Way Out

di _dirty_ice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Time to Leave ***
Capitolo 2: *** Broken Glass Stained With Blood ***
Capitolo 3: *** Lift Off ***
Capitolo 4: *** The Defeat Will Drag You to Ruin ***
Capitolo 5: *** New Air to Breath ***
Capitolo 6: *** Bitter Memories Covered By Sweet Glaze ***
Capitolo 7: *** A Mind Full of Stars ***
Capitolo 8: *** Like A Family - Part One ***



Capitolo 1
*** Time to Leave ***


Time to Leave
 

Non sentii alcun suono, era tutto immerso nel silenzio, fatta eccezione per la pioggia che cadeva forte sul tetto. Era piacevole quell'atmosfera, adoravo il rumore dell'acqua che scroscia e scivola su ogni cosa, il ticchettìo della pioggia; ma io ero tutt'altro che tranquilla e rilassata. Tenevo stretta la chiave d'ottone, mentre mi dirigevo in silenzio verso la camera.

Quando ero piccola se qualcuno o qualcosa mi faceva arrabbiare andavo dal mio albero. Un piccolo albero, ma pieno di foglie in estate, sul quale riuscivo ad arrampicarmi nonostante fossi veramente bassa. Ricordo che pensavo che prima o poi avrebbe fatto delle mele, ma rimasi delusa dopo aver capito che solo i meli potevano farle nascere, e il mio albero, purtroppo, non era un melo. Una volta mio padre e mia madre litigarono sul serio, quindi mi ero nascosta fra i rami dell'albero. Poi sentii dei passi, e sbirciando fra le foglioline verdi riconobbi mio padre, che osservai stava sotterrando con cura una piccola chiave nel prato. Un po' di tempo dopo mi disse che se un giorno avessi avuto bisogno di un aiuto da parte sua, avrei dovuto dissotterrare quella chiave e aprire il cassetto sotto il lettone. Era solo per me, si era raccomandato di non dirlo a nessuno, tantomeno a mamma. Era il nostro piccolo segreto. Mi sentivo speciale ai suoi occhi.
Compresi dopo che si trattava di fottuti soldi. Io avevo bisogno dell'aiuto di mio babbo, non di quelli. Ero rimasta molto delusa, non me lo sarei mai aspettato da lui. Doveva saperlo che se teneva veramente a sua figlia avrebbe dovuto starle vicino e non allontanarsi da lei e scappare dai suoi problemi, ma affrontarli.

Comunque, era una cosa parecchio stupida tenere il cassetto con un mucchio di soldi sotto il letto, non era difficile da trovare. Sgattaiolai per le stanze e mi imbucai nella camera con circospezione. Mi muovevo bene al buio, avevo una buona memoria ed ero agile come un gatto. Quando mi ritrovai di fronte alla donna malvagia che dormiva, direi avvolta dagli incubi a giudicare dall'espressione preoccupata del suo viso consumato, mi chinai lentamente, mi misi a distesa a pancia in giù per poi strisciare sotto il letto in cerca della scatola di legno. Sentivo l'adrenalina, le mie mani sudavano e per poco la chiave sarebbe caduta e avrebbe spezzato il silenzio. La infilai nella toppa ed emise un piccolo 'toc' quando riuscii ad aprire il forziere. L'agitazione si era appropriata di me, le mie mani veloci frugavano nel vecchio cassetto di papà. Finalmente riuscii a percepire con la punta delle dita un mazzetto di foglietti rettangolari ammazzettati con cura. Aprii lo zaino e ci ficcai più mazzi di banconote che potei, poi richiusi il cassetto e andai a cercare una torcia. Pensai che dovesse essercene una nello scantinato, quindi lo raggiunsi e ne trovai subito una sullo scaffale metallico. Adesso mi mancavano solo delle provviste ed un ombrello; decisi che non avrei avuto bisogno del telefono.

Spalancai lo sportello del frigo. Mi sarebbe piaciuto che ci fossero dei panini o qualcosa del genere, ma il deserto in confronto era pieno di cibo. Insomma, non avrei potuto portarmi un tubetto di ketchup e uno di maionese, giusto? Presi due bottiglie d'acqua, quelle erano indispensabili. Poi mi si accese la lampadina sopra la testa: biscotti. Come avevo fatto a non pensarci? Afferrai un pacco di Pan di Stelle dalla dispensa, i miei biscotti preferiti fra l'altro, ma dato che non avevo una valigia non avevo spazio per un altro sacchetto.

Ero pronta. Mi infilai il cappotto nero, sistemai la sciarpa e misi sopra le spalle lo zaino, che era abbastanza leggero alla fine, considerando ciò che conteneva. Arrivai davanti alla porta di casa e presi un ombrello, quello grigio, era meglio che non fosse vistoso.
E quindi, avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle. Ero una persona piuttosto insicura, ma dopo tutto quello che avevo passato avevo accumulato tutto il coraggio dentro di me e quella notte lo stavo tirando fuori. Aprii la porta, la varcai e la chiusi. Ecco, era deciso ormai. Non avevo più tempo per ripensarci, non potevo tornare indietro. Ma questa volta ero decisa.

Scesi le scale, gradino per gradino, fino a quando non furono finiti. Alzai lo sguardo al cielo scuro, e poi guardai la luna nascosta dai nuvoloni pesanti. Inspirai l'aria gelida dentro ai polmoni, assaporando la libertà. Forse ce l'avevo davvero fatta.

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Helloooo! :D
Bene, questa è la seconda volta che provo a scrivere qualcosa di decente. Diciamo che la storia sono frammenti della mia vita, dei miei pensieri e così via sotto forma di questa...roba. Il tutto è frutto di idee che mi vengono in mente in un qualsiasi momento, quindi aspettatevi di tutto! c':
Devo dire che questa è solo un'introduzione ed è perciò breve, i prossimi capitoli sono più lunghi, obvious. Un tizio con i capelli corvini spunterà dal nulla nel terzo capitolo, ma prima dovete sopportare quest'altra tizia.

Spero che ci siano persone che leggeranno questa storia, ci ho messo impegno e tempo. ♥
Un saluto speciale va alla Bianca, che mi ha costretto a pubblicare entro Domenica. Ciao Biancaaaaa!
 

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Capitolo 2
*** Broken Glass Stained With Blood ***


Broken Glass Stained With Blood

Ancora una volta mi ritrovavo distesa sulle gelide piastrelle bianche del bagno, allagate di lacrime e sporche di sangue rosso vivido.
Da dietro la pesante porta di legno provenivano urla incessanti e stridenti, potevo distinguere la voce di una donna e di mia sorella. Quella della donna, che conoscevo tanto quanto il palmo della mia mano, era un po' rauca per via delle troppe sigarette, ma tuttavia potente. Sentii gridare Melanie, più piccola di me di 2 anni, ed in seguito dei pesanti passi che si dirigevano verso la piccola stanza fredda in cui mi ero chiusa a chiave.
Il rumore diventava sempre più impetuoso, si avvicinava sempre di più portando con sè quella orribile donna, se si può reputare tale. Sbraitava di fronte alla porta parole incomprensibili, e la calciava ripetutamente decisa a volerla sfondare o a costringermi ad aprirla minacciandomi. Non lo avrei mai fatto, ci avevo già rimesso un dente e anche troppi lividi e ferite. Era stata lei, già.

Dopo un tempo che non ho saputo calcolare per quanto mi sembrasse lungo, finalmente la donna malvagia si decise a smettere, o qualcosa del genere. Magari Melanie le aveva spaccato un vaso in testa facendole perdere i sensi.
Rimasi rannicchiata in un angolino fra quell'agghiacciante buio, spezzato solo dal flebile raggio di luna che attraversava i vetri spessi. Rinchiusa, delimitata dal mondo intero da quei quattro muri sudici, che dovevano sempre contenere i miei pianti.

Un incubo? No, questa era la fottutissima realtà. La mia orribile vita.
La donna che mi aveva accidentalmente messo al mondo era una pazza alcolizzata. Mi odiava con tutta sè stessa, e l'odio era reciproco. Credo che anche Melanie la detestasse almeno un po', perchè comunque la maltrattava quando era ubriaca. Nonostante questo a Melanie voleva bene come qualsiasi madre vuole bene alla propria figlia. Io, invece, non ero considerata come una figlia. Piuttosto ero quell'errore incancellabile.
Mio padre era un uomo fantastico. Insomma, aveva i suoi difetti, ma era intelligiente, dolce e un padre magnifico...ma era terribilmente debole. Infatti morì, o meglio si suicidò, poichè anche lui dopo esser caduto in depressione aveva iniziato a bere, e quindi diventò alcolizzato. Faceva anche uso di sostanze stupefacienti, a volte. Era colpa di mia "madre".
Melanie era l'unica persona che sopportavo. Era stronza, parecchio, ma per il resto era una persona a posto. Comunque non avevamo tanti rapporti nonostante vivessimo nella stessa casa. Di solito rimanevo nello scantinato o nel bagno, e mi ci rinchiudevo. Sì, perchè non avevo una camera, o meglio, non più. La stanzetta dal pavimento di legno che odorava ancora di bosco, ora di Melanie, era il mio piccolo mondo quando ero bambina. Rimanevo lì dentro per giorni, mesi, anni. Non uscivo mai se non per andare a scuola, a mangiare e andare in bagno. Lì dentro facevo tutto: dormivo, disegnavo, giocavo, sognavo. Sogni che poi sono stati distrutti, infranti in mille pezzi come lo specchio del bagno. Non potevo più vedere la mia immagine, perchè lo specchio si era spezzato, così come la mia vita. Adesso su quei piccoli frammenti ci camminavo, sentivo lo scricchiolio sotto le mie scarpe. Sognavo una vita migliore, come quella delle persone "normali", che conducono una vita tranquilla. Niente urli, niente sangue, niente dolore, niente odio.

Fino a circa sette anni ero una bambina qualunque, con una madre, un padre e una casa. Senza neanche che me ne accorgessi tutto è cambiato rapidamente. Come il cambio delle stagioni: variano velocemente, e non lo percepisci subito.
La ventata gelida arrivò senza preavviso. Mio padre diventò nervoso e mia madre era costantemente incazzata. Era fuori di sè, fumava più del solito, beveva più del dovuto e non dormiva. Io ero solo un piccolo e insignificante esserino, del tutto innocente che non riusciva a capire perchè stesse accadendo questo. Pensai che tutto sarebbe passato...ma ero un'illusa. La mia innocenza si trasformò in colpevolezza in seguito, perchè se io non fossi esistita mia madre probabilmente starebbe sulle strade della statale e mio padre sarebbe ancora vivo con una bella famigliola allegra come quelle dei film.
Ma io ero lì perchè mio padre si era fatto ingannare. Si era innamorato ciecamente, o per rendere meglio, era "caduto in amore". Perchè dopo esser caduto in quel burrone, sono poche le speranze di salvarti.

