Il marchio dorato

di SonLinaChan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Ecco una nuova storia a capitoli, di genere ancora una volta guerresco! (lo so, sta diventando una fissazione, ma non dipende da me, leggere testi sulla storia della Cina ha effetti deleteri sulla mia psiche!) Non ci sono particolari premesse, a parte il fatto che è ambientata una decina di anni dopo l’inizio delle vicende di Slayers, e quindi Lina ha circa venticinque anni (mi sono sempre interrogata sull’età di Gourry, quindi non mi esprimo a riguardo…) Lina e Gourry sono sposati da circa quattro anni. Gli avvenimenti salienti antecedenti alla vicenda sono contenuti nella mia altra fic, “Gourry”, ma non è strettamente necessario leggerla per comprendere la storia. Come sempre, sarò felice di ricevere commenti o critiche di qualsiasi tipo. Buona lettura! ^^

Il cielo invernale incombeva cupo su Sailarg. Nuvole basse e grigie, foriere di tempesta, coloravano di una tonalità cenere le colline spoglie e le rovine della metropoli, un tempo fiorente crocevia dei traffici che attraversavano le desolate steppe di Elmekia. La città, ora, sembrava poco più di un villaggio di contadini. I viaggiatori si accalcavano in locande ricavate da edifici malmessi e trattavano spasmodicamente i costi di finiture per cavalli, cibo e vino con mercanti resi avidi dal ricordo dell’antica ricchezza. La tappa in quello scenario spettrale era necessaria, per chi si accingeva ad affrontare miglia e miglia di terra spoglia e desertica, e forse solo questo aveva accelerato la ricostruzione di un luogo il cui nome a molti suonava ormai maledetto. Le mura erano di nuovo in piedi ed offrivano un inutile baluardo a case povere e provvisorie, a palazzi signorili sventrati dalle fiamme, ad un tempio che ben poco aveva dell’antico splendore. Un’ampia distesa di terra umida e nuda si apriva là dove un tempo si era trovato l’albero sacro, ricordandomi come quella città fosse stata protagonista per ben due volte di eventi che avevano segnato tanto essa quanto la mia esistenza.

Distolsi lo sguardo dalla finestra, con un sospiro. Se quel paesaggio era deprimente, non si poteva dire che l’interno della stanza risollevasse l’animo. Un letto che somigliava più ad un pagliericcio, un tavolo spoglio con una sedia, un camino annerito e ricoperto di polvere. Dando fondo ad ogni nostra risorsa, non eravamo riusciti a trovare di meglio. Avevo vissuto anche in condizioni peggiori, ma mai ad un prezzo così caro, e da due giorni a quella parte il mio spirito da mercante fremeva. Questo, quando non consideravo le condizioni dei bagni. Perché allora era il mio istinto di maga distruttrice che rischiava di prendere il sopravvento…

Abbassai lo sguardo, ed emisi un grugnito stizzito. C’era qualcuno che non appariva minimamente turbato dalle condizioni misere della stanza. Qualcuno che in quel momento russava felice, difeso da una semplice coperta dal freddo pavimento di pietra. Con una espressione talmente appagata che mentre lo osservavo la mia stessa irritazione diveniva irritante.

E non ditemi che non è legittimo, ogni tanto, trovare fastidiosa la serenità altrui.

Mi avvicinai e con la punta dello stivale gli pungolai il fianco.

“Mmph… Lina…” Lo sventurato mugugnò qualche parola sconnessa, e non ebbe bisogno di aprire gli occhi per riconoscere chi lo tormentasse.

“Hai intenzione di poltrire sul pavimento per tutto il giorno?” Incrociai le braccia al petto, incombendo su di lui. Gourry aprì un occhio e mi fissò dal basso in alto, infastidito dalla luce che penetrava dalla finestra.

“Ma Lina…” Mugugnò. “Non posso dormire su quel letto. E’ infestato da quelle bestie disgustose.”

Mi piegai sulle ginocchia, squadrandolo storto. “Non è questo che intendevo. Tu e la tua fisima per gli insetti.”

Gourry levò un sopracciglio, al di sopra dello sguardo assonnato. “Non credo che la signora ‘c’è una lumaca nella vasca’ possa permettersi di protestare per la mia avversione alle cimici…”

Il ricordo della terrificante esperienza che avevo vissuto in bagno non migliorò il mio umore. “Vuoi che ti riservi lo stesso trattamento che ha ricevuto il locandiere per avermi presa in giro, Gourry?”

Lo spadaccino, a dispetto di tutto, sorrise. Si levò a sedere, e cercò la mia mano con le dita. “Direi di no.” Mi baciò la punta del naso. “Mi illudevo che come tuo marito avrei ricevuto un trattamento preferenziale, una volta tanto.”

Non mi piegai alle lusinghe, e lo guardai storto. “Il trattamento preferenziale bisogna guadagnarselo.”

Gourry si limitò a ridacchiare, e ad abbracciarmi. Io sospirai, vinta, e gli accarezzai i capelli con la mano. “Ci manca solo che la temperatura si abbassi ancora, e cominci a nevicare.” Mormorai, dopo qualche istante di silenzio, tornando a scrutare all’esterno. “Vorrei sapere che fine ha fatto Sylphiel. Ammetto che quella ragazza è un po’ strana, a volte, ma non è da lei farci arrivare fin qui per poi non presentarsi affatto. C’è mancato poco che ci facessimo arrestare, per colpa sua.”

“Veramente è stata colpa di qualcuno che si è messo a minacciare le guardie…” Obiettò Gourry, ridacchiando. “E il fatto che tu dica che Sylphiel è quella strana è un tantino paradossale…”

“Ci aveva detto di cercarla al tempio!” Sbottai, allontanandolo bruscamente. “Per quanto sapevamo avrebbero anche potuto tenerla in ostaggio!”

Gourry scosse la testa, divertito. “Tenerla in ostaggio? I sacerdoti di Sailarg?”

“Non fingerti improvvisamente una persona ragionevole…” Intimai, in tono minaccioso.

Gourry rise, e si fece schermo con le mani. “Ok, ok. Quindi, cosa proponi di fare…?”

Mi strinsi nelle spalle. “Possiamo aspettare, per qualche giorno. Non abbiamo molto da fare, in fondo. Forse Sylphiel si trovava a Sailune dai suoi parenti e deve ancora raggiungere la città.” Gourry tornò a sdraiarsi, trascinandomi con sé nel movimento, e accarezzandomi senza preciso scopo la schiena. “Chi lo sa. La sua lettera era strana, di sicuro. E poi erano mesi che non ci giungevano sue notizie…”

Gourry san, Lina san,

spero che questo messaggio possa arrivarvi, ovunque vi troviate. Ho bisogno di parlarvi di una questione urgente. Vi chiedo di incontrarci al termine del decimo mese, a Sailarg. Chiedete di me al tempio.

Queste poche righe ci erano state recapitate misteriosamente un mese prima, in una locanda di uno sperduto paesino nel nord del continente. Gourry ed io ci stavamo muovendo per conto della Gilda di Zephilia, una storia di testi trafugati da una celebre biblioteca di un regno del nord, su cui più o meno legittimamente i maghi di Zephilia avevano messo gli occhi. La questione era inevitabilmente passata in secondo piano, però, di fronte a quella lettera sbrigativa, senza una firma, senza una espressione di affetto. Gourry sama era già da tempo diventato Gourry san, per Sylphiel… almeno da quando le avevamo annunciato il nostro matrimonio. Ma, da quando avevamo cominciato a tornare a Zephilia più di frequente, la sacerdotessa ci aveva spesso scritto, lettere lunghe e cordiali, in cui ci raccontava della sua vita nella nuova Sailarg e del suo impegno per rimettere in piedi una città ridotta ad un’ombra spettrale del passato. Quella era la prima volta che una lettera ci giungeva mentre eravamo lontani da casa, ed era la prima volta che le parole della nostra giovane amica suonavano tanto sbrigative. La grafia era nota, con quelle sue lettere morbide e allungate, ma nient’altro di familiare colorava quelle righe. All’inizio avevo esitato di fronte ad una richiesta così improvvisa, ma sapevo di dovere molto a Sylphiel. La sua amicizia nei miei confronti non era scontata, per più di una ragione. In più, Gourry non aveva avuto dubbi sulla necessità di andare, ed io non avevo intenzione di lasciarlo partire da solo. Se c’era una persona che non avrei mai abbandonato al suo destino, quello era lo spadaccino. E quella stessa visione di desolazione che era Sailarg non faceva che rammentarmene il motivo.

“Ciò che mi convince meno in questa faccenda è che al tempio non sapessero nulla del nostro arrivo.” Mi levai nuovamente a sedere, scostandomi gentilmente dall’abbraccio di mio marito. “Se Sylphiel aveva intenzione di incontrarci laggiù, è strano che non abbia fatto recapitare anche ai sacerdoti un messaggio, nel caso avesse tardato.” Scrutai fuori dalla finestra, in cerca di una risposta nascosta fra le basse nuvole.

Anche Gourry si sollevò. “Stai dicendo che qualcosa potrebbe averglielo impedito…?”

“Sto dicendo che non mi piace.” Mi alzai, e tornai alla finestra, le dita appoggiate ai vetri. Quasi simultaneamente, grosse gocce di pioggia presero a picchettare sulla sottile lamina. In lontananza, una saetta illuminò il cielo plumbeo, accompagnata dal cupo rombo di un tuono.

Gourry si avvicinò alle mie spalle, e mi cinse con le braccia. “Odio le tue premonizioni.” Sussurrò, in tono leggero. “Il più delle volte sono azzeccate.”

Sorrisi, a dispetto della sottile ansia che quei discorsi avevano risvegliato in me. La mia mano raggiunse il suo braccio, e lo strinse lievemente. “E questo non ci rassicura granché sulla attuale situazione, eh?”

Mio marito non rispose. Ma da anni, per noi, il silenzio era eloquente quanto le parole.

Sospirai, rassegnata.

Cominciavo ad odiare la città di Sailarg.

***

Dolore. Luce accecante. Vestiti gelidi, appiccicati alla pelle. Le dita strette su una poltiglia fredda e dall’odore nauseante. In bocca il sapore del sangue.

Dolore.

Dolore.

Dolore.

“Gourry!”

“Correte, è ancora vivo!”

“Sir Gabriev, vostro figlio è…”

“Un sacerdote! Mandate a chiamare un sacerdote!”

“Gourry, apri gli occhi!”

“Gourry!”

“GOURRY!”

Spalancai gli occhi, sussultando a quella voce nota. Dovetti battere le palpebre più volte, prima di acquisire nuovamente cognizione del mondo che mi circondava. La luce piena del mattino inoltrato filtrava fra le foglie ancora umide di pioggia, ed un freddo vento sferzava le fronde, facendole gocciolare sul mio viso. Io non sedevo più sulla roccia su cui mi ero poggiato inizialmente, ma ero scivolato all’indietro, verso il tronco dell’albero che mi riparava parzialmente dall’aria pungente, la testa reclinata in avanti e le dita affondate nella fanghiglia.

Lina, di fronte a me, sospirò. “Vorrei sapere cos’hai in questi giorni. Addormentarti in un posto del genere…”

Battei nuovamente le palpebre, e lanciai uno sguardo al sole pallido. Quasi di riflesso, il mio stomaco gorgogliò. “E’ già mezzogiorno?” Domandai, incredulo. Mi ero seduto su quella roccia quando il sole era sorto da poco meno di due ore…

Mia moglie assunse l’espressione colpevole che vestiva quando mi trascinava in qualcuna delle nostre consuete odissee. “Bé, immagino di essermi lasciata un po’ prendere la mano dalla trattativa.” Si grattò la guancia, con una delle sue dita sottili. “Ad ogni modo, il carovaniere ha accettato di darci un passaggio in cambio di una delle gemme che ho recuperato da quei banditi. Partiamo nel primo pomeriggio, quindi sbrigati, se vuoi mangiare qualcosa nel frattempo.”

La fissai per un momento, cercando di fare mente locale su ciò di cui stava parlando. Quindi, rinunciandovi, mi levai in piedi barcollando, le gambe indolenzite per la lunga immobilità e per il freddo di quell’inverno gelido. Lina mi squadrò con fare perplesso. “Tutto ok? Mi sembri un po’ frastornato…”

“Ho fatto un lungo sogno.” Replicai, in sincerità. “Ma non ricordo bene che cosa accadesse. Ricordo solo…” Mi fissai le mani. “… fango…”

Lina batté le palpebre e fissò a sua volta le mie dita, ancora coperte di melma grigia. Fece un sospiro. “Ci credo. Guarda che hai combinato.” Estrasse un fazzoletto da una delle tasche del mantello, e vi avvolse gentilmente le mie mani. Io sorrisi fra me e me. Anche un gesto semplice come quello anni prima le sarebbe costato imbarazzo.

Godetti per qualche istante in silenzio del movimento leggero delle sue dita sulle mie. Quindi levai lo sguardo sul gruppo dei mercanti, sul ciglio della strada alle spalle di mia moglie, intenti a caricare pacchi sulle carovane. “Ehi, Lina… ma dov’è che stiamo andando, esattamente?”

Mia moglie fece un sospiro, e mi guardò con l’aria di chi non ha nemmeno la forza di arrabbiarsi. “Non hai ascoltato una parola di quello che ti ho detto stamattina, vero?”

“Ehm…” Era il momento di stare attento a ciò che rispondevo…

Lina sospirò nuovamente, rassegnata. “La Perla. Ricordi?”

“La… Perla…?”

Gli occhi di Lina si strinsero. “Risulta difficile credere che tu abbia premuto tanto per aiutare Sylphiel, quando ora fingi in modo così convincente che la cosa non ti riguardi…”

Oh. Giusto. Sylphiel.

“Intendi la città del sovrano ribelle. Potevi dirlo subito.”

Il volto di Lina assunse un interessante colorito violaceo.

“Quindi quei carovanieri devono portarci laggiù?”

Il violaceo mutò in rosso acceso.

“Gourry!” Il palmo della sua mano mi colpì direttamente fra gli occhi. Cominciavo a chiedermi se non ci fosse un qualche segno sulla mia fronte che le indicasse dove mirare, per centrare sempre lo stesso punto… “E dove DIAVOLO dovrebbero portarci??? Ti pare che mi addentrerei nel NULLA delle steppe di Elmekia per il gusto di complicarci la vita???”

“Bé…” Esitai.

Non era la risposta che mia moglie si aspettava.

Eravamo rimasti a Sailarg per oltre una settimana, in paziente attesa. Le locande agibili non erano molte, e ci auguravamo che Sylphiel ci avrebbe in qualche modo rintracciati, appena le fosse stato possibile raggiungere la città.

Eravamo ottimisti.

Tuttavia, quando alla nostra porta si erano presentate le guardie del tempio, armate fino ai denti, era sorta in me qualche ragionevole preoccupazione.

Non è che non abbia fiducia in mia moglie. Solo che quando Lina è costretta senza far nulla per giorni la sua energia repressa tende a sfogarsi in modi non necessariamente legali. Nel momento in cui avevo iniziato a chiedermi di quanto fosse, stavolta, la taglia sulla nostra testa, i Paladini mi avevano però stupito, limitandosi ad invitarci formalmente al tempio. Il Gran Sacerdote voleva scusarsi con noi per la pessima accoglienza che ci aveva riservato qualche giorno prima, ci era stato detto. Era ovvio che la motivazione non si limitava a questo, ed era altrettanto ovvio che i Paladini non avrebbero approfondito la questione in una locanda dalle pareti di carta velina. Volenti o nolenti, li avevamo seguiti. E la sorpresa era stata ancora maggiore nello scoprire che, nella sala del Gran Sacerdote, riflesso in una cangiante sfera di luce bluastra, ci attendeva il volto teso di Sylphiel.

“Lina san, Gourry san, vi chiedo perdono per i fastidi che vi ho causato.”

La voce della sacerdotessa era frettolosa, priva delle consuete note calde e riverenti. Al di là della luce innaturale dell’incantesimo che ci permetteva di comunicare, il suo volto mi appariva stranamente pallido.

“Credevo davvero di riuscire a partire in tempo, ma una serie di problemi mi ha bloccata a Sailune. Solo ora riesco ad avvisarvi. Scusatemi, scusatemi infinitamente.”

Lina ed io ci eravamo scambiati un’occhiata perplessa.

Sylphiel aveva proseguito con fare stanco. “Si tratta dell’erede al trono di Elmekia e di suo fratello. Da diversi mesi sono entrati in conflitto.”

Ne avevo sentito parlare. Il sovrano di Elmekia era morto all’improvviso, qualche mese prima. E il figlio che il padre favoriva per la successione, il minore, aveva rivendicato, con l’appoggio dell’entourage del padre, un trono che le tradizioni del regno assegnavano per diritto al fratello. Una storia comune. Ma ne era scaturita una contesa che, nonostante il trono da mesi vacante, non si era ancora sedata, e che con tutta probabilità sarebbe presto sfociata nel sangue. Del resto, è storia vecchia. I capricci fra fratelli litigiosi generano scompiglio in casa, ma i capricci fra reali danno vita alle guerre.

“E noi cosa c’entriamo, in questo?” Lina appariva perplessa. Io ero inquieto. Le questioni di successione al trono di Elmekia risvegliavano in me ricordi spiacevoli.

Lo sguardo di Sylphiel si era fissato per un momento sul mio, come se avesse colto i miei pensieri. La sacerdotessa, tuttavia, aveva proseguito in tono neutro. “Direttamente, nulla. Purtroppo, però la corte ha cessato da mesi di inviare a Sailarg i fondi per la ricostruzione. Il tempio non ha risorse, e i lavoratori sono inquieti. Gli abitanti di Sailarg che sono ancora in città danno una mano, ma per lo più abbiamo dovuto assoldare dei mercenari, che minacciano di abbandonarci. Non possiamo permettercelo, capite? Con una guerra civile incombente, ed una città che ha tutte le probabilità di non rifiorire mai, la gente prenderebbe di nuovo ad andarsene, valicherebbe il confine verso Sailune. Sailarg tornerebbe ad essere una città fantasma.” Il tono di Sylphiel ora si era fatto stanco. Potevo comprenderlo. La ricostruzione di Sailarg significava per lei più di quanto avrebbe mai potuto esprimere a parole. D’altra parte, il suo sguardo era determinato. Mi ero reso conto già da tempo di come gli anni la avessero fortificata, di come fosse diversa dalla ragazza ingenua e fragile che avevo incontrato in quella stessa città, tanti anni prima. E la sua fermezza, ora, non faceva che confermarmelo. “Ho inviato vari messaggeri alla corte ma Samon, il figlio maggiore del re, non mi ha mai dato ascolto. Il fratello Eriol ha dalla sua la famiglia della madre, che ha il controllo su Talit, la città nota come la Perla di Elmekia. Possederla significa avere in pugno tutta la parte meridionale del regno. Con avversari così potenti e ricchi, l’erede legittimo al trono è intenzionato a concentrare ogni sua risorsa nella guerra imminente, per questo non ho altra scelta se non rivolgermi ad Eriol. Non ho molte speranze, ma DEVO almeno cercare di convincerlo prima che scoppi la guerra e la sua attenzione si concentri su altre priorità. Tuttavia, non posso inviare un’ambasceria ufficiale. Farlo significherebbe riconoscere la sua autorità e non quella della corte, significherebbe schierarsi, e non posso permetterlo. Sailarg non ha bisogno di altro sangue.”

Lina si era accigliata. “E quindi… vuoi che ci rechiamo noi, laggiù, e cerchiamo di convincerlo?” Sapevo perfettamente cosa pensava mia moglie in quel momento, e lo condividevo. Quella faccenda era fuori dalla nostra sfera d’azione. Un conto era lottare con i demoni, un conto era occuparsi di questioni diplomatiche in un regno estraneo.

Avevo ricacciato nel fondo della mia mente la voce strisciante che mi suggeriva che quel regno in fondo era anche casa mia.

Sylphiel aveva scosso la testa, l’aria contrita. “Lo so che cosa state pensando. Che vi sto chiedendo qualcosa che non vi compete. Ma questa non era la mia intenzione iniziale, ve lo assicuro.” Il suo tono di voce si era fatto supplichevole. “Avrei voluto essere io a partire, e ciò che desideravo era solo la vostra protezione fino a destinazione. Il viaggio fino a Talit è troppo lungo e pericoloso, in tempi come questi, e non sapevo di chi altri fidarmi… Ma ora non posso davvero muovermi da qui, mio zio…” Si era bloccata. “E’ una questione troppo lunga da spiegare ora. Lina san, Gourry san, vi prego. Dovrete solo recapitare la mia missiva. Inviando due persone esterne a tutta la faccenda, in segreto, Sailarg non risulterà compromessa. E’ troppo vicina alla capitale, è un bersaglio troppo facile. Vi assicuro che sarete compensati adeguatamente. Il tempio non può fornirvi di grandi risorse, ora come ora, ma ero venuta a Sailune proprio per chiedere un aiuto ai miei parenti per il viaggio, quindi quando tornerete vi rimborserò di ogni cosa e vi pagherò tutto quello che vi è dovuto. Vi PREGO.”

Lina ed io ci eravamo scambiati un’occhiata. Lo sguardo di mia moglie era ancora poco convinto, ma il tono disperato di Sylphiel era già riuscito ad ammorbidire me. Sapevo che la sacerdotessa non ci avrebbe contattati se non in caso di assoluta necessità, e sapevo anche che se io mi fossi trovato nei guai lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarmi. Era accaduto, in passato.

E in fondo, si trattava solo di recapitare un messaggio.

Avevo lanciato un’altra occhiata a Lina, e lei aveva sospirato. Io le avevo sorriso. Sapevo che avrebbe capito.

Molto meno propensa a comprendere, però, mi pareva mia moglie in quel momento, mentre mi fissava con l’aria di una lince pronta ad avventarsi sulla preda. La fronte mi doleva, là dove mi aveva appena colpito per la seconda volta.

“E dai, Lina.” Cercai di sdrammatizzare. “Scherzavo.”

“Mi spiace che questo non sia un ingaggio come buffone di corte, avresti avuto un grande successo…” Sibilò la maga, gli occhi stretti per l’irritazione. “Ora vogliamo concentrarci sulla nostra attuale situazione, invece di perdere tempo? Dobbiamo andare a recuperare le nostre cose da quel tugurio di locanda.” Il suo sguardo si accese per un momento. “Non riesco a credere che sarà l’ultima volta che mangerò la loro brodaglia insipida per pranzo.”

Scossi la testa, sospirando. “Prega che il carovaniere non abbia intenzione di servirti zuppa al veleno, appena saremo usciti dalla città. Non ha un’aria particolarmente raccomandabile, e le nostre armi e le tue gemme farebbero gola anche all’ultimo degli onesti, se circondato da una steppa priva di occhi per testimoniare.”

Lina mi rivolse un sorriso furbo, lo stesso che sempre vestiva quando elaborava uno dei suoi malefici piani. “Oh, lo ho messo in conto.” Replicò, con fare allegro, agitando il dito nell’aria. “Ma non è giusto giudicare dalle apparenze, no? E poi…”

“E poi…?” Chiesi, temendo la risposta.

Lina esibì un ghigno degno di un cattivo delle fiabe. “E poi una trappola potrebbe rendere il viaggio… più interessante. Ci fornirebbe una giustificazione inattaccabile per reclamare il carro ed il suo contenuto come nostri, tanto per cominciare.”

Scossi la testa, con fare rassegnato. Davvero avevo pensato che avesse agito ingenuamente? ‘Se non la conoscessi, forse.’ Mi risposi immediatamente. E mi volsi, pregando che mia moglie non si accorgesse che sorridevo stupidamente.

Ma, presto, la sua voce mi raggiunse nuovamente. “Il reale problema sarà all’arrivo.” Tornai a fissarla, mentre scrutava il grigio striato di azzurro del cielo, l’aria assorta. “Sylphiel pensa che recapitare una missiva per noi sarà semplice, ma io non la vedo allo stesso modo. Dal momento che non gli portiamo nuovi alleati, perché Eriol dovrebbe ascoltarci?”

Piegai il capo, studiando la sua espressione. “Abbiamo il sigillo del tempio di Sailarg…” Azzardai.

Lina si accigliò. “Appunto.” Si volse verso di me. “Il sigillo di Sailarg, portato da due emeriti sconosciuti. Eriol penserà che i sacerdoti vogliano prendersi gioco di lui.” Incrociò le braccia al petto. “Ci concederà udienza, ma non accetterà di aiutare una città che non acconsenta a sostenerlo in cambio. Non conta, ora, il fatto che essa faccia parte del regno su cui vuole acquisire il controllo.” Tacque, per un istante. “Partirò comunque, ma sinceramente sono convinta che questo sarà un viaggio a vuoto. La ricostruzione di Sailarg dovrà attendere la fine della guerra, come qualsiasi altro problema che non riguardi direttamente la contesa fra i due principi.” Aggiunse, dopo qualche secondo di silenziosa immersione nei suoi pensieri.

Mi avvicinai, e le strinsi la spalla con la mano. “Magari Eriol vorrà compiere un atto di generosità.” Replicai. “Per impressionare eventuali nuovi sostenitori, ed evitare di vincere solo con le armi.”

Lina mi rivolse un’occhiata scettica. “Il tuo problema è che hai troppa fiducia nella gente.”

“Devo compensare qualcuno che ne ha troppo poca.”

Ci scambiammo un breve sorriso.

Da Nord il vento freddo parve temporaneamente placarsi. Troppo tardi. Le nuvole che fino a qualche ora prima si addensavano all’orizzonte avevano già raggiunto la città, ricoprendola di un manto scuro e minaccioso. L’aria era pregna di umidità, e l’azzurro era un pallido ricordo, scolpito nei pochi brandelli di cielo scoperto che ancora lottavano con il temporale incombente.

“Ancora pioggia.” Commentai, involontariamente, in tono pensoso.

“Ti mancherà, fra qualche giorno.” Sorrise Lina.

Lo sapevo. Nelle terre in cui ero nato non pioveva mai. La vita scivolava su di esse, senza mai porvi radici. Solo sterpaglie e cielo, e le testarde costruzioni degli uomini. E quegli alberi isolati, quegli alberi alti e rigogliosi, che ancor più crudelmente della desolazione ricordavano il destino con cui ogni essere vivente è costretto a misurarsi…

“Gourry?” Lina, ora, mi fissava perplessa. Io ricambiai lo sguardo, assorto. Quelli che mi aspettavano erano luoghi che da anni ripercorrevo solo nei miei sogni, e l’idea di solcarli al suo fianco risvegliava in me quella sensazione di torpore che al ricordo dei sogni si accompagna. “Che c’è?” Incalzò mia moglie.

“Pensavo che è meglio sbrigarsi a rientrare.” Replicai, semplicemente, non dando voce a quelle che anche per me erano solo sensazioni confuse. “Prima di trovarci zuppi di pioggia.”

Lina inarcò un sopracciglio. “Quell’aria assente è il segno che stavi elaborando questa perla di saggezza?”

Dovetti sorridere, alla mal celata ironia della sua voce. “No.” Dichiarai, con leggerezza, mentre un’idea maligna catturava la mia mente. “In effetti stavo pensando che mi devi ancora la rivincita.”

Lina levò le sopracciglia, perplessa. Ma quando realizzò cosa intendessi era troppo tardi. Ero già scattato in avanti, ed in vantaggio. “Ricorda, chi arriva ultimo paga il pranzo!”

“Ehi!” Sentii gridare alle mie spalle. “Questo è SLEALE!!!”

Il tono di voce di Lina mi precludeva già in partenza quel pranzo, ed era foriero di inquietanti promesse di vendetta… ma in fondo ciò che mi importava era solo il gusto della sfida. Perciò corsi a perdifiato, il viso sferzato dall’aria fredda e dalle prime gocce di pioggia.

Era strano. A causa del tempo, trascorso inesorabile, i paesaggi e le vie note che mi attendevano risvegliavano in me lo stesso senso di ignoto che avevo avvertito percorrendole per la prima volta, innumerevoli anni prima. Allora avevo avvertito quella sensazione come opprimente. Ma ora che potevo godere di piccole, stupide consuetudini come i litigi con Lina la paura dell’ignoto si colorava di familiarità, e il senso di attesa diveniva piacevole.

In fondo, era solo l’inizio di un nuovo viaggio.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


“Davvero una giornata gradevole, no

Ecco un nuovo capitolo. ^^ So che non è particolarmente denso di avvenimenti, ma sto preparando un po’ il terreno per l’azione principale. Ringrazio chi ha letto e commentato il precedente, spero che avrete la pazienza di continuare! (comunque, Daydreamer, non preoccuparti, il romanticismo arriverà…XD -> SonLinaChan sventola la sua bandiera Lina/Gourry) Buona lettura! ^^

“Davvero una giornata gradevole, no?”

Sospirai. Il cielo, azzurro cupo, si stagliava all’orizzonte contro una superficie di terra spoglia e giallastra. Le solitarie macchie di vegetazione si piegavano sotto la gelida frusta del vento, che fischiava minaccioso, sollevando alte nubi di polvere. La mia gola ardeva, e i miei occhi lacrimavano in modo incessante, irritati dalle particelle di terra.

Non era esattamente una giornata ‘gradevole’.

Lina reggeva con una mano le redini del cavallo, con l’altra il cappuccio della veste, che continuava a ricaderle sulle spalle a causa del vento. Gli spessi guanti di lana grezza parevano insufficienti a ripararle le dita, e mia moglie continuava a strofinarle al di sotto delle ampie maniche del mantello ogni volta che una tregua alla violenza del vento gliene offriva la possibilità. Ciò che normalmente la avrebbe innervosita, tuttavia, quella mattina non sembrava turbarla. Lina continuava a spronare la nostra cavalcatura, sorridendo e canticchiando vagamente fra sé.

“A volte mi spaventi un po’.” Borbottai. “Ti amo, ma mi spaventi un po’.”

“Che ci posso fare se le mie capacità di previsione sono così meravigliosamente superiori alla norma?” Replicò mia moglie, in tono allegro. “Non posso credere di avere ottenuto tutto quel cibo per nulla. E ho anche riavuto la mia gemma! ♥”

Sospirai, nuovamente. Dopo una settimana di viaggio, i miei timori si erano avverati. Dopo aver scrutato i nostri movimenti con più attenzione del necessario per giorni, gli uomini che avevano accettato di trasportarci sino a Talit avevano cercato di sorprenderci nel sonno. Inutile dire che quello che se la era cavata meglio avrebbe avuto problemi a riconoscersi allo specchio per diverse settimane… e che mia moglie aveva voluto uscirne con in mano il suo piccolo trofeo di vittoria. Tuttavia, per quanto tutto fosse nella norma, non avrei mai creduto di vedere Lina tanto felice di avere fra le mani casse e casse di carne e frutta essiccate, legumi e pesce sotto sale. “Credo che basteranno due giorni perché quel cibo ci disgusti…” Lanciai un’occhiata poco convinta all’interno del carro, e distolsi lo sguardo, infastidito dall’odore.

“Oh, smettila di fare la principessina, in fondo è il principio che conta!” Gli occhi di Lina si illuminarono per un momento. “Questo è il vero spirito del mercante!”

“La principessina…?” Potei solo mugugnare. Mi guardai bene dall’osservare che più che un comportamento da mercanti il nostro era stato un comportamento da briganti. Lo spirito critico tende ad essere confuso, dopo aver visto in volto diversi uomini agonizzanti.

“Il fatto è che la gente è così prevedibile…” Proseguì Lina, ignorandomi. “Voglio dire, prendi il capo carovaniere… come poteva sperare nella fiducia del prossimo un tizio con un sorriso del genere? Con quei capelli unti, e con una fascia nera sull’occhio? Pareva gridare, ‘Ehi, sono qui e voglio rapinarti’!”

Soppressi un sorriso. Mai giudicare dalle apparenze, eh?

Scossi la testa, e le presi le briglie dalle mani. “Da’ qua.” Strattonai per sbaglio i finimenti, ed il cavallo, un pezzato di uno smorto color crema che fino a quel momento non aveva mostrato grande tolleranza, nitrì, infastidito. Lina mi rivolse un’occhiata perplessa, ma io mi limitai a sorriderle. “E’ il mio turno.” Spiegai. Lina mi sorrise a sua volta, e ritrasse le dita. Soffiò sui guanti, in una vana ricerca di calore.

Scrutai l’orizzonte, e non potei evitare un nuovo sospiro. Quel paesaggio sembrava non cambiare mai. “Sei certa di sapere dove stiamo andando, vero?” Le avevo rivolto quella domanda decine di volte. Era la stessa sensazione che avevo provato quelli che sembravano mille anni prima, viaggiando verso la guerra. La sensazione di non muovermi, di non andare da nessuna parte. Ora che ci pensavo, la steppa non mi piaceva per niente.

Lina emise un sospiro esasperato. “Te l’ho già detto, Gourry, l’ho chiesto al carovaniere mentre tu legavi i suoi compagni, e lui mi ha detto di puntare sempre a sud. Ti assicuro che non era motivato a mentirmi…”

Io levai le sopracciglia. “Glielo hai ‘chiesto’? Gentilmente e con un sorriso sulle labbra, suppongo…?” Stavolta ero io a non riuscire a mascherare l’ironia della mia voce.

Lina mi rivolse un mezzo sorriso. “Devo ricordarti che ti avrebbe volentieri tagliato la gola?”

Scossi la testa, rassegnato.

“Hai già pensato a cosa fare una volta arrivati a Talit?” Chiesi, tanto per distogliere l’attenzione dal paesaggio. “Credi che Enron o come si chiama concederà udienza?”

“Eriol.” Mi corresse mia moglie, automaticamente. “Suppongo gli convenga ascoltare chi gli chiede udienza, se vuole raccogliere alleati.”

Mi grattai la guancia, perplesso. “Sempre che ne abbia bisogno.” Non ricordavo i dettagli del discorso di Sylphiel, ma mi pareva di capire che fosse l’uomo che avremmo incontrato a godere di una posizione di forza, nella guerra imminente.

“Nuove braccia per combattere fanno sempre comodo.” Lina sbadigliò. “E comunque, se vuoi saperlo, ho intenzione di consegnargli la missiva e di filarmela il prima possibile. Non ho alcuna voglia di trovarmi a viaggiare nel mezzo di una guerra.” Si stiracchiò, e si levò per ritirarsi nel più riparato spazio fra le cortine tirate del carro.

Io sorrisi. “Lina Inverse che evita i guai. Questo sarà un giorno da ricordare negli annali.”

Mia moglie mi rivolse un’occhiataccia. “Ah, ah. Guarda che io i guai non me li cerco, mi capitano e basta.”

Avrei avuto qualcosa da obiettare, a riguardo. E lo avrei fatto, l’ironia ancora una volta aperta nella mia voce. Ma quando feci per parlare, la frase mi morì in gola.

Qualcosa all’orizzonte aveva attirato la mia attenzione. Le mie labbra tremarono per un momento, e mi parve quasi di avvertire il mio volto impallidire.

Lina sembrò accorgersene, perché levò lo sguardo, seguendo la direzione dei miei occhi. “Che c’è?” Domandò, vagamente. Per qualche istante fissò semplicemente la nuvola di polvere che schermava il paesaggio, senza capire. Ma prima ancora che io potessi rispondere, le sue labbra si schiusero, e i suoi occhi si spalancarono. “Che diavolo…?”

Mia moglie non poté terminare. Improvvisamente, quella che pareva una raffica di vento innaturalmente violenta scosse il carro, che si inclinò e si raddrizzò nuovamente con violenza, facendola crollare a gambe all’aria. Il cavallo si impennò e prese a nitrire furiosamente, mentre io tiravo disperatamente le redini, per fermarlo, evitando che prendesse a correre senza controllo.

“Che cosa…?” Lina si sollevò a sedere, reggendosi il cappuccio, e fissando esterrefatta il cielo. “Che cos’era quel coso???”

La bestia nell’aria virò e percorse nuovamente in picchiata il cielo sopra di noi. Ci sorvolò a quota talmente bassa che rischiò di scoperchiare il carro con gli artigli.

La mano di Lina strinse convulsamente il mio braccio. “Un drago nero!” Sibilò, rispondendo alla sua stessa domanda.

La bestia prese a disegnare rapidi cerchi nell’aria, dando l’impressione di voler atterrare. Lina si alzò nuovamente in piedi, e mi parve quasi di avvertire l’attività convulsa della sua mente mentre cercava di decidere come difendersi. Avrei dovuto aiutarla, forse. Ma in quel momento non potevo pensare proprio a nulla.

“Lina! Dammi una mano!” Il cavallo sembrava impazzito per il terrore. Continuava a scalpitare e ad emettere folli nitriti, rischiando di sfuggire al mio controllo. Mi calai giù dal carro, e afferrai la briglia, cercando disperatamente di calmarlo.

Mia moglie parve rendersi conto solo in quel momento della mia lotta. In un balzo fu al mio fianco e posò una mano sul muso della bestia, recitando una sommessa cantilena. L’animale la fissò per un momento con occhi terrorizzati. Nitrì, sbuffò attraverso le narici dilatate, si dimenò come se avesse avuto intenzione di investirla. Quindi si bloccò, con innaturale rapidità. Rimase immobile, lo sguardo fisso, perso in qualche strana, diversa dimensione.

“Cosa…?”

“E’ una variante dello Sleeping.” Tagliò corto mia moglie, ed io non ebbi il tempo di domandare altro. Il drago aveva spiegato le sue grandi ali, e si era abbassato nel cielo, pronto ad atterrare di fronte a noi. Istintivamente, mi posi di fronte a Lina, e sguainai la spada. Lina stessa aveva fatto fabbricare per me quell’arma magica alla Gilda di Zephilia, in occasione delle nostre nozze, ed ormai anch’essa aveva - nel suo piccolo- una sua storia gloriosa. Si era dimostrata efficace con creature dalla pelle piuttosto resistente, compresa una lumaca gigante dalla corazza squamata (un incontro che meriterebbe una descrizione a sé, posso assicurarlo). Tuttavia, parve cogliermi solo in quel momento l’inquietante consapevolezza che non la avevo mai testata contro un drago nero…

La bestia posò le zampe al suolo, sollevando una montagna di polvere, ed emise uno spaventoso ruggito. Io indietreggiai di un passo e col braccio libero dalla spada mi schermai dalle particelle di terra impazzite, mentre i miei occhi prendevano a bruciare in modo terrificante.

In quelle condizioni, non potei accorgermi immediatamente di ciò che si nascondeva fra le squame del drago. Quando la polvere prese a depositarsi, tuttavia, mi resi conto che, avvolto da un’armatura di scaglie nere, arrampicato sulla sella color mogano che pesava sul possente dorso della creatura, si ergeva un uomo. Il suo elmo scuro riluceva nel freddo sole invernale, con la stessa sfumatura metallica della schiena del drago. Sembrava un tutt’uno con la bestia che cavalcava. “Sir Gabriev.” Chinò la testa in segno di saluto, e rimosse l’elmo. Doveva avere non più di quarant’anni. Folti e crespi ricci di un biondo pallido, senza alcuna striatura di castano, si accompagnavano ad una pelle così chiara da apparire trasparente. Una ampia cicatrice gli solcava la guancia destra. Ma nonostante questo, nonostante i lineamenti duri, i primi segni dell’età sulla fronte, la mascella vagamente squadrata, quel pallore, tanto in contrasto con l’oscurità che pareva inghiottire la sua figura, gli conferiva una strana, peculiare eleganza.

“Sir Gabriev, vi stavo cercando. Speravo che steste seguendo questa rotta.”

‘Sir Gabriev’?

“Ho un messaggio urgente per voi. Mi dispiace se la mia apparizione improvvisa vi ha spaventato.”

Feci per aprire bocca e chiedere spiegazioni, ma non ne ebbi il tempo. Qualcosa di incandescente ed incredibilmente rapido sfrecciò vicino al mio orecchio, in direzione del cavaliere misterioso, facendomi sobbalzare. Il drago ruggì, scostandosi, ma la freccia di fuoco non lo avrebbe comunque colpito. Atterrò a diversi metri dalla creatura, sulla terra arida.

Era quello che Lina chiamava ‘colpo di avvertimento’.

Mi volsi. Sul volto di mia moglie era dipinta un’espressione di puro furore.

“Che diavolo vi salta in mente???” Lina scattò, i pugni serrati ed il volto livido. “Vi pare il caso di piombare addosso alla gente con un drago??? UN DRAGO!!! Potevamo finire disarcionati!!!”

Il cavaliere si accigliò. Con un movimento agile, scese dalla schiena della sua cavalcatura, e la blandì con un cenno della mano. La creatura sbuffò, ma l’ostilità che avevo avvertito irradiare da essa fino ad un istante prima si placò. Si attorcigliò su se stessa, e si stese al suolo, continuando a fissarci con i suoi penetranti occhi gialli.

L’uomo tornò a rivolgerci la sua attenzione. Il suo sguardo si soffermò deliberatamente su mia moglie, e vi lessi una complessa commistione di sentimenti. Timore, diffidenza, uniti ad una vaga punta di disprezzo.

“Credevo che una persona in grado di fare tale sfoggio di arte magica non potesse temere un drago.” Il suo tono di voce era freddo, ma tutt’altro che neutro. Il sarcasmo traspariva chiaramente dalle sue parole.

Lina doveva essersene accorta, perché le sue labbra ora erano una linea sottile. Scelsi di intervenire, prima che l’ostilità repressa degenerasse in qualcosa di peggio. “Chi siete?” Chiesi, mantenendo piatto il mio tono di voce. “E come ci avete trovato? Nessuno sapeva dove ci stavamo dirigendo, tranne i sacerdoti di Sailarg…”

Lina mi riservò una gomitata nel costato. Sapevo che cosa stava pensando. Se si trattava di un inviato della corte ufficiale, avevo rivelato qualche informazione di troppo. D’altra parte, per qualche motivo avevo l’impressione che quell’uomo conoscesse già su di noi tutto quello che c’era da sapere…

“Mi chiamo Bastian, Bastian della casata dei Vindicei, e servo il signore di Talit. Sono stato incaricato di scortarvi fino alla Perla. Vi verrà spiegata ogni cosa al vostro arrivo.”

“Scortarci?” Fu Lina a parlare. Notai che il suo sguardo vagava verso il drago, che la fissava con quieto interesse. Le sue pupille erano linee sottili, e i suoi occhi scintillavano nel riflesso delle sue scaglie. “Dal modo con cui ci siete venuti incontro, voi e questa creatura, avrebbe più l’aria di un sequestro.”

Il cavaliere la ignorò deliberatamente. “Questa strada attualmente non è sicura, per voi.” Si rivolse a me, con fare austero. “L’usurpatore sa che siete in viaggio verso Talit.”

Lina inarcò un sopracciglio, decisa a non mollare le redini della conversazione. “L’usurpatore? Mi risulta che proprio a Talit viva chi sta cercando di usurpare il trono.”

Il cavaliere le rivolse un’occhiata gelida. “Non discuterò con una maga della legittimità del potere del mio signore.” Il termine ‘maga’ doveva chiaramente suonare come un insulto.

Lina si accigliò ulteriormente. “Non mi interessa cosa farai o non farai, grand’uomo. E se anche il tuo ‘usurpatore’ in qualche imperscrutabile modo è venuto a sapere che stiamo viaggiando verso Talit, cosa di cui a quanto pare l’intero modo è ora a conoscenza, non vedo perché la cosa dovrebbe turbarmi. Io non c’entro nulla nei vostri stupidi giochi di potere.”

Il disprezzo del nostro interlocutore parve acuirsi. Quando parlò, dalle sue labbra si riversò la collera fredda di chi non ottiene l’obbedienza che gli spetterebbe di diritto. “Bene, allora potrai spiegarlo alle sue guardie, appena ti raggiungeranno, maga. Ma dubito che saranno così propense a ragionare con voi, considerando che c’è una taglia di mille monete d’oro sulle vostre teste.”

A quelle parole, sia Lina che io spalancammo gli occhi. Una taglia? UNA TAGLIA?

“Non escludo che siano già sulle vostre tracce. Dei guerrieri a cavallo si muovono molto più velocemente di un carro. Ve l’ho detto, non siete al sicuro qui. Giunti alla Perla saremo in grado di proteggervi.”

“Un momento!” La voce di mia moglie era alterata. Era segnata da quella punta di isteria che assumeva quando Lina avvertiva di stare perdendo il controllo. “Noi non abbiamo fatto nulla! Non siamo di questo regno, non vogliamo intrometterci nei suoi affari! Non hanno alcun diritto di…”

“Non è questione di diritti!” Il cavaliere aveva alzato la voce, ora. Il drago, alle sue spalle, sbuffò e batté la coda al suolo, infastidito. “Tu non capisci, maga, che è quell’uomo, attualmente, a decidere ciò che giusto e ciò che è sbagliato in questo regno! Ed è deciso a rimuovere dalla sua strada ogni ostacolo verso il potere! Non starà a sentire le vostre ragioni!”

“Ma noi non vogliamo ostacolarlo proprio in nulla!” Lina era esasperata. Ma per quanto ragionevoli, sentivo che i suoi argomenti non contavano. Il tono del cavaliere di fronte a noi era brutale, ma l’uomo non aveva l’aria di chi stesse mentendo.

“In ogni caso, siamo in grado di difenderci…” Azzardai. Il cavaliere parve ricordarsi solo in quel momento che anche io ero presente. Si ricompose, con eccezionale velocità, e quando replicò il suo tono di voce era tornato alla normalità. “Mi permetto di dissentire, Sir Gabriev. Quell’uomo sta… sta facendo ricorso alla magia…” Instillò tanto disprezzo in quella parola che per un momento mi stupii che Lina non lo avesse aggredito per quella semplice frase. “Una nostra squadra in ricognizione è stata spazzata via proprio su queste steppe, mio signore, da uno solo dei suoi maghi. Non lo si può sottovalutare.”

Lina ed io ci scambiammo un’altra occhiata. Un’intera squadra, da un solo mago. Samon doveva avere al suo servizio degli esperti di magia nera.

Mi accostai a mia moglie, inquieto. “Lina.” Sussurrai. “Forse faremmo bene a seguirlo. Quanto meno fino a quando non avremo capito che cosa sta succedendo…”

“No!” Sibilò mia moglie. “Non capisci? Non sappiamo se ci stia dicendo la verità! E a maggior ragione, se fosse vero, seguirlo ora sarebbe come affermare la nostra alleanza con Eriol! Io non voglio…”

Ma Lina non poté terminare. In quell’istante, il ruggito del drago si levò alto nell’aria. Ci volgemmo entrambi. La bestia si era sollevata sulle massicce zampe, e stava fiutando il vento. Dalle sue narici uscivano sbuffi di fumo.

Il cavaliere di fronte a noi si accigliò. Schioccò la lingua, richiamando l’attenzione del drago, e ne scrutò le pupille ridotte ad impercettibili fessure. La bestia batté ancora una volta la coda al suolo, inquieta. C’era qualcosa che non andava.

“Sono già qui.” Sibilò il cavaliere. Quindi, si volse verso di noi, con un tono autoritario che non ammetteva repliche. “Ho l’ordine di farvi arrivare sani e salvi a Talit. Lasciate perdere il carro. Montate su quel cavallo, e proseguite verso Sud, più velocemente che potete. A mezza giornata da qui troverete un nostro avamposto. Io nel frattempo cercherò di depistarli.”

Lina ed io ci fissammo. Cosa dovevamo fare? Seguire alla cieca le richieste di un uomo che non conoscevamo, o restare, per finire coinvolti in una battaglia con cui non desideravamo avere a che fare?

Gli occhi di mia moglie si strinsero, e la sua fronte si aggrottò. Quindi, con fare stizzito, prese a slegare il cavallo dai finimenti che lo tenevano fissato al carro. Feci per domandarle le sue intenzioni, ma la maga si limitò a rivolgermi un’occhiata che diceva chiaramente ‘a dopo le spiegazioni’. Le mie labbra si richiusero, così come si erano aperte.

Il cavaliere non attese di vederci obbedire. Si era già issato sulla schiena del drago, che con le ali spiegate si preparava a spiccare il volo. “Ricordate. Eriol garantisce tutta la propria protezione a chi lo sostiene.” Ci ammonì. Quindi ci volse le spalle, e con un balzò si levò nel freddo cielo invernale.

Lina finse semplicemente di non aver sentito. La osservai legare le nostre borse al dorso del cavallo, con un’ultima occhiata irritata al carro abbandonato.

“Lina…” Azzardai. La maga mi zittì semplicemente con un gesto.

“Per ora, andiamocene di qui.” Affermò. Io sospirai, ma non mi opposi. In effetti, era la cosa più saggia da fare.

Montai a cavallo dietro di lei, e afferrai le redini. Lina sussurrò qualcosa, forse un contro-incantesimo. La bestia parve ridestarsi. Un momento dopo, schizzavamo sul terreno secco e duro della steppa, muovendoci in direzione del sole.

“Che cosa credi significhi questa storia?” Gridai, quando fui ragionevolmente certo che mia moglie si fosse calmata a sufficienza per parlare.

Lina si appoggiò a me, sul cavallo. Anche attraverso le spesse vesti che ci separavano, mi parve di avvertire quanto il suo corpo fosse teso per l’irritazione. “Credo che qualcuno stia cercando di incastrarci per coinvolgerci in questa battaglia.” Sibilò. La sua voce era lontana. Sapevo che mentre mi parlava il suo cervello stava vagliando ogni ipotesi.

“Pensi che quell’uomo stesse mentendo per darci un motivo per sostenere Eriol?”

“Può essere.” Replicò, con freddezza. “Ma questo comunque non spiega come sapesse chi siamo, e come fosse a conoscenza del fatto che ci trovavamo qui.” Mi posò la mano sul braccio, ed io feci rallentare il cavallo, in risposta. Non spiegava nemmeno perché quell’uomo si rivolgesse a me con un titolo che non sentivo pronunciare da anni, pensai. Ma Lina nella rabbia pareva non essersi accorta della cosa, ed io decisi di lasciar perdere la questione, almeno per il momento. “Peraltro, non capisco perché dovrebbe desiderare un nostro coinvolgimento…” Proseguì mia moglie, ignara dei miei personali dubbi. “In più…” Tacque per un istante, come incerta su come porre la questione. “… un drago nero. Comandava un drago nero. Cosa può significare?”

“Eh?” Battei le palpebre. Sinceramente, non mi ero posto quel problema. Non era la cavalcatura più ortodossa del mondo, certo… ma da quando viaggiavo con Lina, avevo imparato a non stupirmi più di nulla. Ricordavo di quel monaco, Rezo o come si chiamava… anche lui era a capo delle creature più disparate, e la cosa non era mai parsa come una grande fonte di turbamento, per Lina…

Mia moglie scosse la testa, alla mia perplessità. “Non capisci, Gourry? Un drago nero non è un drago blu!”

Levai le sopracciglia, confuso. Bé, ok. QUESTO anche io potevo dirlo.

Lina emise un grugnito esasperato, rendendosi conto che non la stavo seguendo. “Gourryyyy…” Si volse sul dorso del cavallo, squadrandomi storto. “Intendo dire che i draghi blu non sono creature indipendenti. Se li addestri a dovere, puoi ottenere la loro fedeltà e la loro obbedienza, proprio come potresti fare con un cane.” In realtà, dubitavo che mi sarebbe piaciuto tenere un drago in giardino, ma mi guardai bene dal farlo notare a Lina in quel momento… “I draghi neri sono tutto un altro discorso, però! Sono creature intelligenti, e schive, ed è raro persino che vengano avvistati dagli uomini, figurati trattati come delle cavalcature!”

Io inclinai la testa, perplesso. “Però di fronte a quell’uomo non ti sei mostrata particolarmente stupita…”

“E dargli quella soddisfazione???” Lina strinse i denti per l’irritazione. “Quel grosso idiota non aspettava altro! ‘Ehi, sono un cavaliere, e guardate com’è grosso il mio drago’! Compensazione, ecco come si chiama!”

Tossii violentemente, per soffocare una risata.

“E comunque, per quanto ne so io, gli ultimi esemplari di drago nero vivono tutti insieme ai draghi dorati sui monti Kataart.” Lina proseguì, accigliandosi. “Mi chiedo se quello non sia un fuori casta, o qualcosa del genere. Si sa così poco sulla società dei draghi neri… c’è una infinita controversia fra gli studiosi riguardo al fatto che siano o meno in grado di assumere forma umana, tanto per cominciare… Sicuramente non si hanno testimonianze di trasformazioni da almeno due millenni, così come non ci sono resoconti attendibili di persone che li abbiano sentiti parlare in linguaggio umano…” Lina levò un dito nell’aria, con l’espressione acuta che assumeva quando era in procinto di impartire una lunga lezione di magia. “La mia professoressa di storia, a Zephilia, diceva sempre che gli antichi scritti a riguardo riflettono solo la stupida presunzione umana che creature nobili e antiche come i draghi neri possano desiderare assumere la nostra stessa forma… D’altra parte rimane il fatto che i loro remoti cugini, i draghi dorati, sono notoriamente dei muta-forma, e a mio modesto parere…”

“Ehm, Lina…” La interruppi. “… dubito che rispolverare millenni di storia della società dei draghi al momento risolva la nostra situazione…”

Sapevo che sarebbe volentieri andata avanti per un’ora buona, e normalmente sarei stato più che felice di lasciarla parlare (senza che ciò implicasse la mia attenzione…), ma in quel momento avevamo esigenze più pressanti. Stando a quanto ci aveva detto quel cavaliere, fra noi e Talit si interponeva un gruppo di uomini di Eriol, che ci stava aspettando. Quello era il momento di decidere se proseguire o tornare sui nostri passi.

Lina, alla mia intromissione, assunse un’aria vagamente delusa, ma non si irritò. Conclusi che, dopotutto, doveva essere giunta alla mia stessa conclusione. La mia testa sarebbe rimasta attaccata al collo ancora per un po’. “Suppongo che se decidiamo di proseguire verso Talit tanto valga mantenere la rotta e non cercare di aggirare gli uomini di Eriol. Dovremmo comunque affrontarlo, prima o poi, e in questo modo l’accesso alla città per noi sarebbe decisamente più semplice…”

“Magari se ci mostriamo pronti a collaborare Eriol prenderà in considerazione anche la lettera che stiamo portando…” Considerai, pensoso.

Lina si accigliò. “Non sono certa che sarei disposta a vendermi per Sailarg. Anche se non voglio pensare che Sylphiel c’entri in questa storia.”

Io levai le sopracciglia, colto di sorpresa da quella affermazione. “Sylphiel? Come potrebbe c’entrare Sylphiel?”

“Pensaci.” Replicò Lina, in tono pratico. “Non sono certa del motivo per cui Eriol dovrebbe avere bisogno di noi… ma supponiamo che sia solo perché necessita a sua volta di un esperto di magia nera, un’informazione che tutti potrebbero facilmente dedurre… o che comunque il fatto che ci stava cercando sia in qualche modo trapelato, e sia noto nelle varie città del regno. Cosa potrebbe essere più utile a Sailarg, per ottenere l’aiuto finanziario che le serve, che stringere accordi con lui, e farci arrivare direttamente nella sua roccaforte?”

Non seppi cosa rispondere. Avrei dovuto pensarci anch’io. Non ero uno sprovveduto, per quanto Lina dicesse che mi fidavo troppo delle persone. D’altra parte… come potevo anche solo concepire che Sylphiel ci stesse usando a quel modo?

Lina colse la mia espressione e mi sorrise, senza più traccia di irritazione. “Te l’ho detto, anch’io la penso come te.” Annuì. “Non posso pensare che Sylphiel c’entri qualcosa.” Avvertii le sue dita sulla mia mano, e per quanto gelide in quel momento mi parvero estremamente calde.

“Pensi che i sacerdoti di Sailarg abbiano agito alle sue spalle?”

Lina tornò alla serietà. “E’ un’ipotesi.” Si volse, scrutando la strada che si dipanava lentamente davanti a noi. “D’altra parte, questo potrebbe spiegare la taglia sulle nostre teste. Se anche Samon sa che Eriol ci sta cercando, non importa per lui conoscerne il motivo. Noi due siamo comunque una minaccia.” Si appoggiò lievemente a me, pensosa. “Anche se non sono certa che voglia ucciderci. Può essere che voglia semplicemente averci dalla sua parte, a sua volta.”

Rigirai le briglie fra le dita. Continuavo a non capire che valore potessimo avere noi due in una guerra come quella. “E quindi, cosa facciamo?” Domandai. La curiosità di scoprire di più si mescolava in me al desiderio irrazionale di andarmene, il più in fretta possibile.

Lina sembrava mossa da sentimenti simili. “Da un lato credo che la cosa migliore da fare sarebbe cercare di uscire dai confini di Elmekia senza essere coinvolti, e mettere quanti più chilometri possibile fra noi e tutta questa faccenda.” Dichiarò, pensosa. “D’altra parte, so perfettamente che se lo facessi continuerei per mesi ad avvertire il peso di qualcosa di lasciato incompiuto. Continuerei a chiedermi se non ci sia ancora qualcuno sulle mie tracce. Senza parlare della curiosità, che credo mi ucciderebbe.” Fece un breve sospiro, come rassegnata ai suoi stessi impulsi. Io sorrisi fra me.

“A parte questo, non è detto che sarebbe facile andarsene, non è così?” Aggiunsi. “Con draghi ed esperti di magia nera al seguito, potrebbero braccarci fino all’ultimo metro prima del confine.”

“Se non oltre.” Lina sbuffò. “Non so se hai presente quando siamo stati inseguiti dai cacciatori di taglie di mezzo mondo, per colpa di quel pazzo di Rezo.”

Sì, lo avevo presente. Non credo che avrei mai scordato quell’orribile vestito rosa e Bolan, non nei miei peggiori incubi.

“Suppongo che la cosa più saggia da fare sia raggiungere Eriol, e fargli capire chiaramente che non abbiamo intenzione di collaborare con lui.” Lina strinse il pugno, con un fare minaccioso che avrebbe spaventato anche il cacciatore di taglie più assetato di denaro.

“E se Eriol non accettasse un rifiuto?” Domandai, col sentore di conoscere la risposta.

“Bé, combatteremo.” Lina lo disse in tono leggero. Io sospirai.

Una vita tranquilla sarebbe stata una bella prospettiva per la vecchiaia, in fondo.

Se fossi arrivato alla vecchiaia.

Talit, con gli edifici bianchi e argento a cui doveva il suo soprannome, era una versione meno antica ed austera della città di Sailune. Ampia e vitale, aveva quell’aria di infinità possibilità che è propria di ogni città in via di sviluppo. Il pallore delle case e dei palazzi era scalfito solo laddove la salsedine ne aveva intaccato i muri. Ma il burrascoso mare invernale non scandiva il tempo unicamente con la sua azione distruttrice. Il suono incessante della risacca accompagnava il susseguirsi dei minuti, inesorabile, a mano a mano che le onde si infrangevano contro le alte scogliere su cui la città si ergeva. Quel pomeriggio, il candore delle mura si tingeva nel riverbero rosa pallido del sole calante, creando un alone diffuso che si levava a meridione, visibile in lontananza. Alle spalle del palazzo dei duchi, rese scure e minacciose dalla sera incombente, le imponenti catene montuose che da Elmekia si dipanavano verso il sud del continente prendevano forma in morbidi rilievi, erosi nei secoli dalla furia del mare. Mare e montagne, un connubio di difese naturali che spiegava la fama di inespugnabilità di cui quel luogo godeva nel regno.

Rimasi a fissare quel panorama maestoso, incantata. Era strano come dopo mille viaggi ci fossero ancora paesaggi in grado di accendere la mia immaginazione a quel modo. Probabilmente incidevano sulla mia percezione quelle due lunghe settimane di viaggio nel nulla. Negli ultimi giorni, ero arrivata a pensare che non avrei incontrato altro che terra arida per il resto dei miei giorni…

Gourry, al mio fianco, sonnecchiava appoggiato alla parete del carro. Avevamo deciso di darci il cambio, nel rimanere vigili, tanto per assicurarci che gli uomini di Eriol non tentassero qualche scherzo. In realtà, ormai cominciavo a sperare che facessero qualcosa. L’ultima settimana era stata di una noia mortale. Dopo un paio di giorni la pelle irritata delle mie gambe e la mia schiena indolenzita mi avevano impedito di continuare viaggiare a quel modo, per dieci ore al giorno, sul dorso del cavallo. Da quel momento, seduti sul carro insieme a selle ed armi, non avevamo fatto altro che dormire, mangiare e montare la guardia. Non potevamo nemmeno discutere liberamente fra noi, circondati come eravamo da profili minacciosi di soldati. Nessuno ci rivolgeva la parola, tutti parevano troppo impegnati a scrutare il nulla di fronte a loro in cerca della improbabile avanzata di una qualche armata nemica. Il risultato era che l’ansia era montata anche in me, cosa che trovavo estremamente irritante. Era difficile, in quello stato di tensione, continuare a convincere me stessa che gli affari di Elmekia non mi riguardavano.

Ad un sobbalzo del carro, Gourry aprì gli occhi di colpo. Avevamo intrapreso la salita che conduceva, in un tortuoso percorso sterrato, alle mura bianche della città. Le ruote del carro sollevavano sassi e polvere al loro passaggio, e lo stretto abitacolo oscillava pericolosamente ad ogni metro di avanzata.

“Buongiorno, raggio di sole.” Ridacchiai, al suo sguardo spaesato. “Non ci crederai, ma siamo quasi arrivati.”

Gourry mi sorrise, con fare sonnolento. “Non ero io a salutarti con quella frase, di solito?” Mugugnò, attirandomi a sé, e riservandomi un bacio in fronte. “Questo carro oscilla tremendamente.” Si lamentò. “Ti giuro che mi sono svegliato pensando di essere in mare.”

“Gradirei non rivedere il tuo pranzo di oggi sul mio mantello pulito.” Gli rivolsi un ghigno. Mentre mi abbracciava, notai il suo sguardo vagare verso il mare grigio che si intravedeva fra le cortine di tessuto grezzo, alle mie spalle. La Perla compariva e scompariva, seguendo il ritmo dei ripidi tornanti percorsi dal carro, lasciando a spazio a lontane visioni delle sconfinate lande che ci eravamo lasciati alle spalle.

“Non ero mai stato a Talit.” Commentò, dopo qualche istante, assorto. “Ma mio padre è venuto qui in visita. Fu quando il passato signore della città, il padre della regina di Elmekia, morì, e il fratello della regina venne nominato Duca dei Possedimenti del Sud. Ero ancora bambino, ma me lo ricordo bene. Mio padre faceva parte della scorta del sovrano di Elmekia, che si era recato qui con la moglie per il lutto, e, quando tornò, a casa mia se ne parlò per giorni interi. I cavalieri del suo seguito erano rimasti entusiasti di questa città, ed io me la immaginavo come una specie di paradiso in terra. Mi ripromisi di visitarla, un giorno, ma poi negli anni me ne sono dimenticato…”

“Non è una novità…” Sussurrai, malignamente. All’occhiataccia di Gourry scoppiai a ridere. “Se ti può consolare, anch’io avevo dimenticato per un momento che questo è anche il tuo regno.” Gourry si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso, e non fece commenti. Io non insistei. Il discorso sulla sua famiglia lo avevamo chiuso, ormai da molti anni.

“Laggiù! Fatevi identificare!”

Una voce si levò, lontana, oltre la parete di assi alle spalle di Gourry. Mi scostai dall’abbraccio di mio marito e mi sporsi dalla cortina sul lato opposto per vedere cosa stesse succedendo, ma dal retro del carro potevo solo scorgere soldati e polvere. Il cavaliere biondo che ci aveva sorpresi, piombandoci addosso con un drago, ora era fermo, in sella ad un cavallo bianco. Nell’istante in cui il mio sguardo lo intercettò, levò un braccio a mo’ di silenzioso segnale, ed anche il nostro carro si arrestò.

Bastian dei Vindicei ci aveva raggiunti sul suo drago qualche ora dopo che avevamo incontrato l’avamposto di Eriol, una settimana prima. Doveva essere lui a capo delle truppe, perché solo allora, e solo al suo ordine, gli uomini del sovrano ribelle si erano decisi a rimettersi in viaggio verso Talit. Con mio scorno, il drago nero non ci aveva accompagnati. Era volato via prima della nostra partenza, impedendomi di vivacizzare la mia settimana cercando di scoprire qualcosa di più a suo riguardo. Da allora il cavaliere dai capelli biondi aveva sempre cavalcato a pochi metri dal carro, non risparmiandomi occhiate torve ogni volta che incrociavo il suo sguardo. Avrei giurato che mi stesse tenendo d’occhio.

“Sono Bastian, Rodrick. Abbiamo condotto con noi Sir Gabriev e la maga.”

“Bastian.” Giunse una voce in risposta. “Eccoti, per gli dei, quel dannato drago si è presentato qui da solo giorni fa!!! Io e te dovremo scambiare due paroline su come devi gestire quella bestia!!!”

“Non è il momento, Rodrick.” Intimò semplicemente il cavaliere, scuro in volto. Il suo interlocutore si zittì, e si avvertì un pesante cigolio di cardini, mentre i portali della città venivano aperti per noi.

Quasi simultaneamente, il carro si rimise in movimento. Io ritirai la testa, e tornai a sedermi, sbuffando.

“Ci siamo, eh?” Commentò Gourry, con la consueta, pacata noncuranza.

“Spero che il biondo là fuori non decida di mostrarsi troppo tronfio di fronte a Eriol per il fatto di averci condotti da lui.” Mi limitai ad osservare, acidamente. “Non mi sorride molto l’idea di essere la fonte di un suo successo.”

Gourry sorrise vagamente, ma non replicò nulla. Il carro proseguì ancora per diversi minuti, in una lieve salita, quindi altri portali vennero spalancati per noi, e la processione ancora una volta si arrestò. Una mano guantata separò le cortine all’ingresso del carro, facendo penetrare nell’abitacolo la luce ormai spenta del tramonto.

“Scendete.” Intimò la voce di Bastian, dura. “Fra poco incontrerete il legittimo sovrano di Elmekia.”

Avrei avuto qualcosa da dire riguardo a quel ‘legittimo’, ma per una volta mi morsi la lingua ed evitai di creare discussioni. Se gli dei lo volevano, quella sera avrei consegnato la missiva ad Eriol, e poi non avrei più dovuto vedere l’irritante faccia di Bastian per il resto dei miei giorni.

Gourry mi precedette fuori dal carro, e mi porse la mano per aiutarmi a scendere gli stretti gradini in legno, resi più impervi dall’oscurità incombente. Fino ad un momento prima ero stata intorpidita dalla lunga immobilità, ma il vento gelido del tardo pomeriggio bastò a svegliarmi. A quella quota, vicino al mare, era, se possibile, ancora più freddo che sugli altopiani al centro del regno. Anche lì, al riparo delle mura, giungeva l’odore della salsedine, accompagnato dal rumore ossessionante delle onde. Il vento correva fra le file di pini sulle pendici delle montagne, producendo un cupo scroscio, simile al rumore della pioggia. L’aria era frizzante, e carica di umidità. Quella notte minacciava tempesta.

“In effetti al buio il panorama non appare così ridente…” Sussurrai. Il mio fiato si condensò in sottili nubi di fronte al mio viso, ed io rabbrividii, stringendomi nel mantello. Ora non mi sembrava più così spesso come era apparso mentre viaggiavo riparata da un tetto di assi. Avrei dovuto toglierlo finché ero a bordo del carro, ma il mio amore per il caldo aveva avuto il sopravvento.

Gourry mi circondò le spalle con un braccio, forse per scaldarmi, forse anch’egli in cerca di calore. Lo vidi osservare curiosamente il cortile in cui ci trovavamo, lastricato di bianco, che si apriva ai lati su ampi giardini, ora avvolti nelle tenebre. Un largo viale centrale correva dai portali sino alle bianche mura del palazzo, dalle cui finestre filtrava la luce di fiamme che promettevano cibo e calore. Potevo immaginare i servitori muoversi nei corridoi alla luce delle torce, allestire tavole, approntare le cucine. Improvvisamente, mi resi conto di essere terribilmente affamata.

Bastian affidò il suo cavallo ad un giovane scudiero, apparso dall’oscurità sulla nostra sinistra. Gli uomini che ci avevano accompagnati presero a disperdersi, trasportando spade e scudi, presumibilmente in direzione dell’armeria, e di un rinfrancante boccale di birra. Il cavaliere biondo invece, si allineò di fronte a noi, e con un gesto sbrigativo ci fece cenno di seguirlo.

Ci incamminammo per il viale, e quindi sulle gradinate che conducevano all’ingresso. Non entrammo dal portale principale, ma attraverso una porta sulla sinistra, che si apriva su una sorta di guardiola, ora vuota. Forse si trattava di un luogo in cui normalmente agli estranei era imposto di abbandonare le proprie armi, ma fui lieta che quella sera tale consuetudine non ci fosse richiesta. Io avevo sempre la magia, ma mi sentivo più al sicuro sapendo che Gourry portava la sua spada, nel fodero.

“Il mio signore vorrà godere della vostra compagnia durante la cena, suppongo.” Bastian si fermò nell’ampio atrio, illuminato solo debolmente dalla luce delle torce, e si liberò con noncuranza del mantello. Un servitore tanto esile da apparire quasi ridicolo, a confronto con il massiccio cavaliere, si fece avanti, e fu pronto ad afferrare la pesante veste prima ancora che Bastian potesse domandarglielo. “Conducili da lui, senza indugiare.” L’uomo si rivolse al gracile sottoposto, con solo un breve cenno. Il servitore si inchinò, e si affrettò ad aiutarci a rimuovere anche i nostri mantelli. Brian ci studiò per qualche lungo istante. “Sono certo che il mio signore vi attende con ansia.” Affermò poi, asciutto. Il suo tono di voce era neutro, e non riuscii a leggervi alcun accenno di soddisfazione. Se era compiaciuto del suo lavoro, non aveva intenzione di mostrarlo apertamente.

Rimase per qualche istante in silenzio, forse attendendo una nostra reazione, che non giunse. Quindi, con mio grande stupore, ci rivolse un breve inchino. Prima ancora che avessimo realizzato il suo gesto, tuttavia, si era già levato. Lo osservammo affrettarsi, e scomparire in uno dei corridoi laterali.

Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata, ma non ci fu tempo di fare commenti. Il servitore si era già avviato, in uno spedito trotto, lungo uno dei corridoi sul lato opposto, stringendo ancora fra le dita il mantello del nostro accompagnatore. Ci affrettammo al suo seguito, passando arazzi e ritratti, e pareti di grigia pietra, fino a giungere ad un più piccolo atrio, in cui alle torce si accompagnava il vivace scoppiettare di un camino. Il servo si chinò, e ci apostrofò con voce impostata ad un neutro rispetto. “Il sovrano ha scelto di disertare la sala grande, per questa sera, miei signori. Vi riceverà nella sua stanza da pranzo privata.” Fece un cenno verso un grande portale ad arco, e si inchinò nuovamente. Quindi, senza attendere una nostra replica, trottò nuovamente via, ripercorrendo i suoi passi verso l’ingresso.

Gourry ed io, finalmente soli, potemmo scambiarci un’occhiata perplessa. Cos’erano tutte quelle formalità? E quella ostentazione di fiducia? Ci lasciavano entrare nel palazzo completamente armati, senza una scorta di guardie a tenerci d’occhio, e potevamo cenare al cospetto del sovrano?

“Non sono solo io a trovarlo strano, vero?” Sussurrò Gourry, squadrando la porta dietro cui, presumibilmente, Eriol ci attendeva.

“Si può dire che Eriol voglia metterci a nostro agio sin dall’inizio.” Replicai. Non mi piaceva per niente. Sentivo puzza di coinvolgimento forzato, e non avevo voglia, non avevo la minima voglia di essere manipolata come una stupida pedina. “Suppongo che non abbiamo grande scelta.” Sospirai, comunque. Ormai eravamo arrivati fin laggiù, e dubitavo che ci sarebbe stato permesso di andarcene prima di essere ricevuti.

Levai il pugno, e battei sul solido legno. Quasi simultaneamente, una voce compiaciuta si levò dall’interno. “Avanti. Avanti, siete i benvenuti.”

Spinsi il portale di fronte a me, e avanzai nella luce soffusa della stanza.

La sala era piuttosto ampia, ma calda, e accogliente. Un tappeto rosso ricopriva il pavimento in pietra per quasi tutta la sua superficie, frenando il gelo, e torce la rischiaravano su ogni parete, accompagnandosi ad un ampio camino sul muro a settentrione. Di fronte a noi, una parete di finestre si apriva sullo scenario buio dell’esterno. In quella direzione doveva esserci il mare, ma trovandoci al piano terra supponevo che di giorno si avesse semplicemente una visuale dei giardini.

Poltrone e un tavolo da scacchi riposavano di fronte al camino, e sulla parete opposta una enorme carta geografica avrebbe normalmente attratto la mia attenzione, ma in quel momento i miei occhi si concentrarono sull’elemento più vistoso della sala, la tavola riccamente apparecchiata che troneggiava al suo centro. Sei posti erano stati approntati. Dopotutto, Eriol non aveva intenzione di riceverci da solo.

I nostri ospiti occupavano già la stanza. Un uomo attraente ci attendeva in piedi davanti alla porta, il volto sorridente incorniciato da capelli folti e scuri, e illuminato da penetranti occhi verdi. Doveva avere circa trent’anni, e supposi che si trattasse dell’erede al trono. Per qualche motivo, il suo bel viso e il suo fisico asciutto mi colsero di sorpresa. Probabilmente ero stata influenzata dalla mia scarsa simpatia per i suoi cavalieri, ma lo avevo immaginato di aspetto decisamente meno gradevole.

Seduti accanto al camino si trovavano un uomo e una donna, apparentemente di una ventina d’anni più anziani. Rimasi colpita dalla loro somiglianza. Capelli castani, e gli stessi occhi verdi del principe. I loro lineamenti erano straordinariamente affini. Volti appuntiti e un naso vagamente arcuato, che conferiva loro un profilo aristocratico. Anche seduta, la donna appariva particolarmente alta, e aveva un’aria austera, nella sua veste di velluto verde ed argento. Mi chiesi se fosse la madre di Eriol. Non sapevo quanto più anziano del fratello fosse Samon, ma doveva avere partorito i suoi figli quando era ancora piuttosto giovane…

L’uomo che doveva essere il suo gemello si alzò. Notai che camminava a fatica, per una protesi di legno che gli sostituiva la metà inferiore della gamba destra. Un tempo anche lui doveva essere stato attraente, ma la sua aria arcigna e le rughe stranamente marcate non giocavano a favore del suo aspetto. Ci squadrò a lungo, con una ostilità che non mi piacque, ma quando parlò lo fece in modo inaspettatamente pacato. “Accomodatevi.” Una voce profonda, raschiante. “Non ha senso discutere a stomaco vuoto.”

Si sedette a capotavola, senza attendere che il principe lo precedesse. Il suo sguardo vagò verso una sedia in angolo, e seguendolo mi resi conto che c’era un’altra persona nella sala. Era stata tanto silenziosa ed immobile che la mia mente non aveva registrato la sua presenza.

“Livia!” Gracchiò l’uomo. “Stupida ragazzina! Cerca di renderti utile una buona volta, c’è il vino da servire!”

La giovane sussultò. Doveva avere al massimo quindici anni, e la sua pelle aveva lo straordinario candore di chi ha passato la maggior parte della sua esistenza lontano dalla luce del sole. I suoi capelli corvini, lasciati ricadere in morbide onde sulle spalle, ricordavano quelli del principe, ma erano i suoi occhi verdi a rivelare il suo legame di parentela con gli altri occupanti della sala. Mi chiesi se si trattasse della figlia di Eriol. Sembrava così spaventata che, pur non conoscendo la sua situazione, non potei evitare di provare un impeto di compassione, nei suoi confronti.

“Georg.” La madre di Eriol posò una mano sulle spalle della ragazza, che aveva preso ad alzarsi, e la indusse a rimanere al suo posto. “Non spaventare tua nipote. E’ già abbastanza difficile, per lei.”

L’uomo chiamato Georg eruppe in una risata senza gioia. “Non parlarne come se fosse colpa mia, Erianna. Non sono stato io a portarla QUI.”

Il volto della donna si indurì. “Starebbe benissimo, QUI, se tu la trattassi in modo consono al suo rango. In quanto a voi…” Mi scoccò un’occhiata che bastò a farmi scendere un brivido lungo la schiena. “Come vi è stato detto, potete accomodarvi.”

Gourry ed io ci scambiammo uno sguardo, prima di procedere lentamente verso i due posti più vicini. Eriol si sedette vicino a me, fissandomi con un’insistenza sufficiente ad imbarazzare me e a infastidire Gourry, almeno a giudicare dall’espressione che mio marito vestiva in quel momento.

La tensione si rilasciò momentaneamente per l’arrivo dei servitori con il cibo. A quanto pareva, ci attendeva una cena a base di carne. Il cinghiale era stato tagliato in grosse fette sugose, che emanavano un aroma di miele e succo di limone. Spesse salsicce erano state disposte su un ampio vassoio, attorniate da pomodori cotti e cosparsi d’olio. Fette di quello che poteva essere cervo, ricoperte di spezie, e fette di prosciutto scottato alla griglia erano circondate, su un diverso piatto, da verdure di ogni tipo. Pane bianco abbrustolito venne disposto al centro della tavola, e insieme ad esso pane nero, cosparso di un sottile strato di burro giallo pallido.

Quella che si dice una modesta cena in famiglia.

I nostri bicchieri vennero riempiti. Avvicinai il mio al naso, e odorai. Un vino rosso dal sentore talmente intenso da farmi girare la testa ancora prima di assaggiarlo. Mi chiesi se anche quello fosse stato deliberatamente scelto per aiutarci a ‘metterci a nostro agio’…

“Onorate la tavola, vi prego.” Eriol mi rivolse un lungo sorriso. “So che questo banchetto non è nemmeno degno di esservi presentato, ma il vostro arrivo ci è stato annunciato solo poco fa… Domani rimedieremo, ma ora non fate complimenti, fatelo per compiacermi.” Mi fissò, intensamente, e improvvisamente mi resi conto che non era semplicemente un uomo attraente. Era un uomo attraente, e consapevole di esserlo.

Le mie labbra si strinsero. Dopo il trattamento freddo da parte dei soldati di Eriol, non mi ero aspettata un atteggiamento diverso da parte di nessuno, a Elmekia. Era risaputo che la nobiltà del regno, pur trattando con rispetto la magia sacerdotale, non vedeva di buon occhio quella nera e offensiva. Anche l’ignoranza di Gourry a riguardo era per molti aspetti dovuta a questo. La sua famiglia apparteneva alla piccola aristocrazia, la più tradizionalista e chiusa, e non gli erano stati impartiti nemmeno i fondamenti di un’arte in cui io, provenendo da Zephilia, ero stata immersa sin dalla prima infanzia. In effetti, la tolleranza che lo spadaccino aveva sempre dimostrato anche verso gli aspetti più oscuri del mio mondo non era affatto scontata, con la famiglia che aveva alle spalle.

Sotto la tavola, strinsi per un momento le dita di mio marito. Gourry mi guardò con fare interrogativo, ma in quel momento non c’era modo di parlare fra noi. La tavolata aveva già preso a mangiare silenziosamente. Georg ingollava lunghe sorsate di vino ad ogni boccone, e Livia gli lanciava continue occhiate impaurite, sbocconcellando prosciutto insieme ad una fetta di pane. Gli occhi della regina e del principe, invece, erano tutti per me. La donna sorseggiava vino e mi fissava con sguardo gelido, una fetta di cinghiale ancora intatta nel piatto. Il figlio si portava alle labbra piccoli bocconi di salsiccia, continuando a lanciarmi sorrisi incoraggianti.

Con un sospiro, mi servii di una porzione di carne. Se l’erede al trono mangiava con tutto quell’entusiasmo, supponevo che non fosse avvelenata. Gourry mi imitò, e per qualche istante solo il rumore delle posate spezzò il silenzio della sala.

“Immagino che i miei soldati vi abbiano illustrato la situazione.” Fu la regina ad intraprendere la conversazione, in tono controllato. “La situazione per voi, intendo. Le storie su di voi mi fanno supporre che non siate tanto sprovveduti da esservi inoltrati nel regno senza sapere nulla della guerra incombente.”

Mi accigliai. A quanto pareva, la regina non aveva intenzione di giocare a carte scoperte. Immaginavo di dover fare lo stesso. “In effetti, ad un certo punto qualcuno deve avere accennato ad una taglia…” Cercai di mascherare il mio sarcasmo, con scarsi risultati. Gourry, al mio fianco, parve improvvisamente sul punto di strozzarsi con un boccone di salsiccia, e dovette bere un lungo sorso di vino.

Anche la regina si concesse un sorriso, non compresi se di circostanza o di reale apprezzamento. Quando parlò, tuttavia, nella sua voce non c’era traccia di allegria. “Temo che la colpa della taglia sia nostra.” Dichiarò, in tono conciliante. “Il mio figlio maggiore ha assoldato un esperto di magia nera, fra le sue truppe. Lui non gode come i miei cavalieri dell’appoggio di tre draghi neri, ma quelle creature non usano la magia, e i maghi veramente bravi ad Elmekia sono perle rare. Per questo, abbiamo offerto una grossa ricompensa a qualunque esperto di magia voglia essere assoldato come mago di corte, per la difesa del castello.” La regina parlava col raziocinio di un comandante consumato. I ‘suoi’ cavalieri, a quanto pareva, avevano una ferma guida.

“Samon deve avere saputo che ci stavamo dirigendo qui, e avere pensato che eravamo una minaccia per lui.” Conclusi per lei, cauta.

La regina annuì. “La vostra fama, in fondo, è nota nel regno.” La sua voce era bassa, quasi suadente.

Mi accigliai. C’erano diversi aspetti del suo discorso che non mi convincevano… e, sinceramente, non ero così certa che i draghi neri non praticassero magia… “Immagino che ora che siamo qui nulla potrà convincerlo che non ci muoviamo al vostro servizio.”

La regina sorrise. Il discorso stava seguendo esattamente il corso che desiderava. “Non dovete preoccuparvi. A prescindere dal fatto che accettiate o meno di lavorare per noi, ci impegniamo a garantirvi la nostra protezione.” Se ci avesse messo un po’ più di calore, la sua sollecitudine nei nostri confronti avrebbe quasi potuto apparire reale. “Potrete rimanere a palazzo fino alla fine della guerra, se lo desiderate. Dubito comunque che quel momento sia molto lontano…” La sua sicurezza mi fece pensare che ne fosse realmente convinta.

“E’ molto onorevole da parte vostra.” Dichiarai, senza pensarlo realmente. Sapevo cosa la regina aveva in mente. Se il palazzo fosse stato attaccato mentre noi ci trovavamo al suo interno, non avremmo potuto fare a meno di difenderci comunque.

“E’ un nostro dovere, considerando che i vostri problemi nascono da noi. Scoprirete che i sovrani di Elmekia tengono sempre fede ai valori cavallereschi a fondamento del regno.” Il suo sguardo si soffermò per un momento su Gourry. “Lealtà e Giustizia.” Recitò, con scarso entusiasmo.

“Comprendo.” Mi accigliai. “Tuttavia…” Non sapevo nemmeno io come terminare. Non sapevo ancora a cosa ci avrebbe condotti un rifiuto.

“Oh, no, non rispondetemi ora.” La regina si affettò a interrompermi. “Non lasciamo che pensieri e decisioni turbino questa serata. Mangiate e riposatevi, per oggi. Suppongo che non possa dispiacervi una notte in un comodo letto.”

“Suppongo… di no…” Replicai, con prudenza. Gourry mi rivolse un’occhiata curiosa, forse chiedendosi cosa avessi in mente, ma in realtà nemmeno io lo sapevo con certezza. Supponevo che una notte di tempo per capire come tirarci fuori da quella faccenda, in fondo, non sarebbe guastata.

“Sono felice che mia madre vi abbia persuasi.” Eriol ci apostrofò, in tono compiaciuto. “L’ospitalità di Talit è proverbiale. Scommetto che una notte basterà a farvi desiderare di rimanere qui per sempre…” Mi fissò, intensamente.

Vicino a me, Gourry si agitò, a disagio. “Ad ogni modo, non ci avete detto come sapevate che saremmo giunti qui…” Parlò, per la prima volta da quando eravamo entrati nella stanza. La sua domanda solo all’apparenza era innocente. Il sospetto circa i sacerdoti di Sailarg ci aveva tormentati per l’intera settimana.

“E’ stata una scoperta casuale, in realtà.” La risposta della regina fu tanto pronta da far pensare che quelle parole fossero state preparate in precedenza. “Un nostro esploratore ha saputo da dei mercanti di Sailarg della taglia, e ha sentito che eravate stati visti unirvi ad una carovana diretta a Talit. La nostra è stata solo una deduzione.”

I sospetti assunsero sempre più la forma di certezza. “Curioso.” Dichiarai, senza riuscire a tenere a freno la lingua. “Sapevate che ci stavamo dirigendo qui, ma non ne conoscevate il motivo. Eppure avete dato per scontato che non ci muovessimo attratti dall’incarico che offrite, e non ci avete nemmeno chiesto il motivo del nostro viaggio…”

Le labbra della regina ora erano strette in un sorriso venato di irritazione. Era chiaro che non eravamo degli sprovveduti, ed era chiaro che avevamo mangiato la foglia. La vidi ingaggiare una breve lotta psicologica con se stessa, chiedendosi come rispondere alle nostre provocazioni. Alla fine, parve risolversi per il mantenimento di un atteggiamento conciliante. “Stavo appunto per chiedervelo.” Dichiarò, con falsa cortesia. “A cosa dobbiamo l’onore della vostra visita?”

“Portiamo una missiva da parte del tempio di Sailarg.” Replicai, estraendo la busta sigillata da una delle tasche della mia tunica. “Suppongo di potervela consegnare e considerare concluso il mio compito senza recare la risposta. Sono certa che i vostri canali di comunicazione e trattativa con Sailarg sono più che efficaci.” Ancora una volta, non fui abile nel mascherare il mio sarcasmo.

“In effetti sì.” La voce della regina tradiva rabbia, ora. Il gelo dei suoi occhi si era trasferito alle sue labbra.

Non molte altre parole vennero scambiate nel corso della cena.

Diverse ore dopo, stavamo risalendo i gradini della torre in cima alla quale erano stati preparati i nostri alloggi. A detta di Eriol, le nostre stanze erano uno dei punti del castello dai quali la visuale era più suggestiva. Tuttavia, dubitavo che quella sera avremmo potuto apprezzare appieno la vista. Al di fuori delle strette finestre della torre, tutto ciò che era visibile era il fitto muro di oscurità di una notte senza stelle. L’unico suono che giungeva alle nostre orecchie era il rumore incessante dell’infrangersi delle onde. Mi stupii che si sentisse anche da lassù. Non sapevo se fosse per l’atmosfera calata sulla città dalla guerra incombente, ma la notte di Talit appariva straordinariamente silenziosa.

“Lina…” Gourry mi apostrofò, per l’ennesima volta da quando, lasciati soli dai nostri ospiti, avevamo intrapreso quella scalata. “Si può sapere che cosa pensi di fare?”

La realtà era che non lo sapevo. Solo qualche ora prima avrei risposto che il giorno successivo ce ne saremmo andati, e che non avrei sentito ragioni… tuttavia, in quel momento, non ero più tanto sicura di ciò che fosse giusto fare. Non era tanto per la ricompensa promessaci, che dopo la cena Eriol aveva quantificato, e che era effettivamente ricca. Piuttosto, l’atteggiamento della regina e di suo figlio mi aveva lasciata… disarmata. Non so dire che cosa mi ero aspettata esattamente… probabilmente, che usassero la loro autorità per cercare di convincerci a restare… E invece, se come era prevedibile dopo cena il discorso era tornato sulla questione del nostro ingaggio, come non era prevedibile avevamo finito col congedarci come vecchi amici ritrovatisi per una cena. Nessuna pressione, nessuna minaccia. Sembrava che, se avessimo desiderato andarcene, avremmo dovuto semplicemente ringraziare per l’ospitalità, e dire arrivederci.

Eppure, a quel punto era ovvio che la regina aveva promesso qualcosa a Sailarg in cambio di quella messinscena sulla missione, e dubitavo che si sarebbe presa il disturbo di farlo se non avesse avuto la certezza che ci saremmo fermati. Forse lei e suo figlio ritenevano che per noi la scelta migliore fosse ovvia? Che non fossimo tanto sciocchi da rifiutare denaro e protezione, quando ci venivano offerti su un piatto d’argento? E se era così… non era possibile che avessero ragione…? Per quanto mi sentissi in trappola fra quelle quattro mura, per quanto fermarmi mi sembrasse una perdita di tempo, se c’era davvero una taglia sulla nostra testa non era meglio sopportare per qualche settimana che venire perseguitata da cacciatori di taglie fino alla fine della guerra? Il mio orgoglio si ribellava all’idea che la regina ci manipolasse, ma il mio buon senso cominciava a suggerirmi che decidere sulla base del mio primo impulso poteva non essere la scelta migliore… Potevo sempre tornare a Sailarg una volta finita la guerra, e pretendere comunque la mia ricompensa. In quel modo, forse, non mi sarei sentita così fastidiosamente usata.

“Tu che cosa pensi?” Rigirai la domanda, sperando che l’opinione dello spadaccino potesse chiarirmi le idee.

“Bé…” Gourry parve esitare. “Per la cifra che ci hanno offerto, parrebbe un lavoro facile…Voglio dire, non dobbiamo nemmeno scendere in battaglia, non è così? Dovremmo solo difendere la città in caso di attacco, e non è detto che le truppe della capitale giungano fino a qui…” Il suo tono di voce non era convinto.

Le mie labbra si strinsero. “E non ti infastidisce l’idea di agire esattamente come la regina e suo figlio si aspettano da te?”

Gourry sospirò. “Non è tanto questo il problema…” Replicò, incerto. “E’ che… sono stupide questioni di potere. Non sono certo di voler combattere una battaglia del genere.” Il suo tono di voce era stanco, come se fosse stata una vecchia questione di cui non aveva più voglia di sentir parlare.

Mi arrestai, tanto all’improvviso che Gourry fu sul punto di travolgermi. Mi volsi a fronteggiarlo. “Forse dovremmo davvero rifiutare.” Dichiarai. “In fondo noi non siamo comuni mercenari, giusto? Voglio dire, possiamo scegliere per chi lavorare…”

Ci fu un istante di silenzio, mentre Gourry mi esaminava in volto. “La regina… non ti piace, non è così?”

Mi accigliai. “Non è questione di piacere o non piacere.” Scrutai il buio all’esterno di una delle finestre. “Erianna è un generale al comando del suo esercito. E’ chiaro che Eriol si limita a seguire le sue direttive. E sarei pronta a scommettere, invece, che Samon le si è contrapposto apertamente dopo la morte del padre.” Il mio sguardo si soffermò su una luce lontana, forse la lanterna all’ingresso di una locanda, che oscillava al vento. “Non so esattamente perché la abbia intrapresa, ma questa è la sua guerra, non quella di Eriol. E il punto è che vuole usare anche noi come sta facendo con suo figlio. E’ questo che non riesco ad accettare.”

Gourry si limitò a tacere. Seguì il mio sguardo, e anche lui per qualche istante rimase fermo, a fissare l’oscurità. Quindi, emise un sospiro, e mi pose una mano sulla spalla. “Dicono che la notte porti consiglio.” Dichiarò, gentilmente. “E’ stata una lunga giornata, Lina, e non possiamo ragionare lucidamente. Magari domattina le cose ci sembreranno più chiare.”

Dovetti sorridere, a quel semplice suggerimento. In fondo aveva ragione. La stanchezza a volte rendeva insormontabili i problemi più banali.

Mi levai in punta di piedi, e gli baciai brevemente le labbra. “Cosa farei, senza di te?” Mormorai. Gourry mi fissò con l’aria di chiedersi se stessi scherzando, ma io gli rivolsi un sorriso, e l’espressione dello spadaccino si rilassò. Le sue labbra si schiusero, e parve sul punto di dire qualcosa, ma all’improvviso la sua fronte si aggrottò. La sua mano, ancora poggiata sulla mia spalla, strinse con più forza.

Seguii la direzione del suo sguardo. “Cosa…?”

“C’è qualcuno.” Sussurrò, secco.

Me ne resi immediatamente conto anch’io. Un rumore di passi scendeva lentamente verso di noi dall’oscurità dei piani superiori della torre. Qualche istante dopo, una debole luce di torcia comparve dietro l’angolo della gradinata.

Non feci in tempo a chiedermi se dovevo allarmarmi. Una figura esile fece la sua apparizione in cima alla scala, pallida come un fantasma, alla luce del fuoco. Quando si accorse che c’era qualcuno, sussultò, e nascose frettolosamente qualcosa al di sotto del mantello.

“Livia?” Feci un passo avanti, ed evocai una sfera di luce, in modo da renderci visibili. La ragazza la osservò con stupore. Quindi, i suoi occhi incrociarono i miei e una comprensione mista a meraviglia si disegnò nel suo sguardo. Il suo volto riacquistò diverse tonalità di colore.

“Oh.” Disse semplicemente, con voce flebile. “Scu… scusatemi.” Fece per sorpassarci, ma io mi spostai lievemente a lato, e la bloccai. Non seppi perché lo feci. Forse solo per la curiosità di sapere cosa ci faceva in giro per il palazzo, in piena notte, una ragazzina che qualche ora prima era sembrata felicissima di essere spedita nelle sue stanze dalla voce autoritaria della regina.

Livia mi fissò con timore, ma io le rivolsi un sorriso. Non avevo intenzione di spaventarla. “Cosa ci fai, qui?” Le domandai, gentilmente. Colsi, in un movimento del suo mantello, una fugace visione del misterioso oggetto che stava nascondendo… un libro, di un insolito color rosso acceso, rilegato con finiture dorate.

Nonostante la luce debole, ebbi l’impressione di vederla arrossire… “In… in cima alla torre… sopra gli appartamenti… c’è una biblioteca…” Abbassò lo sguardo. Evidentemente, a suo avviso, quella constatazione doveva spiegare ogni cosa…

Aggrottai la fronte. “Ma che bisogno hai di andarci a quest’ora della notte?”

La ragazza sembrava incerta su come reagire al mio interrogatorio. Parve risolversi ad un atteggiamento più dignitoso, però, e levò la schiena, costringendosi a guardarmi negli occhi. “Lord… Georg…” Parve trovare difficoltoso pronunciare quel nome… “Lui… non approva che io legga… dice che è… una perdita di tempo…”

Mi accigliai. Questo Georg cominciava ad apparirmi decisamente ottuso…

“Però…” Livia proseguì, continuando a sostenere il mio sguardo. “A casa, mia madre faceva arrivare a palazzo libri da ogni regno nel continente… storie di dame, cavalieri e maghi…” I suoi occhi si illuminarono lievemente. “E durante le feste, mio padre faceva suonare per me e per mia sorella dei musici, e assumeva dei cantastorie…”

Per qualche motivo, non riuscivo a figurarmi Eriol dare sfoggio di tale amore paterno. E poi, ora che ci pensavo… se Livia aveva una sorella, perché non aveva partecipato anche lei alla cena, quella sera? E la moglie di Eriol, che fine aveva fatto? “Ma… tua madre… è…”

Il volto di Livia si incupì. “E’ alla capitale. Con il resto della mia famiglia.”

Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata stupita. Ma… ma allora…?

“Mi manca, casa mia.” Livia sospirò. “Lord Georg mi fa paura. So di non piacergli. In realtà, credo che ben poco gli piaccia, tranne il suo palazzo e le sue vecchie carte geografiche. Sostiene mia nonna perché disprezza mio padre, e perché lei è la sua famiglia e sapete… Lealtà e Giustizia.” Concluse, come se quella formula fosse la logica giustificazione ad ogni azione.

“Mi stai dicendo che tu sei la figlia di Samon?” Era fin troppo chiaro cosa era successo. Erianna era riuscita ad andarsene dalla capitale portando con sé in ostaggio la sua stessa nipote. Non sapevo se essere ammirata dalla sua capacità tattica, o disgustata dal modo in cui minacciava la vita di una ragazza innocente, sangue del suo sangue, per controllare le mosse di suo figlio.

Livia annuì, silenziosamente, e il suo sguardo tornò ad abbassarsi, come le se fosse stato faticoso mantenere ancora le spalle ritte. “Ma la nonna è buona, con me… dice che se mio padre mi ama si arrenderà, ed io tornerò a casa… so che mente, perché la guerra non è così semplice… ma cerca di confortarmi, e non credo che mi farebbe mai del male…” Nemmeno lei pareva del tutto certa delle sue parole. Avrei voluto rassicurarla a mia volta, ma le parole non presero forma nella mia gola. Ora comprendevo di avere realmente motivo di provare compassione, per lei…

“Certo che no…” Fu Gourry a parlare, alle mie spalle. Gli lanciai un’occhiata, e notai che la sua espressione era vagamente scossa. “Non importa il motivo della battaglia… Lealtà e Giustizia, ricordi? Non ci si fa del male fra parenti…” La sua voce era dolce. Riconoscevo quel tono di conforto, venato di un sottile turbamento. Me lo aveva rivolto innumerevoli volte, per calmare i miei incubi dopo la faccenda di Phibrizo.

Livia arrossì lievemente. “E’ vero… dimenticavo che anche voi siete di Elmekia, signore…”

La osservai con nuova curiosità, e la ragazza emise una lieve risatina fanciullesca, che le colorì le gote, in contrasto col pallore di poco prima. “Ho… letto di voi…” Il suo sguardo vagò da Gourry a me. “Il guerriero di luce, e la celebre maga…” I suoi occhi si illuminarono, nuovamente. “Voi siete una leggenda ad Elmekia, signore. Come la vostra spada. Si dice che la abbiate brandita contro ogni genere di creatura, e…” Il suo sguardo si spostò a me. “Si dice che la abbiate perduta lottando contro il Signore degli Inferi. Il Signore degli Inferi. E voi, signora, siete addirittura stata posseduta da…”

“D’accordo, d’accordo.” La interruppi. “Mi fa piacere che tu non conosca solo le solite voci su di me, ma ora non esageriamo…” Gourry mi lanciò un’occhiata scettica, a cui risposi con un ghigno. Mio marito sapeva perfettamente che ero più che suscettibile alle lusinghe.

“Ma ogni voce su di voi è assolutamente fantastica.” L’entusiasmo di Livia non si spegneva facilmente. “Esistono persino delle ballate su di voi. Quando mi hanno detto che sareste giunti qui, io…”

La giovane principessa si interruppe. Un rumore era risuonato sul fondo della scala. Forse si trattava semplicemente di una delle ronde notturne, ma bastò a mettere nuovamente Livia in allarme. Il pallore catturò nuovamente le sue gote.

“Io… scusatemi, ma ora è meglio che torni nelle mie stanze… Lord Georg si arrabbierà se scopre che sono tornata qui…” Levò il cappuccio del mantello, e si affrettò lungo le scale. La osservammo scomparire nell’oscurità.

“Delle ballate?” Domandai, incredula. “Sarei proprio curiosa di sentire una cosa del genere…”

Gourry fece un mezzo sorriso. “Povera ragazza…” Commentò, a mezza voce.

“Già… Dopo averla sentita parlare, sono sempre meno convinta di voler rimanere a disposizione della regina…”

Gourry mi prese la mano. “Lo decideremo domani.” Mi sorrise, trascinandomi lievemente verso la cima della scala. “Ma, per ora, pare che ci siamo guadagnati un’ammiratrice.”

Gli lanciai un’occhiata maliziosa. “In realtà, temo sia molto più interessata a te… Tutti quei discorsi sulla tua spada…”

Ora che ci pensavo, Livia aveva più o meno l’età che avevo io, quando avevo conosciuto Gourry. Ma la nostra storia doveva essere un po’ diversa da quelle di dame e cavalieri di cui la principessa sognava, leggendo nei suoi libri.

La mano di Gourry salì alla mia testa, e mi scompigliò malamente i capelli. “Attenta a come parli.” Intimò. “Potrei replicare con pessime battute su Eriol.”

Scoppiai a ridere. “Ormai sei troppo vecchio per essere geloso, Gourry.”

“Non parlare come se fossimo sposati da quarant’anni.”

Ridacchiai. In effetti, dubitavo che qualsiasi ballata su di noi fosse davvero veritiera.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Eriol si rivelò un uomo di parola

Non c’è nessuna particolare premessa, quindi… buona lettura! XD

Eriol si rivelò un uomo di parola. Lo spettacolo che ci attendeva al nostro risveglio nell’ampia sala in cima alla torre aveva poco da invidiare ai paesaggi fantastici descritti nei romanzi amati da Livia. Il mare in burrasca ruggiva contro gli scogli, una massa grigia sconvolta dagli spruzzi di schiuma bianca, stagliata contro un minaccioso cielo nero. Le grosse gocce di pioggia piegavano ogni cosa sotto la loro furia, alberi, carri, persone. Le montagne rimanevano alle nostre spalle, ma da quella posizione privilegiata potevo ammirare uno scorcio di Talit, i suoi edifici bianchi sparsi a diverse altitudini sulle scogliere, fuori e dentro le mura. Immaginai quello spettacolo alla piena luce del sole, l’alone argentato che doveva circondare le case pallide, e il riflesso blu e dorato del mare. Associato a quell’immagine, il soprannome La Perla mi pareva più che calzante.

Gourry dormiva ancora, il corpo reclinato in una posizione innaturale, il braccio proteso verso la metà vuota del letto. Ero scivolata via dal suo abbraccio temendo di svegliarlo, ma lo spadaccino si era limitato ad un lieve mugugno di protesta, e si era riaddormentato senza nemmeno mutare posizione. Sorrisi, osservandolo mormorare qualcosa fra sé e sé, mentre stringeva inutilmente il cuscino. Per qualche motivo, da qualche anno, aveva cominciato a parlare nel sonno.

Decisi di non svegliarlo, e mi dedicai ad accendere il fuoco. Doveva essersi spento da ore, e le braci, raffreddandosi, avevano portato via ogni barlume del calore presente nella stanza. Mi avvolsi in una coperta caduta ai piedi del letto, attendendo che le fiamme catturassero la legna secca, e rimasi immobile per qualche minuto, osservandole danzare. In quella inattività, avvertii il senso di indecisione della sera prima catturarmi nuovamente. Purtroppo, una notte di sonno non aveva risolto i miei dubbi.

Dovevo muovermi, e schiarirmi le idee. Contemplai la possibilità di prepararmi un bagno caldo. Forse la norma voleva che mi rivolgessi a qualcuno dei servitori, ma, in sincerità, volevo attendere di essere completamente sveglia e di aver fatto colazione, prima di essere circondata da persone addestrate appositamente per persuadermi a restare…

Cercai di fare mente locale, e ricordarmi quale porta imboccare. Eriol non ci aveva assegnato una semplice stanza ma dei veri e propri appartamenti, con un bagno privato ed un guardaroba ricolmo di abiti, la cui quantità era di per sé un invito ad una lunga permanenza. Un’altra porta si apriva su una stretta e pericolante scalinata in legno, che Gourry ed io avevamo supposto essere l’accesso alla biblioteca. Un luogo che avrei volentieri visitato, prima di andarmene, ma prediligendo i più solidi gradini in pietra al centro della torre…

Fui fortunata. La porta che avevo scelto al primo tentativo si aprì sui bagni. Fui stupita di incontrare calore ad attendermi, ed un intenso profumo di sapone. Solo allora notai che si poteva accedere alla stanza anche attraverso una piccola porta che si apriva sul corridoio all’esterno. Qualcuno doveva avermi preceduta e aver preparato la sala per me, per poi ritirarsi discretamente attraverso quell’uscita.

Non riuscii a non esserne grata. Mi spogliai velocemente e mi calai con un sospiro nell’acqua calda, lasciandomi avvolgere dalla schiuma. Dovevo ammettere che Eriol, o sua madre per lui, sapeva come prendere i suoi eventuali alleati. Fuori, sentivo il vento fischiare, e la pioggia scrosciare contro i vetri. Calore e comodità si contrapposero nella mia mente a settimane a cavallo nel gelo. Se ci fossimo fermati a sufficienza, il mese più freddo dell’anno sarebbe trascorso. Persino gli elementi parevano cercare di indurmi a restare.

Sentendomi in colpa per la debolezza in cui indugiavano i miei pensieri, mi affrettai a terminare il mio bagno. Potevo scommettere che qualcuno, dietro la porta, fosse in paziente attesa, pronto ad allestire la sala per il suo successivo ospite. Occhieggiai la veste da notte abbandonata al suolo, e mi resi conto che non avevo portato con me nulla per cambiarmi. Ma i miei ospiti avevano pensato anche a questo. Su uno degli sgabelli, a debita distanza dalla vasca in legno e dalle pozze di umidità che la circondavano, riposava un abito, di un velluto verde smeraldo che prometteva morbidezza e calore. Non era nel mio stile, ma non potevo dire che non fosse di un ragionevole buon gusto. Esitai per qualche istante, quindi mi convinsi ad indossarlo. In fondo, approfittare delle comodità che mi venivano offerte non era in sé una dichiarazione di alleanza. Non si dice forse che è consigliabile, per l’ambasciatore, accettare il cibo del nemico?

Mi scrutai nello specchio sulla parete oltre la vasca. Quella era la visione che la regina si aspettava di incontrare quella mattina? Un’ospite appagata e ammorbidita a sufficienza da accogliere le sue richieste senza porsi troppe domande? Ero ansiosa di un nuovo confronto. Ero curiosa di scoprire quali altri assi nella manica i nostri ospiti avessero in serbo per noi…

Occhieggiai a lungo la porta che dava sul corridoio, e alla fine mi risolsi ad imboccarla. Gourry avrebbe potuto raggiungermi appena si fosse svegliato. In fondo, l’approccio cauto dei nostri ospiti mi impediva di cedere eccessivamente alla prudenza.

Scesi i gradini di pietra, rabbrividendo nel freddo dei corridoi. Diversamente da quanto mi ero aspettata, la torre sembrava essere deserta. Nulla mi circondava, se non cupo silenzio. Per un momento, per qualche strana ispirazione, pensai che forse, in fondo, era il caso di attendere Gourry. Che avrei potuto semplicemente dedicarmi all’esplorazione della biblioteca, mentre mio marito si godeva gli ultimi istanti di sonno. Ma quando quella sensazione vaga cominciò a prendere la forma di un istinto, ero già giunta al termine della scalinata. Lì, ad attendermi, c’era il servitore che ci aveva accolti la sera precedente.

“Mia signora.” Mi rivolse un breve inchino. “Vi attendevo. Sono stato incaricato di condurvi dal Lord mio sovrano, per la colazione.”

Mi accigliai. “Mio marito deve ancora svegliarsi.”

“Lo vedo, mia signora.” Il senso di ovvietà che il suo tono di voce esprimeva era quasi irriverente. “Ma avrò cura di accompagnarlo da voi non appena sarà pronto. Ora seguitemi, se vi compiace.” La sua non suonava come una richiesta.

Irritata da quei modi rigidi, mi accodai a lui senza dire una parola. Con mia sorpresa, non ci muovemmo verso i piani inferiori del palazzo, dove avevamo cenato la sera precedente, ma percorremmo un lungo corridoio che conduceva nel cuore del palazzo. Dopo una serie di tortuose svolte, sbucammo alla luce di ampie finestre, in un atrio che si apriva sul lato del castello dirimpetto alle montagne.

Il servitore mi rivolse un altro inchino. “La porta di fronte a voi, mia signora.” Ancora una volta senza attendere risposta, si risollevò, e si allontanò con la fretta di chi teme di essere colpito alle spalle. Emisi un sospiro. A quanto pareva, persino fra i servitori, ad Elmekia, la mia fama non era particolarmente lusinghiera.

Mi avvicinai al portale, e bussai. Mi aspettavo di incontrare la medesima compagnia della sera precedente, ma, quando avanzai nella sala, mi resi conto con un certo disagio che ad attendermi c’era solo Eriol. La stanza era una sorta di salottino, con morbide poltrone ed un divano raccolti attorno ad un basso tavolino, su cui era stata allestita una ricca colazione. Un’altra carta geografica e un tavolo da scacchi la rendevano simile alla sala da pranzo del piano inferiore e, anche qui, un fuoco allegro scoppiettava nel camino. Tuttavia, la stanza era più piccola, e più calda. Probabilmente, era parte degli appartamenti privati del principe stesso. Un luogo un po’ troppo intimo, per un incontro con un’ospite appena conosciuta.

Eriol mi rivolse un ampio sorriso. “Lina! Posso chiamarti per nome, non è vero? In fondo ho più o meno l’età di tuo marito…”

Evitai di rispondere. “Vostra madre non ci terrà compagnia per la colazione?”

Eriol si avvicinò, e mi spinse lievemente verso le poltrone, con una familiarità che non mi piacque. “Dammi del tu, Lina. Non vedo lo scopo di eccessive formalità, con ospiti tanto graditi.” Si sedette di fronte a me, e poggiò il mento sulle dita, studiandomi. “Mia madre ha già consumato la sua colazione in sala, insieme a mio zio. Sono entrambi molto più mattinieri di me. Ma sarà felice di sapere del tuo interessamento.”

Felicissima, fino alle lacrime, non avevo alcun dubbio. “Allora comincerò col ringraziare voi… cioè, te, per la generosa accoglienza che ci hai accordato.” Il mio tono di voce era cauto. “Le nostre stanze erano impeccabili.”

La mia replica neutra fu sufficiente a risvegliare un’espressione di pura soddisfazione sul viso del mio ospite. “Oh, sono io che devo ringraziarti per avere accettato il mio invito per la colazione. Sono un futuro sovrano, ma persino per me è insolito godere della compagnia di una leggenda vivente.”

“Mi confondi, Eriol.” La mia voce suonava lievemente disgustata.

“Ogni complimento è meritato.” I suoi occhi brillarono lievemente. “E sono felice che tu abbia accettato il mio piccolo omaggio.” Accennò al vestito che indossavo. “Mi sono permesso di pensare che quel colore si sarebbe intonato perfettamente ai tuoi capelli, e vedo che non mi sbagliavo.” Mi sorrise, nuovamente. “Le decorazioni dorate sulle maniche sono la firma più tipica di uno dei nostri migliori sarti di corte. Mostrale ad un qualsiasi mercante di Elmekia, e farà carte false per acquistare quell’abito. Che ora è tuo, ovviamente.”

Ok. Dovevo riconoscere che quell’argomento era più convincente delle lusinghe.

Distolsi lo sguardo da lui, cercando freneticamente un modo per cambiare discorso. Scrutai il panorama all’esterno, le montagne grigie che sparivano nella fitta coltre di nubi. “Il clima è sempre così piovoso, a Talit?” Chiesi, puntando al più banale degli argomenti.

“In questo periodo dell’anno sì. “Replicò pacatamente Eriol. “Quando non gela. In effetti, l’inverno non è ancora davvero iniziato.”

Mi accigliai, prestando solo in parte attenzione alle sue parole. Qualcosa nel profilo scuro di un monte aveva catturato la mia attenzione. “E laggiù? Ci sono degli edifici?”

Eriol seguì il mio sguardo. Da dove ci trovavamo, ciò che avevo scorto non era perfettamente distinguibile, ma una macchia di un grigio più chiaro di quello della parete della montagna spiccava lievemente contro la massa scura dei pini. Il principe vestì un vago sorriso. “Oh, si tratta semplicemente della città vecchia. Un tempo, prima che la famiglia di mia madre la portasse alla prosperità, Talit era un semplice borgo di montagna. Difficile a credersi, vero?” Al mio silenzio, Eriol proseguì. “Ora lassù è tutto in rovina. Un panorama molto suggestivo, per la maggior parte dell’anno, ma in questa stagione la neve sulle cime rende impervio il percorso. Mi rincresce che non sia il periodo più adatto, o ti ci accompagnerei di persona.” Allungò una mano, e la punta delle sue dita sfiorò le mie. “Le dame del palazzo dicono che non esista luogo più romantico, da contemplare in un bel tramonto d’estate.”

“Immagino che la visiterei volentieri con mio marito, allora.” Ritrassi la mano, e afferrai un cucchiaino. Tanto per evitare commenti più acidi, concentrai la mia attenzione su un uovo alla coque. Il principe non parve turbato dal mio rifiuto. Si limitò ad osservarmi con insistenza mentre mangiavo, rendendo insopprimibile la mia irritazione.

“Più tardi sono certo che mia madre gradirà conferire ancora con te riguardo alla vostra permanenza qui.” Eriol riprese, con la smania di chi è infastidito dal silenzio. In effetti, non appariva tipo da cogliere il sottile piacere di una quieta colazione. “Immagino che potremo arrangiare un pranzo insieme. Ma, per questa mattina, sentiti libera di ambientarti nel palazzo. Se c’è qualche luogo dove vuoi che ti accompagni, non devi fare altro che dirmelo.”

Addentai una fetta di pane tostato, ritardando deliberatamente la mia risposta. “Non saprei.” Replicai quindi, con insofferenza. “Vorrei aspettare che mio marito si svegli per discutere con lui riguardo alla risposta da dare a tua madre, prima di dedicarmi ad altro.”

Eriol sorrise. “Comprensibile. Ma confido che i miei servitori saranno abbastanza solerti da condurre tuo marito da noi non appena lui lo desidererà.”

Terminai il pane, e bevvi un sorso di tè. “Immagino che qui ci troveranno prima che in altre parti del castello.” Conclusi, secca, poggiando la tazza sul tavolo. Non sapendo che altro aggiungere, afferrai un altro uovo.

Eriol mi imitò, senza smettere di sorridere. “Allora, che ne dici di unirti a me in una partita di scacchi, dopo la nostra colazione? Immagino che anche un marito geloso possa considerarlo un passatempo innocente…”

Il pensiero che il principe credesse che le mie resistenze fossero dovute al temperamento di Gourry mi fece sorridere. Anche se lo spadaccino non fosse stato, come era, l’uomo più pacifico del mondo, Eriol non era particolarmente brillante nel mascherare l’interesse materiale dietro le sue lusinghe. Dubitavo che mio marito non se ne fosse reso conto.

“Immagino di sì.” Non mi preoccupai di mascherare la sfumatura divertita nella mia voce,ma accettai di buon grado la sfida a scacchi. Forse il gioco lo avrebbe distratto dalla sua adulazione. “Hai imparato a giocare a scacchi da tua madre, Eriol?”

Il principe mi parve confuso. “In effetti sì. Da cosa lo hai dedotto?” Chiese, curioso.

“Oh, ha l’aria di essere abile in questo genere di cose.”

Terminai il pasto, cercando di evitare lo sguardo fisso e colmo di attesa del mio ospite, che pareva cercare freneticamente un nuovo pretesto di conversazione. Non glielo diedi. Serrai le labbra con ostinazione, e fui attenta a non soffermare lo sguardo su qualsiasi cosa sufficientemente a lungo da far pensare che mi aspettassi una spiegazione a riguardo. Quando ebbi terminato la terza porzione di uova e pane imburrato (l’aria fredda del mattino mette appetito, non trovate?), Eriol si affrettò ad alzarsi prima che potessi afferrare altro. Seccata (anche la marmellata di fragole e le salsicce avevano un’aria invitante, dopotutto…), accettai la sua mano e mi lasciai guidare al tavolo da scacchi. Scelsi le figure nere, e attesi la sua mossa, scrutando annoiata la pioggia all’esterno. Era prima mattina, ma ero già stanca. Mi auguravo che, se avessimo effettivamente deciso di fermarci, Eriol avrebbe smesso di sentirsi in dovere di ricordarmi della sua esistenza ogni singolo istante che trascorrevamo insieme…

L’erede al trono si rivelò, come avevo previsto, un giocatore un po’ goffo. Tuttavia, una partita potenzialmente breve venne prolungata all’infinito dal fiume delle chiacchiere del mio interlocutore, che trovò necessario elencarmi, misteriosamente ispirato da ogni mossa, ogni pregio della città e del castello di suo zio. Continuai ad indirizzare occhiate speranzose verso la porta, in attesa che Gourry giungesse a salvarmi, ma dovetti constatare con scorno che la mia guardia del corpo quella mattina aveva intenzione di fare la preziosa. Dopo circa un’ora, lo scorno si trasformò in aperta irritazione. Ero proprio curiosa di sapere dove era andato a cacciarsi mio marito.

“Scacco matto. Parola mia, Lina, sei ancora più abile di quanto avessi immaginato.”

Spostai lo sguardo sulla scacchiera, senza vederla realmente. La mia regina era andata in scacco alla mossa precedente, intrappolando il mio avversario in una mossa inevitabile. Al mio turno successivo, avevo spostato la pedina vincente senza quasi rendermene conto.

Mi affrettai ad alzarmi. “Ehm. Direi che si è fatto tardi. Immagino che come futuro sovrano la tua mattinata sarà ricca di impegni.”

Eriol si levò a sua volta, e si affrettò a prendermi la mano. “Il mio principale impegno, oggi, consiste nell’assicurarmi del benessere dei miei ospiti.” Baciò le mie dita. “Mio zio si occupa delle questioni del ducato, e mia madre può tranquillamente dedicarsi ai progetti di guerra. Io ho un animo sensibile, Lina. Sono più interessato alla dolce compagnia di una fanciulla, che a queste questioni veniali…”

I miei denti avrebbero potuto cariarsi e cadere tutti in quell’esatto momento. Iniziai a sudare freddo, alla prospettiva di un intera mattinata col Signor Galanteria, e cercai disperatamente un modo per tirarmi fuori da quella situazione senza guadagnarmi mesi di carcere nelle segrete del castello. Fui salvata dall’imbarazzo quando la porta della sala si spalancò di colpo. Sobbalzai, e ritrassi di scatto la mano che il principe teneva ancora poggiata alle labbra. Sulla soglia, si stagliava la figura imponente di Gourry. Il suo sguardo era innaturalmente cupo.

“Lina.” Il suo tono di voce aveva una strana urgenza. “Devo parlarti.”

Alle sue spalle, comparve il servitore gracile che mi aveva accompagnata poco prima. Era evidentemente affannato. Le sue gote erano di un colore rosso vivo. “Mio signore.” Riuscì a biascicare, fra un ansito e l’altro. “Sir Gabriev le chiede udienza.”

Supposi che Eriol se ne fosse già reso conto da solo.

“Gourry.” Il principe, almeno apparentemente, non si lasciò scomporre. “Posso chiamarti per nome, vero? Lina ed io ti stavamo aspettando. Stavamo giusto conoscendoci meglio, e la tua presenza non potrà che illuminarmi ulteriormente sugli innumerevoli tratti di fascino della tua dolce compagna…”

Lo avrei volentieri preso a schiaffi. Mio marito, però, parve a malapena notarlo. “Sì, sì, d’accordo.” Mormorò, in tono vago. “Ho bisogno di parlare per un momento con mia moglie. Da soli.” L’ultima fu un’aggiunta frettolosa, pronunciata quando Eriol parve sul punto di invitarlo ad accomodarsi.

Gourry non attese replica. Mi afferrò per un braccio, con una foga innaturale, per lui, e mi condusse verso la porta. Lo seguii, senza opporre resistenza, limitandomi a squadrarlo curiosamente. Non mi faceva male, ma quei modi bruschi non gli appartenevano. Qualcosa, quella mattina, doveva averlo turbato.

“Gourry…” Iniziai, una volta giunti in corridoio. Mi sentivo stupida per le supposizioni sorte nella mia mente, ma ero incapace di giungere ad una diversa conclusione. “Se è per Eriol, guarda che io e lui stavamo soltanto…”

Gourry scosse velocemente la testa. “Lo so.” Si limitò a replicare. Mi trascinò nella prima porta aperta del corridoio, e se la richiuse alle spalle. Apparentemente, si trattava di una sala di servizio. Scope ed utensili erano ammucchiati lungo le pareti in umide file di scaffali, e un odore di polvere lungamente accumulata impregnava l’aria.

“Lo sai?” Ripetei, non del tutto convinta.

Gourry annuì. “So che non ti lasceresti raggirare da Eriol, Lina. E poi, mi fido di te.” La sua espressione si fece più tesa. “Ma abbiamo un altro problema.”

Quell’espressione di fiducia suonava un po’ più tipica di lui. Mi accostai a lui, la mia curiosità risvegliata. “Che genere di problema?”

Gourry parve esitare. “La mia famiglia è qui.” Dichiarò poi, distogliendo velocemente il viso, come se quell’ammissione potesse colpirmi in volto e ferirmi.

Chi è qui?”

“Quando mi sono svegliato, non ti ho trovata. Ho pensato che mi avessi preceduto a colazione, e non sapendo dov’eri ho percorso alla cieca il corridoio ai piedi della torre… a quel punto ho incrociato il servitore che mi ha indicato la strada, ma prima di andarmene… ho sentito chiaramente la voce di mio fratello, provenire da dietro una delle porte.”

I miei occhi si spalancarono lievemente. “Tuo fratello? Ne sei sicuro?”

“La sua voce potrebbe essere la mia. Non posso sbagliarmi.”

“Ma… per quale motivo dovrebbe essere qui?”

Mio marito si incupì. “Avrei dovuto pensarci prima. Mio padre era legato da un rapporto di fedeltà estremamente stretto con il vecchio re. E’ normale che ora accordi la sua lealtà all’erede che lui avrebbe scelto.”

Improvvisamente, la comprensione mi colpì in volto con la violenza di un getto d’acqua gelata. Gourry ed io eravamo alleati comodi, per Talit, non solo per la nostra abilità e per la nostra fama, sufficiente ad intimorire i nemici. Eravamo alleati comodi perché il denaro e le lusinghe non erano l’unico strumento che la regina aveva in mano per manovrarci.

“Lealtà e Giustizia.” Mi limitai a mormorare. Lo sguardo di Gourry mi mostrò, per una volta, piena comprensione. Come era consueto, non ci servivano le parole, per capirci.

La mia mascella si serrò, e la rabbia mi catturò. Improvvisamente, l’atteggiamento conciliatorio di Eriol generava in me più di un vago fastidio. Improvvisamente, mi resi conto di come tutto ciò che riguardava la nostra presenza in quel luogo fosse strettamente pianificato, e ogni sua singola parola mi apparve non come un ingenuo tentativo di ottenere la mia alleanza, ma come un filo in più nella intricata trama tessuta dalla regina.

“Non importa.” La voce di Gourry era stranamente spassionata. “Non si sono nemmeno presentati al nostro matrimonio. Ormai è chiaro a entrambi che non esiste più un legame.”

Mi resi conto che era scosso. Mi avvicinai, e gli strinsi con forza la mano. “Se vuoi, possiamo lasciare il castello in questo istante.” Mormorai. Gourry mi lanciò uno sguardo, e dopo qualche istante parve riacquistare la calma. “No.” Sussurrò. Si chinò, e mi trasse lievemente a sé, come in cerca di coraggio. “Abbiamo deciso di scegliere secondo la nostra convenienza, no? Non ho cambiato idea.”

Mi resi conto che non era la completa verità. Ma apprezzai la sua determinazione.

“Allora non ha senso rimandare l’inevitabile.” Dichiarai.

Gourry si limitò ad annuire, e si scostò dalla porta. La aprii per lui, e feci per tornare sui miei passi lungo il corridoio, ma mi bloccai, colta di sorpresa, nel trovarmi a fronteggiare il volto ostile della regina.

Feci un passo indietro, squadrandola con stupore. La sua espressione seccata si tramutò velocemente in una di fredda condiscendenza, ma non mi sfuggì la piega rabbiosa della sua fronte corrugata. Anche Erianna aveva l’aria di aver trascorso un inizio di mattinata poco gradevole. “Mio figlio mi ha detto che vi eravate ritirati qui.” Esordì, con quieto gelo. “Vengo a comunicarvi che questa mattina un nuovo vassallo è giunto a garantirci il suo sostegno. Un vassallo che è strettamente legato a voi, cavaliere.” Il suo sguardo si soffermò su Gourry. Io mi sforzai di mantenere neutro il tono della mia voce. “Si da il caso che lo sappiamo.” Replicai. Tanto valeva mettere le carte in tavola. “Mio marito ha inavvertitamente colto uno stralcio di conversazione che glielo ha rivelato.”

“Trovo bizzarro il fatto che non si sia immediatamente prodigato ad accogliere i suoi amorevoli familiari, allora.” La voce della regina era piatta, ma le pieghe della sua fronte si erano per un istante accentuate. “Ad ogni modo, mio fratello ha insistito per intrattenerli, dal momento che il Lord Gabriev sembra sentirsi più a suo agio nella solida compagnia di un uomo in arme che in quella di una dama.” Una sottile vena di sarcasmo attraversò le sue parole. “Perciò ha pensato che potessi rendermi utile venendovi a chiamare.”

Non attese la nostra replica. Ci volse le spalle e si avviò per il corridoio, supponendo evidentemente che la avremmo seguita. Ci scambiammo una breve occhiata, e ci accodammo a lei silenziosamente. Percorremmo a ritroso il percorso che un paio di ore prima mi aveva condotta da Eriol, e presto giungemmo in prossimità di una porta che pareva celare una animata discussione. Una voce profonda e autoritaria rispondeva ad una tonalità gracchiante, che riconobbi essere di Georg. Ma il silenzio parve cadere all’interno non appena la mano ferma di Erianna batté sulla porta.

“Avanti, sorella.” Giunse la replica, dall’interno. “Ti attendevamo.”

La regina sospinse il pesante portale, e la nostra visione si aprì su una stanza spoglia. Un lungo tavolo circondato da sedie e arazzi che decoravano le fredde pareti. Non molto altro la distingueva dal magazzino da cui la regina ci aveva prelevati. Calici e una caraffa colma di vino giacevano abbandonati in un angolo, lasciati intonsi dalla maggior parte dei presenti in sala. Solo Eriol, che evidentemente ci aveva preceduti, pareva approfittare del ristoro, seduto in disparte rispetto al gruppo di uomini in piedi di fronte all’ingresso. Questi ultimi si erano raggruppati in una austera cerchia, con l’aria di predatori pronti a circondare la preda.

Un uomo biondo, più vicino ai sessanta che ai cinquanta ma ancora eretto ed imponente, si fece avanti al nostro ingresso. Il taglio dei suoi occhi era incredibilmente simile a quello di Gourry, e la sua carnagione, al di sotto della barba folta, emanava un simile pallore. Tuttavia, la forma del suo viso era più spigolosa, e l’acceso color grano dei capelli di mio marito era sostituito da una sfumatura più chiara, che sotto una luce più intensa avrebbe potuto apparire di bianco. Il colore degli occhi non era l’azzurro cielo che mi era familiare, ma un grigio metallico che avrebbe potuto ricordare la lama di una spada. E altrettanto penetrante appariva il suo sguardo. Quando feci il mio ingresso, si soffermò su di me a lungo, con il piglio sicuro di chi è certo di aver catturato un’intera natura con una semplice occhiata.

“Figlio.” Parlò con la stessa inespressività con cui avrebbe potuto rivolgersi ad un ambulante incrociato per strada. “Non ci incontriamo da parecchio tempo.”

“Ma avete ricevuto la mia lettera riguardo al matrimonio, non è così?” Potevo avvertire la tensione di Gourry. Credevo di conoscere quella sensazione. Ansia, e un sottile desiderio di compiacere. Anch’io provavo qualcosa di simile, di fronte a mia sorella. Il problema era però che in quell’incontro non c’era traccia di familiarità. Si poteva diventare estranei, anche fra padre e figlio, dopo anni di lontananza?

“Se il matrimonio si fosse svolto ad Elmekia, e se la sposa fosse stata approvata dai membri della tua famiglia, suppongo che avrei potuto pensare di prendervi parte, a dispetto di tutto.” Rabbrividii, sotto la sua occhiata. “Ma immagino che tu non ti sia stupito della nostra assenza, date le circostanze.”

“In effetti no.” La voce di Gourry tradiva stanchezza.

“Padre. Non è il momento di rivangare queste questioni.” Prestai attenzione per la prima volta alla figura alle spalle del Lord. Capelli corti e lisci di un biondo opaco ed occhi grigi si stagliavano su un viso più scuro e duro di quello di Gourry, un viso che appariva precocemente invecchiato.

“Un saggio rimprovero, Derek.” L’uomo indietreggiò, e indicò il tavolo. “Siediti, figlio. E’ tempo di discutere di responsabilità.”

Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata. Di fronte a noi, Lord Georg non fece grandi sforzi per mascherare la sua soddisfazione. “Credo che sia tempo per gli intrusi di ritirarsi.” Dichiarò, in tono inappropriatamente allegro. “I nostri ospiti non desidereranno intromissioni nelle loro questioni familiari.”

Notai Erianna lanciargli un’occhiata colma di sufficienza, ma la regina non replicò. “Vieni, Eriol.” Si limitò ad intimare al futuro sovrano, che stava assaporando quello che poteva essere il terzo bicchiere di vino da quando eravamo entrati. Da figliolo obbediente, il principe non la contraddisse.

“Immagino che anche tu possa andare, Bastian.” La voce del padre di Gourry risuonò nuovamente, e solo allora mi resi conto, non senza stupore, della presenza del cavaliere. Doveva essere rimasto per tutto il tempo nella sua posizione eretta, nello spazio fra due delle grandi finestre. La luce cupa della stanza mi aveva impedito di cogliere il riflesso della sua armatura nera.

“Ne siete certo, mio signore?” L’uomo mi lanciò un’occhiata piena di diffidenza. “La maga è di certo pericolosa.”

“Confido che mio figlio riesca a tenere a bada sua moglie a sufficienza per impedirle di attentare alla mia vita.” Tenere a bada? “E ad ogni buon conto, non temo la magia.” Mi lanciò uno sguardo di sfida, con i suoi occhi penetranti.

Non gli diedi soddisfazione. I miei occhi si fissarono sulla schiena di Bastian, che usciva dalla stanza. Dunque, in fondo, il cavaliere era al servizio del padre di Gourry. Se era così, da quanto tempo i Gabriev attendevano il nostro arrivo a Talit?

Il barone seguì il suo stesso consiglio e si accomodò alla tavola. Gourry, invece, non si mosse dalla sua posizione eretta. Rimasi al suo fianco, studiando il loro silenzioso confronto, il mio stomaco stretto per il disagio.

“Devo supporre che tu sia venuto qui per compiere il tuo dovere, Gourry?” Il tono del lord era tranquillo, la calma di chi sa di essere nel giusto. “Non vedo altri motivi per cui un uomo sposato dovrebbe volersi allontanare dalla sua dimora.”

“Attualmente non ho una casa fissa.” La risposta di Gourry fu secca. “E sono costretto ad ammettere che dopo molti anni non sono ancora certo di quale tu ritenga essere il mio dovere, padre.”

Lord Gabriev si accigliò. “Sono consapevole di non essere mai riuscito ad inculcarti un concetto semplice come la lealtà alla tua famiglia, Gourry. Ma speravo che l’età ti avesse portato consiglio.” Si volse, e mi scrutò. “E trovo singolare il fatto che tu non abbia una dimora fissa. Sposarsi vuol dire costruirsi una casa e avere dei figli. Degli eredi.” La lunga occhiata che mi scoccò non aveva certo la sfumatura benevola del suocero indulgente. “Sempre che si abbia una moglie in grado di assumersi le proprie responsabilità.”

Sentii Gourry fremere, al mio fianco. Raramente lo avevo visto tanto irritato. “Già. So bene che per te è in questo che consiste un matrimonio.”

Il padre levò le sopracciglia. Per qualche istante, un opprimente silenzio calò sulla stanza.

“Ad ogni modo…” L’uomo più anziano riprese, in un tono forzatamente neutro. “Anche se tu avessi sposato un Signore dei Demoni, la cosa non mi riguarderebbe più. Ma ciò che devo chiederti, come padre, è di raccogliere quel briciolo di lealtà che ti rimane verso il tuo regno, e sostenere l’erede scelto dal nostro defunto sovrano nel corso di questa guerra.”

Sapevamo entrambi che questa richiesta sarebbe arrivata. Gourry mi prese la mano, forse cercando il coraggio per contrapporsi apertamente a suo padre. “Devo capire se è la scelta giusta, prima di acconsentire alla tua richiesta, padre.”

L’irritazione parve catturare Lord Gabriev. L’uomo si levò dalla sedia, incombendo minaccioso su di noi. “La scelta giusta? Per il regno o per te, figlio?”

“Per me, padre. Non conosciamo a sufficienza le parti in lotta per giudicare ciò che è meglio per il regno.”

“E la mia parola non ti basta? Non ti bastano i tuoi doveri?” Il nostro interlocutore aveva alzato la voce, ora. I suoi occhi promettevano tempesta.

“Abbiamo una diversa scala dei doveri, padre.”

“Su questo non c’è alcun dubbio.” Fu la voce del fratello di Gourry, stavolta, a risuonare. Anche il suo sguardo era cupo. “Una persona che ritiene giusto rubare al suo stesso sangue qualcosa che non gli spetta di diritto solo per soddisfare la sua vanagloria chiaramente ha chiuso gli occhi di fronte a qualsiasi remora dettata dall’onore e dalla lealtà famigliare.” Fui ammirata. Riuscì a pronunciare l’intera frase senza prendere fiato nemmeno una volta.

Il volto di Gourry si imporporò. Avrei potuto giurare che quello era un argomento andato a segno. “Io… non l’ho fatto per il mio interesse… L’ho fatto per…”

“Non osare dire che lo hai fatto per noi, FRATELLO!” Anche Derek si alzò. Ebbi l’impressione che attendesse quella discussione da anni. “Ho sentito delle tue grandi gesta! Il nuovo cavaliere di Luce! Tu e quella tua maga avete giocato a disseminare leggende mentre nostro padre ed io lottavamo per non perdere prestigio agli occhi dei nostri cavalieri!” Fece un passo avanti. “Quella spada era di nostro padre e spettava a ME! Tu non hai mai accettato il fatto di essere il secondogenito, di non avere un futuro grandioso ad attenderti, ecco perché ti atteggiavi continuamente a vittima!”

“No!” Gourry scattò. Aveva l’espressione di chi sta vivendo il suo incubo ricorrente. “Derek, stammi a sentire! E’ vero che ero preoccupato per il mio futuro, ma questo non c’entra con…”

“Sta’ zitto!” Il fratello non gli permise di terminare. “Non sei nemmeno riuscito a custodirla, quella dannata spada! L’hai perduta in una delle tue mirabolanti avventure, come ad Elmekia nessuno si stanca di ripetere! Ed eccoti qui, a mani vuote, che osi ancora opporti alla volontà di tuo padre!”

“Adesso basta.”

Il Lord Gabriev intervenne, prima che Gourry potesse replicare. Si pose di fronte al figlio maggiore, placandolo, l’espressione cupa. “Questo non ha importanza, ora. Il punto è, Gourry, che da quando la spada è andata perduta a causa tua, siamo rimasti comunque nelle grazie del re per la nostra lunga amicizia.” Il nobile si incupì. “Dopo la sua morte, Samon ha preso le distanze da ogni sostenitore di suo padre. Ciò significa che, se lui vince questa guerra, la nostra famiglia cadrà in disgrazia.”

Lo sguardo di Gourry passò dal volto del fratello a quello del padre. “Non credo che il mio sostegno sarà determinante per la guerra.”

Il Lord Gabriev, sbuffò, spazientito. “Sei ottuso come al solito, figlio. Il tuo sostegno non è determinante per l’esito della guerra, il tuo sostegno è determinante per noi.” Lo fissò, come avrebbe fissato un bambino indisponente. “Ho promesso ad Eriol che tutta la mia famiglia si sarebbe impegnata al suo fianco. E ho intenzione di mantenere le mie promesse, Gourry. Dato che probabilmente ne andrà del nostro futuro dopo la guerra.”

