Dietro lo specchio

di Trillo Sbadiglio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In mezzo agli altri si consiglia di sorridere ***
Capitolo 2: *** Well baby, baby, why don't ya want a man like me? ***
Capitolo 3: *** Davanti c'è una lunga fila di ricordi ***
Capitolo 4: *** La solitudine no che non è un affare ***
Capitolo 5: *** Ah caught you smilin' at me ***
Capitolo 6: *** Il presente dov'è? ***
Capitolo 7: *** How I love you girl, little girl ***
Capitolo 8: *** Now it's a beautiful day ***
Capitolo 9: *** The things we don't want to speak ***



Capitolo 1
*** In mezzo agli altri si consiglia di sorridere ***


Disclaimer: questa storia ha preso ispirazione dal mondo di Harry Potter, proprietà di J.K. Rowling, ed è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (TrilloSbadiglio). Non ne è ammessa altrove la citazione totale né parziale, a meno che non sia stata autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


 

Dietro lo specchio

Oh pensa a come sarebbe bello se potessimo passare attraverso lo specchio!
Sono sicura che ci sono delle cose bellissime là dentro!
Facciamo che ci sia un modo per passarci attraverso,
facciamo che sia diventato tutto come un leggero velo di nebbia...ma guarda...si trasforma!
Sarà facile passare adesso!

Lewis Carroll Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò

 


 

Capitolo 1

In mezzo agli altri si consiglia di sorridere


C'è troppa pioggia e sto perdendo quota
attraversando vuoti d'aria tra le nuvole.
Se piango in acqua non si nota
e in mezzo agli altri si consiglia di sorridere

Samuele Bersani Psyco


Per chiunque si fosse ritrovato a dover passare per King 's Cross quell'ultimo, piovoso pomeriggio di giugno, la celebre stazione londinese si sarebbe rivelata assai fuori dal comune. Il parcheggio era invaso da un numero spropositato di automobili turchesi, quasi tutti vecchi modelli di Ford Anglia, caratterizzati ognuno dal proprio livello di ammaccatura. Come se possedere un' auto di quel colore implicasse o una grande sfortuna o un' altrettanto grande incapacità alla guida. Sembrava inoltre che qualche giorno prima ogni spazzino di Londra si fosse dato appuntamento proprio lì, e che, una volta andato via, avesse dimenticato di riprendersi la scopa, dopo averla accuratamente legata con grosse catene a uno dei tanti pali della luce disponibili. Se qualcuno infine si fosse avviato alle banchine dei treni, avrebbe sicuramente notato che quella posizionata tra i binari nove e dieci era piena zeppa di eccentrici individui. Tutti convinti, a quanto pareva, di trovarsi ad una divertente festa in maschera. In molti indossavano lunghe tuniche bordate d'oro, dai colori più sgargianti: verde smeraldo, rosso carminio e un improbabile violetto. Sul retro di esse, la maggior parte aveva cucito un grosso stemma dell'Inghilterra, e gli occhi di più di un passante sembravano quasi aver visto i tre leopardi rincorrersi su e giù per il blasone rosso. Tra i molti stravaganti, alcuni portavano sul capo appariscenti cappelli a punta; altri, sopra lunghi mantelli, avevano pensato bene di aggiungere orribili cravatte quadrettate giallo senape; un gruppo di signore di mezza età vestiva completi scozzesi dalle tinte fluorescenti, con tanto di cornamuse coordinate, cosa che fece rimanere non pochi viaggiatori a bocca spalancata. Ma quegli strani personaggi, che avevano deciso di riunirsi in un luogo così insolito, sembravano tutti, senza eccezione, in attesa di qualcosa. La tensione si percepiva dai continui sguardi che si lanciavano le signore, dalle frequenti sbirciatine agli orologi dei signori e dagli strilli eccitati dei bambini. Al margine della folla stava un quartetto di persone vestite in maniera totalmente anonima, legata però al resto della folla dai sorrisi e da due piccoli portachiavi, che uscivano dalla tasca dei due uomini della compagnia, con inciso lo stemma dell'Inghilterra. Di quel gruppetto così anonimo facevano parte alcuni degli uomini e delle donne più famosi della Gran Bretagna...beh, famosi tra la comunità magica della Gran Bretagna. Stavano avendo una piacevole conversazione, quando vennero bruscamente interrotti dall'inno nazionale, che sembrava provenisse da ogni singolo altoparlante della stazione. Una delle due donne, quella con una gran massa di capelli ricci e castani, borbottò, mentre la musica scemava e una voce maschile si scusava con i viaggiatori: «Anche i Babbani dall'altra parte del continente ci avranno riconosciuti a quest'ora. Tutti quegli enormi stemmi...l'interferenza con gli altoparlanti! Ma non capiscono che dobbiamo essere discreti?». Due delle persone intorno a lei fecero finta di non sentire, per non dover essere risucchiati nell'ennesima polemica sullo Statuto Internazionale di Segretezza. L'uomo dai capelli rosso fiamma accanto a lei, invece, le rispose con aria rilassata, senza smettere di sorridere: «Hermione, ti prego! Oggi non siamo neanche in servizio. E poi lo sai che, quando ci ritroviamo, non possiamo fare a meno di metterci in mostra. Soprattutto, non un mese dopo aver vinto la Coppa del Mondo di Quiddich, cosa che non accadeva da non si sa quanti decenni. Rilassati e pensa solo che tra poco avremo di nuovo quei due disordinati cronici dei nostri figli a casa». La replica arrivò immediata ma la donna non fece in tempo a concluderla: la coppia di amici accanto a lei avvistò i primi carrelli e i primi gufi ed esclamò in coro: «Arrivano!»

*

Proprio in quel momento, dall'altra parte della barriera che divideva i binari nove e dieci, un ragazzo e una ragazza, circondati dai loro compagni di scuola, scendevano dall' Espresso di Hogwarts. Ciascuno si trascinava dietro un enorme baule e una gabbia dove si trovavano, loro malgrado, un gatto e una civetta soggetti a violenti scossoni. Avanzavano lentamente, salutando ogni tanto gli amici che scorgevano tra la folla e discutendo su quanti GUFO li aspettassero, una volta a casa. «... e Rose, tu di sicuro ne avrà più di me. Voglio dire: l'esaminatrice di Incantesimi è quasi svenuta dopo la tua prova “stupefacente”. A proposito hai visto Scorpius? L’ho salutato quando siete andati nella carrozza dei Prefetti ed è scomparso. Deve venire a stare da me per le prossime settimane…non penso che suo padre mi perdonerà se lo perdo ancor prima di averlo fatto entrare in casa». Rose ridacchiò, scuotendo la disordinata massa di capelli rossicci. Poi indicando qualcosa vicino la coda del treno disse divertita: «Guarda è lì. E sembra anche in buona compagnia…non so come faccia a farsi sempre incastrare da quei due nanerottoli». Nel frattempo Scorpius Malfoy cercava di districarsi tra la folla agitata, spingendo il carrello che conteneva tre bauli e tre gabbie per uccelli. Il suo barbagianni stridette, disturbato dalla grande confusione. «Abbi un po’ di pazienza, Galatea» sussurrò affettuoso il ragazzo. Lo seguivano due bambini che ciarlavano ininterrottamente. Dove cavolo si sono cacciati Albus e Rose? pensò scocciato, non vedendo da nessuna parte i suoi due migliori amici. Infine, dopo parecchi sguardi infruttuosi alla calca, decise sbuffando di mettersi da un lato in compagnia dei due piccolini, e aspettare che passassero. «Scorpius, quando vedremo mamma e papà?» chiese Ethan Nott, spostando il peso da un piede all’altro, in una buffa danza. Prima di rispondere con un sorriso, Scorpius si chiese se anche lui fosse stato così super eccitato a undici anni. «Non preoccuparti tra poco arriveranno. Potrebbero già essere qui…se vuoi possiamo andare a controllare oltre la barriera». Sicuramente ci sarà qualche Potter lì fuori. A quel punto intervenne Agatha, la sorella gemella di Ethan, con aria sognante: «Albus Potter non ti aveva detto di aspettarlo qui?». Il ragazzo più grande la guardò stupito: quella bambina aveva l’inquietante abilità di venire a conoscenza praticamente di tutto. «Come fai a saperlo?». Proprio in quel momento si accorse che una Rose piuttosto saltellante cercava di attirare la sua attenzione. Scorpius scosse la testa. Ho fatto bene a non mangiare nulla per colazione: è evidente che era tutto contaminato da Pozione Saltellante. Li raggiunse, con i due Nott alle calcagna. «Finalmente vi ho trovati. Beh, in realtà speravo vi avessero rapiti… » disse ghignando e mettendo la sua gabbia e il suo baule su un carrello che si era appena liberato. Lasciò l’altro a Ethan e iniziò a camminare. «Ehi Rose, mi devi tre falci: papà ha detto che non potrà venire alla tua festa di compleanno». La ragazza gli si affiancò contrariata, lasciando un imbarazzato Albus a vedersela con i due gemelli. «Cavolo! Beh, almeno non dovrò ricordare il mio sedicesimo compleanno per l’omicidio di massa commesso da mia madre perché tutti non smettevano di litigare» disse porgendogli la vincita mentre suo cugino, in mancanza di conversazione, si specchiava in un finestrino della grande locomotiva rossa ferma in stazione. Cercava, inutilmente, di dare un senso alla sua indomabile chioma nera . «Alcune cose non cambiano mai» asserì Scorpius. Poi, notando il tentativo di Albus di pettinarsi i capelli proseguì: «Sai che è una battaglia persa in anticipo, Al. Forse se ti esplodesse in testa uno dei fuochi d'artificio di tuo zio George...» e lo guardò come se dovesse prendere sul serio la proposta. «Dovrei provare, in effetti, visto che non funziona nient'altro...Ehi, guarda. Tocca a noi» disse quello e si affrettò a passare oltre la barriera che li divideva dal mondo non magico, seguito a ruota dagli altri quattro. I Nott, avvistati i propri genitori, si lanciarono di corsa verso di loro, rischiando di travolgere metà dei presenti. Appena uscito dall'altra parte, Scorpius invece intravide tra la folla la chioma lunga e bionda che, insieme alle sua proprietaria, lo ammaliava e tormentava da qualche mese. Quindi si bloccò tanto rapidamente che dietro di lui una ragazzina di Tassorosso del secondo anno dovette sterzare violentemente due volte con il suo carrello: una per evitare di investirlo, l'altra per non finire nel binario dieci. Nel frattempo Albus e Rose avevano fatto qualche metro prima di accorgersi di essere soli. Poi anche loro avvistarono la figura alta e slanciata della loro cugina Dominique. Si guardarono e si ripromisero che avrebbero parlato a breve con Scorpius. Dovevano assolutamente fare qualcosa. Quindi si voltarono con aria rassegnata verso il loro migliore amico e lo raggiunsero. «Andiamo Scorp. Raggiungiamo gli altri, ci staranno aspettando».

*

Nel frattempo, quello che solo pochi minuti prima era un agglomerato di quattro persone era divenuta una folla di più di venti, il cui buon settanta per cento composto da persone dai capelli rosso fuoco. Uno dei due uomini che faceva parte del quartetto iniziale, una volta tanto non un dei proprietari dei suddetti capelli, esclamò sollevato: «Ginny, ecco Rose, Albus e Scorpius! Ma dove si è cacciato James? Manca solo lui e poi finalmente potremmo andare a cena». Al posto della moglie, gli rispose la figlia: «In realtà, papà, possiamo andare via anche subito. Non l'hai sentito mentre diceva che ci avrebbe raggiunto stasera, sul tardi, con Fred?». A quel punto l'uomo, seriamente preoccupato per la salute del suo primogenito, sussurrò: «La mamma non lo sa ancora, vero Lily?». Ginny, che in quel momento stava salutando gli ultimi arrivati, domandò: «Che cos'è che non so ancora?». Intanto Harry abbracciò i tre. Ginny ripetè, questa volta sospettosa: «Tesoro, che cos'è che non so? E dov'è James?». Ma fu interrotta nuovamente. «Buon pomeriggio» disse una voce un po' altezzosa. Sentendola la maggior parte della famiglia Weasley si irrigidì. Poi, dopo un attimo di impaccio generale, Scorpius si pronunciò in un “Papà” piuttosto disinvolto, e gli andò incontro. Draco Malfoy strinse velocemente tra le braccia il figlio: «Ciao Scorpius. Come stai? Come è andato il viaggio?». Il resto della compagnia, dopo aver salutato imbarazzata il nuovo arrivato, si discostò per lasciare loro un po' di privacy. Rimasti soli, Scorpius si rivolse impaziente a suo padre: «Dov'è mamma? Nella sua lettera diceva che sarebbe venuta anche lei a salutarmi». Il volto di Draco si indurì. «Mi ha detto di porgerti le sue scuse, ma si è dimenticata di dirti che stasera è già impegnata con il suo caro maritino». Pronunciò con evidente disgusto l'ultima parola così concentrato su se stesso da non accorgersi della smorfia delusa che comparve sul volto di suo figlio. Sua madre aveva detto così la volta precedente. E la prima ancora. «Vorrà dire che la vedrò al mio ritorno da casa di Albus» concluse il ragazzo, sforzandosi di imprimere naturalezza alla propria voce. Dopo qualche minuto Draco si congedò e tutti iniziarono ad avviarsi verso le macchine, facendo voltare nella loro direzione la stazione intera, grazie all'enorme baccano dei carrelli, dei gufi e delle chiacchiere allegre. Qualche passo più indietro rispetto gli altri, Albus si avvicinò a uno Scorpius piuttosto cupo. «Tutto a posto con tuo padre?». «A meraviglia» disse quello senza guardarlo. Poi sospirò e scosse la testa come per scacciare un pensiero fastidioso. Notando che Albus continuava a fissarlo, cercò di scherzare. «Naturalmente mi ha fatto promettere di non accettare da voi alcun tipo di cibo e di non dormire sui vostri letti, altrimenti sarò diseredato». L'amico, nonostante non fosse convinto che non andasse tutto bene, stette al gioco. Scorpius gliene avrebbe parlato quando avesse voluto. «Potresti dormire nella cuccia di Cleo. Magari, se la spazzoli, non se la prenderà se le ruberai qualche croccantino» rispose ridacchiando e indicando la sua gatta. Arrivati alle macchine, le due figlie di Bill iniziarono a salutare tutti gli altri. Scorpius, incuriosito, si avvicinò a Rose e bisbigliò: «Perché ci salutano? Stasera non ceniamo tutti insieme da tua nonna?». «Victoire vuole presentare ai nonni Delacour il nostro Teddy, prima del matrimonio, e così partono per qualche giorno. Dominique ha deciso di accompagnarli, visto che sarà la damigella d'onore» gli rispose la ragazza. Quando le due se ne furono andate tutti iniziarono a salire rumorosamente nelle macchine. Ma ancora qualcuno mancava all’appello e tutti ne presero atto non appena un ruggito femminile sovrastò la cacofonia di suoni che era risuonata fino a quel momento: «JAMES SIRIUS POTTER!». Albus sorrise e in quel momento sentì di essere tornato a casa.

 

 

 

N.d.A.

Salve a tutte e a tutti,
come penso abbiate notato, questa fanfiction è solo di Sbadiglio, anche se Trillo è stata la prima (primissima) a leggere e commentare. Beh, io ce l'ho messa tutta a metter su qualcosa di decente...gradirei molto commenti e critiche! Grazie mille in anticipo anche per chi si fermerà solo a leggere.

A presto,

Sbadiglio


 

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Capitolo 2
*** Well baby, baby, why don't ya want a man like me? ***


Capitolo 2

Well baby, baby, why don't ya want a man like me?