Mi rialzai sanguinante e sciaquai le ferite. Guardai lo specchio rotto e pensai che sarebbe stata l'ora di una rivoluzione. Sarei riuscita a conquistare la parte di me che non vedevo riflessa, mi sarei completata. Capii che quello era lo scopo della mia vita.
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Dopo non so quanto mi sono decisa ad aggiornare, già.
Ultimamente ho un brutto periodo, e quindi boh, non riesco neanche più a leggere. Figuriamoci scrivere.
Comunque volevo dire che ci ho messo tanto tempo e cuore a scrivere, e un po' mi dispiace che nessuno legga. So che sono un po' patetica, ma io ci tengo davvero. Quindi, anche se non scrivo bene, non ho delle belle idee, o qualsiasi altra cosa, almeno vorrei che me lo diceste. Preferisco pareri negativi che non averne nessuno, perlomeno mi decido a smettere di scrivere quì ed a limitarmi a scrivere per sfogo.
Vorrei perciò ringraziare chi legge in silenzio, e ovviamente Bianca, perchè lei mi ispira e mi stimola. Grazie ♥ 

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Capitolo 3
*** Lift Off ***


Lift Off


Nevica. Nevica e anche tanto.
Dal cielo livido cadono gelidi fiocchi, che volteggiano nell'aria come fossero piume, trasportate dal vento leggero dell'inverno. Tutto è dipinto di bianco, coperto da uno spesso strato di neve.
Non avevo mai visto la neve. Ne avevo sentito parlare, ma non avevo la più pallida idea di come potesse essere. Tutto ciò che sapevo è che era bianca e fredda, ma non riuscivo neanche ad immaginare come potesse risultare al tatto. O almeno, non fino ad adesso. La neve scende giù, su di me e si posa con un tocco lievissimo sul mio viso. Penso che sia una cosa fantastica e assolutamente poetica, tanto quanto il suono che emette: un silenzio tranquillizzante, calmo, interrotto solo dal dolce fruscìo del vento.

Ormai sono due giorni che sono scappata da quell'inferno, e per ora sono tutt'altro che pentita. Piuttosto, sono curiosa di come ha reagito la strega quando l'ha scoperto. Melanie sarà sicuramente sorpresa, penso che non se lo sarebbe mai aspettato che una come me, che invece di rivoltarsi viene presa a calci in silenzio, avrebbe avuto un giorno il coraggio di lasciarsi tutto dietro le spalle per rifarsi una vita e ricominciare da capo.
Eppure ci ero riuscita e sono talmente soddisfatta che penso non vorrò mai più tornare indietro. Ero libera. Sì, certo, vagavo senza meta da sola, esposta a tutto ma soprattutto a tutti, in un mondo che mi era sempre stato nascosto e proibito, di cui non conoscevo niente. Non sapevo come ci si relaziona al mondo, penso.
Ma in fondo c'è sempre una volta per imparare, no? E questa è la mia occasione.

Dopo essere uscita di casa quella notte seguii la strada buia e deserta, illuminata solo dal brilluccichìo disteso sull'asfalto reso dai fari arancioni e rossi delle auto che passavano di tanto in tanto. Il resto era avvolto nell'ombra della notte, tutto distinto solo dalle sagome sinuose colorate dal chiaro di luna. I rami scuri degli alberi all'orizzonte mi confinavano dal cielo facendone contrasto. Ho camminato tantissimo, fino a quando sentii che le mie gambe non ce la facevano più, e allora mi distesi sulla panchina più riparata e nascosta che riuscii a trovare. Non doveva essere però tanto nascosta, perchè quando mi svegliai la mattina seguente fui attaccata da tutti quegli sguardi cattivi dei passanti. Poco male, in fondo ero veramente una vagabonda. Anzi, mi definirei più come una migratrice. Solo che, al contrario delle rondini, io non ritornerò qui. Mai.
Sogghignavo alla vista delle vecchiette scorbutiche che mi guardavano con disprezzo, e non mi offendevo neanche un po', anzi, mi divertivo ad osservare i loro occhietti che si strizzavano per la perplessità dietro alle spesse lenti degli occhiali.

Mi rimisi in cammino dopo aver fatto una scorpacciata di Pan di Stelle, senza latte purtroppo. Avevo dovuto mangiare dei biscotti al cioccolato con dell'acqua, ci pensate? Ero decisamente troppo di fretta per fermarmi ad un bar o ad un supermarket, quindi mi avviai di nuovo verso la strada serpeggiante in cerca di una stazione. Non che avessi fretta nel vero senso della parola, ma alla fine stavo fuggendo, avrei dovuto muovermi in fretta per far scomparire le mie traccie. Mi sarei diretta ad un aereoporto e da lì avrei letteralmente "spiccato il volo", per una destinazione qualsiasi, a caso, quella che mi ispirava di più.

Adesso sono sotto la neve e sorseggio un grande caffellatte fumante. Scherzetto, sono immersa nel confusionario e sovraffollato aereoporto. Invece del profumo del caffè c'è il fetore dello smog e i rumori insopportabili che dominano le città. Ma fra poco salirò su di un aereo! Per me è tutto così nuovo, è come se fossi un alieno proveniente da Marte, ho presente che esistano degli umanoidi sul pianeta Terra ma so poco di loro.
E' interessante ritrovarsi in ambienti tanto diversi da quelli comuni, e osservare la gente. Non sono una ficcanaso, ma amo curiosare e interpretare le espressioni delle persone. Faccio dei pensieri un po' assurdi, ma dopotutto sono un alieno, no?
Ci sono coppie, famiglie con bambini eccitati al pensiero di volare oltre le nuvole, gente seria come uomini d'affari. E poi ci sono io.
Proprio mentre sto pensando di essere l'unica persona sola e senza una valigia, qualcuno mi rivolge dopo giorni una parola.
- Oh, ma ti sposti? Non vedi che devo passare? -e uno spintone. Non sono la persona più amichevole dell'universo, ma questi tipi proprio non li sopporto.
Ad un certo punto mi rendo conto di dover ancora fare il biglietto, quindi mi alzo sulle punte dei piedi e riesco a scorgere un neon con su scritto "centro informazioni".
Dopo aver sorpassato la mandria mi ritrovo di fronte una ragazza giapponese dall'aria professionale, con tanto di occhiali dalla montatura nera.
- Scusa, dove posso comprare un biglietto aereo? - le chiedo incerta, e lei all'inizio mi guarda un po' scettica, poi mi sorride.
- Vada laggiù, al check-in. Lì le sarà assegnato il biglietto.
- Uh, okay. Grazie.
Mi dirigo verso al punto indicatomi dalla ragazza, e mentre cerco di passare per quel labirinto di nastri scavalcandoli o passandoci sotto vengo guardata male da tutti; non riuscivo a capire cosa stessero facendo tutti fermi imbambolati. Improvvisamente un uomo-armadio in divisa, uno di quelli che lavorano lì, mi prende per il braccio stringendolo a tal punto da farmi quasi bloccare la circolazione. Gli lancio uno sguardo interrogativo un po' stizzita, ma lui ricambia disapprovando.
- Ma cosa sta facendo, signorina?!
- Lasciami andare, cazzo! - mi dimeno, ma non riesco a liberarmi dalla potente morsa. Rimane un secondo a bocca aperta, poi diventa rosso in volto. Rosso di rabbia. Stringe ancora di più il mio povero braccio, e io non posso fare a meno di rimanere immobile, impaurita.
- Meglio che la smetta di fare stupidaggini, altrimenti sarò costretto a chiamare la security! Vada dietro alla fila e aspetti il suo turno.
Annuisco appena, e lui si decide finalmente a lasciarmi. Vado dietro alla fila chilometrica, e mentre cammino col capo chino vengo fissata da tutti con disprezzo. Beh, non avevo intenzione di fare cretinate, volevo solo passare e magari anche inosservata, ma è successo tutt'altro. Non avevo capito che quegli umanoidi stessero aspettando.
Una cosa che non riuscivo a spiegarmi era il perchè tutti si rivolgevano a te dandoti del lei. Voglio dire, io sono qui, mi stai parlando in faccia, perchè dovresti parlarmi come se stessi parlando di qualcun altro?

Finalmente sono sull'aereo, comodamente seduta accanto ad un finestrino. Non è stato semplice arrivare fin qui, insomma, sono un Marziano, capitemi. Nonostante tutto sia tranquillo, io sono nel bel mezzo di una tempesta di emozioni e pensieri, la testa mi fa talmente male che penso potrebbe esplodermi da un momento all'altro. Vengo riportata nel pianeta Terra quando sento una voce alla mia destra.
- Posso? -mi chiede un ragazzo indicando il posto accanto al mio. Annuisco.
Il ragazzo si siede accanto a me, ed io inizio a scrutarlo incuriosita.
E' un ragazzo semplice, come tutti gli altri, ma allo stesso tempo è speciale. Ha un qualcosa di misterioso, non so. Si volta verso di me, ma punta gli occhi sul finestrino. Sono di un colore strano, fra il verde e il nocciola, e nonostante passino abbastanza inosservati io trovo invece che siano fantastici. Il loro colore spicca sotto le ciocche corvine del ragazzo, e sulla sua pelle chiara, quasi evanescente che lo fanno assomigliare un po' ad un vampiro.
Ha l'aria di una persona consumata, nel senso di lasciata andare, nonostante sia giovane e molto carino. Le sue labbra sono screpolate e piene di tagli, i suoi occhi sono spenti e sotto di essi sono evidenti le occhiaie, pare che non abbia dormito da giorni. Il suo sguardo è vuoto, ma allo stesso tempo sembra pervaso dai pensieri, egli è immerso in un mondo tutto suo, al di fuori dei limiti della mente. Anche lui ha un casino totale in testa, posso leggerlo nei suoi movimenti, nella sua espressione, nei suoi occhi. Non so come possa provare tutte queste emozioni insieme, anche se è quello che sto provando anch'io al momento. Tristezza, malinconia, rabbia, angoscia, paura. Tutto quanto nei suoi occhi.

Ad un tratto una voce femminile ci annuncia dagli altoparlanti che stiamo per decollare, e ci avverte di allacciare le cinture di sicurezza. Ma dove diavolo era la cintura? Mi guardo attorno e il ragazzo me la fa notare.
- E' lì.
-Oh, sì, non l'avevo vista. -ridacchio. Mi rivolge un accenno di sorriso, e questa cosa mi rende immensamente felice. Può sembrare stupido, ma è da tanto che qualcuno non mi rivolge un sorriso.
Interrompo il mio attimo di felicità quando percepisco che l'aereo è in movimento. Accidenti, stava andando sempre più forte, la cosa mi faceva impazzire per due versi: era una sensazione insolita, elettrizzante ma che metteva un'ansia incredibile. Sento staccare l'aereo da terra. Non posso trattenermi, così mi sfugge un urlo:
- Uuuuaaaah!
Il ragazzo si gira verso di me e inizia a sogghignare per poi mettersi a ridere. Non so se dovrei sentirmi offesa o altro, mi limito solo a fissarlo con una faccia...con una Poker Face, ecco.
- ...Hai la stessa faccia di mio fratello, AHAHAHAH!
Continua a ridere fino alle lacrime, e io non so veramente come reagire. La malinconia che inondava il suo essere poco prima sembra improvvisamente svanita, dissolta in una risata. Dopo un po' riesce a ricomporsi, e con un gesto veloce si asciuga le lacrime con una mano.
- Scusami. -rimango zitta ancora.
- Davvero, non volevo riderti in faccia. Ti trovo simpatica, tutto qua.
Adesso sono ancora più perplessa. Aspetta, ha detto che mi trova simpatica?
- Oh, grazie..?
Mi rivolge un sorriso e poi distoglie l'attenzione. Forse era un po' in imbarazzo, chissà. Chi li capisce gli umani.

