Amore Impossibile

di syontai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Windy ***
Capitolo 2: *** The Fly and The Wood ***
Capitolo 3: *** The Sweet and The Mirror ***
Capitolo 4: *** The Sword and The Through ***
Capitolo 5: *** The Jump and The Dash ***
Capitolo 6: *** The Thunder and The Cloud ***
Capitolo 7: *** The Little and The Twin ***
Capitolo 8: *** The Float and The Power ***
Capitolo 9: *** The Shadow and The Flower ***
Capitolo 10: *** The Freeze and The Silent ***
Capitolo 11: *** The Erase and The Illusion ***
Capitolo 12: *** The Time and The Firey ***
Capitolo 13: *** The Sand and The Song ***
Capitolo 14: *** The Bubbles and The Sleep ***
Capitolo 15: *** The Dream and The Voice ***
Capitolo 16: *** The Lock and The Glow ***
Capitolo 17: *** The Wave and The Arrow ***



Capitolo 1
*** The Windy ***


The Windy
“Ne è sicura, padrona?” chiese Cerberus con un tono serio. Non poteva accettarlo, non di nuovo. Perdere ancora una volta il proprio padrone: ci aveva messo tanto per fidarsi della nuova erede del grande Mago Clow Leed. “Ti ho già detto che non mi devi dare del lei, Kero-Chan” rispose Sakura facendo un sorriso triste. Sembrava passato un secolo da quando era riuscita a trasformare le carte di Clow in Sakura Cards invece erano trascorsi solo 10 anni; subito dopo si dovette trasferire in Inghilterra per seguire la reincarnazione del grande mago e imparare a controllare il proprio potere magico, le proprie visioni. Li Shaoran l’aveva seguita per amore e l’aveva sostenuta nei momenti di difficoltà. Una notte durante il periodo dell’addestramento ebbe un sogno rivelatore: stava camminando per una via di notte, una via che sembrava non finire mai, ma non le interessava la meta, se anche ce ne dovesse essere una. Continuava a camminare e più andava avanti più una luce intensa si faceva strada arrivando ad accecarla e poi si ritrovò vicino al Sole all’improvviso; alla sua sinistra si trovava la Luna, mentre alla sua destra brillava in tutto il suo splendore una stella. Sakura capì subito di che si trattava: il Sole e la Luna erano i simboli dei Guardiani delle carte, mentre la stella era il suo simbolo magico, il simbolo che mostrava la sua forza magica, che non dipendeva da nessun’altra ma attingeva al proprio essere. Improvvisamente una nuvola oscurò il paesaggio, e sotto di lei fu il vuoto; cominciò a cadere senza però toccare mai il fondo; mentre cadeva si rese conto che la sua mano stava diventando di cristallo, ma questo non la spaventava; il cristallo era limpido e le trasmetteva un calore indescrivibile, la faceva stare bene. Poi vide Li che le porgeva una rosa rossa: anche lui stava cadendo in quel pozzo senza fondo. Sakura inizialmente sorrise ma poi notò che l’immagine del ragazzo si faceva sempre più flebile, e la rosa si stava tingendo lentamente di nero…Si svegliò sudata, e subito Li accorse per tranquillizzarla: era normale per chi era ancora alle prime armi nel campo della magia rimanere turbati dalle rivelazioni, prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine. Sakura raccontò il sogno a Li ancora tremante e lui le disse che prima o poi il significato le sarebbe stato chiaro. Dieci anni dopo quella visione, Sakura si decise di sposarsi con Li ed era felice, perché finalmente era riuscita a coronare il suo sogno d’amore, ma poi accadde; non appena si diedero il bacio per suggellare la loro promessa d’amore, Li sbarrò gli occhi e poi cadde a terra pallido come la morte. “Cosa è successo?” chiese Sakura al suo maestro Erriol, reincarnazione di Clow Leed. “Credo che ci siano delle complicazioni, come pensavo sarebbe accaduto…”. La donna continuò a fissarlo aspettando una spiegazione, temeva il peggio ed aveva ragione. “I tuoi poteri magici sono completi. Nel momento in cui hai baciato il tuo promesso sposo la magia delle Carte ha preso il sopravvento, e ha cercato di uccidere Li; si è salvato solo grazie ai suoi poteri magici, ma è in fin di vita. Le Carte sono gelose nel momento in cui i sentimenti della padrona non sono più incentrate su di loro e tentano di distruggere ciò che le impedisce di essere un tutt’uno con il Possessore. Mi dispiace, ma penso che anche la tua sola vicinanza potrà portarlo alla morte. Dovrai stargli lontano” disse Erriol piano. Una lacrima scese lentamente dal viso di Sakura: doveva essere un incubo. Sarebbe dovuta stare lontana dal suo amore proprio ora che si erano sposati? Non l’avrebbe potuto tollerare; avrebbe rinunciato a tutto per il suo Li, anche alle sue responsabilità come Possessore. Era egoista, ma d’altronde lei non aveva mai scelto quel destino. “Voglio rinunciare alla magia!” esclamò decisa dopo un minuto di silenzio. Il suo maestro tirò fuori un sospiro ricco di preoccupazione per il futuro: “Hai tempo fino a domani per decidere”, poi si alzò e si diresse verso il promontorio dove si stava svolgendo la cerimonia, quindi sollevò il braccio e davanti a lui apparve un cerchio di luce; lo attraversò e scomparve insieme al circolo, come se fosse risucchiato dal tramonto che ormai era visibile in tutto il suo splendore. Sakura si sedette su una roccia a riflettere: lei amava  Li e se quello era l’unico modo per stare insieme a lui, avrebbe fatto di tutto, anche rinunciare alle Carte e al suo potere magico. Prese in mano The Windy, la sua prima carta e la guardò in modo malinconico; perché le dovevano fare tutto questo? Sentì una scarica d’odio e frustrazione fluire dentro di sé: il rancore che le avrebbero portato le Carte sarebbe stato forte e sarebbe durato in eterno.
Il giorno dopo Sakura si presentò nella Sala delle Predizioni, una stanza buia con una volta che ricordava un cielo stellato; al centro si trovava una meravigliosa fontana in marmo, con tre figure in pietra da cui uscivano dei rivoli d’acqua che riempivano la vasca: al centro si trovava un mago anziano con un bastone magico, ai due lati si trovavano una sorta di leone con delle magnifiche ali, le cui rifiniture erano state realizzate con dei frammenti d’avorio che gli davano lucentezza, e un angelo dal cui palmo sinistro aperto scaturiva un globo realizzato con degli zaffiri. I due Guardiani, Yue e Cerberus, e ovviamente al centro Clow Leed con tutta la sua imponenza. “Allora quale decisione hai preso?” chiese Elliott comparendo dietro di lei dall’oscurità. “Rinuncio” rispose la donna con il respiro corto. Aveva paura delle conseguenze ma le avrebbe accettate. “Bene vieni con me” disse lui prendendole la mano e conducendola lentamente vicino alla fontana finché non furono in grado di vedere i loro riflessi. “Prima di tutto, stabilisci delle nuove regole per il nuovo Erede” esclamò con un tono solenne. Nuove regole? Le vecchie andavano benissimo…però avrebbe voluto aggiungere qualcosa, qualcosa per impedire che al futuro Possessore capitasse la sua stessa sorte: “Una volta che il nuovo padrone delle carte avrà accettato la sua missione dovrà stare lontano dall’amore e nel momento in cui darà un bacio sarà trasformato in cristallo per impedire di fare delle vittime a causa del potere delle Carte”. Elliott la guardò un po’ sorpreso, poi annuì e pronunciò un’antica formula magica. Dalla fontana un globo d’acqua si staccò dalla superficie. “Adesso trova il nuovo erede” disse lui tranquillo ma pensieroso. Sakura si concentrò e inspiegabilmente le tornò alla mente il sogno fatto; irruppero nella stanza Cerberus e Yue che, dopo aver tentato inutilmente di farle cambiare idea, restarono per assistere alla cerimonia. Un’ombra cominciò a disegnarsi dentro la sfera d’acqua, poi lentamente l’immagine si fece più chiara, era una ragazza dallo sguardo dolce, con dei capelli castani lisci e uno sguardo sognante. Sakura si concentrò di più per leggere la sua anima: era forte e coraggiosa nonostante all’esterno potesse sembrare fragile, e, cosa più importante, il suo cuore non era mai entrato a contatto con il sentimento d’amore. Era perfetta per quel compito. “Dimmi il suo nome…” gridò Sakura fissando lo sguardo di pietra della statua di Clow Leed. Si sentì il rumore di un tuono, poi alzò gli occhi e sulla volta notò che le stelle si stavano disponendo per formare un nome: Violetta Castillo.
Invisibile. Questo era il primo aggettivo che le sarebbe in mente se mai si fosse dovuta descrivere con una sola parola. Si, perché per Violetta la regola numero uno era passare inosservata. Dopo tanti anni trascorsi dentro casa dopo la morte della madre, finalmente aveva trovato il coraggio di iscriversi a una scuola con il consenso da parte del padre di seguire le orme della famosa Maria Saramego. Nonostante avesse passato le selezioni con voti altissimi, nessuno aveva ancora capito chi fosse quella misteriosa Violetta Castillo che aveva preso addirittura il massimo nella prova di canto, quella più difficile. Lei per conto suo non parlava con nessuno né aveva mai cantato in classe; si sedeva sempre in fondo all’aula per non farsi vedere e osservava gli altri ragazzi esibirsi e divertirsi. Bah, cosa ci fosse di divertente nel doversi mettere in mostra così tanto, glielo dovevano ancora spiegare. Stava chiudendo il suo armadietto ancora assorta in quei pensieri, quando vide un bellissimo ragazzo con gli occhi verdi dirigersi verso di lei ed aprire l’armadietto accanto al suo; si coprì dietro il suo per non farsi notare; non le piaceva essere notata, nonostante non le riuscisse molto bene. Già per tutto lo Studio si parlava della bellissima ragazza misteriosa e taciturna. “Leon!” urlò una ragazza bionda dirigendosi verso il suo compagno di armadietto. Ah, quindi si chiamava Leon…non che le importasse, ovviamente. “Si, Ludmilla?” rispose lui salutandola con un bacio sulla guancia. “Ricordati che oggi mi hai promesso di aiutarmi a fare shopping al centro commerciale, quindi…”; Violetta non sentì altro, perché si allontanò per andare a lezione. Qualcunò però le si parò contro  impedendole di passare; era una ragazza mora con un sorriso rassicurante ed un fiocco viola in testa che le dava un tocco vivace. “Violetta Castillo?” chiese semplicemente dopo averla squadrata per qualche secondo. “Ehm…si” rispose lei un po’ titubante. “Piacere, sono Francesca.Vieni con me” sussurrò Francesca, prendendola per il braccio e trascinandola in uno sgabuzzino. Violetta stava per chiederle perché la avesse trascinata in quel posto, ma non ne ebbe il tempo. “Un posto vale l’altro” disse lei, poi tirò fuori una bacchetta la scosse un po’, ma non successe nulla. “Ok, c’è qualcosa che non va…aspetta un secondo” quindi cominciò a soffiarci sopra, a sfregarla con un lembo della gonna. Un po’ più convinta ripetè il movimento di prima e questa volta dalla punta di quel bastoncino di legno fuoriuscì una luce azzurra. La luce galleggiò al centro dello sgabuzzino e poi emise una scintilla che creò un fuoco scarlatto. Il fuoco le divorò completamente e in tutto questo una sola domanda balenò nella mente di Violetta: che diamine stava succedendo?
Si ritrovarono in una stanza a forma di esagono completamente bianca. Per curiosità Violetta sfiorò le pareti e si rese conto che vi erano incastonate delle perle. Al centro c’era un grande tavolo rotondo, anch’esso bianco, dove poggiava un mappamondo. “Perfetto siamo in anticipo, c’è solo Stefan” esclamò allegramente Francesca indicando un ragazzo seduto. Non si era proprio accorta della sua presenza, anzi era quasi sicura che fino a due secondi fa nella stanza non ci fosse nessuno. Era un ragazzo dagli occhi azzurri con i capelli di un grigio argenteo. “Bene, il Custode del Sud America” sussurrò Stefan piano. Poi comparirono quattro luci, una viola, una rosa, una arancione e una gialla. Le luci si diffusero nell’ambiente creando una sorta di arcobaleno che aumentava di intensità anche a causa di quelle pareti bianche. Violetta chiuse un secondo gli occhi; quando li riaprì vide cinque individui seduti intorno al tavolo. Francesca facendole cenno di avvicinarsi si sedette anche lei. “Allora Stefan lo conosci già, è il Custode dell’Asia, poi c’è Thomas,Custode del Nord America, Federico che si occupa dell’Europa, Broadway invece è da poco stato assegnato all’Africa e poi c’è Nata, che sovrintende all’Oceania. Ok, ora che ho fatto le presentazioni, andiamo al punto” disse Francesca in fretta. Ma quale punto? Violetta ancora non ci stava capendo nulla; soprattutto non voleva sbagliarsi, ma finora le era sembrato di aver capito che fossero degli esseri magici. “Ovviamente sa già perché è stata convocata, quindi saltiamo tutti i convenevoli, è appena stato liberato un sigillo di un’antica maledizione a Hong Kong, non ho tempo da perdere” disse Stefan cominciando a giocherellare con il Mappamondo al centro. “Veramente io non so niente. So solo che dovrei essere in uno sgabuzzino a quest’ora e invece sono qui” esclamò Violetta cercando di essere più chiara possibile. I cinque Custodi fissarono Francesca con disapprovazione. Tipico di Francesca. “Non ci posso credere, l’hai fatto di nuovo! Quindi non sa nemmeno chi siamo” esclamò Nata spazientita. “Ehm…già” rispose Violetta sempre più confusa. “Ok…le spiego tutto io” disse Federico tranquillo. “Allora questo è il Consiglio dei sei Custodi, che è stato fondato 10 anni fa in seguito alla catastrofe che si stava per abbattere sulla terra in Giappone a causa delle carte di Clow” cominciò il ragazzo. “Non era ancora sotto la mia giurisdizione” sottolineò Stefan scocciato. “Si, lo sappiamo” ribatté Federico “Comunque dopo quel disastro la padrona delle Carte con la sua magia riunì tutti gli esseri magici in quello che venne chiamato il Raduno. Lì venne presa la decisione di fondare un’organizzazione per tenere sotto controllo e fermare i fenomeni magici che si abbattevano costantemente nel mondo. In particolare colui che sarebbe stato scelto come successore avrebbe potuto avere un aiuto per catturare le Clow Cards (ormai diventate Sakura Cards) senza dover scomodare i due Guardiani, Cerberus e Yue. Ovviamente saprai tutto sulle Carte”. Violetta continuò a fissarlo senza avere la più pallida idea di cosa rispondere. “A quanto pare no!” disse Thomas ridendo. “Allora le Carte di Sakura, dette anche Sakura Cards (un tempo erano chiamate Clow Cards) sono delle carte magiche. Ognuna di esse ha un potere unico ed inimitabile. Come ormai è diventata tradizione, quando il Possessore decide che è giunta la sua ora oppure non è più in grado di portare il peso della magia dovuto alle Cards, viene eletto un successore e vengono liberate le Carte. Il prescelto, o prescelta come in questo caso, le deve catturare tutte e sigillarle nuovamente per renderle inoffensive” . E ancora una volta Violetta pensò che non ci stava capendo niente…che c’entrava lei? Insomma si stava ancora chiedendo dove fossa finita la Scuola. Questi suonati le stavano raccontando una bella storiella, ma quel’era il punto? Dove volevano arrivare? Francesca lesse questo stato d’animo dipinto sul suo volto e cominciò a parlare: “Insomma non facciamola tanto lunga. Violetta accetti l’incarico e il sigillo magico così da adempiere al compito di Cattura-Carte?”. “Ma così scompare tutta l’atmosfera misteriosa!” disse Nata, leggermente irritata dal comportamento della collega. Ah, quindi era lì che volevano arrivare fin dall'inizio! Beh, che dire? “Ma neanche per sogno!” ribatté Violetta cercando di essere il più chiara possibile. “Forse non hai capito bene la situazione…” cercò di dire Broadway. “Non me ne importa nulla, cercatevi un altro Cattura-cose, io non ci sto!” lo interruppe incrociando le braccia per mostrarsi irremovibile. “Non si può! Sei stata scelta dal precedente Possessore, inoltre avvertiamo che i tuoi poteri magici, anche se non sei erede di Clow Leed, hanno la giusta forza per reggere un compito del genere…nemmeno noi potremmo farcela!” esclamò Stefan stufo di continuare quella conversazione. La storia si stava facendo davvero troppo lunga per i suoi gusti. “Ah, poi c’è da dire che lasciare le carte in giro provocherebbe una catastrofe che arriverebbe a distruggere il mondo e bla,bla,bla…” parlò Thomas giocando il loro unico asso nella manica. Ecco, questo non lo doveva dire, adesso Violetta si sentiva con le spalle al muro; avrebbe dovuto accettare per forza; ci pensò un attimo: ma si in fondo cosa c’era di male? E poi avrebbe ricevuto l’aiuto di Francesca se aveva capito bene. Tempo una settimana e forse si sarebbe tutto concluso bene. “Va bene, accetto” sussurrò lei non del tutto convinta. “Un’ultima cosa però. Ci sono due regole nuove aggiunte da poco: innanzitutto non dovrai farti scoprire mentre usi i tuoi poteri magici per una questione di sicurezza, poi…” ma Thomas non seppe continuare; quella regola era così crudele, non riusciva a credere che Sakura Kinomoto, la ragazza più dolce sulla faccia della Terra, avesse imposto una legge tanto assurda. L’amore per Li l’aveva accecata completamente. “Poi devi evitare l’amore come se fosse la peste. La magia delle carte ha bisogno che il Possessore sia in completa sintonia con loro , questo vuol dire che non puoi permetterti di amare nessuno. Se ti innamori di qualcuno le carte cercheranno di distruggerlo. La seconda regola dice appunto proprio questo: ‘Nessun bacio dovrà essere dato o ricevuto, altrimenti il Possessore verrà trasformato in cristallo’. Accetti entrambe le condizioni?”  Violetta rimase in silenzio per riflettere: la prima era dura da rispettare: non farsi vedere da nessuno, non poter rivelare la propria forza magica…ma la seconda era davvero impossibile! Come avrebbe fatto a mantenere quel patto? In realtà lei non amava nessuno, nel suo cuore non aveva mai conosciuto quel sentimento tanto bello chiamato amore. Si sarebbe dovuta sacrificare, ma alla fine per lei era davvero un sacrificio? Non sarebbe mai piaciuta a nessuno per il semplice fatto che era invisibile agli altri, e a lei stava bene così. E poi c’era la questione della catastrofe…se era davvero l’unica salvezza, non poteva tirarsi indietro. Anche se continuava a pensare che avessero sbagliato persona; lei era davvero la meno indicata per compiere azioni tanto eroiche. “Ci sto!” rispose Violetta cercando di allontanare tutti i suoi dubbi e le sue paure. I sei Custodi la guardarono sorpresi e le sorrisero: nessuno avrebbe mai accettato tali condizioni, inoltre quella ragazza non si era mostrata spaventata di fronte a questa missione, di fronte alla scoperta della magia. Era davvero incredibile… Poi misero le mani sul mappamondo da cui scaturì una luce bianca abbagliante. Ed ecco comparire lui: il simbolo del Sole che domina la Terra e il Fuoco. Un leone alato irruppe nella stanza per fermarsi di fronte a lei, rivolgendole uno sguardo severo; “E’ lei?” chiese semplicemente alla fine. “Si, Cerberus, si tratta della prescelta per diventare la nuova padrona delle Carte di Clow” disse Thomas facendosi serissimo tutto d'un tratto. Quel leone doveva essere davvero importante…”Bene, anche se non vorrei farlo…” disse Cerberus, poi si avvicinò a Violetta e dal rubino che portava sulla fronte venne fuori una luce scarlatta. La ragazza chiuse un secondo gli occhi abbagliata, quando li riaprì si ritrovò uno scettro in mano, un bastone lungo metallico di colore rosa, con una sorta di becco in cima. Ai lati del becco si trovavano due piccole ali bianche. “Questa te la manda Sakura…” concluse quindi facendo un ruggito. La prima impressione fu che si trattasse di un angelo: era un giovane ragazzo con delle meravigliose ali bianche e possenti. “Yue, l’hai portata?” chiese il leone con uno sguardo fiero. Il secondo Guardiano annuì, poi porse a Violetta una carta; non appena la ragazza la prese sentì una scossa che le arrivava dal profondo. Quella carta era magica, ma come era riuscita a rendersene conto? La girò con delicatezza, come se fosse il tesoro più prezioso del mondo, e si rese conto che sul retro erano disegnati dei simboli: una stella di un giallo dorato al centro, e ai lati un sole e una luna. Rigirò di nuovo la carta studiandola con attenzione: una figura di donna con gli occhi chiusi come se stesse dormendo era avvolta da un manto che sembrava fosse fatto di vento; in basso c’era scritto “The Windy” (letteralmente “Il ventoso”). “Questa è la carta del vento!” esclamò Francesca sorpresa come tutti gli altri Custodi: era stata la prima carta catturata da Sakura, la precedente Padrona. Doveva essere una sorta di segno. “Possa essere il tuo compito portato a termine” disse Yue baciandole la mano. Violetta arrossì: non le era mai capitato che delle persone contassero a tal punto su di lei. Francesca quindi le prese il braccio, e salutando gli altri, la trascinò via, facendo comparire una porta scarlatta; lentamente la aprirono, e si ritrovarono di nuovo nello sgabuzzino. “Preparati, il bello deve ancora iniziare” esclamò l’amica sorridendo.



ANGOLO DELLE CARTE: Ciao a tutti!!! Allora questa storia è un pò particolare...un crossover che mi è venuto in mente e ho deciso di seguire questa mia ispirazione per dare vita a tutto ciò...Allora non so che dire xD Innanzitutto avviso subito che questa storia procederà un pò a rilento, visto che darò la priorità all'altra mia ff ("Volar sin tenere alas") fino alla fine. Comunque ho voluto pubblicare questo capitolo per sapere che ne pensate voi lettori. Se avete consigli, suggerimenti, lamentele, commenti da dare non sono accetti, di più!!!! Grazie a tutti quelli che mi sopportano con le mie recensioni da schizzato e buona lettura!!! :D
P.S: a sinistra The Windy,la carta del vento; a destra Sakura e Li a 14 anni con Sakura che tiene in mano lo scettro magico 

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Capitolo 2
*** The Fly and The Wood ***


The Fly and The Wood

Erano passati all’incirca due giorni, da quando si era tenuto il consiglio dei Custodi. Fino ad allora era andato tutto tranquillo, non si era rivelata nessuna carta magica, ma era solo questione di tempo. Le lezioni erano finalmente terminate e Violetta si era arrampicata sul ramo di un albero. Le piaceva davvero tanto arrampicarsi sugli alberi: si sentiva libera e allo stesso tempo lontana da tutti e da tutto. Più avvertiva di essere vicina al cielo, più le sembrava possibile volare; era il suo sogno sin da quando era piccola, sin da quando vide quell’aereo con dentro sua madre partire; avrebbe voluto raggiungerlo per stare con lei; il padre per tranquillizzarla le aveva detto che sarebbe andato tutto bene, che dopo quella tournee, Maria sarebbe tornata per stare con loro per sempre. Ma sua madre morì a causa di quell’incidente. Una lacrima le scese lentamente sulla guancia: voleva rivederla, lo desiderava più di ogni altra cosa. Mentre era in quelle riflessioni, qualcuno si arrampicò per venirle a fare compagnia. “Non è bello che tu stia qui tutta sola” disse Francesca porgendole un fazzoletto. “Questo è uno dei miei posti preferiti, sai qua ho l'impressione che niente possa ferirmi” spiegò Violetta, continuando a fissare il cielo. Vicino a quell’albero passò il gruppo dei ragazzi popolari dello Studio. Il capo era Ludmilla, una ragazza alquanto insopportabile. Conosceva il suo nome, perché lei si offriva sempre per cantare a lezione, desiderosa com’era di avere tutti gli occhi puntati su di lei. Al suo lato c’erano Andres e Leon, i ragazzi più belli e presuntuosi della scuola. Ok, magari quest’ultimo aggettivo se l’era inventato lei visto che non ci aveva mai nemmeno parlato, ma d’altronde già solo per il fatto di stare con quella lì…“Ma avete visto la nuova, quella che non spiccica parola?” se ne uscì Ludmilla. “Deve essere muta, non capisco come abbia fatto a superare la prova di canto” continuò poi per scoppiare a ridere per la sua battuta. Tutti la seguirono ridendo, tutti tranne Leon, che a quanto pare era assorto nei suoi pensieri. “Lyon, tutto bene?” chiese la ragazza premurosa. Chiunque sapeva che Ludmilla gli sbavava dietro e avrebbe fatto di tutto per poter stare con lui, ma il ragazzo sembrava non volersene accorgere. “Si, tutto a posto grazie. Hai ragione quella non deve essere tanto normale” disse lui riprendendosi d’un tratto. Violetta ascoltò la conversazione senza lasciar tradire nessuna emozione di fronte alla sua nuova amica. Odiava che le persone fossero in grado di leggere dentro ciò che provava, le dava un enorme fastidio. “Tu vali cento volte lei. Devi solo dimostrarlo; ricorda le mie parole: sei speciale, e non solo perché possiedi poteri magici fuori dal comune” disse Francesca guardandola dolcemente. “Forse hai ragione” ribatté Violetta più per chiudere lì il discorso che per convinzione vera e propria. Accadde tutto in un attimo: un brivido, una folata di vento, e poi un’ombra che oscurava il cielo; alzò gli occhi e vide un maestoso e gigante uccello, dello stesso colore dell’avorio. “The Fly” sussurrò piano l’amica, poi rivolgendo sia a Violetta: “The Fly è la carta del Volo; è facile catturarla a meno che non viene fatta arrabbiare...La può vedere solo chi possiede poteri magici. Andiamo!”. Pronunciò una breve formula e si ritrovarono in un parco isolato sopra un rilievo. Da lì erano vicinissime a quell’uccello: aveva degli occhi particolari, sembravano due perle. Violetta prese dalla tasca quella piccola chiave che le era stata consegnata da Cerberus. La fissò con uno sguardo interrogativo, poi rovinando tutto il momento avventuroso disse: “Ehm…e adesso che devo fare?”. Francesca si passò una mano sulla fronte: che sbadata, si era dimenticata di spiegarle come funzionava! Doveva dirle al più presto la formula per la rescissione del sigillo. Troppo tardi, una folata di vento fortissimo creata da un battito di ali spedì Violetta in cielo; era una sensazione bellissima, ma allo stesso tempo spaventosa. Saliva sempre di più e d’un tratto le case erano sempre più piccole. Doveva escogitare qualcosa: poi sentì qualcuno intromettersi nella sua mente: “Sono Francesca, ti sto parlando con la telepatia. Il contatto durerà pochi secondi. Devi pronunciare la formula: ‘Chiave che possiedi la forza dell’oscurità, mostrami il tuo vero aspetto. Release! Rescissione del sigillo!’. Presto!”. La folata di vento provocata dalle ali della Carta svanì in un momento e Violetta si ritrovò in picchiata. Di lì a qualche secondo si sarebbe spiaccicata per terra, non le sembrava molto carino morire in quel modo: doveva inventarsi qualcosa. Idea! Era folle, ma d’altronde le conveniva di gran lunga tentare: “Chiave che possiedi la forza dell’oscurità, mostrami il tuo vero aspetto. Release! Rescissione del sigillo!”. La chiave che teneva in mano cominciò a brillare, poi si allungò sempre di più fino a trasformarsi in uno scettro. Prese la carta del Vento, sperando che la aiutasse: “Carta del Vento, io ti invoco!” urlò poi, poggiando la punta della scettro sulla carta. Stava prendendo sempre più velocità, era la fine di tutto. Nemmeno aveva cominciato che già aveva deluso le aspettative di tutti. Si preparò all’impatto chiudendo gli occhi, ma non accadde nulla. Un piccolo venticello la teneva sospesa a qualche centimetro da terra; non ci poteva credere, ce l’aveva fatta. Era felicissima; “Grazie mille Vento” sussurrò lei dolcemente deponendo un bacio sulla carta del Vento. “Attenta!” strillò Francesca correndo verso di lei. “Francesca, usa i tuoi poteri magici per tenere ferma la creatura mentre la catturo” ribatté la ragazza sicura del suo piano. “Non posso! Le Carte di Clow non possono essere intaccate dalla magia normale. Devi farcela da sola” rispose rassegnata l’amica. Violetta si fermò a riflettere: il giardino si affacciava su una discesa molto ripida che si affacciava su una strada, con uno steccato che permetteva di affacciarsi in tutta sicurezza e di godersi il panorama. E lì di fronte a lei, la Carta del Volo. Senza pensarci ulteriormente prese la rincorsa. Era pazza, non ce l’avrebbe fatta mai, ma non era quello il momento per le incertezze. Quindi spiccò un salto e atterrò sul dorso della creatura, la quale si accorse della sua presenza e cominciò ad alterarsi. “Svelta, usa il Vento!” urlò Francesca sperando che riuscisse a sentirla. Violetta non se lo fece ripetere due volte: tirò fuori la Carta del Vento: “Vento, crea una prigione d’aria e intrappola Volo!”. Dalla carta fuoriuscì la donna rappresentata sulla figura, avvolta nel suo manto incorporeo, aprì gli occhi e poi emettendo un verso acuto che ricordava il rumore di una tramontana eseguì gli ordini. Cominciò a volteggiare intorno all’uccello, creando delle funi fatte d’aria e intrappolandogli le ali. The Fly cominciò a perdere quota finendo per terra. “Perfetto! E ora…Clow Card ritorna al tuo aspetto originario”. Quindi portò lo scettro in aria e istintivamente lo indirizzò verso l’uccello. Dal nulla comparve una carta che risucchiò la creatura. Quando fu scomparsa, la Carta levitò verso di lei come se fosse attratta da una grandissima forza. Violetta vide l’immagine rappresentata sulla carta: una meravigliosa creatura alata con delle ali enormi e gli occhi di perla; sotto c’era la scritta “The Fly”. Francesca comparve vicino a lei con gli occhi che le scintillavano per l’ammirazione: era sta bravissima, eccezionale, aveva usato la magia in un modo così naturale; aveva un dono. Violetta rimase in silenzio per un po’, poi scoppiò a ridere; era stata un emozione fantastica, aveva provato i brividi dell’avventura. Senza dire nulla abbracciò Francesca contenta: oltretutto aveva trovato anche una vera amica. Una figura misteriosa le osservò con attenzione: bah, si quella ragazzina se la cavava, ma non poteva nulla contro un erede di Clow Leed in persona… Una persona incappucciata si avvicinò e gli sussurrò qualcosa all’orecchio: “Quando devo entrare in azione?”. “Aspetta ancora è presto. Gli mostreremo che non possono nulla contro la tua forza magica. Lasciamogli credere di essere l’unica in grado di porre fine alla catastrofe provocata dalle Carte di Clow, quando la sua fiducia sarà al massimo, interverremo noi e porremo fine a tutto questo”. “Sai vero che la Carta del Volo ha dei poteri straordinari?” cominciò Francesca, ricordandosi bene del sogno della sua amica. “Prova a invocarla” continuò poi giocherellando con le mani. “D’accordo” disse Violetta un po’ incerta. Chissà che poteri nascondeva The Fly. “Io ti invoco! Carta del Volo!” esclamò. Si aspettò uscire qualcosa dalla Carta, invece le ali sul suo scettro cominciarono ad allungarsi fino a diventare delle vere ali enormi e candide. Violetta non ci credeva, eppure un secondo dopo era in sella al suo scettro insieme all’amica a parecchi metri da terra, volando. Sorrise contenta all’amica mentre una lacrima le scendeva, ma stavolta era una lacrima di gioia: il suo sogno si era appena realizzato.

“Buongiorno tesoro!” esclamò ad alta voce il padre per svegliarla. “Mhh…ghhhh” ebbe la forza di rispondere Violetta, ancora con gli occhi semi-chiusi. “E’ ora di svegliarsi!” continuò lui facendole il solletico per farla alzare. “Papà ma è domenica e sono le 8 di mattina!” borbottò lei alquanto contrariata con le lacrime agli occhi per quella tortura. “Lo so, ma ti ricordi che oggi mi avevi promesso che avresti accompagnato me e Jade al giardino botanico per passare una giornata tutti insieme?”. Oh, no! Se l’era ricordato. Una volta, quando il padre la fece iscrivere allo Studio 21 nonostante non fosse pienamente d’accordo, le aveva chiesto in cambio di essere più accondiscendente nei confronti della povera Jade, la sua nuova fidanzata. Violetta aveva risposto di si ed aveva anche promesso che li avrebbe accompagnati in uscite che avrebbero fatto solo loro tre alcune domeniche, tra cui anche quella all’orto botanico. Odiava Jade, e questo non era un mistero praticamente per nessuno. Era una donna così superficiale, così stupida, completamente diversa dal ricordo che aveva di sua madre. Ma che ci poteva fare? Forse suo padre era davvero innamorato. Che cosa ci fosse di tanto bello nell’innamorarsi, doveva ancora capirlo. Ci pensò un secondo: l’amore era davvero un’umiliazione, una perdita di senno. Per fortuna a lei non sarebbe successo mai, non aveva mai provato quel sentimento e non ne sentiva affatto la mancanza. Si alzò un po’ scontenta, ma non disse nulla: una promessa era una promessa. Prese il cellulare per avvisare Francesca che quel giorno non si sarebbero potute vedere: ‘Vado al giardino botanico con mio padre. Mi dispiace, continuiamo la ricerca domani’. Da quando aveva catturato ‘The Fly’ le due amiche avevano cominciato a perquisire tutti gli angoli della città alla ricerca di fenomeni strani che potessero nascondere la presenza delle carte magiche, ma finora non avevano trovato alcun esito positivo. Squillò il cellulare: Francesca doveva averle risposto; ‘Non ti preoccupare, oggi posso continuare la ricerca senza di te. Se scopro qualcosa ti avviso’ lesse Violetta in fretta. Poi senza pensarci prese un vestito bianco molto semplice ma allo stesso tempo elegante, lo indossò e scese per fare colazione. A tavola c’erano Jade, che ormai si era stabilita definitivamente a casa sua, e suo fratello Matias che parlottava a bassa voce. “Sei pronta, Vilu? Ci divertiremo tantissimo insieme!” strillò Jade con la sua solita voce acuta. Vilu…odiava quel soprannome che le aveva affibbiato Jade, non lo sopportava proprio; fece un sorriso forzatissimo per farle capire che si sarebbe divertita tantissimo, ma non le riusciva proprio. Quando ebbe terminato la colazione, Jade andò di sopra per prepararsi: ci mise più o meno due ore, due ore che Violetta passò stesa sul divano passando tra le mani le sue due Carte di Clow. Finalmente la fidanzata del padre scese dalle scale pronta per uscire. Ma quanto diamine le ci era voluto? Bah, comportamenti incomprensibili… German che si era ritirato nello studio per finire dei progetti e firmare delle carte, fece capolino per dire di raggiungere la macchina mentre lui avrebbe finito la telefonata. Le due entrarono in macchina senza rivolgersi parole. Si detestavano: Jade faceva tutta la carina quando c’era German, ma non la sopportava quella mocciosa. “Non rovinare la giornata tra me e tuo padre con i tuoi capricci, capito?” le ordinò Jade con uno sguardo minaccioso. Violetta annuì senza dire nulla. Avrebbe fatto quello che sapeva fare meglio: essere invisibile. German entrò tutto sorridente. “Siamo pronti?” chiese felice. Jade annuì sorridente, Violetta fece un cenno di assenso a malapena. Che noia…perché doveva sopportare sempre tutto? La macchina partì e Violetta si girò per salutare con lo sguardo alla casa: le sembrava che non l’avrebbe più rivista. E in effetti quella gita non sarebbe stata così tranquilla come pensava.
“Mamma, guarda quest’albero è meraviglioso!” strillò il bambino indicando una bellissima quercia all’interno del giardino. “Si, eccomi vengo” rispose la madre con indulgenza. Il bambino, che nel frattempo correva inciampò su una radice che non aveva visto e cadde per terra; poi volse lo sguardo e vide la radice ritirarsi sotto terra. Che cosa strana…
 “Siamo arrivati, finalmente, con tutto questo traffico, stavo cominciando a disperare” esclamò allegramente German; “Evviva” disse Violetta senza alcun entusiasmo. I tre si diressero alla biglietteria, poi dopo aver fatto la fila per l’ingresso entrarono. La prima impressione della ragazza fu: questo è il Paradiso. Le sembrava di essere entrata in una giungla, il pensiero di essere in città si dissolse piano piano, regalandole una meravigliosa sensazione di libertà. “Violetta, non ti allontanare troppo” si raccomandò il padre. Lei annuì senza ascoltare: si era incantata ad osservare dei fiori meravigliosi. German vide delle violette e il suo sguardo si intristì: avrebbe tanto voluto che Maria fosse lì con loro. La defunta moglie adorava la natura, si prendeva cura lei stessa del giardino della casa; era così raggiante sotto il sole mentre innaffiava le begonie o potava le siepi con una delicatezza unica. Ma i suoi fiori preferiti erano appunto le violette; a volte si sedeva sull’erba e cominciava a parlarle a bassa voce. Quando German le chiese il perché di quello strano comportamento, Maria sorrise semplicemente, rispondendo che le piante come gli esseri umani hanno bisogno di essere accudite e ascoltate. Continuò a fissare quei fiori come se avesse visto un fantasma, era diventato pallidissimo. Violetta aveva deciso di fare un giro di esplorazione, addentrandosi nel giardino fino a trovare un meraviglioso roseto con piccolo padiglione al centro. Era tutto come un sogno, si avvicinò al padiglione fino ad entrarvi dentro accarezzando i rampicanti che si ergevano maestosi, rendendo il luogo selvaggio e antico allo stesso tempo. Si sedette su una panchina lì sotto e chiuse gli occhi facendosi cullare dalla luce del sole che filtrava e dal profumo delle rose. Un ragazzo le scosse delicatamente il braccio; l’aveva riconosciuto: era uno di quelli del gruppo di Ludmilla. “Ah,  ma allora stavi solo dormendo, pensavo non stessi molto bene” disse sorridendole. Forse era a causa della luce, forse per il fatto che aveva ancora gli occhi socchiusi, ma quel sorriso le sembrava risplendere. Quando aprì bene gli occhi lo inquadrò meglio, poi, rendendosi completamente conto di chi fosse, fece per andarsene; stava per uscire dal roseto, quando si sentì tirare il braccio. “Almeno lascia che mi presenti. Piacere sono Leon” disse lui dolcemente. Una cosa la colpì: aveva degli occhi verdi meravigliosi; sarebbe rimasta ore a fissarli. Sapeva benissimo chi fosse, lo vedeva tutti i giorni a scuola. Aspetta…Ma non era stato uno di quelli che l’avevano presa in giro? Certo, c’era anche lui quella volta. Non lo sopportava: era pieno di sé; probabilmente pensava anche di aver fatto colpo su di lei, o forse l’avrebbe presa nuovamente in giro. “Scusa vado di fretta, ora” sussurrò lei voltando il capo per non farsi riconoscere. “Ora che ci penso, mi sembra di averti già visto…Non frequenti anche te lo Studio 21?” chiese lui curioso. “Si, ma ora devo proprio andare, se permetti…” cominciò a parlare ma poi si fermò di colpo. Di nuovo quella sensazione. Inizialmente fu come un brivido leggero, ma poi si trasformò in una scarica che la avvertiva di una presenza magica. Senza aggiungere altro si liberò della sua presa e cominciò a correre verso la fonte di quella sensazione…Leon rimase a fissarla a metà tra il confuso e il meravigliato: quella ragazza era bellissima. Perchè non se ne era mai reso conto allo Studio 21? Più correva più sentiva che la Carta di Clow era vicina, ma non riusciva a localizzarla: era come se fosse tutta intorno a lei. Non ci stava capendo più nulla; cercò di prendere il cellulare per chiamare Francesca, ma un ramo si allungò verso di lei, colpendola e facendogli cadere il l'oggetto che teneva in mano. Dalla terra uscì fuori una radice gigantesca che tentò di afferrarla, ma Violetta riuscì ad evitarla. Corse verso destra e afferrò il cellulare, poi senza fermarsi compose il numero dell’amica e la chiamò: “Abbiamo un problema! C’è una carta di Clow, ma non riesco a capire di che si tratta; so solo che sono inseguita da una radice gigante”. “Si deve trattare di The Wood, la Carta del Legno. Devi capire dove si trova, di solito si nasconde nei boschi. Cerca l'albero più grande di tutti” disse Francesca mantenendo la calma. “Ma certo! La quercia antica. Forse ho capito…ci vediamo dopo!” esclamò Violetta colta da un’illuminazione. Sicuramente l’avrebbe trovata lì. Voltò l’angolo prendendo il sentiero che portava ad un labirinto di siepi. “Chiave che possiedi la forza dell’oscurità, mostrami il tuo vero aspetto. Release! Rescissione del sigillo!” strillò facendosi coraggio, poi prese la carta del Volo: “Io ti invoco Carta del Volo! Permettimi di volare e sfuggire al Legno. Vai, The Fly!”. Lo scettro si trasformò permettendole di salire in groppa e di alzarsi da terra. I rami degli alberi vicini tentarono di afferrarla allungandosi, ma Violetta riuscì a schivarli tutti, alcuni per un pelo. Si alzò di quota per avere una visuale più ampia. Eccola: la quercia secolare troneggiava in mezzo al giardino. Ma se qualcuno l’avesse vista in volo? Sperò vivamente di no, d’altronde la vegetazione avrebbe potuto coprirla. Planò lentamente vicino alla quercia e la vide. Era una donna bellissima vestita di rampicanti. Fissò per un momento Violetta e poi le sorrise. Alla ragazza ricordò tanto la madre, allungò la mano come per toccarla ma poi si rese conto di non poter muovere un passo: era stata intrappolata. I rami l’avevano avvolta, e le radici le tenevano saldamente i piedi. “Perché?” chiese disperatamente Violetta. Il Legno non le rispose ma disse semplicemente: “Soffro”. Come mai soffriva? Quello sguardo malinconico le metteva tristezza. Non poteva perdere tempo, stava per essere stritolata. A malapena riuscì a tirare fuori la carta del vento: “Io ti chiamo Carta del vento; liberami da questa trappola. Vai, The Windy” disse lei colpendo la carta con lo scettro che stava per essere anch'esso inghiottito dai rami. Il Vento apparve di fronte al Legno, poi guardandola con compassione soffiò creando un tifone. Violetta venne liberata da quella trappola. Guardò ancora negli occhi quella figura silvana, che ricordava una ninfa. “Torna prigioniera della Carta di Clow! E’ la tua nuova padrona che te lo ordina” disse lei facendo roteare lo scettro e intrappolando il Legno nella Carta. La prese che ancora si trovava a mezz’aria: vi era rappresentata proprio quella donna ricoperta di foglie e rampicanti. Sembrava stesse sorridendo. Violetta la tenne stretta al petto: “Non permetterò che tu soffra di nuovo”.



ANGOLO CARTE:Allora, niente, non so che dire xD Comunque il primo incontro di Leon e Violetta non sembra essere andato molto bene, anzi Violetta non lo sopporta proprio per niente. Ma chissà come continuerà la storia: sono state catturate due nuove Clow Cards: The Fly e The Wood (una più bella dell'altra tra parentesi). Francesca mi  piace molto come personaggio: un pò smemorato, ma allo stesso è un personaggio chiave che aiuta la protagonista nella sua evoluzione spingendola a delel riflessioni o ad affrontare determinate situazioni con coraggio *-* OK, basta io non parlo più, adesso tocca a voi lettori farmi sapere che ne pensate. Allora a me piace molto questa storia e devo dire mi ispira...I'm happy, ma accetto anche critiche negative, quindi fatemi sapere :D :D Buona lettura!!!

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Capitolo 3
*** The Sweet and The Mirror ***


Capitolo 3
The Sweet and The Mirror

Francesca stava camminando tranquillamente per strada quando ebbe come l’impressione di essere seguita. Si girò di scatto, ma non vide nessuno: doveva essere semplicemente frutto della sua immaginazione. Bah…continuò a camminare e di nuovo avvertì quella sensazione. Si voltò e si ritrovò davanti la faccia di Thomas. Indossava un mantello blu con ricamate stelle argentate. Quello stupido: si divertiva davvero tanto a farle prendere degli spaventi. “Non farlo mai più! Così mi prende un colpo” strillò Francesca. Thomas ridacchiò soddisfatto: si divertiva molto a fare scherzi, soprattutto se erano indirizzati a Francesca. Come Custode dell’America del Nord ultimamente aveva avuto molto lavoro da fare: tutta quella storia della Folgore scomparsa, aveva fatto mobilitare un po’ tutti a New York e dintorni. Anche quella faccenda di far riprendere tutte le persone pietrificate da Medusa gli aveva dato parecchi problemi; aveva passato notti intere a eseguire incantesimi di guarigione e a creare pozioni rigeneranti. Ma adesso per fortuna c’era un periodo di riposo e ne aveva approfittato per sapere dalla collega come stesse procedendo la cattura delle carte. “Bene; ha preso The Wood e The Fly” esclamò allegra Francesca. “Solo?!” si lasciò scappare Thomas sgranando gli occhi. “Ma ti rendi conto che sta ancora in altissimo mare? Di questo passo non ce la farà mai” continuò il ragazzo afflitto. “Lo so, Sakura ci ha messo molto di meno; ma devi avere pazienza. L’ho vista all’opera e ci può davvero riuscire! Adesso che ne dici di andare a casa sua? Così ti faccio vedere una cosa per convincerti definitivamente” disse Francesca continuando a difendere la sua amica. Non voleva ammetterlo, ma aveva un debole per quel ragazzo, ogni volta che lo vedeva o lo incontrava diventava stranamente felice. Thomas schioccò le dita e d’un tratto soffiò un vento fortissimo che sembrò trascinarli via; si rese conto che invece pur rimanendo fermi le case si muovevano, e le strade scorrevano. Il solito Thomas: un esibizionista. Si trovarono di fronte alla porta di una casa, o meglio una villa, debolmente illuminata sena muovere un passo. Era la prima volta che Francesca si presentava sotto casa di Violetta. Si fece coraggio e bussò tre volte.  “C’è il campanello, comunque” le fece notare il ragazzo ridacchiando. Arrossì imbarazzata senza sapere che rispondere, quando aprì la porta Violetta. Quando li vide là all’ingresso, inizialmente rimase leggermente scossa, ma poi si ricordò che in casa non c’era nessuno: German aveva portato Jade a cena fuori, Olga e Roberto avevano la serata libera, e lei era rimasta lì a scrivere qualche nuova canzone e a seguire la tv. “Che bello vedervi! Entrate pure” disse Violetta accogliente. L’amica notò che la casa era davvero bella ed elegante, arredata con gusto. Nel salotto c’erano due divani di un colore rosso scuro  e sul parquet era steso un tappeto  bianco, candido come la neve. “Allora come mai siete qui?” chiese poi curiosa. Fu Thomas a rispondere: “Francesca mi ha detto che mi deve far vedere una cosa”. Francesca annuì poi chiese a Violetta di darle un momento la Carta del Legno; la prese un secondo in mano e poi la passò al ragazzo. Una sensazione di calore lo invase dai piedi fino alle punte dei capelli; quella carta era felice. Ancora un po’ sorpreso chiese di prendere in mano anche la Carta del Volo. Stessa identica sensazione. Com’era possibile? Quelle carte fino a poco tempo fa portavano nei loro cuori solo il rancore nei confronti della precedente Padrona. Si scambiò uno sguardo complice con la sua collega, la quale ricambiò con un sorriso: sapeva che sarebbe riuscita a fargli cambiare idea, perché Violetta era davvero speciale, forse unica. Solo Sakura aveva avuto capacità forse di poco superiori alle sue. “Beh, allora io vado…” cominciò a dire Thomas. “Fatemi almeno offrirvi una fetta di torta al cioccolato. L’ha preparata Olga, che è una cuoca eccezionale” disse Violetta facendo un salto in cucina e portando un vassoio con sopra un’invitante torta al cioccolato. I tre si sedettero e ognuno ne prese una fetta. La Custode del Sud America ne diede un bel morso, e fece una faccia stranissima. “Ma…è troppo dolce, non si può mangiare!” esclamò lei andando a prendere un fazzoletto su cui sputare il pezzo che aveva in bocca. “Non è possibile, Olga non si è mai sbagliata con le dosi” ribatté Violetta sorpresa, ma quando l’assaggiò anche lei si rese conto che era davvero troppo dolce, un dolce che stomacava. “E’ vero, è immangiabile!” ammise dispiaciuta. Com’era stato possibile? Avvertì una strana sensazione, la stessa che aveva avuto nel giardino botanico. Doveva essere una Carta di Clow, ma poi si rese conto di essere una sciocca: probabilmente stavolta la domestica aveva davvero fatto un buco nell’acqua. Suonò il campanello: chi era a quest’ora? “Thomas vai ad aprire tu, io vado un attimo in cucina” disse Violetta, ancora non del tutto convinta. Quando entrò in cucina sentì delle voci, probabilmente stavano intrattenendo l’ospite misterioso. Cominciò a rovistare tra gli scaffali cercando di capire se ci fosse qualcosa di strano, poi la vide. Era una piccola fata con un abito bianco e una bacchetta che sembrava fatta di caramello. Anche i capelli, ricci e con due codini, erano bianchi e ricordavano la consistenza dello zucchero. “Allora è colpa tua!” esclamò Violetta; tirò fuori la chiave che teneva in mano pronunciò a bassa voce la formula di rescissione del sigillo. Lo scettro magico comparve davanti a sé; la Cattura-Carte prese la Carta del Vento pronta a usarla, ma l'essera fatato fu più veloce; prese il sacchetto di farina che si trovava sulla menosla e glielo rovesciò addosso senza dargli il tempo di invocare The Windy. La ragazza cominciò a tossire completamente infarinata, ma non si arrese e prima che potesse fuggire pronunciò la formula per chiamare il Vento. “E ora ritorna prigioniera della Carta di Clow!” pronunciò lei cercando di mantenere basso il tono della voce. La fata venne risucchiata nella Carta comparsa a mezz’aria. La prese in mano: l’immagine era proprio quella di quella sorta di fata e sotto c’era la scritta ‘The Sweet’. Quindi era la Carta del Dolce: questo spiegava quell’eccessiva presenza di zucchero all’interno della torta. “Ma che sta succedendo qui?” chiese Thomas entrando in cucina e mettendosi a ridere alla vista di una Violetta completamente coperta di farina. “Ahahahahah! Sei davvero ridicola” continuò il ragazzo piegato in due. “Smettila! Piuttosto se ne è andata la persona che era entrata prima? Così posso salire su e farmi una doccia” disse Violetta in preda alla disperazione, dirigendosi in salone. Thomas provò a spiegarle che non se ne era andato ma ormai troppo tardi. Occhi verdi che ricordavano gli smeraldi, viso perfetto, capelli lisci castani con un piccolo ciuffo ben pettinato. Non era possibile: ma allora era proprio una persecuzione. Leon la vide e non riuscì a trattenere una risata: quella ragazza era buffissima. “Devo ammettere che il bianco ti dona!” disse lui con le lacrime agli occhi. “Grazie davvero! Ora se hai finito puoi anche andartene…Francesca mi puoi accompagnare di sopra? Ti devo parlare di una cosa importante”. Leon la vide salire mentre trascinava l’amica con uno sguardo interessato: era davvero strana, ma allo stesso tempo quel suo comportamento lo affascinava. Per non parlare del fatto che la sua bellezza l’aveva colpito fin dalla prima volta in cui l’aveva vista, ma lei non sembrava essere dello stesso parere, anzi forse lo detestava pure. Quando furono dentro Francesca cominciò a curiosare in giro osservando tutti i dettagli della stanza: le pareti erano di un rosso scuro, alla destra dell’entrata c’era il letto con un  comodino vicino, mentre a sinistra c’era un armadio rosa con delle rose intagliate. “Due cose: che ci fa quello sbruffone in casa mia? E come mai questa era a casa mia?” esclamò Violetta profondamente turbata, sbattendogli addosso la nuova Carta catturata. “Ah…ecco di che si trattava…The Sweet, la Carta del Dolce, innocua ma fastidiosa” disse tranquillamente l’amica. “Ok, ma perché era qui? E perché lui è qui?” continuò Violetta. “Ah, il ragazzo, Leon. E’ venuto per portare dei documenti a tuo padre. Pare che i suoi siano in affari con lui. Per quanto riguarda la Carta del Dolce, penso si sia fiondata in casa tua, perché le Carte stanno cominciando a capire che le vuoi catturare” rispose l’amica cercando di essere più chiara possibile. Violetta si preoccupò un pochino, quindi disse a Francesca che si sarebbe fatta una doccia. Quando si fu liberata di tutta quella farina grazie a una doccia tonificante  scese con i capelli ancora tutti bagnati e trovò Leon seduto ad aspettarla. Forse gli doveva far capire in modo più esplicito che se ne doveva andare: “Forse non ti sono chiare alcune cose…hai consegnato quei documenti? Bene. Ora te ne puoi anche andare”. Leon la guardò sorpreso: più la guardava più non poteva fare a meno di pensare che fosse bellissima, anche con i capelli bagnati. Senza smettere un secondo di fissarla non riusciva a spiccicare una parola; era la prima volta che gli succedeva. Si alzò e, quasi rischiando di inciampare, uscì di casa. Non appena fu fuori il ragazzo alzò lo sguardo e vide il cielo stellato: tutto gli sembrava più bello, grazie a lei, Violetta.
 
I giorni trascorsero tranquilli: Violetta era fiera del suo compito di Cattura-Carte; ne aveva addirittura quattro e quella missione la stava prendendo sempre più. Ogni volta che incrociava Leon per i corridoi cambiava immediatamente direzione: non voleva sentire le sue frecciatine sulla storia della farina. Il ragazzo dal canto suo voleva tanto parlarle, ma niente, non riusciva a trovare il coraggio. Non gli era mai successa una cosa simile: insomma lui era una persona molto sicura di sé, forse anche troppo, eppure con lei si sentiva scoperto, senza difese né armi. Francesca la raggiunse al suo armadietto: “Beh, come ti senti?”. “In  che senso?” chiese Violetta curiosa. “Ti piace quel ragazzo?” continuò l’amica preoccupata: sapeva benissimo che non poteva permettersi di innamorarsi e lei, come Custode, avrebbe dovuto impedire che accadesse una cosa del genere. Violetta arrossì leggermente, non per l’imbarazzo, bensì per la rabbia e per la domanda inopportuna. “Non mi potrebbe mai piacere un tipo del genere: è arrogante, presuntuoso…” cominciò lei cercando nella mente qualche altro difetto che le potesse venire in mente. “Beh, è comunque molto bello” si azzardò a dire Francesca. “Che significa? Questo non vuol dire nulla, rimane un ipocrita da quattro soldi. Ti va di venire con me in un posto?” chiese poi per cercare di cambiare discorso. L’amica annuì entusiasta, le due uscirono e Violetta la fece entrare in macchina facendo un sorriso complice a Roberto. “Dove vuoi che porti te e la tua nuova amica?” chiese l’autista facendole l’occhiolino. Tra quei due c’era un rapporto d’affetto e di rispetto reciproco, fin da quando era piccolissima: Roberto era uno di famiglia. “Al solito posto” disse lei entusiasta. La macchina partì in un lampo e si fermò dopo una mezz’oretta davanti ad un imponente edificio grigio con delle ampie vetrate. Violetta prese per mano Francesca e salutando frettolosamente si precipitò all’interno. Era un ambiente enorme con al centro una pista di ghiaccio per pattinare. “Aspettami qui!” esclamò lei per poi dirigersi verso gli spogliatoi; quando uscì aveva un vestito molto elegante di un colore viola accesso per le pattinatrici su ghiaccio, e i capelli raccolti (il vestito è questo: http://img.myefox.it/uploads/343/0033037.jpg),
  poi prese i pattini che si faceva tenere da parte dagli addetti e li indossò contenta; passarono nemmeno cinque minuti che già stava volteggiando su ghiaccio, leggera come una farfalla, come un fiocco di neve. Francesca rimase sul bordo a fissarla incantata: non si aspettava che fosse tanto brava. Non appena si avvicinò le fece mille complimenti portandola ad arrossire. “Pratico pattinaggio da quando ho quattro anni. E’ uno sport che mi affascina davvero tanto, il ghiaccio ti rinfresca le idee” esclamò lei sorridendo per quella battuta finale. Pensava davvero quella che aveva detto: quando era confusa o aveva dei dubbi, o più semplicemente aveva voglia di essere libera, si rifugiava lì, e quando iniziava a pattinare il resto del mondo scompariva; erano solo lei e il ghiaccio.
Leon stava mettendo gli spartiti al loro posto: la lezione di Angie era finita da un pezzo, ma lui si era attardato a suonare il piano. Sentì una voce dietro di lui che lo chiamava: “Ciao Leon”. Si voltò e si trovò a pochi centimetri dalla ragazza che era stato l’oggetto dei suoi pensieri in quegli ultimi giorni. “V-Violetta! Mi hai fatto prendere un colpo” disse lui seriamente sorpreso. “Ti devo parlare…mi piaci, e molto” sussurrò lei facendosi più vicina con l’intenzione di baciarlo. Il ragazzo si sentì paralizzato: non sapeva cosa fare, il cuore gli batteva all’impazzata, sentiva il profumo di quelle labbra che lo attiravano; voleva baciarla, non desiderava altro, e quasi si spaventò di quei sentimenti che provava, ma l’aveva stregato. Si fece più vicino anche lui, avvertendo il suo respiro sempre di più. La ragazza lo guardò maliziosa, poi si scostò per scappare via di corsa ridendo e lasciando Leon del tutto confuso. Ludmilla osservò l'accaduto senza perdersi alcun particolare: come poteva quella stupida imbecille prendersi il suo ragazzo? Ok, ancora non lo era, ma lo sarebbe diventato presto. “Ehi, tu, darling” esclamò fermando Violetta. “Non ti avvicinare a Leon in quel modo, ci siamo capite?” sibilò sputando veleno. La ragazza annuì ridendo come una pazza, poi le diede un buffetto sulla guancia e si diresse verso l’uscita dello Studio.
“Ho finito! Allora che te ne sembra?” chiese Violetta col fiatone. “Bravissima, eccezionale!” esclamò Francesca ancora tutta eccitata. Sorrise felice all’amica: era la prima volta che condivideva questa sua passione con qualcuno. Le due continuando a chiacchierare si diressero verso lo Studio per le lezioni pomeridiane, sempre accompagnate da Roberto. Non appena chiuse la portiera e si girò per entrare nella scuola  si ritrovò davanti due occhi verdi che la fissavano incantati. “Noi dobbiamo parlare” esclamò Leon prendendole la mano dolcemente e portandola in un parco lì vicino sotto lo sguardo preoccupato di Francesca. Le cose stavano procedendo in modo inaspettato: quel ragazzo sembrava davvero interessato alla Cattura-Carte; finchè non se ne fosse innamorata tutto sarebbe filato liscio, ma la situazione sarebbe rimasta quella? Aveva bisogno di aiuto…doveva inventarsi qualcosa. “Qui va bene” disse Leon quando si trovarono sotto un ciliegio. “Cosa vuoi? Se permetti ho da fare…” cominciò a parlare, ma venne bloccata. Il ragazzo portò un dito alla sua bocca guardandola. “Per quanto riguarda oggi, mi hai confuso con il tuo gesto, ma mi sono reso conto di non poter smettere di pensare a te, e…”. Ma quale gesto? Di che stava parlando? Se lui era confuso, lei era senza parole. Non aveva visto Leon per tutto il giorno e ora lui se ne usciva con delle frasi del genere. Si avvicinò per baciarla, ma lei si scostò. “Penso tu abbia sbagliato persona. E comunque tu non mi piaci, né mai mi potresti piacere; scusa, ora devo andare” disse piano, quindi si voltò con il viso in fiamme e cominciò a correre per arrivare a scuola il prima possibile. Leon rimase lì con il cuore infranto. Nessuna ragazza l’aveva mai rifiutato, soprattutto in un modo così freddo e insensibile; per la prima volta in vita sua sentì un dolore al petto: non gli era mai capitato di soffrire per amore. Violetta correva verso lo Studio ancora imbarazzata per la scena appena verificatasi, ma d’altronde si sentiva con l’anima in pace: insomma gli aveva spiegato esattamente come stavano le cose, e non gli aveva mai fatto credere di essere interessata in quel modo, anzi le sembrava si avergli fatto capire che non lo sopportava. Raggiunse Francesca col fiatone e raccontò tutta la storia. “Non ci capisco nulla. Insomma io non ho visto Leon per tutto il giorno eppure lui mi ha detto che ci siamo incontrati e che a quanto pare ci ho pure provato” concluse poi con le guance sempre più infiammate. “Strano, davvero strano” borbottò Francesca cominciano a riflettere. Non ebbe il tempo di dire altro perché Ludmilla si scaraventò addosso a Violetta letteralmente nera: “Non ti azzardare più a trattarmi in quel modo, piccola nullità! E prova di nuovo a baciare Leon che ti distruggo, ti do la mia parola!”. Baciare? Ma lei non aveva baciato nessuno, tanto meno Leon. Si sentiva così confusa: com’era potuto accadere? Francesca la osservò sorpresa. Quando Ludmilla si voltò e se ne andò con uno dei suoi gesti plateali, la Custode, colta dal panico cominciò a farle un vero e proprio interrogatorio: “Mi avevi detto di non provare nulla per lui…adesso come facciamo? Non l’hai baciato, vero? Certo che no, altrimenti ora saresti un cristallo, ma non devi farlo mai più, capito? Abbiamo rischiato molto…ricordati che hai una missione da compiere!”. “Ma io non ho fatto niente, se ricordi bene sono stata con te tutto il giorno” ribattè Violetta leggermente irritata da quella ramanzina ingiustificata. “Hai ragione, scusa. Ma allora com’è possibile?” rispose Francesca sinceramente pentita.
Cominciarono a camminare fino a che non si trovarono in un giardinetto isolato lì vicino. Non sapevano davvero cosa pensare ma ecco comparire davanti a loro una seconda Violetta: era davvero identica. “Deve trattarsi di una Carta di Clow” esclamò la Custode convinta. La Cattura-Carte richiamò il suo scettro e utilizzò The Wind; delle catene fatte di vento uscirono dalla carta per intrappolare quella figura, ma niente; era come se intorno a quella ragazza misteriosa ci fosse uno scudo invisibile che la proteggeva dalla magia. “Ma certo! Quella è una Special Card. Le Special Cards sono Carte che non possono essere toccate dalla magia, nemmeno da quella di Clow, l’unico modo per catturarle è capire di che si tratta…” disse Francesca, intuendo quale fosse la natura della Carta; ma non poteva dirlo, questa sfida era solo di Violetta, doveva arrivarci da sola. Violetta cominciò a pensare ma non le veniva in mente nulla; si scostò una ciocca di capelli e si rese conto che anche la sua copia fece lo stesso movimento. Quindi si avvicinò fino a quando non furono distanti solo pochi centimetri; portò la mano destra avanti verso di lei, e l’altra Violetta fece lo stesso con la sinistra fino a quando non si sfiorarono e avvertì una strana sensazione: era come se l'altra mano fosse fredda, irreale. Ma certo! Ora l’aveva capito. “Tu sei lo Specchio, non è vero?” sussurrò piano. La ragazza le sorrise dolcemente, poi lentamente parve dissolversi fino a quando al suo posto non si trovò una bellissima donna con un abito candido a bianco. Tra le mani teneva uno specchio e sembrava brillare con il riflesso del sole. “Torna prigioniera della Carta di Clow; è la Cattura-Carte che te lo ordina” esclamò Violetta facendo roteare lo scettro in modo rapido e deciso. La Carta comparve dal nulla e la misteriosa donna che sembrava essere una creatura eterna fuori dal tempo, venne risucchiata al suo interno. “The Mirror” disse Francesca prendendo la Carta e porgendola alla sua nuova padrona. “Può prendere le sembianze di chiunque desideri…” cominciò a parlare, lasciando però in sospeso la frase. “Ma perché ha preso le mie sembianze?” chiese lei, preoccupata della risposta. “C’è solo una spiegazione…Le Carte hanno capito che stai cercando di catturarle. La tua missione si complica” disse Francesca piano osservando il cielo. Il gioco si stava facendo più serio del previsto.




ANGOLO CARTE: Scusate ma mi odio per questo capitolo....povero Leon, sembra proprio senza speranze. Ma chissà, forse andando avanti... (facccia ammiccante). Insomma devo dire che questo capitolo mi piace,non so perché ma mi ispira, forse perché ci sono dei momenti Leonetta, e niente io mi sento male. Inoltre pare che Francesca sia attratta da Thomas, ma non voglia ammetterlo (cucciola lei... :3), che in questa ff è proprio un burlone(??). Niente, devo ammettere che questa storia mi ispira, ha un non so che di intrigante. Basta lascio la parola ai lettori. Come sempre qui in fondo potete vedere le immagini delle carte di Clow che interessano questo capitolo (immagini che io trovo fantastiche...) :D :D Dal prossimo capitolo ne sapremo qualcosa di più sulla Cattura-Carte prima di Violetta (ossia Sakura)...e chissà quali carte ci saranno da catturare. Ringrazio tutti voi che leggete e recensite :D Buona lettura :D :D
P.S: anche se mi sembra chiaro in queste note espliciterò meglio i poteri delle Carte. The Sweet ha il potere di addolcire qualunque cosa (anche gli animi delle persone?? Domanda che mi sono sempre posto...), mentre The Mirror è una carta molto particolare, una Special Card, e ha il potere di assumere le sembianze in carne ed ossa di qualunque essere umano...molto differente da un Carta apparentemente simile che incontreremo più avanti!  

