I'll be your redhead girl

di Ordinaryswan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Adjectives ***
Capitolo 3: *** Help ***
Capitolo 4: *** Drinkin' is the way ***
Capitolo 5: *** All night long ***
Capitolo 6: *** Sunup ***
Capitolo 7: *** Tonight the world dies ***
Capitolo 8: *** Party poison ***
Capitolo 9: *** Something new ***
Capitolo 10: *** On the bus ***
Capitolo 11: *** Turin; ***
Capitolo 12: *** Naked ***
Capitolo 13: *** In Loving Memory ***
Capitolo 14: *** I wanna see your smile ***
Capitolo 15: *** Anyway ***
Capitolo 16: *** Cold and calm ***
Capitolo 17: *** Sea ***
Capitolo 18: *** Touch me ***
Capitolo 19: *** Desire ***
Capitolo 20: *** You and I ***
Capitolo 21: *** The secret is out ***
Capitolo 22: *** Fall to pieces ***
Capitolo 23: *** Weird life ***
Capitolo 24: *** She dreams of love ***
Capitolo 25: *** The story goes on ***
Capitolo 26: *** It's a new beginning ***
Capitolo 27: *** We are at the start ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao! Allora questo è un piccolo esperimento. Ho iniziato a scrivere questa storia per gioco, così perché avevo voglia di scrivere qualcosa di diverso. Spero che questa storia sia piacevole e non pesante. Non so mai cosa pensare del prologo. Come ogni autrice, suppongo, mi piace sentire i pareri dei lettori perciò non siate timidi (: ... Anyway, grazie per aver aperto la mia storia, Cri ^^


Mi ero sempre chiesta come girasse il mondo, non nel senso strettamente fisico, per quello c'erano i libri, per tutto il resto?

Chi mi diceva se esisteva o meno la fortuna? Chi mi diceva cosa?

Ero stranamente dissolta dal mio mondo – asociale – dei sogni per tornare alla realtà.

Ero al quarto anno di conservatorio. Non ero male, affatto. QUesto mi impegnava molto spesso fino alle tre del pomeriggio. Nel tempo rimanente cercavo di sopravvivere.

Beh, dicevo, ero tornata sulla Terra per un motivo : il professore di Storia della Musica veniva sostituito perché lui doveva operarsi. Assurdo.

Era l''unico professore che riuscisse, in tutta quella teoria, a farmi arrivare qualcosa: con lui l'associazione delle parole musica e storia aveva senso, non era una narrazione dei fatti.

Il problema era che sarebbe arrivato un supplente il giorno successivo.

Rimasi incantata davanti alla bacheca per venti minuti a leggere la mia disgrazia scolastica, poi con l'Ipod alle orecchie uscii dall'edificio.

Pioveva quel giorno, non troppo forte ma a vento, e ciò significava che l'ombrello non serviva a niente poiché l'acqua mi avrebbe bagnato comunque e così avvenne.

Mi girai indietro per un secondo, l'edificio della scuola di Firenze era molto bello all'interno, ma da fuori, con la pioggia, aveva un aspetto troppo serio.

Firenze era la mia città.

Non poteva esserci niente di più bello per me, anche perché non avevo visto molte altre città.

A Bologna stava mia nonna, e la città mi piaceva, ma mai come Firenze. Tutte le altre le avevo viste in fotografia per lo più.

 

Rientrai a casa, un appartamento di 150mq, enorme e arioso. Una casa da sogno che non mi apparteneva affatto e in cui non mi sentivo molto spesso a mio agio.

Come mi aspettavo non c'era nessuno; abitavo con mio zio, la casa era sua ed io ero orfana per colpa di un incidente stradale. Non ero una che amava parlarne.

Mio zio era il parente più vicino ai miei, era adorabile se non per il fatto che non ci fosse mai a causa del suo lavoro.

Non mi lamentavo, poteva andarmi peggio e poi ormai erano passati 10 anni dall'episodio e smisi di pensarci.

Oltrepassai la cucina e il salone, sorridendo al mio pianoforte, e arrivai nella mia stanza dove buttai lo zaino in malo modo e mi misi a leggere la relazione che avrei dovuto consegnare il giorno dopo.

Appena approvai tutto ciò che avevo scritto misi la mia firma: “Lana Mati”

Cenai con un primo scaldato al microonde. Avrei dovuto fare la spesa quel week-end per non nutrirmi costantemente coi surgelati di mio zio, che per altro, non mi piacevano.

 

Andare a letto fu da una parte un sollievo, ero stanca, era giovedì e stavamo giungendo alla fine della settimana. Per altri aspetti volevo che il giorno seguente non arrivasse, perché non ero pronta ad affrontare un cambiamento nella mia monotona routine di casa-scuola e scuola-casa.

Le poche volte che uscivo era perché lo zio Jack, così lo chiamavo, anche se il suo nome era Giacomo, aveva bisogno di staccare dal lavoro e fare un po' di shopping e quindi si portava in giro me. Ogni tanto mi faceva anche piacere. Le altre poche volte in cui uscivo era per andare a casa di Lorenzo, il mio amico di infanzia, gay, che abitava davanti al mio appartamento.

Era chiaro no che ero un'asociale? Eppure lo ribadivo.

Al mattino, già stanca per la levataccia andai in cucina per la colazione. Almeno quella, in quella casa, era qualcosa di decente. Avevamo infatti una macchinetta che faceva cappuccini perfetti. Un paio di biscotti della migliore pasticceria della città e la mia colazione era fatta.

Trovai lo zio seduto a bere il suo caffè.

“Ciao bellezza” mi chiamava così in ogni momento della giornata. Lui era quel tipo di uomo che tutte le donne vorrebbero accanto: gentile, bello, malizioso, elegante e ricco.

“Mmh” mugugnai strusciandomi gli occhi.

“Ti ho già preparato tutto” mi disse e guardai il tavolo dove trovai la colazione pronta. Non scherzavo quando dicevo che era uno zio adorabile.

Feci un mezzo sorriso e mangiucchiai i biscotti.

 

Uscii di casa contemporaneamente con Jack.

Direzioni opposte.

Io avevo la mia bici per girare la città e così giunsi a scuola.

La monotonia era sempre stata la mia caratteristica anche nelle cose più banali.

Davo il buongiorno in generale alla classe quando entravo, poi mi sedevo subito, ripassavo se ce ne era bisogno, o sennò mi mettevo con l'Ipod in un angolo in attesa del professore.

Le mie amicizie si limitavano alle sei ore scolastiche come compagni di classe e niente di più. Preferivo comunque la compagnia maschile a quella femminile, che per qualche strano motivo non mi sopportava. Come avevo già detto, ero bravina. Soprattutto in due materie: pianoforte e storia della musica. Le materie principali della mia sezione, per il resto ero nella norma.

Poi, non sapevo minimamente perché le ragazze mi guardassero male.

Fisicamente ero solo una femmina. Okay, affermazione ovvia ma avevo semplicemente degli occhi color cioccolato, capelli rossi non quel rosso tendente all'arancione, ma il rosso mattone, labbra carnose ma non troppo grandi, e a parte il viso il mio corpo davanti era una tavola da surf, dietro potevo vantarmi di un bel sedere, forse l'unica cosa di cui potevo vantarmi.

Mi sedetti nell'aula 8 alle ultime due ore aspettando il peggio: il supplente.

Al suono della campanella entrò un ragazzo, che ci fosse un nuovo compagno di classe a metà anno?...

Era assurdo, quel ragazzo, perché avrà avuto più o meno la mia età si andò a sedere alla cattedra.

Scossi la testa amareggiata. Un moccioso che beveva ancora il latte era stato mandato a insegnarmi la materia più importante della mia sezione.

Non ci potevo credere, e non potevo credere che tutte le mie compagne fossero già a mormorare tra loro quanta fortuna avessero, solo perché era oggettivamente piacevole alla vista. Moro, occhi blu, bel portamento, sorriso smagliante.

Io non volevo una sottospecie di graziato dalla natura con un fisico perfetto, io volevo un insegnante.

Ero indignata abbastanza che misi via i quaderni e i libri e cominciai a fissare il vuoto pur di non ascoltare una parola che uscisse da quella bocca.

Capii distrattamente che si chiamava Kristian Adams.

Mi dava sui nervi quella situazione.

Cominciò a leggere i nomi dall'elenco per associare nomi a volti.

Quando fu il mio turno alzai distrattamente la mano, posando lo sguardo dopo ben venti minuti su di lui.

“Ci degna della sua attenzione signorina Mati, finalmente” queste affermazioni mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro. Riuscivo sempre ad essere indifferente a ciò che mi stava intorno perciò alzai semplicemente le spalle, ma lui continuò.

“Bene, vedo che sei la più brava in questa materia, potresti rimanere a fine lezione per spiegarmi fin dove siete arrivati e il programma che dovete fare”

“Perché io? Tutti sanno cosa abbiamo fatto”

“Ma alle secchione dovrebbe piacere questo genere di cose” disse il professore e le oche di classe mia risero con lui.

“Peccato che lei non sia una secchiona” intervenne Edoardo, l'unico con cui parlassi davvero volentieri.

“Ormai ti ho scelto” disse serio il professore, rifeci un'altra alzata di spalle e controllai l'ora, cosa che diede molto fastidio al nuovo professore.

L'indifferenza era una brutta cosa per chi ce l'aveva -io- e per chi la subiva -tutti quelli che mi stavano intorno-.

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Capitolo 2
*** Adjectives ***


Solitamente la campanella era il sollievo di ogni studente, quel giorno era la mia tragedia.

Non ero una di quelle che amava fare approfondimenti o rimanere a parlare con i professori per farseli amici.

Non mi interessava, io facevo solo il minimo necessario per portare qualche soddisfazione a Jack che mi manteneva e a mia nonna che ogni giorno mi chiamava per sapere come stavo.

Tutto qua. Per il resto dovevo comportarmi come una persona responsabile, dovevo esserlo. Ero sola dopotutto.

Ogni giorno dovevo affrontare solo me stessa, al mattino avevo a che fare con la scuola per il resto ero sola con me stessa, perciò l'idea di rimanere con un'altra persona a scuola mi dava fastidio.

Non era la mia routine.

Io, a quel punto, avrei dovuto togliere il lucchetto alla bici, montarci sopra ed arrivare a casa.

Invece ero seduta sul mio banco, avevo aspettato che tutti se ne fossero andati, avevo aspettato pazientemente che il prof. Adams scrivesse tutto quello che aveva fatto sul registro.

“Insomma ragazzina, con cosa dovrei continuare il programma?” svogliata, mi alzai a quella domanda, mi avvicinai alla cattedra con il libro in mano.

“Dovremmo iniziare Mozart, sempre che lei sappia chi sia e cosa abbia fatto” lui rise.

“Arrogante” disse solo guardandomi negli occhi. Aveva due fottuti oceani al posto degli occhi, possibile? “Dunque, supponiamo che io non sappia chi sia costui, non dovrei fare prima un contesto sociale e storico per capire in che mondo vive questo certo Mozart?”

“Giusto, non lo abbiamo fatto, ci siamo fermati alla fine del seicento”

“Allora mi dispiace per te ma ancora prima di fare questo Maestro, dovremmo fare la prima parte del '700”

“Come vuole” dissi. Ma chi si credeva di essere? Ciò non dimostrava che lui sapesse spiegare, ma che sapesse le cose che io ancora dovevo studiare solo perché era un ventenne già diplomato.

“Posso andare adesso?” domandai.

“Per oggi si, domani mi servi di nuovo”

“Se ne trovi un'altra!” risposi.

“Tu sei più divertente” sorrise malizioso prendendo la tracolla e uscendo dalla stanza.

Un'altra cosa che non sopportavo? Quel tipo mi dava del tu mentre io ero costretta a dare del lei ad un mio coetaneo.

 

Appena uscii fuori mi recai al supermercato insieme a Lorenzo che mi aiutò a riempire di nuovo il frigo con del cibo commestibile.

Raccontai a lui, la mia giornata e trovò divertente che un professore mi irritasse tanto. Io lo trovavo patetico.

Arrivata a casa non potei far altro che studiare pianoforte visto che avevo una prova il giorno seguente.

 

Il giorno seguente, però, arrivò troppo presto insieme alle mie occhiaie.

Raccattai una tuta dall'armadio e andai a scuola in bici nella maniera meno curata che si fosse vista.

Feci tranquillamente le ore di pianoforte. Quelle di teatro furono estremamente noiose che rischiai di addormentarmi sul letto di scena, se non ci fosse stato Edoardo probabilmente l'avrei fatto. Poi le ore che non avrei più sopportato da qui al rientro del mio vecchio professore: storia della musica.

“Buongiorno” disse sorridente il prof. Adams. Feci cadere la testa sul banco, intenzionata a dormire durante quelle ore.

“Non so come siete abituati, ma io non seguirò il libro, le mie lezioni saranno molto diverse da quelle a cui siete abituati” quello di sicuro, saranno noiose e ancora più noiose, pensai.

Cominciò a parlare in una maniera così, come dire, colta che sembrava un'altra persona.

Ci spiegò il contesto sociale e storico come se la nostra classe fosse l'Europa del settecento e mi sorpresi, perché non mi aspettavo di trovare le sue lezioni quasi piacevoli, non ancora interessanti ma non noiose.

Chiamò varie persone alla cattedra per rappresentare uno status quo di persona.

Doveva aver saputo che facevamo teatro, per poterlo fare.

Nessuno infatti era in imbarazzo, anzi, erano tutti eccitati di queste nuove attività.

Anch'io ne ero parzialmente compiaciuta.

Mi fece alzare poi.

“Sapresti ballare un ballo dell'epoca con un tuo compagno?” annuii.

Scelsi Edoardo, sia perché era il mio compagno di teatro, sia perché non avevo idea di come gli altri ballassero.

“Mh, non che fosse proprio così, ma avete capito più o meno com'erano i balli di corte” mi mandò a sedere dopo aver ballato.

Dovevo assolutamente ritirare tutto quello che avevo detto sulle sue lezioni piacevoli. Lui non mi sopportava, io nemmeno. L'antipatia è spesso reciproca.

Alla fine delle due ore rimasi lì come il giorno prima.

“Voglio una mappa della classe con i nomi di tutti” disse.

“L'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re”

“Spiritosa” disse con tono ironico. “Mh, spiritosa ed arrogante, vuoi aggiungere altro signorina Mati?”

“Devo fare la mappa non mi distragga, o le potrei mettere un nome al posto di un altro”

lui rise divertito, io ero sempre più stizzita.

A metà lavoro fui distratta da un ticchettio fastidioso e violento, mi girai verso la finestra e vidi che stava diluviando.

“Cazzo” mi sfuggì sottovoce.

“Oh ecco, dovevo aggiungere l'aggettivo fine” aggiunse lui con il suo solito sarcasmo. Seguì poi il mio sguardo e si rese conto a cosa mi riferivo.

“Hai paura di un po' di lampi?” mi canzonò. Mi trattenni dal rispondergli male solo perché era un professore.

“No, per colpa sua, io mi bagnerò come se entrassi in doccia vestita e per di più dovrò stare in mezzo al traffico cittadino e mi ammalerò”

“Per un po' d'acqua tutte queste storie... esiste l'ombrello nel ventunesimo secolo, sai?”

“Sono in bici razza di..” mi tappai la bocca; stavo per dire razza di idiota. Rise ancora più forte.

“Ti accompagno io, perciò muoviti a finire” mi disse. Borbottai qualcosa di incomprensibile e terminai velocemente la cosa.

Non volevo affatto montare sulla sua auto. Non volevo avere nessun tipo di contatto ancora con quel ragazzo impertinente, arrogante, presuntuoso, egocentrico e sfrontato. Questi erano gli aggettivi di una Lana che si stava trattenendo.

Finii e lo seguii fino al parcheggio.

Dovevo immaginarmi che non girasse con una semplice macchina da comuni mortali. Aveva una Mercedes. Ecco come era finito ad insegnare, pagando. Pagando il preside della scuola.

Okay, era un'ipotesi ma ciò mi fece star meglio.

“Deve sapere che io non voglio avere a che fare con lei ancora il pomeriggio perciò si trovi un'altra schiavetta” dissi.

“Okay, nel week-end non mi servi, forse magari lunedì ti tratterrò, sei più simpatica quando ti arrabbi” disse. La presi come una offesa e mi limitai a muovere velocemente le dita sul vetro del finestrino, facendolo innervosire.

Gli indicai la strada e si fermò proprio davanti a casa mia.

Ecco, ora ci sarebbe stato il momento imbarazzante.

Lui mi aveva fatto una cortesia, avrei dovuto invitarlo a salire o no? La buona educazione mi diceva di sì. Crescendo, poi, con Jack, avevo ormai preso a fare come lui.

“Le va di prendere qualcosa?” sorrise e annuì.

Girai la chiave del portone di casa. Non ci sarebbe stato nessuno perciò ero tranquilla.

La casa vista da un estraneo poteva sembrare non vissuta, ed era vero, io stavo solo nella mia stanza. La cucina e il salone erano giornalmente puliti da Marika la nostra cameriera.

“Vivi da sola?” perché doveva essere così indiscreto?!

“No, ma la casa non è mia se è questo che le interessa”

“È molto bella” concluse e sussurrai un grazie.

Lo feci accomodare in cucina e lo vidi illuminarsi, beh si, la cucina era davvero bella.

“Ehm vuole qualcosa da bere, un caffè..?”

“Hai pranzato?” mi chiese senza farmi finire.

“No, mi ha trattenuto a scuola” dissi come se fosse ovvio

“Nemmeno io, perciò posso usare questa meravigliosa cucina?.. Adoro cucinare” mi disse. Alzai le spalle e lo lasciai fare.

“Non dirò mai faccia come se fosse a casa sua, se mi rompe qualcosa mi incazzo” dissi seria e mi andai a sedere vicino al tavolo osservandolo muoversi nella mia cucina.

Si muoveva bene, nel senso che era bravo e non volevo scoprire in cos'altro era bravo. Non lo sopportavo già in quel modo.

Quando finì, pranzammo in silenzio, non avevo molto da dire e lui aveva troppa fame per parlare.

“Ti aiuto a lavare i piatti, ho sporcato tutto” disse.

“Lasci stare, faccio da sola” ma non mi ascoltò. Aveva già iniziato a mettere le cose nel lavandino e a cercare il detersivo. Sbuffai.

“Io lavo, tu asciughi” mi disse. Certo, dava lui gli ordini, sempre e comunque. Annuii.

 

“Posso farle una domanda?” dovevo starmene zitta.

“Certo”

“Come può essere professore se è così giovane?”

“Sono tirocinante, semplice, sto ancora studiando ma posso anche insegnare come supplente” sorrise sornione.

“Domani sera è il compleanno di Edoardo, ci sarai?” riprese dopo qualche minuto. Sbarrai gli occhi.

Lui era stato invitato o cosa?

“Non credo proprio” non gli avrei detto che io non uscivo mai la sera “ e poi lei è invitato? Voglio dire è il professore!”

“In classe, per il resto sono un ragazzo con tre anni in più di voi, e mi piacciono le feste soprattutto i diciottesimi e inoltre, sarà pieno di ragazzine pronte a ..”
“Aa, non voglio sapere altro, okay vada” cercai di concludere.

“Ad Edoardo farebbe piacere che tu ci fossi”

“Non mi va”

“Sono i suoi diciotto anni e lui è cotto di te, potresti anche fartela andare per una sera” mi disse fermo da un po' sullo stesso piatto, lo guardai dritto negli occhi e non seppi perché ma mi lasciai convincere.

Mezz'ora non mi avrebbe fatto poi così male.

Sarei potuta andare.

 

Il prof. Adams se ne andò dopo poco.

In quel momento ero sì nel panico.

Aspettai Jack facendo i compiti, sperando di distrarmi.

Saaalve :)
Questo è il primo capitolo, ringrazio già chi ha messo questa storia tra preferite/ricordate/seguite, siete stupendi *^*
Non ho molto da dire, pubblicherò presto il prossimo, adieu.

 

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Capitolo 3
*** Help ***


Capitolo 2

 

Quando Jack tornò a casa, ero in dormiveglia sul divano.

“Bellezza sono a casa” mi disse dandomi un bacio sulla fronte. “Spero tu non mi abbia aspettato per cenare, sono le undici”

“Nono, tranquillo. Tu hai mangiato?”

“Ovvio” mi fece l'occhiolino e fece per andarsene.

“Jack” lo richiamai. “Domani sera ho una festa” dissi d'un fiato.

“Ti accompagno io e ti aiuterò io a vestirti e truccarti” fece di nuovo l'occhiolino.

“Ma tu non sai truccare!”

“Fidati” mi disse solo facendomi cenno di andare a letto. Non aveva detto niente sul fatto che di mia spontanea volontà andassi ad una festa.

Ero in ansia. Mi rigiravo continuamente nel letto.

Ero stata solo a feste di adulti o a quelle di Lorenzo, ma quelle del mio amico erano molto sobrie.

Quelle di classe mia me le immaginavo come il delirio anche perché le femmine della mia classe già di per sé erano il delirio.

C'era un aspetto positivo però, provavo un po' d'ansia. Solitamente anche i compiti in classe mi lasciavano indifferente, le esibizioni, tutto ciò che riguardasse la me scolastica, ma ciò che riguardava la me persona mi spaventava.

Non mi conoscevo poi così bene.

Mi addormentai dopo un paio d'ore. Feci i sogni più strani perciò anche se mi svegliai varie volte decisi di rimanere nel letto fino all'ora di pranzo.

Adoravo il sabato, era uno di quei giorni in cui potevo scegliere come gestire il tempo.

 

Nel primo pomeriggio chiamai Lorenzo, che saputo della festa, si precipitò a casa mia.

“Tesoro qui c'è da passare un intero pomeriggio a provare vestiti” le gioie proprio. Non potevo andare in tuta?

“Jeans e felpa?” provai. Tentar non nuoce, si diceva.

“Stai scherzando?!” scossi la testa “Vestito o gonna!”

“No ti prego, troviamo un compromesso” gli dissi e stranamente acconsentì. Era la prima festa, non poteva sperare che andassi vestita da troia o quasi.

“Jeans, top e tacchi” affermò. Provai a ribattere ma mi lanciò un occhiataccia che mi fece intendere che non avrebbe accettato altro.

Sconfitta andai nella cabina armadio. Lì c'erano i vestiti di mia madre. Tutti. Lei era una pianista famosa in tutta Europa, e gli stilisti si divertivano a vestirla e poi, lei, come donna aveva proprio un gran gusto. Io forse avevo preso da mio padre, lui era un batterista, suonava in una band ed era un gran figo a cui non interessava cosa avesse indosso.

Lorenzo mi fece provare prima tre paia di jeans, convincendosi, poiché io non mi potevo guardare finché lui non avesse finito, che quello a sigaretta scuro mi stava perfettamente.

Per i top fu più difficile. Abolimmo insieme tutto ciò che contenesse strass o cose luccicanti.

Alla fine, scelse un maglia nera con una scollatura in pizzo sulla schiena. In pratica avevo mezza schiena nuda, e davanti era stretta da piccoli lacci che si intrecciavano. Era una cosa complicata ma non mi dispiacque.

I tacchi invece erano di velluto neri con il plateau rosso. Quando li vidi feci fatica a deglutire. Sarei caduta rovinando completamente la mia reputazione. Per evitare ciò mi esercitai tutto il pomeriggio fino ad avere una camminata decente.

“Lana, i capelli lasciateli sciolti per una volta” ah, altra cosa, io avevo il vizio di tenere i capelli legati quasi sempre.

“Ma chi è questa figa?” fece la sua entrata mio zio, seguito da una donna, che sospettai fosse la mia truccatrice.

“La solita ragazza” risposi borbottando.

Arrivò il peggio quando in tre mi tennero seduta per trucco e capelli.

Dopo un'ora mi dissero che ero pronta e finalmente mi fecero guardare allo specchio.

Riconobbi subito il mio petto piatto. La mia faccia era completamente stravolta, era anche -quasi- carina. Gli occhi i soliti, i capelli leggermente più splendenti, e le mie gambe sembravano così lunghe che la cosa mi piacque.

Okay, non era andata male, ma non avrei mai fatto di nuovo una cosa del genere. Era un pomeriggio decisamente buttato.

Salutai Lorenzo dandogli un bacio sulla guancia.

 

Lo zio mi accompagnò fino alla casa di Edoardo, una piccola villetta fuori dal centro.

“Sono ancora in tempo ad uscire con te zio, vero?”

“Ma per favore?! Vai e divertiti per una volta e se ci sono problemi mi chiami e corro qui” annuii e ringraziai.

Scesa dalla macchina andai verso il portone. Era aperto e ad accogliermi c'era proprio Edoardo.

Il suo sguardo si illuminò come quello di un bambino.

“Ciao Lana” mi disse baciandomi sulla guancia.

“Auguri” dissi, tenendo la mia solita espressione distaccata.

“Ti faccio fare un giro” cos'erano le giostre? Gli sorrisi solo per educazione e lui lo prese come un incoraggiamento tanto che mi strinse per la vita, facendomi arrivare fino al tavolo delle bevande.

Presi della Vodka, ma rimasi in silenzio.

“Grazie per essere venuta” mi disse in imbarazzo.

“Non resterò molto” certo che ero proprio carina quando si trattava di relazionare, menomale, almeno me ne accorgevo.

“Allora devo sfruttare questo tempo per ballare con te” anche perché sarebbe stata la sua prima e ultima occasione, pensai.

Andammo verso la sala da ballo. Feci una smorfia sentendo la canzone disco che c'era.

“Lo so nemmeno a me piace” disse notando la mia espressione. Sorrisi. Forse il primo sincero che gli concessi quella sera.

Iniziammo poi a muoverci a tempo di musica.

Mi guardai intorno. C'erano quasi tutti i miei compagni, poi c'era tante altre ragazze delle altre sezioni. Qualche ragazzo di quinta e ...il professore, su un divanetto, seduto in mezzo a due ragazze di quinta che lo stavano assecondando in tutto.

Lui era leggermente accaldato, forse per l'alcool o forse per la tipa che faceva su e giù con la mano sulla sua coscia.

A fine canzone arrivarono un paio di amici di Edoardo che lo invitarono a fare un gioco perciò si scusò e mi lasciò lì.

Riuscii a salutare qualcuno e poi tornai a mangiucchiare qualcosa.

“Ciao bella” mi disse una voce maschile poco gradevole.

“Ciao” risalutai.

“Vieni a ballare con me che ci divertiamo”

“Con te non mi divertirei nemmeno se mi portassi al parco giochi”

“Perché non sai cosa ti posso fare” squallido.

“Nemmeno tu sai cosa ti posso fare io” dissi con sguardo truce.

“Iniziamo a capirci”

Camminai avanti sorpassandolo, era inutile parlare con queste persone.

Mi bloccò per un braccio.

“Eh dai, rossa fatti un giro con me” ripeté. La sua intelligenza era pari a quella di un pesce, senza offesa per quegli animali.

“Ha detto che non gradisce” disse un'altra voce calda e sensuale che riconobbi in quella di Adams.

La presa sul polso fu sostituita da una meno forte che mi trascinò in una stanza.

Mi guardò divertito.

Che cazzo aveva da ridere?

“Mi sono informato” disse.

“Sentiamo”

“Nessuno ti riconosce così truccata perché non ti ha mai vista ad una festa, ti considerano tutti un limone frigido e senza sentimenti” non aveva cambiato espressione.

“Pensa che mi interessi?”

“Assurdo, la smetti di fare l'indifferente!”

“Non faccio niente e lei non si può permettere di dirmi niente” dissi ma capii che stava toccando i punti giusti, e non seppi come, ma in due giorni mi conosceva tanto quanto mi riuscivo a capire io.

“Ah no? Allora da professore ti dico, che, non conosco il motivo, ma tu ti comporti come un adulto ma di quelli responsabili che pensano solo al lavoro e che non scopano nemmeno, non si godono niente e non vogliono nemmeno farlo per paura. Sei così concentrata a essere più adulta possibile che non ti rendi conto nemmeno che hai diciassette anni e non hai fatto una cosa da adolescenti in tutta la tua vita! Hai voglia di essere la protagonista di te stessa o no?” quando finì deglutii fortemente. Aveva ragione, non doveva averne perché le sue parole facevano male. Rendermi conto di aver buttato 10 anni di vita faceva male tanto quanto rendermi conto di essere senza genitori, ma lui non mi conosceva, non mi poteva conoscere così, sicuramente si sbagliava.

“Lei non mi conosce!” lo accusai.

“Vuoi davvero continuare così? Se è quello che vuoi, se sei te stessa così non dirò mai più niente” mi disse sottovoce vicino all'orecchio. Come il giorno prima le sue parole mi mossero qualcosa. Il significato di quelle parole mi mosse qualcosa.

Mio zio tre anni prima aveva provato a mandarmi da un psicologo perché non uscivo mai e soprattutto non mi interessava avere relazioni di nessun tipo, poi aveva accettato la cosa.

“Supponiamo per assurdo che non volessi continuare così, da dove dovrei iniziare?” avevo la voce che mi tremava.

“Dovresti fare tutto ciò che non hai fatto finora” disse serio.

“Mi aiuterebbe?” e con questa domanda avevo firmato la mia condanna all'Inferno.

“Lo considero un accordo, mi aiuterai nella mia tesi di laurea, e io ti aiuterò e manterrò segreto tutto ciò”

“Okay, anche se non capisco come possa aiutarla”

“Intanto dammi del tu, odio la subordinazione, e poi mi serve la tua bravura al pianoforte” risi, forse mi aveva ascoltato la mattina precedente a lezione, non lo sapevo, forse per fama ma non credevo, comunque aveva ragione ero una delle più brave, con modestia ovviamente.


Oookay, vi lascio questo capitolo. Spero che la storia continui a piacervi :) Buon week-end, Cri
 

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Capitolo 4
*** Drinkin' is the way ***


L'accordo partì da quell'esatto momento.

“Ti sei mai ubriacata?” mi domandò.

“No, e ascoltami bene, non lo farò qui davanti a tutta la scuola e poi mio zio mi deve venire a riprendere”

“Allora andiamo, ti porto ad ubriacarti solo se te la senti”

“Me la sento” Affatto, non me la sentivo per niente, ma non dovevo pensarci. Non dovevo agire con la testa come avevo sempre fatto. In 17 anni non mi ero mai comportata da ragazza e doveva arrivare un odioso professore a farmelo notare. No, non ci stavo.

Riuscii a salutare Edoardo e poi, mi ritrovai per la seconda volta in macchina di Adams.

Arrivammo in un locale.

Ci sedemmo direttamente al bancone.

Ordinò un sacco di roba.

“Non fare domande e butta giù okay?” disse tirando fuori i soldi per pagare.
“Non voglio avere debiti con te” era strano dargli del tu.

“Infatti te li sto offrendo da gentiluomo”

“Sei fastidioso”

“Bevi” disse ridendo.

Non seppi come ci riuscii ma mandai giù tre o quattro bicchieri, finché non mi iniziò a girare un po' la testa. La musica rimbombava nelle mie orecchie ed era stranamente amplificata.

La voglia di alcool era aumentata e buttai giù un quinto bicchiere. Ormai non capivo più molto.

Venni trascinata via dal bancone.

Attraversai la pista da ballo. Sentivo solo un corpo davanti al mio, presumibilmente Adams.

Cominciai a ridere, ballare e strusciarmi addosso a lui. Era divertente tutto quello che c'era intorno.

Un altro ragazzo cominciò a strusciarsi dietro di me, così portai la testa indietro e mi appoggiai a quello. Venni portata via ancora.

Mugolai qualcosa ma poi caddi a terra e scoppiai a ridere.

“Non è divertente” mi arrivò ovattato all'orecchio.

 

Pov Kristian

 

Ci fermammo al parcheggio perché lei stava letteralmente ballando per strada.

“Ehm non mi conviene riportarti dai tuoi genitori così, dammi il telefono, gli mando un messaggio”

“Ehi dammi il cellulare e poi che gli dici eh?!” urlò appoggiandosi al mio braccio.

“Che rimani a dormire da un amica” dissi come se fosse ovvio.

“Mmh scrivi Lorenzo, e mandalo a Jack, capirà” disse quasi seria in un momento di lucidità.

Poi ricominciò a ridere.

Era davvero bella quella sera, ancora meglio prima che si ubriacasse.

Non sapevo nemmeno perché lo stavo facendo.

Sicuramente era una cosa divertente, e alla fine lei mi avrebbe aiutato per la tesi, così non avrei dovuto pagare un pianista.

La feci salire in macchina e le allacciai la cintura sotto le sue lamentele.

Si appoggiò al finestrino, esausta dalla sbronza che adesso stava andando a scemare.

“Dovrei vomitare” disse. Accostai velocemente l'auto con il terrore che vomitasse in macchina.

No, in quel momento non ero preoccupato per lei.

Scese di corsa e rimise sull'asfalto.

Le tenni i capelli e poi presi dei fazzoletti per ripulirla.

Il vomito l'avrebbe sì spossata ma almeno non sarebbe stata più euforica come prima.

“Tieni questa” le passai una gomma, sapendo cosa volesse dire vomitare dopo una sbronza. L'avevo provato diverse volte.

“Ehi ma io dove dormo?” domandò dopo un po'. Non lo aveva ancora capito?

“In un albergo di lusso appena prenotato” la presi in giro.

“Mmh d'accordo” rispose girandosi verso di me e chiudendo gli occhi. Potevo rispondergli qualsiasi cosa sarebbe stata comunque d'accordo.

 

Arrivammo in casa mia. La sostenni per farla entrare.

Il mio appartamento era molto più modesto del suo anche perché vivevo da solo ed era già tanto se riuscivo a pulirlo.

La portai in bagno e le presi una mia tuta per dormire.

Le sciacquai il viso e poi le dissi di cambiarsi.

“Non mi riesce” disse assonnata.

“Si che ti riesce, dai”

“Non è vero” si lamentò ancora.

“Guarda che ti butto sotto la doccia se continui” le dissi.

“Ricattatore” borbottò e mi spinse fuori dal bagno.

Quando uscì si sosteneva sul muro a malapena.

La presi in braccio e la misi nel mio letto al caldo. Non oppose resistenza e si addormentò subito dopo.

Io presi una coperta e mi misi sul divano.

 

Pov Lana

 

Era morbido il mondo in cui ero. Caldo e profumato di dopo barba.

Aprii pian piano gli occhi e mi accorsi di non essere nella mia camera, di non essere nel mio letto ma in uno dalle lenzuola scure, di non essere in casa mia.

C'era troppo profumo maschile per poter essere da una amica o da Lorenzo.

Il punto fondamentale era che non mi ricordavo niente.

Feci un grande sforzo prima di ricordare casa di Edoardo.

Poi il professore insieme alle due ragazze.

Poi io ed Adams in una stanza a parlare.

Oh, il discorso, mi ricordavo ogni singola parte di quel discorso.

Mi ricordavo il patto.

Ero stata ubriacata, anzi mi ero ubriacata e intanto questo spiegava il mal di testa ma non spiegava perché mi trovavo in un letto non mio.

Poi pensai che ero con Adams e mi allarmai. Sperai solo di una aver provato oltre alla sbronza anche... il sesso.

Mi alzai di scatto barcollando ancora un po' ed aprii la porta andando a sbattere contro il ragazzo.

“Ben svegliata” disse allontanandomi e osservandomi.

“No, per niente, ho mal di testa e non ricordo niente e spero solo che tu non sia stato così fottutamente schifoso da approfittarti della mia poca sanità mentale”

“La finezza è proprio il tuo forte eh? No, tesoro non ti ho toccata sei tu quella che dovrebbe vergognarsi”

“Eh?” ero decisamente confusa.

Intanto andammo in cucina per la colazione. Mi diede una tazza enorme di caffè per farmi passare la spossatezza.

“Ti sei strusciata su un tizio e dovevi vedere come, poi visto che ti ho spostato hai continuato con me” gonfiai le guance e diventai rossa, vergognandomi per la prima volta di qualcosa.

“No” sussurrai.

Lui rise e non capii se mi stava prendendo in giro o rise perché in quel momento ero buffa.

“Potresti riportarmi a casa adesso?”

Annuì e mi aspettò mentre mi andai a cambiare.

Avevo un aspetto orribile che sicuramente non dovevo giustificare a nessuno perché non ci sarebbe stato nessuno in casa.

 

Il viaggio in macchina fu piuttosto silenzioso.

“Ehm dovrei ringraziarti?” dissi parcheggiando. Potevo essere così stupida?!

“Non sono io a dovertelo dire” disse con il tono da insegnante.

Presi tutto il coraggio che avevo in corpo e mi allungai a dargli un bacio sulla guancia. Trattenni il fiato perché quel gesto mi costava tanto. Non mi piaceva dimostrare qualcosa per niente, ero sempre stata abbastanza egoista per certi aspetti.

“Grazie” dissi uscendo dalla macchina.

“Ciao” mi disse infine e si allontanò.

 

A scuola il giorno dopo fu straziante.

Non mi sarei mai più ubriacata in vita mia. Possibile che il mal di testa avanzasse per così tanto tempo?

Presi un'aspirina a metà mattinata.

Giusto in tempo per affrontare Mr. Adams.

La sua lezione non fu niente di che. Mi ripetevo continuamente che l'arrivo di quell'essere, chiamatosi Kristian, aveva rovinato il mio percorso scolastico ed esistenziale.

Come ogni lezione mi chiese di rimanere per un ultimo aggiornamento. Cosa potevo saperne io più di lui? Molto, ovvio, ma lui era l'insegnante.

“Lana, oggi nessuno mi ha ascoltato” disse venendomi incontro.

“È stato noioso, semplice” alzai le spalle. Mi riusciva benissimo fare la menefreghista tanto che mi costava più essere come l'altra sera che non così, era questione di abitudine.

“Dovrebbe trasmettere qualcos'altro oltre alle nozioni” aggiunsi.

“Non so come” disse abbassando lo sguardo. Sorrisi, era la sua prima debolezza.

“Cambiando il ritmo delle lezioni, facendoci sentire che ama cosa dice e molto altro” provai e lui acconsentì.

 

Stavo per andarmene ma mi sentii chiamare.

“Dimmi un'altra cosa che non hai mai fatto, così mi preparo” mi disse malizioso.

“Firenze di notte, al Piazzale, mai fatto” e me ne andai.

Davvero stavo facendo il gioco del mai fatto con la mia vita?... Non potevo credere di poterlo fare.

Non potevo credere di farlo insieme a qualcuno che conoscevo si e no da quattro giorni e che mi stava antipatico.

Alloooora, ho inserito il punto di vista di Kristian, non so se ho fatto bene... voi che dite?
Con il gioco del patto mi sto divertendo più che Lana, conoscendola xDD
Scappo a studiare (anche di domenica già DD:)
Graziee, Cri

 

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Capitolo 5
*** All night long ***


Capitolo 4

 

pov Lana

 

Passarono due settimane da quel sabato sera.

Da quanto avevo capito dalle scuse di Adams, aveva avuto una sessione di esami per cui non faceva altro che studiare e lavorare.

Non che mi interessasse, ma che avessi fatto o meno le cose che tanto non avevo mai fatto non mi cambiava niente.

In classe ormai si era ambientato e le lezioni risultavano a volte piacevoli, a volte un po' meno.

Sentendo i miei compagni, però, io ero l'unica che pretendeva così tanto dai professori.

Io pretendevo tanto da tutti.

Il venerdì mattina ovviamente avevo lezione.

Avevo anche un'interrogazione in canto corale, avevamo solo un'ora settimanale di quella materia, la professoressa era una adorabile donna in carne avanti con l'età.

Non mi andò male, ma non mi preoccupai neanche di alzarmi la media in quella materia.

Arrivarono puntuali le ore di storia della musica, che poi non capivo perché le avessero messe sempre alle ultime ore.

“Oggi ragazzi interroghiamo, sennò penseranno che non faccio nulla in classe” rise della sua stessa battuta, peccato che erano tutti impegnati a ripassare dopo la parola interroghiamo.

“Mati e Soldi” alzai gli occhi al cielo. Dovevo anche aspettarmelo no?...

Com'era la situazione? Antipatia reciproca, dovevo segnarmelo sul diario.

Ovviamente andai bene, dal mio punto di vista.

“Non meriteresti più di un sette” mi disse. Lo guardai malissimo. Erano due voti meno di quelli che prendevo con l'altro professore.

“Sta scherzando?!”

“L'ha fatta arrabbiare, attento profe” disse Giulio, un mio compagno di classe.

“Quando prenderai le mie interrogazioni con serietà e non farai l'arrogante prenderai un voto più alto”

Sbuffai e me ne tornai a sedere facendo più rumore del dovuto.

Misi via le cose ed aspettai, guardando fuori dalla finestra, il suono della campanella.

 

Feci per andarmene quando venni richiamata indietro. Strano, proprio.

“Stasera ti passo a prendere alle dieci”

“Non so quanto le conviene perché fuori da scuola la posso prendere a calci” dissi, sfidandolo.

“Non vedo l'ora” mi soffiò sul viso andandosene.

L'avrei definitivamente preso a calci.

 

 

Tornata a casa non mi feci molti problemi per quanto riguardava l'abbigliamento della serata, non ero ansiosa come Lorenzo.

Avrei messo il mio amato jeans con un maglioncino caldo e sopra il mio cappotto.

Questo era quanto.

Feci i compiti come sempre per avvantaggiarmi e poi mi intrattenni con Marika mentre lei puliva.

Mi piaceva chiacchiera con quella donna, era così spontanea che non le si poteva non voler bene.

Quando se ne andò iniziai a preparare la cena per me e Jack.

Avrei dovuto dirgli dell'uscita di quella sera, ma mi sarei limitata a dirgli che sarei andata da Lorenzo, anche se le dieci era un orario un po' insolito.

 

“'Sera bellezza” disse schioccandomi un bacio sulla guancia e sedendosi a tavola.

“Ehm zio, io vado da Lorenzo più tardi poi non so se rimango da lui a dormire, ti mando un messaggio”

“Di solito non vai di sabato sera?”

“Si, ma lui domani non può, così facciamo stasera” ero bravissima a raccontare cazzate.

“Come sempre, chiama se hai bisogno” prese poi a mangiare.

Quando finii di rimettere a posto erano già le nove e mezza.

Mi preparai il giusto, anche con poco trucco in modo che Jack non si insospettisse e aspettai lo squillo di Adams.

Già, aveva anche il mio numero. In realtà l'aveva chiesto a tutti in classe in modo che se avesse avuto un problema con qualcuno avrebbe potuto contattarlo in privato.

Io, ero fregata. Sarebbe stata una tortura.

Lo squillo arrivò e scesi, ancora offesa per la mattinata.

Quel sette mi era rimasto sullo stomaco. Non lo volevo.

Salii sulla sua macchina in silenzio.

“Non si saluta?” mi chiese divertito.

