione di vuoto ed impotenza che mi attorcigliava lo stomaco. Dovevo lasciare le cose esattamente com'erano, perché era tutto già perfetto, era tutto così semplice e lineare e... io avevo rovinato tutto, come sempre. Sapevo che prima o poi sarebbe successo, che prima o poi sarei stato in grado di rovinare la nostra storia solo che non mi sarei mai aspettato che il motivo sarebbe stato quello: il volerlo amare ancora di più, mi aveva portato a perderlo in un attimo. E quello era profondamente ingiusto. Avevo rovinato anche il nostro anniversario, il giorno che entrambi aspettavamo con trepidazione da mesi, la nostra cena romantica in un ristorante di Manatthan, il suo bellissimo regalo che ancora giaceva sul tavolo della cucina. Era tutto sparito e all'improvviso la giornata più bella della mia vita, si era trasformata in un incubo. Un incubo dal quale non ero ancora riuscito a svegliarmi.
Verso l'ora di pranzo il campanello di casa aveva suonato ancora: all'inizio avevo pensato di non rispondere, perché credevo fosse di nuovo Blaine. Poi però, avevo pensato che Daniel uscendo di casa la mattina precedente non avesse preso le sue chiavi e che quindi per tornare avesse bussato al campanello e per questo mi fiondai ad aprire. Per la seconda volta mi sentii invadere dallo sconforto quando constatai che non fosse lui, benché ci fosse una palese quanto impressionante somiglianza
"Dianna!" esclamai sentendomi mancare il respiro. Era la sorella di Daniel... cosa ci faceva lei lì? Aveva mandato lei a prendere la sua roba?
"Ciao." mi salutò, accennando un sorriso intimidito. Cos'era? Compassione? Vergogna? Rancore?
"Posso entrare un attimo?" domandò poi indicando l'interno dell'appartamento dietro le mie spalle. Una parte di me gridava di non farlo, di mandare al diavolo anche lei perché non era giusto che lui l'avesse mandata da me perché non aveva avuto il coraggio di venire da solo. L'altra però, abbracciando quel poco di razionalità rimasta, mi fece fare un passo indietro per permetterle di passare.
Lei si accomodò all'interno, liberandosi della giacca e della borsa e posandoli sul divano. La guardai compiere quei gesti senza il minimo interesse, chiedendomi quanto ci volesse prima di recuperare tutta la roba di suo fratello e andarsene. E poi.. quanto tempo ci avrei messo io per riprendermi da tutto quello?
Sollevò gli occhi e li puntò nei miei - cazzo.. sono proprio identici ai suoi - e mi sorrise, quella volta più apertamente
"Come stai?" domandò, lasciandomi senza parole
Come sto?... mi ha davvero chiesto.. come sto?...
"Sto di merda!" sbottai duramente, fulminandola appena e facendola arrossire "Lui dov'è?"
"Sebastian.."
"Perché ha mandato te? Non ne ha il coraggio? É davvero così difficile prendersi le proprie responsabilità? Perché, sai.. io l'ho fatto e vedi cosa ho ottenuto!" allargai le braccia in un gesto di stizza e lei si lasciò andare ad un lungo sospiro. Non sembrava arrabbiata e neanche preoccupata. Sembrava più che altro.. combattuta.
"Daniel non sa che sono qui!" esclamò e per la seconda volta riuscì a lasciarmi senza fiato. Abbandonai le braccia lungo i fianchi, mentre una strana forma di sollievo mi invadeva: Dianna non era lì per portare via la sua roba, non era lì per dirmi che era finita, forse c'era ancora una possibilità per sistemare le cose.
"Dov'è?" domandai di nuovo, quasi in un soffio
"A casa mia. Me lo sono ritrovato davanti la porta ieri sera." rispose poggiandosi allo schienale del divano. Era a casa della sorella, come diavolo avevo fatto a non pensarci? Perché non avevo tentato subito lì o a casa dei suoi? E soprattutto.. se da lei era andato soltanto la sera.. dove diavolo era stato durante tutto il giorno?
"Come... come sta?" domandai ancora, disperato
"Sta bene.. fisicamente intendo. Di umore.. non tanto. Quando è venuto da me era... distrutto. Non penso di averlo mai visto in quello stato e oggi.. non sta tanto diversamente!" spiegò accigliandosi. Lui era distrutto? E io allora? Io cosa dovevo dire?
"Ti ha..."
"Sì!" rispose senza neanche permettermi di formulare la domanda "Sì.. mi ha raccontato cosa è successo e mi ha detto anche di essere scappato." aggiunse.
E ti ha detto il motivo?...
Affondai nuovamente la mano tra i capelli, che probabilmente erano in uno stato davvero pietoso. Dianna sospirò e dopo poco la sentii accanto a me tanto che alzando gli occhi mi ritrovai i suoi intenti a contemplarmi, preoccupati. Per un istante, quasi per uno scherzo del destino, mi tornò in mente come fosse stato bello la mattina precedente annegare in un mare che aveva esattamente quello stesso colore. Peccato che, dopo poche ore, quel mare si fosse trasformato in una tempesta e che mi avesse travolto completamente.
"Posso essere completamente onesta con te, Sebastian?" mi chiese gentilmente, tanto che non riuscii ad essere sgarbato né a lanciarle altre occhiate di fuoco; mi limitai ad annuire
"Quando Daniel mi ha detto che tu gli avevi.. chiesto di sposarti mi sono quasi messa a gridare dalla gioia. Non potevo crederci che proprio tu, con quel pessimo carattere che ti ritrovi, potevi aver fatto una cosa tanto magnifica. Solo che... mi sono trattenuta, perché negli occhi di mio fratello non ho letto esattamente ciò che speravo di leggere. Come ti ho detto era... distrutto. Ho provato a chiedergli cosa avesse ma lui non ha... saputo dirmelo. Mi ha semplicemente chiesto di non fargli domande e se potesse rimanere per dormire." era insensato ciò che stava dicendo. Non stava aggiungendo nulla di nuovo, nulla che potesse farmi capire cosa fosse esattamente successo. D'accordo, ormai sapevo che lui stava bene - almeno fisicamente - e che probabilmente non mi stava lasciando - vero? - però... continuavo a non capire.
"Io non so cosa... fare. Credevo che insieme potessimo affrontare tutto, perfino questo e invece... lui è andato via ed io sono ancora qui da solo che cerco di darmi la colpa per quello che è successo. Io..." scossi la testa, incapace ancora una volta di trovare le parole per esprimere davvero ciò che sentivo. Di nuovo però, sentii un disperato bisogno di piangere. Ma non potevo farlo davanti a lei: andava anche bene piangere sulla spalla del mio migliore amico, farlo anche su quello di mia cognata.. no, assolutamente.
"Io penso di sapere cosa sia successo ieri e perché Daniel sia scappato in quel modo!" esclamò poco dopo, lasciandosi scappare un altro sospiro. Drizzai la schiena, colto da quella improvvisa possibilità di scoprire la verità, finalmente
"Cosa?" domandai allora, non riuscendo a contenermi
"Penso che il problema sia stato... il momento. Penso che tu abbia scelto quello peggiore per chiedergli di sposarti." spiegò, abbassando la testa, in un gesto colpevole. Sbagliato il momento? Che diavolo significava?
"Scusa?" chiesi scettico, perché quella era davvero una spiegazione stupida e senza alcun senso. In quale altro momento avrei potuto chiedere al mio ragazzo di sposarmi se non il giorno del nostro anniversario? A me era parso speciale proprio per quello, proprio perché un giorno del genere potesse in qualche modo rendere la sorpresa ancora più grande. Certo, non era andata bene però... dubitavo che fosse dipeso dal fatto che avessi scelto di chiederglielo proprio il 29 Maggio.
Dianna prese un profondo respiro dopodiché si passò distrattamente la mano tra i capelli che erano biondi come quelli di Daniel, solo leggermente più chiari
"Immagino che lui non ti abbia parlato di me e di Matt.. di quello che sta succedendo tra di noi." affermò, cambiando radicalmente direzione. Mi accigliai leggermente: Matt era suo marito con il quale era sposata da circa un anno, dopo un lunghissimo fidanzamento che di anni ne era durati sette. Era un tipo un po' burbero e non ero mai riuscito a capirlo veramente a fondo, ma... c'eravamo incontrati in pochissime occasioni e la cosa era finita lì. Tra l'altro mi era parso che non gli andasse proprio a genio che suo cognato fosse gay e che abitasse con un altro uomo.
"No.. cosa avrebbe dovuto dirmi?" le chiesi, confuso.
"Io e mio marito stiamo... attraversando un periodo particolare.. diciamo che da sei mesi a questa parte non facciamo altro che litigare e questa cosa sta diventando.. insostenibile. Fino a che lui non ha deciso che... la questione andasse sistemata definitivamente." si concesse una pausa per abbassare lo sguardo e stringersi leggermente nelle spalle. Intuii vagamente cosa volesse dirmi ma le sue parole me lo confermarono 
"Ha chiesto il divorzio!" esclamò e la sua voce vacillò appena. Trattenni il fiato inconsapevolmente, mentre una piccola lampadina iniziava a lampeggiare nella mia testa e di conseguenza il cuore iniziava a pompare più ossigeno. Il motivo. Io stavo impazzendo per cercare un... motivo. Ed eccolo... servito su un piatto d'argento.
"Lui non mi ha.. detto niente." mormorai sconvolto, iniziando a sentire un leggero senso di colpa invadermi per il modo in cui l'avevo trattata poco prima. Lei scrollò le spalle
"Tipico di Daniel. Per gli altri si fa in quattro, facendosi perfino carico dei loro problemi. Quando però si tratta dei suoi... preferisce tenere tutto per sé. Probabilmente lo ha fatto per non.. mancare di rispetto a me o per non gravare su di te, questo lo sa soltanto lui. Quello che è certo, e penso di non sbagliare, è che questa situazione che ho a casa possa averlo influenzato e per questo è andato via ieri. Probabilmente si è sentito in colpa.. tu gli chiedi di sposarti nello stesso momento in cui il matrimonio di sua sorella va in pezzi. Sai meglio di me quanto possa essere sensibile e per questo... è scappato. Si è sentito.. sopraffatto dagli eventi!" tentò di spiegare ma la mia mente era già partita in quarta. Cercavo di capire come mai non mi avesse detto niente o se ci fossero stati dei segni evidenti di quel suo stato d'animo. In effetti, ragionando a posteriori, mi era capitato di trovarlo leggermente pensieroso nell'ultimo periodo ma credevo fosse dipeso dal lavoro oppure da qualche altro motivo del genere. E ovviamente, non avevo indagato a fondo.
Sei un coglione, Sebastian... un grandissimo coglione...
Quello che mi aveva appena raccontato Dianna spiegava esattamente cosa era successo la mattina precedente: lui era in ansia per sua sorella, dispiaciuto per la fine del suo matrimonio e magari aveva perfino prenotato quel viaggio in Polinesia per staccare... per non pensarci. Aveva perfino detto di esserselo meritato, di averne bisogno. Perché in quel momento non avevo fatto caso al leggero accenno di esasperazione che c'era nella sua voce? Perché non lo avevo capito e non mi ero semplicemente limitato ad abbracciarlo come un vero fidanzato dovrebbe fare? Cosa c'era di tanto sbagliato in me?
"Cazzo... sono uno stupido.." mormorai afflitto, lasciandomi cadere sul bracciolo del divano e abbassando la testa. Sarebbe bastato così poco per capirlo e ancora meno per evitare il problema.
"No, Sebastian non sei stupido. Sei solo un ragazzo innamorato che vuole coronare un sogno. Io al tuo posto avrei fatto lo stesso." mi disse lei, convinta, posandomi una mano sulla spalla. Sollevai gli occhi e tornai a puntarli nei suoi: erano forti e luminosi, nonostante quello che era costretta a sopportare. Riusciva a nascondere bene il tumulto che doveva provare, e in quello lei e Daniel erano davvero molto simili
"Mi.. dispiace.. per il tuo matrimonio... davvero." le dissi sincero. Lei mi fece un mezzo sorriso e mi strinse appena la spalla
"Si risolverà anche questa, ne sono sicura." rispose e per un attimo le passò un'ombra nello sguardo, un'ombra che somigliava molto ad una voglia disperata di piangere
Fallo, Dianna.. ti assicuro che trattenerle non fa mai bene...
"Adesso pensiamo alle cose più urgenti. Tu e lui dovete parlarvi e dovete farlo il prima possibile." affermò convinta, più a sé stessa che a me. Sollevai un sopracciglio. pronto a chiederle in che modo potessi fare e se avesse una soluzione. E a quanto pare ce l'aveva davvero, perché me la mise davanti agli occhi. Frugò nella sua borsa per qualche istante, dopodiché poggiò un mazzo di chiavi sulla spalliera del divano
"Io questa sera, tornando a casa, mi renderò conto di essermi accidentalmente dimenticata le chiavi qui da te... ma lo farò stasera. Ora devo andare a lavoro.. e tu devi andare a riprenderti la tua vita. Perché, con tutto il rispetto... quando siete separati, sembrate due involucri vuoti che aspettano solo di essere riempiti!"

New York City. Ore 04.12 P.M. 30 Maggio 2012 (Mercoledì)

Feci scattare la serratura dell'appartamento di Dianna - e ovviamente di Matt - chiedendomi dove lo avrei trovato: magari in salotto, oppure sotto le coperte, oppure proprio dietro quella porta d'ingresso. Il pensiero che feci subito dopo riguardava la sua ipotetica reazione. Mi avrebbe sbattuto fuori a calci? Mi avrebbe urlato contro tutto quanto? Se la sarebbe presa anche con sua sorella? Quello che non riuscii a chiedermi fu che tipo di reazione potessi avere io. Non ero preparato ad un altro rifiuto, un'altra fuga e forse quella volta non avrei retto. Ma cosa più importante, avevo una voglia così disperata di riabbracciarlo, di dirgli che lo amavo e che lo avrei amato da lì all'eternità, che fu quasi doloroso percorrere tutta quella strada dal mio appartamento - il nostro appartamento - fino a lì.
Nel salotto non c'era anima viva e lo stesso per la cucina. Con un sospiro tremante mi addentrai nel corridoio, affacciandomi poi nell'unica stanza con la porta aperta che intuii fosse quella degli ospiti dove aveva dormito lui quella notte: come dimostrazione tangibile, sulla trapunta beige, c'era la sua giacca e il suo telefono - quello che dalla notte precedente non squillava più.
Provai nelle altre stanze, nello studio e perfino in bagno, ma di Daniel nessuna traccia. Stavo quasi per richiamare Dianna e chiederle dove potesse essere andato quando con la coda dell'occhio intravidi qualcosa: sul balcone, quello della camera da letto principale, si vedeva la sagoma di una scaletta che probabilmente portava sul tetto e che era appoggiata alla parete esterna del palazzo. Mi ritrovai, senza neanche riuscire a respirare, ad avanzare verso quella scala, verso quella piccola speranza perché era davvero l'unica cosa alla quale in quel momento potessi attaccarmi. Salii i cinque scalini aggrappandomi alla ringhiera particolarmente precaria e sbucai sul tetto: la vista era davvero bellissima, rivolta verso il porto e più a largo, verso l'oceano e probabilmente mi sarei anche fermato a contemplarla meglio se solo il mio sguardo non fosse stato catturato da altro, lui. Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e perfino un piccolo sorriso che mi stirò le labbra dopo un'intera giornata di tormento.
Daniel era seduto in un angolo, con gli occhi rivolti al panorama, le ginocchia raccolte tra le braccia e il mento posato su di esse. Per come era messo non riuscì a notare la mia presenza, e questo mi permise di avvicinarmi del tutto e di sospirare ancora: era lì, era vivo, era bellissimo come sempre, esattamente come lo ricordavo. Una folata di vento passò in mezzo a noi e lo vidi distintamente tremare e stringersi maggiormente le braccia attorno alle gambe e non riuscii più a resistere
"Rischi di ammalarti se non ti metti qualcosa di più pesante addosso!" esclamai con la voce rinforzata, quasi il semplice fatto di averlo di nuovo davanti, mi avesse dato la carica. Daniel sobbalzò visibilmente e alzò lo sguardo verso di me, appena spaventato. Rimase qualche istante in silenzio, forse cercando di capire se fossi reale e come avessi fatto ad entrare. Alla fine parve rassegnarsi perché si lasciò scappare un sospiro e un piccolo sorriso affranto
"É stata Dianna, non è vero?" mi domandò, con il tono di uno che sa già la risposta
"Mmm.. generalmente non rivelo mai i nomi dei miei informatori." scherzai ed era davvero strano riuscire a farlo nonostante tutta quell'ansia accumulata in quelle ore. Lui sollevò un sopracciglio, leggermente divertito, cosa che mi fece ridacchiare. Mi frugai nella tasca della giacca e gli allungai il mazzo di chiavi che Dianna mi aveva dato
"Appena la vedi... restituisciglielo e... ringraziala caldamente da parte mia." mormorai e lui con una mezza smorfia afferrò le schiavi e le fece dondolare per qualche secondo tra le mani
"Lo farò... stanne pur certo!" rispose per poi sospirare e tornare a stringersi le gambe per proteggersi dal vento insistente. Senza pensarci due volte mi sfilai la giacca e gliela posai sulle spalle: per la seconda volta sobbalzò, quasi in maniera più pronunciata, come se non si aspettasse un gesto così... intimo da parte mia.
"Grazie." mormorò sistemandosela meglio addosso. Mi sedetti anche io per terra, cercando di non sfiorarlo dato che solo toccargli leggermente le spalle aveva dato quella reazione strana. Avevo una disperata voglia di toccarlo, abbracciarlo, baciarlo, prenderlo e portarlo via da quel tetto ma... prima avevo bisogno di parlargli, prima avremmo dovuto risolvere quella situazione e forse dopo saremmo scesi insieme e insieme ce ne saremmo andati. Dovevo solo trovare le parole adatte con cui iniziare il discorso.
L'ultima volta che mi sono ucciso per trovarne, è andata a finire malissimo, quindi credo sia meglio lasciar perdere e affidarsi all'istinto...
"Daniel..." iniziai ma non riuscii a proseguire
"Mi dispiace." sentenziò all'improvviso, congelandomi. No.. un discorso iniziato con quelle due parole non portava a nulla di buono.
"No, ti prego.."
"Mi dispiace, Sebastian.. davvero." ripeté girando lo sguardo e inchiodandolo al mio, togliendomi almeno dieci anni di vita. Iniziai a tremare anche io, non a causa del freddo. Era la paura che mi attanagliava le ossa e non mi permetteva neanche di respirare normalmente. Quella volta non dissi nulla, mi limitai a scrutare in quegli occhi grandi e a cercare da solo le risposte di cui avevo bisogno. Per mia fortuna, non ci trovai nulla di diverso rispetto al solito, fatta eccezione per un leggerissimo velo di tristezza e forse... senso di colpa.
"Mi sento così... stupido e... vigliacco. Me ne sono andato così.. senza neanche darti una spiegazione e non avrei dovuto..." si perse in un lungo sospiro per poi mettere su un mezzo sorriso amaro "Avevi ragione, sai... il problema forse è che sono.. troppo immaturo." venni colto da un altro brivido improvviso e subito capii a cosa si riferisse
"No!" esclamai subito, quasi gridando "No... non dare peso a quello che ho detto in quel messagio. Ero... nervoso e arrabbiato e lo sai come sono fatto.. sono impulsivo. Quella dannata segreteria continuava a tormentarmi e tu non rispondevi e..."
"Lo so.. davvero. Non c'è bisogno che ti giustifichi, Sebastian... lo so." mi interruppe con un tono leggerissimo
Perché continui a chiamarmi Sebastian? Non lo fai mai...
Mi agitai leggermente, mentre la pelle iniziava a prudermi per la voglia disperata di contatto che continuava a crescere a dismisura e che forse mi avrebbe fatto uscire di testa. Quell'atmosfera non mi piaceva tantissimo perché non ero sicuro di ciò che in realtà stesse accadendo. Il fatto che non mi avesse ancora cacciato via, era già positivo solo che.. continuava a chiamarmi Sebastian e i suoi occhi erano sfuggenti e non mi aveva ancora abbracciato. Cosa avrei dovuto pensare?
Abbassai lo sguardo fino al cornicione del palazzo, mentre un'altra folata di vento mi attraversava i vestiti. Stava andando in maniera del tutto diversa rispetto a quello che mi ero immaginato. Era tutto così.. freddo e distaccato ed io avevo un disperato bisogno di riavere indietro il mio Dan, perché senza di lui.. mi sentivo davvero come un involucro vuoto che aspettava solo di essere riempito. Di nuovo. Come avevo fatto, prima di conoscerlo, a vivere? Con cosa ero andato avanti?
Una mano fresca ma incredibilmente familiare si posò con delicatezza sulla mia guancia e mi accarezzò con la punta delle dita
"Bas... guardami, ti prego." mi implorò leggermente e qualcosa nel mio petto si incrinò nel sentire quel nomignolo.. e la sua voce addolcita
Finalmente...
Mi feci guidare dalla sua mano fino a che non ci ritrovammo nuovamente occhi dentro gli occhi: la distanza fisica tra di noi si era dimezzata - quando si era avvicinato e perché io non me ne ero accorto? - e riuscivo quasi a contare quanti respiri si lasciasse scappare dalla bocca appena dischiusa. Rimasi di nuovo in silenzio perché non riuscivo a trovare nulla di sensato in quel tumulto che provavo e lasciai che fosse lui a parlare per una volta.
"Io... ti amo.. tanto. E non smetterò mai di farlo... lo sai questo, vero?" mi chiese in un soffio, accarezzandomi la linea della mascella con le dita. Ispirai bruscamente sentendo poi la gola pizzicare.
"Lo so.." borbottai "Ti... ti amo anche io." e quella volta mi sorrise davvero, senza imbarazzi, senza trattenersi troppo: fu semplicemente il suo solito bellissimo sorriso che si apriva per me e mi riscaldava il cuore. Si avvicinò ancora e per un momento pensai che volesse baciarmi - finalmente! - ma non lo fece; si limitò a poggiare la fronte alla mia spalla e a far scivolare la mano con la quale fino a poco prima mi aveva accarezzato, nei miei capelli.
Dio...
"Mi dispiace." ripeté in un debole sussurro. Non mi mossi, rimasi fermo a subire le sue carezze anche se volevo semplicemente allungare un braccio e stringerlo maggiormente a me
"Non... dirlo più.. ti prego." lo pregai con un lungo sospiro
"Mi sento in colpa. Per quello che è successo, per quello che ti ho fatto.. per come.. me ne sono andato." spiegò sollevando la testa e puntando gli occhi nei miei.
"Perché non mi hai detto niente?" gli chiesi a bruciapelo, ignorando ciò che mi aveva appena detto. Lui ci pensò qualche istante, per poi stringere le spalle
"Non lo so.. io non... volevo darti problemi. Mi sarei sentito male se ti avessi scaricato addosso anche questo peso. Hai già così tanto a cui pensare per colpa dei tuoi genitori... volevo... mettere da parte me per pensare a come farti stare bene... almeno quando eravamo insieme." spiegò lentamente, provando ad essere chiaro. E Dianna aveva ragione: il problema era proprio quello. Lui non voleva essere un peso, non voleva creare problemi. Ed era sbagliato, profondamente sbagliato
"Daniel.." lo chiamai, permettendomi finalmente di toccarlo, afferrandogli il mento con una mano e portandolo esattamente di fronte a me "Amare significa molte cose, ma soprattutto significa sostenersi ed aiutarsi a vicenda. Il fatto che tu creda di poter essere un peso per me.. mi fa male. Io voglio aiutarti, voglio che tu mi dica tutto e voglio soprattutto che tu ti senta libero di confidarmi qualsiasi cosa. Io non ti giudicherò mai.. voglio solo che tu.. mi dia fiducia, nello stesso modo in cui io ne do a te." i suoi occhi si spalancarono appena
"Io mi fido di te, Bas... completamente!" esclamò subito e mi ritrovai a sorridere di conseguenza
"E allora non tormentarti con questi dubbi e queste insicurezze. Semplicemente... parlami... parlami, Dan.. non smettere mai di farlo!" lo pregai ancora, mentre la voce si affievoliva pian piano
"Avrei dovuto parlartene.. hai ragione." acconsentì annuendo contemporaneamente per poi intrappolarsi il solito labbro tra i denti e sospirare. E quel gesto segnò la fine della mia pazienza e dell'attesa: mi fiondai sulle sue labbra, cogliendolo appena impreparato ma si lasciò andare quasi subito, assecondandomi. Era tutto molto lento, molto profondo: non c'era la delicatezza del bacio del buongiorno o la passione travolgente che anticipava il sesso. Era più che altro il bisogno... il disperato bisogno di sentire che fosse reale, che fosse di nuovo lì al mio fianco e che non fosse cambiato nulla. E lui c'era.. rispondeva al mio bacio e la sua mano scivolava di nuovo morbidamente tra i miei capelli facendomi gemere per la soddisfazione. Quella sensazione era pazzesca: mi sentivo come inebriato, quasi drogato, e la cosa migliore era che la lucidità ci fosse ancora tutta e fosse lì, pronta ad analizzare ogni momento e ogni emozione e restituirmela per intero, quasi amplificandola. Era esattamente ciò che in quelle ventotto ore mi era atrocemente mancato.
Ci staccammo qualche bacio e qualche sospiro più tardi, con il respiro accelerato e forse un po' di paura in meno. Mi ritrovai a stringerlo a me, ad aggrapparmi al suo corpo quasi fosse la mia unica speranza di sopravvivenza e chiusi per qualche istante gli occhi. Dovevo godere a pieno di quel calore ritrovato, dovevo dimenticare tutte quelle brutte sensazioni che mi avevano tormentato durante quelle ore e dovevo ricordarmi quanto fosse bello sapere di essere amati in quel modo.
Come un contenitore che viene riempito...
"É davvero tanto grave la situazione tra tua sorella e suo marito?" gli domandai ad un tratto, mentre posavo il mento sulla sua testa e stringevo ancora. Lui emise un leggero lamento
"Abbastanza. Matt sembra... così convinto che il divorzio sia l'unica soluzione. Ho tentato di parlargli.. mia madre ha tentato di farlo ragionare.. mio padre avrebbe semplicemente voluto rompergli la testa. Ma per il momento.. non sembra aver cambiato idea." rispose aggrappandosi alle mie spalle e stringendo a sua volta
"Posso provare a parlarci io. Magari minacciandolo..." la sua risata riuscì a riempirmi lo stomaco
"Idiota." borbottò, strofinando la guancia sul mio collo, quasi fosse un gatto e stesse facendo le fusa. Sorrisi a mia volta, e provai a tornare serio
"Io penso sia semplicemente paura la sua. Si sarà sentito... schiacciato da qualcosa.. magari per il lavoro o per qualche discussione che non è stato capace di affrontare. Le persone a volte sono così fragili. Basta un niente e crollano a terra come un castello di sabbia." Esattamente ciò che hai fatto tu, o ciò che ho fatto io "Forse ha solo bisogno di tempo e di riscoprire l'amore che lo lega a tua sorella: otto anni non si buttano al vento così e nonostante tua sorella sia una vera rompicoglioni.. non credo che lui sia disposto a rinunciare a lei in questo modo." la sua testa scattò indietro e mi lanciò un'occhiata di fuoco, velata da un leggero strato di divertimento
"Mia sorella non è una rompicoglioni!" si lamentò tirandomi poi un pugno sulla spalla. Le mie labbra si incurvarono in un sorriso spontaneo
"Mmm.. forse un po'... ma lo dico con affetto, giuro!" mi difesi mentre lui continuava a colpirmi, fingendosi offeso
"Se non fosse stato per lei tu non mi avresti mai trovato." mi fece notare tra un pugno e l'altro. Gli ultimi due riuscii a schivarli, bloccandogli entrambi i polsi
"Sì... questo è vero..." mormorai con ancora il sorriso sulle labbra per poi spingerlo di nuovo addosso a me e tornare ad abbracciarlo esattamente come prima. Lui non si oppose minimamente: si lasciò andare ad un mezzo sospiro per poi aggrapparsi alla mia camicia e rimanere lì. Venni circondato immediatamente da un calore meraviglioso ed indescrivibile, lo stesso che da due anni riusciva a farmi sentire bene, completato e felice. Lo stesso che avrei voluto tenere stretto a me per il resto della vita.
In un modo o nell'altro...
"Ho rovinato il nostro anniversario." piagnucolò leggermente, strofinando ancora la guancia sul mio collo. Strinsi appena la presa attorno alle sue spalle, colpito da quelle parole
"Non hai rovinato niente!" assicurai con fermezza e ne ero davvero sicuro, non lo dicevo soltanto per farlo stare meglio "Lo hai solo reso più.. movimentato, ecco." e provai a metterla sul ridere, per mia fortuna riuscendoci. Con la punta del naso percorse tutta la linea del mio collo - Bontà divina - annusandomi spudoratamente, per poi tornare a guardarmi e sorridermi
"E pensare che.. era iniziato così bene." mormorò con un sospiro sognante, riferendosi ancora al giorno precedente
"Sì.. in effetti la Polinesia ha suscitato molto interesse!" lo provocai di proposito, sperando in una reazione che mi confermasse il fatto che le acque si fossero calmate del tutto. Mi lanciò un'occhiata furbetta per poi posare le labbra sulle mie e rubarmi un piccolo bacio
"Non parlavo solo del viaggio." disse infatti e il mio stomaco si contrasse all'istante. Non parlava del viaggio... non parlava del viaggio...
"Ah no?" domandai piegando la testa di lato e avvicinando pericolosamente le labbra alle sue senza mai sfiorarle. Lui scosse la testa leggermente, limitandosi a quello senza neanche parlare ma me lo feci bastare; mandai di nuovo al diavolo l'autocontrollo e mi riappropriai di quelle labbra, perché le volevo da morire, perché mi erano mancate terribilmente - mi era mancato lui! - perché era giusto così, perché erano mie. E persi il conto di tutto, perfino dei minuti che scorrevano, prestando la mia più completa attenzione alle sue labbra che scivolavano sulle mie, alla sua lingua che mi accarezzava e mi viziava, alle sue mani strette sulla camicia, al suo sapore, al suo respiro accelerato e a volte interrotto, al suo profumo.. ovunque. E forse fu proprio per quello che non capii il senso di ciò che disse poco dopo
"Sì.." soffiò tra un bacio e l'altro, quasi con trepidazione
"Sì... cosa?" domandai
"La risposta alla tua domanda..." rispose, poggiando la bocca vicino al mio orecchio ed accarezzandomi quel tratto di pelle solo con le labbra dischiuse. Aggrottai la fronte confuso. Mi mettevo a fare domande e non me lo ricordavo neppure? Stavo iniziando seriamente a perdere colpi.
"Quale dom..." ma le parole mi morirono in gola mentre la mia solita fedele lampadina si accese all'improvviso nella mia testa, illuminando tutto. Avvertii chiaramente un suo sorriso premere contro la mia pelle e quello mi bastò per capitolare del tutto