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Capitolo 4
*** The Sword and The Through ***


Capitolo 4
The Sword and The Through

“Mi racconti un po’ come era la precedente padrona delle Carte?” se ne uscì Violetta in corridoio curiosa. Francesca si bloccò: forse avrebbe dovuto aspettarsi un giorno una domanda del genere. Non era pronta: non sapeva davvero che rispondere. “Beh…si tratta di una donna di nome Sakura; le venne affidato il compito di catturare tutte le Clow Cards quando aveva solo 14 anni. Ma è stata in grado perfettamente di portare a termine il suo compito. Non per niente nel suo sangue scorre il sangue di Clow Leed” cominciò a spiegare la Custode con uno scintillio di ammirazione negli occhi. “Davvero è parente del creatore delle Carte?” chiese la ragazza sempre più interessata. “Ti spiego meglio. Clow Leed nel momento in cui sentiva la morte vicina si è scisso in due entità ognuna inconsapevole del proprio passato: una è quella che sarebbe diventata il padre di Sakura, l’altra prese il nome di Erriol; questo ragazzo trascorse la prima parte della sua giovinezza ignaro dei poteri magici che derivavano da quella scissione, ma poi ne acquisì consapevolezza tutto d’un tratto ed aiutò Sakura nella trasformazione delle Carte” disse Francesca lasciandosi trasportare dal discorso. “Che sarebbe la trasformazione delle Carte?” chiese sempre più curiosa Violetta. “E’ qualcosa che a te non dovrebbe capitare…vedi quando Sakura ha raccolto tutte le carte, le ha dovute trasformare perché altrimenti sarebbero morte: gli mancava l’alimentazione magica di Clow. E’ un po’ complicato spiegarti il perché ma sia io che Thomas crediamo che tu non avrai bisogno di quest’ulteriore passaggio” rispose l’amica serena. Si trovavano all’armadietto di Violetta, quando le raggiunse Leon per prendere dei libri. “Bene, adesso andiamo però” esclamò lei terrorizzata di incontrare nuovamente il ragazzo. Dopo tutto quello che era successo aveva sempre fatto il possibile per evitarlo, ma purtroppo alle lezioni era inevitabile incontrarsi. Leon ogni tanto la guardava nostalgico, ma appena incrociava il suo sguardo, subito si girava facendo finta di nulla. Violetta non poté fare a meno di pensare di essere stata un po’ crudele…nessuno si meritava di essere trattato in quel modo. Ma almeno era riuscita nell’intento di allontanarlo definitivamente, per la gioia di Francesca. Ludmilla rendendosi di stare rischiando di perdere il suo Leon, gli stava appiccicata ogni minuto, ogni secondo del giorno, tra un po’ l’avrebbe seguito anche in bagno. Il ragazzo senza mezzi termini aveva cercato di farle capire quanto quel comportamento lo infastidisse, ma lei sembrava far finta di nulla, finché un giorno non glielo disse chiaramente: “Ludmilla lasciami in pace, per favore. Non ti rendi conto che stai diventando insopportabile?”. Ci rimase malissimo. In fondo gli piaceva e voleva che tutti sapessero che era una sua proprietà, anche quella sciocca di Violetta. Senza dire nulla se ne andò di corsa. Gli altri giurarono di aver visto una lacrima scendere dal viso di Ludmilla, ma tutti sapevano che non era lontanamente possibile: lei non aveva mai pianto per nessuno. La ragazza si fermò dopo un po’ in un vicolo isolato e vide qualcosa scintillare sul marciapiede. Si trattava di una piccola spilla, molto elegante: era un cerchio dorato sormontato da una piccola spada riprodotta in miniatura. Pensò subito che si trattasse di un accessorio molto elegante, quindi la raccolse e se la appuntò sulla maglietta rosa che indossava. Magra consolazione rispetto a come era trascorsa la giornata, ma pur sempre meglio di niente.
Il giorno dopo Ludmilla non si presentò alle lezioni: non era mai successo. Andres e quelli del suo gruppo si preoccuparono; anche Leon si mostrò un po’ turbato: forse era stata colpa della sua reazione del giorno prima? Non voleva risponderle male, ma quel suo amore non ricambiato lo faceva soffrire molto e lo rendeva intrattabile. “Sapete che oggi la diva non si è presentata?” esclamò Maxi avvicinandosi a Francesca e Violetta. Da poco tempo a questa parte aveva stretto amicizia con quelle due ragazze che sembravano non voler dare confidenza a nessuno. Si rese conto che erano in realtà molto simpatiche, soprattutto Francesca, che si mostrava sempre solare e sorridente. L’altra invece sembrava perennemente triste o turbata, ma non capiva il perché; per il momento non voleva fare domande, sentiva che c’era qualcosa di serio sotto. “Smettila di chiamarla così, Maxi!” esclamò Francesca senza riuscire a trattenere un sorriso. Anche lei non sopportava Ludmilla…”Dai che lo pensi anche te!” continuò Maxi scoppiando in una sonora risata. Violetta continuò a camminare con la testa tra le nuvole: era strana l’assenza di Ludmilla, e aveva una strana sensazione, ma decise di non pensarci. Inavvertitamente andò a sbattere contro qualcuno facendo cadere i libri. “Scusa, davvero, non so dove ho la testa…” disse lei chinata per terra a raccogliere tutti i fogli sparsi. “Figurati, lo stesso per me…” rispose una voce sin troppo familiare. Il ragazzo si piegò per aiutarla, poi i due si alzarono simultaneamente finendo  a due centimetri l’uno dall’altro. Senza volere le guance di Violetta si tinsero di rosso. Leon la guardava con un velo di tristezza: la sola vista di lei gli faceva davvero male. “Adesso andiamo, eh” si intromise Francesca prendendo il braccio dell’amica e trascinandola via lasciando lì Maxi e Leon. “Ma si può sapere che ti è preso?” chiese Violetta. Era ora di pranzo e le vie erano deserte, c’erano solo loro due che camminavano velocemente. “Violetta, te l’ho già spiegato, più stai lontana da quel ragazzo meglio è…” spiegò la Custode un po’ angosciata. “E io dico che dovresti fidarti di me. Ti ho già detto che non mi piace” rispose offesa: perché continuava a non avere fiducia in lei? Ripensò alla dichiarazione di Leon: bisognava ammettere che era stato molto dolce e…e niente! Doveva smetterla di pensare quelle cose. Improvvisamente davanti a loro si parò Ludmilla: ma non era davvero lei. Il suo sguardo era vuoto e in mano teneva una spada lunga e affilata. Stava per chiedergli cosa fosse successo, ma si ritrovò a schivare un affondo. La ragazza si mise in posizione di scherma pronta a colpire. Non c’era molto da spiegare: voleva farla a fettine. “Sta attenta, Ludmilla non è cosciente, agisce posseduta da qualche forza magica. Ma certo! Si tratta di The Sword: è la Carta della Spada. Si impossessa degli esseri umani e li soggioga al proprio volere, facendoli diventare degli abili spadaccini. La Spada è in grado di tagliare qualunque cosa!” disse Francesca preoccupata: quella Carta era una delle più pericolose. Violetta, che nel frattempo aveva richiamato la Carta del Volo, era riuscita ad evitare l’attacco della spadaccina salendo di qualche metro. “Cosa devo fare?” urlò Violetta terrorizzata per farsi sentire dall’alto. La Custode rimase in silenzio qualche minuto riflettendo: “Devi liberare la sventurata dalla possessione della Carta disarmandola. Poi la potrai catturare”. Sembrava facile a dirsi, ma come poteva fare ad avvicinarsi a lei con quella spada affilata? Scese a terra e richiamò The Windy per crearsi una sorta di barriera fatta di vento; la spada però tagliò senza problemi quella fitta barriera e si diresse dritta verso quello che era il suo obiettivo. Violetta si abbassò di scatto evitando il colpo che finì diretto addosso a un muretto dividendolo in due. Idea! Perché non ci aveva pensato prima? Doveva solo ditrarre per un secondo la spadaccina e poi avrebbe colto l'occasione al volo. Prese una delle sue Carte: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco al mio cospetto. E’ la tua padrona che te lo ordina: The Mirror!”. Diede un colpetto alla Carta con lo scettro ed ecco apparire un enorme specchio argentato. “Specchio, assumi l’aspetto di Leon!” ordinò sempre più sicura del suo piano. Ludmilla ebbe un momento di debolezza: nonostante fosse completamente soggiogata vedere la figura della persona per cui provava un forte sentimento le diede l’opportunità di far affiorare anche solo per un secondo il suo essere e la sua volontà. Era l’attimo giusto: Violetta si tuffo verso la ragazza, colpendo la sua mano e facendo cadere la spada, la quale riprese lentamente il suo aspetto di spilla. “Torna prigioniera della Carta di Clow! Potere del sigillo”; comparve la Carta a mezz’aria che intrappolò al suo interno l’entità della Spada. Ludmilla era svenuta, quindi la Cattura-Carte si avvicinò a lei preoccupata. “Non le è successo nulla di grave. In più non si ricorderà niente di questa terribile esperienza” disse Francesca per rincuorarla. Era stata molto brava ed era riuscita a sconfiggere The Sword con l’inganno proprio come aveva fatto Sakura a suo tempo; quelle due erano davvero simili…”I-io ero venuto per invitarvi a pranzo, ma direi che non è il caso” disse Maxi tremando come una foglia. Le due ragazze si guardarono terrorizzate: aveva visto tutto.
 
“E quindi usi quello scettro per richiamare le Carte? Wow…” esclamò Maxi estasiato,  una volta finito il racconto di Violetta. L’aveva presa stranamente bene, troppo bene… “Deve essere bellissimo, vorrei provare” continuò con gli occhi che scintillavano, come un bambino che vede un gioco nuovo ed è desideroso di sperimentarlo. “Qualcuno mi aiuta con Ludmilla? Non è esattamente una piuma” sottolineò Francesca, chiedendo agli altri due soccorso per spostarla dalla strada. Dopo qualche minuto la ragazza riprese i sensi e si fece dare una spiegazione: a quanto pare era svenuta per un colpo di calore e loro l’avevano cercata, preoccupati del fatto che non si fosse presentata a scuola, trovandola lì priva di sensi. “Ah…grazie” sussurrò Ludmilla, non potendo credere di stare ringraziando proprio la sua rivale in amore. Ci fu un minuto di silenzio, poi si alzò e senza aggiungere nulla, si diresse verso lo Studio. Più si avvicinava più riacquistava le sue arie da star: non poteva ancora credere di essersi mostrata così indifesa di fronte a qualcuno. Nessuno doveva vederla in quello stato, l’aveva promesso a se stessa. L’ombra dei ricordi l’avvolsero: urla, pianti e poi quella scena. No, non voleva più saperne nulla: cacciò quell’oscurità che si annidava nel suo cuore, asciugandosi le ultime lacrime. Era il momento di indossare nuovamente la sua maschera di ragazza perfetta.
Le lezioni proseguirono come sempre, quando finalmente suonò la campanella. “Allora oggi cha fate? Andate a caccia di Carte? Stavo pensando…potreste portarmi con voi, così io potrei filmare tutte le vostre avventure. Mi sembra una buona idea, voi che ne dite?” esclamò Maxi elettrizzato. Aveva sempre sognato di addentrarsi nel mondo fantastico e non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione. Le due ragazze annuirono sorridendo, ma Francesca aggiunse seria che in alcuni casi la situazione sarebbe potuta pericolosa e in tal caso l’avrebbe protetto con la sua magia. Maxi accettò subito felicissimo, al settimo cielo. “A proposito di eventi anormali, ho sentito che poco fuori città c’è una casa abbandonata dove dicono aggirarsi un fantasma. Che dite ci andiamo?” proseguì lui, ormai completamente a ruota libera. “Davvero?! Voglio venire anch’io” si aggiunse Camilla, una ragazza che stava in classe con loro, amante del paranormale: “Ho sempre voluto andarci, ma non mi ha voluto accompagnare nessuno. Vi prego, fatemi venire con voi!” supplicò la loro compagna inginocchiandosi disperata: ci teneva davvero tanto. I tre si guardarono un po’ imbarazzati: non potevano certo rivelarle il motivo per cui volevano fare quella sorta di gita. “Beh, allora a questo punto, tanto vale urlarlo al mondo: chi vuole venire con noi alla casa infestata?” disse maxi scherzando, cercando di sdrammatizzare. “Io! Io! Io!” strillò Andres alzando la mano, e avvicinandosi. “Andres, io stavo scherzando…” specificò Maxi. Ma l’altro non volle sentire scuse: aveva intenzione di venire a tutti i costi. I ragazzi si arresero. “Ok, allora appuntamento alle 19” disse Francesca rassegnata: era comunque un modo per perlustrare la casa e cercare eventuali Carte di Clow. Andrea tornò soddisfatto da quelli del suo gruppo. “Si può sapere che stavi confabulando con quei perdenti?” chiese Ludmilla scocciata. “Niente, hanno organizzato una serata da brividi, e io ho deciso di partecipare” rispose il ragazzo tranquillo. Gli altri lo guardarono tutti male, tutti tranne Leon, il suo migliore amico. “Che ne dici di venire anche te?” chiese Andres a Leon. “No, grazie, penso di avere da fare” cominciò a dire l’amico: gli sarebbe piaciuto poter andare, e magari avrebbe potuto per un po’ evitare di pensare a Violetta, ma non voleva sentirsi fuori luogo. “Smettila di inventare scuse, e vieni con noi!” scherzò Andres dandogli un pugno scherzoso sulla spalla. Leon sorrise e accettò dopo un po’ di remore.
Erano le 19 ed erano tutti all’ingresso di quella villa che sembrava essere avvolta costantemente dalle tenebre, aspettando che arrivasse Andres. Era davvero abbandonata: il cancello era mezzo sfasciato ed il giardino antistante era stato aggredito dalle erbacce e dai rampicanti; alcuni vetri erano rotti e sulle mura c’erano numerose scritte dei vandali. Violetta rabbrividì: ora che ci pensava lei aveva paura dei fantasmi. Poi respirò tranquillamente, continuando a ripetersi che quegli esseri non esistevano ed erano frutto di leggende metropolitane. “Ma Andres quanto ci mette?” esclamò Camilla trepidante, mettendosi a scattare foto in continuazione di quel posto che sembrava simile a un cimitero. “Eccoci! Scusate il ritardo” strillò Andres venendo di corsa senza più fiato insieme a Leon. Leon? Che ci faceva lì? No, non voleva assolutamente vederlo più del necessario, e quella situazione non le piaceva per niente. Francesca rimase sorpresa quanto lei: quel ragazzo stava diventando un po’ troppo insistente per i suoi gusti, e per quanto odiasse il suo compito avrebbe dovuto tenerli lontani. “Bene, possiamo andare finalmente” disse Maxi emozionato. Il gruppo di avventurosi si avvicinò alla porta d’ingresso: uno strano lampo di luce sembrò abbagliarli per un secondo, poi tutto fu di nuovo inghiottito dall’oscurità. Violetta si voltò spaventata e impulsivamente abbracciò la persona dietro di lei, pensando si trattasse di Francesca. Quando si rese conto che quello era Leon, era già tra le su braccia. Era una sensazione bellissima, mai provata prima. Si sentiva protetta, il suo profumo la inebriava completamente, e le venne da chiudere gli occhi per assaporare ancora di più quel magnifico momento. “Sta tranquilla, non è niente” le sussurrò Leon all’orecchio, facendola riscuotere da quella sorta di incanto. Che le era preso? Si era lasciata prendere dal terrore, era per questo che aveva provato quelle cose, non c’era nessun’altra spiegazione possibile. Arrossendo all’istante e farfugliando qualche scusa si staccò di colpo per poi prendere la mano di Francesca e dirigersi davanti a tutti. Subito dopo l’ingresso si trovarono in una sala molto bella e antica: in alto un enorme lampadario di cristallo li sovrastava . Un’enorme scalinata di marmo in fondo conduceva ai piani superiori. “Allora qui ci dividiamo: io, Violetta e Maxi andiamo al piano di sopra, voi rimanete qui al piano terra. Il primo che scopre qualcosa avvisa gli altri con il telefono” spiegò Francesca tirando fuori dallo zainetto che aveva portato delle torce per tutti, anche per Leon, visto che per sicurezza si era portata un paio di torce in più. Maxi, fece cenno alle altre due di cominciare a salire, ma Violetta si era incantata a fissare gli occhi di Leon, quel meraviglioso verde che al buio sembrava risplendere di luce propria; Francesca la dovette trascinare via di peso sempre più preoccupata. I tre cominciarono a gettare le luci delle torce in ogni angolo della casa senza alcun esito positivo. Di nuovo quel bagliore intenso e accecante li travolse, facendogli chiudere gli occhi e poi davanti a loro si parò un’immagine affascinante, misteriosa e spaventosa allo stesso tempo. Era una donna: indossava un vestito medievale e anche la sua pettinatura particolare ed elaborata ricordava il Medioevo; i capelli infatti erano acconciati in modo tale da formare un fiocco sopra la sua testa. Aveva un aspetto soprannaturale, e sorrideva in modo enigmatico. La Custode rimase in silenzio ad ammirare quell’apparizione: aveva capito di che si trattava. “Quella è una Carta di Clow! Catturala, presto!” esclamò Francesca non a voce troppo alta per non far preoccupare gli altri al piano di sotto. Violetta richiamò lo scettro e poi The Wood per intrappolarla. Ma quei rami che avrebbero dovuto avvolgerla le passarono attraverso. La donna continuò a sorridere, poi attraversò la parete per finire nell’altra stanza. “Si deve trattare di The Through, la Carta dell’Attraversamento. Non è pericolosa, ma non si lascia catturare facilmente” sentenziò l’amica mordendosi il labbro inferiore. Maxi, che aveva tirato fuori la videocamera, non si era perso un solo momento di quella scena emozionante. “E ora che facciamo?” chiese il ragazzo, impegnato ad ottenere dei fantastici primi piani. “Intanto andiamo nell’altra stanza per vedere se riusciamo a trovarla” esclamò Violetta facendo uno scatto e scaraventandosi nella stanza sulla destra. “Eccoti! Non mi scappi” disse sicura vedendo la Carta. Cercò di afferrarla proprio mentre stava attraversando il muro, ma niente; era come cercare di prendere l’aria. Andò a sbattere contro il muro e per un secondo si sentì frastornata. “Stai bene?” chiese la Custode preoccupata, accorsa dopo il rumore sordo che aveva sentito. “Ho dato solo una botta” disse Violetta, cercando di tranquillizzare i suoi amici; una scheggia del muro in legno le aveva ferito leggermente il labbro superiore ed usciva un po’ di sangue, ma nel complesso stava abbastanza bene. “Catturiamo la Carta e poi ti faccio un incantesimo di guarigione” affermò Francesca preoccupata. Le due setacciarono ogni angolo del piano di sopra, ma non trovarono nulla. Maxi le veniva dietro dubbioso: “Forse è scesa al piano di sotto”. Proprio in quell’istante sentirono un urlo acuto; si guardarono terrorizzati e scesero le scale di corsa. Dopo aver seguito le luci delle torce, trovarono Leon e Camilla vicino ad Andres che era steso sul divano polveroso, mezzo svenuto. “Che è successo?” chiese Violetta, passandosi la lingua sul labbro ferito, succhiando il sangue che le stava colando. “Ti sei fatta male?” chiese Leon preoccupatissimo, ignorando le condizioni dell’amico. Si avvicinò per vedere meglio, prendendole il viso tra le mani: quelle labbra. Avrebbe tanto voluto baciarle, sentire il loro sapore, il loro calore. Violetta rimase spaesata: insomma nessuno, a parte Francesca, si era mai preoccupato così tanto per lei, e non era abituata. Si scostò da quel contatto, abbassando gli occhi: “Grazie ma sto bene”. “Oh, scusa…io…” farfugliò lui intimidito. La ragazza cercò di pensare a come catturare la carta. La carta era…verde?! Perché le veniva sempre in mente il colore degli occhi di Leon? Respirò profondamente e pensò al da farsi: the Through era davvero impossibile da catturare: tutte le magie l’attraversavano tranquillamente senza scalfirla. “Andres dice di aver visto il fantasma di una donna, ma pensiamo sia solo auto-suggestione” spiegò tranquillamente Leon, indicando l’amico che tremava come una foglia. “Quindi quell’urlo da donna era tuo?” chiese Maxi a metà tra il confuso e il divertito. Tutti si misero a ridere, ma poi la Cattura-Carte tornò seria. Doveva pensare, doveva fare affidamento ai suoi poteri. Francesca gli aveva sempre ripetuto che lei possedeva una magia unica nel suo genere, e che il suo destino fosse ormai intrecciato con quello delle Carte. Doveva sfruttare questo fatto a suo favore…Chiuse gli occhi e si concentrò: d’un tratto la vide chiara nella sua mente. Era tornata al piano di sopra… “Francesca, ho dimenticato una cosa, torno subito” esclamò facendo cenno all’amica di reggergli il gioco. Leon fece per seguirla, ma la Custode si mise in mezzo. “La lasciate andare da sola?” chiese lui preoccupato mentre la seguiva con lo sguardo. “Non ti preoccupare, si tratta di pochi secondi” rispose Francesca sorridendogli. Violetta salì di corsa le scale e dopo aver voltato l’angolo per dirigersi nel luogo della visione se la ritrovò davanti: una donna bellissima con quell’aura lucente intorno. “The Wind!” invocò subito dopo aver richiamato lo scettro. Il Vento cercò di intrappolare quella figura eterea, ma non faceva altro che scorrerle attraverso, col risultato che la Carta sorrise soddisfatta. Violetta cominciò a sentirsi stanca: forse stava attingendo troppo alla sua essenza magica, ma voleva assolutamente catturare quella Carta e andarsene da quel luogo orribile. The Through fece per andarsene ma la Catura-Carte non poteva permetterlo. “No, per favore!” esclamò lei sentendosi sconfitta. La donna si voltò le sorrise e si avvicinò, guardandola con un sorriso enigmatico. Le passò la mano trasparente sulla guancia: era come sentire l’acqua gelida sulla propria pelle. “Tu…tu…verresti con me?” chiese poi timidamente. La Carta si illuminò sempre di più, poi entrò nel suo corpo. Violetta si sentì strana, quindi sfiorò il muro alla sua destra e ne sentì l’inconsistenza. Attraversò il muro come se una voce gli avesse detto di farlo: era una sensazione fantastica. Quando si ritrovò nell’altra stanza, la stessa in cui aveva cercato di catturare la Clow Card, poggiò delicatamente lo scettro sul suo petto e sussurrò  la formula per sigillare l’entità magica: l’aveva scelto l’Attraversamento stesso di farsi intrappolare. Perché? Non ebbe tempo di fare quelle considerazioni perché lentamente perse i sensi finendo sul pavimento polveroso. Il tonfo in lontananza richiamò l’attenzione di tutti i ragazzi. Quando entrarono nella stanza Leon si sentì gelare il sangue: non poteva essere, non la sua Violetta. Si fiondò a sentire il battito cardiaco: era viva. Tirò un sospiro di sollievo: come avrebbe fatto senza di lei? Quel pensiero lo spaventò: che si stesse innamorando perdutamente? Non lo sapeva, voleva solo starle accanto e sapere che stesse bene. “E’ solo svenuta” sussurrò Francesca inginocchiandosi vicino a lei e sollevando dalla polvere una Carta con la scritta “The Through”.
“Ti somiglia molto” esclamò semplicemente Li guardando la scena dalla fontana delle predizioni. Sakura si avvicinò a lui sfiorandogli il braccio e poi appoggiò dolcemente la testa sulla sua spalla: “E pensare che per catturare quella Carta ci ho messo una vita. Ho dovuto attingere al potere del Cerchio per intrappolarla e poi al Tempo per non farla fuggire”. Quei ricordi le facevano male, ma mai quanto il dover stare lontano a Li. Ora poteva abbracciarlo, baciarlo e dormire insieme a lui come due veri compagni. Non contava nient’altro: ma quella sensazione di vuoto la stava lentamente distruggendo. Il vuoto…era ancora presente? Non lo sapeva, ma strinse forte Li, finchè non si sentì completamente sua. 




ANGOLO DELLE CARTE: Capitolo denso di avvenimenti.....o meglio nemmeno troppo, però è un capitolo che mi affascina (non mi chiedete il perché); nella prima parte ho deciso di presentare La Spada che si impadronisce di Ludmilla. Le sue riflessioni finali ci portano a pensare che Ludmilla non sia del tutto cattiva, la sua è una maschera che indossa per dimenticare un evento molto doloroso (chissà quale...). Nella scena della casa infestata invece ci sono delle scene Leonetta a cui non ho saputo resistere....e poi il finale con Li e Sakura (belli loro *-*). Cos'è questo Vuoto che opprime Sakura??? Anche questo lo scopriremo...credo xD Come mai Violetta ha catturato The Through in quel modo tanto strano? Anche questo lo scopriremo (penso già dal prossimo capitolo). Spero che la storia vi piaccia....a me personalmente sta prendendo molto....al prossimo capitolo ;)
P.S: La Carta della Spada ha il potere di tagliare qualunque cosa, mentre L'Attraversamento (questa carta nell'anime non c'è, ma insomma fidatevi esiste, visto che ho comprato le Carte di Sakura al Romics xD) conferisce a chi la utilizza la possibilità di diventare intangibile.

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Capitolo 5
*** The Jump and The Dash ***


Capitolo 5
The Jump and The Dash

Violetta si trovò in una stanza enorme al buio…aveva paura e il suo respiro si faceva affannato. Anche se il luogo le sembrava spazioso, aveva quasi la sensazione di soffocamento come se fosse rinchiusa in un cunicolo strettissimo. D’un tratto dall’alto delle luci accecanti illuminarono l’ambiente: si trattava di una scacchiera gigante. In fondo erano situati due meravigliosi troni di un nero intenso. Il trono di destra, finemente lavorato, aveva sull’estremità superiore una stella d’oro, mentre quello di sinistra una stella d’argento. Per un momento fu di nuovo tutto buio, poi le luci tornarono a mostrarsi con tutta la loro prepotenza, gettando una lunga ombra dietro di lei. Una donna con i capelli castani leggermente lunghi stava sedendo sul trono con la stella dorata: indossava un lungo vestito nero come la notte e una corona trasparente come il cristallo. In mano teneva uno scettro rosa con un stella dorata in cima.La guardava e sorrideva tranquillamente, infondendole tranquillità. Alla sua sinistra un bellissimo uomo, anch’egli castano, con lo sguardo penetrante e affascinante indossava un completo nero, con un mantello bianco e una corona anch’essa perlacea. I due la osservavano in silenzio. Ai loro lati si trovavano un leone alato, Cerberus, che indossava un’armatura nera lucente, e Yue, il secondo Custode, con un arco d’ebano e delle frecce d’avorio. Si sentiva in soggezione al cospetto di quelle figure così nobili e imponenti. Chiuse gli occhi per un secondo e quando li riaprì si ritrovò anche lei sul freddo marmo bianco di uno scranno, dall’altra parte della stanza: si rese conto di stare indossando un vestito lungo molto semplice ma finemente lavorato, candido come la neve, e di avere in testa una corona fatta completamente di cristallo nero. La prese per un attimo facendola scorrere tra le mani e notò un’incisione argentata all’interno: “The True”. Vero…forse si intendeva la verità, ma cosa significava? Si rimise la corona in testa e fissò attentamente quei due che si tenevano la mano teneramente. “Le assomigli tanto” disse piano l’uomo. Quella voce rimbombò nella stanza vuota assumendo un tono minaccioso. Violetta rabbrividì, ma poi sentì qualcuno prenderle la mano; si voltò alla sua destra e vide un altro trono di marmo del suo stesso colore su cui sedeva Leon. Indossava un abito bianco molto elegante con un mantello nero e una corona identica. Le stringeva la mano e le sorrideva con quegli occhi verdi che la calmavano in un modo fantastico, quasi magico. Leon si avvicinò a lei: il cuore le stava scoppiando e non sapeva come fosse possibile. Fu un attimo: sentì il calore delle labbra del ragazzo, il loro sapore, quella scossa di elettricità pura che la stava sconvolgendo. Quando la sua lingua entrò dolcemente nella sua bocca pensò che non ci potesse essere nulla di più bello. Ma poi fu come se un secchio d’acqua gelida la risvegliasse. La sua mano era diventata di cristallo…Si separò un po’ a malincuore e guardò spaventata dall’altra parte: notò che anche la Regina Nera si stava scambiando un dolce bacio con il suo compagno. Violetta si voltò terrorizzata nuovamente verso Leon cercando conforto, ma non c’era più: al suo posto un ragazzo moro con gli occhi azzurri freddi come il ghiaccio la fissava: indossava un vestito metà bianco, metà nero e portava una corona completamente scura con delle perle bianche incastonate. La guardava con fare sprezzante e la terrorizzava. Sulla sua destra vide Francesca che le sorrideva cercando di infonderle coraggio. Aveva anche lei un’armatura come Cerberus, fatta completamente di diamante. La donna dall’altra parte della stanza le rivolse uno sguardo enigmatico e piegò la testa di lato, appoggiandosi sulla spalla del Re Nero: “La tua prossima mossa?”. Non sapeva che rispondere: che intendeva dire? Ma il ragazzo vicino a lei prese la parola: “Mangiare la Regina e Scacco al Re”. Violetta sgranò gli occhi a quella dichiarazione: si era forse scatenata una guerra?
Si svegliò sudatissima con gli occhi spalancati dal terrore: era solo un sogno, però sembrava tutto troppo reale. Ancora un po’ frastornata mise i piedi per terra, e cominciò a fissare il vuoto davanti a lei: chi era quel ragazzo? Possibile che si trattasse davvero solo di un sogno? Poi ripensò al bacio e si sentì svenire: era stato bellissimo anche se non era mai accaduto veramente. Ma lei non amava Leon, di questo era sicura, forse poteva trattarsi di una semplice infatuazione ma nulla di più... anzi non sentiva niente per lui. Diede un’occhiata all’ora: era presto ma di lì a poco si sarebbe dovuta svegliare; si vestì in silenzio e sempre attenta a non far rumore scese giù per andare in cucina e prepararsi la colazione. Trovò Olga, la domestica, già sveglia e intenta a preparare il caffè. “Stamattina siamo mattiniere” esclamò tutta contenta, fischiettando. “Già” rispose Violetta, intenta a scolpirsi nella mente l’immagine di quel ragazzo, che già sembrava lentamente svanire. Dopo aver toccato si e no mezza fetta biscottata con la marmellata di ciliegie, chiese a Olga di avvisare il padre che sarebbe andata da sola allo Studio. Prese la bicicletta e, dopo essersi allacciata il casco, cominciò a pedalare sul ciglio della strada. Non prendeva molto spesso la bicicletta, perché il padre voleva che venisse accompagnata dall’autista, Roberto, per la sua sicurezza. Mentre pedalava davanti ai suoi occhi comparve l’immagine di quelli che aveva deciso di chiamare Re Nero e Regina Nera. Dopo qualche minuto si trovò di fronte all’entrata dello Studio e si precipitò da Francesca, che stava leggendo il giornale seduta su una panchina, mordendosi il labbro inferiore. “Giusto te cercavo.... Innanzitutto volevo chiederti come mai sono svenuta alla casa stregata ieri sera” cominciò a parlare Violetta senza nemmeno salutarla; era un po’ nervosa: più quella storia andava avanti e meno ci capiva; inoltre si era piuttosto stufata di dover sempre fare domande. “Hai perso i sensi perché hai attinto troppo ai tuoi poteri magici, dovresti imparare a limitarti. A proposito…” cercò di dire Francesca ma venne interrotta: “Ti devo raccontare un sogno che ho fatto”. Violetta si mise seduta vicino a lei e le disse tutto fin nei minimi particolari, evitando solo di parlare del bacio di Leon, per non allarmare l’amica. “Hai già cominciato ad avere i primi sogni rivelatori, quindi. Molto interessante… Questi sogni rivelano sempre qualcosa sul futuro me devono essere interpretati nel modo giusto, e nel tuo caso la vedo davvero dura. Il simbolo della stella mi fa pensare a Sakura, la precedente padrona delle Clow Cards, ma per il resto, non saprei cosa dirti. E anche la scritta sulla corona mi è oscura nel suo significato. Comunque, guarda qui” rispose Francesca, porgendogli la pagina di giornale. Il titolo sulla pagina del quotidiano era questo: ‘Uomo aggredito di notte, colpito in pieno petto da una delle palle di piombo che circondano il giardino del centro’. Più in basso c’era l’articolo: la vittima aveva giurato di aver visto una oggetto scuro rimbalzare su un muro e poi venirgli addosso improvvisamente. Ovviamente non era possibile: doveva essersi inventato tutto, a meno che… “Pensi che sia dovuto a qualche Carta di Clow?” chiese la ragazza un po’ preoccupata. “Si, ma non riesco proprio a capire di cosa si possa trattare…” sussurrò Francesca dubbiosa. “Stanotte andremo a investigare, che ne dici?” chiese un po’ timorosa. Aveva paura, la situazione poteva essere pericolosa, ma non poteva sopportare l’idea che altre persone rischiassero la vita in quel modo: se si fosse trattato di una Carta di Clow, solo lei avrebbe avuto le capacità per porre fine a tutto quello. La sera dopo cena si preparò per uscire dalla finestra con il Volo, ma poi pensò che se non l’avessero trovata nella sua stanza si sarebbero preoccupati. “Release, rescissione del Sigillo” disse lei richiamando lo scettro, poi prese in mano The Mirror: “Carta dello Specchio. Assumi le mie sembianze e coprimi. E’ la tua nuova padrona che te lo ordina!”. Lo specchio argentato comparì dalla Carta e osservò il suo riflesso sorridergli e uscire fuori da quella superficie trasparente e nebulosa. “Eccomi, sono qui Padrona” le sorrise la sua copia. “Chiamami Violetta” disse la Cattura-Carte prendendole la mano e ricambiando il sorriso. La Carta rimase a fissarla incantata: le ricordava molto Sakura, in tutti i sensi; era una ragazza molto dolce e umile. Violetta la guardò un’ultima volta, mentre si metteva a letto al posto suo, poi prese la Carta del Volo e si librò sui cieli della città. L’appuntamento tra Francesca e Maxi era tra qualche minuto; quando capì di essere arrivata al luogo giusto, planò lentamente, mentre Maxi la stava filmando senza perdersi nemmeno un secondo di quella scena. “Bene, allora direi di cominciare a pensare a come trovare la Carta” disse Francesca. Maxi rabbrividì: “Penso che lei abbia trovato noi. Attenta Violetta!”. Una palla di piombo le sfrecciò a un centimetro dall’orecchio, per poi andare a rimbalzare su un muro creando un rumore assordante e tornando indietro. Francesca schioccò le dita e davanti a Maxi apparve un muro di metallo, che lo protesse dal colpo. “Ma che cos’è?” chiese Violetta terrorizzata. “Non ne ho idea…Potrebbe…ma no, non è possibile” esclamò la Custode. Prese la Carta del Vento, e la invocò per fermare quella sorta di bolide impazzito. The Wind in effetti lo bloccò per un po’, ma era troppo pesante per rimanere intrappolato a lungo: si liberò dalla presa e cascò a terra fragorosamente. Aveva creato un piccolo cratere per la caduta, ma adesso sembrava fermo. Francesca sussurrò qualche parola arcaica: “Ho insonorizzato l’area circostante per i prossimi cinque minuti…Violetta devi muoverti!”. “Sembra facile, se non hai un pezzo di metallo che sta cercando di ucciderti” strillò Violetta innervosita e in preda all’agitazione. Doveva calmarsi, stava per morire spiaccicata, ma poteva farcela. Stava tremando dalla paura…nemmeno con il Volo aveva avuto così tanta paura, nemmeno con la Spada…La Spada! “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, donami il tuo potere! The Sword!” esclamò convinta Violetta facendo volare la Carta della Spada e colpendola con il becco dello scettro. Improvvisamente l’oggetto che teneva in mano si trasformò: al posto dello scettro magico, adesso teneva in mano una spada lunga e affilata, il cui scintillio la implorava di adoperarla. Quella massa scura si avvicinava sempre di più rimbalzando da un muro all’altro, facendo cadere ad ogni rimbalzo una nuvola di calcinaccio. Quando fu a qualche metro da lei, alzò la spada e sferrò un colpo preciso. La sfera si divise a metà; allora era vero: la Spada poteva tagliare qualunque cosa. Da una delle metà uscì una piccola creatura rosa dagli occhi rossi vispi e astuti. “Ma…quella è The Jump! Catturala prima che entri in qualche altro oggetto” disse Francesca. Era strano: The Jump si impadroniva solo di oggetti soffici, come i peluches: era una Carta molto furba e birbona, ma generalmente innocua…Cosa la aveva fatta infuriare in quel modo? L’animaletto rosa ringhiò con i suoi occhietti maligni, poi fece uno scatto verso il secchio dell’immondizia; entrò al suo interno e subito l’oggetto, come se avesse preso magicamente vita, cominciò a rimbalzare di qua e di là. Violetta, ora che si sentiva più sicura con la Spada, affondò la lama nel metallo, dividendolo a metà. The Jump riuscì fuori: sembrava esausta; gli oggetti pesanti non erano esattamente il suo forte. “Ritorna al tuo aspetto originario, Clow Card!” esclamò puntando lo scettro nella sua direzione. L’essere magico cercò di aggrapparsi con le orecchie, ma venne risucchiato nella Carta comparsa a mezz’aria. “The Jump…” sussurrò leggendo la scritta. Francesca subito ruppe la barriera sonora: era stremata. Si avvicinò alla sua amica congratulandosi e rivelandole quanto fosse stato anomalo il comportamento del Salto. “Credo che le Carte siano sempre più furiose: anche le più innocue hanno mostrato il loro rancore nel momento dell’ abbandono da parte di Sakura; penso lo abbiano considerato come un tradimento. Prova a usare il Salto” disse la Custode seria: doveva capire se lei fosse in grado di usarla senza difficoltà. Violetta prese la Carta e la invocò con lo scettro: le sue scarpe cominciarono a brillare, poi come se niente fosse, spuntarono due piccole ali rosse. Sentì una fitta alla testa: la Carta non voleva essere adoperata, si stava opponendo in tutti i modi. Le faceva così male che sentiva di stare perdendo i sensi, ma non si volle arrendere. Dandosi un po’ lo slancio, spiccò un salto e si ritrovò in un secondo sul tetto del palazzo vicino. Stava male, la testa le scoppiava, non riusciva quasi a pensare. Maxi e Francesca accorsero ad aiutarla quando la videro tornare per terra: aveva il viso pallido e gli occhi che sembravano spenti. “Smettila!” strillò Francesca. Ma Violetta non voleva, non aveva intenzione di lasciar soffrire il Salto, a costo di rimetterci la salute. Più andava avanti in quello che quasi le sembrava un gioco, più si rendeva conto di quanto la situazione si stava rendendo difficile e pericolosa. Oltretutto le Carte non erano semplici strumenti, erano esseri viventi, provavano emozioni come tutti, e la loro sofferenza accentuava la sua. Quando richiamò il Salto preoccupata, sentì le gambe che cedevano e gli occhi chiudersi lentamente; i due amici la presero prima che cadesse per terra. La Custode lanciò una sguardo verso la Luna: “Perché le fate questo? E’ solo una ragazza”.
 
 
Il finesettimana Camilla, Maxi, Andres e Leon si erano organizzati per fare una gita in bicicletta; Leon da quella strana avventura nella villa stregata, era diventato molto più socievole, e si era lentamente staccato dal gruppo elitario dello Studio 21. “Invitiamo anche Francesca e Violetta?” chiese Camilla il venerdì, elettrizzata per quella bella giornata che avevano in programma. “Ma certo…” disse Andres. “Tra parentesi, come mai non sono venute oggi allo Studio?” continuò lei. Maxi ripercorse con la mente tutto quello che era successo la sera prima. Non se la sentiva di mentire, ma d’altronde non voleva nemmeno che gli altri si preoccupassero troppo: “Ecco ieri eravamo usciti e Violetta è…è svenuta. E allora oggi Francesca le faceva compagnia a casa. Ma non è nulla di grave, penso che domani verranno con noi”. Tutti si mostrarono preoccupati e sinceramente dispiaciuti per le condizioni di Violetta, l’unico che non disse nulla fu Leon. Il ragazzo era triste: avrebbe voluto andare lì a trovarla, a farle capire che le era vicino e l’avrebbe protetta, voleva abbracciarla per infonderle coraggio e un po’ di felicità, ma sapeva che non era il caso. Lei gli aveva detto chiaramente come stavano le cose. Quando le lezioni furono terminate tutti si diedero appuntamento il giorno dopo alle 9 allo Studio, dove avevano affittato un pullmino che li avrebbe portati in campagna. Maxi si diresse alla casa di Violetta, bussò ed entrò: la porta le venne aperta da Francesca. Olga e Roberto erano stesi sul divano che dormivano, c’era lo zampino dell'amica: “Non potevo girare per casa di fronte a loro. Il padre é uscito con la sua fidanzata”. I due salirono in camera dove Violetta si stava passando tra le mani The Jump con sguardo vuoto. “Bene, pensiamo alla prossima mossa” disse la Custode. Voleva distogliere l’attenzione della ragazza da quello a cui stava pensando: ci voleva qualcosa per farla divertire un po’… “Domani facciamo una bella scampagnata con la bici, siete dei nostri?” chiese Maxi con un sorriso nel tentativo di risollevare un po’ il morale generale. La Cattura-Carte lo guardò con gli occhi velati, quegli occhi che non lasciavano tradire la più minima presenza di un’emozione. La Custode annuì entusiasta dell’idea: Violetta aveva preso troppo sul serio il suo compito, e aveva intenzione di farle passare una giornata serena come una semplice ragazza normale. Dopo aver riferito il luogo e l’orario dell’appuntamento, il ragazzo uscì di casa e vide la bicicletta parcheggiata lì vicino. In quel momento gli sembrò di vedere di sfuggita una volpe 
 viola, ma si disse che era tutto frutto della sua immaginazione. Il giorno dopo Violetta, dopo aver ottenuto il permesso del padre, si diede appuntamento con Francesca, e insieme si diressero allo Studio in bicicletta. Quando arrivarono c’erano già tutti: Camilla, Maxi, Leon, Andres e… Ludmilla?! Cosa ci faceva lì? Ludmilla le salutò con la sua solita simpatia inesistente, poi quando si dichiararono pronti, entrarono nel pullman, che partì sfrecciando per le vie di Buenos Aires. Violetta aveva lo sguardo perso a osservare le case e i negozi che passavano velocemente davanti agli occhi. Le veniva da piangere: sentiva il suo compito sempre più opprimente, come un peso di cui non si sarebbe potuta liberare mai. Francesca, che era vicino a lei e che stava chiacchierando con Camilla, seduta davanti a loro, non si accorta di nulla, ma Leon invece non poté non perdersi a contemplare la sua bellezza. Anche quando era triste riusciva ad affascinarla; avrebbe tanto voluto aiutarla, per restituire il sorriso a quello sguardo vuoto, perso nel nulla. Finalmente dopo un’oretta il pullmino si fermò: tutti scesero; Ludmilla si fece aiutare da Leon, perché non voleva sporcare le sue scarpe d’alta moda con il fango. “Sapevi che saremmo venuti in campagna” sottolineò il ragazzo, guardandola un po’ male. Presero ognuno la propria bicicletta e cominciarono a pedalare in gruppo. Violetta aveva preso velocità più degli altri, ma la ragazza era talmente presa dai suoi pensieri da non essersene accorta. “Violetta, sei proprio veloce… un po’ troppo per noi” esclamò Maxi ridendo, mentre l’amica si staccava sempre di più dal gruppo, avvicinandosi ai pressi di un bosco. Continuò a pedalare, finchè non smise di sentire le voci degli altri, allora si voltò per dare un’occhiata: aveva preso senza rendersene conto il sentiero del bosco. Doveva fermarsi e chiamare gli altri per raggiungerli. Cominciò a premere i freni, ma non successe niente. Smise di pedalare, ma la bicicletta sembrava andare per conto suo, non si fermava, anzi stava accelerando sempre di più ad un velocità incredibile. Che stava succedendo? Si concentrò meglio e si rese conto che il suo mezzo di trasporto era circondato da un’aura rossa: era sotto il controllo di una forza magica. “Dovremmo andare a cercarla” disse Leon, un po’ preoccupato. “Ma no…avrà voluto fare la preziosa, Lyon. Non gli dare importanza, vuole solo essere al centro dell’attenzione” ribatté Ludmilla acida. Francesca le lanciò uno sguardo severo: “Quella sei te Ludmilla. Forse ha ragione Leon, sono un po’ preoccupata anch’io. Non si è fatta viva, è partita in quarta dirigendosi nel bosco, senza aspettarci; è strano”. Nel frattempo Violetta era seriamente spaventata: si fece coraggio e si buttò dalla bicicletta, ruzzolando per terra. Cercò di rialzarsi ma si rese conto di essersi fatta male alla gamba: una profonda ferita sul polpaccio le permetteva a stento di stare in piedi. Aggrappandosi ad un albero pensò di chiamare Francesca per avvertirla, ma poi si ricordò che aveva legato la borsa con dentro il cellulare al cestino della bicicletta. Perfetto…E ora che poteva fare? Doveva innanzitutto cercare di fermare la Carta che stava continuando a correre spedita nel bosco, perché ormai ne era sicura: si trattava di una Clow Card. Usare la Carta del Volo non le sembrava una buona idea: con tutti quei rami sarebbe stato difficile volare velocemente. La sua unica possibilità era la Carta del Salto. Dopo aver richiamato lo scettro prese The Jump, poi con sguardo di supplica lanciò in aria la Carta e pronunciò la formula per invocarla. Delle piccole ali rosse comparvero ai suoi piedi, permettendole di fare dei salti sovrumani da un ramo a un altro. Ogni saltò le provocava una doppia fitta di dolore: una proveniva dalla ferita alla gamba, l’altra dall’ostilità della Clow Card. Dopo qualche salto, proprio nel momento in cui pensava di arrendersi, vide la sua bicicletta: le ruote si erano incastrate tra le radici e non riusciva a proseguire. Quando atterrò di fronte, la bicicletta vibrò qualche secondo, poi dalle sue ruote spuntò fuori una piccola volpe viola con un zaffiro incastonato sulla fronte. Le ringhiava, agitando la sua coda velocemente. “Non voglio farti del male, tranquilla” sussurrò Violetta avvicinandosi tranquilla. La creatura ringhiò sempre di più intimandole di non muovere un altro passo:
‘La Carta del Vento riportò Velocità tra le braccia di Sakura. “Non hai nulla da temere. Mi dispiace di averti spaventata” sussurrò la ragazza, accarezzandole dolcemente le orecchie. Era stata una sciocca a voler trasformare tutte quelle Carte insieme, finendo con lo spaventare Velocità. Li si avvicinò sorridente: “Penso che ti abbia perdonato”. Infatti Velocità aveva cominciato a leccarle la guancia in segno di affetto per poi rientrare nella Carta. Sakura si sentì  venire meno, ma per fortuna il ragazzo riuscì a prenderla prima che cadesse a terra; il cuore gli batteva forte ed era diventato rosso a quella vicinanza, ma la tenne stretta a sé, mentre Cerberus tentava invano di svegliarla. “E’ solo svenuta. Ha trasformato troppe Carte per oggi” sentenziò lui dopo un pò’.
Violetta richiamò The Wood che fece allungare i rami degli alberi fino a intrappolare quella piccola volpe. Si avvicinò fino ad accarezzargli dolcemente il pelo: era caldo e trasmetteva tranquillità. Potè sentire i battiti di quel povero animale farsi sempre più veloci, poi parve rilassarsi al tocco. Lo prese in braccio e poi si stese sotto l’albero perché non riusciva a stare in piedi, cullandolo con la sua voce. Violetta aveva una voce cristallina e armoniosa: prese in mano The Jump e si rese conto che era felice. Si era riuscita a fidare finalmente. Improvvisamente sentì un piacevole benessere: la gamba le faceva meno male; infatti la piccola volpe si era messa a leccare la sua ferita teneramente. La ragazza si sciolse in un sorriso ricco di gratitudine, poi prese lo scettro e catturò la Carta. Lesse la scritta ‘The Dash’ ('Velocità') e si mise a contemplare su, dove il cielo risultava frammentato a causa delle fronde degli alberi. “Eccoti!” esclamò Francesca abbandonando la bicicletta e correndole incontro. Si rese conto che era ferita e sentì qualcuno sfrecciare più velocemente di lei: Leon si precipitò ad aiutarla, ma la ragazza gli fece cenno di rimanere fermo; aggrappandosi all’albero, si alzò e poi chiese a Maxi di fargli da appoggio. L’amico annuì tenendo fisso lo sguardo su Leon, che era rimasto imbarazzato e ferito allo stesso tempo. Violetta sospirò un po’: non voleva farlo soffrire, ma non intendeva illuderlo. Lei non era innamorata di lui, e questo doveva capirlo: non aveva bisogno del suo aiuto o della sua compassione. Maxi face passare il suo braccio intorno alla spalla. Sapeva tutta la storia e non voleva che l’amica diventasse un cristallo; gli dispiaceva per Leon, ma doveva starle lontano. 




ANGOLO DELLE CARTE: Ciao a tutti!!!! Comincio col ringraziare chi legge e recensisce questa storia nata da un attimo di follia. Sono quasi commosso....allora comincio col dire che questo capitolo non è molto eclatante se non per il sogno (che io trovo stupendo) dell'inizio. No, davvero, immaginatevi Li e Sakura vestiti da Re e Regina neri, e Leon e Violetta vestiti da Re e Regina bianchi *va in un angolino e piange*. OK, ritorno alla normalità *respira profondamente* Che misteri si celano dietro quel sogno? Lo scopriremo più in là...chi è il misterioso ragazzo??? In cosa ha a che fare con la storia??? Domande, domande, domande e zero risposte xD Che ne pensate del bacio del sogno...io mi sono sciolto come un ghiacciolo al sole *-* Bene vi lascio alla lettura del capitolo: buona lettura e alla prossima!!!!
P.S: La Carta della Velocità si impadronisce di oggetti e persone e permette loro di raggiungere una velocità inimmaginabile. La Carta del Salto permette di compiere salti disumani....è tutto :D

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Capitolo 6
*** The Thunder and The Cloud ***


Capitolo 6
The Thunder and The Cloud

Sakura si precipitò nella Sala delle Predizioni, con un certo affanno e un brutto presentimento. Portava un vestito blu lungo, scurissimo, con delle stelle argentate ricamate. Tra i capelli spiccava  il diadema della Casata dei Leed. Doveva assolutamente controllare che tutto stesse procedendo per il verso giusto. Non appena fu dentro si avvicinò alla fontana mordendosi il labbro inferiore: voleva sapere ma allo stesso aveva paura. E se la ragazza fosse diventata di cristallo? La avrebbe avuta sulla coscienza? Quella regola era stata dettata in un momento di dolore inimmaginabile, ma d’altronde era per proteggere chi si avvicinasse alla Cattura-Carte. Dal riflesso vide il suo Lee, dietro di lei, che la guardava preoccupato. “Cosa stai facendo?” chiese lui, prendendole la mano per infonderle coraggio. “Devo controllare che tutto stia andando come deve” sussurrò lei facendosi cullare da un dolce abbraccio. Il suo Lee…lo amava più della sua stessa vita, più della sua essenza. Rinunciare alle Carte era stato come rinunciare a parte della sua anima, ma per Lee avrebbe fatto molto di più. Per potergli stare accanto, per poterlo vedere sorridere avrebbe rinunciato ai suoi poteri altre cento volte, se solo fosse stato necessario. Dopo essersi staccata, dopo aver assaporato il suo profumo fino in fondo, alzò la mano per far comparire il globo trasparente dalle calme acque. Le immagini dapprima erano un po’ sfocate, poi divennero sempre più nitide; lo poteva quasi sentire: l’odio e la sofferenza del Salto, il dolore di Violetta mentre cercava di usare la Carta per catturare Velocità. La sua testa stava per scoppiare, con le gambe che tremavano si appoggiò a Lee, il quale la guardò preoccupato. “Cosa ti succede?” chiese lui appoggiando la spada che portava con sé per terra e prendendola in braccio. Si era addormentata…o forse era svenuta. La poggiò delicatamente per terra e trafficò nella sua tracolla per prendere i sali. Nel frattempo dalla fontana due rivoli d’acqua scesero sul pavimento, ingrossandosi sempre di più e acquistando le sembianze di serpenti. Le due creature cominciarono a strisciare diventando sempre più grandi, avvicinandosi alle prede ancora ignare sibilando debolmente. Stavano per attaccare Sakura svenuta, quando Lee afferrò velocemente la spada e voltandosi di scatto mozzò la testa di uno dei due serpenti. Ma le due parti si riunirono dopo solo qualche secondo. Dalla fontana continuarono a uscire serpenti dalla pelle lucida e trasparente, fatti d’acqua. Lee si guardò intorno confuso e spaventato. Cosa era successo?
Sakura si ritrovò in una sorta di scacchiera gigante: vicino a lei Lee le sorrideva. Rivolse lo sguardo in fondo alla sala; c’era la Cattura-Carte che baciava un ragazzo dagli occhi verdi; c’era della passione in quel bacio, se ne rendeva conto. Sentì un leggero malore e appoggiò la testa sulla spalla del suo compagno. Vide che dall’altra parte della stanza c’era qualcuno di familiare che le sorrideva con aria di sfida. Fissò di nuovo la nuova aspirante Padrona e poi, senza sapere come, le uscirono le seguenti parole: “La tua prossima mossa?”. Fu il ragazzo a rispondere: “Mangiare la Regina e Scacco al Re”. Mangiare la Regina… Mangiare la Regina… Cosa intendeva dire? D’un tratto si rese conto di essere molto stanca. Lee le chiuse delicatamente le palpebre e dopo avergli dato un bacio sulla fronte: “Dormi, Padrona delle Clow Cards”.
Lee continuò a combattere strenuamente con la sua spada scintillante, ma quelle creature sembravano riprodursi in continuazione: ormai riempivano tutta la sala. Da dietro sentì un calore avvolgerlo e poi una voce avvertirlo: “Spostati!”. Lee si buttò di lato, giusto in tempo per evitare una palla di fuoco, che si diresse verso alcuni serpenti facendoli evaporare direttamente. Cerberus irruppe nella stanza, seguito da Yue, il quale fece comparire delle schegge di ghiaccio dirigendole verso la fontana per congelarla e bloccare il flusso di quell’attacco. Dietro i due Guardiani, si fece avanti uno dei Custodi, Stefan, che sollevò la mano e fece comparire una sfera luminosa: pura elettricità. La scaraventò addosso agli ultimi mostri rimasti intrappolandoli in una rete di energia. Poi si diresse velocemente dove giaceva Sakura, mentre Lee, stremato dalle fatiche era svenuto sorretto da Yue. Stefan si inginocchiò impassibile, quindi passò una mano sul viso della donna, pronunciando qualche formula a bassa voce…Stava bene. “Qui è tutto a posto” disse piano il ragazzo rialzandosi, con il suo mantello di un azzurro glaciale che sventolò creando un fruscio. “Anche il Padrone. Ha solo bisogno di riposo” rispose Yue. Il Cust
ode si diresse verso la fontana coperta da uno spesso strato di ghiaccio ad opera dell’angelo: “E’ stata lanciata una maledizione antica. Qualcuno aveva intenzione di uccidere entrambi o comunque Sakura. Si può essere infiltrato qualcuno a Palazzo lanciando una trappola magica pronta ad attivarsi non appena fosse stata invocata la sfera per le previsioni”. Si guardarono tutti preoccupati: qualcuno voleva attentare alla vita di Sakura.
Mangiare la Regina e scacco al Re… Mangiare la Regina e Scacco al Re… Violetta si ritrovò di nuovo in quella stanza strana, su quel trono, con le parole del ragazzo misterioso ancora in testa. Stava rivivendo il sogno di nuovo, ma questa volta con una consapevolezza del tutto diversa. Con la corona ancora tra le mani, Leon si avvicinò a lei, accarezzandole la guancia piano e avvicinandosi per dare vita nuovamente a quel meraviglioso bacio onirico; questa volta però era diverso: lo stava assaporando sempre di più, e sentiva il desiderio di ricambiare quel bacio con la stessa intensità e con la stessa passione. Sentì la mano diventare di cristallo, ma continuò a lasciarsi andare a quella fantastica sensazione. Leon si staccò ancora con gli occhi chiusi, poi li riaprì per guardarla e le sorrise. Poggiò la fronte contro la sua. Quel verde così brillante la affascinava ogni volta… Ma eccolo accadere di nuovo: in quel verde si creò una macchia azzurra che si espanse pian piano, fino a far diventare gli occhi di un azzurro glaciale. Il ragazzo misterioso era di nuovo di fronte a lei e la guardava con aria spavalda e con una certa superiorità. “Sto per fare la conoscenza di questa bellissima Cattura-Carte?” le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire. Si svegliò di colpo sudatissima: questa volta non era arrivata alla fine del sogno, ma aveva sempre paura allo stesso modo. Poteva ancora sentire le labbra di Leon posate sulle sue, il loro sapore e il loro calore, come se fosse accaduto realmente. Si studiò un po’ il corpo per essere sicura che si fosse trattato solo di un sogno: niente, per fortuna non era diventata di cristallo, ma era in carne e ossa. Si alzò piano dal letto e diede un’occhiata all’ora: erano ancora le tre di notte. Non se la sentiva di rimettersi a dormire, così decise di fare una passeggiata notturna nei dintorni. Un lampo illuminò per un secondo la stanza: doveva stare per piovere; diede un’occhiata al cielo, ma era sereno…molto strano. Dopo essersi vestita si avviò in punta di piedi verso l’uscita, poi richiuse piano la porta dietro di sé e si mise a contemplare per un po’ il cielo e le stelle, nonostante non fossero visibili in tutto il loro splendore a causa dei lampioni che illuminavano le strade. Di nuovo un lampo la spinse a chiudere gli occhi; doveva essere molto vicino. Si affacciò sulla via e notò una scarica di elettricità che vagava di tetto in tetto creando lampi al suo passaggio: doveva trattarsi di una Clow Card. Prese la chiave e con la formula di rescissione del sigillo, lo scettro comparve davanti a lei. Prese il cellulare per avvertire Francesca, e le disse che sarebbe andata prenderla all’entrata dello Studio. Aveva un po’ di paura di usare il Volo, visti tutti qui lampi, quindi prese in mano la Carta della Velocità e la toccò con la punta dello scettro: “Velocità conferiscimi i tuoi poteri e donami la tua magia, è la tua Padrona che te lo ordina!”. Sentì un brivido diffondersi per tutto il corpo: poi vide che dalle scarpe spuntavano fuori due piccole saette scintillanti e viola. Mosse qualche passo e senza accorgersene si ritrovò alla fine della via. “Wow!” si lasciò sfuggire la ragazza sorpresa. Cominciò a correre: le vie slittavano di fronte ai suoi occhi, i lampioni che sfrecciavano creavano una scia luminosa. Nel giro di qualche secondo di ritrovò all’ingresso dello Studio con Francesca e Maxi che lo aspettavano, quest’ultimo con la sua immancabile videocamera. Violetta guardò l’amica con aria interrogativa, che leggendo i suoi pensieri non tardò a rispondere: “Mi ha costretto. Che ci posso fare?”. Maxi era euforico: non vedeva l’ora di fare delle magnifiche riprese. Si diressero verso la piazza più vicina continuando a seguire quella luce fortissima. Non appena arrivarono il fulmine si scatenò al centro mostrando una sorta di tigre, fatta completamente di elettricità che scorreva liberamente. “E’ The Thunder. Sta attenta è difficile da catturare!” la avvertì Francesca proteggendo Maxi con uno schermo protettivo, che però andò in frantumi alla prima scossa. Un’altra scossa partì diretta contro Violetta, ad una velocità impressionante, ma la ragazza era pronta: “Ti invoco, The Through. Rendimi intangibile, è la tua Padrona che te lo ordina”. Il fulmine la passò letteralmente attraverso procurandole solletico. Come poteva catturare Thunder? Si sentiva in difficoltà. La tigre ruggì, creando una serie di colonne di fulmini battendo sul terreno con la zampa. Violetta si sentì in difficoltà, non riusciva a mantenere l’Attraversamento ancora a lungo, le stava prosciugando ogni energia magica. Quando sentì le gambe cederle e si ritrovò in ginocchio perdendo le speranze, qualcuno si mise davanti a lei con uno scudo argentato, riflettendo le scariche in tutte le direzioni. Il misterioso combattente tirò fuori una freccia di bronzo, poi prendendo in fretta l’arco, la scoccò colpendo in pieno petto la creatura scoppiettante. “Muoviti! Cattura la Carta” disse in fretta il suo salvatore. Violetta non se lo fece ripetere due volte: si avvicinò a Thunder e notò che stava soffrendo; quella freccia doveva averle fatto molto male. Era come se anche lei sentisse un dolore al petto che la faceva lacrimare; le Carte in un certo senso erano in grado di trasmettergli le loro emozioni. Avvicinò la mano alla creatura sentendo la carica elettrica nell’aria, ma non si spaventò e sfiorò l’orecchio, senza prendere la scossa. Il Fulmine la guardò supplicante: voleva essere catturata, voleva sentirsi amata e non temuta, non combattuta. “Ed è amore ciò che avrai” sussurrò tristemente Violetta catturando con lo scettro la Carta magica. Un nuovo tassello si era unito alla sua anima, e più catturava Carte più si sentiva vicina ad essere completa. Prese in mano la Carta rimasta a mezz’aria: le trasmetteva energia, grinta e voglia di lottare fino alla fine. Ed era proprio ciò di cui aveva bisogno per portare a termine la sua missione.
 
