Una serie infinita di stupefacenti coincidenze

di Maharet
(/viewuser.php?uid=4820)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una serie infinita di stupefacenti coincidenze ***
Capitolo 2: *** In realtà è molto di più ***
Capitolo 3: *** Non tutte le principesse hanno bisogno di un principe azzurro ***
Capitolo 4: *** First (and Second) Kiss... ***



Capitolo 1
*** Una serie infinita di stupefacenti coincidenze ***


Questa è per Min, che è la mia El ed il mio Magnus, e con entrambi riesce ad essere la persona che chiunque vorrebbe avere accanto. Ti voglio bene piccola <3



Aveva sempre, per qualche inspiegabile motivo, associato naturalmente Elenoire alle pietre preziose.

Forse a causa dei suoi capelli, una cascata color rubino, che parevano sempre sul punto di sfuggire anche alle più rigide acconciature.

O magari per i suoi occhi, schegge di tormalina incastonate in un viso liscio e perfetto dalle tonalità perlacee.

Ma così come le pietre lei gli aveva sempre trasmesso una sensazione di freddezza.

L’aveva incontrata spesso al braccio di Cain, un sorriso sul volto che non raggiungeva mai gli occhi, come uno splendido dipinto in cui il pittore, nonostante la tecnica squisita, non fosse stato in grado di instillare una scintilla di vita.

Con quanta superficialità la guardava allora, la stupida illusione di averla in fondo compresa senza aver scambiato con lei altro che poche, sterili parole di circostanza.

E lei forse l’aveva allora inquadrato per ciò che in fondo era, ovvero un ingenuo ragazzino troppo preso dal rincorrere il fantasma di una cotta adolescenziale per vedere realmente ciò che aveva davanti.

L’aveva vista realmente forse per la prima volta il mese precedente, quando se l’era ritrovata davanti con un fiasco di vino in una mano e due bicchieri vuoti nell’altra, in una muta offerta di sostegno nei confronti di qualcuno che a malapena conosceva.

Era così El, e l’aveva scoperto per caso. Sempre pronta ad aiutare un amico, un animaletto randagio e persino un soldato a malapena adulto che tentava di nascondere ai suoi occhi attenti le tracce di lacrime che ancora gli solcavano il viso.

Quella sera si erano seduti l’uno di fronte all’altra e avevano iniziato a bere, parlando del più e del meno come se fossero amici di vecchia data. Le confidenze erano arrivate più tardi, via via che passavano i giorni e la tristezza che lo avvolgeva veniva lenita poco a poco dalla presenza di lei.

Era stato oltremodo destabilizzante rendersi conto di quanto fosse diventato dipendente da quei momenti. Per quanto la sua mente non avesse ancora neppure concepito l’idea, El era diventata indispensabile per lui. La sua calma serafica, i suoi gesti misurati erano un balsamo sulle sue ferite ancora aperte.

E ancora una volta aveva creduto di conoscerla, e ancora una volta si era sbagliato. Di nuovo aveva visto ciò che lei voleva mostrare, il suo sguardo non era stato in grado di penetrare il muro che lei aveva eretto tra sé ed il resto del mondo, soffocando le emozioni per evitare che fossero loro a soffocarla, privandola del respiro e della voglia di vivere.

Lei gli aveva detto, una volta, che le emozioni non erano importanti, che non avrebbe dovuto lasciare che lo condizionassero a tal punto. E lui le aveva chiesto di insegnargli a metterle da parte, per non soffrire più così tanto. Ma lei non l’aveva ascoltato, e così era stato lui, alla fine, ad insegnarle quanto potesse essere bello provarle di nuovo.

La prima volta che aveva avuto l’ardire di stringerla tra le braccia lei era incerta, spaventata come e più di lui da quell’impulso a cui nessuno dei due sapeva dare un nome. Troppo forte per essere solo affetto, troppo pregno di significati per essere puro desiderio. Era l’una e l’altra cosa, e molto altro ancora. Ma questo l’avrebbero scoperto solo più tardi.