Oh...
Lo scostai da me per poterlo guardare negli occhi e capire se quello che avevo capito fosse esattamente ciò che avrei dovuto capire
"Stai... sei... Gesù..." ma ovviamente, figurarsi se le parole decidessero di venire fuori con un preciso senso logico. Lui si morse nuovamente il labbro - no, vi prego.. basta - ma sorrise, illuminandosi in maniera quasi accecante davanti ai miei occhi
"Sebastian." mi chiamò lentamente, circondandomi poi il viso con le mani e posando le labbra sulle mie per qualche secondo. Bocca contro bocca. Respiro contro respiro. Amore, amore, amore.
"Sì.. ti voglio sposare!"

New York City. Ore 10.23 A.M. 03 Giugno 2012 (Domenica)

Cazzo. Era quella la prima parola alla quale avevo pensato quella mattina quando Margareth, la segretaria di Fabray, mi aveva chiamato sul cellulare - svegliandomi! - per chiedermi di raggiungere urgentemente l'avvocato.  Era stato fissato un incontro preliminare con un cliente importante e a quanto pareva era possibile farlo soltanto di Domenica. Fanculo... fanculo Margareth, fanculo Fabrey e fanculo pure il cliente importante. La Domenica era sacra ed io davvero non capivo cosa ci fosse di tanto urgente che non potesse neanche aspettare al giorno successivo.
"Magari è un attore che deve divorziare dalla moglie modella!" azzardò Daniel mentre mi passava una tazza di caffè. Gli lanciai un'occhiataccia di fuoco
"Me ne infischio... può essere anche Obama in persona... devono sapere di avermi appena rovinato la giornata e fatto particolarmente incazzare." borbottai. Lui mi rivolse un sorriso dolce per poi avvicinarsi a me e circondarmi il collo con le braccia
"Non fare il solito brontolone. Lo sai che quando si tratta di lavoro noi non possiamo farci nulla." mi ricordò, accarezzandomi la nuca e mandandomi in estasi
"Certo.. peccato che la tua Domenica non sia stata rovinata da.." ma non riuscii a finire di parlare, perché le sue labbra furono sulle mie e trovai un ottimo motivo per smetterla di lamentarmi. Il bacio durò troppo poco per i miei gusti ma alla fine trovai il suo sorriso ad attendermi, che mi fece scalpitare il cuore nel petto
"Facciamo così... tu vai da Fabray e risolvi questa situazione. Io intanto penso a come fare per... far finire in bellezza questa giornata tanto pessima." mi disse con un accenno di malizia ma anche con un leggero strato di emozione che lì per lì non riuscii a decifrare. Mi limitai a cogliere il lato sensuale della cosa e accettai finalmente il mio gravoso compito, abbandonando il mio confortevole appartamento e la prospettiva di trascorrere tutta la giornata a letto con il mio ragazzo, per dirigermi verso il luogo dell'appuntamento.
Da quando Daniel era ritornato a casa, dopo quella strana parentesi, le cose erano notevolmente cambiate: la prima cosa che avevamo fatto, varcata la soglia di casa era stata recuperare l'anello dalla scatolina di velluto e finalmente metterglielo al dito. No, quella era stata la seconda, perché la prima aveva riguardato la nostra camera da letto. Comunque, alla fine quell'anello era andato esattamente nel posto giusto e la mia proposta era stata accettata, anche se con un giorno di ritardo. Daniel aveva perfino preteso una dichiarazione d'amore che io mi ero rifiutato categoricamente di fargli usando la scusa che non se la sarebbe affatto meritata. Ovviamente scherzavo e ovviamente lo capì anche lui perché invece di mettermi il broncio oppure offendersi, il momento dopo era già nuovamente addosso a me, per il secondo round. Non avevo detto a nessuno quello che avevamo deciso di fare - anche se un messaggio a Blaine, per assicurargli che tutto si fosse risolto, lo avevo mandato e avevo perfino richiamato Dianna per ringraziarla di tutto - ma soprattutto non avevamo parlato di date. Era stato già un passo importante decidere di farlo... magari con calma sarebbe anche arrivato il momento per decidere dove e quando.
Arrivai allo studio circa mezz'ora dopo trovando tutto chiuso. Con un certo fastidio richiamai Margareth che per fortuna rispose dopo due squilli
"Pronto?"
"Mi stai prendendo per il culo, vero?" l'aggredii facendo avanti e indietro per il piano davanti alle porte dell'ascensore
"Ma chi..." si bloccò prendendosi alcuni istanti per poi chiedere "Sebastian... sei tu?"
"Chi vuoi che sia?" abbaiai ancora "Mi hai buttato giù dal letto stamattina dicendomi di andare in studio per un caso importante e ora, arrivo qui e sai cosa ci trovo? Un fottuto niente!" mi presi perfino la libertà di gridare perché tanto su quel piano c'eravamo soltanto noi e visto che era tutto chiuso, nessuno si sarebbe scandalizzato. Dal telefono arrivò uno strano rumore e anche un mezzo verso, che sembrò una specie di risata trattenuta
Non ci posso credere...
"Mmm... ti ho detto in studio? Cavolo devo essermi confusa... in realtà l'appuntamento con quel cliente è nell'albergo dove alloggia." cambiò versione, fingendosi affranta. Strinsi il pugno e per poco non colpii il muro al mio fianco. Stava scherzando.. non c'erano altre spiegazioni
"Margareth..."
"Hilton Hotel!" esclamò allora. Se avessi potuto l'avrei mandata al diavolo e me ne sarei ritornato a casa dal mio ragazzo - il mio promesso sposo - se solo non fosse stato per il fatto che lì c'entrava anche Fabray e mettersi contro il capo non era una cosa molto intelligente da fare
"Quale? Ce ne saranno almeno dieci qui a New York." mi lamentai, premendo il tasto dell'ascensore
"Uh hai ragione... aspetta... Midtown." specificò.
"Fantastico.. esattamente dall'altra parte della città. Grazie mille." borbottai entrando nella cabina
"Dovere!" e mise giù, decisamente troppo euforica per i miei gusti. Si vedeva che la sua Domenica non era stata rovinata e poteva tranquillamente godersela in compagnia di suo marito e dei suoi tre figli. Io invece ero costretto a girare per la città come un idiota, consumando della benzina che lo studio non mi avrebbe mai rimborsato e cercando di mantenere la calma. Era difficile, molto difficile. Volevo tornare a casa dal mio Daniel, volevo godermi un po' di tranquillità, volevo perdermi ancora nei suoi occhi e ripetergli all'infinito quando lo amavo. E invece...
Maledetto Fabray.. un altro buon motivo per mandarti al diavolo da aggiungere alla lista...
Arrivai a Midtown esattamente settantatré minuti dopo, imprecando contro il traffico cittadino che mi aveva tenuto bloccato per venti minuti buoni su uno dei ponti di accesso per Manatthan. Quella città era un vero inferno e più passavano gli anni, più sentivo la mancanza della tranquillità e della semplicità di Westerville. Anche se... non l'avrei mai barattata, non sarei mai tornato indietro. L'Ohio non era uno Stato adatto a me e poi... New York mi aveva regalato tutto ciò che potevo desiderare: il lavoro, la serenità economica, un bell'appartamento ma soprattutto.. un bellissimo ragazzo con gli occhi color del cielo, che in quel momento probabilmente mi stava organizzando una serata romantica e con il quale avrei passato poi il resto della mia vita.
Dio, se davvero esisti.. fai passare in fretta questa giornata.. ho bisogno di tornare da lui...
Entrai all'Hilton tutto trafelato e soprattutto con i nervi in allerta, pronti a scattare da un momento all'altro. Sarebbe bastato anche una piccola parola sbagliata e... boom sarebbe scoppiata la guerra. Mi avvicinai al bancone della reception dove una ragazza con i capelli ricci e rossi era impegnata a sistemare delle chiavi alla parete numerata
"M scusi.." richiamai la sua attenzione e lei si girò con un sorriso cordiale sul volto che vacillò appena vedendomi. Arrossì leggermente ma recuperò immediatamente la sua professionalità
Eh.. il fascino made in Smythe...
"Buongiorno signore e benvenuto all'Hilton Hotel.. cosa posso fare per lei?" mi domandò drizzando la schiena
"Sto cercando l'avvocato Fabray. Abbiamo un appuntamento con un cliente qui nel vostro albergo e credo che entrambi mi stiano già aspettando." le dissi stordendola con un sorriso. Tanto valeva divertirsi un po'. Recuperò il registro da sotto il bancone e fece scorrere il dito lungo una colonna per poi accigliarsi
"Mmm... mi dispiace signore ma qui non c'è nessun avvocato Fabray." mi informò visibilmente dispiaciuta
Che.. cosa?..
"Controlli meglio... deve esserci per forza!" insistetti, non volendo credere che Margareth mi avesse seriamente preso in giro fino a quel punto. Avrebbe rischiato il linciaggio, poco ma sicuro. La ragazza ricontrollò l'elenco e poi scosse la testa. Maledizione, non era possibile. E tra l'altro quella stupida non mi aveva neanche detto il cognome del cliente altrimenti avrei potuto chiedere di lui e invece... mi ritrovavo a bocca asciutta ad un passo dall'esplodere sul serio. Poggiai i gomiti al bancone, cercando di mantenere la calma. Dubitavo fortemente che una donna tanto professionale come Margareth potesse tirarmi uno scherzo del genere, non era da lei e soprattutto sapeva che non ero il tipo per certi giochetti. Quindi l'appuntamento c'era bisognava solo trovare il modo per capire come fare. Provai ad aggrapparmi ad una piccola speranza, sollevando lo sguardo e puntandolo in quello della ragazza che arrossì ancora
"Provi a... vedere se per caso c'è il nome Smythe... Avvocato Sebastian Smythe." ritentai, mentre lo sconforto iniziava a stringermi lo stomaco. Lei riprovò davvero e quella volta ebbe una stana reazione: il suo dito si bloccò a circa metà di quell'elenco, risollevò gli occhi e spalancò leggermente la bocca
"Oh..." si lasciò scappare
"Cosa?"
Ti prego, dimmi che hai trovato l'avvocato e quel dannato cliente.. ti prego...
"Mi scusi... non sapevo che.. fosse lei." si scusò, arrossendo ancora
"Eh?"
"Guardi.. segua questo corridoio alla sua destra dopodiché prenda le scale. Prima porta sulla sinistra." mi spiegò per poi rivolgermi un sorriso cordiale. Le lanciai un'occhiata preoccupata e confusa - quella mattina doveva esserci qualcosa di veramente strano, altrimenti non si spiegava come mai fossero tutti così bizzarri. Abbandonai il bancone con un sospiro, seguendo le indicazioni della ragazza: percorsi per intero il corridoio elegante - e certo, eravamo all'Hilton - fino ad imboccare la scalinata di marmo chiaro e arrivare al primo piano dove ritrovai un altro corridoio più piccolo con quattro porte. Come mi era stato detto piegai a sinistra e aprii la prima delle quattro, ricordandomi qualche frazione di secondo dopo che forse avrei dovuto bussare e dandomi del cretino, mentre la spalancavo con un solo gesto. Per mia fortuna, dietro quella porta non trovai né Fabray né tanto meno il cliente, perché forse dopo un gesto del genere e dopo quel disastroso ritardo sarei stato licenziato per direttissima, tuttavia, qualcosa trovai e quel qualcosa ebbe il potere di congelarmi sul posto e di togliermi completamente il respiro.
C'erano delle persone, tante persone.. circa una decina e in quel momento erano tutte girate verso di me, mettendo fine a quel leggero chiacchiericcio che mi aveva accolto dopo aver parto la porta. Ci fu un lungo momento di silenzio, durante il quale la mia mente, invece di suggerirmi di aver sbagliato porta, chiedere scusa ed andare via, mi mandò uno strano segnale: mi fece capire che in un certo senso io quelle persone le conoscessi e che se mi fossi sforzato forse avrei riconosciuto tutti, soprattutto uno di loro. Quella confusione durò poco, in effetti, perché i miei occhi vennero attratti da qualcuno in particolare, fermo al centro della sala, che mi guardava in maniera diversa rispetto a tutti gli altri. Ed io quegli occhi li avrei riconosciuti ovunque, anche con tutta quella confusione in testa
"Daniel..." mi scappò dalle labbra infatti e lui, dopo avermi stordito con un sorriso, mi raggiunse sulla porta, mentre tutti gli altri continuavano a guardare verso di noi
"Ben arrivato!" mi salutò una volta che fu a mezzo passo da me. Io, ancora senza parole, mi girai di nuovo verso la sala dove riuscii ad intercettare il sorriso di qualcuno e perfino un paio di occhi dorati che mi scrutavano con attenzione. Provai a concentrarmi sul mio ragazzo, ancora fermo davanti a me, ancora sorridente e provai a tirare fuori qualcosa di sensato
"Cosa.. cosa sta.. succedendo?" gli chiesi, aggrappandomi con forza alla maniglia della porta, sentendomi leggermente smarrito. Io lo avevo lasciato a casa, nella nostra cucina, ancora in pigiama e con i capelli sconvolti e lui invece dopo meno di due ore era lì davanti a me, sistemato in un elegante vestito nero ma con lo stesso identico sorriso. E allora capii che quella strana espressione che gli aveva colorato gli occhi quella mattina, non era soltanto desiderio o attesa... era emozione.. emozione allo stato puro che in quel momento mi stava investendo, come un'onda senza controllo.
"Succede che... non c'è nessun appuntamento con Fabray né tanto meno con un cliente facoltoso oggi." mi fece notare con un sorriso divertito. E questo lo avevo capito anche da solo. "Succede che... ti ho detto una bugia questa mattina ma era.. necessario. Succede che.. queste persone sono tutte qui per noi perché le ho chiamate io." aggiunse indicando la sala dietro le sue spalle. Tremò leggermente, mentre faceva un altro passo verso di me, mi afferrava la mano e stringeva forte
"Succede che ti amo alla follia... che ti ho sempre amato e che ti amerò per il resto della mia vita." aggiunse mentre i suoi occhi brillavano appena e il mio cuore si stringeva ancora, quasi implodendo. Mandai giù una manciata di saliva che rischiò di farmi affogare nell'esatto istante in cui lui pronunciò la frase successiva
"Succede... che.. voglio sposarti.. e voglio farlo ora!" probabilmente ero già svenuto in quel momento, o stavo per farlo. Seppi solo di aver spalancato gli occhi ed aver stretto ancora di più la maniglia fino a farmi male. Di aria nei polmoni ne era rimasta davvero poca e perfino la saliva era finita: ero in uno stato semi-cosciente, molto prossimo a rimanerci secco e forse sarei morto davvero se solo Daniel non mi avesse tenuto stretto e non avesse cercato i miei occhi per non permettermi di perdere la ragione. E quello aiutò molto.
Voglio sposarti..
"Io..."
"Lo so.. è avventato.. è stupido.. è... senza alcun senso logico ma.. non mi interessa. Da quando ti conosco non mi interessa altro se non stare con te e ora... tu mi hai chiesto di sposarti e io.. non vedo per quale motivo.. dovremmo aspettare se è davvero quello che vogliamo entrambi." mi disse leggermente agitato, mentre continuava a stringermi la mano
E voglio farlo ora...
"Quindi ti prego, Bas.. dimmi che anche tu lo vuoi... dimmi che possiamo fare questa pazzia insieme... dimmi che sei disposto ad amarmi, rispettarmi e.. tutto il resto e sei disposto a farlo anche adesso... ti prego." mi implorò con lo sguardo tormentato e leggermente spaventato, avvicinandosi di un altro mezzo passo.
Ti prego.. ti prego.. ti prego..
Un solo istante. Quante cose possono succedere in un solo istante? La gente in così poco tempo può nascere, può morire, può conquistare il mondo e può perfino perdere tutto. Io in un solo istante feci ben tre cose diverse: ripresi a respirare, riuscii ad innamorarmi appena un po' di più del mio Daniel e...
"Sì... lo voglio." e sapevo perfettamente che non eravamo ancora sull'altare e nessuno ci aveva fatto la fatidica domanda eppure... già pronunciarlo in quel modo faceva un certo effetto. Daniel si illuminò completamente, togliendomi la poca forza rimasta e probabilmente sarei precipitato al suolo se lui non si fosse sporto per abbracciarmi, sorreggendomi di conseguenza. Qualcuno nella sala applaudì, non seppi per quale motivo, tanto che sentii Daniel ridacchiare nel mio orecchio dopodiché si staccò da me, mi porse la mano e disse
"Andiamo.. all'altare ti accompagno io." strizzandomi l'occhio.
Sposare due uomini era, secondo la legge della Chiesa, un atto impuro e disonorevole. Sposare due uomini secondo la maggior parte dell'opinione pubblica era abominevole. Sposare due uomini, per tutte quelle persone lì dentro e per quel pastore di colore che ci attendeva sorridente alla fine della sala, evidentemente era la cosa più giusta del mondo. E lo era anche per me... nella maniera più assoluta.
Dopo aver percorso tutta la sala, improvvisata come la navata di una chiesa, arrivammo all'altare e qui ritrovai di nuovo il paio di occhi dorati che mi avevano intercettato e sorriso qualche minuto prima. Daniel mi spinse verso di lui, mormorando qualcosa a proposito di una cravatta mancante e così mi avvicinai a Blaine, non riuscendo a trattenermi dal fulminarlo
"Dovresti essere il mio migliore amico e invece... trami alle mie spalle." lo accusai guardandolo malissimo. Lui scoppiò a ridere avvicinandosi e allungandosi poi per sistemarmi al collo una cravatta blu - dello stesso colore di quella di Daniel
"Non lamentarti.. questa volta io non c'entro nulla. Ha fatto tutto lui." mi spiegò indicando il mio ragazzo che continuava a sorridere in attesa
"E fammi indovinare.. ora mi tocca anche averti come testimone?" domandai con un leggero accenno di divertimento nella voce. Lui strinse il nodo alla mia gola, rivolgendomi un sorriso complice
"Sì.. mi sa che ti tocca." rispose e quella notizia mi fece sorridere contento "A meno che tu non abbia un'altra preferenza." finsi di pensarci, lanciando un'occhiata alle altre persone in attesa, soffermandomi su Kurt, che seguiva la scena già con gli occhi lucidi  e su Dianna - maledetta! - che piangeva come una fontana dall'altra parte dell'altare.
"No... penso che per questa volta mi accontenterò." concessi con un ultimo sorriso. Blaine ricambiò quel gesto, addolcendosi appena per poi sporgersi verso di me e abbracciarmi
"Lo sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto, sarei stato profondamente fiero di te." mi disse e ricordai quel discorso fatto sul terrazzo del suo appartamento, quando ero ancora sommerso dai subbi e dalle incertezze e lui ovviamente lo aveva capito, senza che io gliene avessi minimamente parlato.
"Mmm.. io e te facciamo i conti dopo." lo misi in guardia divertito, giusto per stemperare un po' di tensione. Sciolto l'abbraccio mi lasciai scappare un profondo sospiro dopodiché mi girai di nuovo verso il pastore e verso Daniel che attendevano impazienti. Soprattutto il secondo che allungò una mano, come un invito, e io quasi corsi verso di lui per potergliela prendere e stringere di conseguenza. Forse ancora non mi ero del tutto reso conto di cosa stesse accadendo in quella sala, forse me ne sarei accorto solo dopo qualche ora a mente fredda: sapevo solo che l'unica cosa reale lì dentro, fosse lui.. lui che continuava a guardarmi come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto - e facendomi sentire esattamente in quel modo - lui che ogni tanto arrossiva, sorrideva, si mordeva quel dannato labbro un po' per provocarmi un po' perché era troppo agitato e quello era il suo unico modo per scaricare; lui che a stento riuscì a seguire le parole del pastore - come me del resto - che continuava a stringermi la mano, intensificando ogni qualvolta lo facessi anche io. Lui. lui.. lui.. solo ed esclusivamente lui.
Ad un certo punto, quasi inconsciamente, feci vagare lo sguardo per la sala, sorprendendomi di trovare delle persone che non mi sarei mai aspettato: in prima fila, accanto a Kurt, c'era Margareth - la complice ideale - con un fazzoletto stretto al petto e il labbro sporgente in un evidente smorfia di commozione; c'era poi Matt, poco distante da Dianna - che ovviamente era la testimone di Daniel - e dal piccolo sorriso che mi indirizzò dovetti prontamente ricredermi sul suo conto, forse non era così restio nei confronti delle relazioni omosessuali era solo.. un po' meno espansivo rispetto agli altri. C'era poi Puck, il proprietario del pub di Blaine assieme a Quinn, la figlia di Fabray - Dio, fa che quello stronzo non venga mai a sapere che due dei suoi sottoposti si stanno sposando a sua insaputa - poco distante Brittany e la sua ragazza Santana e ancora i genitori di Daniel con la zia materna che piangeva esattamente come Dianna, forse anche peggio. Ovviamente dei miei genitori neanche l'ombra e non credevo dipendesse dal fatto che Daniel non li avesse invitati; sapevo perfettamente il motivo per il quale non fossero lì e forse.. in un certo senso era stato anche meglio. Loro non avrebbero capito e non avrebbero minimamente meritato di condividere quell'emozione. Esattamente come avevo pensato io, al nostro fianco Dan aveva voluto esclusivamente le persone che ci volevano bene e che sarebbero state contente per noi. I miei genitori - mio padre in particolar modo - probabilmente avrebbero solo rovinato tutto.
Ritornai a concentrarmi esclusivamente su Daniel che in quel momento arrossì ancora mentre il pastore diceva qualcosa a proposito di famiglie appena iniziate e di figli futuri che avrebbero portato soltanto gioia e amore.
Oh mio Dio... figli... ci avresti mai scommesso Sebastian?...
Sentivo il cuore battermi ad un ritmo preoccupante nel petto, probabilmente stava per venirmi un infarto ma dovevo resistere.. dovevo farlo per lui, per me, per il nostro matrimonio che doveva arrivare fino alla fine, fino al fatidico sì.
Ti direi sì miliardi di volte.. fino all'ultimo respiro...
"Dunque.. credo sia arrivato il momento delle promesse. Chi vuole iniziare?" ci domandò il pastore, attirando la nostra attenzione. Le promesse.. cazzo.
"Io non... ho scritto nulla. Non sapevo neanche di dovermi.. sposare oggi. Altrimenti qualche riga l'avrei buttata giù." cercai di giustificarmi, ottenendo una risata generale nella sala, inclusa quella del pastore e di Daniel. Quest'ultimo, stringendomi appena la mano ottenne la mia attenzione e disse
"Non importa... non serve avere qualcosa di pronto.. basta lasciarsi andare." e mi sorrise incoraggiante "Lascia che sia il cuore a parlare al posto tuo!"
Lascia che sia il cuore... lui sì che ha le parole adatte...
Presi un profondo respiro, riempiendomi i polmoni di aria nuova e contando esattamente fino a dieci prima di sollevare di nuovo gli occhi, puntarli nei suoi, così chiari ed impazienti e innamorati e incredibilmente belli e dal profondo della mia anima trovai le parole da dirgli
"Fino a qualche anno fa ero... una testa di cazzo e se.. domandiamo in giro, l'ottanta per cento dei presenti sarebbe pronta ad ammettere che forse lo sono ancora. Senza il forse." dalla sala si alzò un'altra risata alla quale si unì anche lui "Non ho mai creduto nel vero amore, nei sentimenti profondi né tanto meno alla storia del per sempre. Credevo fosse qualcosa di impossibile, qualcosa che non avesse neanche significato. Forse lo dicevo perché... non ne avevo mai sentito la necessità oppure la sentivo.. la sentivo eccome ma non ho mai trovato il coraggio per ammetterlo. Poi un giorno... come un fulmine in ciel sereno sei arrivato tu e... dire che mi hai cambiato la vita sarebbe davvero banale e scontato.. tu la mia vita l'hai fatta iniziare." gli dissi con il cuore in mano avvertendo la voce cedere leggermente per l'emozione. I suoi occhi brillarono di nuovo ma mi lasciò continuare "É stato come svegliarsi da un lungo letargo per scoprire che il mondo conservava davvero qualcosa di bello e unico e speciale e quel qualcosa eri tu. Ora.. non so per quale assurdo motivo né per quale sfacciata fortuna tu abbia deciso di innamorarti proprio di me e di permettermi di amarti a mia volta.. solo che... quello che provo e che mi fai provare ogni giorno trascorso insieme è.. troppo bello, troppo prezioso ed io non posso assolutamente permettermi di lasciarmelo scappare. Tu sei l'inizio della mia vita e sei anche diventato il mio perfetto per sempre." presi un altro profondo respiro e infine aggiunsi "Ed è per sempre che prometto di amarti, onorarti, rispettarti e proteggerti fino alla fine dei miei giorni, fino a che avrò respiro e fino a che tu mi permetterai di farlo."
Alla fine, anche senza sapere come, la mia promessa l'avevo fatta, il mio cuore aveva parlato ed era esattamente ciò che avrei voluto dire, anche se avessi avuto la possibilità di scriverlo su carta prima della cerimonia. La reazione di Daniel però fu qualcosa di indescrivibile: chiuse per qualche istante gli occhi, senza dire una sola parola, per poi riaprirli qualche secondo dopo e stordirmi. Erano bellissimi, pieni di parole ed emozioni e pieni di lacrime che aspettavano solo di essere versate. E forse quel giorno glielo avrei permesso e probabilmente lo avrei permesso anche a me, magari in privato, quando nessuno avrebbe potuto vederci. Era il suo turno per parlare ma dalla sua espressione commossa intuii stesse aspettando la forza per farlo
"Daniel.. è il tuo turno." lo esortò il pastore con un gesto gentile. Si perse in un lungo respiro tremante, rivolgendomi un sorrise che mi fece stranamente arrossire.
Mi sto sposando davanti a tutte queste persone nella sala ricevimenti di un lussuoso albergo newyorchese e.. arrossisco se il mio ragazzo mi sorride...
"Forse non è stata una grande idea scriversi in anticipo il discorso perché ora non... ricordo praticamente nulla.." ridacchiò sconsolato suscitando una leggera risata generale ed un paio di sonori singhiozzi da qualche parte, probabilmente tra sua madre e sua sorella.
"Lascia che sia il cuore a parlare al posto tuo." gli consigliai con un sorriso che lui ricambiò all'istante, ancora leggermente tremante. Ovviamente dovette mordersi appena il labbro prima di iniziare definitivamente a parlare
"Quando ti ho conosciuto ammetto di averti profondamente odiato. Eri arrogante, presuntuoso, spaccone e.. tremendamente fastidioso." iniziò nascondendosi dietro ad un sorriso divertito che mi fece ridacchiare. Descrizione perfetta, avrei voluto dire, ma qualcuno pensò bene di intervenire al posto mio
"Lo è ancora!" borbottò Blaine facendo ridere tutti, me compreso
Questa me la paghi, nano malefico...
"Se qualcuno mi avesse detto che... tempo due anni e saresti diventato il centro del mio mondo.. probabilmente lo avrei ucciso con le mie stesse mani. Eppure... contro ogni.. logica... lo sei diventato davvero. Sei diventato il mio migliore amico, il mio appoggio, il mio unico scopo, la mia più grande soddisfazione, il mio tutto... l'amore della mia vita. Sei riuscito a farmi amare tutti quei bruttissimi difetti che ti ritrovi e sei perfino riuscito a farmi amare i miei che forse sono perfino peggiori. Sei riuscito a farmi conoscere un aspetto della vita che non avevo mai neanche preso in considerazione, sei stato capace di sopportarmi e continui a farlo ancora.. nonostante... tutto. Penso tu abbia la costante possibilità di mandarmi via, di sbarazzarti di me eppure... non lo fai... e questo, credimi.. è davvero qualcosa che ogni giorno è capace di lasciarmi senza parole." sollevò entrambe le sopracciglia in una espressione di autentico stupore che mi fece sorridere
"Io ho... pochi punti fermi nella mia vita.. uno di questi sei tu e vorrei che continuassi ad esserlo per sempre... rimanendo esattamente come sei e permettendomi di amarti oggi più di ieri e domani più di oggi e permettendomi di essere per te tutto quello di cui potresti aver bisogno." la voce tremò appena, assieme alle mie gambe e al mio respiro. Era davvero difficile rimanere fermi lì, senza poterlo prendere e stringere a me, provare a dargli un po' di forza, un po' di amore e prenderne a mia volta da lui perché iniziavo seriamente a sentirmi male tanto era forte ciò che sentivo. Quelle parole.. quelle magnifiche parole: era molto di più di quello che mi sarei mai potuto aspettare e mai potuto meritare.
Ti amo, ti amo... non smetterò mai di amarti.. smetterò di respirare, di sognare, di vivere.. ma di amarti no... quello mai...
"Ed è per tutti questi motivi che io oggi prometto di amarti, onorarti, rispettarti e prendermi cura di te... fino alla fine.. ora e per sempre." e quella volta davvero non seppi cosa mi trattenne dall'avanzare e baciarlo, forse i singhiozzi di qualcuno che si erano accentuati o il breve e spontaneo applauso che qualcuno aveva fatto partire o forse le parole del pastore che ci invitò finalmente a prendere gli anelli. Erano bellissimi, dorati, poggiati su un piccolo cuscino celeste che a turno sfilammo con delicatezza, baciammo e poi sistemammo al dito dell'altro. La mia mano tremava quasi in maniera preoccupante ma forse quello era davvero il male minore. Era niente rispetto a ciò che sentivo esplodermi nel petto, alla miriade di sensazioni che mi pungevano la pelle, mi facevano fremere e non mi permettevano neanche di stare fermo.
"E con i poteri conferitimi dallo stato di New York... vi dichiaro ufficialmente... marito e marito." proclamò infine l'uomo con un sorriso trionfante e quello che esplose poco dopo fu un vero e proprio applauso che per poco non fece venire giù tutto l'albergo. Ma io non riuscii neppure a sentirlo. Sentii solo le mani di Daniel - mio marito, per la miseria - che si stringevano nelle mie, vidi solo il suo sorriso che si allargava e si faceva ancora più bello, avvertii semplicemente la voglia irrefrenabile di baciarlo e alla fine.. lo feci. Poggiai finalmente le labbra sulle sue per un morbido bacio di unione che sanciva tutto quello che ci eravamo appena detti, promessi, dati e augurati. Un bacio nuovo di due ragazzi che avevano lasciato alle spalle tutto per ricominciare come una coppia sposata.. sposata per davvero. Questo dev'essere un altro sogno.. ma questa volta.. non voglio svegliarmi...
"Ti amo, Bas... ti amo da impazzire. Ora e per sempre."
"Ti amo anche io, piccolo mio ... ora e per sempre."

