Lo Yin e lo Yang.

di SavannahWalker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Biscotto Della Fortuna. ***
Capitolo 2: *** Sto Sognando. ***
Capitolo 3: *** Acrilico Blu. ***
Capitolo 4: *** Calore. ***
Capitolo 5: *** Vortex. ***
Capitolo 6: *** Aura. ***
Capitolo 7: *** Sei Nell'Aria. ***
Capitolo 8: *** Catena. ***
Capitolo 9: *** Non Ora. ***
Capitolo 10: *** Ciao! Come Stai? ***
Capitolo 11: *** Zucchero. ***



Capitolo 1
*** Il Biscotto Della Fortuna. ***


- IL BISCOTTO DELLA FORTUNA -



"Così comincia un nuovo anno con tanti buoni propositi che non verranno mantenuti e le stesse sfighe. Un po' tutti speriamo che una semplice data possa attuare un cambiamento nelle nostre vite ed io sono la prima. 20 anni della mia vita passati a invocare qualche strana forza suprema, come sto facendo ora, con il mio bicchiere di plastica rossa in mano, seduta in un divanetto alquanto scomodo. Devo essere abbastanza ubriaca per intrapendere questo monologo ma infondo nessuno sta ascoltando i miei pensieri."
 

Da quel momento in poi nella mia testa regnò il vuoto, forse avevo smesso di pensare e mi ero lasciata trasportare dall'allegria generale e dai balli di gruppo.
Il giorno dopo mi svegliai in seguito al suonare della mia sveglia e, dopo quella che sembrò un' eternità, riuscii a spegnerla. Con molta, oserei dire moltissima, calma mi alzaii dal letto, schiacciai il tasto play dello stereo e filai in doccia.
 
 

***
 

 “Ooooh! The movie never ends, it goes ooon and oooon and oooon and oooon!”
 

Avete presente quei musical dove i personaggi cantano e ballano per la strada come nulla fosse? Ecco, io stavo facendo la stessa cosa solo che nella realtà ti prendono per una persona con seri problemi mentali.
Mentre facevo una piroetta qualcuno mi venne addosso e mi fece cadere la borsa. Tutti i miei appunti stavano volando sul marciapiede come degli uccellini appena liberati dalla gabbia. Saltellavo di qua e di la cercando di recuperarli ma erano finiti sulle piccole pozzanghere rimaste dalla pioggia della sera prima. Addio appunti, insomma. Mi girai pronta ad inveire contro il mio "agressore" ma vidi soltanto un ragazzo magro che mi guardava con aria di sufficenza, con un sorriso storto stampato in faccia e le mani in tasca.
"La povera ballerina ha perso i suoi scarabocchi, quanto mi dispiace!"
Lo fulminai con lo sguardo, raccolsi un foglio da una pozzanghera e glielo stampai su quella sua faccia strafottente. Sul momento rimase immobile ma, dopo essersi tolto il foglio dalla faccia, fece uno scatto in avanti e cominciai a correre fino a che non fui costretta a svoltare alla mia sinistra in una via... Chiusa.
Mi raggiunse non molto dopo, mi guardò fissa negli occhi e cominciò a scrollarmi violentemente, tanto che la testa faceva avanti e indietro da sola.
"Tu sei pazza! Mi hai praticamente sbattuto acqua sporca in faccia!" urlava, con gli occhi sgranati e i capelli bagnati che pian piano si appiccicavano al viso.
"Se tu non mi avessi urtata e offesa non l'avrei fatto!"
Si fermò per un secondo togliendo le mani dalle mie spalle, portandole lungo i fianchi e abbassando lo sguardo, come se avesse capito di essere in torto marcio.
Si girò dall'altra parte per andersene senza dire nulla. Basita da quanto era appena successo ritornai indietro nella speranza di ritrovare la mia borsa con i pochi fogli che potevano essere rimasti intatti.
Tutta la giornata continuai a pensarci e, non so perché, avevo la convinzione che non sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei visto quel ragazzo.
La sera non avevo voglia di cucinare, così decisi di fare una capatina al cinese dove sono di famiglia oramai. Appena entrata mi accolse la mia amica offrendomi come al solito un biscotto della fortuna, lo morsicai e subito ne uscì il bigliettino:

 

È proprio di fronte al tuo naso.

 

Ecco, quello era il momento in cui mi sentivo decisamente presa in giro e perdevo tutta la fiducia nella poca filosofia che trovavo in quei bigliettini dall'aspetto così simpatico. Nel frattempo la mia cena era pronta, pagai e girandomi sbattei la faccia contro il petto di qualcuno. Alzai la testa e... Non ci volevo credere. Lui, di nuovo. In questa occasione mi son ritrovata a che fare con il suo naso. Notai che era proprio un bel naso, cioè proprio bello grande!
"Chi non muore si rivede!"
Lui rimase zitto per qualche secondo, poi elargì con un "Se."
"Scusami tanto eh, non avrei mai voluto rivolgerti la parola per recarti il mozzamento della lingua!"
Di tutta risposta allungò il braccio e mi spostò per passare avanti. Pensai che non era caso sprecare altro tempo con una persona del genere e di andare a casa.
Le due settimane sucessive furono un susseguirsi di piccoli incontri con questo simpatico individuo. Ad un certo punto mi chiesi se mi pedinava, forse ero solo un po’ fissata, o semplicemente frequentavamo gli stessi luoghi. Se fosse così l’avrei notato prima, credo, visto il suo bel caratterino.
Parlarne con le amiche è stata la cosa peggiore che potessi fare. Sono le tipiche ragazze che vivono la loro vita basandosi sulle favole che hanno come protagonisti cavalieri impavidi tutti muscoli, principesse in fin di vita e draghi da sconfiggere. Naturalmente dopo aver raccontato loro le mie “piccole avventure” si sono subito date alla sceneggiatura di scene romanticissime.
“Oh, di sicuro è un segno del destino! Vi immagino già sposati!”
“Lo sai che io non cr...”
“Ovviamente! E’ il tipico ragazzo duro ma che sotto sotto ha gran sentimenti!”
“Se aveste visto la faccia non dir...”
“L’ eroe coraggioso che sconfigge il male per salvare la sua principessa!”
“Ragazze, non esager...”
“Avrete cinque figli!”
Non potevo resistere oltre. Mi alzai, le salutai e mi avviai verso il parco.
Finalmente un po’ di pace e di silenzio! Sentivo ancora le loro voci rimbombarmi in testa. Una storia d’amore basata sul nulla! Tsk, meglio schiacciare play va.

 

 “Because I'm truly, truly in love with you girl! I'm truly head over heels with your love.
I need you and with your love I'm free! And truly, you know you're alright with me!”
 

 Oh certo, ora ci si mettono pure le canzoni! Maledetta quella volta che ho deciso di comprarmi un lettore mp3. L’unica cosa che prometteva bene in quell giornata era il cielo, azzurro con qualche nuvola bianca qua e là. E’ una cosa già sentita ma ricordavano molto la panna che ero solita mettere sopra le fragole quando stavo da nonna. Già, bei tempi quelli. Non mi piaceva perdermi in quei ricordi anche se, inevitabilmente, lo facevo sempre. In un certo senso ero fortunata a ricordarmi solo quelle poche immagini che riuscivano ad alleviare il peso di tutta la situazione che si creò pochi istanti dopo. Smisi di pensarci quando qualcuno si sedette al mio fianco, mi girai di scatto e un sorriso mi si stampò in faccia: era il mio migliore amico tornato dopo un periodo d’assenza troppo lungo per i miei gusti. Avevo bisogno di parlare con lui perché era l’unico che mi capiva veramente e non si faceva problemi a dirmi le cose come stavano. Gli raccontai di come andava la mia vita in generale e anche di quel ragazzo strambo.
“Da come ne parli sembra che non ti sia poi così indifferente sai?”
“Cosa vorresti dire?”
“Il colorito delle tue guancie cambia appena entri nel discorso”
“Per forza, è così arrogante che mi fa arrabbiare!”
“E non sai nemmeno il suo nome...”
“Cosa?”
“Niente, pensavo”
Mi sorrise mentre cercai di giustificarmi perché sapevo quello che pensava, ma si sbagliava di grosso! Il tempo di bere un sorso d’acqua e se n’era già andato. Fa sempre così, chissà quando lo rivedrò. Ormai s’era fatto tardi ed era ora di tornare a casa. Per strada mi resi conto che tutti gli appunti persi dovevo recuperarli in una sera... Perché rimando sempre i compiti importanti? Accidenti a me e a quel ragazzo. D’ora in avanti lo chiamerò Mister X, dubito che conoscerò mai il suo vero nome quindi tanto vale inventarsene uno. Più ci pensavo più la voglia di picchiarlo cresceva ma sarebbe rimasta insoluta. Entrai in casa e sentii la mia conquilina sbraitare al telefono, probabilmente contro i tizi del conservatorio, nulla di diverso dal solito. Mi vide e accennò un saluto con un’ espressione tutt’altro che felice, i capelli uscivano in modo disparato dalla treccia laterale e giurai di vedere una piccola vena che pulsava sulla fronte. Al che capii che avevano di nuovo spostato il suo concerto. Come biasimarla, si dava sempre molto da fare, la musica è tutto quello che ha. Presi un po’ di caffè dalla caraffa e diedi uno sguardo alla mia scrivania dove vi erano le mille scartoffie che dovevo sistemare. Sospirai e decisi di mettermi all’opera, si prospettava una lunga nottata.

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Capitolo 2
*** Sto Sognando. ***


- STO SOGNANDO –

 
­“Non è possibile, mi ritrovo sempre quella nanerottola tra i piedi! Cos’è una stalker? Come se non avessi già abbastanza problemi a cui pensare! Il primo è che la mia casa è un completo disastro, sta sera passa la biondina e non ho nemmeno il tempo di preparle la cena. Troverò una soluzione, in fondo le mie capacità sono sopra la media. Mi si potrebbe considerare quasi un superuomo... Dannatamente in ritardo. Maledetto me che mi perdo nei miei pensieri!”
 