In altre parole, il sostegno dei Gabriev sarebbe valso loro un titolo. Ordinaria amministrazione bellica.

“Io… non vi devo nulla.” Gourry tentò, ma la sua voce era incerta.

Il padre si accigliò. “Con la spada, probabilmente, il nostro sostegno sarebbe stato pagato oro sonante da entrambe le fazioni. Tu ci devi TUTTO, Gourry. Faresti bene a ricordartelo.”

“E’ una minaccia?”

“Vedila come preferisci. Come compenso al tuo sostegno, comunque, terminata questa faccenda sarò più che felice di dimenticarmi della tua esistenza.” Il nobile ci superò, e raggiunse la porta. Si soffermò sulla soglia. “Mi aspetto che tu comunichi la tua decisione ai nostri ospiti entro l’ora di pranzo.” Si volse a guardarci un’ultima volta. “Non mi sfidare, figlio, perché ti pentiresti di averlo fatto. In questa circostanza, non sono disposto ad accettare insubordinazioni.”

Uscì, chiudendo con violenza la porta alle sue spalle.

Derek non si mosse. Gourry rimase fermo a fissare la porta da cui il padre era sparito. Aveva tutta l’aria di temere di volgersi a fronteggiarlo.

“Nostro zio… si è unito ai sostenitori di Samon.” Il cavaliere più anziano prese la parola per primo, in tono più calmo, ora, ma ostile. “Cosa speravi di fare portando via la spada, Gourry? Farci tornare magicamente uniti? Credevi davvero che fosse realmente ciò per cui stavamo lottando?”

“La spada… era quello il punto, no?” La voce di mio marito era ancora una volta stanca. “Pensavo che… fossimo stati tutti corrotti dal suo fascino.”

“Già… tu per primo, vero, fratello?” Derek si avvicinò, e costrinse Gourry a voltarsi. Quando lo afferrò per la collottola provai l’impulso ad accorrere in suo aiuto, ma i miei piedi per qualche motivo mi parvero incollati al suolo. “Dimmi soltanto una cosa. Come hai potuto perderla? Come?”

“Non la ho persa. La ho ceduta.” Il tono di Gourry era piatto. Come se fosse rassegnato a quella conversazione.

In cambio di COSA, per gli dei???

“Non… non lo capiresti.”

Il fiato mi si strozzò in gola, quando un pugno colpì con violenza il viso di mio marito. Avanzai di un passo, ma un’occhiata iniettata di disprezzo di Derek mi gelò sul posto. Gourry cadde al suolo, reggendosi la guancia. Derek incombette su di lui per un istante, prima di aprire la porta da cui il lord Gabriev era sparito. “Acconsenti alla richiesta di nostro padre.” Intimò. “Fallo, o ti giuro che ti seguirò in ogni parte del continente, finché uno di noi due non avrà ucciso l’altro.”

Il padre di Gourry era un uomo freddo e razionale. Si serviva di armi psicologiche sottili, e non avrebbe messo in gioco la propria vita per vendicarsi del figlio.

Ma Derek era molto diverso da lui.

Con un fremito, me ne resi conto. E capii che non stava scherzando.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Ecco un nuovo capitolo, in cui si entra un po’ nel vivo della storia…^^ Come sempre, grazie ha chi ha avuto (e ha) la pazienza

Ecco un nuovo capitolo, in cui si entra un po’ nel vivo della storia…^^ Come sempre, grazie ha chi ha avuto (e ha) la pazienza di leggere e di commentare! Buona lettura!

***

Sussultai, quando la pezza incandescente venne a contatto con la mia pelle.

Lina esitò. Per un momento, rimase con la mano sospesa a mezz’aria, guardandomi negli occhi.

“E’ imbevuta nel mio infuso. Non ti lascerà scottature.”

“Lo so.” Replicai, la voce lievemente alterata. “Mi ha solo colto di sorpresa.”

Lina tornò a premere delicatamente l’impacco sul mio viso. Questa volta, strinsi i denti ed evitai di reagire.

Era pieno pomeriggio. La pioggia non accennava a diminuire, e ci lasciava scarse speranze di riuscire almeno in una passeggiata all’esterno, prima dello scendere del buio. Lina aveva continuato a percorrere a grandi passi la stanza, per tutto il giorno, come un topo in trappola. Alla fine, in un disperato tentativo di distrarla, le avevo chiesto se poteva fare qualcosa per il segno del pugno di Derek sulla mia guancia.

“Se fosse stata solo un’ecchimosi, non ci sarebbe stato bisogno di tutto questo. Certo che tuo fratello, quando vuole fare un danno, si impegna fino in fondo.” Non sapevo che cosa Derek avesse sotto al guanto, ma era duro, e tagliava. Sospettavo che avesse ‘scordato’ di togliersi l’anello col sigillo di mio padre, in onore del nostro toccante rincontro.

“Se ti ha impressionato questo, immagino che sarà meglio che tu non assista mai ad un nostro allenamento con la spada. Tende a prenderli sul serio.”

Lina fece un mezzo sorriso, il primo del pomeriggio. “Non fatico a crederlo. Ora reggi qui.” Guidò la mia mano sull’impacco, e allontanò le dita. “Tienilo per una decina di minuti, e il segno dovrebbe sparire del tutto. La ferita che ti ho guarito non brucia più, vero?”

Scossi la testa. “Il tuo incantesimo ha funzionato. Sarebbe perfetto, se non rimanessero cicatrici.”

La mano di Lina si posò sulla mia. “Parli delle cicatrici esterne, o di quelle interiori? Perché temo che le mie erbe siano efficaci solo per le prime.”

Sorrisi, lievemente, e strinsi le sue dita per un istante. Ma troppo presto il loro calore sfuggì al contatto della mia mano. Lina si alzò, e mi volse le spalle per riporre le sue cose.

Mi chiedevo se fosse arrabbiata. Non pareva irritata, ma era insolitamente taciturna, e, in fondo, avrebbe avuto motivo di avercela con l’intero casato Gabriev. Il comportamento di mio padre e di mio fratello nei suoi confronti era stato inqualificabile. In più, si era trovata prigioniera in tutta quella faccenda a causa mia.

Quella mattina, avevo piegato la testa di fronte alla richiesta di mio padre. Avevo dovuto farlo. Mio fratello non mentiva, lo sapevo, e io non potevo pensare di affrontare le conseguenze di un rifiuto. A modo nostro, ci eravamo rispettati, io e Derek. Ci eravamo persino voluti bene. In fondo mi ero aspettato che non mi avesse perdonato il fatto di essere fuggito con la spada… Ma anche se la sua reazione non mi aveva sorpreso, le sue accuse mi avevano lasciato l’amaro in bocca… Sapevo di non aver preso la spada in cerca di gloria… all’epoca, quell’arma mi era parsa semplicemente un peso di cui liberarmi… ma forse Derek aveva ragione nel pensare che il mio non fosse stato semplicemente un gesto altruistico. Forse ero solo stato codardo. Forse avevo desiderato semplicemente fuggire dalla mia famiglia e dall’angoscia, e avevo portato la spada con me per placare il mio senso di colpa.

“Lina…” Squadrai il profilo chino di mia moglie, mentre sciacquava la ciotola in cui aveva preparato il composto di erbe, nel catino sulla specchiera. “Tu… non devi restare per forza, se non lo desideri. In fondo, la mia famiglia può imporsi solo a me.”

Mia moglie si limitò a rivolgermi una breve occhiata, attraverso lo specchio. Non ebbe nemmeno bisogno di parlare. Seppi da solo di aver detto una cosa molto stupida.

“Ritieni che io voglia prendere e andarmene felicemente in giro per il mondo mentre tu stai qui a combattere una guerra?” La replica di Lina fu secca. La maga si asciugò le mani e andò a riporre erbe e ciotola in una delle tasche del suo mantello. Non avevo ancora capito che razza di incantesimo avesse lanciato su quell’indumento, ma pareva in grado di contenere centinaia di oggetti.

Feci un breve sospiro. “D’accordo… era una proposta idiota.”

“Mi fa piacere che tu lo riconosca.” Ripiegò la veste, poggiandola su una delle sedie.

Dovetti sorridere. Non avrei ricevuto parole di compassione, da Lina. E non le desideravo. La sua presenza costante al mio fianco contava più di qualsiasi frase di conforto.

Mi levai dal bordo del letto, e mi avvicinai a lei. Mia moglie aprì la bocca, forse per chiedermi che intenzioni avessi, ma io la precedetti. Mi chinai su di lei, e semplicemente la abbracciai. Lina rimase immobile per un momento, probabilmente colta di sorpresa, ma dopo qualche istante avvertii la stretta delle sue dita calde sul mio braccio. Non dissi nulla. In fondo, non ce n’era bisogno.

“Gourry…” Dopo forse un minuto, mia moglie si allontanò, con un sospiro. “Ti ho detto di tenere quelle erbe contro la guancia per un po’. Vuoi o no che quel segno se ne vada?” Mi resi conto solo in quell’istante che avevo lasciato cadere l’impacco a terra. Lina si piegò al suolo per raccoglierlo, e me lo premette di nuovo sul viso. Ancora una volta mi studiò per un momento in volto, con espressione pensosa. Quello sguardo mi lasciò perplesso.

“Lina?”

La fronte di mia moglie si aggrottò. Io sospirai, e attesi pazientemente che si decidesse a parlare. Pazienza. Era spesso l’unica soluzione, considerando come mia moglie potesse essere complicata.

“Stavo solo ripensando a ciò che ha detto tuo padre.” Sbottò infine, con un mezzo sospiro, come se le avessi estratto quelle parole con la forza.

“Riguardo a cosa?”

“Riguardo al nostro matrimonio. La maggior parte della gente penserebbe che ha ragione.”

Battei le palpebre. Ora cominciavo davvero ad essere confuso. “In che senso?”

Lina mi squadrò storto, irritata dalla mia mancata comprensione. “Sveglia, Gourry! Parlo di una casa stabile! E dei figli!”

“Vuoi una casa e dei figli?”

“Non io! Non ora, almeno! Oh, dei, Gourry!” Lina sbottò, definitivamente. “Tuo padre! Sto parlando di quello che ha detto tuo padre!”

“Ma tu non hai sposato mio padre, no?”

Ci squadrammo per un momento, in un silenzio surreale. Ciò che stavo dicendo aveva un senso, lo leggevo nello sguardo di Lina, ma mia moglie non sembrava ancora del tutto convinta.

Scosse la testa, cercando freneticamente, lo capivo, un modo diverso per porre la questione. “Voglio dire… in genere, quando pensi ad un matrimonio, è a QUESTO che pensi, giusto? Tu… davvero non… non mi hai chiesto di sposarti perché desideravi una vita del genere…?”

“Veramente… io l’ho fatto perché desideravo una vita con te…” Replicai, in sincerità. Era questo, credo, che mio padre non capiva. L’amore coniugale non aveva un grande posto, nella sua scala dei valori. “Non dico di escludere a priori che giunga altro. Ma… con i nostri tempi. Come al solito.” Feci una pausa, cercando le parole per spiegarmi. “Mio padre diceva che il matrimonio è prima di tutto una responsabilità… e so che è un modo di dire comune, ma io non riesco a vederla allo stesso modo. Ti amo, e sei la mia migliore amica. Sto sinceramente bene con te. Lo so che è semplice… banale, probabilmente. Ma… davvero non ho bisogno di altro.”

Lina rimase in silenzio per un momento. “Semplice.” Parve assaporare quella parola. “Già. Lo è. E tu sei una persona davvero candida, Gourry.”

Quel commento mi fece esitare. Sapevo che da anni ero un libro aperto, per lei. Ancora prima del nostro matrimonio, ancora che il nostro rapporto superasse la barriera della semplice amicizia, non avevo mai pensato di frenarmi dal manifestarle il mio affetto nei suoi confronti. D’altra parte, Lina aveva un indole molto più complessa della mia. Era riservata al di sotto della sua apparenza aperta, la sua sicurezza mascherava un intrico di luci e ombre da cui, sapevo, a volte lei stessa era inquietata. E la sua sete di novità era inesauribile. Durante la lotta con Fibrizo, in preda alla disperazione, le avevo gridato che il suo posto era al mio fianco. E lo avevo creduto, perché anche così, anche sopraffatta da ciò che di più oscuro si annidava in lei, lei rimaneva Lina, la stessa Lina che ero certo avrebbe saputo vincere su se stessa. La stessa Lina da cui sentivo di non essere capace di allontanarmi, perché fare a meno anche di un solo aspetto della sua meravigliosa complessità avrebbe significato perdere un pezzo della mia anima. Tuttavia, mi rendevo conto di essere assurdamente semplice, a suo confronto. A volte, mi chiedevo se IO fossi abbastanza interessante, per una persona come lei.

“E’ lo stesso per me.”

“Eh?” Battei le palpebre. Cercai nel suo tono di voce un’ironia che non riuscii a trovare.

Scoppiò in una breve risata, di fronte alla mia espressione. Una risata vera, non sarcastica o fredda, come quelle con cui talvolta si faceva sprezzo dei suoi interlocutori. “Ci crederesti? E’ così semplice, anche per me. A volte non riesco ancora a credere di avere avuto la fortuna di incontrarti.” Rise nuovamente, con allegria. “C’è chi direbbe che non me la merito.”

Il calore mi invase, a quelle parole. La mia mano, ancora ferma sulla sua spalla, la strinse istintivamente. “In fondo, si sa che non c’è giustizia, al mondo.”

Lina ridacchiò, coprendo brevemente le mie dita con le sue. “Non dirlo ad Amelia.” Scosse la testa. “Anche se, ad onor del vero, anche io ho i miei problemi, a causa tua.”

Battei le palpebre. “Vale a dire?”

“Bé… mi spiace essere io a darti questa notizia… ma credo di non piacere granché alla tua famiglia.”

Non si preoccupò di mascherare il suo sarcasmo. Io soffocai una risata.

Lina sospirò. “Ma il mio problema più urgente è che, se non troviamo un modo per passare queste settimane, morirò di noia.” Si allontanò lievemente da me, e fissò il soffitto, come in cerca di una soluzione dal cielo.

“L’aspetto positivo è che quanto meno Eriol ora smetterà di farti la corte.”

Mia moglie mi guardò storto. “Sei un po’ troppo pronto a pensare che lo facesse solo per interesse, Gourry…”

Ridacchiai. “E’ ovvio. Sono pochi quelli che come me hanno una perversione per il seno piatto!”

Avevo appena oltrepassato la linea (sottile, per chi ha a che fare con Lina) fra vita pacifica e morte violenta. Mia moglie stava socchiudendo le labbra, il segnale che qualcosa di non meno potente di un Mono Volt stava appunto per abbattersi sulla mia esistenza, quando un lampo di genio, di quelli che solo l’istinto di sopravvivenza è in grado di generare, giunse a posticipare la mia sofferenza.

“Ehi, Lina. Dato che non c’è altro da fare, perché non chiedi ad Eriol di farti accedere a qualcuna delle biblioteche di Talit?”

Mia moglie mi studiò con la fronte aggrottata, evidentemente ancora incerta sulla sorte da riservarmi. “E quest’idea da dove ti viene fuori?”

“Stavo ripensando a Livia, la sera scorsa. E mi è venuto in mente che mia nonna mi diceva che a Talit sono custoditi volumi provenienti da ogni parte del continente.”

Lo sguardo di Lina tradì improvvisamente interesse. “In effetti può essere. I libri sono un bene di scambio prezioso, e i testi celebri possono portare prestigio tanto quanto le spade magiche. Anche se qui non c’è una Gilda dei Maghi interessata a raccoglierli, in fondo si tratta pur sempre di una città mercantile…” Il suo volto si incupì, brevemente. “Certo che non riesco ad immaginare quello zotico di Georg che accumula volumi come uno studioso consumato…”

“Ma ci sono stati i suoi predecessori…”

Lina si strinse nelle spalle. “Questo sì. La stessa Erianna non è una stupida. E in effetti Livia aveva accennato al fatto che Georg è appassionato di cartografia…” Si scostò lievemente da me. “Anche se dubito che troverò volumi di magia, in un regno come Elmekia. Al massimo qualche testo sulle armi, o opere di strategia militare…”

“O romanzi.” Suggerii, con una mezza risata. Per qualche motivo, avevo idea che il genere non interessasse Lina.

Mia moglie mi lanciò un’occhiata divertita. “Ho superato da un po’ l’età per le storie di dame e cavalieri.”

“Ciò significa che da piccola le leggevi?”

Lina sbuffò. “Il mio era un interesse scientifico. Pianificavo di sposare un principe, dovevo pur documentarmi da qualche parte. Poi un villano qualsiasi ha ben deciso di togliermi dalla piazza, e ha rovinato ogni mia prospettiva di nobiltà.”

“Chi è il villano?” Ridendo, cercai di afferrarla, ma Lina mi sfuggì senza sforzo e afferrò il mantello verde abbinato al suo vestito.

“Devo andare in biblioteca.” Se lo avvolse attorno alle spalle, e mi guardò accigliata. “Sei libero di venire con me, se vuoi, ma vedi di non addormentarti come tuo solito mentre io leggo, o ti ci chiudo dentro fino a domattina.”

Scuotendo la testa, mi limitai a seguirla mentre usciva nel corridoio. Quell’ultima minaccia doveva essere la vendetta per i miei commenti sul suo seno, e avevo l’impressione che avesse intenzione di tenervi fede. Ma ero felice che i pensieri sul nostro soggiorno forzato fossero momentaneamente accantonati.

Con mia sorpresa, Lina prese a salire i gradini, invece di muoversi verso la base della torre. Mi accodai di corsa a lei, e la fissai perplesso. “Non chiedi ad Eriol il permesso, prima di salire in biblioteca?”

“Sinceramente, Gourry…” Lina si strinse nel mantello. “… Eriol in questo momento è l’ultima persona che ho intenzione di vedere, come qualsiasi membro della sua assurda famiglia. Se ci ha piazzati nella stessa torre della biblioteca, suppongo che non abbia nulla in contrario se andiamo a dare un’occhiata…”

Quella logica non mi appariva così stringente, ma non mi opposi. Dopo anni di piani di battaglia, avevo imparato bene in quali circostanze potevo convincere Lina, e in quali neanche un esperto oratore ne sarebbe stato in grado. Mi limitai a seguirla lungo la scala, che in quell’ultimo tratto si restringeva troppo per camminare affiancati, e scrutai al di sopra delle sue spalle la massiccia porta in legno che ci veniva incontro, dalla cima delle scale. Per qualche motivo, quella barriera aveva l’aria di invitarci a tornare sui nostri passi, e non impicciarci di ciò che non ci riguardava.

Quasi a conferma delle mie sensazioni, quando Lina tentò di aprire, si ritrovò a scuotere la maniglia senza risultato.

“Diavolo.” Provò a spingere e tirare, senza smuoverla di un millimetro. “E’ chiusa a chiave.”

“Immagino che questo possa significare che il padrone di casa non è poi così felice di avere estranei che vagano per la torre senza il suo permesso…”

Lina sbuffò, irritata. “Livia ieri sera è entrata senza problemi, ricordi? E sinceramente non riesco a immaginarla mentre cerca di rubare le chiavi sotto il naso a Georg. E’ più probabile che ieri notte la abbiano scoperta, e da allora il padrone di casa abbia deciso di bloccare le biblioteche al suo accesso…”

In effetti, quel giorno la ragazzina non si era vista da nessuna parte… Quale poteva essere la punizione per avere cercato accesso ad un po’ di cultura che esulasse dagli insegnamenti dei propri istitutori? Quella ad Elmekia era normalmente considerata una stravaganza, per una ragazza. E il mio regno natale non era precisamente un luogo tollerante verso le ragazze stravaganti.

“Credi che Georg permetterà a noi di entrare?”

“Sinceramente… non mi importa niente di ciò che Georg permette o non permette di fare.”

Lina allungò la mano verso il chiavistello, e pronunciò sommessamente una formula. Sentii uno scatto, come se un’invisibile chiave avesse appena girato nella toppa, e stavolta, alla spinta di Lina, la porta si aprì.

Mia moglie vestì un breve sorriso di trionfo, e avanzò nella stanza. Io la seguii, senza riuscire a frenare il mio disagio.

“Lina…” Sussurrai. “Non mi sembra una buona idea… lo sai cosa ne pensano, qui, della magia… se ci scoprono…”

“Se vogliono una maga a difendere il palazzo, devono accettarne le conseguenze.” Lina richiuse la porta alle mie spalle. “E poi, non ci scopriranno. Scommetto che nessuno mette mai piede qui dentro.”

“Mmm…” Non ero particolarmente convinto, ma evitai di discutere. Sapevo che non sarei riuscito a portare Lina via di lì, e non avevo intenzione di lasciarla da sola. Meno avessimo discusso, e prima ce ne saremmo andati, riducendo il rischio che mio padre trovasse un altro motivo per gridarmi in faccia che ero la vergogna della famiglia.

Lina mi rivolse un sorriso. “Rilassati, Gourry. Cosa potrebbero mai farci? Hanno bisogno di noi.” Con questo, la sua attenzione si rivolse alla stanza. A me venivano in mente un sacco di cose che avrebbero potuto farci, un campionario che andava dal carcere alla frusta, ma cercai di non pensarci, e di distrarmi scrutando l’ambiente che mi circondava. La sala non era particolarmente grande, ma era letteralmente stipata di volumi, raccolti su alti scaffali. Il mobilio ricopriva interamente le pareti, ad eccezione dello spazio di una seconda porta e di quello delle ampie finestre, che si aprivano sul panorama del mare in tempesta. La quantità di polvere lasciava pensare che la sala non fosse più frequentata da tempo.

La luce che pervadeva la stanza era grigia, come ogni cosa all’esterno. Il sole non era visibile, ma non doveva mancare molto al crepuscolo. Avevamo forse un paio d’ore prima che venisse servita la cena.

“Come pensavo… solo stupidi testi sull’arte della guerra… sarebbe l’ambiente ideale per Erianna.”

Lina aveva evocato una piccola sfera di luce, e stava scorrendo i titoli dei volumi nascosti fra le ombre degli scaffali. Pregai che non trovasse altro, così ce ne saremmo andati in fretta. Ma poi il mio sguardo cadde su una serie di volumi dall’aspetto familiare, e la mia lingua si mosse prima che il mio cervello potesse frenarla.

“Ehi, Lina… questi non sono uguali al testo che Livia stava portando via ieri notte?”

Mia moglie si volse verso di me, e scrutò la fila di volumi che stavo indicando. Il suo sguardo si mosse con interesse sull’intero scaffale, e un lieve sorriso si disegnò sulle sue labbra. “Testi di storia.” Mormorò. “Certo. Suppongo che in mancanza di romanzi abbia dovuto ripiegare su questi.”

I sei volumi rilegati in rosso, scoprimmo, erano una storia onnicomprensiva del regno di Elmekia, redatta da qualche sconosciuto sacerdote una cinquantina di anni prima. Ogni volume aveva finiture di un diverso colore, e anche il tomo con decorazioni in oro che avevamo visto in mano a Livia faceva mostra di sé in mezzo agli altri. Evidentemente, come Lina aveva supposto, qualcuno doveva avere scoperto Livia e averla privata del testo, per restituirlo alla sua posizione originaria.

Mia moglie estrasse il volume e prese a sfogliarlo, con fare curioso. Anch’io lessi da sopra le sue spalle, chiedendomi cosa potesse risvegliare l’interesse di una ragazza come Livia nella storia di un regno governato da una aristocrazia guerriera.

“Il volume arriva fino ad un paio di secoli fa.” Commentò Lina, sfogliando le pagine rese fragili dal tempo. “Guarda, parla anche della costruzione della nuova Talit, sotto la casata dei Darland… è la famiglia della regina, no? Eriol mi ha detto che furono loro a portare questa città alla ricchezza, dopo che per secoli era rimasta un semplice borgo di montagna.”

Annuii. “Anche se in realtà Talit era una roccaforte piuttosto potente anche prima della costruzione della città nuova, e i Darland la dominavano già da un pezzo. Certo da un paio di secoli è cresciuta notevolmente, ma questo è successo a tutte le città commerciali, da quando Elmekia ha firmato l’alleanza con Sailune e gli altri regni del sud del continente…” Le nozioni della storia di Elmekia erano probabilmente le uniche che ricordavo con facilità. Mio malgrado. Mi erano state impresse a suon di cinghia, durante la mia infanzia… “Però non ho mai capito perché abbiano ricostruito interamente Talit, invece di limitarsi ad espanderla come le altre città sulla costa…”

“Potrebbe essere per la conformazione del territorio… Anche se personalmente sospetto che la spiegazione sia molto più banale. Semplice ostentazione.” Lina sbuffò, sbrigativamente, cambiando capitolo. “Oh, guarda. Credo di aver trovato quello che cercava Livia.”

Mi sporsi lievemente su di lei, per leggere, e il nome ‘Sailarg’ catturò immediatamente il mio sguardo.

“Che cos’è?”

“La storia dello Spadaccino di Luce.” Lina si volse verso di me, con un ghigno. “Suppongo che, dato che questa raccolta è troppo datata per parlare del suo degno successore, Livia abbia dovuto ripiegare sull’originale.” Ammiccò lievemente, mettendomi a disagio.

“Io… non sono il suo ‘successore’…”

“Non fare il modesto, Gourry. Lo ha detto lei stessa che ormai anche tu sei una leggenda, ad Elmekia. E hai combattuto contro Shabranigdu, contro Rezo, contro Garv e il Signore degli Inferi, quindi direi che non è un titolo immeritato.” Il sorriso di Lina era sincero, ma per qualche motivo quelle parole, in quel momento, non riuscivano a lusingarmi.

“Lina…” Esitai, per un momento. “Tu… mi credi quando ti dico che non era questo quello a cui pensavo, quando… quando ho rubato la spada, vero?”

La mia espressione seria dovette coglierla di sorpresa, perché improvvisamente ogni traccia di giocosità scomparve dal suo sguardo. “Che dici, Gourry? Come potevi immaginarlo, allora?”

Improvvisamente, i miei dubbi mi parvero estremamente sciocchi. Ma avevo bisogno di conferme, almeno da lei. “Voglio dire… davvero, non la ho presa per… per tenerla per me… ma poi ho pensato che poteva anche nascere qualcosa di buono da quell’arma, anche se fino a quel momento aveva causato solo guai…”

“E lo ha fatto?”

Non capii. “Cosa?”

“Qualcosa di buono.”

La fissai per un momento in silenzio. “Ti ha difesa.” Non aggiunsi altro. Quelle tre parole bastavano a spiegare il valore che la Spada di Luce aveva avuto per me.

Lina mi sorrise. “Non ti sei disperato quando la hai perduta, Gourry. Mentre altri la avrebbero tenuta stretta a sé, pagando qualsiasi prezzo. Credo, e lo dico sinceramente, che questo ti qualificasse come la persona migliore per portarla. E ti conosco abbastanza bene per sapere che non puoi averla rubata mosso da cattive intenzioni.”

Un sorriso sorse spontaneo alle mie labbra. Lina tornò al volume, appoggiandosi lievemente a me mentre scorreva le pagine. Io sentii la tensione rilasciarmi, forse per la prima volta in quella lunga giornata. Anche quel modo casuale di volgere le spalle aveva un significato, con Lina. Perché i suoi sensi di combattente si rilassavano davvero solo in presenza di chi aveva la sua fiducia incondizionata. E non era qualcosa di semplice da ottenere, la fiducia di Lina.

“Sai, anche il tuo antenato aveva viaggiato fino a qui…” Mormorò dopo qualche istante, il tono di voce acceso dall’interesse. “Pare che fosse in rapporti di amicizia con uno dei figli dell’allora duca… che però è morto di malattia, quando era ancora piuttosto giovane…”

“Davvero?” Battei le palpebre. Non avevo mai sentito quella storia.

“Mm. Qui dice che…”

Lina si bloccò di colpo. La vidi volgersi verso la porta, lo sguardo improvvisamente allarmato.

“Cosa…?”

Lina mi zittì con un gesto. Mi afferrò per un braccio e mi condusse verso la piccola porta in legno su uno dei lati della stanza. Sussurrò qualcosa, e anche quella malmessa serratura scattò. Mi spinse dentro, senza dire una parola.

“Lina…” Iniziai, ma mia moglie scosse la testa, zittendomi nuovamente. Serrò la porta, e la vidi sparire sul lato opposto, mentre il buio si richiudeva su di me. Avrei voluto seguirla, o chiederle dove mi trovavo, ma sapevo che aveva in mente qualcosa di preciso. Così, rimasi nascosto nell’oscurità, su gradini di legno ammuffiti, per secondi che mi parvero ore. Quando finalmente la porta si aprì di nuovo, Lina rientrò frettolosamente, e non mi lasciò il tempo di fare domande. Evocò una nuova sfera di luce, illuminando una ripida scala, che spariva nel buio. La riconobbi. La sera prima la avevamo scoperta, dietro una porta accanto a quella del guardaroba, nella nostra stanza. E avevamo unanimemente concluso che era troppo pericoloso percorrerla.

Scendemmo cautamente, e quando raggiungemmo la nostra camera fui felice di constatare che il fuoco scoppiettava ancora nel camino. In quel percorso di pochi minuti, l’umidità mi era penetrata nelle ossa.

“E allora?” Domandai, strofinando le mani per scaldarle.

“Qualcuno stava salendo le scale.” Replicò semplicemente mia moglie. “Ho sentito i passi. Poteva essere un servitore, ma non era il caso di rischiare.”

“Ma che cosa hai fatto prima di venire via?”

Lina mi rivolse un sorriso furbo. Con un movimento felino, estrasse un volume da sotto il mantello. Lo stesso tomo rifinito d’oro che aveva sfogliato fra le fredde pareti della biblioteca.

“Co…?” Rimasi senza parole. Cosa sarebbe successo quando chiunque stesse salendo alla biblioteca si fosse accorto del volume mancante?

Lina rise, di fronte al mio volto impallidito. “Non ti preoccupare, Gourry. Ho lanciato un incantesimo di illusione che ha proiettato un’immagine immateriale del volume sullo scaffale. Nessuno si accorgerà di nulla, ed io rimetterò a posto il libro appena avrò finito di leggere ciò che ho lasciato a metà.”

Non avevo capito esattamente cosa fosse quell’immateria… qualcosa. Però, sapevo bene cosa implicavano normalmente le iniziative di Lina.

Guai.

“Per favore, Lina. Che ci può essere di interessante in quel testo?”

“Non lo so. Ma per qualche motivo ho una strana sensazione, a riguardo.”

Grandioso. Indovinate un po’ a cosa portano normalmente, tanto per cambiare, le ‘sensazioni’ di Lina.

“Ti ho detto di rilassarti, Gourry.” Lina rise, nuovamente. “Non ho detto che penso che il mondo stia per finire, o qualcosa del genere.”

Io mi sedetti sul letto, sconfortato. “Sto diventando troppo vecchio, per questo genere di cose.”

Lina ridacchiò di nuovo, e mi si sedette accanto. Si aggrappò al mio braccio e mi stampò un lungo bacio sulla guancia, prima di raggiungere le mie labbra con le sue. Per un momento cominciai a considerare l’ipotesi di dedicarmi ad un passatempo pomeridiano meno pericoloso del girovagare per le biblioteche altrui. Tuttavia, ogni mio progetto venne infranto da un energico bussare alla porta.

“Miei signori. La cena sarà servita nel giro di un’ora. Il mio signore vi invita a prepararvi.”

Odiavo i nobili e la loro vita programmata.

Molte ore più tardi, navigavo nel mondo ovattato fra il sonno e la veglia. Era notte fonda. Il fuoco nel camino si era spento, svanito in tremule braci. All’esterno, la furia della tempesta aveva ceduto il passo ad una fine pioggia, gettando sul nostro riposo un’atmosfera di quiete. Questo, però, non bastava a farmi prendere sonno. Normalmente, cadevo addormentato non appena la mia testa toccava il cuscino, ma quella notte le immagini della serata appena trascorsa si rifiutavano di lasciare andare la mia mente.

L’atmosfera era stata surreale. Ancora una volta avevamo cenato nella sala da pranzo privata, accompagnati da Georg ed Eriol. Né Erianna né Livia erano apparse, ma, in compenso, mio padre aveva consumato il pasto con noi. Aveva trascorso l’intera serata in fitta discussione con il padrone di casa, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo. Non che non ci fossi abituato. Era così che ci si comportava, per lui, con una questione già sistemata. A casa mi additava spesso come il figlio distratto, ma quella definizione mi era sempre parsa estremamente ingiusta, da parte sua, dal momento che quando discutevamo la sua mente sembrava sempre imprigionata da mille altri pensieri.

Eriol, al contrario, era stato più che felice di dispensarci le sue attenzioni. Sembrava avere dimenticato di smettere, o non avere mai saputo di doverlo fare, ora che il nostro sostegno alla sua causa era assicurato. La teoria di Lina, che mia moglie mi aveva esposto sbuffando, mentre risalivamo i gradini della torre, era che il principe semplicemente era cresciuto con la nozione di essere al centro dell’universo, e che godeva troppo nel catalizzare l’attenzione altrui per rinunciarvi ora che la cosa non era più necessaria. Ad ogni modo, mi era sembrato molto più interessato alla parte femminile della tavolata che non a quella che considerava, credo, una necessaria appendice. Avevo idea che non vedesse l’ora di trovarsi di nuovo faccia a faccia con Lina, e questo bastava perché un sotterraneo senso di fastidio mi catturasse la base dello stomaco. Supponevo che avrei dovuto precederla, da quel giorno in avanti, nel prepararmi per la colazione. Anche se avevo idea che sarebbe stata più che capace di tenere al suo posto un tipo del genere.

Stupido libro!”

Un’imprecazione soffocata mi fece aprire gli occhi. Non ero stato vigile come mi era parso di essere. Quel sussurrato richiamo alla realtà mi aveva frastornato molto più di quanto avrebbe fatto se fossi stato ben sveglio.

Battei ripetutamente le palpebre. Una debole luce proveniva da qualche punto al di sotto delle coperte e un quieto fruscio rompeva a tratti il silenzio della stanza, quasi impercettibile, confondendosi con il mio respiro accelerato per la sorpresa. Mia moglie non era visibile, e al suo posto si trovava una scura sagoma che avrei potuto scambiare per uno spettro, se anche solo l’ipotesi di avere ragione non mi fosse sembrata ridicola (voglio dire, quante volte vi siete svegliati con un fantasma seduto a fianco? Di quelli coperti da un lenzuolo?). Mi ci volle un po’ per capire che si trattava semplicemente di Lina, seduta sul letto, e totalmente sepolta sotto alle coperte. Per un momento, mi chiesi se non fosse semplicemente uno strano sogno.

“Lina?” Bisbigliai. Stupidamente, perché la prima persona nei paraggi doveva trovarsi diversi piani sotto di noi.

Il fruscio si fermò, e la luce vacillò lievemente. La testa di mia moglie fece capolino da sotto il lenzuolo. “Oh. Gourry.” Anche lei bisbigliò, in risposta al mio mormorio. “Che c’è?”

“Che stai combinando?”

“Leggevo. Non volevo svegliarti, quindi ho cercato di schermarti dalla luce.” Rifletté un secondo. “Anche se, in effetti, suppongo che inveire contro il libro non sia stata una buona idea, da quel punto di vista.” Pronunciò quella frase con la stessa aria di ineluttabilità con cui avrebbe potuto dichiarare che Shabranigdu era nuovamente risorto.

Sollevai il lenzuolo, e sbirciai al di sotto. Il grosso testo di storia era aperto, vicino alle gambe incrociate di mia moglie.

Tornai a guardarla. “Lina.” Il mio tono cercava di suonare ragionevole. “La mezzanotte dev’essere passata da un pezzo. Domani hai tutta la giornata a disposizione. Perché ti sei messa a leggere ora?” Il fatto che nel farlo avesse svegliato il sottoscritto sarebbe stato un buon argomento a favore della mia posizione, ma evitai di aggiungere nuovi tasselli ad una conversazione che speravo di mantenere semplice. La logica di Lina poteva diventare molto contorta, a quell’ora di notte.

Lina rise, come se le avessi fatto una domanda ovvia. “Perché è interessante, Gourry.” Fece scorrere le braccia attorno al mio collo, e mi baciò la guancia. “Non riuscivo a prendere sonno, e così ho pensato di leggere qualche pagina, ma il tempo è passato senza che me ne accorgessi.”

Sospirai. Non potevo obiettare, quando mi abbracciava a quel modo.

“Tu sei una maledetta manipolatrice.” Mi limitai a borbottare. E Lina comprese benissimo cosa intendevo, perché soffocò una risata. “E’ davvero un peccato che tu abbia ceduto la Spada di Luce.” Mormorò, baciandomi alla base del collo. “Scommetto che ora come ora sarei riuscita a farmela regalare senza troppi sforzi.”

“Credo che quella ti sarebbe costata un po’ di più di qualche abbraccio.”

“Sono sacrifici che una ragazza deve essere pronta a fare.”

Finii per ridere, insieme a lei. La strinsi per un momento a me, e al di sopra della sua spalla scorsi il volume, che sbucava fra le coperte scomposte.

“Ehi, Lina…” Domandai, scrutando le pagine ingiallite. “A parte tutto… Che cosa aveva, il libro, che non andava…?”

“Eh?” Lina allontanò il viso dal mio collo, per guardarmi negli occhi.

“Prima… ‘stupido libro’… è questo che hai detto, no?”

Lina parve riportata alla realtà da quella affermazione. Emise un sospiro. “Oh… già.” Lanciò un’occhiata in tralice al tomo. “In realtà non è nulla di particolare, ma… è che… ho l’impressione che ometta deliberatamente alcune informazioni…”

“Uh?”

“Riguardo alla città vecchia.” Si protese lievemente verso il volume, e lo attirò a sé. “Vedi?” Mi indicò la pagina a cui era rimasto aperto. “Tutto il capitolo sulla costruzione della nuova Talit è costellato di riferimenti ad un fantomatico ‘incidente’, che a quanto pare fu fra le cause dell’abbandono della vecchia città… Ma pensi che venga spiegato in cosa consiste?” Mi guardò per un secondo, forse per rendere più efficace la sua domanda retorica. “No! Ho riletto il capitolo tre volte, e non c’è nessuna glossa o nota a riguardo, nessun riferimento ad altri testi che ne parlino. Ho persino passato un’ora a sfogliare il glossario riguardante la magia sacerdotale e le descrizioni delle armi, ma niente, niente di niente.”

Ora capivo in che modo quella lettura era andata avanti per ore. Dare un motivo simile per incaponirsi a Lina e poi pretendere che si mettesse a dormire era come presentare una montagna di foraggio ad un mulo e spronarlo a partire senza averla toccata.

Ok, ammetto che le mie metafore non sono molto raffinate, nel cuore della notte.

“Ma… non può essere semplicemente una svista del compilatore?”

Mia moglie scosse la testa con energia. “Lo cita troppe volte!” Chiuse il volume, e me lo agitò di fronte al naso. “Ti dirò come penso che sia andata… Io credo che il compilatore abbia trovato una fonte che citava una qualche informazione non particolarmente lusinghiera riguardante i signori della città, e la costruzione della nuova Talit. Ha voluto inserire nel testo il racconto dei fatti per intero, ma il volume è stato revisionato, e la stesura così com’era è stata rifiutata… perciò l’autore è stato costretto a rivedere il capitolo, eliminando la narrazione dei fatti considerati scomodi dai duchi…”

Mi girava la testa, solo dopo quella spiegazione. Lina aveva una insana passione per le ipotesi azzardate.

“Eh… ehi, Lina… siamo ancora sul terreno delle supposizioni, non è così?”

“Sì.” Fece un mezzo sorriso. “Ma con una ragionevole probabilità che siano fondate.”

“Ma a distanza di così tanti anni, in ogni caso, come è possibile verificare…?”

Lina si accigliò, e scrutò per un istante la copertina del libro. “L’autore si chiama Lorac Maulander. Chissà se è ancora vivo.”

Esitai. “Pensi che la famiglia di Eriol lo sappia?”

Lina si accigliò. “Dubito che sarebbe una buona idea tentare di scoprirlo. Implicherebbe una lunga e dettagliata spiegazione circa un certo volume trafugato. Potrebbe rivelarsi imbarazzante, non pensi…?”

Mi grattai la guancia. “In effetti i duchi non sarebbero molto felici della nostra sortita in biblioteca.”

Lina sospirò. “Trovi?” Chiese, sarcasticamente. “No, probabilmente la cosa più utile da fare sarebbe consultare i registri dei sacerdoti del tempio… certo, se se ne fosse andato di qui non ci sarebbe modo di rintracciarlo, ma se fosse ancora vivo e ancora a Talit lo sapremmo immediatamente…”

“E non credi che sarebbe un tantino sospetto presentarci al tempio e chiedere di vedere i registri di cinquant’anni fa?”

“Lo so, lo so, era solo un’ipotesi.” Lina mi guardò storto, come se fosse stata la mia osservazione a rendere impraticabile quella via.

“E comunque, anche se riuscissimo a sapere cosa è successo realmente a Talit duecento anni fa, a cosa ci servirebbe, ora?”

Lina mi fissò. Evidentemente, quello era un aspetto che non aveva considerato. “Bé…” Esitò. “… suppongo che potrebbe soddisfare la mia curiosità.”

Sospirai.

“E quel sospiro cosa dovrebbe essere?”

“Rassegnazione.” Mi abbandonai sul cuscino, cercando di mascherare un sogghigno. “Io ho sonno, ora, tu no?” Improvvisamente, sentivo che ero pronto a crollare come un sasso. “Se davvero questa faccenda ti interessa, domani penseremo a qualcosa.”

“Mmm…” Lina mi fissò pensosa per qualche istante. “In realtà credo di avere già un’idea…”

“Non quella di cercare ancora in biblioteca, mi auguro.”

Lina sorrise. “Tranquillo. Se l’informazione è stata cancellata da un volume, è improbabile che si trovi su altri, almeno nelle biblioteche di questa città. In realtà ho in mente qualcosa di diverso.”

“Vale a dire?”

“Bé…” Tornò ad abbracciarmi. Pessimo segno. “Dicono che i tramonti visti dalla città vecchia siano così romantici…”

“Lina…”

“E scommetto che lo sono più che in ogni altro momento dell’anno, sotto un gelido cielo invernale.”

“Vuoi salire alla vecchia capitale con questo tempo?”

“Le nostre giornate saranno così noiose, nelle prossime settimane… magari lassù si potrà trovare qualcosa di interessante da scoprire…”

“Ci sarà… la neve… non credi che sarà pericoloso arrampicarsi sin lassù…?”

“Tu dimentichi una cosa fondamentale.”

“Vale a dire?” Avevo un pessimo presentimento.

“Che noi possiamo volare.” Lo affermò in tutta allegria.

Sentivo già le vertigini.

***

A dispetto dei miei progetti, i giorni successivi ci videro bloccati al castello. I temporali proseguirono ininterrotti, una fitta cascata che si abbatteva con furia su scogliere scivolose e su pini piegati dal vento. Potevo pensare di sorvolare ripidi sentieri imbiancati di neve in una giornata di sole, ma non mi sarei azzardata ad addentrarmi fra le cime innevate nella furia di una tempesta. Così, dopo la nostra prima piccola avventura in biblioteca, trascorsi gran parte delle mie giornate rubando libri, e cercando di evitare Eriol e i suoi insistenti tentativi di attaccare discorso. Gourry rinunciò, dopo qualche blando tentativo, a tenermi lontana dalla sala in cima alla torre. Si limitò a restarmi alle costole, e, con mio sommo divertimento, a lanciare occhiate torve al futuro sovrano ogni volta che si avvicinava. Dopo qualche giorno, il principe smise di invitarmi a pranzare nei suoi appartamenti ed io smisi di ostinarmi a consumare i pasti chiusa in camera. Da allora, cenammo nella affollata sala comune, il calore, l’odore di sudore e il frastuono delle chiacchiere dei Lord una scusa sufficiente a limitare al minimo la conversazione con i presenti al nostro tavolo. Se non fosse stato per il senso incombente della loro presenza, avremmo potuto facilmente non accorgerci della famiglia di Gourry. Il Lord Gabriev ignorava sia me che suo figlio, mentre Derek si premurava di comparire di fronte a noi solo in occasione dei pasti, e si limitava a fissarci in silenzio, dal suo posto accanto a Livia. Anche la principessa non ci aveva più rivolto la parola. Per lo più, la sua conversazione era monopolizzata da Erianna, che ogni giorno si informava minuziosamente sulla sua giornata, e sull’andamento delle lezioni con l’istitutore che le era stato assegnato. Ogni tanto, però, la sorprendevo a lanciare lunghe occhiate a me e a mio marito. Con il passare dei giorni mi convinsi che desiderasse dirci qualcosa, ma la giovane veniva sempre accompagnata nelle sue stanze sempre prima di chiunque altro, e certamente prima che potessi pensare ad un modo per trovarmi faccia a faccia con lei da sola.

Quella mattina, una settimana e mezzo circa dopo il nostro arrivo, mi ero svegliata con un fastidioso cerchio alla testa, e con addosso un senso di fiacchezza che nemmeno un bagno ed una tazza di tè nero forte erano riusciti a placare. ‘Quei giorni’ erano arrivati, insolitamente dolorosi, togliendomi l’ultimo barlume di buon umore, e privandomi persino dell’appetito che avrebbe potuto restituirmelo. Eliminata l’idea di fare colazione, me ne stavo seduta su una delle poltrone di fronte al camino, un libro aperto da lunghi minuti alla stessa pagina, scrutando il panorama alla caccia di visioni che mi distogliessero dal mio malumore. Tuttavia, persino la pioggia aveva il potere di infastidirmi. Né forte né sufficientemente leggera da darmi la speranza di uscire, cadeva lenta su un paesaggio grigio e immobile, gettando una luce cupa su ogni dettaglio dell’ambiente che mi circondava. Le coperte scomposte, il crepitare delle fiamme, il respiro leggero di Gourry che dormiva erano cose normalmente familiari, piacevoli. Ma la mia insofferenza, quella mattina, le tramutava nelle complici di una sorda irritazione.

Ad un movimento di Gourry nel sonno, decisi di alzarmi. Mio marito era probabilmente vicino a svegliarsi, e dubitavo che avesse commesso sufficienti colpe nella sua ancora giovane vita per meritarsi di trattare con me, quella mattina. Mi infilai il mantello, con l’intenzione di avventurarmi per i corridoi del palazzo, ed eventualmente di cercare di scoprire dove alloggiava la principessa. Era un’idea che cullavo da qualche giorno, ma, priva di una giustificazione diversa dalle mie semplici sensazioni, non mi ero ancora decisa a metterla in pratica. Appena messo piede fuori dalla camera, tuttavia, mi ricordai di Eriol, con la sua inquietante abilità di comparire di fronte a me ogni volta che mi trovavo da sola. E quel giorno non potevo pensare di incontrarlo senza usare le mie dita per l’unica attività costruttiva che riuscivo a pensare di mettere in pratica con lui senza la magia: torcergli la gola, e guardarlo soffocare in una delle sue pompose frasi adulatorie.

Finii per girare sui miei passi e dirigermi, per l’ennesima volta, verso la cima della torre. Sapevo che Gourry non sarebbe stato felice quando gli avessi detto che ci ero salita da sola. Se proprio dovevamo farci cogliere a frugare nei beni della famiglia reale, tanto valeva che lo facessimo in due, era solito ripetermi. Tuttavia, in quel momento, salii i gradini senza nemmeno pensarci. Volevo solo essere circondata dall’odore della carta, e dalle sagome polverose dei libri. Sapevo che un’ora in silenzio e solitudine là dentro avrebbe potuto calmarmi come altrimenti solo uscire da quel dannato castello avrebbe potuto fare.

Con un gesto ormai automatico, feci scattare il chiavistello –uno dei pochi incantesimi che i miei poteri limitati mi permettevano di lanciare- ed avanzai nella stanza. Le imposte sbattevano contro i davanzali a causa del vento, e la sala era avvolta in una piacevole penombra. Mi richiusi la porta alle spalle e mi scrutai intorno, percorrendo con lo sguardo gli scaffali ormai familiari, alla ricerca di un volume o di un gruppo di libri che mi tentasse. Ero così assorta che per un momento non misi a fuoco la sagoma scura che si annidava nell’ombra. Fu solo quando avanzò alla luce di una delle finestre che con un sussulto registrai la sua presenza.

“Lina.” Un sussurro compiaciuto spezzò il silenzio. “Speravo che saresti salita qui.”

Il sangue mi si gelò nelle vene, nel riconoscere quella voce. Compresi immediatamente di essere in grossi guai.

Una lieve risata parve smentire le mie preoccupazioni. “Lina, Lina. Quell’espressione di chi è messo all’angolo non ti si addice. E non è necessaria. Mio zio avrebbe certamente qualcosa da ridire riguardo alla tua presenza qui, ma nessuno di noi ha interesse a fargliene parola.”

Eriol avanzò, e il suo volto pallido venne investito da un debole fascio di luce. Io arretrai di un passo, non ancora certa di potermi fidare. “Nessuno di ‘noi’?”

“Mia madre mi ha suggerito che potevi frequentare questa biblioteca. Livia le ha confessato di avertene parlato la sera del tuo arrivo, e lei meglio di chiunque altro, qui a palazzo, sa che una serratura difficilmente può fermarti. E’ una delle tue maggiori ammiratrici, fra i nobili del regno.” L’atteggiamento freddo di Erianna tendeva a suggerirmi tutt’altro. Ma immaginavo che a quella donna bastasse poco per convincere il figlio di qualcosa.

“Non credevo che tua madre si interessasse delle gesta di una maga. La mia arte in genere non riscuote grande successo, qui ad Elmekia.”

Eriol sorrise. “Ti ammira soprattutto perché sei una donna intraprendente. E’ stata lei a volere con forza la tua presenza qui a palazzo.”

L’erede al trono stava implicitamente –e con tutta probabilità inconsapevolmente- confermando le mie supposizioni riguardo alle macchinazioni con cui la regina ci aveva condotti in quel luogo. Ma in quel momento non feci particolarmente caso alla cosa. Mi sarebbe interessato maggiormente comprendere perché persino al figlio Erianna avesse mascherato le reali motivazioni per cui aveva scelto me e Gourry -quelle che avevo dedotto e, probabilmente, quelle che ancora dovevo comprendere- dietro ad improbabili dichiarazioni di ammirazione nei miei confronti. Perché non potevo pensare che Eriol mi stesse mentendo deliberatamente, in quel momento. Non era nemmeno lontanamente sufficientemente acuto per farlo.

“Stamattina, è stata lei ad invitarmi a cercarti qui, quando non sei scesa a colazione.” Eriol proseguì, incurante dei miei dubbi. “Ed io ho accettato di buon grado. Non voglio mancare di farti comprendere quanto tu sia un’ospite gradita, Lina. Da oggi più che mai.”

La mia fronte si aggrottò. “Da oggi? Che cosa è cambiato, oggi?”

L’espressione di Eriol si tinse per un momento di stupore. “Non lo hai saputo?”

Era difficile che avessi saputo qualcosa, dal momento che per sua stessa ammissione non mi ero presentata a colazione. Scossi la testa, in segno di diniego.

“Eppure ne parlano tutti.” Eriol fece un altro passo verso di me. “Sailune è entrata in guerra a fianco di mio fratello.”

Improvvisamente, la bocca mi si seccò. Sailune? Che diavolo stava dicendo?

“Sailune… stai parlando del Regno di Sailune?”

Eriol sospirò. “Sì, so a cosa stai pensando. Devo ammettere che anch’io ho l’impressione che questo tenderà a complicare le cose…” Dei, quanto volevo prenderlo a schiaffi. “Ma mia madre dice che in fondo non è grave… le ultime volontà di mio padre ci danno ragione, in questa guerra, e l’intervento di Sailune è totalmente privo di giustificazione. Mia madre è certa che i regni confinanti troveranno quanto noi preoccupante questa iniziativa, e mossi da giusta ira giungeranno immediatamente in nostro aiuto…” Bé, ero profondamente dispiaciuta di non trovarmi d’accordo con mammina… ma io trovavo la cosa davvero, davvero grave.

“Sailune… a favore di Samon…” Il mio cervello aveva preso a lavorare in modo frenetico. Che cosa poteva significare un intervento di Amelia e Philionel in una questione come quella? Erianna aveva ovviamente ragione riguardo ai regni dell’alleanza degli stati del sud… fra coloro che già erano avversi a Sailune, chi non avrebbe approfittato di una occasione tanto ghiotta per rompere la neutralità e cercare di ridurre l’influenza di Sailune? Philionel era dotato di un discutibile senso dell’umorismo ed era oggettivamente brutto, ma tutto si poteva dire di lui tranne che non fosse un re saggio. Doveva esserci una ben precisa ragione per il suo intervento. E, conoscendo i principi del sovrano, cominciavo a chiedermi con maggiore serietà a CHI avessi accettato di accordare la mia alleanza. Che cosa cercava di fare, davvero, Erianna? Cosa, di tanto enorme da spingere Philionel a mettere in discussione gli equilibri politici che lui stesso aveva contribuito tanto faticosamente a stabilire, pur di impedirlo?

“Non volevo turbarti, Lina…” Nella mia confusione, non mi accorsi che Eriol si era avvicinato nuovamente. Mi trovai a sussultare, quando la sua mano afferrò con un gesto sinuoso la mia. “Le voci su di te raccontano di una tua amicizia con la principessa di Sailune… mi auguro che questa situazione non ti metta a disagio…”

Lottai con tutte le forze per ricacciare in gola la mia replica sarcastica.

“Ho bisogno di parlare con tua madre.” La mia voce era dura. Ero stanca dei giochetti. Erianna avrebbe dovuto permettermi di inviare una missiva a Sailune e chiarire quella faccenda, altrimenti nessuna intimidazione dei Gabriev avrebbe potuto impedirmi di lasciare quel palazzo.

L’espressione di Eriol era costernata. “Non vorrai negarci la tua alleanza proprio ora, Lina… Sailune ha di certo agito per imporci il rispetto della legge di successione… ma tu mi hai conosciuto, e so che in cuor tuo comprendi perché mio padre mi abbia scelto come suo successore al trono…”

“Ho bisogno di capire.” Sibilai in risposta, ignorando la sua boria. Cercai di ritrarre la mano, senza risultato. La stretta dell’erede al trono era ferrea.

“Non hai bisogno di mia madre per capire.” La voce di Eriol si fece suadente. “Ti puoi fidare di me, Lina.”

E con questo, il suo volto si avvicinò al mio.

Farò notare una cosa, a mia discolpa. A mio marito sono serviti anni di conoscenza, anni di convivenza quotidiana, di confidenza e reciproco sostegno, per poter cercare di baciarmi senza rischiare la vita.

E mio marito mi piaceva.

Osservai impassibile mentre Eriol indietreggiava e cadeva, sbilanciato dal mio pugno. Ero troppo rabbiosa per essere davvero consapevole di aver appena colpito un reale. “Non riprovarci.” Sibilai, reggendomi le nocche doloranti.

Il principe, per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, parve perdere il controllo. Le sue guance si imporporarono, ed un’espressione di incredulità mista ad orgoglio ferito trasfigurò i suoi lineamenti delicati, già alterati dal labbro inferiore tumefatto. Lentamente, si alzò e avanzò verso di me. “Mia madre saprà di tutto questo!”

Feci del mio meglio per evitare di ridergli in faccia.

Lasciai che mi superasse, e lo sentii scendere rumorosamente le scale. Quando si fu allontanato a sufficienza, lo seguii fuori dalla stanza. Presto la regina avrebbe preso a cercarmi, e c’erano alcune cose che dovevo sbrigare prima che mi trovasse.

Aprii la porta della camera che condividevo con Gourry, venendo immediatamente invasa dal tepore. La stanza era deserta. Il letto era ancora disfatto, e la porta del bagno era aperta, la stanza pervasa dall’odore degli oli da bagno che i servitori avevano messo a disposizione per noi. Mio marito non doveva essere uscito da molto. Mi mossi velocemente all’interno, cambiandomi nei miei consueti abiti da viaggio. Nel caso la regina fosse stata più alterata del previsto, riguardo al mio piccolo alterco con suo figlio, o nel caso le sue risposte riguardo a Sailune non fossero state soddisfacenti, supponevo che sarebbe stato il caso, per Gourry e per me, di levare le tende in fretta.

Affibbiandomi il mantello al collo, mi chiusi la porta alle spalle, e presi nuovamente a scendere le scale. Avevo bisogno di trovare Gourry e illustrargli i nuovi sviluppi della situazione prima che la regina trovasse me. Avanzai nei corridoi, intenzionata a dirigermi nella grande sala comune del piano terra, con la speranza di trovarlo mentre faceva colazione. Mentre attraversavo l’atrio che conduceva alle scale, una rapida occhiata all’esterno mi rivelò che fuori la pioggia era cessata. Quasi con stupore, osservai l’ombra di un pallido sole lottare per emergere dalla fitta coltre di nubi che ancora incombeva sulla città. Era il preludio alla tanto sospirata giornata di sereno? O era solo la quiete prima di una nuova tempesta?

Sulla via non incontrai nessuno, se non qualche servitore intento a distribuire lenzuola pulite nelle stanze dei Lord in visita. Le mattinate nel castello erano sempre innaturalmente quiete. I servitori gestivano silenziosamente le esigenze dell’orda dei fedeli di Eriol, nobili e mercenari giunti a Talit a garantire la propria alleanza alla causa del principe. I soldati si allenavano stoicamente negli ampi cortili, incuranti della pioggia che rendeva le loro vesti pesanti e confondeva i loro sguardi.

Percorsi due rampe di scale deserte, e feci il mio ingresso nell’ampio atrio cui si accedeva dall’ingresso principale del castello. I portali erano aperti e lasciavano entrare il gelido vento dell’esterno, che portava con sé l’odore pungente di pioggia e salsedine. Dalla sala delle udienze, dirimpetto all’ingresso, e dalla sala grande, che la affiancava, non proveniva nessun rumore. Aprii lentamente la porta della seconda, scrutando all’interno. All’apparenza era deserta. I tavoli erano già stati sgomberati, ma il fuoco ardeva ancora nel camino, facendo danzare la luce sugli arazzi alle pareti e sul baldacchino dai colori caldi che sovrastava il seggio del duca. Feci diversi passi all’interno, prima di accorgermi della presenza di una figura, di spalle, davanti ad una delle finestre. Con disagio, mi resi conto che si trattava del padre di Gourry.

Il Lord Gabriev parve realizzare nello stesso istante che qualcuno era entrato nella stanza. Si volse lievemente, e quando il suo sguardo incrociò il mio i suoi occhi si strinsero.

Per un momento, ebbi l’impressione di avere perso la capacità di muovermi. Quante volte Gourry aveva fronteggiato quello sguardo? Non riuscivo a capacitarmi del fatto che avesse potuto conservare il suo equilibrio, sostenendolo per anni. Pareva in grado di scavare ogni pensiero, di leggere le motivazioni più profonde di ogni animo. Pareva in grado di rivoltarti le viscere.

Il padre di Gourry non sembrò nemmeno accorgersi dell’effetto che la sua semplice occhiata aveva avuto su di me. Si volse, tornando a concentrarsi sul panorama all’esterno, come se alle sue spalle si fosse appena presentata una persona che non aveva nulla a che fare con lui. E invece, io e quell’uomo eravamo parenti, ora. Quella consapevolezza mi colpì improvvisamente, come una secchiata di acqua fredda in viso.

Mordendomi le labbra, rimasi ferma all’ingresso della sala. Per una volta nella vita, non sapevo risolvermi su come comportarmi. Dovevo andarmene con la coda fra le gambe? O dovevo intavolare come se nulla fosse la conversazione col mio suocero?

“Se cerchi mio figlio, è là fuori.”

Rimasi nuovamente gelata sul posto. Il Lord Gabriev non si era nemmeno volto a guardarmi. Ma la sua voce profonda mi aveva scosso come un incantesimo. Non mi ero aspettata che fosse lui a rivolgermi la parola per primo.

Esitai per qualche istante, ma alla fine, prendendo un respiro, mi decisi ad avvicinarmi. Non era da me lasciarmi mettere tanto in soggezione da qualcuno.

Raggiunsi cautamente la finestra, e scrutai all’esterno. Gourry si trovava effettivamente nel cortile, e non era solo. Derek era di fronte a lui. I pugni levati, e il collo della tunica imbrattato di sangue.

Ancora una volta mi immobilizzai, le labbra spalancate. Per un momento ipotizzai che i due fratelli si stessero semplicemente allenando, ma il loro sguardo non comunicava sfida. Solo rabbia, rabbia a malapena contenuta.

Mi volsi verso il padre di Gourry, alla silenziosa ricerca di una spiegazione, ma il Lord Gabriev non ricambiò il mio sguardo. Si limitò a continuare a fissare i suoi figli, la fronte corrugata, attraversata da una linea profonda che aggiungeva severità alla sua espressione.

“Continuo a non capirlo.” Dichiarò, in tono grave. Le sue mani si giunsero sulla sua schiena e la sua mascella si serrò. “Cosa sia passato nella testa di mio figlio. Ho sentito persino che la figlia del Gran Sacerdote di Sailarg aveva una predilezione per lui. Era quanto di meglio potesse sperare di ottenere, con la sua posizione.” Il suo sguardo tornò a fulminarmi. “E invece ha scelto te.”

Il mio intestino parve torcersi, al suo tono duro. Non mi ero aspettata la benevolenza della famiglia di Gourry, ma quell’aperto disprezzo aveva la forza di uno schiaffo in viso. Se si fosse trattato di chiunque altra persona, non la avrebbe passata liscia. E invece, nonostante non lo conoscessi, nonostante non desiderassi conoscerlo, ogni cosa, con lui, era dannatamente più complicata.

“E’ a causa mia… che stanno lottando, non è così?” La mia voce rimase fredda, neutrale. Anche se le mie viscere stavano ardendo.

“In parte.” Il Lord Gabriev tornò ad accigliarsi. “Tuo marito non ha gradito alcune affermazioni di mio figlio a tuo riguardo. E non ha gradito nemmeno i suoi progetti per l’immediato futuro, a quanto sembra.”

Le mie sopracciglia si levarono. “Quali progetti?”

Il Lord non rispose. Volse le spalle alla finestra, e avanzò lentamente verso uno dei tavoli. Io rimasi immobile, incapace di allontanarmi dalla visione dei due fratelli in lotta. In quel momento, tuttavia, Gourry gridò qualcosa di inintelligibile, e volse le spalle al fratello, scomparendo verso l’ingresso del palazzo. Avrei voluto andare da lui, ma quando mi volsi per farlo mi trovai a fronteggiare la figura imponente di suo padre, che mi ostruiva la strada. Il nobile afferrò una sedia, e vi si lasciò ricadere pesantemente, incrociando le dita al di sotto del mento. “Parlo della ricompensa che la mia famiglia riceverà in cambio della sua fedeltà ad Eriol. Il matrimonio di mio figlio con la figlia di Samon.”

I miei occhi si spalancarono. Non potevo aver capito bene. “Stai parlando… di Livia?”

Il padre di Gourry mi lanciò un’occhiata insofferente. “E’ ovvio che sto parlando di Livia. Chi altri?”

Sentii la rabbia catturarmi la base dello stomaco. “Ma ha solo quindici anni!”

L’uomo mi fissò, accigliato, e seppi con il suo semplice sguardo che considerava la mia obiezione estremamente sciocca. “Che rilevanza ha, questo? Apparterrà anche ad un ramo di traditori, ma è sempre un membro della famiglia reale. La nostra famiglia acquisirà finalmente il grado che le spetta.” La sua fronte si aggrottò. “Non riesco nemmeno a concepirti come membro del mio casato, ma suppongo che a questo punto questioni del genere dovrebbero interessare anche te. Una maga figlia di mercanti dovrebbe approfittare di ogni occasione, per guadagnare un minimo di prestigio.”

Le sue parole non erano che un’altra stilettata al mio orgoglio, ma in quel momento a malapena le udii. Ora capivo cosa aveva provato mio marito. Gourry non parlava molto di sua madre, ma sapevo che anche lei aveva subito un destino simile. Sposata giovane, ad un uomo che a malapena conosceva.

“Il vostro prestigio vive di titoli acquisiti a spese altrui.” Quelle parole presero forma da sole, insieme alla mia consapevolezza che io e il padre di Gourry non ci saremmo mai rispettati. “Gourry, il suo, se lo è guadagnato con il coraggio e l’abilità con le armi. Immagino che sia questo che tu e Derek non riuscite a digerire.” Non mascherai il mio disprezzo. Non ne vedevo il motivo.

Gli occhi del Lord Gabriev si strinsero. Il nobile si alzò, e in un istante la sua figura imponente mi sovrastò. Per la prima volta, le mie parole parevano aver intaccato la sua corazza di autocontrollo. “Non mi lascerò insultare dalla meretrice che ha sedotto mio figlio.” La sua voce si ridusse ad un sibilo. “Se lui è stato abbastanza idiota da lasciarsi manipolare da te, non significa che con me avrai la vita altrettanto facile, strega.”

Non sapevo se considerare più crudeli le sue parole, o la gelida calma con cui le aveva pronunciate. Restammo a fissarci, e per un momento fui certa che avrebbe cercato di alzare le mani su di me. Tuttavia, la porta si aprì prima che ciascuno di noi potesse fare una mossa.

Derek fece il suo ingresso, lo sguardo cupo, i capelli fradici. Mi resi conto solo in quel momento che la pioggia aveva già ripreso a cadere.

“Dov’è Gourry?” Prima ancora che il guerriero potesse accorgersi della mia presenza, scansai il Lord Gabriev, e avanzai verso di lui. Quelle persone, tutti quelli che popolavano quelle mura, mi parevano improvvisamente pericolosi folli. Ma non era tanto questo, a turbarmi. Stare lì mi metteva tanto a disagio perché sapevo di non poterli giudicare. Io ragionavo esattamente come loro. Con il calcolo, il sotterfugio e le strategie. Mi vedevo in loro come in uno specchio, e questo non mi piaceva. Mio marito ed io, insieme, venivamo spesso considerati persone bizzarre. Ma io mi piacevo, quando mi trovavo con lui. E in quel momento volevo solo vederlo, e sapere che esisteva ancora qualcosa, al mondo, che funzionava come doveva.

“Che diavolo vuoi che ne sappia?” La voce di Derek era dura. Il sangue gli colava sul mento, e un grosso livido gli deturpava la guancia sinistra. “E’ rientrato prima di me.”

“Hmpf!” Urtandolo deliberatamente, superai anche lui, e avanzai nell’ingresso avvolto dal gelo. Impronte di fango si confondevano all’ingresso, e si dividevano in due tracce distinte, una che si muoveva verso di me, l’altra verso lo scalone che conduceva ai piani superiori. Lì si disperdeva, suggerendomi tuttavia la direzione che mio marito doveva aver preso rientrando. Con ogni probabilità, quella delle nostre stanze, alla mia ricerca. Mi affrettai sulle sue tracce, con un mezzo sospiro. Quella mattina, sembravamo destinati a non incontrarci.

Arrivai alla torre affannata. Quel palazzo era inutilmente grande, ancora di più per qualcuno che non poteva muoversi servendosi della magia. Aprii la porta e, con un moto di irritazione, trovai la mia camera esattamente come la avevo lasciata. Calda, disordinata, e irreparabilmente deserta. Mi appoggiai allo stipite della porta, ansimando. D’accordo. Gourry non mi aveva trovata, e… Occhieggiai le scale. Poteva essere salito in biblioteca? Mi augurai che Erianna non avesse fatto lo stesso per cercarmi, o probabilmente tutto ciò che avrei trovato di mio marito sarebbe stato uno scarno mucchio d’ossa.

Facendo violenza a me stessa, salii di corsa gli ultimi gradini, fino alla sala che in quella settimana era stata il mio rifugio. Abbassai la maniglia e mi preparai a sbloccare il lucchetto, ma mi resi immediatamente conto che la porta era aperta. Dovevo avere dimenticato di chiuderla scendendo. E in effetti, altrimenti, come avrebbe potuto Gourry riuscire ad entrare?

Scivolai all’interno. Le imposte si erano definitivamente chiuse, ed il vento che ululava all’esterno era solo un sordo richiamo. La sala era avvolta in un buio quasi completo. Avanzai di qualche passo, attendendo di riprendere fiato a sufficienza per illuminare la stanza con la magia. Tuttavia, a meno di un metro dall’ingresso, inciampai in qualcosa, e finii direttamente con il viso al suolo.

Rimasi a terra, il corpo dolorante per la caduta, troppo stanca per rimettermi in piedi. Lottai per liberare le gambe da ciò che le aveva impicciate, una massa morbida e pesante che si allungava ai piedi della porta d’ingresso. Per un istante mi chiesi chi diavolo avesse abbandonato dei sacchi pieni lassù, ma mi bastò tastare con la mano una massa di capelli per capire che no, di sacchi davvero non si trattava.

Si trattava di un corpo.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Ecco un nuovo capitolo

Ecco un nuovo capitolo! ^^ Non so quanto i miei aggiornamenti saranno rapidi, d’ora in poi, perché per qualche mese sarò nel pieno del lavoro con la tesi, ma farò del mio meglio per andare avanti…XD Nel frattempo, ringrazio sempre chi legge e commenta! ^^ Buona lettura!

Tastai la soffice massa di capelli, incapace di prestare fede ai miei sensi. Solo per un momento. Poi, stupore e angoscia mi catturarono, in pochi, infiniti istanti.

Allungai dita tremanti, per saggiare i lineamenti della persona che era a terra di fronte a me. Le ritrassi immediatamente. La pelle era gelida. Un panico sordo prese ad attanagliarmi le viscere. Un nodo mi si formò alla gola e la formula del Lighting morì sulle mie labbra. Sapevo che era un uomo, la sua corporatura massiccia era sufficiente a rivelarlo. Ma temevo di scoprire altro. Temevo di avvertire, al di sotto delle mie dita, una curva, una imperfezione, una cicatrice, che mi rendesse improvvisamente quel volto familiare.

Rimasi immobile, il respiro accelerato. La mia vista si stava progressivamente abituando all’oscurità, ma non potevo abbassare lo sguardo. Rivoli di sudore freddo mi scendevano lungo la fronte, e la mia nuca e la mia schiena erano gelide. Chiusi gli occhi, lottando per riacquisire il controllo. Uno, due, tre e quattro. Era questo che mi insegnava Luna, quando qualcosa mi terrorizzava.

Chiudi gli occhi e conta.

Perché diavolo quando Gourry era coinvolto diventavo così vulnerabile?

Mi morsi il labbro inferiore, e mi costrinsi ad evocare una sfera luminosa. Aprii gli occhi di scatto, ed abbassai lo sguardo.

Per un momento rimasi confusa. I miei timori erano troppo concreti per essere smentiti da un semplice sguardo. Ma i capelli neri e la elegante veste divennero presto realtà altrettanto tangibili. Lentamente, il sollievo mi investì.

Arretrai, strisciando, e mi trovai con la schiena premuta contro una parete. Attesi immobile che il mio respiro si calmasse, scostandomi la frangia dalla fronte madida di sudore. Anche il principe di Elmekia era fermo in una immobilità innaturale. Non aveva ferite evidenti, ma il suo corpo aveva una posa rigida, contorta, come se fosse morto fra atroci dolori. I suoi occhi verdi erano aperti, vitrei. Sorpresi. Qualsiasi cosa lo avesse ucciso, lo aveva anche terrorizzato.

Chiusi gli occhi nuovamente, concedendomi qualche attimo per riprendermi. Dopo anni di battaglie, si pensa sempre di essersi abituati alla morte. Invece, la sua immensità è in grado di metterti all’angolo in ogni istante e toglierti la capacità di reagire. E la visione del cadavere di Eriol era tanto irreale che non riuscivo nemmeno a pormi le domande che a chiunque sarebbero venute in mente in quel momento.

Chi, e perché lo aveva ucciso?

La porta si aprì con uno scatto. Io spalancai gli occhi, colta di sorpresa. Non mi ero accorta che qualcuno stesse risalendo le scale. Una figura familiare fece il suo ingresso. Gli occhi azzurri che avevo temuto di incontrare qualche istante prima vagarono dal corpo al suolo a me, con fare stupito, interrogativo. Io espirai. Mi sarei trovata nei guai, se si fosse trattato di chiunque altro. Ogni evidenza sarebbe stata contro di me.

“Perché vi siete fermato, Sir Gabriev?”

Ogni mia speranza di segretezza si infranse in un istante, quando anche la regina entrò nella sala. Il suo sguardo si soffermò un momento su di me, e poi cadde sul figlio. E le iridi verdi dei suoi occhi parvero inghiottire le sue pupille.

“ERIOL!!!” Fece qualche passo in avanti, e inciampò sui suoi stessi passi. Cadde a fianco del figlio, il volto terreo, pallido come quello del giovane che giaceva morto accanto a lei. Ebbi a malapena il tempo di considerare che doveva aver incontrato Gourry e avergli riferito del mio scontro con suo figlio. In un istante, Erianna esplose, rabbia e dolore combinati in un grido che pareva risucchiare in sé qualsiasi altro rumore prodotto fra quelle mura. “ERIOL! ERIOL, ERIOL!” Levò lo sguardo sul mio, con occhi che parevano ciechi, velati dalla rabbia. “COSA HAI FATTO A MIO FIGLIO???” Volse le spalle, rivolgendo lo sguardo ai portali aperti della biblioteca. “GUARDIE! GUARDIE!”

Vidi il panico catturare il viso di Gourry, riflettendo quello che probabilmente aveva rimosso ogni colore dal mio. La regina attirò il corpo del figlio fra le braccia. Ma il suo sguardo ricolmo d’odio era tutto per me. Non ebbe bisogno di parlare. Il suo messaggio di morte era scandito lettera dopo lettera nelle sue pupille infuocate.

Mi alzai, cercando freneticamente di pensare a qualcosa, ma le voci delle guardie si sentivano già risuonare lungo le scale della torre. La scorta della regina doveva essere rimasta ad attenderla vicino alle nostre stanze. Gourry superò la donna e mi si pose di fronte, la mano all’elsa della spada. Mi afferrai al suo braccio prima che potesse estrarla.

“Non farlo.” Intimai, frettolosamente. “Non metterti nei guai anche tu.”

Gourry non si volse a guardarmi. “Tu non capisci.” L’ansia rendeva roca la sua voce, e quasi inintelligibili le sue parole. “E’ il futuro re. E’ come se ti avessero già condannata a morte.”

“Non sono stata io.” Fu la prima replica che mi venne in mente. Feci pressione sul suo braccio, e lo costrinsi a guardarmi. “Dico sul serio, Gourry. Quando sono entrata nella biblioteca era già morto.”

“Bugiarda.” La regina si era alzata, e mi fissava con odio. La sua voce era rotta, ma nemmeno una lacrima le rigava il volto. Non avrei saputo dire se stesse esercitando il suo autocontrollo, o se il suo dolore fosse semplicemente frenato dal suo desiderio di vendetta. “Mio figlio mi ha detto che lo hai aggredito, dopo che ti ha raccontato della entrata in guerra di Sailune. Mi ha detto che hai alzato le mani su di lui. Scommetto che hai immaginato che questo ti sarebbe costato il carcere, e che l’omicidio di mio figlio e la fuga ti sarebbero valsi la protezione di Samon.”

Scossi la testa, con foga. “Lo avete detto voi che sapevo che Sailune è entrata in lotta a fianco di Samon! La principessa di Sailune è mia amica, non avrei avuto bisogno di un omicidio per ottenere la sua protezione!”

L’espressione della regina si fece ancora più cupa. “Ciò forse significa che lo hai fatto a sostegno della tua amica. O addirittura che premeditavi già da tempo questo atto. Forse sei una spia di Sailune.”

Non ebbi il tempo di replicare. Le guardie di Erianna fecero il loro ingresso in quel momento. I loro sguardi caddero sul corpo inerme del sovrano, e quindi si fissarono su di me, sbigottiti. Gourry si parò disperatamente di fronte a me, ma c’era poco da fare. Era troppo rischioso cercare di farsi strada fuori dal palazzo con le armi, e fuggire col rischio di trovarci con tre draghi neri alle calcagna. In quel momento, non avevo nemmeno a disposizione i miei poteri al massimo della loro forza. Non avrei permesso a mio marito di compromettersi insieme a me.

Lo superai, e mi feci avanti. “D’accordo.” Allungai le braccia di fronte a me perché le legassero, in segno di resa. “Non ho intenzione di scappare. Cerchiamo di chiarire in modo civile questa faccenda.”

Le guardie mi afferrarono molto più bruscamente di quanto il mio atteggiamento di collaborazione avrebbe richiesto. Gourry, alle mie spalle, gridò. “No! Ha detto che è innocente!”

Il mio sollievo per il fatto che almeno mio marito paresse credermi fu offuscato dalla nota di disperazione che colsi nel suo tono di voce. In quel momento non mi rassicurava molto sapere che Gourry conosceva la giustizia di Elmekia molto meglio di me.

Soffocai un grido di dolore, quando le braccia mi vennero torte bruscamente dietro la schiena. Strette corde le bloccarono, e con spinte e strattoni venni trascinata fuori dalla biblioteca, e lungo le scale. Quando raggiungemmo il piano terra, la notizia di quanto era accaduto pareva già essersi diffusa. Una piccola folla si era radunata all’ingresso del palazzo, servitori e nobili, e membri della famiglia reale. Fra i presenti, riconobbi il padre di Gourry. Mi fissava impassibile, come se ciò che vedeva non lo stupisse particolarmente.

Venni trascinata con malagrazia attraverso la pioggia nel cortile, e all’ingresso dei sotterranei. Ci fermammo in una stretta guardiola senza finestre, che si apriva sull’atrio delle prigioni, e lì venni costretta a sedere su una panca corrosa dalle infiltrazioni. Mentre un gruppo di guardie si radunava attorno a me, ripresi fiato, inalando tanfo di umidità a sporcizia.

“Erianna. Si può sapere che diavolo sta succedendo? Perché hai mobilitato metà del mio esercito per portare qui la nostra ospite?”

Mi resi conto che Georg ci aveva seguiti. Arrancando sulla sua gamba di legno, avanzò alla luce delle torce, e squadrò la sorella e le guardie senza degnarmi realmente di uno sguardo. Alle sue spalle, notai farsi avanti nell’ombra il Lord Gabriev. Quei due parevano essersi scoperti anime gemelle.

“Tuo nipote è morto.” Erianna lo dichiarò senza preamboli, con un sangue freddo che in altre circostanze le avrei invidiato. I suoi occhi erano cerchiati, e scuri di emozioni represse. Mi chiedevo quando sarebbe esplosa.

Le sopracciglia di Georg si levarono, ma poco più di una blanda sorpresa emerse dalla sua espressione. “Morto? Che diavolo stai dicendo, Erianna? Lo ho visto parlare con te meno di due ore fa.”

Lei lo ha ucciso.” Erianna mi indicò, e alla sua fulminea occhiata fui percorsa da un brivido che non aveva nulla a che fare con le mie vesti e i miei capelli fracidi di pioggia. “Questo è alto tradimento.”

Georg attese per qualche istante, come aspettandosi che qualcuno contraddicesse la regina. Quindi, mi studiò con una lunga occhiata. Nel suo sguardo non c’era molto dell’emozione che trapelava da quello della sorella. D’altra parte, per lui Eriol non doveva essere molto più che un conoscente, considerando che aveva sempre vissuto a centinaia di chilometri di distanza. “L’alto tradimento è ripagato con la morte.” Dichiarò, con lo stesso tono con cui avrebbe potuto invitarmi ad un tè pomeridiano.

“E’ innocente!” Il grido di mio marito rimbombò fra le pareti di pietra. Lo vidi lottare a mani nude contro le guardie che lo stavano trattenendo a forza, bloccandolo lontano da me. Ad un certo punto del percorso, qualcuno doveva avergli sfilato il fodero con la spada.

Georg lo ignorò, così come ignorò Erianna, che fissava Gourry con occhi di fuoco. “Come è morto il principe?” Si rivolse ad una delle guardie, quella che mi stringeva dolorosamente la spalla, tenendomi premuta contro la panca.

“Non lo so, mio signore. Non ho visto sangue. Deve essere stato veleno, o stregoneria.” Mi lanciò un’occhiata, ed ebbi l’impressione che mi avrebbe volentieri torto il collo sul posto. Per poi correre a lavarsi le mani.

Georg mi rivolse una lunga occhiata. “Non sono in molti a conoscere queste arti, a Talit.” Il suo sguardo arcigno non mutò. Pareva più seccato per quei disordini fuori programma, che turbato dalla scomparsa dell’erede al trono.

“Io… non posso usare la magia, in questi giorni.” Mi costrinsi ad affermarlo, nonostante tutti gli sguardi fossero puntati su di me. A dispetto della situazione, avvertii le mie guance avvampare. “Problemi di donne.”

“Oh, davvero?” Georg non si lasciò scomporre. “Già, ne ho sentito parlare… il motivo per cui le sacerdotesse al tempio della corte vivono diversi giorni al mese in totale clausura…” Fece un passo verso di me. “Ma nulla ti impedisce di servirti della tua conoscenza di erbe e veleni, non è così? Si dice che tu sia alquanto competente, in materia.”

“Il principe era più forte di me. Somministrargli del veleno avrebbe significato lottare con lui, un lusso che non avrei avuto il tempo di prendermi. Mio marito e la regina mi hanno raggiunta solo pochi minuti dopo il mio arrivo sulla biblioteca in cima alla torre.” Esitai. “E’ lì che è avvenuta ogni cosa.”

Georg si accigliò ulteriormente, ma non fece commenti riguardo al mio ingresso senza autorizzazione nella sala. “Non hai prove di quello che dici.” Si limitò ad osservare, asciutto. “E temo che la tua parola non sia sufficiente.”

“Sì che ne ho. Fino a qualche minuto prima mi trovavo al piano di sotto, nella sala comune.” Il mio sguardo si soffermò su quello del padre di Gourry. “Il Lord Gabriev può confermarlo.”

Tutti gli sguardi si volsero immediatamente verso il nobile, i cui occhi, sottili fessure, erano fissi sui miei. Georg aggrottò la fronte. “Confermi quello che afferma la maga, Edward?” Notai, scioccamente, che era la prima volta che sentivo pronunciare il nome del padre di Gourry.

Ci fu una lunga pausa, prima che il Lord Gabriev parlasse. E, quando lo fece, la sua voce era assolutamente priva di sentimento. “Non ho motivo di ritenere che sia innocente.”

“Bugiardo!” Scattai in piedi, vincendo la pressione del braccio del soldato. “Abbiamo parlato! Abbiamo visto i tuoi figli lottare!”

“Ferma!” La guardia cercò nuovamente di bloccarmi, ma io le morsi la mano, con tutte le mie forze. Ero già stanca di fare la brava ragazza.

Prima che le guardie riuscissero a fermarmi, avevo già raggiunto il padre di Gourry. Le mie mani legate mi impedirono di fare qualcosa di diverso dal guardarlo negli occhi, ma il mio sguardo rivaleggiava con quello che la regina mi aveva rivolto scoprendo della morte del figlio. Rigurgitava tutto il disprezzo che provavo nei confronti dei suoi valori, e della loro ipocrisia.

“Non sono un bugiardo.” Sibilò Edward, squadrandomi con spassionato odio. “Tu non sei innocente, strega. E pagherai per ogni cosa.”

Feci per avventarmi su di lui, ma due paia di braccia mi afferrarono con violenza. Mi divincolai, con la forza della disperazione. Nessuno avrebbe messo in dubbio la parola di un Lord, contro la mia. Di certo nessuno in quella stanza avvertiva la necessità di interrogarsi ulteriormente su quell’omicidio. Forse, il vero colpevole era lì al mio fianco e covava silenziosamente la soddisfazione di vedere qualcuno accusato al suo posto. La replica del padre di Gourry mi aveva condannata a morte.

“Ferma, dannazione!” Un violento pugnò fu sferrato contro il mio stomaco. La pancia già mi doleva, e quel colpo mi lasciò momentaneamente senza fiato. Non ebbi il tempo di riprendermi. Un'altra mano guantata si scontrò contro la mia guancia, ed improvvisamente il mondo esplose di fronte a me.

“LINA!”

Avvertii solo vagamente il grido di mio marito, e i rumori della colluttazione sull’altro lato della stanza. Cercai affannosamente di riprendere cognizione della realtà attorno a me, ma quando levai la testa in cerca di aria, un nuovo colpo si abbatté sulla mia nuca.

E il mondo divenne nero.

***

Dovevano essere trascorse ore, quando acquisii nuovamente coscienza. Una fitta di dolore mi attraversò il cranio non appena aprii gli occhi, e di riflesso strinsi le palpebre, nella speranza di poter perdere nuovamente i sensi. Tuttavia, il gelo del pavimento di pietra su cui giacevo, prona, mi tenne ancorata alla realtà. Da qualche parte, l’umidità filtrava dal soffitto, e gocce d’acqua scivolavano ad intervalli regolari in una pozza sul pavimento. Quel semplice rumore aveva l’effetto di un chiodo che mi perforava il cervello. Cercai di portare le mani alle orecchie, per ripararle, ma mi resi conto che erano ancora bloccate dietro la mia schiena. E anche se così non fosse stato, non era detto che ne sarei stata in grado. Ogni parte del mio corpo doleva terribilmente.

Mi forzai a riaprire gli occhi. La mia palpebra sinistra fece resistenza, a causa del sangue coagulato accumulatosi a seguito del colpo del soldato. Gemetti lievemente, e solo allora mi resi conto che un bavaglio era stato forzato fra le mie labbra. Evidentemente, il Duca non si era fidato delle mie affermazioni riguardo all’uso della magia.

Venni colta dal panico. Cosa era stato deciso? E che ne era stato di Gourry?

“Ti sei svegliata.” Una voce risuonò di fronte a me, al di là dell’entrata della cella. Sussultai, e cercai affannosamente di sollevare lo sguardo, per osservare il volto della persona che mi parlava. Rinunciai presto. Mi limitai a fissare un paio stivali neri, e gli insetti e la sporcizia che si interponevano fra quelle calzature e me. “Ho diverse comunicazioni da rivolgerti.” Riconobbi improvvisamente il mio interlocutore. Si trattava di Bastian, il generale al servizio del Lord Gabriev. Al solo ricordo dell’espressione soddisfatta del nobile mentre mi mandava al patibolo, venni travolta da una scarica di velenoso odio.

“I funerali del sovrano avranno luogo dopodomani, in mattinata.” Proseguì Bastian, incurante della mia rabbia. “Le celebrazioni inizieranno domattina, ad iniziare dalla tua esecuzione, che avverrà all’alba. Non ti sarà permesso di incontrare tuo marito, prima di allora. Non ti sarà permesso di parlare con nessuno, se non con le guardie adibite alla tua sorveglianza. Fra qualche ora ti sarà concesso di lavarti, e di consumare un ultimo pasto. Ad Elmekia non si nega a nessuno una morte dignitosa.” L’ultima frase venne pronunciata con sprezzo. Evidentemente, Bastian era convinto che in alcuni casi sarebbero state legittime delle eccezioni.

Non avevo modo di replicare, imbavagliata, e non avevo la forza di reagire in altro modo. Mi limitai ad appoggiare la guancia al pavimento, mentre i passi di Bastian si allontanavano. Mi chiesi se il Lord Gabriev, dall’alto del suo sodalizio con Georg, lo avesse posto personalmente a guardia della sua pericolosa nemica. Ma anche se così non fosse stato, che importanza aveva? Di certo all’ingresso delle prigioni era di stanza un piccolo esercito di guardie. Ero in trappola. Chiusi nuovamente gli occhi. Avrei solo voluto vedere Gourry. Se doveva finire così, volevo almeno poterlo abbracciare un’ultima volta.

Scossi la testa, cercando di riscuotermi da quei pensieri. No. Non ero ancora morta. Dovevo concentrarmi su come uscire di lì, e farlo in fretta, perché a quanto pareva i miei carcerieri non avevano intenzione di concedermi tempo. Presi a divincolarmi. Forse avrei potuto cercare di segare le corde in qualche modo. Se fossi riuscita a togliermi il bavaglio, avrei potuto servirmi di quel poco di magia che mi restava per aprire la porta della cella, e… e poi? E poi che speranze avrei avuto, con decine di guardie alle calcagna? E Gourry? Lo tenevano rinchiuso da qualche parte nel palazzo? La mia fuga si sarebbe ritorta contro di lui?

Smisi di lottare. Era assurdo, come quello che era il mio più grande sostegno fosse anche la mia più grande debolezza. Il mio respiro si fece corto, e la mia gola si strinse a causa del panico. Non riuscivo a pensare lucidamente, in quelle condizioni. E non avevo tempo. Tempo. La mia ora si avvicinava inesorabilmente, ad ogni minuto che passava, ad ogni goccia che cadeva sulla pietra umida e gelida.

Rimasi immobile, lasciando scivolare via i minuti. Dopo un po’, persi totalmente la cognizione del mondo che mi circondava. Sentivo solo le mie braccia intorpidite, e il freddo, e la vaga impressione che centinaia di insetti camminassero sul mio corpo. Avrei voluto sapere che ore erano. Avrei voluto avere la certezza di quanto mi separava dalla mia morte.

Caddi in un dormiveglia inquieto. Mi svegliai di soprassalto, quando avvertii dei passi attorno a me. Tre paia di piedi mi circondarono. Per un momento, pensai che fossero venuti a prendermi per l’esecuzione, e mi odiai per avere perso le mie ultime ore nell’incoscienza. Poi, mi ricordai delle parole di Bastian.

Riuscii solo a gemere, quando venni sollevata sulle mie gambe. Barcollai, ma la stretta serrata dei soldati mi impedì di crollare nuovamente al suolo. Qualcuno mi parlò. Non capii, le mie orecchie attraversate solo da un sordo ronzio. Uno schiaffo mi colpì in volto. La coscienza calò sul mio capo, con la stessa sensazione dolorosa della circolazione che torna a percorrere arti da tempo inutilizzati. Una mano raggiunse le mia labbra, e rimosse rudemente il bavaglio che le imprigionava.

“Vedi di rispondere agli ordini, strega. Abbiamo il compito di renderti presentabile per la tua esecuzione. E non abbiamo tempo da perdere.”

“Quanta clemenza… vi manca solo la presunzione di innocenza, per diventare un paese civile…” Riuscii a costruire una frase coerente. La voce mi uscì come un rantolo.

“La feccia meriterebbe solo di essere lasciata in pasto ai topi.” Il tono della guardia rivaleggiò con quello che Bastian mi aveva rivolto qualche ora prima. Il cavaliere dei draghi avrebbe avuto un numeroso seguito, se avesse deciso di candidarsi come successore di Eriol. “Nessuno voleva venire qui. La regina ci ha detto di fare di te ciò che volevamo, ma nessuno ha nemmeno tanto sangue freddo da toccarti.”

“Sono davvero affranta.”

Il soldato mi riservò un nuovo schiaffo. “Se non vuoi che ti tagli la lingua, tienila a freno. E vedi anche di non tentare scherzi, a meno che tu non creda di non averne avuto abbastanza. Nessuno vuole toccarti, ma credo che nessuno si farebbe dei problemi a insegnarti di nuovo la buona educazione.”

Strinsi le labbra, e ricacciai in gola la mia replica. A quanto pareva, la commedia dell’ospite gradita era già terminata.

Venni afferrata per gli avambracci, e trascinata nuovamente nella guardiola. Una vasca in legno era stata approntata, ricolma di acqua che avrei scommesso essere fredda. Una forma di sapone era abbandonata ai suoi piedi. Arrancai, spinta dai soldati. Mi sentivo debole. Era dalla sera precedente che non toccavo cibo.

“Dov’è… la mia cena?”

“La stanno portando. Prima di tutto lavati.”

“Cos’è, avete paura che mi venga una congestione, e muoia prima del tempo?”

Un nuovo schiaffo mi azzittì. Mi risolsi ad obbedire, malgrado la rabbia. Volsi lo sguardo verso la sala, e notai che nessuno aveva pensato di lasciarmi vestiti puliti. Tuttavia, le guardie avevano lasciato abbandonato sulla panca il mio mantello. Al solo vederlo, la speranza mi si riaccese in petto. Probabilmente era stato perquisito, ma nessuno poteva essere a conoscenza dell’incantesimo che mi permetteva di nascondervi i più disparati oggetti all’interno. Non sapevo cosa potesse esserci di davvero utile, ma se avessi trovato qualche erba che potesse causare un’esplosione, qualcosa che potesse anche solo aiutarmi a creare un diversivo…

“Cosa aspetti?” Mi intimò la guardia, dandomi una nuova spinta verso la vasca.

“Non posso lavarmi con le mani legate.” Replicai, come dato di fatto. “E non posso nemmeno farlo con un gruppo di uomini che mi guarda.”

Il soldato mi strattonò per i capelli. “Non sei in condizione di patteggiare, strega.” Il suo volto si avvicinò minacciosamente al mio. “Se preferisci morire assediata dalle pulci fa’ pure. Ma decidi in fretta. Hai dieci secondi per infilarti in quella vasca.”

Il mio piano cominciò a sgretolarsi velocemente di fronte ai miei occhi. Non avevo considerato l’idea che i miei carcerieri non volessero concedermi un minimo di decenza. E sinceramente, piano a parte, avrei volentieri preferito restituire il bottino a dieci bande di banditi piuttosto che accettare di spogliarmi di fronte a chiunque di loro.

“Posso restare io con lei.” Una voce debole risuonò alle spalle dei soldati. Alzai lo sguardo, colta di sorpresa. Quel tono delicato era l’ultimo che mi sarei aspettata di sentire, laggiù.

Livia si trovava in piedi vicino all’ingresso. La sua figura esile era avvolta in una veste bianca, i capelli neri raccolti da fibbie dorate in una alta ed elaborata coda. Alcune ciocche ribelli le erano scivolate sulla fronte, e le piccole gocce di pioggia che le imperlavano ricadevano ad ogni suo movimento sul suo mantello di lana bianca, e lungo le sue spalle esili. Il suo volto era tanto pallido che mi chiedevo se non stesse per perdere i sensi.

“Principessa. Che cosa fate quaggiù?”

Livia avanzò di un passo, e levò le braccia. Fra le mani, reggeva un piccolo fagotto. “Ho portato i vestiti puliti per la prigioniera. E anche la sua cena, e la vostra birra calda.” Fece un cenno alle sue spalle. “Mia nonna aveva incaricato una delle servitrici, ma le ho chiesto di scendere io, al suo posto. Volevo vedere in volto la donna che ha ucciso mio zio.”

“Principessa, questo non è luogo per voi. Questa donna è pericolosa e…”

“Con il bavaglio e le mani legate non può farmi del male. La aiuterò semplicemente a lavarsi. Non sarebbe consono, se fosse uno di voi a farlo. Se temete per me, lascerò le porte aperte.”

I soldati si scambiarono occhiate incerte, ma alla fine il desiderio di liberarsi dell’incombenza loro affidata parve prevalere. Uno di loro mi strattonò, e costrinse nuovamente il bavaglio fra le mie labbra. Gli altri indietreggiarono, lasciando spazio alla principessa.

Cercai lo sguardo di Livia, ma la giovane non mi guardò negli occhi. Si limitò a posare la veste che aveva portato per me sulla panca, e a slegare le fibbie del suo mantello. Di primo acchito avevo pensato che la principessa credesse alla mia innocenza e fosse venuta per darmi sostegno, ma la sua espressione neutra e il suo mutismo mi fecero improvvisamente temere il contrario. Avrei voluto parlarle, ma il bavaglio mi rendeva impossibile chiederle qualsiasi cosa.

Livia si rimboccò le maniche, e mi spinse a sedere sulla panca. Prese a rimuovere il mio stivale sinistro, ostinandosi a non guardarmi in volto. I soldati persero presto interesse in noi. Raggiunsero la piccola botte e i boccali poggiati sul tavolo nell’atrio e presero a discutere animatamente fra loro, ingurgitando copiose sorsate.

Livia rimosse anche il mio secondo stivale, quindi esitò per qualche istante. E levò finalmente lo sguardo su di me.

Rimasi per un attimo interdetta. Mi ero attesa rabbia, o accusa. E invece nei suoi occhi trovai solo paura. Insieme ad una strana, ferma risolutezza.

“Vedete i soldati, signora?” Bisbigliò. Io levai lo sguardo sulle guardie, concentrate sulla birra, e felicemente inconsapevoli del nostro scambio di battute. Feci un cenno di assenso con la testa.

“Hanno qualcosa di strano?” Feci per negare. Ma in quell’esatto momento, una delle guardie, un uomo alto e dai capelli grigio topo, che durante la mia conversazione con il suo capo non aveva fatto che sogghignare, ingollò una sorsata troppo abbondante, e prese a tossire con violenza. I due compagni gli batterono con forza sulla schiena, ma il soldato divenne sempre più paonazzo, e non cessò di rantolare. All’improvviso una seconda guardia fu contagiata dal morbo della tosse. Presto tutte e tre furono piegate dagli spasmi.

E si accasciarono, una dopo l’altra, al suolo.

Fissai Livia, esterrefatta. La giovane si limitò ad arrossire, con lo stesso fare infantile che aveva assunto la prima sera, sulle scale in cima alla torre, nel rievocare le mie imprese. “E’ solamente un sedativo.” Sussurrò, timidamente. “Ma temevo che non funzionasse. Non ero molto certa delle dosi.”

Attesi che mi liberasse dal bavaglio, mentre centinaia di domande affollavano la mia mente. Tutto mi sarei attesa da lei, tranne una cosa del genere. “Si può sapere dove diavolo hai imparato a fare una cosa del genere???”

Colsi Livia arrossire nuovamente, mentre si piegava a slegarmi i polsi. “Non lo ho fatto io. Lord Georg, nel suo studio privato, ha un mobiletto in cui tiene dei medicamenti. A volte la gamba gli fa male, e ha delle difficoltà ad addormentarsi, e si serve di cose del genere.” Raccolse i miei stivali. “Ho dovuto chiedere aiuto ad una servitrice, perché si intrufolasse nelle stanze di Lord Georg. Fortunatamente ho stretto amicizia con alcune di loro, da quando sono qui.”

“Ma… perché…?”

Livia esitò per un istante. “Perché non è giusto che voi paghiate per una colpa che non avete commesso.” Sussurrò poi, volgendo lo sguardo al suolo. Girò le spalle, e raggiunse le guardie. Estrasse un sacco di tela dal mantello, e prese a radunarvi i boccali sparsi al suolo.

Io rimasi seduta a massaggiarmi i polsi, l’aria perplessa. “Non ti metterai nei guai? Quando si sveglieranno, verrai accusata di avermi aiutata a fuggire.”

Livia si sollevò. Il suo sguardo si soffermò per un momento sui soldati abbandonati al suolo. Il suo volto parve impallidire ulteriormente. “Con la dose che ho messo nei bicchieri, verranno trovati prima di svegliarsi, e con tutta probabilità non ricorderanno nulla. Ma anche se così non fosse…” Si volse verso di me. “… anche se così non fosse, cosa cambierebbe? Non possono farmi nulla di peggio di quanto hanno già in mente di fare.”

Non potei replicare. Ero io la prima a dare più valore alla libertà che alla mia stessa vita. Se fossi stata nei suoi panni, avrei preferito qualsiasi prospettiva ad un matrimonio con un uomo di almeno vent’anni più anziano, e con il carattere di Derek.

“Ad ogni modo, non è questo il momento di pensarci.” Livia assunse un tono pratico che stonava vagamente con la sua espressione scossa. “Adesso ascoltatemi bene, signora, perché non abbiamo molto tempo.” Levò il fagotto che aveva portato, e me lo pose fra le mani. “Mi spiace, ma in effetti non avrete il tempo per lavarvi, e nemmeno per mangiare. Vi ho preparato queste vesti da viaggio, e un po’ di pane e di carne essiccata per quando vi sarete allontanata. Cambiatevi appena ne avrete il tempo. I vostri vestiti daranno nell’occhio, qui a Elmekia.”

Aveva perfettamente ragione. In un regno come quello, una veste da maga non mi avrebbe aiutata a nascondermi.

“Vi mostrerò come arrivare ad una delle vie d’uscita secondarie, quelle da cui i servitori scendono al fiume. Sono già d’accordo con una persona, che vi aiuterà ad andarvene. Fate molta attenzione. Lord Georg ha detto che… che non dovreste essere in grado di usare la magia, in questi giorni.” Arrossì, lievemente. “So che questo complica le cose. Ma se vi scoprono, non sarò più in grado di fare nulla, per voi. E con vostro marito tenuto segregato, non avreste altre possibilità di fuggire.”

“A… aspetta un momento.” La bloccai, prima che il suo fiume di parole riprendesse. “Mi stai dicendo che Gourry… Gourry non sa nulla di questa fuga…? Non è lui, la persona che mi aspetta là fuori?” Il mio stomaco tornò a stringersi. Avevo dato per scontato che ce ne saremmo andati insieme.

Livia scosse la testa, con fare grave. “Non ho avuto la possibilità di comunicare con lui.” Raggiunse il mio braccio con le dita e strinse, lievemente. “Ma sarà al sicuro. E’ un Gabriev, non gli verrà fatto del male. Sono certa che vi raggiungerà alla capitale non appena gli sarà possibile.”

“Alla capitale?”

Livia scostò il proprio mantello e sfilò il medaglione dorato che pendeva dal suo collo esile. Lo strinse per un lungo momento, quindi me lo porse, con fare vagamente riluttante. “Prendete.” Intimò. “Questo è un regalo che mio padre mi ha fatto in occasione del mio dodicesimo compleanno, quando sono stata incoronata principessa. Mostratelo a mio padre. Ditegli che il giorno in cui me lo regalò mia sorella pianse così tanto che non potemmo portarla alla cerimonia finché non ricevette un pendaglio simile.” Arrossì nuovamente. “Siamo in pochi a conoscere questa storia. Saprà subito che ve l’ho dato spontaneamente, e vi accorderà la sua protezione.”

Strinsi il pendaglio fra le dita per un momento. Aveva la forma di una piccola cornice ovoidale, finemente intagliata, e al centro era incastonata una piccola formella decorata con simboli legati a Cheipied. Non ci avrei messo la mano sul fuoco, perché soprattutto ad Elmekia era difficile vederne, ma ero quasi certa che il materiale incastonato nell’oro fosse Ohrialcon… Quel manufatto doveva avere un valore immenso. Per non parlare del valore affettivo. Livia stava dimostrando nei miei confronti una notevole fiducia, considerando che ero stata appena accusata di aver ucciso suo zio.

“Livia… come puoi essere certa che io sia davvero innocente? In fondo qui chiunque è convinto del contrario…” Sapevo che quella domanda andava contro ogni mia convenienza, ma non potei impedirmi di darle voce. L’ammirazione che quella ragazzina provava per me non poteva bastare a giustificare la sua opposizione all’intera famiglia, la sua negazione di quelle che per chiunque altro erano prove schiaccianti.

Livia abbassò lo sguardo, e per un momento mi parve combattuta. Quando finalmente si risolse a parlare, la sua voce era ridotta ad un sibilo. “Perché io so chi è il vero colpevole.”

I miei occhi si spalancarono. Per un momento, lo stupore cancellò il freddo, il dolore alle articolazioni e l’urgenza di scappare. “Lo SAI?” Potei solo boccheggiare. “E allora perché non…”

“Perché nessuno mi crederebbe.” Mi precedette, in tono mesto. “Nessuno crederà mai che sia stato Lord Georg.”

Improvvisamente, provai la necessità di tornare a sedermi sulla panca. Lord Georg? Avevo pensato a qualche vassallo di Eriol vendutosi alla fazione opposta, ma… Lord Georg? Lui, che aveva tutto da guadagnare dalla salita al trono del nipote?

Livia mi fissò, evidentemente conscia della tempesta di dubbi che aveva risvegliato in me. “Lo so, anche io non potevo crederci. Mentre cercavo di accedere ad una delle biblioteche, qualche tempo fa, mi sono trovata ad origliare per caso una sua conversazione. Parlava di Eriol, e di veleno, e della rivendicazione del trono. Purtroppo mi hanno scoperta prima che potessi sentire altro…” I suoi occhi si fecero vitrei, ed ebbi l’impressione che stesse rivivendo la paura di quegli istanti. “Lord Georg si è adirato come non mai, ma credo, spero non sia al corrente di quanto sono riuscita a sentire… d’altra parte, al momento non sapevo nemmeno se dare realmente credito a quello che avevo udito… ma, alla luce dei fatti, credo non ci sia molto spazio per i dubbi.” Fece un breve sospiro.

“A… aspetta un momento… hai detto che hai udito una conversazione? Quindi Georg stava parlando con qualcuno dei suoi progetti…”

Livia annuì, lentamente. “Sì. Si trattava del Lord Gabriev.”

A quelle parole, la gola mi si fece improvvisamente roca. Edward Gabriev… sapeva tutto? E nonostante questo…

“L’unica motivazione che mi viene in mente è che Lord Georg ambisca a proporsi agli uomini di mio zio come nuovo re, dopo la sua uccisione.” Proseguì Livia. “Forse Lord Gabriev lo ritiene più adatto al trono di quanto non fosse zio Eriol.”

Strinsi i pugni. La rabbia mi invase, con una violenza quasi insopportabile. Mi costrinsi ad abbassare lo sguardo al suolo, per non esplodere. Già… Cosa aveva convinto il padre di Gourry a rendersi complice? Il fatto che giudicasse Lord Georg più adatto a governare di un giovane inetto, manovrato da una donna? Sì, probabilmente… E probabilmente, insieme a questo, la promessa che, grazie a quel delitto, un certo scomodo errore di suo figlio, una fastidiosa macchia sulla gloriosa pagina della storia della famiglia, sarebbe stata eliminata…

“Signora Lina… Mi spiace, ma davvero non c’è più tempo.” Livia mi incalzò, ed io tornai ad alzare lo sguardo su di lei. Presi un profondo respiro. Aveva ragione. Preoccuparmi di Edward Gabriev e della sua crociata per uccidermi non mi avrebbe salvato la vita.

“Sì. Dimmi dove devo dirigermi per uscire di qui.”

“Fuori dall’ingresso delle prigioni costeggiate il muro sulla sinistra, e passate dietro le stalle. Lì troverete qualcuno ad attendervi. Vi farà nascondere in uno dei carri con i panni da portare al fiume. Andate avanti voi, io vi seguirò dopo un po’ di tempo, in modo da non rischiare che ci vedano insieme.”

Annuii, brevemente. Esitai, solo un istante, sull’ingresso. “Livia… sai che… io non combatterò a fianco di tuo padre, vero…?”

La principessa mi fissò per un momento in silenzio. Quindi abbassò lo sguardo, e annuì lievemente. “Lo so.” Replicò, in un sospiro. “Cioè, me lo aspettavo. Non prenderete le armi contro Talit, finché vostro marito si troverà qui.”

Colsi la punta di delusione nel suo tono di voce, e mi sentii una perfetta ingrata. Ma il senso di colpa non era sufficiente a farmi cambiare idea. Non mi sarei schierata col rischio di trovarmi a combattere contro Gourry. Questo era fuori da ogni discussione.

“Mi dispiace.” Mormorai frettolosamente, improvvisamente imbarazzata. “Ti prego, di’ a Gourry…” Esitai, brevemente. “…digli che lo sto aspettando.” Lo spadaccino avrebbe capito. Quando eravamo lontani, lui era il mio luogo a cui tornare. E allo stesso modo, se lo avessi atteso, sapevo che sarebbe giunto da me.

Livia annuì silenziosamente, e silenziosamente ci scambiammo un ultimo sguardo. Quindi, senza voltarmi, imboccai l’ingresso delle prigioni, e mi addentrai nell’oscurità delle scale che conducevano in superficie.

Percorsi i gradini a due a due, stringendo al petto il fagotto con le mie vesti e la mia misera cena. Le gambe mi facevano male per la lunga immobilità, e il mio mantello continuava a impigliarsi nelle impalcature metalliche delle torce ancora spente e nella ruvida pietra delle pareti. Quando giunsi alla cima, ero già affannata. Mi guardai intorno. All’esterno, l’oscurità era già calata e la pioggia si era trasformata in tempesta. Le torce nei cortili erano spente, impossibile tenerle accese. Le uniche luci a rischiarare il cammino erano i bagliori diffusi dei lampi.

Mi strinsi nel mantello, cercando di ricordare le parole che mi aveva rivolto Livia. Aveva detto a sinistra, mi pareva. Ma quel muro mi sembrava orribilmente esposto. Mi chiesi se fosse davvero il caso di fidarsi della capacità di giudizio di una ragazzina, che ben poco doveva aver avuto a che fare, fino a quel momento, con la strategia e la fuga.

‘Le stalle… ha detto di arrivare alle stalle.’

Cercai di scrutare oltre il muro di pioggia, e scorsi in lontananza la massiccia struttura in legno. Potevo girare attorno all’ingresso delle prigioni, e arrivarci costeggiando il boschetto di querce alle mie spalle. Oppure potevo fidarmi di Livia, invece che del mio istinto, e gettarmi a testa bassa verso il centro del cortile. Mi volsi verso la direzione che più mi tentava, lasciandomi per un momento lacerare dall’indecisione.

Furono proprio quegli istanti ad essermi fatali.

“Dove diavolo credi di andare, Lina Inverse?”

Quella voce gelida, alle mie spalle, ebbe lo stesso effetto che avrebbe avuto una pugnalata fra le scapole. Mi irrigidii per un istante, la mascella contratta. Mi volsi, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Avevo già riconosciuto perfettamente quella tonalità sprezzante.

La testa di Bastian era celata da un cappuccio nero, ma alcuni dei suoi riccioli dorati erano scivolati all’esterno, e gli si erano appiccicati al volto, fradici di pioggia. I suoi occhi scuri mi scrutavano e promettevano tempesta, come il cielo dello stesso colore che si stagliava alle sue spalle.

Avrei voluto accecarli con la magia. Avrei voluto reagire in qualsiasi modo. E invece mi limitai a rimanere a bocca aperta, troppo sorpresa anche solo per cercare di scappare. Che ci faceva il cavaliere dei draghi ancora lì? Il Lord Gabriev lo aveva lasciato per tutto il giorno a mio presidio? O lo aveva inviato da me nuovamente per qualche preciso scopo?

Non ebbi tempo di chiedermi altro. Una delle mani rivestite di cuoio di Bastian salì a coprire la mia bocca.

E l’altra si strinse attorno al mio collo.

Mentre lentamente perdevo i sensi, l’incomprensione e la paura si mescolarono nel mio petto al rimpianto. Avrei voluto lasciare a Gourry qualcosa di più di quelle poche, ormai insignificanti parole.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Ecco un nuovo capitolo, per inaugurare il nuovo anno

Ecco un nuovo capitolo, per inaugurare il nuovo anno! XD Grazie, come sempre, a chi legge e commenta!

***

L’elsa della spada era gelida nella mia mano. La pioggia mi inzuppava i capelli. Attorno a me scorrevano fiumi di sangue.

‘Perché?’

‘Non spetta a te conoscere i motivi.’

‘Ma spetta a me combattere.’

‘Perché questa è la guerra.’

‘Ho bisogno di un mio scopo.’

‘Non ne hai la forza.’

Aprii gli occhi. Le mie dita stringevano lenzuola fredde. I miei sensi erano intorpiditi. Non riuscivo a ricordare cosa avessi sognato.

Levai il capo per un istante, per poi tornare a poggiarlo sul cuscino. Volevo alzarmi, ma non avevo la forza di lasciare il calore delle coperte. Il fuoco nel camino era spento. Quella stanza sembrava immensa e gelida, senza Lina.

Dovevo aver dormito non più di un’ora. La mia gola era secca, per quanto avevo gridato contro la porta dei nostri appartamenti, chiedendo che mi lasciassero uscire. Avevo rinunciato solo quando ormai la notte era inoltrata, e non ero riuscito a prendere sonno che alle prime luci dell’alba. Nessuno mi aveva detto cosa sarebbe successo. Ero stato chiuso là dentro, all’oscuro di qualsiasi cosa, subito dopo essere stato trascinato via dal luogo in cui Lina era stata imprigionata. Ripensare alle percosse dei soldati mi faceva fremere di rabbia. Avrei preferito mille volte essere rinchiuso in quei sotterranei gelidi insieme a lei e accertarmi che stesse bene, piuttosto che trovarmi in una stanza confortevole, condannato a quel solitario tormento.

Levai lo sguardo dal cuscino solo quando sentii il chiavistello della porta scattare. Mi sollevai a sedere, immediatamente vigile, e rimasi deluso quando vidi avanzare la figura arcigna di Derek. Avrei preferito fossero state delle guardie. Almeno avrei avuto qualche possibilità di essere condotto da Lina.

Mio fratello avanzò, e lanciò sul letto il fodero con la mia spada. “Alzati. Nostro padre vuole vederti.” Intimò semplicemente, senza un cenno di saluto. Io non diedi segno di aspettarmi convenevoli. Non ci eravamo più parlati dal nostro litigio del giorno precedente, ed entrambi portavamo ancora segni troppo evidenti della colluttazione per considerarla acqua passata. Per di più, ripensare a come Lina aveva guarito ferite simili meno di due settimane prima non contribuiva a migliorare il mio umore.

“Che ne è stato di Lina?” Domandai, senza muovermi. Le sopracciglia di Derek si levarono.

“La sua esecuzione era fissata per un’ora fa.”

Lo stomaco mi si contrasse, e l’orrore mi investì, con una violenza inaudita. Ricaddi con la schiena contro il cuscino, incapace di dare forma e concretezza a quella notizia. Non era vero. Non potevo crederlo. Perché non avrei potuto pensare di alzarmi nuovamente da quel letto, se fosse stato così.

“Puoi anche aspettare ad atteggiarti a vedovo affranto.” Derek troncò ogni mia emozione sul nascere. “Non è saltata nessuna testa. Tua moglie è riuscita a scappare.”

Levai gli occhi su di lui, ancora una volta incapace di credergli. Derek vestiva un’espressione assolutamente indecifrabile.

“Hai detto che è scappata?”

“Già. E dalla tua reazione di poco fa deduco che tu non c’entri nulla con questo. Avrei creduto di poter giurare il contrario.”

L’aria tornò lentamente a circolare all’interno delle mie narici. Rilasciai le coperte, che avevo stretto convulsamente fra le dita, e mi abbandonai per un momento al sollievo. Avrei voluto chiudere gli occhi e lasciare scivolare via la paura. Ma non ero sufficientemente a mio agio, di fronte a mio fratello. Mi limitai a deglutire, e a domandare nel tono più neutro che riuscissi a produrre. “Come ci è riuscita?”

“Nessuno ne ha idea. Le guardie che erano a suo presidio sono scomparse. E anche uno dei nostri generali, che nostro padre aveva personalmente incaricato della sua sorveglianza, pare svanito nel nulla.” Il volto di Derek si incupì. “Ma il reale problema è un altro. Anche la figlia di Samon, la mia futura moglie, è scomparsa. Hanno ritrovato il suo mantello nei cortili, in mezzo alla pioggia. Pensiamo che tua moglie, dopo aver eliminato le guardie, la abbia portata con sé come merce di scambio per Samon.”

Quella replica non mi convinse. Se davvero Lina non poteva usare la magia, come poteva essere riuscita a far sparire quattro sorveglianti nel nulla? E la principessa… potevo capire che mossa a compassione Lina avrebbe potuto desiderare di condurla via con sé, ma… arrivare davvero a rischiare così tanto, per una ragazzina che conosceva appena? C’era qualcosa di decisamente sbagliato.

“Lord Georg ha scelto di non perdere tempo e di decidere oggi i piani di battaglia, nonostante il lutto.” Proseguì Derek. “Nostro padre vuole che tu sia presente. Ha detto che la questione di tua moglie non ti esonera dal prestare la dovuta assistenza alla tua famiglia.” Evitò deliberatamente il mio sguardo.

“Cosa gli fa pensare che accetterò di collaborare con voi dopo che ha mentito pubblicamente e ha fatto condannare a morte mia moglie?” Domandai, freddamente.

“E tu come puoi essere tanto convinto che abbia mentito?” Derek mi rimbalzò la domanda. Ma il suo tono di voce non era fermo come lo era stato nelle altre occasioni in cui aveva preso posizione a fianco di mio padre. Derek non era mai stato capace di mentire. Avevo tutta l’impressione che mi stesse nascondendo qualcosa.

“Se Lina fosse stata colpevole, a me avrebbe detto la verità.” Replicai, semplicemente. “E in ogni caso, mi accorgo di quando mente.” ‘Almeno quando non cerca di mentire a me’. Aggiunsi mentalmente, ma mi guardai bene dal pronunciare quelle parole ad alta voce.

Derek rimase in silenzio, il suo volto una maschera imperscrutabile. Per un momento mi parve tentato a dire qualcosa, ma nel barlume di un secondo le sue labbra tornarono a serrarsi e mi volse le spalle.

“Questo non riguarda me.” Dichiarò, gelido. “Se hai qualcosa da obiettare a nostro padre, potrai parlarne direttamente a lui.” Mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla. Ma, prima che io potessi replicare qualsiasi cosa, uscì dalla stanza, senza preoccuparsi di attendere che lo seguissi.

Rimasi immobile per diversi istanti, fissando i muri in pietra del corridoio. La porta era aperta e io ero tecnicamente libero di muovermi. Ma dove potevo andare? Non potevo credere che Lina si fosse allontanata senza lasciarmi nemmeno un messaggio. Si aspettava che la cercassi? O che restassi a palazzo e attendessi che si mettesse in contatto con me?

Scivolai fuori dal letto. Mi ero addormentato con i vestiti del giorno precedente e il mio aspetto doveva essere trasandato, ma non mi preoccupai di cambiarmi. Mi limitai a sciacquarmi il viso e a raccogliere le mie cose in fretta, per incamminarmi lungo i gradini della torre. La mia unica certezza era che non potevo muovermi da quel luogo fino a che le cose non mi fossero state chiare. Non ero bravo ad indagare, ma avrei dovuto ingegnarmi in qualche modo. Se Lina aveva cercato di lasciarmi qualche messaggio per ritrovarla, avrei dovuto saperlo leggere.

Raggiunsi la sala delle udienze. Non mi servì aprire la porta, per cogliere quanto concitata fosse la discussione all’interno. Grida violente si sovrapponevano le une alle altre in una indistinta cacofonia, accompagnata a tratti dall’acuto tintinnio dei boccali. Esitai per un momento di fronte agli spessi portali in quercia. Quando li aprii, venni immediatamente investito da un’ondata malsano calore.

Lord Georg era seduto sullo scranno del duca, e gli altri Lord erano radunati attorno a lui, alcuni in piedi, i volti rossi e gli sguardi accesi, altri seduti ai tavoli sui lati della sala. Solo questi ultimi si accorsero del mio ingresso e si volsero ad osservarmi. Non tutti mi riconobbero, ma in alcuni volti vidi il sospetto disegnarsi insieme alla comprensione. Essere il marito di Lina bastava a rendermi degno di scarsa fiducia.

A disagio, volsi lo sguardo verso la parte centrale della sala. Solo allora mi resi conto che a fianco di Georg si trovava anche Erianna. Era in piedi, avvolta in un lungo abito nero, lo sguardo fisso in avanti, iniettato di sangue. Pregai che non mi notasse. I suoi occhi bastavano a farmi gelare il sangue nelle vene.

“La realtà è che l’unica soluzione è l’aggressione!” Stava urlando con foga il duca. “Io credo, io SO che questa uccisione fa parte di un piano strutturato! Rimanendo barricati qui lasciamo solo che mio nipote faccia il suo gioco! E’ tempo di avanzare contro di lui e di spezzare i suoi piani sul nascere!”

Numerosi nobili applaudirono al duca. Mio padre era fra questi. Lo vidi annuire silenziosamente dalla sua posizione in prima linea, di fronte a Georg.

Mi sentii soffocare.

Tirai il collo della mia tunica, in cerca di respiro, e mi appropriai di una sedia. Avevo assistito ad una riunione simile, quelli che sembravano mille anni prima, una assemblea che aveva dato vita ad una lotta sanguinosa. Avevo un pessimo presentimento.

“Samon deve capire che, con o senza Eriol, quel trono non gli spetta di diritto! Il nostro defunto sovrano non lo avrebbe voluto, e io, noi ce lo riprenderemo! E la ricchezza e la gloria di Talit si estenderanno a tutto il regno!”

Un boato di approvazione si levò fra i presenti. Cominciavo a capire da cosa derivasse l’autorità di Georg a Talit. La voce del duca era gracchiante, il suo aspetto sinistro, ma aveva la capacità di trascinare che è necessaria ad un capo.

“I piani di battaglia verranno poi! Ciò che importa ora è la convinzione! Siete con me?”

Il ruggito dei Lord mi investì. Solo Erianna era immobile e silenziosa, il suo volto teso, la sua bocca stretta in una piega rabbiosa. La mia fronte si aggrottò, e l’agitazione mi strinse lo stomaco. Lord Georg continuò a parlare, ma io smisi di ascoltarlo. I rumori della sala si trasformarono in un sordo ronzio. Ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato andarmene da quel luogo al più presto. Ma non ero certo che mi sarebbe stato possibile. Non ero certo nemmeno di volerlo, prima di sapere che ne era stato di Lina.

I nobili nella sala presero a disperdersi, ma io rimasi seduto, in attesa. Intercettai lo sguardo di mio padre mentre avanzava verso l’uscita della sala, e lui e mio fratello si avvicinarono a me lentamente, fermandosi al mio fianco.

“Vieni, Gourry.” Intimò mio padre, nel suo consueto tono gelido e quieto. “Dobbiamo discutere in privato di una serie di questioni con il nostro nuovo signore.”

Mi alzai. Mio padre non si fermò ad attendere che lo facessi. Era abituato all’obbedienza e qualche anno prima non gliela avevo mai negata. In quel momento il suo atteggiamento giocava a mio favore. Non sapevo ancora se desiderassi davvero oppormi, o se per me fosse meglio assecondarlo. In tutta verità, non avevo la più pallida idea di dove cominciare a cercare Lina.

Avanzammo verso la sala comune, che a quell’ora era deserta. Georg ed Erianna dovevano averci preceduti attraverso qualche altro ingresso, perché ancor prima di entrare udimmo le loro voci risuonare all’interno. Mio padre spinse i portali, e sostammo per un momento all’entrata, osservando i due fratelli che si fronteggiavano dalla parte opposta del tavolo. Nessuno dei due parve accorgersi del nostro ingresso.

“Sì, ma non era questo ciò che intendevo!” La regina stava gridando. Il suo volto era terreo e irato. Scrutava il fratello direttamente negli occhi, alta quasi quanto lui, e altrettanto autoritaria nei modi.

Georg pareva più calmo, ma la sua voce tradiva irritazione. “Allora credo che non mi sia dato capirti, Erianna. Mi hai chiesto vendetta, ed è esattamente mia intenzione ottenerla.”

“Non così!!!” La regina sbottò, il volto nero di furore. “Tutto ciò che stai facendo è sostituirti a lui!!!”

“Oh, e questo non va bene, non è così, Erianna? Perché la più degna sostituta sei tu, non è vero, sorella?”

Le dita di Erianna si strinsero attorno alle sue gonne, le nocche pallide quanto il suo volto. Fece per rispondere nuovamente, ma fu allora che mio padre si fece avanti, schiarendosi la voce.

I volti dei due sovrani si volsero in nostra direzione, quelli di Georg determinati, quelli di Erianna vitrei e cerchiati. Fu il duca a prendere la parola, con una calma che stonava con l’atmosfera concitata che ci aveva accolti nella sala.

“Edward, mio buon amico. Attendevo che ci raggiungessi. Sarò da te immediatamente. Mia sorella si stava giusto ritirando nelle sue stanze.” L’ultima frase venne pronunciata in tono gelido. Con la coda dell’occhio, osservai la mascella di Erianna serrarsi.

La regina riuscì comunque a ritirarsi dal fratello e ad inchinarsi a noi con una dignità invidiabile. “Vogliate scusarmi.” Sibilò, a denti stretti. Non sembrava particolarmente desiderosa di essere scusata.

La osservai mentre ci superava con stizza, e si dirigeva verso la porta. Ma la mia attenzione venne presto catturata dal duca. Il nobile si sedette e fece cenno a mio padre di accomodarsi.

“Gradisci un bicchiere di vino, Edward? E’ stata una nottata folle. Folle. Senza contare che quell’isterica di mia sorella non mi ha lasciato tregua.” Ingollò una lunga sorsata. “Suo marito ha sempre lasciato correre, e ora si comporta come se fosse lei a portare i pantaloni in questo dannato palazzo. Ma se perdiamo questa guerra su chi ne ricadrà il peso? Su chi?”

Mio padre declinò l’offerta di vino, ma si sedette. Poggiò il mento sulle mani, scrutando il suo interlocutore. “Non credo che la cosa debba preoccuparti seriamente, al momento. Immagino che una certa dose di irrazionalità faccia parte della natura femminile. Ma tua sorella non avrà modo di crearti problemi, ora che sia suo marito che suo figlio sono morti.” Non riuscii nemmeno ad arrabbiarmi per le parole di mio padre. Erano scontate persino per lui, ed era ciò che il duca voleva sentirsi dire. Potevo quasi visualizzare Lina mentre levava gli occhi al cielo, udendole. Ma il solo pensiero di mia moglie assente peggiorava il mio umore. Spostai il peso da un piede all’alto, inquieto. Ero stanchissimo. I miei nervi si stavano mio malgrado calmando e il peso di quella notte quasi insonne cominciava a farsi sentire.

“Bé, grazie al cielo. Voglio dire, non per la morte dei due sovrani, che Chiepied mi guardi dall’affermare questo… ma ho davvero troppi problemi, al momento, per dovermi preoccupare anche di mia sorella e della sua smania di giocare al re…”

“Precisamente riguardo a questi problemi…” Lo interruppe mio padre. “Se desideri che il mio figlio maggiore sia messo alla ricerca di Lina Inverse e della principessa Livia, non devi fare altro che ordinarmelo, mio signore, e provvederò immediatamente ad inviarlo in tuo nome.”

Georg si affrettò a scuotere la testa. “No, no, ho bisogno di ogni uomo valido qui a Talit, non posso sprecare un ufficiale dietro a due donne. Ci penseranno i cacciatori di taglie a trovarle. Ho già disposto che venga diffusa la notizia e che venga stanziata una lauta ricompensa per chi sarà in grado di ricondurre qui la maga, viva o morta. Tu e i tuoi figli troverete ottimo impiego a capo dei miei soldati, invece.”

Mio padre chinò la testa. “Come preferisci, mio signore.”

“A questo proposito…” Georg si avvicinò lievemente, poggiando un gomito sul tavolo. “Ti ho chiamato qui perché voglio che tu sappia che sarai fra i miei generali, in questa battaglia. Viaggerete nella mia divisione, ed insieme andremo all’attacco. So che il rango della tua famiglia non è elevato, ma non mi importa cosa diranno gli altri Lord. Non ho dubbi sulla tua fedeltà, e la certezza su chi mi affianca è esattamente ciò di cui ho bisogno in questo momento.”

“Mi garantisci un grande onore, mio signore.”

“Onore e molto altro, non appena questa battaglia sarà vinta.” Assicurò Georg. “Il che avverrà presto, posso affermarlo con ragionevole certezza.” Il suo sguardo si levò e io sussultai, quando i suoi occhi incontrarono i miei. “Voglio solo augurarmi che tutta la tua famiglia mi dimostri la stessa fedeltà che tu mi prometti, al di là di ogni suo precedente legame.”

“Lo farà.” Mio padre rispose per me, senza lasciarmi il tempo di replicare. “So essere persuasivo, specie col sangue del mio sangue.”

“Sono lieto di sentirlo.” Georg si alzò. Estrasse una pergamena dalla tasca e la porse a mio padre. “Ho raccolto qui i miei piani di battaglia. Ti prego di leggerli prima della serata. Dopo cena, avremo molto altro di cui discutere. Ora devo pregarti di scusarmi, ma molti impegni mi attendono, prima dell’ora di pranzo. Ci sono i preparativi per i funerali a cui attendere e voglio che la partenza delle truppe non avvenga più tardi dell’inizio della prossima luna.”

Mio padre si limitò ad annuire. Georg lasciò la stanza, con silenziosa foga.

Tacemmo, per diversi istanti. Ora che la folla nella stanza adiacente si era dispersa, a circondarci restava solo il rumore della pioggia. Mio padre non si alzò. Rimase a scrutare il vuoto di fronte a lui, il legno decorato delle panche e il fuoco che danzava nel camino. Lanciai un’occhiata a Derek. Sembrava a disagio. Avrei giurato che stesse evitando volontariamente il mio sguardo.

“Non ho intenzione di combattere.” Mi decisi a dichiararlo, sopprimendo un sospiro. Sapevo che mio padre attendeva quella mia obiezione ed ero troppo stanco per cercare di capire come avesse in mente di sedarla. Ero poco abile nelle strategie. In momenti come quelli avrei avuto bisogno di Lina.

“Davvero, figlio?” Replicò il mio genitore, con calma. “Eppure non conosci ancora le mie condizioni.”

“Condizioni?” Non capivo. Erano anni che non dipendevo più dalla mia famiglia. C’era ben poco di cui mio padre potesse minacciare di privarmi, a quel punto della mia vita.

Mio padre si alzò. Con un lento, quieto movimento si volse a fronteggiarmi, la testa inclinata, gli occhi stretti. “Ero convinto che lo avresti capito da solo. Che tua moglie dopotutto non sarebbe stata in grado di fuggire da sola.”

Spalancai gli occhi. Una morsa parve catturarmi improvvisamente lo stomaco. “Cosa… cosa le avete fatto?”

“Niente, Gourry.” La replica di mio padre fu controllata. “E niente le accadrà, se tu collaborerai. Sai che uno dei miei generali è sparito con lei.” Arretrò, e si poggiò al tavolo. “E’ stato lui a portarla via, sotto mio ordine. La condurrà in un luogo sicuro, fino alla fine della guerra. Dopo che tutto sarà finito, sarete liberi di andarvene. Dubito che a quel punto Georg si prenderà la briga di cercarla. E, anche se cercasse di farlo, potrei impegnarmi io a dissuaderlo.”

I miei occhi si strinsero. Non capivo se potevo fidarmi. “Chi mi assicura che tu stia dicendo il vero?” Cercai lo sguardo di Derek, e mi stupii di trovarlo sorpreso. I suoi occhi erano spalancati, il suo volto pallido. A quanto pareva, anche lui era stato tenuto all’oscuro dei piani di mio padre.

“Puoi anche decidere di non credermi, se preferisci. Non ho intenzione di pregarti. Ma nel caso io stessi dicendo la verità, sappi che in questo modo condanneresti definitivamente a morte tua moglie.”

Feci un passo in avanti. Mio padre non si lasciò intimorire, e si limitò a fissarmi con gelida calma, mentre mi trattenevo a stento dall’aggredirlo. Il suo sangue freddo mi irritava, ma mi indusse anche a frenarmi. Mio padre era un uomo controllato e intelligente. Non era semplice trattare con lui. Dovevo cercare di ragionare con lucidità, come avrebbe fatto Lina al mio posto. “E Livia? Che ne è stato realmente di Livia?”

“Non ne ho idea.” Mio padre incrociò le braccia al petto. “Io non c’entro, in questo. Ma in tutta franchezza trovo la sua scomparsa seccante. Speravo che lei e Derek potessero quanto meno fidanzarsi ufficialmente prima che mio figlio partisse per la battaglia.”

Tacqui, nuovamente, assimilando quella informazione e chiedendomi se fosse reale. Troppi misteri si stavano combinando negli avvenimenti di quelle poche ore.

“Dove stanno portando Lina?”

“Dovrei dirtelo perché tu accorra da lei? Non credo proprio, Gourry. Non dovresti reputarmi tanto ingenuo.” Mi volse le spalle, e afferrò il bicchiere di vino che aveva in precedenza rifiutato. “Non ho più niente da dire. Scegli come meglio credi, figlio. Ma decidi ora e non tornare indietro. Ci sono dei piani di battaglia da mettere in piedi.” Ingollò una sorsata.

Potei solo sospirare. Non ero convinto, ma c’era poco da fare. “D’accordo.” Mi forzai a rispondere. “Combatterò come desideri.” Non potevo vedere l’espressione di mio padre, volto verso il tavolo. Ma in fondo ne fui grato. Raramente si lasciava andare alle emozioni, ma se in quella particolare circostanza avessi scorto un sorriso di trionfo sulle sue labbra, difficilmente avrei potuto sopportarlo.

Avevo bisogno di pensare, da solo. Senza aggiungere un’altra parola, uscii dalla sala, verso l’atrio. A quell’ora del mattino era completamente deserto. Se così non fosse stato, se Lina avesse incontrato qualcuno in grado di accertare la sua innocenza, il giorno precedente, in quel momento non mi sarei trovato in quel guaio. Non avevo avuto il coraggio di chiedere a mio padre della sua falsa testimonianza. Non credevo di voler sapere se avesse pianificato sin da quando aveva saputo dell’uccisione di servirsi di Lina per manipolare me.

Mi appoggiai ad una finestra, osservando la pioggia cadere. In lontananza, scorgevo le sagome scure delle montagne. Lina, solo qualche giorno prima, era stata convinta della necessità di arrampicarsi lassù, alla prima giornata di sole, per scoprire la soluzione a qualche strano enigma trovato in uno dei testi della biblioteca in cima alla torre. In quel momento avrei voluto non averle mai suggerito di entrare in quella sala. Avrei voluto essermi attardato a cena, la prima sera, evitando di scoprire grazie a Livia della sua esistenza. Avrei voluto non avere acconsentito alla richiesta di Sylphiel, tanto per cominciare, e non essermi trovato coinvolto in tutta quella situazione. Ma il rimorso portava a poco. Lo sapevo bene io, che solo qualche anno prima avevo imparato a vivere per il presente. Come mia moglie usava dire, ciò che era fatto non si poteva cambiare. Dovevo fare del mio meglio per trovarvi rimedio.

Cercai di concentrarmi. La prima cosa da capire era dove mio padre potesse aver condotto Lina. Se lo avessi scoperto, avrei potuto approfittare della prima occasione per defilarmi dalle truppe, e andare a cercarla. Lord Georg aveva posto una taglia sulla sua testa, ma in qualche modo ce la saremmo cavata, se solo fossimo riusciti ad allontanarci dal regno. Però, non riuscivo ad escludere nessun luogo, non riuscivo a trovare un angolo di territorio ad Elmekia che mi paresse più adatto degli altri a nascondere una prigioniera. E se fossero stati in continuo movimento? No, improbabile. Lina poteva essere pericolosa. Io lo sapevo meglio di chiunque altro. Se avessi cercato di tenerla prigioniera, lo avrei fatto relegandola in un luogo dove potessi concentrarmi unicamente sulla sua sorveglianza, senza farmi notare troppo da altre persone.

Ok.

Ok.

E questo, a cosa poteva portarmi?

Mi parve di figurarmi mia moglie che mi urlava di concentrarmi, e di capire. Scommettevo che, in quel lasso di tempo, lei sarebbe già stata in grado di elaborare un piano di battaglia. Mi adirai con me stesso. Per me era facile ormai prevedere le mosse di Lina, ma era difficile farlo con quelle di mio padre, che ai miei occhi era sempre apparso come un uomo totalmente imperscrutabile. Cercai di mutare prospettiva. In guerra ero stato abituato ad elaborare strategie, per la mia stessa sopravvivenza. Dovevo entrare in quell’ottica. Dovevo capire quali mosse potessero valere al mio nemico la vittoria, e studiare come contrastarle.

