Il Grande Muro

di AliceFoster
(/viewuser.php?uid=338726)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


POV SHINDOU
L’aria frizzante carezza la mia pelle chiara, passa tra i capelli mossi, libera. In questo momento mi sento bene come lo sono stato poche volte nei miei 14 anni di vita. La mia è una nobile famiglia tedesca che vive a Berlino da generazioni e io sono l’unico erede dei miei genitori; questo mi ha costretto fin dalla tenera età a studiare legge diritto ed economia e ad esercitarmi con il pianoforte, strumento in gran voga (?) per il quale sono particolarmente portato. I miei sono sempre via e li vedo davvero poco, non ho amici veri con cui parlare e la servitù mi tratta con garbo, senza mai concedersi  un po’ di confidenza. Oggi però è diverso. La servitù ha il giorno libero i miei sono fuori per lavoro e la balia dorme, così sono scappato per concedermi una breve passeggiata da solo per la città, cosa che mi è stata sempre negata. Cammino lentamente  lungo i giardini spogli, è inverno e io ho solo in leggero cappotto con me ma non m’importa perché il vento che mi soffia addosso rende tutto più piacevole. Continuo a ciondolare per la strada, le mani nelle tasche e la testa bassa, gli occhi quasi chiusi, cullato dal ritmo cadenzato dei miei passi. All’improvviso apro gli occhi, l’incanto di quel momento rotto da un rumore secco vicino a me. Vedo un gigantesco muro di cemento armato e filo spinato che si stende all’infinito, serpeggiante tra le case. Non ho mai visto questa zona della capitale. Le case fatiscenti hanno tutte le finestre sbarrate e non c’è nessuno per strada, nonostante siano le 4 del pomeriggio. Lentamente mi riaffiorano alla mente la spiegazioni dell’ insegnante di politica e storia riguardo alla divisione della mia città tra USA, Francia, Inghilterra e URSS la quale aveva ordinato la costruzione di questo gigantesco muro. I motivi me li aveva solo abbozzati, passando quasi un’ora raccomandandomi di non andare mai in quella zona della città. Ora mi trovo proprio lì e non ho la più pallida idea di come tornare a casa. Mi siedo preoccupato su quello che era un muretto di cinta, cercando un modo per cavarmi d’impiccio, quando scorgo un ciuffo rosa sbucare da sopra il muro. Al ciuffo seguono due grandi occhi azzurri come il cielo estivo, che scrutano ovunque fino a quando non si incontrano con i miei, stupefatti. Subito ritrae la testa, nascondendosi come può alla mia vista. Mi alzo in piedi incuriosito e cerco qualcosa che mi permetta di vedere oltre il muro. Adocchio subito una gigantesca scala che sembra fare al caso mio e l’appoggio delicatamente al muro. Prima di salire lancio un’occhiata guardinga al posto di guardia, così lontano da sembrare un puntino. Lentamente salgo. Mi affaccio, facendo attenzione al filo spinato e cerco con lo sguardo quel ragazzo. Lo trovo mentre si affaccia dalla porta della casa più vicina. Sembra spaventato, così gli sussurro:-  Pss, non avere paura. Non voglio farti del male. Che stavi facendo?- chiedo poi curioso. Il ragazzo si volta e mi fissa con quegli occhioni azzurri che mi lasciano senza fiato. Inizialmente sembra spaventato e fa per tornare dentro, ma io lo imploro di getto:- Ti prego… non andartene.- non ho neanche pensato prima di parlare, ma il rosa si avvicina e afferra una scala simile alla mia.
- Ciao -dice piano. - io sono di Berlino Est, sai? Non potrei parlare con te. -
- Perché? - chiedo. Sapevo di questa divisione rigida, ma che non potessimo neanche parlare…
- I Sovietici non lo permettono. Se mi scoprono i Vopos*… -
- Come ti chiami? - domando, incurante di quello che mi sta dicendo. D’altronde, abbiamo già infranto la regola…
- Kirino Ranmaru. E tu?
- Shindou Takuto**. -
- Che ci facevi seduto lì? Non hai l’aria di uno che fa la fame. -
- Mi sono perso. - ammetto a malincuore. - Tu perché guardavi di qua? - chiedo incuriosito. Lui si avvicina finchè quasi non tocca il filo spinato con il volto e poi sussurra:- Tento di scappare… da noi la situazione è insostenibile, e un orfano come me ha ancora meno speranze di guadagnarsi da vivere. - spiega afflitto. 
- Oh… capisco. - rispondo, ma in verità non ho capito molto. Perché la situazione è così dura? Non c’è la guerra… non faccio in tempo a chiederglielo che sento un vociare alle mie spalle.
- Devo andare. - gli sussurro scendendo. - torna domani! -
Poi mi giro e corro incontro agli Inglesi che camminano, terribilmente vicini dal scoprirmi, e chiedo informazioni per tornare a casa. Non mi resta che aspettare domani…