 

Well baby, baby, why don't ya want a man like me?
Whoah baby, baby, I'm just as sweet as anybody could be.
Whoah baby, baby, I wanna look into your eyes of blue,
Whoah baby, baby, it's more than anybody else could do

Led Zeppelin Candy Store Rock 

 

A qualche decina di miglia dalla Tana, dove i Weasley, i Potter e tutti i loro amici festeggiavano la fine della scuola, in un piccolo pub nella periferia di Londra la serata sembrava andare meglio delle altre per Clara. La band era decente e le recenti modifiche poste al locale avevano davvero facilitato il servizio ai tavoli. I clienti erano stati tutti cortesi e avevano lasciato mance generose. La sua figura aggraziata aveva attirato diversi sguardi nella sala, e più di una volta aveva notato qualcuno a fissarla con aria poco intelligente, quasi non avesse mai visto una ragazza bella come lei. Cosa che probabilmente è vera pensò senza cattiveria. Infatti, anche se probabilmente non era la ragazza più bella dell'universo, Clara era di sicuro ai primi posti della classifica di Londra: carnagione scura, fisico armonioso e lineamenti regolari le conferivano già di per sé un aspetto meraviglioso. I capelli mogano, lisci e setosi, e gli occhi grandi e blu scuro completavano l'opera, concedendole un fascino ed una simpatia non comuni. Ad un giudizio superficiale il suo comportamento un po' altezzoso e vanitoso poteva essere solo il risultato di una vita passata a ricevere ammirazione e complimenti. Un esame più attento, però, rivelava che dietro quella maschera abilmente costruita si nascondevano sofferenza e delusione. Tali sentimenti non potevano di certo appartenere alla ragazza che sembrava voler dimostrare di essere. E anche se forse, in passato, era stata davvero viziata e coccolata, quei tempi dovevano essere ormai lontani. Volteggiando tra i tavoli, Clara si distrasse un momento e quasi si scontrò con un'altra cameriera. «Sta attenta, o rovesceremo tutto» borbottò quella, fissandola un attimo, per poi ripartire veloce alla volta della cucina. Strana ragazza rifletté riprendendo a camminare. Lavoravano insieme da più di cinque mesi, e non le aveva concesso un briciolo di confidenza, per nulla impressionata dai suoi modi accattivanti. Nonostante poi Alexandra avesse dichiarato di essere maggiorenne, non dimostrava più di sedici anni e non era stata certo la sua bravura a farla assumere. La promessa di lavorare sei giorni su sette, dalle sei del pomeriggio all'una e mezza di notte doveva esser stato giudicato un curriculum più che sufficiente. Sicuramente non dorme molto rifletté ancora, notando le pesanti occhiaie sul volto pallido della ragazza che sfrecciava su e giù per il locale, carica di piatti. C'era qualcosa che la incuriosiva in lei e spesso si era chiesta cosa fosse. Forse è la determinazione che le si legge negli occhi. Insomma non è certo brutta, ma è talmente magra! E di certo non posso trovarla simpatica visto che avremo scambiato sì e no una decina di frasi da quando è qui. La sua attenzione fu presto catturata dai clienti del pub, e Alexandra scivolò via dai suoi pensieri. Verso mezzanotte filava ancora tutto liscio e, nei giorni successivi, Clara si diede della stupida per aver pensato che la serata potesse concludersi bene come era trascorsa. Un uomo molto alto, sulla trentina, entrò nel locale e si sedette ad uno dei tavoli di sua competenza, vicini all'entrata. Iniziò a sfogliare un menù. Probabilmente, se non fosse stato venerdì e non fosse stata così stanca, Clara avrebbe riconosciuto subito la sua brutta faccia, ma era troppo impegnata a pensare quanto sarebbe stato comodo il proprio letto quella sera per accorgersene. Si mosse tra i tavoli, canticchiando il famoso motivo che la voce del cantante intonava in quel momento, e arrivo a quello dell'uomo. «Buonasera, posso portarle qualcosa da bere? O ha già deciso cosa ordinare?» chiese con il solito sorriso cortese. Quello non rispose, e la canzone finì. Gli spettatori rivolsero tutti l'attenzione al palco e iniziarono ad applaudire. D'improvviso l'uomo l'afferrò saldamente per la vita e iniziò a trascinarla verso l'uscita. «Ti ho riconosciuta subito, sai? Hai gli occhi tali e quali a quelli del tuo caro genitore» le disse con un sorriso cattivo mentre lei cercava senza successo di liberarsi e di chiedere aiuto. «Non preoccuparti, non ti sentirà nessuno, e quando si accorgeranno della tua scomparsa saremo già lontani». Rise senza allegria, guardandola, mentre il panico si impossessava di lei nel momento in cui l'aveva finalmente riconosciuto. «Se tuo padre non può saldare i suoi debiti direi che puoi farlo comodamente tu, non sei d'accordo? E io ho anche un paio di idee sulle modalità di pagamento» continuò lanciandole un'occhiata vorace. Clara si concentrò per non scoppiare a piangere, al pensiero di ciò che stava per succederle, e rifletté velocemente sulle proprie possibilità di fuga. Ma una voce interruppe il loro cammino e qualcuno si materializzò davanti la porta d'ingresso, esclamando deciso: «Lasciala stare!». Il gigante si bloccò, stupito che qualcuno di così insignificante osasse parlargli in quel modo. Allentò la presa su Clara quel tanto che bastava per renderle possibile fuggire e nascondersi dietro il suo salvatore. O meglio, la sua salvatrice. L'uomo si riprese in fretta e disse minaccioso: «Fammi passare ragazzina o stasera finisce male per te. E tu tesoruccio, torna qui. Non abbiamo ancora finito la nostra interessante conversazione». «Ti sbagli» rispose Alexandra squadrandolo con disgusto . «Sei tu che finisci male se non te ne vai. A meno che non voglia spiegare agli agenti di polizia perché stavi portando via da qui, contro la sua volontà, questa ragazza». «E se osi portare qui un'altra volta il tuo brutto muso, giuro che ti caccerò personalmente a calci nel sedere» disse un uomo corpulento, arrivato sulla scena in quel momento. Dopo quest'ultima battuta l'uomo, forse per l'attenzione che tutto il pub gli stava riservando, forse per lo sguardo che gli stava rivolgendo il massiccio proprietario o per le sirene in rapido avvicinamento, sputò a terra e, dopo aver rivolto loro un' occhiata vendicativa, prese velocemente la porta e uscì. Alexandra si voltò subito verso Clara, che era bianca come un cencio, e la spinse rapida dietro il bancone dove servivano da bere. La fece sedere, le diede una bibita zuccherata e iniziò a parlarle lentamente mentre lei, con lo sguardo perso nel vuoto, iniziava a bere. «Clara se n'è andato, hai capito? Ci sono qui io. John sta alla porta e controlla che quel tipo non torni. Clara, mi ascolti? Clara! » e accompagnò queste ultime parole con dei colpetti sulla sua spalla. La ragazza sembrò realizzare all'improvviso cosa fosse appena successo ed ebbe solo la forza di posare il bicchiere, prima di scoppiare a piangere. Alexandra, a quel punto, la prese per mano e la condusse nello stanzino del retro del locale, dove a terra c'era il divanetto dove John si rifugiava nelle giornate più gelide. La fece stendere, sussurrandole qualche parola di conforto e asciugandole le lacrime che le scendevano sul viso. Le rimase accanto fino a quando non smise di piangere. Ancora scossa, si guardava intorno come un animale in trappola. «È andato via veramente?» chiese tremante. L'altra annuì, tranquillizzandola. «Mio padre ha un sacco di debiti con quell'uomo» le disse, come a giustificarsi. «Non devi spiegarmi nulla se non vuoi» la rassicurò Alexandra coprendola con una tovaglia che era lì vicino, a mo' di coperta. Clara sembrò non averla quasi sentita: «È per questo che lavoro qui. Per aiutarlo». La sua espressione sembrava quella di una bambina che spiega alla maestra perché non ha potuto studiare il giorno prima dell'interrogazione. Continuò a borbottare e farfugliare, finché la stanchezza non ebbe la meglio e la fece addormentare. Alexandra ritornò in sala, dove i pochi clienti rimasti stavano ancora parlottando dell'accaduto. Vide John muoversi tra i tavoli e lo raggiunse. «Va’ pure ora, ci penso io» gli disse togliendogli i piatti sporchi dalle mani. Lui, passandoglieli, le chiese preoccupato: «Come sta?». «Si è addormentata adesso. Tra un' ora chiudiamo, così posso accompagnarla a casa. Credo abiti a una decina di fermate d'autobus da qui e non vorrei le facesse da sola» replicò stancamente. Il silenzio si dilatò per qualche secondo tra di loro, prima che John le rivolgesse ancora la parola: «Sei stata coraggiosa. Sono poche persone che l'avrebbero fatto, considerando la notevole differenza di stazza ». Lei si volto, arrossendo leggermente: «Se non fossi arrivato, non so cosa sarebbe successo». «Già l'abbiamo scampata grossa. Ma tu probabilmente l'avresti steso con un pugno. Avevi una tale fermezza negli occhi» dichiarò con un sorriso, alleggerendo la tensione che ancora serpeggiava nell'aria e dirigendosi verso il bancone. Già pensò la ragazza. L'abbiamo scampata proprio grossa.

 

 

 

N.d.A.

Salve a tutti e a tutte,

innanzitutto vorrei ringraziare Flaqui che ha aggiunto “Dietro lo specchio” tra le preferite, Romione_love, _Elly e Sandyblack94 che l’hanno messa nelle seguite e i quaranta che hanno letto…siete mitiche e mitici! Spero vi piaccia anche il secondo capitolo. Qui sotto c’è la traduzione della strofa iniziale:

Bene baby, non vuoi un uomo come me?
Whoah baby, baby, sono in forma come gli altri.
Whoah baby, voglio guardare dentro i tuoi occhi blu
Whoah baby, molto più di quello che gli altri sanno fare.

 

Grazie mille ancora a tutti,

Sbadiglio

 

P.S. Per il prossimo capitolo credo dovrete aspettare un po' di più rispetto a questo...scusate!

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Capitolo 3
*** Davanti c'è una lunga fila di ricordi ***


Capitolo 3

Davanti c'è una lunga fila di ricordi

 

Davanti c'è una lunga fila di ricordi
materiali riciclati da non scoperchiare
ti fanno scendere i rimpianti prima dei rimorsi
e li ritrovi perché li hai nascosti male

Samuele Bersani Maciste

 

La domenica mattina era sacra per Rose Weasley quasi quanto lo erano le salsicce per suo padre. Chi la conosceva bene sapeva che tentare di svegliarla prima delle undici comportava dei seri pericoli per la propria incolumità, paragonabili a quelli di chiudersi in una stanza con una Manticora. Albus Potter sembrava proprio un aspirante suicida visto che, proprio la prima domenica delle vacanze, entrò nella sua stanza alle otto, spalancando le finestre. È ufficiale: non giocherò mai più a scacchi con Scorpius Malfoy. Soprattutto con la penitenza per chi perde. Prese fiato e si pronunciò a voce decisamente troppo alta: «Sveglia Rosie! Il sole è alto e ho promesso a Scorp di portarlo nella nuova filiale dei negozi di zio George. Credo proprio che dovrai accompagnarci, visto che per ora ci sei andata solo tu». Con cipiglio tra il baldanzoso e il terrorizzato si diresse verso il suo letto per scuoterla. Qualche piano più sotto Scorpius stava facendo colazione con un Harry piuttosto assonnato, quando improvvisamente si sentirono delle grida, da cui si distinsero solo le parole “decerebrato” e “otto di mattina”. Poi  il fracasso di una porta chiusa violentemente. «Albus deve essere appena stato da Rose» disse Harry divertito, scuotendo la testa. «Già» commentò Scorpius ghignando. Adorava vincere le scommesse con Albus.

*

Quando scesero in strada, dopo che Harry li ebbe lasciati al centro di Londra Scorpius stava ancora ridendo, seguito da un Albus piuttosto scocciato. «Dimmelo un'altra volta, ti prego» gli chiese con le lacrime agli occhi. «Non è affatto divertente Scorp. Ed è già abbastanza umiliante senza che ti ci metta anche tu» rispose l'altro con voce seccata, ma con gli angoli della bocca impercettibilmente sollevati. «Certo che è divertente, non dire scemenze. Dovevi vedere la tua faccia, quando ti sei accorto di essere vestito da coniglio pasquale. Non capisco perché Rose si ostini a dire di voler fare la giornalista, dopo Hogwarts. Dovrebbe pensare ad una carriera da Auror. Ha davvero dei buoni riflessi se ti ha lanciato addosso quella polvere magica appena alle "otto del mattino"» Albus lo interruppe, come se non lo avesse sentito: «Alla fine Rose mi ha spiegato come raggiungere il negozio con quei mezzi babbani, com'è che si chiamano? Aubotus?». «Autobus, Al. Autobus» lo corresse l'amico, alzando gli occhi al cielo. Continuarono a camminare fino alla fermata e aspettarono una ventina di minuti prima che passasse il mezzo giusto. Appena saliti si misero a scommettere – questa volta senza penitenza - su quali nuovi scherzi avesse ideato lo zio di Albus. «Ho sentito tuo fratello dire qualcosa, ieri sera, riguardo un liquido che, spruzzato, ti fa crescere la barba e le unghie in maniera spropositata. In effetti vorrei sperimentarlo su due o tre persone» borbottò Scorpius pensieroso. «Sei proprio Serpeverde, lo sai?» commentò l'altro ghignando. «Me lo dicono tutti» rispose pavoneggiandosi. «Io invece comprerei volentieri qualcosa per leggere nel pensiero, così non dovrei più studiare quella rottura di scatole che è Artimazia» dichiarò Albus sospirando. «Ma come? Un Corvonero come te? Se ti sentisse tua zia Hermione...» disse Scorpius maligno. Esaurito il tema scherzi, trascorsero qualche minuto ognuno perso nei propri pensieri. Quelli di Scorpius si diressero immediatamente a Dominique.

*

Scorpius attende impaziente, di fronte all’aquila di bronzo che custodisce la sala comune dei Corvonero. Ripercorre ancora e ancora i propri passi, avanti e indietro, avanti e indietro. Riflette sul fatto che probabilmente tra poco ci sarà un fosso dove sta camminando. D’un tratto dalla parete appare una porta e una ragazza ne esce fuori. Scorpius si blocca e sorride, arrossendo. Anche le gote di lei si tingono di rosso, mentre si avvicina al ragazzo e sfiora le sue labbra con le proprie. «Ciao, Dom».

*

L’autobus si fermò di botto con uno scossone e uno sbuffo di fumo. Il conducente, dopo aver dato un'occhiata alla parte laterale del mezzo, comunicò a tutti che avrebbero dovuto aspettare il mezzo successivo o prendere una corsa sostitutiva che sarebbe passata dopo una mezz’ora ad una fermata più avanti. «Se Rose fosse venuta non so cosa ci avrebbe fatto a questo punto» disse Scorpius tetro, mentre si incamminavano verso la nuova fermata. Pensare a Dominique lo metteva sempre di pessimo umore. «Probabilmente ci avrebbe trasformati in qualcosa di decisamente imbarazzante. Come due ippopotami in tutù, ad esempio» rispose l'altro allegro, cercando di tirargli su il morale. Poi continuò: «Non conosco una Weasley più calma di lei, a meno che tu non la disturbi la domenica mattina, ovviamente. La fermata dovrebbe essere questa non credi? Il conducente aveva detto che era di fronte ad un vecchio orfanotrofio». Proprio davanti quel palazzo, una ragazza molto magra dava loro le spalle. Stava discutendo animatamente con un donnone che proteggeva la porta che si trovava in cima a qualche gradino, come un grosso cane da guardia. Come se la ragazza potesse essere una minaccia pensò Scorpius. Che idea ridicola! Intanto le voci della due arrivavano distintamente ai due amici, vista la strettezza della strada. «Mi avevi detto che, se avessi avuto i soldi necessari, avrei potuto prenderla con me, Milly. Sono cinque mesi che mi spacco la schiena, e ora mi dici che non ho i giusti requisiti?» ringhiò la ragazza. A questo punto Scorpius pensò che la donna non avesse tutti i torti riguardo la porta. «Ragiona, Alexandra» le rispose l’altra spazientita. «Dove starebbe quando tu sei al lavoro? Mi hai detto che lavori in tre posti diversi, praticamente dalle sei di mattina alle due di notte, quasi ininterrottamente. E non puoi portartela dietro. Come pretendi di prenderti cura di una bambina, se non ci sei mai!». Poi riprendendo fiato continuò, questa volta più dolcemente: «In questo momento sta molto meglio in orfanatrofio. Che esempio puoi darle? Da quando sei uscita da qui sarai dimagrita di non so quanti chili e hai due occhiaie da far paura. Sarò felice di affidartela quando sarai in grado». «Sono la sola famiglia che le rimane» disse Alexandra, questa volta sottovoce, come se parlasse a se stessa. Poi proseguì più veementemente: «Dici che lavoro troppo. Vorrà dire che mi troverò altri lavori. Sappi che farò qualunque cosa per prenderla con me». Una voce interruppe la conversazione: «Alex, Alex! ». Una bambina, che non dimostrava più di undici anni, sgusciò attraverso lo spiraglio della porta e si lanciò sulla ragazza, facendola barcollare leggermente fino a farla girare e renderla visibile all’altro lato della strada. Le due rimasero abbracciate a lungo, la testa riccioluta della più piccola incastrata sotto il mento della maggiore. Poi Alexandra, scostandola solo un poco per guardarla in viso, le chiese: «Come stai Beck?». Lei, per tutta risposta, iniziò a raccontarle la sua settimana, impetuosa come un fiume in piena, con i capelli biondissimi che si agitavano a ogni suo movimento e i grossi occhiali che le ballavano sul naso minuto. Alla fine, con tono più serio, chiese preoccupata: «E tu come stai?». «Va tutto bene rondinella. Non è ancora nato qualcuno in grado di abbattermi» rispose l'altra e iniziò a farla ridere solleticandole il ventre. Poi, inginocchiandosi per guardarla negli occhi, le disse seria: «Te lo prometto Beck. Ti tirerò fuori di qui, d'accordo? E andremo a vivere insieme, come un tempo. Dammi solo il tempo di trovare un lavoro decente. Sei mia sorella e dopo sarà facile diventare la tua tutrice». Dopodiché la strinse a sé e le baciò la testa. «Ci vediamo la settimana prossima, d'accordo?» disse, e la lasciò andare dentro, subito seguita da Milly, che le rivolse un saluto frettoloso prima di scomparire. Alexandra si voltò e si sedette sul gradino più basso della scalinata, rimanendo con la testa tra le mani per qualche minuto. Come se l'intero peso del mondo gravasse sulle sue spalle si disse Scorpius.

*

«Arriverà il momento in cui dovrai essere tu a prenderti cura di Rebecca, ne sei cosciente? Ridurrò il tempo della vostra permanenza in orfanotrofio. Hai dodici anni, ma farò in modo che per il mondo ne abbia due in più. Tra quattro anni uscirai di lì, troverai un lavoro, adotterai tua sorella. Devi farlo. Sarai tutto ciò che avrà». La voce aspra di suo nonno le sembra lontana, come in un sogno. Ma nei sogni le nonne non muoiono, giusto? E questa non è che la crudele realtà. «Ne abbiamo già parlato. Sarò all'altezza della situazione».

*

Quando la ragazza si riscosse e si alzò, notò dall'altra parte della strada, Albus e Scorpius che la fissavano. Li fulminò con lo sguardo e si incamminò a piedi verso il centro della città. I due amici si voltarono l'uno verso l'altro, rimanendo, una volta tanto, senza parole.

*

Il giorno successivo Alexandra si recò al mercato, e, un po' dispiaciuta, si licenziò. Lì aveva conosciuto delle persone veramente gentili, ma doveva dire che era sollevata al pensiero di poter dormire di più la notte. Dopo che l'avevano fatta uscire dall'orfanotrofio, quello era stato il primo vero lavoro che aveva trovato, ma gli orari erano davvero pesanti, se sommati a quelli del resto della giornata. Non avrei potuto continuare a lungo comunque. Quindi si recò alla pasticceria, in grande anticipo. Voleva chiedere al suo capo se avesse potuto cambiare il suo orario, in modo tale da guadagnare del tempo per stare con Rebecca, quando fosse riuscita ad adottarla. Ripensando alla sorella, le vennero in mente i due ragazzi che il giorno prima avevano assistito a quella specie di teatrino davanti l'orfanotrofio. Certo non potevano spostarsi dalla fermata. Ma almeno potevano fingere di farsi gli affari propri pensò scocciata. A guardarli sembravano i classici bravi ragazzi: uno moro, l'altro biondo, più o meno della stessa altezza, entrambi vestiti ordinatamente. Un viso, all'apparenza, di quelli che si dimenticano facilmente. Non sembrava fossero di quella zona, visto come osservavano i dintorni con aria spaesata. Meglio così rifletté. Non vorrei mi guardassero ancora con quell'aria a metà tra la compassione e la curiosità.

