Frozen Harbor

di Killapikkoletta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Lilah ***
Capitolo 3: *** 2. Dunstan ***
Capitolo 4: *** 3. Lilah ***
Capitolo 5: *** 4. Dunstan ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Anno 1639, Nuovo Mondo. Cronache di Lur

Più di un millennio di anni fa un enorme meteorite entrò nella nostra orbita, il destino del pianeta ormai era segnato. Invano i governi di quel tempo avevano cercato di fermare l’inevitabile. Furono lanciati missili, che scalfirono appena l’asteroide. Infine si pensò di mettere in salvo più uomini possibili, costruendo delle città sottomarine. Dopo trecento anni risalirono in superficie. La Terra, il nostro mondo, ormai era distrutto. I pochi superstiti cercarono di ricostruire il pianeta, erano gli albori di Lur.
Nacquero così tre insediamenti: Kenn, Tearmann e Shelter, la Capitale. Collegati tramite tunnel sotterranei, le neo-nate città divennero presto indipendenti, mantenendo contatti solo a fini commerciali. Shelter fu costruita intorno ad un frammento del meteorite, che in passato aveva quasi sterminato la nostra specie, ora utilizzato come fonte di energia grazie alle inesauribili radiazioni emanate. A governare l’insediamento fu costituito un Consiglio con a capo un presidente: l’Elnok. Dopo cento anni dalla nascita di Shelter, Kenn e Tearmann il terzo Elnok –Tyran– decise di erigere alte mura intorno alle tre città, in modo da proteggerle dai pericoli del Mondo di Fuori. Uscire all’esterno avrebbe significato la morte immediata per qualsiasi essere vivente.  




Angolo Autrici:
Salve siamo Giorgia e Valentina (aka Killapikkoletta e SadieJT), abbiamo deciso di fare una Round-Robin a tema distopico speriamo vi piaccia!

