Legacy of the 4th

di Gan_HOPE326
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grief and sorrow ***
Capitolo 2: *** Ultimate secrets ***
Capitolo 3: *** Heavy violence ***
Capitolo 4: *** Need to be strong ***
Capitolo 5: *** Hokage ***
Capitolo 6: *** Nine tail demon fox ***
Capitolo 7: *** Those who inherit the will of fire ***



Capitolo 1
*** Grief and sorrow ***


Questa storia, nelle sue linee fondamentali, l’ho avuta in mente praticamente da quando ho cominciato a vedere Naruto

Questa storia, nelle sue linee fondamentali, l’ho avuta in mente praticamente da quando ho cominciato a vedere Naruto. Con il tempo l’ho affinata e migliorata, e mi sono deciso a scriverla solo negli ultimi mesi. Poiché credo che il mistero sia uno dei suoi punti di forza, non anticiperò nulla sul contenuto.

Ci tengo solo a dire che io ho scoperto Naruto solo attraverso la serie animata trasmessa in TV, e successivamente ho cominciato a collezionare la ristampa del manga. Questo significa che conosco la storia solo fino al volume 24 (uscito proprio oggi), e di ciò che accade dopo non so praticamente nulla. Siccome questa fanfiction si ambienta, invece, parecchi anni dopo il manga, non posso garantire che non ci siano incongruenze (del tipo, il personaggio X nella mia storia è vivo e invece dovrebbe essere morto, o viceversa). Per questo, e solo per questo, ho inserito la nota AU tra le avvertenze.

Direi che è tutto. Buona lettura, e commentate!

Legacy of the 4th

di Gan_HOPE326

1st – Grief and sorrow

These empty days are filling me with pain

After I left it seems my life is only rain

My heart is longing to the better times

When everything was still so fine

Stratovarius – “4000 rainy nights


Dove balla la foglia, arde il fuoco, diceva il Terzo Hokage; ma la pioggia spegne il fuoco, penso io, mentre davanti a me gli ultimi ostinati tizzoni ardenti si smorzano e infine muoiono con uno sbuffo di fumo bianco sotto le tediose e pesanti gocce d’acqua che li colpiscono. La pioggia flagella tutto questo paese ormai da settimane. La terra si impasta con l’acqua e tutto è fango; le case e gli alberi vengono trascinati via dalle alluvioni; il sangue, che non manca mai, viene lavato via, le mani tornano pure, o così sembra.

Mi chiamo Naruto Uzumaki, ho vent’anni, e sono un jonin del Villaggio della Foglia: ma se mi vedeste ora, non mi dareste un soldo bucato. Sto rannicchiato in una coperta, tremante di febbre, bagnato fino all’osso (nemmeno il fuoco mi conforta più con il suo calore, ormai), nel mezzo di una foresta ormai trasformata in pantano, sotto la pioggia che continua a picchiare, e io lascio che faccia come vuole. Ho altro a cui pensare. Alla decisione che ho preso ieri, ad esempio; a ciò che ha comportato, al presente, al futuro, ammesso che ne abbia uno. Ho rinunciato a tutto ciò che avevo, il mio paese, i miei amici, la mia vita.

Quel che è peggio, ho rinunciato al mio sogno, per sempre.

Vorrei, disperatamente, avere qualcuno al mio fianco, qualcuno più saggio di me, a cui chiedere consiglio. Vorrei che Sakura fosse qui; ma lei non c’è, non c’è più, in alcun luogo. Credevo di essermene fatta una ragione – era da tanto, ormai, che non ci pensavo più.

No, io non ho più Sakura, non ho più nessuno.

Ho solo ‘lei’.

- Non ci inseguono più. Si sono arresi.

Lei è appena tornata dal suo giro di ricognizione, eppure non è affaticata, non è sporca. Non lo è mai. Il suo abito lungo, pesante e candido ondeggia fluidamente secondo il ritmo dei suoi passi. I capelli rosso fuoco risplendono di un improvviso bagliore quando un lampo abbaglia il mondo. Lo sguardo deciso si fa improvvisamente tenero quando mi parla:

- Stai bene, Naruto? Tutto a posto?

La febbre si è fatta più forte in questi ultimi minuti. No, non sto bene. Mi sento il sangue bruciare in corpo come metallo liquido, e allo stesso tempo mi sento ghiacciare. Non rispondo nulla, alzo una mano tremante ad indicare il fuoco che si è spento sotto la pioggia.

- Capisco. Ci penso io.

Lei raccoglie poca legna, umida e verde, e ci posa sopra la mano. Il fuoco scoppia subito incredibilmente alto e vivace.

Inutile negarlo, è lei il motivo di tutto questo. E’ a lei che mi sono affidato, ciecamente, anima e corpo, senza pensare, né conoscerla davvero, senza sapere se è realmente chi dice di essere. Mi lega a lei qualcosa di diverso da quello che dovrebbe.

Eppure, quello che mi sta accadendo non manca di ironia, e all’inizio mi riusciva persino di sorriderne: perché tutti i miei problemi sono cominciati proprio in quello che avrebbe dovuto essere il giorno più felice della mia vita. Per la precisione ieri mattina, quando, poco dopo l’alba, a me, Naruto Uzumaki, è stato offerta la carica di Sesto Hokage di Konoha.

Il consiglio annunciò la decisione di eleggere Naruto Uzumaki al seggio di Hokage al sorgere del sole, dopo una lunga riunione notturna.

C’era la guerra, allora – c’è sempre la guerra. In quell’epoca era contro il Villaggio della Nuvola. Le forze di Konoha avevano battagliato a lungo con quelle nemiche nei territori di confine, cercando di arginarne l’avanzata. La Quinta Hokage si era gettata nella battaglia assieme a tutti gli altri. Curava i feriti, aiutava i combattenti in difficoltà. Chi la vide lottare, con forza furiosa e disperata, assalita da mille nemici, giurava di aver visto le sue ferite rimarginarsi all’istante svanendo come per magia. Alla fine, i ninja della Nuvola fuggirono, terrorizzati da quell’avversaria imbattibile; ma ci fu poca gloria in quella vittoria. Quando la riportarono al villaggio, su una barella, Tsunade era in fin di vita. Aveva esaurito tutto il chakra e rigenerato le sue cellule fino allo stremo. Incapace di mantenere il controllo della propria tecnica, era tornata al proprio vero aspetto, quello di una donna di quasi sessant’anni, dalla pelle cadente e le labbra esangui. La trasportarono lungo la strada principale mentre tutti gli abitanti del villaggio assistevano in silenzio a quella sfilata. Fu come un funerale: la portavano alla sua dimora, perché potesse morire in pace. Una mano pietosa le aveva steso un velo sul viso. Nessuno vide il suo volto anziano e provato, e tutti la ricordarono bella e fiera. Ma c’era la guerra: in guerra c’è poco tempo per piangere. La notte stessa, mentre ancora il Quinto Hokage agonizzava per gli ultimi momenti nel proprio letto, si riunì il consiglio degli anziani per eleggere il suo successore. E prima che nascesse il nuovo giorno la scelta era stata fatta.

La pioggia batteva sulla tettoia del chiosco di ramen di Ichiraku, con un ticchettio continuo e invadente, poi gocciolava via, unendosi al fango della strada.

- Maledetti jonin della Nuvola. – brontolò il vecchio che cucinava – Loro e le loro tecniche. E’ da quando è cominciata questa stupida guerra che non fanno che buttar pioggia e temporali sul nostro paese. Come diavolo faranno, poi…!

- C’è poco da fare. – disse rassegnato Shikamaru, che seduto al bancone sorseggiava un tè caldo. – Sembra che ci sia il Raikage in persona, ai confini del nostro paese. Usano il chakra per modificare il clima della regione e abbattere il morale degli avversari.

- Beh, per quanto mi riguarda, ci stanno riuscendo.

Il cuoco entrò nella dispensa, continuando a brontolare contro la Nuvola, contro i ninja e contro la guerra.

Naruto, seduto accanto a Shikamaru, non aveva detto neanche una parola. Fissava la ciotola di ramen davanti a sé. Rifuggiva ogni pensiero, inseguendo con lo sguardo gli strani vortici dei tagliolini che si rimescolavano lentamente, o le pigre volute di vapore che si levavano dal brodo caldo.

- Tu non sei il solito Naruto. Sei qualcun altro che ha preso il suo posto con la Tecnica della Trasformazione.

Naruto alzò lo sguardo e sorrise pallidamente.

- Rassegnatici, Shikamaru. Sono proprio io.

- Dici? Ma il Naruto che io conosco non avrebbe mai esitato così tanto a mangiare un ramen. Un ramen che gli è stato offerto per festeggiare la sua elezione ad hokage, poi!

- Hokage, già.

Shikamaru afferrò l’altro per una spalla e fece ruotare lo sgabello, in modo da averlo di fronte, e poterlo guardare negli occhi.

- Insomma, si può sapere che cos’hai? E’ da quando avevi dodici anni che ci hai fatto a tutti quanti una testa così a furia di ripetere che saresti diventato hokage, e ora che ci sei riuscito fai il broncio? Voglio dire, a quanti capita di riuscire davvero a realizzare il proprio sogno, e poi un sogno così ambizioso! Nel nostro tipo di vita…

E lasciò la frase a metà, accorgendosi di stare per toccare un tasto dolente.

- …la maggior parte delle persone muore senza realizzare nulla di ciò che sognava, dico bene? – concluse al suo posto Naruto.

- Sì. Più o meno. Quello che voglio dire è che proprio per rispetto a chi ha perso i propri sogni mi aspetterei che tu fossi più… entusiasta.

- Forse hai ragione.

Naruto tacque per un lungo istante, mentre un tuono rimbombava cupo tra cielo e terra.

- Ma non so perché, non ho proprio voglia di festeggiare nulla. Forse è per via di Nonna Tsunade, o perché questa responsabilità è un grosso peso, in un tempo di guerra come questo.

- Oppure perché i sogni, al mattino, lasciano un sapore amaro in bocca.

- Può darsi, Shikamaru. Sei più saggio di me.

Finalmente, prese in mano la ciotola di ramen e sorseggiò un po’ di brodo.

- Avrebbero dovuto scegliere te, come nuovo hokage.

- Per carità! – esclamò l’altro, inorridito. – E’ già abbastanza complicata così, la mia vita. Non mi servono altre rotture di scatole!

Naruto rise e mise mano alle bacchette. Dimenticata la tristezza di prima, pescò un fascio di tagliolini dalla ciotola, cominciando a mangiare avidamente. Sentiva il sapore pieno e salato della carne sulla lingua, se lo rotolava in bocca. Quel sapore, che lui aveva sempre amato, ora portava con sé anche tanti ricordi, si tingeva di nostalgia. Il vecchio maestro Jiraiya, che lo portava a quello stesso chiosco a ristorarsi dopo gli allenamenti. Kakashi, le missioni, il vecchio gruppo sette. Sasuke. Sakura.

La tristezza ritornò.

- Tu devi essere Naruto.

Naruto e Shikamaru si voltarono insieme verso la strada, da dove era venuta quella voce. Una voce femminile e melodiosa; calda, e insolitamente seducente,

- E tu, invece, chi sei? – chiese Shikamaru.

La donna si fece avanti a passo lento. Camminava sotto una pioggia torrenziale con assoluta disinvoltura, anzi con solennità. Appariva giovane, ma i suoi occhi tradivano un’età maggiore di quella che dimostrava. Occhi profondi e castani, di un colore tanto caldo da sembrare quasi arancione.

La vidi allora per la prima volta, e tanto mi bastò. I suoi occhi, al primo sguardo, mi si conficcarono nell’anima; i suoi capelli rossi e ondeggianti mi attiravano come la fiamma una falena; non avevo mai provato niente di simile. Non era attrazione o passione. Era una possessione. Nient’altro che la certezza, immediata e lancinante, che lei sarebbe stata la mia vita e la mia morte, che portava con sé tutto ciò di cui avevo bisogno, che ci legava qualcosa di profondo e inevitabile, un legame deciso fin da quando il mondo era stato creato, e prima ancora.

La vidi, e capii che lei era il mio destino.

- Ti ho trovato, alla fine. – disse, anzi cantò.

Si diresse subito verso Naruto, che la fissava ipnotizzato, senza la forza di parlare. Ferma davanti a lui, lo fissò dall’alto in basso, poi afferrò con una mano il suo volto, sotto il mento. Come una carezza, eppure con forza. Lo portò davanti ai propri occhi, per scrutarlo in ogni particolare.

e le sue dita, sulle mie guance, bruciavano come fuoco. Il cuore stava per esplodermi in petto…

- E’ incredibile. – mormorò la donna, affascinata. – Quanto gli somigli… quanto…

Per un attimo stettero entrambi fermi, a guardarsi, magnetizzati l’uno dall’altro. Poi Naruto trovò il modo di riscuotersi, mentre l’altra lasciava la presa sul suo viso.

- Perché non rispondi al mio amico? – chiese, cercando di assumere un tono brusco. – Dicci chi sei. Non puoi andartene a spasso per il villaggio se sei un’estranea. Siamo in guerra.

La donna lo guardò sorpresa, come se non si aspettasse nemmeno una domanda del genere. Poi sospirò e abbassò lo sguardo con tristezza.

- Immagino che tu abbia ragione. Ovviamente, non puoi conoscermi. E nessuno ti ha mai mostrato una mia immagine.

Si sedette su uno sgabello accanto a Naruto e lo guardò in un modo in cui non era mai stato guardato prima. Con affetto, e con tenerezza.

- Io sono tua madre, Naruto. – disse infine. – Mi chiamo Yume.

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Capitolo 2
*** Ultimate secrets ***


2nd – Ultimate secrets

2nd – Ultimate secrets

 

Sono in braccio a mia madre, mentre intorno la foresta corre via veloce. La pioggia è sempre più densa e fitta, tanta è la rapidità con cui ci muoviamo che l’acqua mi arriva in faccia con la violenza di un getto di ghiaia e sabbia; le gocce mi colpiscono, mi feriscono, addirittura. Perché andiamo così di fretta? Cosa ci minaccia? Gli uomini del villaggio non hanno rinunciato ad inseguirci? Yume ha detto così, poco fa.

-         Mamma…

-         Ssht, Naruto, non sforzarti. La febbre è alta. Rischi di peggiorare.

Non rischio: peggioro. Peggioro di continuo. La febbre mi sta divorando, e dannazione, non so nemmeno il perché.

In fondo, non mi importa, finché sono con lei, finché ho lei: o finché lei ha me, non c’è differenza. Posso abbandonarmi al corso degli eventi e lasciare che tutto scorra intorno a me. Del resto, da quando questa storia ha avuto inizio, tutto è stato veloce e incomprensibile, proprio come questa nostra interminabile fuga.

 

Naruto e Yume rimasero seduti, in silenzio, molto a lungo. Shikamaru, discreto e intelligente, aveva capito subito che era meglio lasciarli soli ed era svanito silenzioso come le sue ombre. Yume continuava a percorrere e ripercorrere con gli occhi i lineamenti del figlio, a seguire stupita le linee del suo volto con le dita affusolate. Il naso, disse, e il taglio degli occhi, e soprattutto, oh!, soprattutto i capelli, erano così identici. Quei capelli dorati come il mattino e un po’ arruffati.

-         Sei la sua copia esatta. – disse entusiasta. – Non potevo proprio sbagliarmi. Ti avrei riconosciuto tra mille.

-         Parli di mio padre, vero?

Yume fece cenno di sì, con un largo sorriso, una mezzaluna che splendeva ancor di più in mezzo alla rossa criniera dei suoi capelli.

-         Certo. Sei bello quanto lui.

-         Mio padre… – chiese esitante Naruto - …chi era?

-         Ma non sei altrettanto intelligente! – fece lei con una risata. – Davvero, credevo l’avessi capito. Non te lo dicono tutti, da quando eri bambino? Che sei identico a lui.

Lo prese per mano. Si alzarono e lo condusse fuori, in strada, sotto la pioggia. Indicò il monte che sovrastava il villaggio, dal quale i severi volti degli hokage scrutavano la vita e la Storia.

-         Quanti ragazzi di questo villaggio, svegliandosi al mattino, possono vedere il proprio ritratto scolpito nella roccia?

Naruto fissò le sculture che avevano sempre dominato la sua esistenza, onnipresenti ed immutabili; le sculture che una volta, da piccolo, aveva imbrattato di disegnacci e insulti; le sculture che raccontavano il passato della Foglia. Quattro volti; e tra quelli c’era anche il suo.

-         Mio padre è il Quarto Hokage. – affermò con certezza, come qualcosa che avesse saputo da sempre.

Yume lo strinse al suo fianco. Restarono insieme a guardare il monte, abbracciati, mentre la pioggia continuava a scorrere tutt’intorno.

-         Andiamo in un posto più asciutto. – disse infine la donna – Ci sono molte altre cose di cui dobbiamo parlare.

 

Per prima cosa, Yume raccontò a Naruto di come aveva incontrato suo padre, e di come lui era nato. Era successo quasi per caso, disse, ma era stato indimenticabile. Il loro primo incontro era stato a dir poco burrascoso.

-         Quella volta, ricordo che abbiamo addirittura combattuto. – raccontò ridendo. – Ma poi è nato qualcosa tra noi. Un legame; uno di quelli che durano per sempre.

-         Avete combattuto? Allora anche tu sei una ninja?

-         Me la cavo. Ma non faccio parte di alcun villaggio, quel che so fare l’ho imparato da me. Comunque, non molto tempo dopo sei nato tu. E’ stato un giorno che non dimenticherò mai. Lo stesso giorno in cui a tuo padre successe… insomma, quello che sai.

-         Perché te ne sei andata? Ho creduto per tutta la vita di essere orfano.

-         La gente del villaggio non mi amava molto, per via di quel che era accaduto tra me e tuo padre. Sono piccoli, di cuore e di testa. Era una specie di gelosia. Io ero straniera, eppure avevo con il loro prezioso hokage un legame più profondo di quanto loro non avessero mai avuto. Quando lui se ne andò, non ci fu più nessuno a difendermi dalla loro malignità. La mia vita divenne un inferno e fui costretta ad andare via. Avrei voluto portarti con me, ma la gente del villaggio ti reclamava in quanto figlio del Quarto Hokage. Eri la sua eredità: il tuo sangue apparteneva alla Foglia.

