even when the sky is falling

di gloriabarilaro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** our love will never die. ***
Capitolo 2: *** is that hard for you say 'I love you'? ***
Capitolo 3: *** this is bad for you. ***
Capitolo 4: *** i don't want take away your smile ***
Capitolo 5: *** it's not a prank ***
Capitolo 6: *** escape. ***
Capitolo 7: *** I won't let anybody hurt her. ***



Capitolo 1
*** our love will never die. ***






 

 

"I know it's hard babe
to sleep at night,
don't you worry,
everything's gonna 
be alright."
cit.





 

  Mi manchi, Leigh, sai? Mi manchi da morire.
  Ti vedo, sai? Vedo tutto il tuo dolore.
  Fidati, è lo stesso dolore che provo io in questo momento: senza di te è tutto diverso. Sono perso, ecco, sono vuoto: perché tu eri quella parte fondamentale di me che costruiva il mio essere.
  Ti ricordi, amore mio, ti ricordi tutto quello che abbiamo passato?
  Che bei tempi felici, quanti sorrisi e quante risate.
  Hai ancora quei momenti nella mente, Leigh? Li costudisci come li costudisco io? Sono sicuro di sì, perché il nostro amore era il più bello al mondo, nonostante fosse l’unica cosa che avevamo. Te lo ricordi, piccola, vero? È difficile dimenticarlo, soprattutto per noi due. Ti prego, quindi, tu non farlo: io non lo farò neppure, giuro.
  Non scordarti neanche di quel doloroso giorno: so che fa male, ma non rimuoverlo dalla tua mente. Siamo stati, in fondo, assieme, no? Eravamo uniti prima che ci dividessero, quindi perché scordare uno di quei giorni in cui eravamo uno a fianco all’altra, potevamo stringerci la mano, guardarci in faccia e sorridere, anche se quelle che stavamo passando non era il meglio che potessimo vivere?
  No, ti prego, non ti dimenticare niente. È proprio quello che farò io, e saremo uniti in qualche modo lo stesso, uniti da una scelta: metti la tua adorabile testardaggine da parte per una volta, piccola, e non scordare niente.
  Io terrò bene a mente tutto di te, il tuo carattere, le tue abitudini: ti giuro, amore, che non scorderò il tuo viso, mai. Non scorderò i tuoi occhi profondi che mi lasciavano senza fiato, la tua bocca non mi sarei mai stancato di baciare.
  E tu, amore, ricordati di me, ti supplico: ricordati dei miei capelli e di quanto ti piacesse spettinarli, ricordati del mio sorriso che dicevi di amare più di ogni altra cosa.
  Leigh, tesoro, non ti preoccupare: il nostro amore non è finito, è ancora vivo, lo sento bruciare dentro di me. Chiudi gli occhi amore, solo per un minuto, e ascolta: lo sentirai anche tu, quella grande fiamma che ti riscalda dentro: non cercare di spegnerla amore, neppure io lo farò.
  Niente potrà separaci, okay? Sarò sempre al tuo fianco, piccola, fatti forza.
                            
                                                                                   

                                                                     Justin.

___________



 

Eccomi di nuovo qui a rompervi le scatole con un'altra storia su justin. in realtà non avevo in mente di postare, ma siccome sto scrivendo i capitoli in questi giorni volevo sapere se sarebbe interessata a qualcuno oppure potevo lasciare perdere e dedicarmi a cose più serie, come la tesina che non ho ancora completato cwc
Se siete entrati perchè l'anticipazione o, che ne so, il titolo della storia vi ha interessato, vi prego di lasciarmi un parere, anche negativo non importa, ne ho davvero bisogno: è una storia molto impegnativa, non so se riuscirò a scriverla, ad essere sincera. Quindi ho bisogno del vostro appoggio, se davvero ne vale la pena di scriverla.
Come avete capito, è una storia molto romantica e drammatica, il mio genere insomma. mi è venuta in mente ascoltando next to you e alcune canzoni del believe acoustic, e ispirandomi ai video di as long as you love me e next to you ho buttato giù un po' quella che dovrebbe essere la trama, sempre che non ci apporti qualche modifica come è mio solito fare.. Questo è solo il prologo, è corto, ma i capitoli saranno più lunghi e, ovviamente, non sottoforma di lettera; questo piccolo pezzo è una specie di anticipazione scritta un po' di getto, la storia vera e propria inizia dal prossimo capitolo. se vedo che a molte interessa, io l'ho già scritto, lo posterò solo se ne varrà la pena.
Grazie se siete passate e avete dedicato un po' delvostro tempo a leggere questa piccola anticipazione, e grazie davvero se lascerete una recenzione, non potete capire quanto per me sia importante, soprattutto dalmomento che justin è il mio idolo e questa ff è una storia un po' porticolare che (spero) possa essere un po' interessante perché più insolita.
Vi lascierò i link al mio twitter, tumblr, ask per qualsiasi domanda voi vogliate farmi su questa storia, rispondo a tutte, per me non è un problema. se non ci siete iscritte,potete pure contattarmi qui su efp. (specificate che storia è, perfavore, ne ho scritte anche altre e potrei non chiarire i vostri dubbi.)
Mi dileguo.
baci, 
Glo.

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Capitolo 2
*** is that hard for you say 'I love you'? ***












 

" you make me
crazier, crazier  "

cit.






 