“Non te lo meriti” dissi voltandomi dalla parte opposta.

“Oh, il voto” disse solo. “Ce l'hai con me per quello?”

“Ce l'ho con te e basta”

Partì senza rispondermi. Accese la radio per non creare un silenzio imbarazzante.

 

“Siamo arrivati” disse con voce bassa, spegnendo l'auto.

Feci un mezzo sorriso e scesi.

C'era abbastanza tensione.

Mi girai un po' intorno fino ad arrivare all'estremità della piazza. Mi affacciai sulla città e rimasi cinque minuti buoni a contemplarla in silenzio. Era uno spettacolo.

“È bellissima” mi venne spontaneo da dire. Lui sorrise e mi raggiunse.

“Mi domando come mai i tuoi genitori non ti abbiano mai portato qui” perché doveva dare aria alla bocca inutilmente?!

Mi girai, ignorando la domanda, con le spalle alla città e guardai il cielo.

In fondo, si diceva, che erano lì, le persone che non c'erano più.

“O comunque non ti hanno fatto fare tantissime cose” continuò.

“Non nominare più i miei genitori” dissi con una voce che non era la mia.

“Sei in conflitto con loro?” l'avrei ucciso entro la serata per il suo poco tatto, anche se era vero che lui sapeva poco della mia vita.

“Sono morti!” sbottai “ 10 anni fa!”

Ci fu un minuti di silenzio. Non avevo mai urlato contro qualcuno quelle cose, anzi in realtà non le avevo proprio mai dette a qualcuno così esplicitamente.

Il giorno del funerale non versai nemmeno una lacrima, non perché non soffrissi, ma perché se l'avessi fatto chi mi stava intorno avrebbe potuto pensare che non ce l'avrei fatta da sola.

Non volevo finire in un orfanotrofio, consolandomi insieme ad altri bambini come me, volevo stare con mio zio, continuare la scuola e fare tutte le cose che facevo prima come se non fosse accaduto niente.

Fu da lì che iniziai a fingere. A fingere di stare in un modo invece che in un altro.

A fingere di adorare Jack, quando al tempo quasi non ci eravamo mai visti, per rimanere a Firenze. Eppure avevo sette anni, e ne potevo dimostrare 15.

“Mi dispiace, io non lo sapevo” disse d'un fiato venendomi vicino ma senza toccarmi. Scossi la testa.

“No, anzi scusa se ho reagito così, non è da me” dissi.

“Capisco” disse e poi capii che forse potevo parlare un po' di loro con lui.

“Sai, forse conosci mia madre, di nome, lei era famosa. Si chiamava Anna De Rosa”

“Quella Anna?” mi interruppe ed annuii. Sapevo che la conosceva. “Ora si capiscono i voti alti a pianoforte” aggiunse e mi offesi.

“Non mi danno quei voti perché sono sua figlia, non lo sanno nemmeno!” mi rigirai arrabbiata.

“Nono, intendevo che ora capisco da chi hai preso il talento, scusami se sto usando le parole sbagliate, stasera sono un danno” mi prese per il polso facendomi girare verso di lui e capii che era sincero anche se nelle sue parole ci avevo letto quell'insinuazione.

“Niente, stasera mi sa che sono nervosa io” feci una risata un po' isterica.

“Comunque le assomigli molto” si avvicinò fino a quando non ce l'ebbi di fronte “I capelli rossi sono i suoi suppongo” disse toccandoli “Gli occhi invece saranno di tuo padre” aggiunse sfiorandomi la palpebra “Mentre le labbra mi piace pensare che siano uniche e tue” mi passò il pollice sul labbro inferiore dicendo questo.

Sorrisi quando si allontanò.

Nessuno mi aveva detto da chi avevo preso cosa in questo modo.

Rimasi a guardare il duomo di notte ancora per un po'. Era meglio stampare bene l'immagine di quel panorama perché non sapevo se ci sarebbero state altre volte là.

“Dovremmo rimanere per l'alba” disse guardandomi.

“Ma non è fattibile è mezzanotte adesso, cosa facciamo per sei ore?”

“Stiamo in macchina ed aspettiamo” disse ma lo guardai un po' spaventata.

“Non mi piace stare chiusa in macchina” dissi con tono neutro per far intendere che non volevo che mi facesse altre domande.

Fece un sorrisetto e mi portò comunque verso la macchina.

Ma cosa non gli tornava del mio discorso, per fare sempre e comunque ciò che voleva lui?

Quando salimmo in macchina, al contrario di come mi aspettavo mise in moto.

In quel momento non capivo proprio cosa gli passasse per la testa.

“Qui giù c'è un locale aperto tutta la notte, andiamo lì” ora si era fatto serio. Era assurdo come cambiavamo umore con poco.

In due minuti ci arrivammo.

Appena entrammo ci accorgemmo di essere finiti in un night club.

Mi venne da ridere, tra tutte le cose che non avevo mai fatto questa sarebbe stato comunque l'ultima della mia lista; ma dovevo parlare per me, Adams sembrava già fin troppo entusiasta di vedere spogliarelli di ragazzine poco più grandi di lui.

Ci trovammo un divanetto e lui ordinò un negroni per sé.

Io non volevo niente.

Rimanemmo un po' a guardare il palco e quella specie di spettacolo.

“Davvero ti piace? .. lo saprebbero fare tutti” dissi a lui, sovrastando la musica sensuale che vi era.

“A tutti i maschi piacerebbe e se davvero lo sai fare perché non vai?” mi provocò.

“Guarda che non mi vergogno, è che non so se posso andare”

“Certo certo, deve essere quello” mi canzonò credendo che stessi mentendo.

Mi alzai andando a chiedere ad una ragazza che era appena scesa dal palco se mi poteva prestare degli abiti, poiché io avevo i jeans, per salire sul palco.

Era davvero ridicolo che lo facessi davvero, ma era vero quando dicevo che non mi vergognavo, non mi interessava cosa pensasse la gente.

Andai dietro il palco.

Almeno avevo messo un reggiseno nero in pizzo.

 

Pov Kristian

 

Non ci potevo credere che era andata davvero dietro le quinte.

Pensavo scherzasse e pensavo anche che non avesse un orgoglio così grande, tanto quanto il falso menefreghismo.

Ero già accaldato per tutti gli spettacoli precedenti, speravo di non eccitarmi per quella ragazzina frigida.

Già, io non so cosa avesse fatto quella ragazzina ma c'erano dei momenti in cui non si spostava dai miei pensieri nemmeno volendo e soprattutto mi chiedevo perché stavo sprecando così tanto tempo e fatica dietro di lei.

Cosa fondamentale, però, lo facevo volentieri.

Lei mi provocava una sensazione di affetto e dolcezza che non mi sapevo spiegare.

Sapevo quando e come avevo provato una specie di sensazione simile, e non mi piaceva per niente il trasporto con cui la mia mente andasse a cercare il volto di Lana. Noi teoricamente non potevamo neanche uscire insieme.

Che stavolta fosse il contrario?

Sarebbe stato sbagliato che io professore mi prendessi una cotta per una studentessa, per di più una di quelle acide e frigide come mai ne avevo viste, dovevo aggiungere antipatica e arrogante, anche se il tutto contornato da un corpo sexy e un faccino angelico.

La musica cambiò e la mia attenzione fu catturata dal palco.

Un corpo sinuoso stava al centro. Bello, vestito di rosso, cominciò ad ondeggiare seguendo la musica.

La bocca socchiusa, colorata da un rossetto rosso. Gli occhi semi chiusi che scrutavano a malapena il pubblico.

Cominciò a far scendere la cerniera laterale e poi sciolse il nodo sulla vita, molto lentamente.

Si morse il labbro con fare sensuale quando arrivò a fine cerniera e si lasciò cadere il vestito ai piedi.

Aveva una veste sotto che pian piano iniziò ad alzare.

Mi ero eccitato a vederla così.

Rimase infine con l'intimo. Appena finì, una ragazza le diede un accappatoio e lei tornò dietro il palco.

Io andai in bagno a sciacquarmi con dell'acqua fredda.

Non era possibile che Lana, sembrasse una puttanella esperta.

Non era possibile che io fossi in un bagno pubblico a pensare a lei. Non era possibile che tre settimane o poco più mi avessero fatto invaghire di una mocciosa.

Forse dovevo solo togliermi la voglia, d'altronde era solo attrazione fisica. Bastava trovare una rossa da scopare e la voglia di quella rossa sarebbe stata spenta.

La serata ancora non è finita e ... non vi dirò niente u.u
Grazie a tutti quelli che leggono la storia e a quelli che recensiscono *-*
Ovviamente i pensieri di Kristian sono frutto della mia mente ed io non sono un maschio e quindi probabilmente per certi versi non so se è adatto ciò che pensa. (discorso contorto LOL)
Che dire, a prestissimo (spero) Cri

 

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Capitolo 6
*** Sunup ***


 

Pov Lana

Non credevo che alla fine l'avrei fatto, ma ero contenta perché l'avevo avuta vinta.

Quando tornai in sala lui si trovava ancora sul divanetto e mi fece cenno di tornare accanto a lui.

Mi sedetti e mi resi conto di essere assonnata.

“Posso dormire ora?”

“Non penso potrai adesso, ti stanno guardando tutti, magari vogliono il bis” rise e mi spostò un ciuffo che mi era caduto sul viso.

“Sicura di non voler andare in macchina, ci sono io”

“Non lo so, tu non mi ispiri simpatia... Che ore sono?”
“Le quattro” mi disse.

“Ce la potrei fare” dissi ma poi mi accorsi che non era affatto vero. Mi appoggiai sulla sua spalla e caddi in dormiveglia.

Riuscivo solo a distinguere una musica più lieve. Le ragazze che ballavano ormai se ne erano andate ed erano rimasti solo uomini a finire i loro bicchieri.

“Tanto non ti faccio dormire” mi disse ad alta voce.

Gli tirai un pugnetto sullo stomaco. Non sopportavo chi mi svegliava o quasi.

“Anzi adesso andiamo” disse prendendomi di peso come se fossi un sacco della spazzatura.

“Ehi!” dissi rendendomi conto di essere a testa all'ingiù presa per le gambe. “prepotente!”

Mi buttò a peso morto sul sedile e si mise dal lato del guidatore.

Sbuffai mentre lui ripartì per portarmi al Piazzale.

Entro alcuni minuti ci sarebbe stata l'alba e nemmeno mi accorsi che in realtà lui mi aveva lasciato dormire sulla sua spalla per quasi due ore.

L'aria era fresca ma non pungente come la notte trascorsa.

C'era aria di alba. Un nuovo giorno. Il buio iniziava a farsi meno intenso creando giochi di colori sull'Arno fino a quando si intravide il sole, come una piccola palla, si alzava dalle colline lontane, molto, molto lentamente. Rimasi a fissare quello spettacolo e forse, dovevo solo ringraziare Kristian per avermici portato.

Alzai gli occhi al cielo quando mi resi conto di aver pensato a Kristian e non al prof. Adams.

Era colpa dell'atmosfera romantica che stava creando il sole.

Mi girai e trovai il mio viso vicinissimo a quello del ragazzo. Da quanto tempo era lì?

“Dovrei portarti a casa adesso, non ti reggi in piedi” sentii che era vero quando me lo fece notare.

Annuii. Il viaggio di ritorno lo passai con la testa appoggiata al finestrino.

Mi accompagnò fin sotto il portone, la macchina di Jack non c'era già.

“Grazie per la serata, e senti già che ci sono grazie per tutte le prossime volte così non dovrò ripetermi” dissi veloce.

“Prego” disse dopo avermi dato un bacio sulla guancia.

Alla fine rientrai in casa e mi trascinai fino al letto per dormire.

 

Usai il sabato per finire tutti gli altri compiti, mentre la domenica la passai con Jack, per non farlo insospettire.

Stavo passeggiando con lui quando mi arrivò un messaggio.

 

Mocciosa, cos'altro non hai fatto? Non voglio trovarmi impreparato.

 

Mocciosa chi? Mi dava sui nervi.

Pensai ad un'altra cosa che mi sarebbe piaciuta fare, e la trovai.

 

Un concerto. Chiamami mocciosa e ti tiro un calcio dove non batte il sole. Inviai.

 

Se sapessi cosa c'è là dove non batte il sole di certo non tireresti nessun calcio.
Mi rispose. Poi mi chiedeva perché ero così scontrosa, ovvio. Era una persona che aveva un preciso ruolo scolastico e faceva quelle allusioni ed ero certa che le facesse con tutti i miei compagni, perché era fatto così. Li vedevo a ricreazione che lo andavano a cercare come se ormai fosse il capo branco. Patetico capo branco. Patetici coloro che lo seguivano.

 

Proprio perché lo so, vorrei farti tanto male. Se a mio zio fosse caduto l'occhio in quel momento sulla conversazione si sarebbe stupito del mio linguaggio.

 

Ah si? Quando hai avuto questo piacevole incontro con il mio amico?... Comunque la parte della violenta non ti si addice. Lessi ancora un suo messaggio. Ero sconvolta.

 

Smettila, nessun piacevole incontro, niente. Fanculo e buona giornata. Inviai e misi via il cellulare. Me lo immaginavo quanto si divertiva a prendermi in giro. Sapeva fare solo quello e non gli avrei mai più mandato un messaggio. Piuttosto avrei aspettato il giorno successivo per dargli la risposta.

 

Pov Kristian

 

Avevo da poco iniziato la stesura della tesi, la mia scrivania mi metteva tanta tristezza perciò spesso andavo in biblioteca, ma di domenica mi dovevo accontentare.

Tra una settimana o due avrei chiamato la ragazzina per aiutarmi.

Mi venne in mente lo scambio di battute che avevamo fatto qualche minuto prima e sorrisi.

Non avrei dovuto approcciarmi subito in modo amichevole con i ragazzi ma mi veniva spontaneo.

D'altronde erano dei diciottenni e io un ventenne con la fortuna di aver ricevuto il tirocinio e di avere tante altre fortune.

Per il resto la classe mi stava molto simpatica.

Il comportamento delle ragazze mi era indifferente, ero abituato a certe attenzioni da parte delle femmine. Non per vanto, ma ero un bel ragazzo con un bel fisico ed ero un artista.

Un ragazzo d'oro insomma.

Ovvio che mi adoravano e si prendevano cotte adolescenziali.

 

Il lunedì era il giorno meno divertente della settimana, i ragazzi erano tutti rincoglioniti dal week-end, non avevano giustamente studiato e quindi io dovevo spiegare.

Iniziai con una classe del secondo anno.

Avevo infatti la seconda e la quarta C e la terza A.

Quelli di seconda erano messi in soggezione da me, non sapevo per quale motivo, mentre la terza era tranquilla ma si stava bene e c'era tanta conversazione mentre con la quarta era tutto molto più piacevole.

Avevo fatto amicizia con Edoardo, Giulio e Mattia, anche loro molto quotati dalle ragazze.

Entrai nella quarta e diedi il buongiorno.

Erano tutti presi a far qualcosa, ma come sempre all'entrata di un professore facevano finta di niente e salutavano.

Girai un po' intorno e poi decisi che magari quel giorno potevamo usufruire del pianoforte che c'era in classe, visto che avrei dovuto iniziare Mozart.

“Chi è il più bravo della classe in pianoforte?” chiesi, sapendo già la risposta.

Si girarono tutti verso Lana, che era occupata a sfogliare il quaderno. Alzò le sopracciglia e mi guardò malissimo.

“Caterina è brava” disse lei non muovendosi dalla sedia.

“Allora venite tutte e due” dissi, l'altra ragazza fece un grande sorriso quasi contenta di aver ridotto la distanza tra me e lei. Mi passò ad un centimetro di distanza fino a fermarsi davanti al pianoforte.

“Avete nel repertorio qualcosa di Mozart?”

Tutte e due annuirono. Feci sedere prima Caterina che fece la marcia turca.

Alla fine battemmo tutti le mani, ma in realtà anche i bambini di 10 anni sapevano fare questa sonata. Certamente era brava, il colore, la tecnica, il tempo erano perfetti.

Poi si sedette Lana. Non l'avevo mai vista suonare, sapevo solo che era brava e che era figlia di una grandissima pianista.

Sembrava un'altra persona già seduta davanti al pianoforte, era se stessa.

Mise le mani sullo strumento e poi sfiorandolo, o almeno sembrava che le sue mani accarezzassero i tasti, uscì fuori una melodia deliziosa.

Non mi ricordavo bene quale sonata fosse. In sol forse. Lei era davvero straordinaria.

Non seppi se scelse quella per un motivo piuttosto che per un altro, ma sicuramente era tecnicamente difficile ed era lunga, forse l'aveva scelta per dimostrare quanto fosse brava. Presuntuosa com'era poteva anche essere.

Quando concluse, spuntò un sorriso sul suo volto.

“È queste sono solo due delle composizioni di un grandissimo genio. Sapete mi piace paragonare per essere chiaro arte e musica. Bach lo paragono a Leonardo, per la tecnica e la matematica dei loro lavori; Beethoven a Raffaello per l'intensità delle loro opere; Mozart a Michelangelo per la genialità” continuai poi a spiegare utilizzando i termini tecnici delle componenti che il compositore di Salisburgo mette nelle sue opere prendendo anche come esempio ciò i ragazzi avevano ascoltato.

Finii dieci minuti prima per fare un annuncio.

“Ragazzi tra tre settimane andremo a Torino, già ci sarò io ad accompagnarvi e la professoressa di canto corale, tranquilli la sera vi porterò a divertirvi senza che la prof venga a saperlo” dissi, da una parte non vedevo l'ora. “Prendete i fogli, fateli firmare dai genitori e portate i soldi, chi non rispetta i tempi non viene” la classe iniziò già ad agitarsi come se ormai fosse già lì e non in classe. Edoardo era andato subito da Lana. Lei aveva un'espressione così neutra che era difficile capire se era contenta o meno. Lei era difficile in generale.

Presi la mia roba e alla fine dell'ora me ne andai a fare un giro per Firenze.

Avevo bisogno di aria.

Avevo bisogno di schiarirmi le idee.

Ehm, ehm salve! :)
Come sempre, grazie, grazie mille lettori *-*
Kristian non ce la racconta giusta.. voi che dite?
... Spero di pubblicare prestissimo il prossimo capitolo, lo so, vi faccio attendere v.v
Alla prossima, Cri

 

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Capitolo 7
*** Tonight the world dies ***


 

Sad -something all I want to say
And it seems to run away
I'll run away
With you tonight
-Something all my sins away
And just like that mistakes are made
You know
Tonight the world dies-

 

Pov Lana

Era di nuovo venerdì, d'altronde il tempo scorreva senza che si potesse fare qualcosa.

Jack era partito quel week-end. Lavoro, lavoro e sempre lavoro, da una parte mi andava anche bene poiché non dovevo rifilargli nessuna scusa per poter attuare il patto con il professore.

Quest'ultimo aveva comprato i biglietti per una rock band americana, per quella sera.

Io stavo facendo tutto quello che non avevo mai fatto ma non mi sentivo cambiata. Era vero che ero un po' più disponibile a qualcosa che non fosse la mia routine ma continuavo a non sopportare tutto quello che mi stava intorno. Poi quel giorno non sopportavo proprio niente a prescindere, avevo un po' di mal di gola e quindi facevo fatica anche a mangiare.

Adams mi venne a prendere alle sei.

La nostra conoscenza era sempre più strana. A scuola continuavamo a fare finta di niente, anzi a renderci antipatici reciprocamente, anche se io in realtà mi comportavo come mi comportavo con tutti. Il venerdì sera, o il sabato improvvisamente diventavamo quasi socievoli.

Salii nella sua macchina, eravamo diretti al Mandela Forum.

La band si chiamava Avenged Sevenfold. Avevo sentito si e no due canzoni.

Dovevo comunque divertirmi quella sera.

“Ciao” dissi. Il suo profumo mi colpì subito, era fruttato e solo in quel momento mi resi conto che mi era sempre piaciuto, solo che ero troppo concentrata a pensare ad altro per notarlo.

Ciao mocciosa” mi rispose e involontariamente il mio braccio partì per tirargli un pugno nello stomaco e lo presi.

“La prossima volta ti castro” si forse aveva ragione, con lui ero poco fine.

Rise e mi prese il braccio con cui l'avevo colpito.

“Quanta violenza, qualcuno dovrebbe addolcirti” disse rigirandosi poi la mia mano tra le sue dita. Mi sentii in imbarazzo e percepii le sue dita calde come piacevoli e ciò mi spaventava perciò ritirai la mano e gli feci cenno di andare.

 

Non so come, ma ci posizionarono in prima fila, che avesse conoscenze pure lì?

Il concerto fu adrenalina pura. Non mi ero mai divertita in quel modo e poi la musica dal vivo, era sempre un emozione. Era qualcosa che entrava dentro le ossa. La testa mi girava un po' ma ero convinta fosse la scarica di emozioni che quella musica rilasciava in corpo.

Durante una canzone Adams mi fece salire sulle sue spalle e riuscii a toccare anche la mano del cantante, quando mi fece scendere mi mise davanti a lui come a volermi proteggere dalla folla che ormai si agitava e sgomitava. Effettivamente lui si prese tutti i colpi. Non seppi però se fu una scusa per appoggiarsi o meno, visto che mi tenne stretta tra lui e la transenna.

 

Avevo un sorriso enorme stampato sulla faccia, non mi ero mai divertita così tanto.

“Rivestiti fa freddo fuori” mi disse, ma io non avevo affatto freddo anzi mi sentivo fin troppo accaldata. Misi comunque il cappotto e uscimmo dal palazzetto molto tardi.

“Ehi, non hai una bella cera” disse quando arrivammo alla macchina, in effetti mi sentivo esausta e non sapevo se era a causa del concerto.

Entrammo in macchina e lui accese subito il riscaldamento vedendo che io avevo iniziato a tremare.

“Mi sentivo già strana prima del concerto ma non così”

“Perché non me l'hai detto? Saremmo rimasti a casa” si girò a guardarmi.

“Scherzi?! È stata la serata migliore di sempre!” dissi con la gola che mi bruciava.

Mi accompagnò in casa e crollai per un abbassamento di pressione sul portone.

Mi fece sdraiare sul divano.

“Stai bruciando” disse mettendomi la mano sulla fronte.

“Mh, okay, adesso puoi andare” dissi svelta cercando di alzarmi per prendere la coperta ma mi bloccò.

“Dov'è tuo zio?”

“Fuori città per tre giorni”

“Non ti lascio la notte da sola se stai così male” era serio. Faceva sul serio.

“Ho sempre fatto da sola, e sono ancora viva” la gola mi chiedeva pietà ma avevo appena alzato la voce.

“Non mi interessa, senti, la febbre ce l'abbiamo avuta tutti e so cosa vuol dire avere qualcuno o meno che si occupa di te, perciò lasciami fare” disse prendendo la coperta e sistemandomela fino alle spalle. Poi sparì in cucina.

Forse aveva ragione, solo una volta ero rimasta a casa con Marika che si occupava di me quando stavo male e fare le cose da sola era davvero difficile.

La testa mi scoppiava in quel momento e avrei voluto solo riposare.

Tornò con una tazza di tè e due biscotti. Sorrideva quasi soddisfatto del suo lavoro.

“Mangia qualcosa così poi prendi un'aspirina” mi disse facendomi sedere.

“Non prendo volentieri le medicine, magari domani” dissi iniziando a bere il tè caldo, il calore del liquido già mi fece passare il freddo.

Kristian annuì senza dire niente e appena finii mi rimisi sdraiata con tutta l'intenzione di dormire.

Anche lui si mise a sedere sul divano, prese però le mie gambe per portarsele sulle sue.

Capii che lo aveva fatto per la circolazione ma alla fine non mi interessava molto perché caddi in un sonno pieno di incubi.

 

Pov Kristian

 

Dormii molto poco, o comunque mi svegliavo troppo spesso per controllare come stava.

Verso le prime ore della mattina aveva la febbre molto alta e si agitava parecchio perciò le misi un panno bagnato sulla fronte. La febbre si abbassò, così ripresi a dormire.

Quando fu completamente giorno mi alzai per cercare il bagno. Aprii una o due porte. Una stanza era sicuramente uno studio, l'altra invece era una camera da letto molto elegante, forse la camera di suo zio. Poi trovai il bagno e mi lavai.

Tornai in cucina per vedere se riuscivo a preparare qualcosa di caldo per il pranzo, ma visto che il frigo era semivuoto, optai per un brodo vegetale, semplice e veloce.

Lei ancora dormiva ed era quasi ora di pranzo, così tornai nella cucina e accesi il televisore a volume basso perché non sapevo proprio come impiegare il tempo.

“Ciao” disse una voce impastata dal sonno. Si era portata dietro la coperta.

“Come stai?” chiesi spegnendo la TV e andandole vicino.

“Meglio credo, però mi scoppia la testa”

Le diedi quello che avevo preparato e poi si prese una pasticca per il mal di testa, ma in generale per la febbre.

“Devo avere un aspetto orribile” disse ridendo mentre era seduta al tavolo della cucina “Ora potrai confermare ai miei compagni quanto sia brutta” disse e non seppi se stesse scherzando o cosa.

“I tuoi compagni non pensano che tu sia brutta, anzi, il contrario, però non vogliono sprecare tempo con una ragazza complicata, preferiscono le semplici” mi venne da dire, era la verità anche se non piaceva nemmeno a me, come verità.

“Fanno bene, non mi piace che la gente provi a conoscermi”

Sospirai. Era davvero una sfida far si che lei si aprisse con gli altri.

 

Tornammo sul divano nel salone.

“Ti va un film?” chiese sedendosi con la sua coperta e portandosi le ginocchia al petto. Era tenera.

“Si, che vuoi vedere?”

“Non so, prendi te un dvd dalla videoteca” me la indicò con il dito.

Guardai i dvd, erano divisi per genere. Decisi di prendere “Hunger games” era un film che mi sarebbe piaciuto vedere ma non avevo avuto tempo di guardarlo. Rise quando vide la scelta.

“È un film che adoro” disse e si sistemò un cuscino dietro la schiena.

Mi sedetti vicino a lei.

“Guarda che ti puoi appoggiare non ti mangio” dissi e gonfiò le guance perché l'avevo beccata che mi guardava la spalla incerta sul da farsi.

Invece di appoggiarsi mi allontanò una piccola spinta così alla fine decisi di passarle un braccio intorno alle spalle ed avvicinarla.

Era tesa, però era calda, soprattutto per la febbre, e morbida. La sua pelle era davvero morbida e mi faceva paura il fatto che mi piacesse la sua vicinanza.

“Mi sto addormentando” disse piano, il film non era noioso ma la febbre le era salita di nuovo

La feci appoggiare al mio petto.

“Il mio intento era staccarmi da te” mormorò e alzò la testa.

“Non ti vuoi servire di un corpo bello come il mio?” la canzonai iniziando a farle il solletico e sovrastandola con il mio corpo.

La sua risata mi colpì le orecchie, e mi chiedevo per quale fottuto motivo una stupida risata mi faceva star bene.

Lei si agitava sotto il mio corpo continuando a ridere.

“Smettila” provò a dire. Allora mi fermai.

“Ora dormi” dissi mettendola sdraiata, mi divertiva darle noia.

“Non faccio quello che dici tu” provò a rimettersi a sedere ma la trattenni giù. “Antipatico” aggiunse girandosi verso lo schienale del divano.

Suonò poi il suo cellulare, c'era scritto Lorenzo così risposi.

Il ragazzo voleva sapere perché non rispondeva ai messaggi e gli spiegai che stava male, lui mi disse che sarebbe venuto per l'ora di cena e sarebbe rimasto anche a dormire perché non si fidava di me.

“Arriva il tuo amichetto tra un po'” dissi tornando da lei. Fece un mugolio come risposta.

Aveva gli occhi chiusi e stava provando a dormire. Mi sedetti al suo fianco ed iniziai ad accarezzarle la fronte spostandole i capelli.

“Ho le mani fredde?” domandai vedendola rabbrividire.

“Un po'” rispose ma volle che continuassi. La prima cosa pacifica che facevamo.

Rimanemmo molti minuti così a parlare del più e del meno fino a quando il campanello suonò.

 

Andai ad aprire.

“Ciao” dissi vedendo quel ragazzino.

“Piacere, Lorenzo” disse tendendomi la mano.

“Piacere, Kristian” risposi alla stretta.

“Lana non mi aveva detto che il suo professore fosse così carino, se non si offende che glielo dica”

Gay, pensai. Mi aveva anche avvisato Lana.

Andò poi subito sul divano e le stampò un bacio sulla guancia.

“Ciao tesoro” disse facendola alzare. Lei lo abbracciò.

“Grazie per essere qui” gli disse.

“È da tanto poi che non dormivamo insieme, per colpa del tuo professore” disse lui e lei si colorò di rosso, o forse era il calore della febbre?

Dormire insieme, ovvio, erano amici, lui era gay, lei gli concedeva ciò.

Me ne andai poco dopo.

Ero stanco davvero, e mi ero anche innervosito.

Volevo solo andarmene a letto.

Sono stata più veloce stavolta :) .. Chissà se la scuola mi darà un po' di tregua.
Sapete cosa? Non sono molto convinta di questo capitolo ma visto che ci ho pensato e ripensato anche troppo ho deciso comunque di pubblicarlo u.u
Conoscete gli Avenged Sevenfold? .. Io li adoro *-*
Grazie mille a quelli che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e a chi recensisce :)
A presto, Cri
ps. per le curiose, lui sarebbe Kristian :)

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Capitolo 8
*** Party poison ***


Pov Lana

 

Ero guarita completamente lunedì, così rientrai martedì a scuola.

Il professor Adams mi chiese se il giorno successivo sarei potuta andare a casa sua per dargli una mano per la tesi, gli dissi di si.

Così in quel momento mi trovai a pedalare sulla mia bici verso casa del prof.

Non sapevo cosa aspettarmi, l'ultima volta che ci eravamo visti lui si era preso cura di me, senza pretendere niente, anzi io non l'avevo nemmeno ringraziato.

A scuola ero risultata molto fredda, dovevo farmi perdonare in qualche modo.

Inoltre venerdì c'era la festa di scuola e sapevo che oggi mi avrebbe costretto a farmici andare, per questo mi ero preparata a dirgli subito di sì, per sembrare più disponibile e per fargli credere che tutto quello che aveva fatto mi stava facendo cambiare.

In realtà non stavo affatto cambiando, stavo fingendo di cambiare, che era peggio.

Suonai al campanello un po' in ansia, forse dovevo dire la verità invece di continuare a fingere.

Avrei deciso sul momento.

“Ciao bellezza” sorrisi, anche mio zio mi chiamava così, dovevo capire ancora il perché.

“Ciao prof” dissi sporgendomi a dargli un bacio sulla guancia e lui mi avvolse con le braccia, tenendomi lì, troppo vicina al suo corpo.

“Come stai?” mi domandò. Deglutii la mia saliva e modulai la voce.

“Okay” sentendo la mia voce neutra, si staccò e mi fece entrare.

La scorsa volta che ero stata da lui non mi ero accorta del pianoforte verticale che c'era.

“Forse dovrei dirti un po' di cose su di me, prima di chiederti un aiuto” cominciò a parlare e gli feci cenno di proseguire “Sto studiando per diventare un compositore, ho finito il conservatorio molto presto per la mia bravura, e non lo dico per vantarmi, ma sono stato cresciuto a pane e musica, sono stato cresciuto per studiare nella scuola dove adesso sei e sono stato cresciuto per fare questo, che poi fortunatamente è una cosa che amo... Niente, vorrei che tu suonassi quello che io scrivo, ho bisogno di capire se sto indirizzando bene la mia idea” concluse poi.

“Chiedimi tutto, allora” dissi sedendomi sullo sgabello del pianoforte.

“Così mi provochi, ragazzina” disse ridendo e mettendomi davanti uno spartito. C'era qualche scarabocchio ma per il resto era leggibile.

“Non intendevo quello”

“Coda di paglia” mi disse solo.

Mi irritai e lui si sedette vicino a me.

“Avevo pensato la prima parte eseguita pianissimo” cominciò.

“So leggere uno spartito, c'è scritto anche il tempo e i colori, non importa che tu me li dica” sbottai.

“Quanto sei irascibile!” disse scompigliandomi i capelli.

Decisi di non rispondere, perché mi sarei innervosita ancora di più.

Cominciai a suonare quelle dieci battute che aveva scritto.

“Cosa ne pensi?” chiese ansioso.

“È bella, però le ultime due battute le vedo molto come un cliché, se è questo il tuo intento allora bravo, se no cambiale” gli sorrisi incoraggiante.

“Forse le dovrei cambiare.”

Iniziammo a lavorarci un po'. Alla fine portò a termine quelle due battute e ne aggiunse altre quattro, gli suggerii qualche abbellimento e poi finimmo.

“Ti va un caffè?” mi chiese. Accettai e lo seguii in cucina.

“Ehm, Kristian” ero in imbarazzo, davvero stavo per aprirmi con lui?? “voglio essere sincera con te. Trovo che il patto non mi stia facendo cambiare, proprio per niente, ti continuerò ad aiutare ma per il resto lasciamo perdere, io continuo a voler fingere e questo non riesco a cambiarlo” dissi le ultime cose a testa bassa.

“Ehi, non si cambiano dieci anni in dieci giorni, tranquilla, forse te non lo vedi ma stai cambiando, qualche settimana fa non saresti stata così sincera, non avresti partecipato alla gita scolastica e non avresti tenuto sempre i capelli sciolti” Aveva notato tante cose.

“E aggiungerei anche la festa di scuola di venerdì” dissi.

“Ci sarai seriamente?”

“Già” dissi scuotendo la testa. Forse aveva ragione stavo cambiando, ma era bene metterci un forse.

“Ti posso dare un consiglio?”

“Come vuoi” dissi finendo il caffè.

“Prova a fare come fanno le tue compagne, magari prima bevi qualche bicchiere per scioglierti”

“Stai istigando la tua alunna a comportarsi come una dai facili costumi? Altri consigli, grazie?”

Lui rise e io con lui.

Continuammo a ridere senza motivo.

“Dovrei tornare a casa, non voglio che quando Jack rientri io non ci sia”

“Okay, stavolta sono io a doverti ringraziare” disse.

“I ruoli si scambiano” ghignai.

“Vai a casa ragazzina” disse canzonandomi. Così uscii.

 

Il venerdì non tardò ad arrivare, prima la mattina con il compito di storia della musica e poi il pomeriggio con la festa, tanto perché io mi divertivo ad avere un venerdì sera sempre diverso.

Avrei voluto portare con me Lorenzo che in quel pomeriggio mi stava aiutando a vestirmi.

Eravamo di nuovo nella cabina armadio con i vestiti di mia madre.

Il tema della festa era bianco e nero.

Lorenzo riuscì a trovare il vestito perfetto.

Un vestito nero stretto sul petto, quasi come un corpetto, e diviso da una fascia bianca dalla parte invece voluminosa che ricadeva aperta sulle cosce.

Le scarpe erano degli stivaletti neri.

Per il vestito avevo scelto di seguire il consiglio del prof, infatti, io non mi sarei mai conciata in quel modo. Eppure lì pronta ad uscire, truccata leggermente di nero, mi ero addirittura messa dei braccialetti, e non i miei amati elastici.

 

Arrivai alla scuola, accompagnata da Lorenzo che poi mi abbandonò lì augurandomi buona fortuna.

Entrai nella palestra della scuola.

C'erano diversi addobbi, e l'atmosfera faceva molto anni '50.

Ritrovai subito il gruppo della mia classe. Non c'erano tutti. C'erano quelli più popolari e tutti quelli che gli andavano dietro, e quella sera c'ero pure io.

Arrivai salutando tutti con un bacio sulla guancia, già questo non ero solita farlo e mi era costato.

Pensai al consiglio di Adams e scrollai le spalle. Non sapevo proprio se comportarmi come al solito oppure ascoltarlo.

Edoardo mi offrì da bere, interrompendo i miei pensieri, beh forse con un po' di alcool in corpo avrei potuto decidere meglio.

Era rimasto in piedi perché voleva farmi sedere e non c'erano più posti, dovevo apprezzare il gesto ma feci sedere lui.

Stringendo i denti poi, mi misi sulle sue gambe.

I ragazzi sorrisero al biondo come se io non ci fossi. Alzai gli occhi al cielo.

Riuscii a dire qualche parola qua e là seguendo i discorsi.

Ero al secondo bicchiere quando iniziarono a parlare di sesso. Le ragazze sembravano così contente di toccare quell'argomento.

A quanto mi ricordavo il sesso era una cosa intima, non un argomento come un altro, di conversazione. Beh magari ero io che ero rimasta indietro.

“Insomma preferireste una cosa a tre con due ragazze o con due ragazzi?” chiese Giulio alle ragazze. Edoardo mi strinse ancora di più iniziando a muovere le dita sulla mia vita.

Tutte dissero la loro opinione, toccava a me.

“Io preferirei una cosa a 4 veramente, sarebbe più divertente” lo dissi con il mio tono freddo, non volevo dare una risposta scontata.

“Lana ha ragione” disse Mattia.

“Dice così perché è femmina, dai Mattia è meglio avere due ragazze per sé no?” rispose Giulio.

“Ma tu hai rivolto la domanda alle ragazze, questa è la risposta migliore” disse Mattia ammiccando.

 

Passammo poi ad altri argomenti, non era poi male la loro compagnia, mi strapparono anche qualche risata.

“Ti peso?” chiesi ad Edoardo, ormai era più di un'ora che ero sulle sue gambe.

“Affatto, poi è bello averti così vicina, sei davvero bella stasera” mi disse ed arrossii.

Mi girò più verso di lui, aveva degli occhi color ghiaccio, ma non belli come quelli di Kristian, e mi odiai in quel momento per aver pensato a lui anche perché distolsi lo sguardo per cercarlo.

Era insieme agli altri professori e si stava annoiando, lo si vedeva per come annuiva distrattamente al discorso del professore di solfeggio.

“Ti va di ballare?” mi disse il ragazzo, vedendomi distratta. Sorrisi e mi alzai, un po' intorpidita anche per essere stata a sedere così tanto.

Andammo al centro della pista e mi aggrappai al suo collo con le braccia.

Che stavo facendo? Era l'alcool. Lo sapevo che con qualche bicchiere alla fine avrei ascoltato lo stupido consiglio di Adams e sarei finita in quella scomoda situazione.

Nascosi il mio viso sulla sua spalla ed iniziai a muovermi con il ragazzo.

Lui mi baciò il collo per risalire all'orecchio.

“Adoro il tuo profumo” mi sussurrò. Non mi fece schifo ma non provai nemmeno qualcosa per quel ragazzo che ormai ci stava provando apertamente.

Mi baciò la guancia e poi me lo trovai di nuovo di fronte, a fissarmi negli occhi.

Mi sfiorò le labbra con le sue, ma a quel punto mi scansai.

“Edoardo, senti, non è che perché stasera sono più socievole allora vuol dire che ci puoi provare, non voglio essere scontrosa ma rimandiamo questo momento” Non potevo scegliere parole più sbagliate, non dovevo nemmeno un po' illuderlo, dovevo dirgli semplicemente che a me non piaceva.

Mi staccai e andai verso il bagno, per staccare un attimo la spina.

Mi scontrai con Adams, ovviamente.

“Ciao” mi disse.

“Me ne stavo andando in realtà” dissi, infatti avevo appena chiamato Jack.

“Ho visto tutto” mi disse.

“Bravo, la vista ti funziona” dissi con sarcasmo.

“Più passa il tempo più diventi simpatica” rispose schiacciandomi al muro. Perché erano tutti più grossi di me?!

Menomale che da quel punto non eravamo visibili, o i pettegolezzi sarebbero iniziati.

“Che vuoi?”

“Trattalo meglio la prossima volta, ci tiene a te” disse riferendosi ad Edoardo.

“Non mi piace, non lo voglio attorno, e se ci sarà una prossima volta gli dirò le cose come stanno”

“Sei stata te stasera a provocarlo, non avresti dovuto essere scontrosa”

“Non sono affari tuoi. Ciao.” dissi andandomene.


Perdonate il ritardo u.u
Ehm. Edoardo si è deciso a farsi avanti... e il prof è dalla sua parte(?) Che ne pensate?
Lana secondo voi sta cambiando o meno?
Non vi voglio fare troppe domande, ma questo capitolo è pieno di cose che vorrei capire anch'io se ciò che scrivo può andare o meno :)
Voglio ringraziarvi tutti, tutti, tuttiiiii! Davvero ^^
Pubblicherò mercoledì prossimo,
A prestissimo, Cri


ps. per i vostri occhi :D

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Capitolo 9
*** Something new ***


 

Pov Lana

Okay, avevi ragione, non sono affari miei. Tornando al patto, è da tanto che non facciamo qualcosa... Idee?

Erano dieci minuti che rigiravo il cellulare in mano. Non avevo idee ed ero rimasta al “è da tanto che non facciamo qualcosa” sembrava una frase detta da un vecchio amico.

Lui non era affatto mio amico.

Chiamai Lorenzo.

“Ciao Lana”

“Il prof vuole fare qualcosa con me, che faccio?” dissi senza nemmeno rispondere al saluto.

“Fai! Sono così maliziose le cose che fate voi due, io vi appoggio”

“Non hai capito niente, mi riferivo al patto” sbuffai. Possibile che avesse inteso davvero tutt'altro?

“Oh, beh tu non hai mai fatto sesso per esempio, non hai mai baciato un ragazzo, non hai mai fatto una doccia con un ragazzo”

“Cambia tema Lore, non chiederò mai qualcosa del genere”

“Parco giochi, anche se è da bambini, tu non ci sei mai stata, oppure in piscina, mi ricordo solo la vacanza al mare quando avevamo sette anni, prima dell'incidente ma mai un bagno in piscina”

“Mi vergogno a dirglielo” dissi.

“Ti ha vista con la febbre, ubriaca, con solo l'intimo indosso, sudata al concerto e tu ti vergogni di chiedergli una cosa”
“Sì, e poi dovrei mettermi in costume”

“Eh già che problema, visto che hai un fisico così brutto” disse ironicamente.

Niente paranoie, aveva ragione.

Lo salutai e riattaccai.

 

Un pomeriggio in piscina che ne dici? Magari non domani che devo studiare. Inviai.

 

Non dirmi che non sai nuotare? AHAH. Okay. Mercoledì allora.

 

Prendeva pure in giro; mi ero dimenticata la mia regola non rispondergli mai per messaggio, ma ormai avevo iniziato e non volevo dargliela vinta.

 

Bambino. So nuotare, e non vedo l'ora che sia mercoledì per affogarti. Conclusi felice.

 

Mi buttai sul letto e feci un sospiro.

“Cosa ti turba, bellezza?” mancava solo l'interrogatorio dello zio. Si sdraiò al mio fianco.