Quando aveva sfiorato le sue labbra aveva capito che nulla avrebbe mai potuto cancellarla dal suo cuore, e che ormai era tardi, irrimediabilmente tardi. Si erano assaggiati, morsi, respirati per un'istante infinito prima di separarsi di pochi millimetri, guardandosi negli occhi. Avevano cercato in quelli dell'altro un motivo per andarsene, ora, prima che tutto diventasse ancora più difficile. E non l'avevano trovato.

E ancora ora, mentre la stringeva tra le braccia, sapendola finalmente e soltanto sua, si ritrovava a volte a chiedersi come avesse potuto essere così stupido, un tempo. Aveva avuto sotto gli occhi la pietra più preziosa, e l’aveva scoperto soltanto per caso e grazie ad una serie infinita di stupefacenti coincidenze. Coincidenze per cui avrebbe dovuto decisamente ringraziare qualsiasi divinità conosciuta per molto, moltissimo tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** In realtà è molto di più ***


La prima lettera di Justin ad Elenoire, quando era ancora tutto maledettamente complicato, ma le parole uscivano dalla penna senza che riuscisse a fermarle.
Alla mia El, che mi ispirava anche prima che decidessi di scrivere una ff su di noi <3
E alla mia doppia parabatai, che sapeva ciò che sarebbe stato prima ancora che lo sapessi io :3



El…

Il  tuo nome ha un gusto dolce, per me, sai? Sa di crema al cioccolato, quella del dolcetto che mi hai praticamente costretto a mangiare quella sera, quando ancora tutto quello che sarebbe successo tra noi non era nemmeno un’ipotesi nella mia mente.

Sei entrata nella mia vita in punta di piedi, scivolando attraverso una porta socchiusa che credevo fosse sigillata per sempre.

Con il volto dolente e preoccupato di un’amica sincera, e le mani fresche che sono state il balsamo più dolce per le mie ferite.

Ogni volta che mi sfioravi sentivo il dolore diminuire a poco a poco, sostituito da una sorte di attonita sorpresa.

Non l’avevo previsto, El. Non avevo previsto che starti vicino sarebbe stato così destabilizzante, che mi avrebbe spinto a desiderare con tutto me stesso qualcosa che non potevo avere.

E non parlo di desiderio fisico. Ho sempre trovato che tu fossi bellissima, non lo nego, ma non era la componente principale. Desideravo che tu mi guardassi, volevo essere nei tuoi pensieri. Volevo essere importante, per te, quanto tu lo stavi diventando per me giorno dopo giorno.

E mi sono scoperto geloso, geloso marcio di Cain, perché tu eri sua, in un modo in cui pensavo non avresti mai potuto essere mia. Gli appartenevi, nonostante lui sembrasse non rendersi conto della fortuna immensa che aveva.

L’ho odiato per come ti trattava, perché nonostante tutto volevo il meglio, per te. Se lui fosse stato diverso probabilmente non avrei mai trovato la forza di lasciarti intuire ciò che provavo. Avrei soffocato i miei sentimenti e mi sarei accontentato di saperti felice, anche se accanto ad un altro.

Ma non eri felice, e io non potevo sopportarlo. Così ho pensato che forse, se tu mi avessi dato una possibilità, avrei potuto essere io a renderti felice. Avrei dato tutto me stesso per vederti sorridere davvero, per cancellare dal tuo volto quella malinconia che era impossibile non leggervi.

E quando mi hai baciato per la prima volta ho capito che non avrei più potuto farne a meno. Stringerti tra le braccia, così piccola e fragile, è la sensazione più bella che abbia mai provato, in tutta la mia vita.

Ma nonostante tutto non avrei accettato di dividerti con lui. E’ giusto che tu lo sappia. Se tu non avessi scelto l’avrei fatto io per tutti e due. Perché ora che ti ho trovata non posso concepire l’idea di saperti tra le braccia di chiunque non sia io.