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Capitolo 2
*** 1. Lilah ***


Capitolo 1

Lilah

Noia. Sono giorni che mi invade. Da qualche tempo non faccio altro che lamentarmi, ma dopotutto non sono da biasimare. Shelter è una grande città, ma quando vivi da 18 anni circondata da mura invalicabili, l’esistenza diventa abitudinaria.
Uno sbadiglio mi costringe a distogliere lo sguardo dalla sheer-board dove sta continuando a scrivere la mia Educatrice. Un venticello fresco mi carezza il viso, scompigliandomi i capelli. Sbuffo per spostare una ciocca che mi offusca la visuale e poggio con noncuranza la testa sulla mano, guardando di fuori. La classe di Ethan sta correndo intorno al campo, sotto lo sguardo attento di quell’arpia dell’Educatrice alla Motorietà. Odio lo sport, forse di più di Storia Antica.
Guardo l’Educatrice, che continua a parlare anche se sa che non la sto ascoltando. Sfoglio il libro olografico distrattamente, leggendo i titoli in neretto dei paragrafi e valutando se inserire nel computer la scheda del libro che ho comprato ieri. Non potevano scegliere manuale peggiore per una materia così noiosa: solo parole e date, non un’immagine, non una foto.
Qualche volta provo ad immaginare come poteva apparire il mondo prima della Grande Catastrofe, non credo fosse come lo descrivono oggi, è impossibile, nessun essere vivente sarebbe riuscito a sopravvivere. Stando a quello che si leggeva nei numerosi libri, gli abitanti di Lur erano costantemente minacciati da guerre e malattie. Non oso pensare come sia vivere nell’incertezza. A Shelter nessuno muore prima del tempo. Arrivati all’età di 136 anni si viene ibernati, permettendo agli scienziati di effettuare ricerche, e si abbandona la vita. In genere prima di dire addio alla propria esistenza, si festeggia con tutti i parenti e gli amici più cari e si trascorrono le ultime ore in allegria. Chi viene ibernato sa che ormai non ha più niente da fare per la società, è diventato inutile e superfluo, pronto a lasciare il suo posto ad un nuovo nato.
“Signorina, può almeno fingere interesse per la lezione?” Mi volto verso l’Educatrice, che ora mi sta fissando severa, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia aggrottate. Sulla fronte neanche una ruga, benché abbia 89 anni sembra appena una ventenne, forse è per questo che non riesce a risultare autoritaria ai miei occhi. Come posso portare rispetto a qualcuno che sembra avere la mia età?
“Se la ritrovo distratta sarò costretta a riferirlo a suo padre, che la costringerà a studiare in casa.”
“No, la prego! Starò attenta, lo giuro!”, le prometto supplicandola di non avvisare mio padre. Ci avevo messo anni per convincerlo a mandarmi in un Distretto Scolastico e finalmente quando compii diciotto anni giungemmo ad un accordo: lui mi avrebbe permesso di frequentare un Istituto di Preparazione pubblico, naturalmente da privatista, ma i miei voti non sarebbero dovuti peggiorare e non mi sarei dovuta far distrarre dalle altre persone.
Mio padre è l’Elnok, il presidente del Consiglio di Shelter, ed io –in quanto sua unica figlia– lo avrei sostituita non appena ultimati gli studi.  Molti ragazzi avrebbero dato la loro casa per essere al mio posto,  ma raggiungere il mio caro paparino nella cerchia dei capi della capitale non è di certo il mio più grande sogno. La mia vita non è una passeggiata come molti immaginano: non ho amici, a parte Ethan il figlio della mia Istitutrice, e dopo quattro ore di studio individuale devo rimanere pomeriggi interi ad ascoltare tre vecchi decrepiti che tentano di farmi capire come governare una città.
Il suono della sirena di mezzogiorno mi ridesta. Passo la mano sopra il mio olo-libro, che dopo aver emesso tre bip si spegne ed estraendo la scheda dal computer la ripongo nell’archivio della mia Sala di Apprendimento. Fatto questo mi alzo ed esco, mentre l’Educatrice sta ancora parlando. Sento le sue grida affievolirsi mentre guadagno l’uscita.
Il sole è alto. So che non è reale, ma ogni volta che il Distretto Meteorologico decide che sarà una bella giornata  non posso far a meno di sorridere. Fa caldo e Ethan mi raggiunge bagnato fradicio. Oggi l’arpia deve averli strapazzati per bene, perché ora di fronte a me ansima poggiato con un braccio alla parete, i riccioli biondi attaccati alla fronte sudata e gli occhi color cioccolato che mi fissano vispi.
“Ciao Lily! Come va?”, mi chiede cercando invano di non far notare quanto in realtà sia stanco.
“Al solito”, rispondo fredda. Come vuole che vada? Le mie giornate sono sempre le stesse: studio, casa, studio.
“Di cattivo umore? Vuoi venire in Sala Svago con noi? Hanno installato dei nuovi simulatori di spiagge, sembrerà di essere in estate!” Guardo Ethan salire sulla sua tavola e porgermi la mano. Mi piacerebbe andare, ma oggi devo accompagnare mio padre in uno dei suoi giri di ispezione al Centro di Controllo e non posso mancare. Un solo passo falso e posso ritenermi segregata in casa a vita.
“Non posso”, dico acida avviandomi verso il cancello. Ethan fa spallucce e mi sorride. Ormai mi conosce troppo bene, sa che se rispondo alle sue richieste con rabbia, è solo perché avrei desiderato dirgli di sì.
“Sarà per la prossima volta, divertiti con tuo padre!”, mi prende in giro prima di attivare il dispositivo antigravitazionale della tavola e sfrecciarmi accanto. Gli faccio la linguaccia, anche se ormai è troppo lontano per vedermi e sgrullando via la polvere dai pantaloni mi avvio verso la fermata. Faccio appena in tempo a salire sul tram che questo riparte ad alta velocità, schiacciandomi contro il vetro dei portelloni.
La prima fermata è il Centro di Ricerca e Sviluppo di Shelter, vedo alcuni uomini in camice bianco scendere e percorrere velocemente lo spazio che li divide dall’ingresso. Ripartiamo e senza che me ne accorga superiamo la mia fermata, quella del Centro di Controllo. Guardo l’orologio: le dodici e sette, l’appuntamento con mio padre è all’una e mezza. Non ci penso due volte e scendo alla sosta successiva.