  Il sonno stava avendo la meglio su di me, oramai. Ma quando un’occasione del genere mi si sarebbe ripresentata davanti? Quando avrei potuto ancora rivivere quel momento di pace, calma, senza avere il timore che lei si sentisse in soggezione mentre la guardavo? Ora, beata nel sonno com’era, sarei potuto rimanere lì per ore e ore, a guardarla dormire e non stancarmi mai di studiare i suoi lineamenti, ogni piccolo particolare del suo corpo e del suo viso, spostandole i capelli in un modo o nell’altro per poi giungere alla conclusione che stava bene in qualsiasi modo. Era quello che, in fondo, stavo facendo da quando si era addormentata.
  Il fatto è che ne ero anche fermamente convinto: ero convinto che stesse dormendo, sorridendo beata nel sonno per qualche sogno paradisiaco in cui si era ritrovata quella notte. Quando, quindi, si mosse un poco tra le mie braccia mentre le soffiavo via un’ennesima ciocca di capelli e la sentii mormorare un piccato: ‹‹Justin, piantala››, ci rimasi a dir poco di merda.
  Le sue palpebre si aprirono di scatto, rivelando il colore profondo dei suoi occhi nell’oscurità: avrei potuto annegarci dentro ogni talvolta che li facevo incontrare con i miei, ma quella volta appena li vidi la prima cosa che feci fu sobbalzare leggermente. Nella penombra, vidi i suoi denti bianchissimi fare capolino dalle sue labbra che si erano incurvate in un sorriso.
  ‹‹Eri sveglia?›› sussurrai scioccato, cercando di riprendermi dallo spavento. Lei ridacchiò affondando il viso nella mia spalla. La strinsi un po’ più a me, mentre la sentivo posare una guancia sul mio petto, all’altezza del mio cuore e io continuavo a giocherellare con i suoi capelli: rimasi zitto, consapevole del fatto che lei stesse ascoltando il mio battito cardiaco, come le piaceva sempre fare quando eravamo come in quel momento, vicini con anima e corpo.
  ‹‹Mi hai svegliato tu›› rispose infine contro il mio petto. Abbassai lo sguardo verso di lei quel poco che mi permetteva il nostro abbraccio stretto: stava sorridendo divertita, lo potevo scommettere, anche se stava nascondendo il viso alla mia vista. Sorrisi a mia volta: era incredibile come trovasse divertente spaventarmi o cogliermi di sorpresa, come aveva fatto poco prima. ‹‹Ti ho sentito giocare con i miei capelli, e odio quando le persone lo fanno, lo sai›› continuò, mentre con il pollice disegnava piccoli cerchi immaginari sul mio fianco. Rabbrividii, sentendo le sue dita gelide a contatto con la mia pelle.
  ‹‹Scusa.›› mormorai mortificato, costringendomi a toglierle le mani dai capelli. Lei in risposta ridacchiò, scostandosi da me per alzare lo sguardo e incontrare i miei occhi. ‹‹Ehi – protestò, sorridendo – non ho detto mica che odio quando tu giochi con i miei capelli!››
  Ridacchiai accarezzandole la linea del viso con un dito. Il suo sorriso si fece più dolce, mentre abbassava lo sguardo sulle mie labbra: me le inumidii e, prendendole il mento, la costrinsi a rincontrare i miei occhi. ‹‹Ci provi proprio gusto a farmi sentire in colpa facendomi capire male tutto con i tuoi giochi di parole››  le mormorai con un falso accenno di accusa nella voce. Le si limitò a scrollare le spalle, facendo scivolare giù il lenzuolo che le copriva. ‹‹Sei tu che non li sai interpretare, non è colpa mia.››
  La guardai a lungo in silenzio, mentre lei sorrideva soddisfatta, guardando la sua mano posata sul mio petto. Mi arresi, poi, scuotendo la testa ed avvicinandola di nuovo a me. ‹‹Tu mi fai impazzire, Leigh. – le sussurrai una volta che fu vicina, – Forse è questo che mi attrae così tanto a te.››
  Lei rise, facendo scivolare una mano dietro la mia nuca e avvicinando il suo viso al mio: ‹‹Ti costa così  tanto dire un ‘ti amo’?››
 Mi avvicinai a mia volta, sfiorando la punta del suo naso con il mio e poi lasciando un piccolo bacio sull’angolo delle sue labbra. Sorridendo, lei si avvicinò di nuovo, baciandomi sulle labbra con dolcezza. ‹‹Sì.›› le risposi, dopo essermi leccato labbra per sentire il sapore delle sue che ci era rimasto sopra. Lei sporse giocosamente il labbro in fuori, facendo un finto broncio adorabile.
  ‹‹Quindi non mi ami?››
  Risi, scompigliandole i capelli. ‹‹No, non ti amo›› le dissi, puntellandomi con il gomito e facendole posare la testa sul cuscino. Le baciai la guancia, scendendo lungo il suo collo e scostando con un soffio ogni ciocca dei suoi capelli che incontravo: lei rabbrividiva a ogni soffio, mentre con la mano più vicina a me mi spettinava i capelli. ‹‹Quello che provo per te è molto più che amore.››
  La sentii prendermi il viso con entrambe le mani, premendo i palmi sulle mie guance e costringendomi ad alzare la testa, incontrando i suoi occhi profondi: il tuffo al cuore che sentii in quel momento fu uno dei tanti che mi convincevano che l’amavo, l’amavo davvero,  perché non conoscevo altra creatura sulla terra più bella di lei.
  ‹‹E allora cos’è?›› chiese lei, sfoderando uno dei suoi sorrisi beffardi. Rimasi in silenzio, guardandola, senza sapere cosa rispondere; lei intanto aspettava, esplorando ogni centimetro del mio viso con le dita: chiusi gli occhi, lasciando che lei passasse il suo tocco gelido sulle mie palpebre stanche.
  ‹‹Non posso dargli un nome, – dissi infine, posando la testa sul suo petto – è qualcosa che non ho mai provato prima, non so descrivertelo...››
  ‹‹Provaci, dai.›› mi incitò lei, accarezzandomi i capelli. La sua voce tradiva un sorriso: avrei voluto alzare la testa e guardarla, ammirare quanto fosse bella quando sorrideva, ma, sentendo le palpebre pesanti, mi resi conto di essere troppo stanco per alzarmi di nuovo; mi limitai a chiudere gli occhi ed immaginarmelo, sorridendo a mia volta.
  ‹‹È molto forte, – mormorai, lottando contro il sonno che mi stava mettendo a tappeto – qualcosa di intenso e maledettamente piacevole: ti riempie, ti fa sentire completo, come se tu non avessi più bisogno di nient’altro. È come ciò che provano gli uomini di chiesa nei confronti di Dio, una specie di devozione, solo che la mia devozione è tutta rivolta a te. Sei il mio tutto, Leigh, tutto quello che ho. Non mi importa del resto finché ho te accanto. Sarei capace di fare di tutto, per te, qualsiasi pazzia possibile.››
  ‹‹Davvero?›› chiese lei, con voce vagamente tremante. Mi costrinsi ad aprire gli occhi e a voltarmi verso di lei: aveva gli occhi lucidi, ed alcune lacrime le rigavano il viso; sorrisi, prendendola tra le braccia e sentendo il suo corpo tremare contro il mio.
  ‹‹Sì, davvero›› le sussurrai all’orecchio, mentre sentivo le sue lacrime bagnarmi la maglia. Rimanemmo in quella posizione per un po’, anche dopo che lei si fu calmata. Avevo ripreso a giocare con i suoi capelli, nel frattempo, e lei mi lasciava fare, senza dire nulla. Quando la sentii troppo silenziosa, la chiamai piano: lei non rispose. Guardai il suo viso, accorgendomi che stava dormendo. Sorridendo, tirai su di noi il lenzuolo e posai anche io la testa sul cuscino, stringendola a me come se mi facesse sentire più al sicuro: era come se dormire con lei così vicina mi avrebbe fatto fare solo bei sogni. Lei era la mia fata, il mio piccolo angelo, riusciva semplicemente scacciare via ogni mio brutto pensiero con la sua presenza, a farmi sentire meglio con ogni suo sorriso.
  ‹‹Lo stesso vale per me, Justin.›› la sentii mormorare, poco prima di addormentarmi.   

 

_______


 

Questa è la vera storia. come avrete notato, è dal punto di vista di Justin,non della ragazza. Ho deciso di fare cosìperchèsono davvero poche le ff dal punto di vitsa di un ragazzo, e comunque non sonosicura che questo rimarrà così fino alla fine, perchè se dovessi avere delle complicazioni e non riuscissi a scrivere e spiegare al megli gli avvenimenti, utilizzerò il classimo metodo del 'point of view', ovvero il cambio di narratore. Speriamo bene.
Inanzitutto, volevo ringraziarele tre dolcissime ragazze che hanno recensito loscorso capitolo. Davvero, siete state dolcissime. Grazie anche, poi, alle due ragazze che hanno messo questa storia tra le preferite, e le tre che l'hanno messa tra le seguite. Il mio sogno sarebbe di entrare almeno con una ff su justin tra le più popolari, per questo voglio metterci tutta me stessa per scrivere storie su di lui. Spero che questo primo capitolo vi abbia convinto, e che abbia confermato levostre idee e le vostre aspettative per questa storia. Premetto che la prima parte sarà un po' tragica, quindi perdonatemi, davvero, ma è il mio stile e non riesco anon metterci almeno un capitolo senza lacrime. cwc
Mi lasciate un parere anchesu questo capitolo? comeho già detto, siete dolcissime e i vostri pareri mi aiutano a continuare.  Prima di caricare sono sempre molto insicura, ma se sento il vostro supporto sarò molto più tranquilla.Scrivere è quasi una sfida con me stessa,cerco sempre di migliorarmi. Quindi, vi prego, se avete consigli da darmi, li accetto volentieri. Grazie a tutte.
Baci, 
glo.

Ps: ho caricato su youtube il trailer della mia ff 'Give your heart a break', se vi va di passare mi fareste davvero felice. :) Grazie ancora.

 

 

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Capitolo 3
*** this is bad for you. ***












 

" I'm in love with you
and all your little things. "

cit.





 

