Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Questa storia, nelle sue linee fondamentali, l’ho avuta in mente
praticamente da quando ho cominciato a vedere Naruto
Questa storia, nelle sue linee
fondamentali, l’ho avuta in mente praticamente da
quando ho cominciato a vedere Naruto. Con il tempo l’ho affinata e migliorata,
e mi sono deciso a scriverla solo negli ultimi mesi. Poiché
credo che il mistero sia uno dei suoi punti di forza, non anticiperò nulla sul
contenuto.
Ci tengo solo a dire
che io ho scoperto Naruto solo attraverso la serie animata trasmessa in TV, e
successivamente ho cominciato a collezionare la ristampa del manga. Questo
significa che conosco la storia solo fino al volume 24 (uscito proprio oggi), e
di ciò che accade dopo non so praticamente nulla.
Siccome questa fanfiction si ambienta, invece,
parecchi anni dopo il manga, non posso garantire che
non ci siano incongruenze (del tipo, il personaggio X nella mia storia è vivo e
invece dovrebbe essere morto, o viceversa). Per questo, e solo per questo, ho
inserito la nota AU tra le avvertenze.
Direi che è
tutto. Buona lettura, e commentate!
Legacy of the 4th
di Gan_HOPE326
1st – Grief and sorrow
These
empty days are filling me with pain
After
I left it seems my life is only rain
My
heart is longing to the better times
When
everything was still so fine
Stratovarius – “4000 rainy nights”
Dove balla la foglia,
arde il fuoco, diceva il Terzo Hokage; ma la pioggia
spegne il fuoco, penso io, mentre davanti a me gli ultimi ostinati tizzoni
ardenti si smorzano e infine muoiono con uno sbuffo di fumo bianco sotto le
tediose e pesanti gocce d’acqua che li colpiscono. La pioggia flagella tutto
questo paese ormai da settimane. La terra si impasta
con l’acqua e tutto è fango; le case e gli alberi vengono trascinati via dalle
alluvioni; il sangue, che non manca mai, viene lavato via, le mani tornano
pure, o così sembra.
Mi chiamo Naruto
Uzumaki, ho vent’anni, e sono unjonin del Villaggio della Foglia: ma se mi vedeste
ora, non mi dareste un soldo bucato. Sto rannicchiato in una coperta, tremante
di febbre, bagnato fino all’osso (nemmeno il fuoco mi conforta più con il suo
calore, ormai), nel mezzo di una foresta ormai trasformata in pantano, sotto la
pioggia che continua a picchiare, e io lascio che faccia come vuole. Ho altro a
cui pensare. Alla decisione che ho preso ieri, ad esempio; a ciò che ha
comportato, al presente, al futuro, ammesso che ne abbia
uno. Ho rinunciato a tutto ciò che avevo, il mio paese, i miei
amici, la mia vita.
Quel che è peggio, ho rinunciato al mio sogno, per sempre.
Vorrei,
disperatamente, avere qualcuno al mio fianco, qualcuno più saggio di me, a cui
chiedere consiglio. Vorrei che Sakura fosse qui; ma lei non c’è, non c’è più,
in alcun luogo. Credevo di essermene fatta una ragione – era da tanto, ormai,
che non ci pensavo più.
No, io non ho più
Sakura, non ho più nessuno.
Ho solo ‘lei’.
-Non ci inseguono
più. Si sono arresi.
Lei è appena tornata
dal suo giro di ricognizione, eppure non è affaticata, non è sporca. Non lo è
mai. Il suo abito lungo, pesante e candido ondeggia fluidamente secondo il
ritmo dei suoi passi. I capelli rosso fuoco risplendono
di un improvviso bagliore quando un lampo abbaglia il mondo. Lo sguardo deciso
si fa improvvisamente tenero quando mi parla:
-Stai bene, Naruto? Tutto a posto?
La febbre si è fatta
più forte in questi ultimi minuti. No, non sto bene. Mi sento il sangue
bruciare in corpo come metallo liquido, e allo stesso tempo mi sento ghiacciare.
Non rispondo nulla, alzo una mano tremante ad indicare il fuoco che si è spento
sotto la pioggia.
-Capisco. Ci penso io.
Lei raccoglie poca
legna, umida e verde, e ci posa sopra la mano. Il fuoco scoppia subito
incredibilmente alto e vivace.
Inutile negarlo, è lei
il motivo di tutto questo. E’ a lei che mi sono affidato, ciecamente, anima e
corpo, senza pensare, né conoscerla davvero, senza sapere se è realmente chi
dice di essere. Mi lega a lei qualcosa di diverso da quello che dovrebbe.
Eppure, quello che mi
sta accadendo non manca di ironia, e all’inizio mi
riusciva persino di sorriderne: perché tutti i miei problemi sono cominciati
proprio in quello che avrebbe dovuto essere il giorno più felice della mia
vita. Per la precisione ieri mattina, quando, poco dopo l’alba, a me, Naruto
Uzumaki, è stato offerta la carica di Sesto Hokage di
Konoha.
Il consiglio annunciò la decisione di eleggere Naruto
Uzumaki al seggio di Hokage al sorgere del sole, dopo
una lunga riunione notturna.
C’era la guerra, allora – c’è
sempre la guerra. In quell’epoca era contro il Villaggio della Nuvola. Le forze
di Konoha avevano battagliato a lungo con quelle nemiche nei territori di
confine, cercando di arginarne l’avanzata. La Quinta Hokage
si era gettata nella battaglia assieme a tutti gli altri. Curava
i feriti, aiutava i combattenti in difficoltà. Chi la vide lottare, con
forza furiosa e disperata, assalita da mille nemici, giurava di aver visto le
sue ferite rimarginarsi all’istante svanendo come per magia. Alla
fine, i ninja della Nuvola fuggirono, terrorizzati da quell’avversaria
imbattibile; ma ci fu poca gloria in quella vittoria. Quando
la riportarono al villaggio, su una barella, Tsunade
era in fin di vita. Aveva esaurito tutto il chakra e
rigenerato le sue cellule fino allo stremo. Incapace di mantenere il controllo
della propria tecnica, era tornata al proprio vero aspetto, quello di una donna
di quasi sessant’anni, dalla pelle cadente e le
labbra esangui. La trasportarono lungo la strada principale
mentre tutti gli abitanti del villaggio assistevano in silenzio a quella
sfilata. Fu come un funerale: la portavano alla sua dimora, perché potesse
morire in pace. Una mano pietosa le aveva steso un
velo sul viso. Nessuno vide il suo volto anziano e provato, e tutti la
ricordarono bella e fiera. Ma c’era la guerra: in
guerra c’è poco tempo per piangere. La notte stessa, mentre ancora il Quinto Hokage agonizzava per gli ultimi momenti nel proprio letto,
si riunì il consiglio degli anziani per eleggere il suo successore. E prima che
nascesse il nuovo giorno la scelta era stata fatta.
La pioggia batteva sulla tettoia del chiosco di ramendi Ichiraku,
con un ticchettio continuo e invadente, poi gocciolava via, unendosi al fango
della strada.
-Maledetti
jonin della Nuvola. – brontolò il vecchio che
cucinava – Loro e le loro tecniche. E’ da quando è
cominciata questa stupida guerra che non fanno che buttar pioggia e temporali
sul nostro paese. Come diavolo faranno, poi…!
-C’è
poco da fare. – disse rassegnato Shikamaru, che seduto
al bancone sorseggiava un tè caldo. – Sembra che ci sia il Raikage
in persona, ai confini del nostro paese. Usano il chakra
per modificare il clima della regione e abbattere il morale degli avversari.
-Beh,
per quanto mi riguarda, ci stanno riuscendo.
Il cuoco entrò nella dispensa, continuando a brontolare
contro la Nuvola,
contro i ninja e contro la guerra.
Naruto, seduto accanto a Shikamaru,
non aveva detto neanche una parola. Fissava la ciotola di ramen
davanti a sé. Rifuggiva ogni pensiero, inseguendo con lo sguardo gli strani
vortici dei tagliolini che si rimescolavano lentamente, o le pigre volute di
vapore che si levavano dal brodo caldo.
-Tu
non sei il solito Naruto. Sei qualcun altro che ha preso
il suo posto con la Tecnica
della Trasformazione.
Naruto alzò lo sguardo e sorrise pallidamente.
-Rassegnatici,
Shikamaru. Sono proprio io.
-Dici?
Ma il Naruto che io conosco non avrebbe mai esitato così
tanto a mangiare un ramen. Un ramen che gli è stato offerto per festeggiare la sua
elezione adhokage, poi!
-Hokage, già.
Shikamaru afferrò l’altro per una spalla e
fece ruotare lo sgabello, in modo da averlo di fronte, e poterlo guardare negli
occhi.
-Insomma,
si può sapere che cos’hai? E’ da
quando avevi dodici anni che ci hai fatto a tutti quanti una testa così
a furia di ripetere che saresti diventato hokage, e
ora che ci sei riuscito fai il broncio? Voglio dire, a quanti capita di
riuscire davvero a realizzare il proprio sogno, e poi un sogno
così ambizioso! Nel nostro tipo di vita…
E lasciò la frase a metà, accorgendosi
di stare per toccare un tasto dolente.
-…la
maggior parte delle persone muore senza realizzare nulla di ciò che sognava,
dico bene? – concluse al suo posto Naruto.
-Sì.
Più o meno. Quello che voglio dire è che proprio per
rispetto a chi ha perso i propri sogni mi aspetterei che tu fossi più…
entusiasta.
-Forse
hai ragione.
Naruto tacque per un lungo istante, mentre un tuono
rimbombava cupo tra cielo e terra.
-Ma non so perché, non ho proprio voglia di festeggiare nulla. Forse è per
via di Nonna Tsunade, o perché questa responsabilità
è un grosso peso, in un tempo di guerra come questo.
-Oppure
perché i sogni, al mattino, lasciano un sapore amaro
in bocca.
-Può
darsi, Shikamaru. Sei più saggio di me.
Finalmente, prese in mano la ciotola di ramen
e sorseggiò un po’ di brodo.
-Avrebbero
dovuto scegliere te, come nuovo hokage.
-Per
carità! – esclamò l’altro, inorridito. – E’ già abbastanza complicata così, la
mia vita. Non mi servono altre rotture di scatole!
Naruto rise e mise mano alle bacchette. Dimenticata la
tristezza di prima, pescò un fascio di tagliolini dalla ciotola, cominciando a
mangiare avidamente. Sentiva il sapore pieno e salato della carne sulla lingua,
se lo rotolava in bocca. Quel sapore, che lui aveva sempre amato, ora portava
con sé anche tanti ricordi, si tingeva di nostalgia. Il
vecchio maestro Jiraiya, che lo portava a quello
stesso chiosco a ristorarsi dopo gli allenamenti. Kakashi, le missioni,
il vecchio gruppo sette. Sasuke. Sakura.
La tristezza ritornò.
-Tu
devi essere Naruto.
Naruto e Shikamaru si voltarono
insieme verso la strada, da dove era venuta quella voce. Una voce femminile e
melodiosa; calda, e insolitamente seducente,
-E tu, invece, chi sei? – chiese Shikamaru.
La donna si fece avanti a passo lento. Camminava sotto una
pioggia torrenziale con assoluta disinvoltura, anzi con solennità. Appariva
giovane, ma i suoi occhi tradivano un’età maggiore di quella che dimostrava. Occhi profondi e castani, di un colore tanto caldo da sembrare
quasi arancione.
La vidi allora per la
prima volta, e tanto mi bastò. I suoi occhi, al primo
sguardo, mi si conficcarono nell’anima; i suoi capelli rossi e ondeggianti mi
attiravano come la fiamma una falena; non avevo mai provato niente di simile.
Non era attrazione o passione. Era una possessione. Nient’altro che la
certezza, immediata e lancinante, che lei sarebbe stata la mia vita e la mia
morte, che portava con sé tutto ciò di cui avevo
bisogno, che ci legava qualcosa di profondo e inevitabile, un legame deciso fin
da quando il mondo era stato creato, e prima ancora.
La vidi, e capii che
lei era il mio destino.
-Ti
ho trovato, alla fine. – disse, anzi cantò.
Si diresse subito verso Naruto, che la fissava ipnotizzato,
senza la forza di parlare. Ferma davanti a lui, lo fissò dall’alto in basso,
poi afferrò con una mano il suo volto, sotto il mento. Come una carezza, eppure
con forza. Lo portò davanti ai propri occhi, per scrutarlo in ogni particolare.
…e
le sue dita, sulle mie guance, bruciavano come fuoco. Il cuore stava per
esplodermi in petto…
-E’
incredibile. – mormorò la donna, affascinata. – Quanto gli somigli… quanto…
Per un attimo stettero entrambi fermi, a guardarsi,
magnetizzati l’uno dall’altro. Poi Naruto trovò il modo di riscuotersi, mentre
l’altra lasciava la presa sul suo viso.
-Perché non rispondi al mio amico? – chiese, cercando di assumere
un tono brusco. – Dicci chi sei. Non puoi andartene a spasso per il villaggio
se sei un’estranea. Siamo in guerra.
La donna lo guardò sorpresa, come se non si aspettasse
nemmeno una domanda del genere. Poi sospirò e abbassò lo sguardo con tristezza.
-Immagino
che tu abbia ragione. Ovviamente, non puoi conoscermi. E
nessuno ti ha mai mostrato una mia immagine.
Si sedette su uno sgabello accanto a Naruto e lo guardò in
un modo in cui non era mai stato guardato prima. Con affetto, e con tenerezza.
-Io
sono tua madre, Naruto. – disse infine. – Mi chiamo Yume.
Sono in braccio a mia
madre, mentre intorno la foresta corre via veloce. La
pioggia è sempre più densa e fitta, tanta è la rapidità con cui ci muoviamo che
l’acqua mi arriva in faccia con la violenza di un getto di ghiaia e sabbia; le
gocce mi colpiscono, mi feriscono, addirittura. Perché
andiamo così di fretta? Cosa ci minaccia? Gli uomini
del villaggio non hanno rinunciato ad inseguirci? Yume
ha detto così, poco fa.
-Mamma…
-Ssht, Naruto, non sforzarti. La febbre è alta. Rischi di peggiorare.
Non rischio: peggioro.
Peggioro di continuo. La febbre mi sta divorando, e
dannazione, non so nemmeno il perché.
In fondo, non mi importa, finché sono con lei, finché ho lei: o finché lei
ha me, non c’è differenza. Posso abbandonarmi al corso degli eventi e lasciare
che tutto scorra intorno a me. Del resto, da quando
questa storia ha avuto inizio, tutto è stato veloce e incomprensibile, proprio
come questa nostra interminabile fuga.
Naruto e Yume rimasero seduti, in
silenzio, molto a lungo. Shikamaru, discreto e
intelligente, aveva capito subito che era meglio lasciarli soli ed era svanito
silenzioso come le sue ombre. Yume continuava a
percorrere e ripercorrere con gli occhi i lineamenti del figlio, a seguire
stupita le linee del suo volto con le dita affusolate. Il naso, disse, e il
taglio degli occhi, e soprattutto, oh!, soprattutto i
capelli, erano così identici. Quei
capelli dorati come il mattino e un po’ arruffati.
-Sei
la sua copia esatta. – disse entusiasta. – Non potevo proprio sbagliarmi. Ti
avrei riconosciuto tra mille.
-Parli
di mio padre, vero?
Yume fece cenno di sì, con un largo
sorriso, una mezzaluna che splendeva ancor di più in mezzo alla rossa criniera
dei suoi capelli.
-Certo.
Sei bello quanto lui.
-Mio
padre… – chiese esitante Naruto - …chi era?
-Ma non sei altrettanto intelligente! – fece lei con una risata. – Davvero,
credevo l’avessi capito. Non te lo dicono tutti, da quando
eri bambino? Che sei identico a lui.
Lo prese per mano. Si alzarono e lo
condusse fuori, in strada, sotto la pioggia. Indicò il monte che sovrastava il
villaggio, dal quale i severi volti degli hokage
scrutavano la vita e la
Storia.
-Quanti
ragazzi di questo villaggio, svegliandosi al mattino,
possono vedere il proprio ritratto scolpito nella roccia?
Naruto fissò le sculture che avevano sempre dominato la sua
esistenza, onnipresenti ed immutabili; le sculture che una volta, da piccolo, aveva imbrattato di disegnacci e
insulti; le sculture che raccontavano il passato della Foglia. Quattro volti; e
tra quelli c’era anche il suo.
-Mio
padre è il Quarto Hokage. – affermò con certezza,
come qualcosa che avesse saputo da sempre.
Yume lo strinse al suo fianco. Restarono
insieme a guardare il monte, abbracciati, mentre la pioggia continuava a
scorrere tutt’intorno.
-Andiamo
in un posto più asciutto. – disse infine la donna – Ci sono
molte altre cose di cui dobbiamo parlare.
Per prima cosa, Yume raccontò a
Naruto di come aveva incontrato suo padre, e di come lui era
nato. Era successo quasi per caso, disse, ma era stato indimenticabile.
Il loro primo incontro era stato a dir poco burrascoso.
-Quella volta, ricordo che abbiamo addirittura combattuto. – raccontò ridendo. – Ma poi è nato qualcosa tra noi. Un legame; uno di quelli che
durano per sempre.
-Avete
combattuto? Allora anche tu sei una ninja?
-Me
la cavo. Ma non faccio parte di alcun villaggio, quel
che so fare l’ho imparato da me. Comunque, non molto tempo dopo sei nato tu. E’
stato un giorno che non dimenticherò mai. Lo stesso giorno in
cui a tuo padre successe… insomma, quello che sai.
-Perché te ne sei andata? Ho creduto per tutta la vita di essere orfano.
-La
gente del villaggio non mi amava molto, per via di quel che era accaduto tra me
e tuo padre. Sono piccoli, di cuore e di testa. Era una specie di gelosia. Io
ero straniera, eppure avevo con il loro prezioso hokage
un legame più profondo di quanto loro non avessero mai avuto.
Quando lui se ne andò, non ci fu più nessuno a
difendermi dalla loro malignità. La mia vita divenne un inferno e fui costretta
ad andare via. Avrei voluto portarti con me, ma la gente del villaggio ti reclamava in quanto figlio del Quarto Hokage.
Eri la sua eredità: il tuo sangue apparteneva alla Foglia.
Naruto tacque un attimo, ricordando i primi anni della sua
vita. Anni di odio e di emarginazione, in cui nessuno
lo aveva mai apprezzato o incoraggiato. La solitudine di cui
si era nutrito finché non aveva avuto, finalmente, l’occasione di emergere.
Era vero, la gente del villaggio poteva essere molto
gretta. Almeno, la maggior parte di loro.
