I Promessi Sposi (o quasi)

di Hyrim
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I promessi Sposi ***
Capitolo 2: *** Die Verlobten. ***
Capitolo 3: *** The Betrothed. ***
Capitolo 4: *** Les Fiancés. ***
Capitolo 5: *** A Jegyes ***
Capitolo 6: *** Dìnghūn ***
Capitolo 7: *** Kon'yaku ***
Capitolo 8: *** Обрученные ***
Capitolo 9: *** Oblubieńca ***
Capitolo 10: *** Saderinātā ***



Capitolo 1
*** I promessi Sposi ***


Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni...
 
- Veeh, è uno dei bellissimi posti dove vivo io! –
La lettura dell’inizio capitolo attuata dall’alto Tedesco biondo, in piedi davanti al leggio, fu interrotta improvvisamente. Tutte le nazioni, chissà per quale oscura ragione raccolte lì in quella stanza ad ascoltare, spostarono l’attenzione sulla causa di quell’interruzione.
Un ragazzo latino, non troppo alto né slanciato, dall’aria sorridente si era alzato dalla sua sedia, posta in mezzo alla seconda fila, per sollevarsi oltre la linea di teste degli occupanti dei posti in prima. Portava i capelli castano chiaro non troppo lunghi, e sulla sua sinistra aveva uno strano ciuffo ribelle dalla forma arrotolata. Aveva l’aria semplicemente raggiane. Dire che era di buon umore era decisamente poco.
Ci furono un paio di secondi di assoluto silenzio, poi il Tedesco si tolse gli occhiali da lettura e poggiò il libro sulla superficie di legno di fronte al  microfono.
- Ja, Italia. Lo sappiamo.
Sono due giorni che continui a ripeterci di quanto sei felice del fatto che alla commissione abbiano scelto di rappresentare proprio un tuo romanzo per la festa internazionale della cultura. Aber… ora vedi di sederti e di ascoltare come tutti. -
Il biondo, ovviamente Germania, sospirò, facendo per riprendere il libro,  anche alla svelta.
Erano in ritardassimo sulla tabella di marcia. Fra poco sarebbero arrivati gli attori, ognuno da una diversa parte del mondo, e avrebbero cominciato le prove per la rappresentazione che doveva svolgere un ruolo di spettacolo di beneficenza.
In quanto nazioni organizzatrici era loro dovere conoscere la storia… Ma nessuno sembrava esserne davvero interessato a dire la verità.
- Oih, West!  Come mai sei così teso!? E rilassati un po’!
Il piccolo Italia voleva soltanto farci notare la bellezza del suo territorio! -
Ed ecco un’altra interruzione. Classico.
La voce stavolta proveniva da uno degli estremi delle file, un ragazzo dai capelli color perla e gli occhi rossi, Prussia, che agitava noncurante una mano.
- E per te la bellezza sarebbe quella!? -
Chiese dall’altro lato un altro latino, simile al primo che aveva parlato ma con una nota di castano più scura sui capelli, e lo strano ciuffo dal lato opposto.
- Tranquilo, Romanito. Nessuno ha detto che il tuo territorio è più brutto del suo!
Tu hai il mare! Tutti sanno che il mare è più bello! -  Sorrise allegro lo Spagnolo seduto accanto a lui.
- Mare o montagna che sia… -  Riprese il Tedesco interrompendo quel probabile principio di discussione fin da subito grazie all’aiuto del microfono acceso – Siamo già in ritardo con la tabella di marcia, ragion per cui dovremo riprendere a leggere, e anche in fretta. Edete di fare silenzio stavolta, razza di irresponsabili!! -
… E incredibilmente il Tedesco era riuscito ad incutere un minimo di timore a tutti, tanto da zittirli… Per qualche secondo e basta però.
Una timida vocina femminile si alzò dal fondo della sala.
Era Liechtenstein, seduta accanto al fratellone Svizzera,  che aveva trovato il coraggio di dire il suo parere ad alta voce soltanto dopo aver preso la mano di quest’ultimo.
- Ich… Non conosco bene il mare, ma penso che la montagna sia molto bella. -
Ed ecco che tutta la sala era ripiombata nel vivo della disputa, fra paesaggi marittimi e paesaggi montani che fossero.
- Non è bella per niente! Ma che cazzo!!
Volete davvero metterla in discussione con le mie spiagge!? -
- Mare o montagna che vogliate dire… Tutti sanno che le località più attraenti sono quelle Francesi, oui! -
- Ma nei tuoi sogni, stupido mangiarane!! -
- Oh, Angleterre… Brucia l’invidia, eh? -
- What!? Ma quale invidia!? Anche restando una vita bloccati soltanto a Londra ti rimarranno davvero pochissime cose che non potrai mai vedere, tsk! –
- Oui, ad esempio il sole. -
- What..!? Vuoi un’altra Guerra dei Cent’anni, mangiarane!? -
- Non, vorrei che tu avessi un paio di sopracciglia umane, bruco .-
- Cos’è tutta questa ironia oggi, France? Hai finito le ragazze da bruciare sul rogo? -
- Cos--- Questo è un colpo basso, Angleterre!! Vedi se ora non te le strappo a mano quelle sopracciglia !!! –
- And say  “adieu” a quella ridicola barbetta allora !! -
- Nhahahah !! L’Hero ha tutti i generi di territorio a casa sua! I am the best, dude!! -
- Le montagne sono sempre state meglio del mare e sempre lo saranno.
Sono il luogo perfetto per molte attività… e ispirano a comporre.-
- Ma che cazzo, non è vero!! -
- Ja, io non dico bugie -
- Veeh… -
- Oh, ma sentite il damerino spocchioso… -
- Prussia, vuoi una padella spaccata in fronte già da ora per caso?? -
-Kololkolkolkol…–
- Svizzera, tu che di montagne te ne intendi, perché non ti esprimi?? -
- Fusosososososo… -
- Ehm… Preferirei non schierarmi… -
- Ehm, anch’io vorrei dire la mia se non distur… -
- ADESSO FATELA FINITA TUTTI QUANTI !!! -
La voce, già sottile di suo, del povero Canadese che aveva provato a dare la sua opinione per ultimo fu malamente coperta dall’urlo nel microfono appena lanciato dal Tedesco.
Ci fu il totale silenzio.
Nessuno osò fiatare.
- … Vielen Dank. – Germania si ricompose, aggiustandosi la cravatta sul colletto.
- Vi ricordo… -  Riprese poi – …Che non siamo qui per discutere su quale paesaggio sia migliore rispetto a mare o montagna. Vi ricordo che siamo qui per portare avanti il progetto di beneficenza di quest’anno. Il nostro compito è quello di vegliare su tutta la rappresentazione e assicurarci che tutto si svolga per il meglio. Facciamo tutto questo per i paesi più poveri, e NON possiamo permetterci distrazioni e di conseguenza rischi inutili a causa di stupide controversie… O di comportamenti infantili. – E nel dire questo passò gli occhi su ognuno di loro. – Ora, sarete soddisfatti che il tempo a disposizione per la lettura del primo capitolo è terminato. Congratulazioni. Grazie al vostro comportamento abbiamo sprecato tutto il tempo.
Ora, per passare a cose più pratiche… Ho mandato Cina e Giappone ad informarsi sull’arrivo degli attori. Sono in ritardo… E la cosa non mi piace. Dovrebbero avvertirci a minuti, nel frattempo il libro è qui. Se qualcuno vuole leggersi il primo capitolo lo faccia per conto suo.
Io ci rinuncio. –
E non disse altro.
Spense il microfono e si avviò verso l’uscita della grande sala conferenze in assoluto silenzio.
Stava per aprire la porta… Quando due Asiatici la spalancarono dall’esterno al posto suo, quasi finendogli direttamente addosso.
- Ayaaah! Aiuto-aru! – gridò il Cinese mentre si appendeva allo stipite della porta per non investirlo.
- … Was!? -
- Germania-San! – Ansimò l’altro, il Giapponese, ancora stremato dalla corsa. – Abbiamo un problema serio! -
- … Devo preoccuparmi? – Chiese Germania assottigliando lo sguardo.
- Siamo morti! Ma tanto tanto morti-aru ! –
- Germania-San… c’è stato un problema con l’arrivo degli attori.
Non potranno essere qui per la prima. -
L’intera sala si gelò all’istante. Tutte le nazioni si voltarono simultaneamente verso i due Asiatici e il Tedesco… che sembrava il più allarmato di tutti.
Quello era il perfetto inizio per una lunga serie di guai.
 

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Capitolo 2
*** Die Verlobten. ***


- Come sarebbe a dire il loro volo non è arrivato!? -
Riecheggiò nella sala la voce del Tedesco, con un accenno di preoccupazione nel tono… appena appena dominante sulla rabbia.
- E’ così, Germania-San. -
- Ci dispiace tanto-aru! –
Risposero i due Asiatici inchinandosi contemporaneamente in segno di scuse.
- Era compito di Grecia occuparsi delle telefonate-aru! – Continuò poi il Cinese. – Solo che quando l’abbiamo trovato-aru… Stava tranquillamente dormendo sotto un mucchio di gatti-aru! –
Il Giapponese nel frattempo continuava a torturarsi le mani l’una con l’altra dal nervosismo, e non osava alzare lo sguardo. - E’ tutta colpa nostra, Germania-San. Gomenasai! Gomenasai! –
Ed ecco altri tre-quattro inchini di scuse da parte di entrambi.
 – Non avremmo dovuto affidare a lui il compito di avvertire il pilota-aru! –
Dal viso di Germania si capiva benissimo come non avesse idea di che pesci prendere.
- … Manteniamo la calma. – Disse, nemmeno troppo convinto di ciò che diceva. – Ora avete avvertito il pilota, giusto? Cosa sarà mai un piccolo ritardo? Possiamo gestirlo! – Si voltò, passando lo sguardo sulla massa di nazioni dietro di se.  - … In qualche modo. – Aggiunse poi.
- Ayyyaaah! Piccolo ritardo-aru !? –
- Di quanto tempo stiamo parlando? –
- Dodici ore, Germania-San. –
- Forse anche di più-aru. – Aggiunse Cina con tono sconsolato.
Ci furono secondi di silenzio.
… Interminabili secondi di silenzio.
La quiete prima della tempesta.
- WAAAS !?!? DOCICI ORE !?!? -
Altre voci cominciarono ad emergere dal gruppo di nazioni dietro il biondo. Tutti sembravano ugualmente preoccupati. Qualcuno, fra cui Inghilterra, si era anche alzato in piedi.
- Non abbiamo speranze di trovare un sostituto in così poco tempo. It’s impossibile! -
- Per una volta concordo con lui, dude. –  Aggiunse America, rivolto al Tedesco. –Dobbiamo rimandare la serata. –
- Rimandare la serata!? – E stavolta era stato Svizzera ad alzarsi in piedi. – Con quello che è costata!? –
Anche Olanda sembrava essere di un’opinione simile.
- Inghilterra ha ragione. – Sospirò Germania. – Dobbiamo rimandare la serata. -
- Mancano poco più di due ore all’inizio dello spettacolo! –  Ricordò con voce quasi spaventata Ungheria. – Molti degli spettatori saranno già al rinfresco! –
- Non  possiamo rimandare la serata, West! –
- Non posso credere a ciò che sto per asserire ma… Concordo con il Prussiano. –
Ammise, senza nascondere la vergogna, Austria.
- Ci sono davvero tante persone lì fuori ad aspettare… Non possiamo deluderle. -
Disse convinta Belgio stringendo il pugno.
- Se Belgio la vede così… Beh, allora mi schiero dalla loro parte anch’io, razza di bastardi! -
- Yo tambièn, Romanitoo… -
- Siete pazzi!? – Chiese scioccato Inghilterra sbarrando gli occhi. – How the hell can we find un gruppo di più di venti attori da chiudere in un teatro a recitare senza aver studiato la parte e senza la promessa di una retribuzione!? –
- … -
A quelle parole Germania si voltò del tutto verso di loro, la sua mente sfiorata da una folle improvvisa idea. – Mnhh… - Si poggiò due dita sotto il mento, osservando l’intero gruppo. Tutte le nazioni. Uno ciascuno… - E se non ci fosse esattamente la necessitàditrovarle…? –
Scese ancora una volta il silenzio.
In uno sguardo sembravano tutti aver capito.
- Oh my God, no! No, no, no e poi no!! –
 
