Lo
so, avevo detto che questo capitolo sarebbe stato incentrato sul
personaggio di Dorcas Meadowes: ma mentre scrivevo sono stata
fulminata da un improvviso desiderio di ''Paciock'',
Nuovo Documento,
a capo,
via... cose che capitano. Dorcas la lasciamo alla prossima puntata,
tanto non mi scappa.^^
Lucia:
non parlarmi del sacrificio dei pedoni... se solo fossero in grado,
mi prenderebbero a sberle per le tattiche kamikaze che adopero. Poco
efficaci, tra l'altro. Grazie mille per i complimenti.
lyrapotter:
ce ne sono fin troppe, a dir la verità, andrò
davvero
giù di matto (tanto per restare in argomento), o da un
analista per depressione, è la stessa cosa. Avevo
già
scritto una shot su Alice e Frank Paciock, e spero sinceramente che
questa ti piaccia. Grazie infinite per i complimenti.
___MiRiEl___:
Grazie mille, spero infinitamente che ti piaccia anche questo scorcio
della tragedia dei Paciock.
SakiJune:
...temo dovrai aspettare un poco per sapere come andrà a
finire la vicenda con Dorcas, chiedo venia!^^ Anch'io adoro Moody
(è
irrilevante, a questo punto... adoro tutti i membri dell'Ordine della
Fenice, Mundungus compreso). I tuoi complimenti mi riempiono sempre
di gioia, grazie, grazie, veramente grazie! (Lo avevo detto che ero
andata nei commenti dell'ultimo capitolo del Diario... ho ripreso un
po' del mio solito contegno, per grazia divina).
Giulia:
sei fortunata, allora!^^ Nonostante, al contrario, io adori Tonks,
probabilmente non comparirà mai più in questa
raccolta... insomma, mi pare che io possa fare a meno di Remus/Tonks,
almeno in questo frangente. Ho apprezzato particolarmente i tuoi
complimenti, forse per il fatto che temo sempre di non riuscire a
trasmettere a parole le scene che si formano nella testa,
perciò
davvero grazie mille. Spero che anche questo sia di tuo gradimento.
fleacartasi:
anch'io mi sono divertita tantissimo a scrivere la scena dei nomi, e
devo ammettere che Nimbus è almeno tredici volte e mezzo
meglio di Harry. Andiamo, siamo sinceri: «Nimbus Potter e la
Camera dei Segreti», «Nimbus Potter e il
Prigioniero di
Azkaban»... suona incredibilmente meglio. *Trick vaneggia di
nuovo e chiede perdono*. Ti ringrazio, dunque, sperando che anche
questo capitolo ti piaccia.
puciu:
ed
io che, non avendo avvertito, potevo perdermi una tua recensione,
cosa dovrei dire? Buona fortuna, se vuoi imparare a giocare a
scacchi. I casi sono due: o io sono un incompetente cronica, o
è
un gioco troppo brigoso per i miei delicati gusti. Davvero nessuno
pensa che Ormerod suoni melodioso? Scherzi? A me piace tantissimo.
SPOILER
HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE
*
*
*
Pezzi
di pazzia
by
Trick
“Si
nasce tutti pazzi. Ma alcuni lo restano.”
(Samuel
Beckett)
*
«E
se non funzionasse?» continuò agitata Alice,
strofinando
convulsamente le mani fra loro e scrutando fra le ombre del giardino.
«E se qualcosa dovesse andare storto? Come facciamo ad essere
sicuri che-»
«Alice,
misericordia, stai tranquilla» cercò di calmarla
Frank,
alzandosi stancamente dalla propria poltrona e avvicinandosi alla
finestra. La donna trasalì appena al contatto gentile delle
mani del marito sulle spalle.
«Santo
cielo, sei tesa come una corda di violino»
commentò
mestamente, socchiudendo con un gesto deciso la tendina color salmone
del loro soggiorno e sospingendo la moglie verso il sofà.