Ti voglio per me, El, così tanto che a volte ho la sensazione che questo sentimento sia troppo grande per essere contenuto nel mio cuore. Voglio addormentarmi sapendo che da qualche parte anche tu stai pensando a me, e svegliarmi ogni mattina con la speranza di poterti incontrare, anche solo per pochi minuti.

E’ questo, il motivo. Non Bells. E sì, credo si possa anche dire semplicemente che mi renderebbe felice. Ma in realtà è molto di più.

Tuo
Justin

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Non tutte le principesse hanno bisogno di un principe azzurro ***


A Min, che, ormai è assodato, è la mia musa ispiratrice <3


“Non tutte le principesse hanno bisogno di un principe azzurro, per svegliarsi; ad alcune basta un caffé”.

Ogni volta che Belladore le ripeteva quella frase, Elenoire non poteva fare a meno di sorridere. Non ci aveva mai creduto, al principe azzurro. Neppure da bambina, ed ancora meno con il passare del tempo. Era diventata una cortigiana giovanissima, e quella vita non lasciava granché spazio a fantasie romantiche.

Quando aveva incontrato Nives aveva quindici anni. Per la prima volta qualcuno aveva guardato oltre il suo aspetto da bambola di fine porcellana, ed era stato in grado di sfiorare il suo cuore. L’aveva amato, con tutto l’ardore dell’adolescente che aveva scoperto di essere solo con lui. L’aveva desiderata come una donna e coccolata come una bambina, illudendola che ci fosse un per sempre, per loro. Lei aveva scelto di ignorare l’ovvio: Nives era un vampiro. Prima o poi lei sarebbe sfiorita, e morta, e lui avrebbe continuato a vivere in eterno. Il loro per sempre sarebbe stato spezzato. Ma non era stato neppure necessario attendere così tanto. Più semplicemente lui se n’era andato, aveva scelto di abbandonarla senza una spiegazione, lasciandola preda di un dolore che bruciava come sale sotto la pelle.

E proprio allora era arrivato Cain. Con la sua bellezza squisita da cherubino ed una luce pericolosa in fondo agli occhi chiari, che la attraeva e la spaventava allo stesso tempo. Cain, che più che voluta l’aveva pretesa, che le aveva donato una nuova speranza di essere felice. Era cresciuta, gli anni e la perdita l’avevano fatta maturare in fretta. Era consapevole, stavolta, che non sarebbe stato per sempre. Aveva affrontato la nuova relazione con una sorta di pacata rassegnazione, tentando di godere al meglio dei momenti che la vita le offriva, senza pensare al futuro. Ma di nuovo era stata delusa. Perché Cain era rimasto, ma il suo cuore no. Stancatosi della novità aveva ricominciato a seguire la vena edonistica che sembrava caratterizzare la sua stirpe, dimenticandola in un angolo ogni volta più a lungo, e tornando da lei come ad un porto sicuro dalla tempesta, ma non abbastanza eccitante da trattenerlo quando splendeva il sole.

Non aveva saputo resistere a questa ulteriore delusione. L’amarezza si era impadronita di lei, gli anni, che non erano ancora riusciti a lasciare solchi sul suo viso perfetto, l’avevano fatto nel suo cuore. Aveva perso la gioia di vivere, ed era diventata ciò che aveva lottato tutta la vita per non essere. Fredda come il ghiaccio, forte come l’acciaio. Incapace di commiserare sé stessa per ritrovarsi, a poco più di vent’anni, stufa della vita e dei dolori che portava con sé.

La prima volta che aveva visto Justin era alla Locanda della Luna Piena con un gruppetto di studenti, ascoltando annoiata discorsi pieni di un entusiasmo che lei non sentiva più da troppo tempo. Aveva intravisto il ragazzo moro dall’altro lato del tavolo, lo sguardo fisso su di lei ed un lento, pigro sorriso di apprezzamento a stirargli le labbra. Aveva mormorato un complimento di qualche genere, e lei aveva risposto con una buona dose del suo proverbiale sarcasmo. Lui non si era scomposto. Non si era arrabbiato, né aveva insistito. Si era limitato a fissarla in silenzio per qualche istante, una scintilla di pura curiosità in fondo agli occhi chiari. Poi era stato chiamato da uno dei suoi compagni e si era seduto, senza più guardarla. Lei aveva dimenticato in fretta quello sguardo intenso, archiviandolo in un angolo della sua mente insieme al resto della serata.