- No, no, no e poi no!! – L’Ungherese continuava a piantare i piedi per terra nel disperato tentativo di impedire all’albino di trascinarla di fronte a Germania.
Era passata poco meno di un’ora dall’idea improvvisa che aveva colto Ludwig.
Un’idea folle… Così folle che forse avrebbe anche potuto funzionare.
- Nem!! Prussia! Ho detto di no!! Atkozott!! Lasciami andare!!
- Nein Ungarn! Su, è un’ottima idea !! -
Ghignò il Prussiano, per nulla deciso a mollare la presa.
- Ti spacco la faccia a suon di padellate stavolta!! Lo giuro!!
Lasciami andare! Fattyú!! Rohadék!! Seggfej!! -
- Vielen Dank per le belle parole, Ungheria. Sempre molto fine, come al solito. -
La verità è che il Prussiano non capiva l‘Ungherese… Ma di sicuro non lo doveva star elogiando più di tanto, dato il suo umore tutt’altro che trattabile.
- Bruder, cosa sta succedendo qui? Perché trascini così Ungheria? -
- Ohy, West! – Aveva sorriso raggiante, il Prussiano. – Cercavi dei protagonisti!? Beh, eccoci qui! Guardaci! Non siamo un Renzo e una Lucia perfetti!? Oh, ja che lo siamo! Guardaci!-
Così fece Germania. Li squadrò qualche secondo, poi alzò un sopracciglio.
- E così vorresti che dessi a te la parte di Renzo e ad Ungheria il ruolo di Lucia…? -
- Mi oppongo categoricamente!! -
La voce dell’Austriaco si alzò dall’angolo opposto della stanza.
- A cuccia tu, quattrocchi!! -
Gridò di rimando Gilbert.
- Non è una brutta idea, sai, Bruder? – Rispose il Tedesco riassumendo un’aria pensierosa… - Non è affatto una brutta idea, aber… -
- Aber?? – Ripeterono in coro il Prussiano e l’Ungherese, entrambi con i nervi a fior di pelle… Nonostante stessero sperando due cose completamente opposte l’una all’altra.
- Aber… Ho già trovato una parte più adatta per Ungheria…. E a dir la verità anche per te, Bruder. -
- … Oh. Come non detto. Peccato. – Sospirò , lasciando l’Ungherese libera di andare… Non prima di aver ricevuto una padellata ben assestata in piena fronte.
Germania scosse la testa, riportò l’attenzione sul litigio che nel frattempo era in corso dall’altro lato, con aria stanca.
- I am the Hero! E l’Hero è sempre il protagonista!! –
- Già così siamo a rischio. Con te come protagonista andrebbe tutto in malora, bloody hell!! –
Pazienza esaurita. Era una buona mezzora che quei due litigavano ormai.
- Non sai che l’Inghilterra è stata a lungo tempo la patria del teatro!? Con Shakespeare ci siamo innalzati sopra il livello mondiale! -
Due prime donne.  L’Inglese e l’Americano questo erano agli occhi cerulei del Tedesco.
… E alla fine,a dirla tutta,l’intera sala era impegnata in un’accesa discussione su chi dovesse accaparrarsi i ruoli migliori. Nessuno aveva intenzione di appacificarsi. Come se non bastasse, il tutto  stava procurando un rilevante mal di testa al povero Tedesco, che continuava a massaggiarsi le tempie tentando di non esplodere… Come se la cosa fosse risultata utile.
- SMETTETELA! KINDER! TUTTI RAGAZZINI! SMETTETELA!! -
Stavolta l’urlo del tedesco sembrava aver rasentato l’isteria… Rasentato, eh.
Un’altra volta non era stato ascoltato. Tutti continuarono a litigare indisturbati.
Frustrante. Davvero frustrante.
- Finalmente qualcuno impara come ci si sente… -
Mormorò timidamente il povero Canada lasciato in disparte in un angolino… che fu ignorato anche questa volta, dato che Germania attraversò a passi pesanti la sala, accendendo il microfono e portando il volume di quest’ultimo al massimo… cacciando così un urlo da far quasi crollare le pareti.
- IL PROSSIMO CHE DICE UNA PAROLA, ANCHE SOLTANTO UNA PAROLA VERRA’ UTILIZZATO COME VENDITORE DI WRUST ALL’ESTERNO DEL TEATRO, SONO STATO ABBASTANZA CHIARO!?!? –
Finalmente il tanto atteso silenzio.
- Mi avete stancato con questa disputa per i ruoli!! I ruoli li decido io. FINE.
Nessuno di voi saprà il proprio ruolo qui. Passerò io a darvi i copioni con le battute segnate… E nessuno di voi saprà il ruolo degli altri, così imparerete cosa vuol dire la vera attenzione quando si sta facendo qualcosa di importante!
Avete tre secondi per uscire di qui! TRE SECONDI. -
Nessuno si mosse.
- Eins… Zwei… -
Come non detto. Improvvisamente la stanza si era svuotata. Il soave silenzio a dar sollievo ai nervi, ma soprattutto alle orecchie del povero Germania.
- … Molto bene. Mettiamoci a lavoro.
Ma prima… -
Si guardò intorno, con aria al quanto stanca.
- Mein Gott, che qualcuno mi dia un’aspirina.-

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Capitolo 3
*** The Betrothed. ***


Nel frattempo su in sala si stava respirando un’aria ben diversa.
Gli invitati erano tutti presenti, i vari spettatori stavano già prendendo posto.
A breve avrebbe avuto inizio il grande spettacolo da quel che sapevano.
I corridoi del teatro erano pieni di gente. Dalle porte si riusciva a stento ad entrare, mentre donne, uomini, giovani, vecchi da tutte le parti del globo prendevano posto, chi in platea, chi in alto sulla prima balconata, chi sulla seconda e così via.
Fuori la grande sala c’erano ancora dei gruppetti di persone che indugiavano nel chiacchierare, ragazze in attesa delle amiche intente a rifarsi il trucco, coppie di coniugi che si avviavano assieme verso i loro posti.
In tutto il teatro si poteva respirare quell’aria fremente di quando si attende che cominci qualcosa di bello. Il rosso del sipario e le luci sfuse accompagnate da quella musica di sottofondo appena percettibile sotto il brusio di un’intera platea rendevano il tutto ancora più verosimile.
E mentre tutti pensavano questo, un solo ragazzo, già comodamente seduto al suo posto -privilegiato, ovviamente- se ne stava del tutto in silenzio, non condividendo affatto tutta quell’eccitazione.
Probabilmente perché era una cosa già vista, probabilmente perché era già abituato a tanto… o probabilmente perché, in quanto nazione, era semplicemente diverso da tutte quelle persone intorno a lui, nonostante preferisse comunque tenersi a, come aveva detto lui stesso, “debita distanza dal volgo, dalla misera plebaglia.” Con sguardo quasi annoiato scrutava il sipario calato sul palco, ogni tanto lo spostava sulle persone che prendevano posto in platea. Gli sembravano soltanto una grande macchia di formiche. Avrebbe potuto schiacciarle allungando un piede… E non che non avesse voglia di farlo.
Con un mezzo sospiro portò di nuovo lo sguardo sul sipario, due dita che tamburellavano impazienti sul bracciolo della preziosa poltrona di velluto rosso.
Ma quanto ci mettevano lì dietro!?
Sospirò ancora. Evidentemente la pazienza doveva essere poca.
Stato Pontificio aveva sempre avuto poca pazienza,  ma mai povera quanto la sua dimestichezza nel mescolarsi con i “comuni mortali”, in un certo senso.
Forse era per questo che aveva scelto di non partecipare alla raccolta fondi per i paesi più poveri.
Che gli importava in fondo? Non era un suo problema.
E poi… La sua parte l’aveva fatta: aveva comprato il biglietto dello spettacolo.
Era beneficenza, no? Aveva fatto del bene così. E poi… La sorella minore Vaticano aveva aderito, e in un modo o nell’altro, anche se piuttosto riluttante, aveva acconsentito ad andarla a vedere.
Certo che però se l’avessero avvertito prima di quell’attesa così lunga…
- Un ritardo non era contemplato nell’accordo. -
Aveva sibilato socchiudendo gli occhietti da serpente.
Perché attendevano così tanto? Doveva per forza essere successo qualcosa.
I minuti passavano, e sembravano interminabili al ragazzo castano, sempre più spazientito dall’attesa.
- Signore, se non iniziano subito tiragli qualche fulmine-
Aveva sibilato di nuovo, sprofondando con aria stanca nella poltrona.
Fu solo dopo qualche altra manciata di minuti che le luci si spensero, fra un coro di stupore e felicità del pubblico e il successivo immediato silenzio.
Finalmente qualcosa di buono, pensò sporgendosi leggermente in avanti.
… E invece no. Era soltanto l’annuncio generale dell’evento. L’annuncio iniziale dello spettacolo.
Non aveva messo in conto anche quello.
- Ottimo. –
 Sbuffò lasciandosi ricadere contro lo schienale
– A quest’ora dovrebbero essere già tutti morti.-
 
Dietro le quinte era un continuo viavai di persone, fra tecnici delle luci, responsabili del trucco, dei costumi…
Una nazione con un copione ancora stretto in mano se ne stava lì, pronto ad entrare non appena avesse ricevuto il segnale.
Il primo ad entrare in scena… E figuriamoci se non poteva capitargli anche questa sfortuna, oltre al ruolo che aveva, ovviamente. Già quello gli era parso una notevole presa in giro di suo…
Tutto pronto. Il sipario si era alzato. Posò il copione… E via.
 