*

La prima settimana a casa Potter passò decisamente troppo veloce. Tutti i giorni, mentre Harry e Ginny erano al lavoro, Scorpius, Rose e i tre Potter partivano alla volta della Tana, dove si ritrovavano con gli altri ragazzi Weasley. Insieme avevano organizzato un torneo di Quiddich a cui partecipavano quasi tutti e ogni giorno si disputava una partita. I perdenti avrebbero apparecchiato e lavato i piatti a pranzo insieme a chi, tra gli altri, avesse puntato su di loro. Il venerdì dopo pranzo, l'ingrato compito toccò a Scorpius e Rose (e alla loro squadra), controllati dall'occhio vigile della signora Weasley. «Albus ci prenderà in giro per il resto dell'estate» borbottò Rose asciugando svogliatamente un mestolo, con lo sguardo desideroso rivolto al giardino. La luce avvolgeva ogni cosa e una lieve brezza estiva spazzava l'afa e l'eccessivo calore dall'aria; gli uccellini svolazzavano beati tra i rami degli alberi, intonando gioiose melodie. La piccola pozza d'acqua ad appena duecento metri dalla casa rifletteva i brillanti scintillii dei raggi solari. Perfino gli schizzi e gli schiamazzi di chi si stava divertendo nel laghetto contribuivano a rendere la scena un vero spettacolo. «Una cosa è certa: non potevamo scegliere mattinata peggiore per perdere una partita. Oggi il tempo è decisamente meraviglioso» le rispose Scorpius con un sorriso sereno, passandole un altro utensile da asciugare. Giornate come quelle lo mettevano sempre di ottimo umore. L'odore dell'erba appena tagliata, del vento che soffiava sereno portandosi via anche le più piccole tra le nuvole gli faceva tornare in mente quel mondo felice e ovattato che ricordava come la sua infanzia. Il bambino che rammendava di essere stato era allegro e completamente svincolato da qualsiasi pensiero negativo. Ecco perché lo Scorpius sedicenne sopportava così pazientemente la presenza dei più piccoli: gli ricordavano continuamente che una volta anche lui era stato così innocente, così...libero. Guardare negli occhi un bambino ti ricorda quali sono le cose davvero importanti, quelle di cui non ti accorgi finché non ti scivolano via dalle mani. Non c'era dolore o rimpianto in tutti quei suoi pensieri. Solo la profonda e affettuosa malinconia che si prova di fronte a qualcosa di irrimediabilmente perduto, che lascia davanti a sé una lunga fila di dolci ricordi. Avevano quasi finito di sistemare la cucina, quando un euforico - e ormai più che canuto - signor Weasley entrò nella stanza. «Victoire e gli altri tornano domani...e con loro ci saranno anche i signori Delacour! L'ho già detto anche agli altri, e ne sono contentissimi» affermò felice, sventolando loro una lettera sotto il naso. «Oh, ma è terribile...voglio dire è fantastico!» esclamò la signora Weasley. Il marito la fissò stranito, mentre lei si spiegava piuttosto imbarazzata. «Caro, non fraintendermi, sono felice che ci vengano a far visita, ma...ci hanno avvertito con un solo pomeriggio di anticipo. Devo ancora sistemare tutte le camere e il pranzo e la cena e...». I ragazzi non seppero mai cos'altro dovesse preparare la signora Weasley, dal momento che suo marito la zittì con un bacio. «Che stiamo aspettando, dunque! Muoviamoci!». Così dicendo si avviò con passo marziale verso la porta della cucina, trascinandosi dietro, a braccetto, una Molly Weasley rossa come un peperone. Risatine divertite percorsero tutti i ragazzi che, sistemate le ultime cose, si dirigevano verso il giardino per godersi un meritato riposo. Luis era euforico e se ne stava con Lucy a dichiarare la sua contentezza a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo. O almeno ad annuire in silenzio. «Lo sai, Scorpius, che Victoire è la prima di noi a sposarsi? Ed è mia sorella! Ha detto che io dovrò portare le fedi, che è un compito importantissimo» disse al ragazzo mentre scendevano i gradini della casa, attenti a non inciampare sulle eventuali galline. Continuò a investire lui e Rose con un flusso continuo di parole senza preoccuparsi, per altro, se stessero ad ascoltarlo. «Già è tutto molto, molto bello Luis, ma adesso io e Scorp dobbiamo proprio andare» intervenne Rose dopo un quarto d’ora, salvando sé e l'amico, e trascinando via Scorpius per un braccio verso la parte più nascosta del giardino. Alla base del loro albero preferito, un alto tasso, era già seduto Albus, alle prese con un enorme libro polveroso. «Ricordami di costruirti una statua, un giorno di questi» la ringraziò l'amico, ancora leggermente rintronato «Avrei potuto resistere poco tempo prima di perdere il senno, ascoltando tutti i dettagli delle future nozze di Victoire e Teddy. Ti dico solo che mi sembra di esserci già andato, a questo matrimonio». «Ti dico solo che questo è un argomento interessante rispetto ai suoi soliti monologhi. Credo che soltanto Lucy ne abbia mai ascoltato uno intero» replicò Rose, mentre scostava uno gnomo per sedersi vicino ad Albus. Poi continuò: «A proposito sei consapevole che torna anche Dominique, vero?». «Non vedo perché la cosa dovrebbe interessarmi» si pronunciò secco Scorpius, guardando fisso davanti a sé. Sapevo che questo discorso sarebbe arrivato. «Sei un bugiardo, e lo sai benissimo. Forse saresti più credibile, se ogni volta che la guardassi non ti mettessi a fissarla come un pesce lesso. Lei ti piace ancora, nonostante vi siate lasciati da un mese e tu ripeta in continuazione di stare bene» gli rispose tranquillo l’altro ragazzo, mettendo da parte il libro. A quel punto, Scorpius scoppiò. «È vero, mi piace ancora! Contenti? In ogni caso, che volete che faccia? Dirglielo non servirà a farla tornare da me. Ho sentito da uno dei vostri cugini che si vede con Thomas di Tassorosso». Si passò contrariato una mano tra i capelli biondi. «E poi non ho affatto la faccia da pesce lesso!». «Certo che non siamo contenti, ma è da un bel po’ che sei giù di morale e non dici nulla. Sai che se hai bisogno di qualcosa noi siamo qui, vero? Non potremmo mai rischiare di perdere un rompiscatole come te» esclamò Albus, mentre Rose annuiva e affibbiava ad entrambi un buffetto affettuoso. Per qualche minuto gli unici rumori che si sentirono furono le risatine degli gnomi nascosti lì intorno. Poi la ragazza esclamò, come illuminata: «Ho un'idea per distrarti. Stasera James suona con la sua band in un locale babbano vicino casa Potter. Che ne dici? Andiamo? C'è un tavolo prenotato a nome loro per tutti noi. E poi è da tanto che voglio ascoltarlo». Albus si inserì, dicendo furbescamente: «Voglio proprio vedere se sono migliorati quanto dice mio fratello. Mi ricordo ancora le prime prove nel nostro garage...una volta per il fracasso si sono rotti la metà dei bicchieri della cucina». Scorpius rifletté pensieroso qualche secondo, pensando che almeno per un paio d'ore, non avrebbe pensato ai suoi problemi sentimentali. Perciò disse, leggermente sollevato: «Se non provocherà dei danni permanenti al mio apparato uditivo...». Dopodiché la conversazione si alleggerì, e la bella serata che si profilava loro davanti mantenne alto l'umore per il resto del pomeriggio.

 

 

N.d.A.

Ciao a tutti e a tutte,

un ringraziamento super speciale ad _Elly che ha recensito (la mia prima recensione!!), a Jiuls935 e a C h i a che hanno aggiunto la storia tra le seguite e a tutti quelli che hanno letto. Ecco a voi il terzo capitolo…che ve ne pare? Fatemi sapere!

A presto,

Sbadiglio


 


 


 

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Capitolo 4
*** La solitudine no che non è un affare ***


Capitolo 4

La solitudine no che non è un affare


La solitudine no che non è un affare,
ti fa credere di risparmiare
e invece non è che uno sperpero
di stagioni inutili
e di anni andati via
davanti a un calendario
e la colpa è soltanto mia

Samuele Bersani Come due somari

 

Da qualche giorno il proprietario del locale dove lavorava Alexandra aveva assunto a ore un un uomo di guardia alla porta. John aveva assicurato a tutti che il motivo non fosse la tentata aggressione a Clara, ma una precauzione contro i ladri. Peccato che l' Alan a dale’s pub non abbia mai subito una rapina. Il signor Seabury è davvero una bella persona: fa tutto questo per far sentire Clara più serena. Fortuna che è un caro amico della sua famiglia pensò Alexandra, lanciando una rapida occhiata al buttafuori. Maturava sempre più la convinzione che fosse stato creato in laboratorio, tanto era grosso. In più non l'aveva mai sentito pronunciare più delle due famose parole che ripeteva quando qualcuno non gli andava a genio: «Tu no». Non aveva bisogno d'altro per convincere il tipo in questione a girare a largo. Chiunque non avrebbe bisogno d'altro, se fosse così massiccio. Basta che ti sfiori e come minimo entri in coma osservò, notando i grossi bicipiti che spuntavano dalla maglietta. Prese le ordinazioni ad un tavolo e si diresse nella cucina, contemplando pigramente il pub. Nel complesso era più che accettabile. Era formato da un'unica, ampia sala circolare, e il legno era il materiale dominante: il pavimento rossiccio era composto dal legno scuro del parquet e dei pannelli più chiari dividevano orizzontalmente in due le pareti. L'illuminazione era calda ed avvolgente, le sedie comode e il cibo discreto. Era abbastanza conosciuto nella zona per la possibilità di esibizione per le band amatoriali. Forse proprio il fatto che qualunque gruppetto di adolescenti scalmanati potesse salire sul piccolo palco aveva contribuito alla scarsa partecipazione alle serate da parte degli abitanti del quartiere. Una voce d'un tratto attirò la sua attenzione: «Alex, vieni qui! Ti voglio presentare dei miei amici». La ragazza sbuffò e si avviò con aria depressa verso la fonte del suono. Dalla sera dell'incidente, i rapporti con Clara stavano migliorando. Devo ammettere che non è l'ochetta che pensavo. La ragazza cercava di diventare sua amica e di ricompensarla in qualche modo per esser stata difesa. Con suo grande disappunto, però, questo comportava frequenti presentazioni a chiunque Clara conoscesse, la maggior parte dei quali erano tra quelli che lei definiva “i principali motivi per cui sono single”. Clara deve assolutamente mettere in discussione i criteri con cui si sceglie le amicizie. In particolare, quelle maschili rifletté mentre giungeva al tavolo da cui la stava chiamando. La prima cosa che notò, fu che mai aveva visto tante persone con i capelli rossi messe insieme. E dovevano appartenere ad un'unica famiglia, visti i tratti che ricorrevano quasi in tutti. La ragazza la presentò al tavolo, dove iniziò un giro di nomi che Alexandra pensò non avrebbe memorizzato nemmeno in un mese. Due visi però non le risultarono affatto estranei. Sono i tipi della fermata dell'autobus considerò meravigliata. Anche loro dovevano averla riconosciuta, perché le lanciarono uno sguardo imbarazzato prima di mettersi a osservare con interesse la tovaglia. Clara, accorgendosi di quello scambio, le chiese stupita: «Conosci già Albus e Scorpius?». «Ci siamo solo visti alla fermata dell'autobus qualche giorno fa» disse lei disinvolta. Poi si rivolse agli altri: «Mi dovete scusare, ma devo andare a prendere le ordinazioni agli altri tavoli. Oggi ci sono davvero moltissimi clienti. È stato un piacere conoscervi». Schizzò verso la cucina, seguita poco dopo da Clara. «Era lei vero?» sussurrò Rose ai due amici che, nel pomeriggio, le avevano raccontato di Alexandra. «La ragazza dell'orfanotrofio, intendo». Seguendo la sua esile figura con gli occhi Scorpius rispose: «Già, non hai sentito cos'ha detto all'amica di James? Credi che dovremmo scusarci?». A questo punto furono interrotti dalla voce di Fred, che presentava la band e la prima canzone, stringendo in mano quello che Albus continuava a chiamare “citofono”. Come disse Lily a fine serata, erano davvero migliorati dai tempi in cui suonavano nel garage dei Potter. Ma, come aggiunse malignamente Roxanne, la differenza forse stava nel fatto che tutti i bicchieri della sala erano ancora integri. Ad ogni modo, quando James e gli altri scesero dal palco, li accolse uno scroscio di applausi. Passarono le ore successive a ridere e scherzare – o, nel caso di James, a parlare fitto fitto con Clara ogni volta che si presentava l'occasione - fin quando il locale non divenne semi-vuoto. Poco dopo le macchine turchesi dei loro genitori apparvero lì fuori, come per magia, per riportarli alle rispettive case. Albus e Scorpius stavano aspettando il loro turno per entrare in macchina, quando notarono che un grosso gatto bianco e nero si stava avvicinando, illuminato dalla luce di un lampione. Albus si chinò e avvicinò la mano al muso del felino, per accarezzarlo. «Non te lo consiglio» lo avvertì una voce alle loro spalle. Entrambi si voltarono e Alexandra continuò: «Non è molto socievole con gli estranei. Non è molto socievole con nessuno, per dirla tutta». Poi si rivolse al gatto borbottando: «Anacleto! Quante volte ti ho detto che non devi seguirmi? So cavarmela splendidamente anche senza di te». I due rimasero a guardarla impacciati. Poi Albus disse incerto: «Ci dispiace per l'altro giorno...». Ma lei non lo fece finire. «Non preoccupatevi. Dovevamo entrare per essere sicure di non farci sentire da mezzo quartiere». Dopo qualche altro imbarazzante secondo di silenzio continuò, concedendo loro un mezzo sorriso: «Beh, ora devo proprio andare. Buonanotte». Riprese a camminare sul marciapiede poco illuminato, dopo aver lanciato un veloce gesto di saluto, con il gatto al suo fianco. Arrivata al suo palazzo si promise che la casa dove sarebbe andata a vivere con sua sorella non sarebbe stata quella. Sicuramente non sarebbe stata al quarto piano senza ascensore. Fossi atletica, almeno. Al primo piano si ritrovò sbuffante per il disappunto; al quarto ansimante per la fatica. Si trascinò fino alla porta, maledicendo tutti quelli che avevano contribuito alla costruzione di un edificio con più di due piani senza nemmeno uno straccio di montacarichi. La cosa più triste è che anche quell'obeso di Anacleto è più veloce di me si disse facendo scivolare la chiave nella serratura e aprendo la porta. A tastoni cercò l'interruttore della luce dell'ingresso. La lampadina si accese con uno scatto, illuminando lo strettissimo corridoio che portava alla cucina, che era insieme salone e camera da letto. Da lì un'altra porta conduceva al bagno e un'altra ancora ad un minuscolo sgabuzzino. Le pareti dell'appartamento erano ricoperte da un'orribile carta da parati verdognola, più scura nei punti in cui i precedenti affittuari avevano posto quadri e poster. In quel momento i muri erano spogli, eccetto lo spazio per una singola fotografia appesa sopra il divano letto. Alexandra si lasciò cadere a peso morto su una sedia, e si mise a contare svogliatamente le mance della serata. In cinque mesi era riuscita a racimolare un discreto gruzzoletto che avrebbe permesso a sua sorella di frequentare una scuola decente. Finalmente giunse il momento di mettersi a dormire. Indossò il pigiama enorme che era stato di suo padre e si sistemò sotto le coperte. Stava per addormentarsi, quando ripensò ai due strani ragazzi della fermata dell'autobus. Me li ritrovo dappertutto ma...non credo siano male, come persone rifletté scansando con una manata Anacleto dalle sue scarpe, dove evidentemente si stava per accomodare. Il ragazzo biondo ha un certo non so che. Voglio dire, non è che abbia questo gran fisico, però non è male. È magro, e ha un sorriso gentile. Chissà di che colore sono i suoi occhi... Pensò a come sarebbe stato essere loro amica. Da lontano le erano sembrati simpatici, o per lo meno divertenti, visto che avevano fatto ridere a crepapelle, per tutta la sera, una delle ragazze dai capelli rossicci accanto a loro. Ma l'amicizia su cosa si basa? Sulla fiducia. E io non potrei mai raccontar loro alcune cose importanti di me. Dovrei mentire. Molto meglio la solitudine. Probabilmente li avrebbe incontrati ancora, visto che si era accorta delle occhiate che James e Clara si scambiavano. Se lui ritorna, forse lo accompagneranno. Ma alla fine non li rivedrò più. E stare da sola si rivelerà la scelta più saggia. A quel punto chiuse gli occhi e attese che il sonno la avvolgesse nelle sue spire. Non sei mai stata granché nel mentire a te stessa, eh? disse una vocina nella sua testa. Cosa hai imparato in cinque mesi, Alexandra? Sai che la solitudine non è un affare.

