The Stark knight rises

di evenstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- I mostri tornano sempre ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 – Onori e Oneri. Il volto pulito dell’America. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Di amici e di consigli ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Bottiglie rotte e strisce rosse ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Non sono nessuno ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Il Superbowl ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Lasciala, o amala ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Gli Avengers ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Notizie e domande ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10- Highway to Hell ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Nove mesi ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Di scelte e di porte ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Arya ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Tony Stark chiede aiuto ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Pepper ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Missione di salvataggio ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17- Ritrovarsi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- I mostri tornano sempre ***


Piccolo incipit
Per chi ha già letto qualche mia FF, ben trovati. Mi verrebbe da dire di scordarvi momentaneamente il fluff e il comico e di prepararvi a tutt'altro genere, per questa storia, sperando che anche questo stile possa piacervi. Gli indiscussi protagonisti sono Tony e Pepper (ma no? :P), avevo postato inizialmente la storia nella sezione Avengers (anche il gruppo di supereroi avrà un ruolo fondamentale) ma poi, rileggendola, mi sono convinta che il suo posto sia nella sezione di Iron Man. Per i fan degli Avengers, spero di non aver fatto troppi danni gestendo i vostri beniamini, nel caso fossi andata troppo OOC fatemelo notare e abbiate pazienza, è la prima volta! Come avrete capito la storia è ambientata dopo Avengers e prende ampio spunto dal trailer di Iron Man 3, lasciando del tutto fuori il Mandarino. Ci saranno altri cattivi, non vi preoccupate!
Detto questo vi lascio alla lettura e come sempre vi invito a lasciare due righe di commento!
Enjoy.  



Le porte dell’ascensore si aprirono lentamente sulla stanza devastata. Pepper, il telefono ancora incollato all’orecchio, fece qualche passo avanti, incerta, osservando le finestre distrutte e il pavimento sfregiato da crepe e solchi. Scrutò nella penombra della stanza senza vedere nulla mentre il cellulare suonava a vuoto poi, in un angolo, qualcosa si mosse, un’ombra più nera delle altre. La ragazza trattane il fiato cominciando a pensare come forse non fosse stata una buona idea scapicollarsi nell’epicentro del disastro mettendosi potenzialmente in pericolo, ma doveva sapere. Doveva sapere, anche a costo di trovarsi faccia a faccia con uno di quei mostri che aveva visto al servizio del telegiornale. Se Tony era vivo, e dentro di sé sentiva che lo era nonostante il suo cellulare squillasse a vuoto da quasi 4 ore, poteva essere solo lì.
L’ombra si girò lentamente, il capo chino e le spalle afflosciate e, quanto si fu girata completamente, Pepper si rese conto della tenue luce blu che irradiava dal centro del suo torace. Un sospiro di sollievo, che alle sue stesse orecchie sembrò più un singhiozzo, le sfuggì dalle labbra mentre osservava l’uomo che restava fermo, lo sguardo perso nel vuoto come se non riuscisse a mettere a fuoco nulla.
- Tony? – chiese con un sussurro, odiando il tremolio che percepì nella sua voce. In quel momento doveva essere forte, Tony aveva bisogno che fosse forte perché, osservandolo, la ragazza capì che la sua riserva di forza lui l’aveva esaurita già da tempo.
- Pepper? – un mormorio indistinto uscì da una gola che quel giorno aveva parlato troppo, urlato troppo. Rimase fermo a fissare la ragazza, questa volta sforzando gli occhi nella penombra per essere sicuro di quello che aveva davanti. L’aveva sognata. Ad un certo punto della serata, dopo che i Vendicatori si erano separati, era tornato alla sua torre e, da quei pochi ricordi confusi che aveva, credeva di essersi addormentato. Doveva essere andata così perché Tony ricordava di aver sognato Pepper che lo chiamava ma poi si era svegliato al buio, da solo, senza nessuna traccia di lei.
E adesso di nuovo la sentiva chiamarlo, credeva addirittura di vederla lì, in piedi davanti a lui, il sogno di una mente troppo stanca persino per dormire. 
- Sono qui – rispose lei. Intuendo quello che stava succedendo prese l’iniziativa e si avvicinò di qualche passo, lentamente. Si fermò però quando vide che Tony, invece che avanzare a sua volta, si ritraeva lontano nell’angolo più buio della stanza, come un animale braccato. Sentì una stretta al petto per quella reazione, potendo solo lontanamente immaginare cosa potesse aver passato quel giorno per trasformare l’esibizionista eroe in un uomo spaventato. 
- Sei davvero tu? O sei un altro inganno? – chiese prendendosi la testa tra le mani e chinandosi, cercando di riordinare le idee e le immagini che la sua mente stanca continuava ad inviargli. Loky era sconfitto, preso in consegna dal fratello e, Tony sperava, a quel punto lontano miglia da loro. Non lo voleva sulla Terra ma soprattutto non lo voleva vicino a Pepper.
- Tony sono io – gli disse dolcemente, rimanendo ferma e aspettando che fosse lui a decidere cosa fare, e i tempi in cui farlo.
Tony si risollevò e, molto lentamente, fece qualche passo verso di lei. – Eri a Washington.
- Stavo tornando a New York quando c’è stato l’attacco, siamo atterrati tre ore fa – cominciò a  spiegare lei, reprimendo l’istinto che l’avrebbe fatta correre ad abbracciarlo, a sussurrargli che era finita e che sarebbe andato tutto bene. Sapeva che quello non era che l’inizio, e che niente sarebbe andato bene nei prossimi mesi. La persona che aveva davanti non era la stessa che aveva lasciato solo qualche giorno prima, era un persona che aveva visto cose terribili e che era andata incontro alla morte, guardandola in faccia. – Ho provato a chiamarti ma il tuo cellulare…
- E’ rotto – la interruppe Tony. – Perso. Rotto. Non lo so.
- Non fa niente.
- Eri a New York. Quando hanno lanciato il missile, stavi tornando – non era una domanda, ma una semplice presa di coscienza. Eppure, da qualche parte, lui lo sapeva. Quando lo avevano informato di una testata atomica diretta verso di loro non aveva riflettuto molto, sapeva cosa farne. Aveva avuto tutto il tempo di riflettere dopo, in quei pochi secondi, in quegli anni per lui, in cui aveva volato verso il portale, si era reso conto che Capitan Ghiacciolo aveva torto. Anche lui aveva qualcosa per ci combattere. Oh certo, non tutto il genere umano. Non era mai stato così eroico, e neanche così tanto esibizionista da voler morire per il genere umano, che andasse pure tutti all’inferno. No, lui aveva lottato, aveva combattuto, si era quasi sacrificato perché una persona fosse al sicuro. Un'unica persona, che in quel momento lo stava fissando con aria dubbiosa, indecisa se abbracciarlo o chiamare un buon psichiatra.
Tony finalmente le sorrise e Pepper, osservandolo, capì che, per quanto tempo ci avrebbero impiegato, anche quella volta ne sarebbero usciti. Non era peggio della prigionia, non era peggio di essere quasi uccisi da un amico, non era peggio di morire avvelenato. Anche quella volta Tony Stark sarebbe riuscito a risollevarsi, e lei sarebbe stata al suo fianco, come sempre.
Tony fece due passi verso di lei e allora anche Pepper si mosse lentamente, arrivarono a pochi centimetri uno dall’altra e rimasero di nuovo fermi. L’uomo alzò un braccio e con mano tremante le scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla fronte, fermandosi poi sulla sua guancia. Pepper fece una rapida scansione e si rese conto che, a parte qualche graffio e qualche ammaccatura, stava bene, le armature avevano fatto un egregio lavoro anche quella volta. Sentì la mano che le passava sul collo e l’attirava a sé e si lasciò guidare verso di lui, finendo per abbracciarlo affondando poi il volto contro il suo collo, stringendosi finalmente a lui. Sentì che Tony le passava le braccia attorno alla vita e anche lui strinse, strinse più di quanto avrebbe dovuto togliendole il fiato ma Pepper lo lasciò fare, capendo che in quel momento aveva bisogno di sentirla, così come solo qualche minuto prima aveva avuto bisogno di spazio e solitudine.
Rimasero abbracciati in piedi, al buio, in mezzo alla sala distrutta per molto tempo, semplicemente traendo forza dalla presenza uno dell’altra. Alla fine Tony si allontanò da lei, appoggiando la fronte contro la sua e sfiorandole le labbra con le proprie, aride e screpolate. La ragazza trattenne la voglia di approfondire quel contatto, di cercare una maggiore intimità e gli passò le mani sul collo, facendogli appoggiare la testa contro di lei e cullandolo dolcemente.
- Hai bisogno di riposare, adesso.
- No… non posso. Se solo chiudo gli occhi… tornano.
- Torneranno, ma saranno solo sogni. E li faremo andare via. Devi dormire.
- Non posso.
- Si che puoi. Possiamo farlo, Tony. Insieme – mormorò prendendogli la mano e guidandolo verso la camera da letto. Lì i detriti erano meno numerosi e, a parte qualche calcinaccio e della polvere, le pareti sembravano intatte. Pepper lo guidò fino al letto e lo fece stendere, lasciandogli poi la mano per andare a prendere un sonnifero. Lui la lasciò fare senza dire nulla ma lo sguardo di immensa tristezza che gli lanciò quando le loro mani si separarono le fece di nuovo venir voglia di piangere. Questa volta sarebbe stato difficile, lo sapeva.
- Torno subito, prendo solo una cosa in bagno – gli disse accendendo la luce perché lui la potesse vedere. Prese dell’acqua e ci mise dentro qualche goccia di sonnifero. – Bevi – gli disse quando fu di ritorno, sedendosi accanto a lui nel letto.
- Che roba è?
- Sonnifero, ti farà dormire per questa notte.
- Non voglio questa porcheria – le rispose allontanando la mano e il bicchiere con un gesto brusco.
- Hai preso di peggio in vita tua, fai finta che sia una bottiglia di scotch – rispose lei, tornando ad avvicinare il bicchiere.
- Dammi una bottiglia di scotch, allora.
Lei lo guardò, bastò quello perché tornasse ad essere docile, altro segno che qualcosa dentro di lui si era spezzato e che ci sarebbe voluto molto tempo e pazienza per ripararlo. Bevve l’acqua e le ridiede il bicchiere, lei lo posò sul comodino e fece il giro del letto andandosi a sdraiare accanto a lui e abbracciandolo come avrebbe fatto con un bambino. Qualche minuto dopo le gocce e la stanchezza fecero effetto e Pepper sentì il respiro di Tony farsi regolare e pesante, segnale che si era addormentato.
La prima volta che tornarono Tony urlò e si svegliò fradicio di sudore e con gli occhi sbarrati, la mente ancora piena di immagini raccapriccianti. Pepper di fianco a lui lo abbracciò e gli sussurrò che sarebbe andato tutto bene. Tony si vergognò, aveva sempre affrontato tutto da solo dalla morte dei suoi genitori al suo recente avvelenamento da Palladio, prima perché non aveva nessuno e poi per cercare di proteggere qualcuno ma ora si rese conto che quella volta non ne sarebbe uscito.
Iron Man era morto, e poi era tornato ma qualcosa dentro di lui si era perso e da solo non l’avrebbe ritrovato, non questa volta. Si rilassò tra le braccia della ragazza, posando la testa contro la sua spalla e lasciandosi, per una volta, proteggere.
La seconda volta che tornarono era quasi mattina, una pallida luce bianca illuminava fiocamente la stanza. Questa volta andò meglio, non ci furono urla ma solo panico, paura e una stretta al petto. Di nuovo Pepper gli fu accanto e di nuovo Tony si raggomitolò contro di lei, tremando.
- Sono un idiota – mormorò.
- Sei sotto shock.
- Dovrei essere io a proteggerti.
- Lo hai già fatto, lo fai, e tornerai a farlo. Adesso però devi stare tranquillo e permettere a me di aiutarti, per una volta.
- Mi hai sempre aiutato.
- Lo credevo ma non ne sono più così sicura.
- Cosa intendi? – chiese Tony perplesso.
- Ho sempre pensato di essere io quella che si prendeva cura di te ma oggi ho capito che in realtà stavo curando me stessa, attraverso te.
Tony alzò la testa per guardarla e questa volta la luce nella stanza fu sufficiente per mostrargli i suoi occhi arrossati. Lui non si era accorto di nulla, la sua voce era stata sempre tranquilla ma anche lei stava soffrendo e lui non poteva fare nulla. In quel momento non riusciva ad aiutare se stesso, meno ancora qualcun altro. C’era un'unica cosa che poteva fare, e la fece. Avvicinò le labbra a quelle di lei e le diede un bacio leggero. Nel momento in cui le loro labbra vennero a contatto Tony sentì un ondata di desiderio invaderlo nonostante i morti, la distruzione, i rischi e i pericoli, nonostante tutto era vivo, era con Pepper e la voleva. Più di come l’avesse mai voluta, più di quanto sarebbe stato opportuno in quel momento. Il bacio si fece più veloce, più profondo, la sua lingua guizzò a stuzzicarle le labbra finché non le sentì schiudersi per lui. Si mosse, girandosi, e le afferrò le braccia facendola scivolare sotto di lui, invertendo le posizioni mentre le sue labbra giocavano con quelle di lei, con la sua lingua, con la sua pelle, assaporandola, baciandola, mordicchiando ogni centimetro. Pepper rispose con la stessa passione stringendosi a lui, circondandogli il torace, passando le dita sul contorno dei muscoli, sulla sua schiena, sui pettorali. La maglietta di Tony fu la prima ad abbandonare il letto seguita da quella di Pepper e dai rispettivi pantaloni. Le mani dell’uomo percorrevano ogni millimetro della sua pelle facendola rabbrividire al contatto mentre le sue labbra continuavano a torturarla con foga. Non c’era nulla di gentile, nulla di romantico, era passione, desiderio, necessità di sentirsi, di toccarsi di sapersi vivi e insieme. Un modo per scacciare gli incubi e le paure, per consolarsi. Le crollò addosso ansimante mentre le gambe di lei andavano ad allacciarsi sulla sua schiena trattenendolo a sé, le loro mani si intrecciarono e i loro respiri si mescolarono. Qualche minuto dopo Tony, rendendosi conto di pesarle addosso, scivolò di lato ma le labbra della ragazza lo cercarono di nuovo in un bacio questa volta tranquillo, dolce dove il primo era stato disperato, violento. Le loro lingue giocarono, le loro labbra si rincorsero e le loro mani si esplorarono con calma, accarezzandosi mentre i loro corpi riprendevano a muoversi insieme. Infine si riaddormentarono uno nelle braccia dell’altra, stremati ma contenti.
Fu svegliata dalla luce del giorno che entrava dalla finestre. Si girò di lato e vide il letto vuoto, freddo. Pepper si mise a sedere, sollevando il lenzuolo per coprirsi, e scrutando la stanza senza trovare traccia di Tony. Il bagno era deserto così come la camera e la ragazza iniziò a preoccuparsi e a rammaricarsi di non essersi svegliata prima. Si guardò intorno e vide la maglietta dell’uomo per terra, proprio di fianco al letto. La prese e se la infilò, stava per alzarsi quando la porta della camera si aprì con un tonfo e Tony comparve sull’uscio, un vassoio in precario equilibrio tra le mani e solo i boxer addosso.  
- Sei sveglia!
- Che cosa…? – chiese la ragazza fissando il vassoio che emanava un delizioso profumo di caffè appena fatto.
- La colazione, signorina Potts.
Pepper corrugò la fronte scrutando l’uomo sorridente che le stava davanti. Sembrava un’altra persona rispetto alla sera prima, era abituata agli sbalzi di umore e alle rapide riprese di Tony ma questa le superava tutte. Osservandolo attentamente si rese conto delle occhiaie scure sotto i suoi occhi e del sorriso tirato sul volto e capì che si trovavano nell’occhio del ciclone. La pioggia, così come gl’incubi, sarebbe tornata a colpirli e gli effetti sarebbero stati devastanti, nel frattempo rimaneva la colazione, tanto valeva approfittarne.
- Grazie – disse scostandosi per fargli posto accanto a lei non potendo fare a meno di osservare i lividi e i graffi che costellavano il torace dell’uomo. Passò un dito su un brutto ematoma sul fianco, scatenando un gemito. – Avrei dovuto portarti in ospedale ieri – disse più che altro a se stessa.
- Sto bene, sono solo graffi e lividi.
- Potresti avere qualche costa rotta.
- E tanto me la terrei. E’ stato decisamente più produttivo, e molto più eccitante, stare a casa con te!
Pepper sorrise e non poté evitare di arrossire leggermente mentre iniziava a mangiare un pancake che grondava sciroppo d’acero. – Ottimo, dovremmo prenderla come abitudine!
- Non credo proprio, Miss Potts. Non ci faccia l’abitudine, è ancora l’effetto dello stress post traumatico – disse mentre lei infilzava un altro pezzetto di pancake e lo imboccava, facendo sgocciolare sciroppo ovunque.
- Stiamo facendo un macello – rise anche lei, pulendo con l’indice una goccia di sciroppo dal mento di Tony e poi portandoselo alla bocca.
- Stiamo? Stai facendo tutto da sola – le fece notare Tony sorseggiando il suo caffè. – Dopo la doccia devo farti vedere una cosa! – le disse con gli occhi lucidi di trepidazione.
- Che cosa? – chiese curiosa.
- Vestiti e poi te lo mostro.
- Ma che ore sono?
- Le due.
- Cosa? – chiese allibita.
- Le due del pomeriggio, sicura di non aver preso anche tu del sonnifero? – chiese ridendo.
Pepper rise a sua volta, colpendolo scherzosamente al braccio mentre si alzava dal letto diretta al bagno. Quando vide lo sguardo di Tony fisso sulle sue gambe nude arrossì di nuovo.
- Senti, lasciamo stare la parte in cui ti vesti – le disse lascivo, lasciando il vassoio in precario equilibrio sul letto per andare a raggiungerla sulla porta del bagno. – Questa è la mia maglietta, Potts – le disse cominciando a giocherellare con il bordo della maglia, che arrivava a mezza coscia di Pepper.
- Ti spiace?
- No anzi, sta decisamente meglio a te che a me, ma sai com’è, credo di averne bisogno – le disse avvicinandosi ulteriormente a lei fino a sfiorarla, accarezzandole i capelli e le braccia nude.
- Oh.
- Si sai, non posso andare in giro in boxer – mormorò.
- No, non sarebbe appropriato.
- Quindi magari, potresti toglierla? – chiese ammiccandole.
- Devo fare la doccia – rispose.
- Perfetto, ottima idea - sussurrò lui nascondendo il volto contro il suo collo e cominciando a baciarla lievemente, sentendo che la ragazza sospirava, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno. Tony passò una mano attorno alla vita di Pepper, stringendola a sé e facendo aderire i loro corpi mentre con l’altra mano cominciava ad esplorare lungo il bordo della maglietta, risalendo lentamente sulla schiena.
- Tony, devo davvero fare la doccia – sospirò la ragazza.
- Confermo, ottima idea – rispose lui sollevando la maglietta e spingendo contemporaneamente la ragazza dentro al bagno.
 
Quando furono vestiti, Tony con una maglietta nuova e un paio di jeans neri e Pepper con una blusa rosa e una gonna scura, la prese per mano guidandola verso il salotto distrutto. La ragazza dovette fare uno sforzo per mantenere il sorriso sul volto, ancora scossa da quella devastazione. Tony la fece accostare ad un tavolo da lavoro su cui erano appoggiati dei rotoli neri, vi passò la mano sopra facendo comparire una tastiera luminosa e una serie di progetti.
- E questi? – chiese Pepper, capendo subito cosa stava guardando.
- Li ho buttati giù questa mattina, mentre dormivi.
- Tutto questo? – chiese impressionata.
- Sono solo rivisitazioni del progetto originale, volevo che gli dessi un’occhiata prima di andare avanti.
Pepper passò la mano sopra il disegno più vicino facendo apparire un modellino in scala della vecchia Stark Tower e togliendo la parte superiore, per vedere che effetto facesse; Tony, di fianco a lei, eliminò un’altra sezione finché non rimase solo l’impalcatura portante. Lo sguardo della ragazza si spostò di lato e, sommerso da un plico di fogli, vide il contratto di locazione della nuova torre con il suo nome sopra. Sorrise e passò una mano attorno al busto di Tony, avvicinandosi a lui e posandogli la testa sulla spalla.
Insieme sarebbero riusciti a superare anche quello. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 – Onori e Oneri. Il volto pulito dell’America. ***


Tony e Pepper tornarono in California il giorno successivo, riprendendo entrambi la loro routine e sperando che le cose si sistemassero da sole, con il tempo. Purtroppo, le cose non vanno quasi mai come si spera e Pepper ben presto dovette tornare a fare i conti con il senso di colpa. Mentre lei cercava di portare avanti la società e si impegnava in riunioni e consigli di amministrazione, spergiurando che il signor Stark stava e bene e presto sarebbe tornato ad occuparsi in prima persona dei problemi, Tony passava 16 ore al giorno chiuso nel suo laboratorio e le altre 8 quasi completamente ubriaco. Non si parlavano quasi più e, sebbene Pepper capisse che l’uomo aveva bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi, cominciava ad essere preoccupata del suo comportamento. Aveva pensato di chiedere l’aiuto di Rhodney ma poi aveva lasciato stare, ben sapendo che Tony voleva cercare di risolvere da solo, come sempre. Le trasmissioni televisive non aiutavano sicuramente a creare un clima confortevole e distensivo, continuando a trasmettere immagini sul disastro di New York e, sebbene la maggior parte dei civili intervistati fosse grato al gruppo dei Vendicatori per il loro provvidenziale intervento, non mancavano coloro i quali gli attribuivano la colpa delle migliaia di morti che l’attacco alieno aveva causato. Il Governo degli Stati Uniti aveva scelto la politica del compromesso e aveva selezionato un volto pubblico del gruppo per giustificare le loro azioni alla stampa e all’opinione pubblica, cosa che aveva ulteriormente peggiorato il malumore di Tony.
Pepper stava proprio guardando l’ennesimo dibattito televisivo quando una voce dura, arrochita dall’alcol e dal troppo silenzio, la fece sobbalzare.
- Non hai proprio niente di meglio da guardare?
La ragazza spense la TV, ma ormai il danno era fatto.
- Quel bellimbusto…
- Non ha scelto lui di esporsi così, Tony. lo sai perfettamente – disse Pepper cercando di difendere Capitan America, il cui volto fiducioso e sorridente veniva trasmesso ormai a qualunque ora del giorno e della notte.
- Sembra che abbia fatto tutto lui – rispose piccato Tony. – Eravamo in 6 quel giorno, degli altri 5 non ne parla quasi più nessuno. 
- Si sta prendendo onori e oneri di quello che è successo. Lo stanno accusando di strage tanto quanto lo stanno osannando come eroe – cercò di difenderlo Pepper.
- Si ma non è stato lui l’eroe – sbottò arrabbiato Tony, andando a versarsi l’ennesimo drink.
Pepper si pentì di aver iniziato la conversazione, sapeva perfettamente come la pensava Tony e quello non era decisamente il modo migliore per aiutarlo a superare quel momento difficile. Lei capiva perché avessero scelto proprio il bel Capitano per rappresentare la squadra, e non poco aveva a che fare con il suo sguardo pulito e con la tuta a stelle e strisce che indossava. Rappresentava il volto sano dell’America, molto più di come non lo rappresentasse un colosso verde, due spie (di cui una russa, per giunta), un dio alieno o persino un miliardario playboy molto spesso troppo pieno di sé. Lei capiva, ma lui si rifiutava di vedere oltre le apparenze, comportandosi come un bambino viziato a cui avessero tolto un giocattolo.
- Sono stato io, mi pare, a salvare il culo a tutti. Io ho rischiato di morire con quel missile. Io, non lui.
- Lo sai che non c’entra – tentò di calmarlo lei.
- Non c’entra? Eccome se c’entra, è tutto lì. Noi ci siamo esposti per loro, per tutti loro e il ringraziamento ora qual è? Essere guardati come mostri!
- Non è vero, lo sai che ci sono tantissime persone per le quali siete diventati eroi!
- Ma ce ne sono altrettante che vorrebbero le nostre teste servite su un piatto d’argento – sbottò lasciandola sola e tornando a chiudersi nel suo laboratorio.
Pepper lo lasciò andare ben sapendo che in quel momento qualunque cosa avesse detto non sarebbe servita a nulla. Sapeva anche che, sebbene Tony fosse l’uomo più diverso da Steve che si potesse immaginare, in fondo lo stimava e le parole di quella sera erano dovuto più all’effetto dell’alcol che a sentimenti di rancore verso di lui.
Quella notte, seguendo un rituale che dopo New York era diventato abitudinario, la ragazza si svegliò verso le 3 del mattino e, dopo aver indossato una vestaglia, si alzò dal letto. Scese le scale ed entrò nel laboratorio, osservando il caos sempre maggiore che vi regnava da quando avevano fatto ritorno a casa. Tony era seduto su una sedia, una bottiglia quasi vuota di scotch di fianco, la testa china sul tavolo. La ragazza si avvicinò a lui, appoggiandogli delicatamente la mano sulla spalla.
- Vieni a letto – gli mormorò.
Tony si riscosse e fece un gesto improvviso con la mano, mancando il volto della giovane di un soffio. Lei non si fece intimorire e, prendendolo per un braccio, lo aiutò ad alzarsi. 
- Dovresti lasciarmi – biascicò lui tentando di mettersi in piedi.
- Se ti lascio, cadi.
- No, dovresti lasciarmi.
Pepper scosse la testa, non avendo voglia di mettersi a discutere in quel momento. – Ti ritroverei qui domani mattina, ancora più di pessimo umore per il collo e la schiena doloranti. Sei già abbastanza insopportabile così, di questi tempi – gli disse, cercando di sorridere mentre lo semi trascinava su per le scale.
Arrivarono in qualche modo alla camera da letto, Tony si diresse in bagno e, dopo aver messo la testa sotto l’acqua ghiacciata, tornò a sedersi di fianco a lei, quasi sobrio.
- Dovresti lasciarmi – sospirò per la terza volta, osservandola con sguardo triste. – Anzi, avresti già dovuto farlo. Se fossi davvero intelligente come pensavo, lo avresti fatto da tempo. 
La ragazza lo fissò malinconica. – Non si tratta di me, Tony. Non questa volta – sospirò prendendogli una mano e stringendola tra le proprie. - Posso anche sopportare di non vederti mai, o vederti solo ubriaco, ci sono abituata. Ci sono già passata. Si tratta di te.
- Lo so – ammise lui.
- No, non credo che tu te ne renda conto.
- Si invece, sto rovinando tutto.
- Credo… - gli disse piano, non osando guardarlo negli occhi. – Credo che uno di questi giorni finirai per fare qualcosa di cui poi ti pentirai. E temo che sarai tu stesso che non riuscirai a vivere con il rimorso. 
- Magari non succederà – le disse, sperando che per lui ci fosse ancora speranza. – Lo so che posso uscirne, Pepper. Lo so.
- Io lo spero, Tony. Sono qui, per te. Questo lo sai, vero?
Lui annuì.
- Ti tendo la mano, ma sta a te afferrarla – gli disse spegnendo la luce e coricandosi a letto.
Tony rimase qualche secondo ad osservarla poi fece l’unica cosa sensata che gli venisse in mente in quel momento: le si stese di fianco, abbracciandola, e affondando il volto contro i capelli di lei.
Come sempre il sonno fece fatica ad arrivare e molto tempo dopo che il respiro di Pepper si era fatto pesante e regolare, gli occhi di Tony erano ancora spalancati nel buio. Tutte le volte che provava a chiuderli non faceva che rivedere l’astronave aliena che esplodeva e poi era solo il silenzio, il lugubre, tetro spazio vuoto e null’alto.
E lui che cadeva.
Ad un certo punto si addormentò ma solo per svegliarsi poco dopo fradicio di sudore e tremante, come sempre. E come sempre pochi attimi dopo un braccio gli si avvolse attorno al torace e il corpo di Pepper gli si avvicinò, caldo e rassicurante. Nonostante tutto Tony sorrise, ormai lei riusciva a non svegliarsi neanche più ma l’uomo sapeva che, se ce ne fosse stato bisogno, in pochi minuti sarebbe stata sveglia e al suo fianco, come sempre. Chiuse gli occhi e finalmente riuscì a dormire.
Il mattino successivo Pepper si svegliò da sola. Si vestì e scese in cucina per mangiare qualcosa di fretta, prima di recarsi in ufficio. A metà della scala si fermò annusando il profumo di caffè che sentiva nell’aria. Incuriosita scese di corsa il resto delle scale e si fermò sulla porta della cucina ad osservare intrigata Tony che, con uno strofinaccio scompostamente appoggiato su una spalla, stava girando delle frittelle. 
- Che profumino – gli disse entrano in cucina e andando a posargli un bacio sulla guancia.
- Buongiorno – rispose lui prendendo due tazze e mettendogliene in mano una, accompagnata da un piatto ricolmo di frittelle.
- Se le mangio tutte finisce che con un solo pasto ingoio tutte le calorie della giornata – scherzò lei osservando la pila di frittelle grondanti di sciroppo che aveva nel piatto davanti a sé.
- Mangia! Per una volta non moriremo per qualche caloria in più.
Pepper sorrise e si mise a mangiare di gusto, ancora di più quando vide che anche Tony addentava convinto le frittelle mangiando più in quella mattina che nell’ultima settimana.
- Allora, qualche idea?
- Per cosa? – chiese la ragazza con la bocca ancora piena di dolci.
- Come esco da questo casino?
- Beh, potresti iniziare ad uscire e basta.
- Ehi, c’è gente, là fuori – disse indicando la porta con sguardo fintamente terrorizzato.
- Si, capita di incontrare delle persone quando si esce. E credo che ti farebbe bene – rispose lei sorridendo.
- Ok, e poi?
- Chiama Rhodey, parla con lui.
Tony annuì, infilandosi in bocca una frittella intera. – Ci avevo pensato. Va bene – le disse. – Facciamolo!
Pepper rise dell’espressione risoluta di Tony, non osando sperare che il peggio fosse passato. – Devo andare – disse poi schizzando giù dallo sgabello e bevendo l’ultimo sorso di caffè. – Ci vediamo questa sera.
- Buona giornata.
- Ciao – gli rispose stampandogli un altro bacio sulla guancia.
- Aspetta. Sarebbe un saluto questo? – le chiese avvicinandosi a lei e avvolgendola in un abbraccio, prima di baciarla appassionatamente sulle labbra. – Questo è meglio, no?
- Concordo – rise lei. – A questa sera.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Di amici e di consigli ***


Dopo aver visto Pepper uscire per recarsi al lavoro, Tony rimase qualche momento in silenzio nella casa vuota a ripensare a quello che si erano detti e infine decise di uscire. Fare due chiacchiere con un vecchio amico non gli avrebbe fatto male, al massimo non sarebbe servito a nulla e avrebbe  perso un pomeriggio, non che avesse molto di meglio da fare, comunque. Sebbene Rhodey fosse suo amico, Tony era stato restio a rivolgersi a lui per confidarsi dopo i fatti di New York infatti, nell’unica occasione della sua vita in cui gli aveva chiesto aiuto, Rod si era tirato indietro e Tony non era il genere di persona che tornava a fidarsi facilmente. A suo merito andava considerato che, in altre occasioni, era stato proprio Rhodey ad offrirsi come spalla mentre Tony si era chiuso a riccio, senza permettergli di aiutarlo.
Tony fece il suo ingresso nell’ufficio dell’amico, annunciato da una compita segretaria. Appena vide Rod e sentì la porta chiudersi dietro di sé indicò alle sue spalle. – E da quando hai una segretaria? – chiese ridendo della sua evidente promozione.
- Diciamo che la nostra piccola avventura all’Expo mi ha portato qualcosa in più di una medaglia appuntata sul petto – rispose Rhodey sorridendo e andando ad abbracciare l’amico. – Come stai? – gli chiese poi dandogli una sonora pacca sulla spalla.
- Sto – rispose Tony scrollando le spalle e sedendosi sulla comoda poltrona di fronte alla scrivania dell’amico.
- Volevo chiamarti dopo New York… dio siete stati grandi, davvero! – disse con entusiasmo Rhodey, andando a sedersi nell’altra poltroncina davanti all’amico.
- Non tutti la pensano come te.
- Lasciali dire, ci sarà sempre qualche voce fuori dal coro, ma io vi ho visto. Tutti noi – disse facendo un gesto che comprendeva la base militare – Vi abbiamo visti. Avete salvato la città.
- Ma a che prezzo? – chiese Tony.
L’amico lo scrutò per qualche momento. – Come stai, davvero?
- Male. Non dormo più e quando dormo ho gli incubi. Continuo a vedere immagini di quello che è successo.
- Credo che sia normale, è stata….
- Un esperienza al limite e forse quel limite l’ho superato, senza neanche accorgermene.
- E’ stato brutto?
Tony non capì la domanda.
- Ti ho visto cadere, poi le telecamere ufficiali delle reti televisive ti hanno perso, ma non i nostri satelliti. Ti abbiamo visto per terra, Tony. Pensavo che non ti saresti più alzato. Pensavo…
- Che fossi morto?
Rhodey annuì.
- Forse lo sono stato. Ho un black out, non so cosa sia successo, un attimo prima ero nello spazio e un attimo dopo avevo un bestione verde che mi urlava addosso. In mezzo il niente.
- Pepper lo sa?
Tony lo guardò intensamente. – No, e non lo deve neanche sapere. E’ stato già abbastanza duro così per lei, senza conoscere esattamente i fatti.
- Le ho telefonato, qualche settimana fa – confessò Rhodey.
Tony si sorprese. – Non ne sapevo niente.
- Volevo passare a trovarti ma non sapendo come stavano le cose ho chiamato lei. Mi ha detto di aspettare, che quando saresti stato pronto a parlarne saresti venuto tu da me.
Tony sorrise. – Brava ragazza.
- E’ più forte di quanto credi.
- Lo so. E’ solo che… non so se posso andare avanti così.
- Cosa intendi dire? – chiese Rod accigliandosi.
- Vivo nella paura che possa succederle qualcosa per colpa mia – confessò Tony, passandosi una mano sul volto.  
- Penso sia una reazione normale dopo quello che è successo. Tutti abbiamo paura. Credo che tu abbia solo bisogno di tempo e… di ridimensionarti.
- Che vuoi dire? – gli chiese.
- Sei sempre stato geniale e, fattelo dire, leggermente megalomane in tutte le tue manifestazioni. Da quando ti conosco. 
Tony non poté fare altro che annuire e aspettare di vedere dove volesse andare a parare con quel discorso.
- Credo che con Iron Man tu abbia esagerato. Fai bene ad indossare l’armatura e cercare di aiutare la gente ma… 
- Come faccio a non esagerare? – chiese Tony non riuscendo a capire come si potesse essere un supereroe e nello stesso tempo non fare cose grandiose.
- Tony non sei un supereroe – gli sbatté in faccia Rod, smontando in una sola frase tutte le sue certezze. - Sei un uomo con un arma supertecnologica in mano – chiarì vedendo l’espressione confusa dell’amico.
- Questo non è vero.
- Facciamo la conta dei presenti a New York – riprese Rhodey contando sulle dita della mano. - Una divinità aliena, un soldato supersoldato e un essere alto tre metri con una massa muscolare da fare invidia ad un troll, e per giunta verde. E poi ci sei tu – finì lasciando forse volontariamente fuori gli altri due esseri umani del gruppo.
- Detta così non suona bene – ammise Tony.
- Non dico che tu non debba usare l’armatura ma ricordati che sei un uomo, non un dio. Non puoi salvare il mondo.
- L’ho salvato – rispose piccato.
- Si ma a che prezzo? Sono convinto che tu chieda troppo a te stesso – disse Rod scuotendo la testa con tristezza. - Non cercare di salvare il mondo, cerca di salvare…
- … solo una persona – finì per lui Tony, che aveva capito benissimo dove l’amico voleva andare a parare.
Rhodey annuì. – Si beh, anche qualcuna in più ma non tutti! – disse ridendo.
Tony assentì con un debole sorriso. – Forse hai ragione.
- Ho ragione, ho sempre ragione.
- Ora non esagerare!
- E porta fuori Pepper ogni tanto. Se lo merita un po’ di riposo!
- Sono io che non sono sicuro di meritare lei.
- Ma pare che lei voglia inspiegabilmente te, quindi cerca di non fare casini.
Tony sorrise. – Hey, sono Iron Man! – gli disse alzandosi dalla poltrona. – Grazie della chiacchierata, amico.
Rhodey sorrise a sua volta e gli strinse la mano guardandolo poi uscire dal suo ufficio.
 