Di fronte a me si erge l’imponente Biblioteca di Shelter, forse l’unica costruzione a sembrare fuori luogo in questa città. Era stata eretta l’anno di fondazione della Capitale e da quel momento nessuno aveva osato apportare modifiche alla sua struttura. Era stata ricavata nel fianco di una montagna e solamente la facciata è visibile, il resto della costruzione deve trovarsi all’interno dell’altura. Un’immensa scalinata in marmo conduce ad un portone in ferro battuto che sembra molto pesante, ai lati dell’entrata vi sono quattro colonne, due per ogni parte, anch’esse in marmo scanalato e con capitelli finemente decorati. Le mura imponenti sono in pietra e il tetto d’ardesia stona con quelli delle abitazioni vicine in fibra di carbonio. Lentamente salgo i gradini e raggiungo l’entrata. Varcata la soglia vengo colpita dall’odore di pelle e carta e sorrido. Sono sola, a parte altre due persone e l’addetta intenta a sistemarsi le unghie dietro il bancone in legno. Mi avvicino ad uno scaffale e passo la mano sul frontespizio del libro più grade, sfilandolo dal ripiano. La copertina è ruvida e polverosa, da quando sono stati inventati gli olo-libri nessuno viene più qui. Raggiungo un tavolo e mi siedo iniziando a sfogliare con attenzione le pagine ingiallite dal tempo. In passato ho trascorso ore tra le librerie e le mensole alla ricerca di qualche informazione sul Mondo Antico, ma non ho mai trovato nulla. Gli unici libri conservati nella biblioteca sono vecchi fantasy che non fanno altro che raccontare di terre fantastiche e tribù di folletti. Una volta avevo persino trovato un libro sull’universo, ma anche quello non dava informazioni veritiere, ne sono più che sicura. Con un tonfo chiudo il pesante tomo che da venti minuti ho sotto il naso e lo rimetto al suo posto. Cammino tra gli alti scaffali senza realmente guardare la moltitudine di libri che riempiono i numerosi ripiani in legno di faggio, mancano poco più di quindici minuti all’arrivo del mio tram. Mi mordicchio il labbro inferiore contando i secondi che mi separano dall’appuntamento. Non voglio andare all’incontro con mio padre, mi fa sentire inferiore e tremendamente inutile, dubito che un giorno si farà da parte lasciandomi il suo posto, piuttosto mi butta all’esterno delle mura eliminando così la concorrenza. Ridacchio pensando a quanto sono sciocca. Non devo preoccuparmi, mio padre mi vuole bene, è per questo che si arrabbia tanto quando salto le lezioni per andare con Ethan o per venire qui in biblioteca.
Mi fermo notando un volume sepolto in un mucchio di carte. Con un po’ di fatica lo raggiungo e lo afferro, la copertina è rosso scuro e al centro ha un bellissimo ghirigoro dorato con sotto dei disegni geometrici a distanze regolari. Affascinata dalla nuova scoperta lo apro iniziando a sfogliarne le pagine, ma l’emozione presto scema. Segni incomprensibili popolano le pagine incartapecorite del libro che ho tra le mani. Con rabbia lo richiudo e infilandolo nella borsa che ho a tracolla, esco in fretta raggiungendo la fermata del tram. Il pesante volume che ad ogni passo sbatte contro la gamba ricordandomi quello che ho appena fatto. Ho infranto la regola più importante della Biblioteca, io la prossima Elnok mi sto comportando come una ladruncola. Arriva il tram e salgo, sedendomi sulla prima poltroncina libera che trovo.
Quando giungo a destinazione mio padre è là e mi osserva spazientito mentre scendo dal tram. Spero non si accorga che sono stata alla biblioteca, ma soprattutto prego che non mi faccia svuotare la borsa. A volte me lo chiede per vedere se tengo qualcosa che potrebbe distrarmi, come un portale di comunicazione o una consolle di gioco.
“Lilah, un’altra volta in ritardo!” , esordisce scuro in volto. Guardo l’orologio e sbuffo impercettibilmente. È l’una e trentacinque, nessuno è mai morto per un ritardo del genere!
“Salve padre, com’ è andata la giornata?”, chiedo sorridendo. Lui senza degnarmi di una risposta si volta e inizia a camminare verso l’ingresso del Centro.
Le porte scorrevoli si aprono appena prima che mio padre possa sbatterci contro e lo lasciano entrare nel tecnologico edificio. Il Centro di Controllo è la base dalla quale si può controllare tutta Shelter e i suoi abitanti. Ogni cittadino ha impiantato un microcip, che traccia i suoi movimenti permettendo a mio padre e ai membri del Consiglio di monitorare le azioni di ogni residente nella capitale. Questo ha permesso di diminuire esponenzialmente la criminalità, che da qualche anno è pressoché nulla. Una grande invenzione i microcip, se mio padre non li usasse anche per sapere dove passo le mie ore di libertà. Dal Centro si può anche verificare l’andamento del commercio con gli altri due insediamenti e controllare le mura e le loro condizioni.
“Sbrigati, oggi abbiamo molto lavoro da sbrigare. La torre a sud-est si è deteriorata, dobbiamo valutare l’entità del danno.” Accelero il passo per raggiungerlo ed appena lo raggiungo, entriamo in un ascensore. Mio padre preme un pulsante e in pochi secondi raggiungiamo il trentasettesimo piano del palazzo. Quando le porte dell’ascensore si aprono e mio padre fa il suo ingresso, tutti i presenti smettono di svolgere le loro attività, si alzano e lo salutano battendosi il palmo aperto sulla spalla sinistra e poi avvicinando la mano al cuore. Lui guarda ognuno con occhi di fuoco, poi prosegue verso il pannello di comando.
I numerosi schermi mostrano tutti la stessa inquietante immagine: un’enorme varco si è aperto nelle mura a sud, il primo strato protettivo è andato distrutto.
“Signor Keir abbiamo inviato delle truppe di Riparatori, che proprio in questo momento si sta occupando del danno. Niente e nessuno è uscito o entrato.” Un minuto ragazzo con spessi occhiali si avvicina a mio padre, aggiornandolo.
“Bene.” Una sola parola. Sento il ragazzo sospirare e allontanarsi, lo guardo mentre riprende a digitare velocemente una volta raggiunta la sua postazione. Forse si aspettava un complimento, si vede che non conosce mio padre.
Mentre vengo congedata per raggiungere l’Istitutrice a casa, noto qualcosa sugli schermi. È durato un solo attimo, ma ne sono convinta, ho visto un’ombra attraversare il varco. Il cuore inizia a battermi all’impazzata. Cosa può essere? Da quando ero piccola mi hanno sempre ripetuto che al di fuori degli insediamenti non c’è niente, solo desolazione. Forse è stata la mia immaginazione, o uno dei Riparatori ad entrare nel campo visivo della telecamera di sicurezza. Sì, deve essere per forza così.  