Incredibile. Qualcuno si era finalmente deciso ad entrare in scena.
Ovviamente, nonostante fosse riconosciuto come “Stato della Chiesa” in un certo senso era Italiano anche lui… E in fin dei conti durante la stesura dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni lui era vivo e vegeto.
Era quasi curioso di vedere quali attori avessero scelto…
Ma mai avrebbe potuto aspettarsi ciò che realmente vide.
Improvvisamente aveva capito che genere di problema avessero potuto avere lì dietro…
Un enorme problema, a quanto pare.
E poi… Che soluzione.
Lì, nel bel mezzo della scena, in abiti sacerdotali…
Insomma, vestito da prete c’era proprio…
- Oh buon Dio. –
Disse basito, ad occhi spalancati, mentre Austria percorreva il palco.

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Capitolo 4
*** Les Fiancés. ***


Era un fresco 7 novembre lombardo.
Fra le luci della sera, tornava dalla sua passeggiata pomeridiana verso casa Roderich Abbondio, Don Abbondio per tutti, curato del paese.
Recitava tranquillamente il suo ufizio della sera, e talvolta, fra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendoci all’interno l’indice della mano destra per conservarne il segno, continuando a camminare tranquillamente successivamente all’aver portato questa dietro la schiena.
Guardava a terra, come distratto. Ogni tanto dava un calcio ad uno o due ciottoli che occupavano il sentiero di fronte a lui.
Il sole era già scomparso dietro un monte. Le luci dell’ultimo tramonto coloravano ormai tutto il paesaggio.
Con la mente distratta e rilassata, Don Abbondio svoltò sulla stradina che conosceva a memoria.
 Da lì essa correva dritta, forse per una sessantina di passi, poi si divideva in due.
Lì il muretto di cinta non superava neanche la mezza altezza di un uomo.
Fu allora che il povero Don Abbondio li vide.
Due uomini stavano l’uno di fronte all’altro a creare qualcosa di molto simile ad un posto di blocco lungo la retta via. Uno a cavalcioni sul muro, con una gamba che penzolava nel vuoto e il piede poggiato sul terreno, il compagno in piedi, appoggiato al muro con le braccia conserte.
Avevano entrambi attorno al capo una reticella verde, dalla quale usciva uno strano ciuffo castano dalla forma ricurva. Il suddetto ciuffo su lati opposti per ciascuno di loro due.
Armati come suol dire fino ai denti,  portavano sue pistole, un corno legato al collo contenente probabilmente polvere da sparo, un coltellaccio ben visibile nel taschino ed uno spadone dall’elsa d’ottone decorata.
A prima vista si potevano chiaramente riconoscere come bravi: malviventi assoldati dai nobili come un’arma impropria di giustizia personale.
- Veeeh, eccolo! -
Disse il bravo seduto sul muretto.
- Piantala, imbecille! –
Fu la risposta dell’altro.
Che i due stessero aspettando qualcuno in particolare era evidente, ma ciò che più preoccupò Don Abbondio fu il dover accorgersi che l’aspettato era proprio lui.
Rabbrividì, passandosi due dita nel colletto dell’abito sacerdotale come per allargarlo e deglutì a vuoto, prima di raggiungerli e di fermarsi lì, in mezzo a loro.
- Veeh, signor Austria…-
- Zitto tu !! –
- M-Ma… -
- Ti ho detto zitto, non mi ascolti?? –
- Anch’io sono qui per…-
- C-Chigi !!!! Smettila. Di. Parlare !!! -
Ci furono secondi di silenzio.
Il povero Don Abbondio che sembrava sempre più irrequieto.
- Signor curato…- Riprese poi il bravo dai capelli più scuri. – Lei ha intenzione…-
- Lei ha intenzione di sposare i giovani Renzo e Lucia domani! –
- D-Dovevo dirlo io quello, brutto bastardo!! C-Chigiiii !!! –
- E-Ehm… - Tentò di trovare la voce l’Austriaco. – Devo sposarli, ja… Und… Quindi? -
- Or bene… - Riprese il bravo dai capelli più scuri. – Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai. –
- M-Ma signori miei… - Replicò Don Abbondio con voce tremante – Ma signori miei, degnino di mettersi nei miei panni… Se la cosa dipendesse da me… -
- Se la cosa dipende da lei non è affar nostro. -
- Noi non ne sappiamo e non ne vogliamo sapere, veeh –
- Uomo avvisato… Insomma, mi ha inteso, no? –
- A-Aber… Siate ragionevoli…! –
- Il matrimonio non si farà. –
- O chi lo farà se ne pentirà, veeh. –
- Questo ammesso che ne abbia tempo, dato che ben sa.. –
- Veeh, fratellone… Credo che il signor curato abbia capito a cosa intende andar incontro. -
- Oh, ma noi non vogliamo fargli del male, giusto, Veneziano? –
- No, assolutamente! -
- Noi siamo galantuomini al servizio dell’illustrissimo signor Don Rodrigo! –
Questo nome fu nella mente del povero curato come un lampo che in un forte temporale illumina tutto.
- C-Capisco… -
Mormorò rassegnato Don Abbondio, lo sguardo al pavimento.
- Benissimo, dunque buona notte, messere. –
E fu così che lo superarono.
Uno dei due, quello più alto, gli diede anche una spallata nel farlo.
Lo sfortunato Austriaco rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi riprese il sentiero che l’avrebbe riportato verso casa.
Entrò in casa, bianco come un lenzuolo, il sudore freddo che gli bagnava il viso.
Si sedette, si dovette togliere gli occhiali per asciugarli, strizzando gli occhi.
Aveva come la sensazione di esser finito in un incubo dal quale non era affatto facile svegliarsi.
Come avrebbe fatto adesso?

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Capitolo 5
*** A Jegyes ***


- Allora, come procede?? -
Fra un viavai di costumi, attrezzeria, oggetti di scena e nazioni nervose, Germania ed un paio di altre persone osservavano in silenzio lo svolgimento della trama sul palco, nascosti dietro una quinta.
- Vi dirò… - Rispose il biondo Tedesco dando una letta alle ultime righe di pagina del copione che stringeva in mano -  Meglio di quanto avessi sperato… -
Accanto a lui, due piccoli Elvetici si sporgevano per leggere qualche riga e per vedere la scena. La piccola Liechtenstein sembrava però più interessata al palco che ai fogli di carta, ed aveva un’aria abbastanza preoccupata.
- Fratellone… Dovremmo uscire sul palco anche noi? Non sono sicura di farcela… -
- Posso assicurarti che neanche io ne ho alcuna voglia, Lili. –
- E’ indispensabile. – Tagliò corto Germania. – Non potete rifiutarvi di farlo.
E’ responsabilità di tutti noi il buon fine di questo spettacolo. –
- Ja, lo so, aber… - Sospirò nuovamente la più piccolina. – Non credo di esserne in grado. Ho paura, Germania. Voi sembrate tutti così sicuri und Ich… -
Germania per un secondo sembrò capire, annuendo.
Avevano tutti paura. Anche lui… Ma non potevano tirarsi indietro per questo.
- Schweiz… -
Lo Svizzero si voltò verso Ludwig. Era chiaro cosa volesse da lui.
Il ragazzo annuì, prese la sorellina con se e tenendola per mano si incamminò verso l’ingresso ai camerini, allontanandola dal palco e dal germanico.
- Schwester… So che hai paura di non essere abbastanza brava. E’ normale. Ne abbiamo tutti… Non siamo attori und… io odio il teatro. – Sospirò, prendendosi una piccola pausa, giusto il tempo di trovare le parole giuste. – Ma vedi, ci saranno sempre delle cose che richiederanno un po’ di coraggio in più da parte nostra. -
Liechtenstein annuì, gli occhi lucidi puntati sul pavimento.
- Tutte quelle persone lì fuori però contano su di noi… E hanno fiducia in te.
Riusciresti davvero a deluderle? -
- N-Nein…-
Vash si abbassò appena sulle ginocchia, quel tanto che bastava ad arrivare al livello della sorellina. Con la punta delle dita le alzò dolcemente il viso, accennando un sorriso gentile.
 - Anche io ho fiducia in te, ma petite. –
- D-Davvero? -
Chiese timidamente lei tirando su col naso, i lucidi occhioni verdi che le si illuminavano.
- Oui. -
Finalmente un piccolo sorriso parve apparire sul volto della piccola Liechtenstein, mentre si sbilanciava in avanti per andare ad abbracciare il fratello, il viso nascosto contro la sua spalla.
Svizzera ricambiò l’abbraccio. Incredibile come potesse diventare dolce con lei, a differenza del suo solito con chiunque altro.
- E… sono sicuro anche di un’altra cosa. –
- Was? -
Chiese la piccola con la voce soffocata dal viso premuto contro la spalla dello Svizzero.
- Sono sicuro che non soltanto che uscirai sul palco al momento giusto…
Ma che sarai anche la migliore di tutti. -


