La ragazza dell'autobus.

di anqis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I. ***
Capitolo 2: *** Parte II. ***
Capitolo 3: *** Parte III. ***



Capitolo 1
*** Parte I. ***


La ragazza dell'autobus.
Parte I.




Seduto su una vecchia e consunta panchina della fermata dell’autobus, la schiena appoggiata contro il vetro freddo bagnato dai rivoli delle gocce che cadevano silenziose, aspettava. Entrambe le cuffie infilate nelle orecchie, un piede allungato che picchiettava sul marciapiede a tempo di una canzone sconosciuta, lo sguardo perso sulla strada ancora vuota, così diversa da quella in cui si imbatteva al ritorno. Le nebbia si diramava da ogni direzione, la sentiva entrare nel giubbotto verde militare che indossava, attraversargli le vene e congelargli il sangue, gli arti. Seduto, picchiettava il piede a tempo.
Volse lo sguardo verso l’incrocio dove vide la luce arancione di una scritta che preannunciava l’arrivo dell’autobus. Aspettò che si arrestasse di fronte a lui prima di decidersi di alzarsi, scrollarsi di dosso le poche tracce di nebbia rimaste sulle spalle e avviarsi verso le porte che impazienti lo aspettavano, pronte per richiudersi immediatamente e partire.
L’autobus era mezzo vuoto, una signora anziana sedeva al posto dei disabile accanto alla finestra, il viso rivolto sulla strada, qualche ragazzo seduto nei primi e ultimi posti intenti a ripassare con il naso affondato tra le pagine di libri troppo pesanti che Harry non si era mai preoccupato di aprire. Erano a casa a calduccio sulla mensola, proprio dove sarebbe voluto esserci lui in quel momento. A casa ovviamente, non sulla mensola.
Harry si sistemò il berretto di lana grigio, il suo preferito tra tanti, sui riccioli scuri che ribelli gli si riversavano sul viso, sugli occhi. A volte veniva travolto dall’impulso di prendere il rasoio del suo patrigno e raderseli, completamente come Liam, il suo compagno del corso di algebra e geografia che gli faceva sempre copiare i compiti, anche se spesso neanche glieli chiedeva. Poi però si passava una mano tra i capelli e pensava a quanto sarebbe stato non sentire niente tra le dita, e allora riappoggiava lo strumento e riponeva l’idea in qualche cassetto della sua testa.
Il mezzo ripartì nel momento in cui lui fece un passo facendolo avanzare troppo velocemente instabile sui suoi stessi passi. Si attaccò ad un gancio mentre una risatina attirava la sua attenzione. Era una ragazza che frequentava il suo stesso corso di spagnolo, una biondina tutti sorrisi con cui non ci voleva avere nulla a che fare. La ignorò continuando a camminare e alzando il volume della canzone, mentre sentiva lo sguardo di lei scrutare la sua figura da cima a fondo. Come un predatore, pensò Harry prendendo posto.
Si sedeva sempre lì da quando aveva cominciato il liceo. Probabilmente qualcuno dei pochi presenti lo giudicava strano dato che si appropriava del posto peggiore di tutti: all’angolo, tra la finestra e la porta, attaccato al retro dell’autobus dove il rombo del motore, il calore e l’odore del fumo era più pesante. Lui però si era abituato, anche a quell’odore stagnante  o il freddo che filtrava dalla porta mal funzionante e le folate di vento ogni volta che si apriva ad ogni fermata. Harry pensava che il conducente lo facesse apposta ad aprire la porta, perché era a conoscenza del fatto che nessuno salisse mai da lì, ma questo non sembrava curarsene.  Harry sapeva che era una piccola rivincita per ogni volta che perdeva tempo di proposito per salire su quella mezza carretta, ma non gli importava. Era giusto, infondo.
Scivolò sullo schienale e fece cadere lo zaino dello zaino sul sedile accanto, sempre vuoto. Appoggiò il viso contro il vetro freddo della finestra e solo in quel momento si accorse di un piccolo cambiamento. Sul vetro appannato erano stati tracciate delle curve fatte delle dita creando così un disegno. Il ragazzo allontanò il viso per ammirare quell’intrinseco di forme vaghe e poco chiare: una ragazza in piedi di fronte a quella che doveva essere una fermata dell’autobus, il volto rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi. I capelli lunghi le scendevano - bagnati, dedusse lui dalla rigidità - sul viso, la figura di lei, minuta e magra.
Era un disegno semplice eppure non da niente per esser stato disegnato su due piedi con delle dita. Harry continuò a guardare quella bozza, poi preso da un impulso dettato dal suo strano subconscio allungò le dita e cominciò anche lui a tracciare delle linee. Quando ebbe finito, era ormai giunto alla fine della sua playlist preferita, “Echoes” era ormai giunta alle ultime note. Fece un sorriso e in tempo notò l’immensa figura dell’edificio dove lo rinchiudevano per lunghe ore della sua vita che lui avrebbe potuto spendere in cause più giuste – come dormire, e prenotò la sua fermata. Lanciò un ultimo sguardo alla sua opera e saltò giù dall’autobus, in tempo per non consentire all’antipatico autista di incastrarlo tra le ante della porta.
A grandi e lenti passi attraversò la strada, inconsapevole del sorriso che gli increspava le labbra. Aveva disegnato un ombrello. Sulla ragazza del disegno aveva disegnato alla meglio un ombrello per proteggerla dalle gocce di pioggia che le cadeva pesantemente addosso alle quali lei sembrava avesse deciso di non proteggersi.
 

***

 
Quando Harry con la testa china e la mani nelle tasche dei pantaloni stretti aveva messo piede  nell’autobus, lo stesso che aveva preso la mattina, i suoi occhi si puntarono immediatamente sulla finestra. Durante il corso della giornata, con la testa china sui quaderni usati come cuscini aveva più spesso vagato con la testa su quel mezzo immaginandosi la reazione che avrebbe avuto la ragazza vedendo il piccolo intervento che aveva fatto. Ovviamente sapeva perfettamente che quel disegno poteva esser stato cancellato anche alla fermata seguente alla sua da qualche altra persona, ma non gli importava e aveva continuato ad immaginarsi un viso che sorrideva alla vista dell’ombrello abbozzato.
E attonito si era seduto cautamente su quel sedile snobbato da tutti, la fronte corrugata e le labbra tese in una riga dura e stupita. Non sapeva se doveva sentirsi più offeso o stupito.
La ragazza e le nuvole cariche di pioggia erano state lasciate intatte, il suo ombrello invece era stato malamente cancellato. Corrucciò le labbra in una smorfia infastidita e sbuffò lasciandosi cadere sul sedile. Alzò il volume per sovrastare le chiacchiere e gli squittii degli studenti della sua stessa scuola e chiuse gli occhi. Cosa aveva fatto di sbagliato?
 