«Stai
tranquilla» ripeté con maggiore enfasi, avvolgendo
con
le proprie mani quelle di lei e tentando di soffocare il nervosismo
che stava lentamente dilaniando anche lui. «Non
può
succederci nulla, abbiamo l'intero Ordine della Fenice a proteggerci,
ricordi?»
«Sì,
ma-»
«È
tutto sotto controllo» la interruppe lentamente.
«Silente
non rivelerà mai dove siamo nascosti».
«Perché
Alastor ha deciso di aumentare la protezione della casa,
Frank?»
domandò per l'ennesima volta lei. «Ti prego,
rispondimi».
Frank
abbassò gli occhi, sconfitto. «Silente... Silente
crede
sia più probabile che Tu-Sai-Chi sia sulle nostre traccie,
piuttosto che su quelle di James e Lily».
Lei
socchiuse gli occhi e fece un grande sospiro. «Cosa glielo fa
pensare?»
L'uomo
scosse il capo. «Non ne ho idea. Ma Silente ha tutta la mia
fedeltà».
L'avrà
per sempre.
*
Lo
sguardo perennemente pungente di Alecto Carrow scrutò
disinteressato il gruppo di studenti ai quali stava ripetendo le
principali motivazioni della naturale supremazia dei Purosangue sui
Babbani.
Inutile
sudiciume.
«I
Babbani non sono nient'altro che una ripugnante massa di stolti
plebei» aveva ribadito nuovamente, «è
necessario
preservare la purezza della magia di padre in figlio e di madre in
figlia, onde evitare che qualche sudicio impostore si approffitti
della nostra eccessiva benevolenza».
Osservò
i visi dei ragazzi davanti a sé, compostamente seduti a
propri
banchi e intenti ad appuntare le sue parole come guidati da un'unica
mano. Su alcuni di loro spiccavano recenti segni di punizioni, lividi
e graffi che – ne era certa – avrebbero contribuito
alla
redenzione delle loro giovani anime, stradicando fino all'ultimo,
frammentato ricordo, i deplorevoli insegnamenti di quello sciocco di
Albus Silente.
Il
vecchio era morto: per quanto i loro acerbi cervelli potessero essere
stati plagiati dalle ignobili fantasticherie di quello schifoso
babbanofilo, ormai, Alecto ne era certa, tutti si erano convinti di
quanto grande realmente fosse la diversità fra maghi e
Babbani. Nonostante la minuta statura e i tratti rotondi del viso, il
naso straordinariamente a punta e l'ingiallito e sadico sorriso della
strega parevano avere un'effetto a dir poco raggelante sugli studenti
di Hogwarts, indipendentemente dalla loro età e dalla loro
provenienza. Da quando Severus Piton era stato nominato Preside erano
trascorsi pochi mesi mesi, ed i risultati che avevano ottenuto in
fatto di discipina e contegno erano incredibilmente promettenti.
Sebbene inizialmente quella banda di mocciosi si fosse rivelata
piuttosto ribelle e poco disposta alla nuova direzione della scuola,
qualche buona randellata era stata più che efficace a
placare
gli spiriti più bollenti.
Alecto
attraversò con passo rapido fra i banchi, lanciando occhiate
minacciose in direzione dei loro appunti.
«Signorina
Brown» intimò ad una ragazza dai lunghi capelli
biondi
seduta accanto alla finestra. A quel secco richiamo della
professoressa di Babbanologia, Lavanda trasalì impietrita.
«Sì,
professoressa Carrow?» pigolò timidamente.
«Come
ho appenta definito i Babbani?»
«Come
una ripugnante massa di stolti plebei, professoressa»
recitò
tutto d'un fiato.
«Molto
bene, signorina Brown».
Proseguì
con un'atteggiamento soddisfatto fra i banchi, controllando che gli
appunti fossero impeccabili e che le nozioni fossero state acquisite
dagli studenti in maniera eccelsa. A discapito di chi continua a
ripetere quanto le maniere forti si dimostrino inutili, si diceva
mentalmente, guarda come abbiamo rimesso in riga questi moscerini.
Momentaneamente
distratta dai complimenti che si stava rivolgendo, non si accorse che
uno dei ragazzi, seduto in uno dei banchi più in fondo
all'aula, aveva alzato con decisione la mano.
