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di Allyn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il momento più giusto [LilyxJames] ***
Capitolo 2: *** Quando Hermione si sentì stupida [HermionexRon] ***
Capitolo 3: *** Negli occhi di Harry [HarryxGinny] ***
Capitolo 4: *** Bello [Bill/Fleur] ***
Capitolo 5: *** La sua speranza [Lupin/Tonks] ***
Capitolo 6: *** Grazie [Harry/Ginny] ***
Capitolo 7: *** Sotto il loro cielo stellato [Silente/Grindelwald] ***



Capitolo 1
*** Il momento più giusto [LilyxJames] ***


Il momento più giusto

 

Lily Evans guardò la sua immagine riflessa nel grande specchio ovale, la cornice un po’ sciupata dal tempo.

Sorrise a quella ragazza esile dagli occhi di smeraldo e dai capelli rosso fuoco, le guance piene, rosee di gioventù e grandi promesse. Si strinse le mani al petto, quasi a voler calmare quel cuore che sembrava voler scoppiare o uscirle dalla gola per prendere il volo.

Se non avessero avuto paura forse avrebbero aspettato.

Se nel’aria non ci fosse stato quel terribile odore di morte, forse quel riflesso nello specchio sarebbe appartenuto ad una donna e non ad una ragazza.

Era sicuramente troppo giovane per indossare quell’abito bianco, quelle scarpette alte, laccate, e quei fiori pallidi, così timidi in quella morbida chioma cremisi, eppure sapeva che non vi era momento più giusto nell’irrefrenabile scorrere del tempo, per compiere quel passo.

Chiuse gli occhi, immaginando di trovarsi già là, al sicuro tra le sue braccia, carezzata da quelle mani un po’ ruvide e nodose che tanto amava. Gli avrebbe scompigliato la già ribelle chioma scura, si sarebbe affidata a quegli occhi caldi, trincerati dietro quelle immancabili lenti sottili, a quel sorriso un po’ strafottente e borioso, perché sapeva, che James Potter, era l’uomo giusto, il suo compagno di battaglie, il suo futuro e la sua speranza.

Un sogno luminoso, nell’oscura realtà creata da quel mago di cui la gente temeva anche solo il nome.

E lei l’avrebbe combattuta anche così, quell’oscurità, con quel vestito bianco indosso, fiera, avrebbe scommesso nel futuro, non avrebbe lasciato che quella minaccia nera spegnesse la possibilità dei giorni felici, la gioia di un amore che era stanco di bacchette e sangue, di incantesimi e di verdi lampi di morte. Per un giorno avrebbe vissuto come se ci potesse essere un domani certo, come se nessuna minaccia incombesse sulle loro vite.

Sorrise un’ultima volta al riflesso di quella ragazza troppo giovane per quel vestito e per quelle scarpe, e si convinse, con il cuore colmo di gioia, che non vi sarebbe mai stato momento più giusto per sposare James.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Quando Hermione si sentì stupida [HermionexRon] ***


Quando Hermione si sentì stupida

 

Quando li vide per poco non spezzò la bacchetta, poi la rabbia scomparve, e a vincere furono le lacrime.

Fuggì in fretta e furia dalla stanza, cercando di cancellare dalla mente il volto di Ron e le sue labbra troppo indaffarate a baciare quelle di Lavanda.

Si sentiva stupida, e neppure essere la migliore strega della scuola avrebbe potuto dimostrarle il contrario. Lei, Hermione Granger era la strega natababbana più stupida di tutta Hogwarts.

Se lo ripeté più e più volte, mentre una schiera di colorati e vivaci canarini volteggiava per la stanza e poi sopra la sua testa cespugliosa.

Avrebbe fatto quello che le riusciva meglio, avrebbe continuato per la sua strada senza quel sorriso un po’ sghembo, senza quei capelli rosso carota a rallegrarle le giornate, o quelle battute inappropriate a farla sorridere.

Eppure sapeva che sarebbe stato tutto molto più triste.

Che neppure l’abbraccio di Harry avrebbe potuto consolarla, neppure  il suo verde sguardo di ammirazione di fronte a quel futile incantesimo.

Avrebbe voluto piangere per ore intere, ma non poteva, non davanti Harry.

Sospirò rattristata, poteva solo arrendersi all’evidenza dei fatti, Ronald Weasley era un’idiota, e lei lo era ancor di più per essersi illusa, e di cosa poi? Non sapeva neppure spiegarselo, e questo la fece sentire ancora più stupida e arrabbiata.

Ma la stoccata più crudele arrivò pochi minuti dopo, accompagnata da uno schiamazzo fastidioso e da infantili e complici risatine.