ANGOLINO DELL'AUTRICE MATTA che ha gli esami però perte temppo a scrivere ste cose obrobriose
* i Vopos erano delle guardie severissime che avevano l'ordine di spararea chiunque tentasse di sacvalcare il muro e dovevano mantenere l'ordine nella parte est della città.
** ho usato i nomi Giapponesi invece che quelli Italiani nonostante sia ambientato in Europa perchè mi suonano davvero brutti in Italiano... 
va buo, non ho da dire molto, spero che vi sia piaciuta almeno un pochino -seee come no e che recensirete. Sinceramente scrivere la vicenda al presente non mi convince molto, ma siccome sono tutta matta e non dò mai ascolto nemmeno a me stessa l'ho scritta così eugualmente! E' la mia prima fic, quindi suggeritemi cosa posso migliorare e soprattutto datemi un titolo decente... ne ho urgentemente bisogno!! ^^
Bisez! *la neuro la trascina via*

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


POV KIRINO
 
Fisso ancora un po’ spaesato il punto dove è scomparso il ragazzo, poi mi giro e torno strascicando i piedi verso la casetta diroccata dove abitavo prima e che ora mi offre a malapena un tetto sotto cui ripararmi, accendo un piccolo fuocherello e mi siedo su una vecchia sedia, la preferita del mio babbo, a riflettere. Ripenso ai vecchi tempi in cui vivevo con i miei due papà. Io ero stato adottato e non avevo mai conosciuto i miei genitori, ma non ho mai sofferto per questo. Provavo molto più dolore nel vedere scansati dalla gente i miei tutori, solo perchè erano gay. E io ero il figlio del demonio, il bambino cresciuto con due creature che, secondo tutti, avevano sicuramente venduto l’anima al diavolo. Ma alla fine non mi interessava molto quello che si pensava di noi, perché stavamo bene insieme. Ricordo ancora la modesta casetta quando le bombe non l’avevano ancora distrutta: aveva delle delicate pareti color con tanti bei quadri dipinti dai miei genitori appesi alle pareti. C’era una piccola cucina in legno e un bel camino che accendevamo sempre, anche d’estate, perchè amavamo riunirci attorno ad esso a raccontarci storie tristi di dame rapite e cavalieri coraggiosi. Rivedo ancora il viso rilassato di Myoka mentre ascoltava a voce profonda si Shinjuku e il bacio che si scambiavano ogni sera, augurandosi la buona notte. Un bacio a fior di labbra, casto, non come quelli che vedevo e vedo ancora scambiarsi tra le coppie “normali”, così possessivi e disgustosi. Secondo me sono quelli che hanno venduto l’anima al diavolo… Asciugo una lacrima che si è fatta strada tra la sporcizia del mio volto e mi perdo nuovamente nei ricordi. E’ cominciato tutto, o meglio, la fine è cominciata quando quell’uomo è salito al potere. All’inizio non sembrava fare niente di male, ma poi sono cominciate le persecuzioni. Ebrei, zingari, storpi, gay. Tutti portati via da un treno, lungo e nero, che sembrava non dovesse finire mai. Noi siamo fuggiti, prima in Austria, poi in Francia. Ma ovunque andassimo il treno era sempre lì per portarci via. Alla fine siamo tornati a Berlino, nella nostra casa. E li è successo. Era notte, dormivamo. Sono arrivati i dei soldati, hanno bussato. Noi non abbiamo risposto e loro hanno buttato giù la porta. E’ stato tutto talmente veloce  che mi ricordo solo le urla di Mica e Shinuky morenti, la loro voce che mi gridava di scappare, il pavimento scivoloso di sangue. Sono fuggito lontano, dall’altra parte della città, e sono tornato solo una settimana dopo. Più che dei soldati, avevo paura  di vedere i miei genitori morti, i loro cadaveri sul pavimento incrostato di sangue. Quegli inietti li avevano lasciati così, accasciati per terra, stretti l’uno nelle braccia dell’altro, gli occhi aperti in un muto grido di terrore. Ma vedevo anche amore nei loro occhi spenti, che sentivo essere rivolto a me e al compagno che abbracciavano, e la felicità di essere rimasti insieme fino all’ultimo. Li seppellii nel pratino dietro casa, in profondità. La bombe non li hanno toccati. Vado spesso da loro quando sono giù, cioè sempre. Finita la guerra vera e proprio la parte dove vivo è  stata occupata dai Sovietici, l’altra dai Francesi, dagli Inglesi e dagli Americani. I soldati dell’ URSS sono tremendi, nessuno può oltrepassare il confine, pena la morte.. Di qua si patisce la fame, le strade sono distrutte, le case rase al suolo. Si dice che di là, oltre il muro, ci siano giardini pieni di alberi sempre in frutto, case colossali messe a disposizione di tutti e che regalino il cibo. Cose assurde, lo so, ma se la gente racconta ci deve pur essere no? Così sono andato a vedere e ho incontrato lui. Quel ragazzino solo, tutto ben vestito, lavato e profumato, con quei capelli grigi dolcemente mossi, sembravano così setosi, così morbidi… e quegli occhi profondi di un nocciola quasi rosso, così intensi, da cuo trapelava gioia ma anche dolore. Dolore per cosa? E perché se ne stava tutto solo? Appena lo avevo visto il cuore aveva preso a battermi all’impazzata ed ero diventato tutto rosso, scivolando giù dalla scala. Sapevo di essere gay, ma da quando i miei sono morti non ho mai voluto ammettere di provare amore verso qualcuno, forse perché tutte le persone che mi stanno vicino finiscono prima o poi col morire o con l’abbandonarmi, spezzandomi il cuore. Eppure… cullato da questi pensieri, scivolai nel sonno senza accorgermene, desiderando di rivedere quel ragazzo il più presto possibile.