Quella sera Pepper aprì la porta della Villa con un sospiro di sollievo, felice di essere finalmente potuta tornare a casa e ansiosa di sentire com’era andata la giornata di Tony. - Sono tornata – disse ad alta voce, nel caso fosse sepolto nel suo laboratorio. 
- Bentornata! – le rispose l’uomo dal salotto.
La ragazza si diresse verso la sala trovandolo seduto sul divano che guardava un vecchio film western in bianco e nero. – La vita era più facile allora – le disse indicando un pistolero che, fucile in mano, faceva piazza pulita di tutti i cattivi.
- Prima spara e poi chiedi? – chiese lei, divertita.
- Esatto! Non sarebbe una favola se fosse ancora così?
- Uhm, no so, sono una fautrice del dialogo.
Tony sorrise e la guardò sedersi accanto a lui. – Stanca?
- Non più del solito, perché?
- Cena fuori?
- Mi sta chiedendo di uscire con lei, signor Stark?
- Era un’idea.
- Che modo romantico per chiedere un appuntamento – lo prese in giro.
- Ti manca?
- Cosa?
- Il romanticismo. Non sono mai stato un tipo romantico.
- Oh, ma non mi dire? Adesso mi informi di questo aspetto del tuo carattere? – scoppiò a ridere Pepper. – Sapevo a cosa andavo incontro, signor Stark. E tornando all’argomento principale, prima che se lo dimentichi. Si, accetto.
- Perfetto, anche perché ho già prenotato un ristorantino vista mare a pochi chilometri da qui.
- Un tavolo?
- No, tutto il ristorante, non volevo folla. Io e te, e nessun altro.
Pepper scosse la testa, divertita dalla solita manifestazione di grandezza di Tony.
Un’ora dopo scendeva dalla camera da letto indossando un vestito azzurro scuro che le lasciava le spalle scoperte e si intonava perfettamente con i suoi occhi e un paio di scarpe crema con tacchi a spillo. Tony, per una volta pronto prima di lei, la stava aspettando all’ingresso e si godette la sua discesa delle scale, lo sguardo completamento perso nelle sue curve. 
- Sei uno spettacolo – le disse baciandola.
- Grazie – rispose lei arrossendo leggermente sotto lo sguardo lascivo del compagno. – Anche tu non sei niente male, comunque – gli disse aggiustando il nodo della cravatta e osservando il completo nero che gli stava alla perfezione. Tony aveva una mano distrattamente appoggiata nella tasca dei pantaloni e le stava tendendo l’altro braccio, Pepper lo prese e insieme si avviarono alla porta. Pur avendo un autista, Tony preferiva da sempre guidare da solo le sue auto sportive, molto spesso con uno sprint che raramente Pepper apprezzava. Partirono sgommando sulla ghiaia del vialetto lasciandosi in breve la villa alle spalle. Dopo pochi minuti di viaggio si trovarono seduti ad un tavolo con vista sull’oceano, illuminati dalla luce di alcune candele, in una sala per altro deserta. Un paio di camerieri si tenevano in disparte, pronti però a intervenire ad un loro cenno. Pepper sorrise guardandosi intorno. – Hai davvero fatto le cose in grande, questa sera – gli disse ammirata. Da quando lavorava per Tony si era abituata ai ristoranti di lusso ma avere una intera sala e lo staff tutto per loro, era una cosa nuova persino per lei. 
- Volevo stare tranquillo, lontano dalla folla. E volevo che stessi bene.
- Se questo è il risultato devo mandarti da Rhodey più spesso – rispose la ragazza ridendo. – O farmi dire che cosa ti ha detto.
Anche Tony sorrise. – Mi ha solo detto di portarti fuori.
- Oh.
- L’ho preso in parola.
- Grazie, lo apprezzo – rispose sorseggiando il vino.
Tony rimase incantato a guardare come la luce calda delle candele guizzasse sui capelli della ragazza, traendone riflessi ramati in netto contrasto con gli occhi azzurri e il vestito dello stesso colore. Mise una mano in tasca sfiorando la scatolina che vi aveva riposto prima di uscire di casa. Quello che non le aveva detto, che non aveva detto a nessuno, era che uscendo dall’ufficio di Rhodey era entrato in una gioielleria, ben convinto di quello che stava per fare. Aveva visto un anello, una fascetta di oro bianco con un diamante al centro, semplice ma non per quello meno prezioso esattamente com’era lei, e lo aveva acquistato.
Da lì l’idea della cena e del ristorante.
Adesso che era venuto il momento però, Tony non era più sicuro di quello che stava per fare. Continuava a giocherellare con la custodia del gioiello senza avere il coraggio di tirarlo fuori dalla tasca, ripensando a com’era stata la sua vita negli ultimi mesi. Era ben conscio del fatto che, senza Pepper, sarebbe stato tutto più difficile ma era altrettanto consapevole che con quell’anello non le avrebbe dato più via d’uscita. La sua unica consolazione era che la ragazza, in qualsiasi momento avesse ritenuto opportuno, si sarebbe potuta alzare e sbattergli la porta in faccia, esattamente come riteneva di meritare ogni giorno. Lei non l’aveva ancora fatto ma avrebbe potuto, e quello lo rassicurava. Dandole l’anello in qualche modo l’avrebbe legata a sé con un vincolo molto più forte che non semplicemente quello della sua volontà e questo, nemmeno nel suo egocentrismo, riusciva ad accettarlo. Sospirò tirando fuori la mano dalla tasca e lasciando l’anello dove si trovava.
Pepper si rese conto dello sguardo insistente di Tony su di lei e gli fece un sorriso incerto. – A che cosa stai pensando? – gli chiese.
- A quanto sia stupendo il tuo vestito – le mentì, ma neanche poi così tanto.
- Grazie.
- E al fatto che non vedo l’ora di togliertelo – finì con un ghigno sensuale, alzando un sopracciglio e facendole intendere che per lui la cena poteva considerarsi conclusa in qualunque momento.
Pepper arrossì lievemente ma sorrise a sua volta. – Allora sarà meglio tornare a casa in fretta, non credo che il proprietario apprezzerebbe.
- Non ne sarei così sicuro, ma IO non apprezzerei LUI – rispose Tony alzandosi e allungando la mano verso di lei, in modo da aiutarla ad alzarsi.
Un cameriere si avvicinò a loro. – Spero che la cena sia stata di vostro gradimento – disse ossequioso.
- Ottima, grazie – gli rispose Pepper gentilmente.
- Buona serata, signori.
- Lo sarà certamente – disse Tony sogghignando mentre Pepper gli stritolava il braccio.
- Grazie, arrivederci – rispose la ragazza, trascinando via il compagno prima che avesse il tempo di fare qualche battuta.
 
Durante il viaggio di ritorno Pepper non riuscì a staccare gli occhi di dosso da Tony. Doveva ammettere che era decisamente sexy sia nell’aspetto sia nel modo di fare, nessuna sorpresa che le donne non fossero mai riuscite a resistergli per più di qualche minuto. Capì che lei stessa non sarebbe stata in grado di resistergli e che la loro relazione era cambiata quando lui aveva voluto che cambiasse. Qualche volta, nell’arco di tutti gli anni in cui erano stati boss e assistente, Tony le aveva fatto delle avance ma sempre molto velate. La ragazza aveva sempre pensato di essere stata in grado di controllarlo ma adesso, osservando il sorriso magnetico, il suo aspetto assolutamente provocante e lo sguardo di lussuria  con cui la guardava, capì che se solo lui avesse voluto, lei non avrebbe saputo resistergli neanche tempo addietro.
E la cosa la riempiva di paura.
Se da una parte era vero che Tony sembrava aver sviluppato una sorta di vera e propria dipendenza da lei, dall’altra non riusciva proprio a capacitarsi di come una persona come lui, miliardario, playboy, eroe potesse aver scelto proprio lei, tra tutte.
Arrivarono davanti al vialetto della villa e Tony fermò l’auto in mezzo alla strada, scendendo e facendo il giro per andare ad aprirle la portiera prima ancora che lei avesse slacciato la cintura di sicurezza. Appoggiandosi al suo braccio sentì che l’uomo stava tremando leggermente e, dallo sguardo che le lanciò, la ragazza capì che l’ansia e la paure ben poco avevano a che fare con quel tremito. Era puro e semplice desiderio di lei.  
Non appena la porta si chiuse alle sue spalle Tony si voltò verso di lei e la bloccò contro la soglia, facendole appoggiare la schiena nuda contro la superficie fredda. La mente della ragazza registrò quella sensazione ma ben presto non ebbe più importanza, scalzata dalla miriade di percezioni che le mani di Tony, impegnate ad accarezzare ogni centimetro della sua pelle, le stavano inviando. I loro occhi si incontrarono e per un secondo i due rimasero fermi ad osservarsi, entrambi con la stessa muta domanda nella mente: “perché io?”. Nessuno dei due ebbe però il coraggio di porla e poco dopo fu cancellata dai loro pensieri dalla magnifica sensazione di labbra morbide, lingue umide e corpi caldi che si cercavano. Inaspettatamente la giacca di Tony fu la prima a scivolare per terra, seguita, non senza qualche problema, dalla camicia. Le scarpe vennero abbandonate nel percorso fino alla camera da letto mentre il provocante vestito di Pepper finì gettato scompostamente sulla soglia della camera. Fu lei a spingere Tony sul letto, restando in piedi davanti a lui, fissando quasi ipnotizzata il reattore al centro del suo petto. Passò le dita attorno al metallo per poi iniziare a massaggiargli le spalle e il collo, finendo come al solito per scompigliargli i capelli. Quella massa di capelli castani l’attirava sempre, forse proprio perché per anni aveva dovuto trattenersi dallo scompigliarli mentre adesso poteva, tutte le volte che le veniva in mente.
Tony le passò un braccio attorno alla schiena facendola avvicinare e poi sedere a cavalcioni su di lui mentre le sue labbra iniziavano a lambirle il collo per poi scendere sulla clavicola e arrivare al bordo del reggiseno. Con mano esperta lo slacciò in modo da poter continuare la sua esplorazione, mentre i gemiti della ragazza si facevano più ravvicinati. Con una piccola spinta lo fece sdraiare sul letto godendosi il contatto della sua pelle calda con la propria mentre si abbandonava su di lui, le loro mani si cercavano, intrecciandosi, e i loro corpi iniziavano a muoversi all’unisono. 


Visto che sono capitoli relativamente corti (e che mi piacerebbe finire di postarla entro IM3) procedo spedita. Vi ringrazio per i commenti e per le letture, spero che continui a piacervi.
Even

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Bottiglie rotte e strisce rosse ***


Con il passare delle settimane le cose sembrarono andare meglio in casa Stark. Tony aveva ripreso una vita quasi normale o meglio, aveva ripreso la sua vita di sempre e gli incubi si erano notevolmente ridotti sebbene tornassero talvolta a tormentare le sue notti. La funesta previsione di Pepper che sarebbe successo qualcosa di brutto sembrava essere stata dimenticata da entrambi, almeno fino a quella sera.
Pepper si svegliò come tante altre volte prima di allora nel cuore della notte e, con sgomento, si rese conto che Tony non era a letto. Si stupì perché, da qualche settimana, era riuscito a riprendere dei ritmi normali e ormai capitava ormai solo di rado che lei dovesse andarlo a recuperare nel cuore della notte per portarlo a letto. Quella sera però era successo qualcosa che aveva turbato il loro fragile equilibrio domestico: il governo degli Stati Uniti aveva infine emesso il verdetto di non colpevolezza per la squadra nota come “Avengers” per la strage di New York. Di per sé era un’ottima, e piuttosto scontata per Pepper, notizia ma aveva portato con sé una nuova serie di servizi televisivi che avevano riaperto ferite e riportato alla memoria brutti ricordi.
E l’assenza di Tony a letto ne era il risultato.
Pepper si diresse verso il laboratorio, certa di trovarlo lì. E infatti lo vide steso per terra con di fianco una bottiglia vuota che doveva essere caduta dal tavolo, rompendosi in pericolosi frammenti di vetro. Era un miracolo che non si fosse tagliato. Pepper si avvicinò, evitando cautamente i cocci di vetro, e si accucciò accano a Tony mettendogli una mano sulla spalla.
- Tony, è ora di venire a letto – mormorò piano per non svegliarlo bruscamente.
L’uomo emise un suono inarticolato ma non diede segno di aver compreso.
- Tony – insistette lei, scuotendolo un po’ di più.
- Lasciami dormire! – bofonchiò.
- Si ma non qui, coraggio. Andiamo a letto – disse afferrandogli un braccio e iniziando a tirarlo in piedi.
- No, voglio stare qui, con lei – rispose l’uomo afferrando il collo della bottiglia rotta e cercando di portarla alla bocca.
- Fermo, rischi di farti male –disse Pepper cercando di prendergli la bottiglia dalle mani prima che si tagliasse con il vetro.
- E’mia! – rispose lui scostandola e continuando a tenerla saldamente tra le mani, spingendo via la ragazza.
Pepper si rese conto che, in quelle condizioni, la cosa migliore da fare sarebbe stata lasciarlo a smaltire la sbronza lì e, se non ci fossero state schegge ovunque, lo avrebbe anche fatto. Ma non si fidava a lasciarlo con frammenti di vetro tutto attorno, non in quello stato. Si fece forza e allungò la mano con decisione per cercare di afferrare la bottiglia prima che lui se ne rendesse conto. Tony fece a sua volta un movimento brusco verso di lei, troppo brusco. Pepper non si rese quasi neanche conto del vetro che le lacerava la pelle del braccio, vide solo una striscia rossa che si formava sull’avambraccio e minuscole goccioline di sangue che cominciavano a sgocciolare lentamente sul pavimento.
Poi venne il bruciore e quindi il panico.
Scattò in piedi facendo l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare, stringere il braccio ottenendo un effetto laccio che non fece altro che aumentare il sanguinamento trasformando poche gocce in un flusso continuo. La testa prese a vorticarle e un senso di nausea le strinse lo stomaco facendola barcollare. Tony non si era reso conto di quello che era appena successo ma, quando la vide allontanarsi da lui la fissò sbigottito per quel movimento brusco e quindi scosse la testa, improvvisamente sveglio. Ci mise qualche secondo per rendersi conto che qualcosa non andava in lei, il suo sguardo passò dalla bottiglia al braccio, dal braccio alla bottiglia e improvvisamente le dita della sua mano si aprirono, lasciando cadere il vetro con un tonfo sordo sul pavimento.
- Oh mio dio, Pepper! – disse cercando di alzarsi ma inciampando e tornando per terra, per poi riuscire infine a rimettersi in piedi nel momento in cui la ragazza ondeggiava di fronte a lui.
- Il braccio – riuscì solo a dire lei, continuando a fissare il sangue che scorreva sul pavimento, completamente nel panico come mai era stata fino a quel momento.
Tony, rendendosi improvvisamente conto di quello che stava succedendo e vedendo lo sguardo sperso e terrorizzato della ragazza, afferrò un asciugamano pulito dal bancone e si avvicinò a Pepper che però indietreggiò di un passo, barcollando lontano da lui. Quel movimento ferì Tony molto di più di qualunque altro colpo lo avesse mai ferito fino a quel giorno, vederla ritrarsi da lui spaventata da quello che temeva lui avrebbe potuto farle gli fece prendere atto del suo gesto e per un attimo anche lui si bloccò. Poi la vide di nuovo barcollare mentre il sangue sgocciolava a terra e capì di dover fare qualcosa. - Pepper, ti prego – le disse cercando di avvicinarsi di nuovo per sorreggerla, temendo che potesse svenire da un momento all’altro. Ancora non riusciva a credere di averla ferita, ma in quel momento non aveva tempo per pensarci, doveva fare qualcosa, aiutarla. Sapeva che ci sarebbe stato tutto tempo per rammaricarsi dopo. 
Lei finalmente parve riprendersi quel minimo per rendersi conto che Tony voleva solo aiutarla e lo lasciò avvicinare, fissandolo stupita mentre le premeva l’asciugamano sulla ferita tamponando leggermente e ripulendo il sangue. Fortunatamente era poco più di un graffio, ma abbastanza lungo.
- Tony – riuscì a dire lei fissando alternativamente l’asciugamano e il volto dell’uomo come se volesse chiedere a lui che cosa fosse realmente successo, incredula.
- Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace – cominciò a ripetere lui, continuando a tamponare la ferita, incapace di pensare a qualcosa di diverso se non al fatto di averla ferita.
Passato il momento di panico immediato e allontanata la vista del sangue Pepper cominciò a riprendere colore nello stesso momento in cui Tony, passata l’emergenza vera e propria, cominciò a provare smarrimento per quello che era successo. 
- Non so cosa mi è preso, Pepper. Mi dispiace. Non volevo… non sapevo – cominciò a balbettare allentando la presa sull’asciugamano e iniziando ad indietreggiare, allontanandosi da lei.
- Tony – mormorò di nuovo Pepper facendo un sospiro per calmarsi e riprendere il controllo, mentre prendeva il posto dell’uomo e cominciava a sua volta a premere l’asciugamano sul braccio sanguinante. – E’ stato un incidente – gli disse alla fine, cercando i suoi occhi.
- No, ti ho ferito, io…
- Non l’hai fatto apposta, poteva succedere a chiunque – gli disse pragmatica, avvertendo il panico crescente nella voce dell’uomo.
- NO – sbottò Tony interrompendola con ira. - Non doveva succedere, non sarebbe dovuto succedere, non sarebbe successo se non fossi stato ubriaco! – disse arrabbiato con se stesso. Per anni Pepper era stata al suo fianco a raccogliere i cocci tutte le volte che faceva qualche sbaglio, tutte le volte che si ubriacava, tutte le volte che scaricava la ragazza di turno. Era sempre stata con lui anche quando lo rimbrottava e lo rimproverava, ma questa volta non avrebbe dovuto andare così. Questa volta l’aveva messa in pericolo, avrebbe preferito mille volte sentirla urlargli contro e minacciare di lasciarlo piuttosto che ascoltarla cercare una scusa per il suo comportamento.
- Tony – la sentì dire decisa, catturando il suo sguardo. – Guardami! – gli disse sentendo che lo stava perdendo e che l’unico modo per farlo ragionare sarebbe stato quello di guardarlo direttamente. Lui mantenne gli occhi altrove per qualche secondo ma poi, sentendo lo sguardo della ragazza su di sé, si sforzò di incontrare i suoi occhi azzurri. Occhi che per anni lo avevano appoggiato e supportato sempre, anche quando non se lo sarebbe meritato, e che neanche in quel momento lo stavano accusando.
Tony si sentì male, peggio di quanto si fosse mai sentito in tutta la sua vita. La stanza ondeggiò di fronte a lui e per un attimo temette si svenire, poi corse verso il bagno e vomitò tutto quello che aveva bevuto in quell’orribile serata. Era ancora accasciato sul water scosso dai conati quando sentì Pepper che entrava a sua volta e faceva scorrere l’acqua del lavandino, pulendosi il braccio.  
- Come stai? – gli chiese quando lo vide appoggiare la fronte sull’asse per cercare di riprendere fiato, sedendosi sul bordo della vasca vicino a dove lui era accovacciato.
- Meglio – le rispose senza osare guardarla.
- Bene. Tirati su, mi devi dare una mano con questo – gli disse pratica prendendo un rotolo di bende dall’armadietto.
Tony guardò disorientato verso di lei e si rese conto di quello che doveva fare. Si avvicinò ancora barcollante e, dopo aver disinfettato il taglio, lo bendò quanto meglio riuscì a fare.
- Mi dispiace – disse per l’ennesima volta.
- Lo hai già detto.
- Sei pallida.
- Neanche tu sei al meglio – gli rispose riuscendo, chissà come, anche a sorridere stancamente.
- Non so cosa fare, non so cosa dire.
- Credo che sarebbe meglio cercare di dormire un po’, farebbe bene ad entrambi un po’ di sonno – gli rispose avvicinandosi e passandogli un asciugamano bagnato sulla fronte sudata, dandogli un po’ di sollievo.
- Non posso, come faccio a… ho paura di farti del male – rispose mettendole una mano sulla sua e scostandosela dalla fronte.
- Tony ascoltami, è successo. E’ stato un incidente, non l’hai fatto apposta – gli mormorò. Per un attimo quella sera Pepper aveva davvero rischiato di perdere il controllo. Vedere il suo sangue sgocciolare per terra, osservare il suo braccio ferito ed essere conscia di aver sempre saputo che sarebbe successo qualcosa di simile prima o poi, l’aveva bloccata. Per qualche minuto si era chiesta perché? Perché continuava a stare in quella casa, perché continuava a farsi del male ben sapendo quello a cui andava incontro tutti i giorni. Già in passato aveva dovuto restare a guardare in silenzio mentre Tony si distruggeva a suon di alcolici, perché dover ripetere quell’esperienza? Poi lo shock iniziale era passato e la risposta a tutte quelle domande le era tornata alla mente con la stessa forza con cui le si era presentata la prima volta. Era successo il giorno anzi, il momento, in cui lo aveva visto scendere dall’aereo che lo aveva riportato a casa dall’Afganistan. Per tre mesi aveva illuso se stessa che lui sarebbe tornato, non aveva abbandonato il suo posto neanche quando si era resa conto che tutti la osservavano con compassione, unica ancora convinta che il grande Tony Stark sarebbe tornato vivo. Eppure non era riuscita ad andarsene per cercarsi un altro lavoro, sebbene ci avesse provato più di una volta. Sempre, nel momento in cui si alzava dalla scrivania dicendosi che il giorno successivo non sarebbe tornata, sapeva già che stava mentendo a se stessa. Fino al momento in cui lo aveva rivisto pallido, pieno di graffi e con un braccio al collo; lo aveva guardato negli occhi e aveva capito che non sarebbe mai riuscita a lasciarlo. Qualunque cosa lui le avesse detto, qualunque cosa avesse combinato, per quante donne si fosse portato a casa per poi farle scaricare da lei. Avrebbe sopportato tutto, minacciando di andarsene senza mai farlo.
Perché lo amava. E non poteva immaginare la sua vita senza Tony Stark.
Questa era la tragica risposta a tutte le sue domande e quindi questa volta, come tutte le altre, lo avrebbe perdonato e sarebbe andata avanti, per lui. - Non ho paura di stare con te Tony, perché tu devi averne tu? – gli chiese fissandolo negli occhi nocciola.
- Perché per una volta pare che sia io quello con un minimo di senso, tra i due – le rispose tristemente, forse per la prima volta nella sua vita conscio del male che le aveva appena fatto.
- Per favore – sbuffò lei ironica.
- Sul serio, Pepper. Sono fuori controllo. Forse dovremmo… dovresti tornare a dormire nella stanza degli ospiti, per qualche tempo.
- Tony – disse sorridendo tristemente e scuotendo la testa. - Non vado da nessuna parte – riprese avvicinandosi, mentre lui faceva un passo indietro.
- Allora me ne vado io.
Pepper sospirò. – Non dire sciocchezze… E’ casa tua.
- L’ho sempre considerata nostra – mormorò lui enfatizzando il sempre e riuscendo a commuoverla, nonostante tutto.
- Questa conversazione non ha senso – gli disse alla fine. - Andiamo a dormire, domani ci faremo una risata ripensando a tutta questa storia.
- No, questa volta ho passato il segno, Peps. Adesso me ne accorgo.
- Meglio tardi che mai – sospirò lei riuscendo a fargli un sorriso stanco.
- Sapevi che sarebbe successo qualcosa di simile. – Non era una domanda ma una semplice affermazione.
- Immaginavo qualcosa di analogo. Tre quarti delle cose in questa casa possono esplodere, mi figuravo qualcosa di meno tagliente, ma la risposta comunque è si, credevo che prima o poi ci sarebbe stato un incidente.
Tony si diede dell’idiota. Solo in quel momento, ripensando alla frase che Pepper gli aveva appena detto, si era reso conto davvero di quello che aveva voluto intendere. Già una volta, qualche anno prima, aveva messo a rischio molte persone. Era stato durante la festa di quello che aveva pensato sarebbe stato il suo ultimo compleanno, quando l’avvelenamento da Palladio lo stava portando lentamente alla morte e si era lasciato prendere dal panico, ubriacandosi e iniziando a sparare raggi di energia in casa. Quella volta era stato dannatamente fortunato, a parte la distruzione dell’arredamento, aveva fatto pochi altri danni e nessuno era rimasto ferito ma Pepper aveva ragione, come sempre. In quella casa c’erano troppe cose potenzialmente letali perché vi si potesse perdere il controllo così. – E, nonostante tutto, sei rimasta al mio fianco lo stesso.
- Te l’ho detto mesi fa Tony, non sono io il problema.
- Sono un problema?
- Hai un problema.
- Si – mormorò lui, chinando il capo, sconsolato. - Quando abbiamo iniziato la nostra relazione ho giurato a me stesso che non avrei mai permesso a nessuno di farti del male. E poi sono stato io stesso a fartene. 
- E’ poco più che un graffio.
- Non intendevo il braccio. Mi dispiace – disse per l’ennesima volta, comprendendo quella volta tutti i torti che le aveva fatto negli ultimi mesi. Alzò un braccio, quasi aspettandosi che Pepper si allontanasse ma lei non si mosse, attendendo che fosse lui a decidere cosa fare. Tony si avvicinò ulteriormente e la strinse goffamente a sé, aggrappandosi a lei come se fosse l’unica cosa solida in un mare in tempesta. Pepper gli passò le mani attorno al collo e si strinse a sua volta a lui.
- Torniamo a dormire, ti prego, sono esausta.
- Va bene – rispose Tony incamminandosi verso la camera senza lasciarle la mano, stringendola nella sua con forza. Una parte della sua mente, quella più razionale, gli stava urlando che era un pazzo e che l’avrebbe messa solo in pericolo. Un’altra parte invece, una parte che prima di allora non pensava neanche di possedere, si aggrappava a quel contatto come se da quello dipendesse la sua stessa vita. Con sgomento Tony si rese conto che forse era proprio quella parte ad avere ragione. Se solo quell’incidente fosse successo qualche mese prima era assolutamente certo di come sarebbero andate le cose: sarebbe scappato a nascondersi da qualche parte e il giorno dopo avrebbe trovato un qualche modo per allontanare la ragazza da lui. In quel momento si rese conto con terrore di non esserne più in grado. Prese atto di quello che forse aveva capito già da molto tempo: non riusciva più ad immaginare la sua vita senza di lei.  
Arrivati alla camera si fece guidare nel letto come se fosse lui quello ferito, e forse non era neanche così lontano dalla verità. Pepper si stese al suo fianco prima rimanendo lontana ma poi girandosi ad abbracciarlo. Si addormentarono stretti uno all’altra e per quella notte, e molte delle successive, nessun incubò tornò a disturbare i loro sonni. 


Eccoci di nuovo qui. 
Questo, insieme ad un altro più avanti, sono i miei capitoli preferiti. Se sull'altro ho pochi dubbi che possa piacervi su questo sono dubbiosa. Alcuni potranno pensare che ho un filino esagerato ma a me piace da matti (me la canto e me la suono, come si dice, abbiate pazienza :P). Tony arriva veramente a raschiare il fondo (e no, tranquille, più in basso di così neanche io sono riuscita a mandarlo, da qui si può solo risalire) ma anche Pepper non se la passa bene, rendendosi conto di essere incastrata senza possibilità di uscita, anello o meno. 
Come sempre i vostri commenti sono sempre graditi!
Alla prossima
Even

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Non sono nessuno ***


Alcune settimane passarono. La situazione tra Tony e Pepper si era stabilizzata e i due sembravano aver trovato un loro nuovo equilibrio. I giornalisti, passata la novità della notizia sugli “Avengers”, avevano ripreso ad occuparsi di altri argomenti e Tony era riuscito a ritrovare una sua stabilità che comprendeva anche la netta riduzione dell’introito di alcolici nella giornata. Pepper continuava ad occuparsi delle Stark Industries, ma né più né meno di come se ne fosse occupata prima di New York. Vedendo Tony tornare progressivamente ad essere quello di sempre aveva ripreso a tormentarlo per firme, accordi e consigli di amministrazione rendendosi conto di come quella routine potesse rivelarsi utile per tornare alla normalità. Lui, come aveva sempre fatto, sfuggiva costantemente a quegli impegni ma sembrava lo facesse più per il piacere di tormentarla che per apatia, ritrovando piano piano il sorriso e ricominciando a fare battute tutte le volte che la vedeva arrivare con la solita pila di fogli da firmare.
Una sera uscendo come al solito tardi dall’ufficio, Pepper aprì le porte del garage sotterraneo delle Industries e si guardò attorno, perplessa. Non aveva mai notato come quel posto fosse inquietante, di notte. Normalmente non si recava al lavoro da sola, in genere Happy la portava e la passava poi a prendere tutte le sere in modo che lei non avesse bisogno di prendere l’auto. Era un atteggiamento un po’ troppo snob per i suoi gusti ma le permetteva di svolgere parte del lavoro già durante il viaggio e di scambiare due parole con l’amico, che altrimenti avrebbe visto raramente. Tony inoltre sembrava essere decisamente più tranquillo sapendola con Happy e lei non voleva aggiungere un motivo in più di preoccupazione, soprattutto quando era così semplice farlo stare sereno. Quel mattino in particolare però Tony aveva dovuto recarsi ad una riunione e lei stessa aveva preferito convincerlo ad andare con Happy, e saperlo quindi in compagnia del’amico per tutta la giornata, piuttosto che farlo andare da solo. Il risultato di quella decisione era che lei aveva preso una delle costosissime auto del fidanzato per andare al lavoro, quella a suo giudizio meno appariscente sebbene comunque esagerata, e aveva finito per lasciarla nel posto riservato a Tony, da sempre lasciato vuoto e abbandonato.
Scendendo nel garage al buio, al momento di tornare a casa, si rese conto come gli eventi di New York avessero segnato anche lei. L’idea di attraversare da sola al crepuscolo il parcheggio deserto non l’allettava assolutamente ma poi, non avendo alternative, scosse la testa dandosi della stupida e si avviò con passo deciso verso l’auto, una delle poche rimaste nella rimessa. Si fermò però dopo appena un paio di passi, sentendo un rumore dietro di sé. Rimase in ascolto ma nessun suono si ripresentò. Ricominciò a camminare e fece scattare l’antifurto dell’auto da lontano, in modo che fosse già aperta nel momento in cui vi fosse arrivata vicino. Stava per aprire la portiera quando vide con la coda dell’occhio un movimento dietro di sé e fece appena in tempo a girarsi prima che una mano l’afferrasse alla spalla. Pepper urlò e si girò di scatto, trovandosi di fronte ad un collega, ritardatario come lei.
- Scusa, Virginia, non volevo farti paura. Tutto a posto? – chiese l’uomo sinceramente dispiaciuto di averla spaventata in quel modo.
- Oddio, si. Scusami, sono un po’ tesa in questi giorni. Tutto bene, James, grazie – gli rispose lei appoggiandosi una mano sul petto come a voler fermare il battito galoppante del suo cuore.
- Beh, buona serata – le augurò l’uomo, salendo sulla sua auto con un sorriso.
- A te – rispose Pepper entrando finalmente nella sua e chiudendo istantaneamente la sicura. Tirò un sospiro di sollievo e prese le chiavi, ansiosa di tornarsene a casa. Il suo cellulare trillò, strappandole un altro gemito di paura. – Maledizione – si disse guardando la foto di Tony che le sorrideva dal display. – Tony, sto tornando a casa – disse con un tono allegro, cercando di nascondere quanto più possibile l’ansia nella voce.
- Non sono Tony – rispose una voce che non riconobbe.
- Chi parla? – chiese perplessa.
- Non ha importanza chi sono.
- Dov’è Tony?
- Non qui.
- Si può sapere chi è?
- Qualcuno che ve la farà pagare.
Pepper ammutolì e tornò a fissare il cellulare. Non poteva essere uno stupido scherzo, Tony non avrebbe mai scherzato su una cosa simile. Forse una volta, ma non ultimamente. - Cosa? – chiese con voce tremula. 
- Farò scoprire al grande Tony Stark cosa si prova a perdere tutto quello a cui si tiene.
- Cosa? – chiese allibita tornando a fissare il display del telefono, incapace di credere a quello che le stava succedendo. Era stata una giornata normale all’interno di una settimana normale. Finalmente le cose si stavano aggiustando nella sua vita e adesso la telefonata di un pazzo tornava a destabilizzare tutto. Sebbene spaventata Pepper si sorprese a provare anche un altro sentimento, rabbia. Pura e semplice rabbia verso chi, di nuovo, minacciava la sua vita.  - Perché? Cosa ti abbiamo fatto? – chiese arrabbiata.
- Ero qualcuno ma dopo essermi imbattuto in voi, in Stark, ho perso tutto. Ora non sono più nessuno. E nessuno sarà presto anche il tuo fidanzato, Virginia. O forse dovrei chiamarti Pepper.
- Non ci provare – rispose con l’ultimo briciolo di coraggio che riuscì a trovare. – Non provare a fargli del male.
- E chi me lo impedirà? Tu forse?
Pepper non rispose rendendosi conto di come sarebbe suonata falsa una sua minaccia in quel momento. Cosa avrebbe potuto fare lei? Assolutamente nulla, lo sapeva perfettamente e un senso di impotenza la pervase.
– Ci risentiremo, Virginia. O forse no, forse comparirò nella vostra vita quando meno ve lo aspettate portandomi via la cosa a cui tenete di più – concluse la voce, chiudendo poi improvvisamente la comunicazione.
Pepper cercò di riprendere a respirare normalmente. Non era il momento di farsi prendere dal panico. Fissò il cellulare e premette il tasto per chiamare Tony.
- Pepper? – chiese una voce preoccupata all’altro capo del telefono. – Tutto bene?
- Tony – sospirò lei, sentendo dalla sua voce che stava bene.
- Che cosa succede? – chiese l’uomo immediatamente in ansia per la chiamata inattesa e la voce preoccupata della giovane.
- Niente – rispose lei cercando immediatamente una scusa per aver telefonato. – Volevo solo sapere… dirti che stavo tornando. Sei a casa? – chiese maledicendo la sua cronica incapacità di dire bugie. Per una volta avrebbe voluto riuscire a mentire bene come lui.
- Siamo in auto, sei sicura di stare bene? Sei strana.
- Si, davvero, tutto bene. Ci vediamo tra poco a casa.
- D’accordo – rispose perplesso Tony.
- Ciao – la ragazza chiuse la comunicazione e rimase a guardare il display del telefono cercando di pensare lucidamente. Doveva fare qualcosa finché ancora era possibile, in fondo le telefonate venivano rintracciate sempre nei film. Ma a chi avrebbe potuto chiedere aiuto? Tony in quel periodo della sua vita era già abbastanza in crisi senza che lo spaventasse ulteriormente per una cosa che, sperava, si sarebbe rivelata solo la telefonata senza senso di un pazzo. Pepper sapeva a chi avrebbe voluto telefonare in quel momento, l’immagine del volto dell’uomo le si delineò con chiarezza nella mente, la stessa persona che, più per caso che per volontà, l’aveva salvata da Stane. La persona che bene o male era stata sempre presente nella loro vita, nella sua vita, negli ultimi anni, testimone silenzioso ma sempre disponibile. Ma l’agente Coulson era morto e non avrebbe più potuto aiutarla.
Decise di chiamare Rhodey, sperando che lui non dicesse nulla a Tony.  
- Pronto? – chiese la voce di Rod guardinga.
- Rod sono Pepper.
- Ciao. Cosa posso fare per te – andò subito al sodo Rhodey.
- Mi serve una mano per una certa faccenda…
- Ma?
- Ma non devi dire niente a Tony di quello che ti sto per raccontare.
- Perché voi due avete l’insana tentazione di mettermi sempre in mezzo ai vostri segreti? – chiese con voce lamentosa l’uomo, ricordando la recente chiacchierata con l’amico.
- Perché sei nostro amico? – gli chiese Pepper, domandandosi di quali altri segreti era a conoscenza ma evitando di porre a lui la domanda. Voleva solo concludere la telefonata in fretta e arrivare a casa. Lì, al sicuro, era certa che la serata le sarebbe apparsa molto meno angosciante.
- Dimmi – sospirò lui.
Pepper raccontò brevemente quello che era appena successo ma la reazione dell’amico non le fu di conforto. Si era aspettata, o meglio aveva sperato, che la rassicurasse invece il tono della sua voce trasmetteva ansia. – Ti rendi conto che Tony DEVE sapere quello che mi hai appena detto?
- Non che non deve, se avessi voluto che lo sapesse avrei chiesto aiuto a lui, non a te.
- Pepper uno psicopatico ha clonato il suo numero e ti ha chiamato, minacciandoti. Non stiamo parlando di uno scherzo a scuola, dannazione.
- E’ solo un folle troppo pieno di dibattiti televisivi. Li hai visti anche tu, no? Sono tutti pronti a giudicare – rispose la ragazza con una sicurezza che non aveva, trovandosi suo malgrado a fare l’avvocato del diavolo.
- E’ un pazzo potenzialmente pericoloso.
- Per quello lo devi trovare.
- E come credi che possa fare, non sono nello spionaggio.
- Sei un colonnello dell’esercito, Rod. Pensavo che avessi qualche aggancio.
Rhodey sbuffò. – Se Tony lo viene a sapere…
- Sarà furioso, lo so.
- Sarà furioso con te. Ma ammazzerà me!
- Ti prego, è già abbastanza preoccupato così.
- Questa mi sembra una cosa per cui potrebbe valere la pena di preoccuparsi, infatti.
- Per favore – lo pregò lei.
- D’accordo, cercherò qualche informazione – rispose Rod dopo qualche attimo di silenzio nel quale Pepper aveva trattenuto il fiato, in attesa.  
- Grazie.
- Ma se non dovessi trovare nulla, glielo dovremmo dire.
- D’accordo – rispose Pepper. – Provaci prima, se poi non risolviamo…
- … o se il tuo amico richiama…
- Lo avverto, te lo prometto.
- Ti faccio sapere se trovo qualcosa.
- Grazie – chiuse la comunicazione infilandosi nel traffico di Malibu, diretta a casa. Arrivò prima di Tony e fu un bene, ebbe così il tempo di farsi una doccia e convincersi che davvero quella telefonata era solo frutto di un megalomane. Quando Tony entrò in casa l’ansia era quasi completamente scomparsa e lei poté far finta di niente.
- Ciao, tutto bene? – le chiese l’uomo dandole un bacio sulla guancia e raggiungendola sul divano dove lei lo stava aspettando, leggendo un libro.
- Tutto a posto – gli rispose mettendo da parte il libro e accoccolandosi contro di lui.
- Sicura?
- Si – annuì lei, riuscendo a fare un sorriso sincero sentendosi davvero come se tutto fosse stato solo un bruto sogno.
- Va bene – le rispose scrutandola ancora un momento ma non trovando nulla che lo preoccupasse nel suo sguardo. - Vado di sotto a trafficare un po’ – le disse posandole un bacio sui capelli e alzandosi dal divano.
- Buon lavoro – rispose Pepper riprendendo in mano il libro e cercando di concentrarsi su quello. La sua mente tornò ancora qualche attimo sulla strana telefonata ma, come tutte le cose, il tempo fu di grande aiuto. Nelle settimane successive non ci furono notizie da parte di Rhodey che, sebbene avesse smosso tutte le sue conoscenze, non era riuscito a scoprire nulla. Cercò ancora, ripetutamente, di convincerla a dire tutto a Tony ma poi, man mano che i giorni passavano senza che nulla succedesse, si convinse anche lui che fosse stato davvero solo il gesto di un megalomane e si tranquillizzò un po’. Non ci furono più strane telefonate né altri episodi simili e ben presto la vita tornò a scorrere con i soliti ritmi, permettendo a Pepper di rilegare quell’evento in un angolo buio della mente e di non pensarci più. Non disse mai a Tony della telefonata ricevuta e, ad un certo punto, cominciò a pensare che non si fosse trattato niente altro che di uno scherzo di cattivo gusto da parte di qualche genio hi-tech. Tony, da parte sua, era talmente preso dai suoi problemi che non fece troppo caso allo strano comportamento della compagna e non si accorse mai del crescente numero di telefonate verso il cellulare di Rod finché anche quelle si ridussero e tutti e tre tornarono ad occuparsi della solita routine. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Il Superbowl ***


Le settimane si susseguirono senza che nulla di notevole succedesse. Pepper tornò alle sue occupazioni di sempre, ignara di quello che si stava preparando nella sua vita sebbene, inconsapevolmente, avesse leggermente modificato le sue abitudini.

- Peps, credevo fossi andata in ufficio – le disse un giorno Tony rientrando a casa a pomeriggio inoltrato e trovandola appollaiata sul bracciolo del divano con il laptop in precario equilibrio sulle gambe.
- Tony! – rispose lei sobbalzando al suono della sua voce. – Non ti avevo sentito entrare, mi hai spaventato! – gli disse afferrando al volo il computer prima che cadesse a terra. 
Tony l’osservò perplesso. – Sei sicura che vada tutto bene? – le chiese apprensivo andando a sedersi accanto a lei e iniziando a scrutarla con fare inquisitore.
- Certo… perché me lo chiedi? – rispose imbarazzata dallo sguardo dell’uomo.
- Sei… strana da qualche tempo a questa parte.
Pepper abbassò lo sguardo, sorpresa che si fosse accorto della cosa. – Non è vero – negò.
- Sì invece.
- D’accordo, in cosa sarei strana sentiamo? – gli chiese tornando a osservarlo negli occhi per non dargli ulteriori motivi per dubitare di lei.
- Sobbalzi per niente, ogni tanto ti si fissa lo sguardo, lavori a casa molto più spesso di prima… e questo non mi quadra con il resto.
- Sarebbe? – chiese sei confusa. Non si era resa conto di comportarsi in quel modo, ma se persino Tony si era accorto della cosa doveva essere davvero evidente.
- Beh all’inizio pensavo di farti paura – ammise lui.
- Come? – chiese sconvolta, girandosi verso di lui talmente velocemente da far finalmente cadere il computer che era stato in bilico fino a quel momento.
- Si beh, dopo quello che è successo penso sia normale – disse imbarazzato.
- Quello che è successo? Si può sapere cosa intendi? – gli chiese.
- Dopo che… insomma quando io… la notte che…
- Oddio Tony, no! – disse interrompendo i suoi vaneggiamenti. Pepper sperava che avesse superato il senso di colpa per l’incidente con la bottiglia. Era stato un graffio che era guarito in un paio di giorni, non lasciando neanche una cicatrice. Lei stessa, con tutto quello che era successo dopo, non ci aveva mai più pensato fino a quel momento.
 - No, cioè… perché poi il fatto che tu stia sempre più spesso a casa a lavorare, invece che in ufficio, non torna. Giusto? Insomma, fosse quello dovresti cercare di starmi lontano…
- Non è quello, te lo assicuro. Non potrei mai… non ci pensavo neanche più, davvero! – lo rassicurò prendendogli una mano e intrecciando le dita con le sue.
- Allora cosa? – le chiese.
Pepper sospirò. – Niente di cui preoccuparsi. Sinceramente. Sto bene è solo, non so forse sono solo stanca – gli disse cercando di sorridere per tranquillizzarlo.
- Se ci fosse qualcosa, qualunque cosa, me lo diresti, vero? – le chiese accarezzandole la mano.
- Ma certo – riuscì in qualche modo a rispondere, sentendosi molto in colpa.
- D’accordo allora. E, comunque, averti sempre in giro per casa non è che mi dispiaccia – affermò Tony alzandosi per scendere nel laboratorio. - Se ti servo… no, come non detto, non voglio istigarti a portarmi pile di fogli inutili da firmare. Non mi hai mai visto – le disse avvicinandosi a lei e facendo finta di ipnotizzarla. 
- Quanto sei scemo – gli rispose Pepper spingendolo via. – Vai, tanto so dove trovarti!
- E’ una minaccia?
- E’ una promessa.
- Bello – rise sparendo per le scale prima di riceversi un cuscino addosso.
 
