Change my mind.

di Waterproof
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 24: *** This is (not) the end. ***



Capitolo 1
*** I. ***



Prologo.







Molti bambini, crescendo, solevano sposarsi, sentirsi attratti l’uno dall’altra. Erano soliti rimanere amici, felici, contenti, falsamente soddisfatti delle proprie vite e delle proprie relazioni.
Non noi. Non Abbey Lewis ed Harry Styles.
Io ero la classica tipa che con gli anni vedeva avanzare l’odio per il mondo, per un essere non identificabile che portava il nome del principino, che proprio in quel momento si divertiva a lanciarmi palline di carta. Eravamo a lezione, non avrei potuto mettermi a sbraitare. Così finsi di mantenere una calma che non mi apparteneva.
Ero impulsiva, tanto.
Ma con Styles non me n’ero mai pentita. Era uno stronzo, un playboy da strapazzo che si divertiva a tormentarmi. E dire che ci conoscevamo da bambini.

“Lui ti tirava i capelli, tu gli abbassavi i pantaloni. Eravate così carini!”

La madre di Harry non smetteva mai di ripeterlo. Ma non se l’erano mai posta una domanda? Perché continuare a vederci se ci detestavamo così tanto sin da quando ci costringevano a restare nello stesso box per ore ed ore?
Quando finalmente la campanella suonò, mi alzai di scatto e mi voltai verso di lui.
<< Ti strappo uno ad uno ogni capello, Styles. Ti conviene smaterializzarti all’istante. >>
<< Sesso, piccola. Ti ci vuole tanto, sano, bel sesso. >>

E quella, da sempre, era la sua risposta a tutto.









Ciao a tutte! Sono nuova qui, mi sono iscritta oggi perché ho iniziato una ff e avrei voluto condividerla con voi :33
Dal prologo non si capisce granché, però io Harry me lo sono sempre immaginato un po' cazzone, quindi...
Sarà interessante vedere lo sviluppo!
Tra un paio di giorni posterò il primo capitolo, grazie per chi gradirà! :3
A.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.







Forse ero stata io a sbagliare tutto, a credere che una sola, minima, piccolissima parte di lui potesse avermi capita. Con uno strappo netto, al centro esatto della carta, distrussi quella fotografia che ci ritraeva entrambi, la sera del mio diciottesimo compleanno. Erano passati sei mesi, e di lui neanche l’ombra.
Matthew era partito per il college da ormai un semestre, quindi la speranza che, in un modo o nell’altro, potessimo tener viva una relazione che, a detta sua, stava morendo, era deteriorata, a causa della mia spiccata insensibilità, era svanita poco a poco, fino a divenire un cumulo di ceneri grigie che il vento non aveva esitato a spazzare via.
Non lo amavo, stavamo insieme da un paio di mesi, oltretutto. Tuttavia, si era mostrato sempre così cordiale e intrigante che avevo ceduto quasi subito alle sue avances: e non mi era mai capitato prima.  E difatti le barriere in cui lui aveva provocato una breccia, erano rinsavite. Ero tornata la Abbey sociopatica, misantropa, acida, odiosa di un tempo.

Quanto mi sono mancata.

Con un colpo secco sbattei l’anta dell’armadietto rosso, tonalità contro la quale avevo lottato quando la mia migliore amica si era candidata presidente degli studenti e, in virtù di un cambiamento totale, aveva deciso di cambiare colore a tutto. Che il preside glielo avesse lasciato fare, non era un mistero. Conosceva bene le carte che Elena aveva dalla sua parte, nonché numerosi manici di coltelli, assi nella manica a non finire e mille ricatti da fare.
Elena Gordon era un’arma a doppio taglio: dolce e premurosa con gli amici, tagliente e crudele con i nemici. Era una qualità che quasi le invidiavo.
Quasi.
Infondo, nel mio odio incondizionato per la gente, ci vivevo bene. Neanche un’anima viva mi rompeva le palle da un po’, io ero serena e non c’era davvero nessuno che potesse contrastare quella mia quiete in…
<< Lewis… >> Come non detto.
<< Styles. Cosa vuoi? >>
Roteai le pupille, pronta a sorbirmi una delle tante stupidaggini del dottor Harry.
<< La tua amica ti sta cercando. Le ho anche detto “chi cazzo se ne frega di dov’è la Lewis?”, ma a quanto pare non è bastato. >>
Mi trattenni dal ridere, sicura che Elena avesse come minimo minacciato Styles di farlo espellere se non si fosse fatto avanti e mi fosse venuto a recapitare il suo messaggio. Certo, avrebbe potuto scegliere un ambasciatore meno rompipalle. Era l’unico a portar pena.
 << Ti ringrazierei, ma non è nelle mie doti. A mai più Harry. >> Lo salutai, avviandomi verso l’ala opposta della scuola.
Quel ragazzo mi aveva proprio rotto i…
Dovevo calmarmi. Da quando ci conoscevamo – tutta la vita; dannata biologia, trigonometria e letteratura che ci tenevano inchiodati nella stessa classe, ad un banco di differenza – non facevamo altro che offenderci ed insultarci a vicenda. A volte neanche mi dispiaceva: litigare con lui era un’ottima fonte di sfogo per lo stress accumulato, ma altre… Mal sopportavo la sua bella faccia.
Era uno dei migliori amici di Payne, per il quale Elena sbavava dalle scuole elementari: erano diventati grandi amici, anche se a lei non sarebbe mai bastato poterlo semplicemente abbracciare.

Nei suoi piani, anche una notte di sesso selvaggio era poco per recuperare il tempo perso a fingere di essergli amica.
Pian piano anche io e Liam avevano iniziato a conoscerci meglio, e forse era stata la sua umiltà a spingermi a concedere la mia benedizione ad Elena. Lo avevo detestato con tutta me stessa quando, una sera, mi aveva costretta a restare Harry mentre lui e la mia migliore amica andavano a comprare qualcosa da mangiare.
Avevo iniziato a leggere Madame Bovary di Flaubert, per deridere i sogni romantici di Emma, quando qualcuno aveva seccamente chiuso il libro.
<< Si avvelena, muore. Muore anche Charles con una ciocca dei suoi capelli tra le dita. >>
Non che non conoscessi il finale letto e riletto del romanzo, ma come aveva osato chiudere così di netto una mia lettura, rivelandomi addirittura la fine degli avvenimenti?
<< Vorrei poterti chiudere la faccia, ma mi accontenterò di dirti che anche lei ha un finale: potrebbe macchiarsi di sangue da un momento all’altro se non sparisci entro cinque secondi. >>
Da quel momento in poi il nostro era stato solo un continuo battibeccare su chi avesse ragione, chi torto, chi fosse più stupido – ovviamente lui – chi più egoista, e compagnia cantante. Quando Liam e Elena erano tornati, ci avevano trovati furenti. Quando avevo chiesto a Liam di non farmelo mai più vedere, lui aveva risposto: << Siamo amici, no? Mal comune, mezzo gaudio. >>
Pensai a due cose, in quel momento: che razza di amico potesse essere uno che considerava l’altro un problema – non che lo contraddicessi – e perché io ancora non avevo ucciso Honey (lo chiamavo così per la tonalità dei suoi capelli).

<< Ah, Abbey! Sbrigati! >> La mia amica mi strattonò per un braccio, obbligandomi a sedermi su uno sgabello blu.
La guardai confusa, e notai i suoi lunghi capelli rossi raccolti in una coda alta e la camicetta bianca che lei riteneva “da presidente”, lievemente sgualcita.
<< Ehi, è lei! >> Mi indicò ripetutamente, chiamando un uomo sulla sessantina a pochi metri da noi.
<< Buongiorno, signorina Lewis. Sono John Douglas, vice-preside dell’Istituto di Lingue Straniere “Elizabeth I”. >> Allungò la mano pelosa che faticai a stringere, non riuscendo a nascondere una nota di disgusto negli occhi.
Fortunatamente sembrò non farci caso.
La mia amica mi spintonò leggermente, rimproverandomi.
<< Abbiamo indetto un concorso per più dotati, al fine di concedere loro una borsa di studio per l’estate nel nostro college. Ho studiato a fondo la sua retta scolastica, e… Mi ha sorpreso molto sapere quanti libri in lingua originale ha letto. Saremmo onorati di averla con noi. >>
Sentii i muscoli delle gambe cedere e ringraziai mentalmente Elena di avermi fatta sedere, prima.
<< Signor Douglas, sarei felicissima di seguire le lezioni dei vostri docenti. >> Cercai di contenere l’entusiasmo, rivelandomi  forse troppo fredda per sembrare sincera. Purtroppo non conoscevo vie di  mezzo. << Quando iniziamo? >>
<< Il quindici giugno un autobus passerà a prenderla con tutte le sue cose. Sarà un corso di sei settimane. >>
<< Perfetto. Al quindici giugno, allora. >>
Quando l’uomo ci lasciò, mi voltai per abbracciare la mia amica, i cui urletti striduli mi stavano forando i timpani. Ma non mi importava. Erano mesi che inseguivo quell’opportunità, mesi che non toglievo la testa dai libri. Ce l’avevo fatta.
<< Sono fiera di te, Abbey. >>
<< E’ fantastico. Sarà l’estate più bella della mia vita. Non che abbia un termine di paragone, ma… Lasciamo perdere. >> Affermai, sorridendo.
<< Solo una cosa… >>
Interruppe così il mio momento di meditazione, durante il quale già immaginavo me lontana dalle mura domestiche, dall’acidità di mia madre e il menefreghismo di mio padre.
<< Ci sarà anche… >>
<< Cosa devo compilare, Gordon? >> Mr.Simpatia fece irruzione nella stanza, senza neanche bussare.
<< Che diamine vuoi, Harry? >> Chiesi, alzandomi e avvicinandomi a lui.
<< La mia domanda non era rivolta a te. >> Sputò, riducendo gli occhi a due fessure.
<< La mia sì. >>
<< Ragazzi. Basta. >> Intervenne Elena, frapponendosi tra noi due. Arretrai di un passo, così la mia amica fu libera di consegnare a Styles il foglio che stava cercando. Poi, ne diede uno anche a me.
Uguale.
Identico.
<< Ehm… Sono fiera di annunciarvi che siete stati presi entrambi. Partirete per Londra insieme. >>
<< COSA?! >>

Forse fu quello l’unico momento in cui ci trovammo d’accordo.





Salve a tutte, ragazze :3
Ieri ho per sbaglio pubblicato il primo capitolo, ma non lo avevo ancora rivisto quindi appena me ne sono accorta ho modificato tutto.. Questa è la versione ufficiale.
La storia è appena iniziata, fatemi sapere cosa pensate deciderà di fare Abbey riguardo al viaggio ;)
A.














 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.







<< Ragiona, Abbey. Non puoi rinunciare per quello. >>
<< Certo che posso. Si chiama “libero arbitrio”. >>
E con quello lasciai cadere il discorso. Tornammo allo studio di Conrad, certamente più interessante e fruttifero di tutti i tentativi di Elena di convincermi a prendere parte a quella vacanza studio.
Che mi avrebbe aperto le porte del college.
Che mi avrebbe permesso di andare via da quell’inferno.
Sì, ma per recarmi nel paradiso col diavolo in persona. Giammai. Quegli occhi verdi, il volto angelico e i riccioli castani potevano ingannare chiunque, ma non me. Non Abigail Lewis.
<< Sai a cosa stavo pensando? >> La sentii ridere, e sollevai lo sguardo dal libro di letteratura, guardandola interrogativa.
<< A cosa? >>
<< “L’odio ad un certo punto diventa eccitante”. >> Deglutii, arrossendo e chinando nuovamente il capo su “Cuore di Tenebra”.
Quelle parole erano mie. Dette in uno stato di rabbia ed incoscienza, ma erano pur sempre uscite dalle mie labbra.
<< Tra me e Styles non c’è odio, Elena. >> Spiegai, mangiucchiando la matita. << Si tratta di intolleranza. >>
<< Ma dai, neanche lo conosci! >>
<< Spero tu stia scherzando. >> Inarcai un sopracciglio, sperandolo ardentemente. << O forse hai ragione. Forse è così antipatico, acido e cattivo solo con me. Altrimenti non si spiegherebbe il numero non quantificabile di donne che si porta a letto. >>
Pensai alla mia teoria, ma non riuscivo a trarne una base solida. Insomma, era abbastanza antipatico con tutti, meno con quegli altri quattro amichetti con cui stava sempre. Non ne conosceva neanche uno, eccezion fatta per Liam, ma poteva essere pronta a scommettere di tutto, era certa fossero uguali a lui.
Aveva solo un lato positivo: una mente geniale. Ecco perché era stato preso a quel campo estivo. Probabilmente, se non fosse stato così poco amichevole, sarebbe stato anche piacevole parlare con lui.
<< Pronto, Liam? >>
Non mi ero neanche resa conto che il cellulare della mia amica avesse preso a suonare, presa com’ero dalle mie fantasticherie.
<< Sì, certo. Aspetta, glielo chiedo. >> Poggiò il telefono sulla spalla e mi chiese se fosse  stato un problema per me se Liam fosse venuto qui a studiare. Scossi il capo, sorridendo.
<< Ti aspettiamo. >> Gli disse atona. Quella reazione mi confuse.
<< Ma scusami, dov’è finita tutta l’eccitazione da fan girl? >> Domandai.
<< Pile scariche. Mr. Payne non si fa avanti, e sinceramente sono stanca di sentirmi dire “quant’è bella quella”, “ho parlato con Tizia”, “sono uscito con Caia”. Fa un po’ male. >>
<< Ehi, guardami. >> Le sollevai il mento con un dito, sorridendole. << Lui non può immaginare cosa tu provi. Forse dovresti semplicemente dirglielo. >>
In fatto di consigli giusti ero pessima. Io per prima non avrei mai fatto una mossa del genere, e lei lo sapeva benissimo. Difatti mi spintonò lievemente, ridendo.
Sentimmo bussare alla porta, così mi offrii di andare ad aprire.
<< Liam. >> Dissi sorpresa, spostandomi per lasciarlo entrare. << Eri per strada? >>
<< Sì. >>
Raggiungemmo Elena che si sporse per abbracciare l’amico, poi ci sedemmo tutti insieme. Prendemmo a studiare alcuni autori del Novecento, scambiandoci, di tanto in tanto, battutine irrisorie. Mi piaceva stare con loro, mi facevano dimenticare certe cose. Forse erano gli unici esseri umani che ancora ritenevo buoni sulla faccia della Terra.
<< Allora? Che fai? Parti? >> Mi chiese tutto ad un tratto lui, posando la penna.
<< Con Mr. Simpatia? No, grazie. >> Rise di gusto a quella mia frecciata.
<< Andiamo, vuoi davvero perdere un’opportunità simile per Hazza? >> La mia amica si trovò d’accordo con lui, annuendo semplicemente a tutte le parole pronunciate da quel ragazzo.
Insistettero così tanto che un’ora dopo non riuscii a credere a ciò che dissi.
<< E va bene, firmerò! >>
E lo avevo fatto davvero. Elena, onde evitare che avessi ripensamenti, aveva nascosto il consenso chissà dove per non permettermi di strappare quel pezzo di carta.
Mi sarebbe bastato rimanere lontana anni luce da quell’essere. Non sarebbe stato poi così difficile.
 
Un mese dopo…

Avevo preso tutto. Erano le dieci di sera del giorno precedente alla partenza, e i miei bagagli erano pronti. Nell’ultima settimana non avevo toccato cibo, ansiosa ed eccitata com’ero per quel corso, e mia madre aveva dato in escandescenza. Si era improvvisamente accorta che esistevo, perlomeno.
Con un gesto rapido serrai la valigia, notando un movimento sospetto di Elena dall’altro lato della camera. Si era voltata di scatto, e si stava sedendo sul letto, immobile.
Quella ragazza stava impazzendo. Forse avrei dovuto dare una spintarella a Liam e convincerlo a prendersi un po’ di tempo per cercare di guardare la mia amica con occhi diversi. Forse ci sarei anche riuscita, ma se Elena fosse venuta a conoscenza del mio intervento, mi avrebbe urlato contro. Preferii evitare.
Mi misi a sedere accanto a lei, stendendomi subito dopo, stanca.
<< Voglio sapere tutto nel dettaglio, ogni giorno. Anche se sarò a Parigi. >>
Affermò, seria. Erano mesi che stressava i genitori per convincerli a mandarla in viaggio in Francia, certa che prima o poi li avrebbe convinti. Ed infatti, ce l’aveva fatta.
<< Sono felice di sapere che le mie lezioni ti interesseranno così tanto. >> Risposi, ironica.
Sapevo benissimo dove volesse andare a parare, ma non capiva che non ci sarebbe stato alcuno sviluppo con Styles. Almeno fino a quando entrambi ci impegnavamo ad evitarci.
<< Al mio ritorno da Parigi parlerò con Liam. >>
Mi voltai di scatto verso di lei, sgranando gli occhi.
<< Gli dirai tutto? Compresi gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti e i secondi in cui ti sentivi scissa tra odi et amo? >>
<< Tutto. Partirà per il college a Settembre, non voglio lasciare nulla di intentato. >> Le sorrisi per tranquillizzarla, cercando poi ti cambiare discorso onde evitare che si deprimesse prima della partenza per Parigi.
Elena era forte, decisa, bellissima. Liam non sarebbe stato così idiota da rifiutarla. Se poi i suoi amichetti gli avrebbero fatto il lavaggio del cervello quell’estate, non potevamo saperlo.
Come potevamo essere amiche io e lei, era una cosa che mi ero chiesta spesso. Eravamo molto diverse, e non solo a livello estetico – i miei amabili, indomabili capelli scuri, una carnagione olivastra e una tendenza ad arrossire come un peperone al minimo sentore di imbarazzo. Ci ascoltavamo, ci capivamo, ed era quanto bastava.
Era stata lei la prima ed ultima persona a vedermi piangere. E non per un ragazzo, non ero mai arrivata a tanto.
Per me.
Quella volta non ero riuscita a tenere a bada le emozioni, le sensazioni, ed un crollo emotivo mi aveva distrutta.
Durante la fase di “riabilitazione” era arrivato Matthew, sparito poi poco dopo. Mi ero sentita presa in giro, non avevo sofferto pene amare. Forse neanche mi era mai importato della nostra relazione.
 
L’indomani mattina, ero di umore nero. Il tempo non prometteva bene, mia madre non mi aveva neanche preparato la colazione, convinta che non dovessi partecipare a quel corso.
Avendo fatto tardi, non mi era stato neanche possibile prepararmela da sola, così mi ero accontentata di una mela e di un paio di biscotti presi dalla credenza un minuto prima di uscire. Il bus era lì fuori ad aspettarmi, e giurai di non aver mai visto nulla di più giallo in vita mia. Detestavo quel colore.
Mi avviai lungo il vialetto, quasi arrancando con le valige. L’autista scese, mi salutò con un grugno indistinto e mi aprì lo sportello per permettermi di posare i bagagli. Fatto questo, sospirai ed entrai nell’abitacolo.
C’erano circa dieci ragazzi, di cui quattro ragazze. Mi avviai verso il fondo del veicolo, cercando di non inciampare e fare figuracce il primo giorno di convivenza forzata con quelle persone, e mi misi a sedere accanto al finestrino. Infilai le cuffie dell’iPod e mi dedicai all’ascolto di un po’ di musica.
Avrei volentieri schiacciato un pisolino se non si fossero messi quei chiacchiericci insopportabili che non mi permettevano di riposare. Preferii rimanere sveglia, dato che fino a Londra era in tutto un’ora di viaggio.
Il pullman si riempì in poco tempo, e un ragazzo, che doveva avere la mia età, si mise a sedere accanto a me, rivolgendomi un sorriso mesto. Ricambiai, tornando a guardare fuori, quando lo sentii picchiettarmi sulla spalla.
Mi liberai degli auricolari e mi rivolsi a lui.
<< Josh. >> Disse, allungando la mano. Inarcai un sopracciglio, fissandolo stranita.
Non ero esattamente la tipa capace di fare amicizia in poco tempo.
<< Abbey. >> Risposi infine, stringendogliela.
<< Sei stata presa al corso? >> Domandò, sistemandosi meglio. Solo allora notai la sua camicia blu cielo abbottonata fino al collo e i capelli perfettamente tirati indietro. Sembrava un secchione di prima categoria.
<< Già. >> Lo sentii ridacchiare e lo fulminai con lo sguardo. Cos’aveva da ridere?
<< Diciamo che su questo bus… Sei un po’ diversa dalle altre. E dagli altri. >> Cercai di capire a cosa si stesse riferendo quando la mia mente registrò i dati.
Ero l’unica ad indossare una canotta nera e un paio di jeans con le Converse, mentre le ragazze apparivano educate e meccanicamente intelligenti nei loro abiti casti e puri. I ragazzi, da canto loro, erano ben vestiti.
Avevo per caso preso un pullman per un convegno di “Viva la castità”?
<< Iniziamo bene… >>
Mormorai quelle parole, e senza neanche rendermene conto sentii di doverle ripetere quando le porte si aprirono e dalle tre scale spuntò la faccia di Styles. Non dovevo apparire affranta, scocciata o irata. Semplicemente indifferente.
<< E’ una bella cosa, dai. Se avessi saputo, mi sarei messo qualcosa di decente anch’io. Mia madre è una perfetta idiota. >>
Mi ritrovai a ridere di quella sua affermazione, forse troppo animatamente dato che alcuni sguardi saettarono su di noi. Mi cucii la bocca e guardai altrove, imbarazzata. Mi reinserii le cuffie e mi lasciai andare contro il sedile, mentre anche Josh mi imitava.

 

Forse quel viaggio sarebbe stato anche troppo lungo.


*


Sperai vivamente si trattasse di uno scherzo del destino. Ad accoglierci era stato Douglas, con una pozzanghera al posto delle ascelle e uno sguardo serioso che mi aveva spaventata non poco. Josh mi era stato accanto tutto il tempo, ridendo di tanto in tanto alle mie smorfie di disappunto ed attirando l’attenzione di qualche vicino.
Il mio rammarico raggiunse il vertice quando, durante la spartizione delle camere, sulla mia porta vidi scritto il nome mio e quello di Sandy Connor.
Avrei preferito spararmi in bocca piuttosto che dormire con quell’arpia, ma purtroppo Douglas non avrebbe mai potuto immaginare quanto la detestassi.
Vidi i suoi capelli d’oro scintillante accompagnare la gonna fluttuante mentre lei muoveva i passi all’interno della stanza. Senza neanche chiedermi nulla, si appropriò del letto accanto alla finestra, sedendosi poi su di esso per fissarmi.
<< Finalmente sembri quasi una donna. >> Ghignò.
Strinsi forte la cerniera della valigia, resistendo all’impulso di rispondere. Indifferenza, dovevo ricordarmene.
<< Piacere di rivederti, Sandy. >> Dissi, sarcastica. Mi alzai e iniziai a svuotare i bagagli, collocando i vestiti nell’armadio di legno di fronte al mio letto. Sentivo il suo sguardo addosso, poi finalmente la sentii fare lo stesso.
<< E’ passato un bel po’ di tempo, vero? L’ultima volta che ti ho vista eri una tavola piatta. >>
Istintivamente lasciai cadere il mio sguardo sul seno. Tre anni prima, una prima scarsa, oggi una terza abbondante. Solo che… a me non poteva importare di meno di che taglia avessi. A differenza sua, che sembrava essere più attenta alle mie tette che alle sue.
<< Madre Natura mi ha premiata. >> Mi trattenni dal riderle in faccia.
<< Non ci giurerei… >> Prima che potessi anche solo pensare di aver capito male, la vidi tirar fuori un mini abito blu elettrico e un paio di decolleté nere, con un tacco abnorme sul quale io non sarei mai riuscita a camminare. Il tutto, in forte contrasto con il candido vestito che indossava in quel momento.
<< Stasera diamo una festicciola, così ci conosciamo. >>

Con quel coso addosso non conosceranno solo la tua faccia.

Ed ora che ci pensavo non avevo un bel niente da mettere. Quando aprii la seconda valigia quasi non tossii per la sorpresa.

Perché c’erano delle mutandine di pizzo con reggiseno abbinato nella sua borsa?

Elena.
Era stata lei, la sera precedente. Non potevo crederci, era convinta davvero che quelle cose le avrebbe viste qualcun altro all’infuori di me? Pazza, era pazza. Mi affrettai a metterli in un cassetto più piccolo, certa che da lì non si sarebbero mossi. Sospirai e tirai fuori il resto infilando poi i borsoni sotto il letto, sul quale mi accasciai esausta.
Inviai un messaggio alla mia amica, per chiederle cosa significassero quei completini. Non mi rispose subito, e quando lo fece deviò completamente il discorso.
Era brava a farlo, ma con me non funzionava.

Tu sei matta, io quelle cose non le metto. Toglitelo dalla testa.

Chiusi così il dialogo, e tornai a dedicarmi al nulla. Per quel giorno non erano previste lezioni, per lasciarci il tempo di ambientarci. Pur di non restare un secondo di più a sentire le chiacchiere della papera al telefono, uscii in corridoio. Magari avrei potuto chiedere a Josh di andare a fare un giro. Tutto sommato, qualcuno con cui parlare quelle sei settimane lo avrei pur dovuto trovare, e lui sembrava essere il più umano.
Cercai di ricordare il numero della stanza, e quando quindi quel ‘23’ dorato sospirai di sollievo. Bussai, e una voce all’interno mi diede il permesso di entrare.
Abbassai lentamente la maniglia, e quando feci il mio ingresso, mi trovai dinanzi ad un paio di occhi verdi che avevo ormai imparato a riconoscere.
<< Tu. >> Disse, riducendo gli occhi a due fessure.
<< Che ci fai qui? >> Chiesi, maledicendo il destino in tutte le lingue del mondo.
<< Si da il caso che ci dorma. Tu che ci fai qui? >> Quella sua aria da duro non gli si addiceva per niente. Forse perché lo detestavo, forse perché in circostanze del tutto diverse l’avrei trovata perfino eccitante. Ma in quel momento avrei voluto distruggergli quella bella faccia che si ritrovava.
<< Josh! >> Chiamai, ignorandolo.
<< Sta facendo una doccia. >> Rispose Styles, chiudendo la porta alle sue spalle.
Avrei dovuto andarmene, allora, e tornare più tardi. O forse mai più, assodato che il mio conoscente dimorava con quel demente.
Tuttavia decisi di sedermi, lontana da Hazza, che mi parve alquanto infastidito per la mia presenza. Nulla di più piacevole per me.
<< Siamo qui da due ore e ti vedi già con il mio compagno di stanza. Sei settimane sono lunghe, non darti troppo da fare. >>
<< Non sono affari tuoi. >> Mi limitai a commentare.
<< Dio, quanto sei acida. Era un consiglio da amico. >> Lo sentii ridere della sua stessa battuta.
<< Grazie, caro, ma sono fatti miei se decido di consumarmi o meno. >>
<< Josh è un bravo ragazzo, non rovinarmelo. >> Parlava quasi come se fosse improvvisamente diventato un amico di infanzia, quasi alla pari di quei quattro che si portava dietro.
<< Tu cerca di non rovinare quelle povere ragazze. >> L’ironia era tangibile, il sarcasmo era un’arma che avevo sempre amato usare.
Soprattutto per attaccare lui.
<< Saranno notti molto interessanti, queste. >> Mormorò, socchiudendo gli occhi. Provai un moto di nausea che riuscii a tenere a freno solo non immaginando Harry tra le lenzuola.
<< Sei disgustoso. >>
In quel momento dal bagno uscì Josh, completamente cambiato. Indossava una maglia dei Queen, bianca, e un paio di jeans scuri che lo facevano sembrare ancora più alto. Non c’era più traccia del damerino di poco prima, sembrava addirittura sexy.
Pensai a cosa potesse credere Harry, vedendoci insieme. Forse, neanche credeva avrei trovato qualcuno con cui passare del tempo al campus, e lasciai che la sua immaginazione corresse in verdi prati fioriti, pur avendo io le idee chiare.
Solo amici.
Niente storie.
Mi alzai dal letto e gli chiesi se gli andasse di fare una passeggiata con me, vedendo la mascella di Styles contrarsi. Forse non si aspettava che qualcuno che non fosse lui trovasse uno spasso per primo.

<< A dopo, Harry. >>




Salve :33
Ho deciso di aggiornare oggi, poi metterò il terzo domani, perché poi farò una full immersion in storia e quindi fino a lunedì non posterò molto :c
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite e le seguite, davvero.
Siete dolcissime <3


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


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Capitolo 3.










Lasciai andare il capo contro il palmo aperto della mia mano, socchiudendo le palpebre. Ero certa che sarei andata via con conoscenze in meno, dopo quelle sei settimane, soprattutto tenendo in considerazione il fatto che l’insegnante aveva decisamente poca voglia di essere lì.
Del corso di letteratura eravamo venti, equamente suddivisi in dieci donne e dieci uomini, e la mia vicina di banco sembrava poco entusiasta di essere qui. Insomma, non che mi lamentassi dell’opportunità ricevuta, ma quel professore stava uccidendo la nostra voglia di vivere. Sbuffai sonoramente, chiedendo il permesso di uscire.
Quando mi fu concesso, mi ridestai e mi diressi in corridoio, prendendo il cellulare dalla tasca. Inviai un messaggio a Elena, poi controllai la lista chiamate. Ce n’era qualcuna di mia nonna, ma dei miei neanche l’ombra.
Non che m’importasse. Ero abituata ad essere sola da quando avevo l’età di dieci anni. Forse avevo passato così tanto tempo a casa Styles per il semplice fatto che mia madre non si era mai fatta in quattro per prendersi cura di me. Anne era sempre stata gentilissima nei miei confronti, a differenza del figlio.
Come i nostri genitori si conoscessero, era storia nota a tutti; amici sin dal college, le due ragazze erano rimaste incinte nello stesso mese. Solo una delle due era rimasta soddisfatta. Evidentemente, durante la gravidanza mia madre si era resa conto di non volere un figlio, di non desiderare una vita racchiusa entro quattro mura domestiche. Ma era troppo tardi.
Non le davo neanche la colpa della mia paura per il mondo. In fondo, starle così lontana avrebbe dovuto permettermi di crescere da sola, ed invece..
Scossi il capo, per mandar via quei pensieri assurdi.
Mi sciacquai il volto e mi guardai allo specchio, per cancellare qualsiasi traccia di riflessione. Quando tornai in classe, neanche mi resi conto delle cinque volte in cui Josh mi chiamò, e capii ben poco di quello che mi disse. Semplicemente annuivo, ormai ero persa.
Al suono di quella che doveva essere una campanella, tutti si alzarono. Ricontrollai il cellulare, ma nulla.
Dio, si poteva essere così indifferenti al proprio creato?
<< Ehi, stai bene? >> Neanche mi ero resa conto della vicinanza di Josh.
Sollevai lo sguardo verso di lui.
<< Sì. >> Mormorai, alzandomi. << Andiamo? >>
 
Insieme a Josh mi allontanai dal resto del gruppo per raggiungere un albero particolarmente grande, che proiettava un’ombra consistente sul terreno. Ci mettemmo a sedere lì e mangiammo il nostro pranzo, chiacchierando delle nostre vicende scolastiche.
<< Tu ed Harry vi conoscete? >> Chiese, improvvisamente.
<< Purtroppo sì. >> Risposi, mangiucchiando il mio sandwich. << Non ci vogliamo molto bene. >>
Era un eufemismo vero e proprio, quello.
<< Quindi ti turberebbe sapere che potrebbe pranzare con noi? >> Il pezzo che avevo appena addentato rischiò di andarmi di traverso; scherzi del genere non li accettavo.
<< Josh, perché qui? >> Sollevai minacciosamente lo sguardo verso quella voce, distogliendolo subito dopo per non permettergli di capire quanto la sua presenza mi infastidisse.
<< Si sta bene, no? Lì sotto il sole si muore dal caldo, e dopo la sbronza di ieri vorrei evitare un’insolazione. >>
Ricordai la festa della sera prima, alla quale ero rimasta sì e no un’ora. Giusto un paio di presentazioni prima di dileguarmi altrove. Ora avrei voluto fare lo stesso, ma non potevo.
Harry si mise a sedere di fronte a noi due, prima di afferrare il suo panino e iniziare a mangiarlo.
<< Dio, quella tipa di ieri meritava due schiaffi in faccia. >> Commentò Josh, ridendo.
Lo fissai interrogativa, ma subito Harry lo seguì, poggiandosi con il gomito a terra per stendersi.
<< Si chiamava Sally… Sully… >> Lo vidi mentre cercava di ricordare il suo nome, senza successo.
<< Sandy? >> Provai, sperando ardentemente non si trattasse dell’oca giuliva che ero costretta a tenermi in camera. Purtroppo, le mie speranze furono disilluse, dato che Josh parve ridere ancora di più quando pronunciai quel nome.
Era abbastanza famosa, quella ragazza, nella sua scuola. Da quando se n’era andata dalla nostra, aveva fatto parlare di sé per le bravate e le sciocchezze che aveva commesso; come si trovasse a quel corso, non lo sapevo. Forse suo padre aveva sborsato un patrimonio per permetterle di seguirlo.
<< La conosci? >>
<< E’ la mia compagna di stanza… >> Ammisi, afflitta. << E ci conosciamo dai primi anni del liceo. Non andavamo molto d’accordo. >>
<< Come mai? >> Josh sembrava realmente incuriosito.
Volsi per sbaglio lo sguardo su Harry, che lo distolse subito, indifferente. Cercai di non badare a lui e risposi al nostro amico, che ancora aspettava una mia risposta.
<< Non le sono mai andata a genio, non capisco perché. >> Sentii Styles tossicchiare e Josh reprimere un sorriso. Gli rivolsi un’occhiataccia minacciosa, ma lui fece finta di niente. << Però non è come le altre. Non pensa solo a se stessa. E’ abituata a criticare me, quindi non vede ciò che c’è di sbagliato in lei. >>
<< A me è parsa abbastanza frivola. >> Disse Josh, mordendo il suo sandwich. << Cos’avrebbe da criticarti? >>
<< La mia femminilità. O meglio, la mancanza di essa. ‘Hai così poche tette che ti ci vedrei nei panni di ragazzo, sai?’ E’ stato il massimo della sua filosofia.. >> Ripensai alla medesima discussione avuta in camera il giorno prima, e a come fossi stata costretta a non risponderle in modo sgarbato.
<< Ha bisogno di un paio d’occhiali. >> Notai lo sguardo di Josh mentre cadeva sul mio petto, ma prima che potessi rimproverarlo gli arrivò un calcio da Harry.
Lo guardai confusa, ma Josh non mi diede il tempo di pormi domande, perché gli saltò addosso e iniziò a punzecchiarlo. Mi vidi sorridere flebilmente, colta alla sprovvista da quella scenetta da migliori amici. Harry rotolò su un fianco e lo atterrò, costringendo Josh ad implorare aiuto.
Carponi mi avvicinai a loro e cercai di tirare via il braccio di Josh dalle grinfie di Harry, ma senza risultati. Tuttavia il mio amico riuscì a liberarsi e spingere Styles indietro, facendomelo capitombolare addosso. Mentre lui ci derideva, io ero intrappolata sotto il corpo di Harry, che non era certo esile e piccolo.
Incrociai il suo sguardo, e per un attimo, un solo attimo, mi parve una persona diversa. Onde evitare di cadere nella trappola dell’analisi, distolsi il mio e cercai una via di fuga, che mi concesse lui stesso sollevando un braccio e cadendo di lato. Con l’aiuto di Josh mi sollevai da terra e mi ripulii i pantaloni dei fili d’erba finiti tra capelli e sui pantaloni.
<< Devo andare. >> Senza neanche darci il tempo di ribattere, Styles sparì, portando con sé la sua roba.
Josh mi guardò confuso, ma non seppi cosa dirgli. Gli consigliai di raggiungerlo, mentre io, nel frattempo, tornai in camera mia per armarmi della mia Canon prima di uscire. Ignorai le parole di Sandy e mi avviai lungo il corridoio, uscendo poi dalla porta principale. Armandomi di cartina, iniziai a seguire un percorso che non riuscivo a comprendere.
Probabilmente mi avrebbe portata in prossimità di un lago.
Mentre camminavo sentivo scricchiolare sassi sotto le converse, e tutt’a un tratto il rumore delle auto fu solo un lontano ricordo. Non seppi dire se quella cosa fosse positiva o negativa, ma mi dava un senso di pace immenso. Spostai dei rami dal mio percorso e continuai a procedere, fino a quando non mi vidi costretta a guardare di nuovo sulla carta per cercare informazioni.
Quando sollevai gli occhi dalla mappa, per poco non svenni. Dove diavolo ero finita? Un passo di troppo, e mi sarei ritrovata ad urlare durante una caduta dovuta ad un baratro enorme. Vidi chiaramente il lago, a qualche trenta metri di distanza. Deglutii, arretrando, e cercando di non pensare a dove fossi.
Mi misi a sedere a terra, e osservai il cielo azzurro del pomeriggio, il sole alto che rifletteva i raggi sulla superficie increspata del lago e gli alberi lievemente mossi dalla brezza leggera d’estate. Era il paradiso, quel posto.
Scattai un paio di foto, ma la luce non mi convinceva affatto. Forse avrei potuto leggere in attesa del tramonto.
 

*

 
Sentivo un formicolio indistinto sul braccio, e probabilmente fu quello a svegliarmi. Un momento. Come avevo fatto ad addormentarmi?
Mi guardai intorno confusa, tastando il terreno alla ricerca della mia borsa. Udivo una vibrazione, proveniente dalle mie spalle, così mi voltai e trovai lo zainetto appallottolato a mo’ di cuscinetto. Vi scavai all’interno e quando finalmente trovai il mio cellulare, lessi i quattro messaggi e le tre chiamate perse. Tutte di Harry.
Perché diavolo mi stava chiamando?
Ricomposi il numero e attesi un paio di squilli prima che si degnasse di rispondermi.
<< Che vuoi? >> La solita gentilezza che lo aveva reso tanto amabile ai miei occhi.
<< Sei stato tu a chiamarmi, bello. Senza contare i messaggi. >>
<< E’ stato Josh. >> Spiegò. << Non aveva il tuo numero e ti stava cercando ovunque. A proposito, dove sei? >>
<< Digli che torno tra un’oretta. >> Feci per chiudere la chiamata ma sentii dall’altra parte della cornetta una sorta di ringhio.
<< Dove. Sei? >>
Io non dovevo dargli spiegazioni, non lo avevo mai fatto e non avrei iniziato certamente ora.
<< Non ne ho la più pallida idea, ma conosco la strada. Digli solo che sono al lago. >>
Così dicendo, chiusi la comunicazione.
Mi chinai per prendere la macchina fotografica, e trovata la luce giusta, scattai qualche foto. Quella volta erano perfette. Soddisfatta, mi alzai, e messo lo zaino in spalla mi avviai sul sentiero che avrebbe dovuto riportarmi in strada, verso la civiltà.
Cercai di guardare l’ora, ma avevo fatto male i miei calcoli. Il sole sarebbe calato del tutto entro una mezz’ora, e io non sarei riuscita ad uscire da lì in così poco tempo. Inoltre, non ricordavo perfettamente la strada, come invece avevo fatto credere ad Harry e Josh.
Bene, ero fottuta.
Cercai di ricordare da dove fossi venuta, ma era assai difficile dal momento che avevo tenuto la testa incollata sulla cartina gran parte del viaggio.

E ora?

Incerta sul da farsi camminai a vuoto, incontrando spesso lo stesso sentiero intrapreso pochi istanti prima. Decisi di scalfire il tronco degli alberi, così da rendermi conto se fossero davvero gli stessi che avevo incontrato, e quando vidi la “x” disegnata, sospirai.
Non ce l’avrei mai fatta di quel passo. Girare in tondo non mi avrebbe riportata mai al campus, soprattutto se il sole fosse calato ancora. Stava iniziando a fare buio, e della civiltà neanche l’ombra. Pescai il cellulare dalla tasca e controllai se ci fosse campo.

Non è possibile.

Doveva trattarsi di uno scherzo, non era possibile che la Provvidenza ce l’avesse così tanto con me. Insomma, addirittura senza rete… Non ero attrezzata per passare una notte in balia di… di quello che c’era in quel bosco. Ero stata in campeggio solo due volte in vita mia, e l’unica volta in cui mi ero ritrovata in condizioni estreme era stato quando con i miei dovetti provvedere a tutto io.
Forse sarei potuta tornare sulla rupe, evidentemente lì c’era segnale dato che avevano potuto mettersi in contatto con me. Quella via sarebbe stata più semplice, essendo la strada completamente in salita. Cercai di abituare i miei occhi al crepuscolo e mi avviai lungo il sentiero tracciato da passi di coloro che prima di me erano stati in visita lì.
Arrancai quei cinquecento metri che mi separavano dalla meta e quando arrivai fui costretta a prendere fiato. Era ormai buio, iniziava a fare freddo e io sentivo un lieve tremore lungo tutta la spina dorsale. Avevo paura. 
Ricomposi il numero dell’essere che più odiavo al mondo e attesi, fino a quando non mi rispose urlando.
<< Passami Josh! >> Gridai di rimando, per farmi sentire. Probabilmente l’ennesima festa. Inoltre, non avevo intenzione di chiedere aiuto a lui, non quando avrei dovuto semplicemente evitarlo. E poi mi tornavano costantemente alla mente quegli occhi, quel che forse vi avevo letto, e dannazione non potevo lasciarmi sopraffare. Un paio di giorni e saremmo tornati come prima.
<< Josh è in camera, chiama lui. >>
<< Non ho il numero, idiota. >> Spiegai. << Chiedigli di venirmi incontro perché altrimenti non torno a casa per la notte. >>
<< Sei ancora lì? >> Lo sentii a malapena, dato un gridolino isterico elevatosi al di sopra di tutte le voci della stanza. Ma cosa stavano combinando?
<< E ci resterò forse tutta la vita. >> Mormorai, chinando il capo. Perché dovevo ammettere la mia difficoltà proprio con chi ci godeva a vedermi in quello stato. Ma se fossi voluta tornare nella mia stanza, avrei dovuto chinarmi dinanzi a quell’obbligo. << Digli di far presto, per favore… >>
Forse non avrei dovuto incrinare la voce in quel modo, non avrei dovuto usare quella formula di cortesia né tantomeno mostrarmi così spaventata: ma una folata di vento gelida e l’ululare lontano di un lupo, di un cane randagio o quel che fosse, mi aveva fatto venire i brividi.
<< Da che parte sei? >> Le voci sembravano lontane, ora. Riuscivo a sentire meglio la voce di Harry; forse stava tornando nella sua stanza per avvisare Josh. Meno male.
<< Sono su una rupe, all’andata era una strada completamente dritta, ora non sono riuscita a… Ehm… Orientarmi abbastanza bene. >>
Improvvisamente dall’altro capo della cornetta non udii più nulla. Un sordo segnale acustico mi perforò i timpani e una paura immensa che potesse essere sparito il segnale si impossessò di me. Quando tutti i miei timori si concretizzarono, rischiai di andare nel panico.
Inspirai ed espirai profondamente, poggiandomi alla corteccia dell’albero, sperando che Josh arrivasse presto.
 
Sentii un rumore sospetto provenire dalle foglie, così acuii l’udito. Quando si ripeté, drizzai la schiena e mi misi in allerta, arretrando ogni qualvolta lo sentissi più vicino.
<< Josh? >> Chiamai, ma non ottenni nessuna risposta.
Un rametto calpestato produsse un suono macabro, e sentii la pelle d’oca inondarmi le braccia e la schiena. Arretrai di un altro passo, e un altro ancora, fino a quando non sentii il tallone aleggiare nel vuoto. Riuscii a tenermi in equilibrio sull’orlo del precipizio, quando un ulteriore scricchiolio mi provocò un brivido lungo tutto il corpo che me lo fece perdere. Senza che potessi controllarlo in qualche modo, un gridolino spaventato proruppe dalle mie labbra, mentre immaginavo di stare cadendo nel vuoto.
Immaginavo.
In realtà sentivo le mie braccia avvolgere un corpo caldo e ciò che udivo era solo il mio cuore che batteva all’impazzata. Strinsi la presa intorno al busto senza neanche curarmi di chi si trattasse: solo quando aprii gli occhi, mi resi conto dell’enorme errore che stavo commettendo.
<< Tu! >> Dissi, allontanandomi di scatto, e neanche stavolta mi resi conto del pericolo che stavo correndo. Fortunatamente – o forse no – le braccia di Styles mi presero nuovamente portandomi sulla terra ferma.
<< Vuoi per caso uccidermi?! >> Gridai, spostandomi.
<< Ma sì, prego. >> Disse, sarcastico, voltandosi a guardarmi.
Non potevo crederci. Dov’era Josh? Perché quell’essere megalomane era lì al posto suo?
<< Perché non hai risposto quando ti ho chiamato? >> Chiesi, incrociando le braccia, furiosa.
<< Hai chiamato Josh, non me. >> Puntualizzò quel fatto quasi fosse di fondamentale importanza. Io stavo cercando solo di trattenermi dal saltargli addosso e farci cadere lui, da quella rupe. << E poi volevo vedere in che condizioni eri. Non delle migliori, devo dire. >>
Iniziò a ridere di me, quell’idiota. Onde evitare di ammazzarlo, feci retrofronte e iniziai a camminare. La sua risata si spense definitivamente, mentre cercava di stare al passo. Certo, non era poi così sicuro il fatto che guidassi io quella specie di manovra, ma se non mi stava contestando, allora la strada era giusta.
Almeno quelle erano le mie aspettative, fino a quando non lo sentii ridacchiare e strattonarmi per un braccio per costringermi a voltarmi.
<< E’ di là. >> Indicò uno spiazzato che non avevo notato neanche con il sole, prima. Lo seguii a ruota, senza proferire parola.
Avrei dovuto ringraziarlo, in fondo. Mi era venuta a cercare lui, nonostante ci detestassimo sino al midollo da quando eravamo in fasce, nonostante i miei ripetuti tentativi di boicottarlo, nonostante il fatto non gli piacessi affatto. Era lì, e mi stava in qualche modo salvando – il fatto che avesse tentato di uccidermi era un fattore a parte che forse lo rendeva ancora il vecchio Harry.
Il problema era che non riuscivo a spiccicar una parola con lui, a meno che non si trattasse di insulti di vario genere. In quel caso, sia il mio che il suo repertorio erano abbastanza ampi.
Silenziosa, gli camminai dietro, seguendolo ad un passo di distanza, e forse mi parve di capire di non volergli essere ulteriormente di peso; era una sensazione nuova.
Cinque minuti dopo, eravamo all’ingresso del bosco. Quando attorno a me vidi auto sfrecciare sulla strada, mi sentii quasi scossa. Non sarebbe stato male restare su quella rupe, ma in circostanze più favorevoli: inoltre non credevo mi fosse concesso il permesso di pernottare al di fuori dello studentato.
<< Il campus è da quella parte. >> Dissi, notando che si stesse dirigendo dal lato opposto.
<< Il taxi ci aspetta qui. >>
Un taxi? Aveva preso un taxi? Ovviamente. Una volta dentro l’auto, iniziai a scavare nella borsa alla ricerca del mio portafogli, per ripagarli almeno la corsa. Quando riuscii a tirarlo fuori, la sua mano afferrò la mia, mi liberò dall’impiccio e lo ripose nello zainetto. Notando quanto mi dimenassi, l’autista aveva chiesto se fosse tutto a posto ed Harry di tutta risposta intrecciò le nostre dita prima di mostrargliele.
Cosa stava facendo?
<< Anche io ho una fidanzata che si lamenta spesso. >> Affermò, sorridendo. Un momento, cosa? << Però non scappa mai per andare al lago. >>
<< Harry… >> Bisbigliai, chiedendogli spiegazioni.
<< Ci vuole molta pazienza con lei, ma sa com’è. L’amore passa su tutto. Vero tesoro? >>
Lo fissai intontita, balbettando un “sì” davvero poco convincente come risposta.
Quando finalmente arrivammo al campus, scesi dallo stesso lato di Harry e ringraziai il signor Fernandez, che ci aveva gentilmente scortati fin dove gli era possibile.
Camminammo lungo il vialetto che ci avrebbe portati all’interno del dormitorio, e quando arrivammo, il primo a correrci incontro fu Josh, che si fermò a pochi passi da noi, chinando lo sguardo. Seguii la linea immaginaria disegnata dai suoi occhi e sussultai nel vedere le dita mie e di Styles ancora intrecciate. Ci fissammo un lungo istante prima di scioglierle bruscamente ed infilarle in tasca. Era stato così semplice tenergli la mano? Così… Inavvertito. Quella situazione mi creò uno stato di confusione che sarebbe potuto sparire solo con otto ore di sonno profondo. Salutai entrambi e mi avviai in camera mia, dove ad attendermi c’era Sandy, ancora vestita come una sgualdrina. Non risposi neanche ad una delle sue mille domande, chiudendomi nel bagno per una lunga doccia.
Aprii l’acqua calda e attesi che diventasse tiepida prima di sciacquarmi. Quando chiusi il rubinetto per versarmi lo shampoo sulle mani, sentii la mia compagna di stanza imprecare.
<< Ma ti rendi conto?! >> Di quel passo l’avrebbero sentita anche gli insegnanti che dimoravano sul lato opposto del campus.  << Mi ha lasciata lì, quasi fossi la sua puttanella. Per andare dove? Da quella. >>
L’ennesimo ragazzo che la scaricava dopo una notte di sesso? Quasi mi dispiaceva per lei; solo che purtroppo ci trovava troppo divertimento nel farsene uno a sera.
Cercai di ricordare perché fosse lì.
Ah, soldi.
Fui sul punto di riaprire il rubinetto, quando sentii il mio nome.

<< Lewis me la pagherà. >>





TADAAAAAAAAAAA
Sono già al lavoro per il quarto, ma come vi ho già anticipato avrò un'immersione totale nella storia, quindi... *aiutatemi*
Mi fa un sacco piacere che la storia piaccia, grazie a chi la segue e chi la preferisce. Siete bellissime :3
Il prossimo capitolo sarà cruciale, vi dico solo che... No, niente. Scherzavo. Lo scoprirete lunedì, care.
Fatemi sapere cosa ne pensate, aspetto critiche o commenti.
Se vedo abbastanza partecipazione potrei postare anche prima e lasciarvi uno spoiler
.
Baci baci, A.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***



Capitolo 4.









Quando il mattino dopo mi alzai, il mio primo pensiero andò a Sandy.

Lewis me la pagherà.

Cos’aveva voluto dire?
Avevo lasciato perdere l’intenzione di addormentarmi per cancellare ogni buon proposito nei confronti di Styles, e mi ero dedicata alla riflessione su quell’affermazione di Miss Antipudore. Ergo, avevo dormito benissimo, dato che poco mi importava di cosa pensasse quell’arpia.
 Mi vestii in fretta e legai i capelli, un inferno rispetto alle volte precedenti in cui li avevo asciugati senza neanche pettinarli. Uscii dalla mia stanza alle otto meno dieci e mi diressi verso la nostra classe, ove quattro ore di lezione ci attendevano. Quando varcai la soglia, trovai già Josh intento a leggere i suoi appunti.
Mi accomodai accanto a lui, incurante della mia compagna di banco rimasta sola per quel giorno. Le lezioni erano già noiose di per sé, non mi serviva l’aiuto di chi non sapeva neanche dove iniziare a sbuffare.
La classe si riempì in pochi minuti, e quando Harry fece il suo ingresso evitai di guardarlo. Si mise a sedere sul lato opposto della stanza, di fronte alla lavagna.
<< Buongiorno, ragazzi. >> Il professore entrò, sorridendo. Forse era l’unico a cui interessasse realmente essere lì.
Posò la sua ventiquattrore sulla scrivania e si voltò verso la lavagna, prima di scrivere, a caratteri cubitali, Flaubert.
<< Cosa vi ricorda? >> Ci furono svariate risposte, prima che io mi decidessi ad alzare timidamente la mano.
<< Bovarismo. >> Lo vidi indicarmi ed accennare un “esatto”, prima di disegnare una freccia accanto al nome dello scrittore con ciò che avevo detto. Quando mi chiese di cosa si trattasse, cercai di tenere lo sguardo fermo su di lui.
Ero particolarmente ansiosa, in certe situazioni.
<< Flaubert divide in due il personaggio di Emma. Da un lato la utilizza per descrivere la condizione di chi richiamava dal passato valori ormai tramontati, sogni romantici. Dall’altro la ridicolizza perché calati al suo livello borghese, quei sogni diventano stupidi e kitsch. >>
Styles mi lanciò uno sguardo divertito, evidentemente alludendo ad uno dei nostri incontri, quello in cui mi aveva rovinato la lettura del romanzo rivelandomene tutto il finale. Bastardo.
<< E lei cosa pensa di Emma, signorina Lewis? >>
<< Stupida e illusa. Io credo abbia sposato più l’idea della vita che avrebbe potuto avere con Charles che Charles stesso. In fondo, si capisce sin da subito che tipo sia: ottuso e troppo posato. >> Non avevo mai espresso le mie idee in classe, durante gli anni del liceo.
Semplicemente, temevo avrebbero potuto essere sbagliate. Ma ora non avevo nulla da perdere, il professore era lì per ascoltarmi, e a quanto pareva era così interessato da spronarmi a continuare con un’altra domanda.
<< Non credo di dover fare di tutta l’erba un fascio, professore. >> Commentai, arrossendo.
<< Allora mi dica, a lei che tipo interessa? >>
Mi tornarono alla mente le numerose chiacchierate avute con Elena, che era scoppiata a ridere alla mia risposta. Ora speravo non accadesse lo stesso, sarebbe stato alquanto imbarazzante.
<< Disadattato, disilluso. Un Mr. Darcy. Qualcuno che io possa tentare di salvare. >> Vidi Josh sorridermi, mentre io mi calavo sempre più nei meandri della vergogna.
Come avevo potuto confessare una cosa del genere, davanti ad una classe di diciannove persone, in più? Dovevo essere impazzita. La mancanza di zuccheri mattutina noceva gravemente alla mia salute psichica già dannosamente ed irrimediabilmente provata.
<< Lei si ritiene in grado di salvare? >> Chiese infine, socchiudendo le palpebre e appoggiandosi alla cattedra, senza distogliere lo sguardo da me.
<< No. >> Risposi, inchiodando i miei occhi ai suoi. << Ma posso essere lì in caso di crollo. E’ a questo che serve un compagno, no? >>
<< Questa è la sua idea di amore? >>
<< No, questa è la mia idea di “coppia”. Non ce l’ho un’idea di “amore”. >> Ammisi.
<< Conosce il finale di Madame Bovary? >> Il mio sguardo stavolta si rivolse a Harry, che lo stava ricambiando. Annuii, incerta. << Quello è amore. >>
<< Morire con una ciocca di capelli della moglie tra le dita? >> Domandai, inarcando un sopracciglio. Sorrise, sardonico, e mi fece quasi ridere. Qualcuno si voltò a guardarmi mentre acquistavo più sicurezza e mi appoggiavo serenamente allo schienale della sedia, incrociando le braccia. << Quella è ingenuità, e forse dedizione. Non amore. >>
Improvvisamente, in quella camera c’eravamo solo noi due. Non sentivo gli occhi addosso di nessuno, non come prima, almeno.
<< Ma scusi, lei non ha detto di non avercela, un’idea? >> Annuii, veementemente.
<< Certo, ma questo non vuol dire che io non sappia cosa invece sia lontano da ciò che voi chiamate “amore”. Io credo che una storia sia al culmine quando raggiunge la stabilità. Insomma, una bella famiglia, con dei figli, un lavoro. Ma quella è solo apparenza. Cosa c’è dentro? L’assiduità, l’abitudine, uccidono noi e le nostre compagnie, e ce ne rendiamo conto quando ormai è troppo tardi. Ci si stanca, lo so per certo. Purtroppo sono molto pragmatica, valuto ciò che mi viene sotto gli occhi. Seneca probabilmente si starà rivoltando nella tomba. >> Spiegai, sorridendo per l’ultima frase.
<< Sono d’accordo con lei sull’abitudine, ma non sulla stabilità. Vorrebbe davvero un rapporto basato su continui alti e bassi? Sarebbe stancante anche quello, ad un certo punto. >>
<< Non sto dicendo questo, sia chiaro. Per abitudine intendo mancanza di… Credo sia la mancanza di… >>
Non riuscivo a continuare, eppure quella parola ce l’avevo sulla punta della lingua.
<< Istinto. >> Intervenne Styles, senza sollevare lo sguardo dal banco.
Fu la sua voce a riportarmi alla realtà, e quindi in quella classe piena di gente che stava solo aspettando che io dicessi qualcosa. Il professore, colto di sorpresa, si voltò verso il suo alunno e lo guardò perplesso, aspettandosi evidentemente che continuasse da solo quello che aveva intenzione di dire con la sua risposta. Harry si fece attendere, ma quando finalmente sollevò il capo e parve voler guardare il signor Owens, si rivolse a me. Mi fissò dall’alto dei suoi occhi verdi, con un’intensità che non avevo visto neanche nei momenti di litigio più accesi. Mi pregai da sola di stare attenta alle sue parole, che mi stavano in qualche modo dando ragione nella discussione con l’insegnante.
<< L’abitudine è mancanza di elettricità. Manca la scossa che aveva fatto nascere il tutto. >> Spiegò, sibillino. Tuttavia lo capii benissimo, perché era proprio quello che intendevo dire io.
<< Quindi un colpo di fulmine, magari. O forse un odio che si trasforma in passione. >>
<< Sciocchezze. >> Dicemmo all’unisono, facendo sussultare l’insegnante. Io stessa mi sorpresi della sincronia della nostra esclamazione.
<< Non potrebbe mai interessarmi chi ho detestato. >> Quelle sue parole mi colpirono.
Erano dirette a me, ne ero certa. Ero l’unica di sesso femminile che lui detestasse, su questo ero sicurissima dato che conoscevo praticamente tutte le ragazze che frequentava.
Ma a me non interessava… interessargli. Neanche nel mio caso la situazione sarebbe potuta cambiare.