***

 
Alla fermata dell’autobus, la panchina fredda e vecchia solitamente occupata da una figura slanciata e alta era vuota. Il ragazzo che giornalmente sedeva lì era immobile sul bordo del marciapiede, le vans nere consumate dai passi e dalle strade percorse insieme erano leggermente esposte in avanti. La destra picchiettava con un incalzante ritmo sul terreno seguendo una canzone ignota, ma talmente forte che si poteva leggermente sentire se intorno calava il silenzio.
Harry emise un lamento e affondò maggiormente il lungo naso nel giubbotto verde militare imprecando sottovoce. Perché non aveva ascoltato i consigli di sua madre e non aveva indossato la sciarpa e il giubbotto più pesante? La sentiva, con quella sua voce materna ma tagliente ripetergli nella mente “quando poi starai saltellando dal freddo per riscaldarti e compiangerei il calore che può dare la sciarpa di lana calda che ti ho regalato per Natale, non venire a lamentarti da me con il moccio e il naso rosso e sproporzionato”e più il solco tra le sopracciglia sembrava affondare nella pelle. E perché diamine l’autobus sembrava stesse impiegando ore per arrivare? Che quel dannato autista sapesse che stava congelando? Doveva esser per forza così, pensò tirando un calcio all’aria per scaricare la tensione e riprendere la sensazione di possedere una gamba.
Tirò fuori dalla tasca il cellulare che segnava solamente le 7.30 di mattina. Il conducente non era in ritardo, era lui quello in anticipo. Sbuffò nuovamente e l’aria si condensò creando cerchi di aria calda che scomparvero nell’arco di pochi secondi repressi dal gelo. Cosa l’aveva portato a svegliarsi prima del solito quel giorno? A lasciare le calde coperte? La risposta la sapeva perfettamente e quando i suoi occhi distinsero l’enorme numero dell’autobus gli salì un groppo in gola.
Fece finta di non vedere l’espressione di sorpresa che aveva assunto l’uomo pelato sulla cinquantina che cercava ogni giorno di togliergli la vita incastrandogli una gamba tra le ante della porta, e in un attimo salì su. Ignorò la risatina e gli sguardi espliciti della biondina, il borbottare della signora anziana sulla maleducazione dei giorni nostri – anche se nessuno sembrava le avesse neanche rivolto la parola - e accorse a passi svelti verso il suo posto.
Lasciò cadere lo zaino sul posto mentre in piedi ammirava il nuovo disegno. Si sedette non appena si accorse di aver attirato l’attenzione dei pochi passeggeri presenti rimanendo in piedi come pietrificato e si tolse il berretto di lana. Non si aspettava di trovarne un altro, credeva che dopo il giorno prima l’autrice si fosse sentita offesa, ed invece contro ad ogni sua aspettativa aveva dato il meglio di sé nel ritratto di un piccolo gatto chino su una ciotola di latte, dedusse Harry che possedeva anche lui un gatto, solo più grosso e meno carino.
Che le avessero appena regalato un gatto? O magari l’aveva raccolto, con il pelo bagnato fradicio dentro una scatola di cartone abbandonata sul ciglio della strada e avesse deciso di tenerlo con sé, contro la decisione dei genitori. Scosse la testa e sorrise imbarazzato, forse stava un tantino esagerando.
Sapeva però che non stava sorridendo per quello. Che fosse un gatto o qualunque altra cosa, era felice perché era come se lei avesse preso la decisione di condividere con lui, uno sconosciuto che aveva il coraggio di pochi come lei di prendere posto su quella sedia della tortura, quel piccolo motivo di felicità.
Stranamente sorridente per essere solo le 7.50 del mattino, Harry si tolse il guanto della mano destra e lasciò nuovamente un segno del suo passaggio. Un piccolo gomito di lana, più simile ad una palla informe, accanto al gatto per fargli compagnia.
Il trillo della prenotazione della fermata gli fece alzare la testa. La ragazza bionda era di fronte alla porta, il che significava che era giunto il momento anche per lui di scendere.
 

***

 
Avevano continuato così per due settimane intere. Ogni mattina, Harry si svegliava prima del solito e cinque minuti dopo si trovava sul ciglio del marciapiede, il naso affondato nella sciarpa bianca cucita da sua madre -  che invece di rimproverarlo quando era tornato con il naso gonfio e otturato, aveva riso sommessamente di lui - e gli occhi verdi rivolti verso la strada, in trepida attesa dell’arrivo dell’autobus.
L’autista ormai aveva preso anche l’abitudine di sorridergli quando lo vedeva lì, ritto e infreddolito con un piede già sospeso nell’aria pronto ad annullare la distanze. Una volta, quando la portiera di dietro aveva preso l’autonoma decisione di prendersi una giornata di riposo, costringendo così Harry a salire da davanti, gli aveva addirittura fatto un occhiolino, lo stesso vecchio che aveva cercato più volte di incastrargli la gamba tra le ante e trascinarlo fino alla fermata seguente, o più, senza curarsi del corpo che penzolava e lo seguiva. Non era successo, ma Harry sapeva perfettamente che gli sarebbe piaciuta l’idea, prima che diventassero passeggero-conducente preferiti.
Si sedeva e guardava il disegno che quel giorno gli aveva lasciato, passando i minuti del tragitto dopo a pensare come risponderle, scarabocchiando solo all’ultimo un qualcosa di simpatico o utile. E sapeva che lei vedeva i segni che lasciava lui perché quando saliva al ritorno, una piccola faccina sorridente lo aspettava.
Harry non ne aveva parlato a nessuno perché sapeva quanto fosse strana la faccenda e quanto si sarebbero divertiti i suoi amici, in particolare il suo migliore amico Louis. Quando però quest’ultimo lo aveva messo alle strette dopo l’ora di motoria chiudendolo nel bagno dei maschi ancora in mutande in attesa di farsi spiegare il perché alla fine della scuola scappava immediatamente fuorisenza neanche aspettarlo, Harry si era dovuto arrendere e riluttante gli aveva raccontato di quegli scambi. E come previsto, Louis era scoppiato in una sonora risata. Solo dopo si era conto di quanto quei disegnini sembravano davvero importanti per Harry.
E gli aveva rivolto la domanda che Harry aveva cercato notti e notti di reprimere, dimenticare: “Non vorresti sapere chi è la ragazza che ti lascia quei disegni?” rendendo reale il suo bisogno di sapere chi fosse lei, chi si nascondeva dietro le faccine sorridenti che gli lasciava, le nuvole di pioggia, la ragazza che si era arresa alla gocce. 