Angolino dell'autrice e di tutta una serie di personaggi che non farà comparire perchè non ha il tempo di scrivere
Ok, questo è stato un vero parto. In tutti i sensi perchè un pezzo ne ho scritto mentre ero in ospedale. Ma tralasciamo....
Premetto che doveva essere tutt'altra cosa, ma poi e scappata fuori questa "creatura" e... va buo, l'ho scritta di getto. Peccato che la prima stesura non avesse senso e che l'ho dovuta modificare tutta. (della serie: io ho andando dall'altro della città capo....)
Kirino è diventato una specie di psicologo che tira fuori i sentimenti di un morto dallo sguardo che aveva prima di morire. contento lui...
Almeno è uscito fuori qualcosa. Una volta finito non sapevo se ridere dalla contentezza di non dover scivere più di morti per altri tre giorni o mettermi a piangere perchè avevo ucciso un sacco di gente innocente (cioè due persone... -.-) e perchè vi faccio leggere queste cose indecenti.
P.S vorrei un consiglio: lascio questo rating o lo metto giallo? Ci sarà almeno un'altra scena in cui descrivo la morte di qualcuno in maniera piuttoso dettagliata... non tanto, ma non so se rientri comunque nel verde.
Bisez *3*
Ali

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


POV KIRINO
 
Mi sveglio di soprassalto, allarmato dallo scoppio di alcuni proiettili. Guardo in alto attraverso uno dei tanti fori apertisi nel tetto: il sole è già alto nel cielo e a quell’ora i contadini che vivono in fondo all strada partono per andare fuori città… Corro fin dentro ad una gigantesca casa diroccata ed aspetto che escano, poi mi intrufolo all’interno e rubacchio qualcosa da mangiare. Mentre sgranocchio una carota ripenso a ieri. Avevo un piano perfetto: se non ci fosse stato nessuno in vista, sarei salito fin sopra il pilone e, agile e leggero come sono, sarei scivolato sui cavi elettrici fino al pilone dall’ altra parte del muro. Semplice no? Se poi non mi sarebbe piaciuto quello che avrei trovato, sarei tornato indietro. Peccato per quel ragazzino…
 