-Naruto…
Yume poggiò una mano sulla spalla del
ragazzo, intuendo i suoi pensieri.
-Naruto,
posso immaginare ciò che hai passato. Io sono fuggita, e tu invece non ne hai
avuto la possibilità. So che non ci sono scuse per me, avrei
dovuto trovare un modo per restare al tuo fianco, o portarti via con la
forza, se necessario. Ti ho pensato così tanto. So che
non è molto, ma ti assicuro che, almeno con lo spirito, ti sono sempre stata
accanto.
Era colpa sua, in
fondo. Era lei che mi aveva lasciato solo. Lei, che mi avrebbe dovuto difendere quando io ancora non potevo, e invece se n’era
andata, era scappata, per vigliaccheria. Avrei dovuto odiarla, per questo,
perché se fosse rimasta, forse, sarebbe stata sola anche lei; ma saremmo stati
soli in due, e avremmo potuto sopportare, e darci forza l’un
l’altro. Avrei dovuto odiarla, ma non ci riuscii allora, e non ci riesco neanche adesso. Non posso odiarla. Ho troppo bisogno
di stare con lei, per odiarla.
-Non
fa nulla, mamma. – sussurrò Naruto – Non fa nulla.
-Allora
ascolta.
L’espressione di Yume cambiò
improvvisamente. Si fece preoccupata; nella sua voce c’era un tono di urgenza.
-Non
ti ho protetto per vent’anni; troppi. Non che questo possa pareggiare i conti, ma oggi sono qui per avvisarti di
un pericolo che incombe su di te. Se non seguirai i
miei consigli, domani potresti essere morto.
Naruto cercò di obiettare qualcosa, sorpreso da
quell’improvvisa trasformazione nell’atteggiamento della madre, ma lei gli fece
cenno di stare in silenzio ed ascoltare.
-Come
ti ho detto, io sono al di fuori di tutti i villaggi, ma questo non vuol dire che non tenga i contatti. Ho qualche persona fidata che
mi riferisce le ultime notizie, soprattutto su Konoha, e su di te. Sono qui perché
ho saputo che sarai eletto Sesto Hokage. L’ho saputo
addirittura prima di te; o meglio, l’ho immaginato, e oggi ne ho avuto la
conferma.
-Ma che significa? Come l’hai saputo?
-Io
conosco bene il mondo dei ninja. La guerra contro la Nuvola si protrae da troppo
tempo. Questa pioggia sta devastando il paese del Fuoco, e altri villaggi
pianificano di unirsi all’attacco alla Foglia, impegnandola su più fronti. La Foglia ha tutto l’interesse
a firmare la pace il prima possibile. Perciò ieri
hanno accettato una condizione che ha consentito loro di firmare un trattato
segreto.
-La
pace è già stata firmata? – esclamò Naruto – Ma a me
nessuno ha…
-Detto
niente, lo so. C’è un motivo per tutto. La condizione posta dal trattato è
simile a quella che, anni fa, costò la vita a HizashiHyuga; e anche in questo caso, la Foglia ha intenzione di
imbrogliare. Questa volta la
Nuvola ha preteso il corpo dell’hokage
in carica. Vogliono studiare la tecnica di rigenerazione di
madamigella Tsunade, immagino. Ma loro non sanno che Tsunade è
morta stanotte. Quindi, quando arriverà l’incaricato, l’hokage in carica non sarà più lei…
-Sarò
io.
Naruto si portò le mani ai capelli. Pareva assurdo, una
follia; eppure aveva senso. A ben pensarci, egli stesso, pur sapendo di essere molto forte, dubitava di essere davvero il ninja
più forte del villaggio. E poi, mai era stato scelto
un hokage di soli vent’anni.
-Dovevano
sacrificare qualcuno per salvaguardare il segreto di quella tecnica. – mormorò Yume – Mi… mi dispiace,
Naruto. So che era il tuo sogno, e lo sapevano anche
loro. Hanno scelto te proprio perché immaginavano che non avresti sospettato
niente e avresti accettato senza pensare.
-Mi
hanno tradito.
Nient’altro. In fondo, non aveva poi nemmeno tanta paura di
morire. Dopo anni di guerra e battaglie si era pian
piano abituato all’idea che ogni giorno della sua vita poteva essere l’ultimo,
come tutti i soldati. Ma il tradimento: quello era
intollerabile. Lo stesso villaggio che lo aveva cresciuto, per
cui lui aveva combattuto innumerevoli volte, difendendolo, soffrendo,
uccidendo in suo nome, ora lo distruggeva, si serviva di lui come di un
burattino per le proprie oscure manovre. Il suo sogno era stato, fin
dall’infanzia, quello di diventare la suprema guida e il protettore del
villaggio. Quel sogno gliel’avevano sporcato. Ora come
ora, non valeva più nulla.
-Mi
hanno tradito.
-Sono
venuta per questo, Naruto. Possiamo fuggire. Stanotte stessa. Fatti trovare
pronto, raduna le tue armi e quello che vuoi portare con te, a mezzanotte. Esci da casa tua: ci incontreremo sotto le mura, nei pressi delle porte del
villaggio. Tutto chiaro?
Naruto annuì, senza parlare. Yume
sussurrò un saluto e sparì.
Avevamo parlato per soli dieci minuti, e tutto, tutta la mia vita, era stata sconvolta. Tutto era cambiato. Solo la pioggia, testarda, era
sempre la stessa, e continuava a picchiare.
Venne la notte; una notte nera e
scrosciante. Naruto uscì da casa guardingo. Portava
una sacca con pochi kunai e qualche rotolo, e si teneva sotto un telo mimetico,
più per ripararsi dalla pioggia che per nascondersi agli occhi di qualcuno. In
quell’oscurità, nessuno avrebbe potuto scorgerlo. Si mosse scivolando lungo i
muri degli edifici. Oltrepassò uno dopo l’altro tutti i luoghi che gli erano
più familiari e che stava per abbandonare. Camminava come in trance,
senza soffermarsi a pensare a ciò che stava accadendo.
Agli amici che abbandonava.
Al passato che rinnegava.
Al villaggio che tradiva.
Al sogno che perdeva per sempre.
Sapevo solo che ‘lei’
mi aspettava, ed questo solo pensiero bastava a
guidare i miei passi. Inesorabili, inevitabili, mi conducevano a lei; la mia
volontà era la stessa di un pezzo di ferro che rotoli e strisci verso il
magnete. E’ tutt’ora così. La mia vita si sfalda e va in pezzi, il mio corpo
trema di brividi sempre più atroci che, è inutile che cerchi di negarlo, ormai,
culmineranno con un ultimo, incontrollabile spasimo quando
il mio cuore si fermerà. Fra un’ora, forse, o fra due; eppure io sono felice,
ignoro ogni cosa, perché lei mi stringe tra le braccia, perché lei mi sussurra
inutili e tenere consolazioni, perché lei mi porta in una inarrestabile
corsa attraverso questa foresta sempre più buia. No, forse non è la foresta a
farsi più buia: forse sono i miei occhi che si indeboliscono
ogni minuto di più. Allora avevo solo iniziato ad intuire l’irresistibilità di questa attrazione, l’avevo appena assaggiata, eppure era
stato sufficiente a convincermi a intraprendere quella disperata fuga da tutto
ciò che conoscevo e amavo. E poi vidi qualcosa
scintillare nel buio, qualcosa di chiaro, di luminoso. Poco prima avevo creduto
con assoluta certezza che nessun occhio umano potesse
scorgermi in una oscurità tanto fitta, e resa ancor più cupa dal diluvio. Vidi
qualcosa che scintillava; capii cos’era, e capii di
essermi sbagliato.
-Cosa sei venuta a fare?
La donna emerse dalle ombre nelle quali si era celata fino a
quel momento. Indossava una calzamaglia nera e aderente che lasciava scoperto
solo il viso, grazie alla quale era riuscita a rimanere quasi invisibile. I
corti capelli neri le colavano sulla fronte, impastati di pioggia; e sotto, lo
scintillio che l’aveva tradita. Due larghi e tristi occhi bianchi.
-Sono
venuta a fermarti, Naruto. Rinuncia a questa follia.
Naruto e Hinatarestarono
fermi, l’uno davanti all’altra, in mezzo alla strada, pronti a combattere.
Secondo capitolo della fic, che, come annuncia il titolo, è carico di rivelazioni.
Grazie a chi ha letto e commentato il
primo, riguardo agli aggiornamenti non preoccupatevi,
metterò un nuovo capitolo ogni quattro-cinque giorni.
La storia è finita tranne che per l’ultimo capitolo, che penso di completare
nei prossimi giorni, quindi potrò aggiornare con un
buon ritmo.
Un’ultima cosa: ho modificato la
presentazione della storia, sostituendola con una che mi pareva più evocativa e
adatta all’atmosfera della fic. D’ora in poi non
cambia più, garantito! Al prossimo capitolo!
Ci siamo fermati da un
po’. Mia madre mi ha lasciato sdraiato qui, sull’erba umida, a torso nudo, a
riposarmi. Mi ha detto che il fresco avrebbe placato
la febbre. Io sono caduto subito in uno stato di torpore troppo agitato e
cosciente per poterlo chiamare sonno; anche ora, sono sveglio a metà. Lei mi
aveva detto che sarebbe andata in ricognizione nella
zona circostante. Ha mentito. E’ tornata qui in silenzio e si è avvicinata a
me, credendomi addormentato. Glielo lascio credere. Si china accanto a me, e d’un tratto tocca il mio petto con la punta delle dita. Scorre
lungo le linee dei muscoli, poi giù, verso il ventre. Io continuo a restare
immobile, a respirare piano; ma temo che il mio cuore faccia un tale frastuono
da farle capire tutto, e rompere questo strano
incantesimo. Le sue dita premono sulla mia pelle in modo inquietante. Ora
sembra che vogliano carezzarla, ora sembra che
vogliano conficcarsi nella mia carne per strapparmela via. Sono
forti, frementi, combattono con una loro volontà segreta. Scivolano
sempre più giù, fino all’ombelico. Lì si fermano un istante, e poi Yume ritrae la mano, come scottata. Yume.
Mia madre.
Mi lega a lei qualcosa
di diverso da ciò che lega un figlio ad una madre.
La lega a me qualcosa
di diverso da ciò che lega una madre ad un figlio.
Non lo capisco.
Non m’importa.
-Ti
mandano quelli del villaggio?
-Nessun
altro del villaggio sa ancora nulla. Ti ho visto, ho capito cosa volevi fare e
sono venuta da sola.
Da quando era solo una timida ragazzina spaurita, Hinata era cambiata molto. Era diventata abile e forte,
sicura e coraggiosa. Eppure non aveva mai perso fino in fondo la sua natura più
profonda. Ora, davanti a Naruto, impugnava un kunai con mano ferma, i piedi
saldamente puntati a terra; ma le sue labbra erano troppo increspate, le sue parole leggermente esitanti.
-Perché fai una cosa del genere, Naruto?
-Ho
le mie ragioni.
-Come
le aveva Sasuke?
-Non
è la stessa cosa.
Volevo guardarla negli
occhi, e non ci riuscivo. Volevo spiegarle tutto, e non potevo. Soprattutto,
ora che l’avevo vista, ora che mi ero ricordato di quanta fiducia lei riponesse
in me, avrei voluto restare. Sarebbe stata una ragione
sufficiente. Ma già non ero più io il padrone di me
stesso. Ero solo una foglia trascinata nei turbini del vento: e il vento avrei seguito. Avrei seguito Yume.
Lei sola.
-Quel
kunai – disse infine Naruto, indicando la mano di Hinata
che impugnava l’arma – significa che sei pronta a
batterti pur di fermarmi?
-Una
volta, – rispose lei, senza il minimo tremore, nonostante gli occhi le si stessero velando di lacrime – una volta ti dissi che
ti consideravo forte perché, anche quando commetti degli errori, sai sempre
rialzarti e ricominciare. Lo penso ancora, Naruto. Ma
questo! Da questo errore non puoi rialzarti, Naruto.
Dopo questo errore non potrai più ricominciare. Se sono pronta a battermi, è per impedirti di commetterlo.
-Capisco.
Scattarono insieme. Naruto verso un muro vicino, e Hinata verso Naruto. Il ragazzo toccò la parete con un
piede e si diede una nuova spinta, dritto verso la sua
avversaria, che correva con il kunai teso in avanti. Spinto dal suo impeto,
Naruto finì dritto contro l’arma e venne trafitto in
pieno petto. Hinata si fermò e lanciò un grido.
Lasciò il kunai, abbandonò le braccia lungo i fianchi, cadde in ginocchio.
Con uno sbuffo di fumo, il falso Naruto si trasformò in un
ciocco di legno; quello vero giunse silenzioso come un soffio di vento alle
spalle dell’avversaria e le posò il filo di una lama sul collo.
Restarono congelati in quella posizione per un attimo. Gocce
di pioggia scorrevano lungo la nuca di Hinata, giù
sulla pelle chiara, giù fino al freddo acciaio che premeva contro la giugulare.
-Giungeresti
a tanto? – mormorò lei, piangendo.
-Certo
che no.
Naruto scostò il pugnale e si accovacciò accanto a lei.
-Non
posso dirti perché me ne vado. – disse piano – E’ un
segreto. Non voglio metterti nei guai con il resto del villaggio, perciò meno
sai, meglio è. Fidati di me, quando ti dico che non ho
altra scelta.
-Resta.
– singhiozzò Hinata – Resta! Abbiamo bisogno di una
guida. Abbiamo bisogno di te.
L’altro si rialzò. Un passo dopo l’altro, si
incamminò lungo la strada che l’avrebbe portato via da Konoha.
-Non
avete bisogno di me. Avete bisogno soltanto di un
cadavere. Basta cercare bene; di questi tempi se ne trovano tanti, sparsi per i
campi di battaglia.
Furono queste le
ultime parole che le rivolsi: amare come fiele. Un
triste addio. Credevo che ciò che le avevo detto sarebbe
bastato a convincerla a rinunciare a me.
Naturalmente, mi
sbagliavo.
Sotto le mura, in mezzo all’ampio spiazzo adiacente alle
porte del villaggio, stava Yume. Quando
Naruto arrivò la vide subito. Era ferma, in piedi, sulla terra battuta. Teneva
la testa leggermente buttata all’indietro, gli occhi persi nel cupo cielo
notturno, il volto abbandonato alla pioggia. Il corpo, teso come un arco,
vibrava ogni tanto per un tremito improvviso: forse di freddo, o forse di emozione. Sembrava immersa in una profonda e mistica estasi. Poi accadde una magia. Da qualche parte, tra le
nuvole, si aprì uno spiraglio, lasciando filtrare un pallido raggio di luna che
le cadde dritto sui capelli. Luce d’argento e chioma di rame si fusero insieme,
splendendo nella notte. La sua irreale bellezza sfolgorava,
pareva farsi eterea, la sua figura ritagliata nel tessuto di un sogno.
-Credevo
non dovessimo farci notare.
-Oh,
sei qui! – Yumetornò
improvvisamente in sé, vedendo il figlio avvicinarsi – Scusami. Sono
poco abituata a mimetizzarmi. Te l’ho detto, non sono
una ninja.
Sorrise e abbassò il capo. Il miracolo di luce si dissolse.
Naruto ricambiò il sorriso:
-Non
fa nulla, ne valeva la pena. Io ho tutto qui con me. Sono pronto ad andare.
Yume annuì e fece cenno al ragazzo di
prepararsi a saltare le mura. Flettè le gambe, pronta
ad andare per prima; poi si fermò bruscamente.
-Forse
– mormorò pensierosa – forse è meglio che vada avanti tu.
Sei più bravo di me a nasconderti. Vai in avanscoperta
a vedere se ci sono guardie o pattuglie nella foresta. Io ti raggiungo fra un
secondo.
Naruto restò interdetto, subito, ma poi pensò che in fondo era una buona idea e si disse d’accordo con la madre. Si
avvolse nel telo mimetico, fece un cenno di saluto e saltò, tuffandosi nella
notte, oltre la cinta muraria.
Yume prese a passeggiare lentamente nello
spiazzo ora deserto. Misurava i passi e si muoveva senza fretta, con la calma
di chi non deve fare altro che attendere. Giunta al
margine dell’ampio piazzale, vicina al muro di un edificio, posò distrattamente
la mano contro un alto mucchio di casse di legno vuote e abbandonate
lì da qualche mercante chissà quanto tempo fa.
La mano prese a sfrigolare; il legno si scaldò e, nonostante
fosse ormai bagnato e marcio, prese fuoco; un istante
dopo, una nuvola di schegge e polvere si sparpagliò tutt’intorno,
qualcosa di nero saettò fuori dalle casse, le casse stesse esplosero in
migliaia di frammenti incandescenti, tutto ad incredibile velocità. Yume si voltò e fissò con sguardo glaciale la cosa nera che
era uscita dalle casse e ora stava alle sue spalle, accovacciata tra i tizzoni
roventi che piovevano da ogni lato.
-Lo
hai seguito, allora, bambina Hyuga. – commentò in
tono sprezzante – Cosa vuoi da lui?
-Solo
farlo ragionare. – rispose Hinata con un sorriso
forzato.
Si ripulì il volto con una mano. Nonostante avesse capito di
essere stata scoperta un attimo prima di saltare in
aria assieme al suo nascondiglio, non era riuscita ad evitare di bruciacchiarsi
un po’. Aveva il volto coperto di fuliggine e sopracciglia e capelli strinati.
L’attacco era stato semplicemente troppo veloce e inaspettato perché riuscisse
a schivarlo alla perfezione.
-Naruto
non si sarebbe mai comportato come ha fatto se non ci fosse
stato qualcuno dietro a manipolarlo. Ed infatti,
eccoti qui. Cosa sei, tu? Una spia della Nuvola? Un
sicario?
-Niente
di tutto ciò, bambina Hyuga. Perché
non guardi tu stessa, con quei tuoi bellissimi occhi? Guarda e dimmi cosa sono.
Hinata fu scossa da un brivido, ma accettò
la sfida. Nulla poteva restare celato allo sguardo penetrante del byakugan. Qualunque travestimento, qualunque
bugia sarebbe caduta, la verità sarebbe emersa dai veli della finzione.
-Byakugan! – gridò, portando la mano davanti al volto.
Gli occhi si dilatarono, le vene ai loro angoli si ingrossarono. Hinata fissò la
donna per un istante, prima di essere presa da un’angoscia incontenibile.
Sentì il fiato mancarle. Non era possibile. Non aveva mai
visto una cosa del genere. Era come incontrare un cadavere decapitato per la
strada; un uomo senza testa che pure cammina, parla, saluta la gente.