 

- all'angolo della strada.

Buonasera a tutte, mie care lettrici! 
Eh sì, non vi siete ancora liberate di me, finita la fan fiction eccomi qua con una one shot piuttosto lunga. Dunque, ecco a voi la prima parte di tre capitoli. Spero che vi colpisca, spero di non risultare banale, spero di non aver fatto troppi errori perché mi sono impegnata abbastanza. Ho messo una parte di me, lo faccio sempre, ma questa volta un pizzico di più nel personaggio di lei. E mi sono completamente ispirata a.. me. Stavo tornando da scuola e il vetro dell’autobus era appannato, allora ho cominciato a disegnarci su. Un po’ di passeggeri hanno cominciato a guardarmi, ma me ne sono fregata altamente. Non riuscivo a smettere, neanche di fronte alla porta d’uscita alla mia fermata, haha.

Okay, ho finito di torturarvi con i miei strani comportamenti da pazza. Spero di non farvi attendere troppo, alla prossima!
Alice.


 

 ps. Harry Styles nei perfetti panni di Harry Styles della one shot "La ragazza dell'autobus", lol.
Sempre perfetto, il bastardo.

 

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Capitolo 2
*** Parte II. ***


 

La ragazza dell'autobus.
Parte II.





Voleva vederla, almeno di sfuggita, l’autrice, la sua ormai nuova compagna di viaggio, la sua corrispondente di lettere mai scritte, la causa dei dieci minuti in più persi per dormire, il motivo per cui era più facile abbandonare le calde coperte del suo letto per affrontare il freddo di una delle tante lunghe giornate, uguali e spente divenute ad un tratto un poco più chiare, colorate. Harry vide in quella coltre di nebbia, di palazzi alti e grigi, di strade vuote o troppo piene, il miraggio di uno schizzo di colore.
Era consapevole che lei, una sconosciuta mai vista, era subentrata nella sua vita talmente infondo da riuscire a influenzarlo pur passivamente. L’aveva saputo sin dal primo momento in cui aveva appoggiato il dito sul finestrino e titubante aveva tracciato la prima linea di tante, come sapeva che se non avesse ricevuto nessuna risposta ci sarebbe rimasto male, molto più di quando aveva visto con dispiacere e un po’ di rabbia il suo ombrello scarabocchiato, cancellato malamente. Tuttavia, una parte di lui non era riuscito a trattenersi ed aveva fatto un salto di gioia perché la ragazza in questione aveva visto, aveva visto quello che lui aveva fatto! E gli aveva risposto per giunta, forse in modo brusco e freddo, ma l’aveva fatto e questo era bastato a Harry. Un piccolo seme di speranza si era fatto strada in lui e stava man mano crescendo, trovando radici in lui.
Dunque, quando quella mattina aveva appoggiato il primo piede sul pavimento freddo della sua camera, il primo pensiero che gli era saltato in mente era quello di volerla conoscere. E si era deciso che a seconda di quello che avrebbe visto disegnato sul finestrino avrebbe scelto se compiere quel pericoloso ma allo stesso tempo irresistibile passo avanti o dimenticarsene e lasciare perdere.
E quando si era seduto al suo solito sedile non aveva neanche minimamente pensato secondo a quale criterio avrebbe deciso di fare il passo o no, perché quella era solo una scusante. Lui era determinato  a volerla conoscere comunque.
Aveva spalancato i grandi occhi verdi non appena li aveva posati sul vetro. Delle lettere erano state tracciate in fretta e furia. Eppure non era stato quello che aveva portato Harry a spalancare anche la bocca in una smorfia di pura sorpresa che era riuscito negli anni a mascherare perfettamente con il suo cipiglio serio ed impassibile. Erano state le parole a suscitare in lui quello sgomento, perché lui le conosceva fin troppo bene. Free falling down, erano queste le parole che risuonavano nella sua mente, ripetute dalla voce di John Mayer. Era una delle sue canzoni preferite, una delle prime nella sua playlist.
Harry incredulo deglutì.
Doveva assolutamente incontrare quella ragazza.
 

