She Wolf

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


SHE WOLF

 

1.

Luce. Molta luce. Troppa. Un lampo bianco accecante. Dolore improvviso. Chiudo gli occhi. Buio. Cerco di socchiuderli, per evitare i raggi del ... sole? Sono distesa a terra, non capisco perchè. Provo a sedermi, ma non so perchè mi gira la testa. Aspetto un momento, poi mi alzo in piedi. Tutto intorno a me vortica per qualche secondo. Mi guardo attorno. Alberi? Un bosco, forse. Che ci faccio in un bosco? Non ne ho idea. Mi muovo. Mi sento strana. Non ho i vestiti, sono sparpagliati intorno, tra l'erba umida. Li raccolgo. Una vestaglia bianca. Come me. La indosso. Ma che ci faccio qui? E, soprattutto: chi sono?

 

------

 

Cammino. Barcollo. Cerco di ricostruire i miei passi. Mi sento strana. Vuota. Non ricordo come mi chiamo. Non so nemmeno come ci sono finita qui. Giro a destra (o sinistra?), l'ambiente intorno a me cambia continuamente. Buio. Luce. Buio. Luce. Forse è un effetto dato dalla chioma degli alberi. Dove sono? Non ne ho idea. Vedo che gli alberi si stanno diradando. Vado avanti. Non mi fermo, altrimenti potrei non andare avanti. Continuo. Senza sosta. L'erba solletica i miei piedi. E' molto fresca. E umida. Che bella sensazione. Continuo. Forse troverò qualcuno. E cosa potrei dire? Mi sono persa. Non so qual è la mia storia, qual è il mio nome. Mi sento sempre più stanca. Qualcuno mi viene incontro. Tutto diventa buio.

 

--------

 

E' tutto offuscato intorno a me. Mi ricorda qualcosa. Certo, quando mi sono risvegliata nel bosco. Ma adesso dove sono?

" Ah, ti sei svegliata, finalmente. Eri svenuta, sai? Tutto bene?" mi chiede una figura ancora sfocata davanti a me. Riesco a malapena ad immagazzinare le informazioni che mi ha dato che compare di fronte a me l'essere più bello che abbia mai visto nella mia vita. La mia vita appena cominciata. Capelli paragonabili ai raggi del sole, lineamenti scolpiti dalle divinità e occhi immensi di un colore che mi ricorda qualcosa. Odore salmastro. Azzurro. Sì: l'oceano. "Blu.... l'oceano.... mi ricordo" dico a stento, felice di ricordare qualcosa, mentre le sue pozze blu si fanno ancora più grandi. "Come? L'oceano? Che vuoi dire?" mi si avvicina con un'espressione preoccupata, e io mi perdo nelle sue immensità. "Io.... non so chi sono"


Note dell'autore:
Questo è solo un capitolo introduttivo, non si sa ancora molto, ma ci saranno successivamente dei risvolti interessanti. Recensite, e se avete dei consigli sparate pure (in senso figurato, eh! XD), saranno bene accetti! A presto 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


2.