Naruto tacque un attimo, ricordando i primi anni della sua vita. Anni di odio e di emarginazione, in cui nessuno lo aveva mai apprezzato o incoraggiato. La solitudine di cui si era nutrito finché non aveva avuto, finalmente, l’occasione di emergere. Era vero, la gente del villaggio poteva essere molto gretta. Almeno, la maggior parte di loro.

-         Naruto…

Yume poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, intuendo i suoi pensieri.

-         Naruto, posso immaginare ciò che hai passato. Io sono fuggita, e tu invece non ne hai avuto la possibilità. So che non ci sono scuse per me, avrei dovuto trovare un modo per restare al tuo fianco, o portarti via con la forza, se necessario. Ti ho pensato così tanto. So che non è molto, ma ti assicuro che, almeno con lo spirito, ti sono sempre stata accanto.

Era colpa sua, in fondo. Era lei che mi aveva lasciato solo. Lei, che mi avrebbe dovuto difendere quando io ancora non potevo, e invece se n’era andata, era scappata, per vigliaccheria. Avrei dovuto odiarla, per questo, perché se fosse rimasta, forse, sarebbe stata sola anche lei; ma saremmo stati soli in due, e avremmo potuto sopportare, e darci forza l’un l’altro. Avrei dovuto odiarla, ma non ci riuscii allora, e non ci riesco neanche adesso. Non posso odiarla. Ho troppo bisogno di stare con lei, per odiarla.

-         Non fa nulla, mamma. – sussurrò Naruto – Non fa nulla.

-         Allora ascolta.

L’espressione di Yume cambiò improvvisamente. Si fece preoccupata; nella sua voce c’era un tono di urgenza.

-         Non ti ho protetto per vent’anni; troppi. Non che questo possa pareggiare i conti, ma oggi sono qui per avvisarti di un pericolo che incombe su di te. Se non seguirai i miei consigli, domani potresti essere morto.

Naruto cercò di obiettare qualcosa, sorpreso da quell’improvvisa trasformazione nell’atteggiamento della madre, ma lei gli fece cenno di stare in silenzio ed ascoltare.

-         Come ti ho detto, io sono al di fuori di tutti i villaggi, ma questo non vuol dire che non tenga i contatti. Ho qualche persona fidata che mi riferisce le ultime notizie, soprattutto su Konoha, e su di te. Sono qui perché ho saputo che sarai eletto Sesto Hokage. L’ho saputo addirittura prima di te; o meglio, l’ho immaginato, e oggi ne ho avuto la conferma.

-         Ma che significa? Come l’hai saputo?

-         Io conosco bene il mondo dei ninja. La guerra contro la Nuvola si protrae da troppo tempo. Questa pioggia sta devastando il paese del Fuoco, e altri villaggi pianificano di unirsi all’attacco alla Foglia, impegnandola su più fronti. La Foglia ha tutto l’interesse a firmare la pace il prima possibile. Perciò ieri hanno accettato una condizione che ha consentito loro di firmare un trattato segreto.

-         La pace è già stata firmata? – esclamò Naruto – Ma a me nessuno ha…

-         Detto niente, lo so. C’è un motivo per tutto. La condizione posta dal trattato è simile a quella che, anni fa, costò la vita a Hizashi Hyuga; e anche in questo caso, la Foglia ha intenzione di imbrogliare. Questa volta la Nuvola ha preteso il corpo dell’hokage in carica. Vogliono studiare la tecnica di rigenerazione di madamigella Tsunade, immagino. Ma loro non sanno che Tsunade è morta stanotte. Quindi, quando arriverà l’incaricato, l’hokage in carica non sarà più lei

-         Sarò io.

Naruto si portò le mani ai capelli. Pareva assurdo, una follia; eppure aveva senso. A ben pensarci, egli stesso, pur sapendo di essere molto forte, dubitava di essere davvero il ninja più forte del villaggio. E poi, mai era stato scelto un hokage di soli vent’anni.

-         Dovevano sacrificare qualcuno per salvaguardare il segreto di quella tecnica. – mormorò Yume – Mi… mi dispiace, Naruto. So che era il tuo sogno, e lo sapevano anche loro. Hanno scelto te proprio perché immaginavano che non avresti sospettato niente e avresti accettato senza pensare.

-         Mi hanno tradito.

Nient’altro. In fondo, non aveva poi nemmeno tanta paura di morire. Dopo anni di guerra e battaglie si era pian piano abituato all’idea che ogni giorno della sua vita poteva essere l’ultimo, come tutti i soldati. Ma il tradimento: quello era intollerabile. Lo stesso villaggio che lo aveva cresciuto, per cui lui aveva combattuto innumerevoli volte, difendendolo, soffrendo, uccidendo in suo nome, ora lo distruggeva, si serviva di lui come di un burattino per le proprie oscure manovre. Il suo sogno era stato, fin dall’infanzia, quello di diventare la suprema guida e il protettore del villaggio. Quel sogno gliel’avevano sporcato. Ora come ora, non valeva più nulla.

-         Mi hanno tradito.

-         Sono venuta per questo, Naruto. Possiamo fuggire. Stanotte stessa. Fatti trovare pronto, raduna le tue armi e quello che vuoi portare con te, a mezzanotte. Esci da casa tua: ci incontreremo sotto le mura, nei pressi delle porte del villaggio. Tutto chiaro?

Naruto annuì, senza parlare. Yume sussurrò un saluto e sparì.

Avevamo parlato per soli dieci minuti, e tutto, tutta la mia vita, era stata sconvolta. Tutto era cambiato. Solo la pioggia, testarda, era sempre la stessa, e continuava a picchiare.

 

Venne la notte; una notte nera e scrosciante. Naruto uscì da casa guardingo. Portava una sacca con pochi kunai e qualche rotolo, e si teneva sotto un telo mimetico, più per ripararsi dalla pioggia che per nascondersi agli occhi di qualcuno. In quell’oscurità, nessuno avrebbe potuto scorgerlo. Si mosse scivolando lungo i muri degli edifici. Oltrepassò uno dopo l’altro tutti i luoghi che gli erano più familiari e che stava per abbandonare. Camminava come in trance, senza soffermarsi a pensare a ciò che stava accadendo.

Agli amici che abbandonava.

Al passato che rinnegava.

Al villaggio che tradiva.

Al sogno che perdeva per sempre.

Sapevo solo che ‘lei’ mi aspettava, ed questo solo pensiero bastava a guidare i miei passi. Inesorabili, inevitabili, mi conducevano a lei; la mia volontà era la stessa di un pezzo di ferro che rotoli e strisci verso il magnete. E’ tutt’ora così. La mia vita si sfalda e va in pezzi, il mio corpo trema di brividi sempre più atroci che, è inutile che cerchi di negarlo, ormai, culmineranno con un ultimo, incontrollabile spasimo quando il mio cuore si fermerà. Fra un’ora, forse, o fra due; eppure io sono felice, ignoro ogni cosa, perché lei mi stringe tra le braccia, perché lei mi sussurra inutili e tenere consolazioni, perché lei mi porta in una inarrestabile corsa attraverso questa foresta sempre più buia. No, forse non è la foresta a farsi più buia: forse sono i miei occhi che si indeboliscono ogni minuto di più. Allora avevo solo iniziato ad intuire l’irresistibilità di questa attrazione, l’avevo appena assaggiata, eppure era stato sufficiente a convincermi a intraprendere quella disperata fuga da tutto ciò che conoscevo e amavo. E poi vidi qualcosa scintillare nel buio, qualcosa di chiaro, di luminoso. Poco prima avevo creduto con assoluta certezza che nessun occhio umano potesse scorgermi in una oscurità tanto fitta, e resa ancor più cupa dal diluvio. Vidi qualcosa che scintillava; capii cos’era, e capii di essermi sbagliato.

-         Cosa sei venuta a fare?

La donna emerse dalle ombre nelle quali si era celata fino a quel momento. Indossava una calzamaglia nera e aderente che lasciava scoperto solo il viso, grazie alla quale era riuscita a rimanere quasi invisibile. I corti capelli neri le colavano sulla fronte, impastati di pioggia; e sotto, lo scintillio che l’aveva tradita. Due larghi e tristi occhi bianchi.

-         Sono venuta a fermarti, Naruto. Rinuncia a questa follia.

Naruto e Hinata restarono fermi, l’uno davanti all’altra, in mezzo alla strada, pronti a combattere.

 

 

 

Secondo capitolo della fic, che, come annuncia il titolo, è carico di rivelazioni.

Grazie a chi ha letto e commentato il primo, riguardo agli aggiornamenti non preoccupatevi, metterò un nuovo capitolo ogni quattro-cinque giorni. La storia è finita tranne che per l’ultimo capitolo, che penso di completare nei prossimi giorni, quindi potrò aggiornare con un buon ritmo.

Un’ultima cosa: ho modificato la presentazione della storia, sostituendola con una che mi pareva più evocativa e adatta all’atmosfera della fic. D’ora in poi non cambia più, garantito! Al prossimo capitolo!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Heavy violence ***


3rd – Heavy violence

3rd – Heavy violence

 

She burns like the sun

And I can’t look away

And she’ll burn our horizons

 Make no mistake

Muse – “Sunburn

 

Ci siamo fermati da un po’. Mia madre mi ha lasciato sdraiato qui, sull’erba umida, a torso nudo, a riposarmi. Mi ha detto che il fresco avrebbe placato la febbre. Io sono caduto subito in uno stato di torpore troppo agitato e cosciente per poterlo chiamare sonno; anche ora, sono sveglio a metà. Lei mi aveva detto che sarebbe andata in ricognizione nella zona circostante. Ha mentito. E’ tornata qui in silenzio e si è avvicinata a me, credendomi addormentato. Glielo lascio credere. Si china accanto a me, e d’un tratto tocca il mio petto con la punta delle dita. Scorre lungo le linee dei muscoli, poi giù, verso il ventre. Io continuo a restare immobile, a respirare piano; ma temo che il mio cuore faccia un tale frastuono da farle capire tutto, e rompere questo strano incantesimo. Le sue dita premono sulla mia pelle in modo inquietante. Ora sembra che vogliano carezzarla, ora sembra che vogliano conficcarsi nella mia carne per strapparmela via. Sono forti, frementi, combattono con una loro volontà segreta. Scivolano sempre più giù, fino all’ombelico. Lì si fermano un istante, e poi Yume ritrae la mano, come scottata. Yume. Mia madre.

Mi lega a lei qualcosa di diverso da ciò che lega un figlio ad una madre.

La lega a me qualcosa di diverso da ciò che lega una madre ad un figlio.

Non lo capisco.

Non m’importa.

 

-         Ti mandano quelli del villaggio?

-         Nessun altro del villaggio sa ancora nulla. Ti ho visto, ho capito cosa volevi fare e sono venuta da sola.

Da quando era solo una timida ragazzina spaurita, Hinata era cambiata molto. Era diventata abile e forte, sicura e coraggiosa. Eppure non aveva mai perso fino in fondo la sua natura più profonda. Ora, davanti a Naruto, impugnava un kunai con mano ferma, i piedi saldamente puntati a terra; ma le sue labbra erano troppo increspate, le sue parole leggermente esitanti.

-         Perché fai una cosa del genere, Naruto?

-         Ho le mie ragioni.

-         Come le aveva Sasuke?

-         Non è la stessa cosa.

Volevo guardarla negli occhi, e non ci riuscivo. Volevo spiegarle tutto, e non potevo. Soprattutto, ora che l’avevo vista, ora che mi ero ricordato di quanta fiducia lei riponesse in me, avrei voluto restare. Sarebbe stata una ragione sufficiente. Ma già non ero più io il padrone di me stesso. Ero solo una foglia trascinata nei turbini del vento: e il vento avrei seguito. Avrei seguito Yume. Lei sola.

-         Quel kunai – disse infine Naruto, indicando la mano di Hinata che impugnava l’arma – significa che sei pronta a batterti pur di fermarmi?

-         Una volta, – rispose lei, senza il minimo tremore, nonostante gli occhi le si stessero velando di lacrime – una volta ti dissi che ti consideravo forte perché, anche quando commetti degli errori, sai sempre rialzarti e ricominciare. Lo penso ancora, Naruto. Ma questo! Da questo errore non puoi rialzarti, Naruto. Dopo questo errore non potrai più ricominciare. Se sono pronta a battermi, è per impedirti di commetterlo.

-         Capisco.

Scattarono insieme. Naruto verso un muro vicino, e Hinata verso Naruto. Il ragazzo toccò la parete con un piede e si diede una nuova spinta, dritto verso la sua avversaria, che correva con il kunai teso in avanti. Spinto dal suo impeto, Naruto finì dritto contro l’arma e venne trafitto in pieno petto. Hinata si fermò e lanciò un grido. Lasciò il kunai, abbandonò le braccia lungo i fianchi, cadde in ginocchio.

Con uno sbuffo di fumo, il falso Naruto si trasformò in un ciocco di legno; quello vero giunse silenzioso come un soffio di vento alle spalle dell’avversaria e le posò il filo di una lama sul collo.

Restarono congelati in quella posizione per un attimo. Gocce di pioggia scorrevano lungo la nuca di Hinata, giù sulla pelle chiara, giù fino al freddo acciaio che premeva contro la giugulare.

-         Giungeresti a tanto? – mormorò lei, piangendo.

-         Certo che no.

Naruto scostò il pugnale e si accovacciò accanto a lei.

-         Non posso dirti perché me ne vado. – disse piano – E’ un segreto. Non voglio metterti nei guai con il resto del villaggio, perciò meno sai, meglio è. Fidati di me, quando ti dico che non ho altra scelta.

-         Resta. – singhiozzò Hinata – Resta! Abbiamo bisogno di una guida. Abbiamo bisogno di te.

L’altro si rialzò. Un passo dopo l’altro, si incamminò lungo la strada che l’avrebbe portato via da Konoha.

-         Non avete bisogno di me. Avete bisogno soltanto di un cadavere. Basta cercare bene; di questi tempi se ne trovano tanti, sparsi per i campi di battaglia.

Furono queste le ultime parole che le rivolsi: amare come fiele. Un triste addio. Credevo che ciò che le avevo detto sarebbe bastato a convincerla a rinunciare a me.

Naturalmente, mi sbagliavo.

 

Sotto le mura, in mezzo all’ampio spiazzo adiacente alle porte del villaggio, stava Yume. Quando Naruto arrivò la vide subito. Era ferma, in piedi, sulla terra battuta. Teneva la testa leggermente buttata all’indietro, gli occhi persi nel cupo cielo notturno, il volto abbandonato alla pioggia. Il corpo, teso come un arco, vibrava ogni tanto per un tremito improvviso: forse di freddo, o forse di emozione. Sembrava immersa in una profonda e mistica estasi. Poi accadde una magia. Da qualche parte, tra le nuvole, si aprì uno spiraglio, lasciando filtrare un pallido raggio di luna che le cadde dritto sui capelli. Luce d’argento e chioma di rame si fusero insieme, splendendo nella notte. La sua irreale bellezza sfolgorava, pareva farsi eterea, la sua figura ritagliata nel tessuto di un sogno.

-         Credevo non dovessimo farci notare.

-         Oh, sei qui! – Yume tornò improvvisamente in sé, vedendo il figlio avvicinarsi – Scusami. Sono poco abituata a mimetizzarmi. Te l’ho detto, non sono una ninja.

Sorrise e abbassò il capo. Il miracolo di luce si dissolse.

Naruto ricambiò il sorriso:

-         Non fa nulla, ne valeva la pena. Io ho tutto qui con me. Sono pronto ad andare.

Yume annuì e fece cenno al ragazzo di prepararsi a saltare le mura. Flettè le gambe, pronta ad andare per prima; poi si fermò bruscamente.

-         Forse – mormorò pensierosa – forse è meglio che vada avanti tu. Sei più bravo di me a nasconderti. Vai in avanscoperta a vedere se ci sono guardie o pattuglie nella foresta. Io ti raggiungo fra un secondo.

Naruto restò interdetto, subito, ma poi pensò che in fondo era una buona idea e si disse d’accordo con la madre. Si avvolse nel telo mimetico, fece un cenno di saluto e saltò, tuffandosi nella notte, oltre la cinta muraria.

Yume prese a passeggiare lentamente nello spiazzo ora deserto. Misurava i passi e si muoveva senza fretta, con la calma di chi non deve fare altro che attendere. Giunta al margine dell’ampio piazzale, vicina al muro di un edificio, posò distrattamente la mano contro un alto mucchio di casse di legno vuote e abbandonate lì da qualche mercante chissà quanto tempo fa.

La mano prese a sfrigolare; il legno si scaldò e, nonostante fosse ormai bagnato e marcio, prese fuoco; un istante dopo, una nuvola di schegge e polvere si sparpagliò tutt’intorno, qualcosa di nero saettò fuori dalle casse, le casse stesse esplosero in migliaia di frammenti incandescenti, tutto ad incredibile velocità. Yume si voltò e fissò con sguardo glaciale la cosa nera che era uscita dalle casse e ora stava alle sue spalle, accovacciata tra i tizzoni roventi che piovevano da ogni lato.

-         Lo hai seguito, allora, bambina Hyuga. – commentò in tono sprezzante – Cosa vuoi da lui?

-         Solo farlo ragionare. – rispose Hinata con un sorriso forzato.

Si ripulì il volto con una mano. Nonostante avesse capito di essere stata scoperta un attimo prima di saltare in aria assieme al suo nascondiglio, non era riuscita ad evitare di bruciacchiarsi un po’. Aveva il volto coperto di fuliggine e sopracciglia e capelli strinati. L’attacco era stato semplicemente troppo veloce e inaspettato perché riuscisse a schivarlo alla perfezione.

-         Naruto non si sarebbe mai comportato come ha fatto se non ci fosse stato qualcuno dietro a manipolarlo. Ed infatti, eccoti qui. Cosa sei, tu? Una spia della Nuvola? Un sicario?

-         Niente di tutto ciò, bambina Hyuga. Perché non guardi tu stessa, con quei tuoi bellissimi occhi? Guarda e dimmi cosa sono.

Hinata fu scossa da un brivido, ma accettò la sfida. Nulla poteva restare celato allo sguardo penetrante del byakugan. Qualunque travestimento, qualunque bugia sarebbe caduta, la verità sarebbe emersa dai veli della finzione.

-         Byakugan! – gridò, portando la mano davanti al volto.

Gli occhi si dilatarono, le vene ai loro angoli si ingrossarono. Hinata fissò la donna per un istante, prima di essere presa da un’angoscia incontenibile.