***

 
La porta della classe si spalancò di colpo e sbatté contro i muri talmente forte che alcuni dei giubbotti appesi sui ganci caddero per terra seguiti dalle lamentele dei proprietari che però non si affrettarono ad abbassarsi per raccoglierli, anche loro curiosi dall’entrata irruente di Harry.
Il riccio si trascinò con rabbia fino al suo banco e fece cadere rumorosamente lo zaino dalla spalla. I riccioli scuri erano quella mattina ancora più sparpagliati del solito, disordinati come i mille pensieri che lo stavano tormentando.
«Il tuo piano» disse rivolgendosi al migliore amico che per niente stupito da quell’atteggiamento lo stava guardando, un sopracciglio inarcato quanto la piega del suo ciuffo castano, «Mai sentito piano peggiore» ringhiò.
«Quale piano?» domandò Louis a sua volta, tranquillo e gli occhi azzurri e vispi impiantati in quelli grigi e scuri del ragazzo infuriato di fronte a sé che alto lo frastagliava con la sua figura. Louis però non si lasciava impressionare da niente, non di meno dal suo migliore amico che conosceva meglio delle sue tasche sempre piene di cianfrusaglie inutili come scontrini vecchi, monete arrugginite e carta della gomma da masticare.
«Quella di conoscere la ragazza» si bloccò Harry e abbassò il tono di voce in un sussurro disperato, «dei disegni.»
«Io ti ho solo chiesto se volevi conoscere la ragazza» avvicinò il viso al naso dell’amico solo per divertimento, «dei disegni. Non ti ho detto nessun piano» si giustificò.
Harry sbatté violentemente sulla superficie del banco le mani grandi e ampie facendo sussultare alcuni studenti seduti lì accanto  a loro – che ebbero la buona idea di sloggiare. Fece per ribattere, ma le parole le rimasero sulla punta della lingua. Infine si lasciò cadere sulla sedia con un tonfo rumoroso (e molti dei compagni di classe uscirono dalla classe capendo che non sarebbero riusciti a ripassare). «Hai ragione, Lou.»
«Come sempre» commentò l’altro.
Un sospiro.
«Allora, cosa hai combinato questa volta?» chiese poi al secondo sospiro pesante dell’amico.
«Niente, mi sono svegliato prima e con prima intendo davvero presto, e sono salito sull’autobus del vecchio pelato. Ho fatto quasi due interi giri seduto al solito posto, ma nessuna ragazza si è avvicinata» raccontò con il viso affondato tra le braccia incrociate. «Sono disperato ed è colpa tua ormai, se solo non mi avessi posto quella domanda..»
«La volevi incontrare da prima, ora non scaricare la colpa su di me. Se non ti avessi detto niente sarebbe stato troppo tardi» replicò Louis.
Harry alzò la testa la fronte tesa, «Troppo tardi, perché?»
Il castano alzò gli occhi al cielo e con un dito gli fece cenno di guardare la finestra, dalla quale brillava il sole. «Comincia a fare più caldo.»
«E allora?»
«E allora? Voi due “messaggiate” tra di voi scambiandovi disegnini sul vetro appannato. Quando comincerà a fare più caldo, l’aria non si condenserà più e la finestra dell’autobus non sarà..»
«.. più appannata» concluse Harry, «Cosa devo fare Lou?!»
Louis, che si aspettava quella reazione, fece un sorriso furbo prima di appoggiare una mano sulla spalla dell’amico, «Tu fai quello che ti dico io. Allora, per prima cosa..»
 

***

 
Non era mai stato così nervoso in tutta la sua vita. Neanche alla sua prima gara di skateboard che alla fine era andata proprio secondo le sue aspettative: di merda; alla sua diciassettesima festa di compleanno che  lui e i suoi amici ritenevano più importante dei diciotto anni. Ritenevano i diciotto anni il segno della fine della loro infanzia e l’inizio di quella tortuosa strada che Zayn definiva “vita” detto sempre seguito da un potente sputo che aggiungeva quel tocco di schifo in più.
A Harry non piaceva sentirsi “nervoso”, perché lui era lo stesso bambino che quando si era rotto la gamba per la prima volta si era limitato a saltare su un piede solo fino a sua mamma; lui era quello che aveva affrontato la verifica di algebra che avrebbe inciso sulla sua carriera scolastica senza una piega; lo stesso ragazzo di quattordici anni che non aveva versato una lacrima quando i suoi genitori aveva divorziato. Non poteva assolutamente sentirsi “nervoso” al semplice pensiero di conoscere una ragazza.
Odiava sentire le dita delle mani bisognose di qualcosa da stringere, odiava il sudore che gli imperlava la fronte quando intorno a sé c’era una temperatura vicino allo zero, odiava doversi inumidire le labbra che ogni due per tre diventavano secche e si screpolavano. Si sentiva debole, inerme, vulnerabile a non riuscire a controllare quelle sensazioni fisiche.  
Si sistemò lo skate che teneva sempre legato al suo zaino con delle corde e si lisciò i pantaloni scuri che quel giorno avevano deciso di rimpicciolirsi e fargli perdere la sensibilità degli arti.
L’autobus arrivò, come il sorriso del vecchio pelato.
Harry ridacchiò – un altro sintomo del “esser nervoso” era ridere per ogni qualcosa – al pensiero della faccia che avrebbe fatto il vecchio nel vederlo camminare di nuovo lentamente verso l’ultima porta. Esitava ad ogni passo, appoggiava il piede e due battiti lo scuotevano. “Quanto sei  patetico” la voce di Louis si fece strada tra i suoi pensieri.
Spinto da quel mezzo insulso entrò nel veicolo. Riempì con la mente i posti della bionda e della signora anziana scorbutica, che Harry si chiedeva spesso dove andava a quell’ora della mattina, che non occupavano i loro posti perchè era troppo presto per loro. E si immaginò anche le imprecazioni dell’autista alterato dal suo comportamento.. no, quelle c’erano davvero. Tutto era al suo giusto posto. Quella volta a spezzare l’ordine delle cose sarebbe stato lui. Percorse i medesimi passi, ma prima del previsto si fermò e prese posto proprio di fronte al suo. Si premette il berretto sui riccioli e lo coprì a sua volta con il cappuccio del giubbotto, affondò il viso nella sciarpa e si mise ad aspettare.
Dopo il capolinea avevano già superato diverse fermate e nessun passeggero si era minimamente avvicinato al sedile dietro di lui. Allora non era una sua e unica impressione che tutti snobbassero quel posto al quale ormai lui si era affezionato. Stava quasi scomodo nascosto in quel modo, su quel sedile consumato ma funzionale tutto gli appariva diverso e molto meno interessante. Sospirò, stava perdendo le speranze.
Quando ormai riconobbe la sua zona e il pensiero che la ragazza lo avesse visto quel giorno in cui aveva deciso di incontrarla e si era lasciato comandare dall’impulso commettendo il grande errore di scoprire la sua identità, e  lo avesse riconosciuto anche nascosto sotto la sciarpa o ancor a peggio, avesse deciso di non salire e disegnare più niente si infiltrò nel suo cuore dandogli fitte tremende allo stomaco, le porte si aprirono ed una ragazza salì.
Non si sarebbe neanche accorto di lei se non fosse stato per la fiammante sciarpa di lana rossa che balzava immediatamente nell’occhio tra il grigio della città. Stretta in un cappotto blu scuro, le mani strette intorno ad un libro che sembrava avesse appena chiuso giusto per salire. Harry osservò con attenzione quelle mani nel tentativo di cercare qualche indizio che lo aiutasse a capire se disegnava spesso, ma nulla. Si concentrò nel viso. Era una ragazza carina, ma niente di particolare. I capelli coloro miele erano stati sistemati in una strana crocchia venuta male, alcuni ciuffi le sfuggivano e le incorniciavano il viso chiaro. La montatura di un paio di occhiali rotondi le scivolavano sul naso minuto e dovette sistemarseli due volte nell’arco di pochi minuti. Era completamente diversa da come se l’era immaginata. Sempre se fosse stata lei.
Harry la guardò speranzoso, ma il sorriso che gli era appena spuntato sulle labbra si spense nel vederla avanzare verso i primi sedili. Mancavano ormai due fermate prima della sua, a quel punto lui sarebbe dovuto salire e avrebbe visto il nuovo disegno lasciato. E dato che la ragazza non c’era, questa volta niente lo avrebbe aspettato. L’idea che lei avesse deciso non “messaggiare” più con lui divenne ormai una consapevolezza ed un peso enorme si fece spazio sul suo petto. Ormai arreso si mise dritto e cominciò a liberarsi dell’ingombrante sciarpa. Era stato così stupido e avventato, non avrebbe dovuto cercare di incontrarla senza neanche pensare ad un piano, era soltanto un grosso cazz..
La ragazza aveva aperto il libro e quello che doveva aver usato come segnalibro venne strofinato sulla macchina dei biglietti che emise un bip rumoroso. Si voltò e tornò indietro.
Harry riafferrò di scatto la sciarpa e se la strinse con violenza intorno al viso e nella fretta finì quasi con il soffocarsi. Era quasi riuscito a nascondere metà viso, quando lei gli passò accanto. Un dolce profumo di sapone si diffuse nell’aria al suo passaggio. Immobile, la sentì prendere posto dietro di lui.
Era lei, certo che era lei.
L’aveva trovata finalmente.
Non si mosse di un millimetro durante l’intero viaggio. Abbassò completamente  il volume della musica, proprio durante la sua parte strumentale preferita di Champagne Supernova dei Oasis. Non interrompeva mai una canzone: abbassare il volume fino al minimo era sempre stato considerato un sacrilegio inaccettabile e imperdonabile che lui aveva appena commesso. Senza neanche il più piccolo sentimento di rimorso, ed era questo a spaventarlo. Aspettò con il naso metà nascosto dalla lana, fin troppo goloso di quel profumo di sapone di cui si stava dissetando; le guance arrossite all’improvviso per un motivo a lui sconosciuto, forse per il caldo che inaspettatamente e dal nulla lo aveva avvolto e lo stava facendo sudare freddo, o forse – gli era difficile ammetterlo – per la presenza della ragazza a cui pensava ormai insistentemente da settimane che si trovava esattamente a neanche un metro da lui; il respiro affannato e le spalle tese. Fino a quando non la sentì raccogliere la borsa dal sedile accanto – dove l’appoggiava sempre anche lui – e alzarsi.
Sentiva le sue gambe picchiettare incontrollate sempre più forte senza seguire neanche un ritmo preciso sul pavimento, controllate dalla voglia di alzarsi da quel sedile scomodo e non suo per raggiungerla; le mani contorcersi all’interno della tasca dei pantaloni dal desiderio di toccarla, di presentarsi, stringerle una mano e  guardarla da vicino fino a imprimersi ogni dettaglio di quel viso che tanto le era estraneo, ma che voleva conoscere. Ma si concesse solo una sbirciatina, un solo e unico sguardo.
Le porte si aprirono e lei scese, non prima che lui notasse il respiro mozzato che le era sfuggito dalle labbra.
Il motore ripartì verso la sua fermata. Scese con lo zaino a penzoloni e con un cattivo presentimento guardò la finestra. Nessun disegno questa volta. Lettere, una parola sola.
Goodbye.