Dopo qualche minuto mi ritrovo a sbirciare dal finestrino, e vedo sotto di noi un immenso mare bianco, con onde che si muovono così lentamente, sinuose. Siamo sopra le nuvole!
- Ehi, guarda! Siamo sopra le nuvole! - esclamo tutta emozionata.
- Non sei mai stata su un aereo? - mi domanda, sorridendo.
- No, veramente mai...tu ci sei già stato?
- Sì, un sacco di volte. E' bello quassù, non trovi?
- Bellissimo. - mi volto e vedo che la sua espressione è cambiata. Tutto quello che avevo visto in lui era stato distrutto da un sorriso innocente. Serenità, calma, spensieratezza, curiosità trovavo adesso nei suoi bellissimi occhi. La luce che aveva dietro gli occhi non era stata portata via da nessuno, perchè ritornò più sfolgorante del fuoco, adesso.
Non ci diciamo più niente, sono le nostre anime a parlare per noi senza alcuna parola. Ci guardiamo negli occhi. Non c'è imbarazzo, nessun disagio.
Lui si avvicina lentamente verso di me, senza distogliere lo sguardo, per poi appoggiare dolcemente le sue labbra fini al mio orecchio.
- Sei speciale. - sussurra, e un brivido mi percorre la schiena. Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile.
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Ecco, a causa di una certa Bianca mi sono fatta convincere. Porterò avanti questa storia anche se non la leggerà nessuno, quindi arrendetevi. Se siete arrivati fino a qui, ormai almeno il capitolo dopo lo dovete leggere (non è una minaccia, ahahah!).
Quindi boh, questo capitolo l'ho scritto mesi fa, quando nevicava per davvero e mi sono ispirata semplicemente guardando fuori dalla finestra. E' un capitolo di passaggio, il prossimo sarà pesante. Aspettatevi di tutto.
Ciao :'3 ♥





 

 

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Capitolo 4
*** The Defeat Will Drag You to Ruin ***


The Defeat Will Drag You to Ruin

Ero rimasta colpita, da un proiettile al petto, sù, vicino al cuore. Eppure quel proiettile non fece alcun male. Mi trafisse, forse mi oltrepassò? No, rimase lì, e rimarrà lì per il resto dei miei giorni.
Quanto può essere potente una semplice parola, emessa con un filo di voce, facendo appena sfiorare la lingua al palato per pronunciare quelle poche sillabe. "Sei speciale."
Proprio quello era il proiettile.
La domanda è come sia riuscito quel ragazzo a premere il grilletto. A sparare una cosa così forte contro una persona (tra l'altro così debole) che non conosci nemmeno. Lui l'aveva fatto, mirando bene, non era accaduto per caso, sparò con la sua volontà. Le conseguenze sono secondarie.
Il mio cuore traboccò di stupore e di felicità, mi impedì di aprire la bocca, di muovere un muscolo. Respiravo soltanto.
Ritornò al suo posto, composto, con sguardo basso fisso sulla punta delle sue scarpe nere sbuccicate. Sembrava pentito, ma ero sicura che l'avesse detto con convinzione. I suoi capelli erano abbastanza lunghi, gli permisero di nascondersi da me. Come una cascata nera.
Mi ripresi, mi diedi uno schiaffo mentale e mi rivolsi a lui, con tono calmo, sussurrando come se ci stessimo confidando segreti che nessuno avrebbe mai svelato.
- Perchè lo pensi? - passò una manciata di secondi, poi si voltò.
- Perchè è così, semplicemente. Tu non sai di quanto sei capace.
Ero quasi impaurita, a dirla tutta. Ma sapevo che dietro c'era qualcosa, che potrebbe essere stato anche qualcosa di molto grande.
-...dimmi, cosa ne sai di me?
- In realtà niente. Mi piacerebbe conoscerti. - quel ragazzo non finirà mai di sorprendermi. Poco dopo mi rispose alla domanda precedente.
- Sei speciale perchè mi hai fatto sorridere e soprattutto perchè mi hai fatto pensare. - - Sono un ragazzo incasinato, in un caos che neanche puoi immaginare. Mi rigiro in una stanza chiusa a chiave, ma forse non esiste neanche una porta, senza finestre, completamente buia perchè gli interruttori sono stati spenti, o forse addirittura sono stati rotti. Non faccio altro che inciampare e farmi male. -
Queste parole mi fecero pensare. Voglio dire, come può una persona arrivare ad una cosa simile, a credere di essere circondato da un buio così nero che non potrà più andarsene? Continuare a farsi male e auto-distruggersi. Morire, uccidersi con i propri sbagli. Rimasi in silenzio, un po' perchè volevo che continuasse, un po' perchè non volevo dire qualcosa di sbagliato. Un po' perchè non riuscivo a capire.
- Ma non voglio addossarti anche i miei problemi. - disse, accennando un sorriso falso. Mi accorsi subito che aveva aggiunto di proposito quell' "anche", ma sorvolai.
- Io...io, io vorrei aiutarti - balbettai, le guancie arrossate.
Mi sorrise soltanto, e stavolta era un sorriso vero. Ancora quegli occhi brillarono, ed io ci scorsi anche, per una frazione di secondo, un riflesso dorato. Avete presente le stelle cadenti, che passano così fulminee lasciando quella bellissima scìa? Ecco, come quelle.

Sono sola, un buio totale mi opprime, mi acceca. Tento di avanzare, ma credo di camminare nel vuoto, come se fossi in un'altra dimensione, dove il tempo è indeterminato. Ad un certo punto si presenta dinanzi a me una parete, ruvida, a macchie scrostata, gelida. Cammino ancora, seguendo il muro senza curve, illudendomi che quello mi conduca alla salvezza. All'improvviso qualcosa mi lega le gambe, ed io inciampo. Forse è stata la mia stessa paura, la tensione a farmi inciampare. Cerco di aggrapparmi alla parete, ma anzi questa mi graffia così energicamente che sento subito il sangue grondare dalla mia mano, dal mio braccio. Non mi abbatto per così poco. Potrei cadere giù piuttosto per tutta la paura che ho. La paura scivola nel sangue, mi percorre attraversando tutte le vene. Ma non mi arrendo.
Però succede qualcosa di inaspettato, che mi fa perdere: l'unico punto di riferimento che avevo si è dissolto ed io precipito alla velocità della luce, fino a quando non mi scontro a terra. Per un momento temevo che non ci fosse più una fine.
Mi rialzo sulle gambe, sfinita, e ritrovo il muro. Ancora mi faccio guidare, ma adesso la mia mano, sporca di sangue, riesce a trovare un punto particolare. Lo palpeggio fino a quando mi rendo conto che si tratta di un interruttore. Ecco, la salvezza.
Lo premo, ma non succede niente. Panico. Non mi importa, ci riprovo. Sono arrivata fin quì.
Finalmente la luce si accende. Non finalmente, mi correggo. Disgraziatamente.
Ritrovo davanti ai miei occhi verdi foresta, così pieni di innocenza e ingenuità, qualcosa di orribile a dir poco. Una cosa talmente tremenda, tragica, distruttiva che non può neanche essere lontanamente immaginata, non ci sono parole per descriverla. Aggettivi come angosciante o tremendo sono superflui. Disumano.
E' tanto forte che mi spazza via, anzi, mi demolisce. Mi distrugge, mi annienta. Perdo i sensi e piombo a terra. Non sarei mai più voluta rinvenire, preferivo morire piuttosto che ritrovarmi di fronte a quella cosa. Preferivo morire.

Mi sveglio improvvisamente, di colpo vengo rigettata nella realtà. Sono impregnata di sudore, il cuore mi pulsa fortissimo, fino a farmi male, tremo ma non riesco a muovermi.
- Ehi, EHI! Mi senti, riesci a sentirmi?! - il ragazzo è preoccupato, mi guarda con occhi spalancati nel panico, mi scuote appena quasi come se avesse paura di ferirmi.
E' in piedi, mi sta addosso, ed ogni tanto si guarda attorno agitato.
- Va...va tutto bene - riesco a dire con voce tremante. Sono terrorizzata.
Penso quasi che lui non mi abbia sentito, tanto è impegnato a cercare aiuto. Arrivano delle persone, ci circondano. Da una signora si fa dare un fazzoletto bagnato, me lo poggia leggero sulla fronte scostando i miei capelli mogano scuro, quasi ebano. Il suo tocco è impercettibile, ma forse sono io che non riesco a sentirlo perchè vittima della paura. Dopo un po' si allontana, ed una ragazza, penso un'infermiera, mi viene vicino e mi esamina a colpo d'occhio.
- Calmati, non è niente. Non è successo nulla, stai tranquilla. - mi conforta la ragazza. Mi porge un bicchier d'acqua ed io mi ci avvento subito, buttandola giù in un solo sorso.
Tutti si tranquillizzano, se ne vanno, ed io rimango lì con il ragazzo. Quello che è successo non l'ho capito molto bene, è stato confuso, tutto era come ovattato, i suoni attutiti, era tutto "sfumato", ma adesso finalmente la mia vista riprende a delineare perfettamente i contorni.