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Capitolo 49
*** Epilogo n°7 ***


Buonasera a tutti... chiedo scusa per il ritardo (e quando mai XD) ma questa volta la colpa è esclusivamente attribuibile a me e al fatto che non ami in maniera particolare la coppia di Tina e Mike.. che i loro sostenitori non si offendano ma proprio non riesco ad immedesimarmi in loro e per questo è venuta fuori questa cosa.. cortissima rispetto agli altri epiloghi e soprattutto bruttissima... mi vergogno quasi a pubblicarla ma mi rendo anche conto che non posso fossilizzarmi su questo capitolo altrimenti questa storia non la chiudo più XD quindi se potete, perdonatemi e fatevi una rilettura della Seniel dopo così cancellate i brutti pensieri che vi verranno leggendo questo epilogo ^_^ dunque, vorrei precisare una piccola cosa... ho notato che alcuni di voi non hanno capito bene cosa c'entrassero gli epiloghi degli altri personaggi con la storia principale... diciamo che lo scopo principale di questo progetto era inizialmente dare una fine compiuta a tutta la storia, personaggi secondari inclusi perchè d'altronde anche loro avevano dato il loro contributo alla coppia Klaine e quindi in un certo senso mi sentivo in debito con loro, volevo che avessero tutti un happy ending.. e poi principalmente perché non è ancora chiaro nella mia testa se ci sarà o meno il seguito di questa storia quindi era bene mettere un punto definitivo (o almeno per il momento) e chiudere ognuna delle situazioni lasciate aperte.. ecco il perché degli epiloghi sugli altri personaggi benché fosse una storia Klaine.. ^_^ spero di essere stata chiara e come sempre vi ringrazio di vero cuore per le magnifiche recensioni (ho voglia di rispondervi ma.. ç___ç non ho tempooooo ç___ç me misera!) sappiate che le adoro tutte dalla prima all'ultima e che ogni volta mi date un po' di vita con le vostre bellissime parole. Vi mando un bacio immenso e.. ci vediamo, spero domenica, con la Wemma. Ciaoooooo
P.s. Era quella più difficile, ma è decisamente l'immagine più bella di tutte... l'unica cosa che valga la pena guardare in questo scempio di capitolo XD *___* more... grazie. (Ovvio, la Seniel non ha paragoni ^^)
N.B. Pagina Fb (Dreamer91 )

Epilogo n°7

Tina & Mike
"Come una principessa"



New York City. Ore 11.12 A.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)


Quel giorno il sole su New York splendeva in maniera particolare. La Primavera era nel pieno della sua meraviglia e i profumi che si sentivano tra le strade, oltre ovviamente al solito opprimente smog, erano davvero bellissimi. Adoravo camminare tra le bancarelle del marcato del quartiere tra frutta e verdura tipiche di quel periodo, immaginando che tipo di nuovo piatto poter creare e a chi proporlo. Peccato solo che, dopo essermi fatta prendere dal più vivido entusiasmo, finisse tutto in un nulla di fatto per colpa del mio portafoglio perennemente vuoto e la necessità di acquistare prima di tutto i beni di prima necessità.
Era davvero assurdo ridursi a fare economia alla mia età, con una città del genere ai miei piedi solo che negli ultimi anni non me l'ero mai vista particolarmente felice sul punto di vista finanziario. New York, per quanto bella e colorata, era una città molto cara e per chi come me non riusciva a trovare grandi lavori, era davvero un problema sopravviverci. Volevo un bene dell'anima a Rachel e alla piccola Lea ed era davvero un piacere per me farle da baby-sitter una volta ogni tanto, ma quei pochi soldi che mi dava non riuscivano di certo a cambiarmi la vita, né tanto meno avevo mai preteso qualcosa in più. Sapevo che anche lei non avesse un lavoro e che mi chiedesse di tenerle la figlia esclusivamente per farmi un favore, facendomi guadagnare qualcosa. Avevo portato il mio curriculum in più di un negozio per fare la commessa, in alcuni studi di liberi professionisti come segretaria e mi ero perfino spinta nel quartiere di China Town, sperando che, trattandosi di nazionalità simili, loro potessero aiutarmi, e invece quel viaggetto fuori porta mi aveva solo convinta maggiormente del fatto che avere tratti orientali, fosse la mia più grande congiura. Se magari fossi nata prosperosa, con un bel sedere e con due gambe chilometriche, forse non avrei avuto difficoltà a trovare un bel lavoro.
Probabilmente è meglio avere integra la dignità a questo punto...
Svoltai l'angolo della mia strada, stringendo le buste della spesa e sbuffando leggermente per la fatica e per il caldo che iniziavo ad avvertire sotto i vestiti. Avrei affrettato volentieri il passo per arrivare prima a casa e buttarmi sotto la doccia, ma non ero nelle condizioni fisiche ideali per farlo. Tanto valeva stringere i denti ancora per qualche metro, tanto il portone del mio palazzo non era poi tanto lontano. Si intravedevano già i quattro scalini e la ringhiera nera, la sagoma della moto di Blaine parcheggiata accanto al marciapiede, l'alberello mingherlino e storto che spuntava dall'aiuola accanto al palazzo, la limousine nera accostata ad un lato, il solito gattone nero che soffiava aggressivo quando gli passavo accanto, il solito... no, aspetta un attimo. Limousine nera?
Quella volta il passo lo affrettai davvero perché, nonostante fossi una ragazza particolarmente discreta, era comunque un caso eccezionale vedere una macchina del genere parcheggiata sotto il mio palazzo. Non ne avevo mai vista una dal vivo e dovevo ammettere che fosse particolarmente bella ed elegante. Era tirata a lucido e si vedeva chiaramente quanto il proprietario ci tenesse all'apparenza. La domanda che a quel punto mi sorse spontanea fu: per chi era quella limousine? Per Kurt, che ormai era entrato nello sfavillante mondo della moda e quindi magari avrebbe avuto bisogno di quella d'ora in poi per muoversi? Di Blaine che invece aveva ottenuto un contratto discografico per la sua bella voce? Per Rachel e Lea? Era di Finn che voleva fare una sorpresa a queste ultime? Artie Abrams che, dopo non essere uscito per mesi interi, si concedeva quel tipo di lusso?
Chiunque sia... fortuna sua..
Proprio in quel momento, mentre passavo accanto alla macchina e mi arrischiavo a dare un'altra occhiata all'interno - ovviamente era dotata di vetri oscurati, figurarsi! - mi accorsi della figura elegantemente vestita, poggiata alla carrozzeria dell'auto, con tanto di cappello di servizio e occhiali da sole. Era l'autista, poco ma sicuro e aveva tutta l'aria di essere lì in attesa del suo passeggero. Gli rivolsi un leggero sorriso - un po' tirato, dovuto all'invidia per chiunque fosse salito su quella macchina - per poi avvicinarmi alle scale e tentare di recuperare le chiavi del portone, senza posare per terra le buste. Ma in quel momento accadde qualcosa:
"Signorina Cohen-Chang?" a causa dello spavento, per poco non mi scapparono le buste dalle mani. Mi girai leggermente, ritrovandomi il tizio di prima, l'autista della limousine, con il cappello tra le mani e un sorriso cordiale sul viso
"Uhm... sì?" esitai leggermente, chiedendomi cosa diamine volesse quel tipo da me e soprattutto perché sapesse il mio nome. Voleva per caso chiedermi qualche informazione? Voleva rapirmi e poi uccidermi?
Guardo troppe puntate di Criminal Minds..
Il suo sorriso si allargò leggermente e mi porse la mano
"Il mio nome è Taylor, signorina. Stia tranquilla, la prego. Non è mia intenzione spaventarla né tanto meno farle del male!" mi avvertì portando le mani in avanti per giustificarsi. Il mio cuore rallentò appena i battiti: beh, almeno non era un maniaco.
Sveglia Tina... i maniaci non andrebbero mai in giro con una macchina del genere...
"Posso esserle d'aiuto in qualcosa?" domandai incuriosita, lanciando un'altra occhiata inquieta verso la limousine nera e lucida. Taylor si rimise il cappello in testa ed indicò con un cenno l'auto
"Sì... in realtà dovrebbe seguirmi, se non le dispiace." rispose con molta tranquillità.
Eh?...
"Eh?"
"Sono stato incaricato dal mio capo di venirla a prendere sotto casa per portarla da lui. Ci attende nel suo studio." spiegò, per niente infastidito dalla mia titubanza. Era stato incaricato di venirmi a prendere? Portarmi nel suo studio? In limousine? Il suo capo?
"Mi scusi... si può sapere chi... è che la manda?" gli chiesi confusa, con le guance che andavano leggermente arrossandosi per lo sforzo e il caldo. Le buste della spesa ancora pesavano tra le mani ed io tergiversavo in quel modo invece di girare i tacchi e tornarmene a casa. Lui sorrise ancora, un sorriso smagliante, un sorriso di chi sa di avermi già convinta a prescindere da tutto. E quello che mi disse dopo, ebbe il potere di farmi arrossire ancora di più e farmi perdere la presa attorno alle buste
"Il signor Michael Chang Jr!"

New York City. Ore
11.45 A.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)