*

Il mattino colse Scorpius troppo presto per i suoi gusti. La sera prima erano ritornati davvero tardi e si erano completamente dimenticati di chiudere le imposte delle finestre. Perciò, verso le sei, un raggio di sole dispettoso aveva deciso di girovagare per la stanza, fino a piantarsi sul suo cuscino. Dormi, dormi, dormi ripeté a se stesso, dopo aver tirato le tende. Ma ormai era totalmente sveglio. Rassegnato, si diresse verso la cucina, senza far rumore, per non svegliare il suo amico. Arrivato lì si stupì di trovare la madre di Albus, intenta a fare velocemente colazione. «Buongiorno Scorpius. Come mai così presto?» lo salutò Ginny, mentre si scottava la lingua con un caffè. Il ragazzo notò che sembrava distratta e molto tesa. «Non riuscivo a dormire. Il sole mi ha svegliato, e addio sonno» le rispose, sedendosi e servendosi del porridge. «E tu, come mai così presto, il sabato mattina?». A quel punto lei si scurì in volto e si pronunciò seria: «C'è stata una richiesta di soccorso dalle parti di Hyde Park, qualche ora fa. Non so ancora chiaramente che cosa sia successo, ma pare ci sia stato un attacco ad un quartiere di maghi. Harry era di turno, ieri notte, e mi ha mandato un gufo solo ora». Piuttosto tesa si alzo e ammonì il ragazzo: «Forse per oggi sarà meglio che voi non andiate dai miei. Probabilmente saranno loro a raggiungervi. Io devo andare in redazione, se vi servisse qualsiasi cosa: magari lì rimedierò delle informazioni utili». Appellò la sua borsa e gli rivolse un sorriso tirato. «Non allarmarti troppo comunque: gli Auror ricevono chiamate del genere molto spesso. Alcune persone proprio non riescono ad abituarsi all'idea di vivere in pace». Prima di uscire, accorgendosi dell'aria stralunata del ragazzo, gli promise che avrebbero mandato un gufo, quando avesse saputo qualcosa di più. Scorpius finì di fare colazione, spedì una lettera a suo padre, e si mise a riflettere su chi poteva essere il responsabile degli attacchi. Alle otto, stanco di torturarsi con pensieri poco produttivi, decise che era ora di svegliare Albus e Rose – che da una settimana dormiva da loro, nonostante abitasse nell'abitazione a fianco - per riferire gli eventi della mattina. Appena alzati, i due sembravano aver una gran voglia di strangolarlo, ma gli rivolsero tutta la propria attenzione quando capirono la gravità di ciò che era accaduto. «Secondo voi chi può essere stato?» disse Scorpius, rivolgendo loro la stessa domanda che aveva posto a se stesso. Rose rispose preoccupata: «Non so. Non può essere di nuovo come vent'anni fa, giusto? Voglio dire, Voldemort è morto, e ciò che rimaneva dei Mangiamorte è ad Azkaban». «Non allarmiamoci, d'accordo?» disse Albus, cercando di ragionare con lucidità. «Ogni volta che accade qualcosa del genere, tutti si agitano e ci mettono al sicuro. Papà ha detto che le notizie non erano chiare Ci hanno detto di rimanere a casa solo come precauzione. Non vogliono perdere nessun altro della famiglia» terminò, riferendosi con tristezza a suo zio Fred. Un gufo attirò la loro attenzione, beccando sul vetro finché non andarono ad aprirgli la finestra. «È Lancillotto, il gufo di nonno Arthur!» esclamò Rose, mentre lo liberava dalla lettera «La nonna dice che tra poco saranno tutti da noi». «Come sarebbe?» disse Scorpius dubbioso «Voglio dire, questa casa ha solo tre piani, non ce la farà ad accoglierci tutti». Albus bisbigliò misterioso: «Questo lo credi tu». Quindi si rivolse alla cugina, imitando alla perfezione il loro zio Percy: «Rose credo sia ora di iniziare il giovane Scorpius ai misteri di questa casa» e, con atteggiamento pomposo si diresse verso le scale, seguito dagli altri due. «Fai quasi paura quando fai così, lo sai Al?» disse Rose felice che la conversazione si fosse un po’ alleggerita. Arrivati in salotto, Albus iniziò a raccontare: «All'epoca della prima guerra, non c'era quasi nessun posto sicuro in Gran Bretagna». In quel momento si trovavano di fronte alla libreria che prendeva tutta una parete della stanza circolare. «Così, alcuni resero sicura la loro casa attraverso incantesimi, come ad esempio l'Incanto Fidelius. Ma c'era sempre la possibilità che venisse scoperto chi fosse il Custode Segreto, come è successo per i nonni di Al. C’era sempre la possibilità che il fattore umano facesse crollare l’incantesimo» continuò Rose. «Molte famiglie di maghi, allora, si ingegnarono per rendere le loro abitazioni più sicure. Il vecchio proprietario di questa casa fu abbastanza furbo da non far scoprire la sua famiglia durante le due guerre. Conosci il libro "Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie" ?» proseguì Albus prendendo un volume dalla libreria. «In breve, è il racconto di una ragazzina che si ritrova in un strano mondo sotterraneo, mentre rincorre un coniglio bianco che ha un grosso orologio da taschino». Scorpius storse il naso. Che cosa c'entra questo, ora? «In realtà è davvero riduttiva la trama di Albus, ma tocca i punti della trama che ci interessano» puntualizzò la ragazza, prendendo il piccolo orologio da taschino che Albus le porgeva. «Avanti Al» disse poi al cugino. Albus aprì il libro e inizio a leggere, mentre la ragazza esplorava attentamente il pavimento sottostante alla libreria. Quindi, senza alcuna motivazione evidente, posizionò l'orologio a terra su un punto preciso. Un'area circolare scomparve all’istante, lasciando spazio a un grande foro nel pavimento, sufficientemente ampio da permettere il passaggio di una persona alla volta. Scorpius lo fissava stupito. «Forte» sussurrò. «Solo le persone che vivono qui possono aprirlo e un incantesimo proibisce a chiunque di tradire o rivelarlo a chi non è bendisposto verso la famiglia di questa casa. Rose ha potuto farlo perché le ho dato io l'orologio» disse Albus. «Forza, andiamo» li invitò, e si fece scivolare nell'apertura, seguito dagli altri due. La discesa non fu particolarmente ripida, ma impiegarono qualche secondo per arrivare a un ampio corridoio, da cui si aprivano le entrate di quelle che sembravano stanza da letto. Tutti gli spazi erano illuminati dai caldi raggi del sole che filtravano da spaziose finestre. «È un bel po' che non vengo qui: da piccoli ci giocavamo sempre a nascondino. Almeno finché James non mi ci ha chiuso dentro per una giornata intera, pensando che fosse divertente. La mamma si è arrabbiata così tanto che è rimasto in punizione per due mesi». Ridacchiò e fece strada ad uno Scorpius piuttosto rapito. «Ehi, che hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Se avessi saputo che ti avrebbe fatto quest'effetto ti avrei organizzato un set fotografico» ridacchiò Rose. «Bene diamoci da fare. Gli altri arriveranno tra poco» annunciò suo cugino prendendo da un armadio un gran numero di lenzuola e iniziando a stenderle sui numerosi letti della prima stanza.

 

 

 

N.d.A.

Ciao a tutte e a tutti,

innanzitutto mi scuso per il ritardo...sono imperdonabile! Poi un super grazie a _Elly che ha recensito per la seconda volta (sei mitica!) e a tutti quelli che hanno letto. Ed ora alcune precisazioni:

  • il nome del locale dove lavorano Alexandra e Claire, l'Alan a dale’s pub, deve il suo nome ad un personaggio della leggenda di Robin Hood;

  • il signor Seabury, per chi non avesse capito, è John il proprietario;

  • il libro a cui si riferisce Albus (Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie) è di Lewis Carroll.

Un saluto a tutti,

Sbadiglio

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Capitolo 5
*** Ah caught you smilin' at me ***


Capitolo 5

Ah caught you smilin' at me

 

Ah caught you smilin' at me,
That's the way it should be
Like a leaf is to a tree,
So fine

Led Zeppelin Bron-Yr-Aur Stomp

 
Tutti i ragazzi Weasley, più i loro nonni, arrivarono poco dopo che Scorpius, Albus e Rose avevano finito di sistemare i letti per la notte. A mano a mano che uscivano dal camino del salotto, si infilavano nell'angusto scivolo. Rose, che guidava le operazioni di arrivo, riuscì a cavarsela abbastanza bene nel caos che minacciava di scoppiare continuamente. Albus assegnava a ciascuno la propria stanza e Scorpius, con la scusa di svegliare James e Lily, si era dileguato velocemente al piano superiore dopo aver avvistato Dominique. Quando scese, seguito dagli altri due, le operazioni di "smistamento" erano ormai terminate, grazie anche all’aiuto di nonno Arthur. Entrarono nel rifugio e lo scivolo scomparve, senza lasciare tracce sul soffitto. Scorpius si stupì una seconda volta delle enormi dimensioni di quei locali. Tutti i Weasley erano sistemati comodamente e avanzavano una ventina di stanze libere; in più erano presenti due cucine e sette bagni. Quando raggiunsero gli altri, videro che erano radunati intorno a nonna Molly, che aveva appena terminato di leggere una lettera. Erano tutti più tranquilli di quanto non fossero appena arrivati, ma una certa agitazione pervadeva l'aria. Rivolsero sguardi interrogativi agli altri e Roxanne rispose per tutti: «Zio Harry ci ha appena scritto. Dice che la sua squadra ha catturato i responsabili e che ora sta raggiungendo l'ufficio. Stanno tutti bene, anche se lo zio Ron si è rotto un braccio per evitare una maledizione». I tre nuovi arrivati trattennero il fiato. Lei continuò, rassicurandoli: «Non preoccupatevi, gliel'hanno già sistemato. Non ci hanno avvertito subito perché sono stati occupati tutta la mattina ad interrogarli. Torneranno a casa stasera sul tardi e ci hanno invitato qui per stanotte, così domani potremo festeggiare insieme il compleanno di Rosie». Detto questo sbadigliò e annunciò a tutti che sarebbe andata a dormire, visto che ancora non si era ripresa dalla sveglia troppo mattutina. «Meno male!» biascicò Scorpius rivolto a Albus e Rose, mentre si dirigevano alle loro camere «Spero che la mamma gli abbia lanciato un centinaio delle sue terribili fatture dalla redazione. Nessuno può far del male allo zio e passarla liscia» borbottò il piccolo di casa Potter. «In realtà penso ci abbia già pensato la mia, di mamma. Dalla sua lettera si capisce che i responsabili hanno passato davvero un brutto quarto d'ora, quando sono arrivati al Ministero. Eppure lei non dovrebbe avere niente a che fare con gli Auror, visto che lavora nel Dipartimento della Regolazione della Legge Magica» disse la ragazza sventolandogli davanti al naso il pezzo di carta che le era stato appena recapitato. Era un po’ scossa, anche se voleva mostrare il contrario. «Beh, credo che andrò a vedere come sta Hugo». Dopo che Rose fu uscita, Scorpius chiese all'amico: «Come mai nessuno di voi è molto preoccupato?». Albus sospirò, passandosi stancamente una mano tra la chioma ancora spettinata dal cuscino, prima di rispondere: «In realtà noi siamo preoccupati, ma i nostri genitori ci hanno fatto un discorso qualche anno fa. Ci hanno promesso che non avrebbero mai corso rischi inutili, ma che avrebbero fatto di tutto per mettere dentro chi lo meritava». Dopo qualche secondo proseguì: «E considera che se fosse successo loro qualcosa, l'avremmo saputo subito». Gli fece cenno di guardare un orologio alle sue spalle. C'erano moltissime lancette, e su ognuna il nome di un appartenente alla sua famiglia. Al posto delle ore invece v'erano scritti una serie di possibili luoghi e situazioni. «Non c'è nessuno su Pericolo Mortale da un bel po', almeno da quando sono arrivati gli altri. Ma tuo padre non lavora come Indicibile? Anche lui deve correre un bel po’ di rischi, no?» gli chiese a sua volta. «Non so precisamente cosa faccia: è tutto un gran segreto nel suo ufficio. Non che io gli chieda granché, comunque. Mi ha sempre detto che sapere avrebbe fattonascere inutili preoccupazioni» gli rispose Scorpius. Poi non rimase più nessuno a discutere, dal momento che, nel giro di pochi minuto, i due si lasciarono andare tra le braccia di Morfeo.

*

Seduto solo al bancone del pub, Scorpius si chiese ancora una volta come James fosse riuscito a convincerlo a seguirlo. In realtà è stato Albus a convincermi pensò disegnando con le dita fantasiosi ghirigori sul piano di legno. Dopo la festa di Rose, dove Scorpius era stato costretto ad assistere alle smancerie che Dominique si scambiava con Richard Thomas, Albus aveva fatto in modo che l’amico, per tutta la settimana successiva, pensasse ad altro (o almeno fosse impegnato così tanto fisicamente e mentalmente da non poter pensare). L'aveva portato in giro per tutta Londra, babbana e non, invitato tutti i loro amici di Hogwarts, e come ultima trovata aveva deciso che farlo uscire con James fosse propedeutico per la sua guarigione dalla cotta per la cugina. In realtà saremmo dovuti uscire con tutti i Weasley, e con i Serpeverde del nostro anno, ma l'organismo di Lily ha deciso diversamente: solo lei può prendersi la febbre a luglio. E così, alla fine erano rimasti solo lui e James. C'è da dire che se Albus non avesse perso indecentemente con suo fratello la partita a scacchi per decidere chi dovesse uscire stasera, probabilmente ora non saremmo solo in due. È davvero sfortunato: proprio stasera i suoi genitori devono lavorare, e così lui deve restare con sua sorella a casa. Naturalmente, con Albus fuori gioco, tutti gli altri avevano deciso di rimandare. E ci credo. Già mi sembra un miracolo che sia riuscito a convincerli a partecipare alla festa di Rose insieme, visto che quando non c'è lui di solito si aggrediscono senza pensarci due volte. Continuò a riflettere sulle ottime abilità mediatrici del suo amico, finché una domanda curiosa non lo riscosse dai suoi pensieri: «Oggi sei venuto solo?». Alzando il capo Scorpius riconobbe Clara, la ragazza che lavorava lì, che da dietro il bancone lo fissava curiosa. «No, sono venuto con quel ragazzo che sta parlando alla tua amica» le rispose sorridendo e indicando James che, dall'altra parte della sala, cercava senza successo di divertire Alexandra con le sue battute. Clara individuò i due ridacchiando: «Oh, sei venuto con James. Credo che andrò a salvarlo prima che lei lo infilzi con la prima cosa che le capiti a tiro». Così dicendo si diresse con passo baldanzoso in direzione dei due ragazzi e li trascinò indietro verso Scorpius. Alexandra aveva l’aria di qualcuno che si sta liberando, con grande piacere, di qualcosa di molto fastidioso. «Alex, che ne dici di stare qui con Scorpius?» disse Clara e, senza aspettare una risposta e, con James alle calcagna, si catapultò così in fretta vicino al palco che Scorpius pensò si fossero smaterializzati. Alexandra si sistemò rapidamente dietro al bancone e per qualche imbarazzante minuto nessuno dei due fiatò. Poi la ragazza notò che la ragazza, dall’altra parte del locale, le faceva cenno minacciosa di iniziare a parlare. Così, alzando gli occhi al cielo senza farsi vedere, domandò: «Ehm… erano tutti tuoi parenti, quelli rossi dell'altra sera?». Lui la guardò, stupito a tal punto che gli avesse rivolto la parola, che impiegò qualche istante per rispondere. La sorprese a sorridere gentilmente della sua confusione. Un tiepido calore lo avvolse. «In realtà non abbiamo nessun legame di sangue, ma sono amico di Albus: sono suoi tutti quei parenti». Quindi le chiese esitante: «Lavori molto da qui?». La conversazione proseguì un po’ stentata ma, nel complesso, piacevole. Alexandra non concesse troppa confidenza, ma Scorpius non la mise mai in condizione di non rispondere. Nonostante fosse domenica, erano pochi i clienti nel locale perché quella sera si giocava l'ultima partita decisiva del campionato di calcio. Così lei poté rimanere al bancone a chiacchierare mentre lavava i piatti. Era molto tardi quando James e Scorpius, dopo aver salutato le due ragazze, lasciarono il locale. «Allora» disse Clara ad Alexandra, maliziosamente, mentre iniziavano a pulire il locale «Carino il biondino, eh?». L'amica alzò gli occhi al cielo sbuffando, ma replicò nello stesso tono: «Molto simpatica: stavamo solo chiacchierando, noi. Tu invece che mi dici di quel James? Ho parlato qualche minuto con lui, prima che mi venissi a recuperare… non ha fatto altro che blaterare su quanto tu fossi così intelligente, bella e simpatica. Non ti ha staccato gli occhi di dosso nemmeno un minuto...e non mi pare che ti sia dispiaciuto poi molto». Questa volta fu Clara ad arrossire mentre borbottava in sua difesa: «È solo un vecchio amico». «Certo e io ho i capelli zebrati, vero?» commentò Alexandra sorridendo. L’altra la fulminò con lo sguardo prima di confessare: «Beh, ecco...noi eravamo vicini di casa qualche anno fa. Battibeccavamo, più che essere amici, ma stavamo quasi sempre insieme: sua nonna e mia nonna si alternavano per tenerci, dopo la scuola...povere donne! Ne combinavamo di tutti i colori». Sospirò, e il suo sguardo si perse per qualche secondo nei ricordi felici della propria infanzia. «Poi io mi trasferii e lui andò ad una specie di collegio in Scozia. Ci siamo tenuti in contatto fino a tre anni fa. Eravamo amici di penna...ti rendi conto? Ci mandavamo delle lettere. Voglio dire, chi è che si manda delle lettere? Algiorno d'oggi!». Poteva mandarti anche degli gnomi da giardino algiorno d'oggie avresti avuto la stessa faccia da triglia lessa pensò l’amica ridacchiando tra sé. Invece le chiese: «Come mai non vi siete più sentiti?». La domanda le sembrava piuttosto innocente, ma evidentemente si sbagliava, visto che Clara si bloccò di colpo, con il scopa a mezz'aria. Le dava le spalle, perciò non poteva vederla in faccia. «Scusa, non volevo turbarti» le disse un po’ dispiaciuta. «Non preoccuparti. È che tre anni fa la mia famiglia ha attraversato un brutto periodo. Ho dovuto troncare la nostra corrispondenza, non avrei potuto dedicarle il giusto tempo» replicò quella, forse con un tono troppo acuto. Quindi continuò, cercando di parlare con voce normale: «Comunque due settimane fa ci siamo rivisti. Stava parlando con John della sua band». La voce si addolcì: «È come se non fosse passato un giorno da quando non ci siamo più sentiti». Sei proprio cotta, mia cara Clara. Sarà stata anche cotta, ma non al punto di dimenticarsi di punzecchiarla: «Sei brava a cambiare discorso, ma con me non attacca. Allora com'è questo Scorpius?». Devo scegliermi qualcuno di meno intelligente come prossima amica.