  ‹‹Dovresti smetterla.››
  Sentii il calore del suo corpo vicino e la sua mano sfiorarmi leggera la spalla. La cercai senza distogliere lo sguardo dalla strada, per afferrarla e tirarla dolcemente verso di me, lasciando che si intrufolasse nello spazio che c’era tra il mio corpo e la ringhiera; fece aderire la schiena contro il mio petto, posando le mani sul braccio che circondava la sua vita.
  ‹‹Di fare cosa?››
  Lei mi servì un’occhiata infuocata. ‹‹Questo, – rispose, sfilando la sigaretta dalla mie dita – ti fa male››.
  ‹‹Troppo tardi, – sorrisi, lasciandole un bacio sulla tempia. Lei fece una smorfia e gettò la sigaretta giù dal balcone, guardandola cadere fra l’erba del giardino – l’avevo già finita.››
  Lei mi scoccò un’altra occhiata severa, prima di scostare il mio braccio e allontanarsi da me: la sua espressione corrucciata mi fece capire ciò che pensava prima che me lo dicesse chiaro a parole. ‹‹Non sto scherzando, Justin›› protestò con voce atona, posando una mano sul mio petto per fermarmi quando cercai di abbracciarla. Tacemmo entrambi, facendo il nostro discorso in silenzio, attraverso dei semplici sguardi; fui io a distoglierlo per primo, poi, passandomi una mano sul viso.
  ‹‹Ne abbiamo già parlato›› mormorai, infilando una mano in tasca e guardando il pavimento. Leigh assentì con un filo di voce, avvicinandosi di nuovo a me. Prese il mio viso tra le mani, facendo incontrare i nostri occhi un’altra volta. ‹‹E’ vero, e io non mi dovrei intromettere, ma pensavo che stare con me ti facesse sentire meglio›› rispose con un debole tono di voce, accarezzandomi le guance con le dita. Sostenni un altro poco il suo sguardo supplicante e straziato, poi chiusi gli occhi, lasciando uscire un sospiro frustrato dalle mie labbra.
  ‹‹E’ così›› cercai di dire in un borbottio confuso. Con la coda dell’occhio scorsi un accenno di sorriso apparire sulla sua bocca. Tamburellò dolcemente con le dita sul mio viso, invogliandomi guardarla di nuovo: lo feci, esitante, mentre i miei denti torturavano l’interno del mio labbro.
  ‹‹Ma..?›› mi incitò lei, seria, ma guardandomi in un modo che mi fece sentire subito meglio: il pizzico di serenità che mi dava un suo sguardo comprensivo era meglio di qualunque altra sigaretta. Mi sentii subito in colpa per quello che avevo fatto, facendo una smorfia disgustata per il fumo che sentivo ancora in bocca e addosso.  
  ‹‹Sono uno stupido, e non riesco ad uscirne.››
  Leigh rise, facendo scivolare le mani dal mio viso alla linea tra il collo e la spalla; quel tocco leggero contribuì a rilassare i miei muscoli, mentre il suono della sua risata fece apparire un sorriso sulla mia faccia. No, non c’era niente meglio di lei.
 ‹‹Meno male che te ne rendi conto da solo›› mormorò, mentre le lasciava un leggero bacio sulla fronte. Ridacchiai, seguendo la sua risatina, mentre le sistemavo le ciocche attorno al viso. Ci guardammo negli occhi per infiniti istanti, studiando uno l’anima dell’altra. Sarei potuto rimanere in quel modo per tutta la giornata, forse per tutta la vita: i suoi occhi erano tutti i terreni inesplorati che volevo visitare, il suo viso l’unica meraviglia del mondo che volevo vedere dal vivo. Tutto questo perché l’amavo più di ogni altra cosa.
  ‹‹Credo che faremo tardi se non ci sbrighiamo›› mormorò, sbattendo le ciglia per svegliarsi dalla piccola trance in cui eravamo caduti entrambi. Sorrisi, prendendola di nuovo tra le braccia e lasciandole un bacio sulla punta del naso, prima di far aderire le nostre labbra per un breve istante. ‹‹Hai ragione›› mormorai dopo, ridacchiando, mentre lei mi guardava ancora sorpresa da quei baci improvvisi. ‹‹Chiama Brooke, dille che facciamo un po’ tardi›› le dissi, leccandomi le labbra e voltandomi per entrare in casa.
  ‹‹Ma se partiamo ora faremo in tempo!›› protestò lei, aggrottando le sopracciglia. Ridacchiai tra me e me, voltandomi verso di lei. Credo che capì subito vedendo il mio sguardo, anche prima che le dicessi chiaramente: ‹‹Lo so, amore, ma prima voglio passare un po’ di tempo con te, da soli.››
  Il modo in cui le ammiccai le fece alzare gli occhi al cielo ridendo. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloncini, sbloccando lo schermo velocemente e facendo picchiettarle unghie sullo schermo mentre cercava il numero. Mi appoggiai allo stipite del portone, incrociando le braccia e voltando lo sguardo verso di lei, che intanto aspettava che qualcuno dall’altro capo rispondesse.
  ‹‹Chaz, passami Brooklyn›› disse secca, facendo una smorfia nel sentire una voce diversa da quella della sua amica. Sorrisi tra me e me, abbassando lo sguardo sul pavimento e scalciando leggermente lo zerbino: Chaz non le era mai piaciuto, soprattutto da quando si prendeva così tante libertà nell’infrangere la privacy di Brooke. Dalla mia parte non la capivo: alla sua amica non dava fastidio, perché lei doveva sempre fare la scontrosa?
  ‹‹Bb? Ancora lo lasci rispondere al tuo telefono?›› chiese alla voce dall’altra parte, dandomi le spalle quando mi sentì ridacchiare leggermente nel sentire la sua voce irritata. Staccandomi dal muro, la affiancai, attirando la sua attenzione con uno schiocco di dita mentre lei ascoltava la voce che veniva dal telefono. Picchiettai con un dito sull’orologio che avevo al polso e lei, sbuffando, annuì col capo. Soddisfatto, rientrai in casa per prendere il mio cellulare e gli occhiali da sole posati sul tavolino del salotto, cercando poi le chiavi della macchina, che sembravano sparite magicamente.
  ‹‹Leeeeiigh!›› la chiamai ad alta voce, frugando nella scatola dell’ingresso piena di altre chiavi, senza trovare ciò che stavo cercando. Non ero mai stato così disordinato da perdere le cose: a dire il vero non lo ero neanche. Tra me e Leigh, quella disordinata era lei: per quanto potesse sembrare curata all’apparenza, dove passava lei c’era solo confusione. La mia camera non sembrava nemmeno più mia ogni volta che veniva a dormire da me. Il fatto più curioso, però, era che lei in quel disordine ci stava bene, si trovava meglio. Forse era un po’ per la sua memoria quasi fotografica e un po’ perché aveva questa inspiegabile capacità, che riusciva a trovare qualsiasi cosa si fosse smarrita con una velocità strabiliante.
  ‹‹Scusa, ma a quanto pare il mio ragazzo non si è ancora abituato al mio disordine›› sentii la sua voce farsi sempre più vicina, accompagnata dai suoi passi leggermente saltellanti sulla moquette, quasi inudibili, se non per quei tacchi che portava per arrivare alla mia altezza che facevano sentire il suo arrivo. Voltandomi, la scorsi comparire sulla porta con una mano ancora impegnata a tenere il cellulare vicino all’orecchio, mentre l’altra teneva il portachiavi che stavo cercando al dito, a mo’ di anello.
  Scuotendo la testa, mi avvicinai a lei per sfilargli il piccolo telecomando dalle dita, facendo tintinnare fra loro le chiavi appese assieme ad esso al cerchio di metallo. Leigh seguì ogni mio movimento con lo sguardo, sorridendo beffarda. Allontanò il cellulare dall’orecchio per un secondo, dichirando con voce seria ma vagamente divertita: ‹‹Brooklyn ha detto che dopo un anno dovresti essere un po’ più pratico con i miei modi di fare.››
  Le sfilai il cellulare dalle dita velocemente, lasciandola basita quando me lo portai all’orecchio e parlai nel ricevitore al posto suo: ‹‹Brooke, dì agli altri che faremo un po’ più tardi, non aspettateci per pranzo››.
  Chiusi la chiamata, mentre lei scioccata, protestava balbettante. Le restituii il telefono, mostrandole un sorriso appena accennato. ‹‹Questo è perché ‘non sono pratico con i tuoi modi di fare’›› le dissi, quando si riprese il cellulare. Lei scosse la testa, ridacchiando e muovendo vaga una mano nella mia direzione, per invitarmi a lasciar perdere quel piccolo particolare.  


 


aamori miei.
mi avete lasciato cinque dolcissime recensioni nello scorso capitolo, e nonostante - lo ammetto - avessi pensato per un attimo di lasciar perdere questa storia, sono tornata con un nuovo capitolo. Solitamente non mi permetto di fare questi ritardi madornali, macome voi già sappiate ero molto insicura su questa storia, e ho preferito aspettare per vedere se avvessi ricevuto qualche recensione in più o qualcun'altro avesse incominciato a leggere. 
Sappiate, però, che il prossimo capitolo non è ancora stato scritto (nonostante preferiscaportarmi avanti prima di postare) e nelle prossime settimane ho gli esami di terza media, quindi non devo distrarmi. Questo aggiornamento è proprio un extra chemi sto concedendo nonostante sia indietrissimo con la tesina e tutto il resto.
Vi prego, vi prego, lasciatemi qualche recensioncina per dirmi se il capitolo vi piace o fa pena.  Non sapete quanto mi ha fatto piacere sapere i vostri pareri, grazie infinite a tutte.
Voglio anche ringraziare gli splendori che hanno messo questa ff nelle preferite, per me è molto importante.
Ora, parliamo della storia.
Sì è scopertoche Justin fuma, è c'è anche un motivo dietro per il quale i due hanno discusso. Quale sarà? Justin, poi, vuole 'stare da solo' con Leigh. Che cosa si diranno i due per un'altro po' di tempo in cui si ritrovano a faccia a faccia e soli
Scatenate la vostra fantasia, voglio vedere un po' cosa mi dite. awa
intanto, se le mie storie su justin vi interessano, vi consiglio di passare anche da questa ff (non la continuo da un po' di tempo, ma se trovo qualcuno a cui interessa mi metterò subito al lavoro per continuarla, sennò la cancello):



Grazie a tutte per aver letto e per aver atteso con pazienza questo capitolo. love u.