Non so come, ma in quella sera riuscii a sistemare casa e cucinare nel giro di un’ora. Come sempre la mia amica era in perfetto orario annunciandosi con la sua scampanellata e il rumore dei suoi passi “leggeri”.  Entrò e guardò la casa da cima a fondo per poi girare la testa verso la tavola apparecchiata, aveva un’ aria rassegnata.
“Non ti smentisci mai, sempre all’ultimo minuto...”
Abbassai la testa toccandomi i capelli, non sapendo se provavo vergogna o imbarazzo.
“Oh , insomma! Dovresti conoscermi ormai!” disse sorridendo.
Le scompigliai i capelli e ci sedemmo a tavola davanti alla misera pasta che avevo preparato, ma quando si hanno problemi finanziari non si può fare altro. Lei lo sapeva bene, per questo non disse una parola al riguardo ed in un certo senso mi faceva piacere non parlare di certi argomenti. L’intenzione era di passare una serata tranquilla.
“Tu ci credi nel destino?”
“Certo che no.”
“Non si direbbe, visto tutti i bigliettini dei biscotti della fortuna che hai nel terzo cassetto della tua scrivania”
“Come diamine...”
“Non puoi nascondermi niente, lo sai benissimo!”
“Beh, sono lì solo per ricordarmi quanto stupide sono le persone che ci credono!”
“Di sicuro!”
Un momento di silenzio fu seguito da una sua sonora risata, effettivamente non potevo nasconderle niente. Mi accorsi che era strana perché si strinse sulle spalle, intimidita da qualcosa. Aveva un’ aria pensierosa come se dovesse chiedermi qualcosa di cui aveva paura di sapere la risposta.
“C’è qualcosa che devi chiedermi?”
“No, nulla... Pensavo”
Sapevo che era una bugia ma tante volte è meglio non sapere, sennò si rischia di ingranare quel meccanismo che fa diventare la situazione spiacevole.
Mi accorsi che era tardi e la accompagnai alla porta dove ci salutammo con il solito abbraccio.
Dopo aver chiuso quest’ultima mi diressi verso il mio letto, mi ci buttai sopra con le mani dietro la testa. Il dubbio su cosa volesse chiedermi mi tormentò per una buona mezz’ora, prima di cadere nel sonno.
 
***
 
Dicesi “Alzarsi con il piede sbagliato”, quello che feci io quella mattina.
La sveglia non suonò, non trovai i vestiti puliti e dimenticai il cellulare sul tavolo. Per miracolo arrivai al lavoro con pochi minuti di ritardo, con la camicia che usciva dai pantaloni e due occhiaie che toccavano terra. Appena mi sedetti alla mia scrivania arrivò il mio capo con il suo solito sorriso a trentadue denti, incorniciato da una barba folta e non curata. Certo non potevo dire che non era un tipo simpatico, anche fin troppo. Mi sistemai i vestiti mentre il pc si accendeva e controllavo gli appuntamenti del giorno, per fortuna pochi, nella speranza di un qualche risvolto positivo durante la giornata.
Dopo l’ultimo appuntamento cominciava ufficialmente la mia pausa pranzo così mi diressi verso la macchinetta automatica per prendermi un caffè quando sentii una persona correre nel corridoio, verso l’ufficio del mio capo. Nel girarmi vidi solo una mano femminile che chiuse la porta. Pensai fosse la donna del mio capo anche se non era solita venirlo a trovare. Qualche secondo dopo si sentì un urlo che mi fece sussultare ed andare il caffè di traverso. Sporsi la testa per vedere cos’ era successo e... Non volevo crederci! Quella nanerottola spalancò la porta continuando ad urlare.
“Diventerò zia! Finalmente! Bisogna festeggiare!”
Cominciò a saltellare da una parte all’altra con il mio capo che cercava invano di fermarla. Si accorse che avevo sentito tutto e, dopo averla presa per un braccio, se la portò sotto la spalla.
“Baffetto, ti presento la mia sorellina che, come avrai capito, sta per diventare zia!”
I miei pensieri si fermarono per un secondo. Non riuscii subito a realizzare che quella nanerottola era seriamente la sorella del mio capo e che quest’ultimo stava per avere un figlio.
“Sto sognando”fu l’unica cosa che riuscii a pensare.
Dovevo avere un’ espressione al quanto basita perché il mio capo storse la testa mentre la sua “sorellina” continua ad agitare le braccia. Lei si fermò per un momento, mi fissò e corrucciò le labbra.
“Non mi dire che questo qui lavora per te!”
“E’ una specie di mio protetto! Vi conoscete?”
“Non proprio, per fortuna!”
Risposi alla sua affermazione con uno sguardo decisamente freddo. Figuriamoci se mi facevo mettere i piedi in testa da una ragazzina.
“Sono contento per lei, spero che vadi tutto bene per il futuro nascituro”
Girai l’angolo e mi fermai.
“Siamo sicuri che non vi conoscete?”
“Ci siamo incrociati un paio di volte, nulla di che”
“Mmm... Capisco, beh è un tipo simpatico sai?”
“Tsk! Non credo proprio visto il caratterino che si ritrova”
Non ascoltai oltre, come si permetteva di screditarmi davanti al mio capo? Come se lei fosse la persona perfetta! Presi le mie cose, per oggi avevo finito. Mi diressi verso la scuola superiore del quartiere e aspettai mio fratello.
 Sapevo fin troppo bene che non vedeva l’ora di vedermi. Fa sempre la solita scena di guardarsi in giro come se non gli interessasse ma appena mi vede gli si illuminano gli occhi... Non lo si può biasimare. Lo presi sotto braccio e lo trascinai verso il nostro solito bar.
Lo guardai mentre addentava un panino come se non mangiasse da mesi, senza preoccuparsi delle persone che lo guardavano. Mi portai la mano alla fronte e chiusi gli occhi.
“C’è qualcosa che non va fratello?”
“Sembri un animale”
Rimase immobile un secondo per poi alzare le spalle, come se non ci potesse far nulla.
Era una giornata ancora lunga e non c’era speranza che le cose migliorassero.

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Capitolo 3
*** Acrilico Blu. ***


- ACRILICO BLU –

 
 
­“Le cose quindi ­stanno così. Mister X lavora per Bonzo.
Caro pubblico che assiste alle mie scene di vita quotidiana da dentro la mia testa, a questo punto mi urge spiegarvi che il così detto Bonzo è il mio fratellastro, stesso papà. Non si chiama così veramente ma è un soprannome che gli si addice, gli voglio un bene dell’anima e la notizia che sto per diventare zia mi rende solo che felice. Bellissimo attimo rovinato dalla presa di coscienza che quello, sì quello con il naso notevole, lavora per lui. Nonostante io avessi raccontato ripetutamente dei nostri incontri al mio caro fratellone, non mi ha mai detto nulla. Adorabile! Ora so che devo evitare anche l’ufficio.”
 
La rabbia che ebbi in corpo in quel momento non l’avevo mai provata prima anche se, effettivamente, non c’era motivo. Eppure era lì che ribolliva in ogni singolo globulo del mio sangue. Si fece tardi e mi incamminai verso lo studio dove registrava la mia coinquilina, entrai dalla porta sul retro per poi procedere dritta verso i divanetti in cui era solita aspettarmi... Ma non era ancora lì. Mi guardai intorno e mi sedetti con la testa rivolta verso il soffitto. Sentii delle urla, qui qualcuno era davvero di pessimo umore!
“Non mi sembra di chiedere tanto! Pretendo un po’ di serietà! “
“Nora, non decidiamo noi queste cose!”
Di tutta risposta fece vedere due bei medi con tanto di imprecazioni verso strane divinità di un universo sconosciuto. Mi prese per mano e cominciò a correre verso l’uscita, ridendo come una bambina.
“Diamine, l’hai fatto di nuovo!”
Continuò a ridere di gusto, si fermò e mi diede un abbraccio.
“Portami a mangiare qualcosa va, arrabbiarmi mi mette fame!”
La guardai con la testa storta e le braccia incrociate, tirai un sospiro e la presi per le orecchie.
“Tu non sai cosa vuol dire vivere con te, non lo sai!”

 
***
 

Di una sola cosa ero certa, avevo la nipote più bella del mondo! Già da appena nata era ricoperta di piccoli boccoli neri, occhi tendenti al nocciola e la bocca a bocciolo. Inutile dire che il Bonzo e la sua compagna erano in estasi, cosa più unica che rara! Solitamente non lasciavano trapelare emozioni su qualsiasi cosa riguardasse la loro relazione. Non so dire con certezza se erano innamorati, di sicuro il loro non era un amore convenzionale... Lo definirei “rude”. Si sapevano far bastare quelle poche cose, non servivano le carinerie o il finto romanticismo, sapevano bene ogni sfacettatura del loro carattere. Ecco, posso affermare che si conoscevano nel profondo. Conoscersi è un concetto ben più grande dell’essere innamorati.
Oh, sono sprofondata di nuovo nei miei soliti pensieri fin troppo riflessivi. Mi ripeto spesso che dovrei smetterla una buona volta.
“Cosa ti affligge sorellina?” disse il Bonzo, mentre mi guardava con la testa piegata da un lato.
“Nulla, pensavo a quanto è bella!”
“Farò finta di crederti”
Finsi uno sguardo interrogativo per ricevere come risposta un sopracciglio alzato.
Era vero, effettivamente non potevo mentirgli, ma andava bene così. Mi alzai e andai a salutare la sua compagna, ma già dormiva.
Camminavo guardando il cielo coperto di nuvole grigie, ovviamente una gocciolina mi colpì  dritta dritta sull’occhio. Pian piano la pioggia si fece più fitta e mi riparai vicino alla vetrina di un bar stile anni ’50. Con la coda dell’occhio guardai all’interno, sembrava di essere un film, e mi venne una velata malinconia per degli anni che non ho vissuto. Immaginare come le persone usavano vestirsi, rapportarsi l’une con le altre e tutto quel cibo spazzatura che al momento mi fece salire la fame.
“Oh dio mio, l’ho fatto di nuovo! Taci cervello, taci!”
Senza rendermene conto stavo bloccando la porta del suddetto bar ad un ragazzino biondo, mi spostai e lo guardai correre verso una macchina. Scuotei la testa e mi incamminai verso la mia destinazione con una strana sensazione addosso, come se non avessi intravisto qualcosa di essenziale... Mah, infine mi ripeto stesso che dovrei smetterla di pensare così tanto.