Angolo Autrice:
Salve gente sono Killapikkoletta! In questa storia ogni capitolo sarà descritto dal punto di vista di Lilah (di cui mi occuperò io) o di Dunstan (di cui si occuperà SadieJT), spero che questo vi aiuti a capire meglio il punto di vista di entrambi :)
Questo è il primo capitolo con una descrizione iniziale di Shelter e della nostra annoiata protagonista (essere la figlia dell'Elnok non è così facile eh??) spero sia di vostro gradimento ;)
A presto con il prossimo capitolo, stavolta scritto da SadieJT!

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Capitolo 3
*** 2. Dunstan ***


Capitolo 2

Dunstan

Le prime luci dell'alba filtrano attraverso le finestre, svegliandomi. Nonostante le crepe ed i graffi che ricoprono il vetro opaco recuperato dai rifiuti di Shelter riesco ad intuire la sagoma delle mura della grande Capitale che si stagliano contro il cielo pallido. Sogghigno all'idea delle migliaia di anime che, protette da quella barriera impenetrabile, dormono sonni tranquilli, senza la preoccupazione di doversi procurare del cibo né tantomeno di dover combattere per la sopravvivenza, mentre i loro maggiordomi preparano loro una lauta prima colazione, che ovviamente non smaltiranno mai, con tutti gli agi che li circondano. Loro non sanno nemmeno che siamo qui fuori. Quando si è bambini ci si chiede il perché di questa follia, ma col tempo ci si abitua, e credo di esserne la prova vivente.
Mi tiro su a sedere sul mio giaciglio di paglia scansando le coperte di cotone e lana e mi alzo, percorrendo mentalmente quella che sarà la mia giornata: prelevare l'acqua dal lago, portarla a casa, andare a caccia, vendere la selvaggina ai commercianti, comprare del cibo per me e per i bambini, tentare di insegnar loro qualcosa, metterli a dormire e ricominciare daccapo l'indomani. Un'esistenza come la mia si potrebbe considerare ciò che di più lontano ci sia dalla monotonia, ma scandire il mio tempo facendo sempre le stesse cose -o almeno provarci- mi impedisce di andare alla deriva. Devo rimanere sano di mente, se non per me almeno per i bambini. Me lo ripeto ogni mattina, mentre mi carico sulle spalle la pesante giara che trascino per tre chilometri all'andata e tre al ritorno, ma solo dopo essermi goduto i miei cinque minuti di libertà nuotando nel lago gelido; io sono rimasto solo dopo la morte dei miei, non voglio che a loro accada lo stesso. Lasciata la giara al solito posto, accanto alla porta di legno marcio della stanza dei bambini, mi affaccio per vedere quanti di loro sono già svegli. I quattro più grandi devono essere già in giro per i boschi, speriamo tornino a casa anche oggi. Mi incammino con il pugnale assicurato alla cinta dei pantaloni e la pistola nella fondina improvvisata. Quella si che è stata un bel regalo dalla Capitale. Sul tragitto per la zona più fitta della foresta mi aspetto di incontrare i miei amici, come ogni giorno, ma oggi non ne vedo traccia.
 “Si stanno impigrendo” penso, ridendo tra me e me, e vado avanti, convinto che gli altri siano ancora a letto. Anche gli animali oggi sembrano poco propensi a mostrarsi. Mi chiedo se non sia io a fare troppo rumore camminando, ma non mi pare plausibile.
Proseguo la mia ricerca, e finalmente scorgo tra le fronde degli alberi un paio di uccelli e li abbatto con pochi colpi di pistola. Non è un gran bottino, ma meglio di niente. Il sole si alza rapidamente in cielo, proiettando macchie d'ombra mentre s'insinua tra le foglie. Gli animali dovrebbero essersi svegliati tutti ormai, ma non vedo ancora nulla, a parte qualche insulsa lucertola qua e là. Improvvisamente la vegetazione sparisce, e mi rendo conto di essermi spinto fin sotto le mura di Shelter. A qualche centinaio di metri da me vedo i miei amici, che di solito cacciano con me, accalcati su qualcosa che sembrano trovare particolarmente interessante. Li raggiungo di corsa. Quando mi fermo a pochi centimetri da loro impiego alcuni secondi per farmi notare. Visto che non sembrano intenzionati a spiegarmi cosa sta succedendo mi faccio strada spingendo via alcuni di loro, e rimango sconcertato da ciò che vedo. C'è una breccia nel muro.
Una sorta di eccitazione mi pervade e un sorriso mi tende le labbra. Lì dentro non sono così perfetti, dopotutto. Mi accorgo che i miei amici si stanno strattonando a vicenda e stanno tentando di non fare troppo rumore mentre si sfidano ad entrare senza che nessuno si dimostri abbastanza coraggioso.
Mi volto verso gli altri e senza pensarci due volte sussurro: “Vado io” E mi volto senza aspettare la risposta dei ragazzi sbigottiti. Attraverso il varco con le braccia stese ai lati, le mani che accarezzano la roccia massiccia rimasta in piedi. Qui dentro devono esserci tesori immensi, e la gente della Capitale non li merita. Il mio pensiero è corso immediatamente ai bambini che, rifugiati in casa mia, vivono con qualche crosta di pane che rimedio per loro scambiando la selvaggina al mercato.
Attraverso le strade della città senza che nessuno mi dia realmente peso. Alcuni camminano a passo spedito con lo sguardo fisso davanti a loro, altri si servono di mezzi di trasporto. Cerco qualcosa che somigli al nostro mercato, delle bancarelle o qualcosa di simile, ma non sembra esserci niente del genere in giro. Più mi addentro nella città allontanandomi dalla breccia più noto gruppi di persone in uniforme dall'aria particolarmente concitata. Tento di tenermi più lontano possibile da loro, soprattutto da quando ho notato quanto il mio abbigliamento sia diverso. Se malauguratamente qualcuno dovesse distrarsi dalla sua cieca corsa giornaliera facendo cadere lo sguardo su di me noterebbe immediatamente che non appartengo a quel posto, e dato il trattamento che ci è riservato di norma non oso immaginare cosa mi farebbero trovandomi all'interno del loro prezioso paradiso terrestre.
Mi appiattisco contro una parete in un vicolo secondario mentre una pattuglia passa rapidamente nella strada principale. Dopo alcuni secondi di apnea tiro un sospiro di sollievo, che mi rimane bloccato in gola quando una mano mi afferra il braccio.
“Ragazzo chi sei? Identificati immediatamente!” Con uno strattone mi libero e fuggo inoltrandomi nella stradina. Per un breve istante mi illudo di aver seminato i miei inseguitori.
“Accidenti un vicolo cieco..” Impreco dentro di me rendendomi conto che ormai è troppo tardi per tornare indietro, sentendo il vociare della pattuglia che si avvicina.
In preda al panico inizio a guardarmi intorno finché non trovo una possibile via di fuga: c'è una porta alla mia destra, che conduce all'interno di un grosso edificio. Senza domandarmi quanto dannosa possa rivelarsi la mia scelta la apro e me la sbatto alle spalle appena in tempo. Sento la pattuglia arrivare davanti al mio nascondiglio e tornare indietro, confusa. Mi lascio andare contro il muro del mio nascondiglio e scivolo a terra.





Angolo Autrice: 
Ed ecco a voi anche il mio esordio! Salve lettori sono SadieJT e come avrete intuito io gestisco Dunstan il selvaggio (non troppo XD) della situazione! Spero vi piaccia come inizio e non perdete il prossimo capitolo visto dagli occhi di Lilah gestita dalla mia amica Killapikkoletta :)
A presto con Frozen Harbor!