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Capitolo 4
*** i don't want take away your smile ***









 

" I pray the God every day
to you keep that smile. "
cit.




 

  ‹‹Justin››
  ‹‹Mmh?›› mi voltai verso di lei. Stava giocherellando con la cover del cellulare, togliendola e rimettendola ripetutamente: glieli tolsi dalle mani, sia la cover che il cellulare, facendo sì che alzasse lo sguardo verso di me. Li rimisi assieme e posai l’iPhone sul tavolo davanti a noi. ‹‹Si graffia se fai così›› mi giustificai, mentre lei mi guardava perplessa. Alla fine annuì, incrociando le dita delle mani e posandole sul tavolo.
  ‹‹Dimmi tutto›› la incitai a parlare, tenendo lo sguardo su di lei per farle capire che ero attento. Lei si mordicchiò il labbro, poi scosse la testa. ‹‹Lascia stare›› mormorò, togliendo le braccia dal tavolo. Feci per risponderle  ma il cameriere ci interruppe, arrivando proprio in quel momento con i piatti che avevamo ordinato. Mi trattenni dal fulminarlo, tenendola testa giù, mentre Leigh gli sorrideva cordiale. Il modo in cui lui ricambiò mi fece rivoltare lo stomaco, facendomi sentire la gelosia premere sul petto.  
  Ridussi gli occhi a due fessure mentre lo guardavo  allontanarsi, ignaro di cosa gli avessi fatto se fosse rimasto lì un solo minuto in più. Leigh notò la mia stizza, e ridendo, mormorò con voce dolce: ‹‹Justin, rilassati.››
  ‹‹Sbaglio o ti ha fatto l’occhiolino?›› sputai nervoso, senza guardarla. Lei allungò un braccio verso la mia spalla per tirarci uno schiaffetto debole, che percepii quasi come una carezza: non era mai stata aggressiva, non con me almeno.
  ‹‹Smettila, non è vero. Ora mangia, stiamo perdendo tempo. – fece una pausa, nel quale la scorsi con la coda dell’occhio fissarmi seria prima di ridacchiare – Sembri un gatto pronto a scattare sulla preda.››
  ‹‹Meow›› miagolai rauco, muovendo la mano in avanti per imitare un felino. Lei si coprì la bocca con la mano mentre cercava di controllare la risata. Sorrisi, prendendo in mano la forchetta giocherellando con gli spaghetti che avevo nel piatto mentre lei, smettendo di ridere, arrotolava un po’ di essi dal suo piatto, mormorando: ‹‹Si può sapere che hai bevuto stamattina?››
  ‹‹Nulla›› bonfacchiai, ingoiando la forchettata di pasta. Lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo divertita. Vederla così di buon umore mi rendeva felice: solo pensare che uno dei suoi stupendi sorrisi era a causa mia mi faceva sentire bene. Fare lo stupido per farla ridere era diventato, oramai, uno dei passatempi che più preferivo. La sua risata cristallina, quella che mi faceva tremare il cuore, era la più bella che avessi mai sentito.
  ‹‹Allora – iniziai di nuovo a parlare, dopo aver ingoiato quello che avevo in bocca – cosa mi dovevi dire?›› la guardai inarcando un sopracciglio e voltando la testa leggermente da un lato. Lei, ridendo, scosse nuovamente la testa e ritornò a torturare la pasta con la forchetta, arrossendo.
  ‹‹Nulla, davvero.››
  ‹‹Leigh, non farti pregare›› sospirai per mantenerla calma, spettinandomi i capelli con una mano. Il tono secco che usai non le piacque, forse fu per questo che smise di giocherellare con il cibo e lasciò cadere la forchetta nel piatto. Incrociò le dita delle mani fra loro, poi le nascose sotto il tavolo. Il modo in cui il suo viso si rabbuiò improvvisamente mi fece allarmare istantaneamente. Aggrottai leggermente la fronte, guardando il piatto di pasta che non aveva ancora nemmeno assaggiato.
  ‹‹Mi è passata la fame›› si giustificò lei con un filo di voce, riprendendo il cellulare nelle mani per tenerle occupate: un piccolo tic nervoso che conoscevo da quando ci eravamo conosciuti, il quale avevo imparato interpretare come una sorta di segno che diceva che stava mentendo, e che aveva una domanda da farmi, una domanda seria alla quale non era sicura che io avrei risposto.
  ‹‹Ti conosco›› sussurrai soltanto, lasciando perdere anche io il cibo: ora lei era molto più importante. Fissai lo sguardo su di lei mentre abbassava il suo. ‹‹Lo so. – sospirò, – Solo, non voglio rovinare questo momento. Non voglio toglierti quel sorriso.››
  Inclinai un  poco la testa, guardando attentamente l’espressione incerta sul suo viso. ‹‹Ne parliamo dopo? Sicura?›› proposi con un tono più basso e dolce, prima che lei annuisse col capo più volte. Allungai la mano per posarla sulle sue, che aveva riappoggiato sul tavolo per fingere di guardarsi le pellicine per non incontrare il mio sguardo.
  Ricominciammo a mangiare, in silenzio, prima che il suo cellulare vibrò sul tavolo, provocando un lieve ronzio. Leigh lo prese subito in mano, nonostante stesse ancora masticando ciò che aveva in bocca. Ma anche prima che lo togliesse dal mio raggio di vista, avevo visto comparire il nome ‘Brooke’ sullo schermo luminoso, con sotto un piccolo messaggio che,  però, non avevo fatto in tempo a leggere.
 
  ‹‹Siamo quasi arrivati›› annunciai, alzando lo sguardo verso lo specchietto retrovisore e guardando la strada dietro di noi. Sentii Leigh annuire piano, sbloccando il cellulare e scrivendo velocemente un messaggio. Le scoccai un’occhiata veloce prima di tornare a guardare la strada. Impaziente, aspettavo ancora che mi parlasse.
  Quando era così silenziosa mi faceva preoccupare più del dovuto, soprattutto perché credevo sempre che fossi io ad aver sbagliato: così mi facevo un lungo esame di coscienza, rimuginando su quello che avevo fatto che avesse potuto irritarla.
  Quando eravamo al ristorante, avevo pensato un po’ mentre mangiavamo in quel silenzio quasi imbarazzato: avevo pensato che, forse, si comportava così per la sigaretta di quella mattina. Era molto probabile, in fondo ero stato davvero uno stupido a farlo dopo la lunga discussione che avevamo avuto. Mi maledissi mentalmente per l’ennesima volta in quella mattina: se solo fossi riuscito a smettere, se solo ci fossi riuscito per lei, come avevo pensato un miliardi di volte senza mai riuscirci.
  ‹‹Justin››
  ‹‹Si?›› mi voltai verso di lei, quasi di scatto, mentre i pensieri che si accavallavano nella mia mente prima che mi chiamasse scivolarono nell’oblio. Lei mi guardò a lungo, in silenzio, anche quando mi voltai nuovamente verso la strada per non fare un incidente. ‹‹L’hai capito, vero?›› mormorò piano. Mordicchiandomi l’interno della bocca, annuii.
  Tacemmo entrambi per qualche secondo, prima di cominciare a parlare simultaneamente, mentre le nostre voci si sovrapponevano: ‹‹Ho sbagliato›› ‹‹Non sentirti in colpa››
  La guardai aggrottando leggermente la fronte: lei abbassò lo sguardo sulle sue mani, mordicchiandosi il labbro nervosamente. Dopo qualche secondo di imbarazzo, mi decisi a parlare per primo.
  ‹‹Non mi perdonare anche questa, Ley. Ho sbagliato, lo ammetto. Mi dispiace tanto, davvero,ma non ho pensato quando ho preso quella sigaretta, ero sovrappensiero e...››
  ‹‹Shh›› mi zittì lei, portandosi un dito alla bocca. La guardai corrucciato, ma quando capii che era perché il telefono le stava squillando, tacqui immediatamente.
  ‹‹Annie, sei già lì? Noi-›› s’interruppe improvvisamente, mentre, nel silenzio, sentivo persino io la voce della ragazza di Ryan, tutt’altro che pacata e tranquilla come al solito. Leigh si voltò verso di scatto verso di me, il volto leggermente sbiancato dalla paura, la quale si poteva leggere persino nei suoi occhi.
  Allarmato, accostai velocemente l’auto, spegnendo poi il motore.  Leigh sembrava sempre più preoccupata, mentre cercava di parlare e la voce di Annie la interrompeva.
  ‹‹Brooklyn? Dov’è lei?›› riuscì a chiedere. Vidi che aveva infilzato le unghie nel bracciolo del sedile, nervosa. Le presi la mano con cautela, facendola voltare di scatto nella mia direzione. I suoi occhi si stavano arrossando, il che mi mise ancora più all’erta.
  ‹‹Calma, Annie, tranquilla. Io e Justin stiamo arrivando, tu non ti muovere›› parlò  velocemente, cercando di mascherare quell’ansia nella voce che io, inevitabilmente, colsi: la sua stretta aumentò quando la chiamatasi chiuse. Fissò lo sguardo assente in un punto  imprecisato sul mio petto, mentre io chiedevo cosa stesse succedendo, cercando di puntare i miei occhi nei suoi.
  ‹‹Una bomba, – disse infine, rivolgendomi un’occhiata piena di terrore, –  una bomba scoppiata lì in spiaggia.››