 
 ***
 

“Tock, tock! C’è nessuno in casa?”
“Pronto?! Sveglia signorina!”
Sussultai dopo aver ricevuto un fascicolo in testa e mi resi conto di avere la faccia spiaccicata sui fogli di lavoro. Ero decisamente troppo stanca dopo una notte insonne, senza motivi particolari, semplicemente Morfeo non ha voluto accogliermi tra le sue braccia. O forse era colpa dei troppi caffè, ma questo è un dettaglio irrelevante.
“Dimmi Summer, la tua rude femminilità è tutta naturale? Picchi peggio di un uomo”
Di tutta risposta lei rise, una grossa e sonora risata.
“Non sono mica come Cleo che si fa vedere raffinata e poi, quando si lascia andare, scopri la sua vera natura!” disse ammiccando verso la nostra collega che la fissava con le braccia incrociate e il suo solito sorriso storto.
“Tornando a cose più o meno serie, il capo dice che gli serve dell’acrilico blu per la figlia”
“E questo cosa implica?”
“Implica che tu sei l’unica che può andarlo a prendere visto che hai finito gli esami da poco, a differenza mia e sua”
“Ma io voglio dormire!” replicai stiracchiando le braccia verso l’alto.
Un altro colpo in testa mi fece capire che volente o nolente dovevo andarci io.
Presi la borsa e mi diressi verso la cartoleria più vicina, ovvero quella dove di solito mi rifornivo io, prezzi buoni e la commessa era una ragazza simpatica.
Mentre sceglievo una tonalità blu non troppo scura sentii la porta spalancarsi, ma non ci diedi bada. Un gran vociare si diffuse per tutto il negozio e mi girai per vederne la causa: due ragazzi stavano chiedendo di usare la fotocopiatrice, nulla di strano, ma particolare non trascurabile era la loro avvenenza. Tutte le esponenti del genere femminile presenti nel negozio si fermarono a guardarli con attenzione, con commenti e risatine tipiche di apprezzamento. Carini, nulla da togliere, ma la vedevo un reazione un pochino esagerata.
Mi diressi verso la cassa per pagare e la commessa mi salutò con il suo solito sorriso, i grandi occhi marroni dietro gli occhiali fissavano i due ragazzi dietro di me, ma con estrema durezza. Non ne capii il motivo ma non indagai. Pagai e nell’uscire notai che i due cominciarono a ridacchiare.

 

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Capitolo 4
*** Calore. ***


- CALORE –
 
 
“Non mi piacciono le persone che mi nascondono le cose. Solitamente ho la dote innata di scoprirle anche senza pensarci troppo. Sono nascoste ma, al contempo, così visibile che son impossibili da non notare. Le persone sbagliano se pensano di prendermi in giro. Nel mio silenzio capisco molte cose, ma questa proprio mi è incomprensibile...”

La neve cadeva a grossi fiocchi sui vetri delle mie finestre, mi dava sempre un po’ di nostalgia delle gare a snowboard che facevo con mio fratello. Decisi di alzarmi dal divano, non avevo voglia di stare in casa nonostante il tempo. Uscendo dal portone vidi la mia amica aspettarmi puntuale dall’altra parte della strada. Era carina, molto. Indossava un giubbotto in lana grossa sul marroncino, cappello e sciarpa rossi coordinati, e degli anfibi marrone scuro con delle grosse fiocche dietro. Si accorse che la stavo fissando e le sue guancie si accesero di un bel rosso.
“Avvisami quando finisci di squadrarmi dalla testa ai piedi!” esordì tirandomi un pugno ben assestato sulla bocca dello stomaco.
Bofonchiai tenendomi una mano sulla parte appena colpita, era ancora più carina quando si arrabbiava.
Ci fermammo nel parco dove tutta l’erba si era trasformata in una distesa bianca e la corteccia degli alberi sembrava quasi nera a causa dell’umidità. Spazzolai via un po’ di neve da una panchina e le porsi il caffè bollente appena preso in un carretto lì vicino. Stimavo molto quei poveretti che avevano il coraggio di spostarsi nonostante il tempo astioso.
“Attenta che scotta”
“Non sono una bambina!”
Sembrava quasi irritata, sapevo che c’era qualcosa che non voleva dirmi.
“Genna, posso sapere cosa ti passa per la testa? Non sono un’ idiota”
Sapeva benissimo che quando la chiamavo per nome era l’inizio della mia alterazione, come sapeva benissimo di non dover scherzare con il fuoco.
Assunse uno sguardo rassegnato accompagnato da un sospiro, rimase in silenzio qualche minuto finché io cominciavo a pestare impaziente il piede sulla neve.
“Tu, l’hai più vista quella ragazza?”
“Solo qualche volta in ufficio, ma nulla di più. Non voglio averci nulla a che fare”
“Mhn...”
La guardai con una ghigno soddisfatto. Era gelosa, eccome se lo era! Anche se, pensadoci in due secondi, non aveva molto senso.
“Perché sei gelosa di una cosa che non esiste?”
Lei alzò lo sguardo sbigottito verso di me, come se avessi posto una domanda talmente ovvia da essere considerata stupida.
“Mi prendi in giro?” sbottò lei.
“Non mi permetterei mai... Comunque se pensi che lei potrebbe prendere il tuo posto ti sbagli. Sei la mia migl...”
Non feci in tempo a finire la frase che lei sì alzo e mi stampò cique dita sul viso congelato.
“Ma come fai a non arrivarci? Proprio tu, tu! Non ci credo che non ti sei mai accorto o per lo meno, hai fatto finta di non vedere!”
“... Vedere cosa?”
Quello che successe dopo avvenne in un paio di secondi e, lo ammetto, non me lo aspettavo.
Appoggiò le sue labbra sulle mie, premendo con le mani dietro la mia nuca come se non volesse permettermi di staccarmi da quel bacio che infondeva calore.
Si allontanò e presumo che il mio sguardo fosse... Vacuo.
“Non era necessario. Sai che odio le cose futili.”
Cominciarono a sgorgare lacrime, una dopo l’altra le rigavano il viso, ma non provavo alcun sentimento al riguardo. L’indifferenza è l’arma più forte e se questo serviva per farle capire come stavano le cose, tanto valeva usarla.
Mi girai per tornare verso casa, mentre lei continuava a ripetere “stronzo” ogni volta alzando il tono della voce. Non mi piace far soffrire le persone, ma non potevo fare altrimenti.
Inutile dire che non si fece più viva.
 
***
 
 
La cosa che mi piaceva dei miei amici era che nonostante il loro comportamento infantile, riuscivano a rallegrarmi le giornate.
“Sai chi abbiamo visto poco tempo fa? Una tua cara conoscenza”
“Uhmn?”
“La sorellina del tuo capo”
Bene, queste sono le tipiche notizie che la giornata non me la rallegrano per niente.
“E perché dovrebbe interessarmi?”
I due ridacchiarono dandosi un pugno a vicenda sulla spalla, come se avessero fatto la battuta più esilarante di tutti i tempi.
“La domanda giusta è: perché non dovrebbe interessarti?”
“Perché non rientra nel mio interesse”
Mi guardarono come se avessi dato conferma a delle loro teorie inesistenti.
“No, non è come pensate voi. Quindi smettetela di esaltarvi per nulla”
Si zittirono in pochi secondi, non avevano nulla d’aggiungere. Li guardai mentre bevevo la mia birra ma rischiai di soffocare vedendo le loro faccie stupide.
“Siete proprio due idioti!”
Ricambiarono con un sorriso a trentadue denti e poi scoppiammo a ridere tutti e tre all’unisono.
 
***

“Fratellone c’è qualcosa che non va?”
“Nulla, Phin, nulla... Sto solo cercando di lavorare”
“Mhn... Secondo me c’è qualcosa che ti turba! Ma non me lo vuoi dire...” mi disse con sguardo triste.
Gli tolsi il cappello e gli scompigliai i capelli senza guardarlo, lui scostò la mia mano e mi diede un colpo in testa. Mi girai e lui contraccambiò lo sguardo con un ghigno di soddisfazione.
“So che mi vuoi bene, ma non capisco perché non ti confidi con me!”
“La tua affermazione è errata, io non ti voglio bene” dissi rigirandomi verso il computer ma guardando con la coda dell’occhio la sua reazione.
Si rimise il cappello e uscì dal mio appartamento senza fiatare. Mi piace troppo prendermi gioco di lui anche se è mio fratello, lo considero un soggetto fin troppo facile.
Da quando la mia migliore amica aveva deciso di dichiararsi, in una maniera alquanto umiliante nei suoi confronti, e poi sparire non avevo molto da fare oltre che lavorare.
I due idioti vanno e vengono ma mi adeguo, non ho il costante bisogno della loro presenza... Anche se adesso...
“La verità è che sei solo come un cane!”
Scrollai la testa dopo questo mio pensiero così stupido. Potevo girare la situazione a mio piacimento in ogni momento, le occasioni si presentavano spesso e volentieri, ma ho sempre lasciato che succedesse quello che doveva succedere.

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Capitolo 5
*** Vortex. ***


- VORTEX -
 


“Perché ogni santa volta che la mia adorabile coinquilina deve organizzare una festa, mi offro di aiutarla? In effetti non è un’intenzione che mi parte dal cuore. Parto già con il presupposto che comincerà ad impormi di fare questo e quello, di girare da un negozio all’altro e sicuramente non le andrà bene quasi nulla. Oh, dimenticavo ha avuto la brillante idea di estendere l’inivito agli amici degli amici, i quali inviteranno altri amici e via dicendo. Ci saranno troppe persone con comprensibili conseguenze. Ma effettivamente... Che cosa si festeggia?”


Sapete quando avete un pensiero che man mano diventa una convinzione ferrea? Ecco, io fui sempre più convinta che la mia coinquilina era una pazza. Una vera pazza. Non avevo prove concrete o fisiche ma normale non lo era proprio. Forse aveva qualche amico immaginario o tendeva molto fortemente verso il bipolarismo. Nonostante io continuassi a chiederle che cosa volesse festeggiare, non ricevevo mai una risposta vera e propria... Solo qualche borbottio qua e la.
“Per l’amore del cielo vuoi starmi a sentire?”
“Non ho tempo ora, devo fare un mucchio di cose! E’ tardi, tardissimo! Abbiamo solo due giorni!”
“Se ti fossi fatta andare bene le cose che avevo già preso...”
“Non è colpa mia se non hai un minimo senso del gusto!”
La guardai perplessa, con gli occchi sgranati e la bocca appena schiusa. Sapeva benissimo che tra le due quella che aveva un minimo senso del gusto ero io! Fosse per lei sarebbe tutto bianco e nero, forse con un po’ di grigio. Abbassò la testa facendo finta di nulla, sapeva che non aveva senso litigare. Poi era tutta colpa sua, di sicuro non aprivo io la bocca per prima. Tsk!
“Io ora esco, ti chiedo di non fare nulla, mi arrangio per conto mio. Devo anche passare in coservatorio a prendere delle cose che ho lasciato lì, ti faccio sapere se torno per cena.”
Le feci un cenno con il capo, non mi piacevano le situazioni cariche di tensione e la cosa migliore da fare era limitarsi al minimo indispensabile.
 