L’invito era arrivato via mail all’attenzione di Tony, ma ovviamente era stato filtrato da Pepper che ancora di occupava dei suoi appuntamenti esattamente come quando era la sua assistente. Di quelli e di qualche altro milione di cose che lo riguardavano. Inizialmente la ragazza non vi aveva dato molto peso ma poi, rileggendo attentamente la mail, aveva deciso di spostarla dal cestino, dov’era finita insieme ad altri centinai di inviti a manifestazioni e feste, alla mail personale di Tony in modo che gli desse un’occhiata.
- Peps, che cosa sarebbe? – chiese Tony emergendo immediatamente dal suo laboratorio con il telefono in mano.
- Uno smartphone? – rispose lei fissando il telefonino che le stava tenendo sotto il naso.
- No, intendo quello che mi hai mandato.
- Un invito a qualche evento sportivo, credo.
- Un qualche evento sportivo? – chiese Tony continuando a fissare alternativamente lo schermo dello smartphone e la sua compagna, sommersa per altro da una pila di fogli quasi più alta di lei.
- No?
- E’ il Super Bowl, Pepper – disse con gli occhi che luccicavano per l’emozione, assolutamente sconvolto dal fatto che lei non si rendesse conto della grandezza della cosa. – Ci hanno invitato ad aprire il Super Bowl!
Pepper lo fissò con sguardo vacuo.
- Non puoi non sapere…
- Certo che so che cos’è il Super Bowl, ma non credevo che qualcuno lo “aprisse”.
- Nessuno lo apriva infatti, non prima che il tuo eroico fidanzato salvasse New York – rispose lui gongolando letteralmente di orgoglio.
- Ah ecco… Scusa “ci” hanno invitato? – chiese quindi domandandosi cosa potesse c’entrare lei con il salvataggio della città e, sopratutto, con il Super Bowl.
- Si beh, hanno invitato me ma tu mi accompagni, ovviamente.
- Davvero? – chiese sorpresa.
- Certo, non ti puoi perdere il Super Bowl dalla tribuna dei VIP.
- Non mi posso perdere il tributo di New York e te, vorrai dire – chiarì lei, sorridendo suo malgrado.
- Anche.
Pepper rise lieta di vedere come quell’invito avesse risollevato il morale dell’uomo. Da quando erano tornati in California, dopo che il gruppo degli Avengers si era sciolto, Tony aveva cercato di riprendere la solita routine, senza però mai riuscirci realmente. Di notte gli incubi continuavano a tormentarlo, sebbene molto meno frequentemente che all’inizio, ma ancora molto spesso la ragazza si svegliava al mattino da sola, scoprendo che Tony si era alzato all’alba e si era chiuso nel suo laboratorio per creare una versione migliore della sua armatura.
- E quando sarebbe questo evento? – chiese.
- Domenica prossima.
- Ah, ci hanno dato un largo preavviso – disse ironica.
- Si beh, uno per il Super Bowl si libera.
- Quindi fammi capire. Se devi aprire la manifestazione vuole dire che per una volta arriveremo puntuali a qualcosa? – gli chiese non riuscendo a trattenere la battuta.
- Non esageriamo - rispose Tony mettendo via il cellulare e lanciandole un sorriso d’intesa.  – Hai detto bene, facciamo l’apertura. Senza di noi non iniziano.
Pepper sospirò e alzò gli occhi in un’espressione fintamente esasperata, contenta però di vederlo di nuovo felice.
- Verrai con me? – le chiese speranzoso.
- Sai che non sono mai riuscita a dirti di no, meno che mai quando mi guardi con quell’espressione – gli rispose Pepper che, d’altra parte, era curiosa di vedere un Super Bowl dal vivo.
Tony le sorrise. – Grandioso! – esultò contendo tornando poi nel laboratorio per finire quello a cui stava lavorando.
I pochi giorni che li separavano dall’evento passarono rapidamente e in uno stato di mal trattenuta euforia da parte di Tony che, improvvisamente, sembrava aver dimenticato tutti i traumi degli ultimi mesi. New York aveva osannato gli Avengers e li aveva accusati di strage, ma tutto quello sembrava essere passato in secondo piano e il miliardario sembrava improvvisamente tornato ad essere quello di una volta. Pepper osservava perplessa quel cambiamento, non sapendo se esserne contenta o temere il passaggio di quella fase e la conseguente crisi che ne sarebbe poi derivata.
Per il momento decise di godersi quel piccolo momento di passaggio che le stava ricordando com’era stato Tony prima di tutto. Prima dell’Afganistan, prima di Iron Man, prima del Palladio e soprattutto prima di New York, ma con qualcosa di sostanzialmente diverso, lei. Sebbene fosse tornato ad essere l’eccentrico miliardario geniale che aveva conosciuto, e di cui si era innamorata suo malgrado, alcune cose era cambiate e fortunatamente in meglio. Tralasciando il fatto di non aver più pin up mezze nude in giro per casa, erano anche notevolmente diminuite le bottiglie di alcolici, sostituite da intrugli di frutta che Pepper lo forzava a bere per tenerlo occupato. Inoltre l’uomo, sebbene sempre preso dal montare e smontare armature in laboratorio, passava anche molto più tempo nel resto della casa impegnato in una cosa che Pepper non lo aveva mai visto fare, semplicemente stare fermo e passare del tempo con lei come una coppia normale. In quegli ultimi giorni poi, lo osservava girare per casa finalmente felice, in trepida attesa che la domenica arrivasse per poter tornare a cavalcare l’onda della fama e godersi le grida di giubilo della folla che lo osannava, esattamente come ai tempi della Stark Expo.
Avevano deciso di comune accordo che Pepper sarebbe arrivata con gli altri ospiti e avrebbe preso posto nella tribuna d’onore mentre Tony, per la felicità degli organizzatori dell’evento, sarebbe arrivato in volo con la Mark VII tra i fuochi d’artificio e le urla di gioia di 70000 spettatori (e circa 110 milioni di persone che avrebbero seguito l’evento alla televisione) raggiungendola poi finito il suo intervento.
Finalmente domenica arrivò e, a dispetto di quanto aveva spergiurato Tony, partirono in perfetto orario sul programma atterrando all’aeroporto “LaGuardia” esattamente tre ore prima dell’inizio della finale. Tony scortò Pepper fino allo stadio, arrivando persino ad accompagnarla al suo posto prima di sparire per fare il suo ingresso trionfale. Nel salutarlo Pepper si rese conto di come la mente di Tony fosse già da tutt’altra parte dal fatto che le posò solo un bacio distratto sulla guancia. Probabilmente, se avesse immaginato che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che la vedeva, si sarebbe comportato diversamente.
- Buona fortuna – gli disse Pepper osservandolo correre fuori a prepararsi.
- Ci vediamo all’inizio della partita, tempo di togliermi l’armatura e ti raggiungo qui – rispose Tony senza quasi girarsi indietro.
- Sai dove trovarmi – rispose la ragazza, sorridendogli e venendo poi assorbita completamente da quello che aveva intorno. Non era mai stata in uno stadio, meno che mai ad una finale di football, e la folla e il rumore che l’attorniavano quasi la stordiva. C’erano persone e flash e rumore e musica e luci ovunque girasse lo sguardo. Enormi megaschermi erano posizionati strategicamente sopra lo stadio per permettere a tutti di avere una perfetta visione del campo e fu su quelli che Pepper si vide riflessa mentre i cameraman riprendevano gli ospiti famosi tutto attorno a lei. Sorrise imbarazzata, cercando di non pensare al fatto che milioni di persone in quel momento la stavano guardando, poi la sua attenzione fu attratta da un fischio improvviso del microfono del presentatore che annunciava l’imminente arrivo di Iron Man.
70000 paia di occhi si sollevarono al cielo e sullo stadio cadde un silenzio denso di attesa. Per un attimo Pepper temette che la folla avrebbe reagito in maniera diversa da quanto si aspettassero, fischiando l’eroe invece di acclamarlo, ma ben presto i suoi dubbi furono fugati. Non appena un lampo rosso si intravide nel cielo migliaia di mani cominciarono ad applaudire e un boato scosse tutto lo stadio in un’ovazione che le fece venire lacrime di felicità.
Era la rinascita dell’eroe e lei pensava che Tony se lo meritasse pienamente.
Lo vide scendere in picchiata e poi atterrare pesantemente esattamente al centro dello stadio mentre una serie di fuochi d’artificio esplodevano tutto attorno a lui. A quel punto quasi tutto lo stadio era in piedi a rendere omaggio all’eroe. Tony, atterrato su un ginocchio, si rimise in piedi e alzò le mani godendosi il momento, esaltato da quella manifestazione di affetto, preso solo dall’ovazione e ignaro di tutto il resto. Non si era preoccupato della sicurezza, quella era in mano alle forze dell’ordine, lui quel giorno aveva un unico compito: godersi l’acclamazione popolare. Rimase qualche minuto fermo poi, quando sentì che gli applausi stavano scemando, si tolse il casco e quel semplice gesto scatenò un ulteriore ondata di gioia da parte dei suoi fan. Volse lo sguardo tutto intorno a sé abbracciando la folla, ma alla fine del suo giro fissò lo sguardo sulla tribuna VIP e indicò verso Pepper che fu subito inquadrata e proiettata su tutti i megaschermi, anche lei attorniata da una serie di fuochi d’artificio questa volta solo virtuali. La ragazza arrossì violentemente ma mantenne lo sguardo fisso sull’uomo con un sorriso sulle labbra, orgogliosa.
Quando anche l’ovazione di quel gesto si fu calmata il presentatore prese la parola avvicinandosi a Tony e passandogli il microfono.   
- Grazie, New York – gridò l’uomo, scatenando un ulteriore accesso di entusiasmo. – E ora, senza perdere ulteriore tempo, diamo ufficialmente il via al Super Bowl! – disse Tony prendendo la palla e preparandosi al “kick off”, eseguito dalla linea delle 35 yarde a simbolico inizio della partita.
Pepper osservò prima il campo e poi l’ingrandimento del grande schermo direttamente davanti a lei, vide con chiarezza Tony che caricava il tiro e il momento in cui lo stivale dell’armatura colpì il pallone. Poi non vide più nulla se non fumo e fuoco e Tony che veniva sbalzato indietro di quasi 5 metri sbattendo violentemente contro il terreno.
Fu il caos.
Nello stesso istante in cui avveniva l’esplosione i megaschermi smisero di trasmettere le immagini reali e cominciarono a scurirsi: su sfondo nero comparve una scritta bianca brillante: “BOOM”.
La folla dello stadio, ancora scossa e incredula di quello che era successo, parve riscuotersi a quel messaggio iniziando a capire quello che era successo. Migliaia di persone si alzarono contemporaneamente dai loro sedili, iniziando a spingere i vicini per raggiungere le uscite di sicurezza. Padri presero per mano i figli, ragazzi cercarono di raggiungere le fidanzate, nonni agguantarono i nipoti lasciando cadere bibite e patatine e cominciando a muoversi scompostamente. Molti caddero nella foga di lasciare lo stadio e la folla li sommerse, calpestando, urtando, schiacciando. I megaschermi si oscurarono e questo fece aumentare il terrore di tutti e la loro angoscia per un’altra imminente esplosione. Le uscite vennero prese d’assalto e un flusso costante di persone iniziò a defluire dallo stadio, raccogliendosi a distanza di sicurezza. Molti elicotteri si alzarono in volo, in parte di emittenti televisive, in parte della polizia, pattugliando la zona e cercando di ottenere un minimo di controllo con ordini urlati dagli altoparlanti, senza nessun effetto.
Un’unica persona cercava di restare ferma al suo posto, allungando il collo verso il campo, scrutando alla ricerca dell’armatura rosso e oro. Pepper, come in un incubo, cercava di capire cosa fosse successo e che fine avesse fatto Tony. Lo aveva visto volare indietro e cadere, ma non rialzarsi.
Un’ondata di panico la pervase, ricordando l’ultimo sguardo che si erano scambiati. Poi, mentre un fiume di persone la investiva, trascinandola verso l’uscita, vide un lampo rosso schizzare nel cielo, apparentemente indenne. Riprese a respirare solo per rendersi conto di non riuscire a muoversi, compressa da migliaia di persone. Cercò di fermarsi, di farsi in qualche modo vedere, sicura che Tony la stesse cercando, ma senza altro risultato se non inciampare e rischiare di cadere, travolta dalla massa. Sempre intenta a guardare verso l’alto non si rese conto dello scalino che portava giù dal palco dei VIP e inciampò, perdendo l’equilibrio e finendo addosso alle persone davanti a lei. Questi si spostarono in avanti e Pepper perse la cognizione dello spazio: la terra prese il posto del cielo, il mondo si rivoltò e poi non ci fu altro se non dolore e buio.
 
Tony scosse la testa, tramortito dal volo ma ancora tutto intero. Lo stivale aveva attutito l’esplosione, ma essendosi tolto l’elmo aveva battuto la testa contro il suolo al momento dell’impatto. Gli ci volle qualche momento per rendersi conto di quello che era successo poi, dopo che le orecchie smisero di fischiargli per il rumore dell’esplosione, si accorse delle urla. Fu come alzare gradualmente il volume della radio: il gemito si fece urlo e l’urlo boato. In meno di un minuto fu sommerso dalle grida di centinaia, migliaia di persone e si rese conto di quello che stava succedendo. Si alzò in piedi e fissò attonito la folla che correva scompostamente, travolgendo tutto quello che incontrava. Il suo sguardo cadde sulla tribuna VIP dove i seggiolini erano divelti e la piazzola ormai deserta. Con terrore si guardò intorno, ma non vide traccia di Pepper. Si rese conto che senza l’aiuto di JARVIS non l’avrebbe mai ritrovata in mezzo a quella calca e, rapidamente, andò a recuperare l’elmo.
- JARVIS, ci sei?
- Online e attivo, signore. Abbiamo qualche problema? – chiese impassibile l’AI.
- Mi sa. Trova Pepper.
- Subito, signore.
Tony rimase ad osservare lo schermo reticolato che passava al setaccio tutte le teste attorno a lui, alla ricerca della ragazza.
- Non trovo corrispondenze, signore.
- E’ qui da qualche parte, JARVIS. Trovala.
- Posso suggerire di alzarsi in volo, signore? Dall’alto dovrebbe essere più facile.
Tony non discusse e si alzò a 5 metri d’altezza dove rimase a volo fisso per circa 30 secondi prima che il computer illuminasse una massa scomposta per terra. – Trovata, signore.
- Merda – mormorò Tony schizzando verso il punto segnato sul visore fino a quando non riconobbe la massa di capelli rossi. Troppo rossi. Atterrò vicino a lei urtando gli ultimi ritardatari che stavano fuggendo, travolgendo a sua volta un paio di persone senza nemmeno accorgersene. – Pepper? – chiese chinandosi sulla giovane a terra e passandole una mano sulla testa. La rialzò sporca di sangue. - Rispondi, andiamo – disse, ma la ragazza non si mosse. Tony la prese tra le braccia e si rialzò in volo. La sua indecisione durò solo qualche attimo poi, dopo un ultimo sguardo al disastro attorno a sé per il quale però non poteva fare nulla, si diresse velocemente verso l’ospedale più vicino.   


Questo capitolo è nato quando ho saputo che avrebbero giocato il superbowl, mi sono messa a pensare al football e a come per gli americani questo evento sia come per noi la finale dei Mondiali e mi sono detta... perchè non metterci Tony? Poi ho scoperto che alla finale hanno trasmesso per la prima volta il trailer nuovo di Iron Man (trailer 2, allora era il "nuovo") e mi sono definitivamente convinta che Iron Man e superbowl facevano una bella coppia!
Grazie infinite per i commenti che avete lasciato, mi rallegrano sempre la giornata!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Lasciala, o amala ***


Tony sedeva scompostamente su una scomoda sedia di alluminio, la testa appoggiata alle mani, i pollici che schiacciavano contro le orbite nel pallido tentativo di allontanare il mal di testa martellante che lo aveva assalito. Di fianco a lui in un letto d’ospedale con le sbarre alzate quasi fosse una prigione e molti tubi e fili che la circondavano, giaceva Pepper. Erano passate solo poche ore dal disastro di New York o meglio, dal disastro del Super Bowl come lo avevano definito i giornalisti per distinguerlo dall’altro disastro che aveva piegato la città solo qualche mese prima. La conta delle vittime era stata minore dell’ultima volta ma, nonostante tutto, c’erano stati centinaia di feriti e una cinquantina di morti, e il conteggio avrebbe potuto essere ben peggiore. Le immagini dei telegiornali continuavano a scorrere sullo schermo televisivo in un angolo della stanza ma l’uomo aveva tolto l’audio, sperando che questo lo aiutasse. Prese una mano pallida e fredda tra le sue, scrutando il volto esangue circondato da bende da cui spuntavano i capelli rossi, in netto contrasto con il pallore della pelle e il bianco asettico delle lenzuola. Poco dopo la porta della camera si riaprì lentamente ed entrò un medico.
- Si è svegliata? – chiese il giovane con un fonendoscopio distrattamente appoggiato al collo.
Tony scosse la testa.
- E’ normale – spiegò il medico all’uomo che, dall’atteggiamento prostrato, immaginò essere il marito della giovane. - Le abbiamo dato dei sedativi per il dolore, ma si riprenderà. Deve solo avere pazienza. E’ stata fortunata.
Tony sentì un moto di rabbia a quelle parole ma poi si rese conto di come fossero vere, in quel disastro sarebbe potuta andare molto peggio.
- Sono stati fortunati tutti e due – ribadì il medico.
- Due? – chiese Tony alzando improvvisamente lo sguardo e vedendolo realmente per la prima volta.
- Lei e il bambino. Non ci eravamo neanche accorti che fosse incinta, all’inizio. E’ saltato fuori solo dagli ultimi esami.
- Come? – mormorò lasciando andare la mano di Pepper, che ancora teneva tra le sue, come se all’improvviso fosse diventata bollente.
- Non lo sapeva?
Tony scosse di nuovo la testa, incapace di parlare. 
- Beh, non sono ginecologo ma credo che sia solo di un paio di settimane. E’ un miracolo che, con il trauma che ha subito, non abbia abortito. Lei è il marito? – chiese conferma il giovane clinico che, evidentemente, era una delle rare persone che non stavano guardando il Super Bowl quel giorno.
- No.
- Oh, mi scusi – mormorò, temendo di aver detto troppo.
- Non siamo… insomma non siamo sposati. Ma sono…
- Il padre? – chiese il medico, venendogli in aiuto con un sorriso.
Padre.
Tony non riuscì a dire nulla, in quel momento tutta la sua attenzione era volta al semplice atto di respirare. Contrarre i polmoni per permette all’aria di uscire ed espanderli per farla entrare, quella era la cosa importante da continuare a fare, pensare a come respirare per evitare di alzarsi in piedi e aggredire quel moccioso. Non poteva essere vero, c’era di sicuro un errore. Lui non poteva diventare padre.
Il medico, ignaro di quello che aveva scatenato e del pericolo che stava correndo, annuì e sorrise ancora. – Congratulazioni. Vi lascio, se si sveglia ci chiami – gli disse uscendo e chiudendosi la porta alle spalle, non sapendo di aver appena reso orribile una gran brutta giornata.
Tony non poté fare a meno di spostare lo sguardo verso il ventre di Pepper, scrutandolo con sospetto. La testa prese a vorticargli e per un momento temette di vomitare, poi la vertigine passò e rimase solo il terrore.
Dopo aver portato Pepper in ospedale era stato accasciato in un corridoio per quasi mezz’ora prima che qualcuno si degnasse di dirgli qualcosa. Mezz’ora nella quale la sua mente aveva vagato nei meandri più oscuri della sua depressione, mezz’ora nella quale era giunto alla conclusione di non essere assolutamente in grado di proteggerla. Adesso pensare di dover proteggere anche un bambino, oltre a lei, era davvero troppo per lui. Non avevano previsto di avere figli, Tony non voleva diventare padre, non in quel momento, e forse mai. Non aveva mai avuto un bel rapporto con i genitori e l’idea di poter far passare a suo figlio quello che aveva passato lui era impensabile. Senza contare che, in quel momento, un bambino era la cosa peggiore che gli potesse capitare. Si stava faticosamente riprendendo dagli ultimi traumi subiti, era lacerato dal senso di colpa per non riuscire a lasciare libera Pepper, figuriamoci se riusciva a pensare di crescere un figlio con lei. E non era solo il pensiero di non poter proteggere le persone che amava a turbarlo, era anche il pensiero del rischio che lui stesso correva ogni volta che indossava l’armatura di Iron Man. Non si trattava più solo di lui: lasciare una vedova era brutto, lasciare un orfano molto peggio.
Qualcuno bussò alla porta e, senza attendere risposta, l’aprì strappandolo ai suoi pensieri.
- Tony! Che cosa diavolo è successo? Mezza città ti sta cercando – sbottò ad alta voce Rhodey, entrando come un tornado nella stanza.
 Tony si alzò dalla sedia e prese Rhodey per un braccio, spingendolo in un angolo della stanza in modo che non disturbasse Pepper.
- Ha una commozione cerebrale – gli disse.
Rod fissò il letto e scosse la testa. – Non puoi nasconderti qui dentro mentre fuori scoppia l’inferno.
Tony lo fissò vacuo. – E’ questo il mio posto, Rhodey.
- No. E’ la fuori a spiegare alla sicurezza nazionale che cosa è successo.
- Non lo so cosa è successo.
- Ci sono stati 50 morti, maledizione.
- Non è stata colpa mia.
- Si beh, forse è meglio se vai a spiegarlo a qualcuno perché c’è chi pensa che lo sia.
- Che cosa? – chiese Tony incredulo.
- Tocchi il pallone e quello esplode. Qualcosa da spiegare c’è, mi pare.
- E’ stato un buco nella sicurezza della partita. Persone sono morte, Pepper è ferita. Che diavolo vogliono da me?
- Tu sei Iron Man, come sarebbe cosa vogliono? Sei scomparso – sbottò Rod arrabbiato.
- Ero qui.
- Non hai fatto niente per aiutare – gli fece notare Rod al quale quell’atteggiamento era sembrato notevolmente strano dall’uomo che solo qualche mese prima aveva rischiato al vita per la salvezza della città.
- Non c’era niente, niente che potessi fare. Tu non hai visto… la folla era impazzita, nessuno avrebbe potuto farci niente.
Rod rimase in silenzio ma alla fine annuì e chinò la testa, indeciso se dire o meno quello che gli passava per la mente. Forse non era importante, ma forse le informazioni che aveva potevano aiutare in quel pasticcio. Fino a quel momento non aveva fatto parola con nessuno di quello che gli aveva detto Pepper la sera in cui gli aveva telefonato dal parcheggio delle Indutries confidandogli della telefonata appena ricevuta. Rod aveva provato a rintracciare l’ID chiamante, aveva messo in moto tutte le sue conoscenze e le tecnologie a cui aveva accesso, ma chiusa la chiamata non era stato possibile capire né da dove arrivasse, né chi ne fosse l’autore. Nei giorni successivi aveva parlato spesso con la ragazza, cercando di convincerla a raccontare tutto a Tony, ma lei non aveva voluto sentire ragioni e, con il tempo, la cosa si era smontata da sola. Nessuno aveva più contattato né Pepper né Tony e l’ansia della giovane era progressivamente scemata, permettendole di riprendere una vita normale. Adesso sembrava che le cose fossero cambiate, o forse no, ma Rhodey non era in grado di capirlo e si rendeva conto che questa volta avrebbe dovuto parlarne con Tony. – Senti, Tony. qualche settimana fa Pepper mi ha chiamato.
Tony lo fissò alzando un sopracciglio.
Rod sbuffò, ben sapendo che quella conversazione avrebbe portato guai. In quel momento si pentì di non aver detto tutto all’amico settimane prima, quando ancora forse sarebbe stato in grado di scoprire qualcosa di più di lui. – Era nel parcheggio delle Industries e qualcuno l’ha chiamata usando il tuo numero – iniziò a dire piano, temendo la reazione di Tony. - L’ha…
- L’ha cosa? – chiese l’uomo mentre la rabbia, trattenuta fino a quel momento, cominciava a montargli dentro.
- L’ha minacciata.
- CHE COSA? – sbottò incredulo che una cosa simile avesse potuto succedere quasi sotto i suoi occhi senza che lui ne sapesse nulla.
- Le ha detto che ti avrebbe fatto provare cosa si prova a perdere quello a cui si tiene.
- E tu hai pensato bene di non dirmi niente? – chiese afferrando l’orlo della giacca di Rod e facendolo andare a sbattere contro il muro con ira. – Ma che razza di amico sei? – chiese sentendo di stare progressivamente perdendo il controllo. Non solo per quella confessione, a cui non riusciva ancora a credere, ma anche per tutto quello che era successo in quelle ultime ore, per Pepper.
- Amico anche suo. Ha chiesto il mio aiuto, mi ha chiesto di rintracciare la chiamata e non dirti niente – cercò di spiegare Rhodey mentre la stretta di Tony si faceva sempre più serrata e il fiato cominciava a mancargli.
- E tu dovevi mentirle! – sbottò stringendo la presa e vedendo che Rhodey cominciava ad ansimare. – Come pensi che possa proteggerla se non so neanche cosa le succede?
- Era preoccupata per te, per quello non ti ha voluto dire niente. E dopo quell’unica volta nessuno si è più fatto sentire. Ho pensato…
- Ah. Hai pensato? Davvero? Io sono Iron Man, potevo trovarlo.
- Magari non sarebbe cambiato niente. Non sono neanche sicuro che possa c’entrare con quanto è successo oggi – gli disse Rod cercando di spiegare le sue motivazioni che, in quel momento, sembravano deboli anche alle sue stesse orecchie.
Tony lo tenne ancora qualche attimo contro il muro ma poi, guardandolo negli occhi, la forza gli venne meno. Lo lasciò andare, troppo sconvolto per pensare lucidamente.
- Perché non ha chiamato me? – chiese all’amico.
- Perché tu eri ancora troppo sconvolto da quanto era successo. Non voleva turbarti con altre preoccupazioni – spiegò Rod.
- Non ero sconvolto – si rese conto Tony. Improvvisamente capì quel era stato il suo problema in tutti quei mesi, si era chiuso in se stesso non permettendo neanche a lei di entrare nel suo incubo, pensando così di proteggerla e non capendo che la stava solo allontanando. – Ero troppo pieno dei miei problemi per pensare ad altro – disse stropicciandosi gli occhi e i capelli in un gesto di impotenza.
Rhodey si allontanò di qualche passo da lui, cercando di sistemarsi la giacca e lo guardò, capendo che il quel momento non era in sé. – Capisco come ti senti…
- No, non credo che tu capisca!
- Non sei l’unico che le vuole bene, Tony – gli disse fissando lo sguardo sul letto in cui giaceva la ragazza, ancora incosciente. - Cosa dicono i medici? – chiese.
- Sembra che abbia solo una commozione cerebrale e qualche livido, niente di rotto. Ma non si sveglia.
- Sono sicuro che si riprenderà presto.
- E’ incinta, Rod – disse crollando a sedere sulla sedia. Non aveva avuto intenzione di dirlo all’amico, avrebbe preferito rimuginare sulla cosa, dirlo a lei e poi chiarire cosa fare ma le parole gli erano uscite senza che lui potesse fare nulla per fermale. E sentire quelle due parole, dette dalla sua stessa voce, le rese dannatamente più reali.
- CHE COSA? – fu il turno di Rod di alzare la voce, Tony gli fece segno di calmarsi. – E da quando lo sai?
- Circa 10 minuti.
- Merda.
Tony lo guardò. – Non sono un esperto in materia ma non credo che sia questo che uno si aspetta di sentire dal proprio migliore amico a una notizia del genere.
Rod sorrise. – Dovevo farti i complimenti?
Tony si prese di nuovo la testa tra le mani, abbattuto. – Che ne so? Non era previsto, non era voluto.
- Quindi lei non lo sa? – si rese conto in quel momento Rhodey.
Tony scosse la testa tristemente.
- Che cosa pensi di fare?
- Non lo so, non lo so proprio. Non sono riuscito neanche a proteggere lei, Rod.
- Ehi, non è stata colpa tua.
- Sì invece. L’ho portata io in quello stadio.
- E’ esplosa una bomba, Tony.
- E io non ero con lei.
- Non ti puoi colpevolizzare. Era un delirio, non avresti potuto fare niente neanche se ci fossi stato.
- Potevo portarla via prima – rispose Tony scuotendo la testa. – Dovevo proteggerla – ripeté.
- Non potrai mai essere sempre con lei, Tony. Non puoi prevenire tutto quello che potrebbe succederle.
- Come faccio a vivere così?
Rhodey lo guardò dritto negli occhi. Un’idea balzana gli venne in mente, ma conosceva abbastanza bene l’amico per rendersi conto che aveva bisogno che la verità gli fosse sbattuta in faccia per prenderne atto. – Non puoi. Lasciala – gli disse semplicemente.
Tony sollevò lo sguardo come se gli avessero appena detto di bere del veleno. – Cosa?
- Non puoi continuare a vivere con il pensiero che le possa succedere qualcosa per colpa tua, lasciala.
- Ma come ti viene in mente… hai sentito cosa ti ho appena detto? E’ incinta!
- Ho sentito perfettamente. Ma non puoi continuare a vivere in questo modo, rovineresti la tua vita e anche la sua. Per non parlare di quella di tuo figlio. Lasciala vivere la sua vita, con il bambino.
Tony si zittì, incredulo. La notizia della gravidanza non aveva fatto che peggiorare i suoi dubbi e le sue paure, ma non aveva mai neanche pensato di poter veramente lasciare Pepper, soprattutto in quel momento. Forse Rod aveva ragione, forse sarebbe stata davvero meglio, sarebbero stati meglio tutti e due, senza di lui. Ma lui? - E’ troppo tardi, Rod. Non posso, non riesco. Non posso immaginare la mia vita, una vita che abbia senso, senza Pepper al mio fianco. Credo di non esserci mai riuscito – ammise alla fine.  
- E allora amala – sbottò Rod arrivando esattamente al punto che si era prefisso. - Vivi con lei, amala, proteggila per quanto possibile. Ma cerca di capire che non potrai mai proteggerla dal mondo. Nessuno può farlo, neanche Iron Man. Vivi Tony.
Tony si avvicinò al letto e passò una mano sulla fronte della ragazza, scostando una ciocca di capelli che era sfuggita dalla medicazione alla testa e le era ricaduta sugli occhi.
- Ti do ancora un’ora, amico. Poi dovrai venire fuori a dare molte spiegazioni, e vedi che siano convincenti – gli disse l’amico capendo che doveva lasciarlo alle sue riflessione e che per il momento non c’era altro che potesse dire o fare per aiutarlo.
Tony non rispose e non si voltò ma prima che Rod uscisse dalla stanza mormorò – Grazie – si rimise poi a sedere sulla sedia tornando a perdersi nei suoi pensieri.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Gli Avengers ***


Tony era rimasto seduto accanto al letto dove giaceva Pepper, ancora priva di sensi, per tutta la sera. La testa gli ronzava e in quel momento avrebbe dato metà del suo patrimonio per un drink, ma non voleva lasciare la ragazza nel caso si fosse svegliata. La sua mente era completamente invasa dall’eco della parole di Rhodey, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare una soluzione per tutta quella situazione.

