She Wolf di uadjet (/viewuser.php?uid=112778)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 1 *** Primo capitolo ***
SHE WOLF
1.
Luce. Molta luce. Troppa. Un lampo bianco accecante. Dolore improvviso. Chiudo gli occhi. Buio. Cerco di socchiuderli, per evitare i raggi del ... sole? Sono distesa a terra, non capisco perchè. Provo a sedermi, ma non so perchè mi gira la testa. Aspetto un momento, poi mi alzo in piedi. Tutto intorno a me vortica per qualche secondo. Mi guardo attorno. Alberi? Un bosco, forse. Che ci faccio in un bosco? Non ne ho idea. Mi muovo. Mi sento strana. Non ho i vestiti, sono sparpagliati intorno, tra l'erba umida. Li raccolgo. Una vestaglia bianca. Come me. La indosso. Ma che ci faccio qui? E, soprattutto: chi sono?
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Cammino. Barcollo. Cerco di ricostruire i miei passi. Mi sento strana. Vuota. Non ricordo come mi chiamo. Non so nemmeno come ci sono finita qui. Giro a destra (o sinistra?), l'ambiente intorno a me cambia continuamente. Buio. Luce. Buio. Luce. Forse è un effetto dato dalla chioma degli alberi. Dove sono? Non ne ho idea. Vedo che gli alberi si stanno diradando. Vado avanti. Non mi fermo, altrimenti potrei non andare avanti. Continuo. Senza sosta. L'erba solletica i miei piedi. E' molto fresca. E umida. Che bella sensazione. Continuo. Forse troverò qualcuno. E cosa potrei dire? Mi sono persa. Non so qual è la mia storia, qual è il mio nome. Mi sento sempre più stanca. Qualcuno mi viene incontro. Tutto diventa buio.
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E' tutto offuscato intorno a me. Mi ricorda qualcosa. Certo, quando mi sono risvegliata nel bosco. Ma adesso dove sono?
" Ah, ti sei svegliata, finalmente. Eri svenuta, sai? Tutto bene?" mi chiede una figura ancora sfocata davanti a me. Riesco a malapena ad immagazzinare le informazioni che mi ha dato che compare di fronte a me l'essere più bello che abbia mai visto nella mia vita. La mia vita appena cominciata. Capelli paragonabili ai raggi del sole, lineamenti scolpiti dalle divinità e occhi immensi di un colore che mi ricorda qualcosa. Odore salmastro. Azzurro. Sì: l'oceano. "Blu.... l'oceano.... mi ricordo" dico a stento, felice di ricordare qualcosa, mentre le sue pozze blu si fanno ancora più grandi. "Come? L'oceano? Che vuoi dire?" mi si avvicina con un'espressione preoccupata, e io mi perdo nelle sue immensità. "Io.... non so chi sono"
Note dell'autore:
Questo è solo un capitolo introduttivo, non si sa ancora molto, ma ci saranno successivamente dei risvolti interessanti. Recensite, e se avete dei consigli sparate pure (in senso figurato, eh! XD), saranno bene accetti! A presto
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Capitolo 2 *** Secondo Capitolo ***
2.
“Io
… non so chi sono”
“Perfetto,
ora dobbiamo sorbirci pure una malata mentale” La pace in cui
mi trovo viene improvvisamente rotta da questa frase pronunciata con un
tono sarcastico ed arrogante. Volgo lo sguardo per cercare la bocca da
cui proviene quella voce e mi accorgo dello spazio angusto in cui mi
trovo: è una camera da letto veramente piccola, immagino
come la casa dove sono stata portata. A parte il letto, vedo solamente
un tavolino che sostiene una candela accanto a me, un altro tavolo che
dovrebbe fungere da scrivania e due vasi, di cui uno contenente
dell’acqua. Chissà qual è il loro
utilizzo.
“Per
i Tuatha, ma perché non la smetti, Edward? E’
disorientata, è normale” gli risponde la voce
angelica del ragazzo biondo. Mi giro ancora, sentendo una fitta alla
testa, mentre lui, ascoltando il gemito fuoriuscito dalle mie labbra,
si sporge verso di me e gira per le spalle, mettendomi così
di fronte all’oggetto del mio interesse.
Un demone. Un
demone bellissimo. E’ ciò che vedo nel ragazzo che
mi ha presa in giro poco prima. Capelli neri come le piume di un corvo,
e occhi altrettanto scuri, ad adornare un viso perfetto ed eburneo e
due labbra rosse come il sangue appena sgorgato da una ferita. Qualcosa
nei suoi lineamenti mi ricorda l’altro ragazzo, ma la sua
espressione è completamente diversa: la gentilezza
dell’angelo biondo viene sostituita da una smorfia di
disgusto nel volto bianco di Edward, accompagnata da uno sguardo carico
di fastidio. “Vedi, quel ragazzaccio è mio
fratello, Edward” mi sussurra invece la voce melodiosa
dell’altro. Non mi interessa il suo nome, penso, voglio
sapere il tuo, mentre mi volgo nuovamente verso di lui, cercando di
fuggire quello sguardo che mi promette l’inferno. Forse
è stato un gesto troppo impulsivo, poiché la mia
testa ricomincia a vorticare, e l’emissario celeste mi
sostiene tra le sue braccia dolcemente ma con un tocco fermo e virile.