*
Immobile
sulla sua poltrona, nel silenzio rassicurante
del proprio salotto, Frank ascoltava Alice cantare.
«All
night, all day, angels watching over you....»
Sorrise,
e ancora una volta, si ritrovò a pensare a quanto davvero
fosse stato fortunato.
«Ti
amo»
sillabò
silenziosamente alla moglie.
«Angels
watching over you»
continuò lei, posando con delicatezza il bambino appena
addormentato nella culla e rimboccandogli le coperte celesti.
Sollevò
gli occhi in direzione del marito, e sorrise.
«Anch'io».
Gli
angeli vegliano su di te, bambino mio.
*
«Non
voglio entrare, nonna» protestò debolmente il
bambino,
seguendo a capo basso la scia del mantello verde dell'anziana strega.
«Per favore, torniamo a casa».
La
strega sembrò non udirlo nemmeno, o più
probabilmente,
lo sentì alla perfezione, ma non diede segno di averlo
fatto.
Procedette nella sua andatura sicura e determinata lungo i corridoi
spogli e soffocanti del Reparto Speciale del San Mungo, salutando con
un cenno sbrigativo del capo un Guaritore dal mento appuntito e
l'aria spossata di cui Neville non conosceva il nome. Si strinse
debolmente nelle spalle e sollevò gli occhi scuri verso la
schiena della nonna.
«Non
mi piace...» mormorò, tirando in su con il nasino
e
assottigliando le labbra per trattenere le lacrime.
«Non
dire nient'altro, Neville» lo riprese bruscamente lei.
«Ho
intenzione di dimenticare ciò che mi hai appena
detto».
Si bloccò davanti ad una porta – quella porta,
constatò amaramente Neville – e rivolse al nipote
un'occhiata severa. «Entra. Non voglio più sentire
sciocchezze del genere».
Dovresti
esserne fiero, Neville.
*
«Ormerod».
«Neville».
«Ormerod».
«Neville».
«Ormerod!»
«Neville,
Frank. Si chiamerà Neville. Fine della discussione».
Frank
Paciock posò con forza la tazzina di caffé sul
tavolo
di legno della loro cucina, e incrociò le braccia con uno
sbuffo rassegnato. «Ormerd è un nome da uomo.
Un nome che lascia il segno».
«Ci
credo» ribatté piccata Alice, strofinando con
maggiore
energia lo straccio con cui stava asciugando i piatti appena puliti.
«Nessuno potrebbe dimenticare un simile abominio. E
antiestetico, anti-musicale e anti...» s'interruppe,
ricercando
rapidamente un aggettivo con cui dare la stoccata finale.
«Anti-Neville»
concluse soddisfatta.
«Anti-Neville?»
ripeté perplesso il marito, mentre un sorriso divertito
intaccava la sua espressione contrita. «Anti-Neville non
è
una parola, Alice».
«Nemmeno
Ormerod, se è per questo. Dovrebbero bandire dal paese i
genitori che affibiano ai figli nomi simili. Per tutti i Troll di
Glasgow, Frank, gli rimarrà per tutta la vita».
«Io
sarei fiero di chiamarmi Ormerod».
Alice
sorrise con aria malefica, appoggiandosi provocatoriamente al tavolo
e guardandolo divertita.
«Già»
convenne, «è una fortuna che tua madre
abbia scelto per te un nome... come posso dire...» disse,
fingendosi pensierosa. «Appropriato».
«Sei
sleale» affermò Frank, improvvisamente indignato.
Alice
inclinò il capo e scoppiò nella risata
spensierata e
cristallina che aveva fatto perdere la testa, diversi anni prima,
all'adolescente Frank.
«Franklin
Benjiamin Junior
è un nome che fa molto ''uomo''...»
continuò lei,
certa che con quel colpo finale avrebbe salvato il bambino che
portava in grembo da un destino di infami prese in giro da parte dei
propri coetani. «Specialmente se chi lo porta ha dovuto
indossare un paio di scarponi rialzati per poter raggiungere
l'altezza minima di cinque piedi e mezzo per poter frequentare
l'Accademia».