“Ricordati l’ombrello” strillò il padre mentre Violetta stava uscendo di casa. In effetti quel giorno era parecchio nuvoloso e di lì a breve sicuramente avrebbe cominciato a piovere. Violetta prese l’ombrello viola che si trovava all’ingresso e uscì di corsa: era in ritardo. All’entrata dello Studio incontrò Leon che l
e venne incontro imbarazzato: “Buongiorno, ti volevo chiedere se mi potevi dare una mano con la canzone che sto componendo, sempre che tu non abbia da fare…”. La guardava con uno sguardo tenero e irresistibile. Come faceva a dirgli di no? “D’accordo” disse lei piano, quasi pentendosi di quelle parole. Il ragazzo le sorrise, poi le prese la mano per accompagnarla a lezione, ma lei si scostò spaventata. Quell’aiuto non voleva dire nulla, lei non provava nulla e questo era tutto. Leon ci rimase male all’inizio; si mise una mano tra i capelli imbarazzato: “Io…beh…ci vediamo a lezione”. Era rossissimo: non l’aveva mai visto arrossire e le venne quasi da ridere; sentì il forte desiderio di dargli un bacio sulla guancia e poi scendere alla sua bocca. Perché era così attratta da quel ragazzo che sentiva di non amare? Non se lo sapeva spiegare, ma decise di far finta di nulla. Maxi si avvicinò a lei preoccupato: “Ti piace, non è vero?”. “La smettete tutti con questa storia che mi piace Leon? Mi date sui nervi…” esclamò lei stanca di dover ripetere sempre le stesse cose. L'amico la guardò preoccupato: non voleva che Violetta corresse alcun rischio...Quando fu nell’aula di canto per la lezione con Angie, si rese conto di essere osservata da Leon, quindi abbassò lo sguardo. Angie entrò sorridente seguita da un bellissimo ragazzo moro con gli occhi glaciali. “Allora, vi presento un nuovo studente dello Studio di quest’anno…viene dalla Spagna. Salutate Diego. Confido che lo farete integrare benissimo nel gruppo degli studenti” disse l’insegnante allegramente. Diego non smise per un secondo di fissare Violetta con uno sguardo misterioso; tutti gli altri studenti della classe, soprattutto Leon, che strinse i pugni afflitto, si resero conto di quel contatto visivo. La ragazza rimase incantata. Era lui, il personaggio del suo sogno, e forse anche colui che l’aveva salvata la sera prima:
‘Violetta strinse forte la Carta del Fulmine. In quel momento ebbe l’impressione che tutto divenisse sfocato, fino a quando non si ritrovò in braccio al suo salvatore. Era così bello con quegli occhi freddi come il ghiaccio, con quell’espressione spavalda e allo stesso tempo attraente. L’ultima cosa che ricordò prima di svenire fu  che il ragazzo si avvicinò al suo orecchio per dirle: “ora sei al sicuro, mia Regina Bianca”. La mattina dopo si svegliò sul suo letto con una rosa bianca appoggiata sul comodino, e un bigliettino con scritto: “A presto”. Violetta prese la rosa e la annusò delicatamente; aveva un profumo buonissimo’
Si, era lui, non c’erano dubbi. Francesca lo osservò e subito avvertì un forte potere magico dentro quel ragazzo. Non era di certo normale… Quando la campanella suonò Violetta fece per uscire ma si sentì prendere per il braccio: era Diego. “Noi dobbiamo parlare” disse semplicemente lui, ammiccando leggermente. Leon li guardò impietrito: eh, no, non era proprio giusto. Il nuovo arrivato già gli aveva rubato la ragazza di cui era innamorato. Sapeva di non essere ricambiato ma quella scena lo ferì ancora di più, quindi prese e uscì dall’aula per lasciarli da soli con il cuore infranto.
Ludmilla stava uscendo con le sue solite arie da diva, quando gli venne incontro un bel ragazzo, con un ciuffo sparato in aria e l’aria simpatica: aveva un paio di jeans, una maglietta aderente a righe rosse e bianche e un paio di occhiali scuri da sole. “Scusa, non ti avevo visto” disse lui sorridendo con un accento italiano inconfondibile. Ludmilla pensò che non era niente male, quindi tentò di approcciarlo ma con scarso successo, era venuto lì con un preciso obiettivo: “Sai dove posso trovare Violetta?”. La ragazza ebbe un leggero tic all’occhio: perché mai erano tutti alla ricerca di quella lì? Prima Leon, poi quello nuovo e ora questo qua? Non era giusto. Senza dire una parola indicò l’interno dello Studio e se ne andò via facendo ondeggiare la sua chioma bionda con un fare altezzoso. Quando entrò si diresse subito all’aula di canto, avvertendo una forza magica al suo interno. “Cosa mi devi dire?” chiese Violetta confusa; quel ragazzo la metteva in confusione, la attraeva in modo magnetico, in modo così diverso da Leon. “So tutto di te, del tuo compito e sono qui per aiutarti” bisbigliò lui facendole l’occhiolino. “Grazie per ieri sera” disse la ragazza piano. “Figurati! E’ sempre un piacere salvare ragazze belle come te” rispose Diego galante, facendola arrossire. Il cuore le batteva forte, ma davanti a lei ora si trovava Leon a rivolgerle quelle attenzioni e già lo vedeva avvicinarsi per baciarla dolcemente. Nella stanza irruppe il Custode dell’Europa con gli occhiali nella mano destra e la mano sinistra puntata verso Diego : i suoi occhi erano diventati rosso sangue e dalla sua bocca scaturì un incantesimo: una gabbia di ghiaccio intrappolò Diego. Il ragazzo sorrise, schioccò le dita, e si ritrovò dall’altra parte della stanza. “Federico…” sussurrò piano. Violetta rimase senza parole: perché quell’attacco? Francesca si mise fuori dalla stanza su ordine del collega e fece apparire una barriera per non destare sospetti. “Violetta, questo ragazzo fa parte della comunità magica europea, ma è venuto fin qui per te; la legge stabilisce che solo i Custodi e i Guardiani possono aiutarti nel compito della Cattura-Carte, gli altri maghi estranei a questa faccenda non devono interferire, poiché potrebbero essere dei traditori o potrebbero interferire in maniera negativa” disse Federico, che senza perdere tempo aveva creato una lancia di ghiaccio che si separò in tanti piccoli frammenti, tutti indirizzati verso Diego. “Ma io non sono un estraneo” disse piano Diego, respingendo le schegge facendo apparire un muro di fiamme. “Non sono affatto un estraneo” ripetè spavaldo, tirando fuori qualcosa dalla tasca. Era un medaglione con una Luna d’argento intrecciata a un Sole dorato. Il Custode rimase di sasso, poi stringendo i pugni, si inginocchiò: “Mi scuso di aver interferito con l’azione di uno degli eredi dei Leed”. Un erede del più grande mago mai esistito? Violetta rimase con la bocca spalancata: pensava che solo Sakura, la precedente Padrona delle Carte, fosse imparentata con il Mago Clow Leed. “Sono qui per aiutare Violetta a portare a termine la missione” sussurrò lui soddisfatto. Federico si alzò e uscì dalla stanza: voleva indire una Riunione dei Guardiani, per parlare di questo risvolto inaspettato. “Ora devo andare” disse Violetta, ancora terrorizzata da quella scena. Quel Diego le incuteva timore: aveva paura. Senza rendersene conto andò a sbattere contro Leon: “Oh…scusa, io…”. Leon non disse nulla ma la guardò ferito. E in quel momento la ragazza sentì il forte impulso di baciarlo, impulso che riuscì a controllare davvero per poco. Si disse che tutto quello che sentiva era a causa dello strano sogno che faceva ogni notte. “Se vuoi possiamo provare la canzone” disse lei continuando a fissarlo negli occhi e arrossendo inspiegabilmente. Il ragazzo annuì un po’ abbattuto: “Va bene, ma se hai da fare con quello nuovo non ti preoccupare”. E ora che c’entrava Diego? Violetta lo guardò confusa: non capiva il senso dell’ultima frase. Non riusciva ancora a pensare al fatto che Leon potesse essere geloso. I due si diressero nell’aula degli strumenti, quindi Leon tirò fuori lo spartito e lo cominciò a suonare, mentre Violetta lo ascoltava incantata: aveva un dono naturale per il piano. “E poi qui, mi blocco” disse il ragazzo fermandosi all’improvviso: non voleva farle leggere il testo, che racchiudeva tutti i sentimenti che lo animavano in quei giorni, ma la aveva chiesto un aiuto sulla melodia in parte perché ne aveva davvero bisogno, in parte, dovette ammetterlo a se stesso, per passare un po’ di tempo da solo con lei. Violetta si avvicinò, mettendosi al suo lato e cominciò a provare qualche nota… quindi si fermò, ci pensò un secondo e annuì. “Guarda, ho un’idea” continuò lei pensierosa. Prese la sua mano e gli fece ripercorrere la strofa finale, per poi portarlo piano verso il continuo della melodia: suonava benissimo. Alzò lo sguardo sorridente e si rese conto che Leon la fissava incantato. Il cuore gli batteva a mille: solo quel contatto l’aveva mandato in confusione; sentiva la mano sudata, e aveva paura che lei se ne potesse accorgere, ma non voleva che quel momento magico si interrompesse. All’improvviso Violetta si intristì: tutto quello che era successo con la storia delle Clow Cards l’aveva intimorita e spaventata. La cattura delle Carte si stava facendo sempre più pericolosa, e anche se non l’avrebbe mai ammesso con Francesca, aveva paura. Aveva paura di non farcela, di deludere tutti,  e anche di morire. Aveva bisogno di qualcuno che la rassicurasse, ma non ne poteva parlare con nessuno. D’istinto abbracciò Leon, e chiuse gli occhi, assaporando fino in fondo il suo profumo, che le ricordava la vaniglia. Il ragazzo rimase sorpreso da quel gesto, sentiva il petto esplodergli per la felicità, e ricambiò la stretta con intensità, felicissimo. Violetta si staccò abbassando lo sguardo timida: “Scusa, avevo bisogno di un abbraccio”. Leon le prese la mano giocherellandoci: “Quando vuoi, io ci sarò sempre”. Arrossì leggermente mentre pronunciava quelle parole, non poteva credere che lui, una delle persone più fredde e ciniche nello Studio, potesse uscirsene con quelle frasi sdolcinate da cioccolatino. In quel momento un fremito avvolse Violetta: era un segno che la avvertiva di una Clow Card. “Ora devo andare…” disse Violetta dirigendosi verso l’uscita. “Sei un buon amico” continuò lei, voltandosi di scatto verso di lui e sorridendogli, prima di scomparire dietro le pareti dell’aula. Leon rimase di sasso: amico? E’ così che lo vedeva? Forse avrebbe dovuto provare davvero a esserle amico, ma non ci riusciva, ogni volta che la vedeva, voleva baciarla e sentirla sua: come avrebbe potuto reprimere quei sentimenti così forti? Lo trovava impossibile, ma ci avrebbe provato, e per non perderla ci sarebbe anche riuscito.
Violetta uscì fuori dalla scuola: nel cielo ancora le nuvole coprivano i raggi del sole; ma erano delle nuvole strane di un colore violaceo. Non sapeva come spiegarselo, ma qualcosa le diceva che doveva salire più su per capirci qualcosa di più. Cominciò a correre per nascondersi, poi richiamò a sé lo scettro e uso la Carta del Volo per salire sul tetto dello Studio 21. Il vento le scompigliava i capelli e osservò ancora quel nuvolone che si era venuto a formare sopra la sua testa. Dal centro comparve una spirale di nebbia che si scaraventò addosso a lei. Violetta risalì in sella al suo scettro e in un battito d’ali evitò il colpo. Cosa poteva fare? Cercò di concentrarsi ma nella sua mente c’era solo l’abbraccio di Leon, il suo sguardo incantato… Dalla nuvola uscì fuori una fune fatta di vapore che cercò di catturarla senza però riuscirci. Qualcuno la stava guardando dal tetto divertito: era Diego. Planò velocemente per raggiungerlo, evitando proiettili d’aria compressa che puntavano a disarcionarla. “Quella è The Cloud…la Nuvola. Non è difficile da catturare, una volta usato il Fulmine” disse Diego attento. Violetta non se lo fece ripetere due volte: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco, è la tua padrona che te lo ordina!”. Il Fulmine scaturì dalla Carta con un boato assordante, riducendo sempre di più il volume della nuvola, finchè non rimase solo una piccola nuvoletta viola chiaro con un buffo folletto in cima. Il folletto sorrise scherzoso: indossava un abito fatto completamente di nuvole soffici e bianche e sulla fronte portava uno strano diadema a forma di nuvola anch’esso. “Ora la puoi catturare” continuò il ragazzo. “L’avevo capito” ribatté Violetta un po’ acida. Tutta quella presunzione la stava stufando; portò in aria lo scettro intrappolando la creatura magica. La Carta rimase a mezz’aria poi lentamente levitò fino a lei. La scritta in fondo The Cloud brillò per un secondo a causa del riflesso del Sole. Il Sole…adesso i raggi del Sole erano tornati a dare una nuova luce alla città. La vista dal tetto era spettacolare e rimase per qualche minuto a guardare il panorama, con Diego vicino.
Sakura era stesa sul letto con una sfera di cristallo presa in prestito da Yue per poter continuare a osservare la sua Erede all’opera. Non appena ebbe catturato la Carta della Nuvola, sospirò piano poggiando la sfera sul comodino vicino. Diego era a quanto pare un suo parente... Ma cosa ci faceva lì? E perché ci teneva tanto ad aiutare Violetta? Eppure al Raduno... Decise che il giorno dopo sarebbe andata in biblioteca per consultare i diari di Sakura. Inoltre quel Leon la preoccupava: poteva essere un ostacolo per il compito di Violetta. Non avrebbbe mai potuto immaginare che quella ragazza tanto refrattaria all’amore, potesse cadere in quel sentimento tanto pericoloso. Lee si avvicinò a lei sorridendo: “Va meglio?”. “Io sto bene…ma Violetta…Sta nascondendo i suoi sentimenti come la Nuvola nasconde la luce del Sole” sentenziò lei con lo sguardo perso nel vuoto. “Si è innamorata? Beh, l’amore è un bella cosa” disse lui cercando di rincuorarla. “Non è esatto. L’amore è il sentimento più bello e pericoloso in questo mondo, ma nel suo caso è una maledizione. Io lo so” sussurrò Sakura cominciando a singhiozzare. Lee la abbracciò chiudendo gli occhi: sapeva quanto aveva sofferto per la separazione dalle Carte, e il fatto che l’avesse fatto per lui, per l’amore che provava nei suoi confronti, lo riempiva di orgoglio ma anche di tristezza. 





ANGOLO DELLE CARTE: Rieccomi con questo crossover dai mille risvolti...spero la storia vi stia piacendo :D A me sta prendendo molto....Questo capitolo è ricco di mistero: cosa vuole Diego? Perché vuole aiutare Violetta? Questo lo scopriremo...nel frattempo qualcuno attenta alla vita di Sakura, ma per fortuna c'è il suo Lee che la protegge fino alla fine *-* (belli loro....sopra è come li vedo da adulti, diciamo ventenni...). Allora andiamo avanti...il sogno continua a ripetersi (bene, perché adoro vedere Leon e Violetta baciarsi *-*), ma ogni volta c'è un dettaglio diverso...E questa volta si preannuncia proprio l'arrivo di Diego, che salva la vita di Violetta. La scena Leonetta è stata dolcissima. E qui spendo una parola per il povero Leon che si sente dire "Sei un buon amico" quando si era dichiarato e tutto: insomma poverino ç.ç Ma Violetta è stupida, si sa....Sakura nel finale mostra di aver capito tutto (lei sta sempre un passo avanti :D), e nel finale del capitolo stavo per piangere al momento tenero LeexSakura, ma va bene *-* ahahahaha Violetta mentre deve catturare The Cloud comincia a pensare a Leon random, quanta dolcezza *-* Spero che il capitolo vi piaccia :D Fatemi sapere che ne pensate e buona lettura ;)
P.S: allora The Thunder come avrete capito è la Carta del Fulmine, in grado di creare lampi ecc...mentre The Cloud è una Carta essenzialmente poco utile, comunque è in grado di creare nuvole (che fantasia xD), e di creare attacchi anche se non letali.

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Capitolo 7
*** The Little and The Twin ***


Capitolo 7
The Little and The Twin

Francesca entrò di corsa nella sala bianca per la riunione straordinaria indetta da Federico. Chissà quale era l’ordine del giorno, anche se un’idea ce l’aveva eccome. L’arrivo di Diego aveva rimesso tutto in discussione: cosa ci faceva qui a Buenos Aires? Era un nemico o un alleato? E’ vero, aveva salvato la vita a Violetta dal Fulmine, ma ancora non riusciva a fidarsi di quel tipo. Ancora presa da quei pensieri andò quasi a sbattere contro la sua collega, Nata. “Cosa sono quelle occhiaie?” chiese Francesca preoccupata. La Custode dell’Oceania sembrava aver passato numerose notti insonni: “Non ci sono solo le Carte di Clow, tanto carine e simpatiche. Un mostro marino ha attaccato Sidney. E’ stata una faticaccia tenere tutto nascosto, ma adesso per fortuna i cittadini credono si sia trattata di una semplice tempesta. Ho passato ben tre notti insonni ad erigere barriere acquatiche e a cercare di intrappolare quella creatura insieme alla Polizia Speciale Australiana. Sono a pezzi, penso che mi addormenterò a questa riunione”. La ragazza sbuffò reggendosi in piedi per miracolo e si sedette al suo posto. “Manca solo il diretto interessato, Federico” fece notare Stefan, giocherellando con un cubo di Rubik, con le gambe appoggiate sul tavolo. “Se non sbaglio anche tu avevi qualcosa da dirci” disse con tono solenne Federico, spuntando dal nulla dietro la sua poltroncina con degli occhiali da sole. Il ragazzo italiano si mise seduto al suo posto e cominciò a parlare: “Come ben sapete ho indetto questa riunione per parlare di un membro della comunità magica europea di notevole interesse per quanto riguarda la questione delle Clow Cards; il mago in questione si chiama Diego e discende da Clow Leed”. Ci fu un momento silenzio: quel nome incuteva parecchio timore e rispetto. “E cosa dovremmo farci noi? Questa storia riguarda Sakura, Diego e Violetta. Non possiamo intervenire quando si tratta di Eredi di Clow, conosciamo tutti le regole” precisò Thomas, che aveva cominciato a giocherellare con un fiammella apparsa sul palmo della sua mano. Federico annuì, ma continuò a parlare: “Infatti, non faremo proprio nulla. Francesca tu controllerai che Diego non abbia secondi fini, oltre quello di aiutare Violetta, e se lo riterremo necessario riferiremo tutto a Sakura, anche se penso che lei ne verrà a conoscenza prima di noi. Passiamo a un’altra questione, leggermente più preoccupante. Parla pure Stefan”. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio alzò lo sguardo dal cubo di Rubik, che fino ad ora aveva catturato il suo interesse, non appena si sentì chiamato. “Qualcuno ha attentato alla vita di Sakura” disse seccamente il Custode asiatico. Thomas quasi rischiò di cadere dalla sedia, Broadway e Nata si guardarono spaventati, Federico annuì tristemente, Francesca rimase del tutto paralizzata. “Pensiamo si tratti della Setta di Clow” continuò Stefan sempre più serio. “E’ dai tempi del Raduno che non si sente parlare della setta, tanto che ormai tutti pensano si tratti di una leggenda” disse Francesca rompendo il silenzio. “Per ora non riteniamo opportuno informare Violetta di questo pericolo. Non vogliamo aggiungere altre preoccupazioni, inoltre Francesca ci informerà se noterà dei movimenti sospetti” continuò Federico, ponendo poi fine alla riunione. La Custode del Sud America si alzò per raggiungere in fretta Violetta, ma venne bloccata da Thomas. “Vengo con te…non voglio che ti succeda qualcosa di male” disse il ragazzo preoccupatissimo. “Non ho bisogno di aiuto Thomas, ma grazie comunque” esclamò Francesca, nascondendo tutte le paure che, a causa di quella riunione, avevano affollato la sua mente. La ragazza fece un largo sorriso, per poi attraversare il varco e scomparire dietro il varco. “Non ti preoccupare Thomas, ci penso io…” disse Federico. Quest’ultimo aveva da molto tempo una cotta per Francesca, ma non si era voluto mettere in mezzo a loro due, tra cui, aveva notato, vi era una forte attrazione. Federico schioccò le dita per tornare in Europa, sistemare le ultime cose ed andare a Buenos Aires per aiutare Francesca.
“Come va stamattina?” chiese Violetta facendo riscuotere Francesca. “Tutto bene, scusa, ero un po’ assente…Come va piuttosto con il tuo sogno?” rispose l’amica riscuotendosi di colpo. “Sempre lo stesso tutte le notti, ed ogni volta sembra sempre più reale” sussurrò lei, arrossendo al pensiero del bacio con  Leon che ormai era diventato un pensiero costante nella sua mente, visto che lo sognava ogni notte. “E come vanno le cose con Leon?” chiese Francesca intuendo i suoi pensieri. Violetta fece un respiro profondo: “Bene. Finalmente le cose vanno bene. Abbiamo deciso di rimanere buoni amici”. Ed era davvero felice di quella condizione: nessuna complicazione, solo un rapporto affettuoso basato sul rispetto e sulla fiducia. Proprio in quel momento incrociarono Leon con Andres che ridevano e scherzavano. Andres aveva arruffato i capelli a Leon, mandandolo in bestia. Il ragazzo mentre lo rincorreva incrociò il suo sguardo e si sentì morire come ogni volta. “Ciao Leon” esclamò Violetta sorridente, dandogli un bacio sulla guancia. A quel bacio il ragazzo chiuse gli occhi e serrò i pugni: non ce la faceva, non poteva sopportare quella situazione, ma doveva far finta di nulla e esserle amico; almeno le sarebbe potuto stare vicino… “Ora devo andare, ci si vede dopo” disse Leon con un sorriso forzato, per poi dirigersi con Andres nell’aula degli strumenti. “Come va con la canzone che stai componendo?” chiese l’amico mentre stavano per entrare. “Bene grazie, oggi pomeriggio mi fermo per provarla e continuarla, mi vuoi fare compagnia?” chiese Leon un po’ depresso. “Vedi che siamo buoni amici?” esclamò sorridendo Violetta, vedendoli allontanarsi. Francesca si morse il labbro: quella ragazza era cambiata molto da quando aveva iniziato a catturare le Carte; era più solare, più estroversa, ma non era ancora in grado di comprendere i sentimenti delle persone, soprattutto se avevano a che fare con l’amore. E forse era meglio così, anche se le dispiaceva veder soffrire Leon in quel modo. Dopo quelle constatazioni, seguì Violetta alla lezione di Angie; per tutto il giorno tenne d’occhio Diego, ma non notò nulla di strano, a parte l’eccessiva gentilezza del ragazzo nei confronti della Cattura-Carte, gentilezza che non sfuggì né a lei né a Leon, che li guardava quasi disgustato. Quando suonò la campanella e le lezioni finirono, tutti si catapultarono fuori, tranne Violetta, Diego e Francesca. “Se hai bisogno di aiuto per catturare qualche nuova Carta di Clow, fammi un fischio” disse Diego, dandole un bacio sulla fronte e allontanandosi fino ad andarsene, fissandola con quegli occhi azzurri e freddi. Violetta senza rendersene conto era notevolmente arrossita, ma poi ritornò in sé ripresa dall’amica. Sentì un brivido diffondersi lungo tutta la schiena, e notò un piccolo elfo che la fissava affascinato. “Quella è una Carta di Clow! Tira fuori lo scettro presto!” esclamò Francesca in un secondo. Violetta tirò fuori la chiave, ma la Clow Card fu più veloce: in un balzo il folletto con quel buffo cappello a due punte, quasi da giullare, si trovò di fronte a loro per colpirle con un'estremità del del cappello a mò di frusta. Violetta rimase sorpresa da quel gesto, chiudendo per un secondo gli occhi. Quando li riaprì vide il folletto davanti a lei, ma stavolta erano alti uguali: era diventata piccolissima. “Ma certo…si tratta di The Little, la Carta del Rimpicciolimento” esclamò Francesca, anche lei preda di quella magia. “Bisogna afferrargli la punta del cappello per tornare normali e poterla catturare” continuò lei, guardandosi le mani preoccupata: sotto l’effetto della magia di Clow non aveva alcun potere. “Guardala, sta entrando nell’aula strumenti” disse poi la Cattura-Carta cominciando a correre per raggiungerla. Sentì un suono meraviglioso provenire da quella stanza: era la canzone che stava componendo Leon, se lo ricordava bene. Entrò sempre di corsa, seguita da Francesca, ma si dovettero nascondere dietro la base di uno dei leggii presenti per non farsi vedere. “Allora che te ne sembra?” chiese Leon all’amico, che rimase estasiato da quella musica. “E il testo?” lo interrogò Andres, molto curioso. “Al testo ci sto lavorando” disse Leon un po’ pensieroso. “Come vanno le cose con Violetta? Riesci ad esserle amico?” continuò a domandare Andres poggiandogli una mano sulla spalla. “Male. Non ce la faccio più. Quando la vedo arrivare vorrei baciarla e abbracciarla, vorrei sentirla mia e di nessun altro, e invece mi tocca fare l’amico. E questa situazione mi distrugge” esclamò il ragazzo sospirando. “Beh…forse dovresti provare a dirglielo” provò a suggerire Andres, ma a quelle parole Leon sgranò gli occhi: “Stai scherzando? Non posso; le ho già detto quello che provavo per lei, ma è stata piuttosto chiara. Inoltre se esserle amico è l’unico modo per non perderla, allora sopporterò tutto questo. Io non voglio perderla”. Andres annuì ma dentro di sé stava pensando: come faceva l’amico ad essere così sicuro di non piacerle per niente? Violetta aveva rifiutato il vecchio Leon, ma adesso era cambiato, forse aveva ancora qualche possibilità, ora che lei stava imparando a conoscerlo meglio. Ma non voleva infierire, o illuderlo, quindi rimase in silenzio.
Una lacrima scese piano sul viso di Violetta: era una sciocca, una vera imbecille. Aveva frainteso tutto: era chiaro che Leon provasse ancora qualcosa e lei gli aveva solo fatto del male. Francesca si avvicinò e la abbracciò: “Andrà tutto bene…” sussurrò la Custode. Non era vero e lo sapeva anche lei: quella ragazza era destinata a soffrire fino alla fine. I due ragazzi uscirono con l’intenzione di prendere una boccata d’aria, e il folletto si mise sul pianoforte per poi addormentarsi. “Adesso” disse la Custode a bassa voce per non svegliare la Clow Card beatamente appisolata. Le due si arrampicarono fino ad arrivare ai tasti. Spiccando un salto le due si aggrapparono alla punta del berretto dell’elfo, sentendo una grande forza magica fluire dentro di loro; “Buttati!” disse Francesca prima che ritornassero alle dimensioni normali col rischio di sfondare il pianoforte. Francesca si catapultò subito all’uscita della stanza per trattenere eventuali curiosi, mentre Violetta velocemente richiamò lo scettro, mentre il folletto stava saltellando cercando di scappare. “Carta del Vento, io ti invoco; intrappola The Little con la tua magia” esclamò la Cattura-Carte con una luce di sfida negli occhi. Il Vento uscì dalla Carta e intrappolò la Clow Card, che scalciava e si dimenava inutilmente nel tentativo di liberarsi. “E ora torna prigioniera della Carta di Clow” disse Violetta facendo roteare lo scettro in aria e colpendo l’aria. Nel punto dove si fermò la punta dello scettro apparve la Carta che risucchio la creatura magica al suo interno. Prese la Carta con la scritta ‘The Little’ e la osservò con attenzione: sulla Carta era rappresentato proprio quel piccolo elfo con gli occhi chiusi, come se fosse perennemente addormentato. Non appena richiamò lo scettro sentì delle voci: “No, non c’è bisogno, ve lo vado a prendere io lo spartito”. Era la voce di Francesca. La porta si spalancò e vide Leon bloccarsi, rimanendo di sasso. “Non hai letto nulla, vero?” chiese subito lui rossissimo, balbettando e cominciando a sistemarsi i capelli nervosamente, fiondandosi verso il pianoforte e afferrando i fogli sul leggio. “No…non ti preoccupare” sussurrò con un sorriso triste. Voleva dire qualcosa, ma non gli usciva altro. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi dopo quello che aveva sentito, quindi corse fuori seguita da Francesca preoccupata.
 
Violetta dalla scacchiera si ritrovò in una strada isolata; non riusciva ad orientarsi in quell’oscurità perenne. Portò una mano alla fronte per cercare di scrutare meglio e di trovare una qualunque uscita da quella che sembrava essere una gabbia, ma intorno a lei non c’era nulla. Si rese conto di indossare un meraviglioso abito lungo bianco di seta leggerissimo, che le accarezzava dolcemente la pelle e metteva in risalto le sue forme. Sul capo sentiva ancora il diadema nero con incise le parole ‘The True’; comparve all'improvviso quella che doveva essere l’entrata di un parco giochi che sembrava essere abbandonato. Di fronte a lei due gemelli della sua età le sorridevano: avevano gli occhi di un verde intenso, capelli biondi; indossavano un paio di jeans e due magliette di un verde scuro. Le tesero la mano, dicendole qualcosa; ma non riusciva a sentire nulla, quelle bocche sembravano non emettere alcun suono. Improvvisamente i due gemelli scomparvero e al suo posto apparve Leon, che la guardava dolcemente, avvicinandosi piano. Anche lui portava la corona del sogno della scacchiera; Violetta arretrò imbarazzata, finche dietro di lei non sentì un muro. Il ragazzo la intrappolò poggiando le sue braccia sulla parete e avvicinandosi ancora di più chiudendo gli occhi. Violetta non riusciva a fare niente, non riusciva a muovere un muscolo, fu solo in grado di chiudere gli occhi mentre le loro labbra si sfiorarono, dando vita ad un bacio eterno, fuori dal tempo. Le loro lingue si erano incontrate e si stavano cercando senza sosta, accarezzandosi dolcemente. Improvvisamente si ritrovò stesa su un letto con Leon sopra che continuava a baciarla con sempre più foga. Quando lui scese più giù lungo il collo, Violetta vide sul comodino vicino le due corone appoggiate, che scintillavano. Poi ritornò con lo sguardo verso Leon che le stava lasciando baci e morsetti leggeri lungo la spalla, facendola impazzire; prese il suo viso tra le mani per riportarlo alla bocca: le sembrava impossibile vivere senza quelle sensazioni. Senza pensarci lasciò scorrere le mani fino ai lembi della sua maglietta per portarla su fino a toglierla.
Violetta si risvegliò tutta sudata e rossa in viso. Aveva caldo, troppo caldo; si alzò per andare in bagno e sciacquarsi il viso. Quel sogno…era diverso dagli altri. E poi lì lei e Leon stavano…cercò di riprendersi ma si rese conto di avere le mani che sudavano. Lei non era innamorata di Leon…oppure si? Certo era un bel ragazzo, un bellissimo ragazzo, con quegli occhi verdi così affascinanti. Si riscosse in fretta da quei pensieri: Leon era un amico ai suoi occhi, niente di più. Fece un respiro profondo: il suo inconscio le stava probabilmente dicendo che per quel ragazzo nutriva un affetto molto profondo, ma nulla di più… Non c’era niente tra di loro, né mai ci sarebbe stato. Ritornò a letto, infilandosi sotto le coperte e cercando di prendere sonno pensando inconsapevolmente al profumo di Leon.
Il giorno dopo era una bellissima giornata e per di più era un sabato, quindi Violetta non si sarebbe dovuta recare allo Studio. Decise di fare una bella passeggiata, quindi si vestì con un completino bianco che le metteva allegria, si mise un filo di trucco e prese la borsetta. “Papà, io vado a fare una passeggiata” disse Violetta, ottenendo il consenso di German. Non appena uscì fuori, un venticello fresco le accarezzò dolcemente il viso, facendole dimenticare tutti i pensieri di quella notte. Voltò l’angolo con l’intenzione di chiamare Francesca, ma poi la sua attenzione fu attratta da due strani individui: erano i due gemelli del sogno. Rimase a bocca aperta: erano ai lati opposti della strada seduti sul rialzamento del marciapiede. I due la guardarono, poi lanciandosi una sguardo complice, si avvicinarono; un gemello la aveva preso la mano sinistra, l’altro la mano destra. Le fecero cenno di seguirla, la volevano portare in un posto probabilmente. “Nemmeno vi conosco” cercò di dire Violetta, opponendo un po’ di resistenza. “Ma noi conosciamo te” ribatterono i due all’unisono. La guardarono con quegli occhi che le ricordavano tanto Leon, quindi si lasciò guidare. Dopo che i due gemelli furono passati, un gatto attraversò la strada, e al suo fianco comparve una sua esatta replica identica in tutto e per tutto che cominciò a miagolare.
Leon cominciò a camminare velocemente, cercando di allontanare il costante pensiero di Violetta. Decise di dirigersi in uno dei suoi luoghi preferiti, quindi prese l’i-pod e lo spartito con dei fogli bianchi e una matita: forse lì avrebbe trovato la sua ispirazione. Mentre camminava non poté fare a meno di pensare a Violetta; in quegli ultimi giorni aveva cominciato a evitarlo nuovamente, e tutto questo lo faceva stare malissimo. Osservò per un secondo il cielo e sospirò: quanto voleva non essere innamorato a tal punto da soffrire in quel modo...
“Dove mi volete portare?” chiese Violetta, senza ottenere risposta. I due si voltarono nuovamente, sorridendole in modo rassicurante. La ragazza non sapeva perché, ma sentiva di potersi fidare, avvertiva in loro qualcosa di familiare. Si trovarono in quello che doveva essere un parco abbandonato, identico a quello del suo sogno. Violetta affinò i suoi sensi chiudendo gli occhi in un secondo e poi improvvisamente capì: “Voi siete una Clow Card, giusto?”. I due gemelli la guardarono con un’aria molto furba e sorpresa allo stesso tempo. “Sei brava” dissero i due all’unisono, indicando un’altalena. In quel preciso istante le altalene diventarono due. La Cattura-Carte rimase in silenzio: aveva paura. Che cosa le avrebbero fatto? L’avrebbero attaccata? “Non vogliamo farti nulla. Volevamo solo conoscere la nuova padrona delle Carte di Clow” precisarono i due, come se fossero in grado di leggergli il pensiero. “Ci ricordi tanto Sakura” conclusero con uno sguardo triste. “Verrete con me senza combattere?” chiese lei, ancora un po’ intimorita. “Noi non saremo mai una tua proprietà, Violetta” dissero diventando improvvisamente seri. Violetta richiamò lo scettro e invocò il Vento per catturarli: uno dei gemelli riuscì a fuggire, ma l’altro rimase intrappolato. Ne approfittò per catturare almeno lui: “Carta che possiede il potere dell’oscurità, riassumi le tue sembianze originarie”. Il giovane venne risucchiato dalla Carta comparsa a mezz'aria, ma c’era qualcosa di diverso dal solito; solo metà Carta era comparsa, scomparendo subito dopo nel nulla e facendo ricomparire al suo posto il gemello che le fece la linguaccia: “Ci devi catturare insieme, Cattura-Carte. Incredibile come tu non abbia imparato nulla da Sakura. Fate anche gli stessi errori”. I due gemelli tornarono insieme e poi cominciarono a correre, dividendosi ogni tanto. Al loro passaggio gli oggetti si raddoppiavano; Violetta usò The Fly per avere una panoramica generale: dall’alto vide una dozzina di scivoli tutti uguali riempire il parco. Scese planando velocemente per tagliare la strada  alla Carta di Clow. “Smettetela” strillò lei mettendosi coraggiosamente davanti a loro, che senza prestarle la minima attenzione, la scansarono facendola cadere per terra; Violetta si guardò le mani polverose, poi prese The Thunder: “Carta di Clow, concedimi la tua forza e aiutami a fermare i due gemelli”. La tigre fatta di fulmini e lampi scaturì dalla Carta scaraventandosi contro i ragazzi, intrappolati da un muro in mattoni rossi che delimitava il confine del parco. Violetta si avvicinò con uno sguardo severo: “Adesso mi avete stancato. Tornate prigionieri della Carta di Clow!”. Fece comparire con l’aiuto dello scettro la Carta in aria e i due gemelli la guardarono soddisfatti: era in gamba e forse avrebbe potuto prendere il posto di Sakura. La Carta era bellissima: due gemelli bambini vestiti da giullari erano raggomitolati formando una sorta di cerchio; sotto di essi vi era la scritta ‘The Twin’. Ma certo, si trattava della Carta del Doppio. Tutte le copie nel parco scomparvero lentamente, e lei richiamò lo scettro stanca ma soddisfatta. Decise di riposarsi e si sedette un po’ sull’altalena, dondolando lentamente. Improvvisamente sentì qualcuno da dietro darle una spinta che le fece soffiare un leggero venticello sul viso; si voltò non appena mise i piedi per terra e rimase sorpresa alla vista di Leon: “Che ci fai qua?”. Il ragazzo la guardò per un secondo: era proprio destino. Più cercava di evitarla, più la incontrava anche in posti inaspettati. “Potrei farti la stessa domanda” disse lui in tutta risposta sorridendo. “Questo è il mio secondo posto preferito di tutta la città. Ci venivo da piccolo a giocare e adesso ci torno di tanto in tanto quando mi manca l’ispirazione” disse Leon avvicinandosi. "E qual è il tuo posto preferito?" chiese curiosa. "Forse un giorno lo scoprirai" disse lui, scoppiando in una risata; Leon indossava gli stessi vestiti del suo sogno, mancava solo la corona. Violetta, non appena se ne rese conto, cominciò ad arretrare spaventata da quella coincidenza troppo strana, mentre il ragazzo si avvicinava sempre di più preoccupato per quella reazione. Si ritrovò con le spalle contro il muro dove fino a poco tempo fa era stata intrappolata la Carta del Doppio. Leon si trovò a pochi centimetri da lei: era così bella da non riuscire a resisterle; poggiò una mano sulla sua guancia e l’altra sul muro impedendole una via di fuga. Non che potesse fare nulla: Violetta era completamente paralizzata, con le braccia portate in avanti nel tentativo di evitare un contatto, che stava ormai diventando inevitabile. Sentì il naso di Leon sfiorare leggermente il suo, sentì il suo respiro farsi sempre più veloce. Chiuse gli occhi mentre avvertì il cuore quasi fermo per quanto batteva veloce. Ormai ne era certa: quel bacio per quanto cercasse di nasconderlo, lo desiderava più di ogni altra cosa e le sembrava quasi inevitabile. Le loro labbra si stavano per sfiorare, quando tornò in sé. “No, Leon, io…” sussurrò lei, svegliandosi da quello che le parve un sogno bellissimo. Sentì il corpo di Leon, premuto contro il suo, allontanarsi: “Hai ragione, scusa. Tu hai messo fin da subito le cose in chiaro. Siamo buoni amici, e non avrei dovuto...”. Quella risposta, non sapeva perché, la feriva profondamente; già, loro erano amici e basta. Amici. Senza dire nulla cominciò a correre mentre le lacrime scendevano senza controllo. Non voleva. Non voleva innamorarsi di Leon, eppure con il passare del tempo aveva imparato a conoscere il lato sensibile, romantico e affettuoso del ragazzo; e le piaceva tanto, forse anche troppo.
Sakura si alzò dal letto per dirigersi in biblioteca e consultare i Diari del Raduno. Quando entrò in quella stanza enorme con scaffali pieni di libri di ogni tipi, senza battere ciglio o fermarsi un secondo, entrò nel reparto riservato alla storia magica di Clow Leed e della sua successione. Prese un enorme librone dorato e lo appoggiò al tavolino; sopra delle lettere argentate componevano la scritta: ‘Diario V: Il Raduno’. Sfogliò pigramente il libro, con molta calma e attenzione, poi lo trovò; era il paragrafo che le interessava:
‘Durante il Raduno l’anziano Takamichi, parente di Lee Shaoran, dichiarò al mondo intero l’ingiustizia commessa. Come poteva la nuova Padrona imporre quella regola tanto ingiusta? Sakura infatti aveva stabilito che il nuovo Padrone in futuro sarebbe stato scelto senza tenere conto della parentela o meno con Clow Leed. “Come è possibile accettare una legge del genere?Le Carte di Clow sono artefatti magici che devono passare di generazione in generazione. E’ l’orgoglio di noi discendenti di Clow. Sakura Kinomoto e Lee Shaoran sono dei traditori della nostra generazione e come tali devono essere spodestati. Un giorno noi veri eredi del più grande mago della storia gliela faremo pagare!” esclamò Takamichi. Queste furono le sue ultime parole prima di scomparire nel nulla. Da allora si vocifera della nascita di una setta, detta Setta di Clow, un’organizzazione segreta con l’obiettivo di ristabilire il presunto prestigio perso con l’ascesa di Sakura, eletta a pieno titolo Padrona delle Clow Cards, con l’appoggio di Eriol, incarnazione del sopracitato mago orientale’
Sakura richiuse il libro e cominciò a pensare: aveva paura che gli adepti della Setta di Clow potessero intervenire e cercare di danneggiare la povera Violetta, non ritenendola degna di essere la nuova Erede. Doveva parlarne con Lee e prendere una decisione, in fretta. 





ANGOLO DELLE CARTE: Rieccomi!!! Come avrete capito sto cercando di aggiornare questa ff almeno una volta a settimana, perchè ci tengo davvero tanto ç.ç Ok, questo capitolo lo adoro, per le scene Leonetta; visto che nel prossimo ci concentreremo più su altri personaggi, approfittiamo di tutta questa Leonettosità *-* Niente, non so che dire a parte...Violetta è scema yeahhhh. Solo lei non aveva capito che Leon faceva l'amico solo per starle vicino. Ma d'altronde come ha pensato Francesca forse sarebbe stato meglio così. Allora vi piacciono queste Carte?? :D Devo dire mi affascina molto il Doppio (non solo perché sono del segno zodiacale del Gemelli), ha un non so che di particolare. Inoltre ho deciso di fargli prendere sembianze umane di ragazzi, per rendere più suggestivo il loro incontro. Quanto ci ho sperato nel bacio...ma d'altronde sarebbe stato un bel problema, quindi forse meglio così...Però rimangono comunque bellissimi (il sogno... :Q_____). Credo di aver detto tutto... buona lettura alla prossima :D :D
P.S: The Little è in grado di rimpicciolire qualunque cosa, anche persone, come si vede dall'episodio. The Twin invece può raddoppiare qualsiasi cosa: persone, oggetti...una versione scrausa (o forse migliorata) di The Mirror? Ebbene si (ma li amo lo stesso questi due gemelli *-* Viva Gemelli :D)

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Capitolo 8
*** The Float and The Power ***


Capitolo 8
The Float and The Power

Lee era seduto nella sala del trono, rigirandosi tra le mani un peluche un po’ trasandato, un orsacchiotto più precisamente. Per lui aveva un significato profondo: rappresentava il legame d’amore che lo univa con Sakura:
‘Sakura fece una corsa: era sicura che non avrebbe mai fatto in tempo. Ma aveva creato quella carta, ‘The Hope’ che le dava ancora speranza. Quella Carta era servita a fare in modo che i suoi sentimenti risultassero ancora più chiari. Continuò a correre finché non si ritrovò davanti un imponente edificio: la stazione. Entrò e lo vide: era il suo Lee, che si stava preparando per dirigersi verso il treno. “Lee!” esclamò per avvicinarsi lentamente. Il ragazzo si voltò e non poté fare a meno di sorridere: allora le importava davvero di lui; anche se non ricambiava i suoi sentimenti a lui bastava sentirsi un po’ importante per lei, occupare una piccola parte del suo cuore. I due rimasero in silenzio. “Posso avere il tuo orsacchiotto?” chiese dolcemente Sakura indicando il peluche che teneva tra le braccia. Lee annuì e glielo porse; nel momento in cui le loro mani si sfiorarono i due sentirono che tutto sarebbe stato possibile, anche il loro amore’
“A cosa stavi pensando?” chiese Sakura sedendosi accanto a lui. “Niente di importante” rispose lui, riprendendosi da quei ricordi così significativi. “Allora come va la nostra nuova Erede?” chiese Lee, osservando il suo sguardo dubbioso. “I miei dubbi si sono avverati. Si sta per innamorare…Lee ti devo parlare di una cosa che mi angoscia particolarmente” disse Sakura, prendendogli la mano e cominciando a raccontare tutto sulla setta di Clow. “Vuoi che parli con Diego?” disse il marito con sguardo preoccupato. “Si, vorrei che gli parlassi, per scoprire le sue intenzioni. I Custodi non ne hanno l’autorità, invece tu…” esclamò lei. “Sarà fatto. Mi preparo per partire, allora” disse Lee, alzandosi e dirigendosi verso la loro stanza da letto per preparare l’occorrente per il viaggio. “Lee” disse Sakura mentre stava per uscire. L’uomo si girò non appena si sentì chiamare. “Stai attento. Non voglio che ti succeda qualcosa di male” lo raccomandò con gli occhi velati dall’ansia e dalla tristezza. “Non ti preoccupare, mia regina” la rassicurò Lee con un inchino profondo. Quando le porte si richiusero, Sakura chiuse gli occhi e pregò con tutto il cuore che al suo amato non accadesse nulla di terribile.
“Leon, che ne dici oggi di farci una passeggiata? Ci potremmo prendere un gelato” chiese Ludmilla con una certa insistenza, sperando che il ragazzo desse una risposta affermativa. “Certo” rispose educatamente Leon, mentre controllava uno spartito. Aveva capito di essersi comportato male con Ludmilla in quegli ultimi giorni per andare dietro a Violetta, che ultimamente aveva preso a evitarlo, tanto per cambiare. “Dopo le lezioni, allora” disse lei entusiasta, avendo voglia di saltellare ma cercando di mantenere una certa dignità. Gli diede un bacio sulla guancia e si avviò a lezione. Leon rimase un po’ sorpreso da quel gesto, poi sorrise: era bello sentirsi amati per una volta. Era stanco di rincorrere Violetta sempre e comunque, doveva almeno provare a voltare pagina. Si diresse alla lezione di Angie, ancora pensieroso per la reazione di Violetta durante il loro ultimo incontro; in parte sentiva di non essergli indifferente, ma poi con i fatti smentiva tutto. “Se siete tutti direi di iniziare la lezione con qualche solfeggio” esclamò Angie allegramente, chiudendo la porta dell'aula per dare inizio alla lezione. Tutti gli studenti sbuffarono. “Beh…se eseguite gli esercizi, nell’ultimo quarto d’ora vi lascio liberi di cantare quello che volete” cercò di corromperli l'insegnante alzando le mani. La lezione stava per finire e la donna mantenne la sua promessa: “Allora, chi vuole farci sentire qualcosa. Io vorrei sentire Violetta”. A quelle parole tutti si voltarono verso la ragazza: nessuno l’aveva mai ascoltata cantare ed erano tutti curiosissimi di sapere che voce avesse. “Io…io non me la sento. Ho un fortissimo mal di gola” disse lei, arrossendo. “I tuoi mal di gola sono un po’ troppo frequenti, ma va bene. Chi vuole venire, allora?” chiese Angie, rivolgendosi al resto della classe. “Io!” esclamò Ludmilla, alzandosi con eleganza e dirigendosi verso la pianola. “Che bello. Ti sento solo tutti i giorni. Che canzone suoni?” disse Angie sbuffando. Domanda retorica: sapeva benissimo che avrebbe suonato la stessa canzone di tutte le altre volte. “Destinada a brillar” esclamò con un sorriso furbetto, facendo poi partire la musica. Mentre cantava si avvicinò a Leon, facendogli gli occhi dolci. Violetta li guardò un po’ nervosamente. Era contenta che Leon potesse avere una storia con qualcun altro…Ma allora perché aveva voglia di spaccare qualcosa? Quando la musica finì, Ludmilla gli era seduta sulle gambe continuando a guardarlo come se volesse azzannarlo da un momento all’altro. All’uscita Violetta si mise a parlare con Maxi e Francesca del più e del meno, cercando di non pensare alla scena vista qualche minuto fa. “Chi mi accompagna oggi al negozio di fotografia? Devo comprare alcune schede di memoria e un obiettivo nuovo. Il vecchio è stato danneggiato dal Fulmine l’ultima volta” disse Maxi, sospirando per la perdita di quello che sembrava essere stato un grande amore. “Mi spiace, io non posso. Ultimamente sto trascurando eccessivamente i miei doveri di Custode, devo sbrigare alcune faccende” spiegò Francesca, sinceramente dispiaciuta. “Vengo io, Maxi” si propose allegramente Violetta: finalmente un pomeriggio in cui avrebbe avuto la possibilità di rimuovere tutti i pensieri che affollavano la sua testa. “Bene, grazie mille!” esclamò Maxi, prendendole la mano e trascinandola lungo la strada. Il pomeriggio trascorse abbastanza tranquillamente. Al negozio di fotografia, Maxi sembrava un bambino. Si aggirava tra gli scaffali indicando prima un obiettivo, poi qualche modello uscito da poco in commercio. “Questo è il paradiso!” disse il ragazzo con un sorriso enorme e con una strana luce negli occhi. Violetta sorrideva: doveva essere bello avere una passione così grande, e portarla in fondo fino alla fine. “Perfetto, ho trovato proprio ciò che cercavo” concluse Maxi con aria soddisfatta, con un obiettivo tra le mani. Non appena furono usciti la luce del sole li accecò per qualche minuto, poi il ragazzo le propose di andare a prendere un gelato in un bar nelle vicinanze. Violetta annuì entusiasta: aveva proprio voglia di qualcosa di fresco in quella giornata così calda. I due raggiunsero un piccolo locale lì vicino, con dei tavolini fuori. “Allora…io prendo cioccolata, nocciola e tiramisù” disse lei, indicando i vari gusti mentre non vedeva l’ora di assaggiarli. “Ci vai leggera” scherzò Maxi, con un sorrisetto. Quando anche Maxi ebbe preso il suo cono, fecero una passeggiata nei dintorni, osservando un parco nelle vicinanze e decidendo di andare all’ombra di quei maestosi alberi. “Come va con i tuoi sogni?” chiese poi, rompendo il silenzio. Quella domanda le fece male: sicuramente gliene aveva parlato Francesca. Ma non era tanto quello a darle fastidio, quanto il fatto che il pensiero del sogno le riportava automaticamente alla mente Leon, e lei quel giorno non voleva proprio pensarci. “Per fortuna è da un po’ di giorni che non faccio sogni strani" disse tranquillamente. Non era vero, mentiva. Ultimamente i sogni si erano fatti sempre più vividi e realistici, e la scena della scacchiera la tormentava non appena chiudeva gli occhi; non voleva però far preoccupare i suoi amici: le piaceva vederli spensierati, senza preoccupazioni. Ultimamente Francesca era un po’ strana: era sempre tesa e pronta a scattare a qualunque rumore, con la paura che si leggeva chiaramente nei suoi occhi. Quando aveva provato a chiederle cosa avesse, aveva semplicemente risposto che era tanto stanca ultimamente, a causa di alcune missioni notturne che aveva dovuto intraprendere. Sapeva benissimo che le stava mentendo, ma per non insistere aveva fatto finta di crederci.  Stavano per percorrere il sentiero alberato che si inoltrava nel parco senza essersene resi conto quando una panchina attirò la loro attenzione: lì vi erano seduti Leon e Ludmilla che scherzavano allegramente con in mano due granite. Violetta si fermò di colpo: non poteva essere…Era un incubo, una persecuzione. Non pensava che avrebbe sofferto così tanto alla vista dell’intesa tra quei due e la sua testa non riusciva ad elaborare altro se non un odio profondo nei confronti di Leon. Lasciò cadere il gelato e il suo movimento le parve andare a rallentatore, come nei film. “Violetta, che ti succede?” esclamò Maxi, preoccupato dal suo sguardo perso nel vuoto e picchiettando la sua spalla, poi si voltò e capì. Leon e Ludmilla alzarono lo sguardo e li videro, poi lui scattò in piedi, fissandola attentamente, pronto a reagire ad ogni sua mossa. “Perdonami, sono molto stanca, vado a casa” sussurrò Violetta, voltandosi di scatto, per non farsi vedere in quel momento di fragilità cominciando a correre. Leon la voleva seguire, cominciò a camminare mentre la biondina cercava di trattenerlo: “Leon, non vorrai mica seguirla?”. “Torno subito, devo parlarci un attimo” esclamò il ragazzo, mentre i suoi occhi cercavano quelli di Violetta, senza alcun risultato. Spiccò anche lui una corsa ma Maxi si mise in mezzo: “Che ne dici di fare una partitina a…a…a calcio?”. “Non, ora Maxi” disse il ragazzo, scostandolo e continuando a inseguire di corsa la fuggitiva. “Puoi anche non tornare! Capito, Leon? Non ti disturbare!” strillò Ludmilla, diventando nera per la rabbia. Maxi si sedette vicino a lei cercando di consolarla: “Vuoi un po’ del mio gelato?”. “Te lo puoi scordare” disse lei, alzandosi di scatto con gli occhi lucidi. “Stai bene?” chiese lui, premuroso. La ragazza non rispose e cercando di non farsi vedere fuggì lasciandolo seduto su quella panchina. Il ragazzo alzò lo sguardo verso l’alto; ecco che era rimasto da solo, tanto per cambiare. Non si rese conto che lentamente la panchina si stava sollevando da terra, finché non sentì la terra mancare sotto i piedi…
“Violetta, fermati!” urlò Leon, sperando che lo ascoltasse, ma più la incitava a fermarsi più lei correva veloce. La vide cambiare via e fece uno scatto per non perderla di vista, ma quando girò l’angolo vide la strada completamente vuota. Strano…come aveva fatto a far perdere le sue tracce così velocemente? Si guardò un po’ intorno confuso, poi alzando le spalle rassegnato se ne andò. Da un muretto che cingeva una villa, che si affacciava sulla strada, fece capolino la testa di Violetta. Quando fu sicura che non ci fosse nessuno, sbucò fuori. “Grazie, The Through” sussurrò, deponendo un bacio sulla Carta dell’Attraversamento. Aveva rischiato molto: qualcuno avrebbe potuto vederla usare la magia; ma la verità è che lei non era stata in grado di pensare, aveva agito e basta. Era stata troppo impulsiva, Francesca l’avrebbe sicuramente sgridata se ne fosse venuta a conoscenza, non che lei avesse intenzione di dirglielo. Avrebbe fatto di tutto per evitare un contatto con Leon, per non dover sopportare il suo sguardo posato su di lei, mentre tirava fuori qualche giustificazione. In quel momento il telefono vibrò: “Pronto?” rispose lei con il fiatone per la corsa intrapresa. “Abbiamo un piccolo problema. Alza lo sguardo” disse Maxi. Violetta eseguì i suoi ordini e rimase senza parole: Maxi, seduto su una panchina, la salutava a circa dodici metri da terra. “Aspettami, vengo a salvarti” si raccomandò Violetta, richiamando lo scettro. Prima di tutto doveva essere sicura che nessuno potesse guardare quel fenomeno assurdo. “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco. Copri il cielo, e nascondi Maxi. Vai, The Cloud!” disse puntando lo scettro sulla Carta invocata: un piccolo elfo sbucò in cielo su una nuvola, che pian piano si espanse coprendo il cielo e soprattutto l’amico. “Fase uno del piano completato” disse tirando fuori la Carta del Volo. Ma così avrebbe dovuto usare due Carte di Clow contemporaneamente…e Francesca le aveva spiegato che non era affatto semplice, bisognava avere una discreta forza magica. ‘Come posso sapere se sono in grado?’ si chiese dubbiosa la Cattura-Carte rivolgendo lo sguardo verso l’alto. Doveva provarci, non aveva molte alternative: le mancava la presenza di Francesca a darle consigli, ma non voleva disturbarla, soprattutto in questo periodo che era così piena di preoccupazioni. Per una volta voleva farcela da sola. “Carta del Volo, permettimi di raggiungere il mio amico!” sussurrò Violetta, colpendo anche la Carta del Volo con lo scettro. La Carta della Nuvola si indebolì leggermente, facendo schiarire un po’ le nuvole nere che diventarono di un colore grigio chiaro, riuscendo ancora a nascondere la presenza della panchina volante. Lo scettro si allungò e un enorme paio di ali comparirono scintillando. Violetta salì in groppa al suo mezzo di volo e, approfittando del grigio delle nuvole, si avvicinò tranquillamente a Maxi, mettendoci un po’ poiché l’aveva perso di vista. Lo ritrovò qualche metro più in su. Stava andando sempre più in alto… La ragazza si avvicinò porgendogli la mano: “Afferrala e sali sul mio scettro”. Maxi non se lo fece ripetere due volte, e cercando di non pensare all’altezza, strinse la sua mano e spiccò un piccolo salto, aggrappandosi alla sua vita terrorizzato. “Perfetto” disse Violetta, tirando un sospiro di sollievo, poi planò a terra per farlo scendere e tornò in cielo, per catturare quella che sicuramente doveva essere una Carta di Clow. Quando fu abbastanza vicina all’oggetto volante, ritirò la Carta del Volo, ritrovandosi sospesa nel vuoto: “Torna prigioniera della Carta di Clow, è la tua padrona che te lo ordina”. Puntò lo scettro verso la panchina e una sorta di piccola mongolfiera rosa si rivelò per poi venire risucchiata nella Carta. Stava per cadere da un momento all’altro quando sentì qualcosa di soffice fermare la sua caduta imminente. Una nuvola la sosteneva magicamente. “Grazie, The Cloud” disse Violetta con un sorriso, passando la mano sulla superfice della nuvola. La nuvola scese leggermente di quota fino a farle appoggiare delicatamente i piedi per terra, per poi ritornare nella Carta. “Allora, di che si tratta?” chiese Maxi, elettrizzato. Si era ritrovato coinvolto in prima persona in un’avventura mozzafiato e il suo unico rimorso era stato quello di non aver ripreso tutto. La Cattura-Carte studiò il suo nuovo artefatto magico: ‘The Float’. “Il Galleggiamento…” lesse piano, per poi abbracciare Maxi di getto. Le era tornato in mente l’incontro tra Leon e Ludmilla, e voleva solo sfogarsi con qualcuno. Maxi le accarezzò leggermente la testa: “Dai, non essere triste. In fondo forse è meglio così…per te, intendo”. Già era meglio così…e allora perché si sentiva così affranta?
 
“Sei pronta?” chiese German, con un sorriso complice. “Me lo chiedi anche?” rispose Violetta, al settimo cielo. Oggi il padre l’avrebbe portata a vedere una partita amatoriale di calcio, e, cosa più importante, sarebbero stati solo loro due, senza la presenza ingombrante di Jade. Per quanto lei non amasse quello sport, alla proposta del padre di passare un pomeriggio insieme da soli non aveva potuto fare altro che accettare, entusiasta. I due uscirono: era una domenica mattina, molto tranquilla all’apparenza, non poteva certo immaginare cosa sarebbe successo.
“Wow!” esclamò la ragazza, osservando il circolo sportivo in cui il padre l’aveva portata per vedere la partita. Era pieno di gente venuta lì per il loro stesso motivo. E tra loro c’era qualcuno di sua conoscenza: “Diego. Che ci fai qui? E…Francesca?” chiese osservando i due che si squadravano. La Custode aveva cominciato da qualche settimana a seguire tutti i movimenti del giovane erede di Clow, e stamattina l’aveva pedinato fino a raggiungere quel posto. Probabilmente aveva intenzione di incontrare Violetta, ma non riusciva a capire come avesse fatto a predire il luogo in cui si sarebbe trovata. “Li conosci?” chiese gentilmente il padre. “Si, sono dei miei amici…” rispose Violetta tranquillamente, senza staccargli gli occhi di dosso. “Allora possono venire con noi…Dai, che la partita sta per iniziare” esclamò il padre allegro: aveva anche l’occasione di conoscere meglio le persone che frequentava la figlia, e ne era contento. Si sederono sugli spalti, poi Diego si voltò indietro e notò un giovane che lo fissava: poteva avere circa 25 anni; voleva andare lì e chiedergli cosa avesse da guardare, ma si trattenne; non doveva commettere passi falsi con Violetta. La partita iniziò tra gli applausi generali. Poiché si trattava di un’amichevole, non vi era un clima teso o agguerrito, ma l’allegria e il buon umore regnavano sovrani tra gli spalti. Faceva molto caldo e Violetta cominciò a sentire una certa sonnolenza impadronirsi di lei verso la fine del primo tempo. Chiuse un secondo gli occhi e…
Si ritrovò in quell’enorme scacchiera. E ancora una volta osservò lo sguardo di Leon, desiderando suo malgrado di arrivare subito alla scena del bacio. Quel momento per lei era diventato come una droga, desiderava le labbra calde di Leon poggiate delicatamente sulle sue, e ogni volta che si separavano si sentiva estremamente insoddisfatta, come se fosse durato tutto troppo poco, come se fosse accaduto troppo in fretta e non se ne fosse accorta. Ancora una volta Diego prese il posto di Leon accanto a lei sul trono; “La tua prossima mossa?” chiese Sakura dall’altra parte della sala. Diego rispose: “Mangiare la Regina e Scacco al Re”. Quello scambio di battute: lo viveva quasi ogni notte. Ma poi accadde qualcos’altro. Il Re Nero, si alzò, poggiò lo scettro sul trono e sguainò una spada argentata. Si diresse verso il centro della scacchiera, raggiunto poi da Diego. I due si scontrarono in un duello, studiando ogni movimento dell’avversario. “No, basta!” urlò Sakura con le lacrime che scendevano. Non se l’aspettava ma sentì delle lacrime scendere piano anche sul suo viso. Provava gli stessi sentimenti della Regina Nera: come era possibile?
“Violetta! Violetta!” strillò Francesca, agitatissima sventolandogli un giornale per farle prendere aria. German era accanto a lei e le sentiva il polso, mentre Diego non c’era. Si passò le mani sul volto e si rese conto di aver pianto davvero. La Custode era ormai sicura che Violetta stesse acquisendo dei poteri magici talmente forti da farle avere sogni premonitori sempre più dettagliati e specifici. Diego tornò con un po’ di acqua zuccherata non ghiacciata che aveva chiesto al bar lì vicino. “Tutto bene?” chiese porgendogli il bicchiere. “Si, ora sto bene, grazie” rispose lei, sorridendogli riconoscente. “Se non ti senti bene, possiamo anche tornare a casa, tesoro” le bisbigliò German, ancora scosso per quello che era successo. “No, papà voglio rimanere!” insistette Violetta, rimettendosi seduta, e sorseggiando lentamente la bibita che le avevano portato. “Sarà stato un colpo di sole” ipotizzò Diego, sedendosi vicino a lei e passandole un braccio intorno alle spalle. La Cattura-Carte si scostò a quel gesto: “Penso stia per ricominciare la partita”. Infatti il fischio dell’arbitro avvertì dell’inizio del secondo tempo. In quel preciso istante un lampione che si trovava ai lati del campo per illuminarlo la sera si staccò e cadde, scatenando il panico generale. Qualche minuto dopo una porta si staccò violentemente schiantandosi addosso alla rete che separava gli spalti. “Ma cosa…” esclamò German, coprendo il corpo di Violetta col suo per proteggerla. “E’ una Clow Card, lo sento” sussurrò Violetta a Francesca, cercando di non farsi sentire dal padre. “Ma come facciamo ad allontanarlo?” chiese la Custode indicando l’uomo. “Non ne ho idea” rispose l’amica, mordendosi il labbro inferiore e cercando di concentrarsi. German li trascinò fuori dagli spalti con l’intenzione di fuggire via: “Ci devono essere stati dei problemi con le attrezzature, è l’unica spiegazione logica plausibile”. “Vado in bagno!” esclamò Violetta, fermandosi di colpo. “Anch’io!” disse Francesca. L’uomo li guardò un po’ perplesso. Poi insistette per accompagnarle, ma alla fine si arrese e si rassegnò ad aspettarle in macchina. Diego le voleva seguire ma si sentì afferrare il braccio: il tipo di prima. “Immagino di aver capito…Sto parlando con Shaoran Lee?” disse Diego con tono pacato. Lee gli sorrise e annuì: “Ti devo parlare, Diego. Da Erede di Clow a Erede di Clow”.
“Allora, di che si tratta?” chiese Violetta sbucando sul campo insieme all’amica, mentre controllò che gli spalti fossero vuoti. Anche i giocatori erano scappati, quindi il campo era deserto. Un altro palo si sollevò da terra, indirizzato contro di loro, ma Violetta richiamò rapidamente The Wood per bloccarlo. “Ci sono! E’ la Carta della Forza” esclamò la Custode con un sorrisetto soddisfatto. Una dietro l’altra le due panchine vennero scaraventate nel tentativo di schiacciarle. Ma una figura si mise davanti a loro, creando una barriera di fuoco. “Ma…” balbettò Francesca, rimanendo a bocca aperta. Con il suo sorriso smagliante Federico si voltò verso di loro, facendole segno che era tutto a posto. “Federico?!” esclamarono le due all’unisono. “Violetta, la Carta della Forza si ferma solo se viene sfidata. Sfidala, adesso!” le spiegò Federico, mentre Francesca lo guardava con disappunto: “Glielo stavo per spiegare io!”. “D’accordo, allora…Forza, mi stai ascoltando? Che ne dici di una sfida?” disse Violetta alzando il tono di voce per farsi sentire. Improvvisamente al centro del campo apparve una minuta figura rossa con uno strano vestito svolazzante: stava sorridendo, felice di poter mostrare la sua forza. “Che bello!” esclamò la Carta. “Faremo una gara. Io ti farò tre tiri con un pallone in porta. Per vincere dovrai pararne almeno uno. Puoi usare tutte le Carte di Clow che vuoi, tanto non mi batterai” continuò poi con gli occhi che scintillavano e un ghigno malvagio. “Astuta…ha avvertito che non ci sono Carte in grado di contrastarla e ti ha permesso di usarle” disse Federico. “Ma mi sottovaluta!” disse carica la Cattura-Carte. Si infilò dei guanti da portiere lasciati lì dai giocatori e si avvicinò alla porta. La Forza la guardò soddisfatta, poi diede un calcio al primo pallone. Violetta sentì solo un fortissimo vento scompigliargli i capelli, mentre la palla già era dentro la rete, arrivando addirittura a sfondarla. Ok, era fregata. Si era cacciata in un bel guaio e non aveva la più pallida idea di come uscirne fuori. “Secondo tiro” disse ridendo la Carta, divertita per quella vittoria facile. Stavolta Violetta però era pronta: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco! Vai The Wind, crea una barriera intorno alla porta”. La Forza sorrise: credeva di fermarla tanto facilmente...che illusa. Si caricò per il secondo tiro, lanciando un altro missile. Inizialmente la parete di vento sembrò funzionare, ma in un attimo la palla cominciò a roteare sempre più forte, sconfiggendo The Wind e bucando nuovamente la rete. ‘Di nuovo’ pensò la Cattura-Carte, sentendosi sconfitta: quella era la Carta più forte che aveva, una Carta degli elementi. Cosa poteva fare? “Sentì una voce invadergli la testa: “A volte per vincere basta non perdere”. Le parole erano state pronunciate con dolcezza, ma in quel momento non capiva come potessero esserle d’aiuto. Non perdere…quindi doveva parare la palla senza pararla davvero. Non era possibile fermare un bolide del genere con le Clow Cards in suo possesso, a meno che…ma certo! “Sono pronta” esclamò la ragazza, preparandosi con lo scettro e tirando fuori una Carta. La Forza la guardò poggiando il piede sul terzo pallone: “Davvero credi di potermi fermare? Non ti vuoi arrendere?”. “Tira” disse semplicemente la Cattura-Carte con un ardore negli occhi che mise paura alla sua amica. La Forza tirò con tutta la potenza rimastagli. Il pallone sfrecciò ad una velocità impressionante, quasi surriscaldandosi; mentre passava sollevava un vento innaturale. “Carta che possiedi il potere dell’Oscurità, io ti invoco. The Little rimpiccolisci la porta e non permettere che la Forza segni!” esclamò, colpendo con rapidità e decisione la Carta con lo scettro. Un piccolo elfo sbucò con il suo buffo cappello sfiorando con la punta di esso il palo della porta, facendola diventare sempre più piccola fino a ridurla grande quanto una formica. La palla sfrecciò a due centimetri dal suo viso, sbalzandola un po’ e continuò fino ad andare addosso a una parete di cemento, creando un grosso cratere. “Non è possibile! Tu…hai barato!” strillò la Carta furiosa. “Tu mi hai detto che avrei potuto usare tutte le Carte che volevo, e il mio scopo era pararla, ossia non farla entrare in porta. E’ vero non l’ho parata direttamente, ma indirettamente ti ho impedito di segnare” disse Violetta soddisfatta: l’aveva ingannata. “Non è possibile” sussurrò la Forza, parlando con se stessa, e lasciandosi cadere sulle ginocchia. “Ho vinto, quindi ora ti lascerai catturare” sentenziò la Cattura-Carte, posizionandosi davanti a lei e agitando lo scettro per intrappolarla. La Carta comparve a mezz’aria intrappolando la fiera combattente, ancora ferita per la bruciante sconfitta. La scritta ‘The Power’ comparve in basso. “Una Carta davvero tosta. Complimenti!” disse Federico, abbracciandola. “Si, davvero brava, ma…che fine ha fatto Diego? Qualche minuto fa ci stava venendo dietro” sottolineò la Custode. Già…che fine aveva fatto Diego?