Ogni bambina al mondo con un po' di sana immaginazione, deve necessariamente essersi chiesta cosa si provi a sentirsi delle principesse. La carrozza con i cavalli, il cocchiere ad accompagnarla al ballo, il vestito elegante, le scarpe di cristallo - che si spera di portare integre fino alla fine e non perderle da nessuna parte - e quella piacevole agitazione che stringe lo stomaco, ma tutto sommato messa da parte dalla gioia dovuta al pensiero del principe azzurro che aspetta, al di fuori di quella sala addobbata, con il sorriso innamorato e la speranza di un futuro sereno da condividere. Ebbene, ero stata bambina anche io ed avevo sognato le stesse identiche cose anche se, crescendo, quelle cose mi erano sembrate stupide ed insensate e avevo capito che fosse decisamente più importante arrivare alla fine del mese, piuttosto che sperare di calzare bene la scarpina di cristallo.
Eppure... una sorta di cocchiere quel giorno era seriamente venuto a prendermi sotto casa, e mi aveva fatta accomodare in una carrozza - molto più comoda, molto più lussuosa, decisamente più moderna - e mi stava portando in un luogo misterioso, nel quale avrei potuto trovare il mio principe, o al massimo la matrigna cattiva che con una risata mi avrebbe rispedita a casa. Sinceramente non sapevo cosa sarebbe stato più sbagliato augurarsi.
Michael Chang... ancora mi veniva da arrossire soltanto nel sentire pronunciare quel nome: avevo conosciuto quell'uomo disinvolto ed elegante al party organizzato in onore di Kurt e Blaine a casa di quest'ultimo, dato che era stato il capo di Kurt prima che questo vincesse il concorso di moda. In realtà quella non era stata la prima volta in cui lo avevo notato: anche durante la sfilata, lui c'era... era tra i giudici e con grande sorpresa ed imbarazzo mi ero vagamente resa conto di come i suoi occhi si fossero fatti più intensi, mentre sfilavo su quella passerella con il mio abito scollato sulla schiena, cercando di non sorridere troppo, di non correre, di non inciampare. Ed era stata in quell'occasione che i suoi occhi scuri si erano posati su di me, facendomi sentire vagamente una principessa, benché non ne avessi minimamente l'aspetto. Anche in quel momento, mentre ero compostamente e timidamente seduta su quel sedile di pelle della limousine nera, mi sentivo un po' regale... immaginavo cosa pensassero da fuori, vedendo sfilare una macchina del genere - nonostante a New York capitasse non di rado - e magari qualcuno avrebbe perfino provato a sbirciare all'interno chiedendosi quale attrice, quale cantante o quante modelle ci fossero all'interno. Peccato che in ogni caso avrebbero sbagliato previsione: in quella macchina tanto elegante, c'era una ragazza niente affatto speciale, molto anonima in realtà, con nessun talento e con pochissime speranze per il futuro. Ero un po' l'emblema della società moderna, così strana e precaria, e sapevo anche che molti si sarebbero potuti rispecchiare in me, piuttosto che nelle modelle o nelle attrici. Dunque nessuna principessa, nessun ballo reale, nessun vestito sontuoso. Semplicemente una qualsiasi Tina Cohen-Chang e un qualsiasi Michael Chang Jr... oddio.. lui non era affatto uno qualsiasi, anzi.
Era un uomo interessante, posato, educatissimo, molto raffinato e tranquillo nel suo modo di fare. Nonostante fosse un uomo palesemente ricco e molto, molto importante, durante la festa non era sembrato affatto seccato di rivolgermi la parola: era stato molto naturale, molto disteso e soprattutto era stato capace di mettermi a mio agio con poco, lasciandomi parlare molto e sorridendo davvero spesso.
E che bel sorriso che aveva....
Scossi la testa energicamente, sentendo di nuovo le guance arrossire: che diavolo mi mettevo a pensare? Fantasticavo su un uomo che neanche conoscevo? Certo, era molto affascinante, ben vestito, educato, cortese, un uomo di altri tempi ma... era pur sempre uno sconosciuto e nonostante avesse mandato una macchina - una limousine, Tina - a prendermi sotto casa.. rimaneva tale.
Mi ero chiesta più volte, mentre la macchina percorreva le strade trafficate di New York, cosa volesse Michael Chang da me. Certo, quella sera avevamo parlato tanto ed eravamo stati molto bene, ma addirittura pensare di rivedersi... mi sembrava davvero bizzarro. A dirla tutta non ricordavo neppure cosa ci fossimo detti di preciso alla festa, tanta l'euforia e la gioia che provavo per Kurt, quindi non riuscii a formulare nessuna ipotesi concreta se non il... no, non dovevo farlo, non dovevo illudermi inutilmente. Il principe non esisteva ed io dovevo farmelo entrare bene in testa una volta per tutte.
La macchina si fermò una decina di minuti più tardi in un quartiere che non conoscevo, un quartiere che pareva molto essere un centro direzionale, o comunque un business square: i grattacieli erano particolarmente alti, le macchine che circolavano - poche in realtà ed era strano per una città del genere - erano di lusso, esattamente come quella limousine, e c'erano pochissimi negozi, molto raffinati di marche veramente famose. Eravamo in un quartiere prestigioso, probabilmente dell'Upper Class, dato che non mi era parso avessimo abbandonato Manatthan. Taylor spense il motore e come un fulmine si avvicinò alla mia portiera per aprirla e tendermi la mano. Arrossii violentemente per quella galanteria inaspettata e infatti trovai non poche difficoltà ad allungare la mia mano per stringere la sua ed uscire integra dall'auto. Avevo paura di inciampare e fare una pessima figura, ma per mia fortuna non fu così.
Seguii l'uomo in divisa fino all'ingresso di un elegante grattacielo interamente fatto in vetro e mi meravigliai non poco del fatto che ignorasse completamente il concierge all'ingresso e si dirigesse spedito verso l'ascensore, ma continuai a stargli dietro senza fiatare, limitandomi a lanciare occhiate stupite in giro perché tutto quel lusso esagerato era davvero... beh.. esagerato. Mi sentivo fuori luogo in un posto così, temevo di combinare qualche danno, di inciampare e rompere qualcosa, magari perfino far arrabbiare qualcuno. Quelle come me posti del genere li sognavano e forse neanche nei sogni sarebbero stati così perfetti: il lampadario di cristallo, il tappeto rosso perfettamente morbido e pulito, i facchini con le divise impegnati a portare a destra e a manca carrelli colmi di valigie e poi c'ero io, con la mia insulsa gonnellina gialla, la mia camicia bianca anonima, i miei stivali e l'espressione spaesata. Ma forse anche Cenerentola prima dell'arrivo della fata aveva il mio aspetto. Magari con un po' di magia, anche io sarei potuta migliorare e diventare adatta per un luogo del genere.
L'ascensore - che ovviamente al suo interno aveva un addetto apposito per pigiare i tasti! - ci portò fino al settantaquattresimo piano e per me fu davvero una tortura attendere così tanto, data la mia leggera forma di claustrofobia e soprattutto la paura presa di recente nell'ascensore del mio palazzo. Solo che lì non eravamo in una vecchia cabina malridotta e magari l'uomo in divisa che premeva i tasti, sapeva anche qualcosa in meccanica e avrebbe potuto salvarmi se fossimo rimasti bloccati dentro.
Nel caso.. chiamate Will e Finn... loro sapranno come fare..
Arrivati al piano con un leggero e morbido tunf, le porte automatiche si aprirono su un lungo corridoio bianco e sobrio e mi preparai a seguire nuovamente Taylor per sapere che direzione prendere e invece...
"Prego signorina Cohen-Chang... percorra il corridoio alla sua destra fino alla fine. La porta in fondo è quella dello studio del Signor Chang.. la sta già aspettando!" mi spiegò sorridendomi di nuovo cordiale e mantenendo ferme le porte dell'ascensore. Quella volta invece di arrossire sbiancai completamente: che cosa significava percorra il corridoio? Dovevo... andarci da sola?
"Lei non..."
"Mi spiace, ma ho del lavoro da sbrigare e poi devo riportare la macchina al garage!" mi rispose, senza che io avessi formulato alcuna domanda sensata. Tentai un'occhiata disperata, cercando di supplicarlo e di fargli capire che non poteva assolutamente abbandonarmi lì, al mio destino, dopo avermi prelevata con l'inganno. Come minimo esigevo un sostegno morale fino alla porta e magari perfino una mano forte che avrebbe bussato al posto mio. Ma lui non sembrava intenzionato a cedere e preferii uscire dalla cabina, senza infastidire troppo l'altro uomo in divisa che ci guardava leggermente seccato. Salutai Taylor con un piccolo cenno imbarazzato - e lui mi rispose con un altro sorriso - e rimasi fissa nel corridoio, fino a che il piccolo display sulla cabina non iniziò la rapida corsa verso il pianterreno. Finalmente lanciai un'occhiata al corridoio davanti a me, quello sulla destra come aveva indicato Taylor e per poco non mi sentii male alla consapevolezza che, alla fine di tutto, ci sarebbe stato lui ad aspettarmi.
La sta già aspettando...
Mi imposi la calma mentre i piedi avanzavano da soli, guidati da una strana forza misteriosa, uno davanti all'altro, ignorando completamente le altre porte chiuse di quel corridoio e concentrandomi esclusivamente sull'ultima, quella più grande, quella che sembrava quasi risplendere di luce propria, quella che nascondeva un ipotetico principe. Riuscii ad arrivarci integra, nonostante il cuore stesse battendo a velocità sconsiderate e le mani avessero iniziato a sudare spropositatamente: tentai di sistemarmi velocemente, allisciando con le mani i capelli e i vestiti, e maledicendomi mentalmente per non essermi messa neanche un filo di trucco quella mattina. Ma d'altronde, ero uscita per andare a comprare le banane e l'insalata, non di certo per incontrare un uomo del genere. Per un momento pensai addirittura di fare dietro front e scappare, magari prendendo le scale, perché davvero non riuscivo a trovare il coraggio neanche per bussare figuriamoci per parlargli e fui davvero sul punto di farlo, quando all'improvviso la porta si aprì e mi ritrovai davanti agli occhi la perfetta riproduzione dell'uomo elegante e raffinato - e bellissimo! - che rimbalzava nei miei pensieri leggermente sbiaditi. Era lì, a meno di un passo da me e mi ritrovai immediatamente a pensare che i miei ricordi non gli rendessero affatto giustizia.
"Oh... salve!" mi salutò, aprendosi in un sorriso allegro, che non aveva nulla a che vedere con quelli che mi aveva rivolto Taylor fino a poco prima. Quelli dell'autista in confronto sembravano inutili smorfie seccate. Ovviamente, neanche a pensarci, arrossii ancora
"S-s-sal-ve.." balbettai stringendo il tessuto della gonna, tanto per aggrapparmi a qualcosa, con la speranza di non cadere. Lui si fece da parte, indicando con un gesto ampio lo studio alle sue spalle
"Prego.. accomodati pure." mi disse gentilmente e solo in quel momento mi ricordai che quella sera avevamo anche deciso di darci del tu e lui mi aveva chiesto di chiamarlo Mike. Non Chang, non signore... solo Mike. Annuii brevemente, abbassando gli occhi sul parquet scuro e avanzai verso una delle poltrone di pelle, sentendo il suo sguardo addosso. Trovarmi nella stessa stanza con lui fece un effetto che non mi sarei mai aspettata: un conto era stato parlarci, attorniati da altre venti persone ed un altro sarebbe stato in quel momento intrattenere una conversazione soltanto con lui, senza altre distrazioni, senza possibilità di fuga e senza neanche sapere per quale motivo fossi lì. Mi aveva fatta chiamare lui quindi immaginai che dovesse essere lui ad iniziare. E per mia fortuna, lo fece davvero.
"É un piacere rivederti, Tina. Come stai?" mi domandò, prendendo posto accanto a me, sulla poltrona di fianco. Alzai gli occhi sorpresa, perché non si era seduto alla sua scrivania... lo aveva fatto accanto a me e in quel momento sembrava molto più un uomo comune vestito bene, che un importante e ricco industriale.
"Bene, grazie. Tu?" ignorai volutamente la prima parte della sua frase, il fatto che gli facesse piacere avere di nuovo a che fare con me, concentrandomi invece sulla domanda che era molto semplice e molto poco compromettente. Per poco, però, il sorriso che mi rivolse non mi fece collassare sul pavimento
"Non posso lamentarmi." e chissà per quale motivo ridacchiò. Strinsi le mani in mezzo alle ginocchia e tentai un sorriso, che mi uscì fuori timido ed impacciato, ma lui evidentemente lo prese per buono perché ne approfittò per sporgersi leggermente verso di me, poggiando i gomiti sulle ginocchia
"Ti sarai chiesta come mai ti ho fatta venire qui." mormorò squadrandomi per bene, leggermente curioso. Avrei voluto fargli presente che non c'ero arrivata con le mie gambe, mi aveva mandato una limousine con tanto di autista incorporato, quindi non era il caso di sentirsi così in colpa. Ma non lo feci. Mi limitai ad annuire e a far trasparire un po' di quella curiosità che in fondo sentivo agitarmi dentro.
"Avrei una proposta da farti!" esclamò risoluto, facendomi sgranare gli occhi.
"Una.. proposta?" ripetei e senza alcun motivo preciso, mi ritrovai ad arrossire. Lui annuì e sorrise ancora. Ma cosa avevano quel giorno tutti quanti? Tutta quella voglia di sorridere da dove la prendevano? Anzi... cosa si prendevano per sorridere così? E soprattutto.. cosa mi voleva proporre Michael Chang Jr? Era una cosa illegale? Era una cosa a luci rosse - oddio per piacere, Tina.. smettila! Era una presa in giro? Qualsiasi cosa fosse, mi aveva messo addosso parecchia curiosità, tanto che mi mossi nervosamente sulla sedia, in attesa di spiegazioni. Lui fece un profondo respiro, lanciò un'occhiata al suo orologio da polso, dopodiché, neanche a dirlo, sorrise di nuovo
La prossima volta che lo fai, mi viene un infarto...
"Ti andrebbe di pranzare insieme?" mi domandò allegro, come se quella fosse l'idea migliore di sempre. Rimasi un attimo spiazzata perché non mi aspettavo una domanda così diretta
"E... sarebbe... questa la proposta che volevi farmi?" domandai esitante ma lui scoppiò a ridere
"Ma no, certo che no! Era solo un'idea per poter discutere più comodamente." mi spiegò divertito
Oh...
Bene, io e lui e pranzo insieme. Io e lui seduti allo stesso tavolo. Io e lui a parlare di una fantomatica proposta che avrebbe dovuto farmi. Io e lui in quale lussuoso ristorante di Manatthan. Io e lui... io e lui... io e lui.
"Oh... ehm..."
"Se hai altro da fare, non c'è problema. Possiamo rimandare a stasera a cena o ad un altro momento.. dimmi tu!" tentò di mettermi a mio agio, spiegandosi velocemente. Beh, la domanda era... avrei voluto condividere con lui il pranzo o la cena? Di giorno o di notte? Struccata e sciatta o perlomeno sistemata e curata?
"No, no... va bene anche ora!" concessi, sciogliendomi in un sorriso che fu subito imitato dal suo. Solo che su di lui donava molto di più
"Ottimo... davvero ottimo!"

New York City. Ore 01.03 P.M. 09 Maggio 2012 (Mercoledì)

Le mie previsioni non si erano affatto avverate: Mike non mi aveva portata in un ristorante di alta classe, né in un luogo in cui mi sarei potuta sentire una perfetta idiota nei miei abiti anonimi. Mi aveva sorpresa, di nuovo, e lo aveva fatto con molta naturalezza. Mi aveva portata da Burger King!
"Non sapevo che ai manager del tuo calibro piacessero... hamburger e patatine!" constatai divertita, prendendo posto ad un tavolino libero. Lui fece una mezza smorfia, allentandosi il nodo della cravatta
"É perché siete tutti prevenuti nei nostri confronti. Dopotutto.. siamo umani anche noi!" e mi strizzò l'occhio - oh mio... - per poi poggiare la schiena al sedile imbottito. Ci guardammo per qualche istante e poi, senza neanche metterci d'accordo, scoppiammo a ridere insieme.
"Seriamente... se preferisci andare in un ristorante più prestigioso, non ci metto nulla a far venire l'autista e farci accompagnare. Ovunque tu voglia!" esclamò appena preoccupato, e quella sua espressione, mi fece stranamente sorridere.
Ovunque io voglia...
"Scherzi? Non ricordo neanche quando è stata l'ultima volta che mi sono fermata in un posto così. Non lo baratto con nessun altro posto!" esclamai con vigore, afferrando il menù mangiucchiato su un lato e aprendolo sul tavolino. Lui ridacchiò ancora, per poi sfilarsi definitivamente la cravatta e conservarla nella tasca della giacca. Senza quella, sembrava decisamente meno serio e meno potente. Assomigliava molto di più ad un comune mortale, fermo a mangiare in un fast food.
Ordinammo alla cameriera - una ragazza bionda e magrissima che davvero stonava con tutte quelle calorie che svolazzavano per il locale - ed aspettammo in silenzio fino all'arrivo delle bibite, dopodiché, con in mano la sua coca light, Mike riprese il discorso iniziato nel suo studio
"Spero che quello che sto per dirti non ti offenda... mi sentirei davvero... in colpa." iniziò con un sorriso imbarazzato e da un uomo del genere, tutto mi sarei aspettata tranne quel tipo di esitazione. Strinsi appena la lattina della mia aranciata, sempre più curiosa
"Non preoccuparti... sentiti libero di dirmi tutto quello che vuoi." lo rassicurai, mentre quel disagio iniziale che avevo avvertito appena entrata nel suo studio, iniziava ad affilevolirsi. Forse era merito suo, del suo modo di fare molto rilassante e disteso, o forse era merito del posto in cui eravamo molto meno rigido e ufficiale del suo studio. Però, qualsiasi cosa fosse successa, mi faceva bene parlare con lui, acquistavo sicurezza e mi sentivo estremamente a mio agio, esattamente come era successo alla festa.
Mike prese un profondo respiro per poi trovare finalmente trovare il coraggio di dire
"Vorrei che lavorassi per me!" ed esattamente come era successo quella mattina davanti al mio portone, quando Taylor mi aveva detto che Michael Chang Jr voleva vedermi, sentii lo stomaco precipitare in basso e rimbalzare, quasi facendo un rumore assordante che probabilmente sentii perfino lui. Trattenni il respiro per precauzione, per evitare che anche quello sfuggisse via e che mi lasciasse senza speranze di replicare o almeno continuare a vivere. Con una notizia del genere, era già un miracolo se ancora fossi dritta sulla schiena.
"Tu vuoi che... io... lav-ori... per te?" domandai sconvolta, ripetendo esattamente le sue parole, per non sbagliare. Lui annuì
"Esattamente." confermò e le gambe mi tremarono appena tanto che dovetti stringerle forte e poggiare le mani sulle ginocchia
"Ho dovuto licenziare la mia segretaria personale perché si erano sparse delle voci davvero sconvenienti su un'ipotetica relazione clandestina che ci univa.. ovviamente tutte fandonie però.. ora sono finito nei guai perché tutto il suo prezioso lavoro sono costretto a svolgerlo io e beh... non ho tanta dimestichezza con quel tipo di cose!" e arrossì appena, quasi se ne vergognasse. Beh, aveva messo su un impero finanziario ed era uno dei nomi più rispettati di New York nonostante la sua giovane età... poteva fare tutto tranne che vergognarsi. Mi sporsi leggermente verso di lui, cercando di mettere a fuoco quello che stava dicendo
"E cosa... cioè... cosa dovrei fare esattamente in qualità di tua... segretaria.. personale?" arrossii io quella volta, nel dire quell'aggettivo perché mi dava l'idea di essere.. sì insomma molto intima come cosa. Lui scrollò le spalle
"Niente di eccessivamente impegnativo. Dovresti occuparti dei miei appuntamenti, ricordarmeli ogni ora, rispondere al mio telefono, alle mail, contattare i dirigenti sia della città che esteri, organizzare i miei spostamenti, tener cura del mio ufficio quando sono via e... se sei disponibile a farlo.. seguirmi nelle trasferte fuori New York!" spiegò pratico, facendosi professionale e abbandonando il rossore leggero. Oddio.. quante cose. Io al massimo potevo rispondere al telefono, o almeno era l'unica cosa che per certo sapevo fare. Il resto...
"Mi rendo conto che detta così.. su due piedi, possa sembrare una cosa azzardata e che ovviamente tu debba prenderti del tempo per pensarci, valutare i tuoi impegni e magari... non so, da quando ci siamo visti l'ultima volta ad ora potresti aver trovato un lavoro ed io.. sarei contento di questo e quindi la mia proposta sarebbe nulla ed io.. ti ringrazierei ugualmente e mi limiterei ad offrirti questo panino oggi e.."
"Perché io?" domandai a bruciapelo, espellendo finalmente quella domanda che mi premeva in gola. Lui bloccò il suo monologo disordinato per guardarmi per qualche istante, con aria confusa
"Non capisco." mormorò
"Mike.. perché io? Perché lo dici proprio a me?" insistetti, senza riuscire a capire. Sollevò un sopracciglio, mentre la cameriera portava i nostri panini e li lasciava sul tavolo con uno sbuffo sonoro dato che nessuno dei due le aveva prestato attenzione
"A chi dovrei.. dirlo? Tu mi sembri la persona più adatta per un ruolo del genere e poi... mi hai detto tu di essere in cerca di un lavoro fisso e che ti garantisse un po' di tranquillità economica... ecco, se è per questo, posso assicurarti che il tuo stipendio sarà.."
"No, non è per questo!" lo bloccai secca, anche se la parte economica faceva molta gola, non faticavo ad ammetterlo. Ma lì il problema era un altro.
"Come fai a dire che sono la persona più adatta se non mi hai neanche mai chiesto cosa so fare? Tu non.. mi conosci neanche, non sai che persona sono, non sai se ho le competenze necessarie, non sai neppure se so scrivere una mail.. come fai ad offrirmi un lavoro del genere, senza neanche avermi chiesto tutte queste cose?" domandai sinceramente confusa e combattuta, dato che una parte di me, ignorando i dubbi e la confusione, stava già ballando la conga in stato di estasi. Mike sospirò lentamente, forse capendo finalmente dove volessi andare a parare
"Non ho bisogno di farlo, credimi." mormorò con mezzo sorriso "Vedi, Tina.. conosco questo ambiente da parecchi anni e so perfettamente cosa serva e cosa invece è bene evitare in certi casi. Da quel poco che ho avuto modo di conoscere in te, ho subito capito che sei una persona leale, affidabile, sincera e onesta... che sei estremamente discreta, che non ti salterebbe mai in testa di approfittare della tua posizione per giocare un brutto scherzo al tuo capo e che non ti monteresti mai la testa se non fosse necessario. So anche che sei umile e che ora stai tentando in ogni modo di sminuirti perché tutte quelle cose tu sai farle alla perfezione, probabilmente molto meglio di quanto non abbia mai fatto la mia vecchia segretaria. Sono una persona che va molto a pelle... mi hanno sempre detto di avere la capacità di riconoscere le persone e di farmi un'idea esatta di queste già dalla prima occhiata e credimi.. tutto ciò che di bene penso di te... l'ho pensato quella sera a casa di Kurt Hummel.. e lo penso ancora adesso in questo fast food." disse con molta tranquillità, senza mai distogliere gli occhi dai miei. E mentre lui parlava, mentre elencava di me tutte quelle belle cose, mi sentii come se stesse parlando di qualcun altro, come se quella ragazza educata e rispettosa, fosse un'altra, che io non meritassi tutto quello. Possibile che lui fosse riuscito, in una mezza serata trascorsa a parlare di vere banalità, a capire come fossi fatta? Sì, in fondo nella maggior parte di quelle caratteristiche mi ritrovavo davvero perché ero molto discreta per natura, ero affidabile ed onesta e difficilmente mi ero mai montata la testa nella mia vita. Ma cosa principale... ero ancora alla ricerca disperata di un lavoro.
"E se ti sbagliassi?" gli domandai pochi istanti dopo, avvertendo una strana sensazione di disagio all'altezza del petto. In pochi istanti mi ero ritrovata a preoccuparmi più di quello che avrebbe potuto pensare lui di me, piuttosto che trovare una spiegazione valida per tutto quello che stava accadendo. Ed era strano in fondo avere paura di deludere le aspettative di Michael Chang dato che continuava a rimanere uno sconosciuto. Eppure... era esattamente ciò che avevo in mente in quel momento.
Mike strinse le spalle e sorrise
"Amici come prima. Io mi cercherei un'altra segretaria e tu avresti una referenza in più da aggiungere sul tuo curriculum." rispose molto schietto e quella sincerità mi fece ridacchiare leggermente "Ma credimi, Tina... so quello che faccio. Modestamente da quando ho fondato la mia agenzia non ho mai sbagliato e questa volta penso di andare sul sicuro con te." si sporse leggermente, posando i gomiti sul tavolo e lanciandomi un'occhiata di sfida, seppure velata da un leggero divertimento.
Cavolo, come si faceva a dire di no ad un'offerta di quel tipo? Lui mi stava offrendo un lavoro - un signor lavoro, tra l'altro! - praticamente su un piatto d'argento ed io titubavo? Cosa aspettavo a dire di sì, ad alzarmi in piedi e saltargli al collo, a ringraziarlo, a poggiare le labbra sulle sue che erano così belle, a... prendermi finalmente la mia rivincita sul mondo? Certo che.. lavorare con Michael Chang... rispondere al suo telefono, alle sue mail personali, organizzare i suoi viaggi e magari partire con lui... oddio... non riuscivo neanche ad immaginarlo. Avrei passato la maggior parte della mia giornata al suo fianco, a stretto contatto con lui, avrei potuto apprezzare meglio ogni angolatura del suo viso, avrei potuto capire cosa lo facesse sorridere più spesso e quante volte lo facesse con quella luce bellissima che gli colorava anche gli occhi scuri, avrei potuto perfino innamorarmi di lui. Ecco, magari questo sarebbe stato un tantino sconveniente ed era meglio evitarlo. Altrimenti avrei fatto la stessa fine della sua vecchia segretaria. Però.. l'idea mi allettava, mi allettava davvero molto!
"Allora... pensi che potrò avvalermi della tua preziosa collaborazione?" domandò, dopo avermi lasciato qualche istante per riflettere. Non c'era molto a cui pensare in realtà: era un lavoro ottimo, lo stipendio doveva essere davvero eccezionale, l'ambiente era tranquillo e poi.. lui. E infatti mi ritrovai, senza neanche rendermene conto, a sorridere e ad accettare
"D'accordo ma... ad una condizione..." mormorai con un sorriso, avvicinando il panino a me e sistemando meglio la carta per poterlo mangiare
"Sarebbe?" domandò curioso, non riuscendo ugualmente a contenere la sorpresa e la contentezza per aver ottenuto un sì da parte mia
"Che il pranzo oggi lo lasci offrire a me!" esclamai con un sorriso e attesi, fino a che quella informazione non fosse immagazzinata nel suo cervello e dalla sua bocca non uscì una meravigliosa risata. Una risata che ebbe il potere di farmi sentire incredibilmente bene. Ero stata io a farlo ridere.
"E sia." concesse, recuperando il suo panino e scartandolo esattamente come stavo facendo io. Mi lanciò uno sguardo furbetto per poi aggiungere "Vorrà dire che questa sera la cena la pago io."
"La...?" per poco non mi affogai con un pezzo di pane e lui rise ancora, sempre più sciolto, sempre meno irraggiungibile, sempre più.. principe.
"Sempre che tu sia disponibile, è chiaro." mise di nuovo le mani avanti, forse interpretando male la mia leggera titubanza. Ma certo che ero disponibile... ero disponibile sempre, anche di notte! Ok, di notte magari no e di certo non avrei potuto rispondere in quel modo, così tentai di mantenere la calma e di rispondere a tono, mentre il mio cervello affaticato tentava di passare in rassegna tutti i vestiti che possedevo per trovarne uno adeguato per una cena con lui.
"Posso mai dire di no al mio capo?" scherzai agitando il mio panino e quella fu davvero una mossa molto stupida perché una goccia enorme di maionese scivolò giù dal pane e si piazzò direttamente sulla mia gonna gialla.
Oh merda...
La risata di Mike mi distolse dalle imprecazioni mentali e dalla eventualità di aver appena fatto una figuraccia, facendomi sollevare gli occhi. Se la rideva, eccome se se la rideva, ma non sembrava esserci il minimo accenno di cattiveria in lui, sembrava più che altro estremamente divertito da una scena che apparteneva alla normalità - alla mia di sicuro! - e dalla sua espressione sembrò quasi fosse una liberazione, quasi avesse tentato per troppo tempo di sopprimere qualcosa e che finalmente questo fosse venuto fuori. E allora non riuscii a fare a meno di unirmi alla sua risata, ignorando la macchia e la cameriera di prima che ci guardava davvero male, sentendomi immediatamente più leggera e assaporando quella piacevole sensazione che ti lascia la vita, quando tutto inizia a girare per il verso giusto. E forse per me era finalmente arrivato quel momento. Per quanto riguardava lui invece...
il principe lasciava il suo rigido ambiente tutto perfetto con la ricerca della scarpetta perduta, per rendersi conto di quanto la vita di tutti i giorni fosse decisamente più divertente.