- Perpetua! Perpetua! -
Roderich Abbondio chiamava a gran voce la voce della sua fidata domestica, avviandosi di corsa verso il salotto subito dopo aver chiuso –quasi serrato- la porta di casa alle sue spalle.
Perpetua era sempre stata una domestica affezionata e fedele, perfettamente in grado di ubbidire e comandare secondo l’occasione. Era l’unica in grado di tollerare a tempo il brontolio e le fantasticaggini del curato, e fargli a tempo tollerare le proprie, che diventavano di giorno in giorno più frequenti.
- Eccomi, arrivo. – Rispose una voce.
Una giovane voce femminile. Molto più giovane di quanto in molti si sarebbero potuti aspettare.
Non fece neanche in tempo ad attuare ciò che aveva appena detto, la cara ragazza, che Abbondio si catapultò da lei, nell’altra stanza, squadrandola da dietro le sottili lenti trasparenti, con quei profondi occhi viola.
“C’era da aspettarselo” Pensò Austria nel vedere chi realmente ella fosse.
Una ragazza non troppo alta, dal viso chiaro e i lineamenti femminili, anche se marcati, fra i quali erano incastonati due occhi color prato pieni di vita e giovinezza.
Il viso era incorniciato da una cascata di lunghi capelli castani, fermati sopra un orecchio da qualche fiore lilla a decorarli… come se servissero a donarle quel tocco di femminilità in più del quale il suo carattere deciso la privava.
Il curato aveva un viso così stravolto che non ci sarebbero nemmeno voluti gli occhi esperti di Elizaveta Perpetua per capire a prima vista che gli doveva essere accaduto qualcosa di davvero assurdo.
- Misericordia! Cos’ha, signor Austria!? -
- N-Niente, niente. – Rispose Don Abbondio, lasciandosi andare sulla sua poltrona preferita.
- Come niente!? La vuol dare a intendere a me!? Così ridotto com’è!? Cosa le è successo?? –
- Oh per l’amor del cielo! Quando dico niente è o niente o qualcosa che non posso dire! –
- Che non può dire neppure a me, signor Austria!? Chi si prenderà cura di lei se non io? Chi potrà mai darle un buon parere…?? –
- Ohime! Tacete e non chiedete altro!
Datemi un bicchiere del mio vino e finiamola qui. –
- E lei mi vuole far credere che non ha niente! -
Elizaveta Perpetua riempì con un sospiro il bicchiere, bicchiere che fu subito svuotato da Don Abbondio, neanche fosse una medicina.
- Vuole per caso che vada a chiedere in giro a ben altre anime cosa le è successo…? -
Gli occhi viola del curato scattarono immediatamente su quelli verdi della ragazza.
Chissà per quale oscuro motivo, quella gli era suonata quasi come una minaccia…
- Non oseresti… -
- Oh, igen, io oserei…. –
- Nein! –
- Igen! -
- Nein!! -
- …Mi sta sfidando!? -
Mai mettersi contro quella donna.
- Oh buon Dio! Non fate pettegolezzi! Non fate schiamazzi!!
N-Ne va della vita…! -
- La vita! -
- La vita. –
- D-De… De lei sa che ogni volta che mi ha detto qualcosa in confidenza io non ho mai… -
- Ja, ovvio, ad esempio come quando… -
Perpetua si accorse immediatamente di aver toccato un tasto falso, perciò si affrettò a cambiare subito il tono della voce… e magari anche argomentazione.
- Signor Austria… -
Disse poi, quasi commossa.
- Io le sono sempre stata affezionata… és… és se voglio sapere qualcosa è soltanto per premura nei suoi confronti! Vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere… E magari sollevarle l’animo! –
Il punto ora era che Don Abbondio sentiva talmente tanto il bisogno di scaricarsi di questo suo doloroso segreto che esso poteva persino arrivare ad eguagliare la voglia di Perpetua di venirne a conoscenza, ragion per cui dopo aver respinto sempre con meno convinzione i tentativi di lei di farlo parlare, e dopo averle fatto giurare di mantenere la bocca chiusa si decise di raccontare quella sua disavventura serale, che tanto lo aveva angosciato.
Quando fu il momento di pronunciare il nome del mandante dei due bravi, la ragazza alzò le mani di colpo, come un atto di comando o di supplica.
- Per amor del cielo! Che birbone! Che soverchiatore! Che uomo senza Dio!! -
- Volete tacere!? O forse avete intenzione di rovinarmi del tutto?? –
Ungheria sbuffò, allargando appena le mani nel gesto di indicare la stanza.
- Oh, ma chi vuole che ci senta, signor Austria!?
Ho un’idea per lei… Il nostro arcivescovo, ha presente? E’ un sant’uomo!
Igen, igen, proprio una brava persona! Perché non pensa ad andare a domandare aiuto a lui? –
- Volete tacere? Volete tacere??
Son pareri questi da dare ad un pover’uomo come il sottoscritto!?
Volete che mi prenda una pallottola nella schiena o cosa!?
Ditemi! Se accadesse sarebbe l’arcivescovo a levarmela quella pallottola!? –
- Eh, guardi che i colpi di pistola non si danno via come confetti o fiori di campo, signor Austria! –
- Volete tacere o no!? -
- Io taccio subito, ma è per certo che se becco questi due… Altro che padellate! Se le sogneranno! Io li distruggo! Li faccio a pezzi!! Io li… -
- Volete tacere!!
Vi pare il momento questo di simili sciocchezze!? -
- Elég! Ci penserà questa notte, signor Austria…
Nel frattempo però mangi qualcosa. Si guardi… è così pallido… -
Ed ecco che da folle omicida era tornata a far da balia al buon curato. Neanche fosse sua madre…
- Ci penserò io. –  Rispose brontolando Roderich – Sicuro. Io ci penserò perché io ci devo pensare. -
- Ma almeno beva qualcosa… Sa che questo rimette sempre a posto lo stomaco… -
- Ah, ci vorrebbe ben altro… -
Mormorò debolmente l’Austriaco con un sospiro, e così dicendo prese una candela e continuando a brontolare si avviò per salire in camera da solo.
Arrivato sulla soglia si girò un altro secondo soltanto verso la domestica, portandosi un dito sulle labbra, come per dire di stare zitti ed aggiunse, ton tono tutt’altro che tranquillo. – Per l’amor del cielo! – E scomparve.

Buio.

Mentre gli attori della prima scena uscivano e si andavano a preparare, fra battute e attrezzeria  per il loro prossimo turno sul palco, il pubblico sembrava aver gradito il primo frammento di spettacolo, e lo stava ampiamente dimostrando con un forte applauso.
Tutti dietro le quinte erano in movimento, fra preparativi dei prossimi ad entrare in scena e congratulazioni a quelli appena usciti.
Appena svoltato l’angolo scuro della prima quinta… Eccolo lì.
Ungheria si ritrovò di fronte a quei due occhietti rossi che brillavano nella penombra. Le stavano sorridendo.
- Ehilà, bellissima. –
- Prussia, non dovresti essere ubriaco a così poco tempo dalla tua entrata in scena. -
Il sorriso di lui si spense, lasciando posto ad una smorfia diretta all’Ungherese.
- Gne gne gne, ed io che volevo soltanto farti i complimenti… -
- Davvero? –
Chiese lei, sorpresa.   
- Ja! Non pensavo che te la cavassi così bene sul palco.
Anche se… -
Ecco. Era prevedibile.
L’ungherese alzò un sopracciglio.
- Anche se…? –
- Anche se immaginavo che saresti stata a tuo agio nei panni della donna delle pulizie di Austria! Kesesese! -

E nonostante gli applausi fossero forti, non impedirono nel buio di sentire quello “sdeng!”
Un suono di impatto metallico… Forse una padella.

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Capitolo 6
*** Dìnghūn ***


Ultimi ritocchi. Ultimo sguardo veloce al copione prima della sua entrata in scena.
Con un sorriso trionfante stampato sul volto, Renzo si preparava finalmente ad entrare in scena.
Era il protagonista… Ovviamente. Aveva lottato per quella parte, ed ecco che i suoi sforzi erano stti ricompensati. Doveva stare attento però. Come protagonista doveva essere semplicemente perfetto…. Perché come da sempre il buon Spiderman gli aveva insegnato, da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
- Nhahahah! L’Hero ha vinto un’altra volta!! -
Pochi lo sanno. Ma in origine il nome del protagonista non era Lorenzo, bensì Fermo.
Inutile dire quanto questo fosse caduto a fagiolo per lui…
Lui era nato per essere “Alfred Fermo Jones!”
Un Americano raggiante a sistemarsi il grande cappello piumato davanti al suo specchio personale.
Era impaziente… E soprattutto curioso di vedere chi sarebbe stata la sua bellissima donzella!
Quell’odioso Inghilterra voleva appropriarsi del suo ruolo, ma non aveva potuto vincere! Il cattivo non vince mai, no?
- Salvare lo spettacolo dal fallimento!?
L’Hero sta arrivando! Non temete! Nhahahahah! -

Lorenzo Fermo Jones o, come dicevan tutti, Renzo F. Jones non si fece molto aspettare. Appena gli parve l’ora giusta per andare, si precipitò dal curato del paese… Che come noi ormai ben sappiamo, era lo sfortunato Don Roderich Abbondio. Ci andò con quell’allegra impazienza di un ragazzo di vent’anni che aveva a lungo atteso quel giorno per sposare la donna che amava. Era rimasto orfano fin dall’adolescenza, e viveva da solo lavorando la seta. Dal giorno stesso in cui aveva incontrato Lucia tutto era cambiato per lui.
- I’m sorry, signor curato? Sono venuto per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa…-
Don Abbondio aprì la porta con aria innocente.
- Di che giorno volete parlare? -
- Ma come di che giorno? Non ricorda che era fissato per oggi?  -
- Oggi!? – Replicò Don Abbondio come se ne sentisse parlare per la prima volta. – oggi… oggi… Abbiate pazienza, ma oggi proprio non posso. –
- Whaat!? Not today!? Cos’è successo!? –
- Prima di tutto non mi sento bene, non lo vedete? –
- Ma in some del cielo, non tenetemi così sulle spine! Ditemi! –
- Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola!? –
- Le ho svolte tutte! Che altro serve, Dude!? –
- Error, conditio, votum, cognatio, rimen, cultis, disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, si sis affinis… -
- C’MON, DUDE!! Cosa vuole che me ne faccia del vostro Latinorum !? –
- Gut! Allora inizierò mit dem Deutsch! –
- I SAID NO DUDE. –
- Via, caro Renzo. Non andate in collera.
Insomma, figliuolo caro. Io non ho colpa! La legge non l’ho fatta io…-
- Via, via, mi dica una volta per tutte che impedimento è sopravvenuto!! –
 - Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet... -
- Le ho detto che non voglio Latino. -
- Ma bisogna pur che vi spieghi... -
- Ma non le ha già fatte queste ricerche!? -
- Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico. -
- Perché non le ha fatte a tempo!? Perché dirmi che tutto era finito!? Perché aspet… -
 - Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: Aber… Aber… Ora mi son venute!! Und... basta, so io. – 
- E che vorrebbe ch'io facessi a questo punto, dude !? -
- Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuolo caro, qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pazienza! -
- How much !? –
“ Siamo a buon punto” pensò fra se Don Abbondio.
– Via… – Disse poi – In quindici giorni vedrò di… -
- Quindici giorni!! Ho aspettato tutto questo tempo ed ora mi chiedete altri quindici giorni!? –
- Proverò in una settimana allora… -
- E a Lucia!? A Lucia cosa dovrei dire!? –
- Che è stato un mio errore! –
- E BEH, VORREI VEDERE… -
- Ecco. Ditele che presto porrò rimedio a tutto. –
- Promette che però poi non ci saranno più impedimenti? –
- Quando vi dico… -
- It’s fine, it’s fine. Avrò pazienza una settimana.
Ma badate bene che una volta trascorsa questa non mi fermerò più alle chiacchiere…
Detto questo, la saluto, signor curato.
See you soon next week. –
 
