Far over - I mallë pella ëa

di Raella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ogni caso ***
Capitolo 2: *** La Via prosegue ***
Capitolo 3: *** Benvenuti a Granburrone ***
Capitolo 4: *** Turn Loose ***
Capitolo 5: *** Nel vento ***
Capitolo 6: *** A war in my mind ***
Capitolo 7: *** Alba ***



Capitolo 1
*** Ogni caso ***


Poteva accadere.
Doveva accadere.
È accaduto prima, dopo.
Più vicino, più lontano.
È accaduto a te.

 
8 Lairë, anno 2941, terza era
 
Seguiva gli Uomini Neri ormai da una settimana, quando finalmente questi tornarono alla loro grotta. Cercavano qualcosa da mangiare ed erano molto, molto affamati, e per questo motivo Enara aveva prestato particolare attenzione a stare ben distante da loro.
In quel momento penzolava da un ramo, circa cinque metri più in alto rispetto alle loro puzzolenti persone. Non che lei fosse meno puzzolente, sia ben chiaro. Per prima cosa aveva impiegato quasi tre settimane per trovarli, e da una li seguiva, pertanto in linea di massima era circa un mese che non si lavava. Inoltre, per sviare gli olfatti dei Vagabondi si era rotolata per bene in aghi di pino e quant’altro, che insieme alla mancanza di pulizia avevano avuto come risultato un odore a dir poco rivoltante, che lei stessa faceva fatica a sopportare. Per i Vagabondi invece doveva essere un odore più che normale, e per questo motivo non l’avevano notata. Come se non bastasse, più di una volta era anche caduta (o quasi) dagli alberi su cui si spostava per seguirli, con conseguenze meno gravi, come lividi, graffi e quant’altro, e più gravi, come il rumore che aveva provocato. Spesso c’era mancato poco per farsi scoprire.
Enara era in grado di sopportare tutto questo solo al pensiero di tutto ciò che avrebbe trovato nella grotta dei Vagabondi. Nei momenti peggiori, per esempio quando quei dannati esseri puzzolenti mangiavano tutto ciò che c’era nei dintorni, e a lei non rimaneva niente da mettere sotto i denti ed era costretta a passare giorni a digiuni, cibandosi di bacche (quando le trovava) o di altre cose poco salutari. Nei momenti peggiori dicevo, il pensiero di tutto ciò che quegli zotici avevano racimolato in anni di vagabondaggi e scorrerie le dava la forza di non desistere.
Ed infine i tre Vagabondi decisero di tornarci, e, seguendoli il più silenziosamente possibile, Enara si rese conto che senza la loro “guida” nemmeno il miglior cacciatore di tesori (cosa che lei assolutamente non era) sarebbe stato in grado di trovare la grotta. Forse solo uno stregone ci sarebbe riuscito, se ne esisteva ancora uno.
 
Gongolando di gioia fra sé e sé Enara li osservò entrare nella grotta, attese qualche tempo e, quando finalmente li vide uscire, discutevano – tanto per cambiare – di quanto avevano fame. Ma quanto diavolo mangiano ‘sti dannati esseri?, si chiese per l’ennesima volta da quando aveva iniziato a seguirli. Infine, dopo essersi picchiati – e come sempre il Vagabondo di nome Guglielmo era quello che le prendeva di più – e presi a bastonate, si allontanarono, senza curarsi del rumore insopportabile che facevano.
Enara si sforzò di aspettare il più possibile, ma si sentivano ancora in lontananza le loro voci quando balzò giù dall’albero, davanti alla grotta. Si guardò attorno.
Era notte, com’era ovvio dato che i Vagabondi non potevano che uscire allo scoperto quando non c’era il sole, salvo che non volessero essere tramutati in pietra. Valutò che in linea di massima sarebbero tornati poco prima dell’alba e, poiché mancavano ancora più di un paio d’ore al sorgere del sole, si rese conto di avere un sacco di tempo a disposizione.
Il sentiero che conduceva all’entrata della grotta era pieno di curve molto strette, e gradatamente sempre più profondo fino a sembrare un piccolo canyon, e solo alla fine c’era uno spiazzo. Dov’era lei le pareti raggiungevano quasi i sette metri d’altezza.
Ripercorse i passi dei Vagabondi ed un paio di curve prima dello spiazzo si fermò. Estrasse dallo stivale un pugnale lungo quasi quanto il suo avambraccio, lo gettò in terra e lo coprì con un poco di terriccio badando di lasciarlo comunque ben visibile. In questo modo se i Vagabondi fossero arrivati prima del previsto avrebbero perso tempo ad urlare con i loro vocioni e lei sperava di poterne approfittare per fuggire. Era in effetti un pugnale parecchio appariscente, acquistato apposta per l’occasione. In effetti era partita con l’idea di comprarlo onestamente, poi era giunta alla conclusione che un oggetto così pacchiano, con numerose pietre preziose (finte) incastonate nell’impugnatura, non valeva nemmeno un quarto del suo prezzo, e ovviamente l’aveva rubato. Se fosse stata lei il venditore a cui fosse stato rubato sarebbe solo stata contenta di essersene liberata.
Prese queste precauzioni si precipitò nella grotta, perché non riusciva più ad aspettare. Entrò. C’erano ossa sul pavimento e un odore sgradevole nell’aria; ma c’era anche una grande quantità di cibo gettato alla rinfusa su alcuni scaffali e sul terreno e, in gran disordine, il bottino di molte scorrerie. C’era di tutto: bottoni d’ottone e pentole piene di monete d’oro che stavano in un angolo. C’erano anche molti vestiti, appesi alle pareti – troppo piccoli per Uomini Neri, appartenevano sicuramente alle loro vittime – ed in mezzo ad essi molte spade di varia fattura, forma e dimensione.
Enara rimase qualche secondo a rifarsi gli occhi di fronte a tutto quel bendidio prima di darsi da fare. Non dedicò nemmeno uno sguardo alle spade, perché difficili da trasportare e da rivendere, e tuffò subito le mani nei pentoloni straripanti di monete d’oro e riempì quattro sacche fino all’orlo, aggiungendo ogni tanto qualche pietra preziosa trovata qua e là. Adocchiò la fodera di un pugnale e se la infilò nello stivale, per sostituire quella pacchianata che non aveva nessunissima intenzione di riprendere.
Quando ebbe finito di arraffare un po’ di tutto si alzò e si mise le sacche in spalla, piegandosi sotto l’ameno peso dell’oro. Agguantò una mela, che stava insieme al resto del cibo, ritenendo che fosse una delle poche cose da mangiare ancora sana e salterellò contenta fuori dalla grotta, gongolando fra sé e sé e complimentandosi per la furbizia e la bravura e la fortuna.
Uscì dalla grotta ed addentò la mela. Fece solo più in tempo a pensare che aveva davvero fatto un bel bottino quando sentì un dolore lancinante alla testa e tutto divenne buio.
 

 
Avendo avuto un non molto roseo o divertente incontro con i Vagabondi, i Nani non vollero sentire ragioni quando si resero conto che dentro la grotta di Berto, Maso e Guglielmo c’era qualcuno. Perfino Gandalf si era convinto che chiunque osasse entrare lì non poteva essere che un problema per loro. Solo Bilbo aveva sollevato delle proteste, o meglio aveva provato a sollevarle, ma Dwalin l’aveva messo a tacere con un’occhiataccia.
Per questo motivo si erano acquattati all’entrata della grotta ed avevano atteso che il ladro uscisse con il tesoro, con il loro tesoro a dirla tutta! Bilbo aveva borbottato che chiunque fosse si sarebbe sicuramente reso conto che c’era qualcuno fuori a causa di tutto il “chiasso nanesco” – come lo chiamava lui – che facevano i suoi compagni, ma evidentemente non era così. In effetti, i nani erano, sì, di gran lunga più rumorosi del piccolo hobbit, ma nel loro complesso erano in grado di passare inosservati quando lo volevano e quello era uno di quei momenti.
Avevano atteso dunque e appena il ladro era uscito dalla grotta, Dwalin l’aveva colpito con l’elsa della sua arma e si erano tutti affrettati a strappare le borse del tesoro – del loro tesoro! – dalle spalle della vittima e a legare quest’ultima come un salame.
Solo una volta sicuri che il ladro non potesse scappare in alcun modo si precipitarono all’interno della grotta.
A differenza di Enara, i Nani erano particolarmente interessati anche alle armi e due in particolare attrassero il loro sguardo. Avevano entrambe delle guaine stupendamente lavorate, in uno stile antico e tutt’altro che nanico. Thorin avvolse la mano attorno ad una in particolare, la cui elsa era di un materiale che gli era sconosciuto, nero, e di forma affusolata. La estrasse completamente dal fodero e alla poca luce che proveniva dall’esterno si rese conto che la lama che ricordava quella di una sciabola era perfetta, con le rune incise sopra ancora perfettamente leggibili, nonostante tutte le spade della grotta fossero avvolte in una spessa coltre di ragnatele. Gandalf si avvicinò alla seconda spada, che aveva il fodero d’avorio, la estrasse e la osservò attentamente: essa era bianca ed oro, con la lama a forma di foglia lanceolata ed incastonata nella guardia c’era una piccola pietra grezza blu. Tentò di decifrare le rune che erano incise anche su questa spada, ma, pur comprendendo che era elfico, non fu in grado di leggerlo:
« Sono state forgiate senza dubbio a Gondolin, dagli Elfi Noldor della Prima Era. » disse osservando con divertimento la reazione di Thorin, che provava un odio radicato nei confronti degli Elfi in primis ed in secondo luogo nei confronti di tutto ciò che aveva a che fare con essi.
Il nano fece per gettare la propria lama nel mucchio insieme alle altre, ma Gandalf lo fermò aggiungendo: « Non potresti desiderare spada migliore di questa. » Al che Thorin lo guardò senza cambiare il suo cipiglio serio e con aria di noncuranza se la legò alla cintura. Dopo di che tornò dagli altri nani che stavano saccheggiando la caverna.
Gandalf sorrise e nell’oscurità della grotta nessuno lo vide, se non Bilbo. Lo hobbit era rimasto un po’ sull’entrata, titubante a lasciare fuori da solo il “ladro”, seppure svenuto. Infine, udendo le esclamazioni estasiate dei nani, era entrato, pur riluttante. Si era quindi messo a curiosare qua e là nei mucchi di monete e la sua curiosità era stata ripagata. Aveva infatti trovato, sommersa e quasi invisibile, la fodera di un pugnale. Esso agli occhi dei Vagabondi poteva sicuramente sembrare nient’altro che un coltellino per togliersi i residui di cibo da in mezzo ai denti, ma per un piccolo hobbit come Bilbo era una spada perfetta.
 
I tredici nani osservavano con sospetto il ladro. O meglio la ladra, perché, ebbene sì, si erano infine resi conto di aver legato come salame un’appartenente al gentil sesso.
« Gentil sesso? » borbottava Dori poco convinto « Questa donna aveva su di sé un arsenale da guerra! Altro che gentil sesso… »
Dwalin aveva infatti provveduto a disarmare la donna e ciò che aveva trovato alla sua cintura, negli stivali, in asole nascoste dei pantaloni e anche in altri posti meno simpatici non aveva fatto altro che accrescere il sospetto che i nani provavano nei confronti della quasi-ladra del loro tesoro.
Ai loro piedi stavano due pugnali lunghi quasi quanto un avambraccio, diverse daghe dalla lama lunga quanto una mano, una cerbottana con le sue munizioni e cinque strani aghi con la coda piumata. Questi ultimi in particolare avevano insospettito i nani perché erano accompagnati da una fiala che nessuno aveva il coraggio di aprire e che – se le loro ipotesi erano giuste – doveva contenere del veleno.
« Io direi di darle un altro colpo in testa e di lasciarla qui. » disse Gloin e suo fratello Oin assentì
« Dovremmo svegliarla, invece, e cercare di estorcerle qualche informazione! » fece Kili, battendo il pugno destro sul palmo della mano sinistra con convinzione, e Fili si precipitò subito a prendere una borraccia piena d’acqua e stava già per rovesciarla in testa alla donna quando intervenne Ori che con uno sguardo torvo lo convinse a desistere:
« Per quanto ne sappiamo » disse scuotendo la testa « potrebbe avere dei compagni nascosti nei dintorni, ed una volta sveglia potrebbe strillare come una donnicciola e in men che non si dica ci ritroveremmo circondati. Io la penso come Gloin. »
« E poi quali informazioni vuoi estorcerle, cocciuto d’un nano? » esclamò Dwalin, colpendo Kili alla testa con un gomitata.
In men che non si dica si scatenò un putiferio, ed ogni nano urlava la propria cercando di sovrastare gli altri. Thorin taceva, cercando di mantenere la calma e non cedere alla tentazione di far cocciare le teste dei Nani contro il terreno.
Gandalf se la rideva perché aveva notato una cosa che ai Nani era sfuggita. Aveva intenzione di godersi ancora per un po’ la lite dei compagni, quando Bilbo, con tutta l’innocenza di cui era dotato, disse:
« È sveglia! » e tutti gli sguardi si puntarono sulla ladra
« Sveglia? » fece Dwalin avvicinandosi alla donna per scuoterla « Se dopo la botta che le ho dato, è sveglia, giuro che sono un… » e non fece in tempo a terminare la frase che si ritrovò steso con la faccia nella terra.
In un movimento fulmineo, infatti, la ladra gli aveva fatto uno sgambetto, si era velocemente alzata e si sarebbe precipitata giù per il sentiero, se non avesse perso l’equilibrio nelle sue stesse sacche. Nel baccano dei Nani, che per prenderla si spingevano l’un l’altro, si rialzò, mollò una ginocchiata nello stomaco a quello più vicino – uno molto grasso – e scattò verso la via tortuosa che portava lontano dalla grotta quando inciampò nel bastone che Gandalf aveva – casualmente – allungato dietro i Nani e, nel giro di un respiro, si ritrovò sulle ginocchia con una spada puntata alla gola.
 
Enara alzò gli occhi ed incontrò lo sguardo di Thorin. Dei Nani mi hanno fregata, dei dannati Nani!, pensava freneticamente dentro di sé, mentre guardava da una parte e dall’altra alla ricerca di una via di fuga. Come diavolo hanno fatto ad avvicinarsi senza farsi sentire?
« Legatela ad un albero. » sbottò il nano ed i suoi compagni si affrettarono ad eseguire l’ordine, non preoccupandosi di stringerla troppo né di trasportarla con poca grazia. Nel frattempo Bombur si rotolava a terra stringendosi lo stomaco per il dolore della ginocchiata della donna. Mentre Dori la legava ad un albero, appena fuori dalla grotta, si prese anche un morso e così decisero di imbavagliarla. Dopo di che decisero di riprendersi dalla dura giornata accampandosi a mangiare e dormire, con il sole che si alzava lentamente all’orizzonte.
Enara provava a muoversi, a sgusciare fuori dalle corde, pur consapevole di avere addosso gli occhi penetranti di Gandalf, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a muovere un muscolo.
Se il Fato aveva voluto che ciò accadesse dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovare il tesoro dei Vagabondi, Enara non lo sapeva, né voleva saperlo. Pensò con rabbia che se avesse avuto davanti a sé il responsabile della sua sventura l’avrebbe conciato per le feste. Poi si rese conto che, legata com’era, poteva fare ben poco.
In uno sbuffo d’irritazione si mosse come se fosse un verme, e tutto ciò che ottenne fu che Bombur le lanciò addosso del cibo non meglio identificato, ma che dalla puzza che lei ormai aveva imparato a riconoscere sembrava essere appartenuto ai Vagabondi.
Pertanto rimase lì, legata ed imbavagliata, puzzolente, con un bernoccolo sanguinante in testa, a guardare i nani, lo hobbit e lo stregone banchettare allegramente circondati dal suo tesoro. Sospirò.
Temo che questo sia quello che chiamano karma.


 

✽ ✽ 



Elen sìla lmenn' omentielvo, cari lettori!
Era da un po' di tempo che pensavo a questa fanfiction, che, sa andrà effettivamente in porto, sarà la mia prima longfic. Che dire? E' un esperimento per ora, anche se spero sinceramente di continuarla. In linea di massima ho intenzione di seguire il libro, pur cambiando qualche cosina qua e là. Per esempio ho voluto che la grotta fosse aperta, per permettere ad Enara di gongolare un po' prima della bastonata. Sì, sono cattiva XD
Comunque, ditemi cosa ne pensate, se c'è qualcosa da correggere, se vi piace così com'è, se è da buttare nel gabinetto...
Il titolo della fanfiction "Far over" prende ovviamente ispirazione dalla canzone che cantano i Nani, ovvero "Far over the Misty Mountains". La frasee in quenya riprende un verso della canzone di Bilbo, quello che fa "Ora la Via è fuggita avanti", anche se in realtà la traduzione che ho fatto significa "la Via è lontana" e non sono assolutamente un'esperta di lingue tolkieniane, quindi se avete delle correzioni linguistiche da farmi siete i benvenuti (: Il titolo del capitolo "Ogni caso" è di una poesia di Wislawa Szymborska - poetessa mancata l'anno scorso che io personalmente adoro -, e la citazione all'inizio del capitolo sono proprio i primi versi di questo suo componimento. Un'ultima noticina va alla data all'inizio del capitolo: secondo la cronologia che seguirò per la fanfiction, la compagnia di Thorin incontra i Vagabondi/Uomini Neri il 29 maggio del calendario gregoriano, il che corrisponde al 
8 Lairë del Computo di Imladris.
Un abbraccio, alla prossima!