«Donna»
la intimò alzando l'indice, «ti proibisco di
immettere
la mia particolare situazione nel discorso che-»
Le
labbra morbide di Alice decisero di soffocare qualunque protesta il
marito avesse in mente di fare. Frank le accarezzò con
dolcezza la guancia paffutta, rispondendo al bacio con la stessa
dolcezza.
«Compromesso?»
propose lui dopo qualche secondo.
«Se
non accantoni l'idea di chiamarle tuo figlio in quel modo osceno, non
sperare di avere contatti con la sua mamma fino al suo tredicesimo
compleanno» ridacchiò Alice. «E quando
dico nessun
contatto, Franklin...»
continuò in un sussurro a malapena percebile, «intendo
nessunissimo contatto di nessunissimo tipo».
Nessun
contatto, Frank.
Nessuna
salvezza.
*
«Professoressa
Carrow?»
Alecto
trasalì, riemergendo improvvisamente alla realtà
della
lezione. Sollevò distrattamente lo sguardo verso il giovane
mago seduto nell'ultima fila, con l'indice alzato verso il soffito e
l'espressione vagamente arrogante, mentre un angosciante silenzio
calava con velocità fra gli altri studenti.
Neville
Paciock,
pensò
la professoressa, lasciandosi sfuggire un ghigno soddisfatto, non
ne hai avuto abbastanza, ragazzino?
«Cosa
c'è, Paciock?»
Detestava
ogni tratto del suo viso rotondo, ogni parola da lui pronunciata
sembrava – ed effettivamente era vero – aver
acquisito nell'arco
di pochi mesi la straordinaria capacità di interrompere le
lezini con domande sempre più impertinenti e sfrontate, di
coinvolgere qualche impulsivo compagno in ogni genere di bravate e,
ultimo ma non meno importante, di innervosirla con quell'irritante
tono sarcastico che caratterizzava ogni sua sillaba. Ciò che
più la disturbava, tuttavia, era che Paciock pareva
completamente consapevole di arrecarle tale fastidio, e
ciononostante, continuasse imperterrito a farlo.
«C'è
un dettaglio della vostra spiegazione che non mi è
completamente chiaro, professoressa» rispose con un sorriso
amabile. «Mi chiedevo se foste così cortese da
aiutarmi
a comprenderlo meglio».
C'era
qualcosa di apparentemente canzonatorio nel suo tono, e ad Alecto non
passò certo inosservato. Tuttavia, lei rimaneva la
professoressa, e lui uno studente dalla pessima, pessima condotta:
decise di lasciar correre – per il momento – in
attesa di
possedere maggiori informazioni sulla base delle quali decidere la
punizione più appropriata. Perché lo avrebbe
punito,
questo lo sapevano entrambi. E lui, maledizione, sembrava non
trovarlo rivelante.
«Cosa
non hai capito?» sbottò stizzita, nonostante non
aspettasse altro che un motivo per mostrare – per l'ennesima
volta
– cosa succede a coloro che osano ribellarsi alle
autorità
istituzionali della scuola.
Gioca
con attenzione le tua carte, giovane Paciock, te l'ho ripetuto una
decina di volte.
Il
sorriso di Neville si allargò ancora di più.
I
tuoi sono finiti male per non averlo fatto, tienilo a mente, sciocco
ragazzino.
«Mi
chiedevo, professoressa» disse, sfoggiando
un sorriso che solo all'apparenza risultava gentile e affabile, in
quanto – e Alecto, Merlino, lo sapeva – non era
altro che la sua
espressione più canzonatoria, «mi stavo chiedendo
quanto
sangue Babbano circolasse nelle vostre vene e in quelle di vostro
fratello».
Le
narici di Alecto Carrow si dilatarono improvvisamente.
Il
resto della classe di Babbanologia trattene il fiato.
Neville
l'aveva fatta grossa, questa volta. L'avrebbe punito come forse non
era ancora arrivata a fare.
Eccome,
se l'avrebbe punito.