“Ecco, l’hai spaventata” lo rimprovera,
mentre mi distende nuovamente sul letto, “ non ti
preoccupare, adesso ti lasciamo riposare. Io ritornerò
più tardi con qualcosa da mangiare” mi dice con un
sorriso alzandosi, ma devo saperlo.
“Aspetta!”
mormoro con una voce che risuona supplichevole alle mie orecchie,
mentre con un tocco delicato gli tocco il braccio, per paura di
rovinare quella pelle perfetta, “m-mi … diresti
….” balbetto imbarazzata, di fronte
all’espressione scocciata del ragazzo di nome Edward,
“ il tuo nome?” concludo, consapevole di essere
rossa in viso.
Un sorriso
precede le sue parole. E’ la cosa più bella e
splendente che abbia mai visto, come i raggi di luce che mi avevano
svegliata nel bosco. “Certo”, mi dice,
avvicinandosi, “ ma solo se tu mi dici il tuo”. Ma
io non so il nome. Sono mortificata, e triste, perché allora
non saprò mai come si chiama, e qualche lacrima comincia a
fuoriuscire dai miei occhi.
“Ecco,
e sarei io quello insensibile, eh?” lo schernisce il moro,
venendo subito interrotto dal biondo, che, preoccupato dai miei
singhiozzi sempre più rumorosi, gli intima di andarsene. Con
uno sguardo pieno di risentimento il ragazzo se ne va. Già
mi sembra che le mie lacrime scendano più lente.
L’angelo appare dispiaciuto, e questa volta parlo io per
prima: “Io … n-non … so il …
mio nome” gli rivelo in un soffio, alzando gli occhi gonfi
verso i suoi. “ Ma … non ti devi dispiacere per
questo, non importa” mi risponde lui gentile, “lo
scopriremo insieme”.
“ Ma
in questo modo tu non mi puoi dire il tuo nome” ribatto in un
soffio. Il solo dirlo ad alta voce è come una pugnalata al
petto, e le lacrime a malapena evitano di scorrere nuovamente. Una
risata segue a questa mi affermazione. Una risata cristallina, piena di
gioia. Come la vita. A questo punto fa una cosa inaspettata: mi bacia
sulla fronte. Mi marchia. A quel contatto qualcosa cambia. In me. Nel
mondo. Tra noi due. Un legame si è stabilito tra noi, e non
si potrà mai tagliare. Prima di andarsene dice solo una
cosa. Una scarica elettrica.
“ Io
mi chiamo Emer, comunque”
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Capitolo 3 *** Terzo capitolo ***
3.
Passò
qualche giorno dal mio primo incontro con Emer ed Edward, che scoprii
essere fratelli gemelli, e feci meglio la conoscenza della loro
famiglia e del luogo in cui mi trovavo. Scoprii che loro due erano
apprendisti nella falegnameria del loro padre, un lavoro molto duro,
visto che il clima non era dei più temperati, e che quindi
c’era sempre bisogno di legna per scaldarsi, lavarsi e
cucinare. Emer mi fece anche fare un giro del villaggio sul suo carro,
per paura che non mi sentissi di nuovo bene viste “le mie
ossa molto delicate”; era un paesino veramente minuscolo
circondato dai boschi ed emarginato dal resto del mondo, veramente
lontano dalla città. Era ancora molto dubbioso riguardo al
mio arrivo improvviso a Lengerhn, il loro villaggio, ma non voleva che
mi turbassi o avessi nuovamente una crisi di pianto, per cui si
dimostrava il più gentile possibile, cercando di intuire in
anticipo i miei bisogni e soddisfando tutte le richieste, per esempio
facendomi restare molto al caldo, dato che quando mi aveva trovata
stavo congelando. Con Edward invece era diverso: non lo vedevo quasi
mai, e, quando succedeva, faceva di tutto per sminuirmi, o per beffarsi
della mia mancanza di memoria. Preferivo di certo non vederlo, anche
perché non mi piacevano gli sguardi che mi rivolgeva, che
notavo quando Emer non c’era. Come se mi odiasse nel
profondo. Chissà perché, poi. Per questo cercavo
di stare il più possibile con quello che continuavo a
chiamare il mio “angelo custode”, non solo
perché mi aveva letteralmente salvata, ma soprattutto
perché ogni volta che inchiodavo le mie iridi nelle sue era
come se volassi, e lo stomaco faceva mille e più capriole.