“Io … non so chi sono”
“Perfetto, ora dobbiamo sorbirci pure una malata mentale” La pace in cui mi trovo viene improvvisamente rotta da questa frase pronunciata con un tono sarcastico ed arrogante. Volgo lo sguardo per cercare la bocca da cui proviene quella voce e mi accorgo dello spazio angusto in cui mi trovo: è una camera da letto veramente piccola, immagino come la casa dove sono stata portata. A parte il letto, vedo solamente un tavolino che sostiene una candela accanto a me, un altro tavolo che dovrebbe fungere da scrivania e due vasi, di cui uno contenente dell’acqua. Chissà qual è il loro utilizzo.
“Per i Tuatha, ma perché non la smetti, Edward? E’ disorientata, è normale” gli risponde la voce angelica del ragazzo biondo. Mi giro ancora, sentendo una fitta alla testa, mentre lui, ascoltando il gemito fuoriuscito dalle mie labbra, si sporge verso di me e gira per le spalle, mettendomi così di fronte all’oggetto del mio interesse.
Un demone. Un demone bellissimo. E’ ciò che vedo nel ragazzo che mi ha presa in giro poco prima. Capelli neri come le piume di un corvo, e occhi altrettanto scuri, ad adornare un viso perfetto ed eburneo e due labbra rosse come il sangue appena sgorgato da una ferita. Qualcosa nei suoi lineamenti mi ricorda l’altro ragazzo, ma la sua espressione è completamente diversa: la gentilezza dell’angelo biondo viene sostituita da una smorfia di disgusto nel volto bianco di Edward, accompagnata da uno sguardo carico di fastidio. “Vedi, quel ragazzaccio è mio fratello, Edward” mi sussurra invece la voce melodiosa dell’altro. Non mi interessa il suo nome, penso, voglio sapere il tuo, mentre mi volgo nuovamente verso di lui, cercando di fuggire quello sguardo che mi promette l’inferno. Forse è stato un gesto troppo impulsivo, poiché la mia testa ricomincia a vorticare, e l’emissario celeste mi sostiene tra le sue braccia dolcemente ma con un tocco fermo e virile. “Ecco, l’hai spaventata” lo rimprovera, mentre mi distende nuovamente sul letto, “ non ti preoccupare, adesso ti lasciamo riposare. Io ritornerò più tardi con qualcosa da mangiare” mi dice con un sorriso alzandosi, ma devo saperlo.
“Aspetta!” mormoro con una voce che risuona supplichevole alle mie orecchie, mentre con un tocco delicato gli tocco il braccio, per paura di rovinare quella pelle perfetta, “m-mi … diresti ….” balbetto imbarazzata, di fronte all’espressione scocciata del ragazzo di nome Edward, “ il tuo nome?” concludo, consapevole di essere rossa in viso.
Un sorriso precede le sue parole. E’ la cosa più bella e splendente che abbia mai visto, come i raggi di luce che mi avevano svegliata nel bosco. “Certo”, mi dice, avvicinandosi, “ ma solo se tu mi dici il tuo”. Ma io non so il nome. Sono mortificata, e triste, perché allora non saprò mai come si chiama, e qualche lacrima comincia a fuoriuscire dai miei occhi.
“Ecco, e sarei io quello insensibile, eh?” lo schernisce il moro, venendo subito interrotto dal biondo, che, preoccupato dai miei singhiozzi sempre più rumorosi, gli intima di andarsene. Con uno sguardo pieno di risentimento il ragazzo se ne va. Già mi sembra che le mie lacrime scendano più lente. L’angelo appare dispiaciuto, e questa volta parlo io per prima: “Io … n-non … so il … mio nome” gli rivelo in un soffio, alzando gli occhi gonfi verso i suoi. “ Ma … non ti devi dispiacere per questo, non importa” mi risponde lui gentile, “lo scopriremo insieme”.
“ Ma in questo modo tu non mi puoi dire il tuo nome” ribatto in un soffio. Il solo dirlo ad alta voce è come una pugnalata al petto, e le lacrime a malapena evitano di scorrere nuovamente. Una risata segue a questa mi affermazione. Una risata cristallina, piena di gioia. Come la vita. A questo punto fa una cosa inaspettata: mi bacia sulla fronte. Mi marchia. A quel contatto qualcosa cambia. In me. Nel mondo. Tra noi due. Un legame si è stabilito tra noi, e non si potrà mai tagliare. Prima di andarsene dice solo una cosa. Una scarica elettrica.
“ Io mi chiamo Emer, comunque”



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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


3.

Passò qualche giorno dal mio primo incontro con Emer ed Edward, che scoprii essere fratelli gemelli, e feci meglio la conoscenza della loro famiglia e del luogo in cui mi trovavo. Scoprii che loro due erano apprendisti nella falegnameria del loro padre, un lavoro molto duro, visto che il clima non era dei più temperati, e che quindi c’era sempre bisogno di legna per scaldarsi, lavarsi e cucinare. Emer mi fece anche fare un giro del villaggio sul suo carro, per paura che non mi sentissi di nuovo bene viste “le mie ossa molto delicate”; era un paesino veramente minuscolo circondato dai boschi ed emarginato dal resto del mondo, veramente lontano dalla città. Era ancora molto dubbioso riguardo al mio arrivo improvviso a Lengerhn, il loro villaggio, ma non voleva che mi turbassi o avessi nuovamente una crisi di pianto, per cui si dimostrava il più gentile possibile, cercando di intuire in anticipo i miei bisogni e soddisfando tutte le richieste, per esempio facendomi restare molto al caldo, dato che quando mi aveva trovata stavo congelando. Con Edward invece era diverso: non lo vedevo quasi mai, e, quando succedeva, faceva di tutto per sminuirmi, o per beffarsi della mia mancanza di memoria. Preferivo di certo non vederlo, anche perché non mi piacevano gli sguardi che mi rivolgeva, che notavo quando Emer non c’era. Come se mi odiasse nel profondo. Chissà perché, poi. Per questo cercavo di stare il più possibile con quello che continuavo a chiamare il mio “angelo custode”, non solo perché mi aveva letteralmente salvata, ma soprattutto perché ogni volta che inchiodavo le mie iridi nelle sue era come se volassi, e lo stomaco faceva mille e più capriole. Era un sentimento molto strano, in effetti. Come se, senza di lui, mi mancasse l’aria. Come se la sola sua assenza spegnesse tutto ciò che si trovava intorno a me. Cercavo di non pensarci, e di darmi da fare: aiutavo Glaedis, la loro madre, una sarta, a ricamare, lavoro che mi veniva molto bene, nonostante non sapessi nulla al riguardo, e in più, per ricambiare i miei benefattori della loro ospitalità, facevo le pulizie e cucinavo, anche se, tutto sommato, riguardo all’ultima mansione avrei dovuto fare ancora molta strada, visti i manicaretti immangiabili che uscivano dai miei esperimenti. Ciononostante non mi davo per vinta, e, nel frattempo, cercavo di trovare ogni momento possibile per raccogliere le idee e pensare, non solo in casa, ma anche andando al pozzo a prendere l’acqua. Tentavo di avvicinarmi il più possibile al bosco per capire da dove fossi venuta, e provavo a farmi venire in mente anche il più piccolo particolare.
Si fece presto sera, e, concluse tutte le faccende di casa, chiesi alla padrona di casa se potevo farmi un bagno riscaldante, visto il subitaneo calo di temperatura nel corso della giornata: come mi disse lei stessa, ne avevo bisogno, vedendomi tremare, e mi preparò la vasca con l’acqua già precedentemente scaldata. Non appena fu uscita dalla stanza, mi fiondai nel piccolo bagno, e cominciai subito a spogliarmi. Lì vicino era presente anche uno specchio poggiato sul pavimento, che occupava il muro in tutta la sua lunghezza, e presi l’occasione per osservare attentamente la mia figura per la prima volta: ricambiò il mio sguardo una ragazza di media statura e dalle forme voluttuose, ricoperte in parte da una cascata di capelli mogano, che andavano ad incorniciare un viso pallido su cui primeggiavano due occhi color ghiaccio e le labbra vellutate come petali di rosa. Arrossendo all’improvviso della mia nudità, mi nascosi nella vasca, senza accorgermi dello sguardo rovente color della notte proveniente dall’uscio della porta   .

