They came here to conquer San Diego

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1) Arrivederci Poway, ciao San Diego ***
Capitolo 2: *** 2)Serate da Soma. ***
Capitolo 3: *** 3) Backseat serenade (I'm sick of sleeping alone). ***
Capitolo 4: *** 4)Di pazze furiose e migliori amici nei guai. ***
Capitolo 5: *** 5) He falls in love with the girl at the rock show (once again?). ***
Capitolo 6: *** 6) Addio, amore mio. ***
Capitolo 7: *** 7)Mama. ***
Capitolo 8: *** 8) L'inizio della disgrazia. ***
Capitolo 9: *** 9)Festa devasto. ***
Capitolo 10: *** 10) Il triste inizio del tour. ***
Capitolo 11: *** 11) Mi fido di te. ***
Capitolo 12: *** 12)Let's start over! ***
Capitolo 13: *** 13) Il punk e la principessa. ***
Capitolo 14: *** 14)Pure morning. ***
Capitolo 15: *** 15) Nobody's home. ***
Capitolo 16: *** 16) Home, sweet home. ***
Capitolo 17: *** 17) Un attimo di pace e tranquillità ***
Capitolo 18: *** 18)Travis, il traghettatore. ***
Capitolo 19: *** 19)I won't be home for Christmas (maybe). ***
Capitolo 20: *** 20)Il nostro Natale separato. ***
Capitolo 21: *** 21) Darth Vader e la fatina. ***
Capitolo 22: *** 22) La mia felicità in pezzi. ***
Capitolo 23: *** 23)La mia quasi morte. ***
Capitolo 24: *** 24) La fredda pioggia di San Diego. ***
Capitolo 25: *** 25)Provarci/Lasciarti andare. ***
Capitolo 26: *** 26) La mia prevedibile lunga attesa. ***
Capitolo 27: *** 27) Australia: koala, canguri e nostalgia. ***
Capitolo 28: *** 28)Natale in Australia (festa in spiaggia compresa). ***
Capitolo 29: *** 29) L'ultimo treno per Scott. ***
Capitolo 30: *** 30)Perché i papaveri sono alti e la tua band è piccolina (per ora). ***
Capitolo 31: *** 31) Complimenti, signora! È incinta! ***
Capitolo 32: *** 32) La pazzia di Ruby Ferreira. ***
Capitolo 33: *** 33)Mark+Ruby=Michael. ***
Capitolo 34: *** 34)Zia Anne e zio Tom. ***
Capitolo 35: *** 35) Quella gran spacccatibie di mia madre. ***
Capitolo 36: *** 36)Il loro primo fan. ***
Capitolo 37: *** Epilogo 1: amore, sono incinta! (Anne e Tom). ***
Capitolo 38: *** Epilogo 2: vuoi sposarmi? (Hitler ci preparerà al matrimonio) ***
Capitolo 39: *** Epilogo 3: il mio strano matrimonio messicano. ***



Capitolo 1
*** 1) Arrivederci Poway, ciao San Diego ***


1)1) Arrivederci Poway, ciao San Diego

Ci sono delle cose che non cambieranno mai, nemmeno in un miliardo di anni: una di queste sono i litigi con mia madre.

È passato un anno da quando c’è stata la festa di Ferragosto a casa Hoppus. Un anno lungo e pieno in cui ho lentamente colonizzato l’appartamento di Mark a San Diego aiutandolo ad arredarlo, portandoci mano a mano le mie cose e andando da lui quasi ogni weekend.

Ormai sono di casa al Soma e conosco abbastanza bene la città e su questo il generale in gonnella che è mia madre non ha sollevato obbiezioni.

Le piace che il mio ragazzo sia lontano  e che – secondo il suo parere – io possa pienamente dedicarmi alla scuola senza distrazioni. Non che le abbia dato motivi di pensare altro; mi sono diplomata a pieni voti e Mark era in prima fila ad applaudirmi.

Ho anche le idee quasi chiare per il futuro, mi sono iscritta all’università di San Diego per studiare storia dell’arte puntando a fare l’insegnante e lei ne è soddisfatta.

Le piace l’idea di una figlia insegnante, molto più di una figlia tatuatore come vuole fare Erin.

Ora, perché stiamo litigando?

Perché voglio vivere a San Diego, con Mark. Nel suo appartamento.

Questa è una decisione in grado di mandarla fuori di testa, soprattutto perché sa di non potermi fermare in alcun modo, dato che ormai ho diciotto anni.

“Ruby, dobbiamo parlare!”

Eccola,  mentre sta facendo irruzione in camera mia.

Guarda con malcelato disprezzo le valigie che sto preparando e poi guarda me.

“Cosa c’è mamma? È tutta estate che parliamo!”

“Ruby, io non voglio che tu vada a vivere da lui!”

Io sospiro.

“Lo so, dimmi non ti piace?”

“Non è questo.”

“E allora? Alla fine l’hai accettato. Non sarà mai la persona con cui uscirai a farti due spaghetti e a parlare delle vostre condivise visioni del mondo, ma ti va bene, hai smesso di fargli a guerra.

Allora qual è il problema?

Ti ricordo che ho diciotto anni e posso andare a vivere con lui secondo la legge.”

“Non voglio che tu vada a vivere a San Diego.”

“Anche Erin va a vivere a san Diego e non hai sollevato tutto questo polverone.”

“Erin è più furba di te.”

Alzo un sopracciglio.

“Lo sai che non è vero, sputa il rospo mamma.”

“Erin va a vivere da sola, tu vai a vivere con Mark. Siete troppo giovani, accidenti!”

“Non dobbiamo sposarci!”

“E se vi doveste lasciare, cosa pensi di fare?

Vivere sotto i ponti?”

“Mi troverò un altro appartamento!”

“è troppo presto, non vi conoscete abbastanza, finirà male.

La convivenza è quasi come il matrimonio, manca solo la firma di un giudice tra i due!”

“Mamma, stai esagerando.”

“No, sono realista! E se rimanessi incinta?”

“Hanno inventato i preservativi e comunque prendo la pillola, lo sai benissimo.”

Lei scuote la testa.

“Non sono d’accordo.”

“Lo so, ma non posso farci niente.

Mi è pesato un sacco questo anno lontana da lui e mi conviene vivere in un posto che già conosco, invece di cercare un nuovo appartamento correndo il rischio di trovare dei coinquilini fuori di testa.

E lo amo.

Lo amo più della mia vita.

Rispetto la tua opinione, ma non mi farà cambiare idea e adesso scusami, ma devo finire di preparare le ultime cose, Tom passerà tra poco.”

Lei scuote di nuovo la testa.

“Cosa ha combinato quella testa calda di tua sorella? Perché ultimamente Tom viene pochissimo a trovarla?”

“Non ne ho idea, nessuno dei due mi ha detto niente a riguardo e ho paura a chiedere qualcosa.”

“Spero non si siano mollati, potrebbe mettersi con uno spostato peggiore di lui in futuro.”

Detto questo esce dalla stanza e mi lascia finire di preparare la mia roba. Nemmeno cinque minuti dopo suona il campanello: è Tom.

Hai di nuovo i capelli biondi e mi sembra che abbia più tatuaggi, chiederò notizie non appena saremo in macchina.

Lo vedo entrare in casa e quindi mi precipito a urlare in cima alle scale che arriverò, lo sento sbuffare e salire. Poco dopo si affaccia alla porta della mia camera, ha un tatuaggio nuovo – delle stelle sul polso – e un piercing al naso.

“Beh, non avresti dovuto essere pronta?”

“Scusa, ma mi ha madre ha deciso che dovevamo parlare, è stato il suo ultimo tentativo per convincermi a non convivere.”

“Non ha tutti i torti.”

Lo fulmino con un’occhiata e chiudo con un colpo secco la valigia.

“Fingo di non avere sentito, DeLonge, ma in macchina mi devi spiegare un po’ di cose.”

Lui annuisce, dallo scocciato si fa triste.

Senza dire nient’altro mi dà una mano a portare giù le valige, sulla soglia della cucina c’è mia madre.

“E così te ne vai…”

“Sì.”

“Que Dios te benediga, mi hijia.”

“Gracias mama.”

Ci abbracciamo e poi  lei guarda Tom.

“Non hai l’aria di uno che stia troppo bene, ma sappi che passerà e che se qualcosa o qualcuno è tuo tornerà da te.”

“Grazie, signora.”

Detto questo, congedata mamma, usciamo.

Quando la porta si chiude ho un brivido che è un misto di paura e piacere. Mi sto mettendo alle spalle la mia adolescenza per iniziare la mia vita adulta e fa un po’ paura.

“Ruby?”

La voce di Tom mi riscuote e mi fa capire che non sono da sola: ho una sorella, degli amici e un ragazzo.

“Arrivo, scusa. Momento di….”

“Paura?”

Lui sorride.

“Succede a tutti.”

Mi tende una mano e io sorrido mentre la afferro.

“Sono pronta.”

“Bene, allora carichiamo le cose in macchina che si parte e che Dio ce la mandi buona.”

Detto fatto, le mie valige sono archiviate nella nuova macchina di Tom insieme alle sue e finalmente partiamo.

“Ora mi vuoi spiegare cosa diavolo è successo tra te e  Erin?”

Lui si incupisce.

“Siamo in pausa di riflessione.”

Io sobbalzo.

“Come mai?”

“L’ha chiesta lei e io non ci ho capito molto. Dice che non sente più le stesse cose di prima, che deve capire cosa prova per me, se è ancora amore o solo amicizia.”

“E tu?”

“Non lo so, Ruby. Ci sono dei giorni in cui mi dico che ha ragione, altri in cui brucia da morire e in cui sento la sua mancanza in modo intollerabile.

Mi ha confuso, non so cosa fare se non darle il tempo che mi ha chiesto.

Beata te che non hai di questi problemi con Mark!”

Io non so cosa dire, non ci capisco molto di amore, so solo che sono fortunata che Mark mi abbia scovata e abbia tenacemente lottato per tirarmi fuori dal mio guscio.

“Mi dispiace Tom, non so cosa dirti. Sono una frana in queste cose,  sappi solo che se vuoi parlare io sono qui ad ascoltarti.”

“Grazie, è già tanto.”

“Figurati. Siamo amici, no?”

Lui annuisce sorridendo.

“Cosa sono questi nuovi tatuaggi?”

“Le stelle? Beh, rappresentano i punti fermi della mia vita: la mia famiglia, la mia ragazza, la band, i miei migliori amici e i miei futuri figli.”

Io alzo un sopracciglio.

“Ok, un giorno mi sono ubriacato da fare schifo e ho supplicato un mio amico tatuatore di farmele, non mi ricordo perché. So solo che alla mattina mi sono svegliato con queste stelle sul polso e mi sono inventato questa storia.”

“è ok, propinala a tutti, ti crederanno.”

C’è un lungo attimo di silenzio tra di noi.

“Crescere fa schifo. Se non fossi cresciuto non avrei avuto questi problemi con Erin.

La notte perfetta per me è stata Ferragosto di un anno fa.”

“Sì, eravamo tutti così… felici. Come se non ci fosse un futuro e tutto fosse perfetto in quell’attimo.”

“E lo era.”

“Sì, lo era. Ci si accorge sempre dopo di quanto si sia stati felici.”

Il silenzio cala di nuovo su di noi.

“Basta Ferreira, stai per andare da Mark non devi farti deprimere da questo.

Sei felice di rivederlo, vero?”

“Ci puoi giurare! Ora finalmente non dovrò aspettare il fine settimana..”

“Per scopare!”

Io rido.

“Anche. Sono così curiosa su come sarà vivere con lui.”

“SE vuoi metterlo a tacere basta che gli dai una tazza di acqua e cereali e lo schiaffi davanti a un film di Star wars.”

“Giusto. Dio, non posso credere che abiterò davvero in quell’appartamento. È bellissimo!

Si vede la baia e ha la terrazza. Ti rendi conto?

E poi vedrò tutte le mattina Mark svegliarsi, gli preparerò la colazione e la cena e ci addormenteremo insieme.”

Esclamo sognante, facendolo sorridere.

“Sei la ragazza perfetta e lui ha bisogno di coccole e amore, anche se non lo ammetterebbe.”

“Già. A volte mi chiedo come diavolo abbia fatto a vedere quella che sono io adesso in quella che ero un anno fa.”

Tom aggrotta le sopracciglia.

“Misteri di Mark Hoppus. Un anno fa facevi paura e ora sei un essere umano e sei mia amica.”

“Mi piace quell’ “ora sei un essere umano.”. Prima cosa ero? Un abitante di Nibiru?”

“NO, un mezzo abitante degli inferi. La principessa salvata dal principe Hoppus.”

“Dio Tom, come siamo smielati!”

Ridiamo insieme, mentre l’autostrada scorre sotto i nostri piedi.

San Diego sto arrivando.

 

San Diego ci accoglie con il suo solito caos. Non è Tijuana – che tende ad essere più un bordello ingestibile – ma non è nemmeno la placida Poway. Tom ci si destreggia benissimo, sembra nato per stare su di una macchina.

“Non posso credere che tu abbia ceduto la tua macchina a Erin.”

Esclama lui a un certo punto.

“Me ne comprerò una nuova, io posso usare i mezzi o usare quella di Mark.

A proposito, non ti sei iscritto a nessuna università cosa pensi di fare qui a San Diego oltre a scrivere canzoni e a rompere le palle a chiunque per avere un ingaggio?”

“Lavoro come autista, scarico incluso.”

“Diventerai un figone palestrato.”

“Sono già un figone.”

“Giusto.”

Mi guardo attorno eccitata, nonostante conosca già questo panorama non posso fare a meno di essere incantata dai grattacieli e dall’ambiente.

Finalmente non vivrò più in un’oscura cittadina, ma in una CITTA’, finalmente ci saranno iniziative dopo le nove di sera e non ci sarà una vicina pettegola a cui rendere conto.

“Un giorno dobbiamo andare allo zoo.”

“Lo faremo, stai tranquilla e ci faremo anche i parchi a tema della zona.”

“Bella lì.”

“Bellissima! Finalmente un posto vivo, senza vicine rompicoglioni, con gente in giro dopo le nove di sera, il SOMA vicino, la spiaggia, un parco da skate che spacca il culo.”

“Un posto in cui troverete più ingaggi.”

“Oh, ci puoi giurare. Io e Mark abbiamo avuto un’idea e Scott è d’accordo.”

Lo guardo interessata.

“Ossia?”

“Lo sai che ora che abbiamo un nome, abbiamo anche un logo, sì?

Ecco, pensavamo di stampare delle magliette con quello, delle nostre frasi o dei miei disegni.

Nel garage della casa di Scott c’è una macchina per stampare, quindi le faremo lì, se vuoi puoi partecipare anche tu con i tuoi disegni.”

“Grazie, ma non è questo quello che vuoi propormi, vero?”

“No, non è questo.

Che ne dici di vendere le magliette insieme ad Anne? Se dovessimo andare in tour sarebbe una bella occasione per viaggiare e vedere posti nuovi.”

Io ci penso per un attimo. Pensare a un tour adesso mi sembra prematuro – si sono appena formati, ma so che Tom soffre inconfessabilmente di manie di grandezza – ma non sarebbe poi così male in fondo.

Girare il mondo mi è sempre piaciuto, è sempre stato il mio sogno e farlo con gente ok come loro sarebbe un doppio sogno.

“Ci sto, DeLonge. Alla fine ci hai schiavizzati tutti.”

“Non vi ho schiavizzati, vi ho assegnato un parte nel mio sogno e se tutto andrà come deve, Ferreira, alla fine ci saranno palate di soldi per tutti.”

“E anche se non ci saranno sarà divertente averlo fatto, no?”

Lui si apre in uno dei suoi famosi ghigni.

“Esatto, inizi a capire, strega.”

Io sorrido e non dico niente, augurandogli dentro di me di essere davvero famosi un giorno.

Finalmente ci addentriamo nel quartiere dove vive Mark, inizio a non stare più nella pelle e se ne accorge anche Tom. Iniziare a tamburella con le unghie è un buon modo per farsi sgamare in pieno.

“Oh, prevedo una notte di fuoco per qualcuno.”

Io alzo gli occhi al cielo e tengo d’occhio le case: sono tutte curate e con un bel giardino davanti.

Lui abita in un condominio di quelli tipici californiani con la piscina al centro del cortile in fondo a questa via.

“Ehi, non te l’ho chiesto, ma dove ti sei stabilito?”

“In una casetta poco lontano da qui.”

“Casetta? Ho capito bene?”

“Ah ah! Io David e Matt.”

“Poveri i vostri vicini!”

La vedo.

Alla fine la vedo.

Vedo il condominio e vedo una sagoma davanti, Tom sorride divertito e parcheggia la macchina. Non appena è fermo schizzo giù come una pazza e corro verso la MIA sagoma: indossa un capellino, una maglia bianca di star wars e dei pantaloni beige a tre quarti.

Dall’impeto gli salto praticamente in braccio stringendogli le braccia attorno al collo e le gambe attorno alla vita, rischiamo di cadere tutti e due per terra – lui traballa pericolosamente – e il capellino cade.

Ha i capelli di un colore diverso: se li è fatti rossi.

Oh, mio Dio!

Lo sento trattenere il fiato mentre passo e ripasso incredula la mano nella sua neonata zazzera rossa.

“Sono bellissimi, mi piacciono un sacco!”

Lui sorride e fa in modo di tirare il mio volto all’altezza del suo.

“Anche tu sei bellissima, hai i capelli ancora più lunghi.”

“Volevo tagliarmeli.”

“Non lo fare. Amo giocarci!”

E poi mi bacia –  come desideravo da almeno una settimana – con violenza, deciso.

Sembriamo due persone in astinenza nera ed è così: non riusciamo a stare troppo lontani uno dall’altra nonostante sia più di un anno che stiamo insieme.

Lo sento sorridere e sento le sue mani intrufolarsi sotto la mia maglia e accarezzare la mia schiena nuda.

Brividi.

“Bello spettacolo, posso partecipare anch’io?

Ho sempre desiderato fare parte di un bacio a tre!”

Una mano di Mark si stacca dalla mia e si alza per fare il medio al suo amico.

Siamo in carenza di fiato, quindi ci stacchiamo poco dopo e urliamo un sentito: “no!”.

“Eccoli, i soliti guastafeste!”

“Ehi, Ruby è la mia ragazza!”

Tom si incupisce per un attimo e Mark realizza troppo tardi di avere toccato un tasto dolente, ho il sospetto che Erin sarà sempre il tasto dolente di Tom anche quando la loro storia sarà finita.

Non deve essere stato facile avere a che fare con mia sorella, lei è quella che ha sofferto di più per il divorzio dei nostri genitori e ancora non sa della seconda famiglia di papà.

Una volta li ho persino visti, lei è una stangona yankee con i capelli rossi e gli occhi azzurri, i loro figli erano semplicemente bellissimi e lui era più affettuoso con loro che con quanto lo ricordavo essere stato con noi.

In quel momento non avrei voluto avere un cuore, né un cervello, né un corpo. Avrei voluto essere solo aria.

“Hai ragione Mark.”

“Scusa Tom, ancora non ho realizzato che tu ed Erin siete in pausa di riflessione. Non volevo fare lo stronzo!

Dai, venite su che vi offro una birra.”

Il sorriso di Tom è storto.

“Non sei l’unico ad averlo non realizzato. Accetto le scuse e la birra a patto che tu mi aiuti con le valige della tua ragazza.”

Mark annuisce, mia fa scendere con una punta di dispiacere e si avvia verso la macchina di Tom.

Mi chiedo come finirà tra lui ed Erin, se si dovessero lasciare credo che quello che ci rimarrebbe più scottato sarebbe lui.

La mie elucubrazioni sono interrotte dal chiacchiericcio degli altri due: discutono senza soluzione di continuità di skate, musica, alieni e sesso.

Tom sembra essere tornato quello di sempre, lo scemo sorridente che tutti adorano e a volte non posso fare  a meno di chiedermi se finga o meno.

Portare tutta la mia roba di sopra non è una faccenda semplice, alla fine la birra giunge gradita e meritata.

Ce la godiamo seduti intorno al tavolino della microscopica terrazza con vista sulla baia. Si sta bene, non fa troppo caldo e tira un venticello piacevole.

“Stasera che fate, piccioncini?

Vi va di venire a festeggiare al SOMA o sarete troppo impegnati a far saltare le molle del letto?”

La mia idea sarebbe quella di sistemare le mie cose, ma lo sguardo supplicante che mi rivolge Mark mi fa cambiare idea: posso sempre sistemarle domani.

Iniziamo bene.

“Per me va bene.”

Il volto del mio ragazzo si illumina.

“Anche per me va bene.”

“Perfetto. Ci vediamo alle dieci fuori dal SOMA.”

Chiacchieriamo un altro po’, poi Tom si alza, batte le mani sulle cosce e fa comparire uno dei suoi ghigni.

“Beh, io vado a scaricare la mia roba nella nuova casa, voi inaugurate questa!”

“Ciao Tom!”

Esclamiamo ridendo.

“Quante probabilità ci sono che dopo aver scaricato la sua roba si piazzerà in camera a suonare per sfogarsi per la storia di Erin?”

Chiedo a Mark, non appena sento il rumore della porta che si chiude dietro Tom.

“Moltissime, direi che è praticamente una certezza, ma non pensiamo a lui.

Vieni.”

Mi fa segno di seguirlo dentro l’appartamento. Sorridendo si butta sul divano , io lo imito con un ghigno delongesco immediatamente.

Non appena tocco il divano le sue braccia mi attirano a lui, mi sono mancate, sto bene nel suo abbraccio.

È la cosa più bella appoggiare la mia testa sul suo petto e ascoltare il ritmo del suo cuore che batte.

È un ritmo ipnotico e rilassante.

È il ritmo con cui voglio iniziare questa nuova fase della mia vita.

Benvenuta, vita adulta!

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Capitolo 2
*** 2)Serate da Soma. ***


2)Serate da Soma

 

Cosa c’è di più bello che stare sdraiata sul divano tra le braccia di Mark?

Poche cose che al momento non hanno importanza, solo lui riesce a farmi stare bene ora.

Sento il suo cuore battere, mi godo le sue mani che passano e ripassano tra i miei capelli e potrei giurare che lui stia sorridendo mentre lo fa.

“Mi sei mancato tanto.”

“Anche tu, ma ora recupereremo.”

“Non hai paura?”

Gli chiedo a bruciapelo.

Lui si ferma un attimo e poi riprende.

“Di cosa?”

“Di andare via da casa e trasferirti in una città grande lontano dai tuoi che ti possono tirare fuori dalla merda. Paura che la nostra storia non regga alla convivenza.”

“La prima paura l’ho provata. Durante i primi tempi qui mi mancavate tutti, mi sentivo solo e sperduto. Avevo il Soma vicino, ma non aveva senso andarci senza di te o senza Tom.

Poi lentamente mi sono abituato alla situazione ed è passato tutto. Mi piace stare qui, mi mancano mamma e Anne, ma so che ogni volta che voglio posso prendere la macchina e raggiungerle.

Per il resto, sono certo che reggeremo, ne abbiamo passate tante, reggeremo anche alla convivenza.”

“Giusto.”

Lui annuisce.

“Perché questi dubbi?”

“Prima che Tom venisse a prendermi mamma ha tentato di convincermi fino all’ultimo a lasciar perdere, che sarebbe finita male, che eravamo troppo giovani, ma io non le ho dato retta…

A proposito! Devo chiamarla e dirle che sono arrivata!”

A malincuore mi alzo dal suo abbraccio, provocando un suo sbuffo contrariato, per avviarmi verso il telefono. Compongo rapidamente il numero, lei mi risponde quasi subito.

“Alleluia! Finalmente mi chiami, stavi per chiamare io!”

Gracchia la voce di mia madre al telefono.

“Scusa, ma Tom si è fermato un po’ a chiacchierare con noi.”

“OK, come mai non si fa più vivo a casa?”

“Erin ha chiesto una pausa di riflessione.”

La sento mormorare parole di dissenso.

“Tu? Tutto a posto?

La casa? Mark? Il viaggio?”

“Tutto a posto. Il viaggio non è stato male, poco traffico e buona compagnia.

La casa è ok, è abbastanza pulito e poi ci penserò domani. Domani penso di disfare le valige e di fare un giro in università, giusto per ambientarmi e capire.

Mark sta bene.”

“Salutamela!” mi urla dal divano Mark.

“Ti saluta e si è tinto i capelli di rosso.”

“Vorrei quasi vederlo.”

Sospira lei.

“Salutamelo.”

Chiacchieriamo un altro po’, poi chiudiamo la chiamata e io torno tra le braccia di Mark, godendomi il suo calore e sorridendo come un’idiota. Ce la posso fare.

Posso affrontare questa vita, non sono sola perché ho lui e non è poco. Lui vale un mondo.

“Mmh, che voglia di dormire.”

“Dormire?!”

Esclama lui.

Senza tante cerimonie ribalta le posizioni e si piazza sopra di me.

“Sei sicura di voler dormire?”

“Offrimi una valida alternativa e potrei cambiare idea.”

Con l’aria da furbetto più arrapata che riesce a produrre inizia a baciarmi piano il collo, salendo e scendendo. Mi lascia un paio di succhiotti – conditi dai miei gemiti – e poi mi stuzzica dietro l’orecchio: è il mio punto debole e lui lo sa.

Sa che capitolerò tra poco.

“Allora?”

“Mark…”

Continua a baciarmi, mandandomi fuori di testa.

“Mark…”

Poi mi limito semplicemente a prenderlo per i capelli e ad attirarlo in un bacio mozzafiato, mentre le mie mani si ingegnano a togliergli la maglia.

“Vuoi ancora dormire?”

Mi chiede sornione.

“Ma stai zitto!”

Lo riattiro a me e continuiamo a baciarci, le sue mani mi accarezzano la pancia e i fianchi e gentilmente mi fanno capire di alzare le braccia che la mia maglia andrà a fare compagnia alla sua.

Permesso accordato, la maglia vola via.

Sorride soddisfatto e mi accarezza il bordo del reggiseno.

“Nuovo questo?”

“Comprato apposta per te.”

“Peccato che ora dovrò togliertelo!”

Detto fatto, si dedica ai miei seni.

Come ho fatto a pensare di poter dormire?

Ansimo senza ritegno e ribalto le posizioni, gli accarezzo e gli bacio il petto scendendo sempre più.

Ora è il mio turno di far volar via le cose e per la precisione sono i suoi pantaloni e  le sue mutande.

Dedico a lui tutta la mia attenzione e lui e il suo amichetto apprezzano, tanto che ben presto è lui a ribaltare di nuovo le posizioni e a far volare via i miei pantaloncini e mutande.

Entra in me con una spinta violenta e un sospiro.

“Mi sei mancato!”

Ansimo mentre continua a spingere e io gli stringo le gambe attorno alla vita per sentirlo più a fondo.

“Anche tu! Ti amo!”

“Anche io!”

Spinta dopo spinta, gemito dopo gemito arriviamo insieme all’orgasmo e lui crolla su di me.

Rimaniamo per un po’ così, senza fretta. Io gli accarezzo i capelli, lui bacia la pelle che gli capita a tiro e mi accarezza piano la pancia, solo i nostri respiri che si calmano lentamente.

Mi ero quasi dimenticata di quanto fosse bello rimanere stesi a fare niente dopo l’amore.

“Ben arrivata a San Diego, bruja.”

“Grazie del benvenuto, mio principe. Rimani sempre quello bravo a letto.”

“Anche tu non sei male. Dio, quanto mi sei mancata!”

Gli bacio una clavicola sorridendo.

Questo divano è stretto, ma sembra una reggia per noi.

Butto uno sguardo all’orologio e mi rendo conto che sono le otto e mezza, che dobbiamo fare una doccia, sistemarci e mangiare.

Mi alzo come una furia – facendolo ridere – e mi precipito in bagno, buttandomi sotto la doccia.

Mentre mi sto lavando lo sento entrare.

“Ti sei dimenticata le salviette e stai usando il mio shampoo.”

“Non mi ucciderà, no?

Grazie per le salviette!”

“Prego, comunque prenditela calma usciamo a mangiare per festeggiare il tuo arrivo, c’è una pizzeria piccola non troppo lontano dal Soma in cui la roba costa poco.”

La cosa ha il potere di rilassarmi e mi do una calmata.

“Grazie, ti amo!”

Urlo dalla doccia, lui ride ed apre la porta, mostrandomi il suo faccione.

“Posso fare la doccia con te?”

“Niente sesso, però.”

Lui fa una faccia imbronciata.

“Ok, va bene.”

Si spoglia lentamente e poi entra.

Ci laviamo a vicenda, scambiandoci solo qualche bacio, poi usciamo, io  vado in camera a cambiarmi, lui si spaparanza sul divano come Homer Simpson.

Alle nove usciamo di casa, la sera è calata su San Diego e il venticello per ora è sparito.

Scendiamo le scale del condominio ridendo e scherzando quando una porta si apre ed esce un vecchietto. Mark si ferma di botto.

“Ehi, capo!”

Urla, facendolo voltare.

“Ciao Mark!”

Mi nota e sorride.

“Lei è la famosa Ruby?”

“Non sapevo di essere famosa, comunque sì, sono io.”

L’uomo  mi tende una mano callosa che stringo un po’ titubante.

“Io sono Joshua Fitzpatrick.”

“Aspetti un attimo,non sarà il famoso “capo”?

Quello che ha raccolto le confidenze di Mark dal barbiere?”

“Sono io e sono tanto felice che ora tu sia la tua ragazza.

Meg ha fatto le costolette di agnello, volete fermarvi?”

Mark sorride e scuote la testa.

“Grazie dell’offerta, ma pensavo di portarla “Da Luigi.” Per festeggiare il suo arrivo.”

Il vecchio annuisce.

“Buona scelta, Mark.

Divertitevi, mi raccomando.”

Annuiamo in due e riprendiamo a scendere le scale, mano nella mano.

“è un tipo simpatico.”

“Non è male, imparerai a conoscere lui e la moglie, sono una coppia fantastica.

Adorabili e poi mi hanno adottato.”

“Grandioso!”

Sì,  è davvero grandioso. Non sta andando per niente male.

 

Il ristornate in cui mi porta Mark è piccolo ed è solo una via più in là rispetto al Soma, il che è perfetto dato che Tom non ama particolarmente i ritardatari e noi siamo a rischio.

Per fortuna è quasi vuoto e probabilmente ci serviranno subito, ho il tempo di guardarmi in giro: alle pareti, di un giallo chiaro, sono appese stampe delle bellezze italiane, ci sono le tovaglie a quadri rossi e le tendine di pizzo a mezza finestra.

Approvo.

Questo posto è uguale a quello dove lavoravo io d’estate a Poway, quindi la cucina non dovrebbe essere male.

Quando ci portano le pizze la mia teoria ha una conferma, sono buonissime, quasi come quelle che mangeranno in Italia. Chissà se riuscirò mai ad andarci in Italia?

“Mark?”

Lui alza lo sguardo dalla pizza con wurstel, salame e peperoni che sta divorando.

“Sai se qui cercano una cameriera o una sguattera?”

Lui si pulisce la bocca e sembra pensare un attimo a quello che gli  ho detto.

“Mmh, non lo so, ma puoi chiedere a Luigi, lui è sempre alla cassa.”

“Ehi, ora che lavoro fai?”

Mark ha lavorato per un po’ in una tavola calda, poi ha mollato e si è trovato un altro lavoro non so dove.

“Lavoro in un negozio di dischi, il proprietario ha una vera passione per il punk, così è tanto magnanimo con me.”

Io sorrido.

“Ah! I blink hanno il loro primo ingaggio in un locale!”

Io rischio di strozzarmi con la mia pizza.

“Stronzo! Così me lo dici?

Quando? Dove?”

“Sabato, in un bar per motociclisti.”

“Bravi, ragazzi, bravi! Sono tanto felice per voi!”

Ordiniamo del vino per festeggiare e in due ci scoliamo una bottiglia.

Arriviamo alla cassa brilli, ma felici.

L’uomo con gli occhi scuri e la croce d’oro al collo deve essere il famoso Luigi, così chiedo.

“Scusi, avete bisogno di una sguattera o di una cameriera?”

“Sì, ma ci serve gente sobria.”

Ride lui.

“Ehi! Oggi era una giornata stra-mega-speciale! Mi sono trasferita a San Diego, vivo con lui che è il mio ragazzo e la sua band ha un ingaggio per sabato prossimo.”

Luigi sorride.

“Complimenti, ragazzo. In quanto a te, ragazzina, presentati qui domani a mezzogiorno e ne riparliamo, forse c’è un posto da sguattera.”

Mi illumino.

“Sarebbe bellissimo! Ho già lavorato come sguattera in un ristorante italiano a Poway!”

“Bene, allora ci vediamo domani a mezzogiorno.

Sobria.”

“Certo!”

Esco dal locale barcollando leggermente – non sono abituata a bere tutto quel vino – ma Mark mi sostiene.

Ridendo come scemi ci dirigiamo verso il Soma, tra le occhiate di biasimo dei passanti: un ragazzo dai capelli rossi e una ragazza troppo pallida e vestita di nero non fanno mai una buona impressione.

“Teppisti!” mormora qualcuno a bassa voce.

Fanculo!

Arriviamo al Soma e troviamo ad aspettarci un Tom impaziente e David, Anne e Matt che chiacchierano.

“Ragazzi!!”

MI lancio ad abbracciarli, brilla, sorridono tutti e  due.

David è tutto sommato normale, Matt invece ha un mohawk da fare invidia, sembra più alto ed è vestito come un vero punk: tutto catene, chiodo e vestiti stretti.

“Matt, ma sei diventato più alto!”

“Sì, un po’ e tu hai bevuto un troppo mi sa.”

Io ridacchio.

“Cioè, VOI. VOI avete bevuto senza di me?”

La voce di Tom è delusa al massimo.

“Scusa, Tom. Le ho detto che sabato suoniamo e abbiamo deciso di festeggiare!”

Tom alza gli occhi al cielo.

“Solo per questo ti perdono, Hoppus!”

Detto questo entriamo finalmente nel locale, io a braccetto con Tom e Matt, David, Anne e Mark dietro di noi.

Il locale non è pienissimo, si stanno esibendo dei ragazzi che sembrano avere poco più della nostra  età, cosa che fa guadagnare loro un’occhiata di pura invidia da parte dei miei sue musicisti preferiti.

“Ci esibiremo anche qui.”

Il tono con cui Tom lo pronuncia non ammette repliche, sembra quello di una profezia, quello con cui potrebbe dire che domani il sole sorgerà.

“Ci puoi contare, amico.”

Il tono di Mark è altrettanto deciso, è in momenti come questi che mi manca Erin – assente per ovvi motivi – almeno con lei non mi sentirei così sola.

Già, so che Mark mi ama, ma so anche che i blink sono il mondo di lui e di Tom e che gli altri – Scott a parte – ne sono sempre un po’ esclusi.

È dura stare con un musicista.

La musica per lui sarà sempre la cosa più importante, come lo sarà per Tom e forse per David, che ho scoperto suoni la chitarra.

“Bene, amici miei.

Scritto nella roccia che suonerete qui che ne dite di pogare un po’ o di bere?”

Annuiamo tutti, Dave e Anne raccolgono le nostre ordinazioni, noi invece andiamo al tavolo.

Io ho ordinato solo dell’acqua, ho già troppo alcool in corpo, Mark invece non sembra preoccupato perché ordina un’altra birra piccola.

Dannati ragazzi che possono bere più delle ragazze!

Quando anche gli altri arrivano – con il beveraggio – la conversazione inizia.

“E allora Ruby, come ti trovi qui a San Diego?”

Il primo a chiederlo è Matt si accodano gli altri.

“Com’è vivere con mio fratello? Non ti ha ancora costretta a una maratona di Star Wars o ti ha urlato di portargli un dannato panino mentre sta giocando?”

Anne.

“Cosa avete inaugurato per primo?

Il letto? Il divano? Il pavimento?”

Tom.

Io sospiro e inizio a rispondere.

“Mi trovo bene, non ho ancora visto l’università, ma spero sia un po’ meglio del liceo di Poway. Meno gerarchie e palle varie.

Domani ho un colloquio di lavoro da “Da Luigi” per un posto come sguattera.

No, Mark non mi ha ancora costretto a una maratona di Starwars o urlato che vuole un dannato panino, vi dirò quando succederà come mi comporterò.

Tom, abbiano inaugurato il divano.”

“Bravi ragazzi, il letto riservatevelo per dopo.”

“Tom, fai paura. Sembri un cazzo di guardone.”

Lui si porta le mani al petto con fare teatrale.

“Baby, mi hai sgamato volevo spiarvi dopo, vedere il mio amico darci dentro e tu che vieni.”

Gli rifilo un calcio sotterraneo abbastanza forte da farlo piegare e sorrido angelica.

“Ok, strega, messaggio ricevuto.”

“Bravo DeLonge.”

Chiacchieriamo un altro po’ poi ci buttiamo tutti nel pogo disperdendoci.

Non so dove finiscano gli altri so solo che ben presto due mani conosciute mi attirano a sé e sento qualcuno strusciarsi sulla mia schiena.

Io ridendo struscio il sedere sentendolo gemere, poi mi fermo.

“Nooooo, perché?”

Con una mossa abile mi fa voltare verso di lui e passa con fare possessivo le mani sui miei fianchi.

Giù e su.

Su e giù.

“Sei bellissima e io sono tanto fortunato ad averti scongelato.

Sono tanto felice di poterti baciare.”

Mi bacia il collo.

“Toccare.”

Mi accarezza i fianchi.

“E amare”

Una mano mi strizza il seno da sopra la maglio provocando un mio sospiro contenuto.

“Senza rischiare di essere ucciso da te.”

“Anche io sono tanto felice!”

Rispondo con voce roca, prima di alzare il suo volto e cominciare a baciarlo con passione.

Le nostre lingue si cercano, si intrecciano, si studiano e poi fuggono come se fossimo ancora due estranei che devono ancora scoprire tutto uno dell’altro

Ed è bellissimo.

In mezzo a questa bellezza vedo qualcosa che rischia di turbare tutto: Tom che bacia con passione Anne.

Riesco a dissimulare bene lo stupore e a continuare quello che stavamo facendo, fino a quando non ci stacchiamo e lui mi urla che va a prendersi un po’ d’acqua, io gli rispondo che uscirò a fumare.

Esco fuori dal locale e non appena accendo la sigaretta sento qualcuno che mi raggiunge: è David.

“Li hai visti, vero?”

“Chi?”

“Tom a Anne.”

Io annuisco.

“è un bel casino questo, lo sai quanto Mark è geloso della sua sorellina.”

Lui annuisce.

“Lo so e so anche che Tom era ubriaco da far schifo e che per lui questa scopata non ha più significato di una sega.

Mark non ne deve sapere niente, se siamo fortunati non si ripeterà mai più.”

“Sì, hai ragione.

Dio, Tom è un cazzo di irresponsabile, porca puttana!”

David sbuffa. Io torno dentro.

La serata al Soma non dura ancora per molto, io e Mark poghiamo un altro po’ poi ci dirigiamo all’uscita seguiti da Dave, Matt ci fa segno che rimane

Ci credo.

Si è trovato una ragazza da baciare, non è interessato a mollare la preda

“Ehi, avete visto dove è Tom?”

“L’ho visto andare via con una morettina.”

“Il solito bastardo fortunato.”

Ridacchia Mark.

“Riuscirebbe a scopare anche in mezzo al deserto.

E Anne? Non possiamo lasciarla qui da sola!”

Ho un attimo di panico, ma David mi regge il gioco per fortuna.

“L’ho vista andare via mezz’ora fa, mi ha detto che aveva mal di testa.”

Il mio ragazzo sbuffa platealmente.

“Le ho detto che beve troppo, ma figurati se mi ascolta!”

Esco dal locale con un po’ di senso di colpa, odio dover mentire a Mark,  ma so che lo provo per una buona causa.

I blink sono più importanti di qualsiasi litigio per una sorella e poi – visto che sia Tom che Anne erano ubriachi – sono quasi sicura che domani nessuno dei due si ricorderà nulla e la cosa sarà senza conseguenze.

Lo spero con tutto il cuore.

Che Dio ce la mandi buona.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 3) Backseat serenade (I'm sick of sleeping alone). ***


3)Backseat Serenade (I'm sick of sleeping alone).

 

Ci sono amori che non possono essere vissuti, quello che si sviluppa tra migliori amici ad esempio.

Anne Hoppus la pensava così e sapeva di essere nella merda, era già da un tempo che si era accorta che l’amicizia verso Tom si era trasformata in altro.

Si era trasformata e questo era quantomeno un casino, se Mark lo fosse venuto a sapere sarebbe stato capace di scatenare l’inferno in terra e poi di farle una predica di tre ore.

Se Tom lo fosse venuto a sapere lei non avrebbe più avuto il coraggio di guardarlo in faccia e lui avrebbe fatto lo stesso e l’amicizia sarebbe finita in quei non sguardi.

Meglio l’amicizia che niente.

Quando uno si innamora del suo migliore amico ci sono solo poche possibilità di essere ricambiate e Anne non era mai stata particolarmente fortunata e poi Tom aveva ancora in testa Erin.

Lei lo aveva lasciato – per meglio dire erano in pausa di riflessione – ma Tom era ancora innamorato di lei: lei era stato il suo primi e travolgente amore.

Quell’amore che sembra assoluto e ti fa fare di tutto, anche le cose più stupide senza pentirti e poi Tom ed Erin erano una coppia perfetta, più ancora di Mark e Ruby.

Suo fratello e la sua ragazza erano quel tipo di coppia che funzionavano perché non avevano nulla in comune, Tom Ed Erin avevano funzionato perché erano uguali.

Si sarebbero sempre appartenuti un po’ e lei non era nessuno per mettersi in mezzo, doveva solo farsela passare.

Detto così suonava facile, ma la realtà era che ogni volta che lo vedeva le partivano delle fitte allo stomaco – fitte piacevoli – e non poteva farci nulla e ogni volta che vedeva l’ombra della tristezza nei suoi occhi quando parlava di Erin si sentiva invisibile, trasparente.

E faceva male.

Tanto male.

Questo era il genere di pensieri che le venivano quando esagerava con l’alcool come stava facendo quella sera al Soma.

Era seduta su uno degli sgabelli accanto al bancone con una birra in mano e non aveva idea di dove fossero gli altri: Mark e Ruby probabilmente tubavano da qualche parte, David, Matt e Tom probabilmente stavano pogando o cercando ragazze compiacenti.

Bella merda.

La sua birra era ormai finita, si alzò barcollando e si ributtò in pista.

Stava ballando distrattamente quando senti due mani appoggiarsi ai suoi fianchi e sobbalzò, chi diavolo si permetteva?

Stava per voltarsi e dirne quattro allo sconosciuto quando una voce un po’ acuta e familiare le arrivò all’orecchio insieme a una zaffata di odore di alcool.

“Ehi, Anne! Lo sai che sei davvero carina con questo vestito?”

“E tu sei ubriaco da far schifo, DeLonge!”

Con un’abile mossa del braccio il ragazzo la fece voltare verso di lui e lei si ritrovo a guardarlo nei suoi occhi castani annebbiati dall’alcool e a sentire il corpo magro e muscoloso di Tom premere contro il suo.

“è vero, sono ubriaco da far schifo e sto male da fare schifo.

Mi sento solo da far schifo e non voglio avere il letto freddo e vuoto stanotte, ti va di farmi compagnia?”

“Tu ami Erin, da sobrio te ne pentiresti e poi sarebbe un casino se lo venisse a sapere Mark!”

Lui si esibì in uno di quei ghigni che l’avevano fatta innamorare di lui e la strinse più forte a sé, cominciando a baciarle piano il collo, tracciando cerchi appena accennati con la lingua.

“Mi vuoi?”

“NO!”

“Il tuo corpo dice il contrario, Anne!”

Continuò a baciarla sul collo, più forte e succhiando ogni tanto, ora le veniva difficile reprimere i sospiri, qualcuno le sfuggì facendo sorridere il ragazzo.

“Mi vuoi?”

“N-no!”

Lui risalì lungo la mascella – sempre mantenendo il suo sorriso odioso – e le accarezzò piano le labbra con il pollice prima di baciarla con violenza.

Lei non aveva opposto nessuna resistenza quando la lingua del suo migliore amico le si era infilata in bocca, ormai non aveva più senso  farlo: quello che DeLonge voleva otteneva.

“Mi vuoi?”
le chiese sulle sue labbra.

“Sì!”

Continuarono per un po’ lì, in mezzo alla pista, con il rischio di essere sgamati da Mark.

Non successe solo perché era troppo impegnato a baciare Ruby, che li aveva visti e aveva avuto il buon senso di fare finta di niente.

“Tom!”

Ansimò.

“Usciamo, qui ci vedono!”

Lui non se lo fece ripetere due volte, la prese per mano e la trascinò fuori dal locale e poi in macchina con destinazione la casa dove lui viveva con Matt e David.

Anne aveva paura, ma era anche eccitata: non aveva idea di che conseguenze avrebbe avuto quel momento di follia sulla vita di tutti i giorni.

Ormai era tardi per i rimpianti, aveva preso la sua decisione e più tardi ci avrebbe fatto i conti stando male il giusto.

Il fatto che non si muovessero più le fece capire che erano arrivati a casa di Tom, il ragazzo  le aprì la portiera  e la trascinò fuori per coinvolgerla in un bacio violento: erano solo due lingue che si scontravano e si avviluppavano senza amore, solo con bramosia.

Arrivarono – con passo malfermo – fino al portico, lì Tom si staccò e la strinse contro il suo petto mentre si frugava ansiosamente la tasche alla ricerca delle chiavi.

“Chiavi del cazzo! Dove siete finite?”

Borbottò, poi si stufò di cercarle e tornò a baciarla accarezzandole ogni centimetro di pelle lasciato libero dal vestito e tentando di risalire lungo le sue cosce.

“Sul portico no, cazzo!”

“Non trovo le chiavi!”

“Cerca meglio!”

Lui sbuffò e tornò a frugarsi le tasche fino a trovare le agognate chiavi e aprire con poca grazia la porta. Dentro riprese a baciarla e questa volta non si lasciò fermare: il suo vestito finì a terra.

Una luce maliziosa si accese negli occhi del suo migliore amico, che percorse con un dito le sue forme facendola fremere.

Con una gentilezza inaspettata riprese a baciarla e la fece sdraiare sul divano, scendendo poi a baciarle il collo e  ad accarezzarla da sopra il reggiseno. Lei non rimase inerme, in breve tempo la maglia e i pantaloni di Tom erano sul pavimento a fare compagnia al suo vestito.

“Sei bella e ho tanta voglia.”

Ansimò lui con voce roca.

Lei no rispose e gli accarezzò con dolcezza la zazzera bionda, facendo apparire sul volto del ragazzo il suo famoso ghigno storto.

Le tolse il reggiseno e si buttò sui suoi seni baciandoli, leccandoli e succhiandoli, le  mani di lui si erano invece infilate nelle sue mutande e lambivano piano la sua femminilità.

Voleva fare qualcosa anche lei, ma al primo affondo del dito di Tom il suo cervello si disconnesse, lei buttò indietro la testa e strinse la testa di Tom contro il suo seno.

Ci sapeva fare con quelle dannate dita e in breve tempo si ritrovò a gemere, ansimare e ad assecondare i movimenti con il corpo, chiedendo sempre di più.

“Ti prego, falla finita con questa tortura. Ti prego!”

Lui sorrise e dopo l’ultimo affondo le tolse le mutandine, si tolse i boxer e le porse un preservativo, che lei gli infilò senza problemi stupendosi.

Il primo colpo la fece urlar, lui non ci fece caso e continuò, alternando colpi potenti ad altri più lunghi fino a che non venne, poco dopo arrivò all’orgasmo anche lei.

Tom si tolse il preservativo, lo lanciò nel cestino che c’era nel salotto e poi si addormentò attirandola sul suo petto.

Anne si godette il suo calore e il senso di benessere che stava provando dopo l’orgasmo, ma sapeva che era temporaneo.

Come la marea e come sapeva anche lei, si ritirò presto lasciandole un senso di freddo addosso: per Tom era stato solo sesso.

Solo sesso fatto con una sconosciuta che avrebbe potuto anche non essere lei.

Del sesso fatto per dimenticare Erin, era stato il nome della ragazza che aveva urlato quando aveva raggiunto l’orgasmo, non il suo.

Anne sospirò amaramente, non  poteva certo sperare di togliere Sid alla sua Nancy…

Ora aveva svolto il suo compito – aveva regalato del sesso al suo migliore amico, anche se non si aspettava che sarebbe avvenuto così – e poteva andarsene.

Si mosse piano per poter andare a raccattare i suoi vestiti e poi andarsene, prima che Tom si rendesse della cazzata o gli altri la vedessero, ma le braccia del ragazzo la imprigionarono in una morsa ferrea.

Provò altre volte, ma non c’era modo di smuovere Tom e così si rassegnò a rimanere beandosi della vicinanza e del calore del corpo del ragazzo.

Ok, fare sesso con lui non era stato romantico come aveva immaginato e se ne sarebbe pentita, ma per ora non lo rimpiangeva. Le dispiaceva solo non riuscire a esser qualcosa di più per lui.

Con questi pensieri – complici il sonno, la stanchezza, l’alcool e la vicinanza di Tom – si addormentò.

 

La mattina dopo si svegliò con la testa pesante.

Tom dormiva ancora, per fortuna, e la sua presa era notevolmente diminuita così Anne poté uscire dal suo abbraccio e raccattare tutto quanto.

Si rivestì sentendosi tremendamente in imbarazzo e chiedendosi come diavolo avrebbe fatto ad arrivare al Soma e recuperare la sua macchina quando una voce la chiamò.

David era appoggiato allo stipite della porta della cucina con una tazza di caffè in mano e la guardava comprensivo.

“Vuoi un passaggio fino al Soma?”

“Sì, hai visto tutto, vero?”

Lui annuì.

“Anche Matt?”

“No, Ruby.”

“Sono nella merda.”

“No, vieni che andiamo. Non vuoi farti trovare qui da Tom, vero?”

Lei scosse la testa e seguì l’amico fuori di casa.

“Cosa vuol dire che non sono in merda?”

“Io e Ruby manterremo il segreto.”

“Vi ringrazio.”

“Toglimi solo una curiosità, Anne. Perché l’hai fatto?

Eri solo ubriaca o c’è anche qualcos’altro sotto?”

La ragazza si irrigidì immediatamente, ma in fondo era David ad averle posto la domanda e di David Kennedy ci si poteva fidare: non era uno che raccontava in giro le confidenze altrui.

“Se te lo dico posso essere sicura che non lo dirai a nessuno?”

Lui annuì, ormai erano quasi arrivati al parcheggio del Soma.

Tom a quest’ora si starà svegliando, si disse, chissà se si ricordava ancora di lei?

“Sono innamorata di Tom da almeno un anno, David e so di non avere nessuna possibilità. Lui ama Erin o le scopate occasionali, non certo me e se dovesse succedere qualcosa tra di noi Mark non la prenderebbe bene.

Tutto questo fa terribilmente male.”

“Capisco, ma prima o poi, se è davvero amore e se siete destinati a stare insieme le coincidenze si aggiusteranno.”

Ci fu un attimo di silenzio.

“Non avrei dovuto farmi scopare da lui questa notte.”

“No, non avresti dovuto.”

“Ma sai una cosa?

Non me ne pento affatto, anche se è stato sbagliato, anche se non c’è stato amore, è stato comunque bellissimo. Lo rifarei cento vento.

Non gli direi di no nemmeno se il tempo tornasse indietro e mi desse una seconda possibilità.”

David scosse la testa.

“Sei fregata, lo sai vero?”

“Lo so, voglio parlare con Ruby dopo.”

“Non ti fidi di lei?”

Anne sospirò.

“Dave, è pur sempre la sorella di Erin e la famiglia viene prima di tutto, lo sai.”

“Come vuoi, siamo arrivati, Cenerentola.”

“Grazie, David.”

“Di niente, Ruby ha un colloquio da Luigi oggi a mezzogiorno.”

“Grazie dell’informazione. Ciao!”

Scese dalla macchina e si diresse verso la sua, sentendo le prime avvisaglie del mal di testa post-sbornia.

Guidò fino a casa cercando di ricordarsi se aveva lezione alla mattina e ringraziando Dio che quello fosse il suo giorno libero al lavoro: aveva un dannato bisogno di un aspirina e di dormire.

Arrivata al suo appartamento prese un profondo respiro, le serviva tutta la sua calma, per fingere con Erin, ammesso che quest’ultima fosse stata sveglia.

Entrò e trovo la sua coinquilina con i suoi scompigliati capelli neri e verdi che si preparava un caffè in cucina.

“Buongiorno Anne, notte di follie, vero?”

-Sì, con il tuo ragazzo, cara. Tu cosa hai fatto ieri notte?-

Censurò la battuta e sorrise.

“Sì, devo smetterla con l’alcool. Tu?”

“No, niente. Sono andata al bar sottocasa e ho incontrato un ragazzo e ci ho chiacchierato.

È simpatico, è di Fontana. Fa il batterista, dà lezioni di batteria e fa lo spazzino.”

“Uhm, capito… quindi Tom è già archiviato?”

“Non è ho idea. Adesso ti lascio, devo andare a lezione. Fatti una dormita ne hai bisogno, sembri uno zombie.”

Anne non disse nulla, censurando ancora una volta che era grazie al ragazzo dell’amica che era ridotta così.

Mangiò svogliata un muffin avanzato da Erin, ingollò un aspirina e si buttò a letto, cadendo in un sonno senza sogni.

Si svegliò che era ormai l’una.

“Bella merda! Ho sprecato il mio giorno di pausa dormendo e io che volevo fare shopping!”

Si alzò dal letto imprecando, si fece una doccia a arrivò in cucina, Erin doveva aver mangiato fuori perché non c’erano segni di un pranzo preparato e consumato.

Si scaldò una pizza surgelata e la consumò presa da altri pensieri. Non si pentiva di aver fatto sesso con Tom, ma iniziava a farle male che per lui era stato solo sesso e ora probabilmente lui non ricordava nemmeno chi fosse la donna che si era scopato.

Ormai era tardi e poi doveva andare da Ruby per accertarsi che la sua cavolata non avesse conseguenze catastrofiche.

Quando Anne suonò al campanello dell’appartamento del fratello fu la messicana a venire ad aprire.

“Ciao. C’è Mark?”

“No, è al lavoro.”

“Perfetto, volevo parlare con te.”

“Allora, entra la vicina è pettegola E HA L’HOBBY DI ASCOLTARE LE CONVERSAZIONI!”

Dalla porta vicino a quella della casa di Mark si sentirono delle imprecazioni e un rumore di sedie spostate.

“Bueno.”

Ruby si spostò per farla passare.

“Com’è andato il colloquio da Luigi?”

“Bene, bene. Mi hanno assunta, inizio domani.

Immagino che tu non sia qui per quello, vero?

E, tra parentesi, come facevi a saperlo?”

Lei si sedette su una sedie del tavolo del salotto e arrossì.

“Ho parlato con David. Sono contenta che tu sia stata assunta.

E hai ragione, non sono qui per questo, devo chiederti di ieri sera.”

Sul volto della ragazza di suo fratello si dipinse un’espressione curiosa: una specie di sorriso, misto a rabbia e a esasperazione.

“Lo immaginavo, Anne. Adesso prendo delle birre e ne parliamo.”

La mora andò in cucina e tornò con due birre, un pacchetto di sigarette e un posacenere.

Se ne accese una e ne offrì una anche a lei.

“Sì, accetto. Credo di averne bisogno.”

“Ieri sera sei andata a letto con Tom, vero?”

Lei annuì.

“Sì, David dice che ci hai visti.”

“Sì, vi ho visti e non ne sono rimasta sorpresa e da un po’ che ho capito che ti piace Tom e ho ammirato come tu non ti sia fatta avanti in nessun modo e come tu non abbia lasciato trapelare nulla.”

Anne sgranò gli occhi.

“Come hai fatto a capirlo?”

“Ho visto come hai abbracciato Tom quando io e lui abbiamo rapito tu e tuo fratello a San Francisco: era esattamente il modo in cui ho abbracciato Mark.”

“Lo dirai a Erin?”

“No, ora si arrabbierebbe e basta.”

“Cosa vuoi dire?”

Ruby spense la sigaretta nel posacenere.

“Senti, conosco mia sorella e credo di aver capito cosa le gira per la testa.

Tom è stato il suo primo amore, quello travolgente che ti fa fare cazzate e perdere la testa, ora però quel sentimento così forte è scemato in lei.

Credo che Erin senta amicizia e un grandissimo affetto per Tom, ma non più amore. In qualche modo si sente legata a lui e lo sarà sempre, perché il primo amore non si scorda mai.

Forse torneranno insieme e si rimolleranno o forse non lo faranno.

Se lei dovesse venire a sapere ora che Tom è stato a letto con te sarebbe furiosa perché si sentirebbe tradita. Se vuoi provarci con Tom devi aspettare che lei prenda le distanze da lui.

E poi non ho detto  nulla per evitare un infarto a tuo fratello.”

Anne sorrise, pensando alla possibile reazione di Mark.

“Quindi non sei  contraria al fatto che ci provi con  Tom un giorno?”

“No, mi sembri una tizia a posto e sareste una bella coppia.”

La Hoppus tirò un sospiro di sollievo.

“Grazie, Ruby.”

“Prego!”

Anne bevve l’ultima sorsata di birra.

“Così Luigi ti ha assunta… Tu e mio fratello festeggerete stasera?”

“Non lo so, sinceramente. Stamattina è partito per andare a lavoro con un mal di testa bestiale e la faccia da zombi.”

“Si è rifiutato di prendere in moment, vero?”

“Sì. Nemmeno urlare è servito.”

“Odia prenderli dopo che si sbronza, dice che è forte abbastanza da reggere l’alcool.”

“Che zucca vuota!”

Borbottò l’altra.

“Tom ti ha già fatto la sua proposta?”

Anne la guardò senza capire e Ruby arrossì iniziò a muovere freneticamente le mani avanti e indietro.

“Non è come pensi! Oddio, che figura!

Intendevo dire se ti ha già chiesto di vendere magliette per i futuri tour dei blink, non volevo prenderti in giro!”

Anne sorrise.

“Vai tranquilla, comunque sì me l’ha chiesto.

È ossessionato dalla band e anche mio fratello lo è, sfonderanno.”

“Oh sì, se non per bravura per ostinazione!”

“Ora vado, se mio fratello mi becca qui inizierà a farmi delle domande. Grazie per il silenzio.”

“Prego, spero che tu non ne esca con le ossa troppo rotte per la storia di Tom.”

“Lo spero, anche se prevedo tempi cupi.”

Anne salutò l’amica e uscì dall’appartamento del fratello sentendosi più leggera.

Era vero – prevedeva tempi cupi senza essere una strega come Ruby Ferreira – ma ora sapeva che aveva qualcuno su cui contare e non era poco.

Ora era un pochino più tranquilla.

In qualche modo sarebbe andata, non era sola.

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Capitolo 4
*** 4)Di pazze furiose e migliori amici nei guai. ***


4)Di pazze furiose e migliori amici nei guai.

 

Ci sono giornate che sai che finiranno male, anche se iniziano bene.

La mia è iniziata discretamente bene – ronfando sul petto di Mark –ed  è proseguita in modo battagliero.

Mark si è alzato per andare a lavoro con un mal di testa epico – a causa dell’alcool bevuto la sera prima – rifiutando di prendere qualsiasi medicinale che lo potesse far star meglio.

Dice che riesce abbastanza a reggere le sbronze, a me non sembra, ma dopo aver urlato come una matta senza ottenere risultati ho lasciato perdere.

Se vuole soffrire come un cane mentre lavora che lo faccia pure!

Una volta che Mark è uscito di casa io sistemo un po’ della mia roba e poi decido di fare un giro in università: la prima tappa è la segreteria e poi penso di darci un’occhiata giusto per iniziare ad ambientarmi e non perdermi il primo giorno.

Esco di casa indossando un abitino bianco, degli anfibi, una lunga collana di perline di vetro nere e un braccialetto di borchie. I miei capelli crescendo sono diventati leggermente più mossi e nono ho più la frangia, ma una scriminatura laterale, per il resto ho il solito trucco nero e una borsa nera di pelle grande abbastanza per metterci i documenti senza ammaccarli troppo.

Il pullman diretto verso il campus universitario arriva poco dopo, io sto ossessivamente attenta a non perdermi la fermata nonostante abbia studiato il percorso.

Finalmente scendo e poco un dieci minuti a piedi mi trovo davanti il posto che frequenterò per qualche anno: l’università di San Diego.

Il posto è molto grande, dotato di un gigantesco giardino ben curato, con molti alberi e delle panchine piazzati nei punti strategici, ha anche delle buone indicazioni.

Un po’ seguendo quelle, un po’la massa raggiungo la segreteria. Sono le dieci e ha appena aperto, ma già la fila è chilometrica, sarà meglio munirsi di santa pazienza.

Aspetto il mio turno finendo per annoiarmi a morte, non riesco a trovare nessuno disposto ad attaccare bottone: come al liceo per uno strano motivo incuto paura.

Quando tocca a me vengo liquidata in due secondi da una segretaria scorbutica che quasi controvoglia mi consegna una piantina dell’edificio e un orario non definitivo, dicendomi che quello definitivo viene consegnato di solito solo la seconda settimana di lezioni.

Io esco di pessimo umore, pensando che le mie tasse universitarie pagano anche il suo stipendio e che non le costerebbe nulla essere un filo più gentile.

Ok, Ruby non te la prendere, adesso calmati facendo un giro.

Spendo un’altra ora girovagando per il campus cercando di memorizzare il più possibile la disposizione delle aule. Qui gira un sacco di gente, sembra interessante, ma ho anche un filo di paura.

È  enorme – gigantorme, secondo uno dei neologismi di Erin – e mi chiedo se troverò qualcuno di cui essere amica qui e se riuscirò ad avere una buona media come al liceo.

Sto uscendo dal grande cancello in ferro battuto quando sento qualcuno urlare come se fosse posseduto da Satana in persona e mi volto curiosa: una nanerottola dai capelli castani urla e mi indica.

Io torno indietro, notando che la sconosciuta ha due occhi blu e sembra fuori dalla divina grazia.

“C’è qualche problema?”

Chiedo con un tono neutro.

“TU!”

Urla indicandomi con un indice lungo e magro, facendo voltare metà della gente presente.

“Tu mi hai rubato la borsa!”

“Io? Ma che problemi hai?”

Lei inizia ad agitarsi più frenetica di prima.

“Le conosco le teppiste come te! Fate tanto le santarelline, ma siete le peggio ladre, ho lavorato per tutto il liceo in un negozio di vestiti, so come agite!”

“Tu in un negozio di vestiti? Pensavo venissi dritta da un centro di igiene mentale!”

“Poche storie, messicana! Quella è la mia borsa, l’ho lasciata un attimo nell’aula ventitre per andare in bagno e al mio ritorno non c’era più e ti ho visto gironzolare intorno all’aula con aria losca.”

“è la prima volta che vengo qui, stavo cercando di farmi un’idea del posto prima che iniziassero le lezioni. Sai, anche noi messicane abbiamo di questi lampi di genio!”

“Fammi vedere cosa c’è dentro, così sapremo subito chi ha ragione!”

Mi dice decisa, facendomi segno di cederle la brosa.

Fossi matta, ci sono i miei soldi qua dentro, la patente, le sigarette e le chiavi di casa!

“Non ci penso nemmeno, gringa!”

Lei sta per mettersi a urlare di nuovo quando qualcuno dietro di noi sbraita: “Jen, Jeeen!” e lei si volta. Deduco che Jen sia il suo nome – che nome del cazzo, dico tra me e me – da questo, la tizia che ci ha raggiunte ha in mano una borsa uguale alla mia e che porge alla schizzata.

“Jen, stordita! Te la sei dimenticata in aula 23!”

“Ehm, grazie Skye.”

Balbetta lei, poi si rigira verso di me che la osservo con un sopracciglio inarcato.

“Scusa.”

“Scuse accettate, anche se di solito noi teppiste messicane siamo solite risolvere queste questioni con una bella rissa.

Ora vado e spero di non rivederti mai più.”

Alzo i tacchi e me ne vado sentendola parlare in modo animato e con un tono imbarazzato a quella Skye che le ha riportato la borsa.

Vado alla fermata del pullman bollendo di rabbia e per poco non mi perdo quello che va in centro, dove ho appuntamento con mia sorella per mangiare un boccone insieme.

Arrivo davanti al solito Mac leggermente in ritardo e con una faccia scura, tanto che lei mi guarda interrogativa.

“Beh? È il tuo secondo giorno in città e hai giù questa faccia?”

“Ce l’avresti anche tu se ti fossi beccata la segretaria più scorbutica di tutta la California e una pazza che ti accusa di averle rubato la borsa.”

“Questa me la spieghi dentro. Forza, muoviti che altrimenti non troviamo un posto per mangiare!”

Senza tante cerimonie mi trascina dentro, lei si che sembra una teppista con quei capelli, le calze a rete stracciate, le borchie, gli shorts stracciati e una maglia gigantesca dei Misfits!

Seguendo una nostra regola lei mi dice il menù che vuole e si butta nella mischia dell’affollato Mac alla ricerca di un posto mentre io mi sorbisco la coda.

Arrivato finalmente il mio turno prendo i due vassoi e i tre menù e mi dirigo verso la sala che dà sulla piaggia, Erin mi fa cenno: si è accaparrata un tavolo per due all’angolo estremo della grande vetrata.

Io appoggio i due menù ed Erin guarda con leggero disprezzo il menù extra per bambini che ho preso.

“Non abbiamo più cinque anni.”

“Stai zitta! Come se non sapessi come finirà, alla fine ci litigheremo la sorpresa!”

Lei ride e addenta il suo panino, io addento il mio: suono buoni.
Sì, so che non sono salutari e grazie a Tom so una tonnellata e mezza di leggende metropolitane sulla loro, ma siccome mi piacciono troppo me ne frego e continuo a mangiarli.

La vita da vegetariana non farà mai per me.

Arrivata a metà panino lo appoggia e mi guarda.

“Racconta come ti hanno preso per una ladra.”

“Ma niente, stavo uscendo dall’università quando sento una tizia che urla come una pazza. Mi volto e sembra che ce l’abbi con me, le chiedo cosa vuole e comincia a urlare che le ho rubato la borsa e che le conosce le teppiste messicane come me.”

Mia sorella scoppia ridere.

“ma questa sta male, vai avanti.”

“Voleva guardare nella mia borsa, ma gliel’ho impedito, nemmeno cinque secondi dopo è arrivata tutta trafelata una sua amica, una biondina, con la borsa dell’esaurita in mano.”

Mia sorella scoppia di nuovo a ridere e questa volta le scendono le lacrime.

Una volta ripresasi mi guarda sconsolata.

“Ma i matti tutti tu li becchi!”

“Lo so, purtroppo. Che palle! Spero di non vederla mai più.”

“Lo spero anche io, in tal caso tieniti stretta la borsa.”

Ride di nuovo.

“Ieri sera come è andata?”

“Bene. Ci siamo divertiti e ubriacati, Mark mi ha detto che hanno una serata sabato.”

“Davvero? Magari ci farò un salto…”

Dice senza troppa convinzione, non credo muoia dalla voglia di vedere Tom.

“Anne deve essersi ubriacata tanto, è stata fuori a dormire e stamattina  sembrava uno zombie quando è tornata a casa.”

Io faccio appello a tutto il mio autocontrollo per non fare nessuna battutina o espressioni che lascino trapelare quello che ho visto la sera prima.

Certo che Anne era uno zombie, ma  non posso certo dire a mia sorella che è per colpa del suo ragazzo!

“Davvero? A un certo punto della serata è sparita in effetti. Io ho scoperto che Mark odia prendere medicinali nel post sbronza.”

“Che tipo.”

“Tu, che hai fatto ieri sera di bello?”

“Niente di particolare, volevo uscire ma sapevo che tu e gli altri eravate al Soma e non mi andava di guastarvi la serata, così sono andata al bar sottocasa.

Ho conosciuto un ragazzo, si chiama Travis ed è di Fontana.”

“Com’è?”

Le chiedo in modo innocente, in realtà tutti i miei sensori sono in allerta.

“Carino! Ha due occhioni blu meravigliosi, i rasta e un piercing al labbro e al naso. È pieno di tatuaggi. Suona la batteria e dà anche lezioni, lavora anche come spazzino.

Ed è timido.

T i m i d o.

Non credevo esistessero ragazzi timidi, che ti ascoltano e non parlano ogni due per tre.

E ha una vocina sottile che ti fa venire voglia di abbracciarlo.”

Ok, mia sorella si è presa una bella sbandata per lui, il che mi fa pensare che per Tom non ci siano molte speranze per un ritorno di fiamma, ma solo per una solida amicizia.

“Bello, effettivamente.

Dave è l’unico ragazzo timido che io conosca, deve essere strano non avere a che fare con due logorroici come Tom e Mark, vero?”

“Stranissimo.”

Esclama lei, aspirando una sorsata di coca.

“Senti, non voglio fare l’invadente o farti la morale, ma lui è anche mio amico quindi mi sento costretta a chiedertelo. Cosa hai intenzione di fare con Tom?”

“Non lo so, Ruby. Sento che non è più come prima, sento che qualcosa è cambiato, ma non so cosa.

Non so se si sia semplicemente esaurita la passione dei primi tempi o altro.”

“Se si fosse esaurita la passione dei primi tempi…”

“Dovremmo entrambi impegnarci in un rapporto un po’ più adulto e carico di “responsabilità” e non so se siamo pronti. Io non mi sento ancora pronta e penso che non lo sia nemmeno lui, finirebbe male.

Sarò onesta, ci sono giorni in cui la mia decisione mi sembra la migliore e mi sento il cuore leggero e altri in cui vorrei solo andare da lui e abbracciarlo e trascorrere la giornata intera nel letto a coccolarci.

Mi manca, Ruby.

Mi manca non poterlo toccare, abbracciare, ma se lo facessi sento che gli farei del mare, ora come ora.”

Io sospiro.

“Erin, non sono un genio in queste cose, ma solo tu puoi sapere quello che vuoi e so che ti ci vuole del tempo, ma spero che non lascerai Tom troppo sulla corda.

Tu sei mia sorella e lui il mio migliore amico, mi dispiace vedervi così e mi dispiace che tu ti isoli per non volerlo incontrare.”

“Vederlo mi farebbe ancora più male, spero di capire cosa voglio prima di mandarvi tutti al manicomio.”

Finiamo il nostro panino e poi parliamo d’altro.

Ci salutiamo all’una e mezza, alle due riprende il suo corso per tautatori e lei non vuole fare tardi, non l’ho mai vista impegnarsi così tanto al liceo, deve essere proprio la sua strada!

Arrivo a casa e sistemo quello che non ho sistemato questa mattina, mi ci vuole un po’ e alla fine sono stanca e sudata e di pessimo umore.

Dalla finestra aperta mi arriva il rumore della gente che se la spassa in spiaggia fuori e penso che solo una pazza come me poteva trascorrere così il suo ultimo pomeriggio di libertà, invece che in spiaggia!

Mi fumo una sigaretta e mi faccio una doccia, dicendomi che in fondo sono solo le quattro e che posso farci un giro ora.

Mi cambio e il campanello dell’appartamento suona, strappandomi uno sbuffo – i miei piani sono andati in fumo ancora prima di poter anche solo mettere il naso fuori casa – e costringendomi ad andare ad aprire.

Alla porta c’è Anne. La cosa non mi sorprende particolarmente, qualcuno – David – deve averle detto che li ho visti.

“Ciao. C’è Mark?”

Vuole prenderla alla larga? Ok, la asseconderò.

“No, è al lavoro.”

“Perfetto, volevo parlare con te.”

“Allora, entra la vicina è pettegola E HA L’HOBBY DI ASCOLTARE LE CONVERSAZIONI!”

Dalla porta vicino a casa nostra si sentono delle imprecazioni e un rumore di sedie spostate. Lo sapevo che quelle vecchiaccia della vicina aveva l’hobby di spiare!

“Bueno.”

 Esclamo e mi sposto per fare passare la mia ospite.

“Com’è andato il colloquio da Luigi?”

Il minuetto continua, ma tra poco lo interromperò. Non mi piace girare intorno alle cose e poi voglio andare in spiaggia! E che cazzo!

“Bene, bene. Mi hanno assunta, inizio domani.

Immagino che tu non sia qui per quello, vero?

E, tra parentesi, come facevi a saperlo?”

Lei si siede su una delle sedie del salotto e arrossisce. Cristo! Non ho mai visto Anne arrossire, nemmeno il giorno del diploma.

“Ho parlato con David. Sono contenta che tu sia stata assunta.

E hai ragione, non sono qui per questo, devo chiederti di ieri sera.”

 “Lo immaginavo, Anne. Adesso prendo delle birre e ne parliamo.”

Vado in cucina e raccatto due birre, imponendomi di stare calma, per facilitarmi il compito prendo anche un pacchetto di sigarette – Marlboro light, quindi di Mark –  e un posacenere.

Me ne accendo una e le offro anche ad Anne, di solito non fuma, ma oggi è talmente nervosa che accetta.

“Sì, accetto. Credo di averne bisogno.”

“Ieri sera sei andata a letto con Tom, vero?”

Lei annuisce, la cosa era abbastanza ovvia.

“Sì, David dice che ci hai visti.”

“Sì, vi ho visti e non ne sono rimasta sorpresa e da un po’ che ho capito che ti piace Tom e ho ammirato come tu non ti sia fatta avanti in nessun modo e come tu non abbia lasciato trapelare nulla.”

Anne sgrana gli occhi e mi guarda come se fossi un’aliena.

“Come hai fatto a capirlo?”

“Ho visto come hai abbracciato Tom quando io e lui abbiamo rapito tu e tuo fratello a San Francisco: era esattamente il modo in cui ho abbracciato Mark.”

“Lo dirai a Erin?”

“No, ora si arrabbierebbe e basta.”

“Cosa vuoi dire?”

Spengo con decisione la sigaretta nel posacenere e mi preparo ad articolare il discorso più contorto della mia vita.

“Senti, conosco mia sorella e credo di aver capito cosa le gira per la testa.

Tom è stato il suo primo amore, quello travolgente che ti fa fare cazzate e perdere la testa, ora però quel sentimento così forte è scemato in lei.

Credo che Erin senta amicizia e un grandissimo affetto per Tom, ma non più amore. In qualche modo si sente legata a lui e lo sarà sempre, perché il primo amore non si scorda mai.

Forse torneranno insieme e si rimolleranno o forse non lo faranno.

Se lei dovesse venire a sapere ora che Tom è stato a letto con te sarebbe furiosa perché si sentirebbe tradita. Se vuoi provarci con Tom devi aspettare che lei prenda le distanze da lui.

E poi non ho detto  nulla per evitare un infarto a tuo fratello.”

Anne sorride, forse pensa a Mark preso da uno spasmo – che risulterebbe comico data la sua faccia da adorabile idiota – crollare a terra bestemmiando in lingue sconosciute.

“Quindi non sei  contraria al fatto che ci provi con  Tom un giorno?”

“No, mi sembri una tizia a posto e sareste una bella coppia.”

Lei tira un sospiro di sollievo e penso che alla fine la rottura tra Erin e Tom non sarà poi così tragica.

“Grazie, Ruby.”

“Prego!”

Anne beve l’ultima sorsata di birra.

“Così Luigi ti ha assunta… Tu e mio fratello festeggerete stasera?”

“Non lo so, sinceramente. Stamattina è partito per andare a lavoro con un mal di testa bestiale e la faccia da zombi.”

“Si è rifiutato di prendere in moment, vero?”

“Sì. Nemmeno urlare è servito.”

“Odia prenderli dopo che si sbronza, dice che è forte abbastanza da reggere l’alcool.”

“Che zucca vuota!”

Borbotto io.

“Tom ti ha già fatto la sua proposta?”

Anne mi guarda senza capire e questa volta sono io ad arrossire e inizio anche a muovere le mani davanti alla faccia gesticolando come un’esaurita.

 “Non è come pensi! Oddio, che figura!

Intendevo dire se ti ha già chiesto di vendere magliette per i futuri tour dei blink, non volevo prenderti in giro!”

Anne sorride, ho il sospetto che il grande progetto di DeLonge non le sia per niente estraneo .

“Vai tranquilla, comunque sì me l’ha chiesto.

È ossessionato dalla band e anche mio fratello lo è, sfonderanno.”

“Oh sì, se non per bravura per ostinazione!”

“Ora vado, se mio fratello mi becca qui inizierà a farmi delle domande. Grazie per il silenzio.”

“Prego, spero che tu non ne esca con le ossa troppo rotte per la storia di Tom.”

“Lo spero, anche se prevedo tempi cupi.”

Detto questo se ne va e io posso finalmente riempire una borsa e andare alla spiaggia.

Penso di averne bisogno: ho la testa piena di troppe cose e troppo poche riguardano me.

Accidenti – mi dico mentre stendo il telo sulla sabbia soffice, coccolata dal sole non troppo caldo del tardo pomeriggio e dalla brezza marina – quei sono dei danni!

C’è voluta la mano di Dio per farli mettere insieme e per convincere mia sorella Tom ha dovuto fare da pungi ball a una banda di latinos per salvarla e ora, nemmeno il distacco è facile.

Che poi.. si lasceranno davvero?

Ho il vago sospetto che un altro giro di giostra lo concederanno alla loro relazione, anche solo perché entrambi sono testardi e faticano ad accettare i fallimenti.

Povera Anne, povera Erin e povera me!

Non mi piace mentire a Mark e spero che non lo venga mai a sapere – altamente improbabile, questa situazione è un campo minato, prima o poi qualcuno salterà per aria – perché non voglio perdere la sua fiducia.

Il primo passo per perderla è mentire e io sono già nella merda.

Mentire…

Mi lascio cadere sulla schiena e sbuffo.

Quanto avrei voluto non vedere niente e non aver parlato così bene ad Anne, avrò fatto la cosa giusta?

Sto diventando troppo simile a Erin, troppo impulsiva!

“Buh!”

Qualcuno decide che il modo giusto per porre fine ai miei dubbi è farmi venire un infarto. Mi porto una mano al petto – la fitta è stata forte – e mi volto verso il disturbatore della quiete pubblica.

È Tom.

“Ma sei scemo, DeLonge?

Mi hai fatto venire un infarto!”

“Scusa, non pensavo fossi così assorta nei tuoi pensieri.”

Si siede accanto a me e si mette a guardare il mare in tutta tranquillità, mentre io borbotto a bassa voce.

“Ieri sera mi sono ubriacato e mi sono portato a letto qualcuno, David lo sa, ma fa finta di non saperlo. Dimmi, in una scala da uno a cento, quanto enorme è stata la cazzata che ho fatto ieri sera?”

“Un miliardo Tom e non chiedermi altro, non ho intenzione di dirti una parola di più.”

Lui si prende la testa tra le mani.

“Merda, merda, merda, Ruby!”

Ieri piangevo per Erin e alla sera ho finito per scopare con qualcun altro.

Almeno era una ragazza?”

“Certo, coglione! L’alcool non ti trasforma in gay.”

Tira un sospiro di sollievo e poi si riprende la testa tra le mani.

“Sono un uomo di merda, Ruby! Tua sorella ha fatto bene a lasciarmi, non mi merito la sua fiducia.”

Io gli appoggio una mano sulla spalla e inizio a massaggiargliela sorridendo.

“Tom, solleva gli occhioni castani e guardami.”

Le parole sono ironiche, ma il tono è dolce. Un tono che non uso con nessuno, se non con Mark.

Lui mi guarda spaesato.

“Non farmelo ripetere, tu sei una persona fantastica e un ragazzo meraviglioso.

Ieri sera eri ubriaco e hai fatto una cazzata, succede a tutti.

Tu sei all’altezza di mia sorella, dovete solo capire se entrambi volete solo un’amicizia o dare un seguito alla vostra storia.

Sei il mio migliore amico, Tom, non voglio sentirti parlare così.”

Mi guarda sorpreso – le manifestazioni d’affetto non sono esattamente la cosa per cui io sono famosa – poi mi soffoca in un abbraccio dei suoi.

Un abbraccio muto se non verso la fine in cui sussurra qualcosa in grado di riscaldarmi il cuore.

“Grazie, Ruby. Anche tu sei la mia migliore amica, anche tu sei speciale e ora so cosa ci ha visto Mark in te. Ti voglio bene.”

Ti voglio bene anche io, Tom.

Sei un minchione che combina casini ogni due per tre, ma la mia vita sarebbe vuota senza di te.

 

 

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Capitolo 5
*** 5) He falls in love with the girl at the rock show (once again?). ***


5) He falls in love  with the girl at the rock show (once again?).

 

La visita alla spiaggia ha portato via più tempo del previsto, mi succede sempre.

Amo la spiaggia e mi piace la calma che riesce a produrre in me e in questo periodo ne ho bisogno, ci sono tanti cambiamenti nella mia vita: il mio trasferimento a San Diego, l’università, la convivenza con Mark, il fatto che sono l’unica a sapere che Tom e Anne hanno fatto sesso.

Quando rientro sono le sei e mezza e Mark è già rientrato dal lavoro ed è comodamente spaparanzato sul divano a giocare a qualcosa.

“Buonasera, passata la sbronza?”

Lui sbuffa.

“Sì, alla fine ho dovuto cedere. Ho chiesto un moment al mio capo e il mal di testa mi è passata.

Non berrò più così tanto.”

“Una delle cinque bugie universali, piccolo. Vado a fare la cena.”

“No, lascia perdere. Capo, ci ha invitato a cena, Meg fa le cotolette all’italiana.”

Io sorrido e mi siedo accanto a lui e guardarlo giocare, lui non dice niente: so che in fondo gli fa piacere.

Perde l’ultima vita poco dopo e rinuncia a giocare una nuova partita.

“Dov’eri?”

“Ho fatto un giro in spiaggia, ho pensato che era da fessi trascorrere il mio ultimo giorno da ragazza libera in casa a fare la muffa.”

Lui alza un sopracciglio.

“Luigi mi ha preso, ti ricordi che ieri sera mi ha detto di presentarmi da lui a mezzogiorno?”

Lui si batte la mano sulla fronte.

“Vero, ora mi ricordo. Al Soma ho bevuto come se non ci fosse un domani e ho dimenticato che avevi il colloquio stamattina.”

“Non fa niente.”

Mi accoccolo meglio contro di lui, che mi passa un braccio dietro la schiena.

“Come mai sei stata così tanto in spiaggia?”

“Beh, sai che perdo la cognizione del tempo.”

Lui sorride, ricordando i nostri vagabondaggi sulla spiaggia di Tijuana.

“E poi ci si è messo Tom.”

“Erin?”

“Erin. Spero che la loro pausa di riflessione si risolva presto. Fa schifo vederli così.”

Lui annuisce.

“Tom alterna momenti di mutismo ad altri di iperattività. È dura gestirlo.”

Io rimango in silenzio, guardando il gioco che richiede se si vuol o meno fare un’altra partita: ottima metafora, aggeggio elettronico.

“Oggi ho visto Anne, mi è sembrata strana. Tu ne sai qualcosa?”

Cerco di controllarmi il più possibile e di non irrigidirmi, lui non deve sospettare niente.

“Sì e no. Ho visto Erin a pranzo e mi ha detto che era ridotta a uno zombi perché aveva bevuto troppo e che non è rientrata questa notte.”

Sul suo volto spunta una smorfia dura.

“Non mi piace che faccia queste cose, non le fanno bene, non se le merita.”

Mi volto verso di lui.

“Lo so e ammiro il modo in cui cerchi sempre di proteggerla, ma ormai ha diciotto anni.

Il che significa che è grande abbastanza per prendere le sue decisioni, giuste o sbagliate che siano.”

Lui sospira.

“Lo so e mi manda fuori di testa. Vorrei solo vederla felice, mi domando perché abbia mollato il suo ragazzo quando siamo tornati a San Diego l’anno scorso.”

Io una mezza idea – una certezza, praticamente – ce l’avrei, ma non posso certo dirla a lui o sarebbe capace di precipitarsi da Tom in preda all’ira funesta e Tom finirebbe per fare due più due e capirebbe chi si è portato a letto.

Uno scenario di guerra, in poche parole.

“Non ne ho idea, Mark. Non ho idea.”

“E a me non lo vuole dire. Che palle!”

“Che ci vuoi fare?

Quello che sarà sarà,  lei sa che ci sei.”

Questo sembra chiudere il discorso perché lui sorride, mi attira meglio a sé e riprende a giocare.

Perfetto, già che ci sono mi faccio una dormita in attesa della cena.

Ottimo proposito, ma il telefono si mette a suonare e io sono costretta ad alzarmi.

Al telefono c’è una agitato DeLonge, farfuglia cose senza senso che finiscono per farmi perdere la pazienza.

“Si può sapere cosa c’è?”

“Passami Mark, SUBITO!”

“Agli ordini, mein fuhrer!”

Passo la cornetta al mio ragazzo che ha già capito chi è.

“Si può sapere cosa c’è, rompicoglioni? Stavo giocando!”

Quello che balbetta Tom dall’altra parte della linea fa decidere a Mark che è il caso di andare a casa di Tom.

Con un tono serio e spaventoso mi dice di seguirlo, che è successo un casino.

Io eseguo senza fiatare. In macchina mi dice che Tom l’ha chiamato perché Scott non risponde dalla stanza in cui lo stanno ospitando, la porta è chiusa a chiave e nessuno l’ha visto uscire.

C’era anche lui ieri sera – sebbene mi sia accorta solo più tardi della sua presenza – e ha bevuto come una spugna come tutti, solo che lui ha quindici anni e non è abituato a tutto quell’alcool.

Tom ci aspetta sul portico di casa sua, ha un’aria preoccupata e si torce nervosamente le mani.

“Perché non me l’hai detto prima, eh Tom?”

“Perché pensavo fosse già tornato a Poway! Avevo detto a Dave e Matt di dargli un passaggio a casa sua quando si fosse svegliato e credevo che fosse andata così.

Quando sono arrivato a casa invece ho trovato un biglietto che diceva che Scott era ancora in camera e di dargli un’occhiata.

Beh, l’ho fatto. L’ho chiamato fino a sgolarmi, ma niente.”

Il tutto recitato mentre ci accompagna al piano di sopra della casa, fino a fermarsi davanti a una porta di legno, dipinta di  bianco. Mark prova ad abbassare la maniglia: bloccata.

“Scott, ehi, Scott!”

Nessuna risposta.

“Raynor, non è divertente. Rispondi.”

Silenzio.

“Scott, porca puttana rispondi o butto giù la porta!”

Non si sente nessuna risposta, nemmeno un movimento.

Iniziamo tutti a pensare al peggio, Mark e Tom si scambiano uno sguardo d’intesa.

“La butto giù io, sono più ciccione.”

“Occhio a non farti male.”

Il mio ragazzo prende la rincorsa e al secondo tentativo la porta cede, provocando un rumore sordo in grado di risvegliare i morti.

Scott invece è ancora a letto, non sembra nemmeno avere sentito cosa sia successo.

Io sono l’unica ad avvicinarsi al cumulo di coperte che non dà segni di vita.

Porca merda – mi dico – questo è un bel casino! Se l’istinto non mi inganna il coglione ce l’ha fatta ad andare in coma etilico e questo è un bel problema, probabilmente dovremo chiamare l’ospedale.

Lo scuoto, lo schiaffeggio, gli faccio la respirazione bocca a bocca e sembro ottenere un qualche risultato – forse e sottolineo forse – non sarà necessario chiamare un’ambulanza.

“Tom, Mark! Porca troia, volete venire qui?”

Il mio urlo sblocca i due, che erano rimasti bloccati sulla porta, nemmeno la stanza fosse la scena di un omicidio e li fa accorrere.

“Prendete questo coglione e fate in modo di trascinarlo in bagno, avete una doccia, vero?”

Tom annuisce.

“Bene, forza! Che forse evitiamo l’ospedale!”

I due prendono Scott uno per le braccia e l’altro per le gambe e lo trascinano in bagno, io li seguo e quando il cadavere è nella doccia apro l’acqua fredda al massimo.

Per un attimo non succede nulla, lui rimane inerme, poi inizia a tossire e a rantolare.

“Devo vomitare!”

Mugugna tra i rantoli.

Io gli do una mano e lui rimette anche l’anima. Che schifo!

Questo ragazzo ha bisogno di un discorsetto!

Quando ha finito lo aiuto a uscire e lo consegno nelle mani di Tom e Mark affinché lo rimettano in sesto, io invece mi asciugo un po’ in bagno poi filo in camera di Tom e gli rubo una delle sue enormi maglie e la uso come vestito sopra i miei short di jeans sfilacciati.

Scendo in salotto smadonnando tra me e me e proprio in quel momento entrano David e Matt che mi guardano stupiti.

“Non sei qui da nemmeno una settimana e già tradisci Mark con Tom?”

“In che modo vuoi morire, Sullivan?”

Lui sta per dire qualcosa, ma poi vede i blink scendere – Mark e Tom che reggono un abbacchiato Scott – e decide di tacere.

“Hai salvato in corner Scott?”

“Sì, ho operato quello che c’è di più vicino a un miracolo visto che davo per inevitabile il fatto che necessitasse di una lavanda gastrica.”

Lo zombie viene trascinato in cucina e il resto della band gli somministra qualche intruglio per riportarlo ad una quasi vita.

“Ok, adesso vado a dirgli due paroline.”

“Non essere troppo dura, ha solo quindici anni.”

Mi dice Dave, io scuoto.

“è proprio perché ha quindici anni che devo essere dura, Dave.

Cose come queste non si devono ripetere.”

Lui annuisce.

“Lascialo vivo.”

“Certo, ai blink serve ancora un batterista.”

Entro in cucina e trovo la mia vittima seduta al tavolo con una tazza tra le mani.

“Si può sapere cosa volevi fare?”

“Io volevo solo bere….”

“Scott, bere non significa andare in coma etilico!

Cazzo, datti una regolata, hai idea di quello che hai rischiato?”

“No, ma è andata bene, no?”

“NO. È andata bene solo perché c’ero io e hai avuto culo. Se non ci fossi stata sai cosa sarebbe successo?”

Lui scuote la testa, con il terrore negli occhi.

“Avresti potuto morire, senza nemmeno rendertene conto.

Bella prospettiva, vero?

Ma ne ho un’altra, dimmi se ti piace. Io non sono riuscita a rianimarti e siamo stati costretti a chiamare la croce rossa. Loro ti portano all’ospedale, ti fanno una bella lavanda gastrica e quando ritorni in te un medico in camice bianco ti fa la predica e poi ti annuncia che ora arriveranno i tuoi.

Esatto, li hanno chiamati perché sei un quindicenne che non può nemmeno bere e avresti potuto essere arrestato.

I tuoi entrano, tua madre ha le lacrime agli occhi, tuo padre ha lo sguardo duro delle peggiori occasioni. Braccia conserte e sguardo di ghiaccio: ha preso una decisione di quelle drastiche, una di quelle prese per il tuo bene.

Niente più uscite per un mese almeno, niente più batteria né band per sempre e divieto assoluto di frequentare Tom e Mark.

Tu protesti e tenti di far sentire la tua voce contraria, ma sei inchiodato in un letto d’ospedale, vittima della tua stupidità e con nessuna voce in capitolo.

E così è andato tutto a puttane senza possibilità di rimedio.

Ti piace come prospettiva, Scott?”

Lui deglutisce.

“Non può andare così male, Ruby.”

Io faccio un sorrido dolce, uno dei miei temibili sorrisi dolci.

“Sì che può Scott, se dovesse succedere una seconda volta, ma tu hai il potere di cambiare le cose. Dimmi, vuoi usare questo potere?”

Lui annuisce.

“Bene e allora … NON COSTRINGERMI MAI Più A RIANIMARTI perché SEI UBRIACO FRADICIO!

CERCA DI NON BERE MAI Più COSì TANTO O POTRESTI NON ESSERE COSì FORTUNATO UN’ALTRA VOLTA.”

Lui deglutisce e mi guarda come un cucciolo spaventato, io però non muto di una virgola la mia espressione fredda: deve capire che ha sbagliato e che fatti del genere non dovranno ripetersi mai più.

“Hai capito quello che ti ho detto, Scott?”

Lui annuisce piano, il suo pomo d’Adamo fa su e giù più velocemente della testa.

“Bene, mi giuri che non berrai più così tanto?”

“S-sì.”

“Bene, Scott Raynor e sappi che, visto che ora sei vincolato ad un mio giuramento, non puoi più tirarti indietro o ne pagherai le conseguenze!”

“O-ok. Ora posso andare a casa? I miei saranno preoccupati.”

“Sì, chi lo porta a casa?”

“Ci penso io.”

Sospira Tom e porta Scott fuori dalla cucina.

Mark mi guarda ridendo.

“Sai chi mi hai ricordato? Jules di “Pulp fiction”. Avevo paura che da un momento all’altro avresti tirati fuori una pistola e ucciso Scott.”

“Naaah. Vi serve un batterista.

Sono stata dura perché un ragazzino non dovrebbe bere così tanto!”

Do un’occhiata all’orologio.

“Beh, è meglio se ce ne andiamo o capo e sua moglie ci daranno per morti.”

“Vero!”

Usciamo anche noi dalla cucina, salutiamo Matt e David e poi saltiamo in macchina, diretti verso casa nostra.

Non abbiamo nemmeno il tempo per cambiarci, ci limitiamo a fermarci un piano sotto al nostro e a suonare il campanello dei signori Fitzpatrick.

A venirci ad aprire è una signora di circa sessantacinque anni che indossa un vestitino a fiori e con i capelli turchini perfettamente acconciati in una cascata di riccioli: deve essere Meg Fitzpatrick.

“Buonasera ragazzi.”

“Buonasera, signora. Ci scusi per il ritardo, ma c’è stato un piccolo imprevisto, io sono Ruby.”

Le porgo la mano e lei me la stringe, poi ci invita ad entrare, io la seguo in cucina e Mark si ferma sul divano da Capo, guardano una partita di football.

Il fatto che io segua Meg in cucina è pura cortesia, è già tutto pronto e a me non rimane altro che apparecchiare la tavola, chiamare i due uomini e servire la cena.

Le cotolette della donna sono deliziose, sebbene sia irlandese sembrano proprio fatte da un’italiana.

“Complimenti signora! Sono davvero buone, sembrano fatte da un’italiana!”

Lei ridacchia.

“Chiamami Meg, Ruby e sembrano fatte da un’italiana perché io sono italoamericana, il mio cognome da nubile è De Luca.”

“Beh, allora complimenti per aver conservato così bene le sue radici!”

La conversazione prosegue su questi binari: è molto calma, rilassata e leggera.