-Perché non vedo nulla? – gridò terrorizzata –
Non riesco a vedere il tuo chakra! Non riesco
a vedere i tuoi PENSIERI!
Indietreggiò di un passo, barcollando. Yume
avanzò verso di lei.
-Che cosa sei? Non dovresti nemmeno essere viva! CHE
COSA SEI?
-Povera
piccola bambina Hyuga. – Yume
non dimostrava alcuna soddisfazione nel vedere la propria avversaria così
smarrita. Era semplicemente gelida. – Credevi di poter vedere tutto, e invece
non puoi. Ci sono così tante cose che non puoi vedere,
povera piccola bambina Hyuga!
Avanzava, un passo dopo l’altro. Hinata
indietreggiò ancora, inciampò, finì a terra. Non aveva più alcun controllo di
sé. Il suo terrore andava oltre la sua stessa
comprensione.
-Perché sei venuta? Perché vuoi portarci via
Naruto?
-Dimenticavo.
Tu…
La voce di Yume si fece ancora più
crudele. Aveva incontrato Hinata solo quella sera,
eppure sembrava che la conoscesse da sempre, e che da sempre portasse un
immenso rancore verso di lei.
-…tu
sei la troietta che se lo fila da una vita, Naruto.
Credi che sia una tua proprietà.
-COSA? NO, IO…
-Ti
sbagli, bambina Hyuga. Naruto è mio. E’ mio da
sempre. Quello che ci lega è troppo profondo e diverso da qualunque cosa tu possa credere di provare per lui. E’ un destino: e lui
stesso se ne è accorto, se sono bastate poche mie
parole per convincerlo ad abbandonare questo posto e seguirmi. Ti svelerò un
segreto.
E d’un tratto, dopo solo uno sbuffo
di polvere, Yume fu accanto a Hinata,
la prese per la gola, la sollevò, portando il suo orecchio all’altezza della
bocca. La ragazza lottava disperatamente per non essere strangolata, tendendo
al massimo i muscoli del collo. Yume sussurrò:
-Tu
non sei importante, bambina Hyuga. Tu non esisti nemmeno.
Solo Naruto esiste. Solo Naruto è importante. Io lo aiuterò a sfuggire a questo
vostro stupido, piccolo mondo.
La donna sollevò Hinata ancora più
in alto, a quasi un metro da terra, senza alcuno sforzo. Poi fece un gesto
brusco e la scagliò via, contro il portone del villaggio. I cardini andarono in
frantumi e i due ampi battenti caddero sonoramente, sollevando una nube di
polvere. Hinata riuscì a rialzarsi, nonostante
sentisse le gambe così deboli da non credere che potessero sostenere il suo
peso. Yume l’aveva già raggiunta. Ormai erano fuori dal villaggio; intorno, solo gli alberi dell’immensa
foresta che ricopriva quasi tutto il paese del Fuoco.
Hinata recuperò un po’ di fiducia. Il
dolore improvviso l’aveva riscossa dalla paura di prima, e ora si sentiva in
grado di reagire. Inoltre, adesso lo spazio intorno a loro era ancora più ampio
di prima. Avrebbe potuto sfruttarlo tutto per combattere al meglio. Forse c’era
ancora qualche possibilità.
Tese le gambe, chiuse gli occhi, respirando via tutta la
tensione. Aveva bisogno di assoluta concentrazione e
serenità. Allargò le braccia in un ampio gesto. Il suo corpo affusolato
sembrava ora quello di un elegante cigno nero, pronto a spiccare il volo.
Scattò. Poche cose in questo mondo sono altrettanto aggraziate
ed affascinanti a vedersi dello stile di combattimento degli Hyuga; e nessuna di esse è
altrettanto letale. Il suo corpo non si muoveva: scorreva, piuttosto, come un
fluido, scorreva nell’aria, cavalcando le correnti del
vento e dell’energia, e carezzava appena, con lievi lampi azzurri, la sua
avversaria. Yume attendeva immobile, subendo tutti i
colpi in pieno. Hinata, intorno a lei, sembrava
essere ovunque, attaccava veloce e imprevedibile. Ora
mirava ai punti vitali del chakra, i centri del corpo
che controllano il flusso di energia vitale. Non
poteva vederli, in quella strana avversaria, nemmeno con i suoi occhi
portentosi, ma non importava. Andava a memoria, ricordava
le loro posizioni esatte una per una. Ne colpì due, quattro, otto, sedici…
-Ora
basta giocare, bambina Hyuga.
Hinata sentì di nuovo le dita della sua
avversaria serrarsi sul collo. Venne sollevata dal
suolo per la seconda volta.
-Le…
le sessantaquattro chiusure… - balbettò con il poco fiato che le restava.
-Io
sono molto complicata. Sono diversa. – disse Yume,
con il volto atteggiato ad una spietata durezza – Vediamo, bambina Hyuga: quale punizione può essere adatta a chi ha la
presunzione di credere di poter vedere tutto? Ecco, ho trovato.
Hinata non ebbe il tempo di capire nulla.
Vide solo la mano di lei muoversi rapida, l’indice e
il medio tesi, allargati a formare una sorta di forbice: e fu l’ultima cosa che
vide.
Urlò di dolore, mentre il sangue le colava sul volto, sulle
guance, come un pianto cruento, nato da quell’indicibile sofferenza.
-Così
sei sistemata.
La donna lasciò andare Hinata. La
ragazza barcollò e cadde bocconi. Prese a strisciare a terra,
lentamente, dolorosamente.
-I
MIEI OCCHI! – gridò, e poi gridò ancora, un grido
disarticolato di pura rabbia e sofferenza.
Strappò qualche ciuffo di erba
umida e se lo portò alle orbite ormai vuote e sanguinolente, cercando di
tamponare l’emorragia, o almeno di averne un po’ di refrigerio.
Sentì i passi di Yume
allontanarsi, lenti, posati, come quando la donna aveva finto di passeggiare senza scopo prima di far esplodere il suo nascondiglio.
Passi che non tradivano alcuna emozione. Nessuna
emozione. L’aveva sconfitta, torturata, mutilata, e non provava NESSUNA
EMOZIONE!
-Tu
non sei umana. – mormorò Hinata, sfinita.
-Cosa sta succedendo qui?
E quella voce fu per Hinata come un balsamo. Una voce amica, finalmente.
Naruto avanzò sconcertato. Era appena tornato dal suo giro
di ricognizione, e si trovava davanti ad una scena incredibile. Il portone del
villaggio scardinato. Sua madre ricoperta di sangue rosso e
fresco, che le scivolava via, lavato dalla pioggia. E
a terra…
-Hinata! – esclamò. Poi, rivolto a Yume:
-Che cosa le hai fatto?
Per la prima volta vedeva la donna con occhi diversi. Per la
prima volta dubitava di lei, anzi provava rabbia verso di lei, una rabbia profonda.
-Naruto…
mi dispiace, ho dovuto farlo. Lei voleva fermarci.
Voleva che tu restassi qui a morire!
-Hai
DOVUTO farlo? Tu non hai nemmeno un graffio, addosso, e lei è quasi morta! Non
ha più gli OCCHI, dannazione! CHE DIAVOLO TI E’ PRESO?
Hinata cominciò a strisciare, seguendo il
suono della voce di Naruto. Lui era in pericolo. Ora non le importava più nulla
di sé stessa: doveva avvisare lui, convincerlo che
quella donna, quella strega, era solo una folle, che l’avrebbe certamente
portato alla rovina. Giunse ad averlo vicino. Lo sentiva discutere adirato con
la donna che chiamava mamma. Sempre meno adirato, sempre meno. Lei lo stava convincendo, lo stava ammaliando, chissà come.
Tese la mano, afferrò una gamba di Naruto. Il ninja
abbassò lo sguardo, sorpreso.
-Hinata…
-Lei
ti sta mentendo, Naruto. – riuscì a balbettare la ragazza –
Devi fuggire. Scappa via da lei.
-STA’
ZITTA!
Con uno scatto d’ira, Yume calciò viaHinata, facendola urlare
nuovamente di dolore. All’istante, Naruto estrasse un kunai e lo puntò contro
la gola della madre.
-Non
mi importa chi sei. – ringhiò a mezza voce – Falle
ancora del male, e non sarai più nessuno.
-Naruto…
La voce della donna tornò tenera e affettuosa. Era
impensabile che solo pochi attimi prima avesse dimostrato tanta furia.
-Naruto,
devi capire che in questo momento non puoi permetterti indecisioni. Devi
scegliere che strada prendere.
Con un gesto leggero, Yume scostò
la lama puntata al suo collo. Naruto non glielo impedì.
-Io
sono la vita. Il villaggio è la morte, e Hinata sta
con il villaggio. Scegli tu, ma non dimenticare che non puoi avere entrambe le
cose. Scegli se stare con lei…
E indicò la ragazza ninja che,
stremata, giaceva a terra, sanguinando copiosamente.
-…o con me.
Disse così, e poi mi
guardò dritto negli occhi; ed io ebbi, per un istante, l’immagine della
desolazione che mi aspettava se mi fossi separato da lei. Lei era una fonte
d’acqua di cui io avevo sete, una sete inestinguibile.
Più bevevo di lei, più stavo accanto a lei, più sete avrei
provato; ma il solo pensiero dell’arsura che mi attendeva se l’avessi lasciata
per seguire una strada mia era intollerabile. La mia volontà ne fu annientata.
Non potevo fare altro che seguire la sua strada. Per sempre, con tutto me
stesso, ero solamente suo.
-Starò
con te, mamma. – sussurrò Naruto, chinando la testa.
-Molto
bene. – concluse Yume soddisfatta
– Allora sistemiamo questa faccenda una volta per tutte. Tu, bambina Hyuga, sei veramente insopportabile.
Si chinò e afferrò il polso di Hinata.
La sollevò tirandola per il braccio. Lei non oppose resistenza.
Là dove Yume la stringeva, la
pelle di Hinata cominciò a sfrigolare per il calore
sempre maggiore. La ragazza lanciò un grido.
-Naruto!
Aiutami! Brucia!
Mi dispiace, Hinata. Io avrei voluto aiutarti, ma non potevo.
-Aiuto!
Aiutami!
La carne si raggrinziva e si anneriva. Ora Hinata gridava con angoscia ancora maggiore. La sola idea
di quello che stava per succederle le suscitava un terrore indicibile.
Non potevo. Se ti avessi aiutata, avrei perso ‘lei’…
-AIUTO!
TI PREGO, NARUTO!
Non quella morte, pregava tra sé e sé. Qualunque altra
morte, ma non quella. Non quella. Non quella, maledizione!
…e
senza di lei, io non potrei più vivere.
Il dolore superò la soglia di quel che si poteva tollerare. Hinata lanciò un ultimo, acutissimo strillo di agonia; poi la natura ebbe pietà di lei e le fermo il
cuore, risparmiandole il resto di quella sofferenza. Il suo braccio era già
carbonizzato. Vedendo la sua vittima ormai senza vita, Yume
smise di dosare il calore, e il corpo della ragazza prese fuoco all’istante.
-Andiamo.
– disse a Naruto.
Ma Naruto non si muoveva. Era piegato
in due, per terra: rantolava e balbettava parole a metà.
Nell’istante in cui
l’anima abbandonò il corpo di Hinata, io sentii il
primo spasimo di febbre. Non so se sia stata una coincidenza, o piuttosto, come
pensai istintivamente in quel momento, una punizione per la mia vigliaccheria a
cui ormai non potevo più porre rimedio. Cominciò allora, così. Un bruciore
indefinito e insopportabile nel profondo delle viscere. Cominciò allora, e fino
ad adesso non ha fatto che andare peggio, sempre
peggio.
-Cos’hai, Naruto?
-Non
so. – mormorò quello, a stento. – Sto male.
-Non
ti preoccupare, ci penso io. – disse Yume, premurosa.
Si caricò il figlio in spalla e fletté le gambe.
-Sbrighiamoci.
– bisbigliò con un sorriso.
Partirono, saltando da un ramo all’altro, da un albero
all’altro, e in un istante sparirono alla vista, immergendosi nel buio profondo
della foresta.
Davanti alle rovine delle porte di Konoha giaceva il corpo
di HinataHyuga. La pioggia
insistente aveva spento le fiamme che lo consumavano. In mezzo al prato,
adesso, c’era solo un tizzone contorto e fumante che non conservava più nulla
di ciò che era stato.
Le nubi grigie ed opprimenti, fino ad ora una sola e indistinta massa
nera illuminata a tratti da lampi che le fanno apparire livide e gonfie,
cominciano a definirsi, contornate da un lieve alone rosato: il sole sta per
sorgere. Perciò sono passate ormai più di sei ore da quando
è cominciata questa fuga, da quando Hinata è morta,
da quando questa febbre ha cominciato a divorarmi. Sei noiose ore d’inferno. Mia
madre mi ha lasciato di nuovo per andare chissà dove nella foresta; mi pare
avesse accennato a qualcosa tipo cercare del cibo. Ma
io non ho bisogno di niente del genere, anche se non mangio più nulla dal ramen, appena assaggiato, che mi aveva offerto Shikamaru. Non mi serve, perché sento che non mi restano
ormai che pochi minuti da vivere. La febbre è ormai la più alta che abbia mai provato. Quando non brucio, gelo, e in ogni caso
gli spasmi di dolore che mi salgono dal profondo delle viscere fino alla pelle sono diventati così violenti da non poter essere
sopportati a lungo.
Penso a Yume. E’ stata lei a portarmi fin qui;
è stata lei ad uccidere Hinata; di lei non so se mi
stia dicendo la verità o se mi abbia ingannato e
attirato in una trappola; è lei che mi ha abbandonato qui con una scusa
qualunque, in questi momenti di agonia, tanto da farmi pensare che, in realtà, voglia
solo non essere presente quando esalerò l’ultimo respiro.
Yume.
Vorrei tanto morire con il suo volto negli occhi.
Il sole stava sorgendo anche sul
paese del Fuoco, nonostante le nuvole impedissero di vederlo. Era un’alba umida
e fredda, bagnata dalla pioggia che sembrava destinata a flagellare quelle
terre per sempre. Finché la guerra fosse continuata la
pioggia avrebbe continuato a cadere; tanto era il potere dei ninja della
Nuvola. Eppure, a Naruto, sdraiato sull’erba di una
radura, mezzo nudo, il volto mezzo affondato nel fango, parve che il diluvio
stesse diminuendo d’intensità. L’acqua stillava dal cielo in fiotti più dolci,
le gocce si erano fatte limpide e cristalline nella
luce diffusa dell’alba. I lampi cessarono, e con loro il frastuono dei tuoni.
Il tempo sembrò vibrare e fermarsi, in un attimo di pace irreale, e mentre
tutto era avvolto da un silenzio fatto solo di lievi gocciolii d’acqua e
frusciare di foglie alla brezza, le gocce che cadevano dal cielo restarono
sospese a mezz’aria, ondeggiando morbidamente come i petali dei ciliegi che cadono a primavera. Tutto era fermo: o meglio, ciò che si
muoveva lo faceva con tanta lentezza e dolcezza da parere fermo. Un cespuglio
frusciò. Dalle fronde emerse una figura di donna, anzi di ragazza. Naruto la
riconobbe subito.
-Quindi è così che funziona. – mormorò a stento –
Quando viene la tua ora e devi andare dall’altra parte, mandano qualcuno
a prenderti.
La ragazza si fece avanti, emergendo
dal chiarore soffuso che avvolgeva ogni cosa. I suoi capelli ondeggiarono
lievemente al vento. Erano rosa come la luce
dell’aurora. Gli occhi avevano il colore del mare. Parlò:
-Non
è ancora la tua ora, Naruto. Non ancora, se tu non lo vorrai.
-Allora
tu non dovresti essere qui! – esclamò Naruto, allarmato.
Il delirio rendeva confuso tutto, come un sogno contorto: ma sentiva che c’era
qualcosa che non andava – Tu non dovresti essere qui! Perché
tu sei…
Si fermò. Restò bloccato per un
secondo, sentendo il peso di ciò che stava per dire.
-Tu
sei morta, Sakura.
Non riuscì ad aggiungere altro.
Sakura avanzava, con un leggero sorriso, ed era sempre più vicina a lui.
Successe tre anni fa.
Partimmo in cinque dal villaggio, tra jonin e chuunin. Era una missione come tante altre, e come tante
altre comportava il rischio di non tornare a casa
vivi. Noi non ci badavamo. Quando sei un ninja,
l’unico modo per tirare avanti è dimenticarti dei rischi che corri e della
gente che uccidi e pensare solo all’obiettivo, alla missione, a vivere un altro
minuto. Così viviamo la nostra vita: minuto per minuto.
Dovevamo fare da scorta a un daimyo
che aveva fatto visita al nostro villaggio per firmare un trattato. Era un tipo
gioviale e allegro, un po’ grassottello, per niente minaccioso. Nonostante avesse
già con sé una scorta l’hokage
volle che lo accompagnassimo anche noi fino al confine, come segno di buona
volontà da parte della Foglia che suggellasse l’alleanza appena stretta. Quando
eravamo quasi a metà strada, fummo attaccati da un folto gruppo di uomini senza coprifronte né altri segni di
riconoscimento. Erano cinque volte più di noi; eppure, ce ne saremmo
potuti sbarazzare facilmente, se solo…
Ecco, io non ne capisco molto di politica. Devo ammetterlo: sotto questo
punto di vista, come hokage non sarei un granché. Non
ho la più pallida idea del perché quel tale daimyoce l’avesse tanto con noi, se tradirci e pugnalarci alle
spalle gli sarebbe servito a pagare meno dazi su qualche rotta commerciale o
che so io. Fatto sta che, in realtà, gli uomini che ci avevano attaccato erano
soldati del daimyo, e quando, affrontandoli, ci aspettavamo di ricevere l’aiuto del resto della scorta, ci
trovammo invece presi tra due fuochi. Dopo il primo attimo di sorpresa ci
abituammo e riuscimmo comunque a vincere senza troppi
problemi. Io stesso ho ficcato una lama nel cuore a quel viscido ciccione
doppiogiochista che ce li aveva aizzati contro. Ma tu,
Sakura, tu eri accanto ad uno degli uomini della scorta, quando l’attacco
iniziò. Avevi parlato con lui per metà del viaggio, avevate
fatto amicizia. Poi scattò la trappola, noi diventammo i loro nemici, e non
avesti nemmeno il tempo di capire cosa stesse
accadendo. Quel tipo che ti era sembrato così simpatico tirò fuori un kunai e
ti trafisse la gola.
Tu ti voltasti a guardarmi, sorpresa.
Il sangue ti scendeva giù lungo il collo.
Cadesti.