ANGOLO DELLE CARTE: Rieccomi! Sono qui con un nuovo capitolo di questo crossover, che, devo dire la verità mi prende sempre di più, e spero stia pendendo un pò anche voi...allora la situazione si fa sempre più misteriosa: Sakura manda Lee a parlare con Diego, Violetta comincia ad essere gelosa delle ragazze che vanno dietro a Leon, Maxi in due righe ho iniziato a shipparlo con Ludmilla (vedremo xD), e poi boh, Fede e Fran mi piacciono tanto insieme, ma anche questa pairing non è definitiva ;) Vi è piaciuto questo capitolo? Io per conto mio mi sono molto divertito a descrivere la cattura della Carta della Forza, insomma mi è venuta l'idea dal nulla e l'ho voluta sviluppare. Allora cari lettori, vi auguro buona lettura e spero che la storia continui a piacervi :D Per Ary_6400: Parliamo dei momento Leonetta, parliamone ç.ç Per Elly_00: uccidimi ma non ho potuto resistere alla scena dell'orsacchiotto. Ripeto, uccidimi, ma in quelle 5 righe ho sclerato di brutto :D
P.S: la Carta dela Galleggiamento serve a far galleggiare (ma dai?! xD), ed è molto più facile da utilizzare del Volo, ma non è altrettanto utile. Per quanto riguarda The Power questa Carta dona al possessore una forza fisica impressionante *si tasta i muscoli inesistenti* embè io ne avrei bisogno xD 
 

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Capitolo 9
*** The Shadow and The Flower ***


Capitolo 9
The Shadow and The Flower

“E’ sempre un piacere incontrare qualche parente da parte di madre” disse piano Li, camminando lungo un parco dietro al circolo sportivo. “Vorrei poter dire lo stesso, ma penso non parlerò prima di conoscere le tue intenzioni” rispose Diego con un sorriso beffardo. “Sono stato inviato dalla vecchia padrona delle Carte di Clow, Sakura Kinomoto. Ma sono sicuro che conosci già il suo nome” parlò l’uomo sfiorando una siepe lì vicino. “E quindi? Ciò che mi chiedo io è: perché il grande Shaoran si scomoda a venire fino qui?” continuò Diego, studiando ogni singola mossa di Li. Lo spadaccino tirò fuori una katana: sul manico si distinguevano incisi un sole e una luna; “Un artefatto di Clow” sussurrò il ragazzo. “Quali sono le tue intenzioni nei confronti di Violetta, la nuova Cattura-Carte? Fai molta attenzione a ciò che rispondi…” lo interrogò Li, puntandogli la punta della lama sulla gola. “Mpf! Non mi uccideresti” ribatté l’altro con un sorrisetto irritante. Schioccò le dita e in un secondo un boato allontanò l’avversario. Lee ribatté facendo roteare la katana: una scia infuocata scaturì dalla lama, intrappolando Diego.  “Mai sfidare un altro Erede di Clow, novellino” disse l’uomo sorridendo. “Comunque sia non saprai nulla da me!” rispose Diego, fece uno strano movimento con la mano; venne sollevato magicamente da terra, per poi sparire lentamente.
“Allora per stasera, ci sarete alla festa di Halloween a casa di Ludmilla?” chiese Maxi, emozionatissimo. “No” risposero le due all’unisono con un tono convinto. “Ma…come mai?” chiese l’amico affranto. Se non fossero andate loro due, lui non se la sarebbe sentita. Violetta rimase in silenzio: doveva dire la verità? Doveva forse ammettere che vedere la nuova fidanzata di Leon sarebbe stato come ricevere una pugnalata al cuore? Non voleva nemmeno vedere il ragazzo. “Non mi sento molto bene” inventò alla fine lei, passandosi una mano sulla fronte e facendo finta di non essere in forma. “E io ho dei problemi da risolvere…” spiegò Francesca. All’improvviso una voce irruppe da dietro: “Violetta!”. Era Leon con il fiatone per la corsa che aveva fatto per raggiungerli. “Dobbiamo parlare. Da soli però” disse il ragazzo, lanciando un’occhiata a Francesca e Maxi, per fargli capire. I due colsero il messaggio e si allontanarono, ma sempre con lo sguardo vigile. “Che vuoi Leon?” chiese Violetta, abbassando lo sguardo. “Voglio capire che diamine ti prende. Prima mi dici che non mi vuoi, poi vuoi essere mia amica, e quando mi vedi con una ragazza scappi via…” cominciò a spiegare Leon, con una certa curiosità. “Il mondo non gira intorno a te. Ieri mi sono sentita poco bene e sono corsa a casa, tutto qui. Ludmilla non c’entra niente! E ora se me lo permetti, me ne devo andare” rispose Violetta, parecchio irritata. Si voltò per andarsene, ma venne trattenuta per il braccio. “Ti vedrò stasera alla festa?” chiese Leon con una punta d’emozione. Non riusciva a crederci: lui era sempre riuscito a non far trapelare alcun sentimento, eppure con lei non ci riusciva, gli era impossibile. “No, Leon” rispose voltandosi: i loro visi erano vicinissimi e il suo cuore cominciò a battere. Ma che diamine le stava prendendo? Che si stesse davvero innamorando? Non poteva, non voleva accettarlo. Sentì le guance andare a fuoco… “Io voglio che tu ci sia” le disse guardandola negli occhi e poggiando piano le sue labbra sulla guancia incandescente. Sentì una scarica di energia a quel contatto, ma anche una sensazione negativa, come se stesse per succedere qualcosa. Forse se l’era solo immaginato… “Ora devo andare” sussurrò lei, mentre non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. “Allora ci vediamo stasera” disse Leon con fare seducente. Si indispettì un po’ a quelle parole: cosa gli faceva credere che sarebbe davvero venuta?  Però poi quello sguardo così intenso, la fece letteralmente sciogliere. Forse non sarebbe stata una cattiva idea andare a quella festa, e in più qualcosa le diceva di andarci.
“Che ti ha detto?” chiese Francesca agitata, mentre tornavano tutti e tre insieme a casa. “Niente di che…” rispose distrattamente Violetta. Odiava dover mentire a un’amica, ma sentiva che non avrebbe appoggiato la sua scelta e non voleva iniziare una discussione. Quando la Custode se ne fu andata, disse a Maxi che sarebbe venuta con lui alla festa, per non lasciarlo da solo. “Ma per favore! Chi vuoi prendere in giro! Tu vuoi solo vederti con Leon, ma io non te lo posso permettere. Andremo alla festa, ma ti starò appiccicato e non ti lascerò sola con lui. Lo faccio per il tuo bene, Violetta” spiegò Maxi, con sguardo colpevole. “Non era mia intenzione vedermi con Leon. Ma si può sapere che avete tutti? Ho una sensazione strana, tutto qui” replicò l’amica, alterandosi leggermente. “Piuttosto non so cosa mettermi…” continuò poi, cominciano a rifletterci su. “Per quello ci posso pensare io. Mia sorella maggiore lavora in un negozio di costumi. Passo stasera alle 19 e andiamo insieme” la rassicurò Maxi, salutandola al bivio e dirigendosi a casa sua.
Il campanello suonò alle 19 in punto. “Chi è?” chiese German curioso. “E’ un mio amico. Andiamo insieme alla festa stasera” spiegò la figlia, correndo per aprire. “Solo un amico, eh?” chiese German, con l’intenzione di dare il via ad un vero e proprio interrogatorio. “Papà!” esclamò lei, cominciando ad arrossire. Aprì la porta e un Maxi terrificante vestito da stregone fece il suo ingresso. “Buonasera, signore. Ciao Violetta” salutò il ragazzo con uno scatolone tra le mani. I due salirono in camera di corsa, per evitare domande imbarazzanti da parte del padre. “Allora cosa mi hai portato?” chiese Violetta, emozionata. “Ta-da-tah. Era rimasto solo questo” esclamò Maxi, tirando fuori dalla scatola il vestito. “Stai scherzando, vero?” si lasciò scappare, cominciando ad arrossire e ad imbarazzarsi al pensiero di quel costume addosso. “C’era solo questo” ripeté Maxi, facendo un sorriso timido e abbassando lo sguardo. Era un costume da vampiro donna, alquanto provocante: nero aderente, con una gonna cortissima e scollato sufficientemente (
http://cloud7.lbox.me/images/384x384/201209/donna-sexy-black-night-vampire-costumi-di-halloween_ergdhi1348559522870.jpg). “Tu…io…non lo metterò mai!” esclamò lei passandosi le calze a rete nere tra le mani.
Un’ora dopo i due erano per strada. “Come mi sono lasciata convincere? Come?” si chiese ad alta voce per strada, mentre l’amico stava ridacchiando. Si era portata un cappotto nero, molto elegante, per non farsi vedere per strada conciata in quel modo. “Secondo me stai molto bene, vestita in quel modo” disse Maxi, esplodendo a ridere. “Io ti uccido, Maxi!” esclamò Violetta. “Ecco, siamo arrivati” disse l’amico, indicando una villa molto elegante con un giardino molto curato all’ingresso. Era pieno di gente: tutti studenti dello Studio 21. Entrarono timidamente nel giardino, dove si svolgeva la festa: a scuola non avevano stretto molto amicizia con gli altri, soprattutto con il gruppo dei popolari. “Ma chi si vede!” esclamò Camilla, avvicinandosi a loro, con il suo ingombrante costume da zucca. “Tu…sei una zucca?” chiese Violetta timidamente. Camilla era una tipa molto stramba, amante del soprannaturale ma molto simpatica. “Una zucca assassina, prego” specificò Camilla, tirando fuori un coltello. “E tu, Violetta? Facci un po’ vedere” continuò strappandole praticamente il cappotto di dosso. Un’ondata di ‘Wow’ si sollevò alla vista di Violetta, soprattutto da parte dei ragazzi. “Ma sei fantastica!” strillò Camilla, con gli occhi che le brillavano. La ragazza sorrise timidamente: odiava sentirsi osservata, e si sentiva tutti gli occhi puntati addosso. “Io…vado dentro a prendere qualcosa da bere” si inventò Violetta, lasciando Maxi e Camilla a parlare allegramente, e dirigendosi dentro casa, cercando da abbassarsi un po’ quella sorta di mini-gonna inutilmente.
“Leon, carissimo. Che ne dici di andare fuori a ballare?” chiese Ludmilla, con il suo completino da strega niente male. “Grazie, preferirei di no; non ancora, almeno” si scusò Leon. Erano rimasti solo loro due in salone, gli altri erano tutti in giardino a godersi la festa. “D’accordo, ma dopo raggiungimi!” disse Ludmilla, scoccandogli un bacio sulla guancia. Voleva aspettare Violetta, ma il tempo passava e pensò che non sarebbe più venuta. Si alzò dalla poltroncina su cui si era lasciato sprofondare, per raggiungere i suoi amici. Proprio all’ingresso andò a sbattere contro qualcuno…
“Scusa, davvero…” disse Violetta, che ancora stava tenendo lo sguardo basso. “Violetta!” esclamò Leon con un sorriso. Rimase a bocca aperta da quella visione celestiale: era incantevole, quel vestito le stava alla perfezione; si sentiva irrimediabilmente attratto da lei e anche geloso nei confronti degli altri ragazzi che la guardavano in un modo…voleva andare lì e spaccargli la faccia uno ad uno. Come si permettevano? Si riscosse da quei pensieri e tornò a guardarla: il desiderio di baciarla e di sfiorare il suo corpo fantastico, messo in risalto da quel vestito, era fortissimo, ma si trattenne per quanto gli fosse possibile, facendo appello a tutto il suo autocontrollo. “Sei…bellissima” disse infine. Ecco…che idiota! Non avrebbe potuto dire frase più banale. ‘Ciao’ in confronto spiccava di originalità. “Grazie” disse Violetta, emozionatissima. “Anche tu stai molto bene” si lasciò scappare, senza pensarci. Bene era dire poco. Con quel vestito da vampiro, con quel mantello nero, era terribilmente misterioso e affascinante. “Vuoi ballare?” gli chiese, porgendogli la mano. “Io…devo andare in bagno” disse Violetta, scappando dentro e rifugiandosi per un secondo in salotto. Non poteva essere, non poteva fargli quel tipo di effetto. Il cuore le batteva furiosamente e non riusciva a controllarlo. All’improvviso sentì un rumore strano provenire da una porta lì vicino. Si avvicinò cautamente e la aprì: vi era una  piccola rampa di scale che portava in quella che doveva essere la cantina. Era tutto buio e non si vedeva a un palmo dal naso. Scese qualche scalino e la porta si richiuse dietro di lei. “Ma cosa…?!” disse Violetta, poi si sentì mancare l’aria. Qualcosa, o meglio qualcuno, stava stringendo la sua gola con sempre più forza e violenza. Si sentì svenire: chi stava cercando di ucciderla?
“Ma Violetta?” chiese Maxi, guardandosi intorno, dopo aver scambiato due chiacchiere con Camilla. “L’ho vista entrare dentro” disse Leon. “Era uno schianto!” esclamò Andres. Leon gli diede una gomitata sul petto: nessuno doveva dire quelle cose su Violetta, solo lui poteva pensarci, solo lui poteva sognare di accarezzare la sua pelle, di sfiorare le sue labbra…si stava scoprendo gelosissimo, ma non riusciva a trattenersi. “Oddio, aiuto!” strillò uno degli ospiti uscendo dalle casa. “Violetta…non so se è morta!” disse poi riprendendosi. Tutti accorsero all’interno, Leon aveva fatto uno scatto incredibile, si era precipitato nella cantina e aveva preso in braccio Violetta, svenuta, mentre chi l’aveva ritrovata stava raccontando l’episodio: “Stavo andando a prendere qualcosa da bere, quando ho sentito dei rantoli provenire da quella porta, l’ho aperta con un po’ di timore e l’ho vista per terra. Sembrava proprio morta!”. “Ci sono dei segni di strangolamento” proferì Leon lentamente, passando delicatamente la mano sul suo collo così candido e vellutato. Si sentiva davvero un vampiro: voleva appoggiare le labbra sul suo collo e lasciargli centinaia di baci, ma cercò ancora una volta di trattenersi. “Maxi una…una…Carta” sussurrò Violetta, mentre stava per prendere pienamente coscienza. Maxi? Perché aveva chiamato Maxi? Si sentiva molto geloso in quel momento, avrebbe assestato molto volentieri un gancio a quel ragazzo col cappellino. Violetta si alzò di scatto dal divano e si ritrovò ancora una volta a due centimetri dal viso di Leon. “Tutto bene?” chiese lui guardandola perdutamente innamorato. “S-si…grazie” disse lei, abbozzando un sorriso. “Bene, direi che la festa può continuare” esclamò Ludmilla, molto scocciata perché quella ragazza aveva catturato l’attenzione di tutti, ma soprattutto quella di Leon, il suo Leon. Tutti uscirono in giardino, rimasero solo Violetta, Leon e Maxi. Doveva fare una domanda imbarazzante, ma non ci riusciva; decise di prendere coraggio: “Leon, mi puoi lasciare sola con Maxi?”. Il ragazzo fece una faccia da cane bastonato, quindi con molta riluttanza si alzò e uscì, rivolgendo uno sguardo furioso al povero Maxi. “Violetta, quello è veramente cotto di te!” esclamò il ragazzo con un po’ di preoccupazione. La Cattura-Carte si sentì molto lusingata della cosa e sentì il cuore battere in modo irregolare. Neanche a lei era ormai indifferente: era così dolce, simpatico, bello, premuroso, attraente…ma doveva smetterla di cercare aggettivi per Leon, e pensare alla Carta. “Una Carta ha cercato di uccidermi, l’ho sentito” disse lei seria. “E’ lì dentro” aggiunse poi, indicando la cantina. Maxi prese la sua macchina fotografica: aveva avuto un’idea e in caso di difficoltà l’avrebbe messa in pratica. I due si avvicinarono alle scale. “L’interruttore non funziona” disse Maxi, dopo aver provato ad accendere la luce. All’improvviso la porta si chiuse dietro di loro, e una presenza oscura si manifestò, attaccando Violetta e avvolgendola tentando di soffocarla. “A-a-aiuto!” cercò di dire Violetta, respirando sempre più a fatica. Maxi adoperò il suo piano: prese la macchinetta tra le mani, mise l’opzione del flash e scattò una foto illuminando la stanza. In quell’istante un uomo avvolto in un mantello d’ombra apparve per poi scomparire nuovamente nell’oscurità. “Che diamine… Violetta tutto bene?” disse Maxi, correndo in suo soccorso per aiutarla a rialzarsi. “L’ho vista” disse Violetta con un mezzo sorriso. “Bene, e la cosa ti fa ridere. Quello che io mi chiedo: ti si è bloccato il flusso di sangue al cervello?” continuò l’amico in quell’oscurità totale. Da un momento all’altro la Clow Card si sarebbe ripresa e sarebbe potuta tornare all’attacco. “Non ti preoccupare la tua idea mi ha fatto venire in mente il modo per renderla innocua” esclamò la Cattura-Carte, tirando fuori una delle sue Carte di Clow e richiamando lo scettro. “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco. Illumina la stanza con i tuoi fulmini e saette, vai The Thunder!” disse poi richiamando la tigre di fulmini che cominciò ad aggirarsi famelica per la stanza ruggendo e facendo uscire lampi al suo passaggio. “Sta facendo un casino! Non penso sia stata una buona idea liberarla in una stanza così piccola” osservò Maxi, cercando di ripararsi dietro uno scatolone. Violetta si morse il labbro inferiore preoccupata: effettivamente Maxi non aveva tutti i torti. Ma poi eccola: la figura incappucciata dal manto nero come la notte, che si riparava inutilmente dalla luce prodotta da The Thunder. Violetta gli si parò di fronte: in quel momento la Clow Card sembrava debole e indifesa: “Torna prigioniera della Carta di Clow, è la tua nuova padrona che te lo ordina”. Colpì con lo scettro l’aria e la Carta apparve, risucchiando la creatura. “Fatto” disse soddisfatta tenendo la Carta in mano: aveva la scritta ‘The Shaodow’ (‘L’Ombra’). Maxi uscì dal suo nascondiglio, mentre Violetta richiamava The Thunder, ma un fulmine sfuggì al suo controllo. “Attento!” disse lei spingendolo a terra. I due finirono sul pavimento polveroso, con Violetta sopra Maxi. Alcuni invitati della festa, incuriositi da quel trambusto che proveniva dalla cantina, decisero di dare un’occhiata. “Bene, bene…non si fanno queste cose, Vilu cara” disse Ludmilla aprendo la porta e trovandoli per terra in quella posizione. Leon li guardò con un misto di delusione e rabbia: strinse il pugno e si sentì una belva per un secondo. Guardò Violetta e Maxi, poi si allontanò di corsa per rimuovere quella scena che gli faceva così male.
 
Era passato qualche giorno da quella maledetta festa di Halloween e da quella sera Leon non le aveva rivolto parola; Violetta lo cercava per chiarire quella situazione, ma lui la evitava o si inventava delle scuse per non parlarle. Francesca aveva convinto Maxi a farsi raccontare della festa e nonostante fosse stata preoccupata per l’inaspettata comparsa della Clow Card, era anche furiosa con i due per non averle detto nulla. “Lasciala vivere!” disse sorridendo Federico, mentre la ragazza si sfogava con lui. “Certo, tu la fai semplice, tu non hai la responsabilità di proteggerla a tutti i costi. Tu non puoi capire cosa significa vedere la propria amica rischiare di trasformarsi in cristallo!” esclamò la Custode furibonda. “Ma è solo andata a una festa, non ci vedo nulla di male. Inoltre penso che lei sappia benissimo a cosa sta andando incontro. Non c’è bisogno che le fai la paternale, dovresti pensare solo a starle vicino” le spiegò il ragazzo, guardandola con quegli occhi che brillavano, mentre uno scintillio rosso la fece sobbalzare. “Che succede?” chiese Federico, un po’ preoccupato. “No, niente, ancora non riesco ad abituarmi a…” disse Francesca. “Giusto, hai ragione” sospirò Federico, prendendo gli occhiali da sole nella tasca e indossandoli. Tutto colpa di quell’ultima missione, in cui aveva ricevuto una maledizione…aveva dovuto recuperare il rubino del settimo Re di Roma, un artefatto magico nascosto nella Basilica di San Pietro a Roma. Quello che nessuno sapeva è che anche solo toccando il rubino, si acquisivano enormi poteri magici ma a un prezzo elevato: l’anima del defunto Re si sarebbe potuta manifestare in qualunque momento...e la sfumatura rossa negli occhi era un monito per ricordare al maledetto quest’eventualità. “Sai, quando ho sfiorato la superficie fredda del rubino mi sono sentito come immergere in qualcosa di gelido. Ero davvero paralizzato” disse il ragazzo, dopo qualche minuto di silenzio. Francesca si sentì una sciocca: aveva riportato a galla ricordi terribili, facendolo soffrire. Federico intuì i suoi pensieri: “Non è mica colpa tua!”. I due scoppiarono a ridere, così, senza motivo. “Hai ragione, starò vicina a Violetta, succeda quel che succeda!” disse Francesca per poi abbracciarlo di slancio. Federico chiuse gli occhi e assaporò quel momento: non gli interessava se lei lo considerava solo un amico o un confidente di lavoro, per lui era più che sufficiente, gli bastava poterle stare vicino.
“Allora non siete emozionate?” chiese German, tutto allegro, rivolgendosi a Francesca e Violetta dietro. “Stiamo andando a scegliere gli addobbi floreali per il tuo fidanzamento con Jade, persona che io odio. Perché dovrei essere emozionata?” ribatté Violetta sbuffando. Erano ormai usciti dalla città e le case lasciarono lentamente il posto a boschi e pianure verdeggianti. “Non capisco perché Jade non è voluta venire ma ha mandato noi alla serra per scegliere gli addobbi” disse Violetta. In realtà Francesca l’aveva fatta venire lei, per farle compagnia in quella che sicuramente si sarebbe rivelata una giornata noiosissima. “Aveva un impegno serio…con una spa. Non poteva rinviare l’appuntamento e si fida del tuo buongusto. Dovresti provare a darle un’opportunità” chiarì German con uno sguardo severo. Si, certo…non avrebbe mai creduto a quella sciocchezza. Jade semplicemente aveva finto tutto per far credere al padre di voler bene a sua figlia. “Basta che non ci mettiamo troppo” sussurrò Violetta, incrociando le braccia al petto. Finalmente arrivarono alla serra dove li stava attendendo il party planner per scegliere le piante. “Senti papà io vado a vedere quelle meravigliose siepi lì vicino, ci vediamo tra un po’ “ esclamò Violetta per lasciare Francesca col padre e dirigersi a passo spedito in quel labirinto di siepi che si trovava fuori la serra. Cominciò a percorrerle con la mano addentrandosi sempre di più…le piaceva tanto quella sensazione, si sentiva un po' come Alice nel Paese delle Meraviglie. Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare da quelle fronde che le pizzicavano il palmo della mano, ma inavvertitamente andò a sbattere addosso a qualcuno. Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò di fronte a un ragazzo con un paio di jeans e una canottiera bianca… “Leon!” esclamò al settimo cielo per quella assurda coincidenza. Leon sembrava imbarazzato e sorpreso. “E tu che ci fai qui?” chiese lui, tenendo lo sguardo fisso per terra. “Stavo per farti la stessa domanda” disse lei sorridendo. “Vengo qui per aiutare una persona a cui tengo molto” rispose il ragazzo evasivamente. “Ah, immagino una ragazza…” ipotizzò lei senza riuscire a nascondere una punta di gelosia. Leon rimase in silenzio e non rispose: “E tu, invece? Sei qui con Maxi?”. “No, e a proposito, penso che ti dovrei spiegare quello che è successo ad Halloween” cominciò a parlare Violetta, staccando la mano dalla siepe e sfiorando delicatamente la sua. Non voleva farlo, era stato un gesto impulsivo e subito se ne pentì. Leon alzò lo sguardo per guardarla dritta negli occhi, abbozzando un sorriso. “E’ stato tutto un malinteso. Tra me e Maxi non c’è niente…” spiegò avvicinandosi di più a lui. “Non mi devi dare spiegazioni, non ti preoccupare” la rassicurò Leon, accarezzandole il braccio. Dentro si sentiva sollevato, avrebbe voluto urlare dalla gioia per quello che gli aveva detto. “Cosa stai facendo?” chiese, notando che era sporco di terra e abbastanza affaticato. “Curo le siepi. Lo faccio da un po’ ormai, è per aiutare quella persona, sai…” spiegò Leon indicandogli un paio di cesoie che aveva lasciato per terra e una sorta di tubo per l’acqua collegato all’impianto idraulico della serra. “Già, poi appena ho finito qui, do anche una mano nella serra. Mi piace come lavoro” continuò sorridendo. Violetta lo guardò a lungo: era così bello, anche se accaldato e spettinato. Non si rese conto neanche di German che la chiamava. “Penso ti stia chiamando qualcuno” le fece notare il ragazzo, passandosi una mano sulla fronte sudata. “Si, ma può aspettare” disse Violetta, arrossendo per quella figuraccia. Leon non riusciva a crederci: era la prima volta che non cercava di evitarlo o che non fuggiva alla sua vista. Qualcosa era cambiato in lei e lo attraeva ancora di più. Si voltò un secondo per prendere il tubo dell’acqua e con un scatto glielo puntò addosso facendo partire il getto d’acqua che bagnò Violetta dalla testa ai piedi. “Non ci credo!” strillò lei. Cominciò a scappare mentre Leon, avendo lasciato la sua arma, la rincorreva per il prato. Quando riuscì a prenderle il braccio, Violetta si sentì tirare e perdendo l’equilibrio cadde portandosi dietro Leon, che finì sopra di lei. I due si guardarono per un secondo. Erano vicinissimi e il corpo di Leon a contatto col suo la emozionava tantissimo. Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia, accorciando sempre di più le distanze. Nel frattempo nel prato tante piccole margherite cominciarono a crescere e dei petali di ciliegio li avvolgevano con il loro profumo, galleggiando nell’aria. Era tutto così magico e il momento era ideale…Per un istante si dimenticò di tutto, dell’incantesimo a cui era sottoposta, ma chiuse semplicemente gli occhi, potendo avvertire il calore del viso di Leon, emozionato quanto lei per quello che di lì a poco sarebbe diventato un bacio ricco d’amore.
Francesca era al fianco di German dentro quell’enorme serra piena di piante e fiori. Si sentiva molto a disagio ad essere con il padre di Violetta, e in più era preoccupata perché la sua amica ancora non era tornata. “Francesca!” esclamò qualcuno che la fece girare di colpo. Era Angie, la sua insegnate di canto allo Studio 21. “Angie, cosa ci fa lei qui?” chiese Francesca sorpresa. “Qui ci lavorano i miei parenti da parte di madre, e nel finesettimana vengo a dargli una mano” rispose lei allegramente. “E lei deve essere il padre” disse molto tranquillamente porgendogli la mano. “No, io sono il padre di Violetta” disse German, stringendola e rimanendo incantato alla vista di quella splendida donna sulla trentina con i capelli mossi di un biondo dorato e con quegli occhi verdi tendenti al grigio così profondi e ricchi di espressività. “Come posso aiutarla?” chiese poi gentilmente. “Io…devo…non so…” balbettò German, dimenticandosi del motivo per cui era arrivato lì. “Gli addobbi floreali, signor Castillo” esclamò il party planner per poi trascinarlo insieme alla signorina Angie in giro per la serra. “Ah…se fai un giro potresti incontrare Leon. Sai mi aiuta molto nel mantenimento delle piante quando ha tempo” disse Angie alla Custode, prima di scomparire tra le piante. Francesca assunse un’espressione terrorizzata. Forse era ancora in tempo…adesso capiva il perché dell’assenza di Violetta. Uscì di corsa dalla serra e alla vista della scena dei due ebbe paura, paura di non farcela.
Leon stava per poggiare le sue labbra così calde e morbide, ormai Violetta le poteva quasi sentire… “Violetta!”. Chi era che rompeva in quel momento perfetto?. “Violetta!”. Sentì il corpo di Leon allontanarsi da lei, con sua profonda delusione. “Francesca” sussurrò il ragazzo, rimanendo lì fermo a fissarla. Francesca fece una corsa per raggiungerli, e si precipitò a far rialzare Violetta. “Tutto bene?” chiese preoccupata, lanciando uno sguardo omicida a Leon. “Si, sto bene” disse Violetta, guardando l’atmosfera circostante. Stavano continuando a cadere petali di ciliegio, e sembrava che quella pioggia floreale non volesse smettere. “Strano…questo non è periodo di fioritura dei ciliegi” esclamò Leon, tendendo la mano dove si posò un petalo delicatamente. Violetta avvertì una scossa: di nuovo la sensazione di una Clow Card. Guardò Francesca con un’espressione preoccupata e lei annuì. “Leon, ti cercava Angie dentro” disse la Custode indicando l’entrata per la serra. “D’accordo, vado subito” disse Leon sentendosi leggerissimo. Aveva quasi baciato Violetta e lei questa volta non si era ritratta; quindi voleva dire che anche lei sentiva lo stesso, non c’era altra spiegazione. Con un sorriso stampato sulla faccia, diede un bacio sulla guancia alla ragazza e rientrò di corsa. “Poi, io e te facciamo due chiacchiere” le disse la Custode severa. Violetta si sarebbe voluta sotterrare: aveva rischiato molto e senza l’intervento di Francesca si sarebbe trasformata in una bella statua di cristallo. Ma mentre pensava a queste cose un brivido le percorse la schiena. Una Carta di Clow…adesso ne era sicura. “Lì” disse Violetta, indicando un boschetto nelle vicinanze. Le due fecero una corsa e si immersero nel bosco, dove gli alberi radi facevano filtrare la luce del sole a sprazzi. “Eccola” disse Francesca, spalancando la bocca: era una scena fantastica; una bellissima ragazza con un vestito di una rosa pallido a motivi floreali stava danzando leggiadramente in una radura e dove posava il piedi crescevano rose e margherite, mentre danzando dal vestito migliaia di petali profumati di ciliegio si diffondevano. “E’ The Flower, la Carta del Fiore, non ti preoccupare, è innocua e ama i giorni di festa…ma non capisco cosa abbia da essere allegra oggi” disse Francesca, dubbiosa. La Cattura-Carte si avvicinò guardinga con lo scettro stretto tra le mani. “Come mai sei così felice?” le chiese, tranquillizzandosi alla vista di quel viso dolce e gentile. “Perché so che sarai la nuova Padrona di Clow…” disse The Flower sorridendole con gioia. “Ti posso catturare?” chiese timidamente la ragazza. “Non sto aspettando altro…ma ricorda, Violetta. Lentamente la sfida finale si avvicina, il Sole e la Luna ti osservano. E sarai tu a dimostrare al mondo che non sempre devono esserci vinti e vincitori” disse la Clow Card, sfiorando con il palmo della mano il suo mento e dandole un piccolo bacio sulla punta del naso. Sembrava molto materna nel suo modo di essere. “Io…grazie” disse Violetta, per poi catturare la Carta con lo scettro. Si girò verso Francesca facendole un segno di vittoria, poi pensò a Leon, e arrossì. Il momento era stato così bello, se solo lei avesse potuto baciarlo…ma non poteva e solo adesso si rendeva conto di quanto fosse ingiusta e dolorosa quella regola. Perché Sakura le aveva fatto questo? Cosa c’era di male nel provare amore nei confronti di qualcuno? “Perché Leon era qui?” chiese Violetta all’amica. “Pare che una volta, passando di qui con la sua moto, abbia soccorso la zia di Angie, in preda a un colpo di sole. Poi è passato ogni giorno per informarsi sulla sua salute e ha iniziato a dare una mano, finendo per appassionarsi” spiegò Francesca, ricordandosi le parole di Angie. Violetta si sentì morire: era anche un ragazzo generoso e altruista. Come aveva potuto non accorgersi prima delle sue qualità? Forse le nascondeva molto bene, quando frequentava il gruppo dei popolari.
Sakura vide la scena nella Sfera di Cristallo di Yue e una lacrima scese sulla sua guancia. Il fiore del ciliegio le riportava alla mente numerosi ricordi, ma uno in particolare colpì la sua attenzione:
‘Quel giorno lei e Li sarebbero partiti insieme a Eriol per iniziare il suo apprendistato. Era così emozionata: per la prima volta avrebbe lasciato la sua città. Li ancora non era arrivato…la sera prima i due avevano fatto una passeggiata e lei gli aveva parlato di tutti i dubbi che l’assillavano per poi finire con una frase a cui non aveva dato importanza: “Spero che dove andremo a vivere ci siano alberi di ciliegio, mi piace sentire il loro profumo, mi danno un’idea di pace e calma”. “Allora, Li?” chiese Eriol, facendola riscuotere da quei ricordi. “Starà arrivando, credo…” rispose Sakura preoccupata. Un ragazzo li raggiunse alla stazione con il fiatone. “Finalmente” disse lei allegramente, dirigendosi a prendere la valigia, ma si sentì tirare il braccio. “L’ho fatto per te” disse Li, tirando fuori una scatola di velluto nero. Sakura l’aprì con mano tremante e lacrime di commozione rigarono il suo volto: dentro c’era un bracciale ottenuto da ramoscelli intrecciati, decorati tutt’intorno con fiori di ciliegio. Non riuscì a dire nemmeno un ‘grazie’, era troppo emozionata. Un regalo del genere era davvero troppo: probabilmente il ragazzo aveva passato l’intera notte per confezionargli quel dono fantastico, infatti aveva delle occhiaie terribili. Gli saltò addosso, abbracciandolo di slancio, ridendo e piangendo insieme. Li divenne rossissimo in faccia, ma la tenne stretta a sé, cullandola tra le sue braccia.’
Si era pentita di aver mandato Li in missione, aveva paura; “Li…ti prego torna presto” disse Sakura tirando fuori dalla sua stanza una piccola teca di cristallo, dove dentro era custodito il bracciale. I fiori non era sgualciti grazie a un incantesimo; portò il bracciale sulle labbra e stampò un bacio delicato su un fiore di ciliegio, aspirandone il profumo. 




NOTA AUTORE: Eccomi, sono di nuovo qui ed ho aggiornato l'altra mia long *saltella* che tra l'altro presenta momenti Leonetta da diabete e un momento finale ShaoranxSakura dolcissimo...beh che dire , un capitolo tranquillo, a parte che Violetta stava per essere strangolata dall'Ombra. Ma per il resto siamo tutti felici...le parole di The Flower potrebbero sembrarvi cripitche, ma vedrete che nel finale sarà tutto chiaro. Mi sono accorto ora che non si scrive 'Lee' ma 'Li', in questo capitolo l'ho corretto, poi lo farò anche negli altri, perdonatemi ç.ç Comunque non c'è molto da dire, aspetto vostri commenti, cari lettori. Questa storia mi piace tantissimo...potreste dire: "grazie, la scrivi te". E io vi rispondo: non rovinate la magia xD Comunque questo capitolo mi piace tantissimo, chiedo perdono se è un pò più lungo, ma mi sono lasciato prendere la mano xD Buona lettura a tuttiiiii *-*
P.S: Tha Shadow è la Carta dell'Ombra, in grado di controllare le Ombre e con un potere offensivo not bad, ma solo se utilizzata di notte o in luoghi bui. The Flower è una Carta molto innocua, che ha il potere di far apparire fiori e che nella storia ha creato un'atmosfera molto romantica per Leon e Violetta *-*

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Capitolo 10
*** The Freeze and The Silent ***


Capitolo 10
The Freeze and The Silent

Nata fece un salto, rotolando nella sabbia del deserto australiano. Schioccò le mani e un drago d’acqua si materializzò dietro di lei, pronto ad attaccare. Una scarica elettrica cercò di colpirla ma il famiglio da lei evocato si mise in mezzo esplodendo in mille bollicine d’acqua. “Ma che diamine…?” esclamò la Custode, guardando verso la duna di sabbia rossa da cui era stata scaraventata. Un uomo avvolto in un mantello bianco, indossava due guanti di colore verde scuro e studiava il variare della brillantezza alla luce del sole di un topazio. “Non ti permetterò di prenderlo!” disse Nata, facendo apparire dal terreno un arco scintillante, l’arco degli Oceani. Nella sua mano apparve una freccia argentata. “Arco, guida il mio spirito di giustizia!” disse Nata, facendo scoccare la freccia. L’avversario fece comparire uno scudo luminoso che bloccò il colpo. Non era possibile…quell’arma le era stata donata da Yue, il Guardiano, e poteva essere fermato solo da un mago potente, che conoscesse a fondo la magia di Clow… “Ma chi sei tu?” chiese Nata con un’espressione preoccupata. “Non ti riguarda. E’ stato un piacere giocare con una Custode, molto divertente, ma ora il dovere mi chiama” esclamò la figura incappucciata per lanciare in aria una polvere argentata che lo fece ridurre a una tenue immagine sbiadita; l’immagine scomparve in una manciata di secondi liberando una voluta di fumo viola.
“Beh, Violetta, devo ricordarti cos’è successo l’ultima volta?” ripeté per la novecentonovantesima volta Francesca, standole attaccata per tutto il giorno. “E’ stato un momento di debolezza, un errore, non succederà più!” esclamò Violetta, cercando di mostrarsi convincente. Non poteva certo dire all’amica la verità, ossia che dal giorno del quasi bacio in quel prato e in quell’atmosfera magica, non aveva smesso un secondo di pensare a Leon. E anche ora stava pensando a quei meravigliosi occhi verdi, al modo in cui la guardavano facendola sentire unica e speciale. No, basta, doveva smetterla di pensarci, si sarebbe solo fatta del male… “Violetta posso parlarti?” chiese Leon fermandola lungo il corridoio. “Da soli” aggiunse poi, rivolgendosi a Francesca. “No, non può, noi dobbiamo andare” esclamò la Custode guardinga. “Ma certo!” la corresse la Cattura-Carte, lanciandole uno sguardo supplichevole. “D’accordo, d’accordo” sbuffò l’amica andandosene. “Andiamo un secondo fuori di qui, così possiamo parlare in tranquillità” disse Leon, sorridendole dolcemente. Violetta annuì, lui le prese la mano per condurla fuori e quel contatto la mandò già in tilt. Come era potuta arrivare a quei livelli? Emozionarsi per una semplice stretta di mano. Erano ai giardini fuori dallo Studio e continuavano a camminare, sempre mano nella mano, ma entrambi non volevano interrompere quella condizione idilliaca finché il ragazzo non si fece forza e prese la parola: “Ho pensato molto a noi due dal giorno alla serra”. Violetta arrossì: in che senso ci aveva pensato? Aveva sentito le sue stesse emozioni? Voleva che continuasse a parlare, doveva assolutamente sapere fino a fondo che intendeva dire con quella parole. “Violetta…lo so, tu mi hai già respinto e io non voglio essere invadente. Però, io…non posso evitarlo. Io sono innamorato di te. Ho provato a dimenticarti, dire che non ci ho provato sarebbe mentirti, ma è stato impossibile” continuò Leon dopo aver preso un respiro profondo. “Leon, io…” disse Violetta con voce tremante. “Ho già capito tutto, non ti preoccupare, ma io volevo comunque che lo sapessi” la interruppe Leon. Il ragazzo fece per andarsene, lasciandole la mano, ma venne trattenuto. Violetta gli aveva preso il braccio con lo sguardo basso: “Leon, io…ti posso chiedere un favore?”. “Dimmi” disse Leon con un sorriso mesto. “Puoi…puoi abbracciarmi?” chiese la ragazza diventando sempre più rossa. Incredibile, impossibile. La sua Violetta che le chiedeva di stringerla tra le sue braccia: era un sogno, non c’era altra spiegazione. Leon non disse nulla e la abbracciò, cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava per lei. Violetta chiuse gli occhi e assaporò quel gesto tanto semplice, ma per lei allo stesso tempo tanto importante. Aspirò a fondo il suo profumo: avrebbe voluto ricordare quel momento per sempre, ma una stretta al cuore la riportò alla realtà. Quando si separarono Leon la guardò negli occhi, poi si avvicinò pericolosamente per baciarla. Violetta si scostò di colpo: “Ma adesso c’è lezione o sbaglio?”. “Hai ragione sarà meglio andare” rispose Leon, prendendole la mano per andare allo Studio 21. Non appena furono all’entrata, Violetta si liberò da quella stretta per non far insospettire Francesca. Leon rimase confuso, ma decise di far finta di nulla: “Ora vado, ho lezione con Pablo”. Le diede un bacio sulla guancia, ma in quel momento una piccola fitta alla testa lo colpì. Che cosa era successo? “Che hai Leon?” chiese Violetta, notando la sua smorfia di dolore. “Niente, un po’ di mal di testa, tutto qui, ma passerà presto” disse il ragazzo, riprendendosi dal dolore e andando a lezione. Violetta lo guardò preoccupata: sapeva benissimo a cosa era dovuto quell’improvviso malore; le Carte stavano iniziando a comprendere, a capire che lei era innamorata e che quel ragazzo altro non era che un ostacolo alla loro fonte di nutrimento magico. “Te l’avevo detto” le sussurrò alle spalle la Custode, facendole fare un salto per lo spavento. “Di che parli?” chiese Violetta, facendo la finta ingenua. “Te ne sei accorta anche te. Le Clow Cards non vedono di buon occhio questo Leon” spiegò Francesca in modo sbrigativo. Violetta abbassò lo sguardo: era vero. Non voleva rinunciare a Leon, per la prima volta aveva trovato qualcuno con cui stava bene, che le donava una serenità e una pace mai provata prima, ma per il suo bene l’avrebbe dovuto allontanare. “Allora oggi pomeriggio cosa facciamo, cerchiamo Carte?” si intromise Maxi. Dal giorno della cattura di The Shadow era elettrizzato, non vedeva l’ora di trovare nuove Carte. “Io ho un’altra idea, oggi vado a fare allenamento di pattinaggio su ghiaccio; anche se il palazzetto sportivo dovrebbe essere chiuso, lo aprono solo per me grazie ad alcune conoscenze di mio padre. Volete venire a dare un’occhiata?” propose la ragazza. “D’accordo, un pomeriggio di svago non ci farebbe affatto male” rispose Francesca. Maxi rimase un po’ deluso, ma accetto comunque e all’idea di poter riprendere Violetta che pattinava sul ghiaccio si riprese subito. “Allora appuntamento alle cinque del pomeriggio” disse Violetta, per poi andare alla lezione di Gregorio, professore di danza.
“Violetta, ehm…oggi pomeriggio che ne diresti di…uscire con me?” disse Leon allo specchio del bagno. No, in quel modo sicuramente avrebbe fatto la figura del fesso e dell’imbranato. “Ciao piccola, io e te oggi pomeriggio?” riprovò facendo l’occhiolino. “Peggio di prima” sbottò il ragazzo, sempre più depresso. “A che ora passo per uscire insieme?” disse un’ultima volta. Un po’ troppo diretto. “Che stai facendo?” chiese Andres, il suo amico, avvicinandosi a lui, attratto dalla parole che provenivano dal bagno. “Niente, Andres…Ti è mai capitato di entrare in crisi solo per chiedere ad un ragazza di uscire?” chiese Leon, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla superficie dello specchio, abbattuto. “Certo, ma questo sicuramente non è il tuo caso…ti devo ricordare tutte le volte che hai fatto colpo? E tutte le ragazze con cui sei uscito?” lo riprese Andres. “Ma questa volta è diverso. E’ come se di fronte a lei non valessi niente,  tutta la mia sicurezza svanisce quando la guardo negli occhi. Ma si può sapere come diamine è possibile?” ribatté Leon infuriandosi a poco a poco con se stesso. “Succede quando si è innamorati, amico” disse Andres, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Penso tu abbia ragione…Ora vado lì con sicurezza e glielo chiedo. Dimmi buona fortuna! E se non dovessi farcela…No, io ce la farò” esclamò Leon, caricandosi. Fece qualche saltello come se si stesse riscaldando prima di una lezione di danza, si scrocchiò le dita delle mani e si diresse verso l’aula dove Gregorio stava facendo lezione, aspettando che finisse. Quando la campanella annunciò la fine dell’ora di danza, Violetta uscì tutta contenta quando all’entrata vide Leon che stava aspettando qualcuno. “Lyon!” urlò Ludmilla, facendosi largo e correndo ad abbracciare il ragazzo. “Come sei stato carino ad aspettarmi fuori dall’aula di danza, non dovevi davvero!” continuò tutta felice. Leon si sciolse dall’abbraccio confuso: “Veramente…ecco, io stavo aspettando Violetta”. Il silenzio calò tutt’intorno. Ludmilla si staccò di botto, osservandolo furiosa. “Io non riesco a crederci!” strillò la biondina per poi andarsene impettita. “Violetta, ti andrebbe di uscire con me oggi pomeriggio?” chiese lui tutto d’un fiato prendendo le mani della ragazza speranzoso. “Io…” provò a dire Violetta; rivolse uno sguardo a Francesca, e si ricordò del male che avrebbe potuto fargli anche solo standogli vicino. “Non posso, mi dispiace” disse Violetta supplicante. “Oh…non importa, davvero” ribatté Leon, senza riuscire a nascondere una forte delusione. Lo vide andare via a testa bassa e sentì una stretta allo stomaco. Odiava vederlo in quello stato e si odiava, si odiava per aver accettato tempo fa il compito di catturare le Carte e di aver accettato quelle condizioni assurde; era stata così ingenua e impulsiva…perché l’amore era una cosa bellissima, e solo ora se ne era resa conto, grazie a Leon.
“Alloooora. Hai dato un bel due di picche a Leon, eh?” disse Maxi, mentre Violetta si stava infilando i pattini per esercitarsi sulla pista ghiacciata. “Meno male che prima di andare mi hanno preparato la pista” sussurrò Violetta, cercando di cambiare discorso. “Si, certo…ma torniamo a Leon e alla batosta che gli hai dato” disse Maxi con un sorrisetto. “Non ti voglio ascoltare!” disse lei tappandosi le orecchie e entrando nella pista. Cominciò a pattinare prima lentamente, riscaldandosi con qualche passo di base. “E’ bravissima” disse Maxi mentre la riprendeva con la telecamera. “Già…” disse Francesca appoggiandosi con i gomiti sul parapetto. Si incantò a vedere quei movimenti così leggeri e delicati.
“Strano…il palazzetto del ghiaccio dovrebbe essere chiuso, eppure le luci sono accese” sussurrò Leon, dando un’occhiata dall’altra parte della strada. Decise di attraversare e dare un’occhiata. “Leon!” esclamò Ludmilla, prendendolo sotto braccio. “Ludmilla?!” esclamò sorpreso lui. “Che coincidenza incontrarci qui” disse la ragazza. In realtà l’aveva seguito, attendendo l’occasione giusta per avvicinarsi. “Si certo, che coincidenza…” disse Leon insospettito. Si allontanò dalla ragazza per evitare contatti non esattamente graditi, poi si rivolse di nuovo a guardare l’entrata del palazzetto sportivo. Era ormai a qualche passo dell’entrata, spinse la porta ed entrò, sempre seguito da Ludmilla. “Sta entrando qualcuno, aspetta, è Leon!” esclamò Maxi, mentre continuava a riprendere Violetta. La Cattura-Carte rivolse lo sguardo verso l’ingresso e incontrò gli occhi verdi di Leon, perdendosi all’istante ed entrando in confusione. “E’ bellissima” sussurrò il ragazzo, avvicinandosi alla pista per poterla ammirare meglio. Non si aspettava di certo che Violetta praticasse pattinaggio su ghiaccio, in quel modo poi. Ludmilla dietro guardò la scena disgustata: non poteva permettersi di perdere Leon. Si avvicinò al ragazzo mettendogli la mano sulla spalla, per poi sussurrargli qualcosa all’orecchio. Violetta quando vide quella scena si intristì e sbagliò a fare un passo, cadendo rovinosamente. “Tutto a posto?” dissero contemporaneamente Leon e Francesca, con l’intenzione di raggiungerla per essere sicuri che stesse bene. “Sto bene, non vi preoccupate” rispose la ragazza con un sorriso tirato. Quella scena tra Leon e Ludmilla le aveva fatto perdere la concentrazione in un solo istante. Quanto non sopportava quella ragazza, era come una ventosa con il suo Leon. Aspetta…aveva appena pensato ‘suo’ Leon? Non doveva pensare una cosa del genere, Leon non sarebbe mai potuto essere suo. Tra loro non sarebbe potuto nascere nulla, per quanto fosse bello il sentimento d’amore che sentiva crescere sempre di più. All’improvviso sentì un brivido, non dettato dal freddo, bensì dalla presenza di una Clow Card. Fece un gesto all’amica, che comprese tutto all’istante. “Ludmilla e Leon, vi spiace lasciarci soli?” disse Francesca, spingendoli letteralmente fuori. “Ma…ma…” provò a dire il ragazzo, mentre la porta gli venne sbattuta in faccia. Il rumore della serratura gli fece capire che i tre si erano chiusi dentro. “Certo che quelli sono proprio strani. Ci andiamo a prendere un frullato?” disse Ludmilla, molto contrariata per come era stata trattata. “Ehm, non mi sento molto bene in verità, penso me ne andrò a casa” mentì Leon, allontanandosi.
“Allora?” chiese Maxi entusiasta. “E’ da queste parti, ma non capisco dove” esclamò Violetta aggirandosi per la pista senza sapere cosa cercare. In un secondo qualcosa si mosse sotto i suoi piedi, abbassò lo sguardo e lo vide: un’enorme pesce di ghiaccio si muoveva tranquillamente, facendo emergere la parte superiore dalla superficie liscia ghiacciata. E lei ci stava praticamente sopra. La creatura si scostò facendola cadere rovinosamente. “Quella è la Carta del ghiaccio, The Freeze” disse Francesca, mentre Maxi riprendeva tutto. “Perfetto, e ora come la catturo?!” strillò Violetta cercando di evitare l’enorme coda di ghiaccio. “A sinistra!” la avvertì Maxi, avvertendola di uno spuntone di ghiaccio che usciva dalla superficie, che però  la colpì di striscio. “Volevo dire la mia sinistra, cioè la tua destra!” si corresse Maxi. “Grazie Maxi” rispose ironicamente Violetta mentre continuava a sfrecciare evitando i numerosi spuntoni che cercavano di colpirla. “Scusa non sono bravo in queste cose” disse piano il ragazzo. “Ce ne siamo accorti!” lo riprese Francesca. “Mica è colpa mia” sbuffò l’amico, dando così inizio a un battibecco. “Scusate! Un enorme pesce di ghiaccio mi sta inseguendo e sta cercando di farmi fuori, rimandiamo a dopo le discussioni” strillò Violetta esasperata. “Dovremmo indebolire la Carta…” disse Francesca riflettendo. Violetta continuò a sfrecciare sulla pista, svoltando di tanto in tanto per confondere la creatura e ringraziando il cielo di saper pattinare. Ghiaccio…come fermare The Freeze, ci vorrebbe un bel fuoco, oppure… “Maxi, sali al piano di sopra, dovresti trovare una cabina per il controllo termico, ruota la monopola della temperatura a destra, riscaldiamo un po’ l’atmosfera” disse Violetta con un sorriso. “Certo che sei strana, rischi la vita e sorridi, beata te!” disse Maxi, rispondendo al sorriso e scoppiando a ridere. Fece una corsa per arrivare alla cabina. “Maledizione è chiusa!” disse il ragazzo, non riuscendo ad aprire la porta. “Ci penso io!” esclamò la Custode, mentre la povera Violetta era a terra, colpita da una della pinne di The Freeze. Il braccio le si era congelato. “Fate presto!” strillò Violetta seria. Francesca pronunciò una formula a bassa voce e la porta si aprì di scatto. I due si precipitarono ed eseguirono le indicazioni dell’amica. “Fatto” dissero sollevati. Il sistema di riscaldamento cominciò a funzionare e un piacevole tepore si diffuse nell’ambiente, ma The Freeze non sembrò scalfito da quel po’ di calore. “Maledizione, non basta” sussurrò Violetta. Se solo ci  fossero stati due sistemi di riscaldamento… Pensandoci bene però, per lei era possibile. Dopo aver richiamato lo scettro prese in mano una delle Carte di Clow; non l’aveva mai usata ma doveva tentare, non vedeva altre alternative: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, ti chiedo di raddoppiare le condutture del sistema di riscaldamento. E’ la tua padrona che te lo ordina, vai The Twin!”. I due gemelli della Carta apparvero galleggiando a mezz’aria e si batterono il cinque, producendo una fortissima onda magica che si riversò in tutto l’ambiente; cominciò a fare sempre più caldo, come se fosse un giorno d’estate. Il piano aveva funzionato. The Freeze si accasciò lentamente lungo la pista, non riuscendo a muoversi, placata controvoglia da quel calore insopportabile. “E ora, torna prigioniera della Carta di Clow” disse lei piano, indirizzando lo scettro verso quel pesce trasparente. La Carta apparve a mezz’aria, intrappolando l’entità del ghiaccio. “Fatto!” disse Violetta sorridente, mettendo in bella mostra la Carta ai due amici che la osservavano contenti dalla cabina di controllo. Ce l’aveva fatta, aveva recuperato una Clow Card, e si era rovinata il rapporto con Leon…
 
“Il topazio dei sette re di Roma è stato rubato” esclamò Nata, con lo sguardo basso. “Strano, molto strano. Sei riuscita a capire chi possa essere il colpevole” sussurrò Federico, seduto al tavolo dei Custodi. “Non ne ho idea, ma si tratta di qualche mago potente, forse imparentato con Clow Leed. Chi altro avrebbe potuto fermare il mio Arco degli Oceani?” fece notare la Custode dell’Oceania sbattendo il pugno sul tavolo candido. Non poteva crederci, lei non aveva mai fallito una missione eppure in quel caso era stata colta alla sprovvista ed era stata battuta in modo clamoroso. “Non ti preoccupare Nata, vedrai che andrà tutto bene” la rassicurò Fede. “Sarà il caso di avvertire gli altri Custodi e dirgli di stare attenti. Cercheremo di rintracciare le altre cinque pietre preziose, prima che lo faccia questo personaggio misterioso” continuò poi poggiando la mano sul mappamondo al centro del tavolo.
“Stavo pensando che dovresti dire una volta per tutte a Leon che tra voi non può esserci nulla” disse Francesca, avvicinandosi a Violetta. La ragazza si alterò a quelle parole: “Sempre le stesse cose. Non sai dire altro? Comunque non darò altre speranze a Leon, non ti preoccupare”. Era stufa; sapeva che lei provava qualcosa per Leon, eppure si ostinava a non comprenderla, non ci provava neppure. “Sempre le stesse storie con te, Francesca, non ce la faccio più” ripeté la ragazza, spazientendosi. “D’accordo, smettiamola” disse la Custode incrociando le braccia offesa. Insomma c’erano delle regole da rispettare e lei voleva solo proteggerla. “Ragazze, indovinate chi ha degli indizi per una Clow Card?” disse allegramente Maxi, balzando in mezzo a loro. “Maxi, stavamo parlando” sbottò Violetta. “Veramente avevamo finito, e poi un’ allarme Carta di Clow è sempre importante” rispose Francesca. “Ma bene! Tanto è sempre così: le Clow Cards sono più importanti di qualunque altra cosa” ribatté acida Violetta, prendendo la borsa e andando a sbattere contro qualcuno. Era Diego. “Scusa Diego, non volevo, davvero” sussurrò la Cattura-Carte, ancora turbata per la litigata. “Non preoccuparti. Tra parentesi, ottimo lavoro con The Freeze, sai ho visto tutto ma non sono intervenuto per vedere se te la potessi cavare da sola. E non hai deluso affatto le mie aspettative” si congratulò Diego. “Grazie mille per i complimenti” disse Violetta, arrossendo vistosamente. “Ma si può sapere cosa ha quello che io non ho?” chiese Leon con una certa punta di gelosia. “Beh, è bello, interessante, misterioso…” cominciò a elencare Andres mentre li vedeva chiacchierare insieme. “Grazie, Andres, grazie mille” disse Leon, dandogli una pacca sulla spalla. “Allora, oggi hai qualcosa da fare?” chiese con una certa noncuranza Diego. “Veramente dovrei andare con Francesca e Maxi in cerca di una Carta di Clow…” rispose Violetta il più educatamente possibile. “Bene, sono dei vostri!” esclamò il ragazzo contento prendendole la mano sotto lo sguardo geloso di Leon. “Eh, no, adesso basta” sbottò Leon, facendo per andare da quei due, ma trattenuto per il braccio dall’amico. “Non vorrai mica fare la figura del geloso?” lo riprese Andres. I due se ne andarono insieme a Francesca e Maxi, mentre Leon, ormai rassegnato, si rifugiò in aula di musica per provare la canzone che stava componendo; almeno quella doveva essere perfetta.
“Allora questa Carta di Clow?” chiese Violetta mentre stavano camminando in un vicolo stretto al centro di Buenos Aires. “Parlavano di questa sorta di fantasma, una donna vestita di blu che si aggira qui nei dintorni, e quando passa per la paura le persone urlano e in men che non si dica si ritrovano in posti assurdi; una ragazzina pare si sia ritrovata addirittura sul tetto di una palazzina” spiegò l’amico, tirando fuori la videocamera. “Perfetto…” disse la Cattura-Carte ironica. Ci mancava pure una Carta in grado di teletrasportare in posti assurdi. Chissà qual’era il suo potere. “Forse la nostra nuova Cattura-Carte non è pronta, forse dovrebbe smetterla di pensare a un certo ragazzo” la riprese la Custode. “Francesca, quante volte ne dobbiamo parlare, io non sono innamorata di Leon. Può essere che senta qualcosa per lui, che mi batta il cuore quando si avvicina a me con quello sguardo perfetto, perché lui è davvero perfetto…” si incantò Violetta, per poi riprendersi di colpo: “Ma so bene qual è il mio compito e quali sono le regole da rispettare, quindi smettila!”. “E tu concentrati sulla tua missione!” strillò Francesca. Le due cominciarono a battibeccare mentre Diego e Maxi si guardavano imbarazzati. Improvvisamente una donna si parò davanti a loro. Indossava un abito medievale e li guardava con disapprovazione; lentamente portò l’indice sulla bocca come per dirgli di fare silenzio…fu un momento: un boato li colse all’improvviso. Diego e Maxi scomparvero lentamente, trasportati chissà dove, mentre Violetta guardava l’amica spaventata. Sul palmo della sua mano comparve un simbolo, quello di una nota musicale con una grande X rossa sopra. Guardò preoccupata Francesca e notò che anche lei aveva lo stesso simbolo. Che diamine stava succedendo? La dama scomparve nel nulla, lasciandole confuse. “Che cosa è successo?” sussurrò Violetta, portando una mano sulla testa che sentiva scoppiare. “Non ne ho idea” rispose l’amica portando l’indice sul simbolo per studiarlo meglio. “E’ un volume off” disse dopo poco. “Che vuol dire?” chiese Violetta avvicinandosi confusa. “Siamo state marchiate dalla Carta del Silenzio. Questo significa che non possiamo alzare di tono entro un certo limite altrimenti…” cominciò a dire la Custode per poi deglutire. “Altrimenti?” la incoraggiò la ragazza spaventata. Il simbolo sul suo palmo cominciò a brillare come per avvertirla. “Altrimenti scompariremmo catturate dalla Clow Cards. E tu hai alzato fin troppo il tono di voce” bisbigliò Francesca. “Ma praticamente, dovremmo stare a vita in silenzio?” disse Violetta abbassando il tono di voce. “No, basta spezzare il sigillo perché The Silent compaia, e poi la potrai catturare tranquillamente” sussurrò Francesca, allarmandosi non appena il suo simbolo si illuminò. Violetta ebbe un’idea e prese il cellulare, digitò qualcosa e fece vedere lo schermo a Francesca: ‘E come lo spezziamo?’. Francesca prese il cellulare e fece lo stesso: ‘La tua è una buona domanda’. Violetta la guardò infuriata per poi esplodere: “Mi stai dicendo che non sai come fare?”. Il simbolo si illuminò nuovamente, questa volta con più intensità. “Shhh!” la zittì l’amica. Violetta si appoggiò con la schiena sul muro e si lasciò cadere piano; si sentiva in trappola. Finora aveva sempre agito sapendo in che modo affrontare le Carte, ma in questo caso non sapeva proprio che inventarsi. Si sarebbe tenuta quel marchio a vita? Guardò con gli occhi lucidi Francesca, la quale si avvicinò e si sedette vicino a lei. “Ho sbagliato e volevo chiederti scusa. Il compito è già duro di per sé con quelle regole assurde e io non ho fatto altro che peggiorare la situazione” disse la Custode lentamente. Violetta la guardò per un istante: “Anche io ho sbagliato. Leon mi ha confuso, ma per il suo bene gli devo stare lontana, tu non hai fatto altro che dirmi ciò che era giusto fare. E per quanto doloroso fosse, avrei dovuto accettare sin da subito la verità. Io non posso stare con Leon, e questo è tutto”. Quelle parole dette da lei le fecero male, quindi strinse le gambe al petto e cominciò a piangere. Francesca le circondò le spalle con il braccio e poggiò la testa piangendo insieme a lei, in silenzio. Il silenzio. Entrambe smisero all’unisono di singhiozzare, assaporando quel momento in cui nessuna delle due aveva nulla da dire. Un momento magico e irripetibile, così l’avrebbero definito in quel momento. Forse era proprio The Silent ad avergli dato la capacità di comprendere quanto fosse unico un momento di silenzio, in cui non c’erano parole da dirsi, ma gli occhi si parlavano. Francesca guardò l’amica e si sporse per abbracciarla. Violetta si sentì protetta: con quell’abbraccio si erano dette tutto quello che andava detto e anche di più. Avevano rafforzato il loro legame di amicizia, si stavano facendo forza  l’una con l’altra… Improvvisamente un rintocco di campane risuonò nelle loro orecchie: The Silent come un angelo sceso in terra, atterrò dall’alto davanti a loro e mise avanti le mani. I simboli sulla loro mano sbiadirono lentamente fino a scomparire. “Puoi catturarla” sussurrò Francesca incredula. Violetta richiamò lo scettro: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità ti ordino assumere le tue vere sembianze. E’la tua padrona che te lo ordina”. La dama in blu annuì con il capo e si preparò a essere risucchiata nella Carta. Quando la prese in mano una voce invase la sua mente: ‘Perché a volte un gesto vale più di mille parole’. La Carta le aveva parlato! Sorrise a quella frase, e mise la Carta insieme alle altre. “Bene, la nuova padrona delle Clow Cards” disse una voce alle sue spalle, costringendola a voltarsi; era un giovane uomo castano con una spada argentata che brillava e uno sguardo penetrante. Era il Re Nero del suo sogno...era Li Shaoran. 




NOTA AUTORE: rieccomi e perdonate il ritardo con cui ho aggiornato questa long, ma come dire in modo fine...non avevo idee per The Silent. E questa idea non mi soddisfa pienamente ma volevo che la cattura della Carta fosse un'occasione per parlare un po' dell'amicizia tra Fran e Violetta...ma povero Leon ç.ç (si Ary_6400 ti concedo di consolarlo xD) ç.ç Violetta però non può stare con lui e quindi...però ho adorato la scena in cui Leon prova davanti lo specchio (un classico xD). E adesso è stato rubato il topazio di uno dei Sette Re di Roma, e la povera Nata si sente in colpa...cosa avranno a che fare queste misteriose pietre con la nostra storia? Lo scopriremo...nel frattempo spero che questo capitolo vi sia piaciuto (a me non ha fatto completamente schifo xD), fatemi sapere :D Buona lettura a tutti!!!
P.S: The Freeze è la Carta del Ghiaccio, ed  è in grado di congelare qualsiasi cosa. La Carta del Silenzio invece è una carta che si irrita facilmente...nel suo raggio d'azione allontana chiunque alzi un po' troppo il tono di voce...