 
***
 
 
Luci forti che girano, musica a tutto volume e tante maschere di cui conoscevo neanche la metà di chi le indossava. Oh sì, una festa in maschera. Mi piace l’idea, nulla in contrario, ma certi personaggi erano al limite dell’assurdo! Io indossai una maschera da volpe, non riuscii a fare nulla di più elaborato.
Ad intervalli di tempo troppo brevi passò una moltitudine di persone a parlarmi farfugliando qualcosa che non capii a causa della musica, nel dubbbio sorridevo e annuivo. Fortunatamente vidi il Bonzo e la sua compagna mentre parlavano con dei tizi, che non riuscii ad inquadrare, così mi alzai da quella scomoda sedia traballante e raggiungerli.
Indossavano una maschera di Batman, proprio strano!
“La mia coppia di supereroi preferiti!” urlai mentre li prendevo sottospalla.
Si girararono entrambi sorridendo e la sua compagna mi diede un abbraccio. Mi girai per vedere chi erano gli altri interlocutori e si passò alle presentazioni.
“Loro sono George e William!” disse, mentre gli altri due fecero un piccolo inchino.
“Beh, lui non ha bisogno di presentazioni!” continuò sogghignando.
Volsi lo sguardo verso la maschera di un demone Oni, girai la faccia con sguardo interrogativo.
Alzò una mano e spostò la maschera sopra la sua testa e notai, con grande orrore, che era l’unica persona che non mi sarei mai aspettata di vedere. L’espressione di disprezzo, putroppo ormai a me ben nota, con cui lui mi fissava mi urtava parecchio. Divenni un fascio di nervi, il sorriso che avevo stampato in faccia scomparve in due secondi e riuscii ad elargire con:
“L’erba cattiva non muore mai, vedo.”
Lui si rimise la maschera e prima di sentire cosa avesse da dire, sentii una mano trascinarmi via.
La mia coinquilina mi aveva fatto sedere al centro della stanza, tra l’altro sulla stessa scomoda sedia di prima, dove regnava il silenzio.  La mia coinquilina mi girava attorno con un microfono in mano e la cosa mi spaventava.
“Ora, tutti vi chiederete perché siamo qui. Oggi è un giorno importante per una persona altrettanto importante per me. Sapevo di porter organizzare tutto anche sotto i suoi occhi perché sicuramente si sarebbe dimenticata che... Oggi è il suo compleanno! 21 anni non si scordano più!”
Mi diede un abbraccio talmente forte da non permettermi di respirare, la musica era ripartita e tutti i presenti cominciarono ad urlare.
 
***
 
Incredibile! Mi ero dimenticata del mio compleanno! 
Ha organizzato tutto sotto il mio naso e io, nella mia ingenuità, non ci ho pensato. Ben fatto, ragazza.
Mi passò una bottiglia di vino bianco e me la fece tracannare senza darmi tregua. Maledetta sapeva benissimo quanto mi piaceva. In men che non si dica la stanza cominciò a girare vorticosamente e io non capii più nulla. Ballai con un paio di persone che parevano conoscermi bene, andai addosso almeno ad altre cinque prima di trovare un punto d’appoggio. Il caso volle che fosse una porta che si aprì nel preciso istante che stava per toccare la mia schiena. Caddì e battei la testa sui piedi di qualcuno che li ritirò subito. Rimasi con gli occhi chiusi per qualche secondo prima di vedere, offuscata, di nuovo quella maschera di Oni che mi fissava a pochi centimetri dalla mia.
“Non sei affar mio” setenziò.
“ Vuoi lasciarmi qui dopo avermi fatta cadere?” dissi, cercando di rialzarmi con scarsi risultati.
“Ripeto, non sei affar mio”
“Sono la sorella del tuo capo. Cosa penserebbe di te dopo che hai lasciato la sua sorellina indifesa stesa a terra tra dolori lancinanti?”
“Che ho fatto bene, non è colpa mia se hai bevuto troppo”
“Ma è colpa tua se son caduta!”
Si tirò su la maschera è sbuffò.
“Sei proprio una ventunenne seccante”
Cominciai a ridere in maniera stupida, colpa dell’alcool ovviamente, protesi una mano verso l’alto e lui mi tirò in piedi con una forza che non immaginavo avesse.

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Capitolo 6
*** Aura. ***


- AURA –

 
 
“Qui si sta arrivando al limite del ridicolo. Se non fosse la sorella del mio capo l’avrei lasciata stesa a terra, a rantolare aiuto a qualcun’altro. Diamine se era una seccatura! La sua faccia da sbronza è troppo brutta ma il suo caratteraccio è anche peggio.”

La tirai su con tutta la forza possibile visto che si ostinava a tenere il culo ben chiodato per terra e, oltretutto, non era per niente leggera. Mi guardò con un occhio semi chiuso mentre con l’indice mi additava il petto, spingendomi all’indietro.
“Tu! Sei un brutto personaggio!”
“Prego?”
“Sei antipatico, non spilli un sorriso manco a morire e non aiuto nessuno!”
“Non volevo aiutare te, la cosa è ben diversa.”
“Sei proprio uno... Uno... STRONZO. Ecco, l’ho detto!” si portò una mano alla bocca, come se fosse una bambina piccola ed avesse appena detto una parolaccia davanti ai suoi genitori.
“Oh, mi hai offeso. Nel profondo. Sono proprio triste!” mi misi una mano sul cuore e una sulla fronte, simulando un attimo di sofferenza degno di un’ opera teatrale.
“Ripeto, sei antipatico.”
La guardai con il mio solito ghigno storto, le appoggiai l’indice sulla fronte e la spinsi. Scuotè la testa e sgranò gli occhi, per quanto le fu possibile.
“Hai proprio una bella faccia tosta!”
Sicuramente non si può dire il contrario. Si girò e si butto sul letto, presumo fosse camera sua visto anche il pessimo gusto con cui era arredata, degno di una come lei. Indicò la porta e mi disse di chiuderla. Mi guardai attorno perplesso, perché ero rimasto dentro la stanza? Certe volte mi stupisco dei gesti stupidi che può commettere una mente come la mia.
“Renditi utile, aiutami a togliere le scarpe...”
“Mi hai preso per il tuo servo?”
“Santo cielo! Sono solo una ragazza ubriaca che ti chiede un favore vista la sua incapacità nei movimenti, dimostrata pochi minuti fa!”
Sbuffai e le tolsi le scarpe con il tacco, senza di esse i suoi piedi sembravano ancora più piccoli, quanto quelli di una bimba. Appoggiai le scarpe sul tappeto e mi avvicinai alla porta.
“Dove pensi di andare?”
“Ritorno a quella che dovrebbe essere la tua festa di compleanno.”
Si girò verso di me e si circondò le ginocchia con le braccia, affondando la testa tra di esse.
“Quindi mi lasci qui a pensare alle cose brutte della vita?”
Sospirai e per qualche malsano motivo mi sedetti sul letto vicino a lei. Alzò appena gli occhi che, nonostante la posizione in cui era messa, la luce faceva sembrare più grandi. Spostai il mio sguardo verso le foto appese al muro, di cui una attirò la mia attenzione: ritraeva una coppia di spalle seduta in riva al mare, l’uomo abbracciava la donna appoggiando la testa sulla sua. Aveva più vent’anni, era abbastanza rovinata.

 
***
 
 
Dopo una mezzora di chiacchere composte da frasi sconnesse, chiuse nuovamente gli occhi e nel giro di pochi minuti prese sonno. Mi aspettavo di sentirla russare rumorosamente invece sospirava appena, spostando qualche ciuffo di capelli che le cadeva vicino le guancie.
Feci per alzarmi ma la sua mano mi strinse forte il polso, mi girai cercando di parlare ma lei si portò un dito alle labbra facendomi segno di star zitto.
Ma chi diamine me lo faceva fare di rimanere lì? Poi chissà cosa avrebbe pensato la sua coinqu...
“Ah, ti eri nascosta qui!”
Neanche averlo detto. La sua coinquilina spalancò la porta e, appena riuscì ad inquadrare quello che aveva davanti, aprì talmente tanto la bocca che quasi le toccava terra.
“Non è come pen...”
“No, no, no! Non dire nulla, me ne vado!” fece dei piccoli passi all’indietro mentre chiudeva la porta.
Mi portai la mano sulla fronte, rassegnato. Poteva succedere altro? Ci mancava solo che il mio capo entrasse e si facesse strane idee. Il solo pensarci mi faceva venire i brividi.
Mi stesi su un fianco, dandole la schiena e cercai di dormire. Ormai, tanto valeva rimanere lì.
 

 
***
 
 
La luce che filtrava dalle tende finiva dritta sul mio viso e sentii una strana sensazione di calore dietro la schiena, mi ci volle qualche secondo per ricordare cos’era successo la sera prima, mi girai di scatto. Lei non si era mossa di un centimetro. Tranne per il fatto che ora era a pancia in giù e con la faccia spiaccicata sul cuscino. Mi alzai, stiracchiandomi, e presi la mia maschera Oni dal pavimento. Andai dalla sua parte del letto e le tirai su una ciocca di capelli per capire se respirava, cosa che in quella posizione mi pareva assai improbabile. Nel momento esatto in cui tirai su la punta dei capelli, lei si tirò su di scatto.
“Chi è? Cosa succede? Dove sono?”
Abbassai la testa e la scuotei in segno di dissenso, lei mi guardò con sguardo vacuo e si accasciò nuovamente sul cuscino.
Presi il resto delle mie cose e, prima di aprire la porta, la guardai un’ ultima volta. Avevo ancora sulla pelle quella sensazione, come se qualcosa mi avesse toccato così velocemente da non essere reale. Forse avevo la mente alterata dalla sera prima, non valeva la pena preoccuparsene.
“Non abbiamo fatto nulla vero?”
“Secondo te combinerei mai qualcosa con te?” dissi con un voluto accento sulla parola te.
Farfugliò qualcosa che non capii mentre uscivo dalla stanza. La sua coinquilina mi sorrise mentre beveva il caffè e mi salutò con un cenno del capo. Sussultai quando mi ricordai che ero tremendamente in ritardo per il lavoro. Maledetta ventunenne seccante!

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Capitolo 7
*** Sei Nell'Aria. ***


- CATENA -


“Alzo gli occhi al cielo di piombo e incontro gli uccelli che volano via, poi guardo l'asfalto e i miei piedi... Tu cosa ci vedi? Non so.”(*)

Solitamente non mi interessa lo scorrere delle stagioni, non faccio caso al tempo o cose simili, ma quel giorno mi accorsi che il cielo era particolarmente grigio. Più che un atsmosfera primaverile sembrava autunnale. Non c’era anima viva per strada, le poche che si vedevano correvano veloci e poi scomparivano dentro i locali. Preferisco una strada vuota che una sovraffollata, nessuno che ti urta o che ti manda a quel paese.
Mi fermai a comprare le sigarette e sentii qualcosa appoggiarsi alla mia gamba, mi girai e vidi un piccolo cane che mi fissava con la lingua penzolante. Mi chinai per fargli una carezza  e cominciò a scodinzolare. Mi accorsi che aveva il collare ma era senza guinzaglio, mi guardai attorno per vedere se il padrone era lì vicino e vidi una ragazza correre verso di me.
“Ti avevo detto di aspettarmi! Santo cielo perché non mi ascolti mai, piccola salsiccia con la pelliccia?”
Si fermò poggiando le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato, alzo lo sguardò verso il cane socchiudendo gli occhi.
“Lo sai che non devi correre! Cosa succede se qualcuno non ti vede, eh?!” disse mentre agganciava il guinzaglio.
Ci alzammo e ci guardammo per un secondo che parve durare un’infinità.
“TU!” Esclamammo insieme.