Ad un certo punto l’odio diventa eccitante.

Forse era vero, ma non con Styles. C’era troppa distanza tra noi, nessuno dei due avrebbe mai provveduto a risanare quell’enorme vuoto che si era venuto a creare col tempo.
Il professore preferì chiudere lì la discussione e tornò sul tema principale, mentre io, ancora scossa, fissavo il volto teso di Harry. Sembrava fosse quasi pentito di avermi dato una soddisfazione simile. Darmi ragione, lo sapevo, era l’ultimo dei suoi desideri. Eppure condivideva la mia tesi, e la cosa mi faceva uno strano effetto che forse non potevo neanche paragonare alle infinite volte in cui un desiderio struggente di ucciderlo si faceva spazio in me.
Era… Diverso. E immediatamente mi tornò in mente la sera prima, il suo intervento, e la mia ingratitudine. Forse ero stata troppo brusca.
Al termine della lezione non feci in tempo ad alzarmi per potergli andare vicino, che l’insegnante di spagnolo fece il suo ingresso in aula ansante. La sua fronte – così come il resto del suo corpo – erano imperlati di sudore. Era una brutta visione, ma la nostra attenzione fu distolta dalla sua persona per volgersi ad una ragazza dai capelli scuri che se ne stava sulla porta, esterrefatta dalla scena che le avevano propinato dinanzi.
Aveva dei capelli molto corti, neri e un corpo minuto. Sembrava più piccola di noi, ma ogni dubbio mi fu tolto quando l’insegnante ce la presentò. Era della nostra stessa classe d’età, pertanto aveva diciotto anni. Intercettò il mio sguardo e mi sorrise, e inconsciamente mi ritrovai a ricambiare. Sembrava simpatica.
Si mise a sedere al banco accanto a quello mio e di Josh, così mentre la signorina Gallagher si voltava per cancellare alla lavagna e scrivere l’argomento della sua lezione, mi allungai verso la nuova arrivata, Louise, per presentarmi. Josh cercò di fare lo stesso, ma onde evitare di farci cadere entrambi a terra per un movimento troppo brusco, gli vietai di stringerle la mano.
<< Bien chicos. Hoy vamos a hablar de los dialectos. >>  
Dialetti. La nostra insegnante prese a parlare spagnolo, quasi noi fossimo di indole messicana o iberica. Non si fermava neanche per chiedere se fosse tutto chiaro, ma preferimmo non farci caso e tornare a prendere appunti, per quanto potessimo.
 
La fine delle lezioni fu una sorta di miracolo. Non appena la campanella suonò, avevo completamente rimosso ciò che avrei dovuto fare circa tre ore prima, quando prima che entrasse Gallagher mi stavo alzando per andare da… Ah, sì.
Ora ricordavo.
Attesi che tutti fossero usciti ed intimai a Josh di aspettarmi fuori. Ci avrei messo un attimo.
Mi avvicinai silenziosamente al banco di Styles, cercando di farmi vedere senza dover attirare in qualche modo la sua attenzione. Tossicchiai, schiarendomi la gola, e subito i suoi occhi furono su di me. Dato che non mi decidevo a parlare, con un gesto vago mi spronò a farlo, prima di alzarsi raccogliendo le sue cose.
<< Aspetta! >> Scattai, allungando un braccio verso di lui. Ritrassi subito la mano, quasi scottata. << Volevo solo ringraziarti per ieri sera. Tutto qui. >>
<< Prego. >> Rispose, laconico, e si dileguò. Il mio dovere lo avevo fatto, ma forse un senso di irritazione stava crescendo dal momento che neanche sembrava aver apprezzato il mio gesto.

A chi importa?

Zaino in spalla, uscii dalla classe, raggiungendo Josh. Al solito, raggiungemmo il nostro albero per pranzare, quando vedemmo da lontano la figura di Louise, seduta sul muricciolo del cortile, sola. Allungai un braccio per richiamare la sua attenzione, e quando finalmente sembrò notare la mia presenza, sorrise e si avvicinò, a testa bassa. Doveva essere molto timida.
Al mio fianco, vidi Josh sistemarsi la t-shirt, prima di volgere i suoi occhi altrove.
Gli interessava!
Dio, non lo avrei lasciato in pace per quello.
<< Siediti con noi. >> L’incitai, facendole spazio. << Allora, di dove sei? >>
<< New Castle. Sono arrivata stamattina qui. >>  Rispose. << Voi due? >>
Diedi una gomitata a Josh, perché rispondesse al posto mio e iniziasse finalmente a parlarle. Massaggiandosi il costato, mi lanciò un’occhiataccia torva prima di replicare; sarebbe stata un’impresa fallo uscire allo scoperto.
<< In che camera sei? >> Domandai, mangiando il mio panino. Fortuna voleva che la sera a mensa ci fosse della pasta.
<< La 36, con una ragazza irlandese. Jamie Horan. >>
Quel cognome mi suonava vagamente familiare.
<< La cugina di Niall! >> Intervenne Harry, sedendosi. Un momento, ma quando era arrivato?
Iniziavo a credere che fosse una sorta di ninja, un fantasma che appariva improvvisamente per turbare la quiete. Non era possibile riuscisse a spuntare senza che nessuno se ne rendesse conto, o forse era un problema solo mio.
<< Piccolo il mondo. Devo dirglielo. >> Afferrò subito il cellulare, distogliendo l’attenzione da noi. Da canto mio, tornai a Louise, per cercare di metterla a suo agio, dato che sembrava particolarmente tesa.
<< Josh, perché non le porti a vedere il campetto di tennis? >> Incitai, socchiudendo le palpebre a mo’ di sguardo inquisitorio. Sapeva che non avrei accettato un “no” come risposta, pertanto si alzò e attese che Louise lo raggiungesse. Con due dita gli feci cenno che avrei saputo tutto, se si fosse comportato male o altro, quindi avrebbe fatto meglio a stare attento.
Quando sparirono dalla mia visuale, tornai al mio pranzo, senza far caso a chi era ancora lì a mangiucchiare il proprio sandwich.
<< Conosci Il mondo nuovo di Huxley? >> Chiesi, scavando nella mia borsa.
<< Dovrei leggerlo a breve, perché? >>
<< Bene, così non mi rovinerai il finale. >> Commentai, prima di prendere il tomo ed iniziare a sfogliarlo.
<< Quanto la fai lunga… Se non mi sbaglio lo avevi già letto e riletto quel libro. >>
<< Non potevi saperlo. >> Affermai, guardandolo.
<< Io so tutto, dolcezza. >>
Inarcai un sopracciglio, inserendo un dito nel punto in cui ero arrivata e lo fissai. Se il suo tutto equivaleva a niente, allora ero decisamente d’accordo con lui.
<< Sai anche che sto per mandarti via con un calcio nelle palle? >> Borbottai, acida.
Okay, forse avevo esagerato.
<< Togliti dal sole, yogurt. >>
<< Demente. >>
<< Idiota. >>
<< Scassapalle. >>
<< Parlare con te mi fa venir voglia di suicidarmi! >> Imprecò, alzandosi di scatto.
Lo seguii a ruota, lasciando cadere il libro ai miei piedi prima di puntargli un dito contro.
<< Forse dovrei parlarti più spesso! >>
<< Non sperarci troppo, non mi ucciderei mai per te. >>
Era appena stato contraddittorio o mi sbagliavo? Insomma, prima aveva detto che si sarebbe suicidato, poi… Ohh, mi stava confondendo! Brutto…
<< Mi stai scartavetrando gli organi genitali maschili che non ho, me ne vado! >>
<< Oh, adesso sei anche uomo! Wow! >> Gridò, per farsi sentire.
Mi fermai di scatto, furente, prima di voltarmi verso di lui.
<< Non lo saprai mai, Styles! >>
<< Non ci tengo, grazie! >>
Ora stava davvero superando ogni limite.
<< Dio, ma perché? PERCHE’? Hai creato tanti coglioni, perché anche lui?! >> Mi lamentai, rivolgendo il volto verso il cielo. Intanto tutta l’attenzione si era spostata su di noi, era calato un silenzio tombale al quale Harry non sembrò fare caso perché continuo imperterrito nella sua cavalcata verso la morte certa.
Sì, perché lo avrei ucciso tra tre, due..
<< Per dare una vita a te, Lewis! >> Sul suo voltò apparve un ghigno vittorioso. << A parte me chi hai, eh? La tua amica a Parigi? Saresti sola se non ci fossi io, quello con cui te la prendi per ogni cosa che ti va male. >>
Sentii il libro scivolarmi dalle mani, per cadere a terra con un tonfo. Incassai malamente quel colpo, perché era la verità. Non che lui fosse la mia unica ragione di vita, giammai. Mi stava rinfacciando la mia solitudine.
<< Fatti una vita, verginella! >>
Non sapevo bene cosa mi avesse trattenuto dallo scagliarmi su di lui per prenderlo a schiaffi: forse il fatto che me ne stessi andando nella direzione opposta, con  un paio d’occhi pungenti per lacrime che spingevano per uscire e venti sguardi puntati addosso.
 
 





HOOOOOOLA
Ho deciso di rendere i capitoli più piccanti, quindi più Habbey in arrivo!
Louise è un nuovo personaggio, l’ho introdotto perché sarà fondamentale per lo sviluppo del racconto! E poi presenta una sorta di omonimia con il cognome di Abbey u.ù

Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, siamo ancora agli inizi! Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando :3
A.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


 Capitolo 5.













Non sarei dovuta scappare.

Il fatto che mi stessi pentendo di avergliela data vinta così facilmente era testimoniato dalle numerose testate che stavo dando al muro accanto al mio letto.
Quelle parole erano state pesanti, ma mai quanto il peso di una soddisfazione che gli avevo appena dato: aveva capito di avermi ferita, e di certo ne era stato fiero.

Idiota.

Io, non lui.
Mi alzai di scatto, imprecando contro qualsiasi cosa mi trovassi contro; per quanto desiderassi far finta di nulla, non potevo ignorare quello che provavo. Mi sentivo umiliata, offesa e quelle diciotto paia d’occhi tutti puntati sulla mia persona non avevano aiutato.
Dannato Styles e tutta la sua vita!
Qualcuno bussò alla porta pertanto pensai che non potesse essere Sandy, quindi, con un tono che forse avrei dovuto moderare, chiesi di chi si trattasse.
<< Josh. >>  Gli diedi il permesso di entrare, sedendomi di nuovo sul letto. Cercai di fingermi indifferente come sempre, ma la prima cosa che fece, quando mi vide, fu mettersi accanto a me, prima di abbracciarmi.
Rimasi con le braccia penzoloni e gli occhi sgranati, chiedendomi a cosa dovessi quell’attacco di affetto. Lui non c’era quando era successo tutto, non poteva sapere. A meno che Harry non gli avesse detto qualcosa, ma volevasi dire che era umano, e che forse si era pentito di avermi detto quelle cose.

Fidati.

Ci credevo poco, ed infatti, quasi mi stesse leggendo nella mente, rispose alla mia tacita domanda.
<< Io e Lou stavamo tornando, ci siamo fermati ad una certa distanza perché abbiamo sentito qualcuno urlare… Poi ti ho vista andare via a testa bassa. >>
Annuii, flebilmente, prima di rendermi conto che fosse un grande errore. Mi ripresi all’istante e gli diedi una leggera gomitata.
<< Non mi faccio abbattere per così poco, McCoy. >> Ridacchiai, guardandolo.
<< Ci è andato giù pesante, Abbey. Sicura di stare bene? >>
<< Certo! >>

Non è un interrogativo,
è una lezione imparata col passare del tempo.

Ricordai il testo dei Green Day e mi venne una gran voglia di prendere a pugni chi mi stava costringendo a diventare una menzognera, soprattutto nei confronti di me stessa. Lo odiavo, lo disprezzavo con tutta me stessa.
<< Non ti conosco poi così bene, ma.. >> Iniziò, incrociando le braccia al petto. << Non mi fido. Ragion per cui sono andato da Harry. O per meglio dire sono tornato in camera e ho finto di chiedergli perché stesse urlando. L’ho incastrato. >>
<< Sei tremendo, Josh… Non ce n’è bisogno, litighiamo in questo modo da tutta la vita. >> Chiarii, prendendo a camminare in giro per la stanza.
Da quanto in qua Sandy lasciava i suoi cassetti aperti. Mi chinai per chiuderglielo, quando i miei occhi notarono un oggetto strano.
<< Potreste finirla una buona volta, no? >> La sua proposta non era per niente allettante. E per di più utopistica a livelli estremi.
Afferrai il coso di plastica che stava nel cassetto e me lo rigirai tra le mani, prima di rendermi effettivamente conto di cosa si trattasse.
<< CHE SCHIFO CHE SCHIFO CHE SCHIFO CHE SCHIFO! >> Agitai le mani in segno di disgusto, per cercare di purificarle dall’obbrobrio che avevano appena stretto. Josh mi corse incontro e si chinò al mio fianco, lanciando uno sguardo a quella cosa che avevo appena fatto cadere.
<< Oh Dio >> Affermò, prima di scoppiare a ridere come un forsennato.
Io ancora non riuscivo a credere che Sandy si desse da fare con un vibratore quando evidentemente tutti gli sfigati di quel corso gliel’avrebbero dato senza doverci pensare su due volte!
Dannazione, quel coso aveva toccato la sua… No.

Non devo pensarci.

<< Parliamo di Harry, allora? >>
<< Non trovi estremamente interessante il meccanismo secondo il quale funziona questo oggetto? >> Dissi, sfiorandolo con la punta della scarpa.
<< Abbey… >> Tentò.
<< Ma sì, guarda. Vibra, vibra e Sandy urla come una puledra in calore alla quale hanno appena dato un calcio negli stinchi. Non è geniale? >>
<< Abbey. >>
<< Tu credi che lo usi mentre dormo? No perché non l’ho mai sentita ansimare come una maratoneta. >>
<< ABBEY! >>
<< Non urlare! Cosa vuoi? >>
Sapevo benissimo di non poter evitare quel discorso, e nonostante mi fossi concentrata tanto su un argomento di cui non poteva importarmi un’emerita cippa, sapevo che Josh non avrebbe desistito. E lo dimostrava il fatto che mi stesse fissando come solo un terapeuta fissa il suo paziente in stato d’isteria.
Io non ero malata, semplicemente ero stanca dei giochetti di Styles e dei suoi continui tentativi di abbattere quel po’ di autostima che avevo – che per inciso era tutta collegata al cervello.

Made by brain, per intenderci. Christina Young diceva: “Fanculo la bellezza, io sono brillante.”

Sì, ecco. Io ero brillante, me ne infischiavo degli insulti di Harry Facciopena Styles.

Fatti una vita, verginella.

Ed eccole lì, le famose quattro paroline magiche che mi facevano venir voglia di spaccare la sua faccia. Con una forza che non credevo di possedere, colpii il pavimento, facendomi un male cane.
<< Okay, vado. Ci vediamo stasera al raduno, okay? >> Annuii, senza smettere di guardarmi avanti.
Lasciò la stanza e me, facendo calare di nuovo il silenzio. Lo sguardo cadde nuovamente sull’oggetto viola di fronte ai miei occhi, ed una miriade di pensieri si fece largo nella mia testa.
Sentii spuntare sul mio volto un sorrisino malizioso, e senza pensarci su troppo tempo, decisi di mettermi all’opera.
 
Forse ero totalmente impazzita. Forse la rabbia e la violenza represse avevano un effetto negativo sulla mia psiche profondamente provata, perché ancora non riuscivo a credere a quello che stavo facendo. Sandy la Vibrante mi guardava con un sopracciglio inarcato, braccia incrociate ed espressione interrogativa.
<< Ti sei fatta? Nel campus si spaccia? >> Domandò, scrutandomi.
<< No. Mi serve solo qualcosa di tuo. >>
<< Tu odi i miei abiti. Sono da battona. >>
<< Non è vero! >> Protestai, distogliendo lo sguardo. << Sono solo poco atti ad essere indossati da una persona che non sia una poco di buono, ma… >> mi morsi la lingua per essermi appena contraddetta << mi servono. Stasera. >>
Riluttante, si avvicinò al suo armadio, spalancandone le ante. Prese a scavare tirandone fuori una fascia di stoffa, che supposi fosse una sorta di panciera, o giù di lì.
<< E’ un top. >> Rispose lei, mostrandomelo.
<< Facciamo così, >> iniziai, avvicinandomi a lei << dammi quello che hai di più coprente. >>
Ero certa che da quella mia richiesta sarebbe nata una sorta di cataclisma. Quando infatti mi fece vedere ciò che aveva di più pudico quasi non mi mangiai le mani. Ma sua madre le lasciava davvero comprare tutta quella roba da sgualdrina?
Afferrai il vestito blu elettrico, un tubino aderente senza spalline che mi arrivava a metà coscia. Sospirai, chiedendomi se scoprire tutto il mio corpo fosse una buona idea.

Ver..
Okay, basta, ho afferrato il concetto.

Scossi il capo, notando lo sguardo perso di Sandy, poi la ringraziai e lasciai cadere il vestito sul letto prima di uscire. Incredibile che stessi facendo tutto quello per smentire Styles. Io neanche mi piacevo, esteticamente; come avrei potuto anche solo pensare di essere un po’ più maliziosa? Oltretutto con i secchioni che c’erano lì… Be’, effettivamente proprio quello giocava a mio favore.
<< Edward! >> Gridai, quando vidi spuntare nel corridoio maschile un ragazzo biondo, poco più alto di me, con un paio d’occhiali enormi a contornargli il volto. Avrebbe potuto essere anche carino senza quelli, ma immaginai cosa avrebbe potuto combinare se se li fosse tolti.
<< Ciao, Abbey. >> Sorrise, avvicinandosi.
<< Stasera ci vai al raduno? >> Chiesi, cercando di sembrare convinta.
<< Certo. Perché? >> Sembrava riluttante. Ma chi non lo sarebbe stato trovandosi di fronte una che stava cercando in tutti i modi di non triturarsi le unghie delle dita?
<< Mi chiedevo se… Ti andasse di venirci con me. Sai, io - >>
<< Mi piacerebbe tantissimo! >> Mi interruppe, esultando.
No, davvero. Forse se gli avessi dato un paio di pon –pon mi avrebbe ringraziata.
<< Passi alle nove? >> Forzai un sorrisetto, incerta. Annuì veementemente e si allontanò, mormorando qualcosa mentre se ne andava a grandi passi.
Dio, cos’ho fatto?
Me ne tornai in camera, lentamente. Ero troppo sconsolata per poter sembrare anche minimamente eccitata all’idea di sbattere in faccia a Styles quanto la mia vita non facesse pena. Ma poi mi tornò alla mente il volto di Edward, il suo nome assolutamente inglese, e mi pentii subito di quello che avevo fatto. Avrei volentieri mandato tutto al diavolo, ma un istante dopo mi arrivò un messaggio.
Lessi la scritta a caratteri cubitali, spaventandomi.

DIMMI CHE NON LO HAI FATTO.
J.

Chi diavolo era J? Ah, forse Josh. Si era deciso a prendersi il mio numero.

E invece sì. Mani di forbice mi accompagnerà al raduno, stasera.
A.

Forse il nomignolo che gli avevo affibbiato non era poi così carino, ma a chi importava? Anche se per la mente mi fosse passata l’idea di abbandonare la missione, l’intervento di Josh mi aveva fatta ricredere. Controllai l’ora, e quando finalmente mi decisi ad andare a fare una doccia, erano già le venti e trenta.
Ci impiegai poco, gran parte del tempo la impiegai cercando di domare quella chioma. Alla fine quei capelli che non sapevano se voler tendere al liscio o al riccio, se ne stettero buoni, mentre ricadevano dolcemente sulle spalle nude. Applicai dell’eyeliner e un po’ di mascara, prima di uscire dal bagno ed incontrare Sandy.
No, ma era nuda?
Aveva un paio di shorts eleganti bianchi che lasciavano intravedere la curva del suo sedere, un top rosso scollato abbastanza da dare all’effetto “vedo non vedo” solo la valenza del “vedo tanto e forse anche troppo”, e un paio di decolleté dall’altezza inaudita.
<< Ora posso ben dire che sembri una donna, Lewis. Però… Ti manca qualcosa. >> Fece, scorrendo velocemente lo sguardo lungo il mio corpo prima di soffermarsi sui miei piedi.
I miei piedi, scalzi.
Inutile dire che speravo ardentemente avesse, in primis, un paio di scarpe del mio numero, e in secondo luogo che non fossero troppo alte.
Altrettanto vano affermare che esaudì solo la mia prima richiesta. Fui costretta a camminare avanti e indietro per la stanza, sperando di non capitombolare proprio mentre arrivavamo in giardino. Gli insegnanti non c’erano, quindi alla festa vi sarebbero stati numerosi invitati. E proprio dinanzi a quella folla non avrei voluto fare una figura di me…
<< Ora stai bene quasi quanto me. >> Commentò, guardandomi. Arrossii, e probabilmente lei credette per il complimento. Io stavo solo pensando a quanto potessi tirare quel tubino. Se cercavo di coprire le gambe si scopriva il seno e viceversa.
Sospirai, afflitta, ma la mia attenzione fu attirata dal bussare insistente di qualcuno.
Quando aprii, probabilmente la mia faccia doveva avere un’espressione dipinta su essa imbarazzante, perché il ragazzo biondo, alto e stupendo che mi stava di fronte stava ridacchiando.
<< E-Edward? >> Chiesi, titubante. Lo vidi mentre mi squadrava da capo a piedi, muovendo impercettibilmente le sopracciglia su e giù.
Forse fu quello a riportarmi alla realtà.
Poteva anche essersi tolto gli occhiali e vestito decentemente, ma restava un pervertito. Salutai la mia compagna di stanza, che aveva visto tutta la scena, e mi avviai sottobraccio con il mio accompagnatore.
Cercai continuamente di non pensare a quanto mi facessero male i piedi, costretti in quelle cose che osavano chiamare “scarpe”, e uscii dall’ingresso principale con Edward, notando quanto il giardino fosse gremito di persone. Le casse facevano risuonare una canzone dei Plain White T’s, mentre io e il mio compagno scendevamo le scale che ci avrebbero portati tra quelle persone. Dovevamo essere circa una sessantina, perché non era possibile che solo trenta di noi avremmo riempito un cortile intero, grande quanto quello della Elizabeth I.
<< Abbey! >> Mi voltai verso la voce, incontrando un paio d’occhi neri come la pece, sorridenti.
<< Ciao, Louise! Dov’è Josh? Sei con lui, vero? >> Domandai, guardandomi intorno e vedendolo arrivare con due bicchieri di plastica stretti tra le mani, e mentre ne porgeva uno alla mia amica, lo vidi gettare un occhio su di me. La sua bocca assunse la forma di una “o”, ma prima che potessi sparare la solita battutina, ci pensò qualcun altro a farlo per me.
<< Sei diventato gay, amico? >>
Harry se ne stava abbracciato ad una bionda, riccia, con tre chili di fondotinta sul volto e un paio di etti di rossetto sulle labbra. Salutò velocemente Louise ed Edward, poi allungò la mano verso di me, sorridendo, prima di rendersi conto di chi avesse di fronte. Ci mise un istante prima di lasciarla cadere, ed assumere un’espressione normale e fintamente indifferente.
<< Balliamo? >>  Chiesi ad Edward, che annuì. Anche Josh e Louise ci raggiunsero, mentre Harry se ne stava con la sua nuova conquista. Non era del nostro campus, probabilmente un’imbucata.
Cercai di muovermi a ritmo, evitando di badare ai commenti proveniente da persone che non fossero il mio accompagnatore ed il mio amico, che ballava appiccicato a Louise, quasi fosse lei lo scoglio, lui la cozza.
Wow, aveva fatto in fretta a farle rendere conto di quanto fosse attratto. Effettivamente, era una bella ragazza.
Restammo in quel modo per una mezz’oretta buona, ridendo come dei dementi alle battutine stupide di Josh. La musica rallentò il suo ritmo, costringendoci a stare appiccicati. Louise legò le braccia dietro il collo del mio amico, facendomi un occhiolino che mi fece ridere, mentre Edward…
Fece scivolare le sue mani sui miei fianchi, ondeggiando con me, mentre io portavo un braccio dietro il suo collo. Era per reggermi meglio, ma lui capì tutt’altro.
Si avvicinò pericolosamente, posando poi le labbra accanto al mio orecchio.
<< Sei bellissima, a proposito. >> Mormorò, in un tono che avrei dovuto ritenere suadente ma che mi fece venire solo la pelle d’oca.
Lo avrei respinto, se un attimo prima di farlo non avessi incontrato gli occhi di Styles. La ragazza parlava con qualcuno, mentre lui beveva osservandomi.

Guarda bene, Harry.

Mi lasciai andare contro Edward, che parve apprezzare il gesto perché mi strinse ancora più forte. La sua mano scese lungo la mia schiena, lentamente, prima di fermarsi sul mio sedere e chiuderlo in una palpata che non gli avrei concesso neanche da ubriaca.
Mi allontanai di scatto, e mi trattenni dal gridargli contro.
<< Ho sete. >> Mormorai, distogliendo lo sguardo, ma lui fece come se niente fosse successo e si avvicinò al bancone. Con gli occhi cercai la panchina, la sedia più vicina, e ne adocchiai una sul vialetto che portava verso la serra. Si trovava sotto un paio di alberi che creavano un’ombra immensa, e presso la quale trovai conforto dalle luci della festa.
Era abbastanza distante dagli altri, quindi la musica arrivava in sottofondo. Mi accasciai su di essa, allungando i piedi al mio fianco per permettere loro di respirare. Avevo lasciato Edward lì in mezzo, da solo, ma avevo bisogno di respirare.
Quella non ero io. Perché avrei dovuto cambiare anche una sola virgola di me per contraddire quel menomato di cervello che ora stava certamente esplorando le tonsille di quella biondona.
Ecco perché decisi di passare il resto della serata lì. Afferrai il cellulare dalla pochette che neanche sapevo di avere dietro, attaccata com’era a quel vestito, e inviai un messaggio a Josh, chiedendogli di avvisare il mio accompagnatore che ero stata poco bene e che quindi me ne ero andata. 
Abbandonai il capo sul ferro freddo della panchina e chiusi gli occhi, cercando di riprendere possesso di me stessa, quando sentii dei passi avvicinarsi. Sobbalzai, guardandomi indietro, ma rendendomi conto che fosse solo Josh.
<< Stai bene? >> Chiese, allarmato.
<< Josh, era solo una scusa. Non mi andava di rimanere alla festa un minuto di più. >> Spiegai, ridendo. Lui si mise a sedere accanto a me, che gli lasciai spazio per accomodarsi.
<< Ti ho vista camminare in questa direzione e poi ho trovato Edward mentre parlava con la tua compagna di stanza. >>
<< Wow, mi ha sostituita in fretta. >> Pensai, per nulla dispiaciuta. Abbassai lo sguardo e notai che si era alzato di nuovo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
<< Io torno da Louise, l’ho lasciata a parlare con una ragazza con la speranza che faccia amicizia. >> Lo salutai e tornai a guardare il nulla. Quando decisi di tornarmene in camera, raccolsi le scarpe e le infilai di nuovo, alzandomi.
Ripercorsi inversamente il percorso che mi avrebbe portata in giardino, senza badare a cosa stesse accadendo. Qualcuno mi strattonò violentemente per un braccio, attraendomi al buio nel boschetto. Per quanto fosse piccolo, sapevo non filtrasse, di notte, neanche un po’ di luce. Una mano si posò sulle mie labbra per non farmi urlare, ma fu presto sostituita da qualcosa di più morbido.

Qualcuno mi sta baciando.





Holaaaaaaaa
Eccomi qui, di nuovo. Boh, ho voluto chiudere il capitolo con un BOOM. La persona che sta baciando Abbey potrebbe essere chiunque, ve lo dico. Non saltate subito a conclusioni affrettate!
In questo capitolo Harry comprare poco, ma la vendetta di Abbey sarà servita a qualcosa?
Inoltre, ho pensato di lasciare uno spoiler tramite messaggio privato. Quindi, chi recensirà riceverà un assaggio consistente del prossimo capitolo.
A proposito, se ne vedranno delle belle AHAHAHAHAH
Vi adoro, grazie per aver inserito la storia nelle preferite e nelle seguite :3
A.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


Premetto che quando ho scritto la scena finale ho riso come un'idiota ahahahahah. A proposito, ma voi ci credete alla Larry Stylinson?

Capitolo 6.







Ripresami dallo shock iniziale, morsi violentemente il labbro dell’assalitore, allontanandolo con un pugno e correndo sul versante opposto. Sollevai un ginocchio e tentai di togliere una scarpa, facendo lo stesso anche con l’altra, affrettandomi a ritornare in mezzo alla gente.

Chi diamine era?

Cercai Josh con lo sguardo, trovandolo poi seduto su uno sgabello accanto al bancone. Mi avvicinai a lui, ansimante e lo tirai verso di me. Louise ci fissò stranita, ma non potevo perdere tempo.
<< Edward. Dov’è? >> Rantolai, cercando di riprendere fiato. Me lo indicò con un cenno del capo, e quando mi voltai lo notai in mezzo alla pista, completamente sudato.
Okay, non poteva essere stato lui.
Con la coda dell’occhio notai anche Harry, sottobraccio con quella ragazza di prima. Ma qualcuno mi aveva baciata. Qualcuno di alto, a giudicare dal fatto che il mio pugno aveva colpito lo stomaco.
Probabilmente.
<< Abbey, che succede? >> Chiese allarmato Josh, prendendomi le mani.
<< Niente, niente. Me ne vado in camera. Buonanotte. >>
Mi allontanai prima che potesse dire qualsiasi altra cosa. Schivai delle persone, facendomi strada nel bel mezzo della pista da ballo improvvisata a suon di gomitate prima di raggiungere la scalinata che percorsi velocemente. Altrettanto rapidamente diedi un’occhiata alle mie spalle, ed incontrai lo sguardo della persona per cui avevo messo in scena quel teatrino assurdo e a dir poco ridicolo. Mi ero vestita come una sgualdrina, avevo abbandonato il mio accompagnatore in mezzo a quella gente – non che si stesse annoiando, dovevo dire – e uno sconosciuto mi aveva baciata. C’erano almeno una trentina di ragazzi a quella festa: come avrei potuto anche solo immaginare di trovare chi mi avesse sbattuta contro il tronco di un albero per cercare di infilarmi la lingua in gola?
Le uniche cose che ricordavo, erano il suo profumo e delle spalle larghe, che avevo afferrato con la speranza di non cadere per l’improvviso strattone che mi aveva dato per portarmi in quel boschetto.
Guardandomi intorno, mi avviai verso la mia stanza, nella quale entrai strisciando quasi. Abbassai la zip del vestito e lasciai che cadesse ai miei piedi prima di indossare un paio di shorts e una canotta per andare a dormire. Mi struccai velocemente e mi lasciai cadere sul letto, cercando di non pensare ai gemiti che venivano dalla stanza accanto.
 
Quando quel mattino mi risvegliai, ero sola. Era domenica, certo, niente lezioni, ma erano solo le… Undici?!
Come avevo fatto a svegliarmi così tardi?! Avevo da tutta la vita una sveglia biologica che mi costringeva ad alzarmi alle otto del mattino, pur avendo dormito solo tre ore, e invece, adesso ero sola. Mi misi in piedi e mi gettai sotto la doccia, e nel mentre sentii la porta di camera nostra sbattere.
Chiusi il rubinetto e mi misi in ascolto, curiosa. Sandy era con qualcuno.
<< Io ed Harry pranziamo insieme. Credo gli ci vogliano delle calorie per reggere quello che gli aspetta oggi pomeriggio. >> Ridacchiò, insieme a quella che doveva essere la sua cara amica Karen.
<< Cosa farai con la tua compagna di stanza? >>

Ecco, esatto. Mentre voi due vi date da fare, io cosa mi invento? Gioco coi lego?

<< La convincerò. Basta poco. E poi mi deve un favore. >> Rispose, ed io inarcai un sopracciglio. << Ieri doveva uscire con Edward, le ho prestato un vestito. >>
Ma un po’ di umanità! Insomma, non le avrei chiesto mai più niente. Tornai alla mia doccia, incurante delle stupidaggini che quelle due si stavano raccontando. Quando terminai, mi vestii in fretta e legai i capelli in una treccia a lato, per far fronte al caldo.
Persi una mezz’oretta buona in quel bagno, giusto per provocare Sandy che continuava a bussare per poter fare la doccia. Ero pronta già da un po’, ma far finta di non sentirla era troppo divertente.
Lentamente abbassai la maniglia ed uscii, evitando si sorriderle. Pensare che avrebbe potuto anche solo toccare le mie lenzuola… Che schifo.
Raccolsi le mie cose e le misi in borsa, prima di armarmi anche di macchina fotografica ed avviarmi alla porta. Quando la spalancai, mi trovai davanti un Harry pronto a bussare. Gli rivolsi un cenno e mi allontanai, notando una busta bianca nelle sue mani.

Le calorie.

La smorfia disgustata non dovette passargli inosservata, ma nel caso fece finta di sì, perché riuscii a scansarlo senza troppe cerimonie.
<< Non toccate il mio posto. >> Intimai, camminando lungo il corridoio.
<< Potresti vantarti della cosa: pensa, un uomo è passato nel tuo letto. >> Ghignò, ricalcando il dito nella piaga. Decisi di tenergli il gioco.
<< Quale uomo scusa? >> Mi voltai di nuovo e ripresi a procedere, incurante del suo ammonimento.
<< Vedi di non perderti di nuovo! >>
<< Non chiamerò te, stavolta! Addio, Styles. >> Lo salutai con un gesto della mano e svoltai l’angolo, avviandomi verso camera di Louise. Cercai di ricordare il numero della sua camera, ma fu difficile dato che improvvisamente mi tornò alla mente il bacio della sera prima.
Fu Louise stessa a riscuotermi dai miei pensieri, picchiettandomi sulla spalla.
<< Andiamo? >> Annuii, seguendola. Conosceva Londra meglio di me, avrebbe di certo saputo dove si trovava il mercato.
La seguii a ruota all’interno del campus e anche fuori, ascoltando quello che aveva da dirmi circa la sua città d’origine, i suoi due fratellini, la madre Doris che cercava in tutti i modi di rifilarle torte di zucca per il fine settimana, il padre Anthony che la chiamava di notte per assicurarsi che fosse in camera sua e non in compagnia di qualche “decerebrato, menomato”. Una famiglia abbastanza particolare. Fu quando chiese della mia che mi irrigidii, cambiando discorso.
Prendemmo la metrò e scattammo qualche foto in giro, prima di arrivare a Camden Market. Non ci ero mai stata in vita mia, e mi pentii amaramente: era un turbinio di colori, gente e culture. C’era di tutto. Louise mi guidò per le stradine scoscese, fermandosi di tanto in tanto di fronte a qualche bancarella per provare accessori stupidi ed inauditi.
stabilimmo di prenderci da mangiare, essendo ormai ora di pranzo, e ci accomodammo in un ristorante italiano lì sulla strada. Ordinammo lasagna e gelato, decidendo di pregustare le pietanze di una nazione che speravo di visitare presto.
<< Allora, come va con Josh? >> Chiesi, maliziosa. La vidi arrossire e non potei fare a meno di ridacchiare, soddisfatta.
<< Siamo amici, Ab. >> Mormorò, rompendo a metà un grissino e mangiucchiandone un po’. << Poi si vedrà. E’ intelligente, dolce. Mi piace, anche se lo conosco da poco. >>
<< Io lo conosco da un paio di settimane, ma lo trovo un ragazzo a posto. >> Commentai, sorridendo.
<< Anche Harry è simpatico. >> Fece e quasi il grissino non mi andò di traverso. Avevo sentito bene? Era posseduta? Ah, giusto. Harry Styles detestava solo ed esclusivamente me. Sospirai, affranta.
No, non affranta.
Io semplicemente non capivo il motivo di tanto odio nei miei confronti. Io lo detestavo perché lui mi detestava e non perdeva occasione di rinfacciarmi gli aspetti più bui e orribili della mia vita.
<< L’altra sera alla festa qualcuno mi ha baciata. >> Confessai, per cercare di sviare il discorso, ancora. Solo che scelsi male l’argomento.
Dannazione a me e alle mie scarse capacità d’attenzione quando cercavo una via di fuga da possibili discorsi scomodi. Puntualmente ne trovavo uno peggiore, come in quel momento.
<< Oh! >> Sembrava entusiasta, al contrario di me. << Aspetta, perché qualcuno? Non sai chi è? >>
Scossi il capo e ringraziai il cielo per aver donato molto cervello a quella ragazza. Tuttavia, ne aveva dato poco a Styles, e questa cosa andava aggiustata. Sempre che si potesse.
No, non si poteva.
Bene.
Smisi di parlare con me stessa e con Dio e mi dedicai a Louise, che curiosa mi fissava dall’altro capo del piccolo tavolo.
<< Ma com’è possibile? Non lo hai visto? Lo conosci? >>
<< Mi ha baciata al buio, nel boschetto, e no, no. >> Risposi una ad una a tutte le sue domande. << Però ricordo il profumo e la consistenza del suo stomaco. >>
<< Eh? >>
<< Gli ho dato un pugno per allontanarlo e sono scappata. Poteva essere un maniaco, o peggio ancora, Colin! >>
Il mio volto assunse un’espressione disgustata, mentre ripensavo al volto del brufolone. Quel ragazzo era inquietante. Avevo incrociato il suo sguardo più volte e il sorriso macabro e la leggera bava scorsa dalle sue labbra mi avevano fatta rabbrividire.
Però, se ci pensavo bene… No, la sua saliva ricca di sostanze non identificate non mi aveva lavato la faccia, e poi non era poi così alto. E soprattutto, ero certa che il suo stomaco fosse gelatinoso, e non duro come quello del ragazzo che avevo colpito.
<< Ti è piaciuto? >>
<< E’ durato esattamente quattro secondi, Louise. E l’ho colpito, non può essermi piaciuto. >>

O forse sì.

Insomma, se lasciavo perdere tutta la questione del maniaco, potevo tracciare nella mia mente l’immagine di un bel ragazzo, alto, muscoloso.. E poi profumava. Le labbra erano morbide, perché i miei denti vi erano praticamente sprofondati dentro quando le avevo morse.
Ma restava il fatto che fosse un depravato.
Scossi il capo, attirando l’attenzione del cameriere, che ci portò le nostre pietanze.
<< Potresti cercare nel campus per vedere se riesci a trovare il profumo di quel tipo, almeno saprai se è del nostro corso oppure no. >>
<< Geniale! >> Esultai, ingoiando un pezzo di lasagna. << Solo che dovrei entrare nella camera di dieci ragazzi. >>
<< Cinque stanze, non sarà difficile. Chiederemo aiuto a Josh. >> Pianificò tutto, e mentre mangiavo seguivo con attenzione le sue idee.
Quando tornammo al campus era ormai pomeriggio inoltrato, all’ombra di qualche albero c’era qualcuno che leggeva e qualcuno di più temerario se ne stava sotto il sole ad abbronzarsi.
Salutai Louise e andai a posare la borsa in camera, ma quando fui davanti alla porta temetti di poter trovare qualcosa mentre entravo.
Inspirai ed espirai, prima di decidermi ad aprire. Forse avrei dovuto bussare, ma cavolo, quella era camera mia! Mi pentii subito di aver tentato quel gesto temerario, perché l’immagine di Harry Styles praticamente nudo – eccezion fatta per quella tovaglia di spugna avvolta intorno alla sua vita – era appena uscita dal bagno. Deglutii, cercando di impedire ai miei occhi di vagare sulla figura slanciata e muscolosa del mio nemico.

Vi odiate.

Qualcosa zittì la mia coscienza, probabilmente i miei ormoni. Okay, era sempre di Styles che stavamo parlando, dopotutto. Si era portato a letto tutto il campus e mezza scuola, e solo ora mi rendevo conto del perché.
<< Lo spettacolo è a pagamento. >> Ghignò, raggiungendo i suoi vestiti. Le gocce d’acqua del dopo doccia colarono sul pavimento, ma in quel momento non vi feci caso, perché troppo impegnata a non guardarlo. Notai con sollievo che il mio letto era intatto, ma Sandy dov’era?
Mi lasciai cadere su di esso, allungando le gambe e sfilandomi le converse. Mi coprii gli occhi con un braccio, aspettando che quell’essere si vestisse, ma non accennava a farlo. Così, quando mi decisi a dire qualcosa, lui mi precedette.
<< Sei uscita con quei cosi? >> Domandò, indicando un punto sul mio corpo. Seguii la linea immaginaria disegnata dai suoi occhi fino ad arrivare alla mia pancia. Oh, no, più sotto.
<< Questi cosi sono degli shorts. >> Spiegai, indicandoli.
<< Non credo proprio, a me sembrano mutande. >> Perché il suo tono era così accusatorio?
A lui non doveva importare come mi vestissi, soprattutto quando indossavo un paio di innocenti – e dico ultrapudici – shorts. Ma neanche avessi avuto indosso un tanga e stessi correndo nel campus sbraitando come una cagna impazzita, a lui avrebbe dovuto interessare.
<< Fatti miei. >> Mormorai infine, lasciandomi cadere di nuovo sul letto. << Ora potresti vestirti? >>
Credevo la mia domanda fosse retorica, invece lui, quasi divertito, si mise a sedere di fronte all’unica scrivania della stanza, senza distogliere lo sguardo dal mio.
<< Nuda tu, nudo io. >>
<< Io sono coperta! >> Ribattei.
<< Be’, anche io. Non puoi negarlo. >> Disse, calmo.
Okay, dovevo tenere i nervi saldi. Premetti due dita sugli occhi, provocandomi del dolore, poi lo fissai insistentemente.
<< Vestiti. >>
Il mio tono era davvero poco convincente, dato che i miei occhi all’ultimo momento avevano deciso di abbandonare una determinata angolazione per iniziare a discutere con gli addominali del riccio.

Shh, ormoni. Cuccia.

<< Harry! >> La civetta fece il suo ingresso in camera, stringendo un sacchetto tra le dita.
Altre calorie?
Preferii non saperlo.
Mi alzai istintivamente dal materasso e feci per uscire, quando mi sentii trattenere per un braccio. Quella presa mi era familiare..
<< Harry, che vuoi? >> Borbottai, strattonandolo. Mi lasciò andare prima di pararsi di fronte a me. Deglutii, zittendo ogni basso istinto.
<< Metti qualcosa di più decente. >> Scandì bene ogni singola parola, facendomi sussultare. Fu un attimo, perché tornai in me per rispondergli a dovere.
<< Ho due domande da farti, Styles. >> Iniziai, mentre vedevo lui mettersi a braccia incrociate dinanzi a me. << La prima è: che cazzo importa a te di come mi vesto? La seconda: prima mi dai della verginella, poi della svergognata >> anche se non lo aveva detto esplicitamente, era sottinteso lo pensasse e a me dava fastidio anche il rumore del suo cervellino in moto <<… Si può sapere cosa dovrei fare per essere normale? Per far sì che tu non mi rompa più le palle? >>
<< Muori. >> Rispose semplicemente, e fu un attimo.
Gli fui addosso come una belva.
 
 





HOLAAAAA
No, vabbè, forse quella risposta Harry poteva evitarsela, ma.. AHAHAHAHAHA
Questa è solo la prima parte: vi starete chiedendo in tutto ciò Sandy cosa fa… Ebbene, pascola con un montone alla ricerca dell’oro perduto.
Nah, non è vero. Sandy è lì, vigile. Magari si sta godendo il sedere di Styles, chi lo sa. Battona.
Vi ringrazio per l’attenzione, siete magnifiche :*
Alla prossima,
A.
A proposito, vale ancora la legge dello spoiler per messaggio privato ;)





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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7.  










Forse avrei dovuto metterci più enfasi, ma lui non parve neanche accorgersi dei miei ripetuti colpi al suo petto. Sandy gridava il mio nome e mi ammoniva, ma io stavo cercando un modo per fare seriamente del male a Styles e solo quando i miei occhi caddero sul suo volto me ne resi conto: i capelli.
Con un soffio si spostò un ricciolo caduto sulla fronte, incurante del fatto che fossi a cavalcioni su di lui e stessimo dando spettacolo in corridoio. Sogghignai, ridendo come una malata mentale in fase terminale e mi avvicinai al suo viso. La sua espressione mutò immediatamente, mentre mi guardava…

Le labbra? Mi sta guardando le labbra? Concentrati, Lewis. Il tuo obiettivo è distruggerlo, nient’altro di erotico. Distruggilo!

Sbattei le palpebre e cercai di non far caso alla sensualità del suo sguardo e ai gridolini isterici ed invidiosi di Sandy la Cozza e sollevai un braccio, portando una mano sul suo volto. Sentii che si stava lasciando andare alle mie carezze, e quella cosa mi confuse.
Che diamine stava facendo? Perché io tentennavo così tanto?!
Mi ripresi e feci scorrere la mano verso l’alto, prima di raggiungere la meta ambita. Con un gesto secco, gli scompigliai i capelli il più velocemente possibile. Erano ancora umidi, sarebbe stato difficile rimetterli a posto.

Paura Pot… Ehm, Styles?

Quando si rese conto di quello che stavo facendo, era troppo tardi: ormai era un cespuglio di ortiche. Ortiche perché era irritante. Soddisfatta, mi alzai da terra, rientrando in camera mia.
<< Ma sei impazzita?! >> Mi gridò, chiudendo la porta con un colpo secco. I miei occhi caddero sul nodo dell’asciugamano allentato, che gli indicai.
<< Denudati e ti denuncio per violenza sessuale! >> Gridai, coprendomi gli occhi. Sentii un fruscio, al quale cercai di non pensare: Dio, se me lo fossi trovato nudo davanti... Dovevo mantenere la calma, ma le sue sparate non aiutavano certo.
<< Potresti finalmente dire di aver visto un pe… >>
<< Zitto! >> Lo interruppi, scostando il braccio. Ah, si era messo i jeans. Almeno quelli. Gli ormoni si assopirono, lasciando alla mia razionalità ampio spazio d’azione.
<< Ma almeno hai baciato qualcuno? Dio, non riesco a trovare un povero santo che ti sopporterebbe. >>
Borbottò, gesticolando e con tentativi falliti cercò di aggiustarsi i capelli che gli avevo rovinato.
Inarcai un sopracciglio, accigliata. Non potevo credere alle mie orecchie; ma si stava per caso guardando allo specchio mentre parlava? Io insopportabile?
<< Io posso baciare chiunque, in qualsiasi momento. >> Spiegai, incrociando le braccia al petto con fare deciso. Forse ero stata avventata ed esagerata, ma il succo era quello. Libero arbitrio, si chiamava così.
<< Ah, ma davvero? Baceresti solo programmandolo. >> Rispose, facendo leva sul mio senso dell’ordine.
Lui non mi conosceva affatto, non poteva sapere della mia capacità di sorprenderle, le persone. D’altronde, la cosa non mi stupiva affatto: da quando ci conoscevamo, non aveva mai perso tempo nel cercare di conoscermi. Io sapevo tutto di lui, il mio spirito di osservazione mi aveva permesso di cogliere ogni cosa di lui, del suo carattere, del suo mutamento in quegli anni. Qualsiasi cosa. E lo avrei sopportato se lui non fosse stato così antipatico con me.
Riflettei sulle sue parole e decisi di dare voce all’istinto, per quanto potesse costarmi farlo. Mi avvicinai a lui, veementemente e in due passi gli fui di fronte. Lo afferrai dietro al collo, prima che lui potesse difendersi credendo che volessi scompigliargli ancora quella chioma e portai il suo viso alla mia altezza prima di dimostrargli quanto io potessi essere spontanea.

O stupida.

Unii le nostre labbra, con evidente sorpresa sua e ira di Sandy che stava trattenendo il fiato.
Harry legò le sue braccia intorno alla mia vita, stringendo i fianchi con fare quasi possessivo e passò la punta della sua lingua sul mio labbro inferiore.
Mi stava chiedendo il permesso?
Inconsciamente e inconsideratamente glielo concessi.

E’ per dimostrargli che io non sono quella che crede. Giusto?

Strinsi forte le palpebre, per scacciare dalla mente qualsiasi dubbio e sentii le mie dita intrecciarsi tra i suoi ricci per avvicinare ancora di più il suo volto.
Da un angolo recondito del mondo sentivo arrivare la voce di Sandy che ci chiedeva di smetterla, ma ad un tratto io sentii qualcosa.
Mentre le mie labbra si muovevano con quelle di Harry, sentivo qualcosa di familiare.
Purtroppo la situazione non mi permetteva di riflettere, e quando mi allontanai avevo il fiatone. Lo guardai, e per un attimo tutta la sicurezza di prima vacillò di fronte a quegli occhi liquidi e più scuri.
<< Visto? >> Mormorai, cercando di mantenere la calma. Harry arretrò di un passo, scuotendo il capo. Sembrava sconvolto, ma non era possibile. Era di me che si parlava.
<< Devo andare. >> In un istante fu fuori dalla camera, a petto nudo, lasciandomi sola con una compagna di stanza che gridava cose senza senso riguardo la lealtà. Non stavano insieme, lei lo avrebbe usato solo per il sesso. Come lui, d’altronde. Si completavano, erano due persone meschine e senza cuore.
Abbassai lo sguardo e riflettei su quello che avevo appena fatto, meditando ampiamente sulla mia incoscienza e sull’assurda situazione in cui mi ero andata a cacciare.
Avevo baciato Harry.
Ma la cosa non era tragica in sé: il problema era che era stato eccitante.

Come l’odio.

L’immagine della mia migliore amica che ripeteva quelle che erano state parole pronunciate da me tornò prepotentemente a farsi spazio nella mia mente. Due settimane prima, rimproveravo a Elena e Liam che tra me e Harry non ci sarebbe stato mai niente, perché per entrambi oltre l’odio c’era il nulla. Mi ero praticamente smentita da sola, smontata con le mie stesse mani.
A proposito di Elena e Liam… Era troppo tempo che io e lei non ci sentivamo, a causa del costo eccessivo delle chiamate internazionali; ma il periodo di permanenza a Parigi doveva essere terminato, quindi le inviai un messaggio per capire se avrei potuto chiamarla.
Attesi con impazienza una sua risposta, curiosa di sapere se con il suo amato amico fosse andato tutto bene, e nel frattempo raccolsi la mia borsa ed uscii di nuovo.
Harry lo avrebbe detto a Josh? E io avrei dovuto dirlo a Louise? Insomma, mi stavo facendo mille problemi quando poi quella cosa non era significata un bel niente, né per me né per lui. Pertanto, fingendo indifferenza, raggiunsi il cortile recandomi nuovamente in direzione della serra, per trovare frescura e pace. Cercai con gli occhi la panchina, cercando di evitare le uniche due persone che avrebbero potuto farmi capire quanto fossi stata stupida e mi distesi su una panchina abbastanza distante, per poter riposare in pace.
Sciolsi i capelli e li lasciai cadere, mentre una lieve brezza li muoveva, facendo oscillare le punte.
Forse avrei dovuto fare una telefonata ad Elena… Forse non aspettava altro che sapermi viva per raccontarmi tutto quello che era successo con Liam.
Forza e coraggio, sfilai il cellulare dalla tasca degli shorts e digitai il numero.