“Niente, è che ho un impegno scolastico che non vorrei fare”

“Mmh non mi convinci, ma da un po', ragazza” disse lui. “Lo vedo adesso che esci, sei più allegra, sempre acida, ma con un sorriso, e ti curi un po' di più”

“In effetti sto provando a cambiare con.. insomma, grazie all'aiuto di uno”

“E questo ti piace?”

“Neanche se fosse l'ultimo uomo sulla Terra” rise alla mia risposta.

“È così brutto?” domandò ridendo.

“No, al contrario, ma lo odio”

“Odio e amore” canticchiò, irritandomi.

“Smettila” dissi.

“Notte Là, non fare troppi sogni erotici su di lui eh? Sei sempre in casa mia”

“ZIO!” protestai. Mi diede un bacio veloce e mi lasciò dormire.

 

 

Pov Kristian

 

Mi stavo dirigendo verso la piscina comunale. Avevo scelto un orario in cui c'era poca gente.

Aspettai che arrivasse.

La vidi che mi veniva incontro, aveva una borsa sportiva e indossava una comoda tuta.

“Ciao bambino” mi disse.

“'Mocciosa” dissi in saluto, evitai il suo calcio, rifugiandomi nello spogliatoio maschile e facendole una linguaccia.

Aveva iniziato lei. Okay, quella era una frase da bambino.

 

Mi tolsi la tuta e mi misi il costume.

In quel momento pensai che me la sarei ritrovata a pochi centimetri, semi nuda. Sperai solo che il mio corpo non reagisse come aveva reagito quella sera o sarebbe stato davvero imbarazzante.

Quando giunsi alla piscina la dovetti aspettare. Ragazze sempre in ritardo, pensai.

Indossava l'accappatoio e si muoveva lentamente, forse perché era in imbarazzo. Lo posò da una parte e si avvicinò.

“Pronta per una nuotata?”

“Ho detto che ti avrei affogato, poi mi farò una nuotata” disse facendomi l'occhiolino e iniziò a scendere le scalette, entrando in acqua.

Aveva un fisico perfetto, e rimasi a guardarlo incantato. Cercai di distrarmi entrando in acqua così da nascondere il velo di sudore che si stava creando sulla fronte.

Notai che anche lei però stava fissando il mio fisico.

In acqua tutti i discorsi si annullarono ed iniziammo semplicemente a nuotare in silenzio.

Vidi che le piaceva andare in profondità anche se questa cosa mi metteva un po' di ansia così la seguivo in ogni movimento. O forse la seguivo solo per continuare a guardarla. C'era del sano masochismo in ciò, visto che il mio basso ventre rispondeva bene alla vista del suo corpo.

“Lana” si girò guardandomi, gli occhi erano ormai color del miele forse per il cloro. “Vieni qui” si avvicinò dubbiosa.

“Chi ti ha insegnato a nuotare?” le domandai.

“Un po' mio padre, un po' Lore” disse piano.

“Sei brava” mi fece un sorriso sincero, di quelli rari che difficilmente regalava e solitamente li faceva se si parlava di cose a lei a cuore, come i suoi genitori.

“Mmh vediamo quanto sei bravo tu, prendimi” disse spingendosi al bordo ed allontanandosi da me.

Andò sott'acqua e il tempo di metabolizzare le sue parole che le ero dietro.

Era veloce, sì, ma facile alla presa.

Dopo un paio di giri in diagonale, qua e là per la piscina la presi per la caviglia e la feci scontrare con il mio corpo.

Mossa sbagliata. Lei scontrò le labbra sul mio collo e per rimanere in equilibrio dovetti allacciare le braccia intorno al suo corpo.

“Presa” dissi quasi con voce roca.

“Non mi vuoi liberare adesso?” domandò retoricamente, riferendosi alle mie braccia strette sulla sua vita.

“No, non scappi più” dissi e lei si morse il labbro. Le sue labbra, mi ci stavo avvicinando.

 

“Tra dieci minuti la piscina chiude” disse una voce citofonata.

Ci guardammo intorno e non c'era più nessuno. Scoppiammo a ridere e scappammo negli spogliatoi a cambiarci.

Quando uscimmo fuori lei aveva ancora i capelli bagnati così decisi di riportarla a casa con la macchina, sennò si sarebbe ammalata.

 

“Buona serata piccoletta” adoravo usare nomignoli per vedere il suo sopracciglio alzarsi, indispettita.

“Quanto sei fastidioso!” disse facendo per uscire dall'abitacolo della macchina.

“Non mi dai la buonanotte?” la fermai per il polso. Si avvicinò al mio viso molto lentamente per poi spostarsi verso la guancia.

“No” mi sussurrò sensuale all'orecchio e se ne andò.

Risi di me stesso. Che coglione.

 

Pov Lana

 

Mancavano pochi giorni prima della gita, in classe non si parlava altro che di quello.

Quel giorno in più c'era la restituzione del compito di storia della musica.

Mi misi a sedere al solito posto aspettando di essere chiamata alla cattedra. Da quanto vedevo, lui spiegava pure gli errori, quello voleva dire perdere metà dell'ora.

Quando mi chiamò mi fece sedere al suo fianco.

“È andata meglio dell'interrogazione, quando scrivi non sei arrogante”

“Grazie, ma io non sono arrogante, realista piuttosto” risposi. Lui rise.

“Potresti venire oggi pomeriggio a casa mia?”

“Queste proposte in sede d'istituto non le dovrebbe fare professore” dissi a bassa voce.

“Posso ripeterti una cosa?”

“Che sono simpatica?”

“Vedo che l'hai capito” concluse quello scambio di battute a bassa voce “ Hai preso otto e mezzo dolcezza, vedi di non piangere perché non hai preso il massimo” mi diede il compito divertito, lo faceva apposta ad abbassarmi la media.

Me ne tornai a sedere sbatacchiando il banco.

“Ti è andata male?” mi chiese una ragazza.

“No, lascia stare” scontrosa, risultavo sempre troppo scontrosa.

Alla fine della giornata scolastica uscii dirigendomi verso casa Adams, lo avrei aspettato lì piuttosto che farmi accompagnare con la sua macchina.

Arrivai, in bici, dopo di lui, per fortuna.

Mi aprì subito la porta e mi fece entrare.

Senza giri di parole andammo al piano ed iniziammo a lavorare.

 

Suonai quasi per tutto il tempo ma c'era qualcosa che non mi tornava nelle ultime cose scritte.

“Kristian se non mi spieghi le tue intenzioni in questa composizione non ti so dire se stai facendo bene”

“Racconto la mia vita con questa composizione” sussurrò, effettivamente avevo anch'io parlato a bassa voce.

“E qui allora, la malinconia è voluta?”

“Sì, ma non so esattamente come esprimerla” disse.

“Per me dovresti metterla più tardi nella composizione, è uno stacco troppo grande, non si capisce che è voluta la malinconia sembra solo uno sbaglio nello spartito”

Annuì e cerchiò le battute isolandole dal resto.

“Ho fatto una torta ti va?” disse, eravamo quasi a fine ed entrambi non avevamo pranzato.

Ovvio che mi andava, così acconsentii e lui si diresse in cucina.

Mi girai un po' attorno per vedere meglio il suo appartamento.

“Ehi, ma quello nella foto è il preside, tu e ...una tua insegnante?” chiesi superficialmente appena tornò.

“No, è mio padre, io e mia madre” rimasi a fissarlo sbigottita. Era suo padre? Il preside della scuola era suo padre. “Puoi anche chiudere la bocca adesso e dirmi che sono un figlio di papà e che ho avuto la strada facile”

“Nono, non stavo pensando questo, mi chiedevo perché il cognome Adams?”

“Non volevo che sapeste che ero il figlio del preside del conservatorio” disse porgendomi un piattino.

“Non ti senti sempre sotto pressione?”

“No, basta non viverci insieme e i genitori non fanno pressione”

“Già, nemmeno mio zio pretende molto da me” dissi e iniziai a mangiare la torta.

 

“Oddio, è buonissima!” esclamai guardandolo meravigliata.

“Grazie” disse tornando accanto a me.

“Ti faccio una giustificazione per domani, ti ho trattenuta tutto il giorno qui” disse ma poi si mise a ridere e lo guardai stranita “Hai dello zucchero a velo sul labbro superiore” feci per portarmi la mano ma la bloccò e temetti che avvicinandosi in quel modo mi avrebbe baciata invece soffiò, vicinissimo, sul labbro e lo zucchero andò via.

Rimasi un attimo incantata, in tutti sensi. Era il suo fiato, buono e dolce, ad avermi spiazzato. Quel ragazzo cominciava ad attrarmi fisicamente e ciò non andava affatto bene, anzi non sapevo nemmeno se era attrazione il fatto che avessi voluto che mi baciasse e che avessi voluto abbracciarlo per sentirne il profumo.

Sbattei le palpebre due volte e mi ripresi, anche lui sembrava essersi preso la scossa da quella vicinanza.

“Hai ragione è tardi, tolgo il disturbo” dissi alzandomi e prendendo le mie cose.

“Grazie ancora” disse. Gli sorrisi e mi chiusi la porta dietro.

 

Pov Kristian

 

Due giorni e saremmo partiti. Non vedevo l'ora di staccare cinque giorni dall'università.

Non vedevo l'ora di stare cinque giorni a contatto con i ragazzi, e in particolare, ormai, con Lana.

Era inutile negare che non mi piacesse fisicamente. Ero attratto da lei in maniera inequivocabile.

Volevo baciarla prima di tutto, ma volevo che lei provasse con me un'altra cosa che sicuramente non aveva mai fatto: il sesso.

A proposito di quello, da quando eravamo stati al Piazzale non ero uscito più e ciò era ridicolo e non capivo come mai il mio corpo reagisse in quel modo così contorto.

Avrei dovuto ascoltare la testa e smetterla con quella storia, io l'avrei potuta mettere nei guai con i miei modi. Dovevo essere più ragionevole.

A scuola nei giorni successivi cercai di non guardarla nemmeno ma mi era difficile e soprattutto la dovevo a volte richiamare perché non stava attenta e il brutto era che non lo faceva nemmeno volutamente.

Era fatta così. Ogni tanto spariva nel suo mondo.

 

Arrivò subito il week-end.

Preparai le valige con poco, cercai per lo più di mettere felpe e magliette comode.

Mi chiamarono molti ragazzi chiedendomi cosa avrebbero dovuto portare, e molti invece mi chiesero il programma dei cinque giorni perché i genitori volevano saperlo.

Mi arrivò poi un messaggio e sorrisi vedendo che era di Lana.

Da quando aveva iniziato a mandarmi messaggi?

 

Sono Lorenzo Lessi. Ecco appunto non era lei. Continuai.

elimina questo messaggio lei non sa che te lo sto inviando, uscirete la sera lì a Torino? Perché l'ho costretta a farmi fare la valigia e vorrei saperlo. Grazie xo

 

Potevo divertirmi e dirgli di no, e quindi vederla uscire in un pub con un semplice jeans, se non una tuta, visto che le portava spesso oppure vederla vestita per bene, vedere tutti i suoi compagni sbavarle dietro ma soprattutto lottare con me stesso per non poterla avere.

 

Puoi immaginarlo. Comunque fai come vuoi anche se sarebbe divertente farla uscire di sera in tuta.

Inviai.

 

Le farebbe solo piacere, per farle un dispetto mi dovresti consigliare di metterle dei vestisti corti a meno che questi non diano fastidio a te. Era sveglio il ragazzo, d'altronde sapeva ragionare sia con il cazzo che con il cervello e quindi mi capiva.

 

Vestila come ti pare, basta che si innervosisca. Buttai il cellulare in un angolo.

 

Ero entusiasta per i giorni successivi, non vedevo l'ora che il lunedì mattina arrivasse.

Andai a dormire.

Avevo ancora sul comodino l'elastico che Lana aveva lasciato la notte che si era ubriacata e per qualche giorno avevo avuto il suo profumo dolce sul cuscino.

Poi al primo lavaggio era sparito.

Misi al polso l'elastico e alla fine mi addormentai.

Eccomi qui. Che ne dite di questo capitolo? Ho paura che non ci sia niente di che e che sia solo un capitolo di passaggio per arrivare a questa famosa gita...
Aspettative? mmh.
Intanto grazie mille anche solo per essere arrivati a questo capitolo **
Non so quando pubblicherò, forse sabato o martedì, non ne ho idea dato che sono in vacanza, e a proposito AUGURI! :)


Ps. questa è Lana e ... beh il prof è sempre un bel vedere C:

 

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Capitolo 10
*** On the bus ***


Pov Lana

Il ritrovo era alla scuola.

Quando ero più piccola odiavo le gite perché al ritrovo i ragazzi/bambini dovevano portare i loro genitori, io ero costretta a portare Jack e così tutti iniziavano a fare domande.
Poi avevo imparato e dopo le medie avevo smesso di partecipare alle gite sia per non ritrovarmi in quelle situazioni, sia perché le gite erano un modo per relazionarsi ancora di più con la classe.

Quel giorno invece ero in macchina con Jack, la mia valigia nel cofano, e lui che sorrideva smagliante, curioso di incontrare qualche mamma single.

“Mi racconterai tutto poi quando torni” mi disse quando arrivammo.

Scese e prese la mia valigia avvicinandosi al bus dove c'erano tutti. Era ancora buio ma iniziai a riconoscere i miei compagni con i loro genitori.

La professoressa Nei venne verso di me, accompagnata da Adams.

Strinsero entrambi la mano a mio zio.

“Lei è il signor Mati?” chiese la professoressa.

“No, sono lo zio di Lana, il suo tutore” lo sapevo che a quella risposta sarebbero partiti tutti i mormorii da parte dei miei compagni. Non avevo mai capito se loro sapessero o meno dell'incidente. Forse sapevano che c'era qualcosa che non andava poiché avevo una sola firma sul libretto scolastico.

Adams mi mise un braccio intorno alle spalle e disse un “non si preoccupi” a mio zio che mise nel frattempo la valigia sul bus.

Salimmo poi quando arrivarono tutti.

Edoardo insistette per mettersi vicino a me e alla fine non riuscii a dirgli di no, anche perché non sapevo a quel punto accanto a chi sedermi.

Finii tra gli ultimi posti, insieme a tutti i ragazzi e un'altra ragazza, Caterina.

Le altre ragazze si misero davanti.

Il prof si mise dietro con noi dicendo di voler controllarci ma la verità era che non voleva stare con la professoressa e le sue storie sulla sua vita familiare.

“Ho sonno” dissi ad Edoardo.

“Dormiamo un po' allora” avevamo cinque ore di bus e l'unico modo per reggerle, anzi reggerle con i miei compagni, era dormire.

 

Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma ero sveglia. Non aprii gli occhi solo perché non avevo voglia di chiacchierare, al contrario di quanto stessero facendo i miei compagni con i loro mormorii.

Tutti argomenti che fino a quel momento non mi interessavano, visto che stavano parlando di una certa ragazze della quarta G.

I ragazzi riuscivano a pensare solo a due cose contemporaneamente: tette e culo.

“Ehi ma li avete visti quei due?” cominciai già a stare più attenta.

“Sono carini insieme già” disse Mattia, speravo solo non si riferisse a me e al tizio che mi stava tenendo stretta al suo petto. Come ci ero finita così vicina?

“Secondo me in gita fanno qualcosa” aggiunse Caterina, un'altra che non si faceva mai gli affari propri.

“State zitti, mi avete rotto” intervenne Edoardo che si era appena svegliato, infatti facendo attenzione si stava stiracchiando.

“Ehi senti, te sai qualcosa di quello che abbiamo visto stamani?” domandò Giulio. Non avevano altro di cui parlare?!

“Si, quando lei aveva sette anni i suoi genitori sono morti in un incidente stradale. Stavano tornando da un concerto di suo padre, era tardi e un camion con un autista che si era addormentato gli è andato addosso e lei stava dormendo dietro, si è salvata” dopo la grande spiegazione di Edoardo partirono dei cori dispiaciuti o sorpresi. Mi chiedevo chi gli avesse detto ciò, comunque non era poi così difficile che lo sapesse visto che la storia finì sui giornali.

“Secondo voi è per questo che è così acida e stronza?” domandò un altro ragazzo.

“Basta parlare di lei, è qui, e non mi piace che si parli così delle persone” intervenne severo Adams. Strinsi il maglione del mio compagno e poi cercai di sprofondare in un altro sonno, sentire la mia storia da una voce esterna mi faceva male ancora. Lo stomaco si rivoltava ogni volta ed ogni volta avevo la sensazione di essere stata solo un errore della vita.

 

“Ehi” mi sentii muovere la spalla.

“Dimmi che siamo arrivati” mormorai e sentii una risata.

“No, siamo all'autogrill, scendiamo per dieci minuti” era Edoardo, volevo togliermelo di torno il prima possibile.

Mi stropicciai gli occhi e scesi dal bus, ero irritata dal comportamento di quest'ultimo perché aveva portato un braccio sulle mie spalle e mi camminava accanto come se fossimo una coppietta.

Stavo per rigirarmi male quando intervenne il professore che lo chiamò per chiedergli una cosa.

Mi fece un occhiolino di intesa, l'aveva fatto apposta, almeno qualcuno che mi capiva c'era anche se era quell'essere, chiamatosi Kristian.

Andai al bar perché avevo bisogno di un caffè dopo le tre ore sul bus a dormire e mi era venuto anche il torcicollo.

Andai alla cassa, la fila era lunga ma non avevo fretta, almeno ero lontana da chiunque della mia classe visto che erano tutti a fumare o a comprarsi la merenda, lì al bar non c'era nessuno.

“Mi devi un favore” arrivò Adams alle mie spalle. Alzai gli occhi al cielo.

Era il mio turno.

“Un caffè normale e uno macchiato” dissi alla commessa e pagai.

Lo tirai via dalla fila. “Ti ho restituito il favore, idiota” dissi dirigendomi verso il bancone e dando lo scontrino ad un altro commesso.

“C'era dello yogurt scaduto nella tua colazione? .. comunque mi dovresti dare del lei adesso.”

“Mi scusi, le ho restituito il favore, idiota” dissi con lo stesso tono, cambiando solo i pronomi.

Rise e bevve il suo caffè.

“Non passerai vero altre due ore a dormire?” mi disse il prof posando la tazzina e leccandosi le labbra. Mi incantai per qualche secondo e poi mi ripresi.

“Non dormirò” dissi solo e me ne andai.

Tornai verso il bus e salii andando al mio posto. Buttai la testa all'indietro, ormai sconsolata per quella gita. Facevo bene gli anni prima a rimanere a casa.

Salirono tutti.

“Posso stare al finestrino?” mi chiese il mio compagno di viaggio, annuii e mi spostai.

“Prof lei chi si farebbe di classe nostra?” ero rimasta solo io in fondo tra i ragazzi perciò loro iniziarono di nuovo a parlare senza sosta di ragazze, la domanda ovviamente gliela fece Giulio.

Il professore sobbalzò, non si aspettava quella domanda.

“Sempre che non sia dell'altra sponda” aggiunsi io sfidandolo con lo sguardo.

“Oh, la bella addormentata è tra noi” mi rispose fissandomi.

“Io penso che lei abbia qualcos'altro addormentato” Ma dove mi era uscita quella insinuazione davanti a otto ragazzi?! Al mio professore! Mi stavo dando della stupida quando sentii quelli vicini a me ridere. Non lasciai comunque trapelare nulla e mantenni uno sguardo serio.

“Forse prof, lei vuole svegliarlo” disse Giulio a battuta riferendosi a me, e gli altri risero. Mi girai lanciandogli un'occhiataccia.

“Un'altra battuta Giulio e non potrai più riprodurti”

“Quando fa così è seria e violenta, meglio che la lasciate stare” intervenne Adams con il suo ghigno da so-tutto-io. Strinsi le mani a pugno per scaricare la tensione.

I miei compagni da quando stavano con Adams ricevevano la sua influenza, sarcastica, negativa.

Io, invece, diventavo sempre più acida.

 

Dopo un po' il professore disse che voleva parlarmi così mi misi al posto del ragazzo che era accanto a lui.

Non sapevo se era un altro dei suoi modi per prendermi in giro o voleva essere serio per una volta.

Mi sedetti sbuffando e girandomi verso di lui che alzò un sopracciglio divertito.

“Piccoletta prova a rifare un'insinuazione del genere e le battute di Giulio ti sembreranno cazzate” mi disse all'orecchio. Rabbrividii ma non per timore ma perché mi aveva sfiorato il lobo dell'orecchio.

“Smettila con i nomignoli” lo spintonai per una spalla.

“Comunque la vuoi sapere una cosa?” disse serio anzi ero convinta che fosse serio.

“Certo dimmi” mi bagnai le labbra, lo facevo troppo spesso.

“Se ci sei tu a giro là sotto si sveglia a tutti” mi fece l'occhiolino.

“Non ci tenevo a saperlo” dissi alzandomi e feci per tornarmene al mio posto quando mi chiese di andare davanti con le ragazze perché voleva parlare con Edoardo e non mi voleva intorno.

Lo ascoltai e mi sedetti vicino alla sfigata del gruppo che era stata lasciata sola, per lo meno c'era una più asociale di me, non per scelta.

Arrivammo verso le sei davanti all'albergo.

Nella Hall ci divisero e ci diedero le camere.

Ero capita con Caterina, gli scherzi del destino proprio. Non che non mi piacesse ma era una di quelle che stava spesso con i maschi come me, perciò mi rubava quel poco di vita sociale che avevo.

Ci diedero le chiavi, presi la mia, mentre Caterina disse che mi avrebbe raggiunto più tardi perché doveva parlare con un compagno.

Feci spallucce e presi l'ascensore.

In pochi stavano salendo perché tutti erano curiosi di stare fuori dall'albergo.

Mi piaceva l'odore di quei corridoi ed effettivamente era una delle poche volte che mi ritrovavo in un albergo ed era meglio godermelo da sola che con la massa di scimmie che avevo come compagni di classe, abituati a questo ed altro fin da piccoli.

Allooooora, GRAAAAZIE, mi fanno molto piacere le recensioni che ho ricevuto e mi fa molto piacere vedere che la storia viene messa tra le preferite/ricordate/seguite *O*
In questo capitolo c'è solo il punto di vista di Lana, è voluto in modo che possiate capire un po' di più di lei, visto che una ragazza mooooolto complicata c:
Non sono di molte parole oggi, ancora grazie ^^ (ps. Auguriii!)
Cri

 

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Capitolo 11
*** Turin; ***


Pov Lana

 

Ero arrivata fino alla stanza 627.

“Oh siamo vicini di stanza, neanche a farlo apposta” Adams, me lo ritrovavo ovunque, come se non l'avesse fatto poi seriamente di proposito. Era nella stanza 629. Alla mia destra.

“Immagino che sia stato tu a mettermi insieme a quella lì” ridacchiò, e poi aprì la porta. “Ti odio” sussurrai guardandolo.

Poi successe tutto in pochi secondi.

Non mi diede il tempo di respirare dopo la parola “odio” che mi tirò per il braccio e mi fece entrare nella sua camera.

Mi mise tra lui e il muro. Volevo, volevo che lui prendesse il mio braccio di nuovo.

Mi guardò negli occhi, mi immobilizzò letteralmente con lo sguardo.

Si avvicinò irruento alle mie labbra e -mi baciò-, le baciò e le succhiò, aspettando una mia reazione che arrivò subito perché ero presa dal momento e da quella situazione.

Le sue labbra mi stavano facendo impazzire e chiedevano di più, perciò schiusi la bocca e gli permisi di entrare. Fu un bacio frustrato di chi sapeva che tutto ciò era sbagliato. Era un bacio passionale. Era il mio primo bacio.

Giocò con la mia lingua fino a non avere più fiato e si staccò e poi riprese fino a mandarmi in estasi. Le gambe mi cedevano perciò dovetti aggrapparmi al suo maglioncino, ma lui scambiò quel gesto per voglia. Mise le mani sulla mia pelle, sotto la maglia, e portò il suo bacino sul mio. In quel momento ritornai sulla Terra.

“A-aspetta” dissi con voce tremante. Era così fottutamente vicino che facevo fatica a parlare.

“Non ce la facevo più, ragazzina, la devi smettere di essere così provocante” disse amareggiato come se si fosse appena accorto di aver fatto una cazzata. Tirò un pugno al muro.

“Fanculo, dimentica tutto okay? Consideriamola una delle cose del patto e facciamo finta di niente”

“Non avevi mai baciato un ragazzo?” domandò, serio.

“No, ma fa' come ti dico” dissi ed uscii dalla stanza, entrando nella mia.

Mi buttai su quel letto anonimo. In quella camera anonima, con le pareti rosse.

Non riuscivo a credere a quello che era successo.

Entrò dopo 5 minuti Caterina.

Mi guardò chiedendomi cosa avevo.

“Niente” risposi quasi scocciata.

“Guarda che non sono come le altre di classe, non vado a spettegolare”

“Oggi mentre dormivo non mi sembrava” lei rise appena finii di parlare.

“Okay mi sembra giusto che ti debba dire qualcosa di mio da riferire ai ragazzi adesso” risi anch'io.

“Non sono vendicativa, io” dissi mettendomi a sedere.

“Non hai difetti ragazza!” mi disse sedendosi sul mio stesso letto.

“Certo, iniziando dalla mia spontaneità” ridemmo insieme della mia battuta e mi resi conto che parlare con lei non era male.

“Ora mi puoi dire cosa avevi prima, se non sono invadente”

“Mi è successa una cosa con un ragazzo e sono sconvolta”

“Oh, per questo è meglio farseli amici che nemici” disse senza seguire il senso anche perché non sapeva cosa mi era successo ma almeno mi strappò un sorriso.

Ci diedero un'ora per sistemare le borse e fortunatamente fu piacevole stare in stanza con lei.

Bussarono poi verso le sette, mi ero appena cambiata mentre Caterina era in bagno così andai ad aprire.

Mi ritrovai il prof. in camicia bianca che sorrideva malizioso.

Mi stava squadrando pure lui. Io avevo delle calze e un maglione molto lungo e molto pesante che adoravo.

“Tra cinque minuti scendete” mi disse.

Annuii.

“Ah, e stasera vi porto in centro a Torino per vedere la città di notte”

“Come se le dispiacesse” dissi, ero in imbarazzo, ma provavo a essere pungente come al solito.

Mi fece un occhiolino e chiuse la porta.

Spiegai le istruzioni del prof a Caterina e scendemmo a cena.

La cena fu decente. Poi io ero abituata ai surgelati perciò trovare tutto pronto e qualcuno che mi servisse era davvero bellissimo.

Appena finimmo, congedammo la professoressa e coloro, che stanchi, rimanevano in hotel. Noi uscimmo.

Fortuna, assurdo che lo dicessi, che c'era Caterina, perché il mio umore era pessimo quella serata e lei riusciva con le sue battute su tutti a tirarmelo su.

 

Arrivammo in una caffetteria/cioccolateria storica del centro. Ci misero in una sala, un tavolo solo per noi ed ordinammo.

Scelsi un marocchino perché sapevo che a Torino erano favolosi e infatti fui contenta della scelta.

Dopo mezz'oretta che eravamo lì, Edoardo mi chiese se potevo andare con lui perché mi voleva parlare.

Quel giorno stavano succedendo troppe cose e troppe persone mi volevano parlare.

Uscimmo da quella stanza e andammo fuori, senza allontanarci. Si fermò e mi prese il polso.

Non disse niente e premette solo le labbra sulle mie. Erano calde e morbide, ma il punto è che mi diede noia quel gesto perché non era come il bacio ricevuto prima e soprattutto Edoardo non mi piaceva. E poi, che avevano tutti oggi?

Si riavvicinò ancora visto che non mi muovevo ma a quel punto mi scansai e il suo bacio finì sulla mia guancia.

“Lana io lo dovevo fare, io penso di essermi innamorato di te” disse abbracciandomi. Ero intenerita, era un gesto che non mi sarei aspettata. Ero senza parole, lui non era stato irruento, era stato gentile.

Lo dovetti comunque allontanare, sciogliendo l'abbraccio.

“Edo, io penso tu abbia capito che non ricambio quello che provi e comunque non è proprio il momento, so che magari ora mi odierai ma io in questo periodo sono ancora più confusa del solito e non riesco ad avere una relazione” dissi ed abbassai la testa.

“Okay, dì al prof che vado a farmi un giro e torno subito” disse e mi lasciò lì sola dandomi le spalle.

Rientrai e mi sedetti di nuovo al tavolo.

“Dov'è Edoardo?” mi chiesero un po' tutti.

“Fuori a fare due passi” risposi spazientita.

Kristian aggrottò le sopracciglia.

“Devo parlare con la ragazzina, scusatemi, voi continuate” disse tirandomi per il polso.

Li avrei uccisi tutti se avessero continuato così. Da quando era arrivato il professore, ero passata da non essere calcolata ad essere l'argomento di tutti, qualcosa mi faceva pensare che non ero io che ero cambiata ma gli altri con l'arrivo dell'onda Kristian.

 

“Senti ci tengo ad Edoardo e spero che tu l'abbia trattato bene”

“Speri bene, anch'io non voglio che soffra” gli risposi. Eravamo in piazza Castello. Era meravigliosa.

“Ho stretto una bella amicizia con lui e non mi va che lo tratti come tratti gli altri” Annuii.

“Però sei stato tu a baciarmi”

“Non mi sembra che tu ti sia rifiutata quando ti ho baciato” era vero, ma lui non aveva voluto capire cosa insinuassi.

“Si ma non era niente come anche il bacio di Edo” quanto ero poco brava a mentire così.

“Seriamente?” disse avvicinandosi e fui avvolta dal suo profumo. Mi morsi il labbro, intimidita da quella vicinanza. Era inutile.

 

Pov Kristian

 

Avevo capito da quel bacio in camera che io mi trovavo nella stessa situazione di Edoardo, altro che volere fisico. Io mi stavo cuocendo bene. Lei era bella, ma in realtà io non riuscivo a fare a meno della sua presenza, non riuscivo a dimenticarmi tutti i discorsi fatti con lei, lei che mi aiutava o che mi guardava cucinare, o tutto il resto.

A me piaceva. Puah.

Lei. Assurdo.

Non riuscivo a crederci che mi piaceva.

In quel momento era di nuovo sola con me, e avevo solo un unico pensiero. Baciarla. Di nuovo.

E poi? Cosa sarebbe successo?

Non ci pensai. Volevo solo sentire quel sapore così dolce sulla mia lingua, sulla bocca. Volevo sentire il suo respiro caldo.

Mi avvicinai, molto piano, per vedere se si allontanava o meno, se lo voleva o meno. Non si spostò così le lambii il labbro inferiore con la mia bocca, fino a succhiarlo.

“Non mi sembra che tu non provi nulla” dissi facendo scorrere il mio indice sul collo e sentii la pelle d'oca che le si era creata. Era tesa come una corda di violino.

Non disse niente, perciò le diedi un altro bacio a stampo.

“Kristian, per favore” disse in un sussurro e sentii un formicolio al basso ventre solo a sentire il mio nome pronunciato in quel modo.

“Ripetilo o non mi stacco” dissi sulle sue labbra

“Kristian, smettila” disse allontanandosi controvoglia. Che stavamo facendo?

Non dicemmo più niente e rientrammo nella caffetteria. Era come se si fosse persa nel suo mondo, non parlò più, cercò solo lo sguardo di Edoardo quando lui rientrò ma quest'ultimo si andò a sedere accanto ad una sua compagna di classe, abbracciandola. Lana fece una smorfia e poi tornò tra le nuvole. Si legò i capelli, come un gesto di difesa e in quel momento mi accorsi che la stavo fissando troppo e non dovevo permettermelo. Il punto era che non mi capivo nemmeno io, avevo molta confusione, ma anche la certezza, l'unica certezza che volevo bene a quella ragazza.

Dopo un paio di minuti tornammo verso l'hotel, io con tutta l'intenzione di dormire.

Ouch, spero non mi vogliate male dopo questo capitolo u.u
Ci sono tante cose che spero vengano colte c:
.... Che dire, anche Lana ha ceduto agli ormoni LOL
Voi che dite?
Ah e grazie mille *W*

Oh, il nostro Kristian in viaggio c:

 

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Capitolo 12
*** Naked ***


Pov Lana

 

Arrivammo in camera che era mezzanotte.

Eravamo esauste sia io e che Caterina perciò, dopo essere state in bagno andammo a letto.

“Quindi il problema è il professore eh?”

“Non dire cavolate”

“No, e quindi non avete litigato quando siete stati fuori?”

“Si, ma non per quel che credi tu” dissi.

“Io non ho detto niente, hai fatto tutto da sola”

“Colpa della stanchezza, buonanotte”

“Ne riparliamo domattina tesoro” disse e si girò dall'altro lato.

 

Passammo due giorni ininterrotti a girare per i castelli, i musei e i grandi palazzi di Torino. Mi ero innamorata della città.

Poi c'era stato il sole per tutto il tempo e questo contribuiva a mantenere il mio umore sereno.

“Stasera non usciamo perché già facciamo tardi” mi disse Caterina come se mi interessasse uscire o meno con quella banda di idioti.

“Mmh, menomale” dissi guardando una vetrina. Ci era stata data un'ora di svago prima di tornare in hotel.

“Quindi ho deciso di invitare Mattia, Giulio e il professore in camera nostra” Continuò.

Non avevo ben recepito all'inizio quindi annuii distrattamente. Poi collegai camera nostra, con Mattia, Giulio e il professore più il verbo invitare. La peggiore cosa che poteva succedere.

“No, aspetta, tu cosa?!”

“Hai sentito bene, ormai mi hanno già detto di sì quindi non lamentarti”

“Vorrà dire che dormirò stasera”

“Certo certo, magari riesci a parlare con quell'altro idiota del professore visto che vi odiate in questo momento” alzai gli occhi al cielo. Cosa aveva il mondo per mandarmi persone del genere accanto?

“Ce l'hai un completo sexy?”

“Ehi, smettila” dissi stizzita.

Continuò invece facendomi vedere qualche vetrina, che poi nessuno le aveva detto che io volevo parlare di nuovo con Adams. Anzi nessuno le aveva detto niente, aveva fatto tutto da sola.

Tornammo in hotel in tempo per farci una doccia e rivestirci.

“Dai, dai ti ho visto un intimo viola stupendo in valigia” mi disse andando a frugare tra la mia roba.

Me lo lanciò. Quel completo era un regalo di Lorenzo ovviamente. Era un completo di Victoria's Secret.

Alla fine cedetti e lo misi, per il resto decisi di mettere un jeans ed una camicetta visto che non dovevamo uscire.

Lorenzo aveva messo solo una tuta in tutta la valigia e aveva già ricevuto la mia sgridata via telefono.

 

La cena la passai in maniera tranquilla, cercai di isolarmi per quanto fosse possibile visto che ormai Caterina mi stava alle costole.

Evitai ogni sguardo da parte dei ragazzi.

Rientrai in camera nervosa. I ragazzi sarebbero arrivati a momenti ed io, ero nervosa. La cosa non doveva nemmeno toccarmi, anzi, magari potevo mettermi a letto.

Pensai a mille cose e alla fine decisi di uscire sul balcone a fumare.

Non fumavo per vizio.

Mi ero portata un pacchetto da 10 in gita per i momenti morti che ci sarebbero stati, ma ancora non ne avevo fumata una.

Uscii quindi con una felpa indosso visto che le temperature si erano abbassate.

Caterina mi ignorò e andò ad aprire appena bussarono.

Buttai la sigaretta e rientrai.

“Ciao ragazze” dissero in coro e ci vennero a dare un bacio sulla guancia ad entrambe.

“Ciao” disse Caterina, lo disse anche per me visto che io non aprii bocca. Mi misi invece a sedere sul mio letto, seguita dal prof che si sedette anche lui, mentre Caterina, con Mattia e Giulio si sedettero su letto di lei. La ragazza mi fece anche l'occhiolino.

Volevo morire.

Sarebbe stata una serata lunga.

“Visto che stasera hanno deciso di non uscire, movimentiamo un po' la serata” disse Caterina, ricevendo la mia occhiataccia.

“Cosa vogliamo fare?” chiese Kristian mettendosi comodo.

“Con te, niente” ricominciavo con le mie frecciatine. “Avete mai giocato a strip poker?” aggiunsi io rivolgendomi agli altri due ragazzi. Scossero la testa così continuai “è come giocare a poker, invece di puntare soldi, si puntano vestiti”

“Mi piace” disse Giulio.

Ci mettemmo in terra con le carte.

Io me la cavavo abbastanza poiché ci giocavo per scherzo con Jack, ma era tutta questione di fortuna a volte. Se le carte non giravano, sarei stata fregata.

Iniziammo a giocare.

Il gioco di azzardo mi divertiva tantissimo.

La prima mano la perse Mattia che si tolse la maglietta, rimanendo a petto nudo.

La seconda e la terza la perse Caterina che rimase solo con il pantalone.

La quarta invece fu Giulio a perderla, togliendosi la maglia come il suo amico. Ovviamente le scarpe non valevano se no ci avremmo messo troppo tempo per umiliare qualcuno.

Alla quinta mano rimanemmo io e il professore perché gli altri avevano fatto, furbamente fold, e per uno scherzo del destino la persi.

Mi tolsi il pantalone. Non mi vergognavo per fortuna, e ringraziavo il cielo, per avermi donato un fisico decente, e Lorenzo per la buona ceretta che mi aveva fatto.

Riuscii nella mano dopo invece a far perdere Kristian che si tolse la maglia come tutti gli altri due. Non lo guardai nemmeno, tenendo la mia espressione neutra, fortuna che riuscivo a farla anche in quei momenti.

Le ultime giocate mi fecero indiscussa vincitrice, Mattia rimase in mutande, così come Caterina, che però sotto il pantalone aveva le calze e quindi fregò tutti. Io rimasi in maglietta, al contrario di Kristian e Giulio che erano solo con il pantalone.

“A che ora dobbiamo alzarci domani?” chiese Caterina.

“Alle otto” disse Adams.

“Bene, potete andare, vorremmo anche dormire, anzi Giulio ti devo chiedere una cosa vengo con te” aggiunse infine la ragazza guardandomi. A che gioco stavano giocando? A proposito di giochi, poi.

Rimanemmo di nuovo soli io ed Adams.

 

Tornai verso il mio letto e andai a mettermi i pantaloni, in quell'ultimo periodo mi aveva vista già fin troppo svestita.

“Sono tue queste?” disse prendendo in mano il pacchetto di sigarette. Annuii. “Posso?”

“Okay, andiamo sul balcone” ne presi una io ed una lui.

Mi portai dietro la felpa per non congelare. Mi appoggiai alla ringhiera e accesi la sigaretta.

Gli passai l'accendino e lo osservai fare i miei stessi movimenti. Solo che lui risultava bello in quello che faceva e sensuale, soprattutto nel portarsi alla bocca il filtro.

Si mise accanto a me, girandosi verso la città.

“Stavolta sei stata tu a farmi fare qualcosa che non avevo mai fatto” disse cercando il mio sguardo che puntualmente evitai.

“Già, si impara sempre qualcosa da qualcuno”

“Non ti ho mai visto fumare, sei nervosa?”

“Forse, solitamente suono in questi momenti, mi manca il mio pianoforte qui”

“Sembra che tu lo ami il pianoforte, sei completamente diversa con quello”

“E' così” dissi e sospirai, facendo una nuvola di fumo. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.

“Che sta succedendo?” domandò portandosi di fronte a me, cercando però, di non buttarmi il fumo addosso.

Non avevo una risposta a quella domanda. Non avevo risposte per me stessa in generale, ma tentai ugualmente.

“Non si può negare che fisicamente ci piacciamo, e quindi tra noi si crea tensione” dissi scrollando le spalle. Sembrò quasi dispiaciuto delle mie parole. Era una supposizione la mia, niente di più.

“Quindi per te, basterebbe farlo e poi la tensione si scioglie, è solo questione fisica”

“Si” dissi non guardandolo negli occhi.

“Allora vieni a letto con me” disse alzandomi il mento. Buttò sia la mia che la sua sigaretta.

Non riuscivo a muovere un muscolo.

Che proposta del cazzo!

Il suo ragionamento però tornava, era solo squallido, anzi il mio ragionamento, completato da lui, era squallido e l'avevo detto ad alta voce.

Effettivamente io la mettevo sul piano fisico, e .. non ero pronta. Non lo sapevo. Io lo volevo?

Il mio corpo rispondeva in maniera così strana ai suoi baci. A quei baci.

“Dì qualcosa” mi disse quasi supplichevole. Guardai la sua bocca muoversi e mi avvicinai tremendamente fino a toccarla e poi mi baciò.

Questo era un bacio che non era improvviso. Ero un bacio diverso. Lento e dolce.

Il gusto della sigaretta appena fumata si mescolò ancora di più tra le nostre bocche.

Mi spinse dentro, al caldo, senza mai staccarsi.

Si sedette sul letto e mi portò a cavalcioni su di lui. Le mie mani si appoggiarono inevitabilmente sul suo petto e lui cercò di stringermi ancora di più.

Non aderii al suo corpo, non ce la facevo psicologicamente, per quanto il mio fisico provasse a cedere e si lasciasse torturare. Il suo corpo era così caldo per volersene staccare realmente.

Passò a leccarmi il collo lasciandomi forse dei segni e a quel punto, ormai come era successo le altre volte, fui io a staccarmi ed alzarmi.

“Non capisco” disse nervoso.

“Non voglio, voglio che tu mi lasci stare, non voglio fare sesso con una persona così tanto per togliermi una voglia, non funzionano così le cose nella mia vita e so che sei abituato a ragazze facili e tutto, ma per favore adesso esci e non rivolgermi più la parola se non per domandarmi qualcosa durante le ore scolastiche” conclusi quel discorso aprendogli la porta.

“Le cose nella tua vita non funzionano e basta” disse chiudendosi la porta alle spalle.

Scivolai sulla moquette dopo quelle parole.

Che fossero dette dalla rabbia o meno, facevano male.

Era vero, la mia vita era un disastro.

Riuscivo solo a mandare via le persone che mi aiutavano.

Riuscivo benissimo a chiudere fuori tutti dalla mia vita.

 

Mi mancava l'aria. Appoggiai la testa al muro come per darmi sollievo ma non servì.

Quando la mia compagna di stanza rientrò mi trovò per terra.

Pensierosa e persa.

Quella frase mi aveva fatto perdere in un'altra dimensione di pensieri contorti.

“Scusami, io forse dovevo farmi gli affari miei”

“No, figurati, lascia stare.. va bene così” mi rialzai e, con il mio metabolismo veloce di prendere qualcosa ed espellerla dal mio corpo, espulsi la ferita e la malinconia che essa portava.

“Vuoi parlarne?”

“Ho detto che va bene così, voleva scoparmi e l'ho mandato in bianco” realtà distorta come la mia indifferenza, parola che pian piano penetrava sempre più a fondo nel mio cuore, che si stava gelando ad ogni mia azione.

Mi misi a dormire.