Aveva sentito parlare di lui da Belladore, qualche settimana dopo. Pareva che avesse messo da parte la sua fama di sciupafemmine per dedicarsi solo alla sua bella cugina, la giovane Caroline. L’aveva intravista un paio di volte per strada, il portamento fiero di chi sa di essere ammirata, e non ha paura di dimostrarlo. Aveva ripensato solo per un istante a quegli occhi verdi, che per un attimo erano riusciti a colpirla, poi era tornata a dedicarsi al suo ricamo, dimenticandoli nuovamente.

Nelle settimane successive aveva spesso sentito parlare di loro, stralci di conversazioni oziose tra studenti, pettegolezzi da Studium. Aldenor sembrava davvero un covo di comari, a volte. Parlavano di fiori consegnati allo scoccare della mezzanotte, litigate furiose seguite puntualmente da risse epocali in qualcuna delle locande della Cittadella, ed appassionate riappacificazioni. Pareva che tutto dovesse essere eccessivo, per loro. Nel bene e nel male. Ma mai, neppure una volta, l’aveva visto a Palazzo Belmont, e a quanto aveva sentito non frequentava da tempo neppure gli altri bordelli della città.

Li aveva sorpresi soltanto una volta durante una delle loro famose litigate. Si era nascosta lesta dietro una colonna di marmo, aspettando il momento per poter sgattaiolare via senza essere vista. Litigavano a causa della gelosia del ragazzo per gli atteggiamenti affettuosi che Caroline dimostrava nei confronti del suo amico Damian e di Julian, il suo giovane compagno umano. L’aveva vista più volte abbracciarli e baciarli in maniera forse eccessiva. Lei stessa, si era ritrovata a pensare, aveva sofferto spesso per episodi simili. Ma a quanto pareva il giovane Justin era molto meno incline di lei ad una paziente sopportazione, perché aveva voltato le spalle alla sua ragazza e se n’era andato furioso, mentre lei batteva il piede a terra in preda alla medesima rabbia.

Aveva saputo per caso della loro rottura. Era alla taverna da sola, seduta davanti ad una birra in attesa di alcuni amici, quando aveva sentito una voce conosciuta proveniente da un paio di tavoli più in là. Julian batteva la mano sulle spalle incurvate di Justin, che teneva il volto chinato nel vano tentativo di nascondere all’amico le lacrime che brillavano all’angolo delle ciglia. Erano entrambi troppo concentrati per badare a lei. Si era concessa di ascoltare con blando interesse i pochi frammenti di conversazione che la confusione del locale le aveva permesso di carpire. Era stata Caroline a lasciarlo, ma non era certa di aver compreso il motivo. Justin continuava a ripetere qualcosa sul fatto che lui avrebbe voluto un rapporto troppo serio, e lei si era spaventata. Aveva sbuffato piano, infastidita. Come poteva una ragazza spaventarsi per essere amata troppo?

Justin aveva tentato di ordinare un secondo fiasco di vino, ma Julian con un cenno del capo aveva congedato il cameriere, dichiarando che aveva bevuto troppo, per quella sera. La Sinclair che era in El si era ribellata a quella frase. Il giovane era un uomo, ormai. Ed un uomo aveva il sacrosanto diritto di bere fino a perdere i sensi, se lo riteneva opportuno. Specialmente in una situazione del genere. Poi erano arrivati i suoi amici, distraendola dal suo ozioso passatempo, e quando aveva guardato di nuovo nella loro direzione i due erano spariti.