Uno, due, tre…

Cosa stava facendo? O forse non era tornata ancora da Parigi, quindi preferii staccare tuttavia, proprio mentre ero in procinto di farlo, sentii la sua voce assonnata provenire dall’altro capo del telefono.
<< Mademoiselle Lewìs, quel plaisir! >> Roteai le pupille, sorridendo.
  << Je suisheureux de savoir que vous êtes de retour sains et saufs. >> Dissi, reggendole il gioco. La sentii trattenere il respiro per un istante, prima di sospirare ed imprecare per la frustrazione.
<< Non è giusto, tu il francese lo conosci ! >> Si lamentò, come una bambina alla quale avevano appena tolto la caramella.
<< Ho detto : « sono felice di sapere che sei tornata sana e salva » >> Scoppiai a ridere come un’idiota, contagiandola. Sapeva che avevo seguitoun corso anni prima, per poter apprendere meglio la lingua e leggere libri direttamente in lingua originale, tipo Madame Bovary.

Lo avrai letto e riletto quel libro.

Scacciai l’immagine di Styles dalla mia mente e tornai ad occuparmi della mia migliore amica.
<< Eh, be’, sono felice anch’io. Come procede lì ? >>

Sì, come procede qui ?

Boccheggiai un istante, prima di decidere il da farsi.
Non aveva contato niente, era stato un incidente di percorso. Una dimostrazione della vera natura istintiva della Abbey umana.
<< Procede, procede. Voglio sapere di Liam, gli hai parlato ? >> La udii annuire, ma il tono sembrava cambiato.
Mi preoccupai all’istante, Liam poteva averla tranquillamente rifiutata, vedendola solo come un’amica. In quel caso le conseguenze avrebbero potuto essere due : morte istantanea di Payne o distruzione di una bella amicizia.
<< Vuole parlarmi. Lui sa che torno domani, quindi non può neanche lontanamente immaginare cosa io stia pensando… >> Mormorò.
<< Perché domani ? >> Chiesi, curiosa. Cosa stava combinando ?
<< Non ne ho idea, forse si è preparato il discorso del rifiuto. >> Non mi piaceva sentire la combattiva Elena in quel modo : era davvero questo che significava essere innamorati ? Distruggere il proprio essere per dolore o per amore ? Decisi di collocarlo tra le cose da NON fare prima di morire.
<< Elena, non saltare subito alle conclusioni peggiori. Forse ha bisogno di tempo. Insomma, la sua migliore amica gli ha appena confessato di essere innamorata di lui, tu cosa faresti al posto suo ? >>
<< Hai ragione… E con Styles come va ? >>
Ma perché ? Perché ?! Stavamo discutendo di Payne, come potevamo essere passati all’argomento Harry nel frangente di un millisecondo ?
Dopo averle raccontato tutto per sommi capi, attesi una risposta : dall’altra parte, solo silenzio.
<< TU COSA ?!  >> Me l’aspettavo, d’altronde. << Ci sono migliaia di modi per dimostrare che non sei affatto una bell’addormentata, e tu scegli il peggiore ! >>
Lei, in fondo, era la mia coscienza. Come toglierle quel ruolo privilegiato ?
<< Come bacia ? >> Chiese subito dopo, facendomi sussultare. Ma che domande erano ?!
<< Male, molto male. >> Mentii, e lei se ne accorse.
<< Sono certa che se non vi odiaste te lo saresti già portato a letto, Lewis. Ma lasciamo perdere, prima o poi succederà di nuovo. E forse avrò la fortuna di esserci ! >>
<< Non succederà un bel… Cosa ? >> Mi bloccai, ripensando alle sue parole.
<< Esatto, babe ! Vengoa Londra ! >>
 
Elena mi aveva lasciata senza parole tre ore prima, comunicandomi che entro un paio di giorni sarebbe arrivata in città : forse, se tutto fosse andato per il verso giusto, l’avrebbe accompagnata Liam, e io non vedevo l’ora di vederlo per chiedergli di far scomparire la faccia di Harry, che proprio in quel momento era seduto di fronte a me, in mensa e mangiava un piatto di pasta, controvoglia. Lo fissavo di sottecchi, chiedendomi a cosa stesse pensando.
No, non mi interessava.
Però quell’espressione corrucciata, lo sguardo vago, le lunghe dit ache stringevano svogliatamente una forchetta… Era palesemente attraente, non c’era niente da dire. Ma il suo carattere orripilante cozzava con la figura alta e slanciata che in quel momento si era accorta che la stavo fissando.
Avvampai, cercando di nascondere il volto dietro i capelli, ricordami poi di non avere una frangia o qualcosa di simile. In altre occasioni avrebbe sparato una delle solite battutine, o mi avrebbe presa in giro. In quel momento distolse gli occhi e li rivolse a Josh.
Si alzò di scatto, portando con sé il vassoio che posò sul cestino dei rifiuti dopo averlo svuotato, e lasciò la stanza.
<< Che diavolo gli è preso ? >> Domandò Josh, guardando gli astanti. Tutti tranne me.
Io che potevo saperne, d’altronde ?
<< Non  lo so, forse qualcuno dovrebbe andare a controllare. >> Propose Louise, guardandomi.
<< Sì, Josh, vai. >> Lo spinsi lievemente prima di ricevere in risposta un mugolio di dolore. Il mio sguardo cadde sulla sua caviglia, fasciata. Sbarrai gli occhi, chiedendogli cosa gli fosse successo.
<< Sono caduto e me la sono slogata. Succede. >> Spiegò. << Potresti andare tu ? Ti prego… >>
<< Eh ? Ma stai male ? >> Sussultai, allontanandomi quasi mi fossi scottata.
<< Ma dai, Abbey, non posso lasciarlo così. >> Improvvisò un paio di occhi imploranti, senza sapere che in realtà non avrebbero sortito alcun effetto.
Tuttavia, mi alzai, controvoglia, e seguii il percorso fatto da Harry poco prima, immaginando che si fosse rintanato in camera sua.
Quando mi ritrovai di fronte alla porta, tentennai, incerta sul da farsi ; non avevamo alcun tipo di rapporto, con quale faccia – dopo averlo oltretutto baciato – mi sarei presentata da lui chiedendogli come stesse ?
Un rumore che proveniva dall’interno mi fece sobbalzare, tanto che senza neanche bussare entrai, sgranando gli occhi di fronte alla scena che mi si era appena presentata davanti…
 




HOLAAAAAA
Scusate per il ritardo, ma sono super stressata e… Vabbè, niente! Ahahahah
Ci ho messo un po’ a scrivere questo capitolo, inoltre Word mi va in francese e ho dovuto cancellare tutte le correzioni automatiche.  Ci ho messo una vita.
Grazie mille per l’interesse che state mostrando nei confronti della storia, sono felicissima *-*
Quindi, ho deciso che vale la regola dello spoiler, per tutti i capitoli.
Ho lasciato la scena finale in sospeso, quello che succederà dopo non so neanche io da dove mi sia uscito ahahahahh
Bacibaci :*
A.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***



Capitolo 8.









Portai istintivamente una mano dinanzi alle labbra, cercando di nascondere l’espressione esterrefatta e contrariata, ma al tempo stesso frutto di uno spavento che ancora non voleva saperne di passare. Sapevo solo che ero lì, ferma, sulla soglia della porta che avevo spalancato in uno scatto repentino, e che di fronte a me un Harry sanguinante mi fissava in modo sgomento. I suoi grandi occhi verdi erano diventati due pozze vuote, e io sentii l’improvviso bisogno di gridare.
Ciò che mi trattenne dal farlo, fu lo sguardo furente di Harry, che si avvicinò alla porta per chiuderla con un gesto secco. Con tutta la forza che avevo, e facendo leva sulla sua impossibilità di opporsi, glielo vietai, entrando nella camera senza smettere di guardarlo.
<< Che vuoi? >> Chiese, infastidito. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dalla ferita alla mano, che ancora sanguinava, come se non intendesse smettere fino a quando Harry non si fosse ritrovato a terra privo di sensi.
Sperando che anche in camera loro ci fosse il classico kit di pronto soccorso, lo scostai e mi avvicinai alla piccola stanza, nella quale entrai velocemente. Altrettanto rapidamente scavai nei cassetti alla ricerca della valigetta bianca, che trovai poco dopo. Sentivo il respiro affannoso di Harry, che d’altra parte della stanza evitava di rivolgermi qualsiasi tipo di sguardo. Gli ordinai di sedersi, e mentre accortamente evitavo di calpestare i cocci di quello che un tempo era stato uno specchio, mi avvicinai a lui.
Mi accomodai di fianco alla sua persona, prendendogli delicatamente la mano tra le mie. Il sangue non esitò a sporcarmi, ma non vi feci caso.
<< Puoi anche tornartene di - >>
<< Sta’ zitto, dannazione. Zitto. >> Sibilai, incrociando il suo sguardo. Nei suoi occhi lessi sorpresa, nonostante stesse cercando in tutti i modi di mantenere la facciata da duro che in quel momento proprio non gli si addiceva. Glielo leggevo in quelle iridi verdi che stava male.
E, al diavolo l’odio che provavo per lui, volevo sapere cosa diavolo gli fosse preso.
Mi alzai nuovamente per riempire una piccola bacinella d’acqua fresca, prima di tornare da lui e immergervi la mano. Con una piccola garza gli strofinai la parte illesa per cancellare il sangue rappreso, prima di passare alla mano.
Posai il contenitore ai piedi del letto e con una tovaglietta tamponai la ferita, prima di armarmi di disinfettante. Con un batuffolo di ovatta bagnai leggermente la zona circostante al taglio, fortunatamente non così profondo, poi vi spruzzai l’antisettico.
Lo sentii digrignare i denti, ma non si lasciò mai andare ad un sospiro di dolore.
Cercai il rotolo di garza che poi presi ad avvolgere intorno alla mano, incurante dei suoi tentativi di sottrarla, per fare tutto da solo. Quando finii, passai un dito, leggermente, nella zona lesa, chiedendomi cosa l’avesse spinto a distruggere uno specchio e ridursi la mano in quello stato.
Mi allontanai da lui per versare l’acqua sporca di sangue nel lavello, per poi pulirle con del detersivo. Gettai garza e ovatta nel cesto dei rifiuti e tornai in camera, vedendolo ancora lì, seduto sul bordo del letto di Josh. Sollevò lievemente il capo, smettendo di guardarsi la fasciatura, prima di incrociare i miei occhi, carichi di disappunto.
Avrei dovuto andarmene, chiamare l’infermiera e chiederle di occuparsi di Styles, ma qualcosa mi aveva spinta a rimanere lì. Curiosità?
<< Allora? >> Chiesi, poggiandomi allo stipite della porta, in attesa. Lui di tutta risposta si chinò e si distese completamente sul letto dell’amico, coprendosi il volto con un braccio.
<< Va bene. >> Mi arresi, afferrando una scopa e spazzando via i cocci di vetro riflettente. Su alcuni di essi, c’era il suo sangue, e improvvisamente sentii una morsa attanagliarmi lo stomaco.
In circostanze del tutto normali non mi avrebbe comunque parlato, né io gli avrei rivolto tutte quelle attenzioni. Ero stanca di fare un passo verso di lui mentre lo vedevo arretrare, allontanandosi quasi scottato. Avremmo continuato a detestarci per tutta la vita, nonostante da parte mia ci fosse la volontà di tentare un approccio. Conoscevo Harry, sapevo quanto in realtà fosse fragile: delicato quanto il vetro che aveva appena ridotto in pezzi. Eppure, continuava ad essere così sgarbato con me, e io di rimando, senza conoscere il reale motivo di quel suo astio.
Tentai di riaprire il discorso, ricorrendo al vecchio sotterfugio della madre: domande senza senso.
<< Hai litigato con qualcuno? >>

Passo primo: Harry non litiga, Harry fa a pezzi la persona, non uno stupido specchio.

<< No. >>
<< Hai discusso con i tuoi? >>

Passo secondo: Harry non discute mai con i suoi; la parte del figlio perfetto gli si addice troppo.

<< No. >>
Sospirai, tentando la carta Josh. Niente. A quel punto, si fece largo nella mia mente un’idea di quello che poteva essere successo. Avevo paura, ma non potevo far altro che chiederglielo.
<< E’ per quello… che è successo? >>
Finalmente una reazione diversa. Rise sommessamente, scostando il braccio ed alzandosi lievemente. Mi fissò insistentemente, con un’espressione di scherno dipinta sul volto che poteva risultare quasi offensiva. Senza pensarci troppo, strinsi forte il manico della scopa, come se quello potesse darmi una forza che neanche credevo di stare cercando.
<< Tu credi davvero che mi farei questo per un tuo bacio? Mi stai scadendo, ragazzina. Che fine ha fatto il tuo intuito infallibile? >> Deglutii sommessamente, di fronte a quell’ammissione del tutto inaspettata.
Certo, non speravo mica che quell’essere iniziasse a tollerarmi o cose simili, ma neanche mi aspettavo tutto quello.
<< Dimmelo tu, allora. Perché sì, ultimamente sono meno sveglia del solito. >> Affermai.
<< Cazzi miei. >> Borbottò, alzandosi. << Grazie per la fasciatura, puoi anche andare. >>
<< Ma ti senti? >> Mi coprii subito la bocca, pentita di quello che avevo appena affermato. Dannato il mio cervello fuori controllo!
Ci ero dentro, ormai, tanto valeva riprendere l’ascia di guerra – rappresentata in quel momento, molto propriamente, dalla mazza di legno – e dire tutto.
<< Perché sei così, Harry? Ma soprattutto, perché solo con me? >> Lo sentii trattenere il fiato per un istante prima di esplodere in una fragorosa risata.
<< Davvero ti senti così importante, Lewis? >> Nella sua domanda c’era un punta di acidità. << Scendi dal piedistallo. >>
<< Non ci sono mai salita, Styles. Voglio sapere perché. >> Dissi, decisa.
<< Non c’è un perché, ragazzina. Mi sei indifferente, sarebbe un privilegio troppo grande per te se ti odiassi. >> Quelle parole colpirono un punto impreciso al centro del petto. L’odio avrei potuto trasformarlo, l’indifferenza segnalava disinteresse e quindi non ci sarebbe stato niente da fare.
Ma non si spiegavano le sue perle di cattiveria nei miei confronti.
<< Voglio dire.. >> Continuò, costringendomi a guardarlo. << Capisco che tu cerchi di trovare quell’attenzione che non hai ricevuto dai tuoi genitori altrove, ma… Lasciami fuori. >>
Non capii di stare stringendo il manico di scopa troppo forte fino a quando non sentii un dolore acuto partire dalle dita per prolungarsi lungo tutto l’avambraccio. Come aveva potuto dire una cosa simile? Lui, l’unico dopo Elena a sapere di me quasi fossi stata una tasca del suo stupido pantalone!
Io non cercavo attenzioni, io le evitavo con tutta me stessa. E lui… lui non aveva capito niente.
Lasciai andare la scopa contro il muro e a passi pesanti mi diressi fuori dalla stanza, sbattendo violentemente la porta. Erano anni che non piangevo, non avrei iniziato quella volta. Non per quello stronzo.  
Scostai poco gentilmente un ragazzo che mi stava ostacolando la strada e imprecando entrai nella mia stanza, prendendo tra le mani il primo oggetto che mi capitò e sbattendolo a terra.
Come poteva anche solo insinuare una cosa del genere? Gli avrei perdonato l’avermi definita nullità, ma non quell’offesa. Non quando sapeva benissimo in che condizioni versasse la mia esistenza, da diciotto anni ormai. Sfilai il cellulare che vibrava dalla tasca e lessi il messaggio appena arrivato.

Com’è andata?
Josh.

Come poteva essere andata? Con Harry si finiva sempre in quel modo, non c’era niente da fare. E da quel momento in poi neanche ci avrei provato a tentare di costruire un dialogo. Non ci pensavo nemmeno.
Al diavolo Styles e tutto quello che lo riguardava, mi ero stancata. Di lui, delle sue offese e della sua capacità di farmi fuggire.

Lascialo marcire in quella stanza e mangia in pace.

Risposi, spegnendo il telefono. Volevo restare sola. E c’era solo un posto in cui nessuno avrebbe mai pensato di venirmi a cercare.
Non avrei commesso lo stesso errore dell’ultima volta, perché imparai a memoria ogni passo che facevo e che mi avrebbe condotto sulla rupe sulla quale mi ero persa quel giorno.
Mi arrampicai su un terreno scosceso che la prima volta neanche avevo notato e arrivai a destinazione, respirando l’aria sana e fresca del lago a pieni polmoni.
Mi lasciai andare ad un lungo sbuffo, desiderosa di metter fine a quella tortura psicologica per sempre.
 
Harry’s p.o.v



Mia madre non sapeva un cazzo di quello che stavo passando stando lì, eppure sembrava così felice di sapermi ad un corso per geni della letteratura. Balle, balle, balle.
Le volevo un bene dell'anima, ma quando cercava di fare il meglio per me decidendo al posto mio... 
Amavo quella materia per una sua sola funzione: l’evasione dal mondo reale. Era perfetta in ogni sua sfaccettatura, ma la mia cara genitrice aveva pensato bene di fare domanda per me per quel programma di studi. E mi ero ritrovato in quella merda insieme alla mia peggior nemica, d’altronde.
Sebbene lo avessi appena negato, la detestavo. Per quello che mi faceva diventare quando stavo con lei, per quello che non ero. E i miei genitori l’adoravano, oltretutto.
<< Harry. >> Vidi Josh entrare tenendo sollevato il piede per non toccare terra e farsi male alla caviglia fasciata, e la prima cosa che fece fu indicare la mia mano.

Quella che lei aveva medicato.

Proprio non capivo perché fosse stata così gentile con me, dopo tutto quello che le avevo detto giorni prima, e anche nell’attimo precedente alla sua fuga dalla mia stanza.
<< Che hai combinato? >>
<< Mi sono graffiato, tutto a posto. >> Spiegai brevemente, mettendomi a sedere accanto alla scrivania. Aprii il quaderno degli appunti e finsi di leggere, per distogliere l’attenzione del mio amico dalla mia ferita.
<< Che fine ha fatto lo specchio?! >>
<< Nel cestino. >> Indicai la piccola pattumiera, senza staccare gli occhi dal foglio. Non riuscivo a leggere un bel niente, non riuscivo a connettere le parole.
<< D’accordo, con calma. Abbey è stata qui. >> Quella non era una domanda, era un’affermazione vera e propria, e nel suo tono c’era un velo d’accusa che mi irritò non poco.
Ma cos’aveva di speciale quella ragazza che tutti si prodigavano per lei? Era sempre così chiusa, schiva, come poteva attirare l’attenzione delle persone giuste?
Compresa la mia.
Quel bacio in camera sua mi aveva completamente destabilizzato, così come quel suo abbigliamento la sera del raduno. Ero in compagnia di quella prosperosa e vogliosa bionda, eppure le lunghe gambe scoperte, la pelle chiara di chi è rimasto sempre chiuso in casa a legger libri, i lunghi capelli castani che morbidi cadevano sulle spalle, erano stati fattori destabilizzanti. Avevo sentito nascere un’attrazione pericolosa, quindi sarebbe stato meglio tenerla lontana.
<< Perché mi ha scritto di lasciarti marcire qui dentro? >> Chiese, inarcando un sopracciglio.
<< Ci odiamo, Josh, come minimo. >> Affermai, come fosse una cosa ovvia.
<< Tu proprio non lo capisci, vero? >>
Feci ruotare la sedia e incontrai il suo sguardo arrendevole. Sembrava mi stesse rimproverando di qualcosa, ma di cosa?
<< Abbey, a quanto ho capito, non è in grado di odiare. Prendi Sandy: per lei prova ripugnanza, ed è ben diverso. Con te è diverso, perché probabilmente sente che tu ce l’hai con lei e quindi si difende. Solo che sembra che tu attacchi troppo. >>
<< In virtù di cosa mi accusi di ciò? >> Domandai, incrociando le braccia al petto. Era semplicemente ridicolo quel ragionamento; chi non era in grado di odiare?
<< Dovresti capirlo da solo. >> Decretò, lasciandomi senza una risposta. << Dov’è ora? >>
Feci spallucce, ritornando agli appunti. Si lasciò andare sul letto e prese a digitare qualcosa sul suo Blackberry. Il rumore di quei tasti era insopportabile, non mi permetteva di concentrarmi.

O forse sono le parole di Josh.

Improbabile, altamente improbabile. Quel discorso non mi aveva minimamente toccato, così come qualsiasi cosa la riguardasse, sebbene più volte avessi dimostrato l’esatto contrario, abbandonando Sandy nel bel mezzo dei preliminari per andare da lei e recuperarla, solo perché era spaventata e in un luogo da cui non riusciva a tornare. Sentivo nascere, talvolta, un istinto di protezione che non mi apparteneva, e questo mi atterriva terribilmente.
Chi era lei per farmi sentire così?
Un mostro, era un mostro.
Picchiettai con la matita sulla scrivania di legno chiaro, mentre sentivo l’impazienza di Josh farsi palpabile e la mia anche. Insomma, cos’aveva da preoccuparsi? Probabilmente era in camera sua a leggere qualche romanzo perché era l’unico modo che aveva di evadere. L’avevo sentita tante volte parlare con Elena, discutere con lei perché non riusciva a farla andare a qualche festa.  Alla fine decise di comporre il numero e chiamarla direttamente.
<< Ah, finalmente! No, non pensarci. Abbey, non staccare e dimmi dove sei, è buio. L’ultima volta ti sei persa, come pretendi che io sappia come venirti a prendere se dovesse succedere ancora? Abbey. Dove. Sei? No, non prendere quella strada per tornare, non è sicuro. >>
Andò avanti così cinque minuti buoni, prima di gridare il suo nome più e più volte… Spaventato.
Che diavolo stava succedendo?
Mi voltai lentamente, per  incrociare lo sguardo preoccupato di Josh, che teneva stretto il cellulare tra le mani.
<< Dobbiamo andare. Ora. >> Zoppicando saltellò verso la porta, senza darmi alcuna spiegazione.
<< Dov’è? >> Quel tono preoccupato non me lo spiegai, ma non vi feci caso. Vedevo Josh troppo agitato mentre arrancava per arrivare all’uscita del campus, facendomi cenno di seguirlo.
C’era chi ci fissava incuriosito, chi invece non badava ad uno zoppo ed un ragazzo che si affrettavano a lasciare il dormitorio alle dieci di sera.
<< E’ caduta la linea ed è in un quartiere malfamato. Ho sentito qualcuno parlarle e lei ha tentato di dirmi qualcosa, ma poi silenzio. >>
Un brivido mi percorse la schiena e improvvisamente accelerai il passo, senza ascoltare neanche una parola di quello che il mio compagno di stanza stava dicendo.
Dovevo trovarla.
 
 
 
Hola!
Credo questo sia il mio saluto, ormai, abituatevi ahahah
Non uccidetemi se ho lasciato il capitolo così in sospeso, please. Ma è per creare attesa, sapete u.u
Grazie tante a tutte coloro che seguono la storia ** Siete meravigliose!
Per lo spoiler, ci si vede in messaggio privato u.u

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9.










C’erano momenti in cui la paura prendeva il sopravvento, anche in chi credeva che nulla avrebbe mai potuto turbare il proprio animo. Inutile negarlo, in situazioni eccessive per il nostro corpo e per il nostro inconscio, tendevamo a temere.
Un cattivo voto a scuola poteva far scattare il terrore del rimprovero da parte dei genitori. Io non avevo di questi problemi, perché non sarei mai stata sgridata, non avendo chi potesse farlo. O meglio, se ne importavano ben poco.
Un amore giunto al limite: non ero pratica neanche in quel campo.
Per la morte di qualcuno. Ecco, forse in quel momento mi ci stavo avvicinando.
Mentre quell’uomo di cui non ero neanche riuscita ad identificare il viso mi teneva su, lungo la parete di pietra, trattenendomi per la gola, c’era una cosa sola a cui pensavo: ho troppa gente da detestare per il resto dei miei giorni, non uccidermi.
Il pensiero andò a mia madre, a mio padre, a chiunque mi avesse fatto del male psichico in quegli anni. Harry fu l’ultimo a cui ripensai, mentre la mano dell’assalitore scendeva lungo il mio corpo, in un modo decisamente poco delicato. Poi ad Elena, perché lei non avrebbe mai potuto immaginare che arrivando a Londra avrebbe trovato solo il mio cadavere.

Non voglio morire, non ora.

Non riuscivo a gridare, non riuscivo a piangere. Era come se tutto quello che mi fosse proprio – la voce, le lacrime – volessero rimanere con me nel momento clou della mia esistenza.
Ma avevo una fottuta paura. Se lui non mi avesse retta, sarei caduta a terra vista la mollezza delle mie gambe.
<< Ci divertiamo un po’, eh? >>
Cercai di scuotere il capo, ma la sua presa era troppo ferrea e sentivo  che il respiro iniziava a scarseggiare. Con le mani cercai di allontanare il suo corpo, facendo leva sulla poca forza che mi rimaneva data la mancanza di ossigeno, ma tutto ciò che ottenni fu un suo moto di rabbia che mi costrinse a versare una lacrima di dolore. Mi aveva appena colpita allo stomaco, ma non potevo piegarmi.
<< Oh, no, non piangere. Anche se sei ancora più eccitante. >> Lasciò andare il mio collo e con forza mi tirò indietro i capelli, costringendomi a mostrargli la gola arrossata dalla stretta della sua mano.
Le sue labbra la sostituirono subito, e un senso di nausea e orrore si fece spazio nel mio corpo, tanto che riuscii a spostarlo qualche istante. Prima che potesse avventarsi di nuovo su di me, lo vidi sfilare una pistola dalla fondina che teneva legata alla cintura dei jeans: una revolver.
La riconoscevo, mio nonno ne aveva una simile a casa sua.
Sentii ogni forza abbandonarmi, mentre un senso di panico mi pervadeva e mi implorava di stare zitta. Avrei preferito morire piuttosto che farmi toccare da lui.
Ero stata di quest’avviso fino a quando il metallo freddo non aveva sfiorato la mia mascella, facendomi digrignare i denti e costringendomi a deglutire rumorosamente. Evidentemente lui si accorse della mia resa e tornò ad esplorare il mio corpo, abbassando la spallina della canottiera che forse non avrei dovuto mettere, e lasciando una scia di luridi baci lungo l’incavo. Rabbrividii, disgustata, ma non riuscii a muovermi. Quel freddo pungente della canna della pistola avrebbe potuto improvvisamente scaldarsi troppo. E non mi andava di vedere il mio cervello spappolato sulla parete.
La mano libera, certa che non mi sarei ribellata, arrivò all’orlo dei miei jeans, fino alla cerniera che tirò giù con maestria indicibile. Chissà quante altre volte lo aveva fatto, quante altre donne aveva… Violentato.

Josh…

Chiamai nei miei pensieri il nome del mio amico, che si era visto chiudere improvvisamente la comunicazione quando quello mi aveva aggredita. Sperai non si mettesse sulle mie tracce, non mi sarei mai perdonata che gli facessero del male a causa mia.
Le dita dell’uomo giocarono a lungo con l’orlo delle mie mutandine, prima di farvi scivolare dentro un dito.
Non riuscii a reprimere un: << No! >> che mi sfuggì senza che potessi controllarlo, ma servì in qualche modo a ritardare il tutto.
<< Non vuoi? >>

No, no, no! Lasciami andare!

Tutte quelle parole rimasero nella mia testa. Si impossessò prepotentemente della mia bocca, cercando di infilarvi la lingua dentro, ma non glielo avrei permesso, non quello. Ricordavo una citazione di Bukowski che avevo sempre condiviso, riguardo ai baci: erano più intimi del sesso. Non avrei condiviso quel mio aspetto con lui.
<< Lasciala. Ora. >> 
Gli occhi di entrambi saettarono in direzione della voce, che, mio malgrado, ero felicissima di sentire. L’aggressore distolse la canna della pistola dalla mia gola e la puntò contro l’ombra che si era fatta largo nel buio del vicoletto in cui ero stata trascinata sotto gli occhi di vari ragazzini che avevano finto di non vedere nulla, evidentemente intimoriti dalla stazza e dalla reputazione di quell’uomo.
 Harry, che non mostrò neanche un segno di paura, fece un ulteriore passo in avanti e si mostrò, facendo sorridere malignamente il tipo. Seppure fosse stato spaventato, non lo mostrava affatto.
I suoi occhi verdi incontrarono i miei, e notai subito i suoi muscoli tendersi ancora di più.
<< Pivello, cerca di sparire. >> Disse solo l’uomo, lasciandomi cadere a terra, stanca.
Sentii la ruvida roccia contro la pelle nuda della schiena, ma non badai ai graffi che mi ero appena provocata, dato che quel momento di pace dopo una prima fase di tempesta era stato rigenerante. Tirai su la zip dei jeans, fu quello il mio primo pensiero prima di accovacciarmi intimidita, come se quella posizione potesse in qualche modo darmi conforto.
<< Se te ne vai ora, non ti denuncio >>, sibilò Styles, cercando di avvicinarsi.
<< Balle. E poi perché dovrei perdermi un bocconcino del genere? >> Detto questo, picchiettò la mia gamba con un piede, ghignando.
<< Perché non lascerò che la tocchi ancora. >> Rispose l’altro, come fosse la cosa più ovvia del mondo, avvicinandosi. Mossa azzardata, perché l’assalitore portò all’altezza della testa di Harry la pistola, minacciando di sparare.
Mi alzai di scatto, ritrovando le forze, e cercai di distrarlo, sfiorandogli il braccio.
Non doveva fargli male per colpa mia, non lo avrei permesso. Neanche a chi, del male morale, lo aveva fatto a me.
<< Harry, vattene >> mormorai, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo. << Ti prego.. >>
Dopo tutto quello che mi aveva fatto, dopo ogni cosa che mi aveva detto, non riuscivo a pensare a lui ferito a causa mia, non mi capacitavo al solo pensiero, eppure... Avevo paura, sì. Paura che Harry potesse ferirsi e non volevo.
Avevo visto scorrere già troppo del suo sangue, sebbene fosse stato per un “incidente”.
<< Abbey, non dire idiozie e vieni qui. >> Borbottò, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo che mi aveva stretto un braccio contro i fianchi.

Ero in suo possesso, volente o nolente.

<< Harry, ti prego. Dammi retta. >> Lo implorai fino allo stremo, ma il tono furente che utilizzò dopo non lo avrei mai dimenticato.
<< Ti ho detto di venire qui! >>
Era un ordine, una pretesa, e la stava avanzando il mio peggior nemico. Avrei solo voluto gridargli contro, dirgli di andare via, di mettersi al sicuro e di dimenticare quella storia: doveva farlo per me, perché io non ci sarei riuscita, e invece… Il mio corpo rispose al suo richiamo.
Riuscii a spostarmi di un solo millimetro, dato che l’aggressore mi attirò violentemente a sé, stringendo la presa per reclamare l’autorità sul mio corpo, che di certo non se la stava passando bene. Con uno scatto veloce avvolse un braccio intorno alle mie spalle, stringendo in prossimità della gola e puntando la pistola alla tempia.
Sentii il cuore battere all’impazzata mentre il panico mi pervadeva completamente, e non solo me. Harry, da canto suo, non era messo meglio. Sgranò gli occhi, mostrando tutto il verde in tempesta, tormentato sul cosa fare.
<< Dalle retta, ragazzino, e nessuno si farà male. D’accordo? >> Disse, a denti stretti. Rinsaldò la stretta, costringendomi a boccheggiare alla ricerca di ossigeno.
<< Ha… Harry… >>
<< Ma perché non ti trovi una puttanella e la lasci in pace, eh? >> Le risposte di Styles non aiutavano affatto, la situazione stava degenerando.

Aiuto.

<< Questa ragazza grida purezza da tutti i pori >> rispose l’altro, annusando i miei capelli. << E’ così dannatamente eccitante senza saperlo… >>
Un attimo dopo i suoi denti mi mordicchiarono un lembo di pelle all’altezza dell’orecchio, provocandomi brividi di terrore per tutto il corpo.
<< Non toccarla! >> Ad un passo avanti di Harry rispose l’assalitore con un gesto rapido che portò di nuovo la pistola all’altezza del volto del ragazzo.
Cercai di divincolarmi dalla presa, senza molto successo, se non con la risultante di farlo innervosire ancora di più.
<< In tutto questo, ha versato una sola lacrima, e per un colpo che le ho rifilato. Tosta, eh? >>
<< Cos’hai fatto? >>
Ma perché Harry si ostinava a rispondergli con quel tono, perché?! Lui doveva semplicemente andare via, quell’uomo non mi avrebbe uccisa. O forse sì, dato che la luce del lampione aveva ormai svelato il volto che prima il buio pesto aveva contribuito a celare. Doveva essere sulla cinquantina, robusto, capelli neri gelatinati e vestiti lerci. L’odore, d’altronde, non era dei migliori.
<< Non voleva saperne di stare ferma, piccola Abbey. E’ così che ti chiami, vero? >> Chiese, puntando gli occhi su di me. Li sentivo, li sentivo perforarmi la nuca, le tempie, erano lì e mi inchiodavano, quasi non fossero bastate le mani per tenermi ferma.
<< Vero?! >> Urlò, costringendomi ad annuire, spaventata. << Sto aspettando che tu te ne vada, pivello. O vuoi che ti faccia qualche buchetto su quel bel corpo? >>
<< Provaci. Da qui me ne andrò, ma solo se lei verrà con me. >> Ribadì Styles, facendomi venir voglia di urlare.

Vattene, dannazione! Io e te ci detestiamo, quindi ora odiami, odiami con tutto te stesso e va’ via!

Una vocina mi suggerì, tuttavia, altro.

Mi sei indifferente, sarebbe un privilegio troppo grande per te se ti odiassi.

Deglutii, ricordando quelle parole. Se gli fossi stata indifferente, perché era corso qui senza chiamare la polizia? Perché lui?
Troppe domande e poco tempo.
<< Come vuoi >> fece spallucce l’aggressore, tendendo il grilletto. Un senso di panico e terrore mi spinse ad agire e mordergli l’avambraccio, che fece cadere lungo un fianco, dolorante.
Feci appena in tempo a scappare verso Harry, che mimò qualcosa, atterrito, mentre udivo indistintamente partire un colpo alle mie spalle.
 



<< Ciao Anne! >> Vidi una me piccola salutare la madre di Harry, che ci aveva appena portato la merenda. Sperava, sperava davvero io e lui potessimo andare d’accordo, ma non immaginava quanto potesse essere anche solo minimamente lontana nelle pretese. Non appena ci lasciò, con un sorriso, Harry tornò a punzecchiarmi il braccio, segnando tanti puntini con l’inchiostro del pennarello che gli avevo prestato.
<< Perché tua madre ti lascia sempre sola? >> Chiese tutt’a un tratto, interrompendo il silenzio.
Osservai il mio braccio pieno di colore e lo guardai negli occhi, incontrandone il verde che di innocente non aveva proprio niente.
<< Non lo so. >>
Feci spallucce, continuando a disegnare. Forse in quel periodo io ed Harry ci tolleravamo, eravamo ancora in una fase di sopportazione tanto che l’uno cercava l’altra per giocare insieme. Poi, ad un tratto, lui aveva iniziato a detestarmi.
 

*

 
<< Luke. Luke! Scollati, dannazione! >>
Ero io due anni prima, al mio primo “appuntamento”. Festa di Jamie Stride, io e lui eravamo su un balcone. Come ci fossimo arrivati in camera del ragazzo, ancora non lo avevo scoperto. Fosse ero un po’ brilla. Ma se non erravo era il giorno prima di una verifica per la quale non avevo studiato.
Detestavo la matematica.
Mal sopportavo la vicinanza di quell’essere, che non ne voleva sapere di staccarsi dal mio braccio e dalle mie labbra.
<< Ma dai, vuoi rimanere vergine a vita? Te gusta la banana? >>
L’espressione contrariata sul mio volto la diceva lunga.
<< FACCIAMO SESSO! >>
Ricordai di non aver mai visto un ragazzo così diretto, ma solo nella parole, ma la mia riflessione era stata interrotta dall’ingresso in camera di Elena, che notò il mio sguardo quasi divertito.
Mi liberai di Luke e mi avvicinai a lei, chiedendole come mai mi fosse venuta a cercare e ringraziandola subito dopo per averlo fatto.
<< Harry sta male, dovresti riportarlo a casa. >>
<< Ma i suoi quattro amichetti, scusa? Liam. Chiama Liam! >> Borbottai, voltandomi di scatto dopo aver visto Luke cadere faccia a terra, senza smettere di ridere.
<< Okay, dov’è? >> Scappai da quella stanza, seguita dalle risate della mia migliore amica.
In cucina, Harry si teneva lo stomaco, e sul volto colore verde, viola e rosso si alternavano. Era messo davvero maluccio.
<< Cos’ha? >> Chiesi, avvicinandomi. Liam mi guardò profondamente, tenendo l’amico per le spalle.
<< Bisogno di te. >>
 

*

 
<< Vaffanculo! >>
Era un paio di mesi prima, prima di partire per Londra. Mi vedo prendere tra le mani un piatto prima di scaraventarlo a terra, ferendomi ai piedi, nudi.
<< Non ti permettere, eh! Sei un’egoista! Vattene in camera tua e pensa al fatto che io maledica ogni giorno per averti concepita! >>
Ora ricordavo. Stavo litigando con mia madre per avermi impedito di prendere parte ad una visita d’istruzione, per costringermi a badare alla nonna, quando era il suo turno. Le sue sorelle l’avevano preceduta, amabilmente, io avevo dovuto rinunciare ad una visita guidata al museo d’arte moderna per sopperire alle sue mancanze.
Era stata una questione di principio, mia madre negli ultimi diciotto anni mi aveva negato la vita. Il viaggio non era importante in sé, ma quello che significava. Quello che mia madre non era capace di essere: importante per me.
Ero entrata in camera mia e avevo raccolto dei vestiti in uno zainetto, prima di spalancare la finestra ed uscirvi. Sarei andata a passare qualche giorno da Elena, visto e considerato che i suoi non c’erano per un viaggio d’affari.
<< Da quando in qua scappi furtivamente? >>
<< ‘Fanculo anche a te, Styles. Lasciami in pace. >>
Mi ero avvolta nella felpa bianca ed ero arrivata a casa di Elena, che aveva già capito tutto.









Salve, ragazze!
Scusate la lunga attesa, ma è l'ultimo mese di scuola e non credo riuscirò a pubblicare a distanza di pochi giorni. Purtroppo se riuscirò
a farlo una volta a settimana, sarà perché so cosa vuol dire aspettare un'eternità! Grazie a tutte coloro che hanno inserito la storia nelle preferite
e nelle seguite, siete grandiose :3
Questo capitolo l'ho scritto in tre giorni. Ci ho messo un po' per rivederlo e per decidere come farlo finire, perché ho grandi idee per dopo e ci sto
già lavorando.
Lo spoiler è sempre lì, e, a proposito! Scusate per il casino che si è creato, ma non c'ho capito più niente ahahah
Peace <3
A.




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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


Capitolo 10.









C’era qualcosa che non andava, me lo sentivo.
Era come una sensazione che nasceva e scuoteva le viscere dall’interno, provocando sensazioni per nulla gradevoli. Una fitta continua allo stomaco, condotti lacrimogeni intasati per la prima volta in vita mia.
Mentre le lacrime scorrevano a fiotti, la paura la faceva da padrona, costringendomi a tremare e contrarre ogni singolo muscolo nella speranza di non crollare. Non avevo il coraggio di sollevare lo sguardo, la luce era accecante, un mal di testa martellante e il dolore incessante al braccio non mi davano un momento di tregua, così come le immagini di ciò che era successo.
I singhiozzi mi stavano squarciando il petto, e tutto ciò per cui non avevo pianto in tutta la mia vita, era improvvisamente tornato a galla, più forte e più potente di prima.

Harry…

Il suono del suo nome, benché fosse solo nella mia mente, era il dolore più forte che potessi provare. Faceva male, troppo male, e non riuscivo a sopportarlo.

E’ colpa mia, è tutta colpa mia…

L’infermiera diede l’ultimo punto prima di fasciare la ferita e sorridermi amabilmente.
Non c’era nulla per cui sorridere, io ero distrutta. Harry lo era.

Dove sei, Harry?

Strinsi forte il ciondolo contenente la camomilla, che indicava forza nelle difficoltà e serrai le palpebre, con la speranza che tutto si rivelasse solo un incubo dal quale mi sarei presto risvegliata. Avrei sentito Sandy imprecare per aver gridato e per averla disturbata, poi mi sarei riaddormentata, tranquilla, forse con quel pizzico di angoscia che caratterizzava ogni risveglio da un brutto sogno.
Ma le pareti di quella stanza c’erano ancora, quella luce bianca e presagio di brutti avvenimenti era lì, mi accecava, mi faceva paura. Solo Harry non c’era. Io ero sveglia, lui…

Dove sei?
Harry, ti prego…

Cercai di tornare al momento dell’accaduto, e non riuscivo realmente a spiegarmi cosa fosse successo. Come fosse successo. Avrei dovuto beccarmela io quella pallottola, non semplicemente subirne la scia infuocata.
Avrei dovuto esserci io su quel letto d’ospedale, io in quella sala operatoria, io in fin di vita.

Senti, Dio…
Cosa c’entra lui? So che avevo promesso che non ti avrei mai chiesto nulla, che non avrei mai neanche pensato alla possibilità di chiederti qualcosa, ma… Ora sono qui, e ti sto pregando. Fa’ qualcosa, salvalo. Per quanto possa odiarlo, non se lo merita. Io sì.
Lascialo qui ancora un po’…

Stavo rasentando l’assurdo, ma il fatto che Harry non fosse lì, di fronte al mio letto, a punzecchiarmi circa la mia incapacità di stare attenta, di tenere la situazione sotto controllo, era orribile.  
Per una volta, la mia razionalità zittì e chinò il capo di fronte al pensiero di lui. Avrei dato la mia vita per vederlo di nuovo accanto a me.
Lo stavo ammettendo, era un passo avanti enorme. Ma a cosa sarebbe servito, ora?
Sentii il cellulare squillare, pochi istanti prima che nella mia stanza facesse il suo ingresso Louise, bianca dallo spavento e con le lacrime agli occhi. Josh era subito dietro di lei, seguito da Sandy che era stata evidentemente costretta a venire con qualcosa di mio.
<< Cos’è successo? Dov’è Harry? Era venuto a cercarti! Perché l’ospedale ha chiamato Josh? Come stai? >> Non riuscii a seguire bene la raffica di domanda sparata da Louise, perdendomi quasi al primo verbo.

Sparata.

Rabbrividii, e Josh, credendo fosse il freddo, provvide a coprirmi con un plaid preso da dove solitamente le infermiere ne conservavano uno.
Lo ringraziai flebilmente e socchiusi gli occhi, cercando di non pensare allo squillare insistente del telefono. Poi un’idea di chi potesse essere si fece largo nella mia testa, così balzai giù dal letto e scavai nello zainetto con il braccio dolorante. Cercai di non pensare alle fitte di dolore alla ferita e guardai sullo schermo, sul quale vidi lampeggiare il nome di Anne.
Deglutii, accettando la chiamata.
<< Mi hanno chiamata dall’ospedale, Abbey. Dove siete? >> La sua voce premurosa ed allarmata fece salire a galla sensi di colpa e di mancanza terribili, tanto che non riuscii a soffocare un singhiozzo spontaneo.
<< Io s-sono in una stanza… >> piansi, cercando di calmarmi.
<< Stai bene? >>
<< S-sì. >>
Ci fu un momento di silenzio dall’altra parte, poi sentii il suono di un clacson e le imprecazioni del compagno di Anne.
<< Harry? Lui dov’è? Sta bene? Prima abbiamo litigato di brutto, lui mi ha accusata di pensare solo a cosa fosse meglio per lui, e non cosa lui potesse pensare… Era così arrabbiato… >>
Forse si spiegava il vetro rotto, in quel modo. Se l’era presa con se stesso, come sempre, per non dar pena alla madre. Come poteva essere così premuroso e nascondersi in quel modo assurdo? Perché doveva farsi odiare da me quando in quel momento…

Svegliati, ti prego!

<< Anne… Mi… >> tutt’a un tratto mi sembrava di aver perso l’uso della parola << mi dispiace così tanto… >>
<< Che vuol dire?! Dov’è mio figlio?! Cosa gli è successo? >>
Dall’altro capo del telefono sentii  una voce rotta e capii di averla fatta piangere. Incrociai gli sguardi preoccupati dei miei amici, che ne sapevano quanto Anne di Harry.
Sospirai, affranta, e cercando di reprimere un ulteriore pianto, le spiegai l’accaduto. Da come avevo parlato, avevo fatto cadere tutta la colpa sulla mia mancanza di considerazione, sulla mia ingenuità e sul mancato intervento.
Harry aveva cercato solo di salvarmi.
E sebbene in quella sala operatoria ci fosse lui, ero io a sentirmi disintegrata. Morta dentro.
<< L’aggressore ha sparato, il proiettile mi ha sfiorato il braccio, ma Harry… Lui è stato colpito sullo stomaco. E’ in fin di vita, A… >> Non riuscii a terminare la narrazione che un nuovo singhiozzo mi bloccò il respiro.
<< No.. No… Non ci credo…  NO! >> Cadde la linea, e io fui libera di lasciarmi andare sul letto, continuando a piangere.

Seems like it was yesterday when I saw your face…

Era mezzanotte.
Non poteva lasciarci in quel modo, non poteva farlo… Mi aggrappai all’asta cui era appesa la flebo e mi avviai verso il corridoio, strattonando violentemente il braccio sano dalle mani di Josh che aveva cercato di fermarmi. Dovevo sapere come stesse, se se la sarebbe cavata…

You told me how proud you were, but I walked away…

Quando gli avevo chiesto perché si fosse comportato in quel modo, si era chiuso di nuovo in se stesso. Ma io conoscevo l’Harry fragile, sebbene lui mi avesse mostrato sempre la parte dura, quella orgogliosa.
Attaccava me per sentirsi sicuro lui, era ovvio.

If only I knew what I know today… I would hold you in my arms, I would take the pain away.

<< Harry, bevi. >> Gli passai per l’ennesima volta quel bicchiere di latte per farlo vomitare, data la quantità enorme di alcol che aveva ingurgitato, ma lui la respinse. Stavo iniziando a perdere le speranze e la pazienza, volevo semplicemente aiutarlo.
Forse era per questo che si rifiutava.

Sorrisi, ripensando alla sua testardaggine, mentre avanzavo in direzione del reparto chirurgia. Chiesi informazioni ad un’infermiera, che non ascoltai più mentre mi chiedeva di sedermi su una sedia a rotelle e continuai a camminare, portandomi dietro il cloruro di sodio.

Thank you for all you’ve done, forgive all your mistakes; there’s nothing I wouldn’t do to hear your voice again…

Cercai di reprimere un’ulteriore fiumana di lacrime e mi guardai intorno per cercare un dottore. Ero praticamente arrivata, i miei amici mi avevano seguita a debita distanza.
In quel momento mi ero resa conto di avergli perdonato tutto, per il solo fatto che per l’ennesima volta mi aveva salvata.
Quante volte lo aveva fatto, mascherando tutto sotto l’aspetto da duro?
E in quel momento avrei dato qualunque cosa per vederlo ridere di me, con me, di nascosto per non darmi la soddisfazione di sembrargli divertente. Sarei tornata a due ore prima, quando l’aggressore stava per premere il grilletto per parare il corpo di Harry. Avrei preso quel proiettile, avrei sentito certamente meno dolore.
Vidi un’infermiera uscire a passo spedito dalla sala, non tentai neanche di avvicinarmi: era già sparita. Mi misi a sedere su una sedia, in attesa di ricevere notizie da qualche dottore. Prima o poi qualcuno avrebbe pur dovuto informarci.
 
Quando due ore dopo mi svegliai, sobbalzai, rischiando di cadere. Josh cercò di tenermi stretta a sé, ma mi scansai, cercando di capire dove mi trovassi.
Ero ancora in ospedale, Harry era ancora dentro e non c’era traccia di nessuno. Il mio sguardo saettò sulla due figure in piedi di fronte ad una stanza, e quando misi a fuoco i loro volti quasi non ebbi un colpo: erano Anne e Robin. E c’era anche Gemma, rannicchiata su una sedia, proprio come me.
Cosa stavano guardando?
Con poca cura sfilai l’ago dal braccio, e mi avvicinai lentamente a loro, che neanche si accorsero della mia presenza, salvo poi accostarmi al vetro. Istintivamente portai una mano alle labbra, per evitare di gridare e piangere ancora, e solo allora i tre si resero conto che ero vicino a loro.
<< Come sta? >>
La mia voce tradiva le mie intenzioni di restare calma.
Anne non mi rivolse neanche uno sguardo, e si voltò verso Robin, nascondendo il volto sul suo petto. Vidi l’uomo scuotere il capo, e Gemma distogliere gli occhi per rivolgerli al fratello.
<< Se supererà la notte, avrà buone possibilità di riprendersi. >>
Il fastidioso senso di colpa che continuava a farsi sentire fu acuito da quella rivelazione e dal fatto che la donna che mi aveva praticamente cresciuta non volesse parlarmi. Gemma, che era quasi una sorella, non lo faceva.
Che ce l’avessero con me? Le avrei capite, in tal caso, ma avrei preferito me lo dicessero chiaramente.
Mi sentivo ancora peggio, in quel momento.
Feci dietrofront, tornando dai miei amici. Sandy non c’era più, erano rimasti solo Louise e Josh, assonnati.
<< Perché non mi avete svegliata quando è uscito? >> Sibilai, digrignando i denti.
Loro avvertirono il mio stato d’animo, e cercarono di non rimproverarmi per l’essermi rivolta in quel modo alle uniche due persone che mi stavano accanto in quel momento.
<< Scusate.. E’ che.. Questa situazione, Harry… tutto… >> Mi coprii il volto con una mano, stanca.
<< Ce la farà, Abbey. E’ forte, più di quanto immagini. >> Mormorò Josh, tenendomi la mano.
<< Lo so benissimo che è forte. Io… >> Lanciai uno sguardo in direzione dei suoi genitori, abbracciati e immobili.  << Io devo vederlo.. >>
<< Non credo i suoi ti lasceranno entrare, Abbey. Sembra ce l’abbiano un po’ con te. >>
Fulminai il mio amico con lo sguardo, prima che ricevesse anche una gomitata nelle costole da Louise.
<< L’ho capito, Josh, ma non mi importa. >> Affermai, mettendomi a sedere. Avrei aspettato che si allontanassero. L’infermiera aveva preparato loro dei letti, e già in quel momento li vidi discutere sulla disposizione.
Annuirono insieme e facendosi forza l’un l’altro si diressero nella camera di fianco, lasciando la porta aperta. Le luci dell’ospedale si spensero, i rumori cessarono ovunque e fissai i miei amici prima di alzarmi ancora una volta. Mi avvicinai lentamente alla stanza in cui Harry era stato portato e avvicinai l’orecchio alla porta per abbassare poi lentamente la maniglia.
Tecnicamente non sarei potuta entrare, ma non c’era nessuno a fermarmi. La flebo del ragazzo, poi, era piena, quindi sarebbero passati in mattinata a cambiargliela.
Entrai velocemente e mi chiusi la porta alle spalle, prima di guardare intensamente Harry, disteso inerme e dipendente da una macchina, che teneva sotto controllo il suo battito cardiaco e gli permetteva di respirare e sopravvivere.

In coma.

Fu quello il primo pensiero che mi assalì mentre un passo dopo l’altro mi avvicinavo al suo capezzale. Lasciai scorrere le dita lungo il suo braccio, lievemente muscolo e infine arrivai alla mano, che accarezzai flebilmente.
Sembrava spento, era così freddo.
Scossi il capo, fremendo. Forse avrei dovuto essere forte per entrambi.
Lentamente risalii lungo l’avambraccio, fino ad arrivare alla spalla e all’incavo del collo con la mascella. Disegnai il contorno del suo volto, giungendo poi alle labbra. Erano ancora rosee, come se pretendessero di apparire perfette anche mentre il corpo a cui appartenevano si trovava con un piede nella fossa.
Avrei preferito non pensarci, ma dovevo guardare in faccia la realtà. Ne tastai la morbidezza, reclinando lievemente il capo e chiudendo gli occhi, e la prima cosa che mi tornò alla mente fu quel bacio.
Quello dato per ripicca.
Quello dato per dimostrargli che non ero chi pensava che fossi.
 
Quello che, ripensandoci, era stato il bacio migliore che avessi dato e ricevuto.

Era stato elettrizzante e l’odio, proprio come avevo previsto, era diventato eccitante. Che pensieri stupidi da fare adesso.
<< Perché sei venuto a cercarmi? >> Sussurrai, ricacciando indietro una lacrima. << Ti ho detto migliaia di volte che me la so cavare benissimo da sola. Sei un coglione, Styles. Dovrei esserci io qui, al posto tuo. E sai qual è il bello? La tua famiglia mi odia. Come biasimarli, in fondo? Tu sei tutta la loro vita, e io gliel’ho portata via perché non so orientarmi. >>
<< Non avrei mai pensato di dirlo, Harry, ma… Mi manchi. >>
Sospirai.
<< Mi hai salvata, ancora. Non so bene perché tu lo faccia, se ti sono davvero così indifferente. Però, forse è un sollievo sapere che non mi odi, perché ci sono già io a farlo al posto tuo. Mi odio perché non sono capace di gridare in faccia ai miei che io sono parte di loro, perché non ho mai avuto il coraggio di lottare, di credere nelle mie capacità. Mi detesto perché odio te. E ti odio perché mi sbatti in faccia la verità, e la verità fa male, tanto male. >>
Giocherellai con le sue dita mentre cercavo di capire perché gli stessi dicendo tutte quelle cose.

Non può sentirti, ecco perché.

<< Anche quando ti ho baciato lo hai fatto. E sai qual è la cosa più buffa? Che mi è piaciuto! E non solo. In quel momento mi è sembrato di conoscerle già le tue labbra, era come se tu mi avessi già baciata. Per un momento ho pensato che potessi essere stato tu nel bosco, quella notte. Che idiota. Io ti sono indifferente. >>
Lo stavo ripetendo a me stessa più che a lui e la cosa mi sconvolgeva.
<< Ti leggerò qualcosa. Domattina passo in accademia, faccio una doccia veloce e porto con me quel libro che non hai ancora letto.  >> Sorrisi, vedendolo così tranquillo. << Buonanotte, Hazza. >>
Mi chinai tanto quanto bastava e gli lasciai un bacio all’altezza della fronte, cercando di trattenere le lacrime.
Si sarebbe risvegliato. Doveva farlo.
 