Era un sentimento molto strano, in effetti. Come se, senza di lui, mi
mancasse l’aria. Come se la sola sua assenza spegnesse tutto
ciò che si trovava intorno a me. Cercavo di non pensarci, e
di darmi da fare: aiutavo Glaedis, la loro madre, una sarta, a
ricamare, lavoro che mi veniva molto bene, nonostante non sapessi nulla
al riguardo, e in più, per ricambiare i miei benefattori
della loro ospitalità, facevo le pulizie e cucinavo, anche
se, tutto sommato, riguardo all’ultima mansione avrei dovuto
fare ancora molta strada, visti i manicaretti immangiabili che uscivano
dai miei esperimenti. Ciononostante non mi davo per vinta, e, nel
frattempo, cercavo di trovare ogni momento possibile per raccogliere le
idee e pensare, non solo in casa, ma anche andando al pozzo a prendere
l’acqua. Tentavo di avvicinarmi il più possibile
al bosco per capire da dove fossi venuta, e provavo a farmi venire in
mente anche il più piccolo particolare.
Si fece presto
sera, e, concluse tutte le faccende di casa, chiesi alla padrona di
casa se potevo farmi un bagno riscaldante, visto il subitaneo calo di
temperatura nel corso della giornata: come mi disse lei stessa, ne
avevo bisogno, vedendomi tremare, e mi preparò la vasca con
l’acqua già precedentemente scaldata. Non appena
fu uscita dalla stanza, mi fiondai nel piccolo bagno, e cominciai
subito a spogliarmi. Lì vicino era presente anche uno
specchio poggiato sul pavimento, che occupava il muro in tutta la sua
lunghezza, e presi l’occasione per osservare attentamente la
mia figura per la prima volta: ricambiò il mio sguardo una
ragazza di media statura e dalle forme voluttuose, ricoperte in parte
da una cascata di capelli mogano, che andavano ad incorniciare un viso
pallido su cui primeggiavano due occhi color ghiaccio e le labbra
vellutate come petali di rosa. Arrossendo all’improvviso
della mia nudità, mi nascosi nella vasca, senza accorgermi
dello sguardo rovente color della notte proveniente
dall’uscio della porta .
- - - - - -
Sto correndo.
Sto correndo molto veloce. Mi sento libera, e allo stesso tempo, molto
strana. Come se non fossi io. Ma non posso pensare a questo ora. Devo
scappare. Mi vogliono. Non so perché, ma non hanno buone
intenzioni. E mi stanno raggiungendo. Mi fermo improvvisamente, e lo
faccio. Apro la bocca, e urlo. No, non sto urlando, sto facendo un
verso molto strano, come un richiamo. Non capisco come ho fatto, ma
funziona. Poco dopo arrivano. Decine e decine. E non sono uomini. Sono
lupi.
“Svegliati,
è tutto a posto!”
Sto urlando,
è la prima cosa che sento non appena riprendo coscienza.
Apro gli occhi, e lo ritrovo davanti. Emer, il mio angelo. Dietro di
lui, Edward. Perché anche lui sembra preoccupato?
Smetto di
urlare, e cerco di tranquillizzarli, ma non ci riesco, la mia voce non
esce. “Bàs. Bàs. Bàs
fèill” riesco a dire solo questo, poi tutto
ritorna buio.
Note:
Bàs e Fèill derivano dal gaelico, vogliono dire
“Uccidere tutti”.
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Capitolo 4 *** Quarto capitolo ***
4.
Da
quell’episodio cambiarono un po’ di cose: Emer mi
rivelò che la lingua in cui avevo parlato quella notte era
molto antica, gaelico veniva chiamata, e che la parlavano gli dei
pagani, o i loro discendenti. Per evitare di essere additata come
“maledetta”, la sua famiglia mi aveva premurato di
non parlare in pubblico, se non il minimo necessario; non era una buona
cosa che la mia capacità venisse spiattellata ai quattro
venti, soprattutto visto che ero comparsa al villaggio in modo
repentino, e per questo avevo deciso di tenere per me il sogno, o
incubo, che avevo fatto prima di parlare in quel modo così
strano, non avrei sopportato che i miei salvatori, la mia nuova
famiglia, mi guardassero come fossi un’appestata, non avrei
retto. Altra cosa che gli abitanti non potevano venire a sapere era il
fatto che non ricordassi nulla di me stessa e della mia vita, e
perciò Emer stesso mi diede un nome; non avrei voluto
diversamente, e fremetti come se una scarica elettrica mi avesse invaso
il corpo la prima volta che mi chiamò. Mi sentivo come fossi
una sua creazione, modellata ad arte per piacergli, e il nome che mi
aveva dato mi calzava esattamente a pennello: il mio nome
d’ora in poi sarebbe stato Sassenach. Sempre Emer
tentò di spiegarmi come il mio stesso nome derivasse da
quella lingua impronunciabile, e significasse “forestiera,
straniera”, a sottolineare la mia condizione, ovviamente
interrotto saltuariamente da Edward che trovava il nome molto stupido,
incontrando due paia di occhi molto contrariati. “Certo,
certo, ho capito” aveva replicato lui, incamminandosi verso
l’uscio, “ ma vorrei ricordarti, fratello, che quel
nome è in gaelico, di conseguenza dovremmo stare molto
attenti a non chiamarla così in pubblico” concluse
chiudendosi la porta alle spalle.