- E'...è stato orribile - riesco a sputare.
- Lo so, ma è stato soltanto un incubo, un fottutissimo incubo. - afferma lui, accarezzandomi dolcemente la testa.
- No. Non era un incubo. Era...quello che...che tu - non riesco a proseguire.
- Shh. - mi fa tacere, quando io invece sento quasi il bisogno di dirgli ciò che ho visto. Vorrei buttare tutto fuori, come se così potessi sbarazzarmene facilmente. So che comunque le cicatrici rimangono. So che quello che ho visto rimarrà impresso nella mia mente. Ripenso a tutto e riesco a riferirglielo in poche parole:
- So cosa volevi dire. - Io rimango a fissare un punto fisso dritto a me, con la testa offuscata dai pensieri, ma lui si volta guardandomi con aria triste. Non apre bocca, rimane fermo, continua a mantenere lo sguardo su di me. In questo momento emana una tristezza immane. Io non so cosa dire, sono rimasta senza parole, come se mi fossi dimenticata il significato di queste.
Passa il tempo e lui rimane impassibile, congelato quasi. Così pesante. Non riesco a capire il perchè si senta così, quindi dopo un po' sbuffo e glielo chiedo.
- Cos'hai? Cosa c'è che non va? - domando semplicemente, nemmeno fossi una bambina.
- Tu hai visto tutto. Adesso conosci il buio che mi inghiottisce, ed è tutta colpa mia. So che non te ne potrai liberare, so che avrai terrore di questo. - il fiume di parole gli esce dalla bocca con una voce monotona, trascinando con sè la sua malinconia, ed io non ci capisco niente.
- Che vuoi dire? - domando accigliata e visivamente preoccupata.
- Semplicemente che non ti libererai di me e di quello che hai visto. So che potrà sembrarti tutto così strano, surreale, ma è la fottuta realtà. Ormai ci sei dentro, tanto vale che ti spieghi. - dice lui, ed io sto zitta, aspettando che prosegua.
- Tutte quelle cose orribili che hai visto sono tutte le cose peggiori che esistono. Intendo, è il male che invade il mondo, così vuoto e pieno solo di dolore. Le persone sono tutte infelici della loro vita, ma continuano a dire che questa sia bella, che i giorni passano e che tutto andrà meglio più avanti. No, non è così. Sono tutti degli ipocriti, che si fingono ciechi per non vedere la realtà, per non affrontarla. So che posso sembrare tragico, puoi pensare che io sia un pazzo, ma è solo la verità.
In quello che hai visto ci sono le tue paure più grandi. Adesso che le conosci, devi affrontarle. Devi farti forte, se non vuoi morire. -
Tutto questo non aveva senso. Lo fisso, non riesco a capire.
- Vuoi vivere? - mi chiede, con un filo di voce. Mi guarda negli occhi, so che si è addentrato ed ora sta esplorando la foresta che ho negli occhi. Immerso in mille tonalità di verde differente.
Voleva smarrirsi, per capirmi davvero.
Sinceramente non conosco la mia risposta. Non è assurdo? Eppure un bisbiglio mi esce fuori, inconsciamente.
- Sì - Lui mi sorride. Non c'è nient'altro da aggiungere. Forse.
- Ma io sono troppo debole. Non ce la faccio. - ancora non sono io a parlare. Ma perchè mi scappano i pensieri dalla bocca? Perchè con lui mi succede?
- Sei più forte di quanto pensi. - Una fitta allo stomaco mi attacca improvvisamente. Nonostante tutto non faccio neanche una smorfia, ma sento che devo chiedergli una cosa.
- Tu ce l'hai fatta? - silenzio. Poi si decide a rispondere, ma gli fa male, so che anche lui ha avuto quella fitta.
- No. Ho fallito miseramente. -
- Non è troppo tardi. Non è finita finchè non sei sottoterra. - mi guarda stupito.
- Forse...forse potremo farcela insieme. Ti andrebbe? - domando.
- Vorrei, ma non posso sbagliare ancora. Probabilmente per me è già finita, e se non lo fosse dovrei farcela da solo. -
- Perchè non puoi? - sembro implorarlo. Non capisco perchè ho deciso di credergli davvero, mi sembra tutto così assurdo, ma è che so che quello che ha detto è tutto vero. Ho bisogno di averlo accanto, non ce la faccio da sola. Lui è l'unico che può capire. Posso fidarmi di lui.
- Perchè una volta ci provai e...potrei commettere qualcosa di terribile, di nuovo. E non voglio. -
Adesso devo sapere. Devo conoscerlo, per capire davvero.
- Raccontami la tua storia. Raccontami di te. - pare che lo obblighi, ma è più che altro una domanda o una specie di invito. Lui alza lo sguardo su di me, chiedendomi con gli occhi se volessi davvero sapere. La mia espressione è determinata e seria, quindi decide di iniziare.
- In passato avevo una famiglia che mi voleva bene, ed era l'unico appiglio, seppur molto lontano, che avessi. Non avevo amici, ero sempre solo e triste. Era una vita schifosa. Pensavo veramente che sarei morto da solo, senza aver concluso niente, senza aver fatto qualcosa per cambiare tutto, per aver fatto qualcosa per poter dire di aver vissuto. Credevo davvero che la mia esistenza fosse inutile, e che quando me ne sarei andato nessuno se ne sarebbe accorto.
Un giorno incontrai un ragazzo, uno qualsiasi, un tipo del tutto normale. Si chiamava Frank. Non pensavo che un essere così insignificante mi avrebbe cambiato la vita. Diventammo amici, più di semplici amici, e alla fine arrivò a diventare la cosa più importante della mia vita. Lo amavo tantissimo. Lo amavo così tanto che sarei potuto morire per lui. Anche se a dirla tutta adesso non ho così paura della morte, temevo di morire per il solo fatto che se me ne fossi andato non lo avrei più visto, e soprattutto perchè altrimenti lo avrei lasciato solo, così debole e indifeso, in un mondo così brutto e crudele. Ma col tempo scoprii che aveva una vita difficile, e che lui non ce la faceva più. L'ho detto, era un'essere innocente e senza difese, ma era una persona più che stupenda, e non avrebbe meritato di soffrire in quel modo. Nessuno meriterebbe di soffrire in quel modo. Cercai di aiutarlo, di renderlo felice, di salvarlo, ma lui diceva che non poteva più restare lì. Lo ripeteva sempre, piangendo e soffocando i singhiozzi fra la mie braccia. Eravamo due deboli, ci sostenivamo a vicenda anche se quello forte dei due ero io. Decisi che saremmo scappati, via, lontano. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui, l'ho detto. Una notte fuggimmo, ci lasciammo tutto dietro le spalle e viaggiammo verso il nulla. Bastava stare insieme. Anche lui mi amava, comunque. - si sofferma, ed io rimango colpita da un piccolo frammento della sua vita. Dopo un istante riprende.
- Tutto andò bene per nove mesi, fino a quando io diventai...un mostro. I miei demoni mi spingevano a fare cose che non avrei mai voluto fare, mi fecero impazzire. Diventai un vero mostro. Arrivai a picchiare Frank, che era terrorizzato da me ma che non voleva lasciarmi. Voleva me. Desiderava che tornassi quello di prima, il vero me, e che uccidessi quel male che mi intossicava. Nei momenti in cui ero lucido mi rendevo conto di quello che stavo facendo a Frank e mi odiavo tantissimo per questo. Così iniziai a farmi male. Ingurgitavo tonnellate di medicinali, di pasticche e roba varia per guarire, diventare qualcun'altro, cambiare quello che ero diventato, e assumevo spesso sonniferi, perchè mentre dormivo ero sicuro di non poter ferire Frank. Non feci altro che peggiorare la situazione.
Una volta Frank arrivò addirittura a dirmi che se non ce l'avessi fatta a ritornare me stesso lui si sarebbe ammazzato. Suicidato, proprio così. Le sue parole mi ferirono, ma sapevo bene che non ne era convinto, perchè lui non mi avrebbe mai lasciato al mio destino. Non avrebbe buttato via così la sua vita senza aver tentato di aiutarmi, di annientare il mostro che ero. Mi amava troppo...ma io sono stato un idiota. Dovevo mandarlo via prima che potesse succedere...- sospende la frase nel vuoto. Il suo volto si è fatto così cupo che mi ha fatto sobbalzare il cuore. Singhiozza, e io non voglio che continui a parlare, capisco che non ce la fa più. Lo abbraccio d'istinto, ma lui mi cinge la vita debolmente solo dopo qualche istante. Vengo travolta dal suo profumo, così insolito ma buono e fresco. I suoi capelli neri che mi sembravano così sciupati e disordinati mi sfiorano il collo e il viso, e sono inaspettatamente morbidi.
Non riesco a capire cosa c'entri ciò che mi ha detto, ma so che devo solo aspettare che si riprenda e che arrivi al punto. Sono comunque rimasta sconvolta, perchè quel Frank sembro io. Ma soprattutto sono colpita da quanto amore ci fosse in tutto ciò che ha detto il ragazzo. Lui voleva salvare Frank, era lo scopo della sua vita. Frank voleva salvare lui. Avrebbero fatto qualsiasi cosa l'uno per l'altro.
Sento che sta per sciogliere l'abbraccio, e vedo che si sente già un po' meglio. So che si sta preparando al peggio, alla cosa più dura da dire e che ha paura di leggere la sua storia, ma soprattutto, il suo fallimento, per la prima volta ad alta voce, a qualcuno. Respira a fondo.
- Frank morì. Un giorno di Settembre, non ricordo quale perchè persi la cognizione del tempo. - abbassa la testa.
- Lo uccisi io. -
I suoi occhi spenti diventano lucidi e si riempirono di lacrime, che traboccano e scivolano lente e leggere sopra il suo volto. Il tempo mi sembra fermato. I colori tenui che ci circondano svaniscono e si stingono, riducendo l'ambiente a una foto in bianco e nero.
- Lo uccisi con le mie mani. Non sono sicuro che fossi in un momento d'incoscienza.
Presi un coltello e glielo affondai nel petto. Lui mi guardò, terrorizzato. Non disse niente, si limitò a guardarmi senza traccia di rabbia, era indifferente, sapeva che sarebbe potuto succedere. Lui era rimasto con me rischiando tutto questo. Nonostante tutto, continuai ripetutamente a ficcare la lama affilata sporca del suo sangue nel suo corpo, senza fermarmi fino a quando il male in me fu sazio, e posai il coltello sul pavimento gelido, macchiandolo. Immersi le mie mani all'interno del suo petto. Strappai la pelle come fa una iena con una carcassa. Non aveva senso. Poi mi distesi accanto a lui e mi addormentai. Mi svegliai di notte, nel buio, e a quel punto compresi davvero quello che avevo fatto. Gridai urli sporchi, piansi fiumi di lacrime amare. Lo strinsi forte, ma lui non c'era più. Lui non c'era più. -
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Bene, quindi questo era il capitolo in cui succedeva di tutto. Beh, tutto tranne qualcosa di buono, no? Drammatico e pesante dall'inizio alla fine. L'ho scritto molto istintivamente, è venuto tutto da sè.
Mi riesce abbastanza semplice scrivere cose tragiche, dovete aspettarvelo spesso da me, ma il prossimo capitolo sarà molto più leggero e finalmente Megan e il ragazzo (chissà chi è, poi, non si capisce neanche un po', vero? e.e) decolleranno in una terra sconosciuta *mistero*.
Quì ci ho messo del Frerard, sì, e credo ci sarà anche un po' in seguito anche se il povero Frankie è morto :'c non avevo intenzione di mettercelo, ma ehi, questi due si incastrano perfettamente come pezzi di un puzzle! (non interpretatelo male è.è)
Quindi boh, spero vi sia piaciuto! Grazie a tutti voi che leggete, graziegrazie ♥

 

 

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Capitolo 5
*** New Air to Breath ***


New Air to Breath

Sono passate alcune ore, adesso mi ritrovo abbandonata a me stessa. Un corpo anonimo lasciato inerte, privo di anima. Ho gli occhi aperti ma non vedono, l'aria entra nei miei polmoni, lenta, ma non respiro. Cosa è successo? Tutto quello che può succedere a qualcuno quando ha perso qualcosa di molto importante, e l'ha scoperto all'improvviso. Non ti senti vivo. Senti solo l'aria che ti schiaccia, pesante.
Sento un tocco, lieve, sulla mia pelle adesso più smorta del solito. Ma è lontano. Poi una voce, ma anche questa mi sembra così distante.
- Ehi. So come ti senti. - il ragazzo cerca di farmi riprendere, ma io non ce la faccio. Ero scioccata anche per il fatto che cercasse di confortarmi, quando quello che ha sofferto tutto questo è proprio lui.
Mi accarezza ancora, come prima. Sento che mi sfiora il viso ed ora sofferma la sua mano sulla mia guancia, ed è così aggraziata per essere maschile, ma così piena di lividi, spaccature e una piccola cicatrice. Persino la punta delle dita è screpolata, come se avesse vissuto per tanto tempo rintanato nella sua stessa persona, per proteggersi dalla bufera fredda che si avventava su di lui, ma con scarsi risultati. Il ghiaccio era entrato dentro di lui e gli aveva congelato le ossa. Ferite di una battaglia persa. Con il pollice mi asciuga una piccola lacrima e fissa questa come se fosse la cosa più interessante del mondo. Si potesse fare così per eliminare il male e il dolore delle persone.
Alzo le iridi verdi sulle sue, e questa volta sembra che siano tutti e due dello stesso colore stinto. Si può dire tanto con il silenzio.