 
 
 
Okay, ammetto di aver quasi pianto scrivendo questo capitolo. Ma sono così affezionata a tutti loro, che non riuscivo a trattenermi mentre descrivevo la probabile morte di qualcuno. Harry potrebbe sopravvivere, forse no…
Non sempre vado per i lieto fine =)
E dallo spoiler… Ammettetelo! Avete pensato che fosse stata Abbey ad essere colpita, vero? In caso contrario, ci vediamo presto.
Cercherò di scrivere di più, promesso!
Vi adoro, tutte <3

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. ***


Capitolo 11.












Quando fui sicura che nessuno mi aveva  vista lasciai la stanza di Harry, e fui subito raggiunta da Louise e Josh.
<< Come sta? >> chiesero all’unisono, preoccupati.
<< Vegetativo >> dissi soltanto, tornando a sedermi. Mi lasciai andare contro lo schienale della sedia e sospirai, premendo due dita sugli occhi.
Ero stanca.
Stanca ed angosciata.
Mancavano ancora quattro ore all’alba, quattro ore perché potessimo esser sicuri che Harry se la sarebbe cavata.
<< Tornate al campo, ragazzi. Dite ai professori che domani rientrerò, ma solo per prendere delle cose. Inizierò le lezioni tra un paio di giorni. >>
I miei amici annuirono, capendo di non dover neanche provare a convincermi del contrario.
Mi salutarono un’ultima volta prima di sparire, lasciandomi sola. Rifiutai l’aiuto di diverse infermiere, declinando prima gentilmente poi sgarbatamente il loro invito a prender posto nella stanza in cui ero stata per farmi fasciare il braccio, per riposare. Una di loro si era detta contraria al mio intervento sul braccio, ma quella flebo era diventata un ostacolo e non l’avrei rimessa.
<< Domattina il commissario passerà in ospedale per raccogliere la tua testimonianza. >> disse una, sedendosi accanto a me.
Le rivolsi uno sguardo debole, annuendo flebilmente. Lei mi rispose con un sorriso appena accennato, carezzandomi il capo con un fare materno che mi ricordò Anne.
E quella sensazione fece male, ancora.
Lei mi odiava. Lei che era quasi la mia famiglia, mi detestava. Ma come biasimarla? Non potevo, assolutamente, e dovevo, anzi, condividere la sua scelta di non rivolgermi più la parola, in fondo forse lo avrei fatto anche io.
Probabilmente con lei avrei parlato, perché non l’avrei mai lasciata sola a sopportare un dolore simile. Soprattutto se Harry non avesse dovuto farcela…
Non volevo pensarci, non dovevo pensarci. Ce l’avrebbe fatta, Josh aveva ragione.
Mi lasciai andare contro il muro e chiusi gli occhi, per cercare di accogliere Morfeo nel giusto modo.
 
<< Sai cosa, Harry? >> iniziai, guardandolo negli occhi. << Forse hai ragione. Forse non dovrei essere qui, non c’entro niente con questa gente. >>
Lo fissai un’ultima volta prima di avviarmi lungo la strada buia. A quella festa neanche avrei voluto andarci, in verità. Era stata Elena a costringermi, per poter fare un po’ di propaganda al fine di essere eletta presidente degli studenti. L’avevo appoggiata, ma quel raduno si era rivelato per quello che esattamente era: un supplizio. Gente ubriaca ovunque e piccioncini in fase d’accoppiamento che mi ricordavano quanto la mia vita fosse vuota e misera.
<< Aspetta! >> Mi voltai di scatto, trovandomelo accanto, in un secondo. Cosa stava facendo?
<< Che c’è? >>
<< E’ buio, e la zona non è delle migliori >> disse semplicemente, infilando le mani nelle tasche.
Non capivo il suo comportamento, normalmente mi avrebbe addirittura augurato che qualcuno mi scoprisse, anche gli alieni – e lui negli alieni non ci credeva – ma non trovai il coraggio di contestare, quasi ammirata da quel suo istinto di protezione.
Era un qualcosa che non avevo mai provato in vita mia.
Ed era bellissimo.
<< Come si trova Gemma al college? >> chiesi, cercando di rendere quel silenzio meno imbarazzante.
Fece spallucce, guardando altrove. << Bene >> commentò.
<< Mmh >> non aiutava certo, lui.
<< E tu? Hai fatto domanda? >> Annuii, flebilmente, e lui se ne rese conto.
<< Cambridge potrei vederla semplicemente dal binocolo, per non parlare di Oxford. Le probabilità che prendano me anziché un genio letterario sono davvero basse >> spiegai, atona.
Avevo affrontato quel discorso un migliaio di volte, tanto da giungere all’apatia assoluta. Se non avessero accolto la mia domanda lì, avrei dovuto far leva su college pubblici che non mi avrebbero dato poi una grande opportunità per il futuro, una concreta possibilità di fuggire da quell’inferno e dai demoni che mi tenevano incatenata ad esso.
<< Hai voti alti, Lewis. Non sarai un genio, ma sei brava >> Lo urtai lievemente con una spalla, facendolo ridacchiare.
Era un momento di così rara serenità. Sentivo che in una vita parallela, in un universo differente, io ed Harry avremmo potuto addirittura essere buoni amici. Ma sapevo che dopo quella sera saremmo tornati alla normalità. E la cosa quasi mi dispiaceva se non fosse stato che c’ero abituata da moltissimo tempo.
<< Ieri mi è arrivata la risposta da Bristol. >>
Mi voltai verso di lui, sgranando gli occhi.
<< Di già? >> assentì, continuando a camminare << e..? >>
<< Mi hanno preso. >>
<< No! >> Ero sorpresa e contenta per lui, studiare in quell’Università era una grandissima occasione. Legge, poi, che era la sua passione… << Sociologia? >>
Un sorriso enorme spuntò sulle sue labbra e non potei fare a meno di pensare quanto fosse bello. Al di sotto della sua facciata da scorbutico, si nascondeva un ragazzo dolce e tormentato. Perché non poteva essere umano anche con me?
<< Congratulazioni, Styles. Allora forse non sei così male. >>
Finsi altezzosità, cercando di trattenere una risata, cosa che però non riuscì a lui.
<< Be’, grazie, Lewis. E neanche tu. >>
Inarcai un sopracciglio, fermandomi.
<< Cosa? >>
<< Forse neanche tu sei così male. >>
 
Sentii una lacrima rigarmi la guancia, ma non mi affrettai ad asciugarla. Potevo piangere in silenzio, e nutrita di ricordi felici. Di momenti sereni tra me e Harry ce n’erano stati e io ero stata me stessa più con lui che con chiunque altro.
 
<< E’ la prima. >>
Con l’indice indicai la casella da spuntare, mentre lui si scervellava alla ricerca della risposta giusta. Posai il libro che tenevo contro il petto sul tavolo della mensa e cercai il mio succo di frutta, per riempirmi almeno lo stomaco in previsione dei corsi pomeridiani per quei crediti in più che facevano davvero comodo, tanto a me quanto a chi stava lì per cercare di cambiare qualcosa.
<< Quanti punti ti mancano? >> chiese, continuando a rispondere ai quesiti.
<< Cinque, tecnicamente >> risposi, bevendo. << Vuoi? >>
Annuì ed afferrò la bottiglia, bevendo avidamente. Ma aveva almeno mangiato?
<< Qualcosa da mangiare? >> Domandai, tirando fuori dei biscotti. Non rispose nulla, così gliene porsi uno, guardandolo mentre lo mangiava tutto concentrato.
Alle volte sembrava un bambino, dal volto innocente. Ed era determinato, cosa realmente importante. Ad un certo punto chiuse il libro dei test e si passò le mani sulla fronte, tirando indietro quei riccioli che amava scombinare di tanto in tanto. Ed infatti scosse il capo per cercare di farli tornare a posto, con pessimi risultati.
Doveva essere realmente stanco.
E a dirla tutta lo ero anche io, così mi alzai e gli dissi che mi sarei andata a sedere all’ombra di un albero per leggere qualcosa.
Dopotutto, le lezioni sarebbero iniziate in un paio d’ore.
<< E’ lontano? >> chiese, confondendomi. << L’albero, intendo. E’ lontano? >>
Scossi il capo, indicandoglielo. Poi lo vidi alzarsi, raccogliere il suo zaino e raggiungermi, prima di sedersi appoggiandosi al tronco. Si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, mentre io mi affiancavo a lui, prendendo il libro dalla borsa.
Furono minuti interminabili quelli che precedettero il suo sonnellino. Sentii la sua testa appoggiarsi alla mia spalla, ma capii che per lui era una posizione scomoda, sicché mi spostai tanto quanto bastava a farlo stendere. Poggiò il capo sulle mie gambe, incrociando poi le braccia al petto e prendendo a respirare ancora lentamente: si era riaddormentato.
Istintivamente presi a giocare coi suoi capelli, attorcigliandomeli tra le dita mentre sfogliavo “Jane Eyre”, completamente assorta dato che era uno dei miei libri preferiti.
Ero arrivata ai tre capitoli, quando avevo sentito una sorta di lamento provenire da sotto la copertina. La spostai per scoprire che la mano di Harry aveva raggiunto la mia. Mi stava chiedendo di continuare?
Arrossii, presa alla sprovvista e cercai di ricominciare, quando lui allontanò le dita, ricominciando a sonnecchiare.
Quella situazione era assurda, noi lo eravamo. Due minuti prima litigavamo come due vecchi coniugi impazziti, poi ci mandavamo a quel paese ed infine ci ritrovavamo a parlare tranquillamente. Erano momenti rari, ma mi piacevano.
Tastai a lungo la morbidezza della sua chioma scura, lasciando perdere la lettura del libro che ormai era passato in secondo piano. Se qualcuno ci avesse visti, non avrebbe creduto ai propri occhi, avrebbe legato tutto ad un probabile miraggio dovuto alla stanchezza pomeridiana: e forse era meglio così.
Quei minuti erano solo nostri. Quella bolla prima o poi sarebbe scoppiata, ma nel frattempo avrebbe dilettato ancora un po’ quella giornata.
 
Carezzai le mie dita, arrivando addirittura a sentire ancora la delicatezza dei suoi capelli. Mi mancava quell’Harry, quello pronto a difendermi, quello disposto ad ascoltarmi, a parlare, ad aprirsi con me. Mi mancava sentirlo vivo, vero, accanto all’unica persona che probabilmente non avrebbe mai voluto al suo fianco: io. E forse neanche io lo desideravo, ma quando eravamo insieme, il mondo spariva. Fosse per i battibecchi, fosse per quei momenti idillici…
Mi mancava, lui.
Mi mancava quello che era, lui.
Mi mancava quello che era per me, lui.
A tentoni tornai in camera, per cercare il cellulare ed avvisare Elena dell’accaduto. Era sicuramente a letto, ma mi avrebbe certamente risposto quella mattina, appena sveglia, e io avrei avuto il tempo di farmi passare quel mal di testa.

Fu in quel momento che mi lasciai andare ad un lungo sonno, quando per sbaglio caddi sul letto, distrutta.

*

Probabilmente neanche mi ero accorta di essere coperta, e che le veneziane erano chiuse completamente per evitare che la luce del giorno mi infastidisse. Aprii lentamente gli occhi, guardandomi intorno prima di scorgere la figura della mia migliore amica seduta sulla poltrona, intenta ad ascoltare della musica e leggere alla luce flebile del sole.
Sobbalzai, chiamandola urgentemente. In un attimo fu in piedi e corse ad abbracciarmi.
<< Non sai che pena, Abbey. Appena ho letto il messaggio mi sono fiondata sul primo treno e sono venuta qui. >>
<< Non dovevi, Elena, i tuoi saranno in pensiero… >> Scosse il capo e la sentii, perché quasi non urtò il mio dato che eravamo ancora abbracciate.
<< Sono passata da Harry mentre dormivi, Anne mi ha detto che è stabile >> sussurrò, facendomi rilassare.
Aveva superato la notte.
Ringraziai il cielo e promisi di fare una capatina in chiesa appena mi fosse stato possibile, appena uscita di lì.
<< Voglio andare da lui. >> Mi alzai del tutto e mi misi in piedi, senza far caso al lieve capogiro che mi costrinse a far leva sulla mia amica per non cadere a terra.
Lei mi trattenne, rimproverandomi con uno sguardo severo e materno.
<< Sei debole, e poi c’è tutto il tempo. Il commissario è qui fuori, ti aspetta. >>
Deglutii, ritrovandomi improvvisamente di fronte al fatto compiuto. Era tutto successo davvero. E ora avrei dovuto sporgere denuncia.
Annuii mestamente, dirigendomi verso il bagno per darmi una rinfrescata.
Evitai con cura la zona fasciata, prima di restare a fissarla per istanti interminabili. Fu Elena e il suo bussare insistente a ridestarmi; uscii e mi vestii col cambio portatomi la notte prima da Sandy. Almeno si era resa utile.
Quando aprii la porta, la mia amica mi fu subito dietro, perché i primi occhi che incontrai furono quelli di un uomo sulla cinquantina, avvolto in una giacca blu con un distinto ben in vista sul cuore. Ingoiai il boccone amaro e lo feci entrare, seguito da un paio di poliziotti. Incrociai lo sguardo di Anne prima di porre una barriera tra di noi e il corridoio esterno.
Mi accomodai sul davanzale, ma non lasciai che il sole entrasse. Non ero ancora certa di poter sopportare la luce del giorno.
<< Sta bene? >> furono le prime parole dell’uomo.
<< No >> risposi, senza guardarlo.
<< Capisco >> affermò, appoggiandosi allo schienale e sospirando << Nonostante sappia bene come possa sentirsi in questo momento, ho il dovere di… >>
<< Faccia queste domande e facciamola finita, per piacere >> lo interruppi, bruscamente. Non volevo portare avanti quella tortura ancora a lungo.
Annuì deciso e guardò uno dei suoi uomini che con un cenno si fece avanti, mostrandomi una cartellina.
Lo fissai stranita, prima di sciogliere l’intreccio delle braccia e aprirla cautamente. C’erano circa quindici fotografie, tutte di uomini. Furono un paio di occhi a destare in me le paure che credevo di aver momentaneamente sepolto.

Quegli occhi.

Un nero devastante, contornato da bulbi oculari arrossati. Quegli occhi che mi avevano minacciata, spogliata, traumatizzata.
<< Lui >> la mia precedente determinazione era vacillata, mentre porgevo la foto al poliziotto.
<< Sicura? >>
<< Come potrei non esserlo? >> rabbuiai, iniziando a tremare. Elena mi fu accanto in un istante, e prese le mie mani, stringendole tra le sue. Le sorrisi, ringraziandola.
Era tutto ciò che mi serviva.
<< D’accordo. La ricontatteremo al più presto. >>
<< Cos’è, un call center? >> borbottò la mia amica, facendomi ridere.

Sì, mi ci voleva proprio.

Il commissario non tentò nemmeno di commentare e andò via, lasciandoci sole. Quando dopo un po’ uscii dalla stanza vidi Anne piangere e gridare, mentre Robin cercava di trattenerla.
Josh era in piedi, che teneva la mano di Louise e un paio di medici ed altrettante infermiere entrarono nella stanza di Harry.

C’era qualcosa che non andava.

Corsi nella loro direzione e guardai oltre l’invetriata, notando un Harry a torso nudo, coperto da una fascia di garze, mentre il chirurgo che lo aveva operato cercava di rianimarlo.

 
 





Hola!
Okay, non uccidetemi.
Giuro che prima o poi ci saranno buone notizie! *chiedo venia*
Ho preferito terminare così, in modo che possa salire l’ansia anche a me, capite? Sto già lavorando al prossimo capitolo, quindi dovrei aggiornare a breve.
Solo una cosa… Dato che è un casino quando devo lasciare spoiler per messaggio privato, per favore, non lasciate commenti brevi alla storia. Non per sete di recensioni, anzi! A me fa piacere anche ricevere un piccione viaggiatore con uno dei vostri bellissimi complimenti, però diventa impossibile fare avanti e indietro tra casella di posta e pagina delle recensioni, e a volte capita che i messaggi li leggo tardi e non ricevete nulla… Oppure che chi già ha ricevuto lo spoiler, se ne veda un altro uguale.
Quindi metteteci qualche parolina in più, altrimenti rischio seriamente d’impazzire ahahahah
Vi amo, E SIETE VOI QUELLE FANTASTICHE, non io.
Vostra, A.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. ***


Capitolo 12.










Una settimana dopo…

<< Diamine, muovi quel culo rifatto e portalo qui, Sandy! >>
Vivere con quella ragazza era un qualcosa di improponibile. Ogni giorno una nuova, e quella volta avevamo superato ogni limite.
Lentamente, quasi avessimo tutto il tempo del mondo, entrò nel bagno, e guardò in direzione della tazza, che stavo indicando con disappunto.
<< Chiama quel puttano. Ora. E armati di detersivi per pulire questo orrore o giuro che ti faccio leccare quello che è rimasto di quel… Oh, che schifo! >>
Lasciai quella stanza in un nanosecondo, stringendo forte la tracolla della borsa. Le piaceva fare sesso? D’accordo, ma che non si azzardasse a farmi trovare un maledetto preservativo sulla tazza del cesso.
Cristo santo, che essere. Sapeva benissimo che non avevo tempo per star dietro alla sua mancanza di igiene e rispetto, presa com’ero dall’andirivieni tra ospedale e campus, eppure non le importava. E con Harry ci era anche andata a letto.
Scesi in fretta le scale dell’uscita e mi diressi al cancello, che chiesi di aprire. Quando fui in strada, chiamai il solito taxi e chiesi di essere scortata all’edificio. Avevo imparato a memoria il tragitto, riconoscevo le persone che, per tornare da lavoro, facevano sempre la stessa strada, e continuavo ad immaginare i battibecchi miei e di Harry.
Sorrisi involontariamente a quel pensiero, sperando di poter tornare a farlo il prima possibile. Preferivo l’irritazione a quel silenzio devastante.
Pagai l’uomo che mi aveva portata fin lì e percorsi lo stesso cammino ancora una volta, pronta a dare il cambio a Josh, che avrebbe recuperato la lezione del mattino nel corso serale che gli insegnanti avrebbero tenuto apposta per noi.
Chiamai l’ascensore ed attesi impaziente lo scampanellio che mi avrebbe annunciato l’arrivo di questo, mentre mi guardavo intorno. Speravo Anne e Robin fossero già andati via, dato che ormai si erano adeguati a quella situazione ed erano tornati ad Holmes Chapel per prendere qualcosa per Harry.
Elena, da canto suo, era tornata con loro per andare a prendere Liam che la stava aspettando da qualche giorno. Non stavano ancora insieme, a quanto pareva, perché lui aveva deciso di parlarle proprio il giorno in cui Elena era arrivata a Londra per l’incidente.
Non ci era rimasta male, ma era evidente l’ansia di sapere cosa pensasse il ragazzo, che ora, pensando ad Harry, avrebbe certamente rimandato di qualche settimana la loro discussione.
Quando varcai la soglia del corridoio di rianimazione, quasi non mi venne un colpo quando notai un gruppo di medici di fronte alla stanza del ragazzo. Temendo il peggio, corsi verso di loro, facendomi spazio per entrare.
L’ultima volta, quella volta, lo avevano recuperato per un pelo. Anne era svenuta, Robin l’aveva portata su una barella, assistito da un’infermiera preoccupata per le sorti di madre e figlio. Io avevo cercato di tenere duro, ma poi mi ero lasciata andare tra le braccia della mia amica, pregando che sopravvivesse e che tornasse a casa.
Minuti interminabili, tra massaggi cardiaci e defibrillatore, ma quel bip del monitor mi aveva ridato tutti gli anni di vita che avevo perso in quel momento.
<< E fatemi passare! Dov’è Harry? Cosa gli avete fatto? E’ vivo, vero? >> Un’ultima sgomitata prima di entrare definitivamente in camera.
Un dottore teneva una luce fissa negli occhi verdi del suo paziente, e facendo leva sui tanti libri e film che avevo visto, ne stava testando le reazioni. Quindi… << Si è svegliato! >> gridai, avvicinandomi al letto. Lasciai cadere la borsa a terra e rivolsi uno sguardo implorante al medico, che mi guardò stranito.
<< Dovrebbe aspettare fuori, signorina… >>
<< Avete tanti germi voi di quanti ne ho io, e nessuno ha tentato di fermarmi. Dunque… >> presi un respiro profondo, prima di guardare Harry << come sta? >>
<< Ha avuto una reazione, prima. Il ragazzo che era qui lo ha sentito mentre muoveva le dita. Non siamo sicuri si tratti di un vero e proprio risveglio, ma… >>
<< Ma? >> lo esortai a continuare, stringendo la mano di Styles. Ed era più calda, lo sentivo.
<< Possiamo sperare. Continui a parlargli. >> Annuii decisa, mentre tutti andavano via lasciandomi sola con lui.
Anne avrebbe dovuto saperlo, ma non voleva parlarmi, quindi non sapevo come dirglielo. Magari avrei potuto inviarle un messaggio. Sì, era la scelta migliore.
Mi misi a sedere sulla solita poltrona, afferrando gli appunti dalla borsa che avevo prima abbandonato per chiedere informazioni sullo stato di salute del mio… “amico”, per poi sfogliarli arrivando all’ultima pagina.
<< Oggi abbiamo ripreso “Il libro dell’inquietudine”, quello di Pessoa, che se non sbaglio è uno dei tuoi preferiti >> affermai, sorridendo.
Mi alzai da lì e mi accomodai ai piedi del suo letto, benché ci fosse poco spazio. Ma dovevo stargli più vicina, ne avevo l’esigenza.
<< E sì, ho litigato di nuovo con quell’idiota della Rodrigues, perché non capisce niente e non accetta le opinioni altrui. Oggi era toccato a Louise, pensa >> trattenni una risata, ripensando ai baffi della donna e al tentativo della mia amica di non pensare a quanto fosse ridicola. << Le ha posto una domanda insensata, alla quale, ero certa, neanche lei avrebbe saputo dare risposta.
<< “Che cos’è doloroso per lei, signorina?” Louise poco dopo mi ha detto che avrebbe volentieri risposto: “il suo insegnamento, Mrs. Rodrigues”, ma che era rimasta zitta per questioni di gerarchia. La baffona ha ovviamente sentito il mio risolino, perché ormai ascolta solo le mie falle, e mi ha fulminata con lo sguardo, ponendomi la stessa domanda.
<< Lì per lì non sapevo cosa dire, sul serio. Ed era ridicolo, perché quel libro lo amo. E proprio facendo leva su ciò, ho ripreso un passo e gliel’ho riportato. E’ quello che anche tu hai sottolineato quattro volte, nel libro che sei stato praticamente costretto a prestarmi perché non lo trovavo in lingua originale.
I   sentimenti   più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l'ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo.”
<< Avresti dovuto vederla. E’ diventata più rossa di me quando ho avuto quella reazione allergica alle nocciole, ricordi? Certo che te lo ricordi, hai riso più di chiunque altro mentre mi accompagnavi in infermeria. Però quello lo hai fatto di tua spontanea volontà, forse per continuare a deridermi durante il tragitto. Ti ho odiato, non sai quanto. Tu con questa pelle, perfettamente candida, e io, ragazza, che devo fare i conti con migliaia di problemi. >>
Presi involontariamente a giocare con le sue dita, sorridendo di tanto in tanto a quei ricordi. Me ne tornarono alla mente così tanti, che sentivo ancora una volta le lacrime pungermi gli occhi. Per un’intera settimana non avevo fatto altro che piangere, Sandy quasi non ne poteva più.
Gli lessi gli appunti presi quel mattino, correggendo qualche errore di tanto in tanto, poi continuai a raccontargli di quello che succedeva nel campus. Il dottore diceva che gli faceva bene ascoltarci, e che molto probabilmente ci sentiva. Io ne dubitavo, per questo gli confessavo tante cose. Probabilmente al risveglio non si sarebbe ricordato nulla dopo l’incidente.
Ed improvvisamente la paura che potesse detestarmi sul serio prese il sopravvento. Smisi di parlare all’istante, trattenendo il respiro per regolare pensieri e battito cardiaco.
Prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Mi affrettai ad estrarlo, e senza neanche preoccuparmi di chi fosse, risposi.
<< Prepara i bagagli >> quella voce, quella maledetta voce.
<< No >> mi affrettai a dire, chiudendo la comunicazione. Il telefono, di tutta risposta, prese a illuminarsi di nuovo, ma cercai di non farci caso, onde evitare di litigare con mia madre proprio mentre ero con Harry.
Non solo si erano fatti vivi dopo una settimana dall’accaduto, ma avevano anche il coraggio di dettar legge in quel modo! Non gli avrei permesso di portarmi lontano da Harry, non in quel momento.
Forse lui non aveva bisogno di me di quanto io ne avessi di lui, di sentire che si sarebbe ripreso: e non potevano portarmi via quella certezza. Inoltre sapevo bene che non avrebbero fatto nulla per impormi un ordine. Troppa fatica.
Anche se quella situazione richiedeva un atteggiamento simile.
Mi lasciai andare accanto ad Harry, sull’ampio letto, e mi voltai verso il suo viso, osservandolo attentamente. I suoi lineamenti rilassati, le labbra colorite e il respiro regolare. Non era più intubato, ed era un grande passo avanti, nonostante l’attacco di qualche giorno prima.
<< Ho paura che stavolta verranno sul serio, Harry. Ma perché?>> chiesi a lui, quasi potesse darmi una risposta. << Perché devono rovinare sempre tutto? >>
Chiusi gli occhi, stringendo la sua mano.
Forse avrei dovuto considerare la possibilità di scappare di casa per il resto dei giorni che mi separavano dal college. Era probabilmente l’unico modo per ritrovare quella sanità mentale che mi sembrava di aver perso a furia di star dietro ai loro assurdi ragionamenti.
Sempre che ce ne fossero, sulla loro amata figlia.
Parlai ancora un po’ ad Harry, prima di notare che ormai fosse tardi che entro breve l’orario delle visite sarebbe terminato. Scesi dal suo letto e raccattai le mie cose, infilando lentamente una giacca prima di uscire, dato che il tempo in quel periodo sembrava essersi irrimediabilmente guastato.
Louise, in una maniera alquanto melodrammatica, aveva affermato che il cielo piangeva. Poteva mai il cielo piangere?  Gli lasciai un bacio sulla fronte, com’ero ormai solita fare e mi voltai per andar via. Tuttavia, l’immagine di una donna sulla cinquantina, con sguardo furente, accompagnata da un uomo di cinquantuno anni mi si parò di fronte.
Arretrai di un passo, incapace di proferire parola.
Non era possibile.
Non ci credevo.
<< Si torna a casa. >>
 
<< Vattene! >> urlai << Lasciami! >>
Si chiusero la porta alle spalle per evitare che qualcuno mi sentisse, e si rivolsero nuovamente a me, arrabbiata. Ma come si erano permessi di interferire in quel modo con la mia vita? Erano diciannove fottuti anni che non lo facevano!
<< Verrai con noi, con le buone o… >>
<< Altrimenti che mi fate, eh? Mi rovinate più di quanto non abbiate già fatto negli ultimi anni? No, grazie, sto bene così >> dichiarai, incrociando le braccia al petto.
<< Ti rendi conto che per lasciarti sola qualche giorno hai fatto finire in ospedale il figlio di Anne e tu hai quasi perso ogni possibilità di sposarti? >> non potei credere a quello che mi aveva appena detto mia madre, e nonostante tutto, mio padre l’appoggiava incondizionatamente.
Due menti malate come quelle non meritavano di avere figli.
<< Harry ha rischiato di morire per difendermi da una tentata violenza! >> ribadii, cercando di calmarmi. << E voi pensate al matrimonio? >>
<< Ora basta, devi tornare ad Holmes Chapel. >> Fece per avvicinarsi ancora, ma il mio ulteriore passo in direzione del monitor di rilevamento del battito la frenò.
Temeva forse che avrei potuto combinare altri danni?
<< Devo stare con Harry. Voi andate via. >>
Mi voltai, cercando di non badare alla loro presenza, ma improvvisamente sentii mancare il pavimento da sotto i piedi. Cosa diamine stavano facendo?!
<< Mettimi giù! >> gridai, dimenandomi come un’ossessa.
Mio padre mi fermò solo quando incontrò un ostacolo davanti alla porta, più precisamente un medico.
Mi fece scivolare dalla sua spalla, sotto lo sguardo ammonitore del dottore, per nulla d’accordo con quello che stavamo facendo in quella camera. Fulminai i miei con lo sguardo, ordinando loro di andar fuori o li avrei denunciati. In qualche modo.

Telefono azzurro, o che ne so, il commissario di quella mattina. Sembrava abbastanza freddo e frustrato.

Era terrorismo psicologico, il loro, e nulla mi avrebbe fermata.
<< Mi scusi, dottore, non era mia intenzione farle sentire la mia voce in quel modo >> mormorai, grattandomi nervosamente il capo.
Lui mi fissò scettico, prima di guardare in direzione di Harry.
<< Veramente ho sentito solo l’allarme. >>
Inarcai un sopracciglio, chiedendomi a che cosa si stesse riferendo di preciso, poi con un cenno indicò una lampadina rossa che lampeggiava a intermittenza sulle nostre teste. Ci fissammo un istante, prima di voltarci contemporaneamente verso il letto.
Il medico fu il primo ad avvicinarsi, mentre io cercavo di capirci qualcosa.
Harry teneva tra le dita un telecomando, ma io ero certa di non averglielo dato prima di prepararmi per andare via. E poi… essendo in stato di incoscienza, non avrebbe potuto premere quel bottone.
Quindi, questo significava che..
<< Cazzo! >> urlai, in preda all’entusiasmo.
Il dottor. Johnson mi trucidò con lo sguardo, ammonendomi per farmi stare al mio posto. Ma non ci riuscivo, stavo fremendo.
<< Harry? Harry, mi senti? >> iniziò a dire, guardandolo intensamente.
Feci lo stesso, congiungendo le mani in segno di preghiera.
Un mugolio.

Un minuscolo, significante, meraviglioso mugolio.

E poi la rividi, quella tempesta verde. I suoi occhi vagarono confusi nella stanza, fino ad incontrare i miei.
Stavo piangendo, ancora. Ma stavolta era gioia, allo stato puro.
Il medico si allontanò in fretta, sparendo nel corridoio, quasi di corsa. Io ne approfittai per avvicinarmi, ma lo vidi di nuovo con gli occhi serrati. Che fosse stata solo immaginazione?
Tentai un ultimo approccio, di quelli a cui non avrebbe resistito.
<< Sei uno stronzo. >>
Nulla. Ancora palpebre abbassate. Sospirai, nuovamente affranta per quel falso allarme, poi sollevai lo sguardo verso il suo volto, quasi innervosita da quelle lacrime che era riuscito a cavarmi.
Sapevo di essere egoista, ma, diamine, volevo vederlo ancora!
Apri gli occhi, ti prego…
Passarono i secondi. Sentivo da lontano dei passi avvicinarsi.
<< Harry, vaffanculo >> borbottai, voltandomi per andarmene.
<< Ci andrei, ma ci vai spesso tu. Mi toccherebbe condividere con te anche quel posto. >>

Ora gli spacco la faccia.

No, un momento.

Con uno scatto feci dietrofront .
Era tornato.
 
 



TADAAAAAAAAA
E’ vivo, girls. Visto? Non lo avrei mica fatto morire! E poi sono in preparazione delle scene… mlmlml.
Okay, vi ho già spifferato troppo. Ditemi, siete felici? La resurrezione di Styles ci voleva, no? Ahahah
Ora non odiatemi più. So che in fondo ai vostri cuoricini mi detestavate per avervi tenute sulle spine, soprattutto col mio “non vado sempre per i lieto fine”. Sono una bitch.
Okay, basta sparare stronzate senza fondamento, e passiamo alla storia.
Ho deciso di far tornare un po’ il pepe che aveva caratterizzato i capitoli precedenti, e l’ho trovato perfetto come antidoto al coma di Harry. Per Abbey era in quello stato e per Abbey ci è uscito. Che dolciosità (?)
Filo a scrivere il prossimo capitolo, babes!
Ricordate i commenti brevi, i messaggi li leggo sempre tardi!
  

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13.













Lasciai andare la testa contro il muro, ancora scioccata. Erano arrivati tutti, ogni parente, amico, anche sconosciuto era in quella stanza. Tutti tranne me, che, da ormai due ore, me ne stavo seduta sul davanzale della finestra del corridoio della sala d’aspetto, con lo sguardo perso nel vuoto, nel grigiore del cielo di Londra.
In realtà, non ce l’avevo fatta. Quando lui aveva risposto alla mia provocazione, quando aveva riaperto quegli occhi mi era crollato il mondo addosso. Dalla gioia? Forse.
La verità era che non mi aspettavo che un sentimento di tale portata mi spingesse a piangere tanto per una persona. Io, che non sapevo cosa fossero le lacrime, ne avevo versate a bizzeffe. Forse anche troppe.
Mi faceva paura, non ero pronta a pensare a cosa potesse spingermi a voler sentire così tanto, ed Harry era riuscito a smuovere qualcosa. Avevo sentito un formicolio indistinto allo stomaco mentre gli stringevo la mano, mentre gli sussurravo che andava tutto bene e che ogni cosa si sarebbe rimessa a posto. Il suo silenzio, il suo sguardo mi avevano destabilizzata non poco.
Non lo avevo mai visto così vulnerabile.
E io… Sentivo una voglia malsana di salvarlo.
 
<< Ehi… >> Voltai il capo in direzione della voce della mia migliore amica.
<< Come va? >> chiesi, mettendomi in piedi, di fronte a lei.
Annuì semplicemente, comunicandomi che stavano andando tutti via. Anche Anne, ormai più tranquilla, aveva ceduto alle preghiere del figlio di lasciarlo solo, quella notte. Con la coda dell’occhio vidi la famiglia di Harry allontanarsi, stavolta con un enorme sorriso stampato sul volto, che non potei fare a meno di condividere. Era finito, era tutto finito, finalmente.
Tirai un sospiro di sollievo, ma c’era ancora la preoccupazione sui pensieri di poco prima a farla da padrona. Elena dovette notare il mio turbamento, ma non lo diede a vedere. Mi consigliò semplicemente di andarlo a salutare prima di andare via e tornare al campus.
Non sapevo se fosse una buona idea o meno, ma non potevo confermare in quel modo i dubbi miei e quelli della mia amica, sicché mi avviai lungo il corridoio, fermandomi in prossimità della porta. Feci per entrare, ma le voci provenienti dall’interno mi incuriosirono. Era sbagliato origliare, ma avevo sentito il mio nome. In quel caso, pensai, era lecito.
<< Non lo so, Liam >> affermò Harry. Liam era ancora lì? << Quando arrivano? >>
<< Domani, amico >> rispose l’altro. Probabilmente si riferiva ai suoi amici. Li avevo visti un paio di volte durante quella settimana, ma sempre per poco perché erano dovuti tornare a casa, dato che Harry sembrava stazionario.
Evidentemente avevano saputo del risveglio.
<< Forse dovresti parlarle, >> mormorò Honey << per capire un po’ di cose. Non escludo che sia strano, soprattutto per Abbey. >>
<< E’ stata qui tutti i giorni. >> Sbarrai gli occhi a quella dichiarazione, iniziando a tremare contro la mia volontà. Mi ero sbagliata.
Mi ero sbagliata su tutta la linea.
Lui aveva sentito tutto, e io ero stata una totale idiota a pensare che potevo parlare a ruota libera, sfogando tutto quello che mi ero tenuta dentro in quegli anni.
<< Ti dispiace? >> Eccola, la domanda da un milione di dollari.
Ce l’avrei fatta a sentire la risposta?
<< Non è servito a molto, a dirla tutta. >>
Una morsa allo stomaco fu tutto quello che avvertii. Mi sentivo umiliata, sconfitta, perché dopo tutto quello che avevo sopportato e fatto sentirmi dire quelle cose non era proprio nei miei piani.
Cosa mi aspettavo, invece?
Avrei dovuto solo ringraziarlo tutta la vita per quello che aveva fatto per me, e non sarei certo venuta meno a quel dovere morale, ma.. Iniziavo a diventare egoista. Ma non mi meritavo certe parole. Anche se la mia presenza non era servita a riportarlo tra noi.
<< Abbey, che stai facendo lì ferma? >> Il tono di voce di Elena era di un’ottava di troppo, ma fu tardi quando le mimai di abbassarlo, perché sentii dei passi farsi più vicini alla porta. Arretrai, correndo dalla parte opposta del corridoio, mentre sentivo la mia amica chiamarmi.
Iniziai a camminare mentre anche Liam urlava a gran voce il mio nome, ma non mi fermai. Dovevo andarmene da lì, lontana da Styles e da tutto quello che lo riguardava.
Non aveva più bisogno di me.

O forse non ne ha mai avuto.
 
Quel giorno seguii le lezioni controvoglia, dato che quel mattino mi ero alzata con ben poca forza in corpo, dopo una notte insonne, passata a rimuginare su quello che avevo sentito e sul comportamento sbagliato che avevo adottato di fronte ai miei amici. Ma cos’altro avrei potuto fare? Mi ero sentita soffocare, non avrei potuto rimanere in quella camera un minuto di più senza sentire il bisogno impellente di fuggire altrove, di respirare.
Sbuffai per l’ennesima volta, portandomi la testa tra le braccia. Mancavano dieci minuti alla fine della lezione di letteratura francese, poi avrei potuto raggiungere Elena. Il che non era una buona cosa, dato che non aspettava altro che il momento giusto per farmi domande su quanto accaduto il giorno precedente in quel corridoio.
Segnai l’ultimo rigo di appunti, dettati rigorosamente dall’insegnante – in caso contrario non ne avrei presi, persa com’ero nel mondo dell’iperuranio – e non appena il bidello spalancò la porta per segnare la fine delle lezioni, mia alzai frettolosamente e, evitando anche Josh e Louise, varcai la soglia della classe, dirigendomi in corridoio. Anziché far rotta verso l’albero sotto il quale eravamo soliti pranzare, svoltai a destra, ritrovandomi in un ampio spiazzato. Lo attraversai ed entrai nel dormitorio femminile, aprendo poi con uno scatto la porta della mia stanza, entrandovici.
Dovevo e volevo rimanere sola per il resto di quel corso, fino al mio ritorno ad Holmes Chapel.
Gettai la borsa a terra, sul lato destro del letto e mi ci lasciai cadere sopra, chiudendo gli occhi.
Mi sarei rilassata tantissimo, se solo qualcuno non avesse avuto la grande idea di venire a bussare alla mia porta proprio in quel momento.
<< Non ci sono! >> gridai, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Il bussare si fece ancora più insistente, tanto che mi sembrò di perdere la pazienza. Mi alzai, innervosita, e spalancai la porta, trovandomi davanti gli occhi scuri di Liam.
<< Honey >> feci, guardandolo  << che ci fai qui? Non dovresti essere con gli altri? >>
<< Stanno parlando un po’ con Harry, li ho lasciati lì e neanche si sono resi conto della mia assenza >> rispose, entrando. Chiusi la porta alle nostre spalle e tornai a guardarlo, mentre nervosamente si grattava il capo.
Era un vizio che avevamo in comune, io e lui.
 << Se ti chiedessi di parlarmi, lo faresti? >> domandò, senza distogliere per un solo istante il suo sguardo dal mio.
Non potei fare a meno di annuire, andandomi a sedere sul bordo del letto, raggiunta subito da lui. Allargò la sua mano dinanzi alla mia, facendomi segno di unirle. Quando lo feci, la strinse forte, sorridendo.
<< Ci conosciamo da tanto tempo, e mai ti ho vista compiere un gesto tanto dolce >> ridacchiò, indicando le nostre dita intrecciate.
<< Non farmene pentire, Payne >> borbottai, trattenendo a stento una risatina.
<< Come potrei, Abbey? Tu sei la persona più coccolosa, dolce, simpatica, amorevole e zuccherosa di questo mondo! >> ironizzò, facendo un gesto plateale con le braccia. Lo spintonai lievemente, assottigliando lo sguardo per intimargli di smetterla.
<< Mi hai fatto salire il diabete solo parlando, Honey >> replicai, scuotendo il capo.
<< E’ il mio compito, Lime >> rispose fieramente, altezzoso. << A proposito di compiti… >>
Chinai il capo, capendo finalmente che era giunto il momento. Certo, era difficile deviare i pensieri di Liam, l’essere più attento e acuto di tutta la faccia della Terra, ma questo non voleva dire che non ci avevo sperato almeno un po’.
<< Io e te abbiamo parlato tanto >> iniziò, fissando un punto impreciso di fronte a sé mentre giocherellava con le nocche della mia mano << eppure mi sembra di capire che hai sempre detestato Harry e tutto quello che lo rappresentasse. >>
Annuii, decisa. Fin lì c’eravamo.
<< Dimmi solo una cosa, Liam. Toglimi solo questa piccola curiosità... >> Lo vidi assentire, mentre tornava con lo sguardo su di me.
Quegli occhi infondevano una fiducia inaudita, ci credevo che Elena fosse innamorata cotta di lui da anni, ormai. E a causa di tutta quella situazione ancora non avevano chiarito, e avevo visto la mia amica comportarsi con freddezza nei suoi confronti.
Si sentiva vulnerabile, era comprensibile per una come lei che era abituata a tenere tutto in pugno. Almeno una volta stava sperimentando il mondo del dubbio.
<< Ha sentito tutto? >>
Trattenne il respiro per un istante, prima di rilasciarlo e fare su e giù con la testa.
Bene, ora potevo tranquillamente scavarmi una fossa e seppellirmici dentro. Oppure tornare ad odiarlo come prima e far finta che non fosse successo nulla.

Magari puoi fingere un’amnesia, o che so, perdita di memoria a breve termine. Inventa!

Zittii la vocina nella mia testa che in quel momento stava sparando solo cazzate e mi concentrai su quel che mi veniva tra le mani.
Bene, Harry aveva sentito tutto, benché io fossi convinta che in realtà in coma le persone non sentissero niente, non provassero niente, eccetera. Avrei dovuto credere alle centinai di racconti che avevo udito su quella questione, quando il nostro professore di religione si ostinava a parlare di eutanasia e cose simili. Ma era inquietante, ed angosciante, soprattutto.
<< Secondo me dovreste parlare >> proferì alla fine, serio.
Io, da canto mio, scoppiai in una fragorosa risata che lo scioccò non poco.
<< Smettila di guardare “Quattro amiche e un paio di jeans”, Honey. Ti fa male! >>
<< Cos’ha di male quel film?! E’ interessante analizzare come il grado di troiaggine di Blake Lively cresca col passare degli anni. >>
<< Mi stai dicendo che hai visto Gossip Girl? >> Inarcai un sopracciglio, esterrefatta.
<< No, lo vede Ruth. Ma non è questo il problema! E poi mi riferivo a “Lanterna verde” >> disse, sembrando deciso nelle sue affermazioni.
Questa conversazione stava rasentando l’assurdo, non potevo crederci. Eravamo passati a parlare di Lively quando prima discutevamo della mia figura di me…

Calma.

<< Okay, senti, va’ da lui e chiedigli direttamente come stanno le cose. Però confessami una cosa, Ab. >>
La mia attenzione fu catturata nuovamente da lui, mentre le immagini di Ryan Reynolds in tutina aderente verde sfumavano nella mia mente.
 Peccato, era una bella visione.
<< Elena era preoccupata per te e non ce l’ha fatta a non dirmi che quando ti ha incontrata fuori le sembravi persa. Quando ti ha fatto il nome di Harry sembravi in iperventilazione. Sono parole sue! >>
L’amarezza del mio sguardo assassino non doveva essergli stata indifferente, perché in quel momento stavo progettando mille modi più uno per uccidere la mia migliore amica. La discrezione, dicevo!
Avrei preferito sentirmi dire di essere un orrida racchia senza possibilità di redenzione, invece eccomi lì, a cercare di evitare il discorso dei discorsi. Cosa che Payne fece palesemente finta di non notare. Bastardo.
<< Okay, non dirle che ho dato tutta la colpa a lei per quelle cose che ti ho detto, e passiamo ad altro >> iniziai a tremare contro la mia volontà, temendo la domanda che non tardò ad arrivare. << Cosa provi per Harry, ora? >>

Ora.
Ora.
Già, cosa provi per Harry, ora?

Niente, assolutamente niente. Non era cambiata un’emerita cippa da quando ero uscita da quell’ospedale, ed era vero. Verissimo!
Anche se avevo ammesso che mi mancava, che il bacio che gli avevo dato era stato il migliore di tutta la mia vita, anche se gli avevo tenuto la mano gran parte del tempo, se gli avevo raccontato con un sorriso sulle labbra tutte le mie giornate sentendomi subito meglio. Anche se avevo quasi ammesso di aver iniziato a provare qualcosa per lui dal momento in cui avevo preso a ricordare tutto quello che avevamo passato e fatto insieme.
Mi era indifferente.
Indifferente quanto il surriscaldamento globale.
Quando i diritti delle donne.
Quanto i libri che tenevo in camera.
Quanto la busta che tenevo pronta per essere spedita ad Oxford non appena fosse terminato quel corso.

Dannazione.

Il problema era che mi sentivo attratta dall’Harry sbagliato, da quello che tacitamente mi aveva ascoltata perché costretto al silenzio. In caso contrario, ero certa non mi avrebbe neanche dato il tempo di sedermi; quello che aveva risposto alla mia provocazione ma solo per mostrarmi di non aver paura dei miei scatti istintivi.

E io cosa avevo fatto?
Gli avevo confessato tutto.  Spinta dalla rabbia nei confronti di me stessa e dall’angoscia, lo avevo fatto.
<< Non cambierà niente, Liam >> ammisi infine, stringendo forte la sua mano. Sapeva che lo avrei fatto, ecco perché prima mi aveva chiesto di tenergliela.
<< Forse sì, forse no. Avete un paio di bocche, non usatele solo per esplorarvi le tonsille. >>
Sgranai gli occhi, facendolo ridere.
Gli aveva detto anche quello!
Dovevo parlare subito con Elena. E viva la freddezza!
<< Non c’è niente di male, Abbey >> disse, ritornando serio. << Ora andiamo, così ti presento gli altri. >>
<< Ow, quella banda di scapestrati senza cervello? >> Feci una smorfia di dissenso, arretrando leggermente mentre lui mi tirava verso la porta.
<< Non erano galletti senza cresta? >>
<< Non più. Quel pakistano la cresta ce l’ha, e pure illuminata >> affermai, ripensando al ragazzo. Era molto bello, dopotutto. Ispirava sesso.
Violento.
Passionale.

Okay, basta.

<< E poi anche l’irlandese. Lui però era un pulcino. E poi l’altro… Quell’idiota… Quello che spara cazzata una dietro l’altra… >>
<< Louis? >>
<< Sì, esatto! >>
Anche se aveva degli occhi da paura.
Certo, non come quelli di Harry… Ma..
No, davvero li stavo paragonando? Ero messa davvero male, allora. Insomma, anche il solo pensare a lui non più come il bambino che mi tirava i capelli mentre io gli versavo un frullato in testa, era strano. Era strano pensare ad Harry come ad una persona dalla quale avrei anche potuto sentirmi attratta.
Era stato tutto così improvviso, irreale, che quasi non ci credevo. Eppure momenti meravigliosi tra di noi ce n’erano stati, quasi a volermi indicare la strada da intraprendere.
Ma mentre camminavo in quel corridoio, con Liam, mille pensieri mi invasero la mente.
Harry non avrebbe mai saputo niente, non avrebbe neanche dovuto immaginare che io potessi provare qualcosa per lui. Era male, mi sarebbe passata, come ogni cosa.
Se avessi creduto che i sentimenti passassero, ovviamente.
Li detestavo perché da quel momento in poi ogni cosa mi avrebbe colpita con una capacità d’impatto potente il triplo. E con quel ragazzo, essere deboli, era un suicidio.
Se avevo potuto stargli accanto tutto quel tempo, era perché avevo avuto la forza e gli strumenti giusti per affrontarlo, tra parole da scaricatrice di porto e quant’altro, ma come l’avrei messa ora?
Essere attratti da Styles era un bel casino.
Mentre giungevamo in ospedale, avevo completamente perso il sorriso, c’era solo un pensiero che continuava a martellare: cosa dovevo fare?
Magari mi sarei limitata semplicemente a conoscere i suoi amici, dato che anche Liam ci teneva tanto. Difatti, varcata la soglia della corsia, presi un profondo respiro e afferrai la mano del mio amico.
Insieme entrammo nella stanza di Harry, e subito mi sembrò di aver interrotto una conversazione particolarmente animata. Zittirono tutti, sentivo gli sguardi insistenti di quattro ragazzi addosso, compreso quello della mia amica.
Più che altro, guardavano le nostre mani intrecciate.
Mi affrettai a sciogliere l’intreccio, ma non ebbi bisogno di rivolgere un’occhiata ad Elena, era abituata. Mi sorrise flebilmente, invitandomi ad avvicinarmi, mentre Liam chiudeva la porta alle sue spalle.
Il silenzio regnava sovrano, mentre il moro dalla pelle più scura guardava in direzione prima mia poi di Harry.
Lo stesso faceva lo Spara-Stronzate, che non smetteva un attimo di far saettare gli occhi sulla mia persona.
Okay, ora basta.
<< Sentite un po’, il biglietto va pagato. E pure bello caro se non la smettete di guardarmi come se voleste analizzarmi anche il buco del cu… >>
<< Va bene, Abbey! >> mi interruppe la mia amica, tappandomi la bocca con una mano.
Udii qualcuno trattenere una risatina, e subito il mio sguardo fulminò il biondino accanto ad Harry, che ovviamente lo assecondava.
Quando Elena fu sicura che non avrei sproloquiato come una scaricatrice di porto, mi liberò dalla sua stretta, permettendomi anche di respirare.
<< Ragazzi, lei è Abbey >> iniziò Liam, indicandomi uno ad uno tutti i presenti.
<< Louis >> disse quello con gli occhi azzurri e la maglia vomitata dall’arcobaleno.
<< Niall >> il biondino alzò la mano in segno di saluto, sfoderando un sorriso perfetto.

Sembra quasi dolce.

Gli rivolsi un sorriso, ricambiando il gesto.
<< Zayn >> il moro, invece, fece un cenno col capo.
Be’, era sexy anche nella sua tenebrosità. Anzi, quel fattore accresceva il tutto – non che ve ne fosse bisogno.
Forse qualcuno si rese conto che lo stavo fissando con la bava alla bocca mentre tutta la serie di ’Cinquanta Sfumature’ mi passava per la mente e tossicchiò.
Quel qualcuno era Harry.
E ti pareva che doveva infastidirmi proprio sul più bello, mentre il ragazzo si passava una lingua sulle labbra.

Questo ragazzo è sesso.

Scossi il capo, rivolgendomi all’ex moribondo. Quando incontrai i suoi occhi, tuttavia, non riuscii a spiccicare una sola parola.
<< Ragazzi, che ne dite di andare a prendere un caffè? >> chiese Liam, battendo le mani.
<< Qui te lo servono col cucchiaino, Payne >> affermò Louis, dandogli una pacca sulla spalla.
<< ‘Fanculo >> borbottò quello, fulminandolo.
Detto questo, uscirono dalla stanza, mentre io ancora ridevo come una forsennata. Liam e la sua fobia dei cucchiai. Ogni qualvolta pranzassimo insieme, evitavamo accuratamente dessert che non fossero gelati su cono o ciambelle.
Era sempre stato strano, quel ragazzo. Simpatico, gentile, un buon amico, ma strano.
Quando riuscii a non farmi venire le lacrime agli occhi, mi resi conto di quel che non avrei mai dovuto notare.
Ero rimasta sola con Harry.
 







EEEEEEEEEEHIIIIIIIIIIIIIIII!
Mio Dio, questo saluto è psichedelico @.@
Bando alle ciance, e passiamo alle cose serie.
Gente, mi state facendo IMPAZZIRE. La storia è tra i preferiti di un botto di persone! Mi sento così spronata a continuare t.t
Questo capitolo l’ho scritto con un sorriso sulle labbra, poi il rapporto con gli altri ragazzi lo approfondirò a seguire… Mi fanno ridere, non c’è niente da dire.
Sempre restando sulle caratteristiche del chap., è “cerniera”, mi serve per il prossimo che…
FUOCO E FIAMME.
Okay, sappiate solo che è tentatore. Sono arrossita un botto scrivendolo ahahahah
 A proposito, mi è stato chiesto di mettere una foto di Abbey.. Se volete, la posto, altrimenti per chi desiderasse vederla mando il link insieme allo spoiler.
Fatemi sapere!
Ricordate le recensioni brevi, l’ultima volta ce l’ho fatta a mandare lo spoiler solo perché tra alcune recensioni cancellate ho letto “commento breve…” Di solito tra i messaggi ci vado dopo aver inviato gli spoiler privatamente, quindi poco prima della pubblicazione del capitolo…
VI AMO.

P. S E' stata questa ad ispirarmi. Much love <3

 

Hazza Seggghisi

A.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. ***


Capitolo 14.