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Capitolo 11
*** The Erase and The Illusion ***


Capitolo 11
The Erase and The Illusion

Violetta era in un appartamento piuttosto piccolo e buio. Il giovane li fece accomodare in un salottino su delle poltrone nere come la notte. “Chissà Maxi e Diego che fine hanno fatto…” sussurrò Violetta mentre Li era in cucina a preparare un tè. “Non ne ho idea, non riesco a rintracciarli con il mio potere” le rispose la Custode attentamente. “Sono sani e salvi allo Studio, non vi preoccupate. The Silent li riteneva solo un ostacolo a quella che doveva essere la sua prova” spiegò Li portando un vassoio d’argento con sopra tre tazze in porcellana bianca riempite con un liquido dorato. “Una prova?” chiese la Cattura-Carte, prendendo da seduta una tazzina dal vassoio che il loro ospite aveva appoggiato su un tavolinetto nero al centro della stanza. “Non tutte le Carte sono ostili o propense ad ostacolare la nuova Padrona. Alcune semplicemente vogliono metterla alla prova e in tal modo capire se è degna o no di catturarle”. “Io ti ho sognato…è normale questo?” si lasciò scappare Violetta con lo sguardo posato sulla superficie increspata del tè. “Mi aspetto di tutto da una Padrona di Clow…hai un potere magico considerevole, il che è strano visto che non sei un’erede di Clow Leed” disse Li con un sorriso triste. “Lui è Li Shaoran, attenta a come ti rivolgi a lui, è un discendente di Clow e compagno di Sakura Kinomoto, la precedente Padrona, nonché regina della comunità magica orientale” spiegò Francesca, lanciando uno sguardo pieno di rispetto e ammirazione per il loro ospite. “Bene, ora che siamo stati presentati ufficialmente, vi chiederete che cosa ci faccio qui a Buenos Aires” ipotizzò Li con uno sguardo enigmatico. La Custode deglutì: poteva benissimo immaginare il motivo per cui fosse lì. Sicuramente aveva a che fare con Diego e con la Setta di Clow. Violetta per conto suo annuì: era proprio la domanda che si era posta non appena venuta a  conoscenza  della sua identità. “Sono qui per osservare l’operato di Diego, altro erede di Clow. Devo sapere qual è il suo obiettivo e impedire che si intrometta eccessivamente in questa storia…Non sappiamo ancora se è dalla tua parte” continuò il giovane per poi interrompersi e sorseggiare un po’ di tè. Accavallò le gambe e socchiuse gli occhi, mentre continuava a bere, affinando il più possibile il suo senso da spadaccino magico per essere sicuro che nessuno stesse origliando la loro conversazione. “Io mi fido di Diego, si è sempre dimostrato leale e spesso mi ha aiutato, salvandomi anche la vita” esclamò la ragazza convinta. “Sono d’accordo con Violetta. Già gli altri Custodi mi avevano chiesto di pedinarlo, e non ha fatto nulla di male. Insomma se fosse stato contro Violetta, non l’avrebbe protetta in quel modo” la appoggiò Francesca, poggiando la sua tazza sul tavolo e alzandosi infervorata. Si ricordò di fronte a chi si trovava e si rimise seduta imbarazzata e con il volto arrossato. “Interessante…” sussurrò Li. “Mi puoi lasciare solo con la Custode del Sud America?” aggiunse poi, rivolgendosi a Violetta, la quale rimase seduta con lo sguardo incerto. Francesca le diede un’occhiata rassicurante e le fece un cenno per convincerla a seguire quella richiesta. Violetta si alzò sempre titubante e uscì dalla stanza. “Bene, ora che siamo soli, possiamo parlare di un affare importantissimo. Hanno rubato il topazio dei sette Re di Roma…” incominciò a dire Li. Francesca lo fisso spaventata. Chi mai avrebbe voluto rubare un oggetto maledetto in quella misura? Il povero Federico era caduto nella maledizione del rubino. “Dobbiamo stare attenti, capire chi vuole rubare queste sette pietre e perché. Dopo ciò glielo dobbiamo impedire…se desiderano possedere tutte le sette gemme, Federico corre dei rischi poiché possiede il potere del rubino. Deve essere protetto, ci penserò io” continuò Li sfregandosi un anello d’argento che portava sull’anulare della mano destra. “Tutti i Custodi hanno iniziato le ricerche…Deduco che anch’io devo cominciare a localizzare la gemma nascosta qui in Sud America. Mi chiedo solo dove si trovi la settima gemma…insomma sei sono state nascoste nelle rispettive zone dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania, del Sud America e del Nord America, ma dell’ultima non si hanno notizie” esclamò Francesca. “Di quello ci occuperemo più in là. Ricordati il tuo compito, nel frattempo io condurrò anche delle indagini per capire meglio in quale modo intendono sfruttare il potere di quelle pietre magiche” concluse Li. Francesca annuì, poi si alzò e dopo aver salutato il loro ospite, raggiunse la sua amica che stava facendo avanti e indietro per il corridoio preoccupata. “Non ti preoccupare, non era niente di grave” affermò poggiandole una mano sulla spalla. Violetta si girò di scatto e l’abbracciò: “Non voglio che tu corra rischi…”.
“Quindi avete incontrato questo fantomatico Li Shaoran? E che ti ha detto, Francesca?” chiese Maxi mentre prendeva alcuni spartiti nell’armadietto. “Niente, mi ha detto solo di stare attenta a Diego e cose così” rispose lei con sicurezza. Non poteva rivelargli la verità, a causa della gravità della situazione era preferibile che meno persone possibili sapessero di questa storia delle sette gemme dei Re di Roma. “E…Diego?” chiese Violetta, fingendosi disinteressata. “Come mai tutto questo interesse per quel ragazzo?” chiese Maxi con un sorrisetto. La ragazza arrossì e rimase in silenzio. “Comunque ieri mi ha detto che ci saremmo rivisti il giorno dopo, in seguito allo sbalzo spaziale che ci ha fatto fare la Clow Card”aggiunse pensieroso.
Andres era entrato nell’aula degli strumenti per prendere una chitarra per gli esercizi, ma stranamente non la trovava. “Che diamine, eppure ieri l’avevo rimessa a posto, che l’abbia presa qualcuno?” mormorò il ragazzo grattandosi il capo e pensando a dove cercare. Entrò nello sgabuzzino e rovistò tra qualche scatolone, alzando un bel po’ di polvere. “Niente…” disse ormai rassegnato. Per la polvere Andres si mise una mano davanti, ma, quando fu fuori, guardandosi il palmo notò che lentamente stava diventando trasparente. “Ma cosa…” esclamò Andres, facendo per uscire, ma un secondo dopo il suo corpo si dissolse, diventando pian piano trasparente.
“Finalmente anche questa benedetta lezione è finita!” esclamò Francesca esasperata. “Già…ma nel pomeriggio dobbiamo rimanere per provare l’esercizio che ci ha dato Pablo” le ricordò il loro amico, tirando fuori un panino per il pranzo e sistemandosi su una panchina fuori lo Studio. “Che bello vedervi!” esclamò Diego, arrivando con passo svelto e sedendosi insieme a loro, vicino a Violetta, la quale si imbarazzò non appena avvertì la sua vicinanza. “Mi devi ancora raccontare cosa è successo ieri” le sussurrò Diego all’orecchio, facendole venire i brividi. “Niente di che, le solite cose…Carte che cercano di metterti alla prova o di ucciderti” rispose con un sorriso. Leon si era fermato a qualche metro, osservandoli ridere e scherzare con molta confidenza; strinse i pugni e contò fino a dieci facendo lunghi respiri per non fare una sfuriata di gelosia. Sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi forzati e si avvicinò per parlargli: “Bella giornata, vero? Avete visto Andres? Non lo riesco proprio a trovare”. Tutti scossero la testa. “Bene, grazie lo stesso, vi lascio stare…” disse Leon, lanciando un’occhiataccia a Violetta e Diego. La Cattura-Carte comprese subito la sua gelosia e si alzò per inseguirlo mentre si allontanava. “Leon, aspetta, fermati!” strillò entrando con lui in aula strumenti. “Che succede?” le chiese incrociando le braccia. “Io…non è come sembra…” balbettò lei. Che le stava prendendo? Perché si sentiva così insicura di fronte a lui? Quegli occhi verdi sembravano spalancare la sua anima ed essere in grado di leggerle dentro. “Non ho bisogno di spiegazioni, non mi devi spiegare nulla…” sentenziò Leon. “Ma io ci tengo a te e penso che tu debba sapere che…” cominciò a parlare, ma venne interrotta. Un dito si posò sulle sue labbra, facendola tacere all’istante: “Tu hai detto che tieni a me?”. Leon non poteva crederci: gli veniva da sorridere, da esultare, da fare migliaia di cosa, ma soprattutto aveva voglia di baciarla, ora che sapeva che non si sarebbe ritratta. “S-si” balbettò nuovamente la ragazza con le guance che si coloravano sempre più di rosso. Leon sorrise e si avvicinò piano, chiudendo lentamente gli occhi. Violetta poté quasi sentire il suo respiro farsi sempre più pressante, ma poi…nulla. Riaprì gli occhi che aveva chiuso di scatto e si rese conto con orrore che di fronte a lei non c’era più nessuno. “Tutto bene?” fecero in coro Diego, Maxi e Francesca, affacciandosi nella stanza. “No…Leon un secondo fa era qui e adesso è scomparso!” esclamò Violetta terrorizzata. “Aspetta un attimo…che ci faceva Leon da solo con te?!” disse Francesca preoccupata. “Niente, niente” sussurrò lei, diventando rossissima. “Maxi e tu che…Maxi?!” esclamò la Custode. Il suo compagno, che fino a qualche momento fa era al suo fianco, adesso non c’era più, si era volatilizzato. “Qui sta succedendo qualcosa di strano” disse piano Diego. “Già…” confermò Francesca. “Francesca….ma tu stai…sparendo?” disse Violetta indietreggiando spaventata. La Custode si guardò le mani e le vide diventare lentamente trasparenti. “Non ti deconcentrare, deve trattarsi sicuramente di una Carta di Clow che ti ha localizzata” disse l’amica prima di sparire del tutto. “Aiuto, ho paura…” sussurrò Violetta con gli occhi ridotti a due fessure. Diego si fiondò su di lei e la tenne stretta in un tenero abbraccio. “Vedrai, andrà tutto bene, io mi fido di te…ce la farai” le sussurrò all’orecchio per poi sorriderle e scomparire come gli altri. Era sola…il primo impulso era quello di scappare, ma non riusciva a fare nemmeno quello. E poi non poteva abbandonare i suoi amici, e Leon. No, non voleva perdere Leon. Fece un respiro profondo e richiamò il suo scettro. Un tentacolo invisibile si avvicinò alle sue spalle, ma lei se ne accorse grazie al suo sesto senso magico e lo schivò per un soffio. Un altro tentacolo le aveva però afferrato il piede che cominciò a perdere consistenza…stava sparendo; e insieme ad esso tutto il suo corpo.
Una stanza bianca…era morta? Non le sembrava di essere nell’aldilà. Di fronte a lei una buffa donna vestita da giullare, con alternati dei rombi bianchi e neri sul vestito, era seduta in aria e la guardava sventolando una mantellina trasparente come l’acqua. “Tu devi essere la Clow Card” disse Violetta, per poi prendere in mano una Carta da usare, ma questa le attraversò le mani come se non esistesse. “Non puoi vincere…non credo tu possa farcela, sei così impulsiva. Finirai col portarci alla rovina” esclamò la donna con un sorriso enigmatico. Bene, una Carta scettica…ci mancava solo quella. Sangue freddo. Doveva analizzare la situazione: non poteva usare le Carte, non era in grado di fare nulla, perfetto. Situazione analizzata: era nei guai. Una voce risuonò nella sua testa: ‘Il mantello è il simbolo della Cancellazione. Il mantello è fatto della stessa consistenza dell’aria, lo potrai afferrare nonostante tu sia solo un pallido riflesso’. Pallido riflesso non suonava molto bene; quindi si doveva trovare in una specie di limbo tra la sparizione e la consistenza della realtà. Probabilmente grazie ai suoi poteri magici sempre più forti era riuscita a contrastare in parte il potere della Carta. Si avvicinò lentamente a quel buffo giullare e poi con un salto rapido cercò di rubare il prezioso oggetto. Finì per terra, cadendo malamente. Era scomparsa! Una risata cristallina dall’altra parte della stanza la fece rialzare e voltare. “Io sono Sparizione, Cancellazione, sono The Erase. Davvero pensi di catturarmi in questo modo?” disse ridendo. Quella Erase era davvero piena di sé…Se solo avesse potuto usare The Windy, avrebbe creato una folata di vento per strappargli di mano quel maledetto velo che teneva in mano con fare trionfante. Cercò di raccogliere lo scettro per terra, ma la mano lo attraversò solamente. Non aveva alcuna speranza: sarebbe rimasta lì per tutta la vita, o almeno finché i suoi poteri magici lo avrebbero permesso, poi sarebbe scomparsa come tutti gli altri. Si sedette incrociando le gambe e tirando fuori respiri profondi: non si sarebbe arresa, come tutte le altre volte avrebbe trovato un modo per catturare quella Clow Card. Chi voleva prendere in giro…stavolta era spacciata. Aveva voglia di piangere, ma non voleva dare quella soddisfazione a Erase. ‘Ho bisogno di The Wind, ho bisogno di The Wind…’ pensò con sempre più frequenza Violetta, fino a che le parole non vennero automaticamente formulate dal suo cervello. Le sembrava di vedere davanti ai suoi occhi la scritta The Wind con delle lettere dorate. La sua tasca prese a brillare dapprima in modo così tenue che nemmeno se ne rese conto; la luce si diffuse con più intensità, attirando l’attenzione della Cattura-Carte. The Wind brillava ininterrottamente levitando lentamente in aria; fu questione di un attimo: dalla Carta scaturì l’entità del Vento che attaccò improvvisamente The Erase, rubandogli il mantello con un gesto fluido e facendolo cadere ai suoi piedi. Violetta non riusciva a credere a come avesse fatto, ma non era quello il momento delle domande: afferrò il mantello e si sentì vorticare, le pareti bianche divennero nere e dopo un momento di buio si ritrovò nella sala degli strumenti mentre la Clow Card la guardava inorridita: “Ma non…non è possibile!”. La ragazza non perse tempo e afferrò lo scettro per poi puntarlo verso di lei e far apparire la Carta, che intrappolò Erase insieme al suo artefatto magico. “Ah, allora chi ha vinto, cara Erase?” esclamò Violetta improvvisando un balletto per festeggiare. Dal nulla comparvero tutte le vittime della Clow Card, alquanto confuse. “Ma che è successo?” chiese Leon con un gran mal di testa. “Voi…non ricordate nulla?” chiese perplessa. “No…” disse Francesca. Che strano…che la Cancellazione fosse anche in grado di eliminare i ricordi? “Ti devo parlare” disse subito Diego con decisione, prendendola per il braccio e andando fuori. Leon li guardò geloso, ma poi gli venne un’idea: uscì di corsa dalla stanza con il sorriso stampato. Era ormai passato un quarto d’ora e Violetta aveva appena finito di spiegare al ragazzo tutto l’accaduto. Sentiva di potersi fidare di lui, ma non sapeva spiegarsi il perché. “Shhh…silenzio, adesso. Chiudi gli occhi” disse dopo essersi girato e aver visto qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. Violetta rimase sorpresa da quella strana richiesta, ma chiuse gli occhi. Sentì le labbra di Diego farsi sempre più vicine, senza toccarle, sfiorandole soltanto. E in tutto questo una domanda prepotentemente si affacciò nella sua mente: e se avesse deciso di baciarla? E se fosse davvero un suo nemico? Il cuore le batteva forte, ma più per la preoccupazione che per un sentimento d’amore. Si, aveva paura; aprì gli occhi di scatto per allontanarsi. No, non poteva accettarlo; ma quando vide al di là delle spalle del ragazzo si sentì quasi morire: Leon li stava guardando con aria ferita, in mano aveva una rosa bianca, che teneva stretta, mentre una spina gli stava facendo sanguinare la mano, ma sembrava che per lui non fosse importante. Nulla poteva fargli male quanto quello che stava provando in quel momento: Violetta aveva baciato Diego, e lui…si sentiva solo uno sciocco. Fece cadere la rosa per terra e scappò via: non voleva che qualcuno lo vedesse in quello stato, non voleva che lo vedessero col cuore infranto. Violetta prima cercò di seguirlo, ma correva troppo veloce, si voltò di scatto inferocita verso Diego: “Perché? Non dovevi!”. “E invece si. Lui ha creduto che ci siamo baciati, anche se non è così. L’ho fatto per il tuo bene, ultimamente si stava avvicinando un po’ troppo, dovevo allontanarlo” spiegò Diego serio. Aveva maledettamente ragione, ma non era quello il modo giusto. Aveva appena ridotto in mille pezzi il cuore dell’unico ragazzo che le fosse realmente interessato per la prima volta nella vita. Ed era sicura che l’amore che prima provava per lei si sarebbe presto tramutato in odio.
 
Le previsioni di Violetta non furono affatto errate: Leon non le rivolgeva più la parola, quando arrivava smetteva di parlare se stava con gli altri e la evitava continuamente per i corridoi. Aveva provato più volte a spiegargli, ma lui non la ascoltava né la degnava di uno sguardo. In più Francesca era completamente dalla parte di Diego: “Si, forse ha sbagliato nei modi, ma guarda il lato positivo” continuò la Custode convinta. “Non vedo lati positivi” borbottò lei sedendosi di botto, e aspettando l’inizio della lezione. “Leon non ti si avvicinerà più, non dovrai più ferirlo e inventarti scuse per non stare con lui” esclamò l’amica, sedendosi vicino a lei. “Si, ma a me piace. Io…credo…di essermi innamorata, Francesca” confessò Violetta, abbassando lo sguardo. La Custode la guardò come se stesse delirando e cominciò a sudare freddo: “No, non è possibile, non puoi, e lo sai bene. E’ tutta colpa mia, avrei dovuto cercare di….”. “Non è un problema. Anche se mi fa soffrire è una sensazione bellissima, a volte basta sognare ad occhi aperti. Spesso mi immagino con Leon mentre camminiamo mano nella mano, ed è qualcosa di unico, che va al di là della magia stessa” la interruppe dolcemente la ragazza. Non ebbero tempo di proseguire la conversazione poiché entrò Angie allegra e pimpante: “Allora ragazzi, siete pronti per una bella notizia? Stasera lo Studio 21 darà un ballo in bianco e nero, siete tutti invitati”. Detto questo distribuì a tutti gli studenti emozionati l’invito. La lezione per il resto trascorse molto tranquillamente, fino a quando non suonò finalmente la campanella. “Mi devi assolutamente spiegare poi come hai fatto a usare una Clow Card senza scettro” disse Francesca a bassa voce per il corridoio. “Non ne ho proprio idea…ma è così importante?” chiese Violetta. “Ma certo che lo è! E’ una cosa incredibile! Ti spiego: un mago ha un forte potere magico, ma molto spesso ha bisogno di una sorta di catalizzatore per poter lanciare un qualsiasi tipo di incantesimo. Noi Custodi siamo stati istruiti a fare uso della nostra anima in questo senso, e già di per sé è complicato; la maggior parte dei maghi utilizza degli scettri più o meno come il tuo per incanalare i loro poteri. Per utilizzare le Carte di Clow è necessario uno scettro che tiri fuori tutto il potenziale magico, ma tu sei riuscita ad usufruire della tua anima per utilizzare The Wind…e dimostra una connessione magica fortissima tra te e le Carte. E’ strano…perfino Sakura ha dovuto impratichirsi parecchio sotto la guida di Eriol per padroneggiare quest’abilità in modo completo” esclamò la Custode sorpresa. Violetta rimase in silenzio: quindi ciò che aveva fatto era davvero anormale. La sua attenzione fu subito attratta da Leon che era davanti a loro e parlava tranquillamente con il suo amico Andres. “Vieni alla festa?” chiese l’amica cercando di distrarla: aveva subito notato la sua faccia afflitta nel vederlo. “Non credo…” sussurrò la Cattura-Carte abbassando subito lo sguardo non appena il ragazzo la fissò per un attimo. Non voleva soffrire più del dovuto e vederlo anche fuori dalla scuola sarebbe stato per lei ancora più doloroso. “Tuo padre?” chiese la Custode. “Già…” sussurrò Violetta. In effetti German non l’avrebbe mai mandata a una festa del genere, già ci aveva messo secoli per convincerlo a mandarla a quella di Halloween con la promessa che non avrebbe fatto tardi. “Ma io ho un piano, così potrai venire alla festa” disse Francesca con un sorrisetto. “Preparati il vestito, ci vediamo alle 19 a casa tua” esclamò Francesca, facendole l’occhiolino.
Erano le 19 in punto e il campanello suonò lasciando entrare Francesca con un abito nero come la notte e una mascherina dello stesso colore. L’abito era lungo, ma aveva uno spacco laterale che metteva in risalto le sue gambe. “Wow, che bella!” si lasciò scappare Violetta con una certa invidia. La Custode sorrise con noncuranza e la trascinò in camera senza farsi vedere da German. “Allora, ecco il piano: usi The Mirror per creare una tua copia, poi ti metti il vestito e andiamo alla festa, lasciando qui il tuo clone” spiegò rapidamente Francesca. “Ma tu non eri contraria all’uso di Carte per scopi personali?” chiese la Cattura-Carte sospettosa. “Senti, per una volta facciamo un’eccezione. Hai bisogno di divertirti un po’” la interruppe. Violetta annuì: forse sarebbe riuscita a non incontrare Leon alla festa. E aveva davvero bisogno di svagarsi. Evocò lo scettro magico e richiamò il potere di The Mirror per creare una copia di sé stessa: “Bene, allora tu prendi il mio posto, mi raccomando non far insospettire mio padre”. “Tranquilla” la rassicurò il riflesso. La Cattura-Carte utilizzò poi the Fly per volare via dalla finestra.
“Hai finito?” chiese Francesca a bassa voce mentre faceva da guardia a un cespuglio vicino ad una maestosa villa a due piani dove si teneva la festa. “Si, eccomi” esclamò Violetta sbucando fuori con un vestito bianco candido e una mascherina argentata. “Mi aiuti a raccogliere i capelli?” chiese lei, arrossendo vistosamente e passandogli una forcina. “Certo!” esclamò l’amica. Dopo aver ultimato gli ultimi preparativi le due amiche entrarono nella villa, già piena di invitati che stavano chiacchierando vicino al tavolo del buffet o che stavano dando il via alle danze. Nella sala da ballo adiacente all’ingresso vi era in fondo un piccolo palco su cui le persone avrebbero potuto esibirsi. All’entrata le vennero consegnati due numeretti scritti in rosa. “Cercate il vostro stesso numero in blu e troverete il vostro cavaliere” disse uno degli addetti alla festa. “Che bello, ho il 12” disse allegramente Francesca, mentre l’amica guardava il suo: 13. Bene, 13 è un numero fortunato. Una sera di completo svago, non vedeva l’ora ed era alquanto improbabile che… “Chi ha il 13?” disse una voce alle loro spalle. “Si, sono io…” rispose allegramente Violetta voltandosi di scatto e rimanendo di sasso: un ragazzo con un paio di pantaloni eleganti scuri ed una camicia nera, il cui volto era coperto da una piccola mascherina bianca le stava venendo incontro sorridendo. Ed era impossibile non riconoscerlo, quegli occhi verdi erano inconfondibili. Un solo pensiero attraversò la sua mente: maledetto numero 13! “Violetta?!” esclamò il ragazzo sorpreso non appena la vide in tutta la sua bellezza. Incredibile, più voleva evitarla più si ritrovava vicino a lei. “Ehm, no, stai sbagliando…è una mia amica” si intromise Francesca. “Sicura? Assomiglia tantissimo a Violetta. Comunque, piacere, sono Leon” disse lui, tendendole la mano. Violetta la strinse tenendo lo sguardo basso e cercando di non dare segni di riconoscimento. L’ultima cosa che ci mancava era che la riconoscesse, rovinando così la serata a entrambi. Cercò di falsare la voce il più possibile: “Piacere mio, io sono…”. Chi diamine era? Un nome…le serviva un nome al più presto, uno qualsiasi; strano a dirsi in quel momento non le veniva in mente nulla, talmente era ipnotizzata da quegli occhi verdi che la studiavano, come se sapessero che in realtà lei era proprio Violetta. Francesca si guardò intorno e notò al tavolo vicino una bottiglia di Martini. “Martina!” sparò a un certo punto, guardando l’amica dritta negli occhi. “Che bel nome…Martina mi concede questo ballo?” chiese Leon, porgendole la mano da perfetto cavaliere. “Certo!” esclamò lei convinta, mentre si dirigevano al centro della sala da ballo, proprio sotto un meraviglioso lampadario d’argento che brillava, riflettendo le luci che illuminavano la stanza. Francesca nel frattempo si aggirava intorno all’ingresso cercando il suo cavaliere. “Francesca, stasera sei bellissima” le sussurrò da dietro qualcuno all’orecchio, facendola voltare di scatto. Era Federico, quegli occhi che avevano un riflesso rossastro a causa della maledizione lo tradivano. “Grazie, anche te stai bene” rispose con un sorriso la Custode. “Stasera sarò il tuo cavaliere” sentenziò lui, porgendole il braccio in modo cavalleresco. “Non direi, se non sbaglio in mano hai il numero 20” disse Francesca scoppiando in una risata. L’italiano sorrise e schioccò le dita. Il 2 si allungò fino a diventare un 1 e lo 0 si deformò formando un 2: “Che caso anche io sono 12”. La Custode lo guardò sorpresa per tanta sfacciataggine e si sentì lusingata. “Penso che potrei concederti un ballo, allora” concluse mettendosi a braccetto con il suo cavaliere e avanzando raggiante.
Maxi e Ludmilla avevano avuto lo stesso numero, il 17. “Lo sapevo che mi avrebbe portato sfortuna” disse la biondina voltandosi dall’altra parte. “Non è che io mi diverto a passare la serata con te” disse il ragazzo, che si sarebbe aspettato chiunque, ma non lei. “Almeno invitami a ballare” disse Ludmilla. Come minimo doveva scovare Leon e farsi concedere un ballo, per salvare quella serata che si stava preannunciando disastrosa. “Per favore” la corresse Maxi. “Per favore di che?” chiese lei passandosi una mano tra i capelli con molta naturalezza. “Per favore, potresti invitarmi a ballare?” le suggerì il ragazzo con un sorrisetto. “Stai scherzando, spero” strillò lei, come se le avesse chiesto di scalare l’Everest con i tacchi. “E allora puoi anche rimanere qui a fare l’imbronciata” disse il ragazzo voltandosi per andarsene. Una mano lo trattenne inaspettatamente, si rigirò e notò una Ludmilla diversa dal solito, una persona estremamente insicura e dubbiosa: “Per favore…”. Maxi sorrise e la invitò a ballare.
Violetta aveva appoggiato la testa sul petto di Leon, lasciandosi andare al suono di quella melodia dolce e romantica, mentre il ragazzo ballava con lei il lento abbracciandola delicatamente. Si sentiva così bene tra le sue braccia, non ne sarebbe voluta uscire mai più. Ma quelle erano sentimenti destinati a non realizzarsi mai, a rimanere una effimera illusione, pronta a svanire al primo tocco in una voluta di fumo. Quando si separò per guardarlo negli occhi, notò che lui stava sorridendo. Forse aveva capito, forse adesso si sarebbe allontanato da lei e quel sorriso era per schernirla. “Chi è questa Violetta che ti ricordo?” chiese d’impulso, poggiando una mano sulla sua spalla. “Una ragazza della scuola in cui vado. In realtà io ne sono innamorato, ma lei ha scelto un altro” spiegò mentre il suo sguardo si fece improvvisamente cupo. “Ma non parliamone stasera, non ci voglio pensare. Sto cercando di dimenticarla” aggiunse poi, notando il suo imbarazzo. Era strano: pensava di provare forti emozioni solo con Violetta, ma Martina…aveva qualcosa che lo affascinava, si sentiva attratto da lei. E forse era la persona giusta per dimenticarsi di Violetta. Solo che le assomigliava troppo, ogni minuto che passava rafforzava la sua convinzione: quella ragazza era Violetta. “Vado a prendere qualcosa da bere” disse Violetta, cercando di defilarsi alla vista di quell’espressione fin troppo pensierosa. Leon annuì e non appena la vide allontanarsi prese il cellulare: se Violetta era alla festa non poteva certamente essere a casa. “Pronto, casa del signor Castillo? Scusi l’ora volevo parlare con Violetta, sono un suo amico” disse al telefono. Aspettò qualche minuto finché il clone di Violetta non rispose: “Pronto?”. Al riconoscere quella voce interruppe subito la chiamata. Quella era la prova che Martina non era Violetta…doveva smetterla di pensare a quest’ultima, stava diventando davvero una fissazione. “Tutto a posto?” chiese Violetta. Era con lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse riflettendo. “Si, scusa” disse Leon, riprendendosi di colpo. Nel frattempo Francesca si avvicinò in compagnia di Federico: “Martina, ti devo dire una cosa…”. “Non me la puoi dire dopo?” chiese lei con aria sognante, mentre teneva la mano del suo cavaliere. “Se vuoi si, ma penso che preferiresti, saperlo ora visto che... Maxi ha preso di nascosto una canzone che stavi componendo e voleva farti una sorpresa, visto che…” cominciò a spiegare la Custode ma fu troppo tardi. “Invitiamo sul palco a cantare Martina e Maxi” disse uno degli organizzatori. Cantare? No, era uno scherzo. Lanciò uno sguardo di odio verso Francesca, la quale alzò le spalle con fare timido e disse: “Sorpresa!”. “Quando ti ha iscritto gli ho detto di farlo con l’altro nome per non creare problemi” continuò poi. “Grazie mille!” esclamò Violetta in tono sarcastico. “Io e Maxi ci tenevamo tanto a sentirti cantare…dai, fallo per noi. E poi la canzone è tua” la implorò l’amica. Violetta dopo un po’ di resistenza, incoraggiata anche da un ignaro Leon, si fece convincere e salì sul palco, dove l’aspettava l’amico con un sorriso. “Dopo ti ammazzo” gli sussurrò facendo un sorrisetto falso per non far vedere agli altri che era arrabbiata. La musica partì e lei la riconobbe subito: era Te Creo, la canzone che aveva iniziato a comporre ancora prima di iniziare la missione di Cattura-Carte. Quando si sentì sicura, fece una grande respiro: nessuno l’avrebbe riconosciuta, visto che nessuno l’aveva mai sentita cantare. Cominciò a cantare e senza volerlo i suoi occhi si persero in quelli di Leon. Era una sensazione unica che solo lui poteva dargli, e la musica faceva da sfondo a quello scambio di sguardi appassionato. Si sentiva libera di esprimere finalmente ciò che provava, e quelle parole che prima di conoscerlo non le avevano mai detto nulla di concreto, acquistavano magicamente un significato ben preciso. Ogni nota, ogni parola, ogni strofa per lei era una dichiarazione d’amore per Leon. Era tutto ciò che avrebbe voluto dirgli ma che non aveva mai potuto confessargli a causa della sua missione. Francesca si rese conto di quella cosa e la guardò tristemente mentre continuava a immergersi in quelle note, come se fossero l’unico modo in cui si potesse sentire legata a Leon. No, era tutto sbagliato. Sakura aveva reso infelice una ragazza, non si poteva continuare in quel modo… Violetta aveva una voce meravigliosa, sembrava un angelo quando cantava,  le faceva venire i brividi. Voltò lo sguardo cercando Leon e lo vide completamente senza parole mentre continuava a guardare quella ragazza che sembrava aver preso completamente in ostaggio il suo cuore.
Non appena la canzone terminò Violetta lasciò il microfono a Maxi e scese in fretta con l’intenzione di fuggire. Ora Leon avrebbe voluto spiegazioni, e lei non era in grado di dargliene. Era stato così naturale cantare guardandolo in quel modo …Salì le scale di corsa, mentre Leon la cercava. Non voleva farsi vedere da nessuno in quel momento. Il corridoio era buio e notò in fondo ad esso una piccola scaletta che conduceva probabilmente alla soffitta. Una luce tenue traspariva dalla fessure di quella botola che permetteva l’accesso. Con decisione si decise a salire, mentre alle voci dei festeggiati si aggiunse una strana sensazione, quella di una Carta di Clow. Aprì con un po’ di fatica la botola e si ritrovò in una piccola stanza polverosa…e tutto sarebbe sembrato normale ma di fronte a lei c’era un figura, una figura che non avrebbe potuto non riconoscere. Quella era Maria, sua madre…La donna le sorrideva dolcemente. Violetta si avvicinò come per poterla sfiorare, ma la figura si allontanò. Notò un piccola finestra circolare che faceva passare la pallida luce della luna. La donna indicò la finestra e uscì passandole attraverso. Era un fantasma? O forse solo un frutto della sua immaginazione? Senza dire nulla, come se fosse ammaliata aprì la finestra. Aveva da poco iniziato a piovere e Violetta si ritrovò sul cornicione adiacente alla finestra. La madre continuava a guardarla e a sorridere. Era di fronte a lei…un altro passo e l’avrebbe raggiunta; in quel momento il vuoto sotto di lei non sembrava per nulla importante, voleva solo sapere…sapere perché sua madre avesse deciso di incontrarla in quel modo. La pioggia si fece più fitta e si mescolò sul viso della Cattura-Carte a lacrime ricche di emozione. Si tolse la mascherina facendola cadere nel vuoto che li separava. Mosse un piede in avanti timorosamente. Si, voleva solo abbracciarla. “No!” sentì urlare Francesca dalla finestra. Violetta si voltò con uno sguardo supplichevole: doveva lasciarglielo fare, era sua madre, lei l’avrebbe protetta, non correva alcun pericolo. Francesca osservò la figura che si presentava di fronte a lei: Federico le stava sorridendo sotto la pioggia con gli occhi finalmente privi di quel bagliore rosso. C’era qualcosa che non andava, tutto questo le ricordava qualcosa di una Carta di Clow…ma certo! “Violetta! Ascoltami per favore, qualunque cosa tu stia vedendo, non è ciò che sembra. Quella è The Illusion, ci fa vedere le persone che più desideriamo nel nostro cuore” urlò l’amica. Niente, la ragazza sembrava in trance. Maria guardò prima la Custode, poi tornò a guardare Violetta per cercare di incoraggiarla. Adesso al suo fianco era apparso qualcun altro…era qualcuno che conosceva, un ragazzo. Era Leon. Che ci faceva con sua madre? Li osservò, questa volta terrorizzata. Sentiva il mondo girare troppo velocemente, mentre lo scrosciare della pioggia le stava procurando una fitta alla testa. Ma aveva un’idea: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco. Vai The Float!”. Colpì con la punta dello scettro la Carta e un enorme mongolfiera rosa comparve di fronte a lei. Violetta vi entrò e venne portata da Leon e Maria. Gli occhi di Leon le sembravano così inespressivi, così freddi. Quello non era il ragazzo di cui era innamorata. E Maria…da vicino sembrava anche lei così fredda e insensibile. Non poteva essere sua madre, una donna sempre gentile e solare. “Voi siete degli imbroglioni!” esclamò la ragazza, puntando lo scettro contro le due immagini che persero consistenza diventando due semplici sagome dai colori brillanti, risucchiate all’interno della Carta che si era creata. ‘The Illusion’, la Carta dell’Illusione. Si avvicinò a Francesca galleggiando e rientrò nella soffitta. Non appena fu dentro Francesca corse ad abbracciare l’amica, preoccupata com’era. “Sai qual è la cosa peggiore?” disse d’un tratto Violetta. “Quale?” chiese Francesca curiosa. “Che Maxi ci farà una storia poiché non ha potuto riprendere nulla” esclamò scoppiando a ridere, seguita a ruota dalla Custode.
Leon uscì nel giardino e trovò la mascherina bianca che apparteneva a Martina. Avrebbe tanto voluto rincontrarla, ma probabilmente se ne era ormai andata. Peccato, era l’unica ragazza a parte Violetta con cui aveva avuto l’impressione di una connessione speciale. Non voleva perderla, l’avrebbe cercata…




ANGOLO DELLE CARTE: tanti momenti Leonettosi per tutti!!! *sclera* Ok ciao a tutti, sono tornato con questo capitolo che stranamente mi piace. Non ho avuto tempo/voglia per ricontrollarlo con attenzione, ma gli ho dato una riletta e più o meno sembra funzionare...se ci sono errori ,segnalateli senza problemi ;) Allora il mio povero Leon in questo capitolo è dolcissimo....si innamora di Martina, sperando così di dimenticare Violetta, senza sapere che Martina è Violetta LOL Detto ciò il capitolo è molto dolce e incentrato sui Leonetta, ma ci sono riferimenti anche a Federico e Francesca, e a Maxi e Ludmilla. Dal prossimo ritorniamo anche ad altri personaggi (ossia Sakura, credo). Inoltre fa la sua comparsa quel grande stimabile Li Shaoran (che è un figo ù.ù). Insomma spero che il capitolo sia di vostro gradimento, buona lettura e alla prossima :D :D 
P.S: Tha Erase è in grado di far sparire oggetti e persone (e i ricordi recenti), mentre The Illusion crea illusioni 

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Capitolo 12
*** The Time and The Firey ***


Capitolo 13
The Time and The Firey

Violetta stava camminando in un prato fiorito. Era una pianura soleggiata, dove i cinguettii degli uccelli la facevano stare bene. Continuò a camminare; forse si trovava in campagna, fuori Buenos Aires. Si, quel posto le era familiare…era vicino a dove si trovava la serra dei genitori di Angie. Continuò a camminare, entrando nel boschetto dove aveva catturato The Flower. Un profumo dolce e delicato la avvolse: si trattava dei ciliegi in fiore. Non si fermò ad ammirare quella bellissima radura, bensì andò avanti come attratta da qualcosa. Non sapeva cosa…la vegetazione si fece sempre più fitta; scostò alcuni rami che si frapponevano tra lei e la misteriosa meta ignota. Finalmente pensò di essere quasi arrivata, si sentiva sollevata. Scostò un ultimo ramo e si trovò dopo qualche passo con i piedi che affondavano sulla sabbia. Di fronte a lei il mare, in tutto il suo splendore. Era uno spettacolo magnifico: il vento le scompigliava i capelli mentre il suo sguardo era perso a contemplare l’orizzonte, dove cielo e mare si incontravano. All’improvviso sentì due braccia forti cingerla con delicatezza. Un brivido si impossessò del suo corpo a quel contatto, si voltò consapevole di chi fosse colui che le stava provocando quelle meravigliose sensazioni. I suoi occhi verdi la scrutavano con ansia, tentando di nascondere inutilmente il desiderio di baciarla, di poter sfiorare la sua pelle, di poterla assaporare. “Leon, che ci fai qui?” chiese Violetta emozionata. Il ragazzo non rispose, ma le accarezzò  al guancia sorridendo e si avvicinò fino a baciarla dolcemente. Un vortice di sensazioni fantastiche. Con la destra strinse la sua mano; voleva essere sicura che fosse tangibile, reale, anche se sapeva in cuor suo che quello era tutto un sogno. Quando riaprì gli occhi si ritrovò sul marmo freddo in fondo alla scacchiera con gli occhi puntati in quelli della precedente Padrona delle Clow Cards, Sakura Kinomoto. Era un po’ di tempo che non faceva quel sogno strano. Una mano si posò sulla sua, si voltò e si perse nello sguardo pieno d’amore di Leon. La sua corona sembrava scintillare più del solito, ma forse era solo una sua impressione. Non voleva perderlo nemmeno per un secondo d’occhio, non voleva che scomparisse, lasciando nuovamente il posto a Diego. Leon chiuse lentamente gli occhi e si avvicinò per baciarla nuovamente. Quella notte era la notte dei baci di Leon, e la cosa non le dispiaceva affatto a dir la verità. Sentì l’intenzione del ragazzo di separarsi, ma lei continuò a baciarlo prendendogli il viso tra le mani. Non voleva che quel bacio finisse, perché ormai conosceva bene il seguito del sogno. Era così bello sentire quelle labbra calde sulle sue, sentire la mano che percorreva il contorno del suo corpo esile per poi fermarsi all’altezza dei fianchi. Si, amava Leon… poteva benissimo nasconderlo a tutti, ma non a se stessa. Quando si separarono, vide con tristezza la figura dell’amato dissolversi, il verde degli occhi divenne di un blu gelido. Eccolo… Diego la guardava con un sorriso beffardo. Si alzò dal trono e tirò fuori la spada. Nello stesso momento Li, il Re Nero, fece la stessa cosa. Le loro spade si incrociarono al centro della sala. Il rumore del ferro che si scontrava le entrò fin dentro le ossa, mentre Sakura guardava la scena paralizzata. Nonostante tutto però sembrava stranamente tranquilla, come se sapesse a prescindere come sarebbe andata a finire la sfida. La spada di Li infilzò da parte a parte lo sfidante facendolo cadere a terra, mentre la casella bianca su cui stavano combattendo si tingeva lentamente di rosso. Violetta scattò in piedi e corse in suo soccorso. Si catapultò per vedere come stesse, sperando che fosse ancora vivo; si inginocchiò e quello che vide fu terribile: il corpo di Leon senza vita aveva preso il suo posto, gli occhi ancora aperti per lo stupore e la paura. Vicino a lui la corona continuava a brillare, emanando un alone perlaceo. Fece per prendere la corona in mano, ma appoggiando la mano sul viso freddo del ragazzo, si sentì male e svenne. Mentre chiudeva gli occhi rivolse un’ultima occhiata alla Regina Nera che disse semplicemente: “E’ tutto necessario, Violetta”. Un sorriso enigmatico e poi buio.
Violetta si svegliò con le lacrime agli occhi. Aveva pianto durante il sogno, pianto per la morte di Leon. Francesca le aveva spiegato che la sua magia arrivava a farle avere sogni premonitori…e se Leon morisse davvero? Con questo dubbio angosciante si alzò dal letto per dare inizio alla giornata. Diede un’occhiata alla sveglia che teneva sul comodino: erano ancora le 7 di mattina. Bene, così si sarebbe preparata con più calma.
Violetta si trovò all’entrata dello Studio. Quel giorno sentiva qualcosa di strano nell’aria, ma non si sapeva spiegare cosa; si avvicinò allegramente a Maxi e Francesca, ma poi vide che stavano parlando con Leon. No, non voleva doverlo incontrare e salutare. Decise di entrare dal retro facendo il giro largo; mentre camminava continuava a guardarlo. Dio, quanto era bello…quello sguardo così attraente e tutto il resto; ed era anche interessato a lei! Questa situazione la stava distruggendo, per di più adesso era convinto che lei stesse con Diego. Come se non avesse già problemi per conto suo da risolvere. Persa in quelle riflessioni, non badò minimamente all’enorme radice che sbucava fuori dal terreno, e inciampò facendo un volo magistrale. “Ahi!” strillò Violetta, portandosi le mani alla ferita sulla gamba. Al sentire quella voce, i tre si avvicinarono per sentire se stesse bene. “Ma come mai sei passata di qui? Ti stavamo aspettando all’ingresso principale” chiese Francesca. ‘Grazie, amica, sottolinea per bene la cosa, mi raccomando. Voglio sotterrarmi!’ pensò la Cattura-Carte con lo sguardo basso. Leon non disse nulla, porse semplicemente la mano per aiutarla a rialzarsi. Un cavaliere…e una persona matura. Non come lei che cercava di evitarlo per non essere in imbarazzo. “Grazie Leon” disse semplicemente Violetta, accettando l’aiuto. Insieme si diressero tutti e quattro alla lezione di Angie. Insomma per come era partita quella giornata, sarebbe solo potuta andare meglio. Ovviamente si sbagliava.
“Non va bene, Ludmilla, abbassa di un po’ il tono in questa parte qui” esclamò l’insegnante, cercando di consigliare la sua studentessa. “Io non ho bisogno di dritte!” ribatté Ludmilla nervosa. Maxi la guardava in modo strano e tutto ciò la metteva in imbarazzo. “D’accordo, allora riproviamo il duetto. Leon sei pronto?” disse Angie facendo ripartire la musica di ‘Ahi Estarè’ canzone composta dal ragazzo un anno fa. I due andarono alla perfezione insieme, ma quando la musica finì Ludmilla rivolse uno sguardo malvagio a Violetta e poi baciò il suo partner di fronte a tutti. No, questa era troppo. Strinse la penna in mano talmente forte che le sfuggì e andò a colpire Maxi, che era vicino a lei. “Ahi!” esclamò il povero ragazzo massaggiandosi la guancia. La cosa peggiore di tutte era che non poteva uscire dalla classe e doveva rimanere lì a osservare quello spettacolo terribile. Leon si staccò sorpreso e arrabbiato allo stesso tempo: come aveva anche solo potuto pensare di baciarlo a sua insaputa? Era infuriato, ma il suo primo pensiero fu quello di cercare disperatamente la sua Violetta con lo sguardo. La trovò e notò che aveva gli occhi lucidi mentre lo guardava con un misto di tristezza e odio. Non capiva. Insomma perché rimanerci in quel modo se per lei non contava nulla? Stava con Diego, che cosa voleva di più?
Il resto dell’ora sembrava non voler più finire: Ludmilla guardava Leon, che a sua volta studiava attentamente la reazione di Violetta. Quest’ultima teneva lo sguardo fisso sul foglio bianco su cui avrebbe dovuto scrivere e prendere appunti, cercando con tutte le forze di trattenere le lacrime. ‘Ti prego suona, ti prego suona’ supplicò mentre ogni secondo che passava le sembrava un’eternità. Finalmente la campanella suonò, e Violetta con una velocità impressionante mise tutto a posto, catapultandosi all’uscita. Il tempo fuori era pessimo, annunciava pioggia. Bene, qualcos’altro? No, meglio non chiederlo. Aveva capito che al peggio non c’era mai fine. “Aspetta!” urlò Leon cercando di correrle dietro, ma lei fu più rapida e scomparve in lontananza. Improvvisamente un tuono la fece sussultare, poi iniziò a piovere. Perfetto, era anche senza ombrello. Giornata davvero orribile, non poteva immaginare di peggio. Entrò dentro casa fradicia, si tolse tutti gli indumenti e si fece una bella doccia calda; sperava vivamente che l’acqua si portasse via quei ricordi che la stavano tormentando: Ludmilla che baciava Leon, Leon che la cercava con lo sguardo come per spiegarsi e per chiedere spiegazioni; indossò l’accappatoio e si chiuse dentro la sua camera con l’intenzione di non uscirvi più. Ripensò al bacio che si era data con Leon nel sogno mentre era stesa sul letto e le venne da sorridere, ma il suo sorriso era triste e amareggiato: incredibile che l’aspetto migliore della giornata avesse a che fare con qualcosa che non era mai accaduto. Olga, la domestica, le portò la cena preoccupata che la sua adorata Violetta non stesse molto bene, ma non riuscì a capire cosa avesse potuto abbatterla in quel modo. Finalmente arrivarono le undici di sera, ed era l’ora di andare a dormire. Violetta, quasi rincuorata, si infilò sotto le coperte, dopotutto tra poco sarebbe stato un altro giorno.
Tic tac, tic tac, tic tac…tac tic, tac tic, tac tic
Violetta aprì gli occhi assonnati, contenta che quel lunedì fosse finito. Bene, oltre a cercare di evitare Leon, non si immaginava cosa gli avrebbe riservato quel martedì. Si rese conto di essere in ritardo, si vestì in fretta, mangiò una fetta biscottata a colazione e poi si preparò per andare a scuola.
Era di fronte all’entrata dello Studio 21 e vide Leon parlare con Francesca e Maxi. Di nuovo? Ma allora era proprio una persecuzione. Avevano deciso di appostarsi lì ogni giorno? Istintivamente si portò una mano alla gamba dove il giorno prima si era ferita. Niente…non c’era la traccia di un livido, nulla. Che cosa strana, non pensava che sarebbe guarita così in fretta. Dov’era rimasta? Ah, si, doveva entrare dal retro, ma questa volta avrebbe evitato la radice così da non fare figuracce. Questa volta andò tutto per il verso giusto. Accostò lentamente la porta sul retro e si ritrovò per i corridoi della scuola. Bene, alla prima ora aveva lezione di danza con Gregorio. Entrò abbastanza serena, ma poi si rese conto che quelli non erano i suoi compagni di danza…erano più grandi. “Cosa sta facendo qui, signorina Castillo?” tuonò una voce dietro di lei, facendola sobbalzare. “Sono qui…per fare lezione” esclamò a bassa voce. “Mi sta prendendo in giro, spero! Che giorno è oggi, signorina Castillo?” la interrogò Gregorio con un certo fastidio. “Martedi” affermò timidamente la ragazza, cominciando quasi a tremare per la paura. “Mi sta prendendo per scemo, forse?” insistette l’insegnante , facendo rimbalzare la pallina nervosamente. “N-no” balbettò Violetta facendosi piccola piccola. “Oggi è lunedì. Le consiglio di andare a lezione, invece di perdere tempo qui” la rimproverò. Violetta uscì dall’aula di danza confusa. Ma…non era possibile. Lunedì era stato il giorno prima, quindi doveva per forza essere martedì. “Violetta, che fai ancora qui? Andiamo, che Angie ci sta aspettando!” esclamò Francesca. “Comunque io, Leon e Maxi siamo stati all’entrata tutto il tempo sperando tu arrivassi. Non sei stata carina a non salutarci e a evitarci” aggiunse sottovoce. Violetta non sapeva cosa dire…lei quel giorno lo aveva già vissuto. E gli altri non ricordavano nulla! Le stava venendo un bel mal di testa.
Di nuovo a lezione con Angie, quindi…no! Non avrebbe potuto sopportarlo nuovamente. E invece successe di nuovo. Leon e Ludmilla stavano cantando, e lei aspettava solo il momento in cui si sarebbero scambiati un bacio. Quando vide Ludmilla avvicinarsi a lui, chiuse gli occhi per non dover subire di nuovo quello spettacolo terribile. “Che ti prende?” chiese Maxi, vedendola con gli occhi chiusi. “Dopo scuola devo parlare con te e Francesca” disse semplicemente la Cattura-Carte sbirciando un po’ la scena. Quel bacio era peggio di una lama per lei, e doverlo vedere una seconda volta la faceva sentire priva di forze, completamente svuotata. Di nuovo la stessa situazione: Leon la guardava come se riuscisse a leggere il profondo dolore che la attanagliava. La campanella suonò, di nuovo, salvandola da quel supplizio.
“Cosa succede?” chiese la Custode con una certa curiosità. “Questo giorno l’ho già vissuto ieri, e lo ricordo solo io! Com’è possibile? Non ci sto capendo niente!” esclamò Violetta, rannicchiandosi ai piedi dell’albero all’entrata della scuola. “Il Tempo!” strillò Francesca dopo un momento di silenzio. “Eh, lo so, il tempo è uno schifo, sta per piovere” assentì Maxi preoccupato. “E io non ho nemmeno l’ombrello” aggiunse demoralizzato. “Non quel tempo, Maxi. Siamo tutti sotto l’effetto di The Time, la Carta del Tempo. Questa Clow Card fa rivivere in continuazione lo stesso giorno, intrappola in una dimensione temporale limitata, destinata a ripetersi all’infinito” spiegò con cura. “E perché voi non vi ricordate che abbiamo già vissuto tutto questo?” chiese la ragazza curiosa. “Semplice, noi non possediamo la magia di Clow, quindi non capiamo che ripetiamo sempre lo stesso giorno” rispose Francesca. Adesso tutto era chiaro, tranne un piccolissimo dettaglio: dove diamine si trovava la Carta di Clow? “The Time si nasconde sempre nei luoghi che hanno a che fare con gli orologi. Lì dentro lavora in tranquillità, ma dobbiamo cercare quello più importante, a cui sono collegati tutti gli orologi della città…” continuò, pensando ad alta voce. “Ho capito! Qui a Buenos Aires abbiamo una torre comunale…con l’orologio. Si troverà sicuramente lì” disse con certezza Violetta. “Allora, agiremo stasera” disse Maxi, felice al pensiero di poter riprendere tutto.
“Bene, ci siamo quasi” sussurrò Violetta mentre si avvicinava silenziosamente in volo al campanile del palazzo comunale, sulla cui parete vi era un enorme orologio. Era notte fonda, nessuno l'avrebbe vista.“Mi raccomando non fare rumore, Time non ci mette nulla a far ripartire la giornata da capo, quindi non devi farti scoprire prima di catturarla” spiegò Francesca a cavalcioni insieme a lei sullo scettro magico. Si avvicinarono piano al campanile, ma il fruscio delle ali sembrò non essere abbastanza silenzioso, poiché la Clow Card all’interno si accorse del pericolo e capovolse la clessidra che teneva in mano. La sabbia ricominciò a scorrere e ad ogni granello che scendeva il tempo retrocedeva, finchè…
Tic tac, tic tac, tic tac…tac tic, tac tic, tac tic
La sveglia suonò. Violetta aprì gli occhi confusa; non ce l’aveva fatta: il terzo lunedì della settimana, il terzo bacio tra Leon e Ludmilla. No, non voleva alzarsi, se ne sarebbe restata a letto. Il padre la chiamò e lei sbuffò. “Violetta, cosa succede? Come mai non ti sei alzata e non sei scesa a fare colazione?” chiese German preoccupato entrando nella camera. “Ehm…non sto bene” disse incerta, sapendo bene di non essere mai stata una brava bugiarda. L’uomo si avvicinò e mise una mano sulla sua fronte: “Non sei calda…quindi penso che non stia così male. C’è qualcosa che non va a scuola?”. Touchè, beccata in pieno. “No, nulla, va tutto bene. Ripensandoci bene posso andare tranquillamente. Ora esci che mi preparo” esclamò lei cercando di sembrare risollevata. Perché non sfruttare la cosa? Rivivere quel giorno non sarebbe stato tanto male, tanto poi tutti avrebbero dimenticato ciò che avrebbe fatto. Bene, era lunedì, il suo terzo lunedì, e sarebbe andato come diceva lei.
Violetta si avviò con passo deciso all’entrata principale dello Studio. Basta cercare di nascondersi. “Sono arrivata” facendo voltare Francesca, Maxi e Leon. Dopo aver salutato i due amici, si avvicinò lentamente al ragazzo, fino a quando le loro labbra quasi non si sfiorarono, senza toccarsi. Poi sotto lo sguardo terrorizzato di Fran, si spostò sulla sua guancia lasciandogli un piccolo bacio. “Ci vediamo in classe” aggiunse poi, lanciando uno sguardo malizioso a Leon, e lasciando i tre di sasso mentre si avviava all’interno della scuola. Leon era confuso: non stava con Diego? Perché quel gesto nei suoi confronti? Quando pensava di poterla dimenticare, eccola nuovamente per confonderlo e fargli sperare. Decise che ci avrebbe parlato, per chiederle di non illuderlo e di lasciarlo stare.
Ludmilla si stava per avvicinare a Leon alla fine della canzone, ma qualcuno scattò in piedi attirando l’attenzione di tutti, urlando: “No!”. Violetta si ritrovò gli occhi di tutti puntati addosso. “Volevo dire…no! Mi è caduta la matita” si corresse subito dopo, facendo finta di raccogliere qualcosa per terra. Finalmente la campanella suonò mentre Leon aveva preso a guardarla per tutta la lezione in modo piuttosto strano. Fece per uscire in fretta e parlare con i suoi amici per spiegare un’altra volta che erano tutti sotto l’effetto di una Clow Card, quando si sentì afferrare il braccio. Deglutì all’istante: sapeva benissimo di chi si trattava. Respirò profondamente e si voltò cercando di apparire tranquilla: “Che succede, Leon?”. “Questo me lo devi dire tu” esclamò il ragazzo, incrociando le braccia all’altezza del petto e guardandola in modo torvo. “Oggi sei strana” aggiunse, squadrandola. Violetta sorrise: tanto si sarebbe dimenticato tutto. Si avvicino con fare provocante e gli baciò la guancia per salire più su, scivolando verso l’orecchio. Glielo morse affettuosamente, sussurrando: “E tu sei bellissimo”. Leon sentì i brividi impadronirsi del suo corpo e pensò che sicuramente aveva intenzione di farlo impazzire. “A domani, Leon” disse separandosi piano, mentre riapriva gli occhi che aveva tenuto chiusi.
“Sei pronta?” chiese la Custode mentre la notte era ormai calata. “Se è come dici questo è il terzo lunedì e non ci possiamo permettere un altro errore, o non potremo più catturare la Carta” aggiunse terrorizzata. Violetta spalancò gli occhi: come non poteva fallire? Ma in quel modo…Leon non avrebbe dimenticato quello che aveva fatto. A saperlo prima non si sarebbe certo comportata così. Però ora non doveva pensare alle sue figuracce, aveva un’idea. Planò all’entrata del campanile, per poi tirare fuori una Clow Card: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco. Proteggimi con la tua essenza e copri ogni mio rumore. Vai, The Silent!”. Una strana bolla azzurra, la avvolse. Probabilmente aveva funzionato. Cominciò a correre dopo che Francesca aprì la serratura. Ad ogni gradino il tempo scorreva lentamente. Se non ce l'avesse fatta avrebbe fallito la sua missione. Se invece ci fosse riuscita il giorno dopo avrebbe dovuto affrontare una montagna di figuracce. Doveva arrivare prima che scoccasse la mezzanotte. Finalmente salì l’ultima rampa di scale e si ritrovò in una vecchia stanza polverosa piena di ingranaggi. Al centro un uomo anziano, il cui volto era coperto da un cappuccio teneva in mano una clessidra, la cui sabbia all’interno scendeva lentamente. Eccolo, era il Tempo. Era davvero inquietante e sinistro, ma non era il momento di perdere tempo, appunto. Si posizionò davanti a lui, che si mostrò sorpreso, e già era pronto a far rigirare la clessidra e a far partire tutto da capo. “Questa volta no!” esclamò decisa facendo roteare lo scettro e puntandoglielo contro per intrappolarla. La Carta apparve a mezz’aria intrappolando l’entità del tempo. Ce l’aveva fatta; strinse la Carta con gioia, ma poi il suo sguardo tornò cupo: come si sarebbe dovuta comportare con Leon dopo tutto quello che aveva combinato?
 
Il resto della settimana trascorse abbastanza tranquillamente: Leon aveva deciso di dimenticare quello strano episodio, Violetta era sempre più intenzionata a non incontrarlo per nulla al mondo. Ma ovviamente nulla poteva andare come voleva, sia mai! “Allora oggi ci divideremo in coppie per fare un esercizio; dovrete comporre una canzone insieme e suonarla o cantarla. Di tanto in tanto controllerò i vostri progressi. Allora cominciamo ad estrarre i nomi…” esclamò Angie allegramente. Poteva capitargli Maxi, insomma con lui avrebbe lavorato bene, o Andres al più. Diego la guardò e le fece un occhiolino: si, Diego era perfetto. Ma… “Violetta, tu stai in coppia con…Leon!” disse Angie estraendo un foglietto azzurro. Violetta si sentì sprofondare in un baratro di disperazione. No, Leon no…era la fine. Avrebbe dovuto passare un sacco di tempo con lui, e quello non era certo il modo migliore per dimenticarlo. Gli rivolse un sorrisetto nervoso, fingendo di essere entusiasta per la notizia. Leon la guardava sorridente: la sua preghiera era stata esaudita. Anche se…forse avrebbe dovuto cercare di rimuoverla dal suo cuore, ma non riusciva a non essere felice per essere stato messo in coppia con lei. Angie diede al permesso ai ragazzi di cominciare a mettersi d’accordo. Leon si avvicinò a Violetta e le sorrise: “Allora, sei pronta a lavorare?”. Quel sorriso era così…perfetto. “Certo, sono prontissima!” esclamò cercando di mostrarsi carica. “Io ho una canzone a cui sto lavorando da un po’ di tempo…in realtà, da quando ti ho conosciuto” ammise Leon imbarazzato. La ragazza sgranò gli occhi: gli stava praticamente dicendo che aveva cominciato a comporre una canzone per lei. Non direttamente, è ovvio. Nessun ragazzo ammetterebbe questo lato così romantico. Sentiva le gambe tremare e ringraziò il cielo di essere seduta. “Interessante…potremmo portare quella” balbettò diventando sempre più rossa. “D’accordo, allora oggi pomeriggio cominciamo a provare?” propose Leon. Violetta annuì con un cenno e si alzò per andare da Francesca e Maxi, ma il ragazzo la trattenne per il braccio: “Possiamo parlare di una cosa?”. Aveva preso coraggio e voleva essere sicuro che le cose venissero messe in chiaro. “Ma certo!” rispose con molta tranquillità, mentre dentro sarebbe voluta sparire, e per un istante le sembrò una buona idea usare la Carta della Sparizione . Ciò che aveva detto o fatto a Leon quel fatidico lunedì riecheggiava nella sua testa: 
‘Si avvicino con fare provocante e gli baciò la guancia per salire più su, scivolando verso l’orecchio. Glielo morse affettuosamente, sussurrando: “E tu sei bellissimo”. Leon sentì i brividi impadronirsi del suo corpo e pensò che sicuramente aveva intenzione di farlo impazzire. “A domani, Leon” disse separandosi piano, mentre riapriva gli occhi che aveva tenuto chiusi.’
“Riguardo a lunedì…” cominciò a parlare, ma lei lo interruppe subito: “Si, ci hanno davvero caricato di compiti quel giorno, ti capisco perfettamente”. Leon la guardò alzando il sopracciglio: forse non aveva compreso, o magari stava evitando il discorso. “Non c’entrano i compiti. Riguarda come ti sei comportata. Non ti preoccupare, non lo dirò al tuo ragazzo, ma non devi avvicinarti più a me in quel modo” disse in modo secco. Quelle parole gli erano costate molto, ma le aveva ritenute necessarie. Violetta deglutì e rimase in silenzio. Non voleva perderlo, ma quali erano le alternative? “Comunque, sarà bello lavorare con te” aggiunse sorridendo, per cercare di alleviare la tensione. “Bene, allora ci vediamo dopo nel pomeriggio” esclamò Violetta, rialzandosi in piedi. Fuggì in bagno dopo aver ottenuto il permesso dall'insegnante: non voleva che qualcuno la vedesse piangere.
“Allora oggi pomeriggio hai le prove?” chiese Maxi curioso, il quale era capitato in coppia con Francesca. “Si, tra parentesi tra poco devo andare e…” disse Violetta, ma venne interrotta da Diego che arrivò con il fiatone: aveva fatto una bella corsa per raggiungerli. “E’ successa una cosa incredibile, è stato appiccato un incendio al Parque de los niños, ma i pompieri non riescono a placare le fiamme” disse rapidamente. “Potrebbe trattarsi si una Clow Card, dobbiamo andare a controllare” ribatté la Custode decisa. “Ok, andiamo subito!” esclamò Violetta seria. Si nascose dietro un albero e richiamò il potere di Fly e Cloud per non essere vista in volo. Dopo un breve tragitto arrivarono al famoso parco della città in preda alle fiamme. “Si, avverto la presenza di una Clow Card” sentenziò la Cattura-Carte posizionandosi al centro del parco, al riparo da sguardi indiscreti. Le fiamme avanzavano sempre di più, creando ampie volute. “Dobbiamo innanzitutto trovare l’entità del fuoco, deve nascondersi qui vicino” asserì la giovane Custode. Improvvisamente dall’incendio vennero fuori tre creature incandescenti e rosse come il sangue: un lupo, un serpente e un’aquila. Non sembravano avere intenzioni pacifiche, ma piuttosto erano pronte ad attaccare. A quanto pareva Firey si era accorto della loro presenza e stava usando il suo potere per eliminarli. “Ti invoco potente Carta di Clow. Vieni a me The Freeze” gridò Violetta richiamando l’enorme animale argentato, entità del ghiaccio. La Carta di Clow agì subito intrappolando le tre belve, congelandole lentamente, fino a quando non evaporarono al contatto con quel freddo glaciale. “E una è andata” esclamò soddisfatta. Ma non era finita lì: un’altra dozzina di creature di ogni tipo uscì fuori dalle fiamme. “Non possiamo andare avanti così. Io, Diego e Maxi rimaniamo qui e cerchiamo almeno di tenerle a bada, tu pensa a trovare Firey!” le ordinò Francesca. Violetta annuì e si alzò in volo nel tentativo di localizzare più facilmente l’origine dell’incendio, ma in quell’inferno non si capiva nulla.
Leon era pronto per iniziare, ma era da un’ora che Violetta non si faceva vedere: va bene cercare di evitarlo, ma almeno avrebbe potuto presentarsi per un impegno scolastico. Si sentì ferito e cominciò a provare per conto suo…la canzone era praticamente finita, mancava solo parte del testo. Mentre suonava la tastiera le parole gli uscirono da sole:
‘Como poder recuperar tu amor, 
como sacar la tristeza de mi corazón, 
mi mundo solo gira por ti. 
y este corazón que te robaste cuando te marchaste, 
y te marchaste con mis besos, 
con mis besos y mis sueños, 
y este corazón esta latiendo cada vez mas lento, 
y estoy sintiendo en mis adentros 
como el fuego no se apago, 
no se apago.’
Interruppe di botto la musica e sulla soglia osservò Ludmilla avanzare piano. “Leon, Leon…Ti ha proprio ridotto a uno straccio quella Violetta. Ma tu non devi dargliela vinta; puoi avere tutto ciò che desideri ai tuoi piedi. Che te ne fai di una ragazza del genere?” disse con tono malizioso la biondina. “Scusa, Ludmilla, ora devo lavorare alla canzone” ribatté freddo facendole cenno di andarsene. La ragazza fece una faccia stizzita, poi si voltò di scatto e uscì dall’aula in fretta e furia. Odiava dare retta Ludmilla, ma su una cosa aveva ragione: doveva dimenticare Violetta.
Il fuoco si stava diffondendo sempre di più fino a circondarla; non aveva scampo, con le Carte sarebbe riuscita solo a fuggire in eterno, ma come avrebbe trovato Firey? “Vai Fly!” esclamò richiamando nuovamente il Volo per un altro giro di ricognizione, ma una voluta di fuoco si elevò fino ad arrivare a intrappolarla dall’alto. Un getto d’acqua penetrò quell’ostacolo, permettendole la fuga. “Serve una mano?” chiese Li con tono ironico mentre attraverso la spada evocava numerose sfere d’acqua scintillanti. Violetta sorrise rinuorata per quell'aiuto, poi per un momento si sentì la testa scoppiare e improvvisamente si ritrovò a guardare non più attraverso i suoi occhi. Era una sensazione stranissima: sapeva di non essere nel suo corpo, ma allo stesso si sentiva cosciente. Il suo corpo si modellava al suo tocco, portò avanti una mano per osservarla e vide la lava scorrere tranquillamente al suo interno. Stava guardando con gli occhi della Clow Card. Notò una strana costruzione, un enorme scivolo a forma di foca, di fronte a lei. Era lì che si trovava quindi…
“Ci sono!” esclamò Violetta, ritornando in sé. Non sapeva come fosse riuscita in quell’impresa, ma aveva localizzato The Firey. “Mi devi seguire” disse al giovane alle prese con le fiamme che divampavano. Li annuì e le venne dietro continuando a lanciare incantesimi d’acqua per non essere colpiti. Più si avvicinavano, più la Carta sembrava accorgersene, perché gli attacchi diventavano sempre più violenti e impetuosi. Violetta si chiese se i suoi amici stessero bene, ma subito dovette pensare ad altro: stava facendo fatica a respirare a causa delle ceneri e del fumo. Tirò fuori la Carta del Vento e la invocò per creare una bolla d’aria che li facesse respirare. Continuarono ad avanzare finché non videro Firey in tutto il suo splendore. Era…puro fuoco, uno spettacolo affascinante e inquietante contemporaneamente. Si ergeva dalle fiamme con il suo corpo, mentre muoveva le sue ali incandescenti, ali da angelo, che allo stesso tempo sembravano mettere in rilievo la sua diabolicità. I suoi occhi erano tizzoni ardenti, il suo sguardo era di sfida, mentre un leggero sorriso contornava il suo volto. Sembrava Lucifero, o comunque un diavolo… E nell’aria si sentiva una forte presenza magica. Come contrastare una Carta degli elementi? Guardò la Carta del Vento, sperando che potesse bastare per catturarla. “Vai Windy, io ti invoco” esclamò la ragazza, mentre già sentiva le sue forze magiche esaurirsi: aveva attinto fin troppo al suo potere. L’entità del vento uscì fuori e ingaggiò una lotta con quella del fuoco. La prima si armò si una spada trasparente ottenuta condensando l’aria circostante, l’altra tirò fuori dalle fiamme un arco scarlatto. Lanciava frecce incandescenti, non permettendo al Vento di avvicinarla e mettendola così in difficoltà. La situazione stava degenerando: Windy scomparve sconfitta. “Non mi arrendo, vai The Freeze” continuò decisa. Sentì le gambe cedergli, e la testa girare per la fatica, ma non poteva arrendersi. Il Ghiaccio fece la sua comparsa, ma anche lui non poté far altro che soccombere in quell’ambiente sfavorevole, mentre Firey continuava a lanciargli frecce che si conficcavano nelle sue squame glaciali. Era finita…aveva sconfitto anche l’ultima Carta con cui avrebbe potuto fare qualcosa. Li la guardava preoccupato: Firey era una Carta tosta, dura da sconfiggere e molto orgogliosa, ma lui non poteva intervenire. Era una sfida che doveva vincere da sola. Una figura scattò davanti a Violetta, portando avanti le mani e pronunciando alcune formule magiche in una lingua sconosciuta. Federico riunì tutto il suo potere magico e si sentì pervadere da una nuova energia, un’energia che aveva imparato a riconoscere. La magia del rubino scaturì con una forza sorprendente, e lui non riuscì a sopprimerla. Creò una sfera magica di un azzurro denso, mentre i suoi occhi diventarono rosso sangue, e il suo corpo fu avvolto da un’aura anch’essa rossa. Rilasciò tutta la sua energia, mentre Li lo osservava attento: nonostante il potere del rubino una Clow Card non poteva essere scalfita da una magia che non contenesse tracce di quella del potente mago Clow Leed. La sfera si avvicinò alla creatura alata che osservava la scena divertita. Inaspettatamente la forza dell’impatto fu talmente potente da creare un’onda d’urto spaventosa. Firey si ritrovò a terra senza forze, mentre guardava il suo avversario stupita: nemmeno lei si aspettava di subire un colpo del genere. Li rimase esterrefatto: “Violetta, cattura subito la Carta, adesso che è debole”. La ragazza annuì e si posizionò con il volto sporco di fuliggine e lo sguardo determinato di fronte all’entità del fuoco. Sollevò lo scettro e la Carta intrappolò Firey. Francesca, non appena vide l’incendio spegnersi come per magia, corse verso la Cattura-Carte, ma ciò che vide le fece gelare il sangue. Federico sembrava fuori di sé, stava soffrendo, come se il suo corpo fosse ricoperto di carboni ardenti, stava pagando per aver attinto a quel potere; probabilmente il Re cercava di assorbire la sua anima, e lui lottava perché ciò non accadesse. La Custode corse al suo fianco, mentre le lacrime cominciarono a scendere. Lo abbracciò, nonostante soffrisse anche lei a contatto con quell’aura maligna. “Calma, Federico, calma” disse piano, cullandolo con la sua voce. Il ragazzo prima la guardò privo di un’espressione, poi lentamente chiuse gli occhi fino ad addormentarsi. “Ci sono molte cose che non riesco a spiegarmi” esclamò pensieroso Li, avvicinandosi a Federico, ormai svenuto. Violetta strinse forte la Carta preoccupata per la salute del Custode dell’Europa che si era sacrificato in quel modo per lei, quando una voce cavernosa e suadente allo stesso tempo invase la sua testa: ‘Sarà l’ardore della Padrona a farla risorgere dalle ceneri’. Quello era The Firey che gli aveva fatto una sorta di profezia? Non riusciva a capire, ma solo adesso si era ricordata una cosa: aveva dato buca a Leon senza dirgli nulla!


 

ANGOLO DELLE CARTE: eccomi sono vivo!!! Sono riuscito ad aggiornare questa long, che non aggiorno da una vita, un po' per macnanza di ispirazione (che è magicamente tornata LOL), un po' per mancanza di tempo (ecco appunto, qui c'è la Carta del Tempo). Che dire...nessuno mi parli dei momenti Leonetta in questo capitolo, perché giuro muoio ç.ç Detto ciò *fa finta di nulla* nel finale molti dubbi si sono insinuati in Li: come ha fatto Federico a fermare Firey? Ha a che fare con la magia di Clow o con quella del rubino? O entrambe? E le altre gemme? Il mio povero Fede è stato comunque devastato dal rubino e Francesca ha fatto di tutto perché non cadesse in preda alla maledizione.La scena di The Time è stata divertente scriverla: povera Violetta, costretta a vivere quella giornata orribile più volte, e quando decide di comportarsi in modo diverso, puff. Tutti si ricorderanno (soprattutto Leon...non mi parlate di quella scena, ho sclerato come pochi *-*). Detto ciò questo capitolo ci lascia con molti dubbi (ah, la profezia di Firey è importante...). E anche si quella ci ritorneremo. E il sogno dell'inizio? Leon morirà davvero secondo le previsioni? Violetta riuscirà a evitarlo? E lo strano bagliore della corona? Cosa indicherà? Come ho già detto la corona riveste una certa importanza  *-* Bene ho detto tutto, buona lettura a tutti (il capitolo mi sembra scritto decentemente, ma è sera e sono fuso, l'ho riletto una volta sola, chiedo perdono...) :D :D
P.S: Il Tempo permette di fermare il tempo (che abbia anche altri poteri al riguardo? Non lo sappiamo), ma richiede un notevole sforzo magico per mantenere attivo il suo potere per più di pochi secondi. The Firey invece permette di controlalre l'elemento del fuoco. 