L'aereo è quasi arrivato ad una destinazione a me sconosciuta. Le nuvole si sono diradate, e in basso, con lo sguardo come catturato dalla forza di gravità, vedo il mondo. Agglomerati di case quà e là, fiumi che si slanciano fra colline abitate da boschi scuri, industrie che rilasciano strisce di fumo nere o bianche che salgono volteggiando sinuose. Il cielo è pieno di sfumature: dall'aranciato all'orizzonte, alla luce rosea che dipinge le nuvole, al celeste chiaro. Sembra tutto così tranquillo e distaccato.
Ancora ci avverte una voce di prepararsi all'atterraggio. Fra poco metterò piede su una strada diversa e lontana da quella che ero solita calpestare. Altre persone, altri volti, altri luoghi. Sperduta ma finalmente libera.
- Perchè sei su questo aereo? Dove vai? - chiedo.
- Potrei farti la stessa domanda. - ribatte lui, sfoderando un sorrisetto.
- Beh, sì. - Non c'è tempo per raccontargli la storia della mia vita, ma sono sicura che ne avrò un giorno, non so perchè.
Una sensazione di vuoto si avventa sul mio stomaco, e sento che stiamo andando sempre più giù. L'aereo tocca improvvisamente la pista asfaltata, e fra pochissimo scenderò. Prendo lo zaino e lo metto sulle spalle, e il ragazzo fa lo stesso col suo. La porta dell'aereo si apre all'aria di un posto nuovo. Seguo la fila di persone che scendono da una piccola scala, e quando arrivo a terra mi volto verso il ragazzo. Un vento impetuoso trascina con sè fogliacci e foglie, e ci scompiglia i capelli scuri.
- E adesso dove andrai? - gli domando.
- Non lo so. - ci sorridiamo, senza nessun motivo apparente. Sembra quasi che abbiamo un'intesa.
- Rimani forte e non lasciare mai nessuno prendere la luce dietro i tuoi occhi. - mi dice, confondendo la sua voce, così bella, con quella del vento.
Mi cade lo zaino e lo raccolgo, ma quando mi rialzo lui non c'è più. Svanito. Lo cerco fra la gente, correndo per paura di perderlo, ma non riesco a trovarlo. Mi fermo improvvisamente e sorrido stupidamente. Lui è speciale.


Lascio l'aereoporto a passi svelti verso l'ignoto fino a quando vedo il mare in lontananza. Così decido di fermarmi quì, è un bel posto. Attraverso la strada e mi arrampico fra i massi grigi che s'innalzano sul mare, e mi siedo su uno di questi. Dove era quel mondo così brutto di cui mi parlava il ragazzo? Tutto sembra così perfetto, quando sei isolato.
Non avevo mai visto neanche il mare. Non c'è da stupirsi, dato che prima vivevo rinchiusa in una casa sperduta fra delle aride colline.
Sto ancora un po' a riflettere, osservando le onde che tranquille si susseguono schiumose e finiscono a scontrarsi contro gli scogli.
Interrotti i pensieri riparto a camminare, decisa a trovare finalmente un posto dove dormire. Dopo un po' di tempo riesco a trovare un rifugio abbastanza sicuro. Tutto sciupato all'esterno, un hotel passa abbastanza inosservato. Non so spiegarmi perchè cerco di nascondermi, so benissimo che non sono una ricercata. Nessuno mi sta inseguendo, e penso proprio che in fondo alla strega e a Melanie non manchi, anzi, staranno senz'altro meglio senza di me fra i piedi. Inutile piagnucolona.
Però è quasi divertente scappare. Credo di provare le stesse emozioni che provano i bambini quando giocano a nascondino. C'è l'ansia di farsi trovare, ma è tutto così eccitante.

Spingo il piccolo portone dell'hotel e mi ritrovo in un ambiente un po' inaspettato. Non pensavo che fosse così carino all'interno, fuori era talmente scarno. Il pavimento è un parquet e le pareti sono di un celeste chiaro molto grazioso. Le piccole finestre lasciano entrare la luce tenue delle mattine. L'arredamento è semplicissimo. Dopo aver scrutato un po' la stanza mi viene incontro una vecchietta dall'aria simpatica. I suoi occhietti sono attorniati da quelle piccole rughette che vengono quando sorridi, le zampe di gallina, così si chiamano?
- Buongiorno signorina, benvenuta. -
- Amh, ciao. Puoi darmi una stanza? -
- Ma certo, cara. Sei tutta sola? -
- Sì. - ha un'espressione un po' interrogativa, forse per lei è strano che una ragazzina vada in un hotel da sola. Ma cosa c'è di strano?
- Oh, bene. Quanto hai intenzione di soggiornare? -
- Veramente non lo so. - Adesso è ancora più stranita. Si dirige verso un quadro pieno di chiavi e ne prende una delle ultime.
- La camera 17 è libera, allora. Vuole che la accompagni? - mi chiede gentilmente.
- Okay -
La vecchia attraversa la stanza e sale una stretta rampa di scale. La seguo e saliamo. Ancora un piano. Ancora un altro. Infila la piccola chiave nella serratura dell'ultima porta del piano e la spalanca. E' una piccolissima stanza, con un solo piccolo letto affiancato ad una sola piccola finestra.
- E' piccolina, ma penso che si troverà bene. Questa è la chiave. - mi poggia il piccolo aggeggio metallico fra le mani e poi scende qualche gradino.
- Mi chiami, se le serve qualcosa. - mi dice cordialmente, ed io le rispondo con un "grazie", ma la mia voce è talmente bassa che non me ne sono accorta neanche io.
Entro nella stanza e chiudo la porta, poi mi butto sul letto. Dopo aver respirato l'odore di lenzuola fresche mi alzo e sbircio fuori dalla finestra. Solo la strada e una fila di casette pittoresche mi separano dal mare. Ancora mi metto a pensare, ma quando mi volto dal lato opposto mi appare davanti agli occhi un quadro orribile. Appeso lì, sulla parete bianchiccia completamente spoglia: non c'è nient'altro. Apparte che non ha senso, ma sembra rappresentare un incubo o qualcosa di simile. Stona terribilmente con il resto della stanza, che è carina nella sua semplicità. Una macchia nera che fa rabbrividire. Sembra un po' un quadro di arte moderna. Ha una base nera e dei tratti e delle macchie più marcate in punti sparsi un po' ovunque. Potrebbe essere interessante se hai un po' di fantasia. Strizzo gli occhi ma all'apparenza non vedo niente, però improvviamente riesco a dargli un senso. Sembra un volto di una persona cattiva, e adesso che l'ho materializzato mi ricorda qualcuno, ma non riesco ad indentificarla. Sì, sembra proprio evidente che sia un viso malvagio, e le sue pupille mi trafiggono e mi tengono d'occhio.
Mi volto ancora e penso che sarebbe una buona idea se mi facessi una doccia, è da giorni che non mi lavo e sono in viaggio da molto tempo. Prendo le pantofole di lana che ho messo nello zaino (perchè sì, io le adoravo e non potevo separarmene) e dopo qualche passo arrivo di fronte all'unica altra porta di legno che c'è, quella del bagno. La stanza piastrellata di ceramica color cappuccino mi accoglie ed un raggio di sole dorato attraversa la penombra e mi accarezza. Tutta un'altra cosa rispetto alla stanza dove ero solita rinchudermi. Anche se questa è angusta, l'altra era agghiacciante. Sembrava che fosse di un ospedale.
Chiudo la porta e un odore piacevole mi solletica il naso. Ora che me ne accorgo è proprio la porta. Non so che tipo di legno sia, ma è chiaro e pieno di venature, e sembra quasi non sia stato trattato. Le righe più scure sono armoniose fra loro, e posso riuscire a trovarci delle figure nonostante non ci siano molti nodi. Ma sto diventando paranoica.
Ecco, io non so perchè mi mettessi a guardare qualsiasi cosa. Voglio dire, di solito le persone normali quando decidono di fare la doccia non si mettono ad esaminare la porta del bagno, no?
Scaccio il pensiero di essere ancora una volta un alieno e decido di non accendere la luce, perchè l'atmosfera era perfetta. Spalanco l'anta della doccia e apro l'acqua, mettendola tutta calda. Dopo qualche secondo l'acqua inizialmente gelida scroscia sulle mie mani così bollente da ustionarmi, così chiudo l'acqua ed inizio a spogliarmi. Mi sciolgo le All Star stinte, mi tolgo i calzini e poi faccio per sganciarmi i jeans quando sento un rumore provenire dall'altra stanza. Penso subito che sia la vecchina, ma dato che non ho voglia di andare a parlarle chiudo la porta a chiave. Dopo un po' sento la voce più lontana, sembra provenire dal corridoio. Una voce maschile...cazzo!
Non riesco neanche a pensarci un secondo che subito, per istinto, come quello per cui di solito le persone normali si scansano se gli viene lanciato qualcosa contro, apro in fretta la porta e mi fiondo in corridoio, non preoccupandomi minimamente (e diciamo anche che non me ne accorsi) che fossi scalza e con i jeans sbottonati. Quando mi ritrovo nel corridoio mi guardo intorno incredula, ed ero sicurissima di trovare il ragazzo dell'aereo. Invece, con immensa delusione, capisco che lui non c'è. Addirittura non c'è nessuno. L'unica spiegazione plausibile è che io sono pazza, esattamente come mia madre, perchè nessuno può essere così alieno ed avere queste allucinazioni senza aver assunto alcuna droga. Non riesco proprio a capire perchè io mi senta così sola, respinta, confusa, persa, ansiosa, sbagliata, sporca, curiosa. Forse per il semplice fatto che io non sono okay.
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Mh, ecco, questo capitolo è di passaggio e fa un po' schifo e basta. Ma succederà qualcosa di più interessante più in là, don't worry.
L'ultima parte, come avrete potuto palesemente constatare è ripresa dal video di I'm Not Okay :')
Cercherò di aggiornare in modo più costante, soprattutto dopo che la scuola sarà finita *finalmente*
Bene, allora lasciatemi le vostre recensioni per farmi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima, spero,
_dirty_ice
...ciao Bianca! c':
 


 

 

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Capitolo 6
*** Bitter Memories Covered By Sweet Glaze ***


Bitter Memories Covered By Sweet Glaze

L'acqua scroscia costante sulla mia pelle bianca che ha perso colore, ultimamente. Non è mai stata di un bel colorito vivo, sembro sempre uno zombie indipendentemente da tutto. Non è quel tipo di bianco immacolato che diciamolo, è anche aggraziato oltre ad essere inquietante a volte, è più grigiastra, come se si fosse assottigliata col tempo che passa e con tutti i temporali che si sono abbattuti su di me, corrodendomi e sfogliandomi.
Il calore dell'acqua spesso sostituiva quello che le persone non mi davano. Oltre a scaldarmi, ad accarezzarmi, l'acqua che scendeva trasparente su di me trascinava via con sè i miei pensieri e i miei stati d'animo, oltre che lo sporco. Scendevano lenti insieme a lei e poi finivano nella discarica, dove potrebbero esserci stati anche quelli di altre persone.
Non importa come mi sentissi, dopo aver fatto una doccia mi sentivo sempre svuotata, ma in senso buono. La doccia era il mio dimenticatoio. Temporaneo, ovviamente.
Semplicemente chiudevo gli occhi e abbandonavo tutto, perdendomi fra il vapore che aleggia e copre tutto di una pellicola appannata. Ma non smettevo completamente di pensare perchè è impossibile, almeno credo.