Okay, cos’era che si faceva in queste situazioni? Ah, sì, dissimulazione.
Non avrei dovuto scadere nella banalità, ovviamente, tantomeno nell’assurdità ponendo che si trattava pur sempre di Harry, il mio ‘eroe’, il mio arcinemico, la mia nemesi per antonomasia.
Pertanto, restare con le gambe penzoloni sul bracciolo della poltrona di pelle consunta di quel reparto, a fissare il muro bianco contro il quale era appeso un quadro che esprimeva ben poco gusto da parte del sadico arredatore di una stanza d’ospedale, mi parve l’idea migliore.
Ovviamente, qualora avessi ricominciato a pensare, più tardi, a quella situazione, mi sarebbero venute in mente migliaia di risposte e/o azioni alternative, e molto più efficaci di quella, ma per ora mi accontentavo.
<< Quel quadro è orribile >> e chiaramente Harry si era reso conto di tutto. << Lo stai fissando per evitare un discorso. Ora, la domanda è: quale discorso?>>
Perché doveva conoscermi così bene?
<< Nessuno >> mi affrettai a rispondere, cercando di restare calma e respirare normalmente, come se ci fossero i due vecchi Harold e Abigail.
Cioè, forse sarei potuta partire col ringraziarlo di tutto. Ma mi aveva sentita mentre lo facevo durante il suo coma, che senso aveva?
Lui non sapeva che io sapessi, giusto.
<< Okay >> borbottai, evitando di guardarlo. << Grazie. >>
Ci fu un attimo di silenzio misto ad esitazione che mi confuse non poco.
<< Per cosa? >>
La sua non era una forma di cortesia, era una domanda vera e propria. Provò a portarsi le mani sul grembo, ma una smorfia di dolore lo frenò. Fui sul punto di alzarmi per aiutarlo a mettersi meglio, ma qualcosa mi disse che se solo ci avessi provato mi avrebbe urlato contro.
Per quanto potesse essersi appena svegliato, rimaneva il ragazzo orgoglioso e testardo di una volta.
<< Per avermi... >> non riuscivo a trovare il termine esatto, poi venne da sé << salvata. >>
<< Non ti ho salvata >> affermò, atono. Inarcai un sopracciglio, pensando che un attacco di modestia del genere non era proprio da lui. <>
<< Va bene >> ammisi, alzandomi. Mi dava più forza rimanere in piedi. << Ciò non toglie che eri lì. >>
<< Josh non poteva raggiungerti, aveva la caviglia fratturata. >>
Stava cercando delle scuse, ancora una volta.
 Non capivo perché si ostinasse a trovare sotterfugi così banali, pur sapendo che non ero così stupida.
<< Non era la prima volta, Harry. E... So che lo sai >> sussurrai, appoggiandomi alla parete.
Sollevai lo sguardo per cercare il suo, ma ciò che vidi mi attanagliò lo stomaco: stava cercando di alzarsi. Gli corsi incontro, per aiutarlo, ma lui con un gesto della mano mi comunicò che ce l’avrebbe fatta.
Attesi qualche istante, protendendo di tanto in tanto le mani in avanti, ma lui alla fine riuscì a mettersi in piedi e muovere qualche passo. La terapia portata avanti durante la sua incoscienza era servita a qualcosa, a quanto pareva.
Camminava perfettamente, sebbene di tanto in tanto si piegasse per qualche fitta di dolore. Aveva indossato una tuta e una maglia bianca, non c’era traccia del camice che odiava.
Si scosse leggermente i capelli, facendomi sussultare. Era una vita che non glielo vedevo fare.
<< Come fai a… >>
<< Saperlo? >> continuai, ridacchiando per quel gioco di parole. << Ero lì fuori mentre ne parlavi con Liam. Non farmi la morale, ora, sai che non ti darei ragione. Avevo il diritto di sapere perché avessi fatto il mio nome. >>
<< Cos’hai sentito? >>
Ripensai bene a quella conversazione, prima di riportargli quasi parola per parole tutto quello che le mie orecchie avevano udito.
<< E’ imbarazzante, a dire il vero >> commentai infine, mentre lui si avvicinava.
<< Non era mia intenzione sentire quelle cose >> affermò, guardandosi i piedi.
Styles si stava davvero scusando con me? No, forse avrei dovuto sturarmi le orecchie, non era possibile che un evento del genere stesse accadendo.
<< Non potevi evitarlo, io sì. Dovrei imparare a stare zitta >> ammisi.
<< Be’, non potevi immaginare che… >>
<< Già. >>
Quella conversazione stava morendo, e noi non avevamo chiarito nulla se non il fatto di essere due impiccioni: chi volontariamente, chi no. Ovviamente, io ero nel torto in entrambi i casi.
Dato che sembrava non ci fosse più nulla da dire, presi le mie cose e mi voltai un’ultima volta verso di lui.
<< Ti devo la vita, Styles >> confessai, tenendo la mano ferma sulla maniglia della porta. << Solo che davvero non so cos’altro fare, dato che starti accanto tutti i giorni ‘non è servito a molto’. >>
Riprendere le sue parole fece uno strano effetto prima a me. Non volevo scappare. La mia era una specie di fuga di fronte al silenzio. Solo lo sguardo stupito di Harry mi fece lievemente barcollare, ma quando spalancai la porta c’era abbastanza sicurezza nei miei gesti.
Sarei uscita fieramente se solo qualcuno non avesse, con una forza che non credevo potesse ancora possedere, chiuso la bussola. Sobbalzai, voltandomi di scatto completamente in preda al panico, mentre incrociavo la tempesta verde di Harry.
Perché sembrava così diverso?
Avrei dovuto porre a lui quella domanda, invece tutto era nato e morto nella mia mente, mentre le sue braccia imprigionavano il mio corpo, costretto tra il suo e la superficie di legno bianco, sul suo volto una smorfia di dolore che quasi non sopportavo.
Si stava facendo del male per tenermi lì... mentre io avrei solo voluto gridargli che gli sarebbe bastato un “resta” e non l’avrei più lasciato.
<< Stai giocando sporco, Lewis >> ghignò, facendo scorrere il suo sguardo sul mio corpo.
Fu di quanto più eccitante avessi mai provato, quasi più delle sue mani che ora mi avevano saldamente afferrato i fianchi.

No, okay, non esageriamo.

Deglutii, facendolo sogghignare.
<< Perché? >> ebbi la forza di chiedere, con un filo di voce.
<< Non dovresti rinfacciarmi le cose che ho detto per farmi sentire in colpa. >>
Nel suo tono non c’era critica o rabbia.
Mi stava provocando.
Ed io ero eccitata all’idea di rispondere a tale provocazione.
<< Stavo solo cercando di capire >> mormorai, guardandogli le labbra.
Quelle rosee e carnose che avevo avuto già la possibilità di assaggiare, seppur per vendetta.
Lui mi colse in fallo e sorrise, ammiccando. Si era accorto dell’effetto che stava avendo su di me, quel bastardo.
<< “Anche quando ti ho baciato lo hai fatto. E sai qual è la cosa più buffa? Che mi è piaciuto!” >>
Sgranai gli occhi, riconoscendo la confessione fattagli la prima notte in cui ero entrata furtivamente in camera sua per vederlo.
Stava giocando la mia stessa carta, e ne era ben conscio. Solo che il mio gesto non prevedeva nulla di teatrale, mentre la sua fronte che delicatamente sfiorava la mia sì.
Era tutto un modo per testare quanto sarei stata stupida e se sarei ricaduta nella trappola delle sue labbra: la tentazione c’era, ma mi trattenni.
Sentii chiaramente la sua risata, dato che mi soffiò sul volto, facendomi indietreggiare. Ora ero definitivamente in trappola.
<< Ti rendi conto che è assurdo? >> chiese, tornando serio, ma senza spostarsi di un solo millimetro.
<< Cosa? >> riuscii a chiedere, con voce incrinata. Con un dito mi scostò delicatamente una ciocca di capelli dal volto, senza portarla dietro l’orecchio.
Sapeva bene quanto lo detestassi.
<< Il fatto che tu ti senta attratta da me >> rispose, continuando a provocare.
Bene, a questo punto cercai quella forza che mi mancava per poter rispondere. Era diventato tutto così reale quando quelle parole erano uscite dalla sua, di bocca. Non potevo affatto negare o nascondere l’effetto che quella vicinanza stava avendo su di me, sicché cercai di giocarmela a mio favore.
Feci scivolare le dita lungo il suo addome, facendolo fremere quando arrivai in prossimità della cicatrice. Se avessi iniziato a pensare a quella notte sarebbe finita, quindi continuai il mio viaggio fino alla sua clavicola. L’accarezzai per tutta la sua lunghezza fino a giungere al collo. Deglutì, lasciando andare il capo contro il palmo della mia mano. Ne approfittai per infilare le dita nei suoi capelli, che strinsi leggermente.
Non sopportava che glielo si facesse, ma in quel momento non disse nulla. Anzi, mugolò d’approvazione.
Avvicinai il volto all’incavo del suo collo, assaporando quel buon profumo che non era scomparso neanche dopo una settimana in cui non lo usava. O forse ero io ad esserne completamente assuefatta da sentirglielo ancora addosso.
Quando gli lasciai un casto bacio sull’incavo con la spalla, strinse la presa sui miei fianchi, costringendo il mio bacino a premere contro il suo. Sussultai a quel tocco, cercando di mantenere la calma, ma fu tutto inutile. Non riuscii a far nulla neanche quando lui, cogliendomi del tutto impreparata, mi costrinse ad aprire le gambe per avvicinarsi di più. Si impadronì del mio collo, lasciando una scia di baci roventi lungo tutta la pelle. Lo sentivo succhiare forte, ma non fui in grado di impedirgli di lasciarmi un segno, perché subito dopo m’impossessai delle sue labbra.
Mordicchiò il mio labbro inferiore con troppa veemenza, ma non badai al dolore; la sua lingua subito cercò la mia, e quasi non ebbi un infarto.
Era anche meglio di come lo ricordassi, di come lo avessi immaginato.
Mossi delicatamente una mano tra i suoi ricci prima di stringerli con forza per avvicinare le sue labbra alle mie, al fine di approfondire ancora di più quel bacio.
Sapeva di tutto ciò che eravamo stati in grado di darci in quegli anni.
Cercando di non far caso al laccio sciolto della converse, cercai un ulteriore contatto tra i nostri corpi, che lui fu ben felice di concedermi, salvo poi permettere alla sua mano di scorrere lungo il mio corpo. Afferrò un seno e lo strinse con forza, facendomi gemere più del dovuto. Il suono gutturale che uscì dalla sua gola fu il chiaro avvertimento che i miei movimenti non gli erano per niente indifferenti.
Malvolentieri mi staccai dalle sue labbra, mentre lui mi tirava verso di sé per poi sedersi sulla poltrona. Attenta a non fargli male, cavalcioni, continuai a baciarlo, stringendogli la maglietta in un pugno.
<< E’ assurdo? >> chiesi, tra un sospiro e l’altro, mentre le sue mani stringevano forte le mie cosce.
<< Definisci il concetto >> rispose, guardandomi.
Erano liquidi, i suoi occhi erano liquidi e languidi.
<< Vediamo… >> continuai, facendo cadere lo sguardo sul cavallo dei suoi pantaloni << è assurdo il fatto che tu sia completamente sveglio anche dopo tre giorni dal tuo risveglio. >>
Per fargli comprendere meglio il concetto sfregai il mio bacino contro il suo. Il suono di un ansimo anche troppo eccitante mi fece sogghignare.
<< E’ assurdo che proprio io ti faccia quest’effetto >> mormorai, mordicchiandogli le labbra e ricevendo un bacio molto più passionale come risposta.
<< E’ assurdo che… >>
<< Ho afferrato >> m’interruppe, ridacchiando.
Prima che potessi avventarmi nuovamente sulle sue labbra, sentii distintamente qualcuno alzare un po’ troppo la voce fuori la nostra porta. Mi staccai da Harry e cercai di sistemarmi alla ben’e meglio, mentre  lui si allontanava per tornarsene a letto.
Scossi i capelli con le dita, cercando di donar loro volume e non farli sembrare come appena usciti da una centrifuga e mi misi a sedere, poco prima che la porta si aprisse e mostrasse Liam ed Elena, lei quasi vittima di una crisi di pianto.
Aveva gli occhi arrossati e le guance del medesimo colore. Mi alzai e la raggiunsi di corsa, trascinandola ancora una volta fuori. Cercò di non guardarmi, ma mi ero resa conto delle condizioni in cui versava, pertanto la costrinsi a tenere lo sguardo fisso su di me e parlare.
<< Non ti ho detto proprio tutto riguardo a me e Liam >> sussurrò, chinando il capo.
Inarcai un sopracciglio, confusa.
<< Vuol dire che lui ti ha dato una risposta? E’ per questo che sei così alterata? >> domandai, cercando di addolcire il tono.
<< No, non mi ha ancora detto nulla, anche se date le circostanze, credo sia un “no” chiaro >> affermò, incrociando le braccia. << Quando sono andata a parlargli, l’ho baciato. >>
Sgranai gli occhi, cercando di non sembrarle troppo scossa. Non le serviva anche la mia predica, perché comunque, in ogni caso, non sarebbe arrivata. Aveva seguito l’istinto, una buona volta.
<< E... ? >>
<< Abbiamo fatto sesso, Abbey. >>
Andai a sbattere con la schiena contro il muro, deglutendo. C’erano tante cose che avrei voluto gridare, domandare, sapere, ma ero troppo scioccata. La mia migliore amica a letto con il mio migliore amico, e io non ne sapevo niente.
Come era potuto succedere tutto? Come era riuscita ad omettere una cosa simile durante le nostre chiacchierate?
Mi passai una mano sulla fronte, nel tentativo di recuperare un po’ di tranquillità.
<< State insieme? >>
<< Quando l’indomani mi sono risvegliata lui non c’era più >> disse, con voce incrinata.
Fu istintivo per me abbracciarla e stringerla forte, mentre con una mano le carezzavo il capo.
<< Era andato da Danielle, Ab. >> Rafforzai la presa, mentre la sentivo distintamente trattenere la rabbia e la delusione.
Da uno come Liam non me lo sarei mai aspettata. Credevo avesse lasciato Danielle da un pezzo, ormai, ma a quanto pareva una notte brava con la mia migliore amica gli era servita come lezione. Solo che la donna da cui tornare era quella sbagliata.
<< Perché urlavate? >> domandai, quando fui sicura che si fosse minimamente calmata.
Senza lasciarla andare, attesi una sua risposta.
<< Gli ho detto di lasciar perdere tutto, che non ne valeva la pena. E lui mi ha dato della “bambina”. A me. Capisci? >>
Annuii, guardando dentro dalla vetrata coperta da veneziane bianche, che, tuttavia, mi permettevano di capire dove fosse Liam ma non cosa stesse facendo.
Gli avrei spaccato la faccia e poi me la sarei mangiata a colazione con del latte.
Peccato che adorassi Honey e odiassi il latte.

Perché non può essere il contrario?!

<< Si risolverà tutto, Elena, non preoccuparti. Pensa che io ho appena avuto... >> Avrei voluto consolarla in qualche modo, ma non ero sicura quella fosse la scelta giusta.
Dirle di me ed Harry, quando un “noi” non c’era e non ero certa ci sarebbe stato.
Notai la sua confusione, così cercai una scusa che fosse credibile ed intelligente.
<<… Una discussione sulla pecora Dolly con Harry. >>

Bel colpo, Lewis.

Ma si poteva essere così dannatamente stupidi? No di certo, anche perché molto probabilmente gran parte dei miei neuroni si erano sacrificati per fornire
energia agli ormoni. Ed eravamo arrivati ad un semplice bacio.
Sarei diventata come Sandy se fossimo finiti a letto insieme?

Promemoria: non fare sesso con Harold Edward Styles. Sandy alarm.

<< Siete strani, voi due. Soprattutto tu. >>
Il suo sguardo indagatore mi stava perforando la testa. Così decisi di rivolgerle un semplice sorriso, per poi cercare di tornare dentro.
Tuttavia, prima che potessi aprire la porta, sentii qualcuno chiamare il mio nome. Quando mi voltai, incrociai un paio di occhi marroni e la cresta luminescente.
Zayn si avvicinò a piccoli passi a me, tenendo le mani nelle tasche e facendomi quasi cadere la mascella a terra per quanto potesse essere sexy in quel momento, mentre sembrava muoversi a rallentatore.
Elena nel frattempo aveva aperto la porta, entrando dentro. Sentivo gli occhi di tutti addosso, compreso quello di Zayn che non la smetteva di fissarmi.
Avevo qualcosa in faccia? Forse, per forza. Altrimenti non si sarebbe spiegato il fatto che stesse allungando una mano verso il mio volto. Quando pensai che sarebbe arrivato a sfiorarmi la guancia, con un dito scostò una ciocca di capelli portandomela dietro l’orecchio.
Qualcuno nella stanza tossicchiò, attirando l’attenzione. Quando ci voltammo, il biondino con gli occhi azzurri guardava Harry e poi me ad intervalli regolari.
<< Ti andrebbe di uscire? >>
Quella domanda giunse così inaspettata che mi strozzai con la mia stessa saliva. Sentii un tonfo forte, e quando girai il capo per assicurarmi che fosse tutto a posto vidi Elena a terra, mentre cercava di raccogliere i cocci di un bicchiere di vetro.
<< Allora? >> continuò il moro, sorridendomi.
<< Io... ehm... >> tentai, senza riuscire a dirgli di “no”.
Non che non fosse attraente, anzi. Mi sapeva tanto di tipo da una botta e via, e sebbene sapessi che quello fosse solo un alibi per evitare di dire a me stessa che la persona con cui avrei voluto uscire fosse un’altra, mi accontentai.
Tuttavia, fu proprio quella persona a parlare e a rovinare tutto.
Me compresa.
<< Portala allo Starbucks, e prendile uno di quei muffin. Funziona con tutte. >>

Con tutte.

<< Sbaglio, o ha chiesto a me di uscire? >> inveii, rivolgendomi ad Harry, che se ne stava appoggiato al bordo del letto.
<< Sbaglio, o mi sembra che tu ci stia mettendo un’eternità a decidere? >> ribatté, distogliendo lo sguardo.
<< Saranno fatti miei? >>
<< Ti sto dando solo una mano, Lewis, dato che sembra tu voglia saltargli addosso da un momento all’altro >> ghignò, con cattiveria. << Anche a lui. >>
<< Be’, grazie, Styles, ma so cavarmela da sola >> affermai, cercando di contenere la rabbia che in quel momento mi avrebbe solo spinta a riaprirgli la cicatrici per afferrargli lo stomaco così come lui stava facendo col mio, stringendolo in una morsa che faceva male. << Sai cosa, Zayn? Portami da Nando’s. >>
Basta, ne avevo abbastanza.
Tirai il ragazzo per un braccio e lo portai con me, lasciando tutti lì, compreso l’unico essere umano sulla faccia della Terra che aveva una capacità e una possibilità di ferirmi senza pari.
 






A's corner:
Vi avevo detto che sarebbe tornato il pepe.

Però pepe erotico, si può dire. C’è sempre una spiegazione all’odio di Styles, sebbene abbia ribadito come Abbey gli sia indifferente. CERTO.
Risulta chiaro che lei inizia a provare qualcosa, di malsano, sì, ma pur sempre un sentimento. Ecco spiegati i flashback nei capitoli precedenti. Gli Habbey scoppieranno? Può darsi, per ora vedremo molti fuochi d’artificio ;)
Grazie per i commenti, è sempre bello sapere che amate così tanto la mia storia. Mi ci sto mettendo d’impegno, anche se a volte tra scuola e tutto l’ispirazione manca!
Ora che anche Zayn è entrato in gioco.. Se ne vedranno delle belle.
Filo a scrivere e studiare inglese, che avrei un piccolo compitino domani.
Professori puttani rovina-vite-fanfiction.
Vostra, A.







A proposito, come promesso, eccovi...
                                                                                       
                                                                                                Abbey:


                                                                                                                        
.
.

.
Elena:
 


 

                                                                        









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Capitolo 16
*** Capitolo 15. ***



Capitolo 15.









Addentai una patatina cosparsa di salsa piccante e inghiottii velocemente, incurante del fatto che la mia bocca stesse ribollendo. Avevo già terminato la prima birra, ma quando feci per ordinarne un’altra, Zayn mi sfiorò il braccio, calandolo sul tavolo.
Lo fulminai con lo sguardo, cosa che lo fece arretrare alquanto spaventato. Furono i suoi occhi confusi a farmi ridestare e calmarmi.
Almeno in apparenza.
Già, perché dentro avrei voluto ancora sferrare un pugno su quel bel faccino di Styles, quello stesso volto che avevo baciato poche ore prima. Mentre ero seduta da Nando’s, con un ragazzo davvero niente male, il pensiero tornava sempre e comunque a lui, a quanto fosse in grado di ferirmi con una sola parola. In quel caso, con una frase.

“Funziona con tutte”.

Chissà quante altre ne aveva abbindolate allo stesso modo in cui aveva fatto cadere me nella trappola dei suoi occhi, della sua tempesta verde. Per quanto potessi ricordare o immaginare momenti in cui la dolcezza di quel ragazzo si era manifestata facendomi scoprire lati meravigliosamente entusiasmanti, ora c’era una sola sentenza che vagava per la mia testa, che mi costringeva a ripetermi, come un mantra, che lui non era fatto per provare: Harold Edward Styles è un coglione.
Lo era doppiamente in quel momento, perché avrei potuto concentrarmi su Zayn che stava parlando della sua passione per il canto, e invece mi limitavo ad annuire, completamente passiva e poco assorta. Difatti, che si trattasse di musica, l’avevo capito quando aveva citato suo nonno e aveva canticchiato qualcosa di un qualche rapper che neanche conoscevo, dato che non era propriamente il mio genere preferito.
Assentii l’ennesima volta, convincendolo di un interesse che probabilmente era svanito come le patatine dal piatto.
<< Com’è che conosci Hazza? >> chiese poi.
Era ovvio che lui non avesse mai parlato della sua acerrima nemica. Anzi, della Miss Indifferenza dell’anno.
<< Siamo stati costretti a crescere insieme dalle nostre famiglie. E dimmi, Zayn, com’è il Pakistan? >> cercai di sviare il discorso, per nulla tentata di continuare una conversazione che avesse come protagonista quello svitato.
Quella mia domanda dovette sorprenderlo non poco, dato che inarcò un sopracciglio e si appoggiò allo schienale della sedia, ridacchiando.
Cosa ci trovava di tanto divertente nella sua terra?
<< Me lo hai già chiesto, Abbey. Un’ora fa >> quasi non mi strozzai con quello che era rimasto della birra, così rimisi a posto la bottiglia, attenta a non farla cadere.

Che figura.

Effettivamente l’avevo combinata grossa, ci sarebbe voluto l’ingegno di Elena per uscirne. Ma dato che non era lì, dovetti cavarmela da sola.
<< Scherzavo, tesoro >> ammiccai, mordendomi la lingua per quell’epiteto e tono da battona super disponibile, << volevo solo metterti alla prova. Usciamo? >>
Mi affrettai a porre quella domanda per evitare che lui se ne facesse altre sulla mia improbabile sanità mentale, e lasciammo insieme il locale dopo che lui ebbe pagato.

Altra cosa che odiavo dopo i capelli dietro l’orecchio.

Mi strinsi nella giacca dato il vento freddo alzatosi nonostante la stagione calda, e camminai lungo il viale a stretto contatto con il moro, che di tanto in tanto sfiorava la mia mano con la sua. Rabbrividii, e lui, credendo stessi congelando, avvolse un braccio intorno alla mia spalla, unendo i nostri corpi.
Okay, quella situazione stava andando un po’ oltre.
<< Sai che hai un succhiotto sul collo? >>

Oh, cazzo.

Mi scostai violentemente da lui, tastandomi la parte citata. Quando arrivai ad un punto che sembrava farmi più male, sussultai, sentendo chiaramente la pelle sotto i polpastrelli. Quel pezzo di escremento mi aveva davvero lasciato un marchio? Cosa credeva, fossi una mucca da macello?
Oh, me l’avrebbe pagata, eccome se lo avrebbe fatto.
I pensieri che mi balenarono in mente sul come mi fossi procurata quel livido mi fecero arrossire, ed immediatamente sbottonai la giacca a vento che avevo indossato.
Zayn mi rivolse uno sguardo stranito, che ricambiai con un sorriso prima di chiedergli di prendere due gelati – al diavolo chi pagava – mentre io facevo una telefonata.
Non appena si fu voltato mi fiondai nel primo negozio che avevo visto, capitandomi sotto tiro, e digitai il numero della mia migliore amica, attendendo tre squilli prima che rispondesse.
<< Quando cazzo pensavi di dirmi che ho una fottutissima melenzana sul collo?! >> gridai, gesticolando, sebbene sapessi che lei non poteva affatto vedermi.
A parte la voce della mia amica, nella sala in cui mi trovavo regnava il silenzio. Mi voltai lentamente verso quelli che dovevano essere divanetti prova e notai un’anziana donna, molto kitsch, con un barboncino bianco tra le braccia, tutto infiocchettato e orripilante che mi guaiva contro. La commessa era rimasta con una scarpa tra le mani, mentre era intenta a infilarla al piede della signora, evidentemente scossa dal mio intervento poco fine.
Con un cenno chiesi loro di fare come se io non ci fossi e tornai alla conversazione con Elena, che rideva.
<< In verità aspettavo che tu mi dicessi che ti sei data da fare con Harry, ma non lo hai fatto, e… >>
<< Elena, sei morta >> sibilai, chiudendo la comunicazione.
Salutai con un sorriso forzato le due di poco prima e uscii di tutta fretta dal negozio, raggiungendo Zayn, che mi tese un cono.
<< Non sapevo che gusti preferissi, così ti ho preso nocciola e cioccolato >> affermò, mangiando il suo.
<< Ci hai preso >> constatai, con mia grande sorpresa – tanto per i gusti quanto per il fatto che avesse accantonato l’argomento “succhiotto” con così grande facilità, immaginando, probabilmente, chi me lo avesse fatto. A quel pensiero ribollii di irritazione e vergogna, ma cercai di non darglielo a vedere.
Mordicchiai la palla di gelato, mentre un po’ di rabbia spariva insieme al dolce. << Vado sul semplice, oggi sono tutti così sofisticati. Pensa, una, una volta, ordinò un gelato “melograno del Madagascar” e avocado. Ad Holmes Chapel. >>
<< Esiste? >> chiese, ridendo.
<< No >> mi unii alla sua risata contagiosa, pensando che poi non era così malvagio. Forse Zayn avrebbe potuto essere un’ottima alternativa a Harry.
Che pensiero egoista e crudele, ma a volte, era vero, ci si rendeva conto troppo tardi che le seconde scelte avrebbero potuto essere sin dall’inizio le prime. E poi sentivo che con Zayn avrei potuto essere forte. Non c’era quella sensazione di instabilità e terrore che il rapporto da un momento all’altro avrebbe potuto cedere sotto il peso della normalità.
<< E’ stato molto eroico da parte di Harry prendersi una pallottola per te >> mormorò improvvisamente, mentre ci mettevamo a sedere su una panchina di fronte al fiume. << Quando Liam ci ha chiamati, io e i ragazzi stavamo andando proprio a trovarlo ad Holmes Chapel. >>
Gli rivolsi una semplice occhiata, annuendo e sorridendo. Benché lo avesse negato, sapevo bene cosa avesse fatto per me, quella notte, anche perché da lì erano partiti tutti i miei dubbi su ciò che provavo nei suoi confronti.
<< Non so cos’avrei fatto se non fosse arrivato lui >> sussurrai, chinando il capo, cercando di non ripensare a quello che era successo e a quegli occhi iniettati di sangue dell’assalitore.
Avevo avuto una paura terribile di non farcela, quando poi… Mi imposi di smetterla di rifletterci sopra e tornai alla conversazione con Zayn, che mi aveva preso una mano e la stava carezzando per darmi conforto.
Stranamente, quel gesto mi turbò. Era quello che avevo fatto una lunga settimana con Harry, mentre gli raccontavo le mie giornate, mentre aspettavo speranzosa che riaprisse gli occhi.
Era sbagliato, era tutto sbagliato.
Essere lì con Zayn e non a litigare con Harry.
Essere lì senza di lui, mentre se ne stava in ospedale a causa mia. E io? Me la spassavo con uno dei suoi migliori amici.
Se non a lui, avrei dovuto rimanere fedele a me stessa e fare ciò che era più giusto.
<< Zayn, io... >> iniziai, ma fui interrotta da lui.
<< Ho capito, non preoccuparti. Spero solo che lui apra gli occhi, sei una persona... speciale. Va bene, non linciarmi per averti definita in modo così assurdo e banale. >>
Risi, dandogli una pacca sul braccio mentre ci alzavamo per tornare al campus.
 


Harry’s p.o.v

Era la quindicesima volta che ignoravo bellamente i saluti dei miei amici per ripensare a quello che era successo con Abbey prima, durante e dopo quel bacio che di casto non aveva proprio nulla.
Poggiai il capo sullo schienale del letto, mentre fissavo ostinatamente l’orologio nella speranza che si facessero le nove per far sì che terminasse l’orario di visite e le infermiere facessero il solito giro di ricognizione, in modo da poter dormire in santa pace. Se fosse andato tutto bene, mi avrebbero dimesso entro tredici giorni, così avrei potuto fare il test di chiusura del corso e tornarmene a casa. Avevo bisogno di staccare un po’ la spina.
Londra mi aveva rivelato troppe, sconcertanti verità. Avevo sempre sentito qualcosa che mi spingeva a proteggere quella ragazza che dicevo di ignorare bellamente, eppure lo avevo ignorato, collegandolo ad un semplice istinto di possesso.
Era come se a farle del male – mai fisico – dovessi essere sempre e solo io. Non escludevo che ci fossero stati momenti in cui mi ero lasciato andare di buon grado alle sue carezze, ma nulla di troppo spinto, fino a quella sera.
Avevo sbagliato a chiamarla “verginella” e umiliarla davanti a così tante persone, ma lei non aveva reso affatto le cose semplici vestendosi in quel modo, la sera stessa, durante il raduno con gli imbucati provenienti dalla città.
Quel vestito aveva fasciato il corpo sinuoso in un modo così eccitante che avevo stretto con troppa enfasi la bionda al mio fianco, di cui neanche ricordavo il nome.  Nemmeno l’avevo riconosciuta, Abbey, con quel pezzo di stoffa addosso, ed ero completamente partito.
Andato.
Perso.
Si accompagnava ad Edward, quello sfigato che, simile ad un Cenerentolo, aveva mostrato la sua mascolinità proprio in vista di quello pseudo appuntamento con lei. Le si era strusciato addosso, e mi ero reso conto di come lei, seppur restia, dopo uno sguardo nella mia direzione, assecondasse i suoi movimenti, forse per farmi irritare.
E ci era riuscita, ci era dannatamente riuscita.
Qualcosa in me si era mosso mentre la vedevo ballare con qualcuno che non fosse il sottoscritto, e la cosa mi aveva spaventato.
Da dov’era nata tutta quella gelosia?
Fatto stava che avevo pazientemente atteso che si allontanasse – alle feste lo faceva sempre, non sopportando, per più di un paio d’ore, quella musica assordante – e le ero andato dietro.
Josh mi aveva preceduto, costringendomi a nascondermi nel boschetto lì vicino, mentre lui mi superava e la raggiungeva.
Se non fosse stato così interessato a Louise, probabilmente avrei pensato che ci avrebbe provato con Abbey.
Avevano scambiato un paio di parole prima che lui si allontanasse di nuovo, mentre lei, un istante dopo, si era di nuovo messa in piedi e camminava lentamente verso la pista. La luce della luna illuminava debolmente le sue lunghe gambe, mostrando un po’ di pelle di troppo. Lei evidentemente non se n’era resa conto, o avrebbe camminato accovacciata pur di non mostrarsi in quel modo, ma ormai era tardi.
Non mi ero neanche reso conto di averla afferrata saldamente e sbattuta contro il tronco dell’albero, se non prima di impossessarmi delle sue labbra.
Fu quello il momento in cui capii che:
primo, ero totalmente impazzito;
secondo, quella ragazza mi stava sconvolgendo;
terzo, il suo corpo era perfetto per essere accarezzato dalle mie mani.
Quell’ultimo pensiero mi aveva fatto impazzire per giorni.
Quando durante il coma mi aveva confessato che pensava fossi stato io ad averla baciata quella notte, quasi non ebbi un sussulto; se solo avessi potuto. Non ero padrone di niente, se non del mio udito, e in quella stanza avevo sentito i grandi segreti di quella ragazza.
Come potevo aver ignorato, tutti quegli anni, il tono di voce spezzato mentre parlava della sua famiglia? Quegli esseri non la meritavano, lei era tutt’altro che una povera buon’a nulla. La speranza di poterla proteggere da qualcosa di terribile, ancora, mi aveva spinto a premere quel bottone, con una forza che avevo trovato Dio sa dove.
Sentirla mandarmi a quel paese, era stato ancora più rigenerante.
E distruttivo.
Non avrei dovuto baciarla in quel modo, e fortuna aveva voluto che non avessi rivelato troppo a Liam quando lei aveva udito la nostra conversazione.
Il ragazzo sapeva di tutti i miei tormenti, ovviamente. Tutti lo sapevano, anche Zayn. Ed era per questo che mi ero arrabbiato così tanto vedendolo lì, sulla soglia di quella porta che mi ostinavo a fissare, mentre chiedeva alla ragazza, che nessuno doveva toccare a parte me, di uscire. Ovviamente, me l’ero presa con lei, dato che sembrava morirgli dietro per come lo guardava.
E poco prima mi era praticamente saltata addosso.
Ero arrabbiato con lei, e con me stesso perché mi ostinavo a volerla.
Forse se ci finissi a letto, togliendomi lo sfizio, passerebbe tutto.
Poteva essere un’opzione, in effetti. Probabilmente lo avrei fatto, lei non avrebbe desistito, presa com’era. 
Un sorriso complice comparve sulle mie labbra, mentre socchiudevo gli occhi e mandavo via l’immagine del suo sorriso dalla mia mente.


 
Abbey’s p.o.v

Quando arrivammo dinanzi alla porta di camera mia, salutai Zayn con un bacio sulla guancia ed entrai. Evitando di pensare a Sandy, mi cambiai e mi infilai sotto le lenzuola, decisa più che mai a prender sonno in fretta. Meno pensavo ad Harry, meglio era, perché qualcosa mi diceva che mi sarei pentita di tutto.
Sarebbe stato dimesso entro una decina di giorni, qualcuno in più, dipendeva da come stava, e avremmo affrontato il test finale. Dopo quello, avrei inviato la lettera ad Oxford, sperando che mi prendessero per poter andare via di lì.
Via dai miei genitori, via da Holmes Chapel, via da Harry e le sue cattiverie.
Fuggire non era poi la scelta migliore, ma date le circostanze, non c’era altra opzione praticabile. Credevo di poter trovare un po’ di pace, ma non era successo per il semplice motivo che chi poteva darmela, quella tranquillità, si era rivelato lo stesso essere del passato.
<< Abbey? >>
<< Mmh >> mugugnai, facendo intendere a Sandy che ero vigile. O quasi.
<< Come sta Harry? >> Nella sua voce c’era preoccupazione, e non l’avevo mai sentita parlare in quel modo.
Neanche quando suo padre se n’era andato con un’altra, facendosi sostituire da un riccone da strapazzo. Forse perché quel cambio di vita non era stato poi così drastico, in effetti.
<< Bene >> risposi, continuando a tenere gli occhi chiusi, << tra qualche giorno lo dimettono. >>
<< Non ne sembri entusiasta >> commentò, muovendosi nel letto.
Fu in quel momento che le rivolsi uno sguardo indefinito.
Era davvero così che apparivo?
Indifferente?
Quella non ero io. Quando sentivo qualcosa, era sempre tutto enfatizzato, eccessivo. Non c’era affatto modo che potessi anche solo apparire distaccata.
Cosa mi stava succedendo?
<< Sono solo stanca >> chiusi il discorso, spegnendo l’abatjour e voltandomi sul lato opposto.
Stavo per chiudere gli occhi, quando il cellulare sul comodino accanto al letto vibrò, facendomi sobbalzare. Allungai un braccio nel buio, afferrandolo, prima di leggere un numero che non avevo in rubrica.
 
Mi rendo conto di essermi arreso troppo in fretta, quindi voglio provarci. Dammi una possibilità, e ti dimostrerò che Jawaad non è male ;)
 
C’era una sola domanda che mi brulicava nella mente, in quel momento: chi cazzo era Jawaad?
Quasi mi avesse letto nel pensiero, subito dopo arrivò un altro messaggio, con qualche scusa e il nome di battesimo del mittente: Zayn.
 
 
 
 


A.’s corner:
Allora, ragazze. Non so voi, ma la faccenda “Zayn” mi intriga un botto e quindi credo che entrerà come personaggio nella storia. Ora, tutto sta nelle mani di Abbey e Harry, a quanto pare. Una deve rendersi conto di quel che vuole e ciò che sente, e l’altro deve trovare una soluzione per togliersela dalla testa. Arriva Jawaad che bello bello vuol fare il cavaliere senza macchia e senza paura che conquisterà il cuore della giovane madamigella (?)
Domanda: secondo voi, ci riuscirà?
Tra qualche capitolo vi porrò una domanda, vedrete cosa mi risponderete u.u
Ora filo a farmi un pisolino che sto letteralmente morendo di sonno.
A proposito, Elena e Liam non vedranno sviluppi, per ora, perché sto lavorando ad una ff su di loro ;)
Se riesco a scrivere anche il terzo capitolo in breve tempo, la pubblico in contemporanea, quindi, se volete farci un salto.. :33

Vi lascio con questa, però – ultimamente mi piace trovarle sexy.
 


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Capitolo 17
*** Capitolo 16. ***


Capitolo 16.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Quando quel mattino mi svegliai, quasi non mi venne un infarto. Sandy indossava un’espressione totalmente corrucciata e accanto al mio letto c’erano due rose rosse su un vassoio pieno di brioche, muffin, cappuccino e succo di frutta all’arancia.
<< Che… che… >> balbettai, alla ricerca delle parole giuste da utilizzare.
<< E’ venuto un ragazzo mentre dormivi e ti ha lasciato questa roba >> spiegò Sandy, fingendo indifferenza.
Zayn. Doveva trattarsi per forza di lui.
Ma cosa poteva averlo colpito così tanto di me da averlo spinto a portarmi una colazione del genere in camera? Mi alzai lentamente dal letto, cercando di non badare ai lievi capogiri che mi stavano intontendo, e afferrai il cellulare, per inviare un sms.

Dove sei?
A.         

Fissando il contenuto dei sacchetti, mi rigirai una rosa tra le dita, attendendo una risposta da parte del ragazzo, che non tardò ad arrivare.

Da Harry, perché? A proposito, buongiorno ;) xX

Buongiorno un corno.
Mi passai una mano sulla fronte, sbuffando: come potevo dire a Zayn che nella mia mente non c’era spazio per due persone e che fino a quando non mi fossi tolta il pallino Harry dalla testa non sarei riuscita a guardare altri ragazzi?
Probabilmente non c’era soluzione, avrei dovuto passare ai fatti.
Quando mi alzai, decisa a vestirmi e raggiungerlo per spiegargli come stavano le cose, lo sguardo cadde su un croissant pieno di cioccolato. Un sorriso spontaneo spuntò sulle labbra, e lievemente lo sfiorai, per poi saggiarne la consistenza cremosa.
Era buonissimo, non c’era dubbio. Sandy, inoltre, mi aveva rivelato che il sacchetto recava il nome di una delle pasticcerie più rinomate di tutta la città, e la cosa mi fece pensare. Zayn avrebbe saputo prendersi cura di me?
Magari quella era una tattica per abbindolare ragazze, magari portava a tutte la colazione a letto. Quel pensiero mi diede da riflettere, mentre mangiucchiavo qualcosa.
Avrei dovuto indagare prima di poter anche solo pensare di dargli una concreta possibilità.
Composi velocemente il numero di Liam, per chiedergli consiglio, ma non rispondeva. Guardai l’ora e mi sorpresi, dato che erano le dieci e mezzo del mattino, e lui era abbastanza mattiniero.
Mi vestii in fretta, dopo aver fatto una doccia veloce, e uscii dalla stanza, salutando Louise e Josh in corridoio, vestiti per una gita fuori porta. Era tornato tutto alla normalità dopo il risveglio di Harry, anche Josh pareva molto più riposato.
Stretta forte la borsa al braccio, mi avviai verso la fermata dell’autobus, attendendo che arrivasse l’unico che passava anche per l’ospedale.
Quando arrivò, mi fiondai all’interno, cercando un posto a sedere dato che il viaggio era ricco di curve e il mio equilibrio abbastanza precario, e aspettai impaziente di arrivare a destinazione per vedere il moro. Il problema che non avevo minimamente preso in considerazione era che, una volta lì, trovatami davanti entrambi, chi con un sorriso, chi con una smorfia, mi sarei sentita ancora più confusa.
Harry mi guardava dall’alto in basso, evitando accortamente il mio sguardo indagatore, per poi passare a Zayn che mi fissava con un sorriso a trentadue denti sulle labbra. Ricambiai a stento, troppo presa dal cercare di capire cosa dovessi fare.
<< Possiamo parlare, Zayn? >> chiesi, implorandolo con lo sguardo.
Annuì, alzandosi e raggiungendomi, prima di chiudersi la porta alle spalle e allontanarsi con me verso le scale antincendio. Ci mettemmo a sedere su uno degli scalini di ferro e rimanemmo in silenzio per un po’, fino a quando non fu lui a prendere la parola.
<< Non sapevo cosa preferissi, quindi scusa se il cioccolato non è stato di tuo gradimento... >>
<< Non è quello >> lo interruppi, alzando il volto verso di lui.
Trattenni il respiro per un istante, prima di riprendere a parlare, sicura che ciò che stavo per fare sarebbe stata causa di pentimento. Ma forse...
Potevo evitarlo.
In fondo, Zayn poteva anche essere un dongiovanni di prima categoria, ma Harry? Si era portato a letto mezzo istituto, mi aveva trattata malissimo dopo che avevo cercato di essere gentile con lui, mi aveva detto delle cose che non mi aspettavo per niente dopo quello che avevamo condiviso, e io? Come potevo sperare di cambiarlo con quello che sentivo?
Non potevo basarmi su quello che sapevo per poterlo mettere sulla giusta riga, né credevo spettasse a me quel compito, dato che non c’era in lui quell’istinto che lo spingesse a cercarmi come io cercavo lui in ogni cosa, in ogni luogo.
Il moro che ora, seduto accanto a me, mi guardava, poteva essere come lui sul lato sentimentale, ma era certamente il primo che aveva dimostrato di saper trattare bene qualcuno.
<< Grazie >> mormorai, giocherellando nervosamente con le dita.
Il sorriso che indossava già prima si allargò, e improvvisamente lui si sporse per abbracciarmi.
Senza rendermene conto mi lasciai andare tra le sue braccia, affondando il viso sul suo petto mentre lui mi stringeva sempre più forte.
Quel qualcosa che aspettavo sarebbe nato da sé, prima o poi.
<< Ti va di uscire, stasera? >>
Annuii, contro il suo corpo, senza neanche rendermene pienamente conto. Forse distrarmi da tutto era ciò che ci voleva. Era inevitabile, in quel momento, ricorrere a Zayn.
 
Era la quindicesima volta che aprivo quell’armadio, ma non cambiava nulla. Era come se la mia mente sperasse, in qualche modo, di veder comparire come per magia un set di vestiti nuovo, ma non accadeva.
Non mi ero mai posta un problema simile, ma sembrava che con Zayn fosse diverso. Insomma, non credevo lui fosse il tipo che usciva con una trasandata e tutta felpe e jeans come me. E non avrei chiesto di certo a Sandy, dato che non volevo dare strane idee con quei vestiti da poco di buono che si ritrovava nel guardaroba, sede indiscutibile di valige Vuitton e stronzate varie di Valentino.
Optai così per un paio di jeans skinny, con una maglia un po’ più lunga per coprire. Passai un velo di eyeliner e mascara e proprio quando afferrai una giacca da portar dietro, il ragazzo bussò alla porta. Quando andai ad aprire, lo vidi tendermi una mano, e senza che nessuno dei due dicesse nulla, ci allontanammo dalla stanza.
Raggiungemmo il parcheggio dietro il campus e Zayn afferrò il telecomando dalle sue tasche. Un paio di luci si accese ad intermittenza accanto a noi, e lui mi aprì la portiera del suo fuoristrada.
Doveva avere un bel po’ di soldi, quel tipo. La cosa mi metteva lievemente in soggezione.
<< Dimmi che non hai intenzione di offrirmi una cena >> dissi, guardandolo mentre metteva in moto e usciva, con una semplice manovra, dal parking.
<< Anche, ma prima ti porto in un posto >> rispose, ridacchiando.
Fu un viaggio silenzioso e portato avanti dalla lieve musichetta che usciva dalle casse dello stereo dell’auto, che scandiva a tempi di beat il tempo che passava. Ad un tratto notai che le case si allontanavano, e subito mi affrettai a chiedergli dove stessimo andando, ma lui mi rispose con un sorrisetto saccente.
Sbuffai, incrociando le braccia al petto, ma neanche funzionò, così mi rassegnai e zittii fino al nostro arrivo. Mi guardai intorno con fare circospetto, riconoscendo i contorni di una piccola spiaggia isolata. Come noi, del resto.
Eravamo finiti in Culonia, lo sapevo.
Cautamente, senza aspettare che fosse lui ad aprirmi la portiera, scesi dall’auto e mi guardai intorno, avvolgendomi nella giacca data la brezza marina fredda e mi avvicinai a Zayn, raggiungendolo in prossimità del muretto che ci separava dalla ghiaia.
Porgendomi la mano, che afferrai, mosse un passo su di essa, provocando un rumore che mi ricordò tanto la mia infanzia e i parchi giochi presso i quali mi recavo con Anne e Harry.

Harry..

Cancellai subito quel pensiero e mi dedicai a quel ragazzo che stava facendo di tutto pur di farmi sentire bene. Portatami in prossimità della riva, poco più lontano, mi chiese di aspettare lì mentre lui correva di nuovo verso l’auto.
In un istante mi fu di nuovo accanto, mentre stendeva a terra una tovaglia. Ci mettemmo a sedere su di essa, molto vicini data la piccolezza del tessuto. Come in una scena da film, finse di stiracchiarsi prima di avvolgere il braccio intorno alle mie spalle e stringermi a sé. Contatto che non gli negai, dato il freddo venticello che tirava.
<< Vuoi del cioccolato? >> chiese, e io annuii. Scavò nella borsa che aveva portato insieme alla tovaglia e ne estrasse un thermos.
Mi versò il contenuto in una tazza per poi porgermela, mentre ripeteva la medesima azione per sé.
<< Sto cercando di capirti >>, disse improvvisamente, facendomi sussultare.
<< Quando avrai i risultati, comunicameli >> scherzai, ridacchiando.
Coinvolsi anche lui, fino a quando non iniziammo a parlare delle nostre vite. Per gran parte del tempo feci raccontare tutto a lui, non avendo io intenzione di dirgli come avevo trascorso la mia infanzia, e avevo aggirato più volte la domanda, volgendo altrove il discorso.
<< Sei bellissima, lo sai? >>
Arrossii violentemente, ma fortunatamente il buio nascondeva il tutto. Non ero molto preparata a ricevere complimenti: in vita mia, mai lo ero stata.
E ora arrivava lui, bello e intrigante, che diceva a me una cosa simile. Il problema era che era detto con troppa poca enfasi. Non c’era quel qualcosa di straordinario che avrebbe potuto scatenare un complimento tale, quindi mi limitai a ringraziarlo e continuai a bere la mia cioccolata.
<< Abbey... >> mi chiamò, ma non feci in tempo a voltarmi che trovai il suo volto a due centimetri dal mio. Deglutii, sgranando gli occhi per la sorpresa, ma non riuscii a girare il volto. Era come se i suoi occhi mi attraessero fatalmente, cosa che mi si stava completamente ritorcendo contro.
La sua mano scorse lungo il mio fianco prima di afferrarlo per avvicinarmi a lui. Cercai di non far cadere la cioccolata sui sassolini bianchi della spiaggia, ma quando le sue labbra sfiorarono le mie, fu impossibile riuscire a trattenersi.
Era un bacio dolce, quasi consapevole. Non c’era passione, non c’era impeto, era tutto così diverso.
Non sentii il bisogno di afferrare i suoi capelli, né di saltargli addosso: il sexy Zayn stava lentamente svanendo davanti ai miei occhi.
Non sentii nulla, e quasi non volli piangere.

 Era assurdo, insensato, masochista continuare a pensare che volevo solo una persona che mi odiava. Che non mi considerava. Mi allontanai delicatamente, per non fargli comprendere il mio turbamento e gli sorrisi, ricevendo una carezza in cambio.


 

*

 




In quei dieci giorni che seguirono, io e Zayn ci eravamo visti quasi regolarmente. Non c’erano stati altri baci, solo lunghe chiacchierate che, a dispetto della prima volta, mi avevano completamente presa e Elena stessa mi aveva consigliato di dargli una possibilità.
Il problema era che non dipendeva da me, ma lei non poteva saperlo dato che non avevo detto a nessuno di quello che stava succedendo tra la sottoscritta e l’essere più inumano del pianeta.
Mancavano due giorni al test finale di quel corso, e iniziavo ad avvertire una grossa ansia. Erano già cinque ore che studiavo, presa da uno degli autori portoghesi che avevo preferito di più durante quell’anno: Pessoa. Lessi più volte, andando avanti e indietro per la stanza, una delle sue opere, fino a quando, sfinita, non mi ero lasciata andare sul letto, chiudendo gli occhi.
La mia migliore amica era tornata ad Holmes Chapel e anche Liam, per accompagnarla. Quei due non me la contavano giusta, dato che un giorno prima sembravano cane e gatto e quello dopo tornavano i vecchi amici di sempre, ma fino a quando non fosse stata Elena a dirmi tutto, non le avrei cavato niente di bocca.
Qualcuno bussò alla porta della mia stanza e solo quando gridacchiai uno stanco: <>, sentii la voce di Zayn.
Si mise a sedere accanto a me, mentre io ancora cercavo di dormire. Si distese al mio fianco e mi prese la mano, iniziando a carezzarne il dorso mentre io mi lasciavo andare a quella sensazione piacevole e rasserenante.
<< Perché non ti riposi? Resto io con te >> sussurrò, costringendomi ad annuire.
Poggiai il capo sul suo petto, e a ritmo del suo respiro attesi che Morfeo decidesse di prendere in considerazione anche me.
<< Nel frattempo, ti racconto una bella storia >> disse, continuando ad accarezzarmi la schiena.
<< C’era una volta una principessa, che portava sempre con sé una mela avvelenata. Settantasette nani l’avevano eletta loro regina, per la sua scarpetta di cristallo che possedeva doti sovrannaturali. Le giornate trascorrevano tranquille, tra lavoro e culto della giovane fanciulla, fino a quando, in un bel dì di Marzo, non fu annunciato un ballo cui avrebbero dovuto partecipare tutte le principesse della contea. La ragazza era eccitata, e si fece cucire a posta un abito color pisello dal sarto migliore del regno >> cercai di trattenermi dal ridere, per fargli continuare quell’assurdità. << Capitò che presso il suo palazzo di zucca – era vegetariana, come avrai capito – arrivasse un carro armato trainato da colonie di topi. >>
A quel punto non resistetti e scoppiai in una fragorosa risata, mentre lui, cercando di trattenersi, continuava a narrare la sua storia.
<< Indossate le sue scarpette spacca-piedi, la fanciulla salì a bordo e pregò che la si conducesse presso il palazzo del principe scapolo. Arrivò con un paio d’ore di ritardo, trovando il buffet completamente andato e donne e uomini completamente ubriachi. Del suo principe, neanche traccia. Proprio mentre stava per andarsene, però, finì addosso a qualcuno. Incrociò un paio d’occhi marroni e profondi, e se ne innamorò seduta stante, senza sapere che si trattava dell’erede al trono – ovviamente, il culo ce l’hanno tutte le principesse. Ballarono per tre lunghissime ore, fino a quando lei non sentì l’orologio scandire la mezzanotte. Avrebbe dovuto scappare via, dato che altrimenti i topi si sarebbero trasformati in cavalli, e lei non voleva sfruttare quelle povere bestiole. Pertanto, iniziò a correre. Pensa, è stata l’unica donna ad arrivare ai sei chilometri orari con un tacco cento ai piedi. >>
Continuai a ridere come un’emerita cretina, asciugandomi di tanto in tanto le lacrime che mi colavano dagli occhi e cercando di non pensare al mal di stomaco dovuto alle troppe contrazioni.
Lui rimase invece serio, per quanto riuscisse.
<< Sui centosettantanove scalini che fece, proprio all’ultimo perse la sua scarpetta. Era anche porta fortuna, guarda. Infatti, non appena entrò nel carro armato, si punse con un ago e svenne. Dato che i topi l’avevano portata in Burkina Faso, terra allora inesplorata, il suo corpo non fu mai ritrovato. >>
<< Ma finisce malissimo! >> affermai, continuando a ridere. << Sei pessimo, Malik. >>
<< Grazie, Abbey. Anch’io penso di essere favoloso >> si vantò, passandosi le dita tra il ciuffo. Mi appoggiai nuovamente a lui, serrando le palpebre, ma ormai del tutto sveglia.
<< Grazie per la favola della buonanotte, Zayn >> mormorai << anche se sono le sei del pomeriggio. >>
Sorrise ampiamente, prima di avvolgermi tra le sue braccia e addormentarsi con me.
Stavo facendo un sogno bellissimo: dormivo. Dormivo mentre dormivo, era una sensazione così appagante... Il problema giunse quando, ad un certo punto, sentii qualcuno sferrare pugni insistenti contro la superficie di legno della porta.
Intuendo che ci fosse lo scatto automatico, mi alzai di controvoglia, scivolando via dall’abbraccio di Zayn, e mi avvicinai ad essa, tendendo una mano verso la maniglia. Non appena la sfiorai, mi ritrovai addosso Josh.
Entrambi a terra, cercai di divincolarmi dal suo corpo che mi stava schiacciando, gridandogli migliaia di insulti in varie lingue, per fargli intendere quanto fosse una testa di cazzo.
<< Mi hai per caso preso per Bin Laden, eh? Stupido cazzone che non sei altro, mi hai spaccato tutto il costato! >>
Lo scostai violentemente, alzandomi da terra completamente ammaccata, e solo allora mi resi conto di avere un pubblico.
<< Be’? Questo tenta un raid in camera mia e non sono libera di insultarlo come si deve? >> borbottai, incrociando le braccia al petto.
Percependo la mia ira, tutti gli astanti si ritirarono nelle rispettive stanze, sbattendo talvolta le porte, spaventati. Quando mi voltai di nuovo verso Josh, che rideva come un emerito imbecille – neanche lontanamente immaginando cosa stavo per fargli per quell’incursione – notai la presenza di svariate persone dal volto conosciuto.
Erano i bellocci, gli amici di Harry, e... Harry. Erano passati i giorni, giusto! Inoltre il medico aveva detto di aver operato per la prima volta con il laser, quindi la cicatrice si era formata subito ed era piccola... Dimenticai per un momento quel particolare per tornare al pubblico che mi ero ritrovata senza neanche volerlo, tra cui Zayn, che si era evidentemente svegliato per quel frastuono.
Ignorando fintamente le occhiatacce di Harry, mi concentrai su Josh e gli chiesi cosa diamine gli fosse passato per la testa per aver cercato di buttare giù la porta a spallate, neanche fosse The Rock.
<< Non rispondevi, Abbey! Mi sono preoccupato. Anzi, ci siamo preoccupati >> sottolineò, indicando anche gli altri che annuirono meccanicamente.
Ma funzionavano a comando?
<< In realtà io ho pensato stessi facendo sesso con Zayn, dato che non si trovava neanche lui >> riprese occhi azzurri, Louis.
Giustamente, il più coglione doveva parlare.