*

Nei giorni successivi la febbre di Lily non diede cenni di miglioramento, e iniziò anzi a dimostrarsi piuttosto contagiosa. Il mercoledì pomeriggio Scorpius e Albus erano rimasti gli unici due superstiti. «Senti non mi va che ti prenda anche tu questa maledetta febbre estiva. Il Guaritore ha detto che tra quattro o cinque giorni staranno tutti meglio. Se ora torni a casa tua eviterai di essere infettato e potrai tornare da noi la settimana prossima, quando tutti saranno in grado di alzarsi senza barcollare come degli ubriachi» disse Albus a Scorpius. «Al come faccio a lasciarvi? La tua famiglia è KO. Chi andrà a fare la spesa e vi porterà da mangiare quando anche tu sarai malato? Perché sai che è solo questione di tempo…» affermò l’altro. «Sei il solito disfattista, Scorp. Abbiamo chiamato nonno Arthur e nonna Molly per venire ad aiutarci. Pare che loro abbiano il vaccino, quindi sono fuori pericolo. E poi mia nonna non vede l’ora di venire qui a rimpinzarci di cibo, blaterando che siamo troppo magri» lo rassicurò l’altro soffiandosi il naso. «D’accordo, però rimango qui finché non arrivano. Non vorrei avervi sulla coscienza» disse irremovibile. «Ok mamma» sorrise l’altro. Poi continuò: «L’altra sera come è andata con mio fratello? Ti ha rintronato tutto il tempo con le sue chiacchiere?». «Veramente non ci siamo quasi rivolti la parola. Siamo andati nel locale dove ha suonato la scorsa settimana. Lui è stato tutto il tempo a discorrere con Clara e io con l’altra cameriera, Alexandra » rispose lui. Albus lo guardò stupefatto: «Ti ha mangiato vivo?». «Certo che no! Abbiamo chiacchierato mentre lei lavava i piatti. Non sai quanti ce ne fossero, e il locale era quasi vuoto. È rimasta un po’ sulla difensiva, ma sembra simpatica» disse con semplicità. «L’erede dei Malfoy che fa amicizia con una Babbana … finirà negli annali della storia» disse Albus con aria melodrammatica, mentre l’amico lo guardava con aria tra l’esasperato e il rassegnato. Albus e i suoi momenti teatrali pensò. «Scherzavo, naturalmente» proseguì questo «Farebbe bene a tutti avere un amico babbano. Forse a volte li sentiamo distanti, ma non siamo poi così diversi. Qualche anno fa James aveva un’amica di penna non magica. Si scrivevano almeno una volta alla settimana». Lo scampanellio della porta li interruppe. «Devono essere tuoi nonni. Vado ad aprirgli e poi torno a casa. Ti mando un gufo quando arrivo, d’accordo?». Ma Albus aveva altri programmi. Insistette per accompagnarlo da suo padre così tanto che Scorpius accettò solo per farlo star zitto. E così, dopo aver salutato tutti, si diressero verso la fermata dell'autobus. Il mezzo arrivò, con loro grande disappunto, dopo un'ora. Un'ora! Se l'avessi saputo sarei andato a piedi pensò Scorpius. Appena saliti a bordo entrambi sentirono le gambe tremare leggermente. Si sedettero e la sensazione sparì. «Quando arrivo a casa penso che andrò subito a riposare. Sono talmente stanco» disse Scorpius, sbadigliando. «A chi lo dici… mi sembra di non dormire da settimane». Detto questo i due ragazzi si addormentarono e si svegliarono appena in tempo per non perdere la loro fermata, al centro di Londra. Barcollarono entrambi fino alla porta e scesero. Fortunatamente vicino la fermata c’era una panchina perchéle ginocchia di entrambi molleggiarono e cedettero dopo qualche metro. L’ultima cosa che entrambi percepirono fu una voce che ripeteva allarmata i loro nomi.

*

Il giorno preferito della settimana di Alexandra era il mercoledì. Quel giorno era libera dal pub, e ciò significava che perlomeno una sera alla settimana sarebbe andata a dormire ad un orario decente. Uscita dalla pasticceria aveva deciso di farsi un giro per la periferia di Londra per vedere se da qualche parte affittassero case ad un buon prezzo: quella in cui si trovava in quel momento non sarebbe stata sufficientemente grande per accogliere anche Rebecca. A malapena c’entro io, figuriamoci un’altra persona. Tutte quelle che aveva visitato quel giorno erano però decisamente al di là della sua portata. Decise poi di andare al centro. Nei suoi vagabondaggi nel cercare affitti e lavoretti, aveva notato che in una microscopica biblioteca del centro cercavano una commessa. Anche se l'avviso era di qualche settimana prima, probabilmente il posto doveva essere ancora libero, visto che si trovava in una viuzza poco trafficata. Non che lei amasse particolarmente la lettura, ma sicuramente quello sarebbe stato un impiego più rilassante di qualunque altro avesse avuto fino a quel momento. Camminava sul marciapiede al lato della strada, ammirando il sole che iniziava la sua lenta discesa verso ovest e una flebile luce rosata che compariva nel cielo. Fu allora che notò, da un autobus davanti a lei, scendere due visi familiari. Non le ci volle un secondo per capire che Albus e Scorpius avevano davvero bisogno di una mano: entrambi si erano accasciati su una panchina, e sembravano vicini all'essere incoscienti. Velocemente si avvicinò e iniziò a chiamarli e a scrollarli, ma nessuno dei due reagiva, al di là di qualche flebile lamento. La ragazza cercò di mantenere il sangue freddo. Devo chiamare un'ambulanza. Subito si disse. C'era solo da considerare un piccolo particolare: lei non aveva un cellulare. Ma loro devono averlo per forza rifletté freneticamente e iniziò a frugare nelle tasche interne della giacca di Scorpius. La sua mano incontrò un oggetto affusolato e oblungo. Il suo corpo si irrigidì. Non può essere. Sfilò lentamente la mano dalla tasca, stringendo nel pugno un sottile bastoncino di legno. È passato così tanto tempo dall'ultima volta che ne ho stretta una in mano.

*

«Nonna, quand'è che posso avere anch'io una bacchetta?». Dall'altra parte della cucina Elinor Turner sospira, ripetendo a se stessa che sua nipote si stancherà prima o poi di porle sempre la stessa domanda . «Te l'ho detto rondinella. Devi compiere undici anni per poter comprare una bacchetta magica. Tu non sei abbastanza grande» le dice pazientemente. La piccola arriccia il naso e, sottovoce, calcola sulle dita delle mani paffute quanti anni ancora le manchino per poter costruire, sulla quercia nodosa del giardino, un enorme castello di cioccolata. «Ma nonna! Mi mancano ancora cinque anni!» esclama infine. «Pensa questo Alexandra: quando l'avrai, la soddisfazione sarà ancora più grande, visto che l'hai aspettata per tutto questo tempo». Dopo qualche attimo di silenzio la piccola torna alla carica: «Nel frattempo posso usare la tua? Solo per costruire la casa sull'albero!». «Mi dispiace tesoro, ma proprio non puoi» risponde dolcemente l'anziana signora, avvicinandosi alla nipote. Vedendo però l'espressione delusa sul suo viso, aggiunge sorridendo: «Credo che abbia proprio bisogno di una ripulita. Conosci qualcuno disposto ad aiutarmi?».

*

Il suo sguardo ricadde sul ragazzo semi-svenuto che le stava davanti e si decise rapidamente sul da farsi. Diede un'occhiata all'ora e, stando ben attenta che non ci fosse nessuno lì vicino, stese la mano che impugnava la bacchetta dritta di fronte a sé, in direzione della strada e sussurrò: «Nottetempo». Attese in silenzio. Fa’ che arrivi in fretta. Hanno la fronte bollente. Un potente bang ruppe il silenzio di quella sera e uno strambo autobus viola a due piani si materializzò davanti a lei. «Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e streghe in difficoltà. Mi chiamo Selene Bakerville e sarò il vostro bigliettaio per questa notte» annunciò una voce annoiata dall'interno del bus. Alexandra, con uno sforzo titanico, sollevò sé e Scorpius e le disse agitata «A San Mungo, per favore. Presto!»
 





N.d.A.
Ciao a tutti e a tutte,
come al solito parto dai ringraziamenti: un milione di grazie a _Elly, che mi fa saltare di gioia ogni volta che trovo una sua recensione, e a tutti quelli che continuano a seguire la storia silenziosamente. Come vi sembra questo capitolo? Si inizia finalmente a delineare qualcosina (ma proprio ina ina ina) del passato di Alexandra... Ed ora qualche precisazione:
  • la traduzione della strofa a inizio capitolo:
          Ah, ti ho sorpreso mentre mi sorridevi,
          Così dovrebbe essere
          Come una foglia per l'albero
          Così bello
;
  • la frase a fine capitolo della ragazza che fa la bigliettaia è presa parola per parola (a parte il nome della ragazza, naturalmente) da Harry Potter e il prigioniero di Azkaban.
Ancora un grazie di cuore a tutti,
Sbadiglio

 
 
 

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Capitolo 6
*** Il presente dov'è? ***


Capitolo 6

Il presente dov'è?


Il presente dov'è?
È su un biliardo pendente
va tenuto
fermo con la mano per fermarlo
altrimenti ti accorgi con ritardo
di quello che hai perduto

Samuele Bersani  Lato proibito

 
   
    Arrivarono di corsa al vecchio magazzino di mattoni rossi, chiamato Purge & Dowse Ltd. Alexandra, con l'aiuto di Selene, spiegò in fretta la situazione all'orrendo manichino dietro la vetrina e, all'annuire di questo, ci si trascinò attraverso, sostenendo con fatica Scorpius e Albus. L'enorme sala d'aspetto brulicava di maghi. Ignorando volutamente il cartello Informazioni, Alexandra bloccò un Guaritore con un movimento repentino del braccio. A quel punto Albus, privo di sostegno, iniziò una lenta discesa verso il pavimento. Fortunatamente il Guaritore fu abbastanza svelto da riacchiapparlo, prima che la sua già non troppo felice situazione si aggravasse. «Da qui me ne occupo io, d'accordo? Non vogliamo che il tuo amico si svegli con una bella frattura cranica» disse l'uomo sorridendo. Alexandra balbettò imbarazzata: «Non volevo farlo cadere... mi è scivolato». Il Guaritore fece apparire due barelle, ci sistemò i corpi svenuti dei due ragazzi e iniziò a camminare a passo spedito in direzione delle scale. Poi le si rivolse ancora, questa volta con aria tranquillizzante, facendole segno di seguirlo: «Il mio nome è Dennis Canon. Mi occuperò io dei tuoi amici, per ora, ma ho bisogno che tu mi dica come si sono ridotti in questo stato». Alexandra lo seguì ansimando su per le scale, fino al secondo piano (BATTERI MAGICI-MALATTIE CONTAGIOSE: VAIOLO DI DRAGO, NAUSEA DA SVANIMENTO, SCROFUNGULUS ECCETERA), spiegandogli dove e come li avesse trovati, in che modo l'avesse portati lì e in quanto tempo. Dennis ascoltava assorto; quando lei ebbe finito erano arrivati in una stanza rettangolare dove erano presenti quattro letti. Li depose su due di questi e fece scivolare fuori la bacchetta da una tasca del suo camice verde acido. La passo qualche volta sulle figure stese dei ragazzi borbottando. Dopo qualche minuto gli si dipinse sul volto un'espressione soddisfatta e tirò fuori da un'altra tasca una fialetta su cui era vergato con inchiostro viola 'Decotto Tiramisù'. Ne versò qualche goccia nelle gole dei due, le cui orecchie iniziarono immediatamente a fumare, facendo somigliare tremendamente la loro testa ad una grossa teiera con i capelli. Quindi le rivolse la propria attenzione, sfoderando un sorriso allegro: «Fortunatamente non hanno niente di grave: è solo una febbre virale che sta girando in questo periodo. In molti l'hanno contratta, ma il rischio di svenimento è praticamente nullo, se si rimane a riposo. I tuoi amici si sono solo strapazzati troppo: ci vorranno solo alcune ore di riposo prima che si riprendano completamente. Che ne dici di prendere una bella tazza di tè nell'attesa?». Alexandra tirò un sospiro di sollievo e annuì, dicendo: «D'accordo. Prima però devo mandare un gufo ai genitori di Scorpius e Albus: si staranno preoccupando non vedendoli tornare a casa». Sul viso del guaritore apparve una strana espressione quando le chiese: «Il figlio di Draco Malfoy? E di Harry Potter?». Lei lo guardò curiosa: «Veramente non lo so». Lo sguardo di Dennis si soffermò attentamente sul viso pallido dei ragazzi svenuti. Devono avere circa l’età di Colin quando lui è… «Ero solo curioso. Io e i genitori di questi ragazzi probabilmente abbiamo frequentato Hogwarts insieme» le rispose riprendendosi. Accorgendosi che la ragazza lo osservava ancora, sorrise nuovamente, forse un po' forzato: «Che ne dici, lo prendiamo questo tè?».

*

La prima cosa che Scorpius percepì, riprendendo coscienza, fu il peso di qualcosa di caldo sul suo braccio sinistro. Aprendo gli occhi si accorse che quel qualcosa era la testa addormentata di suo padre. Non lo svegliò subito, ma cercò prima di capire dove fosse e soprattutto perché. La testa gli doleva un po' e faceva fatica a ricordare qualunque avvenimento successivo allo scendere dall'autobus. Guardò fuori dalla finestra dell'asettica camera in cui si trovava e si rese conto che in cielo brillavano moltissime stelle. Cosa cavolo mi è successo? In quel mentre una disordinatissima testa bionda fece capolino dalla porta. «Buongiorno Scorpius. Finalmente ti sei svegliato! Io sono Dennis Canon e mi sono occupato di te da quando sei arrivato. Come ti senti?». Il ragazzo capì dal camice del Guaritore di trovarsi a San Mungo; stiracchiandosi gli rispose: «Bene, credo, ho solo qualche fitta alla testa. Ma come sono finito qui?». L'uomo non fece in tempo a ribattere, perché Draco Malfoy si riscosse e fissò con occhi ancora sonnolenti suo figlio: «Possibile che ti lascio solo per qualche settimana e devo ricevere un gufo che mi dice che ti hanno portato svenuto all'ospedale?». «Anch'io sono contento di vederti, papà» gli rispose Scorpius sbuffando. «Che ne dite se ripasso tra qualche minuto?» si intromise il Guaritore. «No!» esclamarono padre e figlio all'unisono. «Esigo sapere che cosa è successo a mio figlio e chi l'ha ridotto così» continuò Draco, mentre allo stesso tempo Scorpius diceva: «Vorrei sapere che cosa mi è successo e chi mi ha portato qui, per favore». Sarà una lunga nottata pensò Dennis.

*

Mi manchi nonna. «Alex, mi stai ascoltando? Alex?». La voce di Clara riscosse Alexandra dai suoi pensieri. «Eh? Certo, certo» rispose, riprendendo a passare meccanicamente uno strofinaccio su uno dei tavoli del pub. Erano le cinque di un caldo venerdì pomeriggio, e stavano sistemando la sala del locale che di lì a qualche ora avrebbe aperto le porte ad una nuovissima band di quattordicenni, seguita da tutti i suoi eccitatissimi fan. Si era decisamente persa nei suoi pensieri mentre Clara la rimbambiva con le sue chiacchiere su James. «E allora?» le chiese nuovamente Clara. «Allora cosa?» ribatté l'altra perplessa. «Vedi che non stavi ascoltando? Ti ho chiesto se potevo farti una domanda» dichiarò lei con voce trionfante. Clara che chiede se può fare una domanda ? Ma non stava parlando di quanto James fosse assolutamente “ troppo gnocco”? Decisamente devo essermi persa qualcosa. «Me ne hai appena fatta una, ma certo, spara» le disse curiosa Alexandra. La ragazza esibì un'espressione nervosa, come se proprio nel momento in cui l'amica le aveva rivolto tutta la propria attenzione, avesse cambiato idea. Infine parve decidersi e le domandò titubante: «Vivi da sola, giusto?». Mi aspettavo di peggio, direi. «Sì, sono in affitto ad una fermata di metro da qui» le rispose cauta. «E i tuoi genitori?». Ora sì che ti riconosco, Clara. «Incidente d'auto, circa dieci anni fa» replicò Alexandra, questa volta telegrafica. «Oh, mi dispiace» disse l'altra. Poi azzardò di nuovo «E con chi hai vissuto per tutto questo tempo?». L' altra ragazza rifletté se mentirle o meno. È solo curiosa, è normale. Io di lei so già qualcosa. Ciononostante il tono della sua voce risultò freddo e distaccato: «Ho vissuto con i miei nonni. Poi in orfanotrofio». Un silenzio pesante minacciava di scendere su di loro. Clara ci riprovò: «Hai qualche fratello o sorella?». Con suo grande sollievo vide l'espressione tesa dell'amica rilassarsi un poco, mentre rispondeva. «Ho una sorella. Si chiama Rebecca e ha compiuto da poco undici anni» disse mentre il viso le si apriva in un tiepido sorriso. «È un piccolo folletto ambulante». Dopodiché furono interrotte dalla voce del loro capo che le invitava a chiacchierare meno e a lavorare di più: i clienti sarebbero arrivati nel giro di mezz'ora e avevano un mucchio di lavoro da sbrigare. Ripresero perciò a lavorare in silenzio, ognuna immersa nuovamente nei propri pensieri.