“Accidenti,
ha ragione, non ci avevo pensato” aveva mormorato lui conscio
del suo errore guardandomi dispiaciuto, ma io avevo prontamente
replicato che in pubblico mi avrebbero potuta chiamare semplicemente S,
aggiungendo come scusa il fatto che il nome reale fosse troppo lungo, e
che Sassenach mi piaceva veramente. Ora che avevo il mio nome non ci
avrei di certo rinunciato. Per nulla al mondo.
- - - - - - -
“Sassenach,
potresti venire qui un momento?”
Mi precipitai
come un fulmine da Glaedis, impegnata a preparare un vestito da ragazza
per la festa del solstizio d’inverno che si sarebbe tenuta
tra dieci giorni; sembrava molto occupata, ed infatti mi chiese se
potevo portare il pranzo per gli uomini di casa, che sarebbero rimasti
alla falegnameria tutta la giornata. Rimasi molto sorpresa dalla sua
richiesta: ero nota ormai in famiglia per la mia goffaggine, ma subito
mi riscossi, pensando che Emer sarebbe stato lì, presi in
fretta e furia il cesto e mi incamminai verso il limitare del
bosco.
La camminata
fu molto rinfrescante, ma non sentivo per niente l’aria che
mi pizzicava il viso, presa dal viso gentile di Emer e immaginandomi la
sua espressione sorpresa e felice nel vedermi; un sorriso mi increspava
lo sguardo solo a pensarci. Fu con quest’indole che
attraversai l’uscio della porta, cercando di fare meno rumore
possibile: volevo fosse una sorpresa ben riuscita. Non appena appoggiai
il cesto sul tavolo centrale della stanza, però, notai un
biglietto che conteneva una semplice frase: “Per qualunque
informazione, rivolgetevi ad Edward, io ed Emer staremo via fino a
stasera”. Come? C’era solo Edward? Il battito del
mio cuore si fermò all’improvviso. Non riuscivo a
sopportare nemmeno la vista di Edward, figurarsi scambiarci due parole:
feci quindi per andarmene senza fare alcun rumore (mi accorsi che
cercavo perfino di non respirare), quando sentii dei gemiti provenire
dalla porta socchiusa alla mia destra. Mi bloccai, incapace di muovere
anche un solo muscolo; forse stava lavorando, e non si era accorto di
me. Successivamente si aggiunsero delle voci, che mi apparvero come
grida nel silenzio del luogo: “Sei sicuro che non ci sia
nessuno? Non potrei sopportare che lui mi veda in questo stato, con
te” disse una voce di donna, in un sussurro pieno, mi
sembrò, di desiderio per il suo interlocutore.
“Non ti metterei mai in una situazione del genere, lo
sai” rispose una voce che riconobbi all’istante,
“e poi sei tu che mi hai cercato, non è
così, forse?”
“Andiamo,
Edward, anche tu lo vuoi” lo rimproverò
scherzosamente l’altra voce. Edward? Quell’Edward?
Perché mi sembrava strano che stesse parlando con una
ragazza? Forse perché non riuscivo a capire il loro bisogno
di bisbigliare. “Chissà che staranno facendo di
così segreto” pensai avvicinandomi curiosa; Emer
mi avrebbe rimproverata, riflettei, per il mio comportamento
irrispettoso, ma lui non era lì, giusto?
Mi avvicinai
in punta di piedi, cercando di fare meno rumore possibile, e osservai
lo spettacolo che avevo di fronte con gli occhi sgranati. Sulle prime
non capii: l’unica cosa che vedevo era un groviglio di carne
che si intrecciava senza sosta, accompagnata dai gemiti sommessi della
ragazza che, osservai, aveva lunghi capelli biondo cenere sparsi sulle
spalle a coprire a malapena i seni. Non sapevo cosa potesse significare
quell’avvenimento, visto che non conoscevo nulla della vita,
ma istintivamente mi ritrassi, pensando all intimità che
stavo violando. Feci per tornare indietro, ma inavvertitamente poggiai
il piede su un asse traballante che cigolò rumorosamente.