Ma Dio, cos’ho fatto di male?!

<< Siete un branco di buzzurri! Stavamo dormendo! >> mi difesi, entrando in camera, seguita da loro. Ma dove cavolo si era andata a cacciare Sandy?!
<< Adesso è così che si dice? >> ammiccò quello, muovendo in modo poco consono le sopracciglia su e giù.
<< Non ti rispondo che è meglio >> bofonchiai. << Cosa volete? >>
<< Dirti che Harry è tornato >> rispose contento Josh, indicando il ragazzo preso in considerazione.
Fingendo indifferenza, risposi: << Lo vedo. Quindi? >>
Quella domanda retorica mi fece guadagnare un’occhiata stranita da parte di tutti, tranne Horan impegnato con una brioche che avevo lasciato lì da non so quanto. Una smorfia di disgusto comparve sul mio volto, mentre Josh cercava di attirare di nuovo la mia attenzione.
<< Andiamo a festeggiare, ecco cosa. Louise sarà dei nostri, tu? >>
Guardai prima Zayn, che, sorridente, aveva infilato le mani nelle tasche, poi Harry, impegnato a seguire il mio sguardo fino ad arrivare all’amico, per linciarlo. Metaforicamente parlando.
Non avrei insinuato cose del genere, normalmente, ma l’espressione contrariata di Styles era troppo eloquente per non permettere alla mia mente di formulare una domanda che lì sarebbe rimasta: perché?
<< Certo >> affermai. << Come potrei perdermi una serata con voi sei amabili persone? >>
<< Cavolo, questa è più sarcastica di mia nonna Gelsomina, >> affermò il biondino, tornato tra noi. Lo fissai truce, chiedendomi di cosa diavolo stesse parlando, poi fu lui stesso a rispondere, quasi leggendomi nella mente. << Mia nonna Gelsomina insegnava Sarcasmo al Liceo. >>
<< Scusa, Niall… >> iniziai, inarcando un sopracciglio. << Ma dove vivi? In che diamine di paese permettono ad una donna di insegnare “Sarcasmo”? E la brioche probabilmente era scaduta >> continuai, notando il suo sguardo incupirsi, terrorizzato. Si portò le mani sul ventre, guardandomi.
<< No, non userai il mio bagno, tienitela nelle mutande.>> 
Scossi il capo mentre i ragazzi ridevano piegati in due; lo stesso Harry cercava di trattenersi, guardando altrove, ma con scarsi risultati, dato che si passò una mano sulle labbra per celare un evidente sorriso. Le fossette si vedevano eccome, e immaginai subito di poterci affondare le dita...
<< Sposami! >> Fu l’affermazione di Louis a ridestarmi.
<< Spiacente, sono impegnata >> affermai, solennemente.
Calò immediatamente il silenzio tra gli astanti, e Zayn compreso mi fissò deglutendo. Credeva davvero stessi parlando di lui? Non ci eravamo neanche più baciati dopo quel nostro primo appuntamento. Forse aveva capito che lo preferivo come amico.
<< Andiamo? >> Intervenne Harry ad interrompere tutto quello, lievemente irritato.
Mr. Egocentrismo evidentemente non sopportava il fatto che la star della situazione fosse stata un attimo messa in ombra da me. Non che mi importasse, io non volevo l’attenzione di nessuno, men che meno la loro.
Gli altri annuirono tornando a ridacchiare e continuarono a camminare lungo il corridoio. Louise ci avrebbe raggiunti al locale.
Mentre procedevamo per strada, passando accanto al vicoletto che era stato scenario dell’aggressione di tre settimane prima, rabbrividii. Zayn mi strinse forte la mano, chiedendomi con lo sguardo a cosa stessi pensando, ma mi limitai a scuotere il capo e procedere.
Arrivammo ad un Irish Pub – per la gioia di Niall - e incontrammo Louise. Mentre ce ne stavamo seduti, l’irlandese aveva annunciato che per quella sera sarebbe andato sul leggero, evidentemente per la storia della brioche scaduta.
Difatti, quando la cameriera ci raggiunse per prendere le ordinazioni, lui fu il primo a parlare.
<< Bocconcini di entrecote irlandese in salsa bruna con funghi, patate e insalata, grazie. >>
Per poco il cucchiaio con cui stavo giocherellando non mi cadde di mano.
<< Niall, definisci “leggero” >> lo esortai, mentre Louis rideva. Certo che era contagioso, quel ragazzo, dato che dopo un po’ mi ritrovai a farlo insieme a lui.
<< Uhm… Una birra media >> spiegò il biondo, e senza dire niente, annuii, onde evitare di andare oltre. Quel tipo era strano, ma divertente.
Come tutti lì, del resto – eccezion fatta per Harry che non era troppo impegnato a mandarmi occhiatacce assassine per un motivo assurdo e ignoto. Ordinammo tutti, andando su roba meno pesante; io stessa ordinai una picanha.
<< Abbey… >> sentii indistintamente il mio nome dato che c’era un chiasso terribile nel locale. Mi voltai ed incontrai il volto di Louise, che con un cenno del capo indicò Zayn.
<< Come va col Pakistano? >>
<< Non va, semplicemente >> risposi, facendo spallucce. << Non siamo fatti per stare insieme, siamo amici. >>
<< Vuoi davvero darmela a bere? Guarda te come io guardavo Josh >> ammiccò, sorridendo al ragazzo.
Ma lei voleva lui e basta, non aveva lo stesso dilemma che mi costringeva a rimandare la mia vita sentimentale ancora per molto.
<< Le cose si fanno in due, Louise >> spiegai, affranta. << Non è con lui che voglio stare. >>
Annuì, capendo che non avrei portato ulteriormente avanti quel discorso e tornò a mangiare.
Improvvisamente, avevo perso l’appetito. Allontanai il piatto e mi alzai, chiedendo scusa. Lasciai lì i miei soldi e feci cenno a Zayn di rimanere, dato che volevo starmene un po’ da sola. Gli altri compresero e mi salutarono calorosamente, facendomi sorridere appena. In fondo non erano così male, al ritorno da Londra avrei potuto cercare di approfondire il rapporto con tutti. Con Niall mi sarebbe bastata una scorta di patatine.
Uscii dal locale e fui ben felice di respirare un’aria che non sapesse di carne arrostita e patatine fritte, e mi avviai lungo la strada più affollata, per allontanare il vicolo maledetto.
Era proprio quello che volevo evitare, prendendomi una cotta per la mia nemesi: odiare i posti che frequentava anche lui. Mi ero improvvisamente sentita soffocare, e andarmene era stata l’unica decisione sana e consapevolmente presa durante tutta la serata.
Da quando lo avevo rivisto mi erano balenate in mente parole e azioni che mi avevano fatto attorcigliare letteralmente le budella, per questo mi era passata la fame.
Ergo, quando mi gettai sul letto della mia stanza, tirai un profondo sospiro di sollievo.
Restai con la testa schiacciata nel cuscino per circa dieci minuti, prima che sentissi bussare. Onde evitare ulteriori abbattimenti, mi alzai in fretta e aprii.
Trattenni il respiro un istante, prima di cercare di richiudere la porta con un gesto secco, ma lui, con un piede, la bloccò, spalancandola con una facilità disarmante.
<< Che vuoi? >>
<< Zayn potevi evitarlo >> affermò, rispondendo subito. Almeno era andato dritto al sodo.
<< Non sono affari tuoi, Styles >> sputai acida, mentre lui con un sorrisetto sardonico si appoggiava allo stipite.
<< Ah, no? >>
 
 
 
 
 
NON ODIATEMI.
Okay che vi ho lasciate sul più bello, ma… Eheh, un motivo c’è! Non voglio anticiparvi niente, però sto già fremendo u.u
Vorrei dire una cosa a tutte voi: grazie infinite. Grazie alle 138 persone che hanno inserito la storia tra le preferite, grazie alle 30 che l’hanno messa tra le “ricordate” e alle 179 che l’hanno posta tra le seguite.
Non riesco, spesso, a rispondere bene alle vostre recensioni, perché vado di fretta, ma ogni volta che le leggo mi vien voglia di scrivere tanto e sono felicissima. Siete davvero dolci, e meravigliose. Non credevo che la storia avrebbe riscosso così tanto successo, tanto che, quando me ne sono resa conto, ho buttato giù la trama completa. Ce l’ho su un quaderno, scritta a mano, è finita.
Si tratta solo di scrivere i capitoli ;)
Ora vado che ho una fame TERRIBILE. Ma devo far bollire l’acqua e… Sì, okay, basta.
Spero questo capitolo vi sia piaciuto, io mi son fatta tantissime risate scrivendolo.
 
Ah, vi interesserebbe una storia su Liam e Elena?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. ***


Capitolo 17.










C’erano varie cose che stavo optando di fare.

 

  1. Darmela a gambe dopo aver trucidato quell’essere immondo che rideva di me e delle mie risposte;
  2. Mandarlo a quel paese senza tante cerimonie e andarmene a dormire;
  3. Ascoltare silenziosa quello che aveva da dire.

L’ultima scelta, inutile dirlo, fu quella che presi in considerazione, anche perché, quando si trattava di lui, non riuscivo a far altro che sottomettere il mio orgoglio.
Lo feci entrare e chiusi la porta alle nostre spalle, parandomi di fronte a lui per dar almeno una parvenza di forza d’animo. Lui non doveva neanche lontanamente immaginare quanto quello che provavo nei suoi confronti mi stesse distruggendo, dentro e fuori. Sarebbe stato meglio per entrambi se non avesse compreso nulla, fino a quando non me la fossi fatta passare completamente.
<< Sai cos’è divertente? >> fece improvvisamente, guardandosi intorno mentre io cercavo di non tremare.
<< Cosa? >>
Riuscii a conservare un tono vigoroso e subito fui fiera di me e delle mie capacità di mantenere la calma.
<< Credevo fossi meno aperta >> sottolineò quell’ultimo termine quasi come se volesse rendere la stoccata più potente.
<< Con questo cosa vorresti dire? >> sibilai, avvicinandomi a lui. Harry stesso fece un passo nella mia direzione, riducendo la distanza tra i nostri corpi a pochi centimetri.

Com’era quella cosa? Keep calm and… Un cazzo.

Deglutii, in attesa di una risposta che fu accompagnata da un sorriso amaro.
<< Che non ero sicuro ti concedessi facilmente a tutti >> mormorò.
Fu istintivo per me far scattare la mano per colpire la sua guancia.
Quella su cui apparivano le fossette che tanto amavo ogni volta che sorrideva, quella che mi ero divertita a baciare quel mattino in ospedale. Ora c’era solo un segno rosso a ricordarmi a chi appartenesse in realtà.
Cercai di regolarizzare il respiro mentre le sue dita si sfioravano la parte lesa, con occhi stralunati. Non fummo in grado di dire nulla, perché subito mi ritrovai schiacciata tra la parete e il suo corpo, mentre le sue labbra mordevano fameliche le mie.
Opposi resistenza solo i primi istanti, ma quando mi sfiorò la pelle del collo con le dita non riuscii a trattenere quel gemito strozzato che tradì la mia eccitazione.
Portai una mano dietro la sua nuca, stringendo forte i ricci che mi erano mancati più di qualsiasi altra cosa, e lo spinsi verso di me, mentre lui con una delle sue gambe allargava le mie per aumentare il contatto.
Sentivo quanto mi voleva, c’era qualcuno lì, in basso, che premeva contro la mia coscia, impaziente di essere liberato.

E Dio, quanto lo desideravo..

Senza troppa delicatezza agganciai i lembi della sua camicia e con un gesto deciso la sbottonai velocemente, facendo saltare i bottoni. Lo sentii ridacchiare sulle mie labbra mentre mi liberava della t-shirt che avevo indossato. Schiacciandomi contro il muro con troppa veemenza, afferrò saldamente una gamba portandosela all’altezza del fianco, in modo da farmi sentire ancora meglio l’eccitazione che cresceva nei suoi boxer. Sospirai, gettando il capo indietro, mentre lui mordicchiava il mio collo.
Afferratami anche l’altra gamba, mi prese in braccio, fino al mio letto sul quale cademmo. Strusciai volontariamente il mio bacino contro il suo facendolo gemere in risposta. Afferrò saldamente i miei capelli, sciogliendo la coda che avevo fatto per poi avvicinare nuovamente le sue labbra alla ricerca delle mie; quando le trovò, fece giocare per un po’ le nostre lingue prima di decidersi a ribaltare la situazione.
Ma cosa diamine faceva ad essere così energico dopo quello che gli era successo?
Abbandonai l’idea di darmi una risposta quando le sue dita raggiunsero l’orlo dei miei jeans, sbottonandoli con maestria e sfilandomeli con altrettanta facilità. Cercai di non badare all’imbarazzo dovuto al fatto che fossi mezza nuda sotto di lui, anche perché non mi fu possibile dal momento che le sue labbra erano scese a torturare un seno, al di sopra della stoffa dell’intimo. Quasi non mi strozzai con la mia stessa saliva quando fece scendere le spalline e mi liberò di quell’ostacolo che non mi permetteva di sentirlo direttamente; prima che potessi coprirmi in qualche modo, afferrò entrambi i miei polsi e li portò sulla mia testa, tenendoli con una sola mano, mentre mi guardava. Le iridi verdi erano quasi completamente sparite, lasciando posto al nere di pupille dilatate all’estremo: era dannatamente eccitante ed eccitato.
Mi umettai con la lingua le labbra secche, mordicchiandomi poi quello inferiore. I suoi occhi si ridussero a due fessure, mentre mi liberavo dalla sua presa, ormai priva di ogni pudore, e tracciavo con le dita un percorso che andava dai suoi pettorali allo stomaco, e poi più giù, fino alla cerniera dei suoi jeans che tirai giù. Vedevo chiaramente i suoi muscoli contrarsi e affascinata ammiravo i tatuaggi sparsi qua e là sul suo corpo perfetto.

Era bellissimo.

Non desideravo altro che sentirlo, pur avendocela ancora con lui per quello che mi aveva detto. Non sapevo dire se fosse geloso o meno, ma quando mi aveva sbattuta contro il muro mi ero sentita mancare le forze, in balìa di qualcosa di più grande di me.
Con una lentezza esasperante, sia per me che per lui, lo sfiorai proprio lì, sentendolo tendersi sul mio corpo. Sorrisi soddisfatta, continuando a carezzarlo, operando una pressione sempre maggiore fino a quando non si lasciò cadere di lato, onde evitare di finirmi addosso, chiudendo gli occhi. Mi misi a sedere sulle sue gambe, allungandomi poi col busto verso il suo volto, per vederlo contorcersi a causa mia. Era un potere che non credevo di poter mai avere.
<< Guardami >> sussurrai, senza smettere di toccarlo.
Lui spalancò i suoi enormi occhi verdi e li puntò dritti nei miei, ridacchiando. Forse non si aspettava fossi così ricca di iniziativa.
In effetti neanche io, ma quando si trattava di lui riuscivo sempre a mandare tutti i miei valori e i miei buoni propositi a farsi benedire.
Quando vidi che stava per giungere al culmine, mi fermai, prendendomi una piccola vendetta. Non sarebbe stato così facile per lui provare piacere, sebbene stesse diventando una tortura anche per me continuare a rimandare quel momento.
<< Stronza >> borbottò, sorridendo malizioso.
S’impossessò ancora una volta delle mie labbra, ma stavolta con un fare più dolce che dapprima mi diede da pensare, poi mi fece completamente sciogliere. Mi lasciai andare contro il suo corpo, senza staccare neanche un momento le nostre labbra.
 
Harry’s p.o.v
 
Non sapevo bene cosa mi fosse preso, in quel momento. Perché sentivo la necessità di sentire bene le sue labbra sulle mie? Non ero mai stato così mielato con nessuna, ma con lei, quasi nuda contro di me, avvertivo l’urgenza di farlo.
Portai una mano dietro la sua schiena, per stringerla di più, e avvertire i suoi seni contro il mio petto fu straziante.
Non ce la facevo più. Lentamente la privai anche dell’ultimo indumento, lasciando che la sua intimità entrasse a diretto contatto con la stoffa dei miei boxer.
Basta preliminari, dovevo farla mia.
La feci scivolare sotto di me, senza smettere un momento di guardarla.

Era meravigliosa.
E mia.

Quei pensieri normalmente mi avrebbero turbato, ma ora riuscivo solo a credere a quanto fossero veri, e li accettai. Sentirla gemere per i miei baci, per le mie dita che in quel momento lavoravano solo per farla sentire bene, era una droga. La migliore da cui potessi dipendere.
La portai al limite in poco tempo, ma poco prima che venisse mi fermai, ghignando.
<< Occhio per occhio... >> affermai, mentre lei digrignava i denti graffiandomi la schiena.
Rimasi spiazzato per un istante, dato che quel suo lato così aggressivo mi era sconosciuto. Sorrisi contro le sue labbra, inconsciamente, quando lei mi liberò dell’intimo e gettò indietro il capo; vedeva quanto la desiderassi? Poteva anche solo lontanamente immaginare quanto potessi dimostrarmi inetto una volta entrato in lei?
Improvvisamente il timore di fare cilecca si impossessò di me, e lei si rese conto, dalla mia espressione, che c’era qualcosa che non andava.
<< Harry? >> mi chiamò, sfiorandomi la guancia che aveva colpito prima che la baciassi.
La guardai ancora una volta, ed ebbi la consapevolezza che non c’era da preoccuparsi. Con lei sarebbe sempre andato tutto bene. Quella cosa mi rassicurò a tal punto che sorrisi, poggiando la fronte sulla sua.
Era possibile sentirsi così bene con una persona che fino a qualche giorno prima si credeva di odiare? In fondo, era sempre stato così. Lei c’era sempre stata, e quella coscienza si fece lentamente largo nella mia mente, quasi a forza.
Gli altri, poi, non sapevano nulla. Non potevano neanche lontanamente immaginare cosa io e lei condividessimo: quel desiderio incontrollabile di sentirci, la necessità di sapere di esserci.
Ci avrebbero giudicato male, lo sapevo.

They don’t know what we do best, that’s between me and you. Our little secret.

Avrei dovuto dirlo ai ragazzi, in special modo a Zayn, perché doveva starle lontano. Lei non gli apparteneva.

But I wanna tell ‘em …

Rinvigorito da quella consapevolezza, entrai in lei, facendola sussultare per l’improvvisa intrusione. Non era più vergine da un anno, lo sapevo, a causa di quel Matthew del cazzo che se l’era prima portata a letto e poi era sparito.
Era già tanto se non avevo messo sulle sue tracce i ragazzi, per spaccargli la faccia se solo avessi saputo dov’era andato.
Poi era comparso Zayn, che sapeva ogni cosa, eppure non aveva esitato a cercare di farla diventare una delle tante. Personalmente, non gli avevo mai chiesto quali fossero le sue intenzioni, conosceva indirettamente Abbey per i miei racconti, ma mi aveva dato un gran fastidio vederlo ronzare intorno a lei.
La sentii gridare il mio nome quando feci roteare i miei fianchi per l’ennesima volta, e fu devastante. Era appena diventato il mio suono preferito.
 Doveva capire di essere mia. Mia e basta.

I wanna tell the world that you are MINE, girl.

Affondai il viso nell’incavo tra collo e spalla e succhiai forte, per lasciarle un livido nelle vicinanze di quello precedente, che non era più visibile, ormai.
Ero vicino, lo sentivo.
Prima di dare la spinta definitiva, mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai: << Sei mia! >>
Venimmo quasi in contemporanea, e fu un piacere anche più grande – se possibile – vederla contrarsi per me. Scivolai al suo fianco e cercai di regolarizzare il respiro, e mentre lei ancora scossa tentava di riprendersi, scostai le coperte dal suo letto e l’aiutai ad infilarsi sotto.
Quando poggiò il capo sul mio petto, presi ad accarezzarle i capelli, cosa che era solita fare lei per farmi addormentare, in quei rari momenti di pace col mondo.
Mi ero sbagliato di grosso. Portarmela a letto non era servito a togliermela dalla testa, anzi. Aveva solo contribuito a peggiorare la situazione.
Avevo sete di lei, di tutto quello che la riguardasse.
<< Perché non riesco a vedere niente di sbagliato in tutto questo? >> mormorò, distogliendomi dai miei pensieri.
Inspirai profondamente, sospirando. Il suo profumo mi stava inebriando. Se non avesse smesso di essere così dannatamente eccitante anche stando ferma l’avrei fatta mia di nuovo.

Dio, sto impazzendo. Ecco cosa c’è di sbagliato.

<< Riesci a vedere sempre ogni cosa? >> chiesi infine, fissando il soffitto, illuminato dalla luce della luna.
Atmosfera realmente suggestiva.
<< No >> ammise.
<< Bene, ecco perché >> mormorai, chiudendo gli occhi.
Quando sentii il freddo pungermi il petto, mi accorsi che aveva sollevato il capo. Incrociai il suo sguardo contrariato e quasi deluso da quella mia risposta. Effettivamente potevo risparmiarmela.
<< Riesci sempre a dire la cosa sbagliata, Styles. E’ una dote che non ammiro affatto >> borbottò, lasciandomi solo nel letto mentre, praticamente nuda, cercava qualcosa per coprirsi.
Normalmente avrei lasciato correre, ma fu istintivo per me alzarmi, infilare i boxer e raggiungerla prima che si chiudesse nel bagno. L’afferrai per un polso e la costrinsi a voltarsi, inchiodando i miei occhi nei suoi.
<< E’ malsano, Abbey >> affermai, senza smettere di guardarla. << Tutto questo non porterebbe da nessuna parte. >>
<< Credi che non lo sappia? >> sibilò, chinando il capo.
<< Non cercare una spiegazione a tutto. Prendiamola come viene >> proposi, senza neanche sapere perché.
<< Cioè, facciamo sesso e basta? >> chiese, senza neanche una punta di accidia. Era seria. Era per caso una proposta?
<< Torniamo a letto >> dissi soltanto, tirandola verso di me.
Io non volevo stare con lei, non volevo pensare a nulla di ufficiale che potesse in qualche modo rovinare quel piccolo angolo che ci eravamo creati.

Giusto?

Ma doveva essere mia, e di nessun altro. Era da egoisti, lo sapevo bene, ma non potevo permettere che baciasse un altro, desiderasse un altro, fosse di un altro.
Senza opporre la minima resistenza si lasciò guidare verso le lenzuola, e, coperta dalla mia maglia, si addormentò al mio fianco, mentre un mio braccio le cingeva la vita.
Ogni difesa stava crollando, e lei era la responsabile di tutto. Non potevo permettere che mi rendesse così debole, era solo una ragazza!
Una dannata, maledetta, fottuta ragazza.
E mi stava facendo mettere in discussione me stesso. Avevamo cercato rifugio l’uno nell’altra – litigi e non – per anni, perfino da piccoli, e non ce ne eravamo mai resi pienamente contro. Stare insieme non era una buona idea, così come illuderla, ma... Non riuscivo a starle lontano, era un dato di fatto.
Dovevo solo accettare il fatto che forse lei non era della mia stessa idea.
 
Abbey’s p.o.v
Le tende. Le maledette tende che dimenticavo sempre di tirare. Quel sole mi stava accecando e al tutto si aggiungeva il fatto che fossi sola nel mio letto. Freddo. Tastai alla ricerca della persona che mi aveva tenuta stretta a sé tutta la notte, ma trovai solo un lenzuolo stropicciato e freddo.
Doveva essersene andato da un bel po’.
<< Nottata di fuoco con Styles? >>
Mi voltai di scatto verso Sandy, già vestita e seduta alla scrivania. Stava fissando un punto imprecisato sul mio petto, e quando chinai lo sguardo notai la maglia dei Pink Floyd del ragazzo.
Ah, sì, me l’ero messa quella notte quando aveva definito tutto quello sbagliato, e poi un attimo dopo mi aveva chiesto di prenderla come viene.
Incoerenza fatta persona.
Ero certa che ci fosse qualcosa che lo turbava, perché spesso mi aveva lasciata sola in quella stanza. Del suo corpo, dei suoi occhi vuoti, non avrei saputo che farmene, e quella cosa mi preoccupò non poco… Se avessi iniziato a dipendere completamente da lui, sarebbe finita.
Ero certa che, per ora, il contatto fisico fosse abbastanza. Ma non potevo mostrarmi così doppiogiochista nei confronti di me stessa: era palese che sentissi la sua mancanza anche quando era ad un passo da me.
Quella notte era successo qualcosa, perché sapevo avesse messo in moto i meccanismi del suo cervello. Probabilmente pensava a quello che ci stava succedendo, non lo sapevo, non avrei saputo dirlo. Fatto stava, che avevo riconosciuto in lui la stessa confusione che mi aveva frenata quando avevo capito che per lui non provavo un semplice odio.
Poco convinta mi alzai dal letto, scoprendo di avere le gambe totalmente intorpidite per la notte appena trascorsa; chiesi a Sandy di dire a chiunque che non ci fossi e mi chiusi in bagno, aprendo il rubinetto dell’acqua per fare una doccia rilassante.
Piegai la maglia di Harry e la lasciai nel lavello, intenzionata a lavargliela prima di ridargliela, poi mi lasciai andare sotto il getto d’acqua calda.
Feci mente locale, ma non fu un fattore positivo, dato che mentre ripensavo a lui e alle cose che mi aveva sussurrato… Istintivamente portai le mani sul volto, per cercare di cancellare il rossore che lo aveva imporporato, e mi sfiorai il collo, scoprendo un punto dolente.
Un altro succhiotto, ancora. Era come se avesse voluto rimarcare sul “sei mia”. Come se non fosse stato abbastanza chiaro già di per sé.
Forse era vero, tutto quello era sbagliato, ma… Era l’errore più giusto della mia vita.
Sembrava una definizione così stupida, così noiosa, eppure era l’unica a racchiudere appieno le sensazioni che provavo in quel momento.

Avevo fatto sesso con Harry.

Se me lo avessero detto un mese prima, probabilmente sarei scoppiata a ridere o a piangere per l’assurdità di quell’affermazione.
Quando uscii dalla doccia, mi avvolsi nell’accappatoio di spugna e mi misi a sedere sullo sgabello accanto al lavandino. Mi armai di detersivo e lentamente lavai via il mio odore dall’indumento del ragazzo.
Una volta risciacquata per bene, la lasciai nella bacinella di plastica blu, e mi rivestii, sciogliendo il tupè fatto a caso e lasciando che i capelli mi coprissero le spalle nude. Indossai la canottiera dei Ramones che amavo tanto e un paio di shorts, poi uscii, trovandomi sola.
Era come se Sandy non esistesse. Non c’era mai.
Stesi la t-shirt al sole e mi asciugai le mani, decidendo poi di andare a studiare nella biblioteca del campus. Chiusi a chiave la porta della mia stanza e mi avviai lungo il corridoio, sperando di non incontrare nessuno, dato che non ero ancora pronta a chiarire agli altri i motivi per cui sia io che Styles la sera prima eravamo spariti.
Uscita in giardino, mi guardai intorno, ma fu proprio quando misi piede sull’ultimo gradino che sentii qualcuno chiamare il mio nome dall’esterno dell’edificio.
Vidi Zayn avvicinarsi di corsa, protendendo una mano per segnalarmi la sua presenza. Come se non l’avessi notata.
Avrei voluto, ma purtroppo c’eravamo solo noi due lì.
Gli sorrisi nervosamente, stringendo il quaderno degli appunti al petto, come se potesse offrirmi una barriera.
<< Tutto bene? >> chiese.
<< S-sì >> balbettai, il che non era affatto d’aiuto. << A te? >>
<< Sì, grazie >> affermò, guardandosi intorno. << Hai visto Harry? >>
Scossi il capo, arrossendo.
Quella notte avevamo superato ogni record, a dire la verità, ma lui questo non poteva saperlo.
<< Sai cos’ho notato? >> Sollevai lo sguardo per incrociare i suoi occhi, seri. << Non parli molto. E quando lo fai smonti tutti. A volte mi fai sentire un totale imbecille >> rise.
<< I-io… In verità… Zayn… >> Mi stavo arrampicando sugli specchi, era evidente e non da me, assolutamente. << Scusa. >>
<< Niente… Ti va un caffè? >>
Diedi un’occhiata all’orologio, decidendo che un po’ di tempo ad un amico avrei potuto pure dedicarglielo. Annuii e iniziai a camminare con lui, quando improvvisamente sentii qualcuno giungere alle nostre spalle.
Zayn fu il primo a voltarsi, prima di chiamare il nome di colui che mi aveva appena affiancata.
<< Mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto, Styles >> ridacchiò.
Dio, quel ragazzo era sempre così solare. Ma come faceva?
<< Sono qui. Perché mi cercavi? >>
Non era un bel tono, il suo.
<< Un saluto veloce, più che altro sono passato per chiedere ad Abbey se le andasse un caffè. Vuoi unirti a noi? >>
Stavo per ribattere io stessa quando sentii una mano sfiorare la mia schiena prima di chiudersi sul mio sedere.
<< Mi stai toccando il sedere, Styles? >> domandai, scostando violentemente la sua mano.
<< Io posso. >>
<< Ah, sì? E chi lo dice? >> Incrociai le braccia al petto, aspettandomi una risposta esauriente.
<< Questo >> Sussurrò, indicando il segno rosso sul collo.
Avvampai forse più di prima nella doccia, e lui se ne rese conto dato che ghignò divertito. Era il suo marchio, un segno lasciato sulla mia pelle per dimostrare agli altri – e soprattutto a Zayn, a quanto pareva – che non ero libera.
Quella cosa mi infastidì non poco. Non che volessi darmi al sesso sfrenato con chiunque, ma chi era lui per decidere al posto mio quando poi aveva chiaramente detto che non ci sarebbe mai stato niente?
Lasciai perdere sia lui che Zayn, avviandomi verso la biblioteca.
Dovevo riflettere. Da sola.
 
 
 
Here I am!
Okay, ragazze, sorprese? Certo, nessuna di voi ha accennato ad un probabile incontro così ravvicinato tra i due, e vi capisco. Ma ci voleva del pepe che non riguardasse solo litigi verbali, no?
Harry non riesce a capire cosa vuole, Abbey ormai ce lo dimostra. Ma le cose si fanno in due, come ha detto lei stessa. Ecco perché Zayn svolge un ruolo fondamentale. Io lo vedo un po’ come l’intermezzo fondamentale per questi due testardi, voi che ne dite?
Scusate ancora se non riesco a rispondere a dovere a tutte le recensioni…
Sappiate solo che vi adoro. E vi ringrazio, come sempre.
Come avrete notato, ho inserito anche uno stralcio di “They don’t know about us”. Mah, l’ho vista adeguata e mi ha anche ispirato, è bellissima.
Appena finisco questa storia inizio anche quella su Liam e Elena. Si chiamerà “The Payne I feel inside”. Che fantasia, mamma mia. Ahahah
Buona lettura, ragazze. Al solito, fatemi sapere che ne pensate.. :)

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. ***




Capitolo 18.


ANDATE SUBITO QUI:



Votate i ragazzi per BEST FAN e BEST BAND

Stanno perdendo contro l’Amoroso, su.
Se vedo una rimonta pubblico prima il prossimo capitolo!










Mentre sfogliavo le pagine del libro di letteratura, cercavo di non pensare al protagonista dei miei, di romanzi mentali.
Era già la quindicesima volta che sbuffavo, e qualche compagno di corso se n’era reso conto. Con un’occhiataccia torva lo avevo minacciato, sicché aveva raccattato tutte le sue cose e aveva cambiato tavolo.
Stavo diventando troppo scontrosa, e le riflessioni sulla notte precedente, all’enorme errore che avevo commesso, non aiutavano affatto. Anzi.
Harry aveva ragione, era stato tutto uno sbaglio. Sapevo che prima o poi mi sarei sentita uno schifo, e purtroppo per me quel momento era già arrivato e poi… Con che coraggio lo avrei guardato in faccia senza diventare un peperone cotto a puntino?
 C’era di peggio, inoltre. Sentivo una morsa ferrea all’altezza dello stomaco, mista alle parole sussurratemi con veemenza dal ragazzo durante l’amplesso, e una sola paura si fece spazio in me quasi fosse un’enorme ondata di vento gelido nato direttamente dalle viscere.
 
Voleva togliersi lo sfizio?
 
Non riuscii a frenare il moto di disgusto che si impossessò di me in quel momento, verso la sottoscritta, ma soprattutto nei confronti di lui. Potevo benissimo mettere in conto il fatto che non gli importasse minimamente di me, che non avesse della suddetta persona la stessa considerazione che io avevo iniziato in modo masochista ad avere di lui, che forse neanche aveva pensato a cosa potessi pensare dopo quello che era successo, ma non mi andava di credere che lui mi avesse solo usata.
Quella mutilata consapevolezza si era fatta spazio quando aveva reclamato il suo possesso di fronte a Zayn, un’ora prima.
Quello, d’altronde, mi confondeva ancora di più.
Se da un lato c’era l’idea che a lui non avesse fatto né caldo né freddo avermi avuta, dall’altro un’immagine distorta di noi due insieme si era propinata nella mia mente, proprio a causa del suo tentativo di allontanare il moro da me.
Se avessi continuato a rimuginarci sopra, sarei impazzita, ne ero certa. Poi lui con i suoi continui tentativi di sfuggire a dei chiarimenti, non mi veniva per niente incontro. Sapevo bene cosa significasse per lui essere attratto proprio da me, eppure non riuscivo per niente a credere che mi avrebbe ferita dopo quello che avevamo fatto.
Lo aveva fatto in precedenza, gli avevo dimostrato l’esatto contrario. Ma c’era sempre quella confusione tale, tra me e lui, che risultava difficile capirci qualcosa. Aveva ragione, era tutto dannatamente assurdo.
Da una parte avrei voluto dire “basta” e chiuderla lì, ma dall’altra c’era il desiderio. Un desiderio troppo devastante, ma parimenti dissetante. Quando ci eravamo uniti, mi ero sentita completa, quasi protetta dalla stazza del suo corpo, dall’alto del suo metro e ottanta. Ma non era stato tanto quello, quanto la sensazione che in quel momento fosse solo mio, come lo era stato in quei giorni in cui ci sedevamo sotto il solito albero mentre lui si addormentava sotto l’influsso delle mie carezze.
Quasi mi mancavano istanti di tale innocenza.
Era andata completamente perduta il giorno in cui lo avevo baciato, perché da lì avevo dato inizio ad una catena di eventi disastrosi che presentava solo anelli deboli. Dovevo andarmene da Londra e tornarmene a casa, che, in quel momento, mi parve il luogo più sicuro sulla faccia della Terra.
 
<< Ciao, Louise >> salutai la ragazza che si era seduta al mio tavolo.
Non mi riusciva mettermi a sedere sul prato con Josh e Harry, ai quali si erano uniti un paio di ragazzi, loro vicini di stanza.
Chiusi il libro che stavo leggendo e morsi il panino, cercando di evitare gli sguardi indagatori di Harry. Probabilmente si stava chiedendo perché non li avessi raggiunti.
<< E quello? >>
Vidi la ragazza indicare il mio collo ed istintivamente sospirai, sfiorandomi il succhiotto, delicatamente. Se avesse saputo, se tutti avessero saputo… Ci avrebbero definiti pazzi. Ma loro non potevo neanche immaginare cosa stessi passando. Harry, in verità, era ancora un mistero su quello che sentiva.
<< Non vale il “sono caduta”, vero? >> tentai, e la sentii ridacchiare del mio tentativo misero.
<< No, direi di no >> affermò, mordendo una mela. << Però puoi ritentare. >>
<< E’ complicato >> spiegai, per cercare di sviare il discorso, ma non servì poi a molto.
Con tutto il bene che potevo volere a Louise, non me la sentivo di raccontarle tutto.
<< Diciamo che quando ieri sera sono tornata dal pub, ho incontrato… >> mi guardai intorno alla ricerca di un ragazzo, fino a quando non lo vidi seduto sulle gradinate, con lo sguardo ammiccante rivolto verso di me - inquietante << …Edward. Sì, Edward. Mi sono detta “che male c’è se mi offre un caffè?” Una cosa tira l’altra e mi ha baciata… >>
Dio, quant’ero negata a mentire.
<< Sei un’attrice pessima, Lewis, ma capisco se non vuoi parlarne. Solo che ieri sera abbiamo fatto tutti due più due, dato che anche Harry tre secondi dopo di te è andato via >> spiegò.
<< Immagino >> affermai, guardandola. << Riusciresti a zittire queste voci, Louise? >>
La stavo quasi implorando di farlo. Non volevo che qualcuno pensasse che tra me e Harry ci fosse qualcosa, o lui avrebbe potuto prendersela con me. Anche se era stata colpa sua e della sua scarsa discrezione.
<< Vuoi che lo faccia? >>
Annuii, e lei mi sorrise, per poi iniziare a parlare d’altro. La ringraziai mentalmente, ricordandomi improvvisamente che il giorno dopo ci saremmo lasciate.
Mi dispiaceva tantissimo, soprattutto per Josh, che avrebbe dovuto vedere la sua ragazza andare via, in Irlanda. Un momento. Non mi ero neanche resa conto che la sera prima Niall e Louise si erano incontrati!
Quella maledetta assuefazione da Styles mi stava rovinando.
Quel minuscolo, insignificante particolare mi servì per capire cos’avrei dovuto fare. Mi scusai con Louise e mi alzai, portando con me la mia roba e cercai Harry con lo sguardo, ma non lo riuscii a vedere. Probabilmente era andato via.
Mi avvicinai a Josh e gli chiesi di lui, e l’espressione che fece non mi piacque per niente.
<< Era abbastanza agitato, non ha voluto che lo seguissimo >> mormorò, chiedendomi tacitamente di farlo.
Mi avviai all’entrata dell’edificio e, frettolosa, mi diressi verso il dormitorio maschile intenta a parlare con il ragazzo. Gli avrei detto basta, che ero stanca e che non mi andava di essere usata e che non mi andava di prenderla come veniva.
Non appena fui di fronte alla porta della sua stanza, ebbi un attimo di esitazione dovuto probabilmente al fatto che non fossi mai stata in grado di metter fine a qualcosa che mi faceva stare male, figurarsi con lui che, in un modo totalmente inusuale mi faceva sentire da un lato benissimo e dall’altro uno schifo.
Inspirai ed espirai, chiudendo poi gli occhi prima di bussare.
<< Harry? >> lo chiamai, non ricevendo risposta.
Immediatamente le immagini di lui con una mano sanguinante mi fecero andare nel panico, tanto che mi vidi spingere forte la maniglia e mandare al diavolo le buone maniere.
Fortunatamente, non chiudeva a chiave la porta, o avrei dovuto chiamare Josh dato che era così pratico con la tattica delle spallate.
Mi guardai intorno e ciò che vidi mi fece male. Harry si teneva la testa tra le mani, seduto sul bordo del letto, e neanche sembrava aver fatto caso alla mia presenza. Lì per lì mi sentii a disagio, ma non fuori luogo.
Qualcosa mi diceva che aveva bisogno di qualcuno con cui restare in silenzio.
Mi avvicinai cautamente, lasciando cadere la borsa accanto alla scrivania. Mi inginocchiai di fronte a lui e cercai di guardarlo, cosa resa abbastanza difficile dal fatto che il suo volto fosse completamente oscurato dalle mani.
<< Stai bene? Cos’è successo? >>
Gli sfiorai un braccio con le dita, preoccupata per lui. Praticamente il vero motivo per cui ero andata lì era sfumato con tutta la rabbia.
Lo sentivo, stava cercando di parlare, ma qualcosa lo bloccava. Improvvisamente il presentimento che non volesse mostrarmi che stava piangendo mi fece quasi perdere le forze. Dovevo sapere cosa diavolo gli stesse succedendo, o avrei iniziato a costringerlo. Non mi andava di vederlo così.
<< Harry. Ti prego. Parlami… >> Mormorai, senza smettere di guardarlo.
Strinsi forte la mano sul suo ginocchio, e solo in quel momento lo vidi rivolgermi un’occhiata veloce. Perché quel verde meraviglioso era immerso in un mare rosso?
Sussultai appena alla vista della lucidità dei suoi occhi e sentii la morsa allo stomaco farsi più forte. Mi sembrava di sentire un dolore acuto all’altezza del seno sinistro.
Con un gesto secco scostai le sue braccia e avvolsi le mie intorno alla sua vita, poggiando la testa sul suo petto. Sentii chiaramente il suo mento poggiarsi sulla mia testa, poi le sue labbra.
Quando si fosse sentito pronto, mi avrebbe detto tutto.
Restammo in quella posizione per qualche minuto, e addirittura pensai che potesse essersi addormentato. Improbabile, dato che sentivo di tanto in tanto i suoi muscoli irrigidirsi, forse per reprimere un singhiozzo. Improvvisamente mi lasciò andare e si alzò dal letto, spalancando le ante dell’armadio. Tirò fuori la sua valigia e iniziò a metter dentro le sue cose, alla rinfusa.
Ma che stava facendo?
Silenziosamente mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sul braccio; stava per scostarla sgarbatamente, ma poi, una volta toccata la mia pelle, strinse forte le mie dita. Si voltò finalmente a guardarmi, senza maschere, senza finzione. Era disperato.
<< Gemma ha avuto un incidente >> mormorò.
Il mio cuore perse un battito, i miei polmoni rimasero privi d’aria per secondi interminabili.
 
Gemma.
Ha avuto.
Un incidente.
 
<< Devo tornare a casa >> la follia che albergava nei suoi occhi mi spaventò quasi più della situazione in cui ci trovavamo.
<< Come lo hai saputo? Tua madre? Come sta? >> domandai alla rinfusa, agitatissima per la mia amica. Poco importava se sia lei che sua madre non mi rivolgevano la parola, non potevo accettare che Gemma stesse male.
<< Mi ha chiamato prima, era tranquilla, ma… Devo tornare. Devo tornare >> si ripeté, quasi fosse un mantra.
Se Anne era serena, allora volevasi dire che non era poi così grave. Ma sapevo cosa legava Harry e Gemma, e se lui stava così era perché le parole sorella e incidente per lui non dovevano stare nella stessa frase.
Facendo leva su quel poco di coraggio che avevo, lo feci voltare verso di me e lo abbracciai. Dapprima le sue mani cercarono di scostarmi, debolmente, ma poi le avevo sentite allacciarsi dietro la mia schiena.
 
E’ tutto malsano, ma mi fa, ci fa bene.
 
Lentamente mi avvicinai materasso e lo feci stendere poggiando la testa sul mio ventre, fregandomene altamente della valigia ai piedi del letto e dell’armadio messa a soqquadro.
Tracciai il profilo delle sue forti braccia, per poi arrivare al collo e infine ai suoi capelli che presi a carezzare come sempre, per calmarlo. Speravo funzionasse, perché avevo bisogno che lui stesse bene.
Quella sensazione mi impaurì più del dovuto, e il presentimento che ormai per me fosse già troppo tardi mi devastò.
Come potevo dire “basta” ad Harry se farlo voleva dire rinunciare a stargli accanto? Il fatto era che volevo essere il motivo della sua serenità, dei suoi sorrisi per la mia goffaggine, per i miei tentativi di essere fredda e distaccata quando per prima sentivo come miei i problemi degli altri; per i miei scatti di nervosismo, per le sue frecciatine che mi facevano arrabbiare.
 
Voglio essere il suo tutto.
 
Sospirai, e quando lui mi chiese perché lo avessi fatto scossi semplicemente il capo, continuando ad accarezzarlo. Avevo paura, di stare male, di soffrire perché lui non ricambiava quello che sentivo io. Era nato tutto così improvvisamente e io non ero pronta.
Forse mai lo sarei stata.
Fatto stava che sapevo bene quella fosse più di un’attrazione. Il fuoco era divampato, non c’erano possibilità né volontà di spegnerlo.
Furono minuti interminabili quelli che trascorsero prima che sentissi il suo respiro farsi regolare e le sue labbra schiudersi: si era addormentato.
Istintivamente sorrisi e mi beai di quella sensazione di pienezza. Chiusi gli occhi anch’io, ma non riuscii a riposare come lui stava facendo.
 
A risvegliarmi fu la vibrazione di un telefono. Sul comodino accanto al letto sul quale eravamo stesi io ed Harry, sentivo chiaramente un ronzio fastidioso che cercai di zittire tastando alla cieca, ma alla fine fui costretta a sciogliere l’abbraccio del ragazzo per cercare la fonte di quel rumore.
Quando la trovai, scoprii che era il suo cellulare; sullo schermo appariva a chiare lettere: Mamma.
Non sapevo se avrei dovuto rispondere o meno, ma se quel coso avesse continuato a vibrare avrebbe svegliato Harry che sembrava molto più tranquillo. Ma d’altronde, io stessa volevo sapere Gemma come stesse, quindi feci scorrere il pollice per accettare la chiamata.
<< Harry? >> lo chiamò Anne dall’altra parte.
Deglutii, lanciando uno sguardo verso la persona citata prima di prendere coraggio e parlare.
<< Sono Abbey… Harry dorme, quindi… Se vuoi lo sveglio >> balbettai, dandomi della stupida.
Non mi era mai successo, non con lei che consideravo una madre, ma nella situazione in cui ci trovavamo era normale. Almeno credevo.
<< Ah, ciao Abbey >> rispose tranquilla, facendomi sussultare. << No, non svegliarlo. Appena quel dormiglione si riprende digli che Gemma sta bene, ha solo un braccio fasciato. Stiamo già tornando a casa. >>
Sospirai di sollievo, sia per Gemma che per il fatto che Anne mi parlava con tranquillità. Forse avrei dovuto chiederle scusa di persona, quindi lasciai perdere sin da subito l’idea di farlo in quel momento.
<< Glielo riferirò, Anne. Grazie >> affermai, sorridendo.
Chiusi la chiamata e posai l’apparecchio sul mobile, fissando il vuoto. Certo, avrei dovuto chiamare subito Harry e dirglielo, o al suo risveglio mi avrebbe praticamente uccisa per averlo lasciato dormire mentre sua madre mi diceva che Gemma stava bene e che lui non aveva motivo di preoccuparsi.
Che poi, per Harry, preoccuparsi era un eufemismo.
Il fatto che avesse trattenuto le lacrime era una prova di quanto fosse legato a sua sorella, e che la sola idea che si fosse fatta del male era straziante per lui. In fondo, era così… Sentimentale.
Ma più che altro credevo fosse dovuto alla paura di perderla. Lo comprendevo.
Con una mano lo scossi leggermente, chiamandolo a voce bassa per far sì che mi sentisse. Mugugnò qualcosa e si voltò dall’altra parte, borbottando un “lasciami dormire”. Ridacchiai, divertita, e continuai a scuoterlo.
Lo vidi aprire gli occhi e poi scattare a sedere come se si fosse improvvisamente reso conto di qualcosa e si guardò intorno, spaesato.
<< Harry >> risi, mentre lui lanciava uno sguardo prima a me e poi alle valige, con occhi stralunati. Dio, se era strano appena desto.
<< E’ successo qualcosa? >> biascicò, facendomi ridere ancora di più, tanto che mi accasciai sul letto seguita dalle sue occhiatacce assassine.
<< Ha chiamato tua madre, e dato che dormivi ho risposto >> iniziai, e gli spiegai tutto, vedendo man mano comparire sul suo volto un bellissimo sorriso che ricambiai.
Si lasciò andare accanto a me e socchiuse gli occhi, rilassandosi, finalmente, e io pensai che ormai il mio aiuto non serviva più.
 
Aiuto.
 
No, non era questione di “aiutare”. Il mio era quasi un bisogno impellente di stargli accanto.
Facendo forza sulle braccia mi alzai e feci per allontanarmi, ma qualcosa – o meglio, qualcuno – mi trattenne per un polso, costringendomi a tornare indietro.
Caddi vicinissima al suo corpo, e mi sarebbe bastato sollevare il capo per avere le mie labbra all’altezza delle sue.
<< Resta >> mormorò, poggiando la sua fronte sulla mia testa.
Sarebbe stato un suicidio emotivo farlo, ma non mi importava. Dovevo, volevo sentirlo.
Lentamente inclinai il capo all’indietro, ritrovandomi la sua bocca dinanzi agli occhi. Istintivamente mi torturai il labbro inferiore, mordendolo per resistere alla tentazione di afferrare il suo, tra i miei denti.
Lui, probabilmente intuendo i miei pensieri, mi carezzò il naso con il suo, facendomi perdere totalmente il controllo. Non ci pensai più di un secondo e mi avventai delicatamente sulle sue labbra, temendo di aver fatto la mossa sbagliata.
Mi allontanai quasi subito, distogliendo lo sguardo, ma lui, facendo scorrere una mano dietro la mia schiena, mi tirò più vicino a sé e riprese da dove io avevo lasciato.
Non era come i baci che ci eravamo dati in precedenza, era così calmo, dolce. Passò la sua lingua sui miei denti, chiedendomi il permesso di entrare. Glielo concessi volentieri.
La mia mano corse subito a cercare il suo collo che spinsi per approfondire quel bacio che stava abbandonando tutto ciò che aveva di casto per trasformarsi in qualcosa di decisamente erotico.
Stava mettendo a duro esame i miei già provati ormoni, tanto che fu naturale per me stringere in una presa possessiva i suoi ricci e lasciare che le sue labbra si trasferissero sul mio collo. Lasciò una scia di baci umidi lungo tutta la pelle, ormai bollente, della mia gola, facendomi sussultare quando lo sentii mordicchiarmi un lobo.
Inserì una gamba tra le mie, prima che me lo ritrovassi su di me.
Fu in quel momento che aprii gli occhi e cercai flebilmente di spingerlo via.
 
Non posso commettere ancora lo stesso errore, noi dobbiamo parlare.
 
Immaginando quello che avevo intenzione di fare, fece accidentalmente finire una mano sulla mia coscia, costringendomi a piegarla e accarezzandola per tutta la sua lunghezza. Gemetti in approvazione quando strinse forte in prossimità del gluteo.
 
Dio, quanto lo voglio.
 
Che fosse sbagliato, che non fosse giusto nei miei confronti, non mi importava più. Mandai al diavolo tutto e lasciai che mi spogliasse mentre anche lui si privava dei suoi vestiti; lasciai che mi baciasse, che ridacchiasse ogni qualvolta mi lasciavo sfuggire un gridolino soffocato dal pudore, che mi facesse prendere il comando per un po’ prima di decidere che era abbastanza ed entrare in me.
Ci andava piano, questa volta. Non c’era istinto di possesso, non c’era gelosia.
 
C’eravamo noi due. E il mondo fuori.
 
Prima di uscire lo sentii mormorare qualcosa. E il mio cuore non volle saperne di fermarsi.
Forse avevo udito male, forse stavo iniziando a farneticare, ma nella mia mente Harry aveva appena detto: << Mi fai stare così bene… >>
Sì, forse me l’ero sognato.
 
Harry’s p.o.v
 
Lo avevo detto davvero? Diamine, odiavo quando il sesso con lei mi portava ad essere così sincero.
 
Sincero.
 
Era vero che con lei stavo bene, e il fatto che si fosse presa cura di me a quel modo prima, mi aveva fatto sentire accettato. Sereno.
Ma un conto era tenerselo per sé, un altro spifferarlo al mondo intero. Così, decisi di cambiare discorso e farlo vertere su altro. Perlomeno mi sarei risparmiato scusanti banali. Probabilmente lei neanche mi aveva sentito.
Aggrappatomi a quella speranza, la strinsi al mio torace, facendo aderire perfettamente la sua schiena nuda.
Si rilassò immediatamente, mentre prendeva a carezzarmi il dorso della mano.
<< Che sei venuta a fare, prima? >> chiesi, lasciandomi cullare dalle sue mani.
Piccola e indifesa pretendeva di proteggere me? Quell’idea mi fece mancare il respiro.
Nessuna lo aveva mai fatto, eppure nei suoi più piccoli gesti si sentiva chiara quell’intenzione, così come il sospiro seguito alla mia domanda.
Che cosa le prendeva?
<< Per lo stesso motivo per cui ho cercato di fuggire prima >> mormorò in risposta, fermando le dita non appena avvertì i miei muscoli tendersi.
Rotolai su un fianco e mi allontanai da lei, quasi scottato.
Non era possibile, forse avevo sbagliato qualcosa. Fatto stava che in un lampo raccattai i miei vestiti e li indossai, senza guardarla in faccia.
Forse vederla nello stato in cui si era mostrata anche la notte prima, mi avrebbe frenato dall’andare via e non potevo farlo.
<< Non era mia intenzione crearti delle aspettative >> borbottai, infilando la maglia.
Era camera mia, ma mi sembrava di doverla lasciare lì e fuggire.
 
Come un codardo.
 
<< E’ questo il problema, Harry. Tu non mi hai mai “illusa”, anzi >> spiegò, portandosi le ginocchia per potersi difendere dal mio sguardo.
<< E allora cosa vuoi da me? >>
Quella domanda mi uscì con un tono più cattivo di quanto volessi, e difatti la vidi sgranare gli occhi e chinare il capo.
Cosa le stavo facendo? Lei non abbassava mai la testa!
<< Ora? Niente. Non mi sono mai aspettata niente >> confessò, con voce tremante. Più tardi si sarebbe sicuramente rimproverata quest’insicurezza, che a poco a poco affiorò anche in me.
Non si aspettava niente da me?
Probabilmente sapeva avrei deluso tutte le sue aspettative. Come sempre, con tutti, e per quello iniziavo ad odiare me stesso. Come detestavo la mia persona quando ero con lei, perché mi faceva sentire pieno, consapevole di essere Harold Edward Styles, e non Styles dell’ultimo anno che si portava a letto tutto l’istituto.
La sua venerazione era rivolta a me, non al mio… Amico.   
Tutto quello che sentivo, quella situazione mi stavano togliendo il respiro. Dovevo andarmene.
<< Solo una cosa non credevo potessi fare >> continuò, fermandomi prima che arrivassi alla porta, costringendomi a voltarmi per incontrare questa volta un paio d’occhi scuri, arrabbiati.
<< Trattarmi alla stregua di un oggetto. >>
A quell’affermazione trasalii, cercando di ribattere, ma lei fermò ogni mio tentativo sul nascere.
<< No, fammi finire >> disse, più sicura. << Non voglio diventare una di quelle che accettano di sotterrare orgoglio e personalità solo per poterti avere. Tutto questo è assurdo, noi lo siamo. Io… Io non sono come te, Harry, non mi passa facilmente e se continuiamo su questa strada potrei finire davvero male, quindi… >>
Mi stava chiedendo di smetterla lì. E chi ero io per negarle quel favore sebbene non fossi minimamente d’accordo con l’idea di vederla allontanarsi?
<< D’accordo >> mi ritrovai a dire, cercando di apparire freddo come sempre. Cosa che mi riuscì dato che lei sembrò abbassare tutte le difese per cercarne una esterna, trovandola poi nel lenzuolo col quale si coprì fin sulle spalle.
La vidi scuotere il capo, prima di alzarsi, tirandosi dietro tutto il corredo del letto per non mostrarsi nuda. Come se non conoscessi ogni fibra del suo corpo.
Raccolse il suo intimo e lo indossò velocemente, prima di lasciar cadere il lenzuolo per infilare i jeans e la maglietta.
Senza neanche degnarmi di uno sguardo, mi scansò con poca grazia e uscì dalla stanza.
Se n’era andata.
Probabilmente non sarebbe tornata.
Perché mi sentivo quasi male?
 