Un trambusto fuori dalla porta e un rumore alle sue spalle lo riscossero dalle sue riflessioni.
- Un petardo – disse una voce.
Tony schizzò in piedi, girandosi ad affrontare il direttore dello S.H.I.E.L.D che era appena entrato. Come al solito indossava un impermeabile nero sopra abiti neri e una benda altrettanto nera gli copriva l’occhio sinistro. L’abbigliamento ben si abbinava all’umore di Tony che però avrebbe voluto incontrare chiunque in quel momento, tranne Nick Fury.
- Come sarebbe un petardo? – chiese alzandosi e andandogli incontro, in modo che non si avvicinasse al letto. Non lo voleva vicino a Pepper.
- Quello che è esploso era un semplice petardo – chiarì Fury fissando l’unico occhio sul volto tetro di Tony.
- Ma come è possibile? – chiese confuso il miliardario che aveva pensato fino a quel momento a un ordigno ben peggiore.
- Non so come, tu hai qualche idea, boy scout? – gli chiese a sua volta il direttore con sguardo serio, facendogli capire che quella lunga giornata era ben lontana dall’essere finita.
- No.
- Qualcuno ha messo un petardo nel pallone, nel momento in cui hai tirato il calcio, è esploso – spiegò l’Agente Romanoff, spuntando da dietro le spalle di Fury ed entrando a sua volta nella stanza. – Visto che non venivi tu, siamo venuti noi a chiedere spiegazioni – gli disse chiarendo la loro improvvisa comparsa.
- Abbiamo tutta l’allegra compagnia? – chiese Tony osservando l’agente, che però scosse la testa.
– Banner sta lavorando per cercare di identificare il colpevole. Gli altri sono impegnati… altrove – rispose l’agente eludendo ulteriori spiegazioni.
- Credono che sia stata colpa mia, vero? – chiese Tony.
- Diciamo che hai la capacità di essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato – chiarì Fury, non potendo evitare di sorridere. Sapeva che Stark non era responsabile di quello che era successo, così come sapeva perfettamente che, senza quell’uomo, non ci sarebbe stata nessuna città dove tenere il Super Bowl. Si rendeva però anche conto di come, con il suo atteggiamento scostante ed egocentrico, riuscisse a finire sempre nei pasticci.
- Chi può aver manomesso il pallone? – chiese Natasha.
- Perché più che altro? Perché un semplice petardo? – chiese a sua volta Tony cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza mentre la sua mente si concentrava finalmente su qualcosa di concreto, qualcosa che poteva risolvere. - Non voleva uccidere me, o avrebbe messo decisamente più esplosivo per provarci. Voleva creare il panico. Voleva una strage – disse tra sé e sé.
- Ma perché non mettere una bomba?
- Perché è un codardo, non voleva uccidere direttamente e una bomba comunque non avrebbe aggiunto nulla a suo scopo – rispose Tony. – Se siete qui vuol dire che non avete idee di chi possa essere stato – disse in direzione di Fury.
- No, ancora no – rispose il direttore.
- Ci stiamo lavorando – continuò Natasha. – Ma ci serve il tuo aiuto, Stark.
- Scordatevelo, non posso lasciarla qui da sola – disse voltandosi a guardare Pepper che era ancora addormentata nel letto. 
- Non puoi fare niente per lei in questo momento – rispose sempre pragmatico Fury che. d’altra parte, non riteneva che un membro della sua squadra potesse mettere il dovere verso lo S.H.I.E.L.D al secondo posto rispetto a qualsiasi altra cosa.
- Non mi interessa. Non voglio che si svegli da sola, sarà già abbastanza sotto shock così.
- Non le succederà niente – disse Natasha sbirciando a sua volta il letto. – E’ una persona forte, capirà.
- Sono stufo di sentirmi dire che è forte. E sono stufo che debba passare la sua vita a capire i casini in cui la metto. Non ho intenzione di lasciarla – chiarì Tony, tornando ad avvicinarsi al letto seguito dallo sguardo curioso di Nat che, sebbene lo conoscesse da tempo e avesse vissuto a contatto diretto dei due per qualche mese, facendosi un’idea ben chiara dei loro sentimenti già prima che loro stessi ne fossero a conoscenza, non lo aveva mai visto così.
- Abbiamo bisogno di Iron Man per trovare chi le ha fatto questo – gli rispose, rendendosi conto di dover cambiare approccio se voleva ottenere qualcosa da lui in quel momento.
- No, avete tutte le tecnologie necessarie. Avete Banner. La polizia farà il resto.
- La polizia di New York non ne caverà niente, e tu lo sai meglio di tutti – disse Fury.
- E se non restasse da sola? – chiese l’agente Romanoff voltandosi ad osservare il direttore e ponendogli silenziosamente una domanda. Lui fece una smorfia, poco convinto, ma poi annuì lentamente e borbottò qualcosa al suo auricolare.
Tony non capì quello che stava succedendo ma sapeva di non aver intenzione di andare da nessuna parte. Pochi istanti dopo un leggero bussare precedette l’apertura della porta della camera. Tony trattenne il fiato, definitivamente convito di essere uscito di senno mentre un altro compito agente entrava nella camera d’ospedale, ostentando un sorriso incerto.
- Devo ammettere che sta piuttosto bene, per essere un morto, Agente Coulson – disse Tony riprendendosi rapidamente dallo shock e avvicinandosi al nuovo arrivato, scrutandolo con sospetto.
- Quasi morto – rispose Coulson, aspettando che fosse poi il suo direttore a dare ulteriori spiegazioni.
- Era morto quando vi ho avvertito, quel giorno. O almeno pensavo che lo fosse – disse Fury.
- Quando mi hanno portato in infermeria si sono accorti che c’era ancora battito cardiaco, anche se debole.
- E quindi è risorto dalle ceneri? Moderna fenice? – ironizzò Tony.
- Il sangue si trasfonde e le ferite si ricuciono – spiegò.
- E non vi è mai venuto in mente di informarci? – chiese ripensando a come si era sentito in colpa per la morte dell’agente Coulson. E di come avesse preso la notizia Pepper. Trovarselo davanti in quel momento era troppo persino per Tony: troppe informazioni, troppe emozioni. Quella notizia, sebbene importante, avrebbe dovuto aspettare il suo turno e, per il momento, l’avrebbe presa così come gli era stata presentata, senza porsi domande e senza troppe riflessioni. Aveva cose più importanti a cui pensare in quel momento.
- A quel punto abbiamo pensato di mantenere la notizia riservata e usare l’agente come copertura.
- Fino ad oggi?
- Sono cambiate le condizioni – disse solo Fury, chiarendo di non essere tenuto ad informare Stark delle sue decisioni.
- Come sta? – chiese Coulson avvicinandosi al letto di Pepper e fermandosi ad osservarla con tristezza. 
- Bene, non si è fatta quasi niente – rispose pragmatica l’agente Romanoff.
- Non mi pare – mormorò Phil osservando il turbante di bende che avvolgeva la testa della ragazza.
- Tutti noi abbiamo visto di peggio.
- Tutti noi siamo addestrati per vedere di peggio, è il nostro lavoro – le rispose Phil.
- Stark, credi di poter venire con noi se l’agente Coulson rimane con la signorina Potts? – chiese Fury ben sapendo che, se c’era una persona di cui si potesse fidare Tony in quel momento a dispetto di tutto, quella era proprio Coulson. Sebbene il rapporto tra i due avesse avuto un inizio travagliato con il tempo avevano imparato a conoscersi e a fidarsi uno dell’altro.
Tony appoggiò le mani alle sbarre del letto, indeciso. Da una parte voleva uscire di lì, riflettere su tutta quella situazione e trovare il bastardo che aveva scatenato quel casino. Dall’altra aveva paura a lasciare Pepper da sola e pensava di doverle almeno quello. Fissò Coulson truce, sapeva che tutta quella farsa non era un’idea sua, ma nonostante quello non si sentiva tranquillo. Era vero che aveva salvato la vita a Pepper già un paio di volte e che sembrava realmente affezionato alla giovane, più di quanto non lo sembrasse chiunque altro in quella stanza, ma d’altra parte non riusciva a fidarsi completamente.
- Agente, è conscio del fatto che se succede qualcosa a Pepper lei non sarà più solo “quasi” morto? – chiese minaccioso.
- Lo ipotizzavo – rispose sorridendo tristemente Phil. – Non le succederà niente, trovi quell’uomo e quando tornerà ci troverà qui ad aspettarla – disse andandosi a sedere sulla sedia di fianco al letto e mettendosi comodo. 
- Se si sveglia… - iniziò a dire Tony.
- Le dirò…
- … non le dica niente. Sarà già abbastanza sconvolta da quello che è successo oggi e dallo svegliarsi in compagnia di un fantasma. Le dica solo che tornerò presto – disse Tony, temendo un possibile risveglio traumatico. Per la prima volta da quando l’aveva portata in ospedale sperava che non si svegliasse in poco tempo, avrebbe voluto essere lì quando fosse successo. – Andiamo da Banner, voglio capire che cosa ha scoperto – disse poi uscendo dalla stanza senza voltarsi indietro, seguito da Fury e Natasha. Se lo avesse fatto non sarebbe riuscito ad andarsene.
Tony seguì i tre verso il tetto dell’ospedale dove era in attesa un elicottero dello S.H.I.E.L.D che li portò verso la Stark Tower diventata, dalla sua ricostruzione, la sede degli Avengers. Durante il volo nessuno dei tre disse nulla, ognuno perso nei suoi pensieri e, non appena toccarono il tetto, si diressero rapidamente verso i laboratori posti 30 piani più in basso. Il dottor Banner, perfettamente a suo agio, era immerso nell’analisi di un paio di schermi che riproducevano numeri e diagrammi.
- Qualche novità, Dottore? – chiese l’agente Romanoff avvicinandosi a lui e sbirciando da sopra la sua spalla con aria curiosa.
Bruce si scostò, imbarazzato dalla vicinanza con la giovane agente, e poi girò lo sguardo sui presenti sorpreso di trovarsi davanti anche Tony. – Li stiamo per trovare, è stato un lavoro assolutamente dilettantesco. Non credo che dietro ci sia qualche tipo di agenzia, sono più propenso a credere che sia stata l’azione isolata di un pazzo – rispose fissando uno sguardo curioso proprio su Tony, unico testimone dell’esplosione e quindi unica persona che in qualche modo potesse confermare i suoi sospetti.
- Non possiamo escluderlo a priori. Poteva essere molto peggio di quello che è stato e il fatto che sia stato coinvolto uno di voi complica le cose – disse serio Fury, osservando a sua volta il flusso di dati che scorreva sugli schermi.
- Forse c’è una cosa che dovreste sapere… – iniziò a parlare Tony, rendendosi conto di dover far sapere dell’episodio raccontatogli da Rhodey quella mattina perché, a ben vedere, poteva davvero essere correlato a tutto quello che era successo nello stadio.
- Potrebbe anche essere la stessa persona – mormorò Banner dopo aver ascoltato il resoconto di Tony. – Anche se non capisco perché fare tutta questa scena solo per colpire una persona. Senza offesa, ma sarebbe stato molto più semplice attenderla nel suo ufficio e… - disse bloccandosi poi nel vedere l’espressione accigliata di Stark.
- Tutta questa scena per niente poi – precisò Natasha, guadagnandosi un’occhiata malevola da parte di Tony.
- Pepper è in coma – ribadì asciutto, sorpreso che quel concetto ancora non fosse stato metabolizzato da nessuno, a parte da lui stesso. Si stavano comportando come se fosse andata a sbattere contro lo stipite di una porta e si fosse fatta un bernoccolo in testa, nessuno di loro comprendeva quello che le era veramente successo. Un pensiero attraversò la mente di Tony, rapidamente relegato in un angolo: forse era lui che stava ingigantendo tutta quella situazione perché, per la prima volta nella sua vita, era veramente emotivamente coinvolto in qualcosa.
- Non è in coma, ha solo battuto la testa. Si sveglierà presto – rispose pragmatica Nat mentre Occhio di Falco faceva il suo ingresso nel laboratorio con il suo inseparabile arco a tracolla e si avvicinava a loro.
- Il perimetro dello stadio è sicuro – disse a Fury. - Anche secondo me sarebbe stato più logico colpire direttamente Stark, se il bersaglio fosse stato lui – concluse quindi intervenendo nella conversazione.
- Se fossimo in possesso della trascrizione di quella famosa telefonata forse potremmo capire qualcosa di più – disse Fury.
- Se avessi avuto accesso alla telefonata non avremmo avuto questo problema – sbottò Tony, infastidito da tutta quella situazione e insofferente per il fatto di essere bloccato in quel laboratorio a chiacchierare invece che essere fuori a cercare il colpevole.
- Saprai cosa le ha detto, no? – chiese Barton asciutto.
- Quello che vi ho già riferito… che mi avrebbe fatto perdere quello a cui tenevo, come era successo a lui. Cosa che è quasi capitata oggi! Quindi sono abbastanza dell’idea che possa essere lo stesso squilibrato – rispose Tony alzando la voce e iniziando a camminare per la stanza, come un leone in gabbia.
- E tu non hai idea di chi possa essere minacciarti così? – chiese sorpreso Bruce.
- Dopo New York? – chiese a sua volta Tony, sconsolato.
- Scusa.
- Ma perché farlo mettendo a rischio la vita di migliaia di innocenti? Perché replicare proprio a New York… - iniziò a dire Natasha, bloccandosi poi a metà della frase.
- Voleva far ricadere la colpa su di te! – concluse per lei Clint voltandosi a guardare Tony come se lo vedesse per la prima volta.
- … non voleva uccidere Pepper… – mormorò Tony.
- … voleva distruggere la tua immagine, ben sapendo che poi quella di tutta la squadra sarebbe colata a picco con lui – continuò Banner. – Voleva una vendetta.
- Cosa che in effetti potrebbe succedere, in questo momento – mormorò Fury. – Facevo fatica a gestire le cose con il governo prima di oggi, non vi nascondo che adesso stiamo rischiando grosso.
- Non è colpa mia! – disse Tony difendendosi.
- Nessuno lo ha detto.
- Solo perché non ve ne ho dato il tempo – borbottò lui.
- Stark, basta – lo rimbrottò Natasha. – Dobbiamo trovare il colpevole e farlo confessare o rischiamo…
- … di non avere più i “Vendicatori”. Ci faranno fuori – concluse cupo Fury.
- Visto che siamo arrivati ad una conclusione non sarebbe il caso di contattare Mister Ghiacciolo? – chiese Tony che, sebbene non fosse ansioso di trovarsi a faccia a faccia con Capitan America, si rendeva anche conto che averlo nel gruppo avrebbe significato un bell’aiuto in più.
- No – rispose secco Fury.
- Capo, credo… - iniziò a dire Clint che, sebbene non felice di essere d’accordo con Tony, per una volta pensava potesse avere ragione.  
- No. Se non riusciamo a risolvere questa storia, con Cap fuori dai giochi possiamo ancora salvare la squadra.
- Ma non me – disse Tony truce. In un altro momento si sarebbe sentito offeso dal fatto di essere considerato sacrificabile, ma in quel momento la cosa lo interessava solo marginalmente. Ritrovarsi fuori dalla squadra sarebbe stato il male minore in quel frangente.
Fury non rispose e, poco dopo, un paio di allarmi sonori cominciarono a squillare contemporaneamente, distraendo l’attenzione di tutti.
- Trovato! – disse Bruce picchiettando il dito contro lo schermo del computer.
- Dove? – chiese Clint.
- Come? – come chiese invece Tony, interessato.
- Ho seguito le tracce della polvere pirica usata nel….
- Dottore! – lo fermò Natasha, fulminandolo con lo sguardo ben sapendo che se li avesse lasciati liberi di discutere la conversazione sarebbe durata parecchio tempo.
- Magari te lo spiego dopo – concluse mesto Bruce.
- Dove? – chiese di nuovo Clint, imbracciando l’arco e preparandosi per uscire.
- 20 miglia a nord ovest da qui, un capannone industriale vicino al porto.
- Andiamo!
- Agente Barton – lo fermò Fury mentre già Clint si stava precipitando fuori dalla stanza.
- Ci serve una confessione. Ci serve vivo! – chiarì il direttore guardano prima lui e poi Tony. – Stark, vivo! – ribadì.
Tony annuì dirigendosi verso la stanza dove teneva la sua armatura. – Ci vediamo lì – disse uscendo dal laboratorio seguito dagli agenti Romanoff e Barton mentre il dottor Banner rimaneva fermo al suo posto.
- Dottore, credo che potrebbe servire il suo aiuto – gli disse Fury.
Banner lo guardò stupito. – Mio? Credevo che avrei mantenuto un incarico più… - disse muovendo la mano in giro ad indicare il laboratorio. – Sedentario… privo di stress, la metta come vuole.
- Se ci sbagliamo e questo non è solo un pazzo, avranno bisogno di lei, là – gli disse mentre i due agenti si fermavano sulla porta per aspettarlo.
Bruce chinò il capo ma poi, come sempre, fece quello che gli veniva chiesto, andando con i due agenti segreti. Poco dopo i tre stavano sorvolando la zona industriale con l’elicottero, mentre il lampo rosso di Iron Man sfrecciava accanto a loro, diretto sull’obiettivo.
- Stark, ricordati quanto ci è stato detto. Ci serve vivo – ribadì Nat nell’auricolare, ben sapendo che in quell’occasione sarebbe stato utile ripetergli le direttive almeno un altro milione di volte per essere sicuri che fossero state recepite. E anche così dubitava che Tony sarebbe stato in grado di controllarsi.
- Non ti preoccupare agente, ha qualche domanda a cui rispondere prima di morire – grugnì il diretto interessato atterrando nella zona industriale, davanti al capannone 21 da cui proveniva il segnale. Alzò la mano e, con un unico colpo, fece saltare l’ingresso nel momento stesso in cui anche l’elicottero atterrava dietro di lui.
- Non credo che questo sia il modo migliore per non fare morti – disse Clint sorridendo e fermandosi all’ingresso del magazzino, l’arco puntato verso l’interno.
Dentro la penombra oscurava la vista ma per Iron Man quello non era un problema. – Attiva i rilevatori termici, JARVIS – disse Tony.
- Rilevatori attivati, signore.
- Cosa vedi, Stark? – chiese Natasha mettendosi al suo fianco, i sensi tesi nello sforzo di identificare qualunque possibile fonte di pericolo.
- Niente – mormorò Tony, affranto. – Aspetta! – riprese dopo aver scrutato ovunque. – C’è una scia di calore.... Stanno scappando dal retro. Due uomini – rispose lanciando una seconda scarica di energia che fece saltare anche la porta posteriore.
Sia Natasha che Clint si buttarono all’inseguimento, Banner si tenne più distante mentre Tony era già fuori, volando sopra i due. - FERMI – urlò sorvolando i due uomini che stavano scappando.
I due, spaventati, corsero ancora più rapidamente ma andarono a infilarsi in un vicolo cieco e furono quindi costretti a fermarsi e fronteggiare Iron Man e i due agenti che erano nel frattempo arrivati, Nat con la pistola spianata e Clint con l’arco teso, pronto al colpo. - Siete sotto tiro, datemi solo una scusa – disse loro più che altro per enfatizzare il concetto, senza comunque ottenere alcun effetto.
Il più vicino dei due fuggiaschi fece un movimento brusco con il braccio, tirando fuori dalla tasca una pistola. Prima ancora di rendersene conto dalla sua mano sporgeva una freccia mentre la pistola giaceva per terra, inoffensiva. Fu quindi la volta dell’agente Romanoff intervenire, si lanciò in avanti e sferrò un calcio al primo uomo e un pugno del plesso solare dell’altro, facendoli cadere privi di senso a terra entrambi.
- Impacchettateli, vado a vedere se dentro c’è qualche indizio – disse Tony girandosi e tornando nel  capannone dove il dottor Banner era impegnato a scrutare un congegno.
- Cosa abbiamo, dottore? – chiese Tony avvicinandosi a sua volta.
- Una bomba. Decisamente artigianale. Hanno detto qualcosa? – chiese.
- Non ne hanno avuto il tempo. Ci penserà Fury a farli parlare. Impacchettiamo tutto e torniamo indietro – rispose Tony che cominciava ad essere inquieto, sebbene sembrasse tutto sotto controllo. - STARK? – un urlò improvviso nell’auricolare fece sobbalzare entrambi.
- Coulson? – chiese Tony non riconoscendo con sicurezza la voce, distorta dai rumori di vetri rotti in sottofondo. Non perse comunque tempo ad accertarsene, prima ancora che dall’auricolare potesse venire qualche altro indizio si era già levato in volo, diretto all’ospedale.
- STARK, muoviti! – di nuovo la voce dell’agente nell’auricolare e poi urla e spari in sottofondo.
Tony perse la cognizione del tempo: i minuti divennero ore e quando infine giunse nei pressi dell’ospedale il suo cuore aveva preso a battere all’impazzata e la sua mente era concentrata solo su quella stanza, quel letto. Tony sfrecciò attraverso la finestra della camera di Pepper in un turbine di schegge di vetro e atterrò al centro della camera osservando rapidamente quello che aveva intorno.
Da un lato c’era un uomo con la pistola in pugno dall’altro il letto di Pepper, che era stato spinto di lato, e Phil Coulson davanti ad esso con la pistola ancora fumante in mano e un brutto taglio sulla guancia che stava sanguinando copiosamente. Si era messo in mezzo per cercare di proteggere la ragazza, e di questo Tony gliene fu immensamente grato.
- E’ arrivato all’improvviso, non sono riuscito a bloccarlo – si difese Phil abbassandosi di fretta mentre una serie di colpi venivano sparati verso di loro.
Tony gli si mise davanti a lui in modo che la sua armatura assorbisse la maggior parte dei proiettili e poi, semplicemente alzando una mano, sferrò un getto di energia che fece volare dall’altra parte l’aggressore facendogli perdere i sensi.
- Hai fatto un ottimo lavoro, Coulson – disse Tony avvicinandosi lentamente all’uomo steso per terra che però all’improvviso mosse la testa e tentò di rialzarsi in piedi. – Ti prego, dammi solo una buona scusa – gli disse Tony alzando il braccio con lo stabilizzatore già pronto per fare fuoco, non vendendo l’ora di poterlo colpire.  
L’uomo parve ripensarci ma poi, proprio quando Tony stava riabbassando la mano, impugnò la pistola e sparò una raffica di colpi contro di lui. Tony non si prese neanche la briga di scansarsi, semplicemente concentrò un raggio di energia e fece fuoco nello stesso momento in cui Phil, da dietro di lui, gli urlava di non farlo. L’uomo venne sbalzato indietro e finì contro i resti della vetrata della stanza, precipitando poi per i 10 piani dell’ospedale e finendo al suolo. Tony si girò verso Phil abbassando la mano lentamente mentre questo scuoteva la testa. – Poteva darci qualche informazione.
- Poteva uccidervi – rispose solo Tony, avvicinandosi al letto di Pepper per controllare che stesse bene.
- Stark, è morto – una voce dall’auricolare lo informò che il resto della squadra era arrivato all’ospedale. Tony si tolse il casco e passò una mano sulla fronte di Pepper, ancora profondamente addormentata e ignara del pericolo che aveva corso. In quel momento non gli importava: non aveva importanza non trovare informazioni, non aveva importanza aver ucciso, non aveva importanza niente, se non lei.
- Agente Coulson – Fury entrò nella stanza come un turbine, osservando e prendendo nota del disastro che lo circondava. – Vada a farsi medicare quel taglio, voglio un rapporto su quello che è successo qui dentro non appena avrà finito – gli disse. – Stark… – continuò poi voltando lo sguardo su Tony che, nello stesso momento in cui sentì pronunciare il suo nome alzò nuovamente il braccio, minaccioso. – No. Adesso basta – rispose solo.
Fury intuì che era meglio lasciar stare e, per una volta, rinunciò, uscendo dalla camera distrutta. 



Se qualcuno si stava chiedendo dove fossero gli Avengers... beh, eccoli qui. Chiedo anticipatamente perdono per i danni che sicuramente avrò fatto con i vostri beniamini e per il fatto che qui vengono messi in secondo piano, non ci posso fare niente, Tony ha manie di grandezza e il protaonista indiscusso vuole essere lui!
Inizialmente i capitoli dovevano essere due, uno solo per Phil e uno con gli Avengers, ma quello di Phil era striminzito e risultava poi spezzettato e quindi ho deciso di mettere tutto insieme. Sperando che la storia continui a piacervi vi lascio ai commenti (e tra l'altro ringrazio immensamente M4r3tt4, Sic e Maria, supporter ufficiali non solo di questa ma di tutte le boiate che scrivo). 
Il prossimo capitolo arriverà un pò in anticipo sui tempi (giovedì e non venerdì) ma poi vado via e, visto che il 24 aprile è sempre più vicino (meno male), devo tenere il ritmo :P
Ciao a tutte

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Notizie e domande ***


Anche quella notte, la seconda dal disastro del Super Bowl, Tony la passò seduto sulla sedia di alluminio nella nuova camera d’ospedale di Pepper, travolto dall’ansia. I medici, che fino a quel momento non avevano fatto che rassicurarlo sul suo pronto risveglio, adesso cominciavano ad essere loro stessi perplessi sulla durata di quell’incoscienza e la parola “coma” era stata sussurrata più di una volta anche da loro. Nessuno si spiegava come mai la giovane non avesse ancora ripreso i sensi e, sebbene Tony avesse sperato che non si svegliasse in quel lasso di ore in cui aveva dovuto lasciarla sola, adesso cominciava seriamente a temere che non si svegliasse più.
Tutte le indagini eseguite erano negative, i valori del sangue buoni, il bambino stava apparentemente bene, ma nulla era cambiato in quelle ore.
Nel pomeriggio, dopo essersi assicurato che Pepper non avesse subito danni dall’attacco ed essere rimasto con lei qualche ora, più per riflettere e riprendere il controllo che perché temesse nuove aggressioni, Tony aveva avuto uno snervante colloquio con il direttore dello S.H.I.E.L.D.
Fury si era mostrato decisamente adirato con lui per la sua impulsività che non aveva permesso di avere un sospettato da interrogare. Per quanto avessero tentato tutti, Tony per primo, non erano riusciti a sapere nulla sull’uomo che aveva aggredito Pepper. Sembrava non fosse mai esistito, non c’erano tracce di lui in nessun archivio nazionale ed internazionale. Era come se fosse sbucato senza passato e senza futuro, soprattutto non sembravano esserci connessioni con lo sparuto gruppo che aveva guidato l’attacco del Super Bowl. Alla fine si erano trovati d’accordo nel ritenere che si trattasse dell’ennesimo megalomane, ma quella spiegazione lasciava tutti alquanto dubbiosi, Tony per primo. Purtroppo poco potevano fare di più e quindi l’unica cosa era aspettare ulteriori sviluppi.
L’unica nota positiva della giornata veniva da quello che avevano trovato nel capannone. Con qualche minuto Tony era riuscito ad entrare nel sistema del computer che avevano trovato ed era riuscito a scoprire tutto quello che vi si nascondeva. I due uomini facevano parte di un gruppo di persone, tutti parenti di vittime della strage di New York, convinti che gli Avengers fossero responsabili della morte dei loro cari. Avevano quindi deciso, sconvolti dalle loro perdite, di screditare il gruppo colpendone il personaggio più in vista in quel momento.
Sebbene queste informazioni permettessero di chiudere il caso e archiviarlo, da quando aveva scoperto tutto ciò Tony era caduto di nuovo in uno stato di depressione, peggiorato dalle condizioni sempre precarie in cui versava Pepper. Se prima si era sentito in colpa per averla portata all’interno dello stadio, dopo aver saputo che il vero obiettivo dell’attacco era proprio lui quella sensazione era peggiorata. Era comunque riuscito a non muoversi dalla stanza, rimanendo accanto alla giovane nella speranza che si svegliasse, sentendo che l’unica cosa che potesse fare in quel momento era  starle vicino e prendersi cura di lei.
Fu scosso dai suoi pensieri da un movimento della mano nella sua. Udì un gemito e poi vide un piccolo gesto della testa di Pepper.
- Ehi – disse con un sospiro di sollievo mentre un paio di occhi azzurri decisamente confusi si fissavano nei suoi. – Bentornata tra noi.
- Acqua – chiese la ragazza con voce roca.
Tony le passò un bicchiere con una cannuccia improvvisata e l’aiutò a bere. - Piano, altrimenti finisce che ti strozzi e dopo quello che hai passato sarebbe davvero ironico – le disse allontanando poi la cannuccia.  
- Cos’è successo? – domandò con un sospiro, facendo una smorfia di dolore.
- Hai deciso di movimentarmi la giornata e farmi perdere qualche decennio di vita – le rispose Tony cercando di rassicurarla.
Gli occhi di Pepper finalmente parvero mettere a fuoco e lei cercò di mettersi seduta, ricadendo scompostamente sul cuscino con un gemito. – Tu stai bene? – gli chiese ricordando all’improvviso l’esplosione.
- Sto bene, ma stai giù. Sei tu quella malata.
- Che cosa è successo?
- La palla è esplosa quando l’ho colpita. Poi c’è stato il panico nello stadio…
- Ti cercavo… – gli disse mesta.
- E alla fine mi hai trovato – le rispose accarezzandole una guancia per rassicurarla.
- Tu – mormorò lei mentre la testa iniziava a girarle vorticosamente e la nausea l’assaliva costringendola a chiudere gli occhi e fare una smorfia.
- Io? – chiese Tony fraintendendo la smorfia di Pepper e pensando che lo stesse accusando di quello che era successo.
- Tu… mi hai trovato – rispose tornando a guardarlo e stringendogli debolmente la mano.
Tony sospirò sedendosi sul letto di fianco a lei. – Ti troverò sempre, Peps. Te lo prometto.
Pepper annuì. – Lo so. Ossa rotte? – chiese con fatica, la gola riarsa.
- Per fortuna hai la testa dura. Solo qualche livido.
- Voglio tornare a casa – disse tristemente osservando la stanza spoglia in cui si trovava e desiderando realmente di essere nella loro Villa, nel loro letto.
- Ehi, che fretta! – rispose Tony sentendosi improvvisamente di nuovo in colpa per quello che era successo. Non fosse stato per lui si sarebbero davvero trovati a casa in quel momento.
- La prossima volta la domenica andiamo al cinema – riuscì a scherzare Pepper, notando l’espressione accigliata sul volto dell’uomo e volendo cercare di rassicurarlo.
Tony, a dispetto di tutto, sorrise. – Promesso!
- Si può? – chiese una voce aprendo di poco la porta della camera.
Tony sospirò, avrebbe preferito che aspettasse in modo da poter avvertire Pepper prima che lo vedesse, ma in fondo era giusto così. La ragazza d’altra parte, riconoscendo il suono della voce, corrugò la fronte osservando sconvolta Tony.
- Vieni, Phil – disse Tony alzandosi dal letto ma tenendo sempre stretta la mano della ragazza.
- Phil? Ma cosa…? – mormorò lei vedendo entrare l’agente, creduto morto. – Oddio – disse mentre gli occhi le si arrossavano.
- Signorina Potts – salutò Phil entrando e sorridendole.
- Ma come…?
- L’ho saputo anche io solo ieri – le spiegò Tony. – La versione lunga te la racconto quando starai meglio, la versione breve è che…
- … è difficile uccidermi – finì per lui Coulson. – Volevo solo essere sicuro che stesse bene, vi lascio subito – le disse avvicinandosi al letto e incrociando lo sguardo con Tony, facendogli intendere che anche per lui il racconto di tutta la storia avrebbe potuto aspettare un momento migliore.
- Phil! Sono… confusa.
- E’ comprensibile.
- Hai preso una bella botta, sei stata svenuta due giorni, Peps – le spiegò Tony.
- Non si affatichi, passerò a trovarvi nei prossimi giorni e ci faremo una chiacchierata! – le disse Phil tornando a sorriderle gentile e poi uscendo per dare loro un po’ di privacy.
Prima che se ne andasse Pepper lo richiamò. – E’ bello rivederla, Phil – gli disse cercando a sua volta di sorridergli, ma riuscendo ad ottenere solo una smorfia dolente mentre la testa tornava a pulsarle.
Quando furono di nuovo soli Tony tornò a sedersi di fianco a lei e capì che doveva dirglielo. Avrebbe preferito essere a casa tranquillo, ma quella non era una cosa che si potesse rimandare nonostante non si fosse ancora ripresa, anche a rischio di farla stare peggio. Era suo diritto sapere una cosa simile e, egoisticamente, anche lui non ne poteva più di tenere un simile segreto. Doveva vedere la sua reazione, capire cosa provava al riguardo. – Devo dirti una cosa.
- Ancora? – sorrise lei. – Sono stata via solo un paio di giorni…
Tony sorrise. – Hai ragione ma questa cosa… la devi sapere.
- Brutte notizie? – chiese Pepper, sospirando.
Tra tutte le domande che poteva fargli, quella forse la peggiore. Poteva dirle che riteneva una brutta notizia avere un figlio da lei? – No, non brutte. Nuove – disse alla fine per togliersi dall’impiccio ma vide subito, dall’espressione preoccupata di Pepper, che lei aveva capito i suoi veri sentimenti.
– Tony conosco quello sguardo. Cosa succede?
- Mentre ti visitavano… ecco. I medici si sono accorti… insomma… - Tony era impacciato, quelle erano notizie che le donne dovevano dare agli uomini, non il contrario. Erano millenni che loro si allenavano a dare simili informazioni, era scritto nel loro DNA, non in quello maschile. 
- Mi stai preoccupando.
Tony capì di stare solo peggiorando la situazione e decise di  porre fine a quella scenetta prima che lei pensasse di avere qualcosa di realmente brutto. - Sei incinta, Pepper.
La ragazza spalancò gli occhi e lo fissò allibita, senza dire una parola. 
- Tutto bene? – le chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
Pepper scosse la testa. – Non è uno dei tuoi scherzi, vero?
- Credi che scherzerei su una cosa così? – le chiese, serio. E subito si pentì di quello che aveva detto. Di nuovo ebbe la netta percezione che lei avesse perfettamente capito come la pensasse su tutta quella situazione, senza che Tony avesse detto una sola parola a proposito. Senza quasi che lui stesso sapesse esattamente quali fossero i suoi sentimenti. Ma lei era sempre stata così, lo capiva prima e meglio di quanto avesse mai fatto chiunque altro.
- No – rispose.
- Non volevo… insomma… essere brusco
- Scusa, non avrei dovuto chiedertelo.
- Non ti scusare. Credo che sia… insomma… è una cosa… tu come?
La ragazza sorrise. – Balbetti sempre quando sei nervoso. Non me lo aspettavo – sospirò muovendosi nel letto e subito pendendosene all’improvvisa crisi di vertigine che la sorprese. Si rimise sdraiata e chiuse gli occhi. – Ci credi vero? – gli chiese sempre tenendo gli occhi chiusi.
- A cosa? – chiese Tony non capendo cosa intendesse con quelle parole.
- So che non ne sei entusiasta…
- Non è vero…
Pepper sorrise. – Ti conosco Tony… credi almeno che non l’abbia fatto apposta? Che non sia un modo per incastrarti, per legarti a me, o qualcosa di simile?
- Non l’ho mai pensato – le disse davvero sorpreso, prendendole la mano.
- E’ così… strano.
- Si – ammise l’uomo che si sentiva stranito e aveva avuto due giorni per assorbire la notizia. Pepper si era svegliata per scoprire che un uomo creduto morto era vivo, che era incinta e ancora non le aveva detto che qualcuno aveva tentato di ucciderla.
La mano della giovane andò meccanicamente sulla sua pancia. – E se non sono in grado? – chiese quasi con le lacrime agli occhi.
A Tony non sfuggi l’uso del singolare di quella frase. – Sono sicuro che sarai la mamma migliore del mondo – le disse sorridendole incoraggiante. – E io il papà peggiore – aggiunse impacciato per farle sapere che le sarebbe stato accanto.
- No, questo non lo penso – disse la ragazza. – Credo che quando sarà il momento sarai assolutamente perfetto.
- Io… Pep… sono terrorizzato – ammise alla fine.
- Lo so.
- No. Non lo sai, non sai cosa vuol dire avere il terrore di non riuscire a proteggere le persone a cui tieni.
Pepper scosse la testa. – E’ questo che non hai mai capito, Tony. Lo so, lo so bene. Tutte le volte che parti con la tua armatura, lo so.
Tony l’osservò stupito. Non si era mai fermato a pensare cosa provasse quando partiva, sapeva che era preoccupata, ma non aveva mai immaginato quanto. In fondo lui non era preoccupato, era Iron Man, era imbattibile. O almeno così aveva sempre pensato. – E quindi puoi capire perché non mi sento pronto. Non riesco a proteggere te, Pepper. Come posso pensare di proteggere un figlio?
- Tony… - mormorò.
- Tu non hai nessun dubbio? – chiese stupito da come stesse reagendo a tutta quella situazione.
- Dubbi? – chiese lei sorridendo. – No. Paure? Sì, tante. 
- Siamo insieme in questa cosa, lo sai vero? – le chiese alla fine, stringendole la mano mentre con l’altra giocherellava con la scatolina che aveva in tasca. Non era più sicuro di quello che stava per fare di quanto non lo fosse stato la prima volta, al ristorante, ma sentiva che quello era il momento giusto. Pepper aveva bisogno di sapere che ci sarebbe stato per lei. – Vuoi sposarmi? – chiese tirando fuori la scatolina e aprendola davanti a lei, mostrandole l’anello.
Gli occhi della ragazza brillarono mentre prendeva in mano la custodia, senza togliere l’anello dal suo alloggiamento. – E’ stupendo, Tony – gli disse appoggiandosi ai cuscini e sospirando. Era stata una giornata dura per lei: prima la scoperta di Phil, poi il bambino e adesso quello, senza contare che sentiva il capo martellarle continuamente per la botta ricevuta. Avrebbe preferito appoggiare la testa sul cuscino e dormire, ma dopo quella domanda doveva imporsi di riflettere. Era una decisione importante e richiedeva una concentrazione che difficilmente avrebbe potuto ottenere quel giorno. Sposare Tony sarebbe stato assolutamente fantastico e lei non aveva nessun dubbio di volerlo, ma osservando il compagno negli occhi si chiese se fosse quello che lui voleva davvero. Sapeva che l’amava ed avrebbe fatto qualunque cosa per lei, ma credeva anche che, se non fosse stato per il bambino in arrivo, quella proposta non sarebbe arrivata e lei non voleva che si sentisse obbligato dalla situazione a fare qualcosa di cui non era convinto.
- E’ un sì? – le chiese Tony scrutandola.
- Perché?
Tony era confuso. – Perché?
- Perché mi vuoi sposare? – chiese osservandolo abbassare lo sguardo, in cerca di una risposta.
La domanda era semplice ma Tony era confuso da tutta quella situazione e, come sempre, cominciò a balbettare. – Perché… non voglio che ti senta sola in questa cosa… insomma siamo noi… avremo un bambino e quindi…  
– Tony… – mormorò Pepper facendolo smettere di balbettare. - … no.
Tony alzò lo sguardo, addolorato ma anche suo malgrado un po’ sollevato da quella risposta. – No?
- E’ stato tutto… troppo – gli disse dolcemente, prendendogli la mano per fargli capire come quella risposta non cambiasse nulla sui sentimenti che provava per lui. - L’incidente… il bambino e ora questo! Tutto troppo in fretta. Tienilo – disse ridandogli l’anello. – Per il momento tienilo tu, prendiamoci qualche altro mese di tempo e vediamo che cosa succede. Per adesso stiamo bene, no? Solo io e te, a casa – gli disse accarezzandogli una guancia ruvida di barba non fatta.
Tony le prese la mano e le baciò il palmo. – Io e te – ripeté, ma entrambi sapevano che, nel bene o nel male, non sarebbero mai più stati solo loro.
Rimasero qualche altro minuto in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri, poi Tony le lasciò la mano e si alzò. – Vado a chiamare il medico, devono darti un’occhiata.
Pepper annuì e, nel momento in cui lui uscì dalla stanza, si permise di versare un'unica lacrima. Quando tornò con una giovane dottoressa al seguito, i suoi occhi erano asciutti e un sorriso stanco era comparso sulle sue labbra.
- Signorina Potts, come si sente? – le chiese il medico andando verso di lei e appoggiandole un fonendoscopio sul cuore.
- Meglio, ma ho un gran mal di testa – ammise.
- Mi dispiace, le abbiamo dato dei sedativi ma da quando ci siamo accorti che è incinta…
- Sì, lo capisco.
- Quando possiamo tornare a casa? – chiese Tony avvicinandosi a loro.
- Tra un paio di giorni.
Pepper fece una smorfia.
- Lo so, vorrebbe andare via prima, ma con il trauma che ha subito deve stare in osservazione ancora qualche ora.
- E non potremmo… osservare… a casa nostra? – chiese Tony che di traumi si era piuttosto ferrato negli ultimi anni.
- Nessuno vi trattiene, il nostro è un consiglio ma poi fate come volete – rispose la dottoressa, ben abituata a trattare con pazienti scalpitanti per essere dimessi.
- Grazie, andremo quando lo direte voi – rispose sempre diplomatica Pepper, stringendo la mano di Tony per fargli capire di stare zitto.
- Se ha bisogno suoni il campanello – le disse il medico avviandosi verso la porta.
- Grazie – borbottò anche Tony mentre lei usciva. – Cerca di dormire un po’, Peps.
- Vai a riposare, hai l’aria distrutta. E’ inutile che tu stia qui – gli rispose lei.
- Non ti lascio qui da sola, non esiste.
- Hai trovato il colpevole? – chiese Pepper mettendosi comoda e chiudendo gli occhi.
Tony annuì, ma poi si rese cono che lei aveva gli occhi chiusi. – Si.
Pepper sorrise. – Bene – mormorò nel dormiveglia, aveva pensato di mettersi a discutere per convincerlo ad andare a casa, ma non riusciva proprio più a tenere gli occhi aperti.
- Ma…
- Cosa? – chiese lei stanca.
Tony scosse la testa. – Niente. Nessuno ti farà del male – le disse posandole una mano sui capelli e accarezzandoli, rendendosi conto che per quel giorno le novità dovevano finire. Le avrebbe detto del secondo attentato in un altro momento, fino ad allora sarebbe stato con lei e nessuno le si sarebbe avvicinato.  
- Lo so – borbottò la ragazza, scivolando nel sonno, sicura che per quella notte qualcuno avrebbe vegliato su di lei. 