In realtà, in fondo, solo due soluzioni erano realmente possibili. C’era una sola fortezza in cui un generale di mio padre avrebbe potuto rimanere nascosto, nella più totale segretezza, dai cacciatori di taglie e dagli uomini del duca: la nostra tenuta di famiglia. D’altra parte, portare Lina laggiù avrebbe comportato seri rischi. Si trattava pur sempre di mia moglie, e della nuora di mio padre. Una fuga di notizie, anche minima, avrebbe rischiato di fare apparire il mio genitore come un traditore, che aiuta una condannata a morte unicamente a beneficio del proprio figlio. Un’etichetta di cui altri padri sarebbero andati fieri, ma non certo il mio. E ciò portava all’altra soluzione che avevo concepito. Che Lina fosse stata condotta dal generale di mio padre in un luogo isolato dal mondo, un luogo riparato e al contempo difficilmente raggiungibile. C’erano mille esempi di vecchie fortezze o cittadelle abbandonate nel regno che avrebbero potuto essere utili al caso, ma per qualche motivo in quel momento solo una mi appariva la ovvia soluzione. Levai nuovamente gli occhi alle montagne. Da laggiù non erano visibili, ma sapevo che da qualche parte, fra i boschi alle mie spalle, sorgevano gli edifici abbandonati della città vecchia. Era difficile raggiungerli, con la tempesta, ma da lassù poteva essere relativamente veloce la comunicazione con la città. E inoltre, chi avrebbe mai pensato di cercare una fuggitiva in un luogo tanto vicino a quello da cui desiderava scappare?

Improvvisamente, quelle che erano di fatto solo supposizioni assunsero la forma di certezze. La nebbia che aveva catturato la mia mente sin dalla nostra separazione parve improvvisamente dissiparsi. Lina era lì, divisa da me solo da pochi chilometri di rocce e boschi. Mi sembrava quasi di poter uscire dai portali d’ingresso, e correrle incontro. Ma all’inizio della successiva luna io sarei partito per la guerra, e avrei messo sempre più strada fra mia moglie e me. Dovevo raggiungerla, prima di allora. Dovevo raggiungerla immediatamente e andarmene con lei.

Mi guardai le spalle per un momento. La sala era ancora vuota, le pietre scure e silenziose le uniche testimoni dei miei movimenti. Mi diressi ai portali e incoscientemente mi gettai nella pioggia battente. Gli allenamenti delle guardie erano stati sospesi in occasione del lutto e nei cortili si muovevano solo le ronde e i servitori. Chiunque camminava a testa bassa, in faccia al vento gelido. Nessuno mi fermò. Mio padre, evidentemente, confidava nel fatto che le sue minacce fossero sufficienti a impedirmi di fuggire.

Procedetti verso i portali di accesso. Un gruppo di guardie vi era radunato di fronte, e controllava i carri che lentamente sfilavano verso il castello, portando le vivande necessarie alle commemorazioni del giorno successivo. Feci un breve cenno di saluto ai soldati, che lo ricambiarono, con fare annoiato. Nessuno fece particolarmente caso a me, nel viavai di uomini che approfittavano del giorno di permesso presso la guardia per raggiungere le loro famiglie, in città. Uscii dai portali e aggirai le mura interne, raggiungendo il retro del palazzo. La città vecchia era là e mi scrutava dall’alto, invitandomi a cercare il modo per raggiungerla, a sfidare la sorte e gli elementi per dare risultato alla mia ricerca. Supponevo che un tempo esistesse una strada lastricata per arrivare lassù e che seguirla sarebbe stata la soluzione più prudente da adottare anche allora. Restava il problema di dove cercarla. Di certo il tempo aveva agito su di essa, come su ogni cosa. E, muovendomi a caso fra le colline, non sarebbe stato semplice imboccarla.

Percorsi il viale che dal retro del castello si dipartiva verso le mura. Imboccai una delle porte e mi addentrai nei percorsi sterrati che scendevano alla strada principale, quella che da valle congiungeva alla città. Dal palazzo, la si vedeva proseguire verso l’alto, perdendosi dietro il profilo di una collina. Se l’avessi seguita, forse, mi avrebbe condotto al percorso verso la città vecchia.

Quando raggiunsi il mio obiettivo, i miei stivali erano coperti di fango e il mio mantello era ormai zuppo di pioggia. Le mie vesti si erano fatte pesanti, ma poter camminare su solide pietre invece che nella melma mi aiutò ad aumentare il passo. La pioggia si era fatta più fina e nell’affanno della salita quasi non avvertivo il freddo. Presto mi trovai circondato da alti abeti. Il cielo plumbeo gettava ovunque un alone grigio sul panorama, ma all’ombra di quelle svettanti sentinelle sembrava quasi che stesse già per calare la notte. La cappa di vegetazione sulla mia testa era tanto fitta che la pioggia laggiù non mi raggiungeva. La coscienza del rischio che correvo sotto a quegli alberi nel temporale mi fece accelerare il passo. Cominciai a sentirmi stupido, e incosciente. Non avevo la certezza di trovare Lina, ma mi ostinavo a procedere alla cieca, sulla base di un impulso. In quei giorni la notte scendeva in fretta. Rischiavo di farmi sorprendere dal buio sulla via prima ancora di riuscire a trovare la strada per la città vecchia. Ma quella consapevolezza non era sufficiente ad imporre alle mie gambe di smettere di avanzare. Una specie di incantesimo fatto di speranza e disperazione mi imponeva di non rinunciare. Avevo bisogno di uno scopo, se non c’era Lina con me. Avevo bisogno di uno scopo, per non sentirmi perduto.

Mi fermai ai piedi di una parete di roccia, per riprendere fiato. La strada si era ristretta tanto da diventare quasi un sentiero. Continuava a procedere in salita, attraverso un tratto brullo, e poi ancora all’interno di un fitto sottobosco. In alto, molto più in alto, la vedevo sparire nuovamente fra gli alberi, le pietre sconnesse invase dall’erba e da un manto di foglie cadute che la rendeva umida e scivolosa. Sembrava rischioso, ma sembrava anche la direzione giusta. Dalla posizione in cui mi trovavo, la antica Talit era di nuovo scomparsa alla vista, ma il sentiero era diretto esattamente nella direzione in cui la avevo vista sparire, alla precedente curva. Forse la via che stavo percorrendo era la stessa che un tempo veniva quotidianamente battuta per raggiungerla.

Mi rimisi in cammino, più lentamente, ora, e con maggiore prudenza. La pioggia cessò, momentaneamente, e l’aria si fece pungente, pregna dell’odore acido delle foglie bagnate. Sulle cime, visioni di distese candide promettevano ghiaccio e gelo. Persi il senso del tempo e della stanchezza. Mantenevo unicamente la coscienza del mio obiettivo. Giunsi alla neve, e dovetti arrampicarmi faticosamente su sentieri imbiancati e nudi di qualsiasi traccia umana. Cercai inutilmente qualche segno di passaggio, ma la sua mancanza non bastò a scoraggiarmi. La neve era fresca e probabilmente anche impronte molto recenti, per quanto evidenti, sarebbero risultate cancellate. Mi chiesi se Lina avesse cercato di lasciarmi volontariamente qualche segno. Se la conoscevo come credevo, non doveva essere stato semplice trascinarla fin lassù. Forse era stata ridotta all’incoscienza. Forse si era svegliata in un luogo sconosciuto, senza nemmeno conoscerne il motivo.

Dovetti fermarmi. Non avevo idea di quanta strada avessi percorso, ma la milza mi doleva e il mio fiato si faceva più corto ad ogni passo. Il mio stomaco cominciava a brontolare per la fame. Il sole non era visibile, oltre la coltre di nubi, ma ero conscio che il mezzogiorno doveva essere passato da tempo. Mi chiesi se al palazzo qualcuno mi stesse cercando. In quel momento, scioccamente, non riuscivo a preoccuparmene. Non riuscivo a contemplare l’ipotesi di tornare indietro senza aver trovato Lina.

Da qualche parte, in lontananza, sentii il richiamo di un falco. Quel rumore mi ridestò. Ripresi a camminare, a fatica, incurante del fatto che sottili fiocchi di neve ora avevano preso a volteggiare attorno al mio capo. I miei occhi si fissarono sui miei piedi, e sugli ostacoli del percorso. Superai una curva, e poi un’altra. E poi Talit era là.

Rimasi per un momento a fissare la lapide annerita posta all’ingresso della città, incredulo di essere arrivato. La vegetazione aveva preso il sopravvento sulle costruzioni umane. Gli alberi avevano invaso l’abitato con tale impeto che non mi ero accorto dell’avvicinarsi della città prima di essermela trovata di fronte. Avanzai di qualche passo, sulle sconnesse pietre che un tempo dovevano costituire la via principale della città. L’abitato aveva un aspetto spettrale. Molte delle case non erano più in piedi, e i segni di devastazione erano troppi per far pensare ad una naturale decadenza delle costruzioni. Sembrava quasi che, prima di allontanarsi, la popolazione avesse appiccato un incendio alle proprie vecchie abitazioni. Solo il palazzo, per qualche misterioso incanto, sembrava ancora solido sulle proprie fondamenta. Si ergeva a nord del piccolo abitato, ben visibile anche dal suo limitare meridionale, una costruzione non particolarmente imponente, ma che in quella desolazione appariva quasi maestosa.

Avanzai verso di esso, ipnotizzato dall’atmosfera irreale di quei luoghi. Se Lina e il suo rapitore erano nascosti lassù, non c’era dubbio che l’unico rifugio possibile per loro fosse la residenza signorile. Qualsiasi altra abitazione era troppo allo scoperto, o offriva un’evasione troppo semplice ad una prigioniera scaltra come Lina. Il palazzo, poi, arroccato com’era sull’orlo di un dirupo, offriva una visuale privilegiata sia sulla cittadina che sulla vallata. Mi resi immediatamente conto di essere stato stupido. Se il generale di mio padre era stato abbastanza intelligente da rimanere di vedetta, camminando sulla via principale gli avevo offerto decine di occasioni per avvistarmi e prepararsi al mio arrivo. Per scrupolo più che per convinzione, deviai dalla strada principale e avvicinai il palazzo muovendomi a zigzag fra i detriti e gli scheletri delle vecchie abitazioni. Ma, ormai, ogni mia pretesa di segretezza era svanita nell’aria fina. Arrancai nella neve alta fino ad una porta laterale di accesso al palazzo e la aprii con facilità, accedendo ad un gelido camminamento interno. Uno stretto e lungo corridoio scoperto si apriva di fronte a me, terminando in una ripida rampa di gradini in pietra, che saliva verso il secondo e ultimo piano del palazzo, perdendosi nel buio al si sotto di un soffitto di pietra. Avanzai verso le scale, tenendo d’istinto la mano al fodero della spada. A mano a mano che salivo i gradini, fui stupito nell’avvertire il gelo recedere, e lasciare spazio ad un tepore quasi confortevole. Giunsi ad un’altra porta, ed il mio cuore ebbe un sussulto. Una torcia era appesa sul muro vicino a quell’ingresso, ed era evidentemente stata spenta di recente. Il legno era caldo e una sottile linea di fumo si disperdeva nel freddo dell’aria circostante. Mi fermai per un momento, assimilando quell’informazione, e quasi di riflesso mi trovai ad estrarre la spada. Le mie orecchie parevano intercettare ogni singolo, insignificante rumore. Il battito nel mio petto mi rimbombava miei timpani, gettandomi in preda allo stordimento. Un calore innaturale mi risaliva dalla base del collo al viso, creando un aspro contrasto con i brividi che mi correvano lungo la spina dorsale, dando vita a sottili rivoli di sudore che mi imperlavano la fronte. Spinsi la porta, e avanzai in un altro corridoio. La stanza si allungava di fronte a me fino ad una alta finestra, aperta sull’immensità grigia della vallata. Alla mia sinistra c’era una parete, cieca salvo per una scala interna in marmo, che, dal suo centro, si dipartiva verso il buio dei piani inferiori. Alla mia destra tre porte si aprivano su altrettante camere da letto, ancora arredate, ancora piene di oggetti che testimoniavano la vita che al loro interno si era consumata. Una stanza dei bambini, con vestiti e giocattoli abbandonati su pavimenti e negli alti armadi dalle ante rose dal tempo. Due stanze con grandi letti a baldacchino, colme di suppellettili e oggetti per la toletta. Una piccola porta in una di esse si apriva su una latrina, un’altra dava accesso ad una stanza a torretta da cui si dominava l’intero panorama della valle, fino al mare. La mia mente continuava a lanciarmi segnali. Candele per metà consumate, libri aperti, spazzole e panni abbandonati su lavabi. Quel luogo aveva l’aria di un posto ancora abitato. Ma non da un generale fuggiasco e dalla sua prigioniera… a mano a mano che la mia speranza di trovare Lina si affievoliva, acquisiva forza, in me, la convinzione che qualcuno avesse percorso quei pavimenti prima che lo facessi io, da lungo tempo e con frequenza decisamente abituale. Qualcuno doveva aver usurpato quelle stanze abbandonate, e averle fatte sue. E molta della mia sicurezza, al momento, dipendeva dall’identità della persona che aveva scelto di fare una cosa del genere…

Non abbassai la spada. Scesi le scale, mentre nella mia mente si accavallavano decine di ipotesi. Un bandito o una banda di banditi, che aveva fissato in quel luogo la propria base. Un ricercato, che doveva tenersi lontano dalla città e dai cacciatori di taglie. Un infiltrato del nemico che voleva tenere monitorata la situazione a Talit. O, e questa idea non era manifesta, ma latente in qualche angolo della mia mente, qualche antico abitante del maniero, che dopo la morte non aveva saputo trovare la sua pace. Nessuna di queste ipotesi giovava particolarmente al mio umore. Non potevo venire aggredito e ucciso in quel luogo dimenticato dagli dei, lasciando Lina, lasciando chiunque privo di notizie riguardo alla mia sorte. Avanzai in un atrio, scarsamente illuminato dalla luce che proveniva dalle stanze confinanti. Mi guardai intorno, indeciso su quale porta imboccare. Alla fine optai per la più imponente, un’alta entrata ad arco che accedeva a quello che aveva l’aria di essere stato un salone per i ricevimenti. Divani, sedie e poltrone si radunavano attorno ad un camino spento, coperto di clessidre dalle forme più bizzarre. Le pareti erano costellate di quadri e, soprattutto, di specchi. Non ci si poteva volgere senza incontrare la propria immagine riflessa. Per qualche motivo, l’insieme aveva un che di inquietante. Avanzai verso il centro della sala e quando ebbi appurato che era deserta rinfoderai lentamente la spada. Mi sentivo idiota, continuando a brandirla contro l’aria. Notai con disagio che la polvere depositata sui mobili e sui quadri pareva non aver attecchito sui parte dei divani e delle poltrone. Qualcuno doveva essersi seduto di recente. Nel camino, sbuffi di cenere si sollevavano all’aria che filtrava dalle finestre. Una porta si apriva su una pericolante terrazza in legno, sospesa sul dirupo. Mi bastava occhieggiare da lontano il panorama che si vedeva da lassù, per avere le vertigini.

Mi avvicinai al focolare, incerto su cosa cercare, ma sempre più motivato ad allontanarmi al più presto da quel luogo. Il mio sguardo fu catturato dal grosso specchio dalla cornice dorata appeso qualche centimetro sopra il ripiano del camino, e non mi accorsi della coperta appoggiata al suolo finché non ci inciampai sopra. Riguadagnai l’equilibrio a stento, e abbassai lo sguardo su di essa. Era un semplice copriletto in lana rossa, abbandonato a terra apparentemente con la noncuranza di chi ha intenzione di allontanarsi solo per qualche istante. Forse, qualcuno aveva riposato seduto lì a terra, vicino al camino, cercando calore nelle sue morbide spire. Mi piegai a raccoglierla, un gesto istintivo, e quando la sollevai qualcosa scivolò da essa al suolo. Battei le palpebre. Si trattava di un libro. Era rimasto nascosto al di sotto della coperta, anch’esso abbandonato a future letture, accuratamente chiuso con la fibbia di cuoio purpureo che era stata affissa alla copertina. Sopra di essa, era stato apposto un sigillo sovrastato da un elaborato marchio dorato. Era usato per fissare i due lembi della fibbia e, apparentemente, evitare aperture accidentali.

Incuriosito, sollevai il tomo e me lo rigirai fra le mani. Era un volume piuttosto compatto, rispetto a quelli che osservavo normalmente in mano a Lina. Dava l’idea di non essere un vero e proprio manoscritto, ma piuttosto una scrittura privata, o un diario. Per qualche motivo, risvegliava in me una curiosità quasi viscerale, tanto che dovetti trattenermi dall’impulso di slegare immediatamente la fibbia per accedere al suo contenuto. Lo maneggiai per qualche istante, fino a che non riuscii a convincermi che in fondo non ci sarebbe stato nulla di male nel dare un’occhiata. Esitai solo un istante, mentre le mie dita indugiavano sul marchio dorato. Quindi, sganciai il sigillo, e tirai i due lembi della fibbia, aprendo il volume.

Provai la stessa sensazione che si prova risvegliandosi da un incubo particolarmente reale. Solo, la provai al contrario. L’aria gelida mi riempì improvvisamente i polmoni. Potevo solo inspirare, il normale corso del mio respiro interrotto. Il mondo attorno a me divenne un’esplosione dorata. Scorgevo i contorni delle cose, ma sapevo di essere cieco. Ero conscio di me stesso, ma quella coscienza era cupa desolazione. Ero solo, e non lo ero più. C’era qualcosa dentro di me. C’era ogni cosa dentro di me.

Le mie guance erano rigate di lacrime.

Non ero più solo all’interno della stanza. Levai lo sguardo, e nella confusione dorata riuscii a scorgere un’altra figura, oltre a me, riflessa nello specchio che mi fronteggiava. Una figura dai lunghi capelli dorati, dalla pelle bianca e dallo sguardo gelido. Un terrore cupo e profondo mi catturò le viscere.

Il sapere ha un prezzo.”

La sua voce era solenne, e profondamente triste. Era una voce che conoscevo.

Il suono esplose nella mia mente e all’improvviso non vidi più nulla. Indietreggiai, barcollando, fino a che non avvertii l’aria fredda dell’esterno pungermi il viso. Non potevo frenarmi. Continuai la mia corsa folle verso l’abisso, e sull’orlo del dirupo le mie ginocchia cedettero. Avvertii lo scricchiolare del legno che cedeva, e poi ci fu solo il vuoto.

E il mondo attorno a me non cessò di vorticare.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Dedicato alle ragazze del forum… un capitolo che non finisce troppo in sospeso, in modo da non essere gettata nel Canal Grande

Dedicato alle ragazze del forum… un capitolo che non finisce troppo in sospeso, in modo da non essere gettata nel Canal Grande quando ci vedremo…XD Grazie, come sempre a chi legge e commenta! ^^ Buona lettura!

***

Ero irritata.

Non era una novità. Ma per una povera ragazza senza un briciolo di magia, con le gambe coperte di melma fino alle ginocchia e con il collo tumefatto, c’era qualche nota di merito nel riuscire a soffocare lo sconforto nella rabbia. Credetemi, la rabbia è estremamente sottovalutata.

La vallata al di sotto di me, grigia e fredda, non offriva particolari distrazioni al mio sguardo. Ormai mi ero stancata di contemplare il cielo, bianco ed immobile. Sostavo sotto i rami spogli di quell’albero da quella che poteva essere un’ora, continuavo a rabbrividire al vento gelido e stavo cominciando a contemplare l’ipotesi di girare sui miei tacchi e andarmene, prima che lo psicopatico tornasse.

Lo dico sempre, che dovrei seguire di più il mio istinto.

“Lina Inverse!”

Mi volsi. La figura di Bastian arrancava verso di me, trascinando gli stivali nel fango. Il guerriero vestiva la consueta espressione truce e la sua andatura goffa, al di sotto della pesante armatura, rendeva il suo incedere vagamente ridicolo. Ma non riuscii, in quel momento, ad abbandonarmi al divertimento.

“Fai con calma, cavaliere.” Sibilai, stizzita. “Non ti preoccupare per me. Sono stata benissimo, qui, queste labbra blu non sono assolutamente il segno di un principio di congelamento.”

“Sono lieto di sentirlo.” Mi raggiunse, e lasciò cadere pesantemente la sua borsa da viaggio al suolo. “Del resto, non fa così freddo, oggi.” Mi chiedevo se ad Elmekia il gene dell’ironia si fosse mai diffuso.

Sospirai e lasciai cadere la discussione. Non avevo la forza di arrabbiarmi. “E allora? Contento del sopralluogo? Hai trovato una locanda che fosse di tuo gradimento?”

“Io continuo a sostenere che sarebbe più prudente dormire all’addiaccio.” Si lamentò, come un bambino a cui si nega una caramella. “Comunque, c’è un posto nella periferia della città dove credo che potremo camuffarci a sufficienza. Ho già pagato per una stanza.”

“UNA stanza?”

“Sei la mia servetta. Sarebbe strano che ti pagassi una stanza tutta per te.”

Mi parve che gli occhi dovessero uscirmi dalle orbite. “ASPETTA UN MOMENTO! QUANDO esattamente noi due abbiamo deciso che io dovrei recitare la parte della tua servetta???”

“E’ stata la prima scusa che mi è venuta in mente di fronte al locandiere.” Si strinse nelle spalle. “Ho chiesto di aggiungere alla camera una branda, per te.” Tornò a caricarsi la borsa sul dorso e mi volse la schiena. Prese ad avviarsi verso il paese, senza attendere altre obiezioni.

Io dovetti levare gli occhi al cielo. E resistere alla tentazione di ucciderlo alle spalle.

Mi accodai a lui di corsa, dal momento che la sua falcata decisa minacciava di seminarmi. “Senti, Bastian… Ti posso chiamare per nome, vero?” Dalle sue labbra non mi giunse risposta. Scrollai le spalle, esasperata, ed evitai di porgli nuovamente la domanda. “Bé, cavaliere, stammi a sentire un momento. Apprezzo quello che stai facendo per me. Davvero.” Quella frase venne pronunciata a denti stretti. “Ma penso che ora sia proprio il caso che ognuno vada per la sua strada. Ti assicuro che so cavarmela BENISSIMO da sola.” Il mio tono di voce era vagamente isterico. Era da quando avevo ripreso i sensi, quella mattina all’alba, che stavo cercando di far passare quel messaggio. Con pessimi risultati. In più, mi sentivo ancora incredibilmente frastornata dagli eventi di quelle ultime ventiquattro ore.

Bastian mi aveva aiutata a scappare. All’inizio, avevo faticato a crederci. Quando mi ero svegliata, in un piccolo accampamento di fortuna, con la figura imponente del cavaliere che incombeva su di me, mi ero preparata a lottare con le unghie e con i denti per liberarmi. Tuttavia, mi erano bastati pochi istanti per rendermi conto che ero assolutamente libera di muovermi. Il guerriero, come se nulla fosse accaduto, mi aveva porto mantello e spada e aveva proceduto nel raccontarmi la più romanzesca delle storie. Era lui la persona con la quale Livia si era accordata per aiutarmi a fuggire. Dal momento che ci avevo messo più tempo del previsto ad uscire dai sotterranei e raggiungerlo, si era convinto che qualcosa fosse andato storto e mi era venuto incontro. Quando mi aveva visto puntare alla direzione sbagliata rispetto a quella concordata con Livia, era stato colto di sorpresa. E l’unica soluzione che il grande gentiluomo era riuscito ad elaborare era stata quella di stordirmi, per evitare discussioni e portarmi via da lì prima che qualcuno si accorgesse di noi.

Quello che non ero ancora riuscita a farmi spiegare era il perché del suo gesto. Dopo che avevo ripreso i sensi, Bastian mi aveva lasciato a malapena il tempo di mangiare qualcosa e di dare sfogo alle mie necessità corporali primarie. Quindi, ci eravamo affrettati lungo le vallate che dall’area di Talit avanzavano verso la steppa, camminando affannosamente e silenziosamente su sentieri invasi dal fango e attraverso prati coperti di brina. Fortunatamente aveva smesso di piovere, ma sul paesaggio era calata una nebbia gelida, che ci penetrava vesti e mantelli ad ogni passo e schermava alla nostra vista la linea dell’orizzonte. Avevo seguito Bastian senza pormi troppe domande, nell’attesa che mi venisse in mente un piano migliore. Dal momento che non potevo usare la magia, mi faceva comodo muovermi con una persona che potesse difendermi, all’occorrenza. Certo, nella mia mente era più che chiara la possibilità di essere sulla strada di qualche elaborata trappola. Ma supponevo che, in questa ipotesi, Bastian mi avrebbe comunque impedito di allontanarmi con la forza, se ci avessi provato. Tanto valeva attendere che la mia magia tornasse, e nel frattempo fingere di avergli accordato la mia fiducia.

Questi erano i miei piani iniziali. Ma, con l’avanzare della giornata, ero diventata sempre più insofferente alla presenza cupa del cavaliere. Il fatto che sulla strada non avessimo incontrato anima viva era bastato a rendermi ragionevolmente certa che il clima calato sul regno dalla guerra mi avrebbe aiutato a nascondermi fino a che non avessi riacquistato i miei poteri, anche senza l’aiuto di quella ingombrante guardia del corpo. E, anche se il cavaliere non aveva detto o fatto nulla di apertamente provocatorio nei miei confronti (e per dirla tutta aveva parlato molto poco nel corso della nostra fuga), la sua sola presenza bastava a ricordarmi l’assenza della ben più gradita compagnia a cui ero avvezza. Volgermi e vedere Bastian al mio fianco mi deprimeva.

“Ammetto di non conoscere le tue reali capacità, Lina Inverse.” Bastian replicò, in tono lontano. “Ma non ho comunque intenzione di lasciarti viaggiare per il regno da sola.”

Trovavo estremamente irritante il modo in cui pronunciava il mio nome. Nome e cognome assieme, inseparabili, come se invece che di un nome proprio si fosse trattato di una specie di titolo.

“Perché?” La mia voce era apertamente esasperata, ora. “Ti sei già esposto a dei rischi aiutandomi a fuggire. Se ci trovassero insieme, verresti condannato a morte anche tu. Che motivo hai di correre un pericolo del genere per una donna che conosci appena?”

“Una donna che conosco appena e che rispetto ancora meno.” Precisò Bastian, brutalmente, come se non si fosse trovato a parlare di me, ma di una persona assente. “Ma non è per te che lo sto facendo, Lina Inverse. Sto saldando un debito d’onore.”

“Un debito d’onore?” Probabilmente solo la curiosità risvegliata da quell’affermazione mi frenò dall’impulso di onorare IO il piccolo debito che sentivo di avere circa i lividi attorno al mio collo.

“Con Sir Gabriev.” Annuì Bastian, solenne. “E’ per lui che sto rischiando l’accusa di tradimento e il disonore del mio casato.”

Io sarei rimasta più prosaicamente al fatto che stava rischiando il collo, esattamente come me. Ma non era il momento per discutere di forme di espressione. “Quando dici Sir Gabriev, intendi mio marito?” Domandai. “Ma come puoi essere in debito con lui, se lui prima di due settimane fa nemmeno ti conosceva?”

L’espressione di Bastian si fece grave. “Sir Gabriev ha fatto molto per la mia famiglia, senza esserne consapevole.” Replicò, senza volgersi. Lo vidi scrutare in lontananza, come se potesse ancora contemplare gli eventi di fronte a sé. “Lo ha fatto, quando ha liberato la mia città, Sailarg, dall’uomo che aveva cercato di usurpare il titolo di Gran Sacerdote.”

Battei le palpebre. Non ero a conoscenza di quella storia. Poteva trattarsi della fantomatica vicenda in cui Gourry aveva conosciuto Sylphiel e salvato la sua città? Mio marito non parlava volentieri di quegli avvenimenti, e in generale di quel periodo della sua vita. Sia lui che Sylphiel erano stati incredibilmente vaghi nel raccontarlo, la prima volta che si erano rivisti, a Sailarg. Ricordavo ancora come lo avessi trovato seccante, allora, senza nemmeno capirne il motivo. A posteriori, mi rendevo conto di quanto quella segretezza, l’impressione che avessero condiviso qualcosa da cui io ero esclusa, mi avesse ingelosito. Forse era stato allora che mi ero resa conto per la prima volta dell’attaccamento che provavo per Gourry.

“Gourry ha combattuto… un usurpatore?” Domandai, senza potermi trattenere. Mi seccava lasciare intendere a Bastian che Gourry non mi avesse raccontato tutto del suo passato, ma la voglia di sapere era troppo forte.

Il cavaliere si volse ad osservarmi da sopra le spalle, l’aria sorpresa. “Non sai del nobile gesto che Sir Gabriev ha compiuto per Sailarg?”

Quello stupore, per quanto fondato, fu sufficiente ad irritarmi. Nei suoi confronti, e anche nei confronti di Gourry. Perché non mi aveva mai detto una cosa così semplice, e perché in quel momento non si trovava lì, con me, a spiegarmene il motivo. Nervosismo ed una strana ansia mi catturarono lo stomaco. “Lo sto chiedendo a te.” Replicai, fredda. “Mio marito ed io all’epoca ancora non ci conoscevamo.”

Bastian tacque per un istante, l’aria poco convinta, ma non insistette. “Si trattava di un vecchio concorrente al titolo di Gran Sacerdote, che era stato esiliato dalla città.” Si limitò a replicare. “Anche allora era in corso una guerra, ad Elmekia. Quell’uomo approfittò dei disordini che sconvolgevano il regno per prendere d’assedio Sailarg. Raccolse mercenari di ogni sorta fra gli sbandati che avevano cercato di accodarsi alle truppe dei due eserciti in lotta. Se avesse espugnato la città, avrebbe fatto catturare, probabilmente uccidere, tutti i sostenitori del Gran Sacerdote, compresi i miei familiari. Ma non era solo questo che ci spaventava. In città avevamo compreso bene di che razza fossero gli uomini al suo servizio. Quell’uomo era convinto di controllarli, ma una volta entrati a Sailarg, una volta sentito l’odore del sangue, non si sarebbero fermati. Avrebbero sterminato tutti, uomini, donne e bambini, e avrebbero saccheggiato la città. Quel pazzo non aveva compreso che si sarebbe trovato a controllare un cumulo di macerie. ” Fece una pausa. Tornò a darmi le spalle, ma, per un momento, colsi nel suo sguardo un barlume della paura che doveva averlo catturato in quei giorni. Quello sguardo conteneva più umanità di quanta me ne avesse mostrata da quando lo avevo conosciuto, poche settimane prima. Ma durò solo un istante. Quando proseguì, la sua voce era ferma. “Le truppe del sovrano stanziate nei pressi di Sailarg uscivano da una dura battaglia. Non avevano i mezzi e le forze per combattere ancora. In più, nemmeno il sovrano aveva realmente compreso cosa ci aspettava. Quella che ci coinvolgeva, agli occhi della corte, era solo una lotta intestina.” Bastian, forse senza rendersene conto, si fermò. Rimase a fissare la città al termine del pendio, l’aria assorta. “Non avevamo sufficienti forze per difenderci. Se Sir Gabriev non fosse intervenuto, sarebbe stata una tragedia. Ma lui lo fece, di sua iniziativa. Lui, insieme ad un gruppo di uomini che spontaneamente decise di seguirlo, a dispetto degli ordini e a dispetto dei rischi che tutto ciò comportava.”

Potevo davvero immaginare Gourry fare una cosa del genere. Un Gourry più giovane, forse, e più incosciente. Ma mio marito era disposto, certamente molto più disposto di quanto non fossi io, ad accordare il suo aiuto a chi ne aveva bisogno, senza chiedere nulla in cambio. Era stato lo stesso anche con me, quando aveva deciso di accompagnarmi fino ad Atlas, credendomi una bambina incapace di badare a se stessa.

Chissà se anche allora, quando aveva aiutato Sailarg, era stato alla disperata ricerca di uno scopo.

“E così… col suo aiuto siete riusciti a vincere…”

Bastian annuì. “Fu una battaglia cruenta. I nemici riuscirono ad irrompere in città e si combatté nelle strade. La figlia del Gran Sacerdote fu presa in ostaggio. Se non fosse stato per Sir Gabriev, probabilmente sarebbe rimasta uccisa. Ma alla fine fummo noi ad avere la meglio.” Mi lanciò un’occhiata. “Sir Gabriev è ricordato con grande gratitudine, a Sailarg. Il Gran Sacerdote lo accolse come uno dei suoi favoriti, all’interno della sua stessa casa. Tutti davano per scontato che Sir Gabriev e sua figlia si sarebbero sposati. Ma alla fine il nostro difensore partì insieme al resto delle truppe, quando lasciarono Sailarg.”

Avevo già ricevuto più informazioni di quante non ne desiderassi realmente. Lottai contro la tentazione di approfondire quel discorso e deviai la conversazione. “Hai detto che l’usurpatore era stato esiliato da Sailarg… per quale motivo?”

I lineamenti di Bastian si indurirono. Improvvisamente, avvertii risorgere in lui tutto il disprezzo che la nostra convivenza forzata pareva aver temporaneamente sedato. “Era un rinomato esperto di Magia Bianca. Venne accolto fra i candidati alla nomina di Gran Sacerdote, come molti altri. Con l’avvicinarsi della elezione, però, una misteriosa catena di incidenti iniziò a minare la tranquillità di Sailarg. Facoltosi sostenitori di altri candidati sparirono in circostanze macabre, e presto la scia di sangue divenne troppo evidente per essere imputata alla casualità. Si pensò ad una maledizione lanciata dall’esterno. Finché non si scoprì che quell’uomo praticava anche la Magia Nera.” I suoi pugni si strinsero. “Anche mio zio ci rimise la vita, prima che quel pazzo sanguinario fosse smascherato. E quando questo accadde, fu troppo rapido a fuggire perché potessimo imprigionarlo. Il neo nominato Gran Sacerdote giurò che sarebbe stato messo a morte nell’istante stesso in cui avesse cercato di varcare nuovamente la soglia della città. Allora non immaginava che avrebbe cercato di farlo come conquistatore.”

Il gelo più totale aveva catturato la sua voce. Potevo comprendere i suoi timori. La forma di magia a cui aveva fatto riferimento, quella delle maledizioni, godeva di cattiva fama persino fra la maggioranza dei praticanti della Magia Nera. Me compresa. Si trattava di magia imprecisa, subdola e dagli effetti potenzialmente devastanti. Ma quella di Bastian non era solo naturale diffidenza. Non capivo se la Magia Nera suscitasse in lui odio o piuttosto una paura viscerale. Forse le due cose erano combinate, legate l’una all’altra in modo inscindibile. Non ebbi il coraggio di indagare oltre. In quel momento sperai solo che fosse davvero dalla mia parte, e non intenzionato ad uccidermi. Una ostilità così ferma e cieca sarebbe stata pericolosa da affrontare.

“Dopo che Sir Gabriev si è allontanato da Sailarg, sono stato a lungo combattuto sul da farsi. Avevo degli obblighi nella mia città, ma nessuno mi sembrava profondo come quello che avevo nei confronti dell’uomo che la aveva salvata. Non ero il primogenito, non avevo terre da ereditare. Perciò mi decisi a partire per la tenuta della sua famiglia, e offrirgli i miei servigi come suo uomo di fiducia.” Riprese a camminare, all’improvviso, come se l’incanto dei ricordi fosse terminato. “Tuttavia, quando giunsi sui terreni del Lord Gabriev, scoprii che era già partito.” Proseguì. “Non sapevo come rintracciarlo, e così decisi di fermarmi al servizio del Lord Gabriev, e cercare lì una mia posizione, nell’attesa che le circostanze mi offrissero la possibilità di sdebitarmi. Ebbi fortuna, e riuscii a fare carriera. E, anche se ero a conoscenza dei dissapori che Sir Gabriev aveva avuto con la sua famiglia, sperai che prima o poi si sarebbe messo in contatto con loro.”

“Quindi è questo che stai facendo… mi porti in salvo per aiutare lui…”

L’espressione di Bastian si indurì. “In realtà temo che gli avrei fatto un favore migliore lasciando che la tua condanna venisse eseguita.” Sentenziò, bruscamente. “Ma ho immaginato che non fosse questo ciò che lui desiderava.”

Il mio stomaco si strinse, per la rabbia. Cominciavo a essere stanca di ricevere insulti. “Sembra che tutti a Elmekia siano ferratissimi su ciò che sarebbe meglio per mio marito.” Osservai, cupamente.

Bastian mi rivolse un’occhiata penetrante. “Cosa ti aspettavi?” Domandò, freddo. “Ho udito ogni genere di voci su di te. Molti dicono che la distruzione di Sailarg sia stata in qualche modo legata a te. E che Sir Gabriev, che allora era con te, sia stato stregato da qualche tuo strano incantesimo.” La sua mascella si serrò. “Sylphiel Nels Rada, l’attuale Sacerdotessa Madre, ha continuato a smentire ogni cosa. Le credo, solo per il rispetto che ho per lei e per la sua famiglia. Ma c’erano anche i miei parenti laggiù, quando Sailarg è esplosa. Non riesco a fronteggiarti facilmente, Lina Inverse. E sono sinceramente convinto che Sir Gabriev meriti qualcosa di meglio che essere legato per la vita ad una donna il cui nome è associato ad ogni genere di fatto di sangue.”

“Io non sono solo il mio nome.” Sibilai. Avrei voluto gridare, invece. Aveva toccato una corda a cui ero davvero sensibile, da qualche anno a quella parte.

“Davvero?” Bastian si accigliò. “Quanti sarebbero disposti ad affermare lo stesso?”

‘Gourry lo sarebbe.’ Quel pensiero si formò immediatamente, ma le mie labbra parvero incapaci di darvi voce. Perché Gourry non era lì a confermarlo, in quel momento. E la sua assenza e il mio stato d’animo confuso parevano in grado di far vacillare anche le mie più solide certezze.

Ci fu una lunga pausa di silenzio. “Devo cambiarmi d’abito.” Mi trovai quindi ad osservare, la voce atona. “Lo stavo dimenticando. E’ bene che lo faccia ora, prima che entri in città e mi veda qualcuno.”

Bastian mi rivolse un’occhiata insofferente. “Lina Inverse, non ha senso pensare a futilità del genere, in un momento come questo. Vuoi dormire al coperto, e te lo concedo, ma temo proprio che dovrai rassegnarti all’idea che la gente ti veda anche con quegli abiti luridi addosso.”

Il suo tono di superiorità bastò ad irritarmi nuovamente. “Queste non sono futilità, cavaliere.” Sbottai. “Chi mi cerca si aspetta una fuggitiva. E, per via della guerra, pochi si avventurano fuori dai villaggi dopo il crepuscolo. E’ più prudente dormire al chiuso, che in una vallata dove chiunque può avvistarci da lontano.” Aprii le braccia, additando significativamente il nulla che ci circondava. “E se ho bisogno di cambiarmi, è perché i miei vestiti tendono a dare un tantino nell’occhio in un dannato regno senza altri dannati esperti di magia nera. E direi che non è esattamente il momento più adatto per dare nell’occhio, tu che ne dici, cavaliere?”

Bastian mi squadrò, poco convinto. “Cos’hanno di così strano i tuoi vestiti? Potrebbero sembrare un’uniforme da cameriera, no?”

CHE RAZZA DI PROBLEMA AVEVA, LA GENTE, AD ELMEKIA???

Mi portai la mano alla fronte. Persino la mia rabbia era scemata. “No. No, non potrebbero essere un’uniforme da cameriera, cavaliere. Credimi.”

Bastian incrociò le braccia al petto, evidentemente non comprendendo il motivo della mia esasperazione. “Se lo ritieni necessario fallo, allora. Ma sbrigati. Qui siamo troppo esposti.”

Il che era esattamente quello di cui avevo cercato di convincerlo fino ad un’ora prima. Ma non avevo la forza di obiettare.

“Andrò dietro all’albero. Rimani voltato.”

Vidi le sua labbra arricciarsi, alla mia richiesta, ma illuminato da qualche divinità ebbe il buon senso di evitare commenti. Io ripercorsi velocemente i miei passi e sparii dietro lo spesso tronco. Mi cambiai in fretta, indossando la semplice tunica bianca e il mantello di lana che Livia aveva preparato per me. Erano caldi, fortunatamente, e sufficientemente simili a quelli di una comune viaggiatrice. Estrassi una borsa da viaggio dal mio mantello nero e appallottolai al suo interno i miei vecchi abiti, quindi mi legai i capelli in una stretta crocchia, in un tentativo di renderli meno appariscenti. Meno avessi dato nell’occhio, più possibilità avrei avuto di evitare di trovarmi con un branco di cacciatori di taglie alle calcagna.

Quando raggiunsi Bastian, lo trovai che batteva impazientemente i piedi al suolo. Il generale non dava l’impressione di essere particolarmente tollerante, di fronte alle esigenze di un compagno di viaggio. O forse ero io ad essere viziata. Con Gourry, anche nelle più semplici abitudini della vita quotidiana, l’intesa era stata sempre naturale.

“Possiamo andare, cavaliere.” Lo esortai. Il suo sguardo cadde su di me, e la curva delle sue labbra si piegò in una smorfia ancora più pronunciata.

“Bianco.” Osservò. “Non sempre l’aspetto esteriore rispecchia la natura del proprio animo, non è vero, Lina Inverse?”

Sospirai. Mi attendevano lunghe, difficili giornate.

***

Il sentimento del dolore giunse prima di ogni altra sensazione. I miei occhi erano chiusi, non avevo idea di dove mi trovassi, non ero nemmeno certo di essere ancora vivo. Ma ciò che sapevo era che ogni singolo centimetro del mio corpo doleva in modo insopportabile.

“Uhn…” Gemetti. Cercai di muovere gli arti, nonostante le mie membra fossero incredibilmente pesanti. Le gambe risposero, e così il mio braccio sinistro, ma sembrava che qualcuno mi avesse separato il braccio destro dal resto del corpo. Cessai di insistere. Avevo l’impressione che mi stessero trapanando le tempie con degli spilloni.

“Fermo… fermo… va tutto bene…” Una voce femminile risuonò vicino alle mie orecchie e un tocco delicato sfiorò il mio braccio sinistro. Aprii gli occhi di colpo, investito da una improvvisa ondata di speranza.

“Lina…?”

“Non sono Lina.” Sussurrò la voce, in un tono dolce e vagamente triste. Cercai di identificarla, ma il volto della sua proprietaria si confondeva con le ombre della stanza. “Non cercare di alzarti, Gourry- san. Sei ancora molto debole.”

Abbandonai la testa all’indietro, su quella che riconobbi come la superficie soffice di un cuscino. Cercai di capire dove mi trovavo, ma ero troppo stordito e confuso dalla luce per riconoscere realmente qualcosa. Non capivo nemmeno se fosse l’alba, o il tramonto.

“Gourry- san, il tuo braccio della spada è piuttosto malridotto.” Continuò la voce. “Lo ho curato con la magia, ma credo che sia meglio che tu non lo sforzi, almeno per qualche giorno. Devi restare a letto e riposare.”

“M… ma… ma chi…?”

“Sylphiel. Sono Sylphiel, Gourry- san.”

Tornai a guardarla. A poco a poco, i miei occhi si abituarono al buio e i suoi lineamenti assunsero finalmente tratti familiari. Era pallida come quando l’avevo vista l’ultima volta, attraverso l’incantesimo del tempio di Sailarg. E il suo sguardo, se possibile, era ancora più esausto. Rimasi fermo, ad osservarla, in silenzio. C’era un infinità di cose che non capivo, eppure non avevo la forza di formulare nemmeno una domanda coerente.

“Sono arrivata questa mattina.” Proseguì la sacerdotessa, forse comprendendo il mio smarrimento. “Sono settimane che sono in viaggio per raggiungervi, in realtà, ma con la guerra in corso è terribilmente complicato muoversi. Al mio arrivo ho annunciato che vi stavo cercando e mi è stato riferito quello che è successo. E’ davvero terribile. Terribile, Gourry- san. Mi chiedo che cosa abbia spinto Lina- san a farlo… Se solo fossi arrivata qui prima, forse… ”

“Lina è innocente.” La mia voce uscì più fredda di quanto non desiderassi realmente. In fondo, non avrei dovuto biasimare Sylphiel per avere creduto il contrario. Lina non era una santa, sarebbe stato ipocrita sostenerlo. Ma era proprio questo il problema. Mia moglie era capro espiatorio troppo semplice.

Le sopracciglia di Sylphiel si levarono, per la sorpresa. “Ne sei certo?” Domandò, trattenendo il fiato. “Ma allora dobbiamo dirlo immediatamente al duca! Mi hanno detto che c’è una taglia sulla sua testa, rischia di essere uccisa! Dobbiamo…”

“Non ci sono prove, Sylphiel.” Troncai la sua frase, in tono mesto. “Solo la sua parola.” Più ripensavo a quell’omicidio, più il solo pensiero che Lina lo avesse commesso mi sembrava assurdo. Lina aveva ucciso, in passato. Ma non così, non a sangue freddo, e senza apparente motivo. Almeno non da quando la conoscevo io. Avrei solo voluto che chiunque la accusava e minacciava la sua vita sapesse di lei tutto quello che sapevo io.

“Oh…” Sylphiel esitò per un istante, come se volesse obiettare qualcosa, ma alla fine non replicò nulla. Ebbi la netta impressione che non sapesse a cosa credere realmente.

Distolsi lo sguardo. Ero così confuso… avevo vaghi ricordi di quella giornata… di come avevo consumato voce e forze contro la porta delle mie stanze, di come avevo parlato con Derek e lui mi aveva detto che Lina era fuggita, del ricatto di mio padre… e poi…

Mi portai la mano sinistra alla fronte, frastornato. “Sylphiel…” Esordii, volgendo a fatica la testa verso di lei. “Che cosa mi è successo?”

La sacerdotessa mi rivolse un sorriso stanco. “Non lo sappiamo esattamente. Al mio arrivo, in tarda mattinata, nessuno è stato in grado di trovarti. Ho… conosciuto la tua famiglia, però.” Esitò per un momento. “Tuo fratello mi ha detto che avevate avuto una discussione, e che probabilmente eri in giro da qualche parte a sbollire la rabbia.” Mi parve imbarazzata. “Però, quando per pranzo non ti sei presentato, tuo padre ha mandato degli uomini a cercarti. Ti hanno trovato solo un’ora fa, ai piedi di una delle scogliere, a meno di un chilometro dalla capitale. Probabilmente sei scivolato per colpa della pioggia. Per fortuna non era molto alto, e ti sei ferito seriamente solo al braccio.”

Potei solo restare fermo, a fissarla. Era davvero andata così? La mia testa era leggera, le informazioni sembravano semplicemente non poter trovare una forma al suo interno. Cercai di concentrarmi, ma il mal di testa mi impediva di focalizzarmi davvero su qualsiasi ragionamento. Finii per desistere.

“Dovè… mio padre…?” Non seppi perché lo domandai. Forse mi attendevo di vederlo giungere rabbioso, e attaccarmi perché mi ero allontanato dal palazzo senza il suo consenso.

“C’era una riunione con gli altri ufficiali, questa sera.” Esitò. “Sono… certa che verrà ad accertarsi delle tue condizioni domattina, Gourry- san…”

Sospirai. In realtà, ci speravo poco. Ma non avevo particolare voglia di incontrarlo. In fondo, la nostra discussione di quella mattina mi era bastata.

Rimasi in silenzio, fissando il soffitto. Anche Sylphiel, per qualche istante, non disse nulla. Ma sentivo il suo sguardo fisso sul mio volto. Seppi anche senza guardarla che voleva parlarmi di qualcosa.

“Gourry- san…” Esordì, finalmente. La sua mano coprì improvvisamente la mia, ed io mi volsi a guardarla. Il suo sguardo era teso, ma stranamente imperscrutabile. “C’è… qualcosa che non vi ho detto, quando vi ho chiesto di venire qui, a Talit. Non so come mi giudicherai, quando lo saprai… ma sento che devo parlartene, ora. Te lo devo a maggior ragione, visto tutto quello che è successo.”

Non ebbe bisogno di aggiungere altro. Sapevo già perfettamente cosa stava per rivelarmi. “Quando ci hai mandato qui sapevi già che la regina aveva intenzione di assoldarci.” Dichiarai, senza particolare sentimento. Le mie emozioni, per quella giornata, erano già state ampiamente consumate.

Sylphiel impallidì e un’espressione colpevole si dipinse sul suo volto. “Go… Gourry- san… come…?”

“Lina.” Mi limitai a replicare. “Sospettava che il nostro coinvolgimento nella guerra fosse stato pianificato fin dall’inizio.” Chiusi gli occhi. Lina. Chissà dov’era in quel momento. Avrei voluto avere più forze, per cercare di pensare ad un modo per rintracciarla.

“Gourry- san…” Sylphiel mi riscosse da quel pensiero, pronunciando il mio nome in un singulto. “Intendi dire che Lina sospettava che io lo avessi pianificato?”

“No.” Per qualche motivo, la domanda di Sylphiel mi irritò. Quando avevo conosciuto Lina, mi ero accorto in fretta che era sufficientemente sospettosa e, sì, anche sufficientemente cinica da aspettarsi il peggio da chiunque. Eppure, rimanevano persone a cui garantiva la sua fiducia incondizionata. Io ero fra queste. E credo avrei accettato di subire qualsiasi cosa, al costo di non tradirla. Il pensiero che qualcun altro lo facesse, servendosi della sua amicizia, mi disturbava più di quanto riuscissi ad esprimere. “In realtà era convinta che i sacerdoti di Sailarg avessero agito alle tue spalle. E anche io lo ero.” La fissai. “Cosa avete ottenuto, in cambio? Aiuto per Sailarg?”

A quella domanda, Sylphiel parve entrare in agitazione. Impallidì ulteriormente e scosse la testa, energicamente. “No! No, Gourry- san, non devi nemmeno lontanamente pensare che… voglio dire, io non vi avrei mai coinvolti in una situazione pericolosa per un mio scopo personale! Lo ho fatto perché… perché mi sembrava la cosa giusta da fare.”

“La cosa giusta da fare?” Non seppi fare altro che ripetere le sue parole. Ero un po’ stanco di vedermi imposto ciò che gli altri ritenevano giusto.

Sylphiel annuì. “A prescindere dall’interesse di Sailarg.” Sussurrò. Le sue dita si allontanarono dalle mie. “Inizialmente, vi avevo chiamati davvero perché mi scortaste sino a qui. Sapevo che a Talit cercavano esperti di magia nera, ma non volevo coinvolgervi in questa questione, non ne avevo la minima intenzione. E al di là di qualsiasi mia personale opinione sulla guerra, ero convinta che nemmeno Sailarg avrebbe dovuto prendere le parti di una delle due fazioni.” Distolse lo sguardo, fissandolo sul paesaggio all’esterno della stanza. “Mi ero davvero recata a Sailune per chiedere aiuto finanziario ai miei zii. Ma è stato allora che è successo qualcosa… qualcosa che ha rivoluzionato completamente la situazione.” Si levò e mi diede le spalle, avvicinandosi alla finestra. Tacque, come raccogliendo le idee per spiegarmi.

“Di cosa parli, Sylphiel?”

La sacerdotessa emise un sospiro. “Mio zio… è rimasto vittima di una imboscata.”

Mi levai a sedere, di riflesso, per lo stupore. Un dolore lancinante attraversò tutta la parte superiore del mio corpo, dal mio braccio destro alla mia colonna dorsale, ma in quel momento riuscii ad ignorarlo. “Tuo zio…” Rantolai. “… tuo zio è stato ucciso?” Sapevo che a Sylphiel rimanevano ben poche persone, al mondo, al di là dei suoi parenti di Sailune.

Sylphiel si volse e mi indirizzò un mesto sorriso. “No. Ma la sua sorte, purtroppo, è ancora incerta. E’ stato attaccato, e preso in ostaggio.”

D’accordo, ora ero confuso. Con tutto il rispetto per lo zio di Sylphiel, non riuscivo ad immaginare chi potesse avere interesse a prendere in ostaggio un anziano sacerdote. E non avevo idea di che cosa potesse c’entrare, questo, con la guerra in corso ad Elmekia.

“Scusami, Gourry- san. Vedo che non comprendi e mi rendo perfettamente conto che hai ragione di non farlo.” Fece un sospiro e tornò a sedersi sulla sedia accanto al mio letto. “In realtà avevo promesso di non parlare a nessuno di questa storia, ma non posso spiegarti senza raccontarti tutta la verità. E in fondo te lo devo, a te e a Lina- san. Ma devi assicurarmi che, Lina- san a parte, quello che ti dirò non uscirà dalle mura di questa stanza.”

Annuii, debolmente. Sylphiel strinse le labbra per un momento e si guardò alle spalle, come se temesse che qualcuno potesse udire quanto stava per rivelarmi.

“Amelia… è stata catturata.” Dichiarò poi, in un sussurro affrettato.

Io mi limitai a fissarla, a bocca aperta. Non ero certo di avere ben compreso ciò che mi aveva appena rivelato.

Sylphiel mi fissò di rimando, con una punta di rassegnazione. “Gourry- san… Amelia. Amelia, la principessa di Sailune.”

Mi avvicinai ulteriormente a lei, ignorando il dolore. Ero troppo sorpreso per frenarmi. “Ho… ho capito di chi parli. Ma…”

“Come sai, mio zio serve la corte come sacerdote del tempio. Si trovava con Amelia, quando è successo. Lui, ed un gruppo di altri sacerdoti.” Abbassò ulteriormente la voce. “Sei fra i pochi a essere a conoscenza di questa informazione. Persino io so molto poco della reale dinamica dei fatti. Nulla è trapelato al di fuori della corte.”

“A… aspetta solo un momento, Sylphiel. Chi ha catturato Amelia? E cosa c’entra tutto questo con la guerra di Elmekia?” Lina avrebbe detto che era normale, ma non capivo assolutamente dove quella conversazione stesse andando a parare.

Sylphiel si incupì. “Devi sapere che Samon aveva inviato ripetuti appelli a Sailune perché intervenisse a sostenerlo nel conflitto.” Abbassò lo sguardo sulle sue mani, raccolte in grembo. “Il re, Philionel, aveva sempre rifiutato di coinvolgere il suo regno. Tuttavia, poco più di un mese fa, aveva accettato di inviare la principessa Amelia alla corte di Elmekia, come ambasciatrice di Sailune, perché aiutasse a mediare la pace fra i due principi in lotta.” Fece un breve sospiro. “Io mi trovavo già a Sailune, quando accadde. Una scorta avrebbe dovuto accompagnare Amelia fino al confine, dove sarebbe stata prelevata dalle guardie di Elmekia, insieme ad una piccola delegazione. Anche mio zio faceva parte del seguito della principessa.” Tornò a fissarmi, l’espressione inquieta. “Ma quel gruppo di uomini non ha mai raggiunto la sua destinazione.”

“Aspetta un momento.” La mia voce uscì in un roco sibilo. “Chi? Chi li ha attaccati? ”

“E’ proprio questo il punto.” Replicò mestamente Sylphiel. “Una settimana dopo l’assalto, una rivendicazione è giunta da Talit. A quanto pare, il secondo erede al trono temeva che quella ambasceria significasse che Sailune aveva scelto di schierarsi a favore della legittima corte di Elmekia.” Si appoggiò allo schienale della sedia, abbassando lo sguardo.

Io spalancai gli occhi. “Talit??? Vuoi dire che Amelia ora si trova qui???”

“Non lo so.” Replicò la sacerdotessa, in un sibilo. “Per quanto ne sappiamo, potrebbero tenerla ovunque. Purtroppo Talit non ha ancora avviato nessuna trattativa per il suo rilascio.” Il suo volto si incupì. “Philionel ha atteso, saggiamente, ma alla fine temo che l’ansia abbia preso il sopravvento su di lui. Ha garantito la sua alleanza alla corte, per mostrare che Sailune non è ricattabile.”

“Vuoi dire che Sailune ora è in guerra contro Talit?”

Sylphiel annuì. “Ero convinta che lo sapessi. La comunicazione ufficiale è stata data giorni fa.”

Scossi la testa, sentendomi improvvisamente schiacciato da eventi molto più grandi di me. “Però…” Esordii, nuovamente. “… continuo a non capire perché tu ci abbia chiesto di venire quaggiù, Sylphiel…” Tornai ad appoggiare la schiena al bordo del letto, ancora stordito dalla storia che mi aveva raccontato. “Voglio dire… capisco che potessi ritenere utile un nostro aiuto, ma che cosa potevamo fare noi, qui a Talit, all’oscuro di tutto?”

Sylphiel sospirò. “Il problema è che non ho avuto la possibilità di parlarvi chiaramente, quando ho chiesto il vostro aiuto. Sapevo che Erianna cercava esperti di magia nera, per la difesa del proprio palazzo. Vista la fama di Lina- san, ho pensato che nessuno meglio di voi avrebbe potuto infiltrarsi qui e tenere gli occhi aperti, per capire se Amelia potesse essere effettivamente ostaggio di Talit.” Prese a giocherellare nervosamente con le dita. “Ma non potevo chiedervelo apertamente, né davanti ai sacerdoti di Sailarg, né tramite un messaggero. Non sapevo dove potessero nascondersi alleati di Talit. Avrei avuto bisogno di parlarvi di persona, ma era necessario che tutto si svolgesse il più velocemente possibile, prima che la situazione nel regno precipitasse. Perciò ho portato avanti con il Gran Sacerdote di Sailarg la messinscena degli aiuti da parte di Talit, e gli ho chiesto di mettersi in contatto con la regina e dirle che le avremmo inviato Lina Inverse in cambio di denaro. E poi ho raccontato a voi la storia della missiva da consegnare, per fare sì che vi recaste quaggiù. Sapevo che sareste stati accolti con ogni onore e ho sperato con tutto il cuore che decideste di fermarvi. Puntavo a raggiungervi qui il prima possibile, per spiegarvi ogni cosa e chiedervi il vostro aiuto per il reale motivo per cui ne avevo bisogno…”

Sylphiel mi parlò con foga, e quando ebbe terminato di raccontare ebbi l’impressione che fosse rimasta priva di ogni energia. Rimase semplicemente a fissarmi, titubante, con uno sguardo che richiedeva chiaramente perdono e comprensione. E io glieli avrei accordati senza esitazione, senza alcun dubbio, in qualsiasi altra circostanza. Ma l’incontro con la mia famiglia e la condanna e il rapimento di Lina bruciavano su di me come ferite ancora troppo recenti. Non era con uno stato d’animo semplice, che avevo ascoltato la sua confessione.

“Sylphiel…” Iniziai, in tono cauto. “Tu non sapevi che mio padre si sarebbe trovato a Talit, giusto…?”

Solo l’accusa parve bastare a gettare la sacerdotessa in preda all’ansia. “No!” Gridò, quasi. “Gourry- san, ero a conoscenza dei tuoi problemi con la tua famiglia! Se solo avessi immaginato che si trovavano qui, che avrebbero esercitato pressioni su di te per farti restare, io…”

“Tu non ci avresti chiesto di venire fin qui?” La mia era una domanda, ma avevo il sentore di sapere già che risposta avrei ricevuto.

Sylphiel esitò, per qualche istante. Quindi emise un lieve sospiro. “Ti mentirei, se assentissi.” Sibilò, la voce piena di colpa. “Probabilmente, la cosa non mi avrebbe fermato. Perché sapevo di agire nel giusto.” Levò lo sguardo sul mio. “Ma ti giuro, ti giuro Gourry- san, che non ho scelto consapevolmente di sfruttare la cosa. Non vorrei mai arrecarti un dolore.” Mi prese nuovamente la mano. “Non a te. Lo sai perfettamente.”

Non replicai nulla.

Agire nel giusto. Trovare il reale colpevole dell’aggressione a Philionel, per il bene di Elmekia e per il bene di Sailune. Aveva senso. Ma per qualche motivo, in quel momento non riuscivo a pensare in quei termini. Riuscivo solo a pensare al fatto che Lina era prigioniera da qualche parte lontano da me, e che, che Amelia fosse ostaggio di Erianna o meno, avrei dovuto combattere per Talit, se desideravo rivederla.

Feci scivolare lentamente le dita lontano da quelle di Sylphiel. La sacerdotessa vestì immediatamente un’espressione ferita ed io rimasi per un momento incerto su come reagire. Quindi, decisi semplicemente di non farlo affatto. Sollevai le coperte e feci per alzarmi.

Sylphiel mi fissò, allarmata. “Gourry- san, no! Devi riposare, non puoi…”

“Voglio solo sciacquarmi il viso.” Replicai, stancamente. “Mi sta scoppiando la testa.”

La sacerdotessa continuò a fissarmi con preoccupazione, ma non insistette. Io barcollai verso la specchiera e mi resi conto per la prima volta che mi trovavo ancora una volta nella stanza che avevo condiviso con Lina, in cima alla torre. Cominciavo a detestare quelle quattro mura.

Mi piegai sul catino e sollevai fra i palmi una manciata di acqua fredda. Vi affondai il volto, trovando momentaneo refrigerio e sollievo dal dolore. Poggiai le mani sui bordi della specchiera e rimasi a lungo piegato sul lavabo, osservando le gocce scivolare lentamente dalla mia fronte e dai miei capelli e infrangere in ipnotici cerchi la superficie cristallina dell’acqua. Mi sembrava che lo stomaco mi fosse risalito alla gola. Avevo l’impressione che se mi fossi mosso anche di un millimetro la nausea avrebbe avuto la meglio su di me.

“Gourry- san… ti senti bene?”

La voce di Sylphiel risuonò, preoccupata, alle mie spalle. Io levai lo sguardo, per incontrare il suo volto, riflesso nello specchio.

E all’improvviso, un’ondata di terrore, puro e viscerale, calò sul mio capo, come una cascata d’acqua gelida.

Occhi dorati, capelli dorati, una figura in uno specchio. I ricordi mi investirono con la forza di realtà tangibili, e ogni sensazione che avevo provato prima di precipitare nell’abisso mi si ripropose con violenza rinnovata. Incomprensione, paura, dolore. Le lacrime che mi avevano sorpreso qualche ora prima tornarono a pungermi gli occhi.

Indietreggiai, e urtai una sedia. Barcollai e rischiai di crollare al suolo, e dovetti aggrapparmi alla sponda del baldacchino per recuperare l’equilibrio. Sylphiel si affrettò al mio fianco. “Gourry- san!”

Non le diedi il tempo di cercare di sorreggermi. Mi afferrai alla sua spalla e la strinsi con una violenza che non credevo le mie dita tremanti potessero possedere. “Sylphiel.” Sibilai, lottando con ogni forza per mantenere il controllo. “Dove mi hanno ritrovato. Fammi vedere dove mi hanno ritrovato.” Il mio braccio destro, ora, pulsava in modo orribile.

“Co… come?” La sacerdotessa fu evidentemente colta alla sprovvista da quella richiesta. “Ma… che importanza ha, ora, Gourry- san…?”

Non avevo l’autocontrollo necessario per fronteggiare delle obiezioni. “Ne ha.” Rantolai, sforzandomi di non alzare la voce. Il mio braccio destro stava esplodendo di dolore. “Portami laggiù, Sylphiel.”

“Gourry- san…” La voce di Sylphiel si fece supplichevole. “Non puoi uscire dal palazzo ora. Non sei in condizione di…”

Portami laggiù!!!” Non era la rabbia a farmi gridare, ma la paura. Una paura tanto più terribile, in quanto priva di una motivazione apparente.

La sacerdotessa mi fissò, evidentemente senza capire. Probabilmente, persino spaventata dal mio comportamento. Ma non potevo spiegarle, in quel momento. Non potevo spiegarle qualcosa che nemmeno io comprendevo, quando ogni briciola della mia energia era impiegata nel mantenere il mio autocontrollo.

Alla fine, Sylphiel parve desistere. Mi afferrò per il braccio sinistro e lentamente, gentilmente, mi condusse nuovamente al letto. Raccolsi il mio mantello e i miei stivali, senza dare realmente peso ai miei gesti. Scendemmo le scale, un gradino alla volta, ma la mia mente non registrò il percorso. Il braccio destro mi tormentava, la mia mente era focalizzata sullo sforzo di respingere la paura. Uscimmo dal palazzo e poi dalla città, e immediatamente mi resi conto che c’era qualcosa di sbagliato. Non stavamo andando nella giusta direzione.

“Sylphiel…” Le strattonai il braccio. “… non è di qua. Stiamo scendendo verso il mare. Dobbiamo aggirare la città, andare verso le montagne.”

Sylphiel mi fissò, con l’aria di cominciare a considerarmi pazzo. “No, Gourry- san, te l’ho detto. Sei stato ritrovato ai piedi di una delle scogliere.”

“Non è possibile!” Tornai a gridare. “Ti dico che io non ero sceso verso il mare! Io… io ero andato…” Sollevai lo sguardo. Al buio non scorgevo le rovine della antica Talit, ma sapevo che era là. Era là, incombeva su di me in lontananza. Non poteva essere stato un sogno, un delirio generato dal dolore della caduta. No. Avvertivo ancora quelle sensazioni sul mio corpo, sensazioni forti, reali. Ma non c’era modo che precipitando dalle mura dell’antico palazzo io fossi giunto al mare. Nessun modo.

“Gourry- san, rientriamo, ora.” La voce di Sylphiel aveva il tono di una preghiera. “Tu… non ti senti bene. Hai bisogno di riposare.”

La guardai, senza vederla realmente. “Io ero andato… a Talit.” Mormorai, fissando lo sguardo oltre i suoi occhi preoccupati, oltre il suo volto, sull’immagine confusa che danzava nel retro della mia mente. Una donna dai capelli dorati. Dove… dove l’avevo già vista, prima di quel giorno?

“Gourry- san… ti prego… vieni dentro…” Sylphiel continuò ad implorare. Io la ignorai. Un libro. Ora ricordavo anche un libro. Ricordavo di averlo aperto, e di avere colto un barlume del suo contenuto. Ma non riuscivo… non riuscivo a ricordare…

Un’altra fitta, lancinante, mi attraversò il braccio destro. Ebbi un sussulto, e lo afferrai, non potendomi impedire di gridare. Caddi in ginocchio. Sylphiel accorse subito per aiutarmi, ma non riuscii a prestarle attenzione. Mi ero appena ricordato qualcos’altro. Un sigillo. Un sigillo con un marchio dorato.

Levai il palmo della mano destra. Là, dove prima avrei giurato non esserci nulla, l’immagine che aveva fatto mostra di sé sul sigillo bruciava impressa sulla mia carne, come una cicatrice, o un marchio impresso a fuoco. Un segno contorto, incomprensibile, un confondersi di linee curve che parevano strisciare e avvolgersi su se stesse. La nausea tornò ad assalirmi, alla sua sola visione.

“Gourry- san…” Sylphiel inspirò profondamente, prima di parlare, e la sua voce tradì disgusto e confusione. “… che cos’è quello?”

Avrei tanto voluto saperle rispondere.

***

Mi svegliai, di soprassalto. La camera attorno a me era avvolta in una quiete che non rispondeva al mio stato d’animo. La mia fronte era madida di sudore, le mie membra preda della tensione. Non ricordavo di aver sognato, ma avevo aperto gli occhi con la stessa ansia con cui di solito si affronta il buio dopo aver vissuto un incubo.

‘Un presentimento.’

Volsi la testa verso la finestra che sovrastava la mia branda. La notte di Elmekia era silenziosa, buia e indifferente alle mie preoccupazioni. Potevo scorgere la luce lunare di un cielo stranamente terso brillare sul manto di brina che ricopriva i prati sui declivi attorno al piccolo villaggio. Era uno spettacolo incantevole, ma non bastò a calmarmi. Il mio pensiero era rivolto a Gourry. Quel giorno ero stata tranquilla, pensando a lui, mi ero ripetuta le rassicurazioni di Livia sul fatto che i Gabriev non avrebbero fatto del male ad un membro della propria famiglia. Ma per qualche motivo, al buio, ogni cosa mutava prospettiva.

Mi colse l’improvvisa smania di giungere alla capitale. Livia avrebbe detto a Gourry di raggiungermi laggiù, e laggiù avrei dovuto arrivare per attenderlo, al più presto. Così, almeno, quell’ansia si sarebbe tramutata in senso d’attesa, e avrei avuto l’impressione che la mia impotenza fosse funzionale a qualcosa. La sola idea di mancare il suo arrivo mi tormentava. Non ero abituata a stare a lungo lontana da lui e non volevo pensare di dover affrontare una lunga ricerca per ritrovarlo. In quel momento, provavo la stessa fastidiosa sensazione di incompiutezza che mi colpiva quando trascuravo di fare qualcosa di estremamente importante.

Mi sollevai a sedere. Bastian, apparentemente, dormiva ignaro di ogni cosa. Per la prima volta, in quella lunga giornata, mi domandai dove intendesse condurmi. Quel giorno avevamo pensato solo a fuggire, ma se gli avessi proposto di andare alla capitale e lui si fosse opposto, non avrei avuto modo di fronteggiarlo, fino a che la mia magia non fosse tornata. E anche se si trattava di una questione di un giorno o due, ormai, detestavo porre una persona potenzialmente pericolosa per me in una simile condizione di potere.

Il mio presentimento si acuì. Dovevo andarmene, per qualche motivo dovevo andarmene, quella notte stessa, e raggiungere al più presto la mia meta.

Scivolai fuori dalle coperte. Avevo ancora addosso gli abiti della giornata. La mia veste da notte era rimasta a Talit, e l’idea di dormire con solo una maglia addosso in presenza del cavaliere non mi sorrideva per niente. Afferrai il mantello, appeso al bordo del letto, e feci per alzarmi. Ma non feci nemmeno in tempo a poggiare i piedi sul pavimento freddo della camera. Al mio repentino movimento, anche la massa scura che occupava il letto a fianco del mio si levò di colpo. Una lanterna si accese e mi trovai a fronteggiare il volto serio e cupo di Bastian.

“Vai da qualche parte, Lina Inverse?” Domandò, in tono acido.

Il mio cuore accelerò improvvisamente. “Credevo stessi dormendo.”

“Scoprirai che dormo solo lo stretto necessario, e che mi distraggo ancora meno, Lina Inverse.”

Ancora il mio nome, usato a quel modo.

“Una vita stressante, la tua.” Non mascherai il mio sarcasmo.

“La mia vita non è affar tuo. E ora rispondi alla domanda, Lina Inverse. Dove stai andando?”

Quei toni bastarono ad irritarmi. La paura fu scacciata in un istante, dalla rabbia. “In bagno.” Replicai, secca. “Che c’è, ad Elmekia qualche legge morale vieta di farlo?”

“No.” Mi concesse, in tono brusco. “Ma nei corridoi bui delle locande, a queste ore della notte, si rischiano brutti incontri. Immagino non vorrai essere molestata da qualche ubriaco. Sarà meglio che ti accompagni.”

Avvampai, pervasa dall’irritazione. “Cavaliere, potrei essere la donna più indifesa di questo mondo, e troverei comunque più fastidioso essere seguita fino in bagno da un idiota in armatura che avere a che fare con dieci ubriachi!”

Lo sguardo di Bastian si fece pericoloso. “Bè, ti ci dovrai abituare, Lina Inverse. Perché io ho intenzione di agire per la tua difesa come più mi aggrada.”

“Per due giorni.” Precisai. “Perché quando non sarai più in una posizione di forza, dubito che potrai ancora permetterti di ignorare la mia opinione.”

“Dubito che tu potrai ignorare la mia. Sempre che tu non voglia perdere i vantaggi che ti porta la mia presenza.”

“QUALI vantaggi?” Dovetti fare del mio meglio, per non gridare. “Spiegami che cosa ci guadagnerò, ad averti al mio fianco, una volta che avrò di nuovo la mia magia, cavaliere!”

“La mia conoscenza del territorio. E un’ottima copertura.” Si limitò a replicare Bastian, con fare pratico. “I cacciatori di taglie si aspettano una donna sola, non una ragazza accompagnata da un guerriero. Con me vicino darai molto meno nell’occhio di quanto non faresti muovendoti in solitudine, a maggior ragione con una guerra in corso.”

Quella replica mi azzittì. Non avevo mai considerato la questione da quel punto di vista. “E dove avresti intenzione di andare, con me?” Domandai, cauta.

“Non ne ho idea.” Replicò il cavaliere. “Fuori dal regno, suppongo. A Sailune, se preferisci. A quel punto potrò considerarti ragionevolmente al sicuro e giudicare saldato il mio debito.”

“Io ho bisogno di giungere alla capitale di Elmekia.” Decisi di mettere le carte in tavola. Forse ponendo in chiaro i nostri progetti fin dall’inizio e giungendo ad un accordo quella convivenza avrebbe guadagnato un senso. “Lì mi ha detto di indirizzarmi Livia, e lì mio marito mi raggiungerà, non appena riuscirà a lasciare Talit. Pensi di essere disposto a scortarmi fin laggiù?”

Bastian non esitò nemmeno per un istante. “Per me non cambia. Decidi la tua destinazione, ed io ti ci accompagnerò.”

Esitai. Mi pareva tutto troppo facile. Per qualche motivo, Bastian mi era parso troppo rapido ad accettare, troppo prono a compiacermi.

“E quando io avrò raggiunto la mia meta, tu che cosa farai?” Cercavo di capire. Mi vantavo di avere un buon occhio nel giudicare le persone, e Bastian di certo non mi ispirava simpatia, ma faticavo stranamente a cogliere le sue motivazioni. Potevo avere di fronte l’uomo più onesto del mondo o il più spudorato mentitore, le sue parole e il suo sguardo erano specchi che mi impedivano di scandagliare le sue vere intenzioni.

“Non lo so, ancora.” Replicò Bastian, quieto. “Forse tornerò dal mio signore, e gli confesserò il mio crimine. In fondo mi ha garantito la sua protezione per tutti questi anni. Suppongo di doverglielo.”

Non lo capivo. Davvero non lo capivo. Per saldare un debito se ne creavano mille altri, in una spirale che forse lo avrebbe condotto all’accusa di tradimento e alla morte. E da quanto avevo capito di lui, Bastian avrebbe potuto facilmente accettare la seconda punizione, ma non la prima. Dovevo fidarmi delle sue buone intenzioni? O c’era qualcos’altro dietro tutta quella ostentata proclamazione di rigore morale?

“Suppongo che si possa fare.” Mi trovai comunque ad affermare. Era vero che mi offriva una copertura, e se c’era una cosa che desideravo in quel momento era muovermi in fretta, senza rischiare che un cacciatore di taglie, individuandomi, mettesse sulle mie tracce la totalità dei suoi colleghi. Mi sarei sentita sciocca a rifiutare un aiuto che mi veniva offerto su un piatto d’argento. D’altra parte, chi mi assicurava che Bastian non mi avrebbe comunque seguita? Preferivo che restasse dove potevo tenerlo sotto controllo. Mi bastava dormire sempre con un occhio aperto e guardarmi le spalle. Bastian era un avversario solo, un avversario che potevo battere, dovevo solo mantenere il controllo della nostra rotta ed evitare di essere condotta in qualche trappola. “Certo… sarebbe stato un viaggio molto più semplice e veloce se avessi portato con te il tuo drago.” Azzardai. La faccenda di quel drago era un altro aspetto su cui ero più che desiderosa di ottenere maggiori informazioni.

“Non è il mio drago.” Replicò tuttavia il cavaliere, secco. “E’ stata Erianna a condurre quelle bestie a Talit, quando è giunta insieme alla sua corte. Uno di loro è stato affidato a me semplicemente perché avevo mostrato di riuscire a controllarlo. Presso il Lord Gabriev svolgevo il ruolo di falconiere.”

Le mia sopracciglia si levarono. “Accidenti, cavaliere. Per fortuna non avevi scelto di allevare un gattino, altrimenti alla corte di Talit avresti rischiato di trovarti ad ammaestrare tigri.”

Bastian mi fissò, inespressivo, evidentemente non trovando il mio sarcasmo degno di essere preso in considerazione. Per una volta, però, non prestai attenzione alla cosa. Ero troppo impegnata a risolvere i dubbi che le sue affermazioni avevano risvegliato in me. Erianna. E come diavolo era venuta in possesso di tre draghi, Erianna?

“Ad ogni modo… non dovevi andare in bagno, Lina Inverse?”

Lo fissai. Il suo volto non aveva mutato espressione, ma a quanto pareva anche il cavaliere aveva voglia di fare dell’ironia, quella notte.

Non lo ritenetti degno di ricevere una risposta. Sbuffando, gli volsi le spalle, e tornai ad avvolgermi nella coperta. Tuttavia, la luce della lanterna non si spense. Continuai ad avvertire il suo sguardo fisso sulla mia schiena, insistente e penetrante come quello di un giudice.

“Che cosa c’è, cavaliere?” Domandai alla fine, seccata, non risparmiandomi un sospiro.

Ci fu una breve pausa di silenzio. “Non capisco.” Replicò quindi, semplicemente, la sua voce fredda. “E’ tutto il giorno che me lo chiedo, e ancora non capisco.”

Cosa c’è da capire, cavaliere?”

“Tu.” Rispose. “E Sir Gabriev. Insieme. Non riesco davvero a spiegarmelo.”

Tornai a volgermi verso di lui, stavolta davvero esasperata. “Complimenti, cavaliere, hai appena vinto la palma per l’affermazione più scontata!” Sbottai. “Puoi spartirtela con il Lord Gabriev, se vuoi, e con le mille persone che mi hanno fatto questa osservazione prima di te!” Il mio tono era tagliente, derisorio. “E ora è finalmente assodato che nessuno al mondo sa cosa ci abbia visto mio marito in me! Chissà, probabilmente lo ho stregato con un filtro d’amore, dato che avrebbe potuto avere… rullo di tamburi… la figlia del Gran Sacerdote di Sailarg! Ma comunque sia andata si è scelto la maga distruttrice, invece, e suppongo che se la debba tenere!”

Lo avevo appena inondato di parole, ma l’espressione di Bastian riuscì a non mutare di un millimetro. “Non stavo parlando di Sir Gabriev.” Replicò semplicemente, in tono quieto. “Stavo parlando di te. Lui è completamente diverso da te. Perché hai scelto di stare con lui?”

Quella domanda mi spiazzò. Nessuno pareva essersi mai posto quel problema, in quelle settimane. Avrei dovuto rispondergli che non erano affari suoi. E invece mi trovai a riflettere sulle sue parole, come ipnotizzata. Già. Perché avevo scelto Gourry? Me lo ero davvero mai chiesto? “Non siamo poi così diversi.” Replicai, cauta. “Eravamo entrambi mercenari. Ci siamo trovati a viaggiare insieme e semplicemente abbiamo cominciato a provare attaccamento l’uno per l’altra e…”

“Sai che non è questo quello di cui sto parlando.” Mi interruppe, le sue parole percorse da uno strano fervore. “Sto dicendo che tu ricerchi il potere. Lo so, lo leggo nei tuoi occhi.” Quella affermazione mi disturbò. Non avrei creduto, prima, che il cavaliere si fosse preso la briga di guardare i miei occhi, nel corso di quella lunga giornata. “Sir Gabriev è quanto di più lontano c’è dal tuo mondo.” Proseguì Bastian, incurante del mio imbarazzo. “E allora cosa mai ti affascina in lui?” Mi fissò, intensamente. “Non ti spingerebbe più avanti nella tua ricerca qualcuno di più simile a te?”

Non capivo dove desiderasse andare a parare. “Sono… due cose diverse.” Replicai, semplicemente. “Io posso procedere da sola sulla strada del potere. Non voglio qualcuno che mi sospinga. Voglio solo qualcuno che accetti di camminare al mio fianco, e…” Esitai. “E Gourry… lui è… innocente.” Le mie mani strinsero il cuscino, al di sotto delle coperte. Ero così abituata a dormire al suo fianco… mi sembrava strana anche una notte passata lontana da lui, ormai… “Non voglio dire che è ingenuo… Bè, forse a volte lo è, ma… ha combattuto per anni, ha vissuto la guerra, ha vissuto esperienze che avrebbero indurito qualunque altra persona, spesso anche per causa mia… ma è riuscito a mantenere la sua innocenza. Io lo trovo… meraviglioso.” Lo stavo fissando, ma non era realmente lui che stavo osservando. Il mio sguardo era rivolto a Gourry. Parlare di lui acuiva il senso della sua mancanza in modo quasi insopportabile. Mio marito contribuiva al mio equilibrio più di quanto non avessi mai realmente ammesso. “A volte succede qualcosa che mi convince di quanto sia meschino e assurdo questo mondo… a volte mi sento autorizzata a essere cinica e priva di scrupoli… e in quei momenti, regolarmente, Gourry fa o dice qualcosa che mi fa tornare in pace col mondo. Che mi rivolga un gesto di gentilezza, o un atto di fiducia o un semplice sorriso, ha sempre lo stesso effetto. Non lo so che cosa gli permetta di farlo… ma stare con lui, per me… è come… come…”

“… come una forma di redenzione.” Bastian terminò per me, in un sibilo. Ci fissammo, per un momento. Non era esattamente la parola che avevo cercato, ma per un istante ebbi l’impressione che il cavaliere mi comprendesse, mi comprendesse perfettamente. Quel senso di condivisione mi disturbò e mi imbarazzò. Non sapevo davvero cosa rispondergli.

Bastian mi tolse dall’imbarazzo. “Dormiamo, ora. Domani sarà una lunga giornata di marcia.” Il suo tono di voce era tornato inespressivo. Spense la lampada all’improvviso, troncando ogni mia possibile replica.

Ed io mi trovai, ancora una volta, sola con la mia ansia.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


In una fase di particolare ispirazione… ho finito un nuovo capitolo stranamente in fretta

In una fase di particolare ispirazione… ho finito un nuovo capitolo stranamente in fretta! XD Grazie, come sempre a chi legge e commenta! Buona lettura! ^^

***

Il richiamo del falco risuonò, per l’ennesima volta.

Levai lo sguardo. Le nubi sottili si muovevano velocemente verso nord, sfilando leggere nel cielo azzurro cupo che sovrastava la steppa. Era la prima volta che notavo quanto il suo colore fosse intenso, quella mattina. Faceva freddissimo, a causa del forte vento, ed il mio compagno di viaggio ed io avevamo proceduto sin dall’alba a testa bassa, senza scambiare una parola.

Individuai quasi immediatamente la bestia. Ci seguiva a distanza, sempre discreta, sempre presente. Non ci avevo fatto caso, prima che Bastian mi rivelasse di essere un falconiere, ma da qualche giorno avevo cominciato a registrare il suo grido stridulo, e a rendermi conto che, come una specie di sentinella, il volatile studiava ogni passo del nostro percorso. A volte spariva per intere giornate, forse per procacciarsi il cibo, ma poi, perennemente, tornava, sorvolando le nostre teste in rapidi cerchi e segnalando la sua presenza con lunghi richiami. Bastian non ne aveva parlato, né lo avevo mai visto interagire con l’animale. Mi chiedevo se non ritenesse necessario informarmene, o se stesse deliberatamente cercando di impedire che me ne accorgessi, per potermi tenere a mia insaputa sotto controllo.

Mi chiedevo anche se quei lunghi giorni di marcia silenziosa non mi stessero facendo diventare paranoica.

Con un sospiro, evocai una fiamma e me la rigirai fra le mani. Era più un modo per tenermi impegnata che un reale strumento per scaldarmi. E ogni tanto mi piaceva ricordare, e ricordare a Bastian, che potevo usare la magia. Trovandomi persa in mezzo al deserto con un potenziale nemico, si trattava di una constatazione rassicurante.

Bastian mi lanciò l’ennesima occhiataccia, ma mi limitai ad ignorarlo. Feci danzare il fuoco fra le dita, osservando i riflessi caldi proiettare le ombre sottili delle mie mani sul suolo polveroso.

“Puoi smetterla, per favore?” La voce di Bastian risuonò cupa, sovrastando il rumore del vento. Io lanciai la fiamma verso l’alto, e la feci scomparire. “Non rifiuterei qualcosa a chi me la domanda tanto gentilmente.” Replicai, con una vaga sfumatura di sarcasmo. Il cavaliere non era particolarmente di buon umore, da quando avevo riacquistato i miei poteri.

Bastian non rispose, ma lo udii emettere un breve sbuffo, al di là del cappuccio sollevato.

Emisi un sospiro. “Anche io avrei qualcosa da ‘chiederti gentilmente’.” Esordii, tanto per mantenere viva, una volta tanto, la conversazione. “Sei davvero certo di dove stiamo andando? Mi sembrava che si fosse detto di muoverci verso nord…”

“E a nord stiamo andando, Lina Inverse.”

“Nord- est.” Precisai. “Non sono stupida, cavaliere, e nemmeno cieca. Lo vedo dove sorge il sole. Oggi stiamo deviando rispetto alla rotta concordata.”

Bastian scrollò le spalle, con irritazione. “Stiamo finendo i viveri. Prima di inoltrarci ulteriormente nella steppa dobbiamo fermarci a rifornirci. E dobbiamo anche trovare dei cavalli.”

Continuò ostinatamente a non guardarmi in volto, mentre parlava. Presa dall’irritazione, lo superai, e mi parai di fronte a lui. “Bé, sarebbe carino informarmi di questi piccoli dettagli, cavaliere, invece di prendere queste iniziative da solo.” Mi portai le mani ai fianchi. “E poi, si può sapere DOVE hai intenzione di andare a prenderle queste provviste? Credevo che nella steppa non ci fossero zone abitate.”

“Ci sono le città fortificate di diversi signori locali.” Replicò Bastian, con scarso sentimento, limitandosi a scansarmi. “Anche la tenuta del Lord Gabriev si trova da queste parti.”

Lo osservai da sopra la spalla. Ok. Pensava di avere a che fare con una perfetta idiota?

“Credi davvero che mi farò trascinare nella tenuta di qualcuno dei tuoi amici nobili? O peggio, del Lord Gabriev stesso?”

Bastian si volse, e mi guardò come avrebbe guardato una bambina capricciosa. “Ovviamente no.” Il suo tono si fece petulante. “Ci arresterebbero, Lina Inverse, mi pare evidente.”

Dei, quanto era irritante. “E allora? Ti spiacerebbe informarmi dei tuoi piani in anticipo, una buona volta???”

“Stiamo andando ad un villaggio Enu.” Bastian sospirò. “E, prima che tu possa ricominciare ad obiettare, ti informo che si sono sempre mantenuti neutrali in questo genere di questioni. Se abbiamo denaro da offrire, non ci faranno nulla.”

“Enu?” Battei le palpebre. E chi diavolo erano, ora, questi Enu?

“Si tratta della popolazione che abitava le steppe, prima che Elmekia si espandesse in queste aree. Prima erano nomadi, ma i nostri avi hanno insegnato loro le tecniche agricole e li hanno integrati nella popolazione del nostro regno. Ora per lo più vivono nelle aree coltivabili sui limitari della steppa, o nelle aree vicine alle falde acquifere. Uno dei loro capo-clan è stato nominato dal sovrano governatore per questa parte di regno. E’ nel suo villaggio che ci stiamo recando.”

Assimilai quelle informazioni, pensierosa. Era strano che non avessi mai sentito parlare di questo popolo. Essere ferrata nella storia del nostro continente era uno dei miei vanti.

Mi affrettai, per raggiungerlo nuovamente. “E sei davvero certo che questi Enu non ci consegneranno su un piatto d’argento a Talit, per incassare la taglia?”

“Bé, considerando il florilegio di taglie che ci sono sulla tua testa, potrebbero consegnarci anche alla capitale. In fondo è lì che vuoi andare, no?”

Lo fissai. Era completamente serio. “Mi auguro che tu stia scherzando.”

“Infatti sì.” Per poco non crollai al suolo. “Rilassati, Lina Inverse, ti ho detto che gli Enu di solito si tengono fuori da queste questioni. Non si immischieranno nei nostri affari.” L’umorismo della gente di Elmekia era alquanto perverso, se volete il mio parere.

Bastian si arrestò, scrutando l’orizzonte. “Mi pare sia laggiù.”

Seguii il suo sguardo. In lontananza, si intravedeva la sagoma confusa di un abitato. Quegli spazi sconfinati confondevano la mia percezione delle distanze, ma doveva trovarsi forse ad un paio d’ore di cammino verso est.

Mi strinsi nel mantello, guardandomi nervosamente attorno. Mi seccava deviare così tanto dalla mia meta, e in un territorio così esposto. Ma non c’era molto da fare. Bastian non aveva torto nell’affermare che avessimo bisogno di rifornimenti. Tuttavia, dovermi affidare così tanto alla sua conoscenza del territorio, mi faceva sentire, irrazionalmente, in svantaggio rispetto a lui.

Tornammo ad incamminarci, in silenzio. Ora il vento soffiava dalle nostre spalle, facilitandoci la camminata, ma nessuno di noi pareva comunque propenso ad allietare il percorso con le chiacchiere.

Quando fummo sufficientemente vicini per distinguere chiaramente le abitazioni, ad accogliere il nostro sguardo fu un ammasso di case in pietra dalla forma cilindrica, circondato da una palizzata. Sparsi nel paesaggio, campi dall’aspetto trascurato lottavano contro la siccità dei territori circostanti, popolati unicamente da cavalli lasciati liberi al pascolo. Di esseri umani nemmeno l’ombra. Il silenzio pareva strisciare fra le foglie d’erba, sulla scia del vento. Il senso di desolazione era opprimente.

“A me sembra che non ci sia anima viva. A quest’ora non dovrebbero essere al lavoro nei campi? Si saranno tutti rifugiati da qualche parte per sfuggire alla guerra…”

“Siamo vicini all’anno nuovo.” Si limitò a replicare Bastian.

Sospirai. Cominciavo a capire come doveva sentirsi Gourry quando gli parlavo di magia. “E questo dovrebbe spiegarmi che…?”

“Saranno impegnati in qualcuna delle loro cerimonie.” Il cavaliere aveva assunto un’aria vagamente disgustata.

“Cerimonie?”

“Lo vedrai con i tuoi occhi, maga. Adesso seguimi. E, qualunque cosa accada, non parlare, non obiettare, non mettere in discussione le loro abitudini. Tuo marito non apprezzerebbe che gli restituissi la tua testa appesa ad una picca.”

Dovetti deglutire. Avevo già appurato che l’umorismo di Bastian era distorto, e sospettavo vagamente che l’ultima frase fosse stata aggiunta per tenermi buona. Ma non ero certa di voler testare il suo spirito mettendo in gioco il mio collo.

Varcammo i portali d’accesso aperti e ci addentrammo nella larga strada polverosa che si apriva verso il centro del villaggio. Nonostante l’aspetto povero, le abitazioni cadenti e le strade non lastricate, la struttura del villaggio era quasi forzatamente regolare. Le vie si intersecavano ad angolo retto, come quelle di Talit, ed ero pronta a scommettere che quella strada larga e diritta conducesse, nell’estremità a nord del villaggio, alla residenza del governatore. Un aspetto speculare ad ogni città di Elmekia. Ma in fondo sempre di Elmekia si trattava. Per quanto lontane fossero le spesse pareti di pietra e l’imponenza del palazzo ducale.

“Ecco. Laggiù.”

Seguii lo sguardo di Bastian e dovetti battere le palpebre per la sorpresa. Distratta dalle facciate delle abitazioni, non mi ero accorta che avevamo quasi raggiunto il centro dell’abitato. Lì, una folla di persone si ammassava nello spazio circolare aperto fra le case. Doveva essere presente l’intero villaggio, ma un perfetto silenzio saturava l’aria. Nemmeno una sola voce si levava, nemmeno un bisbiglio sfidava il sibilo del vento che fischiava fra le assi smesse delle abitazioni. La folla sembrava come ipnotizzata.

“Ma cosa…?”

“Ssst.” Mi interruppe Bastian, secco, portandosi un dito alle labbra. Mi precedette e mi fece strada fra le persone, fino a che non raggiungemmo una posizione privilegiata fra le prime file. Laggiù, finalmente, potei scorgere ciò che tutti osservavano con tanta fremente attenzione.

Una donna sedeva al centro del cerchio che si apriva fra la folla. Una bassa recinzione fatta di semplici pali di legno uniti da cordoni bianchi la circondava. Ai suoi piedi, quattro candele bianche erano state poste agli angoli di un immaginario quadrato e, accese, emanavano una sottile linea di fumo. Un uomo con una lunga veste purpurea da sacerdote incombeva su di lei, in piedi, la mano stretta sulla sua spalla. Ma in quel momento prestai solo un’attenzione fugace a quei particolari. La mia attenzione era completamente catturata dalla figura al centro di quella bizzarra scena.

Non riuscivo a capire quanti anni avesse. Aveva i capelli completamente bianchi, ma la sua pelle era liscia, come quella di una giovane donna. Il suo volto era allungato e pallido, troppo spigoloso per apparire bello. Aveva il mento reclinato in avanti, sulla sua veste bianca, come se il suo corpo troppo magro stesse per ripiegarsi su se stesso e accasciarsi al suolo. I suoi occhi erano di un azzurro intenso, ma il suo sguardo era vacuo, come perso in qualche mondo lontano. Osservarlo mi trasmetteva inquietudine.

Infastidita dall’irrazionalità di quella sensazione, mi decisi a scorrere lo sguardo sugli altri astanti. Per lo più si trattava di uomini e donne comuni, ma, a qualche distanza da me, scorsi anche un gruppo di armati. Ritti nelle loro armature, gli sguardi arcigni rivolti in avanti, sorvegliavano con cupa attenzione la folla. Fra di loro, al centro, si ergeva un uomo basso e tozzo, dalla pelle olivastra e dai folti capelli neri. Era coperto da una armatura completa, con l’eccezione dell’elmo, e ricche insegne decoravano il suo mantello e i suoi guardia-spalle. Le spesse sopracciglia erano arcuate, il suo sguardo attento era fisso sulla donna dai capelli bianchi. Doveva trattarsi del governatore e, in qualsiasi cosa consistesse, quella cerimonia doveva essere rivolta a lui.

Un grido spezzò improvvisamente quell’atmosfera sospesa. Sussultai, colta di sorpresa, e mi volsi di scatto verso la proprietaria di quella voce. La donna dai capelli bianchi si era alzata. Aveva le mani sugli occhi, la testa reclinata all’indietro e gridava, gridava, come se un fuoco la stesse consumando. Riconoscevo la sua voce come femminile, ma non sembrava una tonalità umana. Era stridula, gracchiante, folle. Era al contempo disperata e colma di euforia.

Inizialmente pensai che il suo fosse un urlo di dolore, ma, quando il suo tono di voce bruscamente si abbassò, mi resi conto che erano parole quelle che stava pronunciando, e non suoni privi di senso. C’erano pause, tonalità. La donna stava intonando una specie di cantilena.

La mia curiosità fu immediatamente risvegliata. Che si trattasse di un incantesimo che non conoscevo? Ma non poteva essere così. Non comprendevo la lingua in cui stava parlando, e se si fosse trattato di magia ne sarei stata certamente in grado. D’altra parte, quel suono, quelle parole, avevano anche un che di familiare…

Mi volsi verso Bastian. “Ehi, cavaliere. Tu capisci cosa…”

Non feci nemmeno in tempo a finire. L’occhiataccia di Bastian si sommò a quella di altre quattro delle persone che mi affiancavano. Con un sospiro, mi decisi a tenermi per me le mie domande e a tornare a guardarmi intorno. La folla pareva completamente rapita, ora. Seguiva ogni passo, ogni sussulto della donna come se fosse il proprio. Il governatore, in particolare, sembrava fremere ad ogni suo respiro. Conclusi che dovessi essere io l’unica a non capire. Un indistinto cantilenare non poteva essere l’oggetto di tutta quella attenzione.

La scena si protrasse per qualche minuto, con tutta la forza ipnotica dei suoi gesti ripetitivi. Quindi la donna volse lo sguardo in aria ed emise un ultimo, gutturale grido. Il sacerdote in rosso fu immediatamente al suo fianco. Aveva monitorato ogni suo gesto in ogni istante, frenandola ogni volta che nella sua foga minacciava di rompere la recinzione. Ora la afferrò, all’ultimo, proprio prima che si accasciasse al suolo.

La donna si aggrappò a lui, e gridò di nuovo, un urlo di liberazione, e, ne ebbi l’impressione, colorito da una punta di rabbia. Quindi, prese ad ansimare vistosamente e si accasciò totalmente contro il suo soccorritore. Aveva l’aria totalmente esausta.

Rimasi immobile, attendendomi che qualcosa di altrettanto spettacolare seguisse, ma nulla accadde. Il sacerdote, che fino a quel momento aveva seguito con cura quasi ossessiva ogni movimento della donna, parve improvvisamente felice di disfarsene. Due degli armati si fecero avanti, e l’uomo la consegnò alle loro mani. La donna non oppose resistenza. Venne afferrata per entrambe le braccia, e i due presero a condurla in nostra direzione.

La folla intorno a noi prese improvvisamente a disperdersi, come se nulla fosse accaduto. Anche Bastian, al mio fianco, parve improvvisamente scuotersi.

“Possiamo andare.” Intimò, atono, superandomi e avviandosi verso il centro del cerchio. Io battei le palpebre, colta di sorpresa, e feci per accodarmi a lui e riprendere la domanda che ero stata sul punto di rivolgergli qualche minuto prima, ma non ne ebbi il tempo. Una morsa si serrò improvvisamente attorno al mio avambraccio ed io sussultai. Volsi lo sguardo, e per un terribile istante, incontrando il volto di un armato, pensai che le guardie di Talit mi avessero trovata. Ma mi resi conto presto che si trattava della stessa guardia che avevo visto prendere in consegna la donna. E che non era sua la mano che mi tratteneva.

“Nella mia casa. ” Sibilò la donna dai capelli bianchi, stringendomi il braccio con tanta forza da farmi quasi gemere di dolore. “Ora.” Incontrai i suoi occhi, vitrei e ossessionati, e un groppo mi catturò la gola. Non mi diede tempo di replicare. Si aggrappò nuovamente alla guardia, e scomparve in mezzo alla folla.

“Lina Inverse!”

Sussultai, per l’ennesima volta, ora alla voce irritata di Bastian. Mi volsi, ad incontrare il volto spazientito del cavaliere. “Non so se tu la vedi come una vacanza e pensi di poter passare il tempo a sognare ad occhi aperti, ma io no, e, credo di poter scommettere, nemmeno il governatore.” Mi afferrò per il braccio. “Ci ha già notati, e sarebbe salutare per noi, ti assicuro, fargli sapere che anche noi abbiamo notato lui, prima che decida che siamo abbastanza scortesi per mandarci contro le sue guardie senza incontrarci.”

Prese a trascinarmi verso il governatore. Io lo seguii, troppo frastornata per irritarmi di fronte al suo comportamento. E anche vagamente stupita. Mister autocontrollo pareva avere una certa soggezione del governatore. O forse, come qualsiasi gesto o evento al di fuori della sua comprensione, anche quella apparentemente innocua cerimonia era bastata a disturbarlo?

Ma non avevo tempo di fare domande. La figura del governatore incombeva già su di me. Approfittai della vicinanza per studiarlo meglio. Non era un uomo particolarmente imponente, ma capivo perché potesse incutere timore, con la sua aria arcigna e la sua postura ferma. Ne avevo passate troppe, nella mia vita, per lasciarmi mettere in soggezione dall’aspetto di chiunque, ma in ogni caso decisi di tenere la bocca chiusa. Se potevamo andarcene da quel villaggio senza troppo clamore, andava tutto a nostro vantaggio.

“Bastian dei Vindicei.” Esordì l’uomo, in tono quieto. “Era da un pezzo che non ti si vedeva da queste parti. Sono rimasto stupito nel vederti comparire così all’improvviso. Mi dicono che ora ti occupi di draghi alla corte di Talit.”

Bastian si esibì in un breve inchino. “Non è del tutto esatto, mio Signore.” Replicò, controllato. “Quella è solo parte del mio incarico. Attualmente mi trovo impegnato in un diverso genere di missione…” Volse lievemente il capo verso di me.

Le sopracciglia del governatore si sollevarono lievemente, e l’uomo mi fissò a lungo. Io risposi allo sguardo, incuriosita, chiedendomi se avesse capito chi ero, o se avessi qualche speranza di tenerglielo nascosto.

Ottenni immediatamente una risposta.

“Lina Inverse, suppongo.” Inclinò lievemente il capo. “Ottimo travestimento. Non ti avrei riconosciuta, se non avessi saputo che ti trovavi ospite di Eriol.”

Io mi morsi il labbro, chiedendomi se dovessi preoccuparmi. Cercai lo sguardo di Bastian, ma il cavaliere non mi stava guardando. Anche lui fissava il governatore, pensieroso.

“Come devo interpretare tutto questo, cavaliere?” Proseguì il governatore, tornando a fissare lo sguardo sul mio compagno di viaggio. “Stai forse tradendo il tuo signore? Ho sentito parlare della taglia. E’ sulla bocca di tutti i viaggiatori che passano da queste parti.”

Osservai la fronte di Bastian aggrottarsi ed ebbi la vaga impressione che si stesse imperlando di sudore. Il cavaliere attese per qualche istante, come soppesando le parole con cui rispondere. Quando replicò, lo fece in tono estremamente cauto. “Diciamo… che sto portando a termine un incarico segreto. Non posso essere eccessivamente specifico, mio signore. Non voglio coinvolgere voi ed l’area sotto la vostra giurisdizione in faccende che possano mettere in discussione la vostra autorità, qualunque sia l’esito di questa guerra.” Mi chiesi se volesse apparire cortese, o piuttosto mostrarsi minaccioso. “Perciò vi chiedo semplicemente il permesso di trattare con la vostra gente per l’acquisto di cibo e cavalli. Ce ne andremo oggi stesso e nessuno saprà che abbiamo avuto a che fare con voi.”

Il governatore sorrise. “Con calma, Bastian. Con calma. Suppongo di poter essere io a decidere quanto desidero essere coinvolto.” Incrociò le braccia al petto. “E suppongo che noi due potremo discutere per trovare un accordo.”

Bastian mi parve colto alla sprovvista. Questa volta mi indirizzò una breve occhiata, ma non feci in tempo ad intercettare il suo sguardo. In un momento, i suoi occhi tornarono sul governatore. “Immagino… di sì.” Replicò quindi, con solo una breve esitazione. Lasciò andare il mio braccio e solo allora mi resi conto che lo stava ancora stringendo. “Lina Inverse, perché non vai a chiedere a qualcuno se può venderci un paio di cavalli? Mi dicono che sei piuttosto abile con le trattative.”

Mi accigliai, immediatamente. “Ma…”

“Tanto vale velocizzare i tempi.” Mi lanciò un’occhiata, da sopra le spalle. “Hai fretta di arrivare a destinazione, giusto?”

Potei solo rimanere a fissarlo, irritata. Tanto valeva dirmi chiaramente che non avrebbero discusso delle condizioni del governatore di fronte a me. Improvvisamente, mi sentii come una stupida merce che Bastian si portava appresso per i propri scopi personali. Ma c’era poco da fare, in quel momento. Alla peggio, avrei cercato di cavare fuori la verità al mio compagno di viaggio in un momento successivo.

“Già.” Replicai, in tono cupo. “Tanto vale velocizzare i tempi.”

Bastian annuì, brevemente. Si accodò al governatore e prese ad allontanarsi verso l’area nord del villaggio, scortato dagli armati. Come una povera idiota, rimasi a fissarli fino a che non scomparvero. Quando mi riscossi, ero ormai completamente sola al centro della piazza.

Con un sospiro, presi a ripercorrere lentamente i miei passi verso l’ingresso del villaggio. Ero irritata. Ero stanca di avanzare alla cieca, senza avere parte in nessuna decisione. E poi, a chi mai avrei dovuto chiederli, io, due cavalli? Tanto per cominciare, non avevo la certezza che quella gente si sarebbe messa a trattare con una perfetta sconosciuta. Non avevo idea delle loro usanze o di quanto potessi cercare di tirare sul prezzo senza che, come Bastian aveva gentilmente suggerito, cercassero di trasformare la mia testa nell’ornamento di una picca…

Mi bloccai sui miei passi. Al diavolo. Chi stabiliva che io dovessi mettermi ad obbedire come un cagnolino ad ogni intimazione del mio compagno di viaggio? Mi ricordai delle parole che mi aveva rivolto la donna dai capelli bianchi. Anche quello, per essere precisi, era suonato come un ordine. Ma approfondire quella faccenda mi pareva molto più allettante che mettermi a litigare con qualche rugoso contadino per ottenere uno dei suoi purosangue ad un buon prezzo. Pur nel suo delirio, anche la donna, come il governatore, doveva avermi riconosciuta. Quale altro motivo avrebbe potuto spingerla a parlarmi? Ero decisamente curiosa di scoprire cosa sperasse di ricavare incontrandomi…

Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno a cui chiedere indicazioni. Il villaggio, tuttavia, appariva nuovamente deserto. La gente doveva essere tornata ai campi, o essersi chiusa nelle case per il pranzo. Ora che ci pensavo, anche io cominciavo ad avere fame. Ormai il mezzogiorno doveva essere passato da almeno un’ora.

Mi aggirai per qualche minuto alla cieca, fra le case smesse. Stavo cominciando a pensare di bussare a qualche porta, quando finalmente quelle che sembravano risate infantili mi indicarono la presenza di qualcuno. Provenivano dal retro di una casa. Mi avvicinai, cautamente, e mi trovai di fronte a due bambini, un maschio e una femmina. Stavano giocando vicino ad una fonte dall’acqua ghiacciata, rincorrendosi a vicenda. Dovevano avere entrambi una decina d’anni e i loro capelli color crema e i loro occhi nocciola li accomunavano tanto da farmi concludere che si trattasse di gemelli. Un grosso cane meticcio di colore bruno si aggirava con fare felice fra di loro, scodinzolando ed abbaiando, intrufolandosi ad ogni passo fra le loro gambe e rischiando di farli finire con il volto al suolo. Ma i due bambini parevano più esilarati dal gioco che preoccupati della loro incolumità. Dovetti sorridere. Avrei voluto essere altrettanto priva di pensieri, in quel momento.

Mi feci avanti e mi schiarii la voce. Immediatamente i due si bloccarono. Il cane si mise ad abbaiare fragorosamente contro di me, ma i bambini non parvero particolarmente intimoriti. Piuttosto, incuriositi dalla mia presenza.

“Ehm… salve.” Esordii, messa vagamente a disagio dai loro sguardi fissi. “Posso chiedervi un’informazione?”

La ragazzina si piegò per tenere a bada il cane, ma non allontanò lo sguardo dal mio volto. Il bambino, invece, prese a scalciare un sasso, senza prestarmi più attenzione. Immagino che ogni sua aspettativa fosse stata delusa dalla mia banale battuta.

“Ecco…” Proseguii. “Avrei bisogno di sapere dove abita…” Come potevo definirla…? “… la sacerdotessa della cerimonia di poco fa. Avrei bisogno di parlarle.”

La bambina batté le palpebre e mi parve stupita. Anche il fratello tornò a levare lo sguardo su di me, a quelle parole. “Parli di mia sorella.” Osservò la piccola, cogliendomi di sorpresa. Quella donna doveva essere più giovane di quanto non mi era apparsa, se aveva due fratelli di quell’età. “Ma ne sei sicura? Sybil di solito non parla molto con la gente…”

“Ehm… in realtà… in realtà è stata proprio lei a dirmi di…”

“Dea, Martin!” Una voce femminile risuonò alle mie spalle, facendomi sussultare. Volsi lo sguardo, ad incontrarne la proprietaria. Una donna esile, non particolarmente alta, i capelli biondi striati di bianco che ricadevano sciolti sulle sue spalle in crespi boccoli. Probabilmente era più vicina ai cinquant’anni, che ai quaranta, ma si muoveva con un’agilità che mi fece immediatamente pensare a una persona addestrata a combattere. “E’ l’ora della meditazione! Il fatto di essere consanguinei della profetessa non vi autorizza a scorrazzare come bestie per la città quando tutti gli altri adempiono al proprio dovere!”

La donna ci raggiunse e mi superò, per pararsi di fronte ai due bambini, le mani poggiate ai fianchi. “E non vi autorizza nemmeno ad importunare i forestieri. Che cosa vi diceva sempre vostro padre riguardo ai petti di scaglie?” Li squadrò, con fare austero. Io mi domandai se ‘petto di scaglie’ volesse essere un nuovo, colorito, termine dispregiativo nei confronti del mio –sottovalutato- seno.

“Ma madre!” Esordì la ragazzina, in tono di protesta. “Era la signora ad avere bisogno di un’informazione! Ha detto che doveva parlare con Sybil!”

“Con Sybil?” Anche la donna assunse un’aria stupita. Si volse a guardarmi e, ne ebbi la netta impressione, mi considerò realmente per la prima volta. “E cosa avete a che spartire voi con mia figlia?”

Sospirai. “Veramente sono la prima a non averne idea. Dopo la cerimonia di poco fa mi ha fermata e mi ha chiesto di raggiungerla in casa sua.”

Lo sguardo della donna si fece improvvisamente sospettoso. “Voi siete la giovane arrivata qui con il cavaliere dei Vindicei, giusto?” Afferrò le spalle dei due figli e li attirò a sé, con fare protettivo. “Le due corti e la loro stupida guerra. Mia figlia deve essere tenuta fuori da faccende del genere.” Il suo tono di voce era aspro. Ebbi l’improvvisa impressione che i governanti di Elmekia non fossero particolarmente benvoluti, in quel villaggio.

“Se è per questo, sarei felice di esserne tenuta fuori anch’io.” Precisai. “Sono solo di passaggio, qui a Elmekia. E in ogni caso, come vi ho detto, non sono stata io a chiedere di parlare con vostra figlia.”

La donna assunse un piglio ostinato. “Sempre che sia la verità…” Dichiarò, ostile. “In ogni caso, Sybil ora deve riposare. Ogni seduta la debilita terribilmente. Per oggi, dubito che sarà in grado di parlare con chiunque.” Tagliò corto, apparentemente non disposta a sentire ragioni.

“Madre.”

Una flebile voce femminile interruppe la nostra discussione. Ci volgemmo entrambe. La sacerdotessa dai capelli bianchi era emersa dalla porta posteriore della casa e ci stava fissando, poggiata allo stipite della porta. Indossava ancora la veste candida che aveva portato durante la cerimonia, il cui colore rivaleggiava con quello pallido della sua pelle. Vista in quel modo, sembrava incredibilmente fragile.

“Sybil!” La donna lasciò gli altri due figli e le si avvicinò, come per sorreggerla. “Che ci fai in piedi? Ora dovresti…”

La giovane donna la allontanò, con lo stesso fastidio con cui avrebbe potuto scacciare una mosca insistente. “Decido da sola quando devo riposare, madre.” Replicò, in tono aspro. “Lascia passare la mia ospite.”

L’espressione della donna più anziana si fece allarmata. “Sybil… sai cosa avevamo detto riguardo a…”

“Falla passare, ho detto, stupida donna!!!” Sussultai, quando la strattonò, minacciando di farla cadere al suolo. La madre mi parve più ferita che sorpresa da quel comportamento. Sybil non doveva essere precisamente il tipo della figlia amorevole.

La madre si ritrasse, rossa in volto. “Come… come preferisci, figlia.” Arretrò, lasciandomi spazio. Ma non potei fare a meno di cogliere l’occhiata ostile che mi rivolse, ritirandosi.

“Tu. Muoviti.” La sacerdotessa si rivolse a me. “Sono stanca e voglio sbrigare questa faccenda per potermi mettere a riposare.”

Come ipnotizzata da quell’ordine perentorio, non riuscii a reagire in altro modo che assecondandola. Varcai la soglia, e la sacerdotessa si lasciò superare, per chiudere la porta alle mie spalle.

L’ambiente in cui mi trovai era avvolto in una cupa penombra. Nonostante fosse pieno giorno, le imposte delle finestre erano completamente sigillate e l’unica fonte di luce era la flebile fiamma di un gruppo di candele sparse per la stanza. I miei occhi dovettero abituarsi all’oscurità, prima che potessi cogliere i contorni del mondo attorno a me. Una stanza dall’aspetto umile, con un tavolo, un camino, alcune mensole. Probabilmente, una cucina. Istintivamente, mi trovai a pensare a Gourry. Mio marito aveva una vista particolarmente acuta, anche quando un luogo era avvolto quasi totalmente nell’oscurità. Ma maledissi la mia mente, per quell’involontario collegamento. Ogni volta che pensavo a Gourry, il mio cervello mi riproponeva tutto ciò che era andato storto dall’inizio di quella dannata faccenda e tutto ciò che avrei potuto fare per evitarlo. Ogni volta che ci pensavo, la mia mente restava attanagliata per ore dalla preoccupazione per la sua sorte.

“La luce solare mi infastidisce, dopo una seduta. Mi sembra che la testa mi debba scoppiare.” La voce della sacerdotessa, nel buio, mi fece rabbrividire. Non ci avevo fatto caso in precedenza, ma era diversa da quella che era risuonata dalle sue labbra durante la cerimonia. Forse si trattava semplicemente del fatto che la impostava in modo differente, ma aveva perso la sua tonalità stridula e gracchiante e suonava più roca.

Mi volsi a fronteggiarla. Ci studiammo a lungo, ma alla fine fu nuovamente lei a prendere la parola. “Siediti.” Mi intimò. “Preparo del tè.”

Era l’offerta che meno mi sarei aspettata da lei in quel momento. Per qualche motivo, non riuscivo ad immaginare la donna folle che un’ora prima gridava frasi incomprensibili contro il cielo ricevere un ospite secondo le norme della buona educazione…

Ad ogni modo, ancora una volta obbedii senza fare domande. Presi posto sul lato del tavolo opposto al camino, in modo da non darle le spalle, e la osservai recuperare un bollitore già pieno d’acqua da un angolo del tavolo e metterlo sul fuoco. Senza guardarmi, la sacerdotessa, si mise a cercare fra le mensole e ne trasse due contenitori di ceramica, che poggiò sul tavolo. Per un istante, quando lo fece, ebbi modo di osservarla attentamente in volto e mi resi conto che, sì, in fondo non poteva avere molto più di trent’anni. Era stata la sua aria esausta, insieme al colore dei suoi capelli, a trarmi in inganno. Quella donna sembrava avere vissuto già più di quanto una persona comune sarebbe stata in grado di sostenere… non potei fare a meno di pensarlo, osservandola da vicino, e, per un momento, provai uno strano senso di affinità, nei suoi confronti.

“Ecco.” Poggiò il bollitore sul tavolo e vi versò delle foglie di tè dal più grande dei due contenitori. “Quello è miele, per addolcirlo, se lo vuoi.” Occhieggiò l’altro recipiente. “Io ne ho bisogno.” Ne versò copiosamente in una tazza con l’aiuto di un cucchiaio e quindi si servì del tè, senza nemmeno attendere che rimanesse per qualche minuto in infusione. Si sedette e bevette una lunga sorsata. Chiuse gli occhi e rimase a lungo in silenzio, respirando a lunghi sospiri e ingollando sorsi di tè fino a che non ebbe svuotato la tazza. Le sue mani tremavano lievemente, notai, ma a poco a poco quel riflesso svanì, e quando si versò la seconda tazza le sue dita erano ormai completamente ferme.

Rimasi immobile ad osservarla per un po’, prima di realizzare che potevo infastidirla. Per distrarmi, mi servii anche io del tè, addolcendolo con un po’ di miele. Era bollente, ma ottimo. Una varietà dal colorito chiaro e dal vago retrogusto agrumato, che non mi era mai capitato di assaggiare.

“Lo… coltivate voi, questo?” Mi trovai stupidamente a chiedere, senza sapere in che modo intavolare una conversazione.

La sacerdotessa mi squadrò per un momento in silenzio ed ebbi la netta impressione che trovasse la mia domanda fuori luogo. “Sì.” Replicò, freddamente. “In scarsa quantità, ormai. I miei avi si spostavano e sceglievano da sé cosa produrre per il proprio sostentamento. Ma ora le tasse le paghiamo in prodotti della terra, perciò il nostro sovrano ha il diritto di scegliere per noi cosa è meglio coltivare.” Il suo tono di voce era aspro e tinto da più di una sfumatura di sarcasmo.

Abbassai lo sguardo. “Ehm… magari la guerra vi porterà maggiore autonomia…” Osservai, cercando di uscire dal baratro della conversazione imbarazzante in cui io stessa mi ero gettata.

“Il problema non è non avere autonomia, Lina Inverse.” Sussultai, quando pronunciò il mio nome completo. “Il problema è non avere una storia.” Poggiò la tazza di tè, e mi lanciò uno sguardo penetrante. “Che vinca la capitale, che vinca Talit, che il governatore riesca a conquistarsi un suo spazio di autonomia, non cambierà nulla. La nostra storia è quella di Elmekia, ormai, nella mente di chiunque, nella mente del governatore stesso. Non abbiamo una storia nostra, perché essa non ha abbastanza importanza da essere raccontata. E’ questo il reale problema. E’ questo che rende irrisolvibile ogni discriminazione nei nostri confronti.”

Osservai la curva amara, quasi rabbiosa, delle sue labbra, non certa di capire pienamente di cosa stesse parlando. La sacerdotessa rispose al mio sguardo con occhi febbrili, per un istante, ma quasi istantaneamente la sua espressione tornò ad essere neutra. “Ma non è di questo che noi due dobbiamo parlare oggi.” Concluse. “Queste faccende ormai non mi riguardano più. Credo che se anche il governatore ci portasse tutti al mattatoio, in questa guerra, non me ne importerebbe assolutamente nulla.”

Battei le palpebre. “Aspetta un momento… vuoi dire che il governatore ha deciso di intervenire nella guerra?” Se il villaggio aveva deciso di allearsi con Talit, allora Bastian ed io potevamo trovarci in seri guai, in quel luogo.

“No, Lina Inverse. Non lo ha semplicemente deciso, è già intervenuto. Ha preso una posizione mesi fa, appena gli è giunta notizia che il vecchio sovrano si trovava sul letto di morte.”

Sbarrai gli occhi e mi levai in piedi, di riflesso. “Ma allora… ma allora con quale dei due principi…?”

“Siediti. Non hai nulla per cui agitarti.”

Non ne ero convinta, ma tornai comunque ad appoggiarmi allo schienale della sedia. Per qualche motivo, non riuscivo a disattendere alle sue intimazioni. Quella donna emanava una strana autorità. “Con chi?” La incalzai, ancora una volta. “Con chi siete alleati? Con Talit o con la corte?”

“Sai, Lina Inverse… il mio popolo tradizionalmente è sempre stato dedito all’arte della guerra, alla cavalleria e alla caccia. Alleviamo cavalli per combattere e falchi e cani per cacciare.”

Cominciai ad irritarmi. “E questo cosa mai dovrebbe rivelarmi???”

“Tutto, se saprai osservare.” Mi guardò negli occhi, quieta. “Ascoltami. Tu hai conosciuto i draghi che vivono sui monti Kataart.” Colta di sorpresa da quel repentino cambio di discorso, mi scordai di assentire. Ma, del resto, la sua non era una domanda. “Ti hanno detto di essere fra gli ultimi esemplari di draghi neri e dorati rimasti in questa parte di continente, dopo lo sterminio operato dai Mazoku, non è così?” Aprii la bocca, incerta se confermare o tempestarla di domande, ma la sacerdotessa non mi diede il tempo di parlare. “Bé, ciò non significa che siano i soli. Te ne sei già resa conto da sola. I draghi dei monti Kataart hanno deciso di tagliarsi fuori completamente dalle vicende degli esseri umani. Eppure tu, a Talit, hai avuto modo di vedere dei draghi neri che hanno scelto di vivere a contatto con gli uomini, di servirli, addirittura.”

“Sì, questo aveva risvegliato dubbi anche in me, ma…”

“Quei draghi neri non vengono dai monti Kataart.” Proseguì la donna, senza lasciarmi il tempo di terminare. “Vivono qui, sulle steppe. Li chiamano i rinnegati.” Si alzò in piedi e afferrò il bollitore, ormai quasi vuoto, per abbandonarlo in un secchio colmo di stoviglie in attesa di essere lavate. Ora sembrava molto più in forze di quando mi aveva ricevuta. Si muoveva senza esitazioni e il suo volto aveva ripreso colore. “Non sono precisamente stati cacciati dagli altri draghi. Vedi, fra draghi neri e draghi dorati non è sempre corso buon sangue. I draghi neri hanno accusato per secoli i draghi dorati per la loro arroganza, per il modo in cui cercavano di affermare la loro supremazia sugli altri e si arrogavano il diritto di affermare ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.” Tornò a sedersi di fronte a me. “Quando si costituì la società sui monti Kataart, non tutti scelsero di aderirvi. Un gruppo di draghi neri si allontanò e si stabilì in quest’area.” Bevve un altro sorso di tè. “Erano lande pressoché disabitate, ma meno riparate. Le condizioni di vita erano molto più difficili. Per questo il numero dei draghi si è molto ridotto. All’inizio erano diverse decine. Ora, pochi esemplari solitari. Si stanno lentamente estinguendo.”

“Ma questo cosa c’entra con voi?”

La sacerdotessa si accigliò. “Anche noi abitiamo queste terre da secoli. Abbiamo convissuto con questi draghi come con i nostri cavalli, i nostri cani e i nostri falchi. In un rapporto di reciproco rispetto. Spesso abbiamo fornito loro cibo e loro ci hanno fornito protezione. Capisci ora dove voglio arrivare?”

“Vuoi dire che è stato il governatore a donare quei tre draghi a Talit???” Tornai ad alzarmi in piedi. Non potei farne a meno.

“Suppongo che anche il governatore ti esporrebbe la cosa in questi termini.” La sacerdotessa mi fissò dal basso in alto, cupa. “In realtà, credo, si è trattato più di un’alleanza fra il governatore e i rinnegati per portare avanti i propri reciproci scopi. Ad ogni modo, la sostanza non cambia.”

“Ma… ma allora…?”

“Non ti preoccupare.” La donna precedette la mia domanda. “Non verrai consegnata a Talit.”

“E tu come fai a saperlo?”

Per la prima volta, osservai il barlume di un sorriso comparire sulle labbra della mia interlocutrice. “Mi chiamano profetessa. Immagino di conoscere qualcosa del mondo che mi circonda.”

“Profetessa?” Domandai, cauta. Ero molto scettica riguardo a quel genere di cose. “Tu… sei capace di vedere il futuro?”

“Io non vedo il futuro.” Replicò tuttavia la donna. “Io vedo solo la realtà per come essa è veramente.”

Continuavo a non capire. “Ma che cosa hai detto, oggi, davanti a tutte quelle persone? Era una profezia, quella?”

La sacerdotessa si alzò, a sua volta. “Ho descritto loro la realtà, come faccio ogni volta. Ma se è ciò che loro hanno udito ciò che vuoi sapere, lo scoprirai stasera, quando il sacerdote interprete rivelerà a tutti la traduzione delle mie parole.”

“Aspetta un momento… vuoi dire che nessuno ha realmente capito quello che hai detto?”

La donna mi squadrò con supponenza, come se le avessi rivolto una domanda estremamente stupida. “Credi davvero che la verità possa esprimersi nel linguaggio comune?”

Scossi la testa. “Ma allora non è possibile nemmeno tradurla, non è così?”

“Tu non capisci.” Mi incalzò la profetessa. “Quel sacerdote non sa e non è interessato a scoprire il senso profondo delle mie rivelazioni. Quel sacerdote dirà alla gente ciò che deve sentire. Rivelerà loro che il nuovo anno che ci aspetta sarà un anno duro. Rivelerà loro che i raccolti saranno poveri. Rivelerà loro che troveranno la loro gloria nella battaglia. Per questo deve essere lui a farlo, per questo non posso essere io. Sarebbe un bel problema se le mie parole mettessero in discussione i poteri del governatore, giusto?”

“Ma… ma il governatore, oggi, sembrava credere a…”

“Oh, lui ci crede, e anche il sacerdote interprete ci crede, esattamente come il resto della popolazione. Ma la loro è anche una manipolazione. Le forme in cui il potere si esercita non sono mai semplici.”

Cominciavo ad essere confusa. Ma la cosa che più non comprendevo era per quale motivo, realmente, mi avesse chiamata al suo cospetto. Mi aveva rivelato un dettaglio importante su quella guerra, ma aveva anche dichiarato che i combattimenti e il loro andamento non le interessavano. E allora, che senso aveva tutta quella conversazione?

“So che ti stai chiedendo perché sei qui.” Mi stupì, leggendomi nel pensiero, anche se probabilmente più interpretando la mia espressione che non applicando fantomatici poteri di divinazione. “In effetti, questa conversazione ha deviato da quello che doveva essere il suo scopo principale. E’ di te, non di me, che dobbiamo parlare.”

“Di me?”

La profetessa annuì. “Ci sono alcune cose che devi sapere, Lina Inverse. Cose che ho visto, su quanto sta per accaderti.”

I miei pugni si strinsero, mentre tornavo ad essere preda dell’inquietudine. Non mi piaceva l’idea di ascoltare previsioni sul mio futuro, anche se non credevo alle profezie. Non volevo che le mie scelte fossero condizionate da ciò che credevo potesse accadermi. “Io… io non…”

La sacerdotessa si fece avanti, e mi afferrò nuovamente per il braccio, una morsa ferrea. “Ascoltami bene, Lina Inverse, perché sono informazioni importanti. C’è un assassino sulle tue tracce.”

“Un… un assassino?” Non era una grande notizia, considerando che metà della popolazione di Elmekia non vedeva l’ora di uccidermi.

“Non devi preoccuparti delle altre persone. Devi preoccuparti di lui. E’ un professionista, il gioiello della corporazione degli assassini di Rolan, nell’ovest. Presto la guerra si estenderà anche laggiù, sulla costa. Ma tu devi tenerti lontana da lui. E’ pericoloso. Non si fermerà finché non ti avrà uccisa.”

“M… ma chi è? Chi lo ha ingaggiato?”

“Ascoltami. Non devi preoccuparti di questi particolari. Sta’ lontana da Rolan. Vattene da Elmekia appena puoi. Lui può ucciderti. E questo non deve ancora accadere.”

“Perché? Perché vuoi salvarmi la vita?”

“Perché lei ha ancora dei progetti, per te.”

“Lei?”

“Vattene da Elmekia, Lina Inverse.” La sacerdotessa non mi rispose. Si limitò ad afferrarmi per le spalle e scuotermi. “Vattene e basta.”

“Io… io non posso andare via ora. Devo ritrovare mio marito, prima.”

A quella affermazione, la donna si zittì. Rimase a lungo a fissarmi negli occhi, l’aria accigliata. “Tu… sei simile a me, Lina Inverse.” Esordì, alla fine, in un sibilo. “O quanto meno, molto vicina ad esserlo. Perciò ti dirò anche questo. Tu tradirai la persona che ti è più cara, se rimarrai in questo regno. E verrai tradita a tua volta, da qualcuno che si era conquistato la tua fiducia.” La sua presa su di me si fece serrata e dovetti sopprimere un gemito. “Lo sai cos’è il tradimento, Lina Inverse? Lo sai che quanto più profonda è la fiducia che ti lega ad una persona, tanto più esso sarà devastante?” La voce si ridusse ad un sibilo. “Lo so a cosa stai pensando, ma devi frenare il tuo scetticismo. Io non ti sto predicendo il futuro, ora. E’ tutto qui, nei tuoi occhi.” Mi lasciò andare all’improvviso e mi trovai a barcollare. “Ci sono persone che possono diventare estremamente pericolose se perdono il controllo sulle proprie emozioni, Lina Inverse, e tu sei una di queste. Vattene. E’ meglio per tutti.”

Si fece indietro e tornò a sedersi al tavolo. Era nuovamente pallida, ora, e sembrava aver perso tutto il vigore che aveva riacquistato dal mio ingresso in quella casa. Io rimasi immobile, incapace di trovare un modo per risponderle. Non sapevo se considerarla completamente pazza, o se essere terrorizzata dalle sue parole.

“Io… credo di dover andare, ora.” Riuscii a balbettare alla fine. Il buio e il chiuso di quella stanza si stavano facendo soffocanti.

Feci per volgermi, ma la voce della sacerdotessa ancora una volta mi bloccò, con la sua voce autoritaria. “Lina Inverse.” La guardai in viso. Le sue labbra erano ridotte a due pallide linee, ora. Mi parve combattuta. Il suo pugno, chiuso sul tavolo, aveva preso a tremare vistosamente ed ebbi l’impressione che fremesse per aggiungere qualcosa. Ma qualunque cosa fosse, il suo autocontrollo alla fine ebbe evidentemente la meglio. “Hai ragione, è meglio che tu vada, ora.” Dichiarò, la voce roca, e mentre pronunciava quelle parole parve quasi essere sul punto di ripiegarsi su se stessa. “Ho davvero bisogno di riposare.”

Non me lo feci ripetere due volte. Senza più azzardarmi a guardarla in volto, aprii la porta e uscii nella luce del primo pomeriggio. Rimasi per un momento appoggiata alla porta, accecata momentaneamente dal sole pallido, e dovetti emettere diversi profondi respiri, prima di riuscire a tranquillizzarmi.

I due bambini, all’esterno, erano spariti. Ora si vedevano diverse persone muoversi nelle strade, tutte affaccendate e indifferenti alla mia presenza. L’ora della preghiera, o del pranzo, doveva essere finita. Ma anche a me, ormai, era passato l’appetito.

Mi avviai verso la strada principale, senza nemmeno essere certa di dove mi stavo dirigendo. Stavo per raggiungere nuovamente il centro della città, quando una presa ferrea mi bloccò nuovamente il braccio.

“Dove diavolo ti eri cacciata???”

Mi volsi, ad incontrare il volto irritato di Bastian. Il cavaliere pareva affannato, come se si fosse affrettato alla mia ricerca.

“Ti vedo nervoso, cavaliere. Temevi che scappassi?” ‘Avrei avuto motivo di farlo?’ Avrei voluto domandarglielo, e vedere la sua espressione in risposta. Ma per quel poco che avevo imparato a conoscere di lui, sapevo già che non mi avrebbe dato modo di capire nulla. “Andiamo a cercare questi dannati cavalli.” Aggiunsi invece, in tono spassionato, liberandomi dalla sua presa e avviandomi per la strada prima che potesse rispondermi.

“Vuoi dirmi che in tutto questo tempo non lo hai già fatto? E che diavolo stavi facendo, allora?”

“Non parliamo di me, parliamo di te.” La mia voce ora aveva una sfumatura di sfida. Studiai il suo volto, mentre gli ponevo la mia domanda. “Che cosa ti ha chiesto, il governatore, in cambio della sua collaborazione?”

Bastian, tuttavia, non mostrò nemmeno il minimo segno di esitazione. “Mi ha chiesto di portare con noi un suo messaggero diretto alla corte.” Rivelò, con mia sorpresa. “Dato che saremo di certo ricevuti dal sovrano, muoversi con noi è come avere un lasciapassare per entrare a palazzo.”

Mi accigliai. “E perché avrebbe bisogno di consegnare un messaggio al sovrano?”

“Non me lo ha detto.” Replicò semplicemente Bastian. “Non ha nemmeno considerato la mia proposta di portare personalmente il suo messaggio, per timore che lo leggessimo prima di consegnarlo. Ha detto che sono affari riservati riguardanti il territorio sotto il suo controllo.”

“E tu hai accettato così, a scatola chiusa?”

“Non avevo grande scelta, ti pare? E poi, date le circostanze, avere con noi una persona in più addestrata a combattere può rivelarsi utile…”

‘Sempre che quella persona non stia cercando di ucciderti a sua volta…’ Ma mi tenni per me questo pensiero. Non sapevo se fra Bastian e il governatore ci fosse stato qualche altro tipo di accordo di cui il cavaliere non aveva intenzione di parlarmi, ma la storia del protettore che deve saldare il suo debito mi convinceva sempre meno. Per il momento, decisi che era il caso di non raccontargli quanto la sacerdotessa mi aveva detto dei draghi neri. Non ero certa di quanto già fosse a conoscenza, ma il fatto che non fosse al corrente che io sapevo mi dava certamente un vantaggio su di lui.

“Ad ogni modo… il governatore ha detto che in cambio del nostro favore si occuperà personalmente dei nostri approvvigionamenti e delle nostre cavalcature.” Proseguì il cavaliere. “Quindi suppongo che per il momento possiamo anche mangiare qualcosa e riposarci per qualche ora.” Deviò su uno spiazzo coperto da uno rado materasso d’erba e si sedette. “Il governatore ci ha accordato il permesso di accamparci all’interno del villaggio, stanotte.”

Offrirci una stanza nella sua residenza sarebbe stato un onere troppo grande, immaginavo… Sospirai, ma finii per sedermi a mia volta. Ero già stanca di dormire all’addiaccio, ma dubitavo che a qualcuno fosse mai venuto in mente di aprire una locanda, in quel luogo sperduto. “Mi sta bene anche fermarmi, ma non si era detto di velocizzare i tempi?” Domandai. “E’ solo primo pomeriggio, potremmo quanto meno recuperare i chilometri che abbiamo perduto con questa deviazione, prima che scenda il buio…”

“Il governatore mi ha chiesto questa mezza giornata per procurarci il necessario per viaggiare e per permettere al suo messaggero di prepararsi. Questa sera ci sarà un’altra cerimonia e parte dei suoi servitori è impegnata nella sua preparazione, perciò non ho voluto mettergli fretta.”

“Mmm…” Non mi mostrai convinta, ma in realtà la prospettiva di riposarmi per qualche ora mi sorrideva. In quei giorni non avevamo fatto che camminare e con Bastian avevo avvertito molto di più il peso della stanchezza che non quando mi trovavo al fianco di Gourry. Lo spadaccino trovava sempre il modo di distrarmi.

Il languore che in quei giorni continuavo a provare, per la mancanza di mio marito, tornò a catturarmi lo stomaco. Cercai di scacciarlo, concentrandomi su qualcosa che distogliesse la mia attenzione. E la prima cosa che mi venne in mente furono, mio malgrado, le parole della sacerdotessa. “A proposito di cerimonie…” Azzardai. “Tu… sembri conoscere questo posto. Che mi dici della profetessa? Che tipo è?”

Bastian mi parve sorpreso a quella domanda. “Perché mi chiedi una cosa del genere?” Il suo tono di voce, per qualche motivo, si era tinto di sospetto.

“Niente di particolare.” Mi affrettai a rispondere. “E’ che oggi vederla alla cerimonia mi ha incuriosito. Non capisco se sia una brava attrice, o se abbia davvero delle capacità da veggente.”

“Mi stupisce questo scetticismo da parte di una maga.” Bastian distolse lo sguardo, ma riuscii a cogliere fugacemente la sua espressione. Mi parve infastidito.

Io mi accigliai. “Non c’è nulla di irrazionale nella magia. Ad una azione corrisponde una reazione, come per qualsiasi altra cosa. Ma la divinazione… bé quello è tutto un altro discorso.” Strappai un filo d’erba, e presi a rigirarmelo distrattamente fra le dita. “Personalmente, credo che il futuro non sia già scritto e che le variabili siano troppe per fare delle previsioni certe. Però credo anche che ci siano persone abbastanza sensibili o abbastanza sagge da captare la direzione che gli eventi prenderanno un attimo prima che il filo della storia si dipani.” Spezzai il filo d’erba fra le dita e lo lasciai cadere. “Razionalmente, questa è l’unica idea di veggenza che riesco ad accettare.” Un’idea che, purtroppo, mi sembrava calzare su Sybil. Ma cercai di non ripensare, in quel momento, a quanto minacciose erano suonate le sue parole.