 






*coff coff*
Scusate, non vi ho avvisate prima di questa..ehm..scena.
Mi serviva, in verità, sì. Per chiarire le cose, perché Abbey ha finalmente trovato la forza di dire tutto, e Harry ha capito che lei non è un semplice passatempo. La frase << Mi fai stare così bene >> l’ha detta, ragazze. Il nostro amato e tenebroso Hazza si è lasciato sfuggire una confessione ;)
Ora cosa succederà? Si sono detti definitivamente “addio”? Il ritorno a Holmes Chapel si avvicina, i due non sembreranno mai essere così distanti…
Non vi anticipo nulla, ma sappiate che da questo momento in poi la storia inizia a movimentarsi un po’ ;)
A proposito, c’è qualcuno che mi ha chiesto se avessi un account FB… Ebbene, resto nell’anonimato. Però, non è che posso nascondermi, quindi ho creato un account “Ask.fm” solo per voi u.u Questo è il mio profilo: Angerproof

BOMBARDATEMI DI DOMANDE, BABES.
 
P.s Il prossimo capitolo l’ho scritto un po’ nervosa, quindi è pieno di… rabbia.
 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. ***


Capitolo 19.










I banchi erano disposti a file.
Ognuno di noi occupava un posto.
Le mie dita erano martoriate, per nervosismo e non per altro, ne ero certa. Insomma, non avrei dovuto avere motivo di essere così ansiosa, erano cose che sapevo ancor prima di iniziare quel corso. Eppure il fatto che Douglas girasse per i banchi per controllarci mi metteva su un nervosismo senza pari.
Ero completamente sveglia, avevo bevuto tanto di quel caffè la notte prima…
Mi ero rassegnata al fatto di non riuscire a dormire come si deve a causa di quello che era successo con Harry, quindi avevo cercato un metodo alternativo. Solo che le occhiaie non erano proprio un belvedere e dimostravano l’esatto contrario di quello che credevo di apparire.
Ma a chi importava? Continuai a far scorrere la penna su quel foglio mentre di tanto in tanto lo sguardo cadeva su Louise che sembrava abbastanza tranquilla, come Josh e Harry stesso, che incrociava i miei occhi per pochi istanti prima di distoglierli.
Il fatto che non avesse esitato a darmi l’okay per chiudere tutta quella storia era sinonimo del suo menefreghismo. Di me non gli importava, chiaramente.
E non gli era mai importato a quanto pareva, perché mi aveva usata, come avevo previsto. Vedendo venir meno la possibilità di far sesso così semplicemente, aveva detto “addio”.
Era ovvio.
Ovvio.
E io ero stata maledettamente stupida, ma questa consapevolezza non faceva affatto stare meglio, anzi. Mi sentivo ancora peggio.
D’altronde, non è che mi fossi fatta desiderare poi così tanto da lui, e non ne avevo avuto intenzione perché credevo che fosse controproducente finirci a letto insieme, quindi non mi ci ero applicata più di tanto. E non era neanche stato un problema, dato che entrambi non pensavamo di giocare con l’attrazione, dato che ci aveva vinti in quel modo.
Che Harry non fosse un tipo da relazioni, si era capito. E chi ero io per cercare di cambiarlo? Soprattutto, avevo davvero voglia di avere una storia con lui?
Se ripensavo a quello che volevo essere per quel ragazzo, al volergli stare accanto perché sicura di contare qualcosa... Be’, probabilmente neanche ci avrei riflettuto più di tanto.
Inoltre, quello era l’ultimo giorno al campus, quel pomeriggio stesso i trenta ragazzi del corso avrebbero saputo se avevano superato o no il test e con quale punteggio prima di tornare a casa senza dare tempo di festeggiare. Non che la sera prima non si fossero dati da fare, li avevo sentiti chiaramente dall’alto del mio enorme mal di testa, quindi non si erano preoccupati più di tanto per il doversi dire addio. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stata distratta, di come non avessi legato con nessuno di loro se non con Louise e Josh, che certo non trovavano semplice l’idea di doversi separare, e mi dispiaceva tanto non aver aiutato Louise a superare la cosa...
Elena, poi, non chiamava da un po’, quindi non immaginavo nemmeno come stesse andando con Liam.
 
Ma dove sono andata tutto questo tempo?


Mi ero ritrovata in un luogo della mia mente che prevedeva l’esclusione a priori di qualsiasi cosa non riguardasse Harry. Dovevo archiviare il caso Styles e tornare a vivere, almeno prima di dover partire per il college, qualsiasi esso fosse. Alla fin fine Oxford non era neanche così lontana; appena 137 miglia che avrebbero potuto riportarmi a casa in due ore circa. Il problema era che quelle due ore dovevano diventare giorni, giorni e giorni, perché non volevo vedere più nessuno per tutto il semestre.
 
Terminato il test lasciai l’aula con un sorriso stampato in volto – evidentemente finto.
Dovevo ancora preparare i bagagli, così mi affrettai a tornare in camera, seguita e poi abbandonata da un altro paio di ragazzi che come me avevano finito.
Erano passate sei settimane. Sei settimane in cui credevo che stare lontana da Harry fosse la soluzione migliore, sei settimane in cui mi ero vista crollare il mondo addosso, in cui avevano rischiato la vita per me, in cui avevo litigato con l’unica donna che avrei mai potuto definire madre; sei settimane di perdizione.
Tutto sommato, avrei potuto solo imparare da quell’esperienza. Inoltre, i miei genitori non li avevo più sentiti, sicché tornare a casa mi faceva ancor più paura.
Sospirai, mentre mettevo dentro il bagaglio le mie maglie. Passai velocemente ai jeans, alla biancheria e alle scarpe, per poi mettere tutti i libri in una borsa a parte. Lasciai sul letto solo una busta e un cambio pulito, poi filai a fare una doccia.
Ancora gocciolante tornai in camera, avvolta da una tela che non arrivava neanche a metà coscia. E fortuna volle che quel giorno, proprio quel giorno, non avessi chiuso a chiave la porta.
 
<< Diventa complicato esserti amico se tieni sempre la porta chiusa! >> borbottò, incrociando le braccia al petto con un broncio che trovai assurdamente dolce. Quel ragazzo era impossibile, non si poteva discutere con lui che subito se la prendeva.
<< Senti, Zayn, mi sembra anche un po’ normale volere un po’ di privacy, non credi? >> risposi, con un tono da madre apprensiva.
Difatti mi fulminò con lo sguardo, e io non potei fare a meno di ridere. Mi faceva divertire, non c’era che dire.
<< Ma dormi sempre! >> riprese, fissandomi e allargando le braccia con fare teatrale. << Ogni volta che vengo da te devo ricorrere alle mie doti da tenore. >>
<< Ma dai, Pavarotti >> lo presi in giro, spingendolo lentamente, << ti do la mia chiave. Tanto quando Sandy esce non chiude mai e io non ne ho bisogno. >>
<< Sei sicura? E se dovessi rimanere chiusa fuori? >> Feci spallucce, porgendogli il mazzo, senza ripensamenti. Potevo fidarmi di lui, lo sapevo.
<< Ti chiamerei. Ovviamente non ci sono solo vantaggi, caro mio. >>
<< Mmh.. Questo vuol dire che potrei trovarti nuda >> ammiccò, ghignando come un malato.
 
Nuda proprio no, ma c’eravamo andati vicini.
Cercai di coprirmi alla bell’e meglio mentre sentivo gli occhi di Zayn perlustrare ogni centimetro quadrato del mio corpo bagnato. Sciolsi i capelli per cercare di nascondere almeno la pelle del petto che rimaneva scoperta per celare le gambe, ma non ottenni nulla se non una voglia improvvisa di sotterrarmi.
<< C-che c’è, Z-Zayn? >> domandai, imbarazzata.
Lui parve riprendersi dal suo stato d’incoscienza e mi venne incontro, tornando a sorridere come faceva sempre.
<< Ti ho riportato le chiavi, oggi devi partire, no? >> spiegò, come se fosse ovvio.
 
Forse perché lo è?
 
Mi diedi mentalmente della stupida e afferrai il mazzo, prima di dargli le spalle per posarlo sulla scrivania.
<< Tutto bene, Ab? >> la sua non era una domanda. Era uno “stai male e non negarlo” posto come tale.
<< No >> confessai, e mi sentii più nuda di quanto in realtà non fossi sotto quella leggera spugna che avvolgeva il mio corpo. Non era facile ammetterlo con tanta semplicità.
<< Ti va di parlarne? >>
A quel punto mi conveniva aprirmi con qualcuno, pur di avere un punto di vista maschile. Poi sapevo che di Zayn ci si poteva fidare, mi aveva dimostrato più lui in un paio di settimane che Liam in un paio d'anni, prima di diventare il mio migliore amico. Ora mi conosceva quanto Elena, per me erano indispensabili quanto l'aria che respiravo.
<< Sono andata a letto con Harry >> lo vidi sussultare, ma non era finita. << Due volte. Ieri gli ho detto che non era nelle mie intenzioni diventare il suo bambolotto e, in un certo senso, gli ho confessato di sentire già qualcosa per lui. >>
Detto ad alta voce sembrava anche peggio.
 
Ma in che casino mi ero andata a cacciare?
 
Cercai il suo sguardo, trovandolo mentre mi scrutava e pensava. Sembrava assorto in chissà quale assurdo ragionamento, dato che rimase in silenzio un bel po’, tanto che pensai di potermi tranquillamente rivestire.
<< Provate a parlarne, da persone adulte quali siete >> consigliò.
A quel punto una sonora risata echeggiò nella stanza, facendo inarcare al moro un sopracciglio, confuso.
<< Zayn, tra me e lui non c’è dialogo, non c’è mai stato se non per insultarci. E forse è proprio questo il problema, perché io ora come ora, sebbene lo stia odiando per avermi lasciato perdere senza farsi tanti problemi, non riesco a pensare ad altro, se non a quanto… >> mi bloccai, sgranando gli occhi.
Non era facile ammetterlo, soprattutto ad alta voce, perché diventava vero, dannatamente reale.
<< Quanto…? Su, Abbey, non è difficile >> mi spronò lui, avvicinandosi. Fremetti involontariamente quando lo sentii sfiorarmi un braccio nudo con le dita leggere, ma cercai di celare quella sensazione per pensare ad altro.
Chinai il capo e presi a studiare i miei piedi, scalzi, divenuti improvvisamente più interessanti di tutto quello che mi circondava.
<< Quanto… Quanto… Quanto tengo a lui >> mormorai, senza riuscire a sollevare gli occhi sul volto di Zayn che, ero certa, mi stesse fissando in modo dispiaciuto. Gli stavo anche dicendo, praticamente, di essere ricorsa a lui per dimenticarmi di quello che stavo iniziando a sentire.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa sentimmo bussare alla porta, ed entrambi volgemmo l’attenzione alle voci che provenivano da fuori.
Lui era qui, con Josh.
Perché?
Mi guardai intorno, confusa, ma Zayn cercò di calmarmi, dicendomi di andare in bagno a vestirmi mentre lui andava ad aprire.
Annuii e mi rinchiusi nella saletta, scivolando lungo la superficie lignea della bussola prima di portarmi due mani sul volto, stranita. Cercai di acuire l’udito per sentire cosa si stavano dicendo, per poi ascoltare a stralci la conversazione.
<< Doccia con la Lewis, Malik? >> ridacchiò, ammiccando, Josh.
Sgranai gli occhi, pianificando di uscire per risolvere quella situazione, ma farmi vedere ancora seminuda non era una prova a mio favore. Mi vestii in tutta fretta, senza smettere neanche un secondo di origliare.
<< Harry, ma… Quella non è tua? >>
Un enorme punto di domanda mi si parò sulla testa, e fui grandissima e potente la tentazione di uscire e assistere dalla tribuna d’onore a tutta la chiacchierata, ma ne stetti lì, in silenzio.
<< Uhm… No, non lo so. Non credo >> rispose l’altro, agitato.
Poi un flash.
La sua maglia dei Pink Floyd! Non gliel’avevo più ridata! Oh, cavolo, era anche lì, in bella mostra sulla sedia accanto alla scrivania...
Mi stavo giocando tutto, in quel momento, quindi tanto valeva uscire e mettere in chiaro le cose.
 
Devo mentire, ma ancora per poco.

Spalancai la porta e me li ritrovai davanti, sorpresi per la mia entrata in scena.
Effettivamente potevo metterci meno enfasi, ma poco importava. Ero pronta a mettere su una farsa da premio Oscar, ma fu Zayn ad offrirmi la bugia su un piatto d’argento.
<< E’ mia, in verità. Non dovrebbe sorprenderti che sia come quella di Harry, in fondo sono tutte uguali, no? >> mentì, con un mezzo sorriso, rivolto a Josh.
Nel frattempo vidi Harry tirare un sospiro di sollievo, e quella cosa mi ferì. Si vergognava così tanto a far sapere di essere stato con me?
<< Vado a vedere se Louise ha finito. Zayn, chiudi tu >> borbottai, scansando Styles ed uscendo dalla stanza a passi pesanti.
L’avrei bruciata, quella t-shirt, l’avrei cosparsa di benzina e poi avrei fissato famelica la stoffa prendere pian piano fuoco, ridendo come un’isterica bisbetica, sperando che a carbonizzarsi fosse il proprietario.
Errore, errore, errore! Avevo commesso un terribile sbaglio a lasciarmi andare con lui, e solo in quel momento me ne rendevo pienamente conto, almeno io. Lui invece mi aveva considerato uno sbaglio – da non rifare – sin dall’inizio, si vergognava di me, mi teneva alla larga e si avvicinava solo quando gli altri non potevano vederci.
Io non ero uno giocattolo proibito, non ero da trattare in quel modo!
Mi misi a sedere su una delle panchine del campus, incazzata nera e con i nervi a fior di pelle, tanto che mi isolai totalmente. Dovevo respirare aria fresca, non vedevo l’ora di andarmene da quel posto assurdo.
Assurdo lui, assurdo noi, assurdo tutto!
<< Vaffanculo, cazzo! >> imprecai, calciando un piede a terra.
<< Lewis? >> Mi voltai di scatto, fulminandolo con lo sguardo.
E ora che voleva?
<< Aspetta, bada prima che non ci veda nessuno >> sputai acida, nervosa come non mai.
<< Cosa? >>
Pareva realmente confuso, ma sorvolai perché in quel momento avrei solo voluto prenderlo a schiaffi e sbatterlo con la testa contro il palo della luce accanto alla panchina.
<< Che vuoi? >> domandai, diretta, senza guardarlo.
<< Che ci facevi con Zayn? >>
 
Eh, no, io questo tono di accusa non lo tollero! Come non tollero più la tua stupida faccia e i tuoi polmoni che respirano la mia stessa aria.
 
<< Saranno fatti miei? >> risposi, retorica.
<< Voglio saperlo >> si impuntò lui, mettendosi addirittura comodo.
Stavamo sforando decisamente il ridicolo, perché io mi ero allontanata da camera mia per starmene da sola. Lui non aveva il diritto di cercarmi né tantomeno di rompermi le palle che non avevo con delle insinuazioni che mi offendevano non poco, dato che non ero affatto la tipa che faceva sesso con chiunque per togliersi qualcuno dalla testa.
Non ero la tipa che faceva sesso in generale, ma quello evitai di dirlo, onde evitare di essere presa per una pazza isterica bisognosa di una sana scopata.
<< Harry, mi spieghi cosa vuoi da me? Un minuto prima mi insulti, l’altro ti fai quasi ammazzare per difendermi, poi ci baciamo, infine mi eviti. Come ciliegina sulla torta finiamo a letto insieme, e tu, dopo che ti chiedo di “smetterla qui” con una convinzione che avrebbe potuto essere paragonata a quella di Gandhi che per accontentare il popolo avrebbe acconsentito alla guerra, mi dici semplicemente “d’accordo”. Ah, e non dimentichiamoci della nomea che ti faresti se venissero a sapere che te la sei fatta con Abigail Lewis, eh! Ma tanto che t’importa? >> dissi, tutto d’un fiato per poi respirare a pieni polmoni un’aria che mi era mancata anche troppo, a dire il vero.
Lui era rimasto zitto tutto il tempo, mentre io cercavo di ritrovare un po’ di calma per quello sfogo per nulla previsto, almeno non a voce alta.
<< Io… Non so che cosa voglio, ma so quello che non voglio >> ribatté.
<< Così è troppo facile. Anche io so dire solo quello che non sono, quello che non voglio, quello che non posso essere. Ma ci provo, ci provo a togliere quella maledetta negazione. Almeno… Io… Ci provo >> mormorai, stanca.
<< Stai tirando fuori gli artigli, a quanto vedo.. >> sorrise, amaramente, cercando di cambiare discorso. Ma non ci sarei ricaduta, non ancora.
<< Sei l’unico in grado di tirar fuori il meglio e il peggio di me. A volte mi sorprendo di me stessa, scoprendomi totalmente incoerente ed incostante. E’ l’unica cosa che non riesco a governare ancora come si deve, ma ci sto lavorando. >>
Restammo in silenzio per un po’, entrambi con gli sguardi persi nel vuoto, a contemplare quel luogo che non avremmo mai più rivisto. Tutto sarebbe entrato a far parte del passato, e speravo vivamente anche lui. Solo che non avevo fatto i conti con la memoria, quella mi avrebbe fregato ogni volta.
<< Il peggio di te prevede anche il farsela con uno dei miei migliori amici? >>
Quella dichiarazione fu una pugnalata dritta al cuore.
<< Arrivati a questo punto dovrei risponderti con qualsiasi forma di insulto in altrettante lingue, ma mi limito a farti una domanda, Harry: perché frequentare Zayn dovrebbe rappresentare la parte peggiore della sottoscritta, ma soprattutto, perché dovrebbe essere un fastidio per te? Mi parli come se ti stessi tradendo, e non è così, perché io e te non ci apparteniamo. A meno che tu non senta un istinto di protezione tale nei confronti del tuo amico da volerlo tenere lontano da me >> parlai, tranquilla. << E questo sarebbe ancora più orribile, dato che non mi sembra di aver mai fatto qualcosa per meritarmi la tua diffidenza. >>
<< Cosa dovrei pensare nel vederlo sempre avvinghiato a te, dopo esserci praticamente saltati addosso? Non credi che anche il sottoscritto si sia sentito lievemente  usato? >>
Sgranai gli occhi, non credendo alle mie orecchie. Era gelosia, quella?
No, impossibile. Era orgoglio. Lui si sentiva colpito nella sua virilità, perché voleva avermi solo per sé. Non aveva mai amato condividere i suoi giochi con nessuno, figurarsi se lo avrebbe fatto con me.
Quella consapevolezza mi fece sorridere amaramente, istericamente, poi scossi il capo e mi alzai, intenzionata ad andarmene.
<< Tu non hai capito niente >> dissi, digrignando i denti. << Niente… >>
Mi raggiunse in poco tempo, afferrandomi per un polso e costringendomi a voltarmi. Mi persi un attimo, un solo istante nei suoi occhi, e per me fu la fine. Persi ogni determinazione.
<< Allora spiegami. Dimmi. >>
<< Io… >>
 
 


TAAAA-DAAAAAAN
Scusate l’enorme ritardo, ma sto per suicidarmi per gli impegni che sono saltati fuori! So che “estate” è sinonimo di più capitoli, ma… Purtroppo sarò costante :/ Nel senso che al massimo riuscirò a pubblicare ogni cinque giorni.
Mi dispiace un casino, davvero, ma sono travolta e tramortita.
In compenso, sto lavorando anche all’altra storia, così magari ce l’avrò pronta per Settembre, mese in cui credo pubblicherò l’ultimo capitolo di Change My Mind. Eh sì, ragazze: la storia NON andrà al di sotto dei 25 capitoli, forse uno in più, ma direi che siamo quasi agli sgoccioli.
Spero che non mi abbandoniate, tutte voi, e che seguiate anche quella su Liam ed Elena, perché sono certa vi affezionerete anche a loro. Sempre stesso rating, quindi sarà accessibile a tutte e le scenette (if you know what I mean) saranno presenti!
Filo a scrivere finché posso, fatemi sapere cosa pensate dirà Abbey!

p.s Vi ricordo il contatto Ask u.u:

                                                          Angerproof

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. ***


Capitolo 20.


Prima di iniziare…

Avete sentito la canzone di Harry?
Quando GRIDA quel “Don’t let me go, ‘cause I’m tired of feeling alone”.
Boh, mi ha ispirato il capitolo, dico solo questo.
 
 
 
 
 
­­


<< Io… >>
<< Ragazzi! >>
Ringraziai tutti i santi, Gesù, Dio, gli dèi, Buddha, Gandhi, Mandela, Luther King e compagnia cantante per aver portato Josh nella mia vita.
Ci corse incontro e ci rivolse un’occhiata parecchio eloquente dato che eravamo soli, e le dita di Harry erano strette attorno al mio polso.
Con un gesto rapido e secco scostai la mano e la infilai in tasca, rivolgendomi al mio amico che mi aveva appena salvata da una situazione imbarazzante.
<< Tra due ore arriva il bus, dobbiamo prepararci >> comunicò, indicando lo spiazzato che si stava già riempiendo di ragazzi pronti ad andar via.
<< Dacci cinque minuti >> chiese Harry, facendomi sussultare.
Non mi aspettavo certo questa richiesta!
Vidi Josh guardarmi con aria stranita prima che annuissi, sebbene andasse contro la mia volontà. Si allontanò in fretta, lasciandoci nuovamente soli. Non avrei risposto alla sua domanda, erano già troppe le conferme che gli avevo dato e non mi serviva un ulteriore motivo per piangermi addosso ed umiliarmi in quel modo, sicché mi voltai per mettere in chiaro le cose.
Io e lui non avremmo più dovuto vederci.
Purtroppo per me, lo sguardo di Harry non mi aveva lasciato possibilità di attaccare, perché c’era qualcosa in quegli occhi che mi stava facendo venir voglia di prenderlo tra le braccia e baciarlo fregandomene delle conseguenze.
Indecisa tra il saltargli addosso e l’andarmene via, rimasi ferma nella mia posizione, rigida e fredda, nonostante il fatto che dentro stessi bruciando.
<< Stavi dicendo? >>
Deglutii, distogliendo solo in quel momento il volto per fissare un punto impreciso al mio fianco.
<< Abbey, ti stai comportando da bambina. Odio quando fai così >> sibilò, arrabbiato.
<< IO COSA?!>> gridai, facendo un passo in avanti. Improvvisamente mi era tornata voglia di ammazzarlo. Come si permetteva? Io non ero una mocciosa, una di quelle che si portava a letto e che pretendevano anche di sentirsi dire “ti amo” dopo due ore di sesso con lui!
<< Stai sforando il ridicolo, Styles. Io e te non stiamo insieme, io non sono tua. Tu non mi hai voluta tua, nel senso giusto >> rabbuiai, colpendolo con l’indice sul petto, per dare enfasi e carattere a quella frase che di logico non aveva nulla.
Ma probabilmente lui aveva colto un significato che io non ero stata in grado neanche di concedere a quell’affermazione perché si avvicinò e mi fermò la mano, trattenendola all’altezza del suo petto.
Dio, mi sentivo così dannatamente ridicola. Mi stava mettendo in una situazione che avrei rimpianto per il resto dei miei giorni.
<< Sai che ti dico? Fai quello che ti pare, scopati mezzo mondo ma non sperare di trovare chi ti tratti bene. Ti stai solo illudendo, come tutte >> disse infine, e la mia rabbia riaffiorò più prepotente di prima, tanto che fui costretta a trattenere il respiro qualche istante per parlare da persona civile qual ero.
<< Mi hai stancata con questo “come tutte”. Se davvero mi consideri alla stregua di quelle oche che ti porti a letto, allora hai proprio sbagliato persona. Ti rendi conto che mi hai chiesto di ignorare ed ignorarci, e di vederci solo per fare sesso? >> borbottai, inarcando un sopracciglio.
Lui mi imitò, evidentemente cercava di ricordare il momento in cui avesse detto una cosa del genere.
Glielo rimembrai e lui mi disse di non aver mai pronunciato quelle parole, ma capì bene che il succo era quello, dato che non ribatté come invece mi aspettavo.
<< Smettila di vedere film su amici di letto, perché io te non siamo amici, né tantomeno vedremo più un letto. Almeno insieme >> risposi alla fine, dolendomi per quella risposta.
Non tanto per il letto – certo, il mio corpo era appena entrato in fase di lutto perché come mi aveva toccata Harry non mi aveva mai toccata nessuno – ma per la fase di amicizia. Io avrei voluto che diventassimo qualcosa di più che semplici conoscenti.
Ma lui stava troncando tutto sul nascere, com’era solito fare con ogni cosa. Mi sorprendeva che avesse portato a termine quel corso.
<< Non mi sembrava ti lamentassi tanto mentre eravamo insieme. Anzi. >>
Screanzato, sfrontato, cafone!
Avvampai immediatamente, rendendomi conto che quell’idiota stava usando le mie incapacità di tenere sotto controllo gemiti e sospiri per colpirmi. E ci stava riuscendo.
<< Perché vuoi rendere tutto più complicato? >> mormorò, quasi ovvio.
Solo che davvero non capivo perché volesse farmi parlare, perché stesse in qualche modo cercando di convincermi del fatto che dovessimo continuare quell’assurda relazione.
<< Era il corpo a parlare, in quel momento. Anche Zayn potrebbe farmi lamentare >> sputai, perentoria.
Lo vidi irrigidirsi e tendere la mascella prima di avvicinarsi ulteriormente e mettere una mano sul mio fianco.
Subito tutti i miei muscoli si tesero e i sensi si misero in allerta, soprattutto quando le sue labbra si avvicinarono al mio collo, proprio in prossimità del livido che mi aveva lasciato, quello che mi aveva concesso come segno. Neanche fossi di proprietà privata.
Vi soffiò leggermente sopra, provocandomi brividi che si propagarono lungo tutta la spina dorsale.
<< Non è semplicemente questione di corpo, Lewis. Tu mi vuoi >> affermò, sicuro.
<< Non mi pare di avertelo mai nascosto >> risposi a tono, seppure ancora scossa dalla sua vicinanza e dal fatto che le sue labbra sfiorassero continuamente il lobo del mio orecchio.
Dovevo mantenere la calma e la lucidità necessaria per non farmi sopraffare da lui, o sarebbe finita e tutto quel teatrino sarebbe stato un’enorme inutilità.
Non appena sentii qualcosa di caldo e umido poggiarsi sulla mia mascella, arretrai, scottata. Non potevo, non dovevo.
Mi fissò confuso per un po’, prima di riassumere il ghigno strafottente di sempre.
<< Alcune cose avresti dovuto tenerle per te >> soffiò, distogliendo lo sguardo.
Quello che avevo detto era davvero così scomodo per lui?
<< Ho sentito tutto durante il riposo dopo l’intervento, Abbey. Ogni singola parola >> snocciolò poi, senza mai guardarmi dritto negli occhi.
Lo immaginavo, purtroppo, ma saperlo direttamente da lui era tutta un’altra cosa. Provavo rabbia verso me stessa perché avrei dovuto stare zitta e reprimere certi istinti. Avrei dovuto tenerle per me, aveva ragione lui. Ma non gliel’avrei data vinta: visto che eravamo in gioco, tanto valeva continuare a lottare.
<< Allora perché prima mi hai posto quella domanda? >> chiesi, con un tono troppo incrinato rispetto a prima.
<< Volevo fossi tu a dirmelo, una buona volta. >>
Sussultai lievemente, torturandomi le dita per il nervosismo.
<< Cosa sarebbe cambiato? >> ebbi il coraggio di chiedere, ma con una nota di tristezza nella voce.
Sapevo bene come sarebbe andata a finire, e le mie previsioni si stavano avverando comunque. Infatti mi annunciò che dovevamo andare, perché dovevamo salutare i professori e portare fuori i bagagli per il viaggio.
Gli intimai di andare avanti, perché non volevo più combattere contro i mulini a vento. Per lui non ero valsa, non valevo e non sarei mai valsa nulla, se non un paio di semplici nottate durante la permanenza al campus.
Con quella mia domanda avevo appena detto addio ad Harry, sebbene nella mia mente lui ci sarebbe rimasto lo stesso.
 
Salutammo i professori di lingue in pochi minuti, prima di disporci in una lunga fila fuori al dormitorio, nei pressi del giardino. Sembravamo trenta soldati in attesa di ricevere ordini dal comandante, quando l’unica cosa che ci stavano dando era l’attestato di superamento del test finale – fortunatamente a pieni voti – di quel corso che mi aveva totalmente sconvolto l’esistenza.
Quando ebbi il rotolo di carta tra le mani e l’attestato di partecipazione e successo, esultai tra me e me perché vedevo Oxford sempre più vicina e l’inferno sempre più lontano.
Schiacciai il cinque a Louise, accanto a me, una volta terminata quella pseudo cerimonia, e l’abbracciai stringendola forte, promettendole che quello non era per niente un addio.
A parte alcuni residenti a Londra che salutai molto velocemente – Edward e Colin li evitai come la peste, per ovvi e fondati motivi – non ci volle molto per fare un cenno veloce agli altri, prima di salire, accompagnata da Josh, sul bus giallo che era passato a prenderci un mese e mezzo prima per condurci all’Elizabeth I. Dal finestrino vidi scorrere il campo, mentre l’autobus si allontanava e i professori salutavano calorosamente i loro ormai ex alunni.
Nonostante tutto, avevo imparato tantissimo in quel campus, avevo fatto esperienze che mai mi sarei sognata, tanto negative quanto positive, e improvvisamente sentii uno strano senso di malinconia pervadermi.
Luoghi che non avrei mai più rivisto e che erano stati teatro di misfatti e belle sensazioni... Era strano lasciarsi tutto alle spalle. Compreso Harry, ma solo in senso fisico perché stava seduto sul sedile dietro al mio.
I primi ad essere riaccompagnati fummo proprio io e Styles. Pochi metri prima fu fermato lui, poi io due case dopo.
Lasciai cadere le borse a terra quando mi ritrovai Elena addosso, mentre, calorosamente, mi stringeva a sé.
Ricambiai l’abbraccio, affettuosa come non mai perché mi era mancata più di qualsiasi altra cosa in quel periodo. Averla avuta accanto nel momento più difficile mi aveva fatto capire quanto avessi bisogno di lei e della sua presenza nella mia vita.
<< Dov’è Liam? >> chiesi, guardandomi intorno.
<< Ci raggiunge tra qualche minuto, aveva da fare! Ora dimmi, com’è andata con Harry? >>
E le raccontai tutto. Mentre portavamo le borse in casa, aiutate da mio padre che si era degnato di sollevare il bagaglio più pesante per poi lasciarci sole, le avevo detto ogni cosa. Da quando eravamo finiti a letto insieme, alla mia intenzione di dirgli tutto, per poi passare alla discussione avuta quella mattina stessa.
Lei ascoltava assorta, mentre a me sembrava di percorrere a ritroso anni di storia quando poi era successo tutto in poche settimane.
Effettivamente quello che avevamo passato prima aveva spianato la strada, ma poco importava. Tutto era esploso in quelle poche settimane.
<< Ne sei innamorata, vero? >>
A quella domanda persi quasi l’equilibrio. Fortuna volle che fossi già seduta, o mi sarei ritrovata a terra con un fondoschiena dolorante per la botta appena presa.
<< Non lo so, io… Non credo >> risposi, valutando tutto.
<< No, non pensarci >> mi ammonì, prendendo il mio volto tra le mani e scuotendolo. << Mentre ne parlavi eri così assorta, e quando arrivavi a ricordare i momenti più belli indossavi un sorriso che non ti ho mai visto fare. Tu ed Harry siete sempre stati un’incognita. >>
Inarcai un sopracciglio, confusa. Ma cosa stava dicendo?
<< In che senso? >>
<< Vi ho visto spesso ridere insieme, passare del tempo in assoluta tranquillità, scherzare e a volte anche fissarvi come se voleste strapparvi i vestiti di dosso da un momento all’altro >> ammiccò, facendomi un’occhiolino. << Però poi litigavate come non ho mai visto litigare nessuno, vi tenevate il broncio per giorni e vi rispondevate solo per continuare a battibeccare. La maggior parte del tempo era così, ma ciò non toglie che entrambi, quando eravate in pace, sembravate migliori amici da una vita. Qualcuno avrebbe addirittura potuto pensare che vi voleste un bene dell’anima. >>
Ridacchiai, lasciandomi cadere contro il cuscino.
<< Perché me lo dici solo ora? >> domandai, guardandola.
Lei fece semplicemente spallucce, alzandosi per scendere di sotto a prendersi qualcosa da mangiare, visto che i miei erano andati a fare la spesa.
In effetti ad Harry avevo sempre tenuto in un modo del tutto particolare. Il fatto che tentasse sempre di proteggermi me lo faceva apprezzare parecchio, e nella bolla con lui ci ero sempre stata bene.
Poi si aggiungevano l’assoluta necessità di farlo stare bene, di stargli accanto, di vederlo sorridere. Se sinonimo dell’amore era la dedizione, allora..
 
Sono innamorata?
 
Io non sapevo cosa volesse dire amare, in verità. Non l’avevo mai provato prima, né avevo avuto esempi dinanzi a me che potessero in qualche modo offrirmi un’immagine chiara di quel sentimento. A parte Elena, ma il suo era un amore masochista. Neanche lei sapeva cosa stesse succedendo con Liam, ma se doveva fare così male…
Sia io che lei eravamo distrutte. Perché l’amore aveva quell’effetto collaterale di sì ampia portata? Io avrei dovuto odiare Harry, detestarlo con tutta me stessa, eppure… In quel momento avrei voluto correre da lui e gridargli di smetterla, di cercare di conoscermi davvero. Ma non ne avevo il coraggio. Da un po’ di tempo a quella parte ero diventata una codarda senza pari.
Sbuffai, lanciando un peluche contro il muro, per poi vederlo rotolare vicino all’armadio di mogano.
<< Ho bisogno di firmare un armistizio per entrare? >>
<< Zitto ed entra, Honey >> sorrisi, mettendomi a sedere e perdendo subito tutti gli istinti omicidi di quel momento. Lo abbracciai stringendolo forte, mentre entrambi rischiavamo di cadere dal letto, con le risate di Elena di sottofondo.
<< Siete strani, voi due >> affermò, mordendo una mela.
<< Parla per lui, io sono la normalità fatta persona >> mi atteggiai, incrociando le braccia al petto.
<< Io l’ho sempre detto che si droga >> rispose l’altro, allontanandosi prima che potessi colpirlo, ma finendo comunque col sedere a terra.
<< Se io mi drogo tu hai l’alcol direttamente in testa, tesoro >> ridacchiai, raggiungendo Elena sulla soglia.
<< Iniziate a correre, perché tanto vi prendo entrambe. E lì sono fatti vostri >> minacciò, alzandosi.
Io e la mia migliore amica ci guardammo un istante, prima di precipitarci verso le scale, che scendemmo rapidamente rischiando di romperci la noce del collo. Decidemmo in un nanosecondo di separarci, per rendergli il lavoro più difficile, ma Liam preferì seguire me, la più lenta tra le due. Non aveva messo in conto che fossi la più agile, però.
Con un salto riuscii a scansare la fila di vasi che divideva il giardino sul retro da quello anteriore, e continuai a correre verso la strada, voltandomi un istante per vedere Liam più vicino di quanto credessi.
 
E’ andato in palestra, giusto.
 
Era una vita che non ci rincorrevamo e prima il ragazzo era un mingherlino. Ora era più muscoli che altro, e me ne resi conto quando mi afferrò senza troppa fatica, proprio nelle vicinanze di casa Styles.
Robin era seduto fuori, e quando mi vide sorrise amabilmente, incitando Liam mentre lui mi caricava in spalla.
<< Mettimi giù! >> gridai, facendo ridere l’uomo, mentre Liam si avvicinava a salutarlo.
<< Salve, Robin >> borbottai, mentre il ragazzo si girava per farmi guardare direttamente lui.
<< Non fatevi male, ragazzi >> ci ammonì, scherzosamente, prima di vederci allontanare.
Avevo rinunciato a dimenarmi, onde evitare di attirare troppo l’attenzione per strada – più di quanto non stessimo già facendo, insomma.
Elena era seduta sotto il porticato di casa nostra, paziente. Ci stava aspettando, evidentemente.
<< Mi deludi, Lewis, pensavo che la ginnastica tra le lenzuola fosse servita a qualcosa! >> borbottò la mia amica, quando Liam mi ebbe messa vicino a lei.
<< Lo avete fatto davvero? Siete stati attenti? >> interrogò Honey, squadrandomi.
<< Dio, sì, Dr. Sex. E poi prendo la pillola, ricordi? >>
Non c’era imbarazzo con lui, sapeva ogni cosa di me.
<< A proposito, la punizione >> sibilò lui, svelando quello che nascondevano le sue mani.
<< No! >> gridammo all’unisono io e la mia migliore amica, prima di venire investite da un getto d’acqua congelata.
La smettemmo di urlare solo quando ci rendemmo conto che l’acqua ci finiva direttamente in bocca e iniziammo a correre per il giardino, inseguite da Liam che ci aveva completamente inzuppate. Stava ridendo, quell’idiota!
Feci così un occhiolino a Elena, che provocante si avvicinò a lui. Quello abbassò la guardia, facendo cadere lo sguardo sul seno della ragazza.
Pervertito.
Approfittai della sua momentanea distrazione per sfilargli la pompa dalle mani e imbrattarlo dalla testa ai piedi.
Sgranò gli occhi stupefatto, e io ed Elena prendemmo a ridere forse più di prima.
Mi erano mancati quei momenti di pace e serenità con loro, mi erano mancati loro in generale.
Lasciai cadere il tubo a terra e mi avvicinai a loro, per abbracciarli.
Fu in quel momento che tornarono i miei, e prima che potessero dire qualsiasi cosa, i miei amici si dileguarono.
Okay, ritrattavo. Erano dei traditori!
Scappai in camera mia e mi chiusi in bagno, spogliandomi dei vestiti bagnati per poi gettarmi sotto la doccia.
 
Harry’s p.o.v
 
Dovevo togliermela dalla testa, e l’unico modo per farlo, era trovare un rimpiazzo. Ero stato convinto anche io di quella cosa fino a quando non mi ero reso conto che in verità era un altro aspetto di Abbey ad attrarmi: la sua disponibilità.
Non a livello fisico, purtroppo per me ero arrivato a comprendere che il suo corpo non mi era bastato. Quando si era confessata in quel modo, assurdo e troppo per lei, avevo sentito un brivido attraversarmi tutto: era chiaro, cristallino come l’acqua che provava qualcosa per me.
Il problema era… Cosa sentivo io per lei?
Mi faceva stare bene, ero tranquillo con lei, così come non lo ero mai stato tutta la vita, percepivo il bisogno di baciarla, stringerla, farle provare piacere. L’Harry più razionale che mi abitava dentro mi stava lentamente sussurrando due paroline che non avrei mai accettato, ma che in quel momento mi fecero riflettere.

Ti piace.
 
Zittii la mia vocina interiore e ordinai al mio cervello di trovare una soluzione perché io e Abbey eravamo troppo diversi per stare insieme. E se era vero che gli opposti si attraevano, allora volevasi dire che eravamo troppo simili.
E in quel caso ne sarebbe derivato un cataclisma, altro che amore scoppiettante.
<< Harry? >>
Sobbalzai, mettendomi a sedere sul letto, guardando mia madre sulla soglia della porta.
<< Mi hai appena fatto venire un infarto >> borbottai, riprendendo a respirare normalmente, neanche mi avesse colto a guardare un film porno coi ragazzi.
A quel pensiero sogghignai, ricordando che una volta c’era mancato davvero poco che la madre di Niall ci scoprisse, durante le vacanze in Irlanda.
<< Oh, no, non sopporterei di vederti ancora in ospedale >> mormorò, carezzandomi una guancia.
Voleva sembrare forte, ma sapevo che quell’esperienza l’aveva segnata.
Le concessi il permesso di sedersi accanto a me, facendole meccanicamente posto sul materasso, e rimasi in silenzio a guardarla. Sembrava così consumata, sapevo bene che quel periodo non era stato dei più semplici con suo figlio – a suo dire – ancora debole in giro per la metropoli londinese.
Inutili i miei tentativi di farle capire che stavo benissimo e che non aveva bisogno di preoccuparsi, perché era arrivata a chiamarmi così tante volte al giorno che avevo spento il telefono facendole capire che non mi andava di tornare ad avere undici anni.
<< Sono venuta a dirti che tra due giorni c’è una festa. L’hanno organizzata Louis e gli altri >> affermò, sorridendo.
<< Una festa per cosa? >> chiesi, confuso.
<< Per il vostro ritorno! >> rispose, dandomi un buffetto sulla coscia. << Ovviamente noi genitori non siamo invitati, siamo solo i messaggeri della situazione dato che non hanno avuto modo di contattarvi. Neanche so perché, in verità. >>
Oh, io lo sapevo.
Liam lottava per cercare di capire cosa fare con Elena e Danielle, quindi non gli sarà neanche passato per la mente di dirmi che ci sarebbe stata una rimpatriata con tutti quanti. Louis ed Eleanor si stavano sicuramente dando da fare prima delle vacanze di lei con i genitori per l’America, Niall avrà pensato che qualcun altro ci avrebbe avvisato e Zayn… Magari aveva avvertito Abbey, chi poteva saperlo.
Al solo pensiero strinsi forte la coperta in un pugno, destando la curiosità di mia madre che non esitò a rendere nota.
<< Niente, sto bene >> dissi soltanto, deviando poi il discorso. << Dove si farà? >>
<< A casa di Liam, io ospiterò i suoi per cena >> spiegò, prima di riavvicinarsi alla porta. << Harry. >>
<< Mmh? >>
<< Se vuoi parlare di… qualsiasi cosa… Io ci sono >> affermò, senza nascondere un sorriso materno che ricambiai.
Scossi leggermente il capo e la vidi uscire, lasciandomi nuovamente solo.
 
Solo.

 Come non mi sentivo da qualche giorno.
Lei mi mancava, inutile negarlo: sentivo vivo il desiderio di vederla sorridere, per me, non per qualcun altro che non fossi io. Odiavo sentirmi respirare, perché lei il respiro me lo aveva mozzato tantissime di quelle volte, anche solo scostandosi i capelli, che ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Il suo profumo, le sue carezze, il fatto che ci fosse stata sempre… Perché mi ostinavo a rifiutare i suoi sentimenti? Perché non riuscivo ad ammettere a me stesso che io per lei provavo qualcosa di forte?
 
Ero stanco di sentirmi solo.
 
Lei era lì, e io la vedevo così lontana… E pensare che a distanziarla ero stato io stesso, con le mie fottute paure e il mio dannato orgoglio. Ma lei… Non si rendeva conto di quello che mi faceva, e non ne sarebbe mai venuta a conoscenza se non avessi smesso di tenerla così fuori dal mio mondo, quando ne faceva parte.
Ma c’era il fattore Zayn, lei non si comportava con me così come si comportava con lui. Era dolce, rideva spesso… A me non andava di vederla così serena con lui, perché con me era diventata debole, chinava spesso il capo, evitava il mio sguardo e mi faceva dire cose che non pensavo.
Ci stavamo distruggendo a vicenda, ma non potevo continuare a decompormi in solitudine. Dovevo riportarla da me.
Ci sarebbe stata anche Abbey a quella festa?
Sapevo esattamente cosa fare.
Con un sorriso sadico afferrai il cellulare e composi un numero che da tanto non rispolveravo dalla rubrica.
 
 
A’s corner:
Bene, ragazze. Posso ben dire che da qui ha inizio la parte finale della storia. Harry sta evidentemente tramando qualcosa, ed Abbey sembra tutta intenzionata a mettere la parola fine alla loro (mai nata) relazione.
Ovviamente le cose non vanno MAI come ci si aspetterebbe, il destino sarà pur scritto, ma chi possiede il libro?
Il prossimo capitolo sarà incentrato sulla festa. Ne succederanno delle belle, Harry si mostrerà particolarmente stronzo ed Abbey svelerà a se stessa ciò che prova per il ragazzo.
Detto questo, voglio ringraziare le 164persone che hanno inserito questa storia tra le preferite, le 44che l’hanno messa tra le ricordate e le 218che l’hanno collocata tra le seguite.
Cioè, voi mi farete venire un infarto prima o poi.
P.S Uno dei pensieri di Harry è una frase della canzone :3

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Lanciai per l’ennesima volta la pallina gialla da tennis contro il muro, vedendola poi tornare verso di me con un rimbalzo. Ripetei l’azione ancora, ed ancora, fino a quando non mi decisi ad aprire l’armadio per tirarne fuori una felpa leggerla con cappuccio, grigia, una canotta nera aderente e un paio di shorts. Lasciai tutto sul letto per poi fare una doccia veloce.

Quando uscii, mentre mi tamponavo i capelli gocciolanti, sentii il telefono vibrare, e velocemente misi in vivavoce, sentendo chiaramente la voce di Elena dall’altra parte.

Ansava, parecchio, il che mi spinse a pensare due cose:

 

  • Si stava dando da fare?
  •  

     

  • Stava facendo jogging?
  •  

     

    Nessuna delle due cose, dato che improvvisamente sentii un tonfo tremendo che mi spaventò non poco.

    << Che diamine…? >>

    Non ebbi il tempo di finire la frase che la sentii ridere animatamente.

    << Dio, Liam, sei più impedito di… No, non c’è un termine di paragone che non offenda chi viene messo a confronto con te. >>

    << Ah-ah, divertente. La prossima volta te lo alzi da sola quel maledetto divano >> borbottò l’altro, facendomi trattenere a stento un risolino mentre, in silenzio, ascoltavo una delle loro quotidiane discussioni.

    Elena non aveva voluto parlare molto della loro situazione, così mi ero limitata ad analizzarla da sola: a quanto pareva erano tornati amici.

     

    A quanto pareva.

     

    Perché sotto sotto sapevo bene che entrambi stessero ancora pensando cosa fare. Il problema era che a breve saremmo partiti tutti per il college, non c’era tempo per riflettere.

    Iniziai a pettinare la chioma umida di fronte allo specchio, rendendomi conto di quanto fossero cresciuti i capelli. Avrei dovuto sforbiciare un po’.

    << Ah, Dio mio… >> la sentii sospirare. << Abbey, sei ancora lì? >>

    << Sì, dimmi. >>

    Lasciai scivolare l’asciugamano e indossai l’intimo, una di quelle cose assurde che mi aveva rifilato Elena in valigia il giorno del viaggio, dato che tutto quello che avevo era in lavanderia. Ero rimasta praticamente senza nulla, e quando avevo visto il sacchetto ancora sigillato di Victoria’s Secret mi era venuta l’idea di indossarne il contenuto… In fondo, nessuno lo avrebbe visto, a parte me. Infilai solo i pantaloncini per potermi asciugare i capelli senza rischiare di morire dal caldo, e mentre tenevo il phon acceso e tentavo di parlare con Elena, sentii qualcuno bussare alla porta.

    Dato che il suono era giunto lontano, pensavo di essermi sbagliata, così continuai imperterrita e tentare di domare quei capelli che proprio non volevano saperne di stare a posto.

    Quasi non imprecai quando con uno strattone sciolsi un piccolo nodo, perforandomi la testa.

    << Dannate punte! >> gridacchiai, lasciando cadere la spazzola a terra.

    Ancora una volta, sentii qualcuno battere sulla superficie di legno.

    << AVANTI! >>

    Lo dissi senza però analizzare la situazione.

    Ero a petto scoperto! Mentre sentivo chiaramente la maniglia abbassarsi e io cercavo un modo per ritardare la cosa, cercando con gli occhi la felpa, quasi non inciampai sulle converse lasciate a lato del letto.

    Ma dove diamine l’avevo messa?!

    Quando la trovai, era già troppo tardi.

    Stupida, idiota! Ma un po’ di cervello no, eh?!

    Mi voltai verso l’uscita, notando un paio d’occhi indagatori che stavano reprimendo il desiderio di ridere.

    << Liam, la prossima volta il divano te lo faccio cadere in testa! >> urlai, lanciandogli la felpa contro.

    << Io, fossi in te, la metterei… >>

    << Mi hai già vista così, che senso avr… >>

    Le parole mi morirono in gola quando notai qualcuno fermo sul parapetto della scala.

    << E’ un acquisto di Elena? >> chiese noncurante Liam, mentre Harry mi inceneriva con lo sguardo.

    << E tu come lo sai? >> chiesi, cercando di non pensare agli occhi verdi che mi stavano letteralmente facendo una radiografia.

    Quella cosa mi fece stranamente piacere, e inoltre notai che quando Liam lasciava cadere lo sguardo sul balconcino, Harry si muoveva leggermente.

    Era per caso geloso?

    Honey non mi infastidiva, mancava poco ci fossimo visti nudi, ma decisi di giocare quella carta a mio favore. Se proprio Harry voleva godersi lo spettacolo…

    << Lei ha un cassetto pieno, ricordi? >>

    << Mmh.. Sì. Capita che andiamo a comprarne insieme, per il mio compleanno mi ha regalato un paio di completini. E poi questo. Carino, eh? >>

    Il tono da finta battona non mi stava per niente bene mentre sollevavo leggermente le bretelle e le lasciavo cadere di nuovo sulla pelle, con un piccolo schiocco.

    Il mio sguardo era fermo su Harry, che si era appena morso il labbro inferiore, sollevando il capo senza staccare gli occhi dal mio seno.

    Normalmente mi sarei sentita una poco di buono, ma in quel momento stavo solo cercando di sedurre il ragazzo che am…

     

    Che mi piace.

     

    << Vado in bagno >> borbottò in risposta Liam, ma non vi pensai più di tanto. Lentamente mi voltai, ma così lentamente che mi sentii una specie di stand rotante. Avrei dovuto sentirmi ridicola, e invece mi sentivo suadente.

    Harry mi aveva reso più donna, questo glielo concedevo, e anche più sicura del mio corpo dato che lo aveva apprezzato. Era stato un passo avanti inimmaginabile per me e per le mie insicurezze.

    Prima che potessi infilare la maglietta, sentii una piccola folata di vento alle mie spalle che mi fece rabbrividire, ma non riuscii a voltarmi perché la sua mano era aperta sul mio ventre e spingeva la mia schiena contro il suo addome.

    Le mie natiche sfiorarono accidentalmente il rigonfiamento nei pantaloni, e soddisfatta sorrisi sorniona. Sapevo che mi stavo contraddicendo, ma non avevo intenzione di andarci a letto. Doveva solo capire che con me non si scherzava, che potevo essere provocante anche da sola e giocare con lui così come lui faceva con me, anche se non era propriamente nei miei piani divertirmi in quel modo così masochista.

    << Stai giocando sporco… >> sussurrò al mio orecchio, con voce roca.

    Quel tono così eccitato mi fece quasi perdere la cognizione della realtà, ma mi imposi di restare salda e decisa.

    << Chi dice che io stia giocando? >>

    Lo sentii mentre faceva scorrere la sua mano lungo la mia pancia, fino ad arrivare ad un centimetro dal seno. Udii i nostri respiri farsi irregolari, e il mio si strozzò del tutto quando il suo palmo si chiuse sulla coppa sinistra. Poteva avvertire chiaramente il mio cuore fare i salti di gioia per quel contatto, ma la mia mente non era partita per Lemonland. Anzi. Per la prima volta potei vantarmi di essere rimasta lucida.

     

    Cioè, diciamo lucida. Se non la smette daremo a Liam un motivo per fare sogni erotici per un bel po’.

     

    << Mi stai facendo impazzire >> rantolò, fiondandosi poi sul mio collo.

    Ecco, quella fu la fine, o quello che più propriamente definisco più vicino ad un’apocalisse.

    Fu istintivo per me chinare il capo sulla sua spalla, per poi allungare un braccio per stringergli i capelli.

    Anche quelli mi erano mancati quasi quanto l’aria in quei giorni.

    Si staccò un istante, permettendomi di voltarmi tra le sue braccia e avventarmi sulle sue labbra. Il mio corpo non ne poteva più di quella tortura, di quelle mani che leste erano arrivate a sollevarmi prima di scaraventarmi sul letto seguita dal corpo di Harry, ma in un momento di lucidità che non credevo di poter riacquistare dopo essermi contraddetta un secondo dopo aver pensato di essere ancora coi piedi a terra – Liam aveva appena tirato lo sciacquone, non per altro – mi staccai da lui.

    Infilai velocemente la canotta, scuotendo poi i capelli per ravvivarli e mi misi a sedere sul letto, per infilare le converse.

    << Andiamo? >>

    Il mio amico non sospettava nulla, e lentamente, seguito da noi, si avviò giù per le scale.

    Io cercavo accuratamente di evitare lo sguardo di Harry, e non si poteva certo dire che lui tentasse di avvicinarsi.

    Ma cosa volevo fare? Mi aspettavo davvero che lui mi chiedesse di riprovarci? Ero una povera illusa, ed ero ricaduta nella sua ragnatela senza farmi pregare.

    Dovevo andarmene da quella città, lontano, o sarei impazzita a furia di star dietro ai suoi cambi d’umore così repentini.

    Non potevo parlare con lui, non quando non riuscivamo a giungere ad un accordo, insieme. Era chiaro che volesse solo il mio corpo, e io iniziavo a sentire qualcosa di più forte di una semplice attrazione mentale.