PS. I credits dell'immagine che trovate nel tag a inizio capitolo appartengono a Joel Weirauch, e l'immagine in questione potete trovarla qui: http://joelbw.com/2012/10/big-ass-long-loop-bike-tour-day-2/.

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Capitolo 2
*** La Via prosegue ***


La Via prosegue senza fine
lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
devo inseguirla ad ogni costo
rincorrendola con piedi alati
sin all'incrocio con una più larga
dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.

 

9 Lairë, anno 2941, terza era

 

I Nani si erano addormentati poco dopo aver mangiato, ben decisi a rimandare la questione della prigioniera a più tardi, quando i morsi, le botte e l’orgoglio ferito non avrebbero fatto più tanto male. Avevano sconfitto tre Vagabondi, e dopotutto si meritavano un po’ di riposo, e quella dannata umana era sono un piccolo incidente di percorso. Il sole ormai era alto nel cielo, eppure in quella zona della foresta i raggi non raggiungevano il terreno.
Il nano grasso era stato messo a fare il primo turno di guardia, e, come Enara immaginava, aveva iniziato a russare quasi da subito. Era il suo momento: i Nani sonnecchiavano rumorosamente, lo hobbit si era raggomitolato nel suo mantello e non si era più mosso, lo stregone…ah, al diavolo lo stregone!
Allungò una gamba fino all’inverosimile, tanto che credette di stirarsi un muscolo per lo sforzo. Con la punta dello stivale riuscì a raggiungere una delle sue daghe, che i nani avevano creduto abbastanza lontane da lei per potersi ritenere al sicuro. Bastò qualche colpetto ben assestato e in men che non si dica aveva la daga abbastanza vicina alle mani da poterla prendere con qualche contorsione non da poco.
Trattenne il respiro quando si rese conto che lo stregone era esattamente dalla parte opposta del campo e che la fissava con gli occhi spalancati. Enara aveva il cuore in gola, non riusciva a sentire i suoni della foresta tanto il cuore le batteva forte. Passarono molti respiri. Mi vuoi dire che il vecchio dorme con gli occhi aperti?, si chiese e ci mancò poco che scoppiò a ridere per il sollievo quando si rese conto che era effettivamente così.
Prese, dunque, a strofinare con foga la daga contro la corda che la legava al tronco e questa cedette, e subito seguirono quella delle mani, dei piedi e tutte le altre. Con un gesto stizzito si strappò dalla bocca il bavaglio.
Silenziosa come un gatto recuperò subito le sue armi, e sfilò da sotto la testa del nano che l’aveva legata all’albero e a cui lei aveva rifilato un morso ben assestato – era sicura che fosse lui, ricordava la barba grigia che gli ricopriva il sottogola – una sacca di monete d’oro. Fece una pernacchia in direzione dello stregone. Con passi leggeri e lenti si stava avviando verso il sentiero che l’avrebbe portata il più lontano da quei pazzi, quando vide una mappa.
Enara aveva sempre avuto una passione per le mappe. Qualsiasi tipo di mappa andava bene, ma quelle che preferiva erano quelle che portavano a dei tesori. Più di una volta era rimasta truffata e col tempo aveva sviluppato un certo senso critico nei confronti delle mappe. E quella, quella sembrava proprio bella.
Il nano che la teneva stretta al petto era quello che le aveva puntato una spada alla gola, e, quando lo realizzò, decise che era evidente che il karma voleva che lei gli rubasse la mappa, o altrimenti non gliel’avrebbe fatta tenere così in vista. Sfortunatamente, il nano in questione era sdraiato al centro del campo, di fianco al fuoco, e circondato dai suoi puzzolenti compagni. Sembrava proprio una bella sfida riuscire a prendere la mappa con quelle condizioni e ad Enara le sfide piacevano quasi più delle mappe.
Con passo felino si apprestò allora a passare sopra ai Nani dormienti, facendo il minimo rumore possibile. Passando accanto ad un povero diavolo con tre ridicole treccine che pendevano dal mento, non riuscì a resistere alla tentazione di tagliargliene una, quella centrale, e fortunatamente il nano era profondamente addormentato, perché non usò molta grazia nel farlo.
Finalmente la mappa era davanti a lei. Il nano stava avendo un sonno disturbato e questo non l’avrebbe aiutata, perché questi continuava a muoversi a scatti imprevedibili. Era brava in queste cose, doveva solo mantenere la calma e tutto sarebbe andato come al solito. Attese qualche respiro, finché questi non si calmò un attimo. Allora non perse tempo, espirò e gli sfilò la mappa dalle braccia in un movimento impercettibile.
Con un balzo fu fuori dalla cerchia dei Nani addormentati, aprì la mappa e fece appena in tempo a leggere “Montagna Solitaria” che sentì un fruscio alle sue spalle. La richiuse e si voltò, ma nessuno si era spostato, nemmeno lo streg…per tutti i Troll di questo mondo, dove diavolo è finito il vecchio?
Si rivoltò e se lo trovò davanti. Si guardarono in silenzio per qualche respiro, ed inspiegabilmente Enara riuscì solo a pensare a quanto dannatamente azzurri erano i suoi occhi:
« Non avrai intenzione di scappare, spero. » le sussurrò lui con un sorriso beffardo, appoggiandosi al suo bastone nodoso
Lui la sovrastava di molto, e questo poteva solo andare a suo svantaggio, e in più era uno stregone, contro il quale non aveva molte possibilità. Per di più, se si fossero risvegliati i Nani…decise di usare la carta dell’astuzia.
Sfoderò un sorriso disarmante, ed assunse una posa lasciva. Coprì i pochi metri che li separavano ancheggiando vistosamente, pur consapevole del fatto che era sporca quasi quanto un Vagabondo, e che l’odore che emanava non doveva essere molto meglio. Gli appoggiò una mano sul petto, e fece per allungarsi fino al suo orecchio, come se volesse sussurrargli qualcosa…ed invece gli rifilò una ginocchiata nello stomaco. Le ginocchiate sì che le venivano bene! Approfittando del fatto che lo stregone era di gran lunga più alto di lei, gli rotolò in mezzo alle gambe, sperando di non impigliarsi nella veste che l’uomo indossava, e scattò verso il sentiero il più velocemente possibile.

 

 

Thorin non era uno sprovveduto ed aveva immaginato che la donna avrebbe provato a scappare mentre loro dormivano. Aveva anche capito che l’umana li credeva stupidi come dei Vagabondi, e perché non sfruttare questa sua debolezza?
Aveva messo Bombur a fare la guardia, badando bene che la ladra lo vedesse chiaramente, e poi aveva mandato Dwalin a fare lo stesso, oltre la prima curva del sentiero che la donna avrebbe sicuramente percorso per scappare. E così fu. Quanto erano dannatamente prevedibili gli umani.
 
Dwalin era di gran lunga il nano più grande e forte della compagnia, pertanto, quando vide arrivare la donna di corsa, le corse a sua volta incontro, lanciando un urlo. Rise interiormente quando la vide sbiancare di colpo alla sua vista. Non fece però in tempo a raggiungerla, che questa cadde in terra tirata verso l’indietro, e stavolta Dwalin scoppiò davvero a ridere perché Gandalf l’aveva presa per la lunga treccia in cui teneva raccolti i capelli.
È inutile dire che la ritrascinarono dagli altri Nani.

 

 

Oltre all’orgoglio ferito, questa volta sentiva anche un enorme dolore alla nuca, dalla quale lo stregone le aveva quasi strappato tutti capelli con un colpo solo. Non era legata questa volta, ma il vecchio l’aveva costretta a sedersi in terra ed ora le stava dietro come un avvoltoio. Enara odiava gli stregoni.
In men che non si dica, si erano svegliati tutti i Nani – a parte quello grasso – ed in particolare quello a cui aveva sottratto la mappa si era a dir poco alterato quando aveva visto che Enara gliel’aveva rubata. Inutile dire che se l’era ripresa.
 
Thorin fissava la donna con astio, mentre ascoltava distrattamente i suoi compagni borbottare che dovevano lasciarla lì, legata da qualche parte, a morire di fame. Era riuscita a rubarle la mappa, ma lui era stato più furbo, e non l’aveva sottovalutata del tutto, ed infatti era di nuovo loro prigioniera.
Anche lei lo fissava di rimando con astio, con gli occhi castani che esprimevano chiaramente cosa gli avrebbe fatto se ne fosse solo stata in grado. E invece non poteva.
Infine decise di ascoltare i propri compagni:
« Legatela ad un albero, e questa volta fatelo bene, e poi preparate i vostri bagagli. » ordinò
Enara spalancò gli occhi e realizzò che, se l’avessero davvero lasciata lì senza nessuna possibilità di liberarsi, sarebbe morta d’inedia:
« È inutile legarmi, mi libererò! » esclamò, pur consapevole che non si sarebbe mai liberata da nodi nanici fatti con maestria, soprattutto senza niente con cui tagliarli « Io so dove state andando! Mi libererò e farò sapere ad ogni anima viva sulla Terra di Mezzo che una compagnia di Nani sta andando alla Montagna Solitaria! » disse, provocando un silenzio assoluto.
Thorin era ad un passo dal perdere completamente le staffe. Estrasse la spada e la puntò al collo della donna, premendo con forza. Scese un rivolo di sangue:
« Potremmo ucciderti, se preferisci! » ringhiò, deciso a fare tutto pur di raggiungere Erebor senza che nessuno lo sapesse
« Oppure potreste portarmi con voi… » fece lei, rabbrividendo al contatto con la lama gelida « Una ladra potrebbe esservi utile! »
« Abbiamo già il nostro scassinatore. » disse il nano che era in procinto di placcarla poco prima, spingendo avanti lo hobbit.
Per la prima volta, Enara posò attentamente lo sguardo sul piccolo elemento della compagnia: aveva i capelli riccioli e biondi, e un bel viso dall’espressione gentile seppur leggermente impaurito. Poteva essere un buon scassinatore, piccolo com’era, e sicuramente era anche silenzioso, perché tutti gli hobbit lo erano. Tuttavia la donna rise con scherno, esprimendo senza saperlo tutti i dubbi di quei Nani che non ritenevano Bilbo in grado di essere uno scassinatore.
Lo stregone si spostò da dietro di lei e si mise accanto a Thorin, la guardò negli occhi con serietà e poi disse al nano:
« Il vero coraggio si basa sul sapere non quando prendere una vita, ma quando risparmiarla. » e colpì Thorin nel profondo, tanto che questi allontanò la lama dal collo di Enara. La fissò a lungo, con i più seri occhi azzurri che lei avesse mai visto, ed infine fece un cenno d’assenso che sembrò costargli molto.

 

 

Era ormai tardo pomeriggio quando infine partirono. I Nani erano andati a riprendersi i pony, ed avevano seppellito – operazione durante la quale Enara aveva fatto capire bene il proprio disappunto a riguardo, tanto che aveva guadagnato un nuovo bavaglio – le pentole con l’oro. Salirono dunque tutti in sella e presero a caracollare verso Oriente.
Inutile dire che Enara aveva le mani legate, ma, come se questo non bastasse, l’avevano fatta salire su un pony e l’avevano fissata alla sella. Peccato che per divertirsi di più l’avessero fatta salire al contrario, con la testa rivolta verso il sedere del cavallino. Pertanto era scomodamente seduta al contrario, con le mani legate al pomolo della sella, e le gambe a penzoloni. In fila dietro di lei c’era il nano che aveva capito chiamarsi Dwalin, che la fissava continuamente con uno sguardo molto divertito. Ogni tanto due Nani cretini le passavano accanto a cavallo e la stuzzicavano, per poi scassarsi dalle risate quando lei si contorceva come un vermicello sulla sella per punirli, o quando mugugnava a lungo nel bavaglio per insultarli. In uno di questi scontri era anche riuscita ad agitarsi tanto da far scivolare di botto la sella sul lato sinistro del pony, con il risultato che lei era finita con la testa nella terra per la gioia di tutti i Nani. Dopo questo spiacevole evento aveva smesso di muoversi troppo sulla sella.
Accanto a lei procedeva Bilbo, chiaramente a disagio sul piccolo cavallo dal passo sicuro. La osservava di sottecchi, senza farsi notare, perché, pur essendo molto incuriosito dalla donna, tuttavia non voleva attirare troppo la sua attenzione, magari suscitando risultati tipo la treccina tagliata a Nori, che doveva ancora riprendersi dallo shock e dalle prese in giro dei compagni. In realtà Enara aveva notato gli sguardi dello hobbit – di cui non sapeva ancora il nome perché tutti i nani lo chiamavano sempre “scassinatore” e mai per nome – e lei stessa lo guardava con curiosità, perché gli hobbit le erano sempre stati molto simpatici. Effettivamente, iniziava a sentirsi in colpa – sentimento che provava molto raramente – per come aveva riso poco prima, anche se l’aveva fatto solo per salvarsi la pelle, e, se non fosse stata imbavagliata, si sarebbe scusata. Senza esagerare con le scuse, ovviamente.
Lo stregone e il nano di nome Thorin – nei confronti del quale Enara provava un rancore profondo che ad ogni contraccolpo che si prendeva su quel pony si trasformava sempre più in odio – cavalcavano davanti alla fila e per fortuna erano fuori dal suo raggio visivo. Sfortunatamente aggiunse con il senno di poi, perché, se fosse stato altrimenti, avrebbe potuto godere della scena che seguì.
Invece, tutto ciò che vide fu l’espressione sbigottita di Dwalin, e poi lo stupido pony alla cui sella era legata scartò, ma siccome lei non poteva riportarlo alla calma, finì nei rovi ai lati del sentiero, mentre Enara imprecava a tutto andare. In effetti, era una fortuna che fosse stata imbavagliata. Quando finalmente Dwalin riuscì a recuperarla, si era persa tutto il bello.
Era, infatti, arrivato di gran carriera uno stregone – no, uno solo non bastava – e che a prima vista sembrava decisamente fuori di senno. Per cominciare era arrivato su un slitta trainata da conigli – davanti ai quali Enara aveva per prima cosa spalancato gli occhi, e poi era scoppiata a ridere per quanto le era possibile -, ed inoltre non aveva un aspetto molto normale. Si mise a confabulare con il vecchio che le aveva tirato la treccia, ma non riuscì a sentire niente di quello che dicevano perché era troppo distante, ma dal labiale – che era piuttosto brava a capire – colse che parlavano di un “bosco” e di una “crescente oscurità” e soprattutto di un luogo che chiamavano “Dol Guldur”.
Ad un certo punto il nuovo arrivato, che sembrava chiamarsi Radagast, tirò fuori un pugnale avvolto in un pezzo di stoffa. Gandalf lo tenne in mano a lungo prima di togliere la stoffa per guardarlo. Enara fece appena in tempo a cogliere un’espressione stupita e quasi impaurita sul volto del vecchio, quando udirono un lungo ululato.
Lo hobbit accanto a lei tirò su la testa e chiese:
« È stato un lupo? Ci sono dei lupi qui intorno? » ed Enara iniziò ad agitarsi in modo frenetico sulla sella scuotendo la testa. Lo hobbit le strappò il bavaglio dalla bocca:
« Mannari selvaggi! » esclamò, provocando agitazione fra i nani
« Taci donna, che ne vuoi sapere tu di mannari selvaggi? » la zittì Thorin, avvicinando il suo pony a quello della ladra. Enara aprì la bocca per ribattere seccamente che sì, ne sapeva eccome di warg, ma proprio in quell’istante due mannari piombarono nel mezzo della carovana. I pony s’impennarono e la maggior parte sbalzò i propri proprietari di sella, per poi fuggire il più lontano possibile.
I nani si precipitarono su di esso e lo uccisero quasi subito, ma presto sentirono altri ululati che si avvicinavano sempre di più, attirati anche dalle urla strazianti che aveva lanciato il mannaro morente. Un altro spuntò dal bosco, puntando a fauci spalancate sul pony di Enara. Dwalin però si mise in mezzo all’ultimo ed ingaggiò una veloce lotta con il lupo gigante.
« Se ci sono dei Mannari… » fece Enara rabbrividendo
« …devono esserci per forza anche degli Orchi sulle nostre tracce. » concluse Thorin estraendo al propria spada da un cadavere
« Orchi? Nessuno mi aveva parlato di Orchi! » esclamò Bilbo in preda al panico
« Dannato nano! » esclamò Gandalf puntando il bastone verso Thorin «A chi altri hai parlato della tua missione? »
« A nessuno! » ringhiò quello affrontando lo stregone senza alcun timore negli occhi
« Vi stanno dando la caccia! » s’intromise Enara agitandosi come un’ossessa sul pony « Questi erano solo ricognitori, a breve vi assalir- »
« Ci assaliranno, bambolina, ci sei anche tu su questa barca adesso. » fece Dwalin scendendo da cavallo e mettendola una buona volta a tacere. In effetti il nano non aveva tutti i torti.
Thorin guardò rassegnato la compagnia e si stava chiedendo come sarebbero potuti scappare agli Orchi con solo due pony rimasti, quando Radagast disse:
« Li depisto io. » 


 

✽ ✽ ✽



Ho deciso di aggiungere il secondo capitolo per stuzzicare ancora un po' la vostra curiosità (: qui finalmente conosciamo un po' di più Enara. Come avete letto, ho deciso per questa parte della storia, di affidarmi alla trasposizione cinematografica, perché non mi piace come nel libro il nostro caro Thorin acconsenta senza fare alcuna storia ad andare da Elrond senza fare alcuna storia...ma stiamo scherzando? E così spunta anche Radagast.
La poesia che trovate all'inizio è "La Via prosegue" di Bilbo, poesia che da anche titolo alla fanfiction, come ho avuto modo di dire nelle risposte a qualche recensione (:
Ho pubblicato oggi perché fino all'inizio della prossima settimana sono molto impegnata con la scuola (quest'anno ho la maturità, sigh), e temo di non riuscire a pubblicare il prossimo capitolo prima di almeno un'altra settimana :( detto questo spero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia risolto alcuni dei vostri dubbi riguardo Enara.
Ringrazio ancora tantissimo chi ha recensito il primo capitolo (LiliOok_, Yavannah, Anaire_Celebrindal, dark dream e Lady of the sea) e spero che recensirete anche questo (: colgo l'occasione per ringraziare anche chi ha messo la storia fra le seguite (Anaire_Celebrindal, Eledhel, Lady of the sea e LiliOok_) e anche chi l'ha messa tra le preferite (nini superga): quale onore :D
Alla prossima!