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Capitolo 50
*** Epilogo n°8 ***


Buon Pomeriggio angioletti miei e buona Domenica a tutti ^^ lo so, sono passati trenta giorni dall'ultimo epilogo, avete tutte le ragioni di questo mondo per essere arrabbiati con me... solo che questo epilogo proprio non mi piace.. l'ho scritto proprio per non deludere voi e perché quando mi prefisso qualcosa voglio portarla a termine... diciamo che, tolta una parte che mi è anche piaciuta, se fosse dipeso da me l'epilogo sarebbe finito nel cestino, ma... mi sono stancata di portarla troppo per le lunghe, voglio chiudere JaL per dedicarmi un po' ai miei Seniel *__* dunque... vi ringrazio per l'affetto che continuate a regalarmi, siete meravigliosi qui e anche nella pagina autore.. siete davvero importanti per me ed io non mi stancherò mai di dirvelo. Ci vediamo con l'ultimo epilogo, finalmente Klaine che ho intenzione di strutturare diversamente rispetto ai precedenti, proprio perché la Klaine è la coppia base della storia e perché vorrei chiudere in bellezza ^^ quindi potrei anche aggiornare molto prima di quanto non crediate... mettere fine a JaL fa male, molto più di quanto potessi immaginare, solo che... tutto finisce, ahimé.. anche le cose più belle ç__ç me ne vado prima di affogare in un mare di lacrime.. vi amo <3
p.s. Grazie a Dan perché parte dell'idea me l'hai data tu :*
n.b. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta Seniel ( Now and Forever)


Epilogo n°8
William & Emma
"Il Dono più Grande"




New York City. Ore 04.54 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)


Quando ero un adolescente e tornavo a casa da scuola, venivo sempre accolto dal profumo dell'ottimo cibo che mia madre cucinava, che mi metteva inevitabilmente di buonumore ed era capace di farmi dimenticare qualsiasi cosa, anche il solito litigio con il mio compagno di banco o il richiamo ingiustificato da parte di un professore che ce l'aveva con me. Io entravo in casa, annusavo l'aria e tutto andava meglio. Mia madre mi accoglieva con uno splendido sorriso, mi baciava la fronte e mi spediva in bagno a lavarmi le mani perché tanto era già tutto pronto e l'unica cosa di cui mi sarei dovuto preoccupare sarebbe stato addentare quello splendido cibo che già troneggiava sulla tavola. Era un po' un rituale, una nota che si ripeteva ogni giorno, un punto fermo nella mia vita che mi aveva accompagnato fino al mio penultimo anno di liceo. Poi tutto era cambiato: un giorno, tornando a casa come sempre, invece dell'odore di cibo e del sorriso di mia madre, ad accogliermi non trovai proprio niente. Mia madre non c'era, la tavola non era apparecchiata, il forno era vuoto... già quello fu per me una sorta di presagio che mi mandò immediatamente nel panico. Soltanto dieci minuti più tardi avevo scoperto che mia madre si era sentita male, aveva avuto un ictus e non c'era stato nulla da fare. In meno di dieci minuti la mia vita era cambiata completamente: da essere rallegrata dalla gioia di tornare a casa e trovarci lei ad aspettarmi, divenne solo solitudine allo stato puro ed una cucina che ogni giorno sembrava sempre più vuota e triste. Rimasi solo a diciassette anni, dato che mio padre non lo avevo mai conosciuto perché morto prima che io nascessi. Rimasi a casa di un lontano parente fino al diploma dopodiché per mia fortuna volai fino a New York per studiare e laurearmi ed iniziare la carriera di insegnante.
Il vuoto lasciato da mia madre era rimasto tale fino a quando, un giorno per caso non avevo incontrato lei. Incontrato è davvero una parola grossa perché più che altro quel giorno fra di noi ci fu un vero e proprio scontro.
Io ero in bicicletta e mi stavo dirigendo verso l'università dove insegnavo spagnolo da qualche mese e stavo tranquillamente attraversando la strada, sulle strisce pedonali e con tanto di semaforo verde. All'improvviso però un rumore brusco di frenata aveva attirato la mia attenzione e pochi istanti dopo, senza neanche accorgermene, mi ero ritrovato sull'asfalto, con un ginocchio dolorante e la bicicletta spezzata a metà. Dopo un primo momento di confusione ed aver capito cosa fosse successo, mi ero tirato su pronto ad inveire contro quel pilota maledetto che mi aveva quasi ucciso, fregandomene se così facendo avrei fatto tardi a lezione o peggio mi sarei messo contro qualche personaggio poco raccomandabile. Quell'incivile doveva avere quello che si meritava.. come minimo! Solo che alla fine non andò esattamente come avevo immaginato: dalla macchina - un maggiolone giallo canarino - uscì una donna piccola ed esile, con dei lucenti capelli rossi e due meravigliosi occhi da cerbiatto che si spalancarono all'istante non appena si posarono su di me. Visibilmente scioccata corse a soccorrermi, chiedendomi scusa in ogni modo - e la sua voce sembrava l'insieme di tanti piccoli campanellini dolci e soavi - dicendo di non avermi visto attraversare, di non aver neanche visto il semaforo, di aver avuto paura di avermi ucciso e che mi avrebbe ripagato la bicicletta distrutta. Io però ero già partito per un altro mondo, stregato dai suoi occhi, incantato dal suono della sua voce, rapito dal movimento delle sue labbra. E così, invece di chiederle le generalità per chiamare la polizia e far scattare la denuncia, le porsi la mano e le dissi semplicemente:
"Piacere.. William.. posso sapere come ti chiami?" lei per un istante era rimasta interdetta e aveva spalancato leggermente gli occhi grandi, incantandomi ancora di più e poi lo aveva detto
"Emma!" e da quel bellissimo nome, da quella semplice stretta di mano in mezzo alla strada, da quell'incidente che per fortuna non ebbe nessuna conseguenza grave sulla mia salute fisica... nacque tutto.
Meno di due mesi dopo ci ritrovammo fidanzati e altri sei mesi pronunciammo il nostro sì, davanti ad un prete, in una chiesa magnificamente addobbata - e di ogni cosa si era occupata soltanto lei - con tutti i nostri amici e parenti. In quel momento, mentre la cerimonia correva tranquilla e il prete faceva il suo sermone, mi ero concesso un momento per chiedermi cosa avrebbe pensato mia madre se fosse stata lì a festeggiare con noi. Probabilmente si sarebbe commossa, probabilmente mi avrebbe sorriso da lontano e ancora più probabilmente mi avrebbe lasciato il solito bacio sulla fronte e mi avrebbe detto: "Ecco... ora ci sarà Emma che penserà a te, che ti accoglierà ogni volta che tornerai a casa e che ti amerà tanto quanto ti ho amato io fino ad ora." e in un certo senso, quelle parole per me le pronunciò davvero, perché lei c'era.. c'era sempre stata e avrebbe continuato ad esserci fino alla fine dei miei giorni.
Dopo il matrimonio e il ricevimento, partimmo per un breve viaggio di nozze - dato che non avevamo poi tante risorse economiche a disposizione - per poi andare ad abitare a Lower East Side, in un appartamento di proprietà di suo padre che in quei sette mesi di matrimonio era stato il nostro perfetto nido d'amore. Amavo tutto di Emma.. ogni più piccola ed insignificante sfumatura: amavo la sua risata leggera, la sua carnagione chiara che rischiava di farla scottare anche d'inverno, il suo carattere così timido ma ugualmente forte e combattivo.. ma soprattutto amavo il modo in cui mi faceva sentire: amato, rispettato, a volte perfino venerato. L'unica nota leggermente stonata nel nostro rapporto erano stati i suoi genitori: i signori Pillsbury. Rusty e Rose Pillsbury avevano provato più volte a mettersi in mezzo tra di noi, avevano tentato di convincere la povera Emma che io non fossi alla sua altezza, che trovare un marito con i suoi stessi geni fosse più adatto per il suo futuro - avevano anche parlato di tenere viva la razza, o qualcosa del genere - e le avevano perfino proposto una serie di candidati più adatti. Lei per mia fortuna non era affatto succube dei suoi genitori e alla fine eravamo ugualmente riusciti a sposarci, pur non avendo ottenuto il pieno consenso da parte loro. Al matrimonio erano ugualmente venuti, ovviamente non si erano risparmiati la predica neanche per quel giorno e suo padre, durante il ricevimento, mi aveva perfino preso da parte per avvertirmi:
"Stai attento, Will." mi aveva detto con la faccia di chi sta per confessare qualcosa di molto grosso "La mia piccola Emma non è così docile come sembra. Prova a sporcarle la sua tovaglia preferita o ad entrare in casa senza prima esserti ripulito le scarpe in maniera meticolosa... e vedrai cosa succede!". Ovviamente la sua era una tecnica piuttosto subdola per tentare di farmi scappare a gambe levate, peccato che io già sapessi perfettamente di cosa stesse parlando. Emma soffriva di un disturbo ossessivo compulsivo chiamato misofobia, ovvero aveva una paura patologica verso qualsiasi forma di sporcizia, anche la più insignificante e trascurabile. La maggior parte della giornata la trascorreva con in mano lo spazzolino da denti e il disinfettante e guai ad interrompere il suo rituale sacro di pulizie giornaliero.. era capace di perdere il senno in pochissimi istanti. All'inizio, dopo aver scoperto questa sua... particolarità, mi ero sentito un tantino a disagio. Non sapevo come trattarla, cosa poter fare e cosa no perché avevo una paura terribile di farle involontariamente venire a galla tutta la sua paura. Eppure lei aveva tentato in ogni modo di rassicurarmi: prendeva già delle pillole per contenere i suoi attacchi e un modo molto semplice per evitare di appesantirle la situazione, sarebbe stato quello di trattarla come se non ci fosse nulla di cui aver timore e... indossare delle ciabatte pulite ogni giorno. In quei sette mesi le cose erano andate a gonfie vele e i suoi genitori si erano perfino abituati all'idea di avermi come genero: in fondo Emma al mio fianco era felice e allora cos'altro avrebbero potuto chiedere di meglio?
Quel pomeriggio tornai a casa praticamente distrutto, dopo una pedalata lunga almeno undici isolati, un mal di testa assillante e una fame davvero incredibile. Era da poco iniziata la sessione estiva degli esami e in facoltà c'era un gran fermento, non contando le visite guidate alle matricole che ovviamente il rettore affidava sempre al sottoscritto e i vari laureandi che chiedevano consigli e delucidazioni. Amavo il mio lavoro, tentavo di svolgerlo sempre nel migliore dei modi e con il sorriso sulle labbra pronto per tutti, solo che alcuni giorni davvero non riuscivo a sostenere tutto quel peso e quelle numerose responsabilità. Ero umano anche io e per quanto fossi per natura molto disponibile e presente... cavolo, non esistevo soltanto io in quell'università. Professor Schuester qui, professor Schuester là... c'erano giorni in cui vivevo nell'incubo di essere preso in ostaggio da un gruppo di studenti e costretto a revisionare tesi intere, saggi, progetti video e perfino relazioni sui convegni semestrali. Mi era capitato più di una volta di scappare e nascondermi nei bagni pur di evitare qualche faccia nota, rettore incluso.
Con un sospiro stanco, mi richiusi la porta alle spalle e poggiai la valigetta dei miei libri a terra, per poi indossare le mie pantofole pulite e lasciare le scarpe su un mobile basso, dove poi le avrei dovute ripulire. Mi diressi in cucina con le migliori intenzioni, mettendo su un sorriso spontaneo per la mia adorata moglie e poterla salutare nel migliore dei modi. Tuttavia ad attendermi in cucina non trovai nessuno. Per un attimo, una piccola frazione di secondo, andai nel panico perché quella situazione mi sembrò un crudele déjà-vu della mia adolescenza.. niente tavola apparecchiata, nessun profumo di cibo pronto, nessun sorriso emozionato ad attendermi, niente di niente.
No, non é possibile.. non di nuovo...
Ignorando completamente le regole rigide di pulizia e ordine di quella casa, lanciai il cappotto sul divano e corsi a controllare il resto della casa. Quella volta non avrei permesso al panico di invadermi completamente e non avrei neanche atteso, lì fermo, senza fare nulla. Prima di tutto avrei controllato ogni angolo della casa, perfino nel box doccia e poi l'avrei chiamata sul cellulare, avrei chiamato i suoi, l'ufficio, la psicoterapista da cui andava ogni settimana, avrei bussato ai vicini, avrei...
Un rumore leggero dietro la porta del bagno mi fece bloccare il respiro. Senza pensarci due volte l'aprii con uno scatto, facendola sbattere rumorosamente contro il muro e probabilmente staccandone perfino un pezzo. Ed Emma mi avrebbe ucciso per quello. Ma lì per lì non me ne preoccupai affatto perché tutta la mia attenzione si focalizzò sulla scena che trovai dietro quella porta: a primo impatto la stanza fu esattamente come sempre, lo stesso identico ordine, lo stesso rilassante odore di vaniglia, la stessa tendina per la doccia bianca e rosa. Eppure qualcosa stonava leggermente nell'insieme, ovvero una piccola donna seduta sul pavimento, accanto alla lavatrice, rannicchiata e con le gambe stretta al petto, con gli occhi ancora più spaventati del giorno in cui per poco non uccise quel ragazzo in bicicletta.
"Will... ma che..."
"Emma!" sussurrai, mentre mi lasciavo andare ad un lungo e distensivo sospiro di sollievo. Lei si strinse maggiormente in sé stessa e corrugò leggermente la fronte
"Non si usa più bussare?" domandò, non infastidita.. più che altro sembrava ancora spaventata da qualcosa
"Sì, hai.. ragione.. scusa. É che mi sono.." ma non riuscii a concludere la frase perché ammettere che non trovarla al mio ritorno ad accogliermi come sempre mi aveva fatto tornare alla mente il giorno in cui era morta mia madre, mi sembrava un tantino stupido. Ero un uomo maturo di trentasei anni.. che diavolo mi era preso?
"Cosa?" mi esortò lei, confusa. Scossi la testa e rilassai all'istante le spalle. Bene, mia moglie per fortuna stava bene ed io mi ero fatto assalire dalla paura per niente. Però, pensandoci... c'era ancora qualcosa che non mi era del tutto chiara.
"Tesoro..." la chiamai avanzando leggermente "Cosa ci fai seduta sul pavimento?" lei sembrò realizzarlo solo in quel momento, perché lanciò un'occhiata disperata verso le mattonelle chiare e poi fece una smorfia, ma non si mosse
"L'ho pulito due minuti fa... volevo.. controllare che fosse.. sufficiente!" spiegò leggermente esitante e non risultò affatto credibile alle mie orecchie. Avanzai ancora, fino a trovarmi a meno di un passo da lei e prima che potesse sollevare lo sguardo su di me, mi accovacciai al suo fianco per poi sfiorarle delicatamente una spalla
"Emma.. cosa ti succede?" le domandai, ma proprio mentre le sue labbra si aprivano leggermente per rispondere 'niente' io l'anticipai "E non dire che non hai niente, per favore. Ti conosco perfettamente e so che quando hai qualcosa che ti turba sei perfino capace di ignorare la tua fobia per gli acari e i germi." ed indicai il pavimento immacolato, dove probabilmente per lei si annidavano i mostri più pericolosi del mondo. Lei fece un'altra smorfia e si poggiò leggermente contro la mia gamba, quasi a voler scappare da quella minaccia.
Passarono altri sette secondi - sette lunghissimi secondi - e poi lei finalmente fece qualcosa: allungò la mano al suo fianco, afferrò qualcosa e me lo porse senza dire nulla. Confuso allungai la mano per afferrare una specie di penna bianca e l'analizzai per bene. Solo in quel momento mi accorsi di cosa si trattasse e per poco non caddi con la faccia sul pavimento.
Oh.. la miseria...
"É un..." non riuscii a finire la frase, gli occhi ancora incollati sull'oggetto incriminato e il rumore del mio stesso cuore arrivato fin dentro al cervello
"Un test di gravidanza!" terminò lei la frase per me, ma fu un debole sussurro, quasi una voce lontana. Era davvero un test di gravidanza, allora. Un test di gravidanza di mia moglie. Un test di gravidanza positivo di mia moglie. Un test di gravidanza positivo di mia moglie che era...
"Sei incinta!" esalai, senza fiato. La mia non era una domanda. In quel caso non serviva domandare... e infatti lei non rispose, ma a me quello bastò come conferma. Mi lasciai scappare il test dalle mani - un test positivo, dannazione! - e mi fiondai su di lei stringendola forte, mentre il petto mi si stringeva di conseguenza a causa dell'emozione. Mia moglie era incinta.. aspettava un bambino.. un bambino mio. Non mi sarei mai aspettato una notizia così bella, non così all'improvviso. Oh mio Dio.. era sensazionale.
Io.. padre...
"Emma.. è... la notizia più bella che potessi darmi!" esclamai entusiasta, sentendo gli occhi inumidirsi per la gioia. Sarei diventato padre.. era.. il mio sogno più grande. E grazie alla mia dolce Emma stava per diventare realtà.
"Will..."
"Oh mio Dio sono così felice, tesoro... non hai idea." strinsi più forte, ignorando il fatto che le sue braccia non stessero ricambiando l'abbraccio. Beh, magari era ancora scioccata, il che avrebbe spiegato come mai fosse seduta sul pavimento al mio arrivo. Notizie del genere andavano affrontate con calma, quindi era normale che fosse tanto sorpresa. Anche io lo ero... Dio mio...
"William.. io..."
"Ecco perché in questi giorni eri così affamata e hai voluto guardare tre volte 'Una scatenata dozzina'... ora mi è tutto più chiaro." mormorai, mentre tutti i suoi atteggiamenti strani di quei giorni tornavano a galla lentamente, rivelandosi, a posteriori, dei veri e propri segnali evidenti. Era incredibile... proprio perché non era programmato e nessuno se lo sarebbe mai potuto immaginare, era questo a rendere la notizia ancora più bella. Chissà cosa avrebbero detto i suoi genitori, magari finalmente questo avrebbe appianato definitivamente i contrasti tra di noi, perché, si sa, l'arrivo di un nipote risolve sempre tutto. E forse, per farli contenti, avremmo potuto usare come secondo nome, a seconda se fosse stato maschio o femmina, quello del nonno o della nonna e così sarebbe...
"William!" la voce ferma di Emma mi riportò sulla terra e lasciai stare i miei viaggi mentali per dedicarmi al momento e a lei. Sciolsi l'abbraccio - che era stato completamente a senso unico visto che lei non aveva affatto partecipato - e mi concentrai sui suoi occhi. Quello che vi trovai non mi piacque affatto. Mi aspettavo la stessa gioia che sentivo colorare i miei, mi aspettavo un po' di commozione, qualche lacrima leggera, o almeno un sorriso. Ma niente. L'unica cosa che riuscii a scorgere furono i suoi lineamenti contratti in una smorfia di disappunto.
Non è così che ti aspetti che tua moglie reagisca ad una notizia del genere...
"Io non... penso di volerlo questo bambino!" esclamò infatti, pugnalandomi. E a me in quel momento mancò il fiato, oltre che il pavimento sotto ai piedi
"Co-cosa?" era assurdo ciò che stava dicendo e per questo mi ritrovai a ridacchiare stupidamente, per tentare di sdrammatizzare la situazione "Stai scherzando, vero?" le chiesi ma il momento di ironia durò davvero poco perché lei scosse la testa in risposta, mandando il pugnale leggermente più in profondità.
"Ma... perché?" domandai, boccheggiando appena. Lei si perse in un piccolo sospiro tremante prima di rispondere
"Ho paura Will..."
Anche io ho paura, è ovvio...
"Di cosa? Pensi..." feci una pausa, deglutendo a vuoto "Pensi che non siamo pronti? Che avremmo dovuto aspettare un altro po'?" azzardai, mettendo giù le prime cose che mi vennero in mente, dato che non avevo davvero idea di cosa stesse parlando. Ma purtroppo scosse di nuovo la testa
"No, non è questo..." ammise, guardandomi per un attimo e portando una mano sulla mia guancia, per accarezzarmi "Sono fermamente convinta che tu possa essere un ottimo padre." e quelle parole sussurrate mi fecero battere appena più forte il cuore e tirai fuori un sorriso spontaneo
"E tu una madre meravigliosa!" esclamai, con tutta la sincerità e la spontaneità di cui ero capace. Lei però tremò appena e si affrettò ad affermare il suo dissenso
"No!" esclamò con forza, sgusciando via dalla mia presa
"Emma..."
"Io sono..." si prese un attimo per fare un profondo respiro molto teatrale, per poi mordersi entrambe le labbra e parlare, quasi si stesse rivolgendo ad un bambino e non a suo marito che la conosceva perfettamente e la amava proprio per questo.
"Ho un problema, Will... il mio problema e tu lo sai!" affermò e mi ammonì con lo sguardo, quasi fosse indecente da parte mia non riuscire a capirla. Ed era proprio questo che mi sconvolgeva di più... il non capire.
"Lo so Emma.. so quale.. qual'è il tuo problema! Ma fino ad ora non è mai stato importante per nessuno dei due!" mormorai con convinzione
"Non lo sarà stato per te, Will... ma per quanto mi riguarda è una cosa che mi assilla ogni momento di ogni giorno." spiegò agitandosi, nonostante a tratti cercasse di imporsi una respirazione più controllata, tecnica che le era stata consigliata dalla sua terapeuta. Ma in quel momento non aveva effetto.
"E cosa.. cosa c'entra con questo bambino?" domandai di conseguenza. Pronunciare la parola bambino mi creava ancora una certa aritmia, soprattutto se pensavo al fatto che fosse nostro.. mio e suo. Ma mi contenni.. non era il caso di esultare quando avevamo ancora un piccolo problema da risolvere
"Il disturbo che ho mi impedisce di... prendermi cura di qualcuno, soprattutto se questo qualcuno è un neonato!" sentenziò secca e concisa. Altra pugnalata, ancora più in profondità
"Ma... cosa.. dici? Come fai ad essere sicura che.."
"Lo so Will... lo so perché lo sento. Sento di non poterlo fare, di non essere in grado e so anche di non volerlo fare!" esclamò alzando la voce per sovrastare la mia. Ed Emma arrivava a gridare solo quando era seriamente turbata da qualcosa. Ma forse non tanto turbata quanto me in quel momento
"Non sono mai riuscita a pensare a me in quest'ottica, neanche da piccola. Questa idea non mi fa sentire a mio agio, mi spaventa... quale futuro pensi che possa dare ad un bambino, a.. mio figlio, se la mia unica preoccupazione al momento è trovare il giusto disinfettante per il lavello della cucina o la perfetta tonalità di rosa confetto per le tende del bagno?" mi chiese, quasi disperata, mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi. Peccato che non fossero esattamente lacrime di gioia quelle che minacciavano di uscire. Non mi piaceva ciò che stava dicendo, era un ragionamento che non riuscivo a comprendere né tanto meno a condividere. E stranamente iniziai ad avvertire una strana sensazione allo stomaco, qualcosa che prima di allora non avevo mai provato con lei, qualcosa di troppo simile alla rabbia da farmi addirittura paura.
"Io non sono capace di fare da madre a nessuno, né a questo bambino né a nessun altro. Ci sono donne che nascono con la predisposizione, adatte a questo ruolo.. io non lo sono e non lo sarò mai!" esclamò alla fine, sempre più secca, continuando ugualmente a tremare come una foglia e sempre sfuggendo al mio sguardo. Quel mai rimbalzò nella mia testa, facendo un fracasso assurdo e probabilmente annebbiandomi la ragione perché mi ritrovai a parlare ancora prima di aver lucidamente riflettuto
"Questo è assurdo, Emma... non puoi utilizzare il tuo disturbo come alibi. Avresti dovuto già mettere in conto che prima o poi avremmo avuto dei figli. É normale... é insito in tutte le coppie che si amano... é la più alta alta dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché hai... qualche problema con la pulizia ossessiva?" le chiesi, mentre lo stomaco mi si stringeva ancora e bruciava in maniera fastidiosa. Non mi piaceva il tono che avevo usato contro di lei, non era da me parlarle in quel modo. Solo che l'argomento mi aveva toccato nel profondo e c'erano certe questioni che mi stavano più a cuore di altre... quella dei figli, era una di queste. Ed era strano, perché prima di sposarci ne avevamo parlato della prospettiva di mettere su famiglia.. cosa si aspettava? Che quelle parole rimanessero vane per sempre? Che un domani non provassimo ugualmente a concepire un figlio? Che mi dimenticassi del mio sogno più grande e che facessi finta di nulla solo perché lei si sarebbe rifiutata di parlarne?
Gli occhi da cerbiatto di Emma si spalancarono come non mai e per un istante lunghissimo potei giurare di averla vista chiaramente smettere di respirare. Quello fu il segnale: avevo decisamente esagerato.
"Ho un problema con la pulizia ossessiva, Will?" mi chiese sconvolta, quasi non credesse neanche lei a ciò che stesse dicendo. Fui io quella volta a trattenere il fiato, perché non credevo possibile di averle detto quelle cose, figurarsi trovare altre parole da dire in risposta "Come... come riesci a sminuire tutto quello che mi distrugge l'esistenza in maniera così.. banale?" sbatté le palpebre velocemente e da quel movimento scapparono un paio di lacrime al controllo che le rigarono le guance. Sentii il cuore sbattere contro la cassa toracica e fare male di conseguenza. Quasi fosse una punizione. Una punizione ampiamente meritata.
"Emma.. io.. non intendevo.." non riuscii neanche a mettere in piedi qualcosa di sensato perché non sapevo cosa poter dire e cosa no. Avrei potuto rovinare tutto anche con una semplice parola. Non volevo farla piangere, non era mia intenzione.. io non volevo neanche dire quelle cose che mi ero reso conto da solo fossero leggermente fuori luogo. Lei chiedeva di essere capita, chiedeva di essere ascoltata come sempre. Ed io invece di farlo, di mostrarmi come al solito dalla sua parte - perché lo ero davvero - ero riuscito soltanto ad aggredirla. Perché non avevo capito quanto fosse grande il suo bisogno di parlare? Perché non mi ero limitato a chiederle.. e tu, tesoro.. tu cosa pensi di questo bambino?
Sono una merda...
"Tu sapevi perfettamente a cosa saresti andato incontro sposandomi. Se avessi voluto la famigliola perfetta e felice, avresti fatto meglio pensarci prima... se avessi voluto le cose semplici, quelle a portata di mano, quelle chiare che rispecchiano i tuoi più grandi sogni... avresti dovuto portare un'altra donna all'altare. Se pensi che il mio problema riguardi solo una... stupida ossessione per la pulizia.. allora mi chiedo chi tu creda di aver sposato quel giorno, William!" e detto questo, ancora piangendo, si sollevò dal pavimento e scappò via. Sgusciando abilmente da ogni mio tentativo di tenerla ferma a me, di bloccarla, di risolvere la situazione. Volò via da me all'improvviso e quella volta neanche io potei fare qualcosa per impedirlo.