Esco dalla doccia e sono immersa completamente nel vapore. La luce che viene filtrata attraverso è diventata più vivace, e tutto si colora ancora di oro. Decido di asciugarmi e vestirmi...con i vestiti sporchi, perchè non avevo portato altri vestiti. Non ci avevo pensato.
Dopodichè penso che sarebbe l'ora di uscire da questa stanzuccia. Così prendo lo zaino e scendo velocemente le rampe di scale, ma quando arrivo nella hall essa è ancora deserta.
Mi ritrovo ancora a camminare al ciglio della strada seguendo la continua striscia bianca ed osservando intanto tutto ciò che mi circonda con fervea curiosità. L'ambiente è davvero piacevole. Le case pittoresche mi accompagnano, e si susseguono di varie forme ma soprattutto colori: da quelli più tenui come il verde salvia ed il giallo mais e tutti i colori pastello, a quelli più sgargianti come il rosso. Dai balconi spuntano graziosi fiori, e ci sono persino alcuni giardini con l'erba rigogliosa.

La via è vuota, i bambini sono a scuola, le persone sono a lavoro. Persino i vecchietti non ci sono, ma stanno rintanati nelle loro case sicure. E' primavera, così il vento porta con sè pollini e foglioline, insieme agli odori vivaci come quello di erba appena tagliata.
Il mare, intanto, giace placido sul mondo, indisturbato da navi e barche. Infatti, non c'è alcuna imbarcazione. Rimango incantata dalla sua voce e dai suoi colori, ma anche da quelli dell'ambiente in generale.
E' completamente diverso da dove vivevo io. Tutto era come sommerso da un grigiore triste, laggiù. Gli alberi che s'innalzavano dalle terre aride si contorcevano secchi, senza foglie, e andavano a formare boschi di un aspetto teatrale e tetro. Ai loro piedi si estendevano arbusti anch'essi rinsecchiti, e nei fossi padroneggiavano grandi macchie di rovi, pieni di spine appuntite. L'unica cosa buona che c'era, era che ogni tanto ce n'erano quelli di more e lamponi. Adoravo i frutti di bosco, il loro sapore succoso e dolce che inondava il mio palato quando esplodevano sotto la pressione dei miei dentini.
Una volta ricordo che io e Melanie ci eravamo addentrate nel bosco vicino casa da sole. La mamma non voleva, ma io me ne fregavo altamente e trascinavo la timida bambina con me nell'avventura. Le raccontavo storie da me inventate, leggende frutto della mia mente che narravano di luoghi magici e incantevoli che si potevano raggiungere attraversando boschi inquietanti come quello. Le dicevo che, per arrivare alle cose belle, prima era necessario affrontare le cose brutte.
Lei aveva paura che la mamma se ne accorgesse, ma credeva in me, ed era affascinata da tutto ciò che usciva dalla mia bocca. Tenendole la manino calda proseguivamo per piccoli viottoli leggermente in salita fra la vegetazione sterile, e c'erano tante buche e pietre appuntite lungo il nostro percorso. Dopo un po' Melanie voleva tirarsi indietro perchè aveva paura, anche di perdersi. Io però continuavo ad incoraggiarla, e così abbiamo avanzato ancora, fino a ritrovarci di fronte ad un burrone pieno di rovi cosparsi di more e lamponi. Era uno spettacolo tenebroso. Anche lei ne era rimasta stregata, e voleva raccogliere un po' di quelle prelibatezze.
Avevo pianificato con lei una strategia per arrivare a prenderle: io mi sarei appigliata all'albero più vicino e le avrei tenuto stretta la manino, mentre lei si sarebbe protesa in avanti. Era d'accordo, così ci mettemmo in posizione e ci allungammo il più possibile. Iniziò a raccoglierne un po', poi le infilava in tasca, anche se alcune se le mangiucchiava di nascosto. Le dicevo di sbrigarsi, perchè i miei muscoli iniziavano a cedere, ma all'improvviso lei vide una vespa e si spaventò. Iniziò a urlare e a dimenarsi e io lasciai la presa accidentalmente, lasciandola precipitare giù nei pruni. Il buio e il terrore mi punsero spietati come le spine facevano con il suo povero corpicino. Mi distesi a pancia in giù sul terreno e le allungai la mia mano, incitandola disperatamente ad aggrapparsi, ma lei piangeva, urlava e si agitava. Gli aculei adunchi foravano la sua tenera pelle, le graffiavano il visino e le gambe, lasciando scorrere incessantemente goccie di sangue rosso intenso. Le sue lacrime si confondevano con la sua disperazione e i suoi gridi di angoscia, ma finalmente riuscii ad afferrarla e portarla su. Quando riuscii a salvarla mi guardò furente, ma continuava a sbraitare. Cercai di calmarla, il mio cuore che prima aveva quasi cessato di battere per il terrore adesso mi lacerava insieme ai sensi di colpa. Lei lo sapeva, voleva continuare a farmi del male. Aveva sete di vendetta.
Mi levai la maglia a maniche lunghe bianca che avevo rimanendo in maniche corte, e con il panno bagnato d'acqua sciaquai le ferite che non smettevano di sanguinare. Le dissi di tenerlo stretto al polso, dove aveva una grande lesione, e poi mi scusai. Non voleva saperne, aveva chiuso con me. Pensavo che fosse un capriccio temporaneo, ma non era così.
Quando tornammo a casa e mia mamma si accorse dell'accaduto Melanie sfogò la sua rabbia su di lei incolpandomi di tutto, e quindi il mostro mi picchiò così forte che mi rimasero i lividi per settimane. In più, mi rinchiuse nello scantinato per una settimana, senza mai aprire la porta. Dovevo mangiare ciò che trovavo, e dovevo dormire sul pavimento polveroso. In più c'era solo una finestra, ma piccola, opaca e sigillata, così che non potessi neanche apprezzare la luce del sole poichè era molto fioca.

Adesso però il sole brilla, batte forte sulla mia schiena. Il calore pervade il mio corpo e inizio a sudare. Eppure è solo primavera.
Decido di ripararmi dal sole sotto l'ombra di un negozio, e mi accorgo che è una pasticceria. La vetrina mi permette di vedere dentro. C'è poca gente che siede ai tavolini gustando dolci, e in fondo si estende un balcone che espone tantissimi pasticcini, torte e biscotti di ogni tipo. Non resisto alla sola vista, così entro e vengo travolta da un piacevole odore intenso e aromatizzato, così dolce. Mi incanto quasi di fronte all'espositore, tutti i dolci hanno un aspetto magnifico, e penso che quasi mi dispiacerebbe mangiarne uno.
- Buongiorno! - esclama un uomo di una certa età da dietro il balcone, accogliendomi con un sorriso nascosto dai baffoni grigi.
- Buongiorno. Mi puoi dare uno...uno di quelli là, a destra? - indico con un dito dei cupcakes ricoperti da una glassa bianca con scaglie di cioccolato.
- Questi? -
- Sì, quel-
- Cazzo! -
Un ragazzo cameriere mi ha appena buttato addosso involontariamente un intero vassoio pieno di cupcakes. La farcitura mi copre quasi completamente la faccia e la maglia, il che fa quasi pensare che l'abbia fatto di proposito, ma so che non è così. Mi tolgo con le mani la glassa da una guancia e infilo in bocca un dito.
- Mmm, buono - dico.
- Scusami tanto, non volevo...oddio, mi dispiace...- continua il ragazzo dai riccioli folti, visivamente imbarazzato.
- Oh, non preoccuparti, non fa niente - dico, accompagnando le parole con un gesto di irrilevanza della mano.
- Ma guardati, sei coperta di glassa! Ed è tutta colpa mia, sono così goffo...-
- Ma dai, succede. Lascia perdere - lo rassicuro, con un sorriso. Lui mi guarda e capisce che davvero non me la sono presa, così mi sorride di rimando.
- Okay. Io sono Ray. Tu? - mi tende una mano
- Io Megan. - dico, e poi stringo la sua mano. Solo dopo averlo fatto mi rendo conto di averla farcita di panna.
- Oddio, scusa! - e lui scoppia in una risatina.
- Beh, Megan, erano quelli i cupcakes che volevi, no? - scherza l'uomo coi baffi divertito.
- Sì, proprio questi! - mi chino per aiutare Ray a raccogliere il vassoio e i dolcetti spiaccicati sul pavimento.
- No, tu non devi aiutarmi, faccio pure da solo -
- Invece voglio aiutarti, quindi stai zitto. - Ray si volta verso di me stupito.
Lui balbetta qualcosa di incomprensibile, ma poi tace, e rimane con la faccia rossa dall'imbarazzo.

Ci alziamo da terra e io gli sorrido, sì per rassicurarlo, ma anche perchè effettivamente la situazione è abbastanza comica. Io sono completamente glassata, ed emano un odore eccessivamente forte e dolce, mentre lui se ne sta lì in piedi, con il vassoio pieno di cupcakes fatti a pezzi e la faccia un po' sbalordita ma anche riconoscente.
- Grazie. - mormora.
- Adesso che hai raccolto tutto posa la roba in cucina e vai a casa. Non dovresti neppure lavorare il Mercoledì, e dato che hai la testa fra le nuvole è meglio che ti riposi, invece di combinare pasticci in negozio! - scherza l'uomo con i folti baffoni, sogghignando.
Ray annuisce e porta tutto via, poi torna e mi fissa.
- Se vuoi puoi venire con me, ti va? Almeno ti ripulisci un po'. Sei così dolce che potresti farmi venire il diabete - sorrido.
Salutiamo il pasticciere e usciamo all'aria aperta. Il vento gli scompiglia i folti riccioli castani. E ci incamminiamo per i marciapiedi d'asfalto, mentre l'atmosfera intorno si fa tranquilla al calare della sera, e la tenue luce arancione proietta ombre allungate.
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Macciao c:
Sono ritornata, con questo capitolo dove spunta Ray! Sappiate che ho intenzione di infilare tutti, Mikey, Bob, Frank (beh, più o meno), quindi è solo questione di tempo. Ognuno di loro, Gerard ovviamente compreso, rappresenta qualcosa.
Quindi. Ray lo conosciamo nel prossimo capitolo.
Il ricordo di Megan, quello di lei e sua sorella nel bosco, è una cosa che mi è successa davvero, più o meno. Mi ha segnato, anche se non c'è motivo, e quindi l'ho voluto scrivere per mettere in contrasto il passato, grigio, con il presente allegro, leggero, pieno di colori. Almeno apparentemente.
Non ho molto da dire, e so che magari questo capitolo è un po' vuoto. Penso che quelli più sostanziosi debbano ancora essere scritti. Finalmente la scuola è finita, quindi può darsi che troverò più ispirazione e che aggiornerò più spesso, invece che ogni Sabato/Domenica (per vostra sfortuna c:)
Infine, vorrei ringraziare tutti quelli che leggono. E ovviamente una pazza che sto contagiando, MUAHAHAH, ciao Bianca :'3
 
See ya! _dirty_ice

 

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Capitolo 7
*** A Mind Full of Stars ***