Tutto sommato ero tranquilla, la vita andava avanti.

Quella degli altri pure.

Quella di Jack anche, anzi, sarei tornata da lui presto.

Kristian avrebbe trovato qualcun'altra. Ancora non capivo perché si era fissato con me. Pensai a molte cose, anche le cose più assurde pur di lasciare andare quello che era successo prima.

Forse uno di quei week-end sarei potuta andare dalla nonna che ancora mi cercava ogni giorno e a cui volevo un gran bene. Unica donna che mi rendesse orgogliosa di essere chi sono.

Gli altri mi denigravano per lo più e ormai la scusa dell'invidia faceva acqua da tutte le parti, alla gente piaceva solo buttare fango sugli altri per puro gusto.

Io ero una vittima tra quelle preferite, ma proprio dal mondo in generale.

Anche il pessimismo di quella serata non era affatto male, contando quanto mi fossi divertita prima del momento tra me ed Adams. Ero anche riuscita a giocarci divertendomi, prima che il suo cazzo avesse deciso per la sua testa.

Dormii. Mi addormentai con l'immagine di mia nonna, serena e rilassata.

Here we are.
So che è un altro capitolo dal punto di vista di Lana ma verrà anche il momento di Kristian, non vi preoccupate :)
Intanto, GRAZIE ^^
Ah, visto che per queste due settimane sono sommersa da test e compiti non so se riuscirò a pubblicare con regolarità (spero di sì!!)
Tornando al capitolo, che dite? ... Stavolta c'è stata un'esplosione di ormoni LOL
Baci, Cri

 

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Capitolo 13
*** In Loving Memory ***



Pov Lana

 

Il mattino successivo andammo a vedere altri musei, fortunatamente, ci dividemmo in due gruppi.

Andai con la professoressa e quindi con i ragazzi, visto che le ragazze morivano dalla voglia di stare sole con Adams.

Nemmeno Caterina mi seguì, non potevo biasimarla dopo il mio atteggiamento.

Tornai ad isolarmi un po' anche se ogni tanto Giulio e Mattia si avvicinavano a me per chiacchierare.

Non uscii più la sera con loro, quasi preferivo la compagnia silenziosa della sfigata di classe o il televisore della camera.

 

Rientrare a casa fu un sollievo. A casa ero tranquilla. Avevo ripreso la mia routine senza avere qualcuno intorno.

Avevo rivisto Lorenzo, ancora però, non volevo raccontargli quello che era successo anche se lui aveva capito che qualcosa era successo.

A Jack raccontai solo tutto quello che avevo visto didatticamente.

La routine tornò al suo stato normale quando il lunedì dopo la gita ripresi il conservatorio.

Adams fece come gli avevo suggerito. Mi ignorò. Così, sembrava che nemmeno ci fosse o ci fossi in classe. All'inizio mi dava noia quella situazione poi l'abitudine portava a non sentirla più.

Da quando Adams aveva smesso di parlarmi anche gli altri ragazzi sembravano ignorarmi, a parte, nelle ore di teatro in cui, sotto veste altrui, erano costretti a conversare con me.

Caterina, invece, si mise accanto a me durante le lezioni; avevamo chiarito più o meno, e la sua compagnia continuava a piacermi.

Continuavo a mentire a me stessa, la realtà d'altronde non mi era mai piaciuta, o ero io che non piacevo a lei. L'antipatia è reciproca, ripensai ad un pensiero che avevo già fatto.

 

Passarono dieci giorni più o meno dalla gita. Giorni occupati dallo studio, occupati a mangiare e vivere. Niente di più.

Capii che dovevo parlare almeno con Lorenzo. A forza di errori avevo afferrato che tenere dentro le cose era sbagliato e, purtroppo per il mio orgoglio, era stato Adams ad insegnarmelo.

Lo invitai nel dopo scuola.

“Ciao tesoro” mi salutò come sempre con un bacio sulla guancia. Andammo subito nella mia camera.

“Dimmi tutto Là” quanta fretta pensai, ma forse era meglio non girarci intorno.

“C'è poco da dire in realtà. In gita la prima sera il prof mi ha baciata. Gli ho detto di ignorarmi ma la stessa sera, quando eravamo usciti mi ha ribaciata. Poi per una serie di eventi che non ti sto a spiegare mi sono ritrovata da sola mezza nuda con lui in camera e gli ho detto che visto che ci piacevamo fisicamente potevamo fare sesso e quindi abbiamo iniziato a baciarci ma poi non me la sono sentita e l'ho fermato, lui mi ha detto delle cose e adesso non ci parliamo” dissi riassumendo.

“Sai esiste una cosa che si chiama scusa”

“Che dovrebbe dirmi lui” risposi a tono. Lui mi diede un buffetto.

“Orgogliosa” mi disse. “E non dirmi che devo stare dalla tua parte visto che mi hai appena detto che tu gli hai fatto intendere di voler fare sesso e poi non te la sei sentita”

“Si ma non doveva dire quelle cose” alzò un sopracciglio “..okay ho sbagliato”

“L'hai mandato in bianco, non dico che sia normale che abbia reagito in quel modo ma non è che sia stata carina come cosa, comunque ora sono contento che tu abbia ammesso ciò” mi schioccò un bacio sulla fronte.

Feci una smorfia e poi spostammo la conversazione su di lui.

Rimase ancora per un po' di tempo e poi se ne tornò a casa.

 

Il giorno dopo era un giovedì.

Arrivai a scuola un po' agitata, mi ero svegliata male quella mattina, che mi dovessero venire le mestruazioni?

Stetti con Caterina per distrarmi un po' e per avere una compagnia in quelle ore.

Mi mossi svogliata verso l'aula di Storia della musica ed entrai, ancora il professore non era arrivato, perciò mi misi l'Ipod alle orecchie. Nonostante tutto, le vecchie abitudini erano dure a morire.

Misi via tutto all'inizio della lezione.

Ormai avevamo superato Mozart e il prof stava interrogando per vedere se avevamo effettivamente studiato, io avevo già preso il mio otto su questo argomento.

Era passata un'ora quando il preside entrò in classe nostra.

Guardava sia nella mia direzione che in quella del professore, nonché suo figlio.

“Signorina Mati dovrebbe seguirmi in presidenza, è urgente”

Mi alzai lentamente, che motivo avevo di andare in presidenza?

Anzi, che motivo c'era di scomodare il preside?

Ero preoccupata ma cercai di fare respiri profondi.

Vidi padre e figlio lanciarsi uno sguardo inquieto. Feci un altro respiro ed uscii dalla classe sotto lo sguardo curioso di tutti.

Giunsi nell'ufficio del preside.

“Prendi il telefono, c'è una chiamata per te” mi disse solo. Mettendosi in un angolo come a volermi lasciare un po' di privacy.

“Pronto” la mia voce era bassa.

“È la signorina Mati, la nipote di Anna Mati?”

“Si sono io” in quel momento la mano mi tremava.

“Mi dispiace dirle che sua nonna è venuta a mancare stamani, lei è l'unica parente che le è rimasta, dovrebbe venire quanto prima possibile a Bologna per il funerale” Ero rimasta incantata dopo le prime dieci parole, il resto non mi interessava.

Qualcuno al mondo mi voleva davvero male. Avevo sentito mia nonna la sera prima. Non era possibile. Era anziana, ma non credevo, anzi non potevo credere che potessi perdere anche lei così presto. Sentii un altro pezzetto di me andarsene.

“Okay, arriverò” dissi monotona e riattaccai.

Il preside mi guardava amareggiato e dispiaciuto. Mi fece le condoglianze e mi diede il permesso per uscire in anticipo senza bisogno che qualcuno mi venisse a prendere.

Dovevo prenotare un treno ed andare lì più in fretta possibile.

Rientrai in classe. Non sapevo nemmeno che faccia avevo, ma sicuramente non bella dato tutti i mormorii che partirono al mio rientro.

Prima di fare la cartella, compilai la giustificazione.

Andai da Adams a consegnargliela e gli passai anche un bigliettino in mano.

Gli avevo scritto: Scusa per il mio comportamento.

Thanks for all you've done
I've missed you for so long
I can't believe you're gone
You still live in me
I feel you in the wind
You guide me constantly-
In Loving Memory


 

 

Andai prima a casa per farmi un borsone poiché non sapevo quanto sarei rimasta a Bologna.

Chiamai Jack, ma lui era impegnato con il lavoro tutta la settimana e poi per mi quanto volesse bene, non gli era mai importato della famiglia di mio padre. Almeno mi comprò il biglietto e si degnò di venirmi a fare le condoglianze di persona.

Mi diede un bacio dopo avermi accompagnato fino al treno.

Il viaggio passò in un minuto.

Presi un autobus per arrivare a casa di mia nonna e lì cominciai a rendermi conto di tutto quando arrivai davanti al portone. Non avrei trovato nessuno.

Nel salone era tutto sistemato per la veglia.

Diedi un ultimo saluto a mia nonna, cercai di stamparmi nella mente la sua immagine sorridente. Avevo un nodo alla gola che non mi faceva parlare, per niente, nemmeno quando arrivarono quelli dell'agenzia funebre.

Coprirono la bara.

Dopo un paio d'ore, cominciarono ad arrivare alcune amiche di mia nonna e rimanemmo in silenzio per tante ore, avevo perso la cognizione del tempo.

Il funerale, invece, l'avevo fissato per il giorno successivo, poiché prima finiva quell'incubo meglio era.

I've never knew what it was to be alone, no
Cause you were always there for me
You were always there waiting
And ill come home and I miss your face so
Smiling down on me
I close my eyes to see

 

Il giorno dopo fui impegnata fin dalla mattina presto. Ero da sola ad occuparmi di tutto.

C'era un gran via vai di gente nella casa di mia nonna.

Poi il funerale fu una processione lunghissima.

In chiesa c'ero io e una decina di signore accompagnate dai mariti, amiche di mia nonna.

Mi avevano dato le condoglianze con compassione, ma io non volevo essere compatita, non avevo mai voluto essere compatita fin da quando ero bambina.

Non ero debole, anche se in quel momento stavo cedendo.

Era diverso, non avevo più sette anni, ero cosciente di tutto, percepivo in maniera diversa le cose.

Dovetti uscire dalla chiesa ad un certo punto per prendere aria. Non ne potevo più.

Arrivammo al cimitero per un ultimo saluto. Mi strinsi le braccia al petto mentre il prete diceva la preghiera. Ero proprio giù di morale, una tristezza che derivava dalla morte di mia nonna, ma dal mio percorso in generale. Non avrei più visitato Bologna da quel momento in poi.

I carry the things that remind me of you
In loving memory of
The one that was so true
Your were as kind as you could be
And even though you're gone
You still mean the world to me

 

Sentii ad un certo punto due braccia forti stringermi da dietro. Sobbalzai inizialmente ma non mi girai nemmeno perché riconobbi quelle mani e quel profumo, anche se non avevo idea del perché fosse venuto.

Non capivo nemmeno molto in quel momento, avevo la mente annebbiata dal dolore che, però, non riuscivo ad esternare. Il silenzio era quello che riuscivo a tirar fuori, e in quel momento quell'abbraccio non fu fastidioso, anzi mi appoggiai al suo petto e mi feci stringere di più da lui.

Più o meno tutti vi aspettavate un capitolo un po' diverso, un chiarimento tra Kristian e Lana, ma poi scrivo quello che le mani e la fantasia vogliono, quindi è venuto fuori questo capitolo.
Non era mia intenzione mettere del dramma, spero che non sia troppo. Aspetto i vostri commenti ^-^

Non ho molto da dire perché devo scappare a studiare chimica (domani ho il test)
GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE *-*
Cri

Ps. Il testo della canzone è degli Alter Bridge, In loving Memory


 

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Capitolo 14
*** I wanna see your smile ***


Pov Kristian

Il cielo era di un grigio strano ed era l'unica cosa che riuscivo a vedere oltre la chioma rossa che stava davanti al mio viso. Non sapevo per quanto tempo rimasi in piedi con le braccia legate al corpo della ragazza.

Ero come un sostegno in quel momento. Qualcosa a cui lei si stava aggrappando e questo mi faceva provare una sensazione calda al petto.
Riuscii a vederle il viso solo dopo la processione al cimitero.

Non mi sorrise nemmeno, si aggrappò al mio braccio e con le altre signore andammo verso casa. Aveva bisogno di silenzio.

Le signore che vi erano, però, ci seguirono anche nella casa della nonna di Lana per prendere un tè e farle compagnia.

Stettero per più di due ore a chiacchierare della vita di sua nonna.

Io mi misi in un angolo, mentre vedevo Lana sempre più sofferente costretta a tenere una conversazione nonostante non ne avesse voglia.

Sorrideva, riusciva comunque a sorridere a loro per non farle rimanere male.

Fece un grande sbuffo quando infine se ne andarono e si chiuse la porta alle spalle.

“Ciao” dissi, andandole incontro.

“Ehi” mi fece cenno di andare nel salone.

Si sedette sul divano e così feci lo stesso.

“Come stai?” le chiesi prendendole la mano, che era fredda.

“Non lo so” disse portando la testa all'indietro, era esausta e si vedeva.

“Perché non ti sfoghi?”

“Beh si, tanto ormai mi hai visto nelle peggiori condizioni” disse mettendoci la nota solita di sarcasmo. Ridacchiai e la avvicinai ancora a me.

“Perché sei qui?” domandò tornando a guardarmi.

“Perché ti volevo dire di persona che non c'era bisogno di scusarti, sono stato stupido io a dire quelle cose”

“Acqua passata” disse con la voce rotta. Probabilmente quello era l'ultimo dei suoi problemi.

Stetti in silenzio per un po' perché vidi le lacrime scenderle.

Aspettai che si sfogasse poi iniziò freneticamente ad asciugarsi le lacrime con le mani così mi allungai a prendere un fazzoletto.

Presi il suo viso tra le mie mani e le lasciai un bacio di conforto sulla fronte e poi le diedi il fazzoletto.

“Non è giusto” cominciò a blaterare cose in continuazione ed io cercai di ascoltarla in modo che tirasse fuori tutto ciò che aveva.

Rischiava di implodere se avesse continuato a tenere tutto dentro e quello lo volevo evitare.

Improvvisamente mi abbracciò così la tenni tra le mie braccia finché i singhiozzi non cessarono.

“Non ho pianto nemmeno quando sono morti i miei, perché adesso?”

“Perché sei un essere umano e perché le lacrime esprimono ciò che le parole non riescono a dire” l'avevo presa in collo sulle mie gambe, come una bambina, senza staccare l'abbraccio.

Continuammo a parlare per un po' finché smise di piangere e scese dalle mie gambe per rimettersi accanto a me.

“Perché non mi dici qualcosa di te? ..Parlo sempre io” fece un'espressione buffa che mi fece ridere.

Annuii. Dovevo trovare un modo per distrarla d'altronde, anche se ancora non riuscivo a darmi una vera motivazione per il fatto che avessi preso la macchina subito dopo scuola per arrivare a Bologna, per lei.

“Cosa vuoi sapere?” la rigirai in quel modo.

“Non so, cose banali... Sei di Firenze?”

“Nah, Londra 1993”

“Sembra il titolo di un film, stupido” disse scherzando.

“Ah, ma certo che è il titolo di un film! Quando sarò famoso e le ragazze vorranno solo me ti pentirai di aver detto stupido” imitai la sua voce sull'ultima parola rise per la prima volta in quella giornata.

“Ma per favore! .. Comunque quanto sei stato a Londra?” Si mise comoda sul divano girandosi completamente verso di me così feci lo stesso.

“Quattro anni, poi ho viaggiato tantissimo finché mio padre non ha ricevuto il posto prestigioso in cui lavora adesso, e quindi adesso sono a Firenze”

“E quali città hai visto?” sembrava un interrogatorio ma se ciò le serviva per pensare ad altro non avevo problemi a raccontare queste cose.

“Mmh, Parigi, Barcellona, Milano, Venezia, El Cairo.. devo andare avanti?” Scosse la testa divertita.

 

Pov Lana

 

Avevamo successivamente acceso la televisione , cercando un programma per passare il tempo.

Lo vidi alzarsi ad un certo punto e mi allarmai, temendo che andasse via così gli bloccai il polso.

“N-non vai via?”

“Vado via quando lo farai tu, pensavo di mangiare qualcosa. Lana non hai toccato cibo e sei ancora più bianca del solito” usò un tono serio, quasi preoccupato.

Andò in cucina mentre io, senza forze, rimasi sul divano.

Chiusi gli occhi esausta finché non tornò con due petti di pollo e un'insalata per entrambi.

Mi resi conto in quel momento che avevo fame e che il mio stomaco pretendeva cibo.

 

Rimessa apposto la cucina decidemmo di andare a dormire visto che eravamo stanchi per la giornata. Pensare che Kristian era arrivato fin lì, era strano, insomma perché tanta premura?

“Ti va di dormire con me?” chiesi timida precedendo la sua domanda su dove avrebbe dovuto dormire. Lui annuì e mi chiese solo dov'era il bagno per prepararsi.

Io andai nell'altro bagno quello fuori dalla camera.

Avevo con me solo un pantaloncino ed una canottiera per dormire.

Uscii dal bagno, lui era seduto sul letto aspettandomi e regalandomi un sorriso enorme quando rientrai.

“Non sapevo da che lato dormi” mi disse alzandosi.

Indicai il lato destro del letto e mi misi sdraiata lì. Lui fece il giro e si mise in quello sinistro.

Eravamo in imbarazzo. Forse più lui di me. No, chi volevo prendere in giro, io ero in imbarazzo.

“Come va adesso?” mi chiese.

“Non va, ho sbagliato tutto nella mia vita” risposi sentendo le lacrime premere. Per quel giorno non le avrei più potute trattenere.

“Ehi, no, non dire così” mi girò verso di sé asciugando una lacrima con il pollice.

“Si invece, adesso sono ancora più sola”

“Le persone sono sole anche se hanno tante persone intorno” disse continuando ad accarezzarmi.

“Okay, ma per dieci anni ho sbagliato” sospirai.

“E con questo vuoi sbagliare ancora per tutta la vita? È vero, 10 anni sono lunghi ma eri anche piccola e nessuno ti ha mai aiutato ad andare avanti, ma adesso lo stai facendo, stai cominciando a vivere di nuovo, devi solo essere paziente” il suo discorso mi convinse, o meglio mi fece riflettere.

Che motivo avevo di continuare ad autocommiserarmi? Non vivere la mia vita sarebbe stato uno sbaglio incolmabile. Potevo rimediare.

“Grazie” sussurrai stringendomi a lui in un abbraccio.

Se non fosse stato che mi sentivo così mentalmente confusa non mi sarei presa quelle confidenze.

“Buonanotte” mi disse baciandomi i capelli e tenendomi in quella posizione.

A rifletterci bene, io dovevo smetterla di farmi paranoie, avevo bisogno di stare bene, per quanto sapessi cosa voleva dire stare bene.

Mi addormentai addosso a lui, probabilmente uccidendogli un braccio.

Il mio bene in quel momento era dato dalla sua presenza e ciò, era qualcosa di... diverso per me.

 

Mi svegliai molto confusa e con un grande mal di testa, forse dovuto al pianto.

Non avevo avuto incubi, come spesso accadeva, quella notte.

Mi alzai spaesata, avevo davvero dormito con Adams? … Beh, in quel momento poco mi importava, lui non c'era nel letto ed io avevo bisogno del bagno.

Andai nel mio bagno in camera, non riflettendo veramente su ciò che stavo facendo.

Aprii la porta senza bussare, dando per scontato che fossi da sola.

Vidi Adams girarsi di scatto, aveva solo un asciugamano legato alla vita.

Dopo qualche secondo in cui la mia mente non era proprio al massimo delle capacità di ragionamento, smisi di fissarlo e tornai in me. Okay, non potevo più negare che fosse un bel ragazzo, era che, trovarmelo lì davanti in quel modo mi aveva spiazzato.

Cercai di formulare frasi di senso compiuto che fossero allo stesso tempo disinvolte ma l'unica cosa che riuscivo a ripetermi era -Lana, calmati, trattieni i pensieri per te- .

Avevo esitato troppo; stava per uscire dal bagno senza dire niente ma nel momento in cui ci trovavamo entrambi sul ciglio della porta, nel momento in cui eravamo il più vicino possibile, lo fermai per un braccio, ancora umido dalla probabile doccia appena fatta.

“Ehm, scusa, sono entrata senza pensarci, insomma al risveglio non sono proprio al massimo” cercai un modo per scusarmi.

“Niente è sempre un piacere avere a che fare con te” disse malizioso. Okay, eravamo troppo vicini e i suoi capelli erano ancora gocciolanti.

“Kristian, potremmo riprendere a frequentarci come prima?.. dico per il patto” ero in imbarazzo.

“Non mi dispiacerebbe, ma cosa dovrei fare se avessi voglia di darti un bacio?” mai rispondere ad una domanda con una domanda, era fastidioso. Lui in generale era fastidioso. Perché mai avrebbe voluto baciarmi? … Possibile che i maschi non abbiano altro da fare nella vita?

“Non è illegale baciarmi” rise, non potevo dire cosa più stupida. Okay forse anche a me piaceva baciarlo. Mi piaceva un po' troppo.

“Lo prendo come un permesso, ragazzina”. Chiusi la porta del bagno.

Mi infilai sotto la doccia. C'era ancora il profumo del mio bagnoschiuma, appena usato da lui.

Che razza di pensieri da ragazzina di tredici anni facevo?!

Speravo di tornare in me il prima possibile, cioè senza tutta quella confusione mentale e nella me prima della rivolta degli ormoni.

La doccia mi rigenerò.

Avevo per fortuna già compilato tutte le carte burocratiche. Inoltre il notaio mi disse che nel testamento la casa era lasciata a me, o meglio la vendita della casa, poiché io non la volevo, e anche tutti i beni mobili. Mi diedero poi una cassetta che decisi di non aprire davanti a loro, conteneva una lettera e una collana.

Appena finii quelle cose, chiesi a Kristian di riportarmi a casa.

Lui era venuto in macchina così tornammo in auto fino a Firenze.

 

Parcheggiò dopo un'ora di viaggio davanti a casa mia.

“Io non so che dire, sei stato molto gentile a starmi vicino, ma non ti aspettare che ora sia dolce come in questi due giorni, quindi ciao” dissi mordendomi il labbro inferiore, trattenendo una risata.

“Arrogante, spiritosa, fine ed imprevedibile.. che devo fare con te signorina Mati?” disse mentre stavo scendendo dall'auto.

Arrivata dentro casa il mio unico desiderio era dormire e mettere in ordine la mia mente.


Here we are :) Ho rimesso il POV di Kristian, spero di aver fatto bene
Questo capitolo mi ha un po' bloccata non sapevo veramente come impostarlo ma alla fine pensarci e ripensarci su non fa mai bene, sicuramente poteva venire meglio... Che dite?
E poiiiiiiiii, GRAZIE, davvero per tutte le recensioni e a tutti quelli che leggono e continuano a seguire la storia **
A presto, Cri


 

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Capitolo 15
*** Anyway ***


Pov Lana

 

Tornai a scuola solo martedì, non tanto perché stavo male psicologicamente, ma perché dovevo recuperare tutte le cose che non avevo fatto.

Jack mi chiese scusa per la sua poca presenza, ma tanto me lo immaginavo che di fronte a qualcosa che non riguardasse lui direttamente non si sarebbe esposto.

Forse era andata meglio così. Forse ero contenta di aver passato quel tempo con Kristian.

A scuola tutti mi chiesero come stavo; la voce si era sparsa in fretta ed io odiavo essere al centro dell'attenzione, ma soprattutto, odiavo la compassione.

Anche Edoardo aveva iniziato a parlarmi di nuovo. Eravamo giunti all'accordo di essere amici, non semplici conoscenti come prima.

Sarebbe stata un'impresa difficile per me, ma avevo promesso a me stessa che avrei ripreso in mano la mia vita ed avrei ricominciato a vivere, perciò un altro amico non poteva certo nuocermi.

 

Andai da Lorenzo, poiché voleva verificare di persona quale era il mio stato d'animo.

“Ciao Lana” mi disse abbracciandomi.

“Ehi” risposi solamente.

“Come stai?”

“Meglio, il tempo aiuta no?” dissi sedendomi. Il ragazzo aveva preparato già due tazze di tè.

“Già, mi chiedo sempre come fai ad essere così forte, da sola poi” risi un po' per il fatto che per quella volta la frase non era veritiera. “Che ho detto?” domandò confuso.

“Non ero sola stavolta... insomma, Kristian è venuto al funerale ed è rimasto fino al giorno successivo”

“E me lo dici così?” disse con un tono di voce più isterico del solito.

“Ah, ho omesso che ci ho dormito insieme” dissi tranquilla per farlo agitare ulteriormente.

“Cioè, sei stata nello stesso letto di quel figo, insomma eri a portata di cazzo?!”

“Lorenzo!” lo ripresi “ smettila, è stato solo gentile, in classe nemmeno ci parliamo, gli avrò fatto pena”

“Sembra che la cosa ti dispiaccia” constatò.

“No, è che non capisco” tornai seria.

“Nemmeno io, uno che ti vuole solo scopare non dovrebbe interessarsi alla tua vita... oh aspetta, sei tu quella che pensa questo di lui .. secondo me tu gli piaci in tutti i sensi”

“E dopo questa, posso anche andarmene” feci per alzarmi per prenderlo in giro.

 

Passai una settimana piuttosto tranquilla dopo il mio rientro. I professori sembravano essere cauti con me.

Martedì arrivai in ritardo, perciò aspettai l'ora successiva nella sala relax.

Presi il libro di solfeggio e ripassai qualcosa. Sentii qualcuno sedersi al mio tavolo, anzi al mio fianco.

“Stai saltando l'ora signorina?” riconobbi la voce dell'idiota, odiavo quando faceva il finto insegnante.

“Ero in ritardo, ora faccia silenzio professore, sta importunando una sua alunna” dissi ironicamente.

“Esagerata, senti non mi sono fatto più sentire però avrei bisogno di te”

“Okay, quando e dove?” domandai.

“Se qualcuno ti sentisse adesso penserebbe male... comunque, domani pomeriggio verso le quattro e mezzo”

“Va bene, ora potrebbe sparire?” Fece un sorrisetto e se ne andò.

 

Stavo camminando verso casa Adams, ad ogni passo ero sempre più confusa su me stessa.

Provavo ansia nel vedere il mio insegnante, ma era un'ansia strana.

Eppure da un lato non lo sopportavo. No, affatto, mi stava proprio antipatico anche se baciava bene. Quello non potevo negarlo e non potevo negare che mi era piaciuto, ma dovevo smetterla, smettere in ogni modo che si potesse creare una situazione come quella della gita o quella a Bologna.

Suonai il campanello e lui venne ad aprirmi.

“Ti dispiace se andiamo in camera? .. È che stavo studiando lì” Annuii, maledicendolo. Lui non collaborava nel mio piano mentale di evitare situazioni imbarazzanti. Anzi, le creava.

Nemmeno il tempo di pensare quelle due cose e di fare chiarezza che fui di nuovo confusa, perché una parte di me era felice di ciò, era felice che lui avesse cambiato le carte in tavola.

Entrai in camera sua.

Me la ricordavo più in ordine. C'erano libri e fogli sparsi sul letto.

Il pc acceso ed un paio di cd sparsi sul mobiletto.

“Scusami, ma dovremmo sederci sul letto” in effetti era l'unico posto in cui sedersi, anche se la parola sedersi non era appropriata per lui visto che si distese.

Presi una matita anch'io ed ascoltai attentamente il punto in cui volesse aiuto.

“Secondo me qui è confuso il concetto” dissi girandomi a guardarlo, ormai ero distesa anch'io come lui e continuavo a mordicchiare la matita per il nervosismo.

“È un mio pensiero e voglio che sia così” disse bruscamente.

“Okay, anche il mio era un pensiero e per me non è chiaro questo” dissi indicando il foglio.

“Sei così arrogante da criticare pure ciò che penso?!” si mise a sedere.

“Senti, mi hai chiamata tu se non ti piacciono le critiche, vaffanculo!” feci per alzarmi ma mi richiamò indietro. Io spesso mi alteravo se qualcuno si arrabbiava con me.

“Aspetta, è che, scusa, io oggi ho litigato con tutti non voglio litigare anche con te, facciamo che per oggi basta .. penso di non reggere” disse passandosi nervosamente la mano tra i capelli, scompigliandoli più di quanto già non fossero.

Effettivamente aveva due occhiaie ben marcate.

“Okay” sospirai.

“Ceni qui?”

Annuii e prima di andare in cucina, mi abbracciò.

 

Pov Kristian

 

Mi passai ancora una volta la mano sulla faccia. Ero esausto.

Avevo appena messo l'acqua a bollire.

Mi girai verso la ragazza, io, non potevo più ignorare me stesso e tutto ciò che sentivo ad averla vicino. Io, sapevo benissimo cosa provavo ma non volevo scottarmi. Non volevo rimanere bruciato come già mi era accaduto in passato.

“Posso aiutarti? Cioè sono un disastro in cucina ma qualcosa so fare” mi disse avvicinandosi.

“Taglia quelle” dissi indicandole il tagliere.

Mi meravigliai che in una cucina come quella che aveva, lei non cucinasse spesso.

Feci altro nel frattempo, ma poi mi girai verso di lei e mi venne da ridere.

Era buffa e lenta nel tagliare la verdura. Non sapevo se era lenta perché volesse fare le cose perfettamente o perché non lo avesse mai fatto.

Mi misi dietro di lei e le fermai il polso con cui tagliava.

“Meno tesa” le sussurrai sui capelli. La sentii sobbalzare leggermente. Da dietro le presi le mani e facendo un po' di forza la aiutai.

“Sei lentissima” dissi ridacchiando al suo orecchio.

“È arrivato Masterchef” disse a bassa voce scuotendo la testa. Non poteva fare a meno delle sue battute.

Cominciavo ad avere caldo ad averla così vicina.

La mia bocca era così vicina alla sua guancia.

Dovevo smetterla di pensare a lei in quel modo, ma lei mi sorprese girandosi verso di me di colpo e la trovai ad un centimetro dal mio viso.

Ci avvicinammo in contemporanea e non seppi bene cosa l'aveva fatta scattare ma mi baciò.

Era solo un bacio a stampo, leggero, ma rimase sulle mie labbra più del dovuto così mossi di nuovo le labbra sulle sue fino a quando mi permise di entrare in contatto con la sua lingua.

Fu una danza lenta tra le nostre lingue, avevo bisogno di assaporarla in tutto. Mise le mani nei miei capelli e mi attirò ancora più a sé baciandomi, a quel punto, con foga.

Mi spostai sul collo, così lei si appoggiò al piano della cucina.

Si lasciò torturare dalle mie labbra e dalla mia lingua che lasciavano scie umide sulla sua pelle.

Alzò le mani e prese il mio viso per riportarlo sul suo. Mi baciò ancora e fece per alzarmi la maglietta così la levai per fare prima.

Sentii le sue mani sulla schiena, mentre scesi sotto il collo sbottonandole pian piano la camicetta.

Le sue mani si muovevano benissimo, erano così piacevoli e lei era così buona. La sua pelle era dolce. La volevo come non mai, e tutti i brividi che stavo provando arrivarono anche al basso ventre, che ormai pulsava. Ritornai sulla sua bocca mentre le levavo del tutto la camicia lasciandola in reggiseno. I nostri corpi sembravano combaciare perfettamente.

Squillò, poi, il suo cellulare. Insultai mentalmente quell'aggeggio.

Sembrò come destarsi da quella nuvola di intimità e si sposto frettolosamente dal mio corpo rispondendo al telefono.

Sentii poco e nulla, perché ero troppo spaesato da ciò che era successo. Insomma, lei era fantastica.

“Devo andare”

“Che stai dicendo?” domandai alterato.

“Jack, non l'avevo avvisato e poi, basta noi non ci dobbiamo più vedere se non nell'aula scolastica, lei è il mio professore e finché sarà così non ci dobbiamo frequentare” Aveva cambiato tono di voce, era sia triste che fredda. Di ghiaccio.

Cos'era successo in quella chiamata?

Non feci in tempo a metabolizzare la risposta che lei era uscita senza dire niente.

 

Dovevo fare finta di niente come faceva lei? … l'avrei accontentata, d'altronde se voleva quello chi ero io per negarlo.

Misi via tutto quello che stavamo facendo. Non avevo voglia di cenare e di fare nient'altro. Accesi la televisione e mi misi sul divano, sdraiato, con tutta l'intenzione di mandare a quel paese la situazione che si era creata. Ormai dovevo sapere che se succedeva qualcosa di bello con lei, c'era sempre qualcos'altro a rovinarlo, anche il semplice fatto che io mi ritrovavo ad essere il suo professore, non di altre classi, ma il suo. Se l'avessi incontrata in un altro posto con un'altra situazione non ci sarebbero stati problemi, ma come si dice, con i “se” e con i “ma” non si va avanti.

A scuola la trattai come una qualsiasi studentessa.

Volevo anche capire, però, cosa invece passasse a lei per la testa.

Forse era meglio lasciare perdere.

Se mi avessero scoperto, avrei dovuto dire addio alla laurea. Mio padre si sarebbe incazzato seriamente e avrei deluso tutti.

Dovevo finire quel mese scolastico per bene, con il massimo dei crediti.

Poi, sarebbe tornato il vecchio professore e Lana sarebbe stata felice così.

Avevo come l'impressione che non le interessasse niente degli altri.

Oltre ad avere mille difetti, era pure egoista ed io mi ero innamorato di un'egoista.

Tanto nessuno si era mai interessato a me.

Mai i miei genitori.

La ragazza che avevo amato, mi aveva tradito.

La ragazza di cui mi stavo innamorando mi ignorava.

Perfetto, andavo tutto perfettamente.

Aaaah, ho lanciato una bomba credo con questo capitolo!
Voi che ne pensate sia di uno che dell'altro?
Io sono di frettissima çç
GRAZIE MILLISSIME (?) SIETE STUPENDI TUTTI VOI CHE LEGGETE LA STORIA **
Cri


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Capitolo 16
*** Cold and calm ***


Pov Lana

 

Tornai a casa con un groppo in gola.

Jack lo sapeva. Jack aveva costretto Lorenzo a dire dov'ero perché io non lo avevo avvisato.
Che stupida! Pensai.

Jack sapeva a quel punto che mi vedevo con il professore, capì che l'amico di cui gli avevo parlato era il mio professore e mi aveva vietato assolutamente di vederlo.

Prima, anzi, mi aveva detto che lo avevo deluso, poi che non dovevo più uscire con lui in quanto avrei potuto compromettere tutto ciò per cui avevo faticato in quegli anni.

Era vero, non potevo buttare via tutto per un po' di piacere sessuale.

Mi dispiaceva solo non aver dato a Kristian una spiegazione, ma ormai me ne ero andata.

Quando entrai mio zio si trovava nel salone mi chiamò lì.

“Ti ho già chiesto scusa” dissi monotona.

“Lo ami?”

“No” dissi, di quello ero certa, purtroppo.

“Allora puoi rinunciarci fino a quando sarà il tuo professore” disse ed a quel punto mi diressi in camera, dritta sul letto per sfogare la mia rabbia.

 

Il giorno dopo a scuola mi trascinai a forza.

Avevo pianoforte alle prime ore.

Caterina mi venne incontro guardandomi strana.

“Cos'è successo?”

“Sono un libro così aperto?”

“No, ma ho imparato a leggerti” disse felice della sua stessa affermazione.

“Jack ha scoperto che io ero a casa di Kristian, ha pensato male e non vuole che lo veda mai più fuori dalla classe” ormai Caterina mi conosceva abbastanza, e potevo tranquillamente confidarmi con lei anche perché lei lo faceva con me.

“Oh, è un bel problema... Vedervi di nascosto?”

“No, non è necessario.. il nostro era un accordo per aiutarci, ma visto che non posso portarlo avanti, va bene così” dissi facendo spallucce.

“Mmh, vedremo tra un po' se era solo un accordo” disse disinvolta, ridacchiando. Le lanciai un'occhiataccia e la smise.

Le ore poi passarono, anche le ultime e, infine mi trovai in camera mia con la cassetta che mia nonna aveva lasciato.

Ancora dovevo leggere quella lettera. Avevo paura che ci fosse scritto qualcosa che non mi avrebbe fatto piacere.

La aprii. Era di mia madre

 

Ciao piccola mia,

se stai leggendo questa lettera vuol dire che mi è successo qualcosa e certe cose non te le posso più dire a voce.

Mi dispiace. Mi dispiace che io non sia lì con te. Non so cosa devi affrontare adesso, non ti posso vedere crescere, non posso vedere quale meravigliosa musica suonerai, semmai seguirai questa mia strada.

Mi dispiace lasciarti senza una madre.

Mi dispiace di non aver passato abbastanza tempo con te, occupata a preparare concerti.

Sei così piccola adesso che mi sembra assurdo scrivere questa lettera, spero tanto che finisca nel cestino e che non ce ne sia bisogno. Segui..

 

A quel punto della lettera mi fermai, arrabbiata con tutto e tutti e buttai la lettera in malo modo dentro il cassetto.

Cercai di fare altro.

Preparai anche la cena per farmi perdonare da mio zio, non volevo essere in conflitto con lui.

Non volevo, però, dirgli della lettera, la sentivo come una cosa troppo intima e troppo dolorosa per condividerla.

 

Riuscii a riprenderla solo qualche giorno dopo, consapevole di ciò che avrei provato e soprattutto senza altri pensieri per la testa, in realtà di pensiero ce ne era stato solo uno.

Seguile tue passioni, le tue ragioni.

Sentirai spesso il tuo nome nella bocca delle altre persone, per cose belle e per cose brutte. Non esistono i giudizi, i giudizi sono solo l'attribuzione di predicato ad un soggetto. Esisti tu e quello che senti. Non ti fare abbattere da niente.

Sei forte, lo so, piccola. Sei figlia di tuo padre, sei una roccia.

Voglio vederti amare te stessa e gli altri.

Voglio vederti essere te stessa.

Voglio vederti felice.

Un bacio,

La tua mamma

Era tutto ciò che mi serviva.

 

Passò più o meno un mese scolastico, eravamo a maggio. I miei risultati erano eccellenti anche perché non avevo nient'altro da fare.

Kristian non si preoccupava nemmeno più di contestare la mia arroganza, che, poi, mettevo apposta nei miei testi per vedere se ottenevo una reazione, ma alla fine ottenevo solo un buon voto e a quel punto capii il valore dei voti bassi che mi dava Kristian; lo faceva per spronarmi, ora non si interessava nemmeno.

Non potevo biasimarlo, glielo avevo chiesto io.

Arrivai alla sua ora esausta. Quella settimana mi aveva stancato abbastanza. Era l'ultimo giorno prima del week-end ed avevo progettato il mio sabato sera a casa di Lorenzo.

“Che fai stasera?” si avventò su di me Caterina.

“Stasera volevo riposare”

“Pf, hanno aperto un nuovo locale e lo voglio provare, ergo tu vieni con me” non me l'aveva nemmeno domandato, era più un ordine.

“È un locale tranquillo?”

Lei annuì. Mi fidai.

 

Quella sera quindi, con indosso un jeans e una maglietta, andai a quel locale con Caterina.

Era tranquillo, aveva ragione, forse anche perché aveva aperto da poco e c'era meno gente.

Andammo a prendere da bere prima di sederci ad un tavolino.

Parlammo del più e del meno.

“Giuro che non lo sapevo!” esclamò d'improvviso nel mezzo della conversazione.

“Cosa?” non capivo.

“Girati” mi girai lentamente come se avessi già intuito quello che stavo per vedere.

Al bancone c'era Kristian. Bello come sempre. Aveva una camicia nera e i jeans. Stava benissimo, sia con il bianco che con il nero.

Tornai a guardare Caterina scuotendo la testa.

“Hai gli occhi che ti brillano?”

“Per i drink”

“No, perché sei cotta di quello lì e lui di te, quante altre volte lo devo dire?” disse alzandosi.

“Dove vai?” domandai allarmata.

“A salutarlo, anzi andiamo” e mi tirò per il braccio dicendo ciò.

Pazza. Avevo trovato un'amica pazza.

Andò lì e lo salutò con un bacio sulla guancia, io rimasi indietro in disparte ma lui si alzò a sua volta e mi notò.

Mi morsi il labbro nervosa, quando la mia amica disse che doveva scappare in bagno. Oltre a lasciarmi con quello, mi lasciò pure la sua borsa.

“Ciao” disse lui. Sorrisi a stento. “Vuoi qualcosa?” scossi la testa. Ero proprio di tante, troppe, parole. Ordinò solo per sé e poi mi fece cenno di sedermi.

“Questa serata ha rovinato il tuo accordo mentale per cui non devi avere niente a che fare con me vero?”

“No, io vorrei avere a che fare con te.. ma non posso”

“Perché?” mi chiese avvicinandosi pericolosamente al mio viso.

“Perché sei il mio insegnante e comprometterei la mia e la tua carriera” dissi a voce bassa.

“Questo l'avevo immaginato, ma perché?” insistette alzandomi il mento. Mi scontrai con l'oceano, un oceano molto scuro in quel momento.

“Jack” dissi solo, prima di vedere la mia amica uscire dal bagno e scappare da lei.

Uscimmo dal locale più in fretta possibile.

Se in un mese non l'avevo capito, in quel momento c'ero arrivata: Kristian mi era mancato da morire.

 

Pov Kristian

 

Le sue mani mi accarezzavano dolcemente il petto mentre baciavo e leccavo il suo collo.

Quanto poteva essere dolce la sua pelle?

Scesi a baciarle la base del collo fino ad arrivare al seno. Mise una mano tra i miei capelli e spinse il mio viso sulla sua pelle morbida e calda. Iniziai a sbottonarle il pantalone mentre lei armeggiava con la mia cintura. L'eccitazione cresceva sempre di più. Spinsi il mio bacino sul suo per darmi un po' di sollievo. Quel pulsare sul jeans stava diventando un problema.

Kristian” ansimò quando andai a toccarle la sua femminilità.

 

Mi svegliai. Ero sudato, accaldato, ma soprattutto eccitato.

Iniziai a ridere di me stesso per un po'. Al mattino si ha sempre quella sensazione di rilassatezza e buon risveglio dalle parti basse, ma in quel caso ero sudaticcio e necessitavo di acqua gelida.

Cosa mi prendeva?

Andai in bagno per fare una doccia, ne avevo decisamente bisogno.

L'avevo rivista solo la sera prima e mi aveva scombussolato.

Non avrei dovuto minimamente baciarla fin da subito.

Decisi di uscire ed andare a svagarmi un po'.

Chiamai una mia vecchia amica, o meglio una ragazza dai facili costumi.

Ne avevo bisogno o mi sarei ridotto a masturbarmi in bagno come un ragazzino di 14 anni in preda a delle crisi ormonali e tutto per colpa di una rossa, di una ragazzina.