PS. Non so esattamente a chi appartengano i credits per la foto che usato nel tag a inizio capitolo. In ogni caso, ho trovato l'immagine qui: 
http://lotr.wikia.com/wiki/Radagast.

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Capitolo 3
*** Benvenuti a Granburrone ***


A Elbereth Gilthoniel
silivren penna míriel
o menel aglar elenath!
Na-chaered palan-díriel
o galadhremmin ennorath
fanuilos, le linnathon
nef aer, sí nef aearon!

 
O Elbereth che accendi le stelle,
da cascate di brillante cristallo pendenti di luce come gioelli,
dal cielo vicino all'alta gloria della volta stellata,
a terre remote ho guardato lontano,
e ora a te, Fanuilos, luminosa creatura sempre vestita di bianco,
io ora canterò da qui, al di là del Mare, al di là del vasto e sconfinato Mare.

 
9 Lairë, anno 2941, terza era
 
Se gli Orchi fossero stati appena un briciolo più intelligenti non sarebbero caduti nella trappola di Radagast neppure se ubriachi. E invece la fama della loro intelligenza, o meglio non-intelligenza, non era gratuita, perché, appena lo stregone sbucò dalla foresta sulla sua slitta trainata da – Enara faceva ancora fatica a crederci – dodici conigli, si precipitarono tutti al suo inseguimento.
I Nani avevano deciso di abbandonare i pony, perché avevano valutato che sarebbe stato un problema per chi era a piedi seguire chi era invece a cavallo e perché immaginavano che i Mannari fossero meno avvezzi all’odore di nano piuttosto che a quello dei loro destrieri, e speravano così di passare meno inosservati. Pertanto, non appena Radagast sbucò dalla foresta puntando a Nord, attirando dietro di sé tutti gli Orchi a cavallo dei Mannari, Gandalf guidò i nani, Bilbo ed Enara – con le mani ancora legate, stretta fra Dwalin e Bofur e pungolata da dietro da Dori – verso Sud, dove diceva di conoscere un luogo sicuro. Lo stregone aveva con sé il pugnale avvolto nella stoffa che aveva portato Radagast.
Corsero giù per la pianura, dietro a Gandalf. Avevano il cuore in gola, dovevano fare in fretta ed al tempo stesso riuscire a non farsi notare dagli Orchi. Bilbo correva con tutta la forza di cui era dotato, ma dopo pochi metri si rese conto che non sarebbe stato in grado di tenere quel ritmo, si distrasse, inciampò e sarebbe caduto se Enara, che gli stava dietro, non l’avesse preso al volo, senza nemmeno pensarci due volte. Lo rimise in piedi senza smettere di correre, rallentando solo impercettibilmente. Anche lei sentiva che non sarebbe riuscita ad andare avanti così ancora a lungo: erano settimane che non faceva un pasto sostanzioso per stare dietro ai Vagabondi, da quando i Nani l’avevano presa non aveva mangiato niente. Sentiva che la testa le girava, ma al solo sentire in lontananza gli ululati dei warg sentiva la propria paura farsi forza, e cercò di fare forza anche a Bilbo, tenendoselo accanto durante la corsa.
Si fermarono dietro una roccia ed Enara crollò a terra, con la cassa toracica che si muoveva su e giù, veloce come quella di un uccellino affannato. Nemmeno i Nani avevano più la forza di parlare.
Nel frattempo Radagast passò a poca distanza da loro, perché, a differenza di quanto aveva immaginato, i Mannari erano molto veloci ed era difficile riuscire ad allontanarli dalla compagnia ed evitare al tempo stesso di essere mangiati.
Mentre cercava di riprendere fiato, Enara vide con la coda dell’occhio un movimento fulmineo, ed ebbe qualche secondo di preavviso, prima che un Orco a cavallo di un warg piombasse in mezzo a loro. I nani fecero quello che potevano, ed abbatterono entrambi il più velocemente possibile, ma il Mannaro lanciò grida strazianti e l’Orco fece in tempo a soffiare, seppur debolmente, nel suo corno. Alle grida risposero ululati ed i compagni si sentirono morire dentro quando si resero conto che ora tutti gli Orchi a cavallo dei Mannari erano alle loro calcagna.
Con uno strattone poco gentile Dwalin tirò su Enara da terra, e la spinse per costringerla a riprendere la corsa, con Bilbo che le trotterellava accanto ansimando come un mantice. Né la donna né lo hobbit seppero mai come riuscirono a percorrere i metri successivi senza essere lasciati indietro dai Nani. Ad entrambi si annebbiava la vista, ed inciamparono molte volte, rischiando spesso di cadere a terra. E se fossero caduti a terra non avrebbero avuto la forza per rialzarsi.
Gandalf li costrinse tutti a correre ai limiti delle loro capacità, perché sapeva che a poca distanza da loro c’era l’unica possibilità di salvezza che avevano, ma il tempo stringeva e per ogni passo che faceva la compagnia, i Mannari ne facevano dieci. Stavano perdendo terreno a vista d’occhio quando all’improvviso Gandalf gridò:
« Quaggiù, dietro di me! » e si precipitò verso un’enorme roccia che non differiva in niente da tutte le altre attorno a loro.
Thorin era il secondo dopo Gandalf e fece per seguirlo quando un Mannaro gli tagliò la strada. Il nano estrasse la spada e lanciò uno sguardo al resto della compagnia, ma quello che vide non lo rallegrò per niente: erano circondati.
« Mantenete le posizioni! » gridò Thorin ai nani, che avevano formato all’incirca un cerchio attorno alla rocca, in modo da avere tutti le spalle coperte. Kili salì sulla roccia perché era l’unico dotato di arco e da lì avrebbe avuto una visione a trecentosessanta gradi. « Fermi dove siete! » fece ancora Thorin.
Enara spinse lo hobbit verso il centro del cerchio e poi si volse verso Dwalin, allungando le mani ancora legate:
« Come posso fidarmi di te in un frangente come questo? » gli fece lui con un tono stizzito « Potresti pugnalare chiunque di noi alle spalle e sarebbe la nostra fine. »
« Devi fidarti! » lo supplicò lei « Se hai paura di fidarti degli altri, non avrai alcun futuro. » fece avvicinandosi al nano, «Quali sono le mie colpe nei vostri confronti se non l’aver cercato di scappare da coloro che mi avevano fatta prigioniera? » aggiunse quando vide che stava per cedere.
Con un colpo netto della sua ascia Dwalin tranciò le corde che tenevano legate le mani di Enara e le passò distrattamente un pugnale lungo che teneva nello stivale:
« Trattamelo bene! »
« Ehi! » esclamò lei guardando l’arma « Ma questo era mio! »
Ma lui non le rispose perché i Mannari si erano avventati sui nani proprio in quel momento. Due warg assalirono contemporaneamente Dwalin. Dall’alto della rocca Fili riuscì ad abbattere con un colpo solo l’Orco che stava sulla groppa di uno dei due, ma Dwalin, pur roteando velocemente l’ascia per tenere le bestie a distanza, era in difficoltà. Enara sferrò un colpo alla tempia di quello più vicino a lei, usando la guardia del pugnale, e riuscì a richiamare la sua attenzione su di sé. Il nano ne approfittò per tagliare con un abilissimo colpo d’ascia il collo al warg che lo stava attaccando e si voltò verso la donna in tempo per vedere il Mannaro che la caricava, pronto a sbranarla.
Con un balzo Enara evitò le fauci e riuscì a piantargli il pugnale nel cranio. La bestia la colpì però con la sua enorme massa e la sbatté a terra sotto di sé. Con un calcio ben assestato alla mandibola, la donna riuscì ad aprirsi una via di fuga da sotto il warg. L’animale fu però più veloce di lei e le avrebbe strappato un braccio se Dwalin non l’avesse ucciso prima. Enara si rialzò subito e fece per sorridere riconoscente al nano quando udirono una voce:
« Da questa parte, sciocchi! » e voltandosi videro la testa di Gandalf che spuntava da una rientranza quasi invisibile nella roccia attorno alla quale erano stati circondati. Ed accanto allo stregone c’era Bilbo, che quando vide che Enara guardava da quella parte, agitò la mano, facendole segno di sbrigarsi. Dietro di loro infatti incalzavano altri Mannari ed altri Orchi, troppi perché potessero sperare di uscire vivi dallo scontro.
Thorin era il più vicino e, calciando di lato il cadavere di un Orco che gli aveva dato filo da torcere, si posizionò sul bordo della rientranza, gridando ai Nani di sbrigarsi. Questi, come un sol uomo, abbandonarono le loro posizioni per raggiungere Gandalf.
Enara scivolò dentro il buco con agilità, ma i Nani si resero ben presto conto che sarebbe stato più difficile del previsto passarci attraverso. Infine entrò anche Thorin, che fino all’ultimo rimase fuori per controllare che nessuno fosse stato dimenticato.
Non appena toccò terra sentirono tutti suoni di corni dal timbro sconosciuto, e rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi mentre l’aria si riempiva di sibili di frecce, sciocchi di archi e grida agghiaccianti.
Quando infine cadde il silenzio Thorin allungò a Gandalf una spada che aveva sottratto all’ultimo Orco che aveva ucciso: quando Enara la vide spalancò gli occhi ed iniziò a sudare freddo. Era una scimitarra dal taglio raffinato ed elegante ma al tempo stesso letale e tagliente. La lama in sé pareva fatta di cristallo tanto era lucida, ma lo sguardo della ragazza si puntò soprattutto sull’impugnatura.
Senza pensarci due volte strappò la spada dalle mani del nano e la osservò attentamente: la coccia e la guardia si fondevano in un tutt’uno organico e tagliente quanto la lama stessa, la guardia era molto pronunciata e decorata con rune dorate, ma il pomolo…per tutti i Valar! Il pomolo sembrava a prima vista una semplice sfera fatta dello stesso materiale scuro dell’impugnatura, ma osservandola in controluce la donna si rese conto che le sue paure erano fondate.
Enara conosceva quella spada.
 

 
La caverna cui portava la rientranza si era rivelata essere solo l’anticamera di un lunghissimo corridoio che correva probabilmente attraverso tutta la pianura. Fino a chissà-dove.
Thorin iniziava ad avere dei dubbi su Gandalf. Era sicuramente il più grande stregone che avesse mai visto, anche perché non ne aveva conosciuti altri in vita sua, eppure c’era in lui qualcosa che non lo convinceva. Era come se sapesse troppo, come se fosse già a conoscenza di cosa sarebbe successo di lì a poco. Come faceva a sapere che proprio quella roccia in tutta la pianura nascondeva un passaggio segreto? Thorin gli aveva chiesto spiegazioni e tutto ciò che aveva ottenuto era stata una laconica risposta:
« Se non ti aspetti un colpo di fortuna, beh mastro nano, stai pure tranquillo che non lo troverai. »
Procedevano in quella galleria da ore. Ogni tanto dall’alto arrivava qualche spiraglio di luce, ma mai abbastanza da capire in che direzione stessero andando. Procedevano e basta.
 
Enara era riuscita ad evitare di farsi legare o imbavagliare nuovamente facendo le moine ad un nano con la barba grigia e i capelli intrecciati di nome Balin, ed era anche riuscita a far ridere tutti quando, passando davanti a Thorin – che dal portamento che teneva immaginava essere il capo del gruppo –, gli aveva fatto un inchino irrisorio esclamando in una perfetta imitazione dell’usanza dei suoi compagni Nani:
« Enara al vostro servizio, signore! » fece e poi trotterellò avanti lungo la galleria, seguita a ruota dallo hobbit che trovava di gran lunga più piacevole la compagnia della donna a quella dei Nani.
La strada non aveva mai bivi, anche se spesso c’erano delle curve molto strette, tanto che più di una volta furono costretti a spingervi attraverso Bombur, provocando risa isteriche nella ragazza.
« Ringrazia che sono incastrato qui! Altrimenti solo Mahal saprebbe che cosa farei con la tua testolina vuota! » l’aveva apostrofata il nano una delle tante volte che la sua sventura era stata derisa da Enara.
 
Bilbo trotterellava accanto alla ragazza, parlando della sua Contea e di quanto gli mancasse la seconda colazione, e la merenda e lo spuntino di mezzanotte. Lei gli sorrideva, ma diceva poco o niente su di se, e lo scopo dello hobbit era proprio questo. Ad un certo punto allora le chiese:
« Da dove venite Enara? »
La donna si fermò per guardarlo, seria per qualche secondo, e poi scosse la testa e rise, come per scacciare un pensiero negativo. Infine rispose:
« Vengo da un piccolo villaggio a metà strada fra Brea e Roccanorda, mastro hobbit, così piccolo che sono certa che non ne avete mai sentito parlate. »
« E perché seguivate i Vagabondi? »
« Perché? » fece lei «Perché i loro tesori sono immensi! Non potete nemmeno immaginare quanti oggetti preziosi scartino perché non possono mangiarli: monete d’oro, gioielli! »
« E li avete cercati da sola? Da sola, da sola? » chiese ancora Bilbo, sentendo dentro di sé un sentimento molto “Tuc” – come la definì la sua parte Baggins – al pensiero di tutte le ricchezze che la Montagna Solitaria nascondeva, sicuramente maggiori di quelle dei Vagabondi che tuttavia facevano illuminare così tanto Enara
« Certo che ero da sola! » fece lei guardandolo scandalizzata « È la regola numero uno dei cacciatori di tesori: mai viaggiare in compagnia. »
« Che cosa stupida! » ribatté lui corrugando la fronte «Il bello di una scampagnata è proprio l’essere con gli amici, chiacchierare, scherzare… »
« Andare a caccia di tesori non è come fare una scampagnata, mastro hobbit: non si rischia solo un mal di pancia per aver mangiato dei funghi cattivi. » fece «E poi…quale gusto ci sarebbe nel trovare un tesoro se devi dividerlo con qualcuno? » aggiunse facendogli l’occhiolino.
E Bilbo avrebbe ribattuto che era bello dividere le proprie cose con gli amici, se non fosse che dopo l’ultima curva si aprì davanti a loro una valle che li lasciò a bocca aperta.
 
« La valle di Imladris, » fece Gandalf, fermandosi accanto allo hobbit « che nella lingua corrente è conosciuta con il nome di… »
« …Granburrone. » completò la frase Bilbo con un tono a metà fra l’estasiato e il terrorizzato.
Lo hobbit aveva sempre amato gli Elfi, e nel suo cuore diviso tra l’essere Baggins e l’essere Tuc un solo desiderio era sempre persistito: vedere Granburrone. Ed ora era lì, e non riusciva a credere ai propri occhi.
La valle era verde ma d’un verde come Bilbo non ne aveva mai visti prima. Come una madre stringe amorevolmente al petto il proprio bambino, così le aspre montagne proteggevano quel luogo ameno e gli facevano da cornice. Sempreverdi, e conifere ed alberi da frutto c’erano in quel luogo. Ed uccelli canterini, e cervi e lupi abitavano quelle foreste.
Enara osservava la valle con gli occhi spalancati, come se avesse paura di perdersi qualcosa. Sentiva nell’aria risuonare un canto angelico, ma non riusciva a distinguerne le parole. Il suo sguardo fu catturato dalle eleganti costruzioni elfiche, sulle cui linee indugiò a lungo.
 