 



Scusatemi per il ritardo madornale,
ma questa ff su justin mi dà così tanti grattacapi che sono sempre insicura quando aggiorno,
non so mai se modificare il capitolo, riscriverlo, cambiare gli avvenimenti. E' un po' complicato, anche perchè questa trama esce un po' dai miei standard. 
Sono ancoramolto indecisa su questa ff e ho l'impressione che vi deluderò,
mami consolo con l'idea che questa saràmolto corta e, una volta finita, ne scrivero un'altra più 'seria' della cui trama sono molto soddisfatta.
Mettendo da parte questo, se ritenete che sia una noia mortale o che non sia come vi aspettavate e non vi piace, ditemelo pure, risparmio tempo e mi metto subito al lavoro con l'altra.
Il fatto è che mi piaceva l'idea di trattare argomenti di cui non mi sarei mai immaginata parlare o inserire in qualchemia ff. Questo è tutto un esperimento per mettermi alla prova come capacità, per vedere se posso permettermi di osare o se è meglio che me ne stia buona
a scrivere le mie storie romantiche e intricate e basta lol
In sostanza: il vostro parere è importantissimo per me, e anche se il capitolo non vi ha convinto, vi prego di lasciarmi una recensione per dirmi dove posso migliorare, cosa posso fare o se sono proprio un caso perso lol
Grazie a tutte quelle che preferiscono/ricordano/seguono questa storia e le ragazze che mi hanno lasciato un loro commento.
Grazie davvero per il supporto, conta molto per me.
Baci,
Glo.

P.S. : se tra voi c'è qualcuno che legge la mia storia su demi, volevo informarvi che sono riuscita a 'sbloccare' il trailer che youtube aveva bloccato o qualcosa del genere: non sono brava con i viedo e yb, perdonatemi. lol
vi lascio il link, grazie per la pazienza.

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Capitolo 5
*** it's not a prank ***







 
 
 
I've loved 
and I've lost.

cit. 

 
The Strand North, Oceanside, California.
25 Giugno 2016
Ore 16:09
 

  ‹‹Justin, per l’amor del cielo, rallenta!›› urlò Leigh terrorizzata, reggendosi con una mano al bracciolo del sedile e allo sportello con l’altra. Non l’ascoltai, serrando ulteriormente la mascella tanto che mi fece male: il mio respiro pesante era sempre più accelerato dalla confusione di emozioni che mi si stavano dimenando dentro.
  No, cazzo, no.
  Eravamo arrivati alla spiaggia oramai, e dalla strada che affiancava essa si poteva vedere il molo in fiamme e semidistrutto,  il fumo nero salire verso il cielo e la poca gente in spiaggia guardare tutta la scena, stringendosi fra loro terrorizzati. I vigili del fuoco cercavano di spegnere il fuoco con i getti d’acqua mentre la polizia teneva lontano la gente per evitare che qualcuno si facesse del male.
  Mi fermai al blocco fatto dai poliziotti con le auto di pattuglia, scendendo dalla macchina e precipitandomi in spiaggia. Sentii Leigh fare lo stesso alle mie spalle, mentre qualcuno gridava alle nostre spalle: ‹‹Ehi, voi, fermatevi, non potete andare lì››.
  Scrutai la folla riconoscendo, in piedi vicino a un’ambulanza, Ryan guardare le fiamme con sguardo assente, vuoto, mentre si reggeva con un braccio all’autovettura stancamente. Lo chiamai a gran voce, correndo verso di lui, finché non si voltò nella mia direzione.
  ‹‹Dov’è Chaz?›› gli chiesi allarmato, ignorando il fiatone dovuto alla corsa e il fumo che mi rendeva sempre più difficile respirare. Lui mi guardò a lungo con quell’espressione vuota, senza dire nulla, mentre la testa cominciava a vorticarmi e un brutto presentimento farsi strada dentro di me, premermi sul petto. Presi il suo braccio tra le mani e, scuotendolo, ripetei la domanda quasi gridando.
  ‹‹Dov’è Chaz?››
  Ryan chiuse gli occhi e si voltò dalla parte opposta, di nuovo senza rispondermi. Il mio respiro accelerò ulteriormente, sempre più faticoso: mollando il braccio di Ryan, mi guardai nuovamente attorno, guardai fra la gente, le altre ambulanze, fra i poliziotti, vicino alle auto di pattuglia: ma Chaz non c’era.
  Il mio sguardo cadde sulle ragazze, più in là, lontano dal blocco della polizia e dal traffico di autopompe dei vigili e veicoli della polizia. Brooklyn era a terra, in ginocchio sulla sabbia, la testa tra le mani e le ciocche castano-rossicce dei capelli mosse dal feroce vento. Annie era accucciata al suo fianco, accarezzava la sua schiena, cercava di toglierle le mani dal viso, la sua bocca si muoveva, pronunciando parole che io non potevo udire. Leigh, invece, la affiancava dall’altro lato: si era buttata sulla sabbia anche lei, e si chinava verso Brooke e le accarezzava i capelli. Da come quest’ultima scuoteva la testa disperata, potevo capire che anche lei le stesse dicendo qualcosa, le stesse parlando.
  Mi avvicinai di due o tre passi a loro, ma mi fermai quando vidi Brooklyn buttarsi tra le braccia di Leigh, scoprendo per un attimo il viso pieno di lacrime.
  Oramai quasi non respiravo, la testa mi stava scoppiando e gli occhi mi pizzicavano lievemente. Cercavo di convincermi che fosse per il fumo, per la sabbia che alzava il vento, ma nessuno impedì a una lacrima di scendere quando Leigh si voltò verso di me e potetti vedere le sue bagnare interamente le sue guance.
  Continuavo a ripetermi che stavo sbagliando, che non era così. Continuavo a ripetermi che stavo pensando solo al peggio perché ero pessimista, non perché avessi letto l’accaduto negli occhi dei miei amici. Stavo interpretando tutto male, di sicuro.
  Mi voltai nuovamente verso Ryan, con un briciolo di speranza: si era seduto a terra, la schiena contro la carrozzeria dell’ambulanza, il viso voltato verso di me e il suo sguardo ancora vuoto. Scossi la testa, prima piano, poi sempre più forte. ‹‹Non è divertente questo scherzo, Ryan. Dov’è Chaz?››
  ‹‹Non è uno scherzo›› mi rispose lui, con voce rotta. Barcollai verso di lui e mi lasciai cadere al suo fianco, sbattendo la testa contro la carrozzeria fredda e alzando gli occhi verso il cielo grigio. Guardai il fumo andare verso l’altro, mentre sentivo le lacrime scendere. Deglutii a fatica, nonostante la mia bocca fosse completamente secca.
  ‹‹Chaz... non c’è?›› chiesi esitante, non sicuro di voler sapere la risposta. Aspettai comunque, rassegnato, mentre sentivo ogni speranza in me spegnersi, come quelle fiamme che, pian piano, l’acqua soffocava e tramutava in fumo grigio scuro che saliva verso il cielo lento.
  ‹‹Chaz non c’è›› confermò Ryan al mio fianco. Chiusi gli occhi e mi presi la testa fra le mani: soppressi quell’urlo che avevo in gola e che minacciava di uscire, mentre le lacrime sfuggivano al mio controllo e bagnavano la sabbia.
 