 
***

 
Harry era arrabbiato perché era la prima volta che non era stato lui a mettere fine ad un legame scomodo, perché non era stato lui a porre la parola fine a tutto, ma lei, una ragazza a cui non aveva neanche rivolto una vera parola che senza un valido motivo sembrava si fosse stancata di lui e nessuno, secondo l’orgoglio incontrollato e abnorme di Harry si poteva stancare di lui, nessuno; era frustrato perché da quella volta non aveva più visto nessun disegno, nessuna parola, niente di niente, perché non l’aveva più vista neanche tutte le volte che aveva sacrificato un ora di sonno per aspettarla seduto al freddo per poterle parlare; era spaventato perché le mancavano quelle conversazioni, quei messaggi, le sue faccine sorridenti che a volte non erano davvero così sorridenti. Le mancava lei, una ragazza che aveva visto una sola volta e che continuava a ricomparirle in mente di giorno in giorno sempre più sbiadita. E più il tempo passava, più aveva paura di dimenticare quei pochi ma chiari dettagli che era riuscito ad imprimersi nella mente. Ed era ancora arrabbiato, perché era scappata lasciandosi dietro solo una fottuta ed inutile parola.
Alla quale però, lui continuava ad aggrapparsi.




 

- all'angolo della strada.

Buonasera, lettrici.
Dopo una lunga e tirata attesa, eccomi finalmente al vostro cospetto con la seconda parte di questa one shot.
Manca la terza alias ultima e il pacchetto sarà terminato, concluso, finito. 
Come alcune di voi hanno letto nel messaggio che ho lasciato nella fanfiction Color My Life, ho deciso di prendermi una piccola pausa da efpfanfic come scrittrici, limitandomi al ruolo di lettrice. Ne sento davvero il bisogno, il allontanarmi da qui e anche da facebook, per un momento di riflessione: devo riordinare le idee che mi affollano la testa, poi tornerò di nuovo alla carica.
Con il prossimo aggiornamento porterò a termine la one shot e dopo, non mi sentirete per un bel po'. 

Grazie delle recensioni - lette tutte. Grazie tante.
Grazie a chi ha inserito questa one shot tra le seguite/ricordate/preferite.
Al prossimo (spero vicino) aggiornamento!
Alice.


 



Harry, in ritardo  per l'autobus.

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Capitolo 3
*** Parte III. ***




La ragazza dell'autobus.
Parte III.