Verso le undici torniamo nel nostro appartamento, siamo entrambi stanchi, così ci limitiamo a un bacetto e poi ad andare letto.

Abbracciati.

Tra le sue braccia i problemi sembrano meno grandi e la giornata sempre più bella di quello che si stata in realtà.

 

Il resto della settimana trascorre in una routine un po’sonnacchiosa.

Lavoro da Luigi, gironzolo in spiaggia, mi preparo per l’università, mi vedo con mia sorella e trascorro le mie serate con Mark. Non usciamo mai – lui è troppo stanco per vai del lavoro e delle prove con la band – ma anche solo vedere un film con lui, vederlo giocare o ascoltarlo mentre suona mi piace. È sempre la parte migliore della giornata, lui riesce sempre a renderla tale.

E vorrei che le notti non finissero mai, non so dove la trovi sempre quell’energia.

Glielo chiedo mentre mi tiene abbracciata dopo aver fatto l’amore, in sottofondo si sente il rumore del mare e una luna benigna ci illumina.

“Mark.”

“Sì, bruja?”

Mormora insonnolito, la testa sepolta tra i miei capelli.

“Dove la trovi questa energia?”

“è un complimento per quanto sono bravo a letto?”

“Sì, come se non lo sapessi e non te lo avessi detto un sacco di volte.

Beata la donna che ti sposerà…”

Lui ride.

“Quindi, beata te, Ferreira.”

Io arrossisco fino alla radice dei capelli.

“Non-non hai risposto alla mia domanda.”

Balbetto.

“Ti ho messo in crisi?”

“Sì, diciamo che nessuno aveva mai espresso il desiderio di sposarmi, ma va bene!

Sono felice! Tanto felice!”

Arrossisco ancora di più e lui alza la testa e mi attira a sé per un bacio mozzafiato.

“Beh, sono felice anche io, è per questo che ho tante energie.

Cosa potrei volere di più dalla vita?

Ho una ragazza meravigliosa che mi ama, suono in una band con il mio migliore amico e domani per la prima volta mi esibirò dal vivo.

Potrei toccare il cielo con un dito, anzi l’ho toccato poco fa con te.”

Io sorrido, torniamo a dormire abbracciati,

Una delle dormite più belle della mia vita.

La mattina dopo vado a lavorare con un sorriso che va dall’orecchio all’altro, tanto che se ne accorge persino Luigi.

“Oh, Ruby, cheti è successo?”

“Stasera suona la band del mio ragazzo, Luigi e poi mi ha fatto capire che vorrebbe sposarmi.”

Lui sorride e mi batte una pacca sulla spalla.

“Tanti auguri e buone cose!”

Oggi lavoro con il doppio dell’energia e il capo decide di concedermi la serata libera, in vista del concerto.

Assisto alle loro prove – sono carichissimi – e li aiuto a  caricare i loro strumenti in macchina: Mark è riuscito a farsi prestare la station wagon da sua madre.

Non ne sono molto contenti, non è una macchina adatta a tre giovani punk, ma è spaziosa ed è un miracolo che la signora Hoppus gliel’abbia concessa.

Arriviamo al bar dove si devono esibire e scopriamo che è desolatamente vuoto, a parte noi ci sono il barista e due clienti abituali che mi sembrano troppo bevuti per apprezzare del punk, per di più con dei testi come quelli di questi due pazzi.

In ogni caso loro montano in silenzio i loro strumenti nell’angolo che gli ha destinato il barista e poi al suo cenno iniziano a suonare. I due cadaveri che sono seduti al bancone con me escono dal loro coma personale per mugugnare che qualcuno faccia tacere quel casino infernale.

Il barista lascia suonare ai miei ragazzi solo due canzoni, poi alla terza stacca la corrente, Tom lo guarda sconvolto – con la sua faccia da cucciolo bastonato – e l’uomo alza le spalle.

“Mi dispiace, ragazzi, ma non penso che la vostra musica sia apprezzata dai miei clienti.

Venite, vi offro una Snapple, ve la meritate.”

Un po’ risollevati i tre seguono il barista che offre loro la bevanda promessa, nonostante sia un mezzo fiasco loro sembrano felici. Chiacchierano a tutto spiano, Mark mi passa un braccio intorno alle spalle e nei suoi occhi leggo la felicità del bambino che ha trovato un regalo superiore alle sue aspettative sotto l’albero di Natale.

“Sì, però Tom tu sei stato più stonato di una campana rotta nella prima canzone!”

“Taci, cazzone! Era l’emozione e poi tu a momenti ti stavi dimenticando l’intro di “c..”

Tom si blocca all’improvviso, come se avesse visto un fantasma, un demone o uno dei suoi amati alieni dietro me e Mark.

Io e il mio ragazzo ci giriamo stupiti, ma capiamo al volo il perché: sulla soglia del locale c’è Erin.

Mia sorella ha un’aria trasandata, indossa una maglia gigantesca dei Misfits e ha i capelli in disordine, guarda Tom con uno sguardo da cucciolo smarrito.

Tom appoggia delicatamente la Snapple al bancone e si dirige verso di lei come un sonnambulo.

Si abbracciano come se non ci fosse un domani, lui la stritola e lei gli si abbarbica alle spalle per un tempo infinito. Poi si baciano ed è uno di quei baci da film, quelli per cui ti senti un po’ un guardone se li vedi.

Quando si staccano lui la prende per mano ed escono dal locale, Erin non saluta e nemmeno Tom.

Il secondo giro di giostra è cominciato, spero che nessuno si faccia troppo male.

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Capitolo 6
*** 6) Addio, amore mio. ***


6) Addio, amore mio.

 

Erin era seduta in cucina, c’era solo una birra mezza vuota a farle compagnia.
Quello era uno dei tanti sabati sera che trascorreva nel suo appartamento da ragazza indipendente a San Diego, della Erin festaiola in quegli ultimi tempi era rimasto davvero poco.
Non aveva quasi mai voglia di uscire, il massimo che si concedeva era andare al bar sotto casa oppure – la maggior parte delle sere – chiacchierare con Anne, anche se aveva l’impressione che ultimamente fosse strana.
Aveva provato ad indagare, ma aveva sempre un vicolo chiuso, qualunque cosa tormentasse Anne lei non glielo voleva dire.
Quella sera la sua coinquilina non era a casa perché le avevano rifilato un turno notturno al bar dove lavorava, ma anche se fosse stata libera sarebbe stata fuori.
Quello era un grande giorno per i blink – suonavano per la prima volta in un locale – e lei lo stava saltando per via di Tom.
Non riusciva a vederlo perché farlo equivaleva ad aumentare la sua confusione: proseguire quella storia che stava diventando seria oppure dare ascolto a quella vicina che le diceva che era troppo presto e che nessuno dei sue era pronto?
Diceva cose strane, ma a loro modo sagge, quella voce: le diceva che se fossero passati al livello successivo della loro relazione immaturi e teste calde come erano sarebbe stato un massacro.
Una lite dietro l’altra che avrebbe finito per distruggere anche l’amicizia che c’era tra di loro e questa era una prospettiva che non poteva accettare. Tom era una delle figure più importanti della sua vita, il compagno di mille cazzate e mille altre cose più serie, era l’unico che sapeva che a volte si svegliava urlando e chiamando il nome del padre ed era l’unico ad averla consolata.
L’aveva aiutata quando aveva litigato con Ruby l’anno scorso e le aveva aiutate a sviluppare il loro rapporto come gemelle. Era l’unico a sapere quanto aveva sofferto per il suo rapporto difficile con la madre. Tom era la sua spalla, il suo migliore amico, il suo confidente ancora prima di essere il suo ragazzo.
No, non poteva perderlo e doveva prendere una decisione al più presto; quell’incertezza li stava facendo soffrire entrambi.
-Fortuna che ha Ruby con cui sfogarsi. Non avrei mai pensato che potessero diventare amici, ma sono tanto felice che lo siano diventati. Lui ha bisogno di una ragazza che lo strigli e lei di uno che la faccia ridere.-
Bevve un altro sorso della sua birra e ascoltò i rumori della città: il traffico, i clacson, il vociare della gente che usciva a divertirsi, le urla di quelli che abitavano sotto di lei.
Erano una coppia di portoricani che non facevano altro che urlarsi le peggio cose tutto il giorno, rigorosamente in spagnolo.
Ecco, lei e Tom non dovevano diventare assolutamente così!
Perciò lei non doveva andare al concerto dei blink, ciò non di meno si alzò e indosso il suo paio di anfibi preferiti: quelli con le stringe verde acido e delle strisciate di vernice ai lati dello stesso colore.
Non doveva andare assolutamente a quel concerto, eppure perché stava uscendo di casa in tutta fretta e saltava in macchina come se il diavolo la inseguisse?
Perché era un’incoerente di merda! Si disse con una punta di rabbia.
Guidò fino al locale in cui si esibivano i suoi amici e nel parcheggio riconobbe la station wagon della madre di Hoppus. La mora entrò con furia nel locale per poi bloccarsi sulla soglia:
i tre più Ruby erano al bancone a sorseggiare una Snapple, gli strumenti erano in un angolo probabilmente pronti per essere smontati.
Considerato il genere di bar e la gente presente doveva essere stato un mezzo insuccesso, ma la messicana notò che sembravano tutti piuttosto allegri.
Mark aveva un braccio attorno alle spalle di Ruby ed entrambi le davano le spalle, Scott rideva con in mano una Snapple e Tom faceva della boccacce e gesticolava ampiamente rischiando continuamente di fare una strage con quella lattina.
Smise quando si accorse di lei. Tom si pietrificò e la guardò come si guarda un’apparizione, la morte o un alieno che ti vuole parlare.
Anche gli altri tre si accorsero che qualcosa perché smisero di parlare e Ruby si voltò verso di lei, Tom invece appoggiò la Snapple al bancone e lasciò il gruppo per raggiungerla: camminava come un sonnambulo.
Lei seguiva i suoi movimenti in maniera quasi febbrile, si accorse che aveva quasi smesso di respirare perché riprese un ritmo normale quando lui la soffocò in un abbraccio mortale.
Come al solito Tom sapeva di buono – un misto di cocco, menta e qualcos’altro – e il suo petto era la cosa più accogliente delle terra. Una volta uscita dalla sua paralisi, gli strinse le mano sulla schiena – fino quasi a graffiargliela – e si strinse più forte: erano diventati quasi come un solo corpo.
Rimasero così a lungo – quasi per sempre – poi Tom la staccò impercettibilmente e le alzò il volto e le sorrise, uno dei suoi sorrisi da bambino così rari da vedersi.
Lei lo guardò, gli occhi di lui erano grandi e dolci, li vide solo per un secondo prima che lui la baciasse: era un qualcosa di diverso dal solito.
C’era molta passione, ma anche un fondo di tristezza, come se fosse un addio.
Lei rabbrividì, era uno di quei baci da film che raramente si ricevono nella vita vera.
Quando si staccarono lui la prese per mano e la condusse fuori dal locale, Erin lanciò uno sguardo ai tre rimasti dentro. Mark e Scott erano tra lo stupito e il rassegnato, Ruby invece le rivolse uno sguardo carico di tristezza, le stava comunicando che per lei Erin stava iniziando un altro giro di giostra con Tom e che sperava che nessuno si facesse troppo male.
La sua gemella ci aveva visto giusto, ma forse questo sarebbe stato sul serio l’ultimo giro di giostra per loro due.
“Come mai sei venuta stasera?
Pensavo non ti facesse piacere vedermi.”
Tom aprì finalmente la bocca quando erano in macchina.
“Perché era una serata importante per te e per la band e alla fine non me la sono sentita di mancare.”
“Erin, non hai capito quale era la vera domanda?”
Lei sospirò.
“L’ho capita, Tom. La vera domanda è perché mi eviti?
La risposta è perché avevo bisogno del tempo per riflettere sulla nostra relazione.”
“E a cosa ti ha portato.”
“A tanti dubbi.”
Questa fu Tom a sospirare.
“Erin ho pensato a lungo a quello che mi hai detto e ci ho capito ben poco.”
“Lo immaginavo. Tom è da un po’ che stiamo insieme, voglio dire non siamo più compagni di scopate occasionali.”
“Questo era chiaro fin dal giorno in cui ci siamo messi insieme.”
“Sì, ma non siamo più nella fase in cui possiamo essere una coppietta che non pensa al futuro e che vive giorno per giorno, senza pensare al domani.
Guarda Mark e Ruby: convivono, festeggiano un anniversario, smussano continuamente le loro asperità e in qualche modo ce la fanno, vanno a far visita a mia madre o alla madre di Mark.
Sono una coppia, litigano, ma poi fanno pace e maturano, maturano, maturano. Hanno un rapporto serio. Noi siamo pronti a questo passo, Tom?
Saresti pronto a vivere con me e a dividere gli onori e gli oneri di una convivenza o a ricordarti un anniversario e fare tutte quelle mille piccole cose inutili che fanno gli innamorati per far crescere il loro rapporto?
Io non so se sono pronta, mi manca l’aria se ci penso, ma dopo così tanto tempo che ci frequentiamo è normale pensare a cose del genere, no?
E non dovrebbero fare paura.”
“Credo di capire meglio il tuo discorso.”
Erano arrivati a casa di Tom.
“Dave e Matt non ci sono, vuoi trascorrere la notte con me o ti fa paura?”
“No, non mi fai paura.”
Uscirono dalla macchina mano nella mano ed entrarono in casa, sorprendendola Tom la presein braccio – come si usa con le spose – e la portò in camera sua dove la appoggiò delicatamente sul letto e sorrise.
“Sei bellissima, Erin.
Sei la ragazza più meravigliosa con cui sia stato, giurami che comunque vada non uscirai dalla mia vita.”
Lei sorrise.
“Te lo giuro.”
Lui chiuse la porta a chiave e si stese a fianco a lei, guardandola negli occhi.
Persero lunghissimi minuti semplicemente guardandosi e accarezzandosi i fianchi. Gli occhi neri di Erin si riflettevano in quelli castani di Tom e parlavano: erano pieni di amore, ma anche di un senso di addio e malinconia; a qualche livello sapevano entrambi che quella era l’ultima volta.
Fu Tom a rompere l’incantesimo, alzò un braccio e le accarezzò il volto, per poi tirarla su di sé e baciarla. Di solito ero un tipo impetuoso, quella volta fu calmo: un bacio lungo e dolce che proseguì con una serie di baci sul volto e sul collo.
Erin ricambiava con la stessa calma, si alzò a sedere e gli tolse la maglia, soffermandosi a guardare il tatuaggio di san Diego che lui aveva sul petto e seguendone il contorno on le dita facendolo rabbrividire.
“Mi mancherà questo tatuaggio.”
Lui sorrise, Erin lo imitò e poi scese a baciargli il petto scendendo sempre più verso il cavallo dei pantaloni, per poi risalire di nuovo al volto. Lui mugugnò per protestare, ormai sussultava e gemeva pian perché quel giochino gli piaceva. Erin sogghignò soddisfatta.
Tom la coinvolse in un bacio mozzafiato vedendo quel ghigno leggermente irrisorio e poi ribaltò le posizioni, le tolse la maglia dei Misfits e le accarezzò la pancia, salendo al seno, accarezzandoglielo senza togliere il reggiseno.
Erin mugugnò insoddisfatta.
“Toglilo, Tom.
“No, signorina, devi pagare l’insolenza di poco prima.”
Continuò a massaggiarle il seno da sopra l’indumento e a lambirle il bordo con la lingua, divertendosi  probabilmente come un matto a vederla contorcersi, sospirare e chiedere di più.
Il gioco dovette stancare anche lui ad un certo punto perché le tolse il reggiseno e si dedicò con foga alle sue tette, baciandole, leccandole, mordicchiandole i capezzoli, metre lei ormai aveva perso il controllo e gli teneva saldamente la testa baciandogliela ogni tanto ed ansimando.
Ad un certo punto rallentò e ci strusciò sopra il naso, guardandola negli occhi, c’era una punta di dolore nella sua eccitazione e c’era una punta di dolore anche in lei quando lo baciò.
Tom finì di spogliarla lentamente, accarezzandola con dolcezza – come a volersi imprimere le sue forme nella memoria e poi appoggiò una mano sulla sua femminilità.
Era bravo a fare quei lavori, ben presto si ritrovò a supplicare per avere di più e a sussultare violentemente quando sentì la sua lingua.
Fu il primo orgasmo della serata che la lasciò sorridente e stesa sul letto, mentre Tom la guardava divertito ed armeggiava con i pantaloni.
Fu nudo in poco tempo e in poco tempo fu sopra di lei e dentro di lei con una spinta lenta e profonda che non aveva niente a che fare con la sua solita impetuosità.
Fu un amplesso più lungo rispetto al solito – fatto di spinte lente, ma inesorabili – ma alla fine si ritrovò a urlare il nome di Tom mentre raggiungeva il secondo orgasmo della serata.
Rimasero per un po’ di tempo nudi e ansanti, con Tom steso sopra di lei, la testa sepolta nell’incavo del suo collo e che ogni tanto gli lasciava dei piccoli baci sul collo.
Stava terribilmente bene, ma anche terribilmente male: era un addio e lo sapevano tutti e due purtroppo.
“E così questa è l’ultima volta…”
Esclamò lei malinconica.
“No.”
Disse semplicemente lui, riprendendo a baciarla, accarezzarla, scoprirla e darle piacere finché non fu di nuovo pronto per entrare in lei.
Anche questa furono spinte lente e dolci – per niente da Tom – e anche questa volta fu lungo e piacevole: fare l’amore così era un modo per dirsi addio che spezzava il cuore.
Questa volta rimasero ansanti ancora a lungo, ma Tom aveva subito capovolto la situazione facendola sdraiare suo petto, coccolandola e baciandole tempie e capelli.
“Questa è l’ultima volta, Erin.”
“è stato bello.”
La voce di lei era incrinata.
“Vorrei non uscire mai da questo letto, vorrei non crescere mai e dover fare i conti con le esigenze della vita adulta e del fatto che le relazioni vanno portate avanti per costruire qualcosa insieme.
Vorrei essere stata più sicura, vorrei essere più sicura e più paziente e comprensiva. Vorrei essere la ragazza con cui condividerai il resto della tua vita, ma non posso e mi spezza il cuore.”
“Erin…”
“Sono una testa calda, Tom. Do di matto se ti vedo con un’altra,  a volte vorrei che ti dedicassi completamente a me, lasciando da parte la band, a volte  sono troppo assorbita dalla scuola e dalle cose che faccio lì che è quasi un fastidio vederti.
Hai bisogno di qualcuno di più stabile, che sappia capirti meglio di me.”
“Nessuno, tranne forse Ruby, mi capisce meglio di te.”
“Hai bisogno di qualcuno che ti capisca e che ti dia i tuoi spazi senza sentirti esclusa, che sappia darti l’amore che meriti, che riesca a metterti in cima alle sue priorità sempre o quasi sempre.
Non hai bisogno di una ragazza instabile che un giorno ti mette in cima alle sue priorità e il giorno dopo in fondo…”
Ci fu una lunghissima pausa di silenzio, in cui le lacrime le punsero gli occhi – pronte per uscire.
“E poi sii sincero, qual è la tua priorità adesso?”
“La band."
“E riusciresti a conciliare e mettere sullo stesso piano i blink e me o una ragazza?”
Lui rimase in silenzio per un po’, grattandosi il mento pensoso.
“No, ora i blink verrebbero per primi e tu come al solito mi hai capito meglio di me, ma questo addio fa male. Mi mancherai Erin, mi mancheranno i nostri litigi e le nostre riappacificazioni.
Mi mancherà vedere stupidi film con te solo per prenderli per il culo e suonare per te e fare l’amore con te.”
Erin scoppiò a piangere e lui la strinse di più a sé.
“Possiamo fare ancora tutto, tranne il sesso, non ti voglio fuori dalla mia vita.
Sei una delle persone più importanti della mia vita e hai protetto Ruby quando io non potevo.
Ti voglio un bene dell’anima!”
“è lei che ti ha protetto.”
“Per la storia di mio padre? Io sapevo benissimo che lui aveva un’altra famiglia, ma non ho mai smesso di sperare che lui potesse tornare da noi.
Pazza, vero?”
“Sì, ma è questo che ti rende speciale e ti consegnerò solo a un ragazzo che ti merita.”
“Lo stesso vale per te, controllerò tutte le tue ragazze e darò l’ok solo a quella che ti merita sul serio.”
Disse fra le lacrime. Ormai Erin non conteneva più le lacrime e quando alzò il volto si accorse che anche Tom stava piangendo e questo le fece stringere il cuore: l’unica occasione in cui lo aveva visto così era quando i suoi avevano divorziato.
Lei provò ad asciugargli le lacrime, ma erano troppe e ci rinunciò, tornando ad accoccolarsi nell’abbraccio del ragazzo che ormai era diventata ferrea.
“Perché io e te siamo sempre destinati a soffrire?
Perché pur amandoci non riusciamo a farlo abbastanza da farlo durare per sempre o giù di lì?
Perché non sono la ragazza adatta a te?
Vorrei tanto esserlo, non voglio che tu pianga.
Mi fa male vederti piangere!”
Lui rimase un po’ in silenzio.
“Nemmeno io vorrei vederti piangere, odio vederti piangere. Sei una di quelle ragazze che meriterebbero di sorridere sempre e non di incasinarsi continuamente la vita e soffrire.”
Un sorriso debole affiorò sul volto di Erin.
“E vorrei essere davvero io quello che ti sta accanto, lo vorrei con tutte le mie forze, ma tu hai ragione. Tu mi hai letto nel cuore meglio di quello che abbia fatto io, non sono pronto per una relazione seria.
Non voglio giocare al gioco al massacro che c’è stato tra i miei con te, tengo troppo a te per rovinarti così.
Al momento la mia priorità è la musica, ma spero che quando riuscirò in quello che voglio ci sia ancora una possibilità per noi.”
“Lo sai che non sarà così.”
Tom le asciugò dolcemente le lacrime.
“Erin, non puoi sapere come sarà il futuro. Non lo sa nessuno, la vita è piena di sorpresa e lo sai meglio di me.
Ti ricordi quando dicevi che non potevamo stare insieme perché io non ti amavo?
Beh, ti sei sbagliata. Ti ho amata e ti amo ancora, non sempre tutto va come noi crediamo debba andare o che sia scritto nelle stelle.
Quando sono andato a prendere Ruby tua madre mi ha detto una cosa: se qualcuno è veramente tuo tornerà da te e se tu sei mia tornerai da me.”
Erin annuì e si strinse di più a lui, beandosi del suo calore e annusando a pieni polmoni il suo profumo – quel misto di menta, cocco e Tom – che la faceva stare sempre meglio.
Finirono per addormentarsi così: stretti come due reduci da un naufragio, bagnati dal sudore e dalle lacrime, avvolti in coperte fredde e tristi che sapevano di addio.
 

La mattina dopo Erin fu la prima a svegliarsi, guardò a lungo Tom dormire: sulle guance c’erano ancora i segni delle lacrime della sera prima.
La sera prima lui avrebbe dovuto essere felice e festeggiare il suo trionfo, non avere il cuore spezzato. In quel momento si sentì una stronza terribile – indegna di stare vicino  a quel ragazzo – ed ebbe la tentazione fortissima di scappare senza nemmeno salutarlo.
Poi tornò in sé e si disse che così facendo sarebbe sul serio risultata una stronza senza cuore e proprio in quel momento Tom aprì gli occhi e stiracchiò un sorriso triste che non gli apparteneva.
“E così è l’ultimo giorno per noi due?”
Erin lo abbracciò più forte che poté.
“Non dire così, non lo dire.
Sembra che sia finito tutto, anche l’amicizia e non voglio. Ti prego.”
Tom rimase in silenzio e lei si staccò e gli prese le mani.
“Giurami una cosa, Tom. Giurami che ti impegnerai al massimo nella band, giurami che ce la matterai tutta per avere successo!
Voglio sentire le tue canzoni alla radio, voglio vederti sui giornali, voglio pogare in un concerto in mezzo a tanta gente che ama voi come me, voglio vantarmi di conoscere quel gran figo di Tom DeLonge che suona nei blink!”
Lui sorrise la baciò.
“Ce la metterò tutta, ma giurami una cosa anche tu.
Giurami che ti impegnerai nel tuo corso e che diventerai una brava tatuatrice, voglio venire da te a farmi tatuare e vantarmi da tutti che è un’Erin Ferreira.
E giurami che sarai felice e che la smetterai di buttarti in storie di poco conto solo per riempire il vuoto che hai dentro.”
“Te lo giuro!”
Si abbracciarono ancora, poi si rivestirono in silenzio e scesero in cucina: era deserta.
Forse Matt e Dave non c’erano o forse gliel’avevano lasciata come forma di affetto, una delle loro mille delicatezze da timidi cronici.
Mangiarono insieme, cercando di parlare di cose di poco conto per non lasciarsi affogare fin da subito nel dolore.
“Beh, ora me ne vado. Sappi che ti voglio un bene dell’anima.”
Erin si tolse una collanina fatti di palline d’argento e gliela porse.
“Toglitela solo quando troverai quella che sarà giusta per te, se sarò io ti limiterai semplicemente a ridarmela tra un po’.”
La ragazza abbozzò un mezzo sorriso, lui invece si allacciò la collana al collo e le diede un ultimo bacio.
Erin uscì dalla casa e scoppiò in lacrime, ora c’era solo un posto in cui doveva andare e in cui poteva sfogarsi.
Guidò in una San Diego poco affollata fino ad arrivare al condominio dove abitavano Mark e Ruby, salì le scale esterne e si attaccò al campanello.
Poco dopo la sua gemella venne ad aprirle con un’aria assonnata, lei le si buttò tra le braccia in lacrime.
Ruby non disse nulla, la strinse solo a sé e facendola entrare, un rumore dietro di lei  fece capire alla punk che anche Mark era sveglio e stava andando a chiudere la porta.
Si ritrovò avvolta nell’abbraccio di sua sorella e del suo migliore amico e si disse che, pur essendo il mondo un brutto posto, valeva la pena di viverci per loro.
Ce l’avrebbe fatta, non sarebbe stato facile. Con ogni probabilità si sarebbe pentita mille volte di averlo lasciato e altre mille volte avrebbe avuto la tentazione di tornare da lui e di tornare a essere la sua ragazza – ben sapendo che sarebbe stato sbagliato.
Sarebbe stato un inferno, ma con sua sorella e i suoi amici al suo fianco ce l’avrebbe fatta.

Angolo di Layla.

Grazie all'incazzatura che mi ha fatto prendere una persona orribile ho tolto questa storia e quell'altra  perché volevo cancellare il mio account. Adesso vedere lo zero recensioni mi fa prendere troppo male.
Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo.

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Capitolo 7
*** 7)Mama. ***


7)Mama.

 

La domenica mattina è fatta per dormire, soddisfatta per aver fatto l’amore con il mio ragazzo e contenta perché lui ha fatto la sua prima serata con la band, e non per essere svegliata.
Alle nove di mattina una serie di colpi bruschi alla porta mi risveglia e mi rende istantaneamente di pessimo umore.
Sbuffando, raccolgo una maglia di Mark e vado d aprire e il mio malumore passa subito: la visitatrice indesiderata è Erin e non ha l’aria di stare bene.
Ha i segni delle lacrime che le attraversano le guance – lacrime nere di mascara, matita e ombretto –  e hai i capelli in disordine.
Non appena mi vede mi si butta tra le braccia e scoppia a piangere senza ritegno, io mi limito ad abbracciarla a mia volta e a farla entrare in casa. Nel frattempo si è svegliato anche Mark e senza dire niente chiude la porta e ci abbraccia.
Rimaniamo per lunghi minuti chiusi in questo abbraccio, rotto solo dai singhiozzi della mia clone, cosa diavolo è successo?
Pensavo sarebbe stata felice per essersi rimessa con Tom!
“L’ho lasciato!”
Farfuglia tra i singhiozzi, io e Mark ci guardiamo.
“Forza, adesso ti preparo una cioccolata e ci fumiamo una sigaretta e se ti va mi racconti tutto.”
Lei annuisce e io faccio cenno al mio ragazzo di andare in cucina e preparare quello che ho detto, lui lo fa, anche se è piuttosto perplesso.
Io tengo abbracciata un altro po’ la mia gemella e poi lo raggiungo in cucina: le sigarette sono lì.
“Non ci sto capendo nulla!”
Sussurra lui.
“Nemmeno io, ieri è venuta al locale e se ne sono andati via insieme. Stamattina si presenta in lacrime qui, ti giuro pensavo che si fossero rimessi insieme!”
Lui annuisce, la cioccolata è pronta ed arriviamo in salotto insieme; io con le sigarette e lui con la cioccolata. Erin si sta guardando sconsolata nello specchietto e sta sospirando.
“Sono ridotta ad un mostro.”
“Non esageriamo, al massimo sei un panda e i panda sono gli esseri carini e coccolosi per antonomasia.”
Lei abbozza un sorriso tra le lacrime.
Ci sediamo sul divano e mia sorella si getta sulla sua tazza di cioccolata come un affamato di ritorno dal Sahara.
“Ne avevo bisogno.”
Si accende una sigaretta e io faccio lo stesso, perplessa.
“Ti va di raccontarmi cosa sia successo?
Credevo che tu e Tom vi foste rimessi insieme.”
Lei fa un sorriso amaro e dà un’alta sorsata alla bevanda.
“Pensavo anche io che sarebbe successo, era per questo che non volevo venire alla vostra serata.
Scusa, Mark, niente di personale.”
Lui scuote e la testa e alza una mano come a dire che va bene così, che ha capito.
“Solo che poi l’istinto è stato più forte di me e sono venuta.
Quando eravamo in macchina abbiamo iniziato a parlare e gli ho fatto capire perché avevo chiesto una pausa di riflessione.”
Stringe più forte la tazza tra le mani e abbassa lo sguardo, lasciando  che la frangia le copra gli occhi.
“Insomma, è un anno che stiamo insieme e arrivati qui dovremmo portare la nostra relazione a un livello superiore, ma che io non sono pronta e che non lo è nemmeno lui.”
“Livello superiore?”
Lei sospira.
“Tu e Mark vi siete mai guardati allo specchio? La vostra è una relazione a un livello superiore, non certo perché convivete, ma perché siete maturati insieme.
Certo, avete litigato e fatto scenate, ma poi ne avete parlato e siete cresciuti, ne siete usciti rafforzati. Siete uno la priorità dell’altro e pensate sempre a cosa possa andare bene per tutti e due.
Io e Tom non siamo così, siamo gli stessi egoisti, testoni e pazzoidi di un anno fa. Non siamo maturati e non siamo uno la priorità dell’altro.
Siamo come due atomi che per un po’ stanno sullo stesso orbitale, poi uno salta di livello e l’altro bestemmia abbastanza da farlo tornare indietro o seguirlo.
Gli ho chiesto se io venissi prima dei blink e lui ha detto di no e lo stesso è per me. Incomunicabili.
Tu e Mark ne parlereste e alla fine arrivereste a un accordo.
È per questo che ho chiesto la pausa e l’ho lasciato.
Se continuasse finiremmo per odiarci e lo perderei come amico e questo non posso sopportarlo.
È una cosa che ho deciso io, ma fa male malissimo. Mi si spacca il cuore e spero che alla fine tutta questa sofferenza serva a qualcosa e non sia solo un tragico errore di valutazione.”
A me mancano le parole per risponderle, deve essere orribile sapere di amare qualcuno, ma non abbastanza perché funzioni e continui a funzionare.
L’unica cosa che faccio è abbracciarla.
Poco dopo suona il campanello, Mark si alza e va ad aprire in mutande.
“Mettiti qualcosa addosso!”
Gli urlo.
“Nah! Sarà Tom, gli dirò che passo dopo!”
Erin sobbalza al nome del suo ex e il mio stupido – ma amato – ragazzo va ad aprire la porta in boxer.
“Beh, così accogli i visitatori?”
La conosco questa voce tagliente, è mia madre ed è arrivata nel momento più sbagliato.
Mark balbetta che pensava fosse Tom, il generale lo scansa e guarda me ed Erin.
Il silenzio che cala sulla stanza è pesante e si potrebbe tagliare con un coltello.
“Cosa è successo qui?”
Cosa ci fai qui, mamma?”
Erin è la prima a riprendersi.
“Volevo farvi una visita e constatare come stesse andando tra Mark e tua sorella.”
Guarda me  e guarda lui.
“Direi bene. Ruby ti trovo bene, Mark i tuoi capelli fanno concorrenza ad un semaforo ed immagino ne sarai fiero.
Cos’è successo, Erin?
Come mai hai pianto?”
“Non ho pianto!”
“NO? E quei segni neri sulle guance cosa sono? Una nuova moda in fatto di trucco?”
Lei sospira.
“Sì, mamma. Ho pianto. Io e Tom ci siamo lasciati.”
Lei alza un sopracciglio.
“E come mai? Vi vedevo come una bella coppia!”
“Non eravamo allo stesso punto, non eravamo pronti al livello successivo. Ognuno non era la priorità dell’altro.”
“Le fiabe non esistono, lo sai vero?”
“Lo so, ma esistono esempi di come sia possibile crescere insieme, maturare e portare una relazione a un livello successivo senza sforzare. E uno ce l’hai sotto il naso.”
Lei sospira.
“Sei sicura di aver fatto la scelta giusta? Sei sicura che non te ne pentirai?”
“Sicura al cento per cento no, ma sono abbastanza sicura e se siamo destinati  a stare insieme ritorneremo insieme.”
Lei sospira.
“Va bene, ti lascio nelle mani di tua sorella. Ci vediamo qui a mezzogiorno, andremo a mangiare tutti insieme. Tu non venire in mutande!”
Guarda minacciosa verso Mark.
“Io vado da una persona.”
“Da chi?”
Chiedo io curiosa.
“Da Tom, mi sono affezionata a quel ragazzo.”
Io la guardo incredula, chissà cosa ha in mente?
Spero niente di strano o stupido o maligno.
In ogni caso non posso fare niente e prego che non succeda una catastrofe mentre la guardo uscire.
 

Il resto della mattinata la trascorro a consolare mia sorella, non l’ho mai vista giù di corsa.
A un certo punto non posso fare a meno di chiederle se è sicura di aver fatto la scelta giusta, lei annuisce piano.
“Se avessimo continuato sarebbe stato peggio, avremmo finito per fare la fine dei nostri genitori e io non voglio perdere la sua amicizia: ci tengo troppo.”
Io sospiro.
“Spero per te che sia davvero la scelta giusta, mi fa male vederti così.”
Lei si asciuga le lacrime.
“Passerà Ruby, sono forte e non manca tanto a mezzogiorno, devo sistemarmi.”
La guardo e penso che abbia ragione.
“Ok, fatti una doccia, io cercherò dei vestiti che ti possano piacere.”
Lei alza un sopracciglio.
“Lucia, questi vestiti puzzano, sono sporchi e sembra che abbiano visto la seconda guerra mondiale.”
“Ok, Maria!”
Sibila irritata. Odia essere chiamata con il suo secondo nome, ma è anche l’unico modo che ho per farla ragionare.
Quando sento l’acqua della doccia scorrere tiro un sospiro di sollievo.
“Bel casino!”
Borbotta Mark, grattandosi i capelli.
“I segnali che sarebbe successo c’erano tutti, ma forse Erin ha ragione: meglio tagliare subito che fare tanti giri di giostra che logorano mano a mano rapporti e persone.”
Lui non dice nulla.
“Vai da Tom oggi pomeriggio?”
“Sì, sperando di trovarlo vivo.”
Io ridacchio.
“Posso venire anche io o sarebbe inopportuno?”
“No, vieni anche tu. Al massimo vedi com’è e te ne vai se è il caso.”
Io annuisco e seguita da lui mi dirigo in camera e guardo sconsolata dentro al mio armadio, alla fine opto per un vestitino nero con una fantasia a teschi verdi che ho scovato in un negozietto qualche giorno fa.
Lo porto in bagno ad Erin e poi iniziamo a prepararci anche io e Mark, a mezzogiorno mia madre rientra puntuale a casa. Sembra serena e tranquilla, non reduce da un massacro.
Approva con una sola occhiata il vestito di mia sorella, gli short beige e la maglia di star wars di Mark e il mio bustino senza maniche e la gonna.
Usciamo dall’appartamento e Mark ci porta da Luigi.
“Ecco mamma, io lavoro qui!”
“Non sembra male, che fai?”
“La sguattera come da “
Zio Marco”.”
Ti trattano bene?"
“Non c ‘è male!”
Alzo le spalle io.
Ci mettiamo a un tavolo laterale e ordiniamo tutti una bella pasta al ragù, mamma la divora il che significa che l’apprezza.
La conversazione è leggera, mia madre ed Erin non litigano e lei sembra andare d’accordo con Mark. Non sta andando così male, ora devo solo capire cosa diavolo ha detto a Tom.
“Passato l’esame?”
Chiede caustica mia sorella.
“Sì! E in quanto a te dovresti trovarti un tipo come lui o pensarci due volte prima di lasciare Tom.”
Lei si irrigidisce.
“Credimi ci ho pensato a lungo e mi sono convinta che sia la scelta giusta. Con i caratteri che abbiamo non voglio certo finire come te e papà.”
Mia madre sospira.
“Siamo stati davvero un pessimo esempio, vero?”
“Sì, lo siete stati, ma siamo andate avanti nonostante voi.
Ormai è passata!”
“Sei sicura che non te ne pentirai, Erin?
Uno come Tom non lo trovi facilmente.”
“Se sarà destino ci reincontreremo.”
E con questo la discussione si chiude, per fortuna.
Mangiamo il dolce in silenzio, Mark mi stringe la mano sotto al tavolo: che bello non essere l’unica che teme rappresaglie da un momento all’altro!
Finito il pranzo Mark paga per tutte e poi ci dirigiamo a casa di Erin.
Lì non succede nulla di particolare, mia madre chiacchiera con Anne, si informa di come sia vivere con Erin e se ci siano delle scaramucce.
Fortunatamente non ce ne sono e  questa è fatta. Poi chiede a Erin come va il corso e lei parla a lungo di quello che fanno e di come le piaccia il corso.
Mia madre la ascolta attentamente e alla fine del discorso sorride di buon umore.
“Sembri felice della tua scelta e che tu ti stia impegnando molto più che al liceo.
Ne sono felice, continua così.”
Chiacchieriamo un altro po’, poi lei se ne va tra abbracci, raccomandazioni e degli sugar skull lasciati e tutte e due.
Appena è uscita dalla porta Erin si lascia andare a un lungo sbadiglio.
“Ho un sonno allucinante.”
“Allora ti lasciamo dormire, chiamami per qualsiasi cosa.”
Lei annuisce e sparisce in camera sua, così non ci rimane che salutare Anne e andarcene.
In macchina siamo io e Mark a tirare un sospiro di sollievo, alla fine non è successo nulla di grave!
“Dai che ce la siamo cavata!”
Esclama Mark.
“Vero, pensavo fosse più difficile ed invece è stata calma, un po’ burbera, ma calma.
Adesso vai da Tom?”
Lui annuisce.
“Sei sicuro che possa venire anche io?”
“Sì, sei sua amica anche tu e penso che gli faccia piacere. Se vedi che è a disagio puoi sempre andartene.”
Io annuisco e lui prosegue tranquillo nella guida, la città inizia lentamente a rianimarsi: la gente va al mare, nei locali o semplicemente gironzola.
Arriviamo a casa di Tom un quarto d’ora, a giudicare dalle macchine sono a casa tutti e tre.
Mark parcheggia e poi suona il campanello, poco dopo è Scott a venirci ad aprire.
“Ehi, che ci fai ancora qui?”
“Non ho voglia di tornare a casa”
Alza le spalle lui.
“Se cerchi Tom è in cucina a tentare di arrangiare un pranzo insieme a Matt e David.”
“Grazie, Scott!”
“Di niente, io ora scendo di nuovo in garage a provare.”
Lui si allontana, Mark si chiude la porta alle spalle e poi ci avviamo insieme verso la cucina da cui proviene un odore di bruciato che non promette niente di buono.
“Avete un po’ esagerato con la cottura!”
Esordisco facendoli spaventare.
“Ah, sei tu Ruby! Ti prego dacci un mano.”
Io sospiro e preparo delle cotolette alla milanese, sentendomi per un attimo il salvatore della patria.
“Di solito come fate?”
“Cinese!”
“Messicano!”
“Pizza!”
Mi rispondono i tre in coro, facendomi scuotere la testa: uomini!
Servo loro il pranzo e li guardo ingozzarsi senza ritegno, chissà da quanto tempo non mangiavano qualcosa di decente…
Alla fine ficchiamo tutto in lavastoviglie e ci sediamo sul divano e qualcuno per terra, Matt per la precisione.
“Allora, come va?”
Chiedo a Tom, lui abbassa gli occhi.
“Va… Un po’ da schifo, ma va.”
“Ti manca, vero?”
Azzardo io.
“Sì, mi manca e da morire, ma lei ha ragione.
Siamo ancora troppo immaturi per avere un storia seria, siamo migliorati, ma non abbastanza.
E anche se fa male, malissimo, non averla qui e sapere che non è più la mia ragazza, so che è la cosa migliore. Io non voglio che lei diventi una di quelle che sono ricordate come ex stronze, la voglio ancora come amica e così la potrò avere ancora.
Mi dedicherò anima e corpo alla band. Così non penso, no?”
“è una buona idea.”
All’improvviso sentiamo un rumore sordo provenire dal piano di sotto e Mark, David e Matt corrono verso la cantina, lasciando me sola con Tom.
“Sei sicuro che va tutto bene?”
“No, non va tutto bene, ma cerco di sopravvivere, è l’unica opzione, no?”
“Già.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Oggi mia madre è venuta da te.”
“Sì.”
“Cosa ti ha detto?”
Lui si stende meglio sul divano.
“Mi ha detto che sa cosa si prova ad essere lasciati e che capisce il senso di stupefatta inferiorità quando vieni mollato perché l’altro ti sputa in faccia la verità: ossia che non siete maturati abbastanza per stare insieme in modo serio.
Ha detto che lentamente passerà, che  ci vorrà tempo, ma di non perdere le speranze.
E poi mi ha lasciato degli sugar skull.”
Io lo guardo stupefatta, non sembra nemmeno che stia parlando di mia madre, poi infine sorrido.
Mia madre ha accettato Tom come parte della famiglia e ha cercato di tirarlo su di morale a suo modo, la cosa mi commuove: non pensavo sarebbe mai successa.
L’anno scorso odiava Tom.
“è stata carina, non avrei mai detto che lo facesse, in fondo ti vuole bene.”
“Già.”
“Andrò avanti, Ruby.
Supererò anche questa.”
“Sì, ce la farai. Vieni qui!”
Lo abbraccio e penso che dopotutto le persone possano sorprendere e fare del bene anche quando non te lo aspetti.
Sarà un periodo duro, ma ce a faremo in qualche modo.
Quando gli altri salgono dalle scale della cantina, seguiti da un abbacchiato Scott scoppiano a ridere e si lanciano su di noi, creando una sorta di abbraccio- ammucchiata.
Sì, in qualche modo ce la faremo e andrà tutto bene.
Spero che un giorno anche Erin possa far parte di questo super abbraccio senza sentirsi colpevole o estranea.

 

Angolo di Layla

Ringrazio killallyourfriends and LostinStereo3 per le recensioni.^^

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Capitolo 8
*** 8) L'inizio della disgrazia. ***


8) L'inizio della disgrazia.

 

I giorni volano veloci, senza che nemmeno renda conto è la vigilia del mio primo giorno di università.
Non è successo nulla di speciale, il distacco tra Erin e Tom questa volta è definitivo: niente giri di giostra, solo dolore da digerire e trasformare di nuovo in affetto.
Erin si è buttata a capofitto nel suo corso per tatuatori che sta frequentando e sta ottenendo dei buoni risultati, diventa sempre più brava a disegnare e la sua mano diventa più ferma.
È anche sempre più stanca – di notte dorme poco o non dorme affatto – ed esce poco di casa, al massimo va al famoso bar o esce con noi quando sa che non c’è Tom.
Un po’ brutta come situazione, ma sappiamo tutti che passerà prima o poi.
Continua a vedere quel Travis, ma dice che sono solo amici, perché lei ha ancora la testa troppo occupata da Tom: posso capirla, un tizio come lui non è così facile da eliminare dai pensieri e poi la loro storia così da film non aiuta affatto.
Erin dice che prima o poi mi presenterà questo Travis, giusto per farmi un’idea di che tipo sia.
Anne invece è divisa a metà, da una parte ha a che fare con una coinquilina – e un’amica – apatica e sofferente e cerca di aiutarla. Dall’altra – visto il suo amore  per Tom
non può fare a meno di essere segretamente felice che quei due si siano lasciati e che ci sia una possibilità per lei ora.
È una brutta situazione anche questa, perché cercando di aiutare gli altri e non pensando a sé stessa, Anne soffre come un cane.
Non ha molte persone con cui sfogarsi, così io e David facciamo a turno per consolarla ed evitiamo di darle farse speranze; se deve accadere accadrà, se non succederà non deve rimanere ulteriormente delusa dalle nostre false speranze.
In quanto a Tom, lui lavora come un matto, accumula soldi che spende nella sua chitarra, scrive canzoni e tampina qualsiasi essere che possa offrire ai blink un ingaggio.
Dice che ha promesso a Erin di sfondare e devo dire che ce la sta mettendo tutta, anche se al momento si sono esibiti solo in qualche altro bar e alla festa di inizio scolastico di uno dei licei della città.
Domani – quando io sarò a seguire qualche lezione – il preside li ha convocati per vedere se sarà possibile ingaggiarli ancora. Credo sia la prima volta che Tom, Mark e Scott siano felici di essere convocati da un preside.
Hanno anche iniziato a stampare le famose magliette. Un pomeriggio io Mark, Tom e Anne siamo tornati a Poway e ci siamo piazzati nel garage dei Raynor. Io, Scott e Tom ci siamo messi a disegnare e dopo infinite discussioni abbiamo unito le nostre idee nel frattempo Anne e Mark sono andati a trovare la madre.
Tornati loro, abbiamo iniziato a stampare, dando origine a magliette con dei disegni carini e delle frasi assurde, oscene o offensive: in puro stile blink.
Quando abbiamo finito Tom e Mark avevano lo sguardo entusiasta e orgoglioso di due neopadri davanti ai loro figli.
Io e Anne abbiamo provato le prime e loro hanno sorriso ancora di più, anche se Mark ha ammonito Tom di non guardare troppo le tette di sua sorella.
Ordinaria vita di noi schizzati.
E domani inizia la scuola e non posso fare a meno di fare un lungo sbuffo mentre sono in spiaggia da sola a godermi l’ultimo sole di agosto.
Verso le sei torno a casa e poco dopo rientra Mark, ha un’aria stanca, ma felice.
“Ciao Ruby!”
“Ciao Mark, come è andata a lavoro?”
“Bene, bene. E tu?”
“Bene, ti sto preparando gli spaghetti, poi me ne vado che oggi ho anche il turno serale da fare.
E domani inizia l’università.”
“Preoccupata?”
“Un po’.”
Finisco di cucinare, gli servo un piatto di spaghetti fumanti e scappo a prepararmi.
“E tu?”
“Ho già mangiato prima.”
Taglio corto sapendo di mentire.
Il turno di questa sera mi sembra lunghissimo, forse anche perché sono nervosa. L’inizio delle lezioni non mi preoccupa un po’, mi preoccupa un sacco!
Rientro a casa sfinita e mi butto subito sotto la doccia, sperando che l’acqua calda mi calmi un po’.
Speranza vana.
Quando esco sono lo stesso fascio di nervi di quando ero entrata.
Me ne vado a letto sconsolata: prevedo di non dormire molto, mi succede sempre quando sono agitata. Mark dorme già con il suo solito sorriso felice e da bambino indifeso, io mi infilo sotto al lenzuolo e lo abbraccio, lui grugnisce. Non ho mai capito se sia il suo modo di dare la buonanotte da sonnambulo.
Ora che sono stesa sul materasso, intenta a guardare i giochi di luce sul soffitto e ad ascoltare i rumori che vengono dalla strada sottostante i miei pensieri ansiogeni tornano a farmi visita.
E se non mi svegliassi? E se perdessi l’autobus? E se prendessi quello sbagliato?
E se sbagliassi università? E se sbagliassi aula?
E se non trovassi nessuno di simpatico? E se ritrovassi la pazza dell’altra volta?
E se un professore iniziasse a prendermi di mira? E se la mia preparazione non fosse sufficiente?
E se mi accorgessi che non è la facoltà che voglio fare?
E se facessi un intervento dicendo una cazzata colossale che mi bollasse per sempre come capra?
Ad ogni sé corrisponde un cambio di posizione un grugnito da parte del mio ragazzo, finché a un certo punto sento la sua mano accarezzarmi i capelli.
Oddio, l’ho svegliato!
“Stai buona Ruby, perdio! Sembra che tu abbia il ballo di San Vito! Ho capito che sei preoccupata, ma non è certo girandoti e rigirandoti nel letto, svegliandomi ogni due minuti che risolverai qualcosa.”
Mugugna con voce impastata dal sonno.
“Se vuoi vado a dormire sul divano.”
“No, senza di te non dormirei proprio! Voglio solo che ti calmi!”
Detto questo mi dà un bacio in fronte e mi fa stendere sul suo petto.
Forse per la stanchezza, forse per la sua vicinanza rassicurante riesco finalmente al addormentarmi.
 

La mattina dopo ho l’impressione di essere sul fondo della baia di San Diego e riemergere non è un’impresa semplice. Sento una voce che mi chiama – non capisco nemmeno se sia maschile o femminile – e man mano che riemergo mi accorgo che è quella di Mark.
Quando finalmente riesco nell’impresa titanica di alzare una palpebra di due quintali vedo la sua faccia  a pochi centimetri da me e una sveglia che lui fa passare avanti indietro in modo ossessivo urlando qualcosa.
“He e?”
Chiedo con la voce impastata.
“RUBY SONO LE OTTO, E’ TARDI! HAI L’UNIVERSITA’ OGGI!”
Università? Università?! Università!
“Cazzo!!!”
Urlo come una pazza scendendo di scatto dal letto.
“Non ti svegliavi, pensavo fossi morta e questa sveglia del cazzo ha suonato almeno per mezz’ora!”
Io non lo ascolto nemmeno e corro in cucina a prepararmi un caffè, che trangugio quando è ancora bollente ustionandomi l’apparato digerente.
Mark continua a urlare e io urlo imprecazioni, sembriamo una gabbia di matti.
Mi faccio una doccia e poi indosso un paio di shorts a vita bassa e sfilacciati, una canottiera nera con dei pois bianchi – che non mi entusiasma particolarmente, ma che non fa fare la figura della strega fin da subito – e mi infilo una cintura.
Mi guardo lo specchio che mi restituisce impietoso le mie occhiaie e i capelli spettinati. Li raccolgo in una coda alta lasciando fuori solo la corta frangia rossa che mi sono fatta e mi trucco cercando di riparare come meglio posso i danni di questa notte insonne.
Alla fine il risultato non è male, sembro quasi un essere umano, così corro in camera, afferro la borsa con i libri e i quaderni e sorrido. È una vecchia borsa militare molto capiente, l’unico ricordo di mio padre che mi sia rimasto.
Saluto Mark con un bacio e faccio per andarmene, ma lui mi afferra per un braccio.
“Buona fortuna, amore. Andrà tutto bene.”
“Grazie, Mark! Ti amo!!”
Ora sì che posso uscire quasi serena!
Corro verso la fermata  e solo per un miracolo non perdo il mio pullman, è pienissimo e sono costretta a stare in piedi pressata da non so quante persone. Nervosa come sono non faccio altro che controllare ossessivamente orologio e fermate.
Arrivata a quella dell’università scendo con un autentico sollievo e a passo svelto supero il grande cancello; la prima lezione è una filosofia che non ricordo e non so a chi chiedere per l'aula.
Mi fermo di botto – spaesata – e mi guardo attorno: è pieno di gente che arriva e che va, a chi posso chiedere?
“Ehi!”
Una voce femminile mi fa voltare, una ragazza dai capelli di un arancio quasi sicuramente artificiale si dirige verso di me. Indossa un paio di pantaloni neri lunghi e stretti, una canottiera a righe nere e bianche, dei sobrissimi anfibi leopardati e una borsa a tracolla. Deve essere una matricola anche lei perché ha la mia stessa aula spaesata.
“Sai dov’è l’aula tre?”
Io scuoto la testa.
“No, mi dispiace. Devo andarci anche io.”
“Matricola?”
“Matricola.”
Lei mi tende una mano con le unghie dipinte di rosso.
“Piacere, Hayley Cruz.”
“Piacere mio, sono Ruby Ferreira.”
Lei sorride.
“Dai andiamo a chiedere a qualcuno dov’è questa maledetta aula!”
Ci dirigiamo all’interno dell’istituto e chiediamo informazioni agli uscieri che ce le danno seppure un po’ a malincuore: sembrano rimproverarci per non avere studiato a dovere la mappa dell’università.
“Simpatia, portami via.”
Borbotta Hayley facendomi ridacchiare.
Raggiungiamo l’aula quando la lezione è già iniziata e ci piazziamo in fondo cercando di tirare fuori i nostri quaderni e astucci nel modo più silenzioso possibile.
Le lezioni sono diverse rispetto a quelle del liceo: sono leggermente più difficili e questo professore non sembra curarsi se i suoi studenti riescano o meno a stargli dietro.
Parla a una velocità assurda e dopo un’ora di lezione ho i crampi alla mano e prego perché tutto questo finisca presto.
Quando finalmente finisce è un sollievo e posso massaggiarmi la mano dolorante.
“Spero non siano tutti così o a fine giornata non avrò più la  mano!”
“Lo spero anche io. Che lezione hai adesso?”
Io e Hayley confrontiamo i nostri orari e scopriamo che sono uguali e che ci attendono un paio d’ore di pittura, poi lei – probabilmente – rimarrà a mensa e io sarò costretta a correre al lavoro.
Camminiamo per i corridoi chiacchierando un po’, lei è di San Diego ed è mezza messicana, sua madre l’ha avuta molto giovane e suo padre non l’ha mai riconosciuta.
È per questo che si tinge i capelli di rosso: perché odia il suo biondo naturale, le ricorda il padre bastardo.
Le due ore di pittura passano alla svelta, poi io raccolgo velocemente le mie cose e saluto la mia nuova conoscenza.
“Non ti fermi a mensa, Ruby?”
Io scuoto la testa.
“No,  devo andare a lavorare. Faccio la cameriera in una pizzeria vicino al Soma.”
Lei annuisce.
“Ok, ci si becca alle due a storia dell’arte.”
“Ok, ciao!”
Me ne vado via correndo. Prendo il primo pullman che va verso il locale e spero che il turno non sia troppo massacrante. In effetti non lo è, è una normale giornata di lavoro, ma io – causa l’insonnia della notte precedente e il calo della tensione – esco stanchissima dal locale.
Sul pullman rischio di addormentarmi due volte e scendo alla mia fermata con la verve di un cadavere.
Fuori dall’aula di storia dell’arte mi aspetta Hayley  che mi guarda perplessa.
“Tutto bene? Turno pesante?”
Io scuoto la testa.
“No, solo che stanotte ho dormito poco perché ero agitata e ora la tensione sta iniziando a calare.”
Lei annuisce comprensiva, io mi guardo intorno e tra la massa di gente scorgo due facce conosciute: la pazza dell’altra volta e la sua amica bionda.
Un ghigno non può fare a meno di increspare le mie labbra e Hayley se ne accorge e segue la direzione del mio sguardo e – incredibilmente – anche la sua faccia si scurisce.
“Le conosci?”
Mi fa.
“Non proprio, la prima volta che sono venuta in università per consegnare dei moduli in segreteria e fare un giro per ambientarmi la mora mi ha accusata di averle rubato la borsa. Poi è arrivata la bionda che gliel’ha riportata.
La mora non si è nemmeno scusata.”
La mia nuova amica scuote la testa.
“Tipico suo.”
“Le conosci?”
“Sì. Frequentavano il mio liceo, la mora si chiama Jennifer Jenkins, la bionda Skye Everly.
Jen sembra una di quelle ragazze tutte carine e gentili, ma in realtà è solo un’acqua cheta, la sua vera natura è quella di essere un’arpia.
Tutto quello che vuole – voti alti, popolarità, ragazzi altrui, una buona reputazione – se lo prende, l’altra invece non l’ho ancora classificata.
Sembra che non le piaccia quello che combina Jenkins, ma non l’ho mai vista una volta opporsi alla sua amica.
Lasciale perdere se puoi, portano solo guai e soprattutto tieni il tuo ragazzo lontano da Jen.”
Io annuisco. Quella vacca razzista deve solo provare a portarmi via Mark che le cambio i connotati, insegnandole nel peggior modo che non si deve fare uno sgarbo a Ruby Maria Ferreira aka bruja.
La lezione è interessante e questo prof spiega in modo più lento, non ho crampi.
Anche il resto del pomeriggio fila via liscio, anche se ogni tanto ripenso alle parole di Hayley e stringo i pugni.
Le lezioni finiscono alle cinque, io sono stanchissima e alle sei inizia il turno, che palle.
Sto per lamentarmi con Hayley quando un’alta figura conosciuta si dirige verso di me: Tom.
“Ehi, DeLonge! Come mai qui?
Hai avuti un ripensamento sul continuare la tua istruzione?”
“No, Ferreira. Passavo di qui e ho deciso di darti uno strappo fino a casa.”
Io sorrido e mi volto verso la rossa.
“Hayley, lui è Tom DeLonge.”
“Tom, anzi HotPants per voi ragazze.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Mutande bollenti, lei è Hayley Cruz. Vedi di non ustionarla.”
Ridono tutti e due.
“è il tuo ragazzo, Ruby?”
“No, è il mio migliore amico. Il mio ragazzo si chiama Mark, te lo presenterò la prima volta che verrai a casa mia, viviamo insieme.”
“E io? Non mi presenti?”
Una terza e sgradevole voce si inserisce nella conversazione, mi volto e mi trovo davanti Jennifer: ha piastrato i capelli, si è messa un trucco leggero, ma che le fa risaltare gli occhi blu, un vestitino bianco e dei sandali blu con la zeppa abbinati alla borsa.
Perfetta praticamente.
Dietro di lei c’è Skye, i capelli raccolti in una coda, vestita in modo più semplice: un paio di short di jeans, una canottiera rosa e delle converse.
“No, anche perché non ho il piacere di conoscere il tuo nome, tizia che mi accusasti di averti rubato la borsa.”
Lei sorride, fintamente conciliante.
“è acqua passata, Ruby. Io sono Jennifer Jenkins!”
Tende una mano perfettamente curata e con le unghie smaltate di rosso a Tom e sorride ammiccante.
Stupida gatta morta, se lo sta mangiando praticamente con gli occhi! Nemmeno Lynn era cos’ sfacciata!
Tom non si trattiene di certo ora che è single, si lecca il piercing con aria provocante.
“Lei invece è Skye Everly.”
Anche la bionda gli tende esitante una mano, ha le unghie dipinte di nero e questo me la rende più simpatica. Tom le sorride semplicemente.
“Bene, sono state fatte le presentazioni. Che ne dite di andare a bere qualcosa?”
Cinguetta Jen.
“No, io devo andare a lavoro alle sei e Tom mi è venuto a prendere. Ciao, ragazze.”
Con poca grazia trascino con me DeLonge fino alla sua macchina, solo allora mi fermo e accendo una sigaretta.
“Questa me la spieghi.”
“In macchina. Vuoi una sigaretta, Tom?”
Lui annuisce e ne prende quella che  gli porgo.
Fumiamo in silenzio e poi entriamo in macchina.
“Di’ un po’, perché mi hai interrotto? La mora ci stava.”
“Perché vorrei riposare almeno un attimo prima di andare a lavoro e poi quella mora è la pazza che mi ha accusato random di averle rubato la borsa.”
Lui scuote le spalle.
“Oh, ma non penserai di fartela davvero? La trovi bella?”
“Nah, è più scopabile la bionda, ma sono sicuro che non ci starebbe mai.
È una di quelle per cui serve un lungo corteggiamento e io non me la sento ora.
Sai, per Erin, ecco.
La mora invece aveva solo voglia di scopare, te lo dico io. Al bar mi avrebbe fatto piedino, ci scommetto le palle.”
Io guardo fissa davanti a me e rimango in silenzio per un po’.
“Tom, sei libero di non ascoltare tutto quello che ti dirò, ma devo farlo.
Mi va bene che tu cerchi scopate dopo che mia sorella ti ha lasciato, non ho problemi su questo. È un tuo diritto e io non mi voglio certo intromettere nelle tue scelte, non l’ho mai fatto.
Però.. Lascia stare Jennifer, ho la sensazione che porterà solo guai.”
Questa volta è lui a rimanere in silenzio.
“Grazie dell’avvertimento, ma con lei non sarebbe una cosa seria.
Cosa vuoi che siano un paio di scopate?”
“Come vuoi tu.”
Io ho il sospetto che un paio di scopate siano l’inizio della fine con una ragazza come quella, ma non glielo dico, non il diritto di intromettermi così tanto in fondo.
Arriviamo davanti al mio condominio e lui parcheggia.
“Tom, spero che tu non te la sia presa.”
“Per cosa?”
“Per i miei consigli non richiesti su Jennifer, non volevo fare l’invadente.”
Lui sorride.
“Tranquilla, non lo sei stata.
E ora vai o non ce la fai a riposare.”
“Va bene. Ciao Tom.”
Esco dalla macchina e salgo fino al mio appartamento, la porta è già aperta: Mark deve essere già a casa.
Come previsto il mio ragazzo è stravaccato sul divano, io lo raggiungo subito accoccolandomi tra le sue braccia.
“Ben arrivata!Com’è andato il primo giorno di università?”
“Bene, ho conosciuto una tizia simpatica, una antipatica e una a metà, e ho il presentimento della catastrofe. Tom ha puntato la tizia antipatica.
Scopate occasionali dice lui, io credo che finirà per attirarlo nella sua rete di stronza epocale e che dovremo raccoglierlo con il cucchiaino.
Ho sonno.”
Lui sorride e mi attira di più a sé.
“Dormi, mi racconterai meglio quando torni dal lavoro, hai un’aria stanca.”
Io annuisco e mi stringo meglio a lui, mettendomi comoda per poter riposare meglio. Tempo due minuti sono nel mondo dei sogni cullata dal suo calore e dal suo respiro.
Spero tanto che il mio presentimento della catastrofe imminente sia solo un presentimento.
Non ho voglia di avere quella Jen sempre tra i piedi.

Angolo di Layla.

Ringrazio LostinStereo3, Destroyer Cactus e killallyourfriends per le recensioni e scusate se non ho risposto personalmente.

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Capitolo 9
*** 9)Festa devasto. ***


9)Festa  devasto.

 

È passato un mese: la vita accelera per un attimo e ti lascia solo il compito di spettatrice.
Ormai ho imparato la routine delle lezioni e la mia ansia è del tutto sparita, Hayley mi fa compagnia. Non la chiamo amica perché non me la sento ancora di usare questo termine, ma con le mi sento meno sola. Jen mi ignora tranne quando Tom si fa vedere e, ringraziando il cielo Mark non è ancora venuto a prendermi o sarei stata costretta a fare un discorso a quella troietta.
Con Skye invece è un altro paio di maniche, quando c’è Jen è una statua di sale che non parla e fa a comando quello che le dice l’amica, quando Jen non c’è invece è una ragazza simpatica.
Ride, non se la tira per niente e dice che è stufa del ruolo in cui è imprigionata: l’eterna seconda.
A me e Hayley fa un misto di pena e simpatia, è ovvio che non romperà il legame malsano che la tiene attaccata a Jen, ma un paio di sere abbiamo deciso di regalarle qualche attimo di libertà.
L’abbiamo trascinata a casa della rossa e fatto scegliere qualcosa dal suo guardaroba – la taglia è più o meno la stessa –  ovviamente fatto interamente di abiti punk, alternativi o strani.
In quel momento aveva l’espressione della bambina portata in un immenso negozio di dolci: scelto quello che voleva e truccata pesantemente di nero sembrava un’altra persona.
Una persona felice di essere sé stessa e non imprigionata nel ruolo che qualcun altro ha scelto per lei.
L’abbiamo portata al Soma e si è divertita parecchio: ha trovato David, Matt, Mark, Tom e mia sorella simpatici e loro l’hanno accettata senza problemi.
Non ho mai visto il loro gruppo respingere a priori qualcuno ed è una delle cose che mi piace di loro. Skye ha detto che sarebbe tornata ancora e anche da sola, ma lo sapevamo tutte e tre che era una bugia: una volta finita quella serata sarebbe tornata ad essere il cagnolino di Jen.
Jenkins non è tipo da Soma, ma da club pieno di fighetti che si divertono con della musica di merda, scopandosi nei bagni del locale o da bar lussuosi dove la gente come noi non entrerà mai.
“Peccato, che quella tizia abbia così poca autostima. Se solo sapesse mandare a fanculo quella Jen sarebbe una persona fantastica.”
Mi ha detto Dave una volta e aveva ragione, ma io non posso impicciarmi troppo, Skye è grande abbastanza da vivere la sua vita come vuole.
Continuando a parlare di ragazze, temo che ci sia qualcosa tra Tom e Jen, io a lei non lo chiederei mai – quando DeLonge viene a prendermi in università e ultimamente lui lo fa troppo spesso, lei fa la gattina – e Tom non parla.
Giuro, lo prenderei a berle! Non glielo chiedo tutti i giorni a tutte le ore, ma quando succede – una volta ogni morte di papa – lui tace e mi riserva quel sorrisetto ironico del cazzo.
“Mark!!”
Urlo dal salotto.
“Cosa c’è?”
Mi risponde lui da sotto la doccia.
“Secondo te Tom scopa Jen?”
Lo sento ridere.
“Non me lo vuole dire, ma secondo me sì.”
“Coglione. E tu muoviti che serve anche a me la doccia, altrimenti alla festa di Matt non ci arriveremo mai!”
“Vieni a farla con me!”
“C’è la festa!!”
Lo sento sbuffare e io mi ributto sul divano con poca grazia, afferrando una bottiglia di birra e bevendone un lungo sorso.
Oggi è il compleanno di Matt ed è anche la festa di addio per i blink, visto che domani partono per il loro minitour.
Esatto, la loro carriera sta procedendo: hanno suonato in un altro paio di locali e solo i loro amici sono venuti a vederli, ma poi si è sparsa la voce e nell’altro paio di locali in cui si sono esibiti c’era abbastanza gente.
La maggior parte erano skaters e nerd e c’era qualche punkettone serio, io e Anne abbiamo venduto tutte le magliette e le cassette. A fine serata abbiamo brindato con la coca-cola urlando come matti.
Hanno anche suonato in un liceo e in una scuola media, lì hanno spaccato. Tutti i ragazzi pogavano e si divertivano, la maggior parte del corpo insegnanti ascoltava perplesso i loro testi, ma qualche professore sorrideva.
Anche lì abbiamo fatto sold-out di magliette e cassette: la band era al settimo cielo. Tom ha addirittura sollevato Anne e le ha fatto fare una giravolta, lei era rossissima e sono sicura che questo non abbia giovato alla sua cotta. Se non sbaglio dopo quella serata Tom è subito sparito in una macchina che sembrava terribilmente quella di Jen.
Finalmente Mark esce dal bagno con un asciugamano attorno alla vita, io alzo un sopracciglio.
“Copriti che c’è la festa, avrai il tuo premio dopo!”
Lui sorride trionfante.
“Controlla di non avere dimenticato nulla!”
Lui annuisce, ma sono certa che non mi abbia ascoltato e che toccherà a me passare in rassegna i nostri bagagli. Sì, li seguirò anche io in questo mini tour in California e con qualche data nel vicino Oregon.
Sì, è un bel colpo per una band emergente e lo sanno anche loro visto l’entusiasmo delirante con cui l’hanno accolto.
Mi faccio una doccia alla svelta e poi mi vesto, poi sprono Mark a farlo visto che il signorino è ancora in mutande.
“Che fretta che hai, Ruby!”
“Mark, non li rivedremo per un po’, li vorrei salutare.”
“Tu sei sicura di voler venire?”
Io lo guardo sorpresa.
“Preferisci che io rimanga a casa?”
“No, però non vorrei che tu sprecassi la tua vita universitaria per noi.”
Io gli bacio il naso.
“Ehi, è una mia scelta di cui mi assumo tutte le responsabilità. Non mi ha costretto nessuno, mi fa piacere farlo se a te fa piacere che io venga.”
“Certo che mi fa piacere, non ho voglia di tornare ad ammazzarmi di seghe quando ho la possibilità di avere te!”
Io rido e gli allungo una manata sulla spalla che lo fa ridere.
Problema risolto, insieme scendiamo le scale del condominio scambiandosi battute ed entriamo in macchina.
“Così stasera conoscerò la famosa Hayley.”
“Sì, la troverai simpatica. A proposito viene anche mia sorella?”
Mark annuisce, concentrato sulla guida.
“E a Tom non dà fastidio?”
“No, credo di no. Non mi ha detto niente in proposito, ma aveva la faccia di uno che covava propositi loschi.”
“Del tipo?”
Lui sospira.
“Del tipo che temo che ci saranno anche Jennifer e Skye alla festa. Per Skye non ci sono problemi, mi sta simpatica, ma Jen mi sta sul cazzo.”
“Anche a me, pur non avendolo. Spero che ti sbagli.”
Arriviamo a casa di Tom e ci sono già un sacco di macchine e la musica a volume altissimo.
“Domani li sfratteranno.”
“Nah, sapendo della festa i vicini se la sono filata, hanno paura di Matt e Tom.”
Parcheggiamo piuttosto lontano e durante il tragitto lui sembra tornato ai primi tempi, mi tiene per mano e mi sbaciucchia.
Non capisco questo suo atteggiamento, se non quando entriamo in casa: Tom ci viene incontro visibilmente già alticcio e mano nella mano con Jen.
Io mi tiro una mano in faccia.
“Sento l’impellente bisogno di vomitare, vado a cercare Matt.”
Mi allontano borbottando maledizioni sotto voce, seguita da Mark.
“Complimenti, tua madre non avrebbe saputo accoglierla meglio.”
“Quello mi deve spiegare un po’ di cose domani in tour, ho intenzione di spaccargli i coglioni finché non sputa la verità, anche se temo di conoscerla già.
Non ci vuole molto a capire che quella è più troia di Lynn!”
Arrivo in cucina e trovo un Matt intento a riempire i bicchieri dei suoi ospiti e questo mi fa alzare un sopracciglio, rimango per un po’ a guardarlo a braccia conserte e poi decido di intervenire.
Mi piazzo davanti a lui e fulmino la lunga coda.
“Nel caso vi fosse sfuggito è il festeggiato e siccome siete tutti grandi e vaccinati le bibite versatevele da soli.”
La fila si dirada e poi si sparpaglia in tanti rivoli disordinati, io mi volto verso Matt.
“Ma tu, nonostante questo crestone gigantesco, non ce la fai a farti valere?”
Lui sorride, quando fa così mi ricorda un bambino, io sorrido a mia volta e gli salto in braccio cercando di toccargli a famosa cresta.
Lui ride e cerva di scollarmi di dosso e finiamo per cadere per terra e a farci il solletico come due scemi sotto lo sguardo divertito di Mark. Matt – insieme a David e a Tom – è uno dei pochi ragazzi con cui mi conceda di fare la scema.
“Auguri punkettone! Adesso hai diciott’anni e sei maturo, ti possiamo mangiare!”
Lui ride e ci rialziamo, Mark si avvicina e lo abbraccia dandogli una pacca sulla spalla.
“Auguri, bestia! Dacci dentro questa sera!”
Matt ride.
“Tu hai già puntato qualcuno, Sullivan!”
Faccio io, puntandogli un dito contro.
“Ma che dici, Ferreira!”
“Io ti conosco, non mi mentire! Sono una strega!”
Lui alza le mani.
“Mark, ma come ci vivi?
Questa ti fiuta un sandwich in tasca a dieci miglia di distanza!”
Il mio ragazzo ride e mi abbraccia, strusciando l’inguine sul mio di dietro.
“Sesso, Sullivan. Lei è magica.”
“Attento che la magia potrebbe finire, Hoppus!”
“No, cara. Mi hai promesso il dolce dopo e comunque Sullivan non ha ancora risposto.”
“Giusto, forza Matt, confessa!”
Lui sbuffa.
“Avete vinto, associazione a delinquere! Mi interessa la biondina, quella Skye, ma quelle come lei non si interessano a quelli come me.”
Io gli batto una mano sulla spalla.
“Mai dire mai, tu gioca la tua carta e può darsi che non riceverai un due di picche.”
Lui è poco convinto, ma ci accompagna di là a vedere il degenero della festa.
C’è gente che salta, gente che beve come se non ci fosse domani, qualcuno amoreggia sul divano e neanche a dirlo è Tom con Jen.
Quando ci vede, si alza barcollando e mi abbraccia: sa di alcool peggio di una distilleria.
“Ehi, Ruby! Ti piace la mia nuova sco-scopamica?”
“No, mi fa schifo e adesso togliti, non ho voglia di parlare con te ubriaco.”
Lui mi prende per i polsi, facendomi male, ha una faccia che non mi piace.
Mark mi ha detto che può diventare aggressivo se ubriaco, ma non pensavo sarebbe successo con me.
“Ti fa schifo, eh? Non è che vorresti esserci tu al mio posto? Magari una bella cosa a tre con Mark?
O a quattro? Chiamiamo anche quella puttana di tua sorella e il suo nuovo bastardo, così facciamo una bella orgia.”
Si avvicina e appoggia le sue labbra sulle mie, tentando di forzarle con la lingua, io reagisco istintivamente: un calcio nei coglioni.
Lui si accascia a terra e comincia a lamentarsi tenendosi le parti basse
Io guardo Mark, lui mi fa cenno di andarmene.
“Vai, ci penso io a lui qui. Non ti preoccupare.”
Mi avvio verso il cortile sul retro per fumarmi una sigaretta e trovo anche Erin e un ragazzo magrissimo con dei rasta corti, una maglia rossa e dei pantaloni a tre quarti beige,
“E-erin!”
“Ruby! Che ti è successo?
Hai una faccia!”
Io mi appoggio alla sua spalla e piango.
“Tom ha tentato di baciarmi, ha reagito male quando gli ho detto che Jen mi fa schifo.”
Lei mi appoggia una mano sulla testa.
“Mi dispiace, credo che non abbia gradito vedermi con Travis.”
“Mi ha fatto un po’ paura vederlo così, ora Mark ci sta parlando.”
Lei mi stacca dolcemente, accende una sigaretta e me la porge, io la guardo grata.
“Tranquilla, domani vi chiarirete.
E così non piace nemmeno a te la vacca che si è portato appresso. Ha “troia” scritto in fronte.”
“Lo è, Hayley dice che lo è e ci andava a scuola insieme e poi è quella puttana razzista che mi ha accusata di essere una ladra!”
Lei stringe gli occhi e piega la bocca in una linea dura: non le piacciono le razziste.
“Mi presenterai Hayley, devo conoscere la prima amica di mia sorella.”
Un leggero “ehm ehm” la fa trasalire.
“Grazie a tutto questo casino che ha combinato il signor DeLonge mi sono dimenticata di presentarti una persona: lui è Travis.”
Mi indica il ragazzo che mi si fa incontro sorridendo e mi porge una mano
La accetto, è calda è piuttosto ruvida, la stretta è salda: mi piace
“Ciao, io sono Travis Barker.”
“Ciao, io sono Ruby, la gemella di Erin. Mi dispiace di aver tirato in ballo l’ex di mia sorella, magari non ti ha fatto piacere.”
Lui scuote la testa.
“Non ti preoccupare, è normale che ne parliate lui è anche un vostro amico e poi io e lei non stiamo insieme.”
Ha una voce sottile e melodiosa, mi piace.
Mi piace questo tizio, non nel senso che vorrei farmelo o cose del genere, ma come persona. Mi sa di essere una di quelle persone sempre calme in grado di rilassare qualsiasi situazione, far ragionare chi litiga e fare far pace a tutti.
Servirebbe qui e adesso, ma dubito che ci sia ancora qualcuno abbastanza sobrio da poterlo ascoltare.

Guardo all’interno della casa: il degenero prosegue e non ho voglia di rientrare, persino la musica è peggiorata.
Qualche deficiente ha permesso a un altro deficiente di avvicinarsi e di mettere della musica dance anni’80 rivoltante.
Non pensavo sarebbe finita così, me la immaginavo più divertente. Domani partiamo per il tour e qui non c’è niente da festeggiare, nemmeno il compleanno di quel poveretto di Matt, ho il sospetto che io e Mark siamo stati gli unici a fargli auguri.
E Tom che amoreggia senza ritegno con Jen e poi fa l’aggressivo è una cosa semplicemente brutta da vedere.
“Dio, non me la immaginavo così.”
Esclamo delusa, Erin annuisce e Travis sospira: gli avremo sicuramente fatto una pessima impressione.
Poco dopo arriva anche Mark – ha una faccia scura, segno che ha litigato con Tom –  e si accende una sigaretta senza dire nulla e Hayley.
“Ragazzi, là dentro è un manicomio! Hanno messo della musica di merda  e c’è un tizio con il pene di fuori che si sta scopando Jen fino a sfasciare il divano.”
“Già, il pazzo è quel coglione di Tom che è finito dritto nella sua  rete, nonostante lo avessi avvertito.”
Lei scuote la testa.
“Quella strega gli uomini li rincoglionisce…”
Mark fa un rumore strano, come una specie di tsch alla padrino siciliano.
“Tom è ben disposto a farsi rincoglionire, soprattutto quando è ubriaco perso.
Qualcuno sa se c’è David?”
“Non lo so, non l’ho visto.”
Fa Erin.
“David?”
“Sì, e tu chi sei?”
Erin guarda aggressivamente Hayley.
“Ritrai gli artigli, Erin. È Hayley, la mia amica.”
Mia sorella arrossisce.
”Scusa, è che questa è una situazione di merda. Io sono Erin, la gemella di Ruby, piacere.
Sono felice che mia sorella abbia un’amica.”
“è tutto apposto, io sono Hayley Cruz. Prima parlavi di un certo David, giusto?”
Lui annuisce.
“Sì, è un ragazzo alto con i capelli castano chiari, un po’ lunghi, l’hai visto?”
“No, però al frigo della cucina c’era attaccato un biglietto con scritti degli auguri di buon compleanno per un certo Matt  e delle scuse perché per via di degli straordinari in officina stasera non ci sarebbe stato. Era firmato David.”
Mia sorella sospira.
“Merda, tutto questo finirà in merda. David è l’unico in grado di far ragionare Tom, quando persino Mark fallisce.”
“Amen, sorella.
Grazie a quel cretino di Tom i blink e Matt avranno la peggior festa che la storia ricordi.”
Sbotto io, piuttosto incazzata.
“Mi spiace, Ruby.
Sono venuta qui per un motivo comunque.”
“Uhm, quale?”
Hayley rovista nella sua grande borsa di pelle nera e tira fuori un portatile.
“Questo è il mio portatile e questa.” Mi mostra una chiavetta: “Serve per connettersi ad Internet, ti passerò tutti i miei appunti giorno dopo giorno.”
Io la guardo stralunata.
“Ma sei impazzita? E se si dovesse rompere? Viaggio con due semi ubriaconi in un furgoncino messo scassato!”
Lei ride.
“Questo l’ho messo in conto, ma mi fido di te e so che me lo riporterai intero e poi è il modo più comodo e veloce per non farti perdere nemmeno un giorno di università.
A proposito, chi è il secondo ubriacone?”
“Scott, il batterista e grazie ancora.”
Lei sorride scuotendo i capelli.
“Vuoi sentire una novità interessante?”
“Vai dimmi.
“Skye Everly stava parlando con un punkettone dalla cresta verde.”
Io saltello per un po’ sul posto sotto il suo sguardi perplesso.
“Il punkettone è Matt e gli piace Skye, magari ci scappa una storia.”
La rossa rimane un attimo perplessa.
“Se dovesse succedere Jen la rimetterebbe subito in riga, la gente come Matt non le va a genio.”
Quella Jen deve solo provarci a rompere le palle ai miei amici e si pentirà di essere venuta al mondo!
Parliamo un altro po’, principalmente del tour e delle date previste e di quanto siamo curiosi ed eccitati, poi io, lei e Mark entriamo.
Lo spettacolo è orribile: gente che balla, gente che vomita o dorme ovunque.
La cosa peggiore però è vedere Tom nudo che tenta di spogliare Anne contro la sua volontà, sotto lo sguardo indifferente di Jen.
Lo sguardo di Mark si fa cupissimo, faccio solo in tempo a vederlo stringere i pugni per un attimo, poi parte all’attacco.
Allontana Anne dal suo amico e molla un pugno in piena faccia a Tom, io li guardo spaventata e sbalordita. Non li ho mai visti picchiarsi né ho mai pensato che potessero farlo.
“Ruby!”
Il tono duro di Mark mi riporta alla realtà.
“Prendi Anne, Erin e Hayley e andate a casa, qui ci penso io. Il signorino DeLonge ha bisogno di una lezione.”
Io annuisco e insieme a Trav mi allontano con le ragazze.
In macchina non diciamo molto, io consolo Anne, Erin guarda la strada con uno sguardo duro.
“Non l’ho mai visto comportarsi così. È fortunato che domani parte per il tour o gli avrei sfondatoil culo a forza di calci, ma forse ci sta già pensando Mark.”
Tuona Erin.
“Anne…”
“Non vi preoccupate, sto bene. In fondo non mi ha fatto niente.”
Io alzo gli occhi al cielo pensando che l’amore dell’Hoppus per Tom deve essere enorme, perché quello che Tom ha tentato di fare non ha una giustificazione alcuna.
Domani Tom mi sentirà, eccome se mi sentirà!
La prima che portiamo a casa è Hay, poi tocca a Erin e Anne. Scendono tutte e due, ma mia sorella torna indietro e si affaccia al finestrino.
“Anne è innamorata di Tom, vero?”
“Come l’hai capito?”
“Ho i miei metodi, ma non sono incazzata. È da tanto che so che lo ama, ma non mi hai messo i bastoni tra le ruote, ma deve capire una cosa: che anche se è innamorata di quella testa vuota, non può e non deve accettare di essere trattata così.
Grazie per la conferma, cercate di passare un buon tour ad Anne stasera ci penso io.”
Io annuisco.
“Grazie, Erin.”
Io sono l’ultima ad essere accompagnata.
“Grazie Travis e scusa per la brutta serata, di solito siamo meglio di così.”
Lui sorride.
“Non fa niente, le serate storte capitano a tutti. Cercate di divertirvi in tour, un giorno spero di avere anche io una band con cui partire,”
“Te lo auguro.”
Detto questo, salgo al mio appartamento e mi butto sotto la doccia, abbastanza preoccupata per come sia degenerata la situazione.
Finito, mi svacco sul divano in attesa di Mark e pregando tutti gli dei conosciuti che non lo debba venire a recuperare in qualche centrale di polizia.
Una mezz’ora dopo arriva a casa: ha la faccia scura,  un occhio nero, un tagli sul labbro e qualche graffio.
Io non gli dico niente, gli corro solo incontro e lo abbraccio, lui mi stringe a sé con una presa ferrea.
“Non deve toccarvi, non quando è in quello stato e lui lo sa.”
Mi sciolgo dall’abbraccio, prendendolo delicatamente per mano lo conduco sul divano per farlo sedere lì.
“Vado a prendere le cose per medicarti.”
In bagno cerco la cassetta del pronto soccorso, tornata di là gli disinfetto per bene i graffi e il taglio sul labbro.
Dopo di che  riempio la borsa del ghiaccio e gliela metto sull’occhio, lui intanto si è sdraiato e io gli faccio compagnia.
“Ne hai prese un bel po’.” 
”Anche lui ne ha prese un bel po’. Sono più basso, ma più grasso.”
“Non ho mai visto Tom così, non sembrava nemmeno lui.”
Mark sospira.
“Io sì, una volta e stava succedendo la stessa cosa di oggi, se non l’avessi fermato avrebbe stuprato una ragazza.”
Io rimango in silenzio, pensando che questo lato di Tom non lo conoscevo affatto.
“Non deve bere così tanto, è per questo che avevo chiesto a David di vivere con lui, è l’unico capace di mettergli un freno.”
“Io sono certa che non berrà più così, non dopo stasera.”
Mark non mi risponde, io mi appoggio al suo petto con i gomiti e lo guardo negli occhi: ha uno sguardo perso che non mi piace.
Tolgo con delicatezza la borsa del ghiaccio e lo bacio dolcemente, lasciando che sia il mio corpo a parlare, là dove le parole hanno fallito.
Bacio dopo bacio ci ritroviamo nudi ed ansanti a fare l’amore sul divano del salotto, doveva essere una cosa bella prima del tour, ma stasera anche questo atto è come avvolto da una specie nube di amarezza.
Ce ne andiamo a letto e lui mi attira a sé con un fare più possessivo del solito.
“Ruby?”
“Sì?”
“Grazie di esistere, sai sempre come prendermi e come tirarmi un po’ su.
Grazie di essere la mia ragazza.”
Io sorriso, lasciando che qualche lacrima di gioia mi scenda dagli occhi.
“Grazie a te.
Spero che domani e questo tour siano grandiosi.”
”Anche io.”
Ci addormentiamo abbracciati, la nube oscura per ora si è allontanata e spero non si ripresenti tanto presto e soprattutto spero che quello che è successo stasera non incrini il rapporto tra Mark e Tom.
Quello sì che sarebbe un casino difficilmente risolvibile!

Angolo di Layla

Ringrazio killallyourfriends, Mrclean e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 10
*** 10) Il triste inizio del tour. ***


10) Il triste inizio del tour.

 

Il giorno della partenza è finalmente arrivato, controllo gli ultimi bagagli mentre Mark controlla il suo amplificatore e il suo basso. Ha ancora una faccia vagamente arrabbiata, un occhio nero – ma non gonfio – il taglio mezzo cicatrizzato.
Non pensavo che la nostra partenza sarebbe stata così, me la immaginavo più allegra e mi sento vagamente in colpa per aver trascinato Mark alla festa.
Ma se non l’avessi fatto? Anne a quest’ora sarebbe stata violentata e non so cosa sia peggio: se questa prospettiva o quest’atmosfera tetra.
Scendiamo e portiamo tutto davanti a casa nostra, io mi siedo su una delle valigie, Mark invece sale a chiudere l’appartamento.
Poco dopo fa la sua apparizione un furgone scassato –  quello che ci ospiterà in queste settimane, chiamato “The cock” dai ragazzi – e scendono tutti.
Anne si lancia su suo fratello e lo abbraccia: sembra ancora sconvolta e la maglietta fa intravedere qualche livido sul corpo, ma quelli più brutti sono sui polsi.
Tom è l’ultimo a scendere e se ne sta in disparte senza guardare nessuno, non sta bene e glielo si legge in faccia. Faccia tumefatta dalle manine del mio ragazzo.
Vado verso di lui, ma la mano di Mark mi blocca.
“Mark, ho bisogno di parlargli.”
“Potrebbe essere pericoloso.”
Io lo abbraccio.
“Se dovesse tentare di farmi qualcosa ti chiamo o al massimo gli spacco in testa la sua chitarra.”
Lui è ancora perplesso, ma alla fine mi lascia andare.
Io guardo Tom negli occhi, ma lui non sostiene il mio sguardo e corre a nascondersi nel furgone con la scusa di caricare le valige e l’ultimo strumento.
Io scuoto la testa, credo che Mark non sia stato l’unico a stare male questa notte.
Entro nel retro del furgone e lo trovo seduto in un angolo con le gambe strette al petto e con il cappellino a fare ombra alla faccia.
“Tom dobbiamo parlare.
Non ti farò una predica come quella che ho fatto a Scott, ma anche tu devi capire che non puoi bere così tanto! Insomma, hai diciotto anni e dovresti saperti divertire senza ubriacarti.
Cazzo, cosa c’è di bello nel perdere il controllo?
Non sai quello che fai e la mattina dopo non te lo ricordi nemmeno, che senso ha?
E quello che hai fatto ad Anne…”
Mi fermo perché ho appena sentito un singhiozzo soffocato e ho capito che è da Tom che viene.
Non l’ho mai visto così, mando al diavolo la predica e mi siedo vicino a lui, peccato che lui si alzi di scatto e vada parte del furgone.
Lo guardo sconvolta, anche se ho intravisto solo per un attimo i suoi occhi non li ho mai visti così disperati.
“Tom.”
Mi siedo accanto a lui, ma cerca di scansarsi.
“Tom, perché mi cacci?
Non voglio farti niente!”
“Ma potrei farti io qualcosa! Mentre parlavi non ho fatto altro che guardare i lividi su tuoi polsi e sapere che sono stato io  a farteli mi fa incazzare.
Sono una brutta persona, non merito che tu mi stia vicina!”
Io mi inginocchio davanti a lui e gli tolgo delicatamente le mani dal viso: sta piangendo.
Non c’è bisogno di una predica, sa già tutto quello che gli avrei potuto dire, ha solo bisogno di una piccola dose di fiducia ora.
Gli bacio la fronte e lo sento irrigidirsi. Quando mi stacco mi prende i polsi e me li accarezza piano.
“Ti fanno male?”
“Un po’, ma non mi interessa.
Tom..”
Prendo fiato.
“Non sei una brutta persona, hai solo fatto un errore e devi rimediare, anche se mi hai fatto tu questi lividi io mi fido di te. So che da sobrio non mi faresti mai del male, so che da sobrio sei il miglior amico che una persona possa desiderare.
So che non sei cattivo, lo so.”
Lui fa per ribattere, ma io gli alzo il mento.
“NON. SEI.CATTIVO.”
Lui continua ad accarezzarmi i polsi e ad evitare il mio sguardo, io non so più cosa dire così faccio seguo il mio istinto: lo abbraccio più forte che posso, trattenendo le lacrime.
“Perché piangi?”
“Perché sei il mio migliore amico, ti voglio bene  e  non voglio vederti così. Sto male.”
Questa sembra sciogliere qualcosa dentro di lui perché sento che inizia di nuovo a piangere e finalmente ricambia il mio abbraccio con una presa ferrea.
Io gli accarezzo.
“Tom… Tom sei un coglione, ma ti voglio bene e non potrei mai avere paura di te, capito?”
Lui continua a piangere.
“Ma ho fatto una cosa terribile ad Anne, la stavo per stuprare, te ne rendi conto?”
Lo stacco da me, gli asciugo le lacrime e gli accarezzo una guancia: lui si appoggia alla mia mano come per sentirla meglio, come se ancora non ci credesse che lo sto consolando.
“Lo so, lo so. Tom non è stato bello, ma non eri tu.
Tom tu devi solo imparare a non bere più così e poi non succederà mai più nulla di simile.
Sei una persona con un cuore grande, lo sappiamo tutti.”
“Ora Anne ha paura di me.”
Io sospiro.
“è normale, ma tu devi scusarti e farle capire che non le farai più del male.
Ma perché hai bevuto così tanto?
Mark mi ha detto che è già successo.”
Lui abbassa gli occhi.
“Non lo so, Jen continuava ad offrirmi da bere e io bevevo e ignoravo gli avvertimenti di Mark e quelli della mia coscienza che mi diceva che nemmeno David c’era e che sarebbe finita male.”
Io stringo i denti e trattengo gli insulti rivolti alla vacca, non è il momento adatto per dire la mia su di lei.
“Va bene, ma ora mi giuri che non lo farai più?”
Annuisce.
“Non voglio più fare del male a te, ad Anne o a una qualsiasi ragazza sconosciuta. Non voglio più litigare con Mark, né che mi prenda a pugni.
Non mi ha mai preso a pugni, non mi perdonerà mai.”
“Ti perdonerà e ti perdonerà anche Anne, devi solo dare loro il tempo di farlo e dimostrare che sei veramente pentito e che hai imparato la lezione.”
Lui rimane in silenzio.
“Ruby..”
“Sì?”
“Ti voglio bene.”
“Anche io.”
Una smorfia gli deforma per un attimo il volto e lui si porta una mano alla tempia.
“Mal di testa?”
“Sì e non ho neanche dormito molto stanotte.”
Lo faccio stendere e gli faccio appoggiare la testa sulle mie gambe, con una mano gli accarezzo i capelli e il volto, l’altra è chiusa nella sua.
Non la molla nemmeno quando finalmente si addormenta e non la mollo nemmeno io quando finalmente anche io cado tra le braccia di Morfeo.
 