Ron e la sua chioma infuocata, le dita lunghe strette a quelle di Lavanda.  Il ragazzo evitò il suo sguardo e parlò solo con Harry, quasi fosse stata invisibile, seduta su quella vecchia cattedra e circondata da una vorticante aureola di uccellini dorati.

Sentì la rabbia crescere ed esplodere, e se doveva esser così stupida, decise che lo sarebbe stata fino in fondo.

Oppugno” La bacchetta puntata contro Ron, un ghigno folle sul volto.

Gli uccellini si schiantarono rabbiosi contro il ragazzo, beccandolo e graffiandolo ovunque.

Hermione strinse con forza la bacchetta tra le dita, e uscì dalla stanza, le lacrime a pungerle gli occhi.

Che si fosse veramente innamorata di quello stupido? Se lo chiese più volte, mentre correva il più lontano possibile da quell’aula.

 

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Capitolo 3
*** Negli occhi di Harry [HarryxGinny] ***


Negli occhi di Harry

Ginny sapeva, aveva sempre saputo chi fosse Harry Potter, eppure le era sempre sfuggita quella tristezza mal celata negli occhi verde smeraldo. Lei che era cresciuta circondata dall’amore confusionario dei suoi tanti fratelli, di quella madre un po’ paffuta e di quel padre allampanato. Al sicuro tra le mura scalcinate della tana, libera di giocare nel suo giardino infestato dagli gnomi bitorzoluti.

Fino a quel momento, fino a quell’addio sofferto, a quel saluto.

Aveva letto in quegli occhi tutto il dolore, tutto il peso di una responsabilità troppo grande per quel ragazzo tanto magro e dai capelli in disordine.

Perché Harry, alla fine era anche questo per lei, oltre che il prescelto, il bambino sopravvissuto, Harry Potter era il ragazzo pieno di energie che volava come un turbine a cavallo della sue Firebolt, Harry Potter era il mago che alla fine della partita di Quidditch l’aveva baciata davanti a tutti riempiendole il cuore di gioia, Harry era l’impacciato sedicenne che le sbottonava la camicia nei boschi di Hogwarts, che le baciava il collo, che con quegli occhi verdi pieni di speranza e di amore, le contava ogni singola lentiggine sul suo naso dritto, sulle guance arrossate, per un istante lontano dall’orrore, ma vicino a lei, al suo corpo esile e chiaro, le mani tra i suoi capelli rossi, sulla sua pelle.

Ginny capiva, adesso che non era più una bambina, capiva il peso di quel nome, e non avrebbe detto niente, non avrebbe pianto davanti al suo viso pallido e a quegli occhi troppo antichi per quei troppi pochi anni, non gli avrebbe dato altro dolore, o altri pensieri.

Sarebbe stata la sua colonna, se mai avesse voluto essere sorretto, sarebbe stata il suo rifugio sicuro, se mai avesse voluto tornare tra le sue braccia, baciarla come quei pochi e segreti pomeriggi felici.

Ginny per lui non sarebbe stata una catena, o l’ennesimo peso da sostenere, sarebbe stata la calda casa dove tornare dopo la guerra, quella guerra che il suo nome gli imponeva.

E sorrise, quando le prime lacrime solitarie le rigarono il volto, sorrise, certa che Harry ,sarebbe tornato per stringerla ancora una volta, il verde degli occhi libero dalla tristezza, ora sereno, pieno solo di amore e di desiderio.

Lei sarebbe stata forte, per entrambi.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Bello [Bill/Fleur] ***


Bello

“Spegni la luce” Sussurrò Bill, baciandole il collo, poggiando le labbra su quell’incanto vellutato che era la sua pelle.

La ragazza lo accontentò, in un attimo nella stanza calò una penombra pesante, che le permetteva a malapena di scorgere il profilo di quel naso, di quelle labbra e di quegli occhi che tanto amava.

“Perchè?” Domandò lei con un filo di voce, ma Bill la zittì con un altro bacio, le loro labbra collisero prima con dolcezza e poi con forza, con una foga che lei non ricordava, la foga di chi era sopravvissuto, di chi anche con un bacio gridava la sua vittoria contro la morte.

Bill sembrava affamato, disperato, mentre le sganciava la camicetta, mentre quasi si strappava la maglia di dosso, mentre gettava i loro ultimi indumenti sul pavimento e le saliva sopra sul letto sfatto.

Per un attimo ebbe paura che potesse divorarla, e si fermò, improvvisamente intimorita.

Poi comprese.

Passò una mano sul suo volto, carezzandogli il mento segnato, le guance sfregiate, sentendo sotto le dita ogni singola cicatrice; ne percorse il profilo irregolare, fino a scendere sulla spalla e su quelle braccia che non avevano smesso di stringerla, adesso con più tenerezza.