I due amanti
scoperti alzarono subito lo sguardo verso l’intruso, e io mi
mostri, ormai scoperta, ai loro occhi. “Oddio, pensavo non ci
fosse nessuno!” squittì la ragazza guardandomi
terrorizzata e coprendosi le parti intime; Edward, dal canto suo,
sembrava scocciato dalla mia presenza, anche se avrei giurato di vedere
per un momento nel suo sguardo un lampo di colpa. O forse
l’avevo immaginato. Mentre la ragazza si rivestiva
velocemente, evitando di incrociare il mio sguardo, Edward si rimise i
calzoni senza pudore di fronte a me, e notando il calore che si era
diffuso sulle mie gote, replicò freddo: “Non hai
nulla da arrossire, ormai il danno è fatto. Che
volevi?” mi chiese imperiosamente, senza guardare la sua
compagna, ma squadrando me. “Ho portato il pranzo”
riuscii solamente a dire ad occhi bassi, mentre la ragazza mi passava
vicino e mormorava un saluto prima di correre fuori: a questa frase
Edward sbuffò sonoramente, e mi seguì nella
stanza accanto, prese il primo panino dalla fila che avevo tirato fuori
dal cesto e cominciò ad addentarlo senza togliermi gli occhi
di dosso. Dal canto mio ero veramente imbarazzata, quindi fu con
sollievo che presi il cesto e me ne andaii, al tono imperioso del suo:
“Che fai ancora qui? Te ne puoi anche andare, ora”.
Fu
solo un attimo, ma mi parve di cogliere tristezza e delusione nelle sue
parole. Non ci diedi peso, e me ne tornai a casa.
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Capitolo 5 *** Quinto capitolo ***
5.
Strappo allo stomaco. Mi sveglio improvvisamente. Non sono a casa,
bensì nuovamente nel bosco, il mio bosco. Mi alzo in piedi.
Sto bene, solo un po’ infreddolita. Il paesaggio intorno a me
è coperto di neve. Punge sulle piante dei piedi. Non ho le
scarpe, così mi muovo. Faccio qualche passo. Il livello
della neve è così alto che sprofondo fino alla
caviglia. Mi sento come se aghi penetrassero la carne ad ogni passo.
Vado avanti. Forse sto ricordando. Avanzo ancora, cercando di trovare
impronte diverse dalle mie. Ad un certo punto ne trovo un paio. Le
seguo. Comincia a soffiare il vento. E’ tutto così
lugubre e luminoso allo stesso tempo. Cadono fiocchi bianchi dal cielo.
Sempre di più. Cerco di vedere davanti a me, fino a quando
non noto una figura in lontananza. Una macchia nera (rossa?) nel
candore circostante. Mi avvicino. Un presentimento mi assale. Corro.
“Emer!!” dico a voce alta, ma non mi sente. Nessun
movimento in risposta. “EMER!!!!!” urlo adesso
senza sosta, incespicando ad ogni falcata. Noto subito il sangue. Una
pozza rosso scuro, in contrasto con il colore dominante. Penso
irrazionalmente che mi piacerebbe indossare un vestito con quei colori.
Solo dopo mi rendo che avevo ragione. So che è lui, anche se
il suo viso è coperto di sangue e neve. Ma quegli occhi li
riconoscerei in capo al mondo. E’ disteso in una pozza del
suo sangue. Mi lascio andare. Mi accovaccio vicino a lui, comincio a
scuoterlo, l’odore metallico del sangue mi invade le narici,
provocandomi una reazione strana nel basso ventre. Grido a tutti
polmoni il suo nome, gli accarezzo i capelli impiastricciati, quando mi
rendo conto di non essere più padrona di me stessa. Provo a
combattere quest’impulso assassino, ma è come se
un’altra me mi avesse legata ed imbavagliata in un angolo
remoto della mia mente. Non riesco a combattere. La mia pelle muta di
fronte ai miei occhi pieni d’orrore. Peli cominciano a
crescere. Tento di strapparli. Non ho successo. Una metamorfosi atroce
si fa strada in me, convertendomi in una creatura mostruosa, di quelle
che mi aveva fatto conoscere Emer leggendomi i libri con le leggende
del luogo. Quello che vedo nello specchio di sangue di fronte a me mi
fa orrore. Non posso tollerare la vista di me stessa. I miei occhi
….
Mi riscossi, di nuovo sveglia. Ero coperta di sudore, e avevo ancora in
testa quella visione terribile, che quasi non mi accorsi di chi si
trovava di fronte a me. Edward stava in piedi, davanti al mio
giaciglio, pallido come la morte, e con uno sguardo ricco di odio negli
occhi neri. Che ci faceva lì? “Edward, hai bisogno
di qualcosa?” gli chiesi timidamente, notando che non
rispondeva. Mi faceva paura. Sentii, non so come, che avrebbe voluto
uccidermi in quel momento. E forse, visto il suo fisico, ci sarebbe
pure riuscito con successo. Ma durò un momento. Credetti
persino di essermelo immaginata, da quanto velocemente aveva
reindossato la sua maschera fredda e distaccata.
“Niente” mi rispose, con un tono di voce
così calmo da sembrare crudele, “non riuscivo a
riposare e ti ho sentita fare il nome di Emer” concluse,
quasi sfidandomi a mettere in dubbio le sue parole. Ma se il suo tono
sembrava normale, la stessa cosa non si poteva dire del resto: le
nocche delle mani erano talmente bianche che, pensai, le ossa rimanendo
in quella posizione si sarebbero atrofizzate. Il mio sguardo lo
incitò a portarsele dietro la schiena, così, non
avendo null’altro da osservare, risposi, rivolta ad un punto
imprecisato sopra di lui: “Era un incubo, non ti
preoccupare”, con un tono di voce, sperai, rassicurante.