Un ragazzo alto dalle  spalle larghe e le gambe lunghe fasciate in un paio di jeans scuri stava camminando a testa bassa perso nei suoi pensieri, due enormi cuffie a distanziarlo dalla realtà che lo circondava.
Non portava nessun berretto quel giorno e la sciarpa era tornata nuovamente in letargo nel cassetto del suo armadio; ormai la temperatura si era alzata notevolmente durante quell’ultima settimana di Febbraio, all’arrivo del piovoso ma più mite mese di Marzo. E con quelli anche il gelo, il ghiaccio sul parabrezza delle auto, le cioccolate calde, le caffetterie stracolme, le ultime verifiche di recupero, anche i vetri appannati si erano schiariti. Ma non la speranza e la testardaggine di Harry, quelle erano rimaste e non sembravano avessero intenzione di sloggiare dalla mente del riccio che rimuginando non si era accorto di esser stato chiamato.
Solo quando alzò gli occhi e vide il ciuffo scuro di Zayn innalzarsi tra la folla di studenti, si decise di togliersi le cuffie e lasciarle penzolare familiari sulla nuca. Si fece strada fino a raggiungerlo all’ingresso, dove appoggiato allo stipite lo stava aspettando con una sigaretta in bilico tra due dita. Era nervoso, pensò Harry nell’osservare i movimenti con cui giocava con la sigaretta.
«Che succede?» chiese.
Zayn scosse la testa, poi indicò con il mento la situazione al cancello. Il poco buon umore che Harry aveva – grazie al voto che era riuscito a strappare a quella stronza della professoressa di algebra – svanì di fronte alla scena di fronte alla quale si imbatté. Appoggiato al cancello la biondina del tram stava spudoratamente flirtando con un biondo che loro conoscevano fin troppo bene. Niall, ancora una volta, si era lasciato abbindolare da un falso sorriso e forse da un invito al suo ristorante italiano preferito.
«Interveniamo, dai» bofonchiò Harry mentre si avviava spedito verso l’amico che aveva estratto il cellulare, non consapevole del guaio in cui si stava ingenuamente cacciando. Zayn a suo fianco si portò la sigaretta all’orecchio. Se la sarebbe goduta in un altro momento, dopo aver salvato Niall naturalmente. E pensare che la stronza la mattina stessa aveva lanciato un altro dei suoi languidi sguardi a Harry.
«Il nuovo locale messicano? Non ci sono mai andato.. Ehi Harry, Zayn!» esclamò il biondo allargando gli occhi azzurri e la bocca in un sorriso placido e contento. Mancava una coda e in quel momento avrebbero potuto dire che stesse scodinzolando.
Harry fece un sorriso stirato e batté il pugno all’amico, mentre Zayn si limitò ad un cenno veloce con la testa prima di inchiodare gli occhi scuri e poco cordiali sul viso dal trucco pesante di lei, che intimidita deglutii rumorosamente.
«Lux mi stava invitando..» Non ci credo, non nome più azzeccato. Lux,lussuria, che banale cliché, pensò Harry abbassando gli occhi chiari fermi sulla ragazza, «Che carina, vero? Dice che potete venire anche voi, ha delle amiche..» non ebbe il tempo di finire che Zayn lo interruppe. Il tempo era scaduto, la sigaretta esigeva il suo momento.
«Non ci interessa, mi dispiace» disse incorruttibile.
La ragazza spalancò gli occhi, ma non osò aprire bocca quando Zayn le lanciò un’altra occhiata molto esplicita.
«Ma ragazzi..» si lamentò Niall senza capire. Poteva essere così tonto un ragazzo di diciotto anni? Gli irlandesi, convinti che tutti siano sinceri come loro. Harry lo zittì con una gomitata e si affrettò ad aggiungere, «Grazie comunque per l’invito..»
«Potrei invitare anche la ragazza dell’autobus»  disse però la ragazza a bruciapelo, «sempre se vuoi.»
Gli occhi verdi di Harry che erano già grandi di suo si spalancarono enormemente. Zayn con il tubicino di carta ormai tra le labbra si fece scappare un gemito di arresa. Con quella frase la ragazza aveva già vinto e stravinto. Quando sarebbe riuscito ad accendersi quella dannata sigaretta?
«L-La ragazza dell’autobus?» balbettò Harry, confuso e preoccupato della sua instabilità mentale. Che se lo fosse solo immaginato? Se la risposta era sì, doveva cominciare a coltivare l’idea di prenotare una seduta dallo psicologo della scuola.
«Sì, quella che ti lascia quei disegnini» simpatizzò facendo le virgolette con una smorfia infastidita che celava a malo modo l’invidia che la stava divorando da mesi a parte, «Sì, so chi è. Va a scuola con una mia amica, posso invitarla se proprio vuoi..» impossibile non cogliere la riluttanza con cui l’avrebbe fatto. Harry però non fece caso – o meglio, fece caso ma si preoccupò accuratamente di nasconderlo.
«Domani, alle 18.00 da Mimmo.»
 