Finalmente era uscito di scena.
Dio, com’era stancante il lavoro di un attore. Lui, che a Vienna spesso andava a vedere lunghe opere, solo ora riusciva a comprendere la dedizione…
- E’ stato bravissimo, signor Austria! -
Una vocina.
- Mh? – Roderich alzò appena lo sguardo. – Oh… Ti ringrazio, Lili. –
- E’ stato davvero bravissimo! –
Sorrise la ragazzina.
- Ti ringrazio. Lieto di esserti piaciuto… Confido nel fatto che sarai bravissima anche tu. –
- Oh, lo spero tanto. Vede, Ich… -
- E’ brava, è brava. -
Svizzero selvatico appare.
Neanche il tempo di finire la frase aveva già preso la sorellina per il polso e se la stava trascinando via con lui. – Lili, sai che con questa gente non devi parlarci! –
- Aber… io stavo solo… -
Austria scosse la testa, allentandosi il colletto.
maledizione, quanto può essere stretto un abito da prete!?
- Io quel coso non me lo metto!! -
… Oh. Ecco Lucia.
Non tentò nemmeno di nascondere un sorrisetto alla sua vista.
- Ti ho visto, Austriaco!!
guai a te se ridi e… AIH!! Quella coroncina fa male!!
Ha le punte!! Giappone stai attento damn…!!
Ma perché a me!? E chi sarebbe questo Renzo!?
Tutto ciò è terribilmente ingiusto!! Me la pagherete!! –
- Oh, ma sicuro. - Commentò Germania mentre osservava la scena, il blocchetto da regista in mano. – Attento a non inciampare nella gonna entrando in scena… Inghilterra. -

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Capitolo 7
*** Kon'yaku ***


Camminava, il nostro Renzo F. Jones, per le strade della sua amata Lecco. Un’andatura che univa una visibile tristezza ad un’altrettanto evidente rabbia in uno strano strusciare di piedi lo trascinava avanti per la sua via, mentre nella mente riecheggiavano ancora stampate a fuoco le parole del curato Roderich Abbondio, impresse a fuoco nella sua testa.
Tornando dunque con la mente a quel colloquio, e più ci pensava più gli sembrava strano.
L’accoglienza fredda e confusionaria del curato, quel suo parlare stentato e allo stesso tempo impaziente, quei due occhi viola che continuavano a fuggire ad ogni tentativo di creare contatto visivo da parte del del giovine, ma soprattutto quel suo accennare a chissà quale gran complicazione senza però mai spiegarla chiaramente né tantomeno definirla… Tutte queste cose facevano pensare a Renzo che ci fosse sotto qualcosa di più grosso e di decisamente diverso da quello che il curato aveva tentato di fargli intendere.
Più di una volta il ragazzo aveva pensato di tornare indietro e mettere una volta per tutte Roderich alle strette.
Aveva appena deciso di farlo davvero quando alzando gli occhi vide Elizaveta Perpetua.
Ora, che il povero Renzo F. Jones non fosse poi un ragazzo così sveglio non c’è da intendere oltre… ma non era davvero così tardo da non cogliere al volo quell’occasione.
- Good morning, Pertpetua! Pensavo che quest’oggi avremmo festeggiato insieme… -
- Mah, quel che Dio vuole, mio povero Renzo. -
Rispose la donna dai lunghi capelli castani alzando gli occhi al cielo.
Renzo era assolutamente certo che sapesse qualcosa.
- Fetemi un piacere… Il curato ha fatto un’enorme confusione con certe ragioni che io, confesso, non conosco. Potreste spiegarmi voi meglio se… -
- Oh! Vi par forse ch’io sappia i segreti del Signor Austria!? –
“Segreti” … A Renzo era ormai chiaro che ci fosse sotto qualcosa. Era bastata anche soltanto quella parola, così si era già messo all’opera per scoprire il resto.
- C’mon, dude! We’re friends… Ditemi quel che sapete. Aiutate questo povero figliuolo! –
- Igen, Igen, ma non posso dir nulla perché… Ehm! Non so nulla! Non so assolutamente nulla!
Tuttavia… Quel che posso assicurarvi che il buon Signor Austria non vuole assolutamente far torto a nessuno. Né a voi, né a… - E qui ci fu una breve pausa – Nessun altro. –
L’Ungherese restò qualche secondo in silenzio. Sembrava come… preoccupata.
- lui non ha affatto colpa, mio buon Renzo. –
- Dunque ditemi, Perpetua! Chi dovrebbe avere questa colpa? –
- Vi dirò soltanto che il mio padrone è innocente. Lui non è come quei furfanti… Prepotenti… Birboni… Uomini senza alcun timor di Dio!!! –
- C’mon, dude. Tell me who. –
- Ah! Voi vorreste farmi parlare, eh!? Ma non posso parlare perché… Non so niente! Ve l’ho detto che non so niente! Perciò… Nem. Tempo perduto per entrambi. –
Così dicendo, si spicciò a scomparire dalla sua vista in tutta fretta e chiuse l'uscio. Renzo, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell'orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all'uscio di don Abbondio; entrò, andò immediatamente verso il salotto, dove l'aveva lasciato, lo trovò, e corse verso lui, con un fare decisamente adirato.
- So!? Chi è quel prepotente!? - disse Renzo, con la voce d'un uomo che è ormai deciso d'ottenere una risposta precisa - Chi è quel prepotente che non vuole ch'io sposi Lucia!? -
 - W-Was? Wer… Was?? - Balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio caduto fuori dalla cesta del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.
- Ah! ah! Dude…  parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, tranne che me. Voglio saperli, dammit, anch'io. Come si chiama costui!?
- Renzo! Renzo! Per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra!!
- Penso che lo voglio saper subito, sul momento -. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.
- Misericordia! - Esclamò Austria, con voce fioca. Il suo viso che diventava sempre più bianco.
- I wanna know. -
- Wer… vi ha detto...!? -
- Nope. Non più fandonie. Parli chiaro e subito. -
 - Mi volete morto!? -
- Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere!! -
- Ma se parlo, son morto! Non vi importa la mia vita!? -
-  E’ proprio because I care… che le consiglio di parlare NOW. –
 Quell’ «ora» fu proferito con una tale energia, l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che Roderich Abbondio non poté più nemmeno supporre la possibilità di disubbidire.
- Mi promettete… mi giurate… - Disse - Di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?
 - I promise that, se lei non mi dice subito subito il nome di colui… -
A quel nuovo scongiuro, il povero Signor Austria, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: - Er ist Don… -
- Don…?? - Ripeté Renzo, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l'orecchio, chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.
- Er ist Don Rodrigo!! –
Ci furono momenti di silenzio.
poi il viso di Renzo si contrì in un’espressione mista fra il dolore e la rabbia.
- Ah cane!! - urlò Renzo. - E come ha fatto!? Cosa le ha detto per... -
- Wie!? WIE!? - rispose, con voce quasi sdegnosa, don Abbondio, il quale, dopo un così gran sacrificio si sentiva in certo modo divenuto un creditore. - Come eh? Vorrei che fosse toccato a voi, come è toccato a me, che non c'entro per nulla; che certamente non vi sarebbero rimasti tanti grilli per la testa, caro il mio Americano!! –
 E qui si fece a raccontare, con colori terribili, il brutto incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sempre più di una grande collera che nascondeva anche a se stesso, e che fin allora era stata nascosta come si doveva,  avvolta nella paura. Vedendo poi che nello stesso tempo Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso, continuò allegramente: - Avete fatto una bella cosa insomma! Un tiro mancino del genere a me!! Ad un uomo bene educato! Al vostro curato… In casa sua!! In luogo sacro!! Avete fatto una bella prodezza! Ciò ch'io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete!? Vorrei vedere che mi fareste!! Mein Gott!! Non si scherza! Nein!! Non si tratta di torto o di ragione, si tratta di forza! E quando, questa mattina, vi davo un buon parere... Was!? Subito nelle furie! Io avevo giudizio Für mir und für dir!! Aber… come si fa!? Aprite almeno. Datemi la mia chiave… -
- Posso aver sbagliato, it’s true… - rispose Renzo, con voce addolcita verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto - Posso aver sbagliato, ma si metta la mano al petto, e pensi a come posso stare io… -
E così dicendo, si era tolto la chiave dalla tasca, ed era andato ad aprire. Roderich gli andò dietro, e mentre Renzo girava la chiave nella toppa,  gli si avvicinò con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della mano destra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo
- Giurate almeno... Bitte. – Gli disse.
- Posso aver fallato; e mi scusi, - rispose Renzo, aprendo, e disponendosi ad uscire.
 - Giurate... - replicò don Abbondio, afferrandogli il braccio con la mano tremante.
- …Posso aver sbagliato. - ripeté Renzo, muovendo qualche passo lontano da lui, per poi prendere ed uscire di colpo. Austria che fu costretto ad afferrarsi allo stipite della porta per non veir trascinato in terra tanta era la forza con la quale si era aggrappato.
Ripreso l’equilibrio… Ed un respiro di un ritmo decente, si adoperò a recuperare i suoi occhiali caduti in terra nello scossone e a pulirli con un fazzolettino candido come il suo viso paonazzo.

- P-Perpetua!!! Perpetua!!! - gridò don Abbondio, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non rispose.
Molti avvenimenti erano cambiati… ma ancora una volta Roderich Abbondio non sapeva proprio come avrebbe fatto.
- …
Scheiße.-
Sibilò sotto voce poi, il fazzolettino che andava sotto gli spalancati occhi viola, ad accogliere le lacrime di terrore che gli avevano cominciato a bagnare il candido viso.