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Capitolo 13
*** The Sand and The Song ***


Capitolo 13
The Sand and The Song

Broadway si avvicinò lentamente alla piramide in mezzo al deserto: secondo le indicazioni degli antichi manufatti magici, lo smeraldo dei Sette Re di Roma si doveva trovare all’interno di quell’imponente edificio. Scese dal suo dromedario e proseguì a piedi con il turbante che lo proteggeva dal sole cocente. Doveva recuperare quello smeraldo prima che la Setta di Clow glielo rubasse da sotto il naso, come avevano fatto con Nata; si, ogni giorno che passava era sempre più convinto dell’esistenza di quei misteriosi individui dai poteri magici invidiabili. Il sangue di Clow scorreva nelle loro vene, ed avevano ereditato le sue conoscenze magiche grazie a numerosi libri scritti dal medesimo mago. Improvvisamente sentì come una piccola scossa sotto i suoi piedi. Strano…Continuò a camminare pensando alle possibili cause di quel fenomeno fino a quando non si ritrovò all’entrata della piramide. Davanti a lui simboli egizi lo avvertivano di stare lontano da quel luogo maledetto. Di nuovo un piccolo fremito sotto i suoi piedi lo fece sussultare; preparò un potente incantesimo da lanciare in caso fosse sotto attacco, ma senza che se ne potesse nemmeno rendere conto si ritrovò intrappolato in una gabbia fatta interamente di sabbia. “Ma cosa…” esclamò sorpreso, mentre la sabbia cercava di incatenarlo. Cercò di liberarsi in tutti i modi possibili, ma sembrava impossibile riuscire ad uscire da lì. La gabbia cominciò a muoversi scivolando lentamente sul terreno e portandolo dentro la piramide. Prima che venisse inghiottito dall’oscurità però Broadway lanciò un allarme magico ai suoi colleghi, perché finalmente aveva capito cosa stesse succedendo: una Carta di Clow era arrivata in Egitto.
“Come sta?” chiese Francesca in ansia per le sorti del povero Federico. Li la guardò in silenzio, incerto su cosa dire e soprattutto sulla reazione della ragazza. Si trovavano nel suo appartamento, e in quel momento il Custode dell’Europa era nel suo letto a riposare. “Il pericolo è passato…ma la situazione rimane grave. Con l’ultimo scontro il ragazzo ha ceduto parte della sua anima al potere del rubino. Se continua così lo perderemo per sempre” spiegò il giovane. Francesca si sedette sulla poltroncina più vicina, sperando che si trattasse di un incubo. Per fortuna il suo amico stava bene, ma non era affatto fuori pericolo. “Dov’è Violetta?” chiese Li sedendosi di fronte a lei. “E’ andata allo Studio. Aveva un compito da finire” rispose la ragazza, cominciando a torturarsi le mani per l’agitazione. “Francesca, l’evento a cui abbiamo assistito è più unico che raro. La magia di Clow non può essere fermata se non da un’erede di Clow. Eppure il rubino ha donato al Custode un potere sufficiente per sconfiggere Firey” sussurrò alzandosi di scatto e camminando per la stanza. “Io…non capisco” ribatté Francesca confusa. “Significa che se qualcuno entrasse in possesso delle sette gemme, potrebbero sorgere numerosi problemi per Violetta” disse Li con lo sguardo perso nel vuoto. In quel momento sentiva tanto il bisogno di avere Sakura al suo fianco: lei gli avrebbe dato dei buoni consigli sul da farsi. Da quando aveva terminato l’apprendistato con Eriol aveva assunto una conoscenza magica vastissima, anche più della sua. Si ricordava ancora quando doveva aiutarla per affinare i suoi poteri:
‘Li guardava Sakura allenarsi nel giardino di Villa Eriol. Era passato solo un mese da quando si erano dovuti trasferire a Londra e la Cattura-Carte aveva trovato numerose difficoltà nell’eseguire ciò che il giovane maestro gli ordinava di fare. La ragazza si era seduta sull’erba e aveva chiuso gli occhi nel tentativo di entrare in comunione con la natura circostante. “Fortissimus ventus e caelo detrahe meus spiritus humanus” sussurrò cercando di concentrarsi. Il silenzio calò nell’ambiente circostante. “Niente!” esclamò arrabbiata e delusa, mentre gli occhi le diventavano lentamente lucidi: non si sentiva adatta a quell’allenamento magico, non era in grado nemmeno di ricorrere alle formule elementari. Li si avvicinò titubante e si sedette accanto a lei, in completo silenzio senza far rumore. “Qualcosa non va?” chiese con un sorriso, facendole aprire subito gli occhi tenuti chiusi, da cui una lacrima già stava scendendo. “Non ci riesco, non sono capace!” disse, sfogando tutta la sua frustrazione. Li annuì e si mise dietro di lei per poi chiuderle gli occhi con le mani. “Che stai facendo?” chiese curiosa e risollevata. “Ripeti la formula…non pensare che devi chiudere gli occhi o cose del genere, pensa solo alla brezza mattutina, pensa ad una passeggiata lungo la spiaggia mano nella mano con la persona a cui vuoi più bene, mentre il vento ti scompiglia i capelli. Riprova” la esortò con passione. Sakura annuì e provò a seguire i consigli. “Fortissimus ventus”. Era sulla spiaggia, poteva quasi sentire il rumore delle onde infrangersi sulla riva. “E caelo”. Una mano stringeva delicatamente la sua; si sentiva inspiegabilmente al sicuro a quel contatto. “Detrahe meus spiritus”. Si voltò e notò l’espressione serena di Li, in grado di scioglierle il cuore. Si, perché ora che aveva compreso i suoi sentimenti, aveva capito di non poter essere felice senza di lui, senza i suoi abbracci. “Humanus”. Erano uno di fronte all’altro al tramonto, e Li le stava accarezzando la guancia per poi avvicinarsi sempre di più. Si unirono in un dolce bacio, che prese violentemente possesso della sua mente. “Brava” le sussurrò all’orecchio il ragazzo, levandole la mani davanti gli occhi. Una piccola sfera azzurra roteava pigramente sul palmo della sua mano. Essenza di vento. Sakura la guardò meravigliata, poi la fece scomparire in un secondo. “Grazie!” esclamò lei contenta, voltandosi e abbracciandolo talmente forte da fargli mancare quasi il fiato.’
In quel momento Francesca interruppe il suo ricordo: “Un allarme da parte di Braodway! Una Carta di Clow è in Africa!”. Li la guardò spiazzato. Non era possibile: le Carte tendevano a rimanere nella città dove si trovava la Cattura-Carte. Stavano succedendo troppe cose strane…
Violetta, dopo essere tornata a casa per una bella doccia, entrò velocemente nello Studio senza guardare in faccia a nessuno e si precipitò nell’aula degli strumenti sperando vivamente che Leon fosse ancora lì. Erano ormai passate due ore, sicuramente se ne era andato, ma sperava vivamente di no. Si catapultò all’entrata con un sorriso: “Scusa per il ritar…”; ma la sua vivacità si spense subito quando vide la stanza vuota. Avanzò tristemente fino alla pianola e cominciò a suonare qualche nota, senza molta convinzione. Aveva lo sguardo basso sui tasti ed era sicura che Leon non l’avrebbe mai perdonata per questo. “Eccoti finalmente” esclamò una voce fin troppo nota, facendola riscuotere. Leon era all’entrata con una bottiglietta d’acqua in mano. Il volto di Violetta si illuminò e subito corse tra le sue bracca stritolandolo: “Sei rimasto! Grazie, e scusa per il ritardo”. “Ero solo andato a prendere una bottiglietta d’acqua” esclamò confuso, rispondendo subito dopo all’abbraccio, e chiudendo gli occhi per assaporare appieno il profumo dei suoi capelli. “Non ti preoccupare, ti avrei aspettato anche fino a stanotte” disse senza riflettere il ragazzo. Violetta si separò quel poco per fissarlo negli occhi, quei meravigliosi occhi verdi. Quelle parole…arrossì all’istante, e notò l’imbarazzo di Leon per ciò che avevo detto. “Nel senso che sarei rimasto perché qualcuno avrebbe dovuto comunque completare la canzone, no?” aggiunse poi con un sorriso timido. Violetta in tutta risposta gli diede un rapido bacio sulla guancia, arrossendo ancora di più. Gli prese la mano e lo trascinò alla pianola: “Puoi suonarmi la canzone?”. Leon annuì e cominciò a suonare, mentre lei era al suo lato, con la testa appoggiata sulla sua spalla e gli occhi socchiusi, intenta a seguire quella meravigliosa canzone, cantata da una voce melodiosa. Non si era mai resa conto di quanto fosse bella, limpida e pulita la voce di Leon. Non appena ebbe concluso si voltò verso di lei come se stesse aspettando un parere. “Sei stato bravissimo” disse lei con gli occhi che le brillavano. “Grazie” rispose il ragazzo abbassando lo sguardo intimorito. Non si era mai sentito così di fronte a una ragazza: prima era sempre stato così sicuro e ora…anche un solo suo sguardo lo poteva mandare in crisi. “Sarà meglio che per oggi finiamo qui” concluse con il cuore che batteva fortissimo. “D’accordo” rispose Violetta, avvicinandosi e abbracciandolo. “Grazie ancora” disse poi, scoccandogli un bacio sulla guancia.
Non appena fu uscita dallo Studio, le venne incontro Francesca con un’espressione seriamente preoccupata. “Cos’è successo?” chiese allarmata. “Una Carta di Clow. Dobbiamo andare” rispose la Custode prendendole la mano e allontanandola da lì. “Bene, dove si trova?” esclamò la Cattura-Carte preparandosi a catturare la nuova Clow Card. Due Carte in un giorno: un bel record. “Preparati, perché si trova in Egitto” rispose lei seria. “Cosa?! E come ci arriviamo?” ribatté confusa. Una Carta di Clow in Egitto…come era possibile? Francesca le aveva sempre detto che le Carte si trovavano sempre nella città in cui veniva eletta la Cattura-Carte. “Lo so cosa stai pensando. E’ una stranezza che non mi so spiegare” concluse l’amica. Violetta annuì, continuando però a chiedersi come sarebbero andate in Egitto. Francesca le tese la mano, aspettando che venisse afferrata. Subito dopo che gli venne stretta pronunciò alcune formule in latino. Violetta sentì il terreno mancarle sotto i piedi, tutto ciò che aveva intorno aveva cominciato a vorticare, diventando ai suoi occhi solo delle macchie di colore indistinte. La prima impressione che ebbe fu quella di essere finita in un forno. Il caldo torrido le diede un senso di smarrimento, mentre i suoi piedi affondavano nella sabbia di una duna del deserto. Di fronte si ergeva in tutto il suo splendore un’antica piramide egiziana. “La richiesta di soccorso di Broadway proviene da qui” esclamò Francesca, puntando il dito verso l’imponente struttura. Violetta cominciò a dirigersi verso l’entrata, ma appena ebbe mosso i primi passi, un’onda di sabbia si mosse facendola scivolare lungo la duna. “Ma cosa…” inveì la Custode, prima che un’enorme mano di sabbia cercasse di schiacciarla. “Scettro a me!” strillò la Cattura-Carte rimettendosi subito in piedi. Il magico scettro si materializzò davanti ai suoi occhi. Tirò subito fuori una Carta: “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco! Vai Windy”. Il Vento apparve in tutto la sua imponenza, poi cominciò a distendere le sue ali trasparenti pronta ad attaccare. La mano di sabbia subì l’attacco e si disperse in tanti piccoli granelli. “Bene, ce l’abbiamo fatta!” esultò la giovane richiamando fiera The Windy. “Forse stai parlando troppo presto…” le fece notare Francesca, indicando verso l’alto. I granelli di sabbia infatti si fusero tra di loro formando migliaia di proiettili. “Dannazione!” esclamò, richiamando The Windy. Ancora una volta il Vento ebbe la meglio, ma subito dopo si riformarono altri proiettili. “Dobbiamo fuggire!” la incitò la Custode lanciando qualche scudo protettivo. Non sarebbe durata ancora a lungo. I proiettili avevano cominciato a colpire e a sfrecciare, sfondando le sue difese.
Federico aprì lentamente gli occhi ancora parecchio affaticato. Vagamente alcuni flash di ciò che era successo apparivano nella sua testa. Si ricordava solo un grande calore ribollirgli sotto la pelle, e un dolore lancinante tale da penetrargli fin dentro le ossa. Cercò di alzare il busto, ma il mal di testa glielo impedì. Lentamente però riuscì a mettere a fuoco l’ambiente circostante. Era una stanza dalle pareti blu; sul soffitto erano dipinti un sole e una luna dorati. I simboli dei Guardiani: Yue e Cerberus. Doveva trovarsi a casa di Li Shaoran. Chiuse gli occhi nuovamente perché anche tenerli aperti cominciava a costargli fatica. “Sei sveglio…” disse una voce alla sua destra, la voce del Re dell’Oriente, il marito di Sakura Kinomoto. “Cos’è successo?” chiese Federico. “Quindi non ricordi tutto. Hai aiutato la Cattura-Carte a catturare The Firey, mettendola fuori gioco” spiegò brevemente il giovane sedendosi ai piedi del letto. Federico spalancò gli occhi esterrefatto. Non poteva indebolire una Carta di Clow fino a portarla alla cattura, non possedeva la magia in grado di farlo. “La maledizione del rubino si è impossessata del tuo corpo” continuò Li mentre era sovrappensiero. Le sette gemme: che segreto nascondevano? Sicuramente Sakura aveva cominciato a fare delle ricerche in proposito. Ma non poteva fare a meno di chiedersi se Violetta non stesse correndo un pericolo troppo grande.
“Ho un’idea, afferra la mia mano” esclamò Violetta, tendendo la mano, mentre un muro di sabbia si stava ergendo per dividerle. Francesca annuì ed eseguì quello che le aveva detto l’amica. “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, conferiscimi il tuo potere, io ti invoco; vai The Dash!” esclamò la ragazza, mentre un paio di piccole saette viola le spuntarono ai piedi. Cominciò a correre ad una velocità impressionante, evitando con facilità gli attacchi che provenivano dal terreno. Dopo qualche secondo si trovarono di fronte all’entrata ed entrarono. “E’ tutto buio” esclamò Violetta, non riuscendo a vedere ad un palmo dal suo naso. “Ci penso io” la rincuorò l’amica schioccando le dita. Un piccola fiammella dorata apparve sul palmo della mano, illuminando il lungo corridoio. Violetta sorrise nervosamente, mentre la Custode la guardava, incitandola ad avere coraggio e continuare a camminare. “Che Piramide è questa?” chiese improvvisamente per spezzare il silenzio snervante. “E’ una Piramide di un antico mago, resa invisibile e inavvicinabile per gli uomini privi di poteri. Qui dovrebbe trovarsi lo smeraldo dei Sette Re di Roma” rispose Francesca, passando la mano lungo la superficie delle pareti. Simboli magici incisi sulla pietra tappezzavano le pareti. Finalmente quel corridoio stretto e angusto finì, cedendo il posto ad una stanza circolare con cinque porte di fronte lungo la circonferenza. “Quale dobbiamo prendere?” chiese Violetta spaventata. Le piramidi erano famose per le loro trappole, figurarsi quelle magiche. Avanzò cautamente mentre i brividi per la paura le scossero il corpo. Francesca le venne dietro e la appoggiò una mano sulla spalla: “Ce la farai, lo sento”. Violetta ne era davvero poco convinta. Chiuse gli occhi: la cosa più importante era individuare dietro quale porta si nascondesse la Clow Card. Ma la Carta era davvero tutto intorno a lei, intorno alle mura della piramide, nel deserto. Era…sabbia. “Francesca, esiste la Carta della Sabbia?” chiese con gli occhi chiusi acuendo i suoi sensi. “Ma certo! Si deve trattare di The Sand! Ma cosa ci fa qui?” ribatté la Custode. Violetta continuò a cercare, ma era come tentare di afferrare l’acqua che le scorreva tra le mani. Impossibile e inutile. Si stava ormai per arrendere quando sentì una forza magica enorme per un solo secondo. Forse era la gemma…proveniva dalla porta centrale. Doveva fare un tentativo. “Quella” disse all’amica indicando in fondo alla sala. “Ne sei sicura? Se fallissimo potremmo morire” disse Francesca spaventata. La ragazza deglutì: come poteva esserne sicura? Certo che non lo era. Ma rimanere lì non sarebbe servito a nulla, di lì a poco la sabbia avrebbe potuto attaccarle di nuovo. Fece un passo fino a fermarsi di fronte alla grande porta in pietra. Usando il potere della Forza, riuscì ad aprirla; non appena entrata si sentì accecata. Migliaia di monete d’oro e di cimeli preziosi erano sparsi per la stanza, quella che doveva essere la stanza del tesoro. Al centro della sala Broadway le stava guardando sconvolto. Era imprigionato in una gabbia di sabbia, e sopra di lui era seduta una donna con vestiti orientali, che giocava con uno smeraldo tra le mani. “Broadway!” strillò la Custode, avvicinandosi per aiutarlo. “No, scappate. Scappate!” disse il giovane terrorizzato. Troppo tardi. Una grande scossa fece tremare il pavimento e da esso sbucò un enorme serpente di sabbia. L’enorme mostro ruggì feroce, mentre la donna sorrideva enigmatica. “Devi usare il Ghiaccio per fermarlo. Sakura a suo tempo fece così” esclamò Francesca, mentre si andava a riparare dietro una colonna, dopo aver lanciato degli incantesimi difensivi sulla Cattura-Carte. “Vai, The Freeze” esclamò convinta la ragazza, richiamando con lo scettro l’enorme pesce argentato dalla pinne appuntite. Il Ghiaccio congelò completamente il serpente, ma The Sand usò lo smeraldo, e il ghiaccio si sciolse. “Cosa?” esclamarono all’unisono le due, profondamente convinte che il loro piano avrebbe funzionato.  “Maledetto smeraldo!” imprecò la Custode, battendo il pugno contro una colonna che si trovava nella stanza. Il serpente di sabbia sibilò furioso e si avventò nuovamente contro di loro. “Carta del fuoco, io ti chiedo aiuto!” disse Violetta prendendo la Carta in questione ed evocandola attraverso lo scettro. Firey apparve e si scaraventò con le sue fiamme contro la creazione di The Sand. I due esseri si fronteggiavano alla pari fino a quando il Fuoco non ebbe la meglio e avvolse il serpente, facendolo diventare uno strano liquido trasparente. Si trattava di vetro liquido. Firey continuò ad avanzare imperterrita attaccando anche The Sand. Dopo un’enorme fiammata Violetta vide una statua di vetro, la Carta della sabbia che in mano aveva ancora stretto lo smeraldo. “Ora ti ordino di tornare alle tue vere sembianze. Torna prigioniera della Clow Card!” esclamò con convinzione facendo comparire la Carta e intrappolando l’entità della Sabbia. Lo smeraldo cadde tintinnando per terra. Si sporse per raccoglierlo ma Francesca la fermò, afferrandole il braccio: “Non toccarlo, o farai la fine del povero Federico”. Violetta annuì, mentre Broadway riuscì a liberarsi dalla trappola. “Meno male che siete arrivate voi” disse scuotendosi la sabbia dai vestiti. Senza che se ne rendesse conto una figura incappucciata apparve dietro di lui. “Broadway, attento!” esclamò Francesca lanciando uno scudo incantato. Un’esplosione li fece catapultare a terra, mentre la figura ridendo di gusto afferrò con i guanti lo smeraldo caduto a terra, pronto per fuggire via con il prezioso oggetto. Si scoprì il cappuccio mostrando un giovane ragazzo dagli occhi marroni chiari e i capelli scuri come l’ebano. Assomigliava tanto a Diego, ma aveva una cicatrice lungo la guancia destra. “Bene, la Cattura-Carte in persona. Non me l’aspettavo” disse il giovane semplicemente con un sorriso sprezzante. “Restituisci lo smeraldo” ribatterono in coro Francesca e Broadway, mentre Violetta era rimasta paralizzata dalla paura. Il Custode africano invocò il suo artefatto magico, donatogli dal Guardiano Creberus: “Tamburo dei 100 passi”. Un enorme tamburo in pelle sembrò emergere dalla terra. Francesca lanciò un dardo magico, che venne subito deviato dall’avversario. “Patetici, veramente patetici” sbottò il giovane, accennando uno sbadiglio. “Richiamo delle scimmie celestiali” continuò Broadway dando un colpo secco al tamburo, creando un’onda sonora potente. Il tipo incappucciato mise avanti la mano e richiamò una barriera azzurrina che deviò il colpo. “Ma…ma non è possibile!” strillò arrendendosi dopo il suo colpo più potente. Il mago dallo sguardo crudele scoppiò in una risata provocatoria: “Se è tutto qui, direi che possiamo finirla”. Schioccò le dita e il tetto sopra di loro si mosse lasciando la stanza scoperta. Improvvisamente cominciò a levitare e a volare alla velocità della luce lontano. “Ho fallito…” mormorò il povero Custode affranto. “Abbiamo fallito” precisò la collega fissando il cielo preoccupata.
 
 
Quel giorno era San Valentino e Violetta si svegliò stranamente felice. Aveva deciso di fare un regalo a Leon, qualcosa di speciale e unico. L’unico problema sarebbe stato trovare il coraggio di darglielo. Anzi, meglio, prima doveva ancora creare il suo regalo. Tirò fuori la Carta della Sabbia e del Fuoco. L’idea le era venuta proprio quando aveva catturato la Carta della Sabbia. Era passato un mese da quel giorno e si sentiva emozionata al pensiero della faccia che avrebbe fatto il ragazzo per quel dono. L’esercizio che stavano preparando procedeva a gonfie vele, e di lì a qualche settimana si sarebbero dovuti esibire davanti a tutta la classe. Ovviamente avrebbe cantato solo Leon, lei non se la sentiva proprio, l’avrebbe solo accompagnato alla pianola. Ripensando a tutto il tempo passato con Leon a ridere e a scherzare le venne da sorridere e arrossire. Si ricordava benissimo dell’ultima prova:
‘Violetta stavolta era arrivata prima del suo partner quindi si avvicinò al piano e iniziò a suonare. Leon era rimasto all’entrata a fissarla incantato. Non appena ebbe terminato applaudì, facendosi avanti. “Leon! Da quanto eri qui?” chiese terrorizzata. “Abbastanza per ascoltarti suonare. Sei davvero fantastica” disse quasi senza riflettere, facendola avvampare. Si mise accanto a lei e suonò un tasto con lo sguardo basso. “Amo il fatto che nella musica possiamo esprimere le nostre emozioni, emozioni che non sempre siamo in grado di rendere manifeste” spiegò il giovane timidamente. Violetta lo guardò incantata: come faceva ad essere così perfetto in ogni occasione? Il desiderio di baciarlo si fece largo con troppa veemenza nella sua testa, e fece davvero fatica a scacciarlo. Leon si voltò di scatto verso di lei e sorrise piano. Accarezzandole una guancia le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sentiva che il sentimento nei suoi confronti, che aveva cercato di reprimere, si faceva sempre più strada ed era inutile illudersi. Non sarebbe mai riuscito a dimenticarla. Certo c’era il problema di Diego…ma in fondo avrebbe potuto tranquillamente lasciarlo, non erano mica vincolati da una sorta di contratto o chissà cosa. “Sei bellissima” sussurrò mentre era a un centimetro dalle sue labbra. Violetta rimase paralizzata a quel gesto, non riusciva a muovere un muscolo. “Scusate, stavo cercando…” esclamò Maxi entrando per poi portarsi una mano alla bocca. “Ommioddio” strillò, facendoli subito allontanare con uno scatto, entrambi rossissimi in volto.’
Maledetto Maxi! Poi si era dovuta sorbire anche un bel rimprovero da parte di Francesca. Ma non ci poteva fare nulla: Leon era come una calamita a cui le era impossibile sottrarsi. Prese il suo scettro e si rigirò tra le mani Firey e Sand. Le richiamò attingendo al suo potere magico: “Magico potere del sigillo, io ti chiedo di invocare Firey e Sand. Create due ciondoli di vetro: uno a forma di luna e uno a forma di sole”. Le Carte eseguirono l’ordine e per aria si vennero a formare le due creazioni incandescenti. Con l’aiuto di The Freeze e The Wind, fece lentamente raffreddare i due ciondoli e poi li prese in mano. Tirò fuori dal cassetto due lacci neri e creò due collane. Si rigirò tra le mani la collana con il simbolo della luna: quella l’avrebbe tenuta lei, mentre il sole l’avrebbe donato a Leon; perché lei si sentiva risplendere solo vicino a lui, proprio come la luna, che non possedeva luce propria. Quando lo vedeva tutt’intorno le sembrava più luminoso: Leon era il suo sole. Con quei pensieri felici si preparò per uscire di casa, fischiettando la melodia di Te Creo, la canzone che aveva cantato al ballo in maschera. E anche se Leon non sapeva che Martina in realtà era proprio lei, il ricordo di quella serata felice la fece rabbrividire. Non appena arrivò allo Studio si trovò di fronte Francesca tutta allegra: “Guarda! Guarda!” esclamò Francesca mostrando un anello con incastonata una pietra rossa fuoco. “E’…molto bello” disse Violetta allegra. “E’ il mio regalo per Federico” le rispose arrossendo leggermente. “Aspetta, ma non ti piaceva Thomas?” chiese un po’ confusa. “Ma no, Thomas è un amico. Cioè in realtà lo è anche Federico, anzi siamo colleghi…Ma cosa mi fai dire!” ribatté agitata. “Stai facendo tutto da sola” la fermò Violetta ridendo. Il suo sguardo brillò non appena vide Leon arrivare con Andres ridendo e scherzando. Ed ecco avanzare Ludmilla con un pacchetto rosso. No, non gliel’avrebbe permesso. “Ora devo andare” si scusò, avviandosi verso Leon e tenendo d’occhio la rivale. “Leon!” esclamarono all’unisono le due, trovandosi di fronte a lui. “Si?” chiese il ragazzo gentilmente. Violetta rimase imbambolata ad osservare il suo magnifico sorriso e quei bellissimi occhi verdi puntati su di lei; Ludmilla invece non perse tempo: “Guarda cosa ti ho preso!”. Gli consegnò il pacchetto sorridente. Leon lo scartò e tirò fuori un braccialetto nero con una grande L piena di brillantini. La guardò con un misto di sorpresa e disgusto, ma cercò di mascherare bene la cosa: quel regalo era davvero pacchiano, ma era pur sempre un regalo, e non doveva mostrarsi maleducato. “Grazie” disse senza molto entusiasmo. “La L sta per Leon, ma anche per Ludmilla” spiegò lei soddisfatta, mentre notò vicino all’entrata un Maxi piuttosto nervoso. Chissà come mai poi…ma che stava dicendo?! A lei non interessava nulla di quello scarafaggio. “E tu Violetta, dovevi dirmi qualcosa?” chiese Leon speranzoso e con la voce che lasciava tradire l'emozione. “Io…ecco…si…dovrei…” balbettò Violetta, colta alla sprovvista. Fece un respiro profondo e si preparò a parlare, ma non le usciva fuori nulla. Si odiava per quella sua eccessiva timidezza, ma non riusciva a farci nulla. “Adesso devo andare, ho lezione; magari ci sentiamo dopo per le prove. Ah, e buon San Valentino” esclamò dandole un bacio sulla guancia. Ludmilla la stava fulminando con lo sguardo: non riusciva a credere che nonostante quella santarellina facesse sempre la figura dell’imbecille, alla fine riuscisse sempre ad arrivare dritta al cuore di Leon. “D’accordo” sussurrò lei con lo sguardo perso. Non appena si fu allontanato, Ludmilla gli venne dietro con aria di superiorità, mentre lei si sedette su una panchina vicino all’ingresso con le gambe che ancora le tremavano per quel piccolo dolce gesto. “Ma guarda chi si vede! La mia fidanzata” esclamò scherzosamente Diego, sedendosi accanto a lei. “Ultimamente mi sento molto trascurato, dolcezza” continuò, scoppiando poi in una risata. Violetta tornò subito seria, ripensando al momento terribile che le aveva fatto passare con Leon. Ora che le cose tra loro due erano quasi tornate a posto, non voleva che rovinasse di nuovo tutto. “Basta Diego! Non è affatto divertente. Sai benissimo che a me piace Leon e che…” esclamò con una punta di amarezza. Non riusciva a finire la frase, ma ci pensò Diego al suo posto: “Che non puoi stare al suo fianco perché finiresti col fargli del male?”. La ragazza annuì tristemente. “Beh, io ti sto dando l’opportunità per allontanarlo. Mi dici che stai aspettando?” rincarò lui con forza. “Io…lo so, ma non posso. Non ce la faccio” disse lei abbassando lo sguardo e rivolgendolo verso lo Studio. Ed era vero. Per quanto avesse provato a dimenticarlo, non c’era riuscita ed era sicura che Leon avesse provato lo stesso. Sembravano destinati ad amarsi nonostante tutto. Sempre che Leon l’amasse ancora, ovviamente. Di certo lei l’amava ancora, di questo ne era più che sicura. Si alzò voltandosi di spalle: “Devo andare, adesso ho lezione, e non voglio che ci vedano troppo insieme”. “Promettimi almeno che penserai alla mia proposta. Sarebbe un bene per tutti” concluse Diego, alzandosi anche lui. “D’accordo” esclamò lei per chiudere il discorso definitivamente. Entrò nell’aula strumenti quando fu sicura che fosse vuota e che lei fosse lontana dagli occhi di tutti e cominciò a cantare ‘Te Creo’, pensando a Leon, e immaginandosi un loro bacio pieno d’amore. Un figura però stava osservando tutto, con gli occhi brillanti e un vestito che ricordava molto quello dell’antica Grecia. Aveva un microfono blu che terminava a forma di nota musicale; partiva dall’orecchio e raggiungeva la sua bocca. ‘Te quiero…” sussurrò debolmente la creatura, prima di scomparire nel nulla.
Quel pomeriggio Leon si era trattenuto come al solito per le prove e il pensiero di stare da solo con Violetta il giorno di San Valentino lo rendeva felicissimo. Si aggirava per il corridoio nervosamente con in mano una rosa rossa. Gli sembrava il minimo visto che quel giorno comunque rimaneva speciale. Se solo fosse stata la sua ragazza l’avrebbe riempita tutto il giorno di dolci attenzioni, le avrebbe organizzato un appuntamento da sogno, avrebbe fatto di tutto per poter ammirare il suo splendido sorriso. E invece stava con Diego. La rabbia a quel pensiero saliva sempre di più, ma la allontanò subito: non voleva rovinarsi la giornata. Decise di andare nel bagno dei ragazzi per darsi una sistemata generale per la decima volta; non voleva risultare poco curato ai suoi occhi. Si sistemò meglio la camicia sbottonandosi il primo bottone in alto. Si guardò allo specchio e si fece coraggio da solo con un respiro profondo. Stava per andare nell’aula strumenti quando una strana musica risuonò per il corridoio. Era una melodia familiare, che aveva già sentito da qualche parte. Era la canzone che Martina aveva cantato la sera della festa in maschera. La tentazione fu troppo forte: doveva scoprire chi fosse in realtà quella ragazza. Si mise a correre per raggiungere il piano di sopra, lasciandosi guidare incantato da quelle note.
Violetta era terrorizzata: Leon stava tardando. Che avesse deciso di non presentarsi alle prove? Forse non voleva stare da solo con lei quel giorno. O forse aveva ricevuto altri regali da altre ammiratrici. Era uno dei ragazzi più ambiti della scuola, e si sentì una sciocca per aver potuto pensare che fosse ancora interessato a lei. Probabilmente adesso stava sorseggiando un frullato insieme a una misteriosa bionda, o mora. Al solo pensiero le veniva da piangere. Era la ragazza più sfortunata del mondo. Era stata così superficiale da credere che l’amore non l’avrebbe mai toccata, e invece adesso si ritrovava cotta a puntino per Leon. Guardò l’ora all’enorme orologio appeso alla stanza. Era già passata mezz’ora. Tirò fuori il pacchetto che avrebbe dovuto consegnarli e lo guardò tristemente, poi si indossò la collana con il simbolo della luna, nascondendolo bene sotto la maglietta. “Perdona il ritardo” esclamò Leon con il fiatone. “Niente, figurati” ribatté subito, mentre il sorriso tornò a illuminargli il volto. Leon rispose al sorriso, e le porse la rosa: “Questa è perché non potrai passare la giornata con il tuo ragazzo”. Ragazzo? Quale ragazzo? Ah, Diego… “Grazie mille” disse, prendendo la rosa e annusandone il profumo. Entrambi si chiusero in un silenzio imbarazzato, poi Leon cercò di spezzare la tensione: “Tu credi nei fantasmi?”. ‘Il regalo, stupida Violetta! Dagli quel maledettissimo ciondolo’ pensò Violetta in difficoltà, e colta un po’ alla sprovvista per quella domanda così bizzarra. “Beh, direi di si. Perché me lo chiedi?” chiese in tutta risposta. “Stavo camminando nel corridoio e ho sentito una voce angelica. Sono salito sul tetto della scuola, da cui proveniva il suono e non c’era nessuno. Strano, vero?” esclamò il ragazzo, avvicinandosi. “Si, stranissimo” disse perplessa, cercando di evitare lo sguardo indagatore di Leon. Ma come faceva a farla sempre sentire una stupida? “Leon, io…” sussurrò debolmente, rovistando nella tasca della gonna dove aveva riposto il pacchetto. “Hai ragione, meno chiacchiere e più prove” scherzò allegramente mettendosi alla pianola.
“Ci vediamo domani, allora” lo salutò, dandogli un bacio sulla guancia, poi si avvicinò all’orecchio per sussurrargli: “E grazie della rosa”. Leon la guardò confuso e si allontanò felice per essere riuscito a non fare una figuraccia di fronte a lei. Violetta si diresse nello spogliatoio maschile, vuoto a quell’ora, e fece scivolare il regalo che avrebbe dovuto consegnargli di persona con un biglietto allegato. Stava per andarsene anche lei quando sentì una strana melodia. Qualcuno le mise una mano sulla spalla, facendole prendere un colpo. “Violetta!” esclamò Maxi, sorpreso di vederla ancora lì; teneva stretta nella mano destra la sua immancabile videocamera. “Maxi, sei tu. Mi hai fatto morire” disse la ragazza, portandosi una mano al cuore per lo spavento avuto. “La senti anche tu?” chiese subito, facendola zittire. La melodia si diffondeva per il corridoio dello Studio, creando un’atmosfera inquietante. “Proviene da sopra, eppure questa voce mi è familiare…” continuò pensieroso. I due si diressero di sopra, ma non c’era nessuno; la voce proveniva dal tetto della scuola. Violetta si ricordò delle parole di Leon e cominciò a rabbrividire. Che si trattasse davvero di un fantasma? Facendosi coraggio, i due uscirono e si ritrovarono sul tetto. “Ma qui non c’è nessuno!” constatò la Cattura-Carte guardandosi intorno. “Aspetta…ora che ci penso. Prova a cantare” le disse Maxi con uno sguardo strano. Violetta non capì il perché di quella richiesta, ma cominciò a intonare le note di Te Creo. Maxi riprendeva tutto con la videocamera: “Non senti? E’ la stessa voce che ha cantato poco fa!”. Quindi c’era qualcuno con la sua stessa voce? Che cantava nel suo stesso modo? Non ci capiva più nulla. Prese il cellulare e chiamò Francesca per riferirle i suoi dubbi;“Deve trattarsi di The Song; è una carta tranquilla, si limita ad imitare e registrare le canzoni altrui. Per attirarla dovresti cantare” spiegò l’amica al telefono. La Cattura-Carte annuì e ricominciò a cantare. Improvvisamente una figura angelicata si parò di fronte a lei: era una donna bellissima, dai capelli lunghi e mossi, con un microfono azzurro. Il suo vestito presentava un motivo che ricordava un’arpa. Stava cantando insieme a lei estasiata.
Leon si era appena ricordato di un quaderno che aveva dimenticato allo Studio. Non appena fu rientrato sentì di nuovo quella musica inconfondibile. Stavolta era deciso a vederci più chiaro. Salì lentamente gli scalini che portavano al tetto. Violetta stava cantando insieme alla Carta, quando sentì un rumore di passi. “Un giorno faremo un altro duetto” esclamò sorridendo. Prese lo scettro e intrappolò The Song. Leon aprì la porta che conduceva al tetto, ma non vide nessuno nuovamente. Si passò una mano sul capo, mostrandosi stordito e confuso per quella giornata strana, ma decise che non era il caso di rimuginarci troppo. Forse si era immaginato tutto. Quella musica però era in grado di toccargli l’anima, era come se sentisse che fosse in qualche modo per lui. Violetta lo vide in volo rientrare e tirò un sospiro di sollievo; Maxi dietro di lei sullo scettro alato, riprendeva tutto. Finalmente aveva nuovamente avuto l’occasione di registrare un’altra cattura. La ragazza planò nuovamente sul tetto con mille pensieri: chissà se aveva riconosciuto la voce, o se aveva già scartato il suo regalo.
Leon aprì l’armadietto e vide un pacchetto con un biglietto azzurro; lesse prima il biglietto: ‘Nella speranza che ti piaccia. Per una persona speciale, il mio Leon’. Sorrise per quelle parole così dolci ed estrasse una piccola collana: un laccio nero con un sole di vetro. Era davvero bella, così decise di indossarla subito. Per un momento sentì una forte connessione con Violetta, e non si seppe spiegare il perché. Che gliel’avesse regalato lei? Si rigirò il sole di vetro tra le mani e sorrise involontariamente. Quella giornata era stata davvero ricca di sorprese.
Francesca era andata nell’appartamento di Li, dove Federico stava ancora finendo di riprendersi completamente. “E’ permesso?” chiese bussando alla porta, dove il povero Custode stava bevendo una medicina disgustosa. “Questa roba fa schifo!” esclamò facendo una smorfia. “Devi prenderla se vuoi guarire. Ma hai visite, meglio se vi lascio soli” disse Li con calma, uscendo dalla stanza, dopo aver preso il flacone con la medicina. “Ciao Francesca” disse sorridente. “Come va?” chiese avvicinandosi. “Insomma…si campa” rispose un po’ abbattuto. “Ti ho portato questo” disse timidamente porgendogli l’anello. “Un portafortuna” aggiunse poi frettolosamente. “Grazie, ne avrò davvero bisogno…” la ringraziò il giovane prendendo l’anello e alzandosi in piedi. “Sarà meglio che tu vada ora, però” le consigliò con un tono dubbioso. Non voleva mandarla via, ma aveva paura. Si, temeva che una volta avrebbe potuto perdere il controllo con lei nelle vicinanze, e non poteva permettere che quella maledizione arrivasse a ferirla. Francesca lo guardò un po’ delusa: tutto qui? Davvero voleva che se ne andasse? Decise di non ascoltarlo, poi senza preavviso gli prese il viso tra le mani per baciarlo dolcemente. Le labbra di Federico avevano un sapore amaro, probabilmente a causa della medicina presa poco fa, ma a lei in quel momento sembravano la cosa più dolce del mondo. Federico fece scivolare la mano dietro la schiena per tenerla stretta, mentre la ragazza gli accarezzava la guancia con gli occhi chiusi. Aveva atteso quel momento da tanto tempo, che adesso gli sembrava quasi impossibile. Si corresse: per lui quella storia era davvero impossibile. Perché voleva proteggerla, e per farlo avrebbe dovuto starle lontano. Ma adesso voleva solo godersi quell’attimo di gioia. 





ANGOLO DELLE CARTE: ciao a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo (molto Leonettoso, devo ammettere O.o Non so come mi è uscito, ma meglio così :D). Allora stanno succedendo un po' di casini. Tra Leon e Violetta per ora le cose vanno bene...sono buoni amici e si sbavano addosso. Fran e Fede sono dolcissimi (<3) e poi...mmmhhhh, cosa dovevo dire. Ah, si, anche lo smeraldo è stato trafugato (ebbene si...), e i nostri eroi si chiedono come mai The Sand si trovava in Egitto! (bella domanda...), mentre c'è sempre più confusione. Allora si, spero la storia vi stia piacendo (in questo capitolo c'è davvero troppa Leonettosità *-* O.o). Il regalo di Violetta....che teneri! *crepa* E Leon è fantastico xD Vabbè ora la smetto davvero. Buona lettura e ringrazio tutti quelli che leggono/seguono/recensiscono :D Alla prossima :D Perdono per questa nota autore breve/insignificante, ma domani ho uno scritto *ride nervosamente* e non so niente. E se lo passo mi devo chiudere dentro casa per l'orale, ma va bene, sono felice (come no... -.-). Buona lettura :D :D
P.S: Tha Sand controlla la sabbia, mentre The Song è una Carta che imita la voce/le canzoni che sente :D

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Capitolo 14
*** The Bubbles and The Sleep ***


Capitolo 14
The Bubbles and The Sleep

Federico si separò con un sorriso amaro sul volto. “Che ti prende?” chiese Francesca, guardandolo preoccupata. “Noi…non possiamo” sussurrò il Custode, allontanandosi di colpo. “Perché?” lo incalzò con forza. Come faceva a non capire che lei voleva stargli accanto? Perché la stava allontanando in quel modo dopo averla baciata? “E’ meglio per te. Potrei essere pericoloso, e non voglio vederti soffrire” si giustificò con lo sguardo basso. “Ma…io voglio starti accanto!” esclamò furibonda. Delle scintille azzurre le correvano lungo la mano: stava facendo una gran fatica per contenere i suoi poteri magici in quel momento. “Non essere egoista” la rimproverò con freddezza. “Egoista io?! Qui l’unico egoista sei tu. Pensi solo ai sensi di colpa che proveresti se mi succedesse qualcosa a causa dei poteri della maledizione; vuoi solo stare bene con te stesso” strillò la Custode con le lacrime agli occhi. Era uno sciocco, e lo odiava per quel suo stupido desiderio di proteggere tutti, rinunciando così ad essere felice. “Francesca, vattene!” esclamò Federico, indicandole l’uscita. “D’accordo, ma non ti voglio più vedere!” disse lei cominciando a piangere senza più controllo e uscendo di corsa. Il ragazzo si sedette ai piedi del letto, sospirando. Si sentiva spompato e privo di forze. Non aveva mai trattato Francesca in quel modo, o meglio una volta l’aveva fatto, ma poi se ne era subito pentito:
‘Federico scagliò un laser dalle mani. “Francesca, attenta!” esclamò Federico, intimandole di allontanarsi da quel drago scarlatto. Una fiammata lo sfiorò di lato, mentre la Custode del Sud  America creava una barriera protettiva sul suo corpo. “Vattene!” ripeté con convinzione. Francesca scosse la testa e continuò a lanciare incantesimi difensivi. Era davvero testarda quella novellina. Nemmeno era stata nominata Custode che già si lanciava in missioni di soccorso. Le pareti dell’Etna rimbombarono di fronte al verso del mostro, che sembrava sempre più furioso. Mosse la zampe verso Francesca facendo leva con tutto il suo peso per sfondare la barriera che aveva eretto. Non ce l’avrebbe fatta, questo Federico lo sapeva bene. Creò una palla di ghiaccio che scagliò contro la sua alleata, sfondando le sue barriere. “Flauto di Apollo!” esclamò, richiamando il suo artefatto. Un flauto di cristallo apparve tra le sue mani, e subito una strana melodia si diffuse nell’aria. Portò alla bocca il magico strumento e cominciò a suonarlo, chiudendo gli occhi. L’interno del cratere si riempì di luci scintillanti che galleggiavano a ritmo con il suono che produceva Federico con il suo flauto. Il drago era rimasto immobile, come anche la Custode del Sud America. Il flauto di Apollo: uno strumento magico in grado di congelare il tempo per poco, donatogli da Yue in persona. Continuando a suonare si avvicinò alla collega, e le lanciò un incantesimo di teletrasporto per rimandarla alla base. Di lì in poi se ne sarebbe occupato lui.’
Francesca uscì dall’appartamento, sbattendo la porta. Era furiosa, non poteva credere di essere stata trattata in quel modo. Le lacrime continuavano a scendere copiose, quindi si sedette sul pianerottolo di quella palazzina, aspettando che la tristezza scemasse. L’aveva trattata come una ragazzina capricciosa e incosciente. Quanto lo odiava! O meglio, no…non lo odiava, provava un forte sentimento per lui, lo dovette ammettere, ma non lo sopportava dopo quella discussione.
‘Federico avanzò zoppicando per la stanza bianca, che in quel momento era deserta a parte la Custode del Sud America che stava osservando il mappamondo al centro della stanza. “Federico!” esclamò non appena lo vide, correndo ad abbracciarlo. “Piano, novellina!” mugolò il Custode con un mezzo sorriso, mentre sentiva tutte le bruciature lungo il corpo andare a fuoco per la stretta. Un gemito di dolore gli uscì inavvertitamente, quindi la ragazza, si scostò preoccupata, osservando il viso pieno di fuliggine. Gli prese il braccio e notò delle brutte vesciche di un rosso acceso. I vestiti erano tutti bruciacchiati, forse era stato investito da una vampa di fuoco del drago, che non l’aveva ucciso solo grazie ai suoi incantesimi difensivi. “Siediti” gli ordinò con tono fermo. Il ragazzo cercò di opporre resistenza, ma alla fine si lasciò cadere esausto su una sedia. Francesca con un certo nervosismo prese i lembi della maglietta e gliela sollevò piano, attenta a non farlo soffrire ancora di più. Il petto era pieno di scottature, alcune più lievi, altre decisamente più gravi. “Diciamo che non è stato uno scherzo” rise lui, soffocando il dolore. “Non dovevi teletrasportarmi lontano da lì” esclamò subito, portando la mano destra sul suo petto, e arrossendo leggermente per quel contatto. Federico non rispose, ma la guardò negli occhi, e un sorriso si dipinse sul suo volto, anche se durò poco, spento subito dalle smorfie di dolore. “Ahia!” strillò, mentre Francesca pronunciava formule a bassa voce, emanando una luce azzurra dalle mani. Premette più forte la mano sul petto, arrivando anche all’altezza del cuore, che sentì battere all’impazzata. Passarono alcune ore, e fortunatamente alcune ferite si erano rimarginate, lasciando il posto a delle cicatrici di un colore roseo. “Però, ci sai fare, novellina” continuò prendendola in giro. “Gli incantesimi di guarigione sono la mia specialità” esclamò Francesca sorridendo.’
“Altro che incantesimo di guarigione, gli ci vorrebbe un pugno in faccia” singhiozzò lei, asciugandosi le ultime lacrime con le mani e alzandosi con fierezza. “Non meriti nemmeno una mia lacrima, caro Federico!” esclamò infine, scendendo di corsa le scale. Adesso doveva solo pensare alla sua missione ed aiutare Violetta a catturare tutte le Clow Cards.
“Violetta, possibile che nemmeno oggi vuoi cantare?” chiese preoccupata Angie. La ragazza annuì timidamente. “Giuro che non capisco. Hai preso i voti più alti di chiunque altro all’audizione di canto. Io stessa ti ho sentito, e hai una voce meravigliosa!” continuò l’insegnante, facendola imbarazzare di fronte a tutta la classe. Leon la guardava sorpreso quanto gli altri. Allora era lei la misteriosa ragazza che aveva preso i voti più alti di tutti alla prova! La campanella annunciò la fine delle lezioni. Violetta prese le sue cose nel tentativo di volatilizzarsi all’istante, ma non fu abbastanza rapida. “Allora, abbiamo una sirena in classe e nessuno mi ha detto nulla. Devo dire quindi che sono fortunato ad essere capitato in coppia con te per l’esercizio” esclamò Leon, appoggiandosi al muro di fronte al suo banco con un sorriso. E che sorriso…Violetta sentì le gambe cedere, quindi decise di mettersi seduta, come se stesse cercando qualche quaderno. “Mh…non credo che canterò per l’esercizio. Io suonerò la pianola” lo corresse con un sorriso dolce. Leon si abbassò per avvicinarsi, molleggiandosi sulle ginocchia. “Ci ho provato almeno!” disse con una risata. Violetta non poté fare a meno di notare che aveva la camicia sbottonata ai prime due, anzi, forse tre, bottoni. Lo sguardo cadde inevitabilmente sul suo petto, di cui poteva quasi scorgere i tratti, e l’immaginazione fece il resto del lavoro. Sperò vivamente che non se ne fosse accorto. Un leggero sorriso illuminò il suo volto: indossava il ciondolo a forma di sole. “Che bello” sussurrò, indicando il sole di vetro. Lo prese in mano, e se lo passò tra le mani: era caldo, forse perché continuamente in contatto con il corpo di Leon. Un bel privilegio… ‘Ma cosa sto pensando?’ si riprese poco dopo arrossendo. “Ti piace? Io lo adoro. E’ un regalo da parte di una misteriosa ammiratrice” esclamò con tono curioso. Violetta annuì. Oh, lo sapeva bene…non per niente gliel’aveva regalato lei. “Sono contento di lavorare con te per l’esercizio. Come amici, ovviamente” disse, abbassando lo sguardo imbarazzato. Quando lo risollevò si fece curioso: “Ehi, ma anche tu indossi un ciondolo?”. Aveva notato il laccio che aveva intorno al collo, identico al suo. La luna di vetro era nascosta bene, coperta dalla sua maglietta, e a meno che Leon non fosse dotato dei raggi x non l’avrebbe mai scoperta. ‘Anche se in questo momento vorrei essere dotata io dei raggi x. No, Violetta, smettila di pensare queste cose! Stai diventando una pervertita!’ pensò, mentre le guance si stavano facendo scarlatte. “Allora?” chiese nuovamente in attesa di una risposta. “Me l’ha regalato mio padre, ecco” inventò con una certa rapidità. “E…lo posso vedere?” la interrogò, avvicinandosi per afferrare il laccio nero. Violetta, lo strinse più forte a sé, e ancora una volta i due si trovarono inevitabilmente troppo vicini. Leon la guardava sorridente, e lei ricambiò chiudendo gli occhi. Leon fece lo stesso e si avvicinarono ancora di più. Stava per arrivare il bacio tanto atteso…bacio? No, il bacio no! Non poteva permetterlo. “Etciù!”. Violetta fece finta di starnutirgli in faccia e i due si separarono. Leon scoppiò a ridere per quella scena comica, quindi la salutò, le diede un bacio sulla guancia e uscì dall’aula. “Violetta!” esclamò Angie, l’insegnante di canto, rientrando in aula. La ragazza, sentendosi chiamare, si avvicinò un po’ timorosa. Che cosa le sarebbe accaduto per aver rifiutato di cantare per l’ennesima volta? Non ci voleva nemmeno pensare. “Oggi potrei venire a casa tua per parlare con tuo padre di questo tuo problema?” chiese gentilmente. Violetta finalmente riprese a respirare tranquilla. Ah, si trattava di un semplice e innocuo colloquio. Perché no? “Certo, va benissimo!” esclamò più serena. L’insegnante la contagiò con il suo dolce sorriso: “Allora, ci vediamo a casa tua per le quattro”. Perfetto, tanto nulla sarebbe andato storto. Certo, come no…
Erano arrivate le quattro e Violetta aveva finito di sistemare al centro del tavolino della sala un vassoio d’argento pieno di piccoli spuntini preparati da Olga. Si sedette sul divano ad osservare l’ora, fino a quando il campanello non suonò. Con uno scatto si diresse all’ingresso ed aprì la porta. Angie indossava un semplice abito azzurro con alcune sfumature verdi molto estivo. “Ciao, Violetta!” la salutò entrando allegramente e dandole un bacio sulla guancia. Violetta la guardò piena di ammirazione: Angie era la sua insegnante preferita. “Ehm…mio padre ha quasi finito con il suo lavoro, se vuole intanto si può accomodare in salotto”. Le due si sedettero sul divano e cominciarono a parlare del più e del meno, fino a quando non scese dal piano di sopra Olga con i capelli e il vestito pieni di schiuma e bolle trasparenti. “Non è possibile!” esclamò indignata la domestica, correndo in cucina innervosita. “Che cosa è successo?” chiese le due contemporaneamente. “La lavatrice continua a buttare fuori schiuma in continuazione. Non ce la faccio più!” disse con tono afflitto. “Io me ne intendo abbastanza…se volete me ne occupo io” si intromise Angie facendosi avanti timidamente con la mano alzata. “Se vuole provarci lei…io ci ho rinunciato!” sbottò la donna, cominciando a rompere alcune uova per preparare un dolce. L’insegnante salì la scale titubante, e proprio in quel preciso istante German uscì dallo studio con un’espressione affaticata e gli occhi a palla. “Allora dov’è la tua insegnante?”. Violetta indicò le scale: “E’ andata a vedere in bagno se riesce ad aggiustare la lavatrice; Olga dice che si è rotta”. “Vado a darle una mano. Anche se penso sarebbe il caso di chiamare un idraulico” disse German. L’uomo salì le scale e si precipitò in bagno, dove trovò Angie che cercava di capire da dove uscisse tutta quella schiuma che aveva invaso il bagno. “Signorina, io credo…” cominciò a parlare, ma scivolò rovinosamente sul pavimento bagnato e scivoloso. Angie si voltò per cercare in mezzo a quel mare di schiuma. Stava diventando sempre di più. Si avvicinò alla porta e la chiuse, poi trovò il collo della camicia di German e lo fece riemergere. Non riuscì a fare a meno di ridere: aveva tutto il viso coperto di schiuma, e sembrava avesse una barba tutta bianca. “Ma lei…è la donna del vivaio!” esclamò l’uomo piuttosto confuso. “Già, sono l’insegnante di canto di sua figlia” si presentò Angie porgendo una mano, che German strinse ancora con incertezza. I due cercarono di rialzarsi, ma scivolarono entrambi e Angie finì sopra di lui. “Ehm…scusi…io, non volevo…” sussurrò la donna imbarazzata. German si fermò a guardarla incantato. In quel momento gli sembrava anche più bella di quando l’aveva vista la prima volta. La schiuma le risplendeva tra i capelli biondi, e sarebbe rimasto tutta la vita ad osservarla, ma forse la situazione non era delle migliori. “Papà!” esclamò Violetta, aprendo la porta del bagno e vedendo i due stesi uno sopra l’altro. “Che sta succedendo qui?” chiese poi, ancora scioccata. “Non…non è come sembra” disse piano German, alzando il busto. Il silenzio calò tra i tre, silenzio interrotto dall’arrivo di Jade che annunciava a tutti tranquillamente che aveva chiesto di fare preparare un tè per tutti. Non appena vide la scena divenne verde di rabbia e gelosia. “Tesoro! Che ci fa quella donna sopra di te? Spero tu abbia una spiegazione valida” strillò come un’ossessa. I due cercarono di alzarsi ma dovettero rimanere abbracciati per non scivolare. Jade a quel punto perse del tutto le staffe. “Ah, è così, eh? Lei ti abbraccia e tu non dici nulla?! German, fa qualcosa prima che tra noi sia finita!”. Violetta dovette tapparsi le orecchie per proteggere i suoi timpani, mentre German balbettava qualcosa accampando scuse, e Angie continuava a ripetere che forse era meglio che se ne andasse e tornasse un’altra volta. “Si, vattene, infida, e non tornare mai più” strillò cacciandola con un gesto della mano. Non appena l’insegnante fu corsa via, German fece per inseguirla, ma Jade fu categorica. “Non farlo” disse freddamente. L’uomo la guardò irato: “Quella è l’insegnante di mia figlia, e hai appena fatto una figuraccia terribile! Ora mi vado a scusare, se permetti". Jade rimase in silenzio, rendendosi conto dell’errore commesso, e seguì German per scusarsi della situazione incresciosa. Rimase solo Violetta nel bagno, con la schiuma che continuava a sgorgare e a sprizzare dalla lavatrice. Era fin troppo strano; si avvicinò aggrappandosi ai bordi della parete, mentre la schiuma fuoriusciva lungo il corridoio, fino a raggiungere la vasca da bagno. Lì giaceva una piccola sirena dalla pelle d’avorio, profondamente addormentata. I capelli sembravano essere fatti di schiuma di mare e al collo portava una pietra blu azzurra a forma di sfera. “Una Carta di Clow…” sussurrò piano per non svegliarla. Chissà come era arrivata a casa sua. Sempre cercando di fare il minimo rumore richiamò il suo scettro. Si inginocchiò e continuò ad osservare quella figura così eterea. Con la mano sfiorò i capelli, e quando la ritirò vide che era immersa in una bianca schiuma. La Carta si svegliò e mostrò i suoi occhi azzurri con dei riflessi trasparenti; sembrava impaurita e si scostò sul bordo della vasca tremando. “Non l’hai fatto apposta, vero?” chiese dolcemente Violetta, inclinando leggermente la testa di lato. La sirena annuì titubante, poi si avvicinò e le toccò il polso. Al suo tocco un braccialetto fatto di bolle trasparenti si formò e cominciò a risplendere. Violetta rimirò quell’opera magica. “Bolle…tu sei la Carta delle Bolle?”. La Carta annuì con un sorriso enigmatico. Sollevò lo scettro piano e poi lo poggiò sulla perla azzurra che portava. La sirena chiuse gli occhi e si lasciò racchiudere nella Carta, emettendo un verso leggiadro. La Carta comparve a mezz’aria, mentre la schiuma, opera di The Bubbles, si sciolse come neve al sole, finendo per scomparire.
German corse dietro alla donna, con un certo affanno, mentre Jade aveva rinunciato a seguirli. “Angie, signorina Angie!” la richiamò in fretta. Angie si voltò e si ritrovò davanti il volto dell’uomo. “Mi volevo scusare per l’increscioso incidente” disse subito senza perdere tempo. “Non si preoccupi, non c’è bisogno di scusarsi…” balbettò lei rossissima. German però sembrava determinato. “No, invece mi devo scusare. Non dove permettere alla mia fidanzata di rivolgersi in quel modo all’insegnante di mia figlia. Solo che…sa, insomma, mi sono lasciato prendere dalla situazione e…”. “E…?” lo invogliò la donna, curiosa di sapere cosa avesse da dire. “E niente! Beh, rimedieremo per questo colloquio mancato, magari con un invito a cena” propose abbassando lo sguardo nervoso. L’insegnante accettò con un po’ troppo entusiasmo, quindi gli tese la mano per salutarlo e scappò via. Nessuno dei due voleva ammettere che quell’incontro era stato per loro qualcosa di magico. Davvero magico.
 