***

Odio dovere dei favori alla gente. Lo odio tantissimo. Non so bene come o perché ma mi ritrovai a passeggiare con l’adorabile sorellina e il cane del mio capo. Non parlammo per la buona parte del tempo, se non per dire due parole sul cucciolo che zompettava felicemente in mezzo a noi due.
Mi aveva trasportato a fare delle spese in negozi che, ovviamente, non permettevano ai cani di entrare. Un povero malcapitato che trasporta mille borse solo per ringraziarla che non mi avesse derubato quei quattro soldi, ed erano davvero quattro soldi, che avevo in portafoglio. Camminavamo spediti, nella speranza che quella passeggiata finisse presto. La guardai con la coda dell’occhio e notai che aveva un’espressione seria, la mettevo così a disagio? D’altronde non era nel mio interesse saperlo.
“Sono arrivata.” Disse prendendo le chiavi dalla tasca.
Appoggiai le borse sui gradini e mi girai per andarmene.
“Scusami signorino, dove pensi di andare? Prendi le borse e dammi una mano.”
La guardai e lei incrociò le braccia.
“Penso di aver riscattato il mio debito.”
“Le cose si fanno fatte bene o non si fanno affatto.”
Mi girai nuovamente e mi sentii tirare per il colletto.
“Oh no, tesoro mio! Tu fai come ti dico!”
“Ma sei pazza?! Non respiro!”
“Mi aiuti?”
“Sì, sì! Basta che mi lasci!”
Presi le borse mentre lei apriva la porta, il cane corse subito su per le scale e ci aspettò. Entrammo e mi fece un cenno di dirigermi verso la cucina. Mi resi conto che eravamo a casa del mio capo, la cosa mi metteva a disagio, infatti non mi spostai di un millimetro e aspettai.
“Non occorre che stai lì impalato, puoi anche andare.”
Mi diressi verso la porta e la guardai un’ultima volta. Sistemava le cose meccanicamente, probabilmente pensava ad altro, tanto che le caddero delle scatole più volte.
“Ti serve qualcosa?” disse senza voltarsi.
Non risposi.


***


Odio dover sistemare, è una cosa che non sopporto. Effettivamente ci sono tante cose che non sopporto. Mio fratello come il solito a fatto arrabbiare i nostri genitori quindi per almeno cinque giorni starà da me e, purtroppo, devo trovare un modo per fargli un po’ di spazio.
“Non pensare che puoi fare quello che ti pare, chiaro?”
“E’ questo il trattamento che dai agli ospiti?”
“Non ho mai ospiti, tu sei il primo e anche l’ultimo!”
Mi tolse il cappello e me lo tirò addosso.
“Dovresti essere meno burbero, sai?”
Appoggiai il cappello sul tavolo e sospirai. Lui prese qualcosa dal frigo e cominciò a preparare il pranzo, cominciai a disporre i piatti e nel mentre mi scappò un sorriso. Non era così male la sua presenza, portava sempre un po’ di allegria in casa, mi faceva sentire meno... Solo.
“Sai, c’è una ragazza che mi piace.” Disse, nascondendo il viso dietro le maniche della felpa.
“Oh, ehmn... Come l’hai conosciuta?” risposi, non essendo abituato a quel tipo di discorsi.
“Ad un evento, è bellissima...”
Lo vidi arrossire e gli scompiglia i capelli.
“Quindi sei innamorato?”
“Credo di sì... Come ci si sente quando lo si è?”
“Non saprei...”
“Non sei mai stato innamorato?”
A quella domanda mi bloccai non sapendo cosa rispondere. Non ci sono neanche mai andato vicino ad un sentimento del genere. Affetto, quello sì, ma innamorarsi... Mai. Non sono quel tipo che affida se stesso ad un’ altra persona, come non voglio che un’altra persona faccia altrettanto.
In tanti hanno pensato il contrario ma hanno capito ben presto come girano queste cose.
“Da quando sei diventato una femminuccia che sprizza cuoricini da tutti i pori?”
“Non lo sono! Il fatto è che... Non so, è come se ci fosse una catena che ci lega.”
“Non pensi di essere ancora un po’ troppo piccolo per fare questi discorsi?”
Lui sbuffò e prese un boccone di torta su un piatto lì vicino. Pensai che se mio fratello era troppo piccolo per certi discorsi, io non sarò troppo grande per non saperne nulla?
Diamine, certo che ultimamente mi pongo delle domande troppo stupide.








NdA - Savannah Blue

(*)
Ho riportato il titolo ed una frase di una canzone, per chi non la conoscesse è Catena dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

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Capitolo 8
*** Catena. ***


- CATENA -


“Alzo gli occhi al cielo di piombo e incontro gli uccelli che volano via, poi guardo l'asfalto e i miei piedi... Tu cosa ci vedi? Non so.”(*)

Solitamente non mi interessa lo scorrere delle stagioni, non faccio caso al tempo o cose simili, ma quel giorno mi accorsi che il cielo era particolarmente grigio. Più che un atsmosfera primaverile sembrava autunnale. Non c’era anima viva per strada, le poche che si vedevano correvano veloci e poi scomparivano dentro i locali. Preferisco una strada vuota che una sovraffollata, nessuno che ti urta o che ti manda a quel paese.
Mi fermai a comprare le sigarette e sentii qualcosa appoggiarsi alla mia gamba, mi girai e vidi un piccolo cane che mi fissava con la lingua penzolante. Mi chinai per fargli una carezza  e cominciò a scodinzolare. Mi accorsi che aveva il collare ma era senza guinzaglio, mi guardai attorno per vedere se il padrone era lì vicino e vidi una ragazza correre verso di me.
“Ti avevo detto di aspettarmi! Santo cielo perché non mi ascolti mai, piccola salsiccia con la pelliccia?”
Si fermò poggiando le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato, alzo lo sguardò verso il cane socchiudendo gli occhi.
“Lo sai che non devi correre! Cosa succede se qualcuno non ti vede, eh?!” disse mentre agganciava il guinzaglio.
Ci alzammo e ci guardammo per un secondo che parve durare un’infinità.
“TU!” Esclamammo insieme.


***

Odio dovere dei favori alla gente. Lo odio tantissimo. Non so bene come o perché ma mi ritrovai a passeggiare con l’adorabile sorellina e il cane del mio capo. Non parlammo per la buona parte del tempo, se non per dire due parole sul cucciolo che zompettava felicemente in mezzo a noi due.
Mi aveva trasportato a fare delle spese in negozi che, ovviamente, non permettevano ai cani di entrare. Un povero malcapitato che trasporta mille borse solo per ringraziarla che non mi avesse derubato quei quattro soldi, ed erano davvero quattro soldi, che avevo in portafoglio. Camminavamo spediti, nella speranza che quella passeggiata finisse presto. La guardai con la coda dell’occhio e notai che aveva un’espressione seria, la mettevo così a disagio? D’altronde non era nel mio interesse saperlo.
“Sono arrivata.” Disse prendendo le chiavi dalla tasca.
Appoggiai le borse sui gradini e mi girai per andarmene.
“Scusami signorino, dove pensi di andare? Prendi le borse e dammi una mano.”
La guardai e lei incrociò le braccia.
“Penso di aver riscattato il mio debito.”
“Le cose si fanno fatte bene o non si fanno affatto.”
Mi girai nuovamente e mi sentii tirare per il colletto.
“Oh no, tesoro mio! Tu fai come ti dico!”
“Ma sei pazza?! Non respiro!”
“Mi aiuti?”
“Sì, sì! Basta che mi lasci!”
Presi le borse mentre lei apriva la porta, il cane corse subito su per le scale e ci aspettò. Entrammo e mi fece un cenno di dirigermi verso la cucina. Mi resi conto che eravamo a casa del mio capo, la cosa mi metteva a disagio, infatti non mi spostai di un millimetro e aspettai.
“Non occorre che stai lì impalato, puoi anche andare.”
Mi diressi verso la porta e la guardai un’ultima volta. Sistemava le cose meccanicamente, probabilmente pensava ad altro, tanto che le caddero delle scatole più volte.
“Ti serve qualcosa?” disse senza voltarsi.
Non risposi.


***


Odio dover sistemare, è una cosa che non sopporto. Effettivamente ci sono tante cose che non sopporto. Mio fratello come il solito a fatto arrabbiare i nostri genitori quindi per almeno cinque giorni starà da me e, purtroppo, devo trovare un modo per fargli un po’ di spazio.
“Non pensare che puoi fare quello che ti pare, chiaro?”
“E’ questo il trattamento che dai agli ospiti?”
“Non ho mai ospiti, tu sei il primo e anche l’ultimo!”
Mi tolse il cappello e me lo tirò addosso.
“Dovresti essere meno burbero, sai?”
Appoggiai il cappello sul tavolo e sospirai. Lui prese qualcosa dal frigo e cominciò a preparare il pranzo, cominciai a disporre i piatti e nel mentre mi scappò un sorriso. Non era così male la sua presenza, portava sempre un po’ di allegria in casa, mi faceva sentire meno... Solo.
“Sai, c’è una ragazza che mi piace.” Disse, nascondendo il viso dietro le maniche della felpa.
“Oh, ehmn... Come l’hai conosciuta?” risposi, non essendo abituato a quel tipo di discorsi.
“Ad un evento, è bellissima...”
Lo vidi arrossire e gli scompiglia i capelli.
“Quindi sei innamorato?”
“Credo di sì... Come ci si sente quando lo si è?”
“Non saprei...”
“Non sei mai stato innamorato?”
A quella domanda mi bloccai non sapendo cosa rispondere. Non ci sono neanche mai andato vicino ad un sentimento del genere. Affetto, quello sì, ma innamorarsi... Mai. Non sono quel tipo che affida se stesso ad un’ altra persona, come non voglio che un’altra persona faccia altrettanto.
In tanti hanno pensato il contrario ma hanno capito ben presto come girano queste cose.
“Da quando sei diventato una femminuccia che sprizza cuoricini da tutti i pori?”
“Non lo sono! Il fatto è che... Non so, è come se ci fosse una catena che ci lega.”
“Non pensi di essere ancora un po’ troppo piccolo per fare questi discorsi?”
Lui sbuffò e prese un boccone di torta su un piatto lì vicino. Pensai che se mio fratello era troppo piccolo per certi discorsi, io non sarò troppo grande per non saperne nulla?
Diamine, certo che ultimamente mi pongo delle domande troppo stupide.