- - - - - -

Sto correndo. Sto correndo molto veloce. Mi sento libera, e allo stesso tempo, molto strana. Come se non fossi io. Ma non posso pensare a questo ora. Devo scappare. Mi vogliono. Non so perché, ma non hanno buone intenzioni. E mi stanno raggiungendo. Mi fermo improvvisamente, e lo faccio. Apro la bocca, e urlo. No, non sto urlando, sto facendo un verso molto strano, come un richiamo. Non capisco come ho fatto, ma funziona. Poco dopo arrivano. Decine e decine. E non sono uomini. Sono lupi.

“Svegliati, è tutto a posto!”
Sto urlando, è la prima cosa che sento non appena riprendo coscienza. Apro gli occhi, e lo ritrovo davanti. Emer, il mio angelo. Dietro di lui, Edward. Perché anche lui sembra preoccupato?
Smetto di urlare, e cerco di tranquillizzarli, ma non ci riesco, la mia voce non esce. “Bàs. Bàs. Bàs fèill” riesco a dire solo questo, poi tutto ritorna buio.

Note: Bàs e Fèill derivano dal gaelico, vogliono dire “Uccidere tutti”.

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


4.

Da quell’episodio cambiarono un po’ di cose: Emer mi rivelò che la lingua in cui avevo parlato quella notte era molto antica, gaelico veniva chiamata, e che la parlavano gli dei pagani, o i loro discendenti. Per evitare di essere additata come “maledetta”, la sua famiglia mi aveva premurato di non parlare in pubblico, se non il minimo necessario; non era una buona cosa che la mia capacità venisse spiattellata ai quattro venti, soprattutto visto che ero comparsa al villaggio in modo repentino, e per questo avevo deciso di tenere per me il sogno, o incubo, che avevo fatto prima di parlare in quel modo così strano, non avrei sopportato che i miei salvatori, la mia nuova famiglia, mi guardassero come fossi un’appestata, non avrei retto. Altra cosa che gli abitanti non potevano venire a sapere era il fatto che non ricordassi nulla di me stessa e della mia vita, e perciò Emer stesso mi diede un nome; non avrei voluto diversamente, e fremetti come se una scarica elettrica mi avesse invaso il corpo la prima volta che mi chiamò. Mi sentivo come fossi una sua creazione, modellata ad arte per piacergli, e il nome che mi aveva dato mi calzava esattamente a pennello: il mio nome d’ora in poi sarebbe stato Sassenach. Sempre Emer tentò di spiegarmi come il mio stesso nome derivasse da quella lingua impronunciabile, e significasse “forestiera, straniera”, a sottolineare la mia condizione, ovviamente interrotto saltuariamente da Edward che trovava il nome molto stupido, incontrando due paia di occhi molto contrariati. “Certo, certo, ho capito” aveva replicato lui, incamminandosi verso l’uscio, “ ma vorrei ricordarti, fratello, che quel nome è in gaelico, di conseguenza dovremmo stare molto attenti a non chiamarla così in pubblico” concluse chiudendosi la porta alle spalle.
“Accidenti, ha ragione, non ci avevo pensato” aveva mormorato lui conscio del suo errore guardandomi dispiaciuto, ma io avevo prontamente replicato che in pubblico mi avrebbero potuta chiamare semplicemente S, aggiungendo come scusa il fatto che il nome reale fosse troppo lungo, e che Sassenach mi piaceva veramente. Ora che avevo il mio nome non ci avrei di certo rinunciato. Per nulla al mondo.