Ed eccoci qui. 
Sono abbastanza sicura che almeno metà di voi in questo momento mi vorrebbe uccidere (chi può rifiutare una proposta di Tony? ... Pepper, ovviamente :P) ma tant'è all'inizio vi avevo avvertito, niente fluff (ma poi ci credete davvero?). 
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro una Buona Pasqua. 
Ci rileggiamo martedì.
Even

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Capitolo 10
*** Capitolo 10- Highway to Hell ***


Tornarono a casa, come previsto, un paio di giorni dopo. Pepper aveva un brutto ematoma sulla fronte, ma per il resto sembrava essersi ripresa perfettamente. Nessuno dei due aveva voglia di restare a New York più del necessario e quindi tornarono ben presto in California. Tornando alla sua routine e alla sua casa Pepper si convinse sempre di più di aver fatto la cosa giusta a rifiutare la proposta di Tony, avrebbe utilizzato i mesi della gravidanza per capire i veri sentimenti dell’uomo a proposito del bambino e ci sarebbe stato poi tutto il tempo per il matrimonio. Lei, d’altra parte, superato il primo momento di shock, era elettrizzata dalla notizia e aveva già cominciato a rivolgersi mentalmente al suo bimbo di tanto in tanto sentendo che, sebbene l’avesse appena conosciuto, era già pazza di lui.
Un paio di giorni dopo il loro rientro a Malibu Tony decise di confessare a Pepper dell’uomo che aveva tentato di ucciderla in ospedale. Ci aveva pensato molto e più volte aveva deciso di non dirle nulla, ma poi, riflettendoci, si era convinto che non fosse la cosa migliore. L’attacco e la strana telefonata che aveva ricevuto qualche mese prima lo mettevano in allarme e voleva che anche lei lo fosse per poter essere pronta in caso di pericolo, soprattutto con un bambino in arrivo. Se avesse potuto evitarle quello stress lo avrebbe fatto, ma preferiva saperla spaventata e al sicuro piuttosto che tranquilla e in pericolo.
- Peps – le disse quindi portandole una tazza di tè bollente e sedendosi di fianco a lei sul divano.
Pepper lo fissò incuriosita da quel comportamento anomalo. - Devo dirti una cosa… – iniziò a dirle cercando un modo per darle la notizia.
- La versione lunga della rinascita dell’agente Coulson? – chiese la ragazza che si ricordava bene della promessa.
- Come? – chiese confuso Tony per cui l’agente era l’ultimo dei pensieri.
- Phil. Mi hai promesso la versione lunga della sua storia per quando fossi stata meglio – gli spiegò.
- Oh, no. Quella te la racconterà lui, tanto immagino che ci capiterà tra capo e collo tra breve – rispose contrariato, ma facendo sorridere la ragazza. – Però c’entra anche lui nella storia…
- Cosa succede?
- Quando eri ricoverata ti ho lasciato per alcune ore aiutare a trovare i responsabili dell’attentato allo stadio – le spiegò.
- Si, lo immaginavo.
- Non volevo lasciarti – si difese l’uomo come se con quelle parole l’avesse in qualche modo accusato.
- Hai fatto bene, Tony. Non mi devi sorvegliare tutti i momenti – rispose Pepper accarezzandogli i capelli per tranquillizzarlo, preoccupata lei stessa per l’apprensione che aveva letto nei suoi occhi.
- Si invece! Ma ti ho lasciato con Phil – le disse come a scusarsi di quell’azione avventata.
Pepper corrugò le sopracciglia, non trovando un senso a tutto quel discorso.
- Si, insomma. Per farla breve…
- Che cosa è successo?
- Ti hanno aggredito – le disse tralasciando il fatto che le avessero sparato contro.
- Come? In ospedale? – chiese lei.
Tony annuì. – Phil ti ha salvato la vita.
Pepper sobbalzò alla notizia che però, al contrario di quello che si era aspettato Tony e di quello che si aspettava lei stessa, non l’aveva sconvolta più di tanto. Un’altra cosa invece le fece trattenere il fiato, colpevole. - E io non gli ho detto niente! – disse rendendosi conto improvvisamente di non averlo ringraziato.
 - Sapeva che non ti avevo raccontato nulla, non è quello il problema. Perché non mi hai detto niente della telefonata? – le chiese Tony prendendole le mani nelle sue e riportando il discorso su argomenti più pertinenti che i ringraziamenti all’agente.
Pepper arrossì. – Rod.
- Me lo ha detto perché pensava che potesse essere la stessa persona dell’attentato di New York. Non era così, ma forse quella telefonata è collegata a quello che è successo dopo, in ospedale.
- E quell’uomo? – chiese la ragazza.
- E’ morto.
- Quindi è finita? – chiese con un sospiro di sollievo.
- Non lo sappiamo, magari non era solo – disse Tony, meno ottimista di lei. – Ti ho raccontato tutto perché devi stare attenta e soprattutto devi raccontarmi qualunque cosa strana ti capiti.
- Non ti volevo preoccupare – si scusò Pepper rendendosi conto in quel momento di averlo deluso.
- Lo so, ma non devi preoccuparti per me. Non più – le disse abbracciandola e posandole un bacio sui capelli. – Adesso dobbiamo preoccuparci per voi due. D’accordo? – le chiese.
Pepper annuì con un sorriso, stringendosi brevemente a lui prima di osservarlo tornare nel laboratorio. Sempre più spesso dopo il ritorno dal Superbowl, Tony passava le sue giornate, e gran parte delle nottate, chiuso nel suo laboratorio a lavorare. Pepper aveva provato a chiedergli cosa stesse facendo, ma lui, con un sorriso malizioso sulle labbra, le aveva sempre risposto che era una sorpresa. Alla ragazza sembrava sempre il solito progetto di armatura, ma dalla passione e dal tempo che l’uomo vi stava dedicando, forse qualcos’altro bolliva in pentola. Non aveva comunque indagato ulteriormente limitandosi a controllare che non ci fossero bottiglie di alcolici in giro, non trovandone si era tranquillizzata e aveva deciso di lasciare Tony ai suoi progetti.
L’esercito ormai, potendo contare a tempo pieno su War Machine, raramente aveva bisogno di Iron Man e gli Avengers, anche in considerazione della popolarità alternante di cui godevano, venivano riuniti solo in caso di emergenza nazionale per cui le missioni di Tony divennero sempre meno frequenti.
Capitò un giorno che Tony fu contattato dal direttore Fury per un incarico. Si trattava di distruggere un arsenale militare di un gruppo para terroristico libanese. Normalmente sarebbe stato un lavoro da esercito, ma in quel momento le truppe americane erano impegnate in altri fronti e vi era la necessità di agire in fretta. Tony avrebbe volentieri rifiutato preferendo rimanere nei paraggi di Pepper nel caso fosse successo qualcosa, ma in considerazione del periodo di quiete recente e del tono di Fury durante la telefonata di ingaggio, decise che era meglio accondiscendere alle condizioni imposte, per una volta.
- Mi raccomando, stai attento – gli chiese Pepper andando a posargli un bacio di arrivederci sull’elmo, già calato a protezione del volto.
- Come sempre – rispose con voce metallica l’uomo, accarezzandole un braccio con l’impaccio dell’armatura.
- Magari un po’ di più – gli fece eco lei, sorridendo.
- Sono un modello di attenzione, lo sai.
Pepper sospirò, poco convinta. - Chi viene con te? – chiese sapendo che erano informazioni riservate e, come tali, lei ne era sempre perfettamente a conoscenza.
- Romanoff e Barton, come copertura.
- Gli altri?
Tony scosse le spalle e, con tutta l’armatura addosso, non fu una cosa semplice. – E’ da New York che non riuniscono più tutto il gruppo. Thor non so neanche dove sia, sperso in qualche galassia credo, Banner lo tengono in laboratorio, sotto sorveglianza.
- Capitan America? – chiese Pepper che avrebbe preferito un altro tipo di scorta, magari quella di un semidio e di un Hulk, piuttosto che quella di due molto addestrate, ma dannatamente umane, spie.
- Lui è il Jolly, lo tengono in cassaforte – rise Tony. – Devo andare, tornerò prima ancora che tu abbia tempo di sentire la mia mancanza. Dovrei tornare prima di sera, comunque Happy è nei paraggi.
Pepper annuì, non confessando che già la sentiva- Starò benissimo, non ti preoccupare – gli rispose guardandolo volare fuori dalla rampa, come tante altre volte in passato.
 
L’agente Romanoff e Barton erano in volo su un aereo modificato dello S.H.I.E.L.D diretti verso il punto di incontro. Il loro ruolo nella missione era quasi noioso, dovendo solo fare da copertura mentre Iron Man sorvolava il deposito armi nemiche e faceva un falò di tutte le attrezzature. Secondo Clint, Stark avrebbe potuto cavarsela anche da solo, ma Fury aveva ordinato e loro si erano messi in volo, da bravi soldatini.
- Stark? – chiese Natasha alla radio.
- Possibile che non riesca mai ad arrivare puntuale? – si lamentò Clint ruotando la cloche per far fare l’ennesimo giro in tondo all’aereo.
All’improvviso le voci di sottofondo del comando di controllo vennero zittite da una musica assordante, Natasha girò rapidamente il volume in modo da abbassare il frastuono.
- E questo che cosa sarebbe? – chiese Barton, osservando la radio.
- Highway to Hell – rispose la donna facendo suo malgrado un sorriso e ruotando la testa in tutte le direzioni, alla ricerca della fonte di quel rumore.
- A ore 6, agente – sentirono alla radio. Entrambi si girarono per vedere apparire in coda all’aereo un lampo rosso.
- Sei in ritardo, Stark – disse Barton.
- Scusami Legolas, altri impegni per oggi? – chiese Tony, strafottente come sempre con l’agente.
- Molti, e tutti più eccitanti che fare da baby sitter a te. Quindi vediamo di darci una mossa e tornare a casa – rispose la spia.
- Allora, che dobbiamo fare? – chiese Tony con tono leggero.
- Come sarebbe a dire? – chiese di rimando Barton che aveva passato la notte a leggere il plico contenente tutte le informazioni per la missione che aveva consegnato loro Fury.
- Sta scherzando, Clint – gli spiegò l’agente Romanoff, più avvezza del compagno alle stravaganze di Stark.
- Un po’ di humor, agente. In fondo stiamo per imbucarci ad una festa!
- Tu stai per imbucarti ad una festa, noi stiamo quassù al sicuro e, dovesse mettersi male per te, al massimo lanciamo qualche freccetta in tuo soccorso – chiarì Barton.
- Ci siamo alzati male questa mattina, eh?
- Piantatela voi due. Stark siamo sull’obbiettivo, fai quello che devi fare e torniamo alla base.
- Sissignora – rispose Tony schizzando verso il basso in un turbine. – JARVIS, sei con me? – chiese al computer.
- Come sempre, signore.
- Bene, che ne dici di movimentare il party, mi sembrano tutti un po’ smorti.
- Le ricordo quanto ha promesso alla signorina Potts, signore. Consiglio i missili a lunga distanza e una ritirata strategica. 
- E dove sarebbe il divertimento, così? – chiese Tony corrucciandosi. – E poi, aspetta. Come sarebbe? Da quando sei progettato per ricordarmi di essere prudente?
- Da quando la signorina Potts ha riprogrammato alcuni dei miei sistemi per ricordarglielo, signore.
Tony rise di gusto. – D’accordo allora, che missili siano – rispose lanciando un paio di missili in direzione della base nemica e rialzandosi subito dopo, diretto verso l’aereo di appoggio. Nel momento in cui si preparava a dire una delle sue battute la voce di JARVIS e quella di Natasha gli esplosero contemporaneamente nel casco.
- Missile!
- Missile a ore 6, signore.
- Merda – fu la sola cosa che Tony riuscì a dire prima di fare una virata stretta e vedere un missile che gli sfiorava il fianco, passando davanti a lui. Prima dell’esplosione un unico razzo era stato sparato e adesso mirava direttamente verso di lui.
- Torna indietro, signore – sentì dire a JARVIS.
- Lo vedo anche io, JARVIS. Un aiuto adesso sarebbe gradito – disse Tony alla radio.
- Da qui non possiamo fare niente, portalo vicino all’aereo. Natasha, prendi i comandi – sentì rispondere Barton.
- Certo, magari gli chiedo anche di uscire a cena – sbottò Tony che però individuò il missile e fece una rapida manovra che lo portò in direzione dell’aereo. Vide il portello posteriore aprirsi e Barton spuntare con il suo fedele arco in pugno.
- Signore, meno di 25 metri.
- Lo vedo. Ci siamo, Legolas, te lo porto in braccio – disse girando stretto proprio davanti al portellone aperto, seguito a brevissima distanza dal missile.
Clint prese distrattamente la mira e scoccò una freccia, non restando fermo neanche il tempo di vedere se avesse centrato il bersaglio, tornando immediatamente al suo posto, certo del risultato.
- Non sei stato molto efficace, mi pare – sbottò Tony, sempre con il missile alle calcagna.
- Ti ho dato il tempo di distanziarlo, Stark. Accelera.
- Accelero? Ma che cosa credi che stia facendo una scampagnata?
- Accelera, o l’esplosione ti colpirà in pieno – sentì dire dalla voce, leggermente alterata dal panico, di Natasha.
Tony accelerò, ma non abbastanza. Fu investito dall’onda d’urto dell’esplosione che lo colpì in pieno, facendogli perdere il controllo dell’armatura. Il visore del casco si spense.
- JARVIS? – chiese, senza ottenere risposta. – Ok, si mette male. Riavvia, JARVIS – disse con una nota di panico mentre la terra diventava sempre più vicina. Un lampo sul visore, poi un secondo e infine, finalmente, il sistema si riaccese.
- 10 metri di altezza, signore.
- WOW – disse Tony virando rapidamente verso l’alto mentre la terra sfilava vicina, troppo vicina, sotto di lui.
- Stark? – la voce dell’agente Romanoff invase la radio, di nuovo operativa.
- Sono qui.
- Si prego, non mi ringraziare così – sbottò Barton.
- Oh, certo, Grazie per avermi quasi fatto saltare in aria – gli urlò di rimando Tony, arrabbiato.
- Non è stata colpa mia, ti ho avvertito di accelerare.
Tony sbuffò ma, per una volta, non replicò. – Torniamo a casa – disse invece, girandosi e lanciandosi sulla rotta di casa, senza aspettare gli altri.
 
Quella sera Tony, stanco dalla missione, andò a letto prima di Pepper. Quando lei si accoccolò nel letto lo sentì muoversi per andare ad abbracciarla. Restarono così per parecchi minuti, stretti l’uno all’altra, mentre la mani di Tony si muovevano pigramente accarezzandola attraverso la stoffa sottile della camicia da notte. Poi, lentamente, le carezze di fecero più insistenti procurandole dei brividi di piacere. La ragazza si mosse tra le braccia dell’uomo, girandosi per trovarsi a faccia a faccia con lui. Tony osservò i suoi occhi, illuminati dalle debole luce della luna che filtrava dalle imposte e la cascata dei suoi capelli che le incorniciavano scompostamente il volto, e si protese per baciarla. Fu un bacio molto dolce, lungo; Pepper schiuse le labbra per permettere alla sua lingua di giocare con la propria, cominciando a sua volta ad accarezzargli il torace nudo, le spalle, la schiena.
Il breve tempo la sua camicia da notte fu abbandonata a terra, ma nel momento in cui le mani di Tony iniziarono ad esplorare il corpo nudo della ragazza lui si fermò, guardandola negli occhi. – Posso? – chiese, non essendo molto pratico con il concetto di gravidanza. Pepper sorrise e, tirandolo dolcemente verso di sé, ricominciò a baciarlo. Lui lo prese come un assenso. Scivolò sopra di lei e subito dopo dentro di lei. Mentre un gemito soffocato usciva dalle labbra della ragazza Tony fu sopraffatto da una marea montante di sensazione ed emozioni. Troppo tempo era passato dall’ultima volta che era stato con lei; nel momento in cui i loro corpi si unirono sentì una sensazione di caldo e sicurezza avvolgerlo completamente come mai gli era successo in tutta la sua vita. Si sentiva finalmente a casa. Dovette fermarsi e nascondere il volto contro il collo di lei, soverchiato dalle emozioni. – Ti amo – sussurrò direttamente nel suo orecchio, ricominciando poi a muoversi prima lentamente e poi sempre più velocemente e profondamente.
Pepper lo strinse a sé. Lei lo sapeva, lui lo sapeva, ma quella era la prima volta che lo ammetteva apertamente. Se solo Tony le avesse detto quelle due parole il giorno che le aveva chiesto di sposarlo, in quel momento l’anello sarebbe stato al suo dito e non nella tasca dei pantaloni dell’uomo. – Ti ho sempre amato, Tony – gli mormorò a sua volta mentre il piacere la pervadeva e lui le cadeva addosso, spossato e felice.    


Bentrovate! Eccovi un nuovo capitolo con una Tony che, finalmente mi verrebbe da dire, torna ad essere più simile a quello che conosciamo. 
Spero che anche questo cappy vi piaccia, il titolo fa ovviamente riferimento alla canzone degli AC/DC che Tony mette per rendere "gradioso" il suo arrivo (si, come fa negli Avengers quando prendono Loky, la cosa mi è piaciuta un sacco e ho deciso di prenderla a prestito, tanto prendo a prestito già tutto il resto :P)
Se vi state chiedendo perchè viaggio a tappe forzate (nel frattempo sto accumulando letteralmente chili di one shot, purtroppo per voi mi spuntano idee come funghi in questo periodo) è solo perchè voglio finire la mia "versione" prima di vedere quella di Shane Black il 24.
Grazie infinte per i commenti!
Prossimo capitolo venerdì sera, ciao 
Even

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Nove mesi ***


Alcune settimane dopo il rientro in California, Pepper decise di prendere un appuntamento con la sua ginecologa per tenere sotto controllo la crescita bimbo. Con sua estrema sorpresa Tony, che continuava a mantenere un atteggiamento protettivo verso di lei, ma anche assolutamente vago e indifferente sulla gravidanza, decise di accompagnarla alla prima visita con la dottoressa.
Pepper era convinta che quel comportamento fosse dovuto al fatto che Tony dovesse ancora abituarsi all’idea di diventare padre e al suo timore di essere inadeguato al ruolo, ma sperava che entro il termine della gravidanza riuscisse a venire a patti con i suoi sentimenti. L’alternativa per lei era assolutamente impensabile al momento perché avrebbe voluto dire fare una scelta tra le due persone a cui teneva di più al mondo e, sebbene in qualunque altra situazione non avrebbe avuto alcun dubbio su cosa fare e mai le sarebbe anche solo venuto in mente di lasciare Tony, non aveva intenzione di mettere a rischio la felicità del suo bambino. Ma quel giorno, forse per la prima volta da quando le aveva dato la notizia, l’uomo si era mostrato entusiasta e aveva insistito per  accompagnarla dal medico. Mentre lei si sistemava sul lettino, pronta per la prima ecografia, lui girellava per lo studio, fissando con sguardo sconvolto foto di parti e bimbi rossi urlanti.   
- Buongiorno, Virginia – disse una sorridente dottoressa, entrando nella stanza e richiudendo la porta dietro di sé.
- Buongiorno, dottoressa Blake – rispose Pepper, sorridendole mentre Tony si girava e, con sua sorpresa, si ritrovava a fissare un’avvenente trentenne che tutto sembrava, tranne un medico.
- E’ un po’ che non ci vediamo… – la rimproverò bonariamente la dottoressa.
- Pepper, non è da te mancare un appuntamento… io sono Tony – la interruppe l’uomo allungando la mano e lanciando un’occhiata decisamente allusiva al medico.
- Piacere – rispose lei sorridendo. – Il papà, presumo.
- Presumo – rispose lui senza pensare a quello che stava dicendo. Vedendo l’espressione di Pepper cambiare da felice a rattristata e infine fissarsi su qualcosa di molto simile alla rabbia, capì di aver parlato a sproposito, non era davvero sua intenzione ferire la ragazza e si rese conto come quel commento, detto in maniera del tutto superficiale, potesse essere mal interpretato. – Cioè, si. Sono io. Il… - cercò di rimediare, non riuscendo però a pronunciare l’ultima parola.
- Vediamo se va tutto bene? – chiese la dottoressa percependo l’imbarazzo della coppia e lasciando cadere il discorso.
- Si può già capire? – chiese Pepper, ansiosa. Fino ad allora non aveva avuto nessun timore, ma adesso, giunto il momento di vedere per la prima volta suo figlio, cominciava a sentire il panico salirle in gola.
- Solo grosse cose. Con le prossime ecografie potremmo vedere meglio e sapremo il sesso.
Tony si avvicinò al lettino e prese la mano di Pepper nella sua, stringendola e facendole un sorriso. – Andrà tutto bene, vedrai – le disse, contento che lei non si ritraesse dalla stretta.
Anche Pepper sorrise, felice che fosse andato con lei e avendo già dimenticato l’infelice battuta di poco prima. Rabbrividì al contatto con il gel freddo e poi osservò lo schermo trasmettere un’immagine in bianco e nero. In un grosso buco nero c’era un’immagine bianca, grossa non più di qualche millimetro. Sentì la stretta sulla sua mano stringersi mentre lei stessa dovette lottare per trattenere lacrime di gioia.
- Eccolo lì – disse la dottoressa indicando lo schermo per far capire anche ai genitori cosa dovevano guardare.
- Sta bene? – chiese Pepper trattenendo il fiato per l’ansia.
- Direi di sì – rispose il medico indicando con il dito sullo schermo. – Si vede il cuore battere.
- Oddio, è vero – mormorò Tony sbalordito.
- Direi che sta procedendo tutto in modo normale. Ci possiamo vedere tra tre mesi, per il controllo – disse allegra la dottoressa, spegnendo il monitor e consegnando a Pepper un plico di fogli in cui erano indicati gli esami che avrebbe dovuto fare. – Se ci sono problemi, ci sentiamo prima – concluse salutando e uscendo dalla stanza.
- E’ così… - iniziò a dire Tony, imbarazzato, tenendo stretta l’immagine che la dottoressa aveva stampato loro per ricordo.
- … piccolo – concluse per lui Pepper, fissandosi la pancia, ancora perfettamente piatta.
- Come si può proteggere una cosa così fragile? – chiese Tony con sguardo triste, sentendosi improvvisamente inadeguato.
- Per adesso è al sicuro – rispose lei proteggendosi la pancia con le mani. – Al futuro ci penseremo – gli rispose tranquillamente Pepper, decisamente rassicurata dal sapere che il bimbo stava bene.
 
Le settimane successive trascorsero in una normalità che rasentava la banalità. Pepper, sebbene tormentata occasionalmente dalle nausee mattutine, continuava a svolgere il suo lavoro con i suoi soliti ritmi mentre Tony continuava a passare gran parte del suo tempo chiuso nel laboratorio, immerso nei suoi progetti. Un pomeriggio, qualche settimana dopo, JARVIS annunciò una visita.
- L’agente Coulson alla porta, signorina Potts – disse facendo riscuotere Pepper dal suo computer.
- Fallo entrare, JARVIS – rispose Pepper alzandosi e dirigendosi alla porta per accogliere l’agente.
- Phil! – disse poi andando a stringergli calorosamente la mano. – Che bella sorpresa, si accomodi!
- Disturbo? – chiese entrando in casa e ricambiando la stretta di mano con un sorriso.
- Per una volta, no!
Pepper e Phil si voltarono entrambi verso le scale da cui emerse Tony, versione Iron Man.
- Grazie per essere venuto, Phil – disse Tony dando una pacca sulla spalla di Phil.
- Non c’è problema.
- Avete da fare? Speravo di poter scambiare due chiacchiere con lei… te – disse Pepper,  adeguandosi anche lei al molto più informale “tu”.
- E’ tutto tuo, Peps – rispose Tony sorridendo ironico. – E’ un modo di dire, non prenderlo alla lettera, Phil - aggiunse poi lanciando uno sguardo fintamente minaccioso all’agente.
- Ma non hai detto che lo stavi aspettando? – chiese la giovane perplessa.
- Mi ha chiesto di farti compagnia qualche ora. E visto che tanto ti dovevo ancora quella spiegazione… eccomi qui – le rispose direttamente Coulson sentendosi all’inizio in imbarazzo a passare al “tu”, ma poi rendendosi conto di come fosse decisamente più adeguato, visto il passato.
- Farmi compagnia? Tony mi vuoi spiegare che cosa succede? – chiese Pepper, visibilmente confusa da tutta quella situazione.
- Devo fare un salto a Boston.
- Boston? Perché?
- Ehm, lavoro – rispose vago.
- Tony, io ti organizzo il lavoro e a Boston non c’è nulla che ti possa interessare. Trova una scusa migliore – gli rispose Pepper, alzando un sopracciglio perplessa.
- Lavoro di Iron Man – chiarì lui indicandosi l’armatura.
Pepper scosse la testa. – Va bene, fai come vuoi, - disse infine ben sapendo che. Se Tony aveva deciso di fare il misterioso, non gli avrebbe certo fatto cambiare idea su due piedi. - Ma cosa c’entra Phil? – chiese quindi.
- Non voglio che tu stia qui sola, potrei metterci un po’ e ho chiesto all’agente Coulson…
- … di farmi da baby sitter? – chiese allibita. - Senza offesa – disse poi rivolta all’agente. Era sconvolta che Tony avesse chiamato un agente governativo per farle da balia e, ancora di più, che l’agente fosse stato d’accordo. D’altra parte era anche commossa che Tony si preoccupasse così per lei.
- Nessuna offesa – rispose Phil. – Ma questa volta credo di essere d’accordo con Stark – rispose.
- Sicuro di stare bene? – chiese Pepper squadrandolo, non aveva mai visto Tony e Phil andare d’accordo, ma in quel momento sembravano migliori amici da sempre.
- Qualcuno ti vuole uccidere – le disse Tony.
- Mi voleva, vuoi dire? E’ morto, no?
- Non ne possiamo essere certi – disse Phil.
- E io non voglio correre altri rischi. Con Phil sarai al sicuro.
- Mi sembra esagerato, ma… - cominciò a dire Pepper osservando alternativamente i due. – Se ti fa stare tranquillo – concluse poi remissiva, passandosi involontariamente le mano sull’addome e sentendosi suo malgrado più tranquilla anche lei.
- Mi fa stare – confermò Tony. - Ora vado – le disse quindi stringendola e baciandola. – Phil se dovesse succedere qualcosa…
- Non sarò più solo “quasi” morto, lo so – concluse l’agente ridendo.
- Se dovesse succedere qualcosa a loro ti farò rimpiangere Loky – gli disse Tony, ma il tono e l’effetto furono rovinati dal sorriso che gli si formò sulle labbra mentre parlava.
Coulson sgranò gli occhi e poi, inconsapevolmente, il suo sguardo si spostò sulla pancia della ragazza, notando solo allora un minimo rigonfiamento.
- Congratulazioni! – esclamò felice.
Tony sorrise e lanciò un’occhiata a Pepper che sembrava non essersela presa per quella piccola confessione. Avevano deciso di non dire nulla ancora per qualche tempo, cercando di evitare il più possibile l’assalto dei giornalisti che avrebbe sicuramente fatto seguito alla dichiarazione, ma Phil doveva sapere quante persone gli erano appena state affidate. - Cercherò di tornare per questa sera. A dopo – disse Tony dando un altro bacio a Pepper e scendendo poi le scale per andare in laboratorio.
- A dopo e… Tony? – lo richiamò Pepper andandogli incontro. – Stai attento! – gli disse abbracciandolo ancora per un attimo prima di lasciarlo andare.
- C’è JARVIS che controlla, giusto? – le chiese ricordandosi solo in quel momento che non le aveva mai rivelato di aver scoperto le sue “piccole” modifiche all’AI.
- Gli ho solo inculcato un po’ di buon senso – gli disse Pepper, arrossendo leggermente per essere stata infine scoperta.
- Hai riprogrammato il mio maggiordomo.
- Ho riprogrammato il nostro maggiordomo.
Tony sorrise e, dopo un ultimo rapido bacio, si diresse al garage.
– Bene – sospirò la donna quando Tony se ne fu andato. – Che ne dici di un caffè e una fetta di torta? – chiese a Phil dirigendosi in cucina. – Così mi puoi raccontare dettagliatamente la tua rinascita, devo ammettere che la cosa mi incuriosisce!
- Sarebbe fantastico – le rispose seguendola.
- A proposito, non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto in ospedale. Tony mi ha raccontato tutto, ti devo la vita. Di nuovo -  disse Pepper girandosi verso Phil con un sorriso.
- Ho fatto il mio lavoro – le rispose imbarazzato. – E sono contento di esserci stato – disse poi per sottolineare come il suo intervento fosse andato oltre il suo compito.
- Grazie, davvero. So che Tony può essere… complicato. Ma è una brava persona, in fondo – disse Pepper. – Ha bisogno di qualcuno di cui potersi fidare. Soprattutto in questo momento.
L’agente non commentò e l’argomento venne abbandonato a favore di racconti meno personali e più avvincenti su come Phil avesse ingannato la morte e sconfitto il pericoloso pazzo criminale che aveva cercato di uccidere Pepper in ospedale.
Le ore trascorsero stranamente rapide finché la ragazza, esausta dalla giornata, non si addormentò sul divano mentre stavano guardando un vecchio film. Phil rimase seduto sulla poltrona accanto ancora per parecchie ore finché, ad un ora indecentemente tarda della notte o presto del mattino a seconda dei punti di vista,  un trambusto al piano di sotto non lo informò del rientro di Stark. 
- Tutto a posto? – chiese Tony riemergendo dal laboratorio, ma fermandosi improvvisamente quando vide Phil venirgli incontro con un dito sulle labbra.
- Tutto bene, è crollata un paio d’ore fa. Non ho voluto svegliarla – sussurrò indicando il divano dove Pepper stava ancora dormendo.
- Si stanca più facilmente ultimamente – disse Tony quasi volendo scusare quel comportamento.
- Dovrebbe rallentare, rischia di stressarsi troppo – rispose l’agente prendendo la giacca e dirigendosi alla porta.
- Coulson – lo richiamò Tony. - Grazie per oggi – disse stringendogli la mano.
- Non c’è problema. E’ una ragazza in gamba, non… - mormorò. Ma poi si fermò non ritenendo di essere la persona adatta per fare raccomandazioni a Tony Stark. – Un giorno o l’altro dovrai spiegare cosa combini là sotto – disse invece indicando il laboratorio.
- Un giorno o l’altro lo farò – rispose Tony.
- Stark non credere che il direttore Fury non sappia dove sei stato oggi…
- No, ovviamente non è possibile avere un po’ di privacy – rispose con tono secco pensando che fosse stato l’agente a spifferare tutto al suo capo.
- Non gli ho detto nulla, non c’è ne stato bisogno. Siamo l’agenzia segreta con le attrezzature più all’avanguardia…
- Per forza, sono mie!
- Infatti! Non pensare che Fury abbia perso interesse per Iron Man solo perché lui sembra aver perso interesse per lo S.H.I.E.L.D. Ti controlla, Stark.
- Lo so. E’ solo un aggiornamento dell’armatura – rispose scrollando le spalle con poco interesse.
– E i Maya erano solo una civiltà precolombiana – gli rispose Phil con un sorriso uscendo e lasciando Tony alquanto perplesso.
Una volta che Phil se ne fu andato Tony si diresse al divano e prese Pepper tra le braccia. La ragazza mormorò qualche parola senza però svegliarsi veramente neanche quando la depose a letto, infilandola sotto le coperte e poi andando a sdraiarsi accanto a lei. 
 
La mattina dopo Pepper si svegliò tardi, come ormai succedeva sempre più spesso mano a mano che la gravidanza procedeva. Vedendo il letto vuoto accanto a sé si stiracchiò qualche momento e poi si vestì per andare a vedere cosa stesse combinando Tony.
- Ehi – la salutò lui quando la vide scendere le scale e digitare il codice numerico sulla porta, sbloccandola e appoggiando poi una tazza di caffè bollente accanto a lui.
- Ehi – lo salutò a sua volta lei, andandogli vicino e posandogli una mano sulla spalla. Il braccio di Tony era infilato in un guanto dell’armatura, cosa normale dal momento che lo stava riparando, sulla testa però aveva uno strano monocolo e una fascia che gli circondava il capo. – Che cos’è quella cosa? – gli chiese indicando il monocolo.
- Oh – rispose Tony togliendoselo e lasciandolo sul tavolo, indifferente. – Solo un visore, niente di che…
- Quand’è che mi dirai che cosa stai combinando questa volta? – gli chiese per l’ennesima volta.
- Quando avrò finito.
- E quando pensi di finire?
- Uhm – rispose lui, pensieroso. – Tu quando pensi di partorire?
- Tra circa 5 mesi.
- Per quel momento dovrei aver concluso – rispose lui, sorridendole e dandole una bacio.
Pepper scosse la testa, ma sorrise a sua volta. Non amava le sorprese, soprattutto quelle di Tony che rischiavano sempre di essere alquanto esplosive, ma conosceva quello sguardo, non le avrebbe detto nulla finché non avesse finito.
- Sto per uscire – gli disse cercando di occhieggiare i numerosi schermi di computer accesi su modelli di armatura, senza peraltro capire assolutamente nulla di quello che stava guardando.
- Signorina Potts, non mi pare di andare in giro a sbirciare sul suo computer…
- Solo perché sai che ci troveresti solo qualche ricetta di cucina, ben poco interessante…
- … quindi, per favore, non sbirci nei miei…
- … e decisamente meno esplosiva di quello che c’è nei tuoi…
- … ti devi ricordare la maionese dell’altro giorno?
Pepper arrossì vistosamente al ricordo del disastro culinario di qualche giorno prima. – Pensavo che il detto “maionese impazzita” fosse più metaforico – gli disse scompigliandogli i capelli per poi lasciarlo lavorare tranquillo.
- Torna presto.
- Torno quando ho finito – rispose lei uscendo.
- Siete in due, adesso. Non vorrei che il bimbo ereditasse tutta questa tua passione per il lavoro! – le urlò dietro ma lei era già uscita.
 
I successivi mesi trascorsero nella routine, routine che aveva previsto una conferenza stampa affollatissima dove avevano annunciato la prossima nascita di un erede Stark, assalti di giornalisti che avevano infine convinto Pepper a lavorare più a casa, nella sicurezza elettronica della Villa, e molto meno alle Industries e ben pochi acquisti per il bambino vista la costanza di Tony ad ignorare quello che sarebbe successo di lì a poche settimane.
Una sera, all’incirca al settimo mese della gravidanza, Pepper e Tony erano entrambi seduti sul divano di Villa Stark. Lei, stremata dalla giornata lavorativa passata, si era appisolata contro di lui costringendolo a restare immobile per non svegliarla per quasi due ore. Nel momento in cui Tony stava pensando di svegliarla, quanto meno per farla spostare a letto, Pepper sussultò ed emise un gemito. 
- Che succede? – le sussurrò chinando la testa tra i suoi capelli e posandole un bacio.
- Deve essere stanco della posizione, mi ha appena tirato un calcio! – mormorò Pepper a sua volta, stiracchiandosi e mettendo le mani sulla pancia. – Eccolo! – ridisse mentre sentiva non solo il calcio, ma anche il piedino che puntava sulla pancia con forza.
Tony era incerto su cosa fare, ma poi la mano di Pepper prese la sua e la posò sulla pancia senza dargli altra possibilità.
- Senti com’è più duro qui? – gli chiese premendo la mano dell’uomo sul suo addome dove pensava dovesse esserci la gamba.
Tony annuì, sebbene non fosse così certo di quello che stesse sentendo. Poi il bambino decise di fare ancora un po’ di ginnastica e riprese a scalciare. – Ehi – disse Tony sorpreso, sorridendo. – Eccolo! Il piccolo calciatore!
- Magari è una calciatrice – rispose Pepper, risollevando la questione che, ad intervalli di qualche mese, tornava a fare capolino nei loro discorsi. Non avevano voluto sapere il sesso del bambino, anche perché Tony si era dimenticato dell’ecografia morfologica e lei non aveva voluto saperlo da sola, e quindi ogni tanto si divertivano a litigare sul sesso. Tony era assolutamente convinto che sarebbe stato un maschietto mentre Pepper credeva che, essendo probabile che il bimbo avesse ereditato il caratteraccio del papà, per fargli un dispetto sarebbe stata una femminuccia. Da quello che aveva potuto immaginare, leggendo tra le righe dei commenti di Tony e scrutandolo quando pensava di non essere osservato, la ragazza era arrivata a pensare che a lui non importasse molto. Stava al gioco, ma sia che fosse stato un maschio sia  che fosse stata una femminuccia, il suo terrore di non essere in grado di fare il padre era la stesso. 
- No, è un maschio!
- Non abbiamo mai parlato di un nome – gli disse improvvisamente.
- Sì, hai ragione, dobbiamo scegliere un nome – rispose lui. – Ma non questa sera, questa sera stai dormendo in piedi, non voglio che nel dormiveglia proponga cose come Kevin o Steve.
- O Julie – gli disse sbadigliando. - Perché non Steve? – chiese poi la ragazza che trovava il nome decisamente carino.
- Non chiamerò mai mio figlio Steve – le rispose Tony.
- A me sembra un bel nome.
- Vedi che ho ragione, non stai ragionando. Vieni – le disse alzandosi e tirandola in piedi con delicatezza. – E’ ora di andare a dormire! – finì guidandola a letto e accoccolandosi poi vicino a lei, con una mano sulla sua pancia. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Di scelte e di porte ***


Era iniziata come una serata assolutamente normale: Pepper stesa sul letto con un libro in mano, Tony sepolto nel laboratorio a mettere a punto alcune modifiche alla Mark VIII. Verso mezzanotte fu riscosso dal suono dell’interfono che richiamò la sua attenzione. – Dimmi – disse sollevando la visiera di protezione e fissando l’immagine di Pepper che lo stava guardando dallo schermo.
- Ne hai ancora per molto? – chiese la ragazza, sbuffando.
- Finisco un paio di saldature e salgo.
- Non potresti finire domani?
- Pepper, non posso lasciare a metà una saldatura – si lamentò l’uomo alzando melodrammaticamente gli occhi al cielo come a far intendere che quella era una richiesta a dir poco assurda.
- Allora vieni a dire a tua figlia di aspettare fino a domani, credo che abbia intenzione di nascere questa sera, ma forse a te darà ascolto – gli rispose Pepper continuando a sbuffare mentre una contrazione particolarmente dolorosa arrivava e passava.
- COSA? – chiese Tony facendo cadere il saldatore per terra. – Potevi dirmelo prima, arrivo. 
- Fai con calma, mi si sono appena rotte le acque – rispose Pepper iniziando di nuovo a sbuffare, ma non potendo fare a meno di ridere al pensiero dell’espressione che doveva aver assunto Tony.
- Merda, - si lasciò sfuggire l’uomo mentre cercava di divincolarsi da numerosi cavi elettrici e annaspava verso la porta del laboratorio. – Arrivo!
Dieci minuti dopo erano in auto diretti in auto a tutta velocità verso il pronto soccorso.
- Respira – stava dicendo Tony, iperventilando a sua volta un po’ per il panico e un po’ per cercare di dare un ritmo al respiro di Pepper. Odiava non avere il controllo della situazione e in quel momento non aveva nessun tipo di controllo, se non quello sul volante dell’auto, e anche quello era decisamente incerto.
- Io respiro, ma tu guarda davanti! – lo sgridò Pepper incrociando il suo sguardo mentre la loro auto evitava per un soffio un camion. – Sto bene, da quello che ho capito la cosa andrà avanti per un bel po’, abbiamo tempo.
- Che vuol dire che abbiamo tempo? Hai le contrazioni! – sbottò Tony a cui la dinamica del parto non era ben chiara. Forse avrebbe dovuto andare qualche volta in più al corso pre-parto con lei.
- Va tutto bene, rilassati – mugugnò la ragazza mentre un’altra contrazione arrivava e passava.
- Non dovrei essere io a dirlo a te? – chiese l’uomo accelerando per passare il semaforo con il giallo.
Pepper chiuse gli occhi. – Visto che non lo fai, lo faccio io. E rallenta, accidenti! – sbottò lei osservandolo con qualcosa che sembrava tanto odio puro.
- Ok, ok. Calmiamoci – disse Tony facendo un respiro profondo per cercare effettivamente di calmarsi.
- Calmarmi? – sbottò nuovamente la donna. - TU calmati, IO questa sera credo di avere il diritto di essere leggermente isterica – disse con un tono di voce che, in effetti, era leggermente isterico.
Tony ci pensò un attimo, un attimo in cui almeno un paio di brutte battute gli vennero alla mente e, per una volta nella sua vita, restarono confinate nel suo cervello. Quindi le rispose con quello che sperò essere un tono sereno ma non accondiscende. – Hai ragione.
- Oh, grazie – mormorò la giovane con una smorfia.
I successivi dieci minuti passarono in un silenzio teso, rotto solo dai respiri affannati della ragazza.
- Mi dispiace – disse infine lei con tono mesto.
- Per cosa? – chiese Tony voltandosi per un attimo a guardarla per poi tornare a fissare la strada prima di riceversi un altro rimprovero.
- Per come ti tratterò questa sera, aspettati il peggio.
Tony, che per nove mesi aveva cercato di convincersi che stava facendo la cosa giusta e che sarebbe stato un padre decente, in quel momento avrebbe voluto trovarsi ovunque, tranne che in quell’auto. Sapeva che avrebbe dovuto stare accanto a Pepper, supportarla, darle forza, aiutarla, ma non ne era in grado. Tutto quello che poteva fare era guidare fino all’ospedale e poi farsi sballottare dagli  eventi che sarebbero successi. Non sapendo cosa dire non disse nulla, ringraziando nel veder comparire l’insegna del pronto soccorso a un isolato di distanza.
- Ci siamo – le disse soltanto cercando di farle anche un sorriso che risultò più una smorfia contratta, ma che venne comunque gradito da Pepper, agitata quasi quanto lui in quel momento.
- Bene perché ho bisogno di un’epidurale, al più presto – gli rispose stringendo gli occhi ad un’altra contrazione e non vedendo l’ora di arrivare in vista di un medico, un infermiere o chiunque altro potesse alleviarle un po’ il dolore.  
- Cosa? – chiese Tony sapendo che probabilmente era un’altra di quelle cose che si era perso del corso pre-parto.
- Lascia stare.
Fortunatamente l’ospedale era tranquillo e in meno di dieci minuti Pepper era sistemata in una camera con Tony di fianco che andava avanti e indietro per la stanza come un leone in gabbia.
All’ennesimo giro dell’uomo Pepper capì che doveva fare qualcosa prima di alzarsi dal letto, contrazioni o meno, e picchiarlo. - Tony? – lo chiamò con un tono vagamente nevrotico.
Lui finalmente si fermò ad osservarla, come se solo in quel momento si fosse reso conto di non essere solo nella camera.
- So che sono stati dei mesi difficili per te, ma adesso credo sia davvero arrivato il momento di capire cosa vuoi fare – gli disse lentamente, quasi sillabando le parole. stringendo il lenzuolo tra le mani tra una contrazione e l’altra.
- Cosa intendi? – chiese Tony leggermente perplesso da quel discorso.
- Devo essere un po’ brutale visto il momento… - riprese la ragazza tra una respirazione e l’altra, riuscendo persino a modulare il tono di voce ottenendo un’inflessione rilassata e assolutamente razionale. – O vieni qui e fai il padre o esci da quella porta.
Tony si fermò a mezzo giro, bloccato da quelle parole. Sapeva che Pepper non era una stupida e aveva capito che qualcosa non andava, ma non aveva immaginato quanto lei avesse compreso dei suoi sentimenti in quei mesi. Non gli aveva mai detto molto, accettando come normale il suo comportamento scostante, non rimproverandolo per tutte le sedute pre-parto perse, per le compere non fatte, per i nomi non scelti. Adesso, come sempre, aveva ragione lei. Era venuto il momento di scegliere veramente cosa fare, anche se la scelta vera era stata fatta già da tempo, se mai c’era stato un momento in cui una scelta era stata possibile.
Con passò malfermo si avvicinò al letto, sedendosi di fianco alla ragazza e infilando la mano in quella di lei, forzandola a lasciare il lenzuolo e a stringere invece le sue dita. 
- Sono qui – le mormorò sforzandosi di essere quanto più tranquillo e ottimista fosse possibile dato il momento.
Pepper strinse forte e fece un sospiro di sollievo, l’unico della serata che non avesse nulla a che fare con le contrazioni.
 