New York City. Ore 05.40 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)

Era un incubo. Tutta quella giornata era stata un totale incubo, uno di quelli che sembrano talmente tanto sbagliati da toglierti il respiro già dopo un solo attimo, quelli da cui speri di uscire in fretta, quelli che possono avere un unico epilogo.. il suono della sveglia. Ma io non stavo sognando purtroppo, quella era la realtà e non avrei neanche avuto bisogno del pizzicotto sul braccio per rendermene conto.
Dopo aver lasciato in fretta e furia l'appartamento, mi ero diretta verso l'interno della città, senza una meta precisa. Semplicemente mi ritrovai a camminare a testa bassa e con le mani nelle tasche, sperando di non incontrare nessuno e soprattutto sperando di non essere trovata da William. Così mi ritrovai a vagare per le strade di Manhattan, mischiandomi con le altre persone sui marciapiedi affollati e provando a chiedermi cosa si provasse a sentirsi una delle tante per una volta soltanto. Ero semplicemente un membro della folla, senza alcun segno particolare, senza nessun disturbo ossessivo compulsivo, senza un marito che mi voltava le spalle davanti ad un problema per me insormontabile, senza... senza avere nessun bambino a crescermi nella pancia.
Dopo una mezz'ora di cammino insensato mi ritrovai al City Hall Park, inondato di sole e pieno di gente. Ero nel cuore dell'isola e volevo continuare a stare in mezzo alla gente perché così mi sarei sentita meno sola e per una come me la solitudine era davvero una specie di arma a doppio taglio. Avevo creduto che parlare con mio marito mi avrebbe aiutato a fare chiarezza... alla fine si era rivelato un grandissimo sbaglio.
Con un sospiro mi sedetti su una panchina - non prima di averla ripulita per bene con un fazzoletto - e mi concessi di scrutare molto attentamente l'ambiente circostante e tutte le persone, tra adulti e bambini, che ne facevano parte. A quell'ora, nonostante fosse Martedì, c'era davvero gente di ogni età: ragazzi in comitiva, persone sole in compagnia del cane, sportivi intenti a fare jogging, gruppi di anziani radunati attorno alla fontana per chiacchierare allegramente, famiglie riunite per un pomeriggio di svago. Le famiglie. Le famiglie con bambini. I bambini.
Istintivamente mi portai una mano sulla pancia, avvertendo una strana sensazione invadermi: era buffo pensare che dentro di me in quel momento ci fosse qualcuno, qualcuno che dipendeva completamente da me, che si nutriva grazie a me che... sopravviveva grazie a me. Io che non ero mai riuscita a tenere in vita neanche il pesce rosso che i miei compravano ogni anno alla fiera del quartiere... come avrei potuto sperare di crescere un figlio.. un altro essere umano?
Avresti dovuto già mettere in conto che prima o poi avremmo avuto dei figli...
Le parole di William mi rimbalzarono nella testa senza neanche pensarci veramente. Erano lì, forse io avevo tentato di metterle da parte, ma ovviamente sapevo che non sarebbe durata troppo a lungo. Erano in agguato e mi avrebbero sommersa nel momento esatto in cui mi fossi fermata a riflettere. E lo avevo fatto: mi ero fermata e quelle parole avevano ripreso a girare. E facevano male... cavolo se lo facevano.
Erano circa dieci giorni che sentivo di avere qualcosa di strano: come aveva detto William, avevo più fame del solito e soprattutto mi ero accorta di essere diventata più sensibile. Non che normalmente non lo fossi già abbastanza ma.. avevo decisamente superato il limite. A tutti quei piccoli segnali si era poi aggiunto un considerevole ritardo che mi aveva fatta giungere ad una conclusione, purtroppo l'unica. Ed era per questo che, uscita dal lavoro, ero andata direttamente in farmacia per acquistare il test di gravidanza e, tornata a casa, lo avevo fatto, senza neanche preoccuparmi di ripulire il bagno prima. Ero entrata una specie di stato di trance, perché sentivo di muovermi ma non riuscivo a capire perché né cosa facessi esattamente. Poi era arrivata l'attesa: si erano succeduti i cinque minuti più lunghi di tutta la mia vita, durante i quali avevo cercato di non pensare, di non respirare, di non guardare verso la bacchetta bianca che avrebbe dovuto colorarsi per darmi una risposta, ma soprattutto avevo cercato di non andare nel panico. Ovviamente non ero riuscita a fare nulla di ciò che avrei voluto. I cinque minuti però erano passati e gli occhi si erano precipitati a controllare, ancora prima che la mente e la volontà lo richiedessero. E da quel momento, dall'istante in cui avevo scorto le due linee blu al centro della bacchetta che non lasciavano più alcuna possibilità di scampo.. beh, avevo iniziato a sentirmi male. Ma non male come la nausea mattutina che da qualche giorno mi perseguitava, non male come quando non riuscivo a pulire come volevo il tavolo della cucina e neanche male come quando mia madre mi ripeteva che ero strana e che non sarei mai migliorata. Molto, molto peggio. Mi si era aperta una voragine nel petto e cosa peggiore era stata avere la possibilità di affacciarsi dal margine per costatarne l'altezza e scoprire che il salto sarebbe stato ancora più profondo di quanto non avessi potuto temere. E il fondo non si scorgeva neanche.
Poi era tornato Will e l'istante dopo il battito era rallentato ancora perché incontrare i suoi occhi e sentire di nuovo la sua voce fu come realizzare immediatamente qualcosa di ancora più grande: quello che avevo appena scoperto non riguardava soltanto me, riguardava anche lui, riguardava i miei genitori, gli amici, i colleghi di lavoro, la gente per strada... riguardava tutto e troppo ed io non ero in grado, né di prendere in considerazione un'idea del genere né tanto meno di affrontarla in futuro. Eppure.. l'entusiasmo con cui Will aveva accolto la notizia.. era stato destabilizzante. Non lo avevo mai visto così.. felice, forse neanche il giorno del nostro matrimonio. Quella sua reazione per un istante mi aveva fatta desistere e mi ero ritrovata a chiedermi se non fosse eccessivamente egoista da parte mia pensarla in un modo completamente diverso da quello di mio marito. D'altronde, sull'altare, io avevo promesso di rispettarlo e sostenerlo sempre, nella gioia e nel dolore... quindi, da parte mia sarebbe stato più logico rispondere a quell'abbraccio e gioire con lui, no?
No...
Ma non ce l'avevo fatta, ancora una volta la paura aveva preso il sopravvento sulla ragione e mi ero ritrovata a confessare tutto quello che in quei cinque minuti lunghissimi avevo provato. Speravo che lui potesse, se non capirmi, perlomeno ascoltarmi fino alla fine senza giudicare. Ma ovviamente... non era stato affatto così.
Non puoi utilizzare il tuo disturbo come alibi...
Era vero, io avevo un problema, e quel problema condizionava la maggior parte della mia vita, dal mattino presto fino a quando andavo a dormire: era parte di me, ci convivevo da molti anni ormai, eppure non ci avevo ancora del tutto fatto l'abitudine. Il pensiero di me con in braccio un bambino, per quanto strano, per un momento mi aveva fatto bene. Avere una creatura così piccola tra le mie braccia e poterne sentire il calore attraverso i vestiti.. doveva essere davvero una bella sensazione. Eppure... era durata davvero poco, perché subito la ragione aveva prevalso, buttandomi addosso la realtà: io non volevo quel figlio, non soltanto perché soffrissi di un disturbo ossessivo compulsivo che mi impediva di sedermi a tavola non prima di aver lucidato tutti i fornelli, perfino quelli che non avevo utilizzato... io non volevo quel figlio perché sentivo di non essere in grado di crescerlo. Non mi ritenevo adatta per un ruolo del genere, non credevo che una persona come me meritasse di avere un dono tanto grande. Far nascere, accudire, crescere qualcuno era qualcosa di troppo importante ed io non ero degna.
Avrei voluto che William capisse il mio disagio, mi stringesse ancora finché non fossi stata in grado di fare altrettanto e che mi chiedesse di spiegare con calma cosa provassi e cosa avrebbe potuto fare per me.. per noi.. per rendere tutto più semplice. Io non avevo pensato neanche per un istante all'idea di.. interrompere la gravidanza, anche perché soltanto l'idea mi dava il voltastomaco.. solo... avevo creduto ingenuamente che confidarmi con mio marito, metterlo a corrente di quello che mi turbava e sperare che almeno lui potesse aiutarmi a fare chiarezza.. sarebbe servito a qualcosa e invece.. aveva solo peggiorato la situazione. Lui aveva peggiorato la situazione con quelle parole, buttandomi addosso quella freddezza con la speranza di farmi ancora più male. E ci era riuscito.. mi aveva davvero fatta stare peggio.. molto peggio.
É normale... é insito in tutte le coppie che si amano... é la più alta alta dimostrazione di sentimento che ci possa essere. Come puoi anche solo pensare che non potremmo mai avere dei figli solo perché hai... qualche problema con la pulizia ossessiva?...
Sentire come potesse sminuire tutto ciò che avevo in quel modo, con soltanto sei parole mi aveva distrutta perché per un momento mi erano tornate alla mente tutte le critiche dei miei genitori, quelle che mi avevano accompagnato dall'adolescenza fino ad allora. Anche loro avevano sempre pensato che il mio problema fosse semplicemente legato ad un bicchiere sporco o ad un tappeto messo male. Era ben altro. Era il vivere nella costante paura di essere inadeguata, di sbagliare qualcosa e rovinare di conseguenza tutto il resto. L'avere il terrore di una reazione esagerata, di non poter essere all'altezza, di credere fermamente una cosa e poi realizzarne un'altra. Era questa la mia paura. Certo.. c'era anche la questione dei germi e della polvere.. ma non si limitava solo a quello. Nella mia vita, per sentirmi degna, avrebbe dovuto essere tutto preciso e perfetto, senza una grinza e forse solo allora mi sarei potuta concedere un sospiro di sollievo e mi sarei goduta la vita.
Tutte le mie paure però si erano realizzate nell'esatto momento in cui avevo scoperto di essere incinta: era qualcosa di non programmato, che usciva completamente fuori da ogni regola e schema, qualcosa che non riuscivo a gestire e che avrebbe reso il mio domani troppo incerto. Per questo non avevo reagito bene e soprattutto avevo detto a William di non aver mai pensato di avere figli. Su una cosa però lui poteva aver ragione: forse avremmo dovuto parlarne prima. Forse avrei dovuto essere chiara fin dall'inizio con lui e magari affrontare un tale discorso insieme già preso alla lontana.. avrebbe aiutato ad arrivare più preparati a quel momento. E invece.. io ero sola, lui era solo e non avevamo risolto un bel niente.
Senza farci troppo caso, iniziai ad accarezzarmi la pancia distrattamente, stringendo poi il tessuto della maglia in un pugno e lasciandomi scappare un mezzo singhiozzo. Sapevo che non fosse particolarmente intelligente da parte mia mettermi a piangere in mezzo a tanta gente ma... non riuscivo a trattenermi più. Se non ero libera neanche di piangere e sfogarmi a casa mia, con mio marito.. beh allora l'avrei fatto in quel parco.
Ad un tratto, mentre ignoravo le lacrime che mi bagnavano ormai le guance, e continuavo ad accarezzarmi lentamente la pancia da sopra i vestiti, qualcosa accadde: nel mio campo visivo fu registrato un movimento strano alla mia destra e per questo sollevai gli occhi e mi sorpresi non poco di ritrovare un donna, seduta praticamente accanto a me che mi offriva un fazzoletto di stoffa ripiegato ed un sorriso gentile sul volto. La osservai non capendo cosa volesse e chiedendomi subito chi fosse. Era per caso qualcuno che conoscevo?
Non mi pare...
"Tieni... prendilo." mi invitò con un sorriso. Che voce profonda che aveva: sembrava così forte e quasi... mascolina. Eppure era una bella donna.. la testa piena di ricci, gli occhi chiari, il sorriso gentile. Aveva una presenza... molto abbondante, però... non mi incuteva paura, affatto. Lanciai un'occhiata verso il fazzoletto: aveva tutta l'aria di essere pulito e di contenere migliaia di germi, ed io ero disperata sì, ma non fino a quel punto.
"No... la ringrazio.. non è necessario." le risposi scuotendo la testa. Non si accetta nulla dagli sconosciuti, benché meno caramelle e fazzoletti di stoffa. Per me che ero pure ossessionata, poi...
Il sorriso della donna non cedette minimamente, anzi, sembrò quasi intensificarsi
"Sì che lo è... questo serve più a te che a me, scricciolo!" mi disse, ridacchiando leggermente sul finale. In quel momento mi sorpresi di tre cose contemporaneamente: prima di tutto lei mi dava del tu, quasi ci conoscessimo davvero e non sembrava neanche del tutto turbata dal vedermi in lacrime in un parco pubblico. Seconda cosa... mi aveva chiamata scricciolo? Che cosa diavolo significava? Era perché io ero così piccola e fragile e lei sembrava invece... tutto il contrario? E terzo.. cosa più sorprendente.. dopo un rapido sospiro ed essermi persa nella contemplazione dei suoi occhi buoni e trasparenti, non seppi come ma mi ritrovai ad allungare la mano ed afferrare il fazzoletto.
"Grazie.. mille." borbottai tentando un sorriso. Lei ricambiò per poi strizzarmi l'occhio
"Figurati." rispose semplicemente. Spostò lo sguardo sul parco, dove lentamente il sole iniziava ad allontanarsi e l'aria iniziava di conseguenza a farsi più frizzante. Chissà perché quella donna aveva deciso di avvicinarsi a me.. era perché mi aveva vista piangere? Voleva solo darmi quel fazzoletto ed asciugarmi il trucco colato? Stavo dando spettacolo e lei aveva deciso di intervenire? Oppure... semplicemente voleva rendersi utile?
Mi chiedo ancora se magari ci conosciamo e sono io che non lo ricordo...
"L'uomo che ti ha fatta piangere, probabilmente non merita nessuna delle lacrime che stai versando." mormorò ad un tratto, con un sorriso amaro sulle labbra, sempre guardando davanti a sé. Mi si bloccò il respiro in gola per via delle sue parole. Cosa le aveva fatto credere che stessi piangendo per colpa di un uomo?
"Mi scusi?"
"Non serve fingere, sai... certe cose sono talmente tanto chiare.." e si girò per sorridermi di nuovo. Era chiaro? Era chiaro che avessi discusso con mio marito e fossi scappata di casa?
"Io non.."
"Evidentemente lui non capisce le tue ragioni... oppure non siete riusciti a trovare il giusto linguaggio per comunicare. Si dice che gli uomini e le donne provengano da due pianeti diversi.. beh, forse è per questo che tu credi determinate cose su di lui e invece queste non si sono dimostrate esatte." scrollò le spalle, quasi stessimo parlando da tempo dello stesso argomento, quasi io mi fossi confidata con lei e adesso stessi ascoltando un consiglio. Beh... peccato che non ci conoscessimo affatto, peccato che non sapesse nulla su di me e su Will e su quello che ci stava succedendo, peccato che...
"Non pensi che abbia paura anche lui?" mi domandò a bruciapelo, scioccandomi.
"C..osa?"
"Potrebbe essere una situazione che non riesce ad affrontare.. qualcosa che lo spaventa ed è per questo che si è trovato a prendersela con te.. ma sono sicura che non ne avesse l'intenzione." disse con tranquillità, continuando a guardarmi. Ma cosa stava dicendo? Cosa ne sapeva lei che avevo litigato con mio marito? E cos'era quella storia di Will che non poteva affrontare la situazione?
"Io non so di cosa stia parlando... io neanche la conosco in realtà." ci tenni a precisare, mentre iniziavo a spazientirmi.
"Ne sei davvero sicura... Emma?" mi domandò con un sorriso ironico, spiazzandomi. Sgranai gli occhi, letteralmente scioccata e iniziai seriamente a provare una certa paura. Quella donna mi conosceva eccome, sapeva come mi chiamavo e sembrava sapesse perfino cosa mi stesse distruggendo. Che diavolo stava succedendo?
"Lei come fa.."
"A sapere il tuo nome? Oh... io so molte cose su di te, mio caro scricciolo.. molte più di quante forse non ne sappia William." e mi sorrise ancora, affettuosamente. Oddio.. sapeva anche il nome di Will. Cos'era? Una stalker? Ci seguiva? Voleva rapirmi e poi chiedere il riscatto? Beh i miei genitori non lo avrebbero mai pagato.. William forse..
Che sciocchezze dici, Emma.. certo che Will pagherebbe per salvarti...
"Ma ti prego di non spaventarti. Non è mia intenzione farti del male né tanto meno perseguitarti. Io ti conosco bene, certo.. ma è proprio perché ti conosco che ho solo intenzione di aiutarti e non altro." si affrettò a specificare, quasi avesse sentito i miei pensieri. Mi leggeva anche nella mente adesso?
"Eh no.. non ti leggo nel pensiero. Sei solo molto facile da indovinare!" esclamò ridacchiando e lì assunsi qualche tonalità calda di rosso che mi riempì completamente la faccia. In quel momento la sua mano avanzò nuovamente verso di me, quella volta però vuota
"Io mi chiamo Shannon... e per favore, scricciolo.. dammi del tu!" esclamò divertita. Shannon... la donna aveva anche un nome carino, per la misera.
Però, nonostante ora sapessi come si chiamasse, rimaneva ugualmente un'estranea ed io continuavo a non capire cosa volesse esattamente da me. Decisi di rimanere in silenzio e di non stringerle neppure la mano: non avevo ancora usato il suo fazzoletto figuriamoci se mi mettevo anche a toccarla. Lei però non si perse d'animo, mi sorrise ancora e ritirò il braccio, rimettendosi composta. Lanciai un'occhiata disperata verso la piazza: nessuno sembrava prestare particolare attenzione a noi, tutto continuava a procedere tranquillamente, come prima del suo arrivo e Shannon non faceva paura a nessun altro, tranne che a me.
Bene...
"So che ti stai chiedendo come mai conosca così tante cose su di te e su tuo marito e magari ti stai anche domandando quale diritto abbia di commentare la tua vita... sappi solo che mi sono permessa di intervenire perché tu potessi riflettere lucidamente e perché credo che avere un'opinione esterna e disinteressata possa aiutarti a capire come tu ti senta in realtà." spiegò tranquillamente. Cosa ne sapeva lei? D'accordo, conosceva il mio nome e quello di William, ma come poteva pretendere di sapere ciò che sentivo dentro?
"Io non credo tu possa capire. Sono cose private e tali devono rimanere!" esclamai infastidita, sperando che una risposta così secca potesse farla desistere. Oh, quanto mi sbagliavo...
"Posso farti una domanda, scricciolo?" se ne uscì lei, ignorando completamente le mie parole. Rimasi allibita per l'ennesima volta e lei interpretò evidentemente il mio silenzio per un assenso perché tornò a parlare qualche istante dopo
"Tu ami William?" mi chiese puntando gli occhi chiari nei miei e spiazzandomi completamente.
"Che razza di.. domanda è? Certo che lo amo!" risposi indignata. Non era normale e non stava né in cielo né in terra che io mi mettessi a parlare dei fatti miei con un'estranea. Solo perché lei aveva detto di non volermi fare del male, non significava che non me ne avrebbe ugualmente fatto. Sarei dovuta scappare, alzarmi da quella panchina e andarmene.. a casa, magari.
"E pensi che lui ti ami?" domandò ancora. Strinsi istintivamente il tessuto della maglia in un pugno e mandai giù una manciata di saliva in eccesso. Altra domanda particolarmente insensata.
"Ne sono convinta!" esclamai con fermezza, sorprendendomi da sola di quanto potessi essere sicura di me in certi argomenti: d'altronde per una persona insicura, avere un punto di riferimento era tutto e William e l'amore che sentivo provasse per me.. rappresentava proprio questo. Ero sicura di poche cose... il suo amore non l'avrei mai messo in dubbio.
Sul viso di Shannon si aprì un sorriso mite, stranamente impregnato di qualcosa che somigliava molto all'orgoglio. Ma orgoglio per che cosa?
"L'amore che lega due persone è meraviglioso... è capace di far superare qualsiasi ostacolo, anche il più impossibile e ci rende più forti. Ti vedo.. vedo come i tuoi occhi si colorano quando parli di lui, quando pensi a ciò che vi lega e vedo anche quanto ci stai male per essere scappata in quel modo. Anche lui soffre, Emma.. soffre perché ha appena capito di essere stato egoista con te, perché avrebbe dovuto fermarsi a riflettere e soprattutto avrebbe dovuto capirti... tu non sei cattiva.. hai solo molta paura e penso sia assolutamente normale." fece un profondo sospiro incrociando le mani in grembo "Ti meraviglierebbe sapere quante di queste persone attorno a te, in questo momento, provano paura. Quella ragazza per esempio.." ed indicò una biondina circondata da altre amiche, con un telefono in mano e gli occhi bassi "Stamattina ha discusso con sua madre e ora sta aspettando di trovare il giusto coraggio per chiamarla e chiederle scusa, e ha paura.. paura di non riuscirci perché le vuole troppo bene e non vuole rovinare nulla." la ragazza in quel momento scosse la testa, ignorando le risate delle amiche e finalmente si portò il telefono all'orecchio: bastarono tre secondi netti e poi qualcuno le rispose perché il volto le si illuminò di colpo e riuscii benissimo anche a distanza a vedere le sue labbra mimare un 'Scusami, mamma.. ti prego.' che mi fece bloccare il cuore. Non era possibile... come sapeva quelle cose? Come faceva a sapere così tanto di tutti?
Mi girai confusa verso di lei che mi restituì l'occhiata e poco dopo un altro sorriso
"Chi sei tu?" le chiesi con il cuore in gola. Shannon ridacchiò, forse perché un po' se lo aspettava.
"Non importa sapere chi sia io... importa capire cosa ti sta succedendo e cosa potrei fare io per farti stare meglio." rispose in uno strano tono di voce. Quasi materno. Avrebbe potuto aiutarmi? Facendo cosa?
"Di cosa hai paura, Emma? Cos'è che ti spaventa più di ogni altra cosa al mondo?" mi domandò voltandosi verso di me con il busto e poggiando un braccio sullo schienale della panchina. Senza sapere bene il perché, mi ritrovai a riflettere sulla sua domanda: cosa mi spaventava? Di cosa avevo paura? In fondo non serviva chiederselo, perché lo sapevo già.
Ora resta da capire se ho la forza di ammetterlo...
"Ho paura di... deluderlo." le parole mi scapparono dalla bocca ancora prima di aver lucidamente pensato a qualcosa. Mi stupii di come fosse stato semplice tirarle fuori e allo stesso modo di come non riuscissi a sentirmi affatto in colpa per averlo fatto.
"Parli di William?" chiese conferma ed io annuii
"Deludere lui sarebbe come deludere me stessa. William crede così tanto in noi e nel nostro futuro che.. ogni giorno ho sempre più paura di commettere lo sbaglio fatale che mi porterà a perderlo definitivamente. Ed io non posso permetterlo." tirai su con il naso e mi strinsi nelle spalle, colta all'improvviso da un brivido di freddo "E ho anche paura di non... poter essere adatta per... lui o lei." e strinsi ancora il pugno sullo stomaco, chiedendomi se Shannon sapesse anche del bambino. Conosceva vita, morte e miracoli di tutto il parco probabilmente, quindi immaginai che le fosse arrivata all'orecchio anche quell'ultima notizia. Lei si perse in un profondo sospiro, tanto che temetti stranamente si fosse spazientita e avesse deciso di alzarsi e andarsene. Ma non lo fece. Fece in realtà qualcosa di molto più grande.
"Emma quello che sta succedendo a te e tuo marito è un miracolo.. è un dono di Dio.. e se non credi in Lui allora credi nella vita.. credi nell'amore che vi lega e vi legherà per sempre." mormorò poggiando una mano sulla mia spalla e stringendola. Non pensai neanche per un istante di scansarmi perché mi accorsi subito che il suo tocco non era affatto minaccioso, anzi. Era piacevole e tremendamente rassicurante. E le sue parole... il dono di Dio... il miracolo della vita che unisce me e William...
"Non avere paura di non essere degna perché sarai una madre splendida che amerà suo figlio tanto quanto ama suo marito. E quel bambino diventerà tutto il tuo mondo.. lui ti adorerà perché sarai la sua mamma e il suo faro e la sua salvezza sempre, anche quando tutto sarà nero, anche quando la vita vi sembrerà pessima.. tu avrai lui e lui avrà te e voi.. avrete William che penserà a proteggervi e a tenere unita la famiglia." senza rendermene conto, mi lasciai scappare due grosse lacrime che fuggirono chissà dove, a perdersi nella profondità delle parole di quella donna. E così io... sarei potuta diventare il punto di riferimento di qualcuno.. di mio figlio. Lui che non mi avrebbe mai abbandonato e non mi avrebbe mai deluso e mai mi avrebbe fatta sentire sbagliata... lui che sarebbe stato mio per sempre perché io lo avrei fatto nascere, l'avrei cresciuto e allevato e lo avrei voluto più di ogni altra cosa al mondo.
Mio... perfettamente mio...
"Goditi questo miracolo, Emma... goditi il frutto del vostro amore e accoglilo nella tua vita nello stesso modo in cui hai accolto l'amore di Will. Ne uscirai arricchita e scoprirai che non c'era niente.. niente per cui valesse la pena avere paura." aggiunse in un sussurro leggero che mi fece tremare perfino il cuore. Ormai le lacrime vagavano da sole ed io neanche mi preoccupavo più di asciugarle perché tanto sarebbe stato completamente inutile. La sensazione che mi stava crescendo nel petto e me lo stava riscaldando era qualcosa di.. meraviglioso. Era un rendersi finalmente conto di qualcosa che per tutto quel tempo era rimasto lì in attesa di essere portato alla luce. Era capire finalmente cosa sarebbe stato giusto e cosa no. Era scoprire quanto potesse essere grande l'amore e quanto larghi i suoi confini. Era provare l'ebrezza della gioia più profonda e non sentire più alcuna paura a frenarti. Era Emma Pillsbury che aspettava un bambino dall'uomo che amava di più al mondo e finalmente si rendeva conto di quanto fosse stata maledettamente fortunata.
Assieme alle lacrime mi lasciai finalmente scappare un sorriso, il primo dopo chissà quanto tempo e Shannon parve sciogliersi all'istante perché anche lei come me realizzò qualcosa. Le sue parole erano state una manna dal Cielo e crederci o meno sarebbe servito a poco: lei mi aveva aiutata ad aprire gli occhi, quindi un miracolo era comunque riuscito a compierlo. Si sporse appena verso di me per lasciarmi una carezza sulla guancia e quello fu un altro contatto benefico che mi riscaldò dentro e che non pensai neanche per un istante di interrompere. Al diavolo se rimaneva un'estranea o se fosse stata una criminale. Era buona e aveva un cuore d'oro, questo bastava ed avanzava.
"Sei una donna molto fortunata, Emma Schuester
!" esclamò allora lasciandomi un altro sorriso al quale finalmente riuscii a rispondere anche io. Mi asciugai le guance con un gesto veloce mentre la sua mano si allontanava e mi preparai a dirle qualcosa, ringraziarla, magari scusarmi per essere stata parecchio sgarbata poco prima, ma qualcosa me lo impedì: un gruppetto di bambini si avvicinarono correndo nella nostra direzione ed uno di loro per poco non cadde a terra davanti a me, ma alla fine riuscii a rimanere in piedi e a raggiungere gli altri nel trambusto generale che aveva fatto girare mezza piazza. Ridacchiai divertita... se mio figlio in futuro avesse fatto una cosa del genere.. sarei morta di vergogna.
Mio figlio... mio figlio..
Girai di nuovo gli occhi verso Shannon per poterle finalmente dire ciò che volevo, ma per la seconda volta non ci riuscii... accanto a me sulla panchina non c'era più nessuno.