Ci risveglia una brusca frenata del furgone.
Chi cazzo ha dato la patente a Mark?
Poco dopo viene lui ad aprire il portellone, sembra preoccupato, ma si rasserena non appena capisce che non è successo nulla di grave.
“Ci fermiamo a mangiare qualcosa, venite?”
Io annuisco e faccio alzare Tom.
Scendiamo insieme, Scott si sta stiracchiando, Anne è convulsamente attaccata al braccio di suo fratello. Conciati così entriamo in un locale vicino all’autostrada, Mark ordina per tutti e poi torna a sedersi con noi.
Il silenzio è talmente pesante che si taglia con un coltello, nonostante sia il loro primo tour e debbano essere in qualche modo felici sembra che ci sia morto qualcuno.
All’arrivo della cameriera e dei piatti iniziamo a mangiare, finito, paghiamo e andiamo in bagno.
È tutto così meccanico che non sembra nemmeno appartenere ai blink, così prima che si rimetta alla guida prendo Mark per un braccio e lo invito a fumarsi una sigaretta con me.
Le accendiamo insieme, lui mi guarda inespressivo.
“Che ti ha detto?”
“All’inizio non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi a lui, scappava. Diceva che non dovevo stare vicino a una persona così orribile, diceva che era pericoloso.
Volevo fargli la predica, ma visto come era messo ho rinunciato e ho cercato di fargli capire con tutta me stessa che non è il mostro che ora crede di essere, che ha solo sbagliato per colpa dell’alcool, che impegnandosi a dimostrarvi che non si comporterà più così.”
Mark rimane in silenzio, buttando fuori ogni tanto solo qualche nuvoletta di fumo.
“Mark, per favore potresti parlargli?”
Lui scuote lentamente la testa.
“è il mio migliore amico, mi costa non parlargli, ma al momento non ce la faccio.
Chiudo gli occhi e lo vedo mentre ti bacia o tenta di spogliare mia sorella e mi viene di nuovo voglia di spaccargli la faccia. Non doveva toccarvi.”
Io stringo le mie mani attorno alle sue.
“Queste mani dovrebbero solo suonare il basso, non picchiare i loro migliori amici.”
“è presto, Ruby. Forse domani. Lo vedi quant’è spaventata, Anne?
Non l’ho mai vista così e mi fa una rabbia sapere che è colpa di Tom!”
Io sospiro.
“Spero vi chiarirete, così non riuscite a stare.”
Lui si rimette al volante senza dirmi nulla, spero di non avere fatto un buco nell’acqua.
Io rientro dietro con Tom.
“Ho visto che tu e Mark avete parlato.”
“Sì.”
“Come è andata?”
Io scuoto la testa.
“Dice che ci vuole tempo, che non avresti dovuto toccare  né me, né Anne.”
Lui abbassa gli occhi.
“Lo sapevo, sono una persona orribile.”
Io gli stringo le mani tra le mie e scuoto la testa.
“Non lo sei, forza rimettiamoci a dormire.”
Arrangio un letto di fortuna e ci stendiamo sopra, lui prima si mette lontano, ma nel sonno si avvicina e si accuccia dietro di me, fino ad abbracciarmi.
Io sorrido e mi addormento, sapevo che Tom avesse un lato sensibile, ma non sapevo ne avesse uno così fragile. E tra le nebbie del sonno non posso fare a meno di sentirmi onorata di esserne venuta a conoscenza e che abbia avuto così fiducia in me da mostrarmelo.
MI addormento ancora e mi risveglio poco prima che il furgone, questa volta quello che viene ad aprirci è Scott.
“Siamo arrivati, ragazzi.”
Noi usciamo, Mark si avvicina.
“Ho prenotato una stanza in un motel, pensavo di usarla per noi, ma forse è meglio se viene con noi anche Anne.”
“Mark…”
“Sai, non mi fido a lasciarla nel furgone con lui e Scott.”
“Mark…”
“Mi fa ancora venire una tale rabbia rivedere quelle scene che vorrei spaccare qualcosa.”
“MARK!”
Il mio urlo lo fa smettere di parlare da solo e lo costringe a prestarmi attenzione. Io gli appoggio le mani sulle spalle e lo guardo seria negli occhi.
“Mark Allan Hoppus, adesso tu mi dai retta!
Dopo al concerto penseremo alle sistemazioni notturne, ok?
Adesso tu devi pensare solo alle prove, a concentrarti sul basso e sulla band, lasciando da parte quello che è successo ieri.
È la vostra prima esibizione seria in un tour e non puoi mandare a puttane tutto perché non sai controllarti.
Quello che state cercando di realizzare è il sogno tuo, di Tom e di Scott, voi siete i blink e come tali dovete spaccare il culo a questa cittadina di provincia, capito?
Io mi aspetto un sold out di merchandising perché tutti saranno rimasti colpiti da quei fighi assurdi dei Blink from San Diego!”
Lui mi guarda sbalordito per un attimo – un lungo attimo in cui temo di aver esagerato – ma poi mi scompiglia i capelli e sorride.
“Hai ragione, bruja. In questo momento è la band che conta e le questioni personali vanno lasciate fuori. Grazie per avermelo ricordato, stavo andando fuori di testa.
Adesso mi concentrerò sulle prove e ti prometto che stasera daremo il meglio di noi!”
Io sorrido e poi lo abbraccio: ecco il Mark che ricordavo.
Rimaniamo per un po’ fronte contro fronte e poi ci baciamo con foga.
“Questo è il mio bacio portafortuna, vedrai che farà effetto!”
Lui ride.
“Certo, sei una bruja, la mia bruja!”
Insieme agli altri inizia a scaricare la strumentazione, mentre Anne entra nel locale per avvisare il padrone del nostro arrivo. Poco dopo esce insieme a un uomo sulla quarantina con dei lunghi capelli castani raccolti in una coda e le braccia piene di tatuaggi.
Ci accoglie cordialmente e ci fa strada su dove scaricare le prove.
“Allora, ragazzi.
Sono le cinque, alle sette il locale apre per due ore buone farà solo servizio tavola calda/ristorante.
Avete due ore per provare adesso e diritto a un pasto gratis, vedete di fare un bel concerto.”
Loro tre annuiscono, io e Anne ci sediamo in un angolo, curiose di sapere come andranno queste prove.
Iniziano ad accordare gli strumenti, ma non si parlano molto.
È la prima volta che li sento provare in silenzio, senza nemmeno una battuta, un insulto, una delle loro frasi senza senso.
Quando finiscono Scott viene da me e da Anne, spaesato.
“Ma cosa è successo?”
“Ieri sera alla festa hanno litigato, non vedi come sono pesti?
Meglio per te che non sia venuto.”
Lui sbuffa, ha combattuto un sacco con i suoi per avere il permesso di venire con noi e credo che speri non si risolva tutto in una merda.
Lo spero anche io, una delle componenti fondamentali di quei tre scemi sono Tom e Mark che cazzeggiano sul palco insieme, facendo ridere il pubblico.
Alle sette apre il locale, io e Anne ci facciamo un giro per la cittadina, lasciando i ragazzi a parlare dei fatti loro.
“Anne.”
“Sì?”
“Sappi che sono anche dalla tua parte e che mi dispiace che ieri sera lui abbia tentato …. Ecco.”
“Lo so, ma sei anche sua amica e vedi che sta male e lo vedo anche io e mi fa male.
Il problema è che ogni volta che tento di perdonarlo rivedo la faccia da folle di ieri sera e mi dico che non posso perdonare quel Tom, che quel Tom mi fa paura e che boh, vorrei delle scuse ed essere sicura che non riappaia più.”
Io rimango un attimo in silenzio, calcio un sasso e guardo una macchina solitaria passare.
“Dovrebbe smettere di frequentare Jennifer e non è solo perché mi sta sul cazzo, è una troia e mi ha accusata senza motivo di essere una ladra la prima volta che ci siamo viste, è perché lei sembra tirare fuori il peggio di lui.”
“Dovrebbe tornare con Erin.”
Io scuoto la testa.
“Dovrebbe stare con te.”
Lei sospira e non dice niente, si tocca solo i polsi – lividi come i miei e per lo stesso motivo.
“A volte invidio la tua forza, Ruby.”
“Io non sono forte, ho un sacco di paure e di manie, se sono ancora qui è perché sono fortunata e ho tuo fratello. Senza di lui sarei ancora quella di due anni fa.”
Finiamo il nostro giro e arriviamo di nuovo al ristorante.
Entriamo ed è pieno di persone, chissà se i ragazzi ci avranno riservato un tavolo?
Una testa rossa ci si fa incontro – Mark – e ci scorta a un tavolo d’angolo dove siedono Tom e Scott intenti a divorare grissini.
“Ciao!”
“Ciao!”
Ci sediamo.
“Cosa avete deciso per stasera?”
I tre ci guardano senza capire, così io mi spiego meglio.
“Volete fare le belle statuine come oggi alle prove o fare altro?”
Scott ride, ma vista la serietà che mantengono Hoppus e DeLonge smette subito e ritorna a guardare i tovaglioli sul tavolo.
“Siamo arrivati a un compromesso: abbiamo deciso che stasera faremo finta che non sia successo niente e ci impegneremo a far credere a tutti che siamo dei cazzoni senza pensieri.
“Va bene.”
Guardo Mark, come a fargli capire se davvero non può almeno tornare a parlare a Tom, ma lui scuote la testa: è troppo presto.
Alcool di merda! Jennifer di merda!
Maledetto il giorno in cui Tom è venuto a prendermi e l’ha vista, quella ragazza porterà solo guai, me lo sento!
Per un attimo vorrei che ci fosse Erin qui con me, ma non cambierebbe niente, anche lei era arrabbiata con Tom ieri sera.
Arriva una cameriera ordiniamo tutti degli hamburger –  io con formaggio, ketchup, bacon, pomodori e salsina, giusto per stare leggeri – delle patatine, cipolle fritte e qualche crocchetta di pollo a parte.
Mangiamo cercando di mantenere un clima sereno e stando su argomenti neutri, per ora sta andando bene.
Alle otto e mezza il proprietario ci chiama e i ragazzi cominciano a disporre gli strumenti sul palco, mentre nel locale il chiacchiericcio si fa più alto ed eccitato.
Alle nove il proprietario fa loro cenno di iniziare: il locale è pieno di ragazzi e ragazzini curiosi.
Tom annuisce e si avvicina al microfono sfoggiando il suo miglior sorriso sghembo e la chitarra piena di adesivi a tracolla.
“Ciao, siamo i blink, veniamo da San Diego e stasera vogliamo lasciarvi distrutti.
Volete essere distrutti?”
La folla grida un “sì” convinto.
“Bene e allora preparatevi perché stiamo per iniziare a farlo. Lui ..” Indica Mark :” è Mark e quando non suona il basso scopa i cani del quartiere, lui invece è Scott e ha il pene più lungo dei nostri messi insieme.”
“E tu?”
Urla qualcuno.
“Tom è gay e si diverte a tampinare i ragazzi! Let’s go!
E ricordatevi, se vi siamo piaciuti, queste due meraviglie sotto il palco vi daranno magliette e cassette nostre.”
“Qualche scopata, no?”
“No, bello. Sono mia sorella e la mia ragazza e la famiglia conta, no?”
Fa con un accento da padrino siciliano.
Iniziano a suonare e la folla si scatena, a quanto pare i loro ritmi veloci  e testi che parlano di ragazze e cose senza senso li ha conquistati.
Iniziano a pogare, saltare e inscenano botta e risposta con i blink come se fossero amici di vecchia data, il proprietario sorride soddisfatto.
Quando qualcuno inizia a farsi portare a mano dalla folla abbiamo la misura del nostro successo e posso tirare un sospiro di sollievo.
Le due ore di concerto passano velocemente e io prevedo già un sold out.
Arrivano all’ultima canzone e un sudatissimo Tom prende possesso del microfono.
“Ragazzi, siamo all’ultima canzone.”
Un coro di “nooo” si alza.
“Mi dispiace, ma, ehy, è la vita. Dicevo? È l’ultima canzone e di solito la dedicavo alla mia ragazza, ma adesso sono single.”
Ammicca.
“Quindi se qualche ragazza volesse farmi compagnia  è la benvenuta..”
Ammicca di nuovo.
“Questa sera però la voglio dedicare a una persona speciale: la mia migliore amica Anne Hoppus.”
Lei di fianco a me si irrigidisce e arrossisce.
“Lo so che ti ho fatto male, piccola, ma credimi non volevo, non ero in me.
Sono solo uno stronzo che beve troppo e non pensa alle conseguenze, ma ti voglio bene e mi dispiace moltissimo per quello che è successo ieri sera.
Per quel che può valere non lo rifarei mai più, nemmeno se Cristo me lo ordinasse.
Ti voglio bene, piccola e vorrei che tu mi perdonassi.”
Mentre le prime note di “Carousel” e l’assolo di Mark si fa sentire, Anne accanto a me piange in silenzio.
Finita la canzone mi molla da sola al banco delle vendite e senza nemmeno aspettare che i ragazzi salutino e mettano via i loro strumenti si butta addosso a Tom e lo abbraccia.
Lui ricambia tra i fischi e le urla della folla.
Io sorrido e non mi importa di essere sola a vendere roba su roba a gente entusiasta della band del mio ragazzo, mi importa solo di quei due che si abbraccino e che  facciano pace.
In fondo non è andata male – alla gente loro piacciono – e gli incassi iniziano ad esserci.
E sono felice che la pace stia tornando.

 Angolo di Layla

Ringrazio killallyourfriends, Mrclean e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 11
*** 11) Mi fido di te. ***


11) Mi  fido di  te.

 

Non parlare a Tom le riusciva particolarmente difficile.
Anne Hoppus non ricordava un giorno in vita sua in cui avesse volontariamente non parlato a quello che allora considerava il suo migliore amico e ora il ragazzo che amava.
Anne lo vedeva che stava male – sapeva leggere quegli occhi castani meglio di molti altri – e l’impulso di dirgli:”Ehy, va tutto bene. Dimentichiamo tutto” era fortissimo, ma qualcosa la bloccava sempre.
Ogni volta che ci provava risentiva le mani avide e violente di Tom – che non era più il suo Tom – sulla sua pelle e rivedeva la luce folle nei suoi occhi.
Aveva avuto paura di quella versione del ragazzo e ne aveva tuttora anche se sapeva benissimo che la sera prima era stato solo l’alcool a farlo comportare così.
Cosa fare?
La sera prima l’aveva addirittura giustificato da tanto era sotto shock, ci era voluto l’intervento di ERin – rude, ma efficace – per farle capire la gravità di quel gesto.
Erin le aveva detto che capiva il suo essere innamorata di Tom – e Anne non aveva idea di come avesse fatto a scoprirlo – ma che il suo comportamento era ingiustificabile sotto ogni punto di vista e che dargli un’attenuante era mancare di rispetto a lei come donna.
Erin aveva ragione, ma come fare a stare in tour serenamente quando sentiva gli occhi tristi di Tom perennemente puntati su di lei?
Come fare quando era preda a due diversi impulsi? Il perdono o  la paura?
Forse doveva solo darsi tempo e aspettare per accettare e capire sul serio – razionalmente e istintivamente – che quello della sera prima non era il suo amico, ma uno sconosciuto.
A peggiorare le cose ci si metteva il suo corpo che ogni volta che vedeva Tom iniziava a tremare di sua iniziativa, Anne avrebbe voluto piangere, ma la presenza guardinga di Mark glielo impediva.
La bionda non aveva nessuna intenzione di incrinare l’amicizia tra Tom e Mark o peggio ancora essere la causa della distruzione della band.
Lei, Mark, Ruby e Tom si erano impegnati così tanto per progettare quel tour, avevano lavorato duramente e messo da parte i soldi, si erano sfiniti a forza di contattare gestori di locali.
No, non poteva e non doveva finire tutto per colpa sua. Non appena Mark avesse allentato la presa si sarebbe fatta due chiacchiere con Ruby per sfogarsi e cercare di svuotarsi almeno un po’ del magone che si portava dentro.
L’occasione si era presentata dopo le prove con i ragazzi,  loro avevano bisogno di parlare e lei e Ruby ne avevano approfittato per fare un giro in paese.
Era dannatamente simile a Poway: stessa calma, stesse facce un po’ sospettose nei confronti degli estranei soprattutto se vestiti in modo strano.
Quella passeggiata le stava facendo bene, uno dei pregi di Ruby era che non sentiva il bisogno di riempire il silenzio con parole inutili – al contrario di Erin che era molto più espansiva e chiacchierona – e poi Anne le doveva molto per non aver detto nulla a Mark della sua scopata con Tom.
“Anne.”
Aveva detto a un certo punto, mentre calciava una lattina e la mandava dall’altra parte della strada.
“Sì?”
“Sappi che sono anche dalla tua parte e che mi dispiace che ieri sera lui abbia tentato …. Ecco.”
Anne sorrise – un sorriso un po’ amaro ad essere onesti – doveva essere difficile per Ruby essere amica di entrambi e non schierarsi dalla parte di nessuno.
“Lo so, ma sei anche sua amica e vedi che sta male e lo vedo anche io e mi fa male.
Il problema è che ogni volta che tento di perdonarlo rivedo la faccia da folle di ieri sera e mi dico che non posso perdonare quel Tom, che quel Tom mi fa paura e che boh, vorrei delle scuse ed essere sicura che non riappaia più.”
Lei rimase un attimo in silenzio, mollò un calcio a un sasso e guardò una macchina passare.
“Dovrebbe smettere di frequentare Jennifer e non è solo perché mi sta sul cazzo, è una troia e mi ha accusata senza motivo di essere una ladra la prima volta che ci siamo viste, è perché lei sembra tirare fuori il peggio di lui.”
“Dovrebbe tornare con Erin.”
Lei scosse la testa.
“Dovrebbe stare con te.”
Anne sospirò e si toccò i polsi: facevano male quasi quanto i ricordi e la paura provata in quel momento.
“A volte invidio la tua forza, Ruby.”
“Io non sono forte, ho un sacco di paure e di manie, se sono ancora qui è perché sono fortunata e ho tuo fratello. Senza di lui sarei ancora quella di due anni fa.”
Lei e Ruby continuarono a gironzolare per un po’ e tornarono al locale solo per la cena, non appena si furono sedute Mark annunciò un armistizio tra le due parti in causa per il bene della band.
Anne si sentì stringere il cuore, non aveva mai pensato che Mark e Tom potessero arrivare a fingere di fare i cazzoni perché il loro rapporto aveva subito un brusco strappo.
Si sentì anche leggermente in colpa ma poi la sua coscienza – che aveva curiosamente la voce di Erin – le urlò se preferiva essere stata violentata. No, non lo preferiva.
All’inizio del concerto lei e Ruby si misero sedute dietro al bancone con il loro merchandising per godersi lo spettacolo con calma.
La cosa più strana di tutte era che sembrava un normalissimo concerto, uno di quelli che avevano fatto da quando alla band era stata data la possibilità di esibirsi, nessuno avrebbe mai capito che quella era tutta una finta.
Anne sospirò, in quello che stavano facendo si stavano dimostrando dei professionisti.
La folla li apprezzava e l’ultima canzone sembrò arrivare nemmeno cinque minuti dopo che avevano suonato la prima.
L’ultima era sempre “Carousel” e Tom l’aveva sempre dedicata a Erin, ora probabilmente avrebbe detto qualche altra cazzata a caso: Anne non c’era certo preparata a quello che Tom avrebbe fatto.
“Ragazzi, siamo all’ultima canzone.”
Un coro di “nooo” si alzò dal pubblico.
“Mi dispiace, ma, ehy, è la vita. Dicevo? È l’ultima canzone e di solito la dedicavo alla mia ragazza, ma adesso sono single.”
Il biondo ammiccò, un ghigno amaro si affacciò sul volto della Hoppus.
“Quindi se qualche ragazza volesse farmi compagnia  è la benvenuta..”
Ammiccò di nuovo.
“Questa sera però la voglio dedicare a una persona speciale: la mia migliore amica Anne Hoppus.”
La bionda si irrigidì – come quando da piccola vedeva un ragno – e guardò versò il palco per perdersi negli occhi di Tom, di quel castano così comune eppure così speciale per lei e non si accorse nemmeno di essere arrossita.
Tom proseguì nel suo discorso.
 “Lo so che ti ho fatto male, piccola, ma credimi non volevo, non ero in me.
Sono solo uno stronzo che beve troppo e non pensa alle conseguenze, ma ti voglio bene e mi dispiace moltissimo per quello che è successo ieri sera.
Per quel che può valere non lo rifarei mai più, nemmeno se Cristo me lo ordinasse.
Ti voglio bene, piccola e vorrei che tu mi perdonassi.”
Mentre le prime note di “Carousel” e l’assolo di suo fratello faceva sentire la sua voce, Anne pianse in silenzio.
Tom – il testardo ed orgoglio Tom, quello che non faceva mai trasparire i suoi sentimenti – le aveva dedicato una canzone e si era scusato.
Era un evento rarissimo, che con tutta probabilità non si sarebbe mai più ripetuto, che le sciolse il cuore. Anne tornò in sé solo quando la canzone finì e senza più pensare al merchandising si lanciò sul palco e abbracciò Tom più forte che poté, piangendo con il volto sepolto nell’incavo della sua spalla, lui la strinse a sé con una presa ferrea.
Forse davvero ci teneva a lei e forse davvero aveva avuto paura di perderla.
Qualcuno all’improvviso le picchiettò le dita sulla spalla: era Mark che sorrideva.
“Posso unirmi all’abbraccio?”
La faccia di Tom – già felice di suo – si illuminò e il ragazzo annuì.
Ora erano coinvolti in un abbraccio a tre che sembrava piacere molto al pubblico, quando finalmente si staccarono c’era persino qualcuno – ragazze – che applaudiva.
Il gestore arrivò mentre la band stava smontando gli strumenti, sembrava soddisfatto.
“Bravi ragazzi! Devo farvi i miei complimenti!
Il locale era pieno e la gente si è divertita, siete i benvenuti qui la prossima volta che ripassate da questo posto.”
Tom e Mark si allontanarono con l’uomo per discutere di una serata da fare durante il ritorno dal tour e la bionda rimase sola con Scott che trafficava con la strumentazione.
“Sono felice che tu e Tom abbiate fatto pace, oggi le prove hanno fatto schifo, non erano per un cazzo divertenti.
Ora ti conviene andare ad aiutare Ferreira, la vedo piuttosto in difficoltà.”
La mora si voltò verso il banchetto e vide l’amica assediata da una folla che a stento teneva a bada, così corse ad aiutarla prima che ammazzasse qualcuno.
Vendettero tutte le magliette e le cassette destinate a quella serata, guadagnando una somma discreta, entrambe sorridevano.
I ragazzi erano soddisfatti anche loro, avevano rimediato una serata per il ritorno e non poteva esserci una condizione migliore per festeggiare.
Questa volta nessuno osò ordinare dell’alcool e così brindarono con della coca-cola offerta dal gestore.
Il gruppo uscì dal locale cantando, ridendo e saltellando come bambini: felici.
Arrivati al furgone Mark la prese per un braccio e la tirò da parte.
“Cosa c’è, Markey?”
Lui rise per quel soprannome.
“Ho una cosa da dirti, Annie. Io ho prenotato una camera in un motel qui vicino per me e Ruby, vuoi venire con noi?”
Lei lo guardò incredula.
“Ho pensato che dopo quello che è successo con Tom non ti andasse di condividere il furgone con lui.”
“C’è anche Scott.”
Suo fratello scosse la testa.
“Scott è solo un ragazzino, se dovesse succedere qualcosa non so se sarà in grado di difenderti.”
Anne sospirò e appoggiò una mano sulla spalla di Mark sorridendo.
“Mark, va tutto bene. Non succederà nulla e poi ho bisogno di parlare con Tom, voglio chiarire quello che è successo tra di noi e, ti sembrerà strano, voglio consolarlo.
Odio vederlo stare male, anche se lui ha quasi rischiato di violentarmi.”
Il fratello aggrottò le sopracciglia.
“D’accordo Anne, ma promettimi di svegliare Scott o saltare giù dal furgone e raggiungermi se qualcosa dovesse degenerare.”
Le porse un biglietto.
“Qui ci sono l’indirizzo e il numero di telefono del motel.”
Lei annuì, lo abbracciò ed entrò nel furgone seguita da Scott e Tom mentre Ruby scendeva.
“Vi ho arrangiato il letto per la notte, bestie.
Lasciate stare Anne o domani mattina vi avveleno tutti.”
Tom fece per aprire bocca.
“Sì, Tom, anche tu.
Buonanotte!”
Anne rise sotto i baffi ed entrò, gli altri due borbottavano dietro di lei.
Scott si tolse scarpe, pantaloni, calzini e scarpe e Tom lo imitò, Anne li costrinse a buttare calcini e scarpe fuori dal furgone perché erano quello che c’era di più simile ad armi chimiche e per dare il buon esempio fu lei stessa a farlo per prima con le sue.
Sbuffando – una volta rientrato – Scott si stese sul giaciglio che gli aveva preparato la messicana.
“Beati quei due che sono in motel a scopare!
Dio, che paura che mi fa quella messicana, non so come faccia Mark a stare insieme a lei!”
Tom lo guardò eloquentemente e poi si decide a rispondergli.
“Se non fosse per quella messicana saresti in coma etilico, dovresti mostrarle almeno un minimo di gratitudine, Raynor.”
Il batterista sbuffò.
“Ok ok, DeLonge. Ma cazzo quando mi ha fatto quella predica mi sono cagato in mano.
Da un momento all’altro mi aspettavo citasse quel passo inesistente di Ezechiele e poi tirasse fuori una pistola per ammazzarmi, come quel killer di “Pulp fiction”!”
Tom rise.
“A  caval donato non si guarda in bocca. Ringraziala o non saresti qui!
“Ok ok. Tu tieni le mani a posto o presto potremmo ritrovarci senza chitarrista.”
Il volto di Tom si scurì e si sdraiò, Anne gli si stese accanto a una distanza di sicurezza.
Poco dopo il leggero russare di Scott invase l’abitacolo e ruppe il silenzio che si era creato tra loro due.
“Perché hai voluto rimanere qui?”
La voce di Tom era così sottile che Anne non capì cosa le aveva chiesto.
“Cosa?”
“Perché sei qui?
Mark aveva detto che saresti rimasta a dormire con lui e Ruby e che sarebbe stato più sicuro.”
Anne sospirò.
“Perché volevo parlarti Tom, siamo amici e ho bisogno di parlare e chiarire con il mio amico.”
Amici, sì certo. Bella bugia, Anne! Complimenti! Si disse.
“Non hai paura di me?”
“Vuoi la verità? Un po’ sì, ieri sera mi hai spaventato, ma non ce la faccio a stare separata da te.
Non parlarti, avere paura di te mi sembra… contro natura, ecco.”
Lui si voltò verso di lei con gli occhi sgranati.
“Vorrei dirti tante cose, Tom, ma mi si confondono tutte in testa.
La prima cosa è che mi ha fatto davvero piacere il fatto che tu mi abbia dedicato “Carousel”, so quanto significa per te quella canzone e per chi l’hai scritta e perciò mi sento onorata.
Non so cosa dire, mi viene da piangere.”
Qualche lacrima solitaria sfuggì al suo controllo e la mano tremante di Tom la asciugò, come se anche lui avesse paura di toccarla o di farle male.
“Non piangere, Anne. Non lo fare per uno come me, non lo merito.
Dedicarti “Carousel” era il minimo che potessi fare dopo quello che ho tentato di farti ieri sera, il minimo.”
Anne lo guardò negli occhi, ma lui distolse lo sguardo.
“Perché, Tom, perché?”
Lui si tirò le mani davanti alla faccia e si voltò dall’altra parte, poco dopo la ragazza sentì un singhiozzo soffocato.
“Tom?”
“Non preoccuparti per me, Anne.
Comunque non lo so il perché. Jen è arrivata e mi ha baciato e poi mi  ha portato verso il banco degli alcolici e ha cominciato a versarmi da bere e io bevevo.
Bevevo, bevevo, bevevo.
Come un cretino, mi sono dimenticato degli avvertimenti di Mark su cosa mi succede quando esagero e del fatto che non c’era Dave e fermarmi.
Io ho solo bevuto.
All’inizio mi sentivo bene, benissimo, ero allegro e ho iniziato a pomiciare con Jen sul divano.
Poi lei mi ha fatto bere ancora e da lì ho un vuoto: era come se non fossi in me.
Mi sono risvegliato solo quando Mark mi ha sbattuto a terra con uno dei suoi pugni e ho visto la sua faccia deformata dalla rabbia, tu mezza nuda e con i vestiti in disordine e Ruby che guardava la scena pietrificata.
Lì ho realizzato di aver fatto una grandissima cazzata, mi sono preso i pugni di Mark fino a quando non se n’è andato gridandomi che ero solo un alcolista, maniaco sessuale e violento del cazzo e che la gente come me gli faceva schifo.
In salotto si è fatto un silenzio di tomba e io ho buttato tutti fuori casa, inclusa Jen che con una bottiglia di vodka in mano  mi urlava che una scopata d’arrivederci gliela dovevo.
Ho pulito la casa e mi sono ficcato sotto la doccia.”
Tom fece una pausa, si sentì un altro singhiozzo.
“Lì ho pianto perché ho capito che avevo fatto una cosa terribile. Stavo per violentare una delle persone più belle e importanti della mia vita ed ero riuscito a far provare lo schifo verso di me al mio migliore amico.
Mi sono sentito perso e stupido, perché sono solo un coglione che si merita di stare da solo.”
Anne fece per avvicinarsi per abbracciarlo, ma il ragazzo la precedette e scattò in piedi dicendo che usciva a fumarsi una sigaretta.
Anne lo sapeva che era una bugia, che Tom fumava pochissime sigarette e preferiva le canne, ma che non avevano erba per non incorrere in nessun problema.
Le cose erano due:
1)O stava davvero male.
2)O non voleva, non si sentiva in grado o abbastanza per parlare con lei.
La verità era che probabilmente la causa di quella fuga momentanea era un mix delle due cose.
Anne sospirò e si disse che non doveva piangere, non doveva far capire a Tom che stesse male accanto a lui, doveva riuscire a farlo sfogare in qualche modo e a sciogliere quel mostro che lo divorava dall’interno fatto di dolore e senso di colpa.
Tom rientrò un quarto d’ora dopo, fuori doveva far freddo perché lui tremava da capo a piedi e si stese sotto la sua coperta senza dire niente solo continuando a tremare.
“Hai freddo.”
Silenzio.
Anne prese la sua coperta e la stese su di lui e fece per infilarsi sotto, ma lui la bloccò.
“Non dovresti, potrei farti male.”
Anne incrociò le braccia e si sedette.
“No, Tom non puoi farmi male.”
“Posso invece, dentro di me c’è un animale, anzi sono un animale che fa soffrire le persone a  cui vuole bene e non merito niente di quello che ho.
Tu mi vuoi bene, Mark mi vuole bene e Ruby mi vuole bene, ma io non merito tutto questo affetto.
Io merito solo la solitudine, così non posso fare male a nessuno.”
“NO, NO, NO!”
Anne urlò così forte che Scott si svegliò e li guardò confuso, lei gli fece cenno di tornare a dormire visto che era una questione tra lei e Tom.
Si voltò di nuovo verso il ragazzo che amava con uno sguardo fiammeggiante.
“Tom DeLonge ascoltami bene!
È vero ieri sera ti sei comportato da coglione, ieri sera mi hai fatto paura e oggi ero un po’ sottosopra, ma questo non fa di te un animale!
Sei una persona! Sei Tom, sei il mio Tom!
Sei il ragazzo che mi aiutava quando cadevo dallo skate, quello che mi medicava e mi teneva alla larga i ragazzi più insistenti.
Non sei un mostro, hai solo un problema con l’alcool e tante persone ne hanno.
Vuoi sapere cosa vedo?”
Lui annuì.
“Vedo un ragazzo sensibile e maturo che sta soffrendo, non vedo una bestia.
Sai cosa ti leggo in faccia?
Che non lo farai mai più e io ho fiducia in te, affiderei la mia vita nelle tue mani se fosse necessario.
Lo sai che non sei un mostro, lo sai che non era il vero Tom quello di ieri sera, lo sai che puoi tenerlo a bada fino a farlo sparire, perché il vero Tom è altro.
È questo ragazzo che mi sta guardando smarrito, è quello che ieri piangeva nella doccia e che piangeva prima, è il Tom a cui voglio un bene dell’anima.
Hai abbastanza fiducia in te per accettare questo?
E se non ce l’hai fidati di me, ti fidi di me?”
Lui annuì debolmente con la testa.
“E allora lasciami venire lì, lasciami dormire con te, mettiamo fine a questa situazione.
Io ti ho perdonato, vuoi perdonare te stesso?”
Il ragazzo fece un sorriso debole che Anne interpretò come un “sì” e si infilò sotto le coperte-
Tom era rigido, lei gli fece capire di appoggiare la testa sul suo seno, lui eseguì sempre titubante,
Anne iniziò ad accarezzargli i corti capelli platinati per cercare di rilassarlo.
“Io non ho paura di te.”
“Ripetilo.
“IO.NON.HO.PAURA.Di.TE!”
Tom si rilassò tutto di un colpo – come se tutte le sue resistenze avessero ceduto – e l’abbracciò forte.
“Ti voglio bene, Anne.
Grazie, grazie per avermi perdonato.
Grazie per volermi ancora come amico anche dopo ieri sera.”
“Ti voglio bene anche io, Thomas.
Non posso pensare di non averti più nella mia vita, senza di te sarei persa.
E adesso cerchiamo di dormire ti va?”
Lui annuì e la porta sul suo petto.
Cullata dal battito del cuore di Tom e dalle carezze lievi che lui le lasciava sui capelli Anne si addormentò con un sorriso dipinto sul volto.
Ora era andato tutto a posto.
Ora poteva essere felice e non le importava di essere solo un’amica, l’importante era che lui fosse ancora nella sua vita.
E un giorno – giurò a sé stessa, tra il sonno e la veglia – che lui sarebbe stato al suo fianco come il suo ragazzo, non più solo come amico.
Cullata anche da questo giuramento cadde definitivamente tra le braccia di Morfeo.
Domani sarebbero ripartiti, avrebbero dovuto essere in forma.     

Angolo di Layla

Ringrazio Mrclean, killallyourfriends, LostinStereo3 e Destroyer Cactus per le recensioni.

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Capitolo 12
*** 12)Let's start over! ***


12)Let's  start over!

 

Avere come ragazzo il fratello premuroso e protettivo di una tua amica talvolta è una gran seccatura.
Adesso ad esempio è almeno mezz’ora che sta camminando avanti e indietro, grattandosi a volte la fronte, a volte il mento. Se continuerà così avrà la fonte arata come un bel campo a primavera e la linea che crea suo famoso mento “a culo”, come lo chiama Tom, ancora più profonda.
Io cerco di ignorarlo – parlargli sarebbe inutile in questo stato – e accendo il mio portatile, attacco la chiavetta che mi ha dato Hayley e mi fiondo a leggere la posta.
Ci sono un sacco di appunti di arte, critica d’arte, letteratura americana e un nuovo progetto che ci ha assegnato quella gnoma di pittura. Ti allontani un giorno dall’università e di riempiono di cose da fare, i bastardi.
Leggo svogliatamente gli appunti –  cosa che mi porta via un’oretta buona, svariati sospiri e imprecazioni – e poi la sua mail.
Mi racconta la vita universitaria e qualche pettegolezzo e sono tutti abbastanza succosi.
Il primo è che uno di quei giocatori di football che si sentono padroni dell’università ha trovato a letto con la sua troia un nerd bruttino del primo anno. Pare che lui non l’abbia pestato perché la gallina a cui sta insieme abbia urlato che il pisello del ragazzino era il doppio del suo e che lui le aveva fatto finalmente capire cosa si provava a fare del buon sesso.
Dopo questa batosta pare che se ne sia andato con la coda tra le gambe.
La seconda è che Jennifer non è venuta in università – ufficialmente per una febbre improvvisa, ufficiosamente per smaltire i postumi di una sbornia galattica – e che per questo la giornata è stata quasi decente.
La terza notizia è una bomba: parlando con Skye la bionda si è fatta sfuggire a Hayley che Matt le piace e che non le dispiacerebbe uscire con lui.
Senza rendermene conto inizio a saltare sul letto, gridando: “Sì, sì, sì! Vai ragazzo mio!” e Mark mi guarda stralunato, smettendo di fare la guardia.
“Beh, che succede?”
“Non sai cosa è successo mentre eravamo via!”
“Uhm, beh, ho perso un po’ di interesse per il gossip dopo quello che ha combinato il mio migliore amico.”
Io lo guardo negli occhi.
“Perché lo hai abbracciato stasera sul palco?”
Lui sospira e si siede sul letto con la testa tra le mani.
“Perché ho davvero apprezzato il suo gesto. So che non l’avrebbe mai fatto se non tenesse ad Anne, ma saperli da soli mi fa paura.
Mi vengono in mente tutti i ricordi di ieri sera, quelli in cui Tom tentava di togliere la gonna ad Anne e lei piangeva.
Io non sopporto vedere Anne piangere, è la mia sorellina, le voglio bene e il mio dovere è proteggerla. Non me l’hanno imposto, lo voglio io.
Però, voglio bene anche a Tom e mi pesa non parlargli.”
“Mark.”  Inspiro: “Io credo che Tom sia profondamente pentito per quello che ha tentato di fare ad Anne, con me ha pianto tutto il pomeriggio e sono certa che stasera non gli farà niente.
Sarà già un miracolo se Anne riuscirà ad avvicinarlo.”
Lui mi guarda perplesso.
“Si crede una persona orribile, un mostro che non merita né amici né affetto.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Riesci per un attimo a fidarti di lui?
Perché se non ti fiderai di lui ora, se non crederai davvero che sia pentito e che non è così il vero Tom la vostra band non andrà avanti.
Voi siete meravigliosi quando siete uniti, perché tra voi c’è una sintonia incredibile. Sembrate un unico ragazzo diviso in due corpi.”
Lui non dice niente, si limita ad abbracciarmi e sento le lacrime bagnarmi la maglietta. Io gli passo le dita tra i capelli rossi e lo stringo forte a me.
“Non voglio perderlo, Ruby, ma…”
“Non lo perderai se avrai fiducia in lui, vuoi provarci?”
Lo sento annuire contro la mia spalla. Con delicatezza lo stacco e lo faccio stendere a letto.
“Allora, qual è la novità?”
Mi domanda con voce acquosa.
“Skye e Matt.”
Sobbalza.
“Quei due stanno insieme?!”
“Non proprio, ma a lui Skye piace e a lei non è indifferente.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Sarebbero una coppia bellissima, ma non durerebbe.”
Io lo guardo senza capire.
“Piccola, Jen non permetterebbe mai alla sua amica che crede fighetta quanto lei di frequentare un punk con una cresta verde, il chiodo, le borchie e il resto.
Jen crede alla piramide sociale e nella piramide sociale i punk e le fighette non fraternizzano, figurati amarsi.”
“Non ti piace Jen, vero?”
“No e nemmeno a te.”
Io annuisco.
“Sì. È una ragazzina montata piena di pregiudizi e poi ha una pessima influenza su Tom.”
Lui stringe i pugni.
“è vero, mi ricordo di come rideva quell’oca quando il mio migliore amica stava per violentare mia sorella!”
“Io spero che durino.”
Mark sbadiglia.
“Io ho sonno e ho bisogno di sfogarmi e rilassarmi con la mia groupie preferita.”
Io  gli do una cuscinata e lui ricambia, ben presto ci sono piume dappertutto e lui è steso sopra di me, tenendomi  il volto tra le mani e baciandomi dolcemente.
“Come ti siamo sembrati?”
“Meravigliosi, soprattutto il bassista. Quel ragazzo ha talmente tanto carisma che me lo scoperei.”
Lui ride e mi bacia sugli occhi facendomi rabbrividire di piacere.
“Ci hanno prenotati per un’altra serata.”
“è perché siete bravi.”
Io struscio lasciva il mio bacino contro il cavallo dei pantaloni di Mark.
“Strega!”
Mormora prima di riprendere a baciarmi con più passione.
Ben presto scende a baciarmi il collo e a togliermi la maglietta, contemplando con aria compiaciuta i miei seni senza reggiseno.
“Miei!”
Mugugna prima di partire all’attacco leccandoli, succhiandoli e mordendoli leggermente. Io gemo di piacere, al morso addirittura sussulto.
“Bastardo!”
Esclamo, prima di rovesciare le posizioni e togliergli la maglietta, strusciandomi in modo studiato sul cavallo dei suoi pantaloni.
“Artiglieria pesante?”
“Oh, sì!”
Con lentezza gli bacio il collo e scendo sul petto soffermandosi sui suoi capezzoli, giocandoci allo stesso modo in cui ha fatto lui prima con i miei, al morso sobbalza anche lui o forse è per la mia mano che accarezza in modo lento e circolare il cavallo dei suoi pantaloni, eccitando quello che c’è sotto.
Mark urla un gemito più forte degli altri e ribalta le posizioni di nuovo, portandosi sopra di me e precisamente tra le mie gambe.
“Artiglieria molto pesante.”
Mi toglie i pantaloncini e inizia prima a strusciare un dito sulle mie cosce e poi a leccarle e mordicchiarle.
Ansimo.
Con aria da furbetto appoggia una delle sue mani grandi sulle mie mutande mezze bagnate e inizia ad accarezzarle piano, procurandomi dei brividi assurdi.
“Mark!”
Sussurrò eccitata.
“No, me lo devi chiedere o stasera non urlerai.”
Continua la sua opera mandandomi fuori di testa tanto che urlo: “Mark, ti prego almeno un dito, mi stai uccidendo.”
Lui toglie lentamente le mutande con i denti e infila la lingua  nella mia femminilità, facendomi sussultare e gemere. Fa per allontanarsi, ma io lo obbligo con le mani a rimanere lì, facendolo sorridere.
È sempre stato bravo con i giochetti di dita e lingua, ma stasera dà il meglio di sé. Lo sento ovunque e sento il piacere che sale a ondate  e che mi costringe a urlare e supplicare di continuare e di non smettere. Quando vengo vedo le stelle e stritolo la sua testa tra le mie gambe.
Lui è pienamente soddisfatto, lecca il liquido che è uscito e per fare capire che gli è piaciuto si lecca un dito compiaciuto.
Io ansimo ancora, faccio fatica a riprendere il controllo di me quando fa delle cose del genere visto che mi sparano dritte nell’orbita del pianeta orgasmo.
“Stanca?
 Non è ancora finita.”
Io lo guardo togliersi pantaloni e mutande e infilarsi un preservativo, è eccitato e il suo membro preme sulla mia coscia sinistra.
Mi bacia per un po’ e poi dopo aver strusciato il naso contro il mio mi dà un bacio in fronte.
È il suo segnale per dirmi che entra in me e questa volta sono colpi duri, secchi e decisi e piuttosto veloci.
In breve tempo mi ritrovo a gemere e ansimare il suo nome e solo allora rallenta, con spinte lunghe e lente ci porta entrambi all’orgasmo
I nostri nomi sono urlati in contemporanea e poi crolla su di me, mentre io lo accarezzo e gli bacio i capelli.
Il preservativo lo toglie dopo e poi mi fa accoccolare tra le sue braccia, baciandomi leggermente le tempie e i capelli.
“Sono o sono il dio del sesso?”
“Lo sei.”
Mormoro rossa e un po’ stanca.
Ci fumiamo entrambi una sigaretta, pensando a cose diverse: io al momento appena trascorso, lui ad Anne e Tom nello stesso furgone.
Siamo distesi uno accanto all’altro con le mani strette a  guardare il soffitto.
“Come pensi starà andando là?”
“Bene, sono sicura che staranno chiarendo.”
Lui sospira.
“Vorrei avere la tua stessa fiducia, ho un piccolo tarlo che Tom mi dice che Tom tradirà di nuovo la mia fiducia e che dovrei essere là per proteggere Anne.
Tu come fai a i fidarti?
Ti porti ancora addosso i lividi.”
Mi stringe delicatamente la mano libera dalla sigaretta nella sua libera ed accarezza leggermente il livido e poi lo bacia.
Io sospiro.
“Non c’è un motivo preciso, Mark.
Lo vorrei prendere a sberle,  fargli una predica e spaventarlo come ho fatto con Scott, ma sarebbe stato inutile.
Non perché non mi ascolterebbe, ma perché lui tutte quelle cose le sa già e non riesce a perdonare sé stesso per essersi lasciato trasportare nonostante sapesse benissimo a che conseguenze andava incontro.
L’ho guardato negli occhi e vi ho letto una tristezza infinita e del disprezzo e poi non si lasciava avvicinare e diceva che era un mostro che non meritava la nostra amicizia.
Te le ho già dette queste cose, Mark e ti giuro su Erin che mentiva.
Ho guardato il ragazzo davanti e del maniaco di ieri sera non c’era traccia, c’era solo un ragazzino sperduto, uno che sa di aver fatto qualcosa che non gli verrà perdonato facilmente.
E mi sono detta che quello che è successo gli imprimerà a fuoco nella mente di non bere più così tanto e so che non farà del male a tua sorella.
Probabilmente le ci vorrà persino un po’ per avvicinarlo, per lui ha paura di farle del male.”
Lui rimane un attimo in silenzio, fuori un tir strombazza senza ragione, poi finalmente spegne la sigaretta e si volta verso di me.
“Forse hai ragione.
Tom ci tiene ad Anne e credo tu abbia capito che nonostante le apparenze da sbruffone e idiota è un ragazzo molto sensibile.”
“Lo so da quando ha aiutato me e mia sorella a fare pace.”
“Sono certo anche io che si odi e vorrei poter fare come te a modo mio, battendogli una pacca sulla spalla e dicendogli che va tutto bene e se non gli va una partita a carte, ma ho davvero paura.
Se questa notte non succederà nulla lo perdonerò, ma per adesso ho solo paura.”
Io gli faccio cenno di avvicinarsi e lui si accuccia su di me con la testa appoggiata tra il seno e l’incavo del mio collo.
Io gli accarezzo i capelli sudati e gli bacio le tempie.
“Andrà tutto bene, ho fiducia in te e ho fiducia in  lui.”
“Ti amo, Ruby.”
“Anche io.”
Lui scuote la testa.
“è difficile per un ragazzo elencare tutti i motivi per cui ama la sua ragazza, li dà per ovvi e scontati, ma voglio provarci.
Ti amo perché mi fai ridere.
Ti amo perché mi fai ragionare.
Ti amo perché mi calmi sempre con le parole che spero sempre che qualcuno mi dica, quasi mi leggessi nel pensiero.
Mi impedisci di fare cazzate e lo fai con calma.
Mi fai stare bene e ti prendi cura di me come nessun altro ha mai fatto.
Ti amo.”
Io ho le lacrime agli occhi e lo stringo più forte a me. Tra noi le dichiarazioni non sono frequenti – come ha detto lui diamo per ovvi e scontati i sentimenti – ma quando ci sono ti aprono il cuore in due e te lo riempiono di gioia.
“Ehi, bruja! Stai piangendo?”
“Sì, ma di gioia. Ti amo, testa rossa!”
Lui sorride e ci addormentiamo così: uno stretto all’altra con un sorrisone sulle labbra.
 

La mattina dopo ci sveglia lo schifoso rumore di una sveglia, Mark la sbatte giù dal comodino senza pietà.
“Mark..” Biascico io mezza addormentata: “Se continui così dovremo comprarne una al giorno.”
“Ma rompeva i coglioni.”
“Sì, sì, ma serve e adesso mi dai un buongiorno serio, killer di sveglie?”
Lui sorride, mi bacia sul naso e poi scende dal letto completamente nudo, lasciandomi ad ammirare l’andamento ipnotico delle sue chiappe.
Mi risveglio solo quando la porta si chiude e lui è fuori dalla mia visuale. Che furbetto!
Con la scusa di avere un culo magnifico non solo mi ha fregato il primo posto nella doccia, ma mi sta anche implicitamente costringendo a mettere a posto il casino che c’è!
Raccatto le cose che ho lavato alla bell’e meglio ieri sera dall’unico, gigantesco calorifero presente in camera e le piego riponendole in valigia.
Raccolgo anche il resto e quando Mark ha finito sto mettendo via l’ultima cosa.
“Allora, caro il mio mister So-di-avere-un-culo-divino-e-lo-uso-per-togliere-le-facoltà-mentali-alla-mia-ragazza.”
Ride.
“Quello…”
Indico una maglietta blu con una prosperosa infermiera in stile manga stampata sopra e un paio di jeans lunghi e larghi.
“Sarà quello che metterai, adesso vado a fare la doccia.”
Detto questo, entro in bagno e mi faccio una doccia veloce, lavandomi i capelli e dandogli solo qualche colpo di phon.
Esco in intimo e lo trovo spaparanzato a guardare la tv, ma non si perde un attimo della mia vestizione: mi metto con studiata lentezza un corsetto nero tutto lacci e un paio di short neri con i bordi sfilacciati.
“Tu con quello non ci esci!”
Mi fa minaccioso, io rido.
“Lo so, lo so infatti ho  preparato anche la maglia di scorta, ma vedere la tua faccia da geloso è qualcosa di impagabile.”
Tiro fuori una maglietta corta e nera con la scritta blink fucsia e il coniglietto disegnato da Scott con una carota in mano.
“Così sei perfetta!”
Mi bacia con passione e poi ci mettiamo le scarpe – io le mie all star, lui le sue puma – e lasciamo la stanza del motel, raggiungendo gli altri al furgone.
Ci sono un silenzio e una calma che mettono in guardia Mark e che fanno sollevare me, mi metto un indice davanti alla bocca per far capire al mio ragazzo di stare zitto e lentamente apro il portellone.
Scott dorme a braccia e gambe aperte come un bambino e fa una tenerezza assurda visto che ogni tanto farfuglia qualcosa nel sonno. In quanto a Tom e Anne dormono abbracciati.
Lui è aggrappato a lei come se lei fosse l’ultima cosa di valore rimasta sulla Terra e lei come se lui fosse il suo salvatore.
Io sorrido.
Mark sorride.
È andato tutto a posto per ora.
Mi fa cenno di richiudere il portellone e recupera un secchio da chissà dove e lo riempie d’acqua alla vicina fontana.
“Mark, che vuoi fare?”
“Sssh! Apri il portellone!”
Io eseguo e lui svuota il contenuto sui tre poveretti ignari che ancora stanno dormendo. Scott scatta in piedi e comincia a bestemmiare, Anne si lancia contro suo fratello e inizia a prenderlo a pugni, Tom si alza senza fare niente.
Solo a un cenno quasi invisibile di Mark inizia a bestemmiare e salta addosso al mio ragazzo riempiendolo di pugni. I due iniziano scherzosamente a litigare.
“Ehi, cazzone! Ti pare il modo di svegliare la gente?”
“Mmh sì, è troppo divertente coglione! Sei come un pulcino bagnato!”
Tom ghigna e prende una bottiglia d’acqua e la rovescia in testa a Mark che comincia a imprecare.
“Adesso tu sembri un gatto incazzato!”
Inizia una battaglia a colpi d’acqua e per fortuna hanno abbastanza buonsenso da farla fuori dal furgone.
Finita si asciugano tutti alla bell’e meglio ed entriamo in un bar per far colazione. Siamo tutti di nuovo felici e ordiniamo un pasto piuttosto abbondante.
Ricordiamo quello che è successo durante il concerto della sera prima e ridiamo come matti, Tom ad un certo punto tira fuori qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni beige: è un reggiseno bianco e semplice, tipicamente adolescenziale.
“Me l’hanno tirato ieri sera!
Tra poco avrò delle groupie!”
“NON NEL FURGONE!”
Esclamano in coro Anne e Scott.
“Perché?”
Fa deluso Tom.
“Perché non c’è spazio e poi vogliamo dormire non vedere e ascoltare voi che fate sesso.”
“Potete unirvi, c’è sempre spazio per un’orgia!”
Un secondo dopo la testa di Tom finisce nel piatto pieno di pancakes decorati da sciroppo d’acero, lui si rialza con la faccia dolorante e un pancake attaccato alla faccia.
Se lo toglie schifato e si pulisce la faccia con un tovagliolo.
“Ma sei scemo?”
“Tu con mia sorella non ci fai nessuna orgia o te lo taglio. Hai capito?”
Tom alza le mani in segno di resa.
“Ok, scherzavo!
Forse era una battuta fuori luogo!”
“Tom.”
Faccio, trattenendo le risate.
“Vai a lavarti la faccia, non ci serve un autista sporco.”
Lui si acciglia.
“Ah, devo farvi pure da autista?”
“Certo, sei in punizione, DeLonge.”
Lui sbuffa.
“Va bene, maestra!”
Va a lavarsi e noi al tavolo sorridiamo tutti, la situazione è tornata alla normalità.
Il tour può avere finalmente inizio come si deve.
I blink sono tornati.
 

Angolo di Layla

Ringrazio killallyourfriends e Destroyer Cactus per le recensioni. 

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Capitolo 13
*** 13) Il punk e la principessa. ***


13) Il  punk e la principessa.

 

Skye non aveva idea di perché fosse venuta a quella festa.
Per la verità lo sapeva, quella despota di Jen glielo aveva imposto e quando lei imponeva qualcosa solo l’essere in fin di vita le avrebbe impedito di accontentarla.
Non che non le piacesse la gente – sarebbero probabilmente arrivati anche Ruby, Mark ed Erin e con Hayley aveva già scambiato qualche parola – il problema era che lei era stata portata lì solo per fare da tappezzeria a Jan.
Quando Hayley le si era avvicinata aveva intimamente sospirato di sollievo e iniziato volentieri a chiacchierare con lei – la rossa le stava simpatica sin dai tempi del liceo, ma per via di Jen non poteva avere rapporti con lei – ma era durato poco.
Non appena la sua cosiddetta amica si era accorta di con chi stesse parlando le aveva sdegnosamente fatto cenno di allontanarsi, Hayley pur essendo alle spalle della mora lo aveva percepito e le aveva sorriso mesta.
“Me ne vado prima che Hitler cominci a battere i pugni sul tavolo accusandoti di essere una che fraternizza con i perdenti.
Goditi la festa, Skye.”
Lei le aveva sorriso, pensando dentro di sé che non si sarebbe per nulla goduta quella cazzo di festa. Jennifer era una di quelle bastarde che credono alle gerarchie sociali e soprattutto alla assoluta non comunicazione tra classi diverse. Tom DeLonge era un eccezione perché stando a quello che le aveva detto emanava sesso da tutti i pori e la eccitava il doppio sapere di irritare le gemelle Ferreira con quella storia.
La bionda non aveva potuto frequentare Hayley perché Jen l’aveva classificata come una perdente, non avrebbe teoricamente nemmeno uscire con Erin e Ruby. Ce l’aveva fatta solo inventando una serie incredibile di bugie e per la prima volta in vita sua non solo si era sentita completamente e totalmente accettata senza dover portare nessuna pesante maschera, ma si era anche divertita.
Per la prima volta aveva capito cosa significasse davvero liberare il cervello da tutte le cazzate che Jennifer le aveva rifilato e provare piacere ballando con gente che non ti giudica.
Sarebbe durata poco, comunque.
Non appena il Fuhrer sarebbe venuta a saperlo l’avrebbe sgridata per bene, ormai non sapeva nemmeno più perché chiamava Jen amica.
Forse perché si conoscevano fin dalle elementari e lei aveva sempre avuto problemi a socializzare con gli altri.
Forse era perché era troppo debole.
Forse perché non aveva mai avuto davvero un motivo per staccarsi da lei e combattere per la sua libertà.
Poco dopo arrivarono Mark e Ruby – li vide dalla sua posizione privilegiata seduta sulle scale – Tom era già stato fatto ubriacare abbastanza e del ragazzo simpatico era rimasto ben poco e Jen lo aveva accompagnato alla porta presumibilmente per irritare Ruby o farle paura.
La messicana invece se la cavò con una frase tagliente che di sicura aveva irritato Jenkins, per un attimo la bionda invidiò da morire Ruby, lei aveva il coraggio di fare quello che lei non avrebbe mai potuto fare.
Si alzò dalla sua postazione, prese una bicchiere medio di birra e si scontrò con Erin che stava in compagnia di un ragazzo con i dread pieno di tatuaggi.
“Ehy, Skye! Come stai?
Non ti avevo visto.”
“Vorrei essere a casa mia a guardarmi un mieloso film d’amore di merda e invece sono qui a fare da tappezzeria perché Jen non vuole che parli con qualcuno.”
Erin alzò un sopracciglio.
“Prima è venuta Hayley, l’amica di tua sorella, ci avrò scambiato sì e no due parole quando lei se n’è accorta e mi ha fatto capire di piantarla di piantare con quella che considera una sfigata.”
“Hai mai avuto la tentazione di mandarla a fanculo?”
“Sì e qualche volta di investirla con la macchina.”
“Beh, quello non vale la pena, una vacca del genere non lo merita.”
La messicana roteò gli occhi e seguendo la direzione del suo sguardo vide Jen intenta a pomiciare seminuda con Tom.
Jen incrociò il suo sguardo e le intimò di farsi i cazzi suoi e di smetterla di parlare con il nemico, anche Erin lo vide e le scoppiò a riderle in faccia.
“Povera puttana, io ho fatto sia sesso che l’amore con Tom e lei si sta beccando la parte peggiore. Fare l’amore con Tom è bellissimo, farci sesso significa avere la vagina sfondata.”
“Cazzi suoi. Chi è il tizio muto che ti porti appresso?”
Il ragazzo le tese una mano e sorrise.
“Sono Travis Barker, piacere di conoscerti.”
“Piacere mio, Travis. Io vado a mettermi nel mio angolo, vi auguro di divertirvi.”
“Ne dubito, la tua amica sta rovinando la festa dei blink e il compleanno di Matt.”
Detto questo Erin e il suo amico si allontanarono e lei tornò a rintanarsi nel posto che si era scelta.
Beveva piano la birra guardando il casino che si stava scatenando sotto di lei e pensava che un po’ le facevano paura quei ragazzini senza controllo con troppo alcool in corpo.
E se a qualcuno di loro fosse venuto in mente di importunarla e lei non fosse riuscita a respingerlo?
Skye rabbrividì e decise che il suo ruolo di tappezzeria era durato abbastanza – era scontato che Jen avrebbe dormito da Tom – e decise di andarsene.
Stava per alzarsi quando qualcosa fece ombra alla sua birra: una ragazzo alto e magro con un mohawk verde incredibile.
“Ciao.”
Lei saltò per aria e la sua birra andò a finire metà sui suoi vestiti.
“Oddio, scusa non volevo spaventarti!”
Lei non rispose, lo stava valutando.
“Mi chiamo Matt Sullivan, sono il festeggiato e visto che qui nessuno sembra fregarsene pensavo di farmi una partita alla play in camera mia, poi ti ho visto qui.
Sembravi l’unica che non si divertisse e la più normale qua dentro così ho pensato di venire a fare due chiacchiere, ma forse è stata una brutta idea.
Non volevo spaventarti, me ne vado.”
“No, rimani pure.
Ero io ad essere sovrappensiero e spaventata dalla calca là sotto, temevo che qualcuno troppo alticcio ci provasse.”
Da come parlava anche lui – a dispetto delle apparenze – doveva essere timido.
“Comprensibile. Non riesco a capire come sia degenerato tutto così, deve essere perché manca l’altro mio coinquilino, lui riuscirebbe a gestire queste situazioni.”
“Auguri, comunque.”
Lui sorrise, un sorriso da bambino che gli illuminò il volto.
“Grazie, sei la quarta persona che me li ha fatti o la quinta. Mark, Ruby, Hayley, David stamattina, Tom non me li ha fatti..”
“Mi dispiace, è brutto essere ignorati il giorno del tuo compleanno. Io mi chiamo Skye Everly comunque, piacere di conoscerti.
Lui sorrise di nuovo.
“Senti vuoi che ti porti qualcosa per cambiarti?”
Lei annuì.
“E che mi porti via da questa baraonda, mi sono rotta le palle di fare il cagnolino di Jennifer. Non ha bisogno di me per scoparsi Tom.”
Lui annuì e le fece cenno di seguirlo.
Doveva essere pazza a seguire un perfetto sconosciuto, ma quel Matt le ispirava fiducia.
Salirono al piano superiore ed entrarono nella seconda porta a destra dopo che lui ebbe sbattuto fuori due che pomiciavano.
“Fai come se fossi a casa tua, io vedo se c’è qualcosa che ti si può adattare come taglia.”
Lei annuì.
Si sedette sul letto e sì sentì a suo agio e per Skye era piuttosto strano dato che aveva sempre bisogno di studiare un ambiente prima di considerarlo abitabile.
La camera di Matt era composta da un letto a due piazze, una scrivania ingombra di libri e giornali, un armadio, mensole piene di statuette di personaggi dei manga e un porta cd abbastanza grande accanto a uno stereo.
“Uhm, credo che questo possa andarti.”
Le porse una maglia nera con delle scritte gialle con degli strappi, un paio di pantaloni larghi verde scuro e una cintura.
“Hai anche delle scarpe comode?
Scusa la richiesta strana, ma questi trampoli mi stanno uccidendo.”
Lui scoppiò a ridere, frugò un po’ nell’armadio e le porse un paio di malandati anfibi.
“Sono i miei primi anfibi, dovrebbero andarti bene.
Adesso esco, fai con comodo.”
Lei annuì, colpita dalla gentilezza di quel ragazzo apparentemente minaccioso, ma in realtà timido e gentile.
Si tolse il vestito macchiato ed indossò maglia e pantaloni, le stavano larghi, ma andava bene così: era una liberazione non essere costretta in vestiti che mostravano impietosamente ogni grammo in più che aveva.
Recuperò un paio di calzini e mise gli anfibi, le calzavano perfettamente.
Si mise davanti allo specchio e alzò il braccio facendo il gesto delle corna, l’immagine che le rimandò la superficie riflettente per la prima volta la fece sentire a suo agio.
La bionda uscì dalla camera sorridente e trovo il punk appoggiato alla parete di fronte.
“Sai che sei carina anche così?”
Lei arrossì.
“Oh, davvero? Grazie!
Forza, andiamocene!”
Matt un po’ esitante le allungò una mano che lei accettò e la condusse al piano di sotto e poi in cucina, uscirono dalla porta sul retro come due ladri e salirono sulla macchina del ragazzo.
Era una vecchia macchina verde scuro, Skye rimase colpita dallo scheletro e dal cuore appesi.
“Ti turbano?”
“No, no. Dove vuoi andare?”
“Ho una fame boia, ti proporrei il Mac Donald, ma so che.”
“VA BENISSIMO!”
Urlò lei.

“Pensavo non fossi tipa da Mac Donald.”
“Io amo mangiare da Mac Donald solo che Jen me lo vieta sempre. TI PREGO stasera portami al Mac!”
Lui rise.
“OK, principessa e Mac sia!”
Mise in moto la macchina e si diresse verso un Mac Donald che dava sulla baia di san Diego, con un po’ di fatica riuscirono ad accaparrarsi un posto vicino alla grande vetrata da cui si vedeva il mare.
“E così anche le principesse come te, mangiano questo cibo spazzatura.”
Anne si accigliò.
“Chiamami ancora una volta principessa e ti spezzo una gamba. Sono una ragazza normale e come tutte le ragazze normali amo il Mac.
Amo fare enormi abbuffate di questo cibo spazzatura, di pizza, tacos e cibo messicano, ma non posso.
Jennifer controlla quello che mangia e ho la sfortuna di viverci insieme.”
“Scusa, ma perché non la mandi a fare in culo?
Quella non è amicizia è essere dittatrici.”
Skye abbassò gli occhi.
“Non ho amiche.”
“Una ragazza carina come te non ha amiche?”
Il tono del ragazzo era incredulo, si solito lei non raccontava agli estranei la sua vita, ma quel Matt le ispirava fiducia.
“Quando ero piccola, alle elementari, non ero tanto bella ed ero timida.
Tutta la classe mi prendeva in giro, eccetto Jen e così siamo diventati amiche, pensavo fosse una ragazza sensibile e comprensiva.
Beh, forse mi sbagliavo o forse lo è stata fino a quando non siamo arrivate alle medie, lì è diventata cheerleader e ha cominciato a riempirmi la testa di cazzate come la divisione in caste della popolazione del liceo, che le popolari non potevano stare con gli sfigati.
Io le ho dato retta per tutte le medie, perché essendo ancora bruttina non mi andava certo di perdere l’unica amica che avessi e che mi proteggeva dalle cheerleader.
Al liceo mi sono sviluppata e ho provato a dirle qualcosa, ma Jen non era più la ragazzina che ricordavo: era diventata una iena fredda e calcolatrice.
Mi rise in faccia e mi disse che se ci tenevo a fare la fine di Meg potevo anche smettere di frequentarla.
Meg era una ragazzina che aveva fatto l’errore di dire a una sua amica cheerleader tutto quello che pensava di lei e di mollarla.”
Skye appoggiò il milkshake che stava bevendo e si asciugò un paio di lacrime che le erano uscite.
“L’hanno tormentata fino a farle tentare il suicidio e a farle cambiare scuola.
Io non volevo fare la stessa fine.”
Lui non disse nulla e le asciugò le ultime lacrime ribelli.
“Andiamocene, dove vorresti andare?”
“In spiaggia.”
“Ai suoi ordini.”
Matt pagò anche la sua consumazione e la accompagnò in spiaggia, trovarono un posto abbastanza vicino al bagnasciuga e si sedettero.
“Non me ne sono andata nemmeno dopo il liceo perché i miei si sono trasferiti a New York per il lavoro e non volevo lasciare San Diego.Temo però che se mi mettessi contro Jen ne uscirei distrutta”
La ragazza fece un attimo di silenzio.
“Credo di aver parlato troppo.”
“Mi è piaciuto starti ad ascoltare e nessuno dovrebbe permettersi di fare del male a una ragazza come te. Sei bella, Skye, ma non solo fuori, anche dentro.
Vuoi sapere la mia storia?
Non è tanto diversa dalla tua. Da piccolo ero timido e gracilino, mi prendevano in giro e mi picchiavano.
Alle medie ho pestato un po’ di quelli che mi avevano rotto alle elementari e mi sono fatto la reputazione di teppista.
Ho iniziato a litigare con i miei e di conseguenza a non andare bene a scuola, come un gatto che si morde la coda. Più loro mi sgridavano più io andavo male e non avevo nessuno con cui sfogarmi.
Ero solo, disperatamente solo e per di più i miei capelli verdi, la mia reputazione e vestiti come questi non mi aiutavano.”
Erano sdraiati vicini e a lei venne naturale appoggiarsi al suo petto e a lui accarezzare i suoi capelli.
“Poi un giorno ho incontrato Anne Hoppus, la sorella di Mark, e lei mi ha presentato a tutta la compagnia e per la prima volta non mi sono sentito più solo.
Mi sentivo meglio e a scuola miglioravo anche se a casa il clima era sempre teso ed ostile, i miei non mi accettavano.
Io però sentivo di migliorare e ne ho avuto la prova quando ho aiutato Ruby a inserirsi nel gruppo.”
“Pensavo che lei facesse da sempre parte del vostro gruppo.”
Lui scosse.
“No, ci è entrata un paio di anni fa quando Mark si è innamorato di lei, prima di allora era la strega del liceo e nessuno osava importunarla.”

Skye sgranò gli occhi, sorpresa.
Li aveva visti sempre molto uniti e non pensava che la messicana fosse una ragazza isolata, le era venuto naturale che fossero sempre stati amici.
“Davvero?”
“Sì, faceva paura. Sempre arrabbiata e vestita di nero, con una risposta acida sempre sulla lingua, non si faceva avvicinare da nessuno.
È stato Mark a cambiarla lentamente da quando si è innamorato di lei e si sono messi insieme e noi l’abbiamo accettata senza problemi.
Siamo ospitali e poi abbiamo visto quanto fa bene a Mark.”
La bionda sospirò sognante,
“Sono una coppia meravigliosa! Anche io vorrei un ragazzo così!”
Questa volta fu lui a guardarla sorpresa.
“Non hai mai avuto un ragazzo?”
Skye fece una risata amara.
“Oh sì, ne ho avuti. Peccato che fossero tutti gorilla delicati come elefanti in una cristalleria e per cui ero un oggetto come un altro.
Ho avuto più corna di un cervo nella stagione degli amori, ma siccome erano giocatori di football erano fighi e Jen me li imponeva.
A lei non importava che mi trattassero da oggetti.”
“Ma tu sei una persona.”
“Sì, sono una bionda con il cervello, quindi una persona.”
“E vuoi essere trattata da persona.”
Lei annuì piano, triste.
“So hold in all your aggresions
Because your grinding your teeth on down to
The bottom of your chin
It's not easy or so damn pleasing
To not laugh at everything they say that
They tell you what to be you're not alone
I know what it's like to be denied at everything you do
It's not the same reason why that
Makes you change the things that you once knew”
Lei lo guardò interessata e si appoggiò sui gomiti.
“Bella, che canzone è?”
“Una dei blink, ho sentito Tom canticchiarla in questi giorni e mi è rimasta in mente.
Si chiama “Peggy Sue” e ho pensato potesse adattarsi a te.”
“Vorrei avere io la forza di Peggy Sue.
Vorrei qualcosa per cui lottare.”
In un attimo si ritrovo contro il petto di Matt, era caldo, le ispirava sicurezza e quel cuore che batteva troppo forte le piaceva.
“Ci sono io. Sono solo uno sconosciuto, ma se ti serve un po’ di forza ci sono io.
Anche se di solito quelli come noi non hanno contatti; facciamo un patto: io ci sarò per te e tu per me.”
Stava per dirgli che erano tutte cazzate quelle che due come loro non potevano avere contatti, che erano solo persone, ma si perse a guardarlo negli occhi.
Due occhi dolci, castani con qualche sfumatura verde.
Gli occhi di una persona dopo tanto tempo perso a guardare occhi di automi.
La bionda non aveva premeditato quello che fece: gli saltò a cavalcioni e lo baciò impetuosa come se il mondo dovesse finire quella sera.
Quando si staccarono sorridevano entrambi.
“Tutte quelle cose secondo cui io e te non potremmo nemmeno parlarci sono una stronzata.
Se mi vuoi, se ti servo io ci sono.”
Lui le accarezzò dolcemente una guancia.
“Anche io, ma questo va al di là del patto, Skye.”
“Ti prego non cacciarmi, sei l’unica persona vera che ho incontrato in questi anni e mi piaci.
Non so perché, ma mi piaci.
Non lasciarmi da sola.”
Lui la riattirò a sé e la baciò più dolcemente.
“Non ti lascio da sola.
Se mi vorrai non ti lascerò mai da sola.”
Lei gli baciò una clavicola.
“Lo voglio e non pensare che io sia una facile.
Non bacio mai al primo appuntamento.”
“Sono felice di essere stato un’eccezione, mi piaci Skye e mi piaci tanto.
Ripresero a baciarsi fino a che anche il rumore lontano della strada sparì.
“Forse dovremmo andarcene.”
“Posso dormire da te?”
Lui alzò un sopracciglio, perplesso.
“Solo dormire, stare abbracciati tutta la notte a parlare o a stare zitti.”
“Va bene.”
La prese per mano e tornarono alla macchina, sorridendo.
“è la prima volta che sto così bene con una persona.”
Esclamarono insieme per poi scoppiare a ridere.
Salirono in macchina che stavano ancora ridendo.
“Grazie per la serata, erano secoli che non ridevo davvero.”
“Grazie a te per avermi fatto festeggiare degnamente i miei diciotto anni.”
Arrivarono davanti alla villetta dove viveva Matt, lui parcheggiò in garage e poi entrarono in casa: era deserta.
“Mi sa che qualcosa è andato storto qui.”
Mano nella mano Matt e Skye salirono al piano superiore, da una delle camere si sentivano dei singhiozzi. Facendo attenzione a non farsi sentire il ragazzo aprì la porta: era un Tom tutto pesto che piangeva a letto abbracciato al cuscino.
Matt la richiuse delicatamente.
“Non gli dici nulla.”
“No, è raro che pianga. È meglio che si sfoghi.”
“Se non c’è Jen dovrei chiamarla, ma sai una cosa?
Non lo farò.”
Lui annuì e la precedette nell’entrare in camera sua.
Skye si butto sul letto, dopo essersi tolta gli anfibi, e ci si rotolò soddisfatta, lui invece cominciò a spogliarsi: rimase solo in maglietta e mutande.
“Scusa, dormo così di solito.
Non ho un pigiama da quando andavo alle elementari.”
Lei arrossì.
“Beh, non c’è problema.”
Si tolse i pantaloni e i calzini e si infilò sotto le coperte, poco dopo lui la raggiunse.
Skye si accomodò sul suo petto e si lasciò stringere, accarezzare i capelli e baciare le tempie perché per la prima volta si sentiva protetta con un ragazzo.
“Cosa dirò all’arpia domani?”
“Cantale questa canzone, la canticchiava Mark qualche giorno fa.

‘You're gonna drown in the mess you make
Your self-inflicted hate
You turn your back on the friends you lose
When they don't follow all your rules
But people are what they wanna be
They're not lemmings to the sea
Maybe it's time that you look at yourself
And stop blaming life on someone else’

Si chiama “Lemmings”.”
“Bella. Gliela canterò.”
Mormoro insonnolita.
La risata di Matt fu l’ultimo suono che sentì prima di addormentarsi, per la prima volta dopo tante sere nere, felice.
Pienamente, stupidamente felice.

Angolo di Layla

Grazie a killallyourfriends, Mrclean e LostinStereo3 per le recensioni. Mi hanno fatto molto piacere.

 

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Capitolo 14
*** 14)Pure morning. ***


14)Pure morning.

 

Dopo l’esordio un po’ incerto e pieno di incognite il tour dei blink sta procedendo bene.
Mark e Tom hanno fatto pace, complice anche il fatto che Anne ha smesso di tremare ogni volta che vede Tom e ha ripreso a trattarlo come ha sempre fatto e che Tom abbia solennemente promesso davanti a tutti che non berrà più così tanto.
Abbiamo suonato in due locali a Los Angeles e in qualche paese – prima da ricconi e poi normali – lungo la costa, ora siamo appena usciti dall’autostrada  al casello di San Francisco.
“Ehi Mark! Non ti sembra di tornare a casa?”
Urla Tom.
“No, casa mia è a San Diego.”
“Dai che in fondo non ci sei stato male qua.”
Il mio ragazzo stringe gli occhi.
“Tom, il fatto che io adesso stia guidando non implica che lo farò per sempre e che una  volta scesi non possa prenderti a sberle sulla nuca!”
Lui ride.
“Ma dai, piste da skate, il Golden Bridge, i punk del porto.”
Lui fa una strana smorfia, a metà tra un sorriso e uno sbuffo.
“I punk del porto piacevano più a mia sorella che a me.”
Anne sbuffa platealmente dal fondo del furgone.
“Per quanto ancora mi rinfaccerai la storia con Lars?
È durata pochi mesi!”
“Sì, ma lo senti ancora.”
Lei sbuffa ancora più forte se possibile.
“è un mio amico, è ovvio che lo senta ancora, Mark!”
Sento che lui sta per replicare e stronco la lite sul nascere tirando fuori la cartina della città dal cruscotto e urlando come una matta che non so dove sia il locale.
La lite finisce lì, ci fermiamo in una piazzola e stendiamo un itinerario che include anche una mia richiesta: andare in un posto dove si veda il Golden Bridge sia ora che stanotte.
Lui sbuffa, ma mi accontenta.
Abbiamo appuntamento con la padrona del locale alle undici e sono appena le nove e mezza, così partiamo verso un punto abbastanza panoramico della città che lui conosce molto bene.
È un posto davvero bello: uno spiazzo erboso da cui si gode tutta la vista della baia e del ponte, ideale per pomiciare.
“Spero che tu non ci abbia portato nessuno per pomiciare, Mark, o qui abbiamo un problema.”
“Nah, non ti preoccupare e adesso andiamo a questo cazzo di locale, come si chiama?”
“P3.”
Rispondo io, soffocando uno sbadiglio.
Io e Mark abbiamo “dormito” nel furgone con gli altri e il dolce russare di Scott non mi ha fatto chiudere occhio.
“Scott, tu devi sistemarti il naso!”
Gli dico prima di uscire di nuovo dalla macchina e dirigersi in un locale che sembra molto cool e poco adatto a tre ragazzi cresciuti a pane, punk e skate.
Entriamo tutti e cinque piuttosto intimiditi, è vuoto e una donna con i capelli castani e i modi spicci ci viene incontro.
“Seite voi i blink?”
Ci chiede.
“Siamo solo noi tre.”
Le risponde Mark indicandose stesso, Tom e Scott.
“Loro.” Indica Anne e me: “ Sono qui per vendere il nostro merchandising.”
Lei annuisce.
“Io sono Piper, dalle due potete provare fino alle sei.
Il concerto inizia alla dieci e deve finire a mezzanotte, se sarete stati bravi avrete dirito a una consumazione gratis. Non facciamo ristorante.
Di solito non ospito gruppi punk, ma la mia sorellina ha sentito parlare di voi e ho deciso di darvi una possibilità.
Vedete di non deludermi.”
Parlano un altro po’ e poi ce ne andiamo.
“Tosta la tipa ed è quasi mezzogiorno.”
Tom si massaggia lo stomaco con aria triste.
“Il tuo stomaco è puntuale come un orologio, d’accordo cerchiamo un posto dove mangiare.”
Saliamo di nuovo nel furgone, ho come l’impressione che stasera i blink faranno piuttosto fatica a sfondare.
Mangiamo, gironzoliamo un po’ e i ragazzi provano dalle due alle sei del pomeriggio, anzi fino a un quarto alle sei perché la proprietaria arriva e li fa sbaraccare alla velocità della luce dicendo che deve aprire il locale per l’aperitivo.
Gironzoliamo un altro po’ per la città, mangiamo e poi aspettiamo fuori dal locale, all’entrata secondaria riservata al personale e ai musicisti.
A un quarto alle dieci ci è fatto cenno di entrare, i ragazzi preparano il palco e noi il nostro banchetto, la folla ci guarda piuttosto incuriosita.
Mark prende la parola.
“Ciao, siamo i blink e veniamo da San Diego.
Stasera siamo venuti qui per farvi sentire un po’ di sano punk e per farvi saltare.”
“Saltare fa dimagrire, ragazze, soprattutto se saltate nel mio letto!”
Urla Tom.
Qualcuno ride tra la folla.
“E tu hai bisogno di saltare Tom, eh!
Fa’ vedere loro la tua pancia da alcolizzato!”
“Ehi, non è alcool è sperma di cane!”
“Vero, ragazzi e ragazze lo sperma di cane contiene tantissime calorie assumetene a piccole dosi o diventerete come Tom e voi non volete diventare come lui, vero?”
Questa volta ridono tutti.
“Adesso iniziamo, la prima canzone si chiama “Carousel”, l’ho scritta per una ragazza, che purtroppo però ora non mi aiuta più a perdere calorie.
Let’s go!”
Iniziano a suonare, l’intro del basso di Mark sembra catturarli in qualche modo – come una melodia ipnotica – e quando la batteria di Scott e la chitarra di Tom esplodono iniziano a saltare come dannati.
“Vi è piaciuta, ragazzi?”
Un “Sìììì” si alza dalla folla.
“E allora passiamo alla prossima.”
“Perché se aveste detto di no, ve l’avremmo risuonata fino a farvela piacere!”
“è una minaccia?”
“Sì, amico, hai colto nel segno.
Siamo punk duri e puri e minacciamo!”
Tom fa mostra dei suoi inesistenti muscoli e il pubblico ride.
“La prossima canzone si chiama “Dammit”, perché, dannazione, crescere fa schifo!”
Riprende Mark e il pubblico si scatena.
Si scatena su “Dammit” e sulle altre e a fine concerto prende d’assalto il nostro banchetto, litigando persino per le ultime maglie e cassette rimaste.
Quando il gran casino finisce si fa viva la proprietaria e ci fa i complimenti, come promesso ci offre da bere. Ci sentiamo soddisfatti come non mai quando arriva la nostra birra e Tom non si esime da fare un bis e anche a un tris.
“Io vado in bagno.”
Dice con voce alticcia.
“Io rimango a discutere con la signora.”
Gli risponde Mark, io assisto ancora per un po’ al loro discorso, poi vado a cercare Tom: ho una brutta sensazione.
Mi dirigo verso la zona dei bagni e mi accorgo che la porta d’emergenza che dà sul retro è aperta, decido di uscire e mi ritrovo in un vicolo. Lo percorro tutto e mi ritrovo sulla strada principale, testimone di uno spettacolo che non mi piace: Tom sta litigando con un poliziotto.
Merda.
Affretto il passo e li raggiungo.
“Cosa succede?”
Chiedo con il fiatone.
“Chi è lei?”
Il poliziotto è sui quarant’anni e ha un’aria arcigna che non promette nulla di buono.
“Sono una sua amica.”
Indico un Tom che ciondola e dice frasi senza senso.
“Benissimo, allora lo comunico a lei ed evito di farlo chiamare dal commissariato.
Il suo amico è in arresto per ubriachezza molesta e per bevuto sotto i limiti consentiti dalla legge.
Può essere rilasciato su cauzione, duecento dollari, e si eviterà il processo.
La cauzione va consegnata domani mattina.”
Mi detta l’indirizzo del commissariato e carica Tom in macchina, lui abbassa il finestrino e comincia a fare facce da ritardato: io sono basita, stringo forte tra le mani il foglietto con l’indirizzo.
Sento una risata dietro di me: è Mark che guarda il suo amico e ride come un coglione.
In questo momento – nonostante lo ami – lo strozzerei, siamo nei guai fino al collo e lui ride.
“Ciao ritardato!”
Saluta Tom e continua a ridere anche quando la volante si è allontanata.
“Mark.”
Faccio con il tono più calmo che riesco a produrre.
“Sì?”
“Potresti farmi un favore?”
Continuo con lo stesso tono che è palesemente la quiete prima della tempesta.
“Certo.”
“PIANTALA DI RIDERE COM UN COGLIONE! SIAMO NELLA MERDA!”
Urlo facendo voltare qualche passante, lui mi guarda con gli occhi sgranati.
“Perché?”
“Non ti viene qualche dubbio vedendo una volante che porta via Tom che ci sia qualche problema?”
Lui deglutisce e si fa pallido.
“Ora che mi ci fai pensare sì.”
Io mi metto una mano davanti agli occhi, pregando Dio che mi dia tanta pazienza perché se mi dà un surplus di forza lo ammazzo a mani nude.
“Cosa è successo?”
“QUEL COGLIONE DI TOM SI E’ FATTO BECCARE UBRIACO DA UN POLIZIOTTO, ECCO COSA E’ SUCCESSO! AVEVI PROMESSO CHE L’AVRESTI TENUTO D’OCCHIO, CAZZO!
ADESSO SIAMO IN MERDA.
DOBBIAMO TROVARE DUECENTO DOLLARI ENTRO DOMANI MATTINA!”
“E se non li troviamo?”
La sua ingenuità è quasi commuovente.
“Tom andrà a processo e il tour a puttane.”
Faccio secca.
“Ma noi li abbiamo quei soldi.”
Fa angelico lui.
“Certo, amore mio stordito! Però se li usiamo tutti per Tom dopo non avremmo più soldi per mangiare, per i motel e a stento per la benzina.”
Lui deglutisce.
“Ma…”
Io esplodo di nuovo, lo afferro per le spalle e comincio a scuoterlo come un sacco di patate.
“DI QUEI DUE CAZZONI DI LOS ANGELES, UNO  NON CI HA PAGATO, L’ALTRO CI HA PAGATO UNA MISERIA. CI HANNO PAGATO UNA MISERIA I PAESI PER RICCONI E NON CI HA PAGATO L’ULTIMO PAESE IN CUI CI SIAMO FERMATI.
IN QUANTO ALLE VENDITE, A PARTE STASERA E L’ULTIMO PAESE, HANNO TUTTI AVUTO IL BRACCINO CORTO! VI HANNO SUBISSATO DI COMPLIMENTI E HANNO COMPRATO POCHISSIMO!
DOVE LI TROVIAMO QUESTI SOLDI, EH?
VUOI CHE MI PROSTITUISCA? VUOI PROSTITUIRTI TU?”
La testa di Mark ondeggia in modo pericoloso e probabilmente si staccherebbe dal collo per un eccessivo moto oscillatorio se la mano di qualcuno non si appoggiasse sulla mia spalla e mi fermasse.
Mi volto di scatto e mi ritrovo davanti il volto sorpreso di Lars, il punk di san Francisco.
“Che succede? Ancora un po’ lo ammazzi!”
“Oh, ciao Lars! Scusa non sono in vena di intrattenere relazioni sociali oggi.”
“Uhm, vedo. Cosa è successo?”
Gli faccio un succinto riassunto di quello che è successo, lui annuisce e sorride.
“Non ti preoccupare, ci pensiamo noi.”
“Voi chi?”
“Io e la mia banda di punk, vi do anche un posto per stare per la notte, va’ a chiamare gli altri.”
Io annuisco e percorro i nuovo il vicolo, sentendomi arrabbiata e in colpa per non essere riuscita a controllare la situazione e a farmela sfuggire di mano.
“Hai manie ossessivo-compulsive di controllo!”
La voce di Erin mi riecheggia in testa nel momento più sbagliato, tanto che dalla rabbia mollo un calcio a un bidone della spazzatura urlando:”Vaffanculo Erin” e sentendo gli occhi di Mark su di me.
Rientrata nel locale, trovo Anne e Scott che stanno parlando seduti a un tavolino.
“Ragazzi, è successo un casino dobbiamo andare.”
Loro mi seguono fuori, fortuna che le attrezzature sono già state smontate e caricate sul furgone.
Arriviamo nel parcheggio e troviamo Lars e Mark che parlano, Lars lascia perdere immediatamente il mio ragazzo non appena vede Anne, l’abbraccia e si danno due baci sulla guancia.
Forse a questo punk grande, grosso e cattivo la piccola Hoppus non è ancora indifferente, forse vorrebbe che fosse ancora la sua ragazza, ma si è accorto che a combattere contro un fantasma si perde sempre.
Saliamo tutti sul furgone, Lars si mette alla guida e ci porta al porto e precisamente in un magazzino abbandonato che ora è diventato un rifugio per sbandati e ragazzi senza casa.
Ci presenta a quello che gestisce i posti letto – un rasta con le pupille degli occhi ridotte a due spilli, sicuramente eroinomane – e lui ci porta al piano superiore.
Hanno allestito un divisorio di fortuna e ci sono quattro posti per noi, gli ultimi rimasti liberi, dice prima di andarsene.
Anne e Scott si stendono subito e si addormentano immediatamente, Scott – da bravo freddoloso – nonostante le coperte finisce per rannicchiarsi subito dietro al corpo di Anne.
Io invece sto un po’ a fumare alla finestra e alla fine mi sdraio accanto a Mark che mi abbraccia subito e posa la testa tra i miei capelli.
“Scusa per prima.”gli dico: “Ho esagerato a prendermela con te.”
“Avevo bisogno di qualcuno che mi aprisse gli occhi sulla situazione e tu l’hai fatto nel tuo solito modo acido, sarcastico, violento e impetuoso, sono io che dovrei ringraziarti.”
Io faccio un sorriso amaro che lui non può vedere.
“Perché hai mandato a fanculo tua sorella prima?”
“Perché mi sono ricordata di quando diceva che avevo manie ossessivo-compulsive di controllo.”
Lo sento rimanere un attimo perplesso.
“E cosa c’entra?”
“C’entra che mi sento arrabbiata con me stessa e in colpa per non aver saputo prevenire questo casino. Io mi sono impegnata tanto nel pianificare il tour con voi, nel vendere e tutto il resto perché ci tengo veramente a che il tuo sogno si realizzi.
Voglio che voi siate felici, che abbiate successo e nonostante questo non sono riuscita a fermare Tom. Ti ho detto che dovevi controllarlo, ma forse avrei dovuto farlo anche io.
Però… Però lo vedevo così felice, come un bambino, per essere riuscito a sfondare in un club di fighetti che non sono riuscita a dirgli di smettere.
E adesso siamo qui tra gli sbandati con duecento dollari che non so se troveremo e mi sento un’incapace che non è stata in grado di proteggervi abbastanza.”
Mi stringe di più a sé e mi dà un bacio sul collo, mentre mi massaggia lentamente la pancia.
“è per questo che ti amo, perché ci metti tutta te stessa per farci felici, non mi intralci e mi  sproni.
Non sentirti in colpa per non aver saputo evitare questo casino, nessuno l’avrebbe immaginato.
Grazie per continuare a proteggerci.
Ti amo.”
Io gli stringo una mano.
“Ti amo anche io e darei tutto per vederti felice e se questo ti rende felici do tutta me stessa a questo tuo progetto.”
“Non so cosa abbia fatto per meritarmi una ragazza come te.”
Mormora prima che il sonno ci colga addormentati e abbracciati.
 

La mattina dopo vengo risvegliata da una mano estranea che mi scuote violentemente per le spalle.
Sobbalzo spaventata prima di mettere a fuoco il volto sorridente e con un due occhiaie paurose di Lars.
“Abbiamo i soldi, ragazzi.
Adesso dobbiamo solo portarli al commissariato!”
“Evviva!”
Urlo io, lanciandomi tra le sue braccia e facendoci finire entrambi a terra.
“Ehi, Hoppus! È così focosa anche a letto?”
Il mio ragazzo ride.
“Certo, ecco perché non ho proprio intenzione di farmela fregare.”
“Pfff! E io che pensavo che mi amassi per altre cose!”
Incrocio le braccia fintamente indignata facendo ridere tutti.
Con questa buona notizia scendiamo dabbasso, in fondo alle scale il rasta della sera prima ci sbarra la strada.
“Dovete pagarmi!”
Sussurra feroce.
“Lo sai che quei soldi non ti servono.”
“Non fare lo stronzo, Frederikersen!”
“Non farlo tu, lo sai perché nessuno deve darti soldi!”
“Fanculo, devo farmi!”
Si lancia verso il punk con tutta la forza che ha nel suo corpo minuto, ma Lars ci mette tre secondi a metterlo k.o. con un pugno ben assestato sul muso.
Il corpo del rasta che cade fa un discreto rumore e una ragazza dai capelli neri e rosa disordinatamente raccolti in una coda e con indosso solo una maglia di Bob Marley arriva immediatamente da noi.
“Merda, Lars! C’era bisogno di atterrarlo così?”
“Mi dispiace, Mia, ma voleva soldi.
Lo sai che vuole rimanere e deve rimanere pulito.”
Lei sospira e avvolga una delle spalle intorno alla vita del suo compagno e lo tira in piedi.
“Lo so, lo so. Deve rimanere pulito o non ci ridaranno la custodia di Shari.
Torno a chiuderlo nella sua stanza.”
Lo porta via e noi la seguiamo con lo sguardo.
“Hanno una figlia.”
Inizia Lars per rompere il silenzio.
“Ma i servizi sociali gliel’hanno tolta perché Johnny si drogava e ora Mia sta tentando di farlo rimanere pulito in modo spartano perché non hanno i soldi per chiuderlo in un centro di riabilitazione e lui rifiuta i programmi statali gratuiti.
Ci sono certe notti che le passa urlando e rantolando quando è a rota, ma Mia dice che ce la farà e se lo dice lei ne sono sicuro.”
“Da quanto non si fa?”
Chiedo io.
“Un paio di settimane. Quando è relativamente lucido non fa altro che parlare di quanto è bella la sua bambina, a suo modo la ama.
Qui è un mondo difficile, se non hai le palle è un attimo finire in certi giri.
Eroina, crack, lsd.
Entrare è facile, ti fai la prima pera pensando che puoi controllare la situazione, ma non è mai così e uscire equivale a farsi l’inferno a piedi nudi.”
“Gli auguro di farcela.”
Usciamo dal magazzino, saliamo sul camioncino continuando a parlare di cose più leggere come il tour e la band di Lars.
Ci fermiamo a fare colazione in un bar vicino al commissariato, il punk sembra conoscere bene la cameriera perché ci chiacchiera tranquillamente.
Dopo una buona tazza di caffè e dei muffin al cioccolato squisiti usciamo e ci dirigiamo al commissariato.
Lars si dirige deciso verso un banco dietro a cui siede lo stesso poliziotto arcigno di ieri sera.
“Siamo venuti a pagare la cauzione per Thomas Matthew DeLonge junior.”
Il punk sembra rilassato, non deve essere la prima volta che viene qui.
“Ah, Frederikersen! Non sapevo lo conoscessi, ma forse non è poi così strano, tu conosci tutti gli sbandati in questa città.
Sono soldi ottenuti in modo illegale?”
“No, capo. Vuole controllare?”
Il poliziotto sospira.
“Con altre persone controllerei, ma questo te lo riconsegno volentieri e spero non si faccia vivo per un po’.”
Lo guardiamo tutti increduli.
“Mi ha tenuto sveglio tutta la notte delirando su invasioni aliene, rapimenti, sonde che ti mettono su per il culo, il fatto che ci abbiano creato.
Tutta notte.
È matto come un cavallo, riprendetevelo.
Anche se gli alieni esistessero non ci parlerebbero per via dei pazzi come lui!”
Mark ride sotto i baffi, mentre l’uomo dopo aver afferrato un mazzo di chiavi si avvia verso la zona delle celle di detenzione temporanea.
“DeLonge, sei libero!
Ti hanno pagato la cauzione!”
Poco dopo arriva accompagnato dal poliziotto. Firmiamo alcuni moduli e finalmente siamo fuori.
“Finalmente libero!”
“Già finalmente!”
Faccio tagliente.
“Hai ragione, strega. Potete picchiarmi!”
Viene preso in parola perché io, Anne, Scott e Mark lo sommergiamo riempiendolo di pugni, sberle, spintoni.
“Ehi calma, calma.
Pensavo a qualche sberla non a un pestaggio!”
Mark gli rifila l’ennesima sberla sulla nuca.
“Ma stai zitto!
Grazie Lars, se ti serve una mano per qualsiasi cosa facci sapere, ricambieremo il favore.”
Lui annuisce.
Lo abbracciamo tutti e finalmente possiamo ripartire.
Il tour non è ancora finito e già ne abbiamo viste delle belle.

Angolo di Layla

Ringrazio LostinStereo3 per la recensione. Vediamo quante colgono che riferimento a qualcosa  c'è.

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Capitolo 15
*** 15) Nobody's home. ***


15) Nobody's home.