  La guerra. La guerra era arrivata anche lì, in California: ne ero fuggito, mesi prima, dopo che essa aveva raso al suolo Stadtford. Ero scappato con Chaz, Ryan e le ragazze, eravamo fuggiti tutti, pregando affinché quella nostra decisione, quella di fuggire negli Stati Uniti per sfuggire al conflitto, si sarebbe dimostrata la più giusta da prendere. Purtroppo, non era stato così.
  Mi alzai di scatto e, con rabbia, sferrai un pugno alla carrozzeria al quale fino a poco prima ero appoggiato: sentii le ossa delle dita scricchiolare, rompersi, ma non me ne importava niente in quel momento. Mi lasciai poi cadere in avanti, sbattendo con forza la testa e scivolando a terra, vicino a Ryan che mi guardava, disperato anche lui, ma – ci avrei scommesso – non quanto me.
  Chiusi gli occhi, sentendo il sangue scendermi dal naso: a causa di quel fottuto conflitto, avevo perso una persona a cui tenevo; o, meglio, un’altra.

 
  ‹‹Sai che sono figlia di una psicologa, e sai che sono a coscienza del fatto che si fuma per un motivo. È un problema, lo sai meglio di me. È difficile smettere per un motivo, e questo motivo è lo stesso che ti invoglia a farlo, ogni volta››
  ‹‹Sì, sì, lo so. Basta con queste romanzine del cazzo›› le urlai contro, senza volerlo veramente. Grugnii dalla rabbia, aspirando un altro po’ di fumo per calmarmi. Non sentendola più dire niente, mi voltai verso di lei: una lacrima, una sola, ma pesante come mille altre le rigava il viso, passava sulle guance arrossate e scivolava giù, sotto il mento.
  Mi voltai velocemente dalla parte opposta, maledicendomi mentalmente per essere così impulsivo, stupido e rozzo, nervoso e incontrollabile. Maledicendo la mia vita e il motivo per il quale ero dovuto diventarlo, avevo dovuto farmi le ossa, crescere troppo in fretta.
  ‹‹Justin›› la sua voce mi chiamò, tremante e timorosa: fu un colpo al cuore, come ogni volta che sentivo lei avere paura di chiamarmi, rivolgermi la parola, stare al mio fianco. Frustrato, sentendo la rabbia assalirmi, accartocciai la sigaretta accesa nella mano, bruciandomi il palmo e le dita: non urlai, strinsi i denti, repressi il dolore, come avevo sempre fatto. Gettai la sigaretta lontano, poi, e mi lascia cadere sulle ginocchia vicino a lei, prendendomi la testa tra le mani e ricacciando in gola quell’urlo, un miscuglio di collera e disperazione, feroce, aggressivo e terrificante, che non avrei fatto uscire, non fin quando lei fosse rimasta lì.
  ‹‹Qual è quel motivo? Cosa ti fa stare così? Voglio aiutarti, io... non riesco a vederti così›› mormorò, la voce flebile rotta dal pianto e dai singhiozzi, mentre sentivo le sue dita sfiorarmi le guance, le mani, i capelli.
  ‹‹Non te lo posso dire, Leigh. Io... non ce la faccio›› le risposi in un sussurro, togliendo le mani dal viso e scuotendo la testa, prima di guardarla e supplicarla con lo sguardo di non fare domande, di non aggiungere nulla.
  ‹‹Ma io... Io voglio aiutarti›› mormorò in risposta, il labbro che le tremava, i suoi occhi innocenti che mi guardavano pieni di tristezza e rossi dal pianto, come quelli di una bambina. Mi alzai da terra e mi sedetti vicino a lei, accogliendola in un abbraccio e stringendola al mio petto.

  ‹‹Lo fai già, amore mio. Il semplice fatto che tu sia ancora qui, con me, mi aiuta più di quanto tu immagini.››

 

 

 

No, non sono morta.
Sì, questo capitolo è super depresso.
Credo di avere molto più di un motivo per dovermi scusare con voi:
primo, scusate se il testo è un po' un casino. efp ha cambiato l'editor e non ci capisco molto, è da un eternità che non aggiorno nessuna ff;
secondo, il capitolo è molto triste e credo abbiate capito cosa succeda, quindi la trama inizia a prender forma - almeno lo spero.
terzo, scusatemi davvero per il ritardo, vi ho fatto aspettare tantissimo e, vi giuro, non era nelle mie intenzioni.
Ecco, era da un sacco che non continuavo questa ff: non avevo nessuna ispirazione per continuare e stavo anche pensando che forse non valeva nemmeno la pena farlo.
Ora, oggimisono rimessa a scriverla e mi sono venute in mente un sacco di nuove idee. Solo, spero di riuscire a inserirle nella storia e stupirvi.
Siccome avrete di certo capito che sono molto insicura su questa storia, ho davvero bisogno di sapere il vostro parere, se devo cambiare qualcosa e, soprattutto, cosa.
Mi sento davvero spaesata, non riesco a scrivere per il semplice fatto che non sento un appoggio sicuro. Spero che voi mi possiate aiutare.
Volevo ringraziare le mie lettrici, le sette persone che hanno messo questa storia fra le preferite, le due che l'hanno messa tra le ricordate e le nove tra le seguite. Sono contenta che, nonostante questa ff non stia venedo proprio benissimo, ci sia qualcuno che la segue. Grazie.
Dopo questo athor space depresso più del capitolo, volevo dirvi che non vi sto assolutamente obbligando a lasciarmi recensioni, ma vi sto solo chiedendo di scrivermi per aiutarmi a migliorare. Va bene anche un messaggio privato, a me basta solo sapere ciò che pensate voi. Grazie per avermi ascoltato e soprattutto per avermi sopportato, e scusatemi ancora per l'attesa, davvero, mi dispiace tantissimo.
Spero di aggiornare abbastanza presto, so cosa si prova ad aspettare così tanto per il continuo di una storia lol
Baci,
Glo.

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Capitolo 6
*** escape. ***




Capitolo Cinque.


 
 
 
I won't let you go. 
cit. 

 
 

    ‹‹Cosa faremo ora?›› mi chiese a bassa voce Ryan, voltandosi verso di me. Guardai attraverso lo specchietto retrovisore le ragazze che si erano addormentate sui sedili posteriori, Leigh e Annie appoggiate stancamente allo schienale del sedile, Brooklyn stesa sulle gambe di Leigh, tra le dita ancora incastrato un fazzoletto bianco con cui aveva cercato di asciugarsi le lacrime.
  Nella notte fonda, sfrecciavamo veloci sulla strada come dei ladri.
  Quando, quel pomeriggio, avevamo lasciato la spiaggia, ci eravamo ritrovato d’accordo sul fatto che era meglio partire prima che un altro attacco non ci lasciasse via d’uscita.
  Velocemente, avevamo recuperato l’essenziale ed eravamo partiti, avventurandoci in macchina nelle autostrade, in quella fretta e scaltrezza famigliare di cui, inevitabile dirlo, eravamo abituati: stavamo viaggiando da sei ore oramai, in quelle sei ore durante il quale anche Oceanside era caduta in ginocchio sotto la forza esplosiva delle bombe e quella cruda e spietata delle armi: ancora mi rimbombava in testa la voce gracchiante dell’autoradio che annunciava che la città nella quale eravamo fuggiti mesi prima oramai non aveva più speranze. Rabbrividii quasi senza accorgermene.
  ‹‹Arrivati a Los Angeles, prenderemo un aereo per Sidney. Lì ragioneremo con più calma, e decideremo cosa fare›› annunciai con tono di voce fermo, tenendo lo sguardo fisso sulla strada: Ryan, soddisfatto della mia risposta, annuì.
  Silenzio. Tra noi due nessun’altra parola, se non qualche sguardo sfuggente rivolto all’altro. Sbattendo le palpebre, costrinsi i miei occhi a rimanere lucidi e basta, senza far uscire le lacrime che continuavano a pizzicarli. Sentivo le palpebre man mano più pesanti, la presa delle mani attorno al volante farsi più debole. Ero stanco, ma non l’avrei mai ammesso. Mi sentivo in colpa per quello che era successo e avevo il bisogno di farmi perdonare.
  Senza pensarci, presi il pacchetto di sigarette dal cruscotto e me ne posai una tra le labbra, accendendola velocemente e aprendo il mio finestrino per far uscire il fumo. Ryan, intanto, osservava tutti miei movimenti con lo sguardo velato di un’accennata preoccupazione. Si voltò verso i sedili posteriori, scoccando un’occhiata a Leigh, per poi voltarsi nuovamente verso di me.
  ‹‹Non credo che se Leigh si svegliasse in questo momento apprezzerebbe quello che stai facendo›› mormorò piano, scoccando un’altra fugace occhiata dietro per vedere se la sua voce avesse disturbato il sonno di qualcuno.
  ‹‹Lascia stare: se si sveglia, me la vedo io›› replicai, con un tono di voce fin troppo duro. Ryan non obbiettò: lo scorsi voltarsi nuovamente verso la strada, abbandonando stancamente la schiena contro il sedile. Poco dopo, nella macchina tornò il silenzio che c’era stato fino a che Ryan non l’aveva interrotto.
  L’aria entrava rumorosamente dal piccolo spiraglio che avevo aperto: quell’aria fresca mi permetteva di rimanere sveglio, anche se non del tutto lucido: negli ultimi istanti di ragione che mi rimanevano, pensavo assiduamente che quel mio piano messo in piedi in fretta avrebbe funzionato, doveva funzionare.
  Spesso, le decisioni prese nella più completa disperazione erano le migliori.
 