*
Con
le gambe ciondolanti sotto la scrivania, il piccolo Neville
continuava ad osservare la foto di quei due estranei che lo zio Algie
gli aveva regalato quella mattina a colazione.
«Sun
is a-setting in the West; angels watching over you, my Love».
Dov'è
il tuo papà, piccolo Neville?
*
«I
tuoi genitori erano persone in gamba, ragazzo».
A
quanto pareva, Neville Paciock non se la sentiva proprio di sollevare
lo sguardo dai vapori evanescenti del liquido bollente che stava
sorseggiando nell'Ufficio del professor Moody. Quello, nel mentre,
continuava ad osservalo con attenzione, quasi volesse indagare fra i
pensieri di quel ragazzo sventurato.
«Lei...
lei li conosceva, professore?»
«Non
lo so, non so dov'è il vostro signore! Non sappiamo
niente!»
Il
volto rotondo di Alice Paciock non aveva mai trasmesso tanta angoscia
e sofferenza come in quest'ultima – definitivamente ultima
– ora. I capelli chiari le ricadono scomposti sulle spalle
incurvate,
celando le lacrime sulle sue gote paffute. Cerca di riprendere fiato,
ma ogni respiro sembra incendiarle i polmoni come se volesse causarne
l'esplosione da un momento all'altro. Porta una mano tremante
all'altezza dell'addome, ma questo, certo, non serve a placare il
dolore lancinante che le pulsa nel petto.
«Non
mentire a noi, donna!» grida Rabastan Lestrange, i capelli
neri
e sudati appicicati sull'alta fronte spaziosa.
«Dov'è
l'Oscuro Signore!?»
«Lei
non sa niente, lasciatela andare!»
Un
tonfo sordo e un gemito sommesso. Alice solleva leggermente il capo,
quel poco che basta per scorgere il viso del marito nella penombra.
È
riverso a terra a pochi passi da lei – eppure a lei sembrano
chilometri – pallido e ansante. Cerca il suo sguardo, ma lui
non
pare in grado di sollevare la testa. Nota qualche macchia rossa
impregnare la polvere della baracca dove erano stati trascinati,
all'altezza del volto di Frank, e si chiede, maledizione, se mai
qualcosa le fosse sembrato più orribile.
«Sì»
annuì bruscamente il mago, «ho avuto il piacere di
conoscerli, tempo fa. Tuo padre era un uomo molto coraggioso, te
l'avranno certamente detto».
«Lei
non sa niente, lasciatela andare!»
Frank
non si accorge nemmeno dell'arrivo del calcio, riesce solo a
coglierne la violenza del colpo e il dolore perforante qualche attimo
dopo. Si accascia a terra, tremante e umiliato, incapace di formulare
pensieri coerenti che non siano indirizzati a lei, a lei che
è
a pochi centimetri da lui e con la quale, tuttavia, non riesce a
comunicare, con la quale non riesce nemmeno a scambiare un'ultima
occhiata. Scappa Alice, vorrebbe dirgli, corri via, ti prego! Ma
Frank è un tipo realista: dove mai potrebbe andare? Non
perde
nemmeno tempo a urlare, a che servirebbe?
«Paciock,
non credi di aver fatto l'eroe abbastanza?»
La
voce di Rodolphus Lestrange gli perfora le orecchie. Un brivido di
vergogna gli attraversa la schiena: come ha potuto permettere che li
prendessero? Come diavolo ha potuto permettere che prendessero anche
Alice?
«Va'
aill'inferno» è tutto quello che riesce a
pronunciare.
Parole
vuote le sue, Frank non ha mai creduto in Dio.
L'inferno
lo stavano scontando lui e Alice, in quel momento.
Si
augurò solo che finisse in fretta.
«Sì»
rispose in un sussurro Neville, assottigliando le labbra e stringendo
con forza la tazza fra le mani. «Mia nonna lo dice
spesso».
«Ha
combattuto fino alla fine» continuò il
professor Moody.
«Stando alle ricostruzioni».
«Crucio!»
Non
urla, non strilla, non si contorce.