Bastian sbuffò. “Per quanto mi riguarda, queste cerimonie sono solo stupide illusioni. Quella sacerdotessa insegue le proprie allucinazioni, mentre il governatore la tiene in catene perché ogni anno gli dia i responsi che più gli sono utili per mantenere la presa sul suo popolo.” Il suo tono aspro mi disturbò. Era lo stesso che mi riservava quando criticava la mia magia. “In ogni caso, non si tratta di un mio problema.” Cercò all’interno della borsa ed estrasse della carne secca. “Mangiamo qualcosa, invece che pensare a queste assurdità.”

“Non sono assurdità.” Non seppi perché mi impuntai. Forse, mi ero solo stancata di sentire continuamente messo in discussione ciò su cui io avevo fondato la mia vita. “Fa parte della realtà, che tu voglia accettarlo o meno. Faresti bene a cercare di conoscere le cose invece che ignorare la loro esistenza, o prima o poi finiranno per rivoltarsi contro di te.”

Il volto di Bastian si fece scuro. “E tu che cosa ne sai, maga, di quello che io conosco o non conosco? Risparmiami le tue banalità.”

Banalità? Banalità??? “Io vorrei solo sapere perché diavolo detesti tanto la magia nera!” Mi levai in ginocchio, incombendo su di lui. “A Elmekia tutto il mondo pare essere diffidente nei confronti della mia arte, ma tu ti candidi come presidente del comitato anti-magia, cavaliere! Mi sono stancata di ricevere occhiatacce o commenti sarcastici ogni volta che provo anche solo a iniziare a pronunciare una formula!”

“Non mi è stato necessario essere un mago per appurare che la magia nera è infida e difficilmente controllabile!” Anche Bastian alzò la voce, in risposta al mio tono alterato. “E poi, non riesco a capire come un umano possa voler trarre la propria energia da un Mazoku! I demoni voglio distruggere gli uomini! Le formule a loro legate portano morte e disperazione! Cosa ti rende tanto diversa da loro, quando usi i loro incantesimi, Lina Inverse?”

“Questa è la più grande successione di idiozie che io abbia mai sentito!” Finii per alzarmi in piedi, le mani che mi prudevano. Bastian stava camminando su un terreno più pericoloso di quanto potesse realizzare. “Anche una spada porta morte e distruzione, se è male utilizzata! Nella magia non c’è nulla di diverso! E poi, vorrei tanto che la gente evitasse di parlare a vanvera, quando non conosce le cose!!! Ci sono MILLE differenze fra il modo di combattere di un mago e quello di un demone!”

Bastian assunse un’aria scettica. “Cosa, Lina Inverse? I buoni sentimenti?”

Colsi il sarcasmo nella sua voce e questo non fece che alimentare la mia irritazione. Nonostante questo, cercai di moderare il tono di voce. La gente che ci passava accanto aveva cominciato a guardarci come se fossimo stati squilibrati. “Al di là dei sentimenti umani, c’è qualcosa di noi umani che ai Mazoku non è concesso avere…” Mi indicai la tempia con il dito. “Ed è qui, nel cervello. E’ l’istinto di sopravvivenza.” Tanto per rimarcare che non mi ero calmata, gli strappai di mano il pezzo di carne che stava per addentare, e lo ingoiai in un solo boccone, con un certo, sprezzante gusto. “Un demone vive migliaia di anni, e agisce in rapporto agli ordini, in una rigida gerarchia.” Proseguii, ignorando la sua occhiataccia. “E’ un avversario pericolosissimo. Ma al di là di ogni strategia, a volte proprio la prontezza di risorse di un istante può diventare la chiave per batterlo. Perché è qualcosa che non comprende.” Mi sedetti, lentamente. “Lo ho imparato lottando contro il Demone Drago Garv. Lui aveva qualcosa di umano, in sé, e combatteva, esattamente come me, per la propria sopravvivenza. E’ stata l’unica volta che ho davvero avvertito di avere una motivazione comune con un demone. Perciò non mi venire a dire che io e i Mazoku siamo simili, cavaliere. Dubito sinceramente che tu abbia incontrato tanti demoni quanti me, nella tua vita.” Vidi Bastian impallidire lievemente, a quella affermazione. Evidentemente, quella era una delle ‘terribili voci’ sul mio conto che non gli erano giunte.

“Tu stai mentendo, Lina Inverse. Garv? Garv, uno dei cinque re dei demoni?” Drizzò la schiena e mi osservò con stupore. L’irritazione di poco prima pareva dimenticata. “Come si può lottare con un demone con la magia che da lui stesso deriva?”

“Ovviamente un Mazoku non presterà mai la propria magia per essere distrutto.” Replicai, in tono pratico. “Ma qualsiasi altro incantesimo può funzionare. L’esito di una magia dipende per lo più dall’uso che se ne fa e non dalla magia in sé. Quasi tutti i demoni con cui ho lottato li ho battuti con i miei incantesimi. Ma prima che tu cambi improvvisamente idea su di me e cominci a considerarmi la paladina della giustizia, sappi che per lo più lo ho fatto per ragioni di autodifesa. Non sono così sciocca da andare a caccia di esseri che potrebbero uccidermi con uno schiocco di dita solo per liberare il mondo dalla loro presenza.”

Bastian mi rivolse uno sguardo incerto. “E perché diavolo dei demoni avrebbero dovuto attaccarti? Che hanno a che fare i Mazoku con le vicende di noi umani?”

Gli rivolsi un sorriso impertinente. “Chissà, magari anche loro avevano una cattiva opinione di me. Attento, cavaliere, forse siete tu ed i Mazoku ad avere più punti di somiglianza di quanto immagini.”

Ma Bastian non si irritò come avevo pensato, a quella battuta. “Tu… sei uno strano tipo, Lina Inverse.” Si limitò a dichiarare, squadrandomi con fare sospettoso.

Levai le sopracciglia. “‘Strano tipo’ è meglio di ‘pazza assassina’. Direi che stiamo facendo dei miglioramenti.”

Il cavaliere sbuffò. “Una cosa non esclude l’altra.” Sentenziò, semplicemente.

Nessuno dei due parlò più. Ci dividemmo il cibo e restammo in silenzio, sbocconcellando carne, immersi ciascuno nelle proprie riflessioni. Nessuno dei due pareva avere particolare appetito. Mi trovai a ripensare con nostalgia alle lotte per l’ultimo pezzo di carne che ero solita ingaggiare con Gourry.

Alla fine, Bastian emise un sospiro. “Comunque, ora è meglio che ci riposiamo per qualche ora. Quando saremo fuori dalle mura di questo villaggio avremo poche occasioni di dormire una notte intera.” Lo osservai mentre estraeva due delle sue coperte dallo zaino e ne stendeva una al suolo. Ripiegò l’altra a mo’ di cuscino, si strinse nel mantello e vi si appoggiò, chiudendo gli occhi.

Restai ferma a guardarlo ripetendomi che dovevo imitarlo, ma ero ben consapevole che in quel momento non potevo riuscire ad addormentarmi. Il mento poggiato sulle ginocchia, fissai un punto nel vuoto e continuai a riflettere per ore. Cercando di convincermi della fallacità dell’arte profetica.

***

‘Decisamente… non va bene.’

Fissai la spada abbandonata al suolo, sconsolato. Avevo pensato che avrebbe funzionato, ma… come Lina mi ripeteva spesso, le supposizioni tendono a essere poco affidabili, quando non si ha idea di quello che si sta facendo…

Sospirai. Mi piegai a raccogliere l’arma con la mano sinistra e la rinfoderai. Quindi rimossi la fasciatura dalla mano destra. L’aspetto del marchio era ancora peggiore di come lo ricordassi. La pelle era arrossata non solo lungo i contorni, ora, ma su tutto il palmo. Formicolava lievemente, a contatto con l’aria. Avevo pensato che con la fasciatura sarei riuscito a reggere la spada senza che bruciasse in quel modo orribile, ma non c’era niente da fare. Ogni volta che la imbracciavo, ero costretto a mollare la presa dopo pochi istanti, sopraffatto dal dolore. Eppure, per quanto faticassi a stringere il pugno, riuscivo ad impugnare le armi che erano date in dotazione agli altri soldati… Se anche fossi riuscito a riabituarmi a combattere con quella mano, pareva che avrei dovuto rinunciare a servirmi della spada magica che avevo ricevuto da Lina, proprio in un momento in cui quell’arma così maneggevole sarebbe stata in grado di facilitarmi le cose…

Dannazione. Se ci fosse stata Lina, con me, in quel momento, di certo avrebbe trovato una soluzione.

“Gourry- san.”

Sussultai, al suono della voce di Sylphiel. Perso nella mia concentrazione, non la avevo sentita arrivare. Mi volsi e la occhieggiai, mentre scendeva cautamente il gentile declivio che conduceva al luogo in cui mi ero ritirato per allenarmi. Il limitare di un boschetto, fuori dalla portata dello sguardo di tutti i soldati che si erano radunati per l’addestramento nei cortili.

“Gourry- san, dovresti rientrare a riposarti.” Mi pregò la sacerdotessa, raggiungendomi. “E’ tutto il pomeriggio che sei in cortile ad allenarti… e sei ancora convalescente, dopo la caduta…” La preoccupazione era palese sul suo volto. Mi sentii immediatamente in colpa. Quei giorni non ero stato molto in me, e Sylphiel aveva dovuto subire il mio cattivo umore, per quanto non avesse colpa di quanto mi stava succedendo.

“E’ che devo trovare il modo di combattere anche con la mano ridotta in questo modo…” Replicai, con un sospiro, tornando a fissarmi il palmo. “Non so quando mio padre riceverà l’ordine di partire, ma potrebbe avvenire presto. E io non sono assolutamente pronto a scendere in battaglia, ora come ora.”

Sylphiel si morse il labbro, e mi afferrò delicatamente il polso destro. Rigirò la mano, studiandone il palmo arrossato, e la preoccupazione si incise ancora più profondamente sui suoi lineamenti. “Recovery.” Mormorò, per l’ennesima volta da quando avevo scoperto il segno sulla mia mano. Io la lasciai fare, ma con scarse aspettative. Nessun incantesimo pareva in grado di funzionare, su quel marchio.

“Io credo che dovresti dirglielo.” Dichiarò, a mezza voce.

“A mio padre?” Replicai, cupo. “E come potrei? Potrebbe fare del male a Lina.”

Sylphiel lasciò andare il mio polso. “Ma non è una cosa che dipende da te! Non gli sarai di alcuna utilità, se non riuscirai a combattere!”

Provai ad aprire e chiudere la mano, ma la situazione non mi pareva mutata. Scossi la testa, avvilito. “Si vede che non lo conosci. A mio padre non interessano le giustificazioni. A lui importa il risultato.” Tornai a legarmi la fasciatura attorno alla mano. “E comunque, alla peggio, posso sempre cercare di usare la mano sinistra.”

“Ma, Gourry- san…”

“Lo so anch’io, Sylphiel, che non è la stessa cosa. Ma c’è poco da fare.” Le lanciai un’occhiata. “Per favore, non dire nulla ai miei. Se vedrò che non posso farcela, ti prometto che cercherò io un modo per parlare con loro.” Non avevo certo intenzione di lanciarmi in una lotta suicida. Lina mi aveva insegnato molto, a riguardo.

La sacerdotessa esitò per un momento, ma alla fine annuì. “Però, ora vieni dentro, Gourry- san. Sta scendendo il buio, non concluderai nulla restando qui a congelarti…”

“Temo che tu abbia ragione.” Sospirai. La fine di un’altra giornata e nulla era cambiato. Lina non c’era, la guerra continuava ad incombere. Solo l’aspetto del segno sulla mia mano peggiorava di giorno in giorno.

Ci avviamo per la lieve salita che dai giardini del palazzo conduceva all’entrata frontale. Stavamo raggiungendo il viale principale, il sole al tramonto che, in fronte, ci accecava con la sua luce intensa, quando udii qualcuno gridare il mio nome.

Aguzzai la vista. Sulla cima della salita, una figura si muoveva di corsa verso di noi. Non potevo scorgerne il volto, ma identificai immediatamente la voce come quella di mio fratello.

“Gourry!” Ripeté, affannandosi verso di noi. In pochi istanti ci raggiunse, deviando dal viale e affondando con gli stivali nel fango del prato.

“Che succede?” Domandai, sorpreso dalla sua foga.

“Guai.” Tagliò corto Derek. “Un messaggero è appena arrivato dall’ovest. Non so cosa ci fosse scritto nella missiva che portava, ma ho visto Lord Georg in volto dopo che la aveva letta, e la sua espressione non prometteva nulla di buono. Nostro padre ha detto che ci vuole immediatamente tutti e due al suo cospetto.”

Dovetti trattenere un sospiro. Non c’era un attimo di pace.

Mi accodai a lui e silenziosamente varcammo l’ingresso del palazzo, verso la sala delle udienze. Sylphiel si affrettò dietro di noi nel tragitto, ma quando mio fratello mi cedette il passo per chiudere il portale della sala alle nostre spalle rimase indietro, ferma nell’atrio. Colsi il suo volto pallido e il suo sguardo preoccupato, un attimo prima che la porta si chiudesse. Non ebbi bisogno di domandarmi il motivo della sua ansia. Se qualcosa si stava muovendo, al fronte, probabilmente anche il nostro coinvolgimento nella battaglia non era lontano.

Nella sala trovai mio padre e Georg in piedi, silenziosi. Alcuni altri vassalli del duca li circondavano, ma, notai, non era stato convocato il concilio al completo. Se ci attendeva il coinvolgimento in qualche missione, essa non riguardava comunque la totalità delle truppe.

“Ci siamo tutti, vedo.” Esordì Georg, non appena fummo entrati. “Bene. Si tratta di una questione di una certa urgenza.”

Tutti si accomodarono lentamente negli scranni. Solo il duca evitò di sedersi e continuò a percorrere a grandi passi lo spazio vuoto al centro della sala, mentre parlava.

“Mi è appena giunto un messaggio dal governatore di Rolan.” Affermò, senza tanti preamboli, quando ognuno fu al proprio posto. “La zona costiera dell’ovest è sotto attacco.”

“Sotto attacco, mio signore?” Intervenne uno dei nobili. “Da parte del principe Samon?”

Lord Georg sospirò. “Probabilmente lo preferirei.” Dichiarò, arcigno. “Ma no, non si tratta di lui. Si tratta di nuovo del Re dei Pirati.”

Fra i presenti si levò un mormorio. Io, evidentemente, fui l’unico a non capire. “Il Re dei Pirati?” Sussurrai a mio fratello. “E’ il personaggio di una qualche saga romanzesca?”

Derek mi rivolse uno sguardo allucinato. “Come fai a non conoscerlo??? Sei o non sei di Elmekia???”

Gli avrei risposto che in effetti da qualche anno non frequentavo Elmekia con tutta quella assiduità, ma la voce di Georg, sovrastando il vocio che si era diffuso nella stanza, troncò la mia replica sul nascere. “Miei signori. Calma, per favore. Come vi ho detto, mi preme risolvere la questione al più presto.”

Il mormorio si zittì. Georg indietreggiò e si sedette su quello che era stato lo scranno di Eriol. “Questo inevitabilmente complica le cose. Come sapete, il governatore di Rolan è un nostro importante alleato. Non credo che i pirati abbiano preso accordi con la capitale, mio nipote non avrebbe trattato con un fuorilegge. Piuttosto, ritengo che cerchino di approfittare della guerra per rafforzare il proprio controllo su quella regione. Ma se le forze militari del governatore saranno impegnate localmente, il nostro alleato non potrà intervenire nella guerra fra le due corti. Non possiamo assolutamente sottovalutare la cosa.” Incrociò le dita sotto il mento, e si appoggiò al tavolo davanti a lui. “Il fronte occidentale rischia di trovarsi scoperto di fronte ad un eventuale assalto di Samon. Dobbiamo risolvere la cosa prima che la capitale abbia il tempo di mobilitarsi. Perciò ho deciso di inviare delle truppe a Rolan, per aiutare il governatore a sedare la ribellione dei pirati.” Levò il mento e fissò lo sguardo su mio padre. “Il Lord Gabriev sarà il comandante a capo della spedizione. Gli altri Lord che ho convocato saranno i suoi generali.” Alcuni dei volti dei presenti si rabbuiarono, a quella notizia. Potevo immaginare perché. Il titolo di mio padre non sarebbe stato sufficientemente elevato per consentire una simile gerarchia, in condizioni normali. D’altra parte, la mia famiglia contava proprio sul fatto che lo stabilirsi di una nuova corte portasse anche a ridefinire i gradi e le alleanze fra i nobili e il sovrano…

Ad ogni modo, nessuno protestò apertamente. Tutti avevano solo da guadagnare, nel dimostrare la propria fedeltà. E poi, se si trattava di una missione davvero così importante, ciascuno dei presenti doveva essere consapevole di essere nella cerchia di nobili che più godevano della stima del nuovo pretendente sovrano…

“Il viaggio fino a Rolan richiede una decina di giorni. Ciò significa che sarà necessario approntare le truppe al più presto, in modo da raggiungere il governatore nel giro di due settimane. Nel frattempo gli invierò un messaggero, comunicandogli la nostra intenzione di intervenire.” Si volse verso mio padre. “Lord Gabriev, mi avete detto di avere un piano, per la battaglia. Ritengo opportuno discuterne con voi immediatamente, in modo da istruire al più presto i soldati. In quanto a voi…” Percorse con lo sguardo gli altri Lord. “… vi prego di preparare le vostre truppe al più presto. Se possibile, partirete fra due giorni, all’alba.”

Il piccolo gruppo si sciolse in pochi istanti. Solo mio padre rimase al fianco di Georg, fino a che anche l’ultimo dei nobili non si fu allontanato dalla sala.

“Edward.” Esordì l’aspirante sovrano, senza troppi preamboli. “Mi dicevi dell’opportunità di creare delle barricate lungo la costa…”

“Sì, mio signore.” Assentì mio padre. “Se il governatore ha già cercato di contrattaccare via nave…”

“Ehm…” Mio fratello si schiarì la voce, interrompendoli. I due si volsero verso di noi. “Col tuo permesso, padre, chiediamo di congedarci. E’ consigliabile che anche i tuoi uomini vengano informati della mobilitazione, prima di essere sommersi dalle voci provenienti dagli altri soldati.”

Mio padre si limitò ad annuire, sbrigativamente. “D’accordo. Ci vediamo nella sala grande, per la cena.”

Mio fratello annuì e si precipitò fuori dalla sala. Io mi affrettai dietro di lui. All’esterno, Sylphiel era in piedi vicino alla scalinata e ci stava aspettando. Non appena ci vide si fece avanti, ma Derek non le lasciò il tempo di fare domande.

“Gourry!” Si volse, di scatto, e mi trovai faccia a faccia con i suoi lineamenti rabbiosi. “Non posso credere che tu non avessi idea di quello che stavano dicendo!” Mi aggredì. “Non hai proprio il minimo interesse per il tuo paese??? Ho dovuto trascinarti fuori di lì con una stupida scusa! Hai idea di come avrebbe reagito nostro padre, se ti avesse interrogato davanti al nostro futuro sovrano e tu avessi mostrato di non sapere di cosa stava parlando???”

Io mi schermai con le mani, cercando di calmarlo. “Ehm… Derek… ti… ti ringrazio per il pensiero, ma…”

“Non è un ‘pensiero’, Gourry!” Sibilò, in risposta, evidentemente trattenendosi dal gridare. “E’ sempre così! Tu fai qualcosa di sbagliato, e IO devo placare gli animi di nostro padre, IO devo essere il figlio modello che lo ripaga di ogni aspettativa che va perduta con te!” Strinse i denti. “Ma nonostante questo, nonostante tutti i miei sforzi, io rimango unicamente ‘quello che fa solo il suo dovere’, mentre tu… tu entri nelle leggende, tu diventi il ‘nuovo spadaccino di Luce’! Al diavolo!” Batté il piede sulla dura pietra. “Sono stanco! Nostra madre ti adorava, nostro nonno ti riteneva l’unico vero erede della Spada di Luce, persino nostro padre ha trascorso gli anni a odiarti, senza accorgerti di quello che nel frattempo io facevo per lui! Ma adesso basta! Basta!”

Frastornato dalle sue accuse, non riuscii nemmeno a replicare. Lo osservai fissarmi con rabbia, girarmi le spalle e sparire, in una porta che conduceva agli alloggi dei soldati.

Chinai il capo e rimasi in silenzio. Che cosa potevo dire? In fondo, non aveva detto nulla di falso. D’altra parte, non avevo deliberatamente scelto di inseguire la gloria. In tutta sincerità, avrei fatto a meno di essere attaccato da signori dei demoni, di rischiare la vita in lotte quasi senza speranza, di temere ogni giorno per coloro che amavo. Avrei molto volentieri barattato quelle giornate di angoscia con qualche momento in più trascorso girando il mondo insieme a Lina, senza altri pensieri per la testa. Ma il rischio era il prezzo da pagare per restare al fianco di Lina, e questo sì, lo avevo scelto, e lo desideravo. Ed era una decisione che nessun senso di colpa mi avrebbe mai fatto rinnegare.

“Gourry… san?” Mi volsi verso Sylphiel. Pareva spaventata.

“Sylphiel.” Esordii, glissando sul discorso di mio fratello. “Sai dirmi chi è il Re dei Pirati?”

La sacerdotessa esitò per un istante, evidentemente colta alla sprovvista da quella domanda. “Il Re dei Pirati?” Chiese, di rimando. “Intendi… Meghar, il mercante?”

Anche Sylphiel pareva sorpresa, di fronte alla mia ignoranza. Mi grattai la guancia, sentendomi improvvisamente un perfetto idiota. “Immagino… di sì. Se è così che si chiama…”

“Perché vuoi saperlo, Gourry- san? Anche lui è stato coinvolto nella battaglia?”

“Pare… che abbia attaccato le città costiere dell’ovest.”

Sylphiel si incupì. “La cosa non mi stupisce. Per quanto ne so, erano anni che attendeva un’occasione del genere…”

“Ma chi è?”

“Credo che sia l’uomo più ricercato di Elmekia. Persino più di Lina- san.” La sacerdotessa mi rivolse un debole sorriso. Si avviò verso lo scalone, e io mi mossi al suo fianco, attendendo ulteriori spiegazioni. “Anni fa era un mercante regolarmente iscritto alla Gilda.” Proseguì. “Uno dei più facoltosi dell’intero regno, in effetti. Ma poi ha avuto dei guai con la legge. Ha eluso i massimali della merce fissati dalla Gilda ed è stato condannato a un’ammenda. Che non ha mai pagato.” Arrivata in cima allo scalone, Sylphiel deviò a sinistra, verso i gradini che conducevano alla torre. “Ovviamente è stato espulso. Ma ormai era troppo potente per essere liquidato. Si è costruito una flotta personale, e da allora contrabbanda merci pregiate lungo tutta la costa.” Sylphiel si arrestò, alla fine della seconda rampa di scale. In quel corridoio si trovava la sua stanza. “Negli ultimi anni, pare che abbia stretto un sodalizio con i potenti capi clan che infestano con atti di pirateria i mari di quella zona. Da questo deriva il suo soprannome.” Si appoggiò alla parete, pensierosa. “Da quando si è creata quest’alleanza le scorribande dei pirati si sono fatte molto più organizzate. Molti pensano che Meghar miri a riunire tutta la zona costiera in uno stato indipendente. E se è davvero così, nessuna occasione può essere più propizia di questa guerra, per portare a termine il suo progetto.”

“Se davvero quest’uomo ha alle spalle una flotta di pirati, si può dire che anche lui disponga di una specie di esercito…”

“Di certo non si tratta di un nemico che Talit possa permettersi di sottovalutare.” Confermò Sylphiel. “Anche perché, per quanto ne so, la flotta di Rolan ha un ruolo strategico piuttosto importante, per Lord Georg.” Syphiel mi rivolse uno sguardo preoccupato. “La tua famiglia è stata coinvolta nella lotta contro di lui, non è vero, Gourry- san? Allora è vero… che dovrai partire presto…”

Sospirai. “Almeno finalmente farò qualcosa di concreto. Forse, dopo questa battaglia, mio padre si deciderà a dirmi dove si trova Lina.”

La sacerdotessa tacque, per qualche istante. Quando parlò, la sua voce suonava determinata. “Allora verrò anch’io con voi.”

“Sylphiel…”

“Non potrei restare qui con l’ansia di non sapere cosa sta succedendo. Non ho un ruolo qui. Insieme alle truppe almeno potrò aiutare gli altri guaritori.” Mi si avvicinò, e la sua voce si ridusse ad un sibilo. “Senza contare che non è detto che Amelia e mio zio non siano tenuti prigionieri proprio a Rolan. C’è una prigione, laggiù, su una delle isole vicine alla baia. Se Georg e Erianna volessero tenere nascosta ai propri sostenitori la notizia del sequestro, sarebbe più sicuro nasconderli laggiù che tenerli a Talit.”

Ci avevamo pensato molto, in quei giorni. Al motivo per cui a Talit la notizia del rapimento della principessa di Sailune non era passata. Una delle possibili spiegazioni era che i duchi volessero mantenere il silenzio su un’azione che, compiuta su una reale che non aveva ancora ufficialmente preso parte alla guerra, si trovava al limite della legittimità. In quel caso, effettivamente, era probabile che Amelia fosse tenuta prigioniera in qualche luogo lontano da Talit. Immediatamente, il mio pensiero andò a Lina. Che anche lei si trovasse laggiù?

“Non ho nulla in contrario.” Replicai, quietamente. “Solo… non sarà semplice, Sylphiel. Già dal primo giorno di combattimenti. Lo so per esperienza personale.”

Sylphiel strinse le labbra. “Lo so. Io… ricordo quando hanno attaccato Sailarg. Quando mi hai salvato.” Mi fissò intensamente, come le era capitato di fare un tempo, e per un momento mi trovai a disagio. Ma il suo sguardo riacquistò presto compostezza. “So che sarà ancora peggio. Ma sento di dover fare qualcosa.”

Annuii. La sacerdotessa si allontanò da me, con un sospirò. “E’ meglio che vada a prepararmi per la cena, ora.” Fissò la mia mano, con aria preoccupata. “Ed è meglio che dopo cena ti cambi quella fasciatura. Cerchiamo almeno di evitare che peggiori.”

Le rivolsi un debole sorriso. “D’accordo. Grazie, Sylphiel.”

Anche la sacerdotessa mi sorrise, brevemente. La osservai sparire nel buio del corridoio. Anche dopo che fu entrata nella sua stanza, rimasi immobile per diversi istanti, reggendomi senza rendermene conto la mano. E così… nuovamente guerra. Cercai di stringere il pugno, ma le mie dita furono restie a chiudersi. Sospirai. Quando avessi trovato Lina, di certo tutto sarebbe tornato a posto. Non era stato così, come per magia, anche quando la avevo incontrata per la prima volta?

Continuai a ripetermelo, salendo i ripidi gradini verso la cima della torre.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Ecco un altro capitolo

Ecco un altro capitolo! ^^ Mi rendo conto che questa storia sta diventando la storia infinita, quindi ringrazio chi ha la pazienza di continuare a leggere…XD Prima di procedere, ho alcune piccole note…

Per Daydreamer: mi ero scordata di risponderti, la volta scorsa, ma per il momento Zel non è previsto…^^ (anche se non escludo nulla per il futuro, visto che ho già cambiato alcune cose rispetto al piano originario e che al momento questa storia pare scriversi da sola…XD)

Per DragonSlave: ho letto la tua recensione all’Assedio, e non sapevo dove risponderti, quindi lo faccio qui…XD Innanzitutto grazie per i complimenti (^__^)! Per i romanzi, esiste una traduzione ufficiale in inglese dei primi otto, realizzata da una casa editrice americana. Ci sono diverse librerie on line che li distribuiscono anche in Italia… non so se posso metterti i link qui (forse sarebbe considerato spam), ma se mi contatti tramite il mio profilo e mi mandi il tuo indirizzo e- mail, te li invio volentieri lì…^^

Per Fren (mia cugina/ gemella separata alla nascita…XD): non preoccuparti, credo che tutte noi fan di Gourry abbiamo un po’ la sindrome da Sylphiel…XDDD

E con questo è tutto! ^^ Buona lettura!

***

Albeggiava. All’orizzonte, il cielo aveva assunto la sfumatura rosa pallido di una mattinata serena. Il cielo, ancora scuro e tappezzato delle luci tremolanti delle stelle, era totalmente libero dalle nuvole. Nel giro di un’ora, il sole sarebbe stato alto e un azzurro intenso ci avrebbe sovrastati. Grazie al cielo. Non ne potevo più di stare di guardia, tremando di freddo.

Dorak, il corpulento messaggero degli Enu, russava senza ritegno, vicino al fuoco ormai spento. Era sdraiato supino, in posizione sbracata. La sua mascella squadrata lasciava dischiuse le sue labbra carnose e un filo di saliva gli scendeva dall’angolo della bocca. Lanciandogli l’ennesima occhiata, feci una smorfia, e gli riservai un lieve calcio nel costato. Il guerriero mugugnò e chiuse la bocca, cessando di russare. Ma questo non aumentò la mia benevolenza nei suoi confronti. Quell’uomo batteva persino Bastian, nel provocare la mia irritazione. Per fortuna ci trovavamo a meno di un giorno di viaggio dalla capitale. Nel giro di ventiquattrore, se gli dei volevano, mi sarei liberata di Bastian e di quel peso morto.

“Ehi, piccola… se mi fissi a quel modo, penserò che ti sei finalmente innamorata di me.”

Sbuffai. Il peso morto in questione aveva appena deciso di dare inizio al suo tormento quotidiano.

“Buongiorno, Dorak.” Dichiarai, atona, fissando lo sguardo sul fuoco. Se gli avessi dato corda in qualsiasi modo non me ne sarei più liberata.

“Certo che è un buon giorno chérie. Quale giorno potrebbe essere migliore di uno passato a fianco di una ragazza tanto carina?” Si levò a sedere, e mi passò il braccio attorno alla spalla. Ora, non fraintendetemi. Non è che mi dispiaccia essere chiamata carina. Ma il braccio e tutto il contorno erano piuttosto fastidiosi. In più, avevo come l’impressione che l’unico requisito per essere “carine” agli occhi di quell’individuo fosse respirare.

Afferrai la sua mano e la rimossi lentamente dalla mia spalla. “Dorak.” Esordii in tono pericoloso. “Ti hanno mai detto che dovresti stare attento a dove poggi le dita, se non hai intenzione, prima o poi, di perderle?”

Il guerriero vestì immediatamente il suo sorriso languido. “Piccola, questo tono acido non si addice al tuo bel faccino…”

Anch’io gli sorrisi, un sorriso che a chi mi conosceva avrebbe causato profondi brividi lungo la spina dorsale. “Vogliamo provare con un incantesimo?” Mormorai. “Le formule, normalmente, hanno un suono molto musicale…”

Il guerriero non ebbe il tempo di rispondere, e nemmeno di spaventarsi. Una voce autoritaria si levò alle nostre spalle, rivelandomi che la mia pace, per quel giorno, si era definitivamente trasformata in un pallido ricordo.

“Dorak!” Bastian si avvicinò, e mi scostò bruscamente dal guerriero, rischiando di mandarmi a gambe all’aria. Si interpose fra di noi, e fece sollevare il messaggero in piedi, reggendolo per la collottola. “Quante volte ti ho detto di lasciare stare la ragazza?” Sibilò. “Conosco fin troppo bene le tue abitudini! Ma questa non è roba tua!”

Roba?

“Bastian, Bastian, speravo che gli anni ti avessero tolto un po’ della tua boria, ma vedo che sei ancora rigido come quando ti ho conosciuto.” Sorrise, scostandosi dalla sua presa. “Forse farebbe bene anche a te appropriarti un po’ della ‘roba’ altrui…”

Ok. Il consueto scambio di invettive. E ora sarebbe seguito…

“Maledetto bastardo!” Sibilò Bastian, estraendo la spada.

Mi portai la mano alla fronte. Lo sapevo. Se a ogni minaccia di morte avessimo guadagnato un giorno di viaggio, saremmo già arrivati a destinazione da un pezzo.

Con un sospiro, mi feci avanti, interponendomi fra i due litiganti. “Rinfodera il testosterone, per favore, cavaliere.” Intimai, senza nemmeno avere la forza di arrabbiarmi. “Non è successo nulla di grave.”

“Nulla di grave???” Bastian si volse verso di me, gli occhi iniettati di rabbia. “Quanto pensi che manchi prima che questo essere allunghi le mani? Il governatore sa perfettamente di che razza di bestia viscida si tratta! Sarei pronto a scommettere che me lo ha accollato proprio perché sa quanto lo detesto!” Bastian non parve preoccupato che l’oggetto del suo odio venisse a conoscenza della sua opinione.

Sospirai, nuovamente. “Cavaliere, apprezzo il tuo impegno nel ‘difendere il mio onore’, ma…”

“Onore un accidente!” La rabbia di Bastian, ora, si rivolse verso di me. “Credi che Sir Gabriev si meriti che tu faccia la civetta col primo idiota che passa?”

E chi diavolo faceva la civetta???

“Stammi a sentire, cavaliere!” Puntai il dito verso Dorak. “Se anche questo individuo non fosse, come è, simpatico quanto un brufolo, e io fossi perdutamente innamorata di lui la cosa non dovrebbe riguardarti!” Lo fronteggiai, a denti stretti. “Ma se può consolarti, l’idea che sto cullando al momento è quella di spedirlo in orbita con un Dragon Slave, e poi mandarti a fargli compagnia…”

Il cavaliere impallidì, come sempre quando lo minacciavo con la magia. Dorak, alle mie spalle, scoppiò in una sonora risata. “La ragazzina sa metterti al tuo posto, eh, Bastian?” Si batté la mano sullo stomaco. “Da morire, il grande cavaliere azzittito da una maga! Lina, tesoro, hai tutto il mio sostegno!”

O dei. Un uomo con l’espressività di un cubo di porfido da un lato, e il re degli idioti dall’altro. Che cosa avevo fatto di male, nella mia vita, per meritarmi una punizione del genere?

D’accordo, non rispondete a questa domanda.

Anche Bastian aveva assunto un’aria rassegnata. “E’ il caso di mettersi in marcia.” Dichiarò alla fine, in tono spassionato. “Speriamo di raggiungere la capitale in giornata.”

Era una delle poche volte in cui mi trovava nel più completo accordo.

Silenziosamente, radunammo le nostre cose. Quando terminammo, il sole si era ormai levato all’orizzonte e la luna, in lontananza, era impallidita fino a sparire. Ci avviamo deviando lievemente a ovest, il sole alle spalle. Di fronte a noi si aprivano le prime distese verdeggianti, dopo giorni e giorni di cammino nel nulla.

“Certo che, per esserci una guerra in corso, finora il nostro viaggio è stato incredibilmente tranquillo.” Commentai, vagamente, scrutando la quieta desolazione del panorama.

“Nella parte centrale del regno, c’è poco da conquistare.” Replicò Bastian. “E comunque, per il momento non è ancora scoppiato un conflitto aperto. Entrambi gli schieramenti stanno radunando le proprie forze.” Si strinse nelle spalle. “Non durerà a lungo, in ogni caso. Lord Samon è prudente quanto sua madre, ma il Duca di Talit non è altrettanto propenso ad aspettare. Potrei scommettere che in questo momento le sue truppe si stiano preparando a muovere verso nord.”

“Mm.” Mi limitai a commentare, tenendo ogni altra considerazione per me. Se le cose stavano davvero a quel modo, speravo sinceramente che anche Gourry in quel momento si stesse trovando già in viaggio per la capitale, e che non rischiasse di trovarsi al centro della battaglia. Non avevo ancora progettato esattamente cosa fare una volta che ci fossimo ritrovati, ma avevo in mente un paio di opzioni. Quella che mi attirava di più, al momento, era quella di allontanarmi dal regno e raggiungere Sailune. Non avevo certo intenzione di essere coinvolta oltre in quella battaglia, ma ero ancora curiosa di capire cosa avesse spinto Phil e Amelia a dichiarare guerra a Talit. Sinceramente, anche la questione dell’assassino assoldato per uccidermi mi incuriosiva. Sempre che la profetessa stesse dicendo la verità, mi chiedevo se chi lo aveva ingaggiato lo avesse fatto semplicemente per via del mio coinvolgimento in quella battaglia, o non ci fosse piuttosto qualcos’altro sotto (l’ipotesi del ‘qualcos’altro sotto’ tende a essere sempre inclusa nelle mie riflessioni, considerando che i tre quarti delle volte è più che azzeccata). D’altra parte, non avevo la benché minima intenzione di avvicinarmi a Rolan per scoprirlo. Sono forse tipo da fare deliberatamente qualcosa che mi è stato rivelato essere pericoloso?

Per semplice informazione, anche questa era una domanda a cui non rispondere.

“Per quanto mi riguarda, spero solo che la tregua duri per un altro paio di settimane.” Dichiarò Dorak, avvicinandosi a me più di quanto non trovassi opportuno. “Avrò ancora un altro viaggetto da compiere, dopo aver portato a termine questa missione, prima di poter tornare a casa.”

Come se potesse interessarmi in qualsiasi modo quali fossero i suoi progetti per il futuro.

“E tu, chérie, che farai, poi?” Le sue dita tornarono a protendersi verso la mia spalla. “E’ un tale peccato che un uccellino come te rimanga bloccato nella gabbia di suo marito…”

Senza nemmeno più arrabbiarsi, Bastian si fece strada fra di noi, con un sospiro, bloccando la strada al braccio di Dorak. “Cautela, ora.” Dichiarò, atono. “Stiamo entrando nel territorio della capitale.”

In lontananza, seguendo il suo sguardo, avvistai un villaggio, certamente il primo degli abitati sotto la diretta giurisdizione del sovrano. In silenzio, proseguimmo in quella direzione, e nel raggiungerlo iniziammo ad incontrare segni sempre più frequenti dell’insediamento di persone. All’orizzonte, ora, si intravedevano ampie zone coltivate. Dopo un paio di chilometri, incontrammo la prima, larga strada lastricata. Nonostante ci stessimo avvicinando alla civiltà, però, non c’era nemmeno l’ombra dei viaggiatori che normalmente battevano le arterie commerciali. In parte contribuiva anche la stagione invernale, certo, perché in quel periodo i mercanti tendevano a non avventurarsi in rotte eccessivamente lontane o impervie. Ma era evidente che quella desolazione dipendeva anche dal clima della guerra. La maggioranza dei volti che incontrammo sulla via appartenevano a mercenari in viaggio, come noi, verso la capitale. E non avevo dubbi che percorrere quello stesso tragitto subito dopo il tramonto avrebbe significato anche fare la conoscenza di buona parte delle bande di banditi della regione. Con i soldati impegnati a preparare l’offesa verso Talit, quello era il momento ideale per le loro scorribande. Per un momento, quando ci pensai, fui quasi tentata ad attardarmi sulla via. Far saltare in aria un po’ di fuorilegge sarebbe stato un ottimo rimedio allo stress del viaggio.

Purtroppo, però, avevamo l’espressa necessità di muoverci evitando di essere notati. Per questo avanzammo inesorabilmente, per lo più in silenzio (non che fosse un male, data la gaiezza della compagnia in cui mi trovavo), mantenendo i cappucci dei mantelli sollevati e cercando di sparire agli occhi delle poche, minacciose figure che ci si accompagnavano sulla diritta strada verso la capitale. Una tattica che si rivelò vincente, almeno finché, dopo diverse ore di cammino, non entrammo in vista delle mura della città.

La capitale di Elmekia, che condivideva il nome con il suo regno, aveva la stessa aria imponente di Talit. Era ovviamente più grande della città ducale, ma, estendendosi in una ampia vallata, non trasmetteva, alla prima occhiata, lo stesso senso di vertiginosa maestosità che colpiva l’ignaro viaggiatore di fronte alla Perla. Gli edifici erano bianchi e grigi e riflettevano la luce intensa del sole di quella limpida giornata invernale. A prima vista, sembrava una tranquilla città in una qualsiasi mattinata d’inverno.

“Il popolo di Elmekia è estremamente disciplinato.” Dichiarò Bastian, come in risposta ai miei pensieri, mentre, da una delle basse colline circostanti, scrutavamo la capitale, consumando in piedi il nostro breve pasto di mezza giornata. “Non attenderti isteria per la guerra incombente. Se è come immagino, coprifuoco a parte, in città chiunque sarà dedito alle sue normali attività.”

“Gli abitanti della capitale, quindi, sostengono il loro legittimo sovrano…” Osservai, soprappensiero, non pensando al fatto che Bastian apparteneva, al di là di tutto, alla fazione opposta.

Il cavaliere mi rivolse un’occhiata indecifrabile. “Non posso entrare nelle coscienze di chiunque, Lina Inverse.” Dichiarò, in tono acido. “Ma suppongo che chi fra i nobili della capitale avesse intenzione di appoggiare Talit se ne sia andato insieme alla regina. E che per quanto riguarda la popolazione comune, le cose non cambino particolarmente. Il vecchio sovrano era piuttosto amato. Samon era stato educato per anni da suo padre alla gestione del trono. Il fatto che il re abbia dichiarato sul letto di morte la preferenza per il figlio minore non cambia le leggi di successione, senza contare che molto probabilmente hanno avuto un grosso peso le pressioni della regina. Credo che alla gente questa lotta appaia ancora una banale questione interna alla corte.” La sua voce si abbassò. “Anche se temo che le cose cambieranno, una volta che avranno inizio i combattimenti veri e propri.”

Mi accigliai. “Per uno che qualche tempo fa sbandierava la sua assoluta fedeltà alla causa di Talit, mi sembri improvvisamente sin troppo ragionevole, cavaliere.”

“Io eseguo gli ordini del mio signore, il Lord Gabriev. Perciò SONO fedele alla causa di Talit.” Replicò il mio interlocutore, stizzito. “La mia opinione personale sulla faccenda non ha la minima importanza.” Per un momento ebbi quasi pietà di lui. Io non mi sarei sentita particolarmente orgogliosa di me, sminuendo le mie idee a quel modo.

“Se la taglia sulla tua testa prevede la clausola del ‘viva o morta’, piccola, non ti sarà tanto semplice arrivare tutta intera di fronte al sovrano.” Commentò Dorak, interrompendoci. Stava fissando pensieroso i portali della città, dove un gruppo di guardie ispezionava chiunque entrasse o uscisse dalle mura. “Non mi hai ancora spiegato come hai intenzione di farti ricevere dalla corte.”

“Ho i miei mezzi.” Tagliai corto. Non sapevo se Bastian sapesse del pendaglio che mi aveva affidato Livia, ma, alleati o non alleati, non avevo certo intenzione di confessare ai miei compagni di viaggio, mentre ci trovavamo in mezzo al nulla, che viaggiavo con indosso un medaglione di Ohrialcon, presumibilmente di notevole valore.

“Non irritarti, tesoro.” Dorak mi rivolse uno dei suoi sorrisi accondiscendenti. “Cercavo solo di appurare se la mia testa sarebbe rimasta attaccata al collo, ancora per oggi.”

‘Se davvero sei così indifferente al fatto di perdere la testa, grand’uomo, posso darti io una mano in quel senso.’

“In effetti, Lina Inverse, a questo punto sarebbe una buona idea cominciare ad elaborare un piano. C’è la seria possibilità che le guardie alle porte ci attacchino prima di ascoltare qualsiasi nostra ragione.” Nota al lettore: l’unica cosa che poteva mettere Bastian in accordo con Dorak era il fatto che Dorak mi rivolgesse qualche obiezione.

“Smetterla di chiamarmi a gran voce con il mio nome e cognome sarebbe un buon inizio, cavaliere.” Sbottai. “Manca solo che tu ti metta a recitare tutti i soprannomi con cui sono conosciuta, perché tutta Elmekia sappia chi sono veramente.”

Bastian assunse un’espressione piccata, ma non replicò E’ brutto avere torto, eh, Mister ‘La Verità E La Giustizia Sono Sempre Dalla Mia Parte’?

“E comunque…” Aggiunsi, in tono vittorioso. “Ho detto che ho i miei mezzi. Fidati di me, una buona volta.”

Bastian mormorò fra i denti qualcosa che fui lieta di non aver sentito. Con fare altezzoso, gli volsi le spalle, e presi a scendere lungo il declivio della collina.

In realtà, mi sentivo un po’ in colpa, nel presentarmi di fronte a Samon con il medaglione di sua figlia, senza però riportarla a lui sana e salva. D’altra parte, tutte le volte che avevo ripensato a quella questione, durante il viaggio, avevo finito per concludere di aver compiuto la scelta più prudente. Livia non era di certo abituata a viaggiare come una comune mercenaria, e averla con noi non solo ci avrebbe rallentati, ma avrebbe certamente significato avere oltre ai semplici cacciatori di taglie anche parte degli uomini di Talit alle nostre calcagna. Sapevo di essere egoista, ma non avevo avuto grandi alternative. Se ci avessero catturati, uccidendo noi e riportando indietro la principessa, la cosa non avrebbe di certo giovato a Livia.

‘Erianna non le farà del male.’ Provai a ripetermi, per sedare il mio senso di colpa. ‘Al di là di qualsiasi questione bellica, è pur sempre sua nipote, non si è ribellata a lei e non c’entra nulla in tutta questa questione. Non oserà.’

Purtroppo, non ero particolarmente abile nell’auto-persuasione.

Persa in quelle riflessioni, quasi non mi resi conto che avevamo ormai raggiunto le mura della città. Una lenta processione di carri attendeva di essere ispezionata di fronte ai portali, la folla più folta che avessimo incontrato da quando ci eravamo avventurati in quel viaggio.

“Lina In… Lina. Sei sicura di quello che stai facendo, vero?” Mi domandò il cavaliere, scrutando la folla nervosamente.

“Cerca di rilassarti, Bastian.” Calcai sul suo nome, lieta che finalmente il giochetto degli appellativi fosse finito. “Intrufolarmi di soppiatto in una città non è certo una novità, per me.”

Il cavaliere mi guardò con l’aria di chiedersi che diavolo di vita avessi vissuto fino a quel momento. Ignorai la sua occhiata. Dovevo concentrarmi su questioni più urgenti.

Avanzai verso i soldati, a mano a mano che la fila di gente di fronte a noi si sfoltiva. Quando giunse il nostro turno, mi feci avanti, prima che qualsiasi fra i miei compagni di viaggio potesse parlare.

“Dichiarate gli scopi per cui richiedete l’ingresso nella capitale.” Intimò una guardia con fare annoiato, senza cessare nel frattempo di studiare, con attenzione ammirevole, le proprie unghie luride.

Io sospirai. Tanto valeva sfoderare da subito la carta del pendaglio. Se avessi cercato un diverso stratagemma e mi avessero scoperta, sarebbe stato molto più complicato, poi, dimostrarmi degna di fiducia.

“Siamo messaggeri. Inviati a corte dalla principessa Livia.”

“Mm. Scrivete i vostri nomi sui registri e consegnateli a…” La guardia si bloccò, con l’espressione di chi aveva visto la sua unghia prendere vita e improvvisare uno spettacolo di tip tap. Il suo sguardo si levò finalmente su di me. “Che cosa hai detto?”

Era interessante, quel suo modo di recepire le cose in differita. In qualche modo, mi ricordava mio marito.

“Ho detto che ci manda la principessa Livia.” Ripetei, lentamente, come rivolgendomi a un bambino. “Abbiamo un messaggio per il sovrano.”

La guardia indietreggiò di un passo, e mi fissò con stupore e sospetto. “Non è possibile. La principessa è…”

“Ostaggio a Talit” Terminai per lui. “Lo sappiamo. Ma è una storia un po’ lunga da spiegare. Se potessimo presentarci direttamente al sovrano…” Bastian, al mio fianco, pareva allibito. Sapevo di avere una grande faccia tosta. Ma a volte l’effetto sorpresa ha risultati sorprendenti, nel disarmare il proprio interlocutore.

“Ma… ma…” Balbettò la guardia.

“Ho le prove, ovviamente.” Tirai fuori il medaglione di Livia, con fare noncurante. “Questo mi è stato affidato dalla principessa. Sono certa che Lord Samon lo riconoscerà.”

Le altre guardie si erano ormai accorte che stava accadendo qualcosa di strano, e avevano formato un piccolo gruppo alle spalle del soldato che ci aveva accolti, scambiandosi occhiate indecise. Fra la folla in coda alle nostre spalle, si stava progressivamente levando un curioso mormorio.

“I… io… io non ho ricevuto direttive, riguardo a casi di questo genere…”

Direi che era abbastanza ovvio. Dubitavo che Samon avesse prospettato l’eventualità che una ricercata si presentasse alla sua porta con un messaggio della sua figlia rapita.

“Lina… sei sempre sicura di quello che stai facendo, vero?” Mormorò per l’ennesima volta Bastian, fissando con aria preoccupata i soldati. Si vedeva che non era abituato come me e Gourry all’idea che esistesse sempre l’opzione b.

Vale a dire, far saltare in aria tutto e darsela a gambe.

“Allora andate a chiamare un vostro superiore.” Replicai, con calma, rivolgendomi al soldato. “Noi non abbiamo alcuna fretta.”

“Però…”

“Lina Inverse!”

Sussultai, quando sentii il mio nome pronunciato a gran voce. Avevo evitato deliberatamente di rivelarlo, fino a quel momento. Il fattore ‘pericolosa maga ricercata in tutto il regno’ poteva andare decisamente al nostro svantaggio, nella trattativa.

Levai lo sguardo e, oltre il muro di guardie, individuai immediatamente un volto noto.

“Gray???”

Si trattava di uno dei sacerdoti di Sailune. Uno fra i più importanti, in effetti. Mi era capitato di approfittare delle sue cure, quando ero stata coinvolta in qualche disavventura nel palazzo di Philionel. Ora si trovava a pochi metri di distanza da me, in abiti da viaggio. Circondato da un drappello di armati con le insegne di Sailune.

“Lina Inverse?” Ripeté la guardia, osservandomi con nuovi occhi. Per un istante mi aspettai che cercasse di attaccarmi, ma inaspettatamente, dopo solo un momento, il soldato si fece da parte insieme al gruppo di armati che lo spalleggiava.

“Mia signora!” Gray si fece strada fra le guardie, fino a raggiungermi. “Non posso credere di vederti qui! Il re Philionel sperava di contattarti in qualche modo!”

“Philionel?” Ripetei, confusa. “Ma… la taglia sulla mia testa…”

“La taglia è stata revocata.” Gray esitò per un istante, pensieroso, quindi si volse verso il gruppo di soldati che lo accompagnava. “Proseguite senza di me.” Dichiarò, con fare autoritario. Si sfilò dalla cinta un rotolo di pergamena e lo affidò a quello che pareva il capo dei soldati. “Pensate voi a consegnarlo al sovrano. Io tornerò a Sailune presto, insieme a un’altra ambasceria. Il re deve sapere dei nuovi fatti.” Il soldato si limitò ad annuire. Gray si volse nuovamente verso di noi e mi rivolse un breve inchino. “Vi prego di seguirmi. Sarò io a condurvi a palazzo.”

Rivolsi uno sguardo ai miei compagni di viaggio. Bastian pareva incredulo, Dorak divertito. Sospirai. Non avrei ricevuto grandi contributi, da nessuno dei due.

“Ti ringrazio.” Mi limitai a replicare. Non avevo motivo di non avere fiducia in un rappresentante della corte di Sailune. E, sinceramente, vedere un volto amico era piacevole, dopo tutti i guai che avevo passato in quelle ultime settimane.

Ancora lievemente stranita dal fatto che nessuno cercasse di fermarci, mi avviai al suo seguito. La folla si aprì per farci strada, ed ebbi l’impressione che il mio nome viaggiasse velocemente di labbra in labbra, seguendoci nel cammino verso il palazzo.

Quello si prospettava di certo come un pomeriggio interessante.

***

Al costo di suonare pessimista… continuava a non andare affatto bene.

Eravamo giunti a Rolan da un paio di settimane. Appena messo piede nel palazzo del governatore, mio padre aveva ordinato di innalzare delle barricate sulle spiagge, in tutti i punti d’approdo dell’area sotto la giurisdizione della città. In nave non avremmo potuto tenere testa ai nostri nemici, sosteneva, ma in quel modo avremmo potuto impedire loro di portare avanti le loro scorribande nell’entroterra.

Il problema era che, oltre alle numerose piccole isole che costellavano la baia di Rolan, anche alcune aree in prossimità della costa si trovavano già sotto il controllo dei pirati. Il governatore aveva impegnato i suoi armati per impedire gli attacchi da terra, ma in quel modo ci eravamo trovati improvvisamente stretti fra due fuochi, in una situazione di completo stallo.

Questo, fino alla mattina della tempesta.

Si era abbattuta sulle coste con una violenza inaudita, pochi giorni dopo che avevamo completato le barricate. Avevamo resistito, temporaneamente, ma alla fine era stato inevitabile ritirarsi verso la città, nell’attesa che il tempo placasse la sua furia.

Gran parte delle nostre attrezzature era andata distrutta, o necessitava di essere riparata. Le nostre barricate erano state spazzate via dal vento e dalle onde. Mio padre, però, si dichiarava ancora tranquillo. Anche le navi nemiche avevano di certo subito dei danni, ci aveva assicurato. Non c’era il rischio di un attacco imminente. Perciò Derek ed io avremmo dovuto recarci immediatamente sulla spiaggia, per ripristinare la difesa, mentre lui si sarebbe occupato della riorganizzazione delle truppe in città. Sembrava un buon piano.

Immaginate quindi la nostra sorpresa, nel trovare sulla spiaggia un plotone di truppe nemiche pronte alla nostra esecuzione.

La battaglia si era scatenata immediatamente e si era presto trasformata in una accozzaglia confusa. Non era la flotta nemica al completo, ma erano comunque in troppi. Qualcuno dei nostri era riuscito a fuggire per dare l’allarme, ma nessun rinforzo era ancora giunto dalla città. Stavamo perdendo. Avremmo dovuto ritirarci, ma da tempo avevo perso di vista mio fratello, impegnato a gridare ordini frenetici nel tentativo di dare un senso al nostro sconclusionato contrattacco. E le truppe di mio padre non avrebbero sicuramente dato ascolto a me.

Frenai l’attacco di un soldato, facendogli perdere l’equilibrio. Cadde di schiena, e venne trafitto da un mio compagno prima di riuscire a rialzarsi.

Mi feci indietro, ripulendomi la fronte dal sudore. Dovevo pensare a qualcosa, ma in quel momento non ero in grado di ragionare. Il braccio destro mi pulsava in modo terrificante.

“Gwaaaaah!”

Gridando furiosamente, un corpulento guerriero si scagliò contro di me. La luce del sole brillava sulla lama della sua spada e sulla sua testa calva e madida di sudore. I suoi occhi erano iniettati della furia cieca e inconsapevole scatenata dall’istinto di sopravvivenza.

Schivai il suo primo assalto con una certa facilità, ma persi l’equilibrio sulla sabbia umida, e fui costretto a parare il secondo. Solo l’adrenalina riuscì a permettermelo. Quando la sua lama impattò contro la mia, assestando un violento colpo al mio braccio della spada, mi trattenetti a stento dal gridare di dolore.

‘Non riuscirò a parare un’altra volta.’

Un panico cieco mi catturò le viscere. Quando ci separammo ricaddi all’indietro. Inalai una boccata d’aria pregna dell’odore dell’umidità e della salsedine, osservando il mio avversario che caricava, preparandosi a piantarmi la spada nel petto.

Senza nemmeno pensare a quello che stavo facendo, raccolsi una manciata di sabbia, e, nell’attimo in cui si preparò ad affondare, la lanciai contro i suoi occhi. L’uomo gridò, abbandonando l’attacco e portandosi la mano al volto. Ne approfittai per fare leva sul terreno, e riacquistare l’equilibrio. Non gli lasciai nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo. Impugnando la spada con la mano sinistra, affondai e gli perforai il costato.

Il guerriero gridò di dolore, e ricadde all’indietro. Io strisciai sulla sabbia, portandomi a qualche metro di distanza da lui. Il sangue mi pulsava ancora nelle tempie, ribollendo della mia paura di perdere la vita. Ma, strisciante, al terrore si aggiunse presto la vergogna per il gesto che avevo compiuto. Non mi piaceva barare in battaglia. Ma un momento prima, di fronte al rischio di essere ucciso, avevo scordato ogni mia regola.

Avevo dimenticato cosa volesse dire trovarsi al centro della mischia. Agire unicamente in base all’istinto di sopravvivenza, senza valutare le proprie mosse, perché il pensiero di un secondo poteva significare trovarsi con una spada piantata nel fianco, o una freccia conficcata nella schiena. Avevo odiato e odiavo, odiavo ancora con tutte le mie forze, quel genere di battaglia. In quel momento ero terrorizzato come da anni non mi capitava di essere.

Ma non avevo nemmeno il tempo per avere paura. Un altro guerriero nemico si era già fatto avanti per attaccarmi. Dovevo rispondere al suo assalto.

Stavolta mi rassegnai a reggere la spada con la mano sinistra. Mio nonno mi aveva insegnato a maneggiarla anche in quel modo, quelli che sembravano mille anni prima, quando aveva assunto il compito di addestrarmi all’uso delle armi. Ma avevo meno forza nel braccio sinistro e in quel modo i miei movimenti erano più lenti e goffi. Dovetti tenermi sulla difensiva, limitandomi a parare gli attacchi del mio avversario, pregando che nessuno attorno a me decidesse di venire a dargli man forte.

“Gourry!”

Una voce nota sovrastò le grida della battaglia. Prima che potessi individuarne la fonte,

l’uomo che stavo affrontando cadde al suolo, colpito alle spalle. Derek emerse da dietro di lui, il volto e le vesti sporche di sabbia e di sangue che non gli apparteneva.

“Diavolo!” Gridò mio fratello. “Che stai combinando qui??? Avresti dovuto restare al mio fianco, nelle retrovie!”

“Retrovie?” Potei solo domandare, di rimando. Sinceramente, mi pareva che quella battaglia avesse perso ogni struttura dal momento stesso in cui era cominciata.

Mio fratello non ebbe tempo di rispondermi. Un armato grosso almeno il doppio di lui lo caricò di lato, calando la spada dall’alto, mirando al suo collo. Ma era avanzato così incautamente che bastò un mio fendente di sinistro per metterlo fuori gioco.

“Derek!” Gridai, approfittando del fatto che la grossa mole del guerriero caduto si interponeva fra me e i combattenti più vicini, garantendomi una momentanea pausa dalla lotta. “Devi ordinare la ritirata! Ci faremo massacrare!”

Mio fratello atterrò un armato che avanzava verso di lui dal fianco, colpendolo di piatto al viso. “Non posso fare una cosa del genere!” Ringhiò, di rimando. “Significherebbe aprire loro la strada verso Rolan!”

“Succederà lo stesso, se ci facciamo sbaragliare!” Tirai un fendente disperato a un tozzo soldato che mi trovai di fronte all’improvviso, riuscendo per puro caso a colpirlo al fianco. “Derek, non capisci che nostro padre non verrà a salvarci? Sta certamente approfittando del fatto che noi siamo qui a frenare i nemici per armare Rolan in modo che possa resistere all’assalto!”

“E allora dobbiamo fare in modo che abbia più tempo possibile per farlo!” Replicò mio fratello, irremovibile. “Se vuoi salvare l’intero corpo, devi rassegnarti all’idea di amputare la gamba malata!”

“Un intero gruppo di uomini mandato a morire non è una gamba malata!!!” Gridai, atterrando l’ennesimo nemico, in preda a una rabbia insostenibile. La cosa peggiore era che capivo le sue ragioni. Mio padre voleva portare a termine la missione, e per farlo doveva vincere quella battaglia. Ma io non volevo riuscire in nessuna dannata missione. Non avevo idea di dove stesse la ragione, non sapevo se gli uomini che stavamo combattendo avessero più diritto di Talit ad acquisire il controllo sulla città. Volevo solo che si evitasse un massacro. E volevo salvarmi la vita, o Lina non me lo avrebbe mai perdonato. Non potevo avere sprezzo della morte come mio fratello. Avevo una motivazione troppo forte per continuare a vivere.

Derek parò l’assalto di un soldato che stava per colpirmi alle spalle. Il suo viso si trovò a pochi centimetri dal mio, e per un istante ebbi l’impressione di leggere nei suoi occhi gli stessi sentimenti, la stessa paura e la stessa incomprensione che mi catturavano in quel momento. “E’ necessario, Gourry.” Si limitò tuttavia a sibilare, il suo volto distorto in una smorfia.

Non mi avrebbe ascoltato. Quella consapevolezza parve scivolare come un liquido freddo all’interno del mio corpo, bloccandosi nel mio stomaco. Non mi avrebbe ascoltato, anche se questo avesse significato la fine di tutti noi.

“Derek, non…”

“Molto bene…” Una voce profonda mi interruppe, troncando ogni mia possibile risposta. Levai lo sguardo. Un uomo alto e massiccio, dai capelli rossastri e dalla pelle ambrata, si stava lentamente avvicinando a noi. Non era più giovane, ma mi resi conto immediatamente, dal modo in cui si muoveva, che si trattava di un combattente ancora agile. Camminava in mezzo ai soldati in lotta come mosso da un sovrannaturale sesto senso, che gli permetteva di evitare di essere trascinato nella mischia. “I fratelli Gabriev.” Commentò, parandosi con sicurezza di fronte a noi ed estraendo la spada.. “Era esattamente voi che stavo cercando.”

Io rivolsi lo sguardo a Derek, confuso, cercando di capire se conoscesse il nostro interlocutore. Mio fratello era improvvisamente impallidito.

“Derek?” Cercai di richiamare la sua attenzione, esitante. “Sai chi è quest’uomo?”

Il guerriero vestì una strana smorfia. “Giusto.” Assentì, con fare seccato. “Ho scordato di presentarmi. Sono Meghar, meglio noto come il Re dei Pirati. Suppongo sappiate chi sono, visto che vi siete presi la briga di arrivare fino a qui.”

Derek, per qualche ragione imperscrutabile, mi rivolse un’occhiataccia. “Sappiamo chi sei.” Confermò, tornando a fissare il nostro interlocutore. “Quello che mi chiedo è come tu faccia a sapere chi siamo noi.”

Io sono solito informarmi sui nemici che sto per affrontare.” Replicò il pirata, asciutto. “Soprattutto considerando che, se io e i miei alleati vogliamo superare la fase della guerra e mettere a punto un governo stabile in questa regione, dobbiamo costruirci una base su cui trattare.” Avanzò di un passo. “E’ per questo che voi due, ora, verrete con me. Sono certo che il Lord Gabriev comincerà a riconsiderare la sua tattica, quando alla posta in gioco, per lui, si aggiungeranno un paio di ostaggi.”

“Al diavolo!” Anche Derek brandì la spada di fronte a sé, affrontando il pirata. “Non siamo delle marionette che puoi pensare di manovrare a tuo piacimento!”

“Derek!” Cercai di frenarlo. Mio fratello aveva raccolto la provocazione con eccessivo entusiasmo, per i miei gusti. Non avevo potuto fare a meno di notare che un gruppo di armati ci stava stringendo su due lati, e che parevano attendere solo l’ordine di Meghar, per attaccarci. Il pirata doveva essere un bravo combattente, e credo che si sarebbe volentieri confrontato da solo in duello sia con me che con Derek, in altre circostanze. Ma evidentemente non era un uomo avventato. Non ci avrebbe offerto l’opportunità di un combattimento alla pari, in quel momento, e nemmeno una possibilità di fuga.

“Posso affrontarlo da solo!” Sibilò mio fratello. “Stai indietro, Gourry!”

Ma io avanzai di un passo, senza abbassare la spada. “Temo che non sia una sfida quello che sta cercando…”

Meghar mi rivolse un’occhiata, e per la prima volta un barlume di interesse nei miei confronti balenò nel suo sguardo. “Sembri avere un istinto del tutto peculiare, spadaccino.” Levò la mano sinistra, e i suoi guerrieri presero improvvisamente a stringersi attorno a noi. “Purtroppo, in questo momento non posso onorare la tua abilità con un combattimento leale. Ci sono troppi interessi in gioco.”

Ci ritrovammo accerchiati su tutti i fronti. Anche Derek parve rendersi conto di quanto stava accadendo, perché prese a indietreggiare lentamente, fino a trovarsi con la schiena premuta contro la mia.

“Vedo che avete compreso la situazione.” Dichiarò Meghar, senza particolare sentimento. “Vi prego di considerare il fatto che la vostra resa faciliterà le cose sia a me che a voi.” La sua voce assunse una sfumatura di minaccia. “Soprattutto in considerazione del fatto che non potrei rimproverare i miei uomini se, nella foga della lotta, accadesse qualche spiacevole incidente… in fondo, all’occorrenza, posso accontentarmi anche di un solo ostaggio…”

Battei le palpebre. “Cioè, lascerai andare uno di noi?”

Il palmo della mano di mio fratello mi colpì sulla nuca. “Idiota!” Sibilò. “Intende dire che ucciderà uno di noi, se ce ne sarà bisogno!”

Ahi. Mio fratello aveva ancora meno senso dell’umorismo di mia moglie, in quelle situazioni…

“Puoi anche minacciarti con il tuo intero esercito, per quanto mi riguarda!” Proseguì Derek, rivolto al nostro avversario. “IO non mi farò certo catturare vivo!”

Meghar sorrise. “Allora devo solo sperare che tuo fratello sia più ragionevole di te.” Mormorò, con fare vagamente divertito.

Mi morsi il labbro. Non ero particolarmente entusiasta dei programmi di mio fratello, per la verità. Cercai freneticamente di vagliare le nostre possibili scelte. Se avessimo fatto breccia fra gli uomini di Meghar per allontanarci, certamente il pirata ci avrebbe attesi al varco, con la sua spada. Il che significava che avevamo una sola possibilità: che uno di noi cercasse di tenere a bada il capo, mentre l’altro si faceva strada fra i suoi armati e fuggiva da quel luogo. Chi fosse rimasto sarebbe quasi certamente stato catturato… ma, come Meghar aveva precisato, c’era bisogno di almeno un ostaggio. Il che significava che, almeno per il momento, chi fosse finito nelle mani dei nostri nemici avrebbe avuto salva la vita.

Ma come potevo comunicare la mia idea a mio fratello senza che anche i nostri nemici ci sentissero?

‘Non c’è grande scelta.’

Sospirai. E pensare che, dall’inizio, io non avrei voluto avere niente a che fare con tutta quella faccenda.

“Derek.” Sibilai. Mio fratello volse la testa, con fare seccato, forse aspettandosi un’altra domanda stupida. Io indietreggiai di un passo e gli posi una mano sulla spalla. “Se vuoi davvero aiutare nostro padre… togliti di qui!”

E aiutandomi con un piede, lo spintonai verso i guerrieri che lo fronteggiavano.

Incomprensione, stupore e puro terrore si dipinsero successivamente sul viso di Derek. Mio fratello saltellò e barcollo, agitando le braccia, ma non riuscì a fermarsi. Lo spinsi con tale violenza che soldati, colti di sorpresa, non poterono fare altro che scansarsi.

Fino a che Derek si trovò fuori dalla loro cerchia.

Era una “tattica” particolarmente amata da mia moglie, e di cui per lo più ero io la vittima. Dal momento che si era rivelata efficace in tante occasioni, non vedevo perché non avrei potuto provare a sfruttarla anche io, una volta tanto.

Meghar capì immediatamente le mie intenzioni. Con un grido di rabbia, fece per scagliarsi in direzione di Derek, ma, prima che potesse superarmi, intercettai la sua lama con la mia.

“Scappa!” Gridai nuovamente, rivolto a Derek, stringendo i denti per l’impatto delle braccia possenti del guerriero sulla mia spada. “Da nostro padre!”

Derek era troppo stranito dal mio gesto per obiettare. Avvertii il suo sguardo sulla mia nuca per un momento, ma poi mio fratello scattò verso gli alberi che, dal limitare della sabbia, torreggiavano sulla spiaggia.

“Fermatelo!” Ruggì Meghar, tirando un altro fendente, nel tentativo di farmi sbilanciare. Ma anche gli uomini del pirata erano stati colti troppo di sorpresa per reagire prontamente. Quando scattarono verso mio fratello, Derek era già stato risucchiato dalla mischia dei combattenti.

“Dannazione!” Meghar colpì la mia lama con tanta violenza che dovetti parare con due mani, e rischiai a mia volta di precipitare all’indietro. Il braccio destro, prima dolorante, ora era percorso da uno strano formicolio. L’elsa pareva pronta a sfuggirmi dalle dita ad ogni istante.

Indietreggiando di un passo, fronteggiai il mio avversario. Il suo volto, ora, era una maschera di rabbia.

“La sua fuga non cambia le cose.” Sibilò. “Un ostaggio, come ho detto, è più che sufficiente.”

“Non ho molta altra scelta se non cercare di difendermi, allora…” Osservai, con rassegnazione, sforzandomi di levare la spada. Non mi serviva volgermi per sapere che i suoi uomini, alle mie spalle, stavano avanzando verso di me. Ma forse avevo qualche possibilità di vincere.

Forse.

Sospirai. Avrei dovuto ascoltare con più attenzione, mentre Lina mi parlava dell’importanza dell’ottimismo in battaglia.

***

“E così… anche Amelia è stata presa in ostaggio…”

Sedevamo tutti e quattro, Gray, Bastian, Dorak ed io, attorno a un tavolo, in uno dei salotti privati del palazzo reale di Elmekia. Il servitore che ci aveva accolti era sparito in uno dei corridoi che conducevano agli appartamenti reali, in cerca del sovrano.

Mi rigirai la tazza di tè fra le mani, inquieta. Migliaia di ipotesi si stavano accavallando nella mia mente.

“Appena il re Philionel ha saputo che Lord Samon aveva posto una taglia sulla tua testa, ha immediatamente dato ordine che venisse revocata.” Proseguì Gray, in tono grave. “Lord Samon sosteneva che averti come avversaria, a difesa di Talit, sarebbe stato estremamente pericoloso… ma il mio sovrano gli ha assicurato che, qualsiasi cosa fosse accaduta, non ti saresti mai alleata con chi minacciava sua figlia…”

Mi accigliai. C’era qualcosa che non mi quadrava, in tutta quella faccenda. “Ma siete certi… che Amelia sia realmente nelle mani di Talit…?” Non riuscivo a capacitarmi che Gourry ed io, in due settimane di permanenza alla Perla, non ci fossimo resi conto di nulla…

Le labbra di Gray si strinsero e, forse inconsciamente, il sacerdote abbassò la voce. “In verità anche il mio signore ha dei dubbi.” Dichiarò, cogliendomi di sorpresa. “In fondo, gli uomini incaricati di ricevere la principessa erano i soldati della capitale. Sarebbe stato semplice per loro più che per chiunque altro cogliere di sorpresa la mia signora e la sua scorta…”

Battei le palpebre. “Intendi dire… che potrebbero avere ordito una messinscena per attrarre Sailune dalla propria parte???”

Alzai involontariamente la voce. Bastian mi rivolse un’occhiata nervosa, mentre Dorak continuò ad aggiungere zucchero al suo tè, ostentando indifferenza. In realtà, non avevo capito esattamente che ci facesse ancora con noi. Pensavo che una volta superati i portali del palazzo, se ne sarebbe andato immediatamente per la propria strada. Ma, presa dalle spiegazioni di Gray, non avevo pensato di rivolgergli obiezioni.

“Il re Philionel sospetta qualcosa di simile…” Replicò il sacerdote, con calma. “Non ha certezze, ovviamente, e per dire la verità nemmeno indizi. Lord Samon sa che re Philionel gli ha promesso la sua alleanza solo per via di sua figlia, per questo al momento non sta tirando troppo la corda, con lui.”

“E Phil accetta di combattere al fianco di Elmekia pur avendo di questi sospetti?” Ero stupita. Philionel non era certo tipo da mezze misure. In circostanze come quelle, lo immaginavo dichiarare apertamente i suoi sospetti, piuttosto che accettare di venire manipolato.

“C’è la vita di sua figlia in gioco, mia signora.” Replicò Gray, cupo. “Avere dei messi in pianta stabile qui alla capitale è il mezzo più efficace per fare delle indagini senza essere notato.” Il sacerdote levò la tazza e bevve un sorso di tè. “Senza contare che per il momento la battaglia sembra ancora lontana.”

Lontana? Lo fissai, accigliata. Voleva dire che la notizia della morte di Eriol non era ancora giunta alla capitale?

“Ad ogni modo, mia signora…” Proseguì Gray, prima che potessi rivolgergli qualsiasi domanda. “Sono convinto che re Philionel sarebbe felice di averti alla sua corte, in un momento come questo. Nel giro di qualche giorno dovrò raggiungerlo a Sailune, e se vorrai accompagnarmi nel mio viaggio sarai più che bene accetta.” Mi studiò per un momento. “Anche tuo marito, ovviamente, se è previsto che ti raggiunga. Anzi… mi stavo chiedendo come mai non si trovasse al tuo fianco, come al solito…”

“Lina Inverse.”

Una voce profonda, dalle mie spalle, interruppe la nostra conversazione, impedendomi di rispondergli. Mi volsi. Un uomo aveva fatto il suo ingresso nella stanza. I suoi profondi occhi verdi mi rivelarono immediatamente la sua identità.

Mi levai in piedi. “Lord Samon, suppongo.”

Il nobile si fece avanti, e mi strinse la mano. “Samon.” Replicò. “E dammi del tu. Non siamo davvero in un momento adatto alle formalità.”

Ironicamente, Samon somigliava molto di più alla madre rispetto al fratello. Aveva ereditato i suoi capelli castani, insieme ai lineamenti marcati e al naso aquilino che conferivano a Erianna un aspetto tanto austero. Non si poteva dire che fosse un brutto uomo, ma il suo volto non possedeva di certo il medesimo fascino pulito di quello del fratello.

“Samon…” Ripetei “Credo di doverti ringraziare per…”

“Mia figlia.” L’erede al trono non mi diede il tempo di terminare. “Come sta mia figlia?”

Rimasi per un momento interdetta, di fronte a quello sfoggio di amore paterno. Con un breve gesto, estrassi nuovamente il medaglione da sotto il mio mantello. “Sta bene.” Replicai, cauta. “Mi ha chiesto di darti questo, per farmi riconoscere come amica, qui a palazzo.”

Samon afferrò il medaglione, e se lo rigirò fra le dita. “Livia…” Sussurrò, la voce densa di preoccupazione. “Lei… capisce sempre al volo questo genere di cose. Sarebbe un’ottima regina.”

Spostai il peso da un piede all’altro, a disagio. Quella reazione non leniva certo il mio senso di colpa.

“Qual è il tuo scopo qui alla capitale, Lina Inverse?” Domandò l’erede al trono dopo qualche istante, riacquistando compostezza. Levò lo sguardo dal medaglione e mi fissò attentamente negli occhi. “Per quale motivo mia figlia ti ha inviata qui?”

“Ecco…” Mi resi conto in quel momento che, in effetti, mi ero presentata come messaggera di Livia. “… tua figlia, in realtà, ha semplicemente agito per salvarmi la vita… Anche Talit ha posto una taglia su di me perché… perché mi sono rifiutata di collaborare con loro.” Decisi di glissare sull’accusa di omicidio. Livia o non Livia, dubitavo che Samon potesse trovare felice l’idea di ospitare una potenziale regicida… “Livia mi ha detto che qui mi avreste garantito protezione. Non chiedo tanto, in realtà. Volevo appurare che la taglia sulla mia testa venisse rimossa, ma a quanto pare il problema non sussiste più.” Feci una pausa. “Ho solo bisogno di attendere una persona qui in città, e poi toglierò immediatamente il disturbo.”

“Capisco.” L’erede al trono mi parve deluso. “E… non c’è altro, suppongo…?”

‘Sì, c’è qualcos’altro.’ Me ne resi immediatamente conto. Forse non era solo per assicurare la mia salvezza che Livia mi aveva chiesto di recarmi alla capitale. Se la notizia dell’assassinio del secondo erede al trono non era davvero trapelata al di fuori di Talit…

“In realtà…” Deglutii, incerta sulla reazione che avrei incontrato, e gli rivolsi una lunga occhiata. “… in effetti c’è anche qualcosa di cui Livia probabilmente desiderava che veniste a conoscenza.” Già. C’era una notizia utile che potevo riportare alla corte. Una notizia che di certo avrebbe mutato l’aspetto di quella guerra. “Tuo fratello Eriol… è morto, Samon. Ucciso all’interno del palazzo di Talit.”

Gli occhi dell’erede al trono si spalancarono. Lo vidi vacillare, e per un momento temetti seriamente che sarebbe crollato al suolo. Raggiunse con la mano il retro di una sedia, e la attrasse a sé per sorreggersi.

“Eriol…” Ripeté, incredulo. “… morto…?” Si portò la mano alla fronte. “Non… non riesco a crederci… Ma come… chi…?”

Anche io arretrai verso la sedia, e tornai a sedermi. Cercando qualcosa per distrarmi, afferrai la mia tazza di tè ormai fredda e mi concentrai sul movimento circolare che infrangeva la superficie del liquido.

Dovevo dirgli di Lord Georg? Livia era stata piuttosto sicura delle sue parole… ma dovevo davvero prendermi la responsabilità di rivelargli qualcosa del genere, quando non lo avevo visto con i miei occhi? “Non so come siano andate realmente le cose.” Dichiarai, alla fine. In fondo, non era una completa bugia. “Sono fuggita dalla capitale prima di poter appurare i fatti.”

Ma Samon parve non udire nemmeno le mie parole. “Questo… cambia ogni cosa…” Mormorò, rivolgendosi più a se stesso che alla nostra compagnia. “Mia madre… perché diavolo stiamo ancora combattendo…?”

Non avrei voluto deluderlo, ma avevo idea che la morte di Eriol non avrebbe frenato i combattimenti… anzi, Bastian probabilmente aveva ragione nell’affermare che li avrebbe accelerati. Ma, in fondo, io non avevo titolo per mettere becco nelle questioni belliche. Ed ero certa che l’erede al trono avrebbe saputo compiere valutazioni più appropriate, ragionando da solo e a mente fredda.

“So che non è un buon momento per avere degli estranei in giro per il palazzo.” Azzardai, dopo qualche istante di silenzio, levando gli occhi dalla tazza. “Perciò troverò un alloggio in città. E ce ne andremo di qui il prima possibile.”

Ma l’erede al trono si affrettò a scuotere la testa. “Non se ne parla.” Dichiarò, fermamente. “Gli amici di mia figlia sono anche miei amici. Non so chi stai attendendo, Lina, ma le porte del mio palazzo rimarranno aperte per te finché non ti avrà raggiunto. Per lo più, so che sei una buona amica del re Philionel. Farei un torto al mio alleato, mettendoti alla porta dopo un viaggio tanto lungo.”

Quella generosità mi mise immediatamente sulla difensiva. Mio marito avrebbe detto che ero troppo diffidente, ma l’esperienza, purtroppo, tendeva a darmi ragione. D’altra parte, non mi trovavo nella posizione di rifiutare. Avevo davvero bisogno di restare a Elmekia, finché Gourry non mi avesse raggiunta. Non era un buon momento per inimicarmi il futuro sovrano.

“Grazie… infinite.” Replicai alla fine, cauta.

Samon annuì. Si levò in piedi e attese fino a che tutti non lo avemmo imitato. “Seguitemi.” Ci invitò. “Vi affiderò tutti alle cure di uno dei miei servitori.”

Cercai con lo sguardo Bastian e Dorak, incerta su quali fossero le loro intenzioni a quel punto. Tuttavia, prima che riuscissi a cogliere la loro espressione, un’altra figura fece il suo ingresso nella stanza.

E un improvviso, involontario brivido mi scese lungo la schiena.

A giudicare dalle vesti, si trattava di un mago. Un uomo apparentemente normale, alto, dal naso aquilino e dai lineamenti sottili. Il volto esile era incorniciato da lunghi capelli neri, che gli oscuravano parzialmente lo sguardo, conferendogli un’aria dimessa. Ma alla sua semplice vista, il mio istinto iniziò a gridare.

“Mio signore.” Esordì l’uomo, la voce bassa, quasi un sibilo. “Chiedo scusa per l’interruzione. Il messaggero che è giunto poco fa… sono venuto a riferirvi il contenuto della sua missiva…”

Samon si arrestò sui suoi passi e batté le palpebre di fronte al nuovo venuto, quasi, perso nei suoi pensieri, stentasse a riconoscerlo. “Oh… già, avevo finito per dimenticarmene.” Ci lanciò un’occhiata. “Bé… attendi solo che io disponga dei miei ospiti, e…”

“In realtà, mio signore…” Lo interruppe il mago. “Credo che la notizia che devo riportarvi possa interessare anche ad alcune delle persone qui presenti.” Il suo sguardo si spostò su Gray, ma, nel percorso, si soffermò per un istante su di me. Dovetti deglutire. Era una sensazione assolutamente irrazionale, ma… quell’uomo mi dava l’idea di essere estremamente potente… e pericoloso. Doveva trattarsi di uno degli esperti di magia nera di cui Bastian aveva parlato a Gourry e me, all’inizio del nostro viaggio.

Anche Samon si volse verso il sacerdote di Sailune, come realizzando improvvisamente la sua presenza. “Già…” Assentì. “Qualsiasi notizia sulla guerra riguarda anche re Philionel.”

“Notizie positive, in questo caso, mio signore.” Proseguì il mago, atono. “A quanto pare, le truppe del nemico hanno subito una sconfitta.”

“Una sconfitta?” Samon parve stupito. Evidentemente, di qualunque battaglia si fosse trattato, i suoi soldati non ne avevano avuto parte.

“Da parte della flotta di Meghar, mio signore. Nell’ovest.”

Avevo sentito parlare di Meghar. Bé, ovviamente. Sono figlia di mercanti, e il pirata era noto, fra la gente del mestiere (dovrei aggiungere che è un personaggio famoso a Elmekia, e che mio marito è di Elmekia. Ma, conoscendo Gourry, se gli avessi menzionato Meghar mi avrebbe chiesto se era il protagonista di qualche saga romanzesca…). In ogni caso, se un personaggio potente come lui era implicato nella guerra, significava che la situazione si stava decisamente complicando…

“Mio signore?” Proseguì il mago, di fronte al silenzio dell’erede al trono. “Ritenete che sia il caso di approfittare del momento per portare avanti l’offensiva?”

Il volto di Samon era scuro, la sua fronte luccicava di sudore. “Fa’ radunare il concilio, Mardoc.” Dichiarò infine. “Ho appena appreso anche di altri importanti cambiamenti nell’andamento della guerra. Ho bisogno di consultarmi con i miei lord.”

L’uomo chiamato Mardoc si inchinò brevemente. “Come mi ordinate, mio signore.”

Ma prima che il mago potesse uscire dalla stanza, il principe lo bloccò. “Aspetta, Mardoc.” Intimò, grave. “Il messaggero ti ha detto chi guidava l’offensiva?”

“Sì, mio signore.” Replicò l’uomo, asciutto. “Il Lord Gabriev, della roccaforte di Lyria. Insieme ai suoi due figli.”

Mi parve che lo stomaco mi risalisse improvvisamente alla gola. I suoi due figli? I suoi due figli?

Gli occhi di Bastian cercarono immediatamente i miei, ma ero troppo atterrita per volgere lo sguardo verso di lui. Continuai a fissare il mago, incapace anche solo di aprire le labbra per espirare. Non era possibile. Gourry doveva essere in viaggio verso la capitale. Che diavolo ci faceva in battaglia, dall’altra parte del regno?

“Capisco.” Replicò Samon, con inopportuna calma. “A quanto pare, i pesci piccoli sono stati mandati allo sbaraglio.”

Quell’affermazione di certo non contribuì a migliorare il mio umore. Mi affrettai a farmi avanti di un passo, prima che il mago uscisse dalla stanza.

“Dove?” Sibilai. “Dove ha avuto luogo la battaglia?”

Sulle labbra di Mardoc si disegnò un breve sorriso.

“A Rolan.” Replicò, in un sussurro.

Sapevo la risposta ancora prima di avergli rivolto la domanda.

***

Diverse ore dopo, mi trovavo su una delle terrazze che si aprivano sul fianco del palazzo reale e dominavano l’intera città. Il sole era già calato, e della sua luce restava solo una sottile striscia arancio, che infiammava l’orizzonte. Il vento freddo mi sferzava il volto, fastidiosamente. Ma non era sufficiente a indurmi a rientrare. Avevo bisogno della sua forza, perché mi tenesse sveglia. Era stata una lunga giornata, ma avevo ancora bisogno di pensare.

“Allora, hai deciso che cosa fare?”

La voce di Bastian risuonò alle mie spalle. Mentre Dorak era sparito da ore, il cavaliere mi era rimasto appresso tutto il pomeriggio, come un’ombra. Avevo cercato rifugio su quel balcone, dopo la cena, ma evidentemente non era stato sufficiente a liberarmi dal suo tormento.

“Che cosa vuoi che faccia?” Replicai, secca. “Ho forse scelta?”

Rolan era il posto in cui meno avrei avuto voglia di recarmi in quel momento. Lontano dal confine, nel cuore della guerra, con un assassino pronto ad accogliermi a braccia aperte… Ma non potevo abbandonare Gourry. Quello era fuori da ogni discussione.

Bastian mi si affiancò. “Andare fino a Rolan, con la ribellione dei pirati in corso… Sir Gabriev non vorrebbe che tu compissi un gesto tanto avventato.”

“Mio marito sarà libero di comunicarmi tutti i suoi voleri, una volta che sarò andata a tirarlo fuori dai guai.” Gli rivolsi un’occhiata in tralice. “Ti conviene non sprecare fiato per fermarmi, Bastian. E men che meno cercare di farlo con la forza. Potresti pentirtene.” Ero troppo preoccupata per mio marito per essere anche arrabbiata con lui per il pasticcio in cui era andato a cacciarsi. Almeno in quel momento. Ma nessuno mi impediva di rifarmi su Bastian.

Il cavaliere si limitò a emettere un sospiro. “Non sono tanto sciocco da provare a fermarti, Lina. Sto solo pensando che mi toccherà venire con te.”

No.

No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, no!

“Bastian…”

“Non ho intenzione di lasciare il mio lavoro a metà.” Sentenziò il cavaliere. “Non posso pensare di aver fatto tutta questa fatica solo per mandarti a essere uccisa sul campo di battaglia.”

“Ma io mi muovo meglio da sola!”

“Non ho intenzione di intralciarti in alcun modo.” Mi affrontò, con irritante calma. “E in ogni caso, il Lord Gabriev si trova laggiù. Perciò è lì che mi dovrei recare, anche se avessi concluso il mio compito con te.”

Il cavaliere sembrava irremovibile. Io potei solo emettere un sospiro. “Fai come preferisci.” Replicai, in un sibilo irritato. “Ma dovrai attenerti alle mie decisioni. Se mi sentirò frenata in qualsiasi modo dalla tua presenza, ognuno se ne andrà per la sua strada.”

Bastian si strinse nelle spalle. “Mi sta bene.” Acconsentì. “Tutto quello che mi interessa è poter considerare saldato il mio debito.”

Restammo in silenzio per alcuni lunghi istanti. Quindi, Bastian si avvicinò cautamente alla balaustra cui ero appoggiata. “Lina…” Esordì, con un po’ di titubanza.

“Mm.”

“Temi… che Sir Gabriev sia… morto?”

Mi volsi verso di lui, stupita di quella domanda. Stava… cercando di imbastire un discorso consolatorio? Perché, se era così, andava tanto contro la sua natura da farmi quasi venire i brividi…

“No!” Risposi, senza nemmeno pensarci. “Che ti salta in mente???”

Bastian fu evidentemente colto di sorpresa dalla mia sicurezza. Indietreggiò di un passo, e mi guardò come se si aspettasse, da un momento all’altro, che scoppiassi in una crisi isterica. “Bé…” Esordì. “Quel mago non ha saputo dirci nulla della sorte degli ufficiali degli sconfitti… immagino che…”

“Gourry è perfettamente in grado di badare a se stesso.” Lo interruppi, ferma. “Non può essersi lasciato uccidere in una stupida battaglia con uno stupido pirata. Non lo crederei nemmeno se quel Mardoc mi avesse dato la sua parola che è accaduto.” Sapevo che Gourry era vivo e mi stava aspettando. Non potevo spiegarlo esattamente a Bastian. Era una sensazione quasi viscerale.

“Ma…”

“QUESTO è lo spirito giusto, piccola.” Una voce sgradevole interruppe la nostra conversazione. “Ecco perché pendo costantemente dalle tue labbra…” Fantastico. Mancava solo lui, per rendere definitivamente orribile la mia serata.

“Dorak…” Sospirai. “Pensavo che ti fossi tolto definitivamente dai piedi…” Tornai a fissare il panorama, cercando di ignorare gli occhi di Bastian, che sprizzavano scintille.

Il messaggero degli Enu avanzò dall’ombra, e mi rivolse un ampio sorriso. “Come sei crudele, piccola… e io che mi sono affrettato a portare a termine i miei doveri qui alla capitale, fremendo per tornare dalla luce dei miei occhi…” Protese le dita, cercando di raggiungere ancora una volta la mia spalla.

Scivolai lontano dalla balaustra, e dalle sue mani invadenti. “Grandioso.” Replicai, in tono piatto. “Ora beati di questa visione, guerriero, dal momento che sarà l’ultima volta che potrai goderne.”

Feci per rientrare, ma Dorak scoppiò in una sonora risata e intercettò i miei passi verso la sala da pranzo.“So di darti una gioia, tesoro, nel dirti che in realtà vedrò il tuo bel visino ancora molto a lungo.” Dichiarò. “Anch’io sto andando nell’ovest.”

“Nell’ovest?” Fu Bastian a rispondere per me, sospettoso. “E che affari dovresti mai portare a termine, laggiù?”

Dorak assunse un’aria misteriosa, che poco gli si addiceva. “Vi avevo pur detto che il mio viaggio non si sarebbe fermato alla capitale.” Replicò, semplicemente.

Al nostro silenzio, il guerriero vestì l’ennesimo, ampio sorriso. “Rallegratevi.” Intimò. “Tre persone sono meglio di due quando c’è da combattere, giusto?”

Il volto di Bastian si oscurò ulteriormente. Io levai gli occhi alle luci delle stelle che cominciavano a tempestare il cielo, cercando di scordarmi per un momento dei miei compagni di viaggio. Non meritavo anch’io un po’ di pace, una buona volta?

Avete indovinato: un’altra domanda a cui non è il caso di rispondere.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Dei

Dopo BEN due mesi, ho partorito questo nuovo capitolo…XD E’ stato un periodo un po’ impegnativo e la mia ispirazione alla scrittura rasentava lo zero (o forse mi sentivo in colpa per ciò che dovevo scrivere…XDDD), ma finalmente eccomi qua! Spero ricordiate ancora la storia, e soprattutto che abbiate ancora voglia di andare avanti…^^’ In ogni caso, i commenti sono come sempre graditi! ^^

Buona lettura, e (speriamo XD) a presto!

Dei.

Esisteva forse qualcosa di più simile alla morte?

Mi sollevai dalla mia posizione riversa sul pitale, la bocca ricolma di quell’orribile sapore acido, gli occhi lucidi per le lacrime involontarie procurate dai conati.

Avevo scoperto di non essere il tipo di persona adatta alla vita sul mare.

“Mio giovane guerriero… mi deludi immensamente. So che voi delle steppe non siete gente di mare, ma ridursi in queste condizioni per un paio di onde mi pare davvero degno di una donnicciola.”

“Un paio… di onde…?”

Erano SEI GIORNI che la tempesta proseguiva ininterrotta. E viverla interamente sottocoperta, in una cabina di due metri per due, non era precisamente il metodo migliore per combattere la nausea.

“In alto mare accade molto di peggio. Devi ritenerti fortunato a trovarti vicino alla costa.”

Meghar incombeva su di me, e sembrava assolutamente imperturbato dalla violenza dei movimenti che anche in quel momento scuotevano la nave. Io avevo le mani libere, e avrei potuto gettarmi all’attacco in quel preciso istante, se lo avessi desiderato, ma in quelle condizioni il corpulento pirata non avrebbe avuto nemmeno bisogno di estrarre la spada. Mi avrebbe spezzato il collo a mani nude come un fuscello, e avrebbe gettato il mio corpo deperito in pasto ai gabbiani.

“Non mi stupisce che tuo padre non abbia fretta di riaverti, assistendo a questo spettacolo.” Infierì il pirata. “Abbiamo deciso di trasferirti in una carcere in terraferma, prima che tu decida di morire di inedia e di seppellirci sotto le tue secrezioni corporee.” Fece un passo in avanti. “Quindi su con la vita, giovane. Da oggi il mondo ti sembrerà più bello.”

“Perché non mi uccidete e basta?” Riuscii a mormorare, la voce impastata. “Ormai mi sembra chiaro che mio padre non ha intenzione di trattare. E quindi a che scopo tenermi ancora prigioniero?”

Il signore del mare si accigliò. “Non essere sciocco, Gabriev. E non trattare me come un predatore assetato di sangue e senza cervello. Ho prestato le mie navi nelle guerre che si sono combattute una decina di anni fa qui a Elmekia e so perfettamente come vanno queste cose. Non si cede mai alla prima offerta, per la liberazione di un ostaggio.” Si avvicinò a me, e mi afferrò con violenza per il braccio. “In più, non è detto che tu non possa essere una fonte di guadagno sotto altri fronti.” Mi trascinò in piedi, sorreggendomi con tutto il mio peso, mentre avanzavo barcollando.

“Che… che cosa vuoi dire?” Riuscii a balbettare.

“Voglio dire che ho preso qualche informazione su di te e ho scoperto in effetti che le tue frequentazioni sono piuttosto interessanti…”

Non capivo, ma non avevo la forza di porre ulteriori domande. Il braccio destro mi pulsava, e la mia mente era annebbiata. Non avevo ricevuto un cattivo trattamento, ma erano giorni che il mio stomaco non riusciva a trattenere più nulla di quello che ingoiavo. Vivere in quelle condizioni avrebbe messo fuori gioco un leone.

Fuori dalla cabina, trovai due armati ad attendermi. Sorretto da entrambi e preceduto da Meghar, raggiunsi il ponte della nave, il vascello lungo e snello chiamato ‘Folgore’, che il pirata in persona guidava nel corso delle sue scorrerie. Il cielo all’esterno era plumbeo e il mare appariva tempestoso. Per un momento, non fui nemmeno certo dell’ora esatta del giorno in cui ci trovavamo.

“Attraccheremo a Isbam.” Spiegò Meghar, scrutando l’orizzonte. “Si tratta di una delle isole che da più tempo si trovano sotto il mio controllo. Non c’è fortezza più sicura, qui sul mare.”

Non replicai. Mi appoggiai al parapetto, godendo del sollievo portatomi dall’aria gelida, e osservando la terra che progressivamente si avvicinava. Aggirammo l’isola, affrontando le alte onde, sino a raggiungere una baia riparata. Laggiù si stendevano i moli di un piccolo porto. Numerose navi erano attraccate, al riparo dalla tempesta. Nonostante il vento freddo, e le pungenti raffiche di pioggia che sferzavano la costa a ogni folata, l’insenatura sembrava brulicante di persone. Mentre i marinai di Meghar gettavano l’ancora, ebbi il tempo di far scorrere lo sguardo sul porto, e intravidi un’umanità varia di cui nei miei viaggi con Lina avevo quasi scordato l’esistenza. Mercanti che esponevano pesce e molluschi sui loro carretti e bancarelle, prostitute, scaricatori a caccia di ingaggi presso le numerose navi dei trasportatori, pescatori e cacciatori di mammiferi marini fermi ai moli nell’attesa che la tempesta si placasse. Ripensai a quando avevo viaggiato in quelle terre nel corso della guerra, ai mercenari della mia squadra, che nell’assolata estate di Elmekia avevano percorso simili moli e cercato la compagnia di simili prostitute, mentre veleggiavamo verso il nord. Mi sembrava che fossero trascorsi mille anni, da allora.

Mentre attendevamo di sbarcare, il mio stomaco progressivamente si assestò. Tuttavia, non ebbi la forza di oppormi, quando gli uomini di Meghar mi legarono le mani dietro la schiena, e presero a spingermi verso la terraferma. Mi lasciai trascinare sul molo, temendo che trovarmi in mezzo alla folla avrebbe risvegliato il mio malessere. Fortunatamente, non ce ne fu il tempo. Una carrozza di nero mogano ci attendeva ai piedi della nave. Venni premuto dentro a forza, seguito a ruota da Meghar. E la corsa iniziò, prima che potessi realizzare realmente di essermi trovato nuovamente all’aria aperta.

“Dove… dove stiamo andando?” Ebbi la forza di domandare, abbandonandomi in un angolo della scomoda panca in legno che occupava l’abitacolo. Le cortine erano tirate, e ci trovavamo avvolti da una cupa penombra. Nonostante il freddo dell’esterno, l’atmosfera era vagamente soffocante.

“Non è necessario che tu lo sappia.” Meghar si appoggiò allo schienale della panca dirimpetto alla mia, traendosi il fodero della spada in grembo, come a monito nei miei confronti. “E ora rilassati. Ci vorrà un po’ di tempo.”

Sospirai, rassegnandomi a non porre altre domande. Poggiai la mia testa dolorante alla parete della carrozza e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dall’oscillare dell’abitacolo in risposta al rapido sfrecciare delle ruote sul terreno sconnesso. Presto, persi la cognizione del tempo che passava. Poteva essere trascorsa un’ora quando ci fermammo. Fui risvegliato dal mio torpore dal vento gelido, che mi sferzò la pelle, non appena Meghar tirò le cortine della carrozza. Fuori, l’oscurità del tramonto stava lentamente avendo la meglio sul grigiore diffuso del pomeriggio. Le nuvole si addensavano nere all’orizzonte, schermando alla vista il rosso del sole calante.

Rabbrividii, al vento freddo. Un tempo avevo indossato il pesante mantello bianco delle guardie di mio padre, ma dopo la mia cattura era andato perduto, forse rivenduto dai pirati, insieme alla mia spada. No, non la mia spada. La spada che mi aveva regalato Lina era da qualche parte, nei miei appartamenti, a Rolan. Stupidamente, continuavo a preoccuparmi del fatto che non avrei più potuto recuperarla, se la città fosse caduta.

“Muoviti.” Un soldato mi venne incontro, afferrando la manica della mia tunica logora e trascinandomi fuori dalla carrozza. Battei le palpebre, spaesato di fronte al mutamento nel panorama. Ci trovavamo su un’altura, da cui si dominava il mare per chilometri. In lontananza, intravedevo il porto a cui eravamo attraccati, circondato da un modesto abitato, ma il territorio dell’isola era per la maggior parte ricoperto da vegetazione selvaggia. Alle mie spalle, oltre la carrozza, si ergeva una fortezza dalle mura massicce e dall’aspetto sinistro, con le finestre tanto strette da sembrare feritoie.

“Un tempo era usata come carcere.” Spiegò Meghar, uscendo dalla carrozza al mio seguito. “Ora è una delle nostre basi. Ma, all’occorrenza, può tornare utile per il suo scopo originario.”

Rimasi a bocca aperta, osservando la tetra maestosità di quella costruzione. Un luogo del genere era pressoché inavvicinabile, per un estraneo. Per quanto tempo sarei dovuto rimanere in quel luogo?

“Non preoccuparti, signorino, avrai delle stanze confortevoli.” Meghar mi spinse verso gli spessi portali in legno, che si stavano lentamente aprendo di fronte a noi. “Non siamo abituati a fare prigionieri, ma i pochi ostaggi che abbiamo sono preziosi, e vengono trattati degnamente.”

Mi lasciai trascinare all’interno delle mura, osservando a bocca aperta i camminamenti e gli spalti, ricolmi di armati. Vivendo recluso in una nave non me ne ero reso pienamente conto, ma Meghar aveva un vero e proprio esercito a propria disposizione. Re dei pirati… non si trattava di una definizione vuota…

“Mi sembri stupito, Gabriev.” Mi apostrofò il pirata, mentre percorrevamo, scortati da due guardie, l’ampia via lastricata che dalle mura conduceva all’edificio delle carceri. “Un uomo del continente non si sarebbe mai aspettato nulla del genere, immagino…”

No, non me lo sarei aspettato. Mi chiesi se mio padre avesse realmente idea di contro chi stesse combattendo. Se non si illudesse ancora di trovarsi con un gruppo disorganizzato di razziatori, che ambivano unicamente al controllo dei mari.

‘Mi toglierò mai da questo pasticcio?’

Lina mi sembrava così assurdamente lontana, in quel momento… che cosa avrebbe ordinato mio padre per lei, ora che io non potevo essergli utile?

“Appena sarai nei tuoi appartamenti, potrai dormire e darti una ripulita. Ma prima, c’è qualcuno che sono certo sarà estremamente felice di vederti.”

Lo fissai, con fare interrogativo, ma non ottenetti altre spiegazioni. Il pirata mi fece condurre all’interno dell’edificio, e lungo una infinita serie di gradini al suo interno. Le mie ginocchia erano molli, e salire livello dopo livello mi sembrava una tortura. Fra spinte e imprecazioni, venni trascinato a quello che doveva essere il terzo o quarto piano, e da lì attraverso un dedalo di corridoi spogli e corrosi dalle infiltrazioni, in cui persi completamente l’orientamento. Attraverso le finestre prive di vetri, mi resi conto che all’esterno era ormai calata la notte. Ma, in fondo, sarebbe bastato il mio corpo ad avvertirlo. Non ero affamato, non mi ero ancora ripreso a sufficienza per esserlo. Ma tutto ciò che desideravo in quel momento era abbandonarmi al suolo, e dormire per giorni.

“Ci siamo, Gabriev.” Meghar e i suoi soldati mi bloccarono di fronte a una tarlata porta di legno scuro. Un armato si piegò a liberarmi le mani, mentre l’altro avanzò, ed estrasse un grosso mazzo di chiavi dalla propria cappa. Lo rigirò per qualche istante, cercando evidentemente la chiave giusta, quindi prese ad armeggiare con la serratura arrugginita. All’interno della stanza, udii il rumore di una sedia che veniva bruscamente spostata. Chiunque la abitasse, doveva essersi accorto che qualcuno stava per entrare.

La porta si aprì, e io venni spinto in avanti. Prima ancora di poter registrare l’ambiente che mi circondava, venni investito da una piacevole ondata di calore. Nei corridoi, le finestre aperte lasciavano entrare il vento gelido dell’esterno, ma nella stanza un fuoco vivo scoppiettava nel camino, proiettando le sue ombre cremisi sul baldacchino, sul ricco mobilio e sugli arazzi consumati dal tempo. A terra, morbidi tappeti si allungavano a coprire l’intera superficie del pavimento, schermandolo dal gelo della dura pietra.

Una sistemazione decisamente adatta a una principessa.

“Gourry- san???”

La stanchezza improvvisamente parve sparire dal mio corpo, sopraffatta dallo stupore. Amelia e io restammo immobili a fissarci per diversi istanti, prima che uno di noi due si decidesse a reagire. E mentre la accoglievo fra le mie braccia, nella foga del suo abbraccio, mi scordai persino del racconto di Sylphiel, e di chiedermi cosa ci facesse la principessa in quel luogo. In fondo, potevo perdermi per qualche istante nella gioia di trovare un volto amico.

Anche se, in quel momento, erano color rubino gli occhi che avrei tanto voluto incontrare.

***

L’aria sapeva di salmastro, fra i pini umidi di pioggia. Il percorso era impervio, ogni passo intralciato dagli arbusti che avevano invaso lo stretto sentiero acquitrinoso. Camminavamo lenti, fermandoci a ogni metro per liberare i mantelli dai rami o per aggirare le pozze d’acqua che intralciavano la via.

Purtroppo, si trattava dell’unica strada praticabile. Oltre le alte dune al di là dei pini, la marea si stava progressivamente alzando e la sabbia era ridotta a una scura fanghiglia, una potenziale trappola per il viaggiatore incauto. E muoversi nell’entroterra poteva rivelarsi ancor più pericoloso. Nell’area della capitale la guerra sembrava non essere mai scoppiata, ma in quella regione i segni dei combattimenti erano più che evidenti. I signori del mare avevano trasformato in fortezze le città in cui si erano insediati e fatto terra bruciata di tutti i terreni intorno. I gruppi di soldati battevano incessantemente le strade principali, abbandonate dalla popolazione civile a un rapido e inesorabile decadimento. Nella campagna, si incontravano solo abitazioni sventrate, filari di alberi da frutto devastati, granai smessi. Le saline normalmente brulicanti di lavoratori erano un panorama di desolazione e le alte case su palafitte dei pescatori erano vuote dei propri abitanti, le barche ridotte a un cumulo di assi inutilmente tirate in secca, le reti divelte e abbandonate alla furia degli elementi. La Strada delle Perle, legata al celeberrimo artigianato di Elmekia, era solo un susseguirsi di botteghe vuote, di porte e finestre lasciate aperte e scosse dalla furia del vento.

Avevamo scelto di percorrere sentieri secondari per evitare di essere fermati e interrogati dai guerrieri di Talit, ma ne avevamo ricavato l’assillo dei gruppi di banditi. Eravamo stati aggrediti tante di quelle volte che avevo perso il conto dei capobanda sbruffoni che avevo fatto saltare in aria. I miei due compagni di viaggio ormai avevano rinunciato a intervenire in quel genere di penosi teatrini quotidiani. Non che non ci avessero provato. Ma, da quando avevo inavvertitamente appiccato fuoco al mantello di Bastian, i due guerrieri parevano aver concluso che fosse sufficientemente virile e onorevole restare a osservarmi combattere a distanza di sicurezza…

Sospirai, scrollando il mantello. Era pesante e bagnato, nonostante da diverse ore avesse cessato di piovere. L’umidità permeava l’aria, condensandosi in sottili gocce che dal cappuccio mi ricadevano sulla frangia, arruffandola e appiccicandola alla mia fronte.

“Dorak…” Sibilai, soffocando un’imprecazione nello schivare l’ennesimo ramo sul mio percorso. “Sei certo che stiamo andando nella direzione giusta?”

Già. DORAK. Ecco chi era la grande mente a cui ci stavamo affidando per raggiungere la nostra destinazione.

“Rilassati, piccola. Ho la situazione pienamente sotto controllo.”

‘Grandioso. Ora sì che sono terrorizzata.’

Quel giorno ci eravamo persi per ben tre volte. In tutti e tre i casi dopo che Dorak aveva pronunciato quelle esatte parole.

Bastian, di fronte a me, sbuffò. “Hai almeno deciso cosa fare una volta arrivati alla città?” Mugugnò, senza voltarsi.

Anche quella domanda, quel giorno, mi era stata rivolta in più e più occasioni. Ma, per l’ennesima volta, finsi di non aver sentito.

Sulla via verso Rolan, ci eravamo fermati in diversi villaggi e fattorie, per raccogliere informazioni sull’andamento della guerra. A quanto pareva, le truppe guidate da Edward Gabriev avevano subito una grossa sconfitta sulla costa a nord di Rolan, ma la città aveva resistito all’assalto. Questo da un lato mi confortava. Mi auguravo che il padre di Gourry non avesse mandato il proprio stesso figlio allo sbaraglio, e che mio marito in quel momento si trovasse al sicuro fra le mura della città, insieme agli armati che stavano riorganizzando le truppe di Talit. D’altra parte, se le cose stavano davvero a quel modo, non avevo la più pallida idea di come avrei fatto a raggiungerlo. La taglia sulla mia testa non era ancora stata cancellata, e, se davvero era stato complice della morte di Eriol, Lord Gabriev era fra le persone che più avevano da guadagnare dalla mia eliminazione. Se avesse avuto modo di mettermi le mani addosso, non avrebbe commesso per la seconda volta l’errore di attendere una esecuzione formale.

Bastian pareva molto meno incerto di me sul da farsi. Dopo una breve discussione, il cavaliere era giunto alla conclusione di dovere entrare a Rolan da solo, per cercare di mettersi in contatto con Gourry. Se fossimo riusciti a imbastire una storia sufficientemente credibile per giustificare le sue settimane di assenza, il cavaliere probabilmente sarebbe stato in grado di muoversi nella cerchia degli uomini di Talit senza destare sospetti e di convincerlo a raggiungerci al di fuori delle mura cittadine.

Più pensavo a quel piano e più mi sembrava sensato. Ma più lo trovavo sensato e meno ero convinta di volerlo attuare. Lasciare che Bastian entrasse a Rolan da solo avrebbe implicato mettermi totalmente nelle sue mani. Se il cavaliere mi avesse denunciata, mi sarei ritrovata accerchiata dai soldati di Lord Gabriev prima ancora di poter pensare a una via di fuga. E se anche fossi riuscita a scappare da un eventuale attacco, in quel modo avrei compromesso definitivamente ogni possibilità di raggiungere Gourry senza rendere nota la mia presenza nella regione. Continuavo a ripetermi che Bastian non sarebbe arrivato sino a quel punto se non avesse avuto realmente intenzione di aiutarmi. Ma se ci fosse stato uno schema dietro il suo comportamento, qualche insospettabile piano che non ero stata in grado di calcolare? Sentivo di viaggiare sul ciglio di una china estremamente ripida. Come potevo fidarmi di lui in un momento così delicato?

“Lina… sii ragionevole, non c’è altra scelta.” Il tono di Bastian era pedante. Il cavaliere non pareva contento della mia titubanza. Non a giudicare dall’insistenza con cui tornava sulla questione.

“Non sono convinta che sia una buona idea separarci, ecco tutto.” Tagliai corto. Certo, per una che fino a due settimane prima insisteva per muoversi da sola, si trattava di una scusa credibilissima.

Bastian si degnò di rivolgermi una breve occhiata. “Non mi dire. Devo dedurre che dopo l’ultima banda di banditi sterminata hai deciso che ti senti insicura delle tue capacità, oppure che ti sei improvvisamente innamorata perdutamente di me?”

Meraviglioso. Evidentemente la mia compagnia potrebbe infondere il senso dell’umorismo a una pietra.

Ma Bastian non stava sorridendo. Incassò la mia occhiataccia senza battere ciglio. Se non lo avessi conosciuto, avrei potuto pensare che fosse seccato dalla mia diffidenza.

“Dammi una buona ragione per fidarmi.” Replicai alla fine, irritata.

“Non posso.” Replicò il cavaliere, secco. “Chi è poco sicuro della propria onestà inevitabilmente dubiterà di quella altrui.”

La mia mascella si strinse. “Non rigirare la frittata, Bastian!” Sibilai. “Qualsiasi persona sana di mente eviterebbe di fidarsi! Devo ricordarti che il tuo ex capo aspetta solo che io metta piede in città per farmi la pelle???”

Il cavaliere levò un sopracciglio. “Seriamente, Lina, tu ti reputi sana di mente?”

D’accordo. Evidentemente Bastian non desiderava vedere l’alba del giorno successivo.

“Lina, tesoro.” Una voce giunse dalle mie spalle, frenando momentaneamente i miei istinti omicidi. “Nessuno più di me gradirebbe assistere all’esecuzione del signor senza macchia, qui, ma ho idea che dovresti dare un’occhiata di fronte a te.”

Battei le palpebre. Discutendo con Bastian, avevo momentaneamente perso la cognizione del paesaggio. Lanciai un’occhiata oltre le spalle del cavaliere, sul sentiero che si dipanava di fronte a me. A qualche decina di metri di distanza, i pini si aprivano, permettendo allo sguardo di allargarsi, in lontananza, sul panorama di una ampia baia, popolata di navi. Il porto di Rolan.

Mi fermai sui miei passi, e dovetti deglutire. Al di là dei moli e del fitto agglomerato degli edifici, si intravedeva l’altura su cui era arroccata la parte alta della città, lievemente spostata nell’entroterra e stagliata contro il cielo plumbeo. La cittadella era circondata da mura grigie e solide, e sui suoi quattro angoli svettavano come sentinelle torri dall’aspetto squadrato e minaccioso, da cui certamente si dominava il paesaggio circostante per chilometri.

“Lo vedi perché ti dico che non c’è altra soluzione?” Mormorò Bastian, intuendo i miei pensieri. “Ora che nessuno viaggia più per via della guerra, non c’è modo che tre estranei si avvicinino alla città, da qualsiasi direzione, senza venire avvistati prima di raggiungere le mura.”

Dorak ci si affiancò. “Non che la cosa mi riguardi, tesoro, ma mi sa che stavolta ha ragione lui.”

Incrociai le braccia al petto, e gli rivolsi un’occhiataccia. “Già. Mi piacerebbe davvero capire cosa ti riguarda in tutta questa faccenda, faccia di bronzo.” Dorak, in quel momento, aveva l’unica colpa di avere ragione. Ma il guerriero incassò l’accusa col consueto sorrisetto.

Bastian si schiarì la voce. “In ogni caso.” Intervenne, secco. “Da qui anche tu te ne accorgeresti, se qualcuno si avvicinasse dalla città. Se anche meditassi di tradirti, non sarei in grado di sorprenderti.”

“Mmm.”

“Se Dorak e io ci muoviamo ora, posso essere qui entro il tramonto. Se non ci vedrai tornare, vorrà dire che è accaduto qualcosa, e che devi pensare a un piano alternativo per raggiungere la città.”

“Dorak e io?” Il messaggero degli Enu intervenne, aggrottando la fronte. “Cosa ti fa pensare che abbia intenzione di venire con te, cavaliere?”

A quella domanda, il volto di Bastian si fece scuro. “Avevi detto di avere degli affari da sbrigare a Rolan.” Replicò, in tono duro.

“Ho detto di avere degli affari da sbrigare qui nell’ovest. Ma queste questioni non devono necessariamente riguardare Rolan, ti pare?”

Bastian fece un passo in avanti, trovandosi faccia a faccia con Dorak. “Credi davvero che ti lasci giocare con me?” Lo afferrò per il mantello, attirando il suo volto a pochi centimetri dal proprio. “Non mi fido di te.” Sibilò.

Mi accigliai. “Ehi, ehi.” Mi avvicinai, cercando di interpormi fra i due uomini. “Non mi pare il momento più adatto per fare sfoggio della vostra virile propensione alla rissa.”

(E no, io non sono propensa alla rissa, d’accordo???)

Bastian non si mosse. “Se vuole restare qui, è perché ha in mente qualcosa. Quest’uomo finge di essere un idiota solo perché gli conviene farlo.”

Oh, grazie, Bastian, per avere illuminato sulle vie del mondo questa povera ingenua che si fida ciecamente degli altri.

“Non ha detto che vuole fermarsi qui.” Replicai, con un sospiro. “E per quanto questo individuo si trasformi in una sanguisuga in presenza di qualsiasi essere di sembianze femminili, dubito che la mia presenza sia sufficiente ad allontanarlo dai suoi scopi originari.”

“Eh?” I miei due compagni di viaggio, per una volta, parlarono all’unisono. Entrambi si volsero a guardarmi, Dorak con fare perplesso, Bastian fissandomi come se fossi improvvisamente impazzita.

Io sospirai, nuovamente. “Ci ho pensato molto, durante il viaggio. Intendo al motivo per cui ha deciso di seguirci.” Occhieggiai Dorak, incrociando le braccia al petto. “Inizialmente credevo che fosse diretto dal governatore di Rolan, dal momento che il suo Signore ha offerto la propria alleanza a Erianna…” A quella frase, gli occhi di entrambi i miei interlocutori si spalancarono. “… Ma non riuscivo a capire a che scopo inviarlo quaggiù, a meno che ovviamente voi due nemici giurati, qui, non foste segretamente alleati per fregare la sottoscritta…” Bastian aprì la bocca per protestare, ma io non gliene diedi il tempo. “Per cui… l’unica conclusione alternativa a cui sono riuscita a giungere è che sia venuto sin qui per ottenere un’udienza con Meghar… in fondo, visto l’amore che i suoi concittadini hanno manifestato nei confronti di Talit, non mi stupirei più di tanto se gli Enu stessero facendo il doppio gioco…”

L’espressione Bastian divenne una maschera di stupore. Dorak, invece, sembrava semplicemente divertito. Il sorriso che lo aveva accompagnato lungo tutto il tragitto si allargò per l’ennesima volta sul suo volto squadrato. “Dove hai avuto tutte queste informazioni?” Domandò, in tono curioso.

Sorrisi, a mia volta. “Ho aguzzato un po’ le orecchie qua e là.”

“Mm.” Dorak annuì. “E lo sai vero, piccola, che dovrei ucciderti, ora, per assicurarmi del tuo silenzio?”

Bastian tornò a fissarlo con rabbia, a quelle parole. Io, però, non mi allarmai eccessivamente. “Se lo desideri, non hai che da provarci. Ma considerando che non c’entro nulla, con la vostra stupida guerra, e che non ho la minima intenzione di lasciarmene coinvolgere ulteriormente, suppongo che sarebbe saggio per entrambi andare ognuno per la propria strada, senza inutili spargimenti di sangue.”

Dorak sorrise, nuovamente. “Suppongo di sì.” Fece un passo indietro, scrollandosi dalla presa di Bastian. “Mi spiace, tesoro. Avrei volentieri viaggiato ancora con te. Ma non è detto che non ci si riveda, prima o poi.”

Mi sorpassò, avviandosi verso la baia. Io sospirai. Mi chiedevo se l’ultima frase dovesse suonare come una minaccia.

La rabbia di Bastian, di fronte a me, mutò in sconcerto. “Non riesco a credere che tu lo abbia lasciato andare così!!!” Sibilò, quando Dorak fu sparito, al di là degli alberi.

“E che cosa avrei dovuto fare?” Replicai, aggrottando la fronte. “Tu potrai anche avere qualche questione personale in sospeso con lui, ma io no, e che tu ci creda o meno preferisco evitare di venire alle mani, se non è necessario. Soprattutto se farlo significa inimicarmi anche gli Enu.” Sbuffai. “Ci sono già troppe persone che hanno un buon motivo per uccidermi, in questa faccenda.”

Bastian si accigliò. “Immagino che sia superfluo farti notare che talvolta il proprio onore vale più del proprio tornaconto personale…”

“Onore, eh?” Lo squadrai, irritata. “E lasciarlo andare sarebbe disonorevole perché…? Perché mi ha omesso la verità, forse? Bé, cavaliere, sono anni che ho a che fare con gente che mi omette la verità, e se il mio orgoglio ne risultasse ferito ogni volta a questo punto non sarei più in grado di guardarmi allo specchio.” Bastian cercò di replicare, ma ancora una volta non glielo permisi. “Oppure dovrei fermarlo perché lui e il suo popolo stanno tradendo Talit? Perché se non lo avessi capito, Bastian, non me ne importa un fico secco di Talit e di che ne sarà di questa guerra. E, per quanto ne so, gli Enu non hanno subito dai tuoi signori un trattamento tale da essergli debitori di imperitura lealtà.”

“CREDI FORSE CHE NON LO SAPPIA???” Bastian fece un passo in avanti, rosso in volto per una rabbia che trovai del tutto immotivata. “Non è di questo che stavo parlando!!! Se per una dannata volta scendessi da quel tuo piedistallo di saccenza e arroganza forse lo capiresti anche da sola!!!”

Co…? “SACCENZA???” Avanzai anch’io di un passo, sino a trovarmi faccia a faccia con lui. “CHI è saccente? Chi, signor ‘tutto ciò che non conosco e mi spaventa è il male supremo’???”

“Stai insinuando che sono spaventato dalla magia???”

“Sì!!! E ti dirò che tutta questa ostilità repressa nei miei confronti comincia a stancarmi!!!”

“Ma se sto solo cercando di aiutarti!!!”

Restammo in silenzio per qualche istante, squadrandoci con manifesto odio. Per diversi secondi, fui certa che Bastian sarebbe esploso e avrebbe cercato di strozzarmi. Ma, alla fine, fu proprio lui ad arretrare.

“Non ha importanza.” Dichiarò, la voce ancora tremante di rabbia. “Se quell’uomo ti creerà dei problemi, un giorno, allora ti renderai conto che avevo ragione io.” Arretrò, bruscamente, e mi diede le spalle. “Stiamo perdendo tempo. Se non mi muovo, scatterà il coprifuoco, e non riuscirò più a entrare in città.” Si avviò verso la fine del sentiero, senza lasciarmi il tempo di ribattere.

Scrollai le spalle, rassegnata ad affidarmi al suo piano. “Hai pensato a cosa dire al Lord Gabriev per giustificare la tua presenza?” Domandai, cercando di produrre un tono pacato.

Bastian non si voltò. “Gli dirò la verità.” Replicò, asciutto. “Che ho assistito alla tua fuga… e che per tutto questo tempo ti sono rimasto alle costole.” Senza aggiungere altro, uscì dalla macchia di alberi, e si avviò lungo il sentiero che conduceva alla città.

Con un sospiro, mi abbandonai su un vecchio tronco a lato del sentiero, e rimasi ad osservare la sua sagoma che rimpiccioliva in lontananza. Mi innervosiva rimanere ferma senza far nulla, mentre altri agivano per me. L’immobilità mi faceva pensare a tutto quello che poteva andare storto, a come quel piano facesse effettivamente acqua da tutte le parti. Ma c’era poco da fare.

‘Fa’ che ritorni con Gourry, e che questa dannata faccenda finisca.’

Da quando eravamo partiti dalla capitale, un’ansia insostenibile era cresciuta giorno dopo giorno nel mio stomaco. Non era solo la preoccupazione nei confronti di Gourry. La presenza dei miei compagni di viaggio per qualche motivo mi innervosiva. E non ne potevo più di trascorrere giorno e notte a guardarmi le spalle.

Mi strinsi nel mantello e, non potendo fare altro, attesi. Attesi, fino a che non ebbi l’impressione che le dita delle mie mani e dei miei piedi stessero per sgretolarsi a causa del gelo. Quando cominciai ad avere troppo freddo per rimanere seduta, iniziai a percorrere a grandi passi lo stretto spazio del sentiero, tenendo costantemente d’occhio il panorama. Quando il cielo oltre le nubi prese a farsi scuro, mi chiesi se Bastian sarebbe mai tornato. Se quel luogo era pericoloso di giorno, lo diventava mille volte di più di notte. In più, avrei avuto difficoltà ad avvistare qualcuno che si muoveva verso di me, una volta calato il buio.

La campagna era ormai quasi totalmente avvolta nell’oscurità, quando scorsi finalmente le figure che si avvicinavano. Non le distinsi immediatamente, fra le lunghe ombre che si contorcevano, in risposta al vento, sul panorama della baia. Solo quando furono sufficientemente vicine da trovarsi a portata della mia voce, riconobbi la chioma bionda di Bastian, che si stagliava nel buio.

Il mio cuore, fino a un istante prima stretto nell’attesa, prese improvvisamente a rimbalzarmi in gola. Mi riparai dietro a un tronco, cercando di inquadrare chi lo accompagnava. Insieme a lui parevano esserci altre due persone, ma entrambe le figure erano incappucciate, e non riuscivo a distinguere i loro lineamenti. Uno di loro era mio marito? Lord Gabriev aveva voluto inviare qualcuno a sorvegliare il suo sottoposto?

O era semplicemente tutta una trappola?

‘Al diavolo!’

Ero troppo tesa per essere anche prudente. Uscii allo scoperto, scivolando oltre la protezione degli alberi, e andando loro incontro sul sentiero.

Le tre figure si arrestarono, non appena sbucai alla loro vista. Per qualche istante, restammo immobili a fissarci, l’aria satura del suono del vento e del rumore lontano della risacca. La luna era alta alle mie spalle, e riuscii a distinguere più chiaramente le sagome delle due figure incappucciate. Una era esile, e rimaneva in disparte, quasi timorosa di affrontarmi. L’altra era massiccia quanto quella di Bastian e precedeva i due compagni, con una baldanza quasi arrogante.

Non avevo bisogno di vederli in volto. Nessuno di quegli uomini era Gourry. Quando lo realizzai, fui investita da un’ondata cupa di delusione.

“Lina Inverse?” La figura incappucciata, dalle larghe spalle, fece un altro passo in avanti. “Sei tu, laggiù?”

Anche io avanzai, lentamente. “E questo come devo interpretarlo, Bastian?” Ignorai la domanda, rivolgendomi al cavaliere. “Perché hai condotto qui proprio lui?”

Derek. Invece di Gourry, il mio compagno di viaggio aveva evidentemente pensato che fosse saggio presentarmi di fronte suo fratello. Peccato che quell’uomo detestasse mio marito, e che avesse mentito insieme a suo padre per farmi arrestare, quando ero stata accusata dell’uccisione di Eriol.

“Lina, aspetta prima di…” Bastian cercò di spiegarsi, ma non ebbe il tempo di terminare. La figura che sino a quel momento era rimasta in disparte si fece avanti, e con uno scatto improvviso si gettò verso di me.

“Cos…???”

“Lina- san!!!”

La giovane donna gettò le braccia attorno al mio collo, prima che io potessi reagire in qualsiasi modo. Il cappuccio le scivolò dalle spalle, spargendo al vento i suoi lunghi capelli color mogano.

“Sylphiel???”

“Lina-san!” La sacerdotessa mi strinse, sino quasi a strozzarmi. “Lina-san, grazie al cielo stai bene! Ma è terribile! Gourry-san…”

Il cuore mi balzò improvvisamente in gola. La allontanai, stringendola per le spalle, per cercare il suo sguardo. “Cosa gli è successo?”

“E’ stato catturato.” Fu Bastian a rispondere, quieto, raggiungendoci insieme a Derek. “E’ vivo, però, perciò non allarmarti. Ti spiegheremo non appena ci saremo tolti di qui. Questo posto è decisamente troppo esposto per darsi alle chiacchiere.”

Ma io non mi mossi. “Non vado da nessuna parte, se non sono certa di potermi fidare.” Osservai, fredda, occhieggiando Derek. “Spiegami che ci fa lui qui.”

Bastian emise un sospiro. “Se dobbiamo attendere la tua piena fiducia, Lina, ho idea che non ci muoveremo di qui prima della prossima luna.” Replicò, caustico. “Se ti basta una ragionevole rassicurazione, posso dire che anche lui è deciso a collaborare con te per aiutare tuo marito, esattamente come tutti gli altri presenti.”

Mi accigliai. “Non mi dire.” Rivolsi a Derek un’occhiata sprezzante. “Facendo le scarpe al paparino?”

Il fratello di Gourry fece una smorfia, e mi diede l’impressione di essere sul punto di rispondermi a tono. Sylphiel, tuttavia, lo precedette. Si afferrò con fermezza alle mie braccia e mi fissò con fare supplichevole. “Dice la verità.” Mi assicurò, la voce tremante. “E’ vero che fra lui e Gourry-san non corre buon sangue, ma… fidati di me, Lina-san. Per favore.”

“Mio fratello si è fatto catturare a causa mia.” Intervenne Derek, scuro in volto. Sembrava che faticasse, a pronunciare quelle parole. “Mio padre non vorrebbe che mi trovassi qui… ma questa faccenda riguarda solo me e Gourry. Non voglio avere debiti con lui.”

Inutile dire che non ero convinta. Mi fidavo di Sylphiel, ma temevo che, con la vita di Gourry in gioco, la sua capacità di giudizio non fosse la stessa di sempre.

‘Non le rendo giustizia. In realtà, l’ultima volta che Gourry si è trovato nei guai, l’unica a perdere la testa sono stata io.’

Mi accigliai. “E sia. Troviamo un posto in cui accamparci, e poi mi spiegherete meglio che cosa sta succedendo.”

Ebbi la netta impressione di scorgere Bastian tirare un sospiro di sollievo.

Scovammo una radura sufficientemente riparata nel bosco di pini che avevamo attraversato. Accendemmo un piccolo falò, per creare un cerchio di luce che ci difendesse dagli animali selvatici e dagli agguati dei banditi. C’era il rischio che il fumo venisse avvistato dalla città, ma confidammo nella notte, che ormai si era fatta scura attorno a noi, trasformando il cielo in un nero lago di inchiostro. In alto, lontana fra le cime degli alberi, si intravedeva la sagoma sfocata della luna piena. Il manto delle stelle, tuttavia, era totalmente ricoperto dalle nubi.

Scoprii, grata, che Derek e Sylphiel avevano portato con loro delle provviste. Nelle fattorie lungo la strada eravamo stati in grado di procurarci uova, formaggio e latte, e talvolta persino pane, carne sotto sale e pomodori. Da quando eravamo entrati nella zona dei combattimenti, però, quei beni erano diventati più rari dell’oro. Le locande erano abbandonate, e nei villaggi saccheggiati dai signori del mare non restava più nulla di commestibile. Dorak, Bastian ed io avevamo esaurito le scorte portate dalla capitale in breve tempo, e da allora eravamo sopravvissuti pescando, e preparando insipide zuppe con i prodotti che ci offriva il sottobosco. A detta di Bastian, avrei dovuto provare il rancio che gli veniva servito di solito quando era in viaggio con le truppe del Lord Gabriev, prima di lamentarmi. Ma io non ero decisamente un soldato, e se quella sera mi fossi trovata di fronte un altro piatto di pesce arrostito probabilmente mi sarei messa a urlare.

“Quindi… Gourry sarebbe nelle mani dei signori del mare…” Osservai, cupa, rigirandomi fra le dita uno spiedino di carne semi-consumato.

Derek mi aveva raccontato della battaglia sulla spiaggia, e del modo in cui Gourry lo aveva tolto dai guai, facendosi catturare. Dopo essere sfuggito a Meghar, Derek aveva ordinato immediatamente la ritirata, e gli uomini che erano sopravvissuti al massacro avevano riparato a Rolan, pressati alle spalle dalle truppe del pirata. Il signore dei mari, però, non aveva attaccato la città. Forse era consapevole che le truppe di Lord Gabriev arroccate laggiù avrebbero resistito, e aveva ritenuto, per quel giorno, di avere ottenuto vittorie sufficienti. Da quel momento, comunque, aveva tentato pressantemente di dare via a una trattativa con Rolan. Ma Edward Gabriev era stato sordo a ogni richiesta. Derek temeva che la vita di Gourry ci sarebbe andata di mezzo per causa sua. Per questo, aveva accettato di seguire Bastian per cercare di aiutare il fratello.

“Ho avuto la fortuna di incontrare Bastian fuori dalle mura.” Dichiarò Derek, scuro in volto. “Stavo uscendo dalla città insieme a un gruppo di esploratori, per andare a controllare come procedeva la manutenzione delle fortificazioni sul tratto di costa che è ancora sotto il nostro controllo. Credevo volesse conferire con mio padre in merito a…” Esitò. “Bé, a qualche missione che gli era stata affidata. Per questo, sono rimasto stupito quando mi ha domandato dove si trovasse mio fratello. E il mio stupore è aumentato di fronte al suo sconcerto, quando gli ho detto che era stato catturato.” Scagliò un pezzo di corteccia umida nel fuoco, osservandola mentre prendeva lentamente fuoco, sollevando una piccola nube di fumo. “Non lo so nemmeno io perché lo ho fatto. Ho mandato avanti gli esploratori da soli, e gli ho chiesto se voleva aiutarmi a salvare Gourry. E’ una assurda iniziativa personale, e mio padre si infurierà quando lo scoprirà. Ma in fondo non sto mettendo in pericolo nessuno, salvo me stesso. E’ una decisione che spetta unicamente a me.”

“A quel punto ho dovuto raccontargli di te, Lina.” Si intromise Bastian. “Se avesse minacciato di denunciarti, sarei stato costretto a combattere contro di lui. Ma alla fine siamo giunti a un compromesso.”

Mi accigliai. “Vale a dire?”

Il cavaliere fissò lo sguardo sul fuoco. “Vale a dire che manterrò i miei propositi originari. Finita questa faccenda, mi presenterò di fronte al mio signore, rimettendomi alla saggezza del suo giudizio. Il mio signore potrà trovare soddisfazione con me, e Sir Gabriev potrà proseguire per la propria strada, giusta o sbagliata che sia.” Scandì quelle parole lentamente, senza guardarmi in volto.

Il suo atteggiamento sprezzante riuscì per l’ennesima volta a irritarmi. Mi rivolsi a Derek, il tono della mia voce tagliente. “Ma non mi dire. E il Lord Gabriev non si irriterà quando scoprirà che proprio il suo fidato figlio ha impedito che la mia condanna a morte venisse eseguita?”

Il guerriero mi parve disturbato da quella domanda. “Ero presente quando hai parlato con mio padre, mentre Eriol veniva ucciso. Mio padre ne è consapevole, ed è consapevole degli insegnamenti che lui stesso ha scelto di inculcarmi.” Replicò semplicemente, in tono nervoso. A quanto pareva, quella doveva essere una spiegazione sufficiente.

Esitai, per un istante. “Capisco.” Concessi alla fine, con un sospiro. “Ma Sylphiel cosa c’entra in tutto questo?”

“Mi trovavo anch’io a Rolan, presso le truppe dei Gabriev.” Fu la sacerdotessa a rispondermi, in tono pacato. “Derek- san mi ha fatta chiamare prima di muoversi. Bastian-san pensava che non ti saresti fidata, se loro due fossero venuti sino a qui da soli.” Tacque, per un istante. “Ma, a prescindere da questo, voglio dare il mio contributo per aiutare Gourry- san. Puoi contare sul nostro aiuto, Lina-san. Conoscevo la famiglia di Bastian-san, era una delle più onorate e rispettabili della aristocrazia di Sailarg. E ti posso assicurare che le intenzioni di Derek- san sono sincere. In questi giorni era preoccupato quanto me.”

“Non è questione di preoccupazione.” Tagliò corto Derek. “Non mi fraintendere, Lina Inverse. Se speri che questo gesto sia una dichiarazione di benevolenza nei tuoi confronti, o un segno di perdono verso mio fratello, ti sbagli di grosso. Ho vissuto anni di rabbia, per colpa sua, e a prescindere dalla volontà di mio padre tutto ciò che desidero ora è che se ne vada con te e non si presenti più di fronte ai miei occhi.” Esitò, per un istante. “Gli devo la vita, e un Gabriev onora i suoi debiti. In più, non potrei sopportare che il sangue del mio sangue morisse per causa mia. Ma se dopo averti ritrovata deciderà, come credo, di rinunciare a ogni legame con i Gabriev, non potrò dirmi che sollevato. Anche se mio padre non lo accetterà mai.”

Lina Inverse. Quasi mi mancava, il mio nome pronunciato a quel modo. Mi chiedevo se Bastian non avesse imparato a ricordarmi a quel modo proprio presso i Gabriev… “Immagino che conti il risultato, più delle intenzioni.” Dichiarai, cauta. “Almeno per me.” Gourry sarebbe stato meno felice di quelle dichiarazioni. Il tono di Derek non era stato quello di qualcuno che cerca di negare l’evidenza. La sua voce era colma di spassionato risentimento nei confronti di Gourry. Ma dovevo salvare la vita di mio marito, prima di pensare ai suoi sentimenti. “Bè, suppongo che domani mattina potremo pensare a un piano per cercare di tirare Gourry fuori dai guai.” Sospirai. “Ora però voglio solo dormire per qualche ora. E’ stata una lunga giornata.” Mi levai in piedi, per preparare il mio giaciglio.

“Monto io la guardia per primo.” Annuì Bastian, alzandosi a sua volta.

Derek lo imitò. Solo Sylphiel non si mosse. Continuò a fissarmi dall’angolo in cui era seduta, l’aria incerta, come se considerasse quella conversazione ancora sospesa.