 
POV SHINDOU
 
Nessuno si era accorto della mia assenza, la balia dormiva profondamente quando sono rientrato. Oggi però sarà molto più difficile uscire: la servitù è ovunque e la balia è svelta e attenta come non mai. Mi sto scervellando da più di un’ora in cerca di qualche stratagemma, ma niente. Non posso nemmeno fingere di andare da Tenma, l’unico ragazzo che mi consentono di frequentare, perché è malato e nessuno può entrare nella sua camera. Aspetta… è malato… e nessuno può entrare nella sua camera! Ma certo! Svelto, mi infilo il pigiama e mi spingo sotto le coperte, prendo la borsa con l’acqua calda e ma la sistemo in fronte. Dopo poco divento bollente e chiamo la balia, che arriva di corsa.
- Mi ha chiamato signorino? - Chiede.
- N-non mi sento troppo bene… Credo che il signorino Tenma mi abbia attaccato la febbre… - Mormoro.
La balia aggrotta le sopracciglia curate. - Ma il signorino Tenma non ha la febbre. Mi è stato riferito che è a letto con la varicella… - Mi spiega cauta.
- Hem… A si? - Spalanco gli occhi. Che faccio se mi scopre? - Bhè.. Io… io… io credo comunque di avere la febbre. Mi fa male dappertutto e sento tanto, tanto freddo… - sussurro flebile tirandomi le coperte fin sopra il naso. Con fare inquisitorio la donna mi si avvicina e appoggia una grande manona sulla mia fronte. Questa volta è lei a sbarrare gli occhi, preoccupata. La borsa con l’acqua calda ha fatto il suo lavoro…
- Provvedo subito. - Mormora lei prendendo un termometro e mettendomelo in bocca. - Torno subito. - Mi dice prima di andarsene. Perfetto. Tiro un sospiro di sollievo togliendo il termometro e lo posiziono sopra la borsa dell’acqua calda, vado in bagno e mi tampono la fronte con un fazzoletto umido, così sembrerò sudato. Torno in camera e mi rimetto  sotto le coperte con il termometro in bocca, è bollente, spero di non aver esagerato o mi potrebbero portare in ospedale dove non avrei possibilità di fuga. Quando torna la balia le sussurro con la vocina più flebile che riesco a fare di disporre l’ordine di non far entrare per nessun motivo qualcuno nella mia stanza, neppure per i medicamenti. Lei annuisce e esce e io sospiro di nuovo -ce l’ho fatta!- poco dopo chiudo la porta a chiave, che metto in tasca, ed esco di soppiatto dalla finestra. Inspiro forte l’aria fresca che mi gela i polmoni, poi corro veloce verso il muro, serpeggiando fra le case diroccate. I quartieri si fanno mano a mano sempre più poveri e squallidi fino al muro, che troneggia imponente sovrastando le macerie. Rallento fino a fermarmi a pochi passi da esso. Non so che fare, probabilmente Lui non è nemmeno venuto, perché dovrebbe rischiare così tanto per me? Perso in questi pensieri sussulto stupito quando un sasso colpisce la mia gamba. Continuano a piovere sassi finchè non afferro la scala e, dopo aver lanciato un’occhiata alla torre di guardia, mi sollevo al disopra del filo spinato.
 
 
POV KIRINO
 
Sto per lanciare un altro sasso quando accorgo di un ciuffo di capelli mori che sbucano sopra al muro. Mi aggrappo alla scala e, salito in cima, chiedo:- Sei tu Shindou? -
La risposta non si fa attendere, accompagnata da quei profondi occhi nocciola che mi fanno impazzire.
- Sono io. Non credevo che fossi venuto davvero…-
- Ti avevo detto che sarei venuto e l’ho fatto. - Rispondo convinto. In quel momento il mio stomaco brontola, a quanto pare le carote rubate ai vicini non sono bastate…
- Hai fame. - Più che una domanda, una constatazione.
- Si. - Rispondo semplicemente. Perché mentire? Lo sa che sono un povero orfanello… I suoi occhi si velano di tristezza. Si china e fruga in una piccola tracolla, ne estrae un involucro caldo.
- Non è molto ma… - Mormora porgendomelo.
- Grazie, ma io non… - Me lo mette in mano con decisione.
- Prendilo. A casa ne ho altri. Se vuoi domani teli porto. - Mi dice, deciso. Non posso far altro che accettare, seppur con riluttanza. Non ho mai amato i regali dettati dalla compassione, odio che gli altri mi compatiscano. Soffro, ma come tutti…
- Almeno dividiamolo… - Tento.
- No, ne hai più bisogno tu. - Liquida il discorso con un gesto della mano. Convincente il ragazzino! Sospiro rassegnato. Scarto l’involucro tiepido e mi ritrovo fra le mani una pagnotta calda. Chiudo gli occhi estasiato e ma la porto al naso, inspirando l’odore corposo e fragrante del pane. Quanto tempo è che non ne mangio? Una vita.
- Grazie. - Mormoro.