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Capitolo 8
*** Обрученные ***


Alfred F. Jones camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono responsabili, non solo del male che commettono, ma dell’angoscia che procurano anche all’animo dei poveri offesi.
America era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d'ogni insidia; ma, in quei momenti, il suo cuore non batteva che per l'omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di Don Rodrigo, afferrarlo per il collo, e... E poi si ricordava ch’egli viveva in un luogo che era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuti v'entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebbe entrare senza un esame, e ch'egli soprattutto... sarebbe riconosciuto subito.
 Si immaginava allora di prendere la sua pistola, d'appiattarsi dietro una siepe, aspettando colui nel momento in cui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in quell'immaginazione, si immaginava di sentire una pedata, quella pedata, d'alzar chetamente la testa, riconoscere il colpevole e, dopo averlo mirato, sparare. Lo vedeva cadere e tirare le cuoia. Gli avrebbe così lanciato una maledizione e sarebbe corso via, sulla strada del confine a mettersi in salvo.
Era proprio un bel piano, sì.
Ma poi…
- E Lucia!? – Appena quel nome gli apparve in mente si ricordò di Dio, della Madonna e di tutto ciò che un buon cristiano non avrebbe mai dovuto fare, ed ecco così che tutte le fantasie che gli erano sembrate semplicemente geniali poco prima ora lo inorridivano spaventandolo persino di se stesso.
 
Germania annuì col copione in mano mentre lì fuori America aveva continuato a dominare la scena da solo. Dall’espressione del Tedesco si poteva dire che fosse compiaciuto dalla recitazione del ragazzo. – Mh. Devo ammettere che sta andando davvero meglio di quanto mi aspettassi… Strano. Beh, forse conoscendolo l’ho sottovalutato troppo.- Annuì di nuovo, poi girò il viso verso un ragazzo dai capelli neri, in piedi lì assieme a lui alla sua destra, nascosto dalla quinta ad osservare lo svolgersi dello spettacolo. – Non è così, Giappone? –
- Hai! – Rispose prontamente il Giapponese con un secco movimento della testa. – America-kun sta facendo davvero un ottimo lavoro, c’è da ammetterlo. –
- Ja… - Continuò il Tedesco – Ich denke… Immagino che si sia calato nella parte. Non poso credere che sto per dirlo… Ma lui è l’esempio che dovrebbero prendere tutti.
Anche tu, Giappone.-
- Germania-san io vorrei tanto ma… - Il Giapponese sospirò, portandosi le mani a sistemare la larga gonna da signora e ad indicare la cuffietta che aveva sul capo. – E’ proprio necessario?? –
Germania lo fissò per qualche secondo, poi si limitò a fare spallucce e a risposare lo sguardo sulla scena.
- … - Il Giapponese attese la risposta ancora per qualche secondo, poi sospirò abbassando il viso, e si avviò verso la sua quinta di entrata, la stessa dove l’inglese stava ancora lanciando le peggiori imprecazioni che nessuno volle tradurre, in vista del suo momento di entrare in scena.
Si sporse con la testa. Da lì il palco non si vedeva. - E menomale che nessuno gli ha ancora detto chi farà Renzo-sama. – Mormorò fra se, sollevato da quell’ultima cosa.
Si fece da parte per lasciar passare il piccolo Sealand e Wy, entrambi imbacuccati in lunghi e larghi vestiti, dopodiché portò nuovamente l’attenzione sull'Inglese.
 – Cosa mi tocca fare…-
Disse, mentre sistemava il vestito, ma soprattutto la coroncina di spilli argentati sulla nuca di quest’ultimo.
 
Il buon America, dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, che si trovava nel mezzo del paese, e, attraversatolo, s'avviò a quella di Lucia, che era in fondo, anzi un po' fuori.
Casa di Lucia era una casetta con un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, il quale era cinto da un murettino. Alfred entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzio che veniva da una stanza di sopra. Immaginò fossero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quell’aria che si ritrovava in corpo e sul volto.
Un fanciull-- Una fanciulletta con gli occhi azzurri come il suo vestito, i capelli di un biondo piuttosto scuro e delle sopracciglia decisamente particolari, che si trovava nel cortile lo vide e gli corse incontro, gridando: - Lo sposo! Lo sposo! –
  - Zitta, Peterina, zitta! - disse Alfred - Vien qui and listen to me. Va' su da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio... ma che nessun senta, né sospetti di nulla, eh'... Tell her that I’ve to talk with her, che l'aspetto nella stanza al piano terra, e che venga subito –
Il fanciul—cioè, la fanciulletta entrò di corsa in casa, incrociando un’altra bambina vestita simile, ma di colore rosa, e con i capelli castani raccolti da un lato da un fiocco del medesimo colore rispetto al vestito. Aveva le sopracciglia molto simili all’altro.
- Dove stai andando, peterina?? – Chiese storcendo il naso.
- Non puoi saperlo. It’s a secret!! – Rispose quest’ultima portandosi un dito davanti alle labbra e facendole l’occhiolino. Appena dopo aver detto questo salì in fretta le scale, lieta e superba d'avere una commissione segreta da eseguire.
Lucia Kirkland, dettA Inghilterra usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre, Kiku Agnese Honda. Le amiche erano quattro. Una bionda con i capelli tenuti da un nastro colorato a mo’ di cerchietto, l’altra con occhiali e lunga treccia castana, ed infine c’erano le due più piccoline. Una aveva i capelli a caschetto biondi ornati da un fiocchetto di nastro viola che ricadeva lungo da un lato, l’altra era castana e portava i capelli decisamente più lunghi, caratterizzati da un ricciolino ricurvo esattamente sopra la testa. Entrambe erano caratterizzate da due occhioni da cerbiatto. La prima Verdi, la seconda azzurri.
Tutte e quattro a turno si rubavano la sposa, ed insistevano perché si lasciasse vedere.
Lucia s'andava schermendo, con quella modestia un po' guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando le folte… foltissime sopracciglia, mentre però la bocca s'apriva al sorriso. Aveva gli occhi verdi, i capelli biondi erano ornati da lunghi spilli d'argento, che si dividevano all'intorno, quasi a guisa de' raggi d'un'aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch'esse, a ricami. Oltre a questo, che era l'ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano di una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevano sul viso, spresse da quelle meravigliose sopracciglia acchiappa uomini più simili a dei procioni morti.
La piccola Peterina si fece largo fra le altre ragazze, si accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse il messaggio dello sposo all'orecchio.
- I’m going for a moment, then I’ll back. - Disse Lucia alle donne, e scese in fretta.
 
Tutto stava procedendo secondo i piani di Germania, ma ora… Ora Lucia stava per scoprire il volto del suo Renzo e viceversa. Nessuno dei due era a conoscenza del ruolo dell’altro.
America si aspettava chissà che bella fanciulla. Inghilterra si aspettava… Qualcuno, ma non di certo LUI.
- Damn. Leviamoci questo dente – Aveva pensato Inghilterra.
- Ecco il grande momento! – Era il pensiero di America.


 - Quei due ora si ammazzano.
Si ammazzano di fronte a mia sorella. – Mugugnò con voce preoccupata Svizzera al suo posto di co-regista a fianco a Germania.
Cadde il silenzio. Nessuno dietro le quinte osò fiatare.
Quel che aveva detto America era vero: il grande momento era arrivato.















-- Dietro le quinte del grande spettacolo --

Salve a tutti!
Prima di tutto grazie di aver letto questo capitolo, e soprattutto grazie di aver seguito la storia fin qui!
Siamo arrivati ad un passaggio importante, ed ecco perché ho deciso di aprire qui il primo angolo del, per restare in tema, "dietro le quinte" della storia!
In primis vorrei porgere un saluto ed un enorme grazie a tutte quelle persone che mi hanno seguito fin qui dal primo capitolo. Wow, ragazzi! Siete diventati davvero tanti! Mi riempite di recensioni, di complimenti, di messaggi per questa storia chi qui chi su Facebook... Non so che dire, sono davvero commossa grazie!  ;_;
Tutto questo non arebbe di certo arrivato fin qui senza voi, anche perché fate parte della storia quanto i personaggi come pubblico. Senza di voi la storia non ci sarebbe, e se prima avevo cominciato a scriverla per sfizio adesso è proprio per tutti voi che la sto continuando con ancora più impegno!!
Approfitto di tutto questo anche per scusarmi per l'attesa alla quale vi costringo ogni volta.
E' che a studio ricominciato e col cambio scuola che ho dovuto fare mi è rimasto /davvero/ poco tempo da dedicare.
Ora questi testoni dei rappresentanti hanno voluto occupare senza un real motivo (e giustamente io ne approfitto eheh! ) così sono riuscita a trovare più tempo per l'aggiornamento.
...No. Col cavolo che mi interromperei per la scuola comunque.
Piuttosto mi prendo un debito ma a deludervi NON. VI. DELUDO. Parola di Magnifico Prussiano U_U

Un paio di cosette da chiarire, e poi giuro che vi lascio in pace... Per ora. *inserire risata satanica qui*

Per lo stile ho tentato in questo e nei capitoli precedenti (più in questo) lo stile di manzoni sia nelle costruzioni dlle frasi che nelle parole. Quelle proprio in Austroungarico le modifico, stessa cosa faccio con le parole (non sapete che faticaccia) ma provate ad immaginarvi soltanto che scrivo con la mia vecchia buona copia dei Promessi Sposi aperta sotto il naso mentre digito perciò... Se il linguaggio risulta troppo difficile non fatevi problemi a dirlo e vedrò di sistemarlo un altro po'.

Oh, delle quattro ragazze amiche di Lucia immagino abbiate colto Belgio, Monaco e Liechtenstein. 
La quarta è Vaticano, inserita così come la descrive la Tatina, il mio dolce fiorellino.

Sono andata a studiarmi inoltre i suffissi Giapponesi... Almeno adesso anche il buon Kiku può spiccicare qualche parola dicendo, se Dio vuole, anche qualcosa di sensato.

Ultima cosa, giuro: 
Ho deciso di lasciarvi fare delle domande nelle recensioni. Qualsiasi domanda riguardante la storia, i personaggi, o altre curiosità sull'opera. Tranquilli che ogni volta leggo /tutte/ le vostre recensioni.
Al prossimo dietro le quinte risponderò alle vostre curiosità, se ce ne saranno, qualunque esse siano.

Beh, Che altro dire...
Spero continueremo questo bellissimo viaggio a teatro assieme.

Con tutto il mio LLLLav <3
- Hyrim.
 