Per un po’, semplicemente la ignorai. So che può suonare freddo, ma dopo giorni di cammino con i piedi nel fango e con i nervi a fior di pelle trovavo vagamente angosciante l’idea di una discussione introspettiva e melodrammatica come quelle a cui spesso la sacerdotessa mi costringeva. Avevo voglia solo di cercare riparo dall’umidità al di sotto di una coperta, e di fingere per qualche ora di dormire in un letto caldo, a fianco di Gourry.

Con un sospiro, mi avvicinai al fuoco, e mi accinsi distrattamente a radunare nella mia borsa da viaggio gli oggetti che avevo abbandonato lì accanto. Le gemme e le monete che avevo portato via ai banditi pesavano nella sacca, perciò presi lentamente a trasferirle nel mio mantello, per lasciare spazio al coltello, alla tazza e a tutti gli altri oggetti di cui avrei avuto un più immediato bisogno durante il viaggio. Feci del mio meglio per svuotare la mente e annullarmi in quanto stavo facendo. Dopo un paio di minuti, tuttavia, lo sguardo della sacerdotessa si fece troppo insistente per essere evitato.

“Dovresti prepararti anche tu per la notte, Syplhiel.” Osservai, stancamente, senza levare gli occhi dal lavoro.

“Non mi hai chiesto perché ho raggiunto Gourry-san.” Mormorò la sacerdotessa, abbassando finalmente lo sguardo.

Mi arrestai, la mano affondata nella borsa, e tacqui. Sylphiel attese per qualche istante, quindi riprese, in un basso sibilo. “Cercavo entrambi, in verità. Sono giunta fino a Talit e poi ho seguito Gourry-san sino a qui.” Tornò a sollevare lo sguardo su di me. “Dopo che vi ho coinvolti in tutto questo, pensavo che desiderassi almeno conoscere…”

“Sylphiel.” La interruppi. Levai il viso, per incontrare il suo volto pallido. “Tu… senti il bisogno di darmi questa giustificazione?”

La sacerdotessa batté le palpebre. “N… non è che ne senta il bisogno… ma credevo che…”

“Bé, nemmeno io. Quello che è stato è stato. Ora pensiamo a salvare Gourry, d’accordo?”

Le dita di Sylphiel si strinsero attorno al suo mantello. “M… ma… quella lettera che vi ho inviato… Gourry- san mi ha detto che tu sospettavi che…”

“Sylphiel, non ha importanza. Ti conosco. So che qualsiasi cosa avessi in mente era fatta a fin di bene.”

Lo sapevo. Lo sapevo che c’era una buona ragione. C’era SEMPRE una buona ragione, quando si trattava di Syplhiel. Ero io quella che agiva senza pensare, in base unicamente ai propri desideri e impulsi.

La sacerdotessa tacque. Io continuai a ordinare le mie cose, senza più guardarla in volto. Solo quando ebbi terminato di svuotare la borsa tornai a levare lo sguardo, e mi resi conto che i suoi occhi non mi avevano ancora abbandonato.

Quando i nostri sguardi si incontrarono nuovamente, la sacerdotessa parve esitare. Ma, dopo un istante, mi rivolse un debole sorriso. “Questa risposta mi ha un po’ sorpreso.” Mormorò. “Un tempo mi avresti sottoposto a un terzo grado. Però in fondo è normale. Sei cresciuta. E anche Gourry- san.” Abbassò lo sguardo. “Io invece ho l’impressione di essere sempre la stessa di quando ti ho incontrata. Continuo a comportarmi allo stesso modo, e a desiderare le stesse cose. Siete tutti più forti di me. Forse la mia debolezza mi farà annaspare fra le mie ambizioni irrealizzabili per tutta la vita.”

Rimasi a osservarla, colpita dal suo tono di voce rassegnato. Abbassai lentamente la mia sacca da viaggio al suolo, dimenticandomi in un istante degli oggetti che fino a un attimo prima avevo tanto alacremente pensato a sistemare. “Non dire sciocchezze, Sylphiel.” Replicai, ferma. “Tu non sei affatto debole. Hai dovuto affrontare esperienze che avrebbero potuto distruggerti,e invece ne sei uscita fortificata.” La fissai in volto. “Guardati. Stai portando avanti la ricostruzione della tua città da sola. Se io fossi stata al tuo posto, probabilmente, sarei fuggita il più lontano possibile da Sailarg, per evitare di pensare al passato.”

“Il motivo per cui cerco di ricostruire Sailarg, Lina- san, è precisamente che non riesco a staccarmi dal passato.” La replica di Sylphiel fu amara. “Mi illudo che anche la mia vita di un tempo tornerà, insieme agli edifici di quella città morta. Ma ovviamente questo non potrà mai accadere. E probabilmente sarebbe più saggio desistere da questo progetto assurdo. In fondo a nessuno importa più di Sailarg, tutti la considerano solo una città maledetta.”

Tacqui, non sapendo cosa risponderle. Alle mie spalle, Derek sbadigliò sonoramente, e prese a stendere il proprio giaciglio al limitare del cerchio di luce del fuoco. Bastian sedeva dalla parte opposta del piccolo accampamento, apparentemente intento a scrutare nella notte.

“Forse… ciò che conta è che sia importante per te.” Replicai alla fine, a mezza voce. “Io non ho proprio idea di quale sia la strada giusta da percorrere per vivere, Sylphiel. Sempre che ci sia una sola strada. Io vado avanti giorno per giorno, e probabilmente se mi fermassi a chiedermi dove tutto questo mi sta portando sarei priva di risposte esattamente quanto lo sei tu.” Mi morsi il labbro. “Ciò che so è che per essere felice ho bisogno della mia magia… che e ho bisogno di Gourry. Ma mi ci sono voluti anni anche solo per ammettere una cosa così semplice.” Mi torsi le mani in grembo, sentendomi improvvisamente stupidamente imbarazzata. “Forse in questo momento ciò di cui tu hai bisogno è un progetto, come la ricostruzione di Sailarg. Se occupartene ti da forza, chi può permettersi di giudicare le tue motivazioni?”

Abbassai gli occhi. Ero una codarda. Sapevo perfettamente a cosa Sylphiel si riferiva, quando diceva che i suoi desideri erano gli stessi del passato. Ma non potevo affrontare quel discorso, in quel momento. Non potevo sentirmi in colpa per il fatto di avere Gourry, anche se avevo ottenuto senza far nulla ciò che qualcun altro tanto disperatamente desiderava… e anche se quel qualcuno lo meritava probabilmente più di me.

La sacerdotessa dovette rendersi conto del mio imbarazzo, perché venne in mio soccorso. “Forse hai ragione, Lina- san.” Dichiarò, in un sibilo. “Scusami, io…” Esitò. “… io ti ho tenuta sveglia con i miei discorsi, quando è evidente che sei stanca e preoccupata. Andiamo a dormire. Sono certa che domani riusciremo ad aiutare Gourry- san.” Il suo tono di voce era neutro. Ma era evidente che non era ciò che avrebbe voluto dire.

“Mi… mi sembra una buona idea.” Mi levai in piedi, e mi trovai a rabbrividire al vento gelido che soffiava fra gli alberi. “Finirò domattina di radunare queste cose. Ora ho solo bisogno del mio giaciglio.” Mi resi conto, con la coda dell’occhio, che Bastian mi stava fissando. Tuttavia, per qualche motivo, in quel momento non avevo voglia di incrociare il suo sguardo.

Raggiunsi un angolo dell’accampamento in cui una coltre di aghi di pino forniva un riparo dal terriccio umido, e vi stesi la spessa coperta di cui mi servivo come materasso. Mi tolsi velocemente gli stivali e mi rannicchiai al riparo dal freddo, dall’umidità e dallo sguardo dei miei compagni di viaggio.

E fui grata alle tenebre del sonno, quando calarono a catturarmi.

Non doveva essere trascorso molto tempo, quando mi ridestai. Aprii gli occhi lentamente, e mi trovai, disorientata, a fronteggiare un diffuso bagliore. Battei le palpebre per qualche istante, prima di rendermi conto che stavo fissando il fuoco. Appena me ne resi conto, come per un incanto, l’odore di legna bruciata mi permeò le narici, mischiandosi al sentore di umidità che ristagnava nell’aria.

Rimasi immobile, fissando le fiamme, e chiedendomi che cosa mi avesse svegliato. Dovevo aver sognato, ma in quel momento non riuscivo a ricordare cosa. Non un incubo, piuttosto un sogno bizzarro. Mi sentivo stordita, e l’ansia che mi aveva attanagliato lo stomaco durante il giorno era come ovattata.

“Ssst. Buona. Sveglierai tutti.”

Aggrottai la fronte, confusa e infastidita dal suono di quella voce. Avrei voluto riaddormentarmi, cullata dai miei pensieri, e invece mi trovai a levare lo sguardo dal fuoco, per capire chi li avesse interrotti.

La prima cosa che colsi, al di là delle fiamme, fu una chioma bionda. Dovevo essere ancora confusa dal mio sogno, perché ci misi qualche istante a elaborare quanto i miei occhi avevano registrato. Ma quando lo feci, il mio cuore ebbe un tuffo. Mi levai a sedere di scatto, improvvisamente completamente sveglia.

“Gou…!?!”

Mi bloccai a mezza frase, trovandomi a fronteggiare l’espressione perplessa di Bastian. La sorpresa era stata tanta, che per un momento potei solo restare immobile, rispondendo al suo sguardo, con un’aria che doveva apparire estremamente idiota.

“Lina?”

La luce del fuoco mi aveva giocato uno scherzo. I riflessi dorati delle fiamme avevano creato un alone attorno alla figura del cavaliere, che aveva dato vita per un momento all’illusione che mio marito si trovasse di fronte a me.

Le aspettative scemarono, lasciando spazio alla delusione e a un irrazionale sentimento di collera. Avrei voluto dare sfogo a quei sentimenti, ma li ricacciai a forza in fondo alla gola. Non volevo apparire ancora più sciocca di quanto mi sentissi in quel momento.

“Lina… ti senti bene?”

Il cavaliere era seduto sul tronco d’albero su cui lo avevo lasciato quando mi ero addormentata. Era avvolto nella sua cappa scura, e un pesante guanto di cuoio da falconiere era stretto attorno al suo braccio destro.

Evitai di rispondere alla sua domanda. “Non lo avevi mai fatto avvicinare…” Osservai. “… non durante il giorno, almeno.” La mia voce suonava roca.

Il falco mi fissava, dal braccio del cavaliere. I suoi occhi penetranti erano attenti a ogni mia mossa.

“Non sono io che non la faccio avvicinare.” Replicò Bastian. “E’ che non le piacciono gli estranei, soprattutto quando è lontana dal suo solito ambiente.”

“Le?” Quindi, doveva essere un falco femmina. Non avevo idea di come si facesse a capire la differenza, in effetti.

Scivolai fuori dal mio giaciglio, levandomi lentamente in piedi. Sylphiel e Derek si trovavano agli angoli dell’accampamento, e sembravano profondamente addormentati. La notte era un pozzo di buio silenzio.

“E non puoi coprirle gli occhi con quella specie di cappuccio che usano i falconieri?” Chiesi, avvicinandomi con cautela, per non spaventarla.

Le labbra di Bastian si inarcarono lievemente. Mi resi conto che non mi era capitato spesso di vederlo sorridere.

“Non ho interesse a perdere un dito.” Dichiarò, in tono stranamente quieto. “Questa bestia è una testa calda.”

“Eppure sembra tranquilla.” Mi sedetti al fianco del cavaliere e, senza pensarci, allungai le dita ad accarezzare la testa dell’animale. La bestia non reagì. Continuò a studiarmi, gli occhi intelligenti che muovevano rapidamente dai miei occhi alla mia mano.

Bastian si accigliò. “Una testa calda e infida.” Sibilò. “Io ci ho messo giorni prima di riuscire ad accarezzarla.”

Per qualche motivo, quell’osservazione mi divertì. “Si vede che non sei granché come addestratore.” Osservai, in tono leggero, ritirando la mano.

Bastian levò il braccio, e il falco si alzò nel buio, scomparendo fra i rami dei pini. “Non l’ho addestrata.” Replicò, tranquillamente. “Non è come con i falchi che mi affidava il Lord Gabriev. Lei mi segue solo perché desidera farlo.”

Rimasi in silenzio per qualche istante, fissando il luogo in cui la bestia era sparita e ponderando le sue parole. “Un po’ come i draghi.” Mi trovai a osservare infine, abbassando distrattamente gli occhi sul fuoco.

Bastian, il cui sguardo avevo avvertito sul mio volto sino a un istante prima, distolse velocemente gli occhi. “Ti intendi di draghi?” Domandò, in tono neutro, fissando a sua volta le fiamme.

“Me ne intendo abbastanza da sapere che non sono esseri propensi a piegarsi ai capricci degli esseri umani.” Feci una pausa. “E poi… da quanto ho sentito in giro al villaggio degli Enu, i draghi che si sono alleati con Erianna vivevano nelle steppe da secoli, nella più totale indipendenza. Difficile, quindi, che si siano trasformati improvvisamente in docili animali domestici. Ma non c’è bisogno che te lo dica, giusto?”

Il corpo di Bastian, a pochi centimetri dal mio, si irrigidì all’improvviso. “Non so di che parli.” La sua voce, che quella sera mi era apparsa stranamente calda, era tornata improvvisamente distaccata.

Mi accigliai. “Andiamo, Bastian.” Lo incalzai. “Quando ci siamo fermati al villaggio, sembravi conoscere bene le usanze degli Enu e il loro governatore. E tutto l’astio che provi per Dorak… Non mi venire a dire che non hai frequentato assiduamente quel luogo, in passato:” Cercai il suo sguardo. “Sentendoti parlare di quel falco, ne ho avuto la conferma. Mi pareva di risentire Sybil mentre parlava del rapporto che gli Enu hanno con i loro falchi e i loro cani da caccia”

“Sybil.” Mormorò Bastian, lanciandomi un’occhiata sfuggente. “E’ come pensavo, quindi. Ecco dov’eri sparita, quel pomeriggio.” Spezzò un rametto abbandonato al suolo con il piede, e lo calciò verso il fuoco. “E’ stata lei a dirti dell’alleanza che gli Enu hanno proposto a Erianna, immagino. Se il governatore lo sapesse, si arrabbierebbe a morte.” Il suo sguardo si abbassò sulle punte dei propri stivali, affondate nel terriccio umido.

“Non è una notizia di grande importanza, nelle mie mani.” Replicai, come dato di fatto. “Ma dal tuo stupore di oggi pomeriggio devo dedurre che anche tu non ne sapevi nulla.”

Bastian si accigliò.“E’ da un po’ che non ho a che fare con gli Enu. Non ho idea di quali siano i loro progetti.” Esitò, per un istante. “Il fatto è che il loro villaggio si trova vicino alla tenuta del mio signore. Lord Gabriev è uno fra i vassalli incaricati della riscossione dei loro tributi e del controllo sull’operato del governatore e sui commerci condotti dal villaggio. Perciò capitava di frequente che mi recassi presso di loro, o che qualcuno di loro fosse accolto a udienza nella tenuta del mio signore.” Raggiunse con le dita i lacci del guanto di cuoio, e se lo sfilò lentamente. “Dorak era inviato di frequente da noi come messaggero, e talvolta gli è capitato di svolgere degli incarichi per il Lord Gabriev come mercenario. E’ stato persino il suo boia..” Mosse il braccio, stirandolo. “Quello è un mestiere che qui a Elmekia è visto come impuro. Solo i reietti se ne occupano. Ma gli Enu non hanno molte risorse di sopravvivenza. E gli scrupoli non fanno guadagnare più del più infimo degli incarichi.”

Aggrottai la fronte, incuriosita. “Ed è per questo che non ti piacciono?”

Bastian si volse a osservarmi, accigliato. “Di cosa parli?”

“Non mi parevi particolarmente felice di tornare al villaggio degli Enu. Forse un integerrimo cavaliere come te era degradato dalla loro compagnia?”

Il volto di Bastian, che fino a quel momento mi era apparso stranamente disteso, si fece improvvisamente scuro. “Se il mio dovere è trovarmi accanto una compagnia degradante, Lina Inverse, non mi tiro certo indietro. Il fatto che io ora mi trovi qui con te ne è la chiara dimostrazione.”

Mi accigliai. “Complimenti. Vedo che, quando ti vengono poste così su un piatto d’argento, cogli al volo le occasioni per dare sfoggio della tua ottusità, cavaliere.”

Io ottuso?” Mi afferrò per il polso, attirandomi a sé. “Guardami, Lina Inverse. Chi è ottuso? Chi è che continua a sparare giudizi senza conoscere nulla della realtà dei fatti???”

Cercai di liberarmi, ma la sua presa era ferrea. “Io giudico quello che vedo, cavaliere.” Sibilai, rabbiosa. “E non mi sembra che tu ti sforzi di darmi un’impressione diversa!”

Sforzarmi???” Il viso di Bastian si avvicinò al mio, tanto che avvertii sul mio volto il suo respiro tagliente. “Tu… tu non hai idea di quanto io… costantemente… mi sforzi!” La sua presa divenne così ferrea da farmi quasi male. “Sembra una maledizione… io… io sono condannato a lottare contro me stesso… e tu mi accusi di non fare abbastanza???”

Bastian aveva improvvisamente alzato la voce. Io battei le palpebre, e cessai istantaneamente di cercare di liberarmi. L’atmosfera si era improvvisamente trasformata. Non era più quella rilassata dell’inizio della nostra conversazione, ma nemmeno quella concitata e rabbiosa di pochi istanti prima. Era… diversa. Per la prima volta da quando avevo conosciuto Bastian, ebbi la netta impressione di non avere idea di cosa stesse succedendo.

“Bastian…”

“Basta.” La voce del cavaliere era roca. Il suo respiro, caldo sul mio viso. “Adesso basta.” Ripeté, in un sibilo. Il suo volto si avvicinò ulteriormente al mio. E il fiato mi si mozzò in gola.

No.

Il mio corpo… il mio corpo era come paralizzato…

Non così… non così…

… vicino…

“Mmm.”

Entrambi sussultammo.

Ci ritrovammo immobili, incapaci di volgerci, di parlare, persino di respirare.

Derek si era mosso nel sonno. Forse, disturbato dal nostro non precisamente silenzioso alterco. Aveva emesso un sordo mugugno, senza apostrofarci, senza nemmeno aprire gli occhi. Ma lo strano incantesimo che aveva gelato l’atmosfera un momento prima era stato brutalmente spezzato.

Abbassai gli occhi, sentendo il sangue salirmi improvvisamente alla testa.“Io… io credo di dover tornare a dormire, ora.” Sibilai, cercando con scarsi risultati di scostarmi. Ero imbarazzata, stupita, confusa, irritata. Maledettamente irritata. Perché diavolo ero andata da lui, tanto per cominciare? Dovevo proprio alzarmi per vedere quel dannato falco???

“Probabilmente dovresti.” Il tono di Bastian aveva riacquisito compostezza. Non era più febbrile come un istante prima, anzi era divenuto quasi freddo. Ma la sua stretta era ancora ferrea, attorno al mio polso.

La mia bocca era secca, ogni traccia di saliva scomparsa. “Allora… dovresti lasciarmi.” Anche la mia voce risuonò dura, stranamente graffiata.

L’espressione di Bastian si fece per un momento smarrita. Quindi, il suo sguardo si abbassò sulle nostre braccia intrecciate, e la comprensione si disegnò nei suoi occhi.

Mi lasciò andare all’improvviso, quasi con foga. Non risollevò lo sguardo, e gliene fui grata. Là dove le sue dita avevano stretto il mio polso, un istante prima, la mia pelle pareva bruciare.

Mi levai in piedi, senza parlare, reggendomi il polso. Attraversai il campo quasi di corsa, non volgendomi, non degnando di uno sguardo né Derek né Sylphiel.

Soprattutto Sylphiel.

Mi nascosi al di sotto le coperte, fuggendo irrazionalmente dai loro sguardi, nonostante fossero profondamente addormentati.

Ma non potevo fuggire anche da me stessa.

Rimasi sveglia, a lungo. Cercando, per la prima volta da quando era iniziato quel viaggio, di scacciare dalla mia mente l’immagine di Gourry.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


“Gourry-san

Della serie… a volte ritornano! XD Finalmente mi sono laureata, e, anche sulla scia di Slayers Revolution, ho trovato il tempo e l’ispirazione per finire questo interminabile capitolo…^^ So che sono passati mesi, e spero che qualcuno abbia ancora interesse a leggere il seguito di quello che ho scritto… d’ora in poi dovrei essere in grado di aggiornare con più regolarità…^^ Come sempre, grazie mille a tutti quelli che hanno letto e commentato lo scorso capitolo! ^^ (ah, e piccola nota… il Raugnut Rushavna è disgustoso, lo so, ma non l’ho inventato io… è in effetti un incantesimo del mondo di Slayers…XD) Buona lettura!

***

“Gourry-san!!!”

Non riuscivo a fare altro che fissare stranito Amelia, che gridava di gioia, il volto affondato nel mio petto.

“Ero certa che mio padre vi avrebbe assoldato per cercarmi!!!” La principessa sollevò gli occhi sui miei, lo sguardo acceso e speranzoso. “Dov’è Lina-san? Dobbiamo muoverci di qui! Lei deve…”

“Temo che abbiate frainteso, principessa.” Prima che Amelia potesse terminare, anche Meghar avanzò nella stanza. Alle sue spalle, i suoi armati si fermarono ai lati della porta, le mani minacciosamente poggiate sui foderi delle spade. “Purtroppo il giovane Gabriev non si trova qui in veste di vostro salvatore. E in effetti temo che entrambi sarete impossibilitati ad andare in qualsiasi luogo.”

Amelia batté le palpebre, colta di sorpresa, e spostò diverse volte lo sguardo da me al pirata. Quando la comprensione finalmente calò su di lei, le sue sopracciglia si aggrottarono tanto da trasfigurare i suoi lineamenti. “Gourry-san… mi stai dicendo che TI SEI FATTO CATTURARE???”

Indietreggiai di un passo, improvvisamente intimidito, conscio che il disappunto di Amelia stava per prendere forma in una accorata arringa.

“A… Amelia… io…”

“TU!” La principessa non mi permise di terminare. Si rivolse al pirata, il volto sfigurato in una maschera di sdegno. “Tu, spregevole fuorilegge, non solo hai preso in ostaggio una ambasciatrice di pace, ma hai osato anche imprigionare un onesto e valoroso guerriero che si accingeva ad aiutare una sua vecchia amica senza esigere nulla in cambio!!!” Battei le palpebre. Amelia in pochi secondi aveva già dedotto tutte le motivazioni per cui mi trovavo in quel luogo… sbagliando, ovviamente, ma dovevo riconoscerle una certa inventiva. “Tu non hai idea di cosa ti aspetta!!! La giustizia divina e la giustizia di mio padre non ti lasceranno scampo! TU sei destinato a soccombere, come ogni altro malvagio i cui indegni passi solcano il terreno di questo mondo, tu, tu…” Amelia evidentemente non trovò parole sufficientemente ingiuriose per continuare. Ma avevo l’impressione che il messaggio fosse passato comunque. Le guardie di Meghar erano impallidite, e parevano pronte a fuggire in ogni istante dalla stanza. Solo il pirata aveva stoicamente accolto le invettive senza mutare di espressione.

‘Pare che il fervore per la giustizia Amelia sia un ottimo strumento per testare il sangue freddo di un uomo.’

Meghar emise un mezzo sospiro. “E’ da quando l’abbiamo presa prigioniera che fa così.” Dichiarò, quasi la principessa non fosse presente. “All’inizio la tenevo sulla mia nave, ma faceva talmente tanto chiasso che temevo che i miei uomini esasperati cercassero di ucciderla. Mi confermi che è normale, o devo temere che suo padre non la rivoglia più, perché la sovreccitazione la ha fatta impazzire?”

Il volto di Amelia mutò diverse tonalità di violaceo. Per qualche istante temetti seriamente che si sarebbe gettata al collo del pirata e avrebbe cercato di strozzarlo.

“Ehm.” Mi feci avanti, interponendomi fra Meghar e la principessa, prima che la situazione precipitasse. “Amelia, ti senti bene? Non ti hanno fatto del male, vero?”

“Non le è stato torto un capello.” Fu il pirata a rispondere per lei. “E invece di ripagarci per la nostra gentilezza, la principessa qui ha continuato a darci problemi. Solo una settimana fa, ha cercato di aggredire il soldato che le portava il cibo. E ha tentato innumerevoli volte di scappare. Io sono un uomo paziente, ma sto sinceramente cominciando a seccarmi.” Arretrò verso la porta. “Dal momento che la conosci, vedi di farla ragionare. Ti do dieci minuti, poi verrai condotto nella tua cella.” Mi volse le spalle, senza lasciarmi il tempo di replicare. Sparì nello scuro corridoio, e le guardie chiusero la porta alle sue spalle, continuando a fissarci arcigne dalla loro posizione all’ingresso della stanza.

Cercando di ignorarli, mi avvicinai ad Amelia. “E’ davvero tutto a posto?” Domandai, sottovoce, messo a disagio dagli sguardi degli armati puntati sulla mia schiena.

La principessa annuì, sbrigativamente. “Perché fanno questo?” Domandò. “Non capisco perché ti hanno condotto qui. Non era più conveniente per loro che non sapessimo di trovarci nello stesso posto?”

Non avevo considerato la cosa, e la sua domanda mi lasciò spiazzato per un secondo. Ma poi ripensai alle parole che mi aveva rivolto Meghar prima di uscire. “Forse… è una velata minaccia di ritorsione…”

Amelia batté le palpebre. “Vuoi dire che… pensano di tenerci buoni minacciando di fare del male all’altro???” Il suo sguardo rabbioso si volse alle guardie. “Oh, questo è…”

“Amelia.” Cercai di calmarla. Dubitavo che un nuovo discorso sulla giustizia avrebbe migliorato la nostra situazione. “Abbiamo poco tempo. Puoi spiegarmi perché ti trovi qui? Pensavamo che fossi prigioniera di Talit.”

“Pensavate?” La principessa mi guardò spaesata. “Perché, non è così…?”

Le mie sopracciglia si levarono. “Mi vuoi dire che non hai idea di quello che sta succedendo fuori di qui?” Domandai, in tono incredulo.

Il volto di Amelia si oscurò. “Non so niente di niente. Ricordo l’aggressione, ricordo che mi hanno stordita prima ancora che potessi realizzare che cosa stava succedendo… e poi il vuoto più totale. Non so nemmeno come mi abbiano trasportata fino alla nave di quel pirata… via mare, probabilmente, ma quando ho ripreso i sensi mi trovavo già a bordo.” Sospirò. “Da allora sono sempre rimasta rinchiusa, e nessuno si è degnato di dirmi nulla su quanto stava accadendo. Alla fine, ho persino perso il conto dei giorni. Conoscevo Meghar di fama, e sapevo che portava avanti i suoi affari in questa zona della costa di Elmekia, perciò ho dato per scontato che stesse agendo come mercenario per conto di Talit… ma erano solo ipotesi vuote. Non ho la più pallida idea di cosa abbia in mente.”

“In realtà pare che lui e il duca di Talit siano in guerra.” Replicai, incerto. “Ma se devo essere del tutto sincero… anche io ho perso un po’ il filo di quanto sta succedendo.” Mi grattai la guancia.

Amelia mi rivolse un breve sorriso. “In questo caso non sei il solo, Gourry-san.” Indietreggiò di un passo, come per studiarmi meglio. “Ma hai un aspetto orribile. Che cosa ti è accaduto?” Mi fissò negli occhi e il suo sguardo si tinse di preoccupazione. “E Lina-san?”

L’abbozzo di sorriso che era stato sul punto di comparire sulle mie labbra si distorse in una smorfia. “Non è con me.” Replicai, brevemente. “Ma è una lunga storia, e non credo che avrò il tempo di raccontartela ora.” Lanciai un’occhiata fugace alle guardie alle mie spalle, e involontariamente abbassai la voce. “Amelia, come riescono a trattenerti qui? Non potresti usare la magia per andartene?”

La principessa scosse la testa, cupa. “Da quando sono nelle loro mani, la mia magia è più debole. Credo che stiano usando un qualche tipo di incantesimo di schermo per i luoghi in cui mi tengono prigioniera…” Il tono di voce di Amelia era rassegnato. Non avevo idea di cosa fosse un incantesimo di schermo, ma supponevo significasse che non avevamo a che fare con gente sprovveduta, in termini di magia.

“Capisco.” Sussurrai, in tono piatto. “Sono informati su di noi, a quanto pare.” Le rivolsi uno sguardo preoccupato. “Ma non dovresti esagerare con loro, Amelia. Mercenari, pirati e gente del genere non sono tipi con cui scherzare. Ci ho già avuto a che fare e… non vanno per il sottile. Soprattutto con le prigioniere.”

La principessa si strinse nelle spalle. “Oh, se avessero voluto farmi qualcosa di male lo avrebbero già fatto, Gourry-san. Evidentemente conviene anche a loro trattarmi bene, almeno per il momento.” Mi rivolse un ampio sorriso. “Ma grazie di preoccuparti per me.”

Non ero del tutto convinto delle sue parole, ma non ebbi il tempo di replicare. I guerrieri alle mie spalle si fecero avanti, e mi afferrarono per un braccio. “Il tempo delle chiacchiere è finito.” Dichiarò uno di essi, in tono raschiante. “Vieni via, Gabriev.”

Non opposi resistenza. Il mio malessere era passato, ma mi sentivo ancora troppo debole per lottare. Lanciai un’ultima occhiata ad Amelia, mentre venivo trascinato fuori dalla stanza, ma il suo volto sparì dietro la porta prima che potessimo scambiarci qualsiasi genere di messaggio.

Rassegnato, mi lasciai condurre attraverso il corridoio, e lungo una ulteriore rampa di scale a chiocciola, che culminava in uno stretto pianerottolo. Su di esso si apriva un’unica porta, che conduceva a una stanza piccola e tetra. Evidentemente, quello era il “confortevole alloggio” che mi era stato promesso.

Venni spinto all’interno. Non sembrava precisamente una cella, piuttosto il vecchio alloggio di uno dei guardiani. La stanza sapeva di muffa e di stantio, nonostante l’unica finestra, una feritoia vicina al soffitto e troppo stretta persino per sporgersi, fosse priva di vetri come quelle dei corridoi. Il pavimento e le pareti erano in pietra grigia e incrostate di umidità e salsedine. In un angolo della parete sulla destra, una bassa porta tarlata era chiusa su quello che doveva essere l’accesso alla latrina. Per il resto, ben poco spezzava la monotonia dell’ambiente. Sulla sinistra era stato allestito un pagliericcio, vicino al quale erano state accatastate delle coperte. Abbandonati a terra c’erano un secchio d’acqua, alcuni oggetti per la toletta e una cassa tarlata ricolma di ceppi di legno. Al centro della stanza, troneggiava un tavolo con una sedia, spoglio salvo che per una candela, una brocca d’acqua con un bicchiere e un vassoio ricoperto da un liso telo bianco. Nella camera non c’era altro mobilio. Nella parete esterna, però, era scavato un piccolo camino in pietra, in cui qualcuno aveva già acceso un fuoco. L’aria non era satura di calore come nella stanza di Amelia, ma dopo aver percorso i corridoi gelidi, trovarmi al caldo era comunque una sensazione piacevole.

La guardia mi spinse verso il tavolo. “Laggiù c’è la tua cena Sir.” Dichiarò, sprezzante. “Buona permanenza.” Si fece indietro, e chiuse con violenza la massiccia porta alle mie spalle. Mentre tirava il catenaccio che mi imprigionava lì dentro, io rimasi per qualche istante a fissare lo squallore in cui avrei abitato per quelli che forse sarebbero stati i mesi a venire. Per un momento fui tentato di mettermi a gridare, o rifiutarmi di mangiare, tanto per complicare un po’ la vita ai miei catturatori. Probabilmente Lina lo avrebbe fatto, al mio posto. Ma dubitavo che la cosa avrebbe condotto a grandi miglioramenti.

Sospirai, e mi decisi ad avanzare nella stanza. Mi sedetti al tavolo, e sollevai il telo che copriva la mia cena. Uno stufato denso e oleoso, in cui galleggiavano pezzi di carne grassa dalla dubbia provenienza. E ad accompagnarlo, formaggio duro come la pietra e pane raffermo.

‘Grandioso. Suppongo di non essere considerato nemmeno un ostaggio degno di un pasto decente.’

In realtà, sapevo di non potermi lamentare. Amelia poteva anche essere trattata da principessa, ma la guerra non era esattamente il momento adatto per sprecare risorse sfamando i prigionieri con pasti luculliani.

E in fondo, normalmente, i pirati non facevano prigionieri.

Affondai il cucchiaio nello stufato e presi a rimestarlo, sperando che questo potesse migliorare il suo aspetto. Inutile dire che non lo fece. Ma dopo le prime cucchiaiate, mi scoprii a divorarlo quasi avidamente. La fame, evidentemente, poteva farmi scordare persino il disgusto. Dopo giorni di nausea, il mio stomaco trovava appetibile anche quella brodaglia.

Terminai lo stufato e pulii il piatto con il pane, quindi divorai il formaggio. Aveva un vago retrogusto stantio, ma quando lo ebbi finito mi trovai a desiderarne ancora. Provai a bere qualche bicchiere d’acqua, per riempirmi lo stomaco,ma non bastava. Il mio corpo continuava a reclamare cibo.

‘Al diavolo.’ Mi sollevai in piedi, nella speranza di distrarmi dalla fame. Trasportai il secchio dell’acqua vicino al fuoco, mi svestii della mia tunica ormai logora, e presi a lavarmi, liberandomi dello sporco che mi aveva incrostato il corpo e i capelli. Quando ebbi terminato, usai il sapone che mi era rimasto per lavare la tunica e la maglia di lana che indossavo sin da quando ero stato catturato. Supponevo che non avrei avuto altri vestiti a disposizione a breve.

Abbandonai le vesti sullo schienale della sedia, vicino alle fiamme, e raggiunsi il mio giaciglio. Non mi accertai nemmeno che fosse pulito. Mi gettai addosso tutte le coperte che trovai e mi ci abbandonai supino, lo sguardo fisso sul soffitto spoglio della stanza. Quella notte non avevo la forza di dormire sul pavimento.

‘Ma non è male, in fondo. A onor del vero, ho dormito in locande peggiori.’

Ripensai alla stanza che avevo condiviso con Lina a Sailarg, prima che venissimo coinvolti in tutta quella faccenda, e un sorriso affiorò involontario alle mie labbra. Avevo sinceramente creduto che mia moglie avrebbe fatto saltare in aria l’oste, quando ci aveva chiesto tre monete d’oro per una stanza che era lussuosa quanto la reale porcilaia. E quella lumaca nella vasca da bagno… dopo anni di convivenza, trovavo ancora assolutamente inspiegabile come una donna che aveva guardato la morte in volto e aveva fronteggiato alcune delle creature più potenti del nostro mondo potesse essere terrorizzata da un essere non più grande del suo mignolo. Ma in fondo questa era Lina. Una contraddizione vivente.

‘Vorrei che fosse qui.’

Levai la mano destra. Avevo rimosso le bende per lavarmi e ora l’immagine della mia pelle martoriata mi fronteggiava dal palmo. L’intera mano era arrossata, ora. Era come se la mia ferita si stesse lentamente espandendo.

Le mie labbra si strinsero. E se quel marchio fosse stato un segno di morte? Fino a qualche anno prima, non avevo avuto paura di morire. Quando avevo perso mia madre avevo dodici anni, ed era stato allora che avevo capito che nessuno poteva sfuggire a quella sorte. Lo avevo accettato, non me ne preoccupavo. Ma da quando avevo conosciuto Lina, quella prospettiva era tornata a spaventarmi. Cosa avrebbe provato, se mi fosse successo qualcosa? Avrebbe vissuto nella stessa cieca disperazione che aveva colto me, ogni volta che avevo temuto per la sua vita? Quando ero stato rapito da quel demone, anni prima, aveva accettato coscientemente il rischio di perdere se stessa, pur di salvarmi. E se fosse accaduto ancora?

Abbassai il braccio. Non volevo preoccuparmene, in quel momento. Chiusi gli occhi, cercando di combattere l’ansia. E lasciai che il sonno, gradualmente, mi catturasse.

***

Avevo incontrato ogni genere di persona nella mia vita.

Ma mai qualcuno che avesse altrettanta faccia tosta.

“Vi dico che è la soluzione migliore.” Dichiarò Bastian, asciutto. “Non ha senso andare tutti. Se la mia signora Sylphiel si sbagliasse e Sir Gabriev non si trovasse nella prigione sull’isola, rischieremmo di farci catturare tutti inutilmente. Qualcuno deve restare per cercare una soluzione alternativa, nel caso il piano andasse storto.” Cercai il suo sguardo, ma gli occhi del cavaliere sorvolarono il mio viso senza soffermarsi, e si fissarono ostinatamente su Derek.

Lo trovai infinitamente irritante.

Era tutta la mattina che cercavo di parlargli, ed era tutta la mattina che Bastian mi ignorava. Ma se a lui stava bene inscenare quello stupido teatrino, e ostentare il suo disprezzo come se nulla fosse successo, io ritenevo che ci fossero un bel po’ di cose da mettere in chiaro prima di tornare al nostro sano odio reciproco. In primo luogo, il fatto che se avesse tentato di mettermi di nuovo le mani addosso, lo avrei spedito in orbita così velocemente da non permettergli nemmeno di accennare con quel suo tono sprezzante le sillabe del nome ‘Lina Inverse’.

“Non mi fido abbastanza né di te né di Derek per decidere di lasciarvi andare avanti da soli in questa cosa.” Replicai, aspra. “Dite quello che vi pare, ma io questa mattina andrò su quell’isola. Restateci voi qui a marcire nelle paludi, se davvero ci tenete.”

Sylphiel continuava a lanciarmi occhiate curiose. Io la ignorai pesantemente. Quella notte non avevo chiuso occhio e la rabbia, il senso di colpa e la stanchezza parevano essersi accumulati sul fondo del mio stomaco in un groviglio inestricabile. Stringevo fra le dita uno spiedino infilzato in una delle salsicce sugose che avevamo appena cotto sul fuoco per la colazione, ma, per come la trovavo appetibile in quel momento, avrebbe anche potuto trattarsi di un blocco di melma.

Bastian sospirò e replicò fissando il fuoco. “Né Derek né io saremmo in grado di infiltrarci in una delle città controllate da Meghar per cercare informazioni, se il tentativo alle vecchie carceri si rivelasse un fiasco. Siamo troppo riconoscibili. Voi due, invece…”

Mi levai in piedi, impedendogli di terminare. “Voi due siete riconoscibili??? E immagino che la taglia sulla mia testa non voglia dire nulla, giusto??? Dovreste ricordarvela bene, dal momento che l’integerrimo Lord Gabriev ha commesso il veniale peccato di coprire un omicida, perché fosse mantenuta!” ‘Sempre ammesso che l’omicida non sia davvero lui’. Ma mi guardai bene dal dare voce a quel pensiero, di fronte al fratello di Gourry.

Derek sibilò fra i denti qualcosa che fui lieta di non aver udito. Bastian, invece, mantenne stranamente la calma, nonostante il mio tono acido. “E’ Lord Gabriev che ti sta cercando, non Meghar. E comunque con la tua magia te la caveresti certo meglio di noi, nel cammuffarti.” Derek parve contrariato, all’ultima affermazione, ma ebbe il buon senso di tacere. Ma non serviva certo una sua reazione, per irritarmi. La tranquillità di Bastian era più che sufficiente a farlo. Non aveva dannatamente il diritto di essere tranquillo.

“Vedi, Bastian…” Sibilai, quasi dolcemente. “… pianificare in questo modo le cose implicherebbe che noi quattro stiamo lavorando come una squadra. Ma non è così. Il fatto che io tolleri la vostra presenza…” E spostai lentamente lo sguardo fra lui e Derek. “… non significa che io sia disposta ad accettare consigli strategici da voi. E tanto meno ordini.”

Bastian finalmente levò lo sguardo su di me, ma la sua espressione rimase totalmente indecifrabile. Le mie viscere si torsero con ancora maggiore violenza, per la rabbia.

“A me sta bene finirla qui.” Derek si levò in piedi, con fare insofferente. “Questa collaborazione era destinata a essere fallimentare sin dal principio. Se ognuno se ne andrà per la propria strada sarà molto…”

“Derek-san.” Sylphiel lo interruppe, mordendosi il labbro. Sembrava inquietata dal nostro scambio di invettive. “Aspetta, ti prego.” Il suo sguardo si posò su di me. “Io… credo che Lina-san si sia lasciata trasportare dall’agitazione, nell’usare parole così dure… ma penso anche che abbia ragione, riguardo al fatto che è meglio restare uniti. Abbiamo un comune obiettivo, e se Meghar ha a sua disposizione dei maghi, la nostra presenza potrebbe esservi utile. Senza contare che Lina-san e io conosciamo poco questi territori, e se voi due non doveste tornare avremmo comunque difficoltà a muoverci da sole…”

La notizia dell’esistenza delle vecchie carceri mi era stata rivelata da Sylphiel, quella mattina al suo risveglio. La sacerdotessa mi aveva raccontato del rapimento di Amelia e della sua scorta, e dei suoi iniziali sospetti riguardo al fatto che fossero tenuti prigionieri dal Duca di Talit proprio in quelle isole. Tuttavia, la sacerdotessa, come me, non conosceva particolarmente quei territori. Quando era giunta a Rolan, aveva scoperto con un certo disappunto che le isole che credeva sotto il controllo del Duca si trovavano di fatto nelle mani dei pirati ormai da anni. Ciò significava, però, che Meghar poteva averle scelte come luogo per tenere rinchiuso Gourry. Un’isola sarebbe stata più riparata dagli attacchi delle truppe di Rolan rispetto alle città lungo la costa, senza contare che, per come Derek ci aveva descritto le vecchie carceri, la loro posizione isolata e protetta da un’altura le rendeva una preda difficilmente espugnabile. Ma non mi importava. A costo di far saltare in aria mezza isola, la mia priorità rimaneva togliere Gourry dai guai.

Derek parve stranamente placato dalle parole di Sylphiel. Tornò a sedersi, pur continuando a gettarmi lunghe occhiate circospette. Bastian rivolse invece uno sguardo pensoso alla sacerdotessa, ed ebbi l’impressione che lottasse per cercare una ragione valida per contraddirla. “Più siamo, più sarà difficile non farci notare.” Obiettò alla fine. Ma ormai c’era una traccia di resa nella sua voce.

“Ci fingeremo mercanti, saltimbanchi, quello che vi pare.” Replicai io, asciutta. “Una volta giunti sull’isola, basterà avviarci a piedi attraverso il bosco, e anche dall’alto della prigione nessuno ci noterà.”

“Il problema non sarà attraccare sull’isola, il problema sarà superare la sorveglianza all’ingresso delle prigioni.” Sbuffò il cavaliere. “Non ti illudere che il buio o uno dei tuoi trucchetti magici possano bastare. E se anche riuscissimo a entrare, non ho idea di come potremmo fare a uscirne.”

“Bé, quando saremo lì, ci inventeremo qualcosa.” Tagliai corto. Ero impaziente di muovermi. Lanciai un’occhiata alla salsiccia ancora stretta nella mia mano, ormai fredda, e mi decisi ad addentarla. In fondo, mi attendeva una lunga giornata.

Un silenzio cupo calò sull’accampamento. Per motivi diversi, ciascuno sembrava uscire insoddisfatto da quella discussione. Ma alla fine, i miei compagni di viaggio mi imitarono e si alzarono. Bastian e Derek cominciarono a radunare con movimenti bruschi i propri oggetti personali. Io, che quella mattina mi ero levata dal mio giaciglio quando ancora il cielo era scuro e avevo già ammonticchiato nel mantello i miei averi, rimasi ferma a guardarli, masticando con poco entusiasmo la mia colazione.

Sylphiel mi rivolse un’occhiata ansiosa. “Lina-san… va tutto bene? Stamattina mi sembri un po’…”

“Avremo bisogno di una barca.” La interruppi, senza guardarla in volto.

“Cosa…?”

“Una barca. Non possiamo certo arrivare all’isola a nuoto.”

Sylphiel batté le palpebre. “Oh… Bé, immagino che potremmo pagare per averne una al porto…”

“Non è una buona idea.” Intervenne Bastian, che evidentemente aveva origliato la nostra conversazione. “Entrare a Rolan, intendo. Secondo me dovremmo tornare indietro attraverso la palude e cercare qualche villaggio di pescatori. Abbiamo visto parecchie barche abbandonate, mentre venivamo qui..”

Avrei persino potuto trovare divertente il fatto che un tipo come lui suggerisse di rubare una barca a un ignaro pescatore, in altre circostanze. Quella mattina, però, avevo poca voglia di scherzare. “Immagino che sia la cosa migliore da fare.” Replicai, in tono tetro. “Se ci aggirassimo per Rolan rischieremmo di essere riconosciuti, anche rimanendo nella parte bassa della città.” ‘Senza contare che laggiù un fantomatico assassino potrebbe essere sulle mie tracce.’ Non avevo riferito le parole di Sybil a nessuno, nemmeno a Sylphiel. Mi sarei sentita estremamente stupida ad ammettere che ero in ansia per le profezie di una sacerdotessa fuori di testa.

Nessuno trovò nulla da obiettare, per cui terminammo di liberare l’accampamento in silenzio. Quando ci incamminammo, il sole era ormai a metà della sua ascesa mattutina al cielo, e la luce azzurrina tipica delle ore successive all’alba saturava l’aria. Il vento aveva spazzato via le nubi della serata precedente, prospettandoci una giornata fredda ma limpida. La brezza che soffiava da ovest portava con sé l’odore del mare, più intenso che mai, e sferzava via i residui della umidità stagnante dei giorni precedenti. La palude appariva decisamente meno minacciosa, quel giorno. Questo contribuì almeno parzialmente a calmarmi.

“E’ davvero desolato, qui attorno…” Commentò Sylphiel, lievemente ansante, quando riemergemmo dai pini, raggiungendo finalmente un tratto di costa rocciosa. “Quando sono partita da Sailarg, non avevo idea… la situazione sembra più grave di quello che pensassi…”

Derek avanzò davanti a tutti noi, e prese a guardarsi intorno con fare nervoso. Sapevo a cosa stava pensando. Quella zona sembrava terribilmente esposta. Ma mi confortava il fatto che mentre viaggiavo con Bastian e Dorak non avessimo incrociato anima viva.

“Proseguiamo per un po’.” Suggerii. “Più avanti c’era un canale, se non ricordo male.”

Non mi sbagliavo. A poco più di un chilometro verso Nord, incontrammo il largo corso d’acqua, che si immetteva placidamente nel mare aperto. Se avessimo risalito il suo corso, avremmo incontrato l’ormeggio dei traghettatori che trasportavano merci e persone da un lato all’altro del canale, ora deserto. All’andata avevamo scorto la loro chiatta abbandonata sugli argini melmosi, ma era apparsa troppo malmessa per servire ai nostri scopi. Allora avevo usato il Raywing per trasportare i miei compagni di viaggio sul lato opposto del canale (nonostante lo scarso entusiasmo dimostrato da Bastian per quella opzione), ma purtroppo non era pensabile giungere in volo anche sull’isola dove speravamo di trovare Gourry. Avremmo dato troppo nell’occhio.

“Ci sono delle case.” Indicò Derek. “Andiamo a dare un’occhiata.”

Un piccolo gruppo di edifici su palafitte si ammucchiava sul nostro lato del canale, poco lontano dalla sua foce. Discendemmo cautamente gli argini scivolosi, e ispezionammo a una a una le povere abitazioni in cerca di qualcosa di utile per il nostro viaggio. Molte, tuttavia, erano state saccheggiate, e le imbarcazioni tirate in secca o legate sotto di esse non avevano decisamente l’aria di essere pronte ad affrontare il mare aperto.

“Dannazione.” Sibilò Bastian, fra i denti, scalfendo con un calcio il bordo della barca più integra che eravamo riusciti a trovare (che presentava un vistoso buco nella parte anteriore dello scafo). “Hanno portato via qualsiasi strumento utile. E se anche avessimo i mezzi per ripararne una, ci vorrebbe un sacco di tempo prima di prendere il mare.”

“Non necessariamente.” Replicai. Mi era appena venuta un’idea. Levai lo sguardo su Sylphiel, che parve cogliere dal mio sguardo quello che intendevo.

“Non sono certa di riuscirci.” Mi ammonì. “E’ magia piuttosto avanzata, più o meno l’equivalente del Resurrection… ma non mi è capitato altrettanto spesso di provarla.”

Mi strinsi nelle spalle. “Io di certo non so come fare. Come ben sai, mi riesce meglio distruggere, che riparare.”

Sylphiel si lasciò sfuggire un sorriso. “E va bene, Lina-san. Farò un tentativo.”

Mentre Bastian e Derek la scrutavano con fare interrogativo, si avvicinò alla barca, protese le mani e prese a recitare sommessamente una formula. Quasi istantaneamente, una intensa luce bianca avvolse la sagoma della barca. Si trattava di un incantesimo che avevo visto scagliare una volta dal Monaco Rosso e che aveva riportato esattamente al suo precedente aspetto una stanza in cui avevo appena lanciato una Palla di Fuoco. Un semplice oggetto non richiedeva nemmeno lontanamente il livello di potere necessario per operare la stessa magia su un ambiente, per lo più ricolmo di mobilio, ma si trattava comunque di magia sacerdotale di alto livello. Incrociai le dita, attendendo speranzosa di osservare il risultato ottenuto da Sylphiel, e quando la luce bianca svanì non potei impedire a un ghigno soddisfatto di dipingersi sul mio viso. La barca pareva appena uscita dal laboratorio in cui era stata costruita.

‘E non ha nemmeno assunto la forma di nessun ortaggio.’

Gli incantesimi di Sylphiel avevano un po’ questa tendenza, sapete.

Le espressioni dei nostri compagni di viaggio si fecero all’istante stupefatte. “Con la magia… si può fare una cosa del genere?” Domandò Bastian, con l’aria di chi sta lottando per mantenere la mascella attaccata al resto del cranio.

Dovetti reprimere un sogghigno. “Esistono un sacco di incantesimi adatti a faccende pratiche di questo genere.” Levai lo sguardo, e scoccai un’occhiata divertita alla sacerdotessa. “Ben fatto, Sylphiel.”

La giovane donna sorrise, e si terse dalla fronte il sudore generato dallo sforzo dell’incantesimo. “Ti ringrazio, Lina-san.”

“E ora muoviamoci.” Presi a spingere la barca verso il canale, sdrucciolando sul terreno malfermo. “Non vedo l’ora di avere fra le mani un po’ di pirati, per mostrarvi cos’altro può fare la magia.”

Notai Bastian e Derek scambiarsi un’occhiata terrorizzata, a quelle parole, e questo migliorò lievemente la mia disposizione nei loro confronti. Adoravo impressionare i miei compagni di viaggio, quasi quanto adoravo maltrattare i fuorilegge.

L’imbarcazione era poco più grande di una scialuppa, e bastava appena per quattro persone. Due paia di remi erano disposte alle due estremità. “Ci penso io.” Si affrettò a dire Derek, afferrandone uno. Sospettai che temesse che volessimo ricorrere alla magia anche per fare avanzare la barca.

“Aspetta.” Obiettai. “Se davvero vogliamo spacciarci come mercanti, non siamo granché credibili.” Li occhieggiai. Io indossavo una semplice tunica nera, che avevo acquistato alla capitale prima di partire, ma nessuno di loro aveva l’aria del comune viaggiatore. Sylphiel vestiva la sua consueta veste violetta da viaggio con le insegne da sacerdotessa, Derek indossava una cotta di maglia, insieme alla tunica e al mantello candidi con l’insegna verde chiaro dei Gabriev (già, un vero maestro del viaggio in incognito) e Bastian portava la consueta armatura di cuoio e gli abiti scuri che gli avevo visto indossare sin da quando avevamo intrapreso il viaggio. Passavamo inosservati come un orso bruno in abito da sera.

I miei compagni di viaggio parevano avere raggiunto la mia stessa conclusione. Restammo a fissarci per qualche istante, a corto di soluzioni.

“Forse potremmo cercare un altro po’ nelle abitazioni… per vedere se troviamo qualche abito…” Suggerì Sylphiel.

“Hanno portato via tutto.” Tagliai corto, togliendomi il mantello. “Vediamo un po’ che cosa ho qui…” Estrassi un’ampia borsa da viaggio da una delle tasche, di fronte agli occhi sbigottiti di Derek. “E’ stregato.” Spiegai, sbrigativa. Anche Dorak e Bastian avevano avuto la stessa reazione, la prima volta che mi avevano visto estrarre i miei oggetti per il viaggio da lì dentro.

Recuperai una vecchia tunica consunta di Gourry (che non ricordavo nemmeno di avere stipato lì dentro) e il vestito bianco che avevo ricevuto da Livia e li porsi a Sylphiel e Derek. “Qui. Mettetevi questi.” Intimai, pratica. “Bastian, penso che i tuoi vestiti vadano bene, ma è meglio se vi togliete le armature. Darete meno nell’occhio, ed eviterete di andare a fondo nel caso cadiate in acqua.” Il cavaliere fissò prima me, poi i vestiti che reggevo fra le mani, poi l’acqua scura del canale. Le sue labbra si strinsero lievemente.

Lasciai che si allontanassero per cambiarsi. Ne risultò che la veste bianca stringeva vistosamente a Sylphiel sul davanti (si prega di non commentare, grazie), mentre la tunica di Gourry cascava lievemente a Derek, che era altrettanto massiccio, ma meno alto del fratello. Nel complesso, tuttavia, avevamo un aspetto vagamente più convincente di prima. In compenso, il mio mantello pareva pesare un quintale, dopo che ci avevo stipato dentro le due armature. Dovetti piazzarmi al centro della barca, per evitare di sbilanciarla.

Derek riprese in mano i remi, sbuffando nel tirarsi indietro le maniche troppo lunghe. Bastian si sedette in silenzio all’altra estremità della barca, imitandolo. Non obiettai. Tanto valeva che i due grand’uomini mettessero un po’ a frutto la loro forza bruta.

Discendemmo lentamente lungo il canale. Sul mare, il vento soffiava ancora più forte che sulla terraferma e le onde si gonfiavano al largo, facendo oscillare pericolosamente la barca. Mi strinsi nel mantello, reggendomi al bordo, e presi a scrutare l’orizzonte in cerca di altre imbarcazioni che potessero avvistarci. Il mare, però, sembrava sgombro.

“Comincio a pensare che non sia stata una buona idea.” Commentò Bastian. Alla luce pallida del sole, il suo volto appariva tinto di un vago colorito verdognolo. “In fondo una barca del genere potrebbe anche non reggere un viaggio in mare aperto.”

Lo fissai. I suoi occhi scuri dardeggiavano a tratti verso le onde, per poi tornare a fissarsi nervosi sul fondo della barca. Inclinai la testa, perplessa.

“Bastian…” Mormorai, studiandolo con nuovo interesse. “Tu… sai nuotare, vero?”

Fu come se lo avessi schiaffeggiato. Le sue orecchie si tinsero di rosso, in un bizzarro contrasto con le sue guance mortalmente pallide, e sul suo volto si disegnò un’espressione talmente piccata che per un momento mi sembrò di aver scovato un bambino con le dita nella marmellata.

Aprì la bocca per un istante, come per rispondermi, ma alla fine la richiuse, e distolse lo sguardo. Io ebbi la dignità di non ridergli in faccia.

“Sai cavalcare un drago e non hai mai imparato a fare una cosa così semplice?”

“Non sono affari che ti riguardino.”

“E magari ti fa anche paura l’acqua, non è così?”

“Stai zitta, Lina Inverse.”

Oh, non biasimatemi. Si meritava che sfogassi su di lui un po’ del mio sadismo, giusto?

Ci volle forse un’ora per raggiungere a remi il porticciolo a cui intendevamo attraccare. Fui grata della brevità della traversata, perché, a dispetto di tutte le mie previsioni, il cielo stava tornando a farsi plumbeo. Le nuvole si addensavano velocemente, trasportate dal vento che soffiava dal mare e saette minacciose rilucevano in lontananza, donando un aspetto pericoloso al mare in burrasca.

La minaccia della pioggia non sembrava comunque sufficiente a far desistere il vario popolo del porto dalle sue numerose attività. Quando attraccammo, nessuno parve fare caso a noi, nel viavai di barche che si muovevano da un punto all’altro del fitto arcipelago di isolette che costellava la baia. La cittadina appariva in realtà poco più che un villaggio, e non doveva essere lì da molto più di un secolo. Supponevo che fosse abitata per lo più da fuorilegge e contrabbandieri di varia sorta, che si tenevano alla larga dai mercati regolati da confraternite della terraferma. C’era la concentrazione più ampia di brutti ceffi che avessi mai visto (e vi assicuro, ne avevo visti, nella mia vita). Mi chiesi quanti di loro fossero uomini al servizio di Meghar, incaricati di pattugliare i moli.

Pagammo l’attracco a un vecchio sdentato e dalle sopracciglia innaturalmente folte e ci avviammo fra i banchi di pesce, verso la zona del mercato. Ora che eravamo sbarcati, l’ansia era tornata ad attanagliare il mio stomaco. Mi guardai intorno, più per ostentare interesse che per reale curiosità. Le bancarelle sembravano accatastate alla rinfusa, senza una precisa logica. Carri ricolmi di casse di sardine e tonni, freschi e sotto sale, erano affiancati a banchi di stoffe e ceramiche. I mercanti continuavano a scrutare il cielo, preoccupati di ritrovarsi con i propri averi completamente zuppi di pioggia.

“Fermiamoci a comprare qualcosa per il pranzo.” Suggerii, con noncuranza, avviandomi verso un carro che esponeva un disparato assortimento di dolciumi.

“Ti pare il momento?” Sibilò Bastian, scrutandosi attorno con fare nervoso.

“E’ esattamente il momento per fingere di essere comuni viaggiatori.” Replicai, secca. “E i comuni viaggiatori vanno al mercato per comprare, Bastian.”

Il cavaliere mi lanciò un’occhiata scettica, ma non obiettò. Acquistammo del croccante al miele da una venditrice con un marcato accento del sud e del tonno salato da un mercante che continuò per tutta la trattativa a scoccare occhiate laide in direzione di Sylphiel. Il fatto che una delle sue orbite fosse colmata da un lucido occhio di vetro non le rese meno sgradevoli.

La sacerdotessa si strinse nel mantello, mentre ci allontanavamo verso l’estremità della banchina del porto. Sembrava a disagio, e non potevo biasimarla. Nel corso dei miei viaggi io ne avevo viste di tutti i colori, ma Sylphiel non doveva essere particolarmente abituata a quel genere di ambiente.

“Credete che possiamo allontanarci senza dare troppo nell’occhio?” Mormorò, dopo aver sbocconcellato per qualche minuto una porzione di pesce, continuando a guardarsi nervosamente attorno.

“Direi di attraversare il centro abitato come se fossimo in cerca di una locanda.” Replicai. “Se tirassimo dritti verso la foresta da qui qualcuno ci noterebbe di certo. C’è troppa gente in giro.”

Per una volta, fui lieta di sbagliarmi. Non feci in tempo a finire di parlare, che il cielo venne in nostro soccorso, risolvendo ogni nostra necessità di circospezione. Il boato di un tuono scosse l’aria e una pesante goccia d’acqua si infranse sul mio naso. Nel giro di pochi istanti, il ticchettio della pioggia iniziò a rimbombare sui tetti dei carri e i venditori di pesce presero a coprire frettolosamente con dei teli la propria merce. I mercanti di stoffe si affrettarono a radunare i propri oggetti, per fuggire in qualche luogo riparato, e la ressa che affollava i moli prese progressivamente a disperdersi, mentre le gocce isolate si trasformavano in uno scroscio sempre più violento. La gente ora procedeva a testa bassa, superandoci di corsa e dirigendosi verso le osterie allineate alle spalle delle bancarelle, o sparendo nei vicoli che si addentravano nella città.

“Approfittiamone.” Sibilò Derek. Senza lasciarcelo ripetere due volte, ci affrettammo al suo seguito, verso il limitare della banchina. Nel tumulto generale, nessuno parve fare caso a noi mentre scivolavamo barcollando attraverso un gruppo di scogli, e raggiungevamo la spiaggia. La sabbia si era trasformata in un enorme pantano, ma in qualche modo riuscimmo ad avanzare arrancando verso una macchia d’alberi, nel punto in cui la vegetazione attecchiva sul terreno fangoso. Lì ci soffermammo a riprendere fiato e io mi gettai velocemente un’occhiata alle spalle, per verificare se qualcuno ci avesse seguito. Il tratto di spiaggia che ci separava dall’ultimo molo, però, pareva deserto.

La pioggia ora scrosciava tanto forte che l’alone grigio calato sul panorama sembrava quasi preannunciare il crepuscolo. I miei vestiti erano talmente zuppi che mi sembrava di essere caduta in mare. Mi guardai attorno, cercando freneticamente di ignorare la sensazione di gelo che mi stringeva le ossa e di ragionare su dove dirigerci. Mentre fissavo il cielo che sovrastava il mare, una saetta lo illuminò, scaricandosi con violenza sulla massa d’acqua. Mare e alberi erano una pessima combinazione, nel mezzo di una tempesta. In ogni caso, dovevamo muoverci di lì.

“Di qua!” Gridai, per sovrastare il rumore assordante della pioggia. Imboccai un sentiero che si allontanava dalla città, addentrandosi fra la vegetazione. Costeggiammo la spiaggia per un tratto, quindi deviammo verso l’entroterra. I miei stivali si erano riempiti d’acqua, e a ogni passo sentivo i miei piedi affondare nel gelo. Arrivai a chiedermi se le celle dei pirati avessero un camino, e se non fosse il caso di farmi catturare.

Il pensiero della resa divenne ancora più allettante quando iniziò la salita. Gli effetti della pendenza erano peggiorati dal fango, che rendeva il terreno scivoloso, e dagli insidiosi rivoli d’acqua che correvano lungo i fianchi della collina. Procedevamo praticamente alla cieca, zigzagando nelle piste da conigli, la nostra unica certezza il fatto che dovevamo continuare a salire, dal momento che le carceri erano arroccate nel punto più alto dell’isola.

Per le due o tre ore successive, nessuno di noi si sognò di parlare. Dopo solo mezz’ora di salita, avevo già il fiatone, e la milza aveva preso a dolermi. Continuavo a scivolare e ad atterrare con le mani nel fango, e i miei guanti e i miei pantaloni all’altezza delle ginocchia erano completamente incrostati di melma. A tratti la pioggia ci diede sollievo, ma le nuvole non si diradarono. Quando raggiungemmo la cima, il cielo era già buio, anche se non doveva essere più tardi delle cinque di pomeriggio. In effetti, era difficile capirlo, non potendo vedere il sole.

Le carceri entrarono nel nostro campo visivo quasi all’improvviso, sbucando fra gli alberi. Ci arrestammo, ansanti, a un centinaio di metri al di sotto di esse, riparandoci nella vegetazione fitta. Anche dalla nostra posizione nascosta, potevo scorgere le sentinelle sulle mura, che scrutavano truci nell’oscurità della foresta, immobili sotto la pioggia.

“Non avete qualche incantesimo che renda invisibili, o roba del genere?” Domandò Derek, in un acido sussurro. Io mi trattenetti a stento dal levare gli occhi al cielo. “Roba” era esattamente il termine che avrebbe usato anche Gourry. Almeno nell’ignoranza riguardo alla magia, lui e mio marito erano simili.

“Esistono oggetti magici che possono farlo, ma sono molto rari… e purtroppo non esiste magia umana conosciuta che permetta di ottenere un simile risultato, Derek-san.” Replicò Sylphiel, in tono paziente. In realtà non era proprio esatto. Esisteva un incantesimo adatto a quello scopo, ma il punto era che era talmente complesso che una volta riusciti a diventare invisibili non si poteva fare altro che rimanere immobili a concentrarsi, perché qualsiasi forma di interazione con il mondo esterno avrebbe interrotto gli effetti della magia… il che rendeva l’incantesimo abbastanza inutile, in effetti. Avrei dovuto provare a lavorare a una qualche modifica, un giorno o l’altro. “Lina-san, credi che volando potremmo…”

Scossi la testa, ancora prima che terminasse. “Sarebbe già difficile per una persona da sola non farsi notare, figuriamoci per quattro, e con due pesi morti.” Occhieggiai con molto poco garbo i due cavalieri, che mi restituirono occhiate torve.

“Se ci separassimo, però…” Azzardò la sacerdotessa.

Arricciai le labbra, riflettendo. “Certo, voi tre potreste restare qui…” Riflettei dopo qualche istante. “Ti ricordi, Sylphiel, di quella magia che usasti con la tua sfera per indicarci la strada nel laboratorio di Rezo? Su tu riuscissi allo stesso modo a suggerirmi in che zona delle carceri si trova Gourry…”

La sacerdotessa ebbe un lieve sussulto. “Ma Lina-san… è troppo pericoloso per te andare da sola fino a…”

“E’ una buona idea, invece.” La interruppe Bastian, secco. Mi volsi a osservarlo, stupita che mi desse ragione. “Da sola ha buone probabilità di trovare Sir Gabriev prima di essere scoperta.” Spiegò, in tono pratico. “E poi, eventualmente, lei e Sir Gabriev potranno farsi strada fuori dalle carceri combattendo.” Estrasse la spada, con un gesto fluido. “Sir Gabriev sarà disarmato. Offrigli questa, Lina Inverse.” Dichiarò, porgendomela. “Mi basterà che tu mi lasci la tua spada corta per difendermi, all’occorrenza.”

Io scrutai prima lui e poi la spada, sospettosa. “Che cosa hai in mente?” Domandai, senza afferrarla. Per qualche motivo, avevo idea che il suo piano non fosse semplicemente restare fermo ad aspettarmi.

“Creeremo un diversivo.” Replicò, calmo. “Se ci facciamo rincorrere dalle guardie fra gli alberi, le mura delle carceri saranno abbastanza sguarnite da farti passare inosservata.”

Battei le palpebre, colta alla sprovvista da quel suggerimento. Dovevo ammettere di non averci pensato. Sarebbe stato pericoloso per tutti, ma… non era una cattiva idea.

“Aspetta un momento!” Sibilò Derek, irritato. “Io non ho intenzione di essere una stupida esca! E poi come la metti con Sylphiel-san? Non vorrai abbandonarla qui da sola!”

“Ma io voglio partecipare!” Obiettò Sylphiel, determinata. “Posso confonderli, con la magia! E se ci dividiamo, li faremo sparpagliare in diverse direzioni!”

Derek non sembrava convinto. Io emisi un sospiro, esasperata. Ero troppo vicina al mio obiettivo e troppo impaziente per avere voglia di discutere. “Beh, Derek, io non ho intenzione di portarti con me. Se non ti va bene aiutarci, restatene semplicemente qui nascosto, ma bada bene di evitare di intralciarci.” Afferrai la spada dalle mani di Bastian con eccessiva foga, e per poco non finii ribaltata al suolo per il suo peso.

Derek vestì un broncio che ricordava pateticamente quello di uno scolaretto testardo, ma non replicò. Mi beai nell’idea che fosse stato frenato dal mio tono perentorio, ma probabilmente stava solamente cercando di evitare una rissa sotto gli occhi delle guardie.

Decidemmo brevemente che era il caso di attendere che fosse completamente buio. Io mi sfilai il fodero dal fianco per lasciarlo a Bastian e mi assicurai alla meglio la sua spada alla cinta, con le cinghie rimaste penzolanti. Quindi, discendemmo di nuovo brevemente lungo il fianco della collina, in modo da essere meglio nascosti alla vista dei soldati.

Rannicchiati fra gli alberi, attendemmo in silenzio che facesse buio, rabbrividendo nei nostri abiti zuppi nonostante la vegetazione ci offrisse un parziale riparo dal vento e dalla pioggia. Quando il sole fu scomparso dietro la cima della collina, rivolsi un breve cenno a Sylphiel. La sacerdotessa annuì nervosamente, ed estrasse il suo bastone con la sfera. Chiuse gli occhi, e si concentrò silenziosamente sulla sua predizione.

In realtà, ero sempre stata scettica su quel genere di incantesimi. Ma se con il tesoro di Rezo aveva in qualche modo funzionato…

Sylphiel aprì gli occhi e li fissò su una delle torri. “Ho la sensazione… che Gourry-san sia lassù.” Dichiarò, incerta. Subito dopo aver pronunciato quelle parole, parve riacquistare sicurezza. “Sì. Sì, ne ho la netta sensazione.”

“Vale la pena di provare, allora.” Dichiarai, sbrigativa. “Siete pronti?”

Sylphiel e Bastian annuirono. Derek si limitò a sbuffare.

Fissai gli occhi sulle carceri, e presi a recitare sommessamente una formula. Alle mie spalle, sentii le figure dei miei compagni di viaggio indietreggiare e svanire nella vegetazione. La pioggia ora si era fatta più leggera, e mi sfiorò il viso con sottili dita gelide mentre mi nascondevo fra i rami di un albero, per osservare la situazione dall’alto. Non dovetti attendere molto. Dopo forse un paio di minuti, un lampo di luce balenò improvvisamente sul lato opposto delle carceri e in un attimo le grida di avvertimento delle sentinelle risuonarono nell’aria. Il diversivo era cominciato.

Sgusciai fuori dalla vegetazione, superai volando il fossato che correva attorno alle carceri e strisciai di corsa fino a una delle massicce pareti. Lì, mi appiattii contro la dura pietra, attendendomi che da un momento all’altro qualcuno gridasse in mia direzione.

Non accadde. Le mura umide sopra la mia testa sparivano nel buio e, nonostante le urla sull’altro lato dell’edificio, sia la foresta che le carceri parevano immobili.

Levitazione.”

Mi portai lentamente all’altezza della torre. Non potevo aggirarla, o avrei rischiato di essere vista. Rimasi sul lato in cui mi trovavo, e studiai per qualche istante le finestre prive di vetri. Alcune erano sbarrate da inferriate, ma nella maggioranza dei casi le sbarre d’acciaio erano crollate, e nessuno pareva essersi preoccupato di rimetterle in piedi. In effetti, da vicino, viste da vicino, le carceri parevano essere state lasciate in stato d’abbandono per anni… supponevo che i pirati non si fossero presi la briga di ripararle, quando avevano assunto il controllo dell’isola. In fondo, quando mai a un pirata capita di prendere prigioniero qualcuno?

La torre aveva un aspetto longilineo, e non appariva massiccia come quelle del palazzo di Talit. Poteva esserci lo spazio per una piccola stanza sulla cima, però. Una stretta feritoia appena sotto i merli, da cui proveniva un sottile filo di luce, sembrava suggerirlo. Non avrei potuto entrare di lì, però. Era troppo stretta per scivolarci dentro, e se avessi, per dire, abbattuto la parete con una magia da lì fuori tanto sarebbe valso mettermi a gridare ai soldati dove mi trovavo.

‘Sarebbe un’entrata in grande stile, però.’

Rimasi per qualche istante a fissare il muro, tentata di agire in un modo che fosse all’altezza della mia reputazione. Ma alla fine mi riscossi e mi risolsi a cercare un’altra soluzione. Oltre a sentirmi idiota, nel restare lassù appesa, la pioggia che mi batteva sul naso cominciava a farsi fastidiosa. Mi intrufolai in una delle finestre prive di sbarre nella parte alta della torre e mi ritrovai sui gradini di una stretta e buia scala a chiocciola di pietra. Sul lato interno, la mia via era sbarrata da una parete cieca e priva di torce, che emanava un forte odore di muffa. Ma potevo scendere o salire. Rivolsi uno sguardo verso la cima della torre, chiedendomi se potessero esserci delle guardie in agguato. I miei vestiti grondavano acqua sui gradini ripidi e gli spifferi che risalivano la scalinata mi stavano facendo gelare. Mi sarei stupita, se il giorno dopo non fossi stata febbricitante.

‘Al diavolo.’

Lighting.” Recitai, a bassa voce, e mi decisi a salire. Fortunatamente, non incontrai nessuno sulla mia via. Quando giunsi alla piccola porta in legno che doveva immettere nella sala in cima alla torre, e la trovai sguarnita di sorveglianza, ero ormai convinta che Sylphiel avesse preso una decisa cantonata. Non aveva senso che non ci fosse nemmeno una guardia, giusto?

‘Ma un tentativo non costa nulla.’

Estrassi un pugnale dalla manica, e mi appellai a quello che Gourry definiva il mio ‘spirito da scassinatore’. Dopo pochi secondi, la serratura scattò.

Avanzai nella stanza. Era piccola e squallida, ma più calda della gelida scalinata della torre. Battei le palpebre un paio di volte, prima di poter distinguere bene che cosa conteneva, abbagliata dalla luce diffusa del camino sulla parete opposta. Ma quando vi riuscii, mi sentii gelare.

Gourry era lì. Ma era… non sembrava… vivo.

Il fiato mi si strozzò in gola. Mi avvicinai al giaciglio su cui era riverso, studiando il suo pallore innaturale, e il cuore parve minacciare di rimbalzarmi fuori dal petto.

“Go… Gou…”

Feci un sobbalzo. Il cadavere di Gourry si era appena rigirato sul pagliericcio. Indietreggiai di due passi e rischiai di caracollare al suolo.

Mio marito si volse sulla schiena, un braccio levato per ripararsi dalla luce, e strizzò gli occhi per mettermi a fuoco. Quindi batté le palpebre, e rimase a fissarmi con l’espressione di chi ha appena visto un fantasma.

“Li… LINA?”

Il suono della sua voce mi riscosse. Il fiato parve improvvisamente tornare a colmarmi i polmoni e il sollievo di vederlo sano e salvo prese forma nella espressione che era più consona al mio carattere…

“Pezzo di idiota!!!”

Gourry non ebbe modo di parlare. A malapena era riuscito ad alzarsi a sedere. Si limitò a sussultare, terrorizzato, mentre lo afferravo per la collottola e lo fronteggiavo, i denti digrignati. Non lo biasimavo. In effetti, se mi fossi trovata di fronte me stessa, gocciolante di pioggia e con le occhiaie di una notte insonne stampate su un volto cadaverico, probabilmente mi sarei spaventata anch’io.

“Che cosa sei, la principessa nella torre???” Presi a gridare, incoscientemente incurante di essere sentita. “Hai la più pallida idea di quanto mi hai fatto preoccupare??? E di quanto è stato complicato arrivare fino a qui??? Almeno nelle fiabe la damigella in pericolo è abbastanza utile da lanciare la treccia fuori dalla finestra!!! Dovresti imparare a mettere a frutto i tuoi lunghi capelli biondi… Lala!!!”

Gourry mi fissò sconcertato per qualche istante, rischiando con ogni probabilità una sincope, a causa delle mie dita strette attorno alla sua collottola. Ma dopo aver aperto e richiuso la bocca un paio di volte, come un pesce troppo cresciuto, ebbe la reazione che meno mi sarei attesa da lui in quel momento.

Scoppiò a ridere.

“Non è un sogno.” Dichiarò, con un tono divertito che trovai assolutamente inappropriato alla situazione. “Dei, dovrebbe essere davvero bizzarro, perché tu mi chiamassi Lala!”

Le mie dita tremolarono e lasciarono la presa sul suo collo. Lo fissai per un momento, indecisa se prenderlo a schiaffi per essersi concentrato su una idiozia del genere in un momento come quello. Ma, mio malgrado, mi resi conto che il suo nonsenso mi aveva calmata. Era proprio Gourry. Era Gourry, e stava bene. Andava tutto bene.

Levai un sopracciglio. “Non mi dire. Avrei giurato che pizzi rosa e cavalieri di nome Bolan fossero protagonisti ricorrenti dei tuoi sogni.” Le mie mani avevano raggiunto le sue spalle, ora, e le stringevano quasi convulsamente.

“No.” Gourry ridacchiò, nuovamente. “E poi, nei miei sogni tu di solito sei meno piatta.”

‘Ok, Gourry. Ora stai davvero per morire.’

Ma non ebbi davvero modo di ucciderlo. Mi aveva già trascinata fra le sue braccia.

Mi trovai a rispondere al suo abbraccio, con tanta forza da temere di stritolarlo. Non mi ero resa conto di quanta ansia avevo accumulato in quelle settimane, prima di sentirla scivolare via da me, ad ogni respiro di Gourry, come le gocce di pioggia che mi colavano dal mantello. Mio marito sembrava dimagrito, ma la sua presa era ancora forte. Questo mi rincuorò ulteriormente. Supponevo che fosse abbastanza in forma per riuscire a fuggire.

“Ma come puoi essere qui, Lina?” Mi domandò dopo qualche istante di silenzio, senza allontanarmi da sé. “Io credevo che fossi prigioniera a…”

“Prigioniera?” Lo interruppi, confusa. Mi accigliai e levai il viso dal suo collo per guardarlo negli occhi. “Cosa ci fai tu qui, piuttosto? Ti aspettavo alla capitale! Come ti è saltato in mente di farti trascinare nell’ovest?”

Dal suo sguardo dedussi che uno o due passaggi del mio ragionamento dovevano essergli sfuggiti. Non che fosse una novità. Ma conclusi che avremmo avuto tempo dopo, per spiegarci.

“Non importa.” Dichiarai, sbrigativa. Mi allontanai di un passo da lui, e gli porsi la spada di Bastian. “Prendi questa. Dobbiamo muoverci di qui.”

Gourry studiò l’arma perplesso. “Sembra provenire dalle armerie di mio padre. Ma dove…?”

“Ti spiego dopo. Tieniti pronto, ora sfondo il muro. Se ce ne andiamo volando, non ha senso preoccuparsi della segretezza.”

Mi ero già rimboccata le maniche per lanciare una formula, ma Gourry mi bloccò. “A… Aspetta, Lina! Non possiamo andarcene di qui così! Anche Amelia è tenuta prigioniera qua dentro!!!”

Mi bloccai a metà formula, e per poco non mi strozzai. Amelia?

“Co…?”

“E’ stata presa in ostaggio!” Mi spiegò Gourry, dicendomi in realtà quanto già sapevo. “La ho vista prima che mi portassero quassù!”

“Dannazione.” Imprecai. “Allora avevo ragione a pensare che non si trovasse a Talit…”

Gourry batté le palpebre. “Uh, quindi lo sapevi già?”

“E’ una lunga storia.” Mi rivolsi alla porta aperta, alle nostre spalle. “Ma non possiamo lasciarla qui. Credi di riuscire a ritrovare il posto in cui è tenuta prigioniera?”

Gourry esitò per un istante, ma alla fine annuì. “Non è lontano.” Imbracciò la spada, preparandosi a precedermi, e mi accorsi che barcollava lievemente. Lo occhieggiai preoccupata. Forse avrei dovuto portarlo fuori di lì e tornare ad occuparmi di Amelia da sola…

Gourry evidentemente indovinò i miei pensieri, perché scosse la testa. “Sto bene.” Si limitò a osservare. “E la cosa meno saggia da fare è separarci di nuovo.”

Sospirai. Non aveva tutti i torti.

Mi affiancai a lui, e insieme discendemmo le scale della torre. I gradini erano ancora deserti e bui, ma quando raggiungemmo l’ultima svolta prima della base della torre intravidi una luce di torcia provenire dal corridoio su cui si apriva l’ingresso. Rallentai, e mi affacciai con circospezione sullo stretto ambiente. Sembrava deserto.

“In questo posto non ci sono guardie?” Sussurrai, quasi irritata dall’assurda facilità con cui ci stavamo muovendo.

“Oh, sì, ci sono, davanti alla cella di Amelia.” Rispose Gourry, con la solita imperturbabile tranquillità per cui a volte lo avrei preso a schiaffi. “Erano anche di fronte alla mia in effetti, ma c’è stato un gran caos, all’esterno, prima che tu arrivassi. Credo siano scese a vedere cosa stava succedendo.”

Questo è il bello dei fuorilegge. Così dannatamente facili da ingannare.

Scivolammo lungo il corridoio, che procedeva attraverso una serie di svolte, ma senza deviazioni. Fuori dalle finestre si scorgeva solo il buio, e lo scompiglio di poco prima sembrava essersi chetato. Mi chiesi cosa ne era stato dei miei compagni di viaggio, e se le guardie non stessero correndo a controllare lo stato dei loro prigionieri.

Dopo pochi minuti di marcia spedita nei corridoi in penombra, Gourry mi pose una mano sulla spalla per arrestarmi. “Oltre quell’angolo.” Sussurrò. Mi stupii per un istante della sua insolita memoria, ma mi resi conto presto che non doveva essersene semplicemente ricordato. Avvertii la presenza di delle persone, nel corridoio a fianco.

Non ci fu bisogno di parlare. Ci appiattimmo contro la parete, all’unisono, e io iniziai un mentale conto alla rovescia. Al mio ‘tre’, entrambi scattammo in avanti. Le guardie ebbero appena il tempo di sussultare. La prima crollò sotto il mio Sleeping, mentre la testa della seconda emise un sonoro botto contro il piatto della spada di Bastian, imbracciata da mio marito. Senza emettere un fiato, si accasciò pesantemente al suolo.

Tirai un sospiro di sollievo. Non che avessi dubbi sul fatto che avremmo sistemato le guardie, ma averlo fatto prima che riuscissero a dare l’allarme risolveva un sacco di problemi.

Gourry occhieggiò la serratura. “Ci pensi tu?”

Gli rivolsi un mezzo sorriso. “C’è bisogno di chiederlo?” Con un breve gesto, la feci scattare. Spinsi la porta in avanti e procedetti nella penombra della stanza, interdetta. Sembrava deserta.

“Aaaaaaaaaaaaaaah!”

Avevo appena fatto in tempo a pensarlo. Una furia dalle voluminose vesti bianche e dai capelli corvini sbucò all’improvviso da dietro la porta. Il fiato mi si strozzò in gola, e per qualche istante tutto ciò di cui fui consapevole fu che il soffitto vorticava sopra la mia testa, e che un braccio era stretto attorno al mio collo.

“Amelia!!!” Sentii la voce di mio marito gridare. “Amelia, lasciala andare! E’ Lina!”

Amelia non parve particolarmente pronta ad allentare la presa sul mio collo. Il suo braccio si allontanò solo dopo quelli che parevano secoli. Quando l’aria tornò finalmente ai miei polmoni, riuscii a volgermi e a mettere a fuoco il suo viso. I suoi occhi erano fissi sui miei, e sembrava atterrita.

“Li… Lina- san!” Indietreggiò di scatto, con fare terrorizzato. “Credevo fosse una delle guardie! Non uccidermi, ti prego!!!”

Vorrei tanto sapere che razza di opinione può avere la gente di me, se i miei amici hanno questo genere di reazioni incontrandomi.

Oh, bé… dimenticavo che la gente non ha una buona opinione di me.

Mi scostai, reggendomi il collo, e decisi di mantenere un atteggiamento contegnoso. “Non importa.” Dichiarai. “Togliamoci di qui e basta, d’accordo?” Colsi con la coda dell’occhio Amelia e Gourry scambiarsi un’occhiata scettica. Dei, ragazzi, che cosa sono, un mazoku?

“M… ma… Lina-san… voi due, come…?”

“Temo che dovremo rimandare a dopo le spiegazioni.” La voce di Gourry si era fatta improvvisamente cupa. Levai lo sguardo, e lo vidi avvicinare la mano all’elsa della spada. Pessimo segno.

Bastò un istante perché mi rendessi conto del motivo dell’improvvisa tensione. Qualcuno stava avanzando nel corridoio. E se aveva scorto le due guardie al suolo e la porta aperta, doveva aver già tratto le ovvie conclusioni.

“Fatevi da parte!” Intimai ai miei due compagni. Mi rivolsi verso la parete, pronta ad abbatterla con la magia per fuggire, ma prima che potessi dare voce a una formula una voce imperiosa mi bloccò.

“Se fossi in te eviterei di provarci, Lina Inverse.”

Mi volsi. Una imponente figura dai fiammeggianti capelli rossi incombeva su di noi dall’ingresso della stanza. Il suo sguardo passò dal mio volto a quello di Gourry e le sue labbra si arricciarono in un sorriso di soddisfazione.

“E’ Meghar.” Osservò Gourry avanzando lentamente, con la spada in mano.

“Non mi importa chi sia.” Replicai, acidamente, fissando il pirata con occhi dardeggianti ostilità. “Chiunque mi dia ordini quando ho una formula sulla punta delle labbra è solo uno che cerca una forma originale di suicidio.”

Il sorriso di Meghar, stranamente, si allargò. Sembrava più divertito che spaventato dalla situazione. Non sapevo se perché era molto più forte, o se perché era molto più stupido di quanto non apparisse.

“Ho un ottimo argomento per convincerti a rinfoderare le tue formule, Lina Inverse.” Si scostò dalla porta. Dalle sue spalle, un gruppo di armati fece il suo ingresso. E io mi trovai a imprecare fra le labbra.

Sylphiel, Bastian e Derek si trovavano nelle loro mani. Tutti e tre erano fradici e coperti di fango, e sembravano piuttosto pesti. Avevo idea che i guerrieri di Meghar non avessero avuto mano leggera, con loro.

“Devo ammettere che la trovata del diversivo era interessante, ma non mi ci è voluto molto per mangiare la foglia.” Li occhieggiò. “Hanno lottato bene. Solo, eravamo troppi, per loro.”

“Derek e Sylphiel?” Gourry batté le palpebre, e mi rivolse un’occhiata interrogativa. Ma non avevo tempo di spiegargli, in quel momento.

“Che cosa vuoi?” Domandai, stupidamente. Supponevo fosse ovvio che Meghar volesse aggiungere qualche succoso elemento alla sua lista di ostaggi, ma stavo cercando di farlo parlare e intontire col suono della sua stessa voce. Quale cattivo da cliché non adora farlo, in fondo? Dovevo guadagnare tempo per pensare.

“Oh, ma che domande.” Meghar fece un cenno ai suoi uomini, che spinsero di malagrazia i miei tre compagni di viaggio nella stanza. “Voglio invitarti a cena, Lina Inverse, come qualsiasi buon ospite farebbe al mio posto.”

“Eh?” Cinque paia di occhi si puntarono su di me. Io mi limitai a battere le palpebre.

“Sono invitati anche i tuoi compagni di viaggio, ovviamente. Ma ho una proposta da rivolgere a te personalmente.” Meghar mi volse le spalle e uscì dalla stanza in tutta tranquillità, evidentemente assolutamente persuaso che lo avrei seguito. Troppo inebetita da quel rivolgimento inaspettato persino per rispondere, fissai con assoluto stupore i suoi uomini, mentre liberavano Sylphiel, Bastian e Derek e si scostavano in modo da farci uscire dalla stanza.

“Uh… che sta succedendo?” Chiese Gourry ad alta voce, riassumendo quelli che dovevano essere i pensieri di tutti i presenti.

“Non ne ho la più pallida idea.” Ammisi. “Comunque, sentiamo quello che ha da dire.” Mi accodai a Meghar, ma prima ancora che potessi mettere piede fuori dalla stanza una voce sibilò da sopra la mia spalla.

“Che hai intenzione di fare? E’ ovvio che è una trappola!” Volsi il viso. Uno degli occhi di Bastian era pesto, e del sangue gli colava da un angolo della bocca. Continuava a lanciare occhiate nervose agli armati.

“Se avessero voluto ucciderci non vi avrebbero liberati.” Bisbigliai, di rimando, senza smettere di camminare. “E comunque ormai sono troppo curiosa di ascoltare per andarmene.”

“Ma…”

“Ehi, tu.” Gourry intervenne, dal mio altro fianco. Per qualche motivo, sussultai. La sua espressione era stranamente accigliata.

Bastian fissò lo sguardo sul suo. Mi parve innervosito. “Sì?”

“Ehm… Scusa, ma chi sei, esattamente?”

Per poco non caracollai al suolo. Bastian, invece, parve colto totalmente alla sprovvista. Come si vedeva che non conosceva bene Gourry.

“E’ Bastian!” Sibilai, di rimando. “Il cavaliere che ci ha accompagnati a Talit! Lo hai conosciuto solo poche settimane fa, testa vuota!!!”

Gourry si rivolse a me, con fare perfettamente calmo. “Oh, è vero. Bé, non è che io abbia avuto molto a che fare con lui, dopo quell’occasione.” Inclinò la testa, e mi studiò. “Tu sembri conoscerlo bene, però. Ma cosa è successo nelle ultime settimane?”

Quello era un argomento che non avevo decisamente voglia di affrontare in quel momento. Ma fortunatamente Meghar pareva averci condotto alla nostra destinazione. Il nostro piccolo corteo si bloccò davanti a una porta, e la nostra conversazione si interruppe bruscamente.

“Prego.” Invitò con fare compiaciuto il pirata, facendoci cenno di accomodarci nella stanza. Lanciai un’occhiata ai miei compagni. Derek vestiva un’espressione truce, al di sotto dei biondi capelli fradici, mentre Amelia e Sylphiel parevano perplesse. Bastian manteneva la sua aria ostile, ma Gourry era all’apparenza calmo. La sua aria quieta tranquillizzò anche me. Mio marito normalmente aveva un ottimo istinto per il pericolo.

Volsi avanti lo sguardo, e avanzai nella stanza. Quando fu chiaro che non ero stata risucchiata in qualche improbabile dimensione parallela, mi azzardai a guardarmi attorno con un po’ più di attenzione. Sembravano delle comuni stanze private. La sala in cui mi trovavo era arredata in modo piuttosto semplice, quasi rozzo, e, per il poco che avevo avuto il tempo di vedere là dentro, sembrava decisamente meno confortevole della stanza in cui era stata rinchiusa Amelia. Diverse porte dovevano condurre a sale adiacenti, ma al momento erano chiuse. Due tizi, con un’aria poco raccomandabile che tutto li faceva sembrare tranne che servitori, stavano allestendo frettolosamente una tavola per sette al centro della stanza.

“Accomodatevi.” Invitò il nostro ospite, sedendosi a capotavola e afferrando il suo bicchiere già colmo di vino. Prendemmo posto con fare diffidente e per un istante restammo tutti in silenzio, in un’atmosfera surreale. Quattro di noi erano ancora fradici e infangati e Gourry aveva decisamente l’aria di un morto vivente.

La prima a spezzare il silenzio fu proprio la persona che sembrava meno fuori posto a una tavola imbandita. “Che cosa significa tutto questo?” Amelia era accigliata, e il suo tono di voce aveva una sfumatura autoritaria che mi ricordava quella di Philionel, e che fuori da Sailune raramente le avevo sentito vestire. “Prima mi prendete prigioniera coinvolgendo mio padre in una guerra e ora mi invitate a cena come se nulla fosse successo…”

Meghar vestì un mezzo sorriso. “Significa semplicemente che siete libera, principessa. Non abbiamo più interesse a tenervi qui.” Posò il bicchiere, e la fissò intensamente, mentre i due “servitori” ci distribuivano piatti ricolmi di pesce cotto alla griglia. “Anzi, potete anche riferire a vostro padre che Talit non c’entrava nulla nel vostro rapimento. E’ stata una nostra iniziativa. Tanto, dubito che re Philionel oserà spingere il suo esercito in terra straniera per ottenere la sua vendetta in tempi come questi, in cui il destino del regno è tanto incerto. Mi è giunta voce che sia un uomo saggio.”

Il volto di Amelia, se possibile, si incupì ulteriormente. “Che cosa ne è stato della scorta che mi stava accompagnando a Elmekia?”

Meghar si accigliò. “Non sono stato io personalmente a catturarti, ma avevo dato disposizioni per avere solo te. Non so che cosa ne sia stato degli altri, ma se hanno opposto resistenza e non sono fuggiti è probabile che siano rimasti uccisi.”

Un po’ di colore abbandonò il volto di Amelia, la cui determinazione parve dissolversi nel senso di colpa. Il mio sguardo scivolò su Sylphiel. A Elmekia mi avevano detto che uno dei suoi zii di Sailune si era trovato insieme alla scorta, al momento dell’imboscata. La sacerdotessa aveva le labbra serrate ed era più pallida del solito, ma non ebbe altre reazioni. Avvertii un impeto di compassione nei suoi confronti. Ne aveva già passate a sufficienza, senza che si dovesse aggiungere anche questo.

“Ma perché?” Intervenni, una sfumatura di rabbia nella voce. “Voi avevate preso in ostaggio Amelia per far sì che Sailune entrasse in guerra contro Talit, non è così? Volevate che Samon vincesse, perché la capitale è lontana da queste terre e così il vostro controllo sulle regioni costiere si sarebbe rafforzato, non ho ragione? E allora che senso ha rilasciarla ora?”

I miei compagni di viaggio mi rivolsero sguardi stupiti. Non avevo parlato di quella mia ipotesi con nessuno di loro, semplicemente perché aveva appena preso forma nella mia testa. Sin da quando Gourry mi aveva detto che Amelia si trovava in quel luogo, il mio cervello aveva preso freneticamente a riflettere su quale potesse essere la ragione. Mi era sorto anche il sospetto che Meghar fosse in effetti d’accordo con Samon, per essere sincera, ma data la situazione supposi che non fosse il caso di mostrarmi eccessivamente perspicace…

Il sorriso di Meghar si allargò. “Mi era giunta voce anche che tu fossi un tipo intuitivo, Lina Inverse, e vedo che quelle dicerie ti rendevano giustizia.”

Ah, ah, se credi di distogliere la mia attenzione con i complimenti, mio caro, non sai proprio con chi hai a che fare.

“Ma cosa è cambiato, ora? Talit non ha ancora perso, giusto?”

“Talit non ha perso, ma sono mutati i nostri piani.” Tagliò corto Meghar. “Ma non è di questo che voglio parlare con te, Lina Inverse.” Mi studiò, accigliato. “Sinceramente, speravo che arrivassi fin qui. Soprattutto da quando ho saputo di aver catturato tuo marito. Per questo non mi sono liberato di lui, anche dopo che è diventato chiaro che il Lord Gabriev non aveva alcuna intenzione di trattare con me.”

I miei pugni si strinsero. “E che cosa vuoi da me?” La mia voce suonava gelida.

“Non lo immagini?” La fronte di Meghar si aggrottò. “Voglio la tua alleanza, Lina Inverse. In questo regno la magia è temuta e disprezzata, ma io ho viaggiato a sufficienza per imparare a comprenderne il valore. E tu sei una leggenda persino qui. Con le tue capacità a disposizione, insieme a quelle degli altri maghi che sto radunando, i miei progetti potrebbero realizzarsi molto più velocemente.”

Amelia balzò in piedi. “Lina- san non si alleerebbe mai con dei criminali come voi!!!” Il suo sguardo si volse verso di me. “Non è così, Lina-san? Non è così?”

Sospirai. A parole sembrava convinta, ma la vaga sfumatura isterica della sua voce suggeriva tutt’altro.

“Se hai sentito le voci su di me, saprai anche che normalmente non lavoro per il puro gusto di fare favori agli altri.” Replicai, in tono piatto, rivolta a Meghar. “Cosa ti fa pensare che io abbia interesse a combattere le tue battaglie?”

“Non lo penso, infatti.” Meghar si portò un boccone di pesce alle labbra, e mi sorrise. “Ma se i miei piani andranno in porto, avrò i mezzi per ricoprirti di ricchezze, Lina Inverse. E poi, con tutta questa storia dell’omicidio e della taglia, anche tu hai qualche motivo di attrito nei confronti di Talit, non è così?” Il suo sorriso si allargò. “Senza contare che recentemente mi è giunta voce che tu e tuo suocero non siete precisamente in buoni rapporti…”

Mmm, avrei tanto voluto sapere chi era che andava in giro per Elmekia a spargere tutte quelle informazioni sul mio conto…

Mi accigliai. “Bé, mi spiace, Meghar, ma ho una rigida politica di non alleanza con i criminali.” Risposi, ferma. “E anche se credo sia chiaro a entrambi che non è per atti di pirateria che vorresti il mio aiuto, non ho la minima intenzione di farmi coinvolgere ulteriormente in questa guerra.” Erano settimane che ripetevo quella solfa, ma evidentemente era prerogativa della gente di Elmekia essere un po’ dura di comprendonio…

Mi aspettavo che Meghar ordinasse di attaccarci, a quel punto. E di certo, se lo aspettavano anche i miei compagni, perché alle mie parole diverse mani erano scattate verso le rispettive else delle spade. Ma il pirata si limitò a sorridere.

“Capisco.” Osservò, con una calma assolutamente inadeguata alle mie aspettative. “Bé, in fondo me lo aspettavo. Di te dicono anche che sei piuttosto restia a metterti al servizio di qualcuno. L’indipendenza si sposa male con una posizione in un esercito.” Il suo quieto interesse mi disturbò. Era un qualche tipo di trappola?

“E il mio rifiuto non avrà conseguenze? Non hai intenzione di costringermi, attaccarmi… o qualcosa del genere?” Mi azzardai a domandare, alla fine.

“Di che utilità sarebbe mai un’alleata costretta a combattere con la forza e pronta a tradirti appena volti le spalle?” Rispose Meghar, come un dato di fatto. “E in quanto all’attaccarti… in molti hanno già provato a ucciderti, non è così? Dati i risultati ottenuti dalla maggioranza di quelli che lo hanno fatto, non voglio decisamente essere il prossimo a tentare l’impresa… a meno di non essere costretto.”

Un criminale saggio. Quella era una piacevole novità.

Terminammo quella surreale cena in silenzio. Quando ci fu permesso di uscire, la notte era ormai scura, e la foresta all’esterno era avvolta in una gelida tenebra. Non sapevo dire che ore fossero, ma dovevamo aver trascorso almeno un paio d’ore all’interno delle carceri. Nei villaggi del piccolo arcipelago, i viaggiatori dovevano ormai essere accalcati nelle locande. Le mie membra gelate fremevano al pensiero di un letto caldo. Nella mia testa si accavallavano mille pensieri riguardo alle vicende di quella giornata, ma nessuno riusciva a prendere forma in modo coerente.

“Lina-san… che facciamo ora?” Fu Sylphiel a fronteggiarmi, l’aria esausta, i lunghi capelli neri, normalmente lisci e lucenti, appiccicati in una matassa scomposta al viso.

“Che intendi dire?” La squadrai sospettosa. Ora più che mai temevo mi chiedesse di essere in qualche modo coinvolta ulteriormente in quella situazione. Avrei faticato a rifiutarglielo, dopo che aveva appena perso una persona cara, dopo che aveva messo in gioco la sua vita per aiutare Gourry.

“Voglio dire… che non abbiamo idea di quello che sta succedendo. Meghar ha in mente qualcosa, e Talit vi sta cercando, e non sappiamo ancora chi abbia realmente ucciso Eriol.” Fissò lo sguardo su Amelia. “Se Philionel-san vi accogliesse ora verrebbe accusato di fraternizzare con l’assassino di uno dei reali di Elmekia, e anche se Talit perdesse la guerra Samon non potrebbe far passare liscia una cosa del genere. In più…”

“Sylphiel.” Fu Gourry a intervenire, in tono pacato. “Siamo tutti stanchi. Non ha senso discuterne ora. Dobbiamo ripulirci, dormire, e ragionare con calma sul da farsi domani mattina.” Il suo sguardo si fissò su Derek. Il guerriero non aveva ancora detto nulla, da quando eravamo usciti dalle carceri. Mio marito parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma alla fine scosse impercettibilmente la testa, e concluse. “Non c’è un villaggio a valle? Forse possiamo trovare una locanda…” Gli fui infinitamente grata per quella proposta. Era tutto ciò a cui potevo pensare in quel momento.

“Non credo sia una buona idea, Sir Gabriev.” Intervenne una voce alle mie spalle. Immediatamente, la tensione tornò a catturarmi. Bastian era stato talmente silenzioso, fino a quel momento, che mi ero quasi scordata della sua presenza. “Vedi, in queste settimane abbiamo evitato le locande e i luoghi affollati. La taglia…”

“Gourry ha ragione.” Intervenni, secca, senza volgermi. “Da queste parti non troveremo di certo uomini di Talit. Una dormita al caldo farà bene a tutti. Domattina dovremo essere lucidi per decidere il da farsi, anche se è già chiaro che tu e Derek dovrete tornare presso le truppe di Edward Gabriev al più pre…”

“Aaaaaaaah!” Gourry eruppe in una esclamazione tanto veemente che mi trovai a barcollare. Lo fissai, certa che, per sconvolgerlo così tanto, dovesse aver visto qualcosa come un maiale selvatico librarsi leggero nell’aria, ma il suo sguardo, e il suo dito, erano puntati contro Bastian. “Sir Gabriev… Sir Gabriev… ora ricordo! Tu sei il generale che era sparito assieme a Lina! Quello a cui mio padre aveva affidato l’incarico di tenerla prigioniera!!!”

Eh?

Mi volsi verso Bastian, colta alla sprovvista, ma il cavaliere sembrava altrettanto stupito di quelle parole.

“Sir Gabriev… mi spiace, ma non so di cosa tu stia…”

“Mio padre ha detto che ti aveva affidato Lina in ostaggio perché la tenessi lontana da Talit, in modo che io collaborassi con lui!!!”

“Gourry.” Fu la voce di Derek a intervenire, ferma. Tutti ci volgemmo verso di lui. “C’è la possibilità che nostro padre abbia mentito, per approfittare della sparizione di tua moglie e farti combattere per Talit. Non sarebbe la prima volta, in questa vicenda.” C’era amarezza, nella sua voce. Per un istante, mi sentii quasi ben disposta verso di lui… “Questo è l’effetto che avere gente come Lina Inverse attorno ha su di lui, devo supporre. Sarò decisamente felice quando voi due ve ne sarete andati per la vostra strada.” Ok. Decisamente posso conservare la mia compassione per soggetti migliori.

Gourry non sembrava convinto, ma decisi che avremmo potuto riparlarne con più calma una volta che fossimo stati soli. Non avevo molti dubbi sul fatto che Derek avesse ragione. Bastian aveva tutti i difetti di questo mondo, ma supponevo che si sarebbe strozzato con i suoi scrupoli e buoni principi prima di poter mentire tanto a lungo a una persona cui viaggiava costantemente a fianco.

Riguardo alla capacità di mentire del Lord Gabriev, invece, avevo ben pochi dubbi

“Discuteremo anche di questo domani mattina.” Conclusi. Avevo freddo, e cominciava a farmi male la testa. “Ora non abbiamo più bisogno di nasconderci, giusto?” Allargai le braccia, e presi a pronunciare la formula della Levitazione. Non avevo intenzione di scendere a valle lungo sentieri ripidi e scivolosi nel buio più totale.

“Oh, quindi quaggiù non funziona il Rune Breaker?” Osservò Amelia, fissando i miei piedi che si staccavano dal suolo.

“Rune Breaker?” Domandai. Per chi non lo sapesse, si tratta di un incantesimo di schermo, che limita la potenza degli incantesimi lanciati nell’area su cui viene imposto.

Amelia annuì. “Nella mia stanza, alle carceri, non riuscivo a usare la magia a piena potenza. E’ per questo che non sono riuscita a fuggire.”

Mi accigliai. Dunque, Meghar stava davvero raccogliendo esperti di arti magiche. E piuttosto abili, anche. Non tutti i maghi che operavano al di fuori delle Gilde conoscevano tecniche come gli incantesimi di schermo. “Evidentemente il campo d’azione dell’incantesimo era piuttosto limitato.” Forse perché Meghar necessitava di servirsi della magia qui attorno, per qualche motivo.

Un altro tassello, un altro interrogativo.

Dei, avevo davvero bisogno di un letto.

“Datemi una mano.” Domandai, stancamente. Sylphiel e Amelia annuirono, e io afferrai un non del tutto entusiasta Gourry, sollevandolo dal suolo, mentre le due sacerdotesse pronunciavano la mia stessa formula e trasportavano gli altri due cavalieri. Ci trascinammo a valle, sotto una pioggia leggera, per trovare le strade del piccolo villaggio deserte, e le locande gremite di gente dall’aria poco raccomandabile. Riuscimmo a recuperare tre stanze in una sorta di tugurio che mi ricordava in modo inquietante la locanda da cui eravamo partiti, a Sailarg. Ma per una volta, ero pronta a pagare qualsiasi somma mi fosse stata richiesta, per qualsiasi stanza che fosse appena più accogliente di una stalla.

Salii al piano di sopra, troppo stanca perfino per salutare propriamente i miei compagni di viaggio, e mi infilai nel primo bagno che mi capitò a tiro. Quando ne uscii, mi sentivo rinata. Col calore dell’acqua avevo anche ritrovato la sensibilità della mia pelle e, apparentemente, la mia capacità di ragionare. Mi sentivo un po’ più essere umano e un po’ meno mostro delle paludi, quanto meno.

Quando entrai in camera, vi trovai Gourry intento a fasciarsi la mano destra. Sembrava anche lui un po’ più in forze, dopo essersi ripulito, ma era sempre più pallido e dimagrito di quando lo avevo lasciato a Talit. Mi sedetti al suo fianco, e occhieggiai preoccupata la sua mano bendata.

“Ti sei ferito? Lascia che…”

“Non è niente.” Gourry mi rivolse un sorriso. Con la mano bendata, raggiunse il mio viso, e si chinò a baciarmi il volto. Mi rilassai al suo tocco e lasciai che raggiungesse le mie labbra. Il suo respiro sul mio mi faceva sentire stupidamente sollevata.

“Lina…” Sussurrò, contro le mie labbra, quando si allontanò. “Mi spieghi che cosa è successo dopo che te ne sei andata da Talit? Io credevo davvero che fossi prigioniera. Se avessi saputo dov’eri, avrei cercato di raggiungerti…”

Mi scostai lievemente da lui, e gli rivolsi un’occhiata perplessa. “Ma Livia non ti ha detto nulla? E’ stata lei ad aiutarmi a fuggire. Le avevo detto che ti avrei aspettato alla capitale…”

Il volto di Gourry si accigliò. “Livia è sparita.” Dichiarò, con mio stupore. “Lo stesso giorno in cui sei scomparsa anche tu.”

“Hai detto sparita? In che senso sparita? La hanno rapita?”

Gourry scosse la testa. “Nessuno ne ha idea. Hanno ritrovato il suo mantello, nel cortile, completamente fradicio e infangato. La hanno cercata ovunque, ma sembra che si sia volatilizzata.” Inclinò la testa. “Credi che qualcuno la abbia scoperta? Che sia perché ti ha aiutata a scappare?”

Mi morsi le labbra. “Non lo so…” Mormorai. “Se è così, perché quel qualcuno non la ha semplicemente denunciata? Era pur sempre un ostaggio, in fondo… a meno che…”

“A meno che?”

“A meno che non volesse metterla a tacere.” Lo guardai negli occhi, incerta per un momento su quanto rivelargli, ma alla fine decisi di dire la verità. Anche se si trattava di suo padre, preferivo essere completamente sincera con lui, piuttosto che mentire per cercare di indorargli la pillola. Sospirai brevemente, e gli raccontai tutto quello che mi aveva detto Livia nel sotterraneo, prima di farmi fuggire.

“Lord Georg e mio padre sarebbero… gli assassini di Eriol?”

Annuii. “O almeno, questa è una possibile versione dei fatti. La versione che accetterei se mi fidassi totalmente di Livia.”

“Non credi a Livia?” Gourry mi fissò, perplesso. “Che ragione avrebbe avuto di mentire? Lei è solo…”

“… una ragazzina, lo so. Ma non è tanto di lei che non mi fido… piuttosto, mi chiedo se qualcuno non la abbia manovrata per raggiungere i propri scopi.”

Gourry rimase in silenzio per un momento. “Parli di Erianna, non è così?”

Battei le palpebre, colta di sorpresa. “Come hai fatto a indovinare?”

Gourry sorrise. “Non ti ha convinto sin dall’inizio. Ormai conosco il tuo modo di ragionare, Lina.”

Sorrisi a mia volta. “Direi.”

“Credi che Erianna la abbia usata per liberarti? Ma che motivo ne avrebbe avuto? Se ti credeva davvero l’assassina di suo figlio…”

Sospirai, e mi aggrappai gentilmente al suo braccio, poggiando la testa sulla sua spalla. “Ho diverse ipotesi, ma… e se in effetti ci fosse Erianna dietro all’uccisione di Eriol?” Cercai il suo sguardo. “Potrebbe aver cercato di assumere il potere ad ogni effetto. Forse temeva l’influenza di Georg su Eriol, e mi ha invitata a Talit sin dal principio per avere un facile capro espiatorio su cui scaricare la colpa del suo omicidio.”

Gourry assunse un’espressione perplessa. “Ma… perché avrebbe dovuto scegliere proprio te per un compito del genere? Non poteva cercare di accusare un semplice servitore… o qualcosa del genere? E poi… insomma, Lina, era suo figlio…”

“Lo so.” Ammisi. “Ma Erianna non ha precisamente l’atteggiamento della madre amorevole. Ha dichiarato guerra al suo figlio maggiore, non è così?”

“Lo so, ma…”

“Ascolta. E’ stata lei a insistere perché mi conducessero a Talit, no? Io ero il soggetto perfetto per il suo piano.” Allontanai la testa dalla sua spalla e lo fronteggiai, improvvisamente infervorata dalle mie stesse ipotesi. Le mie idee stavano assumendo sempre più senso a mano a mano che gliele esponevo. “Sono notoriamente amica di Amelia, la figlia dell’alleato di Samon. Questo forniva un movente perfetto all’omicidio di Eriol, non trovi? E poi sono tua moglie, e questo mi rendeva facilmente manovrabile. E sono abbastanza potente da costituire un pericolo per Georg. Potrebbe avermi fatta liberare in modo che, esasperata dai cacciatori di taglie, io torni a Talit per vendicarmi del vero colpevole… farmi raccontare la storia di Georg e del Lord Gabriev da Livia è certamente stata la ciliegina sulla torta. Tuo padre, che mi ha fatta condannare, il vero colpevole. Conoscendo il mio temperamento, come avrei potuto resistere alla tentazione di fargli avere il fatto suo? Che li avessi uccisi o che li avessi smascherati, Erianna avrebbe ottenuto comunque il proprio scopo, ovvero di assumere una posizione di predominio a Talit.”

Gourry continuò ad apparirmi poco convinto. “Però… aspetta un momento, Lina… quando Erianna ha insistito per farti convocare a Talit non sapeva ancora che Sailune si sarebbe alleata con Samon, non è così?”

“A meno che non avesse a che fare con il rapimento di Amelia.” Replicai, pronta. Ormai, ogni cosa sembrava chiara nella mia mente.

“Ma… ma…”

“Pensaci. Erianna fa rapire Amelia servendosi di uomini fidati, e poi la affida ai pirati dell’ovest, promettendo loro il controllo di Rolan una volta che sarà diventata regina incontrastata dell’area di Talit. Anzi, i pirati agiscono come suo esercito, impadronendosi della regione per lei e indebolendo le forze fedeli a Georg. Ecco perché Amelia è stata rilasciata insieme a te, oggi. Perché potesse riferire a suo padre che il rapimento non dipendeva da Talit, e fermare l’offensiva di Sailune, dato che ormai era servita al suo scopo.” Mi accigliai. “Scommetto che Erianna aveva chiesto a Meghar di convincermi a diventare sua alleata in modo da poter controllare meglio i miei movimenti. Ma al mio rifiuto non ha cercato di uccidermi, perché rimango comunque utile agli scopi della sua signora. Tutto quadra, se ci ragioni bene.”

Gourry emise un sospiro. “Ti diverti da matti, eh? A elaborare teorie.”

Gli rivolsi un ampio ghigno. “Bé, non è detto che sia tutto esattamente come lo ho descritto, ma… devi ammettere che sarebbe un ottima trama per un libro.”

“Ma non dobbiamo scrivere un libro, non è così?” Si lamentò Gourry, anche se pareva vagamente divertito. “Dobbiamo pensare a cosa fare ora.”

Aveva ragione, purtroppo. Mi imposi di tornare alla serietà. “Se ho ragione riguardo a Erianna, la cosa più saggia da fare sarebbe tenersi lontani da Talit, per evitare di essere manovrati da lei. Credo che dovremmo tornare alla capitale e spiegare a Samon la mia ipotesi. Che sia vera o no, devo almeno convincerlo della mia innocenza, anche per evitare di compromettere Sailune. Poi, una volta lì, decideremo il da farsi.”

Gourry annuì. “Mi sta bene. Ma gli altri cosa faranno? Voglio dire, Amelia verrà con noi per ritrovare suo padre, ma… Sylphiel, Derek e Bastian… ti hanno detto quali sono i loro piani? E come vi siete trovati a viaggiare insieme, tanto per cominciare?”

Mi accigliai. Non avevo voglia di parlare di Bastian e degli altri, in quel momento. Non avevo voglia di parlare di quelle settimane di distanza. Volevo solo godere della presenza di Gourry, di quel senso di sollievo che, dopo un mese di tensione, pareva avere reso la mia mente improvvisamente attenta e lucida.

“Non ha importanza.”

“Non ha importanza?”

“Non ora.”

Gourry stava per obiettare, ma non glielo permisi. Coprii le sue labbra con le mie, e dopo solo un istante le sue braccia mi cinsero e le sue dita raggiunsero la mia nuca. Evidentemente, era giunto alla mia stessa conclusione.

Per diverse ore a seguire, sospetti e piani di battaglia furono quanto di più lontano dalle nostre menti.

***

Non seppi perché mi svegliai. Non avevo sognato, né qualche rumore mi aveva disturbato. Dovevano essere le ore immediatamente prima dell’alba, e la notte fuori dalla finestra era ancora buia e silenziosa. L’oscurità era così fitta che pareva potersi tagliare con un coltello, ma non avvertivo segni di pericolo attorno a me. L’atmosfera era quieta, e sentivo il calore del corpo di Gourry contro il mio, e il suo respiro mescolato al sussurro del vento all’esterno, e allo sfrigolio delle braci nel camino.

Mi districai gentilmente dal suo abbraccio per liberare il mio braccio destro indolenzito, e mi appoggiai sul gomito, fissando l’indistinta oscurità dove doveva trovarsi il suo volto.

Lighting.” Mormorai. Il viso di Gourry emerse dalle tenebre. Mio marito stava dormendo della grossa, apparentemente imperturbato dal mio incantesimo e dai miei movimenti importuni.

Mi trovai a sorridere. Era strano, svegliarmi di nuovo al suo fianco. La presenza di Gourry mi era familiare, familiare in un modo piacevole e confortante. Stare con lui era come adeguarsi al naturale corso delle cose, era come sdraiarsi nell’acqua di mare, e lasciarsi trasportare dolcemente dalla corrente. La mia vita somigliava spesso a un vortice incontrollato, ma lui rimaneva il mio punto fermo, la persona che riusciva sempre a farmi trovare a mio agio.

Vorrei sapere che diavolo mi è saltato in mente, ieri sera…

Provavo rabbia verso me stessa, al pensiero di non aver reagito a Bastian. Era stato perché mi aveva colto di sorpresa, ma… non era stato solo quello. C’era stato un momento, mentre mi stringeva il braccio e mi guardava fisso, un momento mentre il suo viso si avvicinava al mio, in cui mi era quasi sembrato di specchiarmi nei suoi occhi. Avevo avvertito una affinità, fra noi due. Non era attrazione, e men che meno amore, ma era solo… solo…

… non ero in grado di spiegarmelo. Era assurdo. Bastian e io non eravamo simili. Eravamo quanto di più lontano esistesse al mondo. Non aveva senso che mi rivedessi in lui, non aveva senso che io… io…

Che io mi senta dispiaciuta per lui?

Lo realizzai in quel momento, e fu come ricevere uno schiaffo in viso. Il senso di colpa, la frustrazione… non erano per Gourry. Non erano per Gourry, semplicemente perché non avrebbero avuto ragione di esistere. Io amavo Gourry, e non lo avrei tradito. Ma mi sentivo in colpa nei confronti Bastian, per qualche assurdo, irrazionale motivo.

Semplicemente, ho cominciato a considerarlo qualcosa di simile a un amico. Mi suggerì una parte del mio cervello, quella saggia e razionale, votata a risolvere ogni mio dubbio. Era un’ipotesi plausibile? Decisi di supporre di sì. Mi ero posta già troppe domande, per quella sera.

Tornai a poggiare la testa sulla spalla di Gourry, assonnata e al contempo poco propensa a dormire. Dal giorno successivo saremmo stati di nuovo in viaggio e braccati. Volevo godermi quella quiete. Volevo godermela, fino a che…

Che diavolo???

Il fiato mi si strozzò improvvisamente in gola. Lo sguardo mi era caduto sulla mano destra di Gourry, abbandonata sul cuscino vicino alla sua testa, e mi ero resa conto che la fasciatura si era allentata e sciolta. Mi ero scordata della sua ferita, per essere sincera, ma non fu il fatto che fosse ferito a cogliermi di sorpresa. Avevo scorto le piaghe sulla sua mano, e…

… e le avevo riconosciute.

“Gourry!” Scattai a sedere, il cuore pronto a rimbalzarmi fuori dal petto, ogni traccia di sonno improvvisamente scomparsa. “Gourry, svegliati!”

“Li… Lina…” Gourry aprì gli occhi e mugugnò il mio nome, cercando di scostarsi. Lo avevo afferrato per le spalle, e lo stavo scuotendo selvaggiamente, senza pietà per il suo ovvio stato di confusione. “Lina… che… che succede?”

“Come ti sei procurato quel marchio???”

A quelle parole, Gourry parve finalmente riguadagnare coscienza di sé. Mi afferrò per i polsi, perché smettessi di scuoterlo, e mi spinse a forza a distanza, per potermi guardare in viso. “Lina… Lina, calmati, per favore…”

“Come te lo sei procurato, Gourry??? E’ importante!!!”

“I… io… ho toccato uno strano libro, e poi… è successo. Sono svenuto, e quando mi sono ripreso era sulla mia mano.”

“E dov’è ora quel libro???” Ero così agitata che lo stomaco mi si era stretto. Avevo voglia di vomitare. Non poteva… non poteva essere come pensavo…

“Io… credo… a Talit…” Rispose, Gourry, evidentemente terrorizzato. “Ero alla città vecchia quando è accaduto, ma quando mi sono svegliato mi avevano già riportato al palazzo, perciò… dei, Lina, sei pallidissima! Spiegami che cosa sta succedendo! Come posso aiutarti?”

“Raugnut… Rushavna…” Lasciai la presa su di lui, le mani tremanti, e ricaddi all’indietro, a sedere sul letto. Cercavo di pensare, ma tutto ciò su cui riuscivo a focalizzarmi era la paura. Mi nascosi il volto fra le mani, combattendo il groppo che mi si era formato alla gola e lottando per concentrarmi. Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? E se fosse stato già troppo tardi?

“Lina?” Gourry si avvicinò, e cercò di farmi scoprire il viso. “Io… io non capisco…”

“Perché non mi hai detto prima di quel marchio?” Sibilai.

Gourry arretrò lievemente, al mio tono vagamente isterico. “I… io… tu eri così stanca… non volevo farti preoccupare ancora, stasera… insomma, ci sarebbe stato tempo per…”

Presi un profondo sospiro e mi imposi di riguadagnare la calma. “Quel marchio…” Esordii, la voce roca e al contempo incredibilmente ferma. “… è con ogni probabilità una maledizione.”

“Una maledizione? Ma Sylphiel non lo ha…”

“E’ ovvio che non lo abbia riconosciuto!” Scattai, ma feci del mio meglio per trattenermi. Gourry sembrava già abbastanza spaventato, senza che io mi abbandonassi all’isteria. “Bé… in effetti sapeva del Giga Slave, ma… quella è magia della più oscura che possa esserci Gourry… Un… un essere umano che pratichi qualcosa del genere… è un reietto, persino fra gli esperti di magia nera. Ci sono persone che mi additerebbero come una criminale solo per fatto di conoscere queste informazioni.”

“Ma…”

“Ascolta. Il Raugnut Rushavna… è una maledizione eterna. Chi ne è vittima muore, e muore, e muore, tra atroci dolori, in un circolo che non può essere spezzato se non dalla distruzione di chi ha lanciato la maledizione.” A quelle parole, il colore scomparve all’improvviso dal viso di Gourry, ma io non mi fermai. Dovevo continuare a spiegare. Dovevo capire io stessa, perché nulla mi era ancora chiaro. “A quel punto, anche la vittima dell’incantesimo muore. Ma la fine non è che una liberazione… si narra…” Deglutii, ma la mia bocca era priva di saliva. “…si narra di un re, diversi secoli fa… che è stato vittima dell’incantesimo… e si dice che viva tutt’ora nelle segrete del suo palazzo, pregando incessantemente i suoi soldati di ucciderlo.”

Le mani di Gourry tremavano, ora. “E questo… questo marchio è…”

“Quelle piaghe… sembrano le stesse che affliggono le vittime dell’incantesimo. Di certo è una maledizione lanciata da qualcuno che conosce il fatto suo, perché quel segno che ti è rimasto impresso sulla mano è legato a magia antica, e… ma… ma questo non ha importanza, ora. Il punto è che la forma completa del Raugnut Rushavna può essere lanciata solo da un Mazoku. Nessun essere umano ha un potere del genere. Ma questa maledizione… non è completa. È quasi sicuramente opera umana.”

Il sollievo si dipinse sul volto di Gourry. “Ma… ma allora…”

“Non c’è nulla di cui stare tranquilli!” Feci del mio meglio per non gridare. “Non ho mai visto gli effetti dell’incantesimo lanciato da un essere umano, non ho idea di cosa possa succedere se si è colpiti dalla versione incompleta! Non sapevo nemmeno che potesse accadere una cosa del genere, dannazione!!! Forse la maledizione si espanderà lentamente dalla tua mano al resto del tuo corpo, forse a un certo punto diventerà irreversibile, e spezzarla equivarrà ad ucciderti! Forse è già così! Dei, Gourry!” Sentii qualcosa pungermi agli angoli degli occhi, e mi resi conto che stavo per piangere. “Che diavolo ti è saltato in mente??? Dopo tutti i nostri viaggi, dopo tutti gli anni insieme… quante volte ti avrò ripetuto che i testi di magia sono spesso protetti da rune maledette???”

Gourry sembrava più preoccupato per me che per se stesso, e la cosa non fece che accrescere la mia rabbia. Scivolò verso di me, e avvicinò cautamente una mano al mio viso, per accarezzarmi la guancia. “Non sembrava un testo di magia… sembrava piuttosto… un diario…” La sua voce era rotta, come se stesse lottando per restare calmo. “Lina, ti prego, calmati. Andrà tutto bene. Risolveremo anche questa cosa.”

“Puoi scommettere che la risolveremo.” Balzai giù dal letto, in preda all’agitazione. “Domattina… no, ora, immediatamente, partiremo per Talit. Troveremo quel libro, troveremo chi ha lanciato quella maledizione, e lo uccideremo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio nella mia vita.” Non mi importava più di Erianna, né di Eriol, né di quella stupida guerra. Volevo solo salvare la vita di Gourry. A qualsiasi costo.

“Lina.” Il braccio di Gourry mi cinse la vita, e mio marito mi bloccò. Mi serrò in una morsa gentile, impedendomi di continuare a raccogliere le mie cose. “Ascoltami. Due o tre ore non faranno la differenza. Ormai è quasi l’alba, devi calmarti e dormire per qualche ora. Non puoi rimetterti in viaggio in questo stato. E comunque, non possiamo fuggire nel cuore della notte, senza dire nulla agli altri. Amelia e Sylphiel si preoccuperanno da morire.”

Presi un profondo respiro. Aveva ragione, dovevo riprendere il controllo di me stessa. Se non ragionavo e agivo lucidamente, non sarei venuta a capo di nulla.

“Va bene.” Risposi, senza guardarlo in volto. “Dormiremo per qualche ora, e poi scenderemo a colazione e spiegheremo la situazione agli altri. Amelia potrebbe tornare a Sailune e chiedere la consulenza dei suoi sacerdoti, in fondo. E Sylphiel potrebbe conoscere qualche sistema per ritardare l’effetto delle maledizioni.” L’impulso a piangere era passato, ma mi sentivo ancora terrorizzata. Ogni mago di Zephilia era addestrato a temere gli effetti delle maledizioni. Ma subirle sulla propria pelle, o su quella di una persona cara, era molto diverso dalla semplice teoria.

Gourry mi trascinò nuovamente, quasi di peso, sul letto. Mi cinse con le braccia, e prese a sussurrarmi parole sconnesse, accarezzandomi i capelli con le dita. Io non riuscivo a prestargli attenzione, la mia mente persa nell’abisso del compito che ci aspettava. Ma il quieto ronzio delle sue rassicurazioni in qualche modo riuscì a vincere le grida delle mie preoccupazioni.

Dopo qualche minuto, caddi preda di un sonno inquieto.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Rimestai con poca convinzione il tè nella tazza

Eccomi finalmente qua, con un nuovo capitolo.^^ Due piccole note: la storia dell’assassino nel capitolo è un po’ ridondante rispetto alla storia di Zuuma in Slayers Revolution (*_*), lo so, ma è stata una cosa involontaria… la avevo in mente da un sacco, e ormai era troppo tardi per cambiarla…XD In più, in una recente intervista Kanzaka ha rivelato che in realtà il fratello maggiore di Gourry è morto… per cui Derek in effetti non esiste più! XD Ma non potevo saperlo prima, quindi fingerò di non averlo mai letto e andrò avanti come se nulla fosse…*_*’ (ecco cosa succede quando uno sceglie di scrivere una fic in concomitanza con una nuova serie…XDDD)

Per Sherlock, il finale dell’Assedio in effetti non è un vero finale, nel senso che non tutto si risolve… al momento non ho ancora in mente un seguito, in realtà, ma magari in futuro penserò a qualcosa…^^

Buona lettura!

***

 

 

Rimestai con poca convinzione il tè nella tazza.

Era mattina presto, e la sala comune al piano terra della locanda era ancora deserta. Io avevo aperto gli occhi poco dopo il sorgere del sole e dato che rimanere a letto a macerare nei miei pensieri non si era mostrato particolarmente produttivo, avevo deciso di scendere, e programmare il da farsi con calma nell’attesa che gli altri si svegliassero.

Anche Gourry si era svegliato, quando ero scivolata via dal suo abbraccio, ma sembrava aver colto dal mio sguardo che stavo riflettendo, e non aveva cercato di intavolare una conversazione. Mi aveva semplicemente seguita al piano di sotto e aveva ordinato la colazione per entrambi, attendendo silenziosamente che io raccogliessi le idee.

“Penso che dovremmo andare da soli.” Conclusi alla fine, poggiando la tazza e levando lo sguardo per fronteggiarlo. Gourry, che stava portandosi un pezzo d’uovo alle labbra, abbandonò la forchetta a mezz’aria, e mi fissò. Mi aveva lasciato un’apertura così ampia che per un momento fui seriamente tentata dall’idea di rubargli il resto del cibo dal piatto, ma feci violenza a me stessa e per una volta mi trattenetti. Non era davvero il momento.

“In due ci muoveremo senza dare nell’occhio.” Proseguii. “In più… Amelia deve davvero tornare da suo padre, in modo che Philionel possa tirarsi fuori dalla guerra. E credo che Sylphiel farebbe bene ad andare con lei. Non voglio essere dura, ma sinceramente non posso preoccuparmi anche per lei. Al momento ho altro a cui pensare.”

Gourry si accigliò lievemente. “Ma credi che sia prudente lasciarle andare da sole? Voglio dire, entrambe sanno cavarsela, ma Amelia è la principessa di Sailune, e…”

“… e se si scoprisse che si trova a Elmekia avrebbe metà dei fuorilegge del regno alle sue calcagna.” Terminai per lui. “Lo so. In più, Philionel ci ucciderebbe se sapesse che la abbiamo lasciata nel bel mezzo di una guerra senza una scorta.” Sospirai. “Vorrei tanto sapere dov’è Zelgadiss. Questo sarebbe un lavoro per lui, mai che si degni di essere dove dovrebbe quando dovrebbe.” Ero sinceramente indispettita. Ma Gourry fece un mezzo sorriso.

Gli rivolsi un’occhiataccia. “Non c’è proprio nulla di divertente.” Sibilai. “Se tu non andassi a ficcare il naso dove non dovresti non saremmo in questa situazione.” Indicai la sua mano.

Gourry si strinse le dita bendate. “Se due mesi fa mi avessero detto che TU su tutti mi avresti rimproverato per aver ficcato il naso dove non dovevo ne avrei riso di cuore.” Dichiarò, solennemente.

“E questo cosa vorrebbe dire???” Ringhiai, scattando in avanti. “Comunque, ci toccherà assoldare dei mercenari come scorta.” Tornai a poggiarmi allo schienale della sedia, pensosa. “Ma di chi potremmo fidarci in un momento del genere? Degli estranei potrebbero sempre avere cattive intenzioni. A meno che…” L’idea mi balenò in mente, ma la trovai quasi immediatamente fuori luogo.

“A meno che…?”

“Stavo pensando… che potremmo chiedere a Bastian di accompagnarla.” Pronunciai quelle parole con una certa riluttanza. Sinceramente, ero convinta che il cavaliere avrebbe accettato, se fosse stato Gourry a chiederglielo, e indubbiamente sarebbe stata una soluzione comoda… ma non volevo abusare dell’aiuto di Bastian. Voglio dire, non che io mi facessi molti scrupoli normalmente… e in effetti poteva essere semplice approfittare di lui, con tutte le sue storie sull’onore e sul ripagare i debiti, ma… la situazione era già abbastanza complicata. E, sì, anche io ero capace di accorgermi di qual era il limite, una volta tanto.

“Lina…” La voce di Gourry si abbassò lievemente. “… quindi quel tizio è degno di fiducia?”

Levai il viso, e lo fissai negli occhi per un momento. “Sì.” Ammisi alla fine, abbassando lo sguardo. “ Ne sono piuttosto sicura. Vedi, lui prova molto rispetto per te. E’ per questo che mi ha aiutata a fuggire da tuo padre. Sono certa che non farebbe nulla che possa attirare il tuo odio o il tuo disprezzo.”

Avvertii, senza vederlo, che mio marito mi fissava. “Mi fido della tua opinione.” Dichiarò alla fine, in tono gentile. “Però non capisco che legame abbia lui con me. Sinceramente, non mi pare di averlo mai conosciuto prima di questa faccenda.” Esitò per un istante. “Anche se ammetto che potrei averlo dimenticato.”

Sbuffai, e stavo per sputargli contro una replica pungente, quando una voce impastata risuonò alle mie spalle. “Non mi conosci, in effetti, Sir Gabriev. Ma io ho un debito d’onore nei tuoi confronti.” Sussultai, e mi volsi di scatto. Bastian stava emergendo dall’ombra della tromba delle scale. Aveva un aspetto orribile. I suoi capelli erano una matassa di riccioli spettinati e la sua tunica nera, stropicciata, emanava un fastidioso puzzo d’alcol. I suoi occhi erano gonfi e parevano iniettati di sangue. Doveva aver alzato il gomito, la sera precedente. Ma per quanto fosse normale, per un mercenario a cui viene concessa una serata di svago, quella immagine si addiceva poco all’idea di cavaliere senza macchia che Bastian cercava di trasmettere per i tre quarti del tempo.

“Che ti è successo?” Sibilai. “E da quanto sei lì ad origliare?”

Bastian mi ignorò, e si sedette al tavolo. L’unica cameriera già al lavoro nella sala deserta, una ragazza esile e lentigginosa dagli opachi capelli biondicci, che stava risistemando le sedie che erano state accatastate sui tavoli la sera precedente, gli lanciò una fugace occhiata. Quando ebbe appurato che il cavaliere non aveva intenzione di chiedere nulla riprese il suo lavoro, con fare vagamente sollevato. In effetti, Gourry ed io le avevamo già dato un bel daffare, con la nostra colazione tripla, considerando che il fuoco in cucina avrebbe dovuto essere ancora spento.

“La mia famiglia veniva da Sailarg.” Proseguì Bastian, rivolto a mio marito. “Dopo che hai salvato la città anni fa avrei voluto ripagarti, e per questo mi sono aggregato alle truppe di tuo padre, nella speranza che prima o poi tu tornassi a Elmekia. Le accuse a Lina Inv…” Esitò. “… cioè… a tua moglie… mi hanno offerto l’occasione per saldare quel debito, aiutandola al tuo posto. E’ una storia piuttosto semplice, in effetti.”

“Oh.” Gourry mi parve vagamente a disagio, nell’udire quella spiegazione, come sempre quando veniva tirato in ballo il suo passato di mercenario. “Uh… capisco. Beh… grazie.”

“Non devi ringraziarmi. Sono io che dovrei.”

“Uh… no… davvero…”

Sul tavolo cadde improvvisamente un silenzio imbarazzato.

La cameriera ne approfittò per intrufolarsi al mio fianco. “Gradite qualcosa per colazione, signore?” Lanciò a me e Gourry un’occhiata che diceva chiaramente ‘voi due non avrete altro’.

“Acqua calda e limone.” Replicò Bastian, secco. “E uova strapazzate. E un bicchiere di gin.”

La cameriera annusò il tanfo di alcol nell’aria e gli scoccò uno sguardo colmo di disapprovazione. Con un grugnito stizzito, ci volse le spalle, e si diresse verso le cucine.

“Postumi di una sbornia?” Domandò Gourry, in tono neutro.

Bastian esitò per un momento. “Ho… un po’ esagerato, ieri sera. Non ero più abituato a bere.”

“Un po’ di alcol a stomaco vuoto la mattina dopo aiuta. Lo avevano detto anche a me, ai tempi in cui viaggiavo con le truppe di Elmekia.”

“Già.”

“Già.”

Uhm… ok. Quell’atmosfera di falso cameratismo si stava facendo un tantino surreale. Dovevo introdurre un qualsiasi argomento di discussione, prima di strozzarmi nel mio stesso imbarazzo.

“Uhm… e così, ora tornerai da Edward Gabriev, Bastian?” Domandai, giocherellando con un pezzo di pane sbocconcellato. Non avevo la minima intenzione di dirgli di Gourry e della maledizione. Nemmeno un po’.

Bastian tacque per qualche istante. Il tempo per la cameriera di sbattergli di fronte il bicchiere di gin.

Ne bevve un sorso. “Voi cosa farete ora?” Chiese poi, entrando per l’ennesima volta nella mia “top ten degli atteggiamenti irritanti”, in cui “rispondere a una domanda con una domanda” si trovava in veloce risalita.

“Non sono affari che ti riguardino.”

“Ci stiamo dirigendo a Talit.”

Io e Gourry avevamo risposto all’unisono. Ci fissammo.

“Oh, scusa.” Replicò mio marito, confuso, alla mia espressione furibonda. “Ma non avevi detto che ci dovevamo fidare?”

“Questo non vuol dire raccontare ogni cosa, Gourry!!!”

“Ma se di solito ti diverti un mucchio a spiegare per filo e per segno ogni situazione. Mi ricordo quando abbiamo affrontato quel demone, Shab- qualcosa…”

Io dispenso informazioni quando serve, testa di rapa!!! E soprattutto, non a gente che conosco da mezza giornata!!!”

“Uh, Lina, sai che affannarsi a quel modo di prima mattina fa male alla circolazione? Seriamente, dovresti cominciare a preoccupar…”

“E DI CHI E’ LA COLPA SE IO MI AFFANNO???”