  ‹‹Justin››
  Mi voltai verso Ryan, accorgendomi con stupore che non era stato lui a parlare, al contrario di come avevo immaginato: si era addormentato. Al posto suo, a parlare era stata Brooklyn, che in quel momento si affacciò, sporgendosi tra i due sedili e guardandomi.
  ‹‹Brooke, ti ho svegliato?›› le chiesi, scoccandole un’occhiata di scuse.  Lei scosse la testa, accennandomi a un sorriso. ‹‹Hai una sigaretta in più?›› mi chiese infine, guardandomi le mani: feci lo stesso, scorgendo la mia sigaretta oramai a fine, incastrata tra l’indice e il medio. Aggrottando le sopracciglia, recuperai il pacchetto e glielo porsi.
  ‹‹Fumi? Non lo sapevo››
  Lei scosse le spalle. ‹‹Ad essere sinceri nemmeno io.››
  La guardai brevemente, senza aggiungere altro: il modo in cui lo sguardo le si era rabbuiato e il labbro le era tremato un poco mi fece capire che era meglio non continuare quella conversazione. Lasciai così cadere il discorso, fingendo di concentrarmi sulla strada mentre mi facevo scappare uno sbadiglio.
  ‹‹Stai guidando da un sacco›› osservò con un filo di voce, attirando nuovamente la mia attenzione. Scrollai le spalle, accennando a un sorriso. Guardandola con la coda dell’occhio, la scorsi fare una smorfia prima di chiedermi: ‹‹Non sei stanco?››
  ‹‹Un po’›› ammisi, nonostante sapessi che, in realtà, stavo morendo dal sonno. Sapevo benissimo, però, che tutti quei pensieri che si accavallavano nella mia mente non mi avrebbero permesso di chiudere occhio.
  ‹‹Accosta, ti do il cambio›› mormorò, soffiando e chiudendo gli occhi come per buttare fuori tutta la tensione. Dondolai un poco la testa, pensandoci su: poteva guidare, in quelle condizioni? Sbirciai nella sua direzione, studiando velocemente gli occhi leggermente arrossati e gonfi dal pianto. ‹‹Non mi sembra una buona idea – dissi infine, mordicchiandomi l’interno della guancia – sveglio Ryan, non ti preoccupare. Torna a dormire.››
  Lei roteò gli occhi, voltando si verso il mio amico, abbandonato sul sedile a dormire profondamente. Brooklyn gli punzecchiò la guancia con un dito, ma lui non si mosse di un centimetro.
  ‹‹Certo›› esclamò scettica, ridacchiando. Risi brevemente anche io con lei, schioccandogli le dita vicino all’orecchio senza smuoverlo dal sonno.
  ‹‹Intanto che si sveglia lui, arriviamo a LA››
  ‹‹Come fai a sapere che siamo diretti lì?›› le chiesi, aggrottando le sopracciglia. Lei si morse un poco il labbro, distogliendo lo sguardo quando mi voltai verso di lei alla ricerca di spiegazioni.
  ‹‹Diciamo che quando sei nervoso tendi ad alzare il tono di voce senza che tu te ne accorga›› confessò infine, scoccandomi un’occhiata insicura mentre osservava la mia reazione: mi limitai a serrare la mascella, maledicendomi nella mente. Nel silenzio che era caduto fra noi, sentii un lieve lamento proveniente da Leigh: nello specchietto retrovisore la vidi strizzare un poco gli occhi e voltare la testa di lato, cambiando posizione nel sonno.
  Sia io che Brooklyn la guardammo col fiato sospeso finché non smise di muoversi.
  ‹‹Dai, accosta lì›› mi sussurrò lei, indicandomi un benzinai poco distante.
  ‹‹Non ti preoccupare, guido io…›› replicai, scuotendo la testa.
  ‹‹Justin – mi chiamò lei seria, interrompendomi con voce ferma – è carino che tu ti preoccupi, ma davvero, sto bene. Lascia guidare me, non riesco più a dormire›› mi guardò con uno sguardo supplicante. Senza sapere cosa dire senza peggiorare la situazione, mi limitai ad annuire rassegnato e ricacciare dentro tutte le domande sulla punta della mia lingua.
  Accostai, e scorsi Brooklyn fare un piccolo sospiro di sollievo prima di scendere velocemente dalla macchina.
  Quando mi sedetti al suo posto, Leigh appoggiò la testa alla mia spalla e strinse a sé il mio braccio, come se non volesse lasciarmi andare.

 

 

 

Rieccomi, gente.
Non so con che coraggio sono ancora qui ad aggiornare questa storia, ma non importa. Ieri ho riaperto il file di questa storia e ho buttato giù un altro capitolo. Magari riesco a finirla, devo vedere. Intanto provo ad aggiornare, sennò mi metto a fare duecento modifiche e non me la cavo più.
So che in questi ultimi tempi questo sito non è molto frequentato, ma visto che sto pian piano smettendo di scrivere (cosa che non voglio affatto) devo spronarmi da sola, in qualche modo, e continuare ad aggiornare e scrivere.
Ho davvero bisogno di un parere su questo capitolo, sto pian piano mollando. Mi dispiaceebbe eliminare la storia, ma ho bisogno di consenso e consigli per continuarla. Non vi sto dando un termine, né un numero di recensioni, ma vi sto solo esponendo i miei bisogni. Questa ff era come  una piccola sfida per me, e per una volta vorrei riuscire a non mollare fino a he non la porto a termine, che sia bene o male.
Ho davvero bisogno di voi lettori, non potete immaginare quanto. Ne ho passate tante dall'ultima volta che ho aggiornato, e ora sento che sto rinascendo, che posso migliorare la mia vita. Che posso stare bene e riuscire a vivere al meglio. E voglio scrivere, scrivere di tutto e tanto, scrivere perché è l'unica cosa che mi ha tenuto almeno un poco sana di mente mentre tutto crollava. Ed essend così insicura, ho bisogno di qualcuno che mi aiuti, che mi dica anche solo 'brava', perché comunque mi aiuta.
Vi ringrazio per essere state qua  anche dopo tutto questo tempo e spero - soprattutto per voi - di riuscire a finire quasta storia e di renderla memorabile.

Baci,
Glo.

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Capitolo 7
*** I won't let anybody hurt her. ***







 
 
 
 Smilling when we're
 close to tears. 
 

cit. 

 
 