 

Il giorno dopo la festa – domenica – Jen non si fece vedere per tutto il giorno.
Skye aveva da tempo rinunciato ad andare a vedere come stava l’amica nelle sue domeniche da coma, dopo essersi beccata più volte violenti inviti a farsi i cazzi suoi.
Quando la sbornia le sarebbe passata la mora sarebbe riapparsa da sola, ancora più scontrosa e altezzosa del solito per via del mal di testa da troppo alcool.
La bionda trascorse la sua domenica a mettere in ordine i suoi appunti e a studiacchiare qualcosa.
Il lunedì mattina Jen non venne in università – si era però svegliata durante la notte a mangiucchiare qualcosa, senza curarsi di sistemare la cucina – e Skye si sentì decisamente di buon umore per questo.
Incontrò Hayley e le sorrose.
“Ciao Skye, oggi l’arpia non c’è?”
“No, è ancora in coma per la festa.”
“Ci credo.”
Borbotto l’altra, scurendosi in volto.
“Cosa è successo a quella dannata festa, Hayley?
Quando io e Matt siamo tornati a casa di Matt Tom piangeva in camera sua.”
Hayley la guardò sconvolta.
“Momento momento momento, Everly!
Spiegami questa cosa di Matt.”
Lei arrossì.
“Beh, non c’è molto da dire.
L’ho conosciuto alla festa mentre ero nel mio angolo, per lo spavento mi sono rovesciata addosso la birra, lui però è stato molto carino: mi ha portato in camera sua e mi ha dato dei vestiti suoi come cambio senza nemmeno provarci.
È la prima volta che mi succede con un ragazzo, pensavo fosse il solito maniaco.
Poi siamo al Mac e in spiaggia, abbiamo solo parlato, ma con lui mi sono trovata benissimo.
Una cosa incredibile, come respirare un sorso di aria pura dopo anni di inquinamento duro.
Alla fine gli ho chiesto se potevamo dormire insieme e ha accettato, mi ha tenuto abbracciata tutta notte senza allungare le mani.”
“è un bravo ragazzo, Matt.”
“Quello del dormire insieme era un test per capire se lo fosse davvero e poi avevo bisogno di avere vicino qualcuno che mi trattasse da persona e non da schiava o da bambola gonfiabile.
Mi ha detto che gli piaccio e anche lui mi piace.”
Hayley sorrise.
“Ti brillano gli occhi mentre parli di lui, ti deve piacere proprio tanto e Jen cos dice?”
“Non lo sa e sinceramente non mi interessa. È da dieci anni che eseguo fedelmente i suoi ordini, ora sono un po’ stanca.
Però stiamo deviando dall’argomento principale: cosa è successo alla festa?”
La rossa sospirò.
“Un casino, un vero casino.
La tua amica ha fatto bere come una spugna Tom, hanno finito per fare sesso in salotto davanti a tutti, ma questo è il minimo.
Ci ha provato con Ruby e ha ricevuto una meritata ginocchiata nei coglioni e poi ha provato a violentare Anne.”
Skye sbiancò.
“Cosa?”
“Hai capito bene, se non fosse arrivato Mark a fermarlo avrebbe violentato Anne incitato da Jen. Alla fine Mark ci ha detto di andarsene e si sono presi probabilmente a pugni.”
“Ecco perché Tom piangeva.”
“Già.”
Il silenzio calò su di loro.
“Tom non mi sembrava un ragazzo così cattivo.”
“Non lo è, è che Jennifer ha una cattiva influenza.”
Skye sospirò mentre si sedeva in uno degli ultimi posti dell’aula di letteratura.
“Inizio a pensare che tu abbia ragione.”
Per il resto della giornata la bionda seguì le lezioni piuttosto svogliatamente, stava ripensando alle parole di Hayley.
Quante volte Jen l’aveva incoraggiata a fare cose che non erano nella sua natura?
Al liceo la incoraggiava a maltrattare e a trattare in maniera fredda e superiore le persone come la Cruz – senza che questi le avessero nulla, solo perché per lei erano dei perdenti – e lei si sentiva una merda mentre le dava retta.
Quante volte l’aveva incoraggiata a fare cose che non voleva?
Non voleva farsi quel gorilla della squadra di football – aveva capito solo guardandolo che quel tizio le avrebbe regalato una prima volta da dimenticare – ma Jen aveva ordinato e lei aveva eseguito
E ora si ritrovava ad avere quasi paura del sesso visto che quel tizio si era dimostrato violento e per niente attento ai suoi bisogni o al fatto che fosse vergine. Se l’era semplicemente scopata come avrebbe scopato un’altra.
E questo era successo per tutti i suoi ragazzi e lei ora era stanca.
Aveva vissuto da burattino per tanti anni, ma ora qualcuno le aveva parzialmente tagliato i fili che la tenevano legata al burattinaio e lei non vedeva l’ora di essere libera.
Voleva essere Skye Everly e basta, non Skye Everly, l’amica di Jen Jenkins.
Alla fine delle lezioni salutò Hayley e si incamminò alla sua macchina, un tocco gentile alla spalla la fece voltare: Matt era davanti a lei, sorridente e con una tavola da skate in mano.
“Ciao Matt!”
Gli sorrise calorosa.
“Ciao Skye.”
Le sorrise di rimando lui.
“Cosa ci fai qui?”
Lui le mostrò la tavola.
“è una delle vecchie tavole di Tom, pensavo di insegnarti ad andare un po’ in skate per far collidere i nostri due mondi.”
Lei ci pensò per un attimo, poi decise che valeva la pena.
“Ok, vieni. Sei venuto a piedi, giusto?”
“Sì.”
“Allora vieni, che ti do un passaggio allo skate park.”
Lui annuì e la seguì. Iniziarono a chiacchierare di cose di poco interesse e di cosa stessero facendo le amicizie che avevano in comune.
A quanto pare i blink si erano riappacificati: Tom era sinceramente pentito e sia Anne che Mark, dopo qualche perplessità, avevano accettato le sue scuse.
Skye tirò un intimo sospiro di sollievo, non avrebbe perdonato Jen se la band si fosse sciolta solo perché aveva la pessima abitudine di far ubriacare le persone o di far emergere il loro peggio.
Arrivarono allo skate park e lo trovarono stranamente deserto, eppure era ancora una bella giornata di settembre, calda ma non troppo, con una leggera brezza che muoveva le chiome degli alberi.
“Che bello che è qui!”
“Già, a me piace molto.
E adesso iniziamo!”
Stare in equilibrio sulla tavola senza cadere mentre si spingeva le richiese quasi un’ora, ma alla fine Skye era soddisfatta di sé.
“Ho imparato una cosa, Matt!”
“Brava, piccola! Adesso proviamo con i salti.”
Le fece vede come fare un piccolo salto atterrando sullo skate mentre andava, Skye prese in mano la tavola e tentò di imitarlo.
Cadde un numero infiniti di volte – rovinandosi il suo bel vestitino firmato – ma alla fine ce la fece: aveva imparato anche quello.
“Yeeeee! Sono un genio!”
Matt la abbracciò e fece per baciarla trattenendosi solo all’ultimo secondo, fu lei a decidere di far nascere quel bacio.
Gli prese dolcemente la guance tra le mani e cominciò a baciarlo, all’inizio erano entrambi esitanti, poi però trovarono il loro ritmo.
Quando si staccarono sorridevano entrambi e Matt aveva gli occhi leggermente lucidi.
“Sei bellissima, Skye Everly.”
“Ante tu, Matt Sullivan!”
Ci pensò lo stomaco della bionda a rovinare tutto emettendo un sonoro brontolio.
“Hai fame! Vado a prenderti una crepes qui vicino! Aspettami!”
Lei si sedette sulle gradinate e mentre lo guardava andare via nella luce morente del giorno si ritrovò a pensare che era lui il ragazzo che voleva accanto a sé. Non le importava che avesse i capelli verdi, del chiodo, degli anfibi e dei jeans strappati. Sotto quella scorza dura si nascondeva un ragazzo tenerissimo e con un bisogno immenso di amore, in quel momento capì di voler essere lei – di sua spontanea volontà, senza essere obbligata da nessuno – a voler provare a colmare quel vuoto.
Poco dopo lui arrivò con due crepes alla nutella e due lattine di coca cola.
“Matt…”
“Sì…”
Skye arrossì.
“Vorresti essere il mio ragazzo?”
Lui rischiò di soffocarsi con il suo dolce.
“Tu vuoi uno spostato come me? Un punk con tanto di cresta?”
“Sì.”
Semplice e decisa.
“Ma…”
“Sei una persona meravigliosa, mi hai regalato più felicità tu in questi pochi momenti che tutti i miei ragazzi messi insieme. Io… io vorrei essere la tua ragazza perché mi piaci, adoro il tuo lato tenero e non lo so vorrei coccolarti senza metterti in imbarazzo creando una strana situazione a metà tra l’essere la tua ragazza e la tua amica.
Io ti voglio come ragazzo, tu vuoi me?”
Per tutta risposta la baciò appassionatamente, come non aveva mai fatto.
“Millanta volta sì. Non è solo la rivincita del perdente, ma anche il fatto che tu abbia un’anima splendida e voglio aiutarti a non fartela offuscare dalla tua amica.
Ti amo, sono onorato di essere tuo, Skye Everly!”
Lei sorrise e si baciarono di nuovo, lei non era mai stata meglio.

 

Quando arrivò a casa Jen la attendeva sulla porta del loro appartamento e questo era un brutto segno: significava che aveva qualcosa di cui lamentarsi.
“Dove sei stata?”
Skye buttò le chiavi nel piattino che c’era sulla credenza dell’ingresso e attaccò la borsa a uno dei ganci.
“Fatti miei.”
“Dove sei stata, Skye Everly?”
Domandò più dura la mora, le braccia conserte.
“A fare un giro.”
L’altra scoppiò a ridere.
“Non c’è bisogno che fai tutto questo mistero, so benissimo dove sei stata: sei stata con quel perdente dai capelli verdi che c’era alla festa di Tom.”
“Quel perdente ha un nome si chiama Matt.”
“Oh oh, ci scaldiamo! Te lo sei fatto?”
“No, è il mio ragazzo però e gradirei che tu lo chiamassi con il suo nome.”
“Lascialo.”
La bionda la guardò incredula.
“Lascialo, uno come quello non è adatto a una del nostro rango.”
“No, se permetti questa volta si fa come dico io e Matt rimane il mio ragazzo!”
Jen picchiò un pugno sulla credenza.
“Sono dieci anni che ti paro il culo dalle tue cazzate e questo è il ringraziamento, Skye?”
“Correggi i termini della questione, Jen. Sono dieci anni che controlli la mia vita come se io fossi un burattino e tu il mio burattinaio.
Mi hai sempre rifilato ragazzi alla moda, ma con la sensibilità di un gorilla e adesso si cambia musica. Lui sa rispettarmi e trattarmi come una persona e questo solo conta per me.”
“Ok, allora prendi la tua merda e portala fuori da questa casa, non la posso dividere con una perdente.”
Skye sgranò gli occhi.
“Cosa?”
“Hai capito bene. Vattene, questa non è più casa tua e tu non sei più nessuno per me. Non posso perdere tempo a frequentare delle perdenti.
Vuoi diventare perdente?
Vai, fai pure, ma dimostra di avere le palle di saper portare fino in fondo la tua decisione e non credo sarà così facile visto che sei sempre vissuta nella bambagia.”
“Tu invece hai vissuto per strada, eh donna vissuta?”
Jen le diede una sonoro ceffone.
“Zitta e raccatta la tua roba.”
A Skye non rimase che eseguire, impacchettò tutti i vestiti, i cd, libri e qualsiasi cosa le appartenesse negli stessi scatoloni da cui li aveva tolti quando era arrivata a San Diego da Orange County.
Uno a uno li caricò in macchina e poi una volta seduta al volante scoppiò a piangere: non aveva idea di cosa fare né dove andare.
Era nella merda e tutto perché per una volta aveva provato a essere sé stessa.
Il suo appartamento era là sopra – caldo e confortevole – ma lei non avrebbe dato a Jen la soddisfazione di tornare indietro, era stufa marcia della prepotenza dell’amica e non aveva più intenzione di subirla passivamente.
{“Ci sono io. Sono solo uno sconosciuto, ma se ti serve un po’ di forza ci sono io.
Anche se di solito quelli come noi non hanno contatti; facciamo un patto: io ci sarò per te e tu per me.”}
La frase di Matt la colpì con la forza di un fulmine, come aveva fatto a dimenticarsene?
Fuori era scoppiato un temporale terribile e si inzuppò fino alle ossa per raggiungere la vicina cabina telefonica.
Compose spasmodicamente il numero della casa di Matt e dall’altra parte rispose una voce maschile che non era quella del suo ragazzo: doveva essere il famoso David.
“Pronto?”
“Ciao, sono Skye, c’è Matt?”
“No,mi spiace. Chiamalo a questo numero.”
Il ragazzo glielo dettò e lei se lo scrisse su un braccio.
Non appena ebbe chiuso la comunicazione con David, compose l’altro numero.
“Pronto “Pub Old Ireland”, desidera?”
“Vorrei parlare con Matt Sullivan, è possible?”
“Il punk? Ma certo, chi devo annunciare?”
Le chiese ironico l’uomo.
“Skye, Skye Everly.”
Si sentirono i rumori della comunicazione tolta e dell’uomo che chiamava a gran voce quel lazzarone di Matt.
“Ciao, piccola. Che succede?”
“Jen mi ha cacciato di casa, non so dove andare.”
“Arrivo io, non preoccuparti, mi manca solo un quarto d’ora per finire il turno.
Sei sotto casa tua?”
“Sì.”
“Aspettami che arrivo.”
La chiamata si chiuse e Skye sospirò di sollievo.
Rabbrividendo per il freddo, tornò in macchina e accese il riscaldamento al massimo sperando di scaldarsi un po’ e che asciugassero i suoi vestiti.
Tre quarti d’ora dopo una figura alta con un chiodo nero svoltò l’angolo: era Matt e saltò subito in macchina.
“Ma sei venuto a piedi sotto l’acqua?”
“La macchina è dal meccanico e non potevo aspettare Dave per il passaggio. Come stai, piccola?”
Lei lo abbracciò.
“Da schifo, ma ora un po’ meglio visto che sei qui.”
Lui le accarezzò i capelli e le baciò le tempie.
“Vedrai che andrà meglio.
Come mai Jen ti ha cacciato di casa?”
“Perché sono la tua ragazza e lei non può tollerare che una del mio livello abbia una storia con un perdente. Io non mi sono lasciata mettere i piedi in testa e lei mi ha cacciato di casa dicendomi che ora sono anche io una perdente.
Sono felice di essere una perdente.”
Lui le sorrise e la baciò.
“Jen è un’arpia, ma ho  la soluzione.”
“L’omicidio?”
Lui rise.
“No, vieni da me. Dave ti lascerà rimanere di sicuro, ti chiederà solo di cercarti un lavoro.”
“Non c’è problema, mi va bene cercarmi un lavoro, così dimostrerò a quell’arpia che so cavarmela senza di lei e senza i nostri privilegi della minchia.”
Lui le strinse la mano.
“Così ti voglio, forza andiamo.”
Skye guidò fino a casa di Matt e la trovarono deserta, appeso al frigo c’era un biglietto che avvisava Matt che Dave era andato a un raduno di motociclisti e prima di mezzanotte non sarebbe tornato.
“A casa da soli! Situazione pericolosa, eh Skye!”
Lei rise.
“Vorrei farmi una doccia.”
“Vieni ti accompagno in bagno.”
Lei lo seguì e cominciò a spogliarsi sotto i suoi occhi increduli.
“Beh, non hai mai visto una ragazza nuda?”
“Sì, però…”
Lei si voltò verso la doccia.
“Vuoi fare la doccia con me?”
“Sei sicura? Non è che poi te ne penti?”
Lei annuì e lui si spogliò.
Era nudo quando lei si volto, Skye trattenne per un attimo il respirò e cercò di non guardare in basso, ma poi gli volò tra le braccia  e lo baciò.
Era stata una sua idea, non doveva avere paura.
“Sei in imbarazzo.”
“Di solito non faccio queste cose.”
Lui la prese delicatamente in braccio e lei gli strinse le gambe intorno al bacino e seppellì la testa nell’incavo del suo collo.
Lui la portò fino alla doccia, entrarono insieme e lui aprì l’acqua calda, lei si rilassò un po’ e scese dal suo bacino.
“Voltati.”
Le disse Matt, lei eseguì un po’ titubante. Poco dopo senti le mani del suo ragazzo tra i capelli intente a farle uno shampoo. Lei si rilassò del tutto, come al solito lui stava semplificando la situazione, quando ebbe finito fu il suo turno fare uno shampoo al punk che le strinse le braccia attorno alla vita. In quella posizione, sentiva il pene del ragazzo premerle contro una coscia.
“Scusa, ma il mio amico sai…”
Lei lo zittì con un bacio ed esitante fece scendere una mano e la strinse intorno al membro del ragazzo, lui fece un involontario sospiro di sollievo. Questo diede un po’ di coraggio a Skye che cominciò a muovere la mano lentamente, lui gemeva con la testa appoggiata contro le mattonelle del bagno, con il volto leggermente rosso per il piacere e per il calore.
Ad un certo punto la fermò e la baciò con passione, con un po’ di difficoltà le fece di nuovo allacciare le gambe al suo bacino e seppellì il volto tra i suoi seni.
Baciandoli, leccandoli, giocandoci e regalando a Skye mille brividi di piacere, che aumentarono quando sentì un dito del ragazzo dentro la sua femminilità già eccitata perché a contatto con il pene.
“Scusa.”
“No, vai avanti. Per me è come se fosse la prima volta.”
Come la prima volta lui la preparò con le dita e poi entrò in lei con una spinta delicata che la fece sospirare e poi gemere. Matt la baciò e  con costanza aumentò le spinte che lei accompagnava con i movimenti del suo bacino.
Era la prima volta che le succedeva, di solito si limitava a subire passivamente, questa volta invece provava un piacere che saliva ad ondate fino a esplodere nel primo orgasmo della sua vita.
Skye urlò il nome di Matt e poi la sua testa ricadde sulla sua spalla, poco dopo venne anche lui.
Ansanti e felici finirono di lavarsi e poi scesero in cucina.
Skye cucinò della pasta che lui apprezzò molto.
“Ti è piaciuto?”
Le chiese tra un boccone e l’altro.
“è stata una prima volta meravigliosa, non potevo desiderare di meglio.”
Si sorrisero a vicenda.
Finito di mangiare Matt caricò la lavastoviglie e la prese in braccio, la portò fino alla sua camera e poi la depose delicatamente sul letto.
Lei si sentiva insonnolita, ma anche incredibilmente felice.
Si infilò sotto le coperte, mentre lui chiudeva la porta e lei si attaccò subito sul suo petto quando la raggiunse a letto.
Sentire la braccia di Matt stringerle la schiena rasserenò del tutto Skye che cadde in un sonno profondo sorridendo come una bambina.

Angolo di  Layla

Ringrazio LostinStereo3 e killallyourfriends per le recensioni.

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Capitolo 16
*** 16) Home, sweet home. ***


16) Home, sweet  home.

 

Il ritorno è sempre più triste dell’andata.
Dovremmo essere contenti – abbiamo raccolto abbastanza consensi, una rete di conoscenze, un bel gruzzolo con la vendita di cassette e magliette – invece sul furgoncino regna un clima di sottile tristezza.
È lo stesso di quando si torna da una vacanza bellissima o si esce a far baldoria il giorno prima che inizi la scuola.
Felice e malinconico allo stesso tempo, Los Angeles mi passa davanti illuminata dal tramonto e dalle prime luci e non mi sembra più così bella e speciale, mi sembra solo un cumulo di cose.
Guardo Mark che guida e Tom accanto a lui e mi sembra che la pensino come me.
“Che palle!”
Fa il moro a un certo punto cercando di stirarsi senza riuscirci.
“Non ho voglia di tornare al lavoro domani.
Dovrò tornare a guidare per ore e a scaricare cemento.”
“E io non ho voglia di tornare a lavorare in una tavola calda.”
“E io di tornare in università e “Da Luigi”, ammesso che mi voglia ancora. Fortuna che Hayley mi ha tenuta aggiornata.”
Mark ride.
“Soprattutto con pettegolezzi!”
“Siamo donne e poi c’è una cosa che non mi ha detto e che sono troppo curiosa di scoprire.”
Tom tenda di nuovo di stendersi meglio.
“Magari si è fidanzata.”
“Sarebbe stata la prima cosa che mi ha scritto.”
Tom mugugna.
“Non capisco perché diate tutta quest’enfasi al lato romantico, voi ragazze!”
“Come se tu non avessi dato enfasi al lato romantico con Erin!”
Esclama Mark divertito.
Questo fa tacere Tom e lo rende chiuso e immusonito, io e Mark ci guardiamo e capiamo al volo di aver toccato un tasto dolente. Apparentemente sembra aver accettato la fine della sua storia con mia sorella, ma non vuole parlarne segno che non l’ha ancora digerita del tutto.
Appena fuori Los Angeles ci fermiamo in un autogrill a mangiare e Tom recupera il suo buon umore, fa il buffone con la cameriera e le chiede se ci sono stati avvistamenti di ufo.
La cosa peggiore è che la donna è anche lei appassionata di ufologia e passano una buona mezz’ora a discutere di tutte le teorie possibili e immaginabili, compresa quella che gli alieni ci abbiano creato mescolando il loro dna con quello delle scimmie umanoidi.
In questo modo secondo loro si spiegherebbe il perché manchi un anello di congiunzione fra l’uomo e la scimmia.
Solo dopo immani sforzi riusciamo a trascinare via Tom, ma le sorprese non sono ancora finite, quando stiamo per salire sul furgone una voce femminile chiama i blink.
Ci voltiamo sorpresi e vediamo una ragazzina dai capelli rossi con una bambina di al massimo due anni avvicinarsi a noi.
“Scusa, ci conosciamo?”
“Sono Mia, mi avete conosciuta a San Francisco.”
Il nome ai ragazzi non dice niente, ma a me viene subito in mente la punk con il compagno drogato e il figlio in custodia dei servizi sociali.
“Mi ricordo di te.”
Lei sospira di sollievo.
“Ti prego, possiamo entrare nel furgone e parlare?
Ho bisogno di una mano.”
Facciamo come dice anche se i ragazzi sono perplessi.
“Chi sei, scusa?”
Le chiede Mark all’interno.
“Sono Mia Johnston, sono la compagna di quel ragazzo con i rasta che Lars ha steso perché voleva dei soldi da voi per esservi fermati dormire al capannone!”
Ora capiscono tutti.
“Ma non eri mora e rosa?”
“Adesso vi spiego tutto.
Jhonny è morto per overdose due giorni dopo che ve ne siete andati, alla fine non so come ha raccattato i soldi per l’ultima dose fatale di ero.
Sono venuti quelli dei servizi sociali e mi hanno fatto capire che Shari non l’avrei rivista mai più, che non me l’avrebbero restituita, ma data in adozione perché dicevano che quello non era l’ambiente adatto per crescere una bambina e soprattutto che io non ero adatta a fare la madre dato che ero con ogni probabilità una tossicomane anche io.
Lo sanno benissimo che non mi buco, ma c’era una famiglia ricca che voleva Shari, solo che io non potevo permettere che me la portassero via.
La notte mi sono introdotta nell’istituto dove la tenevano da sei mesi e l’ho portata via, mi sono allontanata il più possibile da Frisco in giù verso il Messico e ho fatto intendere a tutti quelli del capannone, tranne a Lars, che stavo scappando a New York.
Prima di rapire mia figlia mi ero procurata delle lenti finte e una tinta per capelli per non essere riconosciuta, quello che vi chiedo è un passaggio in Messico.”
Rimaniamo in silenzio, soppesando la richiesta.
Non è una richiesta da poco e soprattutto ci serve molta fortuna per metterla in pratica, se al confine dovessimo incappare in una guardia rigorosa saremmo nella merda, però non possiamo nemmeno lasciarla al suo destino.
Non è giusto che le tolgano la figlia solo perché qualcuno più ricco di lei ha i soldi per poterlo fare!
Ci guardiamo tutti e annuiamo piano: il piano è stato accettato.
“Va bene! Ma quando arriviamo in prossimità della barriera di’ a Shari di mettersi dietro a uno degli amplificatori e stare zitta, vi porteremo da mia nonna che abita pochi chilometri lontana da Tijuana. Lei forse troverà una soluzione.”
Mia ha le lacrime agli occhi e ci ringrazia abbracciandoci tutti.
E i blink ripartono, questa volta in incognito con una missione degna di 007 che solo degli incoscienti come noi potevano accettare.
Mi dico di pensare positivo, di credere che tutto andrà bene e mi sforzo di far rimanere in un angolo della mia mente tutte le conseguenze che arriverebbero se ci dovessero scoprire.
Que sera sera.
Mi dico, sperando che non sarà una catastrofe.

 

Arriviamo al confine messicano che sono le otto.
C’è una coda terribile e  quando arriva il nostro turno la guardia della frontiera americana ci controlla senza troppo zelo e non si accorge di Shari nascosta dietro un ampli.
Percorriamo qualche metro e i messicani non sono molto più accurati, ce l’abbiamo fatta.
Con il cuore più leggero Mark si immette nel traffico di Tijuana e segue le mie indicazioni, Shari intanto è tornata dalla madre e l’ha abbracciata forte.
Credo che la piccola si sia spaventata perché Mia la sta rassicurando e le sta dicendo che adesso andranno in un posto migliore, da mia nonna.
Shari mi guarda sorpresa.
“Io non ho una nonna!
Come sei fortunata!”
Tra me e Mia passa una corrente di imbarazzo: non è vero che Shari non ha nonne e che le madri di Mia e Johnny di lei non ne hanno mai voluto sapere.
Mark richiama la mia attenzione e io gli indico dove svoltare per raggiungere la strada costiera che porta da mia nonna.
“Dio, che casino che è questa città!”
“Lo so, lo so!
Ma tra poco ne saremo fuori, stai tranquillo.”
“è una parola, ho metabolizzato solo ora il fatto che ce l’abbiamo fatta a non farci sgamare.”
“Vero. Alla fine è andata bene, speriamo che nonna sappia cosa fare.”
Usciamo da Tijuana e imbocchiamo la costiera, dal retro del furgone si sentono le esclamazioni di meraviglia di Shari alla vista del mare e del panorama notturno. Non devono averla fatta uscire molto in quell’istituto dove la tenevano.
Arriviamo in paese e lo attraversiamo e poi finalmente il nostro scassato furgoncino imbocca il vialetto che porta a casa di mia nonna.
Le luci sono accese, il che significa che è in casa, così parcheggiamo in cortile e scendiamo tutti dal furgone.
Mi faccio coraggio e suono il campanello, sperando che mia nonna anche questa volta sia dalla mia parte.
È mio nonno a venire ad aprire e sorride quando vede tutta la truppa.
“Marisela! Sono venuti tutti i ragazzi a trovarci!”
Urla all’interno.
“Falli entrare, Carlos.”
Lui ci saluta e  abbraccia tutti e poi ci scorta nel salotto di casa sua, mia nonna è seduta sul divano a guardare la tv, ma intuisce subito che c’è qualcosa che non va quando vede Mia e la bambina.
“Che succede, Ruby?”
Noi sospiriamo.
“Siamo appena tornati dal tour ed è andato bene.”
Lei alza un sopracciglio scettica.
“Sono davvero felice che siate venuti da me a condividere questo evento, ma c’è dell’altro, ragazzi.”
“Sono io l’altro.”
Esclama Mia.
“Ho bisogno di aiuto, lei mi può aiutare?”
Mia nonna le fa cenno di sedersi sul divano.
“Raccontami la tua storia e poi vedrò cosa posso fare, voi mangiate qualcosa e badate alla bambina.”
Noi annuiamo e ci trasferiamo in cucina, la truppa è affamata e con qualche difficoltà si insinua intorno al piccolo tavolo della stanza. Shari è in braccio a Mark – che chiama Mak – perché il suo preferito dopo di me.
Io inizio a preparare della pasta ascoltando il chiacchiericcio della bambina – mora con gli occhi azzurri – che nel buffo linguaggio dei bambini dice che nella casa nera non vuole tornare.
Non le piace, dice che le maestre sono cattive e che i due”gnuffi ricci” – la coppia ricca che la vuole adottare a tutti i costi – non le piace perché la trattano come una bambolina.
Dice che la sua mamma, Mak, noi e la nonna siamo molto meglio.
“Non hai amici lì?”
Le chiedo, lei ci pensa un attimo.
“Uno, si chiama Derek ed è colorato”
All’improvviso si rabbuia.
Sempre nel suo strano linguaggio ci dice che le maestre non vogliono che lo frequenti perché è nero. Bellissimo! Lo stato paga delle maestre stronze e razziste!
Sono indignata, Mia ha fatto bene a riprendersi la figlia e a cercarle di darle un futuro migliore nonostante non sia ricca, almeno la crescerà priva di pregiudizi!
La pasta è pronta e io mi affaccio alla porta della cucina.
Mia nonna mi fa cenno di avanzare.
“Apparecchia pure, cara.
Avete fatto bene ad aiutarla, adesso ci penso io.”
Questo è esattamente quello che speravo di sentirmi dire.
Mia e i ragazzi apparecchiano e io porto i piatti fumanti di pasta al pomodoro in tavola, tutti la divorano senza dire niente.
Credo che mia nonna ci dirà cosa ha in mente dopo cena, quindi è inutile preoccuparsi per ora.
La pasta è buona e come dolce nonna ci offre una crostata che ha fatto lei, inutile dire che è una meraviglia ed è un sollievo poterla mangiare dopo tutta la tensione accumulata.
“Allora, che si fa?”
Chiede Tom battendosi la mano sulla pancia piena con la sua solita finezza.
“Mia e Shari rimangono da me.”
“E cosa ne sarà di loro?”
Questo è Mark.
“Domani mattina contatterò un amico di mio figlio Ramon, è un falsario e procurerà loro tutti i documenti necessari per una falsa cittadinanza messicana. Il tizio in questione ha anche due fratelli che lavorano al ministero e che possono coprirlo, quindi siamo in una botte di ferro.
Loro rimarranno qui e quando vorranno tornare negli Stai Uniti si vedrà.”
Sospiriamo tutti di sollievo noi della band, sui volti di Mia e Shari invece fiorisce un sorriso identico: quello degli scampati al lager o a una strage.
Sono libere, ce l’hanno fatta!
“Rimanete qui, ragazzi?”
Ci chiede mio nonno.
“No, ci spiace ma domani dobbiamo iniziare tutti o a lavorare o ad andare all’università e Scott deve essere riaccompagnato a Poway.”
“Capisco.”
Ci alziamo tutti e ci salutiamo tutti con baci e abbracci, Tom prima di andare si ferma un attimo in più da mia nonna.
“Sa cos’è una delle cose che fa più schifo del non essere più con Erin, a parte il non avere Erin?
È il non poterla più chiamare nonna, mi sta simpatica e mi manca una… nonna.
Le mie sono tutte morte.”
Gli occhi della mia nonnina di ferro si fanno lucidi e – piccola com’è – attira un ragazzone come Tom in un abbraccio sentito.
“Guarda che il fatto che tu non sia più il ragazzo di mia nipote non ti impedisce di considerarmi tua nonna, mi piaci come nipote. Sei un bravo ragazzo e sono felice di piacerti come nonna, però, ricordati, che oltre a farti i complimenti, ti sgriderò se necessario.”
Lui sorride.
“Ogni tanto anche io ho bisogno di essere sgridato e ridimensionato.”
Tom e mia nonna si sorridono e dopo un ultimo abbraccio usciamo dalla casa. Appena fuori io alzo le braccia in un gesto di esultanza: missione riuscita, ce l’abbiamo fatta.
“Credo dovremo avvisare Lars.”
“Ci penserà Mia, adesso io sono stanco e non vedo l’ora di buttarmi su un letto.”
“Fermatevi tutti da me.”
Propone Tom, mentre saliamo in macchina.
“Sì, ok, va bene. Mi sento a pezzi.”
Mark mette in moto pronto per guidarci alla meta finale di questo tour.
 

Questa volta attraversiamo il confine senza preoccupazioni e quando imbocchiamo la via tranquilla dove abita Tom siamo stanchi, ma felici.
Mark parcheggia il furgoncino e scendiamo tutti, ad accoglierci troviamo David, Matt  e Skye.
“Come mai qui?”
“Sono la ragazza di Matt e vivo qui, adesso.”
“Domani me la spieghi.”
Borbotto.
“Adesso sono troppo stanca.”
Facciamo tutti la doccia e poi ci dividiamo le stanze, io e Mark finiamo in quella degli ospiti, Tom nella sua con Anne sotto il giuramento solenne di non sfiorarla nemmeno con un dito e Scott va  a dormire sul divano.
Io e Mark non ci diciamo nulla, ci limitiamo a spogliarci e poi a infilarci sotto le coperte per cadere abbracciati in un sonno profondo e ristoratore.
La mattina dopo veniamo svegliati dalle urla di un Tom imbestialito che non riesce a svegliare Scott per riportarlo a casa prima di andare al lavoro.
Ci vuole la mano salda di David per evitare che Tom uccida il suo batterista in un eccesso di collera, Mark mugugna accanto a me e apre un occhio per guardare che ore siano.
“Le sei e mezza, io quello lo ammazzo!”
“Sì, anche io, ma mo dormiamo che bisogna essere in forze per compiere degli omicidi efficienti.”
“Hai ragione.”
Mormora affondando la testa nei mie capelli.
Ci alziamo definitivamente alle otto e mezza, Mark mi accompagna in università con il mitico “The cocks” e poi andrà a casa a scaricarlo e – presumibilmente al lavoro – Hayley mi attende al cancello.
“Allora?
Com’è stato stare in tour?”
“Emozionante, da rifare assolutamente.
Certe volte li vorresti strozzare con le tue mani, altre volti li ami, ma di sicuro non è un’esperienza che lascia indifferenti.”
“Tu e Mark avete retto.”
Io alzo un sopracciglio.
“Credevi davvero che gli lasciassi avere delle groupie?
Lui è mio e mio deve restare!”
Mentre ci avviamo verso l’aula in cui si svolge la prima lezione inizio a raccontarle mille piccoli episodi che sono successi a partire dal chiarimento tra Anne e Tom e poi di quello fra Mark e Tom.
Lei mi ascolta interessata, ogni tanto batte le mani come una bambina, ogni tanto commenta entusiasta.
“Cazzo, la prossima volta voglio venire anche io!”
Mi urla prima che io scappi da Luigi per mendicare di nuovo il mio posto.
“L’hai visto “The Cocks”?
Ci stavamo stretti in cinque, o noleggiano un furgone più grande o mi sa che ti tocca seguirci i macchina, amica mia.”
La sua risata mi fa da eco mentre salgo sul pullman diretto verso il centro. Il mio si rivela comunque un viaggio inutile; Luigi non vuole riassumermi. Dice che sono barava nel mio lavoro, ma che non può continuamente sostituirmi perché io devo seguire in tour il mio ragazzo.
Esco dal locale giù di morale e leggermente irritata: sono senza lavoro e non potrò più aiutare Mark con l’affitto, cosa posso fare?
Torno in università afflitta e Hayley mi legge in faccia l’esito del colloquio, non è nemmeno necessario parlare.
“Andata male, eh?
Ma forse ho una soluzione.”
Io la guardo speranzosa, la lezione precedente alla nostra non è ancora terminata così siamo fuori dall’aula ad aspettare insieme a tutti gli altri frequentanti.
“Io lavoro come correttore di bozze in una casa editrice. Non è necessario andare tutti i giorni e puoi lavorare anche a casa.
La mia collega è andata in maternità e l’hanno praticamente licenziata, forse posso metterci una buona parola per te.”
Rimango ammutolita, la fisso come se fosse la Madonna, a bocca aperta e con gli occhi dilatati per lo stupore.
“Sarebbe bellissimo, grazie Hayley!”
“E di che.”
Alza le spalle lei.
“Piuttosto fatti dare l’ultimo stipendio da Luigi, non te l’ha pagato prima che partissi per il tour.”
Mi porto una mano sulla fronte, non ci sto con la testa, come ho potuto dimenticarmi di una cosa così importante?
Dovrò ripassare alla fine delle lezioni.
“Che stordita che sono.
A proposito, ma mi sai spiegare qualcosa sulla storia tra Skye e Matt?
Ieri sera quando siamo tornati siamo andati tutti a dormire a casa di Tom e lei ora vive con loro.”
Gli occhi le si illuminano di febbre da gossip e batte le mani entusiasta.
“Giusto! Te ne volevo parlare!”
Praticamente ti ho scritto che si erano incontrati alla festa?”
“Sì, lo so,. Poi non mi ha detto più niente.”
Lei sorride sorniona.
“Poi si sono rivisti il giorno dopo e si sono messi insieme, solo che Jen non ha digerito la cosa e l’ha buttata fuori casa.”
"Che vacca."
Commento con una punta di acidità
Solo una come lei poteva sbattere fuori di casa e dalla sua vita un’amica solo perché non segue i suoi dettami.
“Matt si è offerto di farla venire da lui e ora vivono insieme.”
“Si fa gossip su di me, eh?”
Fa una voce ironica alle nostre spalle, ci voltiamo e ci troviamo davanti una sorridente Skye.
“Ehi, ciao! Mi stavano solo aggiornando sulle ultime novità.
Complimenti per esserti messa con Matt, è un bravissimo ragazzo.”
Lei sorride e vorrebbe aggiungere qualcosa, ma la porta dell’aula si apre e parlare decentemente a lezione sarà impossibile.
“Sentite, che ne dite di vederci stasera per parlare con un po’?”
La proposta di Skye mi sembra ottima, così la accettiamo entusiaste.
Nel bel mezzo della lezione l’idea di chiacchierata tra donne mi accende una lampadina nel cervello: è una settimana che non sento mia sorella e non l’ho nemmeno avvisata di essere di nuovo a San Diego.
Merda!
Quando arrivo a casa dovrò chiamarla, scusarmi e fissare un appuntamento per vederci al più presto.
Che schifo di memoria che ho, è come se anche lei fosse ancora in tour.
Forza, memoria, torna da me che abbiamo un sacco di cose da fare!

Angolo di Layla

Ringrazio killallyourfriends per la recensione ^^.

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Capitolo 17
*** 17) Un attimo di pace e tranquillità ***


17) Un attimo di pace e tranquillità

 

Mai e sottolineo mai non telefonare per una settimana intera alla tua gemella: le conseguenze potrebbero essere terribili, soprattutto se la gemella in questione ha un caratterino come Erin.
Appena arrivo dall’università compongo il numero di casa sua senza nemmeno curarmi se Mark ci sia, al terzo squillo risponde Anne.
“Ciao Anne, mi passeresti mia sorella per favore?”
“Certo, preparati al peggio però perché incazzata n…”
Non finisce la frase perché qualcuno accanto a lei le ha probabilmente strappato con violenza la cornetta di mano.
“Chi è?”
La voce di mia sorella ha una sfumatura incazzata che non promette nulla di buono.
“Sono Ruby.”
“Ruby chi?”
“Ruby Ferreira.”
Deglutisco.
“Chi sarebbe?”
“Dai, Erin. Sono la tua gemella.”
Dall’altra parte c’è un silenzio colmo di minaccia, quello della calma prima del temporale.
“Ah, DOPO UNA SETTIMANA TI RICORDI DI AVERE UNA GEMELLA!”
“Scusa, Erin, scusa! Ma sono successe troppe cose e …”
“Non ti sei ricordata? SEI UNA CRETINA!
IO MI SONO PREOCCUPATA PER VOI, NESSUNO MI CHIAMAVA E NON AVEVO IDEA DI DOVE FOSTE! POTEVATE ESSERE MORTI E SEPOLITI NEL DESERTO!”
“Erin, mi dispiace un sacco.
Giuro che non lo rifarò mai più, ma non essere arrabbiata, non l’ho fatto apposta!”
“E ci mancherebbe altro!”
“Ti va se ci vediamo domani sera?”
La sento mugugnare.
“Ok, tanto stasera non avrei potuto, devo uscire con Trav. Mi porta a vedere una battaglia tra rappers.”
Rimango un attimo disorientata.
“Tu e Travis state insieme?”
“Questo te lo dirò domani.”
Mi risponde sadica prima di chiudermi il telefono in faccia, che stronza!
“Erin, cazzo!
Erin, porca puttana!
Mi ha chiuso il telefono in faccia, ma che bestia!”
Proprio in quel momento la porta di casa si apre e Mark mi becca con il telefono in mano, mentre impreco al nulla.
“Beh?”
La sua faccia è perplessa.
“Ho appena telefonato a Erin e mi ha chiuso il telefono in faccia!”
“Perché?”
“Per farmi un dispetto perché non l’ho chiamata per una settimana intera.”
Lui scoppia a ridere e noto che la sua testa rossa ha bisogno di una nuova colorazione: ormai è rosa.
“Questo è assolutamente da Erin.”
Io sbuffo.
“Che carattere di merda! Comunque domani sera ci vediamo.”
Lui va a buttare il suo zainetto in camera nostra e  torna da me.
“Stasera c’è la partita e viene un po’ di gente, ti fa niente?”
Io scuoto la testa.
“Nada de nada! Stasera sono fuori anche io con Hayley e Skye per una serata tra donne.
Skye ci deve raccontare la storia di Matt.”
Lui ride.
“Donne, siete tutte pettegole!”
Io alzo un sopracciglio.
“Come se domani tu e Tom non torchierete Matt per avere tutti i particolari, soprattutto sessuali, della storia.”
Lui abbassa gli occhi ridacchiando.
“Beh, non capita tutti i giorni che una figa pazzesca come Skye stia con uno come noi.”
Io lo guardo vagamente minacciosa.
“Io non sono figa?”
“No, amore, sei figa anche tu, anzi sei bellissima! Però devi riconoscere che una ex cheerleader, che ancora esce con dei gorilla palestrati si metta con uno come noi è strano.”
“Ti salvi sempre in corner!”
Sospiro prima di saltargli in braccio e baciarlo, lui ricambia felice e se non si appoggiasse abbastanza velocemente a una delle pareti dell’ingresso finiremmo tutti e due per terra.
“Woah! Dammi sempre questo benvenuto, bruja caliente!”
Io appoggio la testa nell’incavo del suo collo e rido come una bambina.
“Va bene, va bene. Adesso però cosa ne dici di preparare la cena?”
Lui annuisce e mi segue in cucina, è come i bambini – gli piace gironzolarmi intorno senza fare nulla di concreto – e bisogna dargli piccoli compiti.
Gli dico di pelare qualche patata, io intanto preparo le cotolette alla milanese.
“ ‘More, ti va di farle tu le patatine fritte?”
Lui annuisce e mentre lui frigge, io cuocio le cotolette sul gas, alla fine viene tutto buonissimo e non rimane nulla.
“Vuoi che prepari qualcosa per voi altri o ci pensati voi?”
“Ci pensa David.”
“Di David mi fido.”
Lui mi guarda male.
“Sii onesto, è il più assennato del gruppo.”
Lui annuisce a malincuore.
Io vado a prepararmi e alle nove sono pronta per uscire, lui invece è già spaparanzato sul divano con una lattina di birra in mano.
“Mark, io esco. Ti consegno le chiavi del castello, vedi di farmelo trovare intero al ritorno e di non far bere troppo Tom.”
Lui annuisce e si alza dal divano.
“Sì, mia castellana!”
Mi bacia e poi torna a sedersi, io esco di casa sorridendo, appena fuori incontro la truppa: Tom, Matt, Dave e due che mi vengono presentati come Derek e Alex, colleghi di lavoro uno di Mark e uno di Tom.
Li saluto allegramente e prendo l’autobus che porta in centro, il bar che abbiamo scelto non è tanto lontano dal Soma e quindi vedo la solita folla fare la coda per entrare e ricordo la promessa dei ragazz di suonarci un giorno.
Scendo dal pullman ed entro in un locale che sembra uscito dritto dagli anni ’50: una grande vetrata che dà sulla strada, un bancone imponente al centro attorno a cui si affollano disordinatamente degli alti sgabelli e qualche tavolino.
Skye e Hayley sono già sedute a uno di questi che dà sulla vetrina, picchietto contro il vetro facendole spaventare a morte.
“Scema! Ci hai fatto spaventare!”
Mi urlano in coro quando entro.
“Scusate, ma la tentazione era troppo forte.
Avete già ordinato?”
“Sì, anche per te: milk-shake alla vaniglia, cherry cola, hamburger e nuggets.”
Io ho appena mangiato, ma davanti all’elenco di questo prelibato cibo spazzatura nel mio stomaco si apre una voragine e sono loro grata di avere ordinato anche per me.
Appena arriva il cibo arriviamo a mangiare e solo dopo aver consumato metà della roba Skye inizia a raccontare. Durante la festa ha conosciuto Matt e l’ha trovato incredibilmente gentile e carino, uno che l’ha trattata da persona.
Poi se ne sono andati ad un Mac, mentre tutto degenerava, e alla spiaggia a parlare. Il giorno dopo lui l’ha portata a fare skate e si sono baciati e messi insieme, solo che Jen non l’ha digerito.
Skye ci sta per raccontare come lei l’abbia buttata fuori casa quando il campanellino del locale suona e una voce nota e sgradevole si fa sentire.
“Ehy, Everly! Ti sei adattata presto a essere una perdente, vedo!”
Jennifer.
“Beh, se loro mi trattano da essere umano e non da schiava può succedere.”
“Povera piccolina, mi fai tanta pena.”
La voce della mora gronda cattiveria, adesso è il mio turno di intervenire.
“Ehi, Jenkins, come mai qui?
Non dovresti essere a farti sbattere da Tom, invece che in giro con le amiche a fare l’acida?
Ti ha già scaricata? Ha scoperto che ce l’hai troppo sfondata?”
Jen arrossisce e stringe i pugni.
Senza dire niente se ne va seguita dalle sue cagnoline, Hayley e Skye mi guardano con un misto di ammirazione e stupore.
“Che frecciatona! Da dove ti è venuta?”
“Abilità naturale. Jen pensa di essere cattiva, ma non sa con chi ha a che fare. Al liceo ero nota per essere la strega del liceo, lei non mi fa paura.”
Hayley addenta una patatina.
“Wow! Meglio tenerlo a mente, anche se sono certa che Jen si vendicherà in qualche modo.”
“E io scoprirò i suoi piccoli segreti e la sputtanerò.”
Le due non dicono nulla, mi vedono decisa e probabilmente capiscono che non scherzo.
Skye riprende il suo racconto e mi dico che è davvero fortunata per avere trovato uno come Matt dopo aver sopportato per anni una stronza come Jen. Ci credo che ora la vedo sorridere e la trovo meglio di quando l’ho conosciuta, non ci voleva molto, bastava toglierla dalle grinfie di quella vacca.
In ogni caso Matt è un romantico di prima categoria, dolce come pochi e gentile. Sono fiera di lui e di essere sua amica.
La serata si conclude poco prima che passi l’ultimo bus per riportarmi al mio quartiere e devo dire che è stata interessante e piacevole, tolta la parentesi Jen.
Quando arrivo a casa, trovo un macello e Mark che dorme sul divano come un bambino.
Vorrei insultarlo a dovere per avere lasciato la casa come un porcile, ma desisto, ha una faccia troppo tenera.
In silenzio pulisco quello che le bestie hanno lasciato in giro, copro Mark con una coperta e mi butto a letto.
Sono stanca e ho bisogno di dormire.

 

La mattina dopo mi sveglio tra le braccia di Mark, deve essere arrivato mentre dormivo e non me ne sono accorta.
È un buongiorno frantumato dal rumore odioso della sveglia, lui la spegne buttandola per terra.
“Buongiorno, amore!”
Mi bacia il collo.
“Scusa per il casino di ieri sera, ma dopo che gli altri se ne sono andati mi sono addormentato e quando mi sono svegliato ho trovato tutto pulito e te a letto.”
Io mi giro e gli bacio una clavicola. Alla mattina non ci baciamo mai in bocca appena svegli perché sappiamo perfettamente di avere entrambi aliti pessimi.
“è tutto a posto. Ti sei divertito ieri sera?”
Lui annuisce.
“Sì, è stata una bella partita e i due nuovi sono simpatici. Tu?”
“Sì, anche se a un certo punto è arrivata Jen a rompere le palle.”
Lui sbuffa.
“Quella puttana si sta attaccando a Tom in modo incredibile e lo sta rovinando!”
“Ne sono convinta, ma adesso è ora di alzarsi, fare colazione e affrontare la giornata.”
“Hai ragione.”
A malincuore ci alziamo, lui si impossessa del bagno e io della cucina, dove prepari i cereali per lui e del caffè per me.
Quando ha finito arriva in cucina con solo un asciugamano intorno alla vita e io rischio di sputare il caffè che ho in bocca: vuole farmi morire?
La mia bava immaginaria ormai ha riempito un secchio e lui non sembra accorgersene.
“Mark, hai indosso solo un asciugamano.”
“Lo so.”
Fa lui calmo, mangiando una cucchiaiata di cereali.
“Tu indossi solo un asciugamano e io tra poco devo uscire e ho l’ormone a tremila, sei un infido bastardo!”
“Amo quando mi insulti così.”
Io gonfio le guance e incrocio le braccia al petto come una bambina.
Lui si alza e mi bacia.
“A stasera, bruja!”
“A stasera bastardo, eccitatore inopportuno di povere fanciulle ingenue!”
Lo sento ridere, io mi faccio una doccia sia per lavarmi sia per calmare i bollenti spiriti, esco di casa maledicendolo.
Non si può offrire a una povera ragazza cotanta visione e poi negargliela, è da pazzi sadici! Stasera deve ricompensarmi con del buon sesso.
Prendo il pullman con questo turbinio di pensieri poco casti e poco da me in testa e quasi perdo la mia fermata.
Scendo dal pullman con un’aria imbronciata che non sfugge a Hayley e Skye e quando racconto loro cosa mi sia successo ridono come delle pazze per la nonchalance del mio ragazzo.
Oggi è uno di quei giorni in cui le lezioni iniziano prima e finiscono prima.
A metà della giornata Hayley mi prende in disparte.
“Senti, ho parlato di te al mio capo.
Presentati lunedì mattina alle nove a questo indirizzo e chiedi del signor Caine.”
“Grazie, Hayley! Ti devo la vita!”
Lei scaccia con una mano una mosca invisibile.
“Figurati, per così poco. Non sai nemmeno se sarai assunta.”
“Fa niente, grazie lo stesso per l’interessamento.”
Ci avviamo verso l’aula.
“Hai telefonato a tua sorella?”
“Sì, ed era furiosa. Ci vediamo stasera, a quanto pare mentre noi eravamo in tour si è trovata un nuovo ragazzo.”
“Grandioso, una speranza in meno per levare Tom dalle mani della Jenkins.”
Io mi fermo.
“Hayley, noi una speranza ce l’abbiamo, si chiama Anne.
Il problema è che per ora quell’idiota vede solo Jen per distrarsi e superare la batosta che ha preso con mia sorella.”
Hayley sospira e io le faccio eco, non mi piace che quella vacca giri intorno a Tom, è palese che sia capace di tirare fuori il peggio di Tom, che in fin dei conti è un bravissimo ragazzo.
Finite le lezioni, arrivo a casa e trovo Mark ai fornelli che sta cucinando quello che una volta doveva essere un hamburger.
“Volevo farmi perdonare per stamattina, ma mi sa che l’ho cotto troppo!”
La sua faccia da cucciolo deluso è qualcosa di troppo tenero, così finisco per baciarlo e smetto solo quando dalla padella inizia a salire un fumo nero e acre.
Spegniamo il gas e buttiamo via cibo e padella, ormai inutilizzabile per cuocere altro.
“Cinese?”
“Cinese.”
Ordiniamo al cinese dietro l’angolo e mezz’ora dopo stiamo avidamente consumando del riso alla cantonese, dei ravioli al vapore, del pollo fritto e alle mandorle e come dolce abbiamo un invitante gelato fritto che ci guarda.
È tutto buonissimo, incluso il gelato che attacchiamo con gusto, ben sapendo che ci metteremo un secolo a digerirlo.
“Mi sento pieno come un uovo!”
Mark si batte una mano sulla pancia.
“Oh, sono felice. Tra poco smaltirai.”
Lui mi guarda senza capire.
“Adesso io vado da mia sorella, sento le ultime novità e stasera… come posso dire? Mi offri quello che stamattina mi hai negato.”
Gli occhi gli si illuminano di malizia e batte le mani entusiasta.
“E stasera Mark Allan Hoppus va a segno, signori!”
Urla dalla terrazza, sorprendendomi e costringendomi a tirarlo all’interno alla svelta.
“Sei impazzito?”
“No, sono solo felice.
Forza, vai da Erin! Io e il mio amichetto siamo impazienti di vederti ritornare!”
Io rido, gli ho restituito in pieno quello che mi ha combinato stamattina!
La casa di Erin non dista molto dalla mia così vado a piedi e mi godo un po’ San Diego.
Arrivo a casa sua e la trovo da sola in cucina che si fuma una sigaretta.
“Allora, tu e Travis?”
Lei mette le mani davanti a sé.
“Frena, furbetta. Prima il tour!”
Io le racconto quello che ci è successo, inclusa la storia di Mia e di Shari e lei mi ascolta con gli occhi sbarrati.
“Siete dei pazzi! Se vi avessero beccato al confine a quest’ora toccherebbe a me e mamma tirarvi fuori dalla galera!”
“Ma siamo ancora qui e vedi di non spargere la voce in giro!”
Lei si mette gli indici a croce davanti alla bocca.
“E adesso dimmi di te e Travis.”
Lei scuote la testa.
“Non c’è molto da dire, sorellina.
Siamo stati amici fino a che non siamo andati a una festa, lì ci siamo ubriacati e non si sa come siamo finiti a letto?”
Io alzo un sopracciglio.
“Beh, una mattina me lo sono trovato nel letto e nel cestino della mia camera c’era un preservativo, ergo avevamo fatto sesso.
Davanti a questa cosa abbiamo deciso di metterci insieme, ma non è una storia molto seria.
Io ho in testa ancora Tom e lui punta a una certa Melissa e spera di farsela passare dato che lei è fidanzata con un altro.
Lui mi aiuta a dimenticare Tom e io lo aiuto con Melissa che, a quanto pare non ha digerito bene la storia e inizia a pensare che forse non ama il suo ragazzo tanto quanto gli interessa Travis.
È una specie di mutuo soccorso.
Lui è un bravo ragazzo e io ho bisogno di calma dopo l’uragano DeLonge.”
“Ci pensi ancora a lui ogni tanto?”
Lei spegne la cicca della sigaretta nel posacenere.
“Ogni tanto? Tutti i giorni, ma so che tra noi non sarebbe potuta continuare e che se fosse successo ci saremmo sbranati e distrutti a vicenda.
Lo amo troppo per potergli fare questo, anche se stiamo soffrendo tutti e due ne usciremo più forti e, se è destino, torneremo insieme o avremmo altri partner senza rimpianti.
Io lo vedrei bene con Anne, ha la tempra giusta per tenerlo a bada e sa farlo senza farsi accorgersene. Pugno di velluto.
Perfetto per uno come Tom.”
“E tu?”
“Io troverò quello che è destinato a essere solo mio, spero che sia Tom, ma se non sarà così non avrò capitoli o storie dolorose a intralciare il mio futuro.
Invidio un sacco tu e Mark, avete una sintonia e una maturità incredibili.”
Io sorrido e non dico nulla, la nostra sintonia e maturità si basa su confronti e liti che spesso terminano in musi lunghi e paci armate.
Io e lei parliamo ancora un po’, poi me ne torno a casa mia
La trovo vuota, così vado in camera e trovo Mark steso in posa sexy sul nostro letto, già mezzo nudo.
“Ti aspetto, piccola.”
Fa con voce da playboy, io ridacchio e inizio a togliermi lentamente felpa, maglia e jeans fino a rimanere in intimo. Dopo di che, sorridendo maligna, mi sdraio su di lui mettendo le nostre intimità a contatto e cominciando a baciarlo avendo cura di strofinarmi ben bene su di lui che inizia  a gemere
Io scendo a baciargli la mascella e il collo – il suo respiro aumenta – e poi il petto fino a dove è scoperto.
Poco prima dell’inguine, c’è il lenzuolo e io muovo pigramente il mio dito avanti e indietro su quel confine che lo sta facendo impazzire.
“Alziamo il velo.”
“Alzalo, al-zalo.”
Balbetta lui, io eseguo e mi trovo davanti il suo pene già sulla via dell’erezione, senza dire nulla in prendo in mano la situazione comincio a muovere la mia mano tra i suoi gemiti sempre più forti.
A metà dell’opera mi fermo senza preavviso e mi stendo accanto a lui, guardandolo ammiccante, lui coglie al volo il messaggio e si fionda su di me baciandomi con passione togliendomi il reggiseno, che vola da qualche parte nella stanza.
Con un ghigno malefico comincia a baciare e succhiare i miei capezzoli e quando li morde soffoco un urletto. Dopo questa sua vittoria scende a baciarmi la pancia e lambisce l’ombelico e il confine tra mutandine e pelle scoperta con la lingua.
Io ormai ansimo senza ritegno.
“Mark.”
Lui toglie le mutande con i denti, approfittandone per dare una lunga carezza alle cosce, cosa che ripete anche quando sono nuda e in attesa di lui.
Dopo avermi eccitata per bene, dà pochi colpi con le dita e poi passa alla penetrazione vera e propria. Spinta dopo spinta arriviamo insieme all’orgasmo e lui seppellisce la testa tra i miei seni, mentre io gli graffio la schiena.
Rimaniamo un po’ così- nudi e ansanti con lui sopra di me – poi la situazione si capovolge e io mi ritrovo sul suo petto, stretta tra le sue braccia.
“Non so se uscire più spesso la mattina con solo uno straccio addosso o non farlo più.”
Esclama alla fine, divertito.
Io gli bacio una clavicola.
“Fai come vuoi, io ti amo comunque e fare l’amore con te è sempre bello.”
Lui sorride e canticchiandomi la canzone che ha scritto per me a San Francisco ci trascina entrambi nel mondo dei sogni.
Che bello essere la sua donna!
Non potrei chiedere di meglio! 

Angolo di Layla

Ringrazio killallyour friends. Qualcuna di voi va alla family reunion di Milano sabato prossimo? 

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Capitolo 18
*** 18)Travis, il traghettatore. ***


18)Travis, il traghettatore.

 

Era una settimana che Ruby, la sua gemella, non si faceva sentire ed Erin cominciava a diventare parecchio nervosa.
Anne era in tour con i ragazzi e non poteva sfogarsi con nessuno, così accumulava come un vulcano in attesa dell’eruzione e questo influiva negativamente anche sul suo corso da tatuatrice: i professori l’avevano già rimproverata un paio di volte.
Persino sul lavoro le cose non andavano bene, era troppo nervosa e i clienti se ne accorgevano e non gradivano quella cameriera dall’aria così strana e truce.
Doveva cercare di calmarsi, ma nemmeno fare skate appena poteva riusciva a farlo né parlare con Dave o Matt. Loro non avevano notizie come lei, eppure non sembravano farne una questione di stato.
Dicevano che era da blink avere questi lunghi momenti di silenzio.
Ok, poteva essere tipico dei ragazzi, ma Anne e Ruby?
E se fosse successo qualcosa a tutta la truppa?
Quando le prendevano quei pensieri negativi le passava persino la voglia di fare skate e si sedeva sul bordo della pista  a guardare le evoluzioni degli altri skater.
L’unico con cui parlava un po’ era Travis, lui da bravo ragazzo timido e calmo le diceva di non preoccuparsi, che se qualcosa di bello fosse successo l’avrebbe già saputo.
La parte razionale accettava pienamente la sua sensata  spiegazione, quella irrazionale brontolava e mugugnava per il malcontento.
A diciott’anni compiuti, dopo sedici di rapporto burrascoso, doveva ammettere con sé stessa che le mancava sua sorella, come a un drogato incallito manca l’eroina.
Lei e Ruby non erano mai state gemelle particolarmente affettuose o inseparabili, ma l’abitare nella stessa città e con una fitta rete di amici in comune che la teneva d’occhio l’aiutava parecchio a non sentirsi preoccupata per lei.
Ora Ruby se ne era andata, la rete non funzionava più e lei andava in panico.
Una sera Trav si era presentato a casa sua, le aveva rivolto un’occhiata di biasimo per il casino che regnava nell’appartamento e per il suo look trascurato e poi si era seduto accanto a lei sul divano.
“Adesso, tu mangi, ti fai una doccia, ti cambi e vieni con me.”
“Non ne ho voglia.”
La faccia, normalmente bonaria, del suo amico, era diventata all’improvviso seria e volitiva, quella di uno che non si può contraddire.
Erin sapeva, per esperienza personale con David,  che quando i timidi diventavano così non bisognava contraddirli o si rischiava di trovarsi davanti a ossi molto duri, così a malincuore eseguì gli ordini.
Si mangiò un panino di corsa e si buttò sotto la doccia, quando uscì andò in camera sua e scelse cosa indossare: di là sentiva Travis aprire il frigo e prendere qualcosa, forse una birra, forse della coca.
Dopo un attimo di indecisione, indossò una maglia zebrata bianca e nera con le maniche larghe, quasi a pipistrello, e una mini di jeans.
Faceva ancora abbastanza caldo per uscire senza calze, così mise solo un paio dei calzini e degli anfibi con i lacci verde fosforescente.
Arrivata in sala vide Trav addentare con gusto un panino contenente pomodori e insalata – era vegetariano – e bere un’aranciata,
“Buona cena, Barker!
Non avevi mangiato?”
Lui scosse la testa.
“Sono appena tornato da lavoro, sono arrivato a casa e mi sono solo cambiato per venire da te, tanto il mio frigo è vuoto: domani devo fare la spesa.”
Lei alzò gli occhi al cielo e rubò la lattina di birra.
“Perché voi ragazzi siete così disastrosi con i rifornimenti?”
“Perché ci piace che le ragazze ci riempiano il frigo, comunque adesso ho finito.
Possiamo andare.”
Lei annuì e prese la sua giacca di pelle, insieme scesero dalle scale e si infilarono nella macchina di Travis, lui guidò in silenzio fino alla zona del porto e poi parcheggiò.
“Ehi, uomo del mistero! Dove diavolo andiamo?”
“A una festa!”
Erin si accigliò.
“Se l’avessi saputo non sarei venuta.”
“Questa è esattamente la ragione per cui non te l’ho detto.”
“Grazie, eh!”
Lo seguì verso un capannone da cui proveniva una musica atroce che doveva essere punk nelle intenzioni di chi  la suonava, in realtà somigliava più che altro a un’accozzaglia indefinita di suoni.
Quando entrò individuò che l’individuo che rovinava ogni canzone: il chitarrista.
Era uno di quelli a cui andava applicata la terapia Vicious, ovvero staccargli il jack dell’amplificatore come al defunto bassista dei Sex Pistols.
Non aveva voglia di pogare, ascoltare era praticamente un atto lesivo contro le sue orecchie, per cui afferrò una bottiglia di vodka che c’era a un bancone e cominciò a bere.
Si sedette su un gradino di una delle due scale che portavano al piano superiore e continuò a bere e a osservare la gente pogare, aveva completamente perso di vista Travis, ma non le importava molto.
Quando ormai era arrivata vicino alla metà della bottiglia il rasta riapparve e la trascinò nel casino, lei lo seguì senza mollare la vodka.
Tentò di convincerla a pogare, ma lei non ne volle sapere, Travis allora la costrinse a ballare su un lento.
Erin odiava i lenti, li aveva sopportati solo con Tom perché amava Tom in maniera viscerale. Al ricordo del suo ex ingollò una generosa quantità di vodka e  assecondò il batterista di Fontana.
A metà della canzone lui iniziò a baciarla e lei si lasciò baciare.
Bevvero ancora – tutti e due questa volta – sbrodolandosi, risero e tornarono a baciarsi.
Ad un certo punto la serata sfumò in una nebbiolina indistinta ed Erin perse completamente il controllo delle sue azioni e il contatto con il mondo.
Ormai era la vodka a parlare e ad agire, non Erin.
Erin non aveva idea di cosa le stesse facendo fare la vodka.
Erin era persa nel suo personale coma.

 

La mattina dopo Erin si svegliò con un mal di testa epico, non ne ricordava uno così forte dalla festa dei suoi quattordici anni quando si era ubriacata per la prima volta con Mark e Tom.
Aveva la sensazione che un cerchio di ferro le stringesse inesorabilmente la testa e che un’officina meccanica lavorasse a pieno ritmo nel suo cervello, inoltre sentiva in bocca il sapore amaro e acidulo dell’alcool bevuto la sera prima.
Poco dopo registrò un braccio maschile tatuato che le avvolgeva la pancia e il respiro di qualcuno sul suo collo. La punk aveva seriamente paura di voltarsi e scoprire con chi era finita a letto, si sarebbe presa a randellate se fosse stato il chitarrista incapace.
Deglutì e si voltò.
Tirò un plateale sospiro di sollievo, il volto addormentato che aveva davanti era quello di Travis, le era andata bene tutto sommato.
Pochi secondi dopo gli occhi azzurri del ragazzo si aprirono.
“Buongiorno.”
“Ehm, buongiorno.”
Lui ridacchiò.
“è imbarazzante, vero?”
“Un po’. Non so cosa dire.”
Lui si alzò su un braccio e guardò per un attimo in un angolo indefinito della stanza poi torno a guardare lei.
“Erin, ti va di essere la mia ragazza?”
Lei lo guardò senza capire.
“Ma sei impazzito? Non ti interessava Melissa?”
Lui sbuffò.
“Melissa non vuole mollare il suo ragazzo per me. Magari il “chiodo scaccia chiodo” funziona.”
Lei si rigirò nel letto.
“O magari vuoi vedere se si ingelosisce, mister Barker.”
Lui rise.
“Sì, anche questo, magari è la volta buona che molla quell’ameba.
E poi potrebbe essere utile anche a te.”
Erin lo guardò senza capire.
“Sei ancora perdutamente innamorata di Tom, io posso aiutarti a dimenticarlo.”
Lei si gratto il mento.
Era vero, nonostante avesse lasciato DeLonge, lo amava ancora con un’intensità che la spaventava: non aveva mai amato nessuno come lui e temeva che non sarebbe più stata in grado di amare qualcun altro a quel modo.
Forse per provare a dimenticarlo e prepararsi a nuove storie importanti – o al suo ritorno – una storie leggera, di transizione, sarebbe stata una buona soluzione.
Non aveva nulla da perdere.
Travis era un bravo ragazzo e di sicuro non sarebbe stato capace di farlo del male e Tom si era buttato in una storia con una vacca per dimenticare lei.
La proposta di Travis non era male in fondo.
“Hai ragione, Travis. La tua è una buona idea, da adesso sei il mio ragazzo.”
Lui sorrise e le diede un bacio a fior di labbra.
“Ora devo andare, il turno del mattino mi aspetta.”
“Ma sono solo le quattro e mezza!”
“Io inizio alle cinque, noi spazzini siamo mattinieri.”
Lei sbuffò.
“E io che speravo di stare ancora un po’ con te.”
Lui sorrise di nuovo, sembrava un bambino quando sorrideva, e si rivestì.
“Ci vediamo stasera, ti va?
Ti porto a una battaglia tra rappers.”
Le batté le mani, entusiasta.
“Grande, non ci sono mai stata!”
“Benissimo!”
Dopo un altro bacio a fior di labbra  lui uscì dalla stanza e dal suo appartamento, Erin si abbandono al sonno di buon umore: forse la sua ubriacatura non si era conclusa così male come credeva.
Si risvegliò del tutto alle sette. Si fece una doccia e un’abbondante colazione, poi ingollò un’aspirina per placare almeno un po’il suo mal di testa disumano.
Almeno per quella mattina non venne rimproverata dai professori e al lavoro il suo capo fu particolarmente gentile.
Quando arrivò a casa trovò Anne che sistemava le sue cose in camera sua.
“Ben arrivata! Vi costava tanto telefonare!”
Anne le fece un sorriso di scuse.
“Scusa, è che sono successi tanti casini prima di tornare qui e ce ne siamo dimenticati.
Scusa, Erin, non è stata una cosa voluta.”
“E ci mancherebbe altro!
Credi che mi chiamerà mia sorella o dovrò mandarle un telegramma per ricordarle che esisto?”
Anne rise.
“Erin, sei la solita esagerata. Certo che ti chiamerà!”
Poco dopo squillò il telefono e dato che la messicana stava cucinando così fu la sorella di Mark a rispondere. Dalle parole che intuì della conversazione capì che era Ruby la tizia dall’altra parte del telefono.
Lasciando perdere la cena si precipitò al telefono e tolse la cornetta di mano ad Anne per parlare con la sorella
“Chi è?”
“Sono Ruby.”
“Ruby chi?”
Non voleva affatto renderle le cose facili, voleva prendersi una piccola vendetta.
“Ruby Ferreira.”
 “Chi sarebbe?”
Fece fintamente svampita.
“Dai, Erin. Sono la tua gemella.”
Erin rimase un attimo in silenzio, silenzio carico di minaccia, stava per esplodere.
 “Scusa, Erin, scusa! Ma sono successe troppe cose e …”
“Non ti sei ricordata? SEI UNA CRETINA!
IO MI SONO PREOCCUPATA PER VOI, NESSUNO MI CHIAMAVA E NON AVEVO IDEA DI DOVE FOSTE! POTEVATE ESSERE MORTI E SEPOLITI NEL DESERTO!”
La bomba esplose
“Erin, mi dispiace un sacco.
Giuro che non lo rifarò mai più, ma non essere arrabbiata, non l’ho fatto apposta!”
“E ci mancherebbe altro!”
“Ti va se ci vediamo domani sera?”
Erin mugugnò, non si vedevano da settimane e lei proponeva domani sera?
Non avrebbe comunque potuto stasera, ma le avrebbe fatto piacere sentire lo stesso la richiesta.
“Ok, tanto stasera non avrei potuto, devo uscire con Trav. Mi porta a vedere una battaglia tra rappers.”
Dall’altra parte ci fu un silenzio interdetto.
 “Tu e Travis state insieme?”
“Questo te lo dirò domani.”
Le disse sibillina, poi le chiuse il telefono in faccia. Anne che aveva seguito la scena dalla porta della cucina scosse la testa.
“Come sei vendicativa!”
“Ogni tanto bisogna esserlo.”
Anne scosse la testa e tornò ad occuparsi della cena, era decisamente più importante che stabilire se ogni tanto servisse o no essere vendicativi.
Preparata e mangiata la cena, Erin si fece una doccia e si cambiò. Indosso un paio di pantaloni stretti a quadretti rossi e neri, una maglia nera larga, una felpa nera, si infilò gli anfibi e la giacca di pelle e dopo aver urlato un saluto ad Anne – di corvee in cucina – scese le scale.
Trav la aspettava appoggiato alla sua vecchia macchina, una Cadillac che lui stesso aveva risistemato, e quando la vide le venne incontro e la baciò.
“Stai benissimo così, sai?”
“Non c’è bisogno di fare il carino, sono già la tua ragazza!”
Lui rise.
“I fidanzati devono essere carini con le proprie ragazze o rischiano di essere scaricati!”
Erin rise e salì in macchina.
“Mi spieghi una cosa, Trav?”
“Dimmi pure.”
Le rispose mentre metteva in moto.
“Come mai un punk convinto e tatuato come te va a sentire battaglie di rappers?”
“Perché un mio collega mi ha contagiato con questa mania, tra l’altro oggi lui è uno di quelli che gareggia.”
“Capito.
Beh, è una cosa nuova, sono curiosa di sapere com’è, di solito vado al Soma.”
“Lo so, una volta sono stato a un concerto dei tuoi amici.
Sono bravi a tenere il palco, un po’ meno gli strumenti, ma il loro essere buffoni non lo fa notare.”
Erin annuì.
“Sì, è così, ma non pensiamo a loro, ti va?”
“Tom?”
“Tom.”
Travis annuì e si diresse verso la zona industriale della città, attraversando quartieri via via più poveri e con una brutta reputazione, istintivamente la ragazza strinse la mano di lui che era mollemente appoggiata sul cambio.
Arrivarono a un capannone verso cui affluiva tanta gente, soprattutto di colore, e da cui proveniva una musica ritmata:rap.
Il rasta parcheggiò e scesero. Dentro era affollato e c’era un’atmosfera elettrica, Erin si guardava intorno leggermente spaesata, lui la accompagnò verso le scale.
“Aspettami qui, vado a recuperare da bere e da mangiare.”
Lei annuì e un quarto d’ora dopo lui tornò con della birra, un hot-dog per lei e un trancio di pizza per sé.
La battaglia iniziò poco dopo, sul palco si succedettero parecchi rapper che cercarono ognuno a loro modo di coinvolgere il pubblico e di fare delle buone rime. Erin cominciò a battere la testa a ritmo con la musica, in fiondo non era male e anche il braccio di Trav attorno alle sue spalle.
Quando finirono lui le porse una mano e l’aiutò a rialzarsi
“Divertita?”
“Oh yeah!”
Cominciò a baciarlo con passione, era un altro dei suoi modi per esternare l’entusiasmo che provava  e che lui apprezzò.
Uscirono mano nella mano dal capannone, la serata era stata davvero piacevole.
L’idea dello spazzino di Corona non era affatto male.

 

 

Il giorno dopo fu una giornata tranquilla.
Erin la visse all’insegna della calma, in attesa della visita della sorella. Ruby arrivò alle sei in punto, lei la fece salire e si fece trovare mentre fumava tranquilla in salotto.
Ruby la salutò, si accese una sigaretta e si sedette accanto a lei sul grande divano che dava sul palazzo vicino.
“Allora, tu e Travis?”
Esordì la sua gemella, facendola sorridere mettere le mani davanti a sé come a frenare l’impeto dell’altra
“Frena, furbetta. Prima il tour!”
Il racconto del tour era fatto di tanti piccoli episodi a volte strani, a volte divertenti come quando Mark buttò giù dal furgone e costrinse Scott a dormire in pieno deserto perché russava troppo o il fatto che Tom una volta si fosse svegliato abbracciato ad Anne con una forte erezione in corso senza sapere come c’era finito.
Mark lo aveva minacciato con la castrazione, la cosa che la colpì di più e che la fece rimanere con gli occhi sbarrati fu quando Ruby le raccontò la storia della punk in fuga dalla polizia con la sua bambina e che loro avevano aiutato.
“Siete dei pazzi! Se vi avessero beccato al confine a quest’ora toccherebbe a me e mamma tirarvi fuori dalla galera!”
“Ma siamo ancora qui e vedi di non spargere la voce in giro!”
Lei si mise gli indici a croce davanti alla bocca, doveva essere pazza per dire in giro una cosa del genere e lei pazza non lo era.
“E adesso dimmi di te e Travis.”
Lei scosse la testa.
“Non c’è molto da dire, sorellina.
Siamo stati amici fino a che non siamo andati a una festa, lì ci siamo ubriacati e non si sa come siamo finiti a letto.”
Ruby fece una faccia perplessa, cose del genere non erano cose che potessero accadere alla sua più assennata gemella.
“Beh, una mattina me lo sono trovato nel letto e nel cestino della sua camera c’era un preservativo, ergo avevamo fatto sesso.
Davanti a questa cosa abbiamo deciso di metterci insieme, ma non è una storia molto seria.
Io ho in testa ancora Tom e lui punta a una certa Melissa e spera di farsela passare dato che lei è fidanzata con un altro.
Lui mi aiuta a dimenticare Tom e io lo aiuto con Melissa che, a quanto pare non ha digerito bene la storia e inizia a pensare che forse non ama il suo ragazzo tanto gli interessa Travis.
È una specie di mutuo soccorso.
Lui è un bravo ragazzo e io ho bisogno di calma dopo l’uragano DeLonge.”
“Ci pensi ancora a lui ogni tanto?”
Erin spense la cicca nel posacenere, sorridendo amaramente, mentre un flash della risata di Tom che rideva le attraversava la mente.
 “Ogni tanto? Tutti i giorni, ma so che tra noi non sarebbe potuta continuare e che se fosse successo ci saremmo sbranati e distrutti a vicenda.
Lo amo troppo per potergli fare questo, anche se stiamo soffrendo tutti e due ne usciremo più forti e, se è destino, torneremo insieme o avremo altri partner senza rimpianti.
Io lo vedrei bene con Anne, ha la tempra giusta per tenerlo a bada e sa farlo senza farsi accorgersene. Pugno di velluto.
Perfetto per uno come Tom.”
“E tu?”
“Io troverò quello che è destinato a essere solo mio, spero che sia Tom, ma se non sarà così non avrò capitoli o storie dolorose a intralciare il mio futuro.
Invidio un sacco tu e Mark, avete una sintonia e una maturità incredibili.”
Ruby fece un sorriso enigmatico e non disse nulla sull’argomento.
Chiacchierarono ancora un po’, poi sua sorella se ne andò ed Erin si sdraiò sul divano.
Era stata una bella giornata di una stagione favorevole della sua vita, aveva Travis accanto pronto a traghettarla nel post DeLonge.
Cosa poteva chiedere di meglio dalla vita?
Niente.

Angolo di Layla

Ringrazio Carousel aka killallyourfriends e LostinsStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 19
*** 19)I won't be home for Christmas (maybe). ***


19)I won't be home for Christmas (maybe).

Dopo un tour con i ragazzi abituarsi di nuovo alla routine è difficile e mi adatto di nuovo alla realtà universitaria con qualche problema.
Sono andata all’appuntamento con il direttore della casa editrice che mi ha dato Hayley e ora sono anche io un correttore di bozze, il che significa avere sempre la scrivania della mia camera ingombra di carte da correggere.
In alcuni manoscritti ci sono errori talmente madornali che non so davvero come sia possibile che qualcuno li voglia pubblicare.
Questo lavoro sommato all’avvicinarsi ai primi esami di fine semestre fissati per i primi di dicembre mi toglie il sonno e mi regala due occhiaie nere e profonde che il correttore nasconde a stento.
Mark ha iniziato a chiamarmi il suo panda, amo come sdrammatizzi la situazione, ed è lui la maggior parte delle notti a togliermi dai manoscritti o dai libri.
Verso le quattro con garbo mi toglie il libro o la penna di mano, mi prende in braccio e mi deposita sul letto, spegne la luce e mi abbraccia sussurrandomi che per oggi ho dato abbastanza e coccolandomi.
È un bel modo di finire le nottate e apprezzo la sua pazienza.
Mi lascia dormire fino a tardi il sabato e la domenica e quando mi sveglia  finiamo per fare l’amore con energia, complice l’astinenza della settimana.
In quanto ai blink, non c’è weekend in cui qualche locale nei dintorni di San Diego o a San Diego stessa, che li chiami per fare una serata.
La loro popolarità nella zona sta dilagando a vista d’occhio – come un virus – e anche in università mi è capitato di vedere qualche ragazzo con una maglia della band.
È durante uno di questi giorni universitari piatti che qualcosa avviene a scuotere la mia quotidianità. Sono seduta al tavolo della mensa con Hayley e Skye quando si avvicina a noi un ragazzo dai capelli neri con una frangia lunga abbastanza da coprirgli quasi gli occhi.
“Posso sedermi?”
“Certo!”
Skye sposta la sua enorme borsa e lo sconosciuto appoggia il vassoio e si siede.
“Io sono Andrew, piacere.”
“Io sono Skye, lei è Hayley e lei è Ruby.”
Lui mi guarda.
“Ho visto alcuni tuoi lavori al corso di Anderson, davvero belli.
Complimenti!”
“Grazie.”
Mangiamo in silenzio, poi le mie amiche si alzano per buttare via i vassoi e mi lasciano sola con questo tizio.
“Senti, ti va di uscire con me?”
“No, mi dispiace. Ho già un ragazzo.”
Lui mi guarda sconvolto.
“Non è possibile, tu devi essere single!”
Lo guardo stralunata.
“Invece ho un ragazzo, problemi?”
“Sì, tu devi diventare la mia ragazza.”
Io lo guardo male.
“Senti, Andrew, non voglio essere scortese, ma ti prego di allontanarti da questo tavolo.
Se vuoi fare amicizia mi sta bene, se vuoi davvero essere il mio ragazzo, no.
Amo Mark da morire e non ho intenzione di lasciarlo.”
Lui si alza di scatto, facendo cadere la sedia, e se ne va di corsa, lasciandomi interdetta.
Devo prenderlo come una minaccia o solo per un ragazzo emotivo che regge male ai colpi della vita?
Quando Hay e Skye arrivano e mi trovano da sola, rimangono perplesse.
“E Andrew dov’è?”
“L’ ho pregato gentilmente di andarsene.”
“PERCHE’?”
“Ha detto che voleva e doveva essere il mio ragazzo. Figuriamoci se mollo Mark per il primo schizzato che decide, lui da solo, di essere il mio ragazzo!”
Le altre due scuotono la testa e ridono, i pazzi sono ovunque.
La cosa sembrerebbe finita lì, invece è solo all’inizio, purtroppo. Mi ritrovo Andrew ovunque, al punto che arrivo a comprarmi una parrucca bionda e a chiedere dei vestiti a Skye per riuscire ad evitarlo e seguire le lezioni.
Lo so che sembrano comportamenti da pazza, ma davvero non so cosa fare, lui non molla.
È più testardo di Hitler quando desiderava ardentemente la Polonia e io non posso lasciare che lui condizioni la mia vita universitaria!
Diamine, gli esami sono sempre più vicini e ci si è messa questa grana! Se l’avessi saputo invece di farlo sedere al nostro tavolo gli avrei tirato sedia e vassoio!
Visto che non mi trova a lezione inizia un lungo assedio fatto di fiori: per tre settimane ogni giorno mi spedisce a casa un mazzo di rose rosse con lo stesso biglietto.
Mazzo che puntualmente finisce in pattumiera e che cerco di non far vedere Mark, sperando che non ottenendo nessuna risposta prima o poi si stufi.
Non avviene e mi chiedo dove trovi i soldi.
Ormai mancano pochi giorni al mio primo esame e sto studiando al tavolo della sala, sono circa le cinque e mezza e io sto cercando disperatamente di memorizzare le date dei maggiori movimenti artistici che si sono succeduti dal quattrocento all’ottocento.
Sono in piena crisi, Mark di là sta provando e io vorrei buttare i libri dalla finestra quando il campanello suona. È il garzone di un fiorista con le consuete rose della tortura.
“Non le voglio, le riporti indietro.”
“Ma il ragazzo mi ha detto di consegnargliele.”
Protesta timidamente lui provocando la mia esplosione.
“Dica al ragazzo di andare cordialmente a fanculo lui, le sue rose e la sua convinzione di diventare il mio ragazzo.
Gli dica che ha rotto il cazzo e che ho già un ragazzo che mi fa sentire una principessa, orcodio!
Se ne vada!”
Attirato dalle mie urla arriva Mark.
“Cosa succede?”
Il garzone gli mostra il mazzo e gli dice che deve consegnarlo a me, lui lo prende e legge il biglietto.
La sua faccia solitamente bonaria diventa una maschera di collera e butta di nuovo in mano il mazzo al garzone.
“Dica al mittente di questi fiori di ficcarseli su per il culo!”
Detto questo sbatte la porta in faccia al poveretto e guarda me.
“Beh?”
“Beh, niente! Non so più come far finire questa cosa! L’ho incontrato un giorno a mensa e mi ha detto di voler diventare il mio ragazzo. Io ho rifiutato e da allora mi tampina in uni e con queste rose di merda.
Sono tre settimane, ne ho piene le ovaie!”
Scoppio a piangere, un po’ per la rabbia, un po’ per la tensione per l’esame e Mark mi abbraccia.
“Vedrai che la smetterà, dopo questo smetterà.”
Io annuisco e continuo a piangere isterica.
Se non la smette giuro che lo uccido!

 

Il nostro gesto sembra calmarlo un po’, il giorno dell’esame trascorre tranquillo e lui si limita a guardarmi.
Anche durante gli altri esami mi guarda solo e posso portarli a termine più leggera.
Il 22 dicembre, una domenica, io e Mark decidiamo di andare a prendere un albero di Natale e ci rechiamo a un negozio di casalinghi.
Stiamo passeggiando tra gli scaffali – io nel carrello, lui che mi spinge – per decidere cosa altro prendere quando il pazzo si presenta davanti a noi, io esco rapida dal carrello.
“E così Mark sei tu!”
Lo apostrofa bellicoso Andrew, il mio ragazzo fa uno dei suoi ghigni storti.
“Sì, sono io!”
“Dammi Ruby, lei deve essere la mia ragazza, non la tua!”
“Non ci penso proprio!”
“TU non te la meriti, lei si merita un ragazzo dolce e comprensivo come me!”
Mark inizia ad alterarsi.
“E io perché non sarei dolce e comprensivo?”
“Guardati! Sei uno skater, voi le ragazze ve le scopate solo!”
I pugni miei e di Mark partono sincronizzanti e si abbattono rispettivamente sulla guancia destra e sulla guancia sinistra. Dall’interno della bocca si sente un bruttissimo rumore e lui sputa un bel po’ di saliva.
“Se le rompi ancora il cazzo non mi fermo qui, ti mando all’ospedale conciato così male che nemmeno tua madre ti riconosce!”
“Se mi rompi il cazzo, non mi fermo qui, ti mando all’ospedale conciato così male che nemmeno tua madre ti riconosce!”
Urliamo insieme, lui ci guarda sconvolto.
Nel frattempo arriva il personale del negozio che ci invita a uscire e si prende cura di Andrew.
Fuori io e Mark scoppiamo a ridere come dei matti e poi ci baciamo con passione.
“Problema risolto!”
Diciamo insieme, mentre ci dirigiamo verso la sua macchina, dobbiamo andare in un altro negozio per prendere il dannato albero.
Così facciamo e lì finalmente compriamo un abete di plastica bianco con le decorazioni blu e viola, ci rispecchia visto che unisce insieme in una sinfonia perfetta i nostri  colori preferiti.
Arrivati a casa lo montiamo in salotto e mettiamo i festoni che abbiamo comprato, in quanto alle palline, Mark ci attacca tante facce di darth vader e io dei teschi.
Alla fine del lavoro siamo soddisfatti tutti e due e ci battiamo il cinque.
“Questo albero è il più figo dell’intera America!”
“Ci puoi giurare!
E stasera la grande ubriacatura prenatalizia con gli altri!”
Gli salto in braccio e cominciamo a baciarci e a giocare con i festoni avanzati come dei bambini. Lui si avvolge un festone viola a mo’ di boa di piume e mi porta in camera con quello sguardo furbetto che ha quando vuole fare l’amore con me.
Non chiedo di meglio.
Mi stende sul letto e inizia a spogliarmi, io faccio lo stesso e ben presto ci ritroviamo in intimo a rotolare sul nostro letto.
La mie mani in una zona pericolosamente bassa dell’inguine, le sue sui miei seni e le nostre lingue impegnate in un bacio mozzafiato.
Non abbiamo voglia di preliminari, solo voglia così anche l’intimo vola da qualche parte della stanza e lui – dopo essersi messo il preservativo – entra in me e spinge rapido e violento.
Lo sa che mi eccito subito quando fa così, difatti raggiungo subito un orgasmo. Lui sorride e continua a spingere, le mie unghie devono avergli tracciato un solco profondo sulla schiena, le sue mani invece mi accarezzano la pancia e poi scendono sulle cosce.
Sto per crepare dal piacere di nuovo, amo quando usa insieme mani e il suo pene.
Il mio secondo orgasmo lo raggiungo con lui che crolla subito di me, io  lo abbraccio più stretto che posso.
“Sei mio, mio mio mio!
Non ti cambio con nessuno, sei mio, Mark Allan Hoppus!”
Lui ride contro il mio collo, ma quando alza il volto l’espressione è seria.
“E ti sei mia, Ruby Maria Ferreira.
Mia e solo mia, non ti cedo a nessuno. Sono pronto a prendere a pugni tutti gli Andrew di questo mondo.
Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Ci addormentiamo così e ci risvegliamo solo quando sentiamo delle voci nell’ingresso.
Merda! Sono arrivati gli altri e non c’è niente di pronto!
Sveglio Mark e ci rivestiamo alla meno peggio – io con una sua maglietta  e dei pantaloni stretti  a quadri neri e viola, lui con una maglietta nuova e i suoi eterni pantaloni a tre quarti – e ci rechiamo di là.
La prima squadra di invitati è composta da Tom, David, Matt e Skye.
Tom non appena vede il nostro stato scoppia a ridere e ci indica.
“Avete fatto sesso invece di cucinare!
Avete fatto sesso invece di cucinare!”
“Sì e ti conviene spostarti se vuoi mangiare qualcosa!”
Rispondo io piccata, dandogli una gomitata per entrare in cucina e preparare qualcosa, ringraziando Dio Skye si offre di darmi una mano.
“Chi c’è oltre a noi?”
“Anne, mia sorella, Trav, Hayls, la coinquilina di Hayls, Scott e Lars.”
“Ok. Pasta e cotolette per tutti?”
“Andata!”
Ci mettiamo a cucinare e poco dopo arriva altra gente, Scott e Lars, che si affaccia alla cucina speranzosa.
“Work in progress!”
Urliamo io e Skye.
“Jen viene?”
“No, Tom non voleva invitarla, ma lei si è autoinvitata. Le ho detto che se si fosse fatta viva le avrei dato una padellata in testa!”
Lei ride e riprendiamo a cucinare.
Quando arrivano anche Hayls, Anne, Erin, Trav e una bionda skater è tutto pronto.
“Ragazzi!”
Urla Hayley.
“Lei è Avril, la mia coinquilina!”
“Benvenuta Avril!”
Urliamo  tutti e poi ci sediamo a tavola, io servo la pasta al pesto che ho fatto con la ragazza di Matt.
Tom la guarda leggermente schifato.
“Cosa diavolo è?”
“Pasta al pesto, è una ricetta italiana, ligure per la precisione.
È commestibile!”
Lui fa una faccia molto perplessa.
“Dai, non fare la mammoletta!”
Lo incita Matt e così lui lo assaggia, dopo la prima forchettata incerta inizia a mangiare voracemente.
Io sorrido e gli altri ridacchiano.
Ora che lo noto i capelli di Lars non sono più neri, ma di uno squillante arancione e si è fatto una cresta di tutto rispetto come quella di Matt che stasera non la sfoggia.
“Uhm, Matt, come mai niente cresta stasera?”
Lui arrossisce e non mi risponde, ci pensa Tom a dare una risposta delle sue.
“Vi stavano imitando, Ferreira. Io e Davey li abbiamo staccati con il carro attrezzi!”
“Sei il solito esagerato, Tom! Ci stavamo solo baciando!”
“Sì, mezzi nudi e con una bellissima erezione del pene di Matt!
E poi tu indossi una delle sue magliette, tra l’altro!”
Skye diventa rossa di botto.
“Qualcuno vuole già il secondo?”
“No, un bis di pasta è possibile?”
Chiede Lars.
“Ehm, vado a controllare, altre paste?”
Avril, Tom e Mark alzano la mano.
Skye scappa di là e torna dopo un po’ con due piatti, Mark e Tom rinunciano in modo che mangiare siano solo Avril e Lars: prima gli ospiti.
Dopo che loro hanno finito di mangiare il bis di pasta io servo un piatto stracolmo do cotolette che vengono letteralmente divorate.
Nemmeno un quarto d’ora dopo il piatto è più desolato del deserto del Sahara in piena estate.
La loro fame però deve essere ancora molta visto che reclamano tutti a gran voce il dolce e io corro a prendere il tiramisù in cucina e a tagliare poi le porzioni.
Fatto quello sul tavolo cala di nuovo il silenzio, sono tutti intenti a mangiare.
“Mamma mia, che mangiata!”
Commenta Tom battendosi la mano sullo stomaco e ruttando sonoramente.
“Tu non cambi mai, eh Tom?”
Gli chiede mia sorella con misto di ironia e nostalgia nella voce.
“No, apprezzo sempre il buon cibo e la cucina di tua sorella.
Ruby, mi metti all’ingrasso?”
“E dopo come fa a saltare con la chitarra? Chiamiamo una gru?
Non li abbiamo questi soldi!”
Rispondo io.
“Lascio il compito a Mark, lui il salto ce l’ha nel nome, Hop Hoppus.”
Effettivamente sul palco l’ho visto fare dei salti in pose che sfidavano apertamente la forza di gravità.
“Sei pigro, Tom!
A quarant’anni sarai un ciccione che guarda il football in tv con la birra in parte.”
“Mi pare un buon obbiettivo da raggiungere, manca solo una cosa: una moglie.
Qualcuna delle ragazze qui presenti vuol essere mia moglie.”
Sulla tavolata cala il silenzio e vedo Anne abbassare gli occhi e stringere tra le mani il bicchiere con troppa forza.
Scemo di un DeLonge! Apri gli occhi e accorgiti di Anne, cazzo!
“Va bene, visto che non c’è nessuna, mi bevo un’altra birra!”
“Vacci piano!”
Lo fulmina Mark, Tom rinuncia istantaneamente alla sua bottiglia di birra.
Lasciamo i ragazzi ai loro argomenti, noi ragazze sparecchiamo, laviamo i piatti e sistemiamo la cucina.
Quando abbiamo finito i ragazzi decidono di portarci in un localino sulla spiaggia in cui suonano amici di amici.
A noi va bene e così la truppa lascia il nostro appartamento e si avvia lungo la marina. Siamo un gruppo rumoroso ed eterogeneo, la gente – in maggioranza fidanzati e fidanzatini – ci guarda leggermente spaventata. Sono soprattutto Matt e Lars a spaventare.
Matt però non ha occhi che per la sua Skye e Lars ci sta provando con Avril che sembra molto interessata al soggetto: non fanno che ridacchiare e le loro mani si sfiorano troppo spesso.
Arriviamo finalmente al locale, che è una specie di chiosco che dà sulla spiaggia, solo più grande e arredato in stile giamaicano, il gruppo che suona infatti è reggae.
Ci sediamo a un tavolo e ordiniamo qualcosa – rigorosamente analcolico, Mark dice che sono severi sul servire alcool ai minorenni – e ascoltiamo per un po’ con i nostri drink in mano.
Finiti quelli ci buttiamo in pista e ondeggiamo a ritmo con la musica, io appiccata a Mark, Skye a Matt e mia sorella a Travis. Gli altri si scatenano, tranne Lars che continua il suo corteggiamento ad Avril.
A mezzanotte e mezza viene annunciata la fine del concerto, così che a noi non rimane che pagare e uscire. Ci stiamo per congedare quando a Tom viene una delle sue idee geniali.
“Raga, andiamo in spiaggia a fare un bagno di mezzanotte!”
Con qualche perplessità la proposta viene accettata e – tramite un vicoletto – entriamo nella spiaggia di San Diego, correndo come matti lungo un sentierino lastricato che porta fino al bagnasciuga.
Finito quello ci spogliamo e Tom si butta subito in acqua seguito dai ragazzi e da Avril ed Erin, io, Skye e Hayls esitiamo. Ci guardiamo perplesse, incerte se imitarli o meno, ma Mark che mi carica in spalla mi toglie ogni dubbio buttandomi nell’acqua leggermente tiepida.
Iniziano a schizzarci come bambini e poi a baciarci e gli altri intorno a noi fanno più o meno lo stesso, tranne Lars che ora sta limonando con Avril e Tom che ha Anne attaccata al collo come una scimmia che lo sta supplicano di non schizzarla che ha freddo.
Tom ride e la stringe più forte, immagino che ora lei sia felice, ma che tornerà a essere triste quando la maglia di questo momento finirà. Mi domando come faccia Tom a non capire che lei è cotta di lui, ma forse la risposta è semplice: è un ragazzo e i ragazzi non sempre si accorgono delle sfumature presenti nei comportamenti delle ragazze.
I ragazzi agiscono d’istinto, le ragazze meditano tentando di salvarsi il cuore da un’eventuale delusione.
“Ehi, come mai così pensierosa?”
Mark mi alza il mento e io mi perdo nei suoi occhi come la prima volta che l’ho visto, il loro azzurro ha ancora questo potere su di me e temo che l’avrà sempre.
“Niente, Mark niente!”
Lo bacio e lui risponde, sento anche le sue mani muoversi sui miei fianchi, le mie invece gli accarezzano i pettorali.
Ci stacchiamo, ci sorridiamo e riprendiamo a baciarci con gli schiamazzi degli altri misti al rumore del mare in sottofondo e una grande luna che ci guarda benevola.
Non potrei desiderare di più dalla vita.
Questo momento profuma troppo di perfezione per desiderare di più.

 Angolo di Layla

Chiunque volesse sapere della family reunion lo lasci scritto nelle recensioni.^^

Carousel: sono contenta che ti piacciano Erin e Travis, lui è effettivamente tenero ed è quello di cui  ha bisogno dopo Tom. Grazie mille per la recensione e per i complimenti. Alla prossima.

LostinStereo3: sì, lo so che la situazione tra Erin e Tom è strana. Erin però teme che finisca come tra i suoi genitori e vuole evitare che succeda tra lei e Tom e in questa storia Tom è un po' "zerbino" nei confronti di Erin xD.
Arriverà anche la Tom/Anne prima o poi e sono contenta che tu piaccia Travis.
Grazie mille per la recensioni e per i complimenti.