Avevo programmato la serata e andai a divertirmi senza pensare a niente, aiutato da qualche birra di troppo.

Il giorno dopo mi ero sentito abbastanza una merda. Non solo per essere tornato a casa, accompagnato dagli amici perché non ero in grado di guidare, ma anche per essermi ridotto in quello stato.

Preparai solo la lezione del giorno dopo quella domenica, non avevo la forza di studiare per l'università.

Dopo aver finito di scrivere qualche appunto, andai a correre e fu la cosa migliore. Fu come una ventata d'aria fresca d'estate. Mi rigenerò.

La colpa non era di Lana e nemmeno mia, non c'era nessuno e niente da incolpare.

Non mi dovevo sentire una merda e non dovevo nemmeno che lei si sentisse in quel modo.

Vederla fuori dalla classe mi aveva fatto bene, perché nonostante il tempo passasse io non smettevo di pensare a lei.

C'era solo una situazione, delle regole, che ci impedivano di uscire.

A quel punto mi era chiaro, che forse avrei dovuto fare qualcosa.

Questo è un capitolo molto tranquillo, ma vi assicuro che il prossimo è davvero un'esplosione di cose! :)
Se non fosse chiaro, è passato un mese dal litigio, e sono riusciti ad ignorarsi ... (ci saranno delle spiegazioni, don't worry ;D)
Voi lettori siete bellissimi, sappietelo u.u
Buona domenica!!
A prestissimo, Cri

 

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Capitolo 17
*** Sea ***


Pov Kristian

 

Stavo aspettando mio padre nel suo ufficio. Un ufficio che non mi era mai piaciuto, era troppo serio, c'erano troppe cose in legno e troppi riconoscimenti di mio padre, come a voler sottolineare la sua superiorità rispetto a me. Quelle licenze mi mettevano in soggezione, mi chiedevo sempre se potessi arrivare a quel livello. La scrivania era in legno, nera e lucida. L'odore che si sentiva era l'odore di nuovo come se questa stanza non venisse mai usata.

Il mio contratto era terminato, il vecchio professore sarebbe tornato nelle sue classi.

Entrò mio padre, serio come sempre e mi scrutò con il suo fare arrogante.

“Dovrai terminare l'anno, il professore non può ancora muoversi di casa, ha mandato stamani un certificato” ci rimasi male, o meglio ero contento perché avrei insegnato ancora, ma da una parte volevo ricominciare a frequentare Lana. Volevo farla innamorare di me come lo ero io di lei.

“Okay” sospirai, dovevo provare a cambiare le carte in tavola “ ma ad una condizione”

“Non mi sembra che ti servano soldi” disse cinico.

“No infatti, voglio che mi sia data la libertà di uscire con una mia alunna fuori dalla scuola e che non venga compromesso il suo anno scolastico o i miei studi”

“Va bene basta che non ti comporti come al liceo e che non vi facciate vedere troppo insieme” disse.

“E se mai te la volessi rifare con qualcuno, fallo con me, lei non c'entra niente” dissi alzandomi e me ne andai. Rinfacciarmi la vita del liceo non era stato affatto carino.

 

Uscii nel corridoio scolastico, era appena suonato l'intervallo, così cercai la ragazza.

La vidi nell'aula di pianoforte, da sola, mentre stava suonando ad occhi chiusi.

Entrai e quando chiusi la porta, però, feci troppo rumore così smise di suonare e si girò verso di me.

Aprì la bocca come per voler dire qualcosa ma poi rimase solo a guardarmi con uno sguardo triste. La causa di quella tristezza ero io, lo sapevo, e mi faceva male, non dovevo causarle quei sentimenti.

“Ehi” dissi sedendomi accanto a lei sullo sgabello del piano. “Vorrei parlarti uno di questi giorni fuori da scuola”

“Non posso” disse fissando le sue mani sui tasti.

“Invece sì, hai tutti i permessi da parte del preside di vederti con me”

“Che c'entra tuo padre?”

“Mi ha chiesto di portare le classi fino alla fine dell'anno e io ho posto la condizione di poter uscire con te senza conseguenze”

“Oh” disse, guardandomi alla fine. “Okay”

“Quindi ti va se usciamo?”

“Non lo so, mi sembra tutto così sbagliato” disse spostandosi il ciuffo che le era caduto sul viso.

“...Ti piace il mare?” provai.

“Lo adoro” disse accennando un sorriso.

“Ti passo a prendere dopodomani mattina” dissi infine e la lasciai continuare a suonare.

Non avrei accettato un altro rifiuto.

Mi venne in mente che lei aveva nominato suo zio.

Probabilmente c'entrava qualcosa, sennò non l'avrebbe nominato.

Ne avremmo parlato, finalmente.

 

Pov Lana

 

Misi nello zaino un cambio e un altro costume, oltre a quello che indossavo. Ero molto agitata.

Dovevo ancora dire a Jack che sarei andata al mare, e farlo la stessa mattina non era propriamente una buona idea.

“Zio” andai a svegliarlo, pronta ormai per uscire.

“Dolcezza che c'è?” disse assonnato.

“Vado al mare oggi”

“Posso sapere con chi?”

“Con Kristian Adams, ma ti posso giurare che ci è stato permesso di uscire insieme e poi siamo solo conoscenti”

“Non mi fido di lui ma mi fido di te, hai sempre fatto ciò che per te era meglio perciò se dici che non ci saranno conseguenze ti credo... stai attenta comunque” mi rispose, concedendomi quindi il permesso di vederlo.

 

Ricevetti lo squillo e uscii di casa.

Salii sulla sua auto, ero come percossa costantemente dall'adrenalina, entrare in macchina con Kristian non mi aveva mai smosso così tanto.

“Ciao” dissi appena incontrai il suo sguardo, quel colore mi destabilizzava sempre e potevo perdermi per ore a guardarlo.

“Ciao ragazzina” continuava ad usare quel diminutivo.

Parlammo di cose molto superficiali all'inizio, rimandando il vero discorso a quando saremmo arrivati.

“Qui ho una piccola casa sulla spiaggia, in realtà è dei miei, ma per oggi me la fanno usare” disse parcheggiando davanti a questa.

Si affacciava proprio sul mare e su quella spiaggia deserta.

Eravamo in un punto non turistico perciò si vedeva solo qualche coppia o qualche solitario venuto per rilassarsi.

Prese un telo e ci dirigemmo verso la spiaggia. Inspirai quell'aria tipica del mare, quell'odore tanto piacevole, quanto fresco. Guardai l'acqua piatta che si riversava sulla riva e lasciava alla sabbia un colore scuro. Noi ci fermammo un po' prima, ma sempre vicino all'acqua. Adoravo fissarla, vedere come i riflessi del sole si muovevano sulle onde e tutti i disegni astratti che creavano.

Posò il telo e mi fece cenno di sedermi, così feci.

“Ti dispiace se inizio io? Ma mi sento di doverti dire delle cose” cominciai e lui annuì “ Quella sera a casa tua Jack mi ha chiamato perché sapeva che ero con te e ha pensato male e mi ha detto che lo avevo deluso e che prima di tutto dovevo pensare a ciò che avevo costruito in tutta la mia vita, e quindi di non buttarlo”

“Perché non me l'hai detto subito?” domanda lecita.

“Ero spaventata anche da quello che noi stavamo facendo e pensavo che avesse ragione”

“Ormai già sai che possiamo vederci e ti chiederai perché ho domandato questo permesso, vero?” disse.

“Già, non capisco, insomma io mi sono comportata così male!” lui ridacchiò.

“Quando mio padre mi ha detto che dovevo continuare ad insegnare non mi ero sentito felice, e in quel momento ho capito che c'era qualcosa che non andava del tutto anche se in realtà lo sapevo già da prima, ma quella è stata una prova schiacciante per me stesso... Io non mi sono sentito felice perché volevo smettere di insegnare nella tua classe per poterti vedere quando e come volevo, e non parlo della tesi, parlo per tutto il resto. Tu mi piaci, in tutti i modi che una persona può piacere e io voglio frequentarti come ragazzo, un ragazzo infatuato di una ragazza. Tutto qua”

Com'era che avevo detto a Jack? Solo conoscenti. Mmh, forse qualcosa sarebbe cambiato.

Non sapevo proprio cosa dire, mi aveva appena confessato con un giro di parole di essere innamorato di me.

Io? Ero innamorata di lui?...

Se la risposta era un sì, io non riuscivo proprio a capirlo.

Se la risposta era un no, allora voleva dire che la mia mente non aveva capito niente di come mi sentivo.

Forse. La misi sul forse, con me stessa.

“Non pretendo che ora tu mi dica che ricambi, ho imparato a conoscere i tuoi tempi” disse.

Eravamo vicinissimi.

Sfiorai la sua bocca in un bacio appena accennato.

“Facciamo un bagno, siamo venuti anche per questo no?” cercai di togliermi da quella situazione, volevo rimandarla solo di un po'.

Entrammo in acqua lentamente, scoprendola molto fredda a quell'ora.

Nuotammo un po', come nella giornata in piscina.

“Sei bellissima!” mi disse prendendomi in braccio e uscendo dall'acqua, per poi sedersi sul telo con me ancora in braccio.

“Anche tu non sei male” risposi a battuta.

“Andiamo ad asciugarci in casa, non fa ancora così caldo” nel momento in cui me lo fece notare, mi accorsi di avere un po' di freddo.

Entrammo in quella casetta, era molto carina e ariosa.

Mi fece vedere dove era il bagno e così mi cambiai con i vestiti asciutti.

Lui probabilmente si cambiò in camera visto che quando uscii, indossava già dei nuovi pantaloni e una maglietta.

Il mare gli donava, non sapevo come, ma quella mattina era davvero molto bello.

Mi vide mentre lo stavo fissando e aggrottò la fronte, avvicinandosi di poco.

Cominciavo a sentire caldo.

Forse si erano alzati i gradi fuori.

“Che c'è?” lo squadrai di nuovo, il pantalone gli fasciava perfettamente le gambe.

“Stai bene così” dissi e le mie guance diventarono subito rosse.

“Da quando concedi dei complimenti?” disse divertito. Fece un passo in avanti e io di conseguenza uno indietro, finendo contro il muro.

“Non era un complimento, solo una costatazione” dissi alzando il mento come a volerla vinta io. Facendo ciò mi trovai nuovamente con le labbra sulle sue, calde, morbide, sensuale ed esperte.

Stavolta schiusi le labbra, mi diede un bacio alla francese.

Continuai, non avendone abbastanza di baciarlo. Mi aggrappai alle sue spalle mentre lui mi strinse per la vita.

Fu una danza sublime tra le nostre lingue finché non riprendevamo fiato e poi continuavamo. Non avevo proprio capito quanto mi mancasse, quanto avessi bisogno di lui. Mi strinse ulteriormente muovendo ancora la sua lingua con la mia, assaporando ogni attimo. Mi morse con cautela il labbro inferiore per lasciarmi infine un bacio accennato.

“Voglio fare l'amore con te” disse spostandosi al mio orecchio.

Non mi tiravo indietro. Lo volevo anch'io. Volevo concedermi a lui, volevo che fosse il primo.

Lo volevo, volevo un contatto più diretto. Volevo sentire la sua bocca su di me, ovunque.

Presi la sua mano e lo trascinai verso la camera da letto e poi, verso il letto matrimoniale.

Riprendemmo a baciarci. Mi sdraiò sul letto mettendosi sopra di me.

Cominciò a baciare e leccare ogni parte di pelle libera. Mi posizionai meglio sotto di lui, facendo si che mi levasse la maglietta.

I suoi occhi erano vogliosi, ma attenti ad ogni movimento come se si stesse prendendo cura del mio corpo.

Misi una mano tra i suoi capelli, mentre si soffermò sui miei seni.

Non avevo mai provato niente del genere, sembrava di non essere più lì, come se tutto quello che mi circondava non esistesse davvero.

Anche lui si tolse la maglia e sentire la sua pelle nuda sulla mia mi provocò ulteriori brividi.

Sentii il suo sesso premere sul mio bacino, ricercai però la sua bocca che mi accolse vogliosa.

Nel suo oceano leggevo tutta la libidine del momento.

Mi tolse il pantalone e l'intimo.

Scese sulla mia femminilità e a quel punto gemetti in maniera incontrollabile. La mia schiena inarcata verso di lui.

“Sei sicura?” disse rimanendo nudo anche lui. Poteva chiedermelo un po' prima no? .. Come potevo fermarmi in quel momento, con lui nudo per giunta, che mi stringeva le mani.

“Kristian, ti voglio” ansimai.

Prese un preservativo dal cassetto e poi tornò su di me.

Iniziò ad accarezzarmi il viso e a lasciarmi baci sul viso, ovunque, come a tranquillizzarmi.

“Dimmi se fa troppo male” disse spostandomi i capelli in modo che non mi dessero noia.

Era al limite, la sua voce era quasi isterica dal bisogno che aveva.

Spinse lentamente e, mi trovai in un paradiso infernale. Dolore e piacere.

Spinse fino a che non fu completamente in me. Gemetti.

Il dolore sparì quasi immediatamente... era tutto indescrivibile. Cominciò a muoversi lentamente, fino a dettare poi il ritmo.

Arrivammo all'orgasmo quasi all'unisono.

Non c'era stato momento migliore nella mia vita che fare l'amore con lui. Poteva essere scontato, ma mi aveva dato quel qualcosa che c'era stato solo in minima parte nella mia vita: amore.

Era stato un momento di amore e quello non lo potevo negare.

Eccomi :)
Spero di poter scrivere tantissimo in questo ponte, perché la scuola mi sta risucchiando ed avere tempo per buttare giù qualcosa è davvero difficile (e trovare l'ispirazione!!!)
Anyway, non so nemmeno io cosa ho scritto in questo capitolo, o meglio mi sono lasciata condurre dai personaggi e forse era il momento che le cose si chiarissero :)
GRAZIEEEEEE a tutti voi lettori/lettrici *_*
Aggiornerò presto ;)
Intanto...

 

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Capitolo 18
*** Touch me ***


Pov Kristian

 

Ero andato in bagno per risistemarmi e infine, tornai in camera e mi sdraiai al suo fianco.

Alzammo le coperte e ci mettemmo sotto queste.

Mi avvicinai di poco a lei.

Avevo ancora il petto nudo e lei rimase a fissarmi. Alzai la testa verso il soffitto, ero così soddisfatto, ma soddisfatto non era la parola giusta...

Sobbalzai quando la sua mano andò a sfiorare i miei pettorali con le dita. Iniziò a muoverle lentamente dal petto fino agli addominali. Disegnava cerchi e figure astratte sulla mia pelle.

“Ti dà noia?” mi domandò quando sussultai per un tocco verso il basso ventre.

“No, affatto” mormorai, dandole un bacio sui capelli. “..Non hai detto più niente” dissi sempre a bassa voce. Fermò la mano.

“Insomma io non so cosa si dice” le sue guance si colorarono di rosso.

“Vuoi la domanda diretta?” dissi ridacchiando.

“No, ho capito cosa intendi, è stato bello e si mi è piaciuto” il mio ego aumentò dopo quelle parole, mentre lei si nascondeva tra i capelli.

Mi girai verso di lei cercando la sua bocca. Baciai le sue labbra ripetutamente, infine lasciò che la mia lingua si insinuasse in lei. Mise le mani intorno alla mia nuca, approfondendo il bacio.

Gemette leggermente quando la sovrastai con il mio peso.

“Devo riportarti a casa o tuo zio mi uccide” sussurrai sul suo collo. Mugolò qualcosa, ritornare alla realtà non era mai piacevole.

“Altri 5 minuti qui” disse ribaltando la posizione e sedendosi sopra di me, sui miei addominali.

Indossava solo l'intimo. Era una tentazione vera e propria.

Si chinò per lasciarmi una scia di baci dal mento al collo.

“Se iniziamo non riuscirò a fermarmi” soffiai sulle sue labbra, e la vidi arrossire nuovamente.

Sentii il mio sesso indurirsi ad ogni bacio che mi dava. Inconsciamente o meno sapeva dove toccare.

“Non eri te quella responsabile?” dissi cercando di alzarmi e facendole vedere l'ora.

“Oh, Jack ti ucciderà, anzi ci ucciderà” disse di fretta rivestendosi.

Si legò i suoi capelli rossi, adoravo quei capelli, e il profumo di questi e non sopportavo che se li legasse. Le presi di nuovo l'elastico e poi andammo verso la macchina.

 

“Kri, che succede adesso?” mi domandò a metà viaggio.

“Come mi hai chiamato?”

“Lascia stare e rispondimi” ridacchiai perché non perdeva mai quel tono strafottente.

“A scuola dovremmo fare come sempre e .. poi dovresti dirmelo tu” rigirai la cosa per capire il suo effettivo interesse.

“Io .. forse dovremmo provare ad uscire, basta che la smetti di mettermi in imbarazzo come adesso”

Risi e lei mi tirò un buffetto con tanto di occhiataccia, ma poi cercò per qualche secondo la mia mano poggiata sul cambio. Mi carezzò il dorso e, pensai di non riuscire a guidare con quelle sensazioni di calore che lei mi dava, tolse la mano come se avesse capito.

 

La lasciai sotto casa . Eravamo puntuali, per fortuna. Non volevo che avesse problemi con suo zio.

Il vero problema sarebbe stato la lezione in classe. Avrei veramente potuto fare finta di niente, dopo aver fatto l'amore con lei? .. Dopo aver provato sensazioni indescrivibili?

Non riuscivo proprio ad immaginarmi in quel momento, alla cattedra a spiegare noiose nozioni con quella ragazzina a due metri di distanza.

Non era solo una questione di voglia fisica, era che mi sarei fermato a guardarla per tutte le due ore di lezione, volendo ascoltarla, parlarci, e baciarla per tutto il tempo. Quella ragazzina mi aveva fatto perdere la testa.

 

Pov Lana

 

Non sapevo chi chiamare per primo: Lorenzo o Caterina?

Optai alla fine per Lorenzo. Caterina l'avrei vista il giorno successivo a scuola, potevo avere la pazienza fino al giorno seguente di non urlare ai quattro venti come mi sentissi.

Chiusi la porta della mia camera, e digitai il numero del mio amico sul cellulare.

“Ti devo dire una cosa stupenda!” mi disse senza darmi il tempo di pronunciare una parola.

“Ehi, no, anch'io.. Come facciamo?” provai a dire.

“Vado prima io, sei stata irraggiungibile tutta la giornata ed ho aspettato troppo” mi disse, imponendosi.

“Okay”

“Nel bar dove lavoro, ho conosciuto un ragazzo e stiamo uscendo insieme come coppia, un giorno devi conoscerlo. È biondo e bellissimo ed ha due anni in più di me e diciamo che è già esperto e non vedo l'ora di farlo con lui” disse.

“Oddio! È fantastico!.. Fammelo conoscere ti prego” dissi realmente contenta per lui. Poi aspettati qualche secondo.

“..Ehm io l'ho già fatto” dissi a bassa voce imbarazzata. Dirlo faceva diventare quella giornata ancora più reale. Le sue mani, i suoi baci, il suo profumo e i suoi capelli, mi tornò tutto alla mente.

“Lana, spiegati e non dirmi che è ciò che penso”

“Si lo è, io e Kristian l'abbiamo fatto, stamani” dissi quasi insicura delle mie parole. Lorenzo lanciò un urlo isterico. Dovetti allontanare il cellulare per non rimetterci un orecchio.

“Io propongo un'uscita a quattro, tra un po' di tempo” disse infine.

Chiacchierammo ancora un po' e poi ci salutammo.

Mi distesi sul letto, e così partì il mio viaggio mentale su Kristian finché stanca non decisi di andare a dormire.

Andai a dare la buonanotte a Jack e poi mi coricai.

 

Presi la bici, ero in ansia per quella mattinata, e questo stato d'animo mi era nuovo.

Dopotutto ero sempre io, con la mia bici, verso scuola, con i miei buoni voti. C'era un piccolo, piccolissimo dettaglio: avevo voglia di vedere Kristian, mi ero alzata per vedere Kristian. Ciò significava una sola cosa: ero cambiata. Ero riuscita a cambiare, stavo vivendo tutto ciò che vivono le ragazze della mia età. Ero io con del brio, e ciò, derivava dal fatto che ero cotta. Potevo anche non credere prima di questo momento alle cazzate che tutti dicevano sull'amore e su come porta a migliorare il proprio carattere ed i propri modi, ma era così, io stavo meglio.

Arrivai davanti al solito edificio grigio e misi il lucchetto alla bici.

“Che faccia ad idiota hai oggi” mi disse Caterina salutandomi.

“Eh?”

“Stai sorridendo come un ebete da quando sei entrata, puoi degnarmi di una spiegazione?” disse tirandomi via dal corridoio in un posto più tranquillo dove parlare.

“Kristian mi ha portato al mare ed è successo quello che doveva succedere un po' di tempo fa”

“Finalmente! Fra un po' dovevo attaccare i manifesti per farvi capire che siete innamorati”

“è sempre il mio professore” e non era detto che fosse innamorato di me.

“Smettila, tra un mese è finito tutto e te lo scoperai giorno e notte”

“Che visione carina” dissi ironica andando verso l'aula di pianoforte.

 

Raggiunsi il culmine dell'ansia poco prima di entrare nella sua aula.

“Buongiorno” ci sorrise, sedendosi alla cattedra. Cercai di evitare il suo sguardo.

La lezione iniziò e si concluse in maniera decente.

La mia concentrazione era andata a quel paese dopo i primi cinque minuti. Sapevo che non dovevo guardarlo, ma il peggio era ascoltare la sua voce ed immaginare il mio nome sulle sue labbra. Ero masochista.

Raccolsi la mia roba molto lentamente ed altrettanto lentamente me ne andai verso i corridoi.

Mi sentii prendere per un braccio e tirata verso lo sgabuzzino dei bidelli.

“Pazzo” dissi, voltandomi verso Adams.

“Come faccio a spiegare se te mordicchi quella fottuta penna ogni tre secondi?” mi domandò retoricamente e poi cercò le mie labbra prima che io potessi rispondere.

Ormai oppormi era inutile, e non l'avevo mai fatto, perciò schiusi subito le labbra e accolsi la sua lingua. Mi era mancato. Mise una mano tra i miei capelli e approfondì ancor di più il bacio.

Sentivo cedere le mie gambe e dovetti appoggiarmi alla porta per non cadere. Venivo percossa da continui brividi sulla colonna vertebrale.

In quel momento potevo dire addio alla mia sanità mentale a scuola, e la mia sanità in generale visto che il cuore cercava di uscire dal petto in maniere incontrollabile.

Riprendemmo fiato.

“Non possiamo qui, per favore”

“Il tuo senso della responsabilità ha un tempismo perfetto” disse spingendomi fuori per uscire. Capii che dovevo andare avanti un po' prima che uscisse lui, per non farci vedere insieme.

Ci trovammo all'uscita di scuola come un normalissimo professore con una studentessa.

“Jack va via questo week-end per il ponte e mi chiedevo se volevi venire da me in quei giorni visto che non c'è scuola”

“Non vedo l'ora di stare un po' con te” disse, fece per sfiorarmi la mano come a prendermela ma poi la ritirò subito ricordandosi, forse, dove fosse.

Andai verso la bici per tornare a casa.

 

Dovette passare un solo giorno prima di ritrovarmi Kristian sulla porta di casa.

Era maggio, finalmente. Ancora un mese e poi basta. Jack era andato al mare, mi aveva invitato ma con la scusa dello studio avevo rifiutato.

Aprii la porta a Kristian.

“Ciao” mi salutò dandomi un bacio appena accennato sulle labbra. Mi spostai per farlo passare e chiusi la porta. Aveva un piccolo borsone, probabilmente per il cambio.

“Ehi” dissi sorridendo sognante. Mi faceva male la sua presenza, ma parecchio. “Andiamo nella mia camera” dissi facendo strada. Lui non c'era mai stato anche perché non mi piaceva che qualcuno entrasse in camera mia.

Aprii la porta un po' in imbarazzo, infondo era il mio piccolo mondo.

C'era un letto matrimoniale al centro della stanza, rosso. Le pareti invece erano scure. L'armadio a muro sul lato sinistro del letto, mentre sul lato destro vi era una grande porta-finestra che portava al balcone. Le pareti erano piene di piccoli quadretti, foto e poster di concerti, che purtroppo non avevo mai visto. C'erano pile di cd a fianco al comodino e poi, niente. Quella era la mia stanza.

Lui entrò e si guardò intorno. Appoggiò la borsa accanto al letto.

“Ti piacciono i Led Zeppelin?” disse guardando la foto.

“Me li ha fatti ascoltare mio padre quando ero piccola” dissi avvicinandomi a lui. Mio padre mi mancava in una maniera indescrivibile.

Mi prese per mano e mi strinse a sé, baciandomi con trasporto e passione. Si sedette sul letto portandosi il mio corpo a cavalcioni sul suo.

Continuammo a baciarci senza sosta, una sua mano finì sotto la mia camicetta mentre l'altra iniziò a sbottonare pian piano i bottoni di questa.

Cercai di non essere passiva e fui io a spostarmi sul suo collo e a togliergli la maglietta per aver il piacere di stare a contatto con quei pettorali. Passai timida le mani su questi.

Anche la mia camicetta finì a terra sopra la sua maglia.

Per un attimo Kristian mi prese in collo e mi posizionò meglio sul letto, mi sdraiò sotto di lui.

Tracciò con una scia di baci tutta linea verticale del mio corpo fino a raggiungere nuovamente le mie labbra.

“Sei bellissima” mi soffiò sulla guancia. Ero eccitata in maniera smisurata.

“Sono tua” mi sfuggì quando la sua mano si infilò sotto i jeans, per trovarmi già bagnata.

A quelle parole si tolse gli ultimi indumenti rimanendo nudo.

Avevamo aspettato troppi giorni, e la voglia, la sete era tanta.

Lo aiutai a togliermi il pantalone. Cercai di non fissare il suo sesso, ma era più o meno impossibile, dato che la sua erezione era giunta al suo massimo, e le misure erano notevoli.

Mi guardò, i suoi occhi erano pieni di libidine.

Portai la testa all'indietro quando il suo bacino venne a contatto con il mio, le nostre intimità a contatto.

Entrò in me con cautela, ma vedevo, o almeno credevo di vedere perché i miei occhi erano socchiusi, che si stava trattenendo.

Mi diede un altro bacio. Allacciai le mie gambe alla sua vita per avere un contatto più diretto. Gemette a quel cambiamento.

Fare l'amore con lui per la seconda volta fu ancora più bello.

Non c'era più imbarazzo, non c'erano più freni.

Eravamo io e lui. Le sue labbra, le sue mani, i suoi capelli.

Si appoggiò ancora di più sulle braccia per l'ultima spinta prima di raggiungere l'orgasmo, subito dopo di me.

Si accasciò al mio fianco, tenendomi ancora per mano.

Mi strinsi a lui, mi feci cullare dalla sicurezza che mi dava il suo corpo.


Okaaay, questo è il capitolo. Diciamo che li ho lasciati divertire un po', o meglio mi sono lasciata prendere dalla tenerezza :33
Comunque sia, GRAZIE a tutti voi. Grazie a chi recensisce, davvero, soprattutto in questo momento di poca ispirazione ho bisogno dei vostri pareri :)
Buona domenica e divertitevi tanto! :D
A presto (non so quando ce la farò a pubblicare, spero prima possibile)
Cri

 

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Capitolo 19
*** Desire ***


Pov Lana

Ci eravamo addormentati per un'oretta.

“Hai ancora le sigarette?” mi chiese appena svegli.

“Si due e poi finisco il pacchetto”

“Fumiamole e poi non le ricomprare più” mi disse serio prendendomi di mano il pacchetto che avevo appena tirato fuori.

Ci mettemmo in tuta e uscimmo sul balcone.

Rimasi stretta a lui in un tenero abbraccio, mentre completamente rilassati, ci godevamo il tabacco.

“Ti va di raccontarmi qualcos'altro dei tuoi genitori, se te la senti?” non mi aspettai quella domanda. Annuii e buttai l'ultima sigaretta.

Rientrammo dentro e decisi di sdraiarmi nuovamente sul letto.

Cercai un punto da guardare così alzai gli occhi verso il lampadario sul soffitto. Mi persi tra quei pochi ricordi che avevo, mi persi ad osservare quel vetro della lampadina, in quel momento spenta.

“Pensavo di essere molto fortunata quando ero piccola” iniziai a raccontare e lui si mise come me prendendomi per mano e guardando verso l'alto, come se ci fosse davvero qualcosa di interessante. “Ero una bambina allegra, circondata dalla musica e da due genitori adorabili. Questo è quello che mi ricordo di più. Mi ricordo di più mio padre rispetto a mia madre per il semplice fatto che lei per quello che faceva era sempre a teatro mentre mio padre mi portava sui suoi bus o nel backstage. Mi divertivo con lui. Era una gioia stare con lui. Adoravo quando mi rincorreva per casa perché gli avevo preso qualche suo cd. Adoravo mia madre che mi portava souvenir e che mi sorrideva ogni volta che mi sedevo sulle sue gambe” dissi infine girandomi verso di lui e abbracciandolo, cercando conforto.

“Come hai fatto? Voglio dire, quanta forza hai ragazzina?”

“Non so come ho fatto, dopo cercavo solo di sopravvivere. Ho dovuto imparare ad arrangiarmi e mio zio ho iniziato a conoscerlo solo verso i miei 10 anni, per tre anni fu come stare in una casa da sola” risposi, ma lui si irrigidì alle mie parole.

“Questo tuo zio non mi piace”

“Io lo capisco invece, ritrovarsi in casa una bambina da un giorno all'altro non è semplice, e lui era molto giovane, poi ha capito..e l'importante è questo” dissi sorridendo e lasciandogli un bacio sul mento, leggermente ruvido per la barba.

“Rifallo” disse.

“Cosa?” domandai.

“Dammi altri baci”

“Te li devi meritare” dissi girandomi dall'altra parte ma lui, essendo più forte di me, mi fermò con il braccio e si mise sopra il mio corpo.

“Okay, allora alziamoci” disse ad un centimetro dalla mia bocca, negandomi però un bacio.

Io e le mie stupide frasi non andavamo più d'accordo.

 

Ci vestimmo. Erano già le sette di sera ed uscimmo fuori.

Prendemmo la sua macchina perché era imprudente uscire in centro di venerdì sera, chiunque di scuola ci avrebbe potuto vedere. Nonostante ciò non sapevo la meta.

Non sapevo dove mi stava portando e perché avesse scelto di farmi indossare un bell'abito. Non mi ero nemmeno opposta. Quel ragazzo mi stava drogando di qualcosa, ne ero sicura. Risi del mio stesso pensiero.

Dopo venti minuti arrivammo in un piccolo ristorante di campagna.

“Non è vero?” gli chiesi mentre lui mi apriva lo sportello della macchina.

“Non è niente”

“Allora il niente mi piace troppo” dissi. Era un posto così intimo, soprattutto in quel momento, subito dopo il tramonto, il crepuscolo era fantastico. La luce se ne andava lasciando che le ombre cadessero sulla città. Creava un colore tra il rosso, e il blu. Da una parte la notte, con il buio e il mistero, dall'altra il sole caldo e sicuro.

Mi avvolse con le braccia e ci scambiammo un bacio pieno di passione, un bacio pieno del suo calore.

Mi prese per mano, un gesto che fatto fuori dalla camera da letto mi piaceva da morire. Mi faceva sentire protetta.

Aprì una piccola porta di legno ed entrò facendomi poi strada.

Mi sentivo tremendamente fuori luogo. La cena fuori per me equivaleva alla pizza.

“Come sai che questo è un mio mai-fatto?” dissi con tono sarcastico mentre ci mostrarono il tavolo dove sederci. Era un posto appartato, dalla quale si potevano vedere le colline piene di luci di case lontane.

“Io vengo qui spesso, il proprietario è un mio amico e pensavo solo che ti potesse piacere”

“Ed è così” dissi.

“Ti mette in imbarazzo?” Mi chiese, mozzandomi il fiato con un sorriso. Come gli si poteva dire di no? Semplice: non si poteva.

“Non ci sono abituata, tutto qui”

Al contrario di quanto mi aspettassi la serata fu bella e non ci furono silenzi imbarazzanti.

Il cibo era buono e comunque, io non mi lamentavo mai del cibo anche se preferivo quello cucinato da Kristian.

Finimmo presto così decidemmo di stare sulla terrazza del ristorante nonostante l'aria fresca.

 

Mi prese per mano, di nuovo, e mi avvicinò al suo petto.

Iniziammo a muoverci lentamente sotto il ritmo di una musica dolce che si sentiva anche sulla terrazza.

Era come se ci fosse tanto da dire, ma anche niente.

Infine ci appoggiammo al muretto.

“Cosa ne pensi delle stelle?” disse ad un certo punto. Sorrisi e poi guardai in alto.

“Penso che servano ad illuminare la notte” fece una smorfia “Volevi una risposta romantica?” gli chiesi retoricamente.

“No, è che secondo me servono per farci vedere del buono anche nel buio, perché avere paura della notte se ci sono le stelle?.. Perché pensare che non ci sia mai una via d'uscita quando in fondo, anche se molto lontano, c'è una luce e so che non basta fissarla per raggiungerla, che bisogna lottare per ottenere tutto, ma perché arrendersi prima ancora di provare, perché vedere solo un lato delle cose, le stelle non servono solo per illuminare la notte, servono per sognare, per farci credere in qualcosa anche se questa è molto lontana, no?”

Schiusi la bocca perché le sue parole sapevano sempre dove e come colpirmi e improvvisamente sapevo cosa pensavo delle stelle.

“Potresti gentilmente chiudere le tue dolci labbra, mi stai facendo fare pensieri poco casti” disse e risi, e lui con me.

“Rifammi la domanda” mi impuntai. Mi guardò perplesso per un attimo e poi fece per parlare.

“Cosa ne pensi delle stelle?”

“Penso che siano tutto quello che hai detto tu, ma sono anche solo materia come noi, corpi che interagiscono e ci condizionano, scusami se non so essere romantica” sorrise e mi incantai non solo sulle sue labbra ma mi persi anche in quella vernice blu che erano i suoi occhi, loro mi sorridevano. Non resistetti più, lo baciai, un bacio dolce, d'altronde se lo era più che meritato.

 

Pov Kristian

 

“Torniamo a casa?” chiesi infine, lei annuì.

La strinsi a me, perché si era alzato un leggero vento e vedevo che aveva freddo.

Raggiungemmo la macchina per tornare a casa.

Arrivammo davanti al portone ormai a mezzanotte ed io avrei voluto che la serata non si concludesse così anche perché il lunedì si avvicinava, e a scuola diventava tutto più frustrante, e ci potevamo vedere meno.

“V-vuoi farti una doccia con me?” domandò e la vidi arrossire prima che girasse il viso dall'altra parte. Poteva fare una richiesta più bella di questa? La mia mente volò in un secondo tra i nostri corpi nudi, la schiuma, e il fluire dell'acqua.

La presi in braccio e la trasportai fino al bagno.

“Facciamo questa doccia” le dissi, sfilandomi la maglia. Poi mi tolsi subito il resto dei vestiti.

Lei invece fece tutto molto più lentamente, e sapevo che si sarebbe sentita in imbarazzo se l'avessi guardata, ma io volevo godermi quello spettacolo.

Nel frattempo aprii l'acqua della doccia per farla arrivare calda, scrutando il suo corpo, le sue forme lievi ma che io adoravo, quelle poche lentiggini sulle braccia.

Quando fu completamente nuda la presi per mano e ci chiudemmo dentro il box della doccia.

I suoi capelli, bagnati, si attaccarono subito al corpo, diventando di un rosso ancora più intenso.

Iniziammo a baciarci ininterrottamente. Lasciai che le sue mani vagassero sulla mia schiena e che le mie scivolassero sulla sua.

Era come se fosse nata per baciarmi e per contemplarmi con i suoi movimenti, io mi sentivo completo quando le mi toccava, mi baciava, mi sorrideva.

Ci staccammo per un secondo e in quello stesso secondo mi mise due dita sulle labbra come per dire che dovevo attendere.

Rimasi immobile mentre le sue mani mi sfiorarono il petto e la sua bocca seguiva il movimento delle mani.

Cominciò ad abbassarsi fino agli addominali, lasciando scie calde, miste all'acqua che scorreva sui nostri corpi. Proseguì colmando ogni lembo di pelle non ancora toccata.

“Che ..fai?” dissi un po' ansante quando mi baciò l'inguine.

“Prima hai detto quella cosa sui pensieri poco casti che avresti fatto se io avessi tenuto la bocca aperta e mi chiedevo quali fossero questi pensieri” sapevo quali erano, e cavolo, se avrei voluto che diventassero realtà. Vederla in quella posizione, mi fece immaginare l'indicibile. Deglutii a fatica.

“Non devi fare niente che tu non voglia” scosse la testa e riprese a baciarmi ovunque. Il suo corpo caldo e morbido addosso al mio non faceva altro che eccitarmi ancora di più. Le mie sinapsi si scollegarono quando le nostre intimità, involontariamente, vennero a contatto. Ero impaziente, stavo diventando impaziente. Volevo entrare in lei e farla mia, ma allo stesso tempo volevo vedere come giocava con me.

“Voglio provare” rispose decisa, prendendo in mano il mio sesso, dandomi subito sollievo e piacere. Scariche di piacere intense, boccheggiai per qualche attimo prima di riparlare.
“Lana sei fantastica” ansimai, guardandola negli occhi, dove il trucco ormai era sbavato per colpa dell'acqua. Era una visione terribilmente eccitante.

“Non ti hanno mai detto che le rosse sono le più imprevedibili a letto?” disse sicura, iniziando a massaggiare il mio sesso, con movimenti più decisi. Trattenni un mugolio.

Lì uscì, però, la sua timidezza. Era inesperta e questo lo sapeva pure lei, era che queste cose la imbarazzavano come niente, nonostante volesse farle. La sua timidezza mi piaceva.

Ero in preda a sensazioni uniche e non ebbi il tempo di fermarla quando prese il mio membro con le labbra.

Fu come essere scesi all'inferno, l'acqua calda, il calore che sentivo al basso ventre, i suoi capelli rossi, il non riuscire a fermarmi e a fermarla, tutte quelle sensazioni che vi erano in tutto il corpo e che poi si concentravano sul mio sesso in maniera incontrollabile.

Misi infine la mano tra suoi capelli, guidando i movimenti, e la feci spostare quando, venni, un orgasmo che non ero riuscito a trattenere. Irruento. Piacevole. L'inferno di piacere.

Si alzò e mi appoggiai a lei, come a sostenermi da quella scarica.

“Cosa mi hai fatto eh?” sussurrai con voce roca, troppo roca.

Nonostante tutto non mi bastava, volevo completare anche lei, come era avvenuto per me.

Presi prima il bagnoschiuma, eravamo lì per una doccia no?

La insaponai e coccolai con le mie mani e le mie carezze.

Lasciò che le massaggiassi anche i capelli.

Le tolsi tutta la schiuma prima di ritornare a volere la sua bocca, rossa e gonfia per i baci precedenti.

Le feci allacciare le gambe alla mia vita e con delicatezza entrai in lei. Era una sensazione sempre nuova con lei. Non era mai abbastanza.

Mugolò di piacere e gemette con me.

Dovetti aiutarmi con il muro per sostenerla e per sostenerci dal piacere che sarebbe arrivato.

Così successe l'orgasmo ci travolse, letteralmente. Rimanemmo qualche minuto abbracciati.

Non era la stessa Lana che avevo incontrato il mio primo giorno da professore, ne ero certo.

La guardai negli occhi, intensi e scuri che a suo volta studiavano i miei, in uno scambio pieno di parole non dette, parole che ci riusciva meglio esprimere con i fatti.

 

Ci mettemmo a letto poco dopo.

Lana era stanca, si strinse al mio petto e chiuse subito gli occhi.

“Stiamo tutto domani nel letto?” mi disse soffiando il suo fiato sul mio collo.

“Certo, bisognosa di affetto?”

“Stupido, dormi” borbottò sulla mia maglia e richiuse gli occhi.

E forse mi ero sognato che lei dicesse “un po'” a bassa voce, ma ero già in dormiveglia quindi non ne ero certo.

C'era qualcosa che la preoccupava?

 

Ci svegliammo molto tardi.

Fu un risveglio, decisamente, piacevole.

“Buongiorno” dissi stringendola in un dolce abbraccio.

“Ciao” si stiracchiò un po' e poi mi lasciò un bacio accennato sulle labbra.

Al contrario di quanto aveva detto la sera precedente, si volle alzare.

Voleva aiutarmi per la tesi ed inoltre le mancava suonare.

Preparai la colazione per tutti e due e ci spostammo nel salotto.

“Suonami quello che vuoi prima” le dissi, adoravo il modo con cui si poneva sulla tastiera.

Sembrava carezzarla, amarla. Chiudeva sempre gli occhi mentre suonava.

“Heller” sussurrò.

“Suoni qualcosa di Heller?” era un compositore dell'ottocento, del periodo romantico.

“Sì, perché mi fa pensare a te, insomma lui è come te, mi tira fuori i sentimenti, i ricordi, le emozioni, e.. i brividi” parlò senza mai guardarmi veramente, teneva lo sguardo basso.

Le alzai il mento con l'indice.

“Mi hai detto una cosa molto bella” dissi e pian piano mi avvicinai alla sua bocca. Non staccai mai lo sguardo dal suo fino a quando ci baciammo.

Saggiai la sua lingua, il suo calore. Tenni il suo viso con le mie mani.

Ero un caso perso.

Poche parole mi avevano completamente mandato in tilt.

Quella ragazza mi stava stravolgendo.

Mi ero ripromesso di non innamorarmi più come l'ultima volta, di non cadere nella trappola dell'amore e soffrire ancora.

Com'è che si diceva? Rifiutarsi di amare per paura di soffrire, sarebbe come rifiutarsi di vivere per paura di morire. Parole di Jim Morrison.

Non era un errore innamorarmi di lei. Era la vita, no? Funzionava così.

Mi staccai da lei e la incoraggiai a suonare.

Fece una melodia dolce e allo stesso tempo malinconica, un po' com'era la nostra relazione. Questa segretezza era qualcosa che in qualche modo ci disturbava.

“Ti va di suonare qualcosa con me?”

“Non so suonare il pianoforte”

“Ho una chitarra di là, ti va?” insisteva come una bambina, come se quello fosse il suo gioco preferito e non ammetteva un no come risposta. Annuii e mi andò a prendere la chitarra.

Prese lo spartito della mia tesi e capii che mi voleva solo aiutare.

Potevamo in due suonare e in due comporre.

Facemmo qualche nota prima così, per divertimento ed era davvero bello suonare con lei. Suonare per me e per lei era la cosa più importante di questa Terra, farlo insieme lo faceva diventare indispensabile.