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Capitolo 9
*** Oblubieńca ***


Quando Inghilterrà voltò l’angolo erano ormai tutte le nazioni certe che stesse per avvenire un esplosione, un’esplosione gigantesca, che avrebbe spazzato via l’intero palco lanciando frammenti di sopracciglia bruciacchiate sul pubblico ad effetto neve.
Invece ciò che accadde fu nettamente diverso.
Arthur puntò glio occhi su Alfred, che sembrarono prender fuoco nel momento stesso, mentre l’Americano aveva un’espressione più… Come dire… Orripilata., all’apice del disgusto.
Restarono lì, in silenzio, a fissarsi.
Inghilterra stringeva ossessivamente i pugni, tremante. Sembrava che stesse per avventarsi sull’americano da un momento all’altro ne non fosse stato per quel…
“crack”.
Una semplice penna spezzata a metà da Germania affacciato da dietro le quinte.
Lo sguardo del Tedesco era chiaro: “manda a monte questa cosa ed il prossimo sarà il tuo collo”.
Convincente, davvero convincente.
Inghilterra non sapeva più re uccidere qualcuno o mettersi a piangere, quanto ad America… beh, era tristemente sprofondato nella certezza che il suo debutto da Hero non sarebbe di certo andato come si era immaginato.

Al veder la faccia mutata di Renzo ed il suo portamento inquieto la giovane donna non riuscì a nascondere un presentimento di terrore. - What’s up?? – Chiese immediatamente.
- Lucia! – Rispose (non senza una certa fatica, il nostro povero Americano) – Per oggi tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie! –
- W-What!? – Disse Lucia tuto smarr--ehm, tuttA smarritA.
Renzo le raccontò bene tutti gli avvenimenti di quella mattina, ed ella ascoltava con angoscia. Quando però udì il nome di Don Rodrigo… _ A-Ah… - Esclamò arrossendo di colpo e prendendo a tremare – F-Fino a questo punto ha osato arrivare!? –
- Dunque voi sapevate…!? – Disse renzo.
- Purtroppo! – Rispose Lucia; - Ma non potevo di certo aspettarmi che arrivasse fino a questo punto!! -
- E che cosa sapevate esattamente!? -
- N-Non mi fate parlare! Non fatemi piangere! Corro a chiamar mia madre e a far andar via le altre ragazze: bisogna restare soli. –
Mentre ella andava, Renzo le sussurrò, quasi con voce tradita – Non m’avete detto niente…
- Ah, Renzo! – Rispose Lucia per azzittirlo, e dal tono che aveva usato era chiaro che non gli avesse detto niente proprio perché riteneva fosse più giusto e sicuro così.
Nel frattempo, al piano di sopra, la buona madre, Kiku Agnese Honda, aveva deciso di raggiungere di sua decisione la figlia, curiosa, sì, ma anche in pensiero, con quell’istinto che solo una madre possiede nel saper, in cuor suo, che qualcosa non doveva esser andato per il verso giusto.
Quando ebbe saputo, comprensiva, tornò su, raccontando alle altre giovani ben altra storia. – Il Signor Curato s’è ammalato; ed oggi non si fa nulla. – Ciò detto le salutò tutte in fretta e scese di nuovo, mentre le altre ragazze uscivano, però curiose di far qualche inaspettata visita al Signor Curato, quel poco di tempo di cui si necessitava a verificare il vero in quelle parole.
- Un febbrone! – Si era affacciata la complice Ungheria Perpetua dalla finestra, e calmati quegli animi, aveva serrato la dimora nuovamente.
Lucia entrò nella stanza al piano terra, mentre Renzo stava angosciosamente informando Agnese, la quale /angosciosamente/ lo ascoltava. Tutte e due si voltarono verso il ragazzo, e da cui si aspettavano qualche chiarimento in più. Sul volto di entrambe si poteva vedere quanto fossero rimaste tristi e scosse della notizia.
L’attenzione poi, volse e si concentrò tutta su Lucia.
- A tua madre non dir niente di una cosa simile, eh!? – La rimproverò poi, Kiku Agnese.
- Ora vi dirò tutto. -  Rispose tristemente la giovine.
- Parlate, parlate, su !! – la spronò senza nasconder una certa ansia Renzo.
- Bloody hel!! C-cioè, volevo dire… Santissima Vergine!! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! - E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com'ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell'altro signore rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s'eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l'altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo. - Per grazia del cielo, - continuò Lucia, - quel giorno era l'ultimo della filanda. Io raccontai subito...-
- A chi hai raccontato? - domandò Agnese, andando incontro, non senza un po' di sdegno, al nome del confidente preferito.-
- Al padre Cristoforo, in confessione, mom. , - rispose Lucia, con un accento soave di scusa. - Gli raccontai tutto, l'ultima volta che siamo andate insieme alla chiesa del convento –
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d'Agnese si raddolcì. - Hai fatto bene, - disse, - ma perché non raccontar tutto anche a tua madre? -
Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non contristare né spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta. In più, pensava la fanciulla, tutto sarebbe morto lì in vista delle sue prossime nozze.
E che t'ha detto il padre? - domandò Agnese.
- M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più che potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai, - proseguì, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, - fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo... e questa mattina, ero tanto lontana da pensare... – E qui Lucia scoppiò a piangere, timida, spaventata. Agnese tentava di consolarla, Renzo era fuori di se dalla rabbia nei confronti di colui che aveva ridotto così la sua amata.
- Ah birbone! Ah dannato! Ah assassino! – Il ragazzo aveva cominciato a far nervosamente avanti e indietro per la stanza, stringendo talvolta anche il coltello che portava assicurato al fianco, a scopo soltanto decorativo, tecnicamente.
- Oh che imbroglio, per amor di Dio! - esclamava Agnese.
Il giovine si fermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: - Questa è l'ultima che fa quell'assassino. -
Ah! no, Renzo, per amor del cielo! – Rispose subito Lucia. - No, no, per amor del cielo! Il Signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male!?  Voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto lontano, dove lui non potrà più trovarci! –
Andarsene? Per un secondo America sembrò pensarci. Il mondo è grande. Ancor più grande se si è in due infondo… Ma c’era un pensiero che continuava a tormentarlo. Un pensiero… un dubbio morale.in realtà. - Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorrà farci la fede di stato libero? Un uomo come quello? Se fossimo maritati, oh allora potremmo…-
- Sentite, figliuoli; date retta a me, - disse, dopo qualche momento, Agnese. - Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paiono più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiamano tutti a quel modo. Basta, cercate di quel ragazzo alto, asciutto, con i capelli color della luna, con gli occhi color rubino e i lineamenti di tutti spigoli,  che va a parer un’aquila. -.
-Un’aquila, eh…?  Lo conosco di vista. - disse Renzo.
- Bene, perché proprio come un’aquila egli sa guardar lontano, e scorger la fine di un labirinto dall’alto prima di chiunque altro!
Ho visto io più di una persona inguaiata come un pulcino nella stoppa, eppure dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-Garbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l'ho visto, ridersene dei problemi ormai appartenenti al passato.
Portate con voi quei tre capponi a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andare a mani vuote da quel ragazzo. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, una soluzione che a noi non verrebbe in testa, a pensarci un anno! –
Renzo sembrò d’accordo, Lucia approvò, e Kiku Agnese Honda, tutta superba di aver trovato quella bella situazione accompagnò con fare materno il giovane alla porta, augurandogli ogni bene.


 
 
 
 
Un applauso aveva appena decretato il rapido cambio scena, ed ognuno dietro le quinte si stava preparando al prossimo turno.
Era la quarta volta che Prussia tentava di accaparrarsi uno specchio, ma evidentemente non stava ricevendo risultati. Fu in quel momento che vide con la coda dell’occhio l’Ungherese che passava. Si voltò di colpo verso di lei  la chiamò, sperando tornasse indietro. – Yo, Ungarn! Mi servi un attimo! -
- Cosa? Chi mi chiama? Prussia? Dove sei? – chiese lei, impreparata, mentre tornava sui suoi passi.
- Son qui, mia dolce Giulietta! –  L’aveva accolta, all’Ungherese, l’albino, esercitandosi in un inchino esageratamente teatrale non appena ella era uscita di scena.
- Credo tu abbia decisamente sbagliato opera, Gilbert. – gli aveva risposto lei, incredibilmente quasi sorridendogli.
- Oh, vi chiedo scusa, Milady. Dimenticavo quanto potesse essere ristretto l’umorismo Ungherese.
Dovrai sempre smorzarmi in questo modo le battute!? Nein, dillo, sai… Almeno mi ci preparo…-
- Che vuoi, Gilbert!? – Tagliò corto la ragazza.
- Uh… - Il Prussiano alzò le chiare sopracciglia, colto di sorpresa, per poi indicarsi il colletto del costume di scena – Sta messo bene? Frakreich tiene occupati tutti gli specchi possibili ed immaginabili.-
L’Ungherese gli si avvicinò, alzandosi in punta di piedi per sistemarglielo come si dovrebbe  - No che non sta bene. E’ completamente rigirato. Ma chi te l’ha messo!? –
- Me lo sono messo… da solo… A dire il vero. – Ammise lui, non capendo cosa ci fosse di così tanto male alla fin fine.
- Ecco, appunto. Aspetta… Te lo sistemo io. –
Al Prussiano rimase che restare immobile a lasciar fare, con un sommesso sospiro. Non aveva mosso la testa di un millimetro, ma con la coda dell’occhio fissava i capelli castani di quest’ultima, come assorto. Lui era parecchio più alto, e d il fatto che ella avesse dovuto stendersi per raggiungerlo era finito soltanto per avvicinarsi a lui, avvicinarsi abbastanza dal circondarlo col proprio odore, o profumo, come avrebbe potuto pensare più lui. Sbatté le palpebre, un paio di volte. Le proprie ciglia le erano così vicine quasi da sfiorarle le ciocche brune quando chiudeva gli occhi, ma nonostante questo finì soltanto per avvicinarsi di più, semiparalizzato, tutti i muscoli in tensione….
- Fatto.- Fu la voce dell’Ungherese a riportarlo di colpo alla realtà.
- O-Oh… Danke… - rispose lui, tentando di mostrarsi composto. –Ah… Senti, Liz, pensavo ad una cosa... Non è che poi, noi due… dopo lo spettacolo..._
- Elizaveta!? Avevi detto che il mio copione era qui! Beh, non c’è qui!! Ma è mai possibile!? -
- Scusa, Gilbert. Non ti stavo sentendo... Che hai detto? - Ungheria sospirò – Vengo ad aiutarti, Roderich. Stai tranquillo. –  Rivolse uno veloce sguardo di saluto al Prussiano – Devo andare. Buona fortuna in scena, testone. – Si incamminò in direzione dell’Austriaco, la voce che aveva interrotto la frase di Gilbert a metà, lasciando l’albino lì da solo, come un fesso.
- Sì, testone... Testa di cazzo. – Si auto corresse da solo lui, rendendosi conto dell’occasione irripetibile che aveva appena bruciato.
Distrattamente si portò una mano ad allargarsi la scollatura dell’abito: il colletto era sistemato alla perfezione.