Alice
capisce improvvisamente che è finita.
Sgrana
gli occhi e fissa terrorizzata la sagoma tremante del marito
accasciarsi senza più alcuna resistenza a terra.
Qualcuno
sta gridando, ma lei non capisce chi sia o cosa voglia, non sente
più
nulla.
Non
ha più intenzione di sentire nulla.
Fissa
solo suo marito, a terra e immobile.
Qualche
secondo ancora, e comprende di essere stata lei ad urlare.
Qualche
secondo ancora, e l'ombra scura di una bacchetta entra nel suo campo
visivo.
Si
augurò solo che Neville stesse bene.
«Tua
madre aveva una parola buona per tutti».
«Se
tua madre fosse viva... se solo tua madre potesse vederti ora,
Barty...»
«È
questo il punto, Alice» ridacchiò Crouch Jr. con
un
ghigno divertito a increspargli le labbra. «Mia madre
è
morta».
«Andavano
a scuola insieme, Barty...»
«E
poi siamo cresciuti» la interruppe. «Bella favola,
la
racconti a tuo figlio prima che si addormenti?»
Chinando
il capo sconfitta, Alice azzarda un'ultimo, disperato tentativo.
«Barty...»
mormora tremante. «Non sei come loro».
Ride.
Ridono
tutti.
Fa
male, vero, Alice?
«Povera,
povera, Alice» sghignazza Bellatrix Black nella sciocca
parodia
di una voce infantile, ed è forse quella la voce a fare
più
male di tutte. «Tutta sola con i Mangiamorte cattivi
perché
il suo Frank è andato a marcire fra i vermi».
Alice
chiude gli occhi, ripensa alla sua vita, ripensa a quando a undici
anni si era vista arrivare quella lettera sigillata che tanto aveva
atteso, ripensa a quel ragazzo carino che sedeva tre banchi davanti
al suo, alle lezioni di Trasfigurazione, ripensa a quando quel
ragazzo tanto carino l'aveva invitata a fare un giro ad Hogsmeade, a
quando lei aveva capito di esserne innamorata, a quando gliel'aveva
confessato, a quando avevano fatto per la prima volta l'amore, a
quando lui le aveva chiesto di sposarla, a quando si erano diplomati
insieme all'Accademia per Auror, a quando aveva scoperto di essere
incinta, a quando era nato il suo...
Il
suo...?
Basta.
Alice
non ripensa più a niente.
Alice
non ricorda più niente.
Non
ricorderà più niente.
«Sì,
lo so» ripeté mestamente Neville. «Me ne
hanno
parlato».
«Dovresti
essere molto orgoglioso di loro, Paciock» asserì Moody.
«Lo sei?»
Neville
chinò il capo, sempre più determinato a non
guardare il
proprio professore.
«Non
lo so, signore... è difficile».
«La
vita non è facile. Tienilo a mente, quando sarai costretto a
scegliere fra qualcosa e qualcos'altro, Neville, perché sono
le scelte che facciamo a disegnare il nostro futuro».
«Voi
siete il mio Signore in ogni dove e in ogni tempo, a Voi dichiaro
eterna e irreversibile fedeltà, o dolorosa morte mi colga
presto. Ora, con il nome di Mangiamorte, mio solo Signore, la mia
vita è al Vostro nobile servizio».
«Tieni
a mente ciò che ti ho detto, quando arriverà
anche il
tuo momento di scegliere» concluse il mago.
Neville
sollevò finalmente gli occhi sul suo viso deturpato dalle
battaglie che aveva combattuto: un lieve e raccapricciante sorriso
complice stava deformando ancora di più il volto del suo
professore.
«Promettimi
che sceglierai bene, giovane Paciock».
Il
ragazzo si arrischiò in un debole sorriso. «Lo
farò,
signore» mormorò imbarazzato.
«Bravo
ragazzo. Scegli il re che più ti conviene servire. Gioca per
il colore che ti offre le migliori opportunità. E, fra
parantesi» continuò, mentre il sorriso gli si
allargava
orribilmente, «il nero generalmente vince la partita».