*

«Nonna, perché il nonno fuma sempre la pipa?». Un sorriso furbo affiora sul volto dolce e rugoso di una signora dai candidi capelli bianchi, mentre osserva il marito fumare dall'altra parte del salotto. «Perché tuo nonno è un vecchio brontolone, rondinella. Hai mai visto quelle grandi locomotive a vapore che fanno quel chiasso infernale quando camminano? Come se brontolassero? Sbuffano il fumo proprio come tuo nonno». La piccola spalanca gli occhi e per qualche secondo osserva affascinata suo nonno che, circondato da dense volute di fumo, continua a leggere il giornale. Poi la bambina si riscuote e fissa sua nonna con aria assorta: «Ma il nonno non è una locomotiva vera, giusto? Mica si muove sulle rotaie».
*
Il pomeriggio del giorno successivo, le nuvole coprivano il cielo, e un gelido venticello scompigliava le cime degli alberi. Uscendo dalla pasticceria, Alexandra si strinse nella sua vecchia felpa e iniziò a incamminarsi verso la fermata della metro più vicina. Odio prendere i mezzi pubblici rifletté mentre scendeva l'affollata scalinata che l'avrebbe condotta nei sotterranei di Londra. Salita su uno dei vagoni, si appoggiò alla parete del mezzo e chiuse gli occhi. Alla radio del mezzo davano una vecchia canzone dei Beatles.
 
Michelle, ma belle.
These are words that go together well,
my Michelle.
Michelle, ma belle.
Sont les mots qui vont tres bien ensemble,
tres bien ensemble.
I love you, I love you, I love you.
That's all I want to say,
until I find a way.
I will say the only words I know that
you'll understand.
Michelle, ma belle.
These are words that go together well,
my Michelle...

*

«...Michelle, ma belle. These are words that go together well, my Michelle» canticchia  Garod O'Gallagher, mentre è impegnato con sua moglie a cucinare la cena del compleanno di Alexandra. «I love you, I love you, I love you. That's all I want to say» dice togliendo dalle mani di Eleonor un mestolo e mettendosi a ballare con lei in mezzo alla stanza, al ritmo della musica che proviene dalla vecchia radio babbana. «Adulatore» ridacchia lei, posando il capo sulla spalla di suo marito. «Questo e altro per le tue polpette» afferma lui scherzando. Eleonor lo spinge via, sorride e alza gli occhi al cielo. «Le donne mi abbandonano» protesta l'uomo con finta aria mesta, rivolgendosi alla nipote appena entrata. «Ballo io con te nonno!». Garod cambia canzone con un tocco di bacchetta. «Ballerina nuova, nuova canzone» spiega alla piccola.
 
Well she was just seventeen
You know what I mean
And the way she looked
Was way beyond compare
So how could I dance with another,
Oh, when I saw her standing there

*

Basta si impose la ragazza con decisione Lei non c'è più e lui...sarebbe meglio che non ci fosse. Devo concentrarmi su qualcos'altro. L'anziana signora con quel buffo tailleur che mi guarda dall'altra parte del vagone per esempio. Ehi ma io l'ho già vista...anche stamattina era sulla metro. E oggi ha ordinato qualcosa in pasticceria. Scosse la testa. Fine delle manie di persecuzione si impose. La ragazza non poté ignorare però che la signora scese alla sua stessa fermata. Né che percorse dietro di lei la sua stessa strada. Chi ha detto che mi conosce. Magari abita solo qui vicino. «Signorina, potrebbe venire qui un momento ad aiutarmi?» le disse una voce femminile dalle sue spalle.O forse no. Chissà se sono ancora in tempo per una fuga...non mi riprenderebbe mai. Ma qualcosa del volto della sconosciuta la colpì...come se fosse conosciuto. Si voltò e ripercorse lentamente i propri passi. Comunque, se è una ladra, non ho praticamente il becco di un quattrino. Magari si accontenta di mezza sterlina... Avanzando, studiava la vecchietta; ad una prima occhiata non sembrava niente di speciale. Alcuni elementi erano però fuori dall'ordinario: aveva candidi capelli bianchi, strettamente legati da un crocchia; la schiena, nonostante l'età, era dritta come un fuso; i suoi occhi la scrutavano insistentemente, da dietro le lenti degli occhiali.  Curioso, poi, il fatto che non sembrasse affatto bisognosa d'aiuto. E poi...un lampo di comprensione attraversò la mente della ragazza.
 
 


N.d.A.
Salve a tutti,
direi che (* risata malefica/compiaciuta *) vi lascio con il fiato sospeso… chi sarà la donna misteriosa? Datemi un segno e ditemi che ne pensate =) Un enorme, gigantesco, fantasmagorico grazie a _Elly che continua - molto coraggiosamente, direi – a recensire! Un grazie straordinario anche a Rose98 e a jade free che hanno inserito la storia tra le seguite (yeah!) e a tutti quelli che hanno dato una sbirciatina al capitolo! Ed ora… precisazioni:
  • traduzione delle canzoni, la prima si intitola Michelle, la seconda I saw her standing there (entrambe dei Beatles):
Michelle mia bella
queste sono parole che stanno bene insieme,
mia Michelle.
Michelle mia bella,
sono parole che stanno bene insieme

molto bene insieme.
Ti amo, ti amo, ti amo,
è tutto quello che voglio dire.
Finché non troverò il modo,
ti dirò le sole parole
che so che tu capirai.
Michelle mia bella
sono le parole che vanno molto bene insieme,

molto bene insieme;
 
Lei aveva solo diciassette anni
sai cosa voglio dire
ed il suo aspetto
era al di sopra di ogni paragone
quindi come potevo ballare con un’altra
quando l’ho vista lì;

 
  • tutte le informazioni riguardo al San Mungo sono riprese da Harry Potter e l’Ordine della Fenice.
 
Ciao a tutti quanti,
Sbadiglio

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Capitolo 7
*** How I love you girl, little girl ***


Capitolo 7

How I love you girl, little girl

 

Oh! Working from seven to eleven every night
It really makes my life a drag,
I don't think that's right.
I've really been the best, the best of fools.
I did what I could yeah 'cause I love you baby,
How I love you darlin', how I love you baby,
How I love you girl, little girl.

Led Zeppelin Since I've been loving you

 

La sorpresa fu così inaspettata da immobilizzarla per un intero minuto. Era così stupita che quasi non si accorse che Anacleto, inaspettatamente, si mise a fare le fusa ai piedi dell'anziana signora. Non l'aveva mai vista dal vivo prima di allora, ma gli album fotografici di sua nonna contenevano moltissime sue foto. Non per niente la professoressa McGranitt era l'insegnante preferita da Eleonor. Non solo sbatto il muso contro il mondo magico con Scorpius e Albus, ora ci mancava anche la vecchia professoressa della nonna. Uno si impegna nel tagliare i ponti con tutto ciò che è magico, e poi, proprio quando pensa di esserci riuscito, se lo ritrova dappertutto. Devo essere stata davvero una pessima persona nelle mie vite precedenti per meritare tutto ciò; oppure è la sfiga... c'è da dire che Anacleto mi taglia la strada continuamente, ma lui non è un gatto completamente nero...Nel frattempo la professoressa McGranitt attendeva pazientemente che Alexandra si riprendesse. Osservò l'impressionante somiglianza della ragazza con suo nonno: i capelli mossi, corti fino alle spalle, folti e castani; la forma degli occhi e la linea delle sopracciglia; la figura smilza e il modo di muoversi. Notò però che le mancavano le labbra sottilissime e la mascella pronunciata di Garod McGregor. Per non parlare dell'orribile abitudine del vecchio di fissare chiunque non facesse parte della sua famiglia con aria di sufficienza. Quando credé di aver atteso abbastanza, le rivolse gentilmente la parola: «Salve signorina McGregor. Probabilmente sa già chi sono, non è vero? Sono qui per informarla di alcune... questioni che riguardano sua sorella». La ragazza sbarrò gli occhi, improvvisamente terrorizzata. Prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, la vecchia insegnante si affrettò a precisare: «Non si preoccupi, non le è accaduto nulla di male. Devo solo comunicarle importanti notizie sul suo futuro». Poi, vedendo che i nervi di Alexandra erano ancora scossi le chiese: «Che ne dice di una bella tazza di tè?». E siamo a due maghi che mi offrono una tazza di tè nel giro di pochi giorni... devono ritenerla una specie di pozione anti - depressiva...

*

Dopo la lunghissima conversazione, le due si salutarono. L’anziana donna aveva insistito nel voler parlare in un luogo tranquillo – la casa della ragazza – e così si erano dirette nel vecchio appartamento che lei aveva affittato. Alexandra, esausta, si lasciò cadere a peso morto su una sedia. Parlare con la McGranitt era stato piuttosto stancante. Dai racconti dei suoi nonni, l'aveva immaginata come una donna forte e determinata, leale e coraggiosa. Ora aveva provato sulla propria pelle quanto fosse cocciuta. Dopo aver preso una tazza di tè, l'anziana le aveva detto che era lì per comunicarle che Rebecca era una strega. Era in pensione, ma aveva chiesto al preside di Hogwarts, il professor Vitious, di poter andare a informare la famiglia, perché a suo tempo era stata molto affezionata a sua nonna. La sua testardaggine, subito seguita da quella di Alexandra, era emersa quando aveva iniziato a far domande sul perché abitasse da sola, quando fosse morti suoi genitori, come avesse intenzione di mantenere sua sorella, e altri mille quesiti. La ragazza, che era partita con il non voler dir nulla, si era ritrovata a concedere mezze risposte e a dover lottare per ometterne altre. Non aveva mai parlato della sua famiglia a qualche estraneo, per giunta mago. Non ho mai raccontato la mia storia a nessuno, per dirla tutta. C’è qualcosa di positivo però: ha promesso di chiarire la storia dell'incidente di Albus e Scorpius con i Potter e i Malfoy. Finalmente sola, poté permettersi di riflettere riguardo la notizia della magia di sua sorella, rigirandosi tra le mani la spessa lettera con lo stemma di Hogwarts. Naturalmente sapeva che c’era la possibilità che Rebecca fosse una strega, ma in quegli ultimi mesi era stata così presa da tutto il resto che il pensiero non l'aveva sfiorata nemmeno per un attimo. La felicità era stato il primo sentimento che l’aveva attraversata alla notizia; la parte più meschina e cattiva di sé invece si stava facendo prepotentemente avanti solo in quel momento e le sussurrava parole d’invidia e rancore. Si alzò rapida, e iniziò a mettere a posto per scacciare quei pensieri maligni. E così la tua sorellina è una strega…probabilmente è stata lei a succhiar via quel poco di magia che c’era in tua madre, senza lasciartene neanche un po’ insinuò qualcuno nella sua testa. Peccato che sono nata io per prima ribatté lei. Poi continuò decisa Non è colpa di nessuno se io sono una Maganò e Rebecca ha la magia. Sono contenta per lei, come potrebbe essere altrimenti? Sono sua sorella, accidenti! E ora via dai miei pensieri: decisamente non ho tempo per occuparmi anche delle mie turbe mentali. La voce si dileguò, non prima di averle fatto riecheggiare una risatina di scherno nelle orecchie. Ho decisamente bisogno di una vacanza.

*

Avere a che fare con alcuni membri del proprio ufficio, con gli stessi che erano stati suoi compagni ad Hogwarts, lasciava Draco Malfoy sempre con la segreta convinzione di aver combinato qualcosa di male. Provava sempre la spiacevole sensazione di aver sbagliato o di aver dimenticato qualcosa, senza per altro saper bene cosa, e di non essere in grado di giustificarsi. Stupidi sensi di colpa post bellici. Si trovava in questo stato d’animo, quindi, quando la porta del suo ufficio si aprì per fare entrare Alicia Spinnet. Mancava poco più di un’ora e finalmente sarebbe potuto ritornare a casa. Sperava ardentemente che il colloquio si risolvesse in breve. «Signorina Spinnet» la salutò con un cenno del capo, indicandole la sedia di fronte alla sua scrivania, su cui in bella vista stava una lucida targhetta d'ottone (Vice Direttore Ufficio Misteri). Una donna, alta e magra, entrò a passo di marcia. Il passare del tempo era stato abbastanza clemente con lei: tra i capelli biondi e arruffati si scorgeva solo qualche filo argentato e intorno agli occhi, praticamente invisibili, si intravedevano le prime rughe. Era energica in modo quasi nauseante, ed averla intorno, secondo Draco, era il modo perfetto per farsi venire una nevrosi, ma non si poteva dire che non svolgesse bene il proprio lavoro. «Buonasera, Capo» gli disse lei, osservandolo distrattamente da dietro le lenti degli occhiali, mentre armeggiava con un plico di fogli. Fa'chenonsiailmiorapportofa'chenonsiailmiorapporto... «Il rapporto, capo». Sistemò quindi con un sorriso una pila di fogli pieni di appunti sulla scrivania, che a quel punto sembrava esser stata investita da un branco di elefanti. Draco tentò di nascondere il proprio disappunto. Perché cavolo non riesce mai a portarmi qualcosa che abbia una parvenza d'ordine? O che io riesca a decifrare in tempi decenti?

«Ha ricevuto il mio gufo?».

«Naturalmente. Diceva di dovermi parlare di qualcosa di importante» le rispose di malumore, cercando di dare un senso a quel caos. La donna si accomodò sulla sedia e iniziò a parlare: «So che qualche giorno fa suo figlio è stato portato a San Mungo da una Babbana. Volevo chiarire che la ragazza non creerà alcun pericolo a livello di sicurezza, dal momento che è una Maganò». La notizia lasciò Draco piacevolmente sorpreso: «Un vero sollievo. Proprio stasera doveva partire una squadra di Obliviatori tutta per lei». Si appoggiò allo schienale della sua poltrona. Chissà perché è venuta fin qui per dirmelo…poteva comunicarmelo comodamente per lettera... e per il rapporto poteva aspettare anche domani. A conferma dei suoi sospetti lei proseguì: «Ma non sono venuta fin qui solo per questo». La Spinnet esitò un momento prima di continuare. Giusto il tempo per creare la giusta atmosfera da notizia bomba. «Il nome della ragazza è Alexandra McGregor». L'uomo di fronte a lei sbarrò gli occhi e raddrizzò la schiena. «Quei McGregor?». La famiglia sulla quale stiamo lavorando da qualche secolo? «Proprio loro» confermò la donna sospirando soddisfatta. «Molto interessante. E perché la ragazza vive a Londra? I McGregor hanno un'enorme castello nella Scozia orientale, dove ospitano anche i loro parenti maghinò» chiese lui. «Non è così semplice. Vede, il nonno della ragazza rifiutò il matrimonio che i suoi genitori avevano scelto per lui, e per questo fu cacciato dalla famiglia. Dopo l'accaduto, rimase a vivere comunque in Scozia, sperando in qualche modo di venir riammesso. Sposò un'altra donna, Elinor Turner, da cui ebbe una bambina. Se sua figlia si fosse dimostrata una strega, lui avrebbe riconquistato il suo posto nel clan, come ben sappiamo». La mente di Draco lavorava febbrilmente mentre chiedeva: «Ma non fu così, dico bene?». «Lei no. La maledizione di Agnes McKenzie la colpì. Suo padre non fu molto contento: Caitlin McGregor non deve aver avuto un’adolescenza felice da quando non ricevette nessuna lettera da Hogwarts. Infatti, non appena ebbe compiuto diciotto anni, scappò di casa e si rifugiò a Londra. Si sposò ed ebbe due figlie, prima di morire in un incidente d’auto. Una di queste è la ragazza che ha portato tuo figlio all’ospedale. L’altra si chiama Rebecca e lei... ». La Spinnet deglutì eccitata. A questo punto il suo capo, teso come una corda di violino, chiese: «Lei...». «Lei è una strega». La donna esitò ancora prima di continuare: «Capo, sa cosa significa? Le uniche due volte che una McGregor è nata con la magia sono scoppiate due guerre. I poteri di quelle donne sono oltre ogni immaginazione». L’uomo si passò nervosamente una mano nei capelli, mentre l'altra continuava: «Le falle nella maledizione creano qualcosa di orribile: quelle donne hanno una magia dentro di sé potente e devastante come mille uragani. Tutti coloro che desiderano conquistare qualcosa, vogliono averle dalla loro parte. Forse Rebecca potrebbe avere meno poteri di quelli che pensiamo, visto che sono passati secoli da che la maledizione fu lanciata, ma sicuramente sarà una strega fuori dall’ordinario». Draco rifletté febbrilmente sul da farsi. Si sarebbero dovuti muovere il prima possibile. «I McGregor lo sanno?» chiese dopo qualche minuto di silenzio. «Non credo. Hanno lasciato a loro stesse le due ragazzine, quando Alexandra si è rivelata priva di poteri» rispose l'Indicibile. Poi proseguì: «Signor Malfoy, c’è un altro elemento da considerare: Garod McGregor. Dopo la morte dei genitori, le bambine furono affidate ai nonni. Quando anche la signora Turner fu sepolta, sei anni fa, il signor McGregor fu dichiarato non idoneo per la tutela delle nipoti, che sono finite in orfanotrofio. La motivazione data è stata che lui fosse troppo sotto shock per la morte della moglie. Non credo però che ci ritroveremo davanti ad un vecchio privo di intelligenza: ha fatto sì che Alexandra potesse uscire due anni prima dall’orfanotrofio, a sedici anni invece che a diciotto, aumentandole l’età per tutto il mondo babbano. Sapeva perfettamente quel che faceva». Questo fece riflettere il signor Malfoy: «Dovremo indagare su di lui. E sulla ragazza, cosa mi può dire?». «Non molto, in realtà. So che la signorina McGregor vuole adottare sua sorella. Dalle mie informazioni risulta che lavora a tempo pieno da febbraio e che ha in affitto un appartamento, dove vive. Se riuscissimo a farla diventare la tutrice di Rebecca sarebbe molto più semplice prendercene cura. Non penso che creerà problemi se le spieghiamo la situazione». L’orologio della stanza batté le sette e mezza. «Capo dovremmo fare tutto il possibile per queste due giovani, al più presto». Draco annuì e disse: «Parlerò con Potter. Come Capo dell’Ufficio degli Auror deve essere informato della situazione. Faremo in modo di risolvere tutto».