New York City. Ore 08.03 P.M. 12 Giugno 2012 (Martedì)


Erano quasi due ore che Emma era scappata di casa e non essendosi portata dietro il cellulare non ero neanche riuscito a rintracciarla. Stavo morendo. Volevo disperatamente sapere dove fosse, cosa stesse facendo ma soprattutto a cosa pensasse. Avevo provato a fare il giro del quartiere in macchina per cercarla ma non avevo trovato un bel niente e rassegnato me ne ero tornato a casa perché sarebbe stato meglio aspettare che tornasse piuttosto che disperarmi in una città tanto grande. Emma, nonostante le sue paure, era una donna responsabile e non avrebbe mai fatto nulla che nuocesse alla sua salute e mi facesse preoccupare. Mi fidavo di lei, ciecamente.
E proprio perché mi fidavo di mia moglie, mi diedi dello stupido: ero stato un grandissimo egoista a reagire in quel modo alla notizia della sua gravidanza, accusandola di quelle cose terribili senza neanche darle modo di spiegarsi, di spiegarmi e di capire insieme. Cosa c'era di sbagliato in me? Perché prima di reagire non avevo almeno riflettuto? Eppure lei non pretendeva molto.. mi aveva sempre chiesto di essere ascoltata e proprio quando ne aveva più bisogno io... lo ignoravo. Ero stato davvero un pessimo marito, dovevo vergognarmi. Pensare di aver fatto soffrire la mia Emma in quel modo... Dio.. non riuscivo neanche a pensare...
In quel momento, mentre misuravo a grandi passi la stanza un rumore colpì la mia attenzione: la porta d'ingresso si aprì e si richiuse e meno di tre secondi dopo sulla soglia del soggiorno apparve Emma con gli occhi stanchi e le mani strette sulla pancia, quasi timorosa. Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo che mi fece tremare e senza neanche dire una parola mi fiondai su di lei, abbracciandola, stringendola più forte di quanto non avessi mai fatto e sorridendo nel momento in cui mi resi conto che quella volta anche lei stringeva le braccia attorno a me.
"Emma... amore mio... mi dispiace, mi dispiace così tanto che.. tu.. io non volevo, ti giuro che non volevo dirti quelle cose orribili. Io ti amo da morire e non voglio perderti." mi affaticai a dirle tutto quello che mi premeva in testa e che in quelle ore mi aveva fatto riflettere così tanto. La sentii sorridere e fu senza dubbio uno dei rumori più belli del mondo
"Lo so, Will.. so che non pensavi quelle cose e.. ti devo anche io delle scuse. Sono stata profondamente immatura e avrei dovuto spiegarti con calma ciò che provavo invece di scappare via. Non si risolve nulla in questo modo." mi disse scostandosi appena per guardarmi negli occhi. I suoi erano lucidi, segno che avesse pianto ancora e quella constatazione mi fece stringere il cuore.
"Mi spiace." ripetei mortificato, ma lei scosse la testa e sorrise ancora. Ancora più bella del solito.
"Ti amo così tanto, Will." disse in un sussurro che mi scaldò il petto e mi fece sorridere emozionato "E continuerò ad amarti sempre.. questo non devi mai dubitarlo."
"Non lo farò mai.. promesso." confermai infatti per poi circondarle il viso con le mani e sporgermi per lasciarle un bacio leggero. Mi ero sentito morire in quelle due ore, non sapendo cosa fare e cosa aspettarmi: averla di nuovo con me era come stare in pace con i sensi finalmente.
Si staccò dal bacio, con un sorriso sereno
"Voglio tenerlo, Will!" esclamò a bruciapelo, spiazzandomi
"Co-cosa?"
"Il bambino." e si portò una mano sulla pancia accarezzandola "Voglio far nascere e crescere questo bambino assieme a te... mettere in piedi la nostra famiglia e sono disposta a combattere fino all'ultimo per tenerla in vita e farla durare per sempre." mi spiegò, con gli occhi lucidi per l'emozione. Qualcosa nel mio petto esplose, perché sentii un rumore fortissimo che mi sconvolse appena, ma riuscii a non cadere.
"Ne.. sei.. sicura?" domandai in un soffio. Lei mi prese le mani e le strinse forte
"Sono sicura di te.. dell'amore che ci unisce e inizio ad essere discretamente sicura che questo sia esattamente ciò che voglio dalla vita. Rimanere per sempre al tuo fianco, con te che mi permetti di amarti ed io che ti permetto di realizzare il tuo più grande sogno. Solo che... non sarai solo.. lo vivremo insieme.. lo faremo come una famiglia." guidò la mia mano fino al suo stomaco e la posò delicatamente, premendo appena. Tremai di conseguenza perché solo allora realizzai davvero che oltre la sua pelle, dentro di lei.. c'era nostro figlio. Mio e suo. E lei lo voleva.. lo voleva con me. Rimasi senza fiato ad accarezzarle lentamente la pancia da sopra la maglia durante uno di quei momenti che sembrano ovattati, presi e messi lì per essere fatti solo di silenzi e di amori e di infiniti pensieri. Il mio era soltanto uno: lei era la mia famiglia, lei mi avrebbe regalato una famiglia ed io avrei fatto di tutto per proteggerla sempre.. proteggere lei e nostro figlio, ad ogni costo.
La mia famiglia...
"Posso farti soltanto una piccola richiesta, Will?" mi domandò esitante, ma con un piccolo sorriso divertito sul volto. Tornai a respirare giusto un attimo prima di sollevare gli occhi e puntarli nei suoi
"Tutto quello che vuoi." concessi. Lei arrossì appena, e strinse la presa attorno alla mia mano
"Se sarà femmina... vorrei chiamarla Shannon!" e fu il mio turno di sorridere e commuovermi perché pensare ai nomi rendeva il tutto ancora più reale.
"Shannon.." ripetei e suonava davvero bene "Mi piace." dopodiché, senza neanche preoccuparmi di chiederle come mai avesse scelto un nome del genere, mi sporsi verso di lei e la baciai. Così il nostro futuro sarebbe iniziato esattamente da quel piccolo grande gesto, così semplice ma allo stesso tempo così pieno di amore. Il nostro.

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Capitolo 51
*** Epilogo n°9 ***


Buonasera a tutti e... buona domenica. Dunque... so già che piangerò e che non riuscirò a dire tutto quello che ho da dire e in tal caso mi scuso già da ora per entrambe le cose ç__ç ebbene, dopo numerose peripezie, pianti interminabili mentre le idee non arrivavano, viaggi mentali lunghi chilometri, aver stroppiato una delle coppie più belle della storia della televisione... eccomi a pubblicare l'ultimo epilogo di Just a Landing, nonché ultimo capitolo di tutta la storia.. dopo questo non ci sarà più nulla.. la storia scrive la parola fine e dovrò andare a mettere tra le impostazioni di JaL.. conclusa ç__ç o mamma mia.. e chi ce la faaaaa???? La facciamo continuare ancora, vero??? XD no, dai... se non diventa un polmone, peggio di Beautiful u.u credo che questa storia abbia dato tutto ciò che avrebbe potuto dare.. a me e a voi.. soprattutto a me. Mi sembra ieri quando l'idea di mettere in piedi una storia con questo argomento mi è saltata in testa... tutto merito del mio nuovo vicino di casa (che come ho detto spesso, ahimé non è Blaine ç__ç) e merito anche dell'amore sconfinato che provo per la Klaine. Sono passati dieci mesi dal primo aggiornamento.. e ne ho passate così tante che sinceramente stento davvero a credere di essere arrivata viva alla fine. Non pensavo di essere capace di portare a termine una cosa così, un progetto del genere eppure.. bastava un po' di buona volontà.. e ovviamente bastavate voi: tutti i vostri commenti sono stampati nel mio cuore dal primo all'ultimo, anche quelli su Fb... non dimenticherò mai le risate che mi avete fatto fare, i sorrisi che mi avete regalato, le lacrime che ho pianto quando venivo sommersa dal vostro affetto. Siete delle persone splendide e per questi dieci mesi siete stati la mia famiglia.. e lo sarete ancora.. anche se JaL non dovesse mai avere un seguito o se da questa autrice non uscirà mai più nulla di buono (si spera di no XD)... mi avete fatta sentire speciale e credetemi... raramente mi capita di provare emozioni così belle. Kurt e Blaine ci sono stati sempre per me, anche quando al mio fianco non c'era nessuno e sento di dover ringraziare anche loro... sono speciali, anche se non raggiungeranno mai la perfezione di quelli originali: sono speciali per me, perché so cosa hanno significato in questi mesi e cosa saignificheranno per sempre. Non vi posso dire con certezza se ci sarà o meno un seguito.. forse sì.. qualche idea ce l'ho ma per il momento non vorrei ributtarmi in niente di troppo serio.. ho bisogno di un po' di leggerezza, per questo ho deciso di creare la raccolta Seniel che continuerò ancora per un po' quindi accontentiamoci di quella ^.^ e a proposito di Seniel.. permettetemi di ringraziare anche il mio Daniel... la mia dolce e preziosissima metà.. la mia Tamara.. senza di lei molte volte avrei mollato tutto, senza di lei JaL non sarebbe stata la stessa, senza di lei non avrei avuto quelle immagini fantastiche e questi disegni meravigliosi per gli epiloghi, senza di lei.. boh.. non riesco neanche a pensarci a me senza di lei.. è importante tanto quanto lo è Daniel per Sebastian, o Kurt per Blaine.. o Chris per Darren u.u (l'ultima concedetemela XD).
Mmm...penso di aver detto tutto, al massimo aggiungerò qualcosa nei prossimi giorni sulla pagina autore.. e comunque non ho intenzione di sparire quindi.. non finisce qui XD (suona tanto come una minaccia, vero? XD). Scusate se non ho più risposto alle recensioni.. appena potrò cercherò di farlo almeno per l'ultimo capitolo di JaL e per le shot Seniel.. perdonatemi... ç___ç vi amo con tutto il cuore e.. grazie di tutto.
A voi l'epilogo Klaine.. diverso dagli altri, ma spero sia ugualmente speciale e possa chiudere degnamente questa storia... buona lettura. Firmato Dreamer91.. alias.. Fabiana <3
p.s. Pagina Fb (Dreamer91 ) Raccolta Seniel (Now and Forever ) Missing Moments, che non ho dimenticato, tranquilli ^^ (Just a Landing - Missing Moments )

Epilogo n°9

Kurt & Blaine
"Caro papà"




Ciao papà,

partirò con la solita domanda retorica che si inserisce all'inizio di ogni lettera, quindi.. come stai? Cosa si dice, lì dove sei tu? Sei abbastanza a tuo agio? C'è la giusta compagnia? Riesci a prendere il segnale delle partite di football nonostante l'altezza? Io spero proprio di sì.
É passato un po' di tempo dall'ultima volta che ti ho scritto e ne sono successe di cose: l'ultima volta che l'ho fatto tu eri morto da poco ed io mi sentivo solo. L'unica cosa che sono stato in grado di fare all'epoca, è stato di aggrapparmi al tuo ricordo e continuare a far finta che ci fossi ancora, che fossi semplicemente in un'altra città, magari io a New York per il college e tu eri ancora a Lima, in attesa di partire per raggiungermi. E questa illusione è andata avanti per un po', finché io stesso non ho detto basta: avevo bisogno di reagire e di rialzarmi e realizzare qualcosa per me stesso, qualcosa che rendesse fiero anche te, che sapevo continuavi a guardarmi dall'alto. E in questo un po' penso di esserci riuscito.

Ora abito davvero a New York, la città dei miei sogni, la città in cui tutto è possibile, la città che è riuscita a farmi evadere. L'Ohio stava diventando troppo stretto per me, Lima troppo opprimente e abitare in casa nostra... troppo doloroso. Mi dispiace averla venduta; ora ripensandoci mi sento uno schifo perché so quanti sacrifici avevate fatto tu e la mamma per poterla comprare, solo che... tu non c'eri più, la nostra famiglia si era completamente distrutta ed io.. non riuscivo più a reggere tutto quel peso. Ho preferito tagliare tutti i legami con quella città, casa inclusa, perché tanto non ci sarei mai più tornato.. avrebbe fatto troppo male. Vendere una casa, cambiare città e crescere però non significa volerti meno bene, papà.. io continuo a volertene davvero tanto e la tua mancanza è ancora così viva e si fa sentire sempre: invece di migliorare va peggiorando, soprattutto in alcuni momenti, tipo questo che sto vivendo ora. No, non agitarti.. non è successo nulla di grave, nessuno mi ha preso di mira e non mi sono perso nessuna svendita su internet... anzi... la mia vita non potrebbe andare meglio di così ed è proprio questo il punto: tutto è perfetto, quello che faccio e quello che mi circonda lo sono eppure.. tu non ci sei. É come se fossi incompleto in un certo senso, ma non del tutto.

Sai, papà... se mi vedessi ora, probabilmente non mi riconosceresti neanche e non soltanto perché sono cresciuto ancora in altezza - quasi un metro e ottanta - e i miei lineamenti sono maturati, abbandonando un po' di quelle linee infantili e delicate che sono state un po' la mia rovina al liceo... non si tratta solo dell'aspetto fisico.. è il mio approccio al mondo ad essersi modificato, il mio modo di pensare, il mio modo di agire e di rapportarmi con gli altri. Si tratta, però, di un cambiamento molto recente, iniziato tre o quattro mesi fa e che ancora oggi da i suoi frutti e mi fa scoprire cose, provare emozioni che neanche immaginavo esistessero. Del vecchio Kurt è rimasto davvero ben poco e penso che da una parte sia meglio così: se fossi ancora lo stesso non sarei riuscito a migliorare, ad ottenere ciò che ora ho e soprattutto non potrei scriverti ora con tanta tranquillità ed il cuore tanto leggero.
Cosa è successo di tanto sconvolgente, ti chiederai tu.. beh, papà.. se hai due minuti di tempo libero da dedicarmi.. te lo racconto molto volentieri.

Dunque... dopo aver lasciato Lima ed aver preso casa qui a New York, ho scoperto che non aver frequentato la NYADA non era stato poi un così grande sbaglio perché ho subito trovato un campo alternativo a cui dedicarmi: la moda. Ho iniziato, quasi per scommessa con me stesso, uno stage presso una nota agenzia di moda di Manhattan che alla fine mi ha fruttato un bel lavoro, ben pagato e in un ambiente particolarmente piacevole: d'altronde lo hai detto spesso anche tu... possiedo un estro particolare e un occhio attento per certe cose e forse avrei dovuto seguire il tuo consiglio invece di impuntarmi con quel college tanto costoso e prestigioso. In fondo nessuno ha mai detto che la strada da percorrere possa essere soltanto una... io ho avuto la fortuna di poter scegliere e devo dire che.. ne sono decisamente soddisfatto. Non so se frequentare trenta ore di corsi a settimana, abitare in un campus affollato e avere a che fare con quei livelli così alti avrebbe fatto per me. Uscivo da una situazione terribile e non avevo lo spirito adatto per affrontarlo: certo, Broadway era e rimarrà sempre il mio più grande sogno ma.. chissà se un giorno non riuscirò ugualmente a realizzarlo. Ho sempre cercato di ponderare le mie scelte, non mi sono mai fatto guidare dall'istinto né da colpi di testa improvvisi.. Kurt Hummel è un ragazzo di sani principi e con la testa sulle spalle e questo era valido quando tu eri ancora in vita e lo è a maggior ragione ora. Solo che, a volte, mi è capitato di mettere un piede al di fuori della carreggiata e ho rischiato seriamente di cadere giù; all'inizio della discesa c'è stata la mia prima relazione seria con qualcuno.

Probabilmente.. molto probabilmente.. se tu avessi conosciuto David, se tu avessi visto come mi guardava e come si rapportava a me... io e lui non saremmo durati quattro anni. Avresti fatto di tutto per farmi tornare con i piedi per terra e farmi aprire gli occhi. Perché lui non era adatto, io lo sapevo, lo sentivo.. eppure, e anche se mi vergogno terribilmente ad ammetterlo... in quel momento mi sembrava giusto così. Lui si era dimostrato interessato, io non avevo mai provato la sensazione di essere legato sentimentalmente a qualcuno, a New York non conoscevo anima viva e... tutti questi motivi mi hanno spinto a cadere nella sua trappola. Avrei dovuto capirlo subito, fin dal nostro primo discorso, fin da quando lui ci aveva provato... sarei dovuto scappare a gambe levate, senza mai voltarmi indietro.. ma, ovviamente ero troppo sciocco e spaventato anche per fare qualcosa di così banale. Sono rimasto al suo fianco per quattro anni, durante i quali mi sono visto lentamente cedere, perdere quella dignità che mi aveva distinto sempre, che mi aveva fatto combattere il bullismo al liceo e che avevo sicuramente ereditato da te. Gli Hummel non cedono. Gli Hummel combattono fino alla fine. Ma io non sono riuscito a tenere fede a quelle parole: mi sono lasciato plagiare e condizionare da lui, fino al punto in cui la mia opinione non valeva più nulla e la mia volontà la tenevo nascosta con gelosia. Avevo costruito una maschera, una maschera che mettevo su quando stavo con gli altri soprattutto con David e che indossavo con facilità, quasi fosse diventata parte integrante di me. Facevo vedere agli altri ciò che volevano vedere e davo a David solo ciò che chiedeva. Niente di più niente di meno. Quando tornavo a casa, però, chiudendomi alle spalle la porta blindata e poggiando la maschera sul comodino, crollava tutto: non restava nulla del muro di cinta che mi ero costruito attorno, implodevo ogni volta e ogni volta vivere mi costava appena più fatica.

Lo so, papà... se mi avessi sentito pronunciare queste parole, probabilmente mi avresti preso a schiaffi perché questo sarebbe stato l'atteggiamento più sbagliato da parte mia e avrei dovuto essere grato per la mia vita, la mia salute e la fortuna che avevo ottenuto scappando via dalla provincia. Eppure ero come tappato, le giornate avevano assunto tutte la stessa tonalità desolante di grigio e non c'era nulla a darmi la giusta forza per reagire. Solo il tuo ricordo.. ma anche quello faceva fin troppo male per permettermi di rialzarmi e spezzare quella maledetta maschera fatta di bugie e insoddisfazioni. Perché era questo ciò che ero diventato: insoddisfatto. Di me, del mio futuro incerto, del mio ragazzo. Soprattutto del mio ragazzo.
Non c'è mai stato niente in David che riuscissi ad apprezzare e per cui valesse la pena rimanere, niente davvero. Pessimo carattere, arroganza disumana, ragionamenti insensati ed egoisti, un possesso quasi fastidioso nei miei confronti, maleducazione inammissibile e... beh, ovviamente nessun sentimento sincero. E io lo sapevo.. sapevo perfettamente tutte queste cose eppure non l'ho mai lasciato. Perché? Bella domanda... se me lo avessi chiesto qualche mese fa ti avrei risposto che in fondo mi andava bene così, perché ero convinto di aver ottenuto ciò che in fin dei conti meritavo - quasi fosse una punizione, la legge del contrappasso per la mia nuova vita - ed ero convinto di non poter sperare in nulla di meglio. La speranza era proprio qualcosa che non potevo permettermi.