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Capitolo 10
*** Saderinātā ***


Il mondo ciondolava avanti e indietro, a ritmo di una camminata non loro, si vedeva tutto muoversi, agitarsi, dondolare come una barca nel mezzo di un lago in tempesta. Nulla riusciva ad essere un appiglio fisso per gli occhi stanchi, che spesso preferivano star chiusi, né le strade quanto le case, che non si erigevano, no, ma pendevano come pipistrelli da un ciottolato che era in realtà un soffitto sopra le loro teste. Sotto di loro qualche chioma di alberi, ed il blu del cielo, un salto enorme, infinito, che a loro non sarebbe stato destinato, però, in quanto questi venivano come risucchiati verso l’alto, verso il soffitto, come tutte quelle persone che stavano in piedi lì, con la testa in basso e i piedi in su, alcune che camminavano, altre sedute, altre addirittura ferme…o quasi. Perché no, ferme mai, ricordate? Il mondo ciondola avanti e indietro.
E la nausea dei tre malcapitati capponi, da voi mio caro lettore, forse meglio conosciuti come le Repubbliche Baltiche,o Estonia, Lettonia e Lituania, non faceva che aumentare.
- Ma perché sempre a noi… -
- Che abbiamo fatto… -
- Non è giusto... -
E via discorrendo, sempre con il medesimo tono, tutti e tre stretti in pugno al nostro Renzo F. Jones che continuava a sballottarli avanti e indietro nella sua veloce camminata. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a testa in giù, nella mano di quell’uomo così agitato da tante passioni che continuava ad accompagnare i suoi pensieri con i gesti. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava ai tre fiere scosse, e faceva balzare quei tre malcapitati.
- AHI!! Estonia ma sei impazzito!? _
- Non è stata colpa mia!!-
- AHI! Lituania! Quello era il mio braccio!!-
- Sta’ zitto, Lettonia!! -
- Se la piantassi di ficcarmi questo gomito nel fianco forse…-
- Ah, non mi pagano abbastanza per questo.-
- …guarda che non ci pagano /affatto/-
- Devi per forza ricordarmelo!?-
- AHI!! ESIGO di sapere IMMEDIATAMENTE chi mi ha dato quel pizzico sul collo!! -
E così dicendo continuavano a beccarsi l'uno con l'altro, come accade troppo spesso fra compagni di sventura.
Giunto finalmente al borgo, Renzo domandò dell'abitazione del dottore; gli fu indicata, e la raggiunse presto. Entrando si sentì preso da quella soggezione che i poverelli provano in vicinanza d'un signore di quei livelli, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparato lungo la strada… ma gli bastò dare un'occhiata ai tre capponi (che si erano finalmente zittiti, esausti quanto rassegnati) per rincuorarsi alla vista del dono che portava con se. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. La ragazza dai capelli cenere lanciò uno sguardo prima a lui (che gli fece venire un brivido di terrore), poi alle bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso.
- NO BIELORUSSIA NO!! -
- AIUTO!! -
- GERMANIA QUESTA CE LA PAGHI -
- Aš tave nužudyti savo miegooooooo!!!! -
E via. Chiusi nella dispensa con quella.
Superata quella rara specie di cane da guardia (una sorta di Cerbero, agli occhi dell’Americano) Renzo era entrato nello studio del dottore. Fece un grande inchino, ed egli lo accolse umanamente – Willkommen, figliuolo - e lo fece accomodare
Se gli occhi della donna di prima gli avevano fatto salire un brivido quelli lo inquietarono proprio. Rossi come il sangue, davano un’idea di vuoto, come se mancasse qualcosa. Aveva i lineamenti spigolosi quell’uomo, e la pelle pallida come la neve che spesso cadeva d’inverno sulle rive del Lago di Como. Agnese poi, aveva proprio ragione: viso di un’aquila, da quegli zigomi praticamente a spigoli a quel naso appuntito. Renzo non sapeva davvero come fosse possibile che un uomo dall’aspetto così sanguinario potesse essere anche un tanto esperto di legge. Un uomo del genere ce se lo aspetta armato di baionetta in mezzo ai ghiacci, non in uno studio del genere… Ed anche quest’ultimo se lo sarebbe aspettato ben diverso.Era uno stanzone nel quale su tre pareti del quale erano distribuiti i ritratti dei dodici Cesari; mentre la quarta, parete invece, era coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: Nel mezzo, invece, stava una tavola gremita di documenti, , di suppliche, di libelli, di grida, con tre o quattro sedie tutte attorno.
 Il dottore era in veste da camera, cioè coperto di una toga dall’aspetto abbastanza vecchio che gli aveva servito, molti anni addietro, per perorare, ne' giorni d'apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d'importanza. Chiuse l'uscio, e fece animo a Renzo, con queste parole: - Mio caro figluolo, ditemi il vostro caso. Ci penserà il Magnifico a risolverti tutt, kesè! – E si andò a sedere dal lato opposto della grande scrivania.
- Vorrei dirle una parola in confidenza.
- Hier bin ich.- - Rispose il dottore: - Sag mir -.
Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l'altra, visibilmente nervoso, ricominciò: - Vorrei sapere… da lei che ha studiato... –
- Schnell. Ditemi il fatto come sta, - Lo interruppe il dottore.
- Lei mi ha da scusare, dottore. Noi altri poveri non sappiamo… ecco… parlar bene. Vorrei dunque sapere...-
- Oh mein Gott! Siete tutti così: invece di raccontare il fatto, blaterate e vi dilungate in chiacchiere inutili nonché superflue! Schnell, Junge. Schnell!-
Un uomo di molta pazienza, per essere un avvocato, insomma.
 
- Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c'è penale.
“Ho capito”, disse tra sé il dottore, che in realtà non aveva capito un cavolo. «Ho capito». E subito si fece serio, ma di una serietà mista di compassione e di premura; e strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. - Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Hai fatto bene a venir da me. E' un caso chiaro, contemplato in cento grida, e... appunto, in una dell'anno scorso, dell'attuale signor governatore. Gut, jetz ti faccio vedere direttamente a te.-
Così dicendo, si alzò e cercò in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
Anche ordinato, per essere un avvocato…
- Wo ist es? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev'essere qui sicuro, perché è una grida d'importanza… Fidato assistente?? – Chiese a gran voce apparentemente… Al nulla. O più o meno, visto che subito dopo entrò svolazzando dalla finestra un pulcino giallo con stretto in becco quello che dava tutta l’idea di essere un documento di tutta importanza.- Danke schön, mein treue klein Freund. – E congedato il pulcino prese il documento, lo spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: - Il 15 ottobre 1627! Richtig, è dell'anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura, kesese!
Sai leggere, Junge?
- A little, signor dottore.-
- Fantastisch! Seguimi con l'occhio, e vedrai. – E tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere. - - Se bene, per la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dall'lllustriss. et Eccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli eccessi, e la malitia, eccetera, è cresciuta a segno, che ha posto in necessità l'Eccell. Sua, eccetera. Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccetera, ha risoluto che si pubblichi la presente.
- E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l'esperienza che molti, così nelle Città, come nelle Ville... Sentito? Di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et opprimono i più deboli in vari modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d'affitti... eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimoni. Eh?
- E' il mio caso! – Esclamò pieno di speranza il giovane Renzo.
Und c'è ben altro! E poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quell'altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo non ha che far con noi. Ah ci siamo! Quel prete non faccia quello che è obbligato per l'uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh? -
- Great! Sembra esser scritta apposta per me! –
- Eh? Vero? Senti a me, senti: et altre simili violenze, quali seguono da feudatari, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa! Ci son tutti! E’come la valle di Giosafat. E senti ora la pena! Tutte queste et altre simili male attioni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giudici ordinari di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte... Una piccola bagattella! all'arbitrio dell'Eccellenza Sua, o del Senato, secondo la qualità dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore, eccetera.
 Ce n'è della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordova; e più in giù: Platonus; e qui ancora: Vidit Ferrer? Non ci manca niente! –
Renzo dovette davvero ricredersi. Aquila o meno quello era proprio un avvocato, e CHE avvocato!
- Dunque, dottore…potete aiutarmi? Seriously?? -
- Ja, natürlich! -
- Oh my God, dude! I’m so glad !! -
- Ja, ja, ich kann dir hilfen. Aber... prima dovresti dirmi una cosa, Junge.-.
- Everything! -
- Devi dirmi chi ti ha pagato per fare questa carognata, figluolo, affinché io sappia al meglio come agire! -
Adesso… Descrivere la faccia di Renzo sarebbe un po’ complicato, caro lettore. Fate così: provate
Ad immaginarvi l’espressione del nostro povero Renzo. Ci riuscite? Una poker-face, in pratica.
- M-Ma che avete capito, dottore! Non l’ho fatta io la carognata! Tutto questo è stato fatto a me! A me vi dico! Io ne sono la vittima,non il carnefice!! Ero io che mi dovevo sposare! Ero io che attendevo di vedervi per ricevere giustizia! Ero io che volevo veder ingabbiato quel furfante di Don Rodrigo…-
Quel nome. Fu quel nome. A quel nome l’avvocato si alzò di colpo in piedi, come scosso da un’onda di un dovere al nostro Renzo sconosciuto.
_ Basta! Basta con queste fandonie! I-Ich… Nein! Me ne lavo le mani! Non ti si può aiutare! Und jetz schnell! Fuori di qui! Non ti ci voglio più vedere! -
- B-But… - Balbettò Renzo, confuso quanto sorpreso.
- Kein aber! – Tagliò corto l’altro. –Fuori di qui o chiamo la mia domestica! -
“Oddio no, Cerbero.” Fu il pensiero dell’americano, e lesto lesto uscì fuori dall’abitazione di quello che fino a cinque minuti prima gli era sembrato il suo salvatore.
- What the fuck… - Era il pensiero di Renzo mentre tornava a casa.
- What the hell – Fu l’esclamazione di Lucia a quel racconto.- Cosa faremo adesso?-
- I don’t know, Lucia. I… don’t know. -
- I don’t care… troverò io la soluzione la prossima volta. Americani stupidi che non sanno fare mai un cavolo! Ci penserò io… come al solito. -
- B-But… -
- Goodnight Renzo!! -
- Goodnight… Lucia.-

Buio.

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