Il travaglio durò quasi sei ore, sei ore in cui le dita di Tony vennero stritolate senza che lui emettesse un lamento, sei ore in cui piano piano prese coscienza di quello che stava realmente succedendo in quella stanza.
Quando alla fine di tutto l’infermiera si sporse verso di lui e gli mise tra le braccia il fagottino di coperte che conteneva tre chili di esserino urlante, Tony capì.
Prese in braccio la figlia che gli veniva porta, non badando per una volta al fatto che gli stessero porgendo qualcosa, osservò il volto arrossato e contratto dalle urla e le manine che si muovevano scompostamente nel vuoto e, meno di un secondo dopo averla stretta, la sua vita cambiò. Alzò la mano libera per scostare un lembo del lenzuolo che stava coprendo il volto della neonata e questa, del tutto inaspettatamente, mosse la manina e afferrò la falange dell’indice di Tony. A quel punto tutto gli divenne chiaro. In un solo secondo comprese quello che non era riuscito ad afferrare negli ultimi anni.
Capì perché era riuscito a scappare dalla grotta in Afganistan.
Capì perché suo padre era ricomparso all’improvviso, dopo 15 anni di silenzio, per aiutarlo a scoprire (riscoprire) l’elemento che gli avrebbe salvato la vita.
Capì perché era tornato dopo New York.
Aveva sempre ipotizzato che tutto fosse dovuto al fatto che aveva ancora qualcosa da fare, Yensen gli aveva raccomandato, morendo praticamente tra le sue braccia, di non gettare il dono che gli aveva fatto, di non buttare via quella vita che aveva salvato a costo della sua. Tony aveva sempre pensato di dover fare qualcosa di grandioso per mantener fede a quella promessa, e aveva sempre pensato che questo volesse dire salvare il mondo. Adesso, stringendo la figlia tra le braccia, si rese conto che lei era il motivo per cui era tornato, lei era la cosa grandiosa che doveva fare, il modo per non sprecare la sua vita; tutto si riduceva a quel momento.
Tony amava Pepper, non riusciva a immaginare una vita degna di quel nome senza di lei, ma sapeva che senza di lei sarebbe sopravvissuto. E la stessa cosa valeva per la ragazza. Sapeva che lei era davvero forte e senza di lui sarebbe riuscita ad andare avanti. Con la bambina era tutta un’altra storia. Per la prima volta al mondo Tony fu improvvisamente consapevole che da lui, e da Pepper, dipendeva interamente e realmente, la vita di una persona. Per la prima volta da quando era nato qualcuno dipendeva del tutto da lui, e in quel momento sentiva tutta la responsabilità di ciò che gli pesava addosso.
E stranamente tutto quello che provava in quel momento era pura e semplice gioia.
Osservò la bambina che, nel momento in cui era stata messa tra le sue braccia, aveva smesso di piangere e continuava a stringere il dito della mano di Tony, cercando di succhiare disperatamente qualcosa, e si rese conto di amarla più di quanto avesse mai amato chiunque altro al mondo. In un attimo nove mesi di dubbi erano stati spazzati via, il suo compito, da quel momento in poi, sarebbe stato difendere la bimba a qualunque costo. Lei e la sua mamma.   
- Tony? – la voce di Pepper, roca e sfinita, lo chiamò debolmente. – Sta bene?
- Sta benissimo, signora – le rispose l’infermiere che stava finendo di medicarla.
Tony si girò verso di lei. – Eccola qui – le mormorò mettendole la bimba tra le braccia e posandole un bacio sulla fronte sudata.
Pepper sorrise con gli ultimi scampoli di forza che le rimanevano e posò a sua volta un bacio sulla guancia della figlia, che continuava a stringere nel pugnetto l’indice di Tony, non accennando a lasciarlo.
- Pare che sia stato amore a prima vista tra di voi – riuscì a scherzare la ragazza, alzando lo sguardo su di lui.
- Grazie – mormorò solo Tony accarezzando la manina della figlia chiusa sul suo dito, non riuscendo ad esprimere in nessun altro modo quello che stava provando in quel momento.
Pepper sorrise spostando lo sguardo su di lui, finalmente si sentì tranquilla e capì che le cose sarebbe andate bene.
Erano una famiglia.  
Un’infermiera venne verso di loro e allungò le mani verso la piccola. – La porto dal pediatra per farla vedere, nel frattempo sistemeremo la signora e poi ve la riporteremo in stanza. 
I due non poterono fare altro che annuire, sebbene nessuno dei due volesse lasciare andare la piccola.
Pepper venne accompagnata in una stanza singola e, poco dopo, a Tony venne permesso entrare e rimanere con lei. Si diresse imbarazzato verso il letto dove la ragazza stava sonnecchiando, si rendeva conto che aveva bisogno di riposare, anche in vista di quello che li attendeva nei prossimi giorni, ma doveva assolutamente dirle qualcosa. Tony sapeva che Pepper aveva intuito qualcosa di tutto quello che aveva provato in quei mesi, anche se aveva sempre fatto finta di nulla e non gli aveva mai detto niente non facendogli pressioni, ma adesso che anche lui aveva finalmente capito qual era il suo posto nel mondo, doveva parlarle, scusarsi per il suo comportamento. Si andò a sedere sul letto di fianco a lei, scostandole una ciocca di capelli ancora umidi che le era ricaduta sulla fronte. Al contatto con le sue dita Pepper aprì gli occhi.
- Ehi.
- Ehi.
- Sei stata grande oggi. Un ottimo lavoro – le mormorò all’orecchio.
- Grazie. Anche tu non sei stato male – gli rispose sorridendo. – Come va la mano?
Tony si fissò le dita ancora intorpidite dopo essere state stritolate per quasi 6 ore. – Alla grande.
- Grazie.
- Per cosa? – le chiese sinceramente stupito.
- Per essere rimasto.
- Sono stato un idiota, Pepper. Puoi anche dirmelo adesso. Alla fine me ne sono reso conto anche io.
Lei sorrise e ma disse nulla.
 - Non mi hai detto niente, per tutti questi mesi.
- Qualcosa ti ho detto – gli rispose, ripensando a quanto aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio. Era stato uno dei “no” più difficili della sua vita ma adesso, più che mai, sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Tony con la mano infilata nella tasca dei pantaloni, giocherellò alcuni secondi con l’oggetto che non aveva mai abbandonato il suo fianco e infine lo tirò fuori, aprendo la scatolina contenente l’anello e mostrandoglielo nuovamente. – Sposami – le disse.
- Perché? – chiese sorridendo la ragazza con gli occhi che tornavano ad inumidirsi.
- Perché senza di voi la mia vita non ha senso. Perché tu mi completi. Ti amo – le disse prendendole la mano e, senza aspettare risposta, infilandole l’anello all’anulare.
Lei annuì e gli strinse la mano nella sua. – Lo sapevi, dovevi solo ricordartelo – gli disse mentre si protendeva ad abbracciarlo.
- E’ un sì?
- Sì – rispose ridendo felice, osservandosi l’anello al dito.
Tony si staccò dall’abbraccio e posò le labbra sulle sue. – Grazie – ripeté per la seconda volta quel giorno.
Furono interrotti dalla porta della stanza che si apriva e dall’ingresso di un’infermiera che portava una culla. Dentro, in quel momento profondamente addormentata, c’era la loro bimba.
- Credo che abbia fame – disse la donna dopo aver sistemato la culla vicino al letto della mamma,  uscendo poi dalla camera. - Ha pianto fino ad adesso ed è crollata da pochi minuti, ma non penso che durerà a lungo.
I due sorrisero e rimasero incantati a guardare la piccola tutta avvoltolata in una copertina rosa che, al minimo rumore della porta che veniva chiusa, cominciò a muoversi, stropicciandosi il volto con il pugnetto. Due secondi dopo iniziò a piangere disperatamente.
- Wow, non è durata a lungo – disse Tony ridendo e chinandosi sulla culla. – Come fa una cosina così piccola a urlare così forte? – chiese girandosi verso Pepper.
- Non ne ho idea, ma credo che faremmo bene ad abituarci – gli rispose osservandolo prendere in braccio la piccola, come se non avesse mai fatto altro nella vita se non sollevare neonati.
- A questo? – chiese fintamente scandalizzato allontanando un attimo la piccola da sé e guardandola storto.
- Anche a questo – chiarì Pepper.
- Oddio… c’è di peggio?
- Poppate notturne, pannolini da cambiare, pianti disperati…
- Ehm, credo che voglia la mamma! – rispose l’uomo facendo il gesto di allungare la bimba a Pepper, ma poi tornando a cullarla.
- Scherzi? Secondo me siete proprio fatti uno per l’altra – rise Pepper.
- Ehi, l’altra volta si era calmata subito – disse perplesso Tony sempre stringendo la bimba urlante contro il torace, leggermente indisposto che il suo tocco magico non avesse funzionato per la seconda volta.
Pepper sorrise. – Non credo che sia così facile.
- Ma come? – disse Tony sollevando la piccola in modo da guardarla direttamente come se lei potesse prestare attenzione a quello che il papà le stava dicendo. - Sei una ragazza, dovresti rimanere senza fiato tra le mie braccia, come tutte! – concluse riappoggiandosi la figlia sul torace e  iniziando a cullarla senza che lei, d’altra parte, desse segno di voler smettere di piangere.
- Ma sentilo, il modesto – rise Pepper osservando Tony che cominciava a camminare in giro per la stanza, cercando di convincere la bimba a smettere di urlare.
- Mai stato modesto.
- Portala qui, credo che abbia fame.
Tony si avvicinò al letto e posò delicatamente la figlia tra le braccia della mamma, osservando poi come avesse avuto ragione. - Arya.
- Come? – domandò Pepper alzando lo sguardo su di lui.
- Il nome. Non ne abbiamo mai parlato, mai veramente. E, a proposito, ribadisco come sono stato un idiota per nove mesi e tu adesso abbia tutte le ragioni per mandarmi a stendere ma… mi piacerebbe chiamarla Arya.
- Arya? – chiese Pepper perplessa scrutando la bambina che in quel momento, come se si fosse sentita chiamata, smise di succhiare e si stropicciò gli occhi con la manina. – E’ un nome strano.
Tony sorrise e trattenne il fiato senza fare ulteriori pressioni, sebbene sentisse che quel nome sarebbe stato perfetto per lei.
- Pensavo a qualcosa di più comune, ma… Arya. Mi piace come suona, ed è perfetto per lei – gli rispose alla fine sorridendo mentre vedeva lo sguardo di Tony illuminarsi. 
- Arya Stark – mormorò Tony cercando di pettinare la massa di capelli neri, già ribelli, della piccola.
- I capelli sono del papà – rise Pepper quando vide un ciuffo tornare esattamente come prima.
In quel momento la piccola aprì per la prima volta gli occhi.
- E gli occhi della mamma – osservò Tony.
- Possono scurirsi con il tempo.
- No, sono azzurri – rispose sicuro. 


Questo è il mio capitolo preferito. E' fluff, quasi scandalosamente, ma andiamo chi non vorrebbe vedere Tony Stark con un pupetto in braccio, alle prese con pianti e pannolini? Io sono sempre stata convinta che sarebbe un padre assolutamente perfetto, ovviamente non è detto che tutti la pensino così. 
Il nome Arya arriva dalla saga di Martin "Il trono di spade" dove una dei personaggi si chiama Arya Stark.
Che altro... ? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere.
Ciao
Even 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Arya ***


Tony e Pepper tornarono a casa con Arya un paio di giorni dopo. Quei due giorni in ospedale erano volati in un turbine di novità e stanchezza che aveva fatto sì che entrambi vivessero come in un sogno. Pepper non era riuscita a lasciare il letto per più di qualche ora, stremata dalla stanchezza e dall’ansia che la gestione della piccola le procurava. Fino a quel momento era stata lei quella convinta e sicura, ma adesso che era nata Arya, tutte le sue sicurezze sembravano sul punto di crollare. Sarebbe stata in grado di prendersi cura della piccola? Sarebbe stata una brava madre o avrebbe fatto qualche errore?
Tony, dal canto suo, avendo infine capito qual era la sua strada, non sembrava aver più dubbi e si comportava come se avesse cresciuto altre decine di bambini. Cercando di permettere a Pepper di riposare gestiva la piccola quanto più gli era possibile, tenendosi da parte solo quando la necessità della mamma era imprescindibile. E la piccola Arya, dal canto suo, sembrava avere una vera passione per la voce del padre. Bastavano alcuni minuti di passeggiata in giro per la stanza e qualche parola sussurrata nel frattempo che anche il pianto più disperato si calmava.
Pepper era assolutamente sconvolta dalla naturalezza del compagno nel gestire la figlia, soprattutto dopo averlo visto sul punto di cedere per quasi nove mesi, e non poteva fare a meno di sorridere e continuare a pensare a quanto fosse stata fortunata.
Il rientro alla Villa fu un netto cambio di registro per la famiglia che, finalmente, si poté godere un po’ di intimità e di tranquillità domestica. Pepper si riprese rapidamente e cercò, per quanto possibile, di tornare e soprattutto far tornare Tony alla loro vita normale. Avevano deciso di comune accordo che il laboratorio sarebbe stato off limits per la bimba, vista la quantità di cose potenzialmente esplosive che vi si trovavano. Pepper aveva pensato che questo avrebbe significato molte ore passate da sola con la figlia mentre Tony era impegnato nel suo progetto, ma lui la sorprese nuovamente. Dal rientro a casa il laboratorio fu quasi snobbato, relegato in fondo alla mente, mentre Tony cercava di passare quanto più tempo possibile al piano di sopra, occupandosi di lei e di Arya.
- Il tuo progetto? – chiese Pepper un giorno, sedendosi accanto a Tony sul divano.
- Quale progetto? – rispose lui staccando gli occhi dalla culla e girandosi a guardarla negli occhi.
- Come quale progetto? Quello su cui hai speso 16 ore al giorno per gli ultimi 9 mesi! – replicò Pepper, sorpresa.
- Oh, quel progetto.
- Esatto, quello!
Tony sorrise soddisfatto. – Finito.
Pepper rimase in attesa, ma null’altro uscì dalle labbra dell’uomo. – Quindi? – chiese sempre più curiosa di sapere che cosa avesse combinato per tutto quel tempo.
- Devo mostrartelo, uno di questi giorni – rispose Tony ridendo e godendosi l’espressione accigliata della giovane a quella risposta.
- Sì, direi proprio che sarebbe il caso – gli disse fingendosi contrariata di tutta quella segretezza.
- Non oggi, però – rispose Tony abbracciandola e facendola appoggiare contro di lui.
- Ammetto che tutta questa storia mi ha incuriosito parecchio.
- Lo so. Ti prometto che presto saprai tutto. E’ una sorpresa!
- Lo sai che non mi piacciono le sorprese.
- Davvero?
- Beh, non è che non mi piacciano le sorprese, ma le tue tendono ad essere sempre un po’ devastanti.
- Non è vero – si difese con  poca convinzione Tony, sporgendosi a prendere Arya dalla culla per prenderla in braccio.
- Va bene, tieniti i tuoi segreti ancora per un pò – acconsentì lei sdraiandosi contro di lui. – Allora, come ti senti da papà? – gli chiese, finalmente felice di poter porre quella domanda senza timore, osservandolo appoggiarsi la piccola sul torace, vicino al reattore arc che brillava tenue attraverso la maglietta.  
- E’… è una cosa incredibile – cominciò a dire lui, sorpreso. – Cioè… lo raccontano ma… non so… - disse perdendo il filo del discorso come sempre gli succedeva quando diventata nervoso.
- Sì, anche per me è così – disse Pepper sorridendo e riuscendo a capire perfettamente cosa intendesse, nonostante le frasi lasciate a metà. Dopo anni di esperienza riusciva a tirare fuori un senso anche da quei balbettii sconnessi.
- Sono ancora spaventato dal fatto che possa succederle qualcosa, ma… non so spiegare. E’ come se adesso sapessi che posso proteggerla. Lo capisci? – le chiese rendendosi conto di non riuscire a capirlo lui stesso.
Pepper annuì. – Non ho mai avuto dubbi sul fatto che ci avresti protetto, Tony. Lo hai sempre fatto, anche prima che noi diventassimo… noi.
- Ti sei sempre fidata di me, lo so. Ero io che non riuscivo a fidarmi di me – rispose lui pensieroso.
- Sono ancora terrorizzata da Iron Man, però – gli confessò.  
- Come sarebbe? – chiese Tony.
- Ho paura che un giorno uscirai da quella rampa e non ti vedrò più – ammise. – Anche prima avevo paura, ma era una cosa che riguardava me e cercavo di nasconderla. Non volevo che pensassi che ero debole o… non so – mormorò. – Ma adesso che c’è Arya… non posso fare questa cosa da sola, Tony. Non ne sono in grado – disse nascondendo il volto contro di lui e permettendosi, per la prima volta da quando aveva saputo di essere incinta, una debolezza.  
- Ehi. Si che lo sei. Tu puoi fare tutto, lo so – le disse voltandole il viso in modo da poterla guardare negli occhi. – Sei sempre stata al mio fianco. Mi hai sempre aiutato con Stane, con Vanko – ribadì.
- Mi sono sempre messa nei guai vuoi dire! – rispose non potendo fare a meno di sorridere, sebbene avesse ancora gli occhi lucidi, al ricordo di come in tutte quelle occasioni lei avesse sì cercato di aiutarlo, ma finendo solo per mettersi nei guai finché lui non era arrivato in volo a salvarla, perfetto nel suo ruolo di supereroe.
- Li distraevi! – le disse Tony sorridendo.
Pepper sbuffò, divertita. – La prossima volta mi disegno un bersaglio sulla schiena, funzionerà di sicuro.
- Non mi sembra che ce ne sia mai stato bisogno! – le rispose allegro. - Ma comunque non ne avrai bisogno – le disse tornando al discorso che avevano iniziato. - Tornerò sempre da voi, non ti devi preoccupare.
- Non ci posso fare niente, mi preoccuperò sempre.
- Ehi, sono Iron Man. Si difendermi piuttosto bene.
- Lo spero – sospirò.
- Certo. Sono il migliore – dichiarò semplicemente l’uomo, affermando quella che per lui era una verità cristallina.
- Megalomane – rise Pepper osservando Tony che si crogiolava nella sua autoesaltazione del momento.
- Pensa quando Arya arriverà all’asilo in volo, in braccio ad Iron Man!
- Stai scherzando, spero!
- Per niente.
- Anthony Edward Stark!
Tony sorrise. – La figlia di Tony Stark non può non fare un ingresso trionfale.
- La figlia di Pepper Potts arriverà in passeggino, come tutti.
- E quella di Pepper Stark? – le chiese divertito.
Pepper rise e si rimirò per l’ennesima volta l’anello al dito. – Arriverà in passeggino – chiarì comunque per stroncare sul nascere qualunque idea Tony potesse avere.
– Va bene, come vuoi – cedette alla fine Tony con poca convinzione pensando che avrebbe avuto ancora qualche anno per convincerla.  
 
I giorni divennero settimane, le settimane iniziarono a diventare mesi e la vita nella Villa prese tutto un nuovo ritmo fatto di poppate notturne, pannolini da cambiare e grosse dormite nei rari periodi di quiete tra una e l’altro. Le bottiglie di alcolici di Tony furono progressivamente tutte sostituite da cartoni di latte in polvere e intrugli multivitaminici per Pepper, il tavolo di cristallo del salotto venne sostituito da una palestrina per neonati e una culla decisamente rosa prese il posto della panca per addominali di Tony nella loro camera da letto.
Venne il momento in cui Tony, per la prima volta da quando era nata Arya, dovette lasciarle da sole, dovendosi assentare per una riunione del Consiglio di Amministrazione assolutamente irrinunciabile. Come sempre, antico ritornello memoria di un passato che ben presto sarebbe tornato ad essere attuale, Tony non avrebbe voluto andare ritenendola una colossale perdita di tempo, ma dopo la minaccia di Pepper di recarvisi personalmente, non poté fare altro che inforcare gli occhiali da sole, prendere le chiavi della macchina e assicurare alle sue ragazze che sarebbe stato di ritorno in poche ore.
- Tony non sono malata, sto bene. Posso uscire. Vado io – provò a dire un’ultima volta la giovane che, d’altra parte, scalpitava già da qualche settimana per tornare al lavoro.
- No, è troppo presto per lavorare.
- Solo per oggi!
- Pepper – sbuffò lui divertito. – Ti conosco, se ti lascio andare oggi, da domani torni al lavoro a pieno regime. E non è ancora il momento.
- Ma…
- Un paio di mesi, ti ricordi? Avevamo concordato che ti saresti presa un paio di mesi dopo la nascita di Arya.
- Sto bene, lei è un angelo, dorme di notte e fa dormire me.
Tony alzò un sopracciglio, perplesso. – Io me la ricordo un po’ diversa – rispose ripensando alle notti in bianco passate a cullare la piccola che piangeva disperata per le coliche.
- Beh, dormo abbastanza.
- Pepper…
- Va bene, questa notte per niente. Ma è piccola, non è colpa sua! – rispose la donna difendendo strenuamente la figlia.
.- Non ho mai detto che fosse colpa sua! – si difese a sua volta Tony che stava perdendo il filo del discorso.
- E comunque sveglia anche te! – ribadì Pepper.
- Due mesi – rispose Tony che non aveva nessuna intenzione di cedere, per una volta.
- Uno – ribatté la donna ben sapendo che era già passato.
- Due – tenne duro Tony non cedendo allo sguardo supplice della ragazza. – E non farmi gli occhioni dolci, Peps… non attacca.
- Con me funzionano sempre! – si lamentò la ragazza, contrariata.
- Perché io ho il fascino Stark.
- Sarebbe a dire che non ho fascino? – chiese Pepper cercando uno spiraglio per metterlo con le spalle al muro ed ottenere quello che voleva.
- NO! Non mi mettere in bocca… NO! – ribadì confuso Tony.
- Uno e mezzo – provò a rilanciare Pepper conteggiando mentalmente che mancavano solo un pugno di giorni alla data fatidica.
- Due – rispose Tony, non cedendo di neanche una settimana sulla tabella di marcia e pentendosi di non aver cercato di ottenere di più. Non solo riteneva che Pepper avesse bisogno di riposo ancora qualche tempo, ma quella nuova routine che si era creata gli piaceva molto e non aveva nessuna fretta che finisse.
- Due, va bene – si arrese anche Pepper, sorridendogli e facendosi dare un bacio, tendendogli poi la bimba che aveva in braccio in modo che salutasse anche lei.
- Ciao, cucciola – le mormorò Tony provando, con sua sorpresa, una fitta al petto all’idea di lasciarla. – Sei sicura che non vuoi che chiami Happy? Può stare con te mentre io non ci sono…
- Tony ne abbiamo già parlato. E’ passato quasi un anno e non è successo più niente. Niente telefonate, niente lettere minatorie, niente attentati. Nulla. Non posso passare il resto della mia vita a temere per qualcosa che… magari non succederà mai! – gli rispose esasperata da tutte quelle attenzioni anche se, in fondo, sapeva che lo stava facendo solo per il loro bene.
Lo sguardo di Tony si indurì per un attimo, ma poi Arya emise un gridolino e si agitò tra le braccia della mamma e lui tornò a sorridere. - Hai ragione – le disse sospirando e prendendo atto di come non potesse costringerla a girare scortata per il resto della sua vita.
 - Ti aspettiamo qui – rispose Pepper iniziando a cullare la piccola per calmarla e chiudendo la porta solo quando l’auto di Tony uscì dal cancello. Fece ancora qualche giro del salotto, giusto il tempo necessario affinché Arya crollasse addormentata e poi la depose dolcemente nella culla, decidendo di dedicarsi un paio d’ore al romanzo che stava leggendo.
Pochi minuti essersi comodamente sistemata sul divano JARVIS la informò che un auto aveva oltrepassato il perimetro di sicurezza della Villa. La ragazza non si preoccupò molto, capitava abbastanza spesso che qualche giornalista ficcanaso cercasse di ottenere una foto della piccola erede Stark, senza mai però riuscire a superare le difese che Tony aveva approntato per permettere ad entrambe di rimanere tranquille e lontano dallo sguardo indiscreto delle telecamere. 
- Signorina, due uomini alla porta – la informò il computer poco dopo.
- Come? – chiese Pepper stupefatta, alzandosi lentamente e dirigendosi verso la porta d’ingresso.
- Devo farli entrare? – chiese JARVIS prima di sbloccare la serratura.
- No. No aspetta – rispose lei, iniziando finalmente a preoccuparsi. Mentre si avvicinava alla porta per indagare su chi fosse arrivato fino a loro ci fu un’esplosione e Pepper venne sbalzata indietro di un paio di metri, finendo per sbattere duramente contro il pavimento. Con le orecchie che fischiavano per il rumore tentò di girarsi verso la culla, ma una mano le agguantò la spalla, stringendola in una morsa di ferro. – Chi siete? – mormorò con la mente ancora offuscata dalla botta e dallo spavento.
- Ma come? Signorina Potts, sono rattristato che non si ricordi di me – disse una voce allegra alle spalle dell’uomo che la teneva.
Pepper scosse la testa per mettere a fuoco, dai recessi della memoria un frammento di ricordo fece lentamente capolino. Quella voce la conosceva, non l’aveva sentita da molto, molto tempo, ma la conosceva bene. – Non è possibile, non può essere… - disse mentre un’immagine le si formava nella mente.
L’uomo comparve finalmente nel suo campo visivo e Pepper impallidì.
- Felice di vedermi? – chiese l’uomo.
- Hammer.
Pepper venne rimessa brutalmente in piedi dal primo uomo, trascinata verso il salotto e fatta poi sedere scompostamente sul divano. Mentre veniva tenuta ferma vide Hammer avvicinarsi alla culla di Arya e sbirciarci dentro, incuriosito.
– Sta lontano da lei! – urlò Pepper cercando di alzarsi, ma rimanendo incollata al cuscino dal braccio muscoloso dell’uomo che la sorvegliava. Nonostante la situazione si sentiva stranamente calma e fredda, il suo unico pensiero era tenere quel pazzo lontano dalla sua bambina.  
- Così questa sarebbe la piccola erede, vero? – chiese Hammer allungando una mano verso la culla. – Certo che deve essere stato un vero colpo per Tony. Un tipo come lui con un fardello come questo piombato tra capo e collo – disse ridendo di gusto dell’ironia della sorte. 
Pepper non capì subito quello che l’uomo stava dicendo, ma poi comprese dal sorriso soddisfatto che era comparso sulle labbra di Hammer. Lui non conosceva Tony se non superficialmente, ed era stato arrestato prima che la loro relazione avesse inizio. Avendo saputo della nascita della bambina aveva semplicemente creduto che fosse stato un incidente di percorso che, per qualche motivo, Tony non era riuscito a risolvere. Non sapeva, e Pepper si sarebbe ben guardata dal farglielo capire, di come Tony fosse cambiato in tutto quel tempo e dell’amore viscerale che provava per la figlia. Paradossalmente finché Hammer avesse creduto che la piccola non fosse che una maledizione piovuta sulla testa di Tony, Arya sarebbe stata al sicuro. 
- Cosa vuoi? – gli chiese.
- Mantenere la mia promessa.
- Quale promessa? – chiese Pepper scuotendo la testa, perplessa.
- Voglio fartela pagare. E anche al mio amico Anthony, ovviamente, visto che mi si presenta una così bella occasione – le rispose indicando la bambina.
- Lasciala stare – lo minacciò con odio.
- Oh certo. Non ho intenzione di fare alcun male a questo frugoletto. Questa sarà la mia vendetta per Tony. Togliergli te, ma lasciargli lei – le rispose indicando prima Pepper e poi fissando il dito sulla culla. 
Pepper silenziosamente sospirò di sollievo. Finchè Arya fosse stata al sicuro, tutto sarebbe andato bene. Hammer poteva anche portarla via, ma Tony l’avrebbe ritrovata, lo sapeva. 
- Perché? – chiese non riuscendo però a capire perché quell’uomo fosse tornato nella sua vita dopo tutto quel tempo.
- Perché? – chiese Hammer con una risata isterica.
- Che cosa ti abbiamo fatto?
- LUI ha fatto in modo che tutti ridessero di me. TU, mi hai fatto arrestare. Ho passato tre anni della mia vita in esilio per colpa VOSTRA. HO PERSO TUTTO!
- Cosa…?
- All’EXPO stupida. Non potevi permettermi di sistemare tutto, non potevi fare in modo che controllassi i miei droni…
- Non sono mai stati i TUOI droni, razza di pazzo…
- … hai per forza dovuto darmi la colpa…
- Era colpa tua, non c’è stato bisogno che nessuno ti desse la colpa di niente, hai fatto tutto da solo.
-  … farmi arrestare.
- Come sei uscito? – chiese Pepper cercando di prendere tempo, JARVIS avrebbe avvertito Tony dell’intrusione. Doveva solo tenere occupato Hammer per qualche tempo e poi lui sarebbe arrivato a prendere a calci quello squilibrato.
- Come ho fatto uscire Vanko. Con i soldi, prima che mi portassero via anche quelli. Anzi, prima di ucciderti credo che dovrò chiedere al mio amico Tony di trasferire una buona parte del suo patrimonio su un mio conto privato – le rispose l’uomo che non sembrava avere nessuna fretta di andare via.
- Non lo farà mai.
- Certo che lo farà.
- L’unica cosa che farà Tony e prenderti a calci fino alla prigione più vicina. E solo se sarai molto molto fortunato – gli gridò contro Pepper senza pensarci, svegliando Arya che si mise a piangere nella culla accanto a loro.
- Quando si renderà conto che ti ho preso farà tutto quello che voglio.
- Mi troverà…
- Se pensi che arriverà da quella porta con la sua brillante armatura devo deluderti. Ho disabilitato il suo… programma – rispose Hammer sorridendo.
- No – mormorò Pepper girandosi, suo malgrado, verso uno di punti di controllo di JARVIS e vedendo che era desolatamente spento.
- Ma prima… - riprese l’uomo. - … oddio fate stare zitta questa sirena – sbottò interrompendosi e girandosi all’improvviso con il braccio alzato verso la culla in cui Arya continuava a piangere disperata.
Pepper, pensando che volesse far del male alla bambina, riuscì a divincolarsi dal suo carceriere e scattò in piedi verso di lei. Un secondo dopo un lampo accecante le scaturì nel cervello mentre un dolore bruciante le invase la guancia e il sapore metallico del sangue le invadeva la bocca.
- Non… ti… ho … detto… di… muoverti – scandì Hammer mentre il suo scagnozzo la rimetteva a sedere sul divano.
- Dicevo… – riprese prendendo la bambina nella culla con poca delicatezza e mettendola brutalmente in braccio a Pepper perché la facesse stare zitta. – … prima facciamo in modo che Tony ricada nella sua bellissima depressione per qualche giorno.
Pepper si incupì.
- Oh sì, mi sono tenuto informato su di voi. Ho pianificato questo per mesi perché fosse tutto perfetto. Per questo motivo … - continuò Hammer - … dovresti farmi il favore di scrivere queste righe – le disse allungandole un foglio e una penna.
- Cosa? – chiese Pepper allibita fissando il foglietto scritto con una calligrafia minuta e traballante.
- Voglio che Anthony pensi che tu l’abbia lasciato. Per colpa della bambina.
- Ma non ha senso – si lasciò sfuggire lei prima di mordersi la lingua. Più quella storia era strana, meno tempo ci avrebbe messo Tony a capire che era stata rapita, e prima l’avrebbe ritrovata.
- Certo che ne ha. Non hai mai capito davvero Stark, Virginia. Posso chiamarti Virginia, vero?
- No – rispose secca lei, ma venne ignorata.
- Hai sempre creduto che alla fine si sarebbe redento. Non hai mai capito realmente chi è Tony Stark. Voi donne avete una visione romantica della vita. Un tipo come Tony, o come me… - disse poi gongolando di orgoglio e facendole capire sempre più quanto fosse assolutamente pazzo e fuori controllo – … secondo voi non può esistere. Avete l’idea di salvarci, ma noi viviamo bene nel nostro mondo dorato.
- Tu non sai niente di lui. Non sei come lui! – sbottò lei tentando di alzarsi, furiosa. Aveva avuto in mente di assecondarlo nella sua follia di fargli credere di essere nel giusto, ma sentirlo paragonarsi a Tony fu troppo. Venne però zittita e ributtata indietro dal tirapiedi di Hammer.
- NO TU – le urlò contro l’uomo perdendo per un momento il suo finto sorriso e facendo una smorfia. - TU non sai nulla! – le rispose. – Ora… scrivi quel foglio di addio, e poi togli l’anello – le disse indicando l’anulare e togliendole Arya dalle braccia.
- Scrivitelo da solo – gli rispose Pepper gettando la penna a terra e strappando il foglietto che gli era stato dato.
Hammer fece un cenno e l’uomo che le stava vicino le sferrò un altro manrovescio sulla guancia. La testa di Pepper scattò indietro mentre un mare di scintille le comparivano improvvisamente davanti agli occhi. – Se ci tieni al tuo bel faccino, scrivi – le disse l’uomo con un forte accento straniero, parlando per la prima volta da quando avevano messo piede in casa.
- Vuoi uccidermi? – chiese Pepper scuotendo la testa per schiarirsi le idee.
- Me ne stai seriamente facendo venire voglia – le rispose Hammer tornando a sorridere e a mostrare quel suo falso sorriso. - SCRIVI QUEL DANNATO BIGLIETTO! – le urlò poi contro sfoderando una pistola e puntandola contro la testa della donna.
Pepper impallidì e prese in mano uno dei frammenti più grandi del foglio che aveva appena distrutto. Sebbene sapesse benissimo che quelle righe erano false, che Tony non avrebbe mai creduto alla storia dell’abbandono né tantomeno a quello che stava scrivendo, lo stesso dovette sforzarsi oltre ogni limite per costringersi a scrivere quelle poche parole. Nonostante si fosse intimata di non piangere, una singola lacrima cadde sul foglio, macchiandolo. Quando ebbe finito lo tese ad Hammer.
- Molto bene. Prendila – disse poi all’uomo che era con lui.
Pepper sentì una mano appoggiarle qualcosa alla tempia, sentì freddo e poi fu solo il buio. 