“Ehm.” Un lieve tossicchiare mi riportò alla realtà. Mi volsi, ancora rossa in viso. Bastian ci stava fissando, con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. “Se mi permettete, Talit non è precisamente la meta più sicura, per voi, al momento. Non so quali affari vi conducano lì, ma…”

“SO che è pericoloso! Mi credi un’idiota???” Dei! Perché la mia vita doveva essere resa più complicata di quanto non fosse già???

“Non ti credo un’idiota. Ma il punto è…”

“… che Lina è un’incosciente.” Terminò Gourry per lui, in tutta tranquillità. “Sono pienamente d’accordo con te su questo. Nessuno potrebbe contestartelo. Ma stavolta purtroppo non possiamo fare diversamente. E in effetti la colpa in questo caso è mia.”

Ok, ora davvero cominciavo a essere inquietata da come quei due sembravano intendersela.

“Colpa tua, Sir Gabriev?”

“Se ti spiegassi perché, Lina probabilmente mi strozzerebbe nel sonno. Quindi suppongo che dovrò lasciare a lei la decisione se dirtelo o no.”

‘Ti strozzerò nel sonno comunque, Gourry!!!’

Fortunatamente, la cameriera scelse proprio quel momento per mollare bruscamente sul tavolo le uova e l’acqua e limone di Bastian. I secondi che occorsero per quel breve gesto furono sufficienti a farmi calmare tanto da impedirmi di saltare sul tavolo e prendere entrambi a calci.

Bastian parve incerto se prendere o meno le parole di Gourry come uno scherzo, ma alla fine si limitò a scuotere cautamente la testa. “Hai tutto il diritto di non dirmi le vostre ragioni.” Inchinò lievemente il capo. “Ma la mia spada rimane al tuo servizio finché lo desidererai, Sir Gabriev. Per qualsiasi cosa.”

Gourry cercò il mio sguardo, forse per chiedermi se dovevamo domandargli di Amelia, ma io evitai il suo. Non avrei saputo cosa rispondergli. Stavo pensando freneticamente a un modo per deviare il discorso, quando la porta esterna della locanda si spalancò.

Tutti e tre (quattro, contando la cameriera) ci volgemmo. E, stagliata contro la luce azzurrina dell’alba, mi trovai a contemplare la figura che meno mi sarei attesa di incontrare in quel luogo.

“Ehi, zuccherino! Tu non sei in vendita? No, eh? Portami una pinta di birra, allora! Ahr, ahr, ahr!”

Ugh. Avevo detto che Bastian puzzava di alcol? Bé, ancora non sapevo cosa significasse davvero puzzare di alcol. Dorak si trovava a diversi metri da noi, e già da quella distanza riuscivo ad avvertire il suo fetore.

Il mercenario Enu fece vagare lo sguardo per la stanza, e quando ci individuò i suoi lineamenti si contorsero ridicolmente per la sorpresa. Fece un paio di passi indietro, e per un momento fui seriamente convinta che sarebbe finito con le chiappe al suolo.

Chérie!!!” Gridò, in mia direzione. “E’ una visione, forse? Gli dei non possono essere stati tanto generosi da farci rincontrare in questo grande mondo!!!”

Affondai la testa fra le mani, ufficialmente disperata. Gourry batté le palpebre, e mi rivolse uno sguardo perplesso. L’espressione di Bastian, invece, era di aperto disgusto.

Dorak avanzò barcollando fra i tavoli, e ribaltò numerose sedie, prima di riuscire a raggiungerci. Parve studiare per diversi istanti un modo per sedersi vicino a me, ma dal momento che il mio lato del tavolo era troppo stretto, e che i miei due compagni di viaggio occupavano i due posti al mio fianco, si limitò a stringersi nelle spalle, a raccogliere la sedia di fronte a me (che aveva appena fatto precipitare al suolo) e a sedersi a cavalcioni su di essa. Anche i suoi occhi erano lucidi e arrossati, ma se non altro la sua sbronza sembrava decisamente più allegra di quella di Bastian.

“E allora, tesorino?” Mi chiese, emanando zaffate d’alito al sentore di rhum. “Sei riuscita a portare a termine la tua missione?”

Evidentemente, la presenza di Gourry non era una sufficiente risposta.

Emisi un sospiro. “Posso presentarti mio marito, Dorak?” Dichiarai, in tono piatto. “Gourry Gabriev. Gourry, lui è… oh, è troppo lungo da spiegare. Ci siamo trovati a viaggiare insieme per un po’, mentre venivo a salvarti.”

“Non ti preoccupare.” Dorak scosse la testa, veementemente. “Non abbiamo fatto nulla di male! Non da sobri, almeno!”

“Uh… mi fa piacere saperlo.” Gourry mi rivolse un’occhiata, decisamente più perplessa che preoccupata per la mia “virtù”. Scossi la testa, esasperata, e gli promisi con lo sguardo che gli avrei spiegato più tardi.

“Che diavolo ci fai, tu qui?” Sibilò Bastian, dal mio fianco. Gli vidi portare la mano alla cinta, verso l’elsa della mia spada corta, e mi resi conto che la sera prima mi ero scordata di rendergli la sua arma.

Dorak, comunque, non parve nemmeno notare il suo gesto ostile. “Che domande! Laggiù sulla terra ferma, con tutto il caos della guerra, non si riesce nemmeno a rimediare una buona pinta!” Fece una sonora risata da ubriaco. “E me la meritavo, una pinta, dopo tutto il mio duro lavoro! Non è così, zuccherino?” Dorak cercò di afferrare per la vita la cameriera, che era appena comparsa col suo boccale, ma la ragazza sfuggì facilmente alla sua presa malferma, e ne approfittò per fulminarci nuovamente tutti con lo sguardo, quello che sembrava essere diventato il suo sport preferito.

‘Ragazza, non è colpa mia se la tua locanda è un ricettacolo per buzzurri.’

“E poi…” Ridacchiò Dorak, del tutto indifferente al non troppo velato rifiuto della cameriera. “Quest’isola è rinomata per le sue prostitute! Io torno proprio ora da un posticino, che… Non ditemi che voi due non le avete provate, non sapete cosa vi siete persi!”

Per un altro, surreale secondo, Gourry e Bastian si scambiarono uno sguardo di reciproca, inspiegabile comprensione.

Mi portai le dita alle tempie. “Sentite…” Sospirai. “Questa riunione è commovente, e io starei qui a chiacchierare amabilmente con voi per tutto il giorno, davvero, ma il sole si sta alzando nel cielo, presto questa sala sarà piena di idioti ubriachi, e gradirei decidere il da farsi prima che il mio mal di testa peggiori.”

Gourry si levò stancamente in piedi. “Andrò a chiamare Amelia e gli altri, allora. Così potremo discutere con loro.” Mi strinse lievemente la spalla con la mano, prima di allontanarsi. Gli rivolsi un breve sorriso di riconoscimento.

“E allora, chérie… dove ti dirigerai, ora che il maritino è salvo? Possiamo fare un tratto di strada insieme?”

Sospirai, tornando a volgere lo sguardo dalla schiena di Gourry ai due uomini seduti al mio tavolo. “Direi di no, Dorak, a meno che tu non disponga di qualche mezzo utile come una nave diretta a sud. Nel qual caso, potrei anche decidere che in effetti sopporto la tua presenza.”

Dorak stava per replicare, ma la voce tagliente di Bastian lo interruppe. “Lina Inverse.” Ringhiò, nel suo tono altero. “Io voglio venire con voi.”

Mi volsi verso di lui, colta di sorpresa. “Non avevi detto che saresti tornato dal tuo signore?” Domandai, in un tono esasperatamente nervoso.

“Non avevo idea che aveste in mente una cosa tanto avventata come tornare a Talit.” Sibilò. “Avete bisogno di qualcuno che conosca il territorio, e che possa coprirvi se venite catturati. Potremmo fingere che siate miei prigionieri, se sono con voi. Se vi trovassero le truppe di Lord Gabriev mentre siete da soli, la tua sentenza verrebbe eseguita seduta stante. Lo sai questo, vero?” Mi fissò, intensamente, e mi trovai a distogliere lo sguardo.

“Gourry ed io sappiamo badare a noi stessi.” Replicai, bruscamente. “Siamo tutto fuorché comuni combattenti.”

Lo so!!!” Il tono di Bastian era così esasperato, ora, che mi spinse a tornare a guardarlo. “Insomma, conosco la tua fama, e ho visto Sir Gabriev mentre combatteva! Ma non posso… non potrei tornarmene a Rolan così, come se niente fosse, sapendo che voi vi state esponendo a un rischio del genere! Come fai a non capirlo???”

I miei pugni si strinsero, al di sotto del tavolo. Le mie nocche, al di sotto dei guanti, dovevano essere ormai bianche.

In ogni caso, dubito che il signorino, qui, potrebbe tornare a Rolan, chérie.” Intervenne Dorak, in tono del tutto tranquillo, inghiottendo un sorso di birra. “Considerando che è stata data alle fiamme.”

Cosa???” Bastian ed io volgemmo la testa verso di lui, e gridammo all’unisono. Fui certa di aver sentito male. Solo due giorni prima, Rolan ci era apparsa sicura, e inespugnabile!

“Ieri sera.” Spiegò Derek, con fare indifferente. “E’ stata una battaglia piuttosto cruenta, in effetti. Solo una minima parte delle truppe è riuscita a riparare verso Talit.”

La sera precedente? Quindi, mentre noi parlavamo con Meghar, le sue truppe…

“Tu menti!!!” Bastian era scattato in piedi. I pochi avventori che avevano cominciato a riempire la sala lo fissarono, con l’aria di chiedersi da dove uscisse tutta quell’energia di prima mattina. “Come diavolo faresti a saperlo, se hai trascorso la notte qui???”

Dorak non si lasciò scomporre. Si pulì l’orecchio con un dito, e ne esaminò con fare assente il contenuto. “Stanotte, in giro per l’isola, non si parlava d’altro.” Replicò, pacato. “Se ti degnassi di mischiarti alla plebaglia, di tanto in tanto, lo avresti sentito anche tu.”

Bastian strinse i pugni, e un puro furore gli si dipinse sul volto. Parve imporsi a fatica di non aggredirlo, mentre sibilava. “E che ne è stato del Lord Gabriev?”

Dorak inclinò la testa e fece un mezzo sorriso. “Ho sentito che era fra quelli che sono fuggiti verso Talit. E’ prerogativa di quelli come voi abbandonare tutto e tutti quando più conviene, non è così, cavaliere?”

Bastian spinse via la sedia, e in meno di un secondo raggiunse con le dita la collottola di Dorak. Io scattai in piedi, colta di sorpresa da quel movimento repentino, troppo lenta per essere in grado di impedirlo. Ma, fortunatamente, il risuonare di una voce autoritaria gelò Bastian sul posto.

“Che diavolo sta succedendo?”

Derek stava scendendo i gradini della scala, seguito da Gourry, Amelia e Sylphiel. Le due sacerdotesse avevano l’aria assonnata, ma Derek sembrava già ben sveglio. Aveva già indosso armi e armatura (anche se aveva avuto l’accortezza di tralasciare la tunica con le insegne) e stringeva la sua borsa da viaggio nella mano destra.

“Tu… tu non sei Dorak, il mercenario degli Enu?” Domandò, sorpreso. “Che succede? Porti qualche messaggio per me dai nostri territori?” Non potei fare a meno di notare la sfumatura di disprezzo con cui gli si rivolse. Sembrava seccato dalla sua presenza, se non addirittura vagamente ripugnato.

Il volto Dorak si oscurò per un momento, ma il mercenario parve riacquistare velocemente la sua compostezza. “No.” Replicò, in un tono deferente che non gli avevo mai sentito vestire, ma che suonava vagamente falso. “In realtà ci incontriamo qui per caso, mio signore. Sono stato inviato qui dal capo villaggio per trattare l’acquisto di delle partite di sale. Per conservare la carne, sapete.”

Derek si accigliò. “Mi auguro per te che mio padre ne sia al corrente, o passerete dei guai.” Replicò, con sprezzo. “Non avete alcun diritto di muovervi dai vostri territori e intavolare trattative di alcun genere, senza il nostro permesso. Il fatto che ci sia una guerra in corso non esime voi marmaglia dai vostri obblighi nei nostri riguardi.” Con questo, la sua attenzione abbandonò completamente il mercenario. Dorak mi stava cordialmente antipatico, ma in quel momento avvertii una vampata di irritazione per l’atteggiamento del fratello di Gourry nei suoi confronti. Che diavolo voleva significare quell’aria di superiorità? Sembrava che si stesse rivolgendo a un suo animale domestico, piuttosto che a un essere umano. “Bastian, che cosa sta succedendo?” Derek si rivolse al cavaliere, ora. “Perché ti pieghi ad attaccare briga con un Enu? Lo sai che è nella loro natura essere doppi e malevoli…”

Bastian lasciò il colletto di Dorak, e parve riacquistare il suo autocontrollo. “Mio signore…” Sibilò. “Stando a quanto quest’uomo mi ha appena riferito… a quanto pare, purtroppo, le truppe di tuo padre sono state sconfitte. Sembra che il Lord Gabriev stia riparando a Talit.”

Derek impallidì visibilmente. Indietreggiò di un passo e si appoggiò al tavolo. “Che hai detto?” Sibilò. “Sei certo che dica la verità?”

Bastian chinò lievemente il capo. “Se mentisse lo scopriremmo presto.” Dichiarò, in tono umile. “Per questo, non vedo la ragione di una sua menzogna.”

I pugni di Derek si strinsero. “E io…” Balbettò. “Io non stavo facendo il mio dovere… E per cosa? Per salvare lui!!!” Lanciò a Gourry uno sguardo colmo di rinnovato odio. “Che cosa penserà di me nostro padre, ora???”

Mio marito parve non sapere cosa dire. Fissò il fratello con aria impotente, restando a distanza di sicurezza, all’imbocco delle scale.

“Signori.” Intervenne la cameriera, in tono stizzito, avvicinandosi. “Non so cosa stia succedendo, ma state disturbando gli altri clienti.” Additò i quattro o cinque avventori dall’aria poco raccomandabile che avevano preso posto ai tavoli della sala. “Se dovete azzuffarvi, andatevene fuori di qui.”

“Diamoci tutti una calmata, d’accordo?” Intervenni io, rivolgendole una breve occhiata di assenso, perché si allontanasse. Abbassai la voce. “Dubito che le vostre questioni personali interessino a tutta l’isola.”

Ricevetti per lo più sguardi ostili, in risposta. Ma, quanto meno, la crisi passò. Lentamente, nervosamente, tutti si sedettero.

“Ora…” Esordii. “Gourry ed io abbiamo degli affari da portare a termine in questo regno.” Tacqui sui dettagli. La sera precedente avevo avuto intenzione di chiedere a Sylphiel se sapeva qualcosa della maledizione che aveva colpito mio marito, ma durante la notte avevo cambiato idea. La sacerdotessa non aveva riconosciuto i segni sulla mano di Gourry, e dubitavo che conoscesse un rimedio, se non aveva idea di quale fosse il male. Sapevo che se le avessi detto tutta la verità si sarebbe allarmata e sarebbe voluta venire con noi, e questo, in tutta sincerità, non mi andava. La mia idea era di raccontare tutto ad Amelia e chiederle di cercare qualche rimedio a Sailune, mentre io e Gourry indagavamo a Elmekia. Potevamo tenerci in contatto con la magia. E una volta là, anche Sylphiel avrebbe potuto aiutarla. Ma per quanto riguardava Talit e la città vecchia, dovevamo sbrigarcela da soli. “Non mi interessa cosa voi altri grand’uomini avete intenzione di fare, ma Amelia ha bisogno di tornare a Sailune da suo padre, e se tu, Sylphiel, potessi accompagnarla, forse dovremmo solo…”

“No, Lina-san.”

‘Eh?’

Di tutte le persone che avrei potuto prevedere come ostili al mio piano, l’ultima era decisamente Amelia. Pensavo che fosse la prima a voler tornare a casa, per risolvere la questione della guerra.

“Come no? Amelia, tuo padre è…”

“So in che situazione si trova mio padre, e so che vorrebbe rivedermi, ma ho il mio anello con il sigillo, Lina-san, e posso comunicargli che sto bene attraverso un messaggero. Il mio posto è qui a Elmekia, ora. Voglio scoprire il vero motivo per cui sono stata rilasciata. Lo sai anche tu che quel pirata non la raccontava giusta.” Si sporse verso di me, sul tavolo. “In più, se non si saprà in giro che sono di nuovo libera sarà più semplice anche per mio padre indagare, alla capitale.”

“M- ma…” Cercai disperatamente un modo per spezzare la sua risoluzione. Il mio piano perfetto si stava velocemente sgretolando di fronte ai miei occhi. “Non abbiamo un messaggero sufficientemente fidato, a disposizione. Se venissimo traditi…”

“Questo non è un problema, in effetti.” Intervenne Bastian. Da quando gli avevo detto chi era Amelia, la sera precedente, le aveva parlato in un tono di rispetto molto diverso da quello che aveva rivolto a me all’inizio. “Posso usare il mio falco per voi, principessa. Non ha mai mancato di portare a destinazione un messaggio, quando la ho utilizzata per questo.” Per la cronaca, il falco di Bastian non si era più fatto vedere dalla sera incriminata. Non che fosse una novità.

“Visto Lina-san?” Amelia batté il pugno sul tavolo. “Una soluzione viene sempre incontro agli alleati della giustizia!!!”

“Ma quali sono gli affari che dovete portare a termine tu e Gourry-san, Lina-san?” Intervenne Sylphiel. “Dato che Amelia è salva e la sua scorta ormai non può più essere aiutata…”

“Oh… ehm…” Balbettai. “Volevamo precisamente scoprire cosa c’è dietro al rapimento di Amelia.” Inventai, su due piedi. “Sapete, ormai siamo coinvolti, e… uhm, spero che Philionel almeno ci ricompensi per questo, dopo tutti i guai che abbiamo passato.” La sacerdotessa non mi parve convinta. Ma forse concluse che non volevo discutere delle mie motivazioni davanti a tutti, perché ebbe la buona creanza di non fare domande.

“Non mi importa di ciò che volete fare voi.” Intervenne Derek, stizzito. “Io devo raggiungere la terraferma e trovare un cavallo per riunirmi alle truppe di mio padre al più presto.” Si levò in piedi. “Non so nemmeno perché resto qui a perdere tempo con voi. Bastian, vai a recuperare le tue cose. Ci muoviamo ora.”

Ma il cavaliere non si alzò.

Derek gli rivolse uno sguardo stizzito. “Bastian, ho detto che partirò immediatamente. Se hai intenzione di riunirti alle truppe di mio padre…”

“Non ho intenzione di farlo.” Bastian lo interruppe, in tono ardito. Chinò il capo, assumendo per un momento un atteggiamento di umile esitazione, ma Derek parve troppo sorpreso per rispondergli. “Ti ho confessato il mio tradimento, quando ci siamo incontrati a Rolan, e ti ho spiegato quali fossero le mie motivazioni.” Proseguì il cavaliere. “Perdonami, ma è per le stesse motivazioni che ora devo disobbedire al tuo ordine, mio signore. Il mio compito qui non è ancora concluso. Mi ricongiungerò alle truppe a Talit, una volta che lo avrò portato a termine, e allora non mi opporrò a ricevere la giusta punizione per il mio comportamento.”

Avevo voluto intervenire per fermarlo, ma quella frase mi zittì. Bastian conosceva i rischi e le conseguenze, e stava volontariamente mettendo la sua vita in gioco. Che cosa dovevo dire? Era un uomo adulto, in fondo.

Derek, da parte sua, parve farsi livido di rabbia. Ma la sua voce era controllata, quando replicò. “Fai come preferisci. Ma sappi che a mio padre non piacerà. Non mi hai chiesto di coprirti di fronte a lui, e io non lo farò. Ma non mi sentirò responsabile se la tua testa salterà, Bastian. Avrebbe potuto perdonarti, se mi avessi seguito ora, ma così ti giochi l’ultima possibilità di redimerti ai suoi occhi. E io non me lo inimicherò certo per te.” Volse lo sguardo a Gourry. “In quanto a te, considero saldato il mio debito. Perciò non ti aspettare che parteggi per te, se deciderai di ripresentarti di fronte a nostro padre.” Volse le spalle, per andarsene, ma la mia voce lo bloccò. Parlai ancora prima che il mio cervello lo realizzasse.

“Aspetta, Derek! Porta Sylphiel con te!”

Le teste di tutti i presenti al tavolo si volsero verso di me, le espressioni stupite e confuse (beh, a parte quella di Dorak, che era ormai apparentemente del tutto intento alla sua birra). Sylphiel quasi si alzò sulla sedia, per la sorpresa. “Lina-san!”

“Se non puoi tornare a Sailune, allora è meglio che tu vada a Talit.” Spiegai. “La città ha mura solide, e non ci sono grosse probabilità che cada a breve.” Mi avvicinai, e sussurrai in modo che solo lei potesse sentirmi. “Sylphiel, anche io e Gourry dobbiamo dirigerci a Talit, ma io sono ricercata, e se ti vedessero con me l’immagine di Sailarg ne sarebbe compromessa.” Mi auguravo che fosse un argomento abbastanza convincente. “Ascoltami, quando questa faccenda sarà finita, ti prometto che Gourry ed io ti scorteremo a casa. Per ora…” Trassi una delle mie gemme magiche da una tasca del mantello. “Tu conosci il Vision Spell, giusto? Lancialo su questa e su uno dei tuoi oggetti. Così potremo contattarti se ce ne sarà la necessità.”

Afferrai il polso di Sylphiel e le posi la pietra sul palmo della mano, ma la sacerdotessa mi parve incerta. Gettò uno sguardo ad Amelia e Gourry, mordendosi il labbro come se si attendesse un loro intervento.

Derek, alle sue spalle, batté i piedi con impazienza. “Ha ragione, per una volta.” Sibilò. “Mia signora, con me sarai di certo più al sicuro che con questa gentaglia. E in ogni caso è meglio che tu non ti faccia vedere con persone simili.” Lanciò deliberatamente un’occhiataccia a Dorak, nel parlare. “Ma dobbiamo muoverci. I soldati in fuga hanno già una notte di vantaggio su di noi.”

“Io… d’accordo.” Sylphiel sembrava ancora poco convinta, ma la mia sicurezza e l’urgenza nel tono di Derek dovettero spingerla a risolversi. “Aspetta, Derek- san, vado a prendere le mie cose.” Strinse la gemma nel palmo, e fuggì al piano di sopra. Avevo idea che avesse già addosso i pochi oggetti che si era portata per il viaggio, e che volesse semplicemente allontanarsi da occhi indiscreti per recitare la formula. Saggia scelta. Non sapevo ancora se io e Derek ci saremmo trovati contro come nemici, ma non era il caso che lui fosse a conoscenza del nostro contatto con Sylphiel. In fondo, la sacerdotessa poteva essere una ottima fonte di informazioni su quanto stava accadendo alla corte.

Dopo pochi minuti, Sylphiel scese le scale. Fingendo di allacciarsi il mantello, lasciò cadere la gemma stregata nella mia mano, e si avviò alla porta, dove Derek la attendeva silenzioso. La locanda ormai si era riempita, e nessuno degli avventori parve fare caso alla separazione del nostro piccolo gruppo. “Lina-san, Gourry-san, Amelia-san… state attenti, vi prego.” Ci rivolse un breve inchino, prima di affiancarsi a Derek. Lanciandoci un’ultima occhiata preoccupata, uscì dalla locanda.

“Aaaah, peccato.” Commentò Dorak, vago. “La sacerdotessa era proprio un bel bocconcino.”

Strinsi i denti, esasperata. “Dato che essere due in più del previsto ci rallenterà considerevolmente, sbrigatevi a finire di mangiare.” Intimai a Gourry, Amelia e Bastian. “Ci muoviamo di qui fra mezz’ora.”

“Tre.” Puntualizzò Dorak, posando il boccale ormai vuoto.

“Tre cosa?”

“Saremo tre più del previsto.” Il mercenario sorrise. “Mi hai detto che mi avresti preso con te se ti avessi procurato una nave per arrivare a Sud. E una nave è esattamente ciò che ho da offrirti.” Il suo sorriso si allargò. “Chérie.”

 

 

***

 

 

Beh… per essere una nave era una nave. Una di quelle snelle e lunghe, che sembrano più adatte a navigare su un fiume che in mare aperto. Il problema era che nessuno sembrava essere mai stato particolarmente preoccupato della sua manutenzione. Alcune delle assi del ponte erano evidentemente smesse e le vele erano sbiadite e parevano doversi sfaldare al minimo tocco. E non c’era molto spazio, a bordo, solo per noi cinque e per quattro membri dell’equipaggio. Ma navigando vicino alla costa probabilmente sarebbe riuscita a portarci a destinazione. Probabilmente.

Almeno, così sosteneva il capitano. Non sembrava precisamente degno di fiducia, con quel volto sfregiato e quei denti marci, ma aveva quanto meno l’aria di chi conosce il fatto suo.

“Ricordami come ti sei procurato questa nave esattamente.” Domandò Lina al mercenario chiamato Dorak, occhieggiandolo con sospetto, per l’ennesima volta da quando eravamo saliti a bordo. Eravamo solo noi tre, sul ponte. Amelia era sottocoperta, intenta a scrivere a suo padre, e il cavaliere, Bastian, aveva accettato di rimanere di guardia fuori dalla sua cabina, mentre noi davamo un’occhiata alla nave. In realtà c’era scarso rischio che ci fosse qualche assassino nascosto dietro l’angolo – non c’era lo spazio per nascondersi, in effetti – ma tanto valeva andare sul sicuro.

“Te l’ho detto, il capitano è un pescatore, un mio vecchio amico. Dato che doveva andare a Sud ha accettato di darci un passaggio per pochi soldi. Che fortuna, eh? Con qualche moneta d’oro e un paio di giorni di viaggio arriverete a destinazione.”

Non ebbi bisogno nemmeno di guardare Lina in volto, per sapere cosa pensava. NON era normale che una nave si muovesse liberamente per mare, di quei tempi. E se quello era un pescatore, noi due eravamo una coppia di saltimbanchi.

Ma mia moglie non diede voce ai propri pensieri. “Mmm. E sei sicuro che non finiremo per farci avvistare da Talit, giusto?”

“Tranquilla, tesorino, ci fermeremo almeno a un giorno di viaggio da Talit. Se arrivassimo fin lì mi allungherei troppo la strada fino a casa.”

Non avevo una gran simpatia per il mercenario (sebbene avesse un’aria vagamente familiare), ma dovevo riconoscergli che aveva un certo fegato a chiamare Lina “tesorino” e non temere per la sua vita. Avevo visto banditi compiere lo stesso errore e fare una fine molto, molto, molto dolorosa.

“E ora, chérie… vi ho mostrato la nave. Per cui, se vuoi scusarmi, il capitano mi aspetta per un bicchiere di rhum…” Ci volse le spalle, agitò la mano, e sparì verso la bassa porta che conduceva sotto coperta.

Udii Lina sospirare. “Sempre che serva rimarcarlo…” Borbottò. “… di lui non ci si può fidare.”

Feci un mezzo sorriso. “Non mi dire.”

Anche mia moglie mi sorrise brevemente, ma poi il suo volto si oscurò. “Ehi, Gourry. Come va la mano?”

Mi strinsi nelle spalle. “Sempre lo stesso. Ho l’impressione che il rossore si stia estendendo, effettivamente, ma è comunque un processo molto lento.”

Lina si morse un labbro, ma annuì. “Credo sia un bene che si stia estendendo.” Mormorò. “Credo che significhi che l’incantesimo sta ancora facendo il suo effetto. Forse vuol dire che è ancora reversibile.”

Mi dispiaceva vederla così in ansia per colpa mia. E la sua preoccupazione era aggravata dal fatto di essere all’oscuro della effettiva entità del problema. Conoscere cosa dovevamo combattere la avrebbe aiutata, ma il fatto, per una volta, di non avere risposte, doveva apparirle terribilmente frustrante. “Che cosa ti ha detto Amelia? Lei ha qualche idea su come guarirla?” Sapevo che ne avevano parlato, prima di salire a bordo della nave, ma dall’espressione di Lina quando quel colloquio era finito temevo di non poter presagire nulla di buono.

Mia moglie confermò i miei timori, scuotendo la testa. “Non conosceva nemmeno l’incantesimo. Però mi ha promesso di scrivere una nota a suo padre nel messaggio, chiedendogli di rigirare la domanda ai sacerdoti di Sailune… spero lo facciano senza problemi. Quel genere di magia gode di una pessima reputazione, ma in fondo sto chiedendo loro un rimedio, non il modo di lanciarla.” Sospirò. “Deve esistere una magia umana in grado di funzionare. Quell’incantesimo non è opera di un Mazoku, quindi di certo non servono poteri superiori per spezzarlo.” Stava ragionando ad alta voce, e io la lasciai fare. Non avevo idea di come funzionasse quel genere di cose, ma ero certo di una cosa: se c’era una persona in grado di trovare una soluzione, quella era Lina. Quel pensiero mi rendeva, a dispetto di tutto, stranamente tranquillo.

“E Amelia cosa ha intenzione di fare, ora?”

“Ha detto che vuole aiutarci con le indagini alla città vecchia.” Rispose Lina, pensierosa. “Inizialmente pensava di introdursi in qualche modo a Talit, ma sono riuscita a farla desistere dall’idea con la scusa che Sylphiel studierà la situazione lì per noi.” Mi lanciò un breve sorriso, e mi prese il braccio. “Le ho raccontato quello che è accaduto e le ho rivelato i miei sospetti su Erianna, ma ho fatto malissimo. Ho risvegliato la sua sete di giustizia, e quella ragazza può diventare terribilmente persistente, quando questo accade. A volte ho l’impressione di vedere i suoi occhi offuscarsi come quelli di uno zombie, quando inizia uno dei suoi discorsi.” Esitò. “Anche se è più saggio non farglielo notare. Gli zombie sono creature estremamente malvagie.”

Ridacchiai. “Ogni creatura è recuperabile al bene, anche gli zombie.” Replicai. “Chiedilo a Philionel.”

“Oh, ottimo argomento, davvero. Hai intenzione di provare tu a convincerla?” Mi lanciò uno sguardo giocoso. “Ti offrirò una cena, se ce la farai.”

“Sarebbe interessante farlo solo per vedere come tu ti tireresti fuori dalla promessa della cena.”

“E questo cosa vorrebbe dire? Io mantengo sempre la parola data!”

“Oh, certo.” Levai un sopracciglio. “E i maiali volano. E tu hai effettivamente delle tette.” Lo dissi di proposito, pur presagendo la mia morte. Il volto di Lina era adorabile, un momento prima che procedesse all’omicidio.

“Sai che tra un secondo desidererai profondamente non aver mai aperto bocca, vero?”

Annuii, saggiamente. “E’ il destino di noi rivelatori di verità.”

Parai il suo affondo un momento prima che raggiungesse il mio volto. Un attimo dopo, ci stavamo azzuffando come due gatti selvatici, e io stavo ovviamente perdendo. Ma mi stavo divertendo un mondo.

Fui salvato dall’essere sfigurato dal risuonare della voce di Amelia. “Lina-san!”

La principessa stava emergendo da sotto coperta, agitando la mano in segno di saluto. Alle sue spalle, veniva il cavaliere di mio padre, che stava fissando me e Lina, scuro in volto. Perplesso, mi resi conto che mia moglie mi aveva lasciato andare all’improvviso.

“Amelia!” Rispose Lina. “Hai terminato di scrivere?”

La principessa annuì, sorridendo. “Avete già finito il vostro giro di ispezione?” Domandò. “Beh, in effetti non è che ci sia molto da visitare.” Aggiunse poi, lanciando un’occhiata mesta a un’asse marcia e giungendo evidentemente alle mie stesse conclusioni sulla nave.

Alle sue spalle, Bastian levò il braccio guantato ed emise un fischio. Un grido stridulo risuonò dall’alto, e il falco, che sin da quando eravamo saliti a bordo era rimasto appollaiato sull’albero maestro, scese in picchiata verso di noi.

Mi aspettavo di vederlo planare sul braccio proteso di Bastian, ma inaspettatamente, dopo aver girato attorno al cavaliere, la bestia lo evitò, e andò a posarsi sul parapetto della nave, a fianco di Lina. Battei le palpebre. Non ero in grado di interpretare le reazioni di un falco, chiaramente, ma si era mosso con un fare che in un essere umano avrei definito altezzoso.

Il cavaliere, di fronte a me, strinse i denti. “Dannata bestia testarda.” Lo udii sibilare. Quasi lo avesse compreso, l’animale rispose con un richiamo stridulo.

Lina mi parve immensamente divertita dalla cosa. Allungò le dita, e accarezzò la testa del falco, che con lei si comportò in modo del tutto docile. “Sei certo che porterà il messaggio a destinazione?” Domandò, senza preoccuparsi di mascherare la sua ilarità.

“E’ addestrata a farlo.” Replicò il cavaliere, secco, in un tono che, avrei giurato, cercava di nascondere la sua irritazione. “Per quanto evidentemente ami scordarsene.”

Il falco volse la testa in sua direzione, e con calma, impassibilmente, si levò nuovamente in volo, spingendosi sul parapetto. Raggiunse finalmente il suo braccio, e si piegò a mordicchiargli le dita, con fare affettuoso. Il cavaliere emise un sospiro. “A Sailune.” Intimò, legandogli il messaggio alla zampa. “Mi hai capito? E torna qui, dopo, portandoci la risposta. Niente deviazioni.”

La bestia si limitò a fissarlo, con occhi intelligenti, e quando il cavaliere protese nuovamente il braccio verso il mare, spiccò in volo. In pochi secondi, stava sparendo in lontananza.

Bastian sospirò nuovamente, osservandola svanire. Non sembrava particolarmente certo del risultato.

“Beh… dal momento che questa faccenda è sistemata…” Lina volse le spalle al mare, e prese a dirigersi sotto coperta.

“Dove stai andando?”

“A dormire.” Mi lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Non ho riposato granché stanotte, e qui non c’è nient’altro da fare. Tu vieni con me?” Era più o meno metà pomeriggio. Non eravamo partiti da molto, perché quella mattina avevamo perso tempo a trovare un’imbarcazione per raggiungere la nave, attraccata su una delle isole vicine a quella delle carceri, dal momento che Derek se ne era andato con la barca con cui Lina e gli altri erano giunti lì il giorno precedente. Erano state due lunghe giornate, e anch’io ero stanco, in effetti, e avrei volentieri sonnecchiato un po’ prima di cena. Però, non me la sentivo molto di scendere sotto coperta. Dovevo ancora abituarmi a stare su una nave, e temevo che stando al coperto mi tornasse la nausea.

Scossi la testa. “Preferisco prendere un po’ d’aria.” Le sorrisi. “Sarò qui, comunque, se hai bisogno di me.”

Lina mi rivolse un mezzo sorriso, annuendo, ma non replicò nulla. Sparì giù per le scale, e la udii imprecare sonoramente contro un gradino marcio, verso metà della rampa. Repressi una risata.

“Gourry-san.” Amelia mi si rivolse, in tono allegro. Non aveva più il vistoso vestito ufficiale che aveva indossato mentre si trovava prigioniera, ma si era cambiata in un più semplice abito da viaggio: una corta tunica bianca a maniche lunghe, lievemente scollata, corredata di pantaloni e mantello bianchi. Non portava insegne, ma al di sotto delle maniche intravedevo i suoi soliti braccialetti, e al collo aveva un collare simile a quello che indossava di solito, decorato con pietre magiche. Per qualche motivo, anche se era una principessa, quella tenuta semplice pareva più adatta a lei. “Lina-san mi ha detto tutto.” Disse, semplicemente. “Non preoccuparti, vedrai che risolveremo ogni cosa. Chiunque abbia compiuto un atto così malvagio verrà punito e tu sarai libero.” Non disse altro, presumibilmente perché ci trovavamo in presenza di Bastian, ma le fui comunque grato del suo tentativo di rassicurazione.

“Non sono preoccupato.” Assicurai, con un sorriso. “Sei certa che tuo padre capirà?”

Amelia annuì con veemenza. “Sono certa che lui avrebbe fatto lo stesso, per cui capirà. Non è detto che approvi, ma questo è tutto un altro discorso.” Dovetti trattenere un sorriso. Passavano gli anni, ma certe cose non sarebbero mai cambiate.

“Penso che andrò a riposarmi un po’ anche io, comunque.” Si stiracchiò. “Stanotte ho dormito come un sasso, ma mi sento ancora esausta. Dopo tutte quelle settimane di inattività, e frustrazione…” Rabbrividì lievemente. “Beh, ci vediamo a cena, Gourry- san.” Levò la mano in segno di saluto. Bastian fece un passo avanti, come per seguirla, ma la principessa lo bloccò.

“Oh, no, non occorre, Bastian- san. Lina- san e Gourry- san hanno appurato che non ci sono pericoli immediati sulla nave, e in più nessuno sa chi sono realmente. E in ogni caso so difendermi da sola.” Gli rivolse un ampio sorriso. “Non ti sentivi molto a tuo agio sotto coperta, non è così? Rimani pure qui fuori. E’ una così bella giornata…”

Le labbra di Bastian si strinsero, ed ebbi l’impressione che si sentisse a disagio. Osservò Amelia sparire nei recessi della nave, senza volgersi a guardarmi, e fra noi cadde immediatamente il silenzio.

In effetti, anche io mi sentivo un po’in imbarazzo. Quel cavaliere sembrava davvero deferente nei miei confronti (il che bastava a mettermi a disagio), ma al contempo il suo comportamento aveva un che di ambiguo. Oh, sembrava un tipo a posto, e Lina a quanto pareva aveva stretto amicizia con lui. Però…

“Uhm… quindi hai detto di essere di Sailarg?” Domandai, vagamente, per cercare di intavolare una conversazione.

Bastian strinse ulteriormente le labbra e si appoggiò al parapetto della nave, sul chi vive. “La mia famiglia faceva parte della piccola nobiltà cittadina. Mio fratello maggiore aveva ereditato la nostra proprietà di famiglia, a nord della città, e mia sorella faceva parte delle sacerdotesse del tempio.” Replicò, fissando il mare. “Purtroppo, sono entrambi venuti a mancare nell’incidente accaduto qualche anno fa alla città, e così anche mia madre, la moglie di mio fratello e suo figlio. Ormai le proprietà di tuo padre sono diventate la mia unica casa.” Rimasi colpito dall’apparente sangue freddo con cui pronunciò quelle parole. Era un po’ simile a quello che sembrava avere sviluppato Syplhiel, negli anni. La città fantasma… tutte quelle morti sembravano così assurde che persino il dolore delle persone che le avevano subite aveva un che di irreale…

Un brivido mi attraversò. Alla mia mente si era affacciata l’immagine di quel demone bambino, e di Lina, avvolta in una luce dorata, che spariva sopra le rovine di Sailarg. Ogni volta che me ne ricordavo, mi pareva che un pugno mi stringesse lo stomaco.

“Si dice in giro che sia stata Lina Inverse.” Proseguì Bastian, troppo assorto nei suoi pensieri per accorgersi del mio sussulto. “Entrambe le volte. Sia quando la città è crollata la prima volta, sia quando è misteriosamente risorta, per poi svanire nel nulla.”

Mi volsi verso di lui, senza capire dove volesse arrivare. Il suo sguardo era ancora fisso sul mare, e non mi diede indizi sul suo stato d’animo. “Eravamo presenti, entrambe le volte.” Assentii. Non so perché lo dissi. Avrei potuto semplicemente negare il coinvolgimento di Lina, ma per qualche motivo dalle mie labbra sembrava voler uscire tutta la storia. “Ma non è stata colpa sua. La prima volta siamo stati aggrediti da un uomo che godeva della stima di tutti i cittadini, ma che era molto diverso da ciò che dichiarava di essere.” Non riuscivo mai a ricordare il suo nome… “E’ stato lui a distruggere la città. E a ricostruirla è stato un Re dei Demoni. Lui mi ha rapito, per costringere Lina a lanciare un incantesimo estremamente pericoloso. E Lina ha ceduto al suo ricatto, ma alla fine lo ha ucciso.” Mi incupii. “Allora l’incantesimo che teneva in piedi Sailarg si è spezzato. Ma non è stata colpa di Lina. Lei non ha avuto scelta.”

Stavo cercando di impressionarlo? Perché stavo raccontando quelle cose? Volevo dimostrargli cosa avevamo attraversato Lina e io insieme? Per qualche motivo, non mi sentivo particolarmente fiero di me stesso.

Il volto di Bastian era vagamente impallidito, ma il cavaliere non eruppe in esclamazioni stupefatte, come forse ci si poteva aspettare. Si limitò a stringere con forza il parapetto della nave fra le dita. “Beh, sì.” Disse, con voce lodevolmente ferma. “Non pensavo che fosse stata lei. Cioè… non più. Ne ero convinto, una volta. Ma ora non penso che sia tipo da sacrificare vite innocenti senza motivo. Anche se forse ne avrebbe le capacità.” Aggiunse, a mezza voce.

Per qualche motivo, un sorriso affiorò alle mie labbra. “A volte fa paura, eh?” Il mio sguardo si perse sul mare, e sulle nuvole che al largo parevano addensarsi nuovamente. “Quando la ho conosciuta… non avevo idea di chi fosse. Pensavo fosse una ragazzina qualunque. Ma poi ci siamo trovati contro un avversario terribile, e… la ho vista combattere. Ed era così scaltra, e determinata. Non avevo mai conosciuto una forza del genere.” Scossi la testa. “E allora ho cominciato a desiderare di conoscerla veramente per quello che era. Ed era una mercante, era una scassinatrice, era una folle cacciatrice di banditi. Era sarcastica e spaccona, e per lei le regole non esistevano.” Abbassai la voce. “Ma era anche dolce, a modo suo, anche se non lo dava a vedere. La mia fiducia nei suoi confronti era incondizionata.” Il mio sorriso si allargò. “Ho cominciato a capire quello che pensava anche senza che me lo dicesse. E lei ha iniziato a fare affidamento su di me… non solo per la mia spada. Come un amico, e come un appoggio.” Sospirai. “Mi ha attirato in tanti di quei guai che sinceramente trovarmi nel bel mezzo di una guerra, ora, mi sembra il male minore.”

“Non è un tipo che si incontra facilmente.”

“Ci puoi giurare.”

Ci fu un attimo di silenzio. Poi, avvertii lo sguardo di Bastian posarsi su di me. Mi volsi a fronteggiarlo. La sua espressione aveva un che di solenne. “Credo di aver preso la decisione giusta.” Dichiarò. “Scegliendo di ripagare il mio debito salvando la vita a Lina Inverse.” Mi rivolse un lieve inchino. “Ti prometto che farò quanto è in mio potere per farvi arrivare vivi alla fine di questa faccenda.”

Non sapevo cosa replicare. “Il tuo debito è già saldato.” Esitai. “Voglio dire… non avresti dovuto nemmeno preoccupartene, sin dall’inizio. Davvero. Ho aiutato Sailarg, ma ho fatto quello che la maggior parte delle persone avrebbe fatto al mio posto. Non… Insomma, sono già stato ripagato ampiamente dalla vostra ospitalità, quella volta.”

Bastian scosse la testa. “Ripagarti, Sir Gabriev, è stato il mio scopo fino ad oggi. Lo ammetto, all’inizio è stata forse una scusa per allontanarmi da casa, e trovare la mia strada… ma da quando mi trovo presso tuo padre… ho preso molto seriamente questo impegno. Permettimi di adempierlo.”

Scopo… anche io ero stato in cerca di uno scopo, quando avevo conosciuto Lina. In un certo senso, capivo quello che intendeva…

O c’era dell’altro?

 “Uhm… ok, non c’è problema.” Mi grattai la testa. “In fondo, non ho diritto di impedirti nulla e… il tuo aiuto può servirci. Quindi grazie.”

Bastian levò il capo e mi studiò con espressione seria, ma non aggiunse nulla. Stavo pensando a cos’altro avrei potuto aggiungere, per spezzare quel clima impacciato, quando in qualche punto sotto di me risuonò un urlo, e si sentì un rumore di vetri infranti.

“Che diavolo?!?”

Abbassammo entrambi lo sguardo. Era la voce di Lina?

Un’ondata di panico mi attraversò, e mi lanciai verso la scala che portava alle cabine. Saltai il gradino marcio, e mi avviai per lo stretto e lungo corridoio su cui si apriva la stanzetta in cui eravamo stati relegati, la prima sulla destra dando le spalle al ponte. Spalancai la porta.

Il nostro letto, che occupava i tre quarti della stanza, era sommerso da uno scheletro di metallo, e cosparso di cristalli e vetri. Alcuni frammenti avevano raggiunto il pavimento, frantumandosi in mille schegge, schizzate nelle direzioni più disparate. Mi ci volle qualche secondo per capire cosa era successo. Il grosso lampadario che pendeva al centro della cabina era precipitato. Le sue punte acuminate si erano piantate sulle lenzuola come degli artigli.

“Lina!!!” Gridai.

“Sono qui…” Una voce giunse dal pavimento, sull’altro lato del letto. Dopo un secondo, una mano affusolata sbucò alla mia vista e mia moglie, aiutandosi con la sponda del letto, si sollevò in ginocchio.

La raggiunsi di corsa, calpestando i frammenti di vetro, e mi inginocchiai al suo fianco. “Stai bene???”

“Sì… ahia!” Aveva spostato il ginocchio su una scheggia di vetro, e lasciato una scia di sangue al suolo. Anche le sue mani sanguinavano. Doveva essersi mossa con eccessiva foga, per sollevarsi, a causa del panico e della sorpresa. 

Lasciai che il sollievo mi invadesse, al pensiero che le sarebbe potuta andare molto peggio. Mi levai in piedi, e la aiutai a rialzarsi, scrutando con preoccupazione le sue mani coperte di tagli.

“Bastian!” Mi rivolsi al cavaliere, che mi aveva seguito, e ora si trovava in piedi di fronte alla porta, il volto terreo. “Chiama Amelia, per favore! Abbiamo bisogno della sua magia!”

Bastian annuì, e spari velocemente nel corridoio. Lo sentii bussare con veemenza alla porta della principessa.

“Maledetta nave!” Imprecò Lina. “Me lo sentivo che sarebbe caduta a pezzi prima del nostro arrivo!”

Le presi il volto fra le mani. “Sei certa di stare bene?” Ripetei. Aveva le guance pallide, e la fronte coperta di sudore, dopo lo spavento. “Ma come è successo?”

“Non ne ho idea!” Replicò, poggiando il dorso delle mani ferite sul mio petto. “Dormivo e… non lo so! Devo aver sentito qualcosa, o aver semplicemente avvertito il pericolo. Sono saltata giù dal letto senza nemmeno rendermene conto.” Lanciò un’occhiata al lampadario. “Per fortuna. Un secondo di più, e…”

Non terminò la frase, e gliene fui grato. Un secondo dopo, Amelia fece irruzione nella stanza. “Lina- san! Stai bene???” Era pallidissima. Spostò lo sguardo ripetutamente dal lampadario a noi due, e si coprì la bocca con le mani.

“Starò bene dopo che mi avrai guarito le mani, perché potrò usarle per strozzare Dorak e il capitano.” Sibilò mia moglie. Io sospirai. Se aveva voglia di fare del sarcasmo, doveva essere in via di ripresa.

Indietreggiai, e lasciai che Amelia si avvicinasse per curarla. Mi guardai intorno, perplesso. A proposito del capitano… dove era finito? Non era nella sua cabina? Non aveva sentito il grido di Lina, da lì vicino?

Bastian pareva essersi posto la mia stessa domanda. “Vado a chiamarli.” Ringhiò, in un tono di voce basso e pericoloso.

Prima che potessi replicare qualunque cosa, era già sparito nuovamente nel corridoio. Con un sospiro, rivolsi la mia attenzione al lampadario infranto. Una spessa fune pendeva sciolta dalla sua cima. Doveva essersi spezzata, lasciando crollare il pesante oggetto dal soffitto. Ma come? Era grossa, e non sembrava particolarmente corrosa dal tempo.

Una risposta giunse dopo qualche istante, e non fu per nulla rassicurante. Individuai l’estremità della corda. Sembrava tranciata di netto.

“Lina.” Chiamai. Mia moglie levò lo sguardo dalle mani di Amelia, e lo spostò sul mio. Non ebbi bisogno di parlare. I suoi occhi scivolarono verso il punto in cui i miei erano fissi, e si spalancarono di silenziosa comprensione. Quando i nostri sguardi tornarono a incrociarsi, le sue labbra erano strette in una linea sottile.

“Devo parlarvi.” Mormorò. “Ora che siamo soli.”

Amelia levò gli occhi dal suo lavoro, inconsapevole. L’incantesimo si interruppe, ma i tagli sulle mani di Lina erano ormai spariti.

Mia moglie si accigliò. “Probabilmente… c’è un assassino sulle mie tracce.”

Amelia cercò il mio sguardo.

“Un assassino, Lina-san?” Mi fissò, come per cercare il mio sostegno. “Credo che sia stato solo un incidente…”

“Non lo è stato.” Fui io a rispondere. “Guarda la fune che reggeva il lampadario. E’ stata tagliata.”

“Da una flare arrow, a giudicare dalle bruciature.” Aggiunse mia moglie. “Chiunque lo abbia fatto, conosce la magia.” Volse la testa verso la piccola finestra che dava sull’esterno. “Avevo lasciato la finestra aperta. Devo aver facilitato loro le cose. La levitazione è uno degli incantesimi più semplici che esistano, chiunque poteva utilizzare le due magie contemporaneamente.”

Amelia era impallidita ulteriormente. “Oh, Lina- san… ma allora qualcuno su questa nave…”

“… vuole uccidermi. Già.” Lina pareva straordinariamente calma, tutto considerato. Ma anche il suo volto era pallido.

“Da come ne parli sembra che la cosa non ti stupisca, però.” Intervenni io. “Conosci qualcosa che noi non sappiamo?”

Lina si morse il labbro. “Si tratta… di una predizione.” Mi parve esitare. “E’ una storia un po’ lunga. In ogni caso, è probabile che la Gilda degli Assassini di Rolan sia stata ingaggiata da qualcuno per togliermi di mezzo.”

Amelia, vicino a me, sussultò. Entrambi ci volgemmo verso di lei.

“La Gilda… degli Assassini di Rolan? Oh, Lina-san, ne sei sicura?”

Lina batté le palpebre. “Ne hai sentito parlare?”

Amelia deglutì. “E’… piuttosto famosa. Vedete, quando mia madre fu…” Esitò. “Beh, molti indizi portavano a loro, ma… non è facile individuarli. Non hanno identità note, sapete, e…” Le sue mani tremavano. “Puoi torturarli a morte, ma non rivelano i loro mandanti. Sono addestrati alla magia. Se… se nemmeno le guardie di un palazzo possono fermarli…” Si bloccò. Lina le si avvicinò, e le posò una mano sulla spalla.

“Terremo gli occhi aperti.” La sua voce era ferma, ma gentile. “Ma dobbiamo capire chi su questa nave può essere affiliato a loro, o lavorare per loro.”

Amelia la fissò con occhi spaventati. “Credi che sia qualcuno a bordo? Non potrebbe averci seguito in volo, o qualcosa del genere?”

Lina scosse la testa. “E’ possibile, certo. Ma in mare aperto, con molta probabilità lo avremmo avvistato. E’ molto più semplice pensare che sia qualcuno a bordo con noi. Qualcuno dell’equipaggio… o qualcuno del nostro gruppo.”

Cadde il silenzio. Mi chiesi se Lina sospettasse solo di Dorak, o anche di Bastian. La sua espressione, in quel momento, era stranamente indecifrabile.

“Sir Gabriev.” Levai lo sguardo, colto di sorpresa. Il cavaliere, come evocato dai miei pensieri, era ricomparso all’ingresso della stanza.

“Sono ubriachi fradici.” Sputò, con disprezzo. “Non sono nemmeno riuscito a svegliarli.”

Lo seguimmo nel corridoio, e verso la cabina del capitano. I due uomini erano riversi sul tavolo, e dormivano della grossa. Diverse bottiglie erano abbandonate fra loro, e due bicchieri vuoti troneggiavano ancora fra le loro dita. I miei sospetti sulla scarsa affidabilità del capitano trovavano sempre più inquietanti conferme.

“L’assassino è inutile, dubito che questa nave arriverà mai a destinazione.” Mormorò Lina, con un mezzo sospiro, quasi mi avesse letto nel pensiero. Le rivolsi un sorriso.

“Lo sveglierò con la forza e gli intimerò di restituirci le nostre monete d’oro.” Bastian fece un passo avanti verso Dorak, la spada corta di mia moglie (a proposito, che ci faceva con la spada corta di mia moglie?) levata, ma Lina lo bloccò.

“Lascia perdere.” Intimò. “Per quello che abbiamo pagato, dovevamo aspettarci che le condizioni della nave non fossero ottimali. Domattina arriveremo a destinazione, tanto vale non sollevare problemi inutili.” Ci volse le spalle e si avviò nel corridoio, lasciandoci tutti allibiti. “Gourry ed io ci trasferiremo nella cabina di Dorak, e lui potrà scegliere se passare la notte a ripulire la nostra, o restare qui con il suo amico di bevute. ” Con questo, sparì verso le scale.

Mi affrettai a raggiungerla. “Lina, cosa…”

“Non voglio sollevare un litigio.” Spiegò frettolosamente lei, a bassa voce. “Potrei anche far saltare in aria la nave e non pensarci più, ma questo risolverebbe solo temporaneamente il problema.” Mi fissò. “Voglio capire con certezza chi mi minaccia, ed estorcergli il nome del suo mandante. Nessuno deve sapere che abbiamo capito che non si è trattato di un incidente. Devo fare da esca.”

L’allarme mi catturò immediatamente a quelle parole, ma non ebbi il tempo di ribattere. Bastian ci aveva raggiunti insieme ad Amelia, e Lina mi intimò con uno sguardo di tacere. La seguimmo verso il ponte della nave, e io ne approfittai per cercare di pensare. Se Bastian si era trovato con me al momento dell’aggressione, era molto improbabile che lui c’entrasse qualcosa. E anche Dorak non mi era sembrato in condizione di muoversi, poco prima. Certo, Dorak aveva ingaggiato l’equipaggio della nave, quindi se il colpevole era uno di loro poteva essere che il mercenario c’entrasse qualcosa… però…

Aaaah, non ne avevo idea. Avrei voluto chiedere a Lina che cosa pensava, ma finché non ci fossimo trovati da soli la maga pareva risoluta a non sollevare l’argomento.

“Lina, io non ti capisco.” Sbottò Bastian, quando fummo sul ponte. “Hai rischiato di restare schiacciata! Che significa questo comportamento???”

“E’ un comportamento ragionevole.” Replicò Lina, secca. “Voglio arrivare a destinazione, non perdere tempo in idiozie.” Si sdraiò su un ammasso di vecchie vele abbandonate vicino al parapetto, e incrociò le braccia dietro la testa. “E ora, se volete scusarmi… ho intenzione di riprendere quello che ho interrotto poco fa.” Sbadigliò vistosamente, e chiuse gli occhi.

Amelia mi rivolse uno sguardo perplesso e preoccupato, ma io mi strinsi nelle spalle. “Immagino che non ci sia molto altro da fare, per ora…” Mi sedetti a fianco di Lina, e mi appoggiai al parapetto. Scrutai per un attimo i membri dell’equipaggio muoversi attorno a noi, dediti alle loro faccende, e apparentemente inconsapevoli di quanto era accaduto. Forse, tra loro c’era un assassino.

“Come sarebbe a dire ‘non c’è altro da fare’, Gourry- san? Ma se abbiamo appena scoperto che…” Amelia si bloccò, evidentemente consapevole della presenza di Bastian.

“Fareste meglio a tornare a riposare anche voi.” Suggerii, fingendo di non aver capito. “Domani sarà una lunga giornata.”

Amelia sospirò. “Voi due siete incoscienti come sempre.” Si lamentò. La vidi esitare, ma alla fine si strinse nelle spalle, e si avviò nuovamente verso le cabine. Dopo qualche secondo, anche Bastian la seguì, scoccandomi un’ultima cupa occhiata mentre spariva sottocoperta.

Levai gli occhi, incontrando gli sprazzi di azzurro che, sopra di noi, chiazzavano il cielo plumbeo.

“Che cosa hai intenzione di fare, esattamente?”

Lina non aprì gli occhi, ma sapevo che era ancora sveglia. “Attendere la loro prossima mossa.” Mormorò dopo qualche istante. “La prossima volta, saremo pronti a ricevere il loro attacco. Sempre che ci provino ancora prima della fine del viaggio.”

“Potrebbero non farlo?” Chiesi, perplesso.

“Se più di un uomo si trova sulle mie tracce, o se ad aggredirmi non è stato un membro dell’equipaggio, non ci sarebbe motivo di affrettare eccessivamente i tempi.” Abbassò la voce. “Certo… a meno che non stiano cercando di impedirmi di arrivare a Talit…”

Inclinai la testa, confuso. “E chi avrebbe interesse a farlo?”

“Qualcuno che conosce i piani di Erianna e vuole ostacolarli, probabilmente.”

“Erianna?” Mi sollevai, per osservarla. I suoi occhi erano semi aperti, ora, e intenti a scrutare il ponte. “Lina, non abbiamo ancora la certezza che le tue ipotesi su di lei siano esatte.”

Lina non si smuoveva facilmente dalle sue idee. Il che spesso significava guai.

“Lo so.” Sbottò mia moglie. “Ma se fossero esatte allora potremmo pensare che chi vuole uccidermi lo stia facendo per ostacolarla… che si tratti di Lord Georg? O di tuo padre?”

Strinsi le labbra, a disagio. Mio padre non aveva esitato a far condannare a morte Lina. Ma arrivare al punto di ingaggiare degli assassini contro di lei? Poteva davvero odiarla così tanto?

Lina volse lo sguardo verso di me e, forse notando la mia espressione, mi rivolse un sorriso. “Ehi, non preoccuparti.” Dichiarò, in tono leggero. “Anche mia sorella è una psicopatica, in fondo posso capirti.”

Levai un sopracciglio. “Questo dovrebbe tirarmi su il morale?”

Mi rivolse un ampio sorriso. “Mal comune mezzo gaudio.” Dichiarò, con inappropriata allegria.

“Comunque… ho davvero bisogno di dormire, dato che temo che questa notte dovrò restarmene ben sveglia.” Poggiò la testa alla mia spalla. “Svegliami per cena.” Mugugnò, con un mezzo sbadiglio.

“Non è il caso di scendere nella nostra cabina? O, ehm, nella cabina di Dorak, a questo punto?”

“Gradirei tenermi lontana dai restanti lampadari di questa nave, grazie.” Levò un sopracciglio. “E poi ho l’impressione che tu preferisca l’aria fresca, cara guardia del corpo.”

“Beh, su questo devo darti ragione.”

Lina ridacchiò, e chiuse nuovamente gli occhi. Dopo qualche minuto, la sentii respirare pesantemente contro il colletto della mia maglia.

I membri dell’equipaggio continuarono nelle loro faccende, ignorandoci. Tenni d’occhio i loro movimenti, stringendomi nel mantello contro il freddo pungente, finché il giorno non cedette il passo alla notte.

 

***

 

“Merda!”

Non sono abbastanza fine per essere una dolce, candida ragazza? Beh, provate a svegliarvi con una freccia di fuoco a due centimetri dal naso, e vedrete come vi sentirete ispirati a declamare versi.

 

Dopo cena, eravamo scesi nella nostra nuova cabina. Dorak si era mostrato (falsamente) costernato per quanto era successo, e ci aveva lasciato il suo posto, dichiarandosi ben felice di ritagliarsi un angolino nella stiva, insieme alle botti di vino. Il capitano non si era mostrato altrettanto accomodante. Aveva minacciato di farci ripagare i danni, e solo dopo che avevo menzionato l’opportunità di far saltare in aria il resto della nave, in modo da sentirmi realmente colpevole, eravamo giunti alla conclusione che era il caso di dimenticare entrambi quel piccolo incidente…

Mi ero appoggiata al letto con l’idea di rimanere vigile, ma a un certo punto sia Gourry che io dovevamo esserci addormentati. Finita quella faccenda, avrei dormito per settimane, immaginavo. Sempre che una freccia di fuoco non mi avesse fatta saltare in aria prima.

 

Balzai giù dal letto, inciampando nelle lenzuola, e finendo faccia al suolo. Un secondo dopo, un braccio mi afferrò per la vita, e vidi il pavimento allontanarsi, esattamente nell’istante in cui un’altra freccia di fuoco lo colpiva. Di fronte a me, le assi di legno esplosero in mille scintille.

“Lina! Tutto ok???”

“Gourry!!! Gra…” 

Non potei terminare. Gourry barcollò per evitare un’altra freccia, e finimmo a domino sul letto semiavvolto dalle fiamme.

Dovevano essere pazzi! Non si erano accorti che eravamo su una nave???

Senza nemmeno rendermene conto, dalla mia posizione supina, evocai la formula per estinguere le fiamme. Una luce bluastra illuminò istantaneamente la stanza, e nel suo riflesso scorsi una figura schizzare fuori dalla stanza.

Oh, ti piacerebbe!!!

Mi districai dall’ammasso di membra e lenzuola in cui ero imprigionata, e mi lanciai immediatamente all’inseguimento. Gourry mi si accodò, ma non feci in tempo a mettere piede nel corridoio, che il mio compagno mi investì, e fu costretto ad afferrarmi per le spalle per evitare che precipitassi al suolo. Avevo appena rischiato uno scontro frontale con Bastian.

“Che diavolo succede, ancora???” Domandò il cavaliere, la spada estratta, occhieggiando l’ennesima stanza semidistrutta alle mie spalle.

“Via di mezzo!” Gridai, cercando di superarlo, ma anche Amelia, l’aria assonnata, aveva fatto capolino nel corridoio, ostruendomi il passaggio.

“Lina-san, cosa…?”

Dannazione! Se l’uomo in fuga arrivava al ponte, lo avrei perso, e non avrei mai saputo di chi si trattava!

Ma in quel momento, una voce maschile imprecò, da una imprecisata posizione sulle scale. Levai la mano, evocando un lighting, e ne individuai con esultanza la fonte. La figura in fuga aveva messo il piede sul gradino marcio e vi era affondata, restando incastrata.

Evitai Bastian e Amelia, e schizzai in avanti. L’uomo si volse di scatto, estraendo un pugnale, ma io avevo già una formula pronta sulla punta delle dita.

“Io non tenterei scherzi, se fossi in te.” Intimai, in tono pericoloso, tenendolo sotto tiro. Alle mie spalle, Gourry mi aveva raggiunto, e aveva in qualche modo recuperato la sua spada.

“Al diavolo.” Ringhiò l’uomo, gettando a terra il pugnale. Lo vidi in volto per la prima volta, e lo riconobbi. Era il mozzo che ci aveva mostrato le nostre cabine quel pomeriggio. “Dovrai uccidermi prima di sapere qualcosa da me, Lina Inverse.”

“A questo possiamo lavorare.” Replicai, gelidamente. Non avevo grande pazienza, con chi cercava di uccidermi.

Un lampo di paura attraversò il volto del mio avversario. Evidentemente, non era un professionista. Il che significava che, se lo torturavo a sufficienza, potevo riuscire a estorcergli qualche informazione. E che potevo anche divertirmi un po’.

Le mie labbra si inarcarono in un sorriso. “Il punto però, amico, è quanto tempo impiegherai a morire. E dopo quanto inizierai a desiderarlo.”

Alle mie spalle, Amelia sussultò. “Lina-san! Questa è una frase da malvagio!” Ma il volto del marinaio era impallidito. Il mio sorriso si allargò. Oh, quanto ero brava in quel genere di cose…

“E dire che qualche tempo fa si è impegnata a spiegarmi quanto erano differenti gli esseri umani dai demoni.” Sentii la voce di Bastian, piatta, commentare alle mie spalle.

“Chi, Lina?” Replicò Gourry, con fare sapiente. “Lei è quanto di più vicino a un demone io abbia mai conosciuto.”

Mi volsi di scatto, agitando il pugno. “Guarda, Gourry, che ti ho sentito!!!” Stava sorridendo, quel maledetto. “Finitela, voi due, o più tardi faremo i con…!”

“Lina-san!”

I commenti idioti dei miei due idioti compagni di viaggio avevano distolto la mia attenzione dal mio prigioniero, ma il singhiozzo di Amelia mi riportò bruscamente all’attenzione. Mi volsi di scatto. Gli occhi dell’uomo di fronte a me apparivano vuoti. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca.

“Che diavolo…” Indietreggiai, mentre l’uomo cadeva faccia in avanti, sulle scale, la gamba imprigionata nel legno piegata in un angolo innaturale.

“Un inconveniente risolto.” Giunse una voce dalla cima delle scale. Levai lo sguardo, e incontrai quello del capitano della nave. Ci fissava dalla cima delle scale, gli occhi scuri cupi di determinazione. “Quell’idiota avrebbe parlato. E la mia signora ha detto che se qualcuno avesse rivelato il suo nome avremmo avuto di che pentircene.” Sorrise. “Questa è l’etica dei pirati. Nella lotta, chiunque è sacrificabile.” Nella schiena dell’uomo riverso di fronte a me era piantato il pugnale dall’elsa di bronzo che avevo visto legato alla cinta del capitano. Mi chiesi se con la sua mira avrebbe potuto colpire con altrettanta facilità… diciamo, la corda sospesa che reggeva un lampadario.

“Hai detto pirati? E la tua signora… chi sarebbe la tua signora?”

“Non ha importanza, Lina Inverse.” Il capitano levò la mano. “E’ tempo di morire.”

Osservai con orrore una luce rosso intenso formarsi fra la punta delle sue dita. La scala era troppo stretta per schivare. Dovevo parare il colpo.

Flare arrow!”

Wind shield!

Le frecce di fuoco esplosero contro il mio scudo, e il contraccolpo mi fece rimbalzare indietro, direttamente fra le braccia di mio marito. Le assi sopra le nostre teste presero fuoco, e in un attimo il corridoio si riempì di fumo.

Imprecai, cercando di riguadagnare l’equilibrio. Ma ci era andata bene. Se il capitano avesse scelto un incantesimo più potente, saremmo stati tutti topi in trappola.

“Lina!” Gourry gridò, tanto vicino al mio orecchio da rischiare di assordarmi. “Il fuoco!”

“Lo so!” Gridai, di rimando. “Amelia!”

“Ci sono!”La principessa avanzò da qualche parte dietro la cortina di fumo.

Ext ball!” Recitammo in coro, estinguendo le fiamme. Quando riguadagnammo visuale della cima della scala, il pirata era sparito. Raccolsi da terra il pugnale del mozzo morto e mi lanciai all’inseguimento. Appena  misi il naso all’esterno, nell’aria della notte, un’altra pioggia di frecce di fuoco piombò su di me, ma stavolta ero pronta a reagire.

Freeze arrow!” Gridai. I due incantesimi si annullarono nell’aria, e un secondo dopo… “Shadow snap!” Recitai, lanciando il pugnale verso il capitano.

Purtroppo, però, a quanto pareva quel trucco non gli era nuovo. “Lighting!” Lo sentii gridare. Lo avevo bloccato solo per un istante. Quello successivo stava già fuggendo, e i due restanti marinai si stavano gettando su di me.

“Non te lo permetto!” Gourry, emerso dalla scala, si interpose fra me e il primo dei due, respingendolo con la spada. Alle mie spalle, il clangore di un’altra spada mi rivelò che Bastian si stava occupando dell’altro.

“Non uccideteli!” Gridai. “Abbiamo bisogno di interrogarli!”

Ma le mie furono parole vane. Non feci nemmeno in tempo a terminare la frase, prima che Bastian piantasse la sua spada corta nel petto del suo avversario. E per quanto riguarda l’ultimo membro dell’equipaggio, la velocità con cui Gourry lo aveva intercettato era stata sufficiente a indurlo alla fuga. Mio marito gli si accodò, ma il suo piede finì su un’asse marcia, e caracollò al suolo con tutto il suo peso. In meno di un secondo, il marinaio in fuga aveva raggiunto il capitano, su una delle scialuppe.

“Non vi lascerò scappare!!!” Mi rimboccai le maniche, e feci per invocare un Dolf Zook, ma prima che potessi terminare la formula la voce di Amelia mi fermò.

“Lina- san! Attenta!”

Mi volsi. La figura di Dorak era emersa dal buio, alle mie spalle, e incombeva su di me. Le sue grosse mani stringevano una spada dalla lama ampia.

Dannazione’.

Piegai le ginocchia, pronta a schivare, certa che in meno di un secondo la lama sarebbe calata su di me.

E completamente in errore.

“Che c’è?” Chiese il mercenario, la voce impastata dal sonno e dall’alcol. “Si combatte?”

Feci del mio meglio per non caracollare al suolo.

“T… tu che ne dici, Dorak??? Ti sembra che ci stiamo divertendo???”

“Non arrabbiarti a quest’ora della notte, tesorino, o ti verranno le rughe prematuramente.”

Aaaaaaaaaah!!!

“Lascia stare!!!” Gridai, stizzita. “Ora devo… uh?” Mi ero volta nuovamente, e mi ero trovata a fronteggiare l’ennesima pioggia di frecce di fuoco.

Era troppo tardi per parare. Schivai di lato, ma le frecce colpirono in pieno le assi del ponte, che esplosero in una moltitudine di schegge.

“Lina!”

“Lina –san!”

Venni sbalzata contro una piccola piramide di casse, che crollò sotto il mio peso. L’impatto per un momento mi tolse il fiato, e la mia vista si annebbiò. Attorno a me si levò quasi istantaneamente un muro di fiamme.

Un istante dopo, qualcuno mi stava trascinando in piedi, e lontano dal fuoco. Quando il fumo si disperse, riconobbi il profilo accigliato di Bastian.

“G- Gourry…” Balbettai, cercando con lo sguardo mio marito sul ponte devastato dal fuoco. Un istante dopo, con sollievo, lo vidi trascinarsi fuori dalla cortina di fumo. Sembrava intero, anche se zoppicava lievemente.

“Lina!” Gridò, pallido in volto, raggiungendomi. “Stai bene?”

Annuii, debolmente. Bastian mi lasciò istantaneamente andare, tanto che rischiai di caracollare al suolo. Mi volsi verso di lui per ringraziarlo, ma aveva già distolto lo sguardo.

“Dov’è la principessa?” Sibilò, scuro in volto.

“Sono qui!” Anche Amelia emerse, insieme a Dorak, dal muro di fumo. “Lina- san! Dobbiamo andarcene immediatamente!”

“Dove sono finiti quei dannati pirati?” Replicai, guardandomi cupa attorno.

“Ormai saranno fuggiti, Lina.” Fu Gourry a rispondermi. “Tu e Amelia potete usare la magia per portarci tutti via di qui?”

Scossi la testa. “Siete troppo pesanti.” Occhieggiai Dorak. “Dorak, mi spiace, ma tu dovrai nuotare. Stiamo costeggiando la terra, la riva non è lontana.”

“Ma io non SO nuotare, tesorino.” Replicò il mercenario, con calma del tutto inappropriata alle circostanze. “Ti ricordo che sono cresciuto nel bel mezzo del deserto.”

AAAAAH, perché tutte a ME???

Ero sinceramente tentata di abbandonare Dorak al suo destino, ma sapevo già che Amelia, con la sua maledetta etica, non me lo avrebbe permesso. E non potevo pensare di trascinarmi dietro da sola Gourry e Bastian fino a riva, NE’ avrei abbandonato mio marito da solo in mezzo al mare, anche se sapevo che sapeva nuotare perfettamente.

“D’accordo, ci sarà un’altra dannata scialuppa su questa dannata nave!!!”

“Sull’altro lato della nave.” Annuì Amelia. “L’ho vista oggi pomeriggio, ora che ci penso. Venite con me!”

Pregai ogni divinità che conoscevo perché la barca non avesse già preso fuoco. Le innumerevoli buone azioni del mio passato (non dite niente) dovevano aver finalmente trovato la loro giusta ricompensa, perché quando la raggiungemmo sembrava ancora integra. Balzammo a bordo e slegammo le corde che la tenevano unita alla nave, precipitando quasi a picco in mare. Temetti sinceramente che saremmo affondati per il peso dei tre guerrieri, ma la barca in qualche modo resse il colpo. Gourry afferrò i remi, e mise a frutto la sua forza bruta per allontanarci dalla nave in fiamme. Ormai se ne intravedeva solo lo scheletro, avvolto in un incandescente lucore. Dei pirati che ci avevano attaccati, nemmeno l’ombra.

“Lina.” Ringhiò la voce di Bastian, vicino al mio orecchio. Si stava stringendo convulsamente al parapetto della barca. “Che significa tutto questo? Perché quegli uomini volevano ucciderti?” Lo disse come se la colpa dell’essere obiettivo di degli assassini fosse stata mia.

“E io come faccio a saperlo???” Replicai, in tono brusco. “Li hai sentiti anche tu, no? So solo che qualcuno, una donna, li ha ingaggiati per farlo!”

“Ah, l’invidia femminile è davvero una cosa terribile…” Commentò Dorak, mancando totalmente il punto della questione. Lottai con tutte le forze per resistere all’impulso di gettarlo a mare.

“E quindi credi che subiremo altri attacchi?” Insistette Bastian.

“Non lo so!!!” Sbraitai. “So solo che se c’è un posto in cui non voglio essere attaccata quello è il mare aperto, quindi sbrighiamoci ad arrivare a riva!!!”

In accordo con i miei desideri, Gourry accelerò il ritmo dei remi. La notte attorno a noi era buia, ma in lontananza si intravedeva la massa scura delle scogliere che lungo la costa risalivano fino alla città di Talit. Dell’altra barca non si vedeva nemmeno l’ombra. Mi chiesi se sarebbe stato più saggio evocare un lighting, o se invece indicare la nostra posizione con una qualsiasi fonte di luce magica ci avrebbe resi più vulnerabili a chiunque potesse essere in agguato all’ombra delle scogliere, pronto a coglierci di sorpresa.

“Lina – san, come facciamo ad arrivare a riva?” Domandò Amelia, in tono ansioso, spezzando il corso dei miei pensieri. “Non c’è spiaggia, solo scogli. Rischiamo di andare a sbattere se ci avviciniamo troppo con questo buio.”

Non aveva tutti i torti. Il mare non era particolarmente mosso, ma era comunque rischioso avventurarsi troppo vicino alle scogliere.

“Trasporterai Dorak a riva in volo.” Decisi. “E poi scenderai di nuovo giù e penserai a Bastian, mentre io porterò Gourry.” Mi seccava dividerci, anche solo temporaneamente, ma non vedevo altre soluzioni. Avrei voluto aiutare Amelia a portare via Dorak di persona, ma volevo che almeno una di noi restasse sulla barca per fare luce, se si fosse rivelato necessario. Fermi in mezzo al mare, saremmo stati un obiettivo semplice.

“Ho capito.” Annuì Amelia. “Levitazione!” Afferrò Dorak da sotto le braccia, e iniziò lentamente a sollevarsi in volo. Mi morsi il labbro. Le sue vesti bianche spiccavano anche al buio contro lo sfondo scuro della scogliera.

Dark mist.” Sussurrai, protendendo le dita verso di lei. Istantaneamente, un’oscurità magica avvolse le loro figure. Non potevamo più scorgerla, ma lo stesso valeva per un eventuale assalitore che avesse tentato di prenderla di mira da lontano. Rimasi a fissare il buio, chiedendomi quanto le ci sarebbe voluto per risalire la parete rocciosa e tornare indietro. Stavo quasi per rilassarmi, quando la voce di Gourry risuonò, talmente colma di allarme da farmi gelare il sangue nelle vene.

“Lina.” Rivolsi lo sguardo verso di lui. Aveva lasciato i remi, e messo mano alla spada.

Oh, no, e ora cosa…

Non ebbi il tempo di terminare il mio pensiero. In un secondo, il mare che fino a un istante prima era stato piatto attorno a noi prese a ribollire. Prima ancora che potessi rendermi conto di cosa si trattava, una serie di fiotti d’acqua concentrici si mossero verso di noi, abbattendosi sulla nostra barca da ogni direzione.

Emisi un grido strozzato. La barca si frantumò, implodendo, e proiettandoci verso l’alto con una violenza inaudita. Era stato un Dolf Zook, e ci aveva colpito in pieno. Chi lo aveva lanciato doveva annidarsi nelle vicinanze, e con ogni probabilità era già pronto a sferrare un nuovo attacco.

Ray Wing!!!” Recitai, lo stomaco stretto in una sensazione che non mi capitava spesso di provare, nonostante la mia vita pericolosa. Terrore. Era buio, non sapevo chi ci stesse attaccando, ed eravamo in un terreno sfavorevole alla battaglia. In più, dovevo preoccuparmi per la vita dei miei compagni di viaggio oltre che per la mia. E non aiutava il fatto che uno di loro sarebbe probabilmente colato a picco non appena avesse toccato la superficie dell’acqua.

Mordendomi il labbro, mi gettai nella direzione in cui avevo visto volare Bastian. Gourry se la sarebbe cavata, sapevo che lo avrebbe fatto. Dovevo avere fiducia in lui, e non permettere che il mio istinto costasse la vita al cavaliere.

Afferrai Bastian per le spalle, mentre arrancava per rimanere a galla. Lo sentii sputare e tossire, mentre lo sollevavo a distanza di sicurezza dalle acque scure.

“Lina!” Rantolò, non appena riprese fiato. “Sir Gabriev…!”

Non c’era bisogno che me lo ricordasse. “Gourry!!!” Gridai, con tutta la voce che avevo. “Gourry, dove sei???”

“Lina!!!” Sentii rispondere, da oltre i resti della barca. Mi gettai in picchiata verso di lui, e lo trovai aggrappato ad una tavola di legno.

“Gourry! Stai bene???”

“Lina…” Ansimò, lottando per parlarmi senza ingoiare acqua. “Vedo un’insenatura fra le rocce, dritto davanti a te. Io nuoterò fino a lì, tu porta Bastian in cima alla scogliera. C’è la possibilità che anche Amelia e Dorak siano stati attaccati, dovete andare a vedere!”

“Non se ne parla!” Gridai, di rimando. “C’è un assassino in giro, non ti lascio qui da solo!”

“Lina, non…”

“Attenta!!!” La voce di Bastian, sotto di me, mi mise in allarme ancor prima che avvertissi il pericolo. Dal nulla, alle mie spalle, un’oscurità magica, simile a quella con cui avevo cercato di proteggere Amelia, ci avvolse. Non capii più nulla, e mi restò solo l’istinto. Schivai di lato, prima che un colpo magico dalla natura sconosciuta mi colpisse in pieno stomaco. Ma poi qualcosa mi sferzò il braccio, con tanta forza da farmi lasciare la presa su Bastian. Arrancai, e cercai di recuperarlo, ma dovetti schivare un altro colpo, che esplose da qualche parte sotto di me. L’onda d’urto mi scagliò lontano, contro la scogliera. Battei la schiena, e il colpo mi tolse totalmente il fiato.

“Lina!!!” Udii gridare, senza capire quale fosse la fonte di quella voce. Mi accasciai, scivolando su una solida base di roccia, senza più riuscire a muovermi. Da qualche parte di fronte a me si udirono un tonfo, e altre grida.

Bastian era caduto in acqua? Lui… lui non sapeva…

Il panico mi catturò. Presi fiato, a rantolai per qualche secondo, prima di riuscire a formare le parole della formula. “P… palla di fuoco!!!” Levai una mano verso l’aria, e scagliai l’incantesimo. Il fuoco squarciò le tenebre, e per un momento il mare di fronte a me fu come illuminato a giorno. Avevo colpito l’assassino? L’avevo messo in fuga? La notte era deserta. Anche Gourry e Bastian erano spariti.

“Co… co…?” Mi alzai di scatto, ma un dolore lancinante alla gamba mi assalì, feroce come una bestia selvatica che si avventa sulla preda. Doveva essere rotta. Delle lacrime istintive mi annebbiarono la vista. Ricaddi sul mio peso, e mio il volto incontrò le rocce, e quando il dolore fu tanto forte da schermarmi totalmente alla realtà la mia coscienza scattò, e io precipitai nel buio.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


“Lina

Non credete ai vostri occhi, eh? XD Nemmeno io (XDDD), ma stavolta ho aggiornato in modo straordinariamente veloce, per i miei standard!XD Sarà l’autunno che mi da ispirazione…*_* (io amo il freddo…*_*)

Ah, il discorso che fa ad un certo punto Gourry, riguardo al fatto di voler condividere ogni fardello di Lina, me lo ha ispirato uno dei fumetti usciti di recente in concomitanza con Revolution, “The hourglass of Falces”, in cui Gourry dice a Lina  più o meno la stessa cosa…^^ (in questa bellissima scena: http://img171.imageshack.us/my.php?image=hg29rg9.jpg  *_*) Sono rimasta subito colpita quando ho letto il riassunto del fumetto, perché la frase di Gourry ben si adatta alla mia visione del personaggio in generale e al ruolo che avevo pensato per lui  nella mia storia…^^

Grazie come sempre a chi legge e commenta! ^^ (e tu, Fren, smettila di azzeccarci sempre con le previsioni! XD) Buona lettura!

 

 

“Lina. Lina, apri gli occhi.”

Mugugnai, disorientata. Mi trovavo su una superficie rigida, e le mie membra erano assurdamente pesanti. La mia gamba destra pulsava.

“Avanti, Lina, svegliati. Ho bisogno che ti svegli.”

Battei le palpebre, mettendo a fuoco il mondo intorno a me. Le rocce nere della scogliera incombevano su di me, e davanti ad esse si stagliava un volto pallido, incorniciato di biondi capelli fradici, la fronte aggrottata per la preoccupazione. Quando il mio sguardo incontrò il suo, il sollievo si disegnò istantaneo nei suoi occhi azzurri.

“Grazie al cielo.” Mormorò. Si chinò e mi sollevò delicatamente la schiena, prendendomi fra le braccia. “Ora ti appoggio alla parete, così sarai più comoda. Credo che tu abbia la gamba rotta, quindi cerca di non muoverti.”

“Gourry… cos’è successo…?”

“Hai messo in fuga chiunque ci stesse attaccando col tuo incantesimo, ma poi hai perso i sensi per qualche minuto. Per il dolore, credo.” Mi lasciò andare contro la solida roccia, in modo che potessi tenere la schiena eretta. “Ascoltami, devo andare a vedere che fine ha fatto Amelia. Non è normale che con tutto quel caos non sia tornata ad aiutarci. Puoi guarirti la gamba da sola?”

Scossi la testa. “Se è davvero rotta, ho bisogno dei suoi poteri. Non basterà un Recovery.”

Gourry annuì brevemente. “Un motivo in più per sbrigarmi a cercarla.” Mi posò la mano sulla guancia. “Ho visto un passaggio per salire fino in cima alla scogliera, e con la luce della luna dovrei riuscire ad arrampicarmi. Credo che tu sia abbastanza nascosta, qui.” Ci trovavamo in una specie di grotta scavata nella scogliera, quasi totalmente sgombra dall’acqua, forse grazie alla bassa marea. Gourry doveva avermi trasportata lì di peso mentre ero priva di sensi.

Pensare agli eventi che mi avevano trascinata lì fece scattare qualcosa nella mia mente. Mi afferrai alla maglia fradicia di mio marito. “Gourry!” Sibilai. “Bastian è…”

Mio marito non disse nulla. Si scostò lievemente di lato, permettendomi di scorgere il pavimento della grotta alle sue spalle. Lì, sdraiato supino e immobile, c’era il corpo del cavaliere.

“Sta…”

“Sta bene.” Confermò Gourry. “Dato che ti eri gettata a salvarlo, ho immaginato che non sapesse nuotare nemmeno lui. Per cui, quando lo hai lasciato, ho cercato lui, prima di venire a riva da te. Ha bevuto un po’, ma si riprenderà.”

Era così, dunque. Quando li avevo cercati con lo sguardo, poco prima, Gourry doveva essere stato sott’acqua, a recuperare il cavaliere. Lanciai a mio marito uno sguardo strano. “Mica gli avrai fatto la respirazione bocca a bocca, vero?” Quella era un’immagine che non volevo contemplare.

 Mio marito fece una smorfia. “Gli ho premuto lo stomaco col piede fino a che non ha sputato l’acqua.” Levò un sopracciglio. “Sai, Lina, ci sono cose che anche per te non sarei disposto a fare.”

La sua voleva essere un’affermazione scherzosa, probabilmente, ma io battei le palpebre, e lo fissai per un momento con nuovi occhi. Per me? Aveva salvato Bastian perché sapeva che a me importava?

Che sciocchezze. Lo ha fatto perché è Gourry, e Gourry è una persona di buon cuore.

Ma per qualche motivo, in quel momento, sentii l’impulso di abbracciarlo.

“Devo andare.” Affermò tuttavia, prima che potessi muovermi. “Mi raccomando…”

“Starò attenta.” Terminai per lui. Afferrai la sua mano, ancora premuta contro la mia guancia, e prima che potesse allontanarla ne baciai il palmo. “Anche tu.” Sussurrai, rivolgendogli un sorriso caldo.

Gourry rispose al mio sorriso, e mi parve quasi di sentire i suoi muscoli rilassarsi, attraverso la punta delle sue dita. “Sì.” Si chinò in avanti, e mi baciò la fronte. “Sarò qui in un attimo.”

Si levò, e si avviò verso l’uscita della grotta. Rimasi a fissare la sua schiena, mentre spariva nel buio. Mi portai la mano alla guancia. Le sue dita erano umide e fredde, ma il suo tocco mi aveva lasciato addosso una indescrivibile sensazione di calore.

“Mi ha salvato.” Una voce stentorea risuonò dal suolo, a qualche metro da me. Sussultai, e volsi il capo. Bastian giaceva ad occhi aperti, lo sguardo fisso sul soffitto della grotta. Mi chiesi da quanto tempo fosse sveglio.

“Co…?”

“Per la seconda volta.” Proseguì il cavaliere, senza lasciarmi terminare. “Mentre io non ho fatto altro che intralciarvi per metà del tempo.”

Mi morsi il labbro. “Non dire sciocchezze.” Replicai, in tono forzatamente freddo. “Mi hai accompagnata da lui, ricordi? E stanotte hai combattuto per difenderci.”

Bastian volse il capo. Il suo sguardo penetrò il mio con tanta intensità che dovetti lottare per non distogliere gli occhi. “Chi vuoi prendere in giro, Lina Inverse?” Domandò. Il suo tono duro mi ricordò quello del nostro primo incontro. Ma stavolta, realizzai, non lo stava rivolgendo a me. Era indirizzato a se stesso. “Tu, tuo marito, persino quella principessa… voi non siete persone comuni. Per voi quello che è successo stanotte è ‘normale’.” Da critico, il suo tono divenne improvvisamente derisorio. “Oh, io ho combattuto, certo. Ho combattuto in stupide guerre fra signorotti locali, e contro i malefici, malefici villici ribelli che si rifiutavano di pagare le tasse al mio signore. Sono un decente spadaccino, un decente falconiere, un decente servitore. Ho trascorso metà della mia esistenza pienamente felice del fatto di non vedere due centimetri oltre il mio naso.” Mi fissò, con furia. “Di che reale utilità potrei essere io a persone come te e Sir Gabriev? Rischiare di annegare ed essere salvato. Ecco tutto quello che posso fare.”

Mi agitai, muovendo la gamba sana, a disagio. “Non so che idea ti sei fatto di noi…” Esordii. “… ma se ci vedi come due specie di creature mitologiche che se ne vivono sul loro piedistallo di perfezione ho paura che ti sbagli. Siamo entrambi molto poco perfetti.” Il mio tono di voce era molto più diretto e sincero del solito, e io stessa me ne stupii. Mi piace vantarmi, sapete. Non è così usuale che io sprechi un’occasione per farlo.

Bastian eruppe in una risata amara. Si levò a sedere così di scatto che per un momento pensai che volesse gettarsi verso di me. “Perfetti?” Sibilò. “So bene che non lo siete. Voglio dire, guardati.”

Uhm… ok, e questo cosa dovrebbe significare?’

“Sei una maga, una maga oscura.” Proseguì Bastian, ignorando la mia espressione piccata. “Sei tutto ciò che mi hanno insegnato a odiare e a temere sin dalla mia infanzia. E sai essere cinica, e spietata, e calcolatrice, e…” La sua voce si affievolì. “Le ballate ci insegnano come dovrebbe essere l’amore, ma se osservo te e Sir Gabriev vedo qualcosa di decisamente diverso. Vi ho visti bisticciare come due ragazzini, vi ho visti ridere di cose stupide, vi ho visti…” Sospirò. “Vi ho visti scambiarvi degli sguardi che dicevano più di mille parole.” I suoi pugni stretti si rilasciarono, e tutta la sua rabbia parve scemare in un istante. “Le ballate sono una marea di idiozie. Avrei preferito continuare a immaginarvi così per tutta la vita, piuttosto che vedervi, vedervi davvero, insieme. Perché quello che ho visto è dannatamente più reale di qualsiasi stupido racconto.”

Abbassai lo sguardo. Per diversi secondi, il silenzio ci avvolse come un manto in una giornata troppo calda.

Mi morsi il labbro. “Bastian, senti…” 

“Scusami.”

Levai lo sguardo, colta di sorpresa. Non era una parola che gli avevo sentito pronunciare spesso.

Il cavaliere distolse lo sguardo. “Ciò che ho detto era del tutto inappropriato.” Il suo tono di voce ora era distante. Non c’era nulla del calore e dell’intensità di qualche istante prima. “Sono solo scosso per quanto è successo oggi. Lasciami perdere.”

Non lo capivo. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a comprendere per quale motivo in ogni istante, continuamente, non si desse tregua nel reprimersi e controllarsi. Sembrava agire sempre secondo un qualche schema prefissato, secondo un qualche astratto ideale di buon comportamento. Non potevo capirlo. Noi due eravamo così diversi… come il giorno e la notte.

Eppure…

“Perché hai scelto di aiutare Gourry?” Le mie labbra si mossero da sole, ancora prima che il mio cervello elaborasse quanto dovevano pronunciare.

Bastian mi rivolse uno sguardo perplesso. “Non te l’ho già detto mille volte? Il mio debito…” 

Le mie labbra si strinsero. “No, Bastian. Intendo il vero motivo.”

Ci fissammo per un momento. Quindi il cavaliere si accigliò. “Se stai insinuando che vi ho mentito…”

Scossi la testa, irritata dalla sua incomprensione. “Non sto dicendo questo. Sto dicendo che ci deve essere qualcos’altro sotto. Non…” Scossi la testa. Mi raddrizzai, per quanto la mia gamba mi permetteva. “Tenere fede a una promessa che avevi fatto a te stesso, al punto di tradire il tuo signore e aiutare una donna che odiavi? Eroico, direi, ma io credo poco agli eroismi. Perché dovresti aver accettato di rovinare la tua vita con tutto questo disinteresse? Chiamami cinica, ma io non lo capisco assolutamente.”

La mascella di Bastian si contrasse così tanto che per un momento pensai di poterla sentire schioccare. “Non chiamarmi eroe!” Ringhiò. “Tutto ciò che sto cercando di fare è…” Si bloccò. Ancora una volta, parve imporsi di riacquistare la calma. “…tutto ciò che sto cercando di fare… è espiare i miei errori del passato.” Concluse, in tono lugubre.

“I tuoi… errori?” 

Bastian parve esitare. Ma alla fine emise un sospiro, come vinto da una forza che non era più in grado di contenere. “Quando me ne andai da casa mia per ripagare il mio debito… non ero che un piccolo, presuntuoso bastardo.” Fui colpita dal gelido disprezzo che trapelava dalle sue parole. Lo aveva rivolto anche a me, quelli che sembravano ormai secoli prima. “Mio fratello era il futuro erede e capofamiglia, mia sorella una sacerdotessa rispettata. La storia del debito era solo forma. Volevo semplicemente andarmene da una città in cui non potevo costruire nulla di mio, in cui sarei stato sempre messo in ombra dai risultati ottenuti dai miei fratelli.”

Battei le palpebre. Erano… le stesse motivazioni che avevano spinto me ad andarmene di casa, non era così?

“Certo, in parte la mia motivazione era sincera. Ripagare il debito era quello che un cavaliere avrebbe fatto. E io non avrei potuto essere altro che un cavaliere, un uomo potente, rispettato e famoso.” Il suo tono di voce divenne amaro. “Era tutto ciò per cui ero stato cresciuto.”

Le sue spalle si incurvarono, e parve come ripiegarsi su se stesso. Per la prima volta, mi trovai a domandarmi quanti anni realmente avesse, Bastian. Gli avevo attribuito forse trentacinque, quarant’anni, ma avevo idea che apparisse più vecchio di quanto non era.

“Ma non mi feci molti problemi, fermandomi dal Lord Gabriev. Non mi allettava rincorrere tuo marito, vivendo la vita del guerriero errante. Tutto ciò a cui aspiravo era riuscire a distinguermi in battaglia, e ottenere un giorno un titolo e un mio territorio da governare. Questa era la sostanza dei miei grandi ideali.”

“Non c’è nulla di male, in questo.” Mormorai. Mi rendevo conto che era turbato, e per qualche motivo le sue parole turbavano anche me. “Bastian… tutti gli esseri umani sono mossi, almeno in parte, da motivazioni egoistiche. Anche chi vive solo per aiutare gli altri in un certo senso lo fa per soddisfare il proprio io. E’ semplicemente la natura umana.”

Bastian mi fissò, intensamente. “Ma fino a che punto ci si può spingere, per soddisfare le proprie ambizioni?” Rimasi in silenzio. Io non ero certo la persona più adatta a rispondere a quel genere di domanda.

Bastian si accigliò. “Nei primi tempi in cui mi trovavo al servizio di Lord Gabriev… mi innamorai di una ragazza.”

Battei le palpebre, colta di sorpresa da quel repentino cambio di argomento. “Una ragazza…? Vuoi dire una delle donne alla corte di Lord Gabriev?”

Bastian scosse il capo. E, inspiegabilmente, sulle sue labbra affiorò un sorriso amaro. “Sarebbe stato molto più semplice, se fosse stato così. Ma la realtà non lo è mai, non è vero?” Sospirò. “La conosci anche tu, comunque. Si tratta di Sybil.”

“Sybil???” Rischiai di strozzarmi, nello sforzo di non mutare eccessivamente di espressione. Non volevo essere maleducata, ma… Sybil? Non mi sembrava esattamente il tipo da storie d’amore clandestine.

“So a che cosa stai pensando.” Disse Bastian, squadrandomi. Per qualche motivo, una vampata di calore mi risalì al volto. “Ma ti assicuro che Sybil non è sempre stata com’è ora.” Abbassò la voce. “E’ sorprendente, in effetti, quanto le persone possano cambiare.”

“E tu… tu e lei…”

“Sybil era nipote della precedente sacerdotessa, e pareva aver ereditato il suo dono. E di certo non lo rifiutava. Amava tutto ciò che riguardava la magia sciamanica, e la predizione del futuro. Era semplicemente parte di lei.” Bastian sospirò. “Ciò che non accettava, però, era che le sue capacità dovessero essere asservite agli scopi del suo villaggio. Voleva vivere per se stessa, e vedeva più lontano dei confini ristretti in cui era stata costretta a crescere. Vedeva anche molto più lontano di me, probabilmente, ma per qualche motivo parve attratta dalla mia presenza. Fu lei ad avvicinarsi a me per prima. Forse, semplicemente, era affascinata dal fatto che io provenissi da un luogo che a lei, che era vissuta sempre nel villaggio, appariva straordinariamente lontano.”

Bastian tacque, per qualche istante. Lo osservai rabbrividire, nei suoi vestiti fradici. “Non era inusuale che gli uomini del Lord Gabriev avessero un’amante all’interno del villaggio.” La sua mascella si contrasse, ed ebbi l’impressione che si stesse estremamente vergognando delle sue parole. “Tutti sapevano, ma l’importante era non pubblicizzare la cosa. Le donne Enu… erano considerate meno di niente, da tutti noi. Potevamo semplicemente divertirci, finché non ci fossimo stancati di loro.”

I suoi pugni si strinsero. “Anche per me iniziò così, ma… poi divenne diverso.” Mi guardò negli occhi. “Io l’amavo… l’amavo davvero, Lina.” Ripeté, come se oltre ad assicurarlo a me, volesse assicurarlo anche a se stesso. “E’ stata lei a regalarmi il mio falco. Mi ha insegnato ad allevarla come lei avrebbe fatto, e mi ha detto di portarla via dal villaggio, di farla volare in un cielo più ampio. E io le ho promesso che avrei portato via anche lei. Che avrebbe visto il mondo.” Distolse lo sguardo.

Mi accigliai. Cominciavo a presentire quello che era accaduto …

“E poi… cosa è successo?”

Bastian sospirò. “La sacerdotessa del villaggio… non si può sposare. Non può avere una famiglia, né dei figli. E’ di proprietà esclusiva del capovilaggio, come qualsiasi altra cosa.” Si slegò il mantello fradicio dal collo, e lo lasciò scivolare al suolo. “Non sapevano dei miei piani, ma il fatto che insistessi incoscientemente ad andare da lei ogni volta che ne avevo l’occasione era sufficiente ad allarmare le autorità del villaggio. Non eravamo… molto discreti.” Sospirò. “E alla fine Dorak venne inviato presso il Lord Gabriev, per richiedere in via ufficiosa che io venissi ammonito a non recarmi più nel villaggio.” Bastian strinse i denti. “Io feci finta di niente, sperai che l’orgoglio del Lord Gabriev gli imponesse di non ascoltare la richiesta di uomini che tanto disprezzava, ma Dorak continuò a insistere, a dire che ormai ero stato stregato da quella donna e che l’avrei voluta sposare, e che lui sarebbe diventato lo zimbello dei Lord vicini, perché uno dei suoi sottoposti si era fatto incantare da una Enu.” Sospirò. “La realtà è che Dorak mi odiava. Avrebbe voluto avere Sybil, ma si era sempre trattenuto con lei, per il suo ruolo. E il primo straniero arrivato al villaggio era riuscito a portargliela via.” Tracciò con le dita la cicatrice che aveva sul volto. “Comunque, alla fine, ricevetti l’ordine di allontanarmi da lei. Pena, il disonore e la rimozione della mia carica.”

“E obbedisti.” La mia non era una domanda.

“Ebbi paura.” Replicò Bastian. “Avrei potuto rinunciare a tutto per lei e portarla via di lì, ma ebbi paura. Di perdere tutti i miei privilegi, di vedere infranti i miei sogni. O forse, semplicemente, fui troppo orgoglioso per ammettere che avrei potuto farlo per una Enu. Obbedii al mio signore.” Ogni parola sembrava infliggere una pugnalata a Bastian. Il suo volto, ora, era una maschera di rimorso. “Dorak ovviamente riferì quello che avevo risposto, ma non seppi più nulla dal villaggio. Provai ad andare avanti con la mia vita, ma mi sembrava di impazzire. La avevo tradita, capisci? Avevo tradito la mia promessa, e quello che provavo per lei.” Levò nuovamente lo sguardo a fissarmi. I suoi occhi erano scavati e vuoti. “E allora tornai da lei. Tornai, con l’intenzione di portare a termine ciò che prima avevo avuto troppa paura di realizzare.”

Spalancai gli occhi. “Tornasti da lei? Ma allora…”

Bastian scosse la testa. “Quando sono arrivato al villaggio, lei non c’era più. Mi dissero che si era recata da qualche parte nelle steppe, insieme a sua madre, per affrontare il suo addestramento come sacerdotessa. Fui uno stolto, ma credei a quello che mi era stato riferito. Credei che fosse il suo modo per dimostrare che non aveva bisogno di me. E quindi scelsi di attendere che tornasse di sua volontà, e scoprii la verità troppo tardi.”

“La verità?”

“Non se ne era andata per terminare il proprio addestramento, se ne era andata per nascondersi. Perché se la gente del villaggio avesse saputo lei sarebbe stata abbandonata anche da loro, e si sarebbe trovata definitivamente sola.”

“Saputo? Saputo co… oh.” Mi bloccai, di fronte allo sguardo eloquente di Bastian. Ripensai ai due bambini, i due gemelli, che avevo incontrato fuori dalla casa di Sybil, prima di parlarle. E improvvisamente tutto fu chiaro.

I miei occhi si spalancarono.

“Nessuno mi ha mai detto esplicitamente la verità.” Proseguì Bastian, come parlando a se stesso, ora. “Ma mi è bastato guardarli, per capirlo.”

“Ma tu eri tornato al villaggio, giusto? Insomma, dopo il suo ritorno, non avresti potuto…?”

“Avrei voluto.” Replicò Bastian. “Ho pregato Sybil di prendermi con sé, di permettermi di riconoscerli, e di andarcene insieme. Ma lei… lei ormai non era più la stessa persona che era prima, e ogni traccia di quello che aveva provato per me era sparita. Lei mi odiava, Lina. E aveva ogni ragione per farlo.” Si prese la testa fra le mani. “Che cosa avrei dovuto fare? Quei bambini sarebbero cresciuti felici e inconsapevoli di chi erano i loro reali genitori, se avessi lasciato perdere. Se invece mi fossi intestardito, avrei rischiato di rovinare la loro vita, e di compromettere ancora di più quella di Sybil. Nella migliore delle ipotesi, la avrei privata di altre alternative se non il restare completamente sola con due figli, o accettare la vita a fianco di un uomo che ormai detestava. Aveva fatto la sua scelta, e io non potevo più intervenire. Anche se era stata una scelta a cui io la avevo costretta.”

Tacemmo entrambi, per alcuni lunghi istanti. Provai l’impulso di pronunciare qualche parola di conforto. Dirgli che non aveva avuto colpe sarebbe stata una ovvia bugia, ma di certo io non ero la persona giusta per condannarlo. Semmai, ero la persona giusta per comprenderlo.

“Bastian…” Mormorai. “Se io dovessi raccontarti tutti gli errori che ho commesso nella mia vita, ne avremmo per giorni. Perciò non ti aspettare il mio biasimo, perché non lo avrai.”

I suoi occhi tornarono a incontrare i miei, e ancora una volta sentii l’impulso a distogliere lo sguardo. Gli occhi di Gourry avevano un’intensità diversa da quelli di Bastian. Mio marito sapeva scandagliare la mia anima, ma non avevo mai la sensazione che invadesse i miei pensieri. Il cavaliere, invece, aveva la insana capacità di mettermi a disagio.

“Lina…” Bastian mormorò il mio nome con una strana, nuova dolcezza. “… so bene che anche tu lotti costantemente con la tua ambizione. Ma il fatto è che tu… in qualche modo riesci a controllarla. Io ogni giorno devo lottare per riuscire ad essere una persona di cui io possa avere stima, mentre tu… tu hai una forza che io non ho mai posseduto. E’ ironico … tutto ciò che odio in me stesso credevo di odiarlo anche in te, e invece…” Esitò. “E’ lui, non è così? E’ perché c’è lui al tuo fianco, che riesci a vivere così… serena…?”

Abbassai lo sguardo. La voce di Bastian si ridusse a un sibilo. “Hai bisogno di lui, per essere ciò che sei. Se anche io… se anche io potessi…” Esitò. “Non c’è via d’uscita.” Aggiunse, in poco più di un sussurro.

Non replicai. Rimasi in silenzio, fissando le rocce nere, e ascoltando il rumore della risacca contro gli scogli.

“Non so perché ti ho raccontato queste cose.” Concluse Bastian. “Non ne avevo mai parlato con nessuno, prima.”

Mi morsi il labbro. “E sei…” Esordii, alla fine, in un sibilo. “… sei ancora innamorato di Sybil, Bastian?”

Sentii il suo sguardo fisso sul mio viso. “Sybil… ha esercitato sulla mia vita più influenza di chiunque altro.” Sussurrò. “Io la ho condannata a essere ciò che non avrebbe mai voluto… asservita al potere, e indifferente a ogni cosa. Mentre lei…” Esitò. “Il mio modo di agire ora… dipende da lei. Non abbandonerò mai più qualcuno che amo.” Tenni lo sguardo risolutamente puntato verso il basso. “Anche per questo, non potrò mai dimenticarla… Ma no, non la amo più. Sono cambiate troppe cose.” Sospirò. “Anche se questo mi fa sentire ancora più in colpa nei suoi confronti.”

E Sybil, aveva smesso davvero di amarlo? Ripensai alla sua espressione, nella sua casa, quando mi aveva congedata. Sembrava aver desiderato disperatamente dirmi qualcosa. Non sapevo risolvermi a parlarne a Bastian, però. Se avessi sollevato in lui il dubbio, sarebbe tornato da lei? E lei lo avrebbe davvero accettato, o lui avrebbe visto i suoi sforzi respinti, ancora una volta?

Non riuscii a levare lo sguardo. Anche solo guardare Bastian, in quel momento, mi trasmetteva un senso infinito di solitudine. Cosa sarei stata, io, se non avessi incontrato Gourry, anni prima, in quella radura infestata di banditi? Anche io avrei finito per lottare incessantemente con quei lati di me che mio marito era così abile nel placare?

Forse Bastian e io non eravamo diversi come all’inizio avevo immaginato.

“Lina.”

Sussultai. Per un momento, avevo scordato che c’era un mondo, al di fuori di quella grotta. Ma il risuonare della voce di Gourry mi riportò alla realtà.

Levai lo sguardo. “Gou…” Iniziai, ma mi bloccai. “Amelia!!!”

Per la sorpresa, mi mossi di scatto, procurandomi un dolore lancinante alla gamba. Ma in quel momento quasi non ci feci caso. La mia attenzione era tutta rivolta alla figura di Amelia, che giaceva priva di sensi, poggiata alla schiena di mio marito.

“Sta bene.” Mi rassicurò Gourry, posandola delicatamente al suolo a fianco a me. “Credo che le abbiano dato una botta in testa, o qualcosa del genere. E’ meglio che tu la guarisca, Lina.”

Annuii, e mi affrettai a lanciare un Recovery. Lo sguardo di mio marito si rivolse a Bastian. “Voi state bene? Non ci sono stati altri attacchi, vero?”

Gli occhi di Bastian si abbassarono. “No, Sir Gabriev. Non è accaduto nulla.”

Le mie labbra si strinsero, ma continuai a curare Amelia senza dire nulla. Dopo qualche istante, la principessa mugugnò qualcosa, e i suoi occhi si aprirono lentamente. “Lina… san?”

“Amelia. Come ti senti?”

La principessa mi fissò come se non capisse dove si trovava. “Ma cosa… cosa è successo…?”

Mi accigliai. “Speravamo fossi tu a dircelo. Gourry ti ha trovata in cima alla scogliera, priva di sensi.”

“Io… io non…”

“Sir Gabriev.” La voce di Bastian risuonò nuovamente, come se il cavaliere fosse stato colpito da una improvvisa illuminazione. “Che ne è stato di Dorak?”

Gourry scosse la testa. “Lo ho cercato per svariati minuti, ma non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte. Alla fine ho lasciato perdere, non volevo che restassimo separati troppo a lungo.” Mi rivolse una lunga occhiata, il volto teso. Io gli rivolsi un debole sorriso di rassicurazione, in risposta.

“Dorak…?” Amelia batté le palpebre. Avvertii il suo corpo tendersi all’improvviso.

Abbassai lo sguardo su di lei. “Ti sei ricordata di qualcosa?”

Amelia scosse il capo. “Io… non ne sono sicura, ma… Ricordo di aver portato Dorak fino in cima alla scogliera, e poi… gli ho voltato le spalle per scendere da voi, poi…” Abbassò gli occhi. “… tutto… è diventato nero.”

Mi accigliai. “Quindi sarebbe stato Dorak? E’ stato lui a stordirti?” Ed era stato lui ad attaccarci? Ma Dorak… non conosceva la magia, giusto? O mi aveva ingannata fino a quel momento?

Amelia scosse la testa. “Non posso esserne sicura, però…” Mi rivolse un’occhiata, e parve notare per la prima volta le miei vesti sfregiate “Lina- san, ma tu sei ferita!” Si affrettò a levarsi, indirizzando le  sue attenzioni alla mia gamba, gonfia e dolorante. La saggiò con la punta delle dita, facendomi sussultare.

“Credi che sia rotta?” Domandai, reprimendo un gemito.

Amelia scosse la testa. “No, non mi sembra. Ma servirà comunque un Resurrection.” Protese le dita per guarirmi. Una piacevole sensazione di sollievo mi attraversò quasi istantaneamente le membra. In fondo, non era un male che Amelia fosse venuta con noi.

Dopo qualche istante di silenzio, Gourry sospirò, e si abbandonò sulla parete al mio fianco. “Ad ogni, modo, comunque sia andata, credo che per stanotte sia meglio fermarci qui. Devi riposare quella gamba, Lina.” Mi rivolse uno sguardo preoccupato. Lo sentii rabbrividire, nelle sue vesti ancora umide. 

“Amelia.” Mi rivolsi alla principessa. “Te la senti di andare a recuperare un po’ di legna per accendere un fuoco?”

La principessa sorrise. “Sicuro, Lina- san.” Terminò l’incantesimo, e si levò in piedi. “Mi raccomando, non muovere la gamba per un po’.”

La vidi sparire nella notte. Noi tre restammo nel più totale silenzio. Bastian si levò in piedi e si tolse gli stivali e la tunica, che abbandonò sul mantello, ma non parve ottenere grandi risultati, dal momento che la sua maglia di lana e i suoi pantaloni parevano fradici come il resto. Mio marito si limitò a stringere le braccia attorno al corpo, e io mi appoggiai a lui, nella speranza di trasmettergli calore. Fortunatamente, Amelia tornò presto, una massa di rametti umidi avvolta nel mantello. A fatica, riuscimmo a fare attecchire una fiamma. Ci accalcammo attorno ad essa, e presto la sonnolenza catturò tutti noi.

“E’ meglio che restiamo svegli a turno, per fare la guardia.” Mormorai, trattenendo uno sbadiglio. “Iniziamo Gourry ed io, ok?”

Amelia già sonnecchiava, e si limitò a mugugnare qualcosa. Bastian non rispose, il che probabilmente doveva essere un assenso. Lo osservai mentre ci volgeva la schiena, dando le spalle al fuoco, e fronteggiando la parete della grotta. Ripensai al suo racconto, e lo stomaco per qualche motivo tornò a stringermisi. In un certo senso, ero lusingata del fatto che avesse scelto di parlarmi. Ma provavo anche un opprimente senso di impotenza.

Levai lo sguardo verso Gourry. I suoi occhi erano puntati verso le fiamme, e il suo sguardo era stranamente indecifrabile. “Gourry.” Chiamai, in un sussurro.

Mio marito batté le palpebre, e parve riscuotersi. Abbassò lo sguardo su di me, e mi rivolse un sorriso improvvisato, e vagamente forzato. “Sì…?”

Le mie dita scivolarono sul suo braccio, e mi aggrappai a lui, rannicchiandomi nel suo calore. “Grazie.” Mormorai, chiudendo gli occhi. “Di essere sempre qui per me.”

Il corpo di Gourry si rilassò istantaneamente. Mio marito si piegò, e un istante dopo le sue labbra raggiunsero le mie. La mia mente si azzerò. E quando fece per allontanarsi, le mie braccia si strinsero attorno alle sue spalle, e lo bloccarono. Non volevo più parlare, quella sera. Volevo solo godere della sua presenza al mio fianco.

Restammo abbracciati, finché la notte non cedette il passo alla luce dell’alba.

 

 

***

 

Quando aprii gli occhi, il mio collo e la mia schiena erano talmente indolenziti per la troppa umidità che per un momento pensai che non avrei più potuto muovermi. Non aiutava il fatto che il mio braccio sinistro fosse stretto nella morsa della presa di Lina, che dormiva della grossa (e russava lievemente), la testa poggiata alla mia spalla.

Percorsi con lo sguardo il nostro piccolo accampamento, e scorsi Amelia. Si era seduta in una posizione decisamente scomoda contro la parete, forse nel tentativo di rimanere sveglia, ma doveva essere crollata durante il turno di guardia.

Bastian era sveglio, invece. Era in piedi all’ingresso della grotta, e ci dava le spalle, scrutando all’esterno. La sua figura era avvolta nel riverbero della luce del mattino, che si rifletteva sulla superficie piatta del mare.

Non avevo dubbi che sarebbe stato vigile. Non conoscevo Bastian da molto, ma avevo già capito che non era tipo da addormentarsi durante un turno di guardia. Mi ricordava gli ufficiali che erano stati al servizio di mio padre quando ero ancora a casa, così impeccabili e ligi al dovere. Per nessuno di loro sembrava possibile sbagliare, né in missione né in nessuna altra circostanza.

D’altra parte, il cavaliere aveva dimostrato di essere passibile di fallimento, la sera precedente, quando era quasi affogato nelle acque scure fuori dalla grotta. Ripensai a quei momenti, e una strana, fastidiosa sensazione, che in quei giorni continuava a tormentarmi ma a cui non ero ancora stato in grado di dare un nome, tornò a stringermi il petto.

Quando lui e Lina erano scomparsi in quella oscurità magica, il mio primo pensiero era stato per mia moglie. Avevo avvertito la sua presenza, oltre il buio, sulla scogliera, ed ero stato pronto ad accorrere da lei. Ma qualcosa aveva preso a pungolarmi la mente, fastidiosamente, ricordandomi il cavaliere. Ricordandomi Lina che dichiarava che potevamo fidarci di lui, Lina che lo teneva per le spalle, in volo, come tanto spesso aveva fatto con me (e io lo avevo sempre detestato: ironico, vero?). Lina avrebbe pianto, se lui fosse morto? Mia moglie non piangeva spesso, ma a me era capitato di vederla triste, addirittura disperata. Mi era capitato di vederla smarrita, o impaurita. E quanto avevo cercato di farle capire, in quei momenti, era che non era sola. Che ci sarebbe sempre stato qualcuno disposto a condividere con lei ogni tipo fardello. Come avrei potuto convincerla di questo, se in quel momento avessi mancato deliberatamente di prestare fede a quel proposito?

Non è che fossi pentito di aver salvato il cavaliere… voglio dire, in circostanze diverse, se Lina non fosse stata in pericolo, probabilmente avrei aiutato chiunque, senza troppi pensieri… ma il fatto che la sua sicurezza avesse dovuto saltarmi subito alla mente, in connessione a Lina, in un momento del genere, mi disturbava. Mi disturbava tremendamente.

“Mmm…” Lina mugugnò, e nascose il volto nel mio colletto, riparandosi dalla luce che, insistente, aveva preso di mira il suo viso.

Abbassai il volto, e, a dispetto di tutto, un sorriso affiorò alle mie labbra. “Buongiorno, raggio di sole.” Mormorai.

“Sarebbe un buon giorno se il giorno si spegnesse.” Brontolò, senza levare la testa.

“Sarei piuttosto preoccupato se succedesse.” Dichiarai, in tono solenne. “Conoscendoti, la causa probabilmente saresti tu.”

Lina levò uno sguardo acido su di me. “E questo cosa vorrebbe dire?”

Ridacchiai. Le baciai la cima della testa, stringendola per qualche istante, e godendo del suo calore. Il fuoco scoppiettava ancora, ma il mattino era decisamente freddo.

“Faremmo meglio a metterci in viaggio.” Giunse la voce di Bastian, dall’ingresso della grotta. Istintivamente, mi preparai a lasciare andare mia moglie, ma lei non si mosse. Si irrigidì lievemente, ma si limitò ad annuire.

“Sì. E’ già quasi mattino pieno, a quanto vedo. E’ il caso di svegliare Amelia.” Fece una lieve pressione sul mio braccio, e mi rivolse un sorriso. Con riluttanza, la lasciai andare.

Muovendo le spalle per sgranchirmi, mi alzai, e feci per raccogliere le nostre cose, solo per rendermi conto che le nostre borse erano rimaste sulla nave. Lina mi notò con la coda dell’occhio, e si sfilò il mantello dalle spalle, per lanciarmelo. Lo afferrai, e presi a cercare nelle tasche. Da uno dei suoi meandri, recuperai un po’ di frutta secca, una borraccia e un pentolino. Misi a bollire un po’ d’acqua sul fuoco, per preparare del tè.

Bastian si avvicinò, squadrandomi con una strana espressione. Feci del mio meglio per ignorarlo, e attesi a disagio mentre Lina cercava di svegliare Amelia. Il compito si stava rivelando più arduo del previsto. Evidentemente, la povera principessa era piuttosto provata dagli eventi.

Beh, lo sarei stato anch’io, se fossi stato rapito e poi preso a botte in testa.

Ma alla fine, mezz’ora dopo, avevamo tutti consumato una magra colazione e risalito il ripido passaggio che conduceva in cima alla scogliera. Di Dorak non c’era l’ombra, ma non ci attardammo a cercarlo con troppo impegno. La nostra priorità era raggiungere Talit. E inoltre, forse, il problema non era più se noi avremmo ritrovato lui. Piuttosto, quando lui avrebbe ritrovato noi.

Muoversi a piedi richiedeva più tempo, ma il percorso verso Talit non fu troppo complicato. Ci tenemmo lontani dai centri abitati e seguimmo la costa, in aree per lo più spoglie e desolate. Il freddo era sempre intenso, ma almeno le piogge che ci avevano tormentati al nostro primo arrivo in quella regione parevano essersi placate. Nelle ore più calde della giornata, muoversi era quasi gradevole, e se non fosse stato per l’urgenza pressante di arrivare a destinazione, avrei potuto persino illudermi, per un momento, di essere tornato a viaggiare senza meta con Lina.

Ma sarebbe bastata un’occhiata alla mia compagnia, per spezzare quell’illusione. Non eravamo decisamente l’immagine del gruppo compatto e affiatato. Bastian continuava a guidarci sapientemente sul territorio e a comportarsi con l’efficienza del perfetto soldato, ma sin dalla notte nella grotta si era chiuso in un mutismo cupo e impenetrabile. Amelia, che normalmente era allegra e vitale, sembrava essere stata resa fiacca dalla fatica, e si limitava alla conversazione strettamente necessaria, restandosene silenziosa in coda al gruppo per la maggior parte della giornata. E persino Lina, che ostentava il suo consueto atteggiamento sicuro, mi chiedeva più spesso del dovuto della mano, e lasciava trapelare tensione da ogni sfumatura del suo atteggiamento. C’erano momenti in avevo l’impressione che fosse sul punto di saltare e spezzarsi, come un filo troppo teso.

Almeno, non subimmo altri attacchi. Mi chiedevo se chiunque stesse minacciando Lina ci avesse persi di vista dopo l’attacco alla scogliera, o stesse semplicemente attendendo che abbassassimo la guardia. Non avevo intenzione di rilassarmi e permettere che accadesse qualcosa a mia moglie, ma la mia stessa ansia non faceva che aggiungere pressione al calderone in cui ribolliva la nostra tensione. Mi sembrava di trovarmi all’interno di una grossa bolla, pronta ad esplodere.

 

La mattina del terzo giorno dall’incidente della nave, avvistammo Talit. Ci muovevamo da qualche ora in salita, lungo un percorso scosceso che preludeva ai picchi montuosi attorno alla Perla, quando la città comparve, lontana sul suo alto piedistallo di roccia, splendida e imponente come la prima volta che ci aveva accolti.

Ora arrivava il difficile.

“Come facciamo a salire senza essere avvistati?” Domandò Amelia, in tono lievemente affannato, poggiandosi per un momento a una grossa roccia a lato del sentiero. La vidi fissare a bocca aperta le mura bianche, splendenti sotto la luce del sole.

“Ci sono numerosi sentieri riparati dalla vegetazione che conducono dalle scogliere alle montagne, anche senza imboccare la strada principale.” Replicò Bastian, in tono quieto. Lanciò uno sguardo penetrante a Lina. “Siete certi di voler salire alla città vecchia? Circolano strane storie a riguardo. Dicono persino che sia infestata.”

Non compresi se il suo tono fosse sarcastico. Mia moglie non gli aveva detto cosa dovessimo fare, ma il cavaliere ci aveva comunque guidati fino a lì. Ma quando gli avevamo rivelato la nostra vera destinazione, aveva reagito in modo piuttosto scettico.

“Se hai paura, Bastian, puoi sempre rimanere quaggiù.” Lo schernì Lina, inarcando un sopracciglio. Il cavaliere sbuffò. Io mi guardai la punta dei piedi, innervosito.

“Uhm… anche a me sembra di aver sentito qualche strana storia sulla vecchia Talit.” Considerò Amelia in tono pensoso, cercando lo sguardo di Lina. “Se ben ricordo, era stata abbandonata dopo un qualche tipo di tragedia…”

“Tragedia?” Io e Lina ci scambiammo un’occhiata. Non era stato semplicemente in seguito all’espandersi delle attività commerciali della città?

“Ah!” Un lampo di comprensione attraversò improvvisamente gli occhi di mia moglie. Si aggrappò alla mia manica, tirandola lievemente, come per risvegliare la mia attenzione. “Ora ricordo!!! Gourry, sai quel libro che avevamo rubato dalla biblioteca di Talit? Quello in cui si parlava di quel fantomatico ‘incidente’?”

“Ehm…” La mia risposta non le sarebbe piaciuta. Ma per fortuna Lina parve troppo presa dalla curiosità per insistere. Tornò a rivolgersi alla principessa.

“Amelia! Hai idea di che cosa fosse questa ‘tragedia’? Oh, non posso credere di essermene scordata, dopo che il tarlo mi aveva così tormentata!”

Amelia parve presa alla sprovvista da quella foga. “Ehm… non conosco i dettagli, Lina-san… avevo sentito parlare di un incendio, o qualcosa del genere…” Le lanciò un’occhiata esitante. “Ma perché ti interessa così tanto?”

“Eh?” Lina batté le palpebre. Evidentemente, non riteneva che ci dovesse essere un motivo preciso. “Uh… niente. Semplice curiosità.” Rifletté per un istante. “Anche se in fondo, non è detto che questa informazione non possa essere in connessione con quello che stiamo cercando. Più scopriamo sulla città vecchia meglio è.”

Amelia si strinse nelle spalle. “Se lo dici tu, Lina- san.”

Bastian, che aveva seguito la conversazione in silenzio, si schiarì la voce. “Ad ogni modo, è bene muoverci.” Pareva accigliato. “Ci vorranno diverse ore per salire, e non è il caso di lasciarsi sorprendere dal buio per strada.”

“Hai ragione, Bastian- san.” Assentì Amelia, rivolgendo un sorriso a me e Gourry. “Vedrete che presto risolveremo questa faccenda.”

“Ci puoi scommettere.” Replicò Lina. Ora che eravamo vicini all’obiettivo, la sua determinazione pareva essersi rafforzata.

Riprendemmo a salire. Aggirammo Talit, e ci addentrammo nei boschi che ricoprivano le montagne circostanti la città, gli stessi in cui mi ero avventurato io, una piovosa mattina di qualche settimana prima, alla ricerca di Lina. A quel ricordo, l’inquietudine mi catturò. Ricordavo la figura femminile apparsa alle mie spalle quando avevo aperto il libro. Quella creatura dimorava lassù? Era uno degli spettri che infestavano la città? Temevo di rincontrarla. Non ero certo che avesse cattive intenzioni nei miei confronti, non ero nemmeno certo di non essermela semplicemente immaginata. Però…

Cercai di non pensarci, e di concentrarmi sul cammino. Dopo qualche ora, come la prima volta, avanzare divenne quasi automatico. Ci fermammo soltanto qualche decina di minuti, verso mezzogiorno, per riposarci e mettere qualcosa sotto i denti. Per il resto, continuammo a marciare senza tregua, fra la vegetazione prima, e poi nel ghiaccio e nella neve, finché non giungemmo in vista dell’arco attraverso cui si accedeva al piccolo ammasso di case devastate che una volta era stata Talit.

Il cielo si stava già scurendo, il sole basso all’orizzonte, e l’aria era rarefatta e gelida. Il nostro fiato si condensava in nubi sottili.

“Che posto lugubre…” Amelia, al mio fianco, rabbrividì lievemente.

“Sembra effettivamente che ci sia stato un incendio.” Osservò Lina, studiando l’ammasso annerito e ricoperto di neve che era sopravvissuto al lento logorio attraversato dalla vecchia città. “Chissà cos’è successo davvero in questo posto.” Spostò col piede uno dei ciottoli smessi che lastricavano la via principale.

“Non ha importanza, ora, giusto?” Domandò Bastian, in tono nervoso. Continuava a guardarsi attorno, evidentemente inquietato da quel luogo. “Dov’è che dovete andare?”

“Al palazzo.” Indicai l’edificio, che si stagliava nella penombra a nord della città. L’oscurità lo faceva apparire più imponente di quanto in realtà non fosse, e decisamente più minaccioso. Nessuno dei miei compagni pareva particolarmente entusiasta all’idea di entrarvi.

Fu Lina a risolversi. “Non ha senso tergiversare.” Dichiarò, superandomi. Si avviò con fare audace lungo la via principale, prima che chiunque potesse obiettare.

Mi affrettai al suo seguito. Quando le fui vicino, mi afferrò per il braccio, e mi sussurrò all’orecchio. “Senti, come prima cosa portami dove hai trovato il libro. Trovarlo è la nostra priorità. Daremo anche un’occhiata in giro, però non subito. Se qui dentro sono racchiuse magie tanto pericolose, preferisco muovermi da sola. Quando gli altri dormono, ad esempio.”

I miei occhi si spalancarono. “Vuoi fermarti qui per la notte?” Supponevo che dormire nel palazzo fosse più comodo che dormire per strada, ma… insomma, non era precisamente una calda e confortevole locanda.

“Non avremmo scelta, in ogni caso.” Replicò Lina. “Fuori in mezzo alla neve geleremmo, ma è pericoloso scendere dalla montagna al buio. E non mi fido a usare il Ray Wing e a viaggiare allo scoperto, con un assassino alle mie calcagna.”

Non ero molto convinto, e probabilmente Lina se ne rese conto. “Tranquillo, faremo in modo di non separarci.” Mi strizzò l’occhio. “E finché siamo insieme, sfido persino un fantasma a cercare di sorprenderci senza scappare dopo tre secondi con la coda fra le gambe.”

Dovetti sorridere. Spesso ero io a parlarle a quel modo. E in fondo aveva ragione. Ne avevamo passate di peggiori, che dormire per una notte in un castello che aveva fama di essere infestato.

“Entriamo dall’ingresso principale?” Domandò Amelia, studiando i portali con fare timoroso.

“Di qua ce n’é uno secondario.” Indicai, deviando per la strada che avevo percorso la prima volta. Non so perché lo feci. Non c’era differenza pratica fra l’irrompere e lo sgattaiolare di nascosto, dato che il posto era disabitato. Ma per qualche motivo sentivo comunque la necessità di muoverci con segretezza.

Ci avventurammo per il corridoio in pietra e per le scale. Le torce sulle pareti erano spente e gelide, e l’ambiente, stavolta, aveva tutto l’aspetto dell’abbandono. La porta era chiusa, ma non sprangata (l’avevo chiusa alle mie spalle, l’ultima volta? Non riuscivo a ricordare…), e ci permise di avanzare nel freddo corridoio interno senza incontrare resistenza. Non mi soffermai a osservare le stanze sui lati, timoroso di trovarvi nuovamente tracce di vita. Mi mossi direttamente verso lo scalone, e, sceso al piano di sotto, avanzai nel grande salone, colmo di spifferi. Rabbrividii, alla vista del semidistrutto balcone in legno aperto sulla valle, da cui la volta precedente avevo avuto la sensazione di precipitare.

Mi morsi il labbro, e dovetti impormi a forza di abbassare lo sguardo sul pavimento di fronte al camino. E il libro era là. Trasalii, quando catturò il mio sguardo. Mi resi conto solo in quel momento che non ero stato del tutto convinto che lo avrei trovato dove lo avevo lasciato.

“Sarebbe quello?” Domandò Lina, seguendo il mio sguardo. Notai solo allora che il sigillo che avevo aperto era nuovamente chiuso.

“Hai ragione. In effetti somiglia a un diario.” Mia moglie fece per avvicinarsi, protendendo le dita verso la vecchia copertina del libro, e mille campanelli d’allarme si accesero all’improvviso nella mia mente.

“Non toccarlo!” Sibilai, afferrandola per un braccio. “Lina, non…”

Lina posò la mano sulla mia, per placarmi. “Tranquillo.” Mi sorrise. “Normalmente non c’è pericolo, se non lo apri.”

“Che cos’è quel libro?” Domandò Bastian. Il suo tono di voce ora appariva lievemente alterato. “E tu, Sir Gabriev, come fai a conoscere così bene questo posto? Che diavolo sta succedendo?” L’ansia trapelava chiaramente dalla sua voce, e sinceramente ne capivo il motivo. Quel luogo dava i brividi. Compresi che non avremmo potuto tenerlo all’oscuro ancora per molto.

Lina non si volse a guardarlo, e si piegò invece a osservare il libro. “Gourry è stato qui dopo che noi due ci siamo allontanati da Talit.” Replicò, in tono calmo. “Per cercarmi. Ha trovato questo libro e lo ha aperto per sbaglio, però la protezione magica che c’era sopra lo ha ferito alla mano. Niente di irrisolvibile, ma avevo bisogno del libro, per guarirlo prima che si aggravasse.”

“E perché non me lo hai detto prima, se era una cosa così semplice?” Il volto di Bastian era sospettoso.

Lina sospirò, con eccessiva enfasi. “Non volevo allarmare più gente di quanto fosse necessario.” Replicò, sbrigativamente.

Mi chiesi se Lina stesse minimizzando la cosa per evitare che Bastian si sentisse ancor più responsabile della mia sicurezza. Chissà se gli aveva taciuto tutto sin dal principio proprio per quel motivo.

Osservai la schiena di mia moglie, mentre, la mano sul mento, studiava il diario come avrebbe fatto con un astuto avversario, e il peso pressante, insostenibile dell’ansia prese ad abbattersi ancora una volta sulle mie spalle. Pregai che si voltasse. Solo un momento, per guardarmi negli occhi. Ero un idiota. Che cosa avrebbe potuto esserci in quello sguardo, di cui io non avevo già la certezza? Da anni non avevo mai avuto dubbi su quello che mi legava Lina. Al di là di tutto quello che ci era accaduto, quella era stata la mia sotterranea certezza, e la mia forza. Facevo un torto a entrambi, con quelle stupide paure. Però…

“Amelia… vieni qui un momento, per favore.” Chiamò Lina, inconsapevole di quanto mi passava per la testa. “Pensi di poter capire se è pericoloso toccarlo?”

La principessa si avvicinò, e le due presero a confabulare in quel linguaggio imperscrutabile che erano per me i discorsi sulla magia. Bastian non aveva l’aria sentirsene molto più coinvolto, comunque. Teneva lo sguardo fisso su mia moglie, i lineamenti contratti per la tensione. Alla fine, Lina parve risolversi. Allungò le dita, e sfiorò la copertina del libro. Quando non accadde nulla, lo afferrò per la costa, con maggiore sicurezza, e se lo rigirò fra le dita.

“Preferisco non cercare di aprirlo, per il momento.” Dichiarò, con apparente noncuranza, infilandosi il libro in una tasca del mantello. “Che ne dite di sistemarci nel salone, per la notte? Il nostro lavoro qui è finito, per quanto mi riguarda. Domattina possiamo anche andarcene.” Esitò per un istante. “Amelia, Bastian, che ne dite di preparare i nostri giacigli sui divani? Gourry ed io andiamo a recuperare un po’ di legna per il fuoco.”

Capii che voleva parlarmi da sola, e la seguii senza fare obiezioni. Quando raggiungemmo l’atrio, e Lina spalancò la porta principale, mi piegai verso di lei, per mormorare. “Che cos’hai in mente?”

Mia moglie mi lanciò una breve occhiata. “Secondo Amelia, il sigillo che tiene chiuso il diario contiene la forza di una maledizione molto potente.” Sussurrò, in risposta. “Purtroppo, non c’è modo di capire chi è l’autore di quel diario senza aprirlo. Ma chi l’ha scritto è anche presumibilmente chi l’ha maledetto, ed è quella la persona che dobbiamo trovare, per capire come spezzare il tuo incantesimo.” La sua fronte si aggrottò. “In realtà, forse basterebbe distruggere il libro, ma non ne abbiamo la certezza, e non voglio privarmi alla leggera del nostro unico indizio.” Esitò. “Senza contare che non è detto che lo stesso tipo di incantesimo che lo protegge dall’essere aperto non lo protegga dall’essere strappato, o bruciato, o qualsiasi cosa del genere. Provare a liberarsene potrebbe significare incorrere in una fine molto dolorosa.”

Mi accigliai. “Ma Lina… e se provassi IO ad aprirlo?” Inclinai la testa. “In fondo, ho già subito gli effetti della maledizione. Che altro potrebbe capitarmi?”

Lina si morse il labbro, e parve contrariata all’idea che fossi giunto a quella conclusione. “Anche io ci avevo pensato, ma non voglio rischiare. Potresti sempre peggiorare le cose.”

“Ma così facendo non raggiungeremo comunque nessuna soluzione.” Insistei. “Che cosa ce ne facciamo del libro, se non possiamo aprirlo?”

Ma non era semplice smuovere Lina dalle sue posizioni. “Non voglio decidere nulla, per ora.” Replicò, con testardaggine. Avevamo raggiunto una piccola macchia di alberi sempreverdi, e mia moglie si piegò a raccogliere alcuni rametti caduti. “Stanotte faremo un giro di perlustrazione della casa, e vedremo se c’è qualche indizio che possa suggerirci chi sia l’autore di quel diario, e perché lo abbia abbandonato in un posto del genere. A seconda di quello che troveremo, decideremo il da farsi.”

Mi accigliai. “A proposito, Lina…” La sua frase mi ricordò che non le avevo ancora detto tutto, della mia precedente visita in quel luogo. “L’ultima volta che sono venuto qui, ho avuto l’impressione che vivesse ancora qualcuno, in quel palazzo. Credi che potesse trattarsi dell’autore del diario?”

Lina si bloccò, a quelle parole. Si volse a fissarmi, una massa di rametti semi innevati avvolta fra le braccia. “Parli sul serio?” Domandò. “Allora… mi chiedo se…” Esitò.

“Cosa, Lina?”

Aggrottò la fronte. “Sul libro, e nel mobilio lì attorno… c’era molta meno polvere che sul resto degli oggetti sparsi nel palazzo, per quanto ho potuto vedere.” Mi fissò negli occhi. “Credevo dipendesse dal fatto che TU lo hai toccato, ma… Mi chiedo se qualcun altro non lo abbia maneggiato, altrettanto di recente.”

“Qualcun altro?”

Annuì brevemente.“Pensaci un momento. Mettiamo che un abitante di Talit abbia qualcosa da nascondere ai suoi concittadini… quale posto migliore di questo, per custodire un segreto? In mezza giornata si può arrivare qui dalla città, ma se girano leggende inquietanti su questo luogo, probabilmente non sono in molti ad avventurarsi fin quaggiù.” Si accigliò. “E di certo non ci si può mettere a sperimentare magie del genere alla luce del sole, soprattutto in un regno come Elmekia. Ma chi sarà mai a convivere con un segreto del genere? Un membro della corte? Un sacerdote del tempio? Chi diavolo può essersi dedicato a studiare magie simili?”

Io battei le palpebre. “Chiunque sia, comunque, deve essere una persona non particolarmente furba, o troppo sicura di sé. Perché ha abbandonato il diario a quel modo, senza nemmeno sforzarsi di nasconderlo, se era una cosa che necessitava di tutta questa protezione?”