***

 
«Senti, sei sicura che verrà?» chiese il riccio.
La ragazza sospirò – incredibilmente nessun bottone della striminzita camicia saltò - «Harry» gli dava fastidio che lo chiamasse per nome, anzi erano molte le cose che gli facevano salire la pressione del sangue, ma doveva rimanere buono, finché lei non fosse arrivata. «È la quattordicesima volta che me lo chiedi da quando siamo arrivati, ovvero quattordici minuti esatti fa. Io le ho dato appuntamento qua per le 18 in punto, se in ritardo non significa che tu debba tormentarmi ad ogni scoccare di un minuto, okay?»
Il riccio, stupito dalla complessa e inaspettata risposta della bionda emise uno sbuffo e con un cenno di assenso tornò a giocare nervosamente con l’orologio al polso. Lei soddisfatta tornò a chiacchierare con Niall che senza resistere aveva già ordinato uno spuntino (sempre se un panino si poteva chiamare così. “Metabolismo irlandese” ecco come si giustificava).
Intanto Louis a suo agio tra due ragazze stava inscenando una delle sue tante avventure di cui nessuno sapeva quanta verità vi fosse. Liam, che lo aveva invitato all’ultimo convinto che la presenza di più persone avrebbe reso l’incontro meno studiato e più naturale, stava parlando fitto fitto con Zayn che stranamente sembrava avesse deciso di mettere da parte la sua facciata da “non ti considero neanche” e il suo pacchetto di Lucky Strike nella tasca dei pantaloni e sorrideva – incredibile! Surreale! Domani moriremo tutti! – divertito. Liam era un ragazzo speciale, lo aveva sempre saputo Harry.
Quando ormai aveva contato tutti i tappi di bottiglia schiacciati e amalgamati con il cemento del marciapiede, un saluto attirò l’attenzione della combriccola male assortita.
Erano appena arrivate due ragazze. Harry sorvolò con lo sguardo la prima ragazza e con un sorriso ad increspargli le labbra si abbandonò alla vista della cipolla venuta male color miele, gli occhiali dalla spessa montatura troppo pesante per il naso fine e minuto. E non si preoccupò neanche di ascoltare le presentazioni delle altre, concentrato nei dettagli di quel viso.
«Harry.»
Le ciglia lunghe le accarezzavano gli zigomi nascondendo ai suoi occhi il colore delle iridi dietro le lenti. Notò con sorpresa una leggera spruzzata di lentiggini sul naso quando si voltò leggermente per sorridere a qualcuno che – ehi – non era Harry.
«Harry.»
Gli occhi si spostarono su di lui, spiazzandolo. Erano marroni, ma non del solito e banale marrone. Erano leggermente più scuri intorno alle pupille, luminosi e frastagliati da riflessi chiari e pagliuzze – che fossero dovute alla miopia? Harry si diede dello stupido, come poteva averla giudicata banale la prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei?
«Harry!», chi lo disturbava in un momento del genere? Si voltò e scocciato schioccò le labbra. Lo stava fissando tutti, e sapeva, anche la ragazza. Okay, doveva apparire normale. «Dimmi Louis»
L’amico inclinò leggermente la testa prima di ripetere con una nota più grave e lenta, «Harry, loro sono Clary» indicò l’amica della bionda, « e lei è Ginevra» e indicò la ragazza-dell-autobus.
Si guardarono in silenzio. Gli occhi caramello di lei sgranati ed immobili, gli occhi di lui verdi.. seri. Si alzò di colpo ed ignorando la mano dell’altra ragazza sporta verso di lui, si rivolse subito a Ginevra (era al quinto posto dei nomi della lista che aveva stilato che secondo lui le si addicevano): «Goodbye? »
«Oh mio Dio» disse lei arretrando di un passo.
«Goodbye? Voglio dire, ti sembra questo il modo di mettere fine a tutto? Senza neanche darmi una cazzo di spiegazione?» le parole gli sfuggivano di bocca irruente, sembrava avesse ingerito un vocabolario e ad un tratto le stesse vomitando tutte, scegliendo ovviamente tra le peggiori. Harry si era immaginato un incontro diverso, molto più da film strappalacrime che sua madre e sua sorella guardavano fino al vomito in particolare a San Valentino giustificandosi dicendo che avevano bisogno di un po’ di romanticheria nelle loro triste vite. Non avrebbe mai e poi immaginato che sarebbe scoppiato così tutto ad un colpo. Una parte di lui, la più saggia e sfortunatamente per lui, per lei e anche per i presenti, la più debole continuava a ripetergli di mantenere il controllo, ma le sinapsi avevano dato il controllo della sua lingua e dei suoi arti – la vuoi finire di gesticolare come una checca?! - a qualcun altro. E se che quel qualcun altro era il Cuore, Harry si poteva dare per spacciato. «Sai come ci sono rimasto? Ti rendi conto che ho passato questo ultimo periodo chiedendomi cosa io abbia sbagliato o cosa di me ti abbia costretto a mandare tutto a puttane» oh merda, fermatemi,« Cos’è che ho sbagliato?»
E i mormorii non lo aiutavano affatto, “Ma stavano insieme questi?”, “Si conoscevano?”, “Altro che Gossip Girl!”, “Ginevra, da te non me lo aspettavo” e altro.
Ginevra, che durante l’intera sfuriata non aveva emesso un suono o un respiro aspettò che finisse, gli occhi ancora sgranati e le labbra formicolanti. Zayn, che tranquillo con una mano sullo schienale del divanetto osservava annoiato la scena, confuse quel tremolio per l’inizio di un possibile pianto. Si stupì, come tutti, quando invece si trasformò in un sorriso.
Harry, con ancora le spalle larghe tese e scosse, la fronte corrugata in un cipiglio per niente raccomandabile, gli occhi verdi accesi da scintille e le labbra rosse. Si era spento. Ginevra tranquillamente lo prese per il polso ed ignorando i borbottii che l’accompagnarono, lo trascinò con sé.
Camminarono in silenzio, il solo rumore dei loro passi sull’asfalto, il chiacchiericcio dei passanti che li circondavano. Harry si era calmato e la rabbia evaporata aveva appena ceduto il posto ad un'altra sensazione meno piacevole: il pentimento. Lo sentiva che si attorcigliava nelle viscere dello stomaco e si insidiava sempre più fondo. Perché non aveva tenuto la bocca chiusa? Perché aveva accettato quel dannato invito? Perché si era dovuto comportare come una donna isterica?! Cosa stava pensando Ginevra – chissà se poteva chiamarla così – di lui in quel momento? E dove la stava portando?
Come se lo sentisse, lei rallentò l’andatura dei passi e poi senza voltarsi, come se gli stesse lasciando uno spazio personale, gli chiese: «Allora, va meglio?»
Sospiro profondo. «Meglio.»
Silenzio.
Scalpicci delle scarpe. Clacson di automobili, fogli di giornali che frusciano trascinati dal vento, tintinnare di tazze calde, scricchiolii di porte che si aprono e si richiudono, il vento che serpeggia tra le foglie appena nate.