Sentì il fiato mancarle. Non era possibile. Non aveva mai visto una cosa del genere. Era come incontrare un cadavere decapitato per la strada; un uomo senza testa che pure cammina, parla, saluta la gente.

-         Perché non vedo nulla? – gridò terrorizzata – Non riesco a vedere il tuo chakra! Non riesco a vedere i tuoi PENSIERI!

Indietreggiò di un passo, barcollando. Yume avanzò verso di lei.

-         Che cosa sei? Non dovresti nemmeno essere viva! CHE COSA SEI?

-         Povera piccola bambina Hyuga. – Yume non dimostrava alcuna soddisfazione nel vedere la propria avversaria così smarrita. Era semplicemente gelida. – Credevi di poter vedere tutto, e invece non puoi. Ci sono così tante cose che non puoi vedere, povera piccola bambina Hyuga!

Avanzava, un passo dopo l’altro. Hinata indietreggiò ancora, inciampò, finì a terra. Non aveva più alcun controllo di sé. Il suo terrore andava oltre la sua stessa comprensione.

-         Perché sei venuta? Perché vuoi portarci via Naruto?

-         Dimenticavo. Tu…

La voce di Yume si fece ancora più crudele. Aveva incontrato Hinata solo quella sera, eppure sembrava che la conoscesse da sempre, e che da sempre portasse un immenso rancore verso di lei.

-         …tu sei la troietta che se lo fila da una vita, Naruto. Credi che sia una tua proprietà.

-         COSA? NO, IO…

-         Ti sbagli, bambina Hyuga. Naruto è mio. E’ mio da sempre. Quello che ci lega è troppo profondo e diverso da qualunque cosa tu possa credere di provare per lui. E’ un destino: e lui stesso se ne è accorto, se sono bastate poche mie parole per convincerlo ad abbandonare questo posto e seguirmi. Ti svelerò un segreto.

E d’un tratto, dopo solo uno sbuffo di polvere, Yume fu accanto a Hinata, la prese per la gola, la sollevò, portando il suo orecchio all’altezza della bocca. La ragazza lottava disperatamente per non essere strangolata, tendendo al massimo i muscoli del collo. Yume sussurrò:

-         Tu non sei importante, bambina Hyuga. Tu non esisti nemmeno. Solo Naruto esiste. Solo Naruto è importante. Io lo aiuterò a sfuggire a questo vostro stupido, piccolo mondo.

La donna sollevò Hinata ancora più in alto, a quasi un metro da terra, senza alcuno sforzo. Poi fece un gesto brusco e la scagliò via, contro il portone del villaggio. I cardini andarono in frantumi e i due ampi battenti caddero sonoramente, sollevando una nube di polvere. Hinata riuscì a rialzarsi, nonostante sentisse le gambe così deboli da non credere che potessero sostenere il suo peso. Yume l’aveva già raggiunta. Ormai erano fuori dal villaggio; intorno, solo gli alberi dell’immensa foresta che ricopriva quasi tutto il paese del Fuoco.

Hinata recuperò un po’ di fiducia. Il dolore improvviso l’aveva riscossa dalla paura di prima, e ora si sentiva in grado di reagire. Inoltre, adesso lo spazio intorno a loro era ancora più ampio di prima. Avrebbe potuto sfruttarlo tutto per combattere al meglio. Forse c’era ancora qualche possibilità.

Tese le gambe, chiuse gli occhi, respirando via tutta la tensione. Aveva bisogno di assoluta concentrazione e serenità. Allargò le braccia in un ampio gesto. Il suo corpo affusolato sembrava ora quello di un elegante cigno nero, pronto a spiccare il volo.

Scattò. Poche cose in questo mondo sono altrettanto aggraziate ed affascinanti a vedersi dello stile di combattimento degli Hyuga; e nessuna di esse è altrettanto letale. Il suo corpo non si muoveva: scorreva, piuttosto, come un fluido, scorreva nell’aria, cavalcando le correnti del vento e dell’energia, e carezzava appena, con lievi lampi azzurri, la sua avversaria. Yume attendeva immobile, subendo tutti i colpi in pieno. Hinata, intorno a lei, sembrava essere ovunque, attaccava veloce e imprevedibile. Ora mirava ai punti vitali del chakra, i centri del corpo che controllano il flusso di energia vitale. Non poteva vederli, in quella strana avversaria, nemmeno con i suoi occhi portentosi, ma non importava. Andava a memoria, ricordava le loro posizioni esatte una per una. Ne colpì due, quattro, otto, sedici…

-         Ora basta giocare, bambina Hyuga.

Hinata sentì di nuovo le dita della sua avversaria serrarsi sul collo. Venne sollevata dal suolo per la seconda volta.

-         Le… le sessantaquattro chiusure… - balbettò con il poco fiato che le restava.

-         Io sono molto complicata. Sono diversa. – disse Yume, con il volto atteggiato ad una spietata durezza – Vediamo, bambina Hyuga: quale punizione può essere adatta a chi ha la presunzione di credere di poter vedere tutto? Ecco, ho trovato.

Hinata non ebbe il tempo di capire nulla. Vide solo la mano di lei muoversi rapida, l’indice e il medio tesi, allargati a formare una sorta di forbice: e fu l’ultima cosa che vide.

Urlò di dolore, mentre il sangue le colava sul volto, sulle guance, come un pianto cruento, nato da quell’indicibile sofferenza.

-         Così sei sistemata.

La donna lasciò andare Hinata. La ragazza barcollò e cadde bocconi. Prese a strisciare a terra, lentamente, dolorosamente.

-         I MIEI OCCHI! – gridò, e poi gridò ancora, un grido disarticolato di pura rabbia e sofferenza.

Strappò qualche ciuffo di erba umida e se lo portò alle orbite ormai vuote e sanguinolente, cercando di tamponare l’emorragia, o almeno di averne un po’ di refrigerio.

Sentì i passi di Yume allontanarsi, lenti, posati, come quando la donna aveva finto di passeggiare senza scopo prima di far esplodere il suo nascondiglio. Passi che non tradivano alcuna emozione. Nessuna emozione. L’aveva sconfitta, torturata, mutilata, e non provava NESSUNA EMOZIONE!

-         Tu non sei umana. – mormorò Hinata, sfinita.

-         Cosa sta succedendo qui?

E quella voce fu per Hinata come un balsamo. Una voce amica, finalmente.

Naruto avanzò sconcertato. Era appena tornato dal suo giro di ricognizione, e si trovava davanti ad una scena incredibile. Il portone del villaggio scardinato. Sua madre ricoperta di sangue rosso e fresco, che le scivolava via, lavato dalla pioggia. E a terra…

-         Hinata! – esclamò. Poi, rivolto a Yume:

-         Che cosa le hai fatto?

Per la prima volta vedeva la donna con occhi diversi. Per la prima volta dubitava di lei, anzi provava rabbia verso di lei, una rabbia profonda.

-         Naruto… mi dispiace, ho dovuto farlo. Lei voleva fermarci. Voleva che tu restassi qui a morire!

-         Hai DOVUTO farlo? Tu non hai nemmeno un graffio, addosso, e lei è quasi morta! Non ha più gli OCCHI, dannazione! CHE DIAVOLO TI E’ PRESO?

Hinata cominciò a strisciare, seguendo il suono della voce di Naruto. Lui era in pericolo. Ora non le importava più nulla di stessa: doveva avvisare lui, convincerlo che quella donna, quella strega, era solo una folle, che l’avrebbe certamente portato alla rovina. Giunse ad averlo vicino. Lo sentiva discutere adirato con la donna che chiamava mamma. Sempre meno adirato, sempre meno. Lei lo stava convincendo, lo stava ammaliando, chissà come.

Tese la mano, afferrò una gamba di Naruto. Il ninja abbassò lo sguardo, sorpreso.

-         Hinata

-         Lei ti sta mentendo, Naruto. – riuscì a balbettare la ragazza – Devi fuggire. Scappa via da lei.

-         STA’ ZITTA!

Con uno scatto d’ira, Yume calciò via Hinata, facendola urlare nuovamente di dolore. All’istante, Naruto estrasse un kunai e lo puntò contro la gola della madre.

-         Non mi importa chi sei. – ringhiò a mezza voce – Falle ancora del male, e non sarai più nessuno.

-         Naruto…

La voce della donna tornò tenera e affettuosa. Era impensabile che solo pochi attimi prima avesse dimostrato tanta furia.

-         Naruto, devi capire che in questo momento non puoi permetterti indecisioni. Devi scegliere che strada prendere.

Con un gesto leggero, Yume scostò la lama puntata al suo collo. Naruto non glielo impedì.

-         Io sono la vita. Il villaggio è la morte, e Hinata sta con il villaggio. Scegli tu, ma non dimenticare che non puoi avere entrambe le cose. Scegli se stare con lei…

E indicò la ragazza ninja che, stremata, giaceva a terra, sanguinando copiosamente.

-         o con me.

Disse così, e poi mi guardò dritto negli occhi; ed io ebbi, per un istante, l’immagine della desolazione che mi aspettava se mi fossi separato da lei. Lei era una fonte d’acqua di cui io avevo sete, una sete inestinguibile. Più bevevo di lei, più stavo accanto a lei, più sete avrei provato; ma il solo pensiero dell’arsura che mi attendeva se l’avessi lasciata per seguire una strada mia era intollerabile. La mia volontà ne fu annientata. Non potevo fare altro che seguire la sua strada. Per sempre, con tutto me stesso, ero solamente suo.

-         Starò con te, mamma. – sussurrò Naruto, chinando la testa.

-         Molto bene. – concluse Yume soddisfatta – Allora sistemiamo questa faccenda una volta per tutte. Tu, bambina Hyuga, sei veramente insopportabile.

Si chinò e afferrò il polso di Hinata. La sollevò tirandola per il braccio. Lei non oppose resistenza.

Là dove Yume la stringeva, la pelle di Hinata cominciò a sfrigolare per il calore sempre maggiore. La ragazza lanciò un grido.

-         Naruto! Aiutami! Brucia!

Mi dispiace, Hinata. Io avrei voluto aiutarti, ma non potevo.

-         Aiuto! Aiutami!

La carne si raggrinziva e si anneriva. Ora Hinata gridava con angoscia ancora maggiore. La sola idea di quello che stava per succederle le suscitava un terrore indicibile.

Non potevo. Se ti avessi aiutata, avrei perso ‘lei’…

-         AIUTO! TI PREGO, NARUTO!

Non quella morte, pregava tra sé e sé. Qualunque altra morte, ma non quella. Non quella. Non quella, maledizione!

e senza di lei, io non potrei più vivere.

Il dolore superò la soglia di quel che si poteva tollerare. Hinata lanciò un ultimo, acutissimo strillo di agonia; poi la natura ebbe pietà di lei e le fermo il cuore, risparmiandole il resto di quella sofferenza. Il suo braccio era già carbonizzato. Vedendo la sua vittima ormai senza vita, Yume smise di dosare il calore, e il corpo della ragazza prese fuoco all’istante.

-         Andiamo. – disse a Naruto.

Ma Naruto non si muoveva. Era piegato in due, per terra: rantolava e balbettava parole a metà.

Nell’istante in cui l’anima abbandonò il corpo di Hinata, io sentii il primo spasimo di febbre. Non so se sia stata una coincidenza, o piuttosto, come pensai istintivamente in quel momento, una punizione per la mia vigliaccheria a cui ormai non potevo più porre rimedio. Cominciò allora, così. Un bruciore indefinito e insopportabile nel profondo delle viscere. Cominciò allora, e fino ad adesso non ha fatto che andare peggio, sempre peggio.

-         Cos’hai, Naruto?

-         Non so. – mormorò quello, a stento. – Sto male.

-         Non ti preoccupare, ci penso io. – disse Yume, premurosa.

Si caricò il figlio in spalla e fletté le gambe.

-         Sbrighiamoci. – bisbigliò con un sorriso.

Partirono, saltando da un ramo all’altro, da un albero all’altro, e in un istante sparirono alla vista, immergendosi nel buio profondo della foresta.

Davanti alle rovine delle porte di Konoha giaceva il corpo di Hinata Hyuga. La pioggia insistente aveva spento le fiamme che lo consumavano. In mezzo al prato, adesso, c’era solo un tizzone contorto e fumante che non conservava più nulla di ciò che era stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Need to be strong ***


4th – The rising fighting spirit

4th – Need to be strong

 

Le nubi grigie ed opprimenti, fino ad ora una sola e indistinta massa nera illuminata a tratti da lampi che le fanno apparire livide e gonfie, cominciano a definirsi, contornate da un lieve alone rosato: il sole sta per sorgere. Perciò sono passate ormai più di sei ore da quando è cominciata questa fuga, da quando Hinata è morta, da quando questa febbre ha cominciato a divorarmi. Sei noiose ore d’inferno. Mia madre mi ha lasciato di nuovo per andare chissà dove nella foresta; mi pare avesse accennato a qualcosa tipo cercare del cibo. Ma io non ho bisogno di niente del genere, anche se non mangio più nulla dal ramen, appena assaggiato, che mi aveva offerto Shikamaru. Non mi serve, perché sento che non mi restano ormai che pochi minuti da vivere. La febbre è ormai la più alta che abbia mai provato. Quando non brucio, gelo, e in ogni caso gli spasmi di dolore che mi salgono dal profondo delle viscere fino alla pelle sono diventati così violenti da non poter essere sopportati a lungo.

Penso a Yume. E’ stata lei a portarmi fin qui; è stata lei ad uccidere Hinata; di lei non so se mi stia dicendo la verità o se mi abbia ingannato e attirato in una trappola; è lei che mi ha abbandonato qui con una scusa qualunque, in questi momenti di agonia, tanto da farmi pensare che, in realtà, voglia solo non essere presente quando esalerò l’ultimo respiro.

Yume.

Vorrei tanto morire con il suo volto negli occhi.

 

Il sole stava sorgendo anche sul paese del Fuoco, nonostante le nuvole impedissero di vederlo. Era un’alba umida e fredda, bagnata dalla pioggia che sembrava destinata a flagellare quelle terre per sempre. Finché la guerra fosse continuata la pioggia avrebbe continuato a cadere; tanto era il potere dei ninja della Nuvola. Eppure, a Naruto, sdraiato sull’erba di una radura, mezzo nudo, il volto mezzo affondato nel fango, parve che il diluvio stesse diminuendo d’intensità. L’acqua stillava dal cielo in fiotti più dolci, le gocce si erano fatte limpide e cristalline nella luce diffusa dell’alba. I lampi cessarono, e con loro il frastuono dei tuoni. Il tempo sembrò vibrare e fermarsi, in un attimo di pace irreale, e mentre tutto era avvolto da un silenzio fatto solo di lievi gocciolii d’acqua e frusciare di foglie alla brezza, le gocce che cadevano dal cielo restarono sospese a mezz’aria, ondeggiando morbidamente come i petali dei ciliegi che cadono a primavera. Tutto era fermo: o meglio, ciò che si muoveva lo faceva con tanta lentezza e dolcezza da parere fermo. Un cespuglio frusciò. Dalle fronde emerse una figura di donna, anzi di ragazza. Naruto la riconobbe subito.

-         Quindi è così che funziona. – mormorò a stento – Quando viene la tua ora e devi andare dall’altra parte, mandano qualcuno a prenderti.

La ragazza si fece avanti, emergendo dal chiarore soffuso che avvolgeva ogni cosa. I suoi capelli ondeggiarono lievemente al vento. Erano rosa come la luce dell’aurora. Gli occhi avevano il colore del mare. Parlò:

-         Non è ancora la tua ora, Naruto. Non ancora, se tu non lo vorrai.

-         Allora tu non dovresti essere qui! – esclamò Naruto, allarmato. Il delirio rendeva confuso tutto, come un sogno contorto: ma sentiva che c’era qualcosa che non andava – Tu non dovresti essere qui! Perché tu sei…

Si fermò. Restò bloccato per un secondo, sentendo il peso di ciò che stava per dire.

-         Tu sei morta, Sakura.

Non riuscì ad aggiungere altro. Sakura avanzava, con un leggero sorriso, ed era sempre più vicina a lui.

 

Successe tre anni fa.

Partimmo in cinque dal villaggio, tra jonin e chuunin. Era una missione come tante altre, e come tante altre comportava il rischio di non tornare a casa vivi. Noi non ci badavamo. Quando sei un ninja, l’unico modo per tirare avanti è dimenticarti dei rischi che corri e della gente che uccidi e pensare solo all’obiettivo, alla missione, a vivere un altro minuto. Così viviamo la nostra vita: minuto per minuto. Dovevamo fare da scorta a un daimyo che aveva fatto visita al nostro villaggio per firmare un trattato. Era un tipo gioviale e allegro, un po’ grassottello, per niente minaccioso. Nonostante avesse già con sé una scorta l’hokage volle che lo accompagnassimo anche noi fino al confine, come segno di buona volontà da parte della Foglia che suggellasse l’alleanza appena stretta. Quando eravamo quasi a metà strada, fummo attaccati da un folto gruppo di uomini senza coprifronte né altri segni di riconoscimento. Erano cinque volte più di noi; eppure, ce ne saremmo potuti sbarazzare facilmente, se solo…

Ecco, io non ne capisco molto di politica. Devo ammetterlo: sotto questo punto di vista, come hokage non sarei un granché. Non ho la più pallida idea del perché quel tale daimyo ce l’avesse tanto con noi, se tradirci e pugnalarci alle spalle gli sarebbe servito a pagare meno dazi su qualche rotta commerciale o che so io. Fatto sta che, in realtà, gli uomini che ci avevano attaccato erano soldati del daimyo, e quando, affrontandoli, ci aspettavamo di ricevere l’aiuto del resto della scorta, ci trovammo invece presi tra due fuochi. Dopo il primo attimo di sorpresa ci abituammo e riuscimmo comunque a vincere senza troppi problemi. Io stesso ho ficcato una lama nel cuore a quel viscido ciccione doppiogiochista che ce li aveva aizzati contro. Ma tu, Sakura, tu eri accanto ad uno degli uomini della scorta, quando l’attacco iniziò. Avevi parlato con lui per metà del viaggio, avevate fatto amicizia. Poi scattò la trappola, noi diventammo i loro nemici, e non avesti nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Quel tipo che ti era sembrato così simpatico tirò fuori un kunai e ti trafisse la gola.