  ‹‹Justin? Jey? Juss? Juju?››
  ‹‹Eddai, lasciatelo in pace, ha guidato per non so quanto ieri››
  Mi sentivo tutto il corpo intorpidito e pesante dal sonno. Non mi mossi di un centimetro mentre sentivo tutte quelle voci sovrapporsi e delle presenze vicinissime a me che ridacchiavano.
  ‹‹È divertente, – ribatté qualcuno al mio fianco, soffocando una risatina – guarda.›› finì, per poi premere un  dito sulla mia guancia. Non mi mossi, ancora insonnolito e con gli occhi chiusi, mentre le persone attorno a me ridacchiavano.
  ‹‹Non reagisce! Io l’ho sempre sostenuto che fosse fatto di pietra›› alzai gli occhi al cielo sotto le palpebre chiuse, riconoscendo la voce di Annie: a causa degli scherzetti crudeli che le avevo  sempre fatto, si era convinta del fatto che fossi senza cuore. Da un’altra parte lontano da me, sentii qualcuno sbuffare rumorosamente.
  ‹‹Lo volete lasciare in pace?›› era Leigh. Mi chiesi perché la sentissi così lontana: non era vicino a me, quando mi ero addormentato?
  ‹‹Se ci fosse stato Chaz gli avrebbe fatto di peggio, non si sarebbe limitato a stuzzicarlo come stanno facendo loro›› era Ryan, anche lui lontano: immaginai che, al contrario di tutti gli altri, lui non si fosse mosso dal sedile del passeggero. Sentii una risata generale, e una più malinconica provenire alla mia sinistra: immaginai che Brooklyn fosse seduta vicino a me.
  Nel silenzio che sentii dopo, potei percepire tutta la tristezza e la malinconia diffondersi nell’abitacolo nell’auto anche ad occhi chiusi: quel sentimento invase veloce anche me, facendomi salire la nausea, ma mi costrinsi a non piangere, aprendo gli occhi e sbattendo le palpebre più volte.
  Era l’alba: il cielo era tinto di viola, arancione e giallo attorno al sole che iniziava a illuminare tutto quello che la notte  aveva nascosto per ore. Nell’auto erano tutti ai posti in cui avevo intuito fossero, Leigh era alla guida: fu lei la prima a vedermi sveglio attraverso lo specchietto retrovisore. Scorsi sulla sua guancia apparire una fossetta, segno che stava sorridendo, poco prima di sentirla mormorare: ‹‹Buongiorno Amore››
 Le accennai un sorriso a mia volta, prima di voltarmi verso Annie e scoccarle un’occhiata accusatoria. ‹‹Per l’ennesima volta, non sono fatto di pietra››
  Lei arrossì, mentre quella scenetta strappò una risatina a Brooke, che mi spettinò i capelli prima di informarmi: ‹‹Siamo quasi arrivati a destinazione, Jey››
  Io feci un vago cenno di assenso, stiracchiandomi e muovendo il collo che mi faceva malissimo. Non nascosi l’espressione sollevata che apparse sul mio viso a quella notizia e mi voltai verso Ryan: ‹‹Ma tu hai mosso il culo da lì per un poco o sei incollato a quel sedile?››
  Ryan ridacchiò. ‹‹Sono stato il tuo secondo cambio.››
  ‹‹Secondo?›› intervenne Annie, guardando prima Ryan e poi me con sguardo accusatorio. Vidi con la coda dell’occhio Brooke mordersi il labbro, mentre Leigh mi guardava risentita attraverso lo specchietto retrovisore. ‹‹Credevamo ti avesse dato il cambio direttamente lui›› mi spiegò, prima di scuotere la testa. Fece per aggiungere qualcosa, ma s’interruppe quando qualcuno iniziò a parlare prima di lei.
  ‹‹Non ve la prendete con lui, sono stata io a chiederglielo. – era Brooklyn, che gesticolava nervosa, guardando le sue amiche con un’espressione supplichevole sul volto. – Non riuscivo a riaddormentarmi e lui stava praticamente morendo per il sonno. Volevo solo rendermi utile.›› Guardò me per ultimo, con uno sguardo che interpretai come una richiesta d’aiuto. E mentre annuivo per confermare che quel che aveva detto era vero, capii anche che la sigaretta che le avevo offerto doveva rimanere un piccolo segreto fra noi.
  Tacemmo tutti: Leigh concentrata sulla strada, Ryan impegnato a leggere le indicazioni sui cartelli che passavamo, Annie occupata a studiare il volto di Brooklyn in cerca di qualcosa che quest’ultima cercava di nascondere, tenendo la testa bassa e giocherellando con i fili dei jeans sfilacciati che aveva addosso.
  Continuavo a non capire perché tutti fossero preoccupati per lei: nonostante quello che aveva subito, sembrava più in forma di me. In quel momento era come se guardassi Brooke per la prima volta: studiai attentamente il suo viso, la linea dei suoi occhi, le sue labbra che sembravano essere fatte apposta per quei sorrisi contagiosi che aveva sempre in volto. Sentii uno strano vuoto nello stomaco guardando la sua bocca curvata in un modo diverso dal solito: ero così abituato a vedere il suo sorriso fare coppia con quello di Chaz in modo perfetto, quasi come si tenessero a braccetto. E forse me ne accorgevo solo allora, ma mi ritrovai a pensare a quanto stessero bene assieme. O meglio, fossero stati.
  Forse era vero, il mio dolore era aumentato perché Chaz se ne era andato: il mio migliore amico, il mio compagno fedele, il mio complice. Non avevo bei ricordi che non comprendessero anche  Chaz, nel suo piccolo. Ci conoscevamo da una vita, e per me era come un fratello.
  Brooklyn però lo amava. Lo amava davvero.
  Ricordai tutti i momenti in cui, nelle nostre uscite di gruppo, loro due rimanevano in disparte e si soffocavano di baci: li richiamavamo sempre, scherzando sul fatto che niente sarebbe stato capace di scollarli almeno per un secondo. Erano come due calamite, attaccate con tutta la forza l’una all’altra, senza niente in mezzo a loro.
  E, solo allora, mi accorsi anche di qualcosa che non avevo mai notato prima: il modo in cui Brooklyn guardava Chaz. Non era solo amore quello che regnava negli occhi di lei. Quando lo guardava, in quel verde mare c’era anche gratitudine. Era come se Chaz l’avesse salvata, salvata con il suo amore, ma da cosa non l’avrei capito mai, e non volevo neanche farlo.
  Avevo capito già abbastanza.
  Avevo capito quanto facessero bene tutti a preoccuparsi.
  Perché Brooklyn non stava così bene come stava dando a vedere. Aveva perso il suo salvatore, ed era come se stesse risparmiando tutte le sue forze per impedire a sé stessa di cadere a  pezzi.
 
  ‹‹Ho fame, voi no?››
  Guardai Leigh al mio fianco: Annie le aveva dato il cambio e ora era vicino a me, accucciata nelle mie braccia e con il viso premuto contro il mio petto, tanto che la sua voce era attutita un po’dalla mia maglietta. Guardai gli altri, che scossero le spalle: in effetti, era dal giorno prima che nessuno di noi mangiava qualcosa. 
  Con il sapore del fumo che mi era rimasto in bocca, l’idea di mangiare non mi faceva impazzire di gioia, ma un caffè non mi sarebbe dispiaciuto. Mi voltai verso Annie, che capì all’istante. ‹‹Tranquillo, oramai siamo arrivati. Rimani lì e riposati›› mi sorrise attraverso lo specchietto e scorsi Leigh fare lo stesso. Era come se in quei sorrisi ci fosse una vaga gratitudine, e non sapevo se per il fatto di aver messo in piedi un piano di fuga così velocemente o per aver guidato tutta la notte. Forse entrambi.
  Non ero sicuro di quello che avevo progettato, sapevo soltanto che avevano bombardato San Diego per poi risalire e fermarsi a Oceanside; così aveva detto la radio. Questa notizia mi lasciava confuso, ma ero abbastanza sicuro che prima che proseguissero e attaccassero anche le altre città più importanti, noi ce ne saremmo già andati.
  Guardai Leigh: sul suo volto apparentemente tranquillo potevo leggere un velo di preoccupazione mentre guardava la strada fuori dal finestrino. Forse si stava chiedendo anche lei se ce l’avremmo fatta, se saremmo riusciti a scappare in tempo; se, alla fine, saremmo rimasti comunque assieme.
La stinsi forte nell’abbraccio e lei, inizialmente sorpresa, strinse con più forza  la mano attorno al mio braccio mentre io mi piegavo su di lei e le lasciavo un bacio sulla tempia: non avrei permesso a niente e a nessuno di farle del male. 

 

 

Eccomi qui, dopo un'eternità, ad aggiornare di nuovo.
La gif alla fine non c'entra molto, ma mi piaceva così tanto che ho voluto mettere questa, lol.
Allooora, ho quasi finito questa fan fiction - che, vi ricordo, non ha una vera e propria fine -, devo solo finire di scrivere l'ultimo capitolo e migliorare un po' l'epilogo.
Saranno dieci caitoli, pressapoco: non voglio dilungarmi troppo, credo che smetterò di scrvere fan fiction e mi dedicherò alla stesura di un vero e proprio libro, stavolta seriamente.
Continuo a pensare di non esserne in grado ma... riservo ancora un briciolo di speranza. E voi lettori, beh, mi aiutate molto: sapere i vostri pareri mi aiuta a mettermi sotto e a buttare giù qualcosa senza poi cancellare tutto. I vostri pareri, quindi, sono estremamente importanti.
Vi prego di dirmi che ne pensate del capitolo, della storia, del mio stile: mi piacerebbe molto ricevere qualche consiglio per migliorarmi, davvero.
Ringrazio tutti i lettori/seguaci di questa storia. Spero di non avervi annoiato o stufato (visto che è un'eternità che non aggiorno), prometto di aggiornare più spesso - sopratutto se vedo che leggete e recensite questa storia, altrimenti mi verrà un po' più difficile.
Al prossimo capitolo!
Glo.

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