Le labbra di Lina si strinsero. “A meno che non gli importasse, o che in fondo non sperasse che qualcuno lo ritrovasse.” Ringhiò. “Da un pazzo che si mette a sperimentare cose del genere, ce lo si potrebbe aspettare.” Levò lo sguardo su di me. “Quando lo hai preso fra le mani, hai provato l’impulso irrefrenabile di aprirlo, non è così?”

Battei le palpebre. E lei come faceva a saperlo?

“E’ capitato anche a me.” Continuò Lina, come leggendomi quel pensiero. “Ho resistito solo perché ci sono abituata, con tutto l’allenamento mentale a cui ho dovuto sottopormi per imparare a controllare il Giga Slave. Ma molte persone, anche maghi abili, avrebbero ceduto, come è accaduto a te. Chiunque sia il bastardo che ha creato questa cosa, lo ha fatto con il preciso intento di ferire. Chi vi si fosse avvicinato, avrebbe dovuto pagare per la propria impudenza. E, magari, funzionare come test per la sua dannata maledizione.” La sua voce era ridotta a un sibilo. Raramente la avevo vista così arrabbiata. Sapevo che era perché io ero coinvolto… ma anche perché, nel profondo del cuore, la turbava il pensiero di comprendere così bene le motivazioni di chi aveva creato quella cosa. Era così, Lina, da quando la avevo conosciuta. Viveva costantemente in bilico sull’abisso.

Ma un attimo prima di cadere, avrebbe sempre trovato la mia mano, a sorreggerla.

“Lina.” Avanzai di un passo, e le posi le mani sulle spalle. “Ascolta, non ha senso prendersela ora. Troveremo questo tizio, e insieme a lui troveremo anche una soluzione. D’accordo?”

Lina non replicò nulla. Si fece semplicemente avanti, fra le mie braccia, e affondò il volto nel mio petto, la legna gocciolante umidità ancora stretta al corpo. Le accarezzai la nuca con le dita, in silenzio. Sotto il mio tocco, il suo corpo parve rilassarsi.

Dopo qualche istante, si allontanò lentamente da me. “Ho intenzione di chiedere a Sylphiel di fare qualche indagine sulla città vecchia. Potrebbe rintracciare l’autore di quel vecchio libro che avevamo trovato, ad esempio.” Il suo tono di voce si era calmato, e il sorriso che mi rivolse, parlando, era chiaramente di gratitudine. “Se lei penserà a quello, e a tenere d’occhio la situazione a Talit, noi, dopo aver esplorato il palazzo, potremo concentrarci sul diario.” Come colta da un’improvvisa ispirazione, Lina mi mollò nelle mani la massa di rametti, ed estrasse nuovamente l’oggetto dal mantello. Da quella distanza ravvicinata, la copertina rossa mi parve così invitante che mi trattenetti a fatica dall’allungare le dita per sfilarlo di mano a mia moglie.

“Ne avverto costantemente la presenza anch’io, anche da dentro al mantello.” Confessò Lina, ancora una volta intuendo i miei pensieri. Lo levò in alto, e prese a studiarlo, nella luce fioca del tramonto. “Stavo pensando… La rilegatura è ottima, e deve essere piuttosto costoso. Chissà se è stato realizzato appositamente da un artigiano di Talit.” Si accigliò. “Forse se risalissimo alla bottega che lo ha creato potremmo scoprire di più anche su chi è il proprietario. O magari… eh?” Si bloccò. “E questo cos’è?” Abbassò il diario, e sul retro della copertina, in basso a sinistra, scorsi ciò che aveva attirato la sua attenzione. Sembrava un segno araldico, l’immagine stilizzata di un pugnale ondulato e un fiore incrociati, impressi sul cuoio in una decorazione dorata. E al di sotto, erano incise tre lettere: E E D. Erano così piccoli, che la prima volta che avevo maneggiato il diario non li avevo nemmeno notati.

Ma che diavolo significava?

“Questo non è il simbolo dei duchi di Talit, la casata Darland? Il kris e il garofano?” Osservò mia moglie, accigliata.

“Davvero?”

Mia moglie annuì. “Era miniato sulla prima pagina di quel libro che avevamo preso in biblioteca.”

Non ricordavo quel dettaglio, ma Lina aveva maneggiato quel volume molto più di me. E, in effetti, l’araldica non era mai stata particolarmente il mio forte. “Allora questo vuol dire che il diario appartiene a uno di loro…?”

Mia moglie, esitò, il volto teso per la concentrazione. “E’ possibile.” Mormorò. “E E D… E E D… che cosa può voler dire? Erianna Darland? Potrebbe essere lei? O Eriol, magari? Oh, no, giusto, Eriol non userebbe il cognome e il simbolo della casata della madre…”

“Uhm, Lina, ma come fai a essere certa che queste siano iniziali?”

“Non ne sono certa, ma è una deduzione ragionevole.” Mi fissò. “E comunque, è un punto di partenza per le nostre indagini. Dobbiamo scoprire se Erianna ha un secondo nome che inizia con la E. Se fosse così, sarebbe una coincidenza troppo grande per poter essere ignorata.” Rimise in tasca il libro. “E se i miei si sospetti si riveleranno fondati, sta certo che riuscirò ad arrivare a lei e farle sputare una cura per la tua mano. Insieme a qualche dente, se necessario.” La sua voce si abbassò, e si fece più minacciosa che mai. “Non importa di quante guardie si circonderà.”

Sospirai, prevedendo grossi guai. “Cerchiamo di evitare di essere troppo avventati, per una volta.” La squadrai in volto, scorgendo oltre le tenebre il suo cipiglio rabbioso, e scossi la testa. “Oh, ma che lo dico a fare…”

Lina ridacchiò. “Dammi una mano a raccogliere un altro po’ di legna, invece di sprecare il fiato a lamentarti. E’ buio, ormai si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.”

Accumulammo rami e ceppi a sufficienza per mantenere il fuoco acceso durante la notte, e rientrammo nel salone. Trovammo Amelia, che aveva già raccolto le coperte polverose sparse nella stanza, e preparato dei giacigli di fortuna sui divani. Bastian, però, non si vedeva da nessuna parte.

“Che fine ha fatto il cavaliere?” Domandai, guardandomi attorno. “E’ andato in bagno?”

La principessa scosse la testa. “Ha detto che voleva dare un’occhiata al palazzo e ai cortili. Per assicurarsi che fosse sicuro dormire qui.”

Scoccai un’occhiata a Lina, a quelle parole, e la vidi accigliarsi. Ma non fece commenti. Si limitò ad abbandonare la sua catasta di legna accanto al camino, e a evocare una fiamma magica, cercando di farla attecchire. Mi inginocchiai al suo fianco, e le lasciai accanto la mia parte di rami, studiando la sua espressione corrucciata.

“Posso… uhm… aiutarti?”

“Prendi il mio calderone per le pozioni e vallo a riempire di neve, per favore.” Replicò lei, in tono distratto. “Stiamo finendo l’acqua, e non è il caso di usare quella delle borracce per cucinare. Ma se sciogliamo un po’ di neve possiamo preparare della zuppa.”

Annuii, e allungai senza pensarci le mani verso il suo mantello. Un istante prima che potessi toccarlo, però, qualcosa parve scattare nella mente di Lina, che fece un balzo, e si ritrasse.

“Aspetta!” Sibilò. Estrasse il libro dal mantello. “Dannato diario. Mi ero scordata che era lì, e tu stavi quasi per…” Scosse la testa. “E’ meglio che non ti avvicini. E nemmeno tu Amelia.” Si rivolse alla principessa, che stava studiando perplessa la scena. “Lo poso qui, sul bordo del camino. Se lo terrò ancora nel mantello impazzirò. E’ come se dovessi sempre lottare per non estrarlo.”

In quel momento, anche Bastian rientrò. Aveva le guance arrossate, e sembrava infreddolito. “Non sembra esserci nessuno, né in casa né qui attorno.” Dichiarò. “Però ho preso questo.” Trasse qualcosa dalle proprie spalle, e lo abbatté pesantemente al suolo. Un maiale selvatico, di piccole dimensioni. Era stato ucciso da un colpo netto di spada. “Mi è praticamente venuto addosso. Forse fuggiva dai lupi.”

Amelia rabbrividì. “Queste foreste devono esserne infestate.” Guardò fuori dalla finestra, nel buio oltre la balconata. “Per fortuna che non ci è venuto in mente di tornare indietro stanotte.”

Lina sbuffò. “Sarebbe stato davvero idiota.” Ritirò la mano dal fuoco, che aveva finalmente attecchito sulla legna umida, e emise un sospiro. “Almeno per una sera non dovremo sorbirci quella disgustosa carne essiccata.”

Alla fine, riuscimmo a ricavare una dignitosa zuppa dalle erbe che Lina teneva in borsa, e ci godemmo i tagli morbidi del maiale, che arrostendo sul fuoco aveva riempito la stanza di un piacevole profumo di carne abbrustolita. Lina ed io litigammo fino all’ultimo morso, e quando la cena fu terminata ero talmente distrutto, e al contempo appagato dal cibo e dal calore del camino, che avrei potuto addormentarmi anche in piedi, e continuare a riposare per giorni.

Ma Lina aveva un’altra idea in mente.

“Allora Gourry ed io iniziamo il turno di guardia come al solito, eh?” Dichiarò, con affettata allegria. “Voi altri dormite il vostro sonno di bellezza, mi raccomando!”

Bastian le rivolse un’occhiata scettica, ma né lui né Amelia obiettarono. Entrambi si strinsero nelle coperte, il più vicino possibile al fuoco. Dopo qualche decina di minuti, quando furono apparentemente addormentati, decisi di parlare.

“Qual è il piano?” Mormorai.

“Non possiamo lasciare Amelia e Bastian senza protezione, per cui tu te ne resterai qui a fare la guardia. Io invece andrò a dare un’occhiata alle altre stanze.”

A quelle parole, entrai immediatamente in agitazione. “Ma Lina!” Protestai, a voce più alta di quanto non avrei voluto. “Non mi sembra affatto una buona idea separarci qui dentro!”

“Ssst!” Mi intimò Lina, in tono nervoso. “Mi ci vorrà al massimo un’ora, Gourry, non allarmarti per così poco.”

Non mi piaceva per niente. “Lina…”

“Niente ‘Lina’, Gourry!” Mi posò una mano sul braccio. “Ascolta, se ti fa sentire più tranquillo fermati nell’atrio, così potrai tenermi d’occhio. Ma se vuoi saperlo, secondo me prenderai freddo per niente.”

“Non mi importa del freddo.” Dichiarai, cupo. La seguii con scarsa convinzione nell’atrio, fissando nervosamente le stanze e le scale, che sparivano nel buio.

Lina intercettò la mia occhiata ansiosa, e levò gli occhi al cielo. “Gourry…”

Le feci la lingua. “Va bene, va bene, ma fai in fretta per favore.”

Lanciandomi un mezzo sorriso, mi volse le spalle, e trottò verso una libreria, una delle altre tre stanze cui si accedeva dall’ingresso. Con un sospiro, mi appoggiai all’arco, gettando ora un’occhiata alla stanza in cui dormivano i nostri compagni, ora un’occhiata alla sagoma di Lina, che, un Lighting alla mano, stava scorrendo le coste dei libri raccolti sugli scaffali. Dalla sua espressione impaziente, dedussi che non era particolarmente soddisfatta di quanto stava trovando. Sperai che non si intestardisse troppo, o la sua presunta ora di ricerca si sarebbe trasformata in metà della notte. Ma in fondo forse era meglio che me ne stessi lì in piedi. La cena abbondante mi aveva lasciato talmente sonnolento che se mi fossi seduto di certo mi sarei addormentato.

Lina uscì dalla libreria sbuffando dopo una decina di minuti, e esplorò le cucine e la sala da pranzo, nonché i numerosi ripostigli, prima di convincersi che a quel piano non c’era nulla che potesse interessarle. Con scorno, mi superò, dirigendosi alle scale.

“Faccio un giro di sopra.” Mormorò. “Anche se comincio a dubitare che ci sia qualcos’altro qua dentro, oltre alle ragnatele.”

Annuii, silenziosamente. Ora che nessun mostro o spirito vendicativo era sbucato dall’ombra per inghiottire Lina, ero un po’ più tranquillo. Quel posto mi aveva suggestionato. E in fondo era probabile che avessimo davvero seminato l’assassino, chiunque egli fosse.

Tornai a poggiarmi alla parete, chiedendomi se davvero Dorak c’entrava qualcosa. Non è che mi piacesse particolarmente, ma, considerandolo a posteriori, non sembrava un uomo così pericoloso. Forse qualcuno era stato in agguato sopra quella scogliera, e aveva stordito sia lui che Amelia, ma il mercenario aveva avuto meno fortuna della principessa, ed era precipitato in mare. Chi lo sapeva. Finché l’assassino non si fosse mostrato nuovamente, non avremmo mai scoperto la verità.

Con un sospiro, volsi lo sguardo verso le figure addormentate di Amelia e Bastian, entrambi tanto rannicchiati nei loro giacigli da sparire totalmente sotto alle coperte. Io rabbrividii, fra gli spifferi dell’atrio. Decisamente, era il momento di andare ad attizzare il fuoco.

Mi mossi dalla parete gelida, e avanzai di qualche passo nella stanza. Prima che potessi avvicinare il camino, tuttavia, un altro brivido mi attraversò. Un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo.

L’istante successivo, le fiamme si spensero.

Tutti i miei sensi furono immediatamente all’erta. L’oscurità in cui mi trovavo era liquida, densa. Impenetrabile. Bloccava la luce della luna e delle stelle, e il riverbero pallido che emanava dalla neve, fuori dalla finestra. Il mio cuore, per un momento, cessò di battere.

‘Lina.’

Feci per volgermi e correre verso le scale, ma incespicai in qualcosa, e crollai al suolo. Ignorando il dolore feci per alzarmi. Ma prima che potessi rimettermi in piedi, il grido di una voce, una acuta voce femminile che conoscevo fin troppo bene, risuonò dal piano di sopra, e parve perforare la mia coscienza.

“Lina!!!” Gridai, con angoscia. Barcollai in ginocchio e poi in piedi, cercando a tentoni l’uscita dalla stanza.

“Gourry- san!”

“Sir Gabriev!”

Le voci dei miei due compagni, che dovevano essersi svegliati per il caos della mia caduta, o per il sentore del pericolo, risuonarono alle mie spalle. Non potevo fermarmi a spiegare, però.

“E’ qui!” Mi limitai a gridare, continuando ad avanzare, le braccia protese, finché non trovai la sagoma dell’arco che conduceva all’atrio. “Lina è in pericolo!”

“Dov’è Lina, Sir Gabriev???”

“Al piano di sopra!”

Lighting!” Gridò Amelia. La luce spazzò le tenebre magiche attorno alla principessa, come la palla di fuoco di Lina aveva fatto qualche giorno prima alla spiaggia.

“Bastian- san!” Ordinò la mia amica, in quel tono autoritario che normalmente riservava alle guardie, a Sailune. “Resta qui a fare la guardia al diario, ma non toccarlo! Io accompagnerò Gourry- san per fargli luce!”

Bastian assunse una espressione contrariata, a quel suggerimento, ma, da bravo soldato, si bloccò dove si trovava senza fare obiezioni. Amelia invece scattò in avanti, e mi precedette lungo le scale. Mi affrettai al suo seguito, incespicando per restare all’interno del sottile cono di luce che emanava dalle sue dita. La voce di Lina non era più risuonata, da quando avevo udito il suo grido. Il mio era cuore stretto nell’angoscia

“Lina!” Presi a urlare. “Lina, dove sei???”

Quasi svenni per il sollievo, quando udii una voce rispondermi, seppur lontana e un po’ stentorea. “Sono qui, Gourry! Va tutto bene!”

“Lina- san!” Amelia girò l’angolo in cima alla scala, dirigendosi verso la voce. “Lina- san, stiamo… aaaaaaah!” Non seppi cosa aveva procurato quel grido, perché istantaneamente la luce si spense.

“Amelia!”

“Gourry!” Giunse la voce di Lina, ancora lontana. “Gourry, che è successo???”

Ma non avevo tempo di risponderle. Mi gettai a terra, vicino alle scale, cercando freneticamente il corpo di Amelia, sperando che qualunque cosa fosse in attesa dietro l’angolo la avesse solo tramortita. Ma prima che potessi avanzare di un metro, avvertii acutamente, sulla pelle, il senso penetrante di ostilità che precedeva un colpo che mirava ad uccidere. D’istinto, schivai di lato, e avvertii qualcosa di gelido e appuntito sfrecciarmi a fianco, mancandomi per un soffio. Una freccia di ghiaccio, probabilmente.

In un attimo, estrassi la spada, cercando di individuare la presenza del mio nemico, come ero stato addestrato a fare anche al buio. Ma chiunque fosse, sapeva il fatto suo. Nel momento in cui sfoderai la lama di fronte a me, qualsiasi senso di ostilità che potessi avvertire attorno a me scomparve. Il mio avversario era fuggito.

“Amelia!” Gridai. “Amelia!” Avanzai nel corridoio, e inciampai in qualcosa. Caddi, nuovamente, e quando allungai le mani per capire cosa fosse mi trovai a stringere un corpo, ancora caldo. Preso dal panico, lo scossi. “Amelia!”

“Go… Gourry- san…”

Tirai un sospiro di sollievo. “Amelia. Stai bene?”

“Mi fa… male la testa…” Esitò. “Io… non è possibile, ma io credo di aver visto…”

“Devo andare da Lina!” La interruppi. “Ascolta, Amelia, fatti luce, e se riesci ad alzarti scendi immediatamente da Bastian. Noi due arriviamo!”

“Ma… no, Gourry- san, aspetta!”

La ignorai, e scattai in avanti. Da qualche parte, Lina continuava a chiamare il mio nome, e il fatto che la sua voce suonasse lontana, nonostante le dimensioni ridotte di quel palazzo, mi allarmava. La seguii, in ogni caso, e mi ritrovai in una delle stanze da letto con il baldacchino matrimoniale che avevo esplorato la prima volta che ero entrato in quel luogo. Anche lì era buio, ma un buio normale, rischiarato dalla luce della luna che sbucava fra le nubi e si rifletteva nel nevischio che fuori aveva preso a fluttuare nell’aria. L’oscurità magica, se mai era giunta in quella stanza, si era ormai dissipata.

“Lina! Dove sei?”

“Gourry!” Mi rispose la sua voce, e mi stupii di sentirla provenire da qualche parte sotto di me. “Cerca nel camino, c’è un passaggio nascosto! Non so bene cosa lo faccia scattare, l’ho urtato per sbaglio quando è sceso il buio, e ci sono caduta dentro!”

Mi affrettai verso il focolare, e presi a tastare qua e là, senza una logica precisa. Spostai l’attizzatoio e premetti diverse pietre, ma non accadde nulla. Poi, per caso, mi appoggiai al rivestimento interno alla canna fumaria, e qualcosa scattò. Una lastra, alla base del camino, scivolò via sotto di me, lasciando spazio ad uno stretto cunicolo, che precipitava nel buio. Comprendevo perché Lina fosse caduta. Se non mi fossi aspettato qualcosa del genere, e se mi fossi trovato nel buio completo, probabilmente avrei perso l’equilibrio anch’io.

“Bingo, Gourry!” Giunse la voce di mia moglie, ora più chiara. “Per fortuna, non ero certa di riuscire a riaprirlo dall’interno!”

Una flebile luce proveniva dal fondo, probabilmente, un incantesimo di mia moglie. Sulla parete di fronte a me, degli appigli erano stati scavati sulla parete, ma erano coperti di muschio, e parevano decisamente scivolosi. Mi chiesi come potessi raggiungerla.

“Non scendere, rischi di farti male!” Mi precedette Lina, intuendo le mie intenzioni. “Finisco di curarmi la gamba, e risalgo io con la magia!”

“Di nuovo la gamba???”

“Che cosa ci posso fare, io, se continuo a caderci sopra???” Si lamentò. “Comunque non era niente di grave, il muschio ha attutito la caduta. Ora arrivo.” Esitò. “Anzi, aspetta un secondo, voglio controllare una cosa.” Sentii un rumore, come di una porta che si apriva, e la luce che proveniva dal fondo del cunicolo si attenuò.

“Lina…?”

“Ci sono!” Replicò, la voce ora un po’ più lontana. “E finalmente ho trovato qualcosa di interessante!”

“Eh?” Chiesi, stupito. “E cosa?”

“C’è una specie di laboratorio, quaggiù.” Replicò. “Alcuni testi antichi di cui avevo sentito solo parlare, e… oh, cielo, guarda qua, questo lo ho letto anch’io! Chiunque abbia portato qui tutta questa roba sapeva il fatto suo!”

Sospirai. “Lina.” Esordii, rassegnato. “Un assassino ha appena fatto irruzione nel palazzo, e gli altri ci stanno ancora aspettando.”

“Oh… ehm… sì, sì, certo, lo so bene anch’io.” Sentii il rumore di una porta che si chiudeva, la formula della levitazione, e dopo qualche secondo vidi Lina emergere dal camino. Le porsi la mano, e la aiutai a scivolare fuori ed alzarsi. Aveva i guanti, il mantello e i pantaloni umidi e coperti di muschio, ma sembrava tutta intera. Tirai un sospiro di sollievo.

“Dovremo tornare là sotto.” Dichiarò. “Domattina farò un giro di esplorazione prima di ripartire, per vedere se possiamo trovare qualche indizio. Quella sigla, E E D, era presente su alcuni altri oggetti, calamai e cose simili. Il nostro amico, chiunque sia, deve essere un bel megalomane, per farsi fare tutti gli oggetti su misura.”

La squadrai scettico. “Scommetto che, se fossi nobile, saresti la prima a fare stampare il tuo nome e la tua casata ovunque.”

Lina mi lanciò un’occhiataccia. “Non vado in giro esponendo un cartello che dice che sono Lina Inverse, mi sembra!”

Repressi un sogghigno. “Solo perché faciliteresti la vita ai tuoi innumerevoli nemici.”

Il sorriso di Lina si fece pericoloso. “Gourry, se hai voglia di attaccar briga ti avviso che stasera…”

“Lina- san! Gourry- san! Venite, presto!”

Sobbalzammo entrambi, al risuonare della voce di Amelia. Che diavolo c’era, ancora?

Scattammo verso il corridoio, e quando appurammo che la principessa non si trovava più lì, ci precipitammo giù dalle scale, e nell’atrio. Amelia era in piedi, vicino all’ingresso del salone, e si reggeva all’arco, le gambe traballanti. Sembrava essersi letteralmente trascinata fin lì.

“Amelia! Cos’è successo???” Gridò Lina, avvicinandosi a lei e affrettandosi a sorreggerla.

La principessa indicò il salone. “Bastian- san… Bastian- san è…”

I nostri occhi si volsero alla stanza.

Il cavaliere era sparito. E con lui il diario.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Continuiamo con il trend degli aggiornamenti veloci… anche se stavolta con un capitolo breve

Continuiamo con il trend degli aggiornamenti veloci… anche se stavolta con un capitolo breve. ; P Grazie come sempre delle letture e delle recensioni! E, Dragonslave, grazie anche per il commento al manifesto L/G! ^^ (tra parentesi, se conosci lo Slayers Again Site, perché non ti iscrivi anche al forum? Ci circolano molte persone che scrivono anche qui, ed è bello attivo, soprattutto da quando è uscita la nuova serie…^^)

Buona lettura e (si spera) a presto!

 

 

Sono una persona facile all’ira. Datemi retta, lo sono. Ma non avevo mai avuto idea che i miei pensieri potessero diventare tanto velenosi anche nei confronti di me stessa. Ero un’idiota. Avevo abbandonato il diario come una povera stupida, dando per scontato che nessuno dei miei compagni avrebbe cercato di portarlo via. Ma che assicurazioni avevo davvero su Bastian? Che assicurazioni, a parte la mia stupida fiducia?

Eppure, nonostante mi rendessi conto della mia stupidità… riuscivo ancora a essere incredula.

Ostentai calma. Nell’attimo di confusione e panico che seguì la nostra scoperta, mi imposi immediatamente di assumere il controllo della situazione, come ero tanto abituata a fare. Ma mi sembrava che le viscere avessero preso ad ardermi nello stomaco.

“Gourry, Amelia.” Intimai, ai miei due compagni ancora confusi da quel rivolgimento inaspettato. “Dividiamoci. Uno di noi cercherà se si è rintanato da qualche parte in casa, due vedranno se c’è qualche impronta fresca nella neve all’esterno.”

“Lina… pensi che sia scappato col libro?” Il tono di Gourry era così incerto e incredulo che mi trovai a chiedermi quanto di ciò che provavo trapelasse realmente dal mio viso.

“Qualcuno può averlo aggredito e avergli portato via il diario con la forza. Ma che sia fuggito di propria volontà o che sia sulle tracce di qualcuno, ciò che noi dobbiamo fare è raggiungerlo.” C’erano alternative, giusto? Non dovevo subito saltare alla conclusione peggiore.

“Verrò io fuori con te, Lina-san!” Si fece avanti Amelia. “Se troviamo una traccia e usiamo il Ray Wing…”

“No.” La voce di mio marito era perentoria. “Nessuno di noi andrà più solo da nessuna parte, stanotte.”

Mi volsi, piccata. “Gourry…”

“No, Lina. Ti starò appiccicato come un francobollo, a costo di dovermi imporre. Ci siamo separati una volta, e guarda cos’è successo.”

“Fai come ti pare.” Sibilai, in modo molto poco garbato, precedendolo all’esterno. La realtà era che non volevo stare con Gourry, in quel momento. Non volevo che mi vedesse in volto, ora che riuscivo a malapena a controllarmi.

All’esterno, la neve aveva preso a cadere con maggiore intensità, in grossi fiocchi, che rilucevano bluastri, alla luce della luna. Qualunque impronta sarebbe stata cancellata in fretta.

“Lina –san…” Intervenne Amelia, studiando la mia espressione con una strana cautela. “Ma allora Bastian –san potrebbe essere il responsabile anche degli attacchi che hai subito?” Esitò. “Perché io… io potrei anche essermi ingannata, ma…”

Mi volsi verso di lei, con aria impaziente. “ ‘Ma’ cosa, Amelia?”

La principessa abbassò gli occhi. “Prima, nel corridoio, un attimo prima di essere colpita… io credo di aver visto Dorak, di fronte a me.”

Mi bloccai sui miei passi. “Dorak?” Mi sforzai di suonare sorpresa. Ma in realtà, un irrazionale sollievo parve immediatamente gettare acqua sulle fiamme che mi incendiavano lo stomaco.

Amelia si morse il labbro. “Ma non può averci preceduti qui, vero Lina-san? Non conosceva la nostra reale meta…”

“Sapeva che ci stavamo dirigendo a Talit. E non è detto che non conosca più di quanto immaginiamo.” Raccolsi le idee, per un momento. “Non è detto nemmeno che ci abbia preceduti, comunque. Può essersi intrufolato in casa dopo di noi, dalla nostra stessa entrata. Forse ci ha spiati e ha atteso che fossimo divisi, per cercare di aggredirci. Magari ha sorpreso Bastian, e ora lui è sulle sue tracce.”

Gourry si accigliò. “Ma perché ha mirato al diario, e non a te? Tu saresti stata un bersaglio semplice, intrappolata com’eri.”

“Non è detto che io sia il suo unico obiettivo. La mia idea è che chiunque sia sulle nostre tracce abbia ordini ben precisi, e poca libertà di azione. Non ha ucciso Amelia, anche se gli sarebbe convenuto farlo, per ben due volte. Ma ha provato a uccidere te, e quando si è reso conto che eri troppo pericoloso per affrontarti direttamente, forse ha cercato un altro modo per colpirti.”

Nemmeno io ero del tutto convinta della mia teoria. Aveva una parvenza di logica, e mi permetteva di pensare che Bastian non c’entrasse, per cui mi ci abbandonai con forzata convinzione. Ma nella mia testa continuavano a risuonare tetre le parole di Sybil. ‘Verrai tradita da qualcuno di cui ti fidi.’ Perché non mi era venuto in mente, quando avevo subito il primo attacco sulla nave? La profetessa aveva indovinato, per quel che riguardava l’assassino. E se avesse avuto ragione anche per quello? Perché mi ero rifiutata di contemplare quella possibilità?

Perché sono una stupida. Stupida, stupida, stupida.

Le labbra di Gourry si strinsero, ma se voleva dire qualcosa fu abile nel trattenersi. Gliene fui estremamente grata.

Cercammo in silenzio qualche traccia, ma forse per il buio, forse per la neve, non trovammo nulla. Mi ritenetti fortunata ad avere Gourry ed Amelia al mio fianco. Se fossi stata da sola, probabilmente mi sarei gettata alla cieca nella notte, pur di scoprire la verità.

E invece, come era ragionevole fare, rientrammo.

Perlustrammo nuovamente il palazzo, ma con poca convinzione. Quando fu chiaro che non c’era nascosto nessuno, concordammo che ci saremmo mossi di lì all’alba.  Avremmo dormito a turno per qualche ora, e quindi avremmo contattato Sylphiel, avremmo dato un’occhiata al laboratorio sotterraneo, e saremmo ripartiti. Per dove, dovevo ancora deciderlo. Ma il piano pareva così perfettamente delineato che potevo fingere, almeno per quella notte, di non dovermelo chiedere.

Continuai a ripetermelo, fissando le maglie consunte del tessuto che ricopriva la spalliera del divano. Cercai di svuotare la testa per dormire. Concentrai l’attenzione sull’odore del fuoco, sul respiro di Amelia che dormiva, sui movimenti lievi di Gourry che montava la guardia, sulla stessa spossatezza di cui ero caduta vittima dopo che l’urgenza di cercare tracce si era spenta. Non funzionò. La mia frustrazione, apparentemente, non si metteva a tacere facilmente.

Trasalii, quando avvertii il peso di un corpo poggiarsi sul divano al mio fianco, e il tocco di una mano sfiorare la mia schiena. Finsi di dormire, ma ero conscia che Gourry sapeva perfettamente che ero sveglia. Temevo che intavolasse una conversazione, che mi chiedesse qualcosa, e mi preparai a prolungare ostinata la mia recita, ma lui mi sorprese, e tacque. Le sue dita calde si mossero piano lungo la mia spina dorsale, fra le mie scapole, sulla mia nuca. Non capii cosa intendeva fare, se non a posteriori. In quel momento, il mio corpo si rilassò automaticamente, molto al di là di quanto pensavo che la mia mente mi avrebbe permesso di fare quella notte.

Ero già nel dormiveglia, e avevo totalmente abbassato la guardia, quando Gourry si decise a parlare. “Lina.” Mormorò, semplicemente. Io sussultai vistosamente, gettando al vento ogni possibilità di fingere ulteriormente di dormire.

“Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo? Veramente, intendo.”

Mi irrigidii. Mi aveva colta totalmente di sorpresa.

Degno di Gourry.

“Non capisco cosa intendi.” Sussurrai, senza volgermi.

“Sì che lo capisci.” Replicò.

La sua voce era dolce, e questo rendeva tutto più complicato. In quel momento, avrei preferito sentirlo urlare.

Girai su me stessa, ad incontrare il suo sguardo. C’era poco da dire, che non potesse capire leggendomi negli occhi, o che non avesse già capito. Ma mi costrinsi comunque a parlare.

“Bastian… mi ha fatto capire che il suo interesse per me andava oltre la semplice necessità di ripagare il suo debito.” Mi stupii di quanto facilmente quelle parole potessero uscire dalle mie labbra. Lo sguardo di Gourry era uno specchio limpido.

Mio marito parve esitare. Chiuse gli occhi per un istante, e prese un respiro. Mi chiesi se per controllarsi. Normalmente capivo perfettamente cosa pensava, ma quella situazione era del tutto diversa dal solito, e per molti aspetti non ci apparteneva. Insomma, eravamo Gourry ed io. Gourry ed io. Potevamo affrontare un esercito di signori dei demoni, potevamo attraversare l’inferno, tenendoci per mano, e uscirne indenni. Da - quanti erano, dieci anni, ormai? – se c’era una cosa di cui potevo dire di non dubitare era che il nostro posto era in qualsiasi luogo, l’uno accanto all’altra. Ed era bella, quella certezza. Non… strana, come tutta quella situazione.

“Sì, questo lo avevo capito.” Concluse mio marito, come costringendosi a non chiudere lì la conversazione. “Ma quello che vorrei conoscere, Lina… è la tua posizione nei suoi confronti.”

Il suo tono di voce non era mutato. ‘Arrabbiati.’ Pensai. ‘Permettimi di negare tutto, e di dirti che sei un idiota.’ Ma Gourry si limitò a riaprire gli occhi e a fissarmi quieto, in attesa. Non riuscii a distogliere lo sguardo dal suo.

“Non è semplice.” Mormorai. Mi stupii di constatare che era la risposta più sincera che avrei potuto dargli in quel momento. “Non è… una questione fisica, se capisci cosa intendo. Voglio dire, questo posso controllarlo, ma…” Esitai. “… è che siamo diversi… ma simili. Io… in qualche modo, mi rivedo in lui. E ogni volta… ogni volta che parliamo, che si svela di più a me, è sempre peggio. E’ come se… come se ci trovassimo sulla stessa lunghezza d’onda.”

Sapevo che le mie parole erano state confuse, perché io ero confusa. Mi chiesi se Gourry avrebbe capito. Quelli non erano discorsi sulla magia, eppure in qualche modo erano mille volte più complicati.

“Non ti sei… innamorata di lui.” Gourry era esitante.

Io aggrottai la fronte. “Come puoi pensarlo?” Domandai, duramente.

Mio marito abbassò lo sguardo. “Scusa.” Disse, semplicemente.

Io esitai, mordendomi il labbro. “Gourry… lo sai che non c’è niente al mondo che venga prima di te, per me. Lo sai perfettamente.” Mi sentii vagamente imbarazzata, nell’incontrare lo sguardo caldo, intenso, di Gourry, in risposta a quelle parole. Non mi capitava spesso di dare voce a quei pensieri, nemmeno da quando la lotta contro Fibrizo li aveva resi palesi. Davamo importanza ai gesti, più che alle parole, sia Gourry che io. Ma quella notte era diverso. Ora che avevo iniziato a essere sincera, non volevo più fermarmi. “E lo sa anche lui. Ma…” Le mie dita si strinsero attorno al tessuto della coperta. “… sarebbe facile concludere, in queste circostanze, che abbia preso il diario per liberarsi di un rivale. Ma… non lo farebbe. So che le cose non sono così semplici.” Mi sentii arrossire. “E non posso essere certa della mia intuizione… ma fino a questo momento sono sempre stata convinta della sua lealtà. E non posso pensare di essermi ingannata a questo modo… voglio dire, non sono un’ingenua. Non mi capita spesso di abbandonare le mie riserve su una persona.” Presi un respiro. “Credevo… credo che continuerebbe a difendermi fino alla morte, se glielo permettessi. E io non voglio permetterglielo ma…” Mi coprii il volto con le mani. “Al contempo non ho fatto niente perché si allontanasse. Vorrei dire che è perché la sua determinazione mi ha convinta che questo è l’unico modo in cui posso permettergli di essere in pace con se stesso. Ma non sono certa, in fondo, di non essere solo un’egoista. In fondo, lui è quello che più ha da perdere, dalla nostra vicinanza.” Mi sentivo ancora più in colpa, nel trovarmi a cercare di spiegare quel mio assurdo comportamento a Gourry. Io mi stavo scaricando la coscienza, ma come mi sarei sentita, al suo posto? Nel suo atteggiamento non c’era mai stata traccia di ambiguità. Ogni volta che le circostanze mi avevano dato occasione di essere gelosa di lui, Gourry aveva sempre messo bene in chiaro quali erano le sue priorità. D’altra parte, come potevo non essere franca? Con lui, che mi capiva con uno sguardo?

Tu sarai tradita e tradirai.’ Le parole di Sybil avevano dato vita a una tormentosa eco, che sottendeva a ogni mio pensiero.

Gourry mi prese le dita fra le mani, e le allontanò dal mio volto. “Lina.” Mormorò. Si piegò su di me, finché non avvertii il suo respiro sulle mie guance. Si chinò a baciarle, e quando si rialzò mi trascinò con sé, e fra le sue braccia. Mi abbandonai, vilmente. Il suo abbraccio era caldo e rassicurante. “Ascoltami. Io credo in te.” Quasi avesse letto nei miei pensieri, Gourry pronunciò le parole che avevo bisogno di sentire. “E se tu credi in Bastian, nonostante tutto, allora probabilmente non ti sbagli. Abbi fede in questo.”

Levai lo sguardo a osservarlo. Il suo volto era stanco, ma il suo sorriso era pacato, come al solito. “Io non sono certo di comprendere del tutto quello che ti tormenta, ma quando ritroveremo Bastian, non mi intrometterò fra voi due. Tu di certo capirai come risolvere la situazione.” La sua voce si abbassò ad un sussurro. “Mi fido di te.” Ripeté. Le sue parole sembrarono trovare posto in qualche luogo recondito del mio essere. Era come se avessi inghiottito una bevanda molto calda, e dolce.

Affondai il volto nel suo petto. Per qualche istante, fummo avvolti dal completo silenzio. Sentii l’ansia scivolare via da me lentamente. La fiducia di Gourry, come al solito, sembrava spianare la strada di fronte a me, indicandomi la strada giusta da percorrere.

Sentivo che Bastian non mi aveva mentito. Dovevo trovarlo, vivo, e dovevo cercare di fare qualcosa per lui. Quello che avrei voluto venisse fatto per me, se mi fossi trovata al suo posto. Forse, gli avrei detto semplicemente l’impressione che avevo ricevuto da Sybil, quando la avevo incontrata. Perché era possibile tornare indietro, giusto? Non c’era nulla di irrimediabile…

Non la amo più.

Le parole di Bastian mi bruciarono improvvisamente in testa, come un marchio a fuoco. Per un momento, l’immagine di un finale felice - un finale in cui io non dovessi essere tormentata dalla colpa- mi balenò davanti agli occhi: Sybil e Bastian che iniziavano a crescere i loro figli, e io e Gourry che andavamo a trovarli da buoni amici. Senza ambiguità, senza rimpianti. Mi sembrò così assurdamente irreale che l’inquietudine e l’ansia minacciarono di tornare ad afferrarmi lo stomaco. Il mio cervello iniziò disperatamente a cercare un’altra, introvabile, alternativa. Provai un senso di vertigine, e mi aggrappai a Gourry. La sua stabilità mi ridiede equilibrio, ma io mi sentii improvvisamente estremamente irritata con me stessa.

“Lina?” Domandò Gourry, confuso. Io mi morsi le labbra, per riacquisire padronanza di me stessa.

“Peccato.” Mormorai, forzando l’ironia nella mia voce. “Mi sarebbe piaciuto assistere a un virile duello per conquistare il mio cuore. Sai, quelle belle scene tutte sudore e sangue al cui termine il cavaliere vincente fugge con in sella l’amata.”

Non potevo vedere Gourry in volto. Nel lungo silenzio che seguì, avrei pagato mille monete d’oro per conoscere la sua espressione.

“In realtà…” Lo spadaccino esitò. “… progettavo di calciare Bastian giù dalla scogliera, appena scesi a valle. Perché sai, la parte del sudore e sangue non mi sorride particolarmente.”

Levai lo sguardo, colta alla sprovvista. I miei occhi incontrarono i suoi, e vi colsi un lampo giocoso. “Salirai lo stesso in sella con me?” Domandò. “O esiste qualche penalità per le vittorie scorrette?”

Non avrei mai detto che sarebbe successo, pochi istanti prima… ma dovetti soffocare una risata. “Esiste.” Replicai, in un sussurro. “Ti guadagni una moglie che non coincide precisamente con lo stereotipo della perfetta dama.”

Gourry fece un mezzo sorriso. “Posso sopravvivere a questo.” Si piegò su di me, e sfiorò le mie labbra con le sue. Gli ultimi residui di ansia lasciarono il posto a un diffuso, sonnolento calore. Se non avessi avuto Gourry su tutti a fianco, avrei pensato che mi avesse appena lanciato un incantesimo.

“Scusami.” Mormorò, accarezzandomi la nuca. “Per averti estorto questa confessione con l’inganno.”

Nascosi il volto nel suo collo. “Penserò ad una punizione.” Mormorai. Dopo qualche minuto, mi trovai nuovamente a cullarmi nella incoscienza ovattata in cui si naviga quando ci si trova fra il sonno e la veglia. Mi resi conto vagamente che ero tornata sdraiata sul divano. Cercai una delle sue mani con le dita e la strinsi, chiudendo gli occhi. Accarezzando il suo palmo ruvido, lasciai che l’oscurità mi catturasse.

 

 

 

La mattina successiva, la nevicata era cessata. Il cielo era parzialmente sgombro dalle nuvole, e un sole pallido si rifletteva sui candidi cristalli al di fuori delle mura fredde del palazzo, creando un riverbero che illuminava di tonalità nuove gli edifici bianchi di Talit, in lontananza. Il mare dall’aspetto gelido e scuro, oltre le scogliere, creava un bizzarro contrasto con quel lucore. Lo spettacolo dalla balconata semidistrutta della stanza mozzava il fiato.

Rabbrividii, stringendomi nel mantello, mentre Amelia e Gourry finivano di raccogliere i nostri oggetti. Nella mano, reggevo il rubino che avevo fatto stregare a Sylphiel prima della nostra partenza. Avevo contattato la sacerdotessa un’ora prima, appena sveglia, ma avevo avuto il tempo solo per esporre brevemente le mie domande, prima che troncasse la nostra conversazione. Ora, attendevo una sua risposta.

“Lina- san.” Sussultai, al tono trafelato della sua voce. Abbassai lo sguardo. Nel luminoso rossore della pietra, vidi riflesso il suo volto, al posto del mio, che sulla superficie lucida avrebbe dovuto apparirmi come in uno specchio.

“Non posso parlare per molto. Sono ospite nei dormitori delle sacerdotesse, ora, e non ho molte occasioni di rimanere da sola.”

Annuii, chiedendomi solo a posteriori se anche lei potesse vedermi. Ma che avesse scorto il mio segno, o si fosse limitata a interpretare il mio silenzio come un assenso, la sacerdotessa si limitò a proseguire. “Ascoltami, ho controllato per la faccenda di Erianna, ma a quanto pare qui a Elmekia il secondo nome per le casate nobiliari è un privilegio accordato unicamente al primogenito maschio. Viene assegnato al compimento dei dodici anni, a colui che è destinato a succedere al controllo della famiglia. Nel caso di morte del primogenito, un secondo nome viene assunto dall’erede maschio successivo. Lord Georg, ad esempio, porta come secondo nome Gabriel.” Fece una pausa, come per riprendere fiato. “A quanto ho capito, Eriol ha rotto la tradizione assumendo come secondo nome Emar, dopo la sua ribellione, nonostante Samon fosse ancora vivo. E’ scritto sulla sua tomba. Ma non ho potuto indagare più di tanto. Ogni volta che si fanno domande su di lui, qui, la gente pare subito insospettirsi.”

Annuii, nuovamente. “Hai fatto quello che potevi, Sylphiel.”

“C’è dell’altro.” La sacerdotessa troncò i miei ringraziamenti, frettolosamente. “Non so cosa stiate cercando, esattamente, ma ho scorso le genealogie della casata Darland, e sappiate che sono almeno duecento anni che le iniziali EED non si ripetono per qualche membro della famiglia ducale. L’ultimo è stato un tale Erian Ergon Darland, che peraltro è morto di malattia ancora prima di salire al potere.”

Oh, ora che ci pensavo, doveva essere quello di cui avevo letto nel libro. All’epoca non avevo fatto particolarmente caso al suo nome. Però… “Aspetta. Erian come Erianna?”

Sylphiel annuì. “Non è il solo nome a essere ripreso. Più o meno sono sempre gli stessi, e anche le accoppiate si ripetono. Ci sono state altre due Erianna, negli ultimi due secoli.”

“Mmm.” Non ero molto soddisfatta delle informazioni che avevo ricevuto. Non avevano aggiunto granché alla gamma di indizi di cui disponevamo. Il nostro uomo misterioso poteva essere Eriol, che per qualche motivo aveva scelto di servirsi del cognome della madre e non di quello del padre. Ma Eriol era morto senza che l’incantesimo sul diario si spezzasse, e dunque presumibilmente non era stato lui a lanciarlo. Oppure chissà, forse Erianna, sprezzante delle tradizioni, aveva scelto di assegnarsi da sola un secondo nome? In fondo, si era mostrata piuttosto insofferente verso le tradizioni maschiliste del suo regno.

E c’era sempre la possibilità che EED non fosse una sequenza di iniziali. Ma al di là di quello non avevo contemplato altre piste, e di conseguenza continuavo a brancolare nel buio. “Grazie, Sylphiel.” Mi limitai comunque a replicare, senza esprimere le mie perplessità. “E per il resto, a Talit va tutto bene?”

Sylphiel annuì frettolosamente. “Per ora, sembra tutto nella norma. Da quanto ho capito da Derek-san, le truppe si stanno riorganizzando. Non so quale sia la strategia, però.” Sospirò. “Derek-san non è stato accolto molto bene dal Lord Gabriev. Pare che alla fine lo abbia perdonato, ma lui ora usa molta cautela, anche con me. E non ho molte altre fonti di informazione, qua dentro. Sono pur sempre un’estranea.”

Annuii. Non c’era molto da replicare. “Lina – san, ora devo andare.” Proseguì Sylphiel. “Sono chiusa nei bagni della biblioteca del tempio, e non vorrei destare sospetti. Se scoprirò qualcosa di nuovo, te lo farò sapere.” Esitò. “State attenti.”

Non ebbi il tempo di assentire. Un istante dopo, il volto di Sylphiel era scomparso.

Amelia avanzò alle mie spalle. “Nessuna novità, eh, Lina –san?”

Scossi la testa, pensierosa. Restava solo il laboratorio. Pregai che mi offrisse una pista, perché in quel momento non avevo davvero idea di dove sbattere la testa. Avevo sperato che almeno Bastian si facesse rivedere nel corso della notte, ma non era tornato. Ero preoccupata. Se Dorak ci aveva mentito ed era davvero in grado di usare la magia, al cavaliere poteva anche essere successo qualcosa di grave.

Con un sospiro, mi volsi, e osservai Gourry smuovere le braci ormai spente con l’attizzatoio arrugginito, per cancellare le ultime tracce della nostra presenza. Levò la schiena e ci scambiammo una silenziosa occhiata, prima di avviarci allo scalone. Sapevamo entrambi che il laboratorio era la nostra ultima spiaggia. Oltre a quello, ci restava solo l’impasse: una prospettiva persino peggiore che viaggiare costantemente minacciati da un assassino invisibile.

“Preferisco che tu non entri nel laboratorio, Gourry.” Dichiarai, una volta che fummo in cima alle scale. Il corridoio e le stanze apparivano molto meno lugubri, nella luce del mattino. “Non ci separeremo.” Lo rassicurai, alla sua occhiata contrariata. “Ma dovrai fermarti all’ingresso. Ho paura che ci siano oggetti pericolosi. Amelia se ne accorgerebbe, ma tu non sapresti riconoscerli.”

Gourry annuì, lentamente. “Allora resterò fuori dal passaggio, a fare la guardia.” In effetti, sarebbe stato complicato anche farlo scendere nel tunnel. Il passaggio era decisamente scivoloso, e c’era spazio solo per una persona. Portandolo giù con la magia avrei rischiato di far rompere l’osso del collo a entrambi.

Precedetti Amelia nella stanza del passaggio, e tastai nel camino sino a far scattare l’apertura. Vedendo quanto era stretto e buio il tunnel, anche alla luce del giorno, un leggero brivido percorse la mia spina dorsale. Non potevo credere di essere precipitata là dentro, la notte prima, senza avere avuto come minimo un infarto. Presi un respiro, e mi calai nell’oscurità, venendo immediatamente avvolta dal tanfo di chiuso e umidità. Atterrai con leggerezza sulla pietra dura del fondo, aiutandomi con la magia. Là sotto la luce non arrivava, e quando mi trovai di fronte alla porta da cui si accedeva alla stanzetta rettangolare che avevo scovato la notte precedente dovetti evocare un Lighting, prima di far scattare la serratura. Attesi che Amelia mi raggiungesse, e aprii lentamente la porta.

Lasciai scivolare la sfera di luce fino al soffitto in modo che illuminasse gli scaffali che ricoprivano le pareti, e la stanza emerse dalle tenebre, in una cupa penombra. Alla nostra vista comparvero file di libri dai titoli più disparati, e per lo più assurdamente antichi. Qua e là troneggiavano ampolle e pugnali e altri oggetti utili a compiere esperimenti. Al centro della stanza era posizionato un tavolo, e un altro era poggiato alla parete opposta alla porta, sul lato corto della stanza. Nella fretta, la sera precedente non l’avevo nemmeno notato.

Amelia tossì lievemente. “Quanta polvere.” Si lamentò, infastidita.

Era vero. Alcuni scaffali sembravano intonsi da secoli, per quanto erano ricoperti di sporco e ragnatele. Altri sembravano essere stati praticati più di recente, e sul tavolo centrale avrei potuto passare un dito, e ritrarlo quasi completamente pulito. Di certo, qualcuno aveva messo piede lì dentro di recente. Ma quel laboratorio, da quanto esisteva? Era stato allestito da poco in quella che originariamente era solo una stanza nascosta? O esisteva già nella vecchia residenza dei duchi?

“Cosa cerchiamo?” Domandò Amelia, guardandosi attorno. Sembrava terribilmente in agitazione.

“Cosa c’è?” Domandai, accigliandomi.

“Non lo so.” Replicò, rabbrividendo. “In questo posto c’è qualcosa di… inquietante. E’ solo istinto, ma…”

Ma Amelia ormai era una sacerdotessa esperta, e di solito il suo istinto non sbagliava.

Istintivamente, rabbrividii a mia volta.

“Concentriamoci su quelli che sembrano oggetti personali. Qualunque cosa possa suggerirci a chi appartengano queste cose.” Feci violenza a me stessa, con quella replica. Molti dei testi raccolti là sotto mi allettavano, e avendo ore a disposizione mi sarei dedicata a sfogliarli. Ma eravamo di fretta, e dovevamo concentrarci su quanto ci serviva realmente. Mi chiesi se fosse il caso di portare via i libri più rari, ma immediatamente scacciai quell’idea. Ero avventata, sì, ma non mi sorrideva particolarmente l’idea di mettermi a rubare nel laboratorio di un esperto in malefici.

Purtroppo, non trovammo altri testi redatti a mano, o simili palesi indizi su chi potesse aver scritto il diario. Sulla maggior parte degli oggetti le iniziali EED erano incise in eleganti caratteri dorati, con ostentazione sufficiente a rendermele irritanti dopo un paio di occhiate.

Rabbiosa, priva di risorse, dovetti, malgrado ogni mia intenzione iniziale, concentrarmi sui titoli dei libri. Come la sera precedente, ne riconobbi molti, e notai che si trattava soprattutto di testi che parlavano delle forme di magia più elementari. La magia demoniaca, la magia dei draghi. Numerosi testi su maledizioni spesso ai limiti delle capacità magiche umane. Chiunque avesse raccolto quella montagna di informazione doveva essere interessato ai poteri superiori.

Oppure…

Un nuovo brivido mi attraversò, quando la mia mente elaborò un’ipotesi che era spaventoso anche solo contemplare come possibile.

Amelia dovette accorgersi del mio sussulto, perché volse la testa in mia direzione. “Lina-san?”

Non le risposi. Con foga, mi avvicinai agli scaffali e rilessi i titoli dei testi, realizzando per la prima volta perché così tanti fra di essi, nonostante fossero tanto rari, mi risultassero familiari. Non era una semplice coincidenza. La persona che li aveva raccolti stava seguendo lo stesso percorso di ricerca che io avevo adottato… quando avevo appreso dell’esistenza del Giga Slave.

La magia del Caos. Qualcosa di puro, ed elementare. Qualcosa che fondeva in sé l’aspetto più grezzo e fondamentale delle diverse e opposte forme di magia. Il potere che comprendeva tutti gli altri, e al contempo li trascendeva…

Una persona che si era rivelata così pericolosa… stava conducendo ricerche su quel genere di potere?

“Lina- san?” Il tono di Amelia si era fatto preoccupato, ora. Mi resi conto che mi stavo sorreggendo inconsciamente a una delle sedie che circondavano il tavolo. Non potevo vedere il mio volto, ma sapevo che dovevo essere impallidita.

“Lina?” Sentii la voce di Gourry, debole, provenire dall’apertura del caminetto. “Amelia? Che sta succedendo?”

“Comincio a sospettare…” Replicai, in tono flebile. “… quale sia il contenuto di quel diario.”

Amelia batté le palpebre. “Lina-san?” Ripeté, evidentemente senza comprendere.

“Lina? Lina, è tutto a posto?” La voce di Gourry continuò a chiamare, dall’alto. Evidentemente, non era riuscito a sentire la mia replica sussurrata.

“Usciamo di qui.” Intimai. L’aria nel laboratorio si era fatta improvvisamente soffocante.

Amelia mi parve perplessa, ma non obiettò. Mi diressi allo stretto passaggio, ed evocai la Levitazione senza voltarmi indietro. Quando emersi nella luce del mattino, dovetti prendere alcune lunghe boccate di aria fredda, prima di riuscire a parlare nuovamente.

“Lina… sei, uhm, verdognola.” Commentò mio marito, col solito (scarso) tatto. A dispetto di tutto, riuscii a rivolgergli un’occhiataccia.

“Sospetto che quel diario non sia uno scritto personale.” Dichiarai, senza degnarlo di una risposta. “Piuttosto, il resoconto di una lunga serie di esperimenti e ricerche.” Scrutai con la cosa dell’occhio Amelia, che stava emergendo dal camino, le sue vesti bianche chiazzate di verdognolo, là dove aveva sfiorato le umide pareti del passaggio.

“Cosa te lo fa pensare?”

“Il fatto che chi sta conducendo esperimenti, laggiù, ne abbia di certo bisogno. Sta indagando una materia decisamente complicata. Parlo per esperienza personale.”

Come prevedibile, Gourry batté le palpebre, senza capire. Ma dopo avermi fissata per un momento con espressione confusa, Amelia parve essere colpita dalla comprensione con la forza di uno schiaffo in viso.

“Lina- san! Vuoi dire che…?”

Annuii. “Sì. Penso stia facendo ricerche sulla magia che fa appello a Lord of Nightmares.”

Quella spiegazione era sufficientemente esplicita anche per Gourry, evidentemente, perché mio marito sussultò. “Lord of… aspetta un momento! Vuoi dire quell’incantesimo?”

Amelia e Gourry si scambiarono uno sguardo terrorizzato. Io, che avevo già metabolizzato l’idea, mi limitai a sospirare. “Grandioso, eh? Mancava all’appello uno psicopatico con la passione per lo sperimentare che sta studiando come mettere in atto un incantesimo che può distruggere l’intero universo.”

“Beh… detta con quel tono qualsiasi prospettiva apparirebbe terrificante.” Disse Gourry esitante, provando a sdrammatizzare. Era degno solo di ricevere un’altra occhiataccia.

Amelia non sembrava altrettanto in vena di minimizzare. Il suo sguardo era acceso di rabbia e determinazione. “Una cosa del genere… non posso permetterlo. Come principessa e paladina della giustizia, non posso permetterlo. Come se non bastasse già Lina a brandire quell’arma in modo del tutto privo di coscienza.”

Uhm… Amelia, ti ricordo che sono proprio davanti a te.

Sospirai, nuovamente. “Comunque, sospetto che il misterioso studioso non sia ancora giunto a grossi risultati. Per quanto ho potuto vedere della sua libreria, gli mancano alcune informazioni fondamentali.” Di certo non sapeva recitare la forma completa dell’incantesimo, a meno che non avesse consultato una copia della Claire Bible. E probabilmente non aveva messo mano nemmeno ad alcuni dei testi necessari per apprendere la forma incompleta del Giga Slave che io ero stata in grado di lanciare prima del mio viaggio sui monti Kataart. Si trattava di opere di cui probabilmente non esistevano altri esemplari, dopo che io avevo distrutto le mie copie. Sì, le avevo distrutte. Dopo che incautamente avevo provato l’incantesimo su una spiaggia vicino al mio paese natale, privandola totalmente della sua vegetazione e della sua fauna. Per quel che ne sapevo, era ancora completamente brulla. E ci erano volute settimane prima che io mi riprendessi completamente. Se ci ripensavo ora, mi venivano i brividi nel rendermi conto di fino a che punto ero stata folle. Ma anche allora avevo provato la mia bella dose di paura, rendendomi conto di quanto esattamente fosse potente quella… cosa. In parte per gelosia della mia conoscenza, in parte per una forma di recondito intuito, avevo deciso di compiere l’unico gesto che fosse in mio potere mettere in atto per evitare che qualcun altro arrivasse a padroneggiare quella formula.

E ora, pensare che qualcuno, probabilmente privo di senno quanto, se non più di quanto lo ero stata io, stesse tentando lo stesso… fui percorsa da un brivido. Mi tornarono in mente le immagini che Aqua mi aveva mostrato attraverso il monolite nero, nel tempio di sabbia, prima che Garv venisse allo scoperto. Una voragine nera, che inghiottiva tutto ciò a cui tenevo… Se avessi avuto la certezza che qualcuno fuori dal mio controllo era in potere di causare qualcosa del genere, probabilmente non sarei più riuscita a chiudere occhio per il resto dei miei giorni.

E dire che non avrei avuto diritto di indugiare in quei timori. Non io, che una volta avevo accettato di sacrificare il mondo intero, perché ai miei occhi aveva meno valore dei miei personali desideri…

Levai lo sguardo su Gourry, che lo ricambiò, preoccupato. Diritto o no, dovevamo fare qualcosa. Se anche mio marito non fosse stato colpito da quella maledizione…

“Dovrei scrivere di nuovo a mio padre, e informarlo anche di questo.” Mormorò Amelia. “Se è un membro della famiglia reale di Elmekia a condurre queste ricerche… questa questione diventa anche una questione di stato.”

Volsi la testa verso di lei. Era vero. Non avevo pensato alle cose in quella prospettiva, ma c’era una guerra in corso. E se quegli studi fossero stati sviluppati come un’arma? Se in realtà fossero state più persone a essere coinvolte?

Ma noi non eravamo in grado di metterci in contatto con Phil, in quel momento. Non avevamo nemmeno fatto in tempo a ricevere la sua risposta, prima che Bastian sparisse. E allora, qual era la cosa più giusta da fare? Dovevamo andare a Sailune? In fondo a Elmekia non avevamo più una pista precisa da seguire. Però, il pensiero di allontanarmi da lì, dove ero tanto vicina a ciò che stavo cercando, quando Gourry ancora non era guarito…

“Sarebbe utile sapere cosa esattamente l’autore del diario abbia scoperto.” Osservai. “Anche per farlo sapere a Philionel. Se anche non ha raccolto informazioni sufficienti per lanciare il Giga Slave, la maledizione che ha utilizzato è il segno del fatto che è entrato in possesso di conoscenze pericolose, che anche a me sfuggono. Ci sono… limiti che io non ho valicato, nelle mie ricerche, nonostante mi sia spesso spinta vicino ai confini di quanto sia comunemente considerato lecito. Ma non tutti condividono l’opinione ufficiale delle Gilde su quanto sia eticamente accettabile per un mago… nemmeno all’interno delle Gilde stesse.” Scrutai in volto i miei due compagni, pensierosa.

“Ma se non sappiamo nemmeno chi sia l’autore…” Incalzò Amelia.

“Forse la cosa più utile da fare sarebbe proseguire le indagini a Talit.” Dichiarai, dopo un istante. Chi aveva creato quel diario poteva essere la stessa persona che aveva messo sulle nostre tracce l’assassino. E probabilmente il luogo in cui avremmo potuto trovare entrambi era proprio la Perla. “Ma come potremmo entrare in città, ora come ora? Se anche io non fossi ricercata, e Gourry non fosse il figlio di uno dei generali, e tu non fossi la principessa di Sailune… i controlli saranno triplicati, in tempi come questi. Mi chiedo se Sylphiel, dall’interno, potrebbe aiutarci…”

Gourry storse il naso. “Tanto per informazione…” Esordì, in tono scontroso. “… qualunque cosa accada, io non mi vestirò da donna.”

Soppressi una risata, la prima della mattinata. “Che malfidente. Non avevo ancora nemmeno menzionato l’idea di camuffarci.”

Gli occhi di Gourry si ridussero a fessure. “Con te è sempre il caso di mettere le mani avanti.”

Emisi un sospiro. “In ogni caso, suggerirei come prima cosa di andarcene di qui. Se chi frequenta questo posto non si è reso conto che qualcuno è venuto qui a ficcare il naso, vuol dire che abbiamo un vantaggio. Non è il caso di rischiare di farci sorprendere.” Riflettei per un momento. “Una volta giunti a valle, potrei provare a ricontattare Sylphiel. Tanto per capire se esiste un modo per intrufolarci in città senza essere scoperti.” E se la risposta fosse stata un no categorico, Sailune avrebbe potuto essere un’alternativa da contemplare.

Uscimmo da dove eravamo entrati, muovendoci silenziosamente fra le fredde mura. Giunti all’imboccatura del corridoio in pietra, allungai la mano verso mio marito, che la afferrò, squadrandomi perplesso.

“Lina…?”

Ray Wing!” Recitai, senza dargli il tempo aggiungere altro. Emise solo un grido strozzato, mentre lo trascinavo attraverso gli edifici diroccati, verso il muro d’alberi ai margini della vecchia città. Evitai un paio di tronchi, prima di atterrare, soddisfatta, in un piccolo spiazzo coperto di neve.

“Niente impronte nelle vie della città!” Dichiarai, in tono allegro. “Devo dire che sono davvero un genio.”

Mio marito emise un gemito strozzato, prima di sibilare, a voce più acuta del solito. “Non puoi avvisare prima di lanciare quel coso?”

Ridacchiai, mentre Amelia atterrava al nostro fianco, e sospirava. Ormai era abituata a quel genere di scene. “Che strada prendiamo, per scendere? La stessa dell’andata?”

“Direi di sì.” Replicai. “La strada principale è troppo esposta.” Avremmo dovuto muoverci in fretta, per non rischiare di essere sorpresi dal buio. Bastian ci aveva guidati con sicurezza, all’andata, ma io non ero certa di non perdermi. Avremmo avuto bisogno di più cautela.

Mi rabbuiai, al pensiero del cavaliere. Chissà dove era finito. Quando guardavo Gourry in volto, e ricordavo le sue parole della notte precedente, i miei sentimenti si placavano temporaneamente. Ma bastava un dettaglio che mi ricordasse il cavaliere, e la mia mente cominciava ad altalenare schizofrenica fra la certezza della sua fedeltà, e la conseguente preoccupazione, e il dubbio del suo tradimento, e la conseguente rabbia livida nei confronti di me stessa.

Avanzai, in modo da precedere Gourry e Amelia ed evitare che mi vedessero in volto. Rimasi nel perimetro del bosco, aggirando la città in direzione dell’arco di accesso attraverso cui eravamo entrati la notte precedente. Non pensavo realmente alla strada, persa nelle mie riflessioni. Forse per questo, non mi resi conto del cumulo di neve e stracci, prima di rischiare di inciamparci sopra. Incespicai, stupita, urtandolo.

“Co…?” Abbassai lo sguardo, indietreggiando d’istinto, e andando a sbattere contro Gourry. Mio marito mi afferrò per le spalle, e si sporse per vedere cosa mi avesse tanto sorpresa. Lo sentii trasalire, all’unisono con Amelia. Il cumulo – o meglio il corpo- aveva appena emesso un gemito.

La mia mente prese a vorticare con un ritmo tanto frenetico che il mio raziocinio mi lasciò per un istante. Associai immediatamente quell’ammasso irriconoscibile, abbandonato al riparo di un tronco e parzialmente coperto di neve, a capelli biondi, occhi scuri e penetranti, e morbide vesti nere. Solo quando udii un nuovo gemito, roco, raschiante, provenire da labbra troppo carnose mi resi conto che non si trattava della persona che avevo temuto di vedere. Si trattava di Dorak.

Rimasi sbigottita, per un istante. Quindi il fiato tornò a circolare nei miei polmoni. “A… Amelia!” Riuscii a biascicare.

La principessa annuì, e si fece immediatamente avanti. Non capivo cosa stesse succedendo, ma non sapevamo ancora con assoluta certezza che Dorak fosse nostro nemico. Di certo, lasciarlo morire non ci avrebbe aiutati a scoprirlo.

“Dovete aiutarmi a girarlo!” Sibilò la principessa.

Il gigantesco corpo del mercenario era prono al suolo, e non c’era nessuna ferita visibile sulla sua schiena. Ma alle sue spalle si intravedeva una scia di sangue, solo parzialmente ricoperta dalla neve che era caduta nella notte. Doveva essersi trascinato fin lì, ed essere rimasto sdraiato per ore, incapace di avanzare oltre. Mi chiesi come potesse essere ancora vivo. La sua pelle era bluastra e gelida, i capelli folti erano zuppi e appiccicati alla sua testa squadrata. A meno che non fosse un incrocio con un troll, o qualcosa del genere (il dubbio non mi aveva mai sfiorata, prima, ma improvvisamente lo trovai possibile), lo spesso manto di pelliccia che indossava e il suo fisico possente dovevano avergli, incredibilmente, permesso di sopravvivere anche in quelle condizioni.

In tre, e con notevoli sforzi, riuscimmo a girarlo sul dorso. I suoi occhi erano vuoti, persi in qualche delirio generato dal dolore. Sul suo stomaco era aperto un orribile squarcio, una ferita che non poteva essere stata generata da una spada. Sembravano … artigli. Gliela aveva procurata un essere umano? Sembrava piuttosto che fosse stato aggredito da un animale selvatico…

Con lo spirito pratico del guaritore, Amelia si inginocchiò immediatamente su di lui, senza lasciarsi impressionare. Nonostante il sangue si fosse mischiato alla neve, il suo odore metallico giunse lo stesso alle mie narici. Era una cosa che dopo anni di battaglie continuava a disgustarmi… come era normale e sano che fosse. Anche mio marito si coprì bocca e naso col dorso della mano.

Amelia si morse il labbro. “Non sono certa di poter fare ancora qualcosa per lui.”

Non me ne intendevo quanto lei, ma non era difficile pensarlo. Certo, il Resurrection era in grado di recuperare per i capelli anche persone che si trovavano a un passo dalla morte. Lo aveva fatto con me, una volta. Ma una operazione del genere avrebbe ridotto allo stremo delle forze il più esperto dei sacerdoti. E Amelia non aveva concentrato i suoi studi unicamente sulla magia di guarigione.

La principessa scelse comunque di provare. La udii recitare in tono sommesso una formula, le dita protese verso il corpo martoriato del guerriero, e dalle sue mani fluì una soffusa luce bianca. Prima che potesse iniziare a rimarginare il taglio, tuttavia, Dorak parve parzialmente riaversi. I suoi occhi si spalancarono, ed emise un gutturale gemito. Le dita della sua mano destra si strinsero convulsamente attorno al polso di Amelia.

“No… non…” Sibilò, le parole intrise di dolore. “Non fidatevi di… aaaaargh!!!” Il suo viso si contrasse in una smorfia. Lasciò il braccio di Amelia, e si coprì il viso con le dita rattrappite per il gelo, ogni suo respiro denso di un’agonia indescrivibile.

Mi sentii impallidire. “Che… che gli succede?”

Amelia si limitò a scuotere la testa, terrorizzata. Dorak prese qualche respiro e parve riaversi, momentaneamente. “Il cavaliere, Bastian… lui è…” Gemette. “… con i draghi…”

“Dorak- san, non sforzarti di parlare.” La voce di Amelia, ora, lasciava trapelare la sua paura. Pareva lottare per non ritrarre le mani, tremanti. “Lascia che…”

Ma il mercenario prese ad agitarsi convulsamente, in preda a un nuovo accesso di dolore. Rischiò di colpire Amelia, e io la afferrai all’ultimo, trascinandola indietro, prima che una delle sue enormi mani le spezzasse il collo. Incespicai, e entrambe capitombolammo a sedere al suolo. La principessa si afferrò a me, con foga. “Lina- san, cosa… cosa possono avergli…”

Non ebbe il tempo di terminare. Dorak parve improvvisamente strozzarsi nel suo stesso grido. I suoi occhi tornarono ciechi, la sua schiena si inarcò, e ognuno dei suoi muscoli possenti parve contrarsi contemporaneamente. Un istante dopo, aveva cessato di muoversi.

Il silenzio tornò a saturare la foresta, troppo all’improvviso. Era stato tutto assurdamente… inaspettato. Continuai a stringere, convulsamente, il braccio di Amelia. Dorak… non mi piaceva. Ma trovarmi di fronte il suo corpo senza vita… lui, che con quel suo “tesorino”, con i suoi modi noncuranti, aveva sempre avuto l’aria di uno di quegli uomini che potevano attraversare qualsiasi cosa senza esserne distrutti…

In quella faccenda, poteva accadere di perdere la vita. Due uomini che avevano incrociato il mio cammino erano già morti, e una maledizione terrificante pendeva sulla testa della persona che mi era più cara. Me ne ero resa conto veramente, prima di quel momento?

Certo che me ne ero resa conto. Ero stata terrorizzata, scoprendo quel marchio sulla mano di Gourry. Però… però…

Anche Gourry ai miei occhi, fino a quel momento, era stato, in un certo senso, indistruttibile.

“Cosa è stato?” Sibilò Amelia, la prima, fra noi, a riprendere fiato. “Aveva del veleno in corpo? Cosa poteva farlo soffrire… a quel modo?” Le sue mani tremavano ancora.

Non potevo risponderle. Tutti i miei sensi erano catturati dalla visione degli occhi spenti di Dorak.

 “Lina.” La voce di Gourry, quieta, mi richiamò alla realtà. Sentii la sua mano sulla mia spalla, e, come di riflesso, lasciai andare la principessa. Amelia non parve nemmeno accorgersene.

“Lina.” Ripeté mio marito, in tono forzatamente calmo, afferrandomi di peso per farmi rialzare. “Guarda quelle ferite.”

Dovetti farmi violenza, per riportare lo sguardo sullo squarcio nello stomaco di Dorak. La mia impressione iniziale venne riconfermata. Artigli, assurdamente spessi. Nessun’arma maneggiata da un essere umano avrebbe potuto dilaniarlo a quel modo.

Il mio sguardo incrociò quello di Gourry, sopra la mia spalla, e non ebbe bisogno di dirmi quello che pensava. I miei ricordi focalizzarono l’immagine di Bastian che ci veniva incontro, nelle steppe di Elmekia, in sella a un drago nero.

“Cosa intendeva dire…?” Amelia proseguì, incurante di quello scambio, ma come in accordo con i miei pensieri. “Non dovremmo fidarci di Bastian? Io credevo che fosse lui a seguirci per…” Scosse la testa. “E poi, cosa c’entrano i draghi?”

Mi portai le mani al viso, mentre una nuova ipotesi prendeva forma nella mia mente. “Non può essere.” Mormorai, la voce strozzata.

Amelia riuscì per la prima volta a distogliere lo sguardo dal mercenario. “Cosa?” Chiese, nervosamente.

“Noi…” Deglutii. “Noi abbiamo sempre dato per scontato che un assassino ci stesse seguendo… ma…”

“Ma cosa, Lina-san?”

“Chi ci dice che in realtà… non fossero due?”

Gourry mi lanciò un’occhiata, senza capire. “Due?”

Annuii, la bocca semi nascosta dalle mani. “Mettiamo che Derek e Bastian fossero d’accordo, sin dall’inizio.” Sibilai, stupendomi di quanto riuscissi a mantenere calma mia voce. “Per qualche motivo non hanno cercato di aggredirmi che dopo che ti ho liberato, ma lasciamo perdere le loro motivazioni, per il momento. Il loro comportamento avrebbe senso. Una volta visto che non era semplice sorprenderci, hanno deciso di depistarci, facendo sparire Dorak e spostando i sospetti su di lui, in modo da poter continuare a colpirci, uno dall’interno e uno dall’esterno del gruppo. Un piano intelligente.” Abbassai gli occhi. Non riuscivo nemmeno a essere stupita. Gli indizi erano lì, tanto evidenti da farmi avvertire unicamente il peso della mia stupidità. Bastian, che si era accordato col capovillaggio a mia insaputa, accettando di accollarsi il peso di Dorak. Il fatto che Dorak si fosse trovato proprio sull’isola di Meghar, la mattina in cui eravamo partiti… non capivo il perché, non conoscevo i dettagli… ma ora tutto sembrava straordinariamente chiaro.

“Stai dicendo che per tutto questo tempo hanno finto ostilità, mentre in realtà collaboravano segretamente?” Il tono di Gourry era incredulo, al limite dello scetticismo. Ma non era precisamente quello che intendevo.

Volevo dire, forse Bastian non aveva nemmeno mentito. Forse lui e Dorak si detestavano sinceramente, forse il cavaliere mi aveva raccontato realmente la storia della sua vita, mentre mi parlava di sé, nella grotta. Forse si era trovato ad agire a quel modo per adempiere a un obbligo, o per qualche altro motivo pressante, contro i suoi stessi desideri. Ma anche se era andata così… il risultato comunque non cambiava.

“Ma… Lina-san, se erano alleati… perché Dorak sarebbe qui… così? E, insomma, ci ha persino messi in guardia contro Bastian…”

“Chissà, forse Dorak è stato tradito da Bastian, all’ultimo.” Replicai, in tono piatto. “Lui, o il drago che era con lui. Perché questo di certo non l’ha fatto il cavaliere.” Lanciai un’occhiata al corpo senza vita del mercenario. “Forse se ne sono liberati perché non era più utile, o per qualche dissidio personale…” Io conoscevo perfettamente alcuni dei possibili motivi. “Chissà dove lo hanno colpito, perché noi non ci accorgessimo di nulla. Deve essersi trascinato fin qui per avvisarci, dopo essere stato ferito a morte… ed è arrivato così avanti, probabilmente,  spinto solo dall’odio per chi lo aveva tradito.” La mia voce era ancora innaturalmente calma. “Chissà dove sarà Bastian, ora. Chissà se immagina che Dorak è sopravvissuto e ci ha messi in guardia.” I miei occhi si strinsero. Mi auguravo che non cercasse di raggiungerci nuovamente, fingendo che nulla fosse successo. Non avrebbe trovato l’accoglienza che si aspettava.

Il mio tono di voce era neutro, ma incrociando gli occhi di Gourry colsi immediatamente il significato del suo sguardo. Non lo stavo ingannando.

“Ad ogni modo… ormai è certo che Bastian-san abbia il diario, giusto?” Puntualizzò Amelia. Nessuno le rispose. Il nostro assenso si fuse col silenzio.

“Dobbiamo seppellirlo.” Concluse la principessa, forse rendendosi conto che l’atmosfera non era quella più giusta per discutere. Normalmente avrei obiettato che non c’era tempo, ma in quel momento mi limitai ad annuire, grata. Avevo bisogno di concentrarmi su un’attività che mi permettesse di svuotare la mente, e sapevo già che camminare non sarebbe stato sufficiente.

Trascinammo il corpo di Dorak addentro agli alberi, sudando e ansimando nonostante il gelo, e scavammo il terreno ghiacciato con l’aiuto della magia. Persi il senso del tempo, ma la mattina doveva essere già inoltrata, quando terminammo il nostro lugubre compito e iniziammo la discesa verso la valle. Mentre incespicavamo fra rami, sassi e lastre di ghiaccio, la mia mente riuscì miracolosamente a trovare spazio per la riflessione. Non parlammo, e ignorai testardamente ognuna delle occhiate ansiose e indagatrici di mio marito. Ma quando infine giungemmo a valle, le mie intenzioni erano finalmente chiare… cristalline, come l’acqua del mare che rifletteva la luce gelida del sole pomeridiano. 

Ci fermammo, ansimanti, su una spiaggia sassosa ai piedi di una scogliera. Al riparo degli alti massicci bianchi, nessuno dalla Perla avrebbe potuto scorgerci. Estrassi dalla tasca il rubino magico, e mi concentrai sui suoi riflessi rossastri. Sperai che Sylphiel potesse parlarmi immediatamente.

“Allora hai intenzione di chiedere a Sylphiel- san un modo per entrare in città, Lina- san?” Chiese Amelia, reggendosi a una roccia, e lanciando occhiate nervose al cielo sgombro di nubi. Aveva gli occhi cerchiati, e l’aria esausta.

“No.” Replicai, secca. “Non sono più certa che andare a Talit sia la soluzione migliore.”

Gourry inclinò la testa, perplesso. “Lina…” Iniziò, cauto. “Non pensi che Bastian sia tornato con il diario in città?”

“Forse.” Esitai. “O forse no. E’ quello che voglio scoprire ora.”

Restammo in silenzio, in attesa. Dopo qualche minuto, la voce di Sylphiel emerse dalla pietra. Sembrava nervosa. “Lina- san, mi dispiace, ma in questo momento non ho il tempo di…”

“Ho bisogno solo di sapere una cosa.” La interruppi, brusca. “Bastian, il cavaliere… è tornato a Talit, che tu sappia?”

Sylphiel parve spiazzata dal mio tono sbrigativo. “Uh… no, che io sappia no, Lina- san… ma lui non era con voi? Cosa…?”

“Sarebbe lunga da spiegare.” Tagliai corto. “Se lo vedi in città, non riferirgli nulla del fatto che siamo in contatto, ma fammelo sapere appena puoi. D’accordo?”

“V… va bene, Lina- san.”

Annuii. “Grazie, Sylphiel.”

“Lina – san.” La sacerdotessa si affrettò a richiamarmi, come se temesse che troncassi la conversazione all’improvviso. “E’… è tutto a posto?”

“Stiamo tutti bene. Vai, Sylphiel, prima che ti scoprano.”

La sacerdotessa era evidentemente riluttante, ma, forse per cause esterne, forse perché aveva capito che non ero in vena di lunghe spiegazioni, si limitò ad annuire frettolosamente. Il suo volto scomparve, e dopo un attimo la superficie lucida tornò a rimandarmi la mia immagine.

“Ma allora… allora dove…?” Mio marito era evidentemente confuso.

“Io… credo che dovremmo andare nelle steppe.” Dichiarai, con solo un filo di esitazione. Nuovi tasselli si stavano velocemente posizionando nel puzzle che aveva iniziato a prendere forma nella mia mente. Forse, in fondo, il mandante degli omicidi non c’entrava con l’autore del diario. Forse Bastian non lo aveva portato via per riportarlo al suo creatore e toglierlo dalle nostre mani, ma per motivi diversi… o forse il creatore del diario non era in effetti un membro della aristocrazia di Talit, come avevamo inizialmente pensato (anche se ancora non mi spiegavo il perché recasse il simbolo dei Darland, in quel caso). Non avevo ancora risposte certe, riguardo a quel punto, ma sapevo che entrambi gli uomini che avevano minacciato la mia vita erano legati in qualche modo al villaggio degli Enu, e che la loro sacerdotessa aveva esplicitamente cercato mettermi in guardia contro il pericolo in cui ero incorsa durante il mio viaggio. Cominciavo a pensare che non fossero state le capacità profetiche a ispirare a Sybil quell’avvertimento, ma conoscenze ben più concrete. Cominciavo a pensare che, per qualche assurdo motivo, il capovillaggio che la sacerdotessa sembrava tanto detestare fosse dietro alla misteriosa caccia all’uomo in cui mi trovavo coinvolta da qualche giorno a quella parte. E probabilmente anche la comunità di draghi che risiedeva nel suo territorio aveva qualcosa a che fare con quanto stava accadendo. Se era così, ero decisa a scoprire il perché.

Volevo come prima cosa parlare con Sybil. Se le autorità del villaggio volevano la mia morte, di certo non sarei stata accolta fra gli Enu a braccia aperte. Avremmo avuto grossi problemi ad avvicinarci alla sacerdotessa, forse saremmo stati aggrediti non appena fossimo stati avvistati… ma era necessario fare un tentativo. Mi sarei presa a schiaffi, ora, per non averle prestato maggiore attenzione al nostro primo colloquio. Ma oltre al mio scetticismo, mi aveva frenato il fatto di essere stata colta così di sorpresa dai suoi  modi bruschi e imprevedibili. Stavolta però sapevo cosa attendermi. E forse, per quanto spiacevole potesse rivelarsi, sarei riuscita a strapparle qualche informazione in più riguardo alle motivazioni che muovevano Bastian, e a quale fosse esattamente il suo legame con la comunità dei draghi. Perché se davvero “era con i draghi” come Dorak ci aveva detto, tutti i discorsi del cavaliere sul fatto di essere bravo con quelle creature solo in quanto bravo falconiere assumevano i chiari contorni di una bugia. Mi chiedevo se era grazie alla magia dei draghi che Bastian era stato in grado di portare via il diario senza cedere alla sua magia. Esisteva un modo per restarne immuni? Forse poteva essere quella la chiave per trovare una cura alla maledizione di mio marito…

Chissà se Bastian in persona sarebbe stato al villaggio. In sella a un drago, sarebbe arrivato là nel giro di nemmeno una giornata. O forse avrebbe portato il diario a chiunque lo avesse ingaggiato, e sarebbe tornato indietro a cercarmi, per finire il suo lavoro. In ogni caso, non mi sarei tirata indietro di fronte a lui. Avrebbe dovuto rivelarmi dove si trovava il diario, consegnarmelo, o subirne le conseguenze. C’era la vita di Gourry di mezzo… e qualsiasi altra ragione non aveva significato, per me. Bastian doveva saperlo bene. Come lui aveva dichiarato di essere, anche io ero il tipo di persona disposta a qualunque mezzo, pur di proteggere le persone che amava.

“Nelle steppe?” La voce di Gourry emerse dal vortice dei miei pensieri. Evidentemente, non era convinto. Mi fissava come se fossi improvvisamente impazzita. “E cosa andiamo a fare nelle steppe?”

Levai lo sguardo, a fissare il cielo. “Andiamo a caccia di draghi.”

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


D’accordo… getto la spugna

D’accordo… getto la spugna. XD Stavo scrivendo un super capitolo, pieno di scottanti rivelazioni…e mi sono accorta che mi sarebbero uscite pressappoco cinquanta pagine! XD Per cui ho ceduto alla violenza, e lo ho diviso in due… anche perché è passato un TANTINO dallo scorso aggiornamento, e mi chiedo se chi legge abbia ancora un’idea della storia…XD (della serie, a volte ritornano…XDDD) Comunque, se il finale del capitolo vi pare un tantino inconcludente non preoccupatevi, il secondo pezzo dovrebbe arrivare nel giro di pochi giorni! ^_^ (care cuginette, avete visto che nonostante le tormente di neve e i treni bloccati rispetto le consegne?)

Grazie come al solito a chi legge e commenta! (a proposito… che opinioni contrastanti per lo scorso capitolo! Vedrete chi ha indovinato, eheh…) Buona lettura!

 

 

Per una volta nella vita, non avevo la più pallida idea di cosa Lina avesse in mente.

Gettarsi fra le braccia degli Enu (così li aveva chiamati, giusto?) con la quasi totale certezza che volessero ucciderci era un piano avventato, persino per gli standard di mia moglie. Non avrei dovuto lamentarmi, considerato che l’alternativa era andare immediatamente alla caccia dei fantomatici draghi con cui Bastian si trovava (non che Lina avesse escluso l’idea: chiaramente, il secondo tentativo di suicidio sarebbe seguito a un eventuale – e improbabile – fallimento del primo), ma mi lasciava perplesso il fatto che a Lina premesse parlare con una profetessa. Non era da lei dare peso alle visioni di una veggente.

Forse era solo impaziente di fare qualcosa. Da quando avevamo parlato, un paio di giorni prima, al palazzo della vecchia Talit, il suo atteggiamento nei miei confronti era apparentemente più disteso (fatto salvo per la mia mano; stavo cominciando a pensare di tenerla esposta all’aria, così che dovesse smettere di chiedermi ogni due minuti se il rossore si era esteso ancora). Ma la sua ansia di scoprire la verità era cresciuta di minuto in minuto, facendosi tangibile a mano a mano che ci avvicinavamo ai territori delle steppe. Persino Amelia, meno sensibile di me agli stati d’animo di Lina, sembrava essersene accorta. Anche la principessa si era fatta più tesa e guardinga, e aveva persino osato sfidare la determinazione di mia moglie, avanzando un paio di volte la proposta di tornare indietro (e nessuno che non abbia mai tentato di convincere ragionevolmente Lina a fare qualcosa può realmente capire quanto questo sia pericoloso…).

Ma nonostante l’istinto mi gridasse che rischiavamo di cacciarci in un grosso guaio, nonostante non riuscissi a comprendere pienamente le scelte di mia moglie, io non mi ero opposto al suo piano. Per dirla tutta, anche io ero impaziente di trovare Bastian. Ero impaziente di trovarlo, e fargli capire esattamente come la pensavo sui voltafaccia e i traditori. Non ero felice che si fosse rivelato un nostro nemico. No, a dispetto di tutto, non lo ero. Perché per quanto questo potesse apparentemente facilitare le cose, per me, in effetti le rendeva più complicate. Ero stupito e risentito per il nostro grossolano errore. Lina aveva davvero un buon occhio nel giudicare le persone, e anche il mio istinto nei confronti di Bastian non mi aveva messo in guardia. Ma non era quello il reale problema…

Squadrai il profilo di Lina, e la osservai rabbrividire nel mantello. Faceva freddo, quel giorno, ma ci eravamo comunque fermati all’aria aperta, seduti all’ombra di uno smunto albero per ripararci dal vento. Avevamo inviato Amelia, debitamente camuffata, a comprare qualche abito e un po’ di cibo in una delle ultime fattorie che avevamo incontrato, dando fondo alle gemme che Lina si era “procurata” dai banditi prima che partissimo da Sailarg. Non ci saremmo propriamente travestiti, ma cambiarci ci avrebbe resi comunque meno riconoscibili nei territori esposti delle steppe. Soprattutto per qualcuno che ci avesse cercati dall’alto.

Lina intercettò il mio sguardo, e una punta di preoccupazione si disegnò nei suoi occhi. “Che c’è?” Domandò, tesa. “Ti fa male la mano?”

Mio malgrado, sorrisi. “Lina… perché se ti guardo dovrebbe farmi male la mano?”

Mia moglie si morse il labbro. “Non scherzare.” Mormorò. Per qualche motivo, da quando aveva visto Dorak morire, sembrava poco propensa a sdrammatizzare la questione della mia maledizione.

Sospirai, e la strinsi fra le braccia. “Lina… sto bene. Come ti ho detto, non mi sembra che si sia allargato, ultimamente. O almeno, lo fa molto più lentamente.”

“Potrebbe essere un cattivo segno.” Lina poggiò la testa alla mia spalla, e avvertii la tensione correre attraverso le sue membra come un fluido. “Quanto meno, se Bastian ha preso il diario, probabilmente chi lo comanda sa di cosa si tratta. Una informazione che estorceremo, in un modo o nell’altro.”

Cercai in fretta un modo per cambiare argomento. Non faceva bene all’umore di nessuno, pensare alla maledizione. “Senti, Lina… mi spieghi perché esattamente ti interessa parlare con questa Sylib? Insomma… non eri scettica su cose come la lettura del futuro?”

“Sybil.” Mi corresse mia moglie, distrattamente. “Il fatto è che finora tutto quello che mi ha predetto si è avverato. E che abbia realmente capacità profetiche, o che sappia più di quanto non mi ha rivelato, mi sembra comunque una fonte di informazioni da non sottovalutare.” Mi lanciò una breve occhiata. “In più… l’altro giorno, nell’ansia di partire, mi sono scordata di dirvelo, ma lei e Bastian sono stati insieme, in passato. Hanno due bambini. Di certo conosce qualcosa di lui che noi non sappiamo.”

La guardai, stupito. “Davvero?” Beh, certo che era possibile. Ero forse convinto che Lina fosse stata l’unica a interessare mai il cavaliere? Anche se per me era strano pensare di innamorarmi di qualcuno di diverso, dopo avere conosciuto lei.

Lina annuì. “Me lo ha detto Bastian prima di andarsene. Ancora non mi è chiaro perché mi abbia fornito tutte queste informazioni su di sé, nonostante fossimo nemici.” Si accigliò. “Per qualche motivo, non ho l’impressione che mi abbia mentito.”

“A meno che non volesse farsi rintracciare.”

Lina mi rivolse uno sguardo stupito. Evidentemente non aveva preso in considerazione quella ipotesi. “Intendi una trappola?” Parve considerare la cosa. “Non lo so… forse.” Scosse la testa. “Mi sento veramente idiota, a pensare di poter interpretare ancora le sue azioni. In fondo, tutto ciò che pensavo di lui si è rivelato sbagliato.” Abbassò lo sguardo. 

Io la squadrai, mentre sprofondava nei suoi pensieri, chiedendomi se avrei dovuto replicare. Avrebbe potuto apparire strano, a un estraneo, ma non ero geloso di Bastian. Non lo ero ora, che le azioni del cavaliere non lasciavano spazio a complicazioni in quel senso… ma non lo ero stato nemmeno, non realmente, quando Lina mi aveva confessato della loro strana relazione.

Nei primi anni della nostra conoscenza, mia e di Lina, mi era capitato, sì, di provare gelosia. Mi era capitato spesso. Ricordavo ancora quando un bellimbusto, un piccolo nobile di provincia, aveva chiesto a Lina di mettere in scena con lei un finto matrimonio … dei, quanto mi era salito il sangue alla testa, quando aveva cercato di baciarla. Più tardi, nel corso della battaglia che era seguita alla finta cerimonia, lo avevo spinto deliberatamente  in mezzo alla lotta, per fargliela pagare. Mentre io correvo a salvare Lina. La mia Lina.

E dire che allora non mi ero ancora nemmeno reso conto di essere innamorato di lei. Solo quando Rezo la aveva colpita, a Sailarg, rischiando di ucciderla, quella coscienza mi aveva investito, talmente ovvia da lasciarmi allibito per la mia cecità. Quel concentrato di guai, in qualche modo inspiegabile, era diventato il mio mondo. Le parole che mi erano risuonate nella mente, vedendola precipitare al suolo dopo il colpo di Rezo, erano ancora impresse come un marchio nella mia memoria.

‘Non Lina.’

Chiunque altro del mio gruppo sarebbe andato bene, al suo posto. Me compreso. Volevo bene a Sylphiel, ma avevo dovuto controllarmi, per evitare di prendermela con lei per il fatto di essersi messa di mezzo. E avevo odiato Rezo. In quel momento, quella che fino ad allora era stata solo una lotta per la sopravvivenza si era trasformata in una questione personale. Sapevo che lo avrei fermato. A ogni costo. 

Da quel giorno non avevo nemmeno più tentato di negare. Ed era così che era iniziato il mio personale, irrinunciabile tormento. Non potevo impedirmi di essere geloso, e al contempo non potevo permettermelo. Lina era straordinaria. La gente non la considerava bella (per me lo era), ma con il suo carisma sembrava attirare naturalmente l’attenzione delle persone. Zelgadiss, benché fosse così cupo e restio ad avvicinarsi al prossimo, aveva stretto con lei un’amicizia tanto solida da farmi sospettare, all’inizio, che ci fosse sotto qualcosa di diverso. Persino Xellos, che per natura aveva scarsa empatia con gli umani, sembrava interessato alle sue capacità. E io? Cosa ero io, al confronto di persone del genere? Cos’ero, al confronto di Lina? Io potevo solo ammirarla, e offrire le mie capacità per proteggerla. Godere della nostra amicizia, della nostra vicinanza, dei nostri scherzi. Era più di quanto avrei mai osato desiderare. La mia fonte di interesse ai suoi occhi era la Spada di Luce, e dunque non la avrebbe mai avuta. La avrei tenuta legata a me servendomene e in cambio le avrei regalato la mia vita, se fosse stato necessario. Le sarei stato amico, fratello, compagno, guardia del corpo. Qualunque cosa, purché non si allontanasse da me. Dovevo solo tenere a bada le mie emozioni, come avevo imparato a fare con i sentimenti verso il mio passato e la mia famiglia. Anche se scacciare i brutti ricordi era un’inezia rispetto al celare i miei sentimenti per lei: quale memoria negativa non sarebbe impallidita da sola, di fronte al mio presente con Lina?

Sarebbe potuta andare avanti così per sempre. Ma poi, in un momento, tutto era cambiato.

‘Ha sacrificato tutto ciò che era… tutto, per salvare la vita di quell’uomo.’ Era stata una semplice frase, pronunciata con occhi freddi e in tono inespressivo, da una creatura sovrannaturale che non era più Lina. Ma dopo averla udita, il mio mondo si era come capovolto. Non avrei privato Lina del credito dei suoi sentimenti nei miei confronti, non dopo quello che aveva fatto per me in quella occasione. Ero rimasto stupito, sconcertato, nel sapere del suo gesto. Ma non lo avrei scordato. Su tutto, quella era la cosa che non avrei mai dimenticato. Da allora avevo capito che tanto quanto il mio posto era accanto a Lina, il suo posto era accanto a me. Non c’era niente di più naturale. Eravamo semplicemente fatti per stare l’uno al fianco dell’altra.

Ne avevamo parlato, rimasti soli, vinto il timore di quello che era accaduto. Avevamo dato voce a quanto ormai era diventato chiaro a entrambi. Il nostro rapporto non era cambiato bruscamente. Non era mutato quasi nulla, in effetti, al di là dello strano incantesimo che sembrava averci avviluppati, e aver reso un po’ alla volta insopprimibili istinti che reprimevamo da troppo tempo. Ma c’era stata una nuova consapevolezza fra di noi. Una consapevolezza che si esprimeva fugace, nel nostro sorriso, ogni volta che il nostro sguardo si incrociava. In ogni nostro scherzo, risata o battibecco.

Da quel momento, non avevo più potuto provare gelosia. Non seriamente. Sapevo che Lina avrebbe continuato ad attrarre su di sé l’attenzione del prossimo. Ma sapevo anche che qualunque relazione avesse stretto nel corso dei nostri bizzarri viaggi sarebbe stata qualcosa di diverso da ciò che io e lei condividevamo. Quando due notti prima mi aveva accusato, ‘come puoi pensarlo?’, avevo capito perfettamente cosa intendeva. Eravamo stati lontani a lungo, e a lungo mi erano mancate le conferme che in ogni istante, quando eravamo insieme, ricevevo dai suoi occhi. Ma in quel momento leggevo la verità nel suo sguardo, lo stesso che io vestivo ogni volta che la osservavo. Non provava amore per Bastian, e nemmeno una normale infatuazione. La conoscevo meglio di chiunque altro, conoscevo i suoi desideri e i suoi affetti, ed ero conscio che nel loro numero il primo posto spettava a me, a me e a nessun altro.

Ma la presenza di Bastian mi preoccupava, comunque, in un senso diverso. Nessuna delle persone con cui Lina aveva stretto forti legami, né Zel, né Amelia, né Xellos la aveva mai turbata a quel modo. Quelli erano stati tutti rapporti “sani”, mentre con Bastian… qualcosa non andava nello sguardo di Lina, quando parlava del cavaliere. Non ero certo che lei lo avesse compreso pienamente, ma doveva averlo intuito, a giudicare da quanto faticoso aveva trovato raccontarmi del cavaliere. Avevo l’assurda impressione che si sentisse in colpa, o in dovere di qualcosa nei suoi confronti… il che avrebbe potuto essere comprensibile, per certi aspetti… la reazione di chi si rende conto di essere amato, ma non corrisponde … eppure… eppure… avevo idea che ci fosse qualcosa di più, sotto. Qualcosa che sembrava sconvolgere Lina più di quanto volesse dare a vedere.

Ma non ce la avevo fatta a scavare in quel discorso. Era stato più semplice rassicurarla momentaneamente, fingere che il problema non esistesse. Oh, non le avevo mentito. Era vero che mi fidavo di lei. Completamente. Mi sarei gettato nel fuoco, se lei mi avesse detto che non bruciava. Ma sapevo che qualcosa premeva per venire a galla, e io avevo avuto paura di farlo affiorare. Io sapevo bene come placare lo spirito di Lina. Ed era molto più semplice stringerla a me e fingere che non ci fossero problemi, che scoprire cosa la turbava, e affrontarlo insieme a lei.

A volte ero ottimista, riguardo alla maledizione che mi aveva colpito. Pensavo che quel viaggio ci avrebbe portato a una soluzione e che tutto sarebbe andato bene. Ma c’erano momenti, come due sere prima, in cui mi colpiva la consapevolezza che poteva rimanermi davvero poco tempo da trascorrere insieme a Lina. Il pensiero di non toccarla più, di non baciarla più, di non provare più nessuna sensazione generata dal suo contatto, in quei momenti mi soffocava. Un tempo ero stato un mercenario che in battaglia si scordava della sua vita e della sua coscienza. Ma ora, ogni volta che impugnavo una lama, lo facevo con un motivo ben preciso. Ora la mia mente era sempre limpida, chiara, in ogni momento di veglia. Ora non volevo morire. Perché la mia vita era Lina.

Tutte le volte che la paura di quanto avrebbe potuto accadermi mi catturava, volevo solo abbracciare Lina, e scordarmi di ogni altra cosa. Volevo solo trascorrere sereno, a modo nostro, quel poco di tempo che poteva restarmi. Ma sapevo anche che affondare la testa nella sabbia non sarebbe servito a nulla. E se davvero doveva… succedere, volevo almeno essere certo che lei stesse bene. Sapevo che sarebbe stata devastata dalla mia assenza. Come avevo detto, non davo così scarso credito ai suoi sentimenti da non pensarlo. Ma se almeno fosse stata serena, sotto ogni altro aspetto…

Maledetto.

Maledetto, maledetto Bastian.

Inconsciamente, strinsi con più forza il braccio attorno alle spalle di Lina. Mi chiesi se non fosse il momento di risollevare l’argomento.

“Lina –saaaan!”

Sussultai. Perso nei miei pensieri, non mi ero reso conto che Amelia si stava avvicinando. Giunta a portata d’orecchio, prese ad agitare il braccio, per attirare la nostra attenzione. Le parole che avevo voluto pronunciare mi si bloccarono in gola, e imprecai contro il mio scarso tempismo.

Mia moglie mi rivolse un breve sorriso. “Pare che i nostri maltrattati fondoschiena non debbano congelarsi, almeno per oggi.” Si sollevò in piedi, e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. La afferrai, e una volta in piedi, invece di lasciarla, intrecciai le mie dita con le sue. Mia moglie rispose alla stretta, e mi sorrise nuovamente. Ogni mia volontà di discutere di infranse magicamente. Avrei voluto solo abbracciarla di nuovo, e fissare in qualche modo quella espressione distesa sul suo volto, e nella mia memoria.

Amelia ci raggiunse, e si fermò al nostro fianco, ansimando. “Ho preso tutto, e me ne sono venuta via in fretta, come mi avevi detto.” Abbandonò al suolo un enorme sacco ricolmo. La quantità minima di cibo necessaria per un giorno di viaggio, per me e Lina.

Lanciai un’occhiata a mia moglie. “Esattamente, quanto tempo ci vuole da qui per arrivare al villaggio?”

Lina scosse la testa, avvicinandosi al sacco per estrarre i nostri nuovi mantelli. “Non ne sono del tutto certa, ma credo che potremmo arrivare lì al tramonto. Quando ho viaggiato con Bastian è stato l’ultimo posto in cui ci siamo fermati prima di avventurarci nelle steppe, per cui in linea d’aria non deve essere molto lontano. Quella volta ci eravamo mossi più a est, però. Credo che dovremmo puntare tutta a est ed evitare di deviare troppo a sud, per non mancarlo.” Fece una pausa, esaminando il contenuto del sacco. “Oh, non ci posso credere, salsicce! Non ti ringrazierò mai a sufficienza, Amelia!”

Levai un sopracciglio, per una volta non distratto dal cibo. “Non è che ci stiamo muovendo senza sapere dove dirigerci esattamente, vero?”

Lina levò lo sguardo e mi riservò un’occhiataccia. “Ecco tutta la fiducia che hai nel mio talento come viaggiatrice.”

Sospirai. “Meglio che facciamo colazione, prima che il tuo umore da stomaco vuoto diventi una minaccia per la mia salute.” Rivolsi lo sguardo alla principessa. “Ti senti bene, Amelia? Sembri stanchissima.”

Amelia parve riaversi da un sogno a occhi aperti, e mi rivolse un sorriso. “Sì, grazie, Gourry- san. Quel sacco era davvero pesante.” In effetti, era enorme. A volte mi stupivo di come quella ragazza apparentemente gracile avesse ereditato la forza erculea del padre.

“Mangia qualcosa anche tu, ti sentirai meglio.” La incitò Lina. “Mi spiace di averti lasciata andare da sola, ma Georg o Erianna potrebbero aver fatto distribuire dei manifesti con le nostre taglie. Finché siamo così vicini a Talit, è meglio non correre rischi.”

Amelia rabbrividì. “Per fortuna non siamo braccati come quando era Rezo a darci la caccia. E’ stato davvero esasperante.”

Sorrisi, al ricordo. Oh, sì, lo era stato, davvero. Ma a posteriori non riuscivo a ricordarlo come spiacevole. Nessuno dei miei viaggi con Lina lo era stato.

Io e mia moglie demmo il via alla nostra consueta lotta. Mangiammo in fretta, e ci rimettemmo in cammino verso metà della mattinata. L’aria era frizzante ma non fredda in modo fastidioso, almeno finché continuavamo a camminare. E con lo stomaco pieno riuscivo a vedere le cose sotto tutta un’altra prospettiva. In fondo, forse sarebbe andato tutto bene.

E in effetti, il viaggio proseguì senza intoppi. Non era ancora sceso il crepuscolo, quando avvistammo il villaggio. Riposava pacifico nella polverosa brezza del tardo pomeriggio, e aveva l’aria di essere il luogo più sicuro ed accogliente del mondo.

“Cosa facciamo adesso?” Domandò Amelia, scrutando con nervosismo visibile le case silenziose.

“Avanziamo nel villaggio e cerchiamo la sacerdotessa. E se ci attaccano, facciamo saltare tutto per aria.” Il tono di Lina suonava tutt’altro che rassicurante.

Trattenendomi dallo scuotere la testa, la precedetti verso l’ingresso del villaggio. Per proteggere gli abitanti da lei, piuttosto che il contrario.

Le strade sterrate all’interno sembravano deserte. Le gente non si trovava al lavoro nei campi – per quanto strano fosse a quell’ora – e dalle abitazioni non giungevano i consueti rumori e profumi che accompagnavano la preparazione della cena. Ma mentre avanzavamo lungo la strada principale, un brusio vago si diffuse nell’aria, e si trasformò in un coro di voci sempre più distinto. Ne scoprimmo la fonte non appena raggiungemmo la piazza principale. Quella che poteva essere l’intera popolazione del villaggio era radunata laggiù, in una sorta di assemblea, di fronte a un seggio in legno rialzato coperto da un baldacchino. Da lì, un uomo dall’aspetto tozzo e dalla pelle olivastra stava parlando a una donna di mezza età, dai lunghi capelli biondi, tenuta ferma per le braccia da due armati. Non comprendevo chiaramente le sue parole, nascoste dal vociare dei presenti, ma la scena aveva tutta l’aria di una specie di processo.

Cercai lo sguardo di Lina, e fui stupito di trovarla con gli occhi sbarrati. Fissava la donna sottoposta a giudizio come se la conoscesse.

“Lina?” Mormorai.

“Quella è la madre di Sybil.” Mi informò brevemente, in un sussurro nervoso. “Che diavolo sta succedendo, ancora?”

Ne sapevo quanto lei. Scuotendo la testa, le presi la mano e cercai di aprirmi la strada nella folla. A quel punto, in ogni caso, non ci sarebbe comunque voluto molto prima che qualcuno ci notasse.

Fu quando raggiungemmo le prime file, fra le imprecazioni dei presenti che avevamo urtato per passare, che uno degli armati si accorse di noi. La sua fronte si aggrottò, e senza smettere di guardarci si avvicinò all’uomo tozzo che presiedeva l’assemblea, per sussurrargli qualcosa all’orecchio. La stretta di Lina sulla mia mano aumentò.

L’uomo sul seggio si volse a guardarci. “Lina Inverse.” Risuonò la sua voce, stranamente profonda, nonostante il suo aspetto poco imponente. I suoi occhi trovarono il volto di Lina e lo scrutarono, sospettosi.

“Governatore.” Lo salutò mia moglie, chinando nervosamente la testa. “Ho l’impressione di essere capitata in un brutto momento.” Il suo sguardo saettò verso la donna prigioniera, e mi stupii nel notare che gli occhi di quest’ultima la scrutavano velenosi.

“In effetti la nostra comunità sta attraversando una… piccola crisi.” Anche il governatore scrutò la donna. “Non mi aspettavo di vederti ricomparire qui, in ogni caso. Stavi fuggendo da questo regno, o sbaglio? Non si direbbe, considerando che ti sei ripresentata ancor prima del messo che avevo inviato in missione al tuo fianco.”

Supponevo si riferisse a Dorak. E il suo tono era seccato, ma non particolarmente ostile. Sapeva della sua uccisione? E se aveva davvero intenzione di vederci morti, non era il momento di intimare ai suoi uomini di estrarre le armi?

“Lei sa!!!” Gridò all’improvviso la donna prigioniera, prendendo a divincolarsi fra le braccia degli armati. “Ne sa più di me, e se è qui scommetto che è colpa sua!!! Lei era con quell’individuo!”

Tutti i presenti all’assemblea parvero tacere all’unisono. Gli occhi di decine di persone si posarono sul volto di Lina, per poi deviare verso la donna, e ancora verso mia moglie. Amelia, al mio fianco, deglutì.

“Ehm…” Mia moglie tentennò, con l’aria di chi avrebbe volentieri tagliato la corda. “Che… sta succedendo, esattamente?”

La voce del governatore rimase ferma, quasi cordiale. “Succede, Lina Inverse, che la nostra sacerdotessa è sparita improvvisamente dal villaggio, questo pomeriggio. Dopo una nottata inquieta, a quanto mi riferisce sua madre.” Annuì, in direzione della donna. “E in effetti, considerati i suoi trascorsi e il fatto che tu viaggiavi con un uomo da cui Sybil avrebbe dovuto tenersi ben lontana, è una strana coincidenza, la tua presenza in questo luogo proprio oggi.”

“E’ stato lui!” Gridò la donna prigioniera, irosa. “Lo sapevo! Deve averla portata via! Lui voleva corromperla, sin da principio!”

“Aspettate un momento.” Mia moglie intervenne, cauta. “Mi state dicendo… che Sybil se ne è andata?” Mi volsi ad osservarla. La sue sopracciglia erano piegate un arco perfetto, che per qualcuno avrebbe potuto esprimere stupore. Ma io sapevo che stava elaborando quelle informazioni, che quella espressione significava comprensione. E come a conferma delle mie supposizioni, impercettibilmente, i suoi lineamenti si rilassarono. Chissà a quali conclusioni era giunta.

“Portata via, probabilmente.” Precisò il governatore, la fronte aggrottata. “Deduco che non lo immaginassi. E dimmi, cosa eri venuta a cercare, qui, oggi?”

“Non devi ascoltarla!” Gridò la donna prigioniera. “Lei mente! E’ alleata con lui!”

“Volevo parlare con Sybil.” Rispose Lina, sinceramente, ignorandola. “Volevo chiederle informazioni proprio sull’uomo di cui state parlando. Lui… doveva aiutarmi, ma mi ha tradita. Mi ha rubato qualcosa di estremamente prezioso.” Sentii la sua stretta sulla mia mano farsi ancora più forte, a quelle parole.

“E hai ragione di ritenere che dopo questo furto lui possa essere tornato qui? Essere in qualche modo venuto in contatto con Sybil?”

“Non lo pensavo. Ma alla luce di quanto ho scoperto ora, penso sia possibile, sì.”

Il silenzio più totale pervadeva l’assemblea. Il governatore fissava Lina, che lo fronteggiava di rimando. Persino la madre di Sybil si era azzittita, e si limitava a squadrarci con rabbia. Amelia, al mio fianco tratteneva il fiato.

“E hai idea di dove… Bastian potrebbe aver costretto Sybil ad andare, Lina Inverse?”

“Ho qualche sospetto a riguardo.”

Il governatore rizzò la schiena, e lanciò una breve occhiata all’uomo in piedi accanto a lui, alto e dal naso adunco, con strane vesti rosse simili a quelle di un sacerdote. Quello rispose, annuendo impercettibilmente.

“Lina Inverse… posso chiederti di seguirmi, insieme ai tuoi due compagni? Vorrei conferire con te in privato.” Un boato di protesta esplose dalla folla, a quelle parole, ma un’occhiata del sacerdote in rosso bastò a zittirla. Lina si irrigidì. La sua mano prese a giocare nervosamente con la mia.

Il governatore scese dal suo seggio e ci precedette lungo la strada principale, verso quello che sembrava una specie di fortilizio in legno. Lina esitò qualche istante, ma alla fine si risolse a seguirlo. Il sacerdote ci si affiancò, insieme ad un gruppo di armati, e alle nostre spalle sentii il brusio della folla alzarsi, nuovamente, sovrastato dalla voce acuta della madre di Sybil. Nessuno la considerò. Ci avvicinammo in silenzio alle porte del fortilizio, e mi attesi che venissero aperte per noi, ma non accadde. Ci ritrovammo bloccati, il governatore, il sacerdote e le pareti di legno di fronte e un gruppo di armati alle spalle. Resistetti alla tentazione di portare la mano all’elsa della spada.

“No, grazie. In effetti preferiamo non accomodarci.” Dichiarò Lina, in tono tagliente.

Il governatore la fissò, cupo. “Il mio palazzo non è luogo da streghe.” Spiegò, in un tono che tutto pareva tranne che di giustificazione. “E in ogni caso, questa sarà una conversazione breve. Dove ritieni che Sybil sia fuggita, insieme a Bastian?”

Le labbra di Lina si strinsero. “Non era ‘portata via’? Mi pareva di aver capito che le concedeste il beneficio del dubbio.”

Il governatore sbuffò. “Sua madre la ha tenuta d’occhio per tutta la notte e per tutto il giorno. Sybil la ha drogata, per riuscire a scappare. Dovrei vergognarmi se fossi tanto ingenuo da ‘concederle il beneficio del dubbio’, non trovi anche tu, maga?” Lina non rispose. Il suo volto era inespressivo, ma i suoi occhi accesi, come se le parole del governatore fossero state un’ennesima conferma.

“E ora, Lina Inverse, rivelami quello che sai.”

“No.” Lina scosse la testa, ferma. A quelle parole, le mani di tutti gli armati scattarono automaticamente verso la spada, ma prima che potessi imitarli un gesto del governatore li bloccò. “Perché no?”

“Penserò io a trovare lei e Bastian.” Dichiarò mia moglie. “Non voglio interferenze. Se sarà possibile convincerla a tornare, lo farò. E se non lo volesse, perché dovreste costringerla? Renderebbe nota a tutti la sua ribellione, e sareste comunque costretti a esiliarla.”

“Il villaggio ha bisogno della sua veggente. La sua erede non ha ancora affrontato la dovuta formazione.”

Lina rabbrividì lievemente, a quelle parole.  “La sua erede sarebbe sua figlia?”

Il governatore si accigliò. “Tu parli troppo e a sproposito, Lina Inverse.”

Mia moglie esitò. “Ma dovrete sottostare alle mie condizioni. Non ho intenzione di permettervi di seguirci. Userò la forza per impedirlo, se necessario.”

Il governatore parve incerto. Doveva conoscere quanto meno di fama le capacità di Lina. “Ci assicuri che farai quanto è in tuo potere per farla tornare?”

“Credo che ci siano ottimi argomenti, qui, per farla tornare. La sua erede e il suo gemello, ad esempio.”

“Non ne sarei così sicuro, Lina Inverse. Perché se ne sarebbe andata, altrimenti?”

“Forse perché aveva motivi altrettanto validi per farlo.” Quello di Lina fu solo un sussurro. Nemmeno io fui certo di averlo udito. “Ti assicuro che farò quanto in mio potere per convincerla.” Aggiunse poi, a voce più alta.

“Suppongo di dovermi fidare della tua parola.” Il governatore fece un altro cenno, e gli armati arretrarono. “Uscite dal retro del palazzo, non passate dal villaggio. Mi inventerò qualcosa per giustificare la situazione. Che Sybil è stata rapita e che vi ho ingaggiati per liberarla, suppongo. Se non tornerà, potremo sempre piangere la sua tragica morte.”

Lina annuì, le labbra strette. Ci avviammo al suo seguito, diretti all’esterno del villaggio, senza scambiare una parola. Quando fummo sufficientemente lontani feci per parlarle, ma Amelia mi precedette.

“Lina-san… che sta succedendo?”

“Lo ha fatto per lei.” Mormorò lei, quieta, in replica.

“Lei?” Io e Amelia ci scambiammo un’occhiata.

Lina annuì. “Pensateci. Bastian muove verso i draghi, e Sybil scappa improvvisamente. Sospettavo che qualcuno presso gli Enu fosse d’accordo con lui, e ha ancora più senso, se si tratta di lei.”

Non avevo idea di cosa stesse parlando. “Lina… come avrebbe fatto Sybil a convincere il governatore a mandare Dorak con noi, se c’è lei dietro a ogni cosa? E perché lei dovrebbe volerti uccidere?”

“Non lo so.” Lina scosse la testa, come rifiutandosi di riconoscere il senso delle mie obiezioni. “Non so cosa motivi lei. Ma so che pensare che Bastian abbia agito per lei è l’unica soluzione plausibile. Deve essere ancora innamorato per lei, o farlo per i loro figli. E’ l’unico modo in cui questa assurdità assume un senso.” Lina doveva essere impazzita. Sembrava quasi sollevata nel pensare che Bastian ci avesse voltato le spalle perché era innamorato di un’altra donna. Supponevo che la cosa avrebbe dovuto confortarmi ulteriormente, ma… che senso aveva?

“Lina- san… sei certa di stare bene?” Amelia pareva condividere i miei dubbi. Ma mia moglie si limitò ad annuire, veementemente.

“Sybil, l’ultima volta, mi ha detto che i draghi non vivono lontano da qui. Dobbiamo trovarli, e sono certa che troveremo sia lei che Bastian. E con loro la soluzione a questa faccenda.”

Non la contraddissi. Che potevo dirle? I piani di Lina erano sempre folli, ma in fondo, il più delle volte, portavano a una soluzione. E andare dai draghi, in ogni caso, era stato il nostro obiettivo sin dal principio. Non avevamo molte altre soluzioni, se volevamo trovare Bastian, e con lui la mia cura.

“Ma come pensi che possiamo fare per rintracciarli, Lina-san?”

“Proseguiamo verso est.” Replicò mia moglie. “Ho l’impressione che presto o tardi saranno loro a trovare noi.”

 

Le sue parole suonavano tanto simili a una minaccia da non poter non avverarsi. E infatti avanzavamo da circa un’ora, il sole già quasi completamente scomparso alle nostre spalle, quando un inconfondibile ruggito squarciò l’aria. Non potevamo vederne la fonte, contro il cielo nero costellato di stelle, ma al suo risuonare un brivido mi corse lungo la schiena.

“Lina.” Ammonii.

Mia moglie annuì brevemente. “Non ti muovere. Appuriamo prima se vuole attaccarci.” Un’idea saggia. Mi chiesi se dovessi iniziare a preoccuparmi realmente.

Il ruggito si fece progressivamente più vicino. E all’improvviso, come da una dimensione parallela, la creatura prese forma dal buio della notte. Era enorme, più grande del drago che Bastian aveva cavalcato quando ci era venuto incontro da Talit, e nessuno sedeva sul suo dorso. Non sapevo leggere la sua espressione come avrei fatto con quella di un umano, ma non sembrava avere intenzioni ostili. Si fermò a qualche metro da noi e ci studiò, senza dare segno di volerci attaccare. Ma Amelia, a pochi passi da me, emise un singulto strozzato. Le lanciai un’occhiata e la vidi atterrita, molto più spaventata di quando ci eravamo trovati per la prima volta di fronte a un drago dorato, nel nostro incontro con Milgazia. Mi chiesi se fosse un presentimento, uno da sacerdotessa. Portai d’istinto la mano alla spada.

“Lina Inverse.” Pronunciò il drago, con voce metallica. Fui stupito di sentirlo parlare.

Lina, invece, si esibì in un breve sorriso. “Dunque non sapete solo ruggire.” Commentò. “Il vostro compagno, la volta scorsa, si è esibito in un scenetta davvero credibile.”

“Non è l’unico a saper recitare.” Il drago fece un passo indietro. Una luce nera lo avvolse, fluida come inchiostro, e la sua sagoma, avvolta da scaglie lucide che riflettevano la luce della luna, tornò a fondersi con la notte. Pensai che fosse scomparso, come a volte i Mazoku usavano fare, prima di rendermi conto che al suo posto un’altra figura ci fronteggiava, dal fisico slanciato ma apparentemente umana. Si fece avanti, nella tenebra della sua lunga veste nera, e alla luce della luna emerse un volto affilato, dal naso aquilino, incorniciato da lunghi capelli scuri. Al mio fianco, sentii mia moglie sussultare.

“Mi hai riconosciuto?” Chiese l’uomo-drago, in una voce nuova, più bassa e sibilante.

“Sei… il mago che ho incontrato alla corte di Samon? Ma che significa?” Il tono di voce di Lina era stupefatto.

“Mardoc.” Replicò il nostro interlocutore. “Ti avevano detto il mio nome, ma è chiaro che tu non lo ricordi, con tutto quello che è accaduto nel frattempo.”

“Ma… come…? Perché…?”

“Se volete seguirmi.” Invitò il drago, in tono quieto. “Vi spiegheremo ogni cosa. Vi aspettavamo, e i miei compagni ed io abbiamo una richiesta da farvi.”

La mascella di Lina si contrasse. “Richieste? Richieste? Io pretendo una spiegazione qui e ora.” Sibilò, con un atteggiamento spavaldo che – inutile dirlo – è davvero poco consigliabile tenere di fronte a una creatura dotata di artigli. “E poi,chi ci assicura che non siate pronti ad ucciderci tutti, una volta raggiunti i vostri territori?”

“Siete già nei nostri territori, e se vi avessimo voluti morti ora lo sareste.” Il mago si accigliò. “Ma non ho tempo da perdere a convincervi.” Volse lo sguardo verso Amelia, al mio fianco, e io la avvertii sussultare. Mi girai verso di lei, e vidi che il suo intero corpo aveva preso a tremare convulsamente.

“Vieni avanti, principessa.” Le intimò il drago, in un tono che si era fatto caldo e profondo. E Amelia obbedì. Stupito com’ero, non feci nemmeno in tempo ad afferrarla. Avanzò verso il drago, e si fermò al suo fianco, lo sguardo terrorizzato. Una lacrima sottile le stava scendendo lungo la guancia destra.

“Amelia???”

“Mi basta una parola, per ucciderla.” Dichiarò il drago, così pacatamente che non sembrava nemmeno rivolgerci una minaccia. “Seguitemi, e non le accadrà nulla di male.”

Cercai lo sguardo di Lina, e la trovai sbigottita, come me. Aveva lanciato un incantesimo alla principessa? Non sembrava aver fatto altro che chiamarla a sé… ma ora la nostra amica ci fissava, senza muoversi, e sembrava desiderare disperatamente parlare senza però riuscirci.

Lina esitò. Il sudore le imperlava la fronte e i suoi pugni, abbandonati sui fianchi, erano serrati. “Va… bene.” Sospirò alla fine. “Non toccarla. Verremo con te.” Cercò il mio sguardo, e io mi limitai ad annuire impercettibilmente. Lasciai riposare la mano sull’elsa della spada.

Ci avviammo in silenzio. La notte era ormai scesa del tutto, e il terreno stava cessando di rilasciare il calore del giorno, lasciandoci alla mercé dell’aria gelida. Dopo una mezz’ora di cammino, entrambi già rabbrividivamo nei nostri mantelli e continuammo ad avanzare a fatica, perdendo totalmente il senso del tempo. Deviammo decisamente a sud, e raggiungemmo un muro di alture, forse un prodromo della catena che si dipanava da Talit. La loro fiancata era costellata da grotte, ampie voragini nere nella superficie rocciosa, che spiccavano minacciose contro le pareti chiare, anche nella debole luce della luna. Le costeggiamo, senza imboccare nessuno dei ripidi sentieri che si inerpicavano fra di esse, fino a che non giungemmo in vista di un picco che scendeva a strapiombo sul sentiero, e sotto cui si apriva un’ampia rientranza della roccia. Al suo interno danzava la luce vivace di un fuoco e avvicinandoci potemmo scorgere le figure che lo attorniavano, cinque in tutto, tre uomini e due donne all’apparenza umani. Ma seppi d’istinto che la loro natura era simile a quella dell’essere che ci accompagnava.

“Se usciremo vivi da questa faccenda, farò fortuna confutando la tesi secondo cui i draghi neri non sono mutaforma.” Mormorò mia moglie, che evidentemente era giunta alla mia stessa conclusione. Feci in tempo a rivolgerle un debole sorriso.

“Vi trovate di fronte al nostro Concilio.” Dichiarò Mardoc, solenne, mentre ci introduceva nella cerchia di uomini-drago. “E oltre ai miei compagni, credo possiate individuare alcune vostre conoscenze.”

Percorremmo entrambi il piccolo gruppo con lo sguardo, perplessi a quella affermazione, e dopo qualche istante avvertii Lina trasalire. Non ebbi il bisogno di chiederle il motivo. Riverso al suolo accanto alla parete di roccia, fuori dal cerchio di luce delle fiamme, giaceva Bastian, seminascosto nella penombra. Sembrava tramortito, ma sul suo corpo non apparivano segni di ferite evidenti. Al suo fianco, il suo falco riposava immobile, gli occhi attenti che saettavano da un membro all’altro della nostra strana assemblea. Seduta non lontano da lui, vigile e tesa, c’era una ragazza dall’età stranamente indefinibile, pallida, il viso incorniciato da lunghi capelli bianchi. Anche lei, mi resi conto, era umana. Non sapevo chi fosse, ma, fidandomi dei sospetti di Lina, potevo intuirlo. Teneva fisso su mia moglie uno sguardo cupo e ossessionato, che mi diede i brividi.

La voce di Lina si mantenne forzatamente calma, quando prese la parola. “D’accordo. Siamo arrivati qui. Ora lascia Amelia, qualunque cosa tu le abbia fatto.”

Mardoc sorrise. Lanciò un’occhiata alla principessa, e disse qualcosa sottovoce. La nostra amica tremò visibilmente e scivolò in ginocchio, al suolo, come troppo stanca tenersi in piedi. Quindi si volse verso di noi, lo sguardo esausto e confuso. Sembrava sapere dove si trovava, ma non essere del tutto certa di come ci era arrivata.

“Amelia… stai bene?” Lina si inginocchiò al suo fianco, e studiò il suo volto con la fronte aggrottata.

Lei scosse la testa di rimando. “Lina- san…” Una lacrima prese di nuovo a rigare le sua guancia. “Io non… perdonami…”

“Perdonarti? Perdonarti di cosa, Amelia?”

Ma la principessa scosse nuovamente la testa. “Non… non lo so… io…” La sua voce si spezzò in un singhiozzo, e cessò di parlare.

“Che le prende?” Ringhiò mia moglie, in direzione di Mardoc, che era avanzato in mezzo agli altri draghi. “Che cosa le hai fatto?”

L’uomo-drago sorrise. “Non ti preoccupare, la sua mente sta rimuovendo velocemente il ricordo di ciò che ha fatto, come accade ogni volta. Fra poco si sentirà esausta, ma avrà dimenticato tutto nuovamente.”

“Che vuol dire, ‘come accade ogni volta’?” Mia moglie strinse con rabbia le spalle di Amelia, che piangeva silenziosamente, e sembrava incapace di parlare. “Volete decidervi a spiegarci cosa sta succedendo? Che cos’è accaduto a Bastian? Che ci fa qui Sybil, e dov’è il diario???”

Mardoc si accigliò. “Oh, il diario. Stavo quasi per dimenticarmene.” Amelia, improvvisamente, sussultò di nuovo. Smise di singhiozzare tanto istantaneamente che per un istante temetti che avesse cessato di respirare. Ma poi la osservai mentre si alzava, per raggiungere nuovamente il suo incantatore. Scrollò la presa di Lina con tanta violenza che mia moglie finì al suolo.

“Amelia!” Gridammo io e Lina, all’unisono. Ma la principessa era già entrata nella cerchia dei draghi, e stava estraendo un oggetto dal suo mantello. Rimasi senza fiato, nel riconoscerlo. Era il diario. Amelia lo stava porgendo a uno degli uomini-drago anziani.

“Lo aveva preso… lei?” La voce di Lina uscì in un singulto. “Ma come… come…?”

“Ogni cosa ha una spiegazione.” Dichiarò Mardoc, impassibile. Gesticolò verso Amelia, e lei indietreggiò fino alla parete di roccia, dove si sedette. I suoi occhi si spalancarono per un istante, emise un sospiro, e quindi si accasciò all’indietro, perdendo i sensi. Resistetti all’impulso di correre a soccorrerla. “Perché non vi accomodate con noi? Suppongo desideriate anche voi ascoltarci, a questo punto.” Suonava più come un ordine che come un invito.

Lentamente, raggiungemmo Amelia e ci sedemmo al suo fianco. Mi piegai su di lei, per sincerarmi delle sue condizioni, e mi resi conto che stava semplicemente dormendo. Lina lasciò scorrere lo sguardo dalla principessa, ai draghi che ci scrutavano severi, alla veggente che sedeva a un metro da noi, a Bastian privo di sensi, e si torse le mani in grembo. Avrei voluto stringere le sue dita fra le mie, ma Amelia si interponeva fra noi.

“Credo che non vi offenderete se sarò io a rispondere ai vostri quesiti.” Dichiarò Mardoc, in tono pacato. “Sono colui che normalmente tratta con gli Enu, e i miei compagni sono meno avvezzi di me ad interagire con gli umani. E’ per questo che la scelta di chi dovesse recarsi alla capitale è ricaduta su di me.”

“Ma Amelia…”

“Starà bene.” Il drago interruppe mia moglie, secco. “Se avete domande da rivolgermi, fareste meglio a farlo ora. La vita umana è breve. Ogni momento va sfruttato.”

Lina si morse il labbro. “D’accordo.” Acconsentì, secca. “E allora tagliamo corto. Tanto per cominciare, perché tu ti trovavi alla capitale, e tre dei tuoi compagni erano a Talit? Che c’entra la vostra comunità con questa guerra?”

Mardoc sorrise, e rivolse lo sguardo a Sybil. La sacerdotessa tremò in risposta, non compresi se per la rabbia o per la paura. “La veggente mi ha detto di avertelo spiegato. Di averti detto che il governatore degli Enu ci ha chiesto di favorirlo.”

“Mi ha detto che tre di voi si trovavano a Talit, e che avevate acconsentito alla richiesta del governatore per il vostro stesso interesse.” Precisò Lina. “Ma non so quale sia questo interesse, e per quale motivo tu ti trovassi all’altra corte.”

“E’ molto semplice.” Mardoc si sedette sul lato opposto del fuoco, e vestì uno sguardo beffardo. “Il governatore ci ha chiesto di vegliare temporaneamente affinché la lotta fra le due corti restasse equilibrata. Il suo piano era far sì che la guerra si prolungasse e entrambi i fronti si indebolissero, e cercare l’alleanza di Meghar nell’ovest per condurre, con il nostro sostegno, un attacco combinato contro Talit. A quel punto il potere degli Enu e quello degli uomini di mare dell’Ovest si sarebbe consolidato al sud. Il governatore intendeva stipulare un accordo con la corte di Samon, una volta raggiunto questo obiettivo. Le terre del Sud-Est e del Sud-Ovest in concessione a lui e a Meghar, in cambio della sconfitta di Talit. Samon è lontano, e sperava che a quel punto sarebbe stato già troppo indebolito dalla guerra per potersi permettere di rifiutare.” Il drago sorrise, nuovamente. “Ma il piano prevedeva anche che io rimanessi alla corte di Samon, camuffato da mago insieme ad alcuni miei compagni, e che la attaccassi dall’interno, nel caso qualcosa nel piano fosse andato storto.”

Quei discorsi avevano un senso, anche per me. La strategia militare era un campo che mi era familiare, per quanto ci fossero di mezzo creature lontane dal mio mondo, come i draghi. Ma doveva esserci qualcos’altro, sotto, qualcosa che io non riuscivo a cogliere. Lo sguardo perplesso e contrariato di Lina bastava a rivelarmelo.

“Siete stati voi draghi ad attaccare Rolan.” Ragionò. “Dorak si è recato da Meghar e gli ha proposto l’alleanza degli Enu e lui ha accettato, non è così? Ecco perché si trovava sull’isola. Ci ha detto che Rolan è andata a fuoco… è grazie a voi che è stata espugnata tanto facilmente, ho ragione?”

Mardoc sorrise. “Il piano di Meghar, inizialmente, era semplicemente quello di far intervenire Sailune nel conflitto, perché Talit si indebolisse e perdesse il controllo sui territori dell’ovest. Da questo è dipeso il rapimento della principessa Amelia, e proprio per condurre il proprio attacco contro Talit nell’ovest il capo dei pirati ha continuato a raggruppare nuove truppe. Ma Meghar non progettava di agire per rovesciare Talit, solo per impadronirsi dei territori che riteneva gli spettassero di diritto.” Incrociò le mani, sotto le lunghe maniche. “Sono stati gli Enu a ispirargli progetti più ambiziosi. Ma Meghar tutt’ora non sa che fra i maghi mercenari che aveva assoldato per la sua causa, ci sono anche alcuni di noi, gli stessi che hanno garantito la sua vittoria immediatamente dopo che ha accettato la proposta del messaggero, Dorak. Se avesse rifiutato l’offerta degli Enu, invece, avremmo agito in modo da controllarlo dall’interno.” Fece una pausa. “Un’idea che per il governatore sarebbe prudente non dimenticare, in ogni caso. Ha rilasciato la principessa, in modo da far ritirare Sailune dal conflitto, come gli Enu gli avevano chiesto… ma mi risulta che abbia cercato di guadagnarsi la tua alleanza a loro insaputa, o sbaglio? Sospetto che abbia in mente di continuare ad alimentare le proprie forze, nel caso gli Enu decidano di rivoltarsi contro di lui, una volta ottenuto il suo aiuto…”

Allora era per questo che aveva evitato di attaccarci dopo il rifiuto di Lina, quella notte? Voleva evitare di sollevare troppo clamore sulla sua ricerca di nuovi alleati?

Lina tamburellava le dita al suolo, lo sguardo sospettoso. “Se è come mi hai detto, allora perché tu non ti trovi più presso la capitale, come era previsto dal piano?” Domandò, dopo qualche istante di esitazione. “E quanto ancora avete intenzione di procrastinare l’attacco contro Talit? Non credete che l’improvvisa vittoria di Meghar abbia quanto meno insospettito Lord Georg?”

“Io credo che tu abbia già indovinato la risposta a queste domande, Lina Inverse.” Il sorriso del drago aveva lasciato posto a una nuova espressione, più grave e solenne. “Nessuno meglio di te, fra gli umani, può comprendere quanto i vostri disegni siano irrilevanti per gli esseri superiori che reggono i destini di questo mondo. Non ci saremmo impegnati in una semplice guerra fra uomini, se non avessimo avuto ragioni più pressanti del rispondere alla vostra ambizione. Per quanto legittime potessero apparire, a un occhio umano, le rivendicazioni dell’uomo a cui abbiamo offerto il nostro sostegno “

“Cioè… il motivo del vostro coinvolgimento è cessato, e avete ritirato la vostra alleanza con gli Enu?”

“Sei molto perspicace, Lina Inverse.”

“Mente.” Intervenne Sybil, la voce roca. I suoi occhi fiammeggiavano, alla luce del fuoco. “Non si sono ritirati. Il governatore non sa nulla della loro defezione, è convinto che si trovino ancora a palazzo.”

“Avevamo questioni più urgenti di cui occuparci, che avvisarlo. E in ogni caso, tutto ciò a cui avevamo acconsentito era seguire Erianna alla corte, fingendo di essere ai suoi ordini. Nessuno di noi ha mai detto che avremmo assecondato i suoi piani fino alla fine.”

“Il governatore affermava di controllarvi.” Sibilò la sacerdotessa. “Credo avesse finito per crederlo davvero. Quello stolto.”  

Il drago distolse lo sguardo, noncurante. Ma Sybil continuò a fissarlo, apparentemente divisa fra rabbia, terrore e una sorta di febbrile ammirazione. I suoi occhi dardeggiarono per un istante verso Bastian, e il falco che riposava al suo fianco la fissò di rimando, emettendo un basso lamento.

Lina la osservò in silenzio per qualche secondo, prima di tornare a rivolgersi al drago. Quando lo fece, la sua voce era incerta. “Qual è allora il motivo che vi ha spinto ad intervenire in queste vicende? Non… c’è di mezzo una nuova guerra con i Mazoku, vero?” Mazoku? Stavamo per essere trascinati per l’ennesima volta in una lotta disperata come quella contro Fibrizo?

“No, non esattamente.” Replicò tuttavia Mardoc. “O meglio, c’è una ragionevole probabilità che i Mazoku sottovalutino la faccenda, come del resto stanno facendo i nostri compagni dei monti Kataart… dal momento che tutto riguarda una predizione compiuta da un’umana.” Il suo sguardo si volse a Sybil, a quelle parole. Il volto della profetessa appariva come una maschera impenetrabile. 

“Non avevate mai creduto alle mie predizioni.” Replicò lei, in tono rassegnato.

Il drago si accigliò. “Non avevamo mai creduto a quelle pagliacciate che il tuo governatore spaccia per esperienze estatiche.” Le rispose. “Ma abbiamo chiesto al vostro sacerdote di riferirci ogni singola parola che tu scambi con lui. Perché tu hai decisamente il dono della predizione, ragazza. E lo hai per tua scelta. Ti sei impicciata di conoscenze da cui voi umani fareste meglio a tenervi ben lontani.” Volse lo sguardo a Lina, mentre parlava. La durezza dei suoi occhi mi mise a disagio.

“Ciò che la sacerdotessa ha predetto, qualche mese fa…” Proseguì. “… era il ‘risveglio di un antico e pericoloso potere presso la corte di Elmekia’. Il governatore lo ha interpretato come la conferma della sollevazione imminente di Talit nei confronti della capitale…. Ma noi pensiamo che il significato delle sue parole sia un altro.” Si volse verso Sybil. “Ma interpretare il significato di una predizione non è semplice. Per questo ora la profetessa si trova qui.”

“Non riguarda me come tu o il governatore interpretate le mie parole.” Protestò Sybil, in tono flebile. “Potete usare le informazioni che vi do come meglio preferite. Sono già la vostra marionetta. Che altro volete, da me?”

“Inizialmente ci siamo limitati a inviare dei nostri rappresentanti alle due corti, per tenere d’occhio la situazione.” Continuò il drago, ignorandola. “Quando abbiamo saputo dagli informatori di Samon che tu, Lina Inverse, ti stavi muovendo verso Elmekia, credevamo di aver capito cosa stesse per succedere. Abbiamo seguito quella pista, eravamo certi di aver risolto il problema… ma alla fine la nostra intuizione si è rivelata errata. Quindi abbiamo usato il cavaliere come esca per attrarre la sacerdotessa da noi, e carpirle qualche altra notizia utile. Conoscevamo il loro legame. Il falco vi stava raggiungendo, quella notte, perciò ci siamo serviti della bestia per inviare alla sacerdotessa un messaggio, dicendo che se non ci avesse raggiunti il cavaliere sarebbe morto. E come pensavamo, si è piegata alle nostre richieste.”