Thorin si voltò verso Gandalf:
« Ora comprendo il tuo piano, stregone. » gli sibilò contro « Speravi forse che acconsentissi a chiedere rifugio al nostro nemico? A coloro che ci lasciarono soli nel momento del bisogno? No, Mithrandir, hai fatto male i tuoi conti. »
« Non hai nessun nemico qui, Thorin Scudodiquercia. » fece Gandalf per nulla intimorito da uno sguardo che avrebbe rimesso in riga chiunque «Il solo mal’ animo che si trova in questa valle è quello che porti tu stesso. »
Enara e Bilbo, che si trovavano esattamente in mezzo ai due, si scambiarono uno sguardo in cui espressero tutta la loro voglia di scoppiare a ridere per la situazione, ma si trattennero – nemmeno i Valar sanno come – e riuscirono a non peggiorare le cose.
« Non mi farò fermare da dei dannati Elfi, se è questo il tuo piano! » disse il nano con un tono calmo ma che lasciava trasparire tutta la sua ira. Enara si sentì rabbrividire al pensiero di ciò che avrebbe potuto fare Thorin se avesse lasciato libero sfogo alla sua rabbia e contemporaneamente gli invidiò quella sua capacità di trattenersi, capacità che lei non aveva né avrebbe mai posseduto. Si disse che in futuro sarebbe stato meglio non far arrabbiare quel nano.
« Abbiamo delle domande, e necessitiamo di risposte. Ed Elrond di Granburrone è l’unico in grado di aiutarci. » ribatté lo stregone « Questo è il mio piano. »
Si guardarono per attimi che sembrarono durare secoli, lanciandosi fulmini e saette con gli occhi. Poi Thorin sospirò, senza però distogliere lo sguardo, e Gandalf comprese che l’aveva avuta vinta:
« Per queste cose serve tatto, gentilezza e rispetto. » affermò precedendo gli altri nella discesa che portava alla valle «Motivo per cui sarai così gentile da lasciar parlare me. »


 

✽ ✽  



Benritrovati a tutti (: ammetto di non essere molto convinta di questo capitolo, soprattutto nella sua parte iniziale. Come avevo già detto nelle note del secondo capitolo, ho deciso di seguire la storyline del film per questa parte della storia, e così finalmente i nostri eroi sono arrivati a Granburrone.
Credo di non essere molto convinta perché ho una paura assurda di aver fatto un po' troppo ooc Thorin e Gandalf :( li amo, ma sono così difficili da rendere! Spero questa volta di essere stata un po' più convincente dello scorso capitolo.
La canzone che sente Enara è quella che trovate ad inizio capitolo ed è l'inno ad Elbereth che canta un Elfo sconosciuto al banchetto prima del Concilio di Elrond nella Compagnia dell'Anello. La traduzione in italiano l'ho fatta io, aiutandomi anche con una traduzione in inglese (che di sicuro so molto meglio del Sindarin), ma siccome non sono una cima vi prego di farmi notare qualsiasi errore così da poter migliorare e diventare una perfetta Elfa :D seh, in un altra vita.
In ogni caso, potete trovare la canzone qui http://www.youtube.com/watch?v=viNzJrpEu_M&feature=share&list=UUNgUMcimXrFpdQkIsBV62nA, con testo in Sindarin, traduzione in inglese e video del momento del film (Compagnia dell'Anello) in cui si sente l'inno ad Elbereth.

Voglio solo più ringraziare Yavannah, LilyOok_, Anaire_Celebrindal e dark dream per aver recensito anche il secondo capitolo della mia ff: grazie di cuore! Grazie ancora a AletheiaVeritas ed Alcalime91 che l'hanno aggiunta alle seguite e a Ramona37 che l'ha inserita tra le ricordate <3
Alla prossima!

PS. Di nuovo non so esattamente a chi appartengano i credits per l'immagine che ho usato nella tag a inizio capitolo. In ogni caso, ho trovato l'immagine qui: http://www.tempi.it/lo-hobbit-un-viaggio-inaspettato-un-film-sulla-pieta#.Uh5dShu-2m4.

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Capitolo 4
*** Turn Loose ***



At the end of the river the sundown beams
all the relics of a live long lived.
Here, weary traveller, rest your wand,
sleep the journey from your eyes.
 
Good journey, love, time to go.
I checked your teeth and warmed your toes.
In the horizon I see them coming for you.
 
Alla fine del fiume il tramonto illumina
tutte le reliquie di una lunga vita vissuta.
Qui, stanco viaggiatore, riposa il tuo bastone,
dormi via il viaggio dai tuoi occhi.
 
Buon viaggio, amore, è ora di andare.
Ho controllato i tuoi denti e scaldato i tuoi piedi.
All’orizzonte li vedo arrivare per te.
 

9-10 Lairë, anno 2941, terza era

« Ed ora cosa facciamo? » aveva chiesto Enara con tono allegro, una volta finita la lunghissima cena offerta loro dagli Elfi
« Tu te ne torni a casa tua, dovunque essa sia. » aveva risposto Thorin, senza nemmeno guardarla, dandole le spalle « Quel che facciamo noi non è affar tuo. »
Che cosa si era aspettata quando aveva fatto quella domanda?
Dopotutto lei non faceva parte della loro compagnia.
Lei non aveva compagni.
Lei non voleva compagni.
E allora perché aveva fatto quella domanda con la speranza (forse) che la accogliessero tra di loro?
Erano dei Nani.
E lei odiava i Nani.
Puzzolenti quasi quanto Vagabondi.
Fastidiosi.
Stupidi.
Stupidi che ti hanno catturata ben due volte, le disse una fastidiosa vocina nella sua testa.
Va bene, forse stupidi non sono, si corresse.
Aveva avuto modo di trascorrere con i Nani poco tempo, pochissimo.
Aveva avuto modo di vedere come si relazionavano l’uno con gli altri.
Erano amici, compagni, fratelli.
Erano legati da sentimenti di amicizia, da sentimenti di onore, di sangue.
Appartenevano allo stesso popolo.
Avevano lo stesso obiettivo.
Erano un’entità composita.
Aveva anche imparato a distinguerli.
Bifur aveva la barba grigia ed un’ascia piantata nella testa. Gli aveva anche chiesto il perché, ma non si capiva mai niente di quello che diceva il nano.
Balin anche aveva la barba grigia ed i capelli erano dello stesso colore, solo che li portava elegantemente intrecciati. Aveva un carattere molto buono, sicuramente era il più gentile – almeno nei suoi confronti – di tutti i Nani.
Dori era il fratello maggiore di Nori ed Ori e portava una barba grigia molto corta che gli copriva tutto il sottogola. I suoi fratelli avevano invece ancora barba e capelli castani e li riconosceva perché avevano sempre un’espressione un po’ stupida in faccia. Dori aveva due trecce distinte nella barba, mentre Nori tre. Almeno, prima che Enara gliene tagliasse una.
Òin e suo fratello Glòin avevano entrambi delle lunghe, folte e curate barbe, intrecciate e decorate con piastre di metallo o impreziosite. Il primo aveva i capelli e la barba grigi, il secondo castani quasi rossi.
Dwalin era il più possente dei Nani, e forse per compensare questo fatto era anche l’unico pelato. Quei “pochi peli” che aveva attaccati al mento erano castani.
Bombur, beh, Bombur lo si riconosceva da enormi distanze per via della stazza, ed inoltre la sua barba rossa aveva la forma di una ciambella.
Bofur andava sempre in giro con un ridicolo cappello con quelle che sembravano lunghe orecchie penzolanti. I Nani e le loro stranezze…valli a capire.
Fili e Kili erano ovviamente fratelli e forse anche i più giovani, ma non poteva esserne molto sicura. Il primo aveva barba e capelli castani, il secondo neri. Erano gli unici della compagnia a ridere sempre, ad essere sempre allegri, in qualsiasi situazione.
Thorin era loro zio. Era il più alto dei Nani, forse solo Dwalin lo superava in altezza. Aveva barba e capelli neri, striati di bianco. Profonde rughe gli segnavano il viso, ed i suoi occhi gelidi parevano essere in grado di zittire e mettere a disagio chiunque.
Ma, dopotutto, che le importava?
Lei era sola.
Lei voleva essere sola.
Lei si bastava da sé.
Era sempre stato così.
O no?
 

 
Qualche ora prima
 
L’entrata di Granburrone si stagliava davanti a loro, e Bilbo era sull’orlo delle lacrime: il piccolo hobbit si guardava intorno non riuscendo quasi a credere ai propri occhi tanto era bello ciò che vedeva. L’aria era fresca e frizzante e profumava di pino. Gli edifici s’innalzavano verso il cielo con pinnacoli eleganti che parevano tenuti su più dalla magia che dalla perizia di chi li aveva costruiti. Ogni cosa su cui posava lo sguardo era realizzata in un materiale bianco, a volte lucido, a volte opaco, ma che dappertutto rifletteva in modo incredibile i raggi del sole.
Era il tramonto, e la luce attorno a loro si tinse di un caldo color rosso quando attraversarono l’entrata. Essa era semplicemente un arco di roccia bianca, aperto, come ad invitare chiunque ad entrare.
L’irrequietezza dei Nani era quasi palpabile, soprattutto quella di Thorin, ed invece Bilbo non faceva altro che chiedersi come potesse Granburrone essere così bella, quale emozione avrebbe provato trovandosi davanti i primi Elfi ed quanto avrebbe sofferto andandosene.
Ebbe subito la risposta alla sua seconda domanda. Quando, infatti, un Elfo si fece avanti per accoglierli, ebbene, il piccolo hobbit lo fissò strabuzzando gli occhi e semplicemente svenne. Un respiro prima saltellava eccitato, gongolando e lanciando gridolini che lui credeva sommessi, ed un respiro dopo era steso a terra come morto. Enara scoppiò a ridere, guadagnandosi le occhiatacce dei Nani, e, nel tentativo di risvegliare Bilbo, si perse le presentazioni ed i convenevoli.
Quando finalmente lo hobbit si riprese, videro giungere a tutta velocità, dalla strada lastricata che loro stessi avevano percorso almeno per un tratto, dei soldati a cavallo. I cavalieri erano ovviamente tutti Elfi, vestivano armature argentate e tuniche blu notte. Alcuni avevano in testa degli elmi finemente lavorati, la maggior parte invece era a capo scoperto. Enara si rese conto – a suo malgrado – di aver spalancato gli occhi tanto era lo stupore e la meraviglia.
Davanti a tutti cavalcava un elfo dai lunghi capelli corvini e dai profondi occhi grigi. Non aveva un elmo, ma al fianco portava una lunga spada. Aveva sul capo una corona d’argento che richiamava nelle sue forme i rami di un rampicante. Il suo destriero, inoltre, era l’unico nero, mentre tutti gli altri erano bianchi o grigi. Nel complesso, però, il suo vestiario non era molto diverso da quello degli altri Elfi attorno a lui, ma c’era qualcosa nel suo portamento, c’era qualcosa nei suoi occhi che nessun altro aveva. Enara era brava a cogliere queste cose, doveva esserlo, e si rese conto di quel di più, di quella scintilla che brillava nello sguardo di quel cavaliere…non preannunciava niente di buono.
Gandalf lo raggiunse allargando le braccia in segno di saluto:
« Mae govannen, mellon nín! » esclamò lo stregone quando l’elfo scese da cavallo e gli andò incontro
« Gandalf! » lo salutò l’Elfo, fermandosi a qualche passo da lui « Abbiamo incontrato una pattuglia di Orchi a cavallo di Mannari, nella pianura, tutt’altro che lontani dall’ingresso segreto. » disse fissando lo stregone negli occhi « È strano che gli Orchi si avvicinino tanto ai nostri confini, che come sai sono ben controllati. Forse tu e la tua comitiva ne sapete qualcosa.»
Gandalf si limitò a sorridere, allargando le braccia, come a dire che non ne poteva niente, ed allora l’altro gli si avvicinò e si abbracciarono. L’elfo – che pareva chiamarsi Elrond – fece scorrere il suo sguardo su tutti i presenti, soffermandosi un attimo su Enara, un po’ di più su Bilbo, ed infine si fermò su Thorin che stava al centro dei nani:
« Thorin Scudodiquercia, figlio di Thràin. » fece guardandolo dritto negli occhi per poi abbracciare tutta la compagnia con lo sguardo e dire « Elen sila lumenn omentilmo. Tula, vasa ar' yulna en i'mereth. Lye naa lle nai. Creoso, mellonamin mi Imladris. »
Gloin cercò di farsi strada fra i compagni urlando qualcosa di molto simile a “quel dannato Orecchi-a-punta non deve permettersi di dirmi che…”, ma Gandalf gli calò il bastone sulla testa ed incenerendolo con lo sguardo disse:
« Dannato sia Durin e la sua cocciuta progenie! » e poi proseguì dopo un lungo sospiro « Mastro Elrond vi sta offrendo del cibo! »
Mai parole suonarono più dolci di quelle alle orecchie dei nani.
Furono accolti nell’Ultima Casa. Gli Elfi li accompagnarono attraverso i chioschi fino ad un balcone che dominava il lato Ovest della vallata. Sotto di loro c’era un piccolo giardino curato che, man mano che si allontanava da Granburrone, si fondeva sempre più nella foresta che circondava la città elfica. Mentre aspettarono che gli Elfi portassero loro da ristorarsi poterono osservare il sole tramontare lentamente. Quando anche l’ultimo raggio si fu spento all’orizzonte, si sedettero a tavola.
 

 
Avevano mangiato e bevuto e parlato. I Nani avevano trattato Enara quasi come una di loro e, forse per questo motivo ed anche per il fatto che era un po’ inebriata da quella felice situazione, aveva posto la fatidica domanda.
Stare con loro e sentirli raccontare delle loro avventure aveva fatto crescere nella donna il desiderio della ricerca di qualcosa che non fosse solo oro fine a se stesso. Sentiva le proprie membra fremere e, anche se i Nani avevano accuratamente evitato di parlare della Montagna Solitaria davanti a lei, già si immaginava al loro fianco ad affrontare avventure dopo avventure.
Aveva già avuto dei compagni in passato, in un tempo che preferiva far finta di non aver vissuto per la vergogna di come l’aveva abbandonato, ed in un altro tempo ancora che invece fingeva di non ricordare per la vergogna di quel che aveva fatto. Però sì, aveva già avuto dei compagni, ma nessuno era come i Nani.
Quello dei Nani – aveva realizzato Enara in quel poco tempo che aveva passato con loro – era sostanzialmente un popolo di persone scherzose e socievoli, che amavano ridere in compagnia e davanti ad un boccale di buona birra. Avevano qualcosa nel loro carattere di estremamente simile al suo: l’avarizia, l’orgoglio e la testardaggine. Infatti erano avidi, e bramavano di possedere qualsiasi oggetto fosse considerato prezioso. A differenza sua – cosa che aveva accuratamente nascosto per paura delle conseguenze – la brama dei Nani per l’oro non sfociava mai nella violenza. Aveva infatti compreso che essi erano degli abilissimi commercianti, mentre tutto quello che lei possedeva l’aveva rubato o ottenuto scambiando oggetti che aveva rubato o comprandolo con monete che aveva rubato. I Nani erano inoltre molto orgogliosi, ma, se essi si credevano migliori come razza, Enara faceva derivare il suo orgoglio semplicemente dalla propria superbia e dalla propria boria. Per quanto riguarda la testardaggine…beh, in quella erano senza dubbio uguali ad Enara: una volta che si erano messi in testa una cosa, chiunque, perfino Gandalf, poteva tentare di far loro un lavaggio del cervello, ma non sarebbe servito a nulla se non a farli irritare.
Una delle poche caratteristiche dei Nani che Enara si sentiva di non avere proprio era la fedeltà. A Thorin – che essi chiamavano “re” – dovevano una lealtà assoluta, lealtà che però non sembrava assolutamente pesare loro. Essi, inoltre, non lasciavano mai in difficoltà i propri compagni, amici o parenti, anche a rischio della loro stessa vita. La donna, invece, sentiva che l’unica persona a cui doveva qualsiasi tipo di fedeltà incondizionata era se stessa. C’era un tempo in cui la lealtà era stata molto importante per lei e per le persone che le stavano accanto, ma ormai era passato, ed Enara non aveva intenzione di ripensarci proprio in quel frangente.
 
Si riscosse dai suoi pensieri e si rese conto che tutti la osservavano, in attesa di come avrebbe risposto a Thorin, perché sapevano che se c’era qualcuno in grado di tenere testa a chiunque era proprio lui.
Arrossì al pensiero di essere rimasta zitta tanto a lungo, persa nei suoi pensieri e nei suoi ricordi, e ringraziò che fosse abbastanza buio perché il rossore passasse inosservato. Si alzò dalla tavola ancora imbandita e sparì nei meandri di Granburrone.
Svoltò a caso, senza sapere dove stava andando, scese delle scale, senza sapere dove portassero. Infine si ritrovò con il fiatone alla base della città elfica e davanti a lei si apriva il giardino che aveva avuto modo di vedere dall’alto. Ci si fiondò dentro senza pensarci due volte ed era appena sparita nel buio quando Bilbo passò lì davanti: la cercava, ma non la vide e quindi passò oltre.
 