- - - - - - -

“Sassenach, potresti venire qui un momento?”
Mi precipitai come un fulmine da Glaedis, impegnata a preparare un vestito da ragazza per la festa del solstizio d’inverno che si sarebbe tenuta tra dieci giorni; sembrava molto occupata, ed infatti mi chiese se potevo portare il pranzo per gli uomini di casa, che sarebbero rimasti alla falegnameria tutta la giornata. Rimasi molto sorpresa dalla sua richiesta: ero nota ormai in famiglia per la mia goffaggine, ma subito mi riscossi, pensando che Emer sarebbe stato lì, presi in fretta e furia il cesto e  mi incamminai verso il limitare del bosco.
La camminata fu molto rinfrescante, ma non sentivo per niente l’aria che mi pizzicava il viso, presa dal viso gentile di Emer e immaginandomi la sua espressione sorpresa e felice nel vedermi; un sorriso mi increspava lo sguardo solo a pensarci. Fu con quest’indole che attraversai l’uscio della porta, cercando di fare meno rumore possibile: volevo fosse una sorpresa ben riuscita. Non appena appoggiai il cesto sul tavolo centrale della stanza, però, notai un biglietto che conteneva una semplice frase: “Per qualunque informazione, rivolgetevi ad Edward, io ed Emer staremo via fino a stasera”. Come? C’era solo Edward? Il battito del mio cuore si fermò all’improvviso. Non riuscivo a sopportare nemmeno la vista di Edward, figurarsi scambiarci due parole: feci quindi per andarmene senza fare alcun rumore (mi accorsi che cercavo perfino di non respirare), quando sentii dei gemiti provenire dalla porta socchiusa alla mia destra. Mi bloccai, incapace di muovere anche un solo muscolo; forse stava lavorando, e non si era accorto di me. Successivamente si aggiunsero delle voci, che mi apparvero come grida nel silenzio del luogo: “Sei sicuro che non ci sia nessuno? Non potrei sopportare che lui mi veda in questo stato, con te” disse una voce di donna, in un sussurro pieno, mi sembrò, di desiderio per il suo interlocutore. “Non ti metterei mai in una situazione del genere, lo sai” rispose una voce che riconobbi all’istante, “e poi sei tu che mi hai cercato, non è così, forse?”
“Andiamo, Edward, anche tu lo vuoi” lo rimproverò scherzosamente l’altra voce. Edward? Quell’Edward? Perché mi sembrava strano che stesse parlando con una ragazza? Forse perché non riuscivo a capire il loro bisogno di bisbigliare. “Chissà che staranno facendo di così segreto” pensai avvicinandomi curiosa; Emer mi avrebbe rimproverata, riflettei, per il mio comportamento irrispettoso, ma lui non era lì, giusto?
Mi avvicinai in punta di piedi, cercando di fare meno rumore possibile, e osservai lo spettacolo che avevo di fronte con gli occhi sgranati. Sulle prime non capii: l’unica cosa che vedevo era un groviglio di carne che si intrecciava senza sosta, accompagnata dai gemiti sommessi della ragazza che, osservai, aveva lunghi capelli biondo cenere sparsi sulle spalle a coprire a malapena i seni. Non sapevo cosa potesse significare quell’avvenimento, visto che non conoscevo nulla della vita, ma istintivamente mi ritrassi, pensando all intimità che stavo violando. Feci per tornare indietro, ma inavvertitamente poggiai il piede su un asse traballante che cigolò rumorosamente.
I due amanti scoperti alzarono subito lo sguardo verso l’intruso, e io mi mostri, ormai scoperta, ai loro occhi. “Oddio, pensavo non ci fosse nessuno!” squittì la ragazza guardandomi terrorizzata e coprendosi le parti intime; Edward, dal canto suo, sembrava scocciato dalla mia presenza, anche se avrei giurato di vedere per un momento nel suo sguardo un lampo di colpa. O forse l’avevo immaginato. Mentre la ragazza si rivestiva velocemente, evitando di incrociare il mio sguardo, Edward si rimise i calzoni senza pudore di fronte a me, e notando il calore che si era diffuso sulle mie gote, replicò freddo: “Non hai nulla da arrossire, ormai il danno è fatto. Che volevi?” mi chiese imperiosamente, senza guardare la sua compagna, ma squadrando me. “Ho portato il pranzo” riuscii solamente a dire ad occhi bassi, mentre la ragazza mi passava vicino e mormorava un saluto prima di correre fuori: a questa frase Edward sbuffò sonoramente, e mi seguì nella stanza accanto, prese il primo panino dalla fila che avevo tirato fuori dal cesto e cominciò ad addentarlo senza togliermi gli occhi di dosso. Dal canto mio ero veramente imbarazzata, quindi fu con sollievo che presi il cesto e me ne andaii, al tono imperioso del suo: “Che fai ancora qui? Te ne puoi anche andare, ora”.
 Fu solo un attimo, ma mi parve di cogliere tristezza e delusione nelle sue parole. Non ci diedi peso, e me ne tornai a casa.