Non puoi essere qui adesso, Sakura. Tre anni fa, tu sei morta.
La visione si avvicinò ancora. Quando finalmente arrivò accanto a Naruto, si chinòe, prendendolo con un braccio, lo sollevò
in modo che stesse seduto. Il suo volto ora era vicino, e Naruto non poteva
avere più alcun dubbio.
-Sakura,
sei proprio tu?
La ragazza, all’improvviso, smise di
sorridere. Alzò una mano e mollò a Naruto un ceffone così violento da fargli
girare la testa.
-CHE DIAVOLO TI PRENDE, NARUTO? – urlò infuriata.
-Sei tu, ora ne sono sicuro. – Naruto rise sommessamente, ma dovette
smettere subito: ogni sussulto acuiva i dolori della febbre, che erano tutt’altro che passati.
-Guarda
in che stato sei ridotto! – sbraitava intanto Sakura,
che fissava il ragazzo dall’alto in basso, le braccia puntate sui fianchi –
Moribondo, mezzo nudo, fuggitivo! Ma mi vuoi dire come
hai fatto a finire così?
-Cose che succedono. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui? Credevo fossi…
-Morta,
lo so. – concluse Sakura con noncuranza.
Sembrava che non desse tanta
importanza a quell’argomento.
-In effetti lo sono. Ma questo è un momento speciale, e sono riuscita comunque a venire in tuo soccorso. A
quanto pare, hai proprio bisogno di aiuto. Santo cielo, quanto sei
caduto in basso!
-Sei
nella mia mente, vero? – chiese Naruto – Ti sto solo
immaginando. E’ il delirio.
-Se sono nella tua mente? La risposta è complicata… diciamo di sì, ma non
nel senso in cui tu credi. Non posso stare a spiegarti tutto, adesso. Non c’è il tempo, e, parliamoci francamente, tu sei troppo stupido
per capire certe cose.
Stavolta Naruto, nonostante il
dolore, non riuscì a trattenere una risata aperta. Battibeccare
in quel modo era bello. Gli faceva dimenticare l’assurda situazione in cui si
trovava, sdraiato in mezzo alla foresta, moribondo, a parlare con un fantasma o
un’allucinazione. Rise, e si rese conto con sorpresa che il dolore, tutto sommato, era meno di quello che si aspettava. Si
sentiva meglio, più leggero.
-Ora
che ci sei tu, sto meglio. – disse sorridendo – Forse non
morirò.
Il volto di Sakura mutò espressione,
dal rimprovero alla preoccupazione. La ragazza si sedette al fianco di Naruto e
gli tastò la fronte. Poi gli prese il polso e, ad occhi chiusi, contò
sommessamente i battiti del suo cuore. Scosse la testa.
-Forse,
Naruto. Ma devi fare uno sforzo in più. Sarà
difficile. Accidenti, sarei dovuta venire prima. – Sakura ora parlava tra sé e
sé, mordicchiandosi nervosamente il labbro – Ma quella strega era sempre tra i
piedi… comunque, non importa più, ormai.
-“Quella
strega”? – fece Naruto, corrucciato – Parli di Yume?
E d’un tratto, feroce, torna. La febbre che sembrava essersi alleviata lancia un nuovo assalto,
più crudele di tutti gli altri. La sento dentro il cuore, all’improvviso,
come una mano di fuoco che me lo comprime, tentando di fermarlo, di schiacciarlo.
Mamma, aiutami tu! Perché adesso non sei qui? Perché…
Il volto di Naruto sbiancò
all’improvviso e il giovane spalancò la bocca cercando di respirare aria che non
ne voleva sapere di entrargli nei polmoni. Strabuzzò gli occhi; il dolore gli
toglieva il respiro. Sakura gridò allarmata e lo
afferrò per le spalle, scuotendolo, cercando di strapparlo alla morte che
sembrava ormai lo stesse portando via.
-Naruto,
concentrati! Ascoltami! Mi senti? Parla con me! Riesci a capire quello che ti
dico?
Faccio sì con la testa, poi un altro spasmo prende il controllo dei
muscoli del mio collo, mi costringe a buttare il capo all’indietro, rigido, in
un gesto contorto.
-Bene,
Naruto! Rispondimi! Perché hai lasciato il villaggio? Perché hai rinunciato al titolo di hokage?
In qualche modo riesco a parlare. Ogni sillaba fa male come una lama
rovente strappata fuori dalla mia gola; ma riesco a
parlare.
-Perché se fossi rimasto mi avrebbero ucciso… per far finire la
guerra.
-Solo
per questo, Naruto? Per così poco hai rinunciato al tuo sogno?
-Non
è poco… Sarei morto! – protestò Naruto, riuscendo
persino ad alzare un po’ la voce.
Il dolore continua ad aumentare. Perché mi
torturi così, Sakura? Cosa vuoi da me?
-E’
poco, invece, sì! Uno dopo l’altro, tutti gli hokage
hanno dato la loro stessa vita per proteggere la pace del villaggio! In cosa
saresti stato diverso, tu?
-Mi
avevano tradito. Era un inganno.
-Certo,
era un tradimento. Era un inganno. Ma fuggendo tu hai
condannato il villaggio a proseguire la guerra! Moriranno degli innocenti!
Bambini resteranno orfani! Non avresti dovuto proteggerli, se davvero tenevi tanto a loro?
-No,
io…
-Tu
non sei fuggito solo per questo! Tu avevi un altro motivo!
Yume. Non volevo allontanarmi da lei.
Non volevo perdere lei!
-No,
non è vero…
-A
cosa stai pensando, Naruto? Cos’hai in mente, adesso?
Penso a Yume, vedo il suo corpo nella pioggia,
come mi è apparso la prima volta, il suo splendido
viso aureolato da quei capelli rossi… Il suo ricordo non attenua il dolore, non
allontana la morte: ma mi sembra di poter morire più serenamente se negli
ultimi attimi sarà lei l’unica immagine nella mia mente. Ecco, vorrei morire
ora. Vorrei riposare. Con lei nella mente.
-Rispondi,
Naruto! A chi stai pensando? A lei, non è vero? A quella donna! A Yume!
Basta, smettila, Sakura! Smettila di tormentarmi! Voglio morire!
-E’
per lei che sei fuggito, vero? E’ per stare con lei!
-Sì,
sì! Sì! Lasciami in pace! Lasciami morire!
Il dolore, il dolore… l’immagine di Yume mi sfugge dalla mente… no, ti prego, resta qui con me…
resta… fino alla fine…
-Non
ti lascio morire, Naruto! Cosa vuol dire lei per te?
E’ perché è tua madre?
Naruto scosse la testa
violentemente. Non era per quello, no, no! Non sarebbe bastato così poco!
-E’
perché sei innamorato di lei, allora?
-No,
nemmeno, nemmeno! Basta!
-Allora
cosa vuol dire lei per te? Dimmelo! Presto!
Stammi accanto, Yume… non te ne andare… stammi vicino…
-Lei
ti fa sentire sicuro, non è vero, Naruto? Con lei non
devi preoccuparti di nulla! Con lei non devi decidere nulla! Decide tutto lei
per te! E’ questo che provi? Per questo hai perso la tua volontà?
-Sì!
Per questo!
-Lei
ti ha ingannato, Naruto! Ti ha teso una trappola! Ti sta mentendo! Te l’aveva
detto anche Hinata, non è
vero?
-NO!
Lei mi vuole bene! Se avesse voluto uccidermi, avrebbe
potuto farlo, e invece non l’ha fatto.
-Perché lei non vuole ucciderti! Sveglia, Naruto! Lei vuole tenerti
lontano dal villaggio! Dal tuo sogno! Lo capisci, questo?
Perchè dovrebbe farlo? Perché… lei…
-Hai
avuto paura del tuo sogno che si avverava, di perdere lo scopo della tua vita,
ed hai avuto paura della responsabilità. Lei ha fatto leva su questo, e tu sei
fuggito, perché non aspettavi altro che l’occasione giusta!
-No!
No!
La febbre è rabbiosa, mi vuole sbranare,
sbranare da dentro. Il cuore brucia come se avesse preso fuoco. Non posso
sopportarlo un minuto di più. Voglio che finisca! SUBITO!
-Tu
hai fatto un giuramento, una volta, Naruto, ma adesso lo hai dimenticato. Ora
te lo farò ricordare io.
Sakura afferrò saldamente il polso
sinistro di Naruto e stese il suo braccio a terra con tanta forza da farlo
scricchiolare. Poi prese un kunai dalla tasca che il
ragazzo portava allacciata ai pantaloni e, con un gesto violento, lo piantò nel
dorso della mano che gli aveva immobilizzato. Il dolore si aggiunse al dolore, e Naruto gridò come non aveva mai fatto prima.
-Hai
giurato di non farti mai più aiutare da nessuno!
Sì, è vero, ora ricordo.
-Hai
giurato di non scappare più!
Sì. Non voglio scappare, mai più.
-Hai
giurato di non avere mai più PAURA!
E’ vero.
Non voglio avere più paura.
Non ho più paura.
Non voglio più avere bisogno di nessuno.
Nessuno che mi dia ordini, nessuno che decida
per me.
Nemmeno Yume.
Soprattutto, non Yume.
Il dolore svanì all’improvviso. Naruto
riaprì gli occhi e si alzò in piedi. Riusciva a reggersi benissimo. Provò a
muovere un braccio, una gamba. Nessun indolenzimento, nessuna
difficoltà: era in forma perfetta, come dopo un lungo sonno riposante. Fissò
incredulo la propria mano destra mentre piegava le
dita una dopo l’altra. Controllava benissimo anche i più piccoli movimenti del
corpo. Gli riusciva difficile credere che, fino a pochi secondi prima, era sul punto di morire. Alzò lo sguardo verso Sakura,
sorpreso, come a chiederle cosa stesse succedendo.
-Ora
sei libero, Naruto. – disse la ragazza sorridendo.
Sospirò e si accovacciò a terra. Era
sfinita dalla fatica e dalla tensione.
L’ultima pioggia toccò terra, e poi
l’acqua smise, finalmente, di cadere. Il vento che soffiava leggero
ma continuo cominciò a disperdere le nuvole che affollavano il cielo. Il
sole appena sorto da dietro l’orizzonte gettò la propria luce su tutto, rischiarando
l’aria e facendo splendere le foglie degli alberi, che luccicavano di piccole
gemme verdi, gocce d’acqua che si erano comodamente annidate tra le venature.
Naruto guardò in alto, verso il
sole, verso l’azzurro che rivedeva finalmente dopo tanto tempo.
-Tornerò
al villaggio. – disse infine – La pioggia è finita: forse anche la guerra lo è.
Non so. Comunque, io tornerò al villaggio e mi
assumerò le mie responsabilità. Se dovrò essere
condannato per la mia fuga, accetterò la mia punizione. Se
mi vorranno ancora come hokage, lo sarò, fosse anche
solo per un giorno.
-Ti
vorranno. – assicurò Sakura – E’ troppo importante, in
questo momento. Solo se tu diventerai hokage tutto
avrà fine, e tutto potrà ricominciare.
Sembrava assolutamente sicura di ciò
che diceva. Le sue enigmatiche parole erano indizio
del fatto che sapeva molto più di quanto non sembrasse; d’altro canto, Naruto
intuì che la ragazza non avrebbe voluto dirgli più di quello, e non chiese
oltre. Avrebbe scoperto da solo tutto, una volta giunto
a Konoha.
-Meglio
così. – concluse.
Afferrò il kunai che aveva ancora
conficcato nella mano sinistra e con uno strappo secco lo sfilò dalla carne,
stringendo i denti per l’acuto dolore. Poi, dal momento che
la ferita sanguinava parecchio, estrasse un rotolo ricoperto di formule magiche
dalla bisaccia, lo svolse e lo strappò per il lungo, facendone molte
striscioline di carta con cui si fasciò la mano e arrestò l’emorragia.
-Poco
ortodosso. – commentò Sakura, con un risolino.
-Ma efficace. – ribatté Naruto. Poi, guardandosi la mano bendata:
-Certo
che tu potevi anche andarci più leggera, no?
Per tutta risposta, Sakura fece
spallucce.
-EYume? – chiese poi.
-Non
temere. Non ho ben capito cosa mi abbia fatto o perché ce l’abbia
con me, ma non cadrò più nelle sue trappole.
-Siamo
sicuri? Non è che appena mi volto tu ti attacchi di
nuovo alle sue sottane?
La ragazza aveva
parlato con tono canzonatorio, e Naruto le diede sulla voce, punto nel
vivo:
-Certo
che no! Io dico le code così come stanno e non cambio idea, non ricordi? E’
questo il mio credo ninja!
-Così
si parla! – rise Sakura – Ora sì che ti riconosco,
Naruto!
Si incamminò verso il limitare della
radura. Naruto ebbe la sensazione che sarebbe scomparsa non appena le fronde
l’avessero nascosta alla vista. Ma lei non poteva
andarsene: c’era ancora una cosa che aveva bisogno di chiederle.
-Sakura…
-Sì?
-Da
dove vieni tu… insomma, dall’altra parte; ecco, hai incontrato anche Hinata?
Sakura chinò la testa tristemente e
fece cenno di sì.
-Lei
non è voluta venire, Naruto. E’… molto delusa da te.
-Capisco.
So che è poco, ma chiedile scusa da parte mia.
-Sì.
Certo.
La ragazza riprese a camminare.
Naruto si voltò dal lato opposto. Quando tornò a
guardare, Sakura era scomparsa. Al suo posto, solo pochi petali rosa
volteggiavano mossi da un leggero ed invisibile vortice di vento. Strano a
dirsi: perché, lì intorno, non c’erano fiori di quel colore.
Comunicazione
di servizio: sono orgoglioso di annunciarvi che ho ufficialmente scritto anche
l’ultimo capitolo di Legaci of the 4th, e perciò d’ora
in poi gli aggiornamenti non subiranno inceppamenti di alcuna sorta. I capitoli
sono in tutto sette, uno in più di quanto avevo
originariamente previsto.
X Fantafresh: grazie, tantissime, della
recensione come del tuo parere di “esperta” del fandom
di Naruto. Mi è stato di grande aiuto. Ti rispondo punto per punto.
Per quanto
riguarda i suffissi giapponesi, come avrai intuito, la loro assenza deriva
principalmente dal fatto che ho conosciuto “Naruto” dall’anime
trasmesso su Italia 1, quindi non li considero nemmeno, e se li usassi
probabilmente li sbaglierei anche XD. C’è comunque
anche una componente di “purismo”, per così dire, per cui, quando una cosa si
può esprimere bene con parole italiane, sono piuttosto restio a fare ricorso a stranierismi vari, che mi danno l’impressione di essere un
po’ fuori posto.
Sul
capitolo 2 che manca di fascino sono d’accordissimo, infatti è quello che mi piace di meno. E’ un
capitolo di transizione, quelle cose dovevo dirle per fare andare avanti la
trama, ma non mi è venuto un granché bene. Come dire, era uno sporco lavoro che
dovevo pur fare XD. Prometto che questo non si
ripeterà più. Hai ragione anche a farmi notare che la storia è strettamente
monotematica, centrata sempre su Naruto. Questo, però, rientra in un piano
preciso, ed è un effetto voluto.
Infine, l’amour ♥ XD. Qui
entra la mia irrefrenabile tendenza a fare le cose il più a modo mio possibile.
Quando scrivo cerco sempre, non dico di evitare i luoghi comuni, ma proprio di
affrontare in modo originale e se possibile “anticonvenzionale” quasi ogni tematica. Capisco anche che questo voglia
dire correre il rischio di non incontrare i gusti di chi legge; d’altronde, se
facessi diversamente, non mi divertirei a scrivere, e se uno non si diverte,
che senso ha? Detto questo, sappi che comunque questo
tuo appunto mi ha fatto riflettere, e, senza specificare di più, ti dico solo
che è stato grazie ad esso che ho avuto una certa idea che poi ho messo in atto
in un capitolo più avanti… quindi, l’amore non sarà del tutto assente dalla fic, e anzi devo ringraziarti per aver dato il via a
un’associazione di idee che mi ha portato a scrivere un pezzo secondo me molto
bello (poi giudicherai tu stessa). Grazie ancora!
X kospades: grazie dei complimenti, spero che il seguito
della storia ti piaccia ancora di più.
Dici: “Da
un paio di indizi penso di aver capito qualcosina sull'identità della madre di Naruto: spero solo
che non abbiamo avuto la stessa idea!”
Ecco… lo
spero anch’io XD. Chi vivrà vedrà, immagino. Ma è una fic in pubblicazione, la
tua? Nel caso vado a darci un’occhiata e mi faccio
un’idea.
Dici anche,
a proposito della morte di Hinata: “…anche se io, che
sono tanto cattivo, avrei avuto qualche dritta per
rendere la scena peggiore…”
Forse
potevo riuscirci anch’io, in effetti (se voglio so essere molto cattivo… confesso la mia ignoranza, non conosco questo Hassel, ma comunque faccio
le mie brave letture diseducative pure io): ma non me la sentivo proprio di
infierire su Hinata. Mi piace troppo. Già mi è
dispiaciuto così…
But
now I'm safe in the eye of the tornado
I can't replace the lies, that let a 1000 days go
No more living trapped inside
In her way I'll surely die
In the eye of the tornado, blow me away
Megadeth – “Tornado of souls”
Finalmente sei arrivata.
Ti ho aspettata. Non troppo a lungo, a dire il
vero: devi esserti accorta che qualcosa non andava, nel tuo strano e contorto
piano. Che io non sono morto consumato dalla febbre che, chissà come, eri
riuscita a insinuarmi nel corpo. Come hai fatto? Forse
hai visto che ha smesso di piovere - forse anche questo ha qualche legame con
me e con la mia guarigione? Non lo so. Non capisco cosa mi stia accadendo. Sono
sicuro che tu conosci tutte le risposte, ma sono altrettanto sicuro che, se te
le chiederò, riceverò da te solo bugie, come è
successo finora, bugie e una dolce tentazione: quella di smettere di lottare e
pensare con la mia testa, di abbandonarmi a te, di trovare tra le tue braccia e
nelle tue tenerezze un riposo che assomiglia troppo alla morte. Non cederò più
a questa tentazione. Non crederò più alle tue bugie. Sei davvero mia madre,
poi? Non so nemmeno questo. So solo che adesso tornerò al villaggio e diventerò
ciò che ho sempre voluto essere, perché questa è
l’unica cosa che conta davvero. E’ questo che ho
intenzione di dirti, adesso.
Vieni avanti, Yume. Dobbiamo parlare, per
l’ultima volta.