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Capitolo 4
*** 3. Lilah ***


Capitolo 3
Lilah

 
Arrivo a casa alle quattro, giusto in tempo per la lezione di Politica ed Economia. Nyata mi viene incontro sorridente. Mi è sempre stata simpatica la mamma di Ethan, ha preso il posto del genitore che non ho avuto il tempo di conoscere. Mia madre è stata giustiziata quando io ero ancora molto piccola e a dichiararla colpevole fu proprio mio padre, suo marito. All’inizio non riuscivo a capacitarmi di come un uomo potesse mandare a morire la donna amata senza battere ciglio, lo avevo veramente odiato appena scoperto ciò che era successo, ma con il passare del tempo capii il motivo del suo gesto estremo:  Dhorane era a capo di un gruppo di rivoltosi, che tramavano nell’ombra a discapito del Consiglio e della sicurezza di Shelter. Poco prima di mettere in atto il loro colpo di stato, furono scoperti ed eliminati. Una punizione all’apparenza esagerata, ma come ripete sempre mio padre: “Nulla è troppo se in gioco c’è la tranquilla perfezione della nostra amata Shelter.” E in fondo ha ragione. Mia madre era solo una piccola pedina, in un gioco molto più grande di lei.
“Lily, piccola mia, sei tornata presto! Ethan mi aveva detto saresti andata al Centro con Keir.” Nyata mi stringe fra le sue esili braccia e mi bacia sulla fronte con affetto.
“Papà mi ha chiesto di tornare. Ci sono dei problemi alla Torre sud-est e non voleva avermi tra i piedi”, le dico sciogliendo l’abbraccio. Lei mi guarda stupita e passa le mani sulla gonna iniziando a stirarvi pieghe inesistenti.
“Cosa è successo?” Sembra nervosa e continua ad alternare occhiate nella mia direzione e in quella della porta.
“Le mura sono danneggiate e si è aperto un varco verso il Mondo di Fuori.”
“Un varco?!” Sconvolta dalla notizia comincia a fare avanti e indietro per la stanza, borbottando parole incomprensibili.
“Clamati Nyata è tutto sotto controllo, i Riparatori sono già là e non è successo nulla di strano, nessuno si è fatto male.” Mi affretto a spiegarle che quello di oggi era stato solo un falso allarme e che gli uomini di papà avevano già risolto il problema.
“Ah, bene. Per fortuna niente di irreparabile”, dice ridendo istericamente. A volte non la capisco, sembra così severa e austera, ma basta un non niente per farla andare nel panico.
Mi fa cenno di seguirla in cucina e io obbedisco senza ribattere, la conosco abbastanza bene da sapere che non bisogna contraddirla quando dà di matto. La osservo mettere l’acqua sul fuoco ed iniziare a spezzettare una tavoletta di cioccolato fondente. Sorrido. A Shelter i pasti vengono regolati dal Centro Nutrizione e Benessere, nessuno deve preparare da mangiare perché il cibo è recapitato a casa ogni mattina, così che ognuno assuma il giusto apporto calorico giornalmente. Possedere una cucina è una formalità. Nyata è una delle poche che riesce a sfuggire al controllo. Ma la sua cioccolata calda è certamente mille volte migliore di quella liofilizzata che ci propinano durante la Festa d’Inverno. Ricordo quando da piccola me la preparava ogni volta che piangevo, Ethan era sempre stato geloso delle attenzioni che sua madre mi dedicava.
Nyata mi porge una tazza fumante e io la afferro, annusandone avidamente il contenuto. L’odore di cacao amaro mi inebria, facendomi venire l’acquolina in bocca. Bevo un sorso di bevanda bollente e sento la sostanza cremosa scendermi lungo la gola, riscaldandomi. Per un momento mi sembra di poter toccare il cielo con un dito.
“Mamma, hai di nuovo fatto la cioccolata senza aspettarmi?!” Un Ethan piuttosto arrabbiato fa il suo ingresso nella stanza e mi ruba la tazza da sotto il naso.
“Ehi! Quella è mia!”, dico alzandomi per reclamare il mio tesoro. Vedo Ethan scolarsi il contenuto del bicchiere in un secondo e sorridermi con baffi marroni.
“Mi dispiace ormai l’ho bevuta!”, dice canzonandomi. Odio quando fa così. Nyata non mi prepara la cioccolata da una vita e quella spettava a me, non di certo a lui!
“Sei uno sciocco Ethan! Se ti prendo, ti distruggo!”, lo minaccio saltandogli addosso, ma lui mi evita agilmente ed inizia a correre su per le scale.
“Prima devi raggiungermi!” È una sfida? Sa che sono io la più veloce, non mi sarei fatta battere. Infatti in poco tempo gli sono dietro e lo supero bloccandogli la strada, mentre lui riesce a frenare la sua corsa appena un secondo prima di investirmi.
“Ti ho preso! Ora restituiscimi la mia cioccolata ladro!”, dico ansimando per lo sforzo e puntandogli un dito accusatore contro.
“Lily adesso stai esagerando, mamma te ne farà dell’altra se sarai tu a chiederglielo. Così ne berrò ancora anch’io!”
“Non la farò proprio a nessuno! Lilah è ora della lezione”, mi dice Nyata con sguardo severo “e Ethan, dove pensi di andare? Tu sei in punizione.”
“Ma mamma!”
“Niente ma, così alla prossima occasione ci penserai due volte prima di rubare le cose altrui! Vai a mettere la tua tavola in garage, non la potrai usare per una settimana.” Ethan mi passa accanto sbuffando, mentre ridacchio soddisfatta avviandomi verso la mia camera, dove mi aspettano almeno due ore di noia assoluta sotto lo sguardo vigile di Nyata.
 
Finalmente il mio aguzzino si decide a lasciarmi per andare a controllare che anche Ethan stia studiando e non perdendo tempo con quegli “stupidi simulatori di realtà fuorvianti”, come li chiama lei. Quando la mia istitutrice esce dalla stanza, tiro un sospiro di sollievo e spengo gli olo-libri. Mi stiracchio, allungando la schiena indolenzita per le lunghe ore trascorse immobile sulla sedia più scomoda del mondo. Il letto, in fondo alla camera, mi sta chiamando a gran voce e uno sbadiglio non fa altro che rammentarmi quanto sia stanca. Guardo l’ora: le otto e dieci. Se mi mettessi a dormire, la giornata finirebbe troppo in fretta e l’ultima cosa che voglio è ricominciare da capo un giorno sicuramente monotono come tutti gli altri.
Mi do una spinta sulla scrivania e la sedia girevole si allontana dal tavolo, fermandosi al centro della stanza. Con un po’ di riluttanza mi alzo, ma subito cerco un appiglio per non cadere. Il piede stando troppo tempo fermo in una posizione mi si è addormentato e alzarmi all’improvviso mi ha fatto perdere l’equilibrio, per poco non finisco con le gambe all’aria! Mi do dei colpetti sulla coscia e sbatto freneticamente il piede a terra per svegliarlo. Una volta riacquistata la sensibilità dell’arto esco dalla camera, dirigendomi verso la cucina.
Camminando in corridoio passo accanto allo studio di mio padre. La luce soffusa, passa attraverso la feritoia. Deve essere tornato dal Centro.
“Questa notizia non deve trapelare.” Sentendo quelle parole mi blocco e avvicino l’occhio alla serratura. Mio padre è al telefono e a giudicare dall’espressione non deve aver ricevuto buone notizie.
“Non è possibile che ve ne siate accorti solo ora! Disponiamo dei più tecnologici mezzi di sicurezza!” Lo vedo digrignare i denti e sbattere un pugno sulla scrivania con violenza, facendo volare il plico di fogli che era là sopra. “Siete degli incapaci! Trovatelo! Nessuno deve sapere che è entrato!” Trattengo a stento un grido, tappandomi la bocca, lui avvisato dal rumore si volta in direzione della porta. Mi ha scoperto. Velocemente mi alzo e corro verso le scale fino a raggiungere la cucina, dove Nyata ed Ethan stanno già mangiando.
“Cos’hai Lily? Sembra tu abbia visto un fantasma!”, scherza il mio amico allungando un braccio per scostarmi la sedia. Ma io lo ignoro andando verso l’erogatore minerale e riempiendomi un bicchiere d’acqua. Lo bevo tutto d’un fiato e riempiendone un altro mi siedo a capo tavola, lo sguardo perso nel vuoto.
Non posso crederci. Non mi ero sbagliata, ci avevo visto giusto, quell’ombra non me l’ero immaginata! Ma come è possibile che qualcuno sia entrato a Shelter? Non si può sopravvivere nel Mondo di Fuori, questa è la prima cosa che ti insegnano da bambino. L’Esterno è pericoloso, è per questo che sono state erette le mura, è per questo che viviamo segregati all’interno degli insediamenti, o no?
“Va tutto bene? Hai mal di testa?”, mi chiede Ethan con sguardo preoccupato. Allora mi accorgo di avere le mani tra i capelli e i denti stretti a formare un ghigno di dolore.
“Non è niente, devo aver studiato troppo”, dico guardando Nyata e sperando di farla sentire in colpa, magari il giorno dopo mi avrebbe lasciata in pace.
“Tesoro avrai bisogno di mangiare, vado a prendere la tua porzione”, mi spiega alzandosi e dirigendosi verso la dispensa.
“Sei fortunata, stasera c’è pasticcio di carne e carote, il tuo preferito!” Naturalmente Ethan mi sta prendendo in giro, io odio la carne.
 