Avrei mai potuto riprendere la chitarra in mano senza ripensare a lei che con passione mi accompagnava al pianoforte? Avrei raggiunto tanta perfezione di nuovo?...

Il tempo passò in un attimo, suonando, tanto che non ci accorgemmo che ormai era tardo pomeriggio ed infatti Jack rientrò a casa.

Sentimmo scattare la serratura della porta e tutti e due ci guardammo abbastanza spaventati.

“Lana?”

“Zio, bentornato!” gli si buttò addosso abbracciandolo, in fondo le voleva bene.

Io mi alzai e gli andai incontro. Dovevo solo sperare che non la prendesse male.

“Ci siamo già presentati professore” disse suo zio.

“Si, ma non come ragazzo di Lana e so che magari avrei dovuto chiederle il permesso prima di entrare in casa sua” lei si girò verso di me a quelle parole ed aumentò la stretta sul mio braccio, che aveva preso appena mi ero alzato.

“Oh permesso concesso, peccato che vi ho trovati a suonare, perché non vi posso nemmeno fare la ramanzina per avervi trovato a letto insieme ”

“Jack!” disse Lana.

“Pensi che non sappia cosa facciano un ragazzo ed una ragazzina incosciente insieme?” la mia ragazza, così l'avevo definita, fece una smorfia. “Per me non ci sono problemi adesso se state insieme, ma se questa relazione creerà dei problemi a Lana, giuro caro professore che non solo la bella mercedes parcheggiata qua sotto farà una brutta fine ma anche i suoi gioielli di famiglia”

“Ti prego, Jack!” lei lo rimproverò un'altra volta ma era un rimprovero scherzoso perché stava già ridendo.

Ripresi le mie cose che avevo lasciato nella stanza di Lana, il letto era ancora disfatto, segno che proprio del tempo ce ne eravamo completamente dimenticati.

“Devo andare” le dissi.

“Ci vediamo a scuola” si morse il labbro.

“Dovrò aspettare il week-end non è vero prima di stare con te?”

“Si e non è nemmeno tanto insomma, Kri, non siamo una coppietta di innamorati” disse e mi innervosii.

“No, giusto, io ti devo dare solo un po' di piacere fisico”
“Non ho detto questo!” disse avvicinandosi.

“Hai ragione, scusami, ma che cazzo vuol dire, pensi che io non sia innamorato di te?” chiaro.

Vi spiego, ieri sera sono stata alla notte bianca a Firenze, e boom, l'ispirazione è tornata ahahhaha.
No okay, seriamente la scorsa notte mi ha ispirato un capitolo un po' più spinto del solito :) .. spero comunque non sia troppo volgare, non sono abituata a scrivere di sesso
Comunque voi che dite?...
Vi lascio il capitolo e scappo a mangiare :D
A presto!!
Cri

 

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Capitolo 20
*** You and I ***


Pov Lana

 

Pensi che io non sia innamorato di te?

 

L'avevo baciato a quel punto, mi ero fatta stringere fra le sue braccia.

Lui aveva ricambiato il bacio senza dire niente e poi se ne era andato.

Sapevo perché avevo parlato in quel modo, e sapevo anche perché l'avevo baciato in quel modo.

Avevo paura, insomma, era successo tutto in così poco tempo, quel week-end era stato bellissimo e il pensiero di tornare alla normalità, alla scuola, mi faceva solo paura. Mi faceva paura la morsa che avevo sentito allo stomaco quando lui se ne stava andando, perché voleva dire solo che mi ero affezionata come non mai.

Non avevo mai sentito la mancanza di nessuno per così poco tempo, né quella di Lorenzo, né quella di Jack o di Caterina.

Il solo pensiero di allontanarmi per un po' da lui mi faceva stringere lo stomaco e ancora non sapevo dare un nome a quella cosa, per questo l'avevo semplicemente baciato. Le parole, non mi venivano. La mia testa era in subbuglio.

Parcheggiai la bici presa ancora da questi pensieri.

Avevo bisogno di chiedergli scusa.

Lui mi aveva definito la sua ragazza e io ero stata brava solo a deluderlo.

 

Ci siamo già presentati professore”

Si, ma non come ragazzo di Lana...”

 

Sentivo che il cuore stesse per esplodere, ed ogni volta che ci ripensavo le farfalle nello stomaco facevano le capriole.

A proposito di capriole, stavo inciampando nei miei stessi piedi, avendo la testa tra le nuvole. Mi tenne per fortuna Caterina, che era sbucata dal nulla.

“Lana hai voglia di fare una figura di merda di prima mattina, ribaltandoti sulle scale?”

“Secondo te?” alzai un sopracciglio.

“E allora avete scopato giorno e notte come dicevo” disse allargando le braccia come se fosse una cosa ovvia.

“Oh hai un ragazzo Lana?” disse Giulio aggiungendosi alla conversazione.

“No, e smettetela”

“Ma ci vai a letto” insistette e lo vidi mandare uno sguardo complice a Caterina.

Mi stizzii ed aumentai il passo entrando in classe e posando in malo modo la mia roba.

Li vidi entrare abbracciati.

“Cate, vieni qui” loro dicevano a me, ma poi mi nascondevano qualcosa. “Non mi dire che tra te e Giulio non c'è niente perché non ci credo”

“Stiamo uscendo, tutto qui.. e comunque lui sa di te e il prof”

“Avevo detto di non dirlo a nessuno!” mi arrabbiai, entrò la professoressa in quel momento e Caterina scivolò sulla sedia accanto a me.

“Lo so, ma ha insistito e non so dirgli di no. Comunque nessuno lo verrà a sapere”

“Non mi fido di lui” dissi a bassa voce.

“Ti fidi di me?”

“Che domandone, comunque si ma non deludermi per favore” lei mi guardò dritta negli occhi ed annuì.

Le credevo o almeno, ci speravo.

 

Le ultime ore arrivarono.

Kristian per tutta la prima ora si concentrò sulla lezione cercando di non incontrare il mio sguardo. Nella seconda ora, invece, decise di farci guardare un film.

Lui si mise alla cattedra con i telecomandi e le gambe stese come se fosse a casa propria. I riccioli scuri erano portati indietro con un po' di gel, la camicia era sbottonata fino al petto, e il jeans gli fasciava le gambe in maniera perfetta. Mentre io ero sopra un banco, appoggiata al muro, che non stavo capendo niente del film, visto che quella camicia aperta mi distraeva non poco.

Mi arrivò un messaggio.

 

Hai voglia di seguire il film o hai intenzione di fissarmi ancora un altro po'? Stronzo, pensai.

 

Gli lanciai un'occhiataccia e cliccai sul cellulare con tutta l'intenzione di rispondergli.

“Signorina Mati non si usa il cellulare in classe” mi riprese ad alta voce e diventai viola, tra la rabbia e l'imbarazzo. Caterina al mio fianco ridacchiò.

Dopo un po' quando mi guardò gli feci una linguaccia e poi iniziai a vedere il film, ormai troppo tardi per capirci qualcosa.

Non mi accorsi nemmeno della campanella che era suonata, ma quello mi succedeva spesso.

Presi la mia roba e me ne andai.

Ero un po' delusa che non mi avesse cercato o provato a dirmi qualcosa oltre a quel misero messaggio.

Andai verso la bici e me ne tornai a casa.

Trovai Marika intenta a pulire quando rientrai. La salutai velocemente e poi me ne andai in camera.

Il cellulare vibrò ripetutamente così risposi senza nemmeno guardare chi fosse.

“Pronto?”
“Ciao” era Kristian. Mi rilassava la sua voce.

“Ehi”

“Ti va di vederci?.. non abbiamo più parlato da ieri sera”

“Già” andavo avanti a monosillabi.

“Al parco vicino a casa tua?”

“Okay, tra un'ora lì” dissi e riattaccai.

Finii l'esercizio che stavo facendo e poi andai in bagno a prepararmi.

Mi diedi solo una lieve sistemata ai capelli e mi misi qualcosa di più leggero perché quella giornata era davvero calda.

 

Pov Kristian

 

Arrivai al parco cinque minuti prima dell'ora fissata. Non mi piaceva aspettare, ma non volevo nemmeno che lei arrivasse e non mi trovasse lì.

Mi sedetti a gambe incrociate su una panchina ben in vista.

Arrivò dopo pochi minuti, puntuale.

Mi alzai e le andai incontro.

Si era cambiata da quel mattino. Indossava una semplice maglia con il simbolo dei Nirvana e un jeans. Era semplice, e mi piaceva così.

Si legò i capelli mentre anche lei veniva verso di me.

Come mai non riusciva a tenerli sciolti per più di qualche minuto?

“Ti sei fatto la barba?” disse quando poi fummo vicini, così vicini da poterci sfiorare col naso.

Annuii e lei mi sfiorò la guancia. “Mi piaci anche così” disse.

Le presi la mano e andammo sotto un albero, all'ombra, seduti su un rilievo naturale che ci permetteva di stare comodi.

“Mi dispiace aver detto quella cosa, è che ho paura di correre troppo e poi farmi sfuggire tutto, non so come spiegarti” iniziò a toccare il tasto dolente.

“Infatti non capisco, perché ti fai tanti problemi se quello che ci fa star bene è stare insieme?” dissi.

“È proprio questo che mi spaventa, il fatto che sto bene con te e che quando non ci sei mi manca qualcosa... non è normale” disse, andando a prendere la mia mano che era posata sulla mia coscia.

Risi e mi guardò male come se la stessi prendendo in giro.

“Come puoi dire che non è normale? Cioè è giusto che ti spaventi ma è una cosa bella e bisogna lasciarsi andare alle cose belle, sempre che io sia qualcosa di bello per te” girai il suo viso verso il mio.

"Non dirlo nemmeno, tu sei una delle più belle persone che abbia mai incontrato"

"Non stavo parlando di me, voglio dire.. cosa sono per te?" Era in difficoltà, sapeva quali erano le parole da dire ma aveva paura di bruciarsi.

"Sei..sei Kristian, sei il mio ragazzo" Non avevo ottenuto la risposta che volevo, ma andava bene comunque in quel momento, mi riteneva il suo ragazzo, ero uscito dalla sua bocca e non dalla mia, e questo mi bastava.

Ci baciammo come due ragazzini di quattordici anni alla loro prima volta.

Nascosti da tutto il mondo. Sentii la sua lingua muoversi con la mia, le nostre salive mescolarsi e le nostre mani sfiorarsi.

“Puoi ritenerti fortunata” dissi quando mi staccai da lei, dandole un affettuoso pizzicotto.

“Perché?” disse ricambiando il pizzicotto.

“Perché siamo in un luogo pubblico e non posso fare quello che vorrei”

“Pensi solo a quello!” disse divertita, alzandosi.

“La mia mente non contempla altro che il tuo bel fisico e i tuoi occhi” ironizzai.

“Smettila” disse come se le avessi fatto chissà quale complimento. “Ah, Lorenzo mi aveva chiesto di fare un'uscita a quattro. Sei libero questo sabato?” Mi alzai e la presi per la vita.

“Si che sono libero, solo se mi prometti che poi rimarrai a dormire da me” si morse il labbro, era un vizio che si doveva togliere se voleva sopravvivere con me.

Fece cenno di sì con la testa e la baciai di nuovo.

Dovemmo purtroppo tornare ognuno alle proprie abitazioni.

 

Entrai nel mio piccolo appartamento.

Mi aspettava una settimana abbastanza lunga e noiosa.

Accesi la televisione cercando una partita di calcio da vedere.

Pensavo e ripensavo a quello che mi aveva detto quel pomeriggio.

Non capivo cosa provava, perché sicuramente qualcosa provava ma finché non se ne rendeva conto lei, io non potevo saperlo al cento per cento.

 

A scuola ci evitammo volutamente.

Ci incontrammo una volta in biblioteca e basta. Era abbastanza frustrante questa segretezza, la voglia di prenderla per mano e uscire da scuola al suo fianco.

Chiamai un mio amico per prendere una birra insieme quel venerdì sera.

Lana era rimasta a casa perché aveva un impegno con suo zio e non voleva mancare.

Io invece uscii con Andrea, un amico di vecchia data con cui avevo fatto di tutto, soprattutto nell'ultimo anno di scuola.

“Ehi Kri” mi salutò dandomi una pacca “Che mi racconti?”

“L'ho dimenticata” dissi orgoglioso.

“Alessandra?”

“E chi sennò?!” bevvi un sorso della mia birra. Mi piaceva troppo quella bevanda alcolica.

“Fantastico! .. Chi è la figa che ti ha conquistato, moretto?” Capiva sempre tutto, per questo era piacevole passare del tempo con lui, forse era stato un bene quella sera stare col mio amico.

“Una rossa, si chiama Lana”

“Lo sai che adoro le rosse, sono così selvagge”

“Non azzardare a fare i tuoi soliti pensieri sulla mia ragazza perché ti spezzo le gambe, capito?” dissi dandogli una leggera spinta.

Aveva ragione le rosse erano fantastiche a letto, ma non doveva fare quelle insinuazioni.

“Hai una foto?” mi chiese.

“Almeno così stasera sai su chi masturbarti” borbottai infastidito, conoscevo Andrea troppo bene.

“Come sei noioso! Dai fammela vedere!”

Presi, controvoglia, il cellulare ed aprii facebook e gli feci vedere la sua immagine del profilo.

“Hai fatto bene a mandare a fanculo Alessandra, anche se lei aveva quelle tette”

“Andrea come sei primitivo!”

“E tu sei di una noia stasera!” disse e risi con lui.

Poi vedemmo altri nostri amici e ci ritrovammo a scherzare e bere come i vecchi tempi, prima dell'università, prima che fossi sommerso dal lavoro. Era bello tornare il diciottenne neodiplomato, che beveva birra e rideva per le peggiori cazzate che si facevano. Ero diventato troppo serio ultimamente per colpa dell'università.

Mi svagai, ed era come essere tornato a quei tempi non solo per aver rivisto i miei amici, ma per le sensazioni, l'innamoramento e quella consapevolezza che i miei pensieri erano rivolti costantemente a Lana. Infine decisi di tornare a casa.

Buonanotte piccola, ci vediamo domani.

Inviai quando mi misi a letto. Probabilmente non l'avrebbe nemmeno letto, erano già le due.

Aspettai un po' e poi sentii il cellulare vibrare.

Buonanotte Kri, non vedo l'ora.

A quel punto, potevo dormire.

Ciao :)
Pian piano Lana ci arriva a dire le paroline giuste ahah. No, okay, avrei voluto far meglio in questo capitolo, ma ho davvero poco tempo :/
Ho voluto aggiungere qualcosa sulla vita di Kristian, perché forse non l'avevo approfondita troppo e mi sembrava giusto dargli spazio
Spero che vi piaccia, e anche se non vi piace io vi adoro comunque perché siete arrivati a leggere fino a qui :)
Al prossimo,
Cri

 

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Capitolo 21
*** The secret is out ***


Pov Lana

 

Avevo appena preso il giubbotto di pelle quando Kristian mi fece uno squillo.

Quella sera, alla fine, era diventata un'uscita a sei.

Io e Kristian.

Lorenzo e Samuele.

Caterina e Giulio.

Di tre coppie non ce n'era una del tutto seria.

Avevo messo un pantalone in pelle e canottiera, sopra il giubbotto.

Dovevamo andare in un locale rock, e volevo adeguarmi al genere anche con i vestiti.

Entrai in macchina sorridente. Baciai a stampo Kristian.

“Perché metterti indosso qualcosa che poi inevitabilmente hai voglia di togliere?” disse. Aggrottai la fronte e mi venne da ridere. “Non sto scherzando, non ti azzardare ad uscire così se non ci sono io, c'è ..troppa provocazione” proseguì squadrandomi fin troppo.

“Vuoi partire o no?” cambiai argomento vedendo che ancora non aveva messo in moto la macchina.

Sospettai che fosse un po' geloso che gli altri mi guardassero e dovetti irrigidire tutti i muscoli facciali per non sorridere come un'ebete perché in fondo sapevo che era così.

Questo locale era un po' fuori città, per lo stesso motivo per cui avevamo cenato a mezz'ora da Firenze, il week-end passato: discrezione.

Andammo verso l'entrata mano nella mano, un gesto che continuava a farmi provare uno strano calore al petto

Lì ci aspettavano già Lorenzo e Samuele. Mi faceva strano vederlo insieme ad un ragazzo, , per il semplice fatto che conoscevo Lorenzo da quando era un bambino e conoscevo tutto di lui, anche il fatto che avesse avuto solo una piccola storia durata un mese e che avesse avuto paura a dire ai suoi amici che era gay.

“Ehi!” li salutai alzando anche la mano libera.

Lorenzo si avvicinò venendomi incontro, a braccetto con Samuele.

“Ciao” dissero insieme. Erano tremendamente carini insieme.

Guardai meglio il ragazzo del mio migliore amico e notai quanto fossero belli i suoi occhi verdi. Aveva un viso angelico e delle labbra carnose. Gli sorrisi.

“Samuele ti presento Kristian e Lana” disse Lorenzo, e l'altro ragazzo allungò la mano venendoci incontro e ripetendo il suo nome, così facemmo anche noi.

Finite le presentazioni, aspettammo l'altra coppia e l'altro giro di presentazioni.

Infine entrammo. Trovammo un divanetto dove poter stare e da lì ordinammo da bere.

Nda. Ho voluto scrivere questa pezzettino dal punto di vista di Lorenzo. Viene descritta una relazione omosessuale, quindi se vi da noia (spero proprio di no!) potete anche non leggerla perché non interferisce con la storia dei protagonisti :) (scusate l'interruzione u.u)

Pov Lorenzo

 

Sapevo che a quell'ora, nel bar dove lavoravo, in quel giorno non c'era mai nessuno, perciò mi concessi due minuti di pausa prendendo una birra in lattina.

Cominciavo a sentire la stanchezza di quei giorni pieni di compiti e pieni di lavoro.

Mi sedetti per qualche secondo dando le spalle al balcone.

Ehi moretto, potresti farmi la cortesia di girarti e servirmi?” non mi ero nemmeno accorto che qualcuno era entrato e quella voce strafottente mi fece innervosire. Mi girai con tanto di sopracciglio alzato, ma mi scontrai con gli occhi più belli che avessi mai visto e le labbra più belle che avessi mai visto, semplicemente il ragazzo più bello che avessi mai visto.

Mi incantai letteralmente. Fissai quei capelli biondi, quegli occhi magnetici e quelle labbra da mordere.

Ti piace il panorama?” disse ghignando e destandomi da quello stato. Arrossii davvero troppo.

Cosa prende?” Cercai di darmi un contegno.

Un blowjob” era uno shottino, ma poi chi prendeva uno shottino alle quattro?!. Continuavo a ripetermi di non vedere il doppio senso in ciò perché sicuramente lui era etero, ma non riuscivo a smettere di pensare a come mi aveva detto blowjob*.

Mi girai per prepararlo.

Mi aveva ammutolito, io che solitamente ero cordiale con tutti e mi lasciavo prendere dalle chiacchiere, ero rimasto, invece, in silenzio.

Glielo porsi e mi sfiorò leggermente le dita per prenderlo. Erano calde, come il suo sguardo che continuava imperterrito a osservare il mio corpo come se fosse una delle cose più appetibili mai viste. Arrossii di nuovo.

Bevve in un sorso l'alcolico, ma non staccò mai lo sguardo da me, e lo fece un modo talmente malizioso che mi ero eccitato.

Quell'incontro mi stava eccitando.

E' stato un piacere, ragazzino” disse lasciando una banconota anche fin troppo alta per ciò che aveva preso.

Se ne andò.

Non avevo detto niente. Ero proprio un coglione. Mi ributtai sulla birra che ancora era a metà.

 

Il giorno dopo, alla stessa ora, incrociai di nuovo quello sguardo magnetico.

Si passò la lingua sulle labbra vedendomi. Distolsi lo sguardo come un moccioso.

Dovevo parlarci, in tutti i modi. Volevo sapere di più.

Mi offri una birra?” disse, sedendosi al bancone, appoggiando stanco la testa sulla mano.

Gliela preparai, senza fiatare.

Perché non parli ragazzino?” disse quando di nuovo le nostre mani si sfiorarono.

Non ho niente da dire”

Mmh, sei un po' troppo grande per innervosirti in questo modo” mi alzò il mento con l'indice. Spostai la sua mano dal mio collo, anche se il suo tocco era stato piacevole.

Non sai quanti anni ho” dissi fermo.

Ne dimostri 12 per come ti comporti, ma ne avrai 18” ci aveva indovinato, feci una smorfia e lui rise. “ E tu quanto me ne dai?” disse rimettendo quell'indice sotto il mento. Ringraziai il cielo che a quell'ora non ci fosse nessuno.

Venti”

Ventuno” disse. “Sei molto bello, lo sai?” si alzò dicendo questa frase. Scossi la testa.

Anche tu” mi morsi la lingua per averlo detto ad alta voce. Lui sorrise.

Sono Samuele” per una volta non usò un tono arrogante.

Lorenzo” ricambiai il sorriso.

A che ora stacchi Lorenzo?” .. Da quanto non mi capitava di trovarmi un ragazzo così bello che si interessava a me? E che pronunciava il mio nome in quel modo?

Tra mezz'ora”

Ti aspetto fuori” disse solo, andandosene.

 

Da quella volta iniziammo a frequentarci e scoprii che lui era un ragazzo fantastico, ed era gay, ed io gli piacevo.

Era troppo bello per essere vero, ma era così.

Tenevo ancora la sua mano, da quando eravamo arrivati. Non mi interessava più del giudizio della gente.

“Andiamo a ballare?” disse e ancora una volta mi aveva beccato mentre lo fissavo, incantato. Sorrise vedendo il mio sguardo inebetito.

Mi alzai e mi allontanai dai ragazzi che invece stavano ancora bevendo seduti.

Ero così contento per Lana, anche se non mi sembrava così possibile all'inizio una relazione del genere e soprattutto avevo paura che lei ci soffrisse.

Sembrava che ancora però non si fosse lasciata andare del tutto.

Legai le braccia intorno al collo di Samuele.

Mi mossi al ritmo di musica.

Il ragazzo portò la testa all'indietro come se si stesse assaporando quel momento, nel buio, in cui i nostri corpi si muovevano insieme.

Gli accarezzai la guancia e riportai l'attenzione su di me e gli diedi un bacio, quasi infantile, sulle labbra.

Lui, come al solito, pretendeva di più. Mi strinse ancora di più e mi baciò con più passione facendo unire le nostre lingue in qualcosa di sempre più intenso e sempre meno casto. Qualcosa che ogni volta mi faceva partire un brivido che percorreva tutta la colonna vertebrale.

“Samuele io, io stasera ti volevo dire che sei bellissimo” ero sempre in imbarazzo con lui.

Prese una ciocca dei miei capelli e la scostò dalla fronte ed iniziò a lasciarmi baci languidi sul viso fino ad arrivare all'orecchio.

“Perché non fai l'amore con me?” quella frase mi sconvolse lo stomaco.

“Io... Vorrei uscire ancora un po' di più con te” dissi timido sulle sue labbra.

“Allora potresti evitarti di strusciarti in questo modo o non resisto e ti porto in un bagno”

“Andiamo.. in bagno” dissi e mi feci coraggio.

Non mi feci coraggio per fare sesso con lui, ancora non me la sentivo ma volevo, volevo provare altro.

Volevo che non pensasse che fossi un semplice ragazzino, anche se non avevo tanta esperienza

Lo spinsi al muro dentro ad una cabina del bagno e lo baciai con foga.

Si stupì di quel contatto e stavolta mi strusciai di proposito. Volevo fargli sentire anch'io l'effetto che lui mi faceva ad ogni suo bacio.

Recepì ciò.

Portai una mano sulla patta dei suoi jeans e iniziai a muoverla lentamente mentre continuavo a baciarlo. Mi spostai a baciargli il collo ed a mordicchiarli quel poco di pelle che usciva dallo scollo a V. Gemette senza trattenersi.

Sganciai i suoi pantaloni e li feci scivolare fino ai piedi.

Mi abbassai ed iniziai a muovere la mano intorno al suo sesso.

“Non ti avevo chies..” lo zittii risalendo a baciarlo.

Ripresi quel lavoro di mano e poi, la curiosità, venne spontanea.

Volevo sentire il suo sapore.

Volevo Samuele, il suo essere maschio.

Presi in bocca il membro e dopo poco venni guidato dalla sua mano. Gemette in maniera sublime. La sua voce era qualcosa di sconvolgente, l'avrei ascoltata sempre.

Non mi spostai nemmeno quando venne. Io ero un ragazzo troppo innamorato e troppo scottato, per non volerlo fare.

“Lorenzo sei unico” mi bastarono quelle sue parole dopo l'orgasmo per farmi sorridere per tutta la serata.

Feci per uscire dal bagno ma mi fermò per il polso.

“Sto bene” dissi vedendo che lui guardava la mia erezione pulsare sotto i pantaloni.

“No, non va bene” dissi avvicinandosi pericolosamente.

“Davvero io, lo farò quando sarò pronto” dissi abbassando la maniglia ed uscendo da quello sporco bagno, testimone del piacere di Samuele.

 

Pov Kristian

 

Erano già due ore che eravamo lì, avevamo conversato, ballato e bevuto, io moderatamente visto che dovevo guidare.

Mi stavo sinceramente annoiando e avrei preferito fare qualcos'altro con Lana in quel momento, anche se Giulio era un gran comico quando iniziava a parlare di ragazze e Caterina gli dava corda.

“Ti va di andare via?” domandai all'orecchio della mia ragazza.

“Non aspettiamo nemmeno che arrivi il gruppo che deve suonare?”

“Non mi va”

“Okay” si alzò e mi prese per mano e, dopo aver salutato i due compagni di classe, andò a cercare il suo amico.

Erano a ballare, ancora, in un angolo appartato del locale.

Sembravano stravolti, divertiti ed eccitati.

Non volevo sapere oltre. Mi era immaginabile baciare un uomo, per come ero fatto io, questione di gusti.

“Lore io vado via, ci sentiamo presto!” disse avvicinandosi e stampandogli, poi, un bacio sulla guancia.

Salutò anche Samuele.

Io feci solo un segno con la mano, anche se Lorenzo mi fece un occhiolino.

Tornò al mio fianco e andammo verso il parcheggio.

 

“Immagino che uscire con ragazzi più piccoli sia piuttosto noioso..” iniziò a dirmi come se fosse dispiaciuta della piega che aveva preso la serata.

“Aspetta, no, non è quello.. è che ho voglia di stare da solo con te, so che è da egoisti ed egocentrici, però ti voglio per me” dissi avvolgendole il busto con le braccia.

“Quante pretese signor Adams”

“Ma smettila!” dissi poggiando le mie labbra sulle sue, per poi scambiarci un bacio di quelli che non lasciavano il tempo di prendere fiato.

“Professore!” riconobbi la voce. Avrei voluto sparire in quel momento. Avrei voluto che Lana non fosse con me, in quel momento.

Anche lei mi guardò spaventata, aveva riconosciuto la voce. Io essendo più alto la nascondevo con il corpo, ma non avrei potuto dare le spalle ad Edoardo per tutto quel tempo.

Per qualche scherzo del destino era qui.

“Perché non rimane anche lei a sentirci?” c'era anche Francesca. Era la loro band quella che suonava. Francesca stava uscendo con Edoardo in quel periodo, e dalla gita era passato un bel po' di tempo, ma non avevo il coraggio di voltarmi e far vedere ad Edoardo che Lana stava con me e non con lui.

“Lana girati e vai verso la macchina” le diedi le chiavi.

Lei fece come le avevo detto.

“Ciao ragazzi” mi girai. “Purtroppo non posso rimanere”

“Oh, abbiamo visto che è impegnato” rispose la ragazza, mentre Edoardo stava fissando nella direzione di Lana.

“Scusate ma mi viene da vomitare” disse Edoardo correndo quasi dentro e -casualmente- tirandomi una spallata durante la corsa.

Edoardo aveva capito che quella chioma di capelli rossi poteva essere solo Lana, anche per il modo impacciato con cui stava camminando verso la macchina a testa bassa.

Speravo che Edoardo ne avrebbe parlato prima con me, non volevo che si vendicasse, diffondendo la voce.

“Devo andare anch'io” dissi a Francesca che era rimasta da sola. Lei annuì ed entrò nel locale.

Io mi diressi di fretta in macchina, non poteva andarci bene per una volta? Possibile che ci dovesse essere sempre qualcuno o qualcosa in mezzo?!

Entrai nell'auto.

“Edoardo ti ha riconosciuta” dissi solamente. Si passò più volte le mani tra i capelli e poi si girò guardandomi negli occhi.

“Kristian, non importa. Io voglio stare con te e non voglio fare come le altre volte, stiamo solo male se non ci vediamo e se non stiamo insieme, perciò se inizieranno a girare delle voci non me ne fregherà niente”

“Se si venisse a sapere in sede?”

“Negheremo, non hanno prove. Se ci saranno, saranno solo voci”

“Andiamo a casa adesso” dissi lasciandole un bacio a fior di labbra.

 

Si creò uno strano silenzio, fino a che non entrammo in casa.

Aprii la porta velocemente e la richiusi, spinsi Lana addosso alla porta. La baciai con smania, come se le sue labbra fossero l'unica cosa a cui aggrapparsi. Lei non era da meno.

Pretendevo la sua pelle, il suo calore, tutto di lei, ma volevo anche rallentare e far si che ogni attimo durasse per sempre.

“Aspetta” mormorai con ancora il fiatone.

Alzò il sopracciglio, quasi innervosita di questa interruzione.

Le presi le mani e la trascinai verso il salotto.

Misi una mano vicino alla scollatura del vestito, e lentamente tracciai linee immaginarie sul suo petto che si alza ritmicamente e sempre più veloce.

“Toglimi i vestiti” dissi. Alzò lo sguardo, i suoi grandi occhi si scontrarono con i miei. Vedevo timidezza, sensualità, eccitazione.

Incerta allungò la mano verso il primo bottone, lo prese tra il pollice e l'indice e lo tolse dall'occhiello. Continuava a guardarmi, mentre passò al secondo bottone.

Al terzo iniziò a sfiorarmi con le labbra la pelle del collo. Portai involontariamente la testa all'indietro.

Aprì infine la camicia togliendomela e passò i palmi aperti sulle mie spalle.

Sganciò la cintura e mi abbassò i pantaloni.

Con entrambe le mani le presi il viso e lo alzai verso il mio.

La baciai di nuovo con la foga con cui ci eravamo baciati appena entrati.

Volevo donarle qualcosa di più intenso, volevo farle provare qualcosa di unico.

Volevo che quando pensasse a questa notte, si ricordasse solo cosa le abbia dato.

La feci sdraiare sul divano; adoravo il modo con cui scrutava il mio corpo.

Si lasciò togliere i vestiti in fretta.

Arrivai con la mano alla sua intimità e iniziai una lenta tortura di cerchi immaginari.

Inarcò la schiena, presa da spasmi di piacere. Teneva la bocca socchiusa, rossa per i miei baci.

La portai quasi al limite, non volevo che raggiungesse l'orgasmo così.

Doveva sentire di più, ma soprattutto io non ce la facevo più.

Feci l'amore con lei su quel divano, entrai in lei con una spinta irruenta, troppo impegnato a pensare di darmi sollievo. Non sembrò sentire male perciò continuai.

Mi chiamava per nome tra un sospiro e l'altro. Era sublime. Era lussuria.

L'orgasmo percosse tutto il mio corpo, uno degli orgasmi più intensi di sempre.

Venni dopo di lei e la feci sdraiare sul mio corpo, ancora su quel divano.

Era sempre come se noi ci chiudessimo in una bolla nostra, intima, chiusa e privata. Qualcosa che doveva rimanere tra le mura di una casa o di un locale, ed era così. Quella sera ne era la prova.

Qualunque cosa fosse successa, io non dovevo assolutamente dimenticarmi che l'amavo, che avevo iniziato ad amare di nuovo, e che forse in piccola parte ero amato.

Mi venne in automatico pensare alle serate con Alessandra, non su quel divano, ma su quello di lei, chiusi in un abbraccio come questo ma da parte di Alessandra non avevo mai sentito quel calore che invece Lana mi stava dando, che non era solo amore, era forza e speranza, era qualcosa di più che andava al di là di fare sesso.

Avevo imparato troppo tardi, quando ero caduto direttamente nella trappola di Alessandra, che per lei era solo sesso, puro divertimento, ed era per questo che lei mi diceva ti amo solo mentre la facevo godere, e forse lo diceva a chiunque facesse ciò. Eppure non me ne ero mai accorto di aver vissuto una relazione così falsa... o meglio, lei era una grande attrice e io, finalmente, l'avevo capito e la odiavo. La odiavo per avermi regalato momenti falsi.

“Ho freddo” mi disse dopo un po' destandomi dalle mie riflessioni. Ero molto assonnato e non mi sarei voluto muovere, ma la presi comunque in braccio fino a portarla nel letto. Mi addormentai cullato dal suo respiro.


* oltre ad essere uno shottino, significa un servizio di sesso orale, per questo Lorenzo legge il doppio senso
Ciao! Scusate il ritardo v.v (anzi non so quanto potrò rispettare gli aggiornamenti ora che sono piena di compiti in classe ç_ç)
Ho la sensazione che lo scorso capitolo non sia stato proprio il massimo, mi dispiace magari potevo lavorarci di più... e quindi, spero di aver fatto meglio con questo :) Che dite?
... Non sottovalutate Edoardo, dico solo questo
Era tanto che non mettevo un po' di foto

 

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Capitolo 22
*** Fall to pieces ***


Pov Lana

 

Era un po' che bussavo a quel portone sperando che qualcuno mi aprisse, ed ero sicura che qualcuno ci fosse in casa.

Bussai per l'ennesima volta, ormai stanca ed arrendevole.

Stavo per girarmi ed andarmene quando Edoardo aprì quella porta.

“Entra” mi disse freddo e distaccato. “Sei venuta per chiedermi se l'ho detto a qualcuno?”

“Anche” risposi seria, non mi piaceva mentire con le persone tanto meno con lui.

“No, non l'ho detto, puoi andartene adesso?” disse appoggiandosi al muro.

“Non volevo che lo scoprissi in questo modo, mi dispiace” iniziai.

“Non me ne frega un cazzo delle tue scuse, ora esci da casa mia, puttana!” urlò, ferendomi con quelle parole. Quello non era il mio amico, non era l'Edoardo dell'autobus che si preoccupava per me.

“Io.. pensavo volessi delle spiegazioni” dissi a bassa voce, insicura.

“Pensavi male, è già venuto quella merda del tuo ragazzo qui e, gli ho fatto un regalo, se questo ti può far piacere”

“Che cazzo dici!?” quando le persone usavano un tono arrogante con me, finivo per arrabbiarmi.

“Cos'è lo vuoi anche te un regalo?.. ”

“Edo, per favore non so cosa ti sia preso, ma calmati”

“Non mi dire cosa devo fare!” urlò, sbattendomi al muro e sovrastandomi con il suo corpo.

Mise le mani sui miei fianchi, schiacciandomi alla parete.

Cercai di divincolarmi ma mi bloccò i polsi e li trattenne sopra la mia testa.

Iniziò a mordermi il collo, a strusciarsi con il suo corpo sul mio.

“Perché lui?!” ripeteva al mio orecchio, ero inorridita. Quello non poteva essere Edoardo.

Mise una mano tra le mie gambe cercando di divaricarle.

“Per favore” iniziai a sussurrare con le lacrime agli occhi, le sentivo calde sul viso.

“Cosa?” disse togliendomi con forza la felpa di dosso. Prese il seno con l'altra mano, mentre l'altra continuava a muoversi in mezzo alle gambe.

Io, non riuscivo più a muovere un muscolo, avevo smesso anche di dimenarmi.

“Ti prego, Edoardo fermati!” Provai. “Ti prego” iniziai a singhiozzare.

Si interruppe solo al rumore di un motore che si spegneva, forse i suoi genitori.

“CAZZO!” mi immobilizzai ancor di più “VATTENE” disse più forte e non me lo feci ripetere.

Scappai di corsa, senza neanche guardare dove andassi.

Presi poi la strada per casa mia.

Avevo paura, tremavo, mi sentivo sporca. Mi sentivo debole.

Entrai in casa, non c'era nessuno, ma a momenti sarebbe rientrato Jack e non poteva, non doveva, vedermi in quello stato.

Andai a farmi una doccia per togliermi quello sporco.

Mi strofinai più volte le parti dove mi aveva toccato.

Appena uscita dal bagno chiamai Lorenzo.

Sentì l'urgenza nella mia voce e dopo due minuti sentii suonare al campanello.

Lo abbracciai semplicemente, sentendomi a casa tra le sue braccia.

“Che ha fatto Kristian?” mi domandò, non sapendo quello che era successo dopo che ci eravamo lasciati al locale. Singhiozzai. Ci spostammo sul divano.

“Lui, nulla”

“Cos'è successo? Sono in ansia, parla” disse accarezzandomi i capelli come a tranquillizzarmi.

“Edoardo mi ha quasi violentata, è stato terribile, non era in sé, non lo so, è stato bruttissimo, mi sentivo uno schifo, mi ha fatto schifo..” scoppiai di nuovo a piangere.

“Che razza di coglione!” disse Lorenzo alzandosi, era furioso, si capiva quando lui era arrabbiato perché iniziava a camminare e a stringere i pugni.

Suonò poi il suo cellulare.

“E' Samuele, se vuoi non rispondo” scossi la testa e gli feci cenno di rispondere.

Lorenzo spiegò a Samuele la situazione e anche lui dopo pochi minuti si ritrovò a casa mia.

 

Mi consolarono tutta la sera, consigliandomi di dire a Kristian il giorno dopo, cos'era successo.

Rimasero anche a cena, invitati da Jack che quando era tornato ci aveva trovato a scherzare.

Risate che mi avevano tirato fuori dopo un'ora, facendo gli stupidi e facendomi pensare ad altro.

Quando andai a letto, però, i ricordi mi schiacciarono di nuovo. Non volevo andare il giorno dopo a scuola, sapendo di poter vedere Edoardo in classe, o peggio di doverci recitare insieme.

Quel lunedì, però, mi trovai comunque sulla bicicletta a pedalare verso la scuola, con il viso bianco da notte insonne.

Edoardo non c'era in classe, e questo mi sollevò.

Non c'era nemmeno Caterina, perciò non potevo essere consolata ulteriormente.

Mi muovevo lentamente ed entrai altrettanto lentamente nella classe di Kristian.

Kristian aveva degli occhiali da sole, ma si poteva notare uno zigomo viola da livido.

Mi portai una mano alla bocca, sorpresa e spaventata.

Perché non mi aveva detto nulla? Cos'era successo? Queste domande mi tormentarono per tutta la lezione.

Effettivamente, nemmeno io gli avevo detto quello che era successo e lui mi fissò parecchio, capendo che qualcosa era successo.

 

Posso venire a casa tua? Gli mandai questo messaggio appena uscita da scuola.

 

Vai a casa, non ho tempo oggi Ci rimasi male. Cos'era? L'orgoglio maschile era stato colpito in pieno e non voleva farsi vedere con un occhio nero?

Forse non aveva minimamente pensato che avessi avuto bisogno di lui..

 

Pov Kristian

 

“Dovrei vendicarmi?”

“No, devi lasciar perdere, si era fatto e voleva fare il grande” disse Andrea, cercando di calmarmi.

“Quel bambinetto mi ha rotto il cazzo”

“Okay, ma Lana lo deve sapere” quella sera sembrava quasi saggio il mio amico.

Mi strofinai il viso con le mani, ero stanco.

Oggi Lana mi aveva fatto molta tenerezza, sembrava che non avesse dormito, sembrava distrutta.

“Ora vado, grazie per la birra, sei un amico” dissi uscendo dal portone di casa sua.

 

Erano le dieci, forse non era ancora troppo tardi, ma a quel punto decisi di aspettare il giorno dopo per parlarci.

Edoardo aveva cambiato sezione, lo sapevo perché i suoi genitori erano andati da mio padre.

Codardo, pensai.

Forse avevo sbagliato, anzi avevo sbagliato a non dirglielo, ma non doveva reagire in quel modo ridicolo.

 

Il mattino successivo mi presentai sotto casa di Lana, aspettando che uscisse per andare a scuola.

Mi appoggiai allo sportello della macchina.

Si fermò di colpo quando mi vede, poi quando le sorrisi, mi raggiunse con passi svelti.

Mi abbracciò in maniera possessiva, e non capii come mai.

Alzai gli occhiali da sole e la staccai un po' per guardarla negli occhi.

Le feci cenno di entrare in macchina per parlare un po'.

“Che ti è successo? E perché non ci sei stato in questi due giorni?” era tranquilla, ma la sua voce aveva un tono leggermente più alto del solito.

“Ero andato a spiegare la situazione ad Edoardo” sussultò a questo nome “ e lui si è fatto trovare con altri due suoi amici e diciamo che non sono riuscito a tenere testa a sei braccia”

Le scesero delle lacrime.

“.. Diciamo che poi ieri si è scusato dopo scuola, dice che era fatto” dissi in un sussurro.

“Perché mi hai evitato?” singhiozzò, così presi la sua mano.

“Non volevo, era che mi sentivo uno stupido”

“Anch'io sono andata da lui” disse piano, riprese a piangere e si buttò tra le mie braccia.

Capì che era successo qualcosa, e mi si rivoltava lo stomaco a pensare che l'avesse anche solo sfiorata.

“Lana per favore, parlami” dissi premendo le labbra sulla sua fronte, le lasciai altri baci per calmarla.

“Ha provato a ..” non la feci finire che la spostai, tirando un pugno al manubrio.

Mi sentivo di voler spaccare tutto.

“Gli spacco la faccia, davvero, non doveva toccarti! Che bastardo!” Dissi aprendo lo sportello con violenza e tirando un calcio ad una lattina che era lì per terra.

Uscì anche lei dall'auto.

“Chi ti ha detto di andare da lui?” le domandai, ero infuriato.

“Io.. non pensavo che succedesse, e poi pensi che sia felice, non mi rinfacciare le cose Kristian, e calmati! Smettila di dire certe cose, dovresti abbracciarmi, fare l'amore con me per farmi dimenticare tutto invece urli e dici che gli vuoi spaccare la faccia, pensa a me non a lui!”

“Scusami” mormorai avvicinandomi, ma lei rientrò in casa. “Per favore, stai con me ora” sembravo disperato, ed era perché la rabbia mi accecava.

“Non ho tempo” disse, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

Io andai comunque a scuola.

Ero deluso di me stesso, del mio comportamento.

Non pensavo di essere così stupido, a volte.

 

Scusami ancora, io non so che dire, ho bisogno di vederti. Inviai verso metà mattinata.

 

Mi dispiace davvero, Lana voglio vederti dopo scuola, per favore. Mandai un altro messaggio.