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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


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Strappo allo stomaco. Mi sveglio improvvisamente. Non sono a casa, bensì nuovamente nel bosco, il mio bosco. Mi alzo in piedi. Sto bene, solo un po’ infreddolita. Il paesaggio intorno a me è coperto di neve. Punge sulle piante dei piedi. Non ho le scarpe, così mi muovo. Faccio qualche passo. Il livello della neve è così alto che sprofondo fino alla caviglia. Mi sento come se aghi penetrassero la carne ad ogni passo. Vado avanti. Forse sto ricordando. Avanzo ancora, cercando di trovare impronte diverse dalle mie. Ad un certo punto ne trovo un paio. Le seguo. Comincia a soffiare il vento. E’ tutto così lugubre e luminoso allo stesso tempo. Cadono fiocchi bianchi dal cielo. Sempre di più. Cerco di vedere davanti a me, fino a quando non noto una figura in lontananza. Una macchia nera (rossa?) nel candore circostante. Mi avvicino. Un presentimento mi assale. Corro. “Emer!!” dico a voce alta, ma non mi sente. Nessun movimento in risposta. “EMER!!!!!” urlo adesso senza sosta, incespicando ad ogni falcata. Noto subito il sangue. Una pozza rosso scuro, in contrasto con il colore dominante. Penso irrazionalmente che mi piacerebbe indossare un vestito con quei colori. Solo dopo mi rendo che avevo ragione. So che è lui, anche se il suo viso è coperto di sangue e neve. Ma quegli occhi li riconoscerei in capo al mondo. E’ disteso in una pozza del suo sangue. Mi lascio andare. Mi accovaccio vicino a lui, comincio a scuoterlo, l’odore metallico del sangue mi invade le narici, provocandomi una reazione strana nel basso ventre. Grido a tutti polmoni il suo nome, gli accarezzo i capelli impiastricciati, quando mi rendo conto di non essere più padrona di me stessa. Provo a combattere quest’impulso assassino, ma è come se un’altra me mi avesse legata ed imbavagliata in un angolo remoto della mia mente. Non riesco a combattere. La mia pelle muta di fronte ai miei occhi pieni d’orrore. Peli cominciano a crescere. Tento di strapparli. Non ho successo. Una metamorfosi atroce si fa strada in me, convertendomi in una creatura mostruosa, di quelle che mi aveva fatto conoscere Emer leggendomi i libri con le leggende del luogo. Quello che vedo nello specchio di sangue di fronte a me mi fa orrore. Non posso tollerare la vista di me stessa. I miei occhi ….


Mi riscossi, di nuovo sveglia. Ero coperta di sudore, e avevo ancora in testa quella visione terribile, che quasi non mi accorsi di chi si trovava di fronte a me. Edward stava in piedi, davanti al mio giaciglio, pallido come la morte, e con uno sguardo ricco di odio negli occhi neri. Che ci faceva lì? “Edward, hai bisogno di qualcosa?” gli chiesi timidamente, notando che non rispondeva. Mi faceva paura. Sentii, non so come, che avrebbe voluto uccidermi in quel momento. E forse, visto il suo fisico, ci sarebbe pure riuscito con successo. Ma durò un momento. Credetti persino di essermelo immaginata, da quanto velocemente aveva reindossato la sua maschera fredda e distaccata. “Niente” mi rispose, con un tono di voce così calmo da sembrare crudele, “non riuscivo a riposare e ti ho sentita fare il nome di Emer” concluse, quasi sfidandomi a mettere in dubbio le sue parole. Ma se il suo tono sembrava normale, la stessa cosa non si poteva dire del resto: le nocche delle mani erano talmente bianche che, pensai, le ossa rimanendo in quella posizione si sarebbero atrofizzate. Il mio sguardo lo incitò a portarsele dietro la schiena, così, non avendo null’altro da osservare, risposi, rivolta ad un punto imprecisato sopra di lui: “Era un incubo, non ti preoccupare”, con un tono di voce, sperai, rassicurante. “Certo” mi assecondò, “se lo dici tu” concluse retrocedendo verso l’uscita. Non vedevo l’ora che se ne andasse, ma pensai che avrei dovuto essere gentile, se non altro perché mi sopportava (anche se molto difficilmente) quindi lo salutai e gli augurai buon riposo. “Non credo ormai” rispose secco, prima di chiudere con un gesto deciso l’uscio. “Certo che sono troppe emozioni solo in una notte” mormorai tra me e me, proiettandomi verso la giornata di lavoro che mi avrebbe aspettata il giorno dopo.