A Mind Full of Stars
 


Dopo aver camminato un po', prima seguendo la strada principale, poi scendendo giù, in una straduccia sterrata dove man mano che la proseguivi il profumo salato del mare si faceva sempre più intenso siamo arrivati ad una piccola casetta dai muri bianchi, circondata da un piccolo orto. Tutto era tenuto con cura e dedizione, i frutti e le verdure pendevano rigogliose dalle piante. Delle piantine di fragole giacevano in un angolino, piene di fiorellini bianchi e fragole rosse.
Ray cerca le chiavi nei suoi jeans e dopo averne estratto un piccolissimo mazzo di appena tre chiavi ne infila una nella porta. Quando la apre, l'interno è ricoperto dalla penombra, ma lui apre le finestre e le leggere luci del tramonto illuminano la piccola casa.
Un totale CASINO. Giornali ovunque, pezzi di torta ammuffiti, la televisione coperta da stracci usati. E poi una chitarra distesa sul divano.
- Ecco, non fare caso al disordine. Lui abita quì da quando mi sono trasferito. - ridacchio.
- Non preoccuparti, non è un problema -
- Vieni, ti accompagno in bagno, così ti dai una ripulita. - Lo seguo, e con l'acqua tolgo la glassa bianca che mi copre al lavandino. Lui intanto va da una stanza ad un'altra come un pazzo e poi torna in bagno facendo attenzione a non entrare in un momento inopportuno.
- So che sono un po' grandi, ma è meglio che ti metta dei vestiti puliti. - me li porge, ben piegati, e poi sparisce e chiude la porta. Li spiego e vedo che sono un semplice pullover grigio e dei jeans. Mi svesto e rivesto in fretta ed esco dalla stanza. I jeans sono talmente lunghi che mi coprono i piedi, e lo stesso lo fanno le maniche della maglia con le mani. Sembro una bambina nei vestiti del papà.
- Ti stanno bene - se la ride lui. - Mpf. - sbuffo io, incrociando le braccia con l'espressione imbronciata in volto.
Mi accorgo adesso che è seduto sul divano con in braccio la chitarra. Quello strumento è davvero fantastico. Ben tenuto, senz'altro. Ray doveva tenerci parecchio.
- Suoni la chitarra?
- Oh, diciamo. Il mio sogno è diventare un musicista, ma come hai visto sono solo un semplice fottuto pasticciere. - lo guardo, un po' scioccata.
- Fammi sentire. -
- Cosa? - mi guarda lui, la sua solita espressione da citrullo.
- Suona. - lo esorto.
Ray è contrariato, storce la bocca, ma una mia occhiata cattiva lo rende obbligato e così si arrende. Abbraccia la chitarra, se la sistema bene sulle gambe e poi poggia le sue dita lunghe sulla tastiera. Inizia a pizzicare le corde, prima cauto, poi sempre più a suo agio. Il suo corpo, apparentemente così goffo, si muove armoniosamente, guidato dalla musica. E' a suo agio, si vede dalla sua espressione sul viso, dai suoi movimenti. E' felice. La musica si diffonde, il suono a volte distorto, a volte così limpido, va a comporre una canzone che non conosco.
Quando interrompe quella sorta di magia, è abbattuto e un po' triste.
Non so cosa dire, ma dopo un po' esclamo
- Cazzo. - Ray mi fissa.
- Sei bravissimo. Fai venire i brividi. Cazzo. - continuo a imprecare.
- Davvero lo pensi? Non è niente di che -
- Ray, seriamente, vaffanculo. Sei fortissimo, punto. - lui mi sorride. Ancora quella leggera sfumatura rossa d'imbarazzo gli colora le guance, lo sguardo abbassato che poi si alza e incontra le mie pupille, attente a scrutarlo. Mi guarda, adesso, senza esitazione, e quel rossore si diffonde fino a perdersi completamente. Anche lui mi osserva silenzioso come fa un cervo nel bosco, quando sente un rumore, anche il più lieve, con le orecchie rivolte in alto, pronte a percepire altri suoni avvertitori che connettano l'impulso alle gambe slanciate per addentrarsi nella selva in una corsa svelta, fra la vita e la morte. Io il cacciatore, nascosto ma anch'egli pronto a scattare per conquistarsi una vita, attento a mirare bene l'obbiettivo per far partire il proiettile fulmineo. Lui era la mia vittima? No, forse no. Forse quel ruolo di cacciatore me l'ero legato addosso a causa della mia forza nascosta, quella che intendeva il ragazzo dell'aereo. Magari solo perchè sono decisa e concentrata a stravolgermi l'esistenza, a cambiarmela completamente o addirittura a forgiarmene una nuova. Ma più probabilmente sembravo la predatrice perchè ero a confronto con un debole, un cervo. Non debole, ma forse indifeso, o...insicuro e troppo buono e ingenuo per avvertire e non cadere nelle trappole. Lo sguardo di confronto si estendeva lungo fra di noi, teso e invisibile.
- Grazie. - sussurra. E gli sorrido anch'io. I nostri occhi sciolgono il legame. No, non era quella la situazione. Lui non era un cervo ed io non ero un cacciatore. Ma chi può dirlo che io non fossi il cervo? E che sotto le benevoli spoglie del ragazzo pasticcione e un po' timido non ci fosse la determinazione e la crudeltà di un cacciatore? Nessuno può saperlo.

La notte ha vinto il giorno, e la luna è tornata a brillare insieme alle innumerevoli stelle. Ho salutato Ray, lasciato la casetta bianca e adesso i lampioni alti segnano il mio cammino sotto la luce elettrica. Cammino lungo una strada che porta ad un piccolo parco, oscurato perchè senza fonti di luce, così che il cielo si prospetti vivido su di me. Delle piante rendono il posto nascosto a molti. Inoltre è vuoto, fatta eccezione per quei piccoli insetti che emettono strani suoni costanti, balzando sull'erba fresca, e gli altri che danzano nell'aria, agitando le loro minuscole e velate ali, mentre brillano di una luce gialla. Le lucciole.
Mi distendo su una panchina, a pancia in sù, col naso rivolto al cielo punteggiato di stelle. Sono sempre rimasta affascinata da esse, ma non mi era permesso ammirarle quando ero a casa. Quindi, adesso, mi ci stavo immergendo dentro, a quel cielo così scuro e profondo, senza limiti. Non sento più neanche il freddo, da quanto mi ci sono persa, ma leggere nuvolette calde escono ad ogni piccolo respiro dalla bocca semichiusa.
Mi piacerebbe tanto rivedere il ragazzo. Mi rendo conto solo adesso che non gli ho chiesto neanche il nome. E' così stupido.
Avrei tanto da dirgli, anche se sono sicura che, semmai lo ritrovassi, mi dimenticherei di tutto, per qualche assurda ragione.
Mi basterebbe anche solo ritrovare i suoi occhi per avere un po' di speranza. Mi sento così sola e incapace di fare qualcosa. Vuota. Adesso che sono scappata, che sono libera di fare quello che voglio, mi sento più imprigionata che mai. Mi rendo conto che sono solo un piccolissimo essere infelice in un universo immenso, e la mia vita non servirà a niente. In fondo, la vita delle persone è sempre uguale, più o meno. C'è chi lavora, chi si fa una famiglia, chi ha un sacco di amici, chi segue le proprie passioni, chi ama. Ma alla fine, che senso c'è in tutto questo? Voglio dire, vivono solo per attimi di felicità. Quando si svegliano, nei loro letti morbidi, cosa pensano? Niente, che è una nuova giornata, e poi si alzano. Faranno le stesse cose. Mangeranno per colazione, andranno a lavoro, passeranno del tempo libero. Forse c'è un senso a tutto questo. Forse la vita è questa, in sostanza. Sembra così complessa, ma in fondo potrebbe essere così semplice.
In realtà io la penso così perchè non ho nessuno accanto, niente di consistente. Il mio cuore è vuoto, la mia mente piena di...stelle. Piccole luci di speranza che luccicano in un buio totale.
Non ho mai provato emozioni. Vere, autentiche. E' tutto evanescente, perchè non sono mai stata felice, spensierata, leggera, tranquilla. Perchè non ho mai riso per davvero. Perchè non ho neanche mai odiato nessuno. Perchè non ho amato.
Mi sento come una macchina senza cuore. Ed è una sensazione bruttissima che potrebbe realmente portarmi al suicidio. L'unica umanità che mi rimane, a cui devo cercare di aggrapparmi sono lassù, su di me. Stelle, luce, speranza. Felicità, amore.

Cosa si prova quando si ama, quando si vuole così tanto bene a qualcuno da essere disposto a sacrificare la propria vita che, alla fine, senza amore sarebbe senza valore? Quella voglia matta di abbracciare qualcuno, di vederlo quando è lontano, essere in angoscia quando sta male, quando è in pericolo? Il dolore quando qualcuno se ne va? Io non ho nemmeno sfiorato questo pensiero quando sono scappata.

La cosa che voglio veramente non è abbattere le mie paure, allora. E' trovare un sorriso. Di trovare degli occhi da poter guardare, delle mani per farmi proteggere, una bocca da poter baciare. Una persona che darà un senso alla mia vita di macchina, che è dotata di un motore ma non lo usa. Il cuore.

Fulminea, una linea bianca attraversa il cielo. Una stella cadente.
E improvvisamente sorrido, perchè ricordo gli occhi del ragazzo, quando ci trovai una stella cadente.

 

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Hello :D
Come state? Io finalmente ho di nuovo il mio computer, che bello! Eh sì, perchè non funzionava più, quindi ce ne è voluto di tempo per aggiustarlo. E adesso sono di nuovo qui! Sì, so che adesso state tutti scappando.
Bene, non ho niente da dire. Sto cercando di migliorare il mio modo di scrivere, e anche se so benissimo che non ne sono molto capace continuo a provarci con questa storia. Potrebbe non riuscire, ma ehi, bisogna provare nella vita. Migliorerò facendo pratica. Ma non garantisco niente *sogghigna*
Questo capitolo l'ho scritto almeno 2 secoli fa, quindi circa...2 mesi, in realtà? Ricordo che proprio l'introduzione la scrissi prima di sapere che mio babbo era finito all'ospedale e quindi spensi il computer e andai a trovarlo. Bello, insomma.
Enniente, vi ho rotto abbastanza. Fatemi sapere cosa ne pensate, dai :c anche un semplice "fa schifo, lascia perdere" :c
Ultimissima cosa: Bianca ti adoro. Niente da aggiungere.