*

«Credi che riusciremo a trovarla, oggi? Il locale dovrebbe essere questo» domandò Albus a Scorpius, mentre attraversavano velocemente la strada. «Penso di sì. Voglio dire non credo che vicino casa tua ci siano altri Alan a dale’s pub». Dopo che i due amici erano usciti dall’ospedale, e che vevano saputo dai loro genitori che potevano parlarle liberamente, avevano deciso di cercare Alexandra per ringraziarla. Il loro problema, in quel momento, era trovarla. Conoscevano il pub dove lavorava e sapevano che si trovava vicino casa Potter, ma prima di allora avevano raggiunto il posto solo con la macchina o con la materializzazione. I loro genitori erano troppo impegnati con il lavoro in quel periodo e non avevano potuto accompagnarli. Quindi, armati di cartina e delle indicazioni del signor Potter, avevano deciso di andarlo a cercare a piedi. Avevano impiegato due giorni per trovarlo. «Guarda! Quello non è il suo gatto?» esclamò Albus quando giunsero di fronte all’insegna illuminata. In effetti Anacleto stava zampettando vicino ai bidoni della spazzatura a fianco del locale e, quando si accorse della loro presenza, soffiò ostilmente. «Dalla stazza e dalla simpatia direi di sì» ironizzò Scorpius. Una flessuosa figura uscì dalla porta dell’ Alan a dale’s pub e si diresse aggraziatamente verso i secchi dei rifiuti con una busta in mano. I due le si avvicinarono. «Ciao Clara» le disse Scorpius allegro. Lei li abbagliò con un sorriso, facendo quasi svenire Albus. «Ciao ragazzi! Come state?». Dato che il giovane Potter non sembrava in grado di proferir parola, l'altro rispose per entrambi: «Tutto bene, grazie. Stavamo cercando Alexandra». Il sorriso della ragazza si allargò ancora di più. L’ho detto ad Alex che piace a questo ragazzetto. «Entrate, così ve la chiamo subito». I due amici la seguirono all’interno del locale che, dato l’orario – erano solo le otto –, era quasi vuoto. «Ora capisco perché James viene qui tanto spesso. Voglio dire, quella ragazza è…». Una voce ostile alle loro spalle li interruppe: «Cosa cavolo ci fate qui?».

 

 

 

 

 

N.d.A.

Ciao a tutte e a tutti,

inaspettatamente ho tempo per aggiornare in anticipo e quindi... ecco a voi il capitolo! Premetto subito che non sono troppo soddisfatta, ma era pronto da una vita e, per quanto l'abbia modificato, non mi è mai piaciuto molto. Beh, ditemi voi cosa ne pensate =). Grazie mille alle magnifiche LimeLuma, Flaqui e lysdance1 che hanno aggiunto la storia tra le seguite, alla splendida Kath3rine che l'ha posta tra le preferite e a tutti quelle persone molto caritatevoli che hanno letto. La mia riconoscenza va anche a teme_Malfoy che, non solo ha messo “Dietro lo specchio” tra le seguite, ma ha anche recensito (due volte!). Vi lascio con la traduzione della strofa a inizio capitolo:

 

Lavorare dalle sette alle undici tutte le sere
Rende la mia vita pesante davvero
Non penso che sia giusto
Sono stato pazzo, veramente, come più non avrei potuto
Ho fatto quel che ho potuto, perché ti voglio bene baby
Come ti voglio bene, cara, come ti voglio bene baby
Come ti voglio bene, piccola.

 

Al prossimo capitolo,

Sbadiglio

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Capitolo 8
*** Now it's a beautiful day ***


Capitolo 8

Now it's a beautiful day
 

It's not easy love
but you've got friends you can trust
Friends will be friends
When you're in need of love they give you care and attention
Friends will be friends
When you're through with life
and all hope is lost
Hold out your hands cos friends will be friends right till the end
Now it's a beautiful day

Queen Friends Will Be Friends

 

Hyde Park si risvegliava lentamente, dopo una lunga notte piovosa, alle luci dell’alba. Un uomo si aggirava pensieroso tra i suoi viali, i capelli corvini spettinati dal vento gelido del mattino. Avvistata una panchina esposta a oriente, perché fosse riscaldata dal tiepido sole, si sedette. Si passò automaticamente una mano sulla fronte, là dove una cicatrice giaceva silenziosa da più di vent’anni. Erano alcuni giorni che Harry Potter si recava in quel parco, prima dell'aurora, per rimuginare sulla strana faccenda accaduta la settimana precedente. Cinque uomini incappucciati avevano attaccato da soli un intero quartiere di maghi proprio lì vicino, apparentemente senza una valida ragione. Certamente alla ricerca di qualcuno, o qualcosa, dal momento che avevano ispezionato case e appartamenti nel raggio di tre miglia. Quando Harry e la sua squadra erano giunti sul posto, gli assalitori avevano ingaggiato battaglia, ma erano stati sopraffatti. Tre di loro erano riusciti a fuggire mentre i due rimasti giacevano in cella, proprio in quel momento, in attesa di essere interrogati per quella che doveva essere la millesima volta. Non avevano ancora aperto bocca dalla cattura e a nulla erano valsi imprecazioni, minacce, promesse e scoppi d'ira. Fissavano gli Auror con aria sprezzante, senza dire una parola. Non possono aver rischiato Azkaban senza una valida ragione rifletté, estraendo da una tasca della giacca un blocco degli appunti e una Piuma Autoinchiostrante. Aveva scritto un resoconto di tutto l'accaduto, sperando che osservare la situazione nell'insieme avrebbe potuto concedergli qualche lampo di comprensione. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a venire a capo della faccenda. Forse potrei parlarne con Hermione pensò scoraggiato, quando il sole sorse completamente. Si alzò, stiracchiando le membra intorpidite, e si diresse nel punto più appartato del parco. Da lì si smaterializzò direttamente nel quartier generale degli Auror. Un aeroplanino violetto gli sfrecciò davanti al naso un secondo dopo il suo arrivo.

 

Potter, dobbiamo vederci, questione urgente. Appena puoi, raggiungimi nel mio ufficio.

 

Anche senza firma, la calligrafia elegante e lo stile secco lasciavano pochi dubbi su chi ne fosse il mittente.

*

Harry si sistemò meglio sulla sedia e appoggiò i gomiti sui braccioli. Aveva collaborato poche volte con l'ufficio di Draco e la sua stanza gli era sempre apparsa sgradevole. Era asettica: non una foto, non un disegno di suo figlio, non un effetto personale. Poteva essere di chiunque. Pensò alla propria scrivania, piena di cianfrusaglie, di lettere e di giocattoli dimenticati da Lily, James e Albus qualche anno prima: era confusionaria, ma almeno allegra. Riflettendo sui biscotti ammuffiti che vi aveva ritrovato qualche giorno prima, però, si disse che forse Malfoy avrebbe potuto dargli qualche consiglio perché non si creasse un ecosistema nei suoi cassetti. L'uomo di fronte a lui tossicchiò, in attesa, e l'immagine di un brodo primordiale svanì dalla mente di Harry. C'erano cose più importanti in quel momento: come la storia più strana e inquietante che avesse mai sentito. Negli ultimi vent'anni, naturalmente.

«Perché gli Auror non sono mai venuti a conoscenza di queste informazioni prima?» gli chiese dubbioso. Draco sbuffò. Per essere il Salvatore del Mondo Magico è sempre stato un po' tocco.

«Te l'ho già detto, Potter. Questo ufficio, nel corso dei secoli, non ha mai ritenuto necessario condividere tutti i suoi grattacapi con il tuo. Con quasi nessun' altro, in effetti. Sarà per questo che si chiama Ufficio Misteri, non credi?» Harry respirò a fondo e si impose di restare calmo. Quanto è dura dimenticare gli antichi rancori. «Evidentemente è un metodo che non funziona» borbottò piano, contrariato. Poi proseguì, a voce più alta: «Come dobbiamo coordinarci?».

«Naturalmente Rebecca McGregor non dovrà mai rimanere sola: voglio uomini anche fuori dal suo bagno. Se i suoi parenti dovessero catturarla, ne sarebbero o distrutti o distruggerebbero, grazie a lei, quello che abbiamo ricostruito dopo la guerra. Finché non sarà entrata a Hogwarts, sarebbe meglio affidarla a sua sorella. Riveleremo ad Alexandra solo una parte delle informazioni, ma sufficienti per metterla in guardia. Conquistata la sua fiducia, non credo sarà difficile mettere in atto delle misure di protezione appropriate».

«Suppongo che informeremo la maggiore perché non faccia niente di avventato e non si esponga: su questo punto mi trovi totalmente d'accordo. Per quanto riguarda il tempo che Rebecca trascorrerà a scuola, invece?».

«Lì sarà relativamente al sicuro. Alcuni nostri agenti in borghese monitoreranno costantemente la situazione. Per quanto riguarda Alexandra, anche lei avrà bisogno di protezione. I McGregor potrebbero servirsene come arma di ricatto. Hai qualche idea a riguardo?» gli spiegò l'altro. Un'improvvisa corrente d'aria calda scivolò nella stanza, innalzando di qualche grado la temperatura. I due uomini pensarono che dovesse essere l'ennesima protesta dei dipendenti della Manutenzione Magica. Harry rifletté. Qual era il luogo più sicuro della Gran Bretagna?

«E se portassimo anche lei a Hogwarts? Non come studentessa, ovviamente. Potrebbe entrare nella scuola come dipendente» propose dopo qualche secondo di silenzio.

«E con quale mansione? Voglio dire, è una Maganò» lo interrogò Draco, non troppo convinto.

«Anche Gazza lo era, eppure ha lavorato a Hogwarts per anni. Non so, potrebbe lavorare in Infermeria o in Biblioteca. Oppure potrebbe aiutare Hagrid nelle sue mansioni da guardiacaccia». Draco considerò i pro e i contro di quella proposta. In fondo non è così scemo come pensavo... giusto un pochino.

«Forse sarebbe meglio evitare l'Infermeria e Hagrid. In entrambe le situazioni potrebbe combinare qualche pasticcio, perché non conosce per nulla la magia. Per fare la bibliotecaria, invece, è sufficiente che sappia leggere».

«Allora siamo d'accordo. Un'ultima domanda: le due sanno della maledizione?».

«No, nessuna delle due. È improbabile che ne abbiano anche solo sentito parlare: perfino nel mondo magico è poco conosciuta e, nella maggior parte dei casi, è considerata una leggend-». Un boato li interruppe e una folata d'aria bollente spalancò la porta. I due si lanciarono di corsa verso gli ascensori, le bacchette sguainate. L'origine dell'esplosione era al secondo livello. Harry impallidì: il suo ufficio era circondato da una spessa cortina di fumo. Un uomo dai capelli rossicci, ora quasi tutti grigi per la fuliggine gli corse in contro, ansimante.

«I prigionieri... » esalò Ronald Weasley «... sono fuggiti. Ed hanno saccheggiato i registri dell'Ufficio sulla Regolamentazione dei Maghinò e dei Nati Babbani».

*

Una delle cose che Alexandra proprio non sopportava del suo nuovo lavoro da commessa nella Biblioteca “Geoffrey Chaucer” era la polvere. Si annidava ovunque , concentrandosi in grossi batuffoli sotto gli scaffali o annidandosi insidiosa sulle copertine e tra le pagine dei libri. Anche quel giorno, armata di spolverino, si diresse con aria depressa verso la più alta pila di volumi accatastati su uno dei tavoli adibiti alla lettura. Dal lucernario del piccolo locale quadrato, i raggi pomeridiani del tiepido sole estivo illuminavano i granelli che si sollevavano ogni volta che sfiorava appena qualcosa. Nel giro di pochi minuti, la ragazza si ritrovo circondata da una nube danzante e polverosa. Odio questo posto pensò un quarto d'ora dopo, spalancando le finestre e respirando a pieni polmoni lo smog cittadino del traffico londinese. Meglio i fumi delle automobili. Il suono della porta che si apriva la riscosse. Si stupì ancora una volta che qualcuno conoscesse quel luogo dimenticato dal mondo. In due settimane di lavoro aveva servito pochissimi clienti, di cui una buona metà erano turisti in cerca di indicazioni. Ma quando la zazzera bionda di Scorpius fece capolino da dietro una delle librerie, tutta la sua meraviglia sparì e si disse di essere stata troppo ingenua a sperare di non ritrovarselo tra i piedi anche quel giorno. Come tutti gli altri pomeriggi da quindici giorni a questa parte. Sono stata un'idiota a indicargli dove lavoro. Si squadrarono per qualche secondo, poi lei gli si rivolse acidamente.

«Che cosa c'è stavolta? E non dirmi che sei capitato da queste parti “per caso” e hai pensato di passare per un saluto. Sarebbe un insulto alla mia intelligenza, rifilarmi questa scusa per la trentesima volta». Scorpius, se fu infastidito dal tono poco cortese, non lo diede a vedere. Al contrario, la fisso per qualche altro secondo e poi si lasciò andare ad una risatina divertita. Alexandra pensò che prima o poi avrebbe scritto un trattato sui danni che la magia riportava sui cervelli degli adolescenti.

«Non sapevo di essere così divertente» continuò alzando gli occhi al cielo e rimettendosi a spolverare. Gli voltò le spalle e afferrò con stizza “L'importanza di chiamarsi Ernesto” , iniziando a strofinarlo con forza. Scorpius scosse la testa e con poche falcate le si mise di fronte. Quella ragazza lo divertiva. All'inizio era stata silenziosa e schiva, ma quando lui si era ripresentato per la quinta o sesta volta in biblioteca, dopo che lei glielo aveva apertamente proibito, era diventata uno vero spasso. Il suo sguardo esasperato, ogni volta che se lo ritrovava davanti, era esilarante. Per non parlare delle sue battutine sarcastiche. Il ragazzo si stupiva sempre di più di sé. Non si era mai comportato in quel modo con nessun' altro, figurarsi con una ragazza. Quella doveva essere la prova che il Cappello non aveva fatto un errore smistandolo in Serpeverde.

«E dai, stavo solo ridendo. Il problema è che le espressioni del tuo viso sono irresistibilmente spassose».

«Quindi ora è colpa mia, se mi prendi per i fondelli? E vediamo, genio, sono ancora io la responsabile delle tue sgraditissime visite?».

«Te l'ho detto: Albus tornerà dalla Romania solo la settimana prossima e io non ho niente da fare. Chiacchierare con te è divertente».

«Chiacchierare? Ma se ti insulto continuamente!».

«Tanto lo vedo che anche a te fa piacere avermi qui. Staresti sempre sola, se non ci fossi». La ragazza sbuffò, mise a posto il libro che aveva in mano e ne prese un altro. Purtroppo per lei, Scorpius aveva ragione. Alexandra se ne meravigliava continuamente. Aveva impiegato cinque mesi per fidarsi di Clara ed era entrata (più o meno) in confidenza con Scorpius nel giro di pochi giorni. Forse, si disse, il fatto che mi costringe a parlare con lui ogni pomeriggio ha avuto il suo peso. Senza dubbio una piccola parte di lei era infastidita dalla presenza del ragazzo, che godeva un po' troppo nel punzecchiarla, per i suoi gusti. Nondimeno, c'era da considerare che la maggior parte del tempo che trascorreva con lui si sentiva bene. E poi diciamolo, prenderlo in giro è stimolante per i miei neuroni. Ho inventato almeno una decina di insulti nuovi, con lui. La voce di Scorpius interruppe i suoi pensieri.

«Allora, quand'è che ti deciderai a permettermi di aiutarti a spolverare? So che detesti occupartene».

«Decisamente hai dei problemi di comprensione logica delle frasi. Qual è la parte di “no” che ti è sfuggita ieri e l'altro ieri?».

«Ma perché no?» continuò a ripetere imperterrito.

«Scorpius, ragiona. Io sono pagata per lavorare qui ed è mio compito tenere questo posto pulito e in ordine. Non è giusto che tu lo faccia gratis».

«Ma tu sei mia amica. E gli amici si aiutano, giusto?». La ragazza rimase così di stucco che Scorpius ebbe il tempo di sottrarle dalle mani lo strofinaccio e il libro che stava pulendo. Dentro di sé, Alexandra sentì lo stomaco aggrovigliarsi. Da quanto tempo qualcuno non le diceva di essere suo amico? Il silenzio si prolungò più del solito e il ragazzo rifletté preoccupato su cosa potesse aver detto di tanto offensivo da poterla far ammutolire per così tanto tempo. Non voleva ferirla.

«Ehm... Alex? Ho detto qualcosa che non dovevo? Perché se è così voglio saperlo... Insomma farti star zitta per così tanto tempo è da Coppa del Mondo e vorrei riutilizzare la tecnica per il futuro» disse in tono scherzoso, ma preoccupato.

«Certo che no» rispose lei serena, anche se con voce appena strozzata «Non potrai mai produrre qualcosa di nemmeno così lontanamente intelligente». Lo tranquillizzò con un piccolo sorriso, che si trasformò in una smorfia quando si accorse di cosa lui avesse in mano.

«Hai vinto una battaglia, non la guerra» lo ammonì prendendo un altro strofinaccio e un altro libro. Era un libro di favole. Pigramente rifletté sul fatto che Rebecca amasse le storie e che avrebbe voluto portarle un libro, prima o poi. Poi le venne in mente che ben presto sarebbe dovuta andare a Diagon Alley per comprarle i libri e tutto l'occorrente per Hogwarts.

«Miseriaccia» borbottò, non così piano da non farsi sentire da Scorpius.

«Che succede?»

«Devo andare a Diagon Alley per comprare l'occorrente per la scuola di mai sorella».

«A Diagon Alley?».

«Rebecca è una strega».

«Davvero? Ma è fantastico! Ti accompagnerò io. Che ne dici di aspettare che ritorni Albus? Così ci andremo insieme». Alexandra rabbrividì al pensiero di trascorrere così tante ore con tutti i Weasley e i Potter. Erano simpatici e gentili, per quanto aveva potuto osservare, ma erano davvere chiassosi.

«Non preoccupart-» tentò la ragazza.

«Ormai è deciso. E poi come raggiungeresti Il Paiolo Magico da sola, se non puoi neanche vederlo?». Perché riesce sempre a fregarmi?

*

«Rebecca la tua mano deve rimanere incollata alla mia per tutto il tempo, capito?». Alexandra e sua sorella camminavano rapidamente, dirette all'appuntamento con Scorpius e gli altri, riparandosi sotto un ombrello sgualcito e rattoppato. La pioggia cadeva lenta e costante, quella mattina, e l'umidità dell'aria si appiccicava a vestiti e capelli, raddoppiando il volume di quest'ultimi. Milly aveva fatto non poche storie per lasciar andare, per una giornata, la più piccola delle McGregor. Alla fine aveva ceduto alle incessanti proteste e preghiere di Alexandra.