Tu ti voltasti a guardarmi, sorpresa.

Il sangue ti scendeva giù lungo il collo.

Cadesti.

Non puoi essere qui adesso, Sakura. Tre anni fa, tu sei morta.

 

La visione si avvicinò ancora. Quando finalmente arrivò accanto a Naruto, si chinò e, prendendolo con un braccio, lo sollevò in modo che stesse seduto. Il suo volto ora era vicino, e Naruto non poteva avere più alcun dubbio.

-         Sakura, sei proprio tu?

La ragazza, all’improvviso, smise di sorridere. Alzò una mano e mollò a Naruto un ceffone così violento da fargli girare la testa.

-         CHE DIAVOLO TI PRENDE, NARUTO? – urlò infuriata.

-         Sei tu, ora ne sono sicuro. – Naruto rise sommessamente, ma dovette smettere subito: ogni sussulto acuiva i dolori della febbre, che erano tutt’altro che passati.

-         Guarda in che stato sei ridotto! – sbraitava intanto Sakura, che fissava il ragazzo dall’alto in basso, le braccia puntate sui fianchi – Moribondo, mezzo nudo, fuggitivo! Ma mi vuoi dire come hai fatto a finire così?

-         Cose che succedono. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui? Credevo fossi…

-         Morta, lo so. – concluse Sakura con noncuranza.

Sembrava che non desse tanta importanza a quell’argomento.

-         In effetti lo sono. Ma questo è un momento speciale, e sono riuscita comunque a venire in tuo soccorso. A quanto pare, hai proprio bisogno di aiuto. Santo cielo, quanto sei caduto in basso!

-         Sei nella mia mente, vero? – chiese Naruto – Ti sto solo immaginando. E’ il delirio.

-         Se sono nella tua mente? La risposta è complicata… diciamo di sì, ma non nel senso in cui tu credi. Non posso stare a spiegarti tutto, adesso. Non c’è il tempo, e, parliamoci francamente, tu sei troppo stupido per capire certe cose.

Stavolta Naruto, nonostante il dolore, non riuscì a trattenere una risata aperta. Battibeccare in quel modo era bello. Gli faceva dimenticare l’assurda situazione in cui si trovava, sdraiato in mezzo alla foresta, moribondo, a parlare con un fantasma o un’allucinazione. Rise, e si rese conto con sorpresa che il dolore, tutto sommato, era meno di quello che si aspettava. Si sentiva meglio, più leggero.

-         Ora che ci sei tu, sto meglio. – disse sorridendo – Forse non morirò.

Il volto di Sakura mutò espressione, dal rimprovero alla preoccupazione. La ragazza si sedette al fianco di Naruto e gli tastò la fronte. Poi gli prese il polso e, ad occhi chiusi, contò sommessamente i battiti del suo cuore. Scosse la testa.

-         Forse, Naruto. Ma devi fare uno sforzo in più. Sarà difficile. Accidenti, sarei dovuta venire prima. – Sakura ora parlava tra sé e sé, mordicchiandosi nervosamente il labbro – Ma quella strega era sempre tra i piedi… comunque, non importa più, ormai.

-         “Quella strega”? – fece Naruto, corrucciato – Parli di Yume?

E d’un tratto, feroce, torna. La febbre che sembrava essersi alleviata lancia un nuovo assalto, più crudele di tutti gli altri. La sento dentro il cuore, all’improvviso, come una mano di fuoco che me lo comprime, tentando di fermarlo, di schiacciarlo. Mamma, aiutami tu! Perché adesso non sei qui? Perché…

Il volto di Naruto sbiancò all’improvviso e il giovane spalancò la bocca cercando di respirare aria che non ne voleva sapere di entrargli nei polmoni. Strabuzzò gli occhi; il dolore gli toglieva il respiro. Sakura gridò allarmata e lo afferrò per le spalle, scuotendolo, cercando di strapparlo alla morte che sembrava ormai lo stesse portando via.

-         Naruto, concentrati! Ascoltami! Mi senti? Parla con me! Riesci a capire quello che ti dico?

Faccio sì con la testa, poi un altro spasmo prende il controllo dei muscoli del mio collo, mi costringe a buttare il capo all’indietro, rigido, in un gesto contorto.

-         Bene, Naruto! Rispondimi! Perché hai lasciato il villaggio? Perché hai rinunciato al titolo di hokage?

In qualche modo riesco a parlare. Ogni sillaba fa male come una lama rovente strappata fuori dalla mia gola; ma riesco a parlare.

-         Perché se fossi rimasto mi avrebbero ucciso… per far finire la guerra.

-         Solo per questo, Naruto? Per così poco hai rinunciato al tuo sogno?

-         Non è poco… Sarei morto! – protestò Naruto, riuscendo persino ad alzare un po’ la voce.

Il dolore continua ad aumentare. Perché mi torturi così, Sakura? Cosa vuoi da me?

-         E’ poco, invece, sì! Uno dopo l’altro, tutti gli hokage hanno dato la loro stessa vita per proteggere la pace del villaggio! In cosa saresti stato diverso, tu?

-         Mi avevano tradito. Era un inganno.

-         Certo, era un tradimento. Era un inganno. Ma fuggendo tu hai condannato il villaggio a proseguire la guerra! Moriranno degli innocenti! Bambini resteranno orfani! Non avresti dovuto proteggerli, se davvero tenevi tanto a loro?

-         No, io…

-         Tu non sei fuggito solo per questo! Tu avevi un altro motivo!

Yume. Non volevo allontanarmi da lei. Non volevo perdere lei!

-         No, non è vero…

-         A cosa stai pensando, Naruto? Cos’hai in mente, adesso?

Penso a Yume, vedo il suo corpo nella pioggia, come mi è apparso la prima volta, il suo splendido viso aureolato da quei capelli rossi… Il suo ricordo non attenua il dolore, non allontana la morte: ma mi sembra di poter morire più serenamente se negli ultimi attimi sarà lei l’unica immagine nella mia mente. Ecco, vorrei morire ora. Vorrei riposare. Con lei nella mente.

-         Rispondi, Naruto! A chi stai pensando? A lei, non è vero? A quella donna! A Yume!

Basta, smettila, Sakura! Smettila di tormentarmi! Voglio morire!

-         Sì, sì!  - gridò Naruto, estenuato. Purché stesse zitta! Purché stesse zitta!

-         E’ per lei che sei fuggito, vero? E’ per stare con lei!

-         Sì, sì! Sì! Lasciami in pace! Lasciami morire!

Il dolore, il dolore… l’immagine di Yume mi sfugge dalla mente… no, ti prego, resta qui con me… resta… fino alla fine…

-         Non ti lascio morire, Naruto! Cosa vuol dire lei per te? E’ perché è tua madre?

Naruto scosse la testa violentemente. Non era per quello, no, no! Non sarebbe bastato così poco!

-         E’ perché sei innamorato di lei, allora?

-         No, nemmeno, nemmeno! Basta!

-         Allora cosa vuol dire lei per te? Dimmelo! Presto!

Stammi accanto, Yume… non te ne andare… stammi vicino…

-         Lei ti fa sentire sicuro, non è vero, Naruto? Con lei non devi preoccuparti di nulla! Con lei non devi decidere nulla! Decide tutto lei per te! E’ questo che provi? Per questo hai perso la tua volontà?

-         Sì! Per questo!

-         Lei ti ha ingannato, Naruto! Ti ha teso una trappola! Ti sta mentendo! Te l’aveva detto anche Hinata, non è vero?

-         NO! Lei mi vuole bene! Se avesse voluto uccidermi, avrebbe potuto farlo, e invece non l’ha fatto.

-         Perché lei non vuole ucciderti! Sveglia, Naruto! Lei vuole tenerti lontano dal villaggio! Dal tuo sogno! Lo capisci, questo?

Perchè dovrebbe farlo? Perché… lei…

-         Hai avuto paura del tuo sogno che si avverava, di perdere lo scopo della tua vita, ed hai avuto paura della responsabilità. Lei ha fatto leva su questo, e tu sei fuggito, perché non aspettavi altro che l’occasione giusta!

-         No! No!

La febbre è rabbiosa, mi vuole sbranare, sbranare da dentro. Il cuore brucia come se avesse preso fuoco. Non posso sopportarlo un minuto di più. Voglio che finisca! SUBITO!

-         Tu hai fatto un giuramento, una volta, Naruto, ma adesso lo hai dimenticato. Ora te lo farò ricordare io.

Sakura afferrò saldamente il polso sinistro di Naruto e stese il suo braccio a terra con tanta forza da farlo scricchiolare. Poi prese un kunai dalla tasca che il ragazzo portava allacciata ai pantaloni e, con un gesto violento, lo piantò nel dorso della mano che gli aveva immobilizzato. Il dolore si aggiunse al dolore, e Naruto gridò come non aveva mai fatto prima.

-         Hai giurato di non farti mai più aiutare da nessuno!

Sì, è vero, ora ricordo.

-         Hai giurato di non scappare più!

Sì. Non voglio scappare, mai più.

-         Hai giurato di non avere mai più PAURA!

E’ vero.

Non voglio avere più paura.

Non ho più paura.

Non voglio più avere bisogno di nessuno.

Nessuno che mi dia ordini, nessuno che decida per me.

Nemmeno Yume.

Soprattutto, non Yume.

Il dolore svanì all’improvviso. Naruto riaprì gli occhi e si alzò in piedi. Riusciva a reggersi benissimo. Provò a muovere un braccio, una gamba. Nessun indolenzimento, nessuna difficoltà: era in forma perfetta, come dopo un lungo sonno riposante. Fissò incredulo la propria mano destra mentre piegava le dita una dopo l’altra. Controllava benissimo anche i più piccoli movimenti del corpo. Gli riusciva difficile credere che, fino a pochi secondi prima, era sul punto di morire. Alzò lo sguardo verso Sakura, sorpreso, come a chiederle cosa stesse succedendo.

-         Ora sei libero, Naruto. – disse la ragazza sorridendo.

Sospirò e si accovacciò a terra. Era sfinita dalla fatica e dalla tensione.

L’ultima pioggia toccò terra, e poi l’acqua smise, finalmente, di cadere. Il vento che soffiava leggero ma continuo cominciò a disperdere le nuvole che affollavano il cielo. Il sole appena sorto da dietro l’orizzonte gettò la propria luce su tutto, rischiarando l’aria e facendo splendere le foglie degli alberi, che luccicavano di piccole gemme verdi, gocce d’acqua che si erano comodamente annidate tra le venature.

Naruto guardò in alto, verso il sole, verso l’azzurro che rivedeva finalmente dopo tanto tempo.

-         Tornerò al villaggio. – disse infine – La pioggia è finita: forse anche la guerra lo è. Non so. Comunque, io tornerò al villaggio e mi assumerò le mie responsabilità. Se dovrò essere condannato per la mia fuga, accetterò la mia punizione. Se mi vorranno ancora come hokage, lo sarò, fosse anche solo per un giorno.

-         Ti vorranno. – assicurò Sakura – E’ troppo importante, in questo momento. Solo se tu diventerai hokage tutto avrà fine, e tutto potrà ricominciare.

Sembrava assolutamente sicura di ciò che diceva. Le sue enigmatiche parole erano indizio del fatto che sapeva molto più di quanto non sembrasse; d’altro canto, Naruto intuì che la ragazza non avrebbe voluto dirgli più di quello, e non chiese oltre. Avrebbe scoperto da solo tutto, una volta giunto a Konoha.

-         Meglio così. – concluse.

Afferrò il kunai che aveva ancora conficcato nella mano sinistra e con uno strappo secco lo sfilò dalla carne, stringendo i denti per l’acuto dolore. Poi, dal momento che la ferita sanguinava parecchio, estrasse un rotolo ricoperto di formule magiche dalla bisaccia, lo svolse e lo strappò per il lungo, facendone molte striscioline di carta con cui si fasciò la mano e arrestò l’emorragia.

-         Poco ortodosso. – commentò Sakura, con un risolino.

-         Ma efficace. – ribatté Naruto. Poi, guardandosi la mano bendata:

-         Certo che tu potevi anche andarci più leggera, no?

Per tutta risposta, Sakura fece spallucce.

-         E Yume? – chiese poi.

-         Non temere. Non ho ben capito cosa mi abbia fatto o perché ce l’abbia con me, ma non cadrò più nelle sue trappole.

-         Siamo sicuri? Non è che appena mi volto tu ti attacchi di nuovo alle sue sottane?

La ragazza aveva parlato con tono canzonatorio, e Naruto le diede sulla voce, punto nel vivo:

-         Certo che no! Io dico le code così come stanno e non cambio idea, non ricordi? E’ questo il mio credo ninja!

-         Così si parla! – rise Sakura – Ora sì che ti riconosco, Naruto!

Si incamminò verso il limitare della radura. Naruto ebbe la sensazione che sarebbe scomparsa non appena le fronde l’avessero nascosta alla vista. Ma lei non poteva andarsene: c’era ancora una cosa che aveva bisogno di chiederle.

-         Sakura…

-         Sì?

-         Da dove vieni tu… insomma, dall’altra parte; ecco, hai incontrato anche Hinata?

Sakura chinò la testa tristemente e fece cenno di sì.

-         Lei non è voluta venire, Naruto. E’… molto delusa da te.

-         Capisco. So che è poco, ma chiedile scusa da parte mia.

-         Sì. Certo.

La ragazza riprese a camminare. Naruto si voltò dal lato opposto. Quando tornò a guardare, Sakura era scomparsa. Al suo posto, solo pochi petali rosa volteggiavano mossi da un leggero ed invisibile vortice di vento. Strano a dirsi: perché, lì intorno, non c’erano fiori di quel colore.

 

 

 

Comunicazione di servizio: sono orgoglioso di annunciarvi che ho ufficialmente scritto anche l’ultimo capitolo di Legaci of the 4th, e perciò d’ora in poi gli aggiornamenti non subiranno inceppamenti di alcuna sorta. I capitoli sono in tutto sette, uno in più di quanto avevo originariamente previsto.

X Fantafresh: grazie, tantissime, della recensione come del tuo parere di “esperta” del fandom di Naruto. Mi è stato di grande aiuto. Ti rispondo punto per punto.

Per quanto riguarda i suffissi giapponesi, come avrai intuito, la loro assenza deriva principalmente dal fatto che ho conosciuto “Naruto” dall’anime trasmesso su Italia 1, quindi non li considero nemmeno, e se li usassi probabilmente li sbaglierei anche XD. C’è comunque anche una componente di “purismo”, per così dire, per cui, quando una cosa si può esprimere bene con parole italiane, sono piuttosto restio a fare ricorso a stranierismi vari, che mi danno l’impressione di essere un po’ fuori posto.

Sul capitolo 2 che manca di fascino sono d’accordissimo, infatti è quello che mi piace di meno. E’ un capitolo di transizione, quelle cose dovevo dirle per fare andare avanti la trama, ma non mi è venuto un granché bene. Come dire, era uno sporco lavoro che dovevo pur fare XD. Prometto che questo non si ripeterà più. Hai ragione anche a farmi notare che la storia è strettamente monotematica, centrata sempre su Naruto. Questo, però, rientra in un piano preciso, ed è un effetto voluto.

Infine, l’amour ♥ XD. Qui entra la mia irrefrenabile tendenza a fare le cose il più a modo mio possibile. Quando scrivo cerco sempre, non dico di evitare i luoghi comuni, ma proprio di affrontare in modo originale e se possibile “anticonvenzionale” quasi ogni tematica. Capisco anche che questo voglia dire correre il rischio di non incontrare i gusti di chi legge; d’altronde, se facessi diversamente, non mi divertirei a scrivere, e se uno non si diverte, che senso ha? Detto questo, sappi che comunque questo tuo appunto mi ha fatto riflettere, e, senza specificare di più, ti dico solo che è stato grazie ad esso che ho avuto una certa idea che poi ho messo in atto in un capitolo più avanti… quindi, l’amore non sarà del tutto assente dalla fic, e anzi devo ringraziarti per aver dato il via a un’associazione di idee che mi ha portato a scrivere un pezzo secondo me molto bello (poi giudicherai tu stessa). Grazie ancora!

X kospades: grazie dei complimenti, spero che il seguito della storia ti piaccia ancora di più.

Dici: “Da un paio di indizi penso di aver capito qualcosina sull'identità della madre di Naruto: spero solo che non abbiamo avuto la stessa idea!”

Ecco… lo spero anch’io XD. Chi vivrà vedrà, immagino. Ma è una fic in pubblicazione, la tua? Nel caso vado a darci un’occhiata e mi faccio un’idea.

Dici anche, a proposito della morte di Hinata: “…anche se io, che sono tanto cattivo, avrei avuto qualche dritta per rendere la scena peggiore…”

Forse potevo riuscirci anch’io, in effetti (se voglio so essere molto cattivo… confesso la mia ignoranza, non conosco questo Hassel, ma comunque faccio le mie brave letture diseducative pure io): ma non me la sentivo proprio di infierire su Hinata. Mi piace troppo. Già mi è dispiaciuto così…

 

  

 

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Capitolo 5
*** Hokage ***


5th – Hokage

5th – Hokage

 

But now I'm safe in the eye of the tornado
I can't replace the lies, that let a 1000 days go
No more living trapped inside
In her way I'll surely die
In the eye of the tornado, blow me away

Megadeth – “Tornado of souls

 

Finalmente sei arrivata.

Ti ho aspettata. Non troppo a lungo, a dire il vero: devi esserti accorta che qualcosa non andava, nel tuo strano e contorto piano. Che io non sono morto consumato dalla febbre che, chissà come, eri riuscita a insinuarmi nel corpo. Come hai fatto? Forse hai visto che ha smesso di piovere - forse anche questo ha qualche legame con me e con la mia guarigione? Non lo so. Non capisco cosa mi stia accadendo. Sono sicuro che tu conosci tutte le risposte, ma sono altrettanto sicuro che, se te le chiederò, riceverò da te solo bugie, come è successo finora, bugie e una dolce tentazione: quella di smettere di lottare e pensare con la mia testa, di abbandonarmi a te, di trovare tra le tue braccia e nelle tue tenerezze un riposo che assomiglia troppo alla morte. Non cederò più a questa tentazione. Non crederò più alle tue bugie. Sei davvero mia madre, poi? Non so nemmeno questo. So solo che adesso tornerò al villaggio e diventerò ciò che ho sempre voluto essere, perché questa è l’unica cosa che conta davvero. E’ questo che ho intenzione di dirti, adesso.