Arya ringrazia, a suon di gridolini e sorrisi, per i numerosi complimenti che le sono stati fatti lo scorso capitolo. Adesso che è stata ufficialmente presentata tornarà presto anche con qualche shottina tutta sua, da vera Stark! Nel frattempo... che sono quelle facce? Non avrete davvero creduto che per un pò di fluff tutto si fosse sistemato e le cose sarebbero andate bene, vero? Ci mancano uno scampolo di capitoli alla fine di questa storia, e saranno capitoli abbastanza sofferti. Spero che il gran finale che si sta preparando vi piaccia e, mi raccomando, continuate a dirmi cosa ne pensate!
Ciao 
Even

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Tony Stark chiede aiuto ***


Quando Tony tornò a casa, qualche ora dopo, si rese subito conto che qualcosa non andava. Il salotto e la cucina erano deserte mentre dalla culla Arya piangeva disperatamente. Tony si avvicinò e la prese in braccio, cominciando a massaggiarle la schiena tentando di calmarla e dirigendosi verso la camera da letto al piano di sopra in cerca di Pepper. Entrando nella stanza si rese conto che era vuota, ma il suo sguardo fu attratto da qualcosa che brillava sul cassettone; vi si avvicinò e vide che era l’anello di fidanzamento che le aveva regalato. Lo prese in mano, aggrottando poi le sopracciglia non capendo cosa ci facesse lì. Da quando aveva trovato il coraggio di fargli abbandonare la tasca dei suoi pantaloni per metterlo all’anulare della giovane, lei non lo aveva più tolto, neanche per fare la doccia. Trovarlo abbandonato, e senza tracce della ragazza in casa, lo mise in allarme e si allarmò ancora di più quando vide un foglietto strappato accanto all’anello. Nessuno dei due usava più carta e penna da almeno cinque anni, e li avevano abbandonati definitivamente quando Tony aveva montato uno schermo touch anche sul frigo della cucina in modo da sostituire post-it e calamite con qualcosa di più tecnologico, quindi perché lasciare un biglietto? Lo prese e lo lesse, ma fu solo alla seconda lettura che capì realmente quello che c’era scritto sopra con una grafia traballante, ma che riconobbe subito.
“Non posso andare avanti così. Non lo sopporto. Addio”.
Tre frasi.
Tre frasi che lo fecero vacillare e lo costrinsero a sedersi sul letto sempre tenendo Arya in braccio, stringendola per tenersi aggrappato alla realtà. All’improvviso la casa gli sembrò troppo silenziosa, troppo vuota, troppo asfissiante e fu come se le pareti gli si stringessero addosso soffocandolo. Quello che si era aspettato per anni, che aveva temuto per mesi e che aveva sperato per qualche terribile giorno, alla fine era successo.
Era sorpreso, attonito, una sensazione di irrealtà lo circondò rendendogli difficile pensare a qualcosa che non fosse il fatto che alla fine Pepper lo aveva lasciato. Lui, che per gran parte della sua vita era stato solo, sentì il cuore perdere un battito a quel pensiero e un dolore acuto nel torace, tanto che si fissò perplesso il reattore convinto che non avrebbe più visto la rassicurante luce azzurra, ma solo buio e freddo metallo.
Poi Arya si mosse tra le sue braccia, cominciando a reclamare a gran voce la sua cena, e Tony si riscosse improvvisamente dalla sua apatia. Sollevò la figlia, guardandola come se la vedesse per la prima volta nonostante l’avesse avuta in braccio tutto il tempo e poi, improvvisamente come erano arrivate, le sensazioni di distacco dalla realtà, di abbandono e di disperazione se ne andarono e il sollievo lo pervase nel momento in cui si rese conto di quanto fosse stato stupido. Pepper poteva anche non sopportare più lui, cosa che a quel punto sarebbe stata quanto meno strana dopo tutto quello che avevano passato insieme nell’ultimo anno e mezzo, ma non avrebbe mai, mai lasciato Arya in quel modo.
Non avrebbe mai lasciato Arya e basta. E non avrebbe mai lasciato lui, adesso lo capiva. Ma, se non era andata via e quello non era uno scherzo allora… La questione era solo una, trovarla.
Il prima possibile.
- JARVIS, dov’è Pepper? – chiese all’AI, ma nessuna risposta giunse dal compito maggiordomo. - JARVIS? – richiese con tono sempre più allarmato, scendendo di corsa le scale per arrivare al quadro di controllo di JARVIS dove, al posto dei grafici di funzionamento, trovò il nulla. Tony si mise a digitare freneticamente sullo schermo touch con la mano libera, reggendo Arya che finalmente si era calmata con l’altra, finché lo schermo non riprese vita.
- JARVIS? – chiese per la terza volta.
- Signore? – rispose la voce dal marcato accento inglese.
- Che cosa diavolo è successo qui dentro? Dov’è Pepper? – chiese. Stranamente, nonostante la situazione potenzialmente drammatica, si sentiva lucido. Furioso con chiunque avesse anche solo pensato di poter far del male a Pepper, ma lucido. Non appena avesse messo le mani su chiunque avesse costretto la ragazza a abbandonare la sua casa, la sua famiglia, in quel modo, gli avrebbe fatto rimpiangere di essersi alzato dal letto, quel mattino.
- Signore i miei circuiti sono stati bypassati e interrotti dopo l’arrivo di un Audi con due persone a bordo.
- Un Audi? – chiese Tony non capendo cosa fosse successo.
- Sì, signore.
- Giornalisti? – chiese cominciando ad arrabbiarsi del dover tirare fuori ogni frase su richiesta.
- Justin Hammer, signore – rispose l’AI impassibile mentre Tony barcollava nel sentire pronunciare quel nome. Ci mise qualche attimo, in realtà, per rendersi conto di quello che aveva sentito e per collegare il nome al volto. Hammer faceva parte del suo passato, ma negli ultimi anni non aveva perso un solo secondo della sua vita a rimuginare su quell’uomo, pensare che si fosse presentato a casa sua e fosse riuscito in qualche modo a superare i suoi controlli lo fece infuriare ancora di più di quanto già non fosse. Si rese conto di avere ancora Arya in braccio, profondamente addormentata ormai, e quindi la mise nella culla cominciando poi a camminare in tondo per la stanza sentendo la rabbia che cresceva dentro di lui come una marea montante. Hammer avrebbe dovuto essere in una prigione federale e non libero di scorrazzare e di invadere casa sua. D’altra parte in qualche modo quella notizia lo tranquillizzò, per quando Hammer avesse cercato di distruggere il suo retaggio e di screditarlo davanti al mondo intero non riteneva fosse in grado di fare realmente del male a qualcuno. Se non altro perché era troppo stupido per farlo. Ciò non toglieva che nel momento in cui gli avesse messo le mani addosso di lui non sarebbe rimasto molto da arrestare.
Il suo primo impulso fu quello di mettere l’armatura e volare fuori alla sua ricerca, incurante dei rischi e dei pericoli in cui sarebbe incorso sicuro che, come aveva sconfitto Hammer una volta, lo avrebbe potuto tranquillamente schiacciare anche la seconda con la differenza che, questa volta, gli aveva toccato una delle due cose senza cui non poteva vivere, e per quello gli avrebbe fatto molto, molto male. Poi, fissando Arya serenamente addormentata, si rese conto di non potersi semplicemente gettare a capofitto in quell’impresa come avrebbe fatto fino a qualche settimana prima. Doveva trovare Pepper il prima possibile, ma doveva anche pensare alla piccola.
Sebbene avesse sempre fatto tutto da solo non chiedendo mai aiuto a nessuno, questa volta decise di cambiare tattica. Non si poteva permettere errori e capiva fin troppo bene di aver bisogno di qualcuno che gli coprisse le spalle.
Mezz’ora dopo JARVIS gli annunciò l’arrivo di un gruppo di persone alla porta.  
- Falli entrare – rispose Tony dirigendosi verso l’ingresso per accogliere i nuovi arrivati.
- Stark – disse l’agente Romanoff entrando per prima, seguita a breve distanza da Barton, dal dottor Banner e dall’agente Coulson, che chiudeva la strana fila di nuovi arrivati.
- Si può sapere che cos’è questa emergenza? – chiese Clint scocciato, alzando un sopracciglio quando Tony gli tese il foglio lasciato da Pepper. – Cosa sarebbe?
- Qualcuno ha rapito Pepper – rispose secco Tony fissando lo sguardo su Phil.
- CHE COSA? – chiese Natasha perdendo per un secondo la sua impassibilità a quella notizia del tutto inattesa, mentre anche Phil corrucciava lo sguardo scrutando Tony, come in cerca di un segnale che stesse scherzando. Non trovandolo impallidì.
- Da qui sembra che se ne sia andata – disse Barton tendendole il messaggio perché anche lei lo leggesse.
- Non lo avrebbe mai lasciato – rispose l’agente tornando alla calma che la caratterizzava  e accennando a Tony, prima ancora di leggere il foglio e confermando così, se mai l’uomo ne avesse avuto bisogno, quello che aveva pensato anche lui.
- Spiega, Stark. Che cosa sta succedendo? – chiese l’agente Coulson, preoccupato da quella strana situazione.
- Qualcuno l’ha rapita e l’ha costretta a lasciare quel biglietto. Non so come abbia fatto a pensare che avrei creduto… o meglio. Lo so, perché è un idiota. Un pericoloso, pazzo, idiota – disse arrabbiato.
- A me non sembra così strano che ti abbia mollato, mi stupisco che non l’abbia fatto prima – gli disse Clint ironico, guadagnandosi uno sguardo minaccioso da parte di Tony e uno spintone da parte di Nat che si rendeva conto della criticità della situazione meglio di lui.
- Smettila, Clint – gli disse infatti poco dopo ben sapendo come Tony perdesse rapidamente il suo pessimo senso dell’umorismo quando era coinvolta Pepper e non volendo gestire una lite tra i due in quel momento.
- Ha idea di chi possa averlo fatto? – chiese il dottor Banner che non aveva ancora aperto bocca da quando era arrivato alla Villa, ma che si guardava in giro preoccupato.
- Justin Hammer.
- Hammer? – chiese Natasha, sorpresa. – Quell’Hammer?
Tony annui.
- Chi sarebbe questo Hammer? – chiese Banner non riuscendo a capire come mai sia Nat che Phil sembravano sorpresi di sentire quel nome.
- Un armaiolo… - iniziò a spiegare Coulson.
- Adesso non esageriamo – lo interruppe Tony con una smorfia.
Phil sbuffò non ritenendo quella situazione appropriata per fini dettagli di classificazione.
- Un pazzo che ha tentato di uccidere Stark qualche anno fa – disse Nat sintetizzando.
- Ed è ancora vivo dopo averci provato? – chiese Barton sollevando un sopracciglio perplesso conoscendo il temperamento di Stark.
- Incidentalmente – rispose il diretto interessato con una smorfia che fece capire come, se fosse dipeso da lui, la risposta sarebbe stata ben diversa.
- Potts lo ha fatto arrestare – spiegò Natasha.
- Ah… AH – mormorò Bruce che, finalmente, cominciava a capire cosa fosse davvero successo. - Ha idea di come ritrovarla? – chiese allora.
Tony annui con un ghigno soddisfatto.
- Qualche tipo di rilevatore?
- Ovviamente ci avevo pensato – rispose Tony andando a prendere l’anello di fidanzamento di Pepper e rigirandolo in modo da mostrarlo ai quattro che aveva di fronte. – Ma sfortunatamente è rimasto in casa – mormorò contrariato che la sua brillante idea fosse stata così banalmente smontata da un piccolo incidente di percorso.
- Avevi messo un rilevatore di posizione in un anello di fidanzamento? – chiese allibito Clint che non era preparato ad un tale livello di paranoia, neanche da parte di Tony. – E qualcuno non crede che possa essere scappata? – concluse guardandosi intorno in cerca di sostegno.
- Non in UN anello. Nel SUO anello – chiarì Tony come se quella fosse una differenza fondamentale. Tralasciò di dire, visto che la cosa non era pertinente e che sembrava che gli altri non approvassero i suoi sistemi di sicurezza, che un rilevatore simile era stato posizionato anche nel braccialetto d’argento che in quel momento era al piccolo polso di Arya. Per un breve istante, più o meno quindici secondi, Tony aveva supposto di stare esagerando e che, se Pepper avesse scoperto di essere spiata costantemente, si sarebbe infuriata, poi era giunto alla conclusione che la preferiva furiosa e sotto controllo che tranquilla e persa chissà dove. I suoi piani però erano stati leggermente compromessi da quel pazzo di Hammer e le sue strampalate rappresentazioni di abbandono.  
- Ma se è qui come…? – chiese l’agente Coulson.
- Non mi dire che le ha lasciato il cellulare – disse Bruce non credendoci neanche per un istante.
- Ovviamente no. JARVIS la può trovare, ma mi serve l’aiuto dello SH.I.E.L.D – disse Tony guardando alternativamente le quattro persone che aveva davanti.
- Che cosa dovremmo fare? – domandò Phil che in quel momento rappresentava meglio di tutti l’organizzazione.
- Dovete sfruttare le telecamere di controllo, quelle dei cellulari, dei tablet, dei computer, di qualunque cosa sia in grado di registrare immagini e trasmetterle wifi, come avete fatto per trovare Loky – spiegò Tony.
- Non credo che questo Hammer porti la tua fidanzata in giro a fare shopping – disse il dottor Banner, confuso. – Loky si spostava continuamente, e anche così ci abbiamo messo qualche ora a trovarlo. Questo Hammer non credo che andrà molto in giro… no? -  chiese perplesso non capendo come pensava di trovarla in quel modo.
- E tu non avresti la tecnologia per farlo qui? – chiese invece Phil ben sapendo che gran parte della tecnologia S.H.I.E.L.D  proveniva dalle Stark Industries.
- Potrei farlo, ma mi ci vorrebbe molto più tempo – gli rispose Tony che poi tornò a guardare Bruce.
- Non andranno tanto in giro, ma devono pur essere arrivati da qualche parte. Mi basta un'unica segnalazione per definire un raggio di qualche chilometro. Attraverso i dati biometrici di Pepper JARVIS la può rintracciare. La potrebbe trovare anche partendo dal niente, ma ci vorrebbe troppo tempo. E non abbiamo tempo.
- Attraverso i dati biometrici? – chiese Banner interessato, ma venne interrotto da Coulson.
- Il direttore Fury… - iniziò a dire Phil perplesso, ben sapendo come Fury non avrebbe mai autorizzato un uso “privato” delle attrezzature dello S.H.I.E.L.D. senza un buon motivo. Qualcuno avrebbe potuto argomentare che un rapimento fosse un buon motivo, ma con quel biglietto, reale o meno che fosse, Fury non si sarebbe mosso in fretta come Tony sperava.
- Per questo ti ho chiesto di venire qui. Lo… - Tony si interruppe, imbarazzato, ma poi scosse la testa scompigliandosi i capelli in un gesto nervoso. Era finito il tempo di essere  scontroso, doveva convincere Phil ad aiutarlo. - … Lo devi convincere, Phil. Pepper… io… - mormorò.
Phil annuì seriamente rendendosi conto quanto dovesse essere constato a Tony dire quelle parole. – Cercherò di convincerlo.
- E noi a cosa ti serviamo? – chiese Natasha, fissandolo incerta.
- Quando la trovo… non posso semplicemente atterrare lì e spaccare tutto – rispose Tony.
- Non è il tuo stile? – chiese Barton proprio mentre Arya iniziava a piangere disperatamente dalla culla. Tony si diresse verso di lei seguito dallo sguardo stupito dei quattro che non si erano accorti della presenza della culla nella stanza. La notizia della paternità del famoso Tony Stark era rimbalzata nell’etere per molte settimane dopo la nascita della piccola e quindi Tony pensava che ormai chiunque fosse a conoscenza dell’esistenza di Arya. Si rese conto solo in quel momento, osservando gli sguardi stupiti di tre delle quattro persone presenti, che ufficialmente lui non aveva mai detto nulla a nessuno, e che Phil era stato molto più discreto di quanto si sarebbe aspettato. Banner fece una smorfia, imbarazzato dalla presenza di un neonato nella stessa stanza con lui. Tony si chinò sulla culla facendo una carezza alla bimba e prendendola poi in braccio dolcemente. Arya afferrò con il pugnetto un suo dito e piano piano smise di piangere, intenta a fissare con curiosità quello che aveva in mano. Tony sorrise portandola verso i suoi ospiti, appoggiandosi poi la neonata al petto con assoluta naturalezza e guadagnandosi qualche sguardo perplesso e dubbioso da parte dei presenti. Il battito del cuore del papà finì per calmare definitivamente la piccola che smise di piangere e iniziò ad osservare i nuovi arrivati.
- Era il mio stile. Ho dovuto rivedere un po’ le mie priorità ultimamente – rispose Tony riuscendo, nonostante la situazione, a sorridere dello sguardo assolutamente sconvolto che avevano i presenti.
- Non avete mai visto un neonato? – chiese.
- Mai uno in braccio al playboy Stark – rispose per tutti Clint facendo una smorfia.
- Si beh Arya ti presento la mia boy band… senza offesa Romanoff. Boy band questa è Arya. Ora che abbiamo fatto le presentazioni ufficiali possiamo tornare a concentrarci su Pepper? – chiese ironico, ma solo fino ad un certo punto.  – Mi serve una copertura prima di scapicollarmi nella mischia, nel caso qualcosa andasse male. Non posso rischiare questa volta – concluse.
Banner annuì, ma fece un passo verso la porta allontanandosi da Tony e dalla bambina; sia Natasha che Barton guardavano stupiti la strana scena che avevano davanti: l’egocentrico playboy Tony Stark che teneva in braccio una bambina non era una immagine comune e risultava decisamente fuori posto. Phil azzardò un sorriso in direzione della piccola.
- E per non rischiare ha deciso di invitare ME, qui? – chiese Banner scrutando Tony con sospetto dubitando, più del solito, della sua sanità mentale.
- Suvvia dottore, non credo che il nostro amico verde sia così ansioso di emergere solo per il pianto di una bambina. Non morde – rispose allegro Tony osservando con orgoglio la figlia. – Allora?
- Cercherò di convincere Fury – disse l’agente Coulson posando anche lui lo sguardo sulla bambina. – E se non dovessi riuscirci ho qualche altro asso nella manica. Appena ho qualche informazione ti farò sapere – concluse dirigendosi rapidamente alla porta senza perdere altro tempo.
- Mi servono notizie in fretta, Phil. Per… favore – si costrinse a dire Tony facendo uno sforzo enorme per dire quelle due parole, sebbene fossero rivolte ad una persona che già ben più di una volta era comparsa al momento giusto per dare una mano sia a lui che a Pepper. E furono proprio quelle due parole inattese, più di tutti i discorsi fatti fino a quel momento, che convinsero Phil a uscire e a dirigersi velocemente alla sede dello S.H.I.E.L.D.
- Voi? - chiese quindi Tony osservando uno per uno le tre persone rimaste in piedi accanto a lui.
- Se c’è la possibilità di far esplodere qualcosa, io ci sto – rispose Clint sorridendo. Aveva solo una vaga idea di chi fosse Pepper, più per sentito dire che per vera conoscenza personale, ma l’idea di buttarsi a capofitto in una missione non autorizzata, con Iron Man decisamente arrabbiato al seguito, lo stuzzicava e faceva presumere che ci sarebbe stato da divertirsi. 
- Mi è sempre stata simpatica Virginia – disse a sua volta Nat guadagnandosi un’occhiata perplessa da parte di Tony che, avendo sempre e solo sentito i commenti di Pepper, ancora riteneva che tra le due non fosse mai corso buon sangue. – Non ho mai detto che LEI trovi simpatica ME – chiarì quindi permettendosi quasi un sorriso. - E non ho mai capito cosa ci trovasse di così speciale in TE, ma è una brava persona, quello che fa lo fa per proteggere le persone a cui tiene. Ci sto – rispose infine anche l’agente Romanoff.
- Banner? – indagò alla fine Tony, fissando lo sguardo direttamente sull’unica persona che ancora non aveva dato il suo assenso e, paradossalmente, sull’unica persona che aveva un ruolo preciso nel piano che si andava delineando sempre con più precisione nella sua mente.
- Non credo di poter essere utile – sospirò alla fine lo scienziato guadagnandosi un’occhiata perplessa non solo dal diretto interessato, ma anche dagli altri due agenti che non si aspettavano un simile commento.
- Invece credo che sarai essenziale – chiarì Tony con un sorriso accattivante.
Bruce si fissò le scarpe, cercando un modo per uscire da quella situazione, senza peraltro riuscirci. – Sono pericoloso, c’è il rischio che invece che salvare la tua ragazza le faccia del male.
- Oh, su questo penso che possiamo stare tranquilli – gli rispose Tony.
- Tu credi?
- Ne sono certo.
- D’accordo – si arrese alla fine il dottore con lo sguardo di una persona che ha appena appreso una gran brutta notizia.
- Su con la vita, Doc – lo incoraggiò Tony che, dal canto suo, in quel momento, sentiva l’adrenalina scorrergli nelle vene e non vedeva l’ora di schizzare fuori con la sua armatura.  
- Qual è il piano? – chiese Barton andando a sedersi scompostamente sul divano, facendo come a casa sua.
- Appena sappiamo dov’è atterriamo lì e spacchiamo tutto – gli rispose Tony con un ghigno soddisfatto, seguendolo e facendo un cenno anche agli altri due di accomodarsi nell’attesa di avere notizie da parte di Phil.
- Mi pareva di aver capito che non fosse più il tuo stile – disse Banner perplesso da quel commento.
- Il MIO no, il NOSTRO sì – spiegò Tony con un ghigno prima di tornare alla culla per deporre Arya, che si era di nuovo addormentata.
- E della bambina cosa hai intenzione di farne? La portiamo in gita con noi? – chiese Clint osservandolo sistemare la copertina sulla bimba prima di allontanarsi da lei.
 - Non credo che sia il caso di dargli queste idee – mormorò Natasha guardando Tony con uno sguardo che faceva supporre che davvero credeva potesse portare la figlia neonata in missione con loro.
- Ad Arya penso io. Dottore – disse poi facendo un cenno a Bruce. – Permetti una parola? – chiese dirigendosi verso il laboratorio. – Agente Romanoff ti spiace? – disse facendo un cenno verso la culla mentre Natasha sgranava gli occhi incredula.
- Non mi starai chiedendo di fare da baby sitter a tua figlia, vero? – chiese sdegnata da un simile pensiero lanciando uno sguardo a dir poco dubbioso alla culla in cui la bambina stava ancora dormendo tranquillamente.
– Tira fuori il tuo lato materno – scherzò Tony scendendo le scale con Bruce senza darle il tempo di commentare o rifiutare.
Quando furono da soli nel laboratorio Tony mostrò al dottor Banner la parte del suo piano che prevedeva la sua diretta collaborazione. L’espressione dell’uomo mostrava tutto il suo stupore man mano che Tony andava avanti a mostrare le innovazioni che aveva recentemente apportato all’armatura, non credendo letteralmente ai suoi occhi.
- Ti rendi conto delle potenziali applicazioni di quello che mi stai dicendo?
- Non sono potenziali, Bruce.
- Quindi è già tutto operativo.
- Al 100%
- Il nostro coinvolgimento, il coinvolgimento dello S.H.I.E.L.D. nella ricerca… è tutto superfluo a questo punto – disse guardando Tony con sospetto.
- Ho finito di lavorarci poco tempo fa, non è mai stata testata perché… beh diciamo che ho avuto altri impegni – rispose Tony sorridendo al pensiero di come fossero cambiate le sue priorità nell’arco di solo qualche giorno. Un anno prima, o forse anche solo qualche mese prima, niente e nessuno gli avrebbe mai impedito di passare ore e ore a testare e provare le sue innovazioni, ma da quando Arya era entrata nella sua vita le sue priorità si erano all’improvviso capovolte e il suo lavoro era diventato solo… lavoro. – Non posso permettermi errori, non con Pepper in pericolo. 
- Perché lo stai dicendo solo a me? – chiese Bruce quando Tony finì di parlare.
- Ho intenzione di tenere la cosa quanto più segreta possibile. Se si rendesse necessario ne informerò lo S.H.I.E.L.D, ma se si potesse evitare ne sarei più felice.
- Perché? – chiese passando una mano su un gambale dell’armatura, come se fosse possibile carpirne i segreti al solo tocco.
- E’ più sicuro – rispose solo pensando a come il governo americano avesse reagito ad Iron Man la prima volta che era comparso, questa modifica sarebbe stata decisamente più difficile da far digerire anche perché non implicava solo un’armatura.  
- E perché lo stai dicendo a me? – chiese di nuovo Banner combattuto tra il cercare di restare nell’ombra, e quindi quanto più lontano possibile da Stark, e l’interesse scientifico di quella scoperta sensazionale. Quello che Tony aveva fatto andava ben al di là di una macchina, un’armatura, si trattava piuttosto di evoluzione vera e propria.
Tony distolse lo sguardo cercando un modo di convincere il dottore a fare quello che aveva in mente. – Mi serve qualcuno che sappia, e che sia pronto ad intervenire se le cose si mettessero male.
- E sarei io? – chiese Banner, sinceramente sorpreso.
Tony spiegò brevemente al dottor Banner quello che avrebbe dovuto essere il suo ruolo in caso di emergenza e, man mano che andava avanti, vide l’espressione dell’uomo incupirsi sempre di più.
- Non credo… – disse Banner scuotendo la testa. – Non credo proprio di essere la persona adatta a … quello che ha in mente di fare. Perché non chiederlo a Barton?
- Barton è un eccellente tiratore, spietato, ma è solo un uomo.
- E pensi che un mostro verde alto due metri e mezzo e molto incazzato farebbe meglio di lui?
- Per quello che devi fare, sì. Mi hai salvato la vita a New York, non ti chiedo di fare nulla di più.
Banner non rispose. Non era convinto di quello che stava dicendo Stark, ma non aveva nemmeno più scuse plausibili da mettere in campo. Conosceva lo sguardo dell’uomo che gli stava davanti, era uno sguardo che non ammetteva rifiuti di nessun tipo. - Farò del mio meglio, Stark – promise.
- Tienila al sicuro e, se le cose si mettono male, portala a casa. Tenterà di aiutarmi, impedisciglielo – gli disse Tony.
Furono interrotti dal suono del cellulare. – Coulson – rispose.
- San Francisco, 10 miglia a nord del confine della città, in una zona industriale – rispose l’agente saltando i convenevoli. - Il proprietario di un capannone, stanco dei furti, ha fatto installare una videocamera di sorveglianza. L’abbiamo rintracciata così.
- Di quando sono le immagini? – chiese Tony, sperando che non fosse troppo tardi.
- Questa mattina alle 10.
- Grazie, agente – rispose Tony dando una rapida occhiata all’orologio. Era l’una del pomeriggio, potevano essere sul posto al massimo entro mezz’ora, se fossero stati fortunati quella storia di sarebbe risolta nell’arco della giornata.
- Trovala, Stark – disse Phil.
- Ci puoi contare – rispose l’uomo chiudendo la comunicazione.
- Quindi adesso tu…? - chiese Banner. 
- La trovo – rispose solo Tony senza aggiungere altro.
- Sei sicuro di questa cosa? – gli chiese quindi osservando Tony turbato.
- Sì, e comunque ormai non si torna indietro – rispose seriamente. Quello che aveva fattolo aveva fatto per Pepper e per Arya, per non doverle far preoccupare per lui tutte le volte che doveva partire per una missione con Iron Man e quello era il momento di vedere se il piano funzionava.  
- Come la troverai? – chiese Banner che non aveva afferrato completamente cosa stesse facendo Tony.
- Ho memorizzato i dati biometrici di Pepper: traccia di calore corporeo, altezza, peso, tutto. In ogni momento siamo spiati da satelliti, computer, telefoni basta sapere cosa cercare e chiunque diventa rintracciabile – spiegò brevemente Tony. - Raggiungi Romanoff e Barton, ci vediamo a San Francisco, vi comunicherò l’esatta posizione in volo – gli disse poi Tony. 
Bruce annuì lanciandogli un’ultima occhiata e poi risalendo le scale di corsa.
- Banner che cosa…? – chiese Clint osservandolo riemergere dalle scale molto più pallido di quando era sceso, solo qualche minuto prima.
- San Francisco – rispose solo lui. – Andiamo.
- E Stark?
- Ci raggiungerà in volo.
I tre si diressero verso la porta, pronti ad entrare in azione. 


Gente, grandi notizie. La vostra Even, che nella sua vita non ha mai vinto niente (perso tanto... il filo, la testa, il senso del discorso, l'orientamento e tanto altro) ha finalmente vinto qualcosa... ossia il biglietto per l'anteprima del 23 aprile di Iron Man 3!!!! Oddio sto saltellando per la casa da questa mattina ...vedo Tony 24 ore prima del previsto!!!! Oddiooddiooddio
Eh, ok finito lo sclero mi calmo, faccio un bel respiro e vi dico quelle quattro cose che vi dovevo dire del cappy. Tanto per cominciare siamo a - 3 dalla fine (epilogo sì, epilogo no... boh, ma tanto quello conta poco) poi si inizia a capire cosa stesse combinando Tony nel laboratorio per tutti quei mesi e infine... basta. Non vi dovevo dire altro in realtà. Come al solito spero che la lettura vi sia piaciuta, fatemi sapere e ci si rivede verso fine settimana per un capitolo mooolto sofferto, da tutti i punti di vista.
Ciao!
Even

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Pepper ***


Pepper si svegliò stordita. Era a terra con le mani strettamente legate tra loro e un brutto taglio sulla fronte che stava ancora sanguinando. Non si ricordava di aver sbattuto, ma doveva essere successo mentre la portavano lì e adesso sia la testa che la guancia, dove l’avevano ripetutamente colpita, le pulsavano dolorosamente al ritmo frenetico del suo cuore. La stanza era buia e fredda e ben presto le braccia iniziarono a formicolarle e a farle male mentre la nausea le faceva contrarre lo stomaco in conati acidi. All’inizio i suoi ricordi furono confusi, immagini sfocate che si rincorrevano nella sua mente spaventata, ma pian piano tutto le tornò alla mente, compreso il biglietto che era stata costretta a scrivere. Una singola lacrima le scivolò sulla guancia prima che riuscisse a trattenere le altre coraggiosamente, rendendosi conto che in quel momento doveva cercare di essere forte, avrebbe avuto tutto il tempo di piangere quando fosse stata al sicuro tra le braccia di Tony. Lui non poteva davvero credere che l’avrebbe lasciato in quel modo, non dopo tutto quello che avevano passato insieme negli ultimi mesi.
Non dopo New York.
Nonostante le sue sicurezze però c’era una parte della sua mente, quella più oscura e profonda, che le continuava a sussurrare come il Tony che aveva visto dopo New York avrebbe anche potuto credere a quel biglietto: avrebbe semplicemente accettato il fatto che lo aveva lasciato, crogiolandosi nella sofferenza e nell’autocommiserazione e abbandonandosi alla depressione. Ripensò a tutti i mesi della gravidanza, al suo timore che lui non fosse pronto e come, invece, l’avesse stupita non solo accettando di buon grado la paternità, ma diventando davvero un padre modello e questo la rassicurò un minimo. Pepper scosse la testa per schiarirsi le idee e finì per procurarsi una fitta di dolore lancinante che le attraversò il cervello, come se una lama rovente le avesse trapassato la testa. Tony sarebbe arrivato, doveva solo resistere fino al momento in cui non lo avrebbe visto buttare giù la porta e giungere a salvarla.
Pepper provò a tirare le corde che le stringevano le mani cercando di liberarsi, ma i nodi non si allentarono e riuscì solo a procurarsi delle brutte escoriazioni sui polsi che iniziarono a sanguinare e bruciare. Cercò quindi di muovere le gambe, ma anche le caviglie erano strettamente legate e riuscì solo a rotolare su se stessa procurandosi ulteriori fitte dolorose alla testa e un senso di nausea spossante. All’ennesimo tentativo di mettersi in piedi le gambe le cedettero e crollò a terra con un tonfo, sbattendo di nuovo la testa. Una serie di lampi luminosi le sfavillarono davanti agli occhi spezzando il buio in cui si trovava, poi sentì che stava di nuovo per perdere i sensi e semplicemente si abbandonò al’oscurità, sperando che almeno lì la nausea le desse pace.
Il capannone si dissolse lentamente, le pareti di cemento furono sostituite da quelle di una casa sconosciuta, ma il buio non l’abbandonò. Lontano, in un’altra stanza, un bambino piangeva disperatamente. Pepper udì il suo nome chiamato da lontano, l’eco di una voce nota e attesa, ma troppo distante perché potesse raggiungerla. Cercò a tentoni una porta, una finestra o qualunque altra cosa le consentisse di uscire da quel posto, ma non trovò nulla e si accasciò per terra chiudendo gli occhi e cercando di pensare.
D’improvviso si ritrovò fuori dalle Industries, davanti a sé l’armatura di Obadiah Stane che la minacciava puntandole contro un mitragliatore. Riconobbe la scena, sapeva che Tony sarebbe arrivato da un momento all’altro distraendo Stane e salvandole la vita. Si girò ansiosa nella direzione in cui sapeva che l’uomo sarebbe arrivato, osservò il cielo scuro aspettando, sperando di poterlo rivedere almeno in sogno, ma nulla successe. Stane le disse qualcosa, qualcosa che lei non sentì troppo occupata a cercare qualche segno dell’arrivo di Tony, poi si voltò come al rallentatore verso di lui e alzò le mani per difendersi, urlando.
Non sarebbe dovuta andare così, Tony era arrivato, l’aveva salvata. Ne era certa, lo ricordava bene. Quello era solo un sogno, un incubo.
O forse no?
E se quella volta Tony non fosse realmente arrivato in suo soccorso?
Se Stane le avesse davvero sparato in quel momento, ferendola a morte e tutto quello che era successo, che lei immaginava fosse successo, da quel momento in poi non fosse stato altro che un sogno?
Tony non arrivò e Pepper sentì solo un rumore sordo prima che una grandinata di proiettili si abbattesse su di lei provocandole una serie di scosse e un dolore sordo in tutto il corpo.
E di nuovo tutto fu solo oscurità e freddo. 
 
- No, no, no – una voce e un getto di acqua gelida addosso la riscossero dal suo incubo, solo per catapultarla in una realtà molto peggiore. – Devi stare attenta, Virginia – disse la voce. – Non vogliamo che ti procuri una commozione cerebrale prima del tempo.
- Che cosa vuoi farmi? – chiese con un filo di voce, cercando di mettere a fuoco l’uomo che le stava davanti e ricordando improvvisamente quello che era davvero successo. Stane era morto, ucciso da lei e da Tony molti anni prima. Lui era davvero arrivato a salvarla all’ultimo minuto rischiando la vita, ma uscendone poi illeso, sfacciato e insolente come al solito.    
- Per adesso niente, non temere. Mi servi solo per attirare qui il tuo eroico fidanzato – le rispose Hammer. – Ah, volevo farti i complimenti.
- Complimenti? – chiese Pepper non capendo a cosa l’uomo si riferisse.
- Sei stata la prima ad incastrare per bene il grande Tony Stark – ridacchiò Hammer guardandola bonariamente e sorridendo come se avesse appena pronunciato una battuta divertente. 
Pepper si morse la lingua fino a farla sanguinare. Avrebbe voluto sputare addosso a quel pazzo tutta la verità, dirgli come stavano le cose realmente tra lei e Tony, ma non sarebbe servito a nulla se non mettere in pericolo Arya.
E probabilmente non le avrebbe nemmeno creduto, quindi rimase in silenzio cercando di restare lucida nonostante il dolore pulsante alla testa.
- Cerca di non svenire di nuovo, Potts. Non voglio dover passare tutto il giorno qui con te per tenerti d’occhio – le disse poi Hammer uscendo dallo stanzone e lasciandola nuovamente da sola.
Pepper si raggomitolò in posizione fetale tenendo le braccia leggermente sollevate per colpa delle corde che la stringevano. Un rivolo d’acqua le scivolò dai capelli sulla fronte andando sulla ferita e facendola sussultare per il dolore. Chiuse gli occhi mentre il mondo le vorticava intorno e le tenebre tornavano a chiudersi su di lei. 
Scese un paio di scalini e si guardò intorno, perplessa. Tutto era deserto attorno a lei, c’erano detriti di palazzi, auto distrutte e proprio alla base della scala che stava scendendo un drone, anch’esso distrutto. Pepper aggrottò le sopracciglia prima di capire dove e quando fosse. Era all’EXPO, proprio la sera in cui aveva fatto arrestare Hammer. La stessa sera in cui aveva scoperto che Tony stava per morire. La sera in cui lui era sceso dal cielo giusto in tempo per prenderla tra le braccia e portarla in salvo. La sera in cui lei e Tony erano diventati “loro”. Pepper vide una luce rossa brillare sul drone ai suoi piedi e, inconsciamente, si volse verso il cielo. Sapeva che le cose non erano realmente andate in quel modo. La prima volta si era avvicinata per cercare di capire cosa stesse succedendo, ignara del fatto che stesse avvicinandosi alla morte. Ma questa volta no, questa volta sapeva che il drone sarebbe esploso, ma sapeva anche che Tony stava arrivando per salvarla. L’avrebbe trovata, come sempre, e l’avrebbe portata su un tetto vicino dove avrebbero discusso, negoziato, battibeccato, ma alla fine si sarebbero chiariti.
Pepper fissò il cielo notturno in attesa di veder comparire il lampo rosso mentre il luce sul drone lampeggiava sempre più rapidamente, frenetica.
Non si mosse, Tony sarebbe arrivato.
La lucetta rossa ormai era quasi fissa, segno che il peggio stava per succedere.
Pepper fissò il cielo nero e si rese conto che Tony non sarebbe arrivato.
Tony era morto.
Quella non era la sera in cui aveva saputo che Tony stava per morire, quella in realtà era la sera in cui aveva saputo che Tony era morto, intossicato dal palladio mentre lei era troppo impegnata nel suo nuovo lavoro da CEO per essere al suo fianco.
Era morto da solo, nel suo laboratorio.
La luce rossa e l’allarme sonoro abbinato erano ormai continui, il suono era acuto, pungente e le trapassava il cranio come una lama; poi le tenebre furono squarciate da un lampo di luce.
 
- Vedo che questa volta hai avuto almeno il buon senso di sdraiarti, prima di perdere i sensi – la voce di Hammer le giunse da lontano mentre Pepper sbatteva freneticamente le palpebre, improvvisamente accecata dalla luce al neon che l’uomo aveva acceso.
- Verrà – mormorò la ragazza cercando di guardarlo con odio mentre gli occhi le lacrimavano per la luce.
- Come?
- Tony verrà, non crederà mai alla storia del biglietto – gli disse.
- Oh, ma lo so. E lo aspetto con ansia. Ho giusto una sorpresa per lui! – le rispose con uno sguardo febbrile e una risata.
Pepper, che fino a quel momento non aveva sperato altro se non che Tony arrivasse a salvarla, in quel momento ebbe paura per lui. Hammer era sempre stato un povero illuso pensando di poter competere con Tony, ma tre anni di prigione potevano averlo cambiato e reso più pericoloso di quanto loro pensassero. E in quel momento più che mai Pepper aveva bisogno di sapere Tony al sicuro, per Arya.  
- Hai me, sono stata io a chiamare la polizia e mandarti in prigione. Lascialo stare – gli disse cercando di farlo ragionare.
- Non ti preoccupare, mi occuperò ANCHE di te.
- Ti prego – mormorò Pepper.
- Ma che dolce – le disse Hammer passandole un dito sulla guancia insanguinata. – Molto romantico, ma del tutto inutile.
- Ti ucciderà – gli rispose Pepper abbandonando il tono supplice e fissandolo con odio, cercando di nuovo di alzarsi solo per crollare a terrà strattonando le corde che la tenevano legata. – Ci troverà e mi porterà in salvo. E poi ti ucciderà. E io sarà qui a godermi la scena.
- Virginia – le rispose scuotendo la testa. – Questo astio non ti si addice – le disse passandole ancora una volta un dito sulla guancia, seguendone il profilo fino alla mandibola. – Una ragazza così dolce.
- Tu non sai niente di me – gli urlò contro la  ragazza mentre Hammer usciva dal capannone, lasciandola di nuovo sola e al buio.
Pepper si accasciò per terra, stremata dalla paura e dalla tensione di quella discussione, e chiuse gli occhi.
Questa volta era a casa, ma la Villa era vuota e desolata. Pepper si diresse con passo incerto verso il centro della sala osservando l’arredamento elegante e impersonale che aveva caratterizzato quella casa fino al momento in cui Arya non era arrivata con la sua incontenibile presenza. Non c’erano tracce della culla, non c’erano peluches in giro, niente biberon, nessun gioco né altro segno che indicasse che in quella casa ci fosse un neonato. Pepper passò una mano sul divano seguendone il contorno, vagando senza meta finché non arrivò alle scale e scese uno scalino, pensando di andare a vedere se Tony fosse nel laboratorio.
Un rumore dal piano di sopra la fermò a mezzo passo. Era il pianto di un bambino, della sua bimba Pepper ne era certa. Tornò sui suoi passi e si diresse al piano di sopra salendo le scale di corsa. Cercò di chiamare Tony, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Seguendo il pianto raggiunse la camera da letto, aprì la porta e scrutò all’interno. Tony era al centro della stanza con la piccola Arya in braccio, cercava di cullarla e calmarla, ma lei sembrava inconsolabile e anche Tony aveva delle occhiaie bluastre sotto gli occhi stanchi. Pepper mosse un passo verso la stanza, ma fu ricacciata indietro da una forza invisibile. Era come se una barriera di gomma trasparente fosse stata posizionata sulla porta della sua camera da letto, impendendole di andare dalla sua famiglia. Tentò nuovamente di entrare e di nuovo venne ricacciata indietro, poi fu troppo per lei. Vedere Arya così vicino, ma non poterla raggiungere, vedere Tony stanco e abbattuto senza poterlo andare a consolare le fece perdere quel poco di forza che aveva. Si fece scivolare contro il muro di fronte alla porta e rimase lì, seduta, ad osservare la sua famiglia così vicina e così irraggiungibile.