Allo Studio 21 c’era una grande eccitazione: di lì a qualche giorno avrebbero fatto una gita, una sorta di campeggio in un bosco poco lontano. “Non è emozionante?”. Maxi era il più esagitato di tutti, non la smetteva di parlare a macchinetta su quante foto e riprese avrebbe potuto fare. Si fermò di colpo e si voltò con lo sguardo rabbuiato. “Che ti prende, Maxi?” chiese Violetta, mettendo una mano sulla sua spalla. “Ultimamente non sono riuscito a riprenderti quasi mai in azione…soffro!” esclamò l’amico, sempre più giù. “Oggi vado a un museo di archeologia, non penso troveremo Carte di Clow, ma se vuoi puoi venire con me” propose gentilmente. Maxi accettò subito, seguito a ruota da Francesca. “Come mai vai a un museo?” chiesero i due all’unisono. “Ehm…non lo dite a nessuno, ma sono appassionata di storia antica” sussurrò imbarazzata. La Custode la guardò con ammirazione. “E’ una bellissima passione!”. Violetta sorrise timidamente per quel complimento, e si diresse in compagnia dei due amici alla prossima lezione, senza minimamente immaginare che qualcuno aveva sentito tutto. Ludmilla uscì da dietro l’albero di fronte all'ingresso con uno sguardo malizioso: “La nostra Vilu è un’amante della storia. Che persona triste e noiosa, ma ho un’occasione da non perdere per metterla in ridicolo davanti a Lyon”.
Il pomeriggio Violetta, Maxi e Francesca si trovarono di fronte all’entrata di un’imponente edificio bianco con la scritta di bronzo ‘Museo archeologico di Buenos Aires’. Maxi aveva al collo la sua amata videocamera, da cui non si sarebbe separato nemmeno sotto tortura. Si misero in fila per prendere il biglietto e quando entrarono Violetta rimase a bocca aperta. Numerose sale con reperti antichi e ricostruzioni di animali preistorici si facevano strada lungo i suoi occhi brillanti per la gioia e l’emozione. “Che meraviglia! Non saprei nemmeno da dove cominciare” esclamò con un sorriso a trentadue denti. Maxi diede un’occhiata nei paraggi.“Cominciamo da quella sala, ci sono delle ossa di triceratopo!”. La visita al museo stava procedendo alla perfezione, fino a quando una voce sgradevole non attirò la loro attenzione. “Che te ne pare di questo museo?”. Ludmilla. Violetta sbuffò: ma allora era davvero un persecuzione! “Una noia mortale. Ma come mai mi hai portato qui?” disse qualcuno vicino a lei. La ragazza si irrigidì: non voleva voltarsi. Perché Leon era con quella bionda da quattro soldi? Si riscoprì nuovamente gelosa, sentimento che più cercava di cacciare più tornava a galla con forza e impeto. Improvvisamente nella mente si formò l’immagine di lei che strangolava Ludmilla con una corda e rideva soddisfatta. Mh…si, così poteva andare bene. “Non ci credo! Guarda che coincidenza, il magnifico trio” esclamò con un sorrisetto malvagio, costringendo lei e si suoi amici a voltarsi. “Che sorpresa inaspettata” disse la Custode con un sorriso forzato. Leon salutò a malapena gli altri e concentrò il suo sguardo su Violetta. “Che ci fate qui?”. “Siamo venuti a vedere questo museo, perché Violetta è appassionata di archeologia” spiegò Maxi. “Davvero?” chiese Leon con un’espressione strana. “Già…” sussurrò Violetta guardando una vetrina mentre lentamente arrossiva per l’imbarazzo: odiava rivelare agli altri i suoi bizzarri interessi fuori dal comune. “Ma è fantastico! Io trovo questi musei noiosissimi, ma forse avrei solo bisogno di una buona guida” ribatté il ragazzo esibendo uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Ludmilla lo guardò basita: non era possibile! Anche così le piaceva. Ma cosa diavolo doveva inventarsi per allontanarlo da quella lì? Era furiosa. Maxi, che intuì i suoi stati d’animo, la prese per un braccio, impedendole di seguire Leon e Violetta, che si erano avviati verso la prossima sala. “Non ci provare, cara mia!” scherzò il ragazzo con il cappellino, mentre la bionda lo stava fulminando con lo sguardo. Francesca sembrava preoccupata, ma se fosse successo quello che temeva avrebbe agito di conseguenza.
“E questo deve appartenere all’era del neolitico…si può vedere da quel particolare colore che ha assunto col tempo” spiegò Violetta indicando uno dei tanti reperti nella sala stranamente deserta. Si voltò verso Leon e vide che non stava smettendo di guardare lei; altro che interesse per l’archeologia! “Ma non mi sembra che la cosa ti interessi particolarmente”. Fece per andarsene, ma Leon la trattenne mettendosi davanti a lei con uno scatto. “Dai, ti chiedo scusa, non volevo. E’ solo che…non riesco a staccarti gli occhi di dosso” ammise il ragazzo con una punta di imbarazzo. “B-beh, allora direi di passare alla prossima sala” balbettò Violetta, aprendo una porta ed entrando senza badare minimamente a dove stesse andando. Solo dopo qualche secondo si rese conto che si trattava di uno sgabuzzino per le scope. Qualche secondo di troppo, decisamente di troppo.  “Anche questi reperti sono particolari!” esclamò Leon entrando anche lui nel ripostiglio e scoppiando a ridere. Chiuse la porta e l’oscurità calò su di loro. “Sarà il caso di uscire, Maxi e Francesca mi staranno cercando” inventò Violetta, cercando di dirigersi verso l’uscita. Leon con un gesto rapido la intrappolò con il suo corpo facendole poggiare la schiena contro una delle pareti polverosi e vecchie. Lo stanzino era stretto, ma in quel momento non sembrava un fatto rilevante agli occhi dei due. Leon si avvicinò lasciandole un bacio sul collo per poi salire sempre più si fino alla guancia. Violetta rabbrividì a quel gesto, cercando con non molta convinzione di scansarlo. Ad un certo punto però Leon ebbe una fitta alla testa che lo costrinse ad allontanarsi. “Che ti succede?” chiese la ragazza, preoccupata. “Mal di testa, niente di che” rispose lui, massaggiandosi le tempie. Violetta si morse il labbro: ma quale mal di testa; era l’effetto della magia delle Clow Cards che lo volevano tenere a distanza da lei. E forse avrebbe dovuto ringraziarle in quell’occasione, perché non sarebbe riuscita a resistere a lungo senza baciarlo. Leon fece un sorriso forzato, poi si avvicinò nuovamente e le lasciò un altro bacio sul collo. Un’altra fitta per lui, un altro brivido per lei. Continuò a baciarla, assaporando quella pelle vellutata che lo stava facendo impazzire, mentre Violetta aveva rinunciato del tutto ad agire e si era limitata a circondare il suo busto con le braccia, massaggiandogli la schiena. Il dolore aumentava, ma con esso anche il suo desiderio di congiungere le labbra con le sue. Violetta ansimò e solo allora capì quanto stava rischiando; dovette ammettere che Leon era sempre in grado di farle perdere la lucidità. “Leon…” sussurrò lei, prendendogli il viso tra le mani e scostandolo. “Non possiamo” disse infine guardandolo dritto negli occhi, quegli occhi verdi che sembravano brillare al buio. “E’ per Diego?” chiese un po’ abbattuto. “Non è per lui, è solo che…”. “Solo che cosa? E non venirmi a dire che non provi nulla per me! Non pensare che non abbia notato le occhiate che mi lanci durante le prove quando siamo da soli o durante le lezioni” continuò Leon adirato. Colpita e affondata. Violetta lo guardò colpevole. L’aveva capito. Aveva capito tutto. Non poteva più nemmeno mentirgli. “Io…”.
“Cosa sta succedendo qui?”. Una voce li interruppe durante quella conversazione. Era Diego. Ma come ci era finito lì? Violetta ebbe il tremendo sospetto che la seguisse. “N-niente” balbettò ancora più rossa. Leon lo stava squadrando, e sembrava davvero arrabbiato. “Stavamo parlando! E ora se non ti dispiace vorremmo continuare il discorso, magari senza la tua ingombrante presenza”. “Peccato che Violetta è la mia ragazza…e non voglio che voi due stiate chiusi qua dentro” esclamò Diego con un sorrisetto compiaciuto. Leon diede un pugno sul muro scocciato. Mancava pochissimo. Pochissimo per sapere cosa Violetta provava per lui. E quel maledetto aveva rovinato tutto. “Deciderà Violetta con chi parlare” disse digrignando i denti. “La mia è una questione importante, capito?” ribatté Diego lanciando un’occhiata profonda alla ragazza. La Cattura-Carte chiuse gli occhi e la sentì: una Clow Card nel museo. “Devo parlare con Diego, mi dispiace”. Quelle parole furono peggio di una lama per Leon, che stringendo i pugni uscì di corsa, lasciando i due da soli. “Nervosetto il ragazzo” sussurrò divertito. “Non scherzare, Diego. Non mi sto divertendo affatto” lo interruppe subito Violetta seria. “Una Carta di Clow si trova in questo museo” disse semplicemente il ragazzo, chiudendo gli occhi di un blu glaciale e riaprendoli di scatto. Violetta annuì e uscì dallo sgabuzzino per tornare nella sala principale. Lo spettacolo che le si parò di fronte era piuttosto inquietante: tutti i visitatori erano stesi per terra profondamente addormentati. Maxi si girava attorno terrorizzato, unico superstite di quella sorta di strage soporifera. Cercava di svegliare Francesca dandogli dei leggeri schiaffetti. Ludmilla era stesa lì vicina con gli occhi chiusi e il viso rilassato. Violetta sgranò gli occhi: e Leon? Che fine aveva fatto Leon? Girò quasi tutto il museo, quando lo trovò steso per terra. Violetta si mise in ginocchio vicino a lui, e gli accarezzò la testa: come era bello mentre dormiva. Si chinò fino a dargli un bacio sulla guancia e poi si rialzò per tornare nel salone principale, dove la stavano aspettando Maxi e Diego.
“Secondo te per svegliarle ci vorrebbe un bacio come nelle favole?” chiese Maxi, passando da Ludmilla a Francesca nel tentativo di svegliarle. “Non credo che le cose funzionino così” rispose Diego alzando il sopracciglio. “Ma come mai tu non sei nel mondo dei sogni?”. Maxi sembrava piuttosto nervoso. “Non lo so, ero in bagno fino a qualche momento fa e quando sono tornato, erano tutti addormentati”. Maxi continuò a guardare Ludmilla: da addormentata sembrava davvero dolce. Dolce e Ludmilla nella stessa frase? No, decisamente qualcosa non andava in lui in quel momento. Si chinò a osservare Ludmilla incantato e sentì il cuore battergli forte. Si portò la mano al petto con un’espressione terrorizzata. No, quello no! Tutto, ma non quello. Non poteva innamorarsi di lei.
“Sono tornata!” esclamò Violetta ancora scossa. “Si tratta di The Sleep, la Carta del Sonno” disse Diego con convinzione. Una fata bianca come la neve dal fisico piccolo ed esile sbucò fuori da una delle sale ridendo, mentre agitava in mano una bacchetta, che terminava con una gemma argentata a forma di luna. Sotto di lei una scia brillante di diffondeva. Doveva essere lei la causa di tutto quello. “Attenta! The Sleep può fare addormentare con quella strana polvere magica. E una volta addormentata cadi direttamente nelle sue mani. Può anche decidere di farti dormire per l’eternità” la avvertì il giovane erede di Clow Leed. Violetta annuì: non era una bella prospettiva…per niente. “Carta che possiedi il potere dell’oscurità. Aiutami a fermare la Carta. Vai, The Wind!”. “No!” cercò di fermarla Diego invano. La Carta del Vento apparve in tutto il suo splendore, e attaccò con una delle sue folate The Sleep, che venne scaraventata contro la parete, ma in compenso tutta la sua polvere magica si diffuse nel salone. Violetta aspirò senza volere quella magia, che sapeva di vaniglia e cadde addormentata, seguita a ruota da Diego e Maxi. Era la fine di tutto, e come al solito era solo colpa sua.
Una nuvola bianca e profumata. Sentiva l’odore dello zucchero ovunque. Si svegliò e si trovò su quella soffice massa che aveva la consistenza di un batuffolo di lana. Il primo pensiero che le passò per la testa fu: ‘Sono morta?’. Se quello era il Paradiso lasciava un po’ a desiderare. Una donna dall’aspetto gentile e premuroso si avvicinò a passi lenti. Portava un kimono, un vestito tradizionale cinese, blu scuro con alcune stelle argentate ricamate. Aveva dei capelli castani non troppo lunghi che le arrivavano fino alle spalle. Due occhi marroni chiarissimi le illuminavano il viso. Ma non era una sconosciuta per Violetta. L’aveva già vista in un’altra occasione: lei era la Regina Nera del suo sogno. Lei era Sakura Kinomoto.
“Sono morta?” chiese senza pensare un secondo. “Non direi” rispose gentilmente, rassicurandola. C’erano tante cose che avrebbe voluto chiederle. “Dove sono?”. La regina prese un po’ di materiale di quella strana nuvola e soffiò su di essa. Una polvere dorata scintillò nell’aria. “Questo è il Paese del Sogno, terra di Sleep e Dream” spiegò con cura. “Chi è Dream?”. Sakura fece una faccia rilassata e rassicurante. “La incontrerai più in là”. Il silenzio calò inesorabile. Non sapeva da dove iniziare a fare domande. Ma una sola le premeva più di tutte. “Perché hai imposto quella legge così ingiusta?” la interrogò con sguardo cupo. Non le interessava nemmeno sapere come uscire da lì; voleva solo avere una risposta, e, nonostante la conoscesse già, voleva sentirla pronunciare dalle sue labbra. Gli occhi della vecchia Padrona si fecero lucidi quando cominciò a parlare: “Sai meglio di me che le Carte non possono tollerare il sentimento d’amore. E’ qualcosa che non riescono a reggere, rovina l’apporto vitale magico che il mago le dona”. Tutto qui? Quello lo sapeva anche lei…ma non c’era nient’altro? Voleva delle risposte più concrete, ma la figura stava iniziando a svanire. Non aveva tempo da perdere. “Come faccio ad uscire da qui?”. Sakura sorrise, un sorriso dolce ed enigmatico allo stesso tempo. “Ma tu sei già fuori!” esclamò, prima di sparire nel nulla. Violetta rimase sola, sola con i suoi pensieri.
“Che vuol dire che sono già fuori?” si interrogò la ragazza, facendo avanti e indietro su quella strana nuvola. Raggiunse l’estremità e si affacciò per vedere se al di sotto di essa vi fosse qualcosa. Niente, solo cielo. Cielo ovunque. Aveva paura: e se fosse rimasta lì per sempre? Portò lo scettro che teneva in mano davanti agli occhi. ‘Dammi un segno, uno qualsiasi. Fammi uscire’ pensò insistentemente, aumentando la stretta su quella superficie metallica e liscia. Niente. Si lasciò cadere a terra piangendo. Aveva fallito.
“Pensi che ce la farà?” chiese Li, guardando la sfera di cristallo. “Si, ne sono convinta” rispose Sakura. “Non avresti dovuto aiutarla in quel modo…” sussurrò il giovane dubbioso. Le lancette dell’orologio continuavano a scorrere. “Non l’ho aiutata, l’ho solo spinta a riflettere, come ho fatto anche con The Power. Non c’è nulla di male. E poi ti ricordi il mio sogno, te ne ho parlato” ribatté la giovane regina, seduta sul suo trono. Li annuì. “Spero solo che tu abbia ragione”. “Confidiamo in lei” disse Sakura seria, lasciando cadere lo scettro lungo il pavimento in preda a una forte emicrania. Le sue energie si indebolivano ogni giorno di più, ma lei aveva fatto una scelta. E l’avrebbe portata avanti fino in fondo. Aveva scelto Li.
Violetta si rialzò asciugandosi una lacrima con la mano. Si sentiva stranamente calma dopo quel pianto liberatorio. La dimensione onirica era così strana da agire anche sulle sue emozioni. Mosse lo scettro senza sapere cosa fare, lasciandosi guidare dall’energia magica che scorreva dentro di lei come una marionetta. L’oggetto magico si fermò a mezz’aria, poi scese piano. Era come se stesse tagliando il cielo, ridotto a una semplice scenografia di carta. Dall’altra parte poteva distinguere sfocate le immagini della sala principale del museo. Si mosse per attraversare quel varco e…
Violetta si risvegliò di colpo, con la fronte sudata e gli occhi umidi. Ce l’aveva fatta, si era svegliata; si sentiva molto debole forse a causa dei poteri magici usati per sfuggire a quella trappola nel sogno. Tutti era ancora addormentati e la fata con la sua povere magica non si era ancora ripresa dalla botta che aveva dato sulla parete. Si avvicinò in punta di piedi e sferrò lo scettro per catturare la Carta. La scritta ‘The Sleep’ si scolpì sulla carta comparsa a mezz’aria, mentre i visitatori si stavano lentamente risvegliando, storditi e privi di memoria.
Maxi aprì gli occhi, e si stiracchiò assonnato; vicino a lui Ludmilla ancora non si era svegliata, e tutto ciò lo fece preoccupare. “Ludmilla! Ludmilla!” esclamò tirandole il braccio per farla svegliare. Continuava a respirare profondamente con gli occhi chiusi. Maxi fu colto dal panico, poi gli venne un’idea molto stupida, ma pur sempre un’idea. Si avvicinò piano fino a far sfiorare le loro labbra. Stava per baciarla, quando Ludmilla sgranò gli occhi gli diede uno schiaffo fortissimo. “Ahi!” si lamentò il ragazzo portandosi una mano sulla guancia dolorante. “Non ti avvicinare mai più a me, rospo!” strillò lei, infuriata, rimettendosi in piedi e fuggendo via sconvolta.
Leon era ancora intontito quando Violetta gli corse incontro abbracciandolo. “Leon! Stai bene”. “Non dovrei?” chiese con un forte mal di testa. Era ancora tra le sue braccia e lo stringeva forte, con la testa appoggiata al petto; sentì il suo cuore battere fortissimo al contatto, e si allontanò rossissima. “Ora sarà meglio che vada. Non mi sento molto bene” esclamò Leon, confuso ed emozionato per quello che era successo. Non appena si fu allontanato Diego si avvicinò con un sorrisetto. “Hai pensato alla mia proposta?” le sussurrò all’orecchio. Violetta alzò un sopracciglio; già, la proposta. Fare finta di stare con Diego per allontanare Leon. Era la cosa più sensata da fare. “Non posso accettare” disse piano, mentre continuava a guardare Leon che usciva dal museo. “E’ per il tuo bene” cercò di convincerla, facendosi d’un tratto serio. “Non posso ferirlo così, non in questo modo” concluse determinata, fuggendo via e rintanandosi in bagno. Si guardò allo specchio e non riconosceva più quella ragazzina tanto insicura e invisibile che era all’inizio. Quell’avventura l’aveva cambiata. E aveva cambiato il suo modo di vedere l’amore. Perché, ora ne era sicura, quello che provava per Leon era amore, amore allo stato puro.





NOTA AUTORE: rieccomi con il seguito di questa storia genere fantasy-romantico. Prima di iniziare, ringrazio infinitamente Ary_6400 che ha recensito ogni singolo capitolo (fatti abbracciare ç.ç) di ogni mia singola storia (compresa questa *riabbraccia*), quindi sappi che tutti i momenti Leonettosi di questa storia sono esclusivamente per te xD Ma passiamo al capitolo :D Allora Fede lascia Fran in malo modo e la caccia via. La vuole proteggere, ma sbaglia. E vabbè, capita xD La scena del flash mi è piaciuta molto (Fran che toglie la maglietta a Fede...partono i fischi e le occhiate complici xD). Leon e Violetta rimangono una cosa troppo dolce...anche se il pericolo si fa più concreto, visto che Violetta si sente sempre più attratta da ragazzo. Nel frattempo Francesca medita sul da farsi nel caso accadesse il peggio. Angie e German sono dolcissimi, ma anche i momenti MaxixLudmilla mi hanno fatto morire (dal ridere per lo più xD). Violetta è più pervy di quel che sembra xD Vorrebbe avere i raggi x *sgomita* Che ne pensate delle due Carte di Clow? Vi piacciono? Fatemi sapere...attenzione, che nei prossimi capitoli i momenti Leonetta tornano più vivi che mai (e non dimentichiamoci il campeggio dello Studio 21, non dimentichiamolo LOL). Buona lettura a tutti e alla prossima :D (la scena Leonetta nello sgabuzzino CJBGQUOEU2CFG e Leon che non si fila le spiegazioni di Violetta perché troppo preso a fissarla cabjefqghwkucgr3) :D :D
 

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Capitolo 15
*** The Dream and The Voice ***


Capitolo 15
The Dream and The Voice

Violetta aprì lentamente gli occhi ancora assonnata e li richiuse con il sorriso sulle labbra. Amava quel momento di dormiveglia mattutino, la metteva sempre di buon umore. Inoltre quella notte non aveva avuto nessuno di quei sogni terribili che le capitava di fare. Le immagini del corpo senza vita di Leon al centro della scacchiera gigante le facevano venire i brividi. Era terrorizzata: Francesca le aveva detto che i suoi sogni erano premonitori. Non poteva accettare che succedesse qualcosa di male a Leon, soprattutto per colpa sua. Era distesa sul letto lungo il fianco destro. La sensazione delle lenzuola soffici che le accarezzavano dolcemente la pelle la fece riscuotere da quei pensieri. Fece scendere la mano lungo il suo corpo ancora con gli occhi chiusi e si rese conto di essere in intimo. Che strano…forse aveva sentito caldo durante la notte e si era spogliata, ma non ricordava di aver fatto una cosa del genere. Fece scivolare il braccio fuori dalle coperte, e sentì l’aria fredda farle venire la pelle d’oca. Socchiuse nuovamente gli occhi, guardando di sottecchi il comodino della sua stanza. Il suo comodino…blu? No, il suo comodino era bianco. E allora come mai di fronte a lei spiccava un bel blu elettrico, che si estendeva lungo tutte le pareti? Aprì del tutto gli occhi e si rese conto che quella non era la sua stanza da letto. Dove diamine era finita? Sentì all’improvviso un braccio forte e muscoloso cingerle la vita da dietro, facendola quasi sobbalzare. Una mano percorse lentamente il suo braccio, e questo la fece rabbrividire ancora di più. Sentì il fiato caldo di qualcuno nel suo orecchio e un sussurro roco. “Buongiorno, amore”. Rimase paralizzata: conosceva perfettamente quella voce. La stessa bocca che le aveva sussurrato all’orecchio cominciò a lasciarle dei baci lungo il collo. Violetta non riuscì a muovere un muscolo mentre lo sentiva premere con le labbra sulla sua pelle, come se volesse che ne rimanesse impresso il profumo. “Ti ho già detto che adoro il profumo della tua pelle vellutata?” chiese dolcemente il ragazzo, massaggiandole con una mano il fianco quasi del tutto scoperto. Violetta trovò la forza di voltarsi, sperando vivamente che si trattasse di un’illusione ottica, causata dalla mancanza di zuccheri o qualcosa del genere. Leon le sorrideva con quegli occhi verdi che sembravano brillare di gioia. “L-Leon? Che ci fai qui?” chiese Violetta, abbassando involontariamente lo sguardo e fissando il suo petto nudo, lasciandosi incantare dai tratti dei pettorali e dallo scintillio del sole di vetro che portava al collo. Leon non disse nulla, ma prese la sua mano e la fece appoggiare sul suo petto caldo, facendole venire dei brividi di piacere al contatto. La ragazza arrossì, decidendosi infine a guardarlo nuovamente negli occhi. “Non ti devi vergognare. Mi piace sentire la sensazione della tua pelle sulla mia” la rassicurò, facendo risalire la sua mano dal fianco lungo tutto il corpo sfiorandolo con i polpastrelli e arrivando fino al suo viso. Le accarezzò la guancia scarlatta e le scostò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Si avvicinò con un’espressione seducente e sfiorò le sue labbra con un sorrisetto malizioso. “Lo senti?”. Si riferiva al suo cuore che accelerava senza tregua. “Batte solo per te così forte” concluse. Non riuscì a resistere più a quel gioco sensuale tra le loro labbra ed accorciò infine le distante, baciandola in modo appassionato. Se il cuore di Leon andava a mille, quello di Violetta andava a diecimila. Poteva sentire i battiti rimbombare nelle sue orecchie, che ormai pulsavano scarlatte. Lasciandosi trasportare da quel bacio che divenne sempre più intenso, fece scendere la mano lungo il suo busto, toccando i suoi addominali fino ad incontrare il tessuto dei suoi boxeur. Si separò imbarazzata, mentre lui la guardava con un mix di amore e passione. “Che ci fai qui?” chiese, arretrando un po’. “Anzi, che ci faccio io qui?” si corresse, intuendo che quella dovesse essere la stanza di Leon. Il ragazzo si mise a ridere, e lei si incantò. Non l’aveva mai visto ridere in quel modo. Era ancora più bello quando rideva. Si avvicinò, prendendole i fianchi e impedendole di allontanarsi. “Non mi prendere in giro, amore. Sei tu che mi hai implorato stanotte di fare l’amore” spiegò, baciandola nuovamente. Violetta senza pensarci portò le braccia al suo collo, come se fosse ipnotizzata e perdesse la logica dei suoi pensieri ogni volta che sentiva le sue labbra calde e morbide.  Solo dopo realizzò quello che aveva detto: era andata a letto con Leon! Ma come diavolo le era venuto in mente? Non ebbe il tempo di farsi altre domande, perché sentì la lingua del ragazzo leccare piano il suo labbro superiore, passando poi a quello inferiore, cercando di crearsi un varco per poter entrare nella sua bocca. Violetta affondò istintivamente le mani nei suoi capelli, mentre lasciò che Leon conducesse le redini del gioco. Schiuse le labbra permettendogli così di sfiorare la sua lingua con estrema delicatezza. Si era dimenticata perfino di prendere fiato o di respirare, Leon non glielo concedeva. Le mani ruvide del ragazzo percorsero nuovamente il suo corpo che stava diventando sempre più bollente. Mentre si stavano per separare, Leon succhiò con amore il suo labbro inferiore, con gli occhi chiusi, volendo assaporare quelle sensazioni con gli unici sensi del tatto e del gusto. “Leon…” mormorò tremante, rifugiandosi così tra le sue braccia. Ne percorse con il dito i muscoli rilassati, e si lasciò cullare da quel calore così piacevole. Non sapeva come potesse essere successo, ma ringraziò comunque il cielo per quella concessione. Aveva baciato Leon, ci aveva fatto l’amore, ed era ancora lì, abbracciata a lui. Sembrava tutto troppo reale per essere un sogno, e se anche lo fosse stato, allora non si sarebbe voluta svegliare più. “Ti posso fare una confessione?” chiese il ragazzo, rompendo il silenzio. Violetta alzò lo sguardo e annuì con un cenno della testa. “Mi è capitato di sognarti molto spesso. Ed eravamo esattamente in situazioni come questa, se non più hot” ammise lui distogliendo lo sguardo. Violetta sorrise e passò il dito sulle sua labbra, ancora umide per il bacio che si erano scambiati qualche momento fa. “E’ capitato anche a me. Molte volte”. I due si guardarono e scoppiarono a ridere, rimanendo abbracciati. Leon affondò il viso nel suo collo, lasciandogli dei piccoli baci e qualche morso affettuoso, poi riemerse e fece sfiorare i loro nasi con un sorriso dolce stampato. “Ti voglio, Violetta. Voglio che tu sia mia, fino alla fine dei miei giorni”. Suonava proprio come una dichiarazione d’amore. La ragazza chiuse gli occhi emozionata. “Ripetilo” disse semplicemente. “Ti voglio, Violetta. Voglio che tu sia mia, fino alla fine dei miei giorni” ripeté, facendole scorgere la passione e la sincerità di quelle parole. Violetta riaprì gli occhi, e lui era ancora lì, di fronte a lei, che la guardava felice. “Ti amo, Leon” sussurrò, baciandolo nuovamente con sempre più intensità. Lentamente le mani di Leon raggiunsero l’allacciatura del reggiseno, e cominciarono a giocarci, non vedendo l’ora di potersene liberare. “Sei pronta per il secondo round?” chiese con un tono leggermente sfacciato. Violetta rise, non ricordando nulla nemmeno della prima volta. Leon si mise sopra di lei, continuando a baciarla, e facendo coincidere il suo petto con quello di lei, mentre lentamente le stava slacciando il reggiseno. “Leon, è tardi. Farai tardi a scuola”. Una voce attraverso la porta li fece separare. “D’accordo, mamma” esclamò lui, togliendosi da sopra di lei, sbuffando e lasciandosi cadere sul letto. Notò Violetta soffocare le risate. “E tu che ci trovi di divertente?” chiese scherzando. “Niente, solo che…la situazione…” disse lei quasi con le lacrime agli occhi. Leon incrociò le braccia, poi si avventò su di lei, cominciando a farle il solletico. “Così impari a ridere di me!” esclamò soddisfatto. Violetta si stava contorcendo dalle risate, mentre sentiva le mani di Leon solleticarle la pelle nuda. Dopo pochi minuti di questa tortura, Violetta finì sopra di lui, cercando di bloccargli le braccia. Leon glielo permise, guardandola negli occhi innamorato. La ragazza si avvicinò sorridente e lo baciò nuovamente in quella posizione, sentendo il suo cuore battere velocemente, accostato a quello del ragazzo. Quando si furono separati, rimasero con i volti vicini, accarezzandosi con i loro respiri. “Leon, se questo è un sogno, vorrei non dovermi svegliare” mormorò lei con uno sguardo triste. “Ti amo, Violetta” disse in tutta risposta, facendole appoggiare il capo sul petto, accarezzandole i capelli e sussurrandole parole dolci all’orecchio.
“Siamo in ritardo!” esclamò Leon, scendendo le scale, abbottonandosi la camicia. Violetta lo seguì di corsa. “Mia madre è uscita, per fortuna, altrimenti mi avrebbe fatto una bella sfuriata”. A proposito di sfuriate…suo padre! Come avrebbe preso il fatto che aveva passato la notte fuori? Prese in mano il cellulare tremando, e controllò le chiamate perse. Nessuna. Non era possibile. Leon intuì i suoi pensieri. “Tuo padre sapeva già che ti saresti fermata da me. Di me si fida”. “Davvero?” esclamò lei sorpresa. Non se l’aspettava proprio. ‘Violetta!’.Una voce rimbombò nell’aria facendola sussultare. Sembrava essere di Francesca. “Leon, l’hai sentita anche tu questa voce?”. Leon scosse la testa, prendendole la mano e trascinandola fuori per andare allo Studio. Arrivarono all’ingresso mano nella mano, cosa che la fece sentire parecchio in imbarazzo. Ludmilla la stava guardando verde d’invidia, mentre Francesca e Maxi le stavano sorridendo. Sembrava tutto perfetto. Salutò Leon con un bacio sulla guancia e si diresse a lezione con i suoi amici. In quel momento le venne un dubbio. “Francesca, ma come è possibile che io possa baciare Leon?” chiese all’improvviso. “Ma come?! Hai già catturato tutte le Carte e hai rinunciato anche al ruolo di Cattura-Carte” disse la Custode con un sorriso inquietante. Qui sorridevano tutti, e la cosa le metteva un po’ di paura. “Ma…ma mi mancano ancora tantissime Carte” disse lei sorpresa. Francesca scosse la testa. “Hai fatto quello che dovevi fare, ora goditi il meritato riposo”. “Ha ragione Fran. Goditi il tuo idillio” la assecondò Maxi. Violetta sospirò: non ci capiva nulla.
Finalmente quella lezione terribile era finita. Si avviò verso gli armadietti quando un ragazzo moro con gli occhi scuri come la notte si fece avanti. “Piacere, sono Joaquin. Sono nuovo di qui, e volevo chiederti qualche informazione”. Violetta si mostrò educata e rispose a tutti i suoi dubbi, anche se il nuovo studente non sembrava interessato alle risposte, visto che la guardava languidamente. “Sei molto carina” disse all’improvviso. “Lei è la mia ragazza” intervenne Leon con sguardo severo, facendo passare un braccio intorno alle spalle di Violetta, che arrossì all’istante. “S-scusa, io vado, allora” balbettò il ragazzo, sbiancando alla vista di Leon, e fuggendo via. Violetta si voltò verso di lui e gli sorrise in modo rassicurante. “Non stava facendo nulla di male. Sbaglio o sei un po’ geloso?”. “Colpa mia se sei la ragazza più bella dello Studio? Non posso mica rischiare di perderti” si difese Leon, avvicinandosi e facendola arretrare finché non si trovò con i gomiti che toccavano la superficie metallica degli armadietti. Le afferrò la vita, e le diede un bacio sulle guance arrossate. “Mi fai impazzire quando arrossisci” disse con una voce calda. “E io adoro vederti geloso” ribatté Violetta, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo appassionatamente. ‘Violetta!’. La voce di Maxi. Si separò suo malgrado con la disapprovazione di Leon, che cercava in tutti i modi di prolungare il bacio mordendogli il labbro inferiore come ultimo disperato tentativo. “Si, Maxi?” chiese voltandosi nel corridoio. Vuoto. Non c’era nessuno. Possibile che si fosse immaginata tutto? “Qui non c’è nessuno” la tranquillizzò Leon, tornando a baciarla, mentre la stringeva con forza a sé. Violetta si distrasse subito, sentendo le labbra morbide di Leon sulle sue. Chiuse gli occhi, accarezzandogli la guancia, mentre l’altra mano percorreva il suo collo delicatamente fino a fermarsi all’altezza del petto. ‘Violetta!’. No, stavolta non se l’era inventato. Leon la stava chiamando…ma Leon era lì con lei, ed era anche piuttosto impegnato. Si separò nuovamente, sotto lo sguardo confuso del ragazzo. “Ma che ti prende?”. “Ho un po’ di mal di testa” si inventò lei. “Vuoi che ti accompagni a casa?” chiese preoccupato, posando le labbra sulla sua fronte per sentire se scottasse. “Non ti preoccupare, ce la faccio” esclamò lei, fuggendo via dal corridoio. In effetti la testa le stava scoppiando per la confusione. Uscì fuori dalla scuola e si ritrovò di fronte una donna dai capelli lunghi con una veste antica e un copricapo che le impediva di vedere. “Ti è piaciuto ciò che hai vissuto?” chiese la donna dolcemente. “Chi sei?” chiese Violetta. “Io sono The Dream, e questo è il tuo mondo onirico. Qui hai Leon, non hai responsabilità, sei spensierata. Ti piace?”. “Certo che si, ma…è tutto finto!” esclamò lei con gli occhi lucidi. Tutto il suo mondo era in frantumi. “Questo è un sogno rivelatore, è uno dei tuoi possibili futuri, a seconda delle scelte che farai”. Violetta rabbrividì mentre la voce profonda della donna le attraversò la spina dorsale. “Vuoi rimanere qui?” chiese infine The Dream. “Cosa intendi dire?” ribatté la Cattura-Carte. La donna alzò le braccia al cielo. “Se vuoi puoi rimanere qui per sempre. Questa è la mia proposta. Non è meglio un mondo che esaudisca ogni nostro desiderio recondito, primo tra tutti quello d’amore?” la interrogò la Clow Card con un sorriso mesto. Aveva ragione, ma sapere di vivere nella menzogna la faceva male. “Perché ti sei rivelata? Potevi farmi vivere qui per sempre, facendomi credere che fosse la realtà”. La donna sorrise. “Non rientra nel mio modo di agire. I sogni sono contorti, a volte inspiegabili, ma sempre sinceri. E io rappresento la loro essenza. Mentire non fa parte di me”. “Rifiuto”. “Ne sei sicura?”. “Rifiuto”. Violetta serrava i pugni determinata: avrebbe perso l’amore di Leon, lo sapeva bene, ma c’erano persone che contavano su di lei, sul suo compito, e non poteva abbandonarle, non voleva. The Dream sorrise soddisfatta. “Speravo fossi così determinata…Violetta Castillo, tu farai grandi cose. Il passato e il presente sono terribili e duri, ma per te vedo un futuro degno della tua anima pura e nobile. Ricorda, Violetta, questo è tutto ciò che posso dirti. Il giudizio finale si sta avvicinando inesorabile. C’è qualcosa che puoi fare per porre fine a tutto questo; tu hai dovuto rinunciare all’amore, ma sarà proprio quello la chiave per riportare l’equilibrio all’interno della magia di Clow”. Quelle parole non le furono molto chiare, ma annuì convinta. “Catturami, Padrona delle Carte” esclamò la donna, facendo comparire dal nulla lo scettro di Violetta, che si diresse dalla sua proprietaria. “Carta che controlli il potere dell’oscurità, io ti chiedo di tornare prigioniera. E’ la tua nuova Padrona che te lo ordina”. The Dream sorrise e si fece catturare. Mentre compariva la Carta tutto intorno si fece sfocato. Scompariva tutto come neve sciolta al sole.
“Violetta? Violetta! Si sta svegliando!”. La voce di Francesca la fece riprendere. Aprì gli occhi e vide la sua stanza, dove Maxi e Francesca la stavano guardando. L’amica era seduta sul letto, mentre sentiva che la sua mano destra era stretta da qualcuno. Voltò lo sguardo e vide Leon seduto all’altro lato del letto che la guardava preoccupato. “Che…ci fate qui?” chiese, senza riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo. Ricordò il sogno e abbassò lo sguardo per la vergogna. “Oggi non sei venuta a scuola, quindi ti siamo venuti a trovare e Olga ci ha detto che stavi ancora dormendo e che lei non riusciva a svegliarti. Era preoccupatissima e stava per chiamare l’ambulanza” spiegò Maxi, alzando le spalle. “Per fortuna stai meglio. Non so proprio come avrei fatto senza di te” esclamò Leon, con il viso pallido e sudaticcio. Sembrava avesse sofferto moltissimo. Violetta si mise a guardare la mano del ragazzo che stringeva la sua, e sorrise. Forse per loro c’era ancora speranza. Anche The Dream l’aveva detto. Il suo amore per Leon avrebbe potuto essere la chiave, anche se non riusciva a capire come. “Leon…sei sempre il solito” disse la ragazza, mettendosi seduta sul letto. “Il solito ragazzo pieno di sé ed egoista?” chiese lui, scherzando. Violetta lo guardò dolcemente, poi si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. “Il solito ragazzo perfetto” sussurrò al suo orecchio. Senza dargli il tempo di dire nulla si fiondò tra le sue braccia, lasciandosi cullare dal suo respiro regolare. Dal letto cadde una Carta. La Custode se ne rese conto e la raccolse. La scritta ‘The Dream’ era nitida e Francesca si preoccupò. Che cosa le aveva fatto vedere quella Carta? Il Sogno era pericoloso, perché poteva donare eccessiva speranza, portando poi a forti delusioni. E temeva che lei fosse caduta in quella trappola. Sapeva che si riferiva al suo amore per Leon, amore che lei non avrebbe potuto lasciare che continuasse a crescere. Vide il sorriso spensierato dei due e si impensierì ancora di più. Cosa poteva fare? Forse una soluzione c’era…ma era drastica, e strettamente provvisoria. Avrebbe potuto far correre il pericolo di vita a lei, e a quelli che avrebbe messo in mezzo. Ma se le cose fossero andate per il verso sbagliato, non avrebbe avuto scelta.
 
Federico si rimise in piedi dopo aver fatto un po’ di fatica. Li continuava a fargli prendere dei medicinali per contenere la magia del rubino, ma sembrava che la maledizione fosse destinata a dilagare nel suo animo. “Devi cercare di opporti psicologicamente a lei” disse Li, fissando la lama luminosa della sua spada. Una spada donatagli dai suoi antenati, i discendenti di Clow Leed. Gli mancava tanto la sua Sakura, ma doveva portare a termine la missione per poter stare nuovamente al suo fianco. “Sembra facile…ti martella la testa fino a farti cedere” spiegò il giovane Custode, mentre gli occhi si tinsero di una sfumatura rossa. “Bevi questo”. Li gli porse un intruglio di un colore verdastro in una tazzina di ceramica bianca, e il ragazzo lo trangugiò in un solo sorso. Fece una faccia disgustata, ma lentamente i suoi occhi ripresero il suo colore abituale. “Che sensazioni provi quando il rubino si impossessa di te?” chiese Li, all’improvviso, sedendosi ai piedi del letto e guardandolo attentamente. Voleva saperne il più possibile su quelle gemme. “E’ come se il tuo corpo andasse a fuoco, come se non fosse più tuo, ma di qualcun altro. Solo ripensandoci, mi vengono i brividi di terrore” disse Federico, diventando improvvisamente pallido.
‘La basilica di San Paolo mostrava al Custode i suoi tesori e le sue navate enormi che conducevano all’altare, ma lui non era certo lì per fare il turista. Trovò l’entrata per la cripta, sull’estrema destra della navata a sinistra, e scese accuratamente delle scale in pietra grossolane, attento a non scivolare a causa dell’umidità. Scese sempre più giù, finché non si trovò in una stanza. Tutt’intorno le pareti erano spesse. Passò l’indice lungo alcune crepe, che al suo tocco si illuminarono debolmente, finché una lastra non si spostò mostrando un passaggio nascosto. Fece apparire una luce rossastra nelle mani e attraversò il corridoio buio, per poi sbucare in una stanza ancora più piccola, di forma circolare. Tutt’intorno delle torce incantate continuavano a brillare con forza, creando sulle pareti delle ombre mostruose. Il Custode si avvicinò al centro dove un piccolo piedistallo conservava in cima un rubino splendente. Eccolo, l’oggetto della sua ricerca. Il magico e misterioso rubino dei Sette Re di Roma. Non si sapeva nulla di quell’oggetto magico. Senza pensarci lo prese in mano e se lo passò tra le dita. Quello fu l’errore più grande e sciocco della sua vita. Era talmente rimasto ammaliato dalla magia emanata da quella pietra, che aveva dimenticato ogni forma di protezione. La fiamma viva che sembrava giacere all’interno del rubino, serpeggiò fino all’estremità in contatto con la sua mano, per poi invadere violentemente il suo corpo, passando dentro la mano. Prima sentì il gelo della superficie espandersi. Ghiaccio che congela le ossa. Ma poi un calore insopportabile si diffuse nel suo corpo. Fuoco puro. Dolore atroce. Queste furono le sensazioni che aveva provato in quel momento. Una voce rimbombò nella sua testa: ‘Un giorno avrai bisogno di me, e io mi prenderò il tuo spirito, lo corromperò fin nel midollo’. Era una voce fredda e spiritica. Era la voce di un mago. Si sentiva posseduto, come se all’interno del suo corpo convivessero due diverse anime. Era maledetto.’
Un brivido percorse il suo corpo al ricordo di quelle sensazioni. “Quando hai catturato The Firey come ti sei sentito?” chiese Li, vedendo nei suoi occhi riaffiorare ricordi dolorosi. “Io…non saprei…era come se Firey fosse parte di me, non saprei spiegarlo” rispose il ragazzo, mentre il sudore gli imperlava lentamente la fronte. La testa gli stava scoppiando, era ormai divisa in due.
‘Un enorme potere fluiva nelle sue mani. Sentiva delle voci che lo chiamavano. ‘Federico!’. Una ragazza lo guardava terrorizzata, con uno scettro magico in mano. Chi era Federico? Non lo sapeva. Una parte gridava in tutta risposta, ma lui non era più lui. Con un sorriso malefico spostò il suo sguardo verso la Clow Card. Quelle ali fiammeggianti non gli mettevano la minima paura. Lui era abituato a vivere con il dolore provocato dal fuoco. Era con esso che era stato forgiato il rubino. Guardò i tizzoni ardenti che The Firey aveva al posto degli occhi, e per un attimo si sentì completo. Era qualcosa di strano. Firey era come parte di lui, una parte separata tanto tempo fa. Il rubino la stava chiamando, e Il Fuoco rispondeva in modo aggressivo. Federico preparò una palla magica da scagliare contro la Clow Card, sapendo bene che aveva ceduto al potere del rubino con il solo scopo di sconfiggere quella Carta; eppure quell’azione gli sembrava contro natura, contro la sua stessa essenza. Sentiva un legame magico tra lui e il fuoco.'
‘La ragazza con lo scettro era riuscita a catturare la Clow Card, e lui si sentiva fragile e stanco, ma allo stesso tempo senza controllo. Il suo spirito lentamente stava svanendo, abbandonando il suo corpo ad una furia incontrollabile. I muscoli si contraevano in preda ad un enorme sforzo, il fuoco fluiva al posto del sangue procurandogli un dolore indicibile. Sentì all’improvviso qualcuno cingerlo in un abbraccio. Una ragazza mora lo stringeva forte, nonostante stesse evidentemente soffrendo. Chissà quale era il suo nome…ma lui lo sapeva! Lei era Francesca, la ragazza di cui era innamorato. Dopo essere riuscito a ricordare il suo nome, le palpebre si fecero pesanti e Federico cadde a terra privo di sensi.’
Una lacrima gli solcò la guancia. Francesca. Lui l’amava, ma quella maledizione non gli permetteva di stare al suo fianco. Chissà cosa pensava adesso di lui…sicuramente lo odiava, ma doveva cercare di capirlo. Per lui non era facile, l’aveva fatto solo per proteggerla, per non farle rischiare la vita. “Hai fatto la cosa giusta” esclamò Li, intuendo i suoi pensieri. Il Custode si rimise seduto sul letto. “Lo so”. “Ma fa male” aggiunse Li mettendogli una mano sulle spalle. Federico non aveva mai pianto, nemmeno quando aveva scoperto che era stato colpito dalla maledizione, eppure in quel momento sentì il bisogno di sfogarsi. Si appoggiò alla spalla di Li e cominciò a piangere disperato, sfogando tutta la sua frustrazione.
“Francesca mi ha raccontato di The Dream” le sussurrò Diego all’orecchio. “E allora mi chiedo che ci fai qui” ribatté lei acida. Non si era dimenticata che per colpa sua Leon ce l’aveva avuta con lei per un bel po’. “Ehi, io sono qui solo per aiutarti, ricordalo” la riprese alzando un sopracciglio. Violetta fece un respiro profondo: aveva ragione. In fondo le aveva anche salvato la vita, doveva mostrarsi un minimo riconoscente. “Non ti fidare di The Dream”. Diego aveva pronunciato quelle parole con un tono serio. Fece un respiro profondo e continuò. “The Dream è in grado di farci credere di essere in grado di poter cambiare le cose anche quando questo non è possibile”. “Non mi ha illusa, Diego. So quello che sto facendo” rispose sostenendo il suo sguardo. Niente di più sbagliato. Non aveva la più pallida di come comportarsi. Era confusa. Sapeva di dover stare lontana da Leon, ma quelle sensazioni provate durante il sogno erano state troppo forti perché le potesse ignorare. “D’accordo. Ora vado che ho lezione, ma ci vediamo dopo” la salutò il ragazzo allontanandosi con un sorriso. Violetta rispose al sorriso gentilmente e poi si diresse al suo armadietto per prendere i libri. Una volta aperto lo sportello, sentì una voce sussurrargli all’orecchio. “Meno male che quello scocciatore se ne è andato…Buongiorno”. Violetta si voltò emozionata, osservando i tratti del viso di Leon, che stava esibendo un sorriso dolce. Le porse la mano con un po’ di insicurezza. “Andiamo insieme a lezione?”. Violetta strinse la mano annuendo e insieme si diressero alla lezione di Angie.
Ludmilla stava finendo di provare la canzone da portare alla lezione di Angie, e intanto pensava a come eliminare una volta per tutte quella Violetta che le stava portando via Leon. Sentì un fruscio di ali, ma non ci fece molto caso. Cominciò a intonare le note di ‘Destinada a Brillar’, la canzone che costituiva per lei la perfezione assoluta:
‘Quién le pone límite al deseo
cuando se quiere triunfar.
No importa nada.
Lo que quiero
es cantar y bailar.’
In un attimo sentì la sua gola andare a fuoco, si girò verso l’entrata a vide una ragazza buffa con un abito lungo e delle maniche che ricordavano ali. Sul collo portava un collare rosa che si illuminò insieme al suo sorriso soddisfatto. La figura scomparve all’improvviso e, cosa che fece rabbrividire Ludmilla, con essa scomparve anche la sua voce. Non riusciva più a parlare o a cantare.
I ragazzi fecero il loro ingresso in aula tranquillamente; Ludmilla era entrata per ultima e si nascondeva dai suoi compagni, arrivando a sedersi in fondo. “Ciao, Ludmilla” la salutò allegramente Maxi, sedendosi vicino a lei. Quella ragazza era interessante a suo modo, e non poté nascondere di provare qualcosa per lei. Ludmilla scosse la testa in modo altezzoso e si girò dall’altra parte. “Come non detto, non ti saluterò più” scherzò il giovane, sistemandosi il cappelletto. “Allora, oggi chi vuole cantare?” chiese Angie entrando nell’aula con un bel sorriso. Nessuno si fece sentire. “Nemmeno tu, Ludmilla?” chiese sorpresa l’insegnante. Ludmilla cercò di dire qualcosa ma non le uscì nulla. “Non riesci a parlare?”. Ludmilla annuì terrorizzata, poi con le lacrime agli occhi fuggì in bagno. Maxi la guardò e si alzò di scatto, rischiando di dare una botta al banco. “Vado a vedere come sta…”. L’insegnante annuì e il ragazzo poté uscire. “Non hai sentito come la presenza di una Carta di Clow aleggiare vicino a Ludmilla?” sussurrò Violetta alla sua amica. “Mhh…potrebbe essere. Ma certo! Deve trattarsi di The Voice, che ha rubato la voce di Ludmilla. Forse ho un’idea per catturarla” esclamò la Custode. Le due si scambiarono un’occhiata eloquente. La campanella fece suonare la pausa. “Riprendiamo dopo” disse Angie, uscendo per prima.
“Ludmilla!” esclamò Maxi, afferrandole il braccio. La ragazza si voltò ancora sconvolta e con le lacrime agli occhi. “Anche se non riesci a cantare, per me sei sempre una stella” si lasciò scappare il ragazzo con lo sguardo basso. Una massa di capelli biondi, si riversò sulle sue spalle, mentre Ludmilla lo stringeva forte in un abbraccio di slancio. Si separò subito, rendendosi conto del gesto folle che aveva fatto, quindi si voltò dall’altra parte con le guance arrossate. Ma che cosa le stava succedendo? Perché Maxi le faceva quell’effetto? Continuò a camminare per raggiungere il bagno. I passi rimbombavano nel corridoio che lentamente si stava riempiendo di studenti dopo il suono della campanella. Maxi rimase a guardarla imbambolato, finché non si confuse nella folla, finché non vide un ultimo scintillio dorato imprimersi nei suoi occhi e nel suo cuore.
“Non lo farò mai!” strillò Violetta rientrando in classe. “Devi farlo, The Voice è attirata dalle belle voci, ma non può rubarne più di una alla volta. Se ne trovasse una più bella, si precipiterebbe a prenderla. E tu sei l’unica che può fare da esca” spiegò per l’ennesima volta Francesca. “Ma…io non voglio!” si lamentò l’altra con voce tremante. Rientrarono per ultime: avevano fatto tardi per escogitare un piano per catturare The Voice. Ludmilla ancora non era rientrata. “Alla buon’ora! Spero abbiate un motivo valido per aver fatto così tardi” le rimproverò scherzosamente Angie. “Infatti! Volevamo proporci per cantare” disse Francesca convinta. “Davvero?! Ma che bello! Violetta canterai per noi?” chiese la donna euforica, come se non riuscisse ancora a credere a quelle parole. ‘No, non lo farò! Dì di no, dì di no…’. “S-si” balbettò Violetta mentre osservava il pavimento. Angie lasciò loro il posto, e le due si posizionarono. Non solo avrebbe dovuto cantare, e Leon si sarebbe accorto che Martina era lei, ma avrebbe dovuto anche cantare ‘Te creo’. Era rovinata. La musica partì, prese un bel respiro, e cominciò osservando di sottecchi l’espressione curiosa di Leon.
‘No sé si hago bien, 
no sé si hago mal. 
No sé si decirlo, 
no sé si callar.’
Il resto dell’aula scomparve all’improvviso. Si ritrovò a fissare Leon che la guardava sorpreso, lo poteva leggere dai suoi occhi. Come poteva essersi innamorata di lui? Non lo sapeva, ma non riusciva più a immaginarsi senza di lui. Non poteva dirlo, eppure con quella canzone glielo stava facendo capire. Quella canzone diceva semplicemente questo: ti amo, Leon.
‘¿Que es eso que siento 
tan dentro de mi? 
Hoy me pregunto 
si amar es asì.’
‘“Che è successo?” chiese Violetta, passandosi la lingua sul labbro ferito, succhiando il sangue che le stava colando. “Ti sei fatta male?” chiese Leon preoccupatissimo, ignorando le condizioni dell’amico. Si avvicinò per vedere meglio, prendendole il viso tra le mani: quelle labbra. Avrebbe tanto voluto baciarle, sentire il loro sapore, il loro calore. Violetta rimase spaesata: insomma nessuno, a parte Francesca, si era mai preoccupato così tanto per lei, e non era abituata.’
Leon…era stato sempre dolce e paziente con lei. Continuò a guardarlo e lo vide sorridere. Senza rendersene conto anche lei si sciolse in un sorriso timido e continuò a cantare.
‘Mientras algo me hablò de ti, 
mientras algo crecìa en mí, 
encontrè las respuestas 
a mi soledad. 
Ahora sé que vivir es soñar.’
‘D’istinto abbracciò Leon, e chiuse gli occhi, assaporando fino in fondo il suo profumo, che le ricordava la vaniglia. Il ragazzo rimase sorpreso da quel gesto, sentiva il petto esplodergli per la felicità, e ricambiò la stretta con intensità, felicissimo. Violetta si staccò abbassando lo sguardo timida: “Scusa, avevo bisogno di un abbraccio”. Leon le prese la mano giocherellandoci: “Quando vuoi, io ci sarò sempre”’
‘Si ritrovò con le spalle contro il muro dove fino a poco tempo fa era stata intrappolata la Carta del Doppio. Leon si trovò a pochi centimetri da lei: era così bella da non riuscire a resisterle; poggiò una mano sulla sua guancia e l’altra sul muro impedendole una via di fuga. Non che potesse fare nulla: Violetta era completamente paralizzata, con le braccia portate in avanti nel tentativo di evitare un contatto, che stava ormai diventando inevitabile. Sentì il naso di Leon sfiorare leggermente il suo, sentì il suo respiro farsi sempre più veloce. Chiuse gli occhi mentre avvertì il cuore quasi fermo per quanto batteva veloce. Ormai ne era certa: quel bacio per quanto cercasse di nasconderlo, lo desiderava più di ogni altra cosa e le sembrava quasi inevitabile.’
Il suo amore per Leon era cresciuto lentamente, ma con sempre più forza. Prima era sola, adesso c’era lui, che era arrivata a sognare più volte. Era lui che The Dream aveva voluto mostrargli per renderla felice.
‘Ahora sé que la tierra 
es el cielo. 
Te quiero, te quiero 
Que en tus brazos 
ya no tengo miedo. 
Te quiero, te quiero 
Que me extrañas 
con tus ojos 
Te creo, te creo.’ 
‘Quando riuscì a prenderle il braccio, Violetta si sentì tirare e perdendo l’equilibrio cadde portandosi dietro Leon, che finì sopra di lei. I due si guardarono per un secondo. Erano vicinissimi e il corpo di Leon a contatto col suo la emozionava tantissimo. Il ragazzo le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia, accorciando sempre di più le distanze. Nel frattempo nel prato tante piccole margherite cominciarono a crescere e dei petali di ciliegio li avvolgevano con il loro profumo, galleggiando nell’aria. Era tutto così magico e il momento era ideale…Per un istante si dimenticò di tutto, dell’incantesimo a cui era sottoposta, ma chiuse semplicemente gli occhi, potendo avvertire il calore del viso di Leon, emozionato quanto lei per quello che di lì a poco sarebbe diventato un bacio ricco d’amore.’
Era tutto sbagliato. Ma allo stesso tempo stare con Leon le sembrava la cosa più naturale del mondo, e tra le sue braccia smetteva di avere paura, smetteva di pensare al suo destino di Cattura-Carte. Pensava solo al suo cuore che batteva troppo forte per essere controllato, e alle inspiegabili emozioni che le provocava ogni suo minimo gesto.
Continuò a cantare. Le parole le uscivano da sole, non c’era nemmeno bisogno di pensare al testo. Leon la guardava e lei lo guardava. Il resto aveva perso consistenza, ai suoi occhi non esisteva, non era mai esistito. Era arrivata all’ultima strofa.
‘No sé si hago bien, 
no sé si hago mal. 
No sé si decirlo, 
no sé si callar.’
Leon con un gesto rapido la intrappolò con il suo corpo facendole poggiare la schiena contro una delle pareti polverosi e vecchie. Lo stanzino era stretto, ma in quel momento non sembrava un fatto rilevante agli occhi dei due. Leon si avvicinò lasciandole un bacio sul collo per poi salire sempre più si fino alla guancia. Violetta rabbrividì a quel gesto, cercando con non molta convinzione di scansarlo. Ad un certo punto però Leon ebbe una fitta alla testa che lo costrinse ad allontanarsi. “Che ti succede?” chiese la ragazza, preoccupata. “Mal di testa, niente di che” rispose lui, massaggiandosi le tempie. Violetta si morse il labbro: ma quale mal di testa; era l’effetto della magia delle Clow Cards che lo volevano tenere a distanza da lei. E forse avrebbe dovuto ringraziarle in quell’occasione, perché non sarebbe riuscita a resistere a lungo senza baciarlo. Leon fece un sorriso forzato, poi si avvicinò nuovamente e le lasciò un altro bacio sul collo. Un’altra fitta per lui, un altro brivido per lei. Continuò a baciarla, assaporando quella pelle vellutata che lo stava facendo impazzire, mentre Violetta aveva rinunciato del tutto ad agire e si era limitata a circondare il suo busto con le braccia, massaggiandogli la schiena. Il dolore aumentava, ma con esso anche il suo desiderio di congiungere le labbra con le sue. Violetta ansimò e solo allora capì quanto stava rischiando; dovette ammettere che Leon era sempre in grado di farle perdere la lucidità.’
La canzone era finita, e tutti erano rimasti sbalorditi da quella magnifica voce. Vide all’ingresso una donna con un vestito bizzarro e un collare rosa che la guardava estasiata. “Devo andare in bagno!” esclamò lei all’improvviso uscendo dall’aula e inseguendo la Clow Card. La intrappolò alla fine di un corridoio vuoto. “Torna prigioniera della Clow Card!” esclamò richiamando lo scettro. La Carta si formò a mezz’aria, intrappolando la Carta. Ce l’aveva fatta, anche quella era andata. Fece per rientrare, ma qualcuno le afferrò rapidamente il braccio, inchiodandola sulla parete. “Ahi, ma…”. Si fermò non appena vide Leon che la guardava arrabbiato. “Perché non me l’hai detto? Perché non mi hai detto che eri tu Martina?”. Il braccio destro di Leon si appoggiò sulla parete sfiorandole il capo, mentre lui attendeva spiegazioni. “Io…io…”. Che si poteva inventare? Non ne aveva idea. “Anzi, sai che ti dico? Non mi interessa davvero” disse lui, addolcendo la sua espressione. “Davvero?” chiese Violetta perplessa e confusa. “Già, perché mi basta sapere che quella ragazza eri tu, e che quello che c’è stato tra noi alla festa come poco fa, in aula, era reale. Violetta, basta giocare. Io so che provi qualcosa per me, adesso ne ho l’assoluta certezza. E so che in questo momento vuoi baciarmi esattamente come lo voglio io” rispose Leon. Il ragazzo la intrappolò con il suo corpo, facendo scendere le mani per stringerle la vita, impedendole ogni movimento. Non ci poteva credere, stava succedendo davvero. Leon la guardò leccandosi il labbro inferiore, il che provocò una scossa di adrenalina alla ragazza. Chiuse lentamente gli occhi, sussurrandole sulle labbra: “Sono innamorato di te, Violetta. E desidero baciarti con tutto me stesso”. Stava per accadere, stava per baciarlo. Francesca non c’era, Maxi nemmeno. Cosa avrebbe fatto? Mentre pensava chiuse anche lei gli occhi meccanicamente, mentre il respiro di Leon si infranse sul suo viso. Il bacio che avrebbe cambiato tutto. Il bacio che avrebbe decretato la sua fine, e il fallimento della missione. 





ANGOLO DELLE CARTE: Mh. Questo capitolo fa schifo. O meglio fa schifo la parte di The Voice mentre amo la parte di The Dream. Ma andiamo un po' per volta. The Dream: sclero male. La scena iniziale è così bejfhkqjfhql4rb *muore* e anche la scenata di gelosia di Leon....e le cose che si dicono così dolci e zuccherose *lancia caramelle ovunque* Detto ciò Tha Dream le dice di non rinunciare al suo amore per Leon perché invece sarà la soluzione di tutti i suoi problemi. Allo stesso tempo Fran e Diego dicono di non prestare ascolto alla Carta, in quanto è propoensa a illudere le persone. Mhhhh...voi di chi vi fidate? Chi avrà ragione? Nel frattempo Violetta ha capito che senza Leon non ci sa proprio stare e quando fa da esca per catturare The Voice, lo dimostra con la canzone 'Te creo' dove abbiamo alcuni flashback della storia e alcuni pensieri su Leon e sull'amore che Violetta ha coltivato pian piano, mentre Francesca risulta preoccupata. Per il resto mi affido alle vostre recensioni ;D Mi fa sempre strano scrivere scene su Maxi e Ludmilla LOL Ma ok, andiamo avanti :D Grazie a chi legge e recensisce questa modesta quanto particolare storia O.o E...si, la parte di The Voice è scritta da cavolo/malissimo, perdonatemi >.<" Alla prossima e buona lettura :D

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Capitolo 16
*** The Lock and The Glow ***


Capitolo 16
The Lock and The Glow

“Sono innamorato di te, Violetta. E desidero baciarti con tutto me stesso”. Aveva gli occhi chiusi, ma poteva benissimo avvertire il respiro di Leon farsi sempre più presente, più vicino al suo viso. Aveva terribilmente paura. Cosa avrebbe fatto adesso? Un tempo pensare di allontanarlo le sembrava una passeggiata, ma adesso…era innamorata di Leon, e questo rendeva tutto più difficile. Perché per quanto la sua mente razionale cercasse di farla rinsavire, il folle impulso di poter sentire le sue labbra calde come nel sogno di The Dream aveva preso il sopravvento. E ormai era in balia degli eventi.
L’allarme anti-incendio suonò e gli erogatori si attivarono allagando tutti i corridoi. Studenti uscivano dalle aule mettendo le borse sopra la testa per non bagnarsi e correvano verso l’uscita. Violetta approfittò di quella situazione propizia per allontanare Leon. Con la coda dell’occhio vide Diego che sorrideva nel suo solito modo un po’ arrogante, e indicava verso il soffitto. Era stato lui. Non sapeva se ringraziarlo o disintegrarlo. Decise che l’avrebbe ringraziato, in fondo aveva appena evitato una catastrofe con il suo aiuto. Il ragazzo misterioso dagli occhi di ghiaccio schioccò un dito e scomparve nel nulla.
Leon era bagnato dalla testa ai piedi e la guardava sconcertato. “Possibile che deve sempre succedere qualcosa?”. Violetta si ritrovò inspiegabilmente a fissare il suo petto perfettamente visibile a causa della maglietta bagnata che aveva finito per aderire completamente al suo corpo. Cavolo, come fa ad essere così bello?, pensò mordendosi d’istinto il labbro inferiore. Leon capì subito tutto e sorrise malizioso. “Forse non è destino” gli disse con il volto sollevato. La tensione si era allentata, ma era ancora ben lontana dallo sparire del tutto. Leon scoppiò a ridere alla sua battuta, quindi prese i lembi della maglietta e la portò su per poi sfilarsela del tutto. A torso nudo in mezzo al corridoio deserto. Qualcos’altro? Violetta voltò di scatto lo sguardo evitando di guardarlo, ma inevitabilmente come se fosse attratta da una calamita finiva sempre per fissare il sole di vetro e il suo petto scolpito. Qualcuno mi aiuti, supplicò con tutta se stessa, mentre Leon rideva divertito di quella reazione. Si avvicinò piano e le diede un bacio sulla guancia, facendola avvampare, quindi si spostò al suo orecchio. “Io non credo al destino, quindi non riuscirai a cavartela ancora a lungo, Castillo” le sussurrò con affetto, prima di allontanarsi e salutarla per andare a prendere un cambio asciutto nell’armadietto. Subito dopo Diego ricomparve dietro di lei e scoppiò a ridere. “Non è divertente, Diego” lo riprese strizzando una ciocca di capelli per liberarsi dell’acqua in eccesso. “Forse non è destino. Non te ne potevi uscire con una frase più stupida” ridacchiò con ormai le lacrime agli occhi. “Scusami, se non ho le frasi pronte per allontanare il ragazzo che mi piace!” si lasciò scappare Violetta, tappandosi subito la bocca. L’aveva detto… ‘il ragazzo che mi piace’. Cavolo, adesso era rovinata. Diego le avrebbe fatto una ramanzina colossale, peggio di quelle di Francesca. Si preparò psicologicamente, ma quello che sentì la sorprese. “Mi dispiace” sussurrò Diego, abbracciandola dolcemente. Violetta si lasciò andare a quell’abbraccio. Ne aveva bisogno, perché si sentiva sola, sola ed eternamente infelice.
Ludmilla era nella sua stanza con l’asciugacapelli in mano. Voleva proprio sapere chi aveva avuto la brillante di far scoppiare l’allarme anti-incendio. Per l’ennesima volta fece un piccolo solfeggio e sorrise soddisfatta. La sua voce era tornata, la sua splendida ed inimitabile voce. Si guardò allo specchio e fece un occhiolino: era ancora la stella dello Studio. Ora doveva pensare a come conquistare Leon, ma aveva già un’idea. Lo avrebbe invitato in un luogo appartato in maniera anonima così da non ottenere un rifiuto, e l’avrebbe convinto di essere la ragazza perfetta per lui. Si, avrebbe fatto così. Prese un cartoncino rosa, una penna rossa e cominciò a scrivere. Dopo aver finito lo ripiegò soddisfatta: il giorno dopo l’avrebbe infilato nell’armadietto di Leon.
“Aspettami!” strillò Francesca, per raggiungere Thomas, che camminava tranquillamente per la strada. Il Custode si fermò e si voltò sorridendo, fino a quando l’amica non lo raggiunse. “Che ci fai qui? Non dovresti essere in Nord America a cercare la gemma dei Sette Re di Roma?” chiese curiosa. “Visto che Federico non sta bene, lo sto momentaneamente sostituendo…della ricerca se ne sta occupando Nata” rispose prendendole la mano. La guardò negli occhi e notò che erano arrossati dal pianto. “E tu come stai?”. “Bene…credo. Violetta sta catturando più carte possibili, ma il tempo stringe e si è innamorata”. Marcò con cura l’ultima parola, come la più grave delle sventure. “E come farai se dovesse…baciare la persona che ama?” chiese Thomas preoccupato. Sapeva benissimo a cosa avrebbe voluto ricorrere. “Userò il mio artefatto magico” rispose con durezza. Il Custode sbiancò. “No! Non puoi farlo! Non sai che prezzo potrebbe chiederti…e potresti benissimo non riuscire a risolvere il problema”. “Ho altre alternative?” chiese disperata con gli occhi lucidi. Tutto ciò che le era rimasto da provare. “Penso che dovremmo uccidere quel ragazzo che ci crea tanti problemi, o comunque allontanarlo” sentenziò Thomas, fissando il pavimento per timore della reazione di Francesca, che come aveva previsto fu durissima. “Stai scherzando, spero! So benissimo cosa vuol dire amare qualcuno e non potersi avvicinare a lui. So cosa si prova, e non potrei sopportare lo sguardo sofferente di Violetta, sarebbe meglio morire” sibilò, mentre le mani si circondarono di un’aura azzurra. Succedeva sempre così quando perdeva il controllo. Thomas, chiuse gli occhi e poi li riaprì sospirando. “Potrebbe succederti proprio questo. Lo sai che potresti morire usando l’artefatto. Il tuo è il più potente e pericoloso”. “Ho già preso la mia decisione, Thomas, non posso fare altro…non posso permettere che Violetta rischi in questo modo. Devo aiutarla. Non soffrirà di ciò che succederà, non lo potrei permettere, e spero che la mia soluzione possa essere definitiva”. Si voltò di scatto. Era decisa a portare a termine il suo compito: avrebbe fatto ricorso al suo artefatto, e se avesse dovuto pagare con la vita, l’avrebbe fatto.
Il giorno seguente a scuola era ben visibile il fermento per la gita scolastica. Si parlava delle meravigliose escursioni che avrebbero potuto fare; le coppiette già si pregustavano una visita notturna al lago vicino al luogo dove si sarebbero accampati. “Immagino ci voglia andare anche tu al lago di notte” le sussurrò all’orecchio Leon, divertito. Violetta arrossì e cominciò a guardare la parete degli armadietti per non doversi perdere in quei meravigliosi occhi verdi. “Potrei farci un salto con Francesca…Grazie” rispose con una noncuranza palesemente falsa. “Non te lo consiglio, di notte è meglio che ci sia un ragazzo al tuo fianco, se dovesse succedere qualcosa”. “Allora chiederò a Maxi. Lui è un ragazzo, giusto?”. “Mh…non saprei” rispose con un sorrisetto. “Ehi, guardate che non sono mica sordo!” esclamò risentito l’amico che si trovava vicino a loro, a lavorare con alcune registrazioni. “Scusa Maxi” dissero i due all’unisono, poi si guardarono per un secondo e scoppiarono a ridere. “Comunque…non mi scapperai ancora a lungo, Violetta, ricordatelo” disse facendole l’occhiolino e dirigendosi nello spogliatoio maschile. Violetta lo guardò andare via con un’espressione a metà tra il lusingato e il preoccupato. “Il tipo non molla! E le tue argomentazioni fanno pena…” la riprese Maxi prendendola in giro. Incrociò le braccia sul petto con un’espressione irritata. “Ultimamente mi state dicendo tutti le stesse cose”. “Buongiorno a tutti” disse Francesca entrando nello Studio tutta sorridente e venendo verso di loro. “Buongiorno” borbottò Violetta, ancora un po’ arrabbiata per quello che le aveva detto Maxi. “Buongiorno” salutò l’amico allegramente. “C’è lezione di danza adesso, giusto? Su su, andiamo a cambiarci” esclamò la Custode con un sorriso forzato. La discussione con Thomas l’aveva turbata, ma aveva preso la sua decisione, e ne era sempre più convinta.
Ludmilla si aggirava negli spogliatoi maschili ancora deserti. Doveva trovare l’armadietto di Leon e metterci il biglietto che aveva preparato. Si avvicinò ad un armadietto e vi sbirciò dentro: niente che la potesse ricondurre a Leon. Passò a quello dopo, sperando di metterci poco tempo. Di lì a qualche minuto sarebbero arrivati tutti i ragazzi per cambiarsi. Bingo, pensò soddisfatta. In mezzo a quel disordine stratosferico un quaderno blu con la scritta in nero ‘Leon Vargas’ attirò la sua attenzione. Con molta cautela fece scivolare il bigliettino all’interno di una delle piccole grate dell’armadietto, quindi uscì con aria soddisfatta. Fece appena in tempo perché proprio in quel momento entrò nello spogliatoio Leon in compagnia di Andres. “E quindi mi ha rifilato un due di picche grande quanto una casa!” sbottò Leon sedendosi su una delle panche con la faccia depressa. “Beh, te lo dovevi aspettare. Se davvero fosse innamorata di te, non cercherebbe di evitarti in continuazione come invece fa”. “Ma la storia di Martina…”. “Tu stesso mi hai detto che alla festa avevi chiamato a casa di Violetta e lei ti aveva risposto, quindi ti sarai sbagliato. Forse hanno una voce molto simile…”. Leon scosse la testa. “No, io sento che è lei, e comunque, rimane il fatto che ne sono innamorato. Dovrei parlarne con qualcuno che le è vicino”. In quel preciso istante entrò Maxi molto preso dal suo lavoro al pc. “Lupus in fabula!” esclamò Leon alzandosi di scatto con un sorriso soddisfatto. Si avvicinò al ragazzo e passò una mano intorno alle sue spalle in modo amichevole. “Allora, Maxi, che si dice?”. “Niente, ci siamo visti alcuni minuti fa…non ho nulla da dire” rispose Maxi, alzando lo sguardo e riabbassandolo subito sullo schermo. “Era tanto per parlare…comunque tu sei molto amico di Violetta, giusto?”. L’altro annuì, poi come se avesse capito tutto, si scostò con lo sguardo terrorizzato. “Oh, no! So dove vuoi arrivare. Non ti dirò nulla, io sono una tomba”. Leon lo guardò affranto cercando di fargli pena, senza alcun successo. “Almeno ci ho provato” sussurrò rassegnato. “Volevo solo sapere se avevo qualche speranza” aggiunse poi con tono lamentoso. “Ne hai fin troppe…” si lasciò scappare Maxi. Cosa ho detto?, pensò, portandosi una mano alla bocca. Stupida bocca che non risponde agli ordini del cervello. Il volto di Leon si illuminò di colpo, come se gli avessero detto che le vacanze di Natale erano già arrivate. “Dici davvero?” chiese elettrizzato. “Si, anzi no! Dimentica quello che ti ho detto. Dimentica tutto!” disse spaventato. Niente da fare, ormai Leon era partito per la tangente, nessuno l’avrebbe più fermato, e lui si sentì in colpa: aveva praticamente condannato la sua amica. Con il morale a terra si diresse al suo armadietto e prese un quaderno blu. “Ah, Leon, ti restituisco il quaderno che mi hai prestato”. Passò il quaderno all’amico, che ormai era su un altro pianeta. “La porterò al lago! Non ci potrebbe essere un posto più romantico per il primo bacio” disse mettendo il quaderno nel suo armadietto e preparandosi il cambio per la lezione di danza. “Ormai l’abbiamo perso” esclamò Andres, sospirando. Nel disordine del suo armadietto, Maxi trovò un foglietto rosa. Lo prese e ne lesse il contenuto:
‘Mi piacerebbe incontrarti questo pomeriggio. Noi due soli. Ti aspetto nel magazzino del Resto Bar alle 16. Tua, L.’
L…L…Chi conosceva con la lettera L? Ma certo, Lidia, la ragazza che gli faceva gli occhi dolci quando lo incontrava per il corridoio. Tutto soddisfatto, Maxi mise il bigliettino in tasca e cominciò a pensare a quello che avrebbe indossato per l’appuntamento. Si diresse alla lezione di Gregorio per paura di fare tardi. Ci mancava solo un’altra ramanzina oltre quella che gli avrebbe fatto Francesca quando gli avrebbe raccontato della discussione con Leon.
“E’ permesso?” chiese Maxi entrando in uno sgabuzzino stretto e buio. Non appena fu dentro sentì la porta chiudersi e delle labbra baciargli il collo con una certa insistenza. “Lidia…ma cosa stai facendo?”. La figura immersa nell’oscurità si allontanò come se avesse preso una scossa. “M-Maxi?!” esclamò una voce con un tono disgustato. Ma non una voce qualsiasi. La sua voce. “Ludmilla?!” esclamò il ragazzo, passandosi le mani sul collo come per rimuovere i segni di quei baci. “Disinfettante…mi devo disinfettare la bocca!” strillò lei in preda ad una crisi di nervi. “Mica ho la malaria” le fece notare irritato. Ludmilla lo fissò attraverso l’oscurità, volendolo incenerire con lo sguardo. “Ludmilla se ne va!” disse schioccando le dita. Si avvicinò alla porta, ma non riuscì ad aprirla. “Allora non te ne vai più?” chiese scocciato il ragazzo. “Non sai quanto vorrei, ma…la porta è bloccata” spiegò. Il suo tono di voce era leggermente impaurito. Maxi si portò una mano sulla fronte e si mise accanto a lei provando a spingere. Niente. Erano chiusi dentro. Maxi e Ludmilla, Ludmilla e Maxi. Sopravvivere anche un solo minuto sarebbe stata una dura impresa per entrambi.
“Che ne dici di andarci a prendere un frullato?” chiese Francesca, passeggiando con la sua amica spensieratamente. “Cosa dovrei fare?” se ne uscì Violetta troppo presa dai suoi pensieri. “Con il frullato?”. “Con Leon!”. “Leon è anche un nuovo tipo di frullato?”. “No, ma cosa dici!”. “E allora non ho capito cosa c’entri adesso Leon con il frullato” disse la Custode confusa. “Come mai pensi ai frullati? Dico, cosa dovrei fare con Leon? Insomma se lui sapesse che mi piace davvero sarebbe un problema, giusto?” chiese retoricamente. Francesca la guardò accigliata. “Ovvio, quindi direi che la cosa migliore da fare sarebbe nascondergli tutto”. “Ma come faccio a nascondere tutto a Leon?”. “Cosa mi staresti nascondendo?” le sussurrò una voce dietro di lei. Violetta si paralizzò e si voltò trovandosi di fronte Leon. Ma come faceva? Appariva e scompariva allo stesso modo di Diego. Aveva una capacità incredibile per apparire nel momento meno opportuno. “N-niente, non ti volevo dire che…”. “Che io e lei andiamo a prenderci un frullato” la interruppe Francesca prendendole la mano e trascinandola via. Leon rimase a guardarle inclinando leggermente la testa di lato, con fare perplesso. La stranezza delle ragazze non aveva mai fine.
“Allora, dai qualche spallata e butta giù la porta!” ordinò Ludmilla con fare imperioso. “Ma sei impazzita? Mi rompo la spalla così”. “Che fine ha fatto la tua virilità, Maxi?”. “Non lo so, forse si è andata a fare un giro insieme al tuo cervello” rispose lui in tono acido. Ludmilla incrociò le braccia al petto e cominciò a battere col piede a terra nervosamente. “Hai finito di fare questo rumore? Non riesco a pensare!” la riprese per l’ennesima volta. “Dobbiamo stabilire delle regole di sopravvivenza” esclamò d’un tratto sedendosi per terra lungo la parete di fronte a quella su cui Maxi era appoggiato di spalle. “Innanzitutto ognuno deve avere i suoi spazi. Direi che io mi potrei prendere più o meno i tre quarti dello sgabuzzino e…” cominciò a parlare, ma il ragazzo la interruppe sbuffando. “Siamo in uno sgabuzzino polveroso, stretto e buio, non mi sembra si possa parlare di spazi…”. “Sei impossibile, Maxi!” lo riprese sbraitando. Maxi si tappò le orecchie mentre lei continuava ad arrabbiarsi con lui e la sua mancanza di buone maniere. Vi prego, qualcuno ci salvi, pensò supplicando. Anzi, no, qualcuno mi salvi.
“Ma Maxi che fine ha fatto?” chiese Violetta sorseggiando un frullato ai frutti di bosco. Francesca finì di dare un altro lungo sorso con la cannuccia, e si leccò le labbra soddisfatta prima di rispondere. “Aveva un appuntamento al buio, mi ha detto solo questo” rispose maliziosamente. “Wow…beato lui” disse lei con una risata. Chissà dove era in quel momento e con chi…Riprese a sorseggiare il suo frullato. I frullati del Resto Bar erano i più buoni di tutto il quartiere. Improvvisamente un senso di vuoto si impadronì di lei, era come se fosse entrata in apnea, i suoni arrivavano alle sue orecchie ovattati. Un brivido corse lungo la schiena. Conosceva bene quella sensazione, ma stavolta era più forte, quasi totalizzante. Una Carta di Clow era nelle vicinanze.
“Niente, non si riesce a uscire…rimarremo chiusi qui a vita!”. Ludmilla cominciò a piangere proferendo quelle parole, facendo colare tutto il trucco. Per quanto a Maxi desse fastidio quella ragazza, non poteva vederla in quello stato. Si sedette vicino a lei, e la abbracciò al buio. “Perché ultimamente sei sempre tu a consolarmi?” chiese tra le lacrime e i singhiozzi. “Non lo so, buffo, vero?”. “Se non ci trovasse nessuno?”. “Non succederà”. “E questo chi me lo assicura?” chiese asciugandosi le lacrime con una mano mentre sorrideva amaramente. “Fidati, non succederà” le sussurrò facendole poggiare il capo sul suo petto.
Violetta corse verso la fonte della magia e vide una porta. Il simbolo di un lucchetto era impresso sulla sua superficie e brillava incessantemente. Una strana consapevolezza di essere l’unica a vedere quel simbolo insieme a Francesca si impadronì di lei. “Quello è The Lock. Non è una Carta pericolosa ma è in grado di chiudere qualunque cosa: porte, stanze…tutto. Non è facile catturarla, ma tu hai la Chiave del sigillo che spezza il lucchetto, quindi non dovresti avere problemi” spiegò Francesca guardandola seriamente. Violetta annuì e richiamò lo scettro magico. “Scettro che possiedi il potere dell’Oscurità, Chiave che detieni la magia di Clow, apri il lucchetto”. Un’improvvisa luce scaturì dallo scettro colpendo il centro del sigillo a forma di lucchetto. Si voltò verso Francesca sorridendo, e la vide preoccupata. “Non funziona…Violetta, tu stai scomparendo!”. Si guardò le mani: stavano lentamente diventando trasparenti. Cosa non stava funzionando? Tutto ciò che la circondava stava perdendo consistenza. E intorno vedeva solo porte. Porte ovunque.
Una stanza bianca quadrangolare molto simile a quella in cui aveva ricevuto il suo incarico di Cattura-carte si estendeva in tutta la sua purezza. Era una stanza enorme, e su tutta la parete vedeva porte addossate l’una all’altra. Erano tutte uguali, quindi si avvicinò a quella più vicina e l’aprì. Un vento nordico le scompigliò i capelli, mosse un piede al di là e lo sentì affondare in qualcosa di freddo e soffice. Neve. Spaventata richiuse la porta con il respiro affannato. Ma dove era finita? Sembrava un punto di passaggio per vari luoghi, come una sorta di aeroporto. Alzò lo sguardo e vide che anche sul soffitto c’erano numerose porte. Ma lei doveva trovare quella che l’avrebbe portata indietro. Cercò di concentrarsi, e avvertì un flebile soffio magico risuonarle nell’animo. Proveniva da una porta sull’estrema destra della stanza; camminò tenendo lo sguardo fisso sulla parete e e si fermò di fronte a quella porta che la stava chiamando, che la attirava con la sua magia. La aprì con la mano tremante e continuò a muovere i passi uno davanti all’altro. Un distesa verde la circondò prepotentemente. Alzò gli occhi, ma dovette riabbassarli accecati dalla forte luce del sole. Sembrava un luogo idilliaco. Non era sola: un ragazzo e una ragazza non poco distanti erano stesi all’ombra di un albero. Il ragazzo aveva la schiena appoggiata sul tronco, mentre la sua compagna teneva la testa appoggiata sul suo petto. Sentì il vento farle ondeggiare lentamente i capelli. Ma…quello era Leon! Chi è quella maledetta infame con cui sta?, pensò furiosa. Quando fu ancora più vicina si accorse che distesa accanto al ragazzo, c’era…lei. Lei, Violetta. Non era possibile, doveva stare sognando. C’erano due Violette? I due si guardarono negli occhi e si sussurrarono qualche parole dolce. Una lacrima le rigò il viso. Come era possibile, non lo riusciva a capire. In mezzo alla distesa verde, una donna le sorrideva. Sakura, pensò Violetta. Era proprio la precedente Padrona delle Clow Cards. “Hai aperto la porta del tuo cuore, Violetta” sussurrò la donna, ma le parole rimbombarono nell’aria. “Dovrai soffrire ancora,Violetta, dovrai superare molte prove, ma alla fine sarai tu la Padrona, ci riuscirai” concluse per poi scomparire del tutto. L’ambiente circostante si dissolse insieme alla figura, finché non si ritrovò nuovamente nella stanza bianca con le porte. La visione di ciò che si celava all’interno del suo cuore la sconvolse ma non poteva perdere tempo, o avrebbe rischiato di rimanere in quel luogo per sempre. Adesso la sentiva…una nuova sensazione, come un’ondata gelida che si impadroniva del suo corpo. Guardò sopra di sé e fissò la porta sul soffitto. “Carta che possiedi il potere dell’oscurità, io ti invoco. Vai, The Fly”. Delle ali comparvero ai lati dello scettro permettendole di volare. Raggiunse la porta e la aprì attraversandola. Poteva benissimo vedere lo sgabuzzino, ma era come se una parete di vetro la separasse. Un lucchetto verde con due piccole ali bianche comparve svolazzando. “Ritorna prigioniera della Clow Card, è la tua padrona che te lo ordina!”. La parete incantata si infranse e i lucchetto magico venne risucchiato all’interno della Carta magica. Si ritrovò con la porta aperta dentro la sgabuzzino, e rimase scioccata dalla visione al suo interno: Maxi e Ludmilla si stavano baciando. Non appena avvertirono lo spiraglio di luce, i due si separarono. “Violetta?!” esclamarono i due all’unisono scattando in piedi. Violetta rimase paralizzata: non sapeva se piangere o ridere. “E’ tutto un malinteso!” cominciò a spiegare Maxi rosso come un peperone. Ludmilla aveva lo sguardo perso nel vuoto. La sua reputazione, quella fatica fatta per ottenere la fama all’interno dello Studio…tutto buttato all’aria per una stupida debolezza. “Non è come sembra…è stato lui!” si difese subito puntando il dito verso il ragazzo. “Bugiarda! Sei tu che hai detto che visto che tanto saremmo morti, tanto valeva darsi un addio come si deve”. “Non osare contraddirmi, verme! Comunque sia avete capito tutti male, questa storia non deve uscire da qui, altrimenti ve la farò pagare. Ludmilla se ne va!” concluse lei schioccando le dita e uscendo di corsa. Maxi fece spallucce come per dire ‘sappiamo com’è fatta’. Violetta con le lacrime agli occhi scoppiò a ridere, portando le mani sulla pancia, e piegandosi in due. “Non è divertente” borbottò Maxi. “Ti assicuro che dal mio punto di vista lo è davvero tanto”. “E allora per me è divertente il fatto che Leon ha saputo che sei innamorata di lui”. Silenzio. Violetta smise di ridere all’istante, e nel frattempo Francesca, entrata in quel momento, aveva sentito tutto. “Tu cosa hai fatto?!” sbraitarono le due. Il ragazzo rabbrividì e si appiattì alla parete, mentre veniva guardato da due paia di occhi assassini. Adesso non era più tanto divertente. Proprio per niente.
 