«Non pensavo che.. avresti avuto questa reazione, davvero. Non era mia intenzione farti arrabbiare o anche solo infastidirti» disse senza fermarsi, il viso rivolto di fronte sé, chissà verso qualche destinazione, «Pensavo che non sarebbe cambiato niente, infondo erano solo dei semplici disegnini e qualche volta delle frasi delle mie canzoni preferite che tu, non so come, sembravi conoscessi tutte. Mi faceva così piacere salire sull’autobus, sedermi e canticchiare a bassa voce il verso che tu avevi aggiunto» fece un lungo sospiro.
«Mi piaceva molto poterti parlare in questo modo, mostrare piccoli pezzi di me che pochi conoscevano ad uno sconosciuto che sembrava capirmi molto più di quanto le persone che conoscono fanno. Eri una specie di diario, solo reale e capace di rispondermi, suggerirmi, correggermi addirittura» Harry notò una guancia alzarsi e anche lui sorrise, «Ero curiosa anche io di incontrarti, sai? Ho trascorso minuti, ore, giornate a immaginarti. Poi una mattina salgo sull’autobus e vedo un ragazzo che ha occupato il mio posto. Ho capito immediatamente che eri tu, prima ancora che notassi i tuoi sguardi circospetti e le occhiate che rivolgevi ad intervalli precisi alla porta e subito al vetro. E pensavo che avresti capito anche tu immediatamente come ho fatto io che fossi io, ed invece no. Mi sono sentita banale, non alla tua altezza. Ho deciso di non preoccuparmene finché mi sono imbattuta nuovamente in te, che avevi costruito una nuova strategia e ti eri seduto di fronte per non dare sospetti. In quei minuti in cui sono andata a timbrare la tessera ero combattuta sul cosa fare e alla fine mi sono buttata, sono tornata indietro e mi sono seduta. E ho visto l’occhiata delusa che hai fatto e le mie certezze sono diventate realtà quando non hai accennato a nulla, un movimento, una parola neanche quando ti sei reso conto che fossi io. Avevo deluso le tu aspettative. Ho deciso di mettere fine a quella storia.»
Harry era senza parole. Si chiese perché il vomito di parole sembrava fosse terminato, ovviamente nel momento meno adatto. Si morse il labbro inferiore in cerca di qualcosa da dire per colmare quell’imbarazzante vuoto. Aveva così tante da dire eppure non riusciva a sistemarle, a capire da dove cominciare. Ed infine gli scappò l’unica frase che avrebbe dovuto tenersi per sé. «Che stupida» disse.
La ragazza si fermò di colpo ed Harry che non se lo aspettava le andò addosso. Fece per scusarsi, ma non ebbe neanche il tempo di spostarsi i riccioli che gli erano accidentalmente finiti in bocca con l’impatto che un dito sottile di lei erano andato a premersi con troppa forza sul tessuto della sua felpa. «Stupida?» chiese , «Io ti faccio un discorso del genere e mi dai della stupida? Ti rendi conto di quanto sia difficile per me dirti tutto questo?!» sbraitò alzando la voce.
Harry non colse le ultime parole, troppo occupato a nutrirsi di quella voce capace di indurirsi, della ruga che le si era formata precisamente tra le sopracciglia e il colorito scuro in contrasto con la sua pelle diafana e chiara che le aveva colorato le guance. Fu costretto a scuotere più volte la testa ed allontanarla per le spalle per riuscire a risponderle senza distrarsi. Che spalle minute che aveva.
«Stupida non nel senso patetica per quello che mi hai detto. Stupida nel senso per quello che hai pensato. Davvero tu hai deciso di chiudere il tutto solo perché non ti ho parlato quando ho saputo che eri tu? Non ti è passato per la testa che fossi solamente atterrito quanto te all’idea del nostro incontro? Se non sono riuscito a muovere un muscolo non era sicuramente per scelta mia, non credo troverei parole per descrivere la voglia che avevo di girarmi e dirti “ciao, sono il ragazzo con cui parli inconsciamente ogni giorno”, ma non l’ho fatto perché avevo anche paura di poterti spaventare e il mio terrore più grande era che tutto questo finisse, come poi è successo» questa volta parlava con calma, le mani grandi e delicate strette con decisione sulle spalle minute di lei. Era alto, la sua statura incombeva su di lei, rendendola più piccola di quanto non fosse già. «Hai frainteso tutto, come ho fatto io. Dunque, di stupidi ne abbiamo due e siamo noi» incurvò un labbro in un sorriso, mettendo in mostra due fossette che Ginevra non aveva mai avuto l’onore di notare. Pensò a quanto le sarebbe piaciuto infilarci un dito in quelle guance e le sue  tornarono a dipingersi di rosso.
«Allora..» cominciò lui.
«Cosa facciamo ora?» concluse lei.
Ci pensarono entrambi in silenzio, in mezzo alla strada incuranti degli sguardi dei passanti, dei clacson delle auto, dei tintinnare delle tazze.
«Da capo» dissero insieme all’unisono. Scoppiarono in una risata fresca e leggera. Entrambi ascoltarono l’altra con attenzione.
Ginevra si guardò un attimo le converse azzurro marino, poi alzò gli occhi e inchiodandoli in quelli del ragazzo, porse una mano.
«Piacere, mi chiamo Ginevra, ma tutte mi chiamano Gin perché mi basta un goccio di alcolico per andare di matto. Amo l’odore delle pagine dei libri, amo il rumore della lavatrice in carica, mi rilassa; amo il sapore del tè nei pomeriggi freddi di inverno e i gatti non mi sono mai andati a genio» sorrise « e ah sì, amo disegnare sui vetri appannati degli autobus.»
E Harry ridacchiando strinse la mano, «Il mio nome vero è Harold ma solo mia nonna mi chiama così e mia madre quando si incavola con me. Mi piace il rumore delle foglie che scricchiolano, il vento tra i capelli quando vado sullo skateboard e la musica, quella buona. Diversamente, ho una strana ossessione per i gatti. Ed ho il vizio di rispondere ai disegnini sui vetri appannati degli autobus. Lo trovi strano?»
Gin, Ginevra, Ragazza Dell’Autobus, rise. «Assolutamente.»


 


- all'angolo della strada.

Buonasera, lettrici.
Ed ecco qua l'ultimo capitolo di questa one-shot|mini-long, come volete chiamarla voi.
Spero davvero che vi sia piaciuta e boh, ho davvero poco da dire, visto i tre capitoli di storia che mi aspettano aperti sulla scrivania. Niente, ringrazio le meraviglie che hanno aggiunto questa storia tra le seguite/preferite/ricordate e quelle dolcezze che mi hanno lasciato una recensione. Grazie di cuore. 
Spero davvero che abbiate gradito questa idea poco sensata ed inconsueta, nata dal mio improvviso lato artistico che - come ho accennato nel primo capitolo - mi ha portata a disegnare cose strane sui finestrini dell'autobus di ritorno da scuola. Con il sole che brilla oggi, i vetri appannati sono quasi un miraggio hahaha! 

Grazie ancora.
Vi porgo un saluto, visto la pausa che ho deciso di prendere.
Lasciatemi una piccola recensione, se vi va. Vorrei conoscere il vostro parere.
A presto (speriamo),

Alice.



 

And Harry giggling shook her hand. 



Un'occhiata alla mia prima one shot su Larry? One Step Closer.
 

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