Questo capitolo è stato molto sofferto sia per me che per Pepper. Per lei... beh, credo che si capisca abbastanza bene perchè, per me... Ve lo spiego. Questo è stato un capitolo composto solo dal titolo per quasi un mese e ha preso vita solo nell'ultima settimana, su ispirazione notturna. Con il rapimento di Pepper DOVEVA esserci un capitolo su Pepper, su questo non ci piove, ma cosa metterci dentro era tutto un altro discorso. Poi mi è venuta in mente una rappresentazione "onirica", una specie di incubo vigile in cui la poveretta cade per tutte le botte in testa che si prende. E alla fine ne è uscito questo. Spero che alla fine si capisca qualcosa e che il capitolo riesca a trasmettervi un pò dell'ansia, dell'angoscia e della confusione che stava provando Pepper.
Detto ciò ci rimangono due capitoli, uno pensavo di postarlo domenica (turni permettendo) e uno martedì prima... beh dell'anteprima (lo so, mi odiate ma state tranquille, finchè non vedo i titoli di testa ancora non ci credo neanche io :P).
Fatemi sapere le impressioni, buone o cattive che siano!
Ciao
Even 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Missione di salvataggio ***


Tony, i due agenti S.H.I.E.L.D. e Banner raggiunsero l’area industriale di San Francisco meno di un’ora dopo aver saputo le esatte coordinate dall’agente Coulson.
- E adesso? – chiese Clint scendendo dall’elicottero e guardandosi intorno senza sapere bene come muoversi, raggiunto subito dopo anche da Natasha e da Banner che si teneva a qualche passo di distanza dai due.
- Capannone numero 6 – rispose Tony che aveva appena visualizzato la traccia biometrica di Pepper, comunicando la sua esatta posizione all’auricolare dei presenti. Non li aspettò, ma si diresse rapidamente verso la struttura, come unico pensiero quello di raggiungere la ragazza e tirarla fuori da lì prima che fosse troppo tardi. Atterrò pesantemente davanti alla porta del capannone e, dopo aver accertato tramite una scansione che non ci fosse nessuno vicino, la buttò giù con un unico colpo di energia. L’interno del capannone era scuro, illuminato solo dalla luce che entrava dalla porta divelta, ma Tony non ebbe alcun problema a vedere l’interno utilizzando di nuovo la scansione a infrarossi. Non c’era nulla nello stanzone se non un tavolo con un paio di computer sopra e, in un angolo, una forma per terra, immobile.
- Oh mio dio – mormorò Tony avanzando di corsa, senza fare attenzione a quello che lo circondava. Non appena fece un paio di passi all’interno della stanza fu bersagliato da una serie di colpi che rimbalzarono sull’armatura e gli fecero perdere l’equilibrio nell’impatto. Si girò verso la fonte dei proiettili, ma non vide nulla sebbene questi continuassero a piovere su di lui incessantemente rallentandolo e minacciando seriamente l’integrità della sua armatura. 
- Stark, togliti di là – disse la voce di Clint dall’ingresso.
- Non posso, devo raggiungerla – rispose lui indicando davanti a sé la forma scura raggomitolata per terra.
- Signore, danni strutturali all’armatura. Ancora qualche colpo e l’integrità non potrà essere mantenuta – gli comunicò la voce di JARVIS.
- Missili – disse Tony facendo partire una serie di micro proiettili che si infransero contro la parete apparentemente vuota dalla quale però continuavano a giungere colpi. La pioggia di proiettili cessò di colpo e Tony poté riprendere ad avanzare nella penombra.
- Pepper – disse lanciandosi verso la sagoma scura stesa per terra in fondo alla stanza che, nonostante la porta divelta e la grandinata di proiettili, non si era mossa dalla sua posizione.
- Stark! – la voce dell’agente Romanoff gli rimbombò nelle orecchie, ma lui non si fermò, appena conscio dello scontro che avveniva alle sue spalle e del fatto che i due agenti potessero aver bisogno del suo aiuto.
Clint e Natasha erano entrati nel capannone dietro Tony, per coprigli le spalle, sconfiggendo rapidamente e senza problemi due uomini armati che erano comparsi nel loro cammino. – Stark, non mi convince. Prendi la ragazza e togliamoci di qui – sentì dire dalla voce ansiosa di Natasha mentre la donna continuava a muoversi circospetta per la stanza, cercando altre potenziali fonti di pericolo.
- Datemi un attimo – ripose Tony.
- E’ troppo tranquillo, datti una mossa! – gli rispose sempre ansiosa Nat, continuando a guardarsi intorno circospetta.  
Tony si inginocchiò di fronte a Pepper che giaceva per terra priva di sensi, le mani legate talmente strette che erano diventate pallide e fredde. Senza sforzo l’uomo recise le corde che la tenevano legata e la prese tra le braccia, cercando di metterla seduta. - Pepper! – disse scuotendola leggermente e tentando di farle riprendere i sensi, senza però che la giovane desse alcun segno di vita. - PEPPER! – urlò di nuovo a voce alta, scuotendola maggiormente e scostandole i capelli dal volto. Quello che vide gli accese una furia cieca addosso: la fronte della ragazza aveva un brutto taglio poco sopra al sopracciglio che continuava a sanguinare leggermente, imbrattandole la pelle e scendendole sulla camicetta ormai zuppa mentre la guancia destra era gonfia e bluastra, lì dove era stata ripetutamente colpita.
All’ennesimo tentativo di Tony, Pepper schiuse gli occhi e li fissò vacui su di lui. – Tony? – la sentì mormorare con tono interrogativo. – Mi hai trovato – gli disse poi, poco prima di perdere di nuovo coscienza.
- Ti troverò sempre – le mormorò, prendendola tra le braccia e portandola rapidamente fuori dal capannone, posandola quindi delicatamente a terra di fianco al dottor Banner.
Bruce si inginocchiò di fianco a lei e le controllò il polso sotto lo sguardo severo di Iron Man. – E’ solo svenuta – gli disse. – Anche se deve aver preso un paio di brutti colpi alla testa, dobbiamo portarla da un medico, in fretta!
- E’ il suo momento, dottore. Si ricordi cos’ha promesso – gli rispose Tony, girandosi per tornare dentro al capannone.
- Stark mi hai sentito? – gli urlò dietro Bruce, senza che Tony gli prestasse ascolto.
- Stark, forse ci serve una mano – sentì dire a Clint da dentro al capannone.
- Dovevamo andarcene prima – ribadì l’agente Romanoff indietreggiando davanti all’enorme essere che le era comparso davanti dal nulla. – Cosa diavolo è? – chiese a Tony che nel frattempo li aveva raggiunti, sperando che lui potesse darle qualche spiegazione. 
- Non ne ho idea – le rispose l’uomo mettendosi al fianco dei due agenti, osservando dubbioso quello che avevano davanti. Una volta quell’essere doveva essere stato un uomo, ma che adesso era coperto di una strana pelle squamosa luccicante che di umano non aveva assolutamente niente, né l’altezza né la massa muscolare.
- Mi ricorda vagamente…
- ME? – chiese Hulk con voce profonda comparendo di fianco ai tre e facendo sussultare Natasha.
- Ti avevo detto di restare con lei.
- E’ al sicuro – grugnì Hulk poco incline al dialogo.
- Questo, miei cari – disse una voce dal fondo del capannone. – E’ la versione migliorata del vostro Capitan America.
- Hammer – mormorò Tony con odio, osservando l’uomo fare il suo ingresso.
- Benvenuto, Anthony. Devo ammettere che mi hai sorpreso, non pensavo che ti avrei visto così presto.
- Come hai fatto ad uscire di prigione? – gli chiese Tony.
- Conoscenze e qualche spintarella – gli rispose serafico l’uomo.
- Perché?
- Perché sono uscito di prigione? Beh sai non mi aggradava la compagnia.
- Perché Pepper – chiarì. - Non ti ha mai fatto niente.
- Niente? NIENTE? – urlò Hammer con tono di voce sempre maggiore, irato, avanzando verso i quattro Vendicatori. – E’ colpa di quella tua dannata assistente, ops… forse dovrei dire della tua fidanzata… se ho passato tre anni della mia vita in una cella.
- Colpa sua? – chiese Tony che aveva sempre pensato di essere stato il principale responsabile della fine di Hammer.
- Lo ha fatto arrestare lei – spiegò l’agente Romanoff che, la sera in cui Pepper aveva fatto arrestare Hammer, era stata con lei per qualche tempo e aveva un’idea più chiara di quello che poteva essere successo quando Tony era impegnato ad affrontare i droni.
Tony era confuso.
- Non ti ha mai detto niente? Scommetto che non ti ha mani neanche detto del nostro piccolo colloquio qualche mese fa.
- Abbiamo modi migliori di passare le nostre serate - sibilò Tony, cercando di controllare la rabbia con della sana ironia.
- Forse non si fida di te, non crede che tu sia in grado di proteggerla – rincarò la dose Hammer.  
- Maledetto – disse Tony avanzando di un passo verso di lui mentre il gigante argentato faceva un passo verso di loro.
- Stark, non mi sembra una buona idea – disse Barton allontanandosi un po’ e imbracciando l’arco.
- Sparate anche solo un colpo contro di lui e salteremo tutti in aria – disse Hammer alzando una mano per fermare Clint.
Barton lo fissò dubbioso, poi decise di fidarsi senza troppe domande e abbassò l’arco tenendo però sempre d’occhio i due.
- Barton, Romanoff voi pensate ad Hammer – disse Tony.
Nat fissò incuriosita Tony, lo sguardo che ricambiò l’uomo le fece capire che, se si fosse occupato personalmente di lui, non l’avrebbe fatto uscire vivo dal capannone.
– Io penso al Domo Pack – mormorò facendo un passo verso il colosso. – Banner, fuori di qui.
- Hulk spacca!
- Fai quello che ti ho chiesto. Adesso – gli intimò Tony per niente spaventato dal cipiglio arrabbiato del gigante verde che alla fine grugnì e si girò per uscire dal capannone.
- Morirai Stark – gli disse Hammer mentre veniva preso poco gentilmente in consegna da Nat.
- Vedremo. Andate fuori con Banner e Pepper.
Tony aspettò che i tre fossero lontani prima di attaccare l’uomo che gli stava di fronte con un pugno diretto all’addome. Sebbene ci avesse messo quasi tutta la sua potenza il suo pugno scivolò sulla pelle squamosa e finì per non fare danni. La risposta del gigante ebbe invece l’effetto di colpirlo al torace e di mandarlo a sbattere contro il muro. Tirandosi su Tony vide un gigante verde avvicinarsi a loro.
- Maledizione, Banner. Ti avevo chiesto di restare con Pepper – disse scuotendo la testa per cercare di schiarirsi le idee.
Hulk non gli diede retta e colpì violentemente l’avversario, ottenendo però lo stesso scarso risultato di Tony. I loro colpi sembravano scivolare addosso alla pelle argentata come sulle squame di un pesce mentre i colpi dell’avversario andavano a segno uno dopo l’altro tanto che, dopo Tony, fu la volta anche di Hulk di finire per terra. Il gigante grugnì, decisamente scocciato di un tale trattamento e si diresse di corsa contro l’uomo, sferrandogli un manrovescio che fece sgusciare la sua mano direttamente contro il muro.
- Non potete colpirlo, non potete sparagli. E’ indistruttibile – la voce nasale e divertita di Hammer giunse all’orecchio di Tony, distraendolo proprio mentre l’uomo squamoso si lanciava verso di lui, riuscendo a colpirlo alla testa con un pungo. Tony finì di nuovo per terra, la sua mente concentrata solo sul fatto che Pepper fosse da sola nella vicinanze di Hammer mentre nel suo casco esplodevano una serie di urla dei suoi compagni. 
- Stark – dissero all’unisono l’agente Romanoff e Clint, dirigendosi verso di lui e iniziando a loro volta a cercare di colpire il nemico, accompagnati dalle risate di Hammer. 
- Maledizione, bestione verde. Torna là fuori – disse Tony con ira rivolgendosi a Hulk. Lui dapprima non parve ascoltare, meno ancora capire, ma poi una luce diversa brillò nei suoi occhi  e, dopo un ultimo attacco inefficace, girò su se stesso tornando verso l’uscita del capannone dove Pepper era ancora stesa a terra.
- Tony – la voce di Natasha lo scosse dai suoi pensieri. – Dobbiamo fermarlo in qualche modo.
- Avete perso, rassegnatevi. A breve avrò il mio personale esercito di super soldati e allora vedremo chi è il migliore! – rise Hammer avvicinandosi alla sua creatura e mettendosi dietro di lui, per essere protetto.
- Tu sei pazzo – gli sibilò contro Natasha.
- Non credo che questo sia mai stato in discussione – chiarì Clint incoccando una freccia. – Mi pare che ci sia un solo modo per fermarlo.
- Non oserai. Colpisci lui e salteremo tutti in aria.
- Non voglio colpire lui – chiarì il Falco.  
- Uscite – mormorò Tony mentre un piano stava facendosi strada nella sua mente. – Lentamente.
Clint non parve molto convinto da quell’ordine, ma per una volta non commentò e i due agenti cominciarono ad indietreggiare verso la porta, Barton sempre tenendo sotto mira il suo bersaglio.
- Cosa vuoi Hammer? – chiese Tony cercando di tenerlo impegnato.
- La mia rivincita.
- Vuoi che dica che sei migliore di me? – sbottò Tony. – D’accordo pazzo scatenato, sei migliore. Contento?
- No. Un tempo mi sarebbe bastato, ma adesso no. Voglio rovinarti, Anthony. Toglierti tutto quello a cui tieni – gli urlò in faccia Hammer indicandolo in modo che il suo soldato ripartisse all’attacco, ma ben presto Tony si rese conto di non essere l’obiettivo. Lui sarebbe vissuto solo per essere costretto a vedere la fine della sua vita.
Tony capì che non c’era altro modo. La situazione andava conclusa definitivamente. Si gettò contro il soldato bloccandogli la strada, agganciandolo in una morsa e riuscendo a farlo indietreggiare verso Hammer. – Barton, adesso! – urlò.
- Salterai in aria, Stark – disse Natasha dalla porta.
- Adesso!
- Tony – l’urlo di Pepper lo raggiunse all’ultimo secondo e lui non poté fare nulla, nulla se non pensare che sarebbe stata in salvo, per sempre. Non riuscì neanche a girarsi un’ultima volta indietro per poterla vedere, dovette fidarsi di Banner e sperare che fosse al sicuro.
Clint perse solo un decimo di secondo a guardare verso la compagna prima di incoccare la freccia e lasciarla andare con precisione millimetrica alla testa dell’avversario. Tony vide il dardo che si conficcava e, nello stesso istante, lo sguardo perso di Hammer che tutto si aspettava tranne che Tony si potesse sacrificare in quel modo. In meno di un secondo un lampo accecante li avvolse tutti e tre e l’esplosione scosse il capannone facendo saltare in aria il tetto e crollare parte delle mura esterne.
Fuori, a poca distanza, Natasha e Clint si gettarono a terra e Hulk si girò di schiena, in modo da proteggere con la sua mole i tre che erano con lui. Pepper vide l’edificio esplodere e, sebbene la testa le girasse e sentisse la nausea montare, cercò di alzarsi e correre dentro. C’era Tony lì, doveva tirarlo fuori. Hulk si accorse che si stava muovendo e l’afferrò per un braccio, trattenendola rudemente, ma efficacemente sul posto. A nulla valsero i suoi tentativi di sgusciare via, la presa del gigante verde era salda e Pepper debole. Si accasciò contro di lui, assolutamente indifferente al fatto che potesse essere quasi altrettanto pericoloso dell’uomo che l’aveva tenuta prigioniera fino a quel momento, gli occhi che le si offuscarono di lacrime e la mente svuotata da ogni pensiero.
Era sola.
 
Qualche secondo dopo Natasha e Clint si rialzarono e si guardarono intorno.
Nessuna traccia di Iron Man.
Si avvicinarono a Hulk e Natasha prese per un braccio Pepper, facendola alzare da terra gentilmente. La ragazza era completamente svuotata, si alzò come un robot e si lasciò condurre fino all’ingresso del capannone senza quasi rendersene conto, completamente affidata alla guida dell’altra donna.
- L’armatura dovrebbe aver retto – disse Clint entrando alla ricerca del loro compagno, seguito da vicino dalle altre due. Poco oltre la porta c’era il casco di Iron Man annerito dalle fiamme. Pepper si chinò a raccoglierlo e lo fissò come se potesse dirle qualcosa. Lo tenne stretto a sé mentre girava lo guardo per i resti della struttura.
- Qui – disse la voce dell’agente Romanoff, china al fondo del capannone.
- Non credo che… - mormorò Barton, afferrando per un braccio Pepper e trattenendola indietro, non credendo fosse una buona idea che la ragazza vedesse quello che restava del suo fidanzato.
- No. Venite a vedere – rispose Natasha facendo cenni verso di loro.
I due si avvicinarono e Pepper, alla vista dell’armatura riversa al suolo, si mise una mano sulla bocca e sentì le gambe che le cedevano. Si accasciò in ginocchio non riuscendo a fare un altro passo avanti. Tutte le paure, tutti gl’incubi che le si erano affollati nella mente in quelle ore, tornarono a tormentarla.
Solo che non erano più incubi.
- E’ vuota – le disse l’agente Romanoff, chiedendole nel contempo spiegazioni con lo sguardo perplesso. – Sai cosa…?
- Vuota? – sussurrò con le lacrime agli occhi, non riuscendo a capire quello che l’agente le stava dicendo, ma sentendo che di nuovo il mondo attorno a lei perdeva definizione e che il buio tornava ad avvolgerla. Cercò di contrastare le tenebre, si morse la lingua per cercare di non perdere coscienza, ma fu tutto inutile. Sentì due mani che l’afferravano al volo e la facevano stendere sul freddo pavimento, e poi più niente.
- Non sa niente, nessuno sa niente – la voce di Banner li raggiunse. Era tornato normale e aveva indossato una tuta, trovata chissà dove.
- Ma tu sembri il meno sorpreso di tutti – gli disse Barton, sospettoso.
- Stark… beh, credo che lo scopriremo presto. Torniamo alla Villa. Qui abbiamo finito – rispose girandosi e prendendo tra le braccia Pepper per poi dirigersi verso l’elicottero.
- Dottor Banner, dobbiamo sapere – si impuntò Natasha.
- Si. E lei deve vederlo – rispose indicando Pepper, pallida. – E ha bisogno di un medico. Andiamo.
I due agenti si fissarono dubbiosi, ma poi decisero di fidarsi e seguirlo. 

Scusate il ritardo, ma è stata una giornata abbastanza piena! 
Eccoci al penultimo capitolo, so che le parti più di azione non sono il mio forte, ma spero lo stesso che il capitolo vi sia piaciuto abbastanza.
Ciao!
Even

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Capitolo 17
*** Capitolo 17- Ritrovarsi ***


Durante il volo di ritorno alla Villa Pepper riprese coscienza e si accorse che il taglio sulla fronte era stato medicato e che qualcuno le stava tenendo del ghiaccio istantaneo sulla guancia contusa. Guardò tristemente verso Banner, chiudendo gli occhi e rintanandosi nel suo silenzio quando vide che lui ricambiava il suo sguardo. Poco dopo l’elicottero atterrò sul piazzale davanti alla Villa e  Bruce scese per primo, prendendo poi per un braccio Pepper scortandola a terra mentre la donna reggeva ancora tra le mani l’elmo distrutto di Iron Man, aggrappandosi ad esso come un naufrago ad un relitto galleggiante. Poco dopo anche l’agente Romanoff e l’agente Barton scesero e si diressero a passo di marcia verso la porta della casa, intenzionati a capire rapidamente cosa fosse successo.
- Fermi – disse loro Bruce mentre Pepper apriva la porta con la sua chiave magnetica muovendo le mani come un automa, senza quasi rendersi conto di cosa stesse facendo. - Lasciatele qualche minuto – affermò trattenendo i compagni mentre la giovane entrava in casa, zoppicando.
I due annuirono e rimasero fuori mentre la porta si chiudeva davanti a loro.
Pepper varcò al soglia, la vista ancora appannata dalle lacrime e dall’ematoma che le si stava formando sul sopracciglio destro. Fece qualche passo nell’atrio vuoto, guardandosi intorno come nell’incubo che aveva avuto solo qualche ora prima. O forse era passato molto meno tempo, forse quello non era stato un sogno, ma l’allucinazione era stata tutto il resto che aveva vissuto: l’arrivo di Tony, il suo salvataggio e la sua morte.
Nulla si muoveva nella penombra della stanza, non si sentiva nessun rumore se non quello del respiro affannato della ragazza che si muoveva incerta. 
- Tony? – mormorò in un sussurro appena percettibile, senza credere che a quelle parole sarebbe seguito qualcosa.
Un’ombra nera più fitta del crepuscolo circostante si mosse appena verso di lei. 
La ragazza strizzò gli occhi non riuscendo a mettere a fuoco quello che stava vedendo poi, sentendosi in pericolo, fece un passo verso la porta alla sue spalle, vagamente conscia che fuori poteva essere protetta. Poco dopo però un vagito, che in breve divenne un pianto disperato, ruppe il silenzio immoto della sala. – Arya? – mormorò Pepper, avvicinandosi di un passo all’ombra che le stava davanti.
- Luci, JARVIS – disse l’ombra che, nell’illuminarsi delle lampade, divenne improvvisamente Tony immobile di fronte a lei con un fagottino rosa in braccio.
Tony, che lei aveva visto esplodere.
Tony, il cui elmo stringeva ancora tra le mani, disperatamente.
Tony, che le aveva promesso che l’avrebbe trovata, sempre.
Tony.
Pepper fece un passo verso di lui e verso Arya che continuava a piangere tra le sue braccia, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle sulle guance senza che lei avesse più la forza né il coraggio di trattenerle. In breve il braccio libero dell’uomo le circondò la vita e le sue labbra si posarono sulla sua fronte ferita, fresche e sicure. Pepper sentì che le gambe le cedevano e si accasciò a terra, sempre sostenuta da Tony che le si accovacciò vicino, mettendole la bambina tra le braccia.
- Arya – ripeté la donna, quasi non credesse di poter riabbracciare la figlia.
- Sta bene, è solo affamata – rispose Tony sorridendole, sebbene la stesse scrutando attentamente.  A parte il brutto taglio sulla fronte, ora medicato, sembrava indenne, ma quando il suo sguardo si fermò negli occhi di Pepper, Tony smise di sorridere. Quello che vide lo terrorizzò e dovette fare uno sforzo enorme per non cedere all’ira. In quegli occhi azzurri tristi vide se stesso dopo New York. Vide lo sguardo di una persona che sapeva di aver perso tutto e non si era ancora resa conto di aver avuto una seconda possibilità dalla vita. Si rese improvvisamente conto che le parti si erano invertite, lui era diventato la roccia alla quale aggrapparsi nel mezzo della tempesta e lei la persona da proteggere.
- Ho avuto paura di non poterla rivedere, Tony – singhiozzò la ragazza, stringendo la bimba che nel frattempo si era un po’ calmata. – Non avrei potuto vivere senza di lei. Senza di voi – disse con uno sguardo sperso fisso negli occhi nocciola di Tony.
- Sei a casa. Non ti succederà nulla. Te lo prometto – le disse capendo che poteva farlo. Poteva essere forte per entrambi, quella volta toccava a lui, ed era pronto.
- Ti ho visto esplodere… - gli disse tremando tra le sue braccia. Tony avrebbe voluto rimettere Arya nella sua culla, ma capì, dal modo in cui Pepper la teneva stretta a sè, che in quel momento la cosa migliore per entrambe era stare vicine e che la bambina non sarebbe mai stata in un posto più sicuro dell’abbraccio materno. Condusse entrambe al divano e fece sedere Pepper in modo che fosse più comoda.
- Non mi sono mai mosso da casa – rispose lui azzardando un sorriso.
- Ma come? Iron Man… tu eri lì. Mi hai trovato…
Tony sorrise. – Era quello a cui stavo lavorando in questi mesi.
Pepper scosse il capo, non capendo.
 - Non posso tornare indietro, Pepper. Se solo avessi saputo… non avrei mai rivelato di essere Iron Man se avessi saputo che ti avrei messo in pericolo. Non posso cancellare quello che ho fatto, ma posso evitare di farti preoccupare per ogni missione.
- Non capisco, come…?
- Sono riuscito a… - cercò di trovare delle parole semplici per spiegare quello che aveva fatto. La versione tecnica avrebbe dovuto aspettare, per il momento sarebbe dovuta bastare una spiegazione semplice. - …a creare un’armatura che risponda ai miei comandi neuronali.
- Neuronali? Non capisco…
- … a distanza, Pepper.
- Vuoi dire che tu non…?
- Non ho mai lasciato il laboratorio – affermò. – Sono stato a casa con Arya, ma contemporaneamente ero con te nel capannone.
- L’armatura era… vuota – prese finalmente coscienza la ragazza.
Tony annuì.
- Ma…  come?
Furono interrotti dalla porta d’ingresso che si apriva.
- Si può? – chiese la voce incerta di Bruce facendo capolino nell’ingresso.
- Certo che si può – lo scostò poco gentilmente l’agente Romanoff entrando in casa e piazzandosi minacciosa davanti a Tony. – Si può sapere che cosa è successo, Stark? – chiese poco gentilmente.
- Anche per me è un piacere rivederla, agente Romanoff. Non mi dica che si è preoccupata per me? – chiese ironico, sorridendo sornione all’espressione furiosa della donna.
- Sei saltato in aria – gli fece notare Clint sedendosi sul divano, facendo come a casa sua.
- Si, e mi pare che, come al solito, sia stata colpa tua, agente.
- Ho fatto il mio lavoro.
- Uccidermi?
- Far esplodere le cose. Eri in mezzo… non è un problema mio.
- Non è un problema tuo? – gli rispose alzando un sopracciglio con espressione fintamente sorpresa.
- L’armatura… - disse Nat indicando il casco che era ora abbandonato sul tavolino di fronte al divano.
- Era vuota – concluse con un sospiro Tony e tanti saluti alla sua idea di mantenere segreto il suo progetto. – Vi spiegherò tutto, datemi solo un giorno – disse. Non poteva evitare di dare spiegazioni, ma avrebbe almeno evitato di darle quel giorno. Quel giorno voleva solo sistemare Pepper e restare tranquillo con la sua famiglia per qualche ora.
- Non credo che Fury aspetterà – gli rispose l’agente Romanoff, scontrosa.
- L’agente Coulson dello S.H.I.E.L.D in linea per lei, signore – disse JARVIS più o meno nello stesso momento.
- Il solito tempismo – rispose Tony lanciando un’occhiata ironica a Pepper e, con sua immensa sorpresa, vedendola sorridere alla battuta. - Phil – disse solo Tony usando il vivavoce, facendo un cenno ad una sempre più confusa Pepper, che non avrebbe mai immaginato un simile dispiegamento di forze solo per lei.
- Virginia, sono felice che tu stia bene – disse l’agente rivolgendosi direttamente a lei. – Stai bene, vero? – chiese poi rendendosi conto di aver dato per scontato un fatto che, quando era coinvolto Tony Stark, non era mai scontato.
- Qualche livido, un brutto mal di testa.
- Niente che non possa passare con un’aspirina, Coulson la pianti di provarci con la mia fidanzata? – chiese Tony con tono fintamente scontroso.
- Grazie, Phil. E grazie anche a tutti voi per tutto quello che avete fatto – rispose Pepper ignorando Tony e rivolgendosi un po’ a tutti.
- E’ stato un piacere – le rispose Phil. - Stark… - disse poi tornando serio.
- Lo so, lo so. Il direttore Fury… - iniziò a dire Tony, ma venne interrotto quasi subito da un’altra voce.
- Il direttore Fury vuole te e un tuo rapporto su quello che è successo nel suo ufficio domani entro le 8 – disse Fury stesso.
- Andiamo, speravo di poter passare un po’ di tempo con… - iniziò a dire Tony che si era aspettato di dover spiegare tutto subito. - Domani? – chiese confuso quando si rese conto che gli stavano dando la serata incredibilmente libera.
- Domani Stark, alle 8. Che non vuol dire alle 8 e mezza, né alle 9. Alle 8.
- Non si potrebbe fare alle 10? Alle 8 avrei… - iniziò a dire Tony con una smorfia, ma si interrupe quasi subito all’occhiata severa dell’agente Romanoff.
- Voi altri tre – riprese la voce dura del direttore come se fosse presente nella stanza e li stesse indicando uno per uno. – Tornate immediatamente a New York e nel viaggio cercate di trovare una buona scusa per aver partecipato ad una missione non autorizzata – disse nel suo peggior tono di rimprovero.
Banner chinò il capo in atteggiamento contrito, Barton sorrise e fece l’occhiolino a Pepper, Natasha sollevò gli occhi al cielo e sbuffò, ma tutti e tre si alzarono e si diressero alla porta.
- Mettici del ghiaccio su quell’occhio o domani non riuscirai neanche più ad aprirlo – le disse Banner indicando la fronte della ragazza dove l’ematoma si stava allargando sempre di più.
- D’accordo e… Bruce – gli rispose Pepper osservandolo con gratitudine. – Grazie di tutto. Davvero.
Banner accarezzò lievemente la fronte della bimba e sorrise. – E’ stato un piacere.
- Si riguardi, signorina Potts – disse ammiccandole Natasha. – E cerca di tenerlo sotto controllo – finì indicando Tony che era fermo dietro Pepper, in atteggiamento protettivo.
Pepper sorrise. – Faremo il possibile – le rispose cullando Arya. – Credo che la piccola Stark sarà più brava di me in questo.
- Oh, anche tu non te la sei mai cavata male – le rispose l’agente sorridendole.
- In bocca al lupo – si sentì in dovere di dire Barton, visto che tutti erano in vena di saluti e lui era a corto di argomenti.
- Crepi.
- Noi ci vediamo domani – disse in direzione di Tony, ma suonò più come una minaccia che come un augurio.
- E’ una proposta Legolas? Perché guarda che sono già occupato.
Clint sbuffò. – Purtroppo è una certezza.
- Grazie – disse alla fine Tony tornando improvvisamente serio, accompagnandoli alla porta, ma il modo e il tono in cui lo disse fece capire a tutti quanto profondi fossero i suoi sentimenti.
Quando se ne furono andati Tony tornò verso il salotto pensando di trovarci Pepper, ma la stanza era deserta. Perplesso si diresse verso la cucina, trovandola vuota. Prese un po’ di ghiaccio e si diresse verso la camera da letto. La ragazza aveva trovato la forza di salire fino in camera e aveva sistemato Arya nella sua culla, poi si era stesa sul letto in attesa che Tony arrivasse. Lui si avvicinò e le mise il ghiaccio sulla fronte, stendendosi poi a fianco a lei nel letto.
- Da quando fai quello che ti suggeriscono? – chiese Pepper fintamente sorpresa.
- Meglio prevenire – le disse facendole uno dei suoi sorrisi magnetici.
- Devo essere un mostro.
- Sei bellissima.
- Sono blu – mormorò Pepper riuscendo a scherzare.
- Oh, questo è niente. Vedrai che bella tonalità verdina avrai tra qualche giorno!
Pepper fece una smorfia.
- Credimi, sono un esperto in materia. Non dovremmo andare in ospedale? – le chiese quindi osservandola perplesso.
- No, non ce n’è bisogno.
- Sei sicura. Hai la testa dura, ma oggi l’hai sbattuta parecchio in giro.
- Sto bene, ho solo sonno.
- Appunto, hai una commozione cerebrale.
- Sono stata picchiata, rapita, picchiata…
- L’hai già detto - le fece notare.
- E’ successo due volte.
- Mi dispiace…
- … salvata – gli disse poi guardandolo e facendogli capire che non lo riteneva minimamente responsabile per quello che era successo. - Ti ho visto morire e poi tornare… sono solo stanca, Tony – gli rispose appoggiandosi a lui.
- Come vuoi.
- Sai per un po’ ho temuto che credessi al biglietto che Hammer mi ha obbligato a scrivere – gli disse chiudendo gli occhi e appoggiandosi al suo torace.
- Per un attimo, solo per un attimo, ci ho creduto.
Pepper sospirò.
- Poi mi sono reso conto di quanto fossi stupido a pensare una cosa simile. Non mi hai mai abbandonato in tutti questi anni – le disse posandole un bacio sui capelli. – E, a proposito – continuò prendendo dal comodino l’anello che le aveva regalato. – Questo è tuo – finì infilandole di nuovo l’anello al dito, così come aveva fatto il giorno della nascita di Arya.  
Lei sorrise. - Sono così stanca – mormorò poi accoccolandosi contro di lui.
Tony l’aiutò a togliersi i vestiti insanguinati e le fece fare una rapida doccia infilandole poi il pigiama. La fece stendere di nuovo nel loro letto e l’abbracciò tenendola stretta a sé. Pepper mormorò qualcosa, ma lui non capì. - Come? – le sussurrò.
Lei si strinse maggiormente a lui. – Così sono al sicuro – gli disse sospirando contro il suo collo.
Lui la strinse. - Ti prometto che farò tutto il possibile per proteggerti. E per proteggere Arya.
- Lo so.
- Ti amo.
- Ti amo anche io.

Bene gente, la vostra Even oggi è completamente fuori di melone e, a meno di 4 ore dalla fatidica ora, non sta letteralmente più nella pelle. Qualunque cosa mi abbiano detto oggi non è stata recepita, a qualunque domanda mi è stata fatta ho risposto che tanto io "andavo a vedere Iron Man" e quindi non vi aspettate grossi commenti su questo capitolo finale. Sono contenta che, con qualche tappa forzata, siamo arrivati alla fine prima della prima (domani c'è l'epilogo ma è solo una paginetta per chiarire qualche cosa qui e là). 
Spero davvero che la storia vi sia piaciuta e che il finale non vi abbia deluso.
Ci rileggiamo domani con l'epilogo che conclude definitivamente questa storia, ispirata dalla visione del (primo) trailer di Iron Man 3 e scritta di getto. 
Grazie a tutti voi che avete letto, un grazie enorme a chi ha anche commentato e in particolare a m4r3tt4, sic e _Maria_ che non si sono perse un capitolo (e in particolare grazie a _Maria_ che molto spesso ha scritto commenti quasi più lunghi dei miei capitoli! :P)
Ciao
Even

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Epilogo ***


La mattina dopo furono svegliati dal pianto di Arya che reclamava a gran voce la sua colazione. Tony aveva disabilitato JARVIS in modo da non essere disturbati e poter riposare tranquillamente e lo mantenne inattivo tutta la mattina, ignorando contemporaneamente anche il telefono che continuava a vibrare insistentemente.
- Non credi che dovresti rispondere, ad un certo punto? – gli chiese Pepper all’ennesima telefonata ignorata della mattina.
- So benissimo chi è e cosa vuole – le rispose Tony scrollando le spalle e continuando ad osservarla cullare Arya, senza dare il mimino segno di voler smettere di godersi quella pace familiare. – Quindi perché disturbarsi? – concluse.
- Corriamo il rischio di un’invasione S.H.I.E.L.D.?
- Naah. Andrò da loro nel pomeriggio.
- Fury ha detto alle 8.
- Non ha specificato del mattino, però – le rispose con un sorriso scaltro.
Pepper tentò di sollevare un sopracciglio, ma fece una smorfia di dolore ricordandosi improvvisamente dell’ematoma. – Credi che sia arrivato finalmente il momento di dirmi che cosa stessi combinato in questi mesi?
Tony annuì. – E’ una storia lunga e complessa, e non sono sicuro che ti piacerà tutto – le disse. – Non voi aspettare di rimetterti un po’?
- E’ qualcosa che ti permette di essere Iron Man, ma non esserlo…
Tony fece per protestare, ma lei lo fermò.
- Non mi fraintendere… esserlo, ma esserlo a distanza, se preferisci. E quindi per me va bene.
- Aspetta a dire così – le rispose Tony sentendosi leggermente in colpa per quello che aveva fatto. Sapeva che il suo piccolo cambiamento avrebbe avuto risvolti decisamente positivi, ma pensava anche che Pepper non avrebbe preso molto bene il modo in cui vi era giunto.
- Sono sicura che non sarà peggio di tante altre cose.
Il telefono riprese a vibrare e poi improvvisamente, senza che nessuno dei due lo toccasse, smise di colpo e si spense. Pepper guardò Tony curiosa. – Che cosa è successo al telefono?
- L’ho spento, così non saremo interrotti.
- L’hai spento? Ma se non l’hai neanche toccato!
Tony annuì, sorrise e si mise a spiegare.
 
Il tramonto tingeva di fuoco il cielo sereno e creava un’atmosfera aranciata che incorniciava il palazzo dello S.H.I.E.L.D. Tony entrò nella hall dirigendosi a passo spedito all’ascensore e quindi all’ufficio di Fury. Un’attempata segretaria gli lanciò uno sguardo truce prima di fargli cenno di entrare, evidentemente era atteso da tempo.
- Signorino, avevo detto alle 8 – lo accolse la voce dura di Fury.
- Sono le 7 e quarantacinque – gli rispose serenamente Tony facendo un sorriso.
- Non mi va di scherzare, non dopo il casino che sei riuscito a combinare.
- Casino? A me sembra che le cose siano andate piuttosto bene.
- Hai coinvolto 3 agenti e un Hulk in una missione non autorizzata, hai usato attrezzature senza autorizzazione, hai distrutto un intero isolato, hai…
- Ho. E’ tutto spiegato qui – gli disse porgendogli una cartellina.
- Cosa sarebbe?
- Quello che voleva – gli rispose sorpreso della domanda. – Un rapporto completo di quello che ho fatto.
Fury l’osservò incerto per poi prendere la cartellina e posare lo sguardo su di essa. – Sarà meglio per te che qui dentro compaiano le parole Maya Hansen ed Extremis, con abbondanti spiegazioni correlate.
Tony sorrise senza rispondere.
- Non eravamo gli unici a tenerti d’occhio, Hammer aveva puntato Extremis prima di te.
- Ma ovviamente non è riuscito a gestire neanche una cosa così semplice – rispose ridendo.
- Una mutazione genetica che permetta di controllare le macchine ti sembra semplice? – chiese Fury.
- Extremis è un virus e in quanto tale penetra nel DNA dell’ospite e lo…
- Muta?
- Altera, corregge, migliora.
- Non da quello che ho visto con Hammer, non quello che stava maneggiando la dottoressa Hansen a Boston.
- Maya ed io eravamo compagni di college, mi serviva una basa dalla quale partire. La sua formula era ancora instabile quando Hammer l’ha rubata.
- E la tua sarebbe migliore?
- Mi pare ovvio – rispose quasi offeso.
- Quali sono le potenzialità di Extremis? – chiese Fury.
- E’ tutto scritto qui – disse indicando la cartellina.
- Con questo nuovo controllo neuronale che hai sull’armatura potresti creare un esercito?
- E’ un’idea – rispose con un ghigno.
- La formula?
- Quella è in un posto sicuro, e ci rimarrà – rispose prima di voltarsi e uscire dall’ufficio lasciando Fury alle sue letture, diretto verso la sua famiglia. 
 
Fine. 


Ed eccoci alla parola fine, dopo averla messa ieri con il film riscriverla anche oggi mi fa strano e mi lascia una sensazione un pò di tristezza. Come già era capitato per l'altra long (wii play) il mettere fine ad una storia che, tra stesura, rilettura e postatura (:P) mi ha tenuto compagnia per un paio di mesi mi fa strano. Spero che voi vi siate divertiti a leggerla quanto a me è piaciuto scriverla, e vi ringrazio per il tempo che le avete dedicato. 
Solo le ultime precisazioni: Extremis citato nel FF fa riferimento al fumetto di Iron Man "Extremis", non al film. Per scrivere questa FF come vi ho detto mi sono ispirata al primo trailer di Iron Man 3 (quello più cupo, per intenderci) e ai fumetti "Extremis" e in parte "Eseguire programma", il resto è puramente inventato e, per le altre attinenze con il 3° film, sono puramente fortuite. 
Detto ciò non mi resta che augurarvi una buona visione e raccomandarvi di restare incollate alla poltrona del cinema fino alla fine, che vuol dire proprio fino alla fine, anche dopo la fine della fine. Insomma alzatevi quando spengono il proiettore!
Buon divertimento
La vostra Even (ancora in catalessi per l'anteprima mondiale di ieri... per un giorno ero una delle poche ad aver già visto il film... WOW)

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