ANGOLINO DELL'AUTRICE MATTA CHE DEVE FUGGIRE
Ho poco da dire su questo capitolo e devo anche fuggire visto l'orario in cui aggiorno. ^^
Non so se far continuare il loro dialogo nel prossimo capitolo e far finire la fic al loro secondo incontro (Ho già in mente il finale... Non troppo bello per questi due poveri disgraziati. Kirino/Shindou: Che?? O.O) o scrivere che si sono incontrati ancora un po' di volte, si sono conosciuti meglio e bla, bla, bla... per poi farla finita. Non saprei, credo che farli incontrare solo due volte li faccia sembrare un po' troppo superficiali, insomma dire che si beeeeeeep *censura per spoiler* dopo 2 incontri è proprio da beeeeeep *censura... e basta :)* Comunque mi servono idee sul dialogo, in casi non si fosse capito io sono bravina a descrivere, anche se con il presente mi rimane un po' difficile, (Kirino: E allora perchè l'hai usato? Io: Zitto, mi è venuta in mente così e così l'ho scritta u.u) ma nei dialoghi zero. In più questa fic sta diventando una noia mortale perchè manca un po' di azione... Ma vedrò di rimediare.^^ (Kirino/Shindou: *rabbrividiscono*)
Ringrazio infine Sethmentecontorta perchè recensisce ongni capitolo e ha anche inserito la sua fic nei preferiti. (Sotto minaccia... ^^)
Baci *3*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


POV KIRINO
 
Sono passati giorni dalla prima volta che ci siamo incontrati. Da allora abbiamo parlato molto e ci siamo confidati in una maniera che mi sembra quasi assurda: non  ho mai raccontato così tanto di me a nessuno dei miei compagni, tutti ladruncoli come me, figuriamoci ad una persona che conosco a malapena! Eppure con lui ’ho fatto. Non riesco a comprendere come due persone tanto diverse possano essere diventate intime in appena 5 giorni; forse perché così diversi, in fondo, non lo siamo… entrambi “orfani” di genitori, io davvero, lui non li vede mai ed è come se non li avesse; entrambi soli e bisognosi di affetto e comprensione, senza compatimento; entrambi alla ricerca di un amico con cui confidarsi e sfogarsi. La fortuna ci ha fatti trovare, e ora eccoci qui, a parlare come se niente fosse, appoggiati al muro che ci dovrebbe dividere ma che invece ci unisce.
- Stavo pensando… - La voce di Shindou mi arriva come ovattata, coperta dal suono caotico dei miei pensieri. - Potresti provare nuovamente a venire di qua. Sembra terribile la città dalla tua parte… Non che qui sia meglio, chiaro. Però… Potresti provare a venire a casa mia. Potrei dire che cerchi lavoro e che mi piacerebbe avere un cameriere personale. Verresti trattato con ogni riguardo, avresti sempre cibo, acqua un letto caldo su cui dormire… E poi… Potremmo stare sempre insieme. - A queste parole china il capo. Scorgo il suo viso farsi rosso da sotto la cortina di capelli che ha calato davanti alle guance e sorrido. - Non dovremmo più scappare per incontrarci… -
- … o parlare di nascosto con la paura dei Vopos… -
- … e non avremmo più questo stupido filo spinato a dividerci! Ranmaru, vieni da me! -
Quando si accorge di avermi chiamato per nome arrossisce ancora di più. 
- Va bene così… Takuto. - Gli sorrido. Lui mi guarda e fa una faccia buffissima, chissà cosa starà pensando! Comicio a ridere di gusto. Subito si riscuote e mi guarda male.
- Umpf… -
- Non te la prendere, ma avevi una faccia buffissima! - continuo a ridere finchè uno sparo che sembra tremendamente vicino mi fa raggelare il sangue. 
- Vieni ora, non penso che potò continuare a fingermi malato anche domani… La balia ormai ha capito che c’è qualcosa che non va, non faccio mai entrare nessuno nella mia stanza e mi curo da solo, non ho mai fatto così! -
Annuisco piano e mi dirigo verso il pilone della luce.
Arrivo Takuto!
 