 

Appena esci, vieni. Lo ricevetti quasi a fine lezione. Mi spuntò un sorriso sulle labbra.

Ciao! E' un periodaccio maggio, mi sono appena presa una pausa dalle millemila versioni di latino...
Stavo pensando, se vi è piaciuto il pov di Lorenzo, di mettere ancora altre parti...
Comunque questo è il capitolo e io sono sempre di fretta (ç_ç)
Non sarò regolare in questo periodo, e ci saranno ancora 6-7 capitoli credo, non ne ho la più pallida idea in realtà ahahahah
Anyway, buonagiornata ^^ (i prossimi capitoli saranno più lunghi, sorry)
A presto,
Cri

 

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Capitolo 23
*** Weird life ***


 

Pov Lana

 

Ero a casa, avevo passato tutta la mattina a vedere commedie per tirarmi su il morale.

Non mi ero alzata dal divano nemmeno quando dovevo andare in bagno, poi il telefono aveva iniziato a squillare infastidendomi.

Era Marika che diceva che non sarebbe potuta venire, e si scusava.

A quel punto presi anche il cellulare e trovai le chiamate perse ed i messaggi.

In quel momento stavo aspettando Kristian. Le lezioni erano terminata da venti minuti, e la mia casa non era distante.

Dopo qualche minuto sentii bussare al portone.

Guardai dallo spioncino ed aprii.

Senza che avessi modo di dire qualcosa cercò le mie labbra e mi lasciai andare al suo corpo.

“Ti va di fare un giro?” mi propose

“Voglio un gelato”

“Sai che quello lo puoi avere sempre” disse alludendo al doppio senso.

“Smettila con queste battutine”

“Dai che ti piacciono” mi diede un pizzicotto. Gli rifilai un'occhiataccia.

Il punto era che ancora dovevamo chiarire un paio di cose.

Non riuscivo a scherzare ancora come se non fosse successo niente.

 

Andammo, poi, in gelateria, in un angolo della città poco frequentato.

La gelateria, però, era molto buona a quanto dicevano.

Ordinai un cono con nocciola e cocco, mentre Kristian uno yogurt, nemmeno dovesse mantenere il suo fisico asciutto.

“Allora ti piace il gelato?” ridacchiò facendo questa domanda.

“Cosa dovrei rispondere, Kri?”

“Era una banalissima domanda, se non ti piace proviamo un altro posto” scoppiò in una risata.

“Kri, rimani nella decenza” ridacchiai anch'io.

Ci sedemmo su una panchina, vicina a dove eravamo.

“Hai ancora voglia di spaccare la faccia ad Edoardo?” domandai seria, riferendomi a quella mattina.

“No, basta che non mi racconti i dettagli”

“Non ne avrei comunque voglia, mi faceva solo schifo e mi sentivo così debole”

“Scusa, avrei dovuto starti accanto molto di più... Perché non mi hai chiamato?”

“Ero sconvolta”

“Non sei debole, non pensarlo mai, non lascerò che qualcuno ti tocchi di nuovo capito?” disse prendendomi il volto tra le mani, lasciandomi carezze che valevano davvero tanto per me.

Non cercava di consolarmi, cercava di dirmi che lui ci sarebbe stato e che c'era in quel momento.

Grazie” sussurrai abbracciandolo, stringendolo come mai avevo fatto. “E.. dovrei studiare professore, oppure mi giustifica con scritto è uscita con il sottoscritto, eh?”

“Ti accompagno” disse ridendo, ma non ci muovemmo di lì.

C'era una strana tensione, mentre le sue mani continuavano ancora a muoversi sulla mia schiena, disegnando cerchi immaginari.

Ci staccammo quanto bastava per ritrovarci col viso vicino. Poggiò le labbra lentamente sulle mie, assaggiandole, poi con la lingua. Misi una mano tra i suoi capelli e lo avvicinai per un bacio più profondo, che non mi negò.

Era così sensuale ed eccitante il modo con cui giocava con la mia lingua.

Ci staccammo ma sentivo ancora il suo fiato caldo sulle mie labbra, e quel sapore forte e dolce allo stesso tempo sulla mia lingua.

“Stavo pensando che tra poco è il tuo compleanno” disse sulle mie labbra, negandomi però il contatto e quindi facendomi morire dalla voglia di prendere le sue , baciarle e morderle.

“Eh? ..Mi sono distratta” dissi in imbarazzo, lui, ridacchiando, nel frattempo posò il pollice sul mio labbro inferiore, seguendo il contorno della mia bocca.

Guardava la mia bocca con brama, ma anche con contemplazione, come se fosse qualcosa da adorare. Inumidii queste, sfiorando così il suo dito.

“Dai una festa e mi inviti, sono i tuoi diciotto anni”disse mordendomi infine il labbro inferiore, con fare decisamente troppo sensuale e provocante. Poi rideva se mi distraevo, come se non sapesse che effetto mi provocava, e invece lo sapeva eccome.

“Ti fa male?” dissi poggiando la mia guancia sulla sua, dove lo zigomo era diventato violaceo. La mia capacità di cambiare argomento quando si parlava di feste era notevole, mi sarei fatta un applauso da sola. Capì, andandosi a tastare l'occhio.

“Non tanto adesso”

Alla fine riuscimmo ad alzarci, rompendo quella bolla di tenerezza, e mi riportò a casa come promesso, ma sapevo che l'argomento festa di compleanno sarebbe presto venuto a galla.

 

Stavo scherzando con Caterina, a scuola, quel martedì, ormai anche lei era stata informata dell'accaduto, quando mi scontrai con Edoardo per il corridoio.

Teneva la testa bassa ed il cappuccio alzato, nonostante ormai da giorni c'era il sole e facesse caldo.

“Scusa” pronunciò, e non pensai che si riferisse allo scontro nel corridoio ma a tutto il resto. Indugiò ancora un po' e poi scappò in un aula.

“Si è pentito” disse Caterina allargando le braccia e facendomi cenno di rientrare in classe visto che a minuti sarebbe suonata la campanella e avremmo avuto lezione con mr. Adams, nonché ragazzo della sottoscritta.

 

Pov Kristian

 

Era arrivato il momento di interrogare Lana, non potevo più rimandare, e non sapevo come fare.

O mi sarei messo a ridere risultando pazzo, oppure l'avrei baciata davanti a tutti confermando le voci che dicevano che io avessi una relazione con una ragazza del conservatorio.

Già, le voci iniziavano a girare dopo il mio occhio nero ed il cambio di classe di Edoardo. Dicevano che avevamo litigato per una ragazza, il che era vero, ma per fortuna non era uscito nessun nome.

Lana, poi, era stata una troppo asociale per essere notata in quei quattro anni quindi veniva presa poco in considerazione come possibile mia ragazza.

Solo per questo motivo avrei voluto baciarla davanti a tutti e far vedere quanto bella fosse, e quanto, con le difese abbassate, fosse una ragazza divertente, solare e maliziosa, ma non potevo. Mi dovevo mettere in testa che non potevo darmi questa soddisfazione.

Aprii il registro, svogliato quasi.

“Mati e Baldi alla cattedra” come potevo fare? Professionale, mi continuavo a ripetere.

Le feci poche domande e la lasciai parlare più che altro, così feci anche con l'altro e poi li mandai a posto. Tutto sommato non era andata male se non fosse stato che per tutto il tempo avevo tenuto gli occhi sul libro e quindi sembrava che me ne fregasse il giusto di quello che dicevano.

 

 

Passarono diversi giorni, troppi giorni e mi ritrovai il giorno del compleanno di Lana a non aver organizzato niente, anche perché lei si era impuntata di non volerne parlare.

Chiamai Lorenzo, con una discreta urgenza.

“Pronto?” aveva ancora la voce impastata dal sonno, oppure aveva trascorso la notte da Samuele.

“Sono Kristian, ti disturbo?”

“Affatto, oggi è il grande giorno”

“Già, non ho preparato niente, non so che farle, e mi sento un idiota ad essermi ridotto all'ultimo minuto, ma la tesi mi ha rubato tutto il tempo”

“Allora stamani avete lezione, ignorala abbastanza, poi vai a prenderla a casa e portala in qualche bel posto... io andrò stasera da lei con Samuele”

“Grazie, sei stato molto gentile”

“Ci saresti arrivato presto anche te a questa conclusione, solo che sei troppo innamorato per non andare nel panico”

“Torna da Samuele, ragazzino” dissi ridacchiando.

“A presto tesoro”

“Ciao” anche se era strano chiamare lui per farmi dare consigli sulla mia ragazza, avevo fatto bene.

Dopo scuola presi la moto, prestatami da Andrea, e mi diressi sotto casa sua.

 

Pov Lana

 

Odiavo stare al centro dell'attenzione ed ogni anno era così.

In realtà non odiavo i compleanni, anzi mi piaceva avere un giorno bello da ricordare, la torta, e i regali, ma l'attenzione di tutti non la sopportavo.

A scuola era stato un continuo sballottamento a destra e a sinistra. Gente che mi abbracciava e baciava come niente, solo per farmi gli auguri.

Kristian aveva accennato un sorriso e basta quando fece l'appello e Jack, invece era stato adorabile fin dalla colazione. Al ritorno da scuola avevo trovato un pianoforte verticale nella mia stanza, con un grande fiocco, uno di quei pianoforti moderni che ti permetteva di registrare ciò che suonavi e metterlo sul computer. Non era finita, in cucina, oltre al pranzo delizioso, c'era il biglietto di un viaggio per due a Parigi. Ero letteralmente a bocca aperta.

Jack poteva lavorare giorno e notte e non esserci spesso, ma era l'unico familiare che avevo ed era un tesoro.

Mi arrivò un messaggio di Kristian nel primo pomeriggio che mi diceva di uscire perché era fuori dal portone.

Rimasi con i soliti vestiti di quella mattina, jeans e t-shirt, mi sciolsi i capelli come piaceva a lui ed aprii il portone, non pensavo mi portasse fuori.

Era venuto in moto, e lui non sapeva quanto io adorassi andare in moto.

“Auguri amore!” mi venne incontro abbracciandomi, e facendomi girare nella sua presa. Dimenticai che era il mio compleanno, dimenticai come mi chiamavo, dimenticai tutto e mi soffermai sulla parola amore uscita dalle sue labbra come se fosse la cosa più naturale e scontata del mondo.

“Grazie mille” dissi allacciando le braccia al suo collo e baciandolo, con trasporto e devozione.

Pensavo di essere la ragazza più fortunata di questo pianeta. Avevo un ragazzo meraviglioso.

“Sali in moto, ho voglia di portarti in un posto che non ti piacerà affatto” disse ridacchiando.

“Certo, accontentiamo Lana per il suo compleanno” sbuffai ironicamente.

In realtà ero molto contenta di passare il pomeriggio con lui, il luogo non mi interessava.

Rise ancora di più, mettendomi il casco.

Feci una smorfia contraria. Non poteva divertirsi solo lui, e non amavo le sorprese.

Salimmo sulla moto e fu come tornare quando ero bambina, portata da mio padre o da Jack in sella.

Sentire la pelle tirata, l'aria violenta tra i capelli, aggrapparsi a Kristian e sentire il suo odore così forte da voler rimanere lì per sempre, alcune sensazioni mi mancavano, altre non le avevo mai provate.

Vidi passarmi davanti le strade che giornalmente percorrevo, ma in quel momento mi piacevano di più, tutto con Kristian mi piaceva di più.

Parcheggiò in uno dei viali.

Appena scendemmo mi prese per mano e mi trascinò dove voleva lui.

“NO!” quasi strillai. Rise, il maestrino. “Io non ci entro”

“Ti obbligo ad entrare, ora hai diciotto anni e a diciotto anni si fanno queste cose” disse, ma io in un sexy shop non ci sarei mai entrata. Non avevo compiuto gli anni per questo.

“Dai, è un mai fatto, pensa di tornare ai tempi del patto, l'avresti fatto no?” era uno stronzo, sapeva giocare con le parole in modo da convincermi, e ci riuscì.

Ci riuscì perché insicura feci un passo avanti verso il negozio, un passo dopo l'altro ci ritrovammo all'entrata.

Era l'ultimo posto in cui pensavo mi avrebbe mai portata. I fidanzati non dovrebbero portare le ragazze in quei posti, non è carino, ma sapevo che Kristian lo faceva per puro divertimento personale e non solo nel senso malizioso della frase.

“Sappi che non compro nulla” dissi incrociando le braccia al petto.

“Se vuoi compro io, basta che tu mi dica cosa vuoi che ti faccia, sono pronto a tutte le tue richieste, cherie” mi sussurrò, caldo e sensuale. L'avrei ucciso prima della fine della giornata, non poteva farmi surriscaldare con quattro parole messe in croce.

 

Appena entrammo, la commessa ci sorrise subito, cortese, soprattutto a Kristian.

Quel posto non era nulla di troppo eccessivo, la luce era soffusa, e gli articoli in vendita avevano solo un chiaro scopo.

“Facciamo un giro” mi tirò verso una corsia.

La perversione in quel posto viaggiava in un modo assurdo.

C'era di tutto.

“Carino questo” mi disse Kristian prendendo in mano un dado, ogni lato indicava una diversa posizione.

“Non ne abbiamo bisogno” lo presi in mano e lo posai.

Andammo avanti e vidi la frusta.

“Di questa ne avrei bisogno, Adams” dissi ridacchiando. Kristian alzò gli occhi al cielo e, copiando i miei movimenti precedenti, posò l'attrezzo.

“Opterei allora per le manette, e non intendo usarle durante il rapporto” dissi ridendo ancora più di prima.

“Non provocare ragazzina, che potrei prendere di tutto qui dentro e fartela pagare” Alzai le braccia canzonandolo e mimai un “che paura” con le labbra.

Mi venne incontro e mi prese come un sacco, per le gambe, facendomi ciondolare sulla sua schiena.

“Ehi!” dissi ad alta voce, ma non mi volle ascoltare e mi fece uscire in quel modo dal negozio, salutando malizioso la commessa che sembrava si stesse divertendo.

“La vedi quella?” domandò prima di girarsi di 180° per farmi vedere a cosa si riferiva.

C'era la fontana, la fontana della piazza.

Non risposi perché capii solo quando eravamo veramente vicini cosa volesse fare.

“No, mettimi giù!”

“Prego” interpretò le mie parole come voleva lui, ovviamente e finii nell'acqua, ghiacciata.

La fontana era bassa e mi bagnai solo i pantaloni e metà busto.

“Ti odio” uscii dall'acqua sotto lo sguardo di tutti.

“Io no, e buon compleanno” mi prese in giro.

“No aspetta, fa che ti ringrazi” dissi cercando di abbracciarlo e alla fine ci ritrovammo a correre intorno alla fontana, io che cercavo di prendere lui ovviamente.

Alla fine riuscii a saltargli sulla schiena e a bagnarlo a sua volta. Gli lasciai un morso leggero sul collo e gli spettinai i capelli.

“Siamo dei bambini” disse ridendo, tornando verso la moto, tenendomi ancora sulle spalle.

“Tu sei il bambino” dissi appoggiando la testa alla sua spalla.

“Certo, miss ti rincorro intorno alla fontana, è innocente” mi divertii in maniera smisurata quel pomeriggio.

Io e Kristian avevamo un rapporto così particolare, romantico e tenero, e malizioso e audace.

Arrivammo a casa e lo feci entrare, in modo da mettere ad asciugare la sua maglia.

Era sempre uno spettacolo vederlo a petto nudo.

“Rimani a cena?”

“Non dovresti sentire prima Jack?”

“E' il mio compleanno e voglio stare con te” dissi. Ci eravamo seduti sul divano ed ero comodamente in collo a lui.

Lo baciai per un tempo infinito, sfiorando con le dita le spalle nude, mentre lui mi cingeva la vita in una maniera così salda da farmi sentire protetta e amata.

Sarà stato che eravamo all'inizio della relazione, ma non riuscivamo a smettere di muoverci insieme, baciarci ed abbracciarci come se dovessimo respirare, un po' per gli ormoni, un po' perché ancora dovevamo conoscerci a fondo, un po' perché il tempo era sempre poco per stare da soli in tranquillità.

Nemmeno il tempo di pensarlo, infatti, che la porta si aprì. Jack entrò vedendomi beatamente appoggiata al corpo del mio ragazzo, che tra l'altro era senza maglia.

Mi alzai di scatto e Jack si mise a ridere.

“Non in casa mia, per favore” disse ma continuava a ridere.

Ciao :)
Scusate il ritardo, davvero
Arriveranno altri Pov Lorenzo, nei prossimi capitoli
Grazie mille a chi a messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite *^*
In questo capitolo ci sono tante cose, lo so, ma non volevo saltare niente dei momenti tra Lana e Kristian.
Che dite?
A presto (pubblicherò tra una settimana se tutto va bene D:)
Cri

 

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Capitolo 24
*** She dreams of love ***


Pov Kristian

 

Dopo cena, arrivarono Samuele e Lorenzo.

Diventò una piccola festa, così come lei la desiderava.

Jack si fece da parte subito lasciandoci scherzare e parlare per tutta la serata.

Lana buttò giù mezza bottiglia di champagne solo perché diceva che ora poteva farlo, in realtà aveva bevuto altre volte molto di più, ma in quel momento si sentiva libera, come mi ero sentito io a quel tempo, come ci eravamo sentiti tutti.

I diciotto anni per me erano stati bellissimi, era stato il mio periodo di ribellione.

Era stato l'anno in cui mi divertivo sempre e comunque, l'anno prima di incontrare Alessandra per i corridoi del conservatorio.

Non avevo pensieri.

Era bello rivivere, attraverso Lana quel periodo, era come avere un deja-vu.

Lana se la meritava tutta quella libertà, quell'indipendenza, lei che era sempre stata indipendente, forte, gentile, amabile.

Aveva lottato per riscoprirsi e ancora dopo mesi continuava a migliorarsi, a vivere davvero.

Era appena passata la mezzanotte, eravamo rimasti solo io e Lana, seduti su quel divano a sussurrarci discorsi sulla musica, discorsi che ci mancavano come l'aria. La musica era la nostra aria.

“E' tardi, vai a dormire” le dissi, purtroppo il giorno seguente ci sarebbe stata lezione regolare.

“Okay, ti accompagno alla porta”

Ci alzammo, svogliati, ormai abituati alla presenza costante dell'altro. Vedevo quel velo di malinconia ogni volta che ci dovevamo salutare, sapendo che il giorno seguente dovevamo far finta di nulla, ma era questione di tre settimane.

Anche la mia tesi era questione di settimane e non ero pronto, ma scacciai quel pensiero. La baciai, stringendola per la vita e muovendo le mani sulla sua schiena, sapendo che questo la rilassava molto.


La mattina seguente andai in biblioteca visto che avevo lezione solo dopo le undici, andai nella biblioteca comunale perché volevo cambiare ambiente, e non vedere i soliti colleghi, perché finivo per non fare niente come al solito e se non mi laureavo in tempo, mio padre mi avrebbe deriso per sempre.

Studiai per più di due ore e poi andai a riconsegnare un libro che avevo preso in prestito.

“Anche tu qui, è una vita che non ci vediamo!” quella voce non mi era nuova ma non mi ricordai chi fosse finché non mi girai. Era una mia compagna di classe del liceo, nonché mia ragazza in seconda, ma era acqua passata, decisamente passata.

“Ciao Elisa” dissi distaccato.

“Come stai?” chiese sorridente.

“Bene, te?”
“Alla grande” doveva sempre esagerare “ Lo sai vero della cena di questo week-end?”

“Ehm.. forse, no non lo so”

“Ci ritroviamo tutti quelli del liceo, ci saranno davvero tutti, abbiamo affittato un'intera sala” .. quindi ci sarebbe stata anche Alessandra

“Se mi libero ci sono” la salutai ed uscii, dirigendomi a fare lezione.

Volevo sentire prima se Lana era d'accordo, non avevo più problemi ad andare in un posto dove ci fosse anche la mia ex, anzi sarebbe stata la prova schiacciante che mi era indifferente.

Quando entrai a scuola,era ricreazione, cercai Lana nell'aula di pianoforte e la trovai con Caterina. Stavano suonando insieme con una dolcezza mai vista, amavo in generale che le mie alunne suonassero qualcosa. Sentivo che tutto quello che spiegavo non fosse fine a se stesso.

“Posso?” dissi quando la sonata era finita. Caterina mi fece l'occhiolino ed uscì dalla stanza.

“Certo” disse Lana, sembrava di umore ottimo, lo sapevo che i compleanni facevano sempre bene.

Mi sorrise e mi fece cenno di sedermi sullo sgabello con lei.

“Sabato c'è una festa del liceo, con tutti i miei amici e mi hanno invitato e visto che c'è la mia ex ragazza, mi chiedevo se ti dava noia che io andassi”

“Io, no, non mi da noia.. io mi fido di te”

“Anzi perché non vieni?”

“Non conosco nessuno, no, vai e divertiti” disse, ma sembrava un po' scocciata.

La campanella suonò interrompendoci, ma mi ero promesso di riparlarne.

Lana si alzò e se ne andò dalla stanza, lasciandomi solo.

In sede d'istituto non mi dovevo aspettare nemmeno una carezza giusto?.. Eppure, eppure quel distacco non era dovuto al fatto che a scuola dovessimo comportarci normalmente, era dovuto a qualche sega mentale che si stava facendo.

 

Pov Lana

 

Mi ero svegliata dopo un incubo.

Avevo sognato l'incidente, come spesso mi capitava, ma in quel sogno c'era anche Kristian, Kristian che mi tirava fuori dall'auto come se in qualche modo mi avesse salvato.

Era così, quel sogno, era la chiave di tutta la mia confusione mentale, confusione che non c'era più.

Non c'era più perché mi ero svegliata con una parola stampata, fissata, inchiodata nella mente: amare.

Lui mi aveva ridato la possibilità di amare, in questi mesi mi ero lasciata amare.

Mi ero, inoltre, lasciata andare, con mille paure, con tanti forse, con tanti dubbi avevo ricevuto un po' di calore, ed ora mi ero accorta che ricevendo tutto quel calore, se ne era creato uno mio, capace di dare qualcosa.

Io amavo Kristian e volevo dargli il mio calore, come lui stava facendo con me.

Mi piaceva quella parola e allo stesso tempo mi faceva tremare.

Non sapevo nulla del domani, sapevo solo che in quel giorno io amavo Kristian, io avevo scelto Kristian.

Ero andata a scuola come se avessi appena scoperto le Americhe, come quel Cristoforo che dopo mesi di viaggio aveva incontrato la meta, e non importava che quella meta non fosse quella sognata, importava essere arrivati, salvi, vivi e pronti a scoprire.

Io avevo scoperto le Americhe, io avevo scoperto i miei sentimenti quella mattina ed ero pronta ad esplorarli, a capirli e a capirmi.
In quel momento c'era Kristian e non riuscivo a pensare che ci potesse mai essere qualcun altro, non potevo pensare ad un'altra meta.

Lui era la mia meta.

L'amore era la mia meta.

Il viaggio, il viaggio era stato tempestoso, pieno di tempeste.

Lo amo riuscivo solo a pensare a ciò, ed una strana voglia di suonare mi colpì appena uscii fuori dal letto. Avevo bisogno di dire a qualcuno che amavo Kristian, e questo qualcuno era la musica.

 

Quell'equilibrio che avevo creato si era rotto quando Kristian mi aveva parlato di quella festa.

Non sapevo come ci si comportasse in questi casi. Io mi fidavo di lui, ma non mi fidavo di quella, chiunque essa fosse. Kristian, poi, non mi aveva parlato delle sue ex, tanto che avevo rimosso dalla testa la certezza che lui avesse avuto tante, tantissime ragazze e che mi magari io ero così banale a confronto. Questo mi dava noia, che ci fosse stata qualcuno capace di avergli dato amore, e che fosse ricambiato come stava succedendo a me.

Passai l'ora di storia della musica a testa bassa, persa tra i miei pensieri, tra la consapevolezza di amarlo.

Mi piaceva ripetere questa cosa nella mia testa.

 

Appena rientrata a casa, squillò il telefono, Marika si avvicinò per rispondere ma feci cenno di lasciar perdere, così presi io la chiamata.

“Tesoro, sono io” era Lorenzo.

“Ehi, ragazzaccio! Prima che tu dica qualcosa, siete due pervertiti tu e Samuele, non voglio sapere le cose sconce che fate, soprattutto dopo avervi visto sul portone di casa tua a strusciarvi e mangiare gelato insieme” Lorenzo rise senza freni. Era una risata ilare ma anche isterica, di chi sapeva che avevo fatto centro. Lui e Samuele sicuramente facevano cose tanto maliziose insieme.

“Insomma mi vuoi dire se ci vai a letto?” insistetti, chiara.

“Ehm, oggi, oggi è stata la nostra prima volta” era dolce il tono con cui lo disse.

Continuammo a parlare senza sosta per un'ora.

“Tu che mi dici, con quel gran pezzo di figo che ti ritrovi accanto?”

“Va bene” monotona.

“Va bene vorrebbe dire che sei arrabbiata?” lui doveva fare lo psicanalista da grande, o forse mi conosceva fin troppo bene.

“Si sono arrabbiata con lui e con me stessa, sono arrabbiata perché non capisce che voglio sapere di più della sua vita privata, perché mi sembra normale se due persone si amano che si dicano delle cose, e poi sono arrabbiata con me stessa perché mi sono comportata da ragazzina gelosa che non si fida del proprio ragazzo”

“Aspetta, aspetta... se due persone si amano? Lo ami?”

“Si, si Lorenzo, lo amo e mi sembra la cosa più semplice di questo mondo amarlo” dissi stupita delle mie stesse parole che con naturalezza erano uscite dalla mia bocca.

“Spiegami tutto ora, perché sono confuso” disse, e così feci. Partii da quel mattino fino alla fine della giornata.

“Perché non provi a dirglielo che lo ami?”

“Perché ho paura di essere rifiutata, lui d'altronde ha detto che è innamorato di me, non che mi ama... sono due cose diverse”

“Lo so, datti e dagli tempo” mi disse ancora.

Alla fine dovetti chiudere la chiamata perché avevo da studiare.

“Ciao” saltai per lo spavento “Marika mi ha fatto entrare” Kristian entrò in camera mia sdraiandosi sul letto vicino a me.

Avevo ancora il cellulare caldo appoggiato al comodino, speravo solo che non avesse origliato una parola della conversazione.

“Ciao” dissi intrecciando le mie dite con le sue.

“Voglio presentare la mia ragazza a i miei amici, vieni sabato sera con me?” mi domandò. Posta così quella domanda era veramente diversa, quasi appetibile.

“Non è una buona idea”

“Perché?” .. se voleva la sincerità gliela avrei servita su un piatto d'argento.

Perché vedrei la tua ex ragazza e mi sentirei così piccola e insignificante, mi farebbe star male sapere che te hai passato più tempo ad amare lei invece che me” Kristian si irrigidì, segno che ciò che avevo detto era vero. Lui aveva amato la sua ex ragazza.

“Non ti farei mai sentire piccola ed insignificante” mi disse, ignorando la seconda parte del mio periodo.

“Non è qualcosa che fai tu, è qualcosa che mi farò da sola.. perché scommetto che lei sarà anche bella”

“La smettiamo di parlarne, ci sei tu adesso, e non mi interessa nulla di quella mocciosa da quattro soldi” disse serio prendendomi il viso tra le mani. Si avvicinò irruento sulle mie labbra e mi baciò, senza aspettare permessi o consensi, insinuò la sua lingua nella mia bocca, assaporò ogni centimetro.

Mi concentrai solo su quel bacio come se tutto il resto sparisse, come se il letto stesso sparisse, perché c'eravamo solo io e lui e il movimento delle nostre lingue che si accarezzavano, si cercavano si muovevano e si scambiavano saliva come se fosse ossigeno.

Interrotto il bacio, mi avvicinai più a lui, mettendo la testa tra il petto e la spalla e stringendomi al suo corpo.

“Uscirò con Caterina e tu andrai alla festa”

“Oppure invitiamo anche Lorenzo e Samuele e vieni alla festa”

“Non molli mai eh?” dissi sorridente, vedendo il suo volto ormai trionfante, perché quell'ultima domanda retorica era come un assenso.

Avevo avvertito giorni dopo Lorenzo, e in quel momento mi stavo trovando ad armeggiare nell'armadio per trovare qualcosa da poter indossare, qualcosa che non mi facesse sembrare insignificante, visto che già non conoscevo nessuno a quella festa.

Kristian, quella sera era venuto a prendermi, e si trovava sul letto ad aspettare che io mi vestissi, sempre se avessi trovato qualcosa con cui vestirmi.

Optai alla fine per un abito corto.

Kristian sembrava eccitato per questa festa, non sapevo per quale motivo, ma sapevo solo che non aveva smesso di sorridermi da quando era entrato in casa.

Anche in quel momento che stavamo uscendo sorrideva, mi sorrideva.

Avrei conosciuto i suoi amici, finalmente. Almeno qualcosa di buono c'era a quella festa.


Non volevo interrompere il capitolo così, ma dovevo o il capitolo sarebbe venuto troppo lungo..
Lana ha svelato finalmente cosa prova :)
Spero non ci siano troppi errori, ma non ho avuto il tempo di rileggero e vi ho fatto già aspettare troppo.
Il prossimo capitolo sarà incentrato sulla festa e vedremo la figura di Alessandra.. ma ancora non ho la più pallida idea di cosa succederà
Pubblicherò tra una settimana (ormai fino alla fine della scuola sono impegnatissima)
A prestissimo e GRAZIE MILLE *_*
Cri

 

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Capitolo 25
*** The story goes on ***


 

Pov Lorenzo

 

Stavamo per entrare in questo appartamento in cui si sarebbe tenuta la festa.

Ci sarebbero stati tutti quelli della città che avessero frequentato il conservatorio negli anni passati, perciò anche alcuni amici di Samuele.

Gli strinsi di più la mano, pensando che avrei potuto trovare qualche ex cotta di Samuele, lui si girò con fare dubbioso.

Feci un sorriso che somigliava più ad una smorfia e mi feci cingere le spalle da lui.

“Lana sei davvero carina stasera” disse il mio ragazzo d'un tratto. “Non ce n'è per nessuno” aggiunse facendo l'occhiolino a Kristian.

“Che vorresti dire?” chiese appunto il professore.

“Che ti conviene tenertela stretta” disse ammiccando. Non capivo cosa stesse facendo.

“Samu?” gli sussurrai dolcemente all'orecchio.

“Voglio solo che si renda conto che non deve fare cazzate, mi sembra che ne abbiano passate già abbastanza” mi rispose avvicinandosi alle mie labbra, prendendole infine con le sue.

Avevo voglia di saltargli in collo e riempirlo di baci come non avrei mai fatto con nessuno ma sapevo che Samuele era un tipo più adulto, che difficilmente mostrava affetto. Gli piaceva godere, quello l'avevo scoperto molto presto.

Gli piaceva essere al centro della mia attenzione, ma quando avevo bisogno io, lui era molto freddo.

Mi aveva chiesto di essere paziente, perché lui non si innamorava in due giorni, al contrario di come era successo a me.

Io ero paziente, avevo pazientato tanto pur di trovare un ragazzo come Samuele, perciò non mi lamentavo.

Eravamo una coppia completamente diversa da Lana e Kristian.

Loro avevano fatto solo fatica a dirsi che si erano innamorati, ma lo erano stati fin da subito, ed il rapporto sembrava traboccare di dolcezza e passione. Noi eravamo un mix di troppe cose, una in particolare: malizia. Era iniziato tutto per pura malizia, poi Samuele si era rivelato un ragazzo dolce pur mantenendo molte distanze sentimentalmente. Sapeva come muoversi con me. Conoscendolo però avevo scoperto che era un ragazzo molto difficile, scontroso perché odiava che non gli venisse accettata la sua omosessualità.

 

Appena entrammo, ci accolse una musica alta e luci soffuse. La festa era iniziata, ovviamente.

C'era l'odore tipico dei divani in pelle, di alcool e di tabacco.

Samuele si staccò subito da me per andare a salutare i suoi vecchi amici, e così poco dopo fece Kristian, lasciando me e Lana da soli. Sembrava essere tornati alle vecchie feste di famiglia in cui io e Lana ci trovavamo da soli, come se ci escludessero apposta da un ambiente che non era il nostro, ed in effetti anche in questo caso eravamo i più piccoli di tutta la sala.

Ci mettemmo su un divano, con un bicchiere di spumante in mano, noi però, sembravamo non dover festeggiare proprio nulla.

“E' divertente vero?” mi disse.

“Brindiamo in ricordo dei vecchi tempi” e ridemmo facendo scontrare i bicchieri.

“Non è carino da parte loro”

“No infatti, abbiamo fatto male a venire”

“Scusami, mi sono lasciata convincere” Guardai intorno e vidi solo una massa di corpi muoversi.

“Senti io vado a cercare Samuele.. non mi piace questa cosa che davanti agli altri mi ignora”

Lana annuì, ma rimase a sedere, lei preferiva non essere notata in quei casi.

Sorpassai il gruppo di persone che ballavano fino ad arrivare ad un altro lato della sala.

Samuele stava ridendo con una sua amica.

Mi avvicinai cauto, pensando in quel momento di aver fatto una cazzata ad andarlo a cercare, sembravo così geloso, e lo ero veramente.

“Lorenzo, vieni” Disse prendendomi per mano ed allontanandosi “ Andiamo a ballare”

“Non possiamo stare con i tuoi amici?”

“Non mi va” mi rispose.

“Non ti va perché ci sono io?” domandai.

“Loro non sono interessanti quanto te, e io voglio stare con te” mi disse avvicinandomi a sé con possessione.

Non sapevo se credergli davvero. Samuele ci sapeva fare con le parole, tanto quanto con i baci e o le carezze, ma non avevo voglia di pensarci in quel momento e mi lasciai guidare dalle sue mani.

 

Pov Lana

 

Ero rimasta su quel divano, col cellulare ed il bicchiere d'alcolico.

“Lana vero?” un ragazzo, con una faccia simpatica e amichevole, si sedette accanto a me sorridendomi.

“Ehm, dovrei conoscerti?”

“Sono Andrea, diciamo la persona che conosce Kristian meglio di tutti qui dentro”

“Piacere Lana” mossi la mano verso di lui che con ulteriore sorriso la strinse ripetendo il suo nome.

“È davvero stupido e maleducato a lasciarti qui da sola”

“Lo penso anch'io.. Non so dov'è e so solo che qui c'è una ragazza che ha amato” il sorriso si spense sulla sua faccia.

“La odia davvero e anch'io odio quella ragazza, e poi te sei più bella” Arrossii e cercai di fare un timido sorriso.

“Andrea odi me?.. Lo dici dai tempi del liceo, non sei proprio cambiato” una voce femminile si aggiunse alla conversazione.

La ragazza era bella, alta e mora. Un pugno alla mia autostima.

“Posso offrirti qualcosa liceale?” aveva detto l'ultima parola con sdegno, come se la mia presenza in quel posto fosse del tutto inappropriata data la mia età.

Non sapevo che fare ed annuì, nella fretta di dire davvero qualcosa.

Mi alzai, quindi, e andai con lei verso il tavolo con le bevande.

“Come mai a questa festa?” .. Io sapevo e lei no, possibile?

“Sono la ragazza di uno di loro”

“Puoi dirmi chi è, li conosco tutti molto intimamente” non sapevo se era una battuta o meno, o se fosse così puttana quanto dimostravano le sue parole.

“È Kristian, il mio ragazzo” alzai la testa e la guardai negli occhi, nell'iridi marroni, contornati dal trucco nero. Fece un sorrisetto.

“Sta bene?”

“Alla grande” dissi, irrigidendo la mascella.

“Elena” disse rivolgendosi ad un'amica lì accanto “Rimpiazzo carino no?” mi prese una ciocca di capelli come a studiarmi meglio.

“Non sono il rimpiazzo di nessuno, tu non conosci me e probabilmente non conosci così intimamente lui”

“Non penso che tu con il tuo corpicino frigido lo conosca intimamente e soprattutto lo faccia godere” l'amica lì accanto rise di gusto.

“Alessandra a che gioco stai giocando?” si aggiunse Andrea, salvandomi da un attacco d'ira che di lì a poco sarebbe arrivato.

“Voglio solo vedere che ragazzina si è trovato, aveva me..”

“Devi capire che sei stata tu a comportarti scorrettamente”

“E' invidia la tua” dissi e lei rise.

“Suoni il pianoforte?”cambiò argomento. La guardai dritta negli occhi senza risponderle e lo prese come un si “ Bene, anch'io lo suonavo. Hai problemi in famiglia?.. Mi sono informata, si non ce l'hai la famiglia.” mi irrigidii a quelle parole pronunciate così meschinamente “Qualcuno prima di lui ti veniva dietro?.. Si, un certo Edoardo anche su questo mi sono informata. Hai gli occhi marroni, un sorriso mozzafiato.. mi ricordi me”

“Io non sono uguale a te in niente, e davvero hai sprecato così tanto tempo a cercare informazioni su di me?” ignorò quella domanda retorica.

“Ti ha proposto un patto non è vero?” Ero confusa in quel momento, che voleva dire tutto questo?.. Perché stavo avendo dei dubbi su Kristian? Lui era innamorato di me perché ero io, Lana o forse perchè gli ricordavo Alessandra?

“Mi ha proposto un patto, va' avanti e falla breve” dissi fredda e pronta all'attacco.

“Anche a me, mi aveva proposto di fare con me tutto ciò che non avevamo mai fatto.. simile al tuo giusto?” ero arrabbiata, non amavo essere presa in giro.

“Devo cercare Kristian” dissi ad Andrea che come me fissava Alessandra con un misto di odio e di confusione. Alessandra poteva avermi detto la verità, cosa che escludevo, o poteva aver giocato con la mia mente mettendomi un dubbio molto profondo che avrebbe messo in discussione la mia relazione con Kristian dal principio, da quel patto, quando ancora eravamo solo due ragazzi che si stavano conoscendo.

Trovai il mio ragazzo a parlare con un suo amico, mi avvicinai e cercai di fare un timido sorriso, ma facevo difficoltà a sorridere in quel momento.

“Lana” disse dandomi un bacio a stampo e prendendomi per la vita.

“Vorrei parlarti in privato” gli sussurrai all'orecchio.

“Se è perché ti ho lasciata sola, mi dispiace tantissimo, è che non vedevo alcuni compagni di classe da una vita”

“Non è quello, per favore vieni con me” Annuì infine, e prendendomi per mano mi trascinò verso un divano isolato.

Mi fece mettere sulle sue gambe, stringendomi quasi con smania.

Mi baciò con passione, con il sapore di birra in bocca, tenendomi avvinghiata al suo corpo.

Lo fermai dopo poco.

“Alessandra suona il pianoforte?”

“Perché dobbiamo parlare di lei?”

“Rispondimi” dissi seria.

“Si”

“Aveva problemi familiari?”

“Si, lei odiava i suoi”

“Non eri il primo a provarci?”

“Tutti ci provavano con lei” mi rispose con una smorfia.

“Avete fatto un patto?”

“Mai” disse sicuro.

“Non vi siete mai detti di fare cose che non avevate mai fatto?”

“No, stai scherzando?!” gli credetti.

“Non capisco perché lei mi ha detto il contrario”

“Ci hai parlato?” girò il mio viso verso il suo, e mi scontrai con quelle iridi azzurre e lucide in quel momento, ma anche limpide di verità e di.. amore.

“Lei ha voluto parlarmi e mi sembra così astuta, intelligente e bella”

“Manipolatrice, direi, l'ha fatto con me per anni e ora lo vuole fare con te, vuole metterti contro di me, non la ascoltare..Okay?” mi diede un bacio a fior di labbra e mi convinsi.

“Andiamocene via”

“Non posso, Lana vai tu” disse ferendomi più di quanto aveva fatto Alessandra prima.

Ero un peso per lui quella sera, nonostante avesse insistito che io ci fossi lui in realtà non mi voleva, voleva solo dimostrare agli altri che aveva dimenticato Alessandra, anzi rimpiazzata.

Mi alzai e me ne andai e stavolta non era colpa dei miei sbalzi d'umore. Dovetti chiamare mio zio Jack, che incazzato per il comportamento di Kristian mi venne a prendere.

Jack mi lasciava fare abbastanza ultimamente perché vedeva quanto bene mi avesse fatto Kristian ma odiava quando qualcuno mi faceva star male, anche per una sciocchezza.

A casa mi buttai sul letto cercando di addormentarmi il prima possibile senza pensare al modo in cui ero stata trattata quella sera.

 

Pov Kristian

 

Stavo ridendo con qualche amico quando Andrea mi trascinò via e mi diede uno schiaffo sulla nuca.

“Sei un cretino” mi allontanò dagli altri.

“Che ho fatto?”

“Se non ci arrivi da solo, sei veramente un coglione”

“Lana voleva andare via e l'ha fatto”

“L'hai ignorata, l'hai mandata via e non hai fatto niente perché non parlasse con Alessandra” rimasi per un po' in silenzio, non mi ero accorto di tutto questo, mi sembrava di essermi comportato normalmente ma in realtà l'aria dell'età liceale mi aveva fatto tornare il cretino che ero prima. Stronzo come ero al tempo del liceo, non quello che amava Lana.

Stavo per uscire per andare da lei quando mi scontrai con Alessandra e la sua fida compagna “di avventure”.

“Più cresci e più sei bello, mio Kristian” la odiavo, in una maniera smisurata; quando stava con me fingeva così bene.. scoprire come era veramente mi aveva fatto malissimo all'inizio ma poi in quel momento mi lasciava così indifferente.

“Tuo non lo sono mai stato”

“Perché non beviamo qualcosa in ricordo dei bei tempi?”

“Non mi va, devo andare da Lana”

“Una birra, che ti costa?”

“Mezzo minuto Alessandra”

Presi due lattine e ne passai una alla ragazza.

Ci sedemmo su degli sgabelli.

“Mi dispiace per come sono andate le cose tra noi due, sai la maggior parte delle volte mi comporto scorrettamente, ma con te sono sempre stata sincera” cominciò.

“Anche quanto ti scopavi un altro?”

“Ce l'hai ancora con me per questo?” domandò avvicinandosi.

“No, evita di dire cazzate, forse all'inizio eri sincera, ma poi sei cambiata e anche adesso, ti vedi? Non sai fare altro che intrometterti nella vita di tutti, non mi hai mai amato.. e io ora amo Lana quindi vattene”

“Si è visto stasera quanto l'amavi, sembrava così indifesa quando le parlavo e le raccontavo quanto ti facevo godere” era davvero diversa dall'Alessandra che avevo conosciuto anni fa.

“Sei una puttana” dissi incazzato e con ancora più voglia di andare Lana.

“Ammettilo che passeresti un'altra notte con me, tieni” disse mettendomi il suo numero in tasca soffermandosi troppo con la mano nella tasca del pantalone.