 

 

 

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Capitolo 20
*** 20)Il nostro Natale separato. ***


20)Il nostro Natale separato.

La mattina dopo ci svegliamo raffreddati, nonostante al ritorno dal nostra bagno notturno ci siamo subito ficcati sotto la doccia.
Prepariamo i bagagli in una sinfonia di starnuti e colpi di tosse, visto che è Natale torniamo a Poway dai nostri.
“Quando torniamo qui?”
“Io rimango fino al 26 da mia madre, poi dal 26 al 29 sono a New York da mio padre. Penso di tornare qui il 29.”
“Perfetto, allora vengo io a prenderti all’aeroporto, comunicami l’orario.”
Mi risponde, poi lui chiude la valigia con un colpo secco e si siede sul letto, facendomi cenno di sedermi sulle sue gambe, io eseguo appoggiando la mia testa nell’incavo delle sue spalle.
“Mi mancherai Mark.”
“Anche a me, mi piace vivere con te.”
“Sarà per poco e poi torneremo qui.”
Lui annuisce e mi stringe a sé, nessuno dei due scoppia dalla voglia di tornare da Poway e dalle rispettive famiglie, ma dobbiamo farlo.
“Chi ti riporta a San Diego se io sono a New York?”
“Tom o Erin, vedrò.”
“Capisco.”
A malincuore ci alziamo e cominciamo a portare le rispettive valigie dabbasso per poi caricarle im macchina, sono quattro e sono subito caricate.
Abbiamo chiuso l’appartamento, salutato i signori Fitzpatrick, ora non ci rimane altro che partire, cosa che mi causa un attacco di malinconia acuta. In quel momento vengo investita da tutti i ricordi che mi legano a quell’appartamento: la prima volta che ci sono venuta, quando abbiamo fatto l’amore sul divano il primo giorno in cui mi ci sono trasferita, quando Mark ha quasi bruciato la cucina per tentare di cucinare il pranzo.
“Ruby?”
“Arrivo.”
Entro in macchina e partiamo: destinazione Poway.
Nell’abitacolo si sente solo la musica dei Cure, Mark non ha voglia di parlare e mi chiedo perché, di solito è un logorroico di prima categoria quando è nervoso o agitato.
“Cosa c’è, Mark?”
“Non voglio vedere mio padre, è stato assente per tutta la mia adolescenza e quando è riapparso per divorziare da mia madre e farci trasferire a Frisco.
Non ho voglia di rivedere lui, la sua compagna e il loro figlioletto a cui dedica tutte le sue attenzioni, cosa che non ha fatto con me e Anne.”
Io sto zitta, so cosa si prova a venire messi da parte completamente da un padre e so cosa vuole dire non avere alcun desiderio di vederlo con una famiglia che è la sua, ma non la tua.
“Cerca di sopportare, se proprio ti rompi vattene prima da New York.”
Lui non dice nulla e segue scrupolosamente i cartelli per immettersi in autostrada, non ne ha bisogno perché conosce il percorso a memoria.
Visto che nessuno dice nulla lascio che le mie palpebre calino, gli occhi mi si chiudano e che il sonno abbia la meglio su di me.
Vengo svegliata quando siamo ormai davanti a casa mia e quando vedo una certa macchina nel cortile, metto una mano su quella che Mark tiene sul cambio.
“Mark, vieni anche tu! C’è nonna!”
Lui sorride, gli piace mia nonna e insieme scendiamo dalla macchina  e percorriamo il vialetto che porta fino al portico e all’entrata, Mark mi porta galantemente le valige.
Busso e il volto di mia nonna è la prima cosa che vedo quando la porta si apre.
“Nonnaaaa!”
Urlo abbracciandola.
“Ciao, piccola.
Ciao Mark, come stai?”
Lui arriccia il naso.
“Diciamo bene, non muoio dalla voglia di rivedere mio padre.”
Lei annuisce e ci fa segno di seguirla in casa, ci offre una birra e chiacchieriamo un po’ con lei e mio nonno: c’è una bella atmosfera, che sa di casa e famiglia.
Solo che a un certo punto Mark si alza, appoggia la bottiglia vuota sul tavolo del salotto e mi guarda.
“Rimarrei volentieri, ma devo andare a casa mia.”
“Capisco, felix navidad, Mark.”
Mia nonna lo abbraccia, nonno gli stringe la mano e io lo bacio e lo abbraccio, per poi accompagnarlo alla porta e dargli un altro bacio.
Lo guardo salire in macchina e poi allontanarsi sorridendo.
“Lo ami proprio, vero?”
Mi dice mia nonna.
“Da morire.”
Rispondo io.
“Erin è arrivata?”
“Non ancora.”
“Bene, io ne approfitto per mettere via la mia roba.”
Salgo al piano di sopra, trascinandomi dietro la mia valigia e percorro il corridoio su cui si affaccia quella che una volta era la mia stanza. Con un po’ di batticuore abbasso la maniglia per entrare e vedo che mamma non l’ha cambiata di una virgola, sembra una vecchia amica pronta per accogliermi con i suoi ricordi condivisi.
Sorridendo inizio a mettere via i miei vestiti e a portare le cose in bagno, mi fa strano tornare qui, forse perché ormai mi sono abituata a vivere da sola e a dividere i miei spazi con Mark.
Ho finito quando sento la porta di casa aprirsi e mi affaccio dalla cima delle scale: Erin è arrivata e corro ad abbracciarla.
Dopo di me le danno il benvenuto mamma, nonna e nonno; come è successo con me e Mark le offrono della birra e poi parliamo un po’, poi anche lei sparisce per mettere a posto le sue cose.
È la vigilia e mia madre sta già cucinando per la cena, così mi affaccio alla porta della cucina e le chiedo se ha bisogno di una mano.
“No, vai pure. Io e nonna vogliamo offrirvi una cena della vigilia degna di questo nome.”
“Ok.”
Io salgo da mia sorella e la trovo seduta sul letto con la valigie mezze disfate e mezze no e seguendo la direzione del suo sguardo vedo il collage di fotografie che l’ha bloccata.
Siamo noi prima dell’università: Mark e Tom che fanno i cretini, Dave che aggiusta una moto, Matt che fa evoluzioni sullo skate, lei che bacia Tom, io in braccio a Mark, Kari che tira una sberla finto arrabbiata a Scott, Anne che fa boccacce insieme a Lars e un altro ragazzo della compagnia.
“Rivederlo è sempre un colpo al cuore, vero?”
Lei sobbalza e mi guarda.
“Sì, sempre. Mi chiedo se abbia fatto bene a lasciare Tom o se forse un altro giro di giostra potevamo concedercelo.”
Mi siedo accanto a lei.
“Litigavate tanto prima di lasciarvi?”
“Sì, lo vedevate anche voi che eravamo tesi e quando eravamo da soli bastava un parola pronunciata nel tono sbagliato per farci saltare i nervi.
Stavamo iniziando a sbranarci e ho avuto paura, paura che avremmo finito per odiarci e che nessuno ci sarebbe più stato nella vita dell’altro.”
“Allora hai fatto bene.”
Lei scoppia a piangere e mi abbraccia, io la abbraccio a mia volta e rimaniamo così per lunghi minuti.
“Scusa, è che a volte mi vengono dei tremendi attacchi di nostalgia. Penso che Tom rimarrà sempre nel mio cuore.”
“Questo è ovvio. È il primo ragazzo che hai amato.”
Lei mi sorride tra le lacrime e insieme continuiamo a rimettere a posto le sue cose, anche la sua camera non è cambiata: è ancora piena di poster e caotica come la ricordavo.
Ogni tanto in fondo è bello tornare a casa.

 

La sera arriva fin troppo presto e in clima molto disteso.
Mamma e nonna hanno cucinato tortellini in brodo – con tanto di copertura di pane sopra la pentola come vuole la tradizione bolognese – lasagne, arrosto e brasato.
Un pranzo da re i cui avanzi mangeremo anche nei giorni seguenti e che è buonissimo: hanno dato il meglio di loro stesse.
“Come va la vita a San Diego, Ruby?”
Mi chiede mi nonna tra un boccone e l’altro.
“Va bene. Mark è un amore, a volte litighiamo, ma le cose si risolvono. Quando voglio stare da sola basta piazzarlo davanti alla tv con un joystick in mano o con la saga di Star Wars nel video.
L’università credo sia andata bene, avrò i risultati degli esami che ho appena fatto, poco prima che inizino gli altri.
Lavoro come correttore di bozze, a volte è faticoso e sto in piedi fino a notte alta, ma il vantaggio è che non devo andare a lavoro e posso seguire i ragazzi in tour.”
Mia nonna sorride.
“Un giorno dovete venire da me e farmi sentire i blink.”
Io arrossisco.
“Beh, volentieri, ma i testi di alcune canzoni sono…”
“Stupidi, volgari e poco adatti a una signora come me?”
Mi precede lei.
“Sì.”
“Non fa niente, al massimo gli tirerò le orecchie.
Tu Erin?”
Lei alza le spalle.
“Io vivo con Anne, è una brava coinquilina. Mi lascia i miei spazi e io le lascio i suoi, quindi non litighiamo molto.
Per il mio corso da tatuatrice, entro l’anno farò lo stage conclusivo e poi potrò lavorare, spero di avere uno studio tutto mio.
Ho un nuovo ragazzo: si chiama Travis e fa lo spazzino a Fontana.
Ha i rasta ed è pieno di tatuaggi e piercing e ha l’hobby della batteria.”
Mia nonna la guarda acutamente per un po’.
“Tu ami ancora Tom.”
“Sì, ma io e lui non siamo fatti per stare insieme. Adesso brucia, ma poi passerà.”
Mia nonna annuisce, non so che opinione abbia mia nonna di questa storia, ma di sicuro deve concordare in qualche modo con Erin. Quasi quasi dopo glielo chiedo.
Con la scusa di aiutarla a lavare i piatti rimango da sola con lei in cucina.
“Nonna, che ne pensi di Erin?”
Le chiedo mentre asciugo un piatto.
“Sul fatto che abbia lasciato Tom?”
Io annuisco.
“Beh, quando litigava con Tom mi telefonava. Le telefonate erano frequenti e credo abbia preso la decisione giusta. Lui è un bravo ragazzo e lei gli è molto affezionata, anche come amica.
Quando tutto questo sarà sbollito e i sentimenti saranno solo di nostalgia senza amore torneranno a essere amici o fidanzati, ma io li vedo più come amici.
Sono preoccupata per lei, spero scelga una brava persona come compagno, Tom lo è.”
Io annuisco.
“Anche io spero la stessa cosa e sono preoccupata per entrambi, Tom frequenta una sgualdrina adesso ed è preoccupante.  È una di quelle sgualdrine che non ti scrolli più di dosso, come le zecche.”
Lei mi guarda.
“Può essere sgualdrina quanto vuole, ma il giorno in cui tirerà troppo la corda Tom la lascerà nel peggiore dei modi, gli uomini sono fatti così: perdonano fino a un certo punto, poi ti lasciano.”
Io spero che sia davvero così perché Jen tira fuori la parte peggiore di Tom con una facilità impressionante.
Chiacchieriamo ancora un po’ e mi dico che mi era mancato stare con la mia famiglia per un po’, devo scendere più spesso a trovare mia nonna.
Nei giorni successivi non succede molto.
Andiamo a messa, mangiamo gli avanzi della cena della vigilia, giochiamo a tombola e vedo Mark prima che vada dal padre.
Ha un’aria un po’ abbacchiata, penso che non perdonerà suo padre in tempi brevi e ne ha tutte le ragioni.
Siamo davanti alla sua macchina e lui mi abbraccia e mi tiene stretta a sé per un po’.
“Mi mancherai.”
“Anche tu, ma sarà per poco, poi tornerai da me.”
Lui mi bacia il collo.
“Hai ragione. Il mio volo atterrà alle cinque del pomeriggio, il 29.”
Io anniusco.
“Mi farò trovare lì, credo sarà Erin a darmi un passaggio, così porta a casa Anne.”
“Va bene. Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
Mi bacia e si scoglie dall’abbraccio per infilarsi poi in macchina.
Osservo quella macchina fino a che non scompare dalla mia vista e mi auguro che a New York passi giorni, se non buoni, almeno decenti e che non torni amareggiato.
Non mi piace vederlo triste esattamente come non mi piacciono gli uomini che si comportano come il mio e suo padre, è un odio viscerale: fanno solo soffrire le persone con le loro decisioni e indecisioni.
Rientro in casa e mi ritrovo faccia a faccia con mia nonna.
“Prima mi hai chiesto cosa ne pensassi di Erin e Tom, ora lascia che ti dica cosa ne penso di te e Mark: spero di vedervi sposati.
Spero che in casa vostra ci sia una di quelle cornici con la vostra foto il giorno del matrimonio e con gli scheletrini vestiti a nozze.”
Io mi asciugo una lacrima.
“Anche io spero che sia così.”
L’immagine di me in abito bianco e di Mark che mi aspetta all’altare mi causa una fitta, ma non di dolore, di pura e meravigliosa felicità.
 

Il 29 dicembre arriva presto e come io e mia sorella siamo arrivate, così ce ne andiamo.
Finisco di caricare le mie coese nella macchina di Erin e poi vado ad abbracciare e salutare mamma, nonna e nonno.
“Fai molta attenzione. Vedi di non perdere il lavoro e di non farti mettere incinta.
Spero che i voti dei tuoi esami siano buoni.
Tu, Erin vedi di non esagerare con il tuo ragazzo.”
Mamma.
“Salutami Mark, buona fortuna con gli esami e con tutto!”
Nonna.
“Vi voglio bene, fate del vostro meglio.”
Nonno.
Sorridendo io ed Erin saliamo in macchina, pronte per tornare a San Diego, io anche molto impaziente di rivedere il mio Mark.
“Senti.”
La voce di mia sorella interrompe il flusso dei miei pensieri, focalizzati su come sarà rivederlo e come lo accoglierò.
“Sì?”
“Prima passiamo da casa tua e poi da casa mia per scaricare le valige o quelle di Mark e Anne non ci entreranno mai.”
Io annuisco e comincio a tamburellare il ritmo della canzone che stanno passando alla radio: “Friday i’m in love” dei Cure.
All’uscita per San Diego ci troviamo imbottigliate in una colonna bestiale, come se tutti avessero deciso di tornare in città proprio in quel momento.
“Dici che ce la faremo ad arrivare in aeroporto in tempo?”
Chiedo a mia sorella che guarda accigliata la lunga fila di macchine davanti a noi.
“Spero di sì, non mi aspettavo così tanto traffico.”
Lentamente e tra mille imprecazioni riusciamo ad arrivare a casa mia e io scendo velocemente con lei per portare le mie due valigie di sopra.
Non mi perdo in tante azioni, le butto semplicemente, senza nessuna grazia, all’ingresso e lo stesso fa Erin.
Poi scendiamo di nuovo in macchina e raggiungiamo casa sua e buttiamo anche lì le valigie nell’ingresso, quando rientriamo in macchina l’orologio segna le cinque.
Alle cinque e mezza varchiamo i cancelli dell’aeroporto, mia sorella mi scarica davanti alle porte scorrevoli dell’edificio e parte per cercare un posto nel parcheggio.
Io entro e mi dirigo verso il gate degli arrivi, ansiosa e dispiaciuta per averli fatti aspettare mezz’ora.
Il malumore mi passa non appena vedo cosa stiano facendo i due fratelli Hoppus: Mark sta cercando di convincere Anne a spingerlo sul carrello.
Non appena mi vede si alza di scatto e corre  verso di me – come nei film – e mi solleva da terra facendomi girare.
Io prendo il suo volto tra le mie mani e lo bacio con passione, dimenticandomi che siamo in un aeroporto affollato e che la gente commenta.
Quando mi rimette a terra mi abbraccia forta.
“Bentornato!”
Sussurro contro il suo petto.
“Mi sei mancata, stare da mio padre è stato un incubo.”
“Come mai?”
“La sua nuova compagna ispira istinti omicidi.”
Finalmente mi lascia andare e mano nella mano raggiungiamo Anne che ci osserva sorridendo, vicino al carrello con le loro valigie.
“Ciao Anne, scusa per il ritardo, ma c’era un traffico pazzesco.”
“Non ti preoccupare! Ora che Mark si è sfogato sono contenta.”
Lui alza un sopracciglio.
“Sfogato con un bacino? Non appena arriviamo a casa io e Ruby facciamo saltare le molle al letto!”
Io rido, ma non lo smentisco,  a quel letto le molle salteranno di sicuro!
“Dio santo, fate quasi invidia! Siete un misto tra i fidanzatini ideali e due magneti che non possono stare lontano perché devono scopare!”
Io e Mark ridiamo e una terza voce si unisce a noi: mia sorella è arrivata.
“Te ne sei accorta, Anne?
Quei due non riescono a stare lontani!”
“Eccome se me ne sono accorta, a New York non faceva altro che parlarmi di Ruby e tentava di descrivermi anche le loro scopate, non sai quante volte l’ho dovuto fermare!”
Io mollo una sberla sulla nuca al mio ragazzo.
“Ehi, i dettagli intimi della nostra relazione non li racconti a nessuno!”
Lui fa una faccia da cucciolo.
“Nemmeno a Tom?”
“Nemmeno a lui. Me lo immagino che si masturba su noi che facciamo sesso ed è un’immagine alquanto disgustosa.”
Le facce di Anne ed Erin mi danno ragione, Mark mi sembra leggermente deluso, così io mi avvicino al suo orecchio.
“Pensa alle molle che salteranno tra un po’!”
Un sorrisone compare subito sul suo volto.
“I tuoi argomenti sono sempre convincenti, Ruby!”
Io rido e lo prendo per mano, insieme ad Anne, Erin e il carrello dei bagagli usciamo dall’aeroporto: mia sorella è riuscita a trovare un posto abbastanza vicino all’entrata.
Chiacchierando carichiamo le cose in macchina, poi rimane solo il carrello vuoto e il mio ragazzo mi guarda con aria implorante.
“Mi spingi?”
Io sospiro.
“Va bene, forza salta su!”
Lui esegue e io comincio a spingerlo e poi salto sui sostegni, è un miracolo che una macchina non ci investa e che noi non investiamo qualcuno lungo la nostra corsa.
“San Diegoooo! Sono tornatoooo!”
Urla Mark, esaltato al massimo.
La gente intorno a noi mormora, ma a noi non importa, siamo felici così.
Depositiamo il carrello e usciamo mano nella mano dall’aeroporto, sorridendo come due scemi.
Ora sì che sto bene, ora sì che sta bene, ora sì che stiamo bene!
Entriamo in macchina e partiamo verso le rispettive case, io e Mark siamo abbracciati nei sedili posteriori.
L’effetto magnete è tornato potentemente attivo e non vedevo l’ora!
Viva l’elemento magnete! Viva Mark!

Angolo di  Layla

Per prima cosa ringrazio LostinStereo3  e Carousel per aver letto "Due su due" e aver continuato a leggere anche questa storia, le ringrazio anche per per le recensioni lasciate allo scorso capitolo.

LostinStereo: eh, Andrew voleva Ruby, ma  non aveva calcolato il legame fortissimo che unisce Ruby e Mark xD.
Penso che ora se lo ricorderà, ahahahah!
Sono contenta che ti sia piaciuta la cena di Natale e Tom è decisamente un coglione, speriamo apra gli occhi prima o poi.
Grazie mille per la recensione e per i complimenti

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Capitolo 21
*** 21) Darth Vader e la fatina. ***


21) Darth Vader e la fatina.

 

Arriviamo a casa che ormai è sera inoltrata, salutiamo gli altri e trasciniamo le valigie di Mark a far compagnia alle mie.
Non c’è nessuna fretta di rimetterle a posto, la pensa così anche lui visto che mi prende in braccio e poi mi stende sul letto della nostra camera.
Lo guardo incantata togliersi felpa e maglia e poi lo sento su di me, mi bacia e infila le mani sotto la mia felpa per togliermela insieme alla maglia.
Poi si alza un attimo e mi guarda già con gli occhi leggermente velati di desiderio.
“Oh, il mio reggiseno preferito! Ciao amico!”
Mi bacia da sopra la stoffa, il maledetto torturatore!
Mi stringo ancora di più al suo bacino e lui inizia a muoverlo come se mi stesse penetrando, io inizio a gemere.
“Mark.”
“No, no, con calma!”

Adesso mi accarezza la pancia e si avvicina sempre di più all’orlo dei pantaloni, senza togliermeli.
"Mark!”
Faccio implorante io, lui mi accontenta togliendomi il reggiseno.
Sto per implorarlo di nuovo, ma lui comincia finalmente a toccare, baciare, leccare e mordicchiare i miei seni.
In questo momento mi sento come cera nelle sue mani e mi va bene.
Poi scende e mi toglie i pantaloni, io tolgo i suoi e comincio a massaggiare il suo amichetto da sopra i boxer: è eccitato, eccome se è eccitato, ma mi toglie le mani e si dedica a me.
Via le mie mutande e si posiziona tra le mie gambe: piano piano, giocando sapientemente come solo lui sa fare mi porta al primo orgasmo.
“Buono, sai di buono!”
Riprende a baciarmi e io gli tolgo i boxer, prendo la pillola quindi facciamo senza preservativo.
Lui entra in me con violenza, mi fa male, ma è un male piacevole. Poche spinte e raggiungiamo l’orgasmo, ma per lui non è abbastanza.
Dopo un po’ mi porta gentilmente la mano sul suo pene e mi capire cosa vuole.
Lo accontento fino a quando lui non mi toglie la mano: ha gli occhi lucidi di piacere e di desiderio, ma soprattutto d’amore.
Per la seconda volta entra in me, ma questa volta sono spinte lente e lunghe, con tanto di piccoli bacini dati un po’ ovunque e carezze dolci.
“Ti amo, ti amo.”
Mi sussurra all’orecchio.
Io gli graffio la schiena.
“Anche io, anche io.”
Quando raggiungiamo l’orgasmo di nuovo io urlo il suo nome e lui il mio.
Cade sudato e ansante su di me e io lo coccolo con una dolcezza che conosce solo lui.
“Bentornato a casa.”
“Tu sei la mia casa!”
Mi sussurra prima di addormentarsi di schianto.
Le mie guance sono solcate da lacrime silenziose, è bello essere la casa di qualcuno che ami, è la miglior dichiarazione che si possa ricevere.
Continua ad accarezzarlo anche dopo che si è addormentato fino a che non mi addormento anche io sorridendo.
Ho il cuore che mi scoppia dalla felicità.
Probabilmente dormiremmo fino a notte fonda, ma un peso che si abbatte su di noi con la gentilezza di un panzer tedesco ci sveglia.
Un sorridente Tom con un cappellino arancione ci guarda come se fosse la cosa più normale del mondo lanciarsi su due persone innocenti che dormono.
La mia mano scatta da sola verso la lampada accanto al letto e il mio lancio manca di pochi centimetri la sua testa.
“Esci di qui,se non vuoi ritrovarti con la testa rotta in duecento pezzi!”
Ringhio, lui scappa e Mark mi guarda incredulo.
“Lo sai che sei pericolosa?”
“Lo so, lo so.
Una serial in incognito, vestiti che vediamo cosa vuole il rompi cazzo!”
Ci vestiamo e andiamo in sala, Tom è comodamente sdraiato sul divano, io punto direttamente alla cucina, lasciando che sia il mio ragazzo a vedersela con lui: io ho bisogno di un caffè per poter ragionare lucidamente.
Li sento parlottare di là, mentre la moka fischia ad indicare che il caffè è pronto, io me ne bevo due tazze e torno in salotto.
Tom mi guarda spaventato.
“Vuoi ancora uccidermi?”
Io per tutta risposta gli tolgo il capellino e gli schiocco un bacio in fronte prima di sedermi accanto a lui.
“Che ci fai qui, piaga?”
Lui ride e si rimette il cappello.
“Uno: vi ho portato la cena, dal cinese all’angolo.”
“Solo per questo non meriti più la lampada in testa.”
“Ah, non perché è eticamente scorretto o perché rischiavi di uccidermi. Mark ti sei messo con una criminale!”
Mark ride e Tom prosegue con il suo discorso.
“Due: un argomento di cui discutere.”
“Grazie per la cena, forse alla luce di questo quella lampada non te la meritavi.
Quale argomento porti?”
“Prima mangiate.”
Lui tira fuori un po’ di cose prese a caso dal cinese  e le dispone sul tavolo, io e Mark lo seguiamo: siamo abbastanza affamati.
“Mark prima ha detto che è riuscito a sparare due colpi dalla sua pistola, confermi?”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Sì, e adesso mangiamo!”
Lui picchia sulla spalla di Mark – rischiando di soffocarlo – e si profonde in copiosi complimenti.
Mah.
Finito di mangiare si siede sulla sedia davanti a noi.
“Allora, cosa ti turba, DeLonge?”
“Capodanno. Che facciamo  a capodanno?”
“Un festa?”
“Qui?”
Chiede speranzoso il biondino.
“No, o ci cacciano e non voglio iniziare il nuovo anno da barbona!”
Lui sbuffa.
“Va bene, la facciamo da me, non c’è problema.
Vi va di sentire la mia idea?”
Io e Mark ci guardiamo.
“Sei venuto qui, hai rischiato di prenderti una lampada in testa e domandi pure se vogliamo sentire la tua idea?
Vuoi in vaso in testa questa volta?”
Risponde Mark.
“Uh! Che brutta influenza eserciti su di lui!
Comunque, pensavo di fare una festa mascherata.”
“Quelle si fanno per Halloween o Carnevale!”
Lui alza gli occhi al cielo.
“è qui la sta la cosa figa, romperemo la tradizione!”
Lo vedo preso bene, così rinuncio a qualsiasi obbiezione, che festa mascherata sia!

 

Nei giorni seguenti contattiamo un po’ di gente che conosciamo e il 31 mattina io, mia sorella, Anne, Hayley e Skye addobbiamo la casa.
Dato che non abbiamo idea di cosa uscirà di preciso attacchiamo una strana successione di festoni con dei teschi, delle maschere e degli alieni e mettiamo candele un po’ ovunque.
La casa l’abbiamo già ripulita la sera prima e quindi è abitabile.
Cuciniamo qualcosa e poi mettiamo e mettiamo tutto in frigo, Skye ha l’incarico di non far toccare ai ragazzi il cibo.
Poi finalmente arrivo a casa e grazie alle premure della signora Fitzpatrick il pranzo lo trovo già pronto con tanto di Mark già a tavola.
“Come procede?”
“Mh, così. Non è molto chiaro cosa Tom voglia fare.
Tu da cosa ti travesti?”
Sul suo volto si apre un sorrisone.
“Dopo mangiato lo vedrai!”
“Ok.”
Sorridendo inizio a mangiare le polpette di Meg, sono davvero buone, quella donna ha le mani d’oro. Un giorno spero di diventare anche io così brava a cucinare, anche se probabilmente se succedesse il mio ragazzone diventerebbe obeso.
Mangiamo chiacchierando e a fine pasto non mi lascia nemmeno andare a lavare i piatti, mi carica sulle spalle e mi porta in camera.
Vabeh, ogni tanto mi tratta da sacco di patate, ma non mi posso lamentare.
Mi deposita accanto a letto e mi mostra orgoglioso come un bambino  il suo costume: un mantello nero con tanto ci cappuccio, una maschera di Darth Vader e una spada laser.
“Amore, sono bellissimi!
Sarai un bellissimo oscuro signore!”
Lui si mette la maschera e la sua voce esce alterata come nel film.
“Vuole concedermi l’onore di andare al ballo con me, signorina?”
“Sì, mio signore!”
“Tu da cosa ti travesti?”
“Vieni!”
Con un gesto lo invito a raggiungermi davanti all’armadio, da dove tiro fuori un completo da fatina: un corpetto nero con dei laccetti arancioni, la gonna fatta di seta e pizzo arancioni e gialli in modo che ricordino dei petali, dei guanti neri di seta e delle ali arancioni.
“Bellissimo!
Darth Vader e la fatina!”
Io sorrido e finalmente lavo i piatti, mentre lui si butta sul divano a guardare la tv, ci sono i Simpson.
Io lo raggiungo venti minuti dopo e mi sdraio accanto a lui che mi abbraccia e seppellisce la sua testa nell’incavo del mio collo.
Inizia ad annusarlo e mi sento leggermente imbarazzata: che gli prende?
“Che fai?”
“Niente, sai di buono!”
Io rido e continuo a guardare la tv con lui, passiamo il pomeriggio a commentare acidamente tutti i programmi più stupidi che la tv via cavo ci offre.
È un pomeriggio pieno di risate e sigarette.
Un pomeriggio perfetto,
una gemma da conservare preziosamente, come quella notte di ferragosto di due anni fa.
È quasi con dispiacere che alle sette lo faccio alzare dal divano per iniziare a prepararci, inutile dirlo la doccia la facciamo insieme.
Per risparmiare tempo, dice lui, perché ha voglia di sesso, penso io.
Usciamo dal bagno sorridendo come due scemi e iniziamo a vestirci, lui indossa una maglia nera e dei pantaloni e poi mi chiama.
“Signorina, vorrebbe allacciarmi il mantello?”
“Sì, mio signore!”
Rido io,aiutandolo a metterselo e allacciandoglielo e aiutandolo poi con la maschera.
Finito, lui si siede soddisfatto sul letto e guarda me – in intimo – vestirsi, io mi metto il mio costume e poi cerco di allacciare perfettamente i laccetti del corsetto, ma non ci riesco.
Lo sento alzarsi e con una mossa gentile mi volta verso di lui e me li allaccia lui.
“Grazie!”
“Di nulla, mi sembravi in difficoltà!
Non vedo l’ora di litigare con questi laccetti stanotte!”
Io gli do una pacca sulla schiena.
“Ma possibile che sempre lì vai a parare!”
Lui ride.
“Ehi, chi fa sesso il primo dell’anno fa sesso tutto l’anno.”
Io gli punto un indice contro il naso, finto minacciosa.
“Sì, ma solo con me, mister Hoppus!”
“Solo con lei senorita Ferreira!”
Mi bacia e se non lo fermassi arriveremmo anche in ritardo alla festa.
Mi metto delle calze e degli anfibi e presi borsa e giubbotto usciamo.
“Sei la fata più bella che io abbia mai visto!”
“E tu con quella voce mi fai leggermente impressione!”
Saliamo in macchina ridendo e arriviamo da Tom quando metà della gente è arrivata: David indossa un abito elegante e un mantello da vampiro.
“Scusa, non sapevo cosa mettere. Non ho capito un cazzo di quello che voleva fare Tom!”
Matt ha deciso di non vestirsi e Skye è vestita da punk come lui, Hayley invece indossa una maglia grigia che le arriva alle ginocchia, tutta stracciata, delle calze e degli anfibi.
Una zombie.
Anne invece indossa un vestito bianco in stile settecento, Trav invece si è vestito da giamaicano.
Noi e altra gente ci mettiamo a tavola e iniziamo a mangiare quello che io e le ragazze abbiamo preparato. Viene tutto molto apprezzato, dato che sparisce velocemente negli stomaci voraci dei ragazzi e delle ragazze presenti.
Ora che lo noto ci sono anche Scott, Kari, Lars e Avril e i Green Day, gli altri non li conosco: sono amici dei ragazzi e colleghi di Mark e qualcuno si è portato la ragazza.
Alle dieci abbiamo finito di mangiare.
“Non pensate di andare sul divano!
Stasera suoneranno insieme i Green Day e i Blink!”
“Tom non ho il basso, cretino!”
“Sono andato a prendertelo prima, mentre ti facevi la tua ragazza sotto la doccia!”
Io arrossisco.
“Tom, porca paletta! Da stalker sei passato a ladro?
Appena riaprono i negozi cambio la serratura!”
“Io mi farò comunque una coppia delle chiavi, Mark è tanto distratto!”
Alza le spalle lui, io alzo gli occhi, anche se è mio amico lo strozzerei ora.
“Tom!  Faresti perdere la pazienza a  Giobbe!”
La risata di Billie Joe interrompe il nostro battibecco.
“Ragazzi, siete spassosi! Io però non ho capito una cosa, dobbiamo suonare?”
“Sì.”
“Perfetto!”
Loro iniziano a montare gli strumenti e io prendo Tom per un braccio.
“è previsto l’arrivo di Jen?”
“No, è ad Aspen con i suoi amici.”
“Perfetto.”
Lo lascio andare e lui corre ad aiutare i Green Day a montare i loro strumenti, se non c’è Jen non finirà in un disastro totale.
Dopo venti minuti la melodia di una chitarra elettrica indica che è tutto pronto e che non rimane altro che ballare e pogare.
La band decide di farci pogare fin da subito, immediatamente il gruppetto riunito in questa casa si mette a saltare come un unico corpo.
Ricevo spallate e le restituisco, evito le gomitate e vengo caricata sulle spalle da Mark che tenta di farmi fare surf crowding, attero senza danni sul divano, ma questa me la paga.
In ogni caso non ci sto molto sul divano, mi ributto subito nella folla e proprio quando i Green Day decidono di suonare un lento, un Darth Vader mi si avvicina e comincia a ballare con me, puzza di alcool.
Mark deve avere esagerato senza che io vedessi, ma chi se ne frega è capodanno!
Mi bacia e io ricambio, quando la canzone finisce lui sparisce.
Poco dopo la band smette di suonare e mangiamo ancora qualcosa per riprenderci, Billie Joe e gli altri smontano i loro strumenti e l’improvvisato palco rimane libero.
“Signore e signori!
Tra poco su questo palco si esibiranno per voi  i meravigliosi blink!”
Urla Tom al microfono, provocando un ruggito della folla.
Altri strumenti vengono montati e questa volta è la melodia trascinante di un basso a scaldare la folla: Carousel.
All’entrata di chitarra e batteria iniziano tutti a saltare, l’ho sempre detto che quella canzone avrà un futuro!
Ben presto il pogo inizia di nuovo, io mi siedo un attimo per riposare e vengo raggiunta da Hayley.
“Sono forti i blink!
Fai i complimenti a Mark da parte mia!”
“Puoi farglieli anche tu, non mi offendo.”
Lei sorride.
“Qui qualcuno ha trovato qualcuno carino! Mi devo preoccupare?”
Lei ride buttando indietro i capelli.
“No, no! Ho parlato prima con Scott, sembra un tizio ok!”
“Ha quindici anni.”
Lei annuisce.
“Lo so, ma tre anni di differenza non sono poi così tanti.”
Io annuisco.
“Già, vedi tu cosa fare. Io non sono in grado di dare consigli: ho trovato Mark per caso.
O meglio lui mi ha trovato e mi ha pazientemente stanata dal mio angolo.”
Lei annuisce  e ci ributtiamo nel pogo, a mezzanotte il concerto dei blink finisce e noi usciamo per vedere i fuochi d’artificio e per scoppiare qualche petardo.
Con la coda dell’occhio vedo Lars e Avril baciarsi e Scott e Hayley fare lo stesso.
Io sento due braccia conosciute che si avvolgono attorno alla mia vita e una voce metallica che mi sussurra: “buon anno!” in un orecchio.
“Buon anno anche a te, Mark.”
Mi volto, gli tolgo la maschera da Darth Vader e lo bacio, non faccio a tempo a staccarmi che Tom rifila in mano a me e a lui un bicchiere di plastica pieno di champagne.
Noi lo alziamo a mo’di brindisi urlando “Buon anno nuovo!”, da lì in poi è un susseguirsi di baci, abbracci e auguri.
Finito anche quel rituale rimaniamo semplicemente fuori a ballare tra il rumore dei fuochi di artificio e incuranti del freddo. È l’alcool che scalda la maggior parte delle persone,
Verso le due io Mark andiamo a casa, ignorando le condizioni in cui versa la casa di Tom: un devasto.
Non appena mettiamo piede nel nostro appartamento inizia a baciarmi come se non ci fosse un domani.
“Ehim vuoi proprio finire quello che hai iniziato durante la canzone dei Green Day?”
Lui mi guarda stralunato.
“Io non ti ho baciato durante il concerto dei Green Day.”
Queste  parole sono come una secchiata di acqua gelida per me, mi stacco pallida come una morta.
“Ma se io non ho baciato te, chi ho baciato?
C’era un altro Darth Vader alla festa?”
Non aspetto una sua risposta perché mi metto le mani tra i capelli e mi metto in una posa leggermente curva.
“Oddio, ho baciato un altro! Sono una persona orribile!”
“Ma…”
Non sento cosa mi dice perché mi chiudo in bagno a piangere, disperata.
Come ho potuto fare una cosa del genere a Mark?
Adesso penserà che io sia una cattiva ragazza! M i faccio schifo e le lacrime scendono sempre più copiose.
Rimarrei così tutta la notte se dei colpi non si abbattessero sulla porta dipinta di azzurro chiaro del nostro bagno: Mark sta bussando.
“Ruby, apri questa porta!”
Io non rispondo e continuo a piangere, non me la sento ancora di essere lasciata.
“Ruby apri, dobbiamo parlare!”
“Io non apro.”
“Ruby apri o butto giù la porta!”
A quella minaccia – a malincuore – apro la porta e mi ritrovo davanti un Mark leggermente alterato.
“Si può sapere cosa ti è preso?”
“Ho baciato un altro! Ti ho tradito!”
Lui sgrana gli occhi.
“Tu credevi di baciare me?”
“Sì.”
“Allora non mi hai tradito! Non volevi baciare quel cazzone, solo me!”
Io scoppio a piangere di nuovo e lui mi abbraccia.
“Non mi hai tradito, hai capito?”
“Ti amo, Mark!”
“Ti amo anche io.”
Mi prende in braccio e poi mi porta in camera.
“Che vuoi fare?”
“Iniziare il primo anno in modo decente!”
Fa con un ghigno malizioso.
Io ghigno a mia volta, sono fortunata ad averlo come ragazzo e che mi abbia perdonata.
Adesso però le mie trasmissione sono giunte a una fine, la dj ha altro da fare.

Angolo di Layla.

Ringrazio Carousel e LostinStereo3 per le recenioni. Grazie mille :3 

 

 

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Capitolo 22
*** 22) La mia felicità in pezzi. ***


22) La mia felicità in pezzi.

 

Il primo giorno dell’anno nuovo iniziò bene per Skye.
Iniziò tra le braccia di Matt che la tenevano stretta a lui, dandole un calore che tutte le coperte del mondo non avrebbero saputo darle.
Gli accarezzò leggermente le braccia e lo sentì rabbrividire leggermente, pochi secondi dopo senti un bacio delicato sul suo collo e un altro sulla tempia.
“Ben svegliata, principessa. Buon anno nuovo.”
“Ben svegliato anche a te, mio principe punk e buon anno nuovo anche a te.”
Lo sentì ridere sul suo collo e staccarsi per stiracchiarsi, non appena lui ricadde sul letto lei si intrufolò tra le sue braccia.
“Ti dei divertita ieri sera?”
“Sì, i concerti sono stati belli e la compagnia meravigliosa, decisamente meglio di tutte le feste ad Aspen a cui ho partecipato.”
“Non ti manca neanche un po’ quel mondo?”
“No, perché qui mi sento a casa, non devo fingere, non devo essere mondana, sono solo me stessa e a voi piace così.”
Lui le baciò la spalla.
“Sono contento.”
Il tono aveva qualcosa di strano, un’impercettibile nota di paura.
“Non me ne vado, tranquillo.
Ti va se scendiamo dabbasso a fare colazione.”
“Ok, ammesso e non concesso che ci sia ancora qualcosa di commestibile nel frigo.”
Scesero dal letto e recuperarono i loro vestiti, il corridoio su cui era affacciata la loro camera era deserto, scendendo le scale invece dovettero scavalcare il corpo di un ragazzo che si era addormentato con una bottiglia in mano.
“Che disastro!”
Commentò lei.
“Mi sa che il peggio deve ancora venire?”
Arrivati in salotto lo trovarono ingombro della più varia spazzatura e di un altro paio di corpi, sul divano invece c’era un Tom mezzo nudo abbracciato a una ragazza messicana che somigliava molto a Erin, il che la diceva lunga su quanto l’avesse dimenticata.
Jen avrebbe trovato pane per i suoi denti nell’entrare nel cuore di quel ragazzo, ammesso che avesse voluto farlo, a Jen i cuori delle persone non interessavano molto.
In cucina – come pronosticato da Matt – il frigorifero era desolatamente vuoto.
“Beh, principessa, se troviamo un bar aperto sarà meglio fare colazione lì, qui non c’è più niente.”
“Peggio delle cavallette!”
Commentò divertita lei.
Uscirono dalla cucina, lei agguantò la giacca di pelle e la borsa e uscì con lui.
Nel loro giro in macchina alla ricerca di un caffè aperto trovarono una città deserta, c’era solo qualche rincoglionito superstite della sera prima che vagava con un’aria un po’ spaesata,
Alla fine trovarono un bar aperto poco lontano dal centro gestito da una cinesina, che servi loro cappuccino e  brioche, anche lei sembrava piuttosto in coma, come se anche lei non si fosse ripresa dalla sera prima.
Consumata la loro colazione, pagarono e uscirono.
“Non ho voglia di tornare a casa, svegliare Tom, cacciare i cadaveri e ripulire il casino che hanno fatto. Ci facciamo una passeggiata alla marina?”
Matt annuì sbadigliando.
“Massì stiamo in giro ancora un po’, così magari qualcuno se ne va e Tom inizia a pulire.”
“E magari troveremo un unicorno in giardino.”
Il ragazzo rise e salirono in macchina, la marina non era lontana e trovare parcheggio per una volta non fu difficile, erano tutti a casa.
Scesero dalla macchina e salirono sulla lunga passeggiata che dava sull’oceano, di solito era animata e c’erano parecchi negozietti aperti, oggi era tutti chiuso.
C’erano solo loro due mano nella mano che si godevano la brezza e le urla stridule dei gabbiani a fare loro compagnia.
“Quando ero piccola mio padre mi portava alla marina la domenica mattina presto, c’era la stessa pace che c’è adesso.  Adoravo quei momenti.”
Lui non disse nulla, però tutto in un momento sembrava essersi fatto triste.
“Ho detto qualcosa di sbagliato, Matt?”
Lui scosse la testa.
“No, non è colpa tua se tu hai avuto una famiglia splendida.”
“Matt…”
“Mio padre la domenica mattina mi faceva alzare a colpi di cinghiate per farmi andare a messa.”
La ragazza si fermò come fulminata, all’improvviso ricordo le cicatrici che il ragazzo aveva sparse per tutta la schiena e che lei accarezzava dopo aver fatto l’amore.
Matt non le aveva mai detto cosa le avesse provocate e lei non glielo aveva mia chiesto perché aveva intuito che per lui fosse un argomento tabù.
Skye si fermò e lo abbracciò più forte che poté, non sapeva cosa dirgli e pensava che le parole fossero inutili in quel caso. Matt si abbandonò senza difese a quell’abbraccio, seppellì la testa tra i suoi capelli e la strinse più forte.
Forse aveva davvero paura che lei se ne andasse, ma Skye non aveva nessuna intenzione di farlo prima e non ne aveva nemmeno ora.
Rimasero un po’ così, cullati dai gabbiani e dal vento, poi ripresero a camminare mano nella mano lungo la passeggiata deserta.
Stavano per tornare alla macchina quando Skye vide un negozietto aperto e trascinò Matt dentro.
“Che ci vuoi prendere?”
“Aspetta!”
Skye non sapeva di preciso cosa stesse cercando, ma quando si avvicinò alla sezione anelli le fu chiaro.
Prese due anelli cambia colore, uno più piccolo per sé e uno più grande per Matt, si avviò alla cassa e li pagò.
Matt nel frattempo era uscito a fumarsi una sigaretta ed era appoggiato alla barriera con aria pensierosa.
“Matt!”
Lo chiamò lei, lui la raggiunse senza mollare la sigaretta.
“Ho una cosa per te.”
Lui inarcò un sopracciglio.
“Tipo?”
Lei tirò fuori dalla tasca l’anello, semplice e senza decorazioni, e lo infilò al dito del suo ragazzo.
“Con questo ti dichiaro ufficialmente mio. Ho capito che hai avuto una famiglia difficile alle spalle e che hai avuto più botte che amore, ma io, se vuoi, vorrei essere il tuo futuro e mi impegno seriamente a non farti male.”
Lui la guardava a occhi sgranati  mentre lei si infilava a sua volta un anello uguale a quello del ragazzo.
“E con questo la promessa è sigillata!”
Lui si avvicinò e l’abbracciò con forza.
“Ti amo, Skye, ti amo!
Grazie per aver capito!”
“Di niente.”
Fece lei contro il suo petto.
“Tu mi hai salvato è il minimo che possa fare per ricambiare e poi ti amo e semplicemente voglio vederti felice.”
Sì, il primo giorno dell’anno era iniziato bene.
 

Il primo giorno lavorativo dell’anno invece non iniziò bene.
Dopo essere stata cacciata di casa aveva iniziato a lavorare in un negozio di abbigliamento come commessa e si era sempre trovata bene, tranne quel giorno.
Quel giorno arrivò in negozio una persona indesiderata e in cerca di rogne:Jen.
“Ehi Skye, vedo che ti sei abituata alla vita da perdente. Com’è lavorare in un negozio in cui prima ti limitavi a comprare?”
Le decise di ignorare completamente la deliberata provocazione della mora.
“Cosa desidera, signorina?
Posso aiutarla?”
Jen si mise un dito sotto il mento.
“Non so perdente, cosa mi consigli?”
“Le posso mostrare gli ultimi arrivi invernali o preferisce qualcosa di più primaverile?”
Skye avrebbe voluto strozzarla e non mostrarle nulla, ma era al lavoro e doveva essere professionale.
Così, seppur di malavoglia, le mostrò alcuni abitini appartenenti alla collezione della prossima primavera.
Jen le scorse con uno sguardo schifato.
“Tutto qui, perdente?
Prese in  mano un abitino carinissimo di una leggera stoffa azzurra.
“Tutta questa merda è quello che hai da offrirmi?
Per chi mi hai presa?
Per una sfigata come te?”
Skye le portò altri abitini, imprecando sottovoce, ma Jen non li gradì.
“Questa roba fa schifo!”
Urlò strappando un abito fiorato e sputando sui pezzi che gettava per terra, Skye non aveva idea di cosa fare.
“Signorina!”
Urlò una voce fredda appartenente alla proprietaria del negozio, Jen la guardò beffarda.
“Sì, signora?”
“Mi piacerebbe sapere perché ha fatto a pezzi uno dei nostri abiti.”
“Perché fa schifo e perché il personale fa schifo, non dovreste assumere perdenti come lei.”
Indicò Skye, ma la donna non seguì il suo dito, la fissò invece negli occhi.
“Nessuno dei miei clienti si è mai lamentato della signorina Everly, solo lei.
La signorina Everly è una commessa esemplare e lei un incivile, ragion per cui la invito a non presentarsi più in questo negozio o la prossima volta sarà chiamata la sicurezza.
Episodi incresciosi come questi sono vietati in questa boutique d’alto livello, le scene le lasci per il mercato, lei mi sembra abituata a frequentarlo.
Il vestito costa 500 dollari.”
Fumante di rabbia Jen pagò alla cassa i soldi per il vestito e se ne andò sbattendo la porta.
Skye guardò grata la proprietaria del negozio.
“La ringrazio per avermi difeso, signora.”
Lei sorrise.
“Una ragazza come quella non è certo una cliente che vogliamo venga in questo negozio e tu ti sei comportata in modo esemplare, non cedendo a nessuna delle sue provocazioni.”
“E ho il sospetto che pagherò caro tutto questo.”
La donna la guardò sorpresa.
“Conosco quella ragazza, si chiama Jennifer.
Mi odia perché mi sono messa con un ragazzo che non le piace e da allora cerca di umiliarmi a ogni costo, solo che trova sempre gente disposta a difendermi e questo fatto la fa arrabbiare.
Ho il sospetto che presto assaggerò la sua vendetta.”
La donna le batte una mano sulla spalla, comprensiva.
“Hai fatto bene a staccarti da lei, andrà tutto bene.”
Skye però non ne era sicura e trascorse tutta la giornata sulle spine, ma non accadde nulla di particolarmente preoccupante.
Quando uscì dal lavoro – stanca e con un gran mal di testa – trovò appoggiata alla sua macchina l’ultima persona che desiderasse vedere: Jen.
“Cosa accidenti vuoi ancora da me, Jenkins?
Vuoi diventare la mia stalker?”
Lei le puntò un dito contro.
“No, voglio la mia vendetta, tesoro.
Sappi che pagherai tutte le insolenze, compresa quella di oggi. Distruggerò la tua aureola e ti farò pentire di essere nata, Skye.”
Detto questo se ne andò, lasciandole un’oscura sensazione di paura, quella ragazza non minacciava mai a caso, che asso aveva nella manica?
Salì in macchina pensierosa e continuò a rimuginare su cosa potesse farle Jen per tutta la strada verso casa.
Non appena arrivò a casa, trovò il solito caos, Tom stava suonando la chitarra sul divano, per terra c’era David a fargli compagnia, sporco di grasso, Matto doveva essere in cucina.
Lì lo trovo, infatti,  intento a preparare del riso allo zafferano.
“Buonasera.”
Mormorò spenta, lui si voltò e capì al volo che qualcosa non andava.
“Cosa è successo, Skye?”
“Oggi è venuta Jen a fare casino in negozio e poi ha minacciato di rendere la mia vita un inferno.”
Lui l’abbracciò, lasciando perdere all’istante il riso.
“Vedrai che l’ha detto solo perché era incazzata.”
Lei scosse la testa.
“No, la troia ha qualche asso nella manica, qualcosa che io non so e che non esiterà a usare contro di me.”
“Sei preoccupata?”
“Abbastanza.”
“Ci sono io qui con te.”
Lui le strinse la mano.
“Per fortuna che ci sei tu o non saprei come fare.”
Lui sorrise e tornò al riso, ma Skye – pur rassicurata dalle parole del suo ragazzo – non era del tutto tranquilla. Per la prima volta in vita sua aveva paura della sua ex amica e della cattiveria e malediceva il giorno in cui l’aveva incontrata.
Sarebbe stato meglio vivere un’adolescenza da perdente isolata che una da fighetta come la sua, se poi nell’età adulta doveva fare i conti con una spada di Damocle che le pendeva sulla testa
proprio grazie  alla persona che credeva la  sua migliore amica.

 

 

Due settimane dopo qualcosa cominciò a muoversi e non in senso positivo.
In università parecchia gente la guardava strano o con aria schifata e parecchi ridevano, lei non aveva idea del perché e iniziava a preoccuparsi.
Ormai andare in università era diventata una fonte di ansia per lei e né Ruby né Hayley avevano idea del perché: Jen doveva aver iniziato ad attuare la sua vendetta.
Ormai andava sempre più di rado in università e temeva seriamente di fallire negli esami di fine sementre.
Fu proprio in una di questa giornate piene d’ansia che la sua ex migliore amica le si avvicinò.
“Fossi in te cercherei il tuo nome su you porn.”
Le sussurrò malefica, per poi andarsene, Skye rimase pietrificata.
Aveva una lezione dopo, ma la saltò e corse a casa con il cuore in subbuglio, cosa cazzo significava quello che le aveva detto?
Arrivata a casa accese il computer del suo ragazzo e – vincendo un moto di repulsione istintivo – digitò il suo nome legato al nome di quel sito di merda e quasi non svenne quando vide il risultato.
C’era un video con il suo nome e cognome. Lo aprì e vide se stessa qualche anno fa fare sesso con Bill, il cugino di Jen.
La vendetta di Jen era arrivate e con una violenza inaudita.
Non avrebbe più potuto uscire di casa senza che nessuno la riconoscesse come protagonista di quella merda, che tra l’altro era stata girata a sua insaputa.
Quel bastardo di Bill non le aveva chiesto il permesso e Jen ne era venuta in possesso chissà come.
Rimase a guardare lo schermo per ore imbambolata, senza sapere cosa fare e con pensieri sconnessi in testa. Avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra, morire: c’era una buona possibilità che quel video facesse il giro del mondo.
Fu così che la trovò Matt in stato catatonico davanti al suo computer.
“Ehi, Skye! Che succede?”
Quando vide il pc accesso e il sito dove era la sua faccia si fece interrogativa e fece partire anche lui il dannato video.
Quando finì fece per dire qualcosa, ma lei lo interruppe.
“Non ti preoccupare, domani vengo a prendere la mia roba e me ne vado.”
“Io non volevo cacciarti di casa…”
“Ma ti fa schifo vedere me che faccio sesso con un altro!”
“NO, volevo solo sapere come cazzo ci è finito lì!”
“Jen!”
Sussurrò lei, lui strinse i pugni al nome e fece per abbracciarla, ma lei lo allontanò e scappò via, prendendo solo giacca e borsa.
Non poteva sopportare la pietà di Matt e si sentiva sporca nell’abbracciarlo.
Adesso era una pornostar senza volerlo e si faceva schifo, non voleva più contatti con nessuno, non voleva contaminare nessuno.
Ignorò Matt che urlava il suo nome e i suoi passi dietro di lei e si infilò nella sua macchina diretta verso un posto qualsiasi.
L’ultima immagine che vide nel finestrino era il suo ragazzo che imprecava e David che usciva per calmarlo.
Poi furono solo lacrime, lacrime e guidare fino al confine.
Era arrivata alla barriera che separava Stati Uniti e Messico senza nemmeno sapere come e perché, ma visto che era lì tanto valeva che si desse una calmata e che si ricomponesse.
Passò i posti di blocco senza difficoltà e si immise nel traffico caotico di Tijuana.
Non sapeva dove andare, per prima cosa però si fermò in un fast food a mangiare un hamburger e delle patatine, poi ripartì.
Non aveva voglia di andare nei locali, perciò si diresse verso il porto – da cui si era sempre tenuta alla larga perché era considerata una zona malfamata – parcheggiò e scese dalla macchina.
Fece qualche passo e poi si ritrovò circondata da latinos che la importunavano e non sapeva come liberarsene.
Fu un uomo sulla quarantina a tirarla fuori dai guai.
“Cosa ci fa una ragazzina come te in questo posto?”
“Voglio pillole.”
Lui alzò un sopracciglio.
“Di che tipo?”
“Barbiturici, calmanti. Cose così.”
Lui non disse nulla e si frugò nelle tasche del giubbotto, da cui estrasse un barattolo arancione.
“Questo è un sonnifero, un barbiturico, ritirato dal commercio qualche anno fa perché ritenuto pericoloso se preso in quantità eccessive.”
“Quanto costa?”
“50 dollari.”
Cinquanta dollari era tutto quello che aveva nel portafoglio, ma glieli consegnò senza esitare: aveva deciso di morire.
L’uomo glielo porse e lei lo infilò subito in borsa e risalì in macchina,non voleva morire lì.
Voleva morire vedendo il mare, ma in una zona relativamente sicura così si diresse alla spiaggia.
Alla spiaggia c’era gente che festeggiava e lei evitò i gruppetti e cercò un angolino per stare da sola, per lei festeggiare qualcosa aveva perso di senso.
Una volta trovato il suo angolino si sedette sulla sabbia morbida e ascoltò il placido rumore del mare. Ad un certo punto si tolse le scarpe e mosse qualche passo dentro all’oceano, le piaceva quella sensazione di gelido che la portava via.
Quando uscì era infreddolita, ma sorridente, ora poteva andarsene.
Prese il barattolo  che le aveva venduto l’uomo poco prima e  lo aprì, poi si versò una generosa dose di pillole in una mano e le guardò a lungo.
Pensò ai suoi genitori, a come sarebbero stati male sapendo che aveva deciso di farla finita.
Pensò a Matt che non si sarebbe mai perdonato di averla lasciata andare.
Poi pensò al video e ingoiò la prima manciata, aiutata da un sorso della bottiglietta d’acqua che aveva in borsa.
Poi ingoiò un seconda e una terza manciata.
Il mondo iniziava a farsi lontano e distante e sentiva che lentamente stava perdendo contatto con la realtà lasciando vincere una sonnolenza calda e confortevole.
Era bello abbandonarcisi, era come lasciarsi avvolgere da una coperta calda d’inverno o stare tra le braccia del suo ragazzo.
Sorrise.
L’ultima immagine nitida che le rimandò il suo cervello fu quella della luna che tramontava e si immergeva nel mare di Tijuana.
Poi cadde nel buio più totale, anche se aveva l’impressione che qualcuno – Matt – la stesse chiamando e scuotendo disperatamente.
Non poteva essere davvero lui, doveva essere colpa del suo cervello che le faceva scherzi persino prima di morire.
Poi anche queste sensazioni sparirono e fu solo il buio.

Angolo di Layla

Ringrazio Carousel e LostinStereo3 per le recensioni.

Carousel: sì, quei si danno da fare, forse fin troppo ahahahahha! Forse dovrei metterci meno scene di sesso LOL.
Sono contenta che ti piaccia la festa di capodanno e mi dispiace di averti fatto prendere un colpo quando si è scoperto che il Darth Vader che ha baciato Ruby non era Mark.
Grazie mille per la recensione e per i complimenti.
Alla prossima.

LostinStereo3: in realtà chi sia il misteriosi Darth Vader sarà qualcosa che verrà accantonato perché succederanno altre cose. Se vuoi sapere chi era, era Tom. Solo che ho pensato che Se Mark fosse venuto a saperlo sarebbe successo un casino anche con i blink e non volevo.
Grazie mille per la recensione e per i complimenti.
Alla prossima.

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Capitolo 23
*** 23)La mia quasi morte. ***


23)La mia quasi morte.

 

Sapevo che Jennifer era cattiva, ma non avrei mai immaginato che potesse esserlo fino a questo punto.
Oggi alla fine delle lezioni ho attaccato al muro una matricola che mi sembrava particolarmente debole e gli ho fatto sputare perché tutti si comportano in modo strano quando vedono Skye.
Lui ha balbettato che c’era un suo video su youporn e poi è scappato. Ho capito che c’entrava subito la Jenkins e avrei voluto ucciderla.
Prima dell’omicidio però devo pensare a come a dirlo a Skye senza ferirla e non sarà un’impresa facile.
Mi consulto con Hayley, ma dopo mezz’ora di discussioni non caviamo un ragno dal buco, in qualsiasi modo glielo diremo si concluderà in una catastrofe visto che già adesso sta male e non viene quasi più a lezione.
La suoneria del mio cellulare mi distoglie dai miei pensieri, rispondo senza nemmeno vedere chi è il mittente e mi ritrovo a fare i conti con la voce isterica di Matt.
“Matt, cosa è successo?”
“Raggiungimi al confine, poi ti spiego tutto.
Skye!”
“Ok.”
Chiudo la telefonata  e mi volto verso Hayley.
“Hayls, ti scoccia darmi un passaggio fino al confine? E magari dire a Mark che sono lì con Matt perché è successo qualcosa a Skye?”
“Certo, non ci sono problemi. Forza, andiamo!”
Corriamo verso il parcheggio, saltiamo in macchina e poi ci dirigiamo verso la barriera, lei si ferma all’inizio della lunga coda di macchina che dagli Stati Uniti vuole entrare in Messico.
“Ascolta, io adesso scendo e cerco la macchina di Matt. Ti farò sapere qualcosa appena posso.”
Lei annuisce e mi saluta, io scendo e comincio a camminare a passo spedito cercando la macchina del mio amico. La trovo quasi alla fine della coda, giusto tre macchine dopo il cubicolo dei federali.
Busso al finestrino e lui scende.
“Mettiti alla guida tu, sei più esperta del traffico di Tijuana.”
Io annuisco e quando siamo dentro non posso fare a meno di chiedergli cosa diavolo sia successo, lui sospira.
“Un casino, Ruby, porca merda! Quella bagascia di Jen ha messo su you porn un video di Skye che fa sesso con un ragazzo e lei ha dato fuori di matto.
Prima ha detto che la volevo cacciare e poi che mi faceva schifo vederla fare sesso con un altro, ho detto no a tutte e due le cose, ma lei non mi ha ascoltato ed è scappata.
Mi sono messo subito al suo inseguimento ed eccoci qui.”
“Lo sapevo, quella troia di Jen la impiccherei, cazzo!”
“Come lo sapevi?”
Mi guarda allucinato.
“Poco prima che tu mi chiamassi ho attaccato al muro una matricola e gli ho chiesto perché cazzo tutti agissero in modo strano quando c’era lei intorno e mi ha detto del video.”
Lui stringe le mani e molla un pugno al cruscotto.
“Sono riuscito a rendere infelice l’unica persona che mi abbia amato in vita mia!”
“Tu l’ha resa felice, non è colpa tua se Jen è così.”
Lui non dice nulla e guarda fisso davanti a sé mentre io seguo l’auto di Skye sperando che si fermi in un qualche locale, non mi piace la direzione che ha preso.
“Merda, dove cazzo sta andando?”
Lui mi guarda preoccupato.
“Perché?”
“Perché mi sembra stia andando verso il porto ed è un posto piuttosto malfamato.”
Lui grugnisce e le mie previsioni si avverano: va verso il porto, porco Giuda!
La vediamo fermarsi e poi parlare con un uomo sulla quarantina, Matt rimane in macchina, io scendo a vedere chi sia.
“Ehi!”
Urlo, lui si volta.
“Cosa ti ha chiesto la ragazza bionda di poco fa?”
“Barbiturici.”
Io impallidisco.
“Sai dove possa essere andata?”
“No, mi dispiace.”
Io corro di nuovo in macchina e riferisco a Matt cosa mi ha detto quell’uomo, lui tira un altro pugno al cruscotto.
“Cazzo! Dove può essere andata?”
Io rimango un attimo a pensarci, sempre più nervosa perché ogni secondo è prezioso in un caso come questo.
“Andiamo alla spiaggia, non credo voglia andare in un locale dopo quello che le è successo.”
Metto in moto e raggiungo
di nuovo la parte  trafficata della città, parcheggio in terza fila e poi io e Matt ci addentriamo nella spiaggia.
Il luogo a quest’ora brulica di fuochi e di piccole festicciole in cui circolano liberamente alcool e droga, io e Matt chiediamo continuamente se qualcuno ha visto una ragazza bionda con un paio di jeans e una maglia dei Sex Pistols.
Nessuno l’ha vista e io inizio a perdere le speranze e a credere di avere sbagliato completamente posto quando un ragazzo  ci dice di averla vista e ci indica in quale direzione sia andata.
Io e Matt ci avviamo verso il bagnasciuga sempre più preoccupati, la sabbia in cui affondano le nostre scarpe inizia a essere odiosa.
Finalmente vediamo un corpo e scattiamo tutti e due in avanti: è Skye.
Sembra mezza incosciente, Matt la chiama e la scuote, ma è tutto inutile: perde conoscenza del tutto. Io raccolgo il barattolo di pillole e chiamo un’ambulanza.
In un quarto d’ora arrivano i paramedici e io consegno le pillole a loro, Matt sale sull’ambulanza, io invece li seguo in macchina.
Spero con tutto il cuore che non sia troppo tardi.
Arrivata all’ospedale, parcheggio e vado al pronto soccorso, chiedo di Skye e mi dicono che il suo ragazzo la sta aspettando indicandomi dov’è Matt.
È seduto sulle panche di lungo corridoio e si tiene la testa tra le mani.
“Come ho fatto a permettere che tutto questo accadesse?
Perché non me ne sono stato al mio posto?
Se lei dovesse morire sarebbe colpa mia!”
Io lo scuoto.
“Tu l’hai fatta felice e il tuo posto è accanto a lei e lei non morirà!”
Trascorriamo una terribile mezz’ora in attesa di qualche notizia e quando il medico esce, arrivano anche i genitori di Skye e quella bastarda di Jen.
“Sta bene.”
Ci dice il medico.
“Le abbiamo fatto una lavanda gastrica e sta bene!”
Il medico ci lascia da soli.
“Cosa hai fatto a mia figlia?”
Urla a Matt il padre di Skye.
“Le ha salvato la vita, ecco cosa ha fatto!”
Urlo io.
“Se volete sapere perché ha tentato di suicidarsi perché non lo chiedete a Jen?
Perché non le chiedete con che coraggio ha messo un video su un sito porno in cui c’era Skye e di cui Skye non era sicuramente a conoscenza?”
“Il video l’ha messo lui!”
Urla Jen.
“Non sono io quello nel video, non sono io!”
Lei arrossisce in modo sgradevole.
“Perché non dici ai suoi genitori  di come l’hai cacciata di casa, tormentata e poi costretta a questo?
Forse perché ci sono troppi testimoni che ti hanno visto fare queste cose?”
Faccio io tagliente, il rossore sulle sue guance diventa ancora più sgradevole.
“Jen, guardami!”
La voce della signora Everly la fa voltare verso di lei e in un centesimo di secondo uno schiaffo si abbatte sulla guancia di Jen, che se la massaggia incredula.
“Conosco quel rossore sulle tue guance. Sin da bambina ti veniva quando gli altri ti mettevano con le spalle al muro dopo una serie di malefatte.
Tu hai messo quel video in rete e costretto mia figlia a suicidarsi.
Vattene! Non voglio più vederti!”
“Crede a quei perdenti e non a me?”
“Loro sono andati a cercare mia figlia e non tu.”
“Ve…”
Io le tiro uno schiaffo.
“Non iniziare con il “Ve ne pentirete” perché giuro che ti ammazzo a mani nude, Jennifer Jenkins.
Azzardati a dare ancora fastidio a me e ai miei amici e ti faccio pentire di essere venuta al mondo e sai che non scherzo.
Aprirò il tuo armadio e lascerò che tutti i tuoi scheletri ti trascinino con sé nella danza della morte.”
Lei deglutisce e dopo averci lanciato un’ultima occhiata velenosa se ne va.
Un’infermiera esce e ci dice che Skye può vedere al massimo due persone alla volta: Matt e la madre sono i primi a entrare, così io rimango sola con il signor Everly.
È un uomo sui quarantacinque anni biondo, che somiglia molto a sua figlia.
“Spiegami un po’ di cose…”
“Ruby, Ruby Ferreira. Beh, sono una compagna di università di sua figlia e la prima volta che l’ho incontrata ho pensato, senza offesa, che fosse il cagnolino di Jennifer.
Non aveva l’aria particolarmente felice, ogni tanto è uscita con la mia compagnia, ma ha sempre tenuto nascosto tutto a Jen perché lei non avrebbe approvato.
Jen odia i perdenti.”
L’uomo storce per un attimo le labbra.
“A una festa ha conosciuto Matt e il giorno dopo si sono messi insieme. Jen l’ha cacciata di casa e per ora vive a casa di Matt. In università la tormenta in ogni possibile modo chiamandola perdendola e altri soprannomi simili.
Ha minacciato più volte di rovinare la vita di sua figlia, l’ultima quando Jen ha fatto una scenata dove Skye lavora e la proprietaria ha difeso Skye.
Il filmato che ha scioccato sua figlia al punto di suicidarsi l’ha messo in rete Jen e credo che poi sua figlia le racconterà altri particolari.”
L’uomo si prende la testa tra le mani.
“E io che credevo che lasciarla qui con Jennifer fosse una buona cosa!
Dove ero mentre mia figlia stava così male?”
Io non rispondo, non saprei cosa dire a quest’uomo se non che è facile cadere nella rete di Jen.
Poco dopo escono la madre e Matt ed entriamo noi.
“Ruby!”
Si anima Skye appena mi vede.
“Convinci Matt che non è colpa sua se io sono qui, che ho fatto tutto di testa mia e che lo amo.
Non voglio che se ne vada!”
Poi vede suo padre.
“Ciao papà, scusa per il casino.”
Lui si siede.
“Piccola, perché non mi hai detto che stavi così male e che Jen ti tormentava?”
“Non volevo farvi preoccupare.”
“Sei un tesoro, adesso torni a New York con noi!”
“Non voglio lasciare Matt.”
Si irrigidisce lei.
“Se vuole può venire anche lui.”
Lai mi guarda speranzosa.
“Parlaci.”
“Vado.”
Esco e mi metto alla ricerca di Matt Sullivan, lo trovo che beve un the alle macchinette con lo sguardo perso nel vuoto.
“Non pensarci nemmeno.”
“A cosa?”
“A lasciare Skye.”
“Le ho fatto solo del male!”
Lo scuoto violentemente per le spalle.
“Jen le ha fatto del male, non tu. JEN!
Lei ora se ne andrà a New York e non vuole partire senza di te.”
“E il video?”
“Sparirà. Lascia fare a me ed Erin, adesso va’ da lei.”
Lui si alza e mi segue, i genitori di  Skye sono fuori dalla stanza e ci fanno cenno di entrare.
La mia amica guarda il vuoto e si rianima non appena vede Matt.
“Mi dispiace di averti fatto preoccupare! Non dovevo!”
Lui le prende una mano e gliela accarezza.
“Va tutto bene, Skye. Va tutto bene, ora.”
“Me ne vado a New York.”
“Lo so, vengo anche io.”
Lei lo guarda incredula.
“Ehi, non posso lasciar partire la persona più importante della mia vita senza seguirla anche io.”
Skye allarga le braccia e Matt ci si tuffa dentro, si stringono in un abbraccio fortissimo e io sorrido.
Anche questa è finita bene, ora devo solo pensare a come ottenere quel cazzo di video e per questo mi serve Erin.

 

La mattina arrivano tutti in ospedale a trovare Skye: Mark, Tom, Trav, Scott, mia sorella, Anne, David e Hayls.
La visitano tutti a turno e quando Mark mi passa accanto lo afferro gentilmente per un braccio.
“Scusa per non averti chiamato, ma ero davvero preoccupata per Skye.”
“Non fa niente, l’importante è che ora stia bene.”
“Beh, dopo una lavanda gastrica sta meglio, lei e Matt se ne andranno a New York purtroppo.”

Lui sospira e si passa una mano tra i capelli rossi.
“Beh, visto quello che è successo è comprensibile, ma mi mancheranno.”
Io lo abbraccio.
“Anche a me, ora scusami, ma devo parlare con Erin. È ora che questa storia del video finisca.”
Lui alza un sopracciglio.
“Come pensi di fare?”
“Io e mia sorella ci inventeremo qualcosa.”
Lascio il mio ragazzo e cerco mia sorella.
“Erin.”
“Ruby.”
“Dobbiamo inventarci qualcosa.”
Lei si gratta i capelli.
“Lasciami un giorno, devo fare una cosa. Poi sistemeremo Jen, chiamami domani alle otto.”
“Ok, che devi fare?”
Lei ride.
“Da quando sei così curiosa?”
Io arrossisco.
“Ma no, era così per sapere!!”
Lei ride.
“Stavo scherzando, devo preparare un programmino ad hoc per quella sgualdrina in modo da distruggerle il pc.”
“Ottimo.”
Trascorriamo tutto il giorno da Skye e solo alla sera ce ne andiamo tutti, escluso Matt che vuole rimanerle vicino.
“Senti se non ti lasciano rimanere per la notte vai da mia nonna, la strada la sai!”
Gli dico prima di abbracciarlo.
“Ok, grazie.”
Esco dall’ospedale e non appena entro nella macchina di Mark e mi siedo sul sedile passeggero tutti i miei muscoli si rilassano.
“Brutta storia, eh?”
Mi chiede lui, mentre ingrana la marcia per partire.
“Bruttissima, quando l’ho vista semisvenuta sulla spiaggia e quando è collassata in braccio a Matt temevo che sarebbe finita in tragedia.”
Lui mi accarezza una mano, togliendo la sua dal cambio.
“Cosa avete architettato tu ed Erin.”
“Qualcosa per mandare a puttane il pc di Jen, il realtà non lo so di preciso. Erin mi ha chiesto un giorno per pensare ed elaborare qualcosa.
Vedremo domani.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Dio come sono stanca, non vedo l’ora di arrivare a casa e dormire.”
“Anche io, tu non faresti mai come Skye, vero?”
Io non rispondo.
“Se pensassi che tu non mi volessi per una cosa tipo quella che è successa a lei, forse sì.
Non riesco a pensare la mia vita senza di te, mi sei entrato dentro.”
Lui sorride e mi accarezza ancora la mano senza dire nulla, siamo in coda alla barriera e intorno a noi si sentono solo i rumori delle varie macchine e dei camion.
Passiamo senza problemi e quando vedo le luci familiari di San Diego venirci incontro poi infrangersi sui vetri della macchina sorrido e sento una gran sonnolenza.
Devo rimanere sveglia.
Devo rimanere…
Non rimango, quando finalmente mi risveglio sono nel nostro letto e ho un braccio di Mark attorno alla mia vita.
Poverino, deve avermi portata fino al nostro appartamento in braccio!
Gli accarezzo il braccio e torno a dormire.
Mi sveglio di nuovo solo al suono della sveglia del mio ragazzo e mentre lui la spegne gli salto in braccio e lo bacio.
“Grazie per avermi portata su!”
“Figurati, eri così carina che non riuscivo a svegliarti!”
Io sorrido.
“Vai in bagno, che ci penso io a ricompensarti.”
Vado in cucina e gli preparo le uova con bacon che tanto ama e che a me dà nausea preparare a quest’ora e dei pancakes.
Arriva in cucina attirato dall’odore solo con un asciugamano attorno alla vita, gli occhi gli si illuminano e mi bacia con passione.
“Grazie amore!”
Si siede a tavola con un’espressione particolarmente felice.
“Pancia mia, fatti capanna!”
Inizia a  divorare la sua colazione con gusto, io sorrido mentre bevo il mio solito caffè con i biscotti.
Finito, ci baciamo un’ultima volta, lui si veste ed esce per andare al lavoro con un sorriso che va da un orecchio all’altro.
Io invece finisco di correggere le bozze che sono rimaste indietro e questo mi tiene impegnata fino alle dieci.
Quando le ho corrette tutte mi cambio, vado alla casa editrice e le consegno scusandomi per il leggero ritardo, fortunatamente non vengo rimproverata.
Passo dal fornaio per il pane e dal fruttivendolo, poi torno a casa e, dopo essermi preparata un caffè al guaranà – mi metto a studiare per gli esami finali che sono dopodomani.
Non ho idea di come andranno visto il casino che è successo.
Riesco a studiare bene, mangio all’una da sola – Mark mangia sempre in un fast food a pranzo –  e poi riprendo dopo pranzo.
Alle sei Mark mi trova ancora china sui libri.
“Preoccupata?”
“Noooo! Penso solo che questi esami saranno un disastro visto tutto quello che è successo!”
Lui ride.
“Ma va! Sarai la solita secchiona che sa tutto.”
Il suono del telefono interrompe le nostre schermaglie, come mi aveva detto ieri è Erin.
“Ciao sorellina!”
Mi saluta allegra.
“Questo è il piano: quando esci dall’università tieni occupata il più possibile Jen. Insultala, parlale, quello che ti viene meglio e il più a lungo possibile. 
Quando l’hai agganciata mi fai uno squillo, tienila fino a che io non ti faccio uno squillo, poi vieni a casa tua e ci troviamo per fare il punto.”
“Uhm, ok. Erin non fare cavolate, non farti sgamare.”
“Stai tranquilla, tu devi solo tenerla occupata e andrà bene.”
“D’accordo. Allora, a domani.”
“A domani.”
Riattacco e sospiro.
“In cosa consiste il piano?”
Chiede curioso Mark.
“Io devo solo tenere occupata Jen, al resto ci pensa lei: speriamo vada bene.”
Lui mi abbraccia e non dice nulla.
Mi basta questo per stare bene, domani sarà una giornata lunga e faticosa e ho bisogno di affetto.
Che Dio me la mandi buona!

Angolo di Layla.

Ringrazio Carousel ed ElaEla per le recensioni. Scusartemi se non ho risposto personalmente, ma mi hanno fatto molto piacere.

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Capitolo 24
*** 24) La fredda pioggia di San Diego. ***


24) La fredda pioggia di San Diego.

 

Il giorno dopo mi sveglio già nervosa.
Non sono un’esperta in piani così malefici, mi ci devo un attimo abituare e poi Jen è un osso duro, bisogna rendere onore al nemico.
Mark se ne accorge subito e scoppia a ridere.
“Preoccupata?”
Io mi metto una maglia nera, poi vado in bagno per truccarmi.
“Mh, un po’. Più che altro spero che Erin non faccia casini o non venga sgamata.”
“Abbi fiducia in tua sorella, sa quello che fa!”
Lui mi abbraccia e mi bacia una spalla.
“Forza e coraggio!”
“Giusto!”
Esclamo finendo di mettermi la matita.
“A la guerre!”
“Così ti voglio!”
Esco di casa e salto sul pullman, oggi ci sono anche i primi di esami e prego il signore che in mezzo a tutto questo casino qualcosa mi sia rimasto in mente.
Scendo alla mia fermata e mi dirigo subito alla sala più grande che è destinata agli esami, fuori c’è già Hayls che ripassa a bassa voce.
“Ehi ciao!”
“Ciao, Ruby! Ti senti pronta?”
“Per niente, con tutto quello che è successo a Skye ho una confusione in testa che ne basta la metà.”
Lei annuisce comprensiva e ci mettiamo a ripassare insieme, cercando di ignorare Jen: la piazzata per lei è prevista questo pomeriggio.
Entriamo nell’aula e sosteniamo due esami scritti di fila, credo di non essermela cavata male, ma a mezzogiorno ho già un cerchio intorno alla testa.
Me la massaggio scoraggiata, non ci voleva: ho un altro paio di esami oggi pomeriggio.
“Hayls, non hai un moment?”
Lei annuisce e mi passa una pillola bianca che ingollo con gratitudine.
Alle due inizia il primo esame e alle quattro il secondo. Pesantini entrambi, ma almeno sono andati, mi dico mentre mi stiraccio sul seggiolino.
Adesso arriva la parte più difficile: la scenata a Jen.
Mi alzo dal mio posto e la seguo fin nel parcheggio, poi urlo il suo nome  e nel frattempo faccio uno squillo a mia sorella.
Che il piano abbia inizio!
“Cosa diavolo vuoi, Ferreira?
Non devi studiare, razza di perdente?”
Io mi metto un dito sotto il mento.
“No, prima devo farti alcune domande, tipo come ci si sente a essere smascherati?”
Lei mi guarda con disprezzo.
“Cosa vuoi dire?”
“Uhm, non mi dire che ti sei già dimenticata che la madre di Skye ti ha intimato di non farti più vedere!”
Io mi appoggio con aria sarcastica alla sua macchina, so che si incazzerà.
“Oh, è solo la madre di una perdente, non perdo tempo per queste cose e poi togliti dalla mia macchina, me la sporchi!”
“Nah, non credo. In fondo è già sporca visto che trasporta te ogni giorno!”
Lei stringe i pugni.
“Non tirare tanto la corda, messicana!
Potrei scoprire qualcosa di irregolare nei tuoi documenti e denunciarti e poi ci metto poco a riconquistarla la famiglia di Skye.”
“Non credo!”
Mi alzo con studiata lentezza e mi porto a un passo da lei.
“La portano a New York.”
Lei sorride trionfante.
“Con Matt. Eh, già la famiglia Everly va a New York con Matt. Come ci si sente a perdere, Jen?”
I suoi occhi si riducono a due fessure minacciose.
“Io non ho perso!”
“Sì, hai perso! Skye è la ragazza di Matt e se ne andrà a New York, questo è perdere a casa mia!”
“Sì, ma l’ho rovinata!”
Urla ridendo.
“E te ne vanti anche!”
Mi precede la voce di Hayley.
“Zitta, Cruz. Non mi fai paura!”
“Nemmeno tu me ne fai! Ma dormi serena la notte sapendo di aver rovinato la vita di una persona?”
Lei ride.
“Ehi, le ho solo dato una lezione, non è colpa mia se è così sfigata da suicidarsi.”
“Un giorno qualcuno ti ripagherà di tutto quello che le hai fatto.”
“Io mi guarderei il culo se fossi in te, Ferreira. E anche tu, Cruz, potrei scoprire qualcosa che vi faccia andare via da questo paese.”
“Noi invece non dobbiamo fare tanta fatica, ci troviamo davanti esattamente il perché tu non faccia parte della razza umana. “
“Oh, volano le offese.
Solo perché due piccole e sporche messicane hanno frequentato un po’ l’università si credono intelligenti!”
“Scusa, ripetilo davanti a me.”
Una quarta voce ci fa voltare: è un ragazzo messicano alto almeno un metro e novanta, con due spalle larghe quanto un armadio.
“Siete sporchi messicani.”
Lui si fa avanti.
“E tu una piccola troia bianca, ne conosco tante come te. Ci chiamate sporchi messicani, ma poi ci cercate e vi piace essere scopate da noi piuttosto che dai bianchi.”
Lei arrossisce per la stizza.
Oh oh.
“Colpita e affondata! Lo dici a Tom che ti fai anche altre persone?”
“Non sono cazzi tuoi!”
“Lo sono, Tom è mio amico, ammesso e non concesso che la tua intelligenza superiore sappia cosa significhi questa parola!”
Le rispondo tagliente.
Continuiamo a litigare fino a quando la vibrazione del cell mi avverte che mia sorella ha finito.
Per sicurezza, proseguiamo per un altro po’, poi ce ne andiamo, io me la rido sotto i baffi: voglio proprio vedere che faccia farà Jen quando vedrà il suo prezioso pc andato a puttane.
“Ehi, Ruby! Vieni che ti do un passaggio!”
Accetto volentieri la proposta di Hayley.
“Come mai ti sei messa a litigare con Jen?”
Io sospiro.
“Fa parte del piano di mia sorella.”
Lei non dice nulla e mi accompagna fino  a casa e poi se ne va dicendo che ha del lavoro da fare, io sospetto invece che si veda con Scott.
Arrivata nel mio appartamento trovo Erin comodamente sdraiata sul divano che guarda la tv con una birra in mano.
“Allora?”
“Allora, ho fatto tutto. Tolto il filmato  dal sito, regalato un po’ di virus agli utenti che l’hanno visto o scaricato. Mi sono presa il filmato e le copie che ne aveva fatto Jen e credimi ne aveva fatte tante e nascoste un po’ ovunque.
Le ho completamente distrutto la memoria del pc. Tu?
Come sono andati i tuoi esami?”
Io mi siedo accanto a lei e le rubo un sorso di birra.
“Spero bene. Come va con Trav?”
“Bene, anche se quella Melissa si sta ingelosendo ogni giorno che passa. Quando la incontriamo mi fulmina sempre.”
“Non so se dirti che sei brava o che mi dispiace.”
Lei alza le spalle, io vado a prendere un’altra birra e sposto il posacenere sul tavolinetto basso che c’è davanti al divano.
Apro la birra e ne bevo un sorso: è ghiacciata e scende che è un piacere.
Sorrido soddisfatta e poi mi accendo una sigaretta.
“è davvero una brutta storia quella di Skye.”
Butta lì mia sorella.
“Già, davvero brutta. Se io e Matt non fossimo arrivati in tempo a quest’ora sarebbe morta e Jen non ha il minimo rimorso.”
“La cosa non mi stupisce.”
“Mi dispiace che lei se ne vada e mi dispiace che se vada anche Matt. È una brava persona e un amico meraviglioso, non si meritava tutto questo.”
Lei sospira.
“A New York saranno felici o almeno non avranno Jen attorno e poi non è detto che sia per sempre, potrebbero tornare o noi potremmo fare loro una visita.”
“Hai ragione.”
Le rispondo un po’ meccanica. Non li ho i soldi per un viaggio a New York, a meno che ce la facciano i blink con un tour, ma sono solo all’inizio come band; non ha ancora senso sognare troppo in grande anche se sono certa che Tom si vede già a fare concerti nel Madison Square Garden.
La serratura si apre e Mark fa la sua comparsa, è in ritardo e sto per chiedergli dove diavolo è stato, ma lui mi anticipa.
“Sono stato all’ospedale, hanno dimesso Skye.
Che ne dite se  sabato organizziamo una festa?
Partono domenica.”
Io e mia sorella ci guardiamo e annuiamo.
“Perfetto, a noi va bene, anche se sarà una festa triste.”
Mark si siede accanto a noi e scrocca una sorsata dalla mia bottiglia di birra.
“Lo so, non mi va giù che se ne debbano andare per colpa di quella troia che si scopa Tom e mi chiedo come faccia a scoparsela, dato che è brutta.
Sembra un cavallo, io non la toccherei nemmeno con una pertica, non so come faccia Tom..”
Gli do una gomitata.
“Abbiamo capito! Lo sai com’è fatto Tom, gli vanno bene tutte, fotterebbe anche la marmitta della sua macchina se non avesse paura di ustionarselo.”
Evito di aggiungere che questa sua tendenza si è accentuata da quando mia sorella se ne è andata solo perché lei è presente e non voglio offenderla.
Visto che comunque Matt e Skye se ne andranno, meglio pensare alla festa, no?
 

Il giorno della festa arriva troppo presto per i miei gusti.
Io e le ragazze passiamo il nostro sabato pomeriggio a decorare la casa di Matt, Dave e Tom e a cucinare, i ragazzi si procurano gli alcolici.
Saremo una compagnia ristretta: io, Mark, Tom, Dave, Matt, Skye, Erin, Hayls, Avril, Lars e Travis.
Stiamo per metterci a tavola – verso le otto – quando suona il campanello e ci troviamo davanti ai genitori di Skye.
Quando vedono gli alcolici una cappa di imbarazzo cala sulla tavolata e nessuna sa bene cosa dire, solo Mark ha ventun’anni e solo lui avrebbe diritto a bersi una birra,
L’atmosfera si scioglie quando il signor Everly chiede una birra, una volta che l’ha in mano riprendiamo a mangiare più tranquilli.
Chiacchieriamo di tutto e Tom non si esime dalle sue solite battute e dai suoi racconti sugli alieni, incredibilmente trova nel padre di Skye un ascoltatore attento e curioso. Tom si illumina una volta che ha capito di aver davanti un altro che crede negli alieni, è come se avesse trovato una guida perduta.
La madre di Skye scuote la testa.
“Adesso non smetterà di parlare per un po’ bel po’, ora che ha trovato uno che gli dà corda.”
“Idem per Tom, è un vero fanatico di alieni. Un giorno spera di farsi un giro nell’area 51 a Roswell.”
“Potrebbe trovare in mio marito un entusiasta compagno di gite, lui va spesso nel New Mexico per lavoro.”
Ridiamo tutti immaginandoci un ventenne e un quarantenne che discutono su come forzare le reti di quest’area, ammesso che ce ne siano.
“Signora Everly, posso chiedere come mai è qui?”
Lei alza le spalle.
“Volevo solo vedere i veri amici di mia figlia, pensare a Jen Jenkins mi dà la nausea.
Non mi capacito ancora di come ci abbia fregati tutti!”
“Beh, è brava a fingersi quello che non è.”
Dico semplicemente io.
“E adesso che facciamo?”
Chiede Mark.
“Non avete una band?”
Ci chiede la madre di Skye, Mark annuisce.
“Sì, ce l’abbiamo, ma il nostro batterista non ha potuto venire perché è ancora troppo piccolo.”
“Quanti anni ha?”
“Quindici. I genitori hanno detto che almeno una sabato lo vorrebbero a Poway, anche perché a volte esagera un po’ con l’alcool.”
Rispondo io.
“Io sono un batterista, se volete posso sostituirlo.”
Mark guarda  Travis incuriosito.
“Mmmh, sì perché no.
Prima però dobbiamo spiegarti un minimo i pezzi e per fare questo serve anche Tom.
TOOOOOM!”
Urla poco gentilmente Mark rivolto al suo amico.
“Tom, molla il tuo nuovo amico e vieni da noi.”
Tom arriva, confabula un po’ con Mark a Trav, poi spariscono in cucina, poco dopo so sentono strani rumori in garage.
Tornano dopo mezz’ora con i loro strumenti e improvvisano un paio di canzoni: Carousel e Lemmings.
I signori Everly apprezzano molto e poi finalmente se ne vanno lasciandoci piane libertà di azione.
“Ragazzi, cosa ne dite di andare al parco della marina.”
Annuiamo tutti.
Venti minuti dopo siamo tutti all’ingresso del parco, allegri e vocianti, cercando di decidere con quale attrazione iniziare.
Alla fine vengono scelte le montagne russe, poi la casa degli orrori e altre cose.
Ci divertiamo, ma è innegabile che il nostro cervello vada a domani, quando dovremo salutare Matt e Skye, senza sapere quando li rivedremo.
Alla fine della serata ci salutiamo con baci e abbracci.
“Ci vediamo domani all’aeroporto.”
Dice timidamente Hayls a Skye, lei annuisce.
“A domani e grazie per la bella serata.”
“Figurati, è il minimo.”
Lei sospira e guarda la giostre, la marina e l’oceano che fa sentire la sua presenza tramite il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia.
“Mi mancherà questa città.  Mi mancherete voi, è la prima volta che trovo degli amici così.”
“Anche tu ci mancherai, puoi tornare quando vuoi.”
Lei annuisce.
“Tornerò, non so quando, ma tornerò.
Non voglio dare a Jen la soddisfazione di pensare che sia riuscita a cacciarmi. Devo solo leccarmi un po’ le ferire e ringraziando Dio ho Matt al mio fianco.
È una persona meravigliosa, speciale, un diamante, il ragazzo perfetto. Sono stata fortunata a trovarlo, lo amo da morire.
Io sorrido.
“Sì, Matt è davvero una brava persona.”
Ci salutiamo con un velo di tristezza, in macchina con Mark mi permetto di sospirare più profondamente.
“Che tristezza.”
“Sì, fa strano sapere che uno dei miei migliori amici e la sua ragazza se ne vanno per colpa di una troia.”
“Skye dice che tornerà.”
“Lo spero.”
Arrivati a casa, ci mettiamo tutti e due a letto.
Anche se non lo confesserei nemmeno sotto tortura la vicenda mi ha spaventato a morte e mi stringo forte a Mark, pregando che non mi venga tolto.
Senza di lui sarei persa, lui è il mio punto fermo e la mia casa.
Domenica è una giornata fredda e grigia, tipicamente invernale. Un vento freddo proveniente dall’oceano scuote le palme che ci sono in giardino dandomi i brividi mentre servo la colazione a Mark.
“è incredibile come ieri sera fosse una bella giornata e oggi una merda totale.”
Lui alza le spalle, mentre mangia i suoi cereali.
“è la vita. Spero che a New York non ci sia la neve, Matt potrebbe congelare.”
Io ridacchio immaginandomi lui impalato dentro un cumulo di ghiaccio come Jack Torrance, la risatina si spegne subito però.
Non so perché oggi no ho voglia di ridere,
Ci prepariamo e arriviamo all’aeroporto, sono già tutti lì. Erin sta abbracciando Matt e Hayls sta consegnando qualcosa a Skye.
Arrivo giusto in tempo per vedere che il pacchettino contiene una bottiglia di vetro azzurro con i bordi dorati finemente lavorata che contiene sabbia della spiaggia.
Skye ha le lacrime agli occhi.
Mark va ad abbracciare il suo amico e io vado da lei e le porgo il mio pacchettino. Lei lo apre, incuriosita dal fatto che sia più voluminoso di quello della rossa.
Quando lo apre la sua bocca forma una “o” perfetta: contiene un grande acchiappasogni che ho preso alla riserva indiana per lei.
“Per i brutti sogni, quando ne avrai.”
Lei mi abbraccia e mi ringrazia.
“Grazie, grazie mille.”
“Figurati.”Chiacchieriamo un altro po’, principalmente dell’università e del tempo e poi anche io vado da Matt.
“Ehi, ciao strega!”
“Ciao punk, mi mancherai. Sarà strano non vedere più la tua cresta verde attorno.”
Lui sorride triste.
“E a me mancherà quella tizia vestita di nero che temo e a cui voglio bene allo stesso tempo!”
Io sorrido e lo abbraccio.
“Spero che torniate presto, intanto ti do questo.”
I suoi occhi diventano enormi quando scorgono il pacchettino che gli porgo e un leggerissimo rossore gli imporpora le guance. Sembra quasi che nessuno gli abbia mai fatto un regalo prima d’ora, il che forse è vero perché nella sua famiglia ha ricevuto più percosse che carezze.
Lo apre e guarda incantato il semplice polsino di pelle nera che gli ho preso, poi se lo mette al polso.
“Almeno ogni volta che lo vedi ti ricordo di noi.”
Dico sorridente, poi vengo travolta dal suo abbraccio. Non mi ha mai abbracciato con tale trasporto, segno che il regalo gli è piaciuto.
Stiamo ancora parlando quando il loro volo viene chiamato, con un po’ di riluttanza li lasciamo andare, Erin scoppia a piangere tra le mie braccia.
“Era uno dei migliori amici, non è giusto che se ne vada per colpa di quella là.
La odio!”
La odio anche io, Erin.
La odio per come ha rovinato la vita di una persona senza rimorsi.
La odio perché tira fuori il lato peggiore di Tom e ci gode mentre lo fa.
La odio perché porta solo scompiglio nella vita delle persone.
Usciamo dall’aeroporto in silenzio, fuori il vento è diventato più forte e ha iniziato a piovere. Una pioggia sottile e gelida che rende tutto grigio e brutto.
Una pioggia che non purifica, ma gela e ferisce.
Una pioggia perfetta per fare da contorno a questa brutta giornata.
Per la prima volta da quando sono qui San Diego mi sembra ostile, cattiva e più vuota del solito.
Mi mancheranno la pazienza e la dolcezza di Matt e mi mancherà la simpatia di Skye.
Accidenti a Jen.
Questo è l’unico pensiero che ho mentre salgo nella macchina di Mark e alzo al massimo il riscaldamento per riprendermi dal clima esterno.
Accidenti a Jen.

 Angolo di Layla

Ringrazio Carousel, EleEla e LostinStereo3 per le recensioni.

Carousel: sì, Jen sarà messa fuori combattimento per un po', mai mettersi contro le gemelle Ferreira. Ha osato ribattere perché è stronza fino al midollo in questa fanfiction.
Anche a me dispiace che Skye se ne vada, ma ha bisogno di staccare unpo' da San Diego e poi c'è Matt con lei.
Grazie per la recensione e per i complimenti.
Alla prossima.

ElaEla: mancherà anche a me, ma torneranno. Giuro.
Anche io ho stimato la madre di Skye, una sberla e anche qualcosa di più, Jen se la meritava tutta.
Ora vedrai la vendetta di Erin, spero non ti deluda.
Grazie mille per la recensione e per i complimenti.
Alla prossima.

LostinStereo3: perché dovrei lapidarti xD? Mi dispiace per la strizza che ti sei presa, ma tutto si sistemerà per il meglio e anche Jan verrà punita.
Ruby ed Erin la sistemeranno in questo capitolo e spero non ti deluda come.
Matt e Skye saranno per un po' a New York fuori dalla portata malefica di Jen.
Grazie mille per la recenione e per i complimenti.
Alla prossima.

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Capitolo 25
*** 25)Provarci/Lasciarti andare. ***


25)Provarci/Lasciarti andare.