Yume emerse dal fitto intrico vegetale
della foresta e vide Naruto che, in piedi e perfettamente in salute, la fissava
con sguardo deciso. Di fronte a questo spettacolo inatteso dimostrò un attimo
di sorpresa, poi corse verso il figlio.
-Naruto!
– gridò – Sei guarito!
Si gettò ad abbracciarlo. Grazie al
cielo, mormorava, grazie al cielo ce l’hai fatta; si
strinse forte al suo petto, e Naruto sentì le sue lacrime di gioia inumidirgli
la pelle. Si mise a piangere, Yume, poi a ridere, poi
a piangere e ridere insieme, singhiozzando e parlando
al tempo stesso, la voce interrotta da brevi singulti.
-Sei salvo. – bisbigliò infine, più serena, sempre abbandonata in
quell’abbraccio disperato – Credevo che stessi per morire. Non sai quante volte
ho temuto che…
Con un gesto gentile ma fermo,
Naruto la allontanò da sé.
Yume lo guardò quasi spaventata. La
freddezza del ragazzo era assoluta.
-Che cosa ti succede? – chiese con una punta di angoscia
nella voce.
Naruto non rispose. Si limitò a
raccogliere le sue cose, che erano ancora sparso per
terra. Prese la giacca della tuta e si rivestì, poi valutò forza e direzione
del vento inumidendosi un dito. Osservò la posizione del sole, per recuperare
il senso dell’orientamento.
-Io
torno al villaggio. – disse infine.
-NO!
– gridò Yume con disperazione – No,
non puoi! Che cosa speri di ottenere? Ti
uccideranno!
Naruto continuò ostinatamente a
tacere, e proseguì con i suoi preparativi. Da lontano, da chissà dove ad est,
proveniva un suono ritmico e pesante, tonfi che si
succedevano uno dopo l’altro, come passi di un gigante. Yume
restò un momento in ascolto di questo curioso rumore, ma poi vide che Naruto
stava per andarsene e gli si gettò davanti, a braccia spalancate. Tremava.
-Tu
non andrai a farti ammazzare inutilmente, Naruto. Non te lo permetterò.
Fece scivolare fuori
da una larga tasca del suo ampio vestito bianco un lungo pugnale lucido
dalla foggia insolitamente ritorta e gotica.
-Non
voglio perderti di nuovo. – aggiunse, bisbigliando - Ti
fermerò a qualunque costo.
Per tutta risposta, Naruto estrasse a sua
volta un’arma, il kunai che ancora gocciolava del sangue della sua mano
sinistra.
-Tu
non puoi perdermi, perché non sei mai stata accanto a me. Se vuoi restare con
me, non ti impedirò di seguirmi fino al villaggio: ma
io, dal canto mio, non ho intenzione di cambiare idea.
-Sei
un folle! Non devi farlo!
Yume sembrava impazzita per la paura.
Tremava violentemente, piangeva, la voce era roca e quasi deformata in un urlo
che trasmetteva una passione ed un’angoscia più profondi
degli abissi dell’oceano.
-Non
te lo lascerò fare! – aggiunse – Sono pronta a combattere, per impedirti di
commettere questo errore!
-Hinata… - mormorò Naruto, fremente. La mano con cui teneva il
kunai si strinse sull’impugnatura con tanta forza da sanguinare. La rabbia gli
incrinava la voce. – Hinata mi aveva detto la stessa
cosa, PRIMA CHE TU LA
MASSACRASSI!
Si gettò contro Yume
con intenti omicidi, l’arma puntata dritta contro il cuore di
lei. La donna saltò, tanto velocemente e tanto in alto da sparire alla
vista del suo avversario. Un attimo dopo era alle sue spalle. Muoveva il
pugnale con destrezza, e Naruto riuscì a schivare solo i primi due fendenti. Il
terzo fu costretto a bloccarlo con il suo kunai.
L’acciaio cozzò, mandando scintille,
e Naruto sentì che il suo polso quasi si slogava nello sforzo di arrestare
l’arma avversaria. Quanta forza aveva Yume, per
riuscire ad esercitare tanta pressione con una lama così corta?
Alla fine riuscì a deviare il colpo,
che finì a vuoto. Non ebbe però nemmeno il tempo di
recuperare l’equilibrio che Yume attaccò di nuovo.
Non mirava ai punti vitali, eppure combatteva con una determinazione spietata,
con tutta la sua forza, e con la violenza e la rapidità di chi cerca di finire il proprio avversario.
Costretto ad indietreggiare, Naruto
finì per inciampare, e si ritrovò con la schiena a terra e Yume
che, da sopra, lanciava un attacco contro la sua spalla destra. Si preparò ad
incrociare di nuovo le lame.
“Sperando che stavolta il polso non
mi si rompa del tutto” si disse, mentre portava avanti il kunai.
Invece, non accadde nulla del
genere. Il pugnale di Yume, da lucido che era,
divenne rosso e arroventato, toccò l’arma di Naruto e semplicemente la tagliò,
come burro, fondendola nel punto di contatto. Raggiunse la spalla e vi si
conficcò. La ferita non sprizzò nemmeno sangue, immediatamente bruciata
dall’acciaio rovente, e Naruto ebbe un singulto di dolore, trattenendo a stento
un grido. Messa all’improvviso di fronte alla vista del grave colpo inferto al
figlio, Yume trasalì e lasciò immediatamente andare
il pugnale.
-Mi
dispiace! – balbettò, portandosi le mani al volto – Mi dispiace, io non voglio farti male… non voglio ucciderti!
-Questo
lo so. – rispose Naruto – Me l’hanno
detto. Tu non vuoi uccidermi: tu vuoi tenermi lontano
dal mio sogno.
E’ una strana sensazione: la mia coscienza comincia a dissolversi...
-Ma non ci riuscirai. – concluse con un sorriso.
…e infine scivola via, e rifluisce nel mio
unico vero corpo.
E’ una strana sensazione. Come sempre.
La copia di Naruto sparì,
lasciandosi dietro un filo di fumo bianco.Yume, che l’aveva preso tra le
braccia, vide le proprie mani stringere solo l’aria. Le ci volle un
momento per capire di essere stata ingannata.
Poi si alzò in piedi, ormai priva di ogni parvenza di tenerezza, tristezza o disperazione. Il suo volte era semplicemente sfigurato da una disumana furia. Un’ira
incontenibile che si traduceva in calore intorno a lei. L’aria ondeggiava e turbinava in correnti scomposte e caotiche;
l’erba iniziò a strinarsi e ad annerirsi; e poi, come un’esplosione, un’onda di
fuoco si propagò in cerchio intorno alla donna, incenerendo cespugli, alberi,
animali e tutto quanto si trovava sulla sua strada, fino a quasi un chilometro
di distanza, mentre Yume gridava, gridava, gridava,
con tutta la sua frustrazione e la sua rabbia, un grido stridulo e feroce,
raggelante, un grido di morte.
Molto lontano da dove si trovava Yume, ad est, avanzava, con un suono ritmico e pesante, con
passi da gigante, un colossale rospo in tenuta guerriera. Sulla sua testa,
Naruto si voltò indietro preoccupato, sentendo l’urlo inumano alle proprie
spalle.
-A quanto pare hai fatto arrabbiare la mamma, eh, ragazzo? – grugnì Gamabunta, ridacchiando.
-Ah,
sta’ zitto e corri. – mugugnò Naruto. Aveva sperato di potersi chiarire un po’
la situazione, e invece quella sembrava farsi ad ogni minuto
più enigmatica. Il rospone, però, non fu molto
comprensivo:
-Ehi,
moccioso, porta rispetto o vai avanti a piedi! Io sono il Signore dei Rospi,
mica un mezzo di trasporto! E’ già degradante che tu mi abbia evocato solo
perché ti portassi in fretta al villaggio…
-Ma per forza! – esclamò il ragazzo, dimostrando una
sincera ammirazione – Nessuno può superare in velocità te e i tuoi
poderosi salti, Grande Capo!
-Così
va meglio. – borbottò soddisfatto Gamabunta – Reggiti forte che acceleriamo. Vedrai quanto posso essere
veloce!
Così, a grandi salti, Naruto si
avvicinava al Villaggio della Foglia, e al suo sogno.
-Grazie
ancora per avermi aiutato, Grande Capo. Ci vediamo.
-E’
stato un piacere. Addio!
Gamabunta sparì con un’esplosione di fumo e
Naruto restò solo, nella radura che si allargava davanti alle porte del
villaggio. Il sole era ormai alto in cielo e le pozze d’acqua lasciate dalla pioggia si stavano rapidamente seccando. Il
ninja mosse un passo in avanti verso le mura, poi si fermò
un attimo, esitando.
Avanti, Naruto!
Si riscosse dall’inquietudine e riprese
a camminare, con passo svelto e quasi forzato. Al centro dello spiazzo il fango
era sporco e misto a una sostanza annerita; in altri
punti, qua e là, era intriso di rosso. I segni della battaglia della notte
prima. Il ragazzo li oltrepassò evitando accuratamente di calpestare tutte le
macchie, che cercava di non guardare nemmeno. Fu grato che qualcuno avesse
trovato e portato via almeno il corpo di Hinata.
Giunse alle alte porte di Konoha. I
pesanti battenti di legno giacevano ancora a terra, scardinati. Era
sorprendente che, in tempo di guerra, nessuno li avesse ancora riparati.
Naruto alzò gli occhi verso la
sommità delle mura. Niente sentinelle di guardia. Forse la guerra era finita
davvero: ma, anche in un periodo di pace, tanta trascuratezza sarebbe stata
considerata criminale. Sospettoso, il ninja varcò la soglia del villaggio.
Cammino lentamente, misurando i passi e scrutando tutto ciò che mi sta
intorno. Assaporo e pondero ogni percezione. Il silenzio mi stordisce. Nessuno
si muove, il villaggio sembra deserto, abbandonato: ma questa calma irreale non
mi inquieta, anzi, provo una leggera ebbrezza nel
camminare solo per questa via di solito affollata. La ragione mi dice di stare
all’erta, ma non l’ascolto. Mi lascio trasportare dall’entusiasmo, come un
bambino, e vado sempre più veloce, comincio a correre, a saltare per la strada.
Questo è il mio villaggio, penso. E’ qui che
sono nato, è qui che sono cresciuto e diventato forte, qui ho tutti i miei
amici. La mia vita è tutta qui.
Questo è il mio villaggio: sono tornato.
Proseguo nella mia corsa a perdifiato lungo la via, sollevando la
polvere. Stringo gli occhi e lascio alla mia memoria il compito di dirigermi,
mi abbandono al vento che soffia sul mio volto. Oltrepasso l’accademia e il
chiosco del ramen. Qui c’è la casa di Shikamaru, penso, qui quella di Ino,
qui la grande residenza della famiglia Hyuga.
Sono vicino al centro del villaggio, riapro gli occhi. Intorno, da lunghi fili tesi tra gli innumerevoli pali,
pinnacoli e rostri di cui ogni edificio è irto,
pendono mille bandierine variopinte che oscillano leggermente al soffio della
brezza. Le hanno messe per festeggiare la cerimonia di elezione
dell’hokage, la mia elezione! Sono per me! Per me le
lanterne che adornano le facciate dei palazzi! Per me i festoni colorati che
sventolano dai balconi! Non ho mai sognato nient’altro, in tutta la mia vita.
Sono stato un pazzo a rischiare di perdere tutto ciò. E
davanti a me…
All’improvviso, sono arrivato. La piazza centrale. Le
scale, il palco da cui si domina tutto lo spazio sottostante. Salgo i
gradini uno ad uno, come in trance. Giungo alla
sommità, dove è stato sistemato un piccolo banchetto di legno. Posati su di esso, le lunghe vesti rituali dell’hokage
e il cappello triangolare e rosso con l’ideogramma del fuoco, il simbolo
dell’autorità su tutta Konoha. Attendono qualcuno.
Attendono me.
Tendo le mani, che tremano un po’, verso il cappello; ma un attimo prima di toccarlo rinuncio e lascio cadere le
braccia lungo i fianchi. Resto fermo, a fissare le vesti e il copricapo, a
riflettere.
In piedi davanti ai drappi bianchi
che sventolavano pigramente, Naruto restò immerso nel silenzio per qualche
secondo. Poi sentì qualcosa: un rumore. Un sottile mormorio
che si levava alle sue spalle. Un mormorio sempre più
forte, sempre più forte, che diventava il suono di un mare in tempesta, un mare
di voci che esultavano e acclamavano. Allora si voltò, e li vide.
Sono tutti qui. Davanti ai miei occhi, nello spiazzo fino a un secondo fa deserto, tutti gli abitanti del villaggio,
quelli che conosco e quelli che non conosco, si affollano e gridano il mio
nome. Sono comparsi all’improvviso, chissà da dove. Vedo i volti dei miei
amici, il mio primo maestro Kakashi, il vecchio Jiraya, là nell’angolo, un po’ in disparte. Il giovane Konohamaru. Ci sono tutti, tutti quelli che mi hanno
aiutato a scrivere la mia vita, un giorno dopo l’altro, tutti quelli grazie ai
quali sono qui, oggi, quassù su questo palco, pronto a
diventare la loro guida.
Non so come abbiano fatto, cosa stia succedendo. So solo che è tutto
come nei miei sogni. E’ tutto perfetto. Mi volto di nuovo, stavolta raccoglierò
il copricapo, lo indosserò e sarò finalmente ciò che ho
sempre voluto essere.
E’ tutto perfetto.
E poi lei rovina tutto.
L’esplosione fu improvvisa e
sconvolgente. Il suolo tremò e una casa ai margini della piazza si dissolse in
una nube di polvere gialla che investì la folla come una valanga. Non c’era
nulla che potesse bruciare, solo nuda terra e sassi: eppure là dove l’edificio
era stato spazzato via rimase un fuoco alto e feroce, tanto ardente e luminoso
che persino guardarlo era doloroso per gli occhi. Nessuno avrebbe potuto
avvicinarsi alle fiamme.
Nessuno, tranne colei che le aveva
accese e che ora vi camminava in mezzo, senza scomporsi, senza bruciarsi, senza
che nemmeno il suo candido e lungo vestito si macchiasse di fuliggine.
-NARUTOOOOO!- gridò Yume,
furibonda, con il volto deformato dalla rabbia e i capelli che ondeggiavano minacciosi, lingue di fuoco ancor più ardenti di quelle che
bruciavano alle sue spalle.
Il panico si diffuse tra i presenti
come un’onda, partendo dal centro dell’esplosione fino a raggiungere gli angoli
più lontani della piazza. La folla, fino a poco prima tranquilla e ordinata,
divenne un animale impazzito che si contorceva e si rimescolava, preda di istinti opposti. Donne e bambini correvano
disordinatamente accalcandosi verso le poche vie di fuga, spingendo, gridando,
strattonandosi e calpestandosi a vicenda. Gli uomini avevano impugnato le armi:
molti di loro tentavano di imporre un ordine, di placare gli animi ed evacuare
la grande piazza nel modo più sicuro, ma alcuni
parevano impazziti e si scagliavano contro Yume
brandendo kunai e spade. Altri stavano a terra, abbracciavano
il povero corpo della moglie, o magari di qualche figlio, dilaniato dall’esplosione
di poco prima, e a questi non importava nulla di tutto ciò che accadeva
intorno.
Se quel caos fosse continuato per
qualche altro minuto, si sarebbe risolto in una strage. Naruto cercò di
gridare, approfittando della sua posizione elevata, di chiedere a tutti di
calmarsi, di agire con più ragionevolezza, ma fu inutile. Le urla, la
confusione, il crepitio delle fiamme creavano un tale
frastuono che nessuna voce poteva sovrastarlo. Nessuna, tranne quella di Yume.
-NARUTOOOOO!
– gridò nuovamente la donna.
Fissava il ragazzo con occhi che
bruciavano di rabbia demoniaca. Avanzava tra la gente, bellissima e spaventosa,
coronata di fiamme che le avvolgevano il corpo. Risplendeva di una luce
rossastra. Intorno a lei, le urla atroci di chi bruciava
vivo per il semplice fatto di essersi avvicinato troppo, o di non essersi
spostato in tempo prima del suo arrivo.
-Maledetta!
Naruto si scagliò verso Yume con un balzo enorme, giù dal palco su cui stava fino
al centro della piazza, con la mano destra che risplendeva di un turbine
azzurrino. Il vento che vorticava tutto intorno a lui
smorzò per un momento le fiamme che proteggevano la donna.
Non ti permetterò di distruggere la mia gente. Ora farò quello che avrei dovuto fare già ieri notte, dopo aver visto come avevi
ridotto Hinata.
Che tu sia davvero mia madre oppure no…
Io ti ucciderò.
-RASENGAN!
La mano di Naruto colpì Yume nel ventre, appena sotto il seno. Il turbine esplose
al massimo della potenza, ma lei non si mosse. Intorno, il mondo era
addirittura sconvolto dalla forza del vento. Naruto chiuse gli occhi, accecato
dalla polvere.
Finalmente, si placò.
Yume fissava Naruto con gli stessi occhi
di prima, dilatati e tremanti per la rabbia. Era perfettamente illesa. Nemmeno
il vestito si era strappato. Naruto non ebbe il tempo di riaversi dalla
sorpresa che un calcio della donna lo gettò contro le scale che conducevano al
palco.
-Non
sono più gentile, Naruto! – urlò Yume, e ancora una
volta la sua voce fu l’unica che si poteva distinguere nel fragore assordante
di quella festa trasformatasi in un girone infernale.
-Ci
ho provato a convincerti con le buone, ma tu non ne hai voluto sapere nulla! E allora va bene! Facciamo il gioco duro! Rinuncia ad essere
hokage, o ti giuro che sarai l’unico capo ninja a non
avere un villaggio da comandare!
Fa sul serio. Sono sicuro che potrebbe distruggere Konoha in pochi
minuti, se volesse. Fermarla è impossibile. Se nemmeno
il Rasengan è riuscito a ferirla, nulla può farlo.
E’ finita.
E’ tutto finito.
Tutto…avrà fine.
…
Sakura aveva detto qualcosa.
“Solo se tu diventerai hokage tutto avrà fine,
e tutto potrà ricominciare.”
EYume
vuole impedirmi di diventare hokage.
Allora è possibile che…?
E’ comunque l’unica speranza che mi resta.
Mi fa male il petto, probabilmente ho qualche costola rotta, ma devo
dimenticarmene. Striscio faticosamente, lentamente, su per le scale, perché
lassù c’è la mia ultima possibilità.
Yume vide Naruto arrampicarsi per le
scale e prese a camminare decisamente verso di lui. Lo
chiamava, ripeteva il suo nome, ogni volta con voce
più stridula e minacciosa.
Sono a metà. Ancora uno sforzo.