“Certo” mi assecondò, “se lo
dici tu” concluse retrocedendo verso l’uscita. Non
vedevo l’ora che se ne andasse, ma pensai che avrei dovuto
essere gentile, se non altro perché mi sopportava (anche se
molto difficilmente) quindi lo salutai e gli augurai buon riposo.
“Non credo ormai” rispose secco, prima di chiudere
con un gesto deciso l’uscio. “Certo che sono troppe
emozioni solo in una notte” mormorai tra me e me,
proiettandomi verso la giornata di lavoro che mi avrebbe aspettata il
giorno dopo.
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Capitolo 6 *** Sesto capitolo ***
6.
Era tutto pronto per la festa del
solstizio d’inverno. Avevo diligentemente aiutato Glaedis a
ricamare e confezionare due dozzine di abiti festivi per ragazza e
più del doppio per mamme e nonne, senza dimenticare le varie
riparazioni a domicilio e gli orli da sistemare per gli abiti
più eleganti degli uomini, e adesso me stavo seduta a bere
una tazza di latte di capra tutta tranquilla e spossata, sperando di
potermi riposare un po’ prima dell’accensione del
falò. Non avevo molta voglia di andare alla festa e, anche
se Glaedis stessa mi aveva rassicurata circa il fatto di fare nuove
amicizie, avrei comunque preferito rimanere in camera mia e riposare.
Tuttavia una parte di me diffidava della solitudine, perché
così avrei dovuto riflettere sui miei incubi ricorrenti, e
non era il caso al momento; in aggiunta avevo scoperto che nemmeno
Edward avrebbe partecipato alla cerimonia, e l’idea di
trovarmi a casa da sola con lui mi faceva leggermente paura. Beh, forse
un po’. Diciamo molta paura. Perché dalla notte in
cui l’avevo trovato ai piedi del mio letto qualcosa del suo
comportamento nei miei riguardi era profondamente cambiato: se prima
ogni nostro dialogo consisteva in frecciatine velenose e sarcastiche da
parte sua, ora i dialoghi non c’erano affatto. Sapevo che
avrei dovuto esserne estremamente felice, ma ogni volta che lo
incrociavo il suo sguardo era così crudele, freddo e carico
d’odio nei miei confronti che tutto il corpo urlava di
scappare. Emer mi disse che era fatto così, ovviamente
perché era di parte, e quindi decisi di non darci
più molto peso. Per quanto mi fosse possibile, ovviamente.
“Sassenach, vieni un momento con
me, per favore?”
Seguii incerta Glaedis su per le scale,
chiedendomi di cosa avesse bisogno, quando, attraversato
l’uscio della mia camera, appoggiò sul mio letto
un pacco arrotolato. Alla mia occhiata interrogativa mi
incoraggiò ad avvicinarmi e mi chiese di aprirlo; quello che
comparve davanti ai miei occhi mi lasciò senza parole. Era
un vestito con una gonna a balze corta e le maniche lunghe a
palloncino, ma, più che la maestria con cui era stato
cucito, quello che mi fece aprire la bocca dalla sorpresa era il colore
(o dovrei dire, i colori) dell’abito: bianco e rosso, come,
notai con stupore, avevo immaginato nel mio sogno.
“Si abbina ai tuoi capelli e
alla tua pelle color latte” mi spiegò con
gentilezza la donna, mentre io la stritolavo tra le mie braccia.
“Grazie, grazie,
grazie!” continuavo a ripetere, e dovetti desistere
dall’abbraccio quando Glaedis mi rivelò che non
sentiva più la circolazione delle braccia. Immaginando che
avrei voluto provarlo con calma e nella mia privacy, uscì
dalla stanza, mentre io scoprivo che, oltre che bello, quel vestito era
anche facile da mettere. “Oh, che bello non avere sottovesti
ad intralciare il passo” pensavo felice tra me e me, e feci
per aprire l’uscio e mostrare a Glaedis come mi stava
l’abito, quando quasi mi scontrai con Edward, di passaggio.
“Oh, sc-scusami”
sussurrai mortificata e terrorizzata non appena i suoi occhi si
posarono su di me: stranamente però nel suo sguardo stavolta
non c’erano né odio né acredine,
bensì stupore e ammirazione per il mio aspetto.
“Ti piace?” gli chiesi
imbarazzata, cercando di farmelo (solo un pochino) amico, volteggiando
nel frattempo per mostrargli tutte le particolarità
dell’abito.
“E’ veramente stupendo
…. Sei bellissima” mi rispose, cercando di mettere
in quella frase il minor interesse possibile, senza però
riuscirci. Ero così estasiata dal regalo appena fattomi che
non mi accorsi di chi avevo di fronte, e quindi cominciai tutta
contenta ad elencargli ed indicargli tutte le bellissime rifiniture di
quell’opera di sartoria. Nel frattempo il suo stupore
mutò in partecipazione, con cenni ad ogni mia indicazione
con il dito e esclamazioni di approvazione continui. Non pensavo che il
quell’unico momento tutta la mia felicità sarebbe
venuta a mancare.