«Alex ma è sicuro che io sia una strega?» disse ad un tratto Rebecca, fermandosi. La maggiore lanciò un'occhiata all'orologio dall'altra parte della strada: per fortuna erano in anticipo. Tornò indietro e si inginocchiò sulle mattonelle bagnate del marciapiede.

«Rondinella mia, ma certo che sei una strega! Ti ho dato la tua lettera, vero? E cosa c'era scritto? Che avevi il diritto di frequentare la più grande Scuola di Magia e Stregoneria di tutta la Gran Bretagna».

«E se si fossero sbagliati?».

«Rebecca McGregor» disse Alexandra, questa volta più seriamente «I tuoi nonni erano dei maghi e hai i loro geni in te. Perché dovrebbe essere inverosimile che tu abbia dei poteri magici?».

«M-Ma tu e la mamma... » balbettò lei.

«È vero, noi non li abbiamo avuti. Ma perché con te non potrebbe essere diverso? Sono certa che sarai una strega eccezionale». Prese ad accarezzarle dolcemente il capo e le sistemò gli occhiali sul naso.

«Tu non puoi venire con me?» chiese Rebecca dopo un po'. Ad Alexandra si strinse il cuore.

«No, tesoro mio. Non c'è posto per me lì. Questo non vuol dire che non ti manderò stormi di gufi ogni giorno, naturalmente».

«Ma se tu potessi venire... » insistette Rebecca con gli occhi lucidi.

«Se sarà possibile, verrò, d'accordo?» rispose per tranquillizzarla. La bambina annuì, tirando su con il naso e abbandonando definitivamente l'espressione triste e preoccupata che l'aveva accompagnata da quando erano uscite dall'orfanotrofio. Alexandra continuò: «Che ne dici di andare? I miei amici ci staranno aspettando. E pensa a quante cose meravigliose potremmo comprare a Diagon Alley»


 

N.d.A.

Ciao a tutti e a tutte!

Sono davvero, davvero, davvero una pessima autrice che aggiorna dopo settimane e settimane di ritardo... Chiedo umilmente perdono a tutti quanti per la lunghissima attesa! Immaginatemi prostrata ai vostri piedi in segno di scuse U.U. Ed ora, come al solito, i ringraziamenti: grazie a tutti quelli che continuano a leggere silenziosi, a Lyls, _Gardis_ e Judith Potter che hanno aggiunto la storia tra le seguite e naturalmente e soprattutto alle coraggiosissime _Elly e teme_Malfoy che continuano a recensire (davanti a voi mi inginocchio due volte :D)!

Precisazioni, precisazioni:

  • La Manutenzione Magica è citata in Harry Potter e l'Ordine della Fenice. Quando Harry e il signor Weasley si recano al Ministero della Magia per l'udienza disciplinare del ragazzo, quest'ultimo nota che nell'edificio ci sono delle finestre. Il signor Weasley gli spiega che, visto che il Ministero è sottoterra, quelle sono finestre incantate e che è la Manutenzione Magica ad occuparsene. Dice anche che l'ultima volta che i suoi dipendenti avevano richiesto un aumento di stipendio, il tempo fuori dalle finestre era stato orribile;

  • "L'importanza di chiamarsi Ernesto" è un'opera teatrale di Oscar Wilde.

  • Traduzione del passo della canzone a inizio capitolo:

    Non è facile amare
    ma hai degli amici su cui contare
    Gli amici sono amici
    Quando hai bisogno d'amore loro ti danno cura e attenzione
    Gli amici sono amici
    Quando hai chiuso con la vita
    e tutta la speranza è persa
    Stendi la mano perché gli amici sono amici fino alla fine
    Ora è un bel giorno
    .


 

Un abbraccio e una settimana super a tutti,

Sbadiglio

P.S. Credo di aver fatto un po' di casino con il codice html... scusate anche per questo, ma sono veramente impedita :D.

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Capitolo 9
*** The things we don't want to speak ***


Capitolo 9

The things we don't want to speak


You can trust me trust nobody
But I said you and me we don't have honesty
The things we don't want to speak
I'll try to get out but I never will
This traffic is perfectly still

The Fray Trust me


Diagon Alley, quel giorno, si mostrava nel suo solito, caotico splendore. Al contrario delle vie babbane, dove regnava pioggia e umidità, era illuminata dal sole mattutino e maghi e streghe di tutte le età vi si aggiravano in una confusionaria massa dai colori sgargianti. Alexandra, uscita dall'ennesimo negozio, si mosse a disagio tra la folla, cercando di tener d'occhio sua sorella che si rincorreva ridendo con Lucy. Le seguì con lo sguardo, fin quando il riflesso di un raggio di sole su una vetrina non la rese cieca per un istante. Il secondo di disorientamento fu sufficiente per far uscire Rebecca dal suo campo visivo. Si blocco in mezzo alla strada, presa dall’angoscia, rischiando di farsi travolgere da Scorpius, che camminava dietro di lei.

«Ma che cavolo...»

«Mia sorella. Non la trovo.»

«È lì, vicino a mio padre.» le rispose lui indicandola.

L'espressione tesa della ragazza si rilassò, non appena ebbe individuato Rebecca. Scorpius la osservò, scuotendo la testa.

«Tu hai bisogno di rilassarti» le suggerì ridacchiando «Non c'è bisogno che la segua costantemente, anche perché tutti gli adulti lo stanno già facendo.»

Alexandra lo guardò male.

«Da come parli del mio comportamento, sembra quasi che io sia una maniaca del controllo.»

Lui ghignò.

«Perché, non è così?»

La sua espressione era a tal punto giocosa che Alexandra non riuscì ad arrabbiarsi. Stava iniziando ad apprezzare il modo che Scorpius aveva per tranquillizzarla e farla ridere. Così si limitò a spintonarlo e ad alzare gli occhi al cielo.

«Sei impossibile.» gli disse, riprendendo a camminare.

«Lo prenderò come un complimento. Guarda! La prossima tappa è Madama McClan.»

Alexandra fece per richiamare Rebecca. La bambina, però, le si era già affiancata, come faceva prima di entrare in ogni negozio. Entrarono e la porta dietro di loro tossì prima di annunciare il loro ingresso con uno scampanellio. Dietro di loro, avevano varcato la soglia anche Lucy e Louis Weasley, seguiti da Harry Potter e Hermione Granger.

Come aveva fatto notare Scorpius ad Alexandra, quando la famiglia Potter – Weasley era insieme tutti badavano ai figli di tutti.

Rebecca si mosse verso una delle commesse seguita da Lucy e Luois, che sembrava un po’ contrariato dal dover dividere la propria cugina preferita con una sconosciuta. I tre furono sistemati ognuno su uno sgabello. Quindi la commessa evocò con un colpo di bacchetta decine di specchi che sistemò intorno alla sala. Tantissimi specchi. Alexandra si sentì mancare nel vedere il proprio aspetto riflesso per tutto il negozio. Qualcuno attirò la sua attenzione, sfiorandole una spalla. Era il signor Potter.

«Ehm… ciao. Sei Alexandra, giusto?»

La ragazza forse avrebbe notato che l’uomo era visibilmente a disagio, se non ci fossero stati così tanti specchi in giro. La sua espressione tesa la guardava da ogni angolo. Riuscì a malapena a rispondere.

«Già.»

Harry spostò il peso da una gamba all’altra. Essere a capo del Dipartimento degli Auror non gli aveva insegnato a dire tranquillamente ad una ragazzina di sedici anni che lei e sua sorella erano in pericolo di vita. No, decisamente no.

«Potrei parlare dieci minuti con te?»

Lei annuì, lo sguardo fisso sui suoi piedi.

«Fuori va bene?»

Annuì di nuovo e lo seguì fuori dal negozio. Una volta all’aperto, le si schiarì la mente.

«Cosa voleva chiedermi?»

Ma lui rispose con un’altra domanda.

«Quanto sai della tua famiglia?»

*

Il resto della giornata trascorse troppo rapidamente per Alexandra. Per una volta, avrebbe tanto desiderato rimanere in compagnia di qualcuno, così da non dover pensare. Invece, un attimo prima era al Ghirigoro cercando di raggiungere la cassa, sotto il peso di una pila traballante di libri, un attimo dopo aveva accompagnato Rebecca all'orfanotrofio e stava tornando a casa. Seguita da chissà chi per la propria sicurezza. Non poteva credere a cosa le aveva rivelato il signor Potter. Lei e Rebecca in pericolo? E per quale motivo, poi? Questioni di famiglia, le aveva detto. Alexandra rifletté sul fatto che il padre di Albus era stato molto sicuro e tranquillizzante per tutto il suo discorso, tranne che per quel particolare. Come se non le avesse riferito tutta la verità. Si ripropose di indagare. Arrivò al suo palazzo e, con aria rassegnata, si mise a salire la prima delle rampe di scale che l'avrebbero condotta a casa. Un miagolio la avvisò che Anacleto era dietro di lei. Con un balzo, il grosso gatto le si mise davanti e la precedette fino al quarto piano. Oltrepassata la soglia, chiuse a chiave la porta e si cambiò velocemente, indossando una vecchia tuta. Quindi si diresse di malavoglia verso il minuscolo sgabuzzino dove aveva accatastato alcuni oggetti appartenuti a sua nonna e ai suoi genitori. Non si concedeva quasi mai un tuffo nel passato, ma quella volta doveva farlo. Andare a Hogwarts avrebbe comportato lasciare quella che era stata la sua casa in quei mesi e doveva liberarla al più presto dalle sue cose.

Hogwarts. Quanto aveva desiderato andarci, da bambina. Ricordò con amarezza l'estate tra i suoi dieci e undici anni. Le mattine e le serate passate alla finestra, aspettando una lettera che non sarebbe mai arrivata. Almeno sua nonna era già morta, all'epoca. Non aveva dovuto sopportare un'altra volta che qualcuno della sua famiglia non avesse poteri magici. Suo nonno, invece, l'aveva lasciata sperare, troppo distrutto dalla morte di sua moglie per fare preoccuparsi di alcunché. Il suo unico commento, il primo settembre di quell'anno, fu che a quel punto le mancava la fuga a diciotto anni per diventare “proprio come sua madre”. Alexandra spalancò la porta dello sgabuzzino e iniziò a tirar fuori tutto ciò che conteneva, con rabbia. Garod McGregor non era stato sempre così. Prima che Eleonor morisse, era stato il nonno più affettuoso del mondo. Ma poi aveva mandato lei e Rebecca all'orfanotrofio. E niente, niente era stato più come prima.

*

1 settembre 2022

Cara Clara,

so che ci siamo viste solo ieri, ma sono sul treno che mi porterà in Scozia, vicino la scuola di Rebecca e James, e non ho nulla da fare da circa tre ore. Così ti scrivo. Domani sarà il mio primo giorno di lavoro e spero davvero che vada tutto bene: non potrei sopportare di farmi un'altra giornata di viaggio per tornare a Londra a mani vuote. Come vanno le cose a casa? Forse ieri non sono riuscita a esprimere bene tutta la mia contentezza alla notizia che tu e tuo padre siete riusciti a pagare tutto quello che dovevate a quei brutti ceffi, ma ne sono sinceramente felice. Salutami tanto John, quando lo vedi!

Un abbraccio,

Alex

P.S. James ti manda i suoi più cari saluti... Non è che ti sei dimenticata di dirmi qualcosa? Come il fatto che state insieme, magari? Quando tornerò per le vacanze di Natale, esigerò i dettagli.


 

«Si può sapere perché non me lo hai detto?» sussurrò la voce di Scorpius al suo orecchio destro, facendola sobbalzare.

Il ragazzo sembrava piuttosto contrariato.

«Detto cosa?» chiese Alexandra guardinga, ripiegando la lettera e riponendola in una tasca.

Si trovava in uno scompartimento dell'Espresso di Hogwarts, circondata da Weasley e Potter, e temeva che qualcuno potesse ascoltarli. Cosa voleva Scorpius? Che avesse scoperto qualcosa sui fatti della sua famiglia?

«Mah, non so... Del fatto che hai sedici anni e non diciotto, per esempio.»

Alexandra si rilassò. Scorpius non sospettava nulla ed era meglio così. Non sarebbe stata un'idea intelligente coinvolgere una delle persone a cui stava iniziando a voler bene nei suoi casini. Il problema, in quel momento era come avesse fatto a scoprire la sua vera età. Possibile che non poteva mai star tranquilla? Sospirò esasperata. Non fu una bella mossa.

«Non c'è bisogno di sbuffare, era solo una domanda.»

Se prima il suo tono le era sembrato scocciato, in quel momento era decisamente irritato. Soprattutto, non stava più parlando a bassa voce. Di conseguenza aveva attirato l'attenzione di almeno due o tre persone nello scompartimento.

«Che ne dici se parliamo fuori, eh?»

Lui annuì controvoglia e la seguì nel corridoio. Si discostarono qualche metro dalla porta.

«Come fai a dire che non ho diciotto anni?»

Negare, negare e negare. Insomma, che pretendeva? Che gli raccontasse così, di botto, la sua vita?

«Ho sentito per caso mio padre parlarne con quello di Albus» le rivelò, arrossendo leggermente.

Quello fece capire alla ragazza che forse Scorpius aveva origliato, più che “sentito per caso”. Compreso come il ragazzo ne fosse venuto a conoscenza, si apriva un'altra questione: come faceva il signor Malfoy a saperlo? Ottima domanda.

«Beh... magari stavano parlando di un'altra persona.»

«Quante sono le possibilità che mio padre conosca una tua omonima che abbia una sorella di nome Rebecca?»

Bel colpo, Scorpius.

Senza possibilità di scampo, Alexandra confessò

«D'accordo, hai ragione. Ho sedici anni. Ora possiamo rientrare?»

«Non mi hai ancora detto perché me l'hai nascosto.»

Sei davvero un testone. Vuoi la verità? Benissimo, ma non ti piacerà.

«Non mi fido ancora di te. O almeno, non completamente. Ora che sai che non sono maggiorenne, una parte di me è nelle tue mani. Se tu lo dicessi a qualcuno che non dovrebbe saperlo, sarei rispedita all'orfanotrofio nel giro di un attimo.»

Questo ammutolì il ragazzo, che rimase a fissarla in silenzio per un po'. Alexandra quasi si pentì di averglielo detto. Sentì che qualcosa si contorceva nel suo stomaco. Sensi di colpa, forse?

«Mi dispiace, ma ho bisogno ancora di qualche tempo per fidarmi di te.»

Scorpius si riscosse e ricacciò dentro la delusione.

«Non preoccuparti, anzi, direi che sono io a doverti delle scuse. Sono stato avventato e non ho pensato a quanto pesasse nella tua vita questa informazione. È solo che...» si interruppe ed esitò per un istante «Vorrei davvero essere tuo amico, Alexandra. Mi piace come sei e vedo che riesci ad aprirti con gli altri solo gradualmente. Sono stato uno sciocco a pensare che con me potesse essere diverso. Aspetterò che tu riesca a fidarti, se per te va bene.»

La ragazza rimase di stucco. Scorpius era un'eterna fonte di sorprese. Piacevoli sorprese. Forse fu proprio per quello che fece quel che fece.

«Anche tu mi piaci, come futuro amico.»

Detto questo lo abbracciò. Il ragazzo, preso alla sprovvista, rimase immobile di fronte a quell'inaspettata manifestazione d'affetto e, quando si mosse per abbracciarla a sua volta, lei si era già scostata. Era un po' rossa in viso. Anche lei doveva essersi stupita del proprio gesto.

«Rientriamo?» chiese lui, sorridendo.

Lei sorrise a sua volta e stava per aprire la porta dello scompartimento, quando si accorse che Scorpius non si era mosso. La sua attenzione era stata evidentemente catturata da un ragazzo e una ragazza che stavano venendo nella loro direzione, mano nella mano. La ragazza, bionda e bellissima, stava ridendo e ad Alexandra sembrò di averla già vista da qualche altra parte.

«Ciao Dominique. Thomas.» li salutò Scorpius, che aveva assunto un'espressione cordiale.

Da quel che Alexandra aveva potuto capire di lui, però, non era molto naturale. I suoi lineamenti erano più tesi del solito e scommise che le mani, nascoste dietro la schiena, fossero state strette in due pugni. I due si avvicinarono ancora e Alexandra riconobbe la ragazza: l'aveva vista quando era andata a Diagon Alley. Doveva essere una Weasley.

«Ciao Scorpius» disse Dominique, accostandosi al suo ragazzo per passare oltre Alexandra.

«Ci si vede in giro, Malfoy» disse il suo accompagnatore.

Non era stato molto gentile. Non appena si furono allontanati, Scorpius si rilassò e le fece cenno di entrare finalmente nello scompartimento.


 

N.d.A.

Salve a tutti,

ehm...lo so, sono terribilmente in ritardo. Molto terribilmente (pessimo uso dell'italiano) in ritardo. Sono noiosa, anche l'altro capitolo ho detto lo stesso. Posso solo ripetere che mi dispiace tanto. In questo periodo sono super incasinata, quindi non so dirvi con precisione ogni quanto aggiornerò. State certi, però, che non abbandonerò “Dietro lo specchio”. I tempi d'attesa saranno solo un po' più lunghi (sarà moooolto raro che io pubblichi ogni due settimane).

Che ne pensate di questo capitolo? Finalmente si vede qualcosa che riguardi uno specchio. Lo so, è il titolo della ff e ne accenno solo al nono capitolo. Che ci volete fare? Sono storta! Fatemi sapere se non è proprio da buttare via ♥.

Comunque, basta con le mie lagne e via ai ringraziamenti: un super grazie a teme_Malfoy, che come al solito si prende la briga di commentare (sei una santa☺) e a tutti quelli che continuano a leggere silenziosi.

Ecco a voi la traduzione della canzone a inizio capitolo:

Tu puoi credermi, non credere a nessuno
Ma ho detto che tu ed io non siamo onesti
Le cose che non vogliamo dire
Cercherò di tirarle fuori ma non riuscirò mai a farlo
Questo traffico è ancora perfetto.

Un abbraccio coccoloso a tutti,

Sbadiglio


 

 

 

 

 


 


 


 

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