 

Hayley si era sempre considerata una ragazza strana.
Le piacevano i teschi, le cose macabre, il punk e anche le cose estremamente colorate. Era per questo che aveva sacrificato i suoi splendidi capelli neri da messicana e se li era tinti di un arancio vivo.
Aveva iniziato a quindici anni e ora che ne aveva diciotto erano ormai sfibrati e non mancavano di far tirare a sua madre un sospiro di triste rassegnazione.
Sua madre era parrucchiera e  per lei veder quello scempio era come vedere una bestemmia ambulante.
“Perché te li tingi, mi hija?
Hai, avevi, dei capelli splendidi, neri e lucenti come le ali di un corvo!”
A sua madre piaceva mettere metafore poetiche in quello che diceva e brontolare, ma alla fine accettava quello che faceva e le voleva bene.
Non aveva fiatato eccessivamente nemmeno per il teschio che si era tatuata, in quanto a suo padre era sparito da talmente tanto tempo che ormai raramente sfiorava i suoi pensieri.
Ora però la sua stranezza era giunta all’eccesso: si era presa una cotta per un ragazzino quindicenne.
Questo era troppo persino per lei.
Il ragazzino in questione era Scott Raynor e, sebbene sembrasse più grande della sua età aveva comunque quindici anni e lei sarebbe stata legalmente perseguibile casomai la cosa si fosse sviluppata e  non fosse andata a genio ai genitori di Scott.
Avril le diceva di non preoccuparsi, che i ragazzi – se necessario – sanno tenere meglio e più a lungo i segreti delle ragazze.
In ogni caso era innegabile che tra lei e Scott ci fosse dell’attrazione, nonostante tutti i suoi tentativi prima di negare e poi di contenere la cosa. Si erano persino baciati.
Decise di lasciar perdere e di continuare a correggere le bozze che aveva ammonticchiato sul tavolo della cucina.
Finì che era mezzanotte e dopo essersi stiracchiata decise di andare al bar sotto casa sua per bere qualcosa, in fondo era venerdì. I weekends, dopo la partenza di Skye e Matt, erano stati tutti piuttosto tristi, ma questa non era una buona ragione per negarsi una birretta, visto che Avril aveva finito tutte quelle del loro frigo.
Si cambiò – dei jeans e una felpa invece della tuta che indossava – e raggiunse il locale. Era mediamente pieno, lei si sedette al bancone e ordinò una birra media: lì non erano molto severi sulla questione dell’età.
Le venne servita e poi si sentì chiamare. Era Scott.
“Ehi ciao, come mai qui tutto solo?”
Lui bevve un sorso della sua gazzosa e poi le rispose.
“Non ero qui da solo, c’era anche Tom, solo che si è ubriacato. Ora si è imboscato in bagno con una biondina che somigliava molto alla tua coinquilina.”
“Uhm, capisco. Domani mi farò raccontare tutto.”
“Tu come mai sei qui?”
“Ho appena finito di correggere tutte le bozze e siccome Avril ha prosciugato tutta la birra che c’era in casa sono venuta qui visto che non abito tanto lontano.”
“Capisco.”
Lui appoggiò il suo bicchiere sul bancone e poi sbuffò rumorosamente.
“è tutta sera che va avanti così, sono stufo di fare la spalla di Tom! E poi da quando Matt se ne è andato non è nemmeno tanto divertente provare con i blink: sono tutti mogi.”
“Matt manca anche a me.”
“è normale che ti manchi, sei una ragazza. Voi frignate sempre per queste cose,no?”
Hayley sorrise e poi ridacchiò.
“Ehi, ti va se usciamo a fare un giro?”
“E Tom?”
Lui finì la sua gazzosa  e poi appoggiò il bicchiere vuoto sul bancone, anche lei aveva quasi finito la sua birra e sentiva la testa leggera.
“Si arrangi.”
“Ok.”
Rispose lei con un risolino alcolico.
Uscirono insieme dal locale, lui le porse il proprio braccio.
“Come mai fai Cruz di cognome, ma non sembri messicana?”
“Tinture per capelli, Raynor, fanno miracoli!”
“Capito.”
Lui le raccontò un po’ della sua famiglia, inizialmente non erano per niente contenti che avesse iniziato a suonare la batteria, ma poi si erano abituati.
Avevano accettato la band e con molta riluttanza i tour, lui in cambio doveva avere voti molto alti a scuola, cosa che gli riusciva difficile con certe materie.
“L’unico motivo per cui verso lacrime e sangue per capire mate è perché altrimenti i miei non mi farebbero più suonare, che infinita rottura di cazzo!
Quanto vorrei avere già diciotto anni! Mio padre poi è quello che pressa di più.”
“Beato te che ce l’hai un padre! Il mio se l’è squagliata quando avevo otto anni e non l’ho più rivisto. Ha detto che andava a prendere le sigarette e non è più tornato, in compenso sono arrivati i documenti per il divorzio.
Neanche il coraggio di dire a mia madre che aveva un’altra ha avuto!”
Scott le aveva detto che era uno stronzo di merda e lei aveva concordato.
“Perché mi eviti?”
Le chiese a un certo punto facendola arrossire fino alla radice dei capelli.
Mentire o dire la verità?
“Perché mi piaci, ma sei troppo piccolo per me.”
Lui aveva riso sarcastico.
“Queste sono stronzate, non è certo l’età che dà la maturità a una persona, la verità è che hai paura.”
“Sì, ho paura!”
“Che ne dici se proviamo a fartela passare. Dammi un mese e ti dimostrerò che sono maturo.”
Hayls lo guardò negli occhi, era serio come raramente l’aveva visto e lei decise che quello che le bastava. Forse era la birra a farle vedere le cose in modo diverso e meno pessimista, ma in fondo cosa c’era di male in quella storia?
Nulla, si disse.
“E sia, ti do questo mese!”
Gli disse sorridente, lui sorrise a sua volta e la attirò a sé.
“Ti hanno mai detto che sei bellissima?”
“No, al liceo mi consideravano una perdente.”
Lui sorrise e appoggiò la fronte contro la sua.
“Mi piacciono le perdenti, soprattutto se sono belle come te. Sono un perdente anche io in fondo.
Non gioco a football o in qualsiasi club sportivo, mi piace suonare la batteria e giocare con i videogiochi.”
“Mi piacciono questi perdenti.

I'm so happy. Cause today I found my friends.
They're in my head. I'm so ugly. But that's ok.
'Cause so are you. We've broke our mirrors.
Sunday morning. Is everyday for all I care.
And I'm not scared. Light my candles. In a daze cause I've found god.

Lui sorrise sentendola canticchiaere un pezzo di Lithium e poi si baciarono.
Un bacio che lasciava senza fiato e che esprimeva tutto il loro bisogno di stare insieme.
Sì, Hayley era indubbiamente strana, ma questo le piaceva e lei piaceva persino di più.
Era bello essere strani in compagnia, soprattutto del ragazzi che ti piace.
 

Erin aveva il presentimento della catastrofe imminente.
La storia con Travis in cui si era comodamente adagiata per leccarsi le ferite della storia con Tom procedeva bene, ma non era sicura che fosse proprio così.
A volte aveva l’impressione che fosse solo un’illusione e che presto si sarebbe ritrovata di nuovo da sola a combattere contro il desiderio per Tom.
Sarebbe stato facile per lei tornare con lui, ma non era la cosa giusta. Non era giusto iniziare una storia sapendo che probabilmente non avrebbero fatto altro che litigare per tutta la sua durata.
Non era giusto per lei che non si meritava questo e non era giusto per Tom che si meritava una ragazza che lo amasse sul serio.
Era seduta sul divano del suo appartamento a guardare la pioggia che cadeva monotona fuori e che si infrangeva sul marciapiede.
Era un noioso pomeriggio domenicale piovoso, la cosa migliore era stare a casa perché il mare sotto la pioggia aveva in sé una tristezza difficile da esprimere a parole.
Erin si sentiva oppressa dalla distesa d’acqua e dalla pioggia, troppa acqua che dava l’impressione di voler sommergere quella discarica che era il mondo.
Ogni tanto pensava che la Terra avrebbe migliorato parecchio come pianeta senza gli uomini.
In ogni caso era a casa sua con una birra in mano e continuava a sospirare e a pensare che presto qualcosa sarebbe successo.
Di lì a poco infatti suonò il campanello e Travis entrò completamente fradicio, lei si alzò e andò di corsa a prendere un salviettone in cui avvolgerlo.
“Ehi, non hai un ombrello?”
“Me l’hanno fregato fuori da un bar!”
Lei scosse la testa e lo asciugò.
“Cosa ti ha spinto a uscire con questo tempo da lupi?”
Travis rimase in silenzio, ma era un silenzio diversi dagli altri, solitamente era un silenzio calmo e rilassante oggi era teso e nervoso.
“Cosa è successo?”
“Melissa ha mollato il suo ragazzo.”
Erin deglutì e tolse di colpo le mani dal corpo dell’altro.
“Mi ha chiesto di uscire e io ho accettato.
La nostra storia non può continuare.”
Erin annuì.
“Certo, sono secoli che aspetti la tua occasione con Melissa, non ti intralcerò certo.”
“Erin, mi dispiace.”
Lei scosse la testa.
“Lo sapevano entrambi che sarebbe finita così, non c’è bisogno di scusarsi.”
Lui la prese per le spalle e la fissò dritta negli occhi, lei non riusciva a sottrarsi a quello sguardo di ghiaccio che le scandagliava anche l’anima.
“Ce n’è bisogno perché tu in questo momento stai  soffrendo, nonostante sapessi che sarebbe finita così e io non voglio che tu soffra.
Ti voglio molto bene, sei una persona meravigliosa.”
Lui la abbracciò e in quell’abbraccio c’era un po’ di tutto: amicizia, una richiesta di perdono, delle scuse, una richiesta di rimanere ancora amici.
“Anche tu lo sei, sii felice con lei!”
Travis si sciolse dal suo abbraccio e le diede un leggero bacio sulla fronte, poi uscì dal suo appartamento, Erin si alzò e rimase alla finestra fino a quando la figura mingherlino del suo ex non scomparve.
Solo allora si buttò sul divano e scoppiò a piangere, era anche a casa da sola perché Anne aveva detto che sarebbe rimasta un paio di giorni a Poway per aiutare la madre che si era presa una brutta influenza.
Pianse a lungo – finché il salotto non rimase del tutto al buio – dopodiché si alzò e preparò una cena a base di hamburger e si decise a scendere al bar sotto casa.
Una bella ubriacatura era quello che ci voleva per dimenticare almeno per un po’ i problemi della giornata.
Si cambiò e scese fischiettando una melodia abbastanza triste, fuori faceva freddo, ma aveva almeno smesso di piovere.
Arrivò al bar e accolse con gratitudine la vampata di calore che la investì quando aprì la porta, immediatamente si sentì meglio.
Si sedette al bancone e chiese una birra al barista, ormai erano diventati amici.
Lui le disse che era stata una brutta giornata, che pur non essendo ancora le dieci di sera aveva dovuto sedare una rissa tra due ubriachi e che per buttarli fuori aveva rischiato di prendersi una sedia in testa.
Lei annuì solidale, le risse tra ubriachi erano una gran rottura – anche lei nel suo lavoro di cameriera ne aveva dovute sedare un paio – e rischiavi la pelle per soldi che nemmeno erano tuoi.
“Tu come va con lo spazzino?”
Le chiese a un certo punto.
“Ci siamo lasciati, lui è riuscito a convincere la ragazza che ama a farsi dare un appuntamento.”
“Bella merda, potremmo uscire a farci una birra un giorno io e te.”
Erin lo osservo meglio, era un bel ragazzo: alto, con le spalle larghe, la pelle chiara punteggiata da leggere lentiggini e dei capelli rossi che tradivano origini scozzesi o irlandesi.
“Sei scozzese o irlandese?”
Lui rise.
“Irlandese. Hai qualcosa contro gli irlandesi?”
“Assolutamente no, grazie a voi si festeggia quella meraviglia di festa che è San Patrizio, che Dio vi benedica.”
Chiacchierarono ancora un po’, fino a quando una figura conosciuta si sedette sullo sgabello accanto al suo : David.
“Ehi, come mai qui?”
“Per ammirare questo meraviglioso bancone, sono un ammiratore dei banconi.
Una media, per favore.”
Chiese al barista.
“Di solito bevi poco.”
“Ho appena litigato con Ton, per poco non gli spaccavo la chitarra in testa, lui e Jen hanno scopato nel mio letto.
Odio quando lo fanno, Tom ha il suo per farsi quella vacca!”
Lei annuì.
“Odio quella puttana, si comporta come se il mondo fosse suo!”
Sputò acida.
“La odio anche io. Non ti saluta nemmeno se la saluti e poi riempie il cesso di capelli e lascia in giro le sue cose come se fosse casa sua.
Dio, Skye era mille volte meglio di lei!”
Erin annuì.
“Tu invece cosa ci fai qui, Erin?”
“Trav mi ha appena lasciato. Sto verificando se ingurgitando abbastanza alcool le cose mi appariranno in una prospettiva migliore.”
“Sapevi che sarebbe successo.”
“Lo so, ma fa male lo stesso.
Speravo che lui ci mettesse di più a conquistarla in modo da avere più tempo per leccarmi le ferite, mi stava facendo bene la storia con lui, non mi sentivo sola.
E ora invece lo sono, con i miei fantasmi, le paure, una mancanza di Tom che mi ammazza.
Vorrei essere diversa e migliore, ma purtroppo sono solo io e non posso cambiare e con me sarebbe infelice.”
La ragazza sospirò.
“Passerà.”
L’amico le batte solidale una mano sulla spalla.
“Per esempio perché non ci provi con il barista, mi sembrava parecchio interessato a te e penso lo sia anche ora perché mi sta fulminando.”
Erin rise.
“Tornerò da sobria e vedrò se ne vale la pena. Mamma mia, che stanchezza!”
“Vai a casa!”
“Noooo, è troppo grande e sono  da sola, Anne è a Poway!”
“OK, allora vieni da me!”
“Sìììì!”
Continuò a bere fino a quando i contorni della realtà si fecero sfuocati fino a scomparire del tutto.
Si risvegliò nella stanza di Matt e Skye, aveva mal di testa, aveva freddo e si sentiva sola.
Come una sonnambula uscì dalla stanza, percorse il corridoio ed entrò in un un’altra stanza: quella di Tom.
Con un gesto delicato alzò le coperte ed entrò nel letto rannicchiandosi poi dietro la schiena nuda del ragazzo. Il freddo e il mal di testa le passarono e poté riprendere a dormire.
Furono i raggi del sole del tardo mattina a svegliarla, era ancora contro la schiena di Tom e non sapeva come ci era finita.
Forse era meglio andarsene, ma Tom stava iniziando a svegliarsi e non ce l’avrebbe mai fatta.
Tom si stiracchiò pigramente e poi sorrise dandole un lieve bacio sulla guancia.
“Tom, abbiamo fatto qualcosa?”
Chiese con un filo di voce la punk.
“No, Dave ti ha portato qui ubriaca e ti ha messo a dormire nella camera di Matt e Skye, probabilmente durante la notte sei venuta qui.”
Erin tirò un sospiro di sollievo interiore.
“Tom? Posso chiederti una cosa?”
Lui annuì.
“Possiamo dormire abbracciati?”
Lui annui e allargò le braccia, lei ci si intrufolò volentieri e si accomodò su quel petto che conosceva e che aveva amato.
Sì, ci stava ancora bene e sì, aveva ancora voglia di baciarlo, ma non era più come prima.
L’attrazione stava tornado all’amicizia originaria a Dio piacendo.
Questo fu l’ultimo pensiero coerente che fece prima di tornare di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Buonanotte.
Durante quel sonno fece strani sogni in cui i blink si scioglievano, ma Trav era il loro batterista e poi sognò che Trav stava per morire in un incidente aereo.
Nonostante tutti questi sogni si svegliò di buon umore e non avrebbe dovuto.
Aveva saltato una lezione del corso e domani il docente l’avrebbe crocifissa ed era in ritardo per il lavoro.
Stava per scrivere un biglietto a Tom quando lui si svegliò.
“Devo andare a lavorare, grazie della dormita.
Ti voglio bene, mi dispiace per l’alzabandiera!”
Tom rise.
“Non ti scusare, almeno so che è ancora vivo. Mi preoccuperei se non si alzasse con te sopra.”
Lei rise e si rivestì, poi corse al lavoro e si beccò la ramanzina del suo capo.
Era un uomo che teneva alla puntualità ed Erin aveva sempre fatto del suo meglio per accontentarlo, solo che dormire un’ultima volta con Tom valeva più di qualsiasi capo e lavoro del mondo.
Arrivata a casa si sdraiò sul divano a guardare il soffitto sorridendo come un’ebete, le era mancato il contatto con il corpo di Tom.
Solo il bussare insistente di qualcuno alla porta la distolse dal suo meditare: era Ruby.
“Ciao sorellina, come stai?”
“Ciao Erin, come mai tutta questa allegria?”
Lei rise.
“Ho dormito con Tom.”
L’altra inarcò un sopracciglio.
“Ci hai fatto sesso, vorrai dire.”
“No, volevo dire proprio dormire, abbiamo dormito abbracciati.”
“Wow. Siete riusciti a tenere e a freno i vostri ormoni, è già qualcosa.”
Ruby si sedette.
“Sei preoccupata?”
“Sì, tengo a tutti e due e non vorrei vedervi soffrire.”
Erin le sorrise.
“Va tutto bene, ce la stiamo facendo. Non è facile, ma ce la stiamo facendo.”
“Sono felice per te!”
Mormorò prima di abbracciarla.
“Ruby, ti voglio tanto bene.”
“Anche io ti voglio tanto bene, Erin e spero che tu sia felice.”
Le due gemelle si sorrisero e si staccarono, raramente si manifestavano il loro affetto, solo quando era necessario come in quel momento.
Uno solo di quelli abbracci dati con tutto il cuore e l’anima valevano mille abbracci quotidiani dati per abitudine o chissà cos’altro.
“Ti preparo la cena.”
“Mark non c’è?”
“No, è andato anche lui da sua madre e mi sentivo sola così ho deciso di fare un salto da te.”
Erin sorrise e insieme iniziarono a preparare qualcosa da mangiare.
Era felice, non aveva più Trav, ma ora sapeva di poter contare su Ruby e che forse tutte quelle dicerie sulla telepatia ed empatia tra gemelli forse avevano un senso anche per loro.
A volte era bella la vita e bastava poco perché lo fosse: una sorella, un amico e poi doveva ancora andare a sondare le intenzioni del barista.
Sì, andava tutto bene e non c’era motivo di preoccuparsi.

Angolo di Layla

Ringrazio Carousel, ElaEla  e LostinStereo3 .

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Capitolo 26
*** 26) La mia prevedibile lunga attesa. ***


26) La mia prevedibile  lunga attesa.

 

C’erano giornate che iniziavano male.
Anne stava vivendo una di queste, era da una settimana che assisteva sua madre, la signora Hoppus era in via di guarigione, lei invece si sentiva la testa pesante, come se le avesse trasmesso l’influenza.
Il lato positivo era che – visto che ora stava meglio – lei poteva tornare a San Diego.
“Grazie, tesoro!”
Le aveva detto sul portico di casa.
“Figurati, riguardati, mi raccomando.”
La donna aveva annuito e lei si era messa in macchina, arrivata a casa trovò Erin che cucinava qualcosa.
“Bentornata! Sto cucinando della pasta.”
“Perfetto, la mangio e poi mi prendo un’aspirina, ho paura di essermi presa qualcosa.”
La sua coinquilina aveva annuito e lei era andata in camera sua e aveva disfatto le valigie, una volta finito era tornata in sala.
La tavola era già apparecchiata e la pasta già sul piatto: questa sì che era vita!
Mangiò con gusto tutta la pasta che Erin le aveva messo generosamente nel piatto, poi ingollò la sua aspirina e si stese sul divano.
Cadde immediatamente in un sonno senza sogni da cui si risvegliò solo verso le sei del pomeriggio.
La casa era vuota e sul frigorifero c’era un biglietto di Erin che diceva che le avevano assegnato un turno serale all’improvviso e che era al lavoro.
Anne sospirò. Questo significava passare la serata da sola e non le piaceva particolarmente come programma.
Aspettò un’altra ora e poi si cucina la cena: una minestrina spartana e senza troppe pretese.
Fino alle dieci guardò la tv, poi siccome non aveva sonno e si era stancata dei solito show decise di fare un salto al Soma, magari avrebbe trovato qualcuno che conosceva.
Si vestì, scelse una mini di jeans e una maglia a pois, una felpa e i soliti giacca di pelle e anfibi. Afferrò la borsa e uscì di casa, fuori la serata era fredda ma serena.
Una rara notte limpida in cui la luna splendeva alta nel cielo e le stelle brillavano così forte da dare l’impressione che si potessero toccare.
Salì in macchina e inserì nello stereo una cassetta della band di suo fratello e canticchiò tutte le canzoni. I blink erano bravi, presto avrebbero suonato al Soma e poi avrebbero registrato un album. Era così che doveva andare.
Parcheggiò ed entrò nel locale, era piuttosto vuoto, solo al bancone c’era una figura conosciuta: Tom.
“Ehi!”
Lui si voltò e sorrise.
“Ehi Anne, come sta tua madre?”
“Meglio, un birra per favore!”
Chiese al barista.
“Tu come stai, Tom?”
“Come uno che ha avuto una pessima giornata al lavoro e tenta di dimenticarla.
Ho la schiena a pezzi, i sacchi di cemento pesano!”
Arrivò la birra di Anne e il primo sorso le scese in gola che era un piacere, si sentiva già maglio.
Chiacchierò ancora un po’ con Tom, poi si decisero a scendere in pista, non c’erano band ad esibirsi, ma qualcuno aveva messo una playlist che comprendeva i Sex Pistols.
Sorridendo, si presero per mano ed iniziarono  a pogare.
Pogare era sempre stato un modo per dimenticare i suoi problemi e vederli volare via leggeri, almeno per un po’ e sapeva che anche Tom la pensava così.
Stava saltando quando due braccia la chiusero in un abbraccio e si accorse che il ragazzo misterioso non era altri che Tom.
Anne si rigirò e lo guardò in faccia, sembrava piuttosto ubriaco.
“Sei bella, Anne!”
“E tu sei ubriaco.”
Gli rispose dolcemente.
“Vieni che ti porto a casa!”
Lui scosse la testa, la strinse di più a sé e le appoggiò la testa sulle spalle.
“Tu sei bella e io sono solo.
Le ragazzi mi usano solo, l’unica che amavo mi ha mollato.
Sono soloooo!”
“Non sei solo, hai noi!”
Tom la guardò in faccia con un ghigno indecifrabile e poi Anne sentì le sue labbra premere sulle sue con decisione, lei non provò nemmeno a resistere e lo lasciò fare.
In fondo amava quel ragazzo e quella notte che avevano passato insieme era come scolpita nella sua mente e qualsiasi revival era gradito.
Continuarono a baciarsi; la lingua di Tom era avida, le lasciava poco tempo per riprendere fiato.
Solo dopo  un po’ rallentò il ritmo in qualcosa di dolce e tenero, come se davvero stesse baciando una persona che amava e non una su cui avrebbe sfogato i suoi ormoni di lì a poco.
Si staccò e le accarezzo i capelli, arrotolandosi una ciocca sulle dita.
“Sei bella Anne e io ti voglio tanto bene.”
“Anche io ti voglio bene, Tom.”
Lui sorrise e riprese a baciarla.
Anne ancora non oppose resistenza,  lo lasciò fare. In fondo gli errori erano concessi a tutti.
Fu naturale uscire mano nella mano del locale e fu naturale che Tom tentasse di baciarla mentre guidava nell’appartamento in cui lei viveva.
Quando raggiunsero l’appartamento, una volta chiusa la porta, Tom la bacio e la spinse verso il legno facendole sentire quanto fosse eccitato.
Scese piano a baciarle il collo e le spalle, poi le tolse la felpa e la maglia, lui accarezzò la pelle con cui veniva a contatto e si soffermò sul reggiseno facendola gemere.
Guidata dall’istinto, la ragazza tolse la maglia a Tom e poi cominciò a baciargli la mascella, il collo e il petto, stringendosi contro di lui.
“Anne.”
Disse lui eccitato, per poi prenderla in braccio e portarla in camera sue e stenderla sul letto.
In un attimo erano tutti e due in intimo e Tom era in lei senza preliminari, spingeva forte e gemeva, Anne provava un misto di piacere e dolore.
“Tom, rallenta!”
Lui la guardò sorpreso, poi diminuì il ritmo e le baciò le tempie.
“Scusa, scusa, scusa!”
Continuò con spinte più lunghe e profonde che la facevano gemere e conficcare le sue unghie nella schiena di Tom.
“Tom!”
“Anne!”
Continuarono finché il calore che lei provava al basso ventre non diventò insopportabile ed esplose in un orgasmo che la lasciò senza fiato, lui sopra di lei era completamente perso e aveva la bocca contratta in una smorfia di puro piacere.
Dopo un altro paio di spinte la aprì ed urlò più forte, aveva raggiunto l’orgasmo anche lui svuotandosi nel preservativo. Cadde su di lei sudato, ansante e felice.
Poco dopo si alzò a togliere il preservativo e a buttarlo nel cestino, poi si sdraiò accanto a lei  e la avvolse in un abbraccio.
Anne si addormentò immediatamente.
Era felice.

 

La mattina dopo si svegliò che il sole era già alto, doveva andarsene prima che Tom la vedesse?
L’istinto le diceva di sì, era però ormai troppo tardi anche lui stava stropicciando gli occhi e poi li aprì e la vide. Sul suo volto si formò un’espressione di pura sorpresa, poi si guardò intorno e capì.
“Merda!”
Imprecò tra i denti.
“Non sarebbe dovuto succedere!”
“Perché?”
“Perché sei la mia migliore amica e non sarei dovuto venire a letto con te!”
Lei abbassò gli occhi e cercò con scarsi risultati di trattenere le lacrime, lui le alzò il mento.
“Non è che sia del tutto pentito, è che ora non sono pronto per una relazione seria.”
“O ami Jen.”
Lui stese, guardò per mezzo secondo il soffitto e poi scosse la testa.
“No, non la amo. Con lei è solo sesso, niente di più.
Non voglio rovinare l’amicizia che c’è tra noi mettendoci di mezzo il sesso.”
Lei stese sospirando al suo fianco.
“Per quel che vale so aspettare.”
Lui non disse niente, sorrise e le diede un bacio sulla fronte.
Anne lo guardò rivestirsi e solo quando sentì la porta di casa chiudersi scoppiò a piangere come una fontana. Certo, aveva sempre saputo che lei per Tom era solo un’amica, ma sentirselo dire in faccia era stato come ricevere una coltellata in pieno petto.
Era talmente disperata che non sentì la porta di casa aprirsi di nuovo e i passi di qualcuno che si dirigevano in camera sua.
La porta si spalancò, Anne vide una sfigura minuta e sfuocata che somigliava a quella di Erin, anzi era Erin.
“Cosa è successo, Anne?”
Anne continuò a piangere, ignorando l’amica, finche Erin non la scosse per le spalle.
“Anne, cosa è successo?”
“Ho fatto sesso con Tom!”
“E?”
“Lui era ubriaco, ma quando si è svegliato ha fatto due più due e ha capito cosa è successo.
Ha detto che per lui sono solo un’amica e che non vuole rovinare la nostra amicizia con del sesso perché ci tiene a me e mi ha detto anche che non si sente pronto per delle relazioni serie.”
“E tu?”
“Gli ho detto che sarei stata capace di aspettare!”
Disse la bionda tra le lacrime.
“Oh, Anne!”
“Ho fatto un casino!”
“No, lui… Lui si tiene a te!”
“Come amica.”
Erin scosse la testa.
“No, io penso che tenga a te molto più che come semplice amica e che questo lo spaventi talmente tanto da negare a sé stesso di sentire qualcosa per te.
Io sono sicura che non appena avrà capito cosa vuole tornerà da te, potrebbero volerci anni però e con Jen intorno sarà ancora più difficile.
Devi davvero essere paziente.”
Anne sospirò.
“Spero che quello che dici tu sia vero, io in ogni caso sarò paziente, anche se vorrei ammazzare Jen in modo particolarmente cruento.”
Erin rise.
“Questo è normale, la odiano tutti!”

“Beh, lei non fa niente per rendersi simpatica. Si comporta come se fosse chissà chi, la regina di qualcosa, invece è solo una banale ragazza che somiglia a un cavallo e che ha l’unica fortuna di essere ricca.”
Erin scoppiò a ridere e cadde riversa sussultando.
“Un cavallo! Dio mio, per un attimo mi sono immaginata un cavallo con la faccia di Jen, la corona in testa, che nitriva ordini a destra e a manca e che veniva subito accontentata.”
Anne scoppiò a ridere a sua volta, tra le lacrime.
L’immagine che Erin aveva evocato pur essendo assurda era anche incredibilmente vera, il giorno in cui la regina avrebbe trovato per i suoi denti sarebbe arrivato il loro momento di divertirsi.
Il momento in cui si mangiava la polvere arrivava per tutti e –  inconfessabilmente , dato il suo carattere bonario – lei sperava che alla mora succedesse molto presto.
“Dovresti qualcuno che ti aiuti a superare questa situazione.”
“Il chiodo scaccia chiodo non vale per me.”
“Boh, era solo un’idea.”
Anne si alzò.
“Andiamo a mangiare qualcosa,ormai è mezzogiorno.”
“Io non cucino.”
“Nemmeno io.”
Si guardarono negli occhi.
“Ok, Mac Donald.”
Presero le borse  e le giacche e uscirono dall’appartamento, decisero di arrivare al fast food più vicino a piedi.
Dopo aver ritirato le loro ordinazioni a un tavolo solitario video David e decisero di fargli compagnia.
“Ehi, Davey!”
Lui alzò il volto sorpreso.
“Ciao ragazze!”
“Possiamo sederci con te?”
Lui annuì.
“Certo che potete, stavo solo riflettendo sull’ennesima storia andata male.”
“Anche noi, potremmo fare un club di cuori solitari.”
David rise e poi diede un altro morso al panino.
“Tu esci da quella con Trav e tu, Anne?”
“Da una notte di fuoco con Tom DeLonge.”
Sul volto di David apparve una smorfia strana, a metà tra un ghigno e un sorriso.
“Alla fine ci sei ricaduta…”
“Lo amo, David e continuerò ad  amarlo e ad aspettare che lui sia pronto ad amare me.”
“Ti auguro buona fortuna, la fine della storia con Erin lo ha reso molto restio a lasciarsi andare.”
“Scusatemi.”
Mormorò con gli occhi bassi la tirata in causa.
“Scusami tu, Erin. Sono stato poco delicato io a dire il tuo nome come se non ci fossi.”
“Hai solo detto la verità, non c’è niente di male nella verità e tu sei il solito caro ragazzo, spero troverai qualcuna che sappia apprezzarti.”
David arrossì e non disse nulla, era bello stare con ragazzi timidi ogni tanto, cambiare dal continuo vociare di Mark e Tom che si scambiavano battute a raffica e facevano un sacco di casino.
Era bello, era riposante.
Finito il pranzo, salutarono David e poi si diressero verso il loro appartamento, stranamente trovarono la porta aperta e qualcuno in salotto: Mark.
“Anne, non hai nulla da dirmi?”
Anne lo guardò sorpresa.
“No, beh no.”
“Niente che riguardi Tom?”
Lei arrossì.
“Come fai a saperlo?”
“Non è importante.”
Lei strinse i pugni.
“Sì che lo è e  farai bene a dirmelo.”
Mark la guardò con occhi di fuoco.
“L’ho sentito, mentre si confidava con Ruby.”
Anne tirò un sospiro di sollievo mentale, Tom non era andato a sbandierarlo a tutti come se fosse una scopata senza importanza.
“Sì, sono andata a letto con Tom.”
Il fratello sbiancò visibilmente.
“Perché?”
“Perché lo amo.”
Mark ondeggiò pericolosamente e poi cadde lungo e disteso vicino al divano, evitando per un pelo di distruggersi il cranio contro il tavolinetto del salotto.
Anne guardò Erin e sospirando spostarono il corpo del ragazzo sul divano, dopo qualche minuto suo fratello tornò in sé.
“Ti prego, dimmi che non ami Tom.”
“Mi dispiace, ma lo amo e non posso mentirti.”
Lui si batté una mano sulla fronte con aria dolorante, sembrava avesse ricevuto un colpo molto forte in pancia.
“Come cazzo hai fatto ad innamorarti di Tom?”
“Non ne ho idea, è successo.
Piano piano la mia amicizia è diventata altro.”
“Lo sai che soffrirai, vero?”
“Lo so.”
Lui sospirò.
“Però forse hai qualche possibilità, Jen è solo un giocattolo, forse quando si stanca e decide che può amare ancora dopo Erin ci sarà spazio per te.”
“Lo spero.”
“Dio, che casino.”
Anne annuì.
“Sì, è un gran casino.”
“Posso pestare Tom?”
“No.”
“Nemmeno un pugnetto?”
“No.”
Lui sospirò e si rialzò dal divano.
“Va bene, vado al lavoro.
Ci vediamo, ciao.”
“Ciao.”
Anne lo guardò uscire dal suo appartamento, era curvo e stordito come un pugile suonato.
Povero Mark!
Chissà che shock era stato per lui scoprire che la sua sorellina era innamorata del suo amico donnaiolo, una di quelle sorprese che un fratello non vorrebbe mai sentire.
-Mi dispiace, Mark.-
“Anne, mi spiace lasciarti da sola, ma ho il mio corso.”
“Vai tranquilla, Erin. Io cercherò di studiare per l’esame di domani.”
Lei annuì ed uscì, Anne invece si stese sul divano con il libro e i suoi appunti. Amava studiare, ma le veniva difficile farlo in quelle condizioni: le rimbombavano ancora in testa le parole di Tom che le diceva che era solo un’amica e poi c’era il fatto che Mark ci era quasi rimasto secco alla notizia.
Era un’impresa titanica che portò a termine al prezzo di un mal di testa enorme, quando erin Tornò a casa la trovò china sul libro, mentre gemeva e si  teneva la testa con una mano.
“Staccati da quel libro o muori.”
Lei annuì e andò in bagno per prendere un’aspirina, la ingollò e poi ingollò la cena.
Erin la guardava con un mezzo sogghigno incomprensibile.
“Si può sapere che hai?”
“Ho incontrato Tom.”
Esclamò l’altra dando un morso a una mela.
“E?”
“Abbiamo parlato un po’, anzi io gli ho scucito un po’ di cose.”
“Di che tipo?”
“Non lo ammetterebbe mai, ma gli piaci, Anne. Deve solo trovare il coraggio di dimenticarmi e di smettere di frequentare Jen e poi ci sono buonissime speranza per te.”
“Davvero?”
Anne la guardava a occhi sgranati.
“Certo. Credimi, ci vorrà un po’, probabilmente anni, ma ce la farai.”
“Lo spero, ma non ti dà fastidio questa situazione?”
Lei scosse la testa.
“Tom per me è un amico e voglio consegnarlo nelle mani di una brava persona, una che sia adatta a lui e tu lo sei.”
Anne arrossì.
“Beh, grazie.”
“E di che?”
Anne corse in cucina per preparare la cena, rossa come un pomodoro.
Nel suo cuore germogliava una piccola speranza, forse Tom sarebbe diventato il suo uomo un giorno o l’altro e allora sarebbe stata felice.
Poteva vivere in funzione di quel giorno che forse non sarebbe mai arrivato?
Sì, poteva e doveva farlo.
Ora si sentiva forte, ce l’avrebbe fatta: avrebbe sconfitto Jennifer e poi finalmente avrebbe avuto Tom.
Anne sorrise, il suo futuro era tracciato, ora doveva solo attenersi alle linee e tutto sarebbe andato bene.
Con calma avrebbe ottenuto la sua felicità.

Angolo di Layla.

Ringrazio ElaEla e LostinStereo3 per le recensioni.

 

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Capitolo 27
*** 27) Australia: koala, canguri e nostalgia. ***


27) Australia: koala, canguri e nostalgia.

 

In tre anni possono cambiare un sacco di cose.
I blink hanno finalmente suonato al Soma come sognavano, è successo due anni fa ed è stato epico.
Mark ha dovuto prendere in prestito la station wagon di sua madre per portare al locale tutti gli strumenti – una macchina poco adatta a tre giovani punk, per citare Anne –  ma il successo che hanno riscosso li ha ripagati della brutta figura.
Alla fine la gente pogava persino sul palco e tentava di farsi prendere in braccio da Tom o da Mark, soprattutto le ragazze. Avrei voluto ucciderle tutte, ma fortunatamente mi sono trattenuta e le vacche hanno preso tutte maglia e demo dei blink.
Glieli ho venduti entrambi augurando loro di finire sotto un tir, ma glieli ho venduti e la band iniziava ad avere un nome e a interessare le altre band punk e pop-punk.
Quella sera sia Billie Joe che Lars ci hanno telefonato per fare i complimenti alla band e hanno fantasticato per un po’ sul fare un tour insieme.
Nel ’94 finalmente la band è riuscita ad attirare l’attenzione della Cargo Record, riuscendo ad incidere un album che non fosse una demo non autoprodotta: Cheshire Cat.
Io, Erin e i ragazzi abbiamo pensato a lungo alla copertina, poi alla fine abbiamo deciso per un siamese con due incredibili occhi azzurri, quasi come quelli di Mark.
Insieme alla fama, se così si può definire il loro successo locale, sono arrivati i problemi: una sconosciuta band tecno irlandese li avrebbe denunciati se non avessero cambiato nome, dato gli irlandesi si chiamavano blink da più tempo di loro.
Tom ha minacciato, imprecato e bestemmiato, ma alla fine ha dovuto cedere e in accordo con Mark ha aggiunto 182 al nome.
Gli ho più volte chiesto cosa significhi quel numero, ma lui dà risposte contraddittorie: l’hanno scelto a caso, è il numero di volte in cui viene detto fuck in Scarface, sono le volte in cui lui ha mandato a fanculo Tom.
Penso sia buona la prima, in ogni caso da Cheshire Cat vennero estratti due brani: M+M’s e Wasting Time.
La prima volta che ho sentito M+M’s alla radio ho pianto come una bambina ricordandomi le circostanze in cui era stata scritta, Tom invece era in macchina e ha urlato a tutti che quella era la sua canzone e di ascoltarla, cazzo.
Inutile dire che quella sera abbiamo festeggiato come matti, ubriacandoci tutti,  c’erano persino Skye e Matt, ma non Jen. Tom quella sera è stato sempre appiccicato a Anne e ho sperato che dimenticasse la troia, purtroppo le mie speranza sono state deluse, non appena Jen l’ha chiamato Tom è corso da lei.
In quando a Skye, nonostante fosse tornata a San Diego e non stesse più con Matt, non è tornata amica della dittatrice. Le ho chiesto perché avesse mollato Matt e lei mi ha detto che ora lei lo vedeva più come amico che come ragazzo, gli voleva bene, ma non abbastanza per portare avanti la loro storia.
Matt ha incassato stoico, anche perché Tom ha deciso di tenerlo impegnato a modo suo: dato che i blink avevano successo lui sarebbe stato il loro roadie.
Nel ’94 è successa anche un’altra cosa meravigliosa: i ragazzi hanno girato il loro primo video.
Nella prima versione rubano cose alle loro ragazze e poi vanno  a divertirsi e mentre stanno per fare un concerto vengono uccisi. Beh, forse non li ucciderei, ma lo picchierei se Mark rubasse le mie cose.
Il secondo video – quello definitivo – sono semplicemente loro che fanno i cretini in un parco. Matt – presente al video – ha detto che effettivamente si sono divertiti un modo  e io gli credo, non ci vuole molto a renderli felici.
Anche l’anno scorso è stato un bell’anno per loro, hanno registrato un altro disco con la Cargo Record, chiamato Dude Ranch in cui si vede perfettamente la loro vena idiota.
Sono stati messi in circolazione altri singoli, sono stati girati altri video e il loro successo aumenta, tanto che per loro viene organizzato un tour insieme ad altre band emergenti nel sud dell’Australia.
Ed è esattamente qui che siamo: nel Sud dell’Australia su un pullman.
Mark è appoggiato alla mi spalla, Tom è davanti con l’autista – probabilmente lo sta facendo impazzire  parlando di alieni – e Scott dorme sui sedili.
E solo pomeriggio, ma lui è già k.o per una sbronza, quel ragazzino ha un serio  problema con l’alcool, ma per ora gli altri lasciano correre. Credo che pensino che finché non interferisce con la band vada bene, io invece sono preoccupata.
Ormai da tre anni sta con Hayley e mi sono sempre sembrati una coppia equilibrata, tranne nell’ultimo periodo: sospetto che la mia amica mi nasconda qualcosa.
Porta troppo spesso occhiali da sole e foulard quando non ce n’è bisogno e abusa del correttore ultimamente, ho il sospetto che Scott la picchi da ubriaco.
Lo scruto, nel sonno sembra un bambino innocente, ha un’aria indifesa e dolce. Non sembra capace di picchiare una persona, ma le impressioni spesso sono sbagliate e anche lui che sembra così innocuo potrebbe rivelare delle spiacevoli sorprese.
Sento uno sbuffo sul mio collo, è Mark.
Gli mancano gli Stati Uniti, gli manca san Diego, gli manca la sua famiglia.
All’inizio del tour eravamo eccitati, avremmo visto i canguri, i koala, il deserto, gli aborigeni; ora lo siamo un po’ meno perché sono diventati routine e la nostalgia di casa si fa sentire.
A me manca il mio appartamento e mia sorella.
A interrompere i miei pensieri arrivano Matt e Hayley, lei indossa un foulard persino con questo caldo.
“Ehi, vi va una partita a carte?”
Io rido.
“Sì, così mi stracciate ancora come l’ultima volta!”
Rido io, ma insieme agli tre ci mettiamo davanti a un tavolino e iniziamo a giocare a poker con in sottofondo il russare di Scott.
“Quanto rompe i coglioni!”
Esclama Matt.
“Puoi giurarci, lo butterei giù dal pullman!”
Ultimamente la popolarità di Scott non è alle stelle per nessuno di noi, solo Tom e Mark lo sopportano, ma ho il sospetto che durerà poco. Quel ragazzino sta perdendo il treno verso un destino meraviglioso e nemmeno se ne rende conto.
Giochiamo fino a quando si fa sera e ci fermiamo in una cittadina, domani saremo a Sidney per l’ultimo prima della pausa per Natale.
Non vediamo l’ora che arrivi questa dannata pausa e io ho un paio di idee per una sorpresa, solo che ho bisogno di appoggio. Ne dovrò parlare a Matt e Hayley al più presto visto che la sorpresa che ho in mente è in grande stile e servirà a mitigare la nostalgia di casa di tutti.
Quando finalmente scendiamo, dopo aver sistemato i bagagli, busso alle stanze di Matt e di Hayley, quest’ultima è senza foulard e ha un brutto segno sul collo, come se qualcuno avesse tentato di strozzarla.
“Cos’è quel segno?”
“Niente, tu cosa vuoi?”
Le lancio un’occhiataccia, quello non è niente, è un livido bello e buono!
“Ho bisogno di te e di Matt per una cosa. C’è Scott?”
“No, è al bar dell’albergo.”
Io stringo la bocca in una linea dura, non appena avrò finito qui lo tirerò vai da lì con l’aiuto di Mark o Tom.
“Ascolta, per Natale volevo fare una sorpresa ai ragazzi. Verranno i loro genitori e qualcuno della compagnia, mi dai una mano distraendoli mentre io lì porto alla casetta che ci hanno dato per Sidney?”
Lei annuisce.
“Certo, è un’idea grandiosa! A loro fa benissimo!”
“Hayley, non mi devi dire nulla?”
“No.”
“Sei sicura?”
“Sì.”
Non insisto oltre – anche se questa storia non mi piace – ed esco dalla stanza per bussare a quella di Tom, lui apre in mutande.
“Copriti, scostumato!”
Lui ride e si infila un paio di shorts e poi mi guarda curioso.
“Dobbiamo andare a recuperare Scott, Hayls mi ha detto che è al bar e penso che voi vogliate un batterista sobrio.”
Tom diventa serio, afferra una maglia e mi segue verso il bar. Lì troviamo uno Scott sulla via della sbornia, Tom intima al barista di non servirgli più niente e nonostante le proteste del batterista se lo carica in spalla.
“Tom, tienilo in camera tu.”
“Perché?”
Io abbasso la voce fino a farla diventare un sussurro.
“Ho paura che picchi Hayls, prima l’ho vista senza foulard e aveva un brutto livido sul collo come se qualcuno avesse tentato di strozzarla.”
Tom non dice nulla e si limita ad annuire.
Ho il sospetto che Scott Raynor abbia i mesi contati nei blink, povero coglione.
“Ruby?”
Lui prende il respiro, come quando si sta per correre.
“Ti ringrazio per esserti presa cura della band, aver lavato la nostra roba, cucinato, tirato su di morale, ascoltato le nostre lamentele, venduto il nostro materiale, curato quando ci ammalavano o quando ci siamo feriti.
Grazie per averci portato via dai bar, averci aiutato a vomitare, messo a letto e preparato rimedi anti-sbornia.
Io….
Ecco, grazie e ti voglio bene.”
È raro che Tom esterni i propri sentimenti, quindi rimango un attimo inebetita, poi mi avvicino a lui e lo abbraccio forte.
“E di che? Era nei patti, no?
Tom… Ti voglio un mondo di bene, sei il mio migliore amico e ho fatto quello che ho fatto perché mi piaceva e vi voglio bene.
Adesso ti lascio, preparati per il concerto, bestia!”
“Ai suoi ordini.”
Si mette scherzosamente sull’attenti, mentre io lascio la camera ridendo.
Raggiungo la mia e trovo Mark intento a fare esercizi di quello che sembra yoga, smette non appena mi vede.
“Dov’eri?”
“Sono andata da Hayls, cose da donne, e lei mi ha detto che Scott si stava di nuovo ubriacando, così o chiamato Tom e lui se l’è portato in camera.”
“Perché?”
Io mi siedo sul letto.
“Perché ho paura che Scott picchi Hayley, ho visto il suo collo oggi aveva un livido bluastro come se qualcuno avesse tentato di strozzarla.”
Tom si siede accanto a me e mi passa una mano lungo la schiena per poi appoggiarla comodamente al mio fianco.
“Questa è una brutta storia.”
“Lo è, aspetto solo di coglierlo sul fatto così potrò dirgliene quattro.”
“Ultimamente si presenta poco ai sound-check, non è più un buon batterista. Se solo conoscessimo uno bravo come lui l’avremmo già sostituito.
Questa situazione non può durare.”
“No, non può durare in nessun modo.”
Concluso questo nulla cambia, i problemi continuano a esistere nello stesso modo in cui esistevano prima.
Tristezza.
 

La sera del concerto è arrivata.
I blink sono stanchi, Tom ha un raffreddore così forte che quasi gli impedisce di cantare, Mark ha due occhiaie da insonne cronico e Scott si regge a stento in piedi.
Prima che lo show inizi Mark mi dà un bacio e poi va sul palco a fare casino come al solito, io sorrido e mi dirigo verso il punto vendita delle magliette, vicino a me c’è Hayley e ha un’aria stanca e il solito foulard.
Mi trattengo a stento dal chiederle se ha visto Scott prima  dello show, non credo gradirebbe questa intromissione. Di solito le donne picchiate e maltrattate dal proprio uomo non sono propense a farsi aiutare, prima devono raggiungere il fondo.
“Dai, che questa è l’ultima!”
Tento di farle forza, lei annuisce spenta.
“Mi manca casa, non vedo l’ora di tornarci.”
“Spero che la sorpresa di domani funzioni.
Ah, a proposito cosa ne dici di venire con me all’aeroporto?
Penso che Matt li distrarrebbe meglio.”
Il suo volto si illumina di gratitudine silenziosa.
“Si certo.”
Dopo questo ci godiamo il concerto e alla fine veniamo subissate da gente che vuole avere qualcosa dei blink, qualcuno persino una notte di sesso e solo il buonsenso e Hayley mi trattengono dall’uccidere seduta stante l’innocente che ha espresso questo pio desiderio.
Alla fine del concerto Tom sparisce con una biondina che mi ricorda Anne – ah! – Hayley e Scott se ne vanno nel bungalow che hanno affittato vicino alla spiaggia e io Mark al nostro.
È stanco, ma gasatissimo cosicché una volta buttati dentro casa i nostro bagagli lui inizia a baciarmi con impeto e la sua mano sale verso il mio seno accarezzandomi il fianco.
La sua bocca diventa una O perfetta quando si accorge che non porto il reggiseno.
“E questa sorpresina?”
Chiede malizioso, mentre stringe un capezzolo tra le mani.
“Mmmh, stasera faceva caldo e ho pensato che dopo sarebbe stato d’intralcio.”
“Hai pensato bene!”
Continua a baciarmi e mi toglie la maglia, poi mi prende in braccio e mi deposita sul divano.
Non faccio in tempo a sorridere che lui è su di me, la testa sepolta tra le mie tette.
Io inizio a gemere e tento debolmente di ribaltare le posizioni, ma lui ne approfitta per togliermi il resto dei vestiti e per poggiare maliziosamente una mano sulla mia femminilità.
Inizia a lavorare con le dita e con la lingua e io rischio di impazzire, è dannatamente bravo ormai, conosce a memoria tutti i punti che mi fanno perdere il controllo.
In breve tempo mi ritrovo a urlare il suo nome e poi a essere in preda a un orgasmo devastante, mi sembra di essere catapultata in cielo, l’unica cosa che mi tiene qui sulla terra è il suo sorriso soddisfatto.
Ora tocca a me ricambiare e prendo letteralmente in mano la situazione, iniziando a giocare svogliatamente con il suo amichetto. So che lo fa dare di metto e presto supplica per avere di più.
Lo accontento mettendomi su di lui, anche se provo sempre dolore al primo affondo.
Continuiamo per un po’ così: le sue mani sono saldate ai miei fianchi a dettare il ritmo.
Ribalta poi le situazioni e dopo pochi colpi veniamo insieme, urlando i nostri nomi.
Lui si lascia andare su di me e io mi godo il calore del suo corpo abbandonato sul mio, amo questo momento.
Amo passare le dita tra i suoi capelli bagnati e sentire il suo cuore battere contro il mio: mi fa stare in pace con il mondo.
“Mh, credo che stanotte dormirò.”
“Nel letto magari.”
“Mi sembra una buona opzione.”
Si alza e si mette i boxer, io le mie mutandine e la sua maglia, inaspettatamente mi porta in braccio fino alla camera e mi mette sotto le coperte, immediatamente mi raggiunge e mi attira sul suo petto.
Tempo cinque secondi è finalmente immerso nel sonno dei giusti, quello che ultimamente sembrava disertare fin troppo spesso e che gli ha disegnato due occhiaie violacee sotto i suoi meravigliosi occhi.
Poco dopo mi addormento anche io.
Felice.
La mattina dopo è la vigilia di Natale, io mi sveglio per prima oppressa dal troppo caldo.
In Australia è piena estate ed è un’estate afosa, l’arietta che ieri sera spirava dall’oceano sembra esserne andata.
Con aria stanca mi trascino in cucina preparo il mio caffè e la tazza di cereali e l’acqua per Mark.
Una volta che il caffè è pronto lo prendo insieme alle sigarette e mi siedo sulla sedia che c’è nel cortile posteriore, dà direttamente sull’oceano. Oggi è piatto e azzurro, leggermente accarezzato dai raggi del sole appena nato.
Io bevo e contemplo in silenzio questa meraviglia della natura sentendomi abbastanza bene, oggi sarà una giornata pesante e ho bisogno di energia.
Poco dopo sento dei rumori – qualcuno scende le scale e poi arriva in cucina – poco dopo Mark fa capolino con la sua ciotola in mano.
“Buongiorno!”
Io sorrido.
“Buongiorno Mark.”
Lui si siede accanto a me.
“Come mai non mi hai chiamato?”
“Dormivi così bene che non me la sono sentita, hai bisogno di riposo.”
Lui stiracchia le braccia.
“Riposerò in questi giorni.”
“Sì, tanto il prossimo concerto lo avete dopo capodanno.”
“Oggi è la vigilia di Natale.”
“Sì.”
“Che tristezza.”
Torna dentro, lasciandomi da sola a guardare l’oceano, deve essere messo proprio male se giudica triste persino la vigilia di Natale, la sua festa preferita.
Entro in cucina e deposito la mia tazza in cucina, poco dopo suona il campanello e Matt entra in casa: indossa una maglia dei blink, dickies e un paio di vecchi anfibi.
“Ehi, Hoppus!”
“Ehi, Sullivan! Come mai qui?”
“Ti porto a surfare.”
“Ma io non ne ho voglia.”
Matt lo guarda divertito.
“Siamo in Australia  e non vuoi surfare? Sei pazzo?
Vieni subito!”
Dopo un altro paio di battute del genere Mark capitola e Matt mi fa l’occhiolino. Io aspetto un attimo che se ne siano andati e poi chiamo Hayley, lei mi dice di essere a casa da sola, il che è perfetto.
Esco di casa e mi reco da lei, ha un brutto occhio nero, ma mi dice che se l’è fatta sbattendo contro un muro, razza di zuccona.
Noleggiamo una macchina ciascuna e raggiungiamo l’aeroporto, molto affollato in questi giorni di festa. Alla fine, con qualche difficoltà arriviamo agli arrivi internazionali, aspettando di vedere arrivare i nostri.
Un quarto d’ora dopo mia sorella fa la sua comparsa seguita da mia madre e dai miei nonni, dietro il team Ferreira si vedono Anne, la signora Hoppus, la signora DeLonge, Kari, David e purtroppo Jen.
Io e Hayley ci sbracciamo e finalmente ci vedono, da lì in poi è tutto un giro di abbracci da cui Jen resta esclusa con la sua solita espressione di superiorità appiccicata alla faccia.
Finito quello ci dividiamo i passeggeri e vediamo chi dovrà prendere il taxi, è una faticaccia ma ce la facciamo. Jen non ha rivolto la parola a nessuno, forse ha paura di prendersi un qualche virus.
Arrivati a casa offro da bere e da mangiare a tutti, rimanendo sulle spine.
Mi chiedo se questa sarà davvero una bella sorpresa, se i ragazzi reagiranno bene o no.
Per placare l'ansia vado in cucina a controllare cosa c’è per il pranzo di Natale, quasi tutto perché ieri mi sono decisa a fare la spesa in previsione di tutto questo.
Ho un’ansia terribile, perciò inizio a darmi da fare ai fornelli.
Mia nonna mi raggiunge poco dopo.
“Tesoro, andrà tutto bene, non è il caso di farsi prendere dal mal di pancia.
Io annuisco distratta e lei mi abbraccia.
“Sei proprio cresciuta bene, sei una splendida donna.
Sono fiera di te.”
Dai miei occhi scende qualche lacrima.
“Grazie nonna, volevo somigliarti anche solo un pochino.”
Lei sorride enigmatica e mi scompiglia i capelli, io torno di là: c’è una bella atmosfera.
Sono tutti calmi e tranquilli, ridono e scherzano, non posso sbagliarmi quello che sento nell’aria è profumo di famiglia, di amore e protezione.
Spero che i blink apprezzino la mia sorpresa.
Questo è l’ultimo pensiero che mi viene in mente prima di mettermi a chiacchierare con Erin come non facevo da mesi.
Sì, ogni tanto un po’ di sana famiglia ci vuole.

Angolo di Layla.

Ringrazio ElaEla per la recensione.

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Capitolo 28
*** 28)Natale in Australia (festa in spiaggia compresa). ***


28)Natale in Australia (festa in spiaggia compresa).

 

La parte peggiore nel fare sorprese è l’attesa: quel momento in cui non sai se hai fatto la cosa giusta o sbagliata.
Quel momento in cui tutte le paranoie più assurde ti assalgono e non sai che fare, fortunatamente c’è Erin che mi molla pacche sulla spalla ogni volta che mi trova imbambolata e persa in questi pensieri.
“Dai, che farà loro piacere, non fare la paranoica!”
Subito dopo sento delle frasi.
“Di’ un po’, Matt! Ti hanno rapito gli alieni?
Come mai vuoi che ci riuniamo tutti a casa di Mark?”
“E che palle, DeLonge! Smettila di tirare in ballo questi dannati alieni ogni volta che c’è qualcosa che non funziona come vuoi tu! Ti ho solo chiesto un favore, non di ucciderti!”
Tom sbuffa platealmente, la maniglia della porta si abbassa e poi entrano i ragazzi. L’espressione dei tre blink è impagabile, la sorpresa è riuscita in pieno perché dopo i primi momenti di stupore sorridono.
Mark corre da sua madre e l’abbraccia, idem per Tom nonostante sia ormai un ragazzone di quasi due metri e sovrasti la donna di almeno una spanna.
La madre di Tom guarda dubbiosa il suo ragazzo invece, controlla la barba – troppo lunga – e la pancia troppo piatta.
“Adesso ti rimetto in sesto io, fortuna che c’è Ruby o saresti in condizioni peggiori!”
“Mamma, è un tour non i lavori forzati!”
Lui ride e abbraccia sua sorella, parlotta con lei e poi passa a salutare gli altri, compresa mia madre che lo squadra con occhio critico.
“Hai la barba troppo lunga, raditela.
Hai le occhiaie che toccano terra, dormi.
Balli nei vestiti, mangia di più.”
Curiosamente sembra un generale che passa in rassegna le truppe e Mark si mette spontaneamente sull’attenti, facendola sorridere.
Io li guardo divertita, Mark mi raggiunge e mi abbraccia con trasporto e poi avvicina la sua bocca al mio orecchio.
“Grazie per la meravigliosa sorpresa, era quello di cui avevo bisogno, sei un tesoro!”
Io sorrido.
“Figurati, per così poco. Sono contenta che tu l’abbia apprezzata!”
Poco dopo arriva Tom che mi abbraccia e mi ringrazia anche lui con un sorriso che gli va dall’orecchio all’altro, l’unico che mi sta alla larga è Scott, forse perché sta litigando con sua madre.
“Hai il fiato che ti puzza di birra già prima di mezzogiorno?
Possibile che tu non possa stare sobrio e che nessuno ti aiuti!”
Lancia un’occhiata di fuoco alla band.
“Noi cerchiamo di non farlo bere, ma lui non ci ascolta e se glielo impediamo reagisce male.”
La donna lo guarda, annuisce – la spiegazione di Mark non gli è piaciuta per niente – e poi torna a litigare con il figlio, Scott mi fulmina.
Come se fosse colpa mia se lui beve!
La ramanzina di sua madre è il minimo, forse per me gli darei anche due sberle per fargli capire meglio il concetto!
“Io chiamo una pizzeria per il pranzo.”
Il mio tono risulta più freddo di quel che vorrei, ma Scott mi ha irritata e non sono riuscita a nasconderlo.
Prendo le ordinazioni e chiamo una pizzeria che ho visto qui vicino, mi dicono che ci vorrà mezz’ora per farle arrivare a casa nostra. Io rispondo che va bene e poi vado nel cortile sul retro per fumare in santa pace, mi dà fastidio chi non è riconoscente nei confronti di quello che fai.
Poco dopo essermi accesa una sigaretta sento due braccia avvolgermi e la testa di Mark si appoggia delicatamente sulle mie spalle.
“Arrabbiata?”
“Con Scott.”
Lui sospira.
“Quel ragazzo sta diventando un problema, presto dovremo farci i conti.”
Io non rispondo.
“Comunque ci hai fatto una sorpresa bellissima.”
Sembra stia per aggiungere qualcos’altro quando Tom fa irruzione e quasi ci travolge.
“Me la sono ricordata!”
Io lo guardo senza capire.
“Sai perché io e Jen siamo sempre tornati insieme?”
“Sinceramente no, pensavo volessi una storia poco impegnativa.”
“Invece no, era perché lei diceva di essere quella ragazza con cui ero stato al Soma poco prima di lasciarmi con Erin, ma mentiva. Non è lei! Me la sono ricordata!”
“E allora chi è?”
La voce di Mark fa fare un salto a Tom.
“Ehi, amico! Non mi  uccidere, ma era tua sorella e io ci sono stato benissimo.”
Mark lo guarda male.
“Spero non ti venga in mente di illudere mia sorella con questa cazzata!”
“Mark, non hai capito!
Io sono sempre stato innamorato di tua sorella e non lo sapevo e adesso lo so!”
Mark lo guarda come se il suo amico avesse ricevuto una botta in testa di proporzioni epiche, sembra non capire affatto i suoi ragionamenti, anche io faccio fatica a seguirlo.
So solo che rientra e – dopo un rapido scambio di sguardi – anche io e Mark rientriamo e ci troviamo davanti a una scena surreale.
Tom è inginocchiato davanti ad Anne e le chiede di diventare la sua ragazza tra lo stupore generale. Anne è rossissima, ma poi si inginocchia a sua volta e lo bacia con passione, segno che diventare la donna di Tom non le dispiace per niente.
Le signore Hoppus e DeLonge si guardano e scuotono la testa, Mark dietro di me respira  a stento, mi volto e vedo che la sua faccia è di uno sgradevole verdino.
Con calma lo guido verso il divano e lo faccio stendere, poi gli stringo la mano più forte che posso.
“Anne e Ton stanno insieme.”
“Parrebbe di sì.”
“Se la fa soffrire lo ammazzo!”
“Se Jen si mette in mezzo la uccido.”
“Oh, già Jen… Che ne facciamo di lei?”
Il rumore di un bicchiere in frantumi e di una porta sbattuta ci indica che Jen ha deciso di risolvere il suo problema da sola: fuggendo.
Meglio.
Almeno  non la devo sopportare per la cena di Natale e poi devo farmi assolutamente dire da Anne cosa le ha detto Tom.
Sto morendo dalla curiosità, dato che – contrariamente al mio ragazzo – ho sempre fatto il tifo per loro come coppia e ho sempre sperato che Tom si decidesse finalmente a mollare quella puttana bugiarda che si portava a letto.
L’arrivo delle pizze mi distoglie dai miei desideri di interrogatorio, ma oggi ho intenzione di fargliene uno serio.
 

Dopo pranzo i ragazzi se ne stanno con la famiglia e poi escono a fare un giro per Sidney.
Io, Anne e Hayley rimaniamo a casa a preparare la cena di natale: arrosto con patate.
Questa è un’ottima occasione per far cantare Anne!
“E così sei la ragazza di Tom ora.”
“Sì.”
Ha un sorriso smagliante che non le vedevo da mesi.
“Come ci si sente? Cosa ti ha detto?”
“Benissimo! Praticamente si è inginocchiato e mi ha detto che si era ricordato che ero io la ragazza del Soma che si era portato a letto poco prima di rompere con Erin e che aveva sempre cercato quella ragazza perché con lei era stato bene.
Solo che Jen gli aveva sempre detto che era lei, quando mi ha visto gli è venuto un flash e si è ricordato tutto.
C’era mia madre vicino e mi ha guardato a occhi sbarrati.”
Ridiamo.
“Questo flash lo ha aiutato a capire che ero io la ragazza che aveva sempre voluto e che da un di tempo non provava solo amicizia nei miei confronti, ma che mi amava.
Il cuore mi è esploso di gioia, non credevo che un giorno simile sarebbe mai arrivato, invece eccomi qui: sono la ragazza di Tom!
Sono talmente felice che lo urlerei al mondo!”
Io e Hayley sorridiamo, Anne se la merita un po’ di felicità. Questi ultimi anni non sono stati facili per lei, ogni volta che Jen tornava con Tom faceva in modo di ostentarlo con mezze frasi e allusioni neanche troppo velate.
Lo sapevano tutti che erano frecciatine ad Anne, che Jen non riusciva a non fare, lei ama trionfare su chi considera sfigato.
Oggi però il destino ha cominciato a restituirle un po’ del male che ha fatto facendole vedere Tom che chiede ad Anne di essere il suo ragazzo in ginocchio, per lei è peggio che uno schiaffo.
Oggi ha assistito a una vera e propria sconfitta su tutti i fronti e ha provato all’incirca quello che provò Hitler nell’45, speriamo non si spari.
La preparazione della cena procede così in tutta tranquillità, tra chiacchiere e cucina, fino a quando non suona il campanello.
Una Jen furiosa fa il suo ingresso in cucina.
“TU!”
Urla, puntando il dito verso Anne.
“Mi riprenderò Tom, lurida puttana!”
Io la guardo piuttosto freddamente.
“Qui l’unica puttana sei tu, vattene! Non sei la benvenuta!”
“Non dirmi quello che devo fare, messicana di merda!”
Io appoggio delicatamente il coltello sul lavandino e poi le assesto un manrovescio, come desideravo fare da anni e poi poco gentilmente la spintono verso la porta.
Lei impreca, tenta di graffiarmi, mi insulta; ma non c’è santo che tenga: la butto fuori casa con grande soddisfazione da parte mia.
Mi è sempre stata antipatica, finalmente ora mi posso sfogare!
“Finalmente mi sono tolta la soddisfazione di buttarla fuori casa!”
Anne e Hayley sorridono, la mia antipatia verso Jen è nota a tutti e tutti sanno che è ampiamente ricambiata.
“La cosa divertente è che viene qui a minacciare e insultare come se fosse la padrona della casa e la proprietaria di Tom! Come si permette?
Andava sbattuta fuori, andava!”
“Sì, hai ragione. Spero non troppa rompa troppo a me e Tom.”
“Oh, aspettati che rompa invece e impara a metterla al suo posto, Anne.
La puttana farà di tutto per riprenderselo.”
Anne sbuffa.
“Che ci provi, la prendo a calci da qui fino in California!”
La sua faccia decisa è tutta un programma, Jen avrà pane per i suoi denti.
Verso le sei torna anche il resto della truppa, Mark annusa l’aria e sorride, con quel piccolo gesto mi ha comunicato che gli piace quello che sto cucinando. Lo fa sempre anche a casa e mi ricorda sempre un cagnolino da coccolare.
“Ehi, com’è andata?”
Chiede Tom dopo essere saltato sul divano.
“Bene, a parte una sgradita visita di Jen.”
Lui annuisce.
“Che rottura, speravo prendesse il primo aereo per Los Angeles dopo essere stata mollata.”
“Lo farà, ma quando tornerete, aspettati un assedio.”
“È illegale buttarle addosso dell’olio bollente, vero?”
Chiede Anne.
“Abbastanza illegale.”
“Va beh, allora confido nella capacità di Tom di scacciarla.”
Ridiamo tutti, le madri dei ragazzi comprese.
Stranamente la madre di Tom sorride e quando le passo accanto mi dice la seguente frase: “Sono felice che Tom e Anne si siano messi insieme, sono così carini! Lei sembra fatta a posta per calmarlo ed evitare che si metta in eccessivi guai e lui è perfetto per una ragazza un pochino timida come Anne.”
“Beh, ragazze quando ci fate assaggiare quello che avete amorevolmente cucinato per noi?”
“Quando qualcuno avrà preparato la tavola e magari decorato la casa.”
Mark mi mostra orgoglioso un sacchetto da cui tira fuori un mini albero di Natale e qualche festone in cui Tom si avvolge come uno scemo.
“Pensavo di appenderli per casa non appena Tom se li toglie.”
“E perché mai? Sono così comodi!”
“Tom, l’uomo-albero-di-Natale non ha diritto alla cena, lo sai?”
Esclamo seria, lui si toglie immediatamente e li dà in mano al suo amico.
“Voglio mangiare, voglio che la tua ragazza mi dia da mangiare.”
“Cazzone, dammi una mano ad appenderli!”
“E che palle!”
Insieme appendono i festoni, decorano il mini albero e accendono le sue luci: così c’è già un’aria più natalizia.
Mia sorella intanto apparecchia insieme a Kari, chiacchierando con lei, la più piccola dei DeLonge ogni tanto lancia delle occhiate perplesse a Scott, sembra che non lo riconosca più.
In ogni vaso finalmente è tutto pronto e si mettono a tavola, io servo il primo: lasagne.
Gli occhi di Mark si illuminano: ama quel piatto e probabilmente vivrebbe di teglie di lasagne fino alla fine dei suoi giorni se potesse e non dovesse saltare come una cavalletta a ogni concerto.
In silenzio iniziamo tutti a mangiare, dopo il primo boccone si complimentano tutti con noi, dicendo che sono buone. In effetti il trio Ferreira-Hoppus-Cruz ha fatto un buon lavoro e io sono contenta.
Quando tutti hanno finito, Hayley serve il secondo: arrosto con patate.
Anche questo viene apprezzato da tutti, in particolare dalla mamma di Mark che mi chiede la ricetta.
“Mark, sposatela. È quella giusta per te!”
Lui arrossisce, penso di piacere.
“Mamma! Non è presto?”
Mi guarda e io gli sorrido.
Sì, è presto, anche io la penso così.
“Io vi vedo bene insieme.”
“Ne sono felice.”
Rispondo un po’ emozionata, grazie alle sue parole mi sono vista per un attimo in abito bianco con Mark accanto e la visione mi è piaciuta parecchio.
Sorrido addentando un pezzo di arrosto.
Ah, come sarebbe bello vivere in una casa come questa, con lui che suona e io che correggo i compiti e i nostri figli che giocano sulla spiaggia!
“Ruby!”
Mia sorella mi distrae dai miei pensieri.
“Sì, Erin?”
“Avete qualche idea per l’ultimo dell’anno?”
Io scuoto la testa.
“Nah, sono riuscita a organizzare solo questo perché con il tour è un casino.”
“Capito. Beh, stasera o domani farò un giro per vedere che locali ci sono.”
“No, Erin!”
La voce di mia madre la fa voltare sorpresa verso di lei.
“Natale si trascorre in famiglia.”
Lei sbuffa.
“Me ne ero dimenticata di questa tradizione.”
Io scoppio a ridere, la sua faccia delusa è qualcosa di fenomenale.
“Mamma, ma parlando di tradizioni… Li hai portati i regali?”
“Sì, ce li ho qui. Li avrete tutti a mezzanotte e non un minuto prima.”
Mia sorella scuote la testa, chiedendosi probabilmente come fa a essere così inflessibile anche il giorno di Natale. Io sorrido: mamma è sempre mamma e non sarà certo il Natale in trasferta a cambiarla.
È già un miracolo che a suo tempo abbia accettato i ragazzi e che ancora li accetti.
Se non suonerebbe così strano direi che si è affezionata molto a Tom, anche se non è più il ragazzo di Erin, lo tratta bene e si preoccupa per lui, difatti prima ha passato anche lui in rassegna.
Dopo il secondo mangiamo un po’ di frutta e poi il dolce: tiramisù.
Molto buono, devo chiedere ad Anne la ricetta perché mi piacerebbe rifarlo a casa.
Finita la cena chiacchieriamo e poi giochiamo a tombola in attesa della mezzanotte, così potremo scambiarci i regali. Chissà se Mark apprezzerà il mio?
Alle undici smettiamo di giocare a tombola – troppo noiosa – e usciamo sulla spiaggia, accendiamo un falò, Tom e Mark cantano e suonano evitando per una volta il loro repertorio.
È divertente e la brezza marina invita a fare il bagno, così mi allontano e metto un piede dopo l’altro nell’acqua, godendomi il fresco e il massaggio delle onde.
In fondo non è male trascorrere il Natale in piena estate, non l’ho mai fatto, ma ha i suoi lati positivi ad esempio questo. A San Diego farebbe troppo freddo per farlo.
Mark mi raggiunge e mi abbraccia, poi mi fa voltare verso di lui e mi tende un pacchettino.
“Ho preferito dartelo ora, onde evitare casino di  là.”
Io apro la scatolina e mi ritrovo davanti a un anellino in argento con una piccola pietra nera, la mia bocca si apre in una O perfetta e poi gli salto braccio, facendoci cadere nell’acqua.
Lo bacio con passione, pensando che non potevo trovare un ragazzo più adatto di lui.
Quando ci stacchiamo mi sorride.
“Deduco che ti sia piaciuto.”
“Se mi è piaciuto?
È il miglior regalo di sempre, è bellissimo! Grazie mille, grazie grazie grazie!”
Lui mi attira a sé incurante del fatto che siamo stesi nell’acqua bassa dell’oceano, soli sotto le stelle e la luna. I nostri parenti sono a qualche metro da noi, ma non me ne rendo minimamente conto, in questo momento ci siamo solo io e lui e il nostro amore.
“E tu cosa mi hai regalato?”
Io lo faccio alzare e lo conduco per mano verso la nostra casetta e poi in camera nostra, lì gli porgo un pacchetto lungo. Lui lo osserva curioso e poi lo apre distruggendo completamente la carta, quando lo vede lancia un grido di sorpresa.
Gli ho regalato la riproduzione di una spada laser che desiderava da una vita, non riesce nemmeno ad articolare una parola, semplicemente la muove affascinato come se stesse combattendo contro dei nemici invisibili.
“Ruby… È meravigliosa! Tu sei meravigliosa!
Ha ragione mamma, devo sposarti prima o poi!”
Io divento rossa come un peperone, non so cosa dire e lo abbraccio impacciata come una ragazzina, lui riesce sempre a sorprendermi.
È un momento perfetto e come ogni altro momento perfetto viene interrotto da Tom. DeLonge si piazza sulla porta della nostra camera e ci guarda.
“Cosa vuoi, Tom?”
“Niente, solo che voi due asociali scendiate dabbasso e partecipiate allo scambio dei regali.”
Io e Mark sorridiamo.
“Va bene, arriviamo.”
Lo seguiamo fino al piano terra e in effetti c’è una piacevole confusione di gente che si scambia i regali, Tom prima di lasciarci ci consegna i nostri. Quello di Mark sono dei plettri con il logo della band stampato sopra, cosa che lo manda in estasi visto che si era più volte lamentato di suonare con plettri anonimi. Io invece ricevo un nuovo blocco da disegno e degli acquerelli con accluso un biglietto: “Per dipingere le epiche gesta dei blink.”.
Io sorrido e poi mi immetto nel caos pronta a ricevere quello che mi spetta. Da mia madre ricevo un nuovo giubbotto di pelle, da mia sorella una sciarpa a fantasia di teschi, da Anne una macchina fotografica usa e getta per documentare meglio questo manicomio.
Mamma gradisce molto il giro di perle tarocche, Erin il suo vestito verde acido a righe nere, Anne  il libro “il profumo.”
Da Hayley ricevo un libro sui writer, dai nonni un vestito nero a teschi bianchi carinissimo e dalle madri della band una nuova scatola di pronto soccorso.
A Hayley piacciono molto i nuovi anfibi che le ho regalato, mio nonno gradisce la pipa e nonna apprezza il foulard rosso, in quanto alle madri dei blink ho regalato un set da bagno per ciascuna.
Kari mi regala un profumo molto buono, David – il solito pratico – un nuovo zaino e Matt un nuovo paio di anfibi, deve aver visto che i miei sono a un passo dall’autodistruggersi.
Kari gradisce molto l’album di foto del tour che ho confezionato, David il modellino di una moto e Matt un nuovo chiodo.
Mi sento contenta, le persone a cui tenevo sono soddisfatte dei miei regali e i sono soddisfatta dei loro. È un buon Natale, spartano ma pieno di felicità, e spero che ce ne siano altri così.
Mi piace questa atmosfera di famiglia.
Buon Natale.
 

Angolo di Layla.

Ringrazio DeliciousApplePie e LostinStereo3 per le recensioni e per la pazienza con cui leggono questa storia.

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Capitolo 29
*** 29) L'ultimo treno per Scott. ***


29) L'ultimo treno per Scott.

 

Il giorno dopo Natale usciamo tutti – noi giovani – alla sera.
Siamo alla ricerca di un locale in cui trascorrere l’ultimo sera dell’anno, ma per ora non abbiamo trovato altro che posti in cui viene trasmessa della dance.
Nessuno ha voglia di trascorrere l’ultimo giorno dell’97 al ritmo di una musica che non piace e tra fighetti che probabilmente saranno strafatti e ubriachi, nonché cafoni.
Alla fine, dopo un lungo vagabondare troviamo un localino che suona rock e punk e prenotiamo un tavolo per il fatidico 31 dicembre.
Tornati a casa troviamo i nostri genitori e i miei nonni che giocano a carte, noi ci uniamo. La mamma di Tom è un osso duro a poker e alla fine straccia tutti compreso il suo figliolo che incassa poco sportivamente.
Prende Anne per mano e la trascina via, salutandoci frettolosamente dicendo che è stanco e deve dormire. La sorella di Mark rivolge a tutti una faccia che sembra chiedere comprensione per il comportamento del suo ragazzo.
La mamma di Tom ride.
“è sempre stato così, non gli piace perdere. Anche suo padre è così, probabilmente hanno ereditato il senso di superiorità tipico dei francesi.”
Mark annuisce, sembra trovare la spiegazione perfettamente assennata e in grado di spiegare le stranezze del suo amico.
Giochiamo un altro po’, poi andiamo tutti a letto, tra due giorni i parenti se ne andranno in modo che non intralcino noi giovani o almeno così ha detto mamma con il suo solito piglio militaresco.
A letto Mark mi attira a sé, sorride di più ed è ingrassato: la visita parenti gli ha fatto bene.
“Ruby, ti ho già ringraziato per questa bellissima sorpresa?”
“Sì, almeno un milione di volte, ma mi piace sentirlo.
Voglio solo che tu e gli altri siate felici, soprattutto.
Mi piacerebbe vederti sempre sorridente.”
Lui sorride.
“Sorrido sempre quando tu combini qualcosa per me o ti prendi cura di noi senza darlo a vedere, sei la mia rete di protezione. So che, finché ci sarai tu, non sarò mai davvero nella merda perché potrò contare su di te.”
Io sorrido e gli accarezzo i capelli, le sue parole mi hanno commosso. I miei sforzi sono stati capiti e apprezzati dalla persona che io amo di più al mondo.
Ci addormentiamo così, in pace con il mondo e con noi stessi.
La mattina dopo ci svegliamo e trascorriamo la giornata con i nostri, facendo il bagno nell’oceano e chiacchierando.
Anche il giorno dopo trascorre più o meno così, con la sola differenza che la sera li aiutiamo a preparare i bagagli, solo Anne, Erin, David e Avril rimangono. Tom ha espresso il desiderio che Anne rimanesse anche durante il tour e lei ha accettato mettendosi a urlare dalla gioia.
La mattina dell’ 29 accompagniamo i nostri genitori all’aeroporto, ci riempiono di raccomandazioni e di abbracci, come se invece che per un tour partissimo per la guerra.
Alla fine chiamano il loro volo e se ne vanno, rimaniamo solo noi.
“Beh, adesso cosa facciamo?”
Chiede Tom, dondolandosi su un piede.
“Non lo so.”
Mark si gratta la testa.
“Visitiamo l’acquario di Sidney!”
Urliamo in coro io e mia sorella in coro, facendo voltare mezzo aeroporto verso di noi.
“Perché?”
“Voglio vedere i delfini e le tartarughe marine e poi voglio vedere lo show dei delfini!”
Dice mia sorella.
La compagnia rimane un attimo silenziosa, ma poi la proposta mia e di Erin viene accettata e ci avviamo verso la macchina.
I ragazzi ci portano al parco acquatico come promesso, io ed Erin siamo eccitate come delle bambine.
Ci godiamo i delfini, gli squali, le tartarughe marine e impazziamo per i pinguini, tanto che Mark e Tom ci comprano un peluches a forma di pinguino a testa.
“Grazie amore!”
Urlo saltandogli in braccio.
“Di niente, piccola.”
“Ehi gente, diamoci una mossa o ci perdiamo lo spettacolo dei delfini.”
Tom ci trascina sulle gradinate e facciamo fatica a trovare un posto decente per goderci lo spettacolo, il nostro entusiasmo sembra avere contagiato almeno un po’ Tom.
Finalmente lo spettacolo inizia e io mi perdo nelle evoluzioni dei delfini, sono animali così belli, intelligenti e affascinanti, soprattutto mi sembrano in perfetta sintonia con i loro addestratori.
“Wow!”
Mormoro quando tutto finisce.
È un peccato che ne sia finita, ma ne è valsa la pena perché è stato bellissimo.
“Grazie per avermici portato, Mark.”
“Figurati, mi sono divertito anche io e adesso skate park!”
“Agli ordini!”
Lasciamo con un po’ di dispiacere il parco acquatico e ci rechiamo allo skate park, tutti si scatenano in salti ed evoluzioni varie, io li guardo e ogni tanto scatto delle foto sorridendo.
Mi piace vederli saltare, io sono completamente negata – Mark ha provato tantissime colte a insegnarmi come si fa e io non sono mai riuscita a capirlo – e così mi limito a guardarli.
Finito di scatenarsi è ormai l’ora di pranzo e ci fermiamo in un Mac Donald, nonostante in frigo ci siano ancora tutti gli avanzi dei pasti di questi giorni.
Siamo decisamente strani.
Tom riesce persino incontrare un tizio che è interessato agli ufo seduto nel tavolo vicino al nostro, inutile dire che ci siamo stretti un po’ e gli abbiamo fatto spazio.
Tom sembra aver trovato un fratello perduto e gesticola, felice di poter raccontare le sue teorie a qualcuno che gli crede e non pensa che sia un mezzo pazzo.
Finita la pausa al Mac torniamo alle nostre case, io mi butto sul divano, stanca.
Poco dopo mi raggiunge anche il mio ragazzo e – nonostante il caldo – stiamo lì abbracciati per un po’ senza dire nulla, solo ascoltando il rumore delle onde che arriva dalle finestre aperte.
Si sta decisamente bene qui.
“Certo che sarà strano passare un capodanno in piena estate.”
“Sì, ma anche piacevole, no?”
“Sì, dopotutto non è male.”
Lui annuisce e poi ci addormentiamo, dormire su un letto è tutta un’altra storia rispetto al nostro bus.

 

L’ultimo giorno dell’anno arriva fin troppo presto per i miei gusti.
Non ho mai amato particolarmente questo tipo di festeggiamenti, ma gli altri amano fare casino e io mi adatto tranquillamente alla loro volontà.
Indosso una mini di jeans, una canottiera rossa e un paio di anfibi rosso fuoco, anche Mark indossa una maglia rossa.
Quando mi vede scendere le scale del bungalow fischia di ammirazione, facendomi arrossire, non mi sono ancora abituata a questi complimenti.
“Ruby, arrossisci ancora?”
“Beh, sai com’è faccio ancora fatica ad accettare questi complimenti.”
Lui sorride, scuotendo la testa.
“Che bello! Sto con una ragazza che sa ancora arrossire!”
Detto questo cerchiamo un taxi che ci porti al locale, quando arriviamo gli altri sono già fuori.
Tom ed Erin stanno chiacchierando, Anne guarda se ci vede arrivare e intanto parla con Dave e Matt, Hayley e Scott sono distati e non si parlano.
“Ehi!!”
L’urlo di Mark cattura la loro attenzione e la coppia mezza scoppiata si ricompone un po’ perché c’è il solito giro di abbracci e pacche sulla spalla.
Fatto quello entriamo tutti allegri e vocianti, il locale è già abbastanza pieno ed è una fortuna che abbiamo prenotato il tavolo.
Tom ordina subito da bere e insieme al primo giro di birra arrivano anche delle patatine, una volta che ognuno di noi ha il proprio boccale in mano brindiamo ai blink e all’Australia.
Parliamo per un po’, Tom blatera sui suoi amati alieni sotto lo sguardo dolce di Anne, mia sorella si scambia un po’ troppe occhiate con Matt. Chissà, forse le piace.
Dopo Tom e Trav non ha più avuto ragazzi seri, o storie di poco conto o il niente, perché troppo presa dal suo corso.
Matt è un bravo ragazzo, potrebbe farla felice.
Verso le undici una band inizia a suonare live, fanno un punk rumoroso e piuttosto spiccio, ma ci piace e tutti ci buttiamo in pista.
Erin continua a ridere e non si stacca da Matt, che a sua volta la guarda interessato.
Quando li vedo baciarsi non mi stupisce più di tanto, qualcosa mi diceva che sarebbe successo e di solito mi sbaglio raramente.
“Ehi, hai visto la nuova coppia?”
Mi sussurra Mark all’orecchio.
“Eccome se l’ho vista e se vuoi un parere spero che durino. Stanno molto bene insieme.”
“Sì, hanno i capelli uguali.”
Io rido, sia mia sorella che Matt hanno entrambi i capelli verdi.
Continuiamo a pogare per un bel po’, erano secoli che non lo facevo e mi scateno, Mark salta come un matto, esattamente come nelle esibizioni dei blink solo senza il suo fedele basso.
Poco dopo arriva Tom.
“Ehi, hai visto tua sorella e Matt?”
“Sì, li ho visti. Sono carini, non trovi?”
Lui ci pensa un attimo.
“Sì, sono carini. Lui è un bravo ragazzo, penso di potergliela affidare.”
Io lo guardo curiosa.
“Ehi, è la mia migliore amica e il mio primo amore. Devo controllare che non finisca con degli spostati!”
“Sei una brava persona, Tom, ma non parlarne troppo ad Anne o potrebbe fraintendere.”
“Tranquilla. Tua sorella mi ha insegnato che è bene non parlare di altre donne con la tua ragazza.”
Io sorrido.
“Perfetto!”
Continuo a scatenarmi per un altro po’, poi la birra si fa sentire e devo assolutamente andare in bagno .
Esco dalla pista da ballo e lo trovo subito, in fondo a un corridoio a destra. Fatti i miei bisogni mi sto per dirigere di nuovo verso la pista quando noto che la porta anti-panico in fondo al corridoio è aperta e sento la voce alterata di Scott insultare qualcuno.
La cosa mi preoccupa un pochino così mi affaccio alla porta e lo vedo allungare una sberla e poi una serie di calci a un’inerme Hayley, stesa per terra e senza possibilità di difesa.
Mezza scioccata arrivo alle spalle di Scott e lo blocco e poi mi metto a urlare, qualcuno mi sente ed esce: è Mark.
“Che cazzo sta succedendo qui?”
“Niente, stavo dando una lezione alla mia puttana prima che la tua si mettesse in mezzo!”
Il mio ragazzo guarda per un attimo Hayley e poi me, per poi dare un pugno alla mascella di Scott che si accascia a terra dolorante.
“Tu non chiami puttana proprio nessuno, non osare mai più alzare le mani con la tua ragazza o ti sbatto fuori dalla band.”
“Cosa faccio alla mia ragazza non sono cazzi tuoi!”
“Sì, lo sono! Sei sempre ubriaco e questi sono i risultati! Questa è l’ultima possibilità, Scott, vedi di non sprecarla!”
Lui se ne va bestemmiando, io aiuto Hayley a rialzarsi, lei scoppia a piangere come una bambina.
“È tutto finito, lui non ti farà più nulla, stai tranquilla!”
Lei balbetta parole senza senso, aiutata da Mark la porto al tavolo e poi spedisco l’Hoppus a prendere del ghiaccio.
“Non è la prima volta, vero?”
“No.”
Singhiozza lei.
“Quando è ubriaco e gli gira storto mi picchia.”
“Perché l’hai sempre protetto?”
“Perché lo amo e mi ama anche lui.”
“Chi ti ama non ti picchia, Hayls!”
A interrompere la conversazione arrivano Mark, Tom e Anne con del ghiaccio, Anne glielo mette sull’occhio, Tom ha una faccia seria.
“Dobbiamo fare qualcosa.”
“Qualcosa cosa?”
Chiede Hayley, Tom la guarda con tristezza e solidarietà.
“Non puoi rimanere qui, è pericoloso. Tu te ne torni negli Stati Uniti con il biglietto di Anne e cerchi di dimenticartelo. Lui non ti ama, quando ami qualcuno non lo usi come punchiball.”
Hayley abbassa gli occhi.
“Forse hai ragione, sai?
Credo che me ne tornerò a casa, mi dispiace che l’ultimo giorno dell’anno si sia rovinato per colpa mia.”
Tom scuote la testa e allunga una carezza timida sulla guancia della rossa.
“Non lo dire nemmeno per scherzo.”
La musica si ferma, qualcuno inizia a fare il countdown urlando forte i numeri, Hayley fa un sorriso triste, di scusa.
“Meno tre.”
Tom guarda Hayley, comprensivo, come per farle capire che non è colpa sua, ma di quella testa vuota di Scott.
“Meno due!”
“E così la mia avventura finisce qui. Vi auguro buona fortuna, ragazzi!”
“Buona fortuna anche a te, ti auguro di trovare un ragazzo che ti ami. Te lo meriti.”
Hayley scuote leggermente la testa, non so se voglia sentire parlare di ragazzi in questo momento, ma io le auguro di trovarsene uno centomila volte migliore di Scott Raynor.
“Meno uno!”
Benvenuto 1998, spero tu sia migliore rispetto a questa chiusura triste del 1997.

 

Due giorni dopo Capodanno, il tre di gennaio, accompagniamo David, Erin e Hayley all’aeroporto.
Mia sorella mi abbraccia e mi raccomanda di godermi questo tour, di fare un sacco di fotografie e di avere un sacco di pettegolezzi da raccontarle al ritorno.
Questo è quello che dice ad alta voce, a bassa voce invece mi raccomanda di tenere d’occhio Matt e di non farlo finire tra le grinfie di qualche groupie.
Io annuisco e le do una manata sulla spalla, come a suggellare il patto, lei sorride e si avvia verso le partenze internazionali con gli altri.
Scott non si è visto e non si è fatto sentire in questi due giorni,  speriamo che si presenti almeno il giorno della partenza.
“Mark, dobbiamo cambiare batterista. Non possiamo continuare a tenere un tizio del genere nella band.”
“E chi lo sostituisce?
Dobbiamo almeno finire il tour prima di trovare un sostituto.”
Continuano a discutere fino a quando qualcuno urla il m io nome, io mi volto e vedo Travis avanzare verso di noi. È più magro e più tatuato di quello che mi ricordavo.
“Ehi, ciao ragazzi!
Come mai quelle facce scure?”
“Dobbiamo sostituire il nostro batterista alcolizzato, ma non sappiamo come fare.”
“Se vi serve posso suonare io in questo tour con voi, la mia band si è appena sciolta perché il chitarrista e il bassista hanno appena fatto a pugni con una ragazza.”
“Perfetto, adesso allora andiamo a dare un ultimatum a Scott e ti facciamo sapere.”
Lui alza le spalle, come a dire che va bene così, e si allontana.
Mark e Tom lo guardano speranzosi, Scotty ha i giorni contati.
“Matt, potresti portare a casa Ruby?
Noi andiamo a parlare a Scott.”
Il punk annuisce e insieme prendiamo un pullman diretto dove ci sono i nostri bungalow, lungo il percorso Matt non dice una parola.
Sono io a rompere il silenzio.
“E così stai con mia sorella.”
“Sì.”
“Ti piace o lo fai per dimenticare Skye?”
 Lui guarda fuori dal finestrino per cinque minuti buoni prima di rispondere.
“Un po’ tutte e due le cose, per lei è lo stesso con Tom. Mi sembra equo.”
Io annuisco.
Sono sicura che alla fine riusciranno a risolvere i loro problemi, ora spero solo che Scott sia sobrio e che non prenda troppo male il discorso che gli faranno Mark e Tom.
“Quante possibilità ci sono che Raynor sia sobrio?”
Chiedo a Matt, lui ridacchia.
“Molto poche, la bottiglia sembra essere diventata la sua migliore amica ultimamente.”
Io sbuffo.
“Spero non si picchino.”
“Tranquilla, Mark e Tom sono in grado di tenere a bada un ragazzino come Scott.”
Io sospiro, si è creata una situazione davvero brutta, non si picchieranno, ma l’armonia della band andrà a farsi fottere o forse è già da un po’ che è sparita.
Scott è insofferente alle battute dei suoi compagni di band e parla pochissimo con loro, probabilmente non è più il batterista adatto a loro.
“Prevedo un cambio di formazione per i blink.”
Matt annuisce alla mia osservazione, anche lui sembra non vedere alcun futuro positivo per Scott.
Arrivati al mio bungalow lo invito dentro, magari possiamo fare una partita a carte .
“Cosa vuoi?”
“The, al limone.”
Lui si siede sul divano e io arrivo a rate con una bottiglia di the, due bicchieri, sigarette, carte, accendino e posacenere.
“Wow! Che mercato!”
Fa lui bevendo una sorsata di the.
“Ho pensato che potevamo giocare a carte.”
“Basta interrogatorio?”
“Sì, signor Sullivan. La sua versione dei fatti mi ha convinto.”
Lui ride, è carino quando ride, sembra un bambino.
“Bene, allora distribuisci le carte. A cosa giochiamo?”
“Scala quaranta?”
“Ma è da nonni!”
Io sbuffo.
“Non sono capace di giocare a poker, Matt!”
“Va bene, va bene!”
Distribuisco le carte e iniziamo una partita in cui lui è subito in vantaggio, sono negata con i giochi di carte, probabilmente.
A salvarmi da una sconfitta epica arrivano Mark e Tom, entrambi con una faccia scura che è tutto un programma.
“Raga, come è andata?”
Mark si butta sul divano e beve una lunga sorsata di the, Tom si stravacca su una poltrona guardandomi male. È ovvio che sia andata male, ma vorrei sapere fino a che punto.
“Gli abbiamo detto che se non si presenta sobrio alla partenza è fuori dalla band, lui ci ha praticamente quasi mandati affanculo.
Dice che è solo colpa tua se adesso la sua vita va a puttana, ti ha chiamata ancora troia, gli ho dato un altro pugno. In conclusione non credo che si farà vivo.”
“Mi dispiace, ragazzi.”
I due scuotono la testa.
“È lui che ha un problema non tu, quindi non devi scusarti.”
Questa volta mi risponde Tom, io tiro un sospiro di sollievo interiore.
“Dai giochiamo a poker, così ci dimentichiamo di quel ragazzino!”
Matt annuisce, io invece mi sposto: a poker sono negata e quelli giocano con i soldi a volte.
La partita inizia e io li guardo felice, spero che il tour ci regali tanti momenti così, di pace e di amicizia e – in fondo in fondo – spero che Scott si presenti tra qualche giorno, magari sobrio e scusandosi.
L’ultima parte ho il sospetto che sia una pia illusione, ma sperare non costa nulla, quindi lo faccio.
Solo il tempo mi dirà se ho ragione  o no.

 Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie per la recensione.

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Capitolo 30
*** 30)Perché i papaveri sono alti e la tua band è piccolina (per ora). ***


30)Perché i papaveri sono alti e la tua band è piccolina (per ora).