“Ah, eccoti qui Edward! Stai
mangiando con gli occhi Sassenach, lo sai?” gli disse Glaedis
per prenderlo in giro, ma lui si bloccò subito mentre un
lieve rossore gli coloriva le guance. Io non mi preoccupai di quella
frase e ringraziai nuovamente la donna per quello che aveva fatto,
promettendo di sdebitarmi come avrei potuto in futuro.
“Già la tua presenza
è un regalo per me” mi rispose lei con un sorriso
sincero, e successivamente, come dopo un’illuminazione,
disse: “Ma perché non andate insieme alla
cerimonia? Siete entrambi senza accompagnatore, no?”
Oddio. No. No, assolutamente no. Non con
Edward.
“ Io …”
feci per ribattere, quando il giovane, voltatosi verso di me, rispose
con uno sguardo strafottente: “se per Sassenach non
è un problema la inviterei molto volentieri”
Con gli sguardi del ragazzo e della madre
puntati su di me non potevo rifiutare. Non dopo tutto quello che
avevano fatto per me. E, pensai in un lampo, forse Edward lo sapeva
già.
“C-certo, sarebbe un
piacere” risposi, con l’espressione di un
condannato a morte di fronte alla forca. No, peggio.
“Benissimo, allora! Tu Edward
preparati, e tu, Sassenach, vieni qui: ti acconcerò i
capelli così bene che nessuno potrà resisterti
stasera … sempre che tu non sia troppo geloso”
scherzò Glaedis felice, spingendomi di nuovo verso la
camera. Mi permisi solamente di rivolgere ad Edward uno sguardo di
disapprovazione, e cominciai a prepararmi per l’inferno.
Salve a tutti! Allora, lo so che i
capitoli sono corti, ma preferisco non montare il carico eccessivamente
e stufare, quindi posto non appena ho scritto un nuovo capitolo, che,
come potrete notare, avviene in modo molto lento, no? Ahahah, scherzavo
ovviamente.... detto questo mi farebbe molto piacere se mi diceste cosa
ne pensate, adesso il tema "Soprannaturale" non è entrato
molto in scena, se non negli incubi della protagonista, ma mi
farò perdonare nel prossimo capitolo, giuro! A proposito,
Edward è un tipetto tosto, eh? Beh, fatemi sapere anche cosa
vi piace e non vi piace dei personaggi, se vi va....
Aspetterò speranzosa
A presto
Baci
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Capitolo 7 *** Settimo Capitolo ***
7.
Buio. C’è l’oscurità intorno
a me. Mi sento strana (strano?). Provo a muovermi. Perché mi
sento (di nuovo) così? Non capisco. Sto impazzendo, forse?
Non sono umana. Lo so. I miei sensi sono acuiti, mi muovo su quattro
… zampe? Qualcosa raschia. Sono le mie unghie, molto
più affilate. L’atmosfera cambia. Tutto cambia.
Rosso.
Ancora rosso.
Odore rosso. No, sbaglio. E’ un odore …..
Metallico, associato al rosso. E’….. caldo.
E’ sangue.
Mi impregna le narici, le grandi narici. Mi sento soffocare dalla brama
che cresce in me.
Devo rompere qualcosa.
Strappare qualcosa.
Carne.
Li chiamo allora. I miei amici. Il mio branco.
Emetto un suono strano. No, non sto parlando, sto ….
“S, cosa fai?”
Apro di scatto gli occhi ritrovandomi di fronte Emer. Sembra che sia
seriamente preoccupato. Non voglio che si senta così, quindi
provo a rimediare.
“Oh, niente, stavo solo pensando” rispondo con un
sorriso che spero sia rassicurante, anche se non convince del tutto il
ragazzo.
“Con la bocca aperta?” mi domanda lui alzando un
sopracciglio, “non è che ti sei ricordata qualcosa
e non me lo vuoi dire?”
“Assolutamente no, lo sai che non lo farei mai”
ribatto io mentre il volto va in fiamme, più per la paura ed
il senso di colpa che per la consapevolezza di contare qualcosa per lui.
“Mmh” grugnisce lui poco convinto,
“perché lo sai che mi puoi venire a dire tutto
quello che vuoi, per quanto terrificante possa essere,
giusto?” conclude prendendomi le mani tra le sue.
Il cuore si gonfia di commozione e gratitudine, così, per
evitare di tradirmi, annuisco solamente, smuovendo tutta la chioma.
Un rumore secco ci avvisa dell’entrata di qualcuno. Edward.
‘Possibile che debba comparire nei momenti peggiori?! Mi sta
seguendo?’ penso io meravigliata e dentro di me infastidita
per l’interruzione.