 
POV SHINDOU
 
Lo vedo arrampicarsi agile e leggero sul pilone che regge i cavi dell’ elettricità. Mi stupisco di come sia veloce e forte, nonostante mangi così poco riesce a fare cose impossibili. Ecco, è arrivato sulla cima del pilone. Lancia un’un occhiata guardinga verso la torretta dei Vopos, ma non sembrano accorgersi di lui. Lentamente, comincia a camminare a passo incerto lungo i cavi sottili. Ho paura che non lo reggano, è magrissimo e peserà la metà di me, ma quei cavi non hanno un’aria molto sicura!
- Stai attento! - Sibilo nella sua direzione, ma lui non sembra avermi sentito perché continua a camminare. Ad un certo punto accede quello che temevo, sta per arrivare dalla mia parte quando un cavo si spezza e lui perde l’equilibrio. Rimane aggrappato a cavi con una sola mano e lancia un grido disperato, sta per precipitare! Uno sparo. Spalanco gli occhi, vedo il mio amico precipitare nel vuoto. Per fortuna è dalla mia parte e riesco ad afferrarlo, cadiamo insieme nella polvere. 
-Ranmaru! Ranmaru stai bene? - Vedo del sangue sui suoi vestiti, cola lungo il braccio, giù, fino alla gamba.
- Ranmaru! - Grido ancora.
- T- Ta - Takuto… - Balbetta tentando di aprire gli occhi. Vedo la sua mano fremere, glie la afferro con foga. 
- Ranmaru va tutto bene, sei dalla mia parte ora, sei al sicuro. -
Un nuovo sparo, sempre più vicino.
- Dobbiamo andare, ce la fai a muoverti? -
- M- Mi anno colpito alla spalla e ad una gamba… Cof, cof. - Tossisce sangue, sono disperato e non so che cosa fare. Lo abbraccio stretto e affondo il viso fra i suoi capelli. - Non ti lascio. - Mormoro.
Arrivano. Sento i loro passi serrati, lo scoppio dei loro fucili. Ho paura ma non lo voglio lasciare. Non voglio. Il suo respiro si fa sempre più flebile. Fisso i suoi occhi color cielo, mi perdo in quell’immensità azzurra per l’ultima volta. - Ti amo. - Un nuovo sparo. Non mi sento più un braccio, ho una mano completamente coperta di sangue vischioso. Spari -lontani,vicini? Non sento più bene-  un dolore sordo al centro della schiena. Voci sommesse gridano parole incomprensibili. Stringo con le ultime forze che mi rimangono il corpo caldo di Ranmaru, poso un dolce bacio sulle sue labbra morbide. - Addio. - mi abbandono sopra di lui, stringendo ancora il suo corpicino esile. I tuoi occhi sorridono per l’ultima volta. 
-Ti amo Takuto-
 
Sai Ran-chan? Avevano ragione i tuoi genitori. E’ davvero bello morire tra le braccia della persona che si ama.
 
Angolino di un'autrice depressa che non vede l'ora di buttarsi da un ponte
Questo capitolo l'ho iniziato senza avere un briciolo di ispirazione, ma l'ho finito con una briciola di voglia in più. Ovvio, dovevano morire,  amo descrivere queste scene. (fluff a parte, lì faccio schifo proprio, non c'è scusa che tenga.) Scusate il ritardo ma martedì dovevo scegliere se andare in gita di fine anno a Roma o fare l'esame professionale di Danza, ho scelto l'esame e puntualmente il giorno prima febbre a 39,4. Da suicidio. Davvero, sono caduta in depressione. In più ho un mal di gola pazzesco, non parlo più per la felicità della mia famiglia.  Con questo capitolo comunque chiudo la mia prima long (che poi tanto long non è) tra fiori d'arancio e sangue, come piace a me. Spero che vi sia piaciuta, mi sono divertita a scriverla.
Vi lascio che mi devo mettere alla pari con tutti quegli stupidissimi compiti...
Bacioni Depressi TT3TT
*prende una pasticca di cianuro e si lancia da un ponte (sotto al ponte scorre un fiume di azoto liquido)*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1778472