Vieni avanti, Yume. Dobbiamo parlare, per l’ultima volta.

 

Yume emerse dal fitto intrico vegetale della foresta e vide Naruto che, in piedi e perfettamente in salute, la fissava con sguardo deciso. Di fronte a questo spettacolo inatteso dimostrò un attimo di sorpresa, poi corse verso il figlio.

-         Naruto! – gridò – Sei guarito!

Si gettò ad abbracciarlo. Grazie al cielo, mormorava, grazie al cielo ce l’hai fatta; si strinse forte al suo petto, e Naruto sentì le sue lacrime di gioia inumidirgli la pelle. Si mise a piangere, Yume, poi a ridere, poi a piangere e ridere insieme, singhiozzando e parlando al tempo stesso, la voce interrotta da brevi singulti.

-         Sei salvo. – bisbigliò infine, più serena, sempre abbandonata in quell’abbraccio disperato – Credevo che stessi per morire. Non sai quante volte ho temuto che…

Con un gesto gentile ma fermo, Naruto la allontanò da sé.

Yume lo guardò quasi spaventata. La freddezza del ragazzo era assoluta.

-         Che cosa ti succede? – chiese con una punta di angoscia nella voce.

Naruto non rispose. Si limitò a raccogliere le sue cose, che erano ancora sparso per terra. Prese la giacca della tuta e si rivestì, poi valutò forza e direzione del vento inumidendosi un dito. Osservò la posizione del sole, per recuperare il senso dell’orientamento.

-         Io torno al villaggio. – disse infine.

-         NO! – gridò Yume con disperazione – No, non puoi! Che cosa speri di ottenere? Ti uccideranno!

Naruto continuò ostinatamente a tacere, e proseguì con i suoi preparativi. Da lontano, da chissà dove ad est, proveniva un suono ritmico e pesante, tonfi che si succedevano uno dopo l’altro, come passi di un gigante. Yume restò un momento in ascolto di questo curioso rumore, ma poi vide che Naruto stava per andarsene e gli si gettò davanti, a braccia spalancate. Tremava.

-         Tu non andrai a farti ammazzare inutilmente, Naruto. Non te lo permetterò.

Fece scivolare fuori da una larga tasca del suo ampio vestito bianco un lungo pugnale lucido dalla foggia insolitamente ritorta e gotica.

-         Non voglio perderti di nuovo. – aggiunse, bisbigliando - Ti fermerò a qualunque costo.

 Per tutta risposta, Naruto estrasse a sua volta un’arma, il kunai che ancora gocciolava del sangue della sua mano sinistra.

-         Tu non puoi perdermi, perché non sei mai stata accanto a me. Se vuoi restare con me, non ti impedirò di seguirmi fino al villaggio: ma io, dal canto mio, non ho intenzione di cambiare idea.

-         Sei un folle! Non devi farlo!

Yume sembrava impazzita per la paura. Tremava violentemente, piangeva, la voce era roca e quasi deformata in un urlo che trasmetteva una passione ed un’angoscia più profondi degli abissi dell’oceano.

-         Non te lo lascerò fare! – aggiunse – Sono pronta a combattere, per impedirti di commettere questo errore!

-         Hinata… - mormorò Naruto, fremente. La mano con cui teneva il kunai si strinse sull’impugnatura con tanta forza da sanguinare. La rabbia gli incrinava la voce. – Hinata mi aveva detto la stessa cosa, PRIMA CHE TU LA MASSACRASSI!

Si gettò contro Yume con intenti omicidi, l’arma puntata dritta contro il cuore di lei. La donna saltò, tanto velocemente e tanto in alto da sparire alla vista del suo avversario. Un attimo dopo era alle sue spalle. Muoveva il pugnale con destrezza, e Naruto riuscì a schivare solo i primi due fendenti. Il terzo fu costretto a bloccarlo con il suo kunai.

L’acciaio cozzò, mandando scintille, e Naruto sentì che il suo polso quasi si slogava nello sforzo di arrestare l’arma avversaria. Quanta forza aveva Yume, per riuscire ad esercitare tanta pressione con una lama così corta?

Alla fine riuscì a deviare il colpo, che finì a vuoto. Non ebbe però nemmeno il tempo di recuperare l’equilibrio che Yume attaccò di nuovo. Non mirava ai punti vitali, eppure combatteva con una determinazione spietata, con tutta la sua forza, e con la violenza e la rapidità di chi cerca di finire il proprio avversario.

Costretto ad indietreggiare, Naruto finì per inciampare, e si ritrovò con la schiena a terra e Yume che, da sopra, lanciava un attacco contro la sua spalla destra. Si preparò ad incrociare di nuovo le lame.

“Sperando che stavolta il polso non mi si rompa del tutto” si disse, mentre portava avanti il kunai.

Invece, non accadde nulla del genere. Il pugnale di Yume, da lucido che era, divenne rosso e arroventato, toccò l’arma di Naruto e semplicemente la tagliò, come burro, fondendola nel punto di contatto. Raggiunse la spalla e vi si conficcò. La ferita non sprizzò nemmeno sangue, immediatamente bruciata dall’acciaio rovente, e Naruto ebbe un singulto di dolore, trattenendo a stento un grido. Messa all’improvviso di fronte alla vista del grave colpo inferto al figlio, Yume trasalì e lasciò immediatamente andare il pugnale.

-         Mi dispiace! – balbettò, portandosi le mani al volto – Mi dispiace, io non voglio farti male… non voglio ucciderti!

-         Questo lo so. – rispose Naruto – Me l’hanno detto. Tu non vuoi uccidermi: tu vuoi tenermi lontano dal mio sogno.

E’ una strana sensazione: la mia coscienza comincia a dissolversi...

-         Ma non ci riuscirai. – concluse con un sorriso.

e infine scivola via, e rifluisce nel mio unico vero corpo.

E’ una strana sensazione. Come sempre.

La copia di Naruto sparì, lasciandosi dietro un filo di fumo bianco. Yume, che l’aveva preso tra le braccia, vide le proprie mani stringere solo l’aria. Le ci volle un momento per capire di essere stata ingannata.

Poi si alzò in piedi, ormai priva di ogni parvenza di tenerezza, tristezza o disperazione. Il suo volte era semplicemente sfigurato da una disumana furia. Un’ira incontenibile che si traduceva in calore intorno a lei. L’aria ondeggiava e turbinava in correnti scomposte e caotiche; l’erba iniziò a strinarsi e ad annerirsi; e poi, come un’esplosione, un’onda di fuoco si propagò in cerchio intorno alla donna, incenerendo cespugli, alberi, animali e tutto quanto si trovava sulla sua strada, fino a quasi un chilometro di distanza, mentre Yume gridava, gridava, gridava, con tutta la sua frustrazione e la sua rabbia, un grido stridulo e feroce, raggelante, un grido di morte.

Molto lontano da dove si trovava Yume, ad est, avanzava, con un suono ritmico e pesante, con passi da gigante, un colossale rospo in tenuta guerriera. Sulla sua testa, Naruto si voltò indietro preoccupato, sentendo l’urlo inumano alle proprie spalle.

-         A quanto pare hai fatto arrabbiare la mamma, eh, ragazzo? – grugnì Gamabunta, ridacchiando.

-         Ah, sta’ zitto e corri. – mugugnò Naruto. Aveva sperato di potersi chiarire un po’ la situazione, e invece quella sembrava farsi ad ogni minuto più enigmatica. Il rospone, però, non fu molto comprensivo:

-         Ehi, moccioso, porta rispetto o vai avanti a piedi! Io sono il Signore dei Rospi, mica un mezzo di trasporto! E’ già degradante che tu mi abbia evocato solo perché ti portassi in fretta al villaggio…

-         Ma per forza! – esclamò il ragazzo, dimostrando una sincera ammirazione – Nessuno può superare in velocità te e i tuoi poderosi salti, Grande Capo!

-         Così va meglio. – borbottò soddisfatto GamabuntaReggiti forte che acceleriamo. Vedrai quanto posso essere veloce!

Così, a grandi salti, Naruto si avvicinava al Villaggio della Foglia, e al suo sogno.

 

-         Grazie ancora per avermi aiutato, Grande Capo. Ci vediamo.

-         E’ stato un piacere. Addio!

Gamabunta sparì con un’esplosione di fumo e Naruto restò solo, nella radura che si allargava davanti alle porte del villaggio. Il sole era ormai alto in cielo e le pozze d’acqua lasciate dalla pioggia si stavano rapidamente seccando. Il ninja mosse un passo in avanti verso le mura, poi si fermò un attimo, esitando.

Avanti, Naruto!

Si riscosse dall’inquietudine e riprese a camminare, con passo svelto e quasi forzato. Al centro dello spiazzo il fango era sporco e misto a una sostanza annerita; in altri punti, qua e là, era intriso di rosso. I segni della battaglia della notte prima. Il ragazzo li oltrepassò evitando accuratamente di calpestare tutte le macchie, che cercava di non guardare nemmeno. Fu grato che qualcuno avesse trovato e portato via almeno il corpo di Hinata.

Giunse alle alte porte di Konoha. I pesanti battenti di legno giacevano ancora a terra, scardinati. Era sorprendente che, in tempo di guerra, nessuno li avesse ancora riparati.

Naruto alzò gli occhi verso la sommità delle mura. Niente sentinelle di guardia. Forse la guerra era finita davvero: ma, anche in un periodo di pace, tanta trascuratezza sarebbe stata considerata criminale. Sospettoso, il ninja varcò la soglia del villaggio.

Cammino lentamente, misurando i passi e scrutando tutto ciò che mi sta intorno. Assaporo e pondero ogni percezione. Il silenzio mi stordisce. Nessuno si muove, il villaggio sembra deserto, abbandonato: ma questa calma irreale non mi inquieta, anzi, provo una leggera ebbrezza nel camminare solo per questa via di solito affollata. La ragione mi dice di stare all’erta, ma non l’ascolto. Mi lascio trasportare dall’entusiasmo, come un bambino, e vado sempre più veloce, comincio a correre, a saltare per la strada.

Questo è il mio villaggio, penso. E’ qui che sono nato, è qui che sono cresciuto e diventato forte, qui ho tutti i miei amici. La mia vita è tutta qui.

Questo è il mio villaggio: sono tornato.

Proseguo nella mia corsa a perdifiato lungo la via, sollevando la polvere. Stringo gli occhi e lascio alla mia memoria il compito di dirigermi, mi abbandono al vento che soffia sul mio volto. Oltrepasso l’accademia e il chiosco del ramen. Qui c’è la casa di Shikamaru, penso, qui quella di Ino, qui la grande residenza della famiglia Hyuga.

Sono vicino al centro del villaggio, riapro gli occhi. Intorno, da lunghi fili tesi tra gli innumerevoli pali, pinnacoli e rostri di cui ogni edificio è irto, pendono mille bandierine variopinte che oscillano leggermente al soffio della brezza. Le hanno messe per festeggiare la cerimonia di elezione dell’hokage, la mia elezione! Sono per me! Per me le lanterne che adornano le facciate dei palazzi! Per me i festoni colorati che sventolano dai balconi! Non ho mai sognato nient’altro, in tutta la mia vita. Sono stato un pazzo a rischiare di perdere tutto ciò. E davanti a me…

All’improvviso, sono arrivato. La piazza centrale. Le scale, il palco da cui si domina tutto lo spazio sottostante. Salgo i gradini uno ad uno, come in trance. Giungo alla sommità, dove è stato sistemato un piccolo banchetto di legno. Posati su di esso, le lunghe vesti rituali dell’hokage e il cappello triangolare e rosso con l’ideogramma del fuoco, il simbolo dell’autorità su tutta Konoha. Attendono qualcuno.

Attendono me.

Tendo le mani, che tremano un po’, verso il cappello; ma un attimo prima di toccarlo rinuncio e lascio cadere le braccia lungo i fianchi. Resto fermo, a fissare le vesti e il copricapo, a riflettere.

In piedi davanti ai drappi bianchi che sventolavano pigramente, Naruto restò immerso nel silenzio per qualche secondo. Poi sentì qualcosa: un rumore. Un sottile mormorio che si levava alle sue spalle. Un mormorio sempre più forte, sempre più forte, che diventava il suono di un mare in tempesta, un mare di voci che esultavano e acclamavano. Allora si voltò, e li vide.

Sono tutti qui. Davanti ai miei occhi, nello spiazzo fino a un secondo fa deserto, tutti gli abitanti del villaggio, quelli che conosco e quelli che non conosco, si affollano e gridano il mio nome. Sono comparsi all’improvviso, chissà da dove. Vedo i volti dei miei amici, il mio primo maestro Kakashi, il vecchio Jiraya, là nell’angolo, un po’ in disparte. Il giovane Konohamaru. Ci sono tutti, tutti quelli che mi hanno aiutato a scrivere la mia vita, un giorno dopo l’altro, tutti quelli grazie ai quali sono qui, oggi, quassù su questo palco, pronto a diventare la loro guida.

Non so come abbiano fatto, cosa stia succedendo. So solo che è tutto come nei miei sogni. E’ tutto perfetto. Mi volto di nuovo, stavolta raccoglierò il copricapo, lo indosserò e sarò finalmente ciò che ho sempre voluto essere.

E’ tutto perfetto.

E poi lei rovina tutto.

L’esplosione fu improvvisa e sconvolgente. Il suolo tremò e una casa ai margini della piazza si dissolse in una nube di polvere gialla che investì la folla come una valanga. Non c’era nulla che potesse bruciare, solo nuda terra e sassi: eppure là dove l’edificio era stato spazzato via rimase un fuoco alto e feroce, tanto ardente e luminoso che persino guardarlo era doloroso per gli occhi. Nessuno avrebbe potuto avvicinarsi alle fiamme.

Nessuno, tranne colei che le aveva accese e che ora vi camminava in mezzo, senza scomporsi, senza bruciarsi, senza che nemmeno il suo candido e lungo vestito si macchiasse di fuliggine.

-         NARUTOOOOO!  - gridò Yume, furibonda, con il volto deformato dalla rabbia e i capelli che ondeggiavano minacciosi, lingue di fuoco ancor più ardenti di quelle che bruciavano alle sue spalle.

Il panico si diffuse tra i presenti come un’onda, partendo dal centro dell’esplosione fino a raggiungere gli angoli più lontani della piazza. La folla, fino a poco prima tranquilla e ordinata, divenne un animale impazzito che si contorceva e si rimescolava, preda di istinti opposti. Donne e bambini correvano disordinatamente accalcandosi verso le poche vie di fuga, spingendo, gridando, strattonandosi e calpestandosi a vicenda. Gli uomini avevano impugnato le armi: molti di loro tentavano di imporre un ordine, di placare gli animi ed evacuare la grande piazza nel modo più sicuro, ma alcuni parevano impazziti e si scagliavano contro Yume brandendo kunai e spade. Altri stavano a terra, abbracciavano il povero corpo della moglie, o magari di qualche figlio, dilaniato dall’esplosione di poco prima, e a questi non importava nulla di tutto ciò che accadeva intorno.

Se quel caos fosse continuato per qualche altro minuto, si sarebbe risolto in una strage. Naruto cercò di gridare, approfittando della sua posizione elevata, di chiedere a tutti di calmarsi, di agire con più ragionevolezza, ma fu inutile. Le urla, la confusione, il crepitio delle fiamme creavano un tale frastuono che nessuna voce poteva sovrastarlo. Nessuna, tranne quella di Yume.

-         NARUTOOOOO! – gridò nuovamente la donna.

Fissava il ragazzo con occhi che bruciavano di rabbia demoniaca. Avanzava tra la gente, bellissima e spaventosa, coronata di fiamme che le avvolgevano il corpo. Risplendeva di una luce rossastra. Intorno a lei, le urla atroci di chi bruciava vivo per il semplice fatto di essersi avvicinato troppo, o di non essersi spostato in tempo prima del suo arrivo.

-         Maledetta!

Naruto si scagliò verso Yume con un balzo enorme, giù dal palco su cui stava fino al centro della piazza, con la mano destra che risplendeva di un turbine azzurrino. Il vento che vorticava tutto intorno a lui smorzò per un momento le fiamme che proteggevano la donna.

Non ti permetterò di distruggere la mia gente. Ora farò quello che avrei dovuto fare già ieri notte, dopo aver visto come avevi ridotto Hinata.

Che tu sia davvero mia madre oppure no…

Io ti ucciderò.

-         RASENGAN!

La mano di Naruto colpì Yume nel ventre, appena sotto il seno. Il turbine esplose al massimo della potenza, ma lei non si mosse. Intorno, il mondo era addirittura sconvolto dalla forza del vento. Naruto chiuse gli occhi, accecato dalla polvere.

Finalmente, si placò.

Yume fissava Naruto con gli stessi occhi di prima, dilatati e tremanti per la rabbia. Era perfettamente illesa. Nemmeno il vestito si era strappato. Naruto non ebbe il tempo di riaversi dalla sorpresa che un calcio della donna lo gettò contro le scale che conducevano al palco.

-         Non sono più gentile, Naruto! – urlò Yume, e ancora una volta la sua voce fu l’unica che si poteva distinguere nel fragore assordante di quella festa trasformatasi in un girone infernale.

-         Ci ho provato a convincerti con le buone, ma tu non ne hai voluto sapere nulla! E allora va bene! Facciamo il gioco duro! Rinuncia ad essere hokage, o ti giuro che sarai l’unico capo ninja a non avere un villaggio da comandare!

Fa sul serio. Sono sicuro che potrebbe distruggere Konoha in pochi minuti, se volesse. Fermarla è impossibile. Se nemmeno il Rasengan è riuscito a ferirla, nulla può farlo.

E’ finita.

E’ tutto finito.

Tutto…avrà fine.

Sakura aveva detto qualcosa.

“Solo se tu diventerai hokage tutto avrà fine, e tutto potrà ricominciare.

E Yume vuole impedirmi di diventare hokage.

Allora è possibile che…?

E’ comunque l’unica speranza che mi resta.

Mi fa male il petto, probabilmente ho qualche costola rotta, ma devo dimenticarmene. Striscio faticosamente, lentamente, su per le scale, perché lassù c’è la mia ultima possibilità.

Yume vide Naruto arrampicarsi per le scale e prese a camminare decisamente verso di lui. Lo chiamava, ripeteva il suo nome, ogni volta con voce più stridula e minacciosa.