“Che fai, Emer? Non vorrai rubarmi la dama per stasera,
spero”
Ho provato molte volte a nascondere le mie emozioni durante gli
incontri con Edward avvenuti nei giorni precedenti per imparare il
ballo per la cerimonia intorno al fuoco, ma quanto pare anche prima di
perdere la memoria non ero affatto brava ….
Eravamo entrambi nella
camera di Edward. Io indossavo l’abito che avrei messo alla
festa, utile per danzare al meglio attorno al focolare, mentre lui era
vestito normalmente, come tutti i giorni.
Che non fosse un ragazzo
gentile, questo l’avevo capito dal primo giorno in cui
l’avevo visto, ma non mi aspettavo certo tale rudezza nei
modi: mi aveva presa senza tante cerimonie e sbattuta di qua e di
là per la sala, facendomi vedere i passi fondamentali del
ballo. Io non riuscivo a trattenermi dal mantenere il mio sguardo
puntato su una smorfia di disgusto e fastidio, pensando di averla presa
proprio da lui. Edward si era accorto della mia espressione, e per
farmela pagare aveva cominciato a spostarsi più velocemente
intorno alla sala. Cercai di resistere, ma non durò a lungo.
“Basta!”
Me lo scrollai di dosso
con una forza che mai avrei pensato di avere; dopotutto ero veramente
al limite.
“Come hai
detto?” mi chiese lui assottigliando gli occhi, mentre il
viso diventava una maschera di pura ira.
“Ti ho detto
di smetterla! Non sono una bambola che puoi trascinare dove
vuoi!” avevo replicato, alzando la voce, poco incline alle
buone maniere.
Per un secondo il suo
volto fu una maschera di rabbia.
“Lo so che non
ti piaccio”
L’aveva
praticamente sputato fuori, mantenendo negli occhi quel furore che mi
sapeva infondere il terrore in corpo.
“Non ti
piaccio, non sopporti nemmeno la mia vista” aveva ripreso per
la mancanza di obiezioni, mentre io incrociavo le braccia al petto,
“ma sei tu che hai accettato di essere la mia dama e mi devi
ubbidire …”
“Se
l’ho fatto è solo perché non volevo
fare un torto a Glaedis, dicendole quanto mi stai antipatico e quanto,
ad ogni nostro incontro, la paura nei tuoi confronti o i tuoi sguardi
mi gelino le ossa … cosa credi? Lo so che anche tu odi me,
anche se non ne capisco il motivo” mormorai io cercando di
trattenere le lacrime; non avrei mai voluto avere quella conversazione,
l’indifferenza era cento volte meglio.
A quel punto successe
qualcosa che sul momento non mi seppi spiegare: tutta la rabbia
scomparve dal suo viso cesellato, mentre una smorfia di dolore
attraversava il suo sguardo.
“Io odiarti?!
Odiarti?! Come hai anche solo potuto pensare una cosa
simile?” sussurrò lui sofferente prendendomi per
le spalle.
“Lasciami”
gli chiesi dimenandomi per sottrarmi a quella stretta ferrea.
“Non sai
nemmeno di cosa stai parlando” soffiò lui
avvicinando la bocca al mio orecchio, “io ti amo”.
Come?
Uno. Due. Tre.
“Io ti
amo”
Come?
“Come?”
chiesi io smarrita e congelata sul posto. Praticamente immobile.
“Ti amo, ma tu
non hai occhi che per Emer” bisbigliò lui
artigliandomi le spalle, e riportandomi alla realtà,
“lo vedo, sai? Lo vedo da come lo guardi, come lo cerchi
sempre con lo sguardo, e come la tua espressione si tramuta in
delusione e indifferenza notando me” continuò
avvicinando il mio corpo a forza verso il suo, “ma se tu
sapessi ….”
“No, andiamo,
lasciami, per favore” cominciai a supplicarlo io quando prese
il mio viso tra le dita per obbligarmi a guardarlo.
“Se tu sapessi
la verità su di lui…”
Mi stava facendo male, e
tanto. Gli calpestai il piede con forza, e, avvertendo la sua mano
lasciare il mio viso, me ne ero andata.
Da allora lo avevo costantemente e inesorabilmente evitato, oppure
cercavo di trovarmi nella stessa stanza con qualcun altro, ma il fatto
di rivederlo lì, con quell’espressione sul viso
pallido, aveva avuto il potere di togliere tutto il colore dal mio, di
viso.
Eh già, quella sarebbe stata proprio una serata particolare.
Note: Lo so, lo so che avrei dovuto fare il capitolo sulla festa, ma
volevo che i sentimenti di Edward per Sassenach (o S) fossero chiariti,
e che potesse comparire un nuovo punto interrogativo (oltre a quello
sull’identità della ragazza): quale sarebbe questa
verità su Emer? Mah, si scoprirà solo leggendo,
no? Volevo ringraziare intanto Roxy_Black non solo per le recnsioni ma
anche per aver postato la storia tra le seguite, e anche a chi legge
semplicemente la storia, grazie a tutti.
A presto
Baci
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