“Ahia! Ahia!”. Maxi camminava con la valigia che si era preparato cercando di fare attenzione a dove metteva i piedi. Si sentiva tutto dolorante. Non pensava che una come Francesca nascondesse così tanta forza e riuscisse a picchiare in quel modo. Davvero impressionante, pensò Maxi, soffocando l’ennesimo lamento. Si fermò davanti all’entrata dello Studio: erano passati solo alcuni giorni e già era ora di partire. Il vociare emozionato degli studenti era come un fastidioso ronzio nelle sue orecchie. Violetta e Francesca lo stavano aspettando entrambe con le loro valigie, una grigia e una rossa. Maxi appoggiò la sua blu vicino e si avvicinò sventolando un fazzoletto bianco. “Vengo in pace!”  esclamò pentito. Violetta gli mise una mano sulla spalla rassicurante. “Non importa, ormai è andata…e poi forse è meglio così”. “Meglio così un corno! Ringrazia la pazienza di Violetta, fosse per me ti avrei incenerito” sbottò Francesca voltando lo sguardo dall’altra parte risentita. Il pullman diede un colpo di clacson per attirare l’attenzione dei ragazzi, e ognuno fu invitato a mettere i bagagli al loro posto. Non appena Violetta fu salita sul pullman notò che quasi tutti si erano già seduti. “Ci mettiamo vicine di posto, Fran?” chiese speranzosa, temendo di rimanere da sola. “Ma certo…”. “No!” la interruppe qualcuno da dietro. “Mi dispiace, stavolta dovrai stare con Maxi, se non ti da fastidio. Con Violetta mi siedo io” esclamò Leon deciso, allontanando la Custode e Maxi che furono costretti a sedersi vicini. “Ma veramente io…” balbettò Violetta. Non fece in tempo a dire nulla che si ritrovò seduta accanto a Leon che non smetteva di guardarla sorridendo. “Come mai mi fissi così?” chiese spaventata. “Niente, solo che…è bello stare con te” disse senza smettere di sorridere. Il cuore le cominciò a battere fortissimo. Perché? Perché doveva essere così…perfetto? Non lo sopportava, rendeva sempre più difficile allontanarlo. Vide davanti a sé Diego che la guardava serio. Forse aveva paura che prima o poi Leon l’avrebbe baciata. Non doveva temere, non l’avrebbe permesso. Non sarebbe mai più ricaduta in quel tranello. “Leon, smettila” disse lei secca, cercando di sembrare fredda. “Non ho detto niente di male! E poi Maxi…”. “Maxi si è inventato tutto. Leon, ne abbiamo parlato tantissime volte e sai benissimo che per te non provo niente”. “Non ti credo” rispose facendosi serio. “Fai come ti pare, allora” esclamò lei, tirando fuori le cuffie e ascoltando la musica a tutto volume. Stava soffrendo, non poteva negarlo a se stessa, ma era necessario. Non doveva dargli speranze, nemmeno la più piccola, o sarebbe scoppiata la catastrofe. Con la coda nell’occhio osservò l’espressione di Leon: continuava a guardarla, ma il sorriso gli era morto sulle labbra. Al suo posto c’era solo delusione e frustrazione. Non poteva vederlo così. Resisti, Violetta, resisti, si disse cercando di trattenersi dall’abbracciarlo e rimangiarsi tutte le parole dette.
Dopo quella che le fu parsa un’eternità, finalmente raggiunsero la radura dove avrebbero dovuto montare le tende. “Allora per i ragazzi…Maxi, Andres, Leon e Diego, voi starete nella stessa tenda. Violetta, tu starai con Ludmilla, Francesca e Camilla” spiegò Angie con un sorriso, porgendogli le tende da montare. Violetta afferrò la sua con forza squadrando Maxi: stavolta non doveva commettere errori.
Le ragazze finirono di montare la tenda, tappandosi le orecchie per non ascoltare le continue lamentele di Ludmilla sul fatto che ci fossero troppi insetti, o troppo poco sole. “Vi prego, qualcuno la sopprima” esclamò Camilla, avendo ormai raggiunto il limite della sopportazione. Francesca e Violetta cercarono di reprimere le risate. “Qualcuno ha visto la mia crema abbronzante?” chiese la bionda con le sue arie da diva. “Hai provato a controllare nella tua valigia?” chiese Camilla con una finta gentilezza. “Sarà una lunga, lunghissima vacanza” sentenziò Francesca con un’aria seria.
“No, il paletto non va lì, hai capito?” sbottò Leon, strappando l’oggetto acuminato dalle mani di Diego. “E sentiamo, chi saresti tu per dire che non dovrebbe andare lì? Abbiamo di fronte il re del campeggio?” ribatté il ragazzo, guardandolo torvo. “Senti, carino, io faccio campeggio da quando ho cinque anni, quindi ne capisco, va bene?”. L’aria si stava surriscaldando: sembrava proprio che quei due non potessero andare d’accordo. Maxi guardava Andres spaventato: nessuno dei due sapeva cosa fare. “Diciamo pure che ti rode” disse Diego con un sorrisetto beffardo. “Ma si può sapere di che stai parlando?” chiese Leon infuriato. Teneva stretti i pugni cercando di trattenersi. “Ti da fastidio il fatto che qualcuno ti sia superiore? Violetta è ancora innamorata di me, e continua a respingerti, ma tu continui a insistere…” lo provocò tranquillo, dando un calcio a un sassolino per terra. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Leon si avventò su Diego prendendolo per il colletto della maglia. “Ripetilo, se ne hai il coraggio” sibilò digrignando i denti. Maxi e Andres intervennero per allontanarlo, mentre Diego lo guardava trionfante. “La verità brucia, vero Leon?”. Leon riuscì a liberarsi della presa e si scaraventò addosso al rivale facendolo cadere per terra. I due continuarono a picchiarsi, finché Beto, insegnante di musica, non si mise in mezzo a loro, facendoli smettere. “Finitela subito! Basta, basta!”. I due la finirono. Diego aveva la guancia un po’ gonfia a causa di un pugno ricevuto, Leon invece era pieno di graffi, ma il suo sguardo lasciava scoprire una furia omicida pronta a scatenarsi nuovamente. “Per punizione non parteciperete al falò di questa sera, ma rimarrete nella tenda. E non tollererò altri atteggiamenti del genere” sentenziò Beto severo. I due si rialzarono con lo sguardo basso scuotendosi la polvere e la terra dai vestiti, e annuirono lentamente.
“Come mai Leon e Diego non sono qui al falò?” chiese Violetta leggermente preoccupata. “Sono stai messi in punizione per aver fatto a botte” spiegò Maxi triste. Francesca sgranò gli occhi, mentre l’amica scattò in piedi. “Come mai?”. “Hanno litigato per te, Violetta. Diego ha provocato Leon e così sono finiti alle mani. Penso che lui sia davvero innamorato di te, e dovresti dirgli la verità. Potrebbe anche crederti”. “Balle!” si intromise Francesca irritata. “E’ solo uno sciocco ragazzino. Non deve dirgli nulla, altrimenti la situazione potrebbe peggiorare. Penso che Diego abbia agito bene” concluse la Custode, tornando riflessiva. “Vado a parlarci” esclamò Violetta, dirigendosi verso la tenda dei ragazzi. La luce crepitante del falò acceso in mezzo al campo si rifletteva sulle pareti della tenda. Fece un respiro profondo e decise di entrare. Dentro c’era solo Leon che fissava il vuoto steso sul suo sacco a pelo. “Leon…” sussurrò lei portandolo a guardarla negli occhi. “Ciao. Hai saputo, eh?”. “Dov’è Diego”. Il ragazzo si irrigidì a quella domanda. “Penso sia andato in bagno” rispose freddo. “Si può sapere che ti ha detto per farti arrabbiare così?” chiese, sedendosi accanto a lui con le gambe incrociate. “Niente”. “Non penso che si tirino pugni per niente”. “Non mi ha detto nulla di importante…”. “Non ti far pregare per favore”. Leon si sollevò con il busto e i loro visi furono pericolosamente vicini. “Tu…sei innamorata ancora di Diego?” chiese titubante. La domanda fu una vera e propria sorpresa. Violetta non sapeva che rispondere: era ovvio che non fosse innamorata di Diego, non lo era mai stata. Ma allora perché quella domanda? Doveva avere a che fare con qualcosa che gli aveva detto Diego. Leon interpretò quel silenzio come un si, quindi si distese nuovamente e si voltò dall’altra parte. “Se non ti dispiace adesso vorrei dormire” sussurrò stanco. “S-si, ti lascio solo” balbettò lei confusa. Non appena uscita dalla tenda, sentì la testa scoppiargli. Le immagini erano sfocate, le voci indistinte. Mosse qualche passo in avanti, poi cadde a terra svenuta.
La scacchiera si estendeva tutt’intorno a lei. Sedendo sul freddo scranno bianco, osservava con orrore il combattimento tra Diego e Li. Le spade si incrociavano e i combattenti arretravano sulla difensiva. Sembrava una danza mortale. Sakura era paralizzata, non si muoveva, ma guardava tutto in modo distaccato. Un sorriso enigmatico aleggiava sul suo volto. La spada di Li trafisse il suo avversario che cadde a terra privo di vita. La casella bianca si tinse di rosso, il sangue sgorgava senza fermarsi. Violetta si alzò in piedi con le lacrime agli occhi: aveva paura ad avvicinarsi. Lentamente camminò incerta verso il cadavere al centro della scacchiera. Un urlo le morì in gola. Di nuovo alla sua vista si presentava il corpo senza vita e pallido di Leon. “E’ tutto necessario, Violetta” ripeté la Regina Nera comprensiva, senza però far scomparire quel maledetto sorrisetto dal volto. “Leon, no!” strillò disperata buttandosi per terra e piangendo senza più controllo.
“Violetta, Violetta!” la chiamò una voce conosciuta. Aprì lentamente gli occhi. Si trovava nella sua tenda, ma non riusciva ancora a mettere a fuoco le immagini. “Ti sei svegliata finalmente” esclamò Leon, pallido come un lenzuolo. “Che…che è successo?” chiese stropicciandosi gli occhi. Un forte mal di testa le impedì di alzarsi, quindi rimase stesa fissando un punto indefinito sopra di lei. “Ho sentito un tonfo fuori dalla tenda, quindi mi sono alzato e ti ho trovato svenuta. Ti ho preso in braccio e ti ho portato nella tua tenda, e…”. Leon non riusciva a proseguire. Che cosa era successo? Violetta deglutì lentamente, aspettando che continuasse. Il ragazzo prese un respiro profondo e ricominciò a parlare. “Hai cominciato a delirare. Continuavi a dire il mio nome in continuazione, forse hai avuto un incubo, sembravi spaventata. Mi hai fatto preoccupare, stavo per chiamare gli insegnanti” concluse passandosi una mano sulla fronte, sollevato. Il silenzio calò tra i due, fino a quando Leon, tirò fuori dalla maglia il sole di vetro e cominciò a passarselo nella mano, come per spezzare la tensione. Si fece coraggio e si avvicinò a lei. Violetta arrossì violentemente, cercando di arretrare, ma si sentiva debole. Gli baciò la fronte dolcemente. “Non hai la febbre, credo…” sussurrò sospirando. Violetta annuì, ma proprio in quel momento vide la mano di Leon percorrere il laccio nero che portava al collo e far scivolare fuori dalla maglia il suo ciondolo. La luna di vetro scintillò leggermente, mentre Leon la guardava sorpreso. “Allora…me l’hai regalata tu?!” disse indicando il suo ciondolo. Violetta non disse nulla, ma con le energie residue che le erano rimaste scattò in piedi e corse fuori dalla tenda, ignorando Leon che continuava a chiamarla.
Lo sguardo di Violetta si perse a contemplare la superficie scura del lago. Vide in lontananza un piccolo molo e decise di raggiungerlo, stringendo le braccia intorno al corpo per il freddo. Era scappata via, non riusciva a mentire ancora. Non più. Si avvicinò al molo e il terreno lasciò il posto alla superficie di legno. Uno strano scintillio proveniente dal cielo illuminò il paesaggio. Delle piccole luci di un colore bluastro scendevano senza tregua. Violetta si incantò ad ammirare quello strano fenomeno, tirò fuori la luna di vetro e la vide rispondere di mille colori. Quella era magia, ne era sicura. Ma per una volta non sentiva una sensazione di pericolo, bensì di pace, di tranquillità. Le sembrava che quelle luci sferiche intendessero cullarla, consolarla per il dolore che provava in quel momento. Richiamò lo scettro quasi senza rendersene conto e si spinse all’estremità del ponte di legno, sempre accompagnata da quel fenomeno magico. Vide il suo riflesso e notò che sopra di lei una creatura magica simile ad uno spirito silvestre. Era piccolo e luminoso, portava un abito nero che però appariva quasi bianco con tutta quella luce che si diffondeva. “Una Clow Card” sussurrò con un mezzo sorriso. Alzò lo sguardo e la creatura magica la sorrise, un sorriso caldo e rassicurante. “Grazie” disse prima di catturarla con lo scettro. Era la prima Carta che interveniva per consolarla, per farla sentire protetta, e la cosa la rendeva felice. La scritta ‘The Glow’ comparve sulla Clow Card appena catturata. “Lo Splendore…che Carta buffa” disse a bassa voce prima di metterla nella tasca della gonna di un rosa pallido e continuare ad osservare il paesaggio notturno. Sentì un rumore di passi dietro di lei, e si voltò di colpo terrorizzata. Lo sguardo pentito di Leon la fece sentire ancora peggio. “Non volevo farti scappare, mi dispiace. Torniamo indietro, altrimenti ti ammalerai, qui fa freddo” disse lui avvicinandosi e salendo sul molo. “Leon, non è come sembra” esclamò per difendersi, ma si bloccò quando lo vide annuire piano. “Lo so, è solo un regalo, niente di più, giusto?”. Stava guardando il pavimento e parlava imbarazzato. “No,  non è solo un regalo per me. E’ molto di più” si lasciò scappare consapevolmente. Poteva mentire su tutto, ma non sull’amore che lei riponeva in quei due ciondoli. Non poteva dire che non significavano nulla, gli avrebbe fatto troppo male. Leon alzò lo sguardo sorridendo, e la abbracciò di scatto. Il contatto con il calore corporeo del ragazzo le fece venire dei brividi di piacere. Passare dal freddo della notte al tepore che le stava donando era qualcosa di meraviglioso, di magico. “Non voglio che tu prenda freddo” disse piano, separandosi quel tanto per poterla guardare negli occhi. “E poi ti avevo promesso che ti avrei portato al lago di notte” scherzò ironico. Violetta rise piano, sentiva ancora le braccia di Leon intorno alla sua vita e il suo fiato caldo sul viso, ma non riusciva a separarsi. Leon le scostò una ciocca di capelli e si avvicinò socchiudendo gli occhi. Fu questione di un secondo e fece congiungere le loro labbra. Violetta sgranò gli occhi: era terrorizzata. Aveva fallito, sarebbe diventata di cristallo, ma non poté fare a meno di pensare a quanto fosse meravigliosa quella sensazione. Portò le mani sui suoi capelli, stringendone affettuosamente le punte, mentre Leon rafforzava la presa e la baciava con sempre più passione. Le luci di ‘The Glow’ riapparvero, come se la Carta fosse stata richiamata nuovamente, e si andarono dissolvendo piano non appena toccarono il terreno o la superficie del lago. Violetta chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quel meraviglioso bacio, che la stava consumando completamente, come un fuoco che brucia e che consuma la legna. Leon, la passione di quel bacio erano il fuoco, la sua anima era la legna. E mentre sentiva il freddo della morte cadere su di lei, capì che in fondo, quel bacio era stata la sua salvezza, perché le aveva fatto capire cose fosse davvero l’amore. Due amanti sfortunati sulla riva del lago. Ci sarebbe venuta fuori una bella tragedia un giorno. Ma nessuno sapeva. Nessuno sapeva che dietro un cespuglio distesa per terra, con la pelle bianca come la neve e lo sguardo perso nel vuoto, Francesca giaceva senza vita con in mano un’ampolla di cristallo. E nessuno sapeva che di lì in poi il destino avrebbe cambiato il suo corso. 




 

ANGOLO DELLE CARTE: Eccomi con un nuovo capitolo. In quanti lo stavano attendendo? *si sente il silenzio di tomba e una balla di fieno rotola* Ok, non tutto questo entusiasmo, mi raccomando. Questo capitolo mi piace tantissimo, perché ha sia parti divertenti, che parti dolci che parti angoscianti. Partiamo dall'inizio. Per Ary_6400: Leon che si toglie la maglietta bagnata è una scena scritta tuuuuutta per te *attiva il tuo pervy se vuoi LOL*. Comunque...succedono cose strane. La parte di The Lock mi ha fatto morire dal ridere. Maxi e Ludmilla....LOOOOOOOOOL. Io non sono per questa coppia però la trovo davvero particolare, e in questa storia la sto amando xD E il povero Maxi che ci rimette le botte da Fran! (hai capito Fran come picchia O.o). Ma il resto dei commmenti di questa prima parte li lascio a voi: momento preferito? Scambio di battute preferite (io personalmente amo quando Fran dice 'Leon è anche un nuovo tipo di frullato?' ahahahahah xD)? Insomma ditemi tutto ciò che vi è piaciuto della prima parte. La seconda parte è meno movimentata, ma più tenera. Anche se all'inizio Violetta spezza il cuore del povero Leon, nel finale i due si baciano. O meglio Leon bacia Violetta. TRAGEDIA. Cosa succederà? E la povera Francesca? E' viva? Che le sarà successo? Cosa sarà quell'ampolla che stringe tra le mani? Davvero tanto mistero che sarà svelato nel prossimo entusiasmante (sembra che sto facendo pubblicità O.o) capitolo :D Grazie a tutti coloro che seguono questa storia così particolare, e alla prossima :D Buona lettura! *O*

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Capitolo 17
*** The Wave and The Arrow ***


Capitolo 17
The Wave and The Arrow

E nessuno sapeva che di lì in poi il destino avrebbe cambiato il suo corso. Solo una persona poteva sapere, colei che aveva dato inizio a tutto, la precedente Padrona delle Clow Cards, Sakura Kinomoto. “Sei arrivata” esclamò la giovane donna alzandosi dallo scranno della sala del trono. Francesca la guardò spaventata, e si osservò le mani: erano trasparenti. Come pensava, la sua anima era stata richiamata nel Palazzo Orientale. “Hai fatto una scelta, Francesca, una scelta di cui un giorno potresti pentirti” mormorò flebilmente, indicando un’ampolla di cristallo al centro della stanza. “Ne sono consapevole” rispose la Custode con lo sguardo basso. “Hai mai tentato di usare l’Ampolla Alchemica del Sacrificio prima d’ora?” chiese la donna guardandola dolcemente. Francesca annuì lentamente: aveva fatto ricorso al suo artefatto per cercare di liberare Federico dalla maledizione, ma il prezzo richiesto era stato davvero troppo alto per lei.
‘Francesca si sedette sul letto della sua stanza, e richiamò il suo artefatto. La magica Ampolla Alchemica del Sacrificio apparve davanti ai suoi occhi con il suo tipico scintillio ammaliante. Il suo artefatto era uno dei più potenti e pericolosi. Era in grado di rompere qualunque magia, qualunque maledizione, ma ad un prezzo che veniva stabilito dall’oggetto magico stesso. “Che prezzo chiedi per sciogliere per sempre  la maledizione che avvolge il Custode dell’Europa?” sussurrò piano, aspettando il responso. Una luce di un colore azzurro chiaro apparve all’interno dell’ampolla di cristallo e cominciò a vorticare sempre più velocemente. Una parola  cominciò a formarsi lentamente al suo interno, dello stesso colore  di quella luce che vorticava. Life. L’ampolla cadde sul pavimento della stanza mentre la Custode la guardava terrorizzata con le mani tremanti. Il prezzo da pagare era la sua stessa vita, e non si sentiva pronta ad una rinuncia così grande. Non poteva farlo. Un grande senso di impotenza si impadronì di lei, mentre faceva svanire l’artefatto, e delle lacrime si fecero strada sul suo viso. Non voleva vedere quella maledetta ampolla mai più, non voleva più toccare quell’oggetto maledetto che le aveva donato il senso di colpa nel non essere riuscita a rinunciare alla sua vita per aiutare la persona che amava.’
“Hai provato a liberare il Custode dell’Europa, certo…”. Francesca alzò gli occhi: come aveva fatto a capirlo? “Nulla sfugge alla mia magia, Francesca” disse con un sorriso rassicurante. “Adesso però siamo qui per parlare del sacrificio che vuoi fare per proteggere Violetta dalla maledizione da me imposta”. “Si, sono qui per questo”. Sakura annuì quindi tese la mano verso l’ampolla al centro della stanza che prese a vorticare in aria. Il tappo di cristallo si staccò di colpo finendo in un punto imprecisato della stanza e una nube perlacea si diffuse fuoriuscendo dall’artefatto. Dalla nube delle lettere emergevano distinte formando delle parole: magic, one month e…death. “La prima parola è il prezzo da pagare” spiegò dolcemente Sakura. “Vuol dire che devo rinunciare alla mia magia?” chiese con tono tremante. La donna annuì, poi indicò le altre due parole che vagavano nell’aria. “One month indica il tempo per cui il tuo sacrificio potrà avere effetto”. Francesca fissò quelle due parole che brillavano argentee. Un mese…poco, troppo poco. Davvero la sua magia valeva così poco in confronto alla maledizione? “E la terza parola indica come il tuo sacrificio cambierà le sorti della tua missione”. Morte. Un brivido le percorse la schiena. Cosa voleva dire? Che significava tutto quello?  Aveva terribilmente paura. “Sei sicura di voler continuare?” le chiese Sakura impassibile a quell’ultima profezia. Sapeva quello che stava facendo, ed era sicura che la Custode avrebbe accettato. Francesca annuì impercettibilmente mentre il volto si fece sempre più pallido. “Adeat, potentia magicorum spiritorum!” pronunciò lentamente Sakura tendendo la mano verso l’alto. La nube avvolse Francesca, sollevandola da terra. Un sonno profondo si impossessò di lei, facendola entrare nell’oblio. La nube continuava a sollevarla, facendo frusciare leggermente le pieghe della gonna. “E’ tutto necessario” sussurrò Sakura, con gli occhi che esprimevano tristezza e compassione. “Il tuo sacrificio è nobile, Francesca, e io, precedente Padrona delle Clow Card, mi inchino di fronte al tuo coraggio e alla tua determinazione”. Una luce azzurra cominciò a risplendere fuoriuscendo dal petto della ragazza. La sua magia era stata concentrata in una luce, il suo spirito vitale era stato mutilato e frammentato per renderlo possibile. La sfera azzurra, brillando e pulsando, come attirata da una forza gravitazionale, venne risucchiata all’interno dell’ampolla. Un boato privo di suono rimbombò, facendo tremare il pavimento. “Brava, Francesca. Grazie a te, il destino ha cambiato il suo corso” sussurrò la Padrona, voltandosi di scatto.
Apnea. Un momento di eterna apnea. All’improvviso Francesca aprì di scatto gli occhi, rialzandosi dal freddo terreno. Si guardò le mani pallide: stavano lentamente riacquistando colore. I brividi di freddo le fecero capire di essere tornata nel suo corpo. Avrebbe voluto tanto far apparire un fuoco. Tese la mano avanti con il palmo verso l’alto e sussurrò alcune parole in latino. La mano rimase immobile, mentre lo sguardo di Francesca si fece da speranzoso ad abbattuto. Si rannicchiò per terra, sfregandosi le braccia per tenersi al caldo. Non voleva tornare alla tenda, non voleva vedere nessuno. Una lacrima le rigò il viso. Voleva piangere, perché adesso si sentiva inutile. Sentiva che la sua natura era scomparsa, portandosi dietro tutto ciò che di bello c’era nella sua vita. E mentre le lacrime bagnavano le foglie ammonticchiate sul terreno, un sorriso amaro si disegnò sul volto. In fondo aveva fatto la cosa giusta, in fondo sentiva che prima o poi sarebbe successo. E non l’aveva fatto per una persona qualsiasi, l’aveva fatto per una persona che ormai considerava la sua migliore amica.
Violetta e Leon si separarono riaprendo lentamente gli occhi. Violetta lo guardò per un po’ negli occhi, quindi si concentrò sulle sue mani. Il colore rosa chiaro si distingueva anche al buio. Non era trasparente, non era di cristallo. Cosa era successo? Leon la vide confusa e scoppiò a ridere. “Era il tuo primo bacio, vero?” chiese dolcemente, accarezzandole i capelli. La ragazza annuì, ancora incredula di quello che stava succedendo. Che qualche Carta di Clow si stesse nuovamente prendendo gioco di lei? No, quelle sensazioni erano troppo reali, il suo istinto le diceva che era tutto vero, tutto reale. Ma voleva essere sicura al cento per cento. Sentiva il cuore di Leon battere velocemente e per un momento si incantò al suono di quella melodia. Il suo fiato caldo avvolgeva il suo viso in un piacevole tepore, mentre la guardava negli occhi. “Rifallo” disse all’improvviso. Leon la guardò senza capire. “Baciami di nuovo” lo implorò arrossendo. Leon sorrise felice, e non se lo fece ripetere due volte, tornando a far combaciare le loro labbra. Le braccia del ragazzo le tenevano le schiena, attirandola a sé. No, non stava sognando, ne era certa. Sentì la lingua di Leon percorrere il contorno della sue labbra con dolcezza, mentre accarezzava la sua schiena con delicatezza. Si separarono nuovamente, e Leon la guardò beffardo. “Ok, sapevo di baciare bene, ma non pensavo che mi avresti chiesto il bis così in fretta”. I due scoppiarono a ridere, quindi Violetta si stese sul legno del molo guardando le stelle, mentre the Glow tornava a regalare le sue luci. Il ragazzo si mise in ginocchio e si protese verso di lei appoggiando il braccio sulla passerella. “Sai quante volte ho aspettato questo momento? Sai quante volte l’ho immaginato?” la interrogò Leon dandole un bacio sul naso. Violetta scosse la testa al settimo cielo e gli accarezzò la guancia di traverso. Poter stare tra le sue braccia, poterlo baciare, poterlo sfiorare senza preoccuparsi di procurargli dolore…era tutto incredibile. Si chiedeva come fosse possibile. Che la maledizione fosse scomparsa? Non lo sapeva. “Da quando ti ho visto in quel roseto addormentata. Eri così bella, ma non me ne ero mai reso conto, non ti avevo mai notato. Avevo un angelo così vicino, ma non lo avevo mai visto” rispose Leon, abbassando lo sguardo leggermente imbarazzato. Violetta lo guardò sorpresa, e ripensò a tutte le volte che aveva dovuto allontanarlo, facendolo soffrire. “Stasera ci sono le lucciole. Sembrano quasi magiche, come te” sussurrò piano guardando le sue labbra con ardore. Senza che questa volta glielo chiedesse, Leon tornò a baciarla con passione. Violetta a quel bacio si sciolse, la tensione scomparve non appena affondò le mani tra i suoi capelli, giocandoci affettuosamente. Aveva sognato così tanto quel momento, che adesso voleva goderselo fino in fondo. La paura di perdere tutto in un istante la terrorizzava, ma adesso aveva Leon, ed era quello che contava veramente. Pensare al futuro la avrebbe distolta dal meraviglioso momento che stava vivendo in quel momento, il presente.
Il giorno dopo nella tenda erano rimaste solo Violetta e Francesca che discutevano animosamente. “Non posso accettarlo!” esclamò Violetta, scuotendo il braccio dell’amica con le lacrime agli occhi. “E’ così, dovrai accettarlo. Verrà eletta una nuova Custode per aiutarti a compiere la tua missione” spiegò lentamente Francesca. “Ma…perché?” chiese tremante. “Io non posso più aiutarti” mormorò Francesca voltandosi dall’altra parte. “Spiegami” la supplicò. “Non voglio che tu soffra per la mia scelta”. “Ti prego, ho bisogno di sapere, sei la mia più cara amica. La mia prima amica”. Francesca sospirò, quindi si mise seduta vicino all’amica e le raccontò tutto. Non si meritava che le nascondesse la verità, non era giusto. Aveva il diritto di sapere. Violetta si portò una mano alla bocca, piangendo disperata. “E’ tutta colpa mia! Solo colpa mia!” strillò, singhiozzando. “Se io non mi fossi innamorata tutto questo non sarebbe successo, sono una stupida. Dobbiamo andare da Sakura e annullare il tuo sacrificio. Io diverrò di cristallo e tu riacquisterai i tuoi poteri” disse determinata. “Non si può tornare indietro…e poi non avrei accettato. Violetta, la tua missione è troppo importante. Tu sei unica, sei speciale. Di Custodi come me ce ne potranno essere a migliaia”. Francesca la stava abbracciando mentre piangeva insieme a lei. “Nessuna sarà come te” sussurrò Violetta, cercando di trattenere le lacrime, che uscivano copiose.
“Bagno al lago!” strillò Maxi buttandosi in acqua creando schizzi gelidi che facevano allontanare le ragazze spaventate. “Maximiliano! Questa me la paghi” strillò Ludmilla, sentendo l’acqua gelida sul suo corpo mentre si era stesa sulla riva per prendere il sole. Maxi alzò le spalle. “Dai, entrate in acqua, voi due!” esclamò rivolgendosi alle amiche. Camilla, senza farselo ripetere due volte, corse fino al molo in costume e si buttò con un urlo di gioia. Diego le guardava incuriosito, quindi raggiunse Maxi, buttandosi in acqua. Violetta lentamente si tolse la maglietta e si sfilò i pantaloncini, rimanendo con un costume dal colore turchese. “L’acqua sarà fredda?” chiese rivolgendosi all’amica, che sembrava però presa dai suoi pensieri. Due braccia la afferrarono da dietro, avvolgendo il suo ventre, e sentì il petto caldo di un ragazzo accostarsi alla sua schiena. Non c’era bisogno di capire di chi si trattasse. “Leon” sussurrò lei, rabbrividendo al contatto delle labbra di Leon con la sua pelle: le stava lasciando un dolce bacio sul collo. “Primo giorno insieme” le disse all’orecchio con un sorriso. Si girò di scatto, ma non fece in tempo a dire nulla, che Leon la zittì con un bacio. “Buongiorno” disse posando le mani sui suoi fianchi, e osservandola in costume. “Sei davvero sexy” si lasciò scappare. Violetta arrossì a quel complimento: non era abituata ad essere guardata in quel modo. “E quando diventi rossa lo sei ancora di più” continuò dandole un bacio sulla guancia, per poi stringerla in un abbraccio pieno d’amore. Quindi all’improvviso la prese in braccio con un sorriso. “La mia ragazza desidera fare un bagno?” domandò con una punta di ilarità. “No, Leon, l’acqua sarà fredda e…” provò a spiegare, ma Leon aveva già spiccato una corsa e si tuffò in acqua con lei in braccio. “Leon, ti odio!” strillò lei, battendo i denti per il freddo. “Hai freddo?” chiese ridendo. “S-secondo te?” ribatté lei adirata. Leon la fece scendere dalle sue braccia, quindi l’abbraccio, trasmettendole il suo calore corporeo. Sospirò leggermente aspirando il suo profumo. “Amo il tuo profumo” disse, rompendo il silenzio. Violetta rimase paralizzata non sapendo cosa rispondere, osservando di sfuggita lo sguardo malinconico di Francesca, quello sorpreso di Maxi, quello dolce di Camilla, e quello pieno d’odio di Ludmilla, mentre i loro compagni giocavano e si schizzavano. Non riusciva a vedere Diego, si chiese che fine aveva fatto. Ma non ebbe il tempo di pensarci, che Leon le fece appoggiare la testa sul suo petto bagnato. “Odio il fatto che riesci a farmi emozionare e perdere il controllo in questo modo” mormorò Leon, chiudendo gli occhi, e respirando lentamente. Violetta sentì il cuore del ragazzo andare a ritmi folli, e si incantò a quel suono, fino a che il ragazzo si scostò leggermente, lasciandola di nuovo al freddo gelido del lago. “Che ne dici di farci una nuotata?” disse indicando con lo sguardo tutti i ragazzi intorno e facendole l’occhiolino.
“Non staremo un po’ troppo lontani? Non riesco a vedere nessuno” disse Violetta, indicando la superficie trasparente davanti a loro. Erano in una piccola rientranza. “L’importante è che nessuno veda noi” disse cominciando a baciarle le guance mentre con le mani le accarezzava i fianchi e il ventre sfiorando la sua pelle con desiderio. “Leon, cosa stai…” disse ansimando leggermente. “Aggrappati a me” le sussurrò all’orecchio maliziosamente. Violetta si aggrappò con le braccia intorno al suo collo, mentre lui con le mani passò ad accarezzarle la schiena, facendo aderire i loro corpi lentamente. “Leon…io non ho mai avuto un ragazzo” confessò con voce tremante, guardandolo negli occhi. Leon scoppiò a ridere. “Non te ne devi vergognare, è una cosa bellissima. E sono davvero felice di essere il tuo primo ragazzo, mi fa sentire…speciale” disse baciandola teneramente. Stavano per separarsi quando una gigantesca onda li investì in piena con una violenza incredibile. “Ma che diavolo è successo?” imprecò Leon, scuotendo la testa cercando di togliersi tutta quell’acqua di dosso. Violetta scoppiò a ridere, e si avvicinò per baciarlo nuovamente. Non appena le loro labbra si toccarono un’altra onda li colpì in pieno. “Questo dovrebbe essere un lago tranquillo, maledizione!” esclamò Leon, alterandosi non poco. La ragazza invece rimase ferma, colta da una sensazione familiare: una Carta di Clow. Si guardò intorno: a parte Leon non c’era nessuno nei paraggi. Ma non aveva nemmeno Carte di Clow a portata di mano…come avrebbe potuto fare? “Dobbiamo tornare a riva dagli altri” esclamò d’un tratto. “Come mai?” chiese Leon curioso. “Ti sei stufata di stare sola con me?”. Violetta si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. “Non dirlo mai più…io non mi stancherei mai di stare con te, ma ho dimenticato di fare una cosa con Francesca”. Il ragazzo annuì inebetito, rimasto ancora al ‘non mi stancherei mai di stare con te’, quindi cominciò a nuotare dando delle bracciate vigorose, seguito da Violetta che ogni tanto con lo sguardo si incantava a osservare i particolari del fisico del suo ragazzo. L’acqua nel frattempo si increspava, mentre un’altra onda si creava e si abbatteva su di lei. “Violetta!” strillò Leon, perdendola di vista e tornando indietro per recuperarla. Riuscì a nuotare contro corrente rapidamente, e si fermò nel punto in cui aveva perso di vista Violetta. Fece un respiro profondo quindi si immerse, afferrandola per un braccio e portandola in superficie, ancora stordita da quell’onda enorme. “Tutto questo non è normale, non c’è nemmeno un po’ di vento” constatò sputando acqua Leon, mentre una nuova onda si preparava ad attaccare. “Stai bene?” chiese premurosamente, posando le braccia intorno al ventre della ragazza, e aiutandola ad espellere l’acqua ingurgitata. “S-si” rispose debolmente, aggrappandosi a Leon. Non aveva mai avuto tanta paura come in quel momento. Francesca non poteva aiutarla, Diego non c’era, e lei non aveva le Clow Cards con sé. Era completamente indifesa, in balia delle onde. “Non ce la faremo mai!” esclamò stando quasi per scoppiare a piangere. “Pfui, ci vuole altro che qualche onda per fermarmi…aggrappati dietro di me” le ordinò Leon, guardando con aria di sfida la nuova onda. Non appena Violetta si fu aggrappata, il ragazzo cominciò a nuotare con forza. L’onda li colpì in pieno e l’acqua gelida gli venne incontro con forza, come volendoli schiaffeggiare, ma Leon continuò a nuotare senza fermarsi, mettendo tutte le energie residue nelle braccia. Onde si infrangevano addosso a loro, ma Leon con determinazione si opponeva alla corrente e così dopo quella che le parve un’eternità, riuscirono a raggiungere la riva. Tutti gli altri osservavano le onde altissime nel lago spaventati. “Violetta!” esclamarono Francesca e Maxi in coro, correndole incontro. Violetta si fece aiutare dai suoi amici per alzarsi in piedi. “Non…vi…preoccupate…per…me…sto…bene” ansimò Leon, ormai distrutto, stendendosi sulla terraferma, con il diaframma che faceva su e giù in continuazione, e mettendo una mano sul petto. “Che gli è preso?” chiese Maxi, stranito. “E’ grazie a lui se adesso sono qui” mormorò Violetta, scostandosi una ciocca bagnata di capelli. “Non c’è tempo da perdere, una Carta di Clow è in azione!” le sussurrò la Custode all’orecchio. Violetta annuì, quindi si vestì in fretta e furia, senza preoccuparsi del fatto che fosse completamente bagnata. Corse fino all’accampamento ed entrò nella tenda, prese in fretta le sue Carte e la chiave del sigillo per poi tornare alla riva. Nascondendosi dietro un cespuglio richiamò lo scettro. “Carta che possiedi il potere dell’Oscurità, io ti chiedo, di eseguire i miei ordini. Spedisci tutti nel mondo dei sogni, vai , The Sleep”. La fata bianca fece oscillare la sua bacchetta e volò in aria diffondendo la sua polvere magica. Uscì piano dal cespuglio e vide che stavano tutti dormendo. Le onde si dimenavano all’interno del lago, increspandone la superficie. Violetta si mosse a passo deciso sulla riva, abbassò lo sguardo e notò che anche Leon stava dormendo. Un’onda si formò pronta a schiantarsi sulla riva. Questa volta sarebbe stata lei a difenderlo. Ma come? ‘Tutto questo non è normale, non c’è nemmeno un po’ di vento’. Le parole di Leon le fecero venire un’idea: in fondo le onde si formavano dalla corrente, da una speciale accoppiata di acqua e vento, quindi forse la Carta sarebbe stata vulnerabile a uno di quei due elementi. Doveva tentare. Tirò fuori la Carta del Vento. L’onda nel frattempo stava per schiantarsi a riva. “The Wind, io ti invoco!” esclamò. Il Vento fuoriuscì dalla Carta e cominciò a contrastare la massa d’acqua che voleva abbattersi su di loro. Era una battaglia tra titani. Ad un certo punto il Vento ebbe il sopravvento e rispedì indietro l’onda, che si disperse in tante goccioline d’acqua. Una piccola onda rimase vicino alla riva, dalla schiuma di un colore indaco particolare. “Ti ordino di tornare una Carta di Clow!” disse sollevando lo scettro in aria. L’onda venne risucchiata all’interno della Carta comparsa a mezz’aria. ‘The Wave’ levitò fino a raggiungere la sua nuova Padrona. L’effetto di The Sleep stava terminando e pian piano qualcuno si stava svegliando, tra cui Leon. Il ragazzo alzò il busto rimanendo per terra, massaggiandosi la testa confuso. “Ma…cosa diavolo è successo?”. Violetta si inginocchiò accanto a lui sorridente. “Succede che sei un genio, ed anche il mio eroe”. Senza che lui potesse replicare, Violetta gli prese il viso tra le mani e lo baciò con passione, facendolo ridistendere e mettendosi accanto a lui, continuando a baciarlo. Mentre si baciavano Violetta poté scorgere Leon sorridere beatamente. Si separarono lentamente, guardandosi negli occhi, mentre il sole stava tramontando regalando alla superficie d’acqua dei lievi tocchi rossastri. “Addirittura il tuo eroe?!” esclamò lui scoppiando a ridere. Violetta posò una mano sul suo petto, guardandolo negli occhi. “Se vuoi allora mi riprendo il premio” esclamò lei. Leon mise le mani avanti. “No! Eroe va bene, eroe va benissimo” sussurrò avvicinando di nuovo il suo viso a quello di Violetta, e mordendogli affettuosamente il labbro inferiore.


 
***Il disegno è stato realizzato gentilmente da Viola Casciaro e rappresenta una delle scene al lago di notte. Nella nota autore ne parlerò meglio -le luci blu sono quelle di The Glow-***
 
“Ci pensate che già domani si riparte?” chiese Maxi affranto, tendendo le mani verso il falò. Vicino a lui Violetta annuì triste, mentre Leon le circondava le spalle con il braccio. Quel gesto la intimidiva, ma allo stesso tempo la faceva sentire protetta e significava che Leon ci teneva a mettere le cose in chiaro con tutti. “Solo io non vedo l’ora di liberarmi di voi mocciosi da quattro soldi, allora” sbuffò Ludmilla limandosi le unghie. “No, guarda, anch’io non vedo l’ora di liberarmi di te” si intromise Camilla, sedendosi accanto a Diego. “Camilla, la tua mancanza di stile mi ha scioccata più di ogni altra cosa in questa vacanza”. “E la tua enorme quantità di creme depilatorie invece ha dato la conferma a ciò che pensavo” ribatté Camilla con un ghigno. Tutti scoppiarono a ridere mentre Ludmilla indignata stava cominciando a inveire contro Camilla. Diego sembrava assorto nei suoi pensieri ed era in disparte. Francesca si alzò e si sedette vicino a lui. “Ehi, che ti prende?” chiese preoccupata. “Non è giusto che tu ci abbia rimesso”. “Ho fatto il mio dovere, non ho nulla di cui pentirmi”. “Continui a ripeterlo solo perché speri davvero di riuscire a crederci un giorno” esclamò lui freddo. La Custode abbassò lo sguardo e una lacrima cadde sul terreno. “Credi sia facile convivere con questo dolore, il dolore di non poter più avvertire una parte di me?!” strillò alzandosi in piedi e attirando l’attenzione di tutti. Violetta si liberò dall’abbraccio di Leon e scattò in piedi, apprensiva. “S-Scusate, io devo andare” esclamò la ragazza scappando e inoltrandosi nel bosco. “Non dovremmo seguirla? E’ pericoloso!” disse Maxi, guardando Violetta. L’amica scosse la testa. “Non si allontanerà troppo. Vado io con lei” esclamò decisa. “Vengo con te, non ti lascio sola di notte” si intromise Leon alzandosi e poggiando una mano sulla sua spalla. “No, vado da sola, sono l’unica con cui potrebbe voler parlare” ribatté accarezzandogli la guancia e avviandosi nel bosco. “E…vengo anche io!” esclamò Maxi, intimorito da Leon che gli lanciò un’occhiata che voleva dire ‘attento a dove tieni le mani’.
Violetta e Maxi cominciarono a camminare nella foresta buia, alla ricerca di Francesca, e la trovarono seduta su una grande pietra a fissare il vuoto. “Francesca!” esclamarono i due in coro precipitandosi dall’amica. “Io…non ce la faccio!” disse la ragazza, cominciando a piangere. “Non ce la faccio a far finta che vada tutto bene, non ce la faccio a sentirmi così inutile. Non ce la faccio!” singhiozzò, portando le mani al viso. Violetta si avvicinò timorosa e le accarezzò i capelli. “Vedrai che…”. “Vedrai che? Violetta tu non sai cosa significa rinunciare a qualcosa. Tu non sai cosa si prova”. “Ma so cosa si prova a rinunciare a qualcuno. Rinunciare a Leon per me è stato come rinunciare a una parte di me. E se non dovessi riuscire a catturare tutte le Carte di Clow entro un mese, dovrò di nuovo allontanarmi da lui. Riesci a immaginare il dolore che proverò? Non lo puoi comprenderlo. Assaggiare la felicità e poi dovervi rinunciare in un istante. E’ terribile, e io ho paura” esclamò la Cattura-Carte, sedendosi accanto a lei, e abbracciandola. “Ho sbagliato a giudicarti così, non volevo, hai ragione…mi sento così frustrata che finisco per dire cose che non penso. Il tuo compito è il più oneroso di tutti gli altri” la consolò Francesca. Maxi sorrise con la sua solita telecamera allacciata alla cintura dei pantaloncini corti. D’un tratto un rumore lo fece sobbalzare. “Non sentite anche voi questo fruscio?”. Le due annuirono. “Proviene da lassù” disse Violetta indicando la chioma di un albero lì vicino. D’un tratto qualcosa sibilò sfiorandole di un millimetro la guancia. Una freccia argentata si piantò a terra, vibrando con forza. “Ma cosa…”. “Attenta!” strillò Francesca facendo mettere l’amica insieme a lei dietro la roccia, stesasi per terra. Maxi le raggiunse subito con le mani che tremavano per la paura. “E’ una Clow Card…the Arrow. L’ho capito dal tipo di frecce che ha” sussurrò indicando le freccia argentata. “Bene, allora catturiamola” esclamò Violetta facendo per rialzarsi, ma Francesca la trattenne per il braccio. “L’Arciere è una Carta pericolosa. A differenza della Spada può agire anche senza aver bisogno di un corpo di cui impossessarsi. Inoltre per sconfiggerla, devi rompere il suo sigillo”. “Il sigillo?”. “Per essere sconfitte molte Carte devono essere private della fonte magica che le caratterizza, un sigillo che simboleggia il loro potere” spiegò la Custode con lo sguardo vigile, sorpresa di quel misterioso silenzio. “E qual è il sigillo di The Arrow?” chiese, temendo già la risposta. La Custode indicò la freccia. “The Arrow contiene in sé l’essenza della freccia. Rappresenta la precisione, l’infallibilità, la velocità del tiro con l’arco. Per sconfiggerla devi rivoltare contro di lei il suo stesso potere. Devi ferirla con la punta di una delle sue frecce”. Violetta annuì seria, ma poi i suoi sensi magici si risvegliarono all’improvviso. “Ha cambiato albero, per poterci avere di nuovo nella sua visuale” disse richiamando in fretta il suo scettro. All’improvviso tre frecce vennero scoccate contemporaneamente, fuoriuscendo dalle fronde oscure degli alberi con il loro scintillio argentato. Non sarebbero riusciti a spostarsi in tempo. Ma era proprio ciò che avrebbero sfruttato: il tempo. “Carta che possiedi il potere dell’Oscurità. Ferma il tempo, è un ordine!” esclamò colpendo con lo scettro The Time. Una clessidra fluttuò in aria e una nebbia arancione colorò l’intero luogo. Tutto era immobile. Le frecce erano innaturalmente ferme a mezz’aria a pochi centimetri da loro. Violetta ne afferrò una al volo e cominciò a scappare insieme agli altri. Sentiva le gambe pesanti e la testa esplodergli, segno che non riusciva più a prolungare il potere della Carta. The Time era una di quelle che consumavano più energie. “Ci troverà” disse Francesca, fermandosi per riprendere fiato. “E noi ci faremo trovare…abbiamo bisogno di un piano per catturarla” disse Violetta. “Ma non possiamo, è troppo forte per noi. Hai visto come colpisce con le frecce. E’ una Carta mortale, e per di più di notte è quasi impossibile da distinguere. Non riuscirai a catturarla”. “Si, invece…”. “A cosa stai pensando?”. “Penso che avremmo bisogno di un’esca, mi è venuta un’idea”. “Mi offro io”. “No, tu mi servi per localizzare la Carta”. “E allora come facciamo?”. Lo sguardo di entrambe si concentrò sul loro amico Maxi, che si stava riprendendo dalla corsa. Rialzò lo sguardo e si sentì osservato. “Cosa volete da me? No, ho capito! Non lo farò mai, non mi costringerete mai a…”.
“Yuuuuuhh, The Arrrow, sono un giovane ragazzo bello e innocente. Non vorresti infilzarmi come una mela con la tua freccia?!” cominciò a dire Maxi, passeggiando per il bosco, saltando ad ogni rumore. “Maledetta Francesca…e Violetta che mi ha ricattato per la questione del bacio di Ludmilla. Ma se mi faccio anche solo un graffio, giuro che me la pagano, lo giuro” disse, massaggiandosi il braccio dove Francesca gli aveva dato la botta. “Che poi ti pare che la Carta ci casca?! Mica è stupida, insomma!” borbottò, dando un calcio a un sassolino. Qualcosa sibilò all’improvviso, e una freccia argentata si conficcò a qualche centimetro nel terreno. “Maledizione, lo sapevo che sarebbe andata a finire così!” strillò il ragazzo, spiccando una corsa. “Trovata!” esclamò Francesca, nascosta dietro un cespuglio, avendo visto da dove la freccia era stata scoccata e indicandola con un dito. Dietro di lei Violetta si alzò in volo con The Fly e si diresse verso l’albero. Vide lo scintillio di un arco argentato, e una donna con dei guanti di velluto nero guardarla concentrata. Stava per colpirla, ma Violetta richiamò The Fly perdendo quota e precipitando. In aria, tirò fuori The Wood. “Carta del Legno, io ti chiedo di intrappolare con i tuoi rami possenti The Arrow. Vai, The Wood!” esclamò. Venne presa al volo da Maxi che la aspettava a terra, mentre velocemente le fronde dello spirito della foresta intrappolarono l’entità dell’Arco. I rami trascinarono la giovane arciera sul terreno, che tentava di divincolarsi con sempre più forza. “Non reggerà a lungo!” esclamò Francesca. “E invece si” esclamò tranquilla la Cattura-Carte, tirando fuori un’altra Carta. “Vai The Lock, rendi la trappola senza uscita” mormorò, mentre un lucchetto dorato si incise sui rami che avvolgevano The Arrow. Prese la freccia argentata che aveva raccolto durante il primo attacco e si avvicinò all’arciere che la guardava con odio. “Non devi avere paura di me” sussurrò dolcemente. “Io non ho paura di nessuno, sciocca ragazzina” esclamò con voce fredda la ragazza stringendo ancora più forte l’arco anche se non riusciva a muoversi e ad utilizzarlo. “Non sei degna di essere la nostra Padrona, non come Sakura. Sei debole, e troppo legata agli esseri umani, come quel ragazzo”. “E tu come lo sai?” chiese spaventata. “Noi sappiamo tutto. E quel Leon pagherà per l’affronto che ci sta facendo. La sua morte è solo rimandata, non pensare di averla scampata” ribatté la Carta con odio. Violetta arretrò spaventata, stringendo la freccia d’argento. Perché le stava dicendo quelle parole? Davvero Leon stava rischiando la vita? Fermare la maledizione non avrebbe fermato la furia delle Carte? “Non ascoltarla, vuole confonderti” disse Francesca. Violetta la guardò e annuì incerta, quindi si avvicinò all’entità dell’Arco. Con la punta delle freccia le ferì superficialmente il braccio, da cui scese qualche rivolo di sangue argentato. Una luce avvolse la figura librandola dai rami di The Wood e dal sigillo di The Lock. Quello era il momento. Puntò lo scettro in alto e catturò la Carta facilmente. “Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!” esclamò Maxi con la telecamera accesa e saltellando felicemente. Violetta sorrise debolmente, quindi svenne all’improvviso.
‘Il giudizio finale si avvicina…sarai pronta?’ tuonò una voce cavernosa mostrando i suoi occhi rosso fuoco.
‘La luna rifletterà il rosso del sangue che la notte del giudizio verrà versato’ rimbombò un’altra voce, dolce e melodiosa, facendo frusciare lentamente le sue ali bianche e candide.
‘Ricorda: ciò che succederà sarà inesorabile e definitivo’ richiamò la sua attenzione una donna seduta su un trono tra le due figure avvolte nell’ombra. Quella voce, quel sorriso…che ci faceva Sakura Kinomoto nei suoi sogni?
“Sei sveglia!” esclamò una voce, attirando la sua attenzione. Aprì lentamente gli occhi e la prima cosa che vide fu il volto preoccupato di Leon. “Ultimamente svieni un po’ troppo. Mi fai prendere un infarto al giorno” aggiunse sospirando. Osservò la luce penetrare il tessuto della tenda. “Ma…è giorno?”. Leon annuì dandogli un bacio sulla fronte per controllare se avesse la febbre. “Stiamo per partire. Francesca ha preparato i tuoi bagagli”. Violetta sgranò gli occhi: aveva ancora tanto sonno; con l’aiuto di Leon riuscì ad alzarsi e ad uscire fuori per raggiungere il pullman.
Sul pullman, sentì di nuovo un sonno pesante prendersi cura di lei. “Vuoi dormire?” le sussurrò Leon dolcemente all’orecchio, seduto accanto a lei. La ragazza annuì piano, quindi gli fece cenno con la spalla di appoggiarsi a lui durante il viaggio. Violetta avvolse le braccia intorno al suo braccio sinistro e si addormentò con un sorriso stampato, appoggiando la testa sulla sua spalla. Leon di tanto in tanto durante il viaggio la guardava e si incantava, sorprendendosi continuamente della bellissima ragazza che aveva la fortuna di avere. E nessuno li avrebbe separati, di quello ne era convinto. Dopo poco si addormentò anche lui mentre le teneva la mano. Francesca osservava la scena preoccupata. “Qualcosa non va?” chiese Diego, che si era seduto accanto a lei. “Tutta questa stanchezza…”. “Tu mi hai detto che è normale. L’altra notte ha usato molte Carte, ha dovuto attingere a molto potere”. “Lo so, ma…e se ci stessimo sbagliando? Se Sakura non avesse scelto la persona giusta? Se non fosse pronta ad assumersi un compito così duro e faticoso?” cominciò a chiedersi la ragazza, visibilmente agitata. Osservò Maxi dall’altra parte del pullman, alle prese con Ludmilla, che lo aveva voluto vicino sul pullman per non dover stare con Camilla, e sospirò profondamente. “Stiamo mettendo molto in gioco, e forse stiamo chiedendo troppo…è solo una ragazza”. “Anche Sakura lo era…anzi, era anche più piccola” osservò Diego. “Lo so, ma Sakura era un’erede di Clow, la sua magia era molto più forte. Violetta sta facendo uso di tutto il suo potere e potrebbe finire per farsi del male”. “Dovresti fidarti della scelta della vecchia Padrona delle Clow Cards”. “Dovrei, ma non ci riesco” concluse Francesca, chiudendo gli occhi e ricordando le previsioni dell’ampolla del sacrificio. Death, morte. Cosa voleva dire? Chi avrebbe perso la vita in questo folle gioco? Non lo sapeva, ma aveva una tremenda paura che si trattasse di Violetta.
Violetta trascinò i bagagli fino alla porta della sua casa, ancora un po’ stremata. Leon si era offerto di accompagnarla, ma aveva gentilmente rifiutato. Non voleva che German la vedesse arrivare con un ragazzo, altrimenti avrebbe cominciato con le sue scenate da padre iperprotettivo. Sulla soglia di casa però notò una ragazza non molto alta con i capelli castani raccolti in una coda e l’aria scocciata. Sembrava una di quelle tipiche ragazze che passavano dritte al sodo senza peli sulla lingua. “Cerchi qualcuno?” chiese Violetta, curiosa, rivolgendosi alla ragazza di spalle. La giovane si voltò e fece un sorriso tirato. “Piacere sono la nuova Custode del Sud America. Il mio nome è Lara, e d’ora in avanti penserò io ad aiutarti con la tua missione”. 





ANGOLO DELLE CARTE: ma ciao a tutti/e! Vi sono mancato? Ok, lo so, non vi sono mancato, mi odiate xD In questo Angolo comunque più che del capitolo (che si commenta da sè xD), parlerò della gentilezza di Viola Casciaro, una ragazza conosciuta su twitter, che molto gentilmente si è offerta di farmi questo disegno che avevo chiesto. Bello vero? A me piace un sacco...e poi Leon e Violetta fumettizzati sono troppo fighi xD Ma ok, parliamo del fatto che oltre ai diritti mi ha chiesto di fare un annuncio: per chi fosse interessato fino all'11 settembre lei fa disegni su prenotazione (anche dopo ma con tempi più lunghi causa scuola)...non so di più. Se volete contattarla questo è il suo contatto di twitter: Viola Casciaro (@DisegnoNero). Ha anche un contatto fb: si chiama Violetta Casciaro. Ok, penso di aver detto tutto...che ne pensate del capitolo? E del disegno della nostra Viola (a me piace davvero tanto *O*)? Non so che dire, fatemi sapere le vostre opinioni. Che ne pensate di ciò che è successo a Fran? Avrà fatto bene a rinunciare ai suoi poteri vista la profezia di morte? Lo scopriremo più in là. Grazie a tutti voi che mi seguite, e alla prossima :D



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