Mi alzai ed uscii fuori.

Corsi, spinsi il piede sull'acceleratore per andare a casa della ragazza che amavo.

Non mi interessava che fosse tardi, avevo bisogno di parlare con lei.

Arrivai in pochi minuti, quasi rovinando la macchina di Jack per come parcheggiai.

La chiamai al cellulare diverse volte ma non mi rispose perciò suonai il campanello finché non mi aprì Jack.

“Sta dormendo, la prossima volta vedi di accompagnarla a casa” mi disse con aria ostile.

“Mi dispiace tantissimo, ho bisogno di entrare, per favore”

“Sta dormendo, lasciala stare” disse serio.

“Rimango qui finché non si sveglia allora” dissi.

“Non fare il drammatico, entra, è in camera sua se non ti vuole vattene e non fate rumore” disse con quel cipiglio malizioso, che lo caratterizzava.

 

Feci così, entrai in camera di Lana e vidi che dormiva, coperta solo dal lenzuolo.

Mi tolsi gli abiti, rimanendo in intimo e mi sdraiai accanto a lei.

“Amore?” dissi lasciandole alcuni baci sulla spalla, cercando di svegliarla e di farla girare.

Si svegliò, di scatto, allontanandomi di impulso.

“Sei pazzo, non hai idea dello spavento” L'abbracciai per calmarla.

“Scusa” sussurrai mille volte al suo orecchio, riempendola di baci.

“Non hai giustificazioni”

“Lo so” le dissi, tenendola stretta tra le mie braccia. “Scusami”

“Voglio dormire, lo sai?” disse accennando un sorriso e nascondendo poi il suo viso nel mio petto ed intrecciando in maniera perfetta il suo corpo con il mio.

“E io voglio dormire con te”

“Se non ti volessi?” borbottò con la faccia contro la mia maglia.

“In quel caso me ne farò una ragione e aspetterò finché mi vorrai”

“Sei uno stronzo” mi diede un pizzicotto.

“Perché?”

“Perché dici sempre cose belle e non posso volere che tu non dorma con me” A quel punto la circondai col braccio, dopo aver tirato su per bene le coperte.

“Alessandra mi ha messo in tasca il suo numero, volevo solo avvisarti, non voglio che tu pensi che abbia interesse per lei, anzi non ho idea di che cosa le passi per la testa”

“Continua” mi esortò seria.

“Non so, l'ho rivista dopo più di un anno di puro silenzio, in cui so che lei è partita e si è data molto da fare con un calciatore e poi, non mi interessava più nulla di lei, soprattutto da gennaio quando ti ho conosciuto, mi hai stravolto, fatto capire che dovevo riprendere me stesso”

“Ma io non ho fatto nulla”

“Invece si, ti sei lasciata e ti stai lasciando amare da me.. ti amo” le ultime due parole furono un sussurro che si disperse nell'aria, mentre i suoi ed i miei battiti erano così veloci da voler uscire dal petto.


Ciao :)
Questo capitolo è molto concentrato su Alessandra e il rapporto tra lei e Kristian e tra Lana e Kristian.
Tornerà ancora il Pov Lorenzo, questo era molto corto.
Non so cos'altro dire.,. mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi a questo punto, giunti quasi alla fine ( ancora ci saranno tre-quattro capitoli credo)
Pubblicherò dopo il nove, ovvero dopo la fine della scuola, così riuscirò a scrivere un capitolo un po' più decente
A presto ^^
Cri

In omaggio :

 

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Capitolo 26
*** It's a new beginning ***


Pov Lorenzo

 

Ero al lavoro al bar quel venerdì.

La scuola era finita poche ore prima e ne ero molto sollevato. Era stato un anno intenso, e con professori molto esigenti. Andavo al liceo linguistico, e entro un mese sarei partito per la Gran Bretagna con un progetto scolastico. Ogni anno avevo una meta diversa.

Stavo preparando un caffè ad uno dei soliti lavoratori della banca che si trovava accanto al bar, quando entrò Samuele, che squadrò la stanza prima di posare lo sguardo su di me.

Continuai a fare quello che stavo facendo, cercando di non fargli vedere quanto mi scombussolasse vederlo ogni volta. Indossava una camicia a quadri e un pantalone beige che gli fasciava perfettamente le gambe.

Mi girai per prendere dell'acqua.

“Avrei voglia di qualcosa che non c'è sul listino” la sua voce mi fece girare di scatto verso di lui come una calamita. Avevo già caldo, possibile? Samuele sapeva benissimo cosa mi succedeva quando lui era così vicino, purtroppo ancora non mi ero abituato e forse non mi sarei mai abituato a quello sguardo sensuale e a quella voce calda.

“Sei già uscito dall'università?” domandai ignorando la sua affermazione, notando anche due occhiaie ben marcate. Era qualche giorno che non ci vedevamo perché aveva avuto da studiare per un esame.
“Si, ho fatto l'esame e me ne sono andato” disse indurendo la mascella, gesto che stranamente mi piaceva, ma che mi faceva anche capire che non voleva parlare di quell'argomento e ciò mi dava noia perché sarei dovuto essere quella persona con cui lui si poteva aprire.

“Com'è andato?” azzardai a chiedere. Sbuffò e si passò la mano più volte tra i capelli, sembrava pronto stavolta a volermi dire cosa gli passasse davvero per la testa o magari mi sbagliavo, solitamente ero bravo a capire le persone.

“Non lo so, e questa cosa mi da noia, ho sempre tutto sotto controllo e invece quest'esame mi ha un po' spiazzato e spero che sia andato bene... A che ora stacchi?”

“Tra dieci minuti, ti va qualcosa?” domandai andando a servire due macchiati a due ragazze.

“No grazie, ti aspetto fuori” mi disse. Si passò nuovamente la mano tra i capelli segno che era molto stanco e nervoso.

 

Appena finii mi diressi verso la sua moto, non riuscivo a non sbavare -metaforicamente- ogni volta che lo vedevo su quel mezzo.

“Non vedevo l'ora” si alzò e mi abbracciò con molto calore, cioè mi aveva concesso un abbraccio e ciò mi lasciò a bocca aperta. Forse quel pomeriggio, essendo lui stanco, la sua mente non si impegnava a dare un immagine di sé fredda e cinica.

“Ti porto in un posto micetto” si avvicinò all'angolo della bocca.

Salii sulla moto e mi aggrappai a lui per quel breve viaggio.

Arrivammo in centro, a palazzo Medici-Riccardi.

“Che vuoi fare?”

“Conosco una guardia, ci farà salire sulla terrazza, sarà bellissimo” disse con un grande sorriso.

Così fece e salimmo sulla terrazza del palazzo.

Si potevano vedere in lontananza le colline, quel verde forte che caratterizzava da sempre il paesaggio di Firenze e la grande cupola, la collina artificiale più bella del mondo.

Samuele mi prese per mano fino a portarmi a sedere sul cornicione.

“Non mi andava di baciarti per strada con tutta quella gente che non avrebbe capito cosa c'è tra di noi” mi disse e non mi diede il tempo di rispondere qualcosa, forse perché non voleva che rispondessi, così mi baciò. Mi dimenticai tutto, mi dimenticai di essere all'altezza dell'imposta del palazzo, mi dimenticai che quello era stato l'ultimo giorno di scuola, mi dimenticai della stanchezza per concentrarmi esclusivamente su quella bocca morbida e rossa, e quella lingua che si muoveva con la mia in maniera perfetta.

Mi dimenticai del tempo che passava perché rimanemmo con le labbra incollate per moltissimo tempo.

“Ho bisogno di un minuto di serietà, voglio dirti una cosa” mi disse dopo aver scherzato per qualche minuto sul fatto che all'uscita di scuola ero scappato come una ragazzina per evitare gavettoni e farina.

“Dimmi”

“Io sto davvero bene con te, sai oggi non vedevo l'ora di vederti perché mi mancava vedere questo timido sorriso che hai sempre con me e mi mancava baciarti.. io non voglio che tu pensi che sia solo una cosa fisica.. io mi sto affezionando a te”

“Io come sai, sono molto timido e in realtà non mi aspettavo niente quando ti ho incontrato e invece tu mi hai dato così tanto che insomma per me è stato inevitabile cadere tra le tue braccia” risposi giocando con le sue mani

“Minuto di serietà finito, piccoletto” disse mordendomi il labbro e ricominciando a giocare con la mia bocca.

Sapevo che quello che mi aveva detto non era molto ma andava bene così per quel momento.

Stare in quel modo con lui, oltre a farmi capovolgere lo stomaco dai brividi, mi faceva sentire bene come persona.

 

Pov Lana

 

Erano le ultime ore di quell'anno scolastico dentro l'aula di pianoforte.

Finalmente era arrivato quel giorno, giorno atteso dal momento in cui Kristian mi aveva detto che mi amava ed io in un sussurro più basso del suo avevo risposto che lo amavo. Era caduto un silenzio naturale e tranquillo dopo quella dichiarazione sottovoce. Un silenzio che ci cullò durante tutte le ore successive.

Quelle parole poi non erano più uscite dalle nostre bocche ma le cose tra di noi erano cambiate un po'. Era come se fosse aumentata la fiducia e l'alchimia.

Avevamo inoltre deciso di resistere fino all'ultimo giorno di scuola, anzi fino agli scrutini per non compromettere niente fino alla fine.

Inoltre c'era l'esame di Kristian entro pochi giorni e avrei voluto andare a sostenerlo, anche perché in quel progetto c'era tutto quello che avevamo fatto da febbraio fino a giugno.

Kristian aveva composto un capolavoro, qualcosa di inspiegabile a parole.

“Andiamo a salutare Kristian... o meglio io lo saluto, tu a giorni te lo scopi” mi disse Caterina entrando, per l'ultima volta dell'anno, nell'aula di storia della musica.

“Urlalo per i corridoi magari, già che ci sei” dissi mentre camminavamo, lei rise.

“Secondo te Giulio continuerà a frequentarmi quest'estate”

“Da quanto so, lui non è uno serio, ma sembra molto preso da questa relazione, spero davvero che si comporti bene .. Cate lo sai che quasi tutta l'estate sono a Firenze quindi per qualsiasi cosa sai dove trovarmi”

“Sono contenta quest'anno di averti trovato, anche perché era l'ora dopo quattro anni nella stessa classe che ci parlassimo un po' di più, eh?”

“Così mi fai sentire in colpa”

“Bene” mi disse ridendo e scoppiai a ridere anch'io.

Appena entrai in classe, Kristian dalla cattedra mi fece un occhiolino.

Quel giorno ci sarebbe stata la festa in classe. Ognuno aveva portato da mangiare, e Kristian ci aveva permesso di poter usare le sue ore per festeggiare la fine dell'anno.

Unimmo tutti i tavoli e ci mettemmo in cerchio a mangiare e bere tra patatine, dolce e spumante.

“Ragazzi, sapete bene che il prossimo anno non ci sarò purtroppo, in realtà spero di poter lavorare per qualche orchestra o qualcosa del genere ma è stato bello insegnare, anzi insegnare a voi.. siete stati fantastici, e sono contento di avervi conosciuto e di aver appreso molto da questa esperienza” mi lanciò un sguardo intenso alla fine per un secondo.

Tutti gli fecero un applauso e pian piano tutti lo andarono ad abbracciare. Caterina mi tirò per un braccio e sbuffai, perché sapevo che se l'avessi abbracciato non l'avrei mollato.

“Ciao” gli dissi una volta davanti.

“Ciao rossa” disse con finto disinteresse e mi circondò con un braccio per lasciarmi subito dopo.

 

“Se venite alla cattedra vi dico le medie” disse Kri sedendosi e aprendo il registro.

Io continuai a riempirmi la bocca di cibo, nonostante volessi andare lì e parlare un po' con lui, senza che ci sentissero data la confusione che stavamo facendo.

Aspettai che almeno qualcuno fosse andato prima di sedermi accanto a lui.

“Rossa?”

“Era la prima cosa che mi è venuta in mente”

“Okay, insomma?”

“Ti metto nove Lana”

“Ma all'inizio del quadrimestre ho preso voti più bassi”

“Perché sono stato io a volerti mettere alle strette e infatti hai visto come sono andate meglio le cose”

“Mettimi otto”

“No, non discutere Lana, questo voto è oggettivo anzi ti meriteresti di più per quanto mi riguarda, ma la tua media è 9.2, ovvero nove”

“Okay” dissi, ero molto contenta in realtà.

“La vuoi sapere una cosa?” alzai un sopracciglio e lo guardai male visto il tono malizioso con cui aveva pronunciato quella domanda.

“Non sai cosa darei per prenderti ora su questa cattedra.. è tutto l'anno che desidero farlo qui. Sarebbe così illecito” mi attraversò un brivido per tutta la schiena.

“Oggi tutti vanno a fare i gavettoni fuori”

“Saranno tutti impegnati nei festeggiamenti”

“Anche noi dovremmo festeggiare” dissi, sapendo di aver segnato la mia condanna.

Mi alzai senza dire più niente e in ansia aspettai la fine di quelle ore.

Uscii come tutti, dicendo poi che avevo dimenticato una cosa nell'aula di piano, rientrai a scuola.

 

Kristian era seduto a gambe incrociate mentre, con gli occhiali da vista, leggeva indifferente un libro. Mi chiusi la porta alle spalle e lui puntò lo sguardo verso di me.

“Vieni qui” mi indicò le sue gambe.

“Non sei troppo impaziente?” dissi riferendomi ad un altro significato del verbo venire.

Ridacchiò e lentamente ci avvicinammo l'un l'altro. C'era tensione, c'era ansia e adrenalina. C'era la paura di essere scoperti che aumentava la voglia di farlo su quella cattedra.

“Stai per realizzare un mio sogno erotico” disse baciandomi il lobo dell'orecchio.

“Il tuo sogno non sarà niente rispetto a quello che faremo adesso” dissi senza inibizioni.

Lo baciai prendendo l'iniziativa, avevamo fretta e allo stesso tempo urgenza di sentirci uno con l'altro visto che non ci eravamo concessi un momento di intimità da troppo tempo per le nostre esigenze.

Sembrò destarsi solo dopo un paio di minuti che ci baciavamo, mi prese in braccio e mi mise a sedere sulla cattedra.

Si mise tra le mie gambe continuando a baciarmi. Presi i lembi della sua maglia e gliela sfilai.

“Non ci perdiamo in convenevoli inutili” disse sbottonando direttamente i miei pantaloni e togliendoli, con le mutande, con uno strattone. Scese sulle mie gambe con la bocca mentre cercava di slacciarsi la cintura e calarsi i pantaloni.

Allargai di più le gambe e lasciai che la sua mano si insinuasse in mezzo ad esse.

Mi torturò il collo quando entrò in me, alleviandomi quel dolore iniziale.

Portò una mano dietro la mia schiena per aumentare l'appoggio per le spinte e l'altra sulla mia nuca, mentre mi tappava la bocca con la sua per non farmi gemere. Se non era per lui che interrompeva i miei ansimi avrei urlato dal piacere che mi stava dando.

Uscì da me lasciandomi insoddisfatta per cambiare posizione. Salì lui sulla cattedra e mi prese in braccio in modo che salissi sopra di lui e dettassi io il ritmo.

Arrivammo all'orgasmo poco dopo, tutto il mio corpo vibrò per l'intensità di quell'amplesso.

Rimanemmo abbracciati per secondi infiniti con il torace che si alzava e si abbassava ad una velocità inaudita. Mi sentivo in paradiso con lui, ogni singola volta e mi chiedevo com'era possibile sentirsi sempre così, sentirsi così appagata e felice, ma anche così piena di gioia da dover condividere. Avevo voglia di urlare a tutti che io stavo con Kristian, che io stavo con il ragazzo più bello di questo mondo e che tutto di lui era perfetto, anche i suoi difetti: la cicatrice sul petto, quel suo strano modo di mangiare le verdure mettendoci sempre l'aceto, il sopracciglio sinistro quasi sempre alzato segno che aveva sempre da dire la sua, il tornare bambino quando si trovava in situazioni divertenti e altro ancora. Poggiai la mia mano sulla sua guancia, e in contemporanea lui aprì gli occhi guardandomi con quell'azzurro liquido e intenso.

“Vai prima che entri qualcuno” mi disse dolce, sistemandomi con cura i vestiti addosso come se mi avesse in qualche modo sporcato.

Mi lasciò andare.

Uscire dal conservatorio mi portò molta malinconia, data forse dal fatto che l'anno seguente sarebbe stato l'ultimo o forse, per il fatto che io l'estate rimanevo sempre, o quasi, da sola. Lorenzo spesso partiva, Jack lavorava sempre e quando faceva le vacanze io mi rifiutavo sempre di andare anche se quell'anno magari avrei detto di si.

L'estate l'avevo sempre passata a Firenze, anzi dentro casa e ciò non mi faceva proprio piacere, nonostante lo ammettessi solo in quel momento io avevo sempre avuto il bisogno di vedere persone intorno a me per far si che quella solitudine si presentasse il meno possibile.

Quell'anno però avevo una speranza che mi faceva sorridere e forse mi illudeva, anzi mi volevo illudere di poter passare l'estate con Kristian e magari di poter fare un'estate al mare o in qualsiasi posto che fosse lontano da casa mia.

Tolsi il lucchetto della bici quando qualcuno mi fece ombra.

Alzai lo sguardo e vidi Alessandra sorridermi.

“Sappi che non crederò a niente di tutto ciò che dirai”

“Volevo solo scusarmi per come mi sono presentata, a volte so essere così odiosa”

“Bene te lo dici da sola” dissi salendo sulla bici.

“Vado a salutare Kristian ora” disse squittendo.

“Mi puoi salutare ora” disse duro Kristian raggiungendomi e mettendosi tra me e Alessandra.

“Okay, volevo solo chiederti se la scuola sa della vostra relazione” Il corpo di Kri si irrigidì.

“Alessandra smettila” si aggiunse un'altra voce a me conosciuta, anzi conosciutissima. Era Edoardo e quanto pareva i due si conoscevano. “Ho già fatto abbastanza, io” continuò abbassando il capo.

“Mi dispiace ragazzi” si girò verso di noi.

“No, non mi va di lasciar perdere”

“Ma ti senti?.. Ho un paio di cose che i nostri genitori non vorrebbero sapere su di te, come la mettiamo?” sbarrai gli occhi per la sorpresa.

“Siete fratelli?” domandò Kristian, rubandomi le parole di bocca.

“Fratellastri, sottolineerei .. Mi dispiace, io volevo Lana e ho combinato un casino e non voglio che succeda lo stesso per colpa sua, solo per una stupida ripicca” disse tirandola poi via.

 

“Non è più la ragazza che ho conosciuto” concluse Kristian, lasciandomi poi andare a casa.

Il peggio forse era davvero passato.


Il capitolo è davvero fresco, ho finito di scriverlo adesso e mentre lo scrivevo mi dicevo ... sono arrivata alla fine. E' sempre dura mettere la parola fine a qualcosa e in realtà questo non è l'ultimo capitolo, manca l'epilogo e non so se scriverò un capitolo ancor prima dell'epilogo perché sono troppo affezionata a loro due.
Non so davvero cosa dire, ho bisogno dei vostri pareri ..
La storia tra Lorenzo e Samuele ovviamente rimane in sospeso ma farò qualche capitolo fuori dalla storia su di loro magari.
Una cosa però la voglio dire GRAZIE! DAVVERO GRAZIE :)
Siete stati inoltre molto pazienti in questo periodo e quindi anche grazie per essere arrivati fino a questo capitolo ed aver aspettato che aggiornassi :)
A presto,
Cri

 

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Capitolo 27
*** We are at the start ***


Pov Lorenzo

 

Faceva caldissimo, e ovviamente Samuele scelse la cosa più logica da fare: andare al mare.

Non che non mi piacesse il mare, ma ecco non ci andavo molto d'accordo, soprattutto per il fatto che sarei stato seminudo sotto lo sguardo di tutti. Non amavo far vedere il mio corpo.

Era qualcosa di mio e ora che ero adolescente mi era ancora più difficile non sentirmi in imbarazzo mentre tante ragazze fissavano il mio corpo sulla spiaggia.

“So che stai aspettando che sia io a levarti la maglia, ma primo siamo in luogo pubblico, secondo fa abbastanza caldo perché ti muova a farlo” mi riprese Samuele che poi distolse lo sguardo appena presi i lembi della maglia.

Capivo il disagio, anch'io come lui, cercavo il meno possibile di fissare il suo petto, le sue braccia, i suoi addominali, o semplicemente la sua pelle bronzea.

Eravamo proprio opposti per certi versi, io ero bianco come il latte, e lui aveva la carnagione più scura, come se fosse abbronzato tutto l'anno e quella carnagione faceva risaltare i suoi occhi, soprattutto alla luce del sole. Quegli occhi che fin da subito mi avevano mandato fuori di testa.

“Che c'è Lorenzo?” mi dava noia quando mi riprendeva così, come se fosse scocciato.

“Non mi piace stare senza maglia”

“Ma piace a me che tu stia senza maglia” disse avvicinandosi velocemente e intrappolandomi tra le sue braccia, e alla fine come un bambino mi feci togliere la t-shirt.

“Non pensare che tu non sia bello” mi disse poi serio, e quelle parole mi coccolarono come se fossi un bambino

Con molto imbarazzo mi misi a prendere il sole, dopo essermi spalmato la crema sotto lo sguardo vigile e malizioso di Samuele che a sua volta faceva lo stesso.

Dopo un'oretta un gruppo di ragazze ci venne a chiedere se volevamo giocare a pallavolo.

Scossi la testa svariate volte, ma Samuele era uno di quei ragazzi che amava qualsiasi sport, anzi qualsiasi sport che avesse a che fare con un pallone.

“Non lagnarti e vieni a fare squadra con me” mi sfiorò il braccio e andai verso le ragazze che ci stavano mangiando con gli occhi. Ero addirittura geloso dello sguardo di quelle sedicenni su Samuele che ovviamente faceva di tutto per farsi notare in tutta la sua bellezza.

Alla fine dei giochi mi divertii, e in squadra insieme avevamo trovato un'altra intesa, più semplice e spontanea, quella del gioco.

“Ragazze, io e il mio ragazzo ora andiamo a farci un bagno se non vi dispiace” disse Samuele lasciandole tutte a bocca aperta e prendendomi per mano. I commenti che ne seguirono non mi facevano molto piacere ma cercai di eliminarli dalla mia testa, ne ero abituato.

“A volte mi chiedo perché devi essere così teatrale nelle tue uscite” dissi entrando in acqua.

“Perché poi te mi rompi le scatole come adesso” disse abbracciandomi nell'acqua. Passai la mano sulla sua schiena bagnata. In acqua le emozioni sembravano amplificate e ogni tocco sembrava più forte e penetrante come se non ci fosse davvero la pelle a coprirci.

“Andiamo più a largo” mi disse prendendomi per mano. Ci allontanammo da tutti i bambini e dalle famiglie.

“Perché dobbiamo essere sempre costretti a nasconderci” sussurrai, mentre lo abbracciai nuovamente quasi a farmi consolare.

“In realtà io ti ho portato qui per fare delle cose che i bambini non possono vedere, che vanno al di là del bacino sulla bocca” disse prendendomi in giro e aumentando la presa sul mio corpo, costringendomi ad allacciare le mie gambe sulla sua vita. Il suo viso era a due centimetri dal mio, i suoi occhi cercavano i miei in maniera possessiva. Io pensavo davvero di poter amare quel ragazzo.

Iniziammo a baciarci e da quel momento in poi capii di non avere più scampo, Samuele mi aveva stravolto. Mi stava fottendo in tutti i sensi.

 

 

Pov Kristian

 

Lessi il voto e la firma dell'insegnante.

Non poteva essere vero, come ero arrivato fino a quel punto? Quando era iniziato tutto quel percorso? .. Non potevo averlo finito davvero così.

Laureato.

Avevo quella stramaledetta carta che tanto desideravo da quando ero entrato in conservatorio. Quella carta che forse avrebbe reso orgoglioso mio padre.

Quella carta che mi aveva già aperto le porte ad alcuni lavori.

In realtà i lavori mi erano stati offerti anche prima, dato il mio nome, ma non gli avevo accettati finché non avessi ottenuto quella carta e in quel momento ce l'avevo fatta.

Lana quel giorno aveva suonato per me per introdurre la mia tesi.

Lana quel giorno era stata la mia ancora, mi ricordava perché amassi così tanto la musica e perché ero a sedere lì.

Strinsi la mano dell'insegnante e lo salutai cortesemente.

Nell'aula c'erano solo Andrea e Lana, avevo voluto così, nonostante i miei parenti avessero insistito per assistere ad un altro successo di quella famiglia di talenti.

Mi girai e sorrisi prima alla mia ragazza e poi all'amico migliore che potessi trovare.

Appena messo il piede fuori fui riempito, anzi fummo riempiti -io e Lana-  di spumante e in quel bagno la baciai, senza pensare più a nulla, senza rendermi conto di dare spettacolo.

Lana, infatti, si staccò da me diventando del colore dei suoi capelli per quanto era imbarazzata, davanti soprattutto al preside, nonché mio padre.

Lui mi sorrise, e fu un sorriso sincero o almeno sembrava. Ricambiai, stringendo ancor di più la mano a Lana.

“Abbiamo l'aereo tra tre ore e puzziamo come una distilleria … non ci conviene andare a casa mia, lavarci e finire le valigie?” mi disse, sbattendo diverse volte le palpebre visto che aveva ancora molte gocce frizzanti che le cadevano dolci sul viso. La sua pelle chiara veniva accarezzata da quel liquido che scorreva fino a fermarsi sulla curva della bocca. Era una visione eccitante da pubblicità di un profumo o di intimo. Si passò la lingua sulle labbra accorgendosi che il mio sguardo continuava imperterrito sul suo viso.

“E sai quante altre cose si possono fare in tre ore?” Aprì la bocca formando una O e la chiuse subito dopo.

“Scusateci” dissi agli altri “ Ma dobbiamo partire per Parigi”

“Fatemi poi uno squillo vi accompagno io all'aeroporto” ci disse Andrea andandosene.

Salutai un po' tutti, ringraziandoli di essere venuti.

 

Arrivammo a casa sua, le valigie in realtà erano già pronte, era che Lana era maniaca del controllo, voleva essere non solo puntuale ma anche perfetta in tutto quello che faceva, a scuola e fuori.

Entrammo in casa e Jack si venne a congratulare con me, non abbracciandomi vedendo le condizioni in cui ero.

Mi prestò una camicia ed un pantalone senza che dovessi toglierli dalla valigia.

“Non pensate di fare la doccia insieme”

“Si ottimizzano i tempi zio!” disse lei, con gli occhi dolci.

“Ottimizzare i tempi è l'ultima cosa a cui stai pensando, per fare questa doccia” si morse il labbro avvicinandosi a suo zio, che di rimando si allontanava per non sporcarsi, dato che lei non era messa meglio di me in quanto a “bagno d'alcool”

“Dai, dobbiamo partire, è più comodo e veloce”

“Avete i tre giorni a Parigi per ottimizzare i tempi” la brontolò scherzosamente. Si girò verso di me lanciandomi uno sguardo deluso e si avviò verso il bagno senza di me, trascinandosi dietro un nuovo cambio.

 

Quando uscì, entrai io nella doccia dopo averle dato un bacio su quei capelli morbidi ed appena asciugati.

Feci di fretta visto che Andrea sarebbe passato a prenderci entro pochi minuti.

Lana nel frattempo sistemò tutto e salutò calorosamente Jack, ringraziandolo del regalo.

“A proposito Kristian, il regalo è di Lana, vedi di farla divertire e di non combinare guai” mi minacciò premuroso nei confronti della sua figlioccia.

“Esatto è il mio regalo Kri, si fa quello che dico io”
“Ehi ma io mi sono appena laureato avrò diritto di divertirmi anch'io” protestai mettendomi la giacca, pronto per uscire.

“Non hai idea di quanto ti divertirai” mi sussurrò una volta soli al portone.

La baciai con trasporto, come a volere un'anteprima di quello che sarebbe successo da lì a qualche ora.

Avremmo potuto essere soli, finalmente. Liberi da ogni tipo di pensiero.

Già, Lana era stata promossa -ovviamente- con una media buonissima e non essere più il suo professore mi aveva tolto quel senso di colpa sulle spalle per aver mentito a tutta la scuola per tutto quel tempo.

Andrea arrivò e ci salutò per l'ennesima volta in quella giornata.

Mi stavo chiedendo da un po' perché Lana avesse scelto quel giorno per partire.

Quando saremmo stati soli glielo avrei domandato.

Salimmo in macchina, eccitati, entusiasti e pieni di aspettative su questo viaggio.

Eravamo stati due settimane lontani, escluso l'episodio sulla cattedra, per colpa mia e tre giorni da solo con lei sarebbero stati il paradiso, un paradiso personale.

“Ragazzi, mi sento di fare il fratello maggiore, soprattutto per te Kristian, io capisco che state morendo dalla voglia di saltarvi addosso e dovete divertirvi ma state anche attenti e godetevi la città”

“No, Andrea ti prego non ti si addice questo tono serio” dissi

“Ma ho sempre voluto farlo” si lamentò come un bambino.

“Lana vedi di farlo rigare dritto, non mi piace la piega che sta prendendo”
“E sai si dice che è colpa di chi si frequenta, e io frequento te Andrea” lo canzonai.

“Hai decine di amici” mi rispose borbottando, guardando sempre la strada, eravamo vicini ormai all'aeroporto.

Lana se la rideva, lasciandomi di tanto in tanto qualche carezza.

“Andrea grazie mille per tutto” disse lei scendendo dalla macchina.

Recuperai i bagagli dal cofano e mi diressi verso l'interno.

 

Pov Lana

 

Non sapevo come mai, ma mi sembrava di essere tornata a sei mesi prima, al patto con Kristian.

Non era possibile che io con lui facessi sempre cose che non avevo mai fatto. Era la mia prima volta in aeroporto.

Tutti i miei viaggi consistevano nell'andare da Firenze a Bologna, per quanto mi ricordavo. Poi c'erano stati i viaggi al mare con i miei genitori ma nulla di più.

Mia madre ogni tanto mi raccontava delle grandi capitali, ma non avevoo molto di cui ricordare di quelle parole.

C'era tanta gente dentro quell'aeroporto, molte persone partivano e altre invece tornavano dalla propria famiglia, altri erano pronti per le vacanze, ed altri ancora lavoravano.

In un aeroporto si vedeva proprio come tante vite si ritrovassero casualmente nello stesso posto per motivi diversi, con storie diverse e tutto ciò mi affascinava. D'altra parte non avendo mai preso l'aereo stavo morendo di paura. Non sapevo cosa volesse dire.

“Sei incantata” mi destò Kristian prendendomi per mano.

“Io.. ho un po' di paura”

“Vuoi sapere quante volte ho preso l'aereo?” scossi la testa “Ecco, fidati di me mocciosa

Mi venne da ridere e mi lasciai andare abbracciandolo e ridendo.

“Ho perso qualche passaggio”

“Siamo in vacanza, non ci riesco a credere!...E sappi che se mi chiami ancora una volta così tengo le gambe chiuse in questi giorni”

“Ti chiedo umilmente perdono, bellissima ragazza” disse ridendo con me, spezzando quella tensione che avevo ma che inevitabilmente tornò quando mi sedetti sull'aereo.

 

Gli presi la mano durante il decollo e chiusi gli occhi, anche perché ero dalla parte dell'oblò. Kristian aveva insistito tanto perché mi godessi il viaggio.

Una volta superate le nuvole allentai la presa su di lui e guardai lo spettacolo invece che c'era fuori. La natura era sempre e sempre più affascinante ai miei occhi.

“Pensavo volessi farmi perdere l'uso della mano”

“Spiritoso proprio” dissi acida, con ancora l'ansia addosso.

“Lana, perché proprio oggi?”

“Mi aspettavo questa domanda.. Volevo che questo fosse uno dei miei regali per la tua laurea”

“Uno?.. E' già abbastanza Lana, non dovevi farmi nient'altro”

Mi abbassai a prendere la borsa e tirare fuori una cosa molto personale che volevo regalargli.

“Non ho speso niente” dissi porgendoglielo. Lo aprì delicatamente e dalla scatola uscì una collana fine con un ciondolo a forma di chiave di basso.

“Me lo aveva regalato mio padre quando ero piccola, ma l'ho sempre ritenuto troppo maschile per indossarlo.. sul retro c'è incisa una L”

“E' troppo”

“Io ti amo, non è troppo” dissi lasciandogli un bacio dolce e casto sulla bocca.

Guardò in alto con gli occhi lucidi.

“Rifarei tutto da capo per averti accanto in questo modo, ho faticato mesi per strapparti un bacio vero, voluto da te, ho faticato mesi per farti ammettere che eri cotta di me ed io ho faticato ad accettare tutta la situazione, ho faticato affinché tu mi amassi come io ti amavo e rientrerei mille volte in quell'aula scolastica pur di vederti, di vederti seguire le mie lezione e non hai idea di quanto sei stata insopportabile quando guardavi fuori dalla finestra mentre io cercavo solo la tua attenzione... Fin dall'inizio volevo conquistarti, perché tu mi avevi già conquistato con il tuo sorriso e il tuo sguardo intenso e ricco di emozioni mai rivelate, e poi, poi l'hai rivelate a me quelle emozioni ed io mi sono sentito l'uomo più fortunato di questo mondo... Sono stato un coglione ogni tanto e tu comunque hai continuato a darmi la possibilità di farmi conoscere e, giuro che è la cosa più bella sentirti dire che mi ami, e poterti rispondere che ti amo anch'io” Stavo volando veramente? Era un sogno? .. Mi aveva dedicato veramente quelle parole?

Deglutii rumorosamente. Qualsiasi mia parola non sarebbe mai stata abbastanza, perciò le lacrime sfuggirono anche a me, lente e gioiose di poter esprimere qualcosa di felice e bello nella mia vita.

Ero felice in quel momento e tutto ciò che potevo desiderare ce l'avevo.

Non pensavo di poter credere nei lieto fine, e quello comunque era un inizio, ma finalmente in qualche modo la vita sembrava restituirmi a piccoli pezzi un po' di quella felicità che mi aveva sottratto di un colpo.

Non sapevo come girava il mondo e non l'avrei mai saputo, sapevo che la maggior parte delle cose stava a me farle, io potevo gestire la mia vita, potevo cambiarla e grazie a Kristian l'avevo capito e l'avevo fatto.

Non sapevo cosa mi aspettava da questo viaggio, sapevo solo al presente, in quel momento che avevo al mio fianco il ragazzo più bello del mondo, bello in tutti i modi possibili ai miei occhi.

“Siamo solo all'inizio amore”


Sto sorridendo come un'idiota, ma non mi aspettavo di scrivere un finale del genere.
Si, questo è effettivamente l'ultimo capitolo, NON l'epilogo ;)
In realtà quando ho iniziato questa storia pensavo di non combinare poi molto e invece vi devo ringraziare di cuore. GRAZIE A TUTTI I LETTORI, A TUTTI COLORO CHE HANNO RECENSITO E CHE HANNO GRADITO QUESTA STORIA.
.. Non mi perdo in troppe parole, lo farò all'epilogo ^_^


Samuele, Lorenzo,

 

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Pov Kristian

 

La stagione primaverile era finita.

Non riuscivo a credere a quello che stavo vivendo.

Io e Lana eravamo un duo.

Ci chiamavano la coppia musicale. Io componevo, Lana suonava. I suoi concerti erano accompagnati spesso o dai quartetti o dagli strumenti a fiato, ma spesso teneva concerti solisti di opere create da me.

Avevamo una sintonia -un'armonia- unica.

Dopo l'estate, dopo il viaggio a Parigi, in realtà erano iniziati i problemi.

Io dovetti andare a vivere a Milano, per un altro trasferimento di mio padre e soprattutto per darmi la possibilità di farmi conoscere da molti musicisti e direttori d'orchestra e così feci.

La relazione a distanza non faceva al caso nostro, e per qualche mese non ci vedemmo e non ci sentimmo, finché non la ritrovai ad un mio concerto a Firenze. Ascoltava dalla prima fila, attenta una delle mie prime composizioni per pianoforte.

Quando entrai sul palco per ricevere gli applausi la notai, e lei puntò gli occhi nei miei.

Non c'era mai stata una volta che non avessi pensato a lei e dopo svariati incontri tormentati decidemmo di riprovarci.

Le cose si stravolsero nuovamente con il diploma di Lana.

Era voluta ovunque, era voluta anche a Milano, così non esitò un attimo a raggiungermi.

Poi per caso è nato il duo.

Io componevo, lei provava ad aiutarmi suonando quello che componevo come ai vecchi tempi e alla fine un Maestro della Scala ci ascoltò e ci produsse. Suo zio si trasferì a Milano per supportarla.

Sul palco Lana era sublime, era di una bellezza che mi avrebbe tormentato per sempre. Si trattava solo di perfezione musicale più Lana, le due cose più importante e travolgenti della mia vita fino a quel momento.

Era la fine della nostra prima stagione, finita a Firenze dove tutto era iniziato. Salutammo tutti dopo la cena in nostro onore. Lana aveva le lacrime dalla gioia da tutta la serata.

“Voglio portarti in un posto Lana”

“Non ti stanchi mai?” disse strappandomi un bacio.

“Sarà divertente e ti ricorderà una delle nostre prime uscite” disse facendo l'occhiolino.

“Mi fai paura” borbottò, salendo in macchina.

 

Pov Lana

 

Guardavo Kristian guidare come in incantata dai suoi movimenti.

Avevo imparato ogni centimetro del suo corpo, ogni suo difetto ed ogni suo pregio, ogni sua espressione, sapevo come ansimava quando provava piacere e come stringeva gli occhi quando si faceva male. Avevo conosciuto la sua famiglia, una strana e geniale famiglia.

Si girò sorridendomi, con un'espressione che faceva male tanto era bella.

Distolsi lo sguardo, posandolo poi su ciò che scorreva fuori dal finestrino.

Non sapevo dove mi stava portando, ma mi stavo facendo una vaga idea visto la direzione.

“Stavo pensando che non potrai vivere per sempre da Jack, voglio dire, anche lui ha i suoi bisogni”

“Ti assicuro che li soddisfa i suoi bisogni” dissi, non dandogli la soddisfazione di dire quello che volevo sentire da lui.

“A parte tutto, perché non vieni nel mio appartamento?” anche se mi aspettavo una cosa del genere non ero totalmente pronta a sentire quella domanda. “...Aspetta, prima che tu vada in iperventilazione, non mi devi dire si o no ora, so che una cosa importante e so anche che tu hai bisogno di più tempo per le cose importanti”

“O meglio per le cose che amo” lo corressi, poi proseguii “ Facciamola gradualmente questa cosa, inizierò a portare le cose da te e a dormire da te, ma non sempre, non voglio aver fretta e voglio assaporare ogni attimo di questo cambiamento” lui mi sorrise, un misto di dolcezza e impazienza.

“Perfetto”

“Ti chiamano Maestro ora” lo canzonai riferendomi alla cena in nostro onore in cui veniva chiamato appunto in quel modo.

“Detto da te è più eccitante” mi fece l'occhiolino.

“Mm, il mio Maestro e il mio professore... quanta malizia” dissi scherzando, lui mi guardò invece serio.

“...Amore, non so se te ne sei accorta ma siamo arrivati”

 

“Stai scherzando?” lui rise e scosse la testa. Eravamo davanti a quel locale prima del Piazzale, quel locale di burlesque di una delle prime uscite. Quel locale che ci servì da passatempo prima di vedere l'alba.

“Perché fai sempre cose poco romantiche eh?” gli diedi una spinta, ma lui mi fermò il braccio e si avvicinò lentamente alla mia bocca, sfiorandola di poco con la sua..

“Voglio un altro tuo spettacolo” il suo respiro caldo si scontrò sulla mia bocca, impaziente di un bacio che lui mi stava negando

“Peccato che dovrà essere privato, devi aspettare” pronunciai prima di circondargli il collo con le braccia con fare malizioso.

“E ora balliamo finché non cadiamo per terra distrutti”

“Penso sia un'idea bellissima” dissi e lo baciai.

Posai i tacchi in macchina e misi delle ballerine, pronta per passare una nottata di divertimento, una nottata in cui saremmo stati solo io e Kristian due ragazzi un po' cresciuti ma con la stessa passione di quando si erano incontrati.

Così facemmo, bevemmo fuori da ogni controllo e per non rimetterci in macchina ci fermammo sulle scalinate della Chiesa di San Miniato dopo averla raggiunta a piedi.

Il mondo sembrava più bello in quel momento.

Misi la testa sulle gambe di Kristian e guardai in alto, avevo bevuto ma ero piuttosto cosciente di quello che c'era intorno a me.

Lui prese a giocare con le ciocche ribelli dei miei capelli.

“Ti ho mai detto che hai i capelli rossi più belli che abbia mai visto?”

“Dovrebbe essere un complimento Kri?” dissi posando lo sguardo sul suo.

“Beh si, sei la mia ragazza rossa preferita”

“Quante altre ragazze rosse vuoi?” domandai indispettita.

“Conosco solo te.. purtroppo” disse ridendo, e prendendo un pugnetto da parte mia.

Mi alzai di poco e mi misi a cavalcioni su di lui che alzò un sopracciglio sorpreso e contento dell'iniziativa.

Iniziai a baciargli il collo, finendo poi per fargli un succhiotto e proseguendo poi a lasciare una scia di baci sul viso.

“Voglio fare l'amore con te su queste scale fino a quando non è giorno e poi ripartire con te ovunque tu voglia, ho bisogno di amarti tutta la notte Lana” mi sussurrò all'orecchio con dolcezza, una dolcezza che non faceva parte né di me né di lui, ma in quel momento con il sapore ancora di alcool e pesca in bocca sembrava terribilmente perfetto e non romantico, audace semmai.

Lo iniziai a baciare e inutile dire che cademmo da quelle scale svariate volte, rotolando e facendo l'amore come se il tempo si fosse fermato.

Ciao :)
Scusate per il ritardo, ma mi hanno fatto una sorpresa e sono partita per un po' di giorni ..
Comunque questa è la fine, davvero.
Mi mancheranno da morire, mi mancherà leggere le vostre recensioni ( siete state carinissime con me **)
Probabilmente farò un capitolo extra su quel famoso viaggio a Parigi, ma arriverà tra un bel po' ;)
Lorenzo e Samuele? .. Avevo già detto che avrei lasciato a metà la loro situazione, non so se fare una FF a parte su di loro o se pubblicare solo qualche One-shot.. vedrò
Bene, io vi vorrei ringraziare uno per uno per aver letto la storia, davvero GRAZIE. GRAZIE MILLE
.. Vorrei scrivere molte altre cose ora ma poi divento noiosa, perciò spero di non avervi deluso e che vi sia piaciuto anche questo epilogo.
Baci,
Cri

 

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