Neville
inarcò perplesso un sopracciglio, non riuscendo ad afferrare
il complesso intrico di parole del professore.
I
tuoi genitori hanno giocato per il colore sbagliato.
Impara
dai loro errori.
Impara
dalla loro pazzia.
*
«Questa»
gli aveva detto con piglio severo la nonna, «apparteneva a
tuo
padre. Ora è tua».
Nascosto
dall'ombra che la grande quercia del giardino creava sulle pareti
della propria cameretta, Neville Paciock continuava ad agitare la
bacchetta di legno da più di un'ora, sperando ad ogni
movimento del polso di scorgere una qualche scintilla colorata uscire
dalla punta. Riprovò un'altra volta, e un'altra ancora, e
ancora, e ancora. Decise di attendere un attimo, perché in
fondo la bacchetta aveva una certa età, e forse aveva
bisogno
di un po' più di tempo prima di riprendere a funzionare
egregiamente come aveva fatto anni per prima per suo padre.
Ancora
una volta.
«Non
sembra aver ereditato il talento di suo padre».
Un'altra
volta.
«Peccato
non sia abile negli incantesimi quanto lo era sua madre».
Un'ultima
volta.
«Non
sarà mai in gamba come i suoi genitori, temo».
Furioso
più con il resto del mondo che con quella bacchetta che
continuava a rimanere soltanto un inutile pezzo di legno vecchio,
nonostante tutti i suoi sforzi, Neville la gettò con forza
contro il muro turchese della propria cameretta. Si
raggomitolò
su sé stesso e iniziò a singhiozzare.
Le
lacrime, povero ragazzo, non gli permisero di vedere quei piccoli
guizzi rossi e oro che saettavano a pochi passi da lui,
giocherellando sull'ombra della quercia e ansiosi di essere visti dal
loro creatore.
Neville
non alzò gli occhi.
Nevile
continuò a singhiozzare.
Neville
non sarebbe mai stato all'altezza dei suoi genitori.
*
«I
tuoi genitori sarebbero fieri di te».
Alzando
lo sguardo verso il ritratto di Albus Silente, Neville sorrise
mestamente.
«Non
ho fatto nulla, professore».
L'anziano
mago gli rivolse un'occhiata indulgente.
«No,
caro ragazzo» asserì. «Hai fatto la
differenza. È
questo non è decisamente ciò che definirei nulla».
«Sii
fiero di te stesso, Neville, così come lo sei dei tuoi
genitori».
Hai
vinto la partita che avevano cominciato, Neville.
L'hai
vinta per i bianchi.
L'hai
vinta anche per loro.
*
Sistemando
sul comodino accanto al letto la graziosa piantila appena
recapitatale, la Guaritrice osservò la propria paziente. I
capelli grigi e privi di forma le incorniciavano il viso smunto e
pallido, enfatizzando l'espressione vacua e distante dei suoi occhi
chiari. Studiò l'impercettibile nenia che era intenza a
cantare – come sempre, del resto – mentre osservava
la primavera
rinascere nel grande giardino del San Mungo, dondolando la testa a
ritmo di dimenticate note passate.
«Sleep
my child, take your rest; angels watching over you».
Dove
hai lasciato il tuo bambino, Alice?
*
«Vostro
figlio Neville ha combattuto nell'Ultima Battaglia, dicono abbia
avuto un ruolo decisivo e che abbia movimento per mesi la Ribellione
all'interno di Hogwarts, non siete orgogliosi?»
Frank
Paciock lanciò un rapido sguardo vacuo alla Guaritrice,
prima
di tornare a concentrarsi sul candore soffocante del muro della
stanza.
Alice
Paciock si lasciò sfuggire una risatina, poi, come si fosse
improvvisamente ricordata una cosa importante, si alzò dal
letto e iniziò a rovistare nella tasca del lungo camice
bianco.
«Alice,
cosa stai-?» iniziò la Guaritrice, ma l'altra
strega la
interruppe alzando tremante un braccio. Le porse con un sorriso
trionfante il pugno chiuso della mano destra.