I ninja ora stavano
contrattaccando, avevano in qualche modo riorganizzato le forze. Si
gettavano contro Yume con ogni arma e tecnica
possibile. Morivano come mosche. A lei bastava un gesto,
bastava sfiorare appena un uomo per ridurlo in cenere. Il suo cammino
era costellato non di cadaveri, ma di ossa
carbonizzate e tizzoni ancora fumanti.
Eccomi, sono arrivato. Ora non mi resta che metterlo.
Le squadre speciali lanciarono un attacco
da ogni direzione, dall’alto, dal sottosuolo, dove alcuni si erano nascosti in
agguato usando le arti magiche. Yumevenne sommersa dagli aggressori.
-Sparite,
esseri insignificanti. – mormorò ribollendo di rabbia, per
poi esplodere in un grido – VOI NEMMENO ESISTETE!
Spazzò via tutti con un’unica
fiammata accecante. Dei ninja restò solo cenere.
E ora, il cappello.
Alla sommità del palco, Naruto stava
in piedi. Indossava il bianco vestito che distingue
gli hokage. In mano aveva il copricapo triangolare.
Se io diventerò hokage,
tutto avrà fine. E’ questo che Yume teme, per questo
si dà tanta pena per impedirmelo. Una volta che avrò
indossato l’abito e che la cerimonia sarà completa, non so nemmeno come,
lei sparirà.
Ne sono sicuro.
Gli occhi chiusi, Naruto portò
lentamente il cappello in alto, poi lo posò sulla
testa, con un gesto solenne.
Riaprì gli occhi.
Nulla era cambiato. Yume continuava ad avanzare sulla piazza, sempre più
veloce, lasciandosi dietro una scia di fiamme. Intorno era una carneficina. La
folla era tutta lame, urla, sangue, fumo e fuliggine e puzzo di carne bruciata,
dolore e visi distorti da rabbia, paura e follia.
E’ finita davvero, allora. Non posso ucciderla.
Ma morirò tentandoci.
Per la seconda volta Naruto attaccò.
Non aveva alcuna tattica o speranza, voleva solo cercare di farle
più danno e male possibile, per ripagarla almeno un po’ di tutte le sofferenze
che lei aveva inflitto. Sfogare la propria rabbia. Credeva che le fiamme lo
avrebbero incenerito all’istante, ma non fu così. Yume
scansò il primo attacco, poi, quando Naruto si moltiplicò per colpirla da più
lati, fece una strage delle copie, ma senza mai toccare l’originale.
-Cos’è, hai paura di uccidermi? Combatti sul serio! – gridò
Naruto, lanciandosi ancora in avanti.
Quella situazione non faceva altro che
farlo infuriare di più. Sapeva di non avere alcuna
possibilità: che finisse tutto subito, allora! Perché mai un essere del genere,
che sembrava più un demone che una persona, avrebbe dovuto
preoccuparsi o avere pietà di lui?
Un essere che sembra più un demone…
Yume posò il palmo della mano sul petto
di Naruto. Il ragazzo non ebbe il tempo di indietreggiare che già le vesti
stavano prendendo fuoco. Sentì la pelle bruciare.
- RINUNCIA! AD ESSERE! HOKAGE! – urlò la
donna. Non si capiva più se la sua fosse rabbia o paura, paura
folle.
Naruto cadde all’indietro e finì a
terra. Boccheggiava per il dolore, ma era ancora vivo. Yume
si era trattenuta. Solo il vestito da hokage era
sbrindellato e annerito, la pelle era leggermente ustionata, ma niente di più.
-Non è che tu non vuoi uccidermi… - mormorò Naruto.
Fissò Yume,
e all’improvviso un lampo gli attraversò la mente. Capì tutto, in un istante.
-Tu
non puoi.
E’ davvero incredibile. Se ripenso a tutto ciò che mi
ha detto ieri...
“Quella volta, ricordo che abbiamo addirittura combattuto. Ma poi è nato qualcosa tra noi. Un legame; uno di quelli che
durano per sempre.”
Se lo penso in questa logica, tutto ha
un senso.
“…non molto tempo dopo sei nato tu. E’ stato un giorno che non dimenticherò
mai. Lo stesso giorno in cui a tuo padre successe… insomma, quello che sai.”
Tutto coincide.
“La gente del villaggio non mi amava molto, per via di quel che era
accaduto tra me e tuo padre.”
Ho creduto che mi avesse mentito: invece, per tutto questo tempo, non mi
ha detto nient’altro che la verità.
“So che non è molto, ma ti assicuro che, almeno con lo spirito, ti sono
sempre stata accanto.”
Bisognava saperla interpretare.
Naruto si rialzò e fissò Yume dritto negli occhi. Ora che aveva capito, ora che la
sua menzogna – l’unica che lei avesse veramente mai detto – era svelata, la
vedeva per come era realmente. Vedeva quello che
nemmeno Hinata era riuscita
a vedere.
La bocca che continuava a strillare
ordini e minacce diventò un paio di fauci zannute e
bramose.
Gli occhi si accesero
di un bagliore di fuoco, le pupille erano strette e ferine.
Dietro alla sua schiena ondeggiavano
furiosamente nove lunghe strisce di fuoco.
Era Yume,
ma allo stesso tempo era anche qualcos’altro.
E ora Naruto sapeva come fermarla.
Si accovacciò e raccolse da terra
una spada, lasciata lì da qualcuno di coloro che erano
morti invano nel tentativo di opporsi al mostro che aveva attaccato il
villaggio. La impugnò saldamente con entrambe le mani, la roteò, puntò la lama
dritta contro il proprio ombelico.
-Fermo!
– gridò Yume – Che vuoi
fare?
Naruto sorrise.
Non sono ancora hokage. Non sono un vestito o
un cappello a fare un hokage: è la volontà di
proteggere il proprio villaggio e la propria gente,
anche a costo di morire.
-Ti
ho scoperta, Volpe. – bisbigliò il Sesto Hokage.
Spinse la spada dentro la propria
carne. Era così affilata che all’inizio non sentì nemmeno dolore. Yume lanciò un grido altissimo, più acuto e forte di
qualunque altro, e il fuoco, tutt’intorno a lei,
cominciò a turbinare impazzito. Il suo stesso corpo pareva ora fatto di fiamme,
e si dissolveva poco a poco. Per un ultimo istante apparve nella sua forma
reale, gigantesca, feroce, con le nove code che si agitavano, scuotendo
l’intera terra.
Poi sparì.
Dalla bocca di Naruto sgorgò un
fiotto di sangue, e il dolore si fece sentire. Le dita, le mani, le braccia si
facevano sempre più fredde e distanti. Gli parve che non facessero più parte
del suo corpo. Alzò gli occhi un’ultima volta al monte dei volti scolpiti.
Il Quarto Hokage,
suo padre, lo fissava da lassù. Davvero, come aveva fatto a non accorgersi che
quel volto era identico al suo, in tutti quegli anni?
Almeno sul prossimo volto potranno risparmiare. Potranno averne due al
prezzo di uno.
Ridacchiò a questo pensiero, poi si
accorse di non vedere più, di non sentire più, di non sapere più dove fosse l’alto o il basso.
Non oppose alcuna resistenza e la
sua mente scivolò nell’oscurità.
Finale
drammatico per questo capitolo – ma se credete che una sciocchezza come la
morte del protagonista mi fermi, vi sbagliate XD! La fic continua! Continuate a leggere (e, se potete, a
commentare)!
C’era una grande stanza, con pareti
nere e lisce e infinite. Dure e fredde come pietra o
metallo; ma anche, in qualche modo, vive.
C’era il buio. Un buio ostinato,
onnipresente, che nessuna luce avrebbe potuto scacciare.
C’erano due persone, in piedi, una
di fronte all’altra. Nonostante il buio, le loro
figure erano perfettamente visibili. Non brillavano di luce propria, né erano
illuminate da qualcosa. Piuttosto, sembravano due figure disegnate in vivi
colori su uno sfondo nero.
Erano entrambi nudi. Uno era un
ragazzo, sui vent’anni, dagli splendenti capelli
biondi e gli occhi azzurri, con un sorriso luminoso. L’altra figura era insolita,
cangiante. A volte sembrava una donna, dalle forme morbide, con la pelle chiara
e un’aureola di lunghi capelli rossi che le cingevano
il capo e, scendendo, le si avvolgevano intorno al corpo; e poi, ecco, si
trasformava in qualcos’altro, non si riuscivano più a cogliere i confini del
suo corpo, sembrava debordare, debordare in qualcosa di enorme, rosso e selvaggio,
con nove code alle spalle che sibilavano nell’aria come fruste. Allo stesso
modo, i suoi sentimenti parevano oscillare tra una calma e rassegnata
malinconia e un’incontrollabile furia demoniaca.
-Ci
ritroviamo qui, Naruto. – disse la donna, o la volpe.
-Sì.
-Ora
ricordi cosa sei realmente? Chi sono io, e perché…
-Forse.
– disse il ragazzo, alla donna ma anche a sé stesso.
Aveva memorie nuove, diverse; ma le
sentiva sue e al contempo estranee. Erano memorie
fatte non di immagini o di sensazioni ma solo di
parole, distanti e flebili; una vecchia e triste favola nera, raccontata al
buio, al suono di un carillon stonato, per far paura ai bambini.
C’era una volta uno spirito malvagio dalle sembianze di una gigantesca
volpe a nove code. Con il solo movimento delle sue code, la Volpe poteva provocare
frane e terremoti.
Per far fronte a quello spirito, la gente invocò l’aiuto dei ninja.
Uno solo di quei ninja, a costo della propria vita, riuscì a imprigionare lo spirito.
Quel ninja era il Quarto Hokage.
-Questa
parte della storia la conosciamo tutti molto bene. –
commentò la donna, con un sorriso.
-E’
vero. Ma il seguito...
Naruto restò immobile, pensieroso. Le
parole si frammentavano, fuggivano spaventate, si
rintanavano negli angoli bui della sua mente. Poteva ricordare; ma doveva
andarle a cercare, quelle parole, una per una, con pazienza.
-Sai
quale tecnica usò il Quarto Hokage per sigillare la
Volpe?
-Per
sigillare te, Yume.
Giusto?
Yume fece una risatina:
-Non
posso negarlo. Allora, lo sai?
-Era
il Sigillo del Diavolo. L’ho scoperto solo di recente. La stessa tecnica che
costò la vita al Terzo Hokage nella sua battaglia
contro Orochimaru.
-Esatto.
E cosa sai di quella tecnica?
Naruto rispose recitando frasi che
non ricordava di ricordare:
-E’
una tecnica di costrizione che richiede la propria vita come pegno. L’anima che
viene sigillata con questa tecnica non potrà mai
morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte. L’anima che viene imprigionata si attorciglia a quella che l’ha fatta
prigioniera e le due combattono e si odiano per l’eternità.
L’altra annuì e abbassò lo sguardo.
Quando gli uomini del villaggio lo
chiamarono in aiuto, il Quarto Hokage combatté contro
la Volpe a lungo, per ore e ore. Ma la Volpe era forte
e potente. Il ferro non la trafiggeva e il fuoco non la bruciava; con un solo
colpo di una delle sue code poteva sollevare da terra cento uomini, e le sue fauci erano tanto mostruose e ingorde da poter ingoiare
senza sforzo un’intera montagna. Allora il Quarto Hokage,
visto che non era possibile uccidere quel mostro, disse ai suoi uomini che si ritirassero, e che egli solo conosceva il modo per sconfiggere
la Volpe: ed essi capirono cosa stava per fare e piansero lacrime amare, ma non
lo fermarono, perché in fondo al cuore sapevano che non esistevano altri
rimedi.
Rimasto solo, il Quarto Hokage sfidò la Volpe
a venirgli vicino e ad affrontarlo. Essa rise, scioccamente, lo chiamò stupido
mortale, e fece ciò che lui chiedeva, immaginando di poterne trarre un
divertimento ancora maggiore. Non sospettava alcun tranello.
Quando finalmente gli fu vicino, disse,
ancora ridendo:
-Ecco, piccolo uomo, io sono qui.
Dici di volermi sfidare, ma le tue parole sono più grandi di te. Prova pure
quello che vuoi, so già che non ti servirà. Ma ti farò un favore, per onorare il tuo coraggio: ti
lascerò scegliere come vorrai morire.
Allora il Quarto sorrise, e le rispose:
-Demone insolente, non riderai più degli uomini, dopo questo giorno. Non
disturbarti a concedermi alcun favore. La mia morte io l’ho già scelta.
Rise ancora la Volpe, e ancora più forte, ma poi sentì un dolore
stringerle il cuore, e abbassò gli occhi che teneva alti al cielo, piena di angoscia. Ed ecco: una mano di spettro, che usciva dal
corpo del Quarto Hokage, l’aveva agguantata e la
trascinava con sé.
-Questa è la mano del Dio della Morte.
A lui io ho donato le nostre due anime: suoi saremo per l’eternità, e mai più
tu potrai calcare il suolo degli uomini, o recar danno ai figli della Foglia.
Per ciò io dono la mia vita. Il sacrificio di un uomo è un piccolo prezzo per salvarne
altri mille, e mille ancora.
Altissimi strilli lanciò la Volpe, ma essi si
perdevano nel cielo vuoto, e divenivano ad ogni istante più fiochi. La sua
figura si rimpicciolì e venne risucchiata come fumo
che viene aspirato, e infine sparì.
Così il demone abbandonò questo mondo e venne
sigillato per sempre.
-E’
stato doloroso. – mormorò Yume, e si strinse con le
braccia, come in preda a un freddo, a un freddo troppo
acuto per poterlo sopportare.
I suoi occhi lampeggiavano del fuoco
della volpe, ma la pelle, bianchissima, era quello della donna; e premeva le
braccia sottili contro il seno, che trepidava allo stesso ritmo del respiro; e
aveva la testa leggermente reclinata; e nonostante gli occhi sempre più rossi,
sempre più accesi, non sembrava affatto un demone, non
possono esistere demoni così belli e fragili, ma solo una ragazzina nuda persa
in mezzo alla neve di un inverno troppo gelido. Le sue parole, un soffio di
vento dolente e sottile:
-Molto.
Non riesco a dimenticarla… l’aria fresca, la foresta, la luce del Sole. La
vita. E poi quest’artiglio
di ghiaccio che mi si conficca in corpo, dritto dentro l’anima, e io che sento
tutto sparire, intorno, non più luce…
E allora alla sua voce si unì quella
di Naruto, in un coro triste e cantilenante:
-…non
più aria. Una lunga caduta buia e dolorosa. Vorticare come presi in un gorgo, e
il freddo di quella mano crudele che stringe, stringe,
e intorno invece un turbine di fuoco. Precipitare per un
tempo infinito, e piombare infine in una stanza buia.
Il ragazzo si guardò intorno.
-In
questa stanza. – concluse, e poi, sorpreso: - Lo
ricordo anch’io, perfettamente. Come se mi fossi trovato lì.
Yume sorrise pallidamente:
-Ma tu eri lì, Naruto. Eri con me. Tu e io, quella caduta l’abbiamo fatta abbracciati insieme.
-No,
non può essere.
-Credici.
– sibilò l’altra, e stavolta era la Volpe, alta e minacciosa. La sua voce si
fece crudele, derisoria – Non ti sei mai chiesto come avesse fatto il Quarto Hokage a rinchiudermi dentro di te, dopo aver saputo come
funziona il Sigillo? Credi davvero che si possa far fesso
il Dio della Morte, lasciargli una sola delle due anime che pretende, e l’altra
sigillarla nel primo neonato che capita?
-Me
lo sono chiesto, è vero, ma…
-SEI
UNO STUPIDO! – ringhiò la Volpe, al colmo della furia.
Naruto indietreggiò di qualche
passo, ma in quel luogo così irreale sembrava che le distanze non cambiassero
mai. Il demone continuava ad incombere su di lui da un’altezza immane. Le
pareti della stanza sembravano infinitamente lontane, eppure così vicine e
incombenti: stretta là dentro, la Volpe era l’unica cosa che si potesse vedere, l’unica che si potesse concepire. Le sue
parole rimbombavano fin dentro il corpo di Naruto:
-Non
si può! Non si possono cambiare le regole! Non si possono fare eccezioni! La mia
anima è stata semplicemente data in pasto al Dio della Morte assieme a quella
di chi mi aveva catturato!
-E
allora, – esclamò Naruto, in una sorta di difesa disperata, tentando di
ragionare con il mostro e la sua follia – perché dici
che io avrei fatto quella caduta assieme a te? E’ stato il Quarto Hokage a catturarti, non io!
-SEI
TU IL QUARTO HOKAGE!
Lo spaventoso ruggito di rabbia
della Volpe scosse la terra e l’aria; l’oscurità sembrò farsi ancor più fitta,
per un istante. Naruto sembrò paralizzato, cercò di dire qualcosa, ma finì per
restare in silenzio. Nel frattempo, la Volpe aveva recuperato il controllo di
sé, e con esso anche le sue sembianze femminili. Era
tornata ad essere Yume, una figura discreta, bella e
un po’ triste.
-Sei
tu il Quarto Hokage. – ripeté, stavolta più
pacatamente – Naruto Uzumaki, Quarto Hokage di Konoha:
questo era il tuo nome quando eri vivo. Nel mondo
reale.
-Quando ero vivo? – gridò Naruto, che improvvisamente si sentì
oppresso da una tremenda inquietudine – Ma io SONO
vivo, maledizione! Mi… mi riesco a sentire le mani, e i piedi, e… non so… ma io sono solido! Respiro, mangio, bevo!
Sono vivo!
-Naruto,
solo cinque minuti fa ti sei conficcato una spada nello stomaco, eppure ora non
hai nemmeno un graffio. Se fossi stato davvero vivo, adesso
sì che saresti morto.
-Non
può essere. Non può essere.
Naruto continuava a fissarsi le
mani, a farle scorrere sul suo corpo, a muovere le dita, come cercando conferma
di quello che affermava, perché accidenti, non poteva essere morto, non ci si poteva sentire così se si era morti!
-E
poi cosa intendi quando parli del mondo reale? Vuoi dire che questo non sarebbe reale? Se
non è il mondo, che cos’altro dovrebbe essere! L’aldilà, oppure…
“…L’anima che viene sigillata con questa
tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio
della Morte…”
-Oppure… - e, trovando la risposta nelle parole che lui stesso
aveva pronunciato poco prima, lasciò svanire la sua voce in un soffio.
Morto.
Era davvero troppo da accettare.
-Le
due anime – disse Yume – si
attorcigliano, continuano a soffrire, si odiano, e combattono per
l’eternità.
E poi aggiunse, con un sorriso
malinconico:
-Ma, nel nostro caso, lo fanno in un modo del tutto particolare.