 
Fin da piccola aveva sempre fatto impazzire suo padre perché adorava nascondersi nei boschi che circondavano il villaggio in cui vivevano, e soprattutto perché era bravissima ad arrampicarsi sugli alberi, anche se aveva ancora tuttora dei problemi a scendere. In quel momento, però, era accoccolata alla base di un enorme pino, con ancora il fiato grosso per la corsa. I pensieri le vorticavano furiosamente nella testa, tanto che non riusciva a formularne uno di senso compiuto.
Era quasi giunta alla conclusione che la scelta migliore fosse andarsene in quell’esatto momento, prima che i Nani cambiassero idea sul lasciarla libera e decidessero di farla rinchiudere nelle prigioni di Granburrone – sempre se ce n’erano -, quando udì il canto del merlo.
Enara si raggelò. Sentì brividi freddi scenderle lungo la schiena e le gambe le fremevano dal desiderio istintivo di scappare via. Eppure sapeva bene che scappare era inutile. Si sforzò di calmare il proprio respiro per permettersi di ascoltare, nella speranza di aver sentito male. Nonostante le sue speranze, il basso tciuc-tciuc-tciuc che sentiva era proprio il canto del merlo. Era un fischio puro, quasi flautato e molto allegro, quello che risuonava nel bosco. Enara riconosceva fin troppo bene la melodia che il canto riproduceva e quando questo cessò rimase col fiato sospeso, in attesa della risposta. Risposta che non si fece attendere molto, ma che arrivò esattamente da sopra la testa della donna.
Si costrinse ad alzare lo sguardo ed attraverso il fitto intrico di rami del pino a cui si era appoggiata vide quel che più temeva. In quel momento si ricordò della scimitarra che Thorin aveva trovato. Come ho potuto essere così stupida da dimenticarmene?, fece appena in tempo a chiedersi che la figura che aveva visto balzò dal pino ad un albero vicino. Enara vide alla debole luce della luna che, chiunque fosse, aveva sul viso una maschera che lei conosceva bene. E non ebbe più dubbi.
Osservò col cuore in gola la figura balzare agilmente da un albero all’altro senza fare il minimo rumore. Quando sparì dalla sua visuale ebbe qualche secondo per pensarci e poi anche lei si era arrampicata sull’albero e, mettendo a tacere ogni pensiero, ogni ricordo, ogni paura, seguì la figura. La vide ricongiungersi con il suo compagno che aveva fischiato il primo canto del merlo. I due confabularono un poco e poi come un sol uomo si diressero verso Granburrone, senza scendere dagli alberi. Allo stesso modo lei li seguì, stando però parecchi alberi indietro, in modo tale da non farsi scoprire.
Non aveva pensieri, non era nessuno in quel momento, era un predatore sulle tracce delle sue prede. L’addestramento le aveva insegnato che questo era l’unico modo per sopravvivere, ma non le servì a niente quando si rese conto che le due figure si erano fermate sugli alberi appena sotto il balcone su cui stavano i Nani.
Dannazione! Era tutto così ovvio! Perché sì, era stata stupida a non rendersi conto che, se Thorin aveva trovato quella scimitarra, evidentemente loro dovevano essere già da tempo sulle loro tracce. Nessuno dei Nani poteva immaginare in che cosa si sarebbero imbattuti da lì a poco, ma lei sì. Il suo istinto le diceva di scappare, perché i Merli erano ben al di sopra delle sue possibilità, soprattutto due in grado di intrufolarsi nella valle di Granburrone senza farsi scoprire. Eppure…eppure non posso scappare. Con che coraggio poi vivrei con la consapevolezza di aver abbandonato i Nani alla morte? Perché era di nuovo ovvio che se in quel momento se ne fosse andata abbandonandoli alla loro sorte sarebbero morti.
Valutò le condizioni in meno di un battito di cuore. Il balcone sporgeva dalla roccia su cui era arroccata Granburrone di poco, perché la maggior parte del chiosco era coperta. Alla sinistra di Enara, però, c’era uno spuntone di roccia che arrivava fino al soffitto di quella sala aperta in cui i Nani erano stati sistemati. I due Merli avevano evidentemente intenzione di passare da lì per assalire le loro vittime ed infatti si stavano dirigendo da quella parte. La donna però sapeva che alla sua destra c’era una scalinata che portava fino al di sopra del soffitto del balcone, dove si trovava un porticato da cui era passata insieme ai Nani per raggiungere il chiosco sottostante.
Senza pensarci due volte raggiunse l’albero più vicino alla scalinata e da lì si lanciò sulla scalinata stessa. Atterrò senza fare il minimo rumore e si rese conto che i Merli stavano già per raggiungere il balcone. Allora corse al porticato il più velocemente possibile e si issò sulla balaustra alla stessa altezza degli assassini estraendo il suo pugnale. Con la coda dell’occhio vide che con i Nani non c’era Gandalf, e questo poteva solo andare a vantaggio dei Merli.
Silenziosi come la notte, invisibili come l’aria, i due assassini calarono sulla vittima che avevano più vicina: Bombur. Il Nano era evidentemente crollato a dormire subito dopo aver finito di mangiare e i suoi compagni stavano confabulando poco più in la.
Nell’attimo in cui vide che il primo Merlo stava per tagliare la gola a Bombur, Enara, con in mano l’unico pugnale che le era rimasto, si lasciò cadere sull’assassino, atterrandogli pesantemente sul braccio teso. Quest’ultimo lasciò cadere il pugnale avvelenato, rovinando anch’egli a terra sotto il peso della donna, che con un calcio lanciò l’arma dell’assassino giù dal balcone.
In un attimo il secondo Merlo – che lei fece appena in tempo a riconoscere dal colore della maschera come Merlo Bianco – le fu addosso e, avendola schiacciata a terra, grazie al fatto che era ben più massiccio di Enara, l’avrebbe certamente uccisa, se Bombur non si fosse scagliato addosso al Merlo Nero che aveva cercato di ucciderlo per primo. Il N
nano urlava come un ossesso ed agitava in aria l’unica arma di cui era dotato: un piatto vuoto.
La donna approfittò della distrazione del Merlo Bianco per sferrargli una dolorosissima ginocchiata sotto il mento e gli piantò il pugnale nel petto, ma questo fu deviato da qualcosa che l’assassino portava sotto gli abiti neri ed Enara lo perse: l’aveva immaginato, ma aveva deciso di tentare comunque.
Nel secondo che gli altri Nani impiegarono per reagire all’urlo di Bombur, il Merlo Nero aveva steso a terra il povero Bombur, Enara aveva fatto cadere con uno sgambetto il Merlo Bianco e si era scagliata contro l'altro assassino.
Quest’ultimo con un agile piroetta le lanciò addosso una piccola daga che la donna non fece in tempo ad evitare. Cadde in terra, si estrasse la lama dal fianco in cui si era conficcata e senza nemmeno soffermarsi a pensare che sicuramente era avvelenata la rilanciò contro il Merlo Nero. Essa si conficcò nel collo dell’assassino e questi cadde a terra agonizzante. Il Merlo Bianco, rinunciando a scappare, tirò un calcio al fianco già ferito di Enara ed ingaggiarono una breve lotta in cui la donna sarebbe sicuramente stata uccisa se Dwalin, l’unico Nano che aveva tenuto accanto a sé le proprie armi, non avesse tagliato con un colpo netto la testa al Merlo Bianco.
Con la coda dell’occhio, però, Enara fece in tempo a vedere che il Merlo Nero, in procinto di morire, aveva estratto la sua scimitarra e stava per sbatterne il pomolo contro il pavimento. Sapendo cosa aveva intenzione di fare, la donna esclamò per avvertire i Nani:
« Non respirate! » ma nel farlo inalò un po’ delle polveri che si liberarono quando il pomolo si ruppe. Prese a tossire e la vista le si annebbiò. Annaspò in cerca d’aria e ne inalò ancora, quando il Merlo Nero le fu addosso in un ultimo sprazzo di vita. Debolmente lei riuscì a respingere un’altra daga avvelenata con le mani che si ferirono, e con poca forza gli strinse le mani attorno alla gola e l’assassino, come reazione istintiva, respirò a pieni polmoni inalando una grandissima quantità delle polveri che lui stesso aveva liberato. Cadde a terra morto.
Enara vedeva tutto attorno a sé annebbiato. Distinse vagamente Dwalin, o forse Kili, che le si avvicinava, ma tutto era così confuso che pareva un sogno. Sentì le gambe cedere e cadde anche lei. E cadde, e cadde, e cadde, per un tempo che le parve infinito.
E non toccò mai terra.
Tutto si fece nero.


 

✽ ✽ ✽




Perdonatemi l'enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo :( purtroppo la scuola mi sta rubando un sacco di tempo, e temo che fino a dopo la maturità (se mi ammettono e a questo punto mi viene quasi da sperare che non mi ammettano) non riuscirò ad aggiornare con frequenza precisa.
Ma andiamo subito al dunque!
Finalmente in questo capitolo veniamo a scoprire un po' di cose sulla nostra cara (?) Enara. Spero sinceramente che vi sia piaciuto, perché, soprattutto nella parte del combattimento, non mi convince molto. Ho anche notato che le recensioni sono drasticamente calate, e siccome addirittura nove persone seguono la storia mi chiedo perché. Vi fa schifo, vero? :( bene (anzi no)! Se vi fa schifo, commentate e fatemelo sapere! Se vi fa vomitare, commentate e fatemelo sapere! Se vi fa venire voglia di uccidervi, comemntate e fatemelo sapere! Insomma, commentate :D
Mi sono cimentata nuovamente nella lingua elfica con la breve frase che Elrond dice, la cui traduzione (nelle mie intenzioni) sarebbe: "Una stella brilla sull’ora del nostro incontro. Venite, mangiate e bevete al banchetto. Siamo al vostro servizio. Benvenuti, amici miei, a Granburrone.". Se vi siete resi conto che la trasposizione non è giusta non esitate a farmelo notare! La canzone all'inzio del capitolo è "Turn loose the Mermaids" ed è una delle canzoni dell'ultimo album dei Nightwish che sono il mio gruppo preferito in assoluto <3

Un enorme abbraccio a Yavannah e LilyOok_ che hanno recensito l'ultimo capitolo <3
Vorrei anche ringraziare chi ha aggiunto la storia alle preferite (lili89) e chi alle seguite (anto27 e GioTanner).
Alla prossima!

PS. non so esattamente dove ho trovato l'immagine usata per il tag ad inizio capitolo, se il possessore del copyright legge questo messaggio mi contatti in modo che io possa mettere i credits (:

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Capitolo 5
*** Nel vento ***



La corsa è finita e questa storia non vale più niente.
Hai tagliato il traguardo, non hai più bisogno del tuo magnifico dolore.
Quel passato non ti serve più.
 

10 Lairë, anno 2941, terza era
 
Vedeva solo nebbia attorno a sé e cadeva, cadeva per un tempo che sembrava più lungo dell’eternità. Sentiva la gola ardere. Soffocava. I polmoni le bruciavano, come se avesse corso per miglia senza fermarsi. La testa pulsava tanto che sembrava stesse per scoppiare. Ebbe un sussulto e sentì una fitta al fianco destro che si estese per tutto il corpo e non andò più via.
Urlava, urlava ed urlava ma nessuno poteva sentirla.
Cadde.

 
Anno 2934, terza era
 

Se ne andò di casa a diciannove anni. Non aveva niente con sé, a parte se stessa e gli abiti che portava addosso. Non ebbe altra scelta che mettersi a rubare, perché non poteva tornare a casa, oh no. Non poteva. Non avrebbe mai dato loro la soddisfazione di vederla tornare. Non sarebbe successo mai, non si sarebbe arresa, mai. Certo, era molto difficile resistere alla tentazione quando la sera moriva di fame, quando dalla disperazione beveva acqua non potabile e passava giorni in preda ai crampi, quando era costretta a dormire in un angolo della strada perché non aveva niente con cui pagare una stanza in una locanda.
Allora si mise a rubare. Un po’ di qua, un po’ di la. Rubacchiava cibo, vestiti, qualche arma, monete. E poi un giorno la beccarono. Volevano giustiziarla, dicevano. Lottò come un animale per liberarsi e per scappare uccise. Corse via, il più velocemente possibile, lasciandosi dietro l’orrore e la vergogna di ciò che aveva fatto. Corse via, finché non fu più nemmeno in grado di capire dove fosse arrivata.
Tutto ciò che conosceva era lontano, fisicamente e mentalmente. Fu allora che qualcosa scattò in lei, e nacque la sua nuova verità. Era come una voce, che semplicemente le diceva “corri”, e lei completava quel sussurro dentro di sé con “più veloce che posso e per sempre”. Correva per fuggire una casa che non poteva più essere la sua, correva per non permettersi di osservare il mondo attorno a sé, di registrarlo, di capirlo.
Allora rubò di nuovo, uccise di nuovo. E poi ancora, ed ancora. E poi scappò, di nuovo. E si sentiva un mostro, ma non riusciva a smettere, perché non poteva smettere se voleva sopravvivere.
E se c’era una cosa di cui era sicura era il fatto che lei voleva vivere.

 
Mani l’afferravano, la tiravano, la strappavano.
 
All’inizio non era brava per niente. Non sapeva cacciare, non sapeva rubare, non sapeva accendere un fuoco. Si feriva di continuo e anche se era veloce ed agile spesso non bastava. Successe spesso che venne catturata, ed ogni volta lei uccise per scappare.
E correva. E scappava.
Scappava anche un po’ da quella se stessa che aveva sempre vissuto nelle comodità di casa sua. Comodità che all’epoca non apprezzava, anzi dava quasi per scontate. Comodità che l’avevano fatta sentire in gabbia.
Se si fosse fermata, se avesse smesso di scappare sarebbe finita, non avrebbe retto e si sarebbe arresa.
 
Ancora fitte al fianco destro, ancora dolore.
Gridò di essere lasciata in pace, ma il suo grido cadde nel silenzio.
 
Col tempo divenne più brava. Silenziosa, leggera, veloce. Era consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto contare sulla propria debole forza. Allora imparò ad arrampicarsi sugli alberi, sulle case. Divenne agile, così brava a non farsi vedere da poter essere a volte scambiata con le tenebre della notte.
Quello che rubava non le bastava mai. Voleva sempre di più, sempre di più. Allora iniziò a farlo dietro commissione. Ed uccideva anche, perché a volte la vita va così, scappi con la figlia del connestabile di un villaggio e questi assolda un assassino per farti fuori.
Riuscì a trovare una sorta di pace nel fare questo, era più facile, era solo un’ombra nella notte che ti portava il sonno eterno. Era un Nessuno e poteva studiare le proprie vittime con più freddezza, senza avere a che fare con la propria coscienza.
La notte riprese a dormire di un sonno senza incubi, ma solo perché aveva ucciso tutto quello di umano che poteva esserci nel suo cuore.
 
Cadde nel vuoto.

 

11 Lairë, anno 2941, terza era
 
Ogni respiro era un rantolo ma era immersa nel bianco. E il bianco era soffice. Incredibilmente soffice. Se quella era la morte, beh, tanto meglio. Ma il bruciore che sentiva in bocca, in gola e nei polmoni le diceva che non poteva essere morta. Non ancora.
All’improvviso ebbe una fulminazione e si mise a gridare parole sconnesse:
« I Merli! I Merli non vanno in coppia! » urlava.
Mani l’afferrarono.

 
Anno 2936, terza era
 

Ricordava con chiarezza quella notte.
Rimaneva solo più uno spicchio di luna nel cielo e la luce era debole. Dal buio attorno a lei arrivavano i felici canti di qualche uccello notturno. Era la notte perfetta per quello che doveva fare: uccidere un governatore che stava poco simpatico al suo vicino. Ebbe modo di studiare la casa dell’uomo e le sue abitudini. Abitava in una bella casa che dava sulla piazza centrale.
Aspettò il momento propizio sul tetto di un’abitazione vicina e quando la luce nella camera da letto si spense iniziò il conto alla rovescia. Aspettò un’ora e poi saltò sul tetto della casa del governatore. Si lasciò penzolare appesa alla balaustra davanti alla finestra della camera dei figli dell’uomo. Aveva notato che quando faceva caldo avevano l’abitudine di lasciare la finestra appena accostata. Riuscì ad entrare senza fare il minimo rumore. I bambini dormivano. Uscì nel corridoio. Quando si rese conto che una guardia stava per svoltare l’angolo saltò al limite delle sue possibilità e si appese alle travi che sostenevano il soffitto. Quando l’uomo le fu sotto gli balzò addosso e gli premette un panno sulla bocca e sul naso: esso era imbevuto in una sostanza soporifera e la guardia cadde a terra, addormentata, svenuta, morta. Raggiunse velocemente la camera patronale senza altre interruzioni. Scassinò la porta ed entrò. La moglie del governatore era morta da qualche tempo e lei non si aspettava di trovare nessun altro nella camera da letto. Ed, infatti, c’era solo il cadavere dell’uomo. Sul collo aveva un minuscolo puntino quasi invisibile, circondato da un ematoma che sparì in quei pochi secondi che ebbe per osservarlo da vicino.
La salvò l’odore del veleno. All’improvviso, infatti, sentì un profumo dolce e pungente. Rotolò sul letto, sopra il cadavere, appena in tempo per evitare il pugnale che invece s’inficcò nella parete fino all’elsa. In un battito di cuore ruppe la finestra con una gomitata e si arrampicò sul tetto.
Scappò, senza guardarsi indietro.
Perché chiunque avesse ucciso quell’uomo era ben al di sopra delle sue possibilità.
Ma non era andata molto lontano.
 
Riuscì a pronunciare un’unica frase di senso compiuto:
« I Merli cantano prima di volare, cantano! » e poi cadde di nuovo nel nero.
 
L’aveva imparato a sue spese che i Merli cantavano prima di volare.
Ritirò la ricompensa per aver ucciso il governatore. Era notte e percorreva a piedi una strada che non conosceva. A malapena sentì fischiare i merli e all’epoca non faceva ancora caso al canto degli uccelli, come chiunque d’altronde.
Erano in cinque e le tesero un agguato, ma nessuno di loro si era aspettato che reagisse. Quando il primo la sfiorò lo uccise subito, lasciandolo a terra con l’osso del collo spezzato che spuntava dalla pelle. Gli altri la presero. Avevano sul viso delle maschere che le misero addosso una paura senza nome. Degli enormi buchi lasciavano gli occhi in ombra e li facevano sembrare profondi abissi. I corti becchi davano alle bocche un aspetto mostruoso. Le finte piume erano nere.
Le fecero delle domande a cui non rispose. Decisero di convincerla a rispondere torturandola, ma da un attimo all’altro non la videro più perché riuscì a scappare. Era anche riuscita a rubare la maschera dell’uomo che aveva ucciso.
Più tardi si accorse che era bianca, mentre quelle degli altri uomini erano nere, ma ciò non significava ancora niente per lei.
 
Si rese conto che stava urlando e che mani ferme la trattenevano dolorosamente:
« Il terzo, il terzo! »
 
Si sentì stranamente in colpa a tenere la maschera. Allora la lasciò cadere in un fiume e la guardò correre verso il mare.
 