La
Guaratrice scosse il capo, confusa. «Forse è
meglio se-»
si bloccò, mentre Alice apriva lentamente il pugno per
mostrare una carta di Gomme Bollebollenti.
«Certo,
Alice» rispose la donne a quella tacita richiesta.
«Potrai
dargli tutti gli incarti che vuoi non appena verrà a
trovarti».
Il
sorriso di Alice si allargò ancora di più.
*
Amatissimo
nipote,
sono
in fuga dal Ministero, spero perciò perdonerai la
brevità
di questa mia lettera.
Non
sono arrabbiata con te, se è quello che stai pensando, per
aver costretto alla clandestinità l'intera famiglia Paciok
(sì, anche tuo zio Algie e tua zia Enid hanno pensato bene
di
cambiare aria per un po' di tempo), tutt'altro. Ti stai dimostrando
il vero figlio dei tuoi genitori, Neville, ne sono molto orgogliosa.
Se
tuo nonno e i tuoi genitori potessero vedere l'uomo che sei
diventato, stanne certo, lo sarebbero altrettanto.
Sii
fiero del nome che porti così come oggi io lo sono di te,
ragazzo mio.
Sii
fiero di essere figlio di eroi.
*
Sessantasei
incarti di gomme Bolle Bolenti, due ritagli di giornale privi di
senso, una vecchia figurina della Cioccorane di Albus Silente, un
sacchetto vuoto di Pallini Acidi e i tristi resti di una Bacchetta di
Liquirizia.
Con
un'ultima nostalgica occhiata all'interno della scatola, Neville la
nascose nuovamente sotto l'asse malmesso del pavimento di camera sua.
*
Frank
Paciock osservò l'espressione serena dipinta sul viso
paffuto
del proprio figlio. Ne osservò le guancie rotonde e la pelle
liscia e vellutata, stupendosi, per l'ennesima volta, di quanto
assomigliasse ad Alice e chiedendosi se negli anni successivi questa
si sarebbe smorzata o accentuata. Si disse che no, le assomigliava
già abbastanza e che sarebbe arrivato anche il turno dei
suoi
geni. Immaginò il momento in cui avrebbe potuto insegnargli
a
cavalcare una scopa, quando lo avrebbe accompagnato dal vecchio
Olivander ad acquistare la prima bacchetta, quando si sarebbe dovuto
accorgere che il suo bambino ormai era diventato un uomo.
Chissà
se avrebbe intrapreso la carriera dell'Auror. Certo che sì,
si
disse nuovamente, non potrebbe essere altrimenti. E anche se
così
non fosse, a lui poco importerebbe.
Si
chinò sulla culla e posò un delicato bacio sulla
fronte
del figlio.
C'è
il papà qui con te, bambino mio.
Sulla
Gazzeta del Profeta, abbandonata sullo sgabello a pochi passi dal
lettino, troneggiava la data di Halloween.
31
ottobre 1981.
Due
ore più tardi, James e Lily Potter avrebbero cessato di
essere
genitori.
Frank
e Alice Paciock avrebbero condiviso il loro destino solo due giorni
dopo.
Nessuna
possibilità di fuga.
Nessuna
salvezza.
*
«È
finita, Harry, ci sei riuscito, non posso crederci!»
«È
anche merito tuo, amico mio».
L'abbraccio
fra Harry Potter e Neville Paciock non avrebbe potuto avere
più
significati di così, agli occhi dei maghi e delle streghe
sopravvisuti all'ultima, cruenta battaglia finale.
«Angels
watching over you...»
Gli
angeli vegliano su di te, bambino mio.
Anche
quelli pazzi.
Chiedo
venia per la probabile e irritante sfilza di errori di battitura,
punteggiatura e grammaticalmente idioti. Ho il computer fuori dai
coppi, e di conseguenza, lo sono anch'io.
Grazie
a tutti quelli che continuano a seguire le mie storie, vi adoro!
P.s.
How!
È la One-Shot più lunga che abbia mia scritto! Applausi
P.s.s.
«Angels
watching over you» è una vera ninna nanna inglese.
Baci,
Trick
|