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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


6.

Era tutto pronto per la festa del solstizio d’inverno. Avevo diligentemente aiutato Glaedis a ricamare e confezionare due dozzine di abiti festivi per ragazza e più del doppio per mamme e nonne, senza dimenticare le varie riparazioni a domicilio e gli orli da sistemare per gli abiti più eleganti degli uomini, e adesso me stavo seduta a bere una tazza di latte di capra tutta tranquilla e spossata, sperando di potermi riposare un po’ prima dell’accensione del falò. Non avevo molta voglia di andare alla festa e, anche se Glaedis stessa mi aveva rassicurata circa il fatto di fare nuove amicizie, avrei comunque preferito rimanere in camera mia e riposare. Tuttavia una parte di me diffidava della solitudine, perché così avrei dovuto riflettere sui miei incubi ricorrenti, e non era il caso al momento; in aggiunta avevo scoperto che nemmeno Edward avrebbe partecipato alla cerimonia, e l’idea di trovarmi a casa da sola con lui mi faceva leggermente paura. Beh, forse un po’. Diciamo molta paura. Perché dalla notte in cui l’avevo trovato ai piedi del mio letto qualcosa del suo comportamento nei miei riguardi era profondamente cambiato: se prima ogni nostro dialogo consisteva in frecciatine velenose e sarcastiche da parte sua, ora i dialoghi non c’erano affatto. Sapevo che avrei dovuto esserne estremamente felice, ma ogni volta che lo incrociavo il suo sguardo era così crudele, freddo e carico d’odio nei miei confronti che tutto il corpo urlava di scappare. Emer mi disse che era fatto così, ovviamente perché era di parte, e quindi decisi di non darci più molto peso. Per quanto mi fosse possibile, ovviamente.
“Sassenach, vieni un momento con me, per favore?”
Seguii incerta Glaedis su per le scale, chiedendomi di cosa avesse bisogno, quando, attraversato l’uscio della mia camera, appoggiò sul mio letto un pacco arrotolato. Alla mia occhiata interrogativa mi incoraggiò ad avvicinarmi e mi chiese di aprirlo; quello che comparve davanti ai miei occhi mi lasciò senza parole. Era un vestito con una gonna a balze corta e le maniche lunghe a palloncino, ma, più che la maestria con cui era stato cucito, quello che mi fece aprire la bocca dalla sorpresa era il colore (o dovrei dire, i colori) dell’abito: bianco e rosso, come, notai con stupore, avevo immaginato nel mio sogno.
“Si abbina ai tuoi capelli e alla tua pelle color latte” mi spiegò con gentilezza la donna, mentre io la stritolavo tra le mie braccia.
“Grazie, grazie, grazie!” continuavo a ripetere, e dovetti desistere dall’abbraccio quando Glaedis mi rivelò che non sentiva più la circolazione delle braccia. Immaginando che avrei voluto provarlo con calma e nella mia privacy, uscì dalla stanza, mentre io scoprivo che, oltre che bello, quel vestito era anche facile da mettere. “Oh, che bello non avere sottovesti ad intralciare il passo” pensavo felice tra me e me, e feci per aprire l’uscio e mostrare a Glaedis come mi stava l’abito, quando quasi mi scontrai con Edward, di passaggio.
“Oh, sc-scusami” sussurrai mortificata e terrorizzata non appena i suoi occhi si posarono su di me: stranamente però nel suo sguardo stavolta non c’erano né odio né acredine, bensì stupore e ammirazione per il mio aspetto.
“Ti piace?” gli chiesi imbarazzata, cercando di farmelo (solo un pochino) amico, volteggiando nel frattempo per mostrargli tutte le particolarità dell’abito.
“E’ veramente stupendo …. Sei bellissima” mi rispose, cercando di mettere in quella frase il minor interesse possibile, senza però riuscirci. Ero così estasiata dal regalo appena fattomi che non mi accorsi di chi avevo di fronte, e quindi cominciai tutta contenta ad elencargli ed indicargli tutte le bellissime rifiniture di quell’opera di sartoria. Nel frattempo il suo stupore mutò in partecipazione, con cenni ad ogni mia indicazione con il dito e esclamazioni di approvazione continui. Non pensavo che il quell’unico momento tutta la mia felicità sarebbe venuta a mancare.
“Ah, eccoti qui Edward! Stai mangiando con gli occhi Sassenach, lo sai?” gli disse Glaedis per prenderlo in giro, ma lui si bloccò subito mentre un lieve rossore gli coloriva le guance. Io non mi preoccupai di quella frase e ringraziai nuovamente la donna per quello che aveva fatto, promettendo di sdebitarmi come avrei potuto in futuro.
“Già la tua presenza è un regalo per me” mi rispose lei con un sorriso sincero, e successivamente, come dopo un’illuminazione, disse: “Ma perché non andate insieme alla cerimonia? Siete entrambi senza accompagnatore, no?”
Oddio. No. No, assolutamente no. Non con Edward.
“ Io …” feci per ribattere, quando il giovane, voltatosi verso di me, rispose con uno sguardo strafottente: “se per Sassenach non è un problema la inviterei molto volentieri”
Con gli sguardi del ragazzo e della madre puntati su di me non potevo rifiutare. Non dopo tutto quello che avevano fatto per me. E, pensai in un lampo, forse Edward lo sapeva già.
“C-certo, sarebbe un piacere” risposi, con l’espressione di un condannato a morte di fronte alla forca. No, peggio.
“Benissimo, allora! Tu Edward preparati, e tu, Sassenach, vieni qui: ti acconcerò i capelli così bene che nessuno potrà resisterti stasera … sempre che tu non sia troppo geloso” scherzò Glaedis felice, spingendomi di nuovo verso la camera. Mi permisi solamente di rivolgere ad Edward uno sguardo di disapprovazione, e cominciai a prepararmi per l’inferno.