La favola era completa. Le parole al
proprio posto. Inesorabilmente, Naruto lesse nei propri ricordi la conclusione
di ciò che era accaduto quel lontano giorno fatale.
La Volpe e il Quarto Hokagecaddero
a lungo, giù per un abisso che era come se avesse denti che li straziavano,
fauci che li stritolavano, succhi disgustosi che li scioglievano e li
consumavano, tutto questo sentivano, eppure non c’era niente del genere,
intorno, solo un nerissimo buio quale loro non avevano mai visto. Smisero
infine di cadere, senza nemmeno accorgersene, e scoprirono di essere finiti in
una stanza oscura e sconfinata. Per molto tempo il grande
guerriero e il demone indomabile attesero immobili che qualcosa accadesse,
senza tradire un brivido, senza battere un ciglio; ma entrambi avevano in
realtà una paura incontrollabile e mostruosa, paura della sorte che li
attendeva e paura di tradire la propria paura. Perché non importava quanto
fossero stati forti e potenti in vita: essi ora sentivano di essere in balia di
qualcos’altro, il cui potere superava di gran lunga il
loro, e che per di più era malvagio e terrificante.
Allora cominciò a udirsi, dall’alto, prima distante come un’eco che ha perduto la sua via, poi sempre più forte, sempre più
vicina, sempre più rimbombante, una lunga e perfida risata. La Volpe ruggì con
tutta la sua furia al cielo, che era nero come ogni altra cosa, e gridò al
vigliacco che si nascondeva e osava ridere di lei di farsi vedere, di farsi sotto, perché nessun mortale aveva mai avuto il
coraggio di deridere il potente Demone dalle Nove Code, né mai avrebbe potuto
farlo. Mostrava rabbia per dimenticare la paura. Il Quarto Hokage,
invece, non disse nulla: era stato lui ad attivare il Sigillo, e conosceva fin
troppo bene quale sarebbe stato il loro destino. Non per questo non aveva
paura; era semplicemente abbastanza saggio da sapere che non vi era modo di
sfuggire a ciò che li attendeva. Il giudizio del Dio della Morte.
Il Dio della Morte, il crudele Mietitore, rideva e rideva, divertito al
pensiero di come gli uomini potessero scioccamente precipitarsi nelle sue
fauci, presi com’erano dalla loro frenesia di combattersi l’un
l’altro, e ancor più divertito dalla vista della Volpe che continuava a
dibattersi e ad urlare come un’ossessa. Nessun pasto gli era più gradito di due anime forti e orgogliose come quelle: farle deboli e
umili con la tortura e la sofferenza sarebbe stato un gioco che l’avrebbe
divertito per l’eternità.
“Tu, uomo” proclamò con voce terribile quando
il suo riso si placò, “tu sei Hokage: perciò non
sarai Hokage mai più. Perso ogni ricordo, vivrai una
vita di illusione, non più reale di un sogno o di un
miraggio, rinchiuso qui nel mio regno. Crederai di rinascere nel tuo villaggio,
ospiterai nel tuo ventre il demone che hai sigillato,
e a causa sua patirai mille sofferenze. La tua vita sarà tormentata da odio,
rancore, disprezzo e solitudine. Desidererai con tutte le tue forze di tornare
ad essere ciò che realmente sei e diventare Hokage, e
per questo combatterai e soffrirai ancor di più, senza conoscere né la pace né
il riposo. Ma ogni volta che raggiungerai il traguardo che
aneli esso ti sarà strappato di mano; allora tu crederai di morire, e poi di
rinascere, di nuovo senza ricordi. Ogni volta che diventerai Hokage tutto avrà fine, cosicché tutto potrà ricominciare. E questo sarà il tuo inferno.”
“Tu, Volpe” continuò poi, “sei potente e superba:
perciò diverrai schiava. Incatenata nel corpo di colui che
ti ha imprigionata; capace di osservare, ma non di agire; costretta ad essere
legata a lui per la vita e per la morte, a servirlo e a condividere la tua
forza con lui. Mai più assaporerai la libertà, nemmeno nel mondo illusorio che
ospiterà d’ora in poi la vostra vita. Serva dell’uomo che ti ha battuto, sarai, tuo malgrado, la sua unica vera compagna. E questo sarà il tuo inferno.”
Dette queste parole, il Mietitore si ritirò nell’oscurità, ad osservare
come i suoi burattini recitavano nel palcoscenico che aveva preparato loro, né
mai più il Quarto Hokage e la Volpe lo rividero.
Fu così che il gioco ebbe inizio, e continua
tuttora.
-Quante
volte? – chiese Naruto, con voce tanto roca da sembrare spettrale.
Era stordito. Restava accovacciato a
terra, preda di violente vertigini. Non riusciva a rialzarsi. Quando aveva
preso coscienza della verità e i ricordi gli erano entrati dentro con forza era quasi svenuto.
Dopo qualche secondo provò a
rialzarsi, ma si ritrovò piegato in due. Se avesse avuto
un corpo, sentiva che avrebbe vomitato.
Ma io non ho un corpo.
Dannazione, IO NON HO PIU’ NEMMENO UN CORPO!
-Quante
volte? – chiese ancora, e stavolta le parole erano più
nitide e decise. – Quante volte si è ripetuta questa farsa della mia vita,
Volpe? Quante, fino ad ora?
Yume sorrise e scrollò le spalle.
-Chi
può dire quanto dura un sogno, Naruto? Talvolta ti sembra un’eternità, e invece
è una faccenda di un istante. Altri potrebbero sognare un solo, lunghissimo attimo,
per un’intera notte. Non si può giudicare. Molte volte, questo è certo:
abbastanza perché neanch’io riesca più a contarle.
Silenzio.
-Molte
volte. – ripeté Yume.
Ancora silenzio.
-Molte
volte. – ripeté la Volpe, ringhiando con le fauci schiumanti – Molte! Troppe!
TROPPE!
Naruto si ritrasse, non fece in
tempo; si ritrovò intrappolato sotto una delle zampe
del mostro. Gli artigli, inchiodati nel terreno, lo intrappolavano da ogni
lato. Aveva gambe e braccia immobilizzate. E nonostante avesse capito di essere solo un’anima, uno spirito, né più né meno di lei,
e di non potere subire alcun danno, Naruto ebbe paura vedendo il crudele volto
ferino della belva scendere su di sé. Sentì il calore del
fiato, la viscida bava gocciolò sul suo viso.
-Ce l’avevo quasi fatta, questa volta! – mugolò la
Volpe. La sua voce tradiva una rabbia
immensa, ma anche un dolore animale, come un cane che uggiola
scottato dal fuoco – Ce la potevo fare. Tu non hai più un corpo a cui tornare,
Naruto Uzumaki. La tua carne se la sono mangiata i vermi, e che ci si ingrassino bene, che tu sia maledetto! Di te non restano più nemmeno le ossa, sono polvere anche quelle! Tu
sei condannato a restare qui per sempre. Ma io no. A
me non serve un corpo. Io sono tutta qui, non sono mai
stata nient’altro, uno spirito che si fa corpo e carne
con la sua stessa volontà. E allora, se solo potessi uscire, se potessi
lasciare questa trappola in cui mi hai rinchiusa…
-Non
puoi. – sogghignò Naruto.
-POSSO!
– urlò di rimando l’altra, premendolo al suolo con la sola
violenza della sua voce – Posso. Lo stavo facendo. Ce
l’avevo quasi fatta. Nel gioco della tua vita illusoria, quando il ciclo
sta per finire, quando tu stai per arrivare alla
conclusione, a diventare hokage, e tutto si appresta
a ricominciare, è allora che le regole si fanno… - la bestia ansò
profondamente, fermandosi un attimo. Sembrava che le costasse uno sforzo immane
mantenersi calma abbastanza da continuare a parlare e spiegare - …più deboli. Più
facili da aggirare. Perciò ho potuto materializzarmi
in quella forma davanti a te, agire, parlare, combattere.
-Uccidere
Hinata. – aggiunse Naruto, con risentimento.
-HINATA
NON E’ MAI ESISTITA! O sei davvero così idiota da non
avere ancora capito che tutto ciò che hai vissuto, tutto, è reale come
un’ombra, e meno ancora: come l’ombra di un’ombra! Lei era
solo un burattino: gli unici attori veri eravamo noi due.Ma sei tu il
protagonista. Questo ruolo il Dio della Morte l’ha dato a te. Tutto dipende da
te, dalla tua forza di volontà e dal tuo desiderio…
-…di
diventare hokage.
La Volpe fece un grugnito di assenso:
-Se
fossi riuscita a farti arrendere, a farti rinunciare…
Ad ogni momento che la tua determinazione diminuiva, la tua anima si
indeboliva, e io diventavo più forte, più vicina alla realtà, alla libertà.
-La
febbre. – mormorò Naruto – Non era colpa tua: era colpa
mia. La febbre aumentava ogni volta che io facevo un passo in più verso la
resa. Mi sentivo come morire. Cosa sarebbe successo se
avessi ceduto del tutto?
-SARESTI
SPARITO! – gridò la Volpe, premendo ancor di più l’artiglio contro il petto di
Naruto.
Il ragazzo scoprì che essere uno
spirito non lo salvava dal dolore. Boccheggiò sentendo l’aria mancargli, e non
riuscì a trattenere un urlo.
-SARESTI
SPARITO! La tua anima si sarebbe dissolta, avresti finito di giocare questo
gioco inutile e idiota, e io sarei stata LI-BE-RAAAAA!
E alzò la testa al cielo, ululando
quell’ultima parola come un lupo che canta la sua ferocia alla luna piena,
avvolta da fiamme che divampavano calde e luminose; eppure che non illuminavano
niente, nel buio ventre del Dio della Morte. Naruto si sentì svenire per il
calore e il frastuono, ma non svenne: uno spirito non sviene.
Poi la furia si placò. L’artiglio
era diventato più piccolo, più fresco, più delicato. Naruto si trovò di nuovo
libero. Riaprì gli occhi, si mise seduto, e scoprì con sorpresa che la Volpe si
era trasformata ancora. Yume, accovacciata, biascivava tra sé e sé, e tremava di nuovo.
-Libera…
- bisbigliò con voce assente – Libera. E libero
saresti stato anche tu, Naruto.
Alzò lo sguardo, i suoi occhi
castani e caldi (quasi arancione; quasi di fuoco) incrociarono quelli azzurri
di Naruto. Erano imploranti.
-Non
sei stanco, Naruto? E’ tutta un’illusione. E’ tutto un sogno. Ripetere la
stessa vita, volta dopo volta, per l’eternità… neanch’io
riesco a concepirla. L’eternità. E’ così grande, così infinitamente triste,
così solitaria. Io voglio essere libera, ma mi accontenterei anche di sparire,
se potessi. Di addormentarmi per sempre. Tu non hai
alternative. Non lo desideri? L’oblio, il riposo. Non sarebbe dolce, smettere
di lottare, finalmente, e dormire, una volta per tutte,
il sonno che spetta ai morti…
-TACI!
– urlò Naruto.
Era infuriato.
-Smettila
con questi giochetti, razza di mostro. Trasformati, piuttosto, e ringhiami contro, prova a sbranarmi, fammi paura, fa’ un po’ come vuoi. Ma smettila,
SMETTILA, di cercare di impietosirmi.
-Naruto,
non devi dire così.
-Sei
patetica. I tuoi trucchi li ho già capiti, e non
funzioneranno più. So che non sei mia madre e so che non mi ami di certo.
-Naruto,
ti prego…
-Perciò, basta! E’ intollerabile. Io… io non la ricordo più, ma
devo pure averla avuta, una madre, e il solo pensiero che un demone, un mostro,
un essere ripugnante come te finga di essere lei è
disgustoso, e il fatto che tu simuli tutto questo amore nei miei confronti, che mi cerchi di convincere con simili
mezzucci, tutta la tua ipocrisia, mi dà il voltasto…
-Smettila,
Naruto, TI PREGO!
Così. Un grido straziante. Poi il
silenzio. Yume tacque, sfregandosi il volto con le
mani, con forza, come una pazza, come una pazza, che non sentisse
più quelle parole così cariche di odio, così dolorose.
Naruto tacque, sorpreso.
-Tu…
- chiese poi, accennando un passo in avanti - …tieni davvero a me? Eri…
sincera?
Yume lo guardò, dal basso in alto, gettata a terra com’era. Come faccio a spiegarti,
pensò, come faccio, Naruto? Come puoi capirlo? Che
cosa significa vivere come ho fatto io da quando sono
imprigionata qui. Che cosa significa vedere giorno dopo
giorno un mondo finto e respirare aria che non esiste, aria che puzza di morte
e di chiuso, io che ho calcato ogni angolo della Terra, libera e indomabile.
E poi, avere te. Mio compagno. Mio
corpo. Mia anima. Mio nemico. Mio carceriere.
Ti odio per avermi imprigionato qui,
per tenermici ancora chiusa, tu e la tua stupida
testardaggine. Perché sei solo questo, uno stupido inutile essere umano, e
pensi di essere più grande di me, e invece ogni volta
muori, e rinasci, e non ricordi più nulla, come un vecchio rimbecillito
dall’età, e solo io so, solo io ricordo.
Mio tutto. Mia unica cosa vera.
Ti amo perché non posso amare nient’altro. Perché sei tutto ciò che mi resta di
reale, tutto ciò che esiste in questo regno di illusioni,
il mio mondo, e perché sei l’ultimo ricordo di una vita vera. Ti amo per quel
nostro, ultimo, bellissimo combattimento. Quando ci
siamo scontrati, là fuori, abbiamo scosso il mondo e spianato le montagne. Non
lo dimenticherò mai. Gliel’abbiamo fatto vedere, allora,
gliel’abbiamo fatto vedere a tutti, cosa succede quando i giganti combattono
tra loro.
Mio bastardo. Mio piccolo, lurido stronzo.
Ti odio perché mi hai costretta ad amarti e così mi hai fatta cambiare, almeno un
po’, un po’ dentro, sotto le fiamme e le code. Ti odio perché quel dannato
combattimento è stato così bello che io non lo sapevo ma
in fondo ti amavo già la fuori, e che bella coppia saremmo stati noi due, più
potenti di chiunque altro, imperatori del mondo, e poi tu hai dovuto rovinare
tutto, tu e quel tuo merdoso Dio della Morte, e farci
finire in questa fogna, per salvare il mondo. Ma che senso avrà il mondo, senza più noi a darglielo?
Mia creatura. Mio… figlio.
Ti amo perché ti ho visto crescere
cento, mille volte. Ti ho visto bambino, poi adulto. Ti ho visto ogni volta diverso, e sempre meraviglioso, felice, felice
persino in questa vita d’inferno. Figlio mio e del Quarto Hokage:
ti amo perché tu non sei più lui, vita dopo vita
diventi diverso, ogni volta nuovi ricordi e nuove esperienze. Sei quello che sei per via di quello che era lui, ma anche per via di
quello che sono io.
Mia prigione.
Ti odio perché sei il muro che mi
separa dalla libertà.
Mio amante.
Ti amo perché io dentro di te, tu
dentro di me, le nostre anime strette e avvinghiate con tenera violenza l’una
all’altra, sperimentiamo una fusione più perfetta di quella che mai qualunque
coppia di innamorati del mondo troverà nella
confusione di calde e agitate lenzuola.
Ma, sopra ogni altra cosa, ti amo
perché vederti soffrire all’infinito mi fa male, e sapere che soffri per causa
mia mi fa ancora più male.
Ti odio, e ti amo, e per questo,
capisci, perché TI ODIO E TI AMO allo stesso tempo, come puoi capirlo, Naruto,
per questo io voglio che tu ti lasci andare, e sparisca
per sempre.
Pensò questo, Yume.
Non disse nulla. Non ne sarebbe stata capace, non aveva le parole per spiegare
una cosa del genere, e lui non le avrebbe creduto. Le
parole non servivano. Alzò una mano, la portò alla bocca, e con lentezza la
strinse tra i denti fino a farla sanguinare. Il liquido scarlatto le tinse le
labbra. Allora si avvicinò a Naruto, semplicemente, senza
parlare, senza parlare, il silenzio era morbido e totale. Lui la fissava
e non sapeva che fare. Lei lo colse di sorpresa. Un bacio,
leggero, veloce; le labbra posate sulle labbra, per un momento.
Sulla bocca, lei aveva ancora il
sapore di metallo del sangue. Naruto lo sentì; quell’aspro e crudo e forte
sentore di rame misto alla dolcezza del bacio. Capì.
-E’
tutto qui. – disse Yume, distogliendo rapidamente lo
sguardo.
Fremette, scossa da un brivido
incontrollabile. Le scese una lacrima (forse di tristezza, forse di rabbia?)
dall’angolo di un occhio e poi aggiunse:
-Ti
prego. Rinuncia adesso a continuare. Fra poco… fra poco ricomincerà tutto. Smetti
di desiderare e di combattere, abbandonati alla pace. Sei ancora in tempo.
Liberaci tutti e due.
C’era una grande stanza, c’era il
buio, c’erano due persone, c’era un uomo ritornato ragazzo e c’era un demone
innamorato e furioso, e soprattutto c’era una decisione da prendere, ora e
subito, una decisione troppo grande, tra l’oblio e l’eterno susseguirsi di vite
illusorie e inutili.
Nell’oscurità, Naruto schiuse le
labbra, pronto a dare la sua risposta.
Ecco,
scrivere questo capitolo è stata una gran fatica, e anche ora che lo pubblico
ho paura che non si capisca niente XD. L’idea alla base del capitolo (e di
tutta la fic, in sostanza) mi è venuta poco tempo
dopo aver visto l’episodio in cui il Terzo Hokage
affronta Orochimaru. Rimuginavo sul perché la tecnica
del Sigillo del diavolo avesse funzionato diversamente con la Volpe e con Orochimaru (ebbene sì! Sono capace di stare a scervellarmi
anche su domande del genere! XD) ed ho avuto questa
trovata, fulminante, attingendo un po’ alla filosofia buddista, un po’ a Matrix. Spiegava tutto, filava alla perfezione, e ho deciso
di scriverci intorno questafanfic:
ma con un ragionamento così “cervellotico”, non riesco a togliermi il timore di
aver fatto solo tanta confusione. Fatemi sapere che ne pensate voi.
Ho anche realizzato
alcuni disegni ispirati a questa storia. Li trovatequi e qui. A proposito,
l’ideogramma di Yume significa “sogno”, in
giapponese.
OK, è
tutto. Fra pochi giorni, l’ultimo capitolo, ovvero il
gran finale!