Poi però il destino ha bussato alla mia porta... nel vero senso della parola. Qualche mese fa ho conosciuto una persona, un altro ragazzo, una specie di principe azzurro moderno, le cui armi sono state il sorriso meraviglioso ed un cuore immenso. Blaine. Questo è il suo nome, papà.
Blaine è venuto ad abitare sul mio stesso pianerottolo e sono bastati pochi scambi di battute e qualcuno dei suoi sorrisi per farmi capire quanto fosse speciale e quanto avessi bisogno di un amico come lui. Ovviamente tra di noi l'amicizia è durata ben poco. Mi sono innamorato perdutamente di lui, senza neanche premeditarlo e proprio perché è stato tutto così spontaneo e naturale.. proprio questo ha reso le cose più magiche. Chissà per quale assurdo motivo, anche Blaine si è innamorato di me: in pochissimo tempo lui è riuscito a capire che avessi qualcosa di diverso rispetto alle altre persone, ha capito che dietro l'apparenza ci fosse dell'altro, e soprattutto è riuscito a vedere dietro la maschera che indossavo: lui è l'unico ad essersene accorto, papà... l'unico in sei anni. E io, anche se non lo avrei mai ammesso, aspettavo ardentemente qualcuno così, qualcuno che mi guardasse negli occhi, che mi stringesse la mano e che mi sorridesse sinceramente. Quello soltanto sarebbe bastato a farmi capire che non sarebbe più servito nascondersi, perché non c'erano più pericoli per me. Blaine ha distrutto il mio muro, mattone dopo mattone, lentamente e senza mai smettere di comprendermi e poi ne ha costruito un altro subito dopo, quella volta però attorno a noi. Per proteggerci, per proteggere ciò che avevamo e abbiamo ancora oggi. Sì... io e Blaine stiamo insieme da tre mesi ed io non potrei essere più felice di così.

Blaine non è David, papà e se non te ne fossi ancora accorto, non c'è nulla che potrebbe anche lontanamente accomunarli, eccezion fatta per me forse. Ma David non ha mai ottenuto il mio cuore.. Blaine lo ha conquistato e ormai è completamente suo. Blaine mi ama, mi ama davvero e cosa più importante mi rispetta. Non sono un burattino nelle sue mani, non smetto di avere importanza quando sono con lui e non devo preoccuparmi di sopprimere il mio pensiero perché lui è sempre curioso di saperlo ed è sempre ben disposto a condividerlo. Io con lui posso essere me stesso e posso finalmente tirar fuori quella parte del mio carattere che in questi difficili anni avevo accantonato. Ci tiene a me e me lo dimostra quotidianamente: non ho mai preteso grandi gesti o chissà quali azioni plateali.. a me bastano la semplicità, a me basta un abbraccio dato all'improvviso, quando meno me lo aspetto, magari dopo una giornata particolarmente pesante; mi basta ricevere un messaggio dolce a metà mattinata in cui c'è scritto anche solo "ti amo" perché quello mi fa capire che mi sta pensando; mi bastano gli sguardi che ci scambiamo quando siamo in compagnia di qualcuno, che sono pieni di frasi sottintese e chissà quali tipi di promesse; mi bastano le attenzioni che mi riserva e che io sono contento di concedergli. Tutto questo è Blaine. E sarebbe decisamente molto riduttivo limitarsi a queste poche parole.

So che lo conosco da poco, ma... credimi, il tempo è davvero misero in confronto all'intensità con cui lo abbiamo vissuto. Non è stato affatto facile avere a che fare con me e in un paio di occasioni maledette ho davvero rischiato di perderlo, per colpa della mia stupidità o della paura. Paura di cosa, ti chiederai tu: beh, io penso sia stata paura di essere felice. Quando avevo te lo ero, nonostante le brutte esperienze al liceo e la mentalità ristretta dell'Ohio, mi bastava avere il mio papà al mio fianco per essere felice. Da quando non ci sei più e ho scoperto seriamente cosa significasse provare dolore, ho iniziato a sviluppare una sorta di repulsione verso la felicità. Per me, essere felici equivaleva scioccamente a correre il rischio di perdere tutto prima o poi e ricadere inevitabilmente in altro dolore. Ecco perché mi sono tenuto lontano da qualsiasi tipo di rapporto serio - fatta eccezione di David, ma lì più che serio è stato masochistico - soprattutto in amicizia. Con Blaine è stato diverso perché era lui ad esserlo.. diverso. Lui non si è arreso e come ti ho già detto prima... ha guardato oltre.

Blaine mi ha insegnato tante cose: mi ha insegnato prima di tutto a volere bene a Kurt. Ho scoperto che per stare bene con gli altri bisogna prima di tutto volersi bene. Mi ha insegnato ad essere fiero di essere quello che sono e di non nascondere mai idee e opinioni, perché anche le mie valgono qualcosa lì fuori. Mi ha insegnato a non arrendermi mai, neanche dove sembra impossibile riuscire, perché basta un po' di buona volontà e almeno una persona che crede in te. Mi ha insegnato il vero significato della parola amare. Mi ha insegnato a sorridere senza remore. Mi ha insegnato a chiedere scusa e a provare rimorso. Mi ha insegnato ad avere coraggio sempre. Mi ha insegnato ad avere fiducia e un briciolo di speranza in più. Mi ha insegnato a credere nei sogni e a non perdere mai di vista l'obbiettivo finale. Mi ha insegnato cosa significa provare vere emozioni, non banali sensazioni passeggere vuote ed insignificanti; con Blaine è tutto ad un altro livello, è sorprendersi sempre, è sentire il cuore battere anche per le cose più sciocche, è scoprirsi a vicenda ogni giorno, è meravigliarsi di quanto ancora potremmo farlo domani, è comprendersi anche senza parlare, è non stancarsi di stare insieme tutto il giorno pur senza fare nulla di rilevante, è voler sentire l'altro accanto semplicemente allungando una mano... è sapere che qualcuno a casa mi aspetta sempre e che tornando non proverò mai più quella brutta sensazione di vuoto e solitudine. Ci saranno luci accese, termosifoni già riscaldati, cena quasi pronta e soprattutto un paio di occhi dorati che si illumineranno non appena si inchioderanno ai miei. Sai, papà... avere importanza per qualcuno mi fa sentire meno solo e mi riporta ai tempi in cui c'eri tu con me. Tu non verrai mai sostituito da nessuno, questo te lo assicuro con tutto me stesso, però... almeno lui è riuscito a regalarmi un po' di quella serenità che mi ricorda tanto casa nostra e la mia adolescenza con te.

A volte vorrei davvero fartelo conoscere: magari prendere un treno fino a Lima e portarlo con me. Ci ho fantasticato spesso su questa cosa, sai... sarei davvero curioso di vedere la tua faccia, di vedere la sua, di ridere di entrambi. Secondo me andreste molto d'accordo perché in alcuni aspetti vi assomigliate: avete entrambi quell'ottimismo contagioso che permette di vedere del buono ovunque, anche dove non c'è e che permette perfino ad un pessimista come me di crederci a volte. Poi però mi ricordo che tu, ovunque sia, forse riesci a vedermi davvero e quindi di conseguenza conosci già Blaine, sai già l'effetto che ha su di me, sei consapevole di quanto bene mi faccia sentire e molto probabilmente ogni volta che ci guardi insieme sorridi. Ed io, mentre ci penso, mi ritrovo a fare lo stesso, preda dell'emozione.. perché è così bello perdersi in questo tipo di fantasie. Fossero tutte così. Avevo tanta di quella amarezza addosso prima di conoscerlo. Ed era strano per un ragazzo di venticinque anni essere così risoluto e scettico sul mondo: ero arrivato ad un punto in cui il mio unico interesse ricadeva in attimi privi di significato come mangiare, dormire, lavorare e tornare a casa. Mi limitavo a sopravvivere, come un vegetale. Blaine mi ha permesso di risvegliarmi da un lungo letargo e ha sciolto un po' quella calotta gelida che mi circondava. Anche lui ha la mia stessa età, eppure.. abbiamo una visione completamente diversa della vita. Lui affronta tutto con il sorriso, è spiritoso e crede in molte cose. Ha dei valori ben saldi, primo tra tutti l'amicizia. Dovresti vedere con quanto rispetto tratta il suo migliore amico o con quale entusiasmo parla di lui. A volte, lo ammetto, sento di esserne geloso poi però mi do dello stupido perché so perfettamente che quello sguardo brillante ce l'ha anche quando parla con me ed io ho in più l'amore che mi trasmette sempre. In pratica sono doppiamente fortunato: in un colpo solo ho trovato il mio migliore amico e l'amore della mia vita. E per uno che, durante l'adolescenza, non riusciva neanche ad avvicinarsi ad un ragazzo senza essere insultato o spintonato... è una conquista. Hai visto che progressi ha fatto il tuo bambino?

Un altro dei mille pregi di Blaine è la voce: Dio, papà... dovresti sentire che voce che ha. Profonda, avvolgente, stuzzicante, magica... riesce a stregarmi tutte le volte nonostante abbia imparato a memoria ogni sfumatura ormai. Eppure è sempre un piacere indescrivibile sentirlo cantare: è stata quella la prima cosa che ho conosciuto di lui, in fondo. La prima volta che ci siamo visti, l'ho sentito cantare in un pub e forse inconsciamente il mio cuore aveva già iniziato a mettere in moto gli ingranaggi. Sono quelle cose che non ti aspetteresti mai possano accadere. Era stata una serata tranquilla, una come tante altre e invece.. da lì è iniziato tutto. E la sai la cosa più buffa quale è stata? Il ritrovarsi qualche giorno dopo nello stesso palazzo, a condividere perfino lo stesso pianerottolo. Sono stato molto fortunato, lo ammetto.
C'è inoltre un'altra cosa.. una cosa che non sanno in molti e di cui mi vergogno terribilmente. Dopo la tua morte io feci una promessa a me stesso: che qualsiasi cosa fosse successa nel mio futuro, non avrei mai più cantato... perché quello più di ogni altra cosa mi teneva legato al mio passato, perché mi avrebbe ricordato te e i nostri discorsi sulla NYADA e quanto ti piacesse sentirmi cantare, soprattutto la sera. E così ho fatto: Kurt Hummel non ha più cantato, fatta eccezione per i momenti di intimità sotto la doccia, dove nessuno avrebbe potuto sentirmi. Mi ero costruito un muro anche in quello e sono perfettamente consapevole che, rinunciando a cantare, ho fatto del male a me stesso, ma soprattutto a te. A te che mi hai sempre chiesto di non smettere mai di farlo, qualsiasi cosa fosse successa; non ho mantenuto la parola, papà... e me ne sono vergognato da morire. Ovviamente... anche in questo Blaine è riuscito a migliorarmi: la sera del mio compleanno mi ha convinto a duettare con lui in una canzone... semplicemente perfetta. Quel momento, cantare con lui, intrecciare le nostre voci assieme e lasciare da parte i miei limiti e i miei freni.. mi ha fatto sentire vivo come non mai. Forse già in quell'occasione avrei dovuto capire di essere innamorato di lui. Ora, non dico di aver ripreso a cantare con la stessa assiduità con cui lo facevo prima.. ma se adesso qualcuno dovesse chiedermelo, non mi farei pregare troppo, ecco. Blaine per me lo fa spesso... cantare intendo. Quando sono giù e ho bisogno di qualcuno che mi abbracci lui lo fa con la sua voce, senza che ci sia più bisogno di chiederglielo. Lui mi capisce al primo sguardo, non ci sono molte parole tra di noi perché ci pensano i sentimenti a compensare e solo ora capisco i mille discorsi che mi facevi quando ero poco più di un bambino. Trova qualcuno con cui non avrai mai bisogno di parlare per farti capire, dicevi.. e ora finalmente posso darti ragione.

Le cose grazie a Blaine non sono migliorate solo in campo sentimentale... l'essermi aperto con lui mi ha permesso di trovare il coraggio di lasciarmi andare anche in amicizia. Non solo ho approfondito il rapporto con amiche che già avevo - tipo una ragazza che abita nel mio stesso condominio, Rachel, che ha una splendida bambina di quattro anni pur essendo giovanissima, oppure con una delle modelle con cui ho avuto modo di lavorare in agenzia, Santana - ma ho anche ampliato le mie conoscenze e ora posso dire di essere profondamente orgoglioso di avere un bel giro di amicizie, che includono perfino un'altra coppia gay, amici di Blaine. Ricordi papà quante volte mi sono lamentato del fatto che la gente a Lima sembrava vergognarsi della propria sessualità e che per uno come me non ci sarebbe stata alcuna speranza di trovare un'amicizia sincera o comunque qualcuno che condividesse i miei gusti? Beh.. New York e Blaine mi hanno mostrato un mondo a parte, un mondo di cui ignoravo l'esistenza e di cui ora faccio parte. Mi fa sentire bene il sapere che lì fuori c'è un giro di amicizie che mi accetta per come sono e per cui non è un problema che io vada in giro mano nella mano con un altro uomo. In realtà lo pensavano anche prima che me ne accorgessi.. però... ero troppo sciocco per ammetterlo e d'altronde non avevo nessun ragazzo a cui avrei stretto con orgoglio la mano in pubblico. David non era di certo il tipo e da un lato è stato meglio così perché questo mi ha permesso di condividere molte prime volte con Blaine da quando lo conosco. Tranquillo, non ho intenzione di dirti niente di.. intimo - anche se, papà... non ho più quindici anni e questo dovresti averlo capito - mi riferisco più che altro ad esperienze emotive. Blaine è il primo ragazzo di cui io mi sia innamorato; è il primo a cui ho detto ti amo; è il primo che mi ha fatto piangere di emozione; è il primo a cui abbia dato tutto me stesso; è il primo da cui ho ricevuto un mondo intero; è il primo a cui ho parlato di te; è il primo che in un certo senso ho voluto farti conoscere; è il primo con cui sento la voglia di condividere qualcosa di importante; è il primo.. e l'unico, con cui voglio trascorrere il resto della mia vita. E... a questo proposito, papà... c'è un'altra cosa che sento il bisogno di dirti... è una cosa che è successa qualche giorno fa e che, in un certo senso mi ha spinto a scriverti. É qualcosa di molto importante per me, per la mia vita... una decisione che cambierà tutto o forse non cambierà proprio nulla. Blaine.. mi ha chiesto di trasferirmi da lui. L'altro giorno, mentre eravamo a cena. All'improvviso, mentre stavamo tranquillamente gustando i nostri piatti, lui si è aperto in un sorriso strano, che mi ha fatto perdere qualche battito perché... Dio.. era bellissimo come sempre e... mi ha detto che c'era una cosa importante che avrebbe voluto chiedermi. Io l'ho lasciato parlare, roso dalla curiosità e a quel punto lui ha poggiato una scatolina di tessuto sul tavolo, accanto al mio bicchiere. Lì il cuore mi si è completamente fermato perché per un istante ho pensato che quella scatolina contenesse un anello e mi stesse chiedendo di sposarlo - e non mi avrebbe meravigliato troppo... eravamo reduci da un recente matrimonio gay.. quindi, non c'è due senza tre - ma mi sbagliavo. Lì dentro forse c'era qualcosa di molto più importante. Quella scatolina conteneva un piccolo mazzo di chiavi, tenuti insieme da una catena argentata sottile all'estremità della quale c'era un portachiavi dello stesso colore dalla forma inequivocabile: era un cuore, spezzato a metà. Su un pezzo spiccava una B... sull'altro una K. A stento sono riuscito ad alzare gli occhi verso di lui per chiedergli spiegazioni ed ho trovato di nuovo il suo sorriso buono ed emozionato che illuminava la sala.
"Queste sono tutte le chiavi della mia vita: la chiave lunga è quella della porta blindata... quella più piccolina è quella della cassetta postale.. quella con la forma strana apre lo sportellino dove c'è il contatore del gas e infine... anche se non credo di riuscire mai a convincerti a prenderla... l'ultima è la chiave della moto." mi ha detto indicandomi una per una le chiavi in questione, visibilmente agitato "Mancano forse quelle più importanti.. quelle del mio cuore, ma.. ho come l'impressione che quelle tu le abbia già da tempo." ha aggiunto con un sorriso. E lì il cuore mi si è stretto in una morsa e non ci ho capito più nulla. Ho abbandonato la mia sedia, mandato al diavolo il luogo pubblico e l'educazione, e gli sono saltato addosso, per stringerlo forte. Siamo rimasti in quella posizione forse un'ora intera, fino a che il cameriere non è venuto ad interromperci, portando una bottiglia di acqua. Ed è stato in quel momento, mentre mi asciugava le lacrime dispettose, che me lo ha chiesto... Kurt, vuoi venire a vivere con me?....

Ok, forse è un po' sciocco, ma.. sto piangendo di nuovo.. ora.. mentre ti scrivo, quindi non meravigliarti se troverai la pagina bagnata o l'inchiostro sbavato. Colpa delle emozioni. Colpa di Blaine. Colpa mia che sono troppo fragile. Ora però le lacrime non hanno più lo stesso sapore di allora.. sono più dolci in un certo senso e piacevoli.
Ovviamente, non c'è bisogno che ti dica cosa io gli abbia risposto, vero? Ti basti sapere che ora sto scrivendo da casa sua... casa nostra... mentre lui sonnecchia sul divano davanti all'ultima puntata di Masterchef Australia. Ovviamente Blaine è anche un ottimo cuoco, ma.. cosa non sa fare d'altronde? Il trasloco è stato piuttosto semplice, anche perché abbiamo avuto la fortuna di non dover pagare il trasporto: è bastato chiamare un paio di amici per aiutare a trasportare qualche scatolone da un appartamento all'altro e il gioco è fatto. Abbiamo preferito rimanere nel suo e lasciare il mio, perché lui paga davvero poco di affitto - merito dell'intercessione di un suo amico, a quanto pare - e quindi in questo senso abbiamo optato per il risparmio. Non abbiamo problemi di soldi, non preoccuparti - ti conosco, so già che ti stai allarmando e sai anche che non ti fa bene - anzi: entrambi ultimamente abbiamo ottenuto qualche bella soddisfazione in campo lavorativo e questo è senza dubbio un altro punto di cui vorrei parlarti. Il mio nuovo, bellissimo e gratificante lavoro. Sono diventato uno dei principali stilisti di una famosa griffe newyorchese, diretta dalla meravigliosa Sue Sylvester.. te la ricordi, vero? Quella donna ben vestita che guardavamo sempre in tv, quando veniva intervistata da Letterman nel suo show.. proprio lei, papà... lei mi ha voluta nel suo organico e ormai sono quasi tre settimane che faccio parte di quel meraviglioso mondo. Non ha davvero nulla a che vedere con i compiti che svolgevo prima.. ora posso davvero esprimere il mio estro e la mia concezione di moda e sembra ci sia qualcuno che finalmente riesce ad apprezzarlo.
Blaine invece... beh con la voce che si ritrova soltanto una cosa avrebbe potuto fare. Tra qualche mese uscirà il suo primo disco e... credimi... siamo entrambi emozionati come due bambini. Quando vogliamo prenderci in giro, a volte, diciamo che da qui a cinque anni ogni americano che si rispetti avrà nell'armadio un capo firmato Kurt Hummel e sullo scaffale un cd di Blaine Anderson. E la cosa fa incredibilmente ridere entrambi. 

Ho fatto bene, papà? Pensi che abbia corso troppo, che avrei dovuto aspettare ancora un po'? Pensi che Blaine sia.. quello giusto.. il mio 'vissero felici e contenti'? Io....da una parte immagino la tua risposta.. tu a questo punto mi chiederesti cosa penso io, perché è la mia opinione ad avere più importanza e quindi.. sì, papà.. penso, anzi ne sono convinto, che lui sia quello giusto, quello perfetto, quello che voglio accanto a me per vivere felice e contento. Ho imparato, anche se a fatica, che la cosa a cui devo pensare è la mia felicità... ed io con Blaine sono felice come non lo sono mai stato prima e l'ultima cosa che voglio è perdere una sensazione così bella e che mi fa stare tanto bene. Mi fido di lui, mi fido di me e soprattutto mi fido di noi... non penso sia una cosa passeggera, un'infatuazione superficiale o la voglia disperata di avere qualcuno accanto: so perfettamente cosa sento e cosa mi trasmette Blaine tutte le volte che siamo insieme o che semplicemente mi guarda. Sono emozioni troppo forti per essere passeggere. É amore puro, amore in tutta la sua bellezza, amore grande e unico che sento potrà crescere ogni giorno, insieme a noi. Non cambierei Blaine per nulla al mondo, sono profondamente fiero di lui e sento di poterlo essere anche domani, tra un paio di settimane, tra un anno... per sempre e anche oltre. Lui è quel pezzo mancante della mia vita che mi completa e mi rende speciale nel mondo e non ho la minima intenzione di lasciarmelo scappare: ho perso fin troppe cose da quando sono nato fino ad oggi...
quello che abbiamo è davvero speciale e merita di essere trattato con rispetto da chiunque, quindi non permetterei mai a nessuno di rovinarlo... a lui non rinuncio, papà.. dovessi lottare contro i mulini a vento. Parola di Kurt Hummel.

Adesso vado, è davvero tardi e mi si chiudono gli occhi. Confesso che questa chiacchiera mi ha fatto davvero bene, ne avevo bisogno. Forse dovrei prendere l'abitudine e farlo più spesso.. includerti nella mia vita in questo modo, ritagliandoti ogni tanto un pezzo della mia giornata, così come ho fatto stasera. Sempre che tu non sia troppo impegnato, ovvio.
Ti abbraccio forte, papà... e sappi che mi manchi tanto.

Il tuo bambino, non più tanto bambino, che ti ama da morire, ovunque tu sia.




Signor Hummel?
Salve, io sono Blaine... Kurt è di là in bagno e ho davvero pochi minuti per scriverle qualcosa di sensato prima che lui possa accorgersi di quello che sto facendo. Non ho letto quello che le ha scritto, perché non mi permetterei mai.. è la vostra privacy ed io la rispetto. Volevo semplicemente dirle... grazie. Grazie per aver cresciuto un figlio così meraviglioso, grazie per avergli insegnato tanto, grazie per non avergli permesso di cedere quando tutto il mondo ce l'aveva con lui, grazie per averlo reso tanto speciale e grazie soprattutto per avermi permesso di conoscerlo. Sono sicuro che anche lei fosse una persona splendida.. Kurt mi parla così tanto di tutto quello che gli diceva e di cosa facevate insieme. Spero solo che, vedendo me, lei possa essere felice e tranquillo. Io amo Kurt e farò di tutto pur di renderlo felice. Ormai siamo davvero una persona sola, dunque dalla sua felicità dipende la mia...
Spesso mi chiedo se lì fuori non esista qualcuno di più adatto per Kurt, qualcuno di perfetto, che gli possa regalare tutto ciò che merita.. perché io ne sono convinto, lui merita tanto.. tutto.. forse anche di più. Solo che, al tempo stesso mi rendo perfettamente conto di non poter più fare a meno di lui: è un pezzo della mia vita troppo importante per poterci rinunciare e per questo sarei disposto a cambiare tutto il mio carattere pur di modellarlo ad immagine e somiglianza con la perfetta rappresentazione della sua felicità. In amore bisogna essere disposti a tutto.. a sacrificarsi, a comprendersi, a completarsi, a lasciarsi andare, a farsi da parte e a condividere. Noi tentiamo di fare tutto quanto e fino ad ora.. beh... sta andando decisamente bene. Molto più che bene.
Si ricordi che per qualsiasi cosa io.. sono pronto ad ascoltare consigli, in qualsiasi forma voglia farli arrivare.
Mi sono preso troppe libertà, eh? Dice che appena Kurt si renderà conto di quello che ho fatto mi sbatterà fuori, visto che ormai questa è anche casa sua? Gliel'ha detto che ora viviamo insieme, vero? Oh merda... forse... mmm... forse ho fatto un guaio. Mi scusi signor Hummel... e scusami anche tu Kurt, io non.. volevo. Cioè sì, in realtà volevo però.. so che avresti voluto essere tu a dire a tuo padre una cosa tanto importante.. merda... d'accordo la smetto... ehm... Signor Hummel... non mi giudichi male, è che fondamentalmente sono un cretino e quando si tratta di dire qualcosa di serio mi va in blocco il cervello e inizio a straparlare e... merda Kurt... è appena uscito dal bagno. Vado! Buonanotte Burt... spero di risentirti presto.
Oddio... le ho dato del tu involontariamente... mi scusi... e... scusi anche per quelle due o tre parolacce scappate.. mi sembrava brutto cancellarle con l'inchiostro. Ora vado davvero. A presto.
Blaine.

Blaine Anderson... ti uccido. Però ti amo da morire.

:) Ti amo anche io, Hummel.
 

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