Salve a tutti! Allora, lo so che i capitoli sono corti, ma preferisco non montare il carico eccessivamente e stufare, quindi posto non appena ho scritto un nuovo capitolo, che, come potrete notare, avviene in modo molto lento, no? Ahahah, scherzavo ovviamente.... detto questo mi farebbe molto piacere se mi diceste cosa ne pensate, adesso il tema "Soprannaturale" non è entrato molto in scena, se non negli incubi della protagonista, ma mi farò perdonare nel prossimo capitolo, giuro! A proposito, Edward è un tipetto tosto, eh? Beh, fatemi sapere anche cosa vi piace e non vi piace dei personaggi, se vi va.... Aspetterò speranzosa
A presto
Baci


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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo ***


7.

Buio. C’è l’oscurità intorno a me. Mi sento strana (strano?). Provo a muovermi. Perché mi sento (di nuovo) così? Non capisco. Sto impazzendo, forse? Non sono umana. Lo so. I miei sensi sono acuiti, mi muovo su quattro … zampe? Qualcosa raschia. Sono le mie unghie, molto più affilate. L’atmosfera cambia. Tutto cambia.
Rosso.
Ancora rosso.
Odore rosso. No, sbaglio. E’ un odore ….. Metallico, associato al rosso. E’….. caldo.
E’ sangue.
Mi impregna le narici, le grandi narici. Mi sento soffocare dalla brama che cresce in me.
Devo rompere qualcosa.
Strappare qualcosa.
Carne.
Li chiamo allora. I miei amici. Il mio branco.
Emetto un suono strano. No, non sto parlando, sto ….

“S, cosa fai?”
Apro di scatto gli occhi ritrovandomi di fronte Emer. Sembra che sia seriamente preoccupato. Non voglio che si senta così, quindi provo a rimediare.
“Oh, niente, stavo solo pensando” rispondo con un sorriso che spero sia rassicurante, anche se non convince del tutto il ragazzo.
“Con la bocca aperta?” mi domanda lui alzando un sopracciglio, “non è che ti sei ricordata qualcosa e non me lo vuoi dire?”
“Assolutamente no, lo sai che non lo farei mai” ribatto io mentre il volto va in fiamme, più per la paura ed il senso di colpa che per la consapevolezza di contare qualcosa per lui.
“Mmh” grugnisce lui poco convinto, “perché lo sai che mi puoi venire a dire tutto quello che vuoi, per quanto terrificante possa essere, giusto?” conclude prendendomi le mani tra le sue.
Il cuore si gonfia di commozione e gratitudine, così, per evitare di tradirmi, annuisco solamente, smuovendo tutta la chioma.
Un rumore secco ci avvisa dell’entrata di qualcuno. Edward.
‘Possibile che debba comparire nei momenti peggiori?! Mi sta seguendo?’ penso io meravigliata e dentro di me infastidita per l’interruzione.
“Che fai, Emer? Non vorrai rubarmi la dama per stasera, spero”
Ho provato molte volte a nascondere le mie emozioni durante gli incontri con Edward avvenuti nei giorni precedenti per imparare il ballo per la cerimonia intorno al fuoco, ma quanto pare anche prima di perdere la memoria non ero affatto brava ….