Basta, ho sclerato anche troppo.
_dirty_ice

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Capitolo 8
*** Like A Family - Part One ***


Like A Family - Part One
 

Anche oggi piove, ma è tutta un'altra cosa. Non ho mai visto una pioggia del genere. Fine, ma che scende fitta. I miei capelli si uniscono in ciocche scure. Cammino silenziosa e me ne frego se vado dentro ogni pozza. Il mio umore è non a terra, ma almeno sprofondato. Dopo essermi resa conto di come sono, di cosa sono la tristezza fa parte di me.
Scappo ancora da qualcosa che però non so cosa potrebbe essere in realtà.
Scendo sulla spiaggia sassosa quando vedo una specie di grotta, e ci entro dentro senza pensarci due volte.
E' vuota, non c'è niente o nessuno. Meglio così.
Mi raggomitolo a una parete e inizio a piangere. Singhiozzo, e non ho intenzione di calmarmi. Ho intenzione di piangere fino a quando rimarrò senza acqua in corpo, non voglio tenermi dentro tutta quella sensazione orribile.
Il mio pianto si diffonde nella grotta, che fa eco, ma contiene tutto lì dentro.
Sto ripensando a tutto e non faccio altro che odiarmi sempre di più. Fino a quando, non so come, vedo un'ombra di fronte a me, sul suolo sabbioso coperto di sassi. Non riesco ad alzare lo sguardo che la figura si piega col viso contro il mio, e poi due dita mi sollevano il mento, costringendomi a guardare. Un volto, quasi impassibile se non per un alone di comprensione che aleggia ovunque e scorre insieme alla tristezza nel suo corpo come fili elettrici, e hanno come risultato movimenti lenti, deboli. Mi guarda fisso, senza dire niente. Il ragazzo.
Solo la scorsa notte avrei voluto dirgli tante cose, ma quando incontro i suoi occhi i miei pensieri marciscono, si decompongono.
Non ho niente da chiedergli o dirgli anche io, quindi l'unica cosa che faccio è attenuare le lacrime, un po' anche per la sorpresa. Mi abbraccia, e dopo qualche secondo i miei arti cingono il suo torace. Le mie lacrime si depositano sulla sua spalla, e il mio cuore sta letteramente impazzendo contro il suo petto, ma lui non apre bocca.
Rimaniamo così per non so quanto. Non ho mai saputo calcolare il tempo, nè mi interessa saperlo fare. Odio il tempo.
Quando lui mi slega, rimane ad osservarmi, fino a quando non sento la sua voce.
- Non c'è niente di sbagliato in te. - mi dice. Mi ha letto nel pensiero. Ancora.
- Tu, non hai neanche idea di quanto puoi essere forte. -
- E tu non sai cosa dici. - lo guardo seria, con gli occhi probabilmente lucidi ma concentrati a cogliere ogni sua espressione.
- Insomma, guardami! Ogni volta mi ritrovo a piangere. Sono troppo debole per vivere. Io non ce la faccio a vivere, io morirò. - tutto ciò che dico è confuso dai singhiozzi, ed è talmente stupido, patetico e scollegato che vorrei rimangiarmi tutto.
- Non morirai. Non fino a quando ci sarò io. - queste parole mi creano una grande confusione.
- Io voglio morire. - dico. E non so neanche da dove venga questa cosa.
- Non lo vuoi. Vuoi solo essere salvata. -
Probabilmente ha ragione. Ma se pensa che sarà lui a salvarmi, si sbaglia di grosso.
- Sei tu quello che sta male. Sei tu quello da salvare, non una stupida piagnucolona. Vuoi pensare a me quando in verità non sai neanche pensare a te stesso. - mi rendo conto di aver detto una cosa orribile. Lo penso davvero, ma fa comunque male, e lo vedo dalla sua espressione. Inarca i sopraccigli, ma la sua voce è ancora ferma e calma.
- Sai, hai ragione. Non so pensare a me stesso. Però non sto più male, ormai è acqua passata...o almeno credo. - i suoi occhi incontrano il mare agitato dall'entrata della grotta.
- Tu stai male, è inutile che lo neghi. Il passato ti tormenta, e tu vuoi rimediare. E' per questo che cerchi di aiutarmi. Solo per questo. - sospiro, mi asciugo le lacrime di prima e lo guardo seria - E questo mi da fastidio, quindi vattene e lasciami in pace, stai sprecando il tuo tempo.
Lui rimane come congelato dalle mie parole gelide, ma poi si scosta, si alza in piedi e sussurra - Non è così. - e se ne va. Il mio cuore, che pensavo di non usare neanche, si incrina.

Mi alzo da terra, mi asciugo di nuovo gli occhi con la manica e poi mi avvicino all'entrata della grotta. Appoggio le mie mani tiepide su di uno scoglio, ruvido e grigio come il cielo, e poi mi affaccio appena per vedere se il ragazzo è ancora quì. Niente, non riesco a vederlo, e perfino le sue orme sulla sabbia sono già state spazzate via dal vento. Rimango lì, a pensare, mentre il mare agitato spumeggia e il vento mi scivola fra i capelli.
Penso davvero ciò che ho detto, ma essere riuscita a dirlo mi ha distrutta.
Se non è così, se è vero che non lo fa per rimediare, perché vuole aiutarmi?
Non riesco a capire.

Quando mi sento giù di morale devo fare qualcosa che mi piace per stare meglio.
Così sono andata di nuovo in pasticceria, cercando sfogo in un pezzo di dolce.
- Buongiorno, non ti è bastata la glassa di ieri? - ridacchia il vecchio dai baffoni grigi.
- A dire il vero oggi vorrei una fetta di quella torta -
Ad ogni morso penso sempre meno alla tristezza. Semplicemente, ti concentri sul sapore e metti da parte il resto.
- Ehi, Megan - mi saluta mentre si siede al tavolino.
- Ciao, Ray - rispondo con un briciolo di entusiasmo.
- Come stai? Va tutto bene? - mi chiede, percependo subito il mio stato d'animo.
- Più o meno. Non ti preoccupare - tento di sdrammatizzare, ma la mia espressione rimane impassibile.
- Sei sicura? Davvero, se hai bisogno di... -
- Ray, sto bene. Basta. - taglio corto.
- Okay, non volevo infastidirti. Scusa. - risponde sospirando lui, chinando il capo come sconfitto.
Mi attanaglia allo stomaco un senso di colpevolezza. Lui non c'entra niente, non merita di essere trattato così. Sono un'idiota.
- Scusami Ray, sono solo una stupida. Non volevo...-
- Tranquilla - mi rassicura subito - non fa niente. -
Lo guardo negli occhi, e come sempre sono limpidi e trasparenti. Sei sicuro di poterci vedere attraverso, ma forse nascondono molto più di quello che ti aspetti.
Gli sorrido.
Una voce lo richiama in cucina dopo qualche minuto, così si alza in piedi.
- Arrivo! Ciao Megan, ci vediamo eh! -
Prima che non faccia neanche un passo lo richiamo.
- Aspetta Ray! -
- Sì? - mi guarda sorpreso
- Volevo solo dirti che...insomma, ci sei questo pomeriggio? - chiedo timidamente.
- Oh. Certo Megan, se hai bisogno di qualcosa, io ci sono - mi sorride - ma ora devo andare. Facciamo alle cinque quì davanti? - annuisco. Ma la mia testa deve ancora riuscire ad afferrare il "se hai bisogno di qualcosa, io ci sono".
Volevo vederlo perchè pensavo che Ray potesse distrarmi dalla mia stupida esistenza. Ma non ne ho bisogno. Le sue parole mi hanno dato il permesso di liberarmi. Ho l'impressione di potergli dire tutto, di potermi fidare.

Così quando il sole si abbassa e vado al negozio che odora di dolce lo trovo già lì, ad aspettarmi, con le spalle contro al muro e le braccia incrociate, lo sguardo abbassato.
Ci salutiamo e chiacchieriamo del più e del meno, mentre le nostre gambe ci portano al parco. E' così bello e rassicurante vederlo sorridere e scherzare, osservare come sembri sereno nonostante la sua vita sia così monotona. Pare che lui riesca a cogliere qualcosa che io non riesco a percepire, oppure che sia come un bambino che trova meraviglia in ogni più piccola cosa. Eppure si capisce immediatamente che non è affatto un ingenuo e anzi, è consapevole del mondo che lo circonda, delle persone che incrocia per strada.
- Ma quindi tu non vivi quì? Ah, non lo avrei mai detto, guarda. Hai un accento strano, sai? - mi prende in giro mentre siamo seduti su una panchina a goderci le voci allegre dei bambini.
- Non fare lo spaccone, ricciolone. -
- Ah sì? Perchè, altrimenti che fai, sentiamo -
- Ti...ti butto nel lago! -
- Certo, sì. Ma stai zitta, che non avresti neanche la forza per trascinarmici - ridacchia
- ...tu mi stai sfidando. -
- Uuuuh, guarda, mi tremano le gambe! -
Detto così, mi alzo in piedi e ridendo lo prendo per una mano cercando con tutta la poca forza che ho di farlo alzare e trascinarlo fino al lago per poi fargli fare un bagno.
- Ehi! ferma! ma che... -
SPLASH!
- Bene, e adesso cosa hai da dire sulla pappamolle? - gli faccio la linguaccia e poi mi metto in una posa da supereroe.
Non faccio in tempo a finire la frase che Ray mi prende per una gamba e mi trascina nell'acqua.
Mentre i passanti ci guardano come se fossimo pazzi (cosa che è in effetti vera) e i bambini ci guardano curiosi, io e Ray ci schizziamo ridendo.
Non mi sono mai sentita così bambina. Divertirmi senza pensare alle conseguenze. Dopotutto, le conseguenze sono secondarie.

Passiamo così l'intero pomeriggio, fra risate, schizzi, scherzi e divertimento, e quando l'aria si fa più fresca e si accendono i lampioni andiamo a casa di Ray, sfiniti e felici.
Quando entriamo nel suo rifugio una sensazione di calore mi pervade la pelle. Nonostante tutto Ray decide di accendere un fuocherello del camino, che insieme alle poche luci soffuse rende l'atmosfera piacevole.
- Meg, vado a farmi una doccia, okay? Tu fai quello che ti pare - mi rassicura Ray.
- Mh-mh - annuisco.
Mentre lui sale le scale e mi lascia sola inizio a curiosare nel disordine. Le mensole sono piene di fumetti e di strani libri, alcuni sciupati e pieni di pezzi di fogli con un sacco di appunti dentro, altri tenuti molto bene. Ne prendo uno a caso, di quelli sgualciti, con la copertina scura e lo sfoglio. Appena qualche pagina e trovo una vecchia foto, di un giovane Ray che abbraccia quello che presumo sia un suo amico. Un ragazzo bassino, con i capelli scompigliati abbastanza lunghi, degli occhi che ispirano simpatia e un sorriso sincero.
Tengo in mano la foto osservando i lineamenti del volto del ragazzo, quando Ray scende le scale e mi viene incontro. Cerco immediatamente di rimettere a posto le sue cose per non farmi beccare a frugare. Mi volto e gli sorrido.
- Oh, non ti preoccupare, fai pure che ti pare. - ridacchia. Ah, mi ha scoperto, bene.
- Io vado a cucinare, che ne dici se ti vai a fare tu una doccia? -
- Umh, certo, okay! - così dicendo salgo le scale e mi infilo in doccia. Il mio dimenticatoio. Solo che adesso non ho motivo di dimenticare. Non voglio dimenticare.

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Buon giorno/pomeriggio/sera/notte c:
Come va? Io ci ho messo un sacco come sempre ad aggiornare, ma sono stata al mare per 15 giorni. Pensate che siano tutte scuse? Avete ragione in parte.
Quindi questo capitolo è diviso in due parti, o almeno così penso adesso. Ho vagamente idea del prossimo capitolo, ma ho dei capitoli successivi già pronti e allora devo riuscire anche a far combaciare il tutto. Perchè sono molto disordinata, ma devo scrivere ciò che mi ispira in quel momento e...sì, infatti per esempio l'inizio di questo capitolo l'ho scritto in un momento non proprio felice. Ero piuttosto giù di morale.
Ho detto alla Bembi che lei è un po' il mio Ray, ricordi B? Ecco, ancora non si capisce molto bene, ma l'idea in sostanza è che per me tu sei come una famiglia, sei una vera amica, sei il mio rifugio sicuro. Nel prossimo capitolo, che in parte ho già scritto, tutto sarà più chiaro, ma adesso sto zitta c':
Per tutti quelli che leggono, anche se non vi fate vivi, sempre se ci siete e se esistete, grazie di sopportarmi.
E grazie alla Bembi che mi sopporta/supporta sempre ♥

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