« Acqua, acqua per le maschere! »

 

12 Lairë, anno 2941, terza era

 
Anno 2937, terza era

 

Riuscì a resistere alla tentazione di andare in giro a fare domande indiscrete, ed invece indagò per fatti suoi. Scoprì diversi collegamenti che dopo molto tempo la condussero alle Terre Selvagge. Seguì per mesi tracce che non portavano da nessuna parte, finì in vicoli ciechi. Infine raggiunse le Montagne Grigie, a Nord di quello che poi diventò Bosco Atro. Anche lì vagò come uno spettro per giorni e giorni, finché non cadde in un fiume che la trasportò fino all’inizio di una valle segreta.
 
Quando infine giunse al Monastero era passato quasi un anno dal giorno in cui aveva ucciso il Merlo Bianco. E rondini avevano vegliato su di lei per tutto il tempo.

 

13 Lairë, anno 2941, terza era

« Rondinella, tutto ciò da cui stai scappando è solo dentro la tua testa. »

 

Fu come tornare a galla dopo aver passato troppo tempo sott’acqua.
Annaspò a lungo in cerca d’aria ed infine quando riprese a respirare normalmente o quasi aprì gli occhi e fu accecata da una luce bianchissima. Sbatté le palpebre un paio di volte e poi le strinse per cercare di distinguere qualcosa del luogo in cui era.
Sentiva nell’aria un delicato profumo che poteva essere solo di magnolie in fiore, ed a parte il continuo suono di un ruscello nient’altro turbava la pace che la circondava.
Infine riuscì faticosamente a mettere a fuoco. Si trovava in una stanza aperta pulita e arredata semplicemente che sul lato destro era aperta e dava su un giardino paradisiaco. Era sdraiata su un morbido letto, affondata in coltri di lenzuoli bianchi.
Per qualche motivo non riusciva a sopportare tutta quella perfezione che la circondava e decise di scendere dal letto. Lo fece tutto d’un colpo, quasi si buttò giù, perché immaginava che il dolore sarebbe stato lancinante. E così fu. Era un dolore sordo, e profondo, che non riusciva a localizzare precisamente. Partiva come una fitta e poi si diffondeva velocemente a tutto il resto del corpo. Si piegò sulle ginocchia non appena toccò terra con i piedi nudi e rimase china così per qualche lungo ed agonizzante attimo. Poi si alzò lentamente.
Davanti a lei c’era una parete che le rimandava l’immagine di una donna scheletrica ed emaciata e ci mise un po’ a rendersi conto che stava guardando uno specchio. Enara distolse lo sguardo e fece qualche passo prima di ricadere seduta sul letto. Perfino il profumo dei fiori iniziava a darle sui nervi.
Abbassò lo sguardo e si rese conto di avere addosso una tunica bianca. Non riuscì a resistere ad una furia che le crebbe improvvisamente dentro e se la strappò di dosso, per poi gettarla in un angolo della stanza.
Era rimasta nuda quando Bilbo spalancò la porta della camera per vedere come stava. Se qualcuno in Rivendell stava ancora dormendo - e data l’ora direi che senza dubbio qualcuno lo stava facendo -, beh, senza dubbio questo qualcuno fu svegliato dall’urlo isterico che lo hobbit cacciò prima di richiudere la porta con violenza. Enara sentì solo più un tonfo, poi, il silenzio assoluto.
La donna recuperò l’abito da per terra e se lo mise addosso alla bell’e meglio. Zoppicò fino alla porta, la aprì e trovò Bilbo svenuto. In quel momento girò l’angolo lo stregone ed Enara fece un lungo sospiro:
« Sei sveglia da qualche minuto e hai già combinato danni! » fece Gandalf raggiungendola. Enara riconobbe nella sua voce un tono fintamente bonario e cortese, cosa strana per lo stregone.
« In realtà io non ho fatto proprio niente. » rispose lei inarcando un sopracciglio.
Rimasero a guardarsi per qualche attimo ed Enara si rese conto che prima di svenire doveva averne combinata qualcuna. Allora trascinò a fatica dentro la camera Bilbo e chiuse fuori lo stregone. Zoppicò nuovamente fino al letto e si sedette sul bordo.
Cosa diavolo è successo?
Il buio era nei suoi ricordi. Non ricordava più nulla da quando…da quando…dal banchetto. Banchetto? Ma certo, il banchetto! Avevano mangiato, riso, cantato. Lei e…chi? I nani. E Bilbo. E poi se n’era andata - chissà perché - e basta. O no? No, decisamente no. Se n’era andata ed era finita in un bosco. Nel bosco di Granburrone. E lì si era addormentata. No, aspetta, così non funziona. Era nel bosco, sì, ma non si era addormentata. Era notte e lei era stanca ma non si era addormentata. Perché…perché…i Merli!



 

✽ ✽ 

 



Sono ancora viva :D insomma, più o meno. Spero possiate perdonarmi il ritardo e la brevità del capitolo :( ma davvero la maturità mi sta uccidendo...e non è nemmeno iniziata! Per il prossimo capitolo temo davvero che dovrete aspettare almeno fino alla fine degli esami, perché non riuscirò quasi sicuramente ad aggiornare. Anche perché ho appena cancellato un sacco di capitoli che non mi piacevano più XD ergo, è tutto da riscrivere.
Finalemente scopriamo un po' di cosine su Enara in questo capitolo (: spero che vi sia piaciuto!
La citazione all'inizio viene dal libro "Nel Vento" di Emiliano Gucci, da cui prende il nome il capitolo.
Pensatemi tanto durante gli esami :(((
Un bacione, alla prossima!

PS. i credits dell'immagine nel tag ad inizio capitolo appartengono a questa pagina: 
http://media.theiapolis.com/d4-i1KMA-k4-l1KX0/martin-freeman-as-bilbo-baggins-in-the-hobbit.html

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Capitolo 6
*** A war in my mind ***


Been trying hard not to get into trouble, but I
I've got a war in my mind.

 
 
Ho provato a non mettermi nei guai, ma io
io ho una guerra nella mia testa.



13 Lairë, anno 2941, terza era
 

I pensieri s’inseguivano frenetici nella testa di Enara. Tutto scomparve attorno a lei e l’unica cosa sulla quale riusciva a focalizzarsi era che, per quanto pensasse e ripensasse all’attacco dei Merli, non riusciva a ricordare segni della presenza del terzo Merlo. I Merli non viaggiano in coppia, lei lo sapeva: i Merli viaggiano in numero dispari. Erano cinque quella notte che l’avevano catturata, ed erano almeno tre – se non di più – l’altra sera. Si chiese quanto fosse passato dall’attacco e, rendendosi conto che sentiva ancora un dolore diffuso lungo tutta la trachea e nei polmoni quando respirava, immaginò che fossero passati pochi giorni, che erano comunque abbastanza perché il terzo Merlo fosse riuscito a scappare dalla valle di Gran Burrone. Tanto più che nessuno sapeva della sua esistenza. Maledisse la propria stupidità.
Dannati Merli, si ritrovò Enara ad imprecare per l’ennesima volta nella sua vita.

 

In quel momento Bilbo, che lei aveva lasciato steso per terra ai piedi del letto, con un mugugno si rialzò e si voltò verso Enara. La donna ridacchiò quando vide che era ancora completamente rosso in viso:
« Come state, mastro hobbit? » fece con un sorriso canzonatorio
« Tecnicamente dovrei fare io questa domanda a voi! » sbottò Bilbo, con fare indignato. Poi la sua espressione si addolcì e si avvicinò alla donna: « Vi siete ripresa? »
« Sì, direi di sì. »
Enara fece vagare lo sguardo lontano dallo hobbit prima di porre la domanda che l’assillava da quando aveva ricordato ogni cosa dell’attacco dei Merli:
« I Nani…come stanno? »
Bilbo sorrise prima di rispondere: « Bene, a parte Bombur che ha inalato un po’ di quella polvere, ma niente di preoccupante in confronto a quanta ne avete respirata voi. » poi divenne serio « Come facevate a sapere della polvere? »
Enara sentì il cuore in gola. Da una parte era sollevata perché la sua disattenzione aveva avuto riscossioni solo su lei stessa e non sui Nani o su Bilbo, ma la legittima domanda che lo hobbit le pose la mise in agitazione. Sicuramente anche gli altri si sarebbero chiesti perché sapeva della polvere, o meglio del veleno, e, anche se non avesse risposto a lui, sicuramente sarebbe stata costretta a dare una risposta a Gandalf, o a Thorin, o a all’elfo che li aveva accolti in casa sua.
Boccheggiò in cerca d’aria, mentre la sua mente lavorava frenetica alla ricerca di qualcosa da dire che fosse il più lontano dalla verità. Era strano che non avesse niente da dire. Enara aveva sempre qualcosa da dire, soprattutto menzogne. Eppure davanti agli enormi occhi azzurri di Bilbo non riusciva a pensare ad altro che alla verità.
« È una storia molto lunga… » riuscì a dire infine e non era nemmeno tanto lontano dalla verità « …e questo non è esattamente il luogo né il momento giusto per raccontarla. »
Al che Bilbo, visibilmente insoddisfatto, fece per insistere ma appena aprì la bocca un bussare leggero li interruppe. Entrò nella stanza un’elfa esile come un fuscello ma alta, dai luminosi occhi verdi e lunghi capelli castani:
« Il mio nome è Serie. » disse in Comune con un forte accento elfico « Sono qui per aiutare a lavarsi e vestirsi la tua compagna, hobbit della Contea. Devo chiederti di lasciarci sole. »
Lo hobbit allora s’inchinò e nel giro di un respiro fu fuori dalla stanza, senza dimenticarsi di lanciare uno sguardo ad Enara come per dire che non si sarebbe dimenticato di cosa stavano parlando prima che fossero interrotti. La donna osservò attentamente l’elfa davanti a lei e sentì crescere un forte senso di disagio. Quando però Serie le sorrise dolcemente, la donna disse:
« …il mio nome è Enara. »
Al che l’elfa chinò il capo in cenno di saluto.

 

Serie la portò in un’altra stanza, accanto alla sua, in cui c’era una vasca grande abbastanza da contenere due Bombur. Del vapore usciva da essa, e l’acqua sembrava calda ed invitante. Enara si avvicinò e con la coda dell’occhio vide che Serie era dietro di lei, pronta ad aiutarla, probabilmente. Per una volta tanto, la donna mise allora a tacere il proprio orgoglio e lasciò cadere l’abito strappato che indossava. Nascondendo il viso arrossato dall’imbarazzo entrò nella vasca. L’acqua calda l’abbracciò ed Enara sentì che essa emanava un leggero profumo.
« Posso aiutarti? » fece Serie, prendendole i capelli. Enara mugugnò qualcosa che l’elfa intuì essere una risposta affermativa ed allora le versò dell’acqua sulla testa e prese a strofinarle delicatamente il capo, mentre la donna si sfregava un pezzo di sapone dappertutto sulla pelle, portando via lo sporco.
Quando l’acqua divenne marrone e torbida, l’elfa la aiutò ad alzarsi e la avvolse in un morbido lenzuolo, strofinandola delicatamente per asciugarla. Tornarono nella stanza da letto ed Enara vide che le erano stati lasciati dei vestiti puliti sul letto.
Di nuovo nuda davanti a Serie, Enara si osservò brevemente allo specchio. Sul fianco destro aveva una leggera ferita in via di cicatrizzazione, circondata da un ematoma viola e verde. Anche le mani erano percorse da nuove ferite, ma profonde e molto dolorose. Aveva altri lividi sparsi un po’ ovunque sul corpo. Quel che più la impressionò, però, fu vedere quanto era diventata magra da quando aveva iniziato a seguire i Vagabondi. Passò una mano sulle costole sporgenti ed evitò di osservare troppo a lungo le scapole appuntite. Attorno agli occhi aveva profonde occhiaie, e gli occhi stessi erano arrossati ed iniettati di sangue. Distolse lo sguardo con un groppo alla gola.
Serie le bendò le ferite e poi con un inchino la lasciò da sola a vestirsi, avvertendola che l’avrebbe aspettata fuori dalla camera. Enara prese dal letto gli abiti che gli Elfi le avevano lasciato ed indossò sia i morbidi pantaloni neri, sia la camicia di lino bianca. Ai piedi del letto c’erano anche un paio di stivali che scoprì essere il paio più comodo che avesse mai indossato.
Prima di uscire dalla camera, Enara chiuse gli occhi e fece un profondo respiro, ignorando le stilettate di dolore che sentiva all’altezza dei polmoni. Un sentimento strano si agitava nel suo cuore: era come se al tempo stesso volesse che i Nani e Bilbo e Gandalf sapessero, ma senza che fosse lei a parlarne. Aveva paura di essere giudicata, soprattutto aveva paura di quello che avrebbe pensato di lei il piccolo hobbit – al quale lei continuava a riferirsi nella sua testa come “piccolo”, nonostante avesse chiaramente superato i cinquant’anni – dal momento che aveva iniziato ad…affezionarsi?
Sentiva le gambe fremere dalla voglia di correre via, il più lontano possibile. Aveva imparato a scappare da certe sue sensazioni ed invece posò la mano sulla maniglia ed aprì la porta. Serie la aspettava lì fuori e la salutò con un sorriso. Era silenziosa quanto bastava perché lei ed Enara potessero andare d’accordo.
L’elfa la prese sottobraccio ed in silenzio iniziò a condurla attraverso Granburrone. C’era qualcosa nella presenza di Serie accanto a lei che calmò il bollente spirito di Enara nonostante camminassero in silenzio, senza scambiarsi nemmeno una parola. Non incontrarono nessuno, fino a quando da un cortile spuntò un bambino che avrà avuto sì e no dieci anni. Il piccolo aveva capelli corvini e vivaci occhi chiari, guardò Enara e ridendo scappò via, passandole in mezzo alle gambe.
Serie rise ed Enara si lasciò scappare un mezzo sorriso.

 

Infine giunsero davanti ad una porta chiusa che alla donna sembrava essere in tutto e per tutto uguale a quella della sua camera.
« Entra, io aspetterò fuori. » disse Serie

 