Mangio a forza quello che ho nel piatto. Fino a dieci minuti fa non vedevo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti, ma ora ho lo stomaco sottosopra e solo l’odore del cibo con il quale sto giocando, mi fa venire la nausea. Vorrei tanto allontanare il piatto da sotto il mio naso e fare in modo di non dover guardare Ethan che si ingozza. Ma Nyata odia che il cibo venga sprecato, quindi mi costringo a mandare giù tutte le carote il più velocemente possibile, voglio lasciare quella stanza prima che arrivi mio padre.
Dopo l’ennesimo boccone di carne, lascio cadere la forchetta e mi alzo strusciando la sedia. Ragiono sulle parole da usare, devo giocare bene le mie carte, o Nyata si insospettirà.
“Non credo di sentirmi molto bene, forse ho bisogno di una boccata d’aria.” Perfetto, questo è il meglio che la mia mente è riuscita ad elaborare? Cerco di ottenere un’espressione dolorante per avvalorare la mia affermazione, il che non è molto difficile visto che sto veramente male.
“Vuoi che ti accompagni? Ti senti bene Lily? Sei molto pallida”, dice Ethan alzandosi e avvicinandosi per sentirmi la fronte. Sorrido osservando le sue azioni. Ha imparato da sua madre come sapere se una persona ha la febbre, con l’unico difetto che io non posso contrarre l’influenza. A Shelter non esistono microorganismi come batteri o virus, quindi è impossibile ammalarsi.
“Smettila Ethan”, dico scostando la sua mano. Non voglio essere fredda, ma ho fretta di uscire da quella cucina.
“È solo un po’ di nausea, il fresco della sera e una bella passeggiata mi aiuteranno.” Detto questo mi allontano sotto lo sguardo vigile di Nyata, ma invece di uscire dal cancello, una volta raggiunto il vialetto, mi dirigo verso il garage. Voglio vedere di persona il danno alla Torre sud-est e per farlo mi serve la tavola di Ethan. Nessuno sa che sono in grado di usarla, in teoria non mi è permesso. Solo gli Agenti di Sicurezza e i loro futuri successori, come Ethan, hanno il diritto di utilizzarle.
Ricordo quando mi ero lagnata con il mio amico, affinché mi istruisse. Quando lui aveva ricevuto la sua prima tavola e aveva iniziato a montarla, io mi sentii inferiore, come se un giorno potesse lasciarmi indietro, dimenticarsi di me. Così l’avevo praticamente costretto ad insegnarmi e lui non aveva potuto rifiutare.
Da quel momento ci esercitiamo di nascosto nella periferia di Shelter. La mia tavola è nascosta lì, sotto un mucchio di rifiuti e ciarpame, che aspetta solo di essere nuovamente utilizzata. Quello che in principio era solo un capriccio, ora è diventata la mia droga, l’unica possibilità che ho di sfuggire alla routine e ad una vita scandita da regole rigide e precise. Per questo rischio, per questo ogni volta che la monto non penso alle conseguenze in cui potrei incorrere, ma solo al vento che incessante mi sferza i capelli. Quel piccolo pezzo di metallo è diventato il mio migliore amico.
Mi viene da ridere, se Ethan lo sapesse probabilmente mi terrebbe il broncio per una settimana. Come si fa a essere gelosi di un oggetto?
Arrivo di fronte la porta del garage, mi guardo intorno e cercando di non far rumore la apro e lentamente me la richiudo alle spalle. Il buio che mi accoglie, mi spiazza. Non sono abituata a stanze senza accensione automatica della luce. Con mani tremanti cerco a tastoni l’interruttore, ma appena lo trovo mi blocco, trattenendo il fiato. Un rumore. Il primo pensiero va ad un libro che ho letto pochi giorni fa, parlava di animali piccoli e tremendamente sporchi che infestavano le cantine del Mondo Antico, mi pare si chiamassero topi, ma immediatamente mi do della stupida. Non può essere un topo, ormai non esistono più da migliaia di anni. Con il cuore in gola, premo sul pulsante e dopo un momento la lampadina si accende. Strizzo gli occhi accecata dalla luce improvvisa e mentre aspetto che si riabituino al cambio di luminosità, mi guardo intorno. Niente.
Gli scaffali, stipati di documenti, ricoprono interamente la parete in fondo al garage. Al loro posto, come sempre. Passo la mano sul ferro freddo, a quel contatto mi tranquillizzo. La stanza sembra vuota. Le tavole di Ethan, sistemate in un angolo, danno bella mostra di loro, appena lucidate e riposte accuratamente. Sopra di queste una mensola dove vi sono riposti i solenoidi e le batterie a miscela di idrogeno e azoto, che alimentano il mezzo di trasporto. Mi alzo sulle punte per raggiungere quella più sporgente e la afferro, rigirandomela tra le mani. Non è così leggere come sembra. Posiziono la batteria al suo posto, dietro il reattore della tavola e chiudo il pannello di alimentazione. Forse il rumore che ho sentito prima me lo sono solo immaginato.