NdA - Savannah Blue

(*)
Ho riportato il titolo ed una frase di una canzone, per chi non la conoscesse è Catena dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

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Capitolo 9
*** Non Ora. ***


- NON ORA -


"Se c'è una cosa che mi piace è la primavera. Il caldo non è ancora così insopportabile come d'estate,ma non è nemmeno così freddo da vestirsi con infiniti strati di vestiti. Mi piace soprattutto aprire le finestre e far entrare più luce possibile in tutta la casa, gli da un aspetto totalmente diverso. Mi ero alzata di buon'ora, carica d'energia positiva, mi sentivo in un altro mondo. Cominciai a fare le pulizie facendo cadere la mia coinquilina dal suo letto senza tanti complimenti, rimase distesa a pancia in giù aggrappata al cuscino borbottando qualcosa sul fatto che fossi una mezza pazza."

«Lo sai che hai qualche problema per buttarmi giù dal letto in questo modo?» mi disse mentre mi lanciava un cuscino «Proprio di sabato devi lavare la casa da cima a fondo?» mise una mano davanti alla bocca per coprire un sbadiglio.
«Se non lo faccio io, tu manco alzi un dito!» risposi, portando le mani sui fianchi.
Alzò le mani in segno di resa e riprese sonno sul pavimento. Mi girai sospirando ed accesi lo stereo, se io mi ero alzata per pulire di sicuro lei non poteva permettersi il lusso di poltrire ad oltranza! Schivai un infradito che mi passo vicino all'orecchio sinistro, tirai fuori la lingua e alzai il terzo dito per dispetto. La verità è che la sera stessa le mie amiche sarebbero venute a cenare da noi e non volevo che vedessero l'appartamento in condizioni peggiori di un letamaio. Nonostante alla mia coinquilina non andassero proprio a genio si sforzava sempre di non rendersi antipatica, cosa non da poco, anche se notai spesso e volentierti che aveva un certo feeling con una di loro. Non avevano nulla in comune se non il fatto di avere un carattere assai difficile, giusto poche persone sapevano come prenderle nelle situazioni più complicate, eppure c'era un qualcosa che le faceva avvicinare. Potrei dire che non mi sorprenderei se incappassero in una relazione ma ho seri dubbi sulla durata.
Nel resto della mattinata feci delle commissioni per il Bonzo, pagai le bollette e comprai il necessario per la serata. Essendo negata in cucina lasciai tutto nelle mani della mia coinquilina. Mi sorprendeva sempre come le venisse così naturale preparare tanti piatti diversi usando i pochi ingredienti di cui disponeva, come tagliava le verdure in pezzi uguali, come decorava le portate, come disponeva minuziosamente ogni cosa sul tavolo nel momento esatto in cui entravano gli ospiti. Non voleva che dicessi alle altre che aveva cucinato per loro, il merito lo prendevo io e mi sentivo sempre in colpa. Le stampai un bacio sulla guancia per ringraziarla, ignorando il suo tentativo di allontanarmi, non amava particolarmente il contatto fisico, neanche con le conoscenze più strette. Invitai le mie amiche a sedersi e stranamente filò tutto liscio, senza battutine di troppo, o quasi.

«Qualcuno vuole il caffè?»
«Da quando Nora è così cordiale con noi?»
Le due si scambiarono un'occhiata di sfida, ma non successe nulla. Un lungo momento di silenzio fu interrotto dall'ebollizione del caffè all'interno della moka e dalle tazzine che tintinnarono a contatto con il tavolo. Dopo averle riempite, servì lo zucchero ma dall'espressione furba capii che aveva in mente qualcosa. Arrivata a quella di colei che l'aveva offesa fece "accidentalmente" cadere tutto lo zucchero nella sua tazzina.
«Oh, è stato un incididente!» disse con una smorfia beffarda «Perdonami, Kendra!»
L'altra la linciò con lo sguardo e non disse una parola. Parlammo per due ore buone e poi decidemmo di uscire. Nora declinò l'invito di aggiungersi a noi, sapevo che per quella serata ne aveva più che abbastanza.
Entrammo in un locale che io non conoscevo, lasciammo le giacche nel guardaroba e ci avviammo subito verso il banco del bar. Solitamente non ci andavamo giù pesanti, giusto quel che bastava per essere un pochino brille. Non ci dividevamo mai, in modo da non perderci e tenerci "al sicuro" dagli strani individui che potevano essere definiti poco raccomandabili. Una sorta di alleanza.



***



La pista era piena di gente ma mi accorsi che qualcuno mi stava fissando. Dopo aver messo a fuoco mi resi conto che in effetti era una faccia conosciuta, ma non riuscivo a capire chi poteva essere. Neanche il tempo di pensare ad un nome e questo si avvicinò, la musica troppo alta copriva le parole e con il labbiale non me la cavo molto bene. Gli faccio segno che non sento e lui mi parlò all'orecchio.
«Ti ricordi di me? Eravamo alle superiori assieme!»
 Lo guardai meglio, per quanto mi era possibile con quella luce, e mi irrigidii. Avevo davavanti a me, in tutto il suo splendore, la mia cotta delle superiori. Con il tempo era diventato ancora più bello: capelli corti e scuri, occhi chiari e fisico muscoloso ma non esageratamente.
«Certo che mi ricordo, ero innamorata di te!»
«Come scusa?»
«E-ehmn, mi ricordo... Sì!» risposi, appena mi resi conto di aver parlato un po' troppo.
Ringraziai di essere in un luogo con la musica a palla che ti dava una seconda possibilità per formulare al meglio le frasi. Le miei amiche non si capacitavano di come io potessi conoscere un ragazzo così bello ma dopo aver fatto le presentazioni non si fecero scrupoli per provarci.
Mi chiese se volevo qualcosa da bere ed io annuii, mi prese per mano e mi portò verso l'esterno della pista. Non mi dispiaceva avere la sua attenzione ma sicuramente gliela avrei fatta penare, una piccola rivincita per tutti quegli anni spesi a corrergli dietro senza essere nemmeno considerata. Presi il mio bicchiere e subito mi accorsi che qualcosa non andava. Cominciai a sudare freddo, la confusione della festa mi riecheggiava in testa ma allo stesso tempo mi sentivo in estasi. Diedi la colpa all'acool e all'eccitazione del momento così mi lasciai guidare fino al lato opposto a quello dove c'erano le mie amiche. Ballai per un tempo indeterminato fissando le luci colorate che cambiavano posizione regolarmente. Il mio "amico" mi mise le mani sui fianchi, avvicinandosi con il viso verso il mio collo ma io continuavo a muovermi a piccoli scatti fissando il soffitto. Sentivo il suo respiro sulla pelle, le sue mani che si muovevano dietro la mia schiena e il suo petto che si schiacciava contro il mio. Ad un tratto mi sentii strattonare e portare fuori dal locale, ritrovai tutte le mie amiche che tentavano di parlarmi ma io sentivo solo dei suoni sconnessi. Ci raggiunse il belloccio al quale fu servito un pugno sullo stomaco, lo stavano accusando di qualcosa, mi sedetti per terra con le mani sulla nuca cercando di riprendermi. Lui balbettò sul fatto di aver comprato delle cose da una tizia, ma non aveva intenzione di farmi stare male. Non ci capivo più nulla e avrei voluto dormire proprio lì per strada.



***



Sempre più persone si accerchiavano vicino a me, tra queste la presunta ragazza che gli aveva venduto "le cose". Era vestita in modo anticovenzionale, uno stile che non c'entrava nulla con il posto, di bassa statura con qualche ciocca di capelli colorata. Le mie amiche le inveirono contro, dicendole che se deve fare quattro soldi in questa maniera piuttosto si cerchi un lavoro vero. In un primo momento quest'ultima rimase a bocca aperta, non sapendo come difendersi, ma poi ribattè che quello che facevano i "compratori" non era affare suo e che io avrei dovuto starci alla larga fin da subito. Le mie amiche si trattenerono dal piombarle addosso e riempirla di schiaffi.
«Quando le passerà?»
«L'effetto va dalle 3 alle 6 ore, dipende come reagisce il suo organismo».
Sospirarono ed una di loro si sedette di fianco a me per tastarmi la fronte. Il ragazzo se l'era filata da un bel pezzo, la bassetta continuava a scrutarmi dall'alto al basso come se fossi un rifiuto della società. Non essendo in grado di ribattere qualcosa di sensato mi limitai a ricambiare l'occhiata con quello che doveva essere uno sguardo raccappricciante. Sentivo il vociare delle persone intorno, le mie amiche adesso intente a litigare con un ragazzo con l'aria distaccata che mi pareva alquanto familiare.
«Se la vostra amica non sa badare a se stessa non possiamo farci nulla».
«Per lo meno spiegateci cosa fare!»
Il ragazzo si chinò su di me, mi prese per il mento e mi ordinò di guardarlo.
«Non è messa così male, non dovrebbe servire portarla all'ospedale» disse, con un tono sprezzante «Tu non pensare di dartela a gambe perché è colpa tua se adesso vengo coinvolto in questo casino. Io volevo solo fare festa!» disse riferendosi alla ragazza, che sbuffò portanto i capelli dietro le spalle «Portatela a casa, cambiatela e statele vicino. Non dovrebbero esserci problemi».
Ormai non mi stupivo più degli incontri "casuali" con Mister X  ma il farmi vedere in quelle condizioni mi imbarazzava, mi metteva in agitazione. Nonostante le mie condizioni la mia mente dava luogo ai pensieri più disparati: che ci faceva con una ragazza del genere? Che il suo fosse un'altro lavoro per "arrotondare"? Come aveva il coraggio di guardarla con quella faccia come nulla fosse?
«N-non o-ora... N-non g-guar...» non riuscii a finire la frase, sentivo la bocca impastata e gli occhi si chiudevano da soli.
L'ultima cosa che vidi erano i suoi occhi puntati sui miei.
 








NdA - Savannah Blue

Oi, oi, oi! Dopo vari mesi di stacco son riuscita a ingegnarmi in qualcosa! Nella mia testa frullano un paio di cose malvagie per questa storia.
Questo capitolo lo dedico a Manu-chan, la mia Fan n°1!
(Spero di non averti sconvolto troppo <3)


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Capitolo 10
*** Ciao! Come Stai? ***


- CIAO! COME STAI? -


"Non mi sarei mai aspettato di vederla lì. Mi chiedo perché il destino sia così crudele da mettere sempre me nei  casini, ma non è colpa mia se lei non sa con che tipo di persone si frequenta. Non credevo che quello fosse il suo tipo, visto il suo caratteraccio pensavo fosse difficile da abbindolare. D'altro canto, non è affar mio."