Capitolo 7 *** Those who inherit the will of fire ***
7th – Those who inherit the will of fire
7th – Those
who inherit the will of fire
You
were the wind beneath my wings,
taught me
how to fly.
With you I lived among the kings,
how
could this ever die…
So I say farewell, I'm yours forever,
and I Always Will Be
Hammerfall – “Always will be”
-Se ti lasciassi andare…
Naruto esitò. Ricordò che, solo dieci minuti prima, non avrebbe mai creduto di poter fare
una domanda del genere a quello che aveva sempre considerato un semplice mostro
spietato, privo di ragione.
Ma dieci minuti fa, nulla di ciò che credevo
era reale.
-Se ti lasciassi andare – disse lentamente – tu torneresti a distruggere.
Yume sospirò e gettò la testa
all’indietro, come aveva fatto quella sera, sotto le mura, tentando di
assaporare un surrogato di libertà. Il pensiero di poter tornare nel mondo era
qualcosa che la scuoteva nel profondo. Sorrideva, e quando parlò la sua voce
tremava leggermente, perché l’emozione le spezzava il respiro.
-Distruggere
è una parola orribile, Naruto. Io cambio le cose. Non posso essere diversa.
Sono la natura che trasforma sé stessa. Come una frana che modella i fianchi della montagna. Come un
fiume che scava un canyon profondo nel deserto.
-Non
si può fermare una frana. – osservò Naruto – Non si può
fermare un fiume.
-No.
Non si può.
Passò un secondo; e all’improvviso
Naruto scoppiò a ridere, prima sommessamente, poi fragorosamente, fino alle
lacrime. Yume lo fissò sconcertata, poi cominciò ad
infuriarsi, si sentì derisa, fu presa dalla paura, che diavolo gli passava per
la testa?
E Naruto rideva, rideva, rideva.
E’ solo che ho capito tutto. Ho trovato la mia risposta, ho deciso cosa
fare e… è buffo, lo so che non ha molto senso, in un momento del genere, ma mi
è tornata in mente una barzelletta che una volta mi ha raccontato Shikamaru. Una storiella stupida, che allora non mi ha
fatto nemmeno troppo ridere, ma sapete com’è.
Allora, c’è un contadino che ha un vicino invidioso di lui. Un giorno il
vicino, seduto su di un masso, lo vede arrivare, mesto mesto, che passeggia a cavallo del suo amato
asinello, cammina lentamente e si guarda intorno. “Cosa
c’è, compare?”, gli chiede, e quello risponde che ha perso una cosa, e la sta
cercando. Dopodichè se ne va, sempre triste, continuando a guardarsi a destra e
a sinistra. Il vicino gongola, perché pensa che se il contadino rinuncia a
lavorare i campi per cercare quello che ha perso, vuol dire
che si tratta di qualcosa di prezioso o di importante. Per
cui si mette a cercare anche lui: spera di poterla trovare prima, qualunque
cosa sia, per prendersela e lasciare l’altro a bocca asciutta. Cerca per
tutto il giorno, trascura il lavoro nei propri campi, si spacca la schiena, ma
non trova nulla.
Il giorno dopo l’invidioso è seduto al solito posto,
la scena si ripete. Vede passare il contadino, sempre a cavallo
dell’asino, che si guarda intorno ed è ancora più triste. “Cerchi ancora,
compare?”, e quello “Ahimé, sì. Ieri non ho trovato nulla; spero oggi di avere
più fortuna.” Il vicino, allora: “Ma è piccola questa
cosa, visto quant’è difficile trovarla?”. “No”, risponde il contadino “è grande, invece. Non so proprio come
abbia fatto a non vederla!”. Il vicino lo lascia andare e si frega le mani:
oggi la troverà di sicuro. Cerca, cerca, ancora più del
giorno prima, e di nuovo fa cilecca. Torna a casa mezzo morto.
La cosa si ripete per un mese intero. Il contadino è sempre più
disperato; l’invidioso si rode sempre di più pensando di non riuscire nel suo
intento, ormai le sue coltivazioni stanno andando in
malora, s’è pure rotto una gamba cadendo da un dirupo, durante le sue ricerche,
e ancora nulla. Sospetta che il contadino abbia inventato
tutto per fargli dispetto, ormai è all’esaurimento.
Il trentesimo giorno, solita scena. Il vicino siede sul suo masso e vede
arrivare il contadino, ridotto ad uno straccio d’uomo, a cavallo dell’asinello,
stremato pure lui, povera bestia. Stavolta, però, l’invidioso ha deciso di non
usare mezzi termini. Così, invece dei soliti saluti, si mette a urlare come un pazzo, “Ma insomma”, grida, “si può sapere
che diavolo è questa cosa che cerchi?”. E il
contadino, con una voce da oltretomba, sempre senza scendere di sella, si
avvicina e dice…
-Cerco
il mio asino. – disse Naruto, quando finì di ridere.
-Cosa, scusa? Che significa?
Il ragazzo non rispose, non
direttamente a Yume. Sembrava parlare con sé stesso.
-E’
divertente, no? Se uno sa prenderla con ironia. Cioè, tutto questo lottare, tanta fatica per cercare di
diventare hokage: e in realtà lo sono già, continuo
ad esserlo, lo sono sempre stato.
-Non
è vero. – disse Yume – Tu non sei
più nulla, ormai. Solo polvere in una tomba
dimenticata.
-L’hokage protegge il villaggio. Da tutto
ciò che potrebbe minacciarlo, distruggerlo. O…
cambiarlo, come preferisci tu. – fece ammiccando in direzione della
donna.
E poi dichiarò, con voce chiara e
forte, stavolta:
-Io
non rinuncio, Volpe. Io continuo, e lo farò per l’eternità.
-NO!
Non poteva accettare una sconfitta,
non ora che c’era arrivata così vicina, non ora che aveva anche umiliato il
proprio orgoglio rivelando a Naruto sentimenti che già si vergognava di
ammettere con sé stessa. Divenne puro odio e ira,
dimenticò tutto il resto. Il mostro si levò ancor più rosso e furioso di prima.
Le code sibilavano nell’aria con il suono di una tempesta.
Naruto restò impassibile, senza
farsi minimamente impressionare.
-Finché ti terrò chiusa qui dentro, il villaggio sarà salvo dalle
tue grinfie, e io continuerò ad assolvere il mio dovere di guida della Foglia. E poi…
E qui rise sommessamente.
-…non
sarà tanto male rivivere la stessa storia in eterno. Potrò diventare hokage infinite volte, in infiniti
modi diversi.
-E OGNI VOLTA SARA’ SOLO UN’ILLUSIONE! – ruggì la Volpe – E OGNI VOLTA
QUELLO STESSO TRAGUARDO TI VERRA’ STRAPPATO DI MANO!
-E allora io tornerò ad inseguirlo ancora. – affermò il ninja con
decisione – E ancora e ancora. Se è vero che, come mi ha detto Shikamaru, al mattino i sogni
lasciano un sapore amaro in bocca, allora cosa può esserci di meglio di dormire
una notte infinita, e sognare in eterno, e continuare a desiderare e inseguire ciò
che non si può ottenere?
-SEI
PAZZO, NARUTO UZUMAKI! SEI SOLO UN POVERO PAZZO! DEVI SPARIRE, UNA VOLTA PER
TUTTE, E SOLO COSI’ SARAI DAVVERO FELICE! SARA’ MEGLIO PER TUTTI E DUE! PERCHE’ NON LO CAPISCI?
Ma ormai era troppo tardi. Il breve
intervallo tra la fine di una vita e l’inizio di un’altra volgeva al termine.
Già l’oscurità non era più così fitta; già il silenzio non era più perfetto; la
luce si faceva strada come un leggero vapore che
riempie l’aria, e si udiva il suono, distante, del vagito di un neonato.
-PERCHE’ NON LO CAPISCI?!?
Naruto si accorse che i suoi ricordi
della vita appena trascorsa si facevano incerti, nebulosi. Dimenticava piccoli
particolari, all’inizio, poi interi anni, persone, luoghi.
-RISPONDIMI,
NARUTO! PERCHE’ NON LO CAPISCI? – continuava ad
urlare insensatamente il demone.
Ebbe un ultimo ricordo preciso.
Sakura. Se non fosse arrivata, nella foresta,
all’alba, sarebbe finito tutto, e la Volpe avrebbe vinto la sua partita.
Ripensò a lei con gratitudine. Aveva superato persino la morte per venire in
suo aiuto.
Ma poi capì. Lei non era davvero
morta, perché non era mai stata viva. Era, anche lei, soltanto una parte di
quella grande illusione, uno dei burattini che il Dio della Morte usava per
divertirsi con lui.
“Se sono nella tua mente? La risposta è
complicata… diciamo di sì, ma non nel senso in cui tu credi.”
No. No, Naruto aveva fiducia in
questo, Sakura non era solo un’illusione. Lei doveva essere qualcos’altro. Era
bello pensare che fosse un altro spirito, l’anima di qualcuno che lo aveva
amato in vita, e che anche adesso aveva trovato il
modo di raggiungerlo, di stargli accanto e venirgli in aiuto nei momenti
difficili. Era bello pensarlo, e Naruto lo pensò con
tutte le proprie forze, finché ebbe ricordi nella mente.
Chissà chi eri, Sakura.
Ti voglio bene.
-PERCHE’ NON LO CAPISCIIIIIII? – strillò la Volpe con voce
altissima.
E Naruto, con un leggero sorriso
sulle labbra, mormorò:
-Perché aveva ragione Sakura. Io sono troppo stupido per capire certe cose.
La luce riempì ogni cosa. Tutto ebbe
fine.
E così tutto poté ricominciare.
In un piccolo campo appena fuori dalle mura di Konoha, quella vera, intendo, non quella
fittizia in cui ancora e sempre il Quarto Hokage combatte la sua battaglia per
tenere prigioniera la Volpe a Nove Code, c’è un albero, e sotto ci sono due
tombe: due alti e massicci cippi funerari in marmo candido. L’albero è un albero di ciliegio. Ha una storia tutta sua.
Si dice
che, sotto quell’albero, il Quarto Hokage, anni fa, abbia dichiarato per la
prima volta il suo amore alla donna che poi avrebbe sposato. Provate ad
avvicinarvi, guardatelo bene: sulla corteccia porta ancora, un po’ cancellati
dal tempo, i segni che loro vi avevano inciso con i propri kunai, come pegno
della propria promessa. Quando erano ancora giovani e sereni.
Sotto quello stesso albero essi si
separarono. Fu là che il Quarto disse addio alla moglie, prima di andare a
combattere la Volpe a Nove Code, presentendo il proprio destino. Lì, lì dove si
erano dati il primo bacio, si diedero anche l’ultimo.
Il giorno dopo, sotto quell’albero venne seppellito il corpo senza vita dell’Hokage. Il
ciliegio era in fiore e pianse con lacrime rosa e morbide, che scendevano
dolcemente verso il suolo, l’eroe che abbandonava per sempre questo mondo. Sua
moglie attese che finisse il funerale e che tutti
andassero via. Quando rimase sola, con molta
discrezione, salì in piedi sulla tomba del marito, si sfilò la cintura di seta
del kimono, la arrotolò, facendone una corda, annodò a cappio un’estremità e
gettò l’altra tra le fronde dell’albero.
Un minuto dopo, il ciliegio aveva un
fiore in più.
Ora è una splendida mattina. Il sole
che illumina il campo lo trasforma in uno splendido intreccio di oro e smeraldo, e le due tombe brillano alla luce di un
bianco tanto abbagliante da far male. Su una delle due, quella un po’ più alta,
sta seduto un ragazzino, con le gambe a penzoloni. Si
chiama Koshi.
A Koshi piace quel posto. Ci va ogni volta che si sente triste; che si sente solo; ogni volta
che ha bisogno di trovare un po’ di coraggio. Dicono i suoi amici, stupido,
non devi andarti a sedere sulla tomba dell’hokage, o
si offenderà e il suo spirito verrà a cercarti di notte. Ma
lui risponde che non è mica un’offesa; è come andare a sedersi sulle ginocchia
del nonno. Obietta un altro bambino che, però, mio nonno non mi ha mai permesso
di sedermi sulle sue ginocchia, una volta ci ho
provato e mi ha dato uno schiaffo. Bella forza, dice Koshi, tu sei di famiglia nobile, i nobili non possono nemmeno far
pipì senza rispettare l’etichetta. Meno male che non sono nobile, aggiunge poi.
Koshi si siede spesso sulla tomba
dell’Hokage, e poi parla con lui. Gli racconta la propria vita, gli dice di
cosa ha paura, cosa desidera, cosa sogna. Quando si
rialza, si sente meglio: più sereno. Il Quarto Hokage non gli risponde mai, non
con le parole, ma Koshi sa che lui gli vuole bene e
che lo protegge, invisibile e silenzioso come solo lo spirito di un ninja può
essere, giorno dopo giorno, nella vita che è così difficile.
Oggi Koshi è particolarmente triste.
Parla poco, e quasi quasi scoppia a piangere.
-E’
che stamattina ho l’esame all’accademia. – dice a mezza voce
– Mi hanno già bocciato tre volte. Non riesco proprio a farci nulla, mi
sembra sempre di dimenticare tutto, e non so cosa fare se voglio passarlo. I
miei compagni sono già diventati tutti genin,
sono rimasto solo io indietro.
Si ferma un attimo, pensieroso.
-Certo
che tu questi problemi non li avrai avuti! Tu eri il più forte di tutti. L’ho
detto anche l’altro giorno, a Genta, che diceva che invece il più forte era il Primo Hokage. Abbiamo
finito per fare a pugni.
Rimane in silenzio, continuando a
dondolare le gambe, che battono leggermente contro il marmo della tomba. Il
vento soffia un istante: in quel refolo, Koshi sente un silenzioso
incoraggiamento. La paura che lo opprimeva vola via, portata dalla brezza come
una foglia leggera.
Sorridendo salta giù, tira fuori dalla bisaccia un pane dolce che sua madre gli ha dato
per merenda, lo spezza in tre e ne conserva solo una parte. Le altre due sono un’offerta. Posa la prima davanti alla tomba su cui
sedeva.
-Per
te. – dice. Sulla lapide c’è inciso:
QUI
NARUTO UZUMAKI
QUARTO HOKAGE DI KONOHA
RIPOSA DOPO LA FATICOSA BATTAGLIA
COMBATTUTA PER PROTEGGERE IL VILLAGGIO
Koshi passa alla seconda tomba, più
bassa e graziosa. Anche qui lascia il suo tributo.
-Per
tua moglie.
Sulla lapide c’è inciso:
QUI
SAKURA HARUNO
ATTENDE CHE I CILIEGI TORNINO
A FIORIRE
-Ora
devo andare. – bisbiglia Koshi.
Afferra la
bisaccia, se la carica in spalla, corre via tra l’erba verde, corre leggero nella luce del
Sole. L’accademia è là in fondo. L’esame lo attende.
Chissà come, Koshi è sicuro che
stavolta lo passerà.
FINE
Finalmente,
la conclusione! OK, ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito fino ad
ora, e ovviamente tutti quelli che leggeranno questo capitolo! Spero che il finale vi sia piaciuto. Colgo l’occasione per
porre l’accento sulla canzone citata all’inizio del capitolo, “Alwayswillbe”
degli Hammerfall. Ovviamente tutte le canzoni che ho
citato mi piacciono molto, ma questa, in particolare, è qualcosa di incredibile. Vi consiglio di sentirla, se ne avrete l’occasione.
X Martyx: in effetti questa storia
del Sigillo è un brutto trip mentale. Ho sentito molte teorie diverse al
proposito, ma chissà se una di queste è giusta, o se semplicemente Kishimoto non ha ancora neanche deciso come giustificare
questa faccenda (però mi parrebbe poco professionale da parte sua. Un’idea deve
avercela, secondo me). Di sicuro la teoria di questa fic
è probabilmente un po’ troppo estrema e “filosofica” per essere proponibile in
uno shonenmanga come
“Naruto”. Ma non è detto che sia tutto da buttare: per
esempio, secondo me Naruto potrebbe davvero essere la “reincarnazione” del
Quarto Hokage, anziché suo figlio, come banalmente si
potrebbe pensare.
X Fantafresh: grazie per i complimenti e soprattutto per aver
definito la mia fiction “non commerciale” – più che
altro perché in questo periodo ero stato preda di brutti dubbi, temevo di
essermi “addolcito” troppo… XD. Ci tengo a farti sapere, ormai che siamo alla
fine, quali pezzi della storia sono stati influenzati dal tuo commento della
volta scorsa. Per la precisione: il discorso finale della Volpe, alla fine del
capitolo 6, l’ho ampliato, la scena del bacio me la sono
inventata nuova di zecca, e anche per questo motivo ho dovuto dividere il
finale in due capitoli, il 6 e il 7. Per finire, il ruolo di Sakura in quest’ultimo capitolo è anch’esso una novità, nei miei
piani iniziali non avrei più dovuto nominarla dopo
l’episodio del capitolo 4. E pensare che di per sé
Sakura nemmeno mi piace tanto, come personaggio! Ma mi sono fatto trascinare
dalla mia stessa storia e l’ho valorizzata molto più di quanto io stesso non avessi pensato all’inizio. A posteriori, io sono contento di queste
modifiche, perché mi sembra abbiano aggiunto spessore
alla fic: il giudizio finale, comunque, spetta a te e
agli altri lettori.
Mi spiace
per quello che mi dici sulle scene d’azione: devo ammettere che hai ragione e che nel capitolo 5, in particolare, avrei forse dovuto rendere
un po’ meglio la potenza di Yume. Invece, riguardo
allo spostare l’azione, centrandola su altri personaggi, penso di poterti
spiegare meglio, adesso, quello che intendevo quando
dicevo che la monotematicità era “un effetto voluto”.
Il fatto è che, vista la natura illusoria della vita di Naruto così come delle persone che lo circondano, ho pensato che sarebbe
risultato quasi una beffa per il lettore mettere l’accento su pensieri e
sentimenti di personaggi che in realtà, si scoprirà alla fine, non esistono! E in genere volevo che il tutto risultasse, quasi
ossessivamente, centrato su Naruto, proprio per dare il senso di come sia lui
il fulcro intorno a cui ruota tutto il resto. Normalmente tendo a rendere più
variegati personaggi e ambientazioni, e nella mia prima idea anche “Legacy of the 4th” avrebbe dovuto essere così; poi, per i
motivi detti sopra, ho preferito optare per una scelta
più sperimentale e insolita, cercando ovviamente di mantenere la leggibilità
della storia. Mi sembrava una sfida interessante, oltre tutto,
una specie di “virtuosismo”.
Mamma mia quanto ho scritto…
chiudo qua, ciao e grazie ancora a tutti!