A smontare rapidamente la mia teoria è uno scatolone, che precipita al suolo con un gran tonfo. Mi appiattisco alla parete, spaventata. Respiro affannosamente, fissando il punto in cui è caduto il contenitore di cartone, tutti i fogli al suo interno ora sono sparsi a terra. Mi faccio coraggio, avvicinandomi guardinga. Quando sto per raggiungere la pila di scatole, qualcosa esce da dietro di esse e mi spinge contro la parete immobilizzandomi. La botta alla testa mi stordisce, di fronte a me vedo una sagoma sfocata. Le gambe mi cedono e se qualcuno non mi sorreggesse, sarei già crollata. Sbatto più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’immagine. Trattengo il fiato vedendo quello che ho di fronte. Un ragazzo.
Un ragazzo più o meno della mia età, con una folta chioma bionda e occhi verdi, mi sta fissando curioso. Strano, non ho mai visto nessuno con dei capelli così lunghi e poco curati, qui tutti gli uomini li tengono corti, è la regola. Mi allontano dallo sconosciuto, squadrandolo da capo a piedi. È molto alto, tanto che devo reclinare all’indietro la testa per guardarlo in viso ed ha uno strano incarnato, sembra quasi color caramello. Ha dei lineamenti forti, niente a che fare con i tratti femminei a cui sono abituata. I muscoli ben segnati si notano attraverso il gilet, che tiene aperto e i pantaloni di pelle aderente. Non ho mai visto un ragazzo così. Nemmeno Ethan, che vanta un cospicuo numero di ammiratrici, è alla sua altezza. È affascinante e misterioso, quasi selvaggio. I capelli lunghi, gli addominali scolpiti in bella vista e la scintilla di fierezza che gli illumina lo sguardo. Il mio cuore batte all’impazzata. Vorrei avvicinarmi, toccarlo per accertarmi che sia vero e non solo frutto della mia fantasia.
Lo sconosciuto fa un passo verso di me e io indietreggio, trovandomi spalle al muro. Sono in trappola. Dovrei aver paura, ma non so perché quel misterioso ragazzo non mi spaventa, per un qualche strano motivo sento di potermi fidare di lui.
“Tu chi…” Non faccio in tempo a terminare la frase, che la porta del garage si spalanca, lasciando entrare un plotone di Agenti di Sicurezza che ci circondano, i fucili puntati verso di noi. Mio padre entra con calma serafica e un ghigno gli si dipinge sul volto, come se avesse ricevuto una splendida notizia. Mi volto verso il ragazzo, che si sta guardando intorno in cerca di una via di fuga. Allora capisco. È lui. L’ombra che ho visto questo pomeriggio, l’intruso che era penetrato attraverso il varco nella Torre sud-est.
“Sapevo che dovevi essere stato aiutato da qualcuno all’interno, nessuno può forzare le difese di Shelter”, dice mio padre sogghignando “sono giorni che controllo le tue mosse Lilah. All’inizio era solo un sospetto, che speravo fosse infondato, ma tu mi hai deluso. La figlia dell’Elnok che trama contro la Capitale, alleandosi con gli abitanti del Mondo di Fuori.” Abitante del Mondo di Fuori? Tramare? Ma cosa sta dicendo? È forse impazzito, o fa tutto parte di un piano?
“Ma cosa dici papà?”
“Non ti permetto di chiamarmi in quel modo! Tu non sei più mia figlia, traditrice! Pensavo di averti protetta, ma evidentemente non ho agito abbastanza in fretta, tua madre aveva già corrotto anche te. Prendeteli! Sono dei criminali!” A quelle parole il mondo mi crolla addosso. Ora è tutto più chiaro, mia madre non era mai stata una ribelle e tutte le persone che lui aveva fatto giustiziare, non erano colpevoli di nessun reato.
Afferro la tavola dietro di me e ci salto sopra, azionando il meccanismo antigravitazionale, poi prendo per mano il biondino rimasto immobile dopo l’agguato e lo trascino di forza con me sul mezzo di salvataggio improvvisato. Spicco il volo sotto lo sguardo sorpreso di mio padre e aprendomi un varco tra gli Agenti di Sicurezza, esco dal garage a gran velocità.
Vedo Ethan, sotto di me, osservare la scena attonito. Gli lancio uno sguardo disperato, per poi schizzare via, lasciandomi alle spalle la mia casa e con lei il mio passato. So che Ethan creerà un diversivo per permettermi di fuggire, lo farà anche a costo di rimetterci, perché è mio amico.
Sento il ragazzo irrigidirsi e afferrarmi la maglietta con violenza, i piedi malfermi sulla tavola a lui probabilmente sconosciuta.
“Tranquillo, non cadrai”, gli dico con voce ferma e sicura. Si rilassa, ma non abbastanza da lasciare la presa sulla mia maglia, che continua a stringere convulsamente rischiando di strozzarmi.
Stiamo per arrivare alla Torre sud-est, posso intravedere il varco tra le mura. Mi volto  indietro guardando Shelter un’ultima volta. Sto dicendo addio alla mia vita, alla sicurezza, ai miei amici, a Nyata, ad Ethan, alla vecchia me. Senza più esitazioni e per paura di essere raggiunta, mi dirigo a folle velocità verso la faglia e la attraverso.
Una sensazione di libertà mi invade prepotente, inebriandomi. Grido euforica e inspiro aria pura , che mi riempie i polmoni donandomi impressioni mai provate prima. Apro gli occhi. Sono libera, non più rinchiusa e protetta da barriere artificiali. Felicità e paura si impadroniscono di me, lottando tra loro in modo da prevalere l’una sull’altra. Continuo a volare con il motore della mia tavola al massimo, senza sapere realmente dove andare, ma non mi interessa. Ormai non ho più regole da rispettare.
Sono fuori.