Sono a metà. Ancora uno sforzo.

I ninja ora stavano contrattaccando, avevano in qualche modo riorganizzato le forze. Si gettavano contro Yume con ogni arma e tecnica possibile. Morivano come mosche. A lei bastava un gesto, bastava sfiorare appena un uomo per ridurlo in cenere. Il suo cammino era costellato non di cadaveri, ma di ossa carbonizzate e tizzoni ancora fumanti.

Eccomi, sono arrivato. Ora non mi resta che metterlo.

Le squadre speciali lanciarono un attacco da ogni direzione, dall’alto, dal sottosuolo, dove alcuni si erano nascosti in agguato usando le arti magiche. Yume venne sommersa dagli aggressori.

-         Sparite, esseri insignificanti. – mormorò ribollendo di rabbia, per poi esplodere in un grido – VOI NEMMENO ESISTETE!

Spazzò via tutti con un’unica fiammata accecante. Dei ninja restò solo cenere.

E ora, il cappello.

Alla sommità del palco, Naruto stava in piedi. Indossava il bianco vestito che distingue gli hokage. In mano aveva il copricapo triangolare.

Se io diventerò hokage, tutto avrà fine. E’ questo che Yume teme, per questo si dà tanta pena per impedirmelo. Una volta che avrò indossato l’abito e che la cerimonia sarà completa, non so nemmeno come, lei sparirà.

Ne sono sicuro.

Gli occhi chiusi, Naruto portò lentamente il cappello in alto, poi lo posò sulla testa, con un gesto solenne.

 

Riaprì gli occhi.

 

Nulla era cambiato. Yume continuava ad avanzare sulla piazza, sempre più veloce, lasciandosi dietro una scia di fiamme. Intorno era una carneficina. La folla era tutta lame, urla, sangue, fumo e fuliggine e puzzo di carne bruciata, dolore e visi distorti da rabbia, paura e follia.

E’ finita davvero, allora. Non posso ucciderla.

Ma morirò tentandoci.

Per la seconda volta Naruto attaccò. Non aveva alcuna tattica o speranza, voleva solo cercare di farle più danno e male possibile, per ripagarla almeno un po’ di tutte le sofferenze che lei aveva inflitto. Sfogare la propria rabbia. Credeva che le fiamme lo avrebbero incenerito all’istante, ma non fu così. Yume scansò il primo attacco, poi, quando Naruto si moltiplicò per colpirla da più lati, fece una strage delle copie, ma senza mai toccare l’originale.

-         Cos’è, hai paura di uccidermi? Combatti sul serio! – gridò Naruto, lanciandosi ancora in avanti.

Quella situazione non faceva altro che farlo infuriare di più. Sapeva di non avere alcuna possibilità: che finisse tutto subito, allora! Perché mai un essere del genere, che sembrava più un demone che una persona, avrebbe dovuto preoccuparsi o avere pietà di lui?

Un essere che sembra più un demone…

Yume posò il palmo della mano sul petto di Naruto. Il ragazzo non ebbe il tempo di indietreggiare che già le vesti stavano prendendo fuoco. Sentì la pelle bruciare.

 - RINUNCIA! AD ESSERE! HOKAGE! – urlò la donna. Non si capiva più se la sua fosse rabbia o paura, paura folle.

Naruto cadde all’indietro e finì a terra. Boccheggiava per il dolore, ma era ancora vivo. Yume si era trattenuta. Solo il vestito da hokage era sbrindellato e annerito, la pelle era leggermente ustionata, ma niente di più.

-         Non è che tu non vuoi uccidermi… - mormorò Naruto.

Fissò Yume, e all’improvviso un lampo gli attraversò la mente. Capì tutto, in un istante.

-         Tu non puoi.

 

E’ davvero incredibile. Se ripenso a tutto ciò che mi ha detto ieri...

 

“Quella volta, ricordo che abbiamo addirittura combattuto. Ma poi è nato qualcosa tra noi. Un legame; uno di quelli che durano per sempre.

 

Se lo penso in questa logica, tutto ha un senso.

 

“…non molto tempo dopo sei nato tu. E’ stato un giorno che non dimenticherò mai. Lo stesso giorno in cui a tuo padre successe… insomma, quello che sai.

 

Tutto coincide.

 

“La gente del villaggio non mi amava molto, per via di quel che era accaduto tra me e tuo padre.

 

Ho creduto che mi avesse mentito: invece, per tutto questo tempo, non mi ha detto nient’altro che la verità.

 

“So che non è molto, ma ti assicuro che, almeno con lo spirito, ti sono sempre stata accanto.

 

Bisognava saperla interpretare.

 

Naruto si rialzò e fissò Yume dritto negli occhi. Ora che aveva capito, ora che la sua menzogna – l’unica che lei avesse veramente mai detto – era svelata, la vedeva per come era realmente. Vedeva quello che nemmeno Hinata era riuscita a vedere.

La bocca che continuava a strillare ordini e minacce diventò un paio di fauci zannute e bramose.

Gli occhi si accesero di un bagliore di fuoco, le pupille erano strette e ferine.

Dietro alla sua schiena ondeggiavano furiosamente nove lunghe strisce di fuoco.

Era Yume, ma allo stesso tempo era anche qualcos’altro.

E ora Naruto sapeva come fermarla.

Si accovacciò e raccolse da terra una spada, lasciata lì da qualcuno di coloro che erano morti invano nel tentativo di opporsi al mostro che aveva attaccato il villaggio. La impugnò saldamente con entrambe le mani, la roteò, puntò la lama dritta contro il proprio ombelico.

-         Fermo! – gridò Yume – Che vuoi fare?

Naruto sorrise.

Non sono ancora hokage. Non sono un vestito o un cappello a fare un hokage: è la volontà di proteggere il proprio villaggio e la propria gente, anche a costo di morire.

-         Ti ho scoperta, Volpe. – bisbigliò il Sesto Hokage.

Spinse la spada dentro la propria carne. Era così affilata che all’inizio non sentì nemmeno dolore. Yume lanciò un grido altissimo, più acuto e forte di qualunque altro, e il fuoco, tutt’intorno a lei, cominciò a turbinare impazzito. Il suo stesso corpo pareva ora fatto di fiamme, e si dissolveva poco a poco. Per un ultimo istante apparve nella sua forma reale, gigantesca, feroce, con le nove code che si agitavano, scuotendo l’intera terra.

Poi sparì.

Dalla bocca di Naruto sgorgò un fiotto di sangue, e il dolore si fece sentire. Le dita, le mani, le braccia si facevano sempre più fredde e distanti. Gli parve che non facessero più parte del suo corpo. Alzò gli occhi un’ultima volta al monte dei volti scolpiti.

Il Quarto Hokage, suo padre, lo fissava da lassù. Davvero, come aveva fatto a non accorgersi che quel volto era identico al suo, in tutti quegli anni?

Almeno sul prossimo volto potranno risparmiare. Potranno averne due al prezzo di uno.

Ridacchiò a questo pensiero, poi si accorse di non vedere più, di non sentire più, di non sapere più dove fosse l’alto o il basso.

Non oppose alcuna resistenza e la sua mente scivolò nell’oscurità.

 

 

 

 

Finale drammatico per questo capitolo – ma se credete che una sciocchezza come la morte del protagonista mi fermi, vi sbagliate XD! La fic continua! Continuate a leggere (e, se potete, a commentare)!

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Capitolo 6
*** Nine tail demon fox ***


6th – Nine Tail Demon Fox

6th – Nine Tail Demon Fox

 

Telling me to go,

but hands beg me to stay.

Your lips say that you love,

your eyes say that you hate.

There's truth in your lies,

doubt in your faith.

What you build you lay to waste.

Linkin’ Park – “In pieces”

 

C’era una grande stanza, con pareti nere e lisce e infinite. Dure e fredde come pietra o metallo; ma anche, in qualche modo, vive.

C’era il buio. Un buio ostinato, onnipresente, che nessuna luce avrebbe potuto scacciare.

C’erano due persone, in piedi, una di fronte all’altra. Nonostante il buio, le loro figure erano perfettamente visibili. Non brillavano di luce propria, né erano illuminate da qualcosa. Piuttosto, sembravano due figure disegnate in vivi colori su uno sfondo nero.

Erano entrambi nudi. Uno era un ragazzo, sui vent’anni, dagli splendenti capelli biondi e gli occhi azzurri, con un sorriso luminoso. L’altra figura era insolita, cangiante. A volte sembrava una donna, dalle forme morbide, con la pelle chiara e un’aureola di lunghi capelli rossi che le cingevano il capo e, scendendo, le si avvolgevano intorno al corpo; e poi, ecco, si trasformava in qualcos’altro, non si riuscivano più a cogliere i confini del suo corpo, sembrava debordare, debordare in qualcosa di enorme, rosso e selvaggio, con nove code alle spalle che sibilavano nell’aria come fruste. Allo stesso modo, i suoi sentimenti parevano oscillare tra una calma e rassegnata malinconia e un’incontrollabile furia demoniaca.

-         Ci ritroviamo qui, Naruto. – disse la donna, o la volpe.

-         Sì.

-         Ora ricordi cosa sei realmente? Chi sono io, e perché…

-         Forse. – disse il ragazzo, alla donna ma anche a stesso.

Aveva memorie nuove, diverse; ma le sentiva sue e al contempo estranee. Erano memorie fatte non di immagini o di sensazioni ma solo di parole, distanti e flebili; una vecchia e triste favola nera, raccontata al buio, al suono di un carillon stonato, per far paura ai bambini.

 

C’era una volta uno spirito malvagio dalle sembianze di una gigantesca volpe a nove code. Con il solo movimento delle sue code, la Volpe poteva provocare frane e terremoti.

Per far fronte a quello spirito, la gente invocò l’aiuto dei ninja.

Uno solo di quei ninja, a costo della propria vita, riuscì a imprigionare lo spirito.

Quel ninja era il Quarto Hokage.

 

-         Questa parte della storia la conosciamo tutti molto bene. – commentò la donna, con un sorriso.

-         E’ vero. Ma il seguito...

Naruto restò immobile, pensieroso. Le parole si frammentavano, fuggivano spaventate, si rintanavano negli angoli bui della sua mente. Poteva ricordare; ma doveva andarle a cercare, quelle parole, una per una, con pazienza.

-         Sai quale tecnica usò il Quarto Hokage per sigillare la Volpe?

-         Per sigillare te, Yume. Giusto?

Yume fece una risatina:

-         Non posso negarlo. Allora, lo sai?

-         Era il Sigillo del Diavolo. L’ho scoperto solo di recente. La stessa tecnica che costò la vita al Terzo Hokage nella sua battaglia contro Orochimaru.

-         Esatto. E cosa sai di quella tecnica?

Naruto rispose recitando frasi che non ricordava di ricordare:

-         E’ una tecnica di costrizione che richiede la propria vita come pegno. L’anima che viene sigillata con questa tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte. L’anima che viene imprigionata si attorciglia a quella che l’ha fatta prigioniera e le due combattono e si odiano per l’eternità.

L’altra annuì e abbassò lo sguardo.

 

Quando gli uomini del villaggio lo chiamarono in aiuto, il Quarto Hokage combatté contro la Volpe a lungo, per ore e ore. Ma la Volpe era forte e potente. Il ferro non la trafiggeva e il fuoco non la bruciava; con un solo colpo di una delle sue code poteva sollevare da terra cento uomini, e le sue fauci erano tanto mostruose e ingorde da poter ingoiare senza sforzo un’intera montagna. Allora il Quarto Hokage, visto che non era possibile uccidere quel mostro, disse ai suoi uomini che si ritirassero, e che egli solo conosceva il modo per sconfiggere la Volpe: ed essi capirono cosa stava per fare e piansero lacrime amare, ma non lo fermarono, perché in fondo al cuore sapevano che non esistevano altri rimedi.

Rimasto solo, il Quarto Hokage sfidò la Volpe a venirgli vicino e ad affrontarlo. Essa rise, scioccamente, lo chiamò stupido mortale, e fece ciò che lui chiedeva, immaginando di poterne trarre un divertimento ancora maggiore. Non sospettava alcun tranello.

Quando finalmente gli fu vicino, disse, ancora ridendo:

-         Ecco, piccolo uomo, io sono qui. Dici di volermi sfidare, ma le tue parole sono più grandi di te. Prova pure quello che vuoi, so già che non ti servirà. Ma ti farò un favore, per onorare il tuo coraggio: ti lascerò scegliere come vorrai morire.

Allora il Quarto sorrise, e le rispose:

-         Demone insolente, non riderai più degli uomini, dopo questo giorno. Non disturbarti a concedermi alcun favore. La mia morte io l’ho già scelta.

Rise ancora la Volpe, e ancora più forte, ma poi sentì un dolore stringerle il cuore, e abbassò gli occhi che teneva alti al cielo, piena di angoscia. Ed ecco: una mano di spettro, che usciva dal corpo del Quarto Hokage, l’aveva agguantata e la trascinava con sé.

-         Questa è la mano del Dio della Morte. A lui io ho donato le nostre due anime: suoi saremo per l’eternità, e mai più tu potrai calcare il suolo degli uomini, o recar danno ai figli della Foglia. Per ciò io dono la mia vita. Il sacrificio di un uomo è un piccolo prezzo per salvarne altri mille, e mille ancora.

Altissimi strilli lanciò la Volpe, ma essi si perdevano nel cielo vuoto, e divenivano ad ogni istante più fiochi. La sua figura si rimpicciolì e venne risucchiata come fumo che viene aspirato, e infine sparì.

Così il demone abbandonò questo mondo e venne sigillato per sempre.

 

-         E’ stato doloroso. – mormorò Yume, e si strinse con le braccia, come in preda a un freddo, a un freddo troppo acuto per poterlo sopportare.

I suoi occhi lampeggiavano del fuoco della volpe, ma la pelle, bianchissima, era quello della donna; e premeva le braccia sottili contro il seno, che trepidava allo stesso ritmo del respiro; e aveva la testa leggermente reclinata; e nonostante gli occhi sempre più rossi, sempre più accesi, non sembrava affatto un demone, non possono esistere demoni così belli e fragili, ma solo una ragazzina nuda persa in mezzo alla neve di un inverno troppo gelido. Le sue parole, un soffio di vento dolente e sottile:

-         Molto. Non riesco a dimenticarla… l’aria fresca, la foresta, la luce del Sole. La vita. E poi quest’artiglio di ghiaccio che mi si conficca in corpo, dritto dentro l’anima, e io che sento tutto sparire, intorno, non più luce…

E allora alla sua voce si unì quella di Naruto, in un coro triste e cantilenante:

-         …non più aria. Una lunga caduta buia e dolorosa. Vorticare come presi in un gorgo, e il freddo di quella mano crudele che stringe, stringe, e intorno invece un turbine di fuoco. Precipitare per un tempo infinito, e piombare infine in una stanza buia.

Il ragazzo si guardò intorno.

-         In questa stanza. – concluse, e poi, sorpreso: - Lo ricordo anch’io, perfettamente. Come se mi fossi trovato lì.

  Yume sorrise pallidamente:

-         Ma tu eri lì, Naruto. Eri con me. Tu e io, quella caduta l’abbiamo fatta abbracciati insieme.

-         No, non può essere.

-         Credici. – sibilò l’altra, e stavolta era la Volpe, alta e minacciosa. La sua voce si fece crudele, derisoria – Non ti sei mai chiesto come avesse fatto il Quarto Hokage a rinchiudermi dentro di te, dopo aver saputo come funziona il Sigillo? Credi davvero che si possa far fesso il Dio della Morte, lasciargli una sola delle due anime che pretende, e l’altra sigillarla nel primo neonato che capita?

-         Me lo sono chiesto, è vero, ma…

-         SEI UNO STUPIDO! – ringhiò la Volpe, al colmo della furia.

Naruto indietreggiò di qualche passo, ma in quel luogo così irreale sembrava che le distanze non cambiassero mai. Il demone continuava ad incombere su di lui da un’altezza immane. Le pareti della stanza sembravano infinitamente lontane, eppure così vicine e incombenti: stretta là dentro, la Volpe era l’unica cosa che si potesse vedere, l’unica che si potesse concepire. Le sue parole rimbombavano fin dentro il corpo di Naruto:

-         Non si può! Non si possono cambiare le regole! Non si possono fare eccezioni! La mia anima è stata semplicemente data in pasto al Dio della Morte assieme a quella di chi mi aveva catturato!

-         E allora, – esclamò Naruto, in una sorta di difesa disperata, tentando di ragionare con il mostro e la sua follia – perché dici che io avrei fatto quella caduta assieme a te? E’ stato il Quarto Hokage a catturarti, non io!

-         SEI TU IL QUARTO HOKAGE!

Lo spaventoso ruggito di rabbia della Volpe scosse la terra e l’aria; l’oscurità sembrò farsi ancor più fitta, per un istante. Naruto sembrò paralizzato, cercò di dire qualcosa, ma finì per restare in silenzio. Nel frattempo, la Volpe aveva recuperato il controllo di sé, e con esso anche le sue sembianze femminili. Era tornata ad essere Yume, una figura discreta, bella e un po’ triste.

-         Sei tu il Quarto Hokage. – ripeté, stavolta più pacatamente – Naruto Uzumaki, Quarto Hokage di Konoha: questo era il tuo nome quando eri vivo. Nel mondo reale.

-         Quando ero vivo? – gridò Naruto, che improvvisamente si sentì oppresso da una tremenda inquietudine – Ma io SONO vivo, maledizione! Mi… mi riesco a sentire le mani, e i piedi, e… non so… ma io sono solido! Respiro, mangio, bevo! Sono vivo!

-         Naruto, solo cinque minuti fa ti sei conficcato una spada nello stomaco, eppure ora non hai nemmeno un graffio. Se fossi stato davvero vivo, adesso sì che saresti morto.

-         Non può essere. Non può essere.

Naruto continuava a fissarsi le mani, a farle scorrere sul suo corpo, a muovere le dita, come cercando conferma di quello che affermava, perché accidenti, non poteva essere morto, non ci si poteva sentire così se si era morti!

-         E poi cosa intendi quando parli del mondo reale? Vuoi dire che questo non sarebbe reale? Se non è il mondo, che cos’altro dovrebbe essere! L’aldilà, oppure…

“…L’anima che viene sigillata con questa tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte…”

-         Oppure… - e, trovando la risposta nelle parole che lui stesso aveva pronunciato poco prima, lasciò svanire la sua voce in un soffio.