Dieci minuti, dieci minuti di ritardo. Sapevo che le donne si fanno aspettare ma cominciavo a spazientirmi, volevo che questa cosa finisse il prima possibile. Girai a vuoto il cucchiaino sulla tazzina di caffè che avevo appena bevuto, indeciso se andar via o aspettare ancora per un po'. Sentii il campanellino sopra la porta suonare, entrò guardandosi intorno finché non mi notò. I nostri sguardi si incontrarono e lei alzò un sopracciglio, non sembrava sorpresa di vedermi. Mi raggiunse dopo aver ordinato da bere, si sedette e appoggiò i gomiti sul tavolo mettendo la testa fra le mani. Fece mezze sorriso mentre socchiudeva gli occhi e poggiava sul tavolo il bigliettino che le avevo lasciato nel giubbotto. Lo guardai con la coda dell'occhio senza dargli importanza. Sbuffai e scrollai le spalle. Non mi piaceva l'aria di sfida con cui mi stava guardando, non poteva di certo permettersi di comportarsi così dopo il casino che aveva combinato la sera prima.
«Ebbene?» chiese, con tono sarcastico.
La ignorai per qualche minuto, cercando le parole che andassero dritto al punto.
«Non mi interessa perché ieri sera eri in quelle condizioni, mi basta solo essere sicuro che il capo non sappia che ci siamo visti. Non voglio casini con il lavoro» risposi freddamente.
«Cosa ottengo in cambio del mio silenzio?»
Mi sporsi verso di lei «Non c'è nulla da contrattare» feci una pausa «Se parli contro di me, automaticamente verrai scoperta anche tu».
Sgranò gli occhi e sospirò, facendo segno di dissenso. Avevo ragione e non c'era modo di contraddirmi, posso vantarmi di essere abbastanza bravo a mettere le persone ai ferri corti e trarne vantaggio. Si lasciò andare sulla sedia e balbettò qualcosa sul fatto che comunque era in debito con me. Le spiegai che non volevo avere nessun tipo di rapporto con lei e che non era necessario sdebitarsi. Mi puntò un dito contro, aprendo la bocca ma non riuscì a trovare qualcosa che mi smentisse. Abbassò la testa e si portò le mani sulle ginocchia. Piegai la testa di lato, pensai che stesse per mettersi a piangere. Ero incappato in una situazione a dir poco assurda e non sapevo che fare. Presi un fazzoletto e glielo porsi, non era mia intenzione farlo ma mi limitai a comportarmi in maniera civile.
«Allora le conosci le buone maniere!» disse, dopo aver soffocato una risata «Credevo che non conoscessi la gentilezza, ti atteggi sempre da duro!»
Incrociai le braccia. Mi aveva fregato. 



***



Non so bene come ci sono finito su quel treno. Non so quale sinapsi del mio cervello mi abbia spinto a dire di sì, forse l'idea di fare una "gita fuori porta" senza pagare nulla. Se consideriamo che in quel periodo non di sponevo di molti contanti, non mi andava poi tanto male. Dopo un'ora arrivammo in questa piccola città che dava sul mare, la giornata era abbastanza calda e non nego che il posto era quasi di mio gradimento. Tutto sommato era tranquillo, non c'erano molto persone considerando che era meta prettamente turistica solo d'estate.
Arrivati alla spiaggia si tolse le scarpe e affondò i piedi sulla sabbia, aveva un sorriso che sembrava quello di una bambina. Camminammo senza parlare, giusto una parola ogni tanto per spezzare quel silenzio imbarazzante. Raccolse qualche conchiglia, riponendola in un sacchetto di tessuto turchese con la scritta "Sea" cucita in corsivo. Aveva lo stesso modo di porsi, arrogante ma scherzoso allo stesso tempo, di suo fratello ma in più di qualche occasione si lasciava andare ad un comportamento che rasenta l'infantile. Arrivammo alla fine della spiaggia dove c'era un molo e mi fece segno di seguirla. Ci sedemmo quasi a metà del ponte sovrastante il mare. Buttò la testa all'indietro, inspirando ad occhi chiusi. Ero sicuro che nascondesse molte cose dietro la semplicità in cui si atteggiava.
«Proprio non ti capisco sai?» disse, senza cambiare posizione «Di solito inquadro subito le persone, ma tu sei difficile da capire».
«Detto da te che non hai saputo stare alla larga da un tizio abbastanza discutibile» dissi in tono secco.
«Disse quello che sta con una ragazza abbastanza discutibile» rispose, alzando le mani sopra la testa.
«Non è la mia ragazza».
«Ah, no?» mi chiese curiosa.
Non le risposi, effettivamente non era una persona raccomandabile ma era una conoscenza che mi faceva comodo molto spesso. L'idea che lei la considerasse la mia ragazza mi urtava non poco. Perché le interessava saperlo? Per poi spifferare tutto al suo fratellone e mettermi i bastoni fra le ruote?
«Guarda che non ho intenzione di dire nulla a nessuno. Sarebbe alquanto imbarazzante ammettere di aver fatto una passeggiata con una persona così antipatica! Uno che non si spreca neanche a dirti "Ciao! Come stai?"»
La presi per un braccio e l'avvicinai a me «Nessuno ti ha obbligato a portarmi qui!» sbottai.
Il suo viso, a pochi centimetri dal mio, divenne rosso e sentii il suo respiro bloccarsi per qualche secondo. Girava gli occhi osservando tutto quello che la circondava, tranne me. Era decisamente a disagio, forse avevo esagerato, ma non poteva fregarmi di nuovo.
«Guarda caro, ti ricordi che eravamo anche noi così?»
In quel momento una coppia di anziani passò dietro di noi, dicendo quella frase, sorridendo alla scena a cui stavano assistendo. Entrambi spalancammo gli occhi e restammo inermi di fronte a tutte le cose che comportava una frase del genere. Come potevamo sembrare fidanzati?



***



Quando tornammo in città si era già fatto buio. La situazione era ancora talmente imbarazzante, nonostante fosse passata qualche ora, che scesi dal treno non sapevamo che dirci. Lei corrucciò le labbra mentre si arrotolava i capelli tra le dita, io tenevo una mano in tasca e l'altra sul collo. Nessuno dei due voleva cedere per primo ma dopo qualche minuto l'atmosfera si fece pesante. Decisi di andarmene verso l'uscita.
«U-uhmn, aspetta!» disse, esitante. Mi fermai, in attesa del resto della frase.
«G-grazie, davvero. Sia per l'altra sera, sia per oggi...» continuò. Mi voltai verso di lei, stava sorridendo timidamente tenendosi le mani dietro la schiena. Il suo ringraziamento era sincero, nessun comportamento di circostanza, era spontanea.
Le diedi due pacchette sulla testa «Non pensare che sia così facile abbindolarmi».
Si strinse tra le spalle e nascose il viso tra la sciarpa fina ma notai comunque che era arrossita nuovamente. Sembrava ancora più una bambina ma riusciva ad infondermi un po' di tenerezza, cosa che mi faceva alquanto strano visto la mia indole a non farmi toccare da qualsiasi cosa si avvicini ad un sentimento del genere. Prese una mia mano tra le sue, dopo avervi riposto conchiglia bianca, dicendo che dovevo accettarla come segno di tregua. Il contatto improvviso tra le nostre mani mi fece venire un brivido lungo la schiena e sentii le guancie infiammarsi. Fissai la conchiglia tenendo la testa bassa, se mi avesse scoperto sarei stato fregato per sempre!
Ultimamente mi trovavo spesso e volentieri in situazioni che non ero in grado di controllare. Come potevano essere solo coincidenze? In un modo o nell'altro, volgevano sempre in qualcosa di estremamente imbarazzante per entrambi. Mi arrovellavo il cervello con queste domande che mi tormentavano da un po'.
«Forse è giunto il momento di presentarsi seriamente, che dici?» disse, porgendomi la mano.
Io esitai, se ci presentavamo ufficcialmente questo faceva di noi dei conoscenti e successivamente avrebbe potuto diventare qualcos'altro, come amici. Per la prima volta non riuscii a valutare tutte le opzioni nascoste dietro un gesto del genere. Ora tutto dipendeva da un "sì" o da un "no", non avevo altre scelte a dispozione.
«Se proprio insisti... Il mio nome è...»
Non riuscii a finire la frase perché il treno di fianco a noi partì, facendo un gran casino.

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Capitolo 11
*** Zucchero. ***


- ZUCCHERO -


"La bella cosa di svegliarsi e sentire il calore del sole riempirti il viso. Quello era decisamente alzarsi con il piede giusto! Prepararsi in due secondi per uscire e approffitare della bella giornata. E' uno di quei giorni in cui mi piace camminare senza una meta precisa, musica alle orecchie e fare qualche spesa. Ho la strana sensazione che oggi succederà qualcosa, il mio sesto senso non sbaglia mai... Staremo a vedere."


Era mattina presto e tutti correvano al lavoro, le strade non erano molto affollate ma si percepiva la fretta nei movimenti delle poche persone che si potevano scorgere entrare ed uscire dalle vie secondarie. Una destinazione sicura era la libreria, ci sarei passata dopo essere andata in ufficio del Bonzo. Mi aveva chiamata il giorno prima con un tono di voce abbastanza preoccupato, speravo vivamente che non riguardasse il mio nipotino. Cercai di convincermi che andava tutto bene per non rovinarmi quella giornata cominciata così bene. Incontrai alcune mie colleghe che facevano fatica a camminare a causa delle grandi scatole che gli riempivano le braccia, si fermarono qualche minuto, giusto il tempo di mandarmi a quel paese perché quando bisognava faticare io avevo sempre il giorno libero. Le salutai facendogli l'occhiolino promettendo che la prossima volta mi sarei accollata il loro carico di lavoro.
Le ore passarono in fretta e raggiunsi mio fratello al lavoro. Aprii la porta e vidi la ragazza bassa che c'era alla festa. Era seduta sulla sua scrivania, parlava a bassa voce mentre giocherellava con qualche ciocca di capelli ma appena si accorse della mia presenza mi squadrò e si avvicinò al suo orecchio, per non farsi sentire. Mi soffermai su di lui e alzai un sopracciglio, pareva ignorarla ma sicuramente stava ascoltando attentamento quello che gli diceva. Da un momento all'altro si alzò dalla sedia e la tirò per il braccio.
«Vattene!» disse, alzando la voce.
Quando la ragazza mi passò di fianco, si fermò di fianco a me guardandomi con la coda dell'occhio per dei secondi che parevano interminabili. Sbuffò e se ne andò senza dire nulla. Sentii che la mia faccia esprimeva decisamente quello che stavo pensando, non c'era modo di nasconderlo. Mister X lo notò, si diresse verso di me e mi costrinse a seguirlo.
Mi sentii sbattere contro il muro e i polsi bloccati vicino alle spalle. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, una goccia di sudore gli scese dalla tempia per cadere lentamente dal mento. I suoi occhi erano fissi sui miei, non capii se era terrozzato o arrabbiato, forse entrambi. La mascella serrata, le mani tremanti ma decise a non mollare la presa.
«Se dici anche solo una parola al capo su chi lei sia, non pensare di cavartela con un viaggio in un treno mezzo decadente» disse, tutto d'un fiato.
Non sapei cosa rispondere, aprii la bocca ma non ne uscì alcun suono.
«Hai capito?!» urlò, premendo il suo corpo sul mio.
D'istinto chiusi gli occhi e girai la testa. In quel momento non riuscii a trovare un modo per prendere il controllo della situazione come facevo solitamente. Sentii il suo respiro affannoso sul collo e i capelli appoggiarsi appena sulla spalla.
«E-Erin...»
«C-come d-diavolo sai il mio nome?!» chiesi, riaprendo gli occhi.
Alla mia domanda lasciò i miei polsi, questa volta aveva un'espressione smarrita. Mi stupii di come potesse cambiare umore nel giro di pochi istanti. Si ricompose passandosi una mano sul viso. Mi massaggiai i polsi sui quali c'erano i segni rossi delle sue dita. Si mosse nella mia direzione allungando un braccio verso di essi ma in quel momento la porta di fianco a noi si aprì.
«Oh, temevo non arrivassi più» disse mio fratello «Vedo che stavi solo chiaccherando» finì, con tono severo. Mi fece segno di raggiungerlo.
Guardai Mister X mentre si lasciava cadere con le spalle al muro. Non avevo idea di cosa avesse scatenato una reazione così esagerata. Fatto sta che non sbaglio mai.