 

Il giorno della partenza arriva velocemente.
È un’alba in cui fa già caldo e in cui io e Mark lasciamo la casa a malincuore e trasciniamo le nostre valigie al pullman.
Tom e Anne sono già e chiacchierano con Matt, di Scott non c’è traccia: brutto segno.
“Buongiorno, ragazzi!”
“ ‘Giorno!”
Sbadiglia Tom.
“Quando si parte?”
“Tra mezz’ora.”
“Scott?”
“Non si è visto. Ho parlato con Travis, è d’accordo per suonare con noi.”
Bene, per modo di dire, eh.
Mi scoccia che con Scott non si sia fatto vivo, perché vuole mandare a puttane tutto?
Non ha un obbiettivo nella vita diverso dall’alcool?
A quanto pare no, perché la mezz’ora passa e lui  non arriva, guardiamo tutti in attesa di vederlo arrivare scazzato, ma che ci sia, e rimaniamo tutti delusi.
Scott non si fa vivo, solo noi quattro e Trav saliamo sul pullman, anche dentro io guardo dal finestrino, solo quando ormai il piazzale sta per sparire dalla mia vista vedo una figura che sta in piedi solitaria.
Alza una mano in segno di saluto, Scott non ha voluto salvarsi, ha preferito uscire dalla band che provare a uscire dal suo vizio.
Triste.
“Che coglione!”
La voce di Mark mi fa sobbalzare, l’ha visto anche lui quindi.
“Sì, che tristezza.”
“Speriamo che non torni a San Diego e rompa le palle a Hayley.”
“La chiamerò e le dirò di stare attenta.”
Lui annuisce, poi appoggia la sua testa sulla mia spalla e si mette a dormire: riesce a farlo solo così in pullman, dice che gli concilio il sonno.
Tom invece rimane sveglio e mi guarda.
“Ho sperato fino all’ultimo che venisse.”
“Anche io, invece è arrivato deliberatamente in ritardo.”
“Ci ha preso in giro, a lui interessa solo l’alcool. Che vada all’inferno.”
“Tom…”
“No, niente Tom. Ha voltato le spalle a noi come amici e come band, no lo perdonerò mai!”
Non ho mai sentito Tom così arrabbiato, questa volta la condanna di Scott è definitiva e non credo che cambierà idea nemmeno dopo anni.
“Spero che con Travis vada meglio.”
Tom stringe le labbra in una linea dura.
“Andrà meglio, non ho intenzione di far morire questa band. Noi ce la faremo con o senza Scott.”
“Ve lo auguro.”
“Tom, e se cambiasse idea in futuro?”
La domanda di Anne non modifica l’espressione del suo ragazzo.
“Allora sarà troppo tardi, Anne.
La sua possibilità per salvarsi il culo era adesso e lui l’ha sprecata così, quello che farà in futuro sono cazzi suoi.”
Anne e io sospiriamo, forse solo noi due sentiamo la cappa di tristezza che avvolge questa band dopo la decisione di Scott.
“È la fine di un’era, adesso se ne apre un’altra e sono sicuro che sarà migliore.”
L’ottimismo di Tom alla fine contagia anche me perché mi addormento con la testa appoggiata a quella di Mark, mi sveglio solo quando Trav ci scuote gentilmente.
È mezzogiorno ed è ora di mangiare, quindi il pullman si è fermato in un autogrill, io e Mark scendiamo piuttosto impacciati, Tom invece è iperattivo.
Ha già rimosso Scott o forse finge solo, non saprei dire, ci sono lati del suo carattere che rimangono misteriosi anche per chi lo conosce bene.
Entriamo nell’autogrill e sia che io che Mark ordiniamo hamburger, patatine e crocchette di pollo, alla faccia dei pranzi salutari.
Trav ci guarda tra lo schifato e il perplesso quando vede cosa ingurgitiamo, la sua insalata sembra poca cosa in confronto a cosa si nutrono i nostro solidi stomaci.
“Mark, ma come fai a saltare con tutta quella roba in corpo?”
“La roba in corpo mi dà la forza per farlo.”
Risponde semplicemente lui, alzando le spalle, Trav sorride leggermente scuotendo la testa.
Finita la pausa risaliamo sul pullman e questa volta Mark e Tom si mettono a strimpellare canzoni senza senso, come solo loro sanno fare.
Mettili insieme e vedrai regredire due ragazzi grandi e grossi al livello di bambini dell’asilo, che si divertono a usare le parole proibite tipo cacca, cazzo, vagina.
Travis – che è da oggi sul nostro pullman – li guarda divertito, senza profferire parola: credo li stia studiando.
“Com’è che non ti abbiamo mai visto in giro?”
“La mia band, gli Aquabats, era formata da membri vestiti da supereroi, io ero il barone von Tito.”
“Oh, interessante!”
“È un interrogatorio?”
Io scuoto la testa.
“No, è solo per parlare, so che sei un tipo a posto. Io di solito non partecipo alle loro cazzate e mi annoio un po’.”
“Sei molto diversa da Erin.”
“Sì, anche se siamo gemelle ci siamo differenziate presto, insomma non ci piaceva essere prese una per l’altra. In questo siamo strane rispetto alle altre gemelle, qualcuna si scambia persino i ragazzi.”
“Tu non cederesti mai Mark a Erin, nemmeno per una scopata, giusto?”
“Giusto!”
Rispondo io accendendomi una sigaretta.
“Siete una bella coppia.”
“Sì, ma ho un brutto presagio per il futuro. Percepisco delle difficoltà prima del nostro lieto fine.”
“Paranoie.”
“Forse, ma se mi chiamano strega è perché molto spesso queste sensazioni si sono rivelate giuste.”
Lui non dice niente, guarda fisso davanti a sé.
“E per i blink cosa vedi?”
“Grandi cose, pagate a caro prezzo. Penso che Scott sia stato solo la prima rata.”
“Perché l’hanno cacciato?”
Io mi stendo meglio sul sedile, buttando la cenere nel posacenere.
“Beve e picchia la sua ragazza. Poi non si presenta alle prove, parla poco con gli altri ultimamente e agli show fa schifo, è anche peggio di Mark e Tom che pure non sono degli assi.”
“Capisco. Spero di trovarmi bene.”
“Non ti preoccupare, ti hanno già accettato, fai già parte della famiglia.”
Lui annuisce soddisfatto.
Il resto del pomeriggio passa tranquillamente, verso le sei siamo nella città dove suoneremo e i ragazzi vengono spediti al suond-check, mentre io e Anne cerchiamo il posto migliore dove mettere la nostra bancarella.
Alle otto finiscono di provare, ceniamo tutti insieme a base di hotdog per noi e del sushi per Travis, io non ce la farei a seguire la sua dieta sinceramente.
Finito di mangiare i blink salgono sul palco, sono il primo gruppo della serata.
“Ehilà gente!”
Urla Tom alzando una mano.
“Siamo i blink-182 e veniamo da San Diego, California.
Stasera speriamo di divertirvi abbastanza, se così non fosse siamo pronti a ripetere lo show finché non vi piacerà!
Prima di iniziare, fatevi sentire per Travis Barker, il nostro nuovo batterista, abbiamo fatto davvero un salito di qualità, prima avevamo un babbuino!”
La folla ride e poi applaude.
“Let’s go! Questa è per tutti quelli che non vogliono crescere perché credono faccia schifo, questa è Dammit!”
La folla si mette a urlare anche perché Tom inizia a suonare e qualcuno sotto al palco inizia a saltare a tempo con la musica. Non saranno dei geni, ma scrivono canzoni molto coinvolgenti e danno il cento per cento di loro nei live.
Il concerto è bellissimo come al solito, il pubblico è dispiaciuto quando arriva l’ultima canzone: Carousel.
“Ragazzi e ragazze siamo alla fine.
Questa è l’ultima canzone e la dedico alla mia ragazza Anne, che vende il nostro merchandising insieme alla ragazza di Mark. Mi raccomando assediate la loro bancarella!”
La folla grida un: “No” collettivo molto dispiaciuto, Tom allarga le braccia, subito dopo inizia l’intro della canzone eseguita da Mark e dal suo basso.
La gente si gode gli ultimi cinque minuti di canzone e le battute di Mark e Tom e poi assalta il nostro banchetto: vendiamo tutti i cd e le magliette, poi li raggiungiamo nei camerini e con nostra somma sorpresa troviamo una decina di persone che hanno già la loro copia di Dude Ranch e vogliono gli autografi della band.
La faccia del gruppo è qualcosa di incredibile, irradiano gioia da tutti i pori, firmano con evidente piacere e Mark si ferma a chiacchierare con loro per dieci minuti buoni, Tom gli fa da spalla e Trav li guarda e basta.
Quando se ne vanno il mio ragazzo si lancia su di me e mi alza da terra facendomi fare un giro completo.
“Hai visto, amore?
Volevano il nostro autografo!”
“Questo vuol dire che siete bravi come ho sempre detto.”
Lui sorride e mi bacia con passione, non l’ho mai visto così carico ed entusiasta e io non posso far altro che essere felice di riflesso.
Torniamo al nostro bus chiacchierando, siamo tutti stanchissimi, ma di buon umore.
Io e Mark ci buttiamo nella nostra cuccetta dopo aver salutato gli altri, lui ha un sorriso che va da un orecchio all’altro.
“Ti rendi conto che quei ragazzi volevano il nostro autografo?
Il nostro autografo!”
“Sì e sono tanto felice per voi!”
Gli do un bacio che lui subito approfondisce, abbracciandoci. Sarebbe bello concludere, ma nella cuccetta sopra la nostra dormono Tom e Anne ed è bene che Tom non venga svegliato in questo modo.
“Sarebbe imbarazzante se mia sorella mi vedesse così e poi sinceramente non ho voglia di sentire le battute!”
Mi sussurra Mark mentre mi f a stendere sul suo petto e mi accarezza i capelli con dolcezza, mi piace sentire le sue dita che passano e ripassano, sciogliendo nodi, arrotolando ciocche.
“Secondo me un giorno non saranno solo dieci persone a volere il tuo autografo, ma molte di più!”
Mormoro insonnolita, cullata dal rumore del pullman e dalle sue carezze

 

La mattina dopo l’atmosfera sul pullman è calma, sparito Scott è sparita anche la cappa di malumore che caratterizzava la sua presenza.
I ragazzi spiegano a Travis qualche idea che hanno avuto per un nuovo lavoro, lui annuisce e batte le dita a un certo ritmo. Solitamente dopo un po’ arriva con qualche idea per la batteria che si accompagna in qualche modo alla loro e che la maggior parte della volte li lascia soddisfatti.
Sono tre persone diversissime, ma per uno stranissimo scherzo del destino tra loro si ferma un’alchimia incredibile, è come se il pezzo mancante al puzzle dei blink sia stato finalmente trovato.
Travis è quello che si presta ai loro giochi, ma allo stesso tempo li frena e gli evita di fare troppe cazzate. Quando apre bocca non è mai a caso, il che è assolutamente perfetto per due personalità espansive, egocentriche e logorroiche come quelle di Tom e Mark.
“Finalmente si sono liberati di Scott!”
Esclama Anne osservandoli.
“Sì, sono d’accordo. Ho il sospetto che questo cambio di formazione li porterà lontano e farà nascere domande sul perché si sono liberati di Raynor.”
“Leggende metropolitane, ogni band che si rispetti ne ha qualcuna.”
“Loro hanno già quella sul 182.”
Anne ride.
“Già, per colpa di quel merdoso gruppo irlandese.”
“Però quel 182 fa proprio figo.”
“Sì. A proposito di pettegolezzi, ne ho uno che molto succulento.”
Io mi tiro a sedere e la guardo.
“Ossia?”
“Che durante l’ultimo concerto c’era qualcuno della MCA ed è stato favorevolmente colpito dai blink, qualcuno dice addirittura che fossero già lì per loro per via del successo di Dude Ranche.”
“Mi stai dicendo che forse dopo questo tour infinito una major si farà viva?”
“Così si dice. Anche perché loro non sono punk duri e puri, potrebbero trovare un onorevole compromesso tra quello che gli piace fare e il mainstream e poi… Beh, Trav è un genio alla batteria se paragonato a Scott e loro devono stargli dietro.”
“Vero. Ha imparato la scaletta in quel tre quarti d’ora di prove che gli hanno concesso.”
“Scott ci ha messo anni per perfezionarsi.”
Rimaniamo in silenzio e guardiamo i tre ragazzi che parlano e provano, cercano idee e scartano proposte, ridono e si scambiano battute.
Che pace che c’è ora!
“Vorrei che questi momenti durassero per sempre.”
“Anche io, invece ho il sospetto che non dureranno e che presto ci faranno male.”
Io guardo Anne senza capire.
“Ho paura che Jen si faccia sentire o che combini qualcosa delle sue, ho paura che mi porti via Tom. Lei sarebbe capacissima di farlo, lo sai.”
Lo so, purtroppo, lo so.
 

Il tempo vola e anche questo tour australiano sta per arrivare alla fine, stasera ci sarà l’ultimo concerto e le voci di un possibile talent scout della MCA si fanno più insistenti.
Qualcuno dice che sono per i blink e qualcuno per altre band, in ogni caso i nostri sono in subbuglio.
Mark – stranamente – non ha mangiato nulla per cena e non ha fatto altro che guardarsi ansiosamente in giro, Tom invece ha mangiato il doppio – spero non rimetta durante il concerto – solo Trav mantiene la sua calma olimpionica.
Solo ogni tanto accenna a qualche movimento con le bacchette e a battere i piedi per terra.
“Forza, ragazzi! Tra poco andate in scena!”
Tom dà un abbraccio spacca costole ad Anne e poi imbraccia la sua chitarra e se ne va, Mark invece mi dà un lungo bacio e poi prende il basso.
Io lo guardo salire sul palco e sento il cuore allargarsi per la gioia: il mio amore sta facendo quello che gli piace e questo ci fa guadagnare da vivere.
È il sogno di ogni ragazza.
“Ehi, Ruby! Andiamo! Dobbiamo andare al nostro banchetto!”
Io seguo Anne e mi piazzo al banco, mi mancherà stare qui quando saremo tornati in California.
Sono anche in dubbio sul mio futuro, l’università mi ha offerto uno stage in Inghilterra e mi ha dato sei mesi di tempo per decidere su cosa fare.
Voglio davvero stare un anno lontano da Mark, dalla mia famiglia  e dai miei amici?
No, non voglio eppure la proposta mi tenta molto.
“Che hai per la testa, Ruby?”
“Niente, Anne, pensieri miei.”
“Qualcosa di grave?”
Io rimango un attimo in silenzio.
“No, niente di grave. Stai tranquilla, non è niente di grave.”
Lei annuisce e insieme torniamo a guardare il concerto. Non so perché non le ho detto della proposta, così come non so perché non l’ho detto a Mark o a nessun altro.
Forse voglio solo tenere la cosa per me e pensarci per un po’ prima di dire qualcosa a qualcuno. Ho la testa confusa, non voglio lasciare la California, ma non voglio nemmeno sacrificarmi.
Che casino!
“Ruby, sei sicura di stare bene?”
“Sì… Sto solo pensando a una cosa.”
“Cosa? Se non sono indiscreta.”
“La mia università mi ha offerto uno stage di un anno in Inghilterra, ho sei mesi per pensarci e non ne ho ancora parlato a tuo fratello.
Sei la prima persona che lo sa.”
“Capisco. Non so cosa dirti.”
“Io devo ancora pensare bene a cosa fare.”
“Ne parlerai a Mark?”
“Sì, ovvio. Quando torneremo in California gli dirò tutto, in fondo non posso certo partire o rimanere senza prima avergliene parlato, sarebbe scorretto da parte mia.”
Lei annuisce.
“Sì, lo sarebbe. Mark la prenderebbe male in ogni caso.”
Io sospiro, pensando che mi piacerebbe tornare al liceo, l’età adulta a volte può essere uno schifo.. Dammit!
Alla fine del concerto li raggiungiamo e li troviamo in compagnia di due tizi vestiti con una certa ricercata informalità.
Papaveri, gente che sta in alto.
Cosa vogliono da noi?
“Ehi, cosa ci facevano quei due papaveri nel vostro camerino?”
“Erano irrimediabilmente attratti dal mio fascino, ma io li ho respinti perché amo solo te, Anne.”
Lei sorride.
“Scemo, dico sul serio! Cosa volevano?”
Tom la abbraccia.
“Non lo so di preciso, ci hanno detto che quando saremo tornati a San Diego avremo una sorpresa.”
Io mi siedo su una sedia.
“Spero che sia positiva.”
“Secondo me vogliono mettere a contratto Trav e noi ci dovremo trovare un altro batterista!”
“Mark, sei troppo ottimista, amico! La vita non è solo rose e fiori!”
Mark ride alla battuta del suo amico e mi fa segno di sedermi in braccio a lui, io eseguo.
“Forse vogliono mett…”
Tom mi fa cenno di tacere e io lo guardo senza capire.
“Per scaramanzia non dire nulla!”
“Ok. Allora adesso ce ne possiamo andare.”
Tom annuisce e prende Anne per mano, io me ne vado con Mark. Noi coppiette abbiamo prenotato una stanza in un motel e stanotte dormiremo lì. Mark è iperattivo, non appena troviamo un taxi inizia subito a baciarmi e una sua mano è finita chissà come sopra il reggiseno e lo sta massaggiando strappandomi gemiti sottili.
Siamo in un taxi, e che cavolo! Non possiamo fare sesso qui!
Arrivati al motel Mark paga il taxista e poi mi prende in braccio per portarmi in camera, intanto ha ripreso a baciarmi. Finalmente arriviamo alla nostra stanzetta, lui apre la porta e mi deposita sul letto, poi la chiude a chiave e mi guarda birichino.
Con mosse studiate si toglie la maglia e poi si slaccia i pantaloni, poi si lancia su di me e mi bacia l’angolo della bocca, per poi scendere al mento e al collo, le sue mani intanto mi hanno tolto il vestito.
Approva il mio intimo e con un dito mi accarezza la pancia, fermandosi a giocare con il mio ombelico, simulando una penetrazione. Io sorrido e poi ribalto la situazione, strusciandomi contro i suoi boxer e gemendo. Lui mi guarda stralunato, poi inizia a gemere anche lui perché mi sono dedicata al suo amichetto.
Mi fermo quando lui ribalta le posizioni di nuovo e mi toglie l’intimo, sorride e poi si dedica al mio seno svogliatamente, le sue mani sono già scese la sotto e accarezzano senza fare niente altro, lasciandomi insoddisfatta.
Quando finalmente si decide a spostare un suo dito dentro di me quasi urlo, con pochi colpi riesce a portarmi all’orgasmo, ormai sa dove toccare.
Non mi sono ancora ripresa dalle sensazione paradisiache appena provate che lo sento premere sulla mia coscia e poi entrare in me con un colpo deciso che mi strappa un urlo.
Lui sorride soddisfatto e continua per un po’ con questo ritmo quasi brutale, poi si calma e io ormai ansimo senza ritegno stretta a lui, le mie unghie che scavano solchi sulla sua schiena.
Spinta dopo spinta arriviamo insieme all’orgasmo e io lo stringo di più, lui da parte sue crolla sul mio seno.
È stato perfetto, come tutte le altre volte.
“Ti amo e continuerò ad amarti anche se ci dovesse mettere sotto contratto una major. Tu sei mia e di nessun altro!”
“Anche io ti amo e sei mio e solo mio!”
Lo sento sorridere e finiamo per addormentarci così, stretti l’uno all’altra come se fossimo un solo corpo e una sola anima.

 Angolo di Layla.

Ringrazio LostinStereo3  e DeliciousApplePie per le recensioni, siete rimaste solo voi e vi ringrazio immensamente.

 

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Capitolo 31
*** 31) Complimenti, signora! È incinta! ***


31) Complimenti, signora!  È incinta!

 

Che bello tornare a casa dopo così tanto tempo fuori!
Il sole sembra diverso e migliore qui a San Diego, l’oceano ha una sfumatura blu ineguagliabile e la brezza marina è paradisiaca, soprattutto quando muove le tende del nostro vecchio appartamento che abbiamo riottenuto.
Contrariamente alle nostre previsione è pulito fino a potersi specchiare su ogni cosa e il letto ha un profumo di bucato delizioso.
Mark mi prende per mano e mi trascina sopra togliendomi i vestiti, mentre io faccio lo stesso con lui, siamo troppo stanchi per fare l’amore, ma per stare abbracciati no.
Rimaniamo così, godendoci questo venticello fino a quando non iniziamo a sentire freddo, poi ci rintaniamo sotto le coperte.
“Devo scendere a ringraziare la signora Meg.”
“Dopo.”
“Uhm, sì. Hai ragione, sono stanchissima. Non ne potevo più di quel volo.”
“Anche io.
Mormora insonnolito per poi cadere immediatamente addormentato, io lo seguo poco dopo e probabilmente continueremmo a dormire fino al giorno dopo se qualcuno non si lanciasse sul nostro letto rischiando di sfondarlo.
Ma chi diavolo è così scemo da fare una cosa del genere?
Prima ancora di aprire gli occhi la risposta lampeggia nel mio cervello: Thomas Matthew DeLonge Jr.
Apro gli occhi e trovo il suo faccione sorridente a pochi centimetri dalla mia faccia.
“TOOOM!”
Urlo facendolo arretrare e svegliando completamente Mark, che si alza, prende una maglia per farne una frusta e comincia a inseguire rabbioso il suo amico urlandogli le peggio cose.
Tom scarta, corre, salta come una scimmia e vomita scuse; io mi lascio cadere sul letto: ho mal di testa grazie a lui.
“Tom, che cazzo vuoi?”
Urla Mark.
“Ci hanno messo sotto contratto!”
“Chi ha messo sotto contratto chi? E sii convincente o con questa ti ci strozzo!”
Tom deglutisce.
“La MCA! Hai presente quelli che Anne ha chiamato papaveri?
Beh, erano lì per noi, per vederci suonare e li abbiamo convinti, tra due giorni abbiamo un colloquio con la casa e pare che comunque sia una proforma. Dicono che abbiamo già un produttore di nome Jerry Finn!”
Mark rinuncia all’istante all’idea di strozzare Tom con la maglia e si limita a guardarlo un po’ scettico.
“Come faccio a essere sicuro che non è uno dei tuoi soliti scherzi, Tom?”
Lui gli porge una lettera che Mark legge molto attentamente, inizialmente  la sua fronte si corruga, poi si distende e infine abbraccia Tom urlando cose senza senso.
Io lo guardo sbalordita quando si dirige verso di me e mi alza dal letto, costringendomi ad attaccarmi come un koala a lui mentre mi fa fare una giravolta.
“Amore, tra due giorni abbiamo un colloquio!!”
Urla a due centimetri dalle mie orecchie, rischiando di farmi diventare sorda.
“Sono tanto felice per voi! Ve lo meritate!
Siete bravissimi!”
Mark e Tom ululano di gioia come due cani, credo che ormai i vicini pensino che siamo del tutto impazziti, che l’Australia ci ha rubato quel poco cervello che avevamo.
“Evvai, stasera avrò un motivo per fare sesso!”
Mark gli lancia la maglia/frusta addosso.
“Stai parlando di mia sorella, porta un po’ di rispetto! Bestia!”
Tom lo guarda un attimo senza capire, poi la sua bocca diventa una O perfetta e si porta una mano davanti alla bocca.
“Scusa, Mark. Stasera usciamo a festeggiare?”
“Forse sì. Adesso lasciaci dormire!”
“Va bene, posso dormire qui? Non ho voglia di tornare a casa.”
Mark annuisce.
“Sul divano e fai poco casino!”
Tom annuisce e finalmente lascia la nostra camera, Mark si butta a peso morto sul divano. La faccia sepolta nelle lenzuola.
“Ancora non ci credo che una major voglia noi sotto contratto, siamo così poco adatti.”
“Per me hanno visto del talento in voi, quelli non sprecano soldi a buffo, lo sai.”
Mark annuisce e striscia verso di me per poi attirarmi in un abbraccio.
“Quanta gente ci darà dei venduti?”
“Nessuno, se voi farete quello che volete e in cui siete bravi a fare.”
Lui sospira.
“Dai, dormiamo.”
Io annuisco e finalmente riusciamo a riprendere il sonno interrotto da quell’essere che ora dorme sul nostro divano.
Sogno cose strane che mi lasciano addosso una sottile inquietudine al risveglio, è come se quello che adesso ho fosse in bilico, ho l’impressione che presto un cataclisma lo distruggerà.
Reggeremo alla fama?
Che domanda sciocca, siamo sopravvissuti a mia madre e al tour, perché non dovremmo sopravvivere a questo?
Con questi pensieri vado in cucina – costatando che Tom dorme della grossa – e apro il frigo: dentro c’è una teglia di lasagne, regalo della signora Meg.
Visto che i due maschietti dormo ancora scendo dalla mia vicina per ringraziarla, busso alla porta e vengo accolta dal signor Fitzpatrick.
“Buonasera, signor Joshua.”
“Buonasera anche a te, Ruby. Siete tornati da poco?”
“Qualche ora. Dov’è sua moglie?
Vorrei ringraziarla per aver dato una sistemata al nostro appartamento e per le lasagne.”
“In cucina.”
La raggiungo in cucina e la trovo intenta a preparare da mangiare.
“Signora Meg…”
“Ciao, Ruby!”
“Buonasera, sono venuta a ringraziarla per aver sistemato il nostri appartamento e per le lasagne. Io e Mark le siamo grati.”
“Figurati, per così poco. Per me siete come due figli.”
“Grazie mille lo stesso.”
Dico io rossa come un pomodoro.
“Adesso la lascio cucinare e poi devo svegliare Mark e Tom per la cena.”
“Va bene. Buona cena, tesoro.”
“Buona cena anche a lei.”
Salgo al mio appartamento e trovo Mark e Tom svegli che contemplano la lettera della MCA.
“Dov’eri?”
“Dalla signora Meg, l’ho ringraziata per aver pulito il nostro appartamento e per la cena.”
“Cena?”
Lo sguardo di Tom si pianta nel mio, speranzoso.
“Sì, ci sono delle lasagne nel frigo e ora vado a metterle in forno.”
“Che bello!”
Urla Mark.
“Devi provarle, Tom, sono spettacolari!”
“Se Ruby mi lascia rimanere a cena.”
“La cena è compresa nel fatto che tu abbia dormito qui.”
Dico divertita avviandomi verso la cucina, dove inforno le lasagne, e poi mi siedo sul divano con loro.
Non mi sento molto bene, il profumo delle lasagne – che di solito amo – mi ha dato un conato di vomito.
Probabilmente è colpa del jet-lag, mi dico, non può essere altro, vero?
Soffoco così i timori di una mia possibile gravidanza, perché capiterebbe nel momento peggiore della vita, adesso che forse qualcuno si interessa ai blink-182.
Venti minuti dopo siamo tutti riuniti intorno alla tavola e mangiamo con gusto le lasagne di Meg Fitzpatrick, la mia nausea è momentaneamente archiviata.
“Dove andiamo a festeggiare?”
“Soma! Chiama anche Trav e gli altri.”
“Lo farò… dal vostro telefono.”
Io annuisco e lui si attacca al nostro apparecchio, chiama Trav, Matt (e David), mia sorella, Skye e Hayley dandogli appuntamento per le dieci fuori dal Soma.
“Bene, ragazzi e stasera ci si ubriaca.”
“Non esagerare!”
Gli ringhia Mark.
“Stai tranquillo, non farò del male a tua sorella, la amo.”
Mark sembra convinto perché annuisce con un basso grugnito.
“Come mai sei tanto protettivo con Anne, Markey?”
“Perché è la mia sorellina, l’ho sempre protetta e continuerò a farlo anche se questo significasse mettermi contro di te.”
Tom annuisce.
“È una ragazza speciale.”
“Molto speciale.”
“Non è adorabile il modo in cui protegge Anne, Ruby?”
Io annuisco, stiracchiandomi.
“Certo che lo è! Per questo e altre cose lo adoro!”
“Ah, che carini! A tra quanto il matrimonio?”
Io e Mark rimaniamo entrambi senza parole, tra noi non si è mai parlato di matrimonio e non sappiamo cosa dire a Tom, che si accorge del nostro disagio e comincia a muovere le mani avanti e indetro.
“Scusate, non sapevo fosse un argomento delicato!”
Vado a fare una doccia.”
Detto questo si eclissa rapidamente lasciandoci parecchio in imbarazzo.
“Hai mai pensato a noi due sposati?”
“Beh, sì. Ogni tanto mi immagino come sarebbe il matrimonio. Sai,l’abito bianco, il bouquet, quelle cose, ma poi penso che siamo ancora giovani per sposarci. O no?”
“Anche io penso la stessa cosa. Speriamo che Tom non faccia una delle sue docce secolari o alle dieci siamo ancora tutti qui.”
Io annuisco, fortunatamente dieci minuti dopo Tom si presenta in salotto mezzo nudo.
“Copriti, scostumato!”
Gli urlo lanciandogli un cuscino, lui corre in camera nostra, io invece a farmi una doccia.
Finito, è il turno di Mark e dopo un po’ siamo tutti pronti per uscire e chiudo a chiave l’appartamento.
Saliamo tutti nella macchina di Tom, che per l’occasione mette a palla “Dude  Ranch”, cantando tutte le canzoni a squarciagola.
Arriviamo che sono già tutti là, chiacchierando e in attesa di veder arrivare quel mattoide di Tom.
Quando finalmente ci facciamo vedere, Erin avanza battagliera verso di lui.
“Allora, DeLonge! Perché ci hai convocati qui la prima sera che posso stare con il mio ragazzo?”
“Perché c’è qualcosa da festeggiare, tra due giorni abbiamo un colloquio con la MCA.”
Erin ammutolisce e poi gli salta in braccio, urlando come una matta.
La serata inizia bene.
 

La serata prosegue al meglio dentro al Soma, tra musica alta e alcool.
Tom ordina per tutti il primo giro di birra e poi lui e Mark iniziano a fare i cretini, fino a che io e Anne li facciamo scendere dal tavolo e li convinciamo a pogare.
È durante il pogo che succede qualcosa di strano, ho di nuovo la nausea e questa volta sono costretta a correre in bagno se non voglio vomitare in mezzo alla pista.
Mark, per fortuna, non si accorge di nulla e attribuisce la mia aria stanca al jet-leg, io gli dico che probabilmente è così: la prospettiva di una gravidanza mi spaventa molto.
Sarà meglio tenere d’occhio come vanno le cose nei prossimi giorni.
Mi siedo al nostro tavolo meditabonda, cosa succederebbe se fossi davvero incinta?
Poco dopo Erin si siede accanto a me.
“Stai meglio?”
Mi chiede bevendo una sorsata della birra di Tom.
“Come fai a sapere che stavo male?”
Lei alza le spalle.
“Siamo gemelle, quando sei corsa in bagno a vomitare anche a me si è rivoltato qualcosa nello stomaco.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Adesso sì, ma ho paura.”
“Temi di essere incinta?”
“Sì.”
Il mio è un sussurro a malapena udibile, ma lei lo sente lo stesso.
“Mark non ti lascerà da solo, se fosse così.”
“Gli rovinerei la vita.”
“Non ti mettere in testa questa cosa, ti prego.”
Io non dico nulla e spero con tutta me stesse che tutti questi strani sintomi siano solo cose dovute al jet-lag.
“Vuoi tornare in pista?”
“Sì, dai!”
Pogo ancora un po’, poi torno al tavolo e ci rimango, troppo stanca per fare qualsiasi cosa. Questa serata ha preso una piega che non mi piace e che mi fa paura.
Incinta  io? A ventitré anni?
È troppo presto, non so se sarei in grado di fare la madre e se Mark vuole un figlio.
“Ruby, piccola?”
“Sì, Mark?”
“Sei stanca, vuoi che andiamo?”
“Sì, ma non voglio rovinare la festa a tutti.”
Lui sorride e si siede vicino a me.
“Dai, ti tengo compagnia.”
“Mi abbracci?”
Gli chiedo, un po’ timida, lui mi fa cenno di sedersi sulle sue gambe, cosa che io faccio ben volentieri perché presto mi ritrovo avvolta dal suo abbraccio.
“Presto la nostra vita cambierà. Ho un po’ paura.”
“È il tuo sogno che si avvera, non dovresti averne.”
“Ho paura che sarò costretto a sacrificare qualcosa.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Non pensiamoci, ok?
È inutile farlo ora, meglio goderci questi due giorni, no?”
Lui annuisce e torniamo a guardare la pista del locale piena di gente che si muove a ritmo con la musica.
Signore, ti prego, fa’ che non sia incinta! Non saprei come dirlo a Mark, visto che gli devo anche dire dello stage.
Dopo un po’ ci raggiungono anche gli altri, sono già stanchi perché il jet-lag si fa sentire anche su di loro per fortuna.
“Beh, ragazzi direi che la festa è finita, ci si rivede.
Travis, ci troviamo alle nove fuori dalla sede della MCA, va bene?”
Lui annuisce.
“E adesso io e la ragazza andiamo a festeggiare privatamente. Ciao a tutti!”
Mark grugnisce un “Ciao” tra i denti che mi costringe a dargli una gomitata.
“Tom, aspettaci. Devi riportarci a casa!”
Urlo io, facendo alzare Mark.
Ci avviamo tutti e quattro verso il parcheggio e saliamo in macchina, Anne si addormenta subito sul sedile passeggeri.
“Credo che non festeggerai.”
Dice acido Mark.
“Mark, che palle!”
“Va bene, Tom.”
Tom ci riaccompagna fino a casa e poi ci saluta, Tom e Mark si scambiano le loro solite battute dementi, poi finalmente la macchina riparte.
Saliamo fino al nostro appartamento cercando di fare meno rumore possibile, gli altri condomini dormono già tutti.
Arrivati a casa, mi butto sul letto e crollo addormentata senza nemmeno aspettare Mark.
Ho una stanchezza dell’altro mondo che mi opprime in una maniera assurda, nemmeno avessi scalato una montagna.
Mi sveglio durante la notte – in preda alla nausea – e mi accorgo che Mark mi ha abbracciato nel sonno, con delicatezza sposto il suo braccio e controllo che sia ancora immerso in un sonno profondo.
Lo è.
Io corro in bagno e vomito di nuovo, non so bene cosa, so solo che quando mi rialzo mi sento da schifo e lo spettro di una gravidanza si fa sempre più vicino.
Torno a letto stanca e triste, nonostante la stanchezza ci metto circa un secolo a prendere sonno e il rumore dei miei pensieri si fa assordante.
Svegliarsi la mattina in queste condizioni non è facile, ci metto un po’ e sento Mark trafficare in cucina. Mi alzo e lo trovo intento a preparare la colazione, sorridendo, mi siedo al tavolo e lo guardo.
“Ben svegliata. Volevo portarti la colazione, ma mi hai preceduto.”
“Grazie, che dolce che sei.”
Lui sorride imbarazzato, solo con me si mostra in questo modo. Al fischio della moka la spegne e mi porge il caffè, sul tavolo ci sono già i biscotti e la sua tazza di cereali con una brocca di acqua vicina.
Io me lo godo e guardo il mare, oltre la testa di Mark: è piatto e grigio oggi.
Qui è una giornata di febbraio un po’ piovosa, di quelle che ti invitano a rimanere a letto, invece mi tocca alzarmi e andare alla casa editrice a ritirare del nuovo lavoro e uno stipendio.
“Tu cosa pensi di fare?”
Chiedo a Mark.
“Non lo so.”
Si gratta la testa.
“Non so se chiedere di nuovo il mio vecchio lavoro visto il colloquio, credo che ci penserò dopo quello. Adesso vado a farmi un giro e poi vado allo skate park.”
“Ok, io penso di andare alla casa editrice. Mi dai un passaggio per favore?”
Lu annuisce e ci cambiamo, poi come promesso mi porta alla casa editrice, il mio capo mi chiede genericamente come va e nota la mia faccia un po’ smunta.
Io gli dico che è il jet-lag, lui annuisce distratto e mi dà il materiale da correggere e la busta paga, io lo saluto e me ne vado.
Questo tempo di merda ti fa venire voglia di infilarti in uno starbucks e aspettare che esca il sole, io lo assecondo. Appena trovo uno dei locali prendo un frappuccino e do un’occhiata alla mia mole di lavoro: libri di testo scolastici, libri gialli, libri di qualche aspirante scrittore a cui è stato concesso di pubblicare.
Una rottura di palle.
Tutto ultimamente mi sembra una rottura di palle, lo stage nel Regno Unito invece mi alletta parecchio, ma non so cosa fare.  Lui potrebbe non prenderla bene.
La testa all’improvviso inizia  a girarmi e la nausea mi sommerge come un’onda malefica, vorrei poter resistere invece crollo sul tavolo di starbucks, riuscendo a malapena a mettere in salvo i documenti.
Cosa diavolo mi sta succedendo?
Non ne ho idea, so solo che mi risveglio in ospedale con una sorridente dottoressa vicino al mio letto.
“Ben svegliata, signora. Non si preoccupi, non è nulla di grave, è stato solo un calo di zuccheri, lei e il bambino state bene.”
“Ba-bambino?”
Farfuglio io, lei mi guarda sorpresa.
“Non sapeva di essere incinta?”
Io scuoto la testa.
“In tal caso, complimenti, lei è incinta di quattro mesi e parrebbe un bel maschietto, anche se piuttosto timido.”
Oh. Mio. Dio.

Angolo di Layla

Ringrazio LostinStereo 3 e DeliciousApplePie per le recensioni. Grazie mille <3!

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Capitolo 32
*** 32) La pazzia di Ruby Ferreira. ***


32) La pazzia di Ruby Ferreira.

 

Sono incinta, sono fregata e sono nei guai.
Non posso dire a Mark che sono incinta, non ora che la band ha firmato per una major, le ecografie che ho fatto due giorni prima sono accuratamente nascoste in una borsa e lui non sa nemmeno che sono stata in ospedale.
Ho chiesto a Erin di venirmi a prendere e le ho raccontato tutto, poi sono corsa ad accettare lo stage e mi è stato consegnato un biglietto aereo per dopodomani.
Ho pensato mille volte di dirglielo in questi giorni, ma ogni volta il mio cervello mi ha proiettato la sua faccia infelice per la notizia. Da dopo aver firmato con la MCA dice che i blink sono la sua priorità e che vuole fare un buon album.
Posso io rovinargli questa occasione unica?
No, non posso, non me lo perdonerei mai, per quanto possa fare male  andarmene è l’unica soluzione che mi rimane.
Spero troverà una ragazza migliore di me nei prossimi anni, una che sappia dargli felicità e non problemi. Non può nascere una famiglia in queste condizioni, finirebbe come la mia e non posso permetterlo: non voglio diventare come mia madre.
Quando Mark sarà in sala di registrazione me ne andrò e gli scriverò un biglietto per lasciarlo.
 Non devo rovinargli in alcun modo la vita, mi spezza il cuore sapere che lo farò soffrire come un cane, ma non posso accollargli questa responsabilità, non posso essere la zavorra che lo trattiene  a terra ora che ha iniziato a volare.
Lui nota che sono strana, ma non dice nulla, chissà a cosa pensa, chissà cosa crede che abbia.
Forse trova strano che ogni tanto lo guardi come per imprimermi nella memoria i suoi lineamenti o che mi faccia abbracciare e coccolare senza motivo.
Il fatto è che lasciarlo mi costerà tantissimo, lo amo come non ho mai amato nessuno e come non amerò mai nessuno.
Il destino a volte sa essere estremamente crudele, me lo dico l’ultima notte che mi è concesso guardarlo dormire. È così rilassato, felice, sembra un bambino.
Un bambino di ventisette anni, il mio ragazzo, la mia ragione di vita, l’uomo a cui spezzerò il cuore e che non saprà mai di avere un figlio da me.
Perché?
Perché proprio ora questa gravidanza?
Non ne ho idea, so solo che fa male.
Quando arriva la mattina dell’ultimo giorno gli preparo la colazione, la facciamo insieme e arrivato il momento che lui esca per andare a registrare lo bacio come se non ci fosse domani.
Una volta che la porta si è chiusa alle sue spalle, comincio a piangere silenziosamente e poi a preparare le valige.
Porto via con me anche le ecografie e una foto di noi due insieme, so che la consumerò in questi anni senza di lui.
Alle due mia sorella suona il campanello e io scendo trascinando dietro le mie valigie, lei mi aiuta a portare giù le rimanenti e a caricarle in macchina, poi entriamo.
“Per me sbagli. Mark lo deve sapere, è anche suo figlio.”
“No, Erin. Lui ora deve pensare ai blink e alla sua musica, non a me e al bambino che per errore porto in grembo.”
Erin quasi inchioda.
“Quel bambino non è un errore! È il figlio del vostro amore e poi sai perfettamente che lui non sarà in grado di concentrarsi sui blink se tu te ne vai! Stai solo scappando dalle tue responsabilità."
Io non dico nulla, lei prosegue verso l’aeroporto, mi lascia  sulla porta delle partenze internazionali, scarichiamo le valigie e poi se ne va. È troppo arrabbiata per salutarmi decentemente.
Faccio il check-in e tutte le operazione necessarie come un automa, solo quando l’aereo inizia a prendere quota mi rendo conto di quello che ho fatto. Mark a quest’ora sarà arrivato a casa e avrà letto il biglietto.
Non ci crederà, vagherà per tutte le stanza e poi chiamerà Erin che gli confermerà tutto.
Dio, che bastarda che sono!
Lo faccio per il suo bene, questo è il mantra che mi ripeto mentre l’aereo mi porta dall’assolata California alla piovosa Londra.
Lo faccio per il suo bene.
Lo faccio per non caricarlo di una responsabilità che è troppo per lui.
Lo faccio perché ora deve pensare ai blink e non a me.
Lo faccio perché sarebbe egoista da parte mia distoglierlo dalla musica ora che sta avendo i riconoscimenti che merita.
O forse come dice Erin sono solo una vigliacca che non sa affrontare le sue responsabilità, non lo so.
In ogni caso mi addormento e mi risveglio solo quando una hostess mi avvisa che siamo atterrati a Londra, io tolgo il mio bagaglio a mano e scendo dall’aereo: fuori mi aspetta una notte piovosa e fredda.
Che tempo di merda!
Infreddolita mi infilo sul pullman che dall’aereo porta all’aeroporto vero e proprio e poi attendo che il nastro trasportatore sputi i miei bagagli.
Li ritiro senza allegria e li carico su un carrello. Una ragazza madre in una grande città che non conosce, questo sono e non mi piace, mi sento insicura e impaurita.
Trascino il mio carrello fino alla zona di posteggio taxi e ne prendo uno a cui consegno l’indirizzo dell’appartamento che mi è stato dato insieme al biglietto aereo.
L’uomo annuisce e il taxi inizia a muoversi verso la mia nuova casa che scommetto farà schifo rispetto alla vecchia. Non sarà una casa senza Mark.
Il taxi attraversa le strade di Londra, io non le guardo nemmeno, sono troppo concentrata a  non piangere per non insospettire nessuno.
Fortunatamente arriviamo presto all’indirizzo – una casetta in un modesto quartiere di periferia – così posso scaricare presto tutto e ambientarmi.
In realtà ho solo fame e sonno, quindi cerco un cinese vicino a me sull’elenco del telefono e ordino la cena e poi tiro fuori l’ecografia e la foto e le appoggio su una credenza.
La fotografia mi fa venire un nodo alla gola.
Decido di chiamare Erin, lei risponde subito.
“Ciao Ruby.”
“Ciao, Erin!”
Sento una pausa dall’altra parte.
“Mark è passato a cercarti, è distrutto. Ripensaci, ti prego.”
“Lo sai che non posso.”
Chiacchieriamo ancora un po’, ma è una conversazione piuttosto fredda e triste, come le strade di Londra che ho visto.
Chiudo la chiamata quando suonano alla porta, saluto Erin e le dico che il cinese è arrivato, in effetti è così, ritiro la cena e la pago, poi chiudo la porta.
La porto al tavolo, sono avvolta da una cappa di tristezza che non mi lascia quasi respirare. Mangio svogliatamente il riso alla cantonese e il pollo alle mandorle e penso che con Mark avrebbero avuto un sapore migliore.
Tutto con lui è migliore, persino le giornate di pioggia.
Per scacciare questi pensieri svuoto le valigie e metto tutto ordinatamente a posto, poi mi faccio e mi butto a letto.
Sogno di essere con Mark in un grande prato, con nostro figlio che gioca felice, chiamandoci mamma e papà.
Al risveglio mi accorgo che il cuscino è bagnato dalle mie stesse lacrime che ho versato senza nemmeno accorgermene.

 

Quattro mesi dopo la mia vista è uno schifo.
Sono l’assistente di un’insegnante di arte e i ragazzi sono terribili, soprattutto perché quando hanno visto la mia pancia levitare come un pandoro hanno iniziato a sparlare.
All’ottavo mese è normale che la mia pancia si veda e la direttrice della scuola mi ha messo in maternità, così passo i miei giorni a letto e a mangiare gelato, le cose per il bambino – sì, sarà un maschio – sono già pronte da tempo.
Sono comodamente sdraiata sul divano quando qualcuno si attacca al campanello con violenza, sono costretta ad alzarmi con movimenti lenti e impacciati data la mia mole.
Apro la porta e quasi crollo stecchita: sulla porta ci sono Mark e Tom.
Mark non appena vede la mia pancia si mette a urlare e bestemmiare e si avvicina a me minaccioso, non sembra nemmeno il ragazzo che ho lasciato con quella luce folle negli occhi.
Il mio cuore batte a tremila ed è a un passo dall’esplodere, Tom ferma Mark appena in tempo.
Ho paura che mi metta le mani addosso.
“Hai già trovato un altro!”
Mi urla, io mi chiedo come faccia a pensarlo dato che si vede che la mia pancia non è da quarto mese, ma da ottavo.
“Non è come pensi!”
Urlo.
“Ah, no? E com’è?”
Urla lui.
“È figlio….”
Qualcosa dentro di me inizia a fare male e sento del liquido sui miei pantaloni premaman.
“Mi si sono rotte le acque. Vi prego, aiutatemi.”
“Tom, andiamocene.”
Risponde cinico Mark, io sono sull’orlo delle lacrime e prego mentalmente Tom di rimanere.
“Io rimango con Ruby, è comunque incinta.”
“Fa’ come ti pare!”
Se ne va lasciandomi da sola con Tom che mi carica nella mia macchinetta presa a noleggio e seguendo le mie indicazioni mi porta all’ospedale.
“Cosa stavi dicendo prima che le acque si rompessero?”
“Che il figlio è di Mark, Tom.
È suo figlio, suo e di nessun altro. Me ne sono andata da San Diego non appena ho saputo di essere incinta per non intralciare la vostra carriera.”
Urlo, per sovrastare il dolore delle contrazioni.
“Tom, muoviti o partorisco qui!”
Lui mi guarda spaventato e poi accelera, l’ospedale è finalmente in vista e lui entra nel parcheggio e molla la macchina davanti all’entrata ed entra.
Ne esce poco dopo con un’infermiera e un medico che mi aiutano a scendere e mi portano in una stanza con un macchinario per monitorare la situazione.
“Signorina, queste sono le contrazioni del parto. È già dilatata, pare che suo figlio nascerà un mese in anticipo.”
Io scoppio a piangere  e i due mi lasciano pietosamente da sola. Non so per quanto piango, so solo che a un certo punto un mano maschile mi asciuga le lacrime: Tom.
“Andrà tutto bene.”
“No, mio figlio sta per nascere e Mark mi considera una puttana. Avrei dovuto dirgli tutto subito come mi aveva detto Erin!”
Lui mi accarezza i capelli.
“Andrà tutto bene, tu pensa a partorire e io penserò a portarti Mark.”
“Non mi lasciare! Ti prego!”
Urlo, vedendo che il dottore e l’infermiera sono rientrati nella sala.
“Lei chi è?”
“È un mio amico, lo lasci rimanere per favore.”
Il medico e l’infermiera annuiscono, poi quest’ultima spinge la barella – seguita da Tom – verso un’altra sala.
Lì vedo una donna che mi viene indicata come l’ostetrica che mi dice come respirare, il dolore si fa più forte. Non credevo che partorire un figlio potesse fare così male e probabilmente non lo credeva nemmeno Tom perché quando gli stritolo la mano in una presa ferrea urla.
Le contrazioni sono un incubo, diventano sempre più forti e più ravvicinate, fino a quando la donna non mi incita a spingere, cosa che faccio con un po’ di difficoltà, dato il dolore.
“Spinga, signorina, spinga! E respiri come le ho insegnato.”
Facile per lei! Non è lei che prova un dolore atroce!
In ogni caso spingo più che posso.
“Vedo la testa! Spinga ancora!”
Spingo ancora e finalmente ho la sensazione che qualcosa stia uscendo, poco dopo il mio bambino è tra le mie braccia: somiglia incredibilmente a Mark.
Tom lo guarda incantato e gli accarezza piano la testa.
“È uguale a Mark, è indubbiamente suo figlio!”
“Pensavi che mentissi?”
Gli chiedo con un filo di voce.
“No, ma Mark potrebbe pensarlo. Cercherò di convincerlo in ogni modo a venire qui.”
Io annuisco.
“Grazie Tom, grazie.”
“Prego, per una volta ho l’occasione di restituire tutto il bene che mi hai fatto non ho certo intenzione di lasciar perdere.
E poi… Mark senza di te è perso, durante le registrazioni ha la testa da un’altra parte e quando siamo fuori non fa altro che bere come una spugna.”
Io stringo un po’ di più mio figlio.
“Mi dispiace, Tom. Non volevo fare questo casino, pensavo di fare una cosa positiva per la band.”
Lui mi scompiglia i capelli.
“Lo so. Lo so che non faresti mai, deliberatamente, del male a Mark.”
“Ma gliene ho fatto e non so come rimediare.”
“Gli parlerò io, lo convincerò a venire qui a vedere il bambino e capirà.”
“E se non mi volesse?”
Mormoro senza riuscire a evitare che mi cada qualche lacrima.
“Ti vorrà. Tu sei sua e lui è tuo e poi ora c’è il piccolino che vi unisce.”
“Un piccolino che forse non vedrà mai il suo papà. Come ho fatto a giocare così con la vita di un bambino?”
“Capita a tutti di avere paura e di fare scelte sbagliate credendole giuste. Sei ancora in tempo a correggere la rotta.
Ci sono io, ti darò una mano io.”
“Grazie. Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Come avete fatto a trovarmi?”
Lui sogghigna.
“Io ho distratto Erin e Mark ha frugato tra le sue cose fino a che non ha trovato il tuo indirizzo.”
Io sorrido.
“Ti voglio bene, Tom e amo ancora Mark.”
“Lo so, è per questo che tutto tornerà a posto.”
Io sospiro e poi affido mio figlio nelle mani di un’infermiera che lo porterà in un’incubatrice.
Spero tanto che Tom abbia ragione.

 
Trascorro il resto del pomeriggio riposando, alle sette arriva Tom e la sua faccia non promette nulla di buono.
“Come stai?”
Mi chiede premuroso, mentre si siede su una sedia, in mano ha un mazzo di margherite.
“Dove posso metterle?”
“Aspetta che chiedo un bicchiere a un’infermiera.”
Suono il campanello e una donna si affaccia poco dopo alla porta.
“Scusi, non volevo disturbarla, ma potrebbe portarmi un bicchiere per queste?”
Le mostro le margherite e lei annuisce.
Poco dopo arriva con il bicchiere e guarda curiosa Tom.
“È il padre del bambino?”
“No, sono lo zio.”
“Complimenti, è un bambino bellissimo.”
“Grazie mille.”
La donna ci lascia di nuovo da soli.
“Così sono zio di un bambino figo come il padre.”
Io sorrido malinconica.
“Sì, un padre che non lo conoscerà mai.”
Tom mi prende una mano.
“Abbi fede, lo conoscerà.”
Io guardo fuori dalla finestra.
“Come mai non è qui?”
Lui sospira.
“Ho provato a parlargli, ma era troppo ubriaco per capire qualcosa. Ci riproverò domani, sarà sobrio e vorrà ascoltarmi.”
Io annuisco, ma sento che questa volta non mi andrà bene nulla. Questa volta ho esagerato e pagherò i miei errori, perdendo Mark.
“Non avere paura, Ruby.”
Io scoppio a piangere disperatamente, Tom mi guarda costernato.
“No, Ruby non reagire così, ti prego!
Ce la farai a riavere Mark, hai agito in modo sbagliato, ma se gli spieghi le tue motivazioni capirà, ne sono certo!”
“Io invece sento che questa volta l’ho fatta troppo grossa per essere perdonata da lui!”
Dico tra i singhiozzi, lui non sa cosa fare. È sempre stato a disagio davanti alle ragazze che piangono, me lo ricordo. 
Con lentezza mi abbraccia e io mi lascio andare, mi sento debole, stanca e fragile come non mi sono mai sentita.
“Cerca di riposare e di stare calma.”
Mi dice prima di andarsene,  io annuisco: ho la testa che mi scoppia.
Mi stendo e vengo assalita da tanti – troppi – ricordi.
La prima volta che l’ho visto lo odiavo e odiavo mia sorella, lui mi ha aiutato a recuperare il rapporto con lei e piano piano mi sono innamorata di lui. Era l’unico che continuava a rimanere nonostante tutti i miei patetici tentativi di cacciarlo, in realtà avevo bisogno di lui e non lo volevo ammettere.
È stato un grande giorno quello in cui l’ho ammesso, mi ha aperto le porte della felicità e io, come una stupida, le ho richiuse.
Ho lasciato che tutte le mie paura avessero la meglio su di me e ho buttato via la cosa più preziosa della mia vita, la migliore, quella che mi ha salvato la vita.
Ho preso una decisione egoista credendo fosse la migliore e adesso io e mio figlio ne paghiamo le conseguenze,  non sono sicura che Mark mi rivoglia rivedere e nemmeno che mi creda.
Adesso è tutto nelle mani di Tom e ho una paura fottuta che non bastino i tentativi del suo migliore amico per riportarlo da me.
Avrei dovuto dare retta a Erin e dirgli tutto sin dall’inizio, non tenerlo fuori solo per paura, sono io che ho sbagliato e prego perché lui decida che anche questa volta vale la pena stare con me e non lasciarmi del tutto.
Ho delle fitte al cuore nell’immaginarmi la mia vita senza Mark, adesso mi rendo di quanto abbia agito sventatamente.
Oh, che casino  ho combinato!
Mi metto le mani davanti al volto e ricomincio a piangere, anche se questo aumenta il mio feroce mal di testa.
Non so quanto piango so solo che a un certo punto in reparto si crea una certa agitazione, le infermiere corrono e sussurrano tra di loro che c’è un matto che vuole assolutamente entrare nonostante non sia orario di visite.
Io le guardo un po’ spenta, mi rianimo solo quando sento una certa voce urlare a pieni polmoni.
“Voglio vederla, è una stronza, ma mi devo accertare che stia bene!”
Il mio cuore salta un battito al suono di quella voce.
“Signore, non può! Non è orario di visita!
Torni indietro, fermatelo!”
Urla la caporeparto alle infermiere, Mark però è già sulla soglia della mia camera e mi sta guardando negli occhi. Per me il mondo cessa di esistere e ci sono solo i suoi occhi e le loro sfumature di azzurro.
“Lasciatelo, entrare.”
Dico con un filo di voce.
“Vi prego, lasciatelo entrare!”
La caporeparto scocca un’occhiataccia prima a Mark e poi a me, capelli azzurri invece dal canto suo acchiappa una sedia e ci si siede sopra continuando a guardarmi.
Nei suoi occhi c’è troppa sofferenza e so che è tutta colpa mia, non posso perdonarmi, ma posso provare a spiegargli tutto.
Il nostro dialogo muto continua, questa è la mia occasione di spiegargli tutto e non me la lascerò scappare.
Forza, Ruby!

Angolo di Layla

Grazie a DeliciousApplePie e LostinStereo3 per le recensioni

 

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Capitolo 33
*** 33)Mark+Ruby=Michael. ***


33)Mark+Ruby=Michael.

 

Ci sono occasioni che non ti capitano due volte, questa è una di quelle e non la devo sprecare.
“Mi dispiace per averti abbandonato mentre stavi abortendo. Non ero in me.”
“Non ho abortito, dammi una mano e ti mostrerò una cosa.”
Lui annuisce e mi aiuta ad alzarmi e poi a mettermi su una sedia a rotelle, mi spinge seguendo le mie indicazioni fino alla nursery.
Un’infermiera ci viene incontro.
“Buonasera, signorina.”
“Buonasera. Potrebbe mostrare a questo ragazzo mio figlio?
Michael Ferreira.”
La donna annuisce e fa cenno a Mark di seguirla, poco dopo lui torna vestito con camice, guanti e mascherina. Io lo invito a seguire l’infermiera e dalla grande vetrata lo spio mentre vede per la prima volta suo figlio, la sua faccia passa dal guardingo al felice e poi al confuso.
Rimane dentro pochi minuti, dopodiché torna da me e mi riporta in camera. Una volta che mi sono distesa di nuovo a letto la sua faccia domanda spiegazioni.
"È tuo figlio, Mark.”
“Me ne sono accorto, mi somiglia molto. Adesso voglio sapere tutta la verità, Ruby.”
Io prendo fiato.
“Mi sono accorta di essere incinta due giorni prima che i blink iniziassero le registrazioni e non sapevo come dirtelo.
Non volevo esserti d’intralcio mentre il tuo sogno stava prendendo forma, quindi ho deciso di accettare uno stage in Inghilterra che mi aveva proposto l’università e di far nascere qui il bambino per poi crescerlo da sola.
Pensavo che non saresti riuscito a conciliare le responsabilità del disco con quelle dell’essere padre, così me ne sono andata.
Pensavo che avresti trovato qualcun'altra o ti saresti buttato anima e corpo nel tuo lavoro per dimenticarmi.
È evidente che ho sbagliato tutto quanto, che ho agito in modo egoista e crudele e ti chiedo scusa.
Mi sei mancato in tutti questi mesi e non ho mai smesso di amarti. So che sono imperdonabile, ma ti chiedo una possibilità.”
Lui fa un sorrido amaro.
“Sai cosa avevo in tasca la sera che ho trovato il nostro appartamento vuoto?”
Io scuoto la testa, lui tira fuori da una tasca una scatolina blu scura e me la porge: contiene un anello con un brillante.
“Volevo chiederti di sposarmi, ma forse ho sbagliato.
Non siamo ancora pronti e non so più nemmeno se possiamo definirci una coppia: non mi aspettavo una cosa del genere da te.
Io mi fidavo di te, ma tu evidentemente non ti sei mai fidata del tutto di me o altrimenti non avresti reagito così.
Io non posso stare con una persona che non si fida di me, ma – allo stesso tempo – non posso lasciare mio figlio da solo.
Ho bisogno di pensarci, tornerò quando avrò deciso qualcosa.
Ciao Ruby.”
Esce dalla stanza lasciandosi dietro un vuoto enorme. Lo sto perdendo, come ho potuto pensare di vivere senza di lui?
Come ?
Vorrei urlare il suo nome, ma so che sarebbe inutile, lui non tornerebbe indietro ora e non so nemmeno se lo farà in seguito. Ho persino paura che non dia ascolto a Tom.
Scoppio violentemente a piangere, lasciando che le lacrime scorrano liberamente sulle mie guance: avevo una cosa bella nella vita e l’ho distrutta.
Piango per non so quanto tempo so solo che a un certo punto sento un dolore indicibile all’inguine e mi attacco al campanello prima di perdere del tutto conoscenza.
Non starò morendo?
Chi crescerà mio figlio?
Non voglio morire senza prima essermi riappacificata con Mark!

 

“Ha avuto una brutta emorragia, è molto debole.”
“Poverina, ha solo ventitré anni, ha appena avuto un bambino.”
Sento delle voci, ma sono piuttosto lontane, come se io fossi sott’acqua e potessi intercettare solo qualche conversazione che si svolge sopra di me.
“Lo shock rischia di ucciderla, il ragazzo di là è disperato, non si perdona di averglielo causato.
Il suo amico lo consola, ma sembra non voler dare ascolto a nessuno.”
Chi?
C’è Mark di là?
Vado di nuovo sott’acqua, non sento più nulla, sento a stento battere il mio cuore.
Non devo morire, devo parlare con Mark.
Riemergo un attimo.
“È molto debole e probabilmente non può sentirla, vuole parlarle lo stesso, signor Hoppus?”
“Sì, le devo parlare.”
“Faccia come vuole.”
Sento il rumore di una porta che si apre e poi si richiude e di un corpo che si sistema meglio su una sedia. Che Mark voglia parlarmi?
“Ruby, piccola, mi senti?
Lo so che mi senti, ti prego non lasciarmi da solo. Lo so che ti ho detto che volevo riflettere, ma la verità è che senza di te la mia vita non ha senso, non riesco a combinare nulla perché mi manchi troppo.
Sei la ragazza che amo e che amerò sempre e sei la madre di mio figlio, dobbiamo crescere Michael insieme e magari dargli un fratello o una sorella.
Come posso fare questo senza di te?
Amore mio, ritorna. Io ti aspetto qui e perdonami per tutte le brutte parole che ti ho detto, non ho pensato minimamente a te e alle tue condizioni.
So che ti fidi di me, lo so, lo so che mi ami.
Torna e creiamo una famiglia.”
Sento qualcosa di umido sulle mie mani, che siano le lacrime di Mark?
Vorrei alzare una mano e asciugargliele, ma il mio corpo è pesante come piombo e non riesco a muovere un muscolo.
Non voglio lasciarti, cercherò di tornare.
Scivolo di nuovo nell’oblio e non sento più la sua voce, ho paura, non voglio andarmene da questo mondo e lasciare Mark da solo.
Fluttuo un altro po’, poi con immensa fatica apro gli occhi e mi ritrovo il volto addormentato di Tom.
“Tom!”
Lo chiamo piano, cercando di scuoterlo, lui di sveglia di scatto e mi guarda.
“Oh, mio dio! Ruby!
Ruby! Vado  a chiamare un medico!”
Poi mi dà un bacio leggero sulla guancia ed esce dalla stanza, al suo posto entra un dottore in camice bianco che controlla i miei parametri.
“Ha avuto un’emorragia interna, signorina. È molto debole e se passerà la notte sarà salva.”
“Dottore, per favore mi mandi dentro Mark.
È quello con i capelli azzurri, è il padre del bambino, devo parlare con lui.”
“D’accordo, ma non si stanchi, né si emozioni troppo.”
Io annuisco e poco dopo fa il suo ingresso Mark, completamente coperto dal camice e dal resto, non sembra nemmeno lui quasi.
“Ruby…”
“Mark… Se… Se dovessi morire, ti prego prenditi cura del bambino.”
Lui si siede e mi prende cautamente una mano.
“Tu non morirai!”
“Perché? Non ho più nessuna ragione per tornare se tu non sei con me. Persino mio figlio sarebbe più felice senza di me.”
Lui mi accarezza il volto.
“Shh, piccola. Io ci sono e ci sarò sempre.
Lascia perdere le mie parole piene di rancore, ero solo sconvolto. Quando ho rischiato di perderti per sempre ho capito che senza di te non sono niente, che ti amo e ti amerò sempre e che amo già nostro figlio.”
Guardo i suoi occhi, sono sinceri e sono cerchiati, come se non avesse dormito per molto tempo.
“Da quando mi hanno chiamato per dirmi che avevi avuto un’emorragia sono sempre stato qui, non voglio perderti.
Voglio…
Voglio stringerti tra le braccia e baciarti e dirti tutte quelle cose stupide che si dicono tra innamorati, voglio vederti con il piccolino tra le braccia.
Voglio impazzire perché non ci fa dormire la notte e voglio consolarti quando ti sentirai una cattiva madre.
Vuoi fare questo con me?”
Io annuisco piano, incredula.
“Sì.”
“E allora domani, fatti trovare qui, sveglia. Io ti aspetto, non mancare.”
“Ti amo, Mark.”
“Anche io.”
Esce dalla porta e mi lancia un bacio.
Non so se mi abbia perdonato, ma non posso non andare all’appuntamento che ho preso con lui, devo combattere per vivere.
Stanca, torno di nuovo nel torpore, ma sono certa che domani mattina sarò qui sveglia e vigile, in sua attesa.
 

Il sole entra a raggi pigri nella stanza.
Grandi, rossi raggi pigri che illuminano il mio letto, la bottiglia d’acqua e il muro e gli danno una tonalità rosata.
L’alba è sorta su Londra e il dottore che entra nella mia stanza mi comunica che il peggio è passato e che mi terranno qui solo due giorni, poi potrò tornare a casa.
“Dottore, può far entrare Mark?”
“Sì e gli dica di riposarsi, l’ha vegliata tutta notte seduto sulle sedie che ci sono in corridoio.”
Io sorrido stanca, nonostante abbia dormito tutta la notte.
Lui entra, vestito come ieri e con una bruttissima aria.
“Ho rispettato l’appuntamento.”
“Sono contento, ti amo.”
Gli accarezzo i capelli.
“Vai a dormire, hai un’aria distrutta. Io sarò ancora qui, non temere.”
Sei sicura?”
“Sì, non ti lascerò mai più se mi vorrai.”
Lui mi dà un bacio sulla fronte e se ne va, al suo posto entra Tom, che mi sembra più fresco e riposato.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento questa volta.”
Io sospiro.
“Scusate, non volevo. Quando Mark mi ha detto che forse non voleva più vedermi qualcosa si è rotto dentro di me, in tutti i sensi.
La mia vita senza di lui non ha senso, non capisco come abbia anche solo potuto pensarlo e ora ho paura che lui voglia stare con me solo per il bambino.
Ho paura che non mi ami più.”
Lui mi accarezza.
“Ti ama, è rimasto qui tutta notte a vegliarti e da quando ha saputo cosa è successo non si dà pace.
Dice che è riuscito a far del male alla ragazza che ama in un modo che non voleva assolutamente.”
“Sul serio, Tom?
Mi ama sul serio? Ho paura di averla fatta troppo grossa.”
“Il cuore di Mark è grande ed è aperto al perdono, ti devi fidare di lui e devi dimostrargli che lo ami.”
“Sono disposta a fare di tutto. Come fai a rimanermi accanto dopo quello che ho fatto?”
Lui mi guarda sorridendo.
“Perché ti conosco, Ruby. Ho imparato a conoscerti e a volerti bene, dietro la tua scorza dura si nasconde una persona meravigliosa, non faresti mai a qualcuno solo per il gusto di farlo.”
Ti voglio bene, razza di messicana testarda.
Lo sai che lui è tuo e tu sei sua.”
Io sorrido, un filo più calma.
“Ti voglio bene, Tom. Ti voglio immensamente bene.
Sei il mio migliore amico, grazie per avermi tirato fuori dai guai.”
Lui non dice nulla per un po’, imbarazzato.
“Tu mi hai tirato fuori un sacco di volte dai guai, mi viene naturale ricambiare e poi voglio bene a Mark e lui senza di te è infelice.
Non sai quante volte mi ha parlato di te da ubriaco, hai il suo cuore, sei nei suoi pensieri anche quando non dovresti esserci.
Ti ama, tu lo ami, smettetela e cercate di mettere il passato da parte.”
Io annuisco, lui dopo qualche altra chiacchiera mi lascia da sola, io finisco per addormentarmi di nuovo.
Mi svegliano gentilmente le infermiere per il pranzo: pollo e mela bollita.
Io inizio a mangiare con una smorfia, poco dopo la porta della mia stanza si pare di nuovo e fa capolino Mark con un gigantesco mazzo di fiori in mano.
Sono costretta a chiedere alle infermiere un vaso, lui sembra più riposato rispetto a questa mattina, le occhiaie sono meno viola.
“Come stai?”
Mi chiede.
“Penso bene, il dottore mi ha visitato prima e mi ha detto che è tutto ok e che l’emorragia è a posto. Tu?”
“Io ho dormito e poi mi sono fermato a comprare questo mazzo di fiori, diciamo che sono un tentativo di scuse.”
“Non devo scusarti di nulla, sono io che ho sbagliato in questa storia e mi chiedo se mi amerai ancora come prima.”
Lui sorride.
“Ti amo già come prima, è grave?”
“No, è un miracolo.
Mi fiderò sempre di te d’ora in poi, non voglio più tagliarti fuori dalla mia vita, ti amo.”
Un discreto “Ehm, ehm” ci fa voltare e ci troviamo davanti all’infermiera con mio figlio in braccio.
“È l’ora dell’allattamento, signorina.
Lui dovrebbe uscire.”
“Non può rimanere? È il padre.”
La donna sorride.
“In tal caso può rimanere, tornerò tra un po’ a prendere il bambino.”
Detto questo prendo in braccio Michael, abbasso la camicia da notte e lui si attacca voracemente a un seno, Mark lo guarda incantato, io sono leggermente a disagio.
Lui tira fuori una macchinetta usa e getta dal suo zaino e me la mostra.
“Posso farvi una foto?”
“Va bene.”
Lui la scatta tutto felice.
“Questa finisce nell’album di famiglia, siete bellissimi.
Posso accarezzarlo?”
“Certo.”
Annuisco.
“Fa attenzione, è tanto piccolo. A volte ho paura di fargli del male.”
Lui annuisce e lo prende in braccio con attenzione, Michael lo scruta un attimo e poi gli sorride e si attacca a una delle dite di Mark emettendo strani versetti.
“Mi ha riconosciuto! Ciao Mikey, sono il tuo papà! Ciao!!”
Lui gorgoglia tutto felice.
“Mark, battigli gentilmente sulla schiena per farlo ruttare.”
Lui esegue e dopo aver sentito il ruttino di mio figlio sono più tranquilla.
“Mi dimettono tra due giorni.”
“E poi torniamo negli Stati Uniti.”
“Sì, ma prima devo passare dalla scuola dove lavoro per avvisare che me ne vado o cose del genere, ammesso che io sia ancora di ruolo là, la direttrice non era affatto felice della mia gravidanza.”
Lui sbuffa.
“Comunque non rimani qui.”
“No, non rimango qui. Non ha senso.
Spero solo di trovarmi un altro lavoro.”
Lui mi mette un dito sulla bocca.
“Per ora non pensarci, pensa al piccolo e basta.”
“Come lo manteniamo?”
“Per ora con il mio stipendio e poi con i soldi del disco, perché sono sicuro che ne farà un sacco.”
Io annuisco, in ogni caso a San Diego abbiamo tanti amici e i nostri parenti, sono sicura che qualcosa dovrà pur significare.
Michael inizia a piagnucolare e Mark me lo tende, non appena arriva a contatto con il mio corpo si calma all’istante.
“È bello stare abbracciati alla mamma, vero Mickey?
Anche a me piace tanto.”
Io accarezzo la testolina di mio figlio e gli lascio un lieve bacio, Mark si sporge verso di noi e prima bacia me e poi suo figlio che sorride di nuovo.
“Tra un paio di giorni potrai abbracciarmi.”
“Ti dimettono?”
“Esattamente.”
Rispondo io sorridendo.
“Questa è una notizia meravigliosa!”
“Sì, sono d’accordo. Sono stanca di stare in ospedale, voglio portare il nostro piccolo ometto fuori di qui.”
Un bussare ci indica che l’infermiera è di ritorno, infatti la porta si apre e la stessa donna di poco prima prende in braccio Michael.
“È proprio un bel bambino, lei dovrebbe esserne orgoglioso.”
“Lo sono.”
Le sorride Mark, la donna gli rivolge uno sguardo di approvazione e se ne va.
“Lo sa la casa discografica che sei qui?”
Lui si gratta la testa.
“No, me ne sono andato senza dire nulla a nessuno, nemmeno ad Anne. Sarà furiosa.”
“Speriamo che si calmi vedendo il suo nipotino allora. Sei sicuro che io e Michael non ti creiamo nessun problema con la MCA?”
Lui sbuffa.
“Dovranno abituarsi alla vostra presenza, io non ho intenzione di lasciarvi per niente al mondo.”
“Mi sento un po’ in colpa.”
Lui mi accarezza una guancia.
“Non devi, tu sei diventata la mia famiglia e la famiglia è sacra per me.”
Due lacrime scendono dal mio volto, lui me le asciuga e mi sorride rassicurante, con lui vicino ogni paura mi sembra poca cosa. È in grado di rassicurarmi come nessuno riesce.
“Dici che saremo una famiglia felice?”
“Io sono sicuro di sì, saremo una famiglia felice.”
“Ho voglia di dormire vicino a te e non in un ospedale.”
Lui mi accarezza la fronte.
“Due giorni e lo potrai fare. Anche io non vedo l’ora di avere un contatto un po’ più ravvicinato con te, la maternità ti ha reso più bella.”
Io sbuffo.
“Non esageriamo, sono ingrassata tantissimo e sono piena di sma…”
Non finisco la frase perché lui mi bacia a tradimento, io ricambio e lo attiro di più a me dando vita a un bacio appassionato.
Quando si stacca Mark sta sorridendo.
“Sei bellissima,punto, non contraddirmi,”
Io sorrido a mia volta, solo avendolo vicino capisco quanto mi sia mancato in questi mesi e quanto sia necessario per la mia vita.
“Ti amo, te l’ho già detto?”
“Sì, ma tu ripetilo quanto vuoi, hai dei mesi di arretrati, ricordati.”
Mi dà un altro bacio lungo e passionale e poi se ne va, io mi sento bene dopo mesi.
Per la prima volta il futuro non mi sembra un macigno pieno di incognite, ma qualcosa di bello.
Con lui posso affrontare qualsiasi cosa.

Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 34
*** 34)Zia Anne e zio Tom. ***


34)Zia Anne e  zio Tom.

 

Ancora non credeva di essere la ragazza di Tom DeLonge.
Ogni tanto Anne aveva bisogno di darsi un pizzicotto per provare a sé stessa che quello non era un sogno e che davvero Tom si era inginocchiato davanti a lei chiedendole di essere la sua ragazza davanti a tutti.
Aveva sempre pensato a quell’eventualità come a un sogno e viverla le dava una sensazione di irrealtà, ogni volta che Tom le diceva che l’amava, l’abbracciava o facevano l’amore le sembrava di toccare il cielo con un dito.
Solo quando Tom le aveva consegnato la collanina di ferro che portava sempre al collo si era sentita sicura, Erin le aveva raccontato che l’aveva data a Tom dicendogli di darla solo alla ragazza che amava davvero
Anne al momento la stava stringendo con tutte le sue forze, Tom non si stava facendo sentire da più di due giorni e lei non sapeva cosa pensare, visto che anche Mark sembrava sparito.
Aveva persino chiesto a Travis se ne sapeva qualcosa, ma il batterista aveva scosso la testa dicendo che non aveva idea di cosa stessero combinando quei due né di dove fossero.
Stava guardando fuori dalla finestra quando il suo cellulare – dopo tanti giorni – squillò: era Tom.
“Tom, dove diavolo sei?”
“A Londra, con Mark.”
Anne alzò involontariamente un sopracciglio.
“E che ci fate lì?”
“Siamo venuti a riprenderci Ruby, è incinta, ha partorito e sei da poco diventata zia.”
Anne sentì le sue gambe venire meno e si sedette sul divano.
“Spie-spiegati meglio Tom.”
Lo sentì ridere dall’altra parte.
“Ruby era scappata a Londra perché era incinta e non voleva rovinare la carriere di tuo fratello con il bambino. L’abbiamo ritrovata e quando ha visto Mark, per lo shock, ha avuto un parto prematuro. Sei zia di un bel bambino di nome Michael!”
“Oh, Signore!”
Si massaggiò la fronte, che bel casino! E chi se lo aspettava?
Ruby le era sempre sembrata la più assennata delle gemelle Ferreira, questi colpi di testa erano più da Erin.
“Ma tornate, vero?”
“Certo che torniamo, appena dimettono Ruby dall’ospedale!”
“Quindi sono zia.”
“Sì.”
“Non sono pronta!”
Urlò isterica.
“Nemmeno io, ci possiamo provare insieme.”
“Per fortuna. A mia madre verrà un infarto e credo anche alla madre di Ruby.”
“Beh,  dovranno comunque fare i conti con il bambino.”
Chiacchierarono qualche altro minuto, poi Tom riattaccò e lei chiamò a gran voce ERin che accorse con una faccia spaventata.
“Che succede, Anne?”
“Tua sorella è incinta, ne sapevi niente?”
“Sì, lo sapevo e ho cercato di convincerla in tutti i modi di dirlo a Mark, ma lei non mi ha voluto ascoltare.”
“Beh, ti comunico che sei zia di un bel maschietto di nome Michael.”
Erin impallidì e si sedette su una poltrona.
“Ha partorito?”
“Sì, pare che vedere mio fratello fuori dalla porta le abbia provocato uno shock grande abbastanza da farla partorire in anticipo.”
“COME CAZZO CI SONO ARRIVATI A LONDRA QUELLI?”
“Non sei felici che ci siano arrivati?”
“Sì, ma se Ruby avesse perso il bambino tu non avresti più un fratello!”
Anne deglutì, non aveva mai visto Erin difendere così apertamente sua sorella.
“Dai, Erin calma. Non è successo nulla di grave, Ruby sta bene e sembra che diventeremo parenti.”
La messicana respirò profondamente.
“Bene, non vedo l’ora che tornino a san Diego, voglio vedere mio nipote.”
“Anche io.”
“Dovrò avvisare mia madre!”
Erin si portò una mano sulla faccia, non era un compito facile avvisare la signora Ferreira che tutte le sue più grandi paure si erano avverate.
“Mi ucciderà, me lo sento.”
Anne non disse nulla, non sapeva cosa dire all’amica.
“Chi ti ucciderà?”
La voce della signora Ferreira le fece spaventare entrambe.
“Ma-mamma!”
“Fi-figlia!”
Le fece il verso Irina.
“Cosa è successo?”
“Siediti.”
La donna fece una smorfia.
“Penso di poter reggere.”
“Io penso che dovresti sederti.”
La donna ubbidì, recalcitrante.
“Ruby ha appena partorito.”
La donna sgranò gli occhi, poi li fece passare nervosamente tra lei e Erin e infine li fissò sul tavolino.
“Erin, per favore portami un bicchiere d’acqua e spiegami questa storia.”
Erin le portò l’acqua richiesta e le spiego succintamente quello che era successo, la donna ascoltò tutto senza battere ciglio.
“Ma tua sorella è impazzita ad andarsene così senza nemmeno avvisare Mark?
Mi sembra che lui sia migliore rispetto a vostro padre!”
Erin scosse la testa.
“Era tipo impazzita per la paura, diceva che non voleva rovinare il sogno di Mark. A quanto pare lui ha avuto più sale in zucca di lei ed è riuscito a trovarla e ora sa del bambino,lo riconoscerà.”
La madre di Erin scosse la testa, nemmeno lei sembrava capire il comportamento della figlia, Anne ne fu sollevata: non era l’unica che pensava che Ruby, dopo una vita da ragazza assennata e razionale, avesse ceduto a un impulso che di razionale non aveva nulla.
Lei e suo fratello erano davvero la coppia perfetta.
 

Due giorni dopo Anne stava tentando di scrivere la sua tesi quando il telefono squillò.
Era Tom e le chiedeva se non poteva fare un salto a prenderli all’aeroporto.
Anne sospirò.
“Ok, aspettatemi lì, che arrivo!”
Si cambiò, prese le chiavi della macchina e chiuse l’appartamento, poi scese le scale del condominio e salì in macchina.
Mezz’ora dopo stava parcheggiando all’aeroporto, curiosa di vedere il suo nipotino e ansiosa perché finalmente avrebbe riabbracciato Tom.
Si avviò verso gli arrivi internazionali e finalmente li vide. Ruby sembrava un po’ più grassa rispetto al solito e aveva tra le braccia un fagottino, Mark le teneva possessivamente un braccio intorno alle spalle e dietro al carrello con una montagna di valige doveva esserci Tom.
“Ragazzi!”
Urlò, alzando un braccio.
Si avvicinò e la coppia le sorrise, Tom invece fece sbucare il suo faccino di lato alla montagna di bagagli.
“Ciao, Anne!”
“Ciao, amore!”
Lei li salutò tutti e poi si soffermò a osservare Michael, il neonato somigliava terribilmente a Mark, ma i radi capelli neri li aveva presi dalla madre.
“È bellissimo!”
Esclamò commossa.
“È vero!”
Disse la voce di Tom, che la stava abbracciando da dietro.
“È mio figlio, è ovvio che sia bello!”
Si pavoneggiò suo fratello.
“Sì, sì. Adesso però andiamo che io sono stanco di trasportare queste valigie!”
“Va bene, Tom.”
Si mossero verso la sua macchina chiacchierando, con somma gioia di Tom caricarono tutte le valigie in macchina e lui poté riportare il carrello al deposito.
Partirono e riaccompagnarono Mark e Ruby a casa.
“C’è tua madre, Ruby, che ti aspetta.”
“Meraviglioso!”
Rispose lei, alzando gli occhi.
“Beh, dovevi aspettartelo.”
“Hai ragione, Anne.
Grazie del passaggio, sei un tesoro.”
“Per il mio nipotino questo e altro.”
I due scesero dalla macchina e scaricarono la loro roba, lasciando solo lei a Tom.
“Beh, ti lascio a casa tua?”
“Anne, sei arrabbiata?”
Lei sbuffò.
“Non mi hai avvisata, per giorni nessuno sapeva dove fossi! Non sapevo più che santo chiamare!
Una telefonata potevi farmela prima di partire per Londra!”
Lui abbassò gli occhi.
“Avevo paura che lo venisse a sapere Erin e che chiamasse Ruby.”
“E IO?”
“Anne, ti amo. Scusa per non averti chiamato e di averti fatto preoccupare, mi perdoni?”
Anne sbuffò, a volte era difficile stare con lui, sembrava un bambino troppo cresciuto.
“Va bene, ti perdono. Non farlo mai più però, non sapevo più cosa fare senza di te.”
Tom sorrise.
“Adesso mi faccio perdonare.”
Arrivarono a casa di Tom e la trovarono deserta, sia Matt che David erano al lavoro, e lei si sedette sul divano, Tom scomparve in cucina.
Riapparve dopo un po’ con due tazze di cioccolata e gliene porse una.
“Questo è il modo per farsi perdonare?”
“Uno, dei modi. Il resto passa per la camera da letto, mi manchi, sono giorni che non faccio l’amore.”
“Tom, sei sempre il solito!”
Lui rise.
“È anche per questo che mi ami, no?”
“Sì, disperatamente sì!”
Lui sorrise, poi si buttò su di lei con il suo dolce peso e cominciò a baciarla con passione, tanto che lei faceva fatica a stargli dietro.
“Ehi, calmati!”
Gli disse in una pausa, facendolo ghignare.
“Oh, la signorina non regge più certi ritmi?”
“La signorina avrebbe bisogno di fare le cose con calma.”
“Messaggio recepito!”
Cominciò a baciarla con un ritmo più normale e a infilarle le mani sotto la maglia alla ricerca di pelle da accarezzare, poi decise che togliergliela era un’idea migliore.
Anne decise che gli aveva lasciato fin troppa iniziativa e gli tolse a sua volta la maglia, perdendosi come ogni volta nella contemplazione degli addominali del suo ragazzo.
Lui la lasciò fare per un po’, poi scese a baciarle il collo e poi le clavicole, dietro si stava dando da fare con il suo reggiseno. Glielo tolse con qualche difficoltà e poi si dedicò in pieno ai suoi seni, tanto che lei lo prese per i capelli per guidarlo meglio.
Quando si staccò Anne ansimava già pesantemente e le era passata la voglia di fare dei preliminari, voleva lui.
Lui capì il messaggio perché cominciò a spogliarsi febbrilmente, come stava facendo lei, ben presto fu nudo.
“Pronta?”
Lei annuì e lui fu dentro di lei. Spinta dopo spinta si fusero in un solo corpo e in una sola anima, non era mai stato così intenso come quella volta.
Arrivarono insieme all’orgasmo, proprio mentre la porta d’ingresso si apriva e i coinquilini di Tom urlavano qualcosa tendente allo schifato.
Anne prese una coperta per coprirlo e alzò timida una mano.
“Cazzo, Tom! Sparisci per giorni facendo preoccupare la casa discografica, noi, Anne, tua madre e quando finalmente ci siamo decisi ad andare alla polizia per denunciare la tua scomparsa ti ritroviamo con il culo in aria?
Quanto sei coglione da uno a cento?”
Berciò incazzato Matt, Anne notò che teneva per mano una Erin che si stava sforzando al massimo per non ridere dell’assurdità della situazione.
“Beh, mi hai trovato, puoi ritirare la denuncia.”
“Ci puoi giurare. È possibile sapere dove siete stati tu e Mark o è un segreto di stato?”
“A Londra a recuperare Ruby, che era incinta e ha partorito. Adesso Mark è padre di un bel bambino di nome Michael.”
Matt lo guardò a occhi sgranati per un attimo poi cadde svenuto, facendo accorrere tutti, persino lei e Tom che si rivestirono alla svelta.
Ci volle un po’ a far rinvenire il punk, Erin soprattutto lo guardava curiosa.
“Come mai sei svenuto, Matt?”
“Mi spaventa che ci sia il circolazione il figlio di Ruby, senza offesa Erin, e poi è presto per Mark.”
Tom sbuffò.
“Che cretino che sei.”
“Concordo, Matt. Sei un cretino.”
Erin fece da spalla a Tom, come al solito. Ogni tanto Anne era gelosa del rapporto che c’era tra quei due, sembravano ancora stare insieme.
-Smettila, Anne, sei solo gelosa. Tutto qui.
E chi non sarebbe gelosa quando ha un ragazzo come Tom?-
“Vabeh, ragazzi! Parliamo di cose  più serie, com’è la creatura?”
Chiese David.
“La creatura ha un nome, si chiama Michael. Somiglia molto a Mark e ha i capelli di Ruby.”
Rispose serafico Tom.
“Non vedo l’ora di vederlo!”
Erin se lo lasciò scappare e tutti la guardarono.
“Stasera potremmo andare tutti da loro, adesso staranno riposando.”
“Giusto, tu non sei stanco Tom?”
Lui mostrò a Dave il suo mitico ghigno e prese Anne per mano.
“Sì, infatti. Io e lei andiamo a riposare ora.”
Anne lo seguì grata al piano superiore, l’aveva tolta dall’impiccio di un momento sgradito di gelosia.
Arrivati in camera di Tom, lui si buttò sul letto e la invitò a raggiungerla, lei si tolse le scarpe e lo fece.
Lui immediatamente iniziò ad accarezzarle i capelli.
“Sei gelosa di Erin, vero?”
Lei arrossì.
“Beh, un po’ sì. Siete sempre così affiatati.”
“Non hai niente da temere, te lo giuro. Siamo solo amici.”
Anne annuì.
“E così sono zia, non me l’aspettavo. Chissà com’è Mark con suo figlio?”
“Se la cava bene, gli piacciono i bambini.”
Tom le rispose e poi si lasciò andare a un lungo sbadiglio e dieci minuti dopo dormiva come un sasso, Anne lo seguì presto.
Vennero svegliati alle otto da Matt, la cena era pronta, avevano ordinato delle pizze. Anne scese insieme a Tom e ritrovò David, Matt ed Erin seduti al tavolo del salotto.
“Forza ragazzi, che dopo dobbiamo andare a trovare mia sorella.”
Anne annuì, era ancora piuttosto insonnolita, me gradì molto il risveglio a base di pizza.
“Che sonno, ragazzi!
Tom si portò una mano davanti al volto, Anne constatò che la stanchezza lo rendeva ancora –  se possibile – più bello. Non c’era niente da fare era disperatamente innamorata di lui e avrebbe fatto di tutto per vederlo felice, anche andarsene se necessario.
“Dai, Tom! Non stiamo tanto! Poi tu e Anne potete riprendere a dormire!"

Erin  virgolettò l’ultima parola con le dita, guardandoli maliziosa.
“Tu non sei pronta a fare la zia, Erin!”
Rise Matt, il ragazzo di Erin sembrava non avere problemi con il rapporto che c’era tra lei e Tom, Anne lo invidiò profondamente: avrebbe tanto voluto avere la sua calma, invece era sempre sul chi vive.
“E tu, sei pronto a fare lo zio, Sullivan?”
“Sì e precisamente lo zio saggio, sono il più assennato in questa gabbia di matti!”
Erin scoppiò a ridere di gusto.
“Zio saggio, stasera è meglio che ti abbassi la cresta, letteralmente, potresti spaventare il tuo nipotino.”
Matt le rispose con una smorfia, ma prima di andare da Mark si abbassò la cresta, lasciando che i suoi capelli diventassero una strana massa disordinata che gli cadeva sulle spalle.
Erin gli passò una mano nella zazzera e gli disse che stava bene anche così, Matt le riservò un sorriso dolcissimo.
“Sono una bella coppia, vero?”
Le sussurrò Tom in un orecchio.
“Sì, molto e adesso andiamo.”
Salirono in macchina e Tom mise al massimo volume “Dude Ranch”, lei canticchiò ogni singola canzone insieme a lui fino a che non arrivarono sotto casa di suo fratello.
Lì, si riformarono di nuovo come gruppo e suonarono, rispose Mark che li invitò a salire.
Arrivati all’appartamento trovarono Ruby intenta a far tentare di addormentare il bambino, la guardarono tutti sorpresi.
“Sorellina, ma è bellissimo.”
“Sì, ma è anche un gran rompiscatole come suo padre!”
Ruby guardò Mark fintamente arrabbiata, Anne ridacchiò.
“Ruby, posso vederlo?”
Matt si fece avanti e lei gli consegnò in mano il bambino che stranamente si calmò e finalmente si addormentò.
“Ve l’avevo detto che sarei stato lo zio saggio!”
Ruby lo guardò senza capire.
“È una cosa che ho detto a tua sorella e, a quanto pare, avevo ragione.”
Ruby sorrise.
“Come mai vi siete precipitati tutti qui in massa?
A proposito, volete qualcosa?”
La ragazza di suo fratello servì birra e coca cola a tutti, il bambino dormiva tra le braccia di Matt ora.
“Volevamo vedere il bambino, ovviamente.
Com’è essere padre, Mark?”
Chiese David.
“Beh, è bello. Mi piace, Mickey però è un po’agitato a volte e non lascia dormire nessuno.”
“È tuo figlio, Mark. Mi sorprenderebbe se fosse calmo.”
“Grazie, Matt.”
Rispose sarcastico suo fratello.
“Forza, dammi mio figlio che lo metto a letto!”
Matt gli diede il neonato e Mark lo adagiò cautamente nella culla.
Parlarono un po’ del bambino, del parto, della fuga di Ruby e del fatto che Mark era andato a riprendersela come un eroe di altri tempi.
A un certo punto Mark cominciò a sbadigliare e si addormentò di schianto, la testa appoggiata alla spalla di Ruby, lei sorrise.
“Ragazzi, non voglio essere scortese, ma avremmo bisogno di dormire.”
“Va bene, sorellina. Ce ne andiamo, non vedo l’ora di spupazzarmi il mio nipotino!”
“Oh, Erin!”
Lentamente si alzarono tutti dal divano e si salutarono Ruby, poi se ne andarono, lei stava per raggiungere Tom in macchina quando Erin la chiamò.
“Anne!”
“Cosa c’è?”
“Ho visto come guardavi me e Tom prima, non c’è alcun motivo di essere gelosa, lui ti ama. Me l’ha detto e ti ha dato la collana, ama te.”
Lei la guardò dritta negli occhi, Erin non mentiva.
“Grazie, Erin.”
“Figurati e ora sbrigati a raggiungere il tuo ragazzo!”
Anne sorrise e raggiunse Tom in macchina, ora si sentiva molto più sicura e quasi stupida per i suoi sospetti.
Tom la amava, lei amava Tom.
Era tutto a posto.

Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie per la recensione. Davvero, sei l'unica rimasta e ti sono molto grata.

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Capitolo 35
*** 35) Quella gran spacccatibie di mia madre. ***


35) Quella gran spacccatibie di mia madre.