Morto.

Era davvero troppo da accettare.

-         Le due anime – disse Yume – si attorcigliano, continuano a soffrire, si odiano, e combattono per l’eternità.

E poi aggiunse, con un sorriso malinconico:

-         Ma, nel nostro caso, lo fanno in un modo del tutto particolare.

La favola era completa. Le parole al proprio posto. Inesorabilmente, Naruto lesse nei propri ricordi la conclusione di ciò che era accaduto quel lontano giorno fatale.

 

La Volpe e il Quarto Hokage caddero a lungo, giù per un abisso che era come se avesse denti che li straziavano, fauci che li stritolavano, succhi disgustosi che li scioglievano e li consumavano, tutto questo sentivano, eppure non c’era niente del genere, intorno, solo un nerissimo buio quale loro non avevano mai visto. Smisero infine di cadere, senza nemmeno accorgersene, e scoprirono di essere finiti in una stanza oscura e sconfinata. Per molto tempo il grande guerriero e il demone indomabile attesero immobili che qualcosa accadesse, senza tradire un brivido, senza battere un ciglio; ma entrambi avevano in realtà una paura incontrollabile e mostruosa, paura della sorte che li attendeva e paura di tradire la propria paura. Perché non importava quanto fossero stati forti e potenti in vita: essi ora sentivano di essere in balia di qualcos’altro, il cui potere superava di gran lunga il loro, e che per di più era malvagio e terrificante.

Allora cominciò a udirsi, dall’alto, prima distante come un’eco che ha perduto la sua via, poi sempre più forte, sempre più vicina, sempre più rimbombante, una lunga e perfida risata. La Volpe ruggì con tutta la sua furia al cielo, che era nero come ogni altra cosa, e gridò al vigliacco che si nascondeva e osava ridere di lei di farsi vedere, di farsi sotto, perché nessun mortale aveva mai avuto il coraggio di deridere il potente Demone dalle Nove Code, né mai avrebbe potuto farlo. Mostrava rabbia per dimenticare la paura. Il Quarto Hokage, invece, non disse nulla: era stato lui ad attivare il Sigillo, e conosceva fin troppo bene quale sarebbe stato il loro destino. Non per questo non aveva paura; era semplicemente abbastanza saggio da sapere che non vi era modo di sfuggire a ciò che li attendeva. Il giudizio del Dio della Morte.

Il Dio della Morte, il crudele Mietitore, rideva e rideva, divertito al pensiero di come gli uomini potessero scioccamente precipitarsi nelle sue fauci, presi com’erano dalla loro frenesia di combattersi l’un l’altro, e ancor più divertito dalla vista della Volpe che continuava a dibattersi e ad urlare come un’ossessa. Nessun pasto gli era più gradito di due anime forti e orgogliose come quelle: farle deboli e umili con la tortura e la sofferenza sarebbe stato un gioco che l’avrebbe divertito per l’eternità.

“Tu, uomo” proclamò con voce terribile quando il suo riso si placò, “tu sei Hokage: perciò non sarai Hokage mai più. Perso ogni ricordo, vivrai una vita di illusione, non più reale di un sogno o di un miraggio, rinchiuso qui nel mio regno. Crederai di rinascere nel tuo villaggio, ospiterai nel tuo ventre il demone che hai sigillato, e a causa sua patirai mille sofferenze. La tua vita sarà tormentata da odio, rancore, disprezzo e solitudine. Desidererai con tutte le tue forze di tornare ad essere ciò che realmente sei e diventare Hokage, e per questo combatterai e soffrirai ancor di più, senza conoscere né la pace né il riposo. Ma ogni volta che raggiungerai il traguardo che aneli esso ti sarà strappato di mano; allora tu crederai di morire, e poi di rinascere, di nuovo senza ricordi. Ogni volta che diventerai Hokage tutto avrà fine, cosicché tutto potrà ricominciare. E questo sarà il tuo inferno.”

“Tu, Volpe” continuò poi, “sei potente e superba: perciò diverrai schiava. Incatenata nel corpo di colui che ti ha imprigionata; capace di osservare, ma non di agire; costretta ad essere legata a lui per la vita e per la morte, a servirlo e a condividere la tua forza con lui. Mai più assaporerai la libertà, nemmeno nel mondo illusorio che ospiterà d’ora in poi la vostra vita. Serva dell’uomo che ti ha battuto, sarai, tuo malgrado, la sua unica vera compagna. E questo sarà il tuo inferno.”

Dette queste parole, il Mietitore si ritirò nell’oscurità, ad osservare come i suoi burattini recitavano nel palcoscenico che aveva preparato loro, né mai più il Quarto Hokage e la Volpe lo rividero.  

Fu così che il gioco ebbe inizio, e continua tuttora.

 

-         Quante volte? – chiese Naruto, con voce tanto roca da sembrare spettrale.

Era stordito. Restava accovacciato a terra, preda di violente vertigini. Non riusciva a rialzarsi. Quando aveva preso coscienza della verità e i ricordi gli erano entrati dentro con forza era quasi svenuto.

Dopo qualche secondo provò a rialzarsi, ma si ritrovò piegato in due. Se avesse avuto un corpo, sentiva che avrebbe vomitato.

Ma io non ho un corpo.

Dannazione, IO NON HO PIU’ NEMMENO UN CORPO!

-         Quante volte? – chiese ancora, e stavolta le parole erano più nitide e decise. – Quante volte si è ripetuta questa farsa della mia vita, Volpe? Quante, fino ad ora?

Yume sorrise e scrollò le spalle.

-         Chi può dire quanto dura un sogno, Naruto? Talvolta ti sembra un’eternità, e invece è una faccenda di un istante. Altri potrebbero sognare un solo, lunghissimo attimo, per un’intera notte. Non si può giudicare. Molte volte, questo è certo: abbastanza perché neanch’io riesca più a contarle.

Silenzio.

-         Molte volte. – ripeté Yume.

Ancora silenzio.

-         Molte volte. – ripeté la Volpe, ringhiando con le fauci schiumanti – Molte! Troppe! TROPPE!

Naruto si ritrasse, non fece in tempo; si ritrovò intrappolato sotto una delle zampe del mostro. Gli artigli, inchiodati nel terreno, lo intrappolavano da ogni lato. Aveva gambe e braccia immobilizzate. E nonostante avesse capito di essere solo un’anima, uno spirito, né più né meno di lei, e di non potere subire alcun danno, Naruto ebbe paura vedendo il crudele volto ferino della belva scendere su di sé. Sentì il calore del fiato, la viscida bava gocciolò sul suo viso.

-         Ce l’avevo quasi fatta, questa volta! – mugolò la Volpe. La sua voce tradiva una rabbia immensa, ma anche un dolore animale, come un cane che uggiola scottato dal fuoco – Ce la potevo fare. Tu non hai più un corpo a cui tornare, Naruto Uzumaki. La tua carne se la sono mangiata i vermi, e che ci si ingrassino bene, che tu sia maledetto! Di te non restano più nemmeno le ossa, sono polvere anche quelle! Tu sei condannato a restare qui per sempre. Ma io no. A me non serve un corpo. Io sono tutta qui, non sono mai stata nient’altro, uno spirito che si fa corpo e carne con la sua stessa volontà. E allora, se solo potessi uscire, se potessi lasciare questa trappola in cui mi hai rinchiusa

-         Non puoi. – sogghignò Naruto.

-         POSSO! – urlò di rimando l’altra, premendolo al suolo con la sola violenza della sua voce – Posso. Lo stavo facendo. Ce l’avevo quasi fatta. Nel gioco della tua vita illusoria, quando il ciclo sta per finire, quando tu stai per arrivare alla conclusione, a diventare hokage, e tutto si appresta a ricominciare, è allora che le regole si fanno… - la bestia ansò profondamente, fermandosi un attimo. Sembrava che le costasse uno sforzo immane mantenersi calma abbastanza da continuare a parlare e spiegare - …più deboli. Più facili da aggirare. Perciò ho potuto materializzarmi in quella forma davanti a te, agire, parlare, combattere.

-         Uccidere Hinata. – aggiunse Naruto, con risentimento.

-         HINATA NON E’ MAI ESISTITA! O sei davvero così idiota da non avere ancora capito che tutto ciò che hai vissuto, tutto, è reale come un’ombra, e meno ancora: come l’ombra di un’ombra! Lei era solo un burattino: gli unici attori veri eravamo noi due.  Ma sei tu il protagonista. Questo ruolo il Dio della Morte l’ha dato a te. Tutto dipende da te, dalla tua forza di volontà e dal tuo desiderio…

-         …di diventare hokage.

La Volpe fece un grugnito di assenso:

-         Se fossi riuscita a farti arrendere, a farti rinunciare… Ad ogni momento che la tua determinazione diminuiva, la tua anima si indeboliva, e io diventavo più forte, più vicina alla realtà, alla libertà.

-         La febbre. – mormorò Naruto – Non era colpa tua: era colpa mia. La febbre aumentava ogni volta che io facevo un passo in più verso la resa. Mi sentivo come morire. Cosa sarebbe successo se avessi ceduto del tutto?

-         SARESTI SPARITO! – gridò la Volpe, premendo ancor di più l’artiglio contro il petto di Naruto.

Il ragazzo scoprì che essere uno spirito non lo salvava dal dolore. Boccheggiò sentendo l’aria mancargli, e non riuscì a trattenere un urlo.

-         SARESTI SPARITO! La tua anima si sarebbe dissolta, avresti finito di giocare questo gioco inutile e idiota, e io sarei stata LI-BE-RAAAAA!

E alzò la testa al cielo, ululando quell’ultima parola come un lupo che canta la sua ferocia alla luna piena, avvolta da fiamme che divampavano calde e luminose; eppure che non illuminavano niente, nel buio ventre del Dio della Morte. Naruto si sentì svenire per il calore e il frastuono, ma non svenne: uno spirito non sviene.

Poi la furia si placò. L’artiglio era diventato più piccolo, più fresco, più delicato. Naruto si trovò di nuovo libero. Riaprì gli occhi, si mise seduto, e scoprì con sorpresa che la Volpe si era trasformata ancora. Yume, accovacciata, biascivava tra sé e sé, e tremava di nuovo.

-         Libera… - bisbigliò con voce assente – Libera. E libero saresti stato anche tu, Naruto.

Alzò lo sguardo, i suoi occhi castani e caldi (quasi arancione; quasi di fuoco) incrociarono quelli azzurri di Naruto. Erano imploranti.

-         Non sei stanco, Naruto? E’ tutta un’illusione. E’ tutto un sogno. Ripetere la stessa vita, volta dopo volta, per l’eternità… neanch’io riesco a concepirla. L’eternità. E’ così grande, così infinitamente triste, così solitaria. Io voglio essere libera, ma mi accontenterei anche di sparire, se potessi. Di addormentarmi per sempre. Tu non hai alternative. Non lo desideri? L’oblio, il riposo. Non sarebbe dolce, smettere di lottare, finalmente, e dormire, una volta per tutte, il sonno che spetta ai morti…

-         TACI! – urlò Naruto.

Era infuriato.

-         Smettila con questi giochetti, razza di mostro. Trasformati, piuttosto, e ringhiami contro, prova a sbranarmi, fammi paura, fa’ un po’ come vuoi. Ma smettila, SMETTILA, di cercare di impietosirmi.

-         Naruto, non devi dire così.

-         Sei patetica. I tuoi trucchi li ho già capiti, e non funzioneranno più. So che non sei mia madre e so che non mi ami di certo.

-         Naruto, ti prego…

-         Perciò, basta! E’ intollerabile. Io… io non la ricordo più, ma devo pure averla avuta, una madre, e il solo pensiero che un demone, un mostro, un essere ripugnante come te finga di essere lei è disgustoso, e il fatto che tu simuli tutto questo amore nei miei confronti, che mi cerchi di convincere con simili mezzucci, tutta la tua ipocrisia, mi dà il voltasto

-         Smettila, Naruto, TI PREGO!

Così. Un grido straziante. Poi il silenzio. Yume tacque, sfregandosi il volto con le mani, con forza, come una pazza, come una pazza, che non sentisse più quelle parole così cariche di odio, così dolorose.

Naruto tacque, sorpreso.

-         Tu… - chiese poi, accennando un passo in avanti - …tieni davvero a me? Eri… sincera?

Yume lo guardò, dal basso in alto, gettata a terra com’era. Come faccio a spiegarti, pensò, come faccio, Naruto? Come puoi capirlo? Che cosa significa vivere come ho fatto io da quando sono imprigionata qui. Che cosa significa vedere giorno dopo giorno un mondo finto e respirare aria che non esiste, aria che puzza di morte e di chiuso, io che ho calcato ogni angolo della Terra, libera e indomabile.

E poi, avere te. Mio compagno. Mio corpo. Mia anima. Mio nemico. Mio carceriere.

Ti odio per avermi imprigionato qui, per tenermici ancora chiusa, tu e la tua stupida testardaggine. Perché sei solo questo, uno stupido inutile essere umano, e pensi di essere più grande di me, e invece ogni volta muori, e rinasci, e non ricordi più nulla, come un vecchio rimbecillito dall’età, e solo io so, solo io ricordo.

Mio tutto. Mia unica cosa vera.

Ti amo perché non posso amare nient’altro. Perché sei tutto ciò che mi resta di reale, tutto ciò che esiste in questo regno di illusioni, il mio mondo, e perché sei l’ultimo ricordo di una vita vera. Ti amo per quel nostro, ultimo, bellissimo combattimento. Quando ci siamo scontrati, là fuori, abbiamo scosso il mondo e spianato le montagne. Non lo dimenticherò mai. Gliel’abbiamo fatto vedere, allora, gliel’abbiamo fatto vedere a tutti, cosa succede quando i giganti combattono tra loro.

Mio bastardo. Mio piccolo, lurido stronzo.

Ti odio perché mi hai costretta ad amarti e così mi hai fatta cambiare, almeno un po’, un po’ dentro, sotto le fiamme e le code. Ti odio perché quel dannato combattimento è stato così bello che io non lo sapevo ma in fondo ti amavo già la fuori, e che bella coppia saremmo stati noi due, più potenti di chiunque altro, imperatori del mondo, e poi tu hai dovuto rovinare tutto, tu e quel tuo merdoso Dio della Morte, e farci finire in questa fogna, per salvare il mondo. Ma che senso avrà il mondo, senza più noi a darglielo?

Mia creatura. Mio… figlio.

Ti amo perché ti ho visto crescere cento, mille volte. Ti ho visto bambino, poi adulto. Ti ho visto ogni volta diverso, e sempre meraviglioso, felice, felice persino in questa vita d’inferno. Figlio mio e del Quarto Hokage: ti amo perché tu non sei più lui, vita dopo vita diventi diverso, ogni volta nuovi ricordi e nuove esperienze. Sei quello che sei per via di quello che era lui, ma anche per via di quello che sono io.

Mia prigione.

Ti odio perché sei il muro che mi separa dalla libertà.

Mio amante.

Ti amo perché io dentro di te, tu dentro di me, le nostre anime strette e avvinghiate con tenera violenza l’una all’altra, sperimentiamo una fusione più perfetta di quella che mai qualunque coppia di innamorati del mondo troverà nella confusione di calde e agitate lenzuola.

Ma, sopra ogni altra cosa, ti amo perché vederti soffrire all’infinito mi fa male, e sapere che soffri per causa mia mi fa ancora più male.

Ti odio, e ti amo, e per questo, capisci, perché TI ODIO E TI AMO allo stesso tempo, come puoi capirlo, Naruto, per questo io voglio che tu ti lasci andare, e sparisca per sempre.

Pensò questo, Yume. Non disse nulla. Non ne sarebbe stata capace, non aveva le parole per spiegare una cosa del genere, e lui non le avrebbe creduto. Le parole non servivano. Alzò una mano, la portò alla bocca, e con lentezza la strinse tra i denti fino a farla sanguinare. Il liquido scarlatto le tinse le labbra. Allora si avvicinò a Naruto, semplicemente, senza parlare, senza parlare, il silenzio era morbido e totale. Lui la fissava e non sapeva che fare. Lei lo colse di sorpresa. Un bacio, leggero, veloce; le labbra posate sulle labbra, per un momento.

Sulla bocca, lei aveva ancora il sapore di metallo del sangue. Naruto lo sentì; quell’aspro e crudo e forte sentore di rame misto alla dolcezza del bacio. Capì.

-         E’ tutto qui. – disse Yume, distogliendo rapidamente lo sguardo.

Fremette, scossa da un brivido incontrollabile. Le scese una lacrima (forse di tristezza, forse di rabbia?) dall’angolo di un occhio e poi aggiunse:

-         Ti prego. Rinuncia adesso a continuare. Fra poco… fra poco ricomincerà tutto. Smetti di desiderare e di combattere, abbandonati alla pace. Sei ancora in tempo. Liberaci tutti e due.

C’era una grande stanza, c’era il buio, c’erano due persone, c’era un uomo ritornato ragazzo e c’era un demone innamorato e furioso, e soprattutto c’era una decisione da prendere, ora e subito, una decisione troppo grande, tra l’oblio e l’eterno susseguirsi di vite illusorie e inutili.

Nell’oscurità, Naruto schiuse le labbra, pronto a dare la sua risposta.

 

 

 

Ecco, scrivere questo capitolo è stata una gran fatica, e anche ora che lo pubblico ho paura che non si capisca niente XD. L’idea alla base del capitolo (e di tutta la fic, in sostanza) mi è venuta poco tempo dopo aver visto l’episodio in cui il Terzo Hokage affronta Orochimaru. Rimuginavo sul perché la tecnica del Sigillo del diavolo avesse funzionato diversamente con la Volpe e con Orochimaru (ebbene sì! Sono capace di stare a scervellarmi anche su domande del genere! XD) ed ho avuto questa trovata, fulminante, attingendo un po’ alla filosofia buddista, un po’ a Matrix. Spiegava tutto, filava alla perfezione, e ho deciso di scriverci intorno questa fanfic: ma con un ragionamento così “cervellotico”, non riesco a togliermi il timore di aver fatto solo tanta confusione. Fatemi sapere che ne pensate voi.

Ho anche realizzato alcuni disegni ispirati a questa storia. Li trovate qui e qui. A proposito, l’ideogramma di Yume significa “sogno”, in giapponese.