Angolo Autrice:
Ciao!! Rieccomi con un nuovo capitolo visto dal punto di vista di Lily!! Finalmente lei e il bel tenebroso Dunstan si sono incontrati (e io mi sono innamorata :Q___) 
Volevo dedicare questo capitolo a Afrociucci che segue la storia e l'ha inserita nei preferiti, grazie per il tuo supporto!!
A presto con il prossimo capitolo scritto da Sadie JT
Baci
Killapikkoletta

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Capitolo 5
*** 4. Dunstan ***


Capitolo 4
Dunstan

 
Guardandomi intorno, mentre i miei occhi si abituano rapidamente all'oscurità, mi accorgo di essere finito in una stanza più grande di quella in cui dormo di solito, ma non vedo letti né tavoli né niente di realmente utile per vivere.
Ci sono solo cianfrusaglie.
Sulla parete davanti a me ci sono diversi scaffali stipati di carta. La carta... Faccio quasi fatica a ricordare quel nome, così inconsueto nel mio mondo fuori dalla Capitale. Non sono molti quelli di noi che sanno scrivere, e anche coloro che ne sono in grado non hanno motivo né tantomeno tempo per farlo. Quando insegniamo ai bambini non ci soffermiamo molto sull'alfabeto e sulla scrittura, ovviamente privilegiamo insegnamenti di tipo pratico sulla caccia, la pesca, la conciatura delle pelli, la tessitura, l'agricoltura e via dicendo, ma quando ci troviamo di fronte allievi particolarmente svegli mostriamo loro come scrivere tracciando le lettere nella terra o nella sabbia.
Mi riscuoto da quei pensieri inutili: devo focalizzarmi sul trovare una via d'uscita. Lentamente, sperando di non fare rumore, percorro le pareti. Noto, in un angolo, un ammasso di tavole di ferro lucide che immagino parte di una qualche costruzione in corso. Mentre continuo ad avanzare appiattito sulla parete qualcosa mi coglie alla sprovvista: un fascio di luce naturale illumina per un breve lasso di tempo la stanza per poi sparire all'improvviso, accompagnata da un flebile cigolio e dal suono secco della maniglia della porta che si chiude. Non sono solo. La figura che eè appena entrata si sposta verso i pezzi di metallo e prende qualcosa da una mensola sopra di esse. Ancora speranzoso di trovare un'altra via di fuga striscio più velocemente lungo il muro, ma urto con la spalla uno scaffale posto più in basso degli altri, facendo cadere a terra uno degli scatoloni che contengono la carta, che si sparge sul pavimento.
Posso sentire l'altro intruso trattenere il respiro mentre mi sposto rapidamente dietro allo scatolone. Cerco di calmare il mio respiro e tento di farlo diventare il più silenzioso possibile mentre la mia mano scivola lentamente verso il pugnale. Quando sfioro la cintura non trovo nulla. Il pugnale dev'essermi caduto nella fuga. Trattengo un grido di rabbia, poi mi sforzo di tornare calmo appena in tempo per sentire i passi dell'intruso che si avvicinano al mio nascondiglio. D'istinto balzo e lo afferro per le spalle, bloccandolo alla parete. Lo sento cedere, ma continuo a tenerlo saldamente. Accidenti, è solo una ragazza.
E' molto più bassa di me ed il suo corpo esile sembra terribilmente fragile, molto più di quelli di alcuni dei bambini che mi aspettano a casa.
La lascio andare, e più la guardo con attenzione più mi convinco che deve appartenere ad una fascia sociale piuttosto alta nella gerarchia della Capitale. Non ho mai visto nessuna, al villaggio, che avesse i capelli così curati. I suoi erano di un nero corvino che non sembrava aver mai visto il sole abbastanza a lungo da restarne intaccati in alcun modo. Anche la pelle del suo viso è chiarissima, e su di essa non c'è nemmeno una piccola macchia o una lentiggine. Gli occhi sono grigi, chiarissimi, del colore del brecciolino sotto l'acqua trasparente delle rive del nostro lago. Indossa una maglia dai disegni elaborati e dei pantaloni così stretti che mi chiedo come facciano a non impedirle i movimenti. L'ultimo indizio che conferma la mia teoria riguardo la sua appartenenza sociale è il fatto che sulle costose stoffe dei suoi abiti non c'è nemmeno una macchia o uno strappo, nemmeno una cucitura appena sfilacciata o una decorazione rovinata.
Se le ho fatto del male sono finito.
Faccio per avvicinarmi a lei incerto su cosa dirle, se chiederle se sta bene, se implorare perdono per quello che ho fatto, se pregarla di non chiamare le guardie o cose del genere, ma lei indietreggia. Per un attimo sembra farsi coraggio, ed inizia a mormorare qualcosa, ma proprio in quel momento la pattuglia che mi aveva inseguito e costretto a nascondermi fa irruzione nella stanza, accompagnata da un uomo massiccio e ben vestito dall'aria importante.
Sanno già che le ho fatto male? Mi uccideranno sul posto o mi imprigioneranno per poi torturarmi fino a farmi implorare la pietà del colpo di grazia?
Mi sento già spacciato quando l'uomo inizia a parlare, non a me ma alla ragazza, attaccandola ed accusandola di essere una traditrice. Lei è sconvolta e sembra non capire cosa stia accadendo, ma ha ancora in serbo abbastanza lucidità per afferrare uno dei pezzi di ferro, che fa staccare da terra per poi montarci sopra. Senza avere nemmeno il tempo di chiedermi cosa stia accadendo afferro la mano che la ragazza mi sta tendendo e mi faccio trascinare sul misterioso mezzo di trasporto, che, spiazzandomi, spicca il volo. Nessuno dei presenti fa nulla per fermare la nostra fuga, evidentemente sono tutti troppo sorpresi dalla scena.
Quel mezzo non mi pare affatto sicuro, e ho la sensazione di stare per scivolare. D'impulso mi aggrappo alla maglietta della mia salvatrice, che, diversamente da me, sembra sapere esattamente cosa sta facendo, al punto da riuscire perfino a tranquillizzarmi, sebbene le mie mani rimangano convulsamente aggrappate a lei.
Ci dirigiamo in fretta verso la breccia da cui sono entrato. La ragazza sembra avere quasi più fretta di me di uscire da quel posto, tanto che non appena siamo fuori lei grida di gioia e di euforia.
I miei compagni di caccia non sono più lì. Mi avranno dato per disperso quasi subito, il che da una parte è una fortuna, dato che diventerei la loro barzelletta ambulante se mi vedessero così, terrorizzato ed aggrappato ad una ragazzina che pesa un terzo di me a volare su un assurdo pezzo di ferro. Spero solo che non abbiano già detto ai bambini della mia scomparsa.


Angolo Autrice:
Salve lettori!!! Finalmente sono tornata con un nuovo capitolo dell'affascinante Dunstan! Ora le cose si stanno facendo più interessanti, i protagonisti si sono incontrati e sono scappati insieme, wow!!! E io ho avuto modo di conoscere Lilah (pensate anche voi che sia un pò pazza?)... Ammorberò Killapikkoletta affinchè posti presto il quinto capitolo, che ha quasi finito di scrivere. Nel frattempo vi lascio con un piccolo spoiler (ma non glielo dite >.<): prossimamente Lilah scorirà e inizierà ad apprezzare il Mondo Esterno, ma non senza intoppi e qualche incomprensione...(il mio Dunstan non è, come si suol dire, un gentleman XD)

Baciotti
SadieJT

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