Lanciai un’occhiata a Sybil. Aveva abbassato lo sguardo sui propri pugni chiusi, e serrato le labbra. 

Anche Lina la osservò, e la sua mascella si contrasse. “Ma che cos’è, questo ‘antico potere’ di cui andate parlando? E cosa c’entro, io? Perché mi avete collegata alla predizione di Sybil?” Mia moglie sembrava non avere la più pallida idea di dove quella conversazione stesse andando a parare, e stava chiaramente iniziando ad irritarsi. Da parte mia, non tentai nemmeno di intervenire. Dire che ero confuso sarebbe stato poco.

“Credo sia il caso di partire dall’inizio.” Mardoc si avvicinò al membro del concilio che reggeva il diario fra le mani, e glielo prese dalle dita. “La risposta a ogni tua domanda, Lina Inverse, ha a che fare con l’autore di questo manoscritto.”

Mia moglie strinse gli occhi, e il suo sguardo si fece febbrile. “Voi… sapete chi è il proprietario di quell’oggetto?”

Il drago annuì. “Certamente. Si tratta di un nobile di Talit. Erian Ergon Darland.”

Battei le palpebre, perplesso. Quel nome mi suonava completamente nuovo. A meno che la mia memoria non avesse ulteriormente perso colpi, non si trattava di qualcuno che avevamo incontrato alla corte di Talit.

Ma mia moglie non sembrava confusa quanto me. La sua fronte era aggrottata, come se quel nome le dicesse qualcosa, ma non fosse in grado di ricordare esattamente cosa. Nel giro di pochi istanti, com’era consueto per lei, l’illuminazione giunse. Si volse verso di me, gli occhi spalancati. “Gourry!” Scosse la testa, incredula. “Erian… Erianna… non si tratta della stessa persona di cui ci parlava Sylhpiel? L’ultimo membro della casata Darland ad avere le iniziali EED, quello di cui avevamo letto anche nella biblioteca a Talit?”

“Ehm…” Non è che propriamente potessi ricordarmene… non ero stato interessato quanto Lina al tomo sulla storia di Talit, e mentre Sylhpiel ci parlava, qualche giorno prima, per dirla tutta ero stato troppo occupato a pensare a elaborati modi per farla pagare a Bastian per prestarle realmente attenzione…

Lina mi rivolse un’occhiata esasperata, una di quelle che promettevano terribili punizioni. Ma per mia fortuna, tornò a rivolgere la sua attenzione al drago. “Ma non è possibile che sia lui l’autore! L’incantesimo sul libro è ancora attivo, e sono passati duecento anni! Lui è sicuramente…”

“Morto?” Mardoc annuì. “Oh, sì, lo è. In qualsiasi libro sulla storia di Talit vi diranno che è deceduto per malattia. Anche se in effetti la sua fine non è stata così tranquilla.”

Mia moglie scosse la testa. Il suo volto era impallidito e le sue spalle si erano abbassate, in una posa che esprimeva sbigottimento, se non puro terrore. Non comprendevo cosa lo scatenasse, però. Scavalcando Amelia, andai in cerca della sua mano. “Lina? Che ti prende?”

Lei mi guardò quasi mi vedesse per la prima volta. “Non… capisci, Gourry? E’ morto. L’uomo che ha scagliato la tua maledizione è morto.”

Continuavo a non capire. “Uh… mi spiace. Lo conoscevi?”

“Gourry!” Scattò mia moglie, liberando la sua mano dalla mia, con rabbia. “Non è il momento di dire idiozie! Non lo capisci? Se lui è già morto… allora la sua maledizione non si potrà spezzare con la sua morte. I suoi effetti sono… i suoi effetti sono permanenti.”

Sembrava essere lei stessa incredula delle proprie parole. Io la squadrai, mentre la coscienza di quanto intendeva dire invadeva progressivamente la mia mente. Se gli effetti della maledizione erano permanenti… allora io ero condannato.

“Non è possibile!!!” Lina si rivolse al drago, con furia quasi isterica. “Se un uomo lancia un incantesimo dagli effetti duraturi, alla sua morte quell’incantesimo si spezza! Non importa quanto è potente! Nessun essere umano può…”

“Nessun essere umano.” La interruppe Mardoc. “E’ proprio questo il punto. Erian aveva stretto un patto con un demone. E’ questo che gli ha permesso di avere sufficiente potere per controllare un incantesimo simile. Il contratto che li legava è andato distrutto causando la sua morte, ma quel demone è ancora vivo. E finché sarà così, anche l’incantesimo che agisce sul diario non verrà spezzato.”

Lina si levò in piedi di scatto. “Ho sentito abbastanza.” Dichiarò. “Dimmi chi è quel demone. Lo troverò, lo distruggerò, e la faremo finita con questa faccenda.”

Ma il drago si accigliò, e scosse la testa. “Non ho intenzione di farlo.”

Rabbia feroce si dipinse sul volto di Lina. Avanzò di un passo, e fui certo che fosse pronta a dichiarare guerra all’intera comunità dei draghi. Cercai di levarmi per fermarla, ma le mie gambe non rispondevano. Una voragine mi si era aperta nello stomaco.

“Non agire avventatamente, Lina Inverse.” La ammonì Mardoc, in un tono di vaga minaccia. “So della maledizione che ha colpito tuo marito. Ma attaccare ora finirà solo per accelerare la fine sua.. e tua, probabilmente..”

“E per quale motivo dovrei frenarmi? Avverrà in ogni caso, a quanto pare.”

“E invece non avverrà nulla, se mi ascolterai.” Mardoc avanzò di un passo, incombendo minacciosamente su di lei. Di riflesso, i miei arti finalmente reagirono, e mi levai in piedi. In un istante fui al suo fianco.

“Idioti.” La voce della profetessa risuonò alle nostre spalle, derisoria. “Non fareste nemmeno in tempo a progettare un attacco.”

“Vi conviene darle retta.” Mardoc si arrestò, a pochi passi da noi. “E comunque… non coinvolgerei per nessun motivo demoni in questa faccenda, ma anche se vi dicessi il nome del Mazoku non ve ne fareste nulla. Non avreste tempo a sufficienza per cercarlo.”

Lina fremette, al mio fianco. “Che vuol dire che non avremmo tempo?”

Mardoc fissò lo sguardo su di me. “Vuol dire che la maledizione ha ormai acquistato completa efficacia. Nel giro di due settimane, forse tre, raggiungerà il suo acme, e il dolore per lui diventerà insopportabile. A quel punto, anche trovando quel demone, potrai solo ottenere la sua morte.”

Quelle parole mi sferzarono, con la forza di lame.

Due settimane.

Avevo pensato di avere tempo. Avevo quasi osato sperare, in quei giorni in cui il dolore mi aveva abbandonato, che ci fossimo preoccupati per nulla. E invece…

Non osai guardare Lina. Ma sentivo che, al mio fianco, aveva iniziato a tremare.

“Voglio quel nome.” La voce di mia moglie ora era ridotta a un basso ringhio. “Due settimane saranno più che sufficienti. Raggiungerò la Penisola dei Demoni e la metterò a ferro e fuoco. Distruggerò ogni demone presente sulla mia strada, se sarà necessario.”

Mardoc si accigliò. “Non ci sarà bisogno di fare nulla di tanto stupido.” Incrociò le braccia al petto. “Non ci sarebbe modo di guarire quella ferita, se fosse stato un demone a provocarla, ma è opera di un umano. La maledizione ha agito lentamente, e la sua potenza non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella dell’incantesimo di un Mazoku. La magia bianca umana non è sufficiente contro di essa, ma quella dei draghi è perfettamente in grado di curarla.”

Sia Lina che io esitammo. Ci stava dicendo che…

“Vuoi dire che voi… potete guarirlo?” La voce di Lina tradiva sollievo. Ma io avevo la sensazione che fosse presto per cantare vittoria.

“Avremo la possibilità di guarirlo, fino a che la maledizione non sarà irreversibile. E lo faremo. Ma a una condizione.”

Lina si irrigidì. Io non riuscii nemmeno a essere deluso. Era troppo semplice pensare che non ci fosse un prezzo.

“Quale condizione?”

“Una molto semplice.” Mardoc ci scrutò, penetrante. “Dovrete uccidere una persona per noi.”

 

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Ed ecco la seconda parte del capitolo, come promesso in tempi brevi…^_^ Grazie come sempre ha chi ha letto e commentato il pre

Ed ecco la seconda parte del capitolo, come promesso in tempi brevi…^_^ Grazie come sempre ha chi ha letto e commentato il precedente, e in particolare

A Genesis: non ti preoccupare, con la mia “dichiarazione di resa” non mi riferivo alla storia nel complesso, ma solo al capitolo… in teoria avrebbe dovuto essere unico, ma dovevo raccogliere talmente tante informazioni al suo interno che stava diventando ingestibile, per cui mi sono dovuta rassegnare a spezzarlo in due. ^^ Ma ho certamente intenzione di portare a termine la storia, un po’ alla volta… anche perché ormai manca davvero poco al termine. =P

A Dragonslave: eheh, infatti ci avevi preso in molte cose. E per Il Raugnut Rushavna… colpisce solo chi APRE il diario, e non chi lo maneggia. Anche se l’incantesimo spinge chi si avvicina troppo al libro a desiderare fortemente aprirlo… (ho pensato fosse ragionevole che i draghi non ne risentissero, però, dal momento che sono molto più potenti di un normale essere umano)

A Fren e LadyLina: visto che efficacia in termini di ispirazione hanno avuto i nostri deliri veronesi, cugine? E Fren, sii felice, Bastian in questo capitolo ha un ruolo un po’ più attivo! XD

Spero non ci siano grosse incongruenze in questo capitolo, ci ho racchiuso metà trama, e ho rischiato seriamente di incasinarmi da sola…XD

Buona lettura! ^^

 

 

“Dovrete uccidere una persona per noi.”

I draghi, dall’ombra ai margini della luce delle fiamme, ci osservarono in attesa di una reazione. Le parole di Mardoc danzarono nell’aria, sospese nel silenzio. Il nostro respiro, il crepitio delle fiamme, il frusciare delle vesti dei muti membri del concilio dei draghi, tutto per un istante parve congelarsi. Mi volsi verso Lina. Il suo volto era terreo.

“Uccidere… una persona?” Mormorò infine, la voce roca. “Di chi parlate?”

“Lascia che ti spieghi la situazione.” Il drago gesticolò verso il suolo, invitandoci a sederci nuovamente. Lina esitò, ma alla fine indietreggiò e si rannicchiò sulla dura roccia, in ginocchio, come pronta a scattare nuovamente in piedi. Io mi accomodai al suo fianco e le poggiai una mano sulla schiena, per cercare di placarla.

“Innanzitutto, credo vogliate sapere qualcosa di più sull’autore di questo diario.” Mardoc sollevò il testo e proseguì, senza attendere risposta. “Era il figlio maggiore del duca di Talit. All’epoca la Perla era ancora una città in espansione… i traffici dal Sud avevano contribuito a mutarla in un importante snodo commerciale, e stava crescendo in modo sproporzionato alle condizioni che la sua posizione arroccata sulle montagne poteva offrire. Ma se il suo trasferimento presto o tardi sarebbe stato inevitabile, non fu l’incremento dei traffici a causarlo direttamente. Un grave incidente colpì la città. E a causarlo fu proprio l’autore di questo diario.”

Alle nostre spalle, sentii Sybil muoversi. Mi volsi per un momento a osservarla, e vidi che si era avvicinata a Bastian. Il suo sguardo, febbrile, dardeggiò fra il drago e il cavaliere, mentre sollevava la testa dell’uomo, con dita tremanti, per accertarsi delle sue condizioni. Ma Mardoc, se anche si era accorto di lei, continuò deliberatamente a ignorarla.

“Se avete visitato l’antico palazzo di Talit, immagino avrete trovato l’accesso al vecchio laboratorio di Erian… laggiù si trova la chiave delle ricerche che ha condotto.”

“Quel laboratorio apparteneva a lui?” La fronte di Lina si corrugò. Sapevo a cosa stava pensando. Quando era uscita dal laboratorio, mi aveva detto di aver avuto l’impressione che fosse stato utilizzato piuttosto di recente.

Mardoc annuì. “I suoi studi in ambito magico erano di un genere piuttosto anomalo… non so se immagini a cosa mi stia riferendo.”

Lina sospirò. “Lord of Nightmares.” Dichiarò semplicemente, in tono piatto.

Mardoc sussultò lievemente, udendo quel nome. Quando parlò, la sua voce uscì in un mezzo ringhio. “In poche parole sì. In effetti, il duca era interessato più in generale ad acquisire il controllo di una forma più pura e indifferenziata di magia, la forma di potere magico accessibile solo agli esseri superiori. La Magia del Caos, che racchiude e trascende le forme più avanzate di Magia Bianca e Magia Nera, in questo senso rivestiva un grande interesse, per lui.” Il drago fece una smorfia. “Un obiettivo pericoloso, a maggior ragione per un nobile nato in un regno dove la magia è considerata alla stregua di un trucco da ladro… Ma la sua famiglia aveva sottovalutato ciò che il duca stava ricercando. La consideravano una stravaganza, che sarebbe stata abbandonata una volta che il giovane fosse salito al potere.”

“Ed erano in errore, suppongo.”

Il drago annuì, nuovamente. “Erian era decisamente votato ai propri studi. Tanto votato da giungere fino a noi, per cercare di carpirci informazioni. E’ così che abbiamo scoperto di lui, e abbiamo iniziato a renderci conto di quanto pericoloso fosse il terreno in cui si stava addentrando. E abbiamo iniziato a concepire il progetto di eliminarlo, prima che potesse realmente nuocere a qualcuno.”

 Lina ed io ci scambiammo un’occhiata. “Quindi… siete stati voi?” Domandò mia moglie, cauta. “L’avete ucciso, per impedire che completasse qualche tecnica pericolosa come il Giga Slave?” Non mi piaceva il corso che stava prendendo il discorso. Non mi piaceva, considerando che anche Lina era perfettamente in grado di usare quel genere di magia. 

“E’ stato lui stesso a causare la propria fine.” Gli occhi di Mardoc si strinsero. “Quando si è rivolto a noi, purtroppo, era già protetto dall’accordo con la stirpe demoniaca. Non saremmo stati in grado in grado di fargli del male a meno di non infrangere la pietra del contratto, e comprendemmo solo a posteriori cosa quel folle avesse scelto a quello scopo… Talit stessa. Ogni singolo edificio che circondava il vecchio palazzo avrebbe dovuto essere distrutto, per assicurare la sua morte. Credo che Erian progettasse di trasferire la capitale a valle, una volta assunto il potere, e di trasformare quel luogo in una sorta di santuario per la propria magia. L’unico edificio a essere escluso dal contratto era il palazzo stesso. Forse, Erian voleva conservare un luogo che appartenesse solo a lui, e non al demone con cui si era accordato… e proprio questo moto di orgoglio umano si è rivelato essere il suo errore fatale.” Il drago fissò Lina, intensamente. “Erian ha perso il controllo di uno dei suoi esperimenti. Il duca aveva lanciato un incantesimo di protezione estremamente potente sul proprio laboratorio, che in qualche modo ha impedito all’area immediatamente attigua di andare a fuoco. Ma al di fuori delle mura del palazzo, l’intera città è finita in fiamme. Centinaia di persone sono morte, quella notte, a causa della sua follia. Se anche sul palazzo fosse stata incisa parte del contratto forse l’accordo sarebbe persistito comunque… ma in quel modo anche lui ha finito per perdere la propria protezione.” Fece una pausa. “Potete immaginare cosa ne è conseguito. Erian è stato costretto a fuggire dall’ira dei suoi familiari e dei cittadini sopravvissuti. Lo abbiamo trovato, quando era ancora troppo debole a causa dell’incantesimo lanciato per difendersi… e lo abbiamo finito.” Fece una pausa. “Nessuno è mai giunto da noi a lamentarsi, per questo.”

Lina scosse la testa. “Non capisco come sia possibile che una storia del genere non sia stata tramandata… in fondo, sono trascorsi solo duecento anni…”

“Di certo la famiglia Darland non ha pubblicizzato la vicenda. Questa è forse la macchia più vergognosa della sua storia. Alcuni cittadini conoscono la verità, essa è sicuramente nota ai duchi… Ma ufficialmente il nome di Erian è stato rinnegato per ogni discendente maschio della stirpe, e la sua memoria è stata sepolta fra le mura della città vecchia. Quelle vicende sono tabù, per gli abitanti di Talit. Chiunque le sbandieri viene messo in fretta a tacere.”

Osservai Lina digerire quelle informazioni silenziosamente, quindi cercare il mio sguardo “Ora capisco.” Commentò, rivolta probabilmente più a se stessa che a me. “L’incidente, di cui si parlava nel libro… e poi, ti ricordi cosa avevamo letto, del tuo antenato e della sua presenza a Talit per un periodo, proprio in quegli anni? Scommetto che Erian aveva cercato la sua amicizia perché era interessato al potere amplificatore della Spada di Luce… anche io ne avevo letto per la prima volta proprio mentre conducevo ricerche su Lord of Nightmares.”

“E infatti è andata così.” Mardoc fissò Lina, accigliato. “Fra simili ci si comprende, evidentemente.”

Mia moglie gli rivolse uno sguardo rabbioso, a quelle parole. Il mio senso di allarme non fece che incrementarsi. Quei segni di ostilità non promettevano niente di buono.

“Bene.” Esordì, Lina in tono freddo. “Ci hai raccontato una bella storia, Mardoc. Ma dato che entrambi sembriamo più interessati agli affari che alle chiacchiere… vogliamo passare al punto? Chi è che dovrei uccidere, per vostro conto?”

Mardoc aggrottò la fronte. “Ci stavo arrivando, Lina Inverse. Il punto è che qualcuno è tornato a interessarsi agli studi di Erian, e temiamo che riporti alla luce i segreti contenuti in questo diario e in quel laboratorio. Segreti che, come tu meglio di chiunque altro sai, se gestiti nel modo sbagliato possono comportare allarmanti rischi… non solo per una cittadina di montagna e i suoi abitanti, ma per l’universo intero.” Esitò, per un istante. “O quanto meno, è così che noi draghi abbiamo interpretato la profezia della sacerdotessa.” Rivolse un breve sguardo a Sybil, che ora reggeva la testa di Bastian sulle ginocchia, e aveva smesso apparentemente di ascoltarci. La profetessa non volse lo sguardo, ma ebbi l’impressione che fosse conscia che l’attenzione era nuovamente rivolta a lei.

“E pensavate che fossi io quella persona?” Domandò Lina, lo sguardo fisso su Sybil, stranamente imperscrutabile.

Mardoc annuì. “Eravamo convinti che ti stessi recando a Talit con un pretesto, con la precisa intenzione di arrivare al laboratorio. Tu sei già in possesso di informazioni sufficientemente pericolose, mi pare, Lina Inverse. Nessuno di noi gradirebbe che ampliassi ulteriormente i tuoi… orizzonti.” Lina volse lo sguardo, e lei e il drago si squadrarono per un secondo. Ebbi l’impressione che solo il reciproco interesse a sfruttare l’altro li trattenesse dall’attaccarsi a vicenda.

“Il tuo atteggiamento ci ha convinto che fossimo sulla pista giusta… ti sei dovuta allontanare da Talit perché costretta, ma poi, una volta recuperato tuo marito, hai ripreso a dirigerti verso la città, in cerca del diario… Solo che una volta entratane in possesso non hai cercato di servirtene. Sembravi interessata unicamente a curare la maledizione che ha colpito il tuo compagno. E’ stato per questo che abbiamo cominciato a sospettare di essere sulla pista sbagliata. In effetti siamo stati sciocchi a non chiedere alla profetessa sin da principio, accecati com’eravamo dalle nostre certezze. E’ una pecca di noi esseri superiori, evitare il più possibile di fare affidamento sugli esseri umani.”

Lina si accigliò. “Non capisco come tu faccia ad avere informazioni così dettagliate sulle mie azioni e i miei spostamenti. Parli come se mi avessi tenuta d’occhio costantemente nel corso dei miei viaggi.”

Mardoc sorrise. “Perché ti ho tenuta d’occhio. Non immagini come?”

Lina mi parve perplessa. Il suo sguardo scivolò verso Bastian, ma a quel gesto il sorriso del drago si allargò. “Oh, no, Lina Inverse, sei fuori strada. Il cavaliere non ti ha mai tradito. Lui non sapeva proprio nulla di questa faccenda.”

Studiai il viso di Lina, a quelle parole, ma mia moglie si sforzò di mantenere neutra la propria espressione. “Allora… chi?”

“Fino a che ti trovavi a Talit, chiaramente, ci hanno pensato i nostri tre uomini stanziati laggiù.” Spiegò Mardoc. “Ammetto che ti abbiamo persa di vista dopo la tua fuga… pensavamo fossi scappata nella città vecchia, ma come il tuo stesso marito ha appurato si trattava di una falsa pista. Poi, però, gli Enu ci hanno riferito della tua visita, e del fatto che ti stavi recando alla capitale. E lì io ti ho incontrata, e ho riportato di proposito di fronte a te la notizia della caduta delle truppe dei Gabriev nell’ovest, in modo da appurare se avessi intenzione di recarti a salvare tuo marito… e così era.” Il drago sorrise, evidentemente compiaciuto di se stesso. “A quel punto, le cose per noi diventavano più semplici. Certo, il piano sarebbe stato rischioso se avessimo avuto a disposizione solo tuo marito… una persona a te troppo vicina, in cui troppo facilmente avresti potuto notare cambiamenti… ma presso Meghar, dove tu ti stavi recando, era prigioniera anche la principessa Amelia di Sailune. Una tua cara amica, e qualcuno di cui non avresti mai sospettato. Perciò ho contattato uno dei miei sottoposti di stanza nell’ovest, e gli ho chiesto di imporle il Controllo. In questo modo, con un semplice Vision Spell., avrebbe potuto riferirci ogni informazione di cui disponeva su di te e al contempo tenerti d’occhio per conto nostro, permettendoci di non uscire allo scoperto.”

Lina guardò alternativamente il drago e Amelia, lo sguardo nervoso. “Il Controllo? E cosa diavolo sarebbe?”

“Antica magia bianca. Permette il dominio temporaneo delle azioni di un altro soggetto. Esiste una versione semplificata dell’incantesimo accessibile anche agli esseri umani, magia sacerdotale di alto livello. Ho ragione di pensare che abbiate avuto modo di assistervi, in passato.”

Lina parve inizialmente perplessa, a quella affermazione. Ma poi, la comprensione si accese nel suo sguardo. “Rezo.” Mormorò, fra i denti.

Mardoc si limitò ad annuire. “Chiaramente, il Monaco Rosso non poteva ottenere che risultati estremamente parziali, a confronto con le possibilità accessibili a noi esseri superiori. Nella forma perfezionata dell’incantesimo di cui la vostra amica è caduta vittima, chi è colpito può essere temporaneamente liberato dal controllo del soggetto che esercita il dominio su di lui, senza ricordare di essere stato comandato. Una soluzione estremamente comoda, considerato che nei momenti di lucidità il soggetto si comporta normalmente, e non attira su di sé i sospetti di chi gli sta intorno.” Mardoc si strinse nelle spalle. “L’unica pecca è che agire sotto il controllo di una mente esterna è molto stancante per chi subisce gli effetti dell’incantesimo. In più, più tempo passa dal momento in cui l’incantesimo viene lanciato, più è probabile che il soggetto inizi a rendersi conto di ciò che gli stava accadendo… e la principessa lo aveva già inconsciamente intuito, credo. Di certo la sua volontà non è stata semplice da domare.”

Ripensai a tutti i momenti in cui avevo osservato Amelia, nel corso di quel viaggio, e mi era apparsa esausta. Ma chi avrebbe potuto immaginare che dietro a quella condizione ci fosse una motivazione del genere?

Osservai Lina fremere di rabbia. Se la conoscevo un minimo, avrei potuto giurare che in quel momento si stesse rimproverando di non essersi resa conto di nulla. “D’accordo, lo scherzo è finito.” La sua voce risuonò, gelida. “Libera immediatamente la mia amica.”

Mardoc la fissò con sufficienza. “Non ci vuole molto.” Dichiarò, indifferente. “Basta rimuovere il catalizzatore attraverso cui agisce l’incantesimo.”

“Catalizzatore?” Lina fissò Amelia,senza capire. Ma la mia mente aveva improvvisamente compiuto una bizzarra associazione, un salto intuitivo per cui non avevo alcuna conferma, ma che per qualche imperscrutabile ragione mi appariva sensato. “Lina.” Le strinsi il braccio, per attirare la sua attenzione. “Il rubino.” La pietra nel girocollo di Amelia splendeva, riflettendo la luce delle fiamme. Avevo ricordi molto vaghi della lotta con Rezo, ma… rubini magici… non erano quelli di cui Eris si serviva per imporre alle altre persone di fare ciò che desiderava?

Lina seguì il mio sguardo, e i suoi occhi si spalancarono. “Hai ragione!” Si avvicinò ad Amelia, si avventò su di lei, quasi, e le strappò la pietra dal collo. La principessa emise un singulto, ma non si svegliò. Lina distrusse il gioiello sotto la suola degli stivali, con rabbia. “Dannazione!” Imprecò. “Come ho fatto a non rendermene conto???”

E come avrebbe potuto? E dire che avevo notato quel gioiello, avevo forse persino intuito che qualcosa non andava in esso… ma ero stato troppo concentrato su Lina, per interrogarmi ulteriormente su quella questione. Scegliere la principessa era stata davvero una mossa intelligente, da parte dei draghi. Povera Amelia.

“Chi diavolo vi credete di essere, per giocare a questo modo con la mente di persone che non c’entrano???” Ora la rabbia di Lina era manifesta. “Amelia non c’entrava nulla, nulla in questa faccenda! Ne è stata solo una vittima, fin dall’inizio!”

“E infatti non le avremmo torto un capello, una volta ottenuti i nostri scopi.” Mardoc si incupì. “E in ogni caso tu non mi sembri decisamente la persona più adatta alle paternali, Lina Inverse. Per cui lascia perdere. Sempre che tu voglia ancora conoscere le mie condizioni per garantire la guarigione a tuo marito, chiaramente.”

Lina fremette di rabbia, e io le strinsi brevemente la mano, nel tentativo di calmarla. Prese un profondo respiro, prima di parlare. “E allora dimmi cosa devo fare, e facciamola finita.”

“E’ molto semplice. La profetessa mi ha confermato che non sei tu, in questa occasione, a costituire una minaccia. Ciò significa che qualcun altro è interessato al sapere custodito nella antica Talit. Tu dovrai trovare questa persona, ed eliminarla.”

Lina esitò. “E… di chi si tratta?”

“Curioso… ma dovresti saperlo.” Mardoc la scrutò in viso, con i suoi occhi penetranti. “La profetessa mi ha detto che ha letto la risposta nel tuo stesso sguardo. Uno spirito che condivide le tue stesse aspirazioni, che hai incontrato a Elmekia. Uno spirito curioso, e privo delle riserve che avrebbero fermato altri esseri umani…”

Lina esitò per qualche istante, in silenzio. Quando parlò, lo fece con evidente riluttanza. “Stai… parlando di Livia, non è così?”

“Livia?” Ero confuso. “Che cosa c’entra, ora, quella ragazzina?”

Lina mi rivolse una breve occhiata. “Quel volume che stava consultando… alla luce di quanto abbiamo scoperto questa sera, mi sembra una coincidenza troppo grossa che stesse cercando informazioni proprio al suo interno solo per sapere qualcosa sullo Spadaccino di Luce. In più… non mi sembrerebbe strano che si interessasse a qualcosa del genere. Al di là dei modi, ha mostrato curiosità, e una certa spregiudicatezza. E tu mi hai detto che è scomparsa, la notte in cui io sono fuggita da Talit. Forse ha trovato un modo per scappare, e ha raggiunto la città vecchia.” Lina fissò Mardoc, a denti stretti. “Ma è poco più che una bambina. Cosa mai potrebbe riuscire a fare, di tanto pericoloso da desiderare ucciderla?”

“L’energia fuori controllo è molto più pericolosa di quella dominata.” Replicò il drago, freddamente. “E non sta a te valutare, in ogni caso. Ascoltami e basta. Riteniamo che la ragazzina in qualche modo abbia continuato a visitare la antica Talit per un tempo indefinito prima del vostro arrivo, e che si sia nascosta laggiù, da qualche parte, dopo la tua fuga. Il laboratorio di Erian, nel palazzo antico, è protetto da un incantesimo. Per nessuno, nemmeno per noi, è possibile entrarvi o distruggerlo. Eravamo convinti che solo il potere del Caos potesse riuscirci… ma nei giorni precedenti alla tua fuga da Talit, quel laboratorio è stato riaperto. La ragazzina deve avercela fatta, in qualche modo che non riusciamo a immaginare. E lì deve avere trovato il diario.”

“Non capisco di che parli.” Lina scosse la testa. “Amelia non te lo ha riferito? Anche io e lei siamo entrate nel laboratorio senza problemi, e senza ricorrere ad alcun incantesimo.”

Mardoc si accigliò. “Non mentire, Lina Inverse. La magia laggiù è ancora attiva. Ho inviato i miei uomini a cercare di distruggerlo, anche dopo che tuo marito è stato colpito dalla maledizione, e nessuno è riuscito nell’impresa.”

Lina si morse il labbro e tacque. Mi sorpresi che non insistesse, perché la avevo vista con i miei stessi occhi mettere piede nel laboratorio. Dal momento che non pareva voler controbattere, però, mi cucii la bocca. Doveva avere le sue motivazioni. “Il punto è che non sappiamo se, come ha aperto la porta del laboratorio, la ragazza sia riuscita a leggere le pagine del testo senza incorrere nella maledizione…” Proseguì Mardoc, evidentemente interpretando il silenzio di Lina come una tacita ammissione. “E noi non sappiamo cosa esattamente contengano quel diario e quel laboratorio. Ora potrebbe avere in mano strumenti di difesa estremamente pericolosi. E c’è anche la possibilità che ciò che ha appreso sia troppo, per lei, e le abbia fatto perdere il controllo. Avvicinarla potrebbe essere molto rischioso, in questo momento.”

Lina lo fissò con disprezzo. “E così, invece che presentarvi da lei personalmente, mandate qualcun altro a fare il lavoro sporco. Molto coraggioso.”

“Non è questa la ragione.” Sibilò il drago, con ira. Per un istante, mi apparve incredibilmente imponente e fui tentato di stringere a me Lina, per metterla al riparo. “Il fatto è, sciocca ragazza, che se qualcuno di noi cercasse di avvicinarla la ragazzina potrebbe reagire per lo spavento. E se di riflesso lanciasse un incantesimo che non sa controllare, se rilasciasse l’energia del Caos, potrebbe essere la fine, per tutti.”

“E in che modo dovrebbe essere diverso, con me?”

“Sarà diverso, perché si fida di te.”

Sia Lina che io trasalimmo. Era stata Sybil a parlare. La sua voce pareva quasi essere sorta dall’oltretomba.

“Lei ti ammira… ti vede simile a lei. Per questo ti ha aiutata a scappare. Ed è sola, separata dai suoi affetti, a Talit. Se c’è una persona in cui può essere disposta a confidare in questo momento, quella sei tu.” Sybil accarezzava ancora con le dita i capelli di Bastian. Non levò lo sguardo a fronteggiarci, mentre parlava.

“Esattamente.” Confermò Mardoc, in tono privo di sentimento. “E se confida in te, c’è meno rischio che ti attacchi. E se non attacca, evitiamo tutti di correre pericoli… sempre che tu sia in grado di approfittare del momento, per liberarti di lei.”

In altre parole… Lina avrebbe dovuto raggirare Livia, per riuscire a ucciderla quando meno se lo aspettava. Mi si gelava il sangue al solo pensiero.

Scossi la testa, inorridito. “Lina. Non…”

“E’ solo una ragazzina!” Mi precedette tuttavia mia moglie, in un sibilo. “Ha vissuto per tutta la vita imprigionata fra le pareti di un palazzo, quasi sicuramente non aveva idea di cosa stesse facendo!” Fece un passo avanti. “Non ho intenzione di farle del male! Mi hai capito??? Non ho intenzione di uccidere una bambina, tanto meno approfittando della fiducia che ripone in me!”

Mardoc non si scompose. “E allora tuo marito morirà.” 

“Come potete???” Lina strinse i pugni. “Avete deciso di lasciare in vita me, nonostante io conosca il Giga Slave, e allora perché non Livia???”

“Non è così.”

“COSA, non è così???”

“Noi non abbiamo deciso di lasciarti in vita.” La replica di Mardoc fu gelida. “Anzi, quando abbiamo saputo quello che era successo con Fibrizo, il nostro primo pensiero è stato quello di rintracciarti e ucciderti. Ma è stato Milgazia a proibircelo.”

Lina batté le palpebre, colta alla sprovvista. “Milgazia?”

“Il capo della comunità dei draghi dei monti Kataart. Ci ha detto di averti conosciuto, e che ti reputava degna di fiducia… e ci ha intimato di non toccarti.” Il volto di Mardoc si oscurò, e per un istante il drago celò a malapena la propria ira. “E’ proprio per le nostre divergenze di visione, che centinaia di anni fa ce ne siamo andati da laggiù. Ma purtroppo non possiamo fare a meno di ascoltare un suo ordine diretto. Siamo una comunità troppo poco numerosa, e se ci attaccasse ci schiaccerebbe in un istante.”

“Grazie al cielo.” Gli sputò contro Lina. “Mi preoccuperei, se fosse il contrario. Al tuo posto Milgazia ci avrebbe aiutato senza chiedere nulla in cambio.”

Mardoc si accigliò. “Davvero credi che Milgazia abbia più giudizio di noi, Lina Inverse? Lui avrebbe permesso che tu distruggessi il mondo, solo perché i suoi scrupoli gli impedivano di ucciderti a sangue freddo. Dal tuo punto di vista è stato molto caritatevole, certo… ma dal punto di vista di tutti gli innocenti le cui vite hai minacciato di cancellare con il tuo gesto sconsiderato contro Fibrizo… dal loro punto di vista, dove credi stia il torto?” Il drago scosse la testa. “Credimi, Lina Inverse, non provo nessun piacere a uccidere un innocente… ma a volte va fatto. Per un bene più grande.”

“Non sono d’accordo.”

L’espressione di Mardoc si indurì ulteriormente. “Non mi importa se sei d’accordo o meno. E ti dirò di più… non fosse stato per il divieto di Milgazia, nemmeno tu saresti sopravvissuta a questa faccenda. Ciò che davvero avrei dovuto fare, quando sospettavamo di te, sarebbe stato presentarmi di fronte a te e ucciderti, a titolo di precauzione. E invece ho dovuto pazientare, ricorrere a stratagemmi…ho dovuto affidarmi a dei comuni assassini, per cercare di eliminarti… con risultati del tutto fallimentari.”

Sia Lina che io spalancammo gli occhi, a quella rivelazione. “Sei stato… tu? Tu li hai assoldati???”

“Non a mio nome, chiaramente.” Mardoc si strinse nelle spalle. “E’ stata la principessa ad agire per noi. La nave che vi stava conducendo a sud… a guidarla non erano semplici mercanti, come quel mercenario, Dorak, ha cercato di farvi credere. Erano pirati al servizio di Meghar. Con il nome e le promesse di denaro della principessa Amelia, non è stato difficile convincerli ad attaccarvi per noi. Uccidervi in mare sarebbe stato l’ideale. Avremmo potuto far sparire ogni traccia di voi, e Milgazia non avrebbe mai avuto alcun elemento per accusarci di essere responsabili della tua morte.”

Lina aggrottò la fronte. “Ma io credevo che…” Si volse a Sybil. “… non mi avevi detto che era la Gilda degli Assassini di Rolan a essere sulle mie tracce?”

La profetessa era accigliata. “Così credevo.” Mormorò. “Un assassino che avrebbe potuto ucciderti… la principessa… ha senso, ma… una parte della catena deve essere sfuggita alla mia comprensione.”

Lina scosse la testa. “Non capisco.”

“Questo non ha importanza ora, o sbaglio?” Intervenne Mardoc. “Ciò che conta, direi, è che il nostro tentativo non sia andato a buon fine.”

Lina si incupì. “Peccato per voi.”

“A posteriori, è stato un bene.” Mardoc la scrutò con aria di sfida. “Ci ha permesso di scoprire la verità in tempo.”

Un silenzio colmo di ostilità pervase l’aria. Cercai di convincermi che esistesse una soluzione, ma non c’era. Lina non avrebbe fatto ciò che il drago le chiedeva… non le avrei permesso di farlo, nemmeno per salvarmi la vita. Ma Mardoc non ci sarebbe venuto incontro. Eravamo in un vicolo cieco.

“Ti conviene riflettere bene su quello che ti ho chiesto, Lina Inverse.” Intimò il drago, in tono pratico. “Quando tornerai qui con la prova che la ragazza è morta allora io guarirò tuo marito. Non ti impongo scadenze. Ma credo che tu ti renda conto che, ai fini della ricompensa, è suggeribile per te agire in fretta.” Volse le spalle e indietreggiò, verso gli altri draghi.

“Aspetta un momento!” Mia moglie scattò in avanti. “Non abbiamo ancora finito di parlare!”

“Per quanto mi riguarda, sì.” Il drago la fissò da sopra la spalla, con fare minaccioso, e Lina si arrestò di riflesso sui propri passi. “Sai cosa ti chiedo di fare. Non dico che sia semplice, ma… ogni decisione presa comporta la perdita di qualcos’altro.” Strinse gli occhi. “Scegli bene, Lina Inverse.”

Levò il braccio, di fronte a sé. L’oscurità parve addensarsi attorno alle sue vesti, prendendo corpo progressivamente in una forma solida. I suoi compagni lo imitarono, e presto figure enormi e minacciose si stagliarono contro il cielo blu profondo, sovrastandoci. Raggiunsi Lina e la afferrai per le spalle, traendola a me. Un ruggito spezzò l’aria fredda, e una dopo l’altra le creature spiccarono il volo, sollevando polvere e detriti, e facendo ondeggiare pericolosamente la luce delle fiamme. In pochi secondi si persero oltre il profilo del picco, lasciandoci soli con il silenzio. Lina si strinse a me, con tanta violenza da togliermi quasi il fiato. Non ebbi il coraggio di guardarla negli occhi. Affondai le dita nei suoi capelli, le labbra serrate.

Che cosa dovevamo fare? Che cosa dovevamo fare, ora?

“Li… Lina- san…”

Trasalimmo, entrambi, e ci volgemmo verso la parete rocciosa. I ruggiti dei draghi avevano svegliato Amelia, che si stava guardando attorno, intontita. Individuò Sybil, e Bastian ancora privo di sensi, e i suoi occhi si riempirono di confusione. Si volse verso di noi, con aria interrogativa.

Lina si scostò lentamente da me, e io la lasciai andare con riluttanza, perché si avvicinasse alla principessa. “Amelia… ti senti bene?” Chiese, con voce flebile, inginocchiandosi al suo fianco. Appariva così pallida, alla luce delle fiamme, che quella domanda suonò inappropriata, sulle sue labbra. “Ricordi… cosa è successo?”

La principessa scosse la testa. “Non…” Amelia si bloccò, e deglutì. “Ricordo…” Strinse i pugni, e scosse lievemente la testa, come a negare un pensiero che le era sorto alla mente. “Io… ho perso i sensi quando quel drago ci è venuto incontro… non è così?”

Lina si incupì, e le strinse lievemente la spalla con la mano. “Non… preoccupartene, ora.” Mormorò. “Devi essere esausta. Cerca di rimanere tranquilla.”

“Cosa hai intenzione di fare, Lina Inverse?” Domandò Sybil, osservandola dal suo angolo contro la roccia. Sollevò la testa di Bastian dalle proprie ginocchia e, con una delicatezza che stonava con i suoi lineamenti contratti e il suo tono duro, lo accomodò nuovamente al suolo. Il falco, acquattato al fianco del suo padrone, emise un altro, soffuso, lamento.

Lina esitò per qualche istante, ma alla fine eluse la domanda. “Che cosa gli hanno fatto?” Chiese invece di rimando, occhieggiando Bastian.

Sybil scosse la testa, a indicare che non sapeva rispondere. “Quando sono arrivata qui era già privo di sensi.” Spiegò. Lo fissò in volto e per un istante i suoi occhi si velarono di tristezza. “Ma starà bene. A dispetto di tutto… dubito che la comunità dei draghi attenterebbe deliberatamente alla vita di un essere umano, senza una precisa motivazione.”

Lina non rispose. Si limitò a sedersi vicino al fuoco, come improvvisamente esausta, e si prese la testa fra le mani. La voragine dell’angoscia tornò a scavare nel mio stomaco, nel vederla in quello stato. Quello che stava per accadere… era troppo. Lina aveva già ucciso. Non era un’innocente, nemmeno da quel punto di vista. Ma l’omicidio di Livia avrebbe avuto un peso del tutto diverso, per lei. Una volta Sylphiel mi aveva rivelato che mia moglie aveva quasi perso la testa, credendo di avere ucciso un bambino, durante lo scontro con Fibrizo, e io non stentavo a crederle. Conoscevo Lina. Scommettere sulla vita delle altre persone per salvarmi in un momento di disperazione era diverso dal commettere deliberatamente un atto così feroce. Sapevo che, se avesse acconsentito, non se lo sarebbe mai perdonato. Per questo non avrei mai potuto permetterle di farlo.

Ma impedirglielo significava imporle di lasciarmi morire. Significava che avrebbe vissuto non solo con la consapevolezza della mia perdita, ma con la coscienza di aver consciamente evitato di impedirla. Dei. Perché avevo preso in mano quel diario? Perché la mattina in cui Eriol era stato ucciso non mi ero trovato con Lina? Perché avevo chiesto a Lina di aiutare Sylphiel, sin dal principio? Perché, perché… centinaia di domande, e nessuna soluzione.

“Lina- san… ti senti bene? Sei ferita?” La voce di Amelia era allarmata. Si protese verso di lei, per soccorrerla.

Mia moglie scosse la testa, e si ritrasse. “Sono… solo stanca. Lasciami un momento per riflettere sul da farsi, d’accordo?” La sua voce era ferma, non c’era traccia del tremore che avrebbe accompagnato delle lacrime. Ma avevo l’impressione che si stesse trattenendo dall’esplodere.

“Io… però non capisco.” Amelia volse la sua attenzione alla profetessa e al cavaliere. “Che cosa ci fa, qui, Bastian- san? Perché i draghi non lo hanno portato via con loro? Non era loro alleato?”

Lina levò lentamente la testa, a quella affermazione. Indirizzò a Bastian i suoi occhi e una strana determinazione le si dipinse sul viso. “Non lo ho capito.” Dichiarò. “Al di là del fatto che non ci ha traditi… continuo a non capire cosa sia accaduto quella notte, nella vecchia Talit, fra lui e Dorak.” Il suo sguardo si accese. “Amelia… credi di farcela a usare un incantesimo di guarigione su di lui? Immagino che farlo svegliare e chiederglielo sia l’unico modo per scoprire la verità.”

Amelia annuì, con un vago disagio. Si avvicinò al cavaliere, e protese le dita su di lui. Sybil indietreggiò, premendosi contro la parete di roccia, ed ebbi l’impressione che se avesse potuto sarebbe volentieri scomparsa al suo interno. Io raggiunsi Lina e mi sedetti al suo fianco, ma la sua attenzione ora sembrava totalmente, e febbrilmente, concentrata sulla soluzione dei dubbi che le attraversavano la mente. Se la conoscevo, quello in quel momento era l’unico modo per lei per evitare di perdere il controllo.

L’incantesimo di Amelia terminò. Bastian per un istante rimase immobile, ma poi un gemito fuoriuscì dalle sue labbra. I suoi lineamenti si distorsero, contrasse la mascella, e aprì lentamente gli occhi. Smarrito, si portò la mano alla fronte, e gli occhi vitrei tradirono una fitta di dolore.

“Bastian.” Lo chiamò mia moglie. Il suo sguardo la cercò, percorrendo lo spazio illuminato dal fuoco. Non notò Sybil, rannicchiata nell’oscurità alle sue spalle, ma tradì stupore nell’accorgersi di Amelia. Quando trovò Lina, la confusione sul suo viso era evidente.

“I… il drago… che cosa?”

“Ti ha lasciato libero.” Rispose mia moglie, in tono quieto. “Ti senti bene? Deve averti stordito.”

“S… sì… io sì… ma…” Il suo sguardo si riempì improvvisamente di allarme. Scrutò me e Lina in volto, come temendo di avere di fronte dei fantasmi. “Voi state bene? I draghi… e… e la principessa… temevo che lei… vi facesse del male…” Volse lo sguardo verso Amelia. La nostra amica lo fissò di rimando, con fare confuso e nervoso, ma meno stupito di quanto ci si potesse aspettare di fronte a una accusa del genere.

Anche Lina spostò lo sguardo su Amelia, ed emise un breve sospiro. “Avremmo dovuto dirtelo, prima o poi.” Mormorò, in un vago tono di scusa. “Ma credo che tu abbia già capito da sola di cosa sta parlando.”

Amelia esitò. Ma alla fine, sconfitta, abbassò il capo, e annuì brevemente. “Il mio desiderio insopprimibile di venire con voi… i vuoti di memoria… gli strani ricordi di cose che ero certa di non aver mai fatto…” Fissò Lina, nervosamente, e poi, per qualche motivo, spostò lo sguardo su di me. “E’ quello che penso… non è così?” Domandò, in tono flebile.

Lina mi afferrò la mano e la strinse nella sua. Quindi annuì, lentamente.

Amelia non chiese spiegazioni. Si limitò ad abbassare lo sguardo, l’espressione turbata. “Mi dispiace.” Mormorò Lina, tanto debolmente che Amelia probabilmente non la sentì. “Lo hanno fatto per colpire me.” ‘Come sempre’. Non lo disse, ma lo lessi nei suoi occhi. Le strinsi forte la mano di rimando. Avrei voluto dirle qualcosa, ma il suo sguardo evitò il mio.

“Non… capisco…” Dichiarò Bastian, confuso.

Lina sospirò. “Non so cosa sai o hai visto di Amelia, ma la nostra amica è stata costretta a compiere quelle azioni contro la propria volontà.” Gli rispose. “Ti puoi fidare di lei. Te lo posso assicurare.”

Il cavaliere stava fissando la principessa con sguardo nervoso, ma alle parole di Lina annuì, lentamente. “Mi era… sembrato strano, in effetti.”

Lina emise un breve sospiro, e parve imporsi determinazione. “Che cosa è accaduto la notte in cui ci siamo separati?”

Bastian pareva più propenso alle domande, che alle risposte. Ma dovette cogliere la nota febbrile nell’espressione di Lina, perché replicò senza obiezioni. “Dopo che l’oscurità magica è calata sulla casa, la principessa e Sir Gabriev sono venuti a cercarti, e io sono rimasto a controllare il diario… Ma poi ho sentito delle urla sulle scale, sono uscito nell’atrio per capire cosa stesse accadendo e lì … mi sono scontrato con Dorak.”

Lina si accigliò. “Dorak?”

Bastian annuì. “E’ arrivato a palazzo qualche ora dopo di noi, stando a quanto ho capito. Sul momento non gli ho dato il tempo per spiegarsi, veramente. Era buio, ho pensato che avesse aggredito la principessa Amelia e Sir Gabriev, e che ti stesse cercando. Lo ho attaccato senza pensarci, e lui è fuggito senza rispondere. Credo che fosse troppo esausto a causa dell’arrampicata nella neve per combattere.” Si portò una mano alla tempia destra, e la massaggiò lievemente con le dita. “Lo ho inseguito fino all’interno del bosco. Lui continuava a gridarmi di fermarmi, che non era lui il nemico, che dovevo lasciargli spiegare. Alla fine, per convincermi, ha gettato la spada al suolo e si è fermato di fronte a me disarmato. Non avrei potuto colpirlo a sangue freddo, dopo quel gesto. Dovevo stare ad ascoltarlo.”

“E lui… ti ha detto di Amelia?” Lina sembrava aver iniziato a capire.

Bastian annuì, nuovamente. “Mi ha detto che si trovava sulle nostre tracce sin dall’incidente della nave.” Il cavaliere occhieggiò Amelia, a disagio. “A quanto pare, la principessa… lo ha lasciato cadere in mare, invece di metterlo in salvo, come gli avevate chiesto. E poi è tornata per attaccarci.”

Il volto di Amelia si imporporò. Lina, invece, assunse un’espressione perplessa. “Ma scusa… come ha fatto Dorak a sopravvivere? Non ha detto di non saper nuotare?”

“Ha mentito.” Replicò Bastian, in tono piatto. “Sapeva che se ci avesse detto la verità lo avremmo abbandonato in mare da solo, e temeva che sarebbe stato inerme di fronte a chiunque ci stesse attaccando. Non poteva immaginare che la sua bugia lo avrebbe messo direttamente nelle mani del nostro aggressore.” Bastian sospirò. “Purtroppo, non ha trovato la grotta in cui ci eravamo rifugiati. Ci ha preceduti verso Talit, ma dobbiamo averlo superato a un certo punto del viaggio. Se ci fossimo incrociati, ci saremmo risparmiati tutto questo…”

“Ma… sin dall’incidente della nave ci ha seguito solo per avvisarci?” Lina si accigliò. “Mi sembra… stranamente generoso, da parte sua.”

Per un momento, nella espressione esausta di Bastian riemerse una scintilla della consueta aria sprezzante. “Gli ho rivolto esattamente la stessa domanda.” Replicò. “E lui mi ha detto che il suo scopo principale non era riferirci del pericolo, ma raggiungere e catturare la principessa, per sapere cosa stesse tramando. Temeva che il suo atteggiamento derivasse da un qualche tipo di accordo fra Meghar e Sailune, capite. Che le comunità Enu rischiassero qualcosa.”

“E poi siete stati attaccati dal drago che era giunto a prendere te.” Tutti trasalimmo. Era stata Amelia a parlare.

Ci volgemmo verso di lei. Il suo sguardo era rivolto al suolo. “Adesso ricordo.” Mormorò, in tono mesto. “Dopo l’ultimo attacco, nel palazzo… mi è stato detto che i piani erano cambiati. Di prendere il diario e di tenerlo in custodia, in attesa di nuovi ordini. Non so come ho fatto a trattenermi dall’aprirlo. Solo il fatto che la mia mente era già controllata me lo ha impedito, credo.”

“Ti hanno detto loro… di condurci presso la comunità dei draghi?”

Amelia scosse la testa. “Immaginavano che sareste giunti lì da soli, una volta che Bastian e il diario fossero spariti.”

“Hanno attaccato Dorak senza dargli nemmeno il tempo di imbracciare nuovamente la spada.” Bastian scosse la testa. “Quel drago gli ha squarciato lo stomaco con un artiglio, e ha afferrato me, senza lasciarmi contrattaccare.” Si rivolse a Lina. “Ho… anche perso la tua spada, laggiù. Mi spiace.” Il suo sguardo si fece stranamente intenso, a quelle parole. Non si stava scusando solo della spada. Si stava scusando di essersi fatto catturare e di non aver compiuto il suo dovere restandoci accanto. Provai un moto di fastidio. Avrei voluto ricordargli che era mio compito e non suo, restare a fianco di Lina. Ma non potevo. Perché nel giro di poche settimane, con ogni probabilità, avrei abbandonato Lina per sempre, a causa dei miei stupidi errori. Ero io ad aver fallito, e mi ero privato di ogni diritto di recriminare.

“Non… ha importanza. Era una spada da poco.” Lina spostò lo sguardo dal cavaliere a me, stringendo le labbra. L’imbarazzo nell’aria si fece palpabile.

“Comunque…” Proseguì Bastian, evitando lo sguardo di entrambi. “… non capisco per cosa avessero bisogno di me… per attirarvi qui? E perché il drago ha colpito Dorak? Non avrebbe potuto fermarli, in ogni caso. E i membri della comunità dei draghi non ucciderebbero un essere umano senza averne motivo.”

Sybil aveva compiuto la stessa considerazione, solo qualche minuto prima. Cercai con lo sguardo la profetessa, che fino a quel momento era rimasta talmente immobile da confondersi con la parete di roccia. I suoi occhi erano fissi sulla schiena del cavaliere, i suoi palmi premuti contro la parete della montagna, e le sue dita sembravano voler perforare la roccia.  

“Volevano impedire che parlasse, e rivelasse di me agli altri.” Fu Amelia a rispondere, con lo stesso tono quietamente rassegnato di poco prima. Abbassò lo sguardo, con l’evidente desiderio di sparire ai nostri occhi. “E in ogni caso… non sono stati loro a ucciderlo.” Chiuse gli occhi. “Sono stata io.”

Fu un bene che Amelia non stesse osservando la nostra reazione. Sia Lina che io la fissammo come avremmo osservato un cane a tre teste.

“Ma… ma scusa…” Obiettò mia moglie. “Non ci siamo mai allontanati da te, e lo abbiamo trovato che era già in fin di vita…”

Amelia scosse la testa. “Stava morendo, chiaramente.” Mormorò. “Ma forse un Resurrection avrebbe potuto salvarlo.” Strinse i pugni, forse per fermare il tremito delle sue mani. “Quando ha iniziato a parlare, sapevo che mi avrebbe accusato e avrebbe svelato ogni cosa… non so più nemmeno se sia stato un ordine, o se io stessi cominciando a perdere il controllo della mia volontà anche nei momenti in cui non ricevevo un comando diretto… ma la formula che ho recitato… non era un Recovery, era un Mono Volt. Anche se la ho pronunciata a bassa voce ho pensato che te ne saresti accorta di certo… quell’uomo gridava di dolore ogni volta che attivavo l’incantesimo, e stava cercando evidentemente di dirvi di non fidarvi di me… e invece eri troppo distratta, da chissà cosa, per rendertene conto.” Si coprì gli occhi con la mano. “Forse ho solo accelerato la sua morte, ma… non posso credere di aver inflitto tanta sofferenza a un moribondo.”

Il volto di Lina si distorse per il senso di colpa. “Non è stata colpa tua.” Mormorò, stringendole il braccio con la mano. “Non eri in te, Amelia.” Esitò. “Ma hai ragione, nel dire che avremmo dovuto capire. Non solo quello, ogni cosa. Sono stata… davvero cieca.”

La principessa scosse il capo. “No… no. Avevate molti pensieri per la testa. Non è giusto che io ti accusi.” Sospirò, e abbassò la mano, per guardarci in volto. “Ma voglio sapere cosa sta succedendo. Tutto ciò che avrei voglia di fare ora come ora sarebbe tornare a casa da mio padre, veramente… ma non sarò in pace con la mia coscienza se non capirò prima cosa c’è dietro a tutta questa storia… se non saprò per cosa sono stata usata.” 

Lina ed io ci scambiammo uno sguardo. Eravamo tornati al punto da cui quella conversazione era partita… ciò che la comunità dei draghi ci aveva chiesto di fare. Si trattava di un argomento che non avremmo potuto eludere a lungo, in ogni caso. Ma mi sembrava quasi che tornare a parlarne significasse renderlo più reale.

“E’… una lunga storia, in effetti.” Riprese mia moglie. Torse le mani, nervosamente, come incerta su come proseguire. Fu allora che il suo mantello si scostò lievemente, e qualcosa catturò il mio sguardo.

Le strinsi lievemente il braccio, per attirare la sua attenzione. “Lina.” Indicai il suo mantello. “Credo… di aver visto qualcosa che brillava, in una delle tue tasche.” 

Lina batté le palpebre, e seguì il mio sguardo. “E’ la pietra che uso per tenermi in contatto con Sylphiel.” La estrasse, alla luce delle fiamme. “Accidenti, mi sono scordata di tenerla controllata, da quando siamo arrivati al villaggio oggi pomeriggio. Chissà da quanto sta cercando di contattarmi.”

Mi augurai che non fosse accaduto nulla di grave. Osservai Lina, mentre pronunciava frettolosamente le parole dell’incantesimo, evocando dal nulla la figura pallida Della sacerdotessa.

“Lina- san!” Esclamò, senza lasciarci il tempo di parlare. “Grazie al cielo! Sono ore che tento di mettervi in contatto con voi, stavo morendo di preoccupazione!”

“Scusaci, Sylphiel, siamo stati coinvolti in un sacco di guai.” Mia moglie la squadrò, cercando nel suo sguardo qualche segnale di quanto stesse per dirci. “Tu stai bene? E’ successo qualcosa a Talit?”

“Io sto bene, e qui è tutto tranquillo. Siete voi il problema.” Strinse i pugni. “Dove vi trovate, in questo momento?”

Lina ed io ci scambiammo un’occhiata, senza capire. “Siamo… nelle steppe vicino a Talit. Perché?”

“E’ come pensavo.” Sylphiel impallidì, se possibile, ulteriormente. “Ascoltatemi, oggi pomeriggio un nuovo contingente è partito da Talit. Non sono riuscita a strappare grandi informazioni a Derek… ma lo ho sentito parlare di una missione punitiva, e gli ho sentito dire che i soldati erano diretti proprio alle steppe!” Scosse la testa. “Me lo sentivo! Me lo sentivo che eravate voi, l’obiettivo!”

“Aspetta un momento, Sylphiel. Hai detto un contingente? Un intero contingente solo per noi?”

Sylphiel annuì, fissando me e Gourry con ansia. “Dovete andarvene di lì. Nascondervi sulle montagne, o cercare di raggiungere Sailune. Non pensate a me. Finché i Gabriev mi accorderanno la loro protezione io sarò al sicuro, qui.”

Lina scosse la testa. “Anche se avessi la certezza che Talit sia un luogo sicuro per te non potremmo muoverci comunque. Abbiamo ancora degli affari da sbrigare a Talit.” Esitò. “Ma ora che lo sappiamo, staremo attenti. Dovrai tenere le orecchie aperte e informarci di ogni cosa, Sylphiel.”

“Ma Lina- san…”

“Vai, prima che ti scoprano. Non è prudente parlare a lungo, né per te né per noi. Non possiamo permetterci di perdere il tuo appoggio alla corte.”

Sylphiel esitò, ma alla fine emise un sospiro sconfitto. “Se non volete convincervi… immagino di non poter fare altro.” Abbassò lo sguardo. “Ma fatemi almeno avere vostre notizie regolarmente. Vi prego.”

Lina annuì, con un sorriso debole, che sapeva di falso. Osservammo la figura di Sylphiel svanire, e l’istante successivo ogni traccia di distensione scomparve  dal suo volto. “Ci mancava questo, a complicare le cose…” Commentò, a mezza voce.

Io aggrottai la fronte. “Ma scusa, Lina… come fanno a sapere dove ci troviamo? Nemmeno Derek ne è al corrente.”

Mia moglie mi squadrò, battendo le palpebre. “Stranamente… hai ragione.” Si limitò a replicare, con stupore che avrei potuto giudicare offensivo.

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che non accade molto spesso che tu abbia ragione.”

“Intendo cosa vuoi dire dicendo che ho ragione!”

“Che hai detto una cosa ragionevole, e cosa sennò?”

“Sì, ma su cosa ho ragione nella cosa ragionevole che ho detto?”

Amelia sospirò. “Lina- san.” Ammonì. “Non è il momento più adatto per le conversazioni assurde.”

Lina le rivolse un’occhiata esasperata. “Intendo dire che non è detto che la spedizione punitiva sia diretta verso di noi!”

Lanciò un’occhiata a Bastian, che ci fissava dalla sua posizione al suolo, con l’aria di essere vagamente sconcertato dal nostro scambio di battute. E quindi spostò lo sguardo su Sybil, premuta contro la parete alle sue spalle e ancora immobile.

“Ma cosa potrebbero cercare in mezzo al deserto, se non noi?”

Lina tornò a fissarmi. “Pensaci. Rolan, una città apparentemente inespugnabile, viene data alle fiamme e presa in una sola notte. E subito dopo, i draghi che gli Enu avevano affidato a Erianna spariscono da Talit. A quali conclusioni saresti giunto tu, se ti fossi trovato al posto di Georg?”

Prima che potessi rispondere, un gemito sorse dalle spalle di Bastian. Ci volgemmo tutti, per individuarne la fonte: Sybil, che si era levata in piedi, l’espressione improvvisamente sgomenta. Bastian rimase tanto sorpreso nel rendersi conto della sua presenza che strisciò indietro, incespicando nel mantello e rischiando di finire al suolo.

“Sy… Sybil?”

Ma la profetessa lo ignorò. “Stai dicendo che hanno intenzione di attaccare il villaggio, Lina Inverse?”

Mia moglie annuì, cupa. “Temo che abbiano intuito il vostro tradimento. E di certo sono convinti che la comunità dei draghi rimanga vostra alleata, perciò devono avere inviato un grosso contingente, contro di voi.”

Bastian, udendo quella frase, parve riprendersi dal suo sbigottimento. “Quelle truppe sono dirette al villaggio?” Sibilò, la voce colma di allarme. “Se sono partiti questo pomeriggio… saranno lì al più tardi dopodomani!” Si volse verso la sacerdotessa, il volto terreo. “Sybil… laggiù ci sono…”

“Lo so!” Ringhiò la profetessa, senza guardarlo in volto. Si torse le mani in grembo, in preda a una angoscia evidente.

“Devi tornare e dire immediatamente al governatore di evacuare i villaggi.” Bastian si levò in piedi e la avvicinò, afferrandola per le spalle. “Mi hai sentito? Dovete prendere i cavalli, raggiungere le montagne e disperdervi laggiù. Nel vostro territorio non vi troveranno e…”

Sybil cercò inutilmente di liberarsi dalla sua presa, fissandolo con frustrazione. “Il governatore non accetterà mai di fuggire. Non lo capisci? Dirgli dell’attacco imminente servirà solo a solleticare il suo orgoglio. Condurrà tutta la sua gente al massacro, piuttosto che accettare di subire l’ennesimo smacco da Talit.”

“Farà almeno allontanare chi non è in grado di combattere.”

“Se deciderà di fermarsi non sprecherà cavalli per la fuga! Che fine farebbero un mucchio di donne e bambini disarmati e appiedati, soli in mezzo alle steppe e con i nemici alle calcagna?”

“Se tu gli dicessi che hai predetto la sconfitta…”

“Non mi darebbe retta!” Sybil gli sputò contro, con manifesta rabbia. “Io sono solo una marionetta Bastian! Le mie parole sono manipolate secondo la convenienza del momento! E tu questo lo sai meglio di chiunque altro!”

L’espressione di Bastian si contorse in una smorfia. Lentamente, lasciò andare la profetessa e indietreggiò di un passo, fissandola febbrilmente in volto. “E allora verrò con te, e vi aiuterò a combattere.”

Sybil scoppiò in una risata sprezzante. “E saresti utile alla sorte della mia gente, morendo in prima linea sotto i colpi di un contingente di tuoi alleati? Faresti davvero una gran bella differenza, cavaliere di Talit!”

Bastian sussultò lievemente, a quell’appellativo. “Che altro potrei fare?” Chiese in un sibilo, la voce quasi supplichevole.

Lina si agitò al mio fianco. “Sentite…” Cercò di intromettersi. Ma la voce di Amelia la sovrastò, decisa.

“Verrò io con te.”

Sia Lina che io ci volgemmo verso di lei, stupiti. La principessa si era alzata in piedi, e stava fissando Sybil, risoluta. “Verrò io con te…” Ripeté. “… e prometterò al vostro governatore l’appoggio di Sailune per far valere i vostri diritti, in cambio della sua decisione di ritirarsi in questa occasione.”

Il silenzio permeò per qualche istante l’aria. “Parli… sul serio?” Osò poi domandare Sybil, fissando la principessa come una divinità appena scesa dal cielo per aiutarla.

Amelia serrò le labbra, annuì. “Ho sentito parlare della situazione di voi Enu, e ritrovo ingiuste le condizioni di vita a cui siete costretti. Dato che mio padre è stato coinvolto in questa guerra, avrà quanto meno l’occasione di intercedere per voi, una volta risolto il conflitto.”

“A… Amelia.” Mia moglie scosse la testa, incredula. “Ma…”

“E’ mio dovere come principessa di Sailune intervenire per evitare uno spargimento di sangue inutile, Lina-san.” La interruppe la principessa, senza ascoltare la sua obiezione. “In più… se almeno una cosa positiva uscirà da tutta questa faccenda credo che potrò ritenermi fortunata.”

Le rivolsi uno sguardo preoccupato. “Sarà pericoloso.”

“E’ il genere di situazione pericolosa che spetta a me affrontare.” Amelia sorrise a entrambi. “Non preoccupatevi per me. Non sarà tanto peggio che scontrarsi con un signore dei demoni, immagino.”

Lina esitò. Quindi sospirò, debolmente. “Sarei comunque più tranquilla se potessimo venire con te.”

“Ma qualcosa vi trattiene qui… non è così?” Amelia spostò lo sguardo da Lina a me, e annuì debolmente. “Io ho il mio compito e voi il vostro.” Mormorò. “Ci rivedremo a Sailune, quando sarà tutto finito.” Lina tacque. La principessa si accostò a Sybil, che la stava ancora squadrando con aria diffidente. “Credi che il governatore sarà disposto a offrirmi un paio di uomini per accompagnarmi fino al limitare delle steppe, dopo che avrò conferito con lui?” Le chiese. “Se mi permetterete di usare uno dei vostri falchi per inviare un messaggio a mio padre, gli chiederò di mandare qualcuno dalla capitale a prendermi per scortarmi a casa. Se mio padre approverà il mio piano, come penso farà, potrà essere anche l’occasione per un primo incontro fra i vostri messi e gli uomini di Sailune.”

Sybil aggrottò la fronte. “Se davvero intendi offrire ciò che prometti, credo che il governatore non si opporrà. E in ogni caso…” Strinse le labbra. “… avrai il mio cavallo per fuggire, se non riuscirai a convincerlo.”

Amelia sorrise e annuì. “Siamo d’accordo, allora.”

“Verrò anche io con voi.” Intervenne Bastian. “E’ mio dovere…”

“E’ tuo dovere non intrometterti.” Ringhiò Sybil, concludendo la frase per lui. “Se c’è una persona che non deve farsi vedere al mio villaggio, quella sei tu. Manderesti il governatore e i sacerdoti su tutte le furie, e non ascolterebbero più ragioni. Saresti solo un ostacolo, ormai.” La sua replica suonò secca, e amara. Non ebbi l’impressione di trovarmi di fronte alla stessa persona che solo mezz’ora prima avevo visto accarezzare in silenzio i capelli del cavaliere.

“Sybil, sono anche miei…”

“Non sono né miei né tuoi.” Sybil non lo fece terminare.“Avrebbero potuto esserlo…” Parve voler aggiungere qualcosa, ma si bloccò, scuotendo la testa. “Non ha più importanza, ora.” Lo fissò, dritto negli occhi, e l’amarezza lasciò di nuovo posto alla rabbia. “Non voglio che tu mi segua. E, in fondo, nemmeno tu lo vuoi.”

A quelle parole, i lineamenti di Bastian si gelarono in una maschera di colpa. Non replicò. Abbassò lentamente lo sguardo e abbandonò le braccia lungo i fianchi, mentre i suoi pugni, prima stretti, si rilasciavano.

Non poté notare la smorfia sul volto di Sybil, mentre gli voltava le spalle, e nemmeno il tremore delle sue mani. La voce della profetessa rimase ferma, mentre richiamava l’attenzione di Amelia. “Principessa… se siete d’accordo, possiamo partire immediatamente.”

Amelia aveva osservato la scena con fare interrogativo, ma, per delicatezza, si limitò ad annuire, mascherando la propria perplessità. Anche io ero confuso, non sapendo esattamente cosa fosse accaduto fra loro. Ma quella scena dal sapore di un addio mi lasciò comunque l’amaro in bocca. Forse, perché mi appariva come un presagio oscuro.

“Allora… state attenti.” Amelia si volse verso Lina e me, per rivolgerci un cenno di saluto.

Io aggrottai la fronte. “Non avevi detto di voler sapere il motivo per cui sei stata coinvolta in questa faccenda, prima di tornare a casa?”

La principessa esitò per un istante. “Ho cambiato idea.” Disse, e mi rivolse un breve sorriso. “Mi racconterete tutto una volta che sarete tornati. E sarò davvero curiosa di sapere.” Indirizzò lo sguardo a Lina. “Perciò, qualunque cosa vi attenda, rimanete vivi.”

Lina ed io ci scambiammo uno sguardo. Mia moglie riuscì a produrre un sorriso, e annuì. “Stai attenta anche tu.”

La osservammo allontanarsi al fianco della sacerdotessa. Riuscii a individuare le loro ombre per qualche istante, anche quando furono uscite dal cerchio di luce del fuoco, ma in breve a circondarci rimase solo l’oscurità. Il silenzio si fece tanto denso che trasalii quando la voce di Lina risuonò al mio fianco.

“Ti ha mentito. Lo sai, vero?”

Quella frase suonò spettrale. Mi chiesi per un istante a cosa mia moglie si stesse riferendo, ma poi mi resi conto che non si stava rivolgendo a me. Stava parlando a Bastian.

Il cavaliere non si volse a guardarla in viso. “Non so a cosa ti riferisci.”

“Ti avrebbe voluto con sé.” Dichiarò Lina, con fare nervoso. “Ti avrebbe voluto, eccome. E’ per te che è giunta fin qui. I draghi la hanno attirata qui perché avevano bisogno della sua capacità profetica, con la minaccia di ucciderti.”

Mi chiesi cosa Lina avesse in mente. Voleva che Bastian seguisse Sybil, nonostante il suo rifiuto? Sperava che si rendesse conto di essere stato cieco, e che la rincorresse implorando il suo perdono? O si sentiva solo in dovere di dirgli la verità?  

Il cavaliere non rispose. Ci volse le spalle, e si diresse verso il fuoco, le cui fiamme si stavano lentamente consumando. “Hanno abbandonato della legna.” Dichiarò, in tono piatto. “Devo attizzarlo? Ci fermiamo qui per la notte?”

Un fremito attraversò mia moglie. “Bastian…”

“Non mentiva.” Dichiarò il cavaliere, freddamente.

“Hai sentito quello che ti ho detto?”

“Ho sentito. E ho capito cosa intendi.” Fece un sospiro, e le sue spalle si abbassarono.  “Ma ciò non toglie che non mentiva. A prescindere dalla reazione del governatore… non mi accetterebbe con sé, ormai. Sybil non accetterebbe mai qualcuno che rimane con lei per dovere, e nemmeno per semplice affetto.” Non potevo vederlo in volto. Ma quella dichiarazione suonò tanto sconfitta da riuscire a sciogliere parzialmente la mia ostilità nei suoi confronti.

Lina, al mio fianco, parve esitare. Io agii senza pensare, e le afferrai la mano. “Per stanotte fermiamoci qui.” Proposi. Avanzai verso il fuoco, trascinando Lina con me, e mi piegai per raccogliere la legna. Mia moglie mi fissò con aria interrogativa per un istante, ma poi parve comprendere le mie intenzioni, e abbassò lo sguardo. “Prepariamo… della carne e un po’ di uova per cena, d’accordo?” Propose, a mezza voce. Bastian mi parve estremamente grato del mutamento di argomento.

“Dunque… quale sarà la vostra prossima meta?” Domandò, dopo qualche minuto di silenzio, con fare forzatamente pratico. “Non ho capito esattamente cosa i draghi volessero da Sybil e da voi …” Aggiunse, osservandoci con la coda dell’occhio.

Cercai lo sguardo di Lina, ma mia moglie mi parve troppo stanca persino per pensare a come rispondere. “Ne parliamo domattina.” La anticipai, frettolosamente. “Per ora pensiamo a riposare. Monto io la guardia per primo, d’accordo?”

Lina mi rivolse un breve sorriso di ringraziamento, a cui risposi, sinceramente. Mi piaceva, il sorriso di Lina. Avrei voluto essere solo con lei, in quel momento, per godere davvero di esso. Sotto ad un simile cielo stellato, in qualsiasi altra parte del mondo, perso in qualcuno dei nostri assurdi viaggi. Pensai a mio padre, alle ambizioni che avrei dovuto avere per renderlo fiero di me. Nessuna di esse mi parve importante. Non volevo terre o un palazzo nei territori di Elmekia, non volevo servitori, non volevo gloria militare. Tutto ciò che desideravo era guadagnarmi da vivere con la mia spada, e restare al fianco della mia vera e unica famiglia. Lina. Da quando la avevo conosciuta, non desideravo nulla di diverso da ciò che già avevo. E ora… davvero quella vita che avevo sempre sognato stava per scivolarmi via dalle mani?

Feci del mio meglio per non pensarci. Ci dividemmo il cibo e mangiammo in silenzio, Lina ed io fianco a fianco vicino al fuoco, e Bastian seduto lievemente in disparte, vicino al suo falco. Il cavaliere consumò solo qualche boccone, e poi si concentrò sulla bestia, accarezzandola e facendola abbeverare prima di rilasciarla nella notte per la caccia.

“Posso fare il secondo turno, se volete.” Si offrì poi, in tono stanco. Non attese risposta. Si avvolse nel mantello, e si rannicchiò contro la parete di roccia, al riparo dall’aria fredda che soffiava dalla pianura. Per qualche motivo, mi diede la stessa impressione che avevo ricevuto da Sybil: sembrava che avrebbe accettato volentieri di fondersi con la roccia contro cui si premeva.

Rimasi a fissarlo, come ipnotizzato. Solo dopo diversi minuti mi riscossi, e volsi lo sguardo verso Lina, che lo stava fissando allo stesso modo, pensierosa. Le avvolsi le spalle col braccio, rivolgendole un debole sorriso. “Puoi dormire anche tu, se vuoi.” Tentai di suggerire.

Lina si volse e mi guardò negli occhi. Il sorriso mi morì sulle labbra. Il suo sguardo faceva apparire inappropriata ogni mia espressione di serenità.

Lina notò il mio mutamento di espressione, e scosse lievemente la testa. “Dei, come sto diventando musona. I miei fan saranno delusi, è così fuori dal personaggio.”

Levai un sopracciglio. Lina forzò un sorrisetto, e fece scorrere le braccia attorno alla mia vita. Con un sospiro, la abbracciai di rimando. Ci stringemmo l’uno contro l’altro, in silenzio, per alcuni lunghi minuti. Mi pareva di udire i suoi pensieri, al di sopra del ronzio del vento, mentre cercava freneticamente una soluzione.

“Che cosa pensi di fare, ora?” Osai sussurrare, alla fine.

Lina esitò, prima di rispondere. Mi catturò la mano e la premette contro la sua guancia, baciandone lievemente il palmo. “Torneremo a Talit.” Replicò quindi, velocemente, come sperando che quella risposta passasse inosservata.

“Lina.”

Mia moglie giocherellò distrattamente con il collo della mia tunica. “Sì?”

La allontanai lievemente, in modo da guardarla in volto. “Non avrai intenzione di acconsentire alla richiesta dei draghi, vero?”

L’espressione che mi restituì apparve afflitta. La sua voce suonò forzatamente noncurante, quando mi rispose. “Non dico… di acconsentire. Dico solo di andare lì, trovarla, e provare a parlare con lei. Magari potremmo convincerla a seguirci qui… Forse, se riuscissimo a persuadere quel Mardoc che non è pericolosa, accetterebbe di curarti comunque.”

Le mie labbra si strinsero. “Lina…” Mormorai, scuotendo la testa. “… lo credi davvero? O stai solo cercando di convincerti che ci sia una soluzione?”

Lina mi allontanò, con rabbia. “Di certo c’è una soluzione!” Sibilò. “E io la troverò! Non mi dirai che hai intenzione di arrenderti?”

Le presi il volto fra le mani. “Lina… voglio solo che tu non compia azioni di cui a posteriori ti pentiresti.”

“Come lasciarti morire, ad esempio?”

Ci fissammo. Lina per un momento mi squadrò fiera, come sempre, ma a poco a poco osservai la rabbia scemare dal suo viso, lasciando posto a una frustrazione che confinava pericolosamente con la disperazione. Mi si strinse lo stomaco. Avrei preferito vederla sprizzare fiamme, come al solito.

Mi chinai su di lei, e premetti le labbra contro la sua tempia. “Non… potremmo provare ad andare da Milgazia, e chiedere a lui di guarirmi?” Sussurrai, al suo orecchio.

Ma Lina scosse la testa. “Anche ammesso che si trovi ai monti Kataart in questo momento, e anche ammesso che gli altri draghi non cerchino di ostacolarci, in due settimane non riusciremmo comunque ad arrivare laggiù.” Sentii le sue braccia scorrere attorno alla mia vita, e stringere convulsamente. “Capisci… perché non posso escludere di cedere al loro ricatto?”

“Ma io… non posso accettare una cosa del genere.”

Lina emise un sospiro stanco. “Per Livia?”

“Per te!” La scossi lievemente, cercando il suo sguardo. “Lina… Tu ricordi cosa mi dicesti una volta, dopo la lotta con Fibrizo? Mi dicesti che non volevi che i tuoi lati oscuri, le tue ombre, prendessero il sopravvento su di te. Se io lasciassi che tu facessi una cosa del genere…” Scossi la testa. “Non potrei perdonarmi il fatto di vivere a spese di una ragazzina… ma a maggior ragione non potrei perdonarmi il fatto di vivere a spese della tua coscienza!”

“Ma è proprio questo il punto!” Fino ad allora la discussione era stata una sommessa pioggia di sussurri, ma ora Lina alzò lievemente il tono di voce. Il vento risalì le pareti del picco, portando in alto le sue parole, e Bastian mugugnò qualcosa nel sonno, in risposta.

“Che… vuoi dire…?”

Lina strinse le labbra. “Voglio dire… che sei tu ciò che impedisce a quei lati oscuri di emergere, Gourry. Sei tu la mia ancora.” La sua voce si spezzò, in un rotto mormorio. “Gourry, se tu dovessi morire… non sono certa che non impazzirei. Che non diventerei davvero quel nucleo di potere incontrollato che Mardoc e i suoi draghi temono di vedersi scatenare.”

La fissai, stordito da quelle parole. “M… ma…”

Lina studiò la mia confusione. Inspiegabilmente, incredibilmente, le sue labbra si inarcarono in un mezzo sorriso. “Non capisci.” L’esasperazione che normalmente accompagnava quelle parole aveva lasciato il posto, nel suo sguardo, a un affetto tanto caldo da darmi l’impressione di liquefarmi al suo interno. “E… non puoi capirlo, Gourry. Sei una persona troppo limpida. E io ti amo per questo.”

“Lina…”

Le sue dita raggiunsero le mie labbra, per chiedermi di tacere. La sua voce si abbassò al punto da somigliare a un sibilo. “Ascoltami… un momento, per favore.” Lasciò scivolare le dita sulla mia guancia. “Io… avevo fiducia in me stessa, nella mia capacità di controllo, prima di affrontare Fibrizo. Ma dopo quella faccenda…” Il suo corpo tremò, lievemente, contro il mio. “Subito dopo, ogni volta che pensavo a ciò che avevo rischiato, a ciò a cui mi avevano spinto le mie ricerche… mi chiedevo cos’ero diventata, o cosa rischiavo di diventare, per la mia sciocca, morbosa volontà di potere.” Levò lo sguardo su di me. “Ma c’eri tu… c’eri tu a ricordarmi che io ero Lina, e il mio posto era accanto a te, e che non avrei perso me stessa. Perché tu non lo avresti permesso.” Abbassò lo sguardo. “Confesso che non ci ho più pensato. Avevo ripreso a fidarmi di me stessa, grazie a te, ma… ora, al pensiero che tu possa sparire, mi sento soffocare. Sento che tutto ciò che amo di me morirebbe con te, abbandonando a se stessa quella parte del mio spirito che per nessun motivo vorrei lasciare incontrollata. I miei stessi timori… mi hanno tradita, Gourry.” Levò lo sguardo, sulla schiena del cavaliere addormentato. “Io e Bastian… ci somigliamo, davvero. Tu non puoi capire quanto. Entrambi lottiamo costantemente con gli aspetti della nostra coscienza che più ci spaventano. Lui rifiuta la sua ambizione, perché gli è costata troppo cara in passato, e si aggrappa ferocemente ai suoi ideali, alla missione che deve compiere, all’amore che prova per me, per non affondare.” Sussultai, lievemente. Era la prima volta che ammetteva in maniera tanto esplicita i sentimenti del cavaliere nei suoi confronti. “Mentre io…” Tornò a fissarmi. “… io ho te.” Chiuse gli occhi, e appoggiò la fronte al mio petto. “Capisci perché sono disposta a tutto… a uccidere, a morire io stessa… pur di salvarti la vita?”

Non sapevo cosa rispondere. Era vero che non comprendevo completamente… Ma provai semplicemente a chiedermi cosa avrei pensato, cosa avrei provato, come avrei agito se mi fossi trovato al suo posto… se la vita in pericolo fosse stata la sua, e una alternativa per salvarla, per quanto orribile, fosse stata posta sul piatto delle offerte di fronte a me. La mia mente si rifiutò testardamente di rivelarmi la risposta a quella domanda. E improvvisamente, mi trovai preso in trappola. Nella trappola di un dilemma senza soluzione.

“Troveremo un modo.” Mormorai. La strinsi a me, con forza, e affondai il volto nei suoi capelli. “Io… ti prometto che non mi arrenderò, ma…” Mi allontanai, e la strinsi per le spalle. “Lina, ti prego. Promettimi che… non farai nulla che ti ponga deliberatamente in pericolo, solo per salvarmi. Promettimi che discuteremo ogni decisione insieme, prima di agire.” Avvicinai il suo volto al mio, tanto da sentire il suo fiato sulle mie labbra. “Per favore.” Insistei, senza darle il tempo di ribattere. “Pensa a ciò che mi chiederesti, se ti trovassi al mio posto.”

Lina mi parve esitare. Ma alla fine, di fronte al mio sguardo supplichevole, cedette, abbassando gli occhi. “Va bene.” Mormorò. “Te lo prometto.”

Non riuscii a sentirmi completamente sollevato. Il pensiero della maledizione, di Livia, della scelta che ci attendeva, continuavano a pesare sul mio petto. Ma non aggiunsi altro. Per quella notte, ogni possibilità di discussione pareva esaurita.

Lina non si scostò da me, e io non la esortai a farlo per prepararsi un giaciglio. La strinsi fra le braccia, fino a che non la sentii scivolare in un sonno inquieto.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


Non ci credete, eh? Beh, non ci credo quasi nemmeno io. XD Perciò GRAZIE a tutti quelli che mi hanno spronata ad andare avanti con questa storia nonostante l’epico calo di ispirazione (che tutt’ora non mi spiego. XD) e grazie a quelli che ancora hanno la pazienza di leggere dopo tutto il tempo che è passato dall’ultimo aggiornamento. ^^’ Il prossimo capitolo se tutto va bene sarà l’ultimo, e spero non debbano trascorrere altrettanti mesi nel frattempo. XD
Detto ciò, buona lettura. ^^
 


“Non reagite e non vi accadrà nulla.”
Il guerriero dalla lucida fronte pelata si fece avanti, brandendo la spada. I suoi compagni, lentamente, ci strinsero sui fianchi.
Eravamo circondati.
Sì, sì, lo so. Non è una grande novità.
“Lina…”
A sussurrare il mio nome, in tono implorante, fu Gourry. Doveva aver colto il rapido corrugarsi della mia fronte, un’espressione che non prometteva nulla di buono per i nostri aggressori.
Quelli attorno a noi mi apparivano come comuni cacciatori di taglie, o mercenari. Uomini che dovevano avere visto i nostri cartelli segnaletici in qualche città e avere, molto semplicemente, dato per scontato che fossimo dei criminali. Gourry sicuramente era giunto alla mia stessa conclusione su di loro, e capivo perché cercasse di frenarmi dal prenderli a Palle di Fuoco: non si poteva esattamente dire che avessero delle colpe, nell’aggredirci.
In quel momento, però, ero troppo frustrata per essere anche saggia.
Strinsi i pugni ai fianchi e feci un passo avanti, l’aria risoluta. “Se non reagissi, non vi accadrebbe nulla.” Replicai, in tono sfrontato. “Immagino che questo potrebbe essere considerato comunque un buon motivo per… oh, no, aspetta. Non lo è.”
Avevamo viaggiato per giorni senza quasi fermarci, e quella sera, al tramonto, eravamo giunti in vista del gelido panorama della vecchia Talit. Puntavamo sul fatto che Livia potesse trovarsi ancora laggiù nascosta da qualche parte, ma non ne avevamo la certezza, e l’ansia di scoprirlo, unita all’incertezza su cosa avrei fatto una volta che avessi avuto quella risposta, mi attanagliava lo stomaco. Il mio autocontrollo, in quel momento, era decisamente labile.
Un rivolo di sudore scese lungo la fronte già madida del mio interlocutore. A dispetto delle sue parole, non sembrava particolarmente sicuro di se stesso. Continuava a lanciare occhiate ai suoi uomini, con l’aria di non essere poi così convinto che il loro numero fosse sufficiente a disporre di noi. Sorrisi fra me, di fronte a quell’atteggiamento incerto. Il fatto che sembrasse conoscere la mia fama e temerla poteva quasi rendermi bendisposta nei suoi confronti.
Quasi.
“Perciò ho un piccolo suggerimento per voi.” Proseguii, senza mutare di tono. “Una persona saggia a questo punto ricorrerebbe a un modo per evitare la mia reazione… scappare con la coda fra le gambe, ad esempio. E considerando che mi avete già provocata, un buon momento per iniziare a farlo sarebbe ora.”
Anche Bastian continuava a lanciarmi occhiate nervose. Aveva portato mano alla spada, ma in effetti sembrava più preoccupato per le mie reazioni che per la nostra sicurezza.
Non c’è che dire, aveva imparato a conoscermi.
“D… dico sul serio.” Replicò l’uomo di fronte a me. “Non abbiamo l’ordine di aggredirvi. Siamo qui solo per riferirvi un messaggio.”
“Come no. Davvero, la prima conclusione a cui si giunge quando si viene circondati da dei tizi con le armi in pugno è che vogliano fare quattro amichevoli chiacchiere.”
Il pelato deglutì. Lentamente, con riluttanza, abbassò la spada. Rivolse un cenno ai suoi uomini e quelli lo imitarono. Diversi di loro indietreggiarono di qualche passo, prima di trovare il coraggio di farlo.
“Era… una misura precauzionale. La nostra Signora ci ha detto che eravate una donna pericolosa… che non ci conveniva abbassare la guardia finché non vi avessimo convinta delle nostre buone intenzioni.”
I miei occhi si strinsero. “La vostra Signora?”
“S… sì. La consorte reale, Erianna Darland.”
Mi ero quasi calmata, ma un nuovo moto di rabbia mi attraversò, a quelle parole. Chi credeva di prendere in giro???
“A… aspettate!” Mi implorò l’uomo, notando il mio mutamento di espressione. “Dovete credermi! Che ragione avrei di inventare una storia del genere?” Rinfoderò la spada, velocemente, e al suo posto estrasse un sigillo. Me lo mostrò, da lontano. Recava lo stemma della famiglia reale di Elmekia.
La mia fronte si aggrottò. “Non capisco.” Dichiarai, in tutta sincerità.
“Sono il comandante della guardia personale della Lady. Non porto insegne perché la mia Signora ci ha chiesto di muoverci in incognito. Come vi ho detto, dobbiamo riferirvi un messaggio.”
Mi morsi le labbra, ancora diffidente. “Non ha senso.” Replicai. “La vostra Signora mi crede responsabile della morte di suo figlio. L’unica cosa che desidera da me è la mia esecuzione, perché dovrebbe cercare di contattarmi?”
“E’ proprio questo il punto. La mia Signora dice che ha avuto le prove della vostra innocenza. Mi ha chiesto di riferirvi che, se accetterete di fare qualcosa per lei, si opererà per fare cadere ogni accusa nei vostri confronti.”
Scambiai un’occhiata con i miei compagni di viaggio. Apparivano increduli, tanto quanto me.
“Come e quando ha scoperto che io non c’entravo con l’uccisione dell’erede al trono?” Domandai, in tono interdetto. “E che cosa vuole da noi, esattamente?”
Il pelato scosse la testa. “Non mi sono stati riferiti i dettagli. Se accetterete di ascoltare ciò che la Lady ha da dirvi, vi condurremo da lei. Vi attende poco più avanti, lungo questo stesso sentiero, al riparo della foresta.”
A quelle parole, la mia fronte si corrugò nuovamente. L’ennesima conferma delle abilità strategiche e della prudenza di Erianna: aveva ben pensato di mandare avanti i suoi ambasciatori, invece che presentarsi di persona, nel caso avessi scelto di far saltare tutti in aria senza ascoltare ragioni. Avevo a che fare con una donna tutt’altro che stupida, avrei fatto bene a tenerlo presente.
Riflettei per qualche secondo sul da farsi. Non avevo intenzione di farmi deviare dalla ricerca di Livia. Anche se avessi dovuto rimanere braccata dai cacciatori di taglie a vita, dati i nostri tempi ristretti non avrei accettato di perseguire alcuna altra missione, in quel momento. D’altra parte, ormai la mia curiosità era stata risvegliata. E cercare di capire cosa ci fosse sotto, prima di rifiutare, non solo non mi costava nulla, ma avrebbe potuto persino venire a nostro vantaggio.
 “Inverse.” Sussurrò Bastian, alle mie spalle, in tono nervoso. “Non mi fido di loro.”
Levai un sopracciglio. “Ovviamente nemmeno io.” Cercai Gourry con lo sguardo e incontrai la sua espressione distesa, ma vagamente rassegnata. Dovetti concedermi un breve sorriso: come al solito, aveva già intuito perfettamente le mie intenzioni.
“D’accordo.” Mi volsi verso i soldati. “Portateci da lei.”
“Co…?” Sentii Bastian sussultare. “Sei impazzita?” Sibilò, nel tono irritato che tanto di consueto gli avevo sentito rivolgermi.
“Non ho detto che accetterò le sue richieste. Voglio solo sentire ciò che ha da propormi.” Sussurrai di rimando. Mi volsi verso di lui e risposi alla sua espressione contrariata con sguardo determinato. “Seriamente, credi che potremmo semplicemente ignorare una cosa del genere senza indagare?”
Il cavaliere strinse le labbra, con fare esasperato, ma non replicò. Non ci voleva un genio per intuire il motivo che lo tratteneva: sapeva che, se avesse cercato di convincermi che non era prudente, gli avrei semplicemente detto di andarsene, per evitare di correre quel pericolo.
E forse sarebbe comunque la cosa più saggia da fare.
Bastian dovette leggere le mie intenzioni nel mio sguardo, perché distolse gli occhi e si affrettò a precedermi, accodandosi ai soldati. Con un sospiro, scambiai uno sguardo con Gourry, ed entrambi annuimmo, prima di seguirlo.
Erianna ci attendeva all’inizio della salita che si inerpicava verso le rovine della città vecchia. La intravidi fra gli alberi, mentre ci avvicinavamo, immobile e rigida come una statua di marmo, il corpo avvolto in un abito e in un mantello scuri e il volto seminascosto dal cappuccio sollevato. Il sentiero e le cime degli alberi attorno a lei erano ricoperti di un sottile strato di neve e il loro chiarore creava un vistoso contrasto con il nero della sua figura imponente.
La donna avanzò verso di noi, con passo fermo e postura altera. Due armati la affiancavano, e fecero per accodarsi a lei, ma la duchessa li bloccò, con un semplice gesto. Si rivolse al capo dei soldati che ci avevano condotto in quel luogo, in tono autoritario.
“Desidero rimanere sola con queste persone.” Dichiarò. “Parleremo qui, e non sarà una discussione lunga, perciò semplicemente attendetemi a valle.”
Il soldato parve interdetto. “Mia Signora… ritenete prudente che…”
“Se non lo ritenessi prudente non ve lo avrei ordinato.” Lo interruppe Erianna, seccamente. “Andate, ora. Vi raggiungerò a breve.”
I soldati obbedirono. Attesi che fossero scomparsi dietro la curva del sentiero, prima di parlare.
“Sembrate avere fretta, Signora.”
“A palazzo nessuno sa che mi trovo qui.” Replicò Erianna, semplicemente. “Quando ho ricevuto il messaggio che mi riferiva che vi trovavate nei pressi di Talit, ho inventato un malessere per poter uscire al più presto e riuscire a intercettarvi senza dover restare troppo a lungo lontana dalle mie stanze. Non mi sarei fidata a consegnare il messaggio che devo riferirti nelle mani di nessuno dei miei uomini.” Occhieggiò Bastian e si accigliò brevemente. “A ragione, vedo. Anche le persone che appaiono più fidate possono riservare delle sorprese.”
Il cavaliere abbassò lo sguardo, senza cercare in alcun modo di discolparsi. Erianna aveva già perso interesse in lui, in ogni caso. Fissò il suo sguardo su di me, intensamente.
“Immagino che i miei uomini ti abbiano riferito la mia proposta.”
“Mi hanno solo detto che siete pronta a sostenere la mia innocenza. Non mi hanno detto in cambio di cosa sareste disposta a farlo, però.” I miei occhi si strinsero. “Né perché.”
“Per l’unico motivo che in questo momento mi impedisce di farti aggredire dall’intero corpo dei miei uomini, Lina Inverse. Perché ho avuto conferma che non sei effettivamente colpevole.”
“Mi chiedo in che modo.”
Lo sguardo di Erianna mi perforò, da sotto il cappuccio. La sua pelle già normalmente chiara appariva quasi innaturalmente pallida, nel riverbero della neve.
“Nel modo più diretto e incontestabile che esista. Con una confessione da parte del vero assassino.”
Stupita, volsi un breve sguardo a Gourry. Edward Gabriev e Lord Georg avevano confessato? Mi suonava molto, troppo strano.
“Sembri sorpresa, Lina Inverse.”
Attesi qualche istante, prima di replicare. Non ero certa di quanto fosse prudente rivelare.
“Diciamo che mi ero fatta un’idea di chi potesse essere il vero assassino.” Risposi alla fine, in tono cauto. “E non si tratta di qualcuno che avrei ritenuto propenso a una confessione.”
“Non so chi avessi in mente, ma dubito che la tua deduzione fosse corretta. Io di certo sono rimasta sorpresa nello scoprire la verità.” Aggrottò la fronte. “L’assassina è Livia.”
Sussultai, inconsciamente, a quella ennesima rivelazione riguardante la figlia di Samon. La testa mi girava per tutto ciò che avevo scoperto in quei pochi giorni, ma faticavo a credere a quell’ulteriore sviluppo. Eriol mi era risultato tanto antipatico che non mi riusciva difficile pensare che avesse scatenato gli istinti omicidi di qualcuno, ma… Livia? A dispetto delle parole dei draghi, quella ragazzina non mi pareva tipo da poter uccidere qualcuno a sangue freddo…
“Comprendo la tua incredulità, ma ho una lettera scritta di suo pugno in cui confessa tutto l’accaduto.” Erianna sospirò e si poggiò all’albero vicino a cui si trovava, come per sostenersi. Improvvisamente, mi parve infinitamente stanca. Per la prima volta, da quando mi aveva sorpreso insieme al cadavere, in biblioteca, ebbi l’impressione di scorgere sul suo viso un barlume del dolore di una madre che ha appena perso il proprio figlio. “Me la ha lasciata la notte in cui è scomparsa.” Proseguì la nobile. “In altre parole, la stessa notte in cui ti ha aiutata a scappare. Io la ho trovata solo qualche giorno dopo, in effetti… era sotto il mio cuscino, ma per numerose notti dopo la morte di mio figlio, il mio letto è rimasto intonso.” La sua voce si abbassò a un sibilo. “Mi ha scritto che era terrorizzata da ciò che aveva fatto e che sarebbe fuggita da Talit dopo averti messa in salvo, servendosi di un incantesimo di levitazione. Ma ha aggiunto che pensava che io avessi il diritto di conoscere le sue colpe e mi ha chiesto espressamente di non perseguitarti per un delitto di cui non eri responsabile.” Scosse la testa. “Ero l’unica realmente interessata a rintracciarti e ucciderti, in effetti. Mio fratello poteva solo essere grato all’assassino di Eriol.”
Riflettei sulle sue parole, imponendomi di non lasciarmi condizionare dall’accenno di compassione che il suo aspetto stremato aveva iniziato a ispirarmi. Non potevamo essere certi che ci stesse raccontando la verità. Potevo anche pensare di trovarmi semplicemente di fronte a un’ottima attrice.
“Hai qui con te la lettera?” Domandai, cauta.
Erianna fissò gli occhi sui miei e scosse la testa. “E’ in un luogo sicuro, al castello. Se e quando il contenuto di quella lettera diventerà di dominio pubblico, ne seguiranno gravi conseguenze. Non sono certo disposta a cederla tanto facilmente, Lina Inverse, e non sono così stupida da portarla con me durante l’incontro con una persona che avrebbe tutte le capacità per rubarla.”
Mi accigliai. Quella risposta rapida e schietta mi fece immediatamente propendere per l’ipotesi che Erianna fosse sincera. A una analisi superficiale dei fatti sarebbe potuto apparire il contrario, dato che ci stava sostanzialmente chiedendo di crederle senza addurre nessuna prova materiale. Tuttavia, se era nei suoi progetti mentirci fin dall’inizio, mi sembrava strano che non avesse prodotto una falsa lettera, in modo da apparire più convincente. Erianna era furba, non potevo credere che semplicemente non ci avesse pensato.  
Decisi di insistere nel mio botta e risposta. “Come è avvenuta l’uccisione?” Sapevo che non era una domanda particolarmente ricca di tatto, ma non era decisamente il momento di preoccuparmi di non ferire i sentimenti della mia interlocutrice.
Erianna strinse i denti, ma non obiettò al mio tono freddo e impersonale. “E’ stato un incidente.” Spiegò. “Mia nipote si chiudeva spesso in biblioteca, per leggere i testi e per provare non so quali tipi di incantesimi. Di solito quasi mai qualcuno si recava lassù, ma ovviamente quando voi siete arrivati a palazzo le cose sono cambiate. Livia è stata sorpresa da Eriol, per caso, e si è spaventata. Ha perso il controllo dell’incantesimo che stava provando, e quello ha investito in pieno mio figlio.” Il volto di Erianna si era fatto terreo, ma la sua voce non tradiva alcun sentimento. Per un momento, quell’autocontrollo così innaturale mi ricordò quello di Bastian. Mi chiesi se non facesse parte della cultura di Elmekia, celare a quel modo i propri sentimenti. Anche mio marito, in fondo, aveva ereditato qualcosa di quell’atteggiamento, con il suo frequente fare da finto ingenuo… e con la sua capacità di mantenere per anni l’assoluto silenzio su un passato che sulla maggior parte delle persone avrebbe esercitato costantemente il suo tormento.
“Non sembri particolarmente stupita dell’accaduto.” Mi trovai a commentare.
“Non lo sono.” Replicò semplicemente Erianna. “Sapere di dover incolpare Livia mi ha shockato, ovviamente, ma il fatto che mia nipote fosse interessata alla magia e il fatto che facesse esperimenti alle nostre spalle non erano certo una novità, per me. Conosco quella ragazzina da quando è nata, e la ho osservata molto attentamente nel corso della sua crescita. E’ sempre stata irrequieta, proprio come lo ero io alla sua età: cercava altro, oltre alla vita di palazzo. E nelle storie dei bardi i racconti di magia la esaltavano come niente altro. Non ho potuto fare a meno di notare l’ammirazione che provava nei tuoi confronti, Lina Inverse… quando ho deciso di fare in modo che tu giungessi a Talit, a malapena è riuscita a non mostrare la propria eccitazione.”
“Capisco.” Annuii.
Gli occhi smeraldo di Erianna mi studiarono, attenti. “Ora conosci l’accaduto, e sai che ho il potere di provare la tua innocenza. Perciò immagino tu sia pronta a conoscere la mia richiesta.”
“Immagino… di sì.”
Erianna annuì. “Ebbene, devi sapere che sospetto di conoscere il luogo in cui si è rifugiata mia nipote.” Il suo sguardo si levò alto, verso la cima della montagna e la città bruciata che da lassù dominava la valle. “Dubito che avrebbe avuto il coraggio di avventurarsi nel regno da sola per tornare a casa, con una guerra in corso… e mi viene in mente un unico posto in cui avrebbe potuto nascondersi, qui intorno.”
Seguii il suo sguardo, e compresi che i suoi sospetti collimavano perfettamente con quanto i draghi ci avevano riferito, e con le nostre aspettative. “Parli… della città vecchia.”
“Esattamente. Livia mi ha rivolto molte domande a riguardo, da quando siamo qui. Credo avesse trovato notizie su alcuni fatti avvenuti lassù secoli fa, in qualche vecchio tomo della biblioteca.” Si accigliò. “Onestamente… non potrei nemmeno giurare che non si fosse già recata laggiù, qualche volta, prima che il clima qui diventasse così rigido. Per qualcuno che conosce un modo per volare, non può volerci più di qualche ora, per andare e tornare.”
“Perché ce lo stai rivelando?” Domandai, cominciando a presagire quale sarebbe stata la risposta.
“Perché riguarda ciò che voglio chiederti di fare, Lina Inverse.” Erianna fece un passo avanti, fino a sovrastarmi. “La mia condizione per testimoniare sulla tua innocenza è che tu mi riporti indietro mia nipote.”
Rimasi in silenzio. Fissai il suo sguardo impenetrabile, cercando di trovarvi la risposta a una domanda a cui non osavo dare voce.
“Per farle cosa, però?” Fu Gourry a chiederlo, al posto mio. “Se scagionerete Lina, dovrete incolpare Livia al suo posto.”
Bastian, vicino a me, ebbe un breve sussulto. Anche lui era giunto alla stessa conclusione che avevamo tratto io e Gourry. Se Livia fosse stata condannata a morte per il suo gesto, i draghi avrebbero ottenuto ciò che desideravano senza che io dovessi sporcarmi le mani.
Ma non era vero. Non sarei stata comunque innocente. Livia aveva ucciso un uomo in un incidente, per questo meritava davvero la morte? Consegnarla al suo boia non sarebbe stato meschino tanto quanto ucciderla con le mie stesse mani?
“Non voglio ucciderla.” Erianna risolse immediatamente il mio dilemma, con la sua dichiarazione atona. “Non sto dicendo che non debba pagare. Chiederò che venga privata di tutti i suoi privilegi ed esiliata dal regno per il resto della sua vita. Ma lotterò perché non venga condannata a morte.” Abbassò lo sguardo. “Il punto è che io la capisco… più di quanto vorrei in questo momento. So cosa significa crescere come una donna in un regno come questo. Ho osservato quell’ottuso del mio gemello essere istruito e assurgere a cariche sempre più importanti, mentre io, con la mia intelligenza e con tutte le mie ambizioni, venivo tenuta chiusa in una campana di vetro ed educata ad essere una brava regina consorte.” Il suo volto era livido, ora. “Sai perché ero ansiosa di avere proprio te qui a Talit, Lina Inverse? Perché ti ammiravo e ti invidiavo, sin da quando avevo udito di te per la prima volta. Perché tu sembri vivere libera da qualsiasi tipo di costrizione e speravo davvero saresti stata una ispirazione, per me e per mia nipote Livia.” Scoppiò in una risata amara. “E lo sei stata, a quanto pare. Se mio figlio non ci avesse rimesso la vita, avrei detto che è stato un bene, per lei.”
Un silenzio lugubre cadde sul nostro piccolo gruppo. Sentivo gli sguardi dei miei compagni di viaggio puntati sulla mia schiena, in attesa, e sentivo la mia gola stretta in un groppo misto di ansia e assurdo senso di colpa.
La nobildonna, in ogni caso, ancora una volta non perse il controllo. Il suo volto era pallido, ma nulla altro nel suo atteggiamento svelava il suo turbamento. “Sarei andata io stessa a cercare Livia.” Proseguì. “Ma, in tutta sincerità, ho paura di farlo. Ormai sono settimane che Livia si trova là. Credo che sia terrorizzata e stremata… credo che sia al limite. Se vedendomi arrivare si sentisse braccata e perdesse nuovamente il controllo…” Represse un brivido. “Ma credo che tu possa difenderti e  al contempo farla ragionare, Lina Inverse. Si fida di te, e credo che tu possa comprenderla molto più di quanto non sarei in grado di fare io, in questo momento. Non so cosa tu fossi venuta a fare, qui, con i tuoi compagni… ma io ti offro il mezzo per fare cadere le accuse su di te e ti chiedo in cambio di convincerla e farla ritornare da me. Voglio che Eriol ottenga giustizia e… voglio sapere Livia lontano da qui. La affiderò a un tempio del regno di Sailune, magari, un qualsiasi luogo in cui debba imparare a provvedere a se stessa.”
Mi morsi il labbro, incerta. “Ho… un’ultima domanda, prima di decidere il da farsi.” Dichiarai. “Voglio sapere chi vi ha riferito che ci stavamo dirigendo quaggiù.”
Le ombre del cappuccio, unite al buio della sera incombente, nascondevano parzialmente il volto di Erianna, ma ebbi l’impressione di vedere i suoi lineamenti indurirsi, a quella domanda. Esitò qualche istante, prima di rispondere. “Questa informazione non dovrà essere diffusa al di fuori del circolo di persone radunato qui ora.” Ammonì. “Mi sono rivolta alla Gilda degli Assassini di Rolan.”
Mi accigliai. Capivo bene perché non volesse che la cosa si sapesse in giro. Non era propriamente lusinghiero, per una regina consorte, avere a che fare con gente del genere.
“Perché degli assassini? Perché non dei semplici mercenari?”
“Li avevo contattati quando ancora non sapevo della tua innocenza. Quando ho trovato la lettera di Livia, ho semplicemente modificato i miei ordini e ho chiesto loro di ricostruire i tuoi movimenti e riferirmi dove ti trovavi. Ti hanno rintracciata proprio mentre eri nelle vicinanze di Talit… ma se non fosse stato così, ammetto che probabilmente avrei chiesto loro di catturarti e di portarti da me.”
Ora mi era chiaro… la Gilda di Rolan teneva effettivamente d’occhio i miei movimenti, così come lo facevano i draghi, attraverso Amelia. La predizione di Sybil, in fondo, non era stata del tutto inesatta.
 Riflettei per qualche istante, prima di prendere una risoluzione. “D’accordo.” Conclusi alla fine. “Accetto di cercare Livia.” Sentii gli sguardi stupiti dei miei compagni su di me, ma mi limitai a fingere di non vederli. Avrei spiegato loro in seguito cosa avevo in mente.
Erianna mi penetrò nuovamente con i suoi occhi cerchiati. Non ero certa che si fidasse di me, ma d’altra parte non poteva avere cognizione di alcun motivo che mi impedisse di accettare la sua offerta. Lentamente, con diffidenza, levò la mano destra. Io allungai la mia, e la strinsi. Il patto era concluso.
“Attenderò tue notizie alla capitale, Lina Inverse.” Occhieggiò Bastian. “Fammi inviare il falco di quell’uomo, se Livia scenderà dalla montagna con te. Verrò con una scorta a prendervi quaggiù.”
Non replicai nulla. Osservai Erianna mentre ci superava, imboccando la strada che avevano preso i suoi soldati qualche tempo prima. Rimasi in silenzio, finché non fui certa che fosse fuori portata d’orecchie.
“Lina…” Esordì immediatamente mio marito, non appena ci fu possibile parlare senza essere uditi. “Che significa tutto questo? Se hai accettato la richiesta di quella donna allora vuole dire che…”
“No.” Lo interruppi immediatamente. “Non ho deciso di disattendere alla richiesta dei draghi. Ho solo detto a Erianna che avrei trovato Livia… ed è ciò che intendo fare, non è così? Hai sentito Erianna, è arrivata a rivolgersi agli assassini di Rolan per trovarci… ho immaginato che fosse meglio fingere accondiscendenza per evitare di avere complicazioni. Però non ho ancora deciso cosa farò dopo aver trovato la ragazzina… per ora so solo che voglio parlare con lei e capire quanto possono essere effettivamente pericolose le conoscenze che ha accumulato.”
Lo sguardo di Gourry non mascherò la sua preoccupazione. Bastian, invece, mi fissava contrariato. Gli avevo spiegato la situazione e anche lui, come Gourry, non sembrava decisamente a favore del piano che prevedeva l’uccisione di Livia.
Non mi importa. Non mi importa di cosa pensa lui, non mi importa di cosa pensa Gourry, non mi importa della mia coscienza e della mia umanità. Se dovrò scegliere fra lei e Gourry… l’alternativa sarà solo una.
‘Hai promesso di non agire unicamente di testa tua. Hai promesso di discutere con Gourry qualsiasi scelta pericolosa.’ Mi ricordò la voce labile della mia coscienza.
Feci del mio meglio per ignorarla.
“Forse è meglio se per ora cerchiamo un luogo per accamparci.” Propose Gourry, scrutandomi con aria apprensiva. “Non è il caso di arrampicarsi sul dorso della montagna con il buio.”
Trovammo una rientranza nella roccia che offriva un parziale riparo dal vento e dal gelo dell’esterno. Non era propriamente una grotta, e non sarebbe servita a molto nel caso fosse scoppiata una tormenta, ma fortunatamente il cielo era limpido e sgombro da nubi. La mia magia fu sufficiente per fare attecchire una fiamma sulla legna umida e tutti e tre ci stringemmo attorno al fuoco per consumare un pasto silenzioso.
Dopo la cena, mi avvolsi nella coperta che portavo nella mia borsa da viaggio e mi premetti contro la parete rocciosa, per il mio turno di guardia. Nessuno di noi parlò per deciderlo, ma sapevo che poi avrei svegliato Gourry, e che il turno successivo sarebbe toccato a Bastian. Il ritmo delle nostre notti si era semplicemente assestato a quel modo.
Ero abituata a quella sintonia nelle azioni e nei pensieri con Gourry, ma a pensarci la presenza di Bastian rendeva tutto davvero strano. Ogni tanto, nei momenti in cui riuscivo a distogliere il pensiero da ciò per cui con tanta determinazione stavo lavorando, concentravo la mia attenzione sul cavaliere, e mi rendevo conto di quanto fosse bizzarra la sua presenza con noi. Avrei voluto discuterne con Gourry, eppure non ci riuscivo. A volte avrei voluto dirgli di andarsene, ma non ero in grado di comprendere se quella fosse davvero la cosa giusta da fare.
Però, quando tutta quella faccenda fosse finita, cosa sarebbe successo? Ovviamente, Gourry ed io ce ne saremmo andati per la nostra strada, dopo che lui fosse guarito (non potevo nemmeno pensare che le cose andassero diversamente), ma Bastian?
Fissai il volto sulla sua schiena, osservandolo stringersi nel suo giaciglio, a qualche passo di distanza da me. Avvertivo contro il fianco il calore del corpo di Gourry, che dormiva accanto a me, ma l’immagine di Bastian steso al di là del fuoco mi trasmetteva un senso infinito di gelo e solitudine. Provai a immaginarmi al suo posto. Provai a immaginare di perdere tutto ciò a cui tenevo. L’angoscia mi strinse con tanta forza lo stomaco da immobilizzarmi. Fissai il volto di Gourry, che anche nel sonno sembrava emanare un’aura di serenità, e provai l’impulso di stringerlo a me e gridare, o piangere… dare sfogo in qualsiasi modo al senso di impotenza che mi attorcigliava le viscere.
E invece rimasi immobile, le mani strette a pugno e tremanti.
“Lo farò io.”
Sussultai, volgendomi verso la fonte di quella voce inopportuna. Bastian si era girato nel suo giaciglio e mi stava osservando, leggendo probabilmente nel mio volto tutta la frustrazione che vi avevo lasciato trapelare, credendo di non essere vista.
Mi posi immediatamente sulla difensiva. “Dormi, Bastian.” Sibilai. “Domani ci aspetta una lunga camminata.”
“Hai capito cosa ti ho detto?” Insistette il cavaliere, ignorando la mia intimazione. “Ho detto che lo farò io. Perciò smettila di tormentarti.”
Certo che avevo capito. Avevo capito perfettamente.
La rabbia prese improvvisamente il sopravvento su qualsiasi altro sentimento.
“Non so di cosa parli.”
“Invece hai capito benissimo.” Mi scrutò, intensamente. “Tu la convincerai ad avere fiducia in noi, e poi ci penserò io a finirla. A cosa servirà, salvare lui, se il prezzo sarà perdere te stessa? Io invece non ho più niente da perdere.”
La mia furia divenne così cieca da rischiare di accecarmi. Mi trovai con forza a stringere la tunica di Gourry, e fui sorpresa che non si svegliasse al mio tocco.
“Credi che non sappia combattere da sola le mie battaglie?” Domandai, controllando a stento i sentimenti nella mia voce.
Bastian si sollevò lievemente nel suo giaciglio. “Non intendo dire questo, ma…”
“Bastian.” Sibilai, fra i denti. “Credi davvero che farebbe qualche differenza, se non fossi io a compiere materialmente quel gesto? Credi che mi sentirei meno in colpa? Credi che non mi sentirei in colpa se coinvolgessi te in tutto questo?”
Il cavaliere tacque. Per qualche istante, semplicemente, ci fissammo. Il mio stomaco era tanto stretto per la tensione che avevo voglia di vomitare.
“Come fai…?” Sibilai, spezzando il silenzio. “Come fai a dire di non avere più nulla da perdere? Sei ancora vivo, e…” Strinsi i denti e abbassai gli occhi. “Non posso crederlo. Non posso credere che provi tutto questo disprezzo per te stesso. Cosa dovrei fare io, allora? Io che vivo costantemente in bilico fra l’oscurità e la luce…”
“Una luce che non voglio che tu perda.”
Tornai a fissarlo. Mi stava guardando con un tale disperato desiderio che faticai a sostenere il suo sguardo.
“Bastian…”
“Ho l’impressione di poter vivere nel suo riflesso, almeno per un po’.” Insisté lui. “So che non potrò farlo per sempre… ma non voglio che scompaia. Anche se lasciarti, lasciarti come sei ora, forse mi distruggerà definitivamente, voglio lo stesso salvarti, Lina, perché… ho imparato dal passato. Anche a costo della mia felicità, non voglio più avere rimpianti.”
Rimasi in silenzio.
“Lasciamelo fare.” Insistette il cavaliere.
“Non cambierebbe nulla.” Riuscii a replicare. “E anche se cambiasse qualcosa, non lo vorrei. È una cosa che non ha ragione di essere, Bastian. A maggior ragione perché non è reciproca.”
“Credi che non sappia che non lo è, Inverse?” Ora il tono di voce del cavaliere tradiva irritazione. “Ma, a maggior ragione, credo di avere ogni diritto di decidere da solo per me stesso!”
“Non riguarda solo te stesso! Non riguarda per niente te stesso! Riguarda me e Gourry!”
“Allora dimmi tu cosa posso fare, dannazione!”.
Andartene. Trovare la tua pace, lontano da me. E’ già tutto abbastanza complicato, anche senza aggiungerci questo.
“Dormi. E lasciami in pace.” Replicai, invece di dare voce a quel pensiero.
Bastian emise un grugnito irritato. Si rigirò nel proprio giaciglio, dandomi le spalle, ma sapevo perfettamente che era troppo in agitazione per addormentarsi, in quel momento.
Abbassai lo sguardo su Gourry e trovai i suoi occhi azzurri aperti e attenti, fissi su di me. Non disse una parola. Le sue dita cercarono le mie e io le strinsi di rimando.
Per diverse ore, restammo così, in silenzio, stretti nel reciproco calore.  

***

“Dove pensi che potremo trovarla?”
Il palazzo malmesso della antica Talit sorgeva alto sulla neve fronteggiandoci, per l’ennesima volta. Gourry mi pose quella domanda dal mio fianco, osservandolo con aria vagamente intimidita.
Faceva più freddo del solito, quella mattina. Il cielo era sempre limpido, ma nonostante fosse ormai mezzogiorno il gelo ci stringeva da ogni lato. Le costruzioni erano pressoché sommerse dalla neve, e dal tetto del palazzo pendevano irte sculture di ghiaccio, che osservate dal basso somigliavano a un bizzarro sistema di difesa, pronto a precipitare su chiunque si fosse avvicinato incautamente alla struttura.
“Non ne ho idea, in effetti.” Risposi, stringendomi nel mantello. “L’ultima volta che siamo venuti abbiamo cercato dappertutto, all’interno del palazzo, e non la abbiamo vista.” Mi volsi verso Bastian, che se ne stava in disparte alle nostre spalle, in un cupo silenzio. “E tu avevi ispezionato il territorio qui attorno, non è così?” Domandai, in un tono che cercava di essere il più neutrale possibile. Il cavaliere si limitò ad annuire.
“Forse il palazzo racchiude qualche altra stanza segreta simile a quel laboratorio…” Ipotizzò mio marito.
Io mi morsi il labbro, incerta. “Immagino che la cosa migliore sia farci trovare da lei, in ogni caso. Non sappiamo come reagirebbe, se qualcuno le piombasse addosso all’improvviso dopo che è rimasta qui per tutto questo tempo. Finché non avrò appurato cosa esattamente ha scoperto in quel laboratorio, non intendo correre rischi.”
“E allora cosa proponi di fare?”
Presi un respiro. “Una cosa molto semplice.”
Avanzai, arrancando nella neve, fino a giungere all’ingresso principale. Spinsi avanti i portali ed entrai nell’ampio atrio da cui si accedeva alla sala del diario e alle scale per il piano superiore, lo stesso da cui Dorak doveva essere fuggito, inseguito da Bastian, la notte in cui il drago lo aveva ferito a morte.  Mi portai al centro della sala e presi un nuovo, profondo respiro.
“Livia!” Gridai, con tutta la voce che possedevo. “Se sei qui, vieni fuori! Siamo tuoi amici! Tua nonna Erianna ha creduto alla tua lettera e mi ha scagionata da ogni accusa, ma è anche molto in pena per te. Ci ha mandati qui per aiutarti!”
Mi sentii un verme, nel pronunciare quelle parole. C’era del vero in esse, ma al contempo nascondevano anche la più profonda delle bugie. Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto, con lei, dopo averle parlato. La stavo ammansendo per stanarla.
Rimasi in attesa, ferma dov’ero. Gourry era rimasto sulla porta, e così Bastian. Il cavaliere scalpitava come un animale selvatico, ma non avvertii segni di tensione da parte di mio marito. Una buona notizia, considerato il suo istinto quasi infallibile. Se Livia era lì, da qualche parte, era ragionevole pensare che non avesse intenzioni ostili nei nostri confronti.
“Livia, ti prego! Devi fidarti di me!”
“Lina…” Mi ammonì Gourry, affiancandosi a me. In quell’esatto istante, una figura esile e pallida fece la sua apparizione sulla cima delle scale. Si reggeva alla ringhiera dello scalone, come per evitare che le gambe le facessero difetto, e mi guardava con sguardo misto di determinazione, paura e senso di colpa.
Livia.
Sembrava lievemente dimagrita dall’ultima volta in cui l’avevo incontrata, ma tutto sommato era in condizioni migliori di quanto mi fossi aspettata. I capelli erano ancora neri come mogano (avevo avuto il timore di trovarli bianchi e avere così conferma immediata delle ipotesi dei draghi), stretti in una treccia disordinata sulla nuca, e la veste e il mantello bianchi che indossava erano consunti, ma puliti. Solo, era pallida, forse ancora più di Erianna. E pareva faticare a trovare la volontà di mettere un piede di fronte all’altro.
“Avete l’ordine… di uccidermi?” Domandò, con un sangue freddo che mi lasciò lievemente spiazzata. Anche lei era figlia della nobiltà di Elmekia, dopo tutto.
“No.” Mi affrettai a rispondere. Feci un passo avanti, fermandomi alla base delle scale. “Livia, tua nonna non ti odia per quello che è successo… vuole solo assicurarsi che tu stia bene e che tu torni a casa. Chiederà che tu venga allontanata da palazzo, per quello che hai fatto, ma è perfettamente consapevole che è stato un incidente.”
Livia si morse il labbro. “Mi… mi dispiace.” Dichiarò, in tono flebile. “Avrei voluto dirvi la verità… davvero, avrei voluto dirvela, quando vi ho liberata, ma ho avuto paura. Mi sono accorta che odiavate il Lord Gabriev, e quindi mi sono inventata quella storia, in modo da avere una scusa per il fatto che vi stavo aiutando. E dicendovi che il colpevole era Lord Georg ero certa che non avreste cercato di accusarlo formalmente, perché nessuno vi avrebbe dato credito, contro di lui…”
Salii lentamente le scale, avvicinandomi a lei. “E poi sei scappata qua.” Aggiunsi, in tono gentile.
Livia annuì. “All’inizio volevo chiedervi di portarmi con voi… a casa, da mio padre. Ma sapevo che sareste stata braccata, a maggior ragione perché dopo la mia fuga vi avrebbero probabilmente incolpata anche del mio rapimento… e io vi avrei rallentata, e avrei solo fatto sì che corressimo il rischio di essere catturate di nuovo entrambe. Allora sono venuta qua. Ho pensato che se avessi passato l’inverno nascosta qui, studiando i libri che avevo raccolto, una volta giunta la bella stagione forse avrei avuto le capacità per partire da sola… per tornare a casa, o per andarmene da qui, se mio padre avrà la peggio nella guerra. Io… non voglio sposare quel Derek, né rimanere sotto il controllo di Lord Georg per il resto della mia vita. Voglio andarmene di qui.”
La raggiunsi e, cautamente, le posi una mano sulla spalla. Le sue parole, il fatto che avesse dedicato il tempo trascorso lassù allo studio, mi ponevano inevitabilmente in allarme. Cosa aveva già imparato? I draghi avevano detto che non erano stati in grado di accedere al laboratorio, ma noi indubbiamente lo avevamo trovato aperto. Aveva a che fare con il potere di Lord of Nightmares? Livia era riuscita ad aprire il diario senza essere colpita dalla maledizione e ne aveva appreso qualche tecnica pericolosa? “E come sei sopravvissuta, qui, tutta sola?” Domandai, cercando di mantenere il mio tono di voce il più rassicurante possibile.
“Ero già venuta qui.” Spiegò Livia. “Prima ancora di essere portata via da casa, avevo imparato la Levitazione… uno degli incantesimi più semplici. Avevo letto storie strane sulla vecchia Talit e mio padre mi aveva parlato di un vecchio erede che qui conduceva esperimenti di magia…  ero curiosa. Perciò una notte sono fuggita dalla mia finestra e sono arrivata fin qua. È stato allora che ho trovato il laboratorio sottoterra… e lì dentro, il diario.” A quelle parole, Livia rivolse a Gourry un’occhiata colma di rimorso. “Dato che questa casa era così piena di libri interessanti, ho cominciato a venire qui ogni volta che a Talit mia nonna e Lord Georg allentavano il loro controllo su di me, lasciandomi sola in camera. Mettevo semplicemente a dormire con un incantesimo la cameriera incaricata di sorvegliarmi, e volavo fin qui portando candele, coperte, cibo, o qualsiasi altra cosa che riuscissi a rubare e che mi rendesse possibile sopravvivere quassù. Avevo già in mente di fuggire definitivamente a un certo punto, sapete.” Sospirò e abbassò lo sguardo. “Quello che è successo, però ha accelerato le cose.”
Il discorso filava. Una cosa non mi era chiara, però. Se il diario si era trovato dentro al laboratorio, allora Livia non poteva averlo usato per entrare la prima volta… se era così, però, allora come…?
“E… non hai avuto problemi a entrare nel laboratorio?” Chiesi, in tono neutro.
Livia mi scrutò curiosa. “No, con la levitazione no… il condotto è ricoperto di muschio, ma con la magia non è stato necessario che mi arrampicassi…”
Era così, dunque.
“Livia…” Mi appellai a lei, nuovamente, mentre una ipotesi prendeva velocemente forma nella mia mente. “Dove ti trovavi quando siamo venuti qui la volta scorsa? Perché tu ci hai visti, anche se noi non ci siamo accorti di te, non è così?”
La principessa arrossì lievemente. “Mi… mi spiace di non essermi fatta vedere, ma non sapevo se steste cercando me, e che intenzioni aveste. Ero nascosta proprio nel laboratorio. Durante la notte, quando voi siete caduta dal camino laggiù, io stavo semplicemente dormendo in uno degli angoli della sala… mi avreste sicuramente notata, se non foste corsa immediatamente di sopra al richiamo di vostro marito.” Fissò nuovamente Gourry, con evidente disagio. “Quando siete tornata la mattina successiva, insieme all’altra Signora, mi ero nascosta in una nicchia interna alla parete. Ce ne sono almeno quattro o cinque, vedete, delle specie di sgabuzzini in cui sono custoditi materiali da esperimento e alcuni volumi.” Scosse la testa, mortificata. “Se foste stata sola forse avrei trovato il coraggio di farmi avanti, ma la presenza di una sconosciuta mi ha innervosita, e alla fine sono rimasta dov’ero.”
Perciò, in entrambi i casi in cui noi eravamo stati in grado di entrare nel laboratorio, c’era già stata Livia, all’interno. Questo, in effetti, poteva spiegare molte cose.
Sapevo che esistevano degli incantesimi di sigillo a cui era possibile imporre delle limitazioni… ad esempio, versando un tributo di sangue si poteva fare in modo che l’accesso a un luogo fosse vietato a chiunque non condividesse legami di sangue con la persona che aveva imposto il sigillo stesso. Era possibile che il motivo per cui Livia era riuscita ad aprire il laboratorio e, a quanto pareva, a maneggiare il diario senza risentire della maledizione, fosse il fatto che era discendente dell’uomo che aveva imposto la magia su quel luogo. Forse, Amelia ed io eravamo riuscite ad entrare nel laboratorio solo perché in quel momento Livia era presente, e non aveva voluto fare nulla per impedircelo.
“Anche quando il Signore, Sir Gabriev, è venuto qui da solo io ero presente.” Livia occhieggiò nuovamente mio marito, gli occhi vitrei di senso di colpa. “Lo ho seguito nella sala, dove avevo abbandonato il diario quella mattina, e lo ho visto mentre si avvicinava e lo toccava… ma non avrei mai immaginato che avrebbe scatenato quella reazione, in lui. Ha iniziato ad agitarsi e gridare come se provasse un dolore insopportabile. Solo a posteriori ho capito che era stato proprio il diario a fargli questo. ‘Il sapere ha un prezzo’ è la frase incisa sulla prima pagina… non avevo mai capito cosa intendesse dire, prima di vedere quanto leggere quel diario potesse essere pericoloso…”
Sentii Gourry trattenere il respiro, alle mie spalle. “Quindi eri tu… eri tu la figura dorata che ho visto alle mie spalle.”
Livia si morse il labbro. “Ero lì, ma non so se abbiate visto me, o se piuttosto non siate stato vittima di una qualche allucinazione, Signore. Di certo stavate delirando. Avete indietreggiato fino alla finestra, come non accorgendovi del vuoto che si avvicinava, e il balcone pericolante vi è crollato sotto i piedi.” Livia sospirò. “Fortunatamente vi ho afferrato in tempo. Non sapevo come fare, perché voi avevate perso i sensi e io non potevo correre il rischio di riportarvi fino a Talit… perciò vi ho trasportato a valle e vi ho lasciato non molto lontano dalla città, sperando che vi trovassero. Non sembravate in pericolo di vita, in ogni caso, anche se avevate quell’orribile segno sulla mano…”
“E da allora non hai più avuto il coraggio di toccare il diario.” Intervenni io, in tono quieto.
Livia annuì, mestamente. “Lo ho abbandonato dov’era, nella sala vicino al camino, senza più avvicinarmi… ho smesso di leggere anche molti dei testi nel laboratorio, per la verità… era già la seconda volta che la magia aveva effetti che non mi ero aspettata.” Sospirò. “Ormai ho ben capito che non si tratta di qualcosa con cui scherzare.”
Mi accigliai, a quelle parole. Mi portavano direttamente alla domanda che più temevo di porle. “Ma cosa c’è in quei testi e in quel diario, Livia? Si tratta di qualcosa di effettivamente pericoloso?”
Livia mi fissò, con fare spaesato. “Io… non saprei dirvelo, mia Signora. Alcuni parlano di incantesimi semplici, incantesimi che anche io so fare… altri, però trattano di cose assolutamente incomprensibili. Quel diario, ad esempio… non fa che citare gerarchie di esseri superiori, che io non riesco a capire granché. Prima di venire qui sapevo dei Signori dei Demoni, ma credevo che gli incantesimi si appellassero principalmente alle forze della natura, e invece… i vostri poteri derivano da una fonte del tutto differente, non è così, Signora Lina?”
La fissai, a quella domanda, senza replicare nulla.
Ero un’idiota. Una perfetta, spettacolare idiota.
Come avevo potuto credere che Livia fosse in grado di maneggiare il potere di Lord of Nightmares? Io ero stata ancora più giovane di lei quando avevo imparato a gestirlo, certo… ma io avevo studiato i fondamenti della magia sin da quando ero stata una bambina in possesso dei primi rudimenti di lettura e scrittura.
Livia era stata cresciuta nella bambagia per tutta la sua infanzia… le uniche informazioni che aveva avuto sulla magia erano state le storie dei bardi, e probabilmente qualche manuale base di incantesimi di tipo sciamanico che era riuscita a procurarsi anche in un regno come Elmekia. Probabilmente non aveva idea precisa nemmeno di chi fosse Shabranigdu, come potevo pensare che da autodidatta, in poche settimane, potesse avere imparato a padroneggiare un potere come quello di Lord of Nightmares?
Ma soprattutto, realisticamente, come avevano potuto crederlo i draghi neri?
Fu allora che capii. E quella comprensione mi riempì di sollievo, per un istante… prima di colmarmi di una rabbia incontrollata.
“Lina?”
Mi chiamò Gourry, in tono preoccupato. Solo guardandomi in volto, doveva avere compreso che qualcosa era cambiato. Di certo ero sbiancata, perché mi pareva di non avere più un litro di sangue in corpo. E le mie mani tremavano senza controllo.
“Capisco.” Dichiarai, rivolta a Livia, cercando di mantenere neutro il tono della mia voce.
“Signora?” La ragazzina sembrava spaventata, ora. Il mio mutamento di espressione non doveva essere evidente solo per mio marito.
“Ti riporteremo a valle, da tua nonna.” Dichiarai, con tutto l’autocontrollo di cui fui capace. “Immediatamente. E’ necessario che ci muoviamo al più presto di qui.”
Volsi le spalle e feci per imboccare la porta, ma venni bloccata dalla presa di Bastian, stretta attorno al mio braccio. “Lina. Che diavolo significa? Tu non volevi…?”
“I piani sono cambiati.” Mi limitai a sibilare. “Ci limiteremo a portare Livia in salvo.”
“Ch… che succede?” Sentii Livia avanzare verso di me, dalle mie spalle. “Signora, non capisco…”
“Va tutto bene.” Intervenne Gourry. Mi volsi, e lo vidi avanzare e poggiare una mano sulla spalla di Livia. “Devi fidarti di noi.” Le sussurrò, nel suo tono più gentile e rassicurante. “Non puoi rimanere qui da sola fino alla fine dell’inverno, finirai per impazzire. Vedrai che tua nonna troverà il modo di metterti in salvo.” Livia tentennò per qualche istante, ma la pacatezza di mio marito parve infine convincerla. Abbassò lo sguardo, e annuì debolmente. Io lanciai un’occhiata di gratitudine a Gourry, che ancora una volta aveva compreso le mie mutate intenzioni senza che avessi bisogno di spiegargliele. Mio marito mi rispose con uno sguardo dubbioso e preoccupato. Sapevo che non comprendeva le mie motivazioni, ma non potevo spiegargliele, in quel momento. La mia mente era un ammasso confuso di ansia e terribili sospetti.
“Bastian, manda un messaggio a Erianna con il tuo falco, per favore.” Chiesi, liberandomi con un gesto meccanico dalla sua stretta. “Dovrà raggiungerci alla base della montagna, stasera stessa. Non abbiamo tempo di fermarci a Talit” Levai lo sguardo oltre la porta, occhieggiando gli edifici scuri, sepolti dalla neve candida. “Livia, tu vieni un momento con me.”
La principessa deglutì, ma si fece avanti verso di me. Io la superai e mi diressi verso l’interno del palazzo, lungo lo scalone e al piano superiore. Mentre Bastian usciva per richiamare il suo falco, la giovane e Gourry mi si accodarono. Mio marito continuava ad apparire perplesso e preoccupato.
Raggiunsi la camera da letto da cui si accedeva al laboratorio, e feci cenno a Livia di precedermi nel passaggio dentro il camino.
Gourry mi pose una mano sulla spalla, per bloccarmi. “Lina.” Mi chiamò, perplesso. “Che cosa hai in mente? Non vorrai metterti a consultare quei testi proprio ora…”
Scossi la testa. “Quei testi hanno già causato abbastanza problemi.” Mi rivolsi a Livia. “Livia, voglio che tu ora faccia una cosa per me. Io non credo di poter agire in alcun modo contro quel laboratorio, per via dell’incantesimo di protezione che lo copre. Ma tu probabilmente puoi. Voglio che tu lanci un incantesimo di fuoco all’interno della sala. Il più forte che conosci. Voglio che tu desideri intensamente che il contenuto di questa stanza vada in fumo.”
Gourry mi fissò, sorpreso. “Vuoi distruggerlo?”
“Così nessun antico potere potrà più svegliarsi a Talit. E così questo laboratorio non potrà più essere usato come uno strumento di accusa contro di me.”
Gourry tacque. Sembrava ancora preoccupato, ma pareva anche comprendere le mie motivazioni. Strinsi brevemente la sua mano, ancora contro la mia spalla, quindi mi liberai e seguii Livia lungo lo scivoloso passaggio.
La osservai mentre eseguiva i miei ordini, evitando di posare gli occhi sul laboratorio. Livia sembrava piuttosto sollevata dal compito che le avevo assegnato, in effetti. Come se bruciare il laboratorio significasse per lei liberarsi di parte del peso che incombeva sulle sue spalle.  
I miei sentimenti erano più contrastanti. Non potevo dire di non essere curiosa riguardo alla sapienza contenuta fra le pagine che avevo dato ordine di distruggere. A dispetto di tutto, a dispetto di ogni rischio che avevo corso in passato a causa del potere di Lord of Nightmares, l’ambizione, la sete di potere e di conoscenza erano lati di me che non si sarebbero mai sopiti.
Ma non ero più la ragazzina sconsiderata di tredici anni, che credendo di non avere nulla da perdere aveva elaborato un incantesimo pericoloso e difficile da controllare per qualsiasi essere umano. Dopo Fibrizo, dopo tutto quello che avevo passato da quando avevo incontrato Gourry, avevo ormai compreso di avere qualcosa da proteggere, qualcosa che valeva più di qualsiasi curiosità soddisfatta: la mia mente, la mia vita e la vita delle persone che mi erano care.  
Risalii il passaggio insieme a Livia, quando le fiamme attecchirono, per fuggire al caldo soffocante e al fumo. Attesi che il fuoco avesse compiuto il suo dovere, quindi dall’alto lo estinsi, con la magia, prima che potesse diffondersi.
Quando tutto fu finito, con un respiro mi volsi verso Gourry e contemplai il suo viso, in cerca di coraggio.
“E ora torniamo.” Dichiarai, ferma. “Alle steppe.”   

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