Non appena entrò, Enara fu colpita quasi fisicamente dalla quantità di rumore che dodici Nani ed uno hobbit erano in grado di produrre se rinchiusi tutti in un stanza. Urlavano, si picchiavano, ridevano, se le davano. Al rumore del richiudersi della porta dietro le spalle della donna, però, tutto tacque ed Enara si ritrovo tredici paia di occhi puntati addosso. Dopo un lungo ed imbarazzante silenzio, Dwalin scoppiò a ridere e disse, esprimendo ad alta voce i pensieri di tutti:
« E chi poteva l’avrebbe mai detto che la nostra ladra, sotto tutti quegli strati di lerciume, si sarebbe rivelata una bella ragazza! »
Enara lo fulminò con la sguardo, provocando le risate degli altri Nani, che furono però interrotte dalle parole di Thorin:
« Non hai qualcosa da dirci, ladra? »
Enara fece per fissarlo con profondo astio, ma si rese conto che nel suo sguardo non c’era odio, o per lo meno non nei suoi confronti. C’era paura, probabilmente per i suoi compagni, e la donna si soffermò allora a pensare che subire un attacco in un luogo in cui si erano creduti sicuri doveva averli provati. O come minimo messi in allerta.
« Siediti qui, ragazza. » le fece Balin, alzandosi dalla sedia su cui era seduto e facendole cenno di accomodarsi.
Enara si sedette. Si sentiva come quando da piccola ne combinava qualcuna ed i suoi genitori la facevano sedere davanti a loro, per farle ramanzine su ramanzine. Inutile dire che le ramanzine le erano sempre entrate da un orecchio ed uscite dall’altro.
Alzò lo sguardo ed incontrò quello di Bombur che stranamente le sorrise bonariamente, come a dirle che non aveva niente da temere da loro.
« Esiste una valle… » sentì dire la sua voce, senza che avesse la percezione di essere lei stessa a parlare « …nelle Montagne Grigie, a Nord di Bosco Atro, molto profonda, che si interrompe all’improvviso davanti ad una cascata enorme. Vi giunsi durante una terribile tempesta, a causa della quale avevo perso l’orientamento. Dal cielo cadeva talmente tanta acqua che a malapena mi resi conto della cascata. Non che sia stupida eh! » aggiunse subito, vedendo Dwalin che sogghignava «Me ne sono resa conto! Solo…ecco…diciamo che me ne sono resa conto quando ci sono precipitata dentro. C’era un laghetto alla base della cascata, ma quella notte era quasi invisibile: un attimo prima stavo camminando su rocce sdruccevoli, alla ricerca di un riparo asciutto, ed un attimo dopo ero completamente circondata dall’acqua. » alzò lo sguardo e vide che tutti i Nani ed anche Bilbo avevano gli occhi fissi su di lei «La corrente era molto forte e la pressione dell’acqua della cascata non mi permetteva di tornare a galla. Mi ero aspettata di essere spinta lontano dalla cascata, lungo il fiume che avevo seguito per giungere lì. Ed invece no. La pressione dell’acqua mi spinse contro il muro di roccia dietro la cascata. E dopo averci sbattuto contro innumerevoli, dolorosissime volte…fui schiacciata dentro un tunnel. »
« Taglia corto, donna. » le fece Thorin, che stava iniziando a spazientirsi, ma nessuno degli altri Nani pareva intenzionato a permettere ad Enara di tagliare corto, perché la guardavano con enorme interesse, quasi dimentichi della questione che l’aveva spinta a parlare di tutto ciò
« Nel tunnel ho perso conoscenza, e quando mi sono risvegliata ero in un’altra valle che era in realtà formata da un profondo crepaccio, aperto fra due montagne che si stagliavano alte verso il cielo. Arroccato sul fianco a Nord c’era il Monastero. » Enara vide Thorin chinarsi verso di lei, catturato anche lui dall’interesse
« Il Monastero è il luogo in cui sono addestrati i Merli, e lo so perché è stata anche la mia casa, per molto tempo. »
« Chi sono i Merli? » le chiese Dwalin, scuro in volto
« Sono degli assassini. Viaggiano in numeri piuttosto numerosi e lavorano in gruppo, o da soli, ma mai in coppia. »
« Ci hanno attaccato dei…Merli? » fece Thorin, guardandola scetticamente
« Sì. »
« Ed erano in coppia? » aggiunse
« No, io credo… » Enara alzò a sua volta lo sguardo e fissò Thorin negli occhi «…credo che ce ne fosse almeno un altro, nascosto da qualche parte. »
La sua rivelazione cadde nel silenzio più assoluto della camera. Nessuno parlava, nessuno osava quasi fiatare. Thorin continuò a fissarla, ma era come se tutto fosse sparito dalla vista del nano.
Enara distolse lo sguardo, quando sentì crescere in lei un forte senso di colpa. Avrebbe potuto scovare il terzo Merlo, se solo non si fosse fatta fregare come una pivella dal trucco del pomolo della spada. Nel tempo che aveva passato svenuta, avrebbero potuto uccidere i Nani, e sarebbe stata solo colpa sua, perché non era stata in grado di avvertirli. Perché era inutile, non riusciva ad essere d’aiuto nemmeno nell’unica cosa che era in grado di fare.
« …è colpa mia. » disse infine, con un tono che fece credere a Bilbo che Enara potesse essere sull’orlo delle lacrime «È colpa mia. » ripeté con più convinzione ed a voce più alta
Thorin riportò lo sguardo su di lei e la guardò attentamente per la prima volta da quando gli era capitata fra capo e collo. Era una donna giovane, anche se non sarebbe stato in grado di dire quanto con precisione. Ora che si era lavata di dosso tutta la sporcizia, Thorin vide che aveva la pelle abbronzata dal sole, e finalmente riuscì a distinguere chiaramente il colore dei suoi capelli che erano castani.
« Non dire stupidaggini. » disse Thorin inaspettatamente, cogliendo di sorpresa tutti i presenti, compresa Enara, ma soprattutto se stesso « Tutti abbiamo abbassato la guardia, non solo tu. » aggiunse e quando lo sguardo della donna si appuntò pieno di stupore su di lui tagliò corto dicendo « Cosa può aver fatto un terzo Merlo in questi giorni? »
« Non sono stupidaggini! Avrebbe potuto uccidervi, anche se evidentemente non l'ha fatto. A quest’ora però sarà tornato dal mittente e ora sì che siete nei guai. »
« Mittente? » fece Balin, posandole una mano sulla spalla
« Sì, chiunque li abbia ingaggiati... »
« Questo è chiaro, ragazza. » disse Gloin con uno sbuffo d'impazienza « Quello che Balin intende dire è... »
« Qualcuno ha assoldato degli assassini per ucciderci? » esclamò all'improvviso Kili, ricevendo un'occhiataccia da Gloin ed un cenno d'assenso da Balin
« I Merli uccidono solo dietro compenso, non per loro personale iniziativa. Quindi sì, qualcuno li ha assoldati per uccidervi. »
Le sue parole caddero nuovamente in un profondo silenzio, durante il quale tutti erano immersi nei loro torbidi pensieri.
« Esistono merli bianchi? » fece Bilbo, rompendo il silenzio con la sua voce squillante
« Sì... » rispose Enara « ...solo i più abili sono Merli Bianchi. E solo uno di loro può guidare un gruppo di Merli. »
« E quindi voi eravate un Merlo? » chiese infine lo hobbit, nella speranza di ricevere la risposta alla domanda che Enara aveva eluso poco prima in camera sua.
La donna arrossì: « No. »
« E allora perché avete detto che quel luogo è stato casa vostra? »
« Perché lo è stato. »
« Ma se non eravate un Merlo! »
« Non esistono solo Merli. » fece Enara perdendo la pazienza « Esistono Gazze, Corvi, Gufi... »
« E voi? » le chiese Bilbo, così incuriosito dalla storia da non prestare più attenzione ai Nani attorno a loro
« Una Rondine... » disse Enara scura in volto « ...ero una Rondine. »
Lo hobbit la guardò negli occhi, mordicchiandosi un labbro. Aveva evidentemente un’altra domanda da farle, una domanda che aveva paura a pronunciare. Enara sperò che Bilbo non trovasse mai il coraggio, ma dopo un lunghissimo attimo lo vide prendere un profondo respiro prima di parlare:
« Quindi anche tu eri… » fece, lasciando anche da parte il “voi” con cui fino a quel momento si era rivolto ad Enara, ma non riuscì a completare la frase perché gli si ruppe la voce e rimase lì boccheggiante a fissare la donna negli occhi.
« …un assassino? » terminò lei senza scostare lo sguardo, lo hobbit annuì « Sì, anche io lo sono. »
 
« Non solo ladra, pure assassina! » sbottò Gloin, alzandosi in piedi e rompendo un lunghissimo attimo di silenzio in cui nessuno si era mosso, e suo fratello Oin annuì vigorosamente
« È inutile che tu faccia tanto lo schizzinoso! » esclamò Enara alzandosi a sua volta ma con così grande impeto che fece cadere a terra la sedia « Se io non fossi stata quel che sono, qualcuno di voi non sarebbe qui a lamentarsi di me perché sarebbe più morto di un mezzo di stufato! »
« Inutile ragazzina, non osar- » fece Oin ergendosi a fianco del fratello
« Inutile ragazzina a me? Chi avrebbe salvato i vostri culi pelosi se non ci fossi stata io? » lo interruppe Enara con veemenza, avvicinandosi a Gloin ed Oin e sovrastandoli con la sua altezza.
Scoppiò un finimondo in cui tutti gridavano contro tutti, perfino il piccolo Bilbo. Enara era al centro della confusione e potrei dire che fosse il centro della confusione. Alta di almeno tutta la testa rispetto a tutti coloro che la circondavano, si girava da una parte e dall’altra e distribuiva improperi a chiunque le capitasse davanti. Oin e Gloin erano quelli che urlavano più forte, com’era nel loro carattere burbero e acido, mentre Fili e Kili li istigavano mostrando loro i pugni, perché erano chiaramente dalla parte della donna. Bifur gridava a caso, senza avercela in particolare con qualcuno e senza sostenere una parte o l’altra. Perfino i calmi e saggi Balin e Dori stavano litigando, gesticolando furiosamente.
In quel momento Thorin si alzò dalla sedia. Enara non seppe esattamente cosa fu nello sguardo del nano a convincerla a smettere immediatamente di fare qualsiasi cosa stesse facendo, ma lo fece e basta. E non fu solo lei a farlo, ma tutti, dai più giovani ai più anziani.
« Ma vi sentite? » tuonò Thorin « Ho fatto tutto ciò che è in mio potere per voi, e questo è il risultato? Tutto ciò che sapete fare è litigare come dei ragazzini senza ancora peli sul viso! Vi prenderei a schiaffi uno ad uno se non fosse che possiedo ancora un minimo di rispetto per voi, e se non fosse che sono l’unico qui dotato ancora di senno! Vi siete offerti per questa missione, consapevoli che potrebbe costarvi la vita, e io sono stato orgoglioso di viaggiare con voi tutti al mio fianco ed ora cosa mi costringete a vedere? E tu… » fece infine rivolgendo lo sguardo verso Enara «…con quale coraggio osi insultare guerrieri che combattevano per la libertà anche del tuo popolo da ben prima che nascessero i tuoi malaugurati genitori? » concluse. La donna alzò il mento e fece per parlare ma poi guardò Thorin negli occhi e il suo orgoglio misto a irruenza si sgonfiò tutto d’un colpo. Chinò il capo. Con poche frasi, il nano li aveva rimessi tutti in riga, come se fossero davvero solo dei ragazzini.
Thorin passò un’ultima volta lo sguardo su di loro, prima di riappoggiarsi allo schienale della sedia. Tutti tornarono ai posti che occupavano prima del litigio, anche Enara, con la coda tra le gambe. C’era qualcosa nella sua voce che non potevi non ascoltare. Fu quello il momento in cui Enara si rese conto che quel nano era un leader naturale, quando vide che poteva leggere vergogna anche sui visi dei nani più anziani.
Bilbo guardò la donna negli occhi con uno sguardo spaurito che le ricordò quello di un cerbiatto. Lo hobbit sbatté le palpebre qualche volta, poi fece una smorfia. Quando Enara si rese conto che stava trattenendo le risate alzò un sopracciglio, come a dirgli: “Ma sei matto?”, poi guardò nuovamente i Nani e Thorin e realizzò quanto fossero divertenti le loro espressioni contrite, da cani bastonati.
Bilbo ed Enara firmarono la loro condanna quando scoppiarono a ridere nello stesso attimo.





NDA
Risalve a tutti (: no, non ho ancora finito gli esami purtroppo D: ho l'orale il 3 e ancora non so il risultato degli scritti, e mi sta salendo un'ansia da paura.
A parte tutto questo sono finalmente riuscita ad aggiornare, ed è pure un capitolo bello lungo, per farmi perdonare i ritardi passati :( giuro che quando avrò finito con la maturità avrete almento un aggiornamento a settimana! Per ora dovrete accontentarvi di questo :P
Due cosine da dire e poi me ne vado. 
Non so, io non me lo vedo Bilbo a dare subito del "tu" ad Enara, quindi per ora le da ancora del "voi", anche se spesso sembra ridicolo anche a me XD ditemi se vi è piaciuto il capitolo perché davvero non ne sono molto soddisfatta :( sarà che l'ho scritto nei ritagli di tempo fra uno scritto e l'altro, sarà che ho il cervello a dir poco in pappa...
La citazione che trovate all'inizio è della canzone "Ride" di Lana Del Rey, e la traduzione è mia.
MILLE PUNTI al primo/a che scopre chi è il bambino che Enara incontra in giro per Granburrone :P

Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo e tutti gli altri, chi ha aggiunto la ff alle ricordate, chi alle seguite e chi alle preferite!
Alla prossima!

 
 

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Capitolo 7
*** Alba ***


Una piccola noticina per scusarmi del ritardo con cui pubblico il capitolo :( spero non me ne vogliate troppo!
Buona lettura!

Davanti a noi i nemici e dietro lo spavento,
il nostro letto sarà sotto il cielo e nel vento,
fino al giorno in cui con la stanchezza in volto,
il viaggio sarà finito, ed il compito svolto.

 
Dobbiamo andare, dobbiamo andare!
Prima che l'alba incominci a spuntare! 

13 - 14 Lairë, anno 2941, terza era
 

Era calata la notte e la luna aveva già compiuto metà del suo percorso nel cielo buio quando Enara e Bilbo erano infine stati riammessi alla presenza dei Nani e di Thorin. Alcuni erano ancora scuri in volto, soprattutto quest’ultimo, ma nessuno riprese la discussione per cui la donna e lo hobbit erano stati cacciati dalla stanza. In tutto il tempo che avevano passato chiusi fuori, i due erano gradualmente giunti alla conclusione che avevano rischiato molto grosso, e che dovevano ringraziare non-sapevano-bene-chi perché Thorin aveva deciso di toglierseli di torno piuttosto che fare delle loro teste una macedonia. Pertanto, entrarono, tenendo gli occhi bassi, per quanto loro possibile vista l’irruenza e la curiosità che caratterizzavano i loro caratteri. La vergogna che provavano, però, era in realtà dovuta in gran parte al fatto che, quando Thorin in persona aveva riaperto la porta della stanza, Enara e Bilbo stavano origliando: l’uno cercava di sbirciare dalla serratura e l’altra era riuscita a procurarsi – solo lei sa dove – un bicchiere con il quale tentava di sentire qualcosa, qualsiasi cosa. Erano riusciti a rendersi anche solo lontanamente innocenti – almeno all’apparenza – nel battito di cuore di preavviso che Thorin aveva dato loro. Egli, infatti, era al di fuori del ristretto campo visivo di Bilbo che pertanto lo vide solo quando questi aveva già la mano sulla maniglia. Con uno strillo acuto Bilbo si era gettato nei cespugli ed Enara, per liberarsi del bicchiere, gliel’aveva lanciato dritto in testa, prima di nascondersi dietro una colonna dalla quale spuntava per tre quarti. Thorin li aveva guardati male, lo hobbit che si massaggiava la testa e la donna con un falsissimo sorriso a trentadue denti stampato sul viso, ma non aveva trovato nessun pretesto evidente per lasciarli fuori e quindi era stato costretto a farli entrare.
Sedendosi sulle due uniche sedie libere, Enara e Bilbo si scambiarono uno sguardo. Mentre loro erano fuori era, infatti, entrato Gandalf e i due avevano avuto modo di sentire chiaramente lo stregone litigare a gran voce con Thorin. L’Istar stava fumando forsennatamente, aspirando ed espirando a grandissima velocità. La stanza era piena di fumo e i Nani avevano leggermente l’odore di polli abbrustoliti.
Gandalf e Thorin si scambiarono uno sguardo di fuoco:
« Per l’ultima volta, dannato stregone, le nostre faccende non sono affari degli Elfi. » fece il Nano con un tono pieno d’ira che fece rabbrividire Bilbo
« Per tutti i fulmini, Thorin! » sbottò, invece, Gandalf balzando in piedi « Mostragli la mappa! »
« È il lascito del mio popolo. Ho tutti i diritti di tenerlo lontano dagli artigli di quei dannati Elfi! È mia da proteggere, e questo sovrano degli Elfi non l’avrà mai, dovesse passare sul mio cadavere! » esclamò alzandosi in piedi a sua volta
« Salvatemi dalla cocciutaggine dei Nani! » borbottò lo stregone tirando un’altra volta dalla pipa « Il tuo orgoglio sarà la rovina del tuo popolo, Thorin! Elrond è uno dei pochi nella Terra di Mezzo che sa leggere la mappa: mostragliela! »
Tutti gli occhi erano puntati sul Nano.
« Se dovessi andare io ad affrontare un drago, preferirei essere informata. Così, potrebbe farmi comodo sapere se sulla mappa c’è scritto che i draghi proliferano più dei conigli. Per non diventare un arrosto nel giro di un attimo, ecco. » s’intromise Enara, attirandosi occhiatacce da tutti, tranne che da Gandalf, che le indirizzò una sorta di ghigno che la donna non fu in grado di decifrare
« E tu cosa ne sai del drago? » fece Dwalin
« Io… ecco… »
« Ha origliato. » esclamò Bilbo, che meditava vendetta per il bernoccolo.
Enara si voltò verso di lui e lo fulminò con lo sguardo, per poi voltarsi di nuovo verso i Nani. Fece spallucce:
« Diciamo che in pratica stavate urlando… non è che io abbia fatto poi molto per sentirvi... »
Thorin tirò un lungo sospiro, pensando cos’aveva fatto di male al Fato per meritarsi una piantagrane del genere fra capo e collo. Tutti gli occhi si puntarono nuovamente su di lui. Non ebbe scelta.