OK, è tutto. Fra pochi giorni, l’ultimo capitolo, ovvero il gran finale!

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Capitolo 7
*** Those who inherit the will of fire ***


7th – Those who inherit the will of fire

7th – Those who inherit the will of fire

 

You were the wind beneath my wings,

taught me how to fly.
With you I lived among the kings,

how could this ever die…
So I say farewell, I'm yours forever,
and I Always Will Be

Hammerfall“Always will be”

 

-         Se ti lasciassi andare…

Naruto esitò. Ricordò che, solo dieci minuti prima, non avrebbe mai creduto di poter fare una domanda del genere a quello che aveva sempre considerato un semplice mostro spietato, privo di ragione.

Ma dieci minuti fa, nulla di ciò che credevo era reale.

-         Se ti lasciassi andare – disse lentamente – tu torneresti a distruggere.

Yume sospirò e gettò la testa all’indietro, come aveva fatto quella sera, sotto le mura, tentando di assaporare un surrogato di libertà. Il pensiero di poter tornare nel mondo era qualcosa che la scuoteva nel profondo. Sorrideva, e quando parlò la sua voce tremava leggermente, perché l’emozione le spezzava il respiro.

-         Distruggere è una parola orribile, Naruto. Io cambio le cose. Non posso essere diversa. Sono la natura che trasforma stessa. Come una frana che modella i fianchi della montagna. Come un fiume che scava un canyon profondo nel deserto.

-         Non si può fermare una frana. – osservò Naruto – Non si può fermare un fiume.

-         No. Non si può.

Passò un secondo; e all’improvviso Naruto scoppiò a ridere, prima sommessamente, poi fragorosamente, fino alle lacrime. Yume lo fissò sconcertata, poi cominciò ad infuriarsi, si sentì derisa, fu presa dalla paura, che diavolo gli passava per la testa?

E Naruto rideva, rideva, rideva.

E’ solo che ho capito tutto. Ho trovato la mia risposta, ho deciso cosa fare e… è buffo, lo so che non ha molto senso, in un momento del genere, ma mi è tornata in mente una barzelletta che una volta mi ha raccontato Shikamaru. Una storiella stupida, che allora non mi ha fatto nemmeno troppo ridere, ma sapete com’è.

Allora, c’è un contadino che ha un vicino invidioso di lui. Un giorno il vicino, seduto su di un masso, lo vede arrivare, mesto mesto, che passeggia a cavallo del suo amato asinello, cammina lentamente e si guarda intorno. “Cosa c’è, compare?”, gli chiede, e quello risponde che ha perso una cosa, e la sta cercando. Dopodichè se ne va, sempre triste, continuando a guardarsi a destra e a sinistra. Il vicino gongola, perché pensa che se il contadino rinuncia a lavorare i campi per cercare quello che ha perso, vuol dire che si tratta di qualcosa di prezioso o di importante. Per cui si mette a cercare anche lui: spera di poterla trovare prima, qualunque cosa sia, per prendersela e lasciare l’altro a bocca asciutta. Cerca per tutto il giorno, trascura il lavoro nei propri campi, si spacca la schiena, ma non trova nulla.

Il giorno dopo l’invidioso è seduto al solito posto, la scena si ripete. Vede passare il contadino, sempre a cavallo dell’asino, che si guarda intorno ed è ancora più triste. “Cerchi ancora, compare?”, e quello “Ahimé, sì. Ieri non ho trovato nulla; spero oggi di avere più fortuna. Il vicino, allora: “Ma è piccola questa cosa, visto quant’è difficile trovarla?”. “No”, risponde il contadino “è grande, invece. Non so proprio come abbia fatto a non vederla!”. Il vicino lo lascia andare e si frega le mani: oggi la troverà di sicuro. Cerca, cerca, ancora più del giorno prima, e di nuovo fa cilecca. Torna a casa mezzo morto.

La cosa si ripete per un mese intero. Il contadino è sempre più disperato; l’invidioso si rode sempre di più pensando di non riuscire nel suo intento, ormai le sue coltivazioni stanno andando in malora, s’è pure rotto una gamba cadendo da un dirupo, durante le sue ricerche, e ancora nulla. Sospetta che il contadino abbia inventato tutto per fargli dispetto, ormai è all’esaurimento.

Il trentesimo giorno, solita scena. Il vicino siede sul suo masso e vede arrivare il contadino, ridotto ad uno straccio d’uomo, a cavallo dell’asinello, stremato pure lui, povera bestia. Stavolta, però, l’invidioso ha deciso di non usare mezzi termini. Così, invece dei soliti saluti, si mette a urlare come un pazzo, “Ma insomma”, grida, “si può sapere che diavolo è questa cosa che cerchi?”. E il contadino, con una voce da oltretomba, sempre senza scendere di sella, si avvicina e dice…

-         Cerco il mio asino. – disse Naruto, quando finì di ridere.

-         Cosa, scusa? Che significa?

Il ragazzo non rispose, non direttamente a Yume. Sembrava parlare con stesso.

-         E’ divertente, no? Se uno sa prenderla con ironia. Cioè, tutto questo lottare, tanta fatica per cercare di diventare hokage: e in realtà lo sono già, continuo ad esserlo, lo sono sempre stato.

-         Non è vero. – disse Yume – Tu non sei più nulla, ormai. Solo polvere in una tomba dimenticata.

-         L’hokage protegge il villaggio. Da tutto ciò che potrebbe minacciarlo, distruggerlo. O… cambiarlo, come preferisci tu. – fece ammiccando in direzione della donna.

E poi dichiarò, con voce chiara e forte, stavolta:

-         Io non rinuncio, Volpe. Io continuo, e lo farò per l’eternità.

-         NO!

Non poteva accettare una sconfitta, non ora che c’era arrivata così vicina, non ora che aveva anche umiliato il proprio orgoglio rivelando a Naruto sentimenti che già si vergognava di ammettere con stessa. Divenne puro odio e ira, dimenticò tutto il resto. Il mostro si levò ancor più rosso e furioso di prima. Le code sibilavano nell’aria con il suono di una tempesta.

Naruto restò impassibile, senza farsi minimamente impressionare.

-         Finché ti terrò chiusa qui dentro, il villaggio sarà salvo dalle tue grinfie, e io continuerò ad assolvere il mio dovere di guida della Foglia. E poi…

E qui rise sommessamente.

-         …non sarà tanto male rivivere la stessa storia in eterno. Potrò diventare hokage infinite volte, in infiniti modi diversi.

-         E OGNI VOLTA SARA’ SOLO UN’ILLUSIONE! – ruggì la Volpe – E OGNI VOLTA QUELLO STESSO TRAGUARDO TI VERRA’ STRAPPATO DI MANO!

-         E allora io tornerò ad inseguirlo ancora. – affermò il ninja con decisione – E ancora e ancora. Se è vero che, come mi ha detto Shikamaru, al mattino i sogni lasciano un sapore amaro in bocca, allora cosa può esserci di meglio di dormire una notte infinita, e sognare in eterno, e continuare a desiderare e inseguire ciò che non si può ottenere?

-         SEI PAZZO, NARUTO UZUMAKI! SEI SOLO UN POVERO PAZZO! DEVI SPARIRE, UNA VOLTA PER TUTTE, E SOLO COSI’ SARAI DAVVERO FELICE! SARA’ MEGLIO PER TUTTI E DUE! PERCHE’ NON LO CAPISCI?

Ma ormai era troppo tardi. Il breve intervallo tra la fine di una vita e l’inizio di un’altra volgeva al termine. Già l’oscurità non era più così fitta; già il silenzio non era più perfetto; la luce si faceva strada come un leggero vapore che riempie l’aria, e si udiva il suono, distante, del vagito di un neonato.

-         PERCHE’ NON LO CAPISCI?!?

Naruto si accorse che i suoi ricordi della vita appena trascorsa si facevano incerti, nebulosi. Dimenticava piccoli particolari, all’inizio, poi interi anni, persone, luoghi.

-         RISPONDIMI, NARUTO! PERCHE’ NON LO CAPISCI? – continuava ad urlare insensatamente il demone.

Ebbe un ultimo ricordo preciso. Sakura. Se non fosse arrivata, nella foresta, all’alba, sarebbe finito tutto, e la Volpe avrebbe vinto la sua partita. Ripensò a lei con gratitudine. Aveva superato persino la morte per venire in suo aiuto.

Ma poi capì. Lei non era davvero morta, perché non era mai stata viva. Era, anche lei, soltanto una parte di quella grande illusione, uno dei burattini che il Dio della Morte usava per divertirsi con lui.

Se sono nella tua mente? La risposta è complicata… diciamo di sì, ma non nel senso in cui tu credi.

No. No, Naruto aveva fiducia in questo, Sakura non era solo un’illusione. Lei doveva essere qualcos’altro. Era bello pensare che fosse un altro spirito, l’anima di qualcuno che lo aveva amato in vita, e che anche adesso aveva trovato il modo di raggiungerlo, di stargli accanto e venirgli in aiuto nei momenti difficili. Era bello pensarlo, e Naruto lo pensò con tutte le proprie forze, finché ebbe ricordi nella mente.

Chissà chi eri, Sakura.

Ti voglio bene.

-         PERCHE’ NON LO CAPISCIIIIIII? – strillò la Volpe con voce altissima.

E Naruto, con un leggero sorriso sulle labbra, mormorò:

-         Perché aveva ragione Sakura. Io sono troppo stupido per capire certe cose.

La luce riempì ogni cosa. Tutto ebbe fine.

E così tutto poté ricominciare.

 

In un piccolo campo appena fuori dalle mura di Konoha, quella vera, intendo, non quella fittizia in cui ancora e sempre il Quarto Hokage combatte la sua battaglia per tenere prigioniera la Volpe a Nove Code, c’è un albero, e sotto ci sono due tombe: due alti e massicci cippi funerari in marmo candido. L’albero è un albero di ciliegio. Ha una storia tutta sua.

Si dice che, sotto quell’albero, il Quarto Hokage, anni fa, abbia dichiarato per la prima volta il suo amore alla donna che poi avrebbe sposato. Provate ad avvicinarvi, guardatelo bene: sulla corteccia porta ancora, un po’ cancellati dal tempo, i segni che loro vi avevano inciso con i propri kunai, come pegno della propria promessa. Quando erano ancora giovani e sereni.

Sotto quello stesso albero essi si separarono. Fu là che il Quarto disse addio alla moglie, prima di andare a combattere la Volpe a Nove Code, presentendo il proprio destino. Lì, lì dove si erano dati il primo bacio, si diedero anche l’ultimo.

Il giorno dopo, sotto quell’albero venne seppellito il corpo senza vita dell’Hokage. Il ciliegio era in fiore e pianse con lacrime rosa e morbide, che scendevano dolcemente verso il suolo, l’eroe che abbandonava per sempre questo mondo. Sua moglie attese che finisse il funerale e che tutti andassero via. Quando rimase sola, con molta discrezione, salì in piedi sulla tomba del marito, si sfilò la cintura di seta del kimono, la arrotolò, facendone una corda, annodò a cappio un’estremità e gettò l’altra tra le fronde dell’albero.

Un minuto dopo, il ciliegio aveva un fiore in più.

Ora è una splendida mattina. Il sole che illumina il campo lo trasforma in uno splendido intreccio di oro e smeraldo, e le due tombe brillano alla luce di un bianco tanto abbagliante da far male. Su una delle due, quella un po’ più alta, sta seduto un ragazzino, con le gambe a penzoloni. Si chiama Koshi.

A Koshi piace quel posto. Ci va ogni volta che si sente triste; che si sente solo; ogni volta che ha bisogno di trovare un po’ di coraggio. Dicono i suoi amici, stupido, non devi andarti a sedere sulla tomba dell’hokage, o si offenderà e il suo spirito verrà a cercarti di notte. Ma lui risponde che non è mica un’offesa; è come andare a sedersi sulle ginocchia del nonno. Obietta un altro bambino che, però, mio nonno non mi ha mai permesso di sedermi sulle sue ginocchia, una volta ci ho provato e mi ha dato uno schiaffo. Bella forza, dice Koshi, tu sei di famiglia nobile, i nobili non possono nemmeno far pipì senza rispettare l’etichetta. Meno male che non sono nobile, aggiunge poi.

Koshi si siede spesso sulla tomba dell’Hokage, e poi parla con lui. Gli racconta la propria vita, gli dice di cosa ha paura, cosa desidera, cosa sogna. Quando si rialza, si sente meglio: più sereno. Il Quarto Hokage non gli risponde mai, non con le parole, ma Koshi sa che lui gli vuole bene e che lo protegge, invisibile e silenzioso come solo lo spirito di un ninja può essere, giorno dopo giorno, nella vita che è così difficile.

Oggi Koshi è particolarmente triste. Parla poco, e quasi quasi scoppia a piangere.

-         E’ che stamattina ho l’esame all’accademia. – dice a mezza voce – Mi hanno già bocciato tre volte. Non riesco proprio a farci nulla, mi sembra sempre di dimenticare tutto, e non so cosa fare se voglio passarlo. I miei compagni sono già diventati tutti genin, sono rimasto solo io indietro.

Si ferma un attimo, pensieroso.

-         Certo che tu questi problemi non li avrai avuti! Tu eri il più forte di tutti. L’ho detto anche l’altro giorno, a Genta, che diceva che invece il più forte era il Primo Hokage. Abbiamo finito per fare a pugni.

Rimane in silenzio, continuando a dondolare le gambe, che battono leggermente contro il marmo della tomba. Il vento soffia un istante: in quel refolo, Koshi sente un silenzioso incoraggiamento. La paura che lo opprimeva vola via, portata dalla brezza come una foglia leggera.

Sorridendo salta giù, tira fuori dalla bisaccia un pane dolce che sua madre gli ha dato per merenda, lo spezza in tre e ne conserva solo una parte. Le altre due sono un’offerta. Posa la prima davanti alla tomba su cui sedeva.

-         Per te. – dice. Sulla lapide c’è inciso:

 

QUI

 

NARUTO UZUMAKI

QUARTO HOKAGE DI KONOHA

 

RIPOSA DOPO LA FATICOSA BATTAGLIA COMBATTUTA PER PROTEGGERE IL VILLAGGIO

 

Koshi passa alla seconda tomba, più bassa e graziosa. Anche qui lascia il suo tributo.

-         Per tua moglie.

Sulla lapide c’è inciso:

 

QUI

 

SAKURA HARUNO

 

ATTENDE CHE I CILIEGI TORNINO A FIORIRE

-         Ora devo andare. – bisbiglia Koshi.

Afferra la bisaccia, se la carica in spalla, corre via tra l’erba verde, corre leggero nella luce del Sole. L’accademia è là in fondo. L’esame lo attende.

Chissà come, Koshi è sicuro che stavolta lo passerà.

 

FINE

 

 

 

 

Finalmente, la conclusione! OK, ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito fino ad ora, e ovviamente tutti quelli che leggeranno questo capitolo! Spero che il finale vi sia piaciuto. Colgo l’occasione per porre l’accento sulla canzone citata all’inizio del capitolo, “Always will be” degli Hammerfall. Ovviamente tutte le canzoni che ho citato mi piacciono molto, ma questa, in particolare, è qualcosa di incredibile. Vi consiglio di sentirla, se ne avrete l’occasione.

 

X Martyx: in effetti questa storia del Sigillo è un brutto trip mentale. Ho sentito molte teorie diverse al proposito, ma chissà se una di queste è giusta, o se semplicemente Kishimoto non ha ancora neanche deciso come giustificare questa faccenda (però mi parrebbe poco professionale da parte sua. Un’idea deve avercela, secondo me). Di sicuro la teoria di questa fic è probabilmente un po’ troppo estrema e “filosofica” per essere proponibile in uno shonen manga come “Naruto”. Ma non è detto che sia tutto da buttare: per esempio, secondo me Naruto potrebbe davvero essere la “reincarnazione” del Quarto Hokage, anziché suo figlio, come banalmente si potrebbe pensare.

 

X Fantafresh: grazie per i complimenti e soprattutto per aver definito la mia fiction “non commerciale” – più che altro perché in questo periodo ero stato preda di brutti dubbi, temevo di essermi “addolcito” troppo… XD. Ci tengo a farti sapere, ormai che siamo alla fine, quali pezzi della storia sono stati influenzati dal tuo commento della volta scorsa. Per la precisione: il discorso finale della Volpe, alla fine del capitolo 6, l’ho ampliato, la scena del bacio me la sono inventata nuova di zecca, e anche per questo motivo ho dovuto dividere il finale in due capitoli, il 6 e il 7. Per finire, il ruolo di Sakura in quest’ultimo capitolo è anch’esso una novità, nei miei piani iniziali non avrei più dovuto nominarla dopo l’episodio del capitolo 4. E pensare che di per sé Sakura nemmeno mi piace tanto, come personaggio! Ma mi sono fatto trascinare dalla mia stessa storia e l’ho valorizzata molto più di quanto io stesso non avessi pensato all’inizio. A posteriori, io sono contento di queste modifiche, perché mi sembra abbiano aggiunto spessore alla fic: il giudizio finale, comunque, spetta a te e agli altri lettori.

Mi spiace per quello che mi dici sulle scene d’azione: devo ammettere che hai ragione e che nel capitolo 5, in particolare, avrei forse dovuto rendere un po’ meglio la potenza di Yume. Invece, riguardo allo spostare l’azione, centrandola su altri personaggi, penso di poterti spiegare meglio, adesso, quello che intendevo quando dicevo che la monotematicità era “un effetto voluto”. Il fatto è che, vista la natura illusoria della vita di Naruto così come delle persone che lo circondano, ho pensato che sarebbe risultato quasi una beffa per il lettore mettere l’accento su pensieri e sentimenti di personaggi che in realtà, si scoprirà alla fine, non esistono! E in genere volevo che il tutto risultasse, quasi ossessivamente, centrato su Naruto, proprio per dare il senso di come sia lui il fulcro intorno a cui ruota tutto il resto. Normalmente tendo a rendere più variegati personaggi e ambientazioni, e nella mia prima idea anche “Legacy of the 4th” avrebbe dovuto essere così; poi, per i motivi detti sopra, ho preferito optare per una scelta più sperimentale e insolita, cercando ovviamente di mantenere la leggibilità della storia. Mi sembrava una sfida interessante, oltre tutto, una specie di “virtuosismo”.

 

Mamma mia quanto ho scritto… chiudo qua, ciao e grazie ancora a tutti! 

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