Non sapeva cosa l’avesse spinta. Da anni non prendeva iniziative, non faceva nulla che non ci si sarebbe aspettato da lei. Eppure la sera prima il ragazzo l’aveva colpita nel profondo. Nonostante le lacrime e le spalle curve, non l’aveva trovato debole. L’orgoglio dei Sinclair, che aveva colto nei suoi occhi mentre litigava con la sua fidanzata, era ancora lì, da qualche parte. Era come un lupo, si era ritrovata a pensare. Un grosso lupo ferito. E certe ferite si curano meglio in compagnia. Si era ritrovata davanti alla sua porta, con un fiasco di vino in una mano e due bicchieri nell’altra. Aveva bussato in fretta, prima di cambiare idea, e aveva sorriso dello stupore in fondo agli occhi verdi del ragazzo, quando aveva aperto e se l’era ritrovata davanti.

-        Stasera ci ubriacheremo!

Aveva esordito, superandolo agevolmente per scivolare all’interno e poggiare i bicchieri sulla scrivania.

Si erano ubriacati, in effetti. E da lì era cominciato tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** First (and Second) Kiss... ***


A Min. Semplicemente a Min. <3


Da ragazzino, ad Alteries, Justin aveva trovato per caso un falco ferito dalla freccia di un cacciatore. Era uno splendido esemplare, ma il dolore all’ala rotta e la fame che aveva probabilmente sofferto a causa dell’impossibilità di volare l’avevano fiaccato ed indebolito. Il suo sguardo color ambra, un tempo probabilmente fiero e glaciale, sembrava in qualche modo sperduto mentre si nascondeva tra i cespugli, cercando di sfuggirgli.

L’aveva blandito con pezzi di carne fresca rubati nelle cucine del palazzo ed una dose infinita di pazienza, restando seduto per terra interi pomeriggi, osservandolo farsi ogni giorno più forte e meno spaventato dalla sua presenza. Mentre inizialmente era costretto ad appoggiare il cibo a terra ed allontanarsi di almeno dieci passi perché il rapace si decidesse a nutrirsi, nel giro di una settimana era lo stesso volatile a precipitarglisi incontro quando lo vedeva arrivare, trascinandosi malamente dietro l’ala spezzata e arrivando a strappare lembi di carne cruda direttamente dalle sue mani.

La prima volta che l’aveva afferrato, stringendo tra le mani il corpo del falco e l’ala sana, e tentando di non sfiorare quella spezzata, aveva temuto che si rivoltasse. I falconieri del palazzo portavano spessi guanti di cuoio quando maneggiavano gli animali, e si trattava di esemplari spesso nati e cresciuti in cattività. Acheron, così aveva battezzato l’animale, era al contrario selvatico e per di più ferito, e Justin aveva scelto di non mettere alcuna protezione sulle mani, temendo di provocare dolore al falco se avesse sfiorato per errore la sua ferita.

Ma il rapace era rimasto immobile tra le sue mani, fissandolo con sguardo atterrito, mentre avvertiva sotto le dita il battito impazzito del suo piccolo cuore. Il suo corpo era esile sotto il piumaggio superbo, e Justin poteva avvertire tutta la fragilità delle sue ossa cave. Quell’animale stupendo, che un tempo aveva certamente volato libero nei cieli di Alteries, incurante di quel mondo insignificante che si stendeva sotto di lui, era ridotto ad un terrore immoto misto, probabilmente, ad un germe di fiducia nel ragazzo che l’aveva lentamente riportato alla vita.

Justin non poté non ricordare Acheron mentre stringeva tra le braccia Elenoire, il suo corpo esile ed il suo cuore impazzito gli ricordavano disperatamente l’animale fiero ma ferito che aveva salvato anni prima.  La ragazza tremava tra le sue braccia, e ciò che li univa era ancora talmente incerto che non riusciva ad indovinarne il motivo, se fosse per paura, desiderio o... Non osò neppure formulare quel pensiero, conscio di quanto grande sarebbe stata la delusione se si fosse permesso di illudersi, ed i fatti l'avessero poi smentito. Gli occhi grigi di El, specchi d'argento in cui perdersi pareva semplice quanto respirare, erano spalancati e fissi nei suoi. Quegli occhi parevano volergli trasmettere qualcosa che ancora non poteva essere espresso a parole. Poteva leggervi confusione per quel gesto inaspettato, e un tormento che gli strinse il cuore.