***



La giornata di sole si tramutò in piovosa nel pomeriggio, arrivai a casa in tempo prima di ritrovarmi bagnata fradicia. Come il tempo, il mio umore era cambiato. La casa vuota immersa nel silenzio lasciava spazio ai miei pensieri che erano forti come delle urla. Le sue parole, la sua faccia, la forza con cui riuscì a tenermi incatenate. Non solo fisicamente ma anche mentalmente. Difficilmente mi faccio prendere alla sprovvista ma questo era proprio il caso in cui non riuscivo a percepire una possibile reazione e la sua conseguenza. Fortunatamente non ho avuto un colpo di testa, sennò rischiavo seriamente di farmi male.
L'unica conclusione che fui in grado di trarre e che, quando si trattava della ragazza pappagallo, l'aria diventava pesante e insopportabile, qualsiasi fosse l'argomento della conversazione. Era una persona che ti urta l'animo solo a guardarla. Il suo modo di fare altezzoso, il modo in cui si porgeva in avanti per mettere in mostra il fisico esile, il tono di voce che cerca di richiamare l'attenzione. Quel tipo di persona che dentro hanno solo il vuoto. Non la sopportavo perché io ero tutto l'opposto. Non ero certo Miss Universo ma per lo meno io avevo dei principi che non si basavano solo sulle apparenze. La cosa era reciproca, ma non mi toccava minimamente.
Forse a Mister x  urtava quanto a me, se si conoscevano c'era un motivo. Da quel poco che vidi, si assomigliavano, forse con la sola differenza che lui aveva una parte consapevole di come era la sua vita. L'atteggiamento schivo, prepotente ma quasi sempre sulla difensiva. Mentre lei prendeva i rapporti interpersonali con leggerezza, lui non riusciva proprio a gestirli se non con i pochi amici stretti con cui lo vidi alla mia festa di compleanno.
Non fu difficile capire le basi del carattere di entrambi ma riflettendo ulteriormente su quello che era accaduto, lui aveva la capacità di costruirsi una muraglia invaricabile che l'altra invece non si poneva affatto. L'atteggiamento nei confronti di lei era uguale a quello che teneva con tutti gli altri ma decisamente più marcato, che vedesse una specie di specchio di se stesso?
Mi venne un forte mal di testa a forza di trovare un nesso logico a tutti quei pensieri, così presi due cuscini e una coperta accasciandomi sul divano. Chiusi gli occhi cercando di rilassare un po' alla volta tutti i muscoli, distendendo le braccia lungo i fianchi. Inutile dire che mi addormentai dopo pochi minuti. Sfortunatamente la mia dormita non durò quanto sperai. Quando decisi di alzarmi ed uscire di nuovo era quasi sera. Non pioveva più ma tirava un forte vento, mi strinsi nel mio giubbotto mentre cercavo di arrivare al bar dove mi recavo spesso e volentieri a quell'ora.



***



Mi sedetti su un tavolo vicino al finestrone. Salutai la cameriera, una signora di mezza età moglie del proprietario e ovviamente dava una mano nel gestire il locale. Ormai avevo parecchia confidenza con entrambi e non c'era nemmeno bisogno di ordinare, gli bastava guardarmi un secondo per capire il mio umore e cosa era adatto in quel momento. Non era di sicuro uno dei locali più rinomati della città ma era un posto dove ti facevano sentire a casa. Offrivano cose semplici ma sempre adatte a qualsiasi situazione.
«Mmm... Ti vedo scossa, che è successo?» chiese la donna.
«Uh, ho solo un forte mal di testa...» risposi, evasiva.
I campanellini appesi alla porta suonarono.
«Credo che ti stiano cercando» disse, indicando la figura appena entrata.
Spostai la testa verso di essa ed eccola lì la fonte del mio mal di testa. Sospirai mentre la cameriera mi diede una pacca sulla spalla.
Inutile dire che a quanto pare era veramente lì per me. Fece per sedersi ma si fermò in attesa di una mia conferma, mossi la mano e lui si sedette.
Il silenzio regnò sovrano per dieci minuti buoni. Cominciai ad innervosirmi, non si aspettava mica che io parlassi per prima?
«I-io» balbettò «N-non so c-cosa dire di preciso».
Sul mio viso si dipinse un'espressione incredula quando mi resi conto di come si stava svolgendo la situazione. Avevo davanti un ragazzo, che normalmente mi avrebbe coperta di insulti, in totale imbarazzo incapace di formulare una frase di scuse. Mi divertii alquanto a vederlo in difficoltà, così che potesse capire come ci si sente.
«Magari puoi dire che ti dispiace avermi trattato male in un momento di rabbia senza motivo» feci una pausa «Visto che io non centravo nulla in quel preciso istante».
«M-mi...» deglutì «S-spiace. Mi dispiace».
Un sorriso di soddisfazione mi comparì in volto ma dentro di me mi sentivo alquanto strana. Non ero del tutto sicura che le sue scuse fossero sincere, ma gli era costato un grande sforzo ammettere di aver sbagliato.
«Vedo che avete sistemato» disse il proprietario alle mie spalle «Perché non festeggiate con un gelato?»
Lo guardammo entrambi con sguardo interrogativo. Gli dissi che era propriamente il tempo migliore per un gelato ma lui scrollò le spalle, farneticando qualcosa sul fatto che un certo tipo di gelato gli ricordava il primo appuntamento sulla spiaggia con l'amore della sua vita. Non riuscimmo a convincerlo che non era affatto una buona idea e di tutta rispostà ci forzò ad entrare nella cucina.
«Scommetto che ti è costato caro ammettere il tuo errore, vero ragazzo?» lui lo ignorò «La cosa più difficile è convincere una donna che le tue scuse sono sincere. La mia l'ho conquistata con un gelato, sapete?»
«Seriamente, non c'è bisogno di tutto questo! Io e lui siamo solo conoscenti, nulla di più!» dissi, alzando il tono della voce. Mi girai verso Mister X cercando la conferma nella mia affermazione ma il suo sguardo era focalizzato sulle vaschette di gelato artigianale, pareva che gli brillassero gli occhi.
«Qui ci sono tutti i gusti che volete! Ah, offre la casa!» disse l'uomo, ritornando nella sala.
Rimasi lì, sbigottita, a guardarlo andare via. Quando mi rivoltai vidi che si era già servito.
«M-ma te ne freghi di quello che ci ha detto?» chiesi.
«A dir la verità sto facendo proprio quello che vuole. Poi è gratis».
Spalancai gli occhi quando mi porse una coppa di gelato guarnita con panna e una ciliegia.
«M-ma che d-diam...»
«Se ti serve una conferma sulla mia sincerità, eccola qua. Proprio come ha suggerito!»
«C-come fai a sapere d-delle ciliegie?» chiesi. Tutti sapevano che le adoro, ma non mi capivo come potesse esserne a conoscenza lui.
«E' ovvio. Le porti dappertutto. Non sembra ma io li noto i dettagli» rispose, schivo.
«Non so che dire... Grazie». Mangiai la ciliegia e presi una cucchiaiata di panna.
Sentii le guance diventare calde, non mi aspettavo un gesto del genere, anche se non c'era minimamente della dolcezza.
Prese la panna spray e se ne spruzzò un po' sul palmo della mano e me la spalmò in viso.
«Questo è per la ghigna di soddisfazione che ti sei permessa di fare, prendendomi in giro» disse serio.
Presi il contenitore e glielo lanciai dritto in fronte «Questo è per voler avere sempre l'ultima parola!»
Cadde all'indietro tenendosi al mio braccio e mi ritrovai sopra di lui con la faccia ancora sporca. Lo fissai mentre si teneva la testa tra le mani, io cercai di pulirmi alla meno peggio. Aveva uno sguardo duro, probabilmente l'avevo fatto arrabbiare dopo aver constatato che aveva una botta viola dove l'avevo colpito. Mi alzai per cercare del ghiaccio che chiusi dentro una tovaglietta di stoffa.
«Scusami, non volevo farti male...» dissi, sentendomi in colpa.
Avvicinò la mano al mio viso e mi spostai convinta che volesse colpirmi, ma sentii il suo pollice appoggiarsi sulla mia guancia mentre toglieva un residuo di panna. I nostri sguardi si incrociarono, il suo ancora serio mentre il mio sorpreso.
Continuò ad accarezzarmi delicatamente la guancia, avvicinandosi a me. Appoggiò il ghiaccio sul tavolo senza staccare gli occhi da me, mi tenne il viso e mi baciò. Successe improvvisamente, con uno scatto inaspettato.
Non sapevo cosa fare, di nuovo. Sentii il petto bruciare e il cuore battere a ritmo frenetico.
Chiusi gli occhi sperando che quando li avrei riaperti fosse stato solo un sogno. Invece era reale.
Con un braccio mi cinse la vita e mi attirò verso di se. Era un bacio dolce ma deciso.
Il mio corpo non era in grado di sostenermi, le gambe non avevano più forza e le braccia erano appoggiate al suo petto. Nella mia testa frullarono mille domande a cui non sapevo dar risposta. Fui intrappolata nuovamente, senza controllo.
«Zucchero...» sussurrò, appena lasciò andare le mie labbra.



«Te l'avevo detto che il gelato è la soluzione a tutti i problemi cara!»
«Sì, ma chi ha scommesso su quei due quando li ha visti sul pontile? Tu non gli davi credito!»
«Tsk.»

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