    Inutile negarlo, probabilmente me ne stavo.. Innamorando? Era quello che si sentiva?

    No, perché faceva davvero male.

     

    Arrivare a casa di Liam non fu difficile, e ci impiegammo sì e no dieci minuti a piedi. Elena aveva già dato il via alla festa, dato che sembrava tutto pieno e non appena mi voltai per assicurarmi che nessuno si stesse lamentando del chiasso inaudito, notai che Harry era scomparso. Mi guardai intorno, ma non riuscii a trovarlo, quindi mi rassegnai e raggiunsi la mia amica.

    Notai che erano arrivati anche Louis, Zayn, Niall e c’era anche Louise! Le corsi incontro e l’abbracciai, stringendola forte. Erano solo tre giorni che non ci vedevamo, ma mi era parsa un’eternità.

    << Come va in Irlanda? >> chiesi, mettendomi accanto a lei in un angolino recondito della casa.

    << Ah, come sempre. Tra un po’ partirò per il college, quindi mi godo le vacanze coi miei. A te? >>

    << Bene >> mi limitai a dire, abbozzando un sorriso.

    << Prendiamo da bere? >> annuii, accompagnandola al grande tavolo pieno di super alcolici.

    Anne avrebbe dovuto intrattenere i Payne per molto tempo, per come si prospettavano le cose, a quel punto.

    Trangugiai tutto d’un fiato il tris di vodka, che, a stomaco vuoto, mi provocò un lieve bruciore alla gola. Ma era buono.

    << Abbey! >> mi chiamò qualcuno, e quando mi resi conto che era stato Louis indossai un sorriso enorme. Quel ragazzo portava allegria, non c’era che dire.

    << Ciao, Louis! >>

    Chiacchierammo per un buon quarto d’ora, fino a quando non sentì il suo cellulare vibrare e fu quindi costretto ad allontanarsi dal casino per capire.

    Avrei potuto raggiungere Zayn, ma lo vedevo abbastanza occupato, sicché mi avviai sul lato opposto della casa.

    << Permesso, per- >> scostai bruscamente un ragazzo poco più alto di me, ma la sua posizione restò ferma, tanto che quasi non mi ritrovai con il sedere a terra per lo scontro.

    << Scusa! >> Alzai lo sguardo verso la voce, incontrando un paio d’occhi color ghiaccio, più ridenti del suo volto.

    Niall.

    Un sorriso enorme si allargò sul suo volto, contagiandomi quasi subito.

    << Come stai? >> chiesi, gridando.

    << Abbastanza bene, si nota la differenza con Londra… >>

    << Immagino! >> esclamò, avvolgendo un braccio intorno alle mie spalle per poi condurmi lontano da lì.

    Lo fissai contorta, mentre lui si guardava intorno circospetto. Ma che gli prendeva? Mi scansai dal suo abbraccio e lo guardai, confusa, prima che lui con un cenno chiedesse a Louis di avvicinarsi.

    << Che succede, ragazzi? >> domandai, presa dall’ansia. I due si fissarono, per poi tornare con lo sguardo su di me. Incrociai le braccia al petto e inarcai un sopracciglio, attendendo spiegazioni che non accennavano ad arrivare, così diedi loro le spalle e mi avviai verso l’uscita sul retro, che dava su un ampio giardino. Chiusi la porta alle mie spalle e mi misi a sedere su un muricciolo di fronte alla piscina, prima di infilare le cuffie dell’iPod per dedicarmi all’ascolto di musica decente.

    Come sempre accadeva, fui trasportata nel mondo dei pensieri. Mi ero lasciata nuovamente andare con Harry, ma era stato più forte di me. Il suo corpo chiamava il mio, le sue labbra mi attraevano troppo e stare tra le sue braccia mi faceva sentire, stranamente, accettata e al sicuro.

    Come avrei fatto a rinunciare a tutto quello?

    Sospirai, afflitta, per poi guardarmi intorno alla ricerca di luoghi più appartati per starmene un po’ sola in compagnia della mia musica. Quando sollevai gli occhi dalle mie ginocchia, ciò che vidi mi scosse quasi più dell’incontro con i miei genitori nella stanza d’ospedale, quel famoso giorno.

    Deglutii rumorosamente per trattenere le lacrime quando la vidi avvicinarsi a lui e poggiare le labbra rosse sulle sue, che ne avrebbero portato il segno tutta la serata.

    Margareth Hawkins, la ragazza dai facili costumi conosciuta in tutta Holmes Chapel per le sue "prestazioni", stava felicemente pomiciando con Harry. E io vedevo lui baciarla con la stessa voracità con cui baciava me, e quella cosa mi fece stare seriamente male. Sentii una fitta all’altezza dello stomaco che mi costrinse a trattenere il respiro qualche istante, prima che, sentendo gli occhi pizzicare, decidessi di sollevarmi il cappuccio della felpa sulla testa e allontanarmi velocemente da lì.

    Fui costretta a passare accanto a loro due, per poi spalancare la porta e dirigermi, a passi pesanti, fuori dalla residenza. Sentivo Elena chiamarmi, ma non mi voltai. Volevo solo andarmene di lì.

    Mentre attraversavo il vialetto, un solo pensiero mi martellava in testa: lui non sarebbe mai cambiato. Non per me, non per una che prima detestava. Ero diventata niente, e il fatto che ora fosse lì, con la troia più troia che ci fosse, ne era la chiara dimostrazione.

    << Abbey! >>

    << Zayn, lasciami in pace. Sto tornando a casa >> borbottai, scansandomi quando lui afferrò il mio braccio.

    << Che ha fatto, stavolta? >>

    << Niente, sono io il problema! Il tuo amico non ha fatto niente. >>

    Feci per andarmene di nuovo, ma in un attimo mi ritrovai con il volto premuto contro il suo petto e le sue braccia accoglienti ad avvolgermi. Opposi pochissima resistenza, perché subito dopo mi lasciai andare, in tutti i sensi. Sentii le lacrime bagnarmi le guance e mi preoccupai poco del fatto che stessi macchiando di mascara la maglietta di Zayn che, incurante di tutto e di tutti, mi cullò dolcemente mentre io cercavo di non insultare Harry.

    << Meriti di più, Abbey. Tu non puoi soffrire ancora >> mormorò, contro i miei capelli.

    Chiusi gli occhi e mi beai di quel momento, riflettendo sulle sue parole.

    << E’ automatico, sai? Lui è l’unico per cui io tenga sempre una porta aperta nella mia vita. Il problema è che i cardini stanno cedendo… >>

    << Non permetterlo, va’ avanti. >>

    Lui avrebbe voluto continuare quel cammino con me, lo sapevo. Ma io provavo qualcosa di troppo forte per Harry, non riuscivo a non pensare a un noi che non includesse la sua persona.

    << E’ così semplice a dirsi… >>

    Non finii neanche di dirlo, che sentii chiaramente Zayn allontanarsi di scatto dal mio corpo. Sollevai il capo per capire cosa stesse succedendo, e quello che vidi fu una risposta poco esauriente. C’erano Harry e la tipa che lo stava risucchiando, e Zayn manteneva precariamente l’equilibrio dopo essere stato violentemente spintonato.

    << Che cazzo stai facendo?! >> gridai, soccorrendo il mio amico che se ne stava in piedi, minaccioso. Mi misi dinanzi a lui e allargai le braccia, rispondendo negativamente alle richieste di Zayn di spostarmi.

    << Vattene >> sibilò Harry, stringendo le dita in un pugno.

    << Zayn viene con me, e tu tornatene dentro >> borbottai, afferrando il moro per una mano. Gli occhi verdi dell’altro furono subito sulle nostre dita intrecciate, e lo sbuffo che ne seguì mi fece accapponare la pelle.

    Un momento dopo lo vidi rilassarsi, per poi iniziare a ridere. Era ubriaco marcio, sentivo la puzza di alcol che nulla aveva a che fare con il magnifico odore della sua pelle.

    << Avrei dovuto immaginarlo >> iniziò, intimando alla ragazza di andar via. << Sei solo una puttanella. >>

     

    Sei.

    Solo.

    Una.

    Puttanella.

     

    Avendo libero accesso, le lacrime non esitarono a scorrere nuovamente, rendendomi visibilmente debole agli occhi dell’accusatore.

    << Sai cosa ti dico, Harry? Pensa quello che vuoi, sono stanca. >>

    Un passo dopo l’altro, mi allontanai da lui, da tutti loro e da ogni cosa riguardasse quello che aveva appena detto. Mi aveva ferita, come sempre, e io non avevo più intenzione di permettergli di farlo nuovamente.

     

     

    Capirò se non vorrete più leggere, se ormai vi sarà passato l’interesse per la storia, ma ho avuto i miei buoni motivi per assentarmi così a lungo... Non posso e non voglio parlarne, ma se ora ho ritrovato la forza di scrivere è stato anche grazie alle vostre recensioni. Le ho rilette una ad una, ho riso, m’è venuta la pelle d’oca.. Siete sempre state lì ad aspettarmi, e ne sono stata felice. Lo sono ancora, ma capirò se sarete molto meno partecipi.

     

    Scusatemi ancora.

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    Capitolo 23
    *** Capitolo 22. ***


    Capitolo 22.






    Tutta la mia vita l’avevo trascorsa pensando che il destino governasse gran parte degli eventi che la caratterizzavano, ritenendo necessario equilibrare il karma per poter vivere in pace con l’universo. Pertanto, ad un tot di azioni negative ne avevo affiancate altrettante positive, in modo da tenermi in proporzione. Dato che in quel momento tutto sembrava andarmi contro, c’erano due possibilità: o il cosmo aveva deciso di punirmi per una qualche scempiaggine compiuta senza sapere né quando né come, oppure il karma era una fottuta idiozia.

    Avevo deciso di vertere sulla seconda opzione, anche se significava cambiare completamente il mio modo d’essere. Era un sacrificio richiesto e dovuto se volevo portare avanti la mia nuova linea di condotta.

    Finito di sistemare il mio letto, scesi di sotto e mi misi all’opera. Preparai l’impasto per le frittelle, succo di frutta, ananas e infine del latte, poco prima che mia madre entrasse in casa dopo aver finito il giro quotidiano che il suo lavoro di assicuratrice prevedeva, e mi vedesse con un piatto pieno di pancake tra le mani. La sua espressione era assai eloquente, considerando che, dato l’odio che provavo nei loro confronti, quel gesto era del tutto inaspettato. Mi misi a sedere comodamente e le chiesi di chiamare suo marito, o si sarebbe freddato tutto. Cautamente si avvicinò alla tavola e si mise a sedere di fronte a me – forse per tenermi d’occhio, forse perché quello era sempre stato il suo posto – e afferrò una frittella con la forchetta. Vi spezzò sopra del burro e ci versò anche dello sciroppo d’acero, seguita costantemente dal mio sguardo.

    Era una buona idea?

    Cosa mi diceva che sarebbe cambiato qualcosa?

    Mio padre ci raggiunse poco dopo, ancora assonnato perché erano appena le nove del mattino, e si accomodò a capotavola come suo solito. Decisi che quello era il momento.

    << Allora, >> iniziai, schiarendomi la voce << vi chiederete a cosa dobbiate tutto questo. Ebbene, ho deciso che è arrivata l’ora di ricominciare. Non voglio un nucleo perfetto, ma solo una famiglia che ci sia quando sarò sola, quando sentirò di non farcela, che mi sostenga quando mi verranno chiuse porte in faccia e per la quale io possa fare lo stesso. Credevo fosse tardi, invece questo è il momento giusto, e lo so perché sento che se qualcosa deve andare storto, allora dovrò fare qualcosa per impedire che questo accada. Saremo speciali perché rinasceremo dalle macerie, vero? >>

    Sentivo che stavano trattenendo il respiro, e io avvertivo un disagio tremendo dovuto ai loro sguardi puntati addosso. Anche quello sarebbe sparito, ne ero certa.

    Attesi con ansia che dicessero qualcosa, e quando fu mia madre la prima a parlare, mi sentii quasi sollevata, neanche avessi paura del giudizio di mio padre. In fondo non avevamo mai parlato così tanto.

    << Ci dispiace… >>

    Ma stava piangendo davvero? O era solo la mia fervida immaginazione che giocava brutti scherzi?

    << Pensavamo di non essere pronti ad avere una figlia, e vederti allontanare di anno in anno sempre di più ci dava una conferma. Ci siamo stati poco, o quando facevamo sentire la nostra presenza era eccessiva e opprimente… Scusaci, piccola. Non ci eravamo resi conto di niente, e al solito sei tu quella più matura tra i tre. >>

    Avvertii una strana sensazione allo stomaco, dovuta forse al fatto che quel muro che si era venuto a formare tra me e i miei genitori stava finalmente crollando.

    << Sei la cosa migliore che ci sia capitata >> intervenne mio padre, facendomi sussultare.

    Era davvero così che la pensavano? Ero stata io col mio carattere scontroso ad allontanarli, sebbene loro avessero gettato benzina sul fuoco? Non volevo avessero paura di me e di come avrei reagito, ma ora non c’era più motivo di preoccuparsi del passato.

    << Agli abbracci ci arriveremo con calma, ora mangiamo >> scherzai, addentando un pancake mentre mio padre rideva.

    Chiacchierando del più e del mondo, mentre io mi rendevo quanto fosse stato semplice mettere le cose a posto, sentimmo suonare il campanello. Chiesi loro di restare seduti ai propri posti mentre io mi avviavo alla porta per vedere di chi si trattasse.

    Quando l’aprii, mi trovai davanti un ragazzo sulla ventina in divisa.

     

    I postini di oggi sono tutti così?

     

    Scossi il capo per scacciare quei pensieri e tornai a… George, che mi stava parlando.

    << Lei è la signorina Lewis? >> chiese, inarcando un sopracciglio.

    Mi limitai ad annuire per non inveirgli contro, e attesi che mi porgesse un foglio da firmare. C’era una raccomandata per me.

    Per me che fino a quel momento avevo ricevuto solo posta pubblicitaria, senza sapere come facessero le agenzie a sapere il mio nome e da quando fossi maggiorenne. Ringraziai malevolmente il ragazzo e rientrai in casa, scrutando la busta. Solo quando lessi il nome del mittente quasi non mi venne un infarto.

    La lanciai sul tavolo sotto gli occhi curiosi dei miei e mi allontanai, allarmata. Era troppo leggera, il che non lasciava presagire nulla di buono.

    << Ah, è Oxford. Non la leggi? >>

    Mia madre fece per aprirla, ma la fermai proprio quando cercò un coltello per tagliare la sommità della lettera.

    << Non sono pronta, magari dopo >> affermai, salendo di sopra.

    E se la risposta fosse stata negativa? Certo, non sentivo più quel bisogno impellente di andarmene dalla città, avendo chiarito coi miei e avendo chiuso con Harry da ormai dodici giorni, ma era ormai diventata una questione di principio. Avevo convissuto con Sandy, avevo rischiato una violenza, avevo passato le notti in ospedale nella speranza che Harry si salvasse, c’ero andata a letto, mi ero incasinata l’esistenza… tutto per quel corso che mi avrebbe valso molti, tanti punti di credito per l’Università. Non volevo fosse stato tutto inutile.

    Feci l’unica cosa che trovavo sensata da giorni, e accesi il computer. Effettuai l’accesso a Skype e contattai Zayn, che rispose quasi subito. Optammo per una videochiamata, e quando lo vidi fui subito più tranquilla.

    << Fatto quella cosa? >> chiese, andando dritto al punto.

    << Certo, ed è andato tutto bene. Chissà che non faremo anche qualche viaggio insieme >> ridacchiai, contagiandolo. << E’ arrivata la risposta da Oxford… >>

    << E me lo dici così?! Momento… Perché me lo dici così? Quei figli di put… >>

    << Zayn! >> lo frenai, ridendo. << Non ho ancora letto nulla, quando lo farò sarai uno dei primi a saperlo. Okay? >>

    Annuì, poco convinto, e cambiammo totalmente discorso.

    << Quell’idiota di Marcus sta rendendo la vita un inferno a tutti, al locale. >>

    << Perché non cerchi altro? Sei un bel ragazzo e sei abbastanza avvenente, non dovresti avere problemi. Magari ti prendono a Geordie Shore >> dichiarai, ridendo come una forsennata, immaginandomelo nelle vesti del tamarro.

    << Ah-ah, divertente. Se fossi lì una grattata di capo non te la toglierebbe nessuno >> rispose, fingendosi offeso. << Comunque non posso, si parla di tremila sterline mensili, e per un dj come me sono anche poche. >>

    << Mi inchino dinanzi a sua maestà >> scherzai. << Non farti mettere i piedi in testa, Zayn. >>

    << Ci mancherebbe. Quel tipo è alto sì e no quanto il bancone del piano bar. >>

    Ridemmo a quella sua battuta, poi decidemmo di staccare dato che lui aveva da fare e io dovevo decidere cosa fare del mio futuro.

    Abbassai lo schermo mandando il computer in stand-by e scesi di sotto, trovando il tavolo sparecchiato e la busta al centro di esso. Mi avvicinai lentamente senza smettere un solo istante di fissarla e la presi tra le dita, uscendo poi in giardino per andarmi a sedere sul marciapiede.

    Okay, le possibilità erano due: entrata o… Non entrata. Potevo pur sempre fare richiesta altrove, ma l’alternativa migliore era Bristol, e io non potevo frequentare la stessa università di Harold Edward Styles. Ergo, dovevo entrare a Oxford. Inspirai ed espirai, arrivando ad accartocciarla e subito mi rimproverai per averlo fatto.

     

    Cara busta, so bene che non mi odi e che per un motivo o per un altro prima o poi ti aprirò. Magari quando sarò ubriaca, così non ricorderò niente. Ma sarà come soffrire due volte, quindi credo che tra un paio di secondi strapperò quel sigillo e leggerò il tuo contenuto.

     

    Presi un respiro profondo e…

    << Se continui a guardarla così rischi di farla sparire. >>

    Sollevai lo sguardo in direzione della voce e quasi non mi venne un colpo. Non sapendo bene cosa dire, mi limitai a distogliere lo sguardo e poggiarlo di nuovo sulla carta bianca.

    << Posso? >>

    Anne indicò lo spazio accanto a me e si mise a sedere, poggiando le buste della spesa di fianco a sé. Le allungai la busta, senza dire una sola parola.

    << Prima di aprirla voglio chiederti scusa. Mi sono comportata malissimo. >>

    << Avevi le tue buone ragioni per odiarmi, non preoccuparti. >>

    Abbozzai un sorriso per nulla sincero. Anne mi era mancata tantissimo, era stato come perdere una madre quando aveva iniziato ad ignorarmi.

    << Io non ti ho mai odiata, piccola. Sei come una figlia per me, non potrei mai. Quando ho saputo di Harry sono andata nel panico, è mio figlio… è lecito. Ma poi ho pensato che se non avesse anche solo tentato di proteggerti forse avrei litigato con lui. Par condicio, no? >>

    Mi allungai verso di lei e l’abbracciai, cercando di rimuovere dalla mente quel periodo terribile. Quando mi scostai, lei mi guardò e io annuii. Chiamai i miei a gran voce, e quando arrivarono si misero alle nostre spalle. Anne, con uno strappo netto, rivelò il contenuto della lettera, mentre io tenevo gli occhi serrati e speravo con tutta me stessa di essere entrata.

    << Perché non volevi aprirla, prima? >> chiese Anne, poggiando il foglio contro il suo petto.

    << Era troppo leggera, il che non è mai un buon segno >> spiegai, cercando di celare l’ansia.

    Tentativo più che fallito dato che un solo sguardo la spinse a continuare.

    << Hai mai pensato che prima erano più pesanti per il semplice motivo che oggi le iscrizioni si fanno anche online? >>

    << Mi stai dicendo…che… >> non riuscivo a spiccicar parola, ero totalmente paralizzata mentre i miei genitori già mi stringevano in un abbraccio soffocante.

    << Sei entrata, genietto. >>

    Non riuscii a reprimere un urlo consolatorio, mentre già balzavo in piedi e afferravo il cellulare per avvisare Elena e Liam.

    << Vado ad Oxford, vado ad Oxford! >> gridai, udendo, dall’altra parte della cornetta, migliaia di congratulazioni.

    Mio padre corse dentro, seguito da tutti noi, e mentre attendevamo che arrivassero anche i miei amici, scese in cantina a prendere l’unica bottiglia di champagne che teneva conservata.

    Elena e Liam arrivarono praticamente subito e mi furono addosso, abbracciandomi e congratulandosi ancora con me. Io ancora non ci credevo, e forse mi ci sarebbe voluta una sbronza per calmare tutto quel fuoco che sentivo dentro. Quando mio padre riempì i calici, fui la prima a scolare il contenuto per intero, sentendo un lieve bruciore all’altezza dello stomaco.

    << Posso avere l’onore di ospitarti per cena, stasera? >> chiese Anne, sorridendo.

    << Oh, io non credo che.. >>

    << Ma dai, in fondo anche Harry è entrato a Bristol, no? Festeggerete insieme! >> intervenne mia madre, mentre io cercavo scuse su scuse per non vedere Styles.

    Che motivo c’era di mandare a monte tutti i miei favolosi piani per una vita tranquilla che non prevedesse l’esistenza di Harry? Non chiedevo poi tanto, ma a quanto pareva Anne e i miei genitori non erano poi così d’accordo.

    << Ti aspetto alle otto! >>

    Avevo nove ore per praticare training autogeno.

     

    Ce la puoi fare, Lewis, sei entrata ad Oxford. Ce la devi fare.

     

    Quando uscii di casa, ero totalmente smorta. Il training autogeno non era servito a niente se non a ricordarmi, tutto il giorno, che entro pochi minuti avrei rivisto Harry. Non volevo finire così, non volevo diventare una di quelle che lui lasciava e che facevano di tutto per riconquistarlo, come andare a cena a casa dei suoi il giorno in cui avevo scoperto di essere entrata ad Oxford. Non eravamo stati insieme, questo era vero, ma il concetto era quello.

    Arrivai fuori casa sua in nemmeno sessanta secondi, mandando al diavolo i miei tentativi di prolungare quel tempo al fine di andare via il più presto possibile. Le parole che mi aveva urlato contro ancora suonavano nella mia mente, e come un mantra mi rammentavano che lui mi disprezzava, quando poi avrei dovuto farlo io.

    Il problema era che non ci riuscivo affatto.

    Suonai il campanello e rimasi in attesa, fino a quando ad aprirmi non fu Gemma. Mi stavo giusto ponendo il problema dell’attrito che si era creato tra noi due, quando mi saltò addosso e mi abbracciò, stringendomi forte.

    Mi invitò ad entrare e raggiungere gli altri membri della famiglia, tutti seduti sul divano del salotto.

    << Harry sarà qui tra poco, accomodati. Oh, ma che dico? Questa è casa tua! >>

    Anne era tornata quella di prima, e ne ero estremamente felice date le condizioni in cui era gravato ultimamente il nostro rapporto.

    Mi offrii di darle una mano in cucina, ricalcando sull’ “è casa tua” e proposi di preparare le mie piccole cheesecake. Robin ne fu entusiasta, dato che le adorava, e quindi Anne non poté rifiutarsi.

    Preparai in fretta l’impasto e posi i dolci nel freezer per accelerarne il raffreddamento.

    << Vado in bagno, torno subito >> affermai, e lasciai la cucina.

    Mi diedi una rinfrescata al volto e mi guardai allo specchio: stavo tremando, e lui neanche c’era. Ma cosa mi stava succedendo?

    Non era possibile, io non ero mai stata così debole. Perché ad un tratto lui era diventato così importante per me? Mi aveva trattata malissimo, eppure mi ostinavo a desiderarlo. Masochismo, si trattava di puro e semplice masochismo.

    Quando tornai dagli altri, li sentii parlare. Entrai in sala da pranzo e, mentre stavo per chiamare Gemma, incontrai un paio di occhi verdi e vidi scomparire le due fossette che tanto amavo dal suo volto.

     

    Sto spegnendo i suoi sorrisi.

     

    Quella consapevolezza mi fece sentire ancora peggio, tanto che sentii di aver bisogno d’aria. Dissi ad Anne che sarei andata a controllare i dolci nel freezer, così mi allontanai di nuovo per cercare di calmarmi. Dopo quella notte non ci eravamo più visti né sentiti, e incontrarlo di nuovo, così, era destabilizzante. Presi due lunghi respiri e mi appoggiai al bancone della cucina, chiudendo gli occhi.

    << Potrete anche fregare mia madre, ma non me. >>

    Gemma mi fece venire un colpo. Se ne stava appoggiata allo stipite della porta e mi fissava, con le braccia incrociate.

    << Che intendi dire? >>

    << C’è qualcosa tra te e Harry. E sono sicura che tra venti secondi mi dirai di che si tratta. >>

    Deglutii, impossibilitata ad arretrare a causa dell’ostacolo che fino a quel momento mi era valso come punto d’appoggio.

    << E’ tutto passato, ormai. Almeno per lui >> mormorai, abbassando lo sguardo. A Gemma non potevo mentire, era una specie di sorella. Mi conosceva quanto Elena.

    << Io non credo, quindi non scappare. Harry ha bisogno di qualcuno che resti >> spiegò, sorridendo. Ricambiai, per nulla sicura di tutto quello. Come potevo restare se lui mi respingeva in quel modo? Avevo una dignità e, seppur soppresso, un orgoglio che si stava facendo sentire ora più che mai.

    Sospirai e mi avvicinai a lei, ricevendo un abbraccio; mi era mancata, tanto.

    << Oh, che carine >> intervenne Anne, avvolgendoci. Fu istintivo per me scoppiare a ridere, mentre, in quel sandwich, mi sentivo schiacciata tra due corpi.

    << Ora a tavola! >>

    Mi accomodai accanto a Gemma, mentre Harry prese posto di fronte a me, vicino alla madre.

     

    Ovviamente. Zayn aveva ragione, il culo ce l’hanno solo le principesse.

     

    Anne servì i suoi famosi manicaretti, tanto che, mentre li mangiavo, non pensavo allo sguardo assassino che Harry mi riservava. Cosa si aspettava? Che lasciassi perdere tutta la sua famiglia a causa della sua stronzaggine? Non ci pensavo nemmeno, quindi sarebbe stato meglio per lui se avesse smesso di fissarmi.

    Chiacchierammo di varie cose, i miei interventi erano ridotti al limite dato che non avevo molta voglia di parlare, e solo quando Anne portò in tavola le mie mini-cheesecake Robin si decise a servire del vino a tutti. Mi chiesi cosa stesse facendo, e quando si alzò e mi guardò mi fu tutto più chiaro.

    Cercai di nascondermi usando Gemma come scudo, ma fu tutto inutile.

    << A Harry, che partirà alla volta di Bristol, ed Abbey che è entrata ad Oxford! >>

    << Cosa?! Davvero? Oh, sono così fiera di te! >>

    Gemma quasi mi stritolò, scuotendomi mentre io cercavo di riprendere aria.

    << Quand’è che parti? >> chiese subito dopo Anne, guardandomi.

    << In verità pensavo di andare prima dai nonni e poi partire per la contea >> spiegai.

    << Ma i tuoi nonni stanno a York. O sbaglio? >>

    Annuii, giocherellando con la cheesecake. Non ne avevo per niente voglia, ma non potevo farlo notare. Gemma mi stava già scrutando neanche fossi un topo da laboratorio sotto analisi.

    << Tra una settimana li raggiungo e passo l’estate da loro, quando tornerò avrò solo un paio di giorni per preparare i bagagli e trasferirmi. >>

    << Ah, quindi vai a vivere lì. Mi mancherai un casino, piccola Ab >> mormorò Gemma, carezzandomi i capelli.

    Lo sguardo mi cadde casualmente sull’orologio, e notando l’orario decisi che era ora di andare. La famiglia intera si alzò e mi accompagnò alla porta, compreso Harry che non aveva spiccicato parola durante tutta la cena. Quel suo silenzio era troppo strano.

    << Harry, l’accompagni tu? >>

     

    Grazie Anne, ti voglio bene anch’io.

     

    << Non c’è bisogno, casa mia è vicinissima >> tentai, ma fu tutto inutile. Robin insistette per la moglie, fino a quando io ed Harry non ci ritrovammo da soli fuori la porta di casa. Camminammo taciturni per quel piccolo tratto di strada che separava le nostre abitazioni, e quando fummo di fronte casa mia, lo salutai velocemente prima di avviarmi lungo il vialetto.

    << Abbey… >>

    Forse ero impazzita e nella mia mente udivo ancora il suo della sua voce, ma per sicurezza mi voltai. Lo vidi tendere i muscoli delle braccia ricoperte di tatuaggi e fissarmi intensamente.

    Sentivo già il tipico tremore alle gambe e il cuore partire alla volta di un paese totalmente sconosciuto. Cercai di non guardarlo, tenendo in considerazione un punto imprecisato sulla strada.

    << Non intendevo dire quelle cose. >>

    << La rabbia è passata, lascia stare >> affermai, cercando di apparire fredda.

    << Ma sei delusa >> continuò, provocandomi una morsa allo stomaco. Era quello che faceva più male, il fatto che mi conoscesse così bene e non si facesse problemi a ferirmi.

    << Ripeto, lascia stare >> insistetti, e feci per tornare dentro.

    << Pensavi di dirmi che stai per andartene? >>

    Il tono della sua voce era cambiato. Sembrava arrabbiato, forse amareggiato e io non capivo il perché. Mi stava confondendo, e io non sapevo gestire la cosa per il semplice motivo che non mi era mai successo di… innamorarmi.

    Quella consapevolezza mi attanagliò le viscere.

    << No, >> mormorai, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo sul suo volto. << Non ne vedo il senso. >>

    << Io sì >> affermò, prima di separare in un istante la distanza che ci divideva e impossessarsi delle mie labbra. C’era un senso di disperazione che spingeva la sua lingua a cercare l’accesso, e un senso di protezione da parte mia che mi spinse a respingerlo non poco delicatamente.

    Mi asciugai la bocca con il dorso della mano, mentre nei suoi occhi non leggevo altro che confusione.

    << Non è così che funziona, Harry. >>

     

    Non commetterò ancora lo stesso errore.

     

    << Lo so, fanculo. Lo so… >>

    Non poteva arrabbiarsi con me! Non avrei permesso che mi facesse sentire in colpa solo per non essere davvero solo un’altra delle puttanelle che si portava a letto per divertimento. Io non ero così, lui non poteva trattarmi come gli sembrava più idoneo alle sue esigenze.

    << Non mi riconosco più da quando ho iniziato a sentire quest’attrazione così forte per te. Sono geloso, possessivo, altamente protettivo. Più di prima, molto più di prima >> spiegò, passandosi le dita tra i capelli. Era un gesto che era solito fare quando cercava una risposta e non la trovava a portata di mano.

    << Be’, scusa >> ironizzai, incrociando le braccia al petto.

    << Tu non capisci… >>

    << Perché tu non me lo permetti! >> sbottai, nervosa.

    Era riuscito a farmi arrabbiare, perfetto. Ora avrei dovuto fare ricorso a tutto il mio autocontrollo per cercare di apparire distaccata e disinteressata.

    << Perché non è facile. >>

    Quelle erano esattamente le parole che aspettavo. Aveva finalmente capito cos’avessi passato prima che riuscissi a capire cosa provassi per lui, perché ogni volta avrei preferito essere apatica anziché stargli accanto senza poter fare niente perché lui diventasse mio.

    Presi un respiro profondo e puntai i miei occhi nei suoi, pronta a rovinarmi con le mie stesse mani.

     

    Ora o mai più.

     

    << Non sono mai stata la migliore, in queste cose. Ho fatto tanti errori, addirittura ne ho perso il conto quando sono arrivata a cinquanta... Pensa, ho portato pazientemente con me questo fardello per tanti anni, sentendone il peso passo dopo passo, ma arrivata ad un certo punto mi sono abituata e ho arrancato. Le cose sono cambiate, stanno cambiando ora. In realtà è già da un po' che ci penso. Non è facile, credimi, ammettere certe cose, soprattutto quando la tua coscienza ti chiede di fare diversamente, quando l'orgoglio ti impedisce di esternare i tuoi sentimenti. Forse hai ragione, con Zayn ci ho giocato, ma era un gioco sadico, faceva male prima a me perché sapevo che non ti avrebbe neanche sfiorato l'idea che stessi diventando una persona orribile solo perché tu aprissi gli occhi e ti accorgessi di me, che esistevo, che volevo una possibilità per starti accanto e renderti felice. Vederti sorridere, sereno, tra le mie braccia, era la sensazione più bella e appagante del mondo, per la prima volta mi ero sentita utile ed accettata. Non ti nascondo di essermi pentita tante volte di essere venuta a letto con te, di aver ceduto e lasciato cadere le barriere solo perché tu mi avevi offerto l'illusione di ricambiare quello che sentivo io... Non erano aspettative, erano illusioni, il che è diverso. Molto diverso. >>

    Improvvisamente mi tornò alla mente la nostra prima notte, quella in cui mi ero sentita un gioco. Era una sensazione che non auguravo neanche alla mia peggior nemica.

    << E io... Io non mi sono mai illusa, mai >> continuai. << Poi arrivi tu, rischi la vita per me quando io per te l'avrei data più che volentieri, quella notte. Incredibile. Ho ferito tante persone nella mia vita, ma non mi sono mai resa effettivamente conto di quanto poco potesse importarmene, dato che loro non si erano mai fatte indietro quando si trattava di farmi sentire un completo fallimento, ma non con te. Ad ogni tua parola sentivo di dover dare un significato, perché lo so che non parli mai a vanvera e che quello che dici ha sempre qualcosa di latente... Mi sono impegnata con te, io stessa ho offerto alla sottoscritta migliaia di possibilità per potermi riscattare, ma non è valso a niente, perché la facilità con cui tu mi hai fatto soffrire mi ha fatto capire che più passi compio verso di te, più ne fai tu in direzione opposta. Sono solo stanca. Per la prima volta, mi arrendo di fronte all'impossibilità di un'impresa. Credevo di detestarti, e invece... Mi sono ritrovata ad amarti. >>

     

     

     

     

    Sono commossa, davvero. Credevo sareste sparite, invece leggendo le vostre recensioni mi sono sentita a casa. Siete meravigliose, e vi adoro, tutte… Grazie per esserci, grazie per il supporto incondizionato. Non posso far altro che regalarvi un finale perfetto.

     

    p.s scusate il ritardo, ma stavolta non è colpa mia. L’editor, come vi ho detto, mi ha dato problemi fino a poco fa..

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    Capitolo 24
    *** This is (not) the end. ***


    MI FUNZIONA L'EDITOOOOR!
    Metto le scuse a capo pagina. Sappiate che non mi andava più 'sto coso, ho il capitolo pronto da una vita e la nuova ff da iniziare. Grazie per avermi dimostrato che ci sarete sempre, vi adoro.
    Vi amo.






    Quando quel mattino mi svegliai, avevo un fortissimo mal di testa. Mi guardai intorno e tutto ciò che vidi furono bottiglie su bottiglie di superalcolici e un sole fin troppo splendente. Non riuscivo a mettere a fuoco la stanza, ma quando il mio sguardo cadde sulle mie gambe nude andai nel panico. Indossavo la maglia Bulls ed ero sola.
    Mi alzai barcollando e recuperai abbastanza equilibrio prima di avvicinarmi alla porta. Prima di voltarmi, mi strofinai gli occhi e finalmente capii: era casa di Elena.
    Ma cosa ci facevo nella stanza dei suoi genitori?
    Perché, soprattutto, ero da lei?
    Uscii in corridoio e la chiamai, pentendomi subito di aver gridato in quel modo perché avevo un’emicrania allucinante; feci attenzione nello scendere le scale, e quando fui sotto mi rimproverai mentalmente per non essermi messa qualcosa addosso.
     
     
    Continuavo a guardarlo come ipnotizzata, nella speranza che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, ma non niente. Il suo silenzio mi stava distruggendo lentamente e significava solo che era scosso e che non sapeva come dirmi “no, non provo lo stesso, ora sparisci”.
    Deglutivo e cercavo di guardare altrove, ma era come se lui occupasse tutto il mio campo visivo. Dovevo andarmene.
    Mi ero voltata decisa e a passi veloci ero rientrata in casa, lasciandomi scivolare lungo la parete liscia della porta. Avevo iniziato ad insultarmi mentalmente per la mia stupidità, per essermi mostrata così debole, ancora. E lui non aveva detto niente. Niente.
    Avrei accettato qualunque cosa, ma sentire quel silenzio assordante no. Era come se mi fossi umiliata con le mie stesse mani.
     
    Effettivamente era quello che è successo.
     
    I miei ricordi si fermavano a quel momento. Il pensiero di Harry e del disagio consequenziale a quella mia confessione mi avevano quasi distratta dal pensiero che in quella stanza non fossi sola. La mia migliore amica mi guardava preoccupata, mentre Zayn se ne stava seduto su uno sgabello. La tazza che teneva tra le dita era in bilico sul bancone, il che mi fece andare in confusione.
    Ero ancora ubriaca?
    Ma perché avevo bevuto? Elena doveva spiegarmi un po’ di cose.
    << Che ci fai qui? >> chiesi a Zayn, cercando di coprirmi alla bell’e meglio le gambe nude. Lui sollevò lo sguardo dal punto scoperto e lo puntò sul mio volto – finalmente – e si alzò per venirmi incontro.
    << Quando ieri abbiamo staccato… In realtà stavo venendo ad Holmes Chapel per salutarti prima di partire per l’Irlanda per le prossime tre settimane >> spiegò, e mi addolcii quasi subito. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai, sentendolo mentre mi avvolgeva tra le sue braccia.
    << E’ successo qualcosa, Abbey? >> chiese, ed ebbi una sorta di flash nella mente.
     
    << E’ successo qualcosa, Abbey? >>
    Elena c’era sempre, in un modo o nell’altro, e io non avrei mai potuto esserle più grata. Se era vero che Harry aveva bisogno di qualcuno che restasse, chi diceva che non fosse lo stesso anche per me? Potevo contare sulla mia migliore amica, sempre.
    Era assonnata, e mi ero pentita quasi subito di averla svegliata a quell’ora, ma non potevo tenermi tutto dentro o sarei esplosa nel modo sbagliato, e non avevo la benché minima intenzione di scoppiare in lacrime ancora.
    << Gliel’ho detto >> avevo mormorato, coprendomi gli occhi con una mano e spingendovi sopra le dita per premere indietro tutto quello che aveva intenzione di uscire.
    << E lui? Deduco non sia stato molto gentile, dato che sei qui al telefono con me >> aveva affermato, ridestandosi completamente.
    Aveva una capacità innata di interpretare i miei silenzi e le parole non dette, e la ringraziavo ripetutamente per questo, dato che molte volte facevo fatica anche a respirare nei momenti di panico e tensione. Quello non apparteneva né all’una né all’altra categoria, ma trattavasi comunque di uno stato poco consono alle mie abitudini.
    << Non ha detto nulla >> le avevo spiegato, sospirando. << Un bel niente. >>
    << Questo suo atteggiamento ha due spiegazioni: o non prova niente e non sa come dirtelo >> era quello che condividevo pienamente, << oppure ha paura di qualcosa. Forse di essere amato, perché nessuno lo ha costretto a ricambiare i tuoi sentimenti. >>
    Avevo annuito, sebbene non potesse vedermi, ma anche quella sua spiegazione mi metteva in testa ancor più confusione. E se davvero fosse stato così?
    Se avessi ricollegato quel silenzio alle parole pronunciate da lui poco prima di dirgli tutto, l’opinione di Elena prendeva significato. Ma come potevo convincerlo a non temermi? Avevo cambiato tutto per lui. Avevo iniziato ad aver paura di ogni cosa: non mangiavo, guardavo tutti con gli occhi del lupo… Io.. Non ero più la stessa da quando c’era lui, da tutta la vita forse, mi ero costruita un’immagine di me che con lui non esisteva, e nonostante tutte le espressioni altamente negative del mio essere, se mi parlava ero felice. Gli facevo così tanta paura? Ero stanca di stare male, in senso fisiologico e psichico, ormai lui aveva sfruttato tutti i miei punti deboli e io mi sentivo totalmente distrutta.
    Poteva l’amore provocare tutto quello?
    << Posso venire a dormire da te? >>
    << Certo che puoi. I miei non ci sono, ci spariamo una maratona di Supernatural davanti alla televisione e mangiamo come mai prima d’ora. Ho dei cioccolatini presi a Parigi nel frigorifero. >>
     
    Ora mi spiegavo come fossi arrivata lì.
    Le parole di Zayn mi avevano portato alla mente ulteriori ricordi, ma il tossicchiare di Elena era chiaro: mi scostai e sorrisi, chiedendogli un paio di minuti per indossare qualcosa di più decente. Tornai sopra di corsa, scoprendomi una stupida perché arrivata in cima avevo un capogiro tremendo e il cuore che batteva all’impazzata.
    Entrai in camera della mia amica e cercai i vestiti della sera precedente, trovandoli piegati sul letto: questo si spiegava solo col fatto che, probabilmente, arrivata da lei, mi ero cambiata, considerando che eravamo sole in casa.
    Tornata nei limiti del pudore, tornai dai miei amici e mi misi a sedere accanto a loro per fare colazione. Nel frattempo, Zayn ed Elena avevano stretto amicizia e la cosa mi faceva piacere: quel ragazzo era una continua scoperta, era dolce, intelligente, divertente… Magari, se le cose non fossero andate bene con Liam, Zayn non sarebbe stato da scartare, anche se avrei preferito vederla col ragazzo che amava.
    << Quindi vi siete date alla pazza gioia, eh? >> punzecchiò il moro, facendomi l’occhiolino. Ridacchiai, ripensando alle bottiglie di Bourbon e birra sparse sul letto. I genitori della mia amica ci avrebbero uccise.
    << L’ultima cosa che ricordo sono gli addominali di Sam Winchester >> affermò sognante Elena, e improvvisamente vidi Zayn sollevarsi. Lo fissai interrogativa fino a quando non si alzò la maglietta per mettere in bella mostra il suo addome. Fu istintivo per me portarmi una mano alla fronte e scuotere il capo, rassegnata.
    << Vanitoso come sempre, vero, Malik? >>
    << Non c’è paragone, Ab. Sono troppo figo. >> Emisi un sospiro. Non sarebbe mai cambiato, ne ero certa, e quella consapevolezza mi fece sorridere. In fondo, non avrei mai voluto che accadesse, lo apprezzavo per quello che mi mostrava di essere.
    << Devo preparare i bagagli, >> mugugnai, allungandomi sul bancone per stiracchiarmi. Mi alzai dallo sgabello e mi avvicinai al divano, sul quale avevo certamente lasciato la borsa, ma sentivo chiaramente gli sguardi dei miei amici addosso.
    Sapevo bene stessero cercando di capire a cosa mi riferissi, non avendo loro parlato della mia decisione di partire per lo Yorkshire, ma non avevo potuto fare diversamente, essendo che avevo valutato quell’alternativa mentre mi dirigevo a casa di Styles.
    Stare lontana da tutto e tutti mi avrebbe aiutata a superare quella cosa, che, evidentemente, era di quanto più sbagliato ci fosse. Se ripensavo all’inespressività dei suoi occhi, la notte precedente… Non dovevo farlo.
    Parlai con loro, confermai la mia partenza in un paio di giorni e uscii di casa. Lasciai l’auto lì, dato che Elena non abitava molto lontano da casa mia, così sarei tornata appositamente per stare ancora con lei prima di andare via.
    Prima dovevo parlare con i miei genitori. Zayn si offrì di accompagnarmi e accettai entusiasta, dato che entro breve sarebbe ripartito.
    << Ad Oxford avrai tempo per me, vero? >> chiese tutt’a un tratto, facendomi totalmente sciogliere per il modo in cui lo aveva fatto. Mi ritrovai ad abbracciarlo ancora, stringendolo forte. Mi sarebbe mancato, tantissimo.
    Chi avrebbe mai potuto immaginare che avremmo avuto quel rapporto? Avevo sempre avuto una paura tremenda di mandare tutto al diavolo per la mia scarsa considerazione dei suoi sentimenti e per il mio egoismo, ma lui era stato forte per entrambi e non mi aveva lasciata andare via.
    Stavo iniziando a volergli un bene dell’anima. Il modo in cui mi diceva di andare avanti, di lottare, di non dipendere troppo dal passato perché nel futuro lui vedeva ogni sorta di speranza.
    << Non mi sognerei mai di trascurarti, Malik. Ti voglio bene >> sussurrai, stringendogli la mano.
    << Ti voglio bene anche io, piccola >> rispose, facendomi sorridere. Lasciai che mi baciasse la fronte, proprio nel momento in cui mia madre aprì la porta perché probabilmente mi aveva vista arrivare dalla finestra che dava sulla strada.
    Lessi l’imbarazzo sul suo volto e non potei fare a meno di ridere.
    << Mamma, lui è Zayn, un mio carissimo amico. Zayn, mia madre >> entrambi allungarono una mano, e mia madre sembrò tranquillizzarsi nel momento in cui avevo dato a Zayn la nomina di “amico”. Sapeva che da lì non si usciva.
    << E’ un piacere, entra pure >> disse, scostandosi.
    << Mamma, devo parlarvi >> iniziai, andando dritta al punto. Strinsi forte la mano di Zayn, che di tutta risposta mi sorrise per rasserenarmi.
    << Papà non c’è, ma se vuoi inizia a dirlo a me. >>
    Annuii, prendendo un respiro.
    << So che dovremmo recuperare tutto il tempo perso, ma… Ho bisogno di andar via per un po’. Avevo pensato di stare dai nonni per l’estate e tornare per preparare il viaggio per Oxford >> sparai, tutto d’un fiato.
    La vidi osservarmi attentamente, valutai ogni suo più piccolo movimento fino a quando non mi accarezzò una guancia per poi affermare che andava tutto bene e che se proprio ne avevo bisogno avrebbe comprato lei stessa il biglietto del treno.
    Era andata meglio di quanto sperassi, in verità.
    << Puoi scusarmi un po’, Ab? Avrei una cosa da fare, ci metterò poco. >>
    Zayn si era già allontanato e si era avvicinato alla porta. Lo salutai mestamente e mi diressi di sopra per tirar fuori il trolley che avevo messo via al mio ritorno da Londra e tirai la zip.  
     
    Harry’s p.o.v
    Stavo sistemando le ultime cose prima di andare a casa di Louis a Doncaster, quando mia madre era entrata in camera senza neanche bussare.
    << C’è Zayn di sotto, Harry >> mi comunicò, fingendo poi di non notare il mio nervosismo.
    Con che faccia si presentava a casa mia?
    Non gli rivolgevo la parola da quella notte in cui avevo rovinato tutto con Abbey, lo avevo accusato di non essermi affatto amico per il modo in cui si era comportato pur sapendo che lei era importante per me.
    Le chiesi di farlo entrare e mi appoggiai al davanzale della finestra, in attesa. Ero proprio curioso di sapere cosa volesse dirmi di tanto urgente da spingersi fino a Holmes Chapel. Quando varcò la soglia della mia stanza, fui quasi tentato di sferrargli un pugno, ma qualcosa mi trattenne. Ma non doveva andarsene in Irlanda?
    << Dobbiamo parlare >> esordì, chiudendosi la porta alle spalle.
    Con un gesto vago delle mani gli feci capire che lo avrei ascoltato, sebbene senza alcuna voglia.
    << La prima volta che ho visto Abbey, non credevo fosse proprio lei. E’ cambiata tantissimo dall’ultima volta che l’ho scorta al tuo fianco, quindi quando ho cercato di “conquistarla” >> disse, imitando le virgolette con le dita, << non credevo di farti un torto. Tu hai iniziato a parlarmene, mi hai raccontato del rapporto che avevi con lei e da amico ho deciso di intervenire. >>
    << Non te l’ho chiesto >> sibilai, fulminandolo.
    Davvero sperava credessi alle sue parole? Non ero così stupido, non poteva aspettarsi questo da me, non da Harold Edward Styles.
    << Ne avevi bisogno, visto e considerato che la trattavi uno schifo. Non è così che l’avrai, Hazza >> affermò, incrociando le braccia al petto. << Comunque, sono uscito con lei e ho capito che tu occupavi ogni suo pensiero. Pur non dicendomelo, lo capivo. >>
    Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e chinai il capo di fronte alla verità di quelle parole.
     
    La facilità con cui tu mi hai fatto soffrire mi ha fatto capire che più passi compio verso di te, più ne fai tu in direzione opposta.
     
    Era difficile per me ammettere di essere colpevole di qualcosa, soprattutto nei confronti di me stesso, ma lei aveva ragione. Le avevo fatto del male, e non me lo sarei mai perdonato.
     
    Credevo di detestarti, e invece… Mi sono ritrovata ad amarti.
     
    Sussultai nuovamente al suono di quelle parole, sebbene solo nella mia mente. Mi amava.
    Abbey non sapeva cosa fosse l’amore, eppure mi amava.
    E io? Io cosa sentivo?
    Se ripensavo a tutto quello che avevamo passato, condiviso... Improvvisamente tutto sembrava perdere di senso senza di lei. L’avevo sempre desiderata, la brama era cresciuta a dismisura quell’estate ed era esplosa, portandoci al limite. Ma non mi bastava vederla nel mio letto, io intendevo stringerla, starle accanto come lei era solita fare con me anche quando la ferivo. Per quanto potesse essere orgogliosa, aveva ammesso i suoi sentimenti.
    Idiota! Ecco cos’ero.
    << Tu la ami, non è così? Dimmi di sì, perché altrimenti tutto quello che ho fatto per fartene rendere conto sarà stato vano >> disse Zayn, interrompendo il mio flusso di coscienza.
    << Io… >> il primo passo, Harry. << Scusa, amico. Ero cieco, forse lo sono tutt’ora. >>
    << Sono felice che tu lo abbia ammesso, ma non hai risposto alla mia domanda. La ami? >>
    << Non lo so… >> Ammisi, abbandonandomi lungo la parete di marmo.
    << Sta per partire per York. L’ho lasciata poco fa >> affermò, e fu come se il mondo mi stesse crollando addosso.
    Non potevo perderla ancora, non potevo.
    Fu istintivo per me alzarmi e correre verso la rampa di scale che scesi velocemente. Spalancai la porta d’entrata e mi misi in strada, affrettando il passo in direzione di casa Lewis; ignorai la voce della madre di Abbey ed entrai in casa loro, avendo libero accesso dato che l’entrata era spalancata. Mi diressi in camera sua e quando fui dinanzi alla stanza presi un respiro ed entrai.
    << Mamma, devi imparare a buss - >> si bloccò all’istante quando incrociò il mio sguardo.
    Lasciò cadere ciò che aveva tra le mani e scostò gli occhi, recuperando immediatamente la maglietta che le era finita a terra.
    << Te ne stai andando? >> domandai, raggiungendola. La valigia era quasi piena.
    << Sì. >>
    << Perché? >>
    Si voltò a guardarmi, ma quella volta fui io a non riuscire a reggere e fissai un punto impreciso sul letto sul quale il trolley era appoggiato.
    << Vado a trovare i nonni, mi pare di averlo già chiarito >> rispose soltanto, continuando a riempire i bagagli.
    << Avevi detto che saresti partita tra una settimana al massimo >> mormorai.
    << Cosa cambierebbe? >> chiese, stringendo forte una camicetta che subito ne risentì, perché quando rilasciò la stoffa era completamente stropicciata. Come se nulla fosse stato, la ripiegò e la collocò in valigia, senza degnarmi di uno sguardo.
    Stava diventando straziante.
    Richiusi deciso il bagaglio, guadagnandomi una sua occhiataccia e un tentativo di riaprirlo, ma fu tutto vano.
    << Harry, ti prego >> implorò, mentre io le prendevo entrambe le mani per unirle dietro la sua schiena. Avanzai verso il muro, costringendo il suo corpo tra il mio e la parete. Poggiai la mia fronte alla sua e cercai di non pensare al suo respiro accelerato e al fatto che ancora non mi guardasse.
    << Ho bisogno che mi baci >> sussurrai, e finalmente vidi i suoi occhi. Non sapevo bene cosa stessi facendo, ma in me immaginavo fosse la cosa giusta.
    << Ti diverte tanto, eh? >> soffiò, rabbia nella voce. << Sì, Harry, sto morendo dalla voglia di baciarti ma so bene che se lo facessi dopo resterei di nuovo sola a darmi della stupida, e no, non voglio. Quindi lasciami andare. >>
    Tentò di liberarsi, ma diminuii ulteriormente la distanza tra i nostri corpi e volti. Si lasciò andare quasi subito, e sentire ancora le sue labbra sulle mie fu estasiante. Come suo solito mi mordicchiò il labbro inferiore, e lì capii che avremmo potuto approfondire il bacio. Le sue mani tornarono a giocare con i miei ricci, e fu come fare un salto nel passato. Un passato in cui ero stato bene.
    Un passato che prevedeva lei.
    L’avrei voluta anche nel futuro?
     
    La ami?
     
    Le parole di Zayn risuonavano nella mia testa, ma lo fecero ancora per poco, dato che Abbey occupò ogni angolo della mia mente. La sollevai da terra facendo leva sulla parete e lasciai che avvolgesse le sue gambe intorno al mio bacino.
    Il mio corpo si risvegliò completamente.
    Continuammo a baciarci voracemente, incuranti del fatto che finestra e porta fossero spalancate e che la madre fosse in giardino. Nel momento stesso in cui mi allontanai dal muro, lei si staccò e mi chiese di scendere.
    Si aggiustò la maglietta e poi mi guardò.
    << Non andartene >> affermai, sicuro.
    << Dammi un solo buon motivo >> rispose, decisa.
    << Riassumi in due parole quello che mi hai detto ieri sera, Abbey >> l’incitai. Sussultò e si allontanò, ma io in un istante le fui accanto e le presi la mano, per spingerla a dire quelle due paroline.
    Sapevo quanto potesse essere dura e quanto potesse costare al suo orgoglio, ma serviva che lo facesse.
    << Io… Harry, posso sapere cosa vuoi? >>
    << Dimmelo. >>
    Prese un respiro profondo e mi guardò con altrettanta intensità, per poi dire: << Ti amo. >>
    Sentii una morsa all’altezza dello stomaco e capii finalmente cosa provassi per lei. Non potevo essere stato tanto cieco, era assurdo. Tutto quello lo era, ma non meno degno d'essere vissuto.
     Unii nuovamente le nostre labbra e mi avvicinai al suo orecchio, per sussurrarle, mestamente: << Ti amo anch’io, stronzetta.>>

     
    *THE END*

     

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