Eravamo entrambi nella camera di Edward. Io indossavo l’abito che avrei messo alla festa, utile per danzare al meglio attorno al focolare, mentre lui era vestito normalmente, come tutti i giorni.
Che non fosse un ragazzo gentile, questo l’avevo capito dal primo giorno in cui l’avevo visto, ma non mi aspettavo certo tale rudezza nei modi: mi aveva presa senza tante cerimonie e sbattuta di qua e di là per la sala, facendomi vedere i passi fondamentali del ballo. Io non riuscivo a trattenermi dal mantenere il mio sguardo puntato su una smorfia di disgusto e fastidio, pensando di averla presa proprio da lui. Edward si era accorto della mia espressione, e per farmela pagare aveva cominciato a spostarsi più velocemente intorno alla sala. Cercai di resistere, ma non durò a lungo.
“Basta!”
Me lo scrollai di dosso con una forza che mai avrei pensato di avere; dopotutto ero veramente al limite.
“Come hai detto?” mi chiese lui assottigliando gli occhi, mentre il viso diventava una maschera di pura ira.
“Ti ho detto di smetterla! Non sono una bambola che puoi trascinare dove vuoi!” avevo replicato, alzando la voce, poco incline alle buone maniere.
Per un secondo il suo volto fu una maschera di rabbia.
“Lo so che non ti piaccio”
L’aveva praticamente sputato fuori, mantenendo negli occhi quel furore che mi sapeva infondere il terrore in corpo.
“Non ti piaccio, non sopporti nemmeno la mia vista” aveva ripreso per la mancanza di obiezioni, mentre io incrociavo le braccia al petto, “ma sei tu che hai accettato di essere la mia dama e mi devi ubbidire …”
“Se l’ho fatto è solo perché non volevo fare un torto a Glaedis, dicendole quanto mi stai antipatico e quanto, ad ogni nostro incontro, la paura nei tuoi confronti o i tuoi sguardi mi gelino le ossa … cosa credi? Lo so che anche tu odi me, anche se non ne capisco il motivo” mormorai io cercando di trattenere le lacrime; non avrei mai voluto avere quella conversazione, l’indifferenza era cento volte meglio.
A quel punto successe qualcosa che sul momento non mi seppi spiegare: tutta la rabbia scomparve dal suo viso cesellato, mentre una smorfia di dolore attraversava il suo sguardo.
“Io odiarti?! Odiarti?! Come hai anche solo potuto pensare una cosa simile?” sussurrò lui sofferente prendendomi per le spalle.
“Lasciami” gli chiesi dimenandomi per sottrarmi a quella stretta ferrea.
“Non sai nemmeno di cosa stai parlando” soffiò lui avvicinando la bocca al mio orecchio, “io ti amo”.
Come?
Uno. Due. Tre.
“Io ti amo”
Come?
“Come?” chiesi io smarrita e congelata sul posto. Praticamente immobile.
“Ti amo, ma tu non hai occhi che per Emer” bisbigliò lui artigliandomi le spalle, e riportandomi alla realtà, “lo vedo, sai? Lo vedo da come lo guardi, come lo cerchi sempre con lo sguardo, e come la tua espressione si tramuta in delusione e indifferenza notando me” continuò avvicinando il mio corpo a forza verso il suo, “ma se tu sapessi ….”
“No, andiamo, lasciami, per favore” cominciai a supplicarlo io quando prese il mio viso tra le dita per obbligarmi a guardarlo.
“Se tu sapessi la verità su di lui…”
Mi stava facendo male, e tanto. Gli calpestai il piede con forza, e, avvertendo la sua mano lasciare il mio viso, me ne ero andata.

Da allora lo avevo costantemente e inesorabilmente evitato, oppure cercavo di trovarmi nella stessa stanza con qualcun altro, ma il fatto di rivederlo lì, con quell’espressione sul viso pallido, aveva avuto il potere di togliere tutto il colore dal mio, di viso.
Eh già, quella sarebbe stata proprio una serata particolare.


Note: Lo so, lo so che avrei dovuto fare il capitolo sulla festa, ma volevo che i sentimenti di Edward per Sassenach (o S) fossero chiariti, e che potesse comparire un nuovo punto interrogativo (oltre a quello sull’identità della ragazza): quale sarebbe questa verità su Emer? Mah, si scoprirà solo leggendo, no? Volevo ringraziare intanto Roxy_Black non solo per le recnsioni ma anche per aver postato la storia tra le seguite, e anche a chi legge semplicemente la storia, grazie a tutti.
A presto
Baci







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