 Bill respirava piano, la fronte premuta contro quella di Fleur.

Due lacrime le caddero sul viso, scivolandole sulle guance.

“Bill...” Lo chiamò in un sussurro.

Il ragazzo non rispose, si limitò a darle un bacio umido di pianto, per poi accoccolarsi sul suo petto.

“Credi veramonte di non essere più bello per moi?” Gli chiese carezzandogli i lunghi capelli rossi.

Lui non le rispose, si limitò ad ascoltare il suono regolare del suo cuore, quasi in cerca di un battito traditore.

“Io ti amo, Bill” Mormorò lei alzandogli il volto con le mani, costringendolo a guardarla anche in quella penombra.

“Tu sei bellissima,e io...” Rispose lui, abbassando lo sguardo, pensando al suo viso deturpato, a quei segni che sarebbero rimasti per sempre indelebili sulla sua pelle spruzzata di lentiggini.

La ragazza si portò sopra di lui, baciandogli la fronte, percorrendo con le labbra ogni singola cicatrice, portando le sue mani sui suoi fianchi esili, aggraziati, lasciandosi afferrare.

“Anche tu sei bellissimo, Bill” Mormorò in un sospiro appagato, mentre si fondevano assieme.

“Non è cambiato niente...” Continuò a ripetergli, mentre lo amava con tutta se stessa, mentre ringraziava il cielo che fosse ancora vivo, gioendo per il calore della sua pelle, e anche per quelle cicatrici, per quel volto che c’era, che era caldo, vivo, anche se segnato.

***

 Bill La abbracciò dolcemente, giocando di tanto in tanto con le lunghe ciocche di un biondo argenteo quasi irreale.

Lei era bella, nuda e perfetta tra le sue braccia. Un giglio pallido, morbido, immacolato. Le guardò il volto addormentato, le labbra dischiuse, gli occhi celati dalle palpebre, le fitte e lunghe ciglia nere gettavano ombre timide sugli zigomi rosati.

Fleur Delacour era la creatura più bella che Bill avesse mai potuto vedere, ed era sua, per sempre.

Si guardò le mani, il petto sfregiato, si sfiorò il volto, riconoscendo le cicatrici lisce, e poi sorrise, ricordando i baci di lei, ricordando i suoi ti amo sospirati, il suo buffo accento francese, e quella luce pallida del mattino che lei aveva atteso paziente, per poterlo guardare, per potergli dire ancora una volta quanto ai suoi occhi, lui, era ancora l’uomo più bello del mondo.

 

Note:

Sperando di essere rimasta ancora nel pallino arancione, ecco qua una  Bill/Fleur    per Soly Dea  , beh, e per tutti voi che avete la pazienza di leggere! Un bacio

Allyn

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Capitolo 5
*** La sua speranza [Lupin/Tonks] ***


La sua speranza

Verdi, rossi, rosa, bianchi, poi ancora verdi, ma questa volta più chiari, più simili alla scorza del limone ancora acerbo; blu notte e poi ancora rosa cicca. Ninfadora Tonks, per gli amici Dora, sorrise, davanti allo specchio, mentre i suoi capelli disordinati si tingevano, a suo piacimento, delle sfumature più stravaganti.

Erano dieci minuti buoni che cambiava il suo stile, nella speranza di trovare qualcosa che le mettesse un po’ d’allegria, ma infine a scatenarle quell’improvviso e dolce moto di  gioia  fu la semplice consapevolezza che lui c’era, che era tornato al suo fianco; aveva capito che non importava, che mai le sarebbe importato, dela sua natura, o del giudizio della gente. Lei lo amava e basta, nel modo più semplice, più naturale che potesse esistere.

Si voltò, abbandonando il riflesso allo specchio e fissò suo marito.

Dormiva da un’ora o poco più, ancora vestito, steso supino sul letto, la bacchetta poggiata sul petto, le dita strette a quel legno sottile anche nel sonno; le profonde occhiaie scure risaltavano sulla pelle pallida, quasi fosse stato malato, e i capelli precocemente ingrigiti gli conferivano quell’aria trasandata che Tonks amava tanto.

Era crollato subito dopo il suo turno di guardia per l’Ordine; Remus Lupin: mago, lupo mannaro, ex-malandrino, e futuro padre del bambino che le cresceva dentro, obbligandola a nascondersi senza poter combattere o fare qualcosa di utile per la resistenza.

Tonks si sedette sul bordo del letto, osservando il profilo smunto del marito e sorrise di nuovo, avvolta in una pesante vestaglia di pile, una pancia accennata, rotonda sotto la camicia da notte. Si portò la mano sul ventre, come a poter accarezzare quel grumo di speranza che le cresceva dentro.