 

Casa, dolce, casa!
Dopo un volo che sembrava non finisse più siamo finalmente arrivati davanti al nostro appartamento, ho un leggero batticuore, chissà come sarà conciato?
Mark infila la chiave, stranamente la porta è già aperta, io e lui ci guardiamo senza capire: chi diavolo c’è in casa nostra?
Entriamo e troviamo mia madre e un uomo dai capelli castani, entrambi scattano in piedi non appena ci vedono.
“Ma dove diavolo sei stato/a? Sei impazzito/a?”
Urlano come dei matti facendo svegliare Mike, io inizio a ninnarlo infastidita. Ok, mia madre, ma questo chi è?
“Mark, chi è?”
“È il nostro manager.”
“Chi sono quella ragazza e quel bambino?”
Mark lo guarda deciso.
“La mia ragazza e nostro figlio.”
Il manager sbianca.
“Ma proprio ora devi avere un figlio?
Avresti dovuto tenere l’uccello nei pantaloni, questa ragazza ti sta sfruttando!”
Mark sta per dargli un pugno, ma mia madre lo precede con un calcio formidabile negli stinchi, che lo fa accasciare a terra dolorante.
“Di’ ancora una cosa del genere su mia figlia e mio nipote e la prossima volta te la spezzo quella gamba!”
Gli urla in faccia, facendolo sbiancare ulteriormente.
“Rick, la madre della mia ragazza mi ha preceduto, di’ ancora una cosa del genere su Ruby e mio figlio e ti rifaccio la faccia.”
L’uomo deglutisce.
“Ci sarai alle registrazioni domani?”
“Sì.”
“Ci sarà anche DeLonge?”
Mark annuisce, l’uomo si tira in piedi in qualche modo,
“Bene, allora vado!”
Se ne va lasciandoci da soli con mia madre.
“Fammi vedere il piccolo, la predica te la farò dopo in via straordinaria.”
Io le do Mike in braccio e lei automaticamente sorride.
“Ma è bellissimo! Sono la tua nonna, Michael.”
Lui fa uno strano rumore e sembra sorridere.
“Ruby, mi ha sorriso! Ha capito chi sono!”
Io sorriso a mia volta, poi lei me lo ripassa.
“Sei stata un’incosciente ad andartene così, senza dire nulla a nessuno, soprattutto a Mark!
Lui meritava di sapere, vorrei sapere cosa diavolo avevi intesta!”
Io rimango senza parole, nemmeno io saprei spiegare cosa avessi in testa allora.
“Fortuna che lui si è dimostrato più assennato di te e ti è venuto a cercare, altrimenti non so come sarebbe finita, non è facile crescere un figlio da sola!”
“Dai, mamma si è risolto tutto bene per fortuna, non parliamone più.”
“Meglio o uno schiaffo non te lo leverebbe nessuno!”
“Mamma, vado a mettere a letto Mike. Dobbiamo ancora sistemare tutto per lui, abbiamo solo la culla e il passeggino.”
Lei si passa la mano sul volto e mormora qualcosa.
“Va bene, vai.”
Vado in camera nostra e appoggio la culla sul mobile e ci depongo Mickey.
“Benvenuto a San Diego, amore della mamma.
Oggi hai conosciuto la zia Anne e nonna Irina, prossimamente conoscerei il resto della famiglia.”
Gli canto una ninna nanna – M+M’s – e il bambino si addormenta, quando torno in salotto trovo Mark che serve del the freddo a mia madre e gli chiedo un bicchiere.
“Si è addormentato.”
“È davvero un bel bambino, somiglia molto a Mark, ma ha i tuoi capelli.”
“Spero prenderà gli occhi di Mark perché sono davvero belli.”
Dico, accennando un sorriso.
“Ma sì, vedremo tra un po’. Adesso vi lascio dormire, avete una faccia stravolta.”
“Grazie, mamma!”
Se ne va e io e Mark rimaniamo soli.
“Ho sonno e ho caldo, mi sa che me ne vado a letto.”
Dico al mio ragazzo, lui annuisce.
“Arrivo anche io, dammi un attimo che devo sfogare il nervosismo per quello che ha detto il nostro manager. Lo strozzerei.”
Io me ne vado in camera, mi spoglio e poi mi butto sul letto, nel dormiveglia sento Mark raggiungermi dopo non so quando.
Dormiamo qualche ora, poi il suono del campanello ci annuncia che sono arrivati gli altri a vedere nostro figlio.
Li facciamo salire e ci intratteniamo un po’ con loro, Mickey sembra gradire molto Matt senza cresta e gli altri lo adorano.
Si trattengono poco perché noi siamo distrutti e devo dare il latte al bambino.
Quando finalmente la casa è vuota mi svesto perché Mickey possa mangiare, Mark ci guarda estasiato. Faccio fare il ruttino a nostro figlio e lo rimetto a dormire, fatto quello vengo abbracciata da Mark e poi baciata con passione che ricambio.
“Sei bellissima, sei la donna che amo e amo nostro figlio.
Non lascerò che nessuno ti porti via da me, hai capito?”
Io annuisco, stretta nel suo abbraccio, mi era mancato.
Solo con lui mi sento sicura e protetta, solo con lui mi sento a casa.
Ci mettiamo a letto e questa volta ci rimaniamo fino a che non suona il telefono alle sette di mattina, è Tom che avvisa Mark che devono andare in sala di registrazione.
Lui mi saluta con un bacio e se ne va, lasciandomi sola con il bambino.
Devo comprare le sue cose, ho bisogno di qualcuno che mi accompagni e di qualcuno che me lo tenga mentre sono fuori.
Chiamo mia sorella, lei si offre di venire con me, Matt – stranamente in vacanza – dice che terrà il bambino.
Alle otto arrivano tutti e due nel nostro appartamento, ci salutiamo con un abbraccio veloce.
“Volete un caffè?
“No, grazie, Ruby.”
Risponde Matt.
“Possiamo prendercelo dopo insieme.”
Mia sorella.
“Va bene. Matt, seguimi.”
Lo porto nella mia camera da letto.
“Allora, Mickey dorme. Gli ho appena dato da mangiare quindi non dovrebbe avere fame almeno fino a mezzogiorno. Qui ci sono i pannolini per cambiarlo.
Mi raccomando.”
Lui mi scompiglia i capelli.
“Stai tranquilla,mi prenderò cura di lui.”
“Va bene, Matt. Adesso ce ne andiamo.”
Io e mia sorella usciamo, non prima che lei abbia sbaciucchiato il bambino e io fatto delle altre raccomandazioni a Sullivan.
Con po’ di sforzo Erin riesce a farmi uscire di casa e mi fa salire sulla sua macchina.
“Che mamma chioccia che sei!”
Io abbasso gli occhi.
“Mi sento in colpa verso di lui.”
Erin mi guarda senza capire.
“Andiamo al bar, te ne parlerò lì, se riesco.”
Mia sorella ingrana la marcia e partiamo, si ferma in un bar del centro e scendiamo. Occupiamo uno dei tavoli e ordiniamo cappuccino e brioches tutte e due.
“Allora?”
“Mike è nato con un mese d’anticipo. Quando mi sono vista Mark e Tom davanti ho avuto uno shock e ho partorito in anticipo. Mark non ha voluto esserci, mi ha assistito Tom durante il parto, dopo ho parlato con Mark e … Lui non era sicuro di rimanere con me perché gli avevo tenuto nascosta la gravidanza e quindi non mi ero fidata di lui.
Per lo shock ho avuto un’emorragia interna e ho rischiato di morire, Mark mi è sempre rimasto accanto, ma adesso ho il dubbio che lui stia con me solo per il bambino.”
Erin mi guarda scioccata.
“Rischiavo di perderti?!”
“Sì,ma sono ancora qui.”
“Parlerò io a Mark, per me sono solo paranoie. È normale dopo il parto sentirsi un po’ sballata.”
Mangiamo la nostra colazione e poi ci fiondiamo in un negozio per bambini, dove prendiamo tutto il necessario: tutine, magliette, calzini, biberon, scalda biberon, vaschetta per il bagnetto e tutto quello che serve a un neonato.
Spendiamo una bella cifra, ma alla fine siamo soddisfatte, adesso dobbiamo solo allestire la camera per il bambino. Penso che useremo la stanza degli ospiti, in fondo non ci serve e Michael è più importante di qualsiasi persona che ci possa venire a trovare.
Arriviamo a casa, Matt sta parlando con mio figlio e Mike gorgoglia ogni tanto come se capisse il discorso del punk alla perfezione.
“Ciao Matt, ciao amore della mamma!”
“Ciao ragazze, preso tutto?”
Noi annuiamo.
“Sì, certo. Adesso dobbiamo sistemare la stanza degli ospiti per Mickey!”
“Vi do una mano.”
“Grazie, ma prima devo nutrire il piccolino. Ha fatto la cacca?”
Matt annuì schifato.
“Non ho mai sentito nulla di più puzzolente, ho portato via immediatamente il sacchetto della spazzatura.”
Io rido, prendo mio figlio in braccio e mi chiudo in camera mia per allattarlo.
Finito, preparo da mangiare per tutti – pasta – e poi ci mettiamo al lavoro nella camera degli ospiti.
Alle quattro sembra più la camera di un neonato e mi sembra accettabile, penso che a Mickey piacerà, per fare altri lavori devo aspettare Mark e poi sarebbe un casino ridipingerla.
“Beh, abbiamo fatto un buon lavoro.”
Dice Matt a fine giornata.
“Sì, complimenti a tutti noi.”
Io sorrido, San Diego mi mancava un sacco a Londra per questo motivo: le persone che adoro e che ci abitano.
 

La sera arriva insieme a un Mark piuttosto stanco.
Si butta sul divano senza dire nulla e accende la tv.
“Com’è andata oggi?”
“Massacrante, mi hanno fatto pagare tutto il cazzeggio dei mesi scorsi.
Però sono contento, il nostro cd prosegue. Tu?”
“Ho comprato le cose per il bambino e insieme a Matt ed Erin ho sistemato la camera degli ospiti per Mickey.”
“Bene, appena ho un po’ di tempo libero do un’occhiata.”
“Mi dispiace di averti fatto perdere tanto tempo.”
Lui sorride.
“Non importa. Quello che conta è che adesso siete qui, ho la mia motivazione per andare avanti e fare un buon lavoro.”
Io arrossisco di piacere.
“Vado a preparare qualcosa da mangiare.”
Cucino delle bistecche che lui divora in un baleno, poi va da suo figlio, fa facce stupide per farlo divertire e il piccoletto sembra apprezzare. Credo che ci siano poche persone sulla faccia della terra che non apprezzino Mark Hoppus, soprattutto se cerca di farti ridere con tutte le sue forze.
In silenzio prendo la macchinetta usa e getta di Mark e gli scatto qualche foto, anche queste meritano di finire nell’album di famiglia, sono così belli.
Al primo click della macchina lui mi guarda sorpreso.
“Siete belli, vi meritate un posto nell’album di famiglia.”
Dico semplicemente io, Mark sorride.
Scatto qualche altra foto, poi ripongo la macchina fotografica e mi siedo vicino a loro facendo anche io facce buffe.
“Ciao, Mickey! Sono la tua mamma, me lo fai un sorriso?”
Il bambino mi accontenta, ben presto sia lui che Mark sbadigliano vistosamente.
“Piccolo, mi dai Mickey che lo metto a letto?
Dovresti andarci anche tu.”
Lui annuisce e mi passa il neonato.
“Sì, adesso vado. Raggiungimi presto.”
“Certo. Il tempo di sistemare alcune cose.”
Vado in camera di Mike e lo depongo con cura nella sua culla, lo copro delicatamente e lo accarezzo.
Gli canticchio un pezzo di “Carousel” e lui si addormenta subito, io esco piano dalla camera e sbircio nella nostra, Mark dorme già abbracciato al cuscino, io sistemo un paio di cose in casa e mi faccio una doccia.
Lo raggiungo sbadigliando e mi sdraio accanto a lui che subito mi attira a sé nel sonno.
“Non mi lasciare!”
Lo sento borbottare a mezza voce.
“Non voglio crescere Mickey da solo, Signore lasciamela.”
Qualche lacrima sfugge al mio controllo e mi stringo di più a lui. Non l’avevo mai sentito così e capisco che lui ci tiene davvero a me, non solo come madre di suo figlio, ma come Ruby.
Dio deve essere davvero misericordioso per avermelo lasciato dopo la carognata infame che ho fatto.
Mi addormento con questi pensieri in testa e per la prima volta i miei sogni sono tranquilli, non c’è il solito incubo in cui Mark prende Mickey e poi se ne va dicendomi che ama solo lui e non me e che non sono degna di crescerlo.
La mattina dopo la sveglia suona ancora prestissimo, Mark si alza di malumore e sembra stanco ancora prima di mettere un piede fuori dal letto.
“Madonna, che non voglia di far niente!”
“Non dirmelo.”
“Vuoi venire con me in studio?”
Io lo guardo come se fosse impazzito.
“Sei sicuro? Non è che ti do fastidio?”
“No, sono sicuro che mi spronerai a fare meglio, ovviamente viene anche Mickey.”
“Se non do fastidio, volentieri.”
Ci alziamo e facciamo colazione, poi nutro mio figlio e mi preparo. Poco dopo usciamo insieme di casa e saliamo tutti nella macchina di Mark, su cui io ho montato il seggiolino per Mike.
Il percorso non è lunghissimo, quando arriviamo agli studi di registrazione sono già tutti là e impazziscono alla viste di mio figlio.
Tom fa lo scemo più del solito, Travis si approccia nel suo solito modo calmo e tranquillo, l’ultimo ad arrivare è il manager che mi guarda imbarazzato e cerca di familiarizzare con il pupo.
“Ragazzi, è ora di registrare.”
Mi salutano tutti e vanno in sala.
“Come mai sei venuta?”
Il manager si siede accanto a me con una sigaretta spenta in mano, è indeciso se accenderla o meno.
“Mark mi ha chiesto di venire e siccome sono momentaneamente senza lavoro ho accettato, a patto che non fossi un disturbo.”
Lui annuisce.
“Cosa conti di fare con Mark?”
Io prendo un respiro profondo.
“Chiariamo questa faccenda una volta per tutte. Io amo Mark e non mi intrometterei mai nel lavoro che fa con la band, per me può registrare tutte le volte che è necessario, avere dei fan, firmare autografi, fare tour. Per me può fare tutto quello che è necessario fare per la band, non mi opporrò, ma non voglio nemmeno perderlo.
È il padre di mio figlio e non voglio essere trattata come un’appestata o che qualcuno metta in testa a Mark strane idee.
Sono disposta a seguirlo in tour o a stare a casa, come preferite, ma lei non deve allontanarlo da me, so cosa si prova a crescere senza padre e non voglio che lo sappia anche mio figlio.
Mi vuole dare questa possibilità?”
Lui annuisce.
“Sì, mi sembri una ragazza assennata, che sa quali sono le priorità del suo ragazzo.
Spero che lui riesca a conciliare tutto.”
“Ho fiducia in lui. Ne ho sempre avuta.
È uno di quei ragazzi che ti ispirano fiducia, non pensa?”
“Penso di sì. Adesso scusami, ma vorrei fumarmi questa sigaretta senza dare fastidio al piccolo.
Ciao Ruby.
E… I calci di tua madre sono formidabili, mi è rimasto il livido e mi fa ancora un po’ male la gamba.”
Io ridacchio imbarazzata, l’uomo esce e io rimango sola con Mickey.
“Non ti devi preoccupare, piccolo. Non lascerò che qualcuno ti tolga il tuo papà.”
Lui mi fa un versetto adorabile e sorride, io lo accarezzo e gli metto il ciuco in bocca, chiedendomi quanto sacrifici sarà costretto a fare Mark per quest’album.
Di nuovo mi sento come se gli avessi incasinato la vita e basta, poi mi ricordo delle sue parole nel sonno di questa notte e mi rendo conto che le mie sono solo paranoie.
Già una volta mi sono fatta trascinare dalle paranoie e non è finita bene.
La mattina passa lenta e tranquilla, ogni tanto si sentono le battute di Tom o quelle di Mark e ogni tanto uno dei tre viene a fare visita a Mickey.
Mio figlio li ha conquistati, è già diventato la mascotte della band in nemmeno ventiquattro ore, è un bel risultato, credo che abbia ereditato un po’ del carisma del padre.
A mezzogiorno e mezza mi raggiungono tutti e tre.
“Andiamo a mangiare!”
Mark prende il passeggino, Tom mi passa un braccio intorno alle spalle.
“Visto che è tornato? Siete una famiglia adesso, posso essere lo zio?”
Io sorrido.
“Sì, puoi e devi esserlo.”
Usciamo dallo studio di registrazione di buon umore e ci dirigiamo in un Mac Donald non molto lontano, la ragazza alla cassa osserva rapita Mike.
“Che bel bambino! Di chi è?”
“Nostro.”
Rispondiamo in coro io e Mark, lei ci sorride.
“Complimenti, è davvero bello!”
“Vero? Io sono lo zio!”
“E sei fidanzato!”
Mark gli dà una botta in testa.
“È il fidanzato di mia sorella.”
Aggiunge a mo’ di spiegazione, la ragazza ride e ci dà quello che abbiamo ordinato.
“Com’è andata oggi?”
“Bene, bene! Da quando Mark è tornato a pieno regime ci fanno lavorare come neri per farci recuperare il tempo perduto.”
“Non so se essere dispiaciuta o contenta.”
“Non lo sappiamo nemmeno noi.”
Mi risponde Travis, mentre mangia la sua insalata sotto lo sguardo schifato degli altri due.
Io spio le facce di Tom e Mark: sono innegabilmente felici e questo mi basta.
Finalmente la serenità è tornata e io non la turberò più con gesti sconsiderati, starò loro vicino e mio figlio crescerà con un padre affettuoso e uno zio pazzo.
Penso che possa bastare per avere una vita bella e piena di affetto, sono stata fortunata dopotutto, sono ancora qui e non sono sola.
Finito il pranzo tornano a registrare e io li seguo.
Ogni tanto la vita ti mostra la sua bellezza nascosta, quella fatta di tante piccole cose che tanti danno per scontate, ma che non lo sono.
Basta un attimo di distrazione, darle certe per troppo a lungo e improvvisamente spariranno,  io lo so bene dato che stavo per compiere questo errore madornale.
Fortunatamente il destino mi ha concesso una seconda possibilità e io non voglio sprecarla in nessun modo.
Ho imparato dai mie errori e non li ripeterò più.
Il futuro può essere bello a volte.

Angolo di Layla.

Ci stiamo avvicinando alla fine di questa storia, non ci sarà un seguito, ma qualche one shot che avranno per protagonisti i personaggi di "due su due".

Ringrazio DeliciousApplePie e LostinStereo3 per le recensioni. 

 

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Capitolo 36
*** 36)Il loro primo fan. ***


36)Il loro primo fan.

 

I mesi volano veloci ora che tutto è tornato al suo posto.
Le registrazioni procedono spedite e sembra davvero un album che spacca a giudicare dalle cose che mi fa sentire Mark. L’arrivo di Travis nella band ha portato una ventata di aria fresca che è servita a rinnovarli insieme ad aver trovato un produttore che li ha presi a cuore.
Michael intanto cresce, alla fine delle registrazioni dice la sua prima parola che non è né mamma né papà, ma nanana. Di questo devo ringraziare Tom che ha messo fino allo sfinimento la prima canzone che estrarranno dal cd.
“Come volete chiamarlo?”
Gli chiedo, mentre si scola una bottiglia di birra.
È una domenica pomeriggio calma e tranquilla, domani il cd sarà nei negozi.
“Enema of the state.”
“Oh. Spero che almeno farete video ehm normali.”
“Temo di no, piccola.”
Interviene Mark.
“Okay, allora qualcosa di imbarazzante, ma che tuo figlio riterrà figo una volta cresciuto.”
Lui annuisce.
“Oh, vedrai questo e il prossimo video saranno qualcosa che la gente non si dimenticherà.”
Io non so se prenderla come una cosa buona o una minaccia, di sicuro sarà qualcosa di estremamente imbarazzante.
“Mickey! Fa sentire allo zio Tom la tua prima parola!”
“Nanana!”
Gorgoglia felice mio figlio.
“Bravo Mike, vedi che abbiamo già un fan?”
“E io chi sono?”
Chiedo, finta offesa.
“Una nostra grandissima fan!”
“Anne dov’è?”
“Da sua madre. È arrabbiata perché mi ha rivisto con Jen, spero di farle cambiare idea con All the small things.”
Io rido.
“Beh, insomma qualcosa dovrai pur fare, prima dici che vuoi una ragazza da allevare e poi ti fai beccare a parlare con Jen.”
Mark diventa leggermente nervoso.
“La stavo cacciando, Ruby! Voleva a tutti i costi baciarmi!”
“Spero per te che tratterai bene mia sorella.”
Ringhia a bassa voce il mio ragazzo.
Apparentemente sono calmi, ma in realtà sono tesi tutti e due perché domani esce il cd e devono iniziare a girare il video. Hanno le bocche cucite tutti e due e gli costa molto non dirmi nulla dati i logorroici cronici che sono.
“Ma certo che la tratto bene, la amo! Solo che ogni tanto faccio qualche cazzata e non riesco a rimediare bene, devo ancora imparare bene quella parte.”
“La imparerai con il tempo.”
“Non metterci troppo però, eh Tom.”
Ringhia di nuovo Mark.
La parte del fratello protettivo l’ha imparata bene e non smette di recitarla, anche se sa che Anne e Tom stanno bene insieme e lei è felice.
DeLonge rimane a mangiare da noi e se ne va verso le dieci, poco dopo sia io che Mark andiamo a letto sperando che Mickey ci dia il privilegio di una notte intera di sonno.
Mio figlio di solito decide che verso le tre ha bisogno di un po’ di cibo e sveglia tutta la casa, bisogna che io lo nutra e che Mark canti qualcosa per far sì che si calmi.
Questa notte stranamente decide di starsene buono, come se avesse capito che suo padre domani deve fare una cosa importante.
La mattina dopo gli faccio una colazione speciale – latte e cacao, muffins e pancakes con lo sciroppo d’acero – e lo saluto con calore.
Lui mi sorride mezzo addormentato, mi ringrazia e si scofana tutto, mentre io nutro nostro figlio.
“Non aspettarmi per pranzo, credo arriverò per cena.”
“Va bene, fai del tuo meglio, amore.
Scommetto che sarà una cosa fantastica.”
“Oh, puoi giurarci!”
Se ne va sorridendo, io sistemo la casa e poi telefono alla casa editrice chiedendo se non hanno del lavoro per me, la segretaria mi esorta a passare in mattinata e di portare anche il bambino.
Da quando Mickey è cresciuto almeno un po’ ho riottenuto il mio vecchio lavoro di correttrice di bozze e questo ci aiuta parecchio sul piano economico per ora.
“Mickey, andiamo a fare una passeggiata, sei contento?”
Mio figlio mi risponde con un verso indefinito che spero significhi sì. Mi vesto e lo sistemo, lui ride e si lascia adagiare tranquillo nel passeggino.
Non fa troppo caldo fuori per fortuna, così la passeggiata è un piacere che mi concedo a piedi, camminando tra la gente che procede spedita verso chissà dove.
Arrivo alla casa editrice e vengo accolta dall’urletto della tizia che mi ha sempre passato il materiale da correggere, Mickey inizia a piangere.
“Ruby, perché Michael piange?”
“Forse perché hai urlato un po’ troppo forte Sammy.”
“Mi sa che hai ragione, ma è un bambino talmente adorabile! E ha due occhioni meravigliosi, azzurro cielo.”
“Gradito dono del mio ragazzo.”
“Quanto sei fortunata! Jess, non è adorabile questo bambino?”
“Sì, Sammy lo è, adesso dalle il materiale per l’amor del cielo!”
Sammy sbuffa.
“Sei la solita acida, Jess!”
Sammy lascia stare mio figlio e torna alla sua scrivania, preleva una generosa quantità di carta, la ficca in una borsa e me la porge.
“Hai due settimane di tempo.”
“Ok, grazie mille.”
“Figurati.”
Si abbassa ancora a guardare mio figlio e poi mi saluta con un cenno che ricambio, esco dalla casa editrice sollevata. Quella Sammy diventa inquietante quando vede bambini piccoli, spero che rimanga incinta presto così potrà riversare questo amore su suo figlio e non sul mio.
Sulla strada del ritorno mi prendo un gelato e il cd dei ragazzi, poi, una volta arrivata al mio appartamento, mi metto immediatamente al lavoro chiedendomi distrattamente cosa staranno combinando i blink.
Qualunque cosa sia scommetto che lo saprò presto, le idee geniali di Mark solitamente non passano inosservate soprattutto se vedono la complicità di Tom.
“Mickey, tuo padre è matto, ma lo adorerai appena sarai un pochino più grande!”
Lui risponde gorgogliando e si alza in piedi nel suo boxer per guardarmi, chissà quando imparerà a camminare il mio piccolo grande uomo?

 

La sera Mark arriva tardi e mi sembra stanco, ma soddisfatto.
“Ciao, com’è andato il video?”
Gli chiedo mentre servo la cena, lui sorride.
“Bene, sono stanco, ma è stato davvero divertente girarlo.”
“Non ne dubitavo, quando potremo vederlo?”
“Settimana prossima, organizzerò una serata quando uscirà in modo che ce lo possiamo vedere tutti insieme.”
“Mi sembra una buona idea, sarà divertente!”
“Come si è comportato il piccolo?”
Mark lancia un’occhiata a suo figlio che ricambia dal suo seggiolino.
“Bene, l’ho portato alla casa editrice e a fare una passeggiata. Ha gattonato molto e giocato, chissà quando camminerà?”
“Non lo so, ma spero di esserci.”
Io gli prendo una mano.
“Ci sarai, non ti preoccupare.”
Lui abbassa gli occhi.
“Non lo so, di sarà un tour da fare dopo l’uscita del cd, sai per promuoverlo.”
“Capisco.”
Finiamo di mangiare, io carico la lavastoviglie e poi mi siedo sul divano, Mark mi raggiunge subito dopo.
“Sei preoccupata?”
“No, so che questo è il tuo lavoro e che oltre a farti felice lo fai anche per noi, quindi non c’è problema. Sarebbe egoista da parte mia impedirti o farti capire che non sono d’accordo.”
Lui sorride e mi attira a sé.
“Ti ho già detto che ti amo?”
“Non oggi, ma grazie per avermelo ricordato.”
Sorrido io stretta contro il suo petto, sentendo battere il suo cuore.
“Domani cosa fai?”
“Vado alla casa discografica, abbiamo una riunione, pare ci siano delle cose da fissare.”
“Ok, io credo lavorerò. Oggi la casa editrice mi ha dato delle bozze da correggere.”
“Benissimo, spero proprio che questo album venda. Mi piacerebbe darti una casa più grande, magari con la piscina e tutto il resto.”
“Questo appartamento va bene, va bene qualsiasi posto in cui ci siate tu e Mickey, non ti devi preoccupare.”
Lui sorride.
“Sei un tesoro, Ruby.”
“Ma figurati.”
Ci mettiamo un po’ a giocare con Mickey, Mark tenta di farlo camminare, ma nostro figlio preferisce decisamente gattonare ed esplorare la casa. Evitiamo che mangi il telecomando e lo facciamo giocare con altro, onde evitare che si soffochi.
Dopo una mezz’ora buona di esplorazione dell’appartamento inizia a sbadigliare, segno che vuole andare a letto.
“Mickey vuoi andare a letto?”
“Gnii.”
“Sì, allora vieni che ci laviamo le manine e i piedini e poi andiamo a lettino.”
Lo prendo in braccio e lo porto in bagno dove gli lavo i piedi e le mani, poi lo porto nella culla e lo copro per bene.
Io e Mark gli cantiamo una ninna nanna finché non si addormenta.
“È così bello!”
“Lo è.”
Torniamo in sala e guardiamo un po’ di tv, alla fine troviamo un’emittente che trasmette un vecchio film che si chiama “I Goonies” e lo guardiamo.
Quando finisce lui sbadiglia vistosamente.
“Io andrei a letto.”
“Vengo anche io.”
Con calma ci dirigiamo verso la nostra camera da letto, non appena tocchiamo il materasso crolliamo entrambi come pere cotte.
Ci risvegliamo solo con il suono della sveglia la mattina dopo.
“Devo andare, tu dormi ancora un po’, hai l’aria stanca.”
“Mickey sta piangendo, devo dargli da mangiare.”
“Ci penso io. Tu stai calma.”
Io annuisco e torno a dormire.
Mi sveglio di nuovo verso le dieci, vado a controllare Mickey e lo trovo serenamente addormentato nel suo lettino.
Sul tavolo della cucina ci sono alcuni pancake già fatti, a me non resta che preparare il caffelatte e iniziare a lavorare.
Lavoro fino a mezzogiorno, poi preparo da mangiare per me e Mark e per il piccolo, il mio ragazzo mi sembra stanco, ma di buon umore.
Mangia con voracità quello che gli ho preparato e prima di andarsene di nuovo bacia Mickey e me, strappandomi un sorriso.
Riprendo a lavorare fino alle quattro, poi decido che io e mio figlio ci meritiamo una passeggiata fuori. Lo porto al parco e mi godo la buona giornata, a lui sembra piacere uscire ogni tanto, mi indica gli uccellini, i cani e gli altri bambini.
È ancora troppo piccolo per i giochi, ma ho il sospetto che le altalene lo attirino da morire, quando sarà più grande le proverà di sicuro.
Torniamo a casa che sono le cinque, non ho voglia di rimettermi al lavoro così vado in terrazza e mi sdraio per terra,  Mickey è al sicuro nel box, non credo mangerà niente del nostro arredamento.
In pace mi addormento, ci pensa il pianto del bambino a svegliarmi di botto, borbottando corro dentro e lo tiro fuori dal box. Si è fatto la pipì addosso, così gli cambio il pannolino e poi lo cullo, lui emette versetti al nulla. Forse sono il suo modo di dire che è felice.
Mark al rientro ci trova così, io gli rivolgo uno sguardo di scusa perché non ho preparato nulla, lui mi mostra sorridendo un sacchetto di cibo messicano.
“Grazie, tesoro.
Adesso preparo qualcosa per Mike e poi mangiamo.”
Lui annuisce, deposita il cibo in cucina e poi inizia a preparare la tavola, fortuna che non è molto fiscale in queste cose perché io a volte sono una pessima casalinga.
“Com’è andata oggi?”
“Bene bene, tu?”
“Bene, sono andata al parco con Mickey, pare che gli piacciano le altalene, continuava a indicarle.”
“Che tenero, chissà se gli piacerà lo skate da grande?”
“Chi lo sa? Però vedi di non farglielo imparare troppo presto, non muoio dalla voglia di vederlo arrivare a casa pesto e con le ginocchia sbucciate!”
Lui ride.
“Non iniziare a fare la mamma apprensiva ora.”
Io arrossisco.
“Cosa c’è di male? Tengo a mio figlio.”
 “Assolutamente niente. Stai tranquilla.”
Mangiamo e lui mi racconta qualcosa di quello che hanno discusso nella riunione, a quanto pare è previsto un lungo tour per pubblicizzare l’album.
Non so cosa sia meglio per il bambino, se seguire il padre o aspettarlo qui a casa al sicuro, magari alle fan potrebbe non piacere il fatto che lui sia già impegnato.
“Ruby?”
Mi chiama lui.
“Sì?”
“Cosa c’è?”
“Niente, Mark. Sto pensando a come potrà essere il video.”
Lui sorride.
“Tra qualche giorno lo saprai o meglio lo saprete, mi piacerebbe invitare qui il gruppo.”
“Sì, me l’hai già detto. È una buona idea.”
Lui annuisce, mi lascia mettere a letto il bambino dopocena, poi mi fa cenno di guardare la tv con lui, abbracciati sul divano. Il programma mi piace molto, mi mancavano questi piccoli momenti solo per noi.
Da questo momento perfetto il tempo torna a scorrere normalmente, io mi divido tra Mickey e il lavoro e lo stesso fa Mark.
Qualche giorno dopo il mio ragazzo rientra a casa con un sorrisone stampato sul volto, chissà cosa sarà successo?
“Mark, come mai sei così felice?”
“Domani il nostro video verrà trasmesso su Mtv, gli altri possono venire da noi?”
Io gli salto in braccio.
“Ma è bellissimo! Certo che possono venire!”
Ci baciamo appassionatamente e se non fosse per nostro figlio finiremmo per far sesso sul tavolo della sala per festeggiare la notizia. Mark si stacca da me e poi prende suo figlio il braccio e gli fa fare una giravolta, Mike gorgoglia felice, gli piace quando il padre lo fa volare.
“Mikey, domani tuo padre sarà in tv!  Non sei contento?”
Lui sorride, non so quanto abbia capito del discorso di Mark, ma almeno gli piace sorridere.
Dopo aver rimesso a terra nostro figlio ci sediamo a tavola, lui parla a macchinetta del video, delle speranze della band, della nostra futura villa enorme, dei tour.
Io lo ascolto sorridendo e ancora vagamente confusa e incredula: davvero i blink dopo anni di tour in un furgoncino scassato stanno per fare il grande salto?
Davvero la gente conoscerà e adorerà Mark, Tom e Trav come faccio io?
Davvero la nostra vita sta per essere scossa dal terremoto del diventare famosi?
A quanto pare sì, anni di sforzi stanno dando i loro frutti e – nonostante certi testi assurdi – i blink ce l’hanno fatta e stanno per uscire dall’anonimato.
Questa è una ragione sufficiente per servire in tavola un po’ di vino e non la solita birra, quindi mi alzo e mi dirigo verso il mobiletto dove ci sono gli alcolici e tiro fuori una bottiglia di vino. Mark mi sorride quando la porto in tavola, credo che abbia capito il perché io l’abbia fatto.
La stappo e gli riempio il bicchiere allegramente, lui lo butta giù in un unico sorso.
“Buono.”
Io me ne verso un po’ e lo bevo.
“Sì, è buono! Alla nostra, Hoppus!”
“Alla nostra Ferreira!”
Facciamo un brindisi al futuro sorridendo come due bambini, ignari del futuro, ma fiduciosi che sarà bello.
Il giorno dopo alle sei sono tutti a casa nostra: Tom, Anne, Travis, Melissa,mia sorella, Matt, David, Skye, Avril, Hayley e il suo novo ragazzo (tale Jack), Lars.
C’è un giro di baci e abbracci e di salutini al bambino che  sorride e tutti e dice “nanana” a tutti con somma gioia di Tom.
Finito quello si mettono tutti a tavola e io porto in tavola gli spaghetti, tutti li guardano affamati e in breve tempo quelli che ho messo nei loro piatti spariscono nemmeno fossero tutti di ritorno dal Sahara.
Anche le cotolette fanno la stessa fine e io mi chiedo se a casa mangino quei disperati o forse  devo prenderlo come complimento per la mia cucina.
Dopocena ci mettiamo tutti comodi sul divano, sulle poltrone o sul tappeto, Mark, Tome Travis sono i più agitati di tutti: ogni due per tre si danno di gomito e indicano la tv.
“Tra poco arriva, tra poco arriva, vero Skye?”
“Così mi hanno quelli di Mtv.”
Mark si sfrega le mani, Tom beve un altro sorso della sua birra, Travis scocca un bacio sulla guancia della sua ragazza.
Finalmente le note inconfondibili dell’inizio di “All the small things” iniziano e si vedono i tre blink vestiti di bianco in una parodia delle boy band.
Il video è tutto una parodia dei cantanti e delle cantanti pop, roba da sbellicarsi delle risate, infatti ridono tutti. Io rido soprattutto quando il cane di Mark tenta di togliergli i pantaloni oppure fa il sexy sotto un getto d’acqua che serve a lavare il pullman.
“Dio, ragazzi, è forte!”
Esclama Erin, asciugandosi le lacrime.
“Siamo contenti che ti piaccia, credi che piacerà?”
“Se piacerà?”
Risponde Skye.
“È una bomba! Piacerà a tutti, avete fatto un lavoro fantastico, fa morire dal ridere!”
Tom, Mark e Trav si scambiano dei sorrisi soddisfatti, si vede che sono orgogliosi della loro creatura e io sono orgogliosa di loro.
Non riesco a resistere e mi butto addosso a Mark e lo bacio con passione.
“Oh, woah! Stasera, anzi stanotte, avrò la mia ricompensa e nessuno di voi potrà partecipare!”
Esclama lui, tenendomi possessivamente un braccio intorno ai fianchi.
“Io spero di avere qualcosa stasera, Anne?”
Lei ride e annuisce.
La sera procede come ai vecchi tempi: battute, carte e alcool con la sola differenza che questa volta Mickey ci guarda dal suo box curioso.
“Questo bambino ti somiglia, Mark.”
“Cosa c’è di strano, Sullivan? È mio figlio.”
“No, dico il carattere! È curioso come una scimmia esattamente come te!”
Mark sorride compiaciuto.
“Lo prenderò come un complimento. Mickey somigli al papà!”
Verso l’una se ne vanno tutti e rimaniamo solo io e Mark che mi guarda con un sorriso furbetto.
Quando ho finito di mettere a letto Mike mi prende in braccio e mi deposita sul letto per poi raggiungermi e cominciare a baciarmi con foga. Le sue mani vagano sotto la mia maglietta e mi accarezzano i fianchi, le mie sono tra i suoi capelli. La mia maglia vola via per prima seguita dalla sua.
Io gli accarezzo e bacio il petto fino a che lui no ribalta le posizioni e – dopo avermi tolto il reggiseno – si dedica ai miei seni.
Oh, se mi era mancato!
Le sue mani e la sua lingua sono abili e presto mi ritrovo nuda in balia dei giochetti che sanno fare anche lì sotto. Comincio ad ansimare sempre più forte, ma poco prima che io arrivi all’orgasmo le toglie.
Io mugugno contrariata e mi affretto a togliergli pantaloni e boxer, è già bello eccitato.
Io lo accarezzo un po’, poi Mark mi toglie gentilmente la mano ed entra in me con un colpo secco che fa sussultare entrambi. Inizia a spingere sempre più forte e lentamente, è il paradiso.
Dopo un po’ arriviamo entrambi all’orgasmo insieme e lui mi attira a sé, io mi accomodo sul suo petto.
“Per sempre e sempre, sarò sempre qui.”
“Anche io.”
Ci sorridiamo a vicenda e magicamente il futuro ha smesso di farmi così paura.
Non sarà facile conciliare tutto, ma sono certa che ce la faremo in qualche modo, perché ce l’abbiamo sempre fatta.
Da vecchi saremo ancora qui su questo letto – o su un altro – insieme a sorriderci come oggi.
Insieme per sempre o giù di lì.

 

 Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie e Rainmaker per le recensioni. Siamo al quartultimo capitolo della storia, sigh.

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Capitolo 37
*** Epilogo 1: amore, sono incinta! (Anne e Tom). ***


Epilogo 1: amore, sono incinta! (Anne e Tom).

 

Erano passati anni dall’esordio dei blink sulle scene mondiali, il 1999 aveva cambiato la vita di tutti loro.
Enema of the state aveva venduto più delle più rosee previsioni della band, consacrando tre ragazzi normalissimi a star internazionali, tutti conoscevano “All the small things” e “What’s my age again.”. Anne ne era felice, anche se quando era uscito il video di What’s my age again aveva storto il naso – come Ruby – sapendo che avrebbero corso nudi.
In fondo – si disse – era normale che ogni ragazza fosse gelosa del suo ragazzo, soprattutto se il tizio in questione era bello come lo era Tom.
Anne aveva avuto paura che non avrebbero retto alla fama, alla pressione, alle fan e alle groupies, ma contrariamente alle previsioni ce l’avevano fatta.
La ragazza ancora non credeva che due anni dopo Enema fossero ancora insieme, eppure il calendario parlava chiaro: era il 2001.
Tom l’aveva portata con sé in quasi tutti i tour e non sempre era stato piacevole, le band con cui suonavano la trattavano bene e anche la maggior parte dei fan sembrava amichevole, per le groupies era un altro discorso.
In più di un’occasione aveva dovuto cacciare a calci ragazze dalla stanza di Tom e a volte l’avevano insultata anche pesantemente.
Il peggior episodio che ricordava era avvenuto neanche sei mesi prima. Stava facendo un giretto dietro le quinte mentre i ragazzi provavano e Ruby stava giocando con Mickey sul pullman quando, all’improvviso, era stata circondata da un gruppo di ragazze che l’avevano pestata a sangue.
Se non fosse intervenuta una guardia del corpo quelle arpie probabilmente l’avrebbero mandata all’ospedale per le botte ricevute.
Avevano picchiato duro e l’avevano insultata in un modo anche peggiore dandole della troia e della ladra di ragazzi: Tom era loro secondo il loro punti di vista.
Tom e Mark si erano arrabbiati parecchio e lei si era sentita una stupida e un peso per la band, in quei momenti aveva capito che tipo di ragionamento doveva aver fatto Ruby anni prima.
Tom doveva aver capito cosa stava pensando perché quella sera, dopo averla attirata tra le sue braccia facendo attenzione a tutti i suoi lividi le aveva sussurrato nell’orecchio qualcosa in grado di farle sciogliere il cuore.
“Non pensare nemmeno di andartene, senza di te sono perso, Anne Hoppus."
Lei aveva sorriso ed era rimasta.
“Anne! Anne ci sei?”
Una voce acuta la riscosse dai suoi pensieri, Tom era tornato dall’ultima sessione delle registrazioni del loro nuovo album e sembrava di buon umore.
La abbracciò e la baciò con trasporto, poi la rimise a terra.
“Come sono andate le registrazioni?”
“Molto bene, anche se Mark alla fine non ce la faceva più. Gli mancavano molto Ruby e Mike.”
“Capisco, e io ti sono mancata almeno un po’?”
Anne fece la sua migliore faccia da cucciolo e Tom si intenerì e la baciò.
“Molto, piccola. Molto.”
“Sono felice! Vieni, ho ordinato il tuo cibo preferito da Sombrero.”
Gli occhi di Tom si illuminarono e la seguì in cucina, da qualche mese vivevano insieme nella grande villa che Tom si era comprato con i soldi di Enema.
Per ora la convivenza procedeva bene e non c’erano problemi, forse perché il ragazzo era poco a casa e il suo caos era abbastanza limitato.
In ogni caso si sedettero al tavolo e partì all’attacco dei suoi burrito, Anne lo imitò, ma dopo pochi morsi la colse una nausea terribile.
Si alzò e corse in bagno a vomitare, seguita da un preoccupato Tom.
“Stai bene?”
“Sì, non preoccuparti. Devo avere un virus intestinale o qualcosa del genere perché ultimamente mi succede spesso. Domani vado dal medico.”
Tom annuì e la aiutò a ripulirsi e ad alzarsi, Anne sudava freddo. Quella del virus era una palla, in realtà temeva di essere incinta e che a Tom non sarebbe piaciuto diventare padre così giovane.
-Non ti preoccupare adesso, Anne. Non sai se sei incinta o no e non sai come la prenderà Tom, aspetta almeno domani.-
Le disse saggia la sua coscienza, lei decise di darle retta e tornò a sedersi a tavola, i burrito avevano finito di darle nausea.
Finito di mangiare Tom si sedette sul divano e lei lo raggiunse, immediatamente lui le passò un braccio intorno ai fianchi.
“Ho voglia di andare al mare e fare un po’ di surf.”
“Mh, non è una brutta idea, oggi è la giornata perfetta per questo genere di cose. C’è il sole e c’è il vento.”
“Le onde sono assicurate.”
“Allora andiamo!”
Si alzarono e lui la prese per mano, mentre correva verso il garage, Anne era ipnotizzata da come si muovevano le sue spalle ancora dopo anni.
Presero le loro tavole e le caricarono in macchina, per ora lei stava bene: niente nausee o altri malesseri.
Arrivarono in spiaggia e la trovarono poco affollata, era un giorno lavorativo e la maggior parte della gente era chiusa da qualche altra parte.
Entrarono in mare, l’oceano era freddo rispetto al sole che batteva sulle loro spalle, Tom fece qualche bracciata con la tavola accanto, Anne rimase ferma per ambientarsi poi si mosse anche lei.
Si issò sulla tavola e cercò di entrare nell’onda per cavalcarla, le venne difficile perché non era mai stata una grande surfista, Tom era decisamente migliore di lei sotto quel punto di vista.
Surfò un po’, poi si stancò e uscì dall’acqua stendendosi sul salviettone per lasciarsi asciugare dal sole. Era talmente rilassata che finì per addormentarsi e subì un brusco risveglio, Tom le rovesciò sulla schiena una secchiata di acqua gelida, dove avesse trovato il secchio era un mistero.
“Tom, io ti uccido!”
Lui rise mentre lei lo inseguiva, Anne smise perché all’improvviso una fitta alla pancia l’aveva colpita e fatta fermare.
Era un dolore piuttosto forte e decise di tornare al salviettone rinunciando a punire Tom, l’ipotesi  del virus intestinale si faceva sempre più improbabile.
Era quasi certa di essere incinta e la prospettiva la spaventava, temeva la reazione di Tom e non si sentiva pronta a diventare madre, era ancora così giovane.
Vedendo quello che era successo a Ruby sentiva che la responsabilità di un bambino era troppo per lei.
Ruby ci si era raccapezzata bene, ma lei e la ragazza di suo fratello erano profondamente diverse, Anne in fondo non era che una bambina nel corpo di una donna che stava con un ragazzo che la maggior parte delle volte era infantile e queste non erano basi solide per crescere un bambino.
-Eppure se fossi incinta mi piacerebbe, mi piace l’idea di avere dentro di me il frutto del nostro amore e forse anche Tom la penserebbe così se gli accennassi l’idea, ma ho paura.
Convivere è già stato un grande passo, una gravidanza forse sarebbe troppo… -
“Ehi, Anne tutto bene?”
Tom era tornato al salviettone e lei non se ne era nemmeno accorta presa com’era dai suoi pensieri.
“Sì, perché?”
“Hai rinunciato subito a inseguirmi, di solito ci metti un sacco a stancarti.”
“Il virus intestinale.”
Lui si batte la mano sulla testa.
“Già, vero. Fammi spazio.”
Si sdraiò accanto a lei.
“Sicura di stare bene? Hai una faccia tanto pallida.”
“Sì.”
Gli strinse una sua mano grande tra le proprie, piccole.
Finché aveva Tom accanto a sé sarebbe andato tutto bene.

 

Il pomeriggio seguente Anne si recò dal suo medico. L’uomo ascoltò pazientemente i suoi sintomi e poi le prescrisse un’ecografia, c’era la possibilità che lei potesse essere incinta.
La ragazza uscì dallo studio coperta di sudore freddo, poteva essere incinta, quella parola sulla bocca del suo medico le aveva messo addosso una paura terribile.
Telefonò in ospedale e l’appuntamento per l’ecografia le venne miracolosamente fissato due giorni dopo: furono i due giorni peggiori della sua vita.
Era costantemente preoccupata, spaventata e insicura, scattava per un nonnulla ed era terribilmente irritabile, tanto che Tom finì per girarle al largo per evitare liti o aspri rimproveri.
Finalmente arrivò il giorno dell’ecografia, Anne era nervosissima, tanto che sbagliò strada e si insultò da sola.
Arrivata all’ospedale venne subito chiamata ed entrò in una stanzetta bianca, con un lettino in parte a un macchinario che ronzava.
“Si sdrai e sollevi la maglia. Il gel che le metterò sarà un po’ freddo, ma non si preoccupi.”
Le disse una dottoressa abbastanza giovane, che indossava spessi occhiali con una montatura pesante, vecchio stile.
Lei eseguì meccanicamente e sollevò la maglia, il gel era effettivamente freddo, poco dopo la donna passava una specie di rasoio sul gel e nella stanza si era diffuso il battito regolare di un cuore.
“Complimenti, signorina! Lei è incinta di tre mesi, non riusciamo a vedere il sesso del bambino, ma durante la prossima ecografia sarà certamente visibile.”
Anne svenne.
Rinvenne dopo quelli che le parvero secoli nella stanza, un’infermiera le porse un bicchiere e lei bevve: era acqua zuccherata.
La dottoressa la guardava da sopra gli occhiali.
“È svenuta per lo shock, non si preoccupi. Non sapeva di essere incinta?”
Anne scosse la testa.
“Pensa di tenere il bambino?”
“Direi di sì, tre mesi è fuori tempo massimo per un aborto.”
“Può sempre darlo in adozione.”
Lei guardò la dottoressa confusa, dividere lei e la sua creatura? Assolutamente no!
“No, non lo darò in adozione, spero solo che il mio ragazzo non si spaventi troppo alla prospettiva di essere padre.”
La donna annuì comprensiva, la fece restare sdraiata per un altro quarto d’ora in cui le diede delle salviette di carta per pulirsi dal gel e poi le consegnò l’ecografia.
Anne era sottosopra, come avrebbe detto a Tom che era incinta?
E lui come avrebbe reagito?
Ancora prima di averlo deciso razionalmente, la sua parte istintiva l’aveva portata davanti alla casa di Mark e Ruby ed era ferma davanti a un grande cancello marrone.
Suonò il campanello e le rispose la voce di Ruby che la invitò ad entrare. Anne percorse il viale che portava alla porta e poi entrò in casa, suo fratello stava giocando con Mickey – che ormai aveva due anni – e Ruby stava controllando delle carte.
“Ciao, sorellina.”
“Ia Anne!”
Urlò Mickey trotterellandole incontro.
“Ciao, campione!”
Lo salutò lei prendendolo in braccio e spupazzandoselo un po’, tra le risate del nipote.
“Anne, stai bene?
Hai una brutta faccia.”
“Ruby ha ragione, cosa è successo Anne?”
Lei mise a terra il bambino e si sedette sul divano, accanto a Mark.
“Ho bisogno di parlare con qualcuno.”
“Noi siamo qui.”
La ragazza sospirò.
“Io… Io… Io sono incinta.”
Mark la guardò stupefatto.
“Tom lo sa?”
Le chiese Ruby, lei scosse la testa.
“No, l’ho appena scoperto anche io. Siete i primi a saperlo.”
“Di cosa hai paura, Anne?”
Suo fratello non sembrava in grado di parlare, Ruby invece sembrava meno scioccata.
“Ho paura che Tom non lo voglia, io a stento mi sento pronta a essere madre, non so come potrebbe reagire Tom. E se mi mollasse?
E se non volesse suo figlio?”
“In questo caso gli spaccherò la faccia!”
Ringhiò Mark, uscendo dal suo silenzio.
“Mark, cazzo! È una cosa seria.”
“Non stavo scherzando, Anne. Se ti lascia da sola gli rifaccio la faccia a suon di pugni.”
Anne si alzò in piedi.
“Forse ho fatto male a venire qui.”
Ruby fulminò Mark e poi guardò lei.
“Secondo me non ti devi preoccupare. Tom è maturato da quando sta con te, anche se nessuno al di fuori di noi lo direbbe mai, e non credo che ti abbandonerà.
Ha sofferto troppo quando i suoi hanno divorziato  e non credo che voglia che anche suo figlio soffra così.
Diglielo, Anne, tenendoglielo faresti un errore. È una cosa che ho imparato a mie spese.”
“E se non lo volesse, Ruby?”
“Lo farei ragionare io, senza pestarlo naturalmente.
Un’ultima cosa: congratulazioni.”
La bionda le rivolse un debole sorriso, Ruby era stata la prima a fargliele.
“Grazie di tutto.
Mark, non fare cavolate, per favore. Adesso vado a casa e cercherò di dirlo a Tom.”
Anne uscì dalla casa di suo fratello sentendosi leggermente meglio, almeno qualcuno era dalla sua parte.
Tom era già a casa quando lei rientrò e aveva una faccia scura.
“Dove sei stata?”
“In ospedale.”
Rispose piatta lei.
“Come mai?”
“Dovevo fare delle analisi.”
“Non è che mi tradisci?”
Anne lo guardò come se Tom venisse dalla Luna.
“Assolutamente no, Tom.
Come ti viene?”
“Sei strana in questi giorni.”
Replicò lui non del tutto convinto, lei sospirò.
“C’è una ragione per cui sono strana  e non è quella che pensi tu, ora te la dirò.”
Lui la guardò serio.
“Sono incinta Tom.”
Gli stava per porgere le radiografie, quando la faccia del suo ragazzo si fece improvvisamente pallida e lui cadde a terra svenuto senza che lei riuscisse a fermarlo.
Con qualche difficoltà lo trascinò sul divano e aspettò che si risvegliasse.
Dopo qualche minuto le palpebre di Tom si sollevarono e lui la guardò incredulo.
“Puoi-puoi ripetere?”
“Sono incinta, Tom, aspetto un bambino. Ho nostro figlio nella pancia.”
Lui la guardò stordito per qualche altro secondo, poi un sorriso enorme si fece largo sul suo volto.
“Vuoi dire che diventerò padre?”
Lei annuì piano, era sempre più preoccupata per la strana reazione di Tom.
Lui, sempre sorridendo, si tirò in piedi e poi fece alzare anche lei per poi abbracciarla forte, Anne sentiva il cuore di Tom battere veloce sotto la sua maglia.
Quando finalmente si staccarono lui stava ancora sorridendo.
“Io…. È bellissimo, sono felicissimo!
Non potevi farmi un regalo migliore! E così qui…”
Le toccò la pancia.
“C’è un mini me.”
“O una mini te.”
“O una.”
Convenne lui sorridendo.
“Cazzo, bisogna festeggiare! Vado a prendere dello champagne!”
La lasciò da sola in sala, Anne aveva lo stesso sorriso di Tom e con gioia corse in cucina  preparare un paio di bruschette da mangiare con lo champagne.
Champagne!
Si aspettava che Tom scappasse e invece Tom voleva festeggiare con lo champagne, voleva lei e voleva loro figlio.
Tom arrivò poco dopo con una bottiglia in mano, a quanto pare era davvero andato a prendere dello champagne.
Approvò con un’occhiata le bruschette e stappò la bottiglia rischiando di far saltare il lampadario con il tappo, lei non ci badò molto. DeLonge riempì due calici di vino e poi sorrise.
“Al bambino o bambina!”
“Al bambino o bambina!”
Gli fece eco lei, facendo scontrare il suo calice con quello del suo ragazzo.
Ridevano come due bambini, incuranti del fatto che presto sarebbero stati travolti dalle responsabilità di essere genitori. Erano semplicemente felici di aver dato origine a qualcosa con il loro amore.
Dopo un paio di bicchieri di champagne erano già brilli.
“Come lo chiamiamo?”
“Jonas, se è un maschio, Ava se è una femmina.”
“Belli, questi nomi, mi piacciono!
Spero farà amicizia con Mickey.”
“Certo che farà amicizia con Mike, ma se  sarà una femmina sarà meglio che gli giri al largo dopo una certa età.”
Anne rise.
“Ma dai, Tom! Sono cugini!”
“È vero, me ne ero dimenticato.”
“Non sapevo fossi un padre geloso.”
“Se si tratta della mia bambina, sì. Ci sono in giro troppi cattivi ragazzi, io ero uno di loro.”
“E io ti ho domato.”
Lui rise.
“Mai stato più felice di essere stato domato da una ragazza, visto che mi darà un figlio.”
Si sporse verso di lei e appoggiò il volto alla sua pancia, come per sentire eventuali calci della creatura.
“Tom, è troppo presto, non sentirai nulla.”
“Oh, invece sentirò qualcosa, non può deludere il suo papà.”
Anne gli scompigliò i capelli – il suo cuore rischiava di esplodere per la gioia da un momento all’altro –  lui continuò imperterrito ad aspettare un calcio o qualcos’altro dalla loro creatura.
Fu con immensa sorpresa di entrambi che in quel momento lui o lei decise di farsi sentire con un calcio nelle reni di Anne.
“Mi ha dato un calcio!”
Urlò Anne.
“L’ho sentito, l’ho sentito. Ehy, fatti sentire dal tuo papà!”
Il bambino o la bambina sferrò un altro calcio per la gioia di entrambi.
“Mi, ha voluto salutare, Anne.
“Oh, sì. È stranissimo, ma sembra sia così.”
“Sono così felice! È troppo bello.”
“Avevo paura che te ne potessi andare.”
Tom si fece serio in volto.
“Tu sei la mia famiglia e io la mia famiglia non la lascio indietro.”
Ad Anne scesero un paio di lacrime.
“È la cosa più bella che tu mi abbia detto, Tom.”
Lui si tirò a sedere per abbracciarla e poi la prese delicatamente in braccio per portarla nella loro camera da letto.
La depose sul letto e poi le diede un bacio sulla fronte, prima di chiudere la porta e di baciarla appassionatamente.
“Quasi quasi mi fai venire voglia di sposarti.”
Le sussurrò in un orecchio.
“Se lo facessi mi renderesti davvero felice, ma non voglio affrettare le cose.”
“Hai ragione, prima dobbiamo pensare a lui o  a lei.”
Le rispose accarezzandole affettuosamente la pancia solo leggermente più grassa del normale.
“Sì.”
Si addormentarono abbracciati, ogni tanto la creatura scalciava, ma a lei non dava fastidio, ora sentiva di non essere da sola, con Tom accanto poteva affrontare tutto.
Lui sembrava davvero felice, ogni volta che lui o lei scalciava le accarezzava piano la pancia, come per calmare il loro piccolo inquilino inquieto.
“Da grande avrà il mio stesso caratterino.”
Sentenziò Tom prima che le palpebre gli calassero sugli occhi, ad Anne andava benissimo: uno dei suoi desideri inconfessati era di avere per casa un piccolo Tom.
La vita era bella e lei aveva finalmente trovato la pace e la stabilità e si augurò che fosse lo stesso per Tom.
Anne lo guardò attentamente mentre dormiva, aveva la faccia di un uomo soddisfatto della sua vita quindi anche lui aveva trovato quello che cercava.
Erano in due a essere felice e Anne non poteva chiedere di meglio, si disse prima di cadere  pacificamente nelle braccia di Morfeo.
Ora aveva tutto quello che aveva sempre desiderato e anche di più.
Felicità allo stato puro.

Angolo di Layla

Ringrazio DeliciousApplePie per le recensioni. 

 

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Capitolo 38
*** Epilogo 2: vuoi sposarmi? (Hitler ci preparerà al matrimonio) ***


Epilogo 2:  vuoi sposarmi? (Hitler ci preparerà al matrimonio)

 

Sono passati due anni da quando è nato Mickey e poco dopo è uscito l’album dei blink.
Ha avuto un successo strepitoso, al di là di ogni più rosea previsione dei ragazzi, in un attimo  li ha proiettati nella classifica dei cd più venduti e li ha fatti uscire dall’anonimato.
C’è da dire che loro si sono impegnati al massimo per farlo e alla loro maniera, All the small things è stato solo l’assaggio, il piatto forte è arrivato con What’s my age again.
Lì hanno mostrato tranquillamente al mondo i loro sederi correndo qua e là per Los Angeles, la cosa non mi ha fatto piacere – sono gelosa di Mark – ma ho buttato giù il boccone amaro con classe.
Ci sono stati vari tour, in alcuni l’ho seguito, in altri no, preferendo rimanere a casa anche perché Mickey non sempre ha gradito la vita on the road.
Adesso poi che viviamo in una villa piena di comodità, guarda con desiderio sempre più crescente la piscina. Credo che tra qualche anno Mark farà bene a insegnarli a nuotare o rischiamo di trovarlo annegato lì dentro e non mi piacerebbe perdere un figlio così.
La prospettiva mi provoca sempre tremiti violenti e un’ansia che mi blocca il respiro, fortuna che il mio ragazzo mi tranquillizza sempre.
Io e Mark stiamo ancora insieme, siamo sopravvissuti tranquillamente al successo, ai tour e all’ira di qualche fan invidiosa grazie al fatto che nessuno ha perso la fiducia nell’altro.
Mark sapeva che non l’avrei tradito e io mi sono fidata di lui quando mi diceva che non avrebbe toccato nessuna fan o groupie.
Oggi però non voglio pensare al passato, voglio godermi questa giornata di sole insieme a Mark e a nostro figlio. I blink hanno finito i tour e stanno scrivendo del nuovo materiale, per parecchie settimane capelli fucsia è stato impegnato e ci siamo visti pochissimo.
Ora che è stato sbrigato il grosso del lavoro, lui si gode la famiglia.
Siamo seduti sul prato per un picnic, Mark gioca con Mike, io li guardo. Crescendo il bambino ha ereditato i capelli spettinati del padre, solo che i suoi sono neri e gli occhi azzurri di Mark. È un bellissimo bambino e sono sicura che sarà un bell’uomo.
Ha anche un carattere abbastanza buono, sorride a tutti, gioca con quasi tutti, sorride spesso e ha un ritmo di vita regolare. Ringraziando Dio non confonde il giorno con la notte.
“Ruby?”
Il richiamo di Mark mi fa sobbalzare, mi guardo attorno e noto che Mike dorme sulla coperta e Mark è seduto accanto a me.
“Sì?”
“A cosa stavi pensando?”
“A quanto sono fortunata.”
Rispondo semplicemente, facendolo sorridere.
“Poco fa stavo pensando la stessa cosa. Ho una ragazza bellissima che mi ama e un figlio che mi adora. Lavoro facendo quello che amo di più al mondo e con i miei migliori amici, Dio è stato molto generoso con me.”
“Sì, ma anche tu ti sei impegnato perché succedesse. Quanti kilometri abbiamo macinato con The Cocks? Te lo ricordi?”
Lui annuisce.
“Ti ricordi quando dovevamo raggiungere il Canada e Tom guidò per diciassette ore, mentre noi eravamo troppo spaventati per rilassarci?”
“Eccome se me lo ricordo, anche se allora the cock ci aveva già lasciati, mi ricordo anche che Rick ci aspettava tranquillo, senza avere affrontato niente della nostra merda.”
“Sì, io volevo affogarlo nella cioccolata che stava bevendo.”
“Infatti ti è stato alla larga, forse pensava che avevi ereditato da tua madre i calci spacca-tibia.”
Io alzo le spalle.
“Il calcio che gli diede mia madre se lo meritava e ti ricordo che tu hai detto che se lei non l’avesse fatto gli avresti spaccato la faccia.”
“Già, vero. Non voleva che mi occupassi di Mike.”
Io e Mark guardiamo il bambino profondamente addormentato con uno sguardo pieno di affetto.
“Non avrei mai potuto rinunciare a voi.”
Io sorrido, sperando che lui non veda la lacrima che minaccia di sfuggirmi da un momento all’altro, mi commuovo sempre quando lui dice queste cose.
“Come mai stavi per piangere?”
“Non so, mi commuovo quando dici queste cose, forse penso a mio padre che se ne è andato ed è ricomparso solo per chiedere soldi.”
Le sue labbra si tendono in una linea dura.
“Non pensare a quell’uomo, Ruby. Non si merita che tu stia male per lui, si è comportato in modo orribile.”
“Lo so, non pensiamoci più, è meglio.”
Lui annuisce.
“Stasera mettiti carina, ti porto fuori.”
“E Mike?”
“Ho chiamato tua madre, non vede l’ora di spupazzarsi il nipotino.”
Io sorrido.
“Non avrei mai pensato che mia madre da nonna diventasse così dolce.”
“È stato strano anche per me, ma in senso buono.
Secondo te sono un buon padre? Sono troppo assente?”
Io lo guardo negli occhi, sembra veramente preoccupato, approfittando del sonno del pargolo gli do un bacio di quelli passionali e poi gli accarezzo una guancia.
“Sì , per me lo sei e non è importante il fatto che tu a volte non ci sia, perché per le cose importanti sei sempre qui. Cerchi di essere qui ogni volta che puoi e io lo apprezzo e anche Mickey: lui ti adora.
Aspettami un attimo e ti faccio vedere una cosa.”
Entro in casa e lo specchio dell’ingresso rimanda l’immagine di una giovane  donna con i lunghi capelli neri con delle meches di un viola acceso, con qualche tatuaggio: due teschi che appoggiano entrambi su due rose rosse sul braccio e dei nomi scritti su entrambi gli interni del polso, quelli di Mark e Mickey.
Vado in cucina, prendo un disegno ed esco di nuovo, anche Mark ora ha due tatuaggi sull’interno di entrambi i polsi: il mio nome e quello di suo foglio.
Porgo il disegno al mio ragazzo e lui si illumina, ci sono quattro adulti e un bambino, uno sono io con i miei lunghi capelli neri e i disegni sul braccio come li chiama lui, uno ha i capelli fucsia e tiene per mano il bambino, gli altri due salutano sorridenti: sono Travis (con la cresta) e Tom (con dei capelli neri quasi a caschetto)
Gli occhi di Mark si inumidiscono.
“È bellissimo, Ruby!”
“Lo è e prova che ti vuole un gran bene e ne vuole anche ai blink.”
Lui annuisce.
“Me lo lasci? Almeno lo porto con me la prossima volta che vado in tour.”
“Certo.”
Glielo porgo e lui lo piega con attenzione, come se fosse una cosa estremamente preziosa e per lui probabilmente lo è: è la prova che si sta dimostrando un buon padre, nonostante le lunghe assenze.
 

Il resto del pomeriggio trascorre tranquillamente, alle sei lascio Mike in compagnia di suo padre, entrambi incollati al tv per vedere cartoni animati - Mark in un certo senso è rimasto l’eterno bambino mai del tutto cresciuto.
Mi faccio una rapida doccia e cerco un vestito carino, adatto all’occasione. Alla fine scelgo un vestito azzurro senza maniche, con un nastro che lo stringe appena sotto il seno e la gonna che si allarga e arriva appena sopra le ginocchia. Metto un paio di scarpe a tacco alto, aperte sul davanti e con dei lacci che si allacciano alla schiava, mi trucco come al solito di nero e prendo una pochette nera in cui ci stanno giusto le sigarette, le chiavi di casa e un borsellino.
Quando scendo le scale Mark fischia ammirato e Mickey mi guarda a bocca aperte e nel buffo linguaggio dei bambini mi dice che sto bene così.
Io sorrido e lo accarezzo, redarguendo con lo sguardo il mio ragazzo che è ancora in maglia e pantaloncini, lui scatta e fila di sopra.
Mezz’ora dopo scende indossando una camicia bianca e dei jeans stretti neri che gli stanno benissimo: è la prima volta che lo vedo con qualcosa di diverso dai soliti pantaloni da skate.
“Amore, stai benissimo!”
Gli schiocco un leggero bacio sulla guancia per non lasciargli segni di rossetto, poco dopo suona il campanello e mia madre fa la sua comparsa.
Il tempo ha lasciato pochi segni su di lei, qualche ruga e qualche capello bianco e nulla di più.
“Ciao, mamma.”
“Ciao, tesoro. Ti trovo molto bene, l’abito azzurro che ti ha regalato Skye è perfetto.
“Lei ha molto buon gusto.”
Finiti questi salamelecchi la riempio di raccomandazioni su Mike fino a che lei alza una mano per mettermi a tacere.
“Ruby, ho cresciuto te e tua sorella da sola, sono ragionevolmente certa di saper badare a tuo figlio, adesso esci e goditi la tua serata con Mark.
Mark, un giorno spero di vederti con dei capelli, ehm, normali.”
Lui ride.
“Non si preoccupi, signora. Un giorno vedrà il mio castano naturale risplendere in tutta la sua bellezza.”
Mia madre  ride, Mark mi prende per mano e usciamo dalla nostra villa, lui salta in macchina non prima di avermi galantemente aperto la portiera.
“Dove andiamo di bello?”
“Lo vedrai.”
Mi porta in un ristorantino elegantissimo e costosissimo in cui ogni coppia ha diritto a un separé con candele, fiori e vista sul mare: la cosa mi intimidisce parecchio. Con i miei tatuaggi, il piercing e le meches mi sento un pochino fuori posto, ma poi guardo Mark e la spavalderia con cui prende possesso del tavolo nonostante i capelli fucsia e mi rilasso.
Mi siedo e gli sorrido, lui mi bacia una mano.
“Grazie per avermi portato qui, è un posto meraviglioso.”
“Per te solo il meglio.”
Io arrossisco ancora dopo anni, non so come faccia, e quindi mi butto sulla consultazione del menù con troppa attenzione.
Alla fine ordino dei ravioli al ragù e un fritti misto, Mark invece prende una pasta al pomodoro e un fritto misto anche lui.
Stasera mi sembra agitato, non si comporta in modo diverso dagli altri giorno almeno in apparenza, io però ho imparato a conoscerlo e so che c’è qualcosa che lo turba.
Mangiamo tranquillamente, lui chiacchiera fino alla logorrea fino a dopo che abbiamo ordinato e mangiato il dolce, poi d’improvviso la sua espressione da scherzosa diventa incredibilmente seria, facendomi preoccupare non poco, cosa sta per succedere.
Si fruga la tasca dei jeans, mentre io sudo freddo, poi estrae una piccola scatola blu.
“Ruby Maria Ferreira, vuoi sposarmi?”
Io mi sento venire meno, le lacrime minacciano di scendere da un momento all’altro.
“Mark, oh Mark!”
“Se non vuoi o è troppo presto fa niente, eh! È una richiesta non un obbligo.”
Io lo attiro a me e lo bacio.
“Sì, sì, sì! Voglio sposarti anche adesso.”
Lui annuisce emozionato e mi infila l’anello al dito con le mani tremanti, io sento il cuore che minaccia da un momento da un momento all’altro di uscire dalla cassa toracica per l’emozione.
Io mi sposerò con Mark, esattamente come sognavo da ragazzina e, cazzo, è bellissimo. Talmente bello che non riesco ancora a realizzarlo del tutto e sorrido come una scema al niente.
Ce l’abbiamo fatta, il nostro miracolo si è avverato. Grazie, Dio, Grazie!
Usciamo dal ristorante mano nella mano e andiamo subito a casa, non vedo l’ora di dirlo a mia madre!
A casa, la troviamo china sul letto di Mike per dargli un bacio sulla fronte, è una scena tenerissima.
Quando ci vede arrossisce leggermente.
“Come mai già di ritorno?”
“Dobbiamo comunicarti una notizia bellissima: io e Mark ci sposiamo!”
Lei sorride e mi abbraccia un po’ impacciata.
“Complimenti, ragazzi! Sono tanto felice per voi!
Adesso dobbiamo pensare ai preparativi, deve essere un matrimonio memorabile! Da oggi siete a dieta. Domani andiamo in comune per la domanda e poi in chiesa per fissare una data.
E poi bisognerà pensare ai fiori, al ristorante, gli abiti, le bomboniere, gli invitati. Dite ai vostri amici strani di non esserlo eccessivamente.”
“Mamma, calma. Non esagerare!”
“Ci si sposa una sola volta, deve essere tutti perfetto.”
Punta e fa sprofondare impietosamente una delle sue dita nella pancia di Mark.
“Questa deve sparire e tu ti sei lasciata un po’ andare da quando hai avuto Mickey!”
Mi strizza senza pietà il grasso in eccesso che ho sui fianchi.
Ok, da domani mi metto a dieta e lo stesso farà Mark o altrimenti verremo tartassati fino alla morte.
“Va bene, mamma. Adesso possiamo andare a letto?”
Lei controlla l’orologio e poi annuisce.
“Domani alle otto verrò a casa vostra per andare in comune, adesso vado da tua sorella a dirle di tenere a bada Mickey..
Accidenti, domani lavora!”
“Vai da Tom.”
Lei mi scocca un’occhiata in tralice.
“Sicura che possiamo fidarci?”
“Mamma! È il suo padrino! E poi deve fare pratica, tra qualche mese Anne partorirà.”
Lei sospira.
“Non mi sono ancora abituata al fatto che quel matto diventerà padre. E sia, adesso vado da lui e lo avviso.”
La salutiamo e lei se ne va a passo marziale.
“Prevedo un brutto quarto d’ora per Tom.”
“E io uno per noi domani, ma adesso andiamo a letto.”
“E festeggiamo!”
Mi fa con uno sguardo birichino.
Oh, amo il suo modo festeggiare!
 

I mesi seguenti sono abbastanza da incubo, mia madre si dimostra inflessibile come un generale dell’esercito tedesco.
La famosa mattina dopo affida Mike con un po’ di riluttanza nelle braccia di Tom e con lei ci rechiamo in comune dove compiliamo tutte le scartoffie necessarie per sposarsi e poi andiamo in chiesa per prenotare il matrimonio. Mamma stava per litigare con il prete.
Nei giorni seguenti ha cominciato a redigere una lista di invitati comprendente anche parenti che fino ad allora mi erano ignoti e ci è messa anche la madre di Mark facendo lo stesso.
Quando quelle due hanno finito e noi finalmente abbiamo potuto mettere mano alla lista per mettere anche i nostri invitati ci siano stupiti delle quantità di parenti ignoti che abbiamo.
La nostra lista comprende i nostri amici, quelli di San Francisco, gente con cui i blink hanno fatto dei tour, gente della casa discografica e Mia e la bambina.
Non pensavo che avrebbe partecipato così tanta gente il giorno in cui Mark mi ha chiesto di sposarlo.
“Ma tu lo sapevi che c’era tanta gente assolutamente da invitare che non hai mai visto in vita tua?”
Chiedo a Mark curvo sulla sua ciotola di cereali, mentre mangio dei biscotti dietetici, alla fine siamo davvero a dieta.
“No, non lo sapevo e ho una fame della madonna, non mangio a sufficienza nel regime carcerario di tua madre.”
“Non dirmelo. Pensa che oggi dovrò andare a provare l’abito da sposa e poi a scegliere delle stupide bomboniere.”
Lui sbuffa.
“Io vado a provare il vestito con Tom, che mi prenderà un sacco per il culo e poi vado a dare un’occhiata ai fiori con mia madre.”
“Domani dobbiamo a cercare un ristorante in cui ci stia tutta questa gente, che sia bello e magari economico.
Che penitenza! Cioè, Mark ti amo e tutto il resto, ma questo matrimonio mi sta facendo impazzire.”
“Anche a me, non vedo l’ora che arrivi la prima notte di nozze. Andiamo in Giamaica e nostro figlio rimane da tua madre.”
“Sarà bellissimo!”
Esclamo sognante, poi decido di lasciar perdere e mi vesto di malavoglia. Indosso una felpa larga, degli shorts di jeans neri, un po’ sfilacciati e le all star, mia madre mi sta facendo sentire una balena ultimamente.
“Non sono una balena.”
“Hai ragione, non ha né pinne né sfiatatoio.”
Mi risponde Mark rimediandosi un calcio negli stinchi prima di uscire di casa, sono già di pessimo umore e con l’autostima sottoterra, non c’è alcun bisogno della sua ironia.
Arrivo al negozio di abiti da sposa fradicia perché durante il percorso si mette a piovere e questo ki rende ancora più aggressiva e di malumore, mia madre mi aspetta tranquilla sotto il suo bell’ombrello fuori dal negozio.
“Ciao, Ruby!”
“Ciao, mamma!”
“Pronta per le prove?”
“Sì, pronta come si sentì certamente pronta per la ghigliottina Maria Antonietta di Francia.”
“Suvvia, non esagerare!”
Entriamo nel negozio e veniamo subito arpionate da una commessa bionda, tacco 15 e unghie laccate di rosso: un’esemplare perfetto di iena.
La tizia – intuito che siamo messicane – cerca di rifilarci gli abiti più terribili che secondo lei sono in accordo con la nostra tradizione.
Al decimo abito orribile probabilmente le mie intenzioni omicide mi si leggono in faccia perché ci lascia stare e corre da un’altra cliente.
“Per fortuna ci ha mollate! Adesso me lo cerco io un abito adatto, e che cazzo!”
“Ruby, io ti sug…”
“NO! Faccio da me!”
Urlo facendo voltare le nuove clienti e facendo irritare mia madre, a cui ho tolto la facoltà di parola con una sola frase.
Inizio  a gironzolare per il negozio, guardando i vari abiti, soppesandoli con lo sguardo, alla ricerca di qualcosa che mi colpisca.
Finalmente lo vedo.
Ha un corsetto bianco, stretto da laccetti e con un’ampia gonna.
“I lacci li metterai blu.”
Sibila mia madre.
“Ok.”
Chiamiamo la commessa per vedere come mi sta, lei mi guarda leggermente sorpresa e poi ci accompagna ai camerini.
Io lo provo e non appena me lo vedo addosso nello specchio sento che è l’abiti giusto per me: a metà tra l’essere una principessa e l’essere una strega.
“Questo è perfetto!”
Mia madre annuisce e la commessa si dà da fare con il metro da sarta e gli spilli per adattarlo alle mie misure.
“Signorina, lei è in forma fantastica!”
“Il mio personal trainer ha imparato l’arte di imporre la disciplina da Hitler in persona.”
Mia madre fa una smorfia strana, ma non dice nulla.
Proviamo il vestito e mia madre parla un po’ con la commessa, penso fissi altre prove, pi mi trascina in un negozio di bomboniere per cercare quella più adatta a noi?
Avrà mai fine questo incubo?

Angolo di Layla

QUESTO NON E' L'ULTIMO CAPITOLO, E' IL PENULTIMO!

Tornando al resto ringrazio DeliciousApplePie per la recensione, siamo quasi alla fine, grazie di essere arrivata fin qui.

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Capitolo 39
*** Epilogo 3: il mio strano matrimonio messicano. ***


Epilogo 3: il mio strano matrimonio messicano.

 

La notte prima del matrimonio è solitamente piuttosto agitata e la mia non fa eccezione.
Ieri c’è stato l’addio al celibato organizzato da Erin e quella deficiente ha fatto uscire uno spogliarellista vestito da coniglio dei blink da una torta di panna.
Avrei voluto ucciderla da quanto ero imbarazzata, come faccio ad avere una sorella così scema a volte?
Misteri della genetica.
In ogni caso sono le tre di mattina, la sveglia suona tra tre ore e io non mi sono ancora addormentata nonostante la tisana calmante e la valeriana che ho preso.
Ascolto i rumori della casa: il respiro calmo e pesante di Mike che dorme, il respiro del cane che dorme sul tappeto e le leggere fusa che fa il mio gatto nella parte di letto che solitamente occupa Mark. Il mio futuro marito oggi dorme da Tom per rispettare la tradizione che dice che porta male vedere l’abito da sposa prima del matrimonio.
Ho dovuto fare numeri da circo per evitare che lui lo vedesse, di natura è curioso come una scimmia e le cose proibite lo rendono ancora più voglioso di scoprirle.
Ce l’ho fatta e solo questo conta, almeno credo.
Adesso vorrei solo addormentarmi, cerco di rilassarmi il più possibile e finalmente sento che sto scivolando in una grato oblio.
Nemmeno cinque minuti dopo – o almeno a me sembra così – un corpo si abbatte sul mio, per un riflesso condizionato reagisco rifilando un calcio all’invasore che si rivela essere mia sorella.
“Madonna, che modo hai di accogliere le persone!”
“Carino, quanto il tuo di svegliarle!”
Lei si massaggia poco elegantemente il sedere e poi mi trascina in cucina. Mia madre mi dà una dose generosa di caffè e pochi biscotti.
Fortuna che da domani potrò ritornare a mangiare normalmente perché la  dieta che mamma ci ha imposto somiglia pericolosamente a quella dei campi di concentramento.
Dopo la colazione mi faccio una doccia e poi inizia la vestizione dell’eroina, mi metto l’abito che ho comprato con i lacci blu come ha ordinato mia madre.
“Adesso passiamo al resto”
Mi fa indossare degli orecchini con dei diamantini che ho preso ieri, mi mette addosso la sua collana di perle ed Erin mi regala un anello con una pietra di luna.
“Adesso sei protetta dal malocchio, ora spero che Skye si muova ad arrivare perché i tuoi capelli hanno bisogno di lei.”
Io guardo male la mia gemella.
“Che significa?”
“Che variare dal solito liscio a qualcosa di più mosso non ti farebbe male.”
“Se lo dite voi.”
Poco dopo arriva Skye, ci abbracciamo e poi lei mi squadra con occhio professionale.
“Sì, qualche onda non starebbe male in questi capelli. Fortuna che l’hobby della parrucchiera.”
Mi fa sedere e poi attorciglia una  delle mie ciocche intorno a un bigodino fino a che la mia testa non è piena di quei così e io mi sento mia nonna.
“Adesso è il mio turno!”
Esclama mia sorella, lei è stata destinata al trucco.
“Niente di troppo eccessivo, Erin. Mi raccomando.”
Lei annuisce e inizia a stendere il fondotinta, non ho idea di dove ne abbia trovato uno così chiaro e che si adatti alla mia pelle da cadavere.
Poi si dedica agli occhi: matita, un ombretto grigio e del mascara.
Mi guardo allo specchio, il trucco ha una sua personalità, ma non è eccessivo, come tocco finale ci mette un rossetto rosso fuoco.
Dopo un po’ Skye mi toglie i bigodini e pettina i boccoli in una coda alta da cui lascia uscire solo delle ciocche davanti.
Mi mette il velo con i fiori e poi mi guarda con gli occhi lucidi.
“Stai benissimo! Non vedo l’ora di sposarmi anche io, spero che Dave me lo chieda prima o poi!”
“Magari te lo chiederà, però è davvero stressante preparare un matrimonio.”
Lei annuisce comprensiva e vagamente incredula.
“Beh, è arrivato il momento di andare in chiesa. Chi ti accompagnerà?”
“Mio nonno, che, anzi, dovrebbe essere già qui.”
Ci guardiamo attorno ansiose, poi sentiamo la porta d’ingresso aprirsi e mio nonno fa la sua comparsa con un sigaro in mano.
“Scusate, mi sono perso, comunque sono qui.
Sei bellissima, tesoro!
Mi ricordi tanto tua nonna il giorno in cui l’ho sposata.”
Mi porge il braccio, ma un improvviso “ehm ehm” di mia madre ci fa voltare verso di lei.
“Adesso noi finiamo di prepararci, poi andiamo in chiesa e quando siamo lì vi chiamo, solo allora potrete partire.”
“Va bene, Irina.”
Risponde mite mio nonno, mia madre annuisce e se ne va.
“Sei bellissima, ti senti davvero pronta a questo passo?”
“È quello che desidero, forse è quello che ho sperato inconsciamente fin dalla prima volta che l’ho visto.”
“È un bravo ragazzo, si è preso cura di te e di Miguel.”
Mio nonno chiama così mio figlio e a me va bene così.
Tra noi si crea un silenzio e io penso a tante cose: al nostro primo incontro.

{Apro la porta e vorrei non averlo mai fatto, visto che ho una visione in primo piano  del culo del suo ragazzo prima di scollegare del tutto il cervello e mettermi a urlare come una pazza.
"MA VOI SIETE DELLE BESTIE! STATE SCOPANDO SUL MIO LETTO! IO VI UCCIDO!!”
Sto per mettere in atto le mie minacce quando due braccia mi afferrano e, da come si capovolge il mondo, temo che mi carichino sulla schiena del loro proprietario.}

A quando ci siamo messi insieme.


{Quello che faccio dopo non è premeditato, è puro istinto, visto che mi lancio ad abbracciarlo praticamente sull’orlo di una crisi di pianto.
“NO! NON DIRLO!
Io… tu mi interessi! Santo cielo, non so come fartelo capire o spiegare.
È vero che all’inizio ti detestavo, odiavo trovarti sempre tra i piedi quando volevo stare da sola, ma poi ho iniziato ad apprezzarlo. Ho capito che avevo bisogno di qualcuno che mi stesse attorno, perché da sola stavo affogando e non lo sapevo nemmeno.
Siamo diventati amici e poi è successo qualcos’altro: mi sei diventato indispensabile.
Capisci? Indispensabile.
Forse non è stato nemmeno casuale che diventassimo amici, forse avevo solo paura che diventasse da subito qualcosa di più, volevo controllare tutto, ma certe cose non si controllano e basta.
La verità è che mi sei indispensabile da tanto mi piaci poco ed è per questo che agisco in modo strano, con Tom sono più socievole perché non mi interessa se non come amico.
Tu sei diverso.
Adoro i tuoi occhi, adoro il modo in cui riusciamo a fare gli scemi insieme, adoro il tuo sorriso e – cosa più importante – adoro sentirti ridere.
La tua risata mi fa svoltare la giornata e mi mette sempre di buon umore.
Non so come ci riesci, è il tuo miracolo personale.
Forse ho fatto questo lungo discorso senza senso per farti capire che mi interessi e..”
Mi fermo un attimo, senza fiato.
“E che sono irrimediabilmente persa per te, ti amo.”
Il silenzio che si crea dopo la mia dichiarazione si taglia con il coltello, lui non emette nemmeno un suono e percepisco che sta persino trattenendo il fiato.
Forse sarebbe stato meglio se fossi stata zitta, forse è troppo presto o i ragazzi non vogliono sentirsi dire queste parole.
Lui si volta e mi guarda negli occhi con uno sguardo indecifrabile, a metà tra il sospettoso e l’incredulo.
“Ripetilo.”
“Ti amo.”
Mi bacia e poi mi guarda di nuovo.
“Dillo di nuovo.”
“Ti amo.”
Mi bacia di nuovo e ripete il giochetto per un po’ di volte, fino a che la lastra di ghiaccio che si era formata nella mia pancia non si scioglie.
Sento la felicità che sale a ondate – a ogni bacio, a ogni suo sorriso, ogni volta che vedo la sorpresa lasciare spazio alla felicità nei suoi occhi – e sorrido contro le sue labbra.
“Ti amo anche io e scusa se sono stato così cretino da pensare che ti interessasse Tom.}

Alle follie.

{Io lo guardo perplessa, ma eseguo. Le mie gambe sono strette attorno a suo bacino, le mani sono ancorate dietro al collo e lui mi tiene strettissima.
Mi chiedo cosa diavolo abbia in mente.
Senza preavviso inizia a correre e poi spicca il volo, lanciandoci nel cielo notturno, verso la grande luna bianca.
Urlo come una matta quando iniziamo a cadere, tutto quello che mi aspetto è di sentire i nostri corpi schiantarsi a terra, tra le urla dei presenti e il rumore delle nostre ossa che si rompono.
Invece sento un gran tonfo e mi ritrovo circondata da un’oscurità azzurra: siamo in piscina.
Abbiamo saltato dal tetto per  tuffarci in piscina!}

Alla distanza.

{Io sono a un passo dallo scoppiare a piangere.
“Anche tu mi manchi. San Diego, Tijuana, ovunque fa schifo senza di te. Vorrei essere lì per consolarti e prendere a calci tua zia.”}

Alla mia fuga.

{ Io non dico nulla, lei prosegue verso l’aeroporto, mi lascia  sulla porta delle partenze internazionali, scarichiamo le valigie e poi se ne va. È troppo arrabbiata per salutarmi decentemente.
Faccio il check-in e tutte le operazione necessarie come un automa, solo quando l’aereo inizia a prendere quota mi rendo conto di quello che ho fatto. Mark a quest’ora sarà arrivato a casa e avrà letto il biglietto.
Non ci crederà, vagherà per tutte le stanza e poi chiamerà Erin che gli confermerà tutto.
Dio, che bastarda che sono!
Lo faccio per il suo bene, questo è il mantra che mi ripeto mentre l’aereo mi porta dall’assolata California alla piovosa Londra.}

A Mickey.

{ “Fa attenzione, è tanto piccolo. A volte ho paura di fargli del male.”
Lui annuisce e lo prende in braccio con attenzione, Michael lo scruta un attimo e poi gli sorride e si attacca a una delle dite di Mark emettendo strani versetti.
“Mi ha riconosciuto! Ciao Mikey, sono il tuo papà! Ciao!!”
Lui gorgoglia tutto felice.}

“Ruby, andiamo!”
Seguo mio nonno, lasciando indietro i ricordi.

 

La lunga marcia nuziale annuncia il mio arrivo, io percorro la  navata al braccio di mio nonno,
Arrivata all’altare, Mark mi sorride e poi ci voltiamo verso il prete.
Lui ci sorride e inizia a celebrare il matrimonio, io lo ascolto poco a causa dell’emozione, mi rianimo solo alle promesse nuziali.
“Vuoi tu, Mark Allan Hoppus, prendere la qui presente Ruby Maria Ferreira come tua legittima sposa e amarla e rispettarla nella gioia e nel dolore fino a che morte non vi separi?”
“Lo voglio.”
“Vuoi tu, Ruby Maria Ferreira, prendere il qui presente Mark Allan Hoppus come tuo legittimo sposo e amarlo e rispettarlo nella gioia e nel dolore fino a che morte non vi separi?”
“Sì, lo voglio.”
“Potete scambiarvi le fedi.”
Le dita di Mark tremano mentre infila l’anello sul mio indice e le mie non tremano di meno mentre metto l’anello a lui.
“Vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.”
Mark sorride e ci baciamo impetuosamente, poi usciamo mano nella mano seguiti dagli altri, veniamo bersagliati dal solito lancio del riso, poi Tom artiglia il mio braccio.
“Adesso andiamo a mangiare, vero? E sarà un buon ristorante!”
“Tom, hai passato da un pezzo il periodo della crescita, come fai ad avere così fame?”
Lui alza le spalle, come se l’argomento non lo preoccupasse particolarmente.
“Non lo so, ma ho fame e ne ha anche Anne. Anne ha sempre fame.”
“Ci credo!”
Esclama mio marito.
“Si porta in pancia tuo figlio e ci metto la mano sul fuoco se non ha sempre fame come te!”
Tom ride, Anne si porta accanto a lui: la sua pancia è bella grossa dato che partorirà tra meno di un mese.
“Congratulazioni, ragazzi! Siete bellissimi!”
Si asciuga qualche lacrima residua.
“Quando si mangia?
Ho una fame assurda!”
Tom ci lancia un’occhiata significativa e scoppiamo tutti a ridere.
“Beh, che c’è?”
“Niente, Anne, niente! Adesso si va a mangiare.”
Io e Mark saliamo in macchina continuando a ridere, indubbiamente Anne si porta in grembo il figlio di Tom, da grande avrà seri problemi a pronunciare le parole correttamente.
“Sei felice, Ruby?”
“Sì, e un po’ affamata. Non sono riuscita a mandare giù granché stamattina a colazione.”
“Ah, nemmeno io. Avevo paura di fare qualche figuraccia davanti al prete.”
“E domani saremo in Giamaica! Chissà se Tom tratterà bene mio figlio?”
Lui sbadiglia.
“Non ti preoccupare, l’ho minacciato abbastanza.”
“Bene!”
Io mi accoccolo contro il suo petto e mi tolgo le scarpe, Mark mi guarda curioso.
“Fanno male, ho i piedi che minacciano una cancrena per staccarsi dal resto del corpo ed essere liberi.”
Arriviamo al ristorante e veniamo sommersi da un’orda di parenti che si congratula con noi, tre quarti non li abbiamo mai nemmeno visti, ma ci trattano con estrema familiarità.
Finalmente entriamo nel locale e ci possiamo sedere, al nostro tavolo ci sono: nostro figlio, Tom e Anne, Travis e Melissa, Erin e Matt,Hayley e Jack, i genitori di Mark, mia madre, i miei nonni e zio Ramon con la sua compagna.
“Quando si mangia?”
Chiedono in coro Anne e Tom, mia madre li rassicura dicendo che presto arriveranno gli anti pasti e, in effetti,poco dopo ci vengono serviti salumi, bruschette, gamberetti, voul au vent al formaggio e ai
funghi, pizzette.
I due ci si buttano sopra come due reduci dal Sahara, mia madre li osserva con aria di disapprovazione.
“Tom ha sempre fame, Anne è incinta.”
Cerco di spiegare io, lei sospira.
Il resto del pranzo si svolge normalmente o almeno secondo lo standard dei blink: mangiano molto, chiacchierano molto, fanne molte battute sconce che fanno sbellicare dalle risate zio Ramon.
“Ragazzi, dovete dirmi come si chiamano i vostri cd, ve li compro tutti!”
Tom glieli elenca senza scomporsi.
“Ma come fa una persona come a essere il fratello di ehm, una persona così volitiva come la madre di Ruby?”
“Ah, ti chiedi come mai non sono un novello Hitler come mia sorella?”
“RAMON!”
“Beh, è la verità Irina, sei rigida come una sequoia! Comunque non lo so, credo di somigliare a mio nonno e lei somiglia alla nonna.”
“Capisco.”
Mia madre scuote la testa  e borbotta qualcosa di incomprensibile, poi riprende a mangiare il suo riso al radicchi con aria di sussiego.
Finiti anche i secondi arriva il momento che temo di più, ossia i discorsi degli invitati, cosa diavolo diranno quei matti?
La prima ad alzarsi è mia madre.
“Devo dire che all’inizio non credevo minimamente in questi due ragazzi. Pensavo che Mark fosse un teppista che volesse  rovinare mia figlia, fortunatamente mi hanno fatto ricredere.
Auguro loro tanta felicità e di divorziare il più in là possibile.”
“MAMMA!”
“Che c’è? Il divorzio non è una cosa poi così rara!”
Io scuoto la testa, poi vedo con orrore che il prossimo che prenderà in mano il microfono sarà Tom, altro imbarazzo in arrivo!
“Io questi due li conosco fin dal liceo. Prima Mark e vi garantisco che prima di conoscere Ruby era una vera lagna, voleva una ragazza seria e non la trovava mai.
Ci siamo stupiti tutti quando ho scelto Ruby perché era la strega della scuola. Una di quelle vestite di nero, che non parlano e trucidano tutti con lo sguardo.
Ruby era così e pensavano che fosse impazzito quando ha iniziato a interessarsi a lei.
Beh, probabilmente non lo era affatto, aveva solo visto più in là di noi, intravvedendo la splendida ragazza che siede al mio tavolo.
Pensavo che non avrebbero resistito, ma invece mi sbagliavo, Mark ha finalmente trovato la sua metà e anche Ruby.
Non è commuovente?
Tanti auguri, ragazzi!”
“È commuovente la fiducia che davate alla nostra storia!”
Esclamo io piccata.
Adesso si alza mia sorella.
“Non dirò molto, sono molto felice che mia sorella abbia trovato qualcuno da amare. Per tanti anni ho temuto che fosse troppo piena di rabbia e cinismo per aprirsi a qualcuno.
Il miracolo invece è successo tanto tempo fa e io ho subito capito che sarebbe durata, non ho mai avuto un solo dubbio su di loro.
Gli auguro di vivere insieme una vita lunga e felice.”
Io applaudo commossa, l’ultima ad alzarsi è mia nonna.
“Mia nipote ha già detto tutto. Sono felice che lei si sia aperta all’amore e che l’abbia fatto con un bravo ragazzo come Mark.
Vi auguro tutta la felicità del mondo!”
Io le sorrido grata, finalmente qualcuno che non dà come miracolo il fatto che io mi sposi con Mark!
“Adesso, cara, c’è il taglio della torta!”
Mi ricorda mia madre, il che significa tagliare una stupida torta e farsi fotografare con una miriade di persone che tu nemmeno conosci.
Io e Mark ci alziamo, ci piazziamo ai lati della grande torta nuziale e insieme tagliamo la prima fetta tra i flash delle macchine fotografiche, poi parenti e amici vengono da noi per una foto.
Una mezz’ora dopo Mark si sta divorando una razione doppia di torta e io mangio con gusto la mia, il vestito tira già impietosamente sulla pancia, non voglio che esploda davanti a tutti.
Quando finalmente è finita Mark si stiracchia sulla sedia e allunga le gambe, imprigionando le mie.
“Non vedo l’ora di andare a casa!”
“Ma come?”
Esclama scandalizzata mia sorella.
“Non volete sentire il gruppo che ho noleggiato?”
Mark scuote la testa.
“No, domani abbiamo l’aereo presto per la Giamaica e un figlio che non vedremo per quindici giorni, voglio salutarlo stanotte.”
Mia sorella mette il broncio, ma poi si rassegna e ci abbraccia.
“Buona luna di miele e non tornare con un  altro figlio!”
Mi sussurra in un orecchio.
“Per quello devi aspettare almeno un altro anno, ora è presto.”
Io e Mark – dopo aver recuperato Mickey da Matt – ce ne andiamo finalmente dal ristorante e ci dirigiamo casa nostra. Mark ha messo i blink, Mike li ascolta – o così ci piace pensare – dal suo seggiolino e una leggera brezza entra dai finestrini abbassati.
Sto benissimo ed erano secoli che non mi sentivo così, è come se Mark e io avessimo passato l’ultimo esame come coppia, anche se so benissimo che non è così.
Arrivati a casa, Mark parcheggia la macchina in garage e io prendo in braccio mio figlio, è così bello.
In camera nostra, dopo aver messo il piccoletto sul letto, ci mettiamo comodi e ci sdraiamo accanto a Mike.
“È così bello.”
“Hai ragione, abbiamo fatto un buon lavoro.”
“E continueremo a farlo.”
Mormora prima di addormentarsi abbracciando nostro figlio, io li guardo per un po’, commossa, poi le mie palpebre iniziano a farsi pesanti.
Mi lascio cadere e abbraccio Mickey e Mark, cadendo tranquilla nelle braccia di Morfeo.
I prossimi anni non saranno facili, ci saranno di sicuro dei problemi, guai e momenti no, ma noi li sapremo superare insieme, come abbiamo sempre fatto.
Ho sempre avuto paura del futuro perché non sapevo a chi appoggiarmi quando le cose sarebbero andate male, ora lo so e la mia paura è svanita.
Grazie per esserti preso cura di me, Mark e ti prego di continuare a farlo.
Con questo pensiero in testa so che ora posso affrontare tutto.
Buona vita, Ruby!

Angolo di Layla

E siamo arrivati alla fine ç.ç . Spero di non avervi deluse, comunque su questa fiction sono in arrivo 3 one shit missing moment.

Alla prossima.

Ringrazio DeliciousApplePie per la recensione.

Ringrazio chi l'ha messa nelle preferite, ossia:

BornToDie_
Carousel
DeliciousApplePie
Destroyer Cactus
_FeelingThis_xx
_Giuls

Ringrazio chi l'ha messa tra le seguite, ossia:

Alyseah
Destroyer Cactus
itsmarti_
itwasworthallthewhile
LostinStereo3
MissPunkRockerGirl
Niyra V
Victoria Blood

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