Non fu razionale, chinarsi lentamente su di lei, lasciandole tuttavia il tempo di scostarsi, se avesse voluto. Sfiorò appena le sue labbra, un tocco leggero come il battito d’ali di una farfalla, ed assaporò su di esse la dolcezza della crema al cioccolato che lei aveva appena mangiato. Al di sotto ebbe appena il tempo di intuire il suo sapore, ancora più dolce ed inebriante del cioccolato, prima che El puntasse le sue piccole mani contro il suo petto e lo spingesse via. Lo fece lentamente, il tocco più simile ad una carezza che ad una spinta, ma fu sufficiente a farlo allontanare e ad aprire una voragine nel suo cuore.

-        Noi… non possiamo! Scusami, Justin…

Elenoire mormorò quelle parole a voce talmente bassa che fece quasi fatica a coglierne il significato, la testa china e le mani ancora artigliate a tormentare la stoffa della camicia di Justin. Il ragazzo rimase immobile, attendendo che lei aggiungesse qualcosa a quella condanna appena sussurrata, ma quelle labbra soffici, che aveva baciato solo un istante prima, restarono ostinatamente chiuse. La staccò da sé con un sospiro, avvertendo un gelo improvviso che non era dovuto soltanto all’improvviso venire meno del calore di lei. Era stato un azzardo, baciarla. Ma se non avesse almeno tentato, ne era certo, l’avrebbe rimpianto per il resto della sua vita. La vide fissarlo smarrita, da sotto in su, mentre le sfiorava il volto con le nocche, in una carezza appena accennata.

-        Elenoire… non devi scusarti. Non ci si dovrebbe mai scusare per il fatto di non ricambiare un sentimento. Come io spero di non essermi guadagnato il tuo biasimo per quello che ho fatto poco fa…

Elenoire lo fissava in silenzio, tormentandosi il labbro inferiore tra i denti candidi. Averla ancora così vicina era troppo, in quel momento. Sentiva l’impellente necessità di allontanarsi, fisicamente ed emotivamente, almeno per gli istanti necessari a riprendere il controllo di sé, resistendo all’impulso irrazionale di baciarla ancora. Impulso che, se l’avesse assecondato, gli sarebbe probabilmente costato cinque dita stampate in faccia e la fine definitiva di quell’amicizia che restava comunque per lui troppo importante per essere messa a rischio. Fece un passo indietro e le voltò le spalle, sperando in cuor suo che lei capisse e lo lasciasse solo.

Passarono alcuni istanti, e lui fu quasi certo che Elenoire avesse lasciato la stanza, silenziosa come suo solito, quando una mano esile ma decisa si posò sulla sua spalla, inducendolo a voltarsi. Prima che la sua mente sorpresa potesse realizzare cosa stava accadendo due braccia sottili circondarono il suo collo, intrecciando le mani sulla sua nuca, e la labbra soffici di Elenoire furono sulle sue. Fu un bacio rapido ma bruciante, ben diverso dal tocco esitante di poco prima. Quando la ragazza si staccò da lui aveva gli occhi brillanti e le gote arrossate.

-        Buonanotte, Justin Sinclair…

Mormorò guardandolo negli occhi, un sorriso leggero ad incurvarle le labbra, prima di voltarsi ed uscire velocemente dalla stanza. Il ragazzo rimase in silenzio a fissare la porta chiusa, incapace di realizzare quello che era appena accaduto, mentre un esile germe di speranza tornava a sbocciare nel suo cuore. Acheron era ancora ad Alteries, ed ogni volta che tornava a casa la falconeria era la sua prima meta. L’animale era il suo orgoglio più grande, la dimostrazione che l’amore e la costanza possono vincere qualsiasi ostacolo. Elenoire l’aveva appena relegato al secondo posto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1699501