Si immaginò in un futuro prossimo, la guerra finalmente finita, il nemico sconfitto, Remus sorridente, meno pallido, al suo fianco, il loro bambino sulle sue ginocchia, felice, mentre lei mutava aspetto per farlo divertire.

Un calore di speranza le scaldò il cuore, poi il ventre, fino ad arrivare alle punte dei piedi. Si stese accanto all’uomo addormentato, avrebbe combattuto in silenzio, senza poter agitare la bacchetta, avrebbe combattuto credendoci, sperando in quel futuro prossimo, regalando tutto il suo amore a quel bambino e a quell’uomo ora addormentato.

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Capitolo 6
*** Grazie [Harry/Ginny] ***


Grazie

L’uomo era giovane, eppure antico, nello sguardo, nella storia che celava dietro gli occhi verde smeraldo. Camminava nel freddo  e nella leggera nebbia di fine Ottobre, avvolto in un mantello scuro, i capelli scompigliati e ribelli, il viso più affilato, i lineamenti meno dolci, rispetto al ricordo che quelle pietre immobili custodivano della sua figura magra.

La mano della ragazza al suo fianco strinse quella del giovane uomo, in una presa forte e sicura, calda, nel freddo di quel cimitero.

“Sono qui?” Chiese, scostandosi i capelli rossi dal viso spruzzato di lentiggini.

Il moro annuì, chinandosi sulle lapidi, e carezzando le incisioni con le dita affusolate e pallide.

“James e Lily Potter” Sussurrò Ginny, abbassandosi, nonostante la pancia rotonda che le gonfiava la veste scura.

“Mamma, Papà...grazie” Mormorò piano Harry, portando una mano sul ventre della moglie.

“Se siamo qui oggi, è anche grazie a voi...” Parlò sottovoce, forse convinto che i genitori potessero sentirlo, e sorridere, gioire con lui di quei nuovi giorni, di quella libertà conquistata con il sangue e il sacrificio.

Anche Ginny sorrise, dolcemente, poggiando il capo sulla spalla del compagno.

Per un po’ il tempo parve fermarsi, il silenzio tornò a regnare, amico di quelle pietre scure e di quella terra bagnata di lacrime e di pioggia.

“James...” Disse poi lei, decisa.

Harry la guardò con aria interrogativa, gli occhi verdi trincerati dietro gli occhiali rotondi la scrutarono con tenerezza.

“Lo chiameremo James” Spiegò, carezzando prima la guancia del marito, poi la fredda pietra della lapide.

“Grazie” Harry la strinse a sé, gli occhi lucidi nascosti dalle lenti.

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Capitolo 7
*** Sotto il loro cielo stellato [Silente/Grindelwald] ***


Sotto il loro cielo stellato

“Cambieremo il mondo” Mormorò Albus, puntando le stelle con la bacchetta. Un fascio luminoso uscì dalla punta, per librarsi in aria assumendo pian piano la forma di un enorme uccello argenteo. La pallida fenice dispiegò le grandi ali e volò via con eleganza.

“Certo, per il bene superiore...” Gellert sorrise, con quel ghigno allegro che scombussolava il giovane Silente fino alla punta dei lunghi capelli rossicci. Poi si voltò, i ricci biondi a incorniciargli il bel volto magro e un po’ arrogante, eppure incredibilmente affascinante, nel pieno di una giovinezza fresca, come quella sera d’estate, fissò Albus con la stessa intensità con cui questo aveva fissato le stelle poco prima.

Il ragazzo allungò una mano, le lunghe dita affusolate raggiunsero le guance glabre di Gellert con dolcezza, con la voglia di imprimere sui polpastrelli la morbidezza di quella pelle. Le dita di Silente scivolarono dalle guance alle tempie, e poi alla fronte. Amava tutto di quel giovane, il volto pallido, il naso appuntito, la mente brillante e scaltra, l’ingegno e le capacità fuori dal comune, e quella voglia di apprendere, e di sapere, così simile alla sua...e poi...le labbra.

Il cuore tamburellò con forza nel suo petto magro.

Le sue dita indugiarono sugli zigomi del compagno, scesero poi di nuovo sulle guance. Gellert le afferrò con gentilezza e se le portò alla bocca, baciandole piano.

“Al, a cosa hai pensato, prima, per evocare la tua fenice?” Chiese il biondo, le dita di Albus ancora vicine alle sue labbra.

Silente arrossì, protetto dall’ombra scura della notte, chiuse i brillanti occhi azzurri e sospirò, consapevole, Grindelwald conosceva già la risposta.

“A te” Rispose sincero.

Fu un attimo. Gellert allontanò le dita di Silente dalla sua bocca, e unì le sue labbra a quelle del compagno in un bacio dolce, fresco di sera, luminoso di stelle.

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