 

-

 

Gandalf e Thorin raggiunsero Elrond in un chiosco aperto su due lati, illuminato dalla sola luce della luna. Avevano portato con sé Bilbo ed Enara: l’uno perché era stato impossibile da convincere a restare con i Nani, e l’altra, beh, forse perché qualcuno doveva pur giustificare la presenza dei Merli a Granburrone, e chi poteva farlo meglio di lei? Per prima cosa, infatti, l’Elfo volle conoscere ogni dettaglio, ma era come se qualcosa avesse sussurrato all’orecchio della donna di avere cautela, ed ella glissò su molti degli aspetti principali – attirandosi un’occhiataccia da Thorin e uno sguardo stranito da Bilbo. Elrond era palesemente rimasto insoddisfatto dalle spiegazioni della donna, ma non volle insistere oltre.
L’Elfo le tese le due maschere ed Enara esitò a lungo prima di prenderle in mano. Le voltò e lesse i nomi incisi all’interno di esse. Tirò un sospiro di sollievo quando realizzò di non aver conosciuto i due Merli.
« Cosa… cosa ne avete fatto dei corpi? » chiese in un sussurro
« Sono stati portati via. » rispose laconicamente Elrond
Thorin si fece avanti e tese a malincuore la mappa all’Elfo, ed Enara notò che, mentre Elrond la analizzava, al Nano tremavano così forte le mani che fu costretto a nasconderle dietro la schiena per non tradire il nervosismo. La luna brillava in una larga falce d’argento, era la notte di Ferragosto e il silenzio era assoluto.
« Ci sono delle lettere lunari, qui accanto alle rune visibili. » sussurrò infine Elrond, dopo una pausa che parve infinita
« Lettere lunari? » fece Bilbo
« Sono rune. Invisibili, se le si guarda direttamente. Leggibili solo quando la luna brilla dietro di esse. » disse l’Elfo voltandosi verso Thorin « Ma ciò che conta di più è che la luna deve trovarsi nella stessa fase e nella stessa stagione di quando le lettere furono scritte. »
Enara alzò lo sguardo verso la luna e le parve quasi di vederla ammiccare. Com’è possibile che la mappa sia capitata proprio oggi nelle mani dell’unico in grado di riconoscere le lettere lunari?, si chiese la donna. Non credeva nel Fato, nemmeno nel Caso, ma forse avrebbe dovuto farlo.
« Che cosa dicono? » domandò Thorin, con il tono di uno che cercava di celare invano il proprio nervosismo
« “Sta’ vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo e l’ultima luce del sole che tramonta nel Giorno di Durin splenderà sul buco della serratura” » lesse Elrond
Enara sbuffò d’impazienza ed irrisione e disse con tono beffardo:
« Grandioso! Peccato che sia impossibile indovinare quando ci sarà un giorno simile! »
« Impossibile? » domandò Bilbo, con la fastidiosa sensazione di essere diventato un po’ tardo
« La ragazza ha ragione. » rispose Thorin, con tono grave « Il Giorno di Durin è il Capodanno dell’Anno Nuovo dei Nani, è il primo giorno dell’ultima luna d’autunno alle soglie dell’inverno, è quando l’ultima luna d’autunno e il sole stanno insieme nel cielo. » fece un sospiro «Non siamo in grado di sapere quando sarà il giorno di Durin. »
« Questo è ancora da vedere. » concluse Gandalf, con un tono che non lasciava a presagire nulla di buono
« Il Fato è con te, Thorin Scudodiquercia. » fece Elrond, restituendogli la mappa
« Il Fato sì, ma contrario. L’estate sta passando, l’inverno incombe e ancora non sappiamo dove si trovi l’entrata. »
« Dovremo essere al momento giusto nel posto giusto, senza sapere né qual è il momento né qual è il posto. » esclamò Enara « Cosa c’è di più facile? »

 

-

La notte era ancora giovane quando i Nani si riunirono. Gandalf non era con loro. Confabularono un po’ e poi iniziarono a impacchettare provviste ed abiti forniti loro dagli Elfi. Enara rimase un attimo a guardarli e poi si schiarì la voce:
« Posso venire con voi? »
Thorin la guardò. Era una piantagrane, non c’era altro da dire. Una piantagrane, ciarlona e ficcanaso. Una persona di cui diffidare. Eppure c’era qualcosa che gli diceva di fidarsi, almeno momentaneamente, di lei. Due mani in più in grado di combattere fanno sempre comodo, diceva fra sé e sé. E se proprio lo hobbit risulta essere un’incapace, e noi ci trovassimo in difficoltà
« Verrai… » fece infine « …ma ad una condizione. »
Enara spense immediatamente il sorriso che le era sorso spontaneo sulle labbra. Nella sua mente “condizione” corrispondeva a “regola”, e lei era brava solo ad infrangerle, le regole. Soprattutto quelle fastidiose. E dal tono del Nano quella si preannunciava molto fastidiosa.
« Gandalf ed Elrond si sono ritirati. Voglio che tu sappia cosa stanno tramando. » fece « All’alba saremo alla roccia a forma di aquila che abbiamo incontrato prima del cancello di Granburrone. Se alle prime luci del sole non sarai lì, con delle informazioni, partiremo senza di te. » concluse, sottolineando aspramente la parola “informazioni”.
Dannato Nano, che ti bruci la barba e ti cadano i capelli.
Che ti venga quella dannata testa più pelata del culo di un bebè.

 

-

Enara non perse (troppo) tempo ad imprecare contro Thorin. Si precipitò fuori dalla porta e raggiunse la sua camera percorrendo a rotta di collo gli stretti corridoi di Granburrone. Spalancò la porta e trattenne a stento un urlo.
« Cosa ci fai tu qui? » esclamò
« Ti aiuto, che altro? » fece Serie, senza smettere di impacchettare le cose di Enara
« Frena il cavallo, dolcezza! » disse Enara costringendo l’Elfa a voltarsi verso di lei « E perché mai dovresti aiutarmi? »
Serie la fissò a lungo in silenzio. Infine parlò:
« In un tempo ormai lontano, una mia cara amica mi predisse che un giorno avrei aiutato una persona a compiere il proprio destino, che avrei dato a questa persona quell’aiuto senza il quale la sua vita sarebbe stata rovinata. » disse prendendole le mani nelle sue « Non mi disse niente della persona che avrei aiutato, ma fece la cosa giusta perché da quel giorno sono stata in grado di aiutare chiunque fosse bisognoso, senza aspettarmi nulla in cambio, rallegrandomi del semplice fatto che la persona che stavo aiutando in quel momento poteva essere quella di cui mi era stato predetto, e col tempo compresi che, anche se non lo era, cambiava ben poco. » Serie s’interruppe un attimo, prima di riprendere: « Forse sei tu quella persona, forse non lo sei. Non è questo che importa. Con il mio aiuto potrai forse cambiare il tuo destino, e, dunque, cosa mi costa aiutarti? L’unico beneficio di cui godo, e di cui voglio godere, è l’aver compiuto un beneficio. » sospirò prima di continuare «Non cercare alcun secondo fine nelle mie azioni, perché non c’è. »
Enara boccheggiò, in cerca delle parole giuste da dire. Infine chinò il capo, e si scusò.
Insieme prepararono due sacche con abiti puliti e altri oggetti di prima necessità. Gli Elfi avevano buttato gli abiti che Enara indossava quando era giunta a Granburrone, e di questo Serie si scusò molto, ma per la donna non significavano niente. In compenso, l’Elfa le diede degli altri abiti da viaggio, che sembravano cuciti apposta per il suo corpo. Sentì un colpo al cuore nel vederli, perché le ricordarono incredibilmente… Non ci provare!, disse Enara a sé stessa, per evitare di ricadere nel vortice di ricordi.
Indossò un morbido paio di pantaloni neri, attillati ma non stretti, che non provocavano il minimo rumore di sfregamento. Serie la aiutò ad indossare una maglia di lino leggero, rosso cremisi, sopra cui le fece indossare un corpetto nero, di cuoio duro, nel quale erano cucite quattro tasche, due per lato, in grado di contenere dei coltelli da lancio. Enara si fece scivolare a lungo tra le mani la cintura di seta cremisi, con una taschina per gli aghi piumati e il boccettino di veleno, ed indugiò prima di allacciarsela in vita. Essa nascondeva un’altra cintura, leggera e funzionale, con le daghe. Indossò un paio di guanti di cuoio nero, che fu costretta a risvoltare prima del gomito, per stare più comoda. Infine indossò gli stivali neri che aveva trovato appena sveglia accanto al suo letto. Quando pensava che avessero finito, Serie le allacciò ancora un mantello nero, lungo fino alle caviglie, dotato di spalline protettive in acciaio.
Enara infilò i sue due pugnali lunghi negli stivali e poi si guardò allo specchio. Non fu in grado di indugiare troppo a lungo nel contemplare la sua immagine, perché essa le ricordava dolorosi tempi passati.
Si voltò verso Serie, che con un sorriso sulle labbra le tese le sacche, dentro le quali Enara era riuscita ad infilare le maschere dei Merli.
« Amin estela ta nauva anlema. Aa’ i’sul nora lanne’lle. » le disse l’Elfa, stringendole una mano con commozione (1) 
« Possa la tua lama mai giacere in terra. » le rispose Enara « Vanya sulie. » (2)
« Namaarie. » (3)
La donna si voltò ed uscì dalla camera. Si era già quasi chiusa la porta alle spalle, quando sentì Serie sussurrare: «Se per caso stessi cercando Mithrandir, forse ti farebbe comodo seguire il corridoio degli affreschi fino ad una lunga scalinata di marmo bianco. In cima ad essa, forse, troverai ciò che vai cercando. »
Enara si incamminò con un sorriso sulle labbra.
 
La donna lanciò uno sguardo alla luna. Non era mai stata brava a capire che ora fosse guardando gli astri, e ciò si era rivelato un problema già più di una volta. Per esempio quando si era ritrovata un’armata di Nani fuori dalla grotta dei Vagabondi. In ogni caso non aveva molto tempo quella notte, questo era evidente anche a lei. Percorse a rotta di collo il corridoio che Serie le aveva indicato, saltando le rampe di scale in discesa e salendo gli scalini a due a due. Arrivata alla scalinata di marmo tirò un sospiro.
Essa portava ad un chiosco sopraelevato dal quale si potevano vedere tutti i dintorni di Granburrone. Nel silenzio della notte Enara riuscì a percepire diverse voci provenire dall’alto, pertanto decise di prendere delle precauzioni. Invece di salire la scalinata, balzò il basso muretto che delimitava il giardino fiorito tutt’attorno e si spostò sul lato est del chiosco. Da quel lato scendeva una cascata, ma quello che le importava era la parete di roccia. Gettò a terra le sacche ed iniziò la scalata con qualche problema, ma senza procurarsi troppo graffi riuscì ad arrivare in cima in breve tempo. Si sedette in una rientranza poco sotto il bordo del chiosco ed iniziò ad origliare.
« Cos’è quello? » sentì dire. La voce era senza dubbio quella di Elrond.
« Una reliquia di Mordor. » disse una donna, probabilmente un’Elfa. Aveva un tono strano, ed Enara rabbrividì senza sapere bene il perché.
Calò il silenzio e la donna si arrischiò a dare un’occhiata. Nel chiosco c’era un tavolo, al quale erano seduti Gandalf ed un uomo dai lunghi capelli bianchi che dava le spalle ad Enara. Chino sul tavolo c’era Elrond, che apriva con cautela un panno, a rivelare il pugnale che lo stregone rimbambito aveva dato a Gandalf poco prima che gli Orchi li attaccassero. Dietro quest’ultimo c’era un’Elfa, dai lunghi capelli biondi e dalla pelle diafana. Enara si sentì morire quando si rese conto che, chiunque ella fosse, l’aveva vista.
Ad interrompere il loro contatto visivo fu Elrond, che disse:
« Una lama morgul. »
« Fatta per il Re degli Stregoni di Angmar e… sepolta con lui. » disse l’Elfa, avvicinandosi al tavolo « Quando Angmar cadde, gli Uomini del Nord sigillarono il suo corpo e quanto lui possedeva nella profondità della roccia, in una tomba così oscura che non sarebbe mai venuta alla luce. »
Enara si risistemò nella rientranza, avendo visto tutto quello di interessante che c’era da vedere. Una lama morgul?, si chiese, Per quale motivo Radagast il Cretino avrebbe dovuto dare a Gandalf un pugnale del genere? Dove l’ha trovato?
« Questo non è possibile. » stava dicendo nel frattempo Elrond « Un potente incantesimo grava su quelle tombe. Non possono essere aperte. »
« Quali prove abbiamo che questa arma provenga dalla tomba di Angmar? » fece la voce della quarta persona presente sul chiosco. Ad Enara ricordò il sibilo di un serpente e si chiese chi fosse per potersi permettere di usare quel tono palesemente canzonatorio. Nemmeno lei avrebbe osato!
« Non ne ho alcuna. » fu costretto ad ammettere Gandalf
« Perché non ne esiste alcuna. » fu pronto a ribattere il serpente, come se sapesse già in partenza cosa avrebbe detto lo stregone « Esaminiamo ciò che sappiamo. » continuò ed Enara allungò le orecchie, nella speranza di capirci finalmente qualcosa « Un singolo branco di Orchi ha osato attraversare il Bruinen. » E stai cercando di convincermi che sarebbe una cosa da poco? « Una daga di un’era passata è stata trovata… » …da un cretino, questo te lo concedo. « … uno stregone umano che si fa chiamare il Negromante ha preso residenza in una fortezza in rovina. » Tanto piacere. « Due assassini si intrufolano in modo fortuito a Granburrone, per uccidere un’inutile compagnia di Nani.» Fortuito sarà stato il tuo parto, dannato imbecille! « Non è molto, dopotutto. » tacque per un attimo « La domanda di questa compagnia di Nani, tuttavia, mi turba profondamente. Non sono convinto, Gandalf. Non mi sento di poter incoraggiare una tale impresa. »
In quel momento Enara si rese conto che l’Elfa era esattamente sopra di lei. Alzando lo sguardo, incontrò il suo per un attimo infinito.
Se ne vanno. ” sentì la donna nella propria testa. Ci mise un attimo a rendersi conto che la voce era quella dell’Elfa che in qualche modo le era penetrata nella mente. La guardò a lungo, prima di realizzare il significato della sua frase. Enara si voltò verso l’orizzonte e vide che il sole iniziava a fare capolino fra le montagne. Imprecò e lanciò un ultimo sguardo all’Elfa, prima di lasciarsi cadere a terra, rotolando sulla morbida erba. Raccolse le sue sacche da terra e corse all’inizio della scalinata, andando a sbattere contro lo stesso Elfo che li aveva accolti a Granburrone in assenza di Elrond. Si guardarono per qualche secondo, poi Enara si rialzò e schizzò via a tutta velocità, sapendo a questo punto che gli Elfi avevano poche ragioni per permettere ai Nani e a Bilbo – e a lei – di andarsene indisturbati e molte per trattenerli lì. Ripercorse il corridoio indicatole da Serie. Gli arazzi le apparivano come delle macchie di colore senza senso, tanto andava veloce.
Con un balzo felino, saltò a piè pari la scalinata che portava alla piazza del cancello d’entrata ed imprecò quando lo vide chiuso e sorvegliato. Con ben poca nonchalance – aveva infatti notato che le guardie della porta le stavano venendo incontro – corse fra di esse e saltò al massimo delle sue possibilità, aggrappandosi ad una sporgenza a metà del muro accanto alla cancellata. Iniziò a salire, mentre le guardie sotto di lei accorrevano per tirarla giù. Mollò una pedata in faccia ad un Elfo che l’aveva agguantata per la caviglia e riuscì a darsi lo slanciò per raggiungere il camminamento in cima al muro. Davanti a lei stava un altro Elfo, di cui riuscì ad evitare il fendente. Lo buttò a terra con una spallata e con una pernacchia balzò sulla strada di pietre fuori dal cancello.
In men che non si dica fu alla roccia a forma di aquila, ma come immaginava i Nani non erano già più lì. Imprecò, molto, e ad alta voce. Poi pensò di guardarsi attorno. Perché Thorin ha scelto questo luogo come ritrovo?, si chiese, mentre setacciava con lo sguardo attorno a sé. Il cancello di Granburrone era appena nascosto dietro una macchia di alberi, ma non troppo lontano. La strada lastricata non aveva niente di strano, ed era delimitata da un basso muretto. Tirò un calcio all’aquila, che – com’era ovvio – non si mosse. Mentre saltellava su un solo piede dal dolore, notò che dietro la roccia intagliata c’erano delle orme. Era sempre stata molto brava a trovare e seguire delle tracce, e quando vide le orme di un paio di grossi piedi da hobbit non ci pensò un’altra volta e si buttò a capofitto nel bosco. Con la schiena china come un gobbo, Enara seguì le orme in un percorso intricato e rischiando più di una volta di perdere le tracce nella semioscurità della boscaglia. Infine, dopo un tempo che le parve infinito, sbucò in una radura. Davanti a lei si ergeva l’enorme parete di una delle montagne che circondavano Granburrone, e, quasi invisibile dal basso, vide uno stretto percorso che portava in alto, verso le vette.
All’inizio ebbe qualche difficoltà, perché era stanca ed era costretta a camminare con la schiena attaccata alla parete della montagna, tanto il camminamento era stretto. Spesso rischiò di scivolare, ma man mano che procedeva il percorso diventava sempre più largo.
Svoltando un angolo stretto andò a sbattere contro Dwalin, sbilanciandosi di conseguenza oltre il bordo. Il Nano la prese per la vita, tirandola su davanti a sé. Enara guardò i Nani con un sorriso sornione e poi disse:
« Che coincidenza, anche voi qui? »




(1) "Che le foglie del tuo albero della vita possano non appassire mai. Possano le tue strade essere verdi ed il vento accompagnarti."
(2) "Addio."
(3) "Addio/Buonanotte."
Almeno, questo è il loro significato nel mio intento .-. vi prego di avvertirmi se le traduzioni sono sbagliate!


NDA
No, non sono morta! O meglio, sono morta e risorta ;) finalmente ho finito il Liceo!
Scusatemi tantissimo per il ritardo, ma da quando sono finiti gli esami non sono stata un attimo a casa (viaggio di maturità a Formentera teheh). Finalmente però ho trovato il tempo di pubblicare, e spero di essermi fatta perdonare con il capitolo più lungo che io abbia scritto fino ad ora (: in realtà non mi convince molto, fatemi sapere cosa ne pensate.
Per ragioni narrative, mi sono trovata con il calendario un po' sballato, nel senso che nel capitolo la notte di Ferragosto (durante la quale si possono leggere le rune lunari della mappa) è quella tra il 13 e il 14 del mese di Lairë, mentre ne "Lo Hobbit" (siccome i Nani si fermano circa un mese a Granburrone) essa è il primo Lithe, ovvero quasi venti giorni dopo. Il problema si è presentato perché ho pensato che Thorin non avesse molta voglia di stare a Granburrone, ed ecco che se ne va venti giorni prima di quanto non faccia nel libro :P il film è un caso a parte -.- della serie che più cul... fortuna di così non potevano avere.
In questo capitolo ho seguito un po' il libro ed un po' il film, spero che non sia venuto fuori un pasticcio e che sia chiaro (:
La poesia all'inizio è il canto d'addio di Merry e Pipino.

Alla prossima! (:
(che sarà molto presto visto che NON HO COMPITI!)


PS
Non so se avete notato, ma nella descrizione della storia ci sono delle frasi prese un po' a caso dai capitoli... siccome sono le stesse da qualche tempo, volevo proporvi di suggerirmi le vostre preferite (se ne avete)!
E sì, complimenti a chi ha indovinato: il bambino